Assassin's Creed IV: The War of Russia

di AxXx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: la morte dello Zar ***
Capitolo 2: *** Fuga nella Foresta ***
Capitolo 3: *** L' Arrivo dei Bianchi. ***
Capitolo 4: *** L'accampamento Rosso ***
Capitolo 5: *** Catturati ***
Capitolo 6: *** Fuga dai Templari ***
Capitolo 7: *** Vittime Innocenti ***
Capitolo 8: *** Perm ***
Capitolo 9: *** Rasputin ***
Capitolo 10: *** Sospetti e Ricordi ***
Capitolo 11: *** Patto di tradimento ***



Capitolo 1
*** Prologo: la morte dello Zar ***


   
          Prologo: La Morte dello Zar
 
 
 
 
Salve gente, dopo una prima ff su Assassin’s Creed che ho abbandonato temporaneamente per motivi logistici e personali, tra le quali una mancanza di ispirazione torno su questa categoria con questa nuova storia incentrata su un altro antenato di Desmond che combatté un gruppo di Assassini traditori in Russia nel periodo del 1918, durante la guerra civile Russa.
Le armi qui descritte sono un  misto di armi dell’epoca (revolver, baionette e mitragliatrici) con alcune armi assassine classiche, che verranno descritte in questo capitolo ed in altri. (Lama celata, spada, balestra, pugnali da lancio)
Inoltre, nonostante l’avanzamento tecnologico, gli assassini opteranno per un stile da assassini stile Ezio Auditore, ma senza cappa.  
   
 

 
 
 
 
 
 
Il mio nome è Nathan Miles, ho diciotto anni e sono nato il tredici maggio del 1900.
Ho i capelli neri come le ali di un corvo, i miei occhi sono, paradossalmente, di un azzurro così chiaro che, dicono, sembrino risplendere di luce propria.
Il mio volto è leggermente squadrato, ma comunque dai lineamenti abbastanza morbidi.
I miei capelli sono lisci, e mi arriverebbero alle spalle se non fosse per la coda con cui li tengo legati e che mi fa sembrare un pirata.
Mio padre discende da una delle più famose stirpi degli assassini  che sia mai esistita, che si dice affondi le proprie radici in alcuni degli assassini più famosi della storia: Ezio, Connor, Altair.
I loro nomi non li impari nei libri di storia, ma un assassino li conosce, perché noi non perdiamo MAI la memoria di coloro che hanno combattuto per la nostra causa.
La libertà è ciò a cui noi miriamo, una libertà che permetta alle persone di decidere per se stesse e non guidate da despoti e populisti che cercano di portare le masse dalla loro parte per i propri interessi.
Ecco perché ero là.
 
 
 
 
La Russia era un paese orribile. Oserei dire di merda, proprio.
Ma dovevamo compiere una missione.
Una missione importante.
“Stai sveglio, Nathan. Mantieni vigili i sensi.” Mi ordinò mio fratello maggiore.
Eravamo tre in tutto.
Io ero passato dal grado di adepto al grado di assassino da poche settimane.
Mio fratello maggiore, Alex Miles, aveva ventotto anni ed era un maestro da tre.
Era più alto di me, ma di poco.
I suoi capelli erano corti ed i suoi lineamenti, più marcati dei miei.
Per il resto ci somigliavamo parecchio.
“Scusa, non ho dormito bene ieri.” Dissi mentre bevevo un forte liquore locale che mi bruciò la gola.
Il freddo pungente di quel posto si sentiva anche a luglio, e la notte non migliorava certo le cose.
Ekaterinburg era una città molto in profondità nel territorio russo.
E non era una zona molto favorevole.
I Bolscevichi, detti i rossi, occupavano la città, ma a giorno fatto, sarebbero arrivate le armate Zariste dei bianche e noi avevamo una missione: Dovevamo prendere in custodia lo Zar Nicola II e porlo sotto la protezione dell’intesa che aveva una base a Rostov.
Non era facile.
Sapevamo di alcuni soldati rossi inviati ad uccidere l’imperatore e noi dovevamo evitarlo.
Di regola, avremmo ucciso volentieri noi, un ex-templare, ma con il traditore Lenin in circolazione, bisognava ponderare bene ogni mossa.
La luna brillava alta nel cielo e si rifletteva argentea sulla neve che in quei luoghi era perenne.
Eravamo accucciati su un tetto di una casa a tre piani, pronti a scattare sui tetti vicini o a sparare con i nostri revolver contro qualunque nemico.
Dall’ombra apparve, però, Sue, la nostra terza compagna.
Era una donna di trent’anni dai capelli biondi, magra ed allenata, non particolarmente formosa, ma bella.
Il viso era morbido e gentile, senza spigolosità a durezza.
Sembrava impossibile identificarla come un’assassina; almeno finché non ti ritrovavi con un suo pugnale nella schiena, ma a quel punto era un po’ tardi.
“maestro! I rossi sono arrivarti in anticipo! Dobbiamo sbrigarci!” Disse con il fiatone.
Partimmo tutti e tre una frazione di secondi dopo.
“Dannazione! Non dobbiamo perdere tempo!” Disse mio fratello mentre saltava agilmente come un gatto tra i bassi edifici della città.
Ci mettemmo pochi minuti per giungere alla residenza Romanov: un alto edificio a due piani di un vago stile barocco, circondato da un giardino molto grande.
“Per dei prigionieri, sono trattati bene.” Sussurrai ironico io mentre osservavo undici uomini armati che scendevano da due camionette parcheggiate su uno spiazzo sterrato appena oltre la porta principale.
Scendemmo senza farci vedere e superammo la recinzione in ferro che circonda la dimora.
Grazie ai mantelli bianche ed i cappucci, riuscimmo a mimetizzarci bene con il candido ambiente innevato e nessuno ci vide entrare.
All’interno prendemmo strade diverse senza dire una parola.
Sapevamo che c’eran sempre dieci guardie sul davanti del cortile ed altre cinque sul retro.
Non c’era tempo per aggirarle, quindi le avremmo superate in un modo o nell’altro.
 Avevo appena fatto una dozzina di passi che iniziai a sentire gli stivali di una persona sbattere sulla neve.
Mi mossi con la leggerezza di un colibrì e mi nascosi tra alcuni cespugli facendoli frusciare appena.
Pochi secondi dopo da dietro un albero comparve un uomo armato con una baionetta e vestito con un uniforme rossa.
Il soldato si fermò davanti al mio nascondiglio ed io imprecai a bassa voce.
‘Non posso stare ad aspettare che si muova.’ Pensai mentre feci scattare silenziosamente la lama celata.
Mi alzai di scatto e, con una rapida mossa del braccio, gli piantai la lama nella gola ancora prima di avergli chiuso la bocca con la mano destra.
L’uomo rantolò terrorizzato per un attimo mentre il sangue schizza fuori dalla giugulare.
Poi i suoi occhi si fecero vitrei e spirò senza un lamento.
Feci ricadere il corpo tra i cespugli dove prima mi nascondevo io e poi ripartii per raggiungere il retro della villa dove dovevo incontrare i miei compagni.
Ci misi un minuto a percorrere trecento metri di cortile, per evitare un altro paio di guardie che avevo incrociato, senza però fermarsi, il che mi evitò altre perdite di tempo nell’occultamento di cadaveri.
Raggiunsi il retro dell’edificio ed intravidi una porta posteriore, probabilmente adibita per la servitù, sorvegliata da una guardia rossa.
Stavo per colpire quando un dardo di balestra raggiunge l’uomo al collo uccidendolo.
“Sei un po’ lento.” Mi sussurrò Sue con in braccio l’arma.
Anche mio fratello ci raggiunse subito e ci appostammo davanti alla porta sul retro.
“Ok, entriamo.” Disse dopo aver forzato la porta mentre io e la nostra consorella lo coprivamo.
Fu appena mosse i primi passi all’interno dello stretto corridoio in legno che si udirono i primi spari.
“Dannazione.” Fece mio fratello iniziando a correre verso il salotto.
Ci muovemmo rapidi ed io faccio il giro per poter entrare da un’altra porta.
Ci misi circa tre secondi e faccio irruzione nel salotto.
La scena che ebbi davanti fu orribile.
Un gruppo di undici uomini stava sparando contro alcune persone in fila contro il muro, tra le quali alcuni servi fidati della famiglia imperiale.
Per alcuni secondi le armi si acquietarono, il che mi permise di estrarre il mio revolver.
Sparai contro quello che si era voltato per primo verso di me e lo uccisi sul colpo.
Un uomo urlò qualcosa in russo, che io non capii e gli altri tornarono a sparare, ma alcuni lo fecero nella mia direzione.
Ebbi appena il tempo di sparare un altro colpo prima di dovermi riparare dietro lo stipite della porta.
Le urla della famiglia imperiale si fecero più intense ed io mi affacciai di nuovo sparando tre colpi.
Nello stesso istante Sue e Alex fecero irruzione dalla porta sull’altro lato uccidendo almeno quattro persone.
Un uomo che si reggeva a malapena in piedi tra gli imperiali si avventò su uno dei soldati, ma quello gli sparò al petto a bruciapelo facendolo cadere a terra in una pozza di sangue.
Io uscii dal riparo e sparai con precisione uccidendo un altro soldato.
Un dardo di balestra colpì il capitano delle truppe di esecuzione nell’occhio facendolo morire tra atroci sofferenze mentre sangue e materia grigia del bulbo oculare si mescolavano a terra.
Gli ultimi due, probabilmente rendendosi conto che non avrebbero potuto ucciderci, decisero di concentrarsi sulla famiglia imperiale.  
Uno sparò ad una ragazza che doveva avere più di vent’anni, mentre il secondo freddò il figlio maschio dello Zar con un colpo alla fronte.
Alla vista di quella carneficina mi salì il sangue al cervello e con un agile scatto lascio perdere la pistola ed affondo la lama celata nel collo del sodato più vicino con furia ceca.
L’altro mi osservò per un attimo, ma non ebbe il tempo di alzare un dito, dato che Sue gli aveva piantato un coltello nella schiena.
Mio fratello, intanto si era accovacciato accanto all’uomo che si era avventato contro i soldati.
Solo ora lo riconobbi come il sovrano: Nicola II, Zar di Russia.
Indossava un uniforme da ufficiale bianca con una specie di fascia sulla spalla che raffigurava la bandiera russa ed aveva appuntate sul petto varie medaglie che raffiguravano un grado militare datogli in quanto sovrano.
“Avanti, Zar, resistete, vi cureremo.” Lo incitò Alex con delle leggere scosse alla spalla.
Quello però si limitò a scuotere la testa. “Che c’è assassino? Non... mi... uccidi?” Chiese mentre la bocca si riempiva di sangue.
Sembrava sforzarsi di rimanere cosciente.
“Non oggi, siamo qui per portarla al sicuro.” Rispose mio fratello cercando di tamponare le ferite al petto del sovrano.
“I... miei... figli... Dove sono... i miei...figli...?” La voce del sovrano sembrava provenire direttamente dall’aldilà, mentre i suoi occhi scivolavano su mio fratello senza vederlo.
“Fate presto!” Ci incita Sue sotto voce mentre faceva da palo sulla porta che dava sul salone principale della villa.
Io mi accostai al mucchio di cadaveri.
Indossavano tutti le vesti eleganti, dei nobili di alto grado: bianche e candide, ma ormai coperte di sangue rosso.
Non notai segni evidenti di vita.
La moglie dello Zar giaceva a terra in un lago di sangue con vari proiettili che le perforano il torace.
Due ragazze erano rannicchiate abbracciate in un angolo della stanza. Provai a controllare se ci sono segni di vita, ma entrambe erano morte.
Mentre mi chinavo sui cadaveri chiudevo loro gli occhi per pietà e per non vedere quello sguardo di orrore e paura con la consueta formula che usiamo noi Assassini: “Requiescat in pace.”
Dovetti farmi forza per non vomitare.
Mi spostai, infine, verso il centro del gruppo e controllai.
Incredibilmente, sotto il cadavere di un servitore, probabilmente morto per fare da scudo umano, vidi una ragazza.
A giudicare dai tratti aveva la mia età.
Aveva i capelli chiari ramati ed un paio di occhi verde smeraldo.
I tratti erano gentili ed aggraziati, turbati da tanta violenza.
Lo sguardo era vuoto e gli occhi lucidi, tanto che sembrava in trance.
Provai a scuoterla, ma non ci furono reazioni di sorta.
“Portate... via... mia... figlia. Non... chiedo... altro.” Rantolò Nicola secondo prima di spirare completamente.
“Requiescat in pace.” Disse mio fratello chiudendogli gli occhi.
“Andiamo via!” Disse Sue mentre i mi caricavo in braccio la ragazza cercando di non aggravare le sue condizioni.
Un colpo di pistola rimbombò nell’aria e la nostra consorella cadde riversa in un lago di sangue, mentre sulla porta si stagliava la figura incappucciata di un uomo vestito come un assassino.
“Dimitri! Il traditore!” Urlò mio fratello gettandosi su di lui ordinandomi di fuggire.
Io mi misi a correre mentre decine di guardie rosse, allertate dall’assassino traditore invasero i corridoi iniziando a spararmi con le loro baionette.
Dal canto mio i miei spostamenti erano molto limitati dal peso della ragazza e dal mio personale desiderio di non aggravare il suo stato di Shock.
Io stesso non era certo della mia salute mentale: da adepto avevo assistito ad un numero sufficiente di morti atroci, ma tanta crudeltà perpetrata su civili innocenti avrebbe segnato chiunque ed io non facevo certo eccezione.
Tentai di raggiungere la porta posteriore, dalla quale eravamo entrati, ma lì c’erano appostate tre guardie rosse che, appena mi videro, aprirono il fuoco.
Riuscii a malapena ad evitare i proiettili e mi rifugiai in una stanza chiudendomi la porta alle spalle.
La ragazza sembrava essersi ripresa un po’ ma era nel panico e si guardava freneticamente intorno.
Il mio addestramento mi permise di mantenere la mente lucida e mi gettai senza troppe esitazione contro la finestra usando il cappuccio per proteggermi dalle schegge di vetro.
Lei urlò per la paura, ma io non ci badai e mi misi a correre verso la recinzione sul retro della villa.
La neve crepitava sotto il nostro peso ed io avevo non poche difficoltà a muovermi, mentre il rumore di pesanti scarponi sul candido terreno mi avvertivano che alcuni soldati mi stavano inseguendo.
Affrettai il passo più che potei e sentii la fatica penetrarmi le membra.
Strinsi i denti pensando al fatto che mio fratello mi avrebbe raggiunto.
La recinzione era stata abbattuta ed appena oltre, legati ad un albero nascosto dietro ad una ricca vegetazione, c’erano tre cavalli bianchi.
Con le mi ultime energie mi issai a cavallo con in braccio la ragazza.
Mi voltai indietro ed osservai la casa e i soldati che avanzavano verso di me.
‘Mio fratello tornerà.’ Mi dissi fiducioso.
La verità era un’altra.
Mi stavo dando del codardo per essere fuggito abbandonandolo ad una lotta disperata.
Con queste parole cercavo di sopire il mio senso di colpa.
I soldati si stavano avvicinando, quindi, per non perdere altro tempo spronai il cavallo verso la boscaglia al galoppo, per distanziare i miei inseguitori.

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Capitolo 2
*** Fuga nella Foresta ***


 
                     Fuga Nella Foresta
 
 
 
 
Il cavallo partì rapidamente tra i rami della foresta lasciando indietro i nostri inseguitori che, nel tentativo di fermarci, spararono contro di noi con le loro baionette.
I colpi impattarono contro gli alberi sprigionando alcune schegge di legno senza che, però, ci raggiunsero mai.
Cavalcavamo rapidi, io dirigendo l’animale, lei, ancora tra le mia braccia.
L’avevo posizionata davanti a me per proteggerla da eventuali proiettili vaganti.
La luna stava calando rapidamente mentre emanava la sua luce argentea che, trasparendo tra i rami innevati, dando al paesaggio candido un aspetto spettrale con i suoi riflessi.
Ero quasi sicuro che fossimo riusciti a seminarli, quando all’improvviso, le due camionette che avevo visto parcheggiate nel cortile apparvero rombando tra gli alberi.
“Dannazione!” Dissi evitando termini più forti.
Avremmo potuto avere anche noi dei veicoli motorizzati, ma per non fare troppo rumore, dato che i motori tendono ad essere piuttosto rumorosi, e ad una discreta mancanza di fondi, avevamo dovuto accontentarci di un paio di cavalli.
Intendiamoci; erano veloci e poi le macchine erano ancora piuttosto rare in Russia, a meno che tu non fossi un militare o un ricco, comunque la maggior parte della gente si spostava ancora a cavallo e noi non facevamo differenza.
Una delle due camionette aveva sul tettuccio un foro con una mitragliatrice binata.
Io iniziai subito a spronare il cavallo verso la parte più profonda del bosco mentre un soldato russo prendeva posizione ed iniziava a sparare.
La principessa urlò quando l’assordante rumore dell’arma ci riempì le orecchie.
I proiettili, letali ma imprecisi, andarono a piantarsi sui tronchi degli alberi intorno a noi liberando una marea di schegge tale che dovetti abbassare la testa usando il cappuccio come protezione, per evitare che mi entrassero negli occhi.
Questo non impedì ad alcuni pezzi di legno di entrarmi nella gamba con violenza ferendomi e facendomi perdere sangue.
Intanto io avevo trovato una strada interrata, probabilmente usata come pista dai taglialegna e dai contadini, e la percorsi per alcune centinaia di metri fino ad una curva dove, speravo, di poter seminare i miei inseguitori.
“Eh no! Ma scherziamo!?” Chiesi ironico quando, girando l’angolo, mi trovai davanti ad un carro armato russo.
Be’ i carri armati di quell’epoca non erano esattamente dei bestione, però erano comunque letali e non era piacevole trovarsi davanti quei giganti di tre metri di altezza e cinque di lunghezza, con una corazza di almeno venti centimetri ed una torretta in grado di buttare giù una casa con un solo colpo.
Tirai le redini del cavallo che quasi si impennò quando gli ordinai un così brusco cambio di direzione, ma, grazie al mio addestramento l’animale non si fermò.
Mi sembrò che il proiettile del carro armato mi avesse sfiorato la schiena, quando mi passò li accanto, ma fortunatamente non colpì me finendo contro una delle due camionette facendola saltare in aria.
‘Un colpo di fortuna ci voleva.’ Pensai mentre mi inoltravo di nuovo nella foresta.
La ragazza intanto si doveva essere ripresa un po’ perché finalmente sembrava stare meglio.
“Attento!” Urlò lei avvertendomi di un’altra sventagliata di proiettili.
Io mi abbassai appena in tempo per evitare la scarica letale proveniente da sinistra che andò a finire sugli alberi vicini.
Intanto sentii uno strano rumore e mi voltai.
Il carro armato si stava facendo strada tra la vegetazione abbattendo gli alberi più sottili come se fossero fatti di plastica.
‘Dannazione!’ Era la terza volta che lo pensavo.
Continuavo a cavalcare cercando di mettere tra me e la camionetta sempre degli alberi sapendo che, se mi avesse investito, avrebbe potuto abbatterci.
Un'altra potente esplosione mi avvertì che il carro armato si stava avvicinando troppo.
‘Devo togliermelo di dosso.’ Pensai.
‘Ok, ho lasciato Ekaterimburg da mezz’ora e non ho rallentato, quindi se sono avanzato principalmente verso sud, qui vicino ci dovrebbe essere una zona paludosa.’ Mi dissi cercando di evitare i colpi del carro armato e della camionetta, costringendo il mio cavallo ormai allo stremo a sterzate sempre più brusche.
Girai a destra, dalla parte opposta rispetto al veicolo più leggero.
‘Come pensavo!’ Pensò esultante mentre sentiva gli zoccoli del suo cavallo impattare sul morbido terreno fangoso sollevando leggeri schizzi di acqua sporca.
Mi mossi rapidamente per attraversare i cento metri di palude che mi separavano dal punto boscoso ragionevolmente più vicino.
dovevo muovermi rapidamente per evitare i proiettili: dato che gli alberi si diradavano diventavo un bersaglio troppo facile.
Ero arrivato praticamente a metà strada dagli alberi quando la camionetta apparve dalla boscaglia.
Il pilota doveva essersi reso che la situazione era favorevole, quindi accelerò guadagnando terreno velocemente mentre il soldato apriva il fuoco con la mitragliatrice.
La notte era utile per rendere difficile la mira agli avversari, ma anche io dovevo moderare la mia velocità per evitare le parti più profonde della palude, che, con quella poca luce argentea erano visibili solo a pochi metri, rendendomi allo stesso tempo un bersaglio facile.
Anche usando l’occhio dell’aquila le cose non miglioravano.
Certo, ci vedevo meglio di loro, ma comunque ero costretto a deviare più volte la corsa del cavallo per evitare i proiettili che volavano in tutte le direzioni sollevando schizzi di fango quando colpivano il terreno.
Quella notte, però, ebbi la fortuna dalla mia, dato che, nonostante le raffiche di colpi che continuavano a volare, io, la ragazza ed il mio cavallo raggiungemmo indenni la foresta, mentre guardandomi indietro vidi con soddisfazione  il carro armato russo impantanarsi, nonostante i cingoli, in una profonda pozza melmosa della palude.
‘Ok, ora rimane solo la camionetta.’ Pensai osservando il veicolo che slalomava tra gli alberi mentre il soldato sulla torretta continuava a puntarmi.
“Sai cavalcare?” Chiesi alla ragazza che ormai doveva essersi ripresa dato che i suoi occhi non erano più così vitrei.
Lei si limitò ad annuire ed afferrò le redini sollevandosi dalle mie gambe.
‘Grazie a Dio.’ Pensai mentre le gambe tornavano ad essere sensibili.
Si chiaro, lei non era molto pesante, ma dopo mezz’ora e più che ti porti sulle ginocchia qualunque peso cominci a non sentirle più tanto bene.
‘Be’ è brava a cavalcare, un ottima amazzone.’ Pensai mentre notavo come riusciva a mantenere la mia stessa velocità in mezzo a quella fitta vegetazione nonostante la poca luce.
Mentre lei dirigeva il cavallo, io mi appoggiai alla sua spalla un attimo accucciandomi sulla sella pronto a fare un salto.
“Quando dico ‘Ora’ Scatta ed avvicinati, così posso saltare sopra!” Le dissi cercando di sopraffare il rumore dei proiettili che ci volavano intorno.
“Sei matto!? Ti farai ammazzare!” Disse lei mentre si sforzava di mantenere la concentrazione; era chiaro che era sull’orla di una crisi di nervi: dopo la morte dell’intera famiglia, trovarsi in quella situazione no era certo d’aiuto, ma almeno si stava riprendendo.
‘Parla anche inglese.’ Pensai un po’ stupito.
Non avrei dovuto dato che tutti i membri della famiglia reale dovevano essere stati educati a parlare con le alte autorità degli altri stati.
Comunque non avevo tempo per pensarci, dato che dovevamo salvarci la vita.
“Non ti preoccupare, tu fallo e basta.” Per un attimo pensai che si sarebbe rifiutata, ma, invece annuì e continuò la corsa.
Mi sporsi per osservare il percorso tra gli alberi.
Per una manovra del genere dovevo trovare una zona un po’ più spaziosa degli angusti spazi tra gli alberi che stavamo percorrendo.
“Ora!” Gridai con forza appena vidi uno spiazzo tra gli alberi sufficientemente spazioso.
La principessa mi stupì ancora riuscendo perfettamente ad infilarsi tra gli alberi e ad affiancarsi improvvisamente alla camionetta senza sbatterci contro.
Subito io superai con un salto lo spazio tra il cavallo e la camionetta.
Mentre ero ancora in aria il soldato che teneva la mitragliatrice la puntò verso l’alto nel tentativo di colpirmi, ma io ero stato troppo veloce e, con uno scatto della lama celata, lo colpii alla gola uccidendolo sul colpo.
All’interno tre uomini tentarono di uscire dall’apertura sul tettuccio.
Il primo era armato con una fucile munito di carabina e tentò di infilzarmi con un affondo appena uscito dall’apertura.
Io mi scansai, presi la canna del fucile e, usando la forza che lui aveva dato all’affondo, lo buttai di sotto dalla camionetta in corsa.
Il secondo estrasse una sciabola e tentò di tagliarmi la testa con un ampio fendente, ma io mi abbassai e lo colpii più volte al petto con le due lame celate.
Dopo averlo ucciso presi il revolver e sparai all’ultimo soldato che stava salendo mentre, con l’altra mano afferravo una granata, dalla cintura di quello che avevo ucciso e la gettai all’interno del veicolo.
“Addio.” Dissi mentre saltavo di nuovo sul cavallo.
Afferrai le redini e le tirai costringendo l’animale a fermarsi.
La camionetta continuò la sua corsa solo per pochi secondi prima di esplodere.
‘Bene, ce l’abbiamo fatta.’ Pensai sollevato sentendo solo in quel momento il dolore e la stanchezza dovute alla nottata.
‘Avrei fatto meglio a dormire di più ieri sera.’ Pensai mentre tentavo di rimanere sveglio.
La ragazza dal canto suo sembrava stanchissima, tanto che chiuse gli occhi e si addormentò poggiando la testa sul mio petto.
‘Ooook, situazione un po’ particolare, ma c’è di peggio.’ Pensai mentre muovevo il cavallo ad un trotto leggero per non sforzarlo ulteriormente.
Mi portai di nuovo verso Ekaterimburg,evitando le pattuglie.
Con l’adrenalina passata, la mia mente corse subito a mio fratello.
Era rimasto in quella casa affrontando uno dei tre terrori rossi e probabilmente era morto.
Nonostante la tristezza che mi attanagliava il cuore in una dolorosa morsa cercai di mantenere la calma.
Non era facile sopportare la morte dell’unico membro della mia famiglia, mio padre era morto due anni fa combattendo contro i templari concentrati in Germania durante la Grande Guerra e Alex era rimasto l’unico membro della mia famiglia.
Avevamo sempre fatto le cose insieme e lui era stato il mio mentore, il mio maestro assassino per tutti i miei anni di apprendistato.
Certo, avevo avuto altri maestri prima di lui, ma eravamo sempre io e lui, in missione e fuori.
Lui mi aveva guidato ed insegnato in tutti questi anni incitandomi ad andare avanti.
 
E nel momento in cui lui aveva bisogno di me.
 
Ero scappato come un coniglio davanti al pericolo.
Certo, lui me l’aveva ordinato, ma io potevo scegliere se ubbidirgli o no.
‘Hai fatto tutto quello che potevi.’ Mi disse una vocina nella mia mente.
‘Avrei dovuto restare.’
‘Saresti morto.’
‘Avrei dovuto.’
‘Ma lui non l’avrebbe voluto.’
Le mie due voci continuarono così per un bel po’ ed io era al limite dell’esaurimento nervoso.
‘Calmati, Nathan, calmati.’ Mi dissi mentre dirigevo il cavallo presso il fiume che costeggiava la città stando attento a no farmi vedere dalle pattuglie che sicuramente ci stavano cercando.
Raggiunsi in fine il nostro rifugio temporaneo.
Era un ampia rimessa per le barche abbandonata lungo il fiume.
Portai il cavallo all’interno affinché non lo vedessero e, una volta dentro, tirai giù delicatamente la principessa dalla sella per poi farla sdraiare lentamente sul pavimento, dopo averci messo sopra una coperta.
Il sonno di lei fu agitatissimo.
Più volte la sentii urlare o dimenarsi mentre, probabilmente, riviveva nel sogno, gli orribili eventi a cui aveva assistito.  
Io la osservai nella disperazione di quegli attimi mentre una lacrima scendeva sul viso di lei rigandole la guancia destra di dolore.
Dal canto mio, avevo il mio dolore.
Tentai di dormire, ma non c’era verso di sfuggire a quella morsa di dolore e rabbia che mi invadeva il corpo stringendomi il cuore come per soffocarne i battiti.
 
 
Non so quando iniziai a piangere, né quanto piansi, ma lo feci silenziosamente uscendo dalla porta di quella spoglia capanna.
Osservai il cielo e le stelle, pensando vagamente alla nozione cristiana di Dio del paradiso.
Se c’era un posto dove mio fratello doveva stare era lassù.
Io Non ero mai stato un religioso: l’unica mia fede era la dottrina assassina.
Nulla è reale.
Tutto è lecito.
L’unica cosa che diceva era questo.
Lasciando alle singole persone il compito di interpretare quelle parole.
Ora, però, avevo bisogno di qualcos’altro a cui aggrapparmi.
Qualcosa per non scivolare nel baratro della follia.
Non seppi da dove mi venne, ma feci una specie di preghiera personale.
 
 
“Grazie, fratello. Grazie per aver offerto la tua vita. per la mia.
Non per la causa, ne per la lotta, ma solo per me.
Io non ti ho aiutato ed il peso di questa colpa mi peserà come un macigno.
Ti ringrazio, e vorrei trovare le parole giusto per esprimere il mio dolore.”
 
 
La mia voce si spezzò mentre le lacrime ricominciarono a rigarmi il volto.
 
 
“Io... Ti vendicherò... fratello.
La farò pagare... a chi... ti ha ucciso.
Requiescas... in... pace... Fratello!”
 
 
Con le ultime parole caddi a terra seduto piangendo.
Era tutto ciò che mi veniva a mente.
Durò solo qualche minuto quello sfogo.
Dopodiché mi rialzai asciugandomi le lacrime.
Ebbi la sensazione che la porta si fosse richiusa mentre mi voltavo, ma non mi importava.
Non mi importava nemmeno di avere un’intera foresta piantata nel braccio sinistro.
Con passo lento rientrai, non prima di aver sferrato un pugno contro il muro per la rabbia.
All’interno la principessa aveva smesso di agitarsi, ma io mi resi conto che era sveglia e che stava piangendo.
Forse per i suoi genitori.
Né lei né io ci rivolgemmo la parola travolti dal comune dolore che provavamo e che non poteva essere descritto né lenito da semplici e futili parole.
 
Non so nemmeno quanto passò prima che ci addormentassimo entrambi.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
Allora, secondo capitolo.
Allora qui si passa da una prima parte d’azione ad una seconda parte un po’ triste, o almeno spero di aver dato quest’impressione.
Prima che mi diciate che non ho seguito il periodo storico, informo che a quell’epoca i carri armati e le mitragliatrici esistevano già.
Anche l’uso del cavallo era ancora molto diffuso tra la popolazione civile (I mezzi motorizzati ce li aveva solo l’esercito o le persone molto ricche.)
Comunque i veicoli dell’epoca non erano molto veloci quindi si capisce la lentezza della camionetta.
Spero di non avervi deluso troppo.
Recensite vi prego.
AxXx

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Capitolo 3
*** L' Arrivo dei Bianchi. ***


 
        L’ Arrivo dei Bianchi
 
 
 
Mi vegliai alle prime luci dell’alba, come era mia abitudine.
Mi ero abituato a dormire poco, non sprecare energie e utilizzare il riposo al meglio.
Mi guardai attorno e non notai segni di altre presenze oltre la mia e quella della giovane principessa che dormiva ancora.
‘Almeno adesso è tranquilla.’ Pensai sapendo che il peso della realtà l’avrebbe gravata di nuovo una volta sveglia.
Il sonno dava solo qualche secondo di respiro e ti estraniava dalla realtà, ma alla fine.
Ti devi svegliare.
Io lo sapevo.
Sentivo su di me il peso di essere parzialmente responsabile della morte di un mio confratello, anzi di mio fratello.
Mi sentivo un codardo di bassa lega, che abbandonava gli altri usando scuse del tipo: “Erano ordini.” O “Avrebbero ucciso anche me.” O ancora: “Non avrei potuto fare niente.”
Scuse di bassa lega per sviare le proprie colpe sul destino.
Ero un assasino.
Avrei dovuto aiutare mio fratello.
Scossi la testa concentrandomi sul presente.
Una persona era con me ed era un membro della famiglia imperiale.
Dovevo portarla a Rostov.
Prima di tutto era una persona e non potevo lasciarla lì a morire, dato che Lenin ci avrebbe cercati anche in capo al mondo, ma dovevo anche portarla lontana dai bianchi, dato che, sicuramente avrebbero usato lei per riprendere il potere.
Non potevo permettere ai Templari di riprendere il potere in Russia.
La osservai per un attimo e mi decisi a non svegliarla, lasciandola riposare un altro po’ mentre io facevo un giro di ronda nella zona circostante.
La zona era tranquilla e non sembravano esserci soldati a piedi o su dei veicoli nelle circostanze.
Decisi comunque di non correre rischi e mi affrettai a cancellare le impronte del cavallo lasciate sulla neve.
Tornai al rifugio dove, con mia profonda sorpresa trovai la giovane sveglia.
Era seduta con le gambe raccolte al petto guardandosi intorno con un po’ curiosità, mentre cercava di capire dove fosse finita e come ci fosse arrivata.
Su di noi due cadde un profondo silenzio imbarazzato velato da un manto di tristezza.
Fu lei a romperlo.
“Ieri notte vi ho visto piangere. Quell’uomo che è rimasto indietro era vostro fratello, vero?” Mi disse lasciandomi un po’ stupito.
“Sì, era mio fratello, ed io l’ho lasciato indietro.” Risposi lasciandomi cadere a terra con la schiena appoggiata alla parete.
“Mi dispiace. Se non mi aveste trovata sareste scappati subito.” Rispose lei con un tono di voce così calma da lascarmi interdetto.
Dovetti ammettere che si era ripresa in fretta e che stava dimostrando un più carattere di quanto ci si potesse aspettare.
“Non datevi colpa. Siete viva ed è questo che conta. Comunque dovremmo metterci in marcia quanto prima, dobbiamo compiere un lungo viaggio.” Risposi io per nulla intenzionato a continuare quella conversazione.
“I miei genitori, non sono vivi, vero?” Chiese come se cercasse conferma di qualcosa.
“Non ce l’hanno fatta. Mi dispiace.” Dissi diretto e conciso.
Forse ero stato un po’ troppo diretto, ma non potevo certo nasconderglielo e comunque gliel’avrei dovuto dire in un modo o nell’altro.
Lei girò un attimo la testa e una lacrima le scese dagli occhi.
Io la osservai per alcuni secondi mentre sbatteva le palpebre e la sua bocca si dischiudeva in un leggero sospiro triste.
“immagino che fosse destino.” Disse alla fine tornando ad osservarlo.
“Vi devo ringraziare, chiunque voi siate, per avermi salvata, quindi penso che voi non vogliate farmi del male. Se davvero mi volete aiutare non mi opporrò a voi e vi seguirò.” Disse con la voce un po’ spezzata, ma decisa.
“Ok, se volete venire preparatevi.” Poi la guardai e aggiunsi: “Scusate, ma vi dovreste cambiare d’abito.”
Il motivo era ovvio.
In quel periodo c’erano grandi masse di persone povere che si muovevano per il paese, ma indossando vesti così ricche, non sarebbero certo passati inosservati.
Gli passai alcune vesti più povere.
Per un attimo pensai che le avrebbe rifiutate o che almeno protestasse, ma invece lei le afferrò e si voltò per cambiarsi dietro una specie di protezione di non so quali attrezzi.
Io andai dall’altra parte dell’abitazione dove c’era una specie di scrivania con un cassetto.
Lo aprii e presi da là dentro tutto ciò che mio fratello ci aveva messo.
Per la missione ero partito con poco per essere più rapido, ma adesso avrei dovuto viaggiare per giorni.
Presi un sacchetto con dentro ventiquattro pallottole per il revolver, la balestra con venti dardi, allacciai la cintura dei coltelli da lancio alla vita al posto di quella logora che indossavo ed ovviamente mise la lama celata anche al braccio destro.
In poco tempo avevo preparato le bisacce con il cibo e le coperte, oltre che, ovviamente, dell’acqua potabile, e fummo pronti a partire.
Il cavallo era riposato e fresco, ora, e ci issammo in sella senza problemi.
Io davanti, lei dietro stringendomi le braccia intorno ai fianchi.
Mentre allacciavo l’ultima bisaccia al fianco dell’animale ci fu un boato.
“Cos’è stato?” Chiese la principessa tendendo l’orecchio.
“Non lo so, ma non voglio scoprirlo.” Risposi mettendo il cavallo in marcia.
In realtà avevo riconosciuto chiaramente il colpo di cannone; il che voleva dire che le armate di Kolcak erano vicine.
Ci dirigemmo a valle ed attraversammo un guado non molto lontano dalla città per poi salire su una collina da cui si poteva vedere tutto il territorio circostante.
Ekaterimburg era assediata dalle truppe dei bianchi.
La schiera del templare si muoveva da est cercando di guadagnare terreno, ma i rossi avevano disboscato preventivamente tutta la zona nel raggio di trecento metri intorno alla città, per avere legname e impedire ai nemici di sfruttare la copertura offerta dagli alberi.
“Andiamo! Quelli sono i generali di mio padre!” Disse la principessa indicando le truppe bianche.
“No! Il mio compito è condurvi a Rostov e loro non sono miei alleati.” Dissi con decisione.
Non volevo certo andare tra le braccia dei Templari.
“Non capisco, voi avete cercato di salvare mio padre e loro sono suoi sostenitori. Non dovreste essere dalla stessa parte?” Chiese lei un po’ stupita.
“Mi creda quando le dico che non sempre ‘il nemico del mio nemico è mio amico.’ Lenin è nostro nemico da poco tempo, ma la guerra che combattiamo contro altri dura da generazioni.” Risposi cercando di essere abbastanza chiaro.
“Va bene, ma potreste evitare di darmi del lei? Non sono più una principessa di Russia, dato che mio padre ha abdicato.” Disse lei osservando preoccupata gli scontri che si svolgevano in città.
“Lo farei volentieri, ma non conosco il vostro nome.” Dissi a mia volta, sorridendo per la prima volta.
“Anastasia, il mio nome è Anastasia.” Rispose sorridendomi di rimando.
“D’accordo, Anastasia, ma solo ad una condizione.” Proposi io.
“Quale?”
“Chiamami Nathan, non sono così vecchio da poter essere definito ‘lei’.” Dissi alla fine.
“va bene, Nathan.” Rispose con un sorriso. “Affare fatto.”
La tensione che ci pervadeva da quando eravamo partiti non era certo sparita, ma almeno ora, era allentata.
Il che ci dette il lusso di un sorriso mentre ci allontanavamo dalla zona di guerra.
 
 
 
Cavalcammo a lungo e scoprii che Anastasia aveva molte qualità che non mi aspettavo.
Pensavo che si sarebbe lamentata dei disagi del viaggio come una di quelle signorine aristocratiche che avevo conosciuto alle feste di alto rango, invece si dimostrò molto più resistente di quanto mi aspettassi.
Inoltre, sembrava resistere bene alle temperature esterne, nonostante il povero vestiario che indossava.
Stranamente la cosa mi lasciò un po’ interdetto.
Era oltre le mie più rosee aspettative.
Alle feste di gran Gala avevo avuto modo di conoscere l’universo femminile e maschili dell’alta borghesia e dell’aristocrazia ed avevo sempre considerato quei giovani degli snob viziati in maniera pomposa e stupida, pieni di convinzioni che sarebbero parse errate anche ad un bambino di tre anni.
Leggevano rapidamente testi di filosofia come se fosse un passatempo e si vantavano della loro abilità nella scherma o nel cavalcare, ma alla fine le loro conoscenze erano lacunose e le loro abilità rozze.
La mia educazione da assassino mi aveva, invece portato a conoscere bene ogni filosofia ed ogni pensiero di qualunque filosofo che esso fosse un Templare, un Assassino o nessuno dei due.
Anche i Templari avevano delle idee brillanti e dei pensieri profondi, dopotutto.
Inoltre il mio addestramento fisico era molto superiore a quello di quei poveri aristocratici, che si credevano chissà chi.
Avevo imparato a mantenere i nervi saldi davanti alle cose orribili che venivano dette in una festa del genere, ma alcuni degli orrori che dicevano mi facevano venire voglia di sgozzare quegli ignoranti con la lama celata.
Lei era diversa, e me ne resi pienamente conto solo quella sera quando ci fermammo in una radura, per riposare fino al mattino.
Ero appena sceso da cavallo e lei mi stava aiutando a stendere due coperte sul terreno ghiacciato per isolarci, quando lanciai un gemito di dolore per aver piegato troppo il gomito sinistro.
Anastasia lasciò la coperta e mi venne incontro prendendo il braccio ed osservandolo.
“ma che ti sei fatto?” Mormorò vedendo le ferite e le schegge di legno che ancora mi crivellavano il braccio.
Durante la mattina avevo medicato la ferita rapidamente per evitare di rimanere fermo troppo a lungo e soprattutto per allontanarmi il più possibile dalla zona dello scontro.
“Non è niente, posso farcela.” Risposi io cercando di calmarla, ma lei scosse nervosamente il capo.
“Queste ferite sono molto profonde, rischiano di infettarsi, anzi mi sorprende che non sia già successo. Devono essere lavate e bendate in maniera decente. Aspetta.” Disse nervosamente mentre si dava da fare.
Io rimasi a guardarla, stupito, mentre prendeva dalle bisacce l’occorrente per medicarmi.
Strappò dal suo vestito, incurante del fatto che doveva costare chissà quanto, e fece delle bende, poi mi raggiunse e mi disse di sedermi.
Io ubbidii mentre mi afferrava il braccio ferito con delicatezza, ma allo stesso tempo, sicurezza.
Rimase un attimo ad osservare le ferite, poi iniziò a rimuovere le schegge.
Il sangue nuovo si mescolò a quello rappreso macchiando le sue dita sottili di rosso vermiglio, ma non ci badò molto, concentrandosi sul lavoro, meticoloso e preciso.
Dal canto mio, non potei che ammirare il suo stoicismo.
Era un ottima infermiera e, benché sentissi dolore ad ogni scheggia rimossa, iniziai a sentire un leggero sollievo.
Una volta rimosse tutte le schegge lei osservò la ferita.
“Andrebbe cauterizzata, ma mi va bene anche dell’acqua calda sulle bende, devo solo accendere un fuoco.” Disse alzandosi, ma io la fermai.
“No! Niente fuochi, il fumo e la luce attirerebbe i soldati.” Risposi con decisione.
“ma le tue ferite sono profonde! Senza cauterizzazione si infetteranno e morire di malattia è peggio del dissanguamento!” Protestò lei piccata.
“Ho detto che voglio lasciare che accada?” Chiesi io tirando fuori un accendino dalla tasca ed un coltello dalla cintura.
Lei, a quella vista sbiancò capendo le mie intenzioni.
“Non vorrai...?” Chiese improvvisamente con voce tremula.
Quando io accesi la piccola fiammella e ci feci passare sopra la lama, lei mi afferrò il braccio.
“Sicuro di voler utilizzare questo metodo, le bende con l’acqua calda possono avere lo stesso effetto e comunque, non è detto che le ferite non si infettino.” Disse cercando di convincermi a non fare niente di così violento.
In effetti non era un metodo molto efficace, al contrario di quel che si pensava: di solito distruggeva buona parte dei batteri, ma c’era la possibilità di lasciarne vivi alcuni, inoltre, il muscolo durante il processo i contraeva in maniera spasmodica, tanto che poteva provocare crampi dolorosissimi.
Io, però, non volevo rischiare che ci scoprissero, così continuai imperterrito.
Quando la lama fu incandescente la avvicinai alla pelle sentii il mio istinto impormi di allontanare l’arma ardente dalla cute, ma io, riuscii a domare gli impulsi e posi il coltello sulla ferita.
Il dolore fu atroce e non riuscii a trattenere un lungo gemito di dolore.
La mia pelle sembrava ribellarsi e mi sentivo sul punto di svenire.
Per un attimo abbandonai la presa sull’arma che rischiò di cadere a terra se Anastasia non l’avesse presa e non avesse continuato a premere sulla ferita, nonostante stesse tremando vistosamente.
Dopo trenta secondi, che mi parvero ore, lei rimosse il coltello e, mentre sentivo il bruciore attenuarsi, lavò velocemente le bende ricavate dalla sua veste con dell’acqua per togliere ogni impurità e con esse avvolse il mio braccio sinistro.
Il sollievo fu quasi istantaneo e i muscoli tornarono di nuovo nella loro posizione originale permettendomi di muovere un po’ goffamente il braccio.
“Grazie.” Dissi con un ansito liberatorio mentre il dolore scemava.
Lei sembrò in imbarazzo e si allontanò un po’ mentre finiva di bendarmi.
“Dove hai imparato a medicare la gente?” Chiesi incuriosito da tanta perizia.
“durante la grande guerra, mia mamma e le mie sorelle più grandi lavorarono per la croce rossa presso un ospedale allestito nella capitale. Io non potevo fare un lavoro del genere, perché considerata troppo giovane, ma osservai molte volte operazioni simili e, insieme a mia sorella Maria, ci dedicavamo alla cucitura delle bende, inoltre nostra sorella Tatjana ci insegnò a curare ferite e contusioni quando non era impegnata.” Rispose mentre si lavava le mani con un panno.
Capii subito che pensare alla sua famiglia l’aveva messa a disagio, perché notai che si asciugò in fretta una lacrima mentre gli occhi diventavano lucidi.
“Scusa, non volevo farti tornare a mente la tua famiglia.” Dissi grattandomi la testa sentendomi un insensibile idiota.
“Non importa, anzi, sfogarmi un po’ mi farà bene, ora però sono un po’ stanca.” Così dicendo, finì di stendere la sua coperta e si addormentò poco dopo.
Io la guardai per qualche istante prima di sdraiarmi a mia volta.
 

 
 
 
 
 
 
Allora, terzo capitolo della mia fan fiction sull’antenato di Desmond.
Questo capitolo è di intermezzo ad altre situazioni particolare e spiega un po’ il carattere di Anastasia.
Infatti, mi sono documentato su di lei e sto cercando di ritrarla nella maniera giusta. Comunque tutti gli avvenimenti da lei raccontati sono e saranno veri.
AxXx

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Capitolo 4
*** L'accampamento Rosso ***


 
             L’ accampamento Rosso
 
 
 
La mattina arrivò rapida e fui costretto a svegliare Anastasia, dato che sentivo i passi delle forze rosse in ritirata.
Dalle vibrazioni sul terreno sarebbero state in vista entro un’ora, ma era meglio muoversi.
Dovevano muoversi rapidamente.
Il piano originale era quello di raggiungere Perm, il centro abitato più vicino.
Se avessimo fatto in fretta ci avremmo messo meno di una settimana.
Da lì ci saremmo mossi per raggiungere Kirov, e da lì prendere un treno che ci conducesse a Mosca.
Era pericoloso avvicinarsi così tanto al centro di potere di Lenin, ma era l’unico modo per non perdere due mesi di marcia tra i villaggi e le nevi.
Inoltre era l’unico modo per poter giungere in tempo ragionevole qualunque zona del paese, anche se ci avessimo comunque messo molto.
Con Dimitri ed i suoi due compagni, gli assassini traditori al soldo di Lenin non potevo permettermi di rimanere troppo a lungo su territorio Russo.
Mi massaggiai un attimo il braccio notando che le irritazioni e le scottature erano diminuite.
Anastasia aveva fatto un ottimo lavoro.
La scossi leggermente svegliandola.
“Dobbiamo andare.” Le dissi mentre preparavo il cavallo per il viaggio.
In pochi minuti fummo di nuovo in marcia.
Cavalcammo rapidi bruciando kilometri su kilometri di terreno, ma il territorio che stavamo attraversando era molto grande e quello che per noi erano distanze grandi erano in realtà molto piccole.
Il nostro cavallo era abbastanza fresco e riposato e quindi ci permise di fare molte miglia.
A mezzogiorno ci issammo su una collina e ci guardammo indietro.
In lontananza si vedeva l’armata rossa di Torckij che si ritirava rapidamente mentre le forze dei bianche continuavano la loro avanzata.
“Dobbiamo fare in fretta.” Disse Anastasia osservando preoccupata i rossi che si avvicinavano molto rapidamente nonostante fossero a piedi.
Mangiammo rapidamente un po’ di pane e formaggio, giusto quel tanto per non morire di fame senza neppure alzarci dalla sella e ci rimettemmo in marcia.
In poco tempo ci ritrovammo a cavalcare disperatamente mentre ci guardavamo intorno alla ricerca di un luogo dove nasconderci.
La strada su cui viaggiavamo era abbastanza grande, ma non era una principale, dato che non c’era nessuno.
Il tempo passò senza grandi avvenimenti. Più che altro cercavamo di non lasciarci abbattere dalla noia, sapendo che, se mi fossi distratto saremmo stati facilmente vittima di agguati ed altro.
Ci lasciammo alle spalle foreste, colline e pianure ed io sapevo che a meno di tre ore da noi un esercito pronto ad ucciderci era in marcia forzata, inseguito come un cane braccato.
Noi ci muovemmo senza fermarci fino a notte fonda, quando l’oscurità ci impedì di vedere la strada.
“Ci fermiamo?” Chiese Anastasia cercando di vedere qualcosa nell’oscurità.
Aiutato dall’occhio dell’aquila che mi permise di vedere meglio anche nell’oscurità, portò il cavallo un po’ fuori dalla strada in mezzo ad alcuni cespugli.
Accesi un piccolo fuoco per potermi vedere meglio la ferita e lei si accostò a me.
“È migliorata.” Disse cambiandomi la fasciatura. “ora dovresti stare meglio, finalmente.”
Io la osservai al lavoro.
Anche oggi nessuna lamentela né discussione, era stata in silenzio ad osservare il paesaggio intorno a noi come se niente fosse.
Forse pensava alla sua famiglia o ad altro, ma la sua compagnia mi faceva piacere.
Ero sempre stato ‘solo’.
Cioè, mettiamolo subito in chiaro, solo in senso figurato.
Il fatto era che non avevo amici. Avevo avuto dei compagni con cui parlavo o con cui mi confrontavo, ma non erano state mai delle vere e proprie amicizie.
La notte rendeva il paesaggio incredibilmente affascinante.
La neve perenne della Russia più profonda diventava praticamente uno specchio argentato che rifletteva i raggi lunari.
L’aspetto candido della neve veniva arricchito da quella luce adamantina che dava al paesaggio una specie di preziosità, come una gemma che, alla luce, sprigiona tutta la sua bellezza.
“Parlami di tuo fratello.” Mi disse ad un certo punto Anastasia mentre si stava per coricare.
“Non c’è molto da dire. Era mio fratello. Gli volevo bene.” Risposi io abbassando lo sguardo.
“Ma chi erano i vostri genitori? Come avete vissuto?”
Insistette lei.
Ecco la cosa peggiore.
Come fai a spiegare a qualcuno al di fuori della confraternita come sei cresciuto.
Come si poteva capire il fatto che gli assassini davano ai loro figli un addestramento così rigoroso da poter essere paragonato alla tortura, nelle sue parti più estreme.
Certo, mediamente durava poco durante il giorno, solo cinque ore erano dedicate all’addestramento fisico, il resto della giornata era dedicato al tempo libero.
Non che fosse meglio.
La maggior parte del tempo per gli adepti era dedicata allo studio ed al perfezionamento.
Il fatto era che, gli assassini non volevano trasformarli in macchine da guerra sanguinarie, ma in individui pensanti in grado di combattere.
Era un bene, perché la nostra non era un ideologia fatta per sottomettere le menti, ma un credo, da cui estrapolarne il significato.
‘Nulla è reale, Tutto è lecito.’  Un credo che dovevamo interpretare.
Spesso questo portava a contraddizioni ed a conflitti interni, ma l’idea di fondo era la libertà.
Libertà che era l’unico punto fermo della nostra filosofia.
Libertà di parola. Di pensiero, di stampa.
La libertà di tutti gli uomini dovevano avere.
Ma era una vita che in pratica, vivevi da solo senza vere amicizie.
“Diciamo che io sono ciò che ho vissuto, le cose sono un po’ difficili da spiegare, ma, posso dire che per quel che mi riguarda io ed i miei genitori ci tramandiamo un compito che discende da tempi molto antichi.” Dissi cercando di esser chiaro senza rivelare troppo della nostra confraternita.
Lei continuava ad osservarmi attenta, senza perdere una parola.
“Mio padre è morto durante la grande guerra, ed io avevo sedici anni, non mi ricordo nemmeno molto di lui, la persona che mi era più vicina era in effetti mio fratello.” Continuai affondando nei ricordi.
“Sembra quasi che tu abbia vissuto in una caserma.” Affermò lei cercando, probabilmente di intuire il mio stato d’animo.
“Si può dire anche così, ma il fatto è che io ho vissuto per ciò che faccio adesso, come ha fatto mio padre e come ha fato mio fratello. Noi siamo nati per quello che facciamo.” Dissi coricandomi e mettendomi a dormire con quel sogno leggero che distingueva gli assassini.
Era un metodo per individuare possibili minacce prima che ci fossero addosso, così da poter rispondere per tempo.
Alcuni di noi scherzavano sul fatto che non dormivamo mai in realtà.
Be’ vero solo in parte: il nostro corpo è vigile, ma non è sveglio; la maggior parte dei suoni non ci arriva, solo quelli molto vicino a noi si allertano e comunque quando veniamo allertati da qualcosa non ci svegliamo.
È come stare in quel torpore che ci abbraccia durante il dormiveglia prima di alzarsi la mattina, ma se un pericolo non si presenta ricadiamo nel sonno senza mai svegliarci completamente.
Fu proprio questo che mi allertò durante la notte.
La mia pelle a contatto con il terreno percepì delle vibrazioni, ritmiche e continue che duravano parecchio con pochissimi intervalli.
All’inizio la loro lontananza non mi preoccupò, ma quando le sentii vicine, mi resi conto che poteva essere un pericolo.
Mi svegliai completamente e mi avvicinai al sottobosco che ci separava dalla strada.
All’inizio non vidi niente, ma dopo pochi minuti, i fari abbaglianti delle camionette mi accecarono.
Anche se non ce l’avevo in faccia, era comunque molto fastidioso e dovetti ricorrere a tutta la mia concentrazione per non far muovere le foglie, in modo sospetto.
A poca distanza dai veicoli c’era una colonna di soldati dell’armata rossa che correva in maniera un po’ scoordinata, ma senza caos.
‘I bianchi devono aver messo la loro corsa.’ Pensai dato che i soldati bolscevichi non correvano in maniera così disordinata come ci si aspettasse da un esercito in rotta.
Lasciai che passassero tutti e ci vollero solo pochi minuti, ma qualcosa mi preoccupò.
Se avevano cessato la marcia forzata significava che presto il luogo dove si trovavano sarebbe diventato terra di nessuno, inoltre doveva esserci un comando dei rossi lì vicino.
‘Meglio andare a dare un occhiata.’ Pensai.
Tornai indietro e svegliai Anastasia.
“Che succede?” Chiese con la voce impastata dal sonno.
“Ascolta, tu devi rimanere sveglia, una colonna di soldati bianchi è appena passata di qui e credo che abbiano un comando qui vicino.” Disse mentre lei si faceva attenta.
“Devi rimanere nascosta e fuggire se vedi pattuglie, non preoccuparti per me, io saprò ritrovarti, ma tu non ti devi addormentare.” Conclusi io in maniera un po’ brusca, mentre mi allontanavo.
Ritornai sulla strada e seguii, grazie all’occhio dell’aquila le tracce dei soldati.
Anche se potenzialmente pericoloso, potevo scoprire qualcosa sui movimenti dei rossi in modo da poterli anticipare.
Dopo dieci minuti di cammino nella neve mi ritrovai ad una decina di metri da una recinzione in filo spinato che circondava alcune tende ammassate alla rinfusa su di una bassa collina.
Non era certo il posto più favorevole dal punto di vista militare, ma era abbastanza efficace.
Tra le tende c’erano decine di camionette che facevano salire e scendere soldati, soprattutto feriti, ma in alcuni punti la zona era calma.
L’intero accampamento era ampio almeno un kilometro quadrato ed ospitava decine di soldati.
A quanto pareva dovevano essere lì da quando ci eravamo accampati io ed Anastasia, ma non c’era da stupirsi, dato che loro avevano usato vie secondarie.
Loro probabilmente avevano usato la strada principale che gli aveva permesso di superarli.
L’intero accampamento circondava un edificio alto due piani, probabilmente quella che un tempo era la dimora di un gran signore, ora utilizzata come quartier generale delle truppe della regione.
Con calma e pazienza striscia lungo il filo spinato approfittando dei cespugli e degli alberi per evitare i riflettori che illuminavano la zona.
Misurai ogni passo con cautela e mi avvicinai al filo spinato evitando le luce che illuminavano la zona.
Al limitare dell’accampamento il filo era molto spesso, ma, essendo stato eretto in fretta e furia, presentava alcuni punti sollevati in cui si poteva passare.
Strisciai rapido, ignorando il freddo della neve che mi entrava sotto le vesti da assassino e mi accostai ad una tenda.
Aspettai che alcuni soldati passassero e mi infilai sotto una camionetta osservando la distanza che mi separava dalla villa che, probabilmente era il loro quartier generale.
Uscii dal mio nascondiglio strisciando mentre mi muovevo dietro le tende per evitare le pattuglie rosse.
Ogni dieci metri dovevo nascondermi, usando tende, casse e camionette per evitare di essere visto dai soldati, ma nessuno mi vide, quindi, dopo diversi minuti riuscii a raggiungere la villa senza che venisse dato l’allarme.
La villa aveva tre piani, compreso il pian terreno ed era in muratura con spesse colonne di pietra, una delle quali era avvolta da edera secca.
Dato che la porta sul davanti era sorvegliata da alcune guardie usai la rampicante per raggiungere la finestra aperta del secondo piano.
Arrivato all’altezza del piano prestabilito usai un cornicione per camminare fino alla sua entrata strisciando con la schiena attaccata al muro.
Mi ci volle solo un minuto, per arrivare a destinazione.
Guardai velocemente all’interno per assicurarmi che la stanza dove stessi per entrare fosse deserta e forzai la serratura con la lama celata.
L’interno del luogo era spazioso e ricco: mobili di legno pregiato e tappezzeria di alta qualità erano stati accatastati o distrutti.
Questo mi fece capire che doveva essere la tenuta di qualche nobile che, durante la guerra civile era morto o era semplicemente fuggito.
Attraversai la stanza senza fare rumore ed aprii la porta per osservare la sala adiacente.
Quella era illuminata.
All’interno c’erano cinque uomini in divisa da alti ufficiali.
Solo uno era vestito in modo diverso: aveva una specie di mantello bianco con il cappuccio e sotto una specie di giubbotto antiproiettile.
Uno degli assassini traditori.
Cessai praticamente di respirare e mi misi ad ascoltare la loro conversazione.
“Abbiamo dovuto ritirarci da Ekaterimburg, ma non so quanto potremo resistere qui. Le forze del generale Kolcak sono molto vicine e noi siamo inferiori di numero.” Disse un generale puntando il dito su una mappa probabilmente della zona.
“Non importa, il Commissario della Ceka Jurovskij mi ha appena informato che il nostro compito nella città è stato svolto, quindi possiamo ritirarci a Kirov per riorganizzarci.” Disse l’assassino.
‘Jung Toyo.’ Pensai riconoscendo la voce dell’assassino cinese che ci aveva tradito.
Non era un bene averlo così vicino.
Quando ancora era della confraternita era noto come: colui che uccideva senza lama celata.
Questo per la sua incredibile abilità nelle arti marziali.
‘Quindi devo stare molto attento.’ Pensai mentre ascoltavo la conversazione.
“Proprio così.” Rispose il diretto interpellato: un uomo alto magro dalla folta barba marrone scuro che sembrava creare un triangolo perfetto in linea con il suo magro viso spigoloso e triangolare.
“Allora dovremmo lasciare ai bianchi l’intero territorio tra qui e Rostov?” Chiese un terzo generale.
“Sì, questi sono gli ordini.” Decretò in fine l’assassino traditore.
Non avevo scoperto poi molto se non ciò che potevo benissimo intuire da solo: le forze dei rossi in ritirata e i filo zaristi che avanzavano.
L’unica cosa veramente preoccupante era la presenza di Jung Toyo, che rappresentava una grossa minaccia.
Dubitavo fortemente di poterlo battere da solo.
Con lenti movimenti per non creare rumori sospetti tornai indietro e uscii dalla finestra.
Feci il percorso a ritroso, passai sotto il filo spinato e tornai da Anastasia.
“Sono qui.” Sussurrò lei nascosta dietro un albero.
“Successo qualcosa?” Chiesi preoccupato.
“No, solo una pattuglia, ma nient’altro.” Mi rispose.
Io annuii e la condussi più in profondità nella boscaglia dove il rischio di essere scoperti era minimo.
 
 
 
 
 
Altro cap. un po’ più lungo del precedente forse.
Gli avvenimenti qui descritti sono tutti reali e posso dire che sono abbastanza fedeli.
Tra tutti i personaggi qui descritti uno è particolarmente reale: Jurovskij.
Era un alto commissario della Ceka, la polizia segreta del partito Bolscevico e fu l’organizzatore dell’esecuzione dei Romanov descritta nel primo capitolo.
AxXx

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Capitolo 5
*** Catturati ***


 
                           Catturati                                    
 
 
 
 
Non dormii molto.
Anastasia si era addormentata nonostante il freddo e la scomodità dello stare seduta contro un albero.
Il tempo era calmo, ma la cosa che mi dava da pensare era la presenza dei bianchi così vicini.
Eravamo nella terra di nessuno ed io non potevo indugiare in distrazioni varie e dovevo ponderare ogni singola mossa con logica e calcolo senza lasciarmi andare alla paura o alla rabbia.
La mia vendetta contro gli assassini traditori avrebbe aspettato.
La mattina arrivò dopo una lunga attesa, ma fui sollevato.
“Dove andiamo, ora?” Chiese Anastasia alzandosi alle prime luci.
“Il più lontano possibile.” Risposi mentre mi preparavo.
Improvvisamente sentii delle vibrazioni sul terreno che mi allarmarono.
“Andiamocene!” Urlai mettendomi a cavallo seguito rapidamente dalla giovane principessa.
In quell’istante tre camionette delle forze dei bianchi uscirono dalla foresta.
Qualcuno urlò qualcosa in russo e alcuni fucili iniziarono a sparare contro di noi.
Con uno strattone alle redini feci partire il cavallo al trotto veloce per allontanarsi.
‘Dannazione! Una pattuglia!’ Pensai mentre il veicolo ci inseguiva velocemente.
Il problema più grosso era che non potevo permettermi che anche i rossi mi vedessero.
Certo avrebbero attaccato i bianchi, ma nulla impediva loro di colpire anche noi mentre fuggivamo.
Dovevo spostarmi lontano dall’accampamento dei Bolscevichi o saremmo stati spacciati.
Corremmo per alcuni kilometri e ci stupimmo entrambi che la camionetta, benché equipaggiata di mitragliatrice binata, non ci sparasse.
Solo dopo mi resi conto del perché non ci sparasse.
Il veicolo infatti ci aveva spinto in un imboscata.
Costretto dalle continue manovre a prendere una strada asfaltata per pochi secondi fummo circondati da altre cinque veicoli che ci tagliarono la strada.
Io dovetti fermare il cavallo ed arrendermi.
Non c’era possibilità di combattimento: avrei potuto ucciderne tre o quattro, ma non sarebbe servito; io non ero a prova di proiettile e loro erano molti più di me e con armi che mi rendevano inutile il mio equipaggiamento da corpo a corpo.
Stranamente però non ci spararono.
“Chiunque tu sia, lascia libera la principessa Anastasia, ti avverto, non ti servirà a niente farti scudo con lei, sarai morto ancora prima di aver fatto due passi!” Mi avvertì un ufficiale che era sceso dalla camionetta che ci aveva inseguito.
Io ragionai in fretta: era ovvio che ci fosse qualcosa sotto: i bianchi non avrebbero dovuto sapere che Anastasia era viva, a meno che qualcuno tra i rossi non gli avesse avvertiti.
In un attimo compresi che la trappola non era dei bianchi, ma dei loro avversari.
‘Che sciocco sono stato a non pensarci, l’avrei dovuto capire subito che non ero passato inosservato!’ Ovvio che Yung Tojo si era reso conto della mia presenza; con l’occhio dell’aquila avrebbe potuto vedermi ovunque.
Aveva fatto sapere ai bianchi che io avevo rapito la principessa e loro mi avevano cercato nella foresta per conto dei loro nemici.
Yung sarebbe apparso per completare il lavoro mentre eravamo tra gli Zaristi, in questo modo avrebbero potuto dare la colpa a loro anche per la morte della famiglia imperiale.
Certo era che Anastasia non capiva cosa stesse succedendo, ma aveva capito che sarebbe stata in pericolo tra i bianchi, infatti appena io scesi da cavallo si avvicinò al capitano della truppa.
Ovvio che a lei non spararono e gli offrirono anche delle coperte.
‘Come se fosse una traumatizzata bisognosa.’ Pensai ironico mentre mi perquisivano e mi sequestravano le armi.
L’unica che mi rimase fu la lama celata.
Incredibile come i templari non avessero ancora capito che i bracciali racchiudevano una lama mortale, dato che era da anni che gli uccidevamo con quella.
“Comandante, le ordino di liberare quell’uomo!” Intimò Anastasia con testardaggine, d’innanzi alla testardaggine dell’ufficiale.
“Ma... signora. Siamo stati informati che il vostro rapitore era qui vicino e ci siamo mossi subito per trovarvi.” Affermò il comandante del convoglio confuso.
“Chi vi ha dato queste informazioni?” Chiese lei inarcando le sopracciglia.
“Non lo sappiamo, il nostro comandante: Nikolai Sarjinov, ci ha dato queste informazioni e noi ci siamo mossi in base ad esse.” Rispose l’ufficiale in tono marziale.
“Esigo, che il mio ‘così detto’ rapitore venga liberato!” Ordinò lei nervosa.
“Spiacente, ma abbiamo ordini precisi.” Rispose il soldato mantenendo un tono fin troppo freddo.
Vidi che Anastasia era intenzionata a protestare ma io, con un’occhiata le feci capire di assecondare l’ufficiale.
Mi ammanettarono e mi caricarono su una camionetta scortato da cinque soldati armati che mi tenevano le armi puntate, mentre le veniva scortata su un’altra camionetta.
‘Devo trovare un modo per liberarmi, ma qui, in mezzo alle guardie non è saggio usare la lama celata.’ Pensai velocemente mentre i veicoli venivano messi un moto e tornavano al campo degli Zaristi.
Il campo dei bianchi era meglio organizzato di quello dei rossi.
Le tende erano ordinate in maniera precisa ed attenta, la recinzione in filo spinato era molto più solida e con meno buchi rispetto a quella avversaria.
Infine, il comando delle truppe era stato stanziato in un edificio di Ekaterinburg.
‘Tanta fatica per andarmene per poi tornarci.’ Pensai ironico.
I veicoli attraversarono tutto l’accampamento e raggiunsero il centro della città, dove Anastasia fu accolta da un uomo dalla lunga barba nere.
Doveva avere più o meno quarant’anni, ma il fisico ben allenato era coperto da una divisa verde chiaro con le spalle ornate in oro ed una fascia bianca che gli attraversava il petto in diagonale ed al collo aveva un ciondolo a forma di croce in oro.
Quel simbolo poteva voler dire molte cose, ma io lo riconobbi subito: un Templare.
Ci dovevamo essere riconosciuti a vicenda, perché lui mi lanciò un’occhiata di scherno e disse qualcosa ad un uomo che gli stava accanto.
Subito fui condotto in uno scantinato da due uomini, che mi rinchiusero lì.
Mi dissero qualcosa in Russo, ma io non capii.
‘Almeno mi lasciano solo.’ Pensai mentre usavo la lama celata per tentare di forzare le manette.
 
 
 
Anastasia, intanto, era stata scortata in un edificio murato simile ad un castello costruito nella parte nord della città.
Entrò in una stanza molto ricca tappezzata di bianco come una ricca dimore.
C’era un camino acceso, un armadio bianco, una specie di grossa credenza in legno.
Al centro c’era lo stesso uomo che aveva accolto lei e Nathan.
“Dov’è il mio compagno?” Chiese subito la principessa.
“Il ragazzo sta bene, mia signora, ma ci sono questioni più importanti di cui discutere.” Rispose l’ufficiale.
“Non credo ci sia questione più importante della mia sicurezza, qui, e ci sono decine di soldati dei rossi a pochi kilometri da qui!” Non che fosse una codarda, ma se era vero che Nathan, che sembrava così abile nelle abilità che esercitava, aveva paura di quegli assassini, allora era molto pericoloso per lei e per gli altri trovarsi così vicini a loro.
“Sì, ma possiamo parlarne dopo, ora abbiamo qualcosa di cui parlare, e ciò che vi sto per dire è legato a vostro padre.” Disse l’ufficiale con un sorriso sornione.
“Cosa sapete di mio padre!? È Morto a causa di qualcosa che avete fatto voi!?” Chiese improvvisamente dimentica delle sue preoccupazione.
La rabbia le montò alla testa mentre cercava di ragionare senza dare alla testa.
Aveva visto la sua intera famiglia sterminata da un gruppo di uomini per poi scoprire cose che suo padre nascondeva loro e per le quali tutta la sua famiglia aveva pagato.
Il comandante Nikolai iniziò a raccontarle una storia assurda che partiva da qualcosa che sembrava riguardare un sacco di eventi che apparentemente non erano collegati, ma che, da come lo spiegava, erano tutti collegati.
Gli parlò di due società segrete: la prima gli Assassini, la seconda i Templari.
I Templari ricercavano l’ordine nel mondo in modo da evitare le guerre e i dissensi tra le persone, sia dal punto di vista del singolo che dal punto di vista più ampio delle nazioni.
Secondo Nikolai, invece, gli Assassini erano un gruppo di pericoloso anarchici che cercavano il caos e la distruzione per poter ricreare un ‘Nuovo Ordine’, senza considerare che le loro azioni portavano alla morte ed alla guerra.
“Mi state dicendo che mio padre è stato ucciso dagli Assassini!?” Fu la sua prima domanda dopo due minuti di silenzio.
“Gli Assassini continuano a dire che sia un traditore del loro stesso ordine, ma non c’è da fidarsi di loro, sono subdoli e meschini, probabilmente stanno mentendo.” Rispose il comandante.
 
 
 
 
Io, alla fine, riuscii a liberarmi grazie alle lame celate.
Battei tre volte sulla porta per attirare l’attenzione di chiunque mi stesse sorvegliando e mi aggrappai ad una trave del soffitto con braccia e gambe per non essere visibile.
Passarono pochi secondi prima che qualcuno entrasse.
Un soldato bianco armato di fucile.
Si guardò intorno un attimo cercandomi, ma io fui rapido, e, staccandomi dalla trave gli atterrai sulle spalle e lo colpii con la lama celata uccidendolo.
Mi guardai rapidamente intorno per assicurarmi che non ci fossero altre guardie e controllai il corridoio.
Assicurato misi dell’assenza di soldati nel corridoio corsi al primo incrocio e controllai di nuovo.
C’erano due guardie che parlavano alla mia destra, ma, dato che parlavano, riuscii a evitare di attirare la loro attenzione infilandomi in una porta.
“La fortuna è dalla mia!’ Pensai con soddisfazione mentre mi ritrovavo in un magazzino pieno di tutto ciò che apparteneva ai prigionieri.
Presi le mie armi e notai una porta dall’altra parte della stanza.
La attraversai senza indugio usando l’occhio dell’aquila per assicurarmi l’assenza di sorveglianza nei corridoi adiacenti.
Mi mossi rapidamente, finché non dovetti nascondermi in una botte piena d’acqua per evitare di essere visto da una pattuglia che passava.
Mi assicurai di non fare rumore mentre uscivo o entravo dal mio nascondiglio improvvisato.
Nonostante l’acqua gelida non mi ci volle molto per riprendere la mia temperatura naturale.
Mi mossi rapido e silenzioso per non allertare le singole guardie nei corridoi adiacenti, usando montagne di fieno e barili d’acqua per nascondermi dalle pattuglie.
Mi ci vollero circa dieci minuti per trovare un’uscita possibile dato che quella principale era sorvegliata da quattro guardie armate di fucile.
Mi ritrovai in un magazzino molto ampio pieno di botti e casse di legno, probabilmente contenenti tutti i suppellettili e gli equipaggiamenti dell’esercito.
Sul soffitto c’era un apertura che somigliava ad una finestrella da sotterraneo per farci passare un po’ di luce ed aria.
Aveva una vecchia serratura arrugginita e non fu difficile per me aprirla con la lama celata.
Mi ritrovai nel cortile ovest del castello.
Era uno spazio ampio torreggiato da una decina di alberi che punteggiavano il giardino, mentre varie  siepi di alcune piante invernali che recintavano quattro aiuole.
Sentii uno strano rumore e mi nascosi dietro ad un cespuglio per vedere chi fosse.
Però capii subito che qualunque nascondiglio sarebbe stato inutile.
Afferrai il mio Revolver e lo puntai contro Yung Tojo, che stava in piedi ad una decina di metri da me ed osservava una finestra chiusa a più o meno undici piani sopra di noi.
Non mi aspettavo certo di riuscire ad ucciderlo, ma la pistola avrebbe fatto sufficiente rumore da allertare le guardie.
“Fermo, o sparo.” Dissi freddamente.
“allora non sei codardo come ti avevano descritto. Non corri più come un coniglio per salvarti?” Mi schernì lui voltandosi senza nemmeno prendere la pistola.
“Bastardo! Mio fratello si è sacrificato per permettermi di fuggire!” Risposi io rinsaldando la presa sul revolver sperando che qualcuno mi avesse sentito.
Tuttavia nessuno venne a controllare chi ci fosse.
“Questo è un cortile isolato, non ci sentirebbe nessuno, nemmeno se tu sparassi.” Affermò l’assassino traditore con sicurezza.
Subito il mio cervello si mise a lavorare a febbrile velocità.
“Facciamo un gioco, mi piacciono le sfide.” Disse improvvisamente lui mentre continuava a sorridere come se avesse davanti un gustoso pezzo di carne da divorare.
“Là c’è l’ultima Romanov.” Disse indicando la finestra che stava osservando prima. “Vogliamo vedere chi arriva prima.”
Aveva appena finito di dire quelle parole che era scattato per puntare i piedi sul davanzale di una finestra al pian terreno e darsi la spinta al piano superiore.
Io non persi altro tempo e, spingendomi con i piedi sul muro, saltai verso l’alto di tre metri raggiungendo con la punta delle dita una finestra del primo piano.
Subito saltai aggrappandomi ad una trave sporgente per issarmi ad una finestra al piano superiore.
Il davanzale era scivoloso a causa della neve, ma la mia presa era molto salda e non scivolai.
Mi aggrappai a quella che una volta doveva essere un asta di bandiera e mi dondolai fino a raggiungere una terrazza che mi avrebbe permesso di passare subito al quarto piano.
“Non male!” Mi urlò contro Yung Tojo che era un piano più in alto di me, aggrappato ad una davanzale.
 
 
 
 
Anastasia si era innervosita molto quando era venuta a sapere delle intenzioni del generale Kolcak.
Da un po’ di tempo aveva riportato alla mente di quando suo padre si intratteneva con alcuni ufficiali minori, tra i quali ora poteva identificare anche Nikolai, ma aveva sempre pensato che fosse per perorare qualche causa, come un certo favore ad un famigliare.
Ora, però, aveva capito che i Templari avevano sempre influenzato la vita di corte.
‘Ora però mi stanno chiedendo tropo!’ Pensò la ragazza alla proposta del comandante.
Volevano che lei prendesse il posto di Zarina autonominandosi sovrana della Russia.
Ma sapeva bene che a loro serviva un pupazzo da mettere sul trono per poter mostrare forza all’occidente in modo da avere un maggior afflusso di truppe.
Inoltre, una volta domata la rivolta, lei sarebbe diventata la marionetta dei templari in Russia e non voleva esserlo.
Per come l’avessero rigirata le sembrava che l’ideologia dei Templari fosse una legalizzazione della schiavitù e sapeva che avrebbero subito vessato il popolo come era accaduto in passato.
Il peggio e che lei sarebbe stato il capro espiatorio delle loro angherie.
Quando espresse le sue ragioni al comandante quello si limitò a sorridere.
“Sapevamo che farvi educare da vostra madre era un errore.” Disse l’alto ufficiale.
“Ma dopotutto, non abbiamo bisogno del vostro permesso.” Concluse richiamando due soldati.
Anastasia capì subito il senso di quelle parole: volente o nolente sarebbe salita sul trono, ma nel primo caso sarebbe stata una sua scelta, nel secondo sarebbe stata costretta come ostaggio dei templari.
 
 

 
 
 
Allora, ennesimo capitolo.
Questa volta prendo in analisi la fazione Templare dell’epoca rappresentata dai Bianchi.
Come si può vedere la protagonista è in netto contrasto con le loro idee ed io ho voluto riprendere l’idea della determinazione dei Templari disposti a tutto per raggiungere i loro obbiettivi.
Be’ Recensite.
AxXx       

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Capitolo 6
*** Fuga dai Templari ***


 
                 Fuga dai templari
 
 

 
Anastasia era circondata dai soldati mentre Nikolaj scuoteva la testa.
“Dovevamo immaginarlo, debole come vostro padre, non sapete prendere le decisioni difficili.” Disse con noncuranza mentre ordinava ai soldati di condurla in una stanza che le sarebbe stata offerta.
Ma lei aveva capito bene di essere una prigioniera.
Molto importante, certo, ma era prigioniera comunque.
“Mio padre non era debole!” Rispose lei adirata sbattendo entrambe le mani sulla scrivania dell’alto ufficiale.
“Non mi sembra abbia fatto qualcosa per fermare tutto questo!” Controbatté l’altro senza scomporsi.
In quell’istante un oggetto rotolò all’interno della stanza rompendo il vetro della finestra.
“Granata!!!” Urlò uno dei soldati gettandosi a terra trascinando con se anche Anastasia per proteggerla.
L’esplosione che seguì fu davvero incredibile: la scrivania andò in frantumi, schegge di pietra e legno volarono da per tutto ed alcuni soldati coinvolti nell’esplosione vennero mutilati ed uccisi.
La principessa fu schiacciata dal corpo dell’uomo che l’aveva protetta, ma riuscì comunque ad alzare la testa per vedere una persona incappucciata di bianco che entrava dalla finestra armata con una sciabola ed un revolver.
Era alto ed avrebbe detto che fosse cinese dai lineamenti che intravedeva sotto il cappuccio.
Era magro, alto e sembrava essere molto deciso.
Si avvicinò a le mentre il soldato si alzava e afferrava la pistola, ma prima che potesse puntarla, il misterioso individuo gli afferrò la testa e, con uno scatto repentino del braccio, gli spezzò il collo.
Lei rimase scioccata dalla rapidità di ciò che era successo e si spaventò a per il rumore del collo rotto.
L’uomo intanto si avvicinò ed estrasse la pistola dalla fondina.
“In un certo senso quel ragazzino ci ha fatto un favore, ora potremo persino dare la colpa ai bianchi per la vostra morte.” Disse puntandogliela alla testa.
Anastasia tenne gli occhi fissi sulla canna dell’arma che aveva davanti sentendo il cuore accelerare i battiti in maniera smisurata.
Si preparò a ricevere il colpo che avrebbe segnato la sua fine con una breve preghiera, ma il colpo non arrivò.
 
 
 
 
 
Arrivai giusto in tempo per vedere Yung Tojo puntare l’arma contro Anastasia.
In una frazione di secondo avevo già afferrato il coltello, preso la mira e lanciato l’arma ferendolo alla mano con cui la teneva.
“Odioso ragazzino!” Urlò il traditore mentre scattavo in avanti afferrando il braccio di Anastasia per portarla al sicuro dietro una poltrona mentre alcuni proiettili sparati dai soldati ancora vivi iniziavano a volare da tutte le parti.
“Dannazione, stai bene?” Chiesi subito mentre si riparava da due proiettili chi mi fischiarono vicino all’orecchio.
Lei si fermò un attimo a riprendere fiato, probabilmente per lo spavento.
Mi abbracciò un attimo.
“Grazie a dio sei salvo! Pensavo ti avessero ucciso!” Disse.
“Non è lo stile dei templari. Mi avrebbero torturato. Solo dopo mi avrebbero ucciso, ma io sono scappato prima.” Risposi affacciandomi per osservare la situazione.
Yung Tojo aveva ucciso quattro guardie e ne erano rimaste due ed anche il comandante Nikolaj era ancora in piedi e sparava contro il traditore.
“Assassini! Bastardi, vi ucciderò tutti!” Urlò il comandante bianco sparando tre colpi contro Yung che, con un agile scatto si riparò dietro ad un tavolo rovesciato.
Le ultime due guardie spararono contro di lui, ma il traditore era molto rapido e riuscì a mettersi di nuovo al riparo.
Io cercai subito una via di uscita da quella situazione, sapendo che le guardie sarebbero arrivate tra qualche minuto e non potevo permettermi di rimanere lì.
La finestra era l’unica uscita possibile, ma sarebbero dovuti passare proprio in mezzo alla sparatoria.
Improvvisamente un proiettile si piantò nella poltrona dietro la quale erano nascosti.
‘Maledetto templare!’ Pensai mentre osservavo il comandante Nikolaj che aggiustava la mira contro di noi.
Estrassi la pistola e feci fuoco verso il suo nascondiglio vicino ad un divano colpendolo alla spalla.
“Ammazzate quei bastardi!” Ordinò il furibondo ufficiale incitando i suoi uomini rimasti.
Peccato che uno dei soldati fu così sciocco da uscire dalla sua protezione proprio nel momento in cui Yung sparava e fu ucciso con un preciso colpo alla fronte.
L’ altro tentò di attraversare la stanza per raggiungere la porta, ma con un colpo di pistola lo uccisi, meglio ritardare quanto più possibile l’arrivo delle guardie.
“Morite! Assassini!!!” Urlò il comandante Nikolaj uscendo dal suo nascondiglio sparando contro Yung Tojo, che, senza lasciarsi intimorire, approfittò del momento in cui il comandante ricaricò per uscire dal nascondiglio e sparargli.
L’ufficiale templare cadde a terra morto.
“Ora siamo solo noi due, ragazzino.” Disse il traditore girandosi verso il mio nascondiglio, mentre mi decidevo sul da farsi.
“Tu vai al balcone e vedi se è possibile scendere, io lo tengo occupato.” Dissi ad Anastasia mentre uscivo dal mio nascondiglio estraendo la sciabola.
Lei corse al balcone mentre osservavo Yung impugnare la sua katana puntandomela contro.
Sapevo di non essere abile o forte quanto lui, ma potevo tenergli testa per alcuni minuti, il tempo sufficiente di trovare una via di fuga.
“Fatti avanti.” Dissi mettendomi in posizione.
Lui estrasse la sciabola e mi attaccò con un ampio fendente che parai con un abile mossa lanciando una stoccata rapida per farlo indietreggiare.
Il traditore, però si scansò rapidamente girando su se stesso lanciando un altro fendente diretto al mio braccio tentando di disarmarmi.
Parai il colpo con il piatto della lama in uno sprizzare di scintille e risposi con un fendente rapido diretto alla testa.
Il duello era molto squilibrato, soprattutto per il fatto che lui era più alto di me, quindi io dovevo sporgermi leggermente in avanti rendendomi un bersaglio facile.
Anastasia intanto si girò.
“Non possiamo uscire!” Urlò cercando di sovrastare il rumore delle lame che cozzavano.
‘Dannazione!’ Pensai, mentre mi abbassavo per evitare l’ennesimo fendente, attaccando il traditore alle gambe.
Indietreggiavo inesorabilmente sotto i colpi del mio avversario.
Se fossi stato solo io, avrei potuto fuggire saltando sui cornicioni vicini, ma Anastasia non possedeva la mia agilità ed io non ero abbastanza forte da portarla con me.
Intanto nel corridoio si sentivano i passi affrettati delle guardie che correvano verso la stanza di Nikolaj.
Ormai ero spacciato: se non fossi morto per mano di Yung, sarei caduto fucilato dai soldati dell’armata bianca.
Improvvisamente, però notai un briciolo di salvezza, mentre ormai duellavo sul balcone a pochi passi da Anastasia che sembrava cercare di superarci senza essere colpita.
Per raggiungere la stanza non avevo salito la torre in linea retta verso l’alto, ma la finestra si trovava sul lato del castello che dava sulla strada e proprio su di essa stava passando un camion scoperto che conteneva del fieno.
Eravamo ad una ventina di metri d’altezza e se fossi riuscito a saltare al momento giusto con la ragazza, non avremmo dovuto farci male.
Il problema era Yung Tojo, che non mi lasciava tregua costringendomi a concentrarmi sul duello, senza darmi il tempo di calcolare quando il camion sarebbe stato abbastanza vicino per saltare.
Decisi di tentare il tutto per tutto: indietreggiai per evitare un affondo per poi scattare in avanti con un rapido fendente, nel tentativo di disarmarlo.
Non avevo contato che lui sarebbe stato molto più veloce di quanto avessi sospettato: con un veloce scatto si abbassò sotto la lama della mia spada e mi afferrò il polso non appena completai l’arco del fendente.
Tentai di liberarmi facendo pressione sulle dita del mio avversario, ma lui usò l’altra mano per colpirmi al braccio con la sua spada, facendo cadere la mia.
A quel punto tentai di rifilargli un calcio che evitò scansandosi e posizionandosi alle mie spalle stringendomi il collo con la mano destra, mentre con l’altra mi tratteneva il braccio, impedendomi di reagire.
“Requiescat in pace, ragazzino.” Mi sussurrò all’orecchio pronto a spezzarmi il collo.
Fortuna volle che si fosse dimenticato di Anastasia.
Lei infatti era riuscita ad aggirarci e ad afferrare il fucile di una delle guardie.
Con tutta la forza che aveva sollevò la pesante e rudimentale mazza e la calò proprio tra capo e collo di Yung Tojo.
Quello urlò di dolore lasciandomi andare, tenendosi la nuca nel tentativo di arginare il dolore.
Il colpo non era così forte da ucciderlo, ma io ero libero. Raccolsi la sciabola, ma quando stavo per sferrare il colpo di grazia un gruppo di venti guardie fece irruzione nella stanza.
Guardai oltre il balcone notando che il camion era vicinissimo.
“Dobbiamo saltare!” Urlai afferrando Anastasia per la vita.
“Cosa!? Sei matto!!” Protestò lei cercando di divincolarsi.
Mi gettai oltre il bordo nello stesso istante in cui una salva di proiettili ci volava a dosso andando ad impattare contro la protezione del balcone.
Forse fu la fortuna, il destino o Dio che ci proteggeva, ma secondo i miei calcoli avremmo dovuto schiantarci, invece cademmo dritti, dritti nel fieno.
“Mio Dio, come abbiamo fatto?” Chiese Anastasia che respirava forte per lo spavento.
“Il salto dell’aquila funziona sempre, anche se questo era un po’ rocambolesco.” Risposi io cercando di non mostrarmi altrettanto teso.
Aspettammo pochi minuti, prima che il camion si fermasse.
Scendemmo cauti stando attenti a non essere visti e, come immaginavo, ci trovavamo davanti alla stalla che gli ufficiali usavano per far riposare i loro cavalli.
Il campo era in subbuglio: la notizia della morte del comandante Nikolaj aveva allarmato gli ufficiali minori che avevano dato inizio ad una vera caccia all’uomo, dato che sembrava che nessuno fosse stato catturato.
‘Il che significa che anche Yung Tojo è sopravvissuto.’ Pensai allarmato mentre ci inducevamo nelle stalle.
C’erano decine di cavalli, di tutte le razze, soprattutto cavalli da guerra: rapidi, forti e letali quanto una spada se venivi travolto.
La stalla era abbastanza ampia da poter ospitare più di cento box. Tutti pieni.
Vedendo il fieno mi venne un idea.
“Anastasia. Prendi due cavalli e libera tutti gli altri, io faccio una cosa.” Dissi mentre mi avviavo verso il mucchio di fieno più grande.
Lei aveva preso due cavalli non troppo robusti, ma dalle zampe forti; celta saggia in quanto avremmo avuto più bisogno della velocità che della forza.
“Allora che vuoi fare, mi sussurrò lei, mentre teneva i cavalli per le briglie.
Per tutta risposta io tirai fuori l’accendino bruciando alcune sterpaglie e feci la stessa cosa con altri tre gruppi di fieno.
“Appena il fumo sarà abbastanza denso e le fiamme si saranno alzate aprirò le porte, scoppierà il panico e noi ne approfitteremo, raggiungeremo le porte dell’accampamento prima che qualcuno possa seguirci.” Spiegai mentre mi posizionavo alle porte della scuderia pronto ad aprirla.
Il tempo sembrò dilatarsi per diverse ore, ma quando spalancai le porte sapevo che erano passati solo pochi minuti.
I cavalli scapparono ad una velocità folle abbattendo le tende dei soldati, mentre un gruppo di pochi soldati cercava di rimettere gli animali in ordine, ma erano troppo pochi.
Anastasia mi affiancò con il secondo cavallo ed io montai subito incitando l’animale al galoppo più rapido seguito dalla ragazza.
I soldati erano troppo impegnati con i cavalli per occuparsi di noi, così riuscimmo a percorrere metà strada senza che nessuno ci individuasse.
Solo dopo iniziarono i problemi.
Alcuni ufficiali ci riconobbero ed ordinarono ai soldati  di fare fuoco, ma fortunatamente i cavalli liberi ci attorniarono rendendo difficile ai soldati prendere la mira su di noi, solo alcuni tentarono di sbarrare il cancello formato da spesso metallo, ma furono travolti dagli animali in corsa.
I proiettili ci volavano intorno senza ferirci e dopo pochi minuti eravamo fuori dal campo degli Zaristi, lontano dai templari.
“Ce l’abbiamo fatta!” Esultai senza fiato.
Avevo ricevuto un addestramento molto stoico, ma mi ero trovato parecchie volte a guardare in faccia la morte, ma a quanto pare gli antichi assassini mi avevano protetto ed ero riuscito ed uscire da questa situazione pericolosa con Anastasia.
“Ora che facciamo?” Chiese lei scuotendo la testa.
“Ora ce ne andremo, temo che dovremmo correre per due giorni senza sosta per mettere distanza tra noi e loro.” Spiegai io.
Volevo allontanarmi il più possibile dalla zona di guerra,
“Non so se riuscirò a resistere, ma farò del mio meglio.” mi assicurò lei con uno sguardo deciso.
“Bene, a proposito, grazie per avermi aiutato con Yung.” Gli dissi gentilmente.
“L’ho fatto con piacere, e poi mi sei venuto a cercare quando potevi fuggire, ti dovevo restituire il favore.” Rispose lei scrollando le spalle.
Con queste parole ci inoltrammo nella boscaglia lasciandoci alle spalle l’accampamento dei Templari.

 
 
 
 
 
 
 
Allora, scusate il ritardo, ma ho aggiornato il prima possibile.
Ecco il primo scontro con i traditori, il nostro Nathan ha rischiato grosso, eh?
Comunque grazie ad Anastasia è riuscito ad uscirne quasi illeso.
Il prossimo capitolo dovrà attendere, dato che sono un po’ impegnato, a presto e recensite.
AxXx  

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Capitolo 7
*** Vittime Innocenti ***


 
                Vittime Innocenti
 
 
 
 
 
 
 
Io e Anastasia corremmo velocemente lungo le strade secondarie per due giorni di fila.
Eravamo molto stanchi, ma non ero intenzionato a correre lo stesso rischio di prima e non si fermò.
Il terzo giorno, però, fummo costretti a fermarci.
“Siamo a metà strada dalla città più vicina, ma quelle nuvole sono segno di sicuro segno che sta per arrivare un temporale o una bufera di neve.” Dissi rallentando l’andatura del cavallo.
“Perm deve essere ancora lontana.” Disse Anastasia che stava facendo del suo meglio per mantenere gli occhi aperti.
“Sì, ma dobbiamo riposare, siamo stanchi, inoltre sta arrivando il maltempo, abbiamo poco tempo per trovare un riparo.” Affermai mentre mi guardavo intorno alla ricerca di un rifugio.
“Là!” Mi informò la principessa indicando una costruzione a duecento metri da noi.
Era una casa di legno con un fienile poco spazioso ed in cattive condizioni.
“Uhm, potrebbe appartenere a qualche contadino, forse abbandonato.” Dissi osservandola con attenzione.
Tuttavia non avevamo molta scelta a causa del maltempo.
Ci muovemmo con cautela, mentre il cavallo annaspava pesantemente per la stanchezza.
La bestia doveva essere più stanca di noi.
Dopo averlo accostato al fienile, per poi accostarci alla porta, bussando.
Nessuna risposta.
“Che sia disabitato?” Chiese Anastasia accostandosi alla porta.
“No, qualcuno c’è, o per lo meno abita qui.” Dissi senza indugi.
In effetti gli indizi erano molti: la neve intorno alla casa era smossa in più punti, i vetri delle finestre erano rotti, ma non impolverati, tutti segni che facevano capire che quella casa era abitata.
Impugnai la pistola ed osservai mi preparai.
Nessun rumore, quindi, o chi abitava era nascosto da molto tempo o se n’era andato da poco, ma ero incline alla seconda opzione.
Non avevo visto nessuno allontanarsi lungo la strada principale, mentre noi arrivavamo.
Girai la maniglia: era aperto.
Con una sola mossa aprii violentemente la porta e puntai l’arma all’interno, pronto a scansarmi ad ogni minimo movimento o rumore.
Solo che all’interno non c’era nessuno pronto ad aggredirci, solo l’inconfondibile odore della morte.
Cinque cadaveri erano presenti in quella casa piccola ed angusta.
Una donna di una trentina d’anni, dai capelli neri e di corporatura esile,era riversa al suolo, probabilmente violentata e poi uccisa sul posto.
Sul tavolo c’era un uomo, probabilmente il marito, il corpo era scuro e leggermente muscoloso, probabilmente abbronzato dal lungo lavoro sotto il freddo sole estivo, ed era crivellato da una decina di proiettili mentre il viso era una maschera di terrore.
Vicino al letto una ragazza, forse poco più giovane di me. Il corpo portava i segni inconfondibili della violenza che aveva condiviso con la madre.
Il corpo era disteso in una posa innaturale e pieno di lividi, mentre il torace era attraversato da una lunga e profonda ferita che faceva intravedere gli organi interni coperti di sangue ancora fresco.
Infine dall’altra parte della stanza c’era un bambino di otto anni.
Il terrore sul suo volto era probabilmente, più orribile di quello dei suoi parenti, mentre un rivolo di sangue gli scendeva dalla fronte dividendosi in due all’altezza del naso per riversarsi sulle morbide labbra dischiuse in un muto gemito di dolore, probabilmente lanciato quando il colpo di pistola l’aveva raggiunto alla fronte, coperta da un leggero ciuffo di capelli neri.
“Mio Dio...” Sussurrò Anastasia alla vista di quello spettacolo.
Si coprì la bocca facendo uscire un leggero gemito, mentre gli occhi le diventavano lucidi.
Anche io dovetti farmi forza per non piangere, mentre con uno sforzo trattenevo il mio stomaco.
Era un spettacolo orribile, il peggior insulto che si potesse fare alla vita umana.
Avevano colpito una famiglia innocente e gli avevano uccisi tutti, senza risparmiare i bambini, non avevano avuto nemmeno il rispetto dei corpi: li avevano gettati lì, senza ritegno, senza nemmeno chiudere loro gli occhi.
Ora quattro persone osservavano punti indefiniti davanti a loro con le loro inquietanti iridi vuote, mentre la paura invadeva ancora quegli sguardi disperati.
“Esci, vai al fienile.” Dissi semplicemente, mentre mi avvicinavo ai corpi chiudendo loro gli occhi.
Anastasia non se lo fece ripetere due volte e se ne andò, mentre sentii un leggero singhiozzo uscire dalla sua bocca dischiusa dietro le labbra.
“Requiescat in pace, buon uomo, spero che tu e la tua famiglia possiate raggiungere il vostro dio, nella vostra vita, che posa darvi la felicità che non avete avuto in questa.” Disse mentre chiudevo gli occhi al capo famiglia.
Mi misi ad allineare i membri di quella famiglia sul pavimento coprendoli con dei teli che avevo trovato.
Ero troppo stanco per fare altro, ma il giorno dopo avrei fatto qualcosa di più, magari li avrei seppelliti.
 
 
 
Andai al fienile, dove Anastasia si era seduta dopo aver portato dentro anche il cavallo.
Quella struttura era alta appena per l’animale e c’era poco fieno.
Probabilmente usavano un cavallo da soma per i lavori come l’aratura, ma ormai, chiunque avesse ucciso quelle persone, doveva aver rubato tutto, anche il cavallo.
“Chi ha commesso tale atrocità?”  Chiese la ragazza con le lacrime agli occhi.
Io mi sedetti al suo fianco.
“Banditi... disertori... persone che non hanno rispetto per la vita altrui.” Dissi malinconico.
Non era mai bello essere testimoni di delitti così efferati, non si è mai pronti.
Però bisognava abituarsi, soprattutto quando eri un assassino.
Lei si distese su della paglia addormentandosi quasi subito per la stanchezza.
Io rimasi ad osservare la pioggia che scioglieva la neve, mentre il cielo tuonava.
I pensieri volarono subito a mio fratello.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Ricorda, Nathan! Non esitare, se lo fai sei morto!” Mi esortò Alex mentre si allenavano nella palestra sotterranea della loro base sotterranea in Inghilterra.
Nemmeno io sapevo dove si trovasse quella base: ogni volta che dovevo uscire o entrare venivo bendato e sedato da alcuni assassini.
Era una precauzione necessaria nel caso i Templari ci catturassero.
Avevo paura.
Sì, paura dell’altezza.
Eravamo su una piattaforma alta tre metri e sotto di me il vuoto.
In realtà c’era un telone per attutire la nostra caduta, ma la paura era ancora tanta.
Io avevo solo dieci anni, ma già dovevamo allenarci al meglio.
Io avevo paura.
Mio padre me lo rinfacciava spesso.
Mi diceva che ero inutile.
Che ero debole.
Che ero uno sciocco.
Mio fratello, però, mi esortava sempre, in ogni momento.
Aveva deciso di allenarmi nei miei momenti liberi, ma io non riuscivo a superare quei tre metri di salto.
Guardavo in basso e venivo preso dalla paura.
Ma Alex era più testardo di un mulo.
Continuava a spingermi, a esortarmi spingendomi anche oltre il bordo.
“Avanti, Nate, ce la puoi fare, ce l’ho fatta io, ce la puoi fare anche tu! Io ho fiducia in te.” Continuava a dirmi.
Forse furono quelle le parole che mi svegliarono.
Lui aveva fiducia in me.
Lui mi sosteneva, non mi considerava solo qualcuno da modellare secondo i suoi desideri, come nostro padre.
Lui mi vedeva come una persona.
 
 
 
 
Da quel giorno tornai sempre in quella palestra e continuavo a provare.
E provare...
Provare...
Provare...
 
 
 
Alla fine ce la feci.
Dopo tre mesi, riuscii a superare quella distanza.
Fu per me un’emozione ineguagliabile.
Fu una delle poche volte che vidi mio padre sorridere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mi svegliai all’alba mentre la fioca luce del sole mattutino mi batteva in faccia.
Dovevano essere passate almeno nove ore.
Dopo tutto quello che era successo, ero caduto in un sonno troppo profondo, anche per un Assassino.
Anastasia, dormiva beatamente ad un paio di metri alla mia destra.
Dopo qualche secondo mi alzai e tornai all’interno della casa, benedicendo la sorte per non essere stati scoperti, mentre dormivamo.
Il tempo era migliorato e la neve era morbida per la pioggia appena caduta.
Da quelle parti, nella profondità del territorio Russo neve e pioggia si alternavano spesso.
Presi una pala che trovai nella casa e inizia a scavare quattro fosse abbastanza profonde da contenere ciascuna un corpo umano.
Dopo aver finito presi delle assi di legno e le unii con della corda creando quattro croci.
Non ero cristiano, ma volevo dare sepoltura degna a quei poveretti.
Il lavoro mi costò diverse ore, probabilmente finii verso le undici, ma il lavoro, a mio parere, fu soddisfacente.
“Vuoi seppellirli?” Chiese una voce alle mie spalle.
“Sì, non si meritano di restare insepolti.” Dissi ad Anastasia.
Avevo sentito che si era svegliata, ma non volevo turbarla.
“Ti do una mano.” Disse, però, con fermezza.
“Sicura? Non è un bello spettacolo.” La informai.
“Sì, è anche mio dovere.” Disse sicura.
Io trasportai i due adulti, mentre lei si occupò dei due figli.
Li adagiammo nelle tombe con delicatezza, con rispettoso silenzio.
Dopo ricoprii le salme di quegli innocenti con la terra piantando le croci alle spalle loro spalle.
“Che Dio accolga tra le sue braccia le vostre anime, possiate trovare pace, in cielo, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.” Recitò Anastasia facendo il segno della croce inginocchiandosi con le mani giunte in preghiera davanti a quelle tombe improvvisate.
Io tornai alla stalla, dove il cavallo si era ripreso dalla lunga corsa.
Accarezzai il muso dell’animale che sbuffò e scalpitò impaziente.
Lo sellai e legai alla sella le bisacce che contenevano le nostre scorte.
Avremmo dovuto viaggiare molto a lungo per raggiungere la città, ma probabilmente saremmo stati al sicuro dal grosso delle truppe dei Rossi, ora che eravamo all’interno del loro territorio.
C’era sempre la Ceka, ma quella era l’ultimo dei suoi pensieri, in campagna c’erano pericoli ben peggiori.
 
 
Anastasia tornò con una lacrima che le scendeva sulla guancia.
“Tutto a posto?” Chiesi preoccupato, mentre le mettevo una mano sulla spalla.
“Sì... credo di sì...” Disse asciugandosi gli occhi.
In quel momento lei mi abbracciò stretta mentre altre lacrime le scendevano dagli occhi.
Io rimasi interdetto e stupito.
Io non avevo mai avuto alcun ‘Contatto’ così diretto con una ragazza.
Avevo conosciuto un sacco di ragazze che facevano parte degli Assassini, ma non avevo mai avuto alcun contatto o relazione con loro.
Non ero sicuro di quello che dovessi fare e non volevo che il mio corpo avesse reazioni.
Fortunatamente, dopo qualche secondo, si staccò lei da me, asciugandosi le lacrime.
“Scusa, non volevo, solo che... Non è facile... Non per me.” Disse con la voce spezzata.
“Non è mai facile vedere morire degli innocenti, soprattutto per chi non è abituato a tanta violenza.” La rassicurai.
Lei annuì e mi seguì in sella.
Ci rimettemmo a cavalcare dirigendoci ad ovest.
Mancavano ancora diversi giorni prima di arrivare in città, molte leghe da superare e, probabilmente, molti altri ostacoli da superare, ma per il momento, benché buia, la strada davanti a noi era sgombra.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  Salve gente, sono io.
Dopo decine di giorni passate senza aggiornare, vi delizio con questo nuovo capitolo.
È un po’ più corto degli altri, ma forse un po’ più introspettivo degli altri.
Il contenuto forse è un po’ pesante, ma non credo che superi il reating, d’altra parte la guerra civile Russa è stata uno dei periodi più sanguinosi della storia, quindi alcuni particolari dovevo metterli.
Spero vi piaccia!
Recensite, ok!?
AxXx

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Capitolo 8
*** Perm ***


 
                              Perm
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ci rimettemmo in cammino all’alba.
 
Non era saggio rimanere troppo a lungo in un unico posto.
 
Ci avrebbero potuto trovare ed io da solo non potevo battermi contro uno squadrone delle truppe russe.
 
Salimmo a cavallo e ci dirigemmo più velocemente possibile verso nord-ovest.
 
La strada era lunga e ci mettemmo un’intera settimana per attraversare la pianura che collegava Perm con Ekaterimburg.
 
I paesaggio cambiavano radicalmente ogni giorno: foreste impenetrabili di aghifoglie, paludi acquitrinose, pianure sterminate e fiumi si alternavano senza ordine logico, spesso più volte nella stessa giornata.
 
Solo una cosa rimaneva sempre uguale: la neve.
 
La Russia sembrava un luogo dove la neve era perenne.
 
Ovunque voltassimo lo sguardo c’era la neve.
 
Copriva le foglie degli alberi e gli immensi campi che si perdevano a vista d’occhio.
 
Solo durante tre mesi la neve dava tregua a quel luogo dando alla popolazione la possibilità di riprendere il lavoro nei campi e dare sostentamento alla gente.
 
Ma con la guerra, i contadini venivano spinti con la forza a coltivare il terreno gelato per ricavare quel poco di grano che veniva poi spedito al fronte per sostenere l’esercito.
 
Più di una volta, mentre cavalcavamo, ci imbattemmo in campi che venivano coltivati da persone smagrite sotto il rigido controllo di guardie armate.
 
Chi non si presentava a lavoro o si fermava, spesso, veniva ucciso sul posto.
 
“Questo è inumano!” Sussurrò Anastasia mentre osservava una guardia trascinare via un uomo scheletrico crollato a terra per la fatica dopo averlo pestato.
 
“Questa è la guerra.” Risposi io senza soffermarmi più di tanto.
 
Incrociammo decine di contadini affamati in fuga verso la parte centrale del paese.
 
Molti di loro erano fuggiti dai dintorni di Ekaterimburg come noi e si stavano dirigendo nelle zone più sicuro, dove speravano di trovare del lavoro più sicuro e meno armi.
 
Arrivammo in città dopo una settimana a cavallo con solo tre fermate.
 
Ci accodammo ad una colonna di persone che entrava, probabilmente per cercare lavoro o per trovarsi in dentro delle mura sicure.
 
Una cinta muraria alta dieci metri difendeva la parte più interna e ricca della città, dove vi erano le abitazioni delle persone più ricche.
 
Un tempo erano nobili, poi erano passate agli alti ufficiali di Lenin ed alle autorità più alte della città, mentre la nobiltà veniva schiacciata ed uccisa.
 
La parte esterna, invece, era un agglomerato di case senza alcun ordine logico.
 
Spesso erano costruite sovrapposte, tanto che case a più piani si appoggiavano, spesso e volentieri alle abitazioni più piccole.
 
Entrammo lungo la strada principale, sorvegliata da un carro armato ed una ventina di soldati.
 
Scendemmo dal cavallo e ci mettemmo in marcia.
 
Confondersi con la gente era semplice: molti avevano un animale da soma per caricare le proprie cose ed il nostro era così sporco che non attirò molto l’attenzione.
 
Intorno a noi c’era un vociare confuso e la calca era tale che bisognava fare attenzione a non essere travolti.
 
Tenni Anastasia per mano durante tutto il tragitto quando, giunti ad un paio di centinaia di metri dall’entrata, svoltammo in un vicolo.
 
“Dove andiamo?” Mi chiese insicura mentre attraversavamo quel vicolo.
 
“Da degli amici.” Risposi.
 
Tra quei vicoli cadenti, infatti, c’era una base degli assassini.
 
Dall’interno, la città, era ancora peggiore di quanto si potesse vedere dall’esterno.
 
Le strade erano strette, sporche e dissestate.
 
Le case erano malridotte, più di una volti ci dovemmo fermare per evitare una tegola che cadeva o una trave di legno messa male.
 
La gente per le strade era mal vestita e denutrita e più non era raro trovarsi davanti ai cadaveri di persone denutrite.
 
“Tutto questo è orribile.” Disse Anastasia bianca in volto per la nausea e l’orrore.
 
Io non risposi, dato che, se avessi aperto bocca avrei vomitato.
 
Sopra le case torreggiavano degli enormi giganti di ferro e metallo: le immense fabbriche della città che sfornavano armi e mezzi per l’esercito.
 
Tutto era diventato una macchina.
 
Gli operai venivano usati al pari degli schiavi.
 
Turni massacranti, sottoposti ad uno stress fisico e psicologico che li annientava, diventavano facilmente indottrinabili grazie alla pesantissima propaganda Leniniana.
 
Le viuzze si facevano via via più strette.
 
Mentre ancora stavamo camminando, qualcuno attirò la mia attenzione.
 
“Ehi, ragazzo, vieni qui.” Mi bisbigliò una voce in un vicolo.
 
Mi voltai un attimo per vedere chi mi avesse chiamato, ma non vidi nessuno.
 
Avvertii, semplicemente un leggero sibilo alle mie spalle, ma tanto bastò a farmi intuire il pericolo.
 
Senza nemmeno voltarmi mi abbassai, e fu provvidenziale, dato il bastone che mi stava per colpire dietro la nuca.
 
Anastasia si mise ad urlare quando un uomo la afferrò alle spalle cercando di trascinarla nel vicolo.
 
L’individuo che mi aveva aggredito impugnò un coltello e cercò di colpirmi, ma io ero rapido e con un'unica mossa afferrai il suo braccio e glielo torsi in modo da disarmarlo.
 
Non capii bene quanti erano gli aggressori, ma non dovevano essere più di cinque.
 
Anastasia, intanto, era riuscita a liberarsi dell’uomo che la tratteneva con una spinta, ed io ne approfittai subito per lanciare il coltello di cui mi ero appropriato contro di lui.
 
Quell’uomo stramazzò al suolo con il coltello piantato nel petto.
 
Ebbi pochissimi istanti per decidere il mio prossimo bersaglio.
 
L’individuo con il bastone tentò di colpirmi di nuovo, ma questa volta afferrai l’arma e gliela tolsi torcendogli il braccio.
 
Quello urlò di dolore e tentò di rifilarmi un pugno, ma io lo evitai finendolo con un pugno nella bocca dello stomaco.
 
Due mi afferrarono per le spalle, cercando di tenermi fermo, ma fu Anastasia a tirarmi fuori dai guai.
 
Afferrò il bastone dell’uomo che avevo stordito e lo usò per colpire alla nuca uno dei due che mi teneva.
 
Io presi l’iniziativa e colpii l’altro in piena faccia.
 
L’ultimo se la dette a gambe mentre i suoi compagni erano a terra.
 
“Chi sono questi uomini?” Mi chiese Anastasia che teneva ancora in mano il bastone sporco di sangue.
 
“Ladri, probabilmente. O poveracci che non avendo lavoro e necessità di mangiare si abbassano a derubare.” Dissi controllando quello che avevano in tasca.
 
Non che volessi derubarli di qualcosa, ma volevo vedere se c’era qualcosa che potesse identificarli.
 
Sfortunatamente non trovai nulla di utile.
 
“Andiamo, meglio non rimanere qui. Potrebbero arrivare altri ladri, o peggio, la polizia.” Dissi ad Anastasia mentre ricominciavamo la marcia.    
 
Ci mettemmo un quarto d’ora a raggiungere la porta che sapevo essere quella della base.
 
Se non fossi stato un assassino, non l’avrei potuta riconoscere, eppure c’era una cosa che la distingueva: sullo stipite c’era incisa una ‘A’ stilizzata, simbolo degli assassini.
 
Eppure qualcosa attirò subito la mia attenzione.
 
Di solito c’era sempre un assassino a controllare le porte delle nostre basi sotto copertura nelle città, ma lì intorno c’erano solo poveraccio trasandati che cercavano un riparo.
 
Nessuno che stava appoggiato ad una casa e muoveva ‘casualmente’ lo sguardo verso di me.  
 
‘C’è qualcosa di strano qui.’ Pensai sospettoso.
 
Bussai alla porta per tre volte di fila, poi feci una pausa di qualche secondo e battei altre quattro volte e finii con altre due battute veloci: il segnale degli assassini.
 
Nessuna risposta.
 
‘Forse una trappola. O forse sono fuggiti, ma qui intorno non c’è nessuno.’ Mi dissi.
 
In effetti, a parte due donne affacciate alla finestra ed un gruppetto di bambini che giocavano sotto la sorveglianza di un uomo anziano, non c’era nessuno.
 
“Qualcosa non va?” Mi chiese Anastasia, probabilmente intuendo le mie preoccupazioni.
 
“Stai pronta a scappare.” Dissi semplicemente mentre spingevo la porta.
 
Come immaginavo: era aperta.
 
Entrai in un locale spazioso, formato da un’unica stanza in legno molto ampia.
 
Tutto all’interno era distrutto: i tavoli, le sedie, i mobili e c’erano persino tracce di sangue, anche se non c’erano cadaveri.
 
“Come immaginavo, qui sono tutti morti, devono averli scoperti, meglio andarsene.” Dissi dopo essermi addentrato di pochi passi all’interno, con Anastasia sempre alle spalle.
 
Stavo per allontanarmi quando da dietro un tavolo uscì un uomo con un uniforme rossa armato di carabina che urlò qualcosa in russo.
 
“A terra!” Gridai io mentre mi gettavo sul pavimento.
 
Il proiettile mi passò a pochi centimetri dalla testa, ma ebbi abbastanza prontezza di riflessi da sparare e colpire l’agente della Ceka in mezzo agli occhi uccidendolo.
 
“Ce ne sono altri!” Mi avverti Anastasia osservando l’esterno.
 
“Dovevano esserci delle sentinelle che dovevano intervenire per fermare chiunque entrasse, quello era solo per trattenerci.” Dissi io indicando il soldati morto a pochi passi da me mentre cercavo una via d’uscita.
 
Mi ci vollero pochi secondi per trovare ciò che cercavo: una scala a pioli che dava sulla travi del tetto.
 
“Vieni, presto!” Urlai ad Anastasia, che aveva chiuso la porta e la stava bloccando con una trave.
 
La feci salire per prima, mentre i soldati cercavano di aprire la porta con violenza.
 
Ci mise un po’ ad arrivare in cima, ma, appena arrivò in cima ed io iniziavo a salire, un soldati armato di mitra fece irruzione.
 
Quell’uomo tentò di sparare, ma prima che potesse premere il grilletto, un colpo di fucile lo raggiunse in pieno volto.
 
Io raggiunsi l’impalcatura interna che sorreggeva il tetto e mi guardai intorno.
 
Tra le travi c’era la figura di un uomo che non riconobbi a causa della scarsa luce che filtrava.
 
Notavo solo una giacca molto lunga ed una barba folta.
 
Forse era un assassino sopravvissuto.
 
Oltre a questo potevo vedere solo il fucile.
 
“Andate, cosa fate dormite?” Ci incitò mentre sparava di nuovo facendo un’ altra vittima.
 
Non me lo feci ripetere due volte e presi Anastasia per mano, dirigendomi verso un’apertura sul tetto.
 
Una volta all’aria aperta ci trovammo sui tetti della città.
 
Lo spettacolo da la su era molto migliore rispetto alla strada, ma anche più pericoloso.
 
Sui tetti, infatti, erano appostati due cecchini.
 
“Stai giù!” Avvertii, mentre un paio di colpi raggiungevano le tegole vicine.
 
Presi la pistola e sparai tre colpi, uno dei quali raggiunse uno dei soldati.

“Vieni, presto!” La incoraggiai tirandola su con uno strattone, mentre l’altro cecchino si metteva a riparo dietro un camino.
 
Lei si issò su e si appoggiò a me per non perdere l’equilibrio.
 
“Adesso? Siamo in trappola qui!” Urlò lei mentre cercava di trattenere il panico.
 
“No, ascolta, cerca di correre tra i tetti.  Io ti raggiungerò, ma devi avviarti. Lo spazio tra i tetti non dovrebbe essere troppo largo, ce la farai.” Dissi con convinzione mentre sparavo per tenere in copertura il soldato che rimaneva sul tetto vicino.
 
Lei si avvio rapidamente, benché non mi fosse sfuggita una scintilla di panico negli occhi.
 
Altre due unità erano andate in aiuto del cecchino che tenevo sotto tiro, ma uno di loro morì prima ancora di raggiungere un riparo, dato che mi bastò un colpo per ucciderlo.
 
Gli altri due erano mi spararono, ma nello stesso istante in cui loro si alzarono, io mi mossi per nascondermi dietro la parte scoscesa del tetto dall’altro lato, mentre sparavo uccidendo uno dei due soldati.
 
‘Ho un solo colpo. Meglio se lo uso bene.’ Pensai mentre uno sparo, faceva saltare una tegola molto vicina al mio orecchio destro.
 
‘Ok, te la sei cercata.’ Usando i miei sensi super sviluppati mi permisero di capire quando il soldato si sarebbe sporto e, con un colpo ben mirato, lo uccisi.
 
In quel momento due soldati uscirono dall’ apertura sul tetto, forse erano riusciti a superare la copertura del nostro inaspettato alleato, ma io non avevo tempo per scoprirlo; afferrai due coltelli da lancio e colpii i due uomini proprio dietro al collo uccidendoli.
 
“Ottimo!” Disse una voce poco lontano da me.
 
Su un Tetto, ad una cinquantina di metri da me, c’era un uomo sui quarant’anni dalla pelle chiara, dai capelli neri tagliati cortissimi, quasi pelato e gli occhi verdi.
 
I lineamenti erano abbastanza duri e spigolosi, ma coperti da una corta barbetta.
 
“Jacob!” Urlai.
 
Era uno dei più abili assassini statunitensi mai vissuti e si era rivoltato contro di noi affermando che il nostro credo era obsoleto.
 
“So che hai seminato Yung. Devo ammettere che non me l’aspettavo, da un ragazzino come te.” Mi disse con un sorrisetto che non faceva presagire qualcosa di buono.
 
“Cosa vuoi!” Chiesi cercando di non far notare il mio nervosismo.
 
“La ragazza è poco lontana. A chi arriva prima?” Chiese con un sorrisetto ancora più ampio.
 
Non ci voleva un genio per capire cosa volesse dire.
 
Mi lanciai subito a corsa sui tetti, usando la corsa acrobatica per superare gli stretti spazzi delle viuzze tra le case.
 
Spesso non dovetti nemmeno saltare, ma solo allungare il passo, per superarle da quanto erano strette.
 
Avevo mandato Anastasia verso il fiume che tagliava Perm in due che poi sfociava nel lago, ma lei non era andata lontana, anche perché il fiume non era lontano.
 
Io corsi più veloce che potevo, ma Jacob aveva già l’arma puntata.
 
Mi rimase solo una cosa da fare.
 
Con uno slancio superai i sei metri che mi separavano da lei ed usai il mio corpo come scudo ricevendo il colpo proprio all’altezza della spalla sinistra.
 
Il dolore fu incredibile, ma riuscii a sopportarlo e a ragionare logicamente.
 
“Mio Dio! Nathan!” Urlò lei mentre le crollavo addosso.
 
Il fiume era a pochissimi metri e non potevo colpire, dato che non avevo colpi nel revolver.
 
L’unica cosa che potevo fare la feci.
 
“Reggiti, stiamo per bagnarci!” Urlai, mentre sapevo che, alle mie spalle, Jacob stava ricaricando l’arma per sparare.
 
Lei annuì mentre la prendevo in braccio.
 
Percorsi con le mie ultime forze gli ultimi passi che mi separavano dall’acqua e saltai.
 
Il gelo.
 
Era la sola parola con cui potevo descrivere quella sensazione.
 
Mi penetrava nei pori e inibiva ogni mio ragionamento.
 
Istintivamente, mi aggrappai all’unica fonte di calore esterna che sentivo: il corpo di Anastasia.
 
Anche lei fece lo stesso e ci ritrovammo stretti in quella morsa ghiacciata.
 
Non so per quanto rimanemmo bloccati in quella posizione, trascinati dalla corrente, ma dopo quelli che parvero secoli o pochissimi secondi, qualcuno ci trascinò fuori dall’acqua.
 
L’improvvisa sensazione di duro e solido legno sotto i piedi mi fece quasi perdere i sensi dal sollievo, ma mi costrinsi a rimanere cosciente e a tossire tutta l’acqua che avevo bevuto.
 
Dopo almeno un minuto ad ansimare, io ed Anastasia riuscimmo a scorgere il nostro salvatore.
 
Solo allora capii che non ero così contento di vederlo e che ne avrei fatto volentieri a mano.
 
“Rasputin!” Urlammo allo stesso tempo riconoscendo l’uomo che avevamo davanti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Salve gente che mi segue. Felici di vedermi? No? Be’ mi sembra giusto.
Allora, per chi è digiuno di storia farò un veloce resoconto su questo nuovo personaggio.
Rasputin era un uomo di spicco nella corte Romanov.
Ufficialmente non aveva alcun ruolo ufficiale, ma aveva un forte ascendente sulla Zarina e sembra tenesse molto alle figlie dell’imperatore. (Forse un po’ troppo, se volete che sia più preciso.)
Morì in maniera cruenta e a dir poco spettacolare: inizialmente lo avvelenarono, ma il veleno non ebbe effetti e gli piantarono un coltello nella schiena. Non essendo ancora morto, gli spararono tre colpi di pistola e poi, vedendolo ancora respirare lo gettarono in un fiume. (Sti cazzi! scusate.)
Nella mia fic, si scoprirà che a morire è stato un suo sosia, mentre lui era in fuga dopo aver scoperto del piano per eliminarlo.
A presto e recensite.
AxXx 
  

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Capitolo 9
*** Rasputin ***


 
                           Rasputin
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ci misi poco più di tre decimi di secondi a riprendermi e a puntare il coltello che portavo alla cintura al collo di Rasputin, mentre intorno a me, una decina di uomini mi puntò contro dei fucili.
 
“Siamo nervosi, vero?” Chiese ironicamente l’uomo che avevo davanti, per nulla preoccupato della lama che minacciava di incidere la sua pelle.
 
“Comprendimi. Ho davanti un Templare e raramente un Assassino può abbassare la guardia, davanti a quelli come voi.” Risposi, incurante delle dieci canne di fucile che mi puntavano contro i suoi uomini.
 
“Dovresti ringraziarmi, invece, mi sono fatto sparare per voi.” Disse allargando il lungo giaccone, mostrando tre evidenti fori di arma da fuoco.
 
“Aspetta! Quello che ci stava aiutando al rifugio, eri tu!?” Chiesi, mentre abbassavo cautamente il coltello.
 
“Ottima osservazione, in effetti aspettavo un assassino, ma non certo un ragazzino.” Rispose Rasputin ridendo della sua stessa rima.
 
“Benvenuta sulla mia umile imbarcazione.” Aggiunse mentre aiutava Anastasia ad alzarsi.
 
“Voi qui? Ma... Come... vi sapevo morto?” Farfugliò la ragazza mentre si sollevava a fatica.
 
Io ero un fascio di nervi tesi, mentre i templari intorno a me abbassavano le armi.
 
Eravamo su un peschereccio non lontano dalla foce del fiume.
 
“Come mai ci state aiutando?” Chiesi sospettoso, mentre cercavo di ignorare il dolore alla spalla.
 
“Diciamo che i templari sono curiosi di vedere come si svilupperà la situazione.” Disse l’uomo mentre andava verso la cabina di comando della barca.
 
“Strano, l’ultimo templare che ho incontrato ha cercato di ucciderci e imporre ad Anastasia di prendere il potere, perché dovresti volere qualcosa di diverso, tu?” Chiesi, mentre mi guardavo intorno circospetto.
 
Eravamo su un battello da pesca, non molto grande, ma sufficiente da trasportare con una certa comodità una ventina di persone.
 
Era di legno con qualche rinforzo in metallo, un normale battello da pesca che si vedevano spesso sui laghi e fiumi russi.
 
“Per la verità, il caro Nikolaj voleva agire di propria iniziativa, mentre io sono più cauto.” Rispose facendo segnale con la mano al timoniere di partire.
 
Io, dal canto mio, ero tutt’altro che convinto da quella spiegazione.
 
“Ma voi cosa sapete di me e di mio padre?” Chiese Anastasia che, a sentire nominare Dimitri, era diventata sospettosa.
 
“Io e vostro padre, vostra maestà, eravamo un po’, come dire... in contrasto.” Rispose l’uomo avvicinandosi al parapetto. “Come capo dei Templari ho molte responsabilità. Ho sempre cercato di migliorare le condizioni del popolo per tenere il potere in mano ai Templari, quindi vostro padre. Tuttavia, durante la guerra, gli Assassini hanno avuto uno scisma e i loro rivoltosi ne hanno approfittato di venire qui riducendo notevolmente la mia autorità, soprattutto perché ero già stato allontanato dal caro Nicola dopo che le sue idee si erano fatte troppo vicine a quelle degli assassini. ”
 
“Era per questo che eravamo qui.” Affermai convinto incrociando le braccia.
 
“Infatti, noi volevamo trasferirvi prima degli assassini, che però ci hanno preceduti, anche se non così in fretta da salvarvi. Tuttavia, io non ho le capacità di proteggervi principessa Anastasia, ecco perché voglio aiutarvi.” Concluse lui con un sorriso.
 
“Ho la sensazione che tu non mi stia raccontando tutto.” Affermai io per niente convinto.
 
‘I Templari hanno sempre un piano difficile da vedere...’ Pensai mentre guardavo negli occhi Rasputin.
 
“Credi davvero che io sia così insensibile? Io volevo bene alla famiglia di Federico, ad anche a voi e alle vostre sorelle, altezza!” Disse lui rivolto ad Anastasia.
 
Lei sembrava un po’ confusa.
 
Forse i ricordi della sua famiglia o altro la stavano affliggendo, o magari stava cercando di trovare qualcosa di sospetto nei ricordi che riguardavano Rasputin.
 
“Io non mi fido di te, ma temo di non avere altra scelta, se non collaborare con te, ma non credere che io mi sia unito alla tua causa.” Lo avvertii io, mentre il dolore alla spalla si faceva più acuto.
 
“Non avevo il minimo dubbio, comunque io penso che tu dovresti mettere qualcosa sulla ferita, potrebbe infettarsi.” Mi consigliò con un sorriso.
 
Io non mi fidavo, ma la ferita stava davvero cominciando a farmi male, quindi, mi sedetti fino a che non arrivammo al porto.
 
Il porto cittadino era molto affollato.
 
Anche i pescatori venivano spinti oltre il limite dell’umanamente possibile per soddisfare le richieste di un esercito in guerra.
 
Uno degli uomini di Rasputin ci accompagnò ad un edificio di legno.
 
Era una semplice pescheria in legno malmesso come gli altri edifici, ma l’interno era più curato.
 
Il pavimento pulito, le finestre limpide ed i mobili spolverati, nonché una certa cura del proprietario, indicavano che quello non era un posto normale.
 
Altri avrebbero detto che il proprietario era solo particolarmente attento, ma per me erano tutti segni che quel posto era sotto la protezione dei templari.
 
Il proprietario ci guardò storto un attimo, poi si rivolse a Rasputin.
 
“Cosa cercate?” Chiese alzando il sopracciglio perplesso.
 
“Che il padre della comprensione ci guidi.” Rispose il nostro alleato improvvisato con sicurezza.
 
“Bene, ma qui non c’è comprensione, signore, solo carne, lei è pazzo!” Disse l’altro ridendo.
 
Benché fosse una risata ben fatta mi accorsi subito che era finta: il suono era troppo gutturale per essere una risata vera e propria.
 
Infatti Rasputin si avvicinò all’uomo e  gli sussurrò qualcosa all’orecchio.
 
Quello si calmò di colpo ed indicò la porta e si rimise a pulire il balcone, come se noi non fossimo passati di lì.
 
Intuii che quello era un codice: chi voleva entrare doveva dire la parola di riconoscimento dei Templari, la reazione era il segnale per cui dare la vera parola d’ordine, a bassa voce, in caso qualcuno origliasse.
 
Rasputin ci condusse in una specie di stanza molto grande con al centro un tavolo di legno con sopra una candela.
 
C’erano dieci sedie, per la maggior parte vuote; solo due erano occupate.
 
Una era occupata da una donna dai capelli neri corti e la pelle chiara, mentre sull’altra c’era un uomo dai capelli neri e la carnagione scura che indossava una specie di uniforme verde.
 
“Bene, noi dobbiamo parlare, voi potreste riposare per qualche ora e tu, ragazzo, oltre quella porta ci sono delle persone che ti assisteranno.” Disse Rasputin indicando una porta dall’altra parte della stanza.
 
Io mi fidavo sempre meno.
 
Ritrovarmi in una base dei templari era tutt’altro che piacevole, ma era capitato in passato, che gli Assassini si unissero ai loro nemici per necessità.
 
Mi diressi oltre la porta e percorsi un corridoio di una cinquantina di metri e mi ritrovai in una stanza dove c’era una specie di lettino ed un uomo con gli indumenti tipici del medico.
 
“Il capo del nostro gruppo mi ha detto di estrarti il proiettile dalla spalla.” Disse un po’ sospettoso. “Di solito, io, i tuoi compagni li torturo, non li curo, tuttavia, in nome della causa comune, ti aiuterò.”
 
“Vai fiero di aver torturato delle persone?” Chiesi scettico.
 
“Io vado fiero di aver protetto l’ordine nel mondo, non di aver torturato la gente, guarda cos’ha fatto il tuo ordine qui.” Rispose l’altro deciso.
 
‘Che inutile discussione.’ Pensai mentre mi sdraiavo sul lettino togliendomi il mantello e la giacca, rimanendo a torso nudo.
 
L’estrazione del proiettile era davvero dolorosa.
 
Nessuna anestesia nella mia epoca, tutto a mano e affidato all’abilità dei medici.
 
Per estrarlo venivano usate delle sottilissime pinze sterilizzate, di solito con alcol meno dolorosi possibile, ma, a quanto pareva, anche i Templari avevano problemi, dato che quel tizio le sterilizzò con la fiamma viva.
 
Il metallo incandescente nella carne fu un dolore straziante e mi provocò una lunga serie di spasmi e crampi, ma lui doveva sapere quello che faceva, dato che, dopo qualche minuto, riuscì ad estrarre il proiettile metallico e a tamponare la ferita disinfettandola e pulendola con cura.
 
“Grazie.” Dissi dopo qualche minuto.
 
“Nessun problema, erano i miei ordini.” Disse il medico pulendosi le mani.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Anastasia fu accompagnata in una stanza più ampia.
 
Dedusse che dovevano essersi spostati in uno degli edifici vicini, dato che aveva percorso a piedi, più di settanta metri.
 
Entrò in una stanza molto spaziosa, con un camino acceso ed una donna piuttosto anziana che stava riempiendo una tinozza con dell’acqua calda.
 
“Venite, altezza, sono certa che un buon bagno caldo le manca.” Disse l’anziana signora indicando la tinozza in legno che si trovava al centro della stanza.
 
‘In effetti, è un po’ che non mi lavo, non oso pensare a cosa possa pensare la gente di me se mi vedesse in questa condizioni.’ Pensò la ragazza.
 
“Bene, io andrò nell’altra stanza, voi fate pure con comodo, vostra grazia.” Disse la donna con un inchino per poi allontanarsi.
 
Anastasia si spogliò ed entrò velocemente in acqua sdraiandosi sul fondo lasciando emersa solo la testa.
 
I suoi pensieri si fecero subito tristi, mentre ripensava alla sua famiglia.
 
Negli ultimi tempi non ci aveva pensato molto, anche a causa del viaggio impervio, ma ora si sentì improvvisamente conto di quanto tempo fosse passato da quei terribili istanti senza che lei se ne rendesse conto.
 
Durante la loro prigionia erano sempre stati tutti ottimisti.
 
Suo padre si era spesso attardato con suo fratello per tranquillizzarlo e fargli sentire la vicinanza di un padre ed era stato sempre presente anche con lei e le sue sorelle.
 
La madre si era sforzata di mantenere un contegno in ogni situazione.
 
Il ricordo delle sorelle e dei genitori la fece sprofondare in uno stato di tristezza che quasi si dimenticò di dove si trovava.
 
 
 
 
 
Erano da poco andate a letto quando un gruppo di soldati entrò nelle loro stanze dicendo che dovevano muoversi, perché le truppe dei bianchi stavano avanzando.
 
Anastasia si alzò e si vestì, insieme alla sorella Maria e scese al pian terreno.
 
I soldati scortarono lei e la sua famiglia in una delle stanze al pianterreno, dicendo che dovevano fare una foto.
 
Era ampia, con una ricca tappezzeria e tutti i mobili di legno erano stati spostati in modo da fare spazio alla sua famiglia ed ai servitori.
 
Se li ricordava tutti.
 
Le sorelle Olga, Tatjana e Maria erano risolute come al solito.
 
Suo padre e sua madre erano fieri, anche se non erano più sovrani, e quello che era l’imperatore, portava il suo tenero fratellino di quattordici anni, Aleksej, in braccio.
 
Dietro di loro i servitori: Il cuoco, l’inserviente la dama di compagnia e il medico gli accompagnavano, come avevano sempre fatto fedelmente come sempre.
 
Non si aspettavano certo di seguirli anche nell’ultimo istante, ma probabilmente, la loro fedeltà era tale da essere pronti anche a quello.
 
Dopo essersi messi in posa, entrarono alcuni uomini ed uno di loro si fece avanti.
 
Chi li aveva disposti, un certo comandante Yurovskj, si allontanò, mentre l’altro uomo si faceva avanti.
 
“Nel nome del popolo Russo, del comitato popolare degli Urali e per la vostra insistenza nell’offensiva contro il sacro popolo che lei aveva giurato di difendere, io sono costretto ad eseguire la condanna a morte di lei e della sua famiglia.” Dichiarò il comandante estraendo la pistola.
 
Il tempo rimase sospeso.
 
Frazioni di secondi che passavano come se il tempo si fosse sopito.
 
La pistola si sollevò con una lentezza impressionante.
 
Suo padre si mosse in avanti per protestare, ma il colpo lo raggiunse in pieno petto.
 
Dopo... il caos.
 
I proiettili volarono in maniera disordinata contro di loro.
 
Lei vedeva solo figure confuse e movimenti convulsi, mentre cercava di capire cosa stesse accadendo davvero.
 
Doveva essere un incubo.
 
Cos’avevano fatto per essere condannati a morte.
 
 
 
 
 
Anastasia si ridestò.
 
‘Un brutto sogno.’ Pensò, mentre si riprendeva.
 
Si massaggiò il piede, per acquietare il dolore.
 
Avere un problema del genere non aiutava, soprattutto se si cammina sui tetti, ma era nata così.
 
L’alluce valgo era tutt’altro che comodo, anche perché, se non si massaggiava giornalmente si rischiavano complicazioni, ma il suo dottore le aveva spiegato come fare i massaggi e il punto dove farli.
 
Dopo aver finito si asciugò e si rivestì.
 
Le avevano portato dei nuovi vestiti.
 
Erano da viaggio, in pelle dura, ma non ruvida, il che era utile perché meno fastidiose, inoltre si trovava davvero a suo agio.
 
 
 
 
 
 
 
 
Ripercorsi il corridoio a ritroso per parlare con Rasputin.
 
Non che volessi parlargli subito.
 
Mi appostai dietro la porta ed accostai l’orecchio.
 
Stavano litigando per qualcosa e le urla erano anche abbastanza forti.
 
“Sei matto! Non puoi certo pensare che quel ragazzo possa farcela, vero?” Chiese un uomo, probabilmente quello in divisa.
 
“No, credo che ce la possa fare, dopotutto, è un assassino e sono gli unici che nella storia siano riusciti a controllarlo.” Disse Rasputin.
 
“Ora baste, lui è il nostro comandante, dobbiamo ubbidirgli!” Urlò una donna chiudendo la discussione.
 
Avevo sentito abbastanza.
 
‘Cosa vuole Rasputin? Cosa siamo in grado di controllare solo noi? Perché gli serve?’ Mi chiesi mentre aprivo la porta, pronto a trattare con il nemico.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Allora, salve!
Vi sono mancato? Noo?
Be’ mi dispiace, ma io sono ancora qui!
Allora, spero di avervi incuriosito con questo capitoletto interessante.
Ho dato l’idea, spero di tutte le situazioni ed ho voluto aggiungere alcune cose alla narrazione che si ricollegheranno ad Assassin’s Creed III
Spero che sia di vostro gradimento.
AxXx

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Capitolo 10
*** Sospetti e Ricordi ***


Sospetti e Ricordi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

'Ok, calma e concentrati, dobbiamo evitare ad ogni costo di farti manovrare da lui.' Pensò mentre apriva la porta e rientrava nella sala di Rasputin.

 

Ah, ben tornato, Assassino, stavamo giusto parlando della vostra fuga dalla città.”

 

Io incrociai le bracvia, per niente convinto della loro 'disponibilità.'

 

Avevo ascoltato abbastanza da capire che loro avevano altri piani che non erano proprio quelli degli assassini.

 

Forse dovremmo aspettare anche sua altezza, non trovi, Templare?” Chiesi, cercando di ritardare un po' la riunione per elaborare una soluzione.

 

Sembra quasi che tu definisca la parola 'Templare' come un insulto, comunque, hai ragione, anche perché credo che anche lei debba conoscere la verità.” Disse con un sorriso accondiscendente sedendosi.

 

'Certo: la vostra verità.' Pensai mettendomi seduto osservando gli altri Templari che mi squadravano con un misto di odio e paura.

 

'Probabile che temano per i loro piani...' Pensai, mentre una porta alle spalle di Rasputin si apriva facendo entrare Anastasia.

 

Ah, vostra altezza. Benvenuta, stavamo giusto parlando di voi.” Disse facendo un cenno alla sedia al suo fianco.

 

Lei la osservò un attimo per poi ignorarla e sedersi alla mia destra.

 

Bene.” Disse il Templare facendo buon viso a cattivo gioco. “Credo che, data la situazione, possiamo aiutarci a vicenda. Come per esempio una via d'uscita dalla città.”

 

E cosa vorresti, in cambio?” Chiesi alzando le sopracciglia dubbioso.

 

Mi credi davvero così meschino?” Chiese divertito nascosto dalla barba.

 

Mi stai chiedendo se non mi fido della tua parola o di quella di un templare? Perché io non mi fido né dell'una né dell'altra.” Risposi io incrociando le braccia.

 

Aaah, ma io sono onesto. Vi darò una via di fuga ed una strada per lasciare il paese.” Rispose lui alzando la mano.

 

Io osservai un attimo l'uomo e la donna che lo accompagnavano.

 

Entrambi sembravano pronti a scattare verso di me ed in particolare l'uomo, aveva la mano stretta intorno al manico di un coltello.

 

Noi accettiamo, certo, ma voi non avete detto cosa vorreste da noi.” Rispose Anastasia a sorpresa di tutti.

 

bene. Io vi aiuterò ad uscire. Voi riposerete, nel frattempo. Vi chiamerà Aisha, la mia consorella, quando sarà il momento.” Disse Rasputin indicando una quarta porta che sembrava dare sul piano superiore dell'edificio.

 

Ci incamminamo insieme accompagnati dalla donna che ci indicò due stanze.

 

Entrai nella prima senza dire una parola e mi ritrovai un una piccola stanza.

 

Era un ambiente abbastanza piccolo, con un letto ad una piazza ed un cassettone.

 

Tutto era in legno comprese le pareti, tuttavia era un luogo abbastanza confortevole e tranquillo, se non fosse stato per il fatto mi trovassi in una base dei templari.

 

Passai le ore che seguirono a pensare e concentrarmi.

 

Il senso dell'aquila non era ancora ben sviluppato in me, tuttavia potevo percepire decine di movimenti contemporaneamente.

 

Non percepii niente di sospetto, ma non volevo abbassare la guardia.

 

'Hanno sicuramente qualcosa in mente, ma non so cosa. Cosa vogliono che recuperi?' Pensai, ricordando la conversazione che avevo origliato in precedenza.

 

Ero così assorto che mi accorsi della persona davanti alla mia porta solo quando quella sospirò.

 

Mi misi subito in allarme e, impugnando il coltello, mi appostai a sinistra delle porta, in modo che non rimanessi dietro di essa quando si sarebbe aperta.

 

Si aprì lentamente cigolando, qualcuno entrò.

 

Fu una fortuna che io mi fermai in tempo, altrimenti non mi sarei accorto che ad entrare era stata Anastasia.

 

Lei fece un leggero salto indietro, quando si accorse che le ero alle spalle con un pugnale in mano.

 

Sei matta ad entrare in camera mia a quest'ora!? Avrei potuto ucciderti per sbaglio!” Dissi rimettendo l'arma nel fodero, sedendomi a terra.

 

Lei mi si avvicinò con lo sguardo basso, come se volesse chiedermi qualcosa, ma non fosse sicura di farlo.

 

C'è qualcosa che ti turba?” Chiesi più dolcemente.

 

Non ero abituato ad essere gentile con gli altri, anche perché non ero mai cresciuto al difuori della confraternita, ma sapevo che sarebbe stato crudele continuare ad essere duro ed insensibile.

 

Lei rimase in silenzio per alcuni secondi prima di chiedermi: “Che facciamo, ora?”

 

Io mi fermai a riflettere: la sua domanda era lecita, chiedere aiuto al nemico non era una cosa da prendere alla leggera, soprattutto se si trattava dei Templari, ma non avevamo scelta.

 

Per adesso li seguiremo, ma dobbiamo stare attenti: ci tradiranno alla prima occasione. Tu che pensi?” Feci io, cercando di riordinare le idee.

 

Io... io non lo so. Fino a qualche ora fa mi sarei fidato del Signor Rasputin, ma ora... ora non so di chi fidarmi. Mi sembra di essere entrata in una specie di mondo diverso da quello in cui vivevo.” Rispose massaggiandosi le braccia lentamente, come se avesse freddo.

 

Mi alzai, non so in preda a quali dannate emozioni che non riuscivo a controllare nonostante tutto il mio addestramento: avrei dovuto mantenere un po' di contegno, controllare le mie emozioni, invece mi lasciai trasportare da esse.

 

puoi fidarti di me...” Risposi mettendole una mano sulla spalla, cercando di rassicurarla.

 

Lentamente, la mia mano si spostò dalla spalla alla guancia mentre lei alzò il viso verso di me avvicinandosi.

 

Mi sentivo come il polo di una calamita attirato da quello opposto, lentamente edi inesorabilmente, mi avvicinai a lei, bruciando centimetro dopo centimetro, lo spazio che mi separava dalla sua bocca.

 

Le sue labbra avevano la consistenza del velluto mentre mi baciava con tenerezza stringendomi per le spalle, mentre io le abbracciavo la vita, cercando di non sembrare troppo irruento.

 

Il mio cervello si spense, entre il cuore accellerava e, per la prima volta nella mia vita, abbassai ogni difesa: l'unica cosa su cui mi concentravo era il corpo caldo e morbido di Anastasia che era diventato il centro del mio universo.

 

Persi la cognizione del tempo, mentre ci portavamo sempre più vicini l'uno all'altra e sarei potuto anche andare oltre se lei non si fosse lentamente staccata, lasciandomi con una sensazione di vuoto nel petto.

 

Scusami... io... Mi sono lasciata andare, perdonami se ti ho messo in imbarazzo!” Disse, un po' confusa allontanandosi un po'.

 

Io ero talmente stordito che riuscii solo a scuotere la testa, per poi riuscire a parlare di nuovo: “No, davvero... mi ha fatto piacere, cioé, no... ho solo... mi sono lasciato andare, non accadrà più.” Dissi confuso.

 

Mi resi conto che avrei voluto che questo accadesse di nuovo, ma non potevo permettermi un legame stabile con lei: l'avrei resa un bersaglio ancora più importante per i Templari e i miei confratelli non vrebbero approvato.

 

Lei sembrò rilassata e delusa al tempo stesso, ma non indagai la strana reazione, rimanendo, così, in un silenzio imbarazzante.

 

Be', ero venuta qui anche per chiederti una cosa.” Disse dopo qualche minuto di silenzio.

 

Certo, nessun problema.” Risposi io, lieto di avere un'altro argomento di cui parlare.

 

Io non so più che fare, ultimamente mi sembra di essere un peso, per di più inutile: vorrei che tu mi insegnassi a difendermi, almeno potrei aiutarti e sapri difendermi da sola.” Disse, di nuovo seria.

 

La richiesta mi lasciò un po' interdetto: non mi sarei aspettato una determinazione del genere da lei, soprattutto, dato che, essendo anche una donna, non era stata educata a combattere.

 

Certo, il fisico non le mancava, era abbastanza magra e slanciata, ma non era ossea, quindi aveva sufficente forza, ma avrebbe dovuto abituarsi a cambiamenti davvero radicali.

 

Io... potrei, certo, ma devi essere sicura, altrimenti, non servirà a niente se non sei sicura.” Concessi con un po' di imbarazzo.

 

Ho già dovuto sopportare parecchio, da quando ho visto... morire i miei... i miei genitori. Non credo che ci sia qualcosa di peggio, poi ho bisogno di qualcosa a cui pensare he non sia quello... che è successo.” Rispose abbassando lo sguardo, mentre la sua voe si incrinava.

 

Aveva ragione, aveva sopportato troppo per poter essere spezzata da qualche allenamento, ma non volevo che si mettesse in pericolo.

 

D'accordo, ma sappi che io ti insegnerò a combattere a modo mio, sarà dura, ma sono certo che ce la farai.” Dissi rassicurandola. Avrei vololuto fare qualcosa di più, magari abbracciarla, ma non potevo farmi di nuovo dominare dai miei istinti, dovevo rimanere vigile, soprattutto per il fatto che ci trovavamo in una base dei Templari.

 

Per me non è un problema: Sono pronta, quando cominciamo?” Chiese subito incrociando le braccia, pronta.

 

Meglio non iniziare subito, appena ci faranno uscire ti insegnerò.” Dissi,. Meglio essere sicuri che nessuno ci ascoltasse. “Ora è meglio riposare, torna nella tua stanza prima che ti trovino qui.”

 

Lei annuì.

 

Si avvicinò e mi accarezzò ad una guancia, prima di andarsene.

 

'Dannazione!' Pensai mentre mi stendevo per riposare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Devi stare più attento.” Disse mio padre, mentre ci allenavamo.

 

Stavamo combattendo nella sala di allenamento della nostra base sotto Roma ed io ero in svantaggio.

 

Lui era nella suatenuta da Assassino, mentre io ero a torso nudo, con solo un paio di pantaloni e la mia lama celata per difendermi.

 

Non ce la faccio...” Risposi ansiando tenendomi la ferita che mi era stata inferta con la lama celata di mio padre.

 

Un nemico non ti risparimierà, sopporta!” Mi ordinò lui con rabbia afferrando la sciabola cercando di colpirmi al ventre.

 

Mi scansai rapidamente saltando all'indietro.

 

Avevo una ferita al fianco, due alle braccia ed un'altra ferita alle gambe, senza contare le dita rotte ed il mal di testa.

 

Mi lanciai in avanti, cercando di colpire, ma mio padre si scansò di lato vibrando un altro colpo con la sciabola.

 

Io cercai di scansarmi, ma lui era troppo rapido ed il colpo mi raggiunse al fianco facendomi uscire altro sangue.

 

Caddi a terra sfinito, mentre sentivo le energie abbandonarmi.

 

Alzati, avanti!” Urlò lui tirandomi un calcio al fianco ferito.

 

Io lanciai un urlo soffocato, mentre un dolore lancinante mi attraversava il corpo paralizzandomi.

 

Cercai di alzarmi, ma avevo perso troppo sangue e non avevo più forze, così rimasi a terra continuando a subire i colpi di mio padre che continuava ad infierire, mentre sentivo le lacrime rigarmi il volto.

 

Ora basta!” Urlò qualcuno facendo cessare quell tortura.

 

Non interferire, sto allenando tu fratello!” Rispose mio padre con tono di sfida.

 

Questo non è un allenamento! È una tortura!” Rispose mio fratello, solo ora lo riconoscevo dalla voce.

 

io lo alleno come mi pare!” Ribatté nostro padre puntando contro Alex con fare minaccioso, ma lui non si fece intimidire e, con una rapida mossa, lo disarmò.

 

Tra i due calò un pesante silenzio, mentre io ritrovai un po' di energia cercando di alzarmi facendo leva sulle braccia.

 

Mio fratello se ne accorse e mi afferrò delicatamente per le braccia tirandomi su portandomi verso l'uscita.

 

Fu un attimo: uno strano riflesso mi attirò e quando mi voltai vidi nostro padre in preda all'ira lanciarsi in avanti con la sciabola in mano.

 

Agii di istinto e spinsi mio fratello di lato per evitare che venga colpito prendendo il colpo al posto suo.

 

 

 

 

 

 

 

Mi svegliai urlando.

 

'Merda, di nuovo.' Pensai alzandomi.

 

Quel sogno mi tormentava sempre e ricordavo ogni momento: avevo quattordii anni e non potevo certo dimenticare lo sguardo folle negli occhi di mio padre, quando aveva cercato di colpire Alex.

 

Mi alzai e mi avvicinai allo specchio che si trovava nella stanza, accendendo una candela.

 

Mi spogliai rimanendo a torso nudo: sul mio petto, partendodalla spalla destra fino al fianco sinistro c'era una lunga cicatrice di color viola leggero che risaltava in maniera inquietante sul mio corpo.

 

Ero rimasto tra vita e morte per giorni a causa di quella ferita e i migliori Assassini guaritori avevano fatto fatica a salvarmi.

 

Non ebbi mai l'occasione di restituire il favore: mio padre morì, prima che fossi considerato idoneo a riprendere l'allenamento.

 

Ero così concentrato che quando bussarono sobbalzai.

 

M rimisi velocemente la camicia e invitai la persona dall'altra parte ad entrare.

 

La porta si aprì mostrando la donna Templare che rispondeva al nome di Aisha, quella che era con Rasputin alla riunione.

 

Vieni, assassino. Siamo pronti a farvi uscire.” Disse invitnandomi a rivestirmi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'autore

 

Rieccomi dopo un lungo silenzio a causa della mancanza di ispirazione e della gran quantità di compiti.

Allora, che ne pensate?

Questo capitolo è particolare, perché ho voluto mettere un “contatto fisico” tra i due protagonisti.

Spero di non aver deluso nessuno se vi aspettavate qualcosa di più.

Comunque a presto.

AxXx


 

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Capitolo 11
*** Patto di tradimento ***


                             Patto di tradimento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una volta fuori Anastasia ed io fummo condotti dalla donna di nuovo nella sala dove avevamo parlato con Rasputin che ci stava aspettando vestito con un pesante giaccone e armato di una carabina.

"Vedo che ci accompagnerà..." Osservai io ben poco rassicurato.

"Non sono qui per scortare te, ma per sincerarmi che sua maestà esca sana e salva dalla città." Rispose, mentre venivamo attorniati da altri tre uomini armati di pistole.

 

Uscimmo praticamente subito senza dire una parola, coperti dalla notte e dalle nuvole che oscuravano la luce lunare, muovendoci tra gli stretti vicoli della città il più silenziosamente possibile.

La città era deserta se non qualche pattuglia che ogni tanto incrociavamo senza mai allarmarla, tuttavia, in lontananza, si sentivano voci, urla e schiamazzi, segno che in altre parti della città la vita era ancora attva.

Eravamo sette in tutto e quindi un gruppo abbastanza piccolo, ma non dovevamo abbassare la guardia: è probabile che se le guardie ci avessero visti avrebbero sparato, inoltre Rasputin aveva detto che Jacob il traditore, non era stato visto in giro, ma erapossibile che si stesse nascondendo per colpire al momento più opportuno.

"...Almeno questa volta non sarò da solo ad affrontarlo..." Sussurrai appena mi fu data la notizia.

"Forse, ma ho visto cosa sanno fare i più potenti assassini: un paio di spade in più non ti serviranno." Rispose Rasputin mentre scrutava furtivamente dietro un angolo per assicurarsi che non ci fosse nessuno.

 

Per mezz'ora ci muovemmo silenziosi come ombre tra le stradine della città, incrociando diverse pattuglie, ma senza mai allarmarnenemmeno una.

Arrivammo ad un molo che dava sul fiume dove ci stava attendendo una imbarcazione di medie dimensioni.

"Il capitano Karanov è un amico e contrabbanda armi con le forze dei rossi. Dirà che deve uscire per fare rifornimento di merci. Voi starete sottocoperta e aspetterete fino al segnale." Spiegò Rasputin senza mezzi termini mentre ci esortava a gesti a salire a bordo.

"Se ci tradisci, ti troverò e ti ucciderò..." Lo minacciai io sottovoce, mentre Anastasia saliva a bordo.

"Io non ho interesse a tradirti: tu piuttosto, ragazzo, vedi di fare il tuo dovere che è interesse di entrambi." Rispose lui altrettanto brusco, mentre controllava i suoi uomini che si trovavano all'inizio del pontile e sorvegliavano le stradine adiacenti per evitare pattuglie.

"Mi chiedo se il tuo interesse non sia duplice..." Feci io alzando un sopracciglio lasciando intendere che io sapevo qualcosa di troppo.

Lui inarcò le sopracciglia in un espressione a metà tra lo stupito e il furibondo, ma quando parlò, il uo tono era piatto e formale: "appena all'esterno incontrerete il vostro contatto e scorta: è tedesco e risponde al nome di Adolf Schiklguber, anche se a me si è presentato con il nome di Adolf Hitler. È un giovane templare: state attenti anche se è dei nostri, durante la guerra ha subito dei traumi ed è un po' matto, se così si può dire."

Qualunque cosa volesse da me, era sicuro che l'avrebbe ottenuta.

A quel punto ero più preoccupato per il nostro 'accompagnatore' che sicuramente aveva ricevuto istruzioni particolari su di me e dovevo stare attento che non mi pugnalasse alle spalle.

La donna che ci aveva chiamati mi fece cenno di muovermi e mi sussurrò: "Buona fortuna."

'Spero che non sia anche della vostra...' Pensai, mentre le rispondevo con un cenno del capo.

Una volta salito il capitano accese il motore a vapore e, con un rumore fastidioso, ma non particolarmente forte, la barca si mise in moto.

"Sembri preoccupato..." Mi disse Anastasia, mentre la barca solcava le acque del fiume.

"Solo che non mi fido di loro, hanno in mente qualcosa e vogliono che passiamo per Mosca per avere qualcosa." Spiegai io preoccupato.

"Meglio se vi ripariate: tra pochi minuti ci saranno i controlli." Ci informò il capitano.

Sottocoperta c'era un orribile odore di pesce marcio e di muffa che dovetti fare uno sforzo per non uscire di nuovo: dovevo immaginare che la sotto dovevano di solito nascondersi le 'merci' non propriamente ufficiali.

"...Oh Dio! Che puzza!" Disse Anastasia, riassumendo in maniera particoarmente precisa i miei pensieri.

"Non abbiamo altra scelta... se vogliamo uscire dobbiamo stare quaggiù." 'Sperando che non ci rimanga l'odore attaccato a dosso' Aggiunsi mentalmente, perché anche io non capivo come avremmo fatto a resistere per più di un ora la sotto.

Quella specie di stiva era praticamente senza luce, fatta eccezione per una piccola lanterna che pendeva dal soffitto.

Il pavimento era pieno di muffa ed altra sporcizia non meglio identificabile e che era meglio non identificare.

Io e Anastasia ci accucciammo in un angolo un po' meno sudicio ed aspettammo trattenendo il fiato (sia per una certa dose di paura che per la puzza) di superare i controlli fluviali.

Non dovemmo aspettare molto, però: dopo un quarto d'ora sentimmo delle voci.

'Speriamo che quell'uomo non si tradisca, altrimenti saremo nei guai.' Pensai, mentre mi pareva di sentire una contrattazione.

Non mi fidavo: i templari avevano le mani in pasta ovunque e poteva benissimo tradirci per consegnarci ai sovietici.

Dopo pochi attimi le voci si spensero, anche se il mio udito mi permise di percepire uno strano suono simile ad un tintinnio, e la barca ripartì.

'Cosa gli ha dato? Il denaro non ha più valore, non circola nemmeno più...' Mi chiesi perplesso. Poi mi diedi mentalmente dell'ingenuo: sul mercato nero la moneta circolava ancora e le merci venivano a costare: era ovvio che anche i membri della polizia segreta si rifornissero nei bassifondi.

Passarono ancora pochi minuti prima che il capitano scendesse sottocoperta.

"Venite fuori, presto." Ci esortò a bassavoce.

Eravamo abbastanza lontani dalla città per non essere visti e le nuvole coprivano le nostre sagome tanto che la riva, seppur molto vicina, si distingueva a fatica.

"Non posso fermarmi, altrimenti mi incaglerei, mi avvicinerò il più possibile, voi saltate sulla riva appena potete." Ci disse il capitano Karanov prendendo il timone.

Poco a poco la riva si faceva più vicina:

tre metri...

due metri...

un metro e mezzo...

 

Appena arrivammo ad un metro io presi Anastasia per mano e con lei saltai sula riva.

Il terreno, però, era molto friabile e, mentre io riuscii a superare la distanza senza problemi, lei atterrò su una sporgenza fangosa molto instabile e per poco non cadde in acqua.

"Tutto bene?" Chiesi voltandomi preoccupato.

"Sì, sto bene..." Rispose avvicinandosi a me.

Eravamo vicina ad una strada sterrata e quasi coperta dalla neve, ma non c'era traccia della persona che dovevamo incontrare.

"Aspetta qui..." Sussurrai ad Anastasia mentre mi avvicinavo ad un albero abbastanza alto.

Con agilità mi arrampicai su di esso usando i rami come appigli raggiungendo la cima per poter osservare la zona circostante e prendere anche qualche punto di riferimento per il viaggio.

Poco più ad est, cinquanta metri al massimo intravidi un fioco bagliore simile ad un fuoco.

'Dovrebbe essere lui...' Pensai, mentre scendevo. 'Se non è lì, ce ne andremo comunque.'

Appena scesi, raggiunsi Anastasia che si era nascosta dietro alcuni cespugli.

"È appena passata una pattuglia:andava di là." Disse indicando l'ovest.

"Andiamo dall'altra parte, allora." Risposi preoccupato, sperand che non l'avessero scoperto.

 

Camminammo pochi minuti, prima di uscire dalla strada per raggiungere il luogo che avevo visto.

Era una piccolo avvallamento molto riparato molto difficile da vedere con un piccolo fuoco quasi spento vicino al quale c'erano tre cavalli ed un ragazzo di circa ventitre anni vestito con abiti pesanti, una sciabola al fianco, il viso squadrato, labbra sottili e dei baffetti corti.

Io estrassi la pistola e mi avvicinai di soppiatto, seguito a poca distanza da Anastasia.

Mentre mi avvicinavo mi sembrò che lui si fosse mosso, ma non esitai e, quando fui più vicino gli puntai la pistola tra capo e collo.

"Fermo, alza le mani." Intimai brusco.

Lui si irrigidì, ma non fece una piega e lo ubbidì.

"Adolf Hitler?" Chiesi.

"Sì, tu chi sei?" Rispose lui, senza troppi preamboli.

"Il nemico del tuo nemico." Dissi evitando di considerarlo un amico: non ero certo pronto a fidarmi di un templare.

In quel momento, con un rapido movimento, lui si girò e mi afferrò il polso disarmandomi.

Io risposi rifilandogli un pogno costringendolo a lasciarmi, dopodiché rotolai ed afferrai la mia pistola puntandogliela contro.

Anche lui mi stava puntando contro un revolver, me nessuno dei due era intenzionato a perdere di vista l'altro.

Anastasia si era spostata alle sue spalle e teneva in mano il pugnale facendomi cenni verso i templare per farmi capire che era pronta ad attaccarlo.

"Vedo che non ti fidi di me, ma potremmo almeno abbassare le armi e ragionare in maniera civile." Disse lui abbassando l'arma alzando l'altra mano aperta per mostrare che era disarmato.

'Almeno è bravo a parlare...' Pensai mentre rinfoderavo la pistola.

Una volta che ci fummo seduti tutti e tre intorno al fuoco l'aria iniziò a distendersi, nonostante la mia costante vigilanza.

"Io sono Adolf, chiamatemi pure per nome, non credo che abbia importanza come mi chiamate, se siete con me non vi capiterà nulla." Disse ben disinteressato stendendosi su un mantello pesante usato come un sacco a pelo.

"Sembri molto sicuro di te..." Disse Anastasia guardandolo storto: era ovvio che nemmeno lei si fidava molto.

Lui sorrise in maniera strana, quasi estatica, cosa che mi mise in allarme: ero pronto a tutto.

"Perché io sono protetto da Dio... io sono sfuggito alla morte molte volte!" Disse con una sicurezza allarmante, mentre io mi rilassai: era sicuramente pazzo, ma non dovevo dimenticare di stare attento.

"Tu sei matto! Dio non protegge nessuno, almeno che tu non abbia dimostrato la tua fede!" Rispose stizzita Anastasia strabuzzando gli occhi.

"Forse, ma tutti i profeti erano considerati pazzi?" Chiese senza scomporsi.

'Voglio vedere quanto sarai miracolato quando ti avrò sparato...' Pensai io con un sorriso: questotizio era pazzo, ma se ci faceva volontariamente da scudo contro il fuoco nemico avrei risparmiato un proiettile.

"Lasciamo perdere i miracolati, dobbiamo raggiungere mosca, hai un piano?" Chiesi spazientito.

"Prima ti devo informare che i tuoi amici Assassini ti hanno abbandonato: le loro forze si sono allontanate da Rostov ieri sera, tuttavia, tengono ancora una base a San Pietroburgo, forse dovresti andare là, anche se non so se ti stiano aspettando." Disse lui con un vago cenno della mano.

Io sbuffai irritato consapevole che questo avrebbe complicato le cose, ma non era ancora detta l'ultima parola.

"Forse, vostra altezza, dovreste rivalutare la proposta dei Templari: riunendo le forze contro i ribelli li schiaccereste ed una volta che avrò preso il potere, il Reich potrebbe dare pieno supporto alla vostra monarchia." Disse, rivolgendosi direttamente ad Anastasia.

Lei si voltò un attimo verso di me e mi osservò per un attimo, prima di scuotere la testa in segno di negazione.

"No, ho già deciso..." Rispose sospettosa.

"Questa è una vostra scelta, io stavo solo consigliando." Rispose con uno sguardo sospettoso.

"Consigliavi male... allora, hai un piano per farci raggiungere San Pietroburgo?"Chiesi spazientito: non sapevo perché, ma c'era qualcosa di inquientante in quel ragazzo.

Lui prese una mappa della Russia.

"Ci troviamo ad ovest di Perm, quindi è meglio procedere veloci: domani partiremo a cavallo Kirov, da lì prenderemo un treno per Mosca e, una volta là, potremmo dirigerci verso San Pietroburgo, dove ci dovrebbero aspettare gli Assassini... sempre che ci stiano ancora aspettando." Spiegò lui scettico.

"Oggi, immagino, rimarremo qui..." Sussurrai io poco convinto.

"Precisamente." Rispose lui sdraiandosi di nuovo.

 

Ci volle poco per sistemarci, anche perché non avevamo molto da fare, semplicemente, gettavamo due coperte sulla neve, tuttavia, mentre il nostro compagno si rigirava, Anastasia mi prese da parte.

"Siamo sicuri di poter riporre fiducia in quell'individuo è... non so come spiegarlo... ma è... inquietante..." Mi disse agitata.

"Anche a me non inquieta, ma avremmo bisogno di alleati perraggiungere San Pietroburgo e se i Templari ci aiutano, avremmo qualche possibilità in più di sopravvivere." Risposi, anche se poco convinto: mi sembrava pronto a pugnalarci alle spalle alla prima occasione.

 

Dopo esserci stesi, aspettai, rimanendo nella mia dormiveglia vigile, per assicurarmi che nulla mi sfuggisse niente.

Dovetti aspettare per diversi minuti, perché anche il caro templare sembrava intenzionato a rimanere sveglio, tuttavia dopo un po' di tempo, si addormentò.

Io mi alzai e, silenziosamente, mi allontanai di qualche metro dal nostro campo.

Raggiunsi una piccola valle in mezzo alla foresta, dopo essermi guardato di nuovo intorno, mi misi le mani davanti alla bocca e lanciai un urlo particolare: simile al richiamo di un aquila.

Era un metodo particolare per richiamare un nostro messaggero particolare.

Negli anni gli Assassini avevano sviluppato vari metodi per comunicare a distanza, ma io e mio fratello avevamo preferito quello più tradizionale di tutti.

Infatti dal cielo planò con grazia un possente rapace lungo quasi un metro: un Aquila Reale di novanta centimetri di lunghezza, con un apertura alare di ben due metri, con un candido piumaggio marrone e bianco.

"Ciao, Altair." Dissi accarezzandogli la testa con dolcezza.

Fin dal primo secolo dopo cristo, gli assassini si davano spesso all'allevamento e l'addestramento di falchi e aquile per usarli come messaggeri, era una pratica molto difficile e impegnativa, ma, da quando avevo otto anni mi ero messo anima e corpo nell'addestramento di un aquila.

Altair era un rapace senza nome ferito e debole tra i tanti forti uccelli che potevo scegliere, ma lui era giovane e leggevo nei suoi occhi la determinazione di chi vuole tornare in azione.

Dopo cinque anni riuscii ad ammaestrarlo e divenne un fedele compagno ed un amico: l'avevo chiamato Altair, come il leggendario Assassino che per primo scoprì il potere dei frutti dell'Eden.

"Come stai?" Chiesi sedendomi accanto a lui.

Altair gracchiò sonoramente, scrutandomi con i suoi occhi astuti e profondi.

Improvisamente fui attirato da un movimento tra gli alberi e mi accorsi del secondo volatile atterrato su un ramo vicino.

Era un falco viaggiatore marrone, nonostante fosse smagrito dalla fame lo riconobbi: Ezio, il falco di mio fratello.

Era orribilmente magra e si vedeva che stava morendo: era una cosa di cui avevamo notizia, l'addestramento che questi animali ricevevano era tale che spesso si legavano indissolubilmente al loro padrone e, se moriva, loro si lasciavano morire con lui.

Tuttavia, io, mio fratello, Ezio ed Altair avevamo formato un forte legame, era probabile che il falco avesse seguito l'aquila per abitudine e per istinto.

Forse sperava che con me ci fosse anche mio fratello o forse in me vedeva una parte di lui.

Mi si vedeva che gli rimaneva poco tempo: era magro debole e aveva un ala ferita, mi stupii che fosse riuscito a seguirci da Ekaterimburg.

"Mi dispiace, Ezio, ma lui è morto, non tornerà..." Risposi con un groppo alla gola.

Ezio mi guardò con i suoi occhi grandi e, quasi come se mi avesse capito, si rannicchiò su quel ramo stringendosi il muso al petto emettendo uno strano verso che sarebbe stato simile ad un pianto per poi rimanere immobile come una statua: se fosse stato un uomo avrei detto che stava pregando durante i suoi ultimi momenti.

Io rimasi ad osservarlo triste, sapendo quello che provava perché lo provavo anche io.

"Altair, vai dal Gran Maestro d'Inghilterra e portagli questa." Dissi alla mia aquila legandogli alla zampa un foglietto che avevo preparato in precedenza.

Avevo usato un limone mezzo secco dal quale avevo estratto tutto ciò che era rimasto per scrivere un messaggio invisibile in cui spiegavo l'accaduto.

"Vai e torna presto!" Spiegai dandogli un po' di carne secca.

Altair recepì il messaggio e sfrecciò via, decollando come un aereo.+

Io lo osservai un attimo prima di rivolgermi ad Ezio: "Vieni, ho un po' di carne anche per te."

Lui alzò un attimo il muso, osservando il pezzo di carne, ma subito lo abbassò di nuovo.

"Mi dispiace... addio Ezio." Dissi, lasciando il pezzo di carne per terra, mentre tornavo al campo per dormire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'autore.

Chi si aspettava proprio LUI eh?

Lo so, vi sembrerà strano di vedere proprio il dittatore più sanguinoso della storia in questa storia: tutavia, facendo delle ricerche non ho trovato informazioni tra la resa di dei tedeschi e il 1919 quindi ho pensato che potesse fare un 'viaggio' in Russia, inoltre l'ho sempre visto troppo sanguinario perché si potesse attribuire tutto alla sua sola follia: in questa storia questo viaggio in Russia ci sarà una spiegazione alternativa a tutto il suo operato.

Nonostante tutto ho voluto dargli già una personalità dispotica fin dall'inizio ed una sua personale follia. (Il fatto che dicesse di essere un miracolato era già in giro pria del 1918).

Volevo anche spiegare che l'Aquila può essere addestrata e mi piaceva il fatto che Nathan usasse Altair come 'modello di riferimento'.

Spero che vi piaccia e mi scuso per il ritardo.

AxXx 

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