Awake di Hagne (/viewuser.php?uid=33495)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It's Not Me It's You ***
Capitolo 2: *** Should've When You Could've ***
Capitolo 3: *** Don't Wake Me ***
Capitolo 4: *** One Day Too Late ***
Capitolo 5: *** Lucy ***
Capitolo 6: *** Monster ***
Capitolo 7: *** Never Surrender ***
Capitolo 8: *** Hero ***
Capitolo 9: *** Sometimes ***
Capitolo 10: *** Forgiven ***
Capitolo 11: *** Awake and Alive ***
Capitolo 12: *** Believe ***
Capitolo 1 *** It's Not Me It's You ***
“You left
me broken
You tried to make me think
That the blame was all on me
With the pain you put me through
And now I know that it's not me it's you”
[…]
“So here we go again
The same fight were always in
I don't care so why pretend”
[…]
“It's not me it's you
Always has been you
All the lies and stupid things you say and do
It's you
It's not me it's you
All the lies and pain you put me through
I know that it's not me it's you”
( It’s not me It’s you
– Skillet)
Lì sul terrazzo il freddo pungente della sera si faceva
più acuto, più feroce e secco, ma Musa lo
trovò sorprendentemente confortante per il dolore che
sentiva tamburellarle la testa, una fitta acuta che la musica della
sala dalla quale era appena fuggita rendeva insopportabile,
tanto da strapparle una smorfia di dolore.
Eppure il macigno che le faceva dolere il petto non era la
conseguenza della lenta e faticosa riabilitazione alla quale Faragonda
l’aveva costretta, lo avrebbe voluto, lo avrebbe voluto
tanto, ma la fata era consapevole che il blocco di ansia e angoscia che
le affaticava il respiro era dovuto ad altro, a qualcosa di ben
più terrificante e doloroso.
- Di cosa volevi parlarmi ?
Musa non potè evitare di sobbalzare quando lo udì
alle spalle, soffocante come l’ombra scura e torbida di un
mostro affamato che voleva divorarle il cuore, ma lo aveva
già perduto, ed era stata lei stessa a tenderglielo con mani
tremanti e la supplica di non spezzarlo ancora, non dopo tutto quello
che avevano passato.
La sensazione di freddo si smorzò un poco quando
percepì il calore di quel corpo accanto a lei, e quando Musa
osò alzare lo sguardo blu si costrinse a non mostrare la
propria amarezza nel riconoscere i lineamenti duri di Riven.
Le mancò il coraggio per un attimo, spiazzata da come fosse
familiare la mancanza di dialogo tra di loro, la complicità
che invece Musa riscontrava tra le sue amiche e gli altri specialisti,
ma la sua relazione con Riven non era mai stata semplice come la loro.
Perché il ragazzo al suo fianco era più
coriaceo e diffidente di chiunque altro, e lei si era innamorata anche
di quei difetti che l’avevano ferita più e
più volte nel corso della loro storia.
Perché Musa aveva creduto davvero che avrebbero potuto
farcela, anche dopo il tradimento di Riven con Darcy, anche dopo
l’infatuazione dello specialista per Bloom, avrebbe
sopportato tutto per il loro amore, per stare al suo fianco, ma dopo la
battaglia con Mandragora qualcosa si era spezzato dentro di lei.
Quell’ultimo frammento di fiducia che aveva visto sgretolarsi
davanti alla consapevolezza di essere stata tradita
da Riven, ancora una volta, e di non essere stata capace di aiutarlo,
di capirlo, di amarlo come avrebbe meritato.
- Provi ancora dolore ? – sussurrò Riven
con voce bassa e cavernosa, costringendola a distogliere la mente da
quei pensieri per ricercare nello sguardo freddo del ragazzo il
significato di quella domanda che Musa non comprese, non subito.
Ma quando lo vide accennare con il mento alla sua schiena non
potè evitare di distogliere lo sguardo con una punta di
angoscia, deglutendo rumorosamente prima di negare con il capo.
Perché era vero, il taglio alla schiena non le faceva
più molto male, non come prima almeno, e Faragonda le aveva
assicurato che sarebbe guarita in meno di tre mesi, ma era
l’esistenza stessa di quella ferita a farle male.
A ricordarle che aveva fallito, ancora una volta, e che non sarebbe mai
stata in grado di cambiarlo, di fargli capire che il loro amore avrebbe
potuto affrontare tutto, tutto eccetto quello.
- Era necessario uscire con questo freddo ? Non avresti potuto parlarmi
dentro ? – la rimproverò aspro, massaggiandosi le
spalle quando uno sbuffo di aria gelida li fece tremare entrambi.
- Non per quello che ho da dirti.
Musa capì di averlo sorpreso quando vide i muscoli delle
braccia irrigidirsi, gonfiarsi sotto l’ondata di stupore che
lo aveva portato a sgranare leggermente gli occhi, segni
impercettibili, invisibili per chiunque, ma non per lei.
Lei che lo aveva sempre guardato, ed aveva memorizzato ogni sfumatura
dei suoi occhi viola, ogni singolo irrigidimento della mascella o delle
spalle ampie, ogni cosa che potesse esprimere il suo disagio.
Ma sapere di aver imparato a riconoscere ogni cosa di lui, persino
quella più insignificante rendeva ancora
più difficile ciò che stava per fare,
ciò che stava per dire.
La fata si umettò le labbra secche per il nervosismo,
torcendosi le mani e aggiustando distrattamente i capelli che aveva
lasciato appositamente sciolti per coprire l’orribile taglio
rossastro che dalla spalla si dilungava poco sopra il bacino, per non
dover spiegare, per non doversi sentire ancora umiliata di fronte allo
sguardo contrito delle Winx.
- Ho pensato molto a quello che è successo e … -
si irrigidì quando vide Riven serrare la mascella con
rabbia, assottigliando gli occhi che Musa sapeva, la stavano fissando
con asprezza – e ho deciso che sarebbe meglio
prenderci una pausa.
- Una pausa ? – sibilò Riven ancor prima di farle
prendere fiato, avanzando di un passo e minacciandola con la sua ombra
incombente.
E anche se la fata non aveva mai avuto paura di lui, di quelle braccia
che avrebbero potuto spezzarla, se avessero voluto, il suo cervello
riconobbe il pericolo, e glielo ricordò anche la sua schiena
che aveva preso a pulsare.
Glielo ricordò la ferita che la spada di Riven le aveva
inferto quando aveva difeso Sky con il suo corpo.
Lo vide impallidire per un attimo nel vederla indietreggiare con un
sussulto, e potè leggere dolore in fondo ai suoi occhi prima
che lo specialista tornasse a piegare le labbra in un sorriso cattivo
che la portò a serrare i pugni lungo i fianchi.
- Hai paura di me ora ?
C’era qualcosa di sbagliato nel suo tono di voce, questo Musa
lo capì quando ne fu terrorizzata, turbata da quello sguardo
che sapeva di ferirla e che sfacciatamente Riven le rivolgeva serafico.
- Mi biasimeresti se lo fossi ? Credi che ciò che
è successo non mi abbia fatto male ? – lo
rimproverò amara, fronteggiandolo con le spalle ritte e il
mento alto, sprezzante contro quello sguardo che vide velarsi di
ammonimento.
Perché Riven odiava essere sfidato, specialmente da lei, ma
Musa non riusciva più a tacere la desolazione che sentiva
dentro, non dopo quello che era successo.
- Credi che tutto sarebbe tornato alla normalità, una volta
tornati ad Alfea ?
La voce le salì di due ottave, risultando stridula persino
alle sue, di orecchie, ma la fata voleva vedere una reazione in lui,
tutto fuorchè la disapprovazione del suo sguardo che lei non
la meritava, non il suo disprezzo, nè la sua
indifferenza.
- Credi che non mi sia sentita morire quando ti ho visto ubbidire ai
comandi di Mandragora ? Credi che il tuo tradimento non mi abbia
ferita, Riven ?
Erano talmente vicini da sentire il respiro dell’altro sul
proprio viso, ma quello di Musa era più irregolare di
quello dello specialista, raggelato in una posa dura che gli
incattivì anche lo sguardo.
- Tu non capisci – la aggredì lui con voce bassa e
vibrante, sollevandola per gli avambracci quando la ragione venne meno,
quando l’impossibilità di trovare una
giustificazione, di trovare una scusa plausibile per quel tradimento
tardò ad arrivare.
E Musa capiva la sua frustrazione, il suo rammarico, ma lei era stanca
di giustificarlo.
Perché Riven non voleva farsi aiutare, non da lei almeno, e
la fata della musica sapeva che ne sarebbe uscita distrutta, prima o
poi.
- Spiegami allora! – strillò, frustata –
spiegami !
Riven la guardò per un istante, in silenzio, con ancora le
mani artigliate ai suoi avambracci, indeciso su cosa dirle, e Musa
pregò affinché parlasse, affinché
provasse a farsi capire, ma quando lo vide scuotere il capo e
rimetterla giù con un sibilo l’ennesimo
‘crack nel petto le portò via il respiro.
- Capisci allora che una pausa non può che farci
bene. Forse, se stiamo lontani per un po’, noi
…
- Possiamo anche non farla finire più, questa pausa
– la zittì lui con un ringhio, allontanandosi di
un passo con il viso in ombra mentre Musa sentiva la frustrazione farle
salire le lacrime agli occhi.
- Cosa vuoi dire ?
- Quello che ho detto – rispose Riven , telegrafico, dandole
le spalle con un gesto annoiato prima di abbozzare qualche passo verso
la sala.
Il frenetico ticchettio delle sue scarpe precedette il grido con il
quale lo tirò per un braccio, nel vano tentativo di farsi
ascoltare e di leggergli negli occhi la verità, ma Riven non
la guardò, rimase immobile mentre Musa lo pregava di non
mostrarsi tanto indifferente, come se volesse farle capire che a lui
non importasse poi molto.
- Non parlare come se la cosa non ti riguardasse !
- E cosa ti dice che non sia così – le
sibilò cattivo prima di venire inghiottito
nell’ombra del corridoio, lasciandola con il braccio ancora
teso nel vuoto e la gola strozzata per il pianto.
Quando Musa cadde in ginocchio lo fece con un morbido tonfo, e non fece
rumore quando le prime lacrime le rigarono il viso, non gemette, non
singhiozzò, si limitò a piangere in silenzio, a
capo chino, con le braccia abbandonate in grembo.
Muta nel proprio dolore e in quel grido taciuto in fondo alla gola
gonfia di amarezza e disperazione.
Continua...
Una storia sulla mia coppia preferita che conterà in totale
12 capitoli.
Temporalmente, la storia prende piede dopo la sconfitta di Mandragora,
per poi prendere una piega di mia invenzione.
Ho sempre sognato di approfondire il loro rapporto, di spiegarne le
sfumature e l'andamento, anche perchè Musa è un
personaggio nel quale mi rifletto.
Gli aggiornamenti avverranno ogni sabato.
Ringrazio per la lettura, al prossimo capitolo
Gold Eyes
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Capitolo 2 *** Should've When You Could've ***
“I'm done chasing
you all over
May as well be chasing after
thunder
Play hard to get if it makes
you happy
For a change now you can start
chasing me”
[…]
“Don't you
understand
Don't wanna be your backup
plan
Now I won't be here to clean
up when it hits the fan “
[…]
“You tried to keep
me on your leash
It's time you started chasing
me”
(
Should’ve When You Could’ve - Skillet )
Tre anni dopo.
Lo scroscio degli applausi la raggiunse fin sopra il palco come
l’abbraccio soffocante di un genitore orgoglioso, facendola
sorridere sofficemente quando qualcuno le lanciò
un bouquet assieme allo schiocco di un bacio che accettò con
un lieve rossore.
Perché
anche se erano passati anni dal suo primo debutto, Musa sapeva che non
si sarebbe mai abituata al calore di quegli applausi, alla sensazione
di appagamento che sarebbe sopraggiunta dopo la vibrazione
dell’ultima nota, o ai visi emozionati delle sue amiche
dietro le quinte.
Quando
saltò giù dal palco per andare loro in contro la
voce lontana di Galatea la raggiunse come un sussurro, ma
più avanzava, più la fata sentiva il sorriso
scivolarle via dal viso nel notare come gli occhi di Bloom e delle
altre, benché le sorridessero, fossero velati di ansia.
E qualcosa in fondo
allo stomaco le suggeriva che non era stata la sua performance a
intaccare l’esuberanza delle compagne.
- Sei stata fantastica
– la accolse Bloom con un sorriso affettuoso, abbracciandola
stretta prima di lasciare che le altre fate potessero congratularsi con
l’amica che continuava a sentire una strana sensazione di
ansia mulinarle nel petto.
Perché
c’era preoccupazione in fondo ai loro sguardi, e loro
preoccupate lo erano state poche volte.
- A giudicare dai
vostri visi non credo di essere stata poi così fantastica
– confessò schietta, aggrottando le sopracciglia
quando vide gli occhi di Bloom rifuggire il suo sguardo prima
che Aisha le regalasse uno sguardo colmo di scuse.
- No. Sei stata
fantastica, sul serio, è solo che oggi non siamo venute solo
per assistere al tuo concerto – ammise lei sincera,
prendendole una mano con dolcezza.
Erano caute, fin
troppo, e calibravano le parole come se fossero preoccupate
di una sua brusca reazione all’ammissione del loro ulteriore
motivo, e Musa capì con una chiarezza sconcertante, cosa le
mettesse tanto sulle spine.
Perché
erano poche le cose che avrebbero potuto turbarla, in particolare un
pettegolezzo che da anni sentiva passare di bocca in bocca quando
alcune sue fan confessavano di essersi infatuate del gelido insegnante
degli specialisti.
- Faragonda
ci ha convocate tutte a Fonterossa, con la massima urgenza
– vuotò il sacco Aisha con voce morbida,
accarezzandole un palmo con il pollice, preoccupata.
Musa
assorbì con difficoltà le parole che componevano
quella frase, ma più pensava, più il binomio Fonterossa-massima urgenza
faceva nascere in lei l’ansia, l’angoscia
innaturale per qualcosa che non avrebbe più dovuto
angustiarla, impensierirla.
Eppure la fata non era
tanto vigliacca da negare che era preoccupata per Riven, anche dopo
tutti quegli anni di silenzio, anche dopo la loro dolorosa rottura.
Ma la lontananza era
valsa a qualcosa, e le aveva garantito l’equilibrio che
desiderava ritrovare.
Ed ora che aveva
raggiunto e afferrato i suoi sogni aveva accettato la sua
impossibilità di comprendere Riven, perché non
era quella giusta, non lo sarebbe stata, e il pensiero di non poter
essere la sua metà non le causava più dolore, ma
una agrodolce malinconia.
- Lui sta bene ?
- Sfortunatamente si
– si intromise stizzita Stella, rimirando le proprie unghie
con occhi sinceramente afflitti.
Flora la
pungolò con un gomito, rammaricata, ma Musa non se ne
dispiacque.
In fondo, le sue
compagne avevano digerito malamente l’abbandono di
Riven, ma nessuna di loro ne se ne era sorpresa, perché
Riven, secondo il loro attento giudizio, non era capace di
amare qualcuno, di comprenderlo , e rimaneva l’altezzoso
specialista che aveva spezzato il cuore di una delle loro
migliori amiche.
- Di cosa si tratta ?
Spero non qualcosa di grave- si volle informare allora, impensierita da
come Bloom fissasse il vuoto con una smorfia contrita.
- Faragonda sembrava
molto preoccupata – confessò la fata della fiamma
del Drago prima di fissarla finalmente negli occhi – ed ho
una brutta sensazione.
Musa la
guardò con comprensione, abbracciandola con calore prima di
dirottare lo sguardo alle proprie spalle dove la principessa Galatea le
rivolse un cenno di assenso con il capo, pregandola di fare attenzione.
La fata le sorrise,
riconoscente, socchiudendo le palpebre quando sentì la magia
sfrigolare attorno a lei prima che il paesaggio incontaminato di Melody
venisse sostituito da un ambiente meno limpido, meno vivace ma
più severo, come la stretta decisa di un soldato attorno
all’elsa della propria spada.
E Musa non
potè impedire all’ansia di aggrovigliarle lo
stomaco, non vi riuscì, perché non lo vedeva da
tre anni e anche se aveva accettato la loro rottura, anche se il
pensiero di lui non faceva male come prima, la guardiana di Magix
sapeva che quel brivido lungo la schiena non avrebbe potuto zittirlo
neanche se avesse voluto.
E lo voleva, lo voleva
davvero tanto.
°°°
Che ci fosse qualcosa
di strano, di estremamente
sbagliato a Fonterossa divenne palpabile appena Musa e le Winx misero
piede nell’accademia.
Gli alti soffitti
parevano ancora più sconfinati, irraggiungibili, e davano
una strana sensazione di malessere che fece venire qualche capogiro a
Stella quando si soffermò a guardarli un attimo di
più, prima di venire sorretta da mani troppo rudi e grandi
per essere quelle di una delle sue compagne.
E quando Brandon
sorrise loro con gentilezza la principessa di Solaria potè
rilassarsi tra le sue braccia mentre Sky sopraggiungeva a salutare la
sua fidanzata e Tecna e Flora si accostavano ai rispettivi partner.
Solo Musa rimaneva in
disparte, con il naso all’insù e gli
occhi blu puntati sulle volte a botta che a lei non causavano nessun
capogiro, nessun disagio.
Poi la fata
percepì un respiro vicino al suo orecchio, così
freddo da farla rabbrividire e sussultare per la sorpresa mentre si
voltava con sguardo truce per capire chi degli specialisti si
divertisse a spaventarla, eppure Musa si accorse con una morsa allo
stomaco che nessuno le era tanto vicino da poterne percepire il respiro.
Nessuno
all’infuori della figura sfocata che vagando con lo sguardo
intercettò dall’altro capo del corridoio.
Assottigliò
lo sguardo per metterlo a fuoco, riconoscendo un lungo mantello logoro
ai bordi che sembrava piuttosto prezioso, con delle strane scritte,
rune forse, ma quando provò a scorgergli
il viso qualcosa nella sua testa le urlò di distogliere lo
sguardo e di scappare il più lontano possibile da
lì.
Una voce che si faceva
sempre più acuta mano a mano che i tratti di un viso
piuttosto giovane si assemblavano nella sua testa, disegnando il
profilo aguzzo di un uomo dalle labbra rosse.
- Ehi ! Tu! Ora che
sei diventata famosa non ti abbassi a salutare i tuoi vecchi amici?
Brandon
aggrottò le sopracciglia quando vide la fata della musica
voltarsi bruscamente al suo richiamo, come spaventata, mentre gli occhi
blu di Musa smettevano di tremare per la sensazione di
pericolo che le aveva fatto rizzare i capelli sulla nuca.
- Stai bene ? Sei un
po’ pallida .
- Pallida ? Musa !
Stella
scansò il compagno con uno spintone prima di afferrare
l’amica per le spalle, impensierita dal pallore che rendeva
gli occhi e i capelli scuri della fata ancora più blu.
- Musa ? –
si intromisero le altre fate, accerchiandola e coprendo la figura che
Musa non ritrovò dove l’aveva lasciata un secondo
prima.
- Lo sapevo che non
era buona idea – sbuffò Bloom con stizza,
accarezzando i capelli della guardiana che tornò in
sé con un sussulto, preoccupando maggiormente le fate che in
quel suo comportamento leggevano l’ansia per
l’incontro oramai prossimo con Riven.
- Se vuoi possiamo
rimandare l’incontro – le consigliò
Aisha, apprensiva, sistemandole una ciocca dietro l’orecchio
- potremo …
- No, non
preoccupatevi , non è quello che pensate – le
rassicurò la fata, raddolcita da quegli sguardi
così preoccupati – mi sembrava solo … -
tacque ancora quando si accorse che no, non c’era
niente dall’altro capo del corridoio, e Musa capì
che forse l’ansia cominciava a giocarle brutti scherzi.
- Non è
niente. Andiamo ? Non vorrete far aspettare Faragonda !
Bloom non sembrava
molto convinta del suo sorriso, men che meno Aisha, ma quando la fata
le spinse giocosamente ad avviarsi le Winx si rilassarono, seguendo gli
specialisti fin nella sala principale dell’accademia.
- Siete in ritardo- le
rimproverò il preside Saladin non appena varcarono
la soglia, causando in Stella un borbottio contrariato che Brandon
soffocò con la propria mano prima di sorridere
all’uomo.
- Si erano perse
– le giustificò lo specialista, scoccando
un’occhiata in tralice a Musa che continuava a voltarsi con
aria preoccupata prima che i suoi occhi notassero il viola acceso di
una capigliatura che, anche volendo, non avrebbe potuto non riconoscere.
Era molto
più alto di quanto ricordasse, e più ombroso ,
dovette ammettere nell’accorgersi che l’aria cupa
che lo rendeva inavvicinabile anni prima si era acuita, ma quando
incrociò i suoi occhi la fata capì che quelli non
erano cambiati, invece.
Sempre impassibili,
silenziosi e glaciali come li ricordava, forse un po’
più scuri, ma identici a come rammentava al loro ultimo
incontro.
Solo una cosa era
cambiata, e quel cambiamento le causò uno strano senso di
nausea.
Perché
c’era una donna accostata all’avvenente insegnante
di Fonterossa, una donna dai folti capelli rossi e dagli occhi dorati
appoggiata contro la propria spada dentata.
- Cosa ci fa qui la
principessa Tressa ? – chiese Aisha quando Nabu, notatola da
lontano, le si accostò per salutarla.
Il ragazzo
sembrò tentennare, osservando con la coda
dell’occhio l’espressione pacata di Musa prima di
abbassare la voce e accostarsi all’orecchio delle fidanzata.
- È qui
ufficialmente per visitare l’accademia.
- E ufficiosamente ?
– lo interrogò la principessa di Andros con voce
grave quando notò il modo in cui la sirena sfiorava il
braccio di Riven.
- Ufficiosamente
è…
-La compagna di Riven,
mi pare ovvio – lo anticipò Musa, salutando Nobu
con un sorriso gentile al quale il ragazzo non seppe rispondere,
sorpreso dall’acume della fata.
Ma era evidente che
tra i due non vi fosse una semplice conoscenza, e la fata della musica
non potè che sentire un’ondata di delusione
gonfiarle la gola prima di spianare la fronte con un sorriso di
circostanza quando lo specialista le si avvicinò assieme al
preside e Faragonda.
- Ragazze,
è sempre un piacere vedervi. E Musa, scusami se non sono
potuta venire al concerto, ma l’ispettrice Griselda mi ha
detto che è stato un successo – la
salutò la preside, sorridendo calorosamente a Bloom e alle
altre Winx.
- Ora basta con i
convenevoli – li freddò Saladin, fissando ognuno
di loro con gravità – siete state convocate qui
per una questione della massima urgenza.
La sensazione di
pericolo tornò a far tremare Musa quando le
sembrò di sentire di nuovo quel sospiro contro
l’orecchio, ma quando Bloom le strinse una mano nel vederla
voltarsi la bolla di calore che le risalì fin alle
guance scacciò il freddo che le grattava la pelle tenera
dietro la nuca.
- E quale
sarebbe questa questione della massima urgenza – si
insinuò la voce della principessa di Domino con interesse
– siete stati molto vaghi quando ci avete inviato i vostri
messaggi.
Il mago la
fissò con le labbra leggermente contratte prima di far
volare lo sguardo verso l’enorme vetrata che dava sul campo
d’addestramento dell’accademia, come se il preside
Saladin temesse di far leggere in fondo al suo sguardo qualcosa che non
doveva essere scoperto.
- Un fantasma. Un
fantasma infesta Fonterossa.
L’orrore sui
loro volti portò via ogni tentativo di ribellione, se mai ce
ne fossero stati, ma tra loro solo Musa parve irrigidirsi, rilasciando
un lungo brivido che fece vibrare la mano che Bloom le stringeva.
- E cosa dovremmo
farci con un fantasma ? Noi siamo fate, non scaccia spiriti!-
squittì Stella con voce stridula, stringendosi al fianco di
Brandon per ricercare protezione.
- Lui non è
un fantasma comune. Quello che vaga per l’accademia
è lo spirito di uno degli stregoni più crudeli di
Magix– le informò Faragonda con sguardo basso,
guardando di sottecchi l’espressione dura del
preside Saladin che continuava a guardare tutto fuorchè loro.
- Per questo motivo vi
trasferirete temporaneamente negli alloggi dell’accademia.
Avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile. Questo
è quanto.
Siete libere di andare ora, gli specialisti vi guideranno ai
dormitori.
Faragonda sorrise loro
prima di seguire il preside verso gli uffici mentre le fate alle loro
spalle si guardavano l’un l’altra con terrore.
- Un
fantasma! Dobbiamo lottare contro un fantasma! E non uno normale! Ma
quello del mago più crudele di Magix –
strillò atterrita Stella, avviandosi nel corridoio con le
mani nei capelli.
- Sembra pericoloso
– sussurrò Flora con occhi impauriti, ringraziando
Helia con un sorriso quando sentì la sua stretta sicura
attorno alle spalle.
- Non dovete
preoccupatevi, ci saremo noi con voi – le
rassicurò Sky, voltandosi indietro quando si accorse che
Bloom non era più al suo fianco.
Infatti la principessa
di Domino era rimasta indietro assieme a Musa che, mano nella mano con
la fata, fissava atterrita davanti a sé.
- Ragazze?
Quando Sky le
raggiunse si accorse con un vago senso di panico che
l’incarnato della fata della musica stava diventando
pericolosamente grigiastro, come se faticasse a respirare, e nel vedere
l’amica tanto spaventata il principe di Eraklyon non
potè che circondarle le spalle con un braccio mentre Bloom
gli si stringeva al fianco.
- Andrà
tutto bene. Vedrete.
Musa annuì
meccanicamente, lasciandosi trascinare dalla forza del principe prima
di scorgere con la coda dell’occhio quella figura sfocata che
continuava a fissarla dal fondo della sala, immobile e invisibile a
chiunque tranne lei.
Un
fantasma. Un fantasma infesta Fonterossa.
- Musa?
La fata
sobbalzò quando sentì le mani di Bloom afferrarle
le sue con forza mentre Sky le guidava in silenzio verso i dormitori.
- Tutto bene ?
- Non è
niente- la rassicurò, sforzandosi di essere convincente
mentre sorpassavano la principessa Tressa e un cupo Riven che la
fissava in silenzio, con un velo di preoccupazione che la fata
attribuì all’illusione dettata dalla paura.
Perché
Fonterossa era infestata dal fantasma dello stregone più
crudele del mondo magico e lui sembrava guardare lei.
Solo lei.
°°°
Cercare il fantasma di
Fonterossa si rivelò l’impresa più
ardua che le Winx avessero mai affrontato, persino la battaglia contro
Darkar e Mandragora aveva richiesto un minore dispendio di energie e
pazienza.
Perché i
loro nemici passati erano fatti di carne e ossa, e non amavano svanire
e rendersi invisibili, ma si premuravano di rendersi particolarmente
rintracciabili, per quel motivo Bloom aveva ritenuto
opportuno dividersi per avere pieno controllo di ogni nicchia
dell’accademia.
Eppure Tecna non
trovava logico girovagare senza meta con la speranza di trovare per
pura casualità il fantasma, necessitava un piano, uno
piuttosto scrupoloso se si teneva in considerazione la
pericolosità del loro nemico.
- Trovato niente ?
Musa scosse il capo
con una smorfia contrariata, agitando le ali per liberarle dalla
polvere della quale gli enormi finestroni dell’accademia
erano intrise, uno sbuffo di pagliuzze grigiastre che fece starnutire
la fata della tecnologia con forza.
La guardiana discese
allora in tutta fretta, soffiando sui capelli rosa della compagna per
aiutarla a liberarsi dalla nebbiolina di polvere che le rendeva
difficile respirare, e quando gli occhi blu di Musa incrociarono quelli
lucidi di Tecna un sorriso comprensivo le si aprì in volto.
- So che agire di
impulso non è la soluzione più logica Tecna, ti
conosco troppo bene per non capire che il tuo nervosismo non
è dettato solo dalla preoccupazione – le
rivelò, gentile, sfilandole dai capelli il granello
più grosso prima di sentire le mani dell’amica
bloccarle il polso.
E quando Tecna smise
di starnutire fu lei a cercare nello sguardo della guardiana qualche
forma di malessere.
- Tu sei troppo
silenziosa invece. Come ti senti ?
Era chiaro a chi la
fata si stesse riferendo, lampante e piuttosto scontato, ma la cantante
preferì tergiversare piuttosto che affrontare un discorso
che le avrebbe tolto il sorriso con una facilità
sorprendente.
- Riguardo cosa ?
- Sai di cosa sto
parlando, ho aspettato che fossimo sole per chiedertelo – la
rimproverò aspra, invitandola con un cenno serio
del capo a non distogliere lo sguardo, e Musa non lo fece.
Non perché
la fata volesse mostrarsi spavalda, ma perché non aveva
motivo di mentire alla sua migliore amica, non ne vedeva la ragione.
Le si
allontanò con un sospiro pesante, accostandosi alla finestra
dalla quale vedeva un gruppo di specialisti pattugliare
l’area esterna.
- Sono rimasta un
po’ sorpresa ad essere sincera, mi sono sentita meno ferita
di quanto mi aspettassi.
- Musa – la
riprese Tecna, pensando che le stesse mentendo per non farla
preoccupare, ma la guardiana stava dicendo la verità.
Certo, si era sentita
delusa nel notare la presenza della principessa Tressa, nel cogliere la
loro familiarità, ma non aveva fatto male come credeva, come
sapeva, le avrebbe fatto in passato.
Era passato troppo
tempo dall’ultima volta che lo aveva incontrato per essere
influenzata da ogni sua più piccola azione, ed era rimasta
colpita dall’ondata di nostalgia che l’aveva colta
nell’accorgersi che non era cambiato, ma non avvertiva
più la fitta acuta che sopraggiungeva al solo vederlo.
Si sentiva
sorprendentemente calma, incurante dei trascorsi della sirena e di
Riven, e anche se avesse provato dolore, anche se la sofferenza
avesse ripreso a tormentarla, avrebbe chiuso tutto
in un angolo remoto della sua mente per compiere il suo dovere.
Perché la
sua priorità non era più tentare, per di
più goffamente, di rendere Riven felice, ora come
ora ciò che necessitava la sua attenzione era il fantasma
che nessuno oltre lei riusciva a vedere e che non sapevano come
rintracciare.
Tecna in fondo aveva
ragione, avrebbero sprecato tempo inutilmente se avessero
continuato a girovagare senza meta, ma non c’era soluzione
per quell’inghippo, non quando chi stavano cercando era
impalpabile e non emetteva nessuno scia di magia che potesse essere
captata.
Quando però
Musa si sporse dalla finestra nell’udire il passo degli
specialisti farsi più tonante, un’idea le
balzò in mente, e la fata sapeva che Tecna era
indispensabile per avvalorare la sua ipotesi.
- È
possibile che il fantasma possa emettere onde sonore, anche se il suo
corpo è evanescente ?
La fata
sembrò pensarci un attimo prima di spianare la fronte poco
prima aggrottata con un espressione sapiente.
- Certo. I fantasmi,
benché costituiti di plasma e residui di spirito emettono
suoni, anche se impalpabili ad orecchio umano.
- Allora credo di aver
trovato il modo di trovarlo – affermò Musa,
convinta, battendo il piede per terra così da udire il
rimbombo attraverso le sue orecchie di fata.
Perché se
un essere umano non poteva udire le vibrazioni di un fantasma, allora
lei avrebbe potuto usare i suoi poteri per analizzare
l’accademia e rintracciarlo.
- Mi serve
un’acustica migliore – borbottò,
contrariata, voltandosi a guardare Tecna che prima di sorriderle le
indicò con il mento il paesaggio dietro la finestra.
- Credo dovremmo
chiedere aiuto a quegli aitanti specialisti, e chissà che
tra loro tu non trovi qualcuno di interessante –
insinuò la fata con voce colma di sottintesi, e Musa non
potè che rifilarle un buffetto sulla guancia prima di volare
via dal corridoio.
Non era il momento di
pensare all’amore, non con quella confusione almeno, ma la
guardiana avrebbe voluto trovare davvero uno sfogo alternativo, la
possibilità di scoprire che tornare ad amare, a fidarsi di
un uomo non era poi così difficile.
E sperò
davvero di trovare qualcuno di interessante, anche se a lei i ragazzi
non erano mai interessati, come la moda d’altronde.
Eppure, a detta stessa
di Stella, il suo stile sportivo era divenuto sempre più
elegante con l’andare del tempo, e chissà che
davvero, proprio come il suo guardaroba, non fosse venuta
l’ora di cercare qualcosa di nuovo, di fresco che la facesse
sentire rinata, in pace col mondo e con se stessa.
°°°
- Allora ? Che ne
pensi ?
Musa si
guardò attorno con occhio critico, ruotando su se stessa per
percepire le vibrazioni del suo corpo in movimento, e quando
l’onda sonora si diramò facilmente attorno a
lei sorrise con entusiasmo.
- È
perfetto !
- Felice che la nostra
arena vi piaccia – si intromise una voce maschile venata di
curiosità – ma potrei sapere a cosa vi serva
trovarvi qui ?
Tecna sorrise sotto i
baffi, lasciando a Musa la responsabilità di spiegare agli
"aitanti specialisti" perché li avessero
intercettati con la richiesta di condurle al luogo con
l’acustica migliore dell’accademia.
E loro ce le avevano
portate, con un cenno ossequioso del capo, necessario, a loro giudizio,
di fronte alle guardiane di Magix, ma nessuna delle due fate si era mai
presa tanto sul serio da richiedere un inchino in loro presenza.
Le aveva fatto piacere
tutta quella gentilezza, ovviamente, e Musa doveva ammettere che non
era stata solo la premura dello specialista a farla sorridere.
Lo aveva notato
subito, non solo perché tra gli altri due il colore bizzarro
dei suoi capelli verdi l’avesse folgorata, ma
perché non c’erano ombre nel suo sguardo, neanche
una.
E quel particolare che
per altri sarebbe parso insignificante per lei significava solo una
cosa.
Niente più
pianti soffocati contro le lenzuola.
Niente più
ansia e angoscia per la paura di essere respinta.
Niente più
cuore spezzato.
- Qui il raggio di
azione delle mie onde sonore è maggiore che in altri luoghi,
ed avevo bisogno di un’acustica migliore per rintracciare il
fantasma – spiegò pratica, scoccando
un’occhiata in tralice a Tecna quando la sentì
ridere sofficemente per l’espressione colpita degli
specialisti, specialmente quella di Aidan, il ragazzo dai capelli
verdi, che la guardava ammirato.
Musa ne fu lusingata,
anche se l’ammirazione del ragazzo era molto simile a quella
dei suoi fan, eppure sapere di aver colpito lo specialista le fece
piacere, davvero molto.
- E cosa potremmo fare
noi per esservi d’aiuto ? – si offrì
Aidan con gentilezza, sorridendole cordiale, sinceramente attento ai
suoi bisogni.
- Potreste cominciare
con lo stare in silenzio- li zittì Tecna mentre la fata
della musica chiudeva gli occhi con un sorriso affettuoso prima di
abbozzare qualche passo di danza.
Gli specialisti
tacquero come era stato ordinato loro di fare, ma Aidan non
potè non lasciarsi sfuggire un ‘oh di
sorpresa quando seguì l’ondeggiamento ipnotico dei
capelli blu della fata mano a mano che la magia le si raggrumava
intorno.
- Sono
d’accordo con te – lo prese in giro la guardiana al
suo fianco, colpita lei stessa da come i movimenti di Musa fossero
piacevoli alla vista.
In realtà
Tecna aveva apprezzato fin dal principio la naturale
avvenenza della sua vecchia compagna di stanza, ne aveva ammirato il
temperamento pratico ma comprensivo, e si era affezionata al suo cuore
gentile e romantico.
- Hai sentito qualcosa
?
- Stella sta sgridando
Brandon nell’ala ovest – la
avvisò Musa quando percepì
nell’orecchio la voce isterica dell’amica inveire
con prepotenza con il suo compagno, ma l’onda era ancora
troppo debole, e avrebbe dovuto renderla simile ad un elastico,
così da poterlo tendere un po’ più
lontano.
Eseguì una
piroetta, questa volta con le braccia aperte un po’ di
più attorno al busto, e questa volta riuscì a
vedere nella sua testa l’interno dell’ufficio del
preside Saldin nella torre est, ma non riuscì a captare la
presenza del fantasma neanche lì.
- Ancora niente ?
– le chiese Tecna con frustrazione, sobbalzando quando vide
l’amica sussultare nell’eseguire un passo di danza
particolarmente complesso.
- Musa ?
La fata
incespicò, tornando ritta con un saltello che le
portò via un battito assieme al respiro che le si era
strozzato in gola quando aveva sentito una brezza gelida soffiarle
accanto, il respiro freddo che aveva percepito non appena
aveva varcato la soglia di Fonterossa.
Ed era proprio
all’entrata dell’accademia che il fantasma si
trovava.
Percepì il
suo respiro lento e silenzioso come se gli fosse di fianco, come se
potesse toccarlo, se avesse provato ad allungare una mano, ma il
terrore di attirare la sua attenzione era impensabile, non quando era
la sua magia a vibrare nell’aria attorno.
- Lo vedo.
È all’entrata – sussurrò,
spaventata, poggiando il peso sul piede destro per eseguire un
arabesque e gettare così la sua onda
ancora più lontano, così da percepirlo meglio.
Riconobbe il mantello
logoro ai bordi, ma qualcosa in quella figura ingobbita le
gettò in viso una secchiata di sconcerto, perché
le sembrava triste, malinconico, e non potè che chiedersi
perché.
Perché un
fantasma avrebbe dovuto sentirsi triste ?
E Musa
pensò che Saladin non aveva spiegato nulla riguardo al
fantasma, nulla sulla sua storia, sul perché si accanisse
contro Fonterossa, sul perché fosse lì,
semplicemente.
Aveva ordinato loro di
sconfiggerlo, ucciderlo se necessario, ma la fata della musica non
amava far del male, non senza una giusta motivazione.
- Allora dobbiamo
avvisare gli altri.
Tecna
sobbalzò assieme agli specialisti quando sentirono la fata
inghiottire un urlo, ma Musa non riuscì ad aprire gli occhi,
non come avrebbe voluto, non ne ebbe la forza, non quando il fantasma
la guardava da sotto il cappuccio come se potesse vederla, percepirla.
E l’orrore
l’assalì quando si accorse che no, non era una sua
impressione.
Perché il
fantasma la fissava, in silenzio, e con un ringhio nascente in gola che
la costrinse a spalancare gli occhi prima di urlare a Tecna di correre
via da lì.
Il boato esplose come
il ruggito cavernoso di un drago, e quando Musa fuggì dalla
nuvola di terra e calcinacci si prodigò a cercare Tecna con
lo sguardo prima di udire un forte eccesso di tosse sotto di
sé.
- Tutto bene ?
Aidan annuì
leggermente, scuotendo la testa e guardando in alto la fata che,
afferratolo per gli avambracci, stava portando entrambi lontani
dall’arena e dalla nuvola di fumo nero scoppiata allo
schianto di qualcosa contro il terreno.
- Ti ringrazio, sei
stata …
- Hai visto la mia
amica ? – lo precedette lei, preoccupata, storcendo la bocca
quando virò bruscamente nel cogliere con la coda
dell’occhio un movimento sospetto alla sua destra.
- State
tutte bene ? - le urlò Bloom quando
entrò assieme agli specialisti nell’arena, in
compagnia di una preoccupata preside Faragonda, e
il sollievo di non sapersi sola contro il fantasma la fece sorridere
leggermente.
- Sto bene, ma
Tecna…
- Sono qui –
tossì la fata chiamata in causa, sgattaiolando via dal fumo
con a fianco gli altri due specialisti per essere poi
raggiunta da Timmy.
Quasi non si accorse
della corsa trafelata di Riven, o di come i suoi occhi viola la
cercassero nella calca, ciò che Musa sentiva su di
sé era la presenza di un altro sguardo, quello di colui il
quale scacciò il fumo con una sferzata d’aria
gelida che per un attimo le fece perdere la presa su Aidan.
- Musa !
Lo specialista
rischiò di scivolarle via dalle mani, ma fu abbastanza forte
da reggerlo ancora un po’ prima di rotolare al lato opposto
rispetto a quello dei suoi compagni, finendo con il reggersi allo
specialista che aveva estratto con un sibilo un arco di luce.
- Così
è quello il fantasma!
Più che la
voce minacciosa del ragazzo al suo fianco, fu la consapevolezza di non
essere più la sola a vederlo a sorprenderla, e quando
riuscì a rimettersi in piedi non potè che
sussultare per la sorpresa di averlo di nuovo davanti.
Eppure Musa
capì subito che c’era qualcosa di diverso, quella
volta, perchè ora non riusciva solo a vederlo, ma a sentirlo
parlare.
- Specialisti
– li richiamò all’ordine Sky, avanzando
con passo minaccioso verso l’uomo ammantato di nero che non
guardava nessuno di loro, come se non gli importasse, si limitava a
fissare davanti a sé, incurante di chi avesse attorno, come
se cercasse qualcun’altro.
La fata fu
costretta ad alzare un campo di forza per proteggere se stessa
e i compagni dall’ondata di energia che il fantasma
riversò su di lei quando la spada che Sky gli aveva lanciato
lo attraversò, e anche se la distrazione non era opportuna
in quel momento, Musa non potè non pensare che
c’era qualcosa di sbagliato in quello che stavano
facendo, nella voce bassa e roca che sentiva sussurrare
nell’orecchio.
- Tu lo senti ?
– chiese ad Aidan non appena fu costretta a interrompere
l’incantesimo per trascinare se stessa e lo specialista di
nuovo in aria.
- Cosa ?
- La sua voce, la voce
del fantasma – insistette, confusa, irrigidendosi nel capire
che, ancora una volta, era lei a notare qualcosa che nessun altro
riusciva a percepire, e forse doveva esserci qualcosa di
sbagliato nella sua testa, nel suo cuore, perché
l’idea di attaccarlo ora le costava fatica.
- Forse non dovremmo
…
- Attenzione!
Quando
sentì il terreno grattarle violentemente la schiena Musa
sbarrò gli occhi per il dolore, fissando con
incredulità il vortice di oscurità sopra la sua
testa, ma la caduta le aveva portato via la voce per chiedere se lo
specialista stesse bene.
- Ti sei fatta male ?
– sussurrò Aidan con i capelli scompigliati
dall’ennesimo boato, steso sulla fata della musica che
guardava il cielo con occhi socchiusi, come se stentasse a rimanere
sveglia.
- Mi dispiace, io
…
- Tutto bene ?
Quando Sky li
raggiunse si prodigò a difenderli dal tentacolo nero che
rischiava di ghermirli, ma anche quando, riconosciuto lo specialista,
il principe di Eraklyon provò a chiamarlo per chiedere
informazioni su Musa, quello non si voltò.
- Aidan! Dannazione!
Non è il momento di …
- Sangue –
bisbigliò incredulo il ragazzo, torcendo il collo per
incrociare gli occhi sgranati di Sky e mostrare con un tremore una sua
mano.
E l’orrore
di vederla insanguinata convinse il principe a prestargli
soccorso, ma il gocciolio sinistro non proveniva
dall’inesistente ferita sul petto dello specialista sul quale
Musa teneva poggiato il capo.
Era invece
la schiena della fata che Aidan reggeva, bianco in
volto, a perdere sangue a fiotti.
- Sky !
Il crepitio che lo
specialista udì sopra la testa a seguito
dell’urlo di Bloom lo portò ad alzare il volto dal
corpo pallido che stringeva assieme ad Aidan, incrociando lo
sguardo di Riven che gli inviò
un’occhiata dura nel rimandare indietro l’ennesimo
tentacolo, azzardando, solo in seguito, a lanciarla anche alla fata
semicosciente prima di stringere i denti e impugnare la spada con un
sibilo basso.
- Portatela via.
Musa schiuse gli occhi
quando le parve di udire la voce di Riven accanto a sé, ma
chi le era a fianco era solo Sky che le teneva una mano mentre Aidan,
con l’affanno nella voce, la portava di corsa fuori
dall’arena chiedendole di stare sveglia.
Eppure la fata aveva
sperato davvero che fosse stato lui a portarla in salvo, anche se era
ingiusto da parte sua pretendere che lui tenesse ancora a lei, ma stava
male, e stava per morire,
forse.
Perciò
avrebbe potuto esprimere il suo ultimo desiderio, quello che si concede
anche ai condannati a morte.
E lei voleva solo una
cosa, aveva sempre voluto solo una cosa.
Essere amata come
meritava dall’uomo che l’aveva lasciata
singhiozzare in silenzio sulla terrazza gelida di Alfea tre anni prima.
Continua…
Ringrazio tutti per l'attenzione, e la lettura.
Al prossimo sabato, Gold Eyes
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Capitolo 3 *** Don't Wake Me ***
“I went to bed I was thinking about you
And how it felt when I finally found you
It's like a movie playing over in my head
Don't wanna look 'cause i know how it ends
“
[...]
“All the words that I said that I
wouldn't say
All the promises I made that I wouldn't break
It's last call, last song, last dance
'Cause I can't get you back, can't get a second
chance “
[…]
“And now, I guess
This is as good as it gets “
( Don’t Wake Me – Skillet )
Il
vetro sul quale Musa teneva il viso pressato si condensò del
suo respiro quando vi schiacciò contro anche il naso, ma per
quanto la fata avesse voluto allontanarsi e scappare via,
c’era qualcosa che la teneva inchiodata lì, con le
mani ad incorniciarle la fronte e gli occhi lucidi di pianto.
Non era una sensazione nuova per lei sentirsi
ferita dai comportamenti duri e indifferenti dello specialista del
quale si era innamorata, ma Musa non poteva concepire la sua presenza
lì, non con Darcy, non con la sua peggior nemica, la
strega che più e più volte aveva
tentato di far del male a lei e alle Winx.
Ed anche se lui non aveva mai fatto mistero
del poco interesse nutrito nei suoi confronti, anche se Musa
non poteva attribuirgli tutta la colpa di quel suo dolore, la
desolante sensazione di qualcosa che si schianta nello stomaco le
portò via il respiro assieme alla lacrima che
inghiottì con un groppo in gola prima di sentire la voce di
Icy e Stormy alle spalle.
Ma lei non sentiva più le loro parole,
o i passi frettolosi della streghe che la inseguivano per gli stretti
vicoli di Magix, non udiva nulla all’infuori del grido della
sua testa.
L’urlo che condannava con voce stridula
l’azione di Riven.
Il suo tradimento.
Quando
Musa aprì gli occhi lo fece con uno scatto nervoso che fece
sobbalzare la persona seduta accanto a lei prima di sentire
qualcosa di caldo spingerla indietro, e si accorse con un
vago senso di nausea della rigida fasciatura attorno al
proprio busto.
- Sta giù. Non sei ancora in grado di alzarti
– la ammansì una voce calda e gentile, mentre la
mano dello specialista la spingeva a stendersi di malavoglia contro i
cuscini.
- Aidan ? Cosa ci fai qui ?
Il sorriso che il ragazzo le rivolse fu il
più gentile che lei avesse avuto modo di vedere, ne rimase
quasi colpita, non troppo però da dimenticare cosa fosse
successo.
Infatti Musa sentì l’ansia ghermirle il cuore nel
ricordare che aveva lasciato le sue amiche a lottare da sole contro il
fantasma, e quando scostò le lenzuola
riuscì a schivare la mano con la quale Aidan intendeva
rimetterla a letto.
- Non posso stare qui – blaterò frettolosa,
balzando giù per correre alla porta, ma ancor prima di fare
un passo, una fitta acuta alla schiena la fece piegare su se
stessa con un singhiozzo trattenuto.
Lo specialista le fu subito accanto, reggendola per le spalle con una
presa decisa che sembrò anestetizzare il dolore, ma quando
riuscì a capire le parole che il ragazzo le bisbigliava
nell’orecchio si irrigidì nuovamente.
- Cosa ?
- La tua ferita. Sei ancora troppo debole, il taglio che hai sulla
schiena deve essersi riaperto nella caduta. Come te lo sei fatta
comunque ? È una ferita troppo vecchia per essere
recente – ripeté paziente lo specialista,
ammorbidendo la presa quando la sentì tendersi
contro il suo fianco.
Come se l’era
fatta ?
Musa distolse lo sguardo per non mostrare i primi luccicori, ma si
costrinse a inghiottire il groppo in gola per mentire, ancora una
volta, su una cicatrice che non aveva mai smesso di sanguinare, neanche
dopo tutti quegli anni.
- Una ferita di guerra – riuscì a sussurrare,
accettando il suo aiuto ma continuando, cocciuta, a spingerlo verso la
porta.
- Deve aver fatto male – ragionò ad alta
voce lo specialista, troppo occupato a trattenerla per far caso al
sorriso amaro della fata.
- Non immagini quanto.
Ed era vero. Quella cicatrice non l’aveva solo ferita,
l’aveva uccisa, schiacciata, annientata come niente era stato
in grado di fare, neanche la morte prematura di sua madre.
- Perciò dovresti tornare a letto – si
impuntò lui , cocciuto quanto lei, trovandola stranamente
agguerrita nonostante la ferita, ma Musa doveva sapere se le sue amiche
stessero bene, ma soprattutto, doveva avvertirle che c’era
qualcosa di sbagliato in quello che stavano facendo.
Perché lei lo aveva sentito parlare, il fantasma di
Fonterossa, e anche se non era riuscita a decifrare il suo sussurro,
sapeva con certezza che stesse chiamando qualcuno, che stesse cercando,
qualcuno.
E il preside Saladin avrebbe dovuto dar loro qualche notizia in
più, a cominciare dal perché lo spirito dello
stregone si fosse rivelato solo ora, e perché no, anche il
suo nome.
- Devo andare, le mie amiche…
- Stanno bene – la precedette Aidan, sospirando pesantemente
quando la vide tirare ancora verso la porta – non
preoccuparti. Ora sono nella sala principale con il preside Saladin.
- Perfetto allora. Portami da loro.
Musa non amava forzare se stessa su qualcuno, men che meno su un
ragazzo appena conosciuto, ma la fata era consapevole che non sarebbe
arrivata da nessuna parte senza il suo aiuto a giudicare dal dolore che
percepiva anche solo respirando.
Perciò avrebbe dovuto far leva sull’animo
altruista di Aidan e sul fatto che, poco prima, gli aveva salvato la
vita.
Lo specialista provò ad andarle contro, ma quando vide la
propria immagine riflessa negli occhi blu della fata si
sentì venir meno, schiacciato da uno sguardo che avrebbe
fatto indietreggiare il più minaccioso degli stregoni.
- E va bene, ma dovrò portarti in braccio – si
arrese, arrossendo un poco quando le propose l’unica
soluzione possibile.
Un rossore che Musa non comprese, neanche quando gli
allacciò le braccia attorno al collo per farsi portare, a
proprio agio tra quelle braccia che sentiva vibrare attorno alla sua
vita.
Perché la fata della musica era stata innamorata solo una
volta, in tenera età per di più, e non si era mai
resa conto del proprio ascendente sugli uomini, non quando il
continuo rifiuto di Riven aveva scheggiato la sua autostima come donna.
Ma erano passati tre anni, e della sedicenne impacciata che vestiva
sportiva non rimaneva che lo sguardo fiero e il temperamento
pratico inglobato in una diciannovenne dagli occhi da gatta e dalla
voce da sirena.
Una bellezza esotica aveva sentito dire una volta da Stella nel
guardarsi allo specchio con una smorfia.
Ma una bellezza che Riven non le aveva mai riconosciuto e che, per di
più, non le aveva mai consentito di vincere
l’amore dello specialista.
°°°
Il brusio che si lasciarono alle spalle nell’
imboccare l’ennesimo corridoio la lasciò perplessa.
Certo, Musa era consapevole che Fonterossa , in quanto accademia
prettamente maschile faticasse a non sorprendersi alla vista di una
donna, una Winx, che per di più veniva scorrazzata in giro
tra le braccia di uno di loro.
Era normale la sorpresa, ma non quelle occhiate maliziose che
l’ennesimo gruppo di ragazzi lanciò ad Aidan
quando si fecero da parte per farli passare.
- Me li ricordavo un po’ meno guardoni- si
lasciò sfuggire la fata quando uno di loro la
fissò di sottecchi prima di sgattaiolare via assieme ai
compagni.
Le parve di sentirlo irrigidirsi per la sorpresa, ma forse era il suo
peso a costringerlo a fare sempre più forza per tenerla.
- Sono solo ammirati.
- E di cosa ?
Aidan la guardò un attimo con l’accenno di
sospetto, ma quando vide la fata rivolgergli nuovamente quello sguardo
sinceramente confuso non potè che trovarla adorabile.
- Bè, tu sei una Winx.
- Vero – gli accordò, ancora non del tutto sicura
di dove lo specialista volesse andare a parare.
- Sei una fata, una delle guardiane di Magix –
continuò lui ad elencare, cercando una comprensione che
però non trovò nelle sopracciglia sempre
più aggrottate delle ragazza.
- Io non ci vedo niente di strano – borbottò
contrariata, facendo un cenno con la testa quando un ragazzino basso e
occhialuto la adocchiò da dietro un angolo prima di scappar
via.
- Sei la cantante più famosa di Magix – le
spiegò allora, paziente, sospirando nel vederla sempre
più confusa – bè sei Musa -
dichiarò infine, come se chiamarla per nome potesse davvero
spiegare il perché di quegli sguardi ammirati.
- In poche parole, qui a Fonterossa siamo tuoi grandi fan- si
lasciò sfuggire allora Aidan, e finalmente Musa
potè arrossire decentemente per la sorpresa.
- Oh.
Non era stata una risposta molto intelligente la sua, ma
l’imbarazzo le appesantiva la lingua per poter esprimere un
commento più appropriato.
- E anche io lo sono – le confessò
d’improvviso lo specialista prima che un’ombra lo
investisse assieme ad un sibilo basso che Musa riconobbe con un colpo
al cuore.
- Cosa credi di stare facendo ?
- Professor Riven
!
L’esclamazione di Aidan la fece trasalire, perché
il binomio Professore-Riven
faticava ad essere assorbito dalla sua mente, ma ancor prima di
rispondere con tono fermo al rimprovero dell’uomo un
particolare di quel contesto la lasciò ancora senza parole.
- Quanti anni hai Aidan ?
Lo specialista arrossì furiosamente sotto lo sguardo
irritato di Riven e quello sospettoso di Musa, torcendo il collo per
non incrociare gli occhi blu della fata.
- Sedici, e dovrebbe essere al campo
d’addestramento, non qui a scorrazzare con una Winx
tra le braccia – lo aggredì Riven ancor prima che
Aidan avesse il tempo di giustificarsi.
Sedici anni .
Musa non potè che chiudere gli occhi con uno sbuffo
contrariato, riaprendoli subito dopo per invitare il
professore a spostarsi dalla porta che conduceva alla presidenza.
- Gli ho chiesto io di aiutarmi, non è colpa sua –
lo difese agguerrita – ed ora se permetti dovrei entrare a
parlare con il preside.
- Invece ti converrebbe tornare indietro. Non dovresti essere neanche
in piedi – la contraddisse Riven con asprezza, provando ad
allungare le braccia come se avesse davvero
l’intenzione di sfilarla da quelle di Aidan.
Ma quel semplice gesto causò nella fata un moto di
incredulità che la portò a schiaffeggiargli la
mano con sguardo duro.
- Non provarci neanche.
Udirono dei borbottii oltre la porta, e quando Bloom si
fiondò ad aprirla li osservò con una punta di
panico nel notare come gli occhi di Riven si fossero incupiti, tanto da
risultare quasi neri.
- Musa ? Che fai qui ? E cosa … - si interruppe, accennando
con la testa ad Aidan e alle sue braccia attorno alla vita, ma la fata
preferì scuotere il capo per invitarla a lasciar correre
prima di incrociare lo sguardo del preside.
- Credo che il fantasma non sia cattivo – ammise, seria,
scivolando dalle braccia dello specialista per zoppicare verso la
cattedra ed avere così l’attenzione delle Winx.
Saladin incassò l’illazione con una smorfia
dura, intrecciando le mani davanti al volto prima di
lanciarle una lunga occhiata silenziosa.
- E cosa le fa credere che non lo sia, signorina ? – le
chiese mellifluo il mago.
Musa tacque per un attimo, rigida e incapace di confessare
ciò che sapeva, perché qualcosa nella sua testa
le diceva che non l’avrebbero creduta, che
l’avrebbero presa per pazza o peggio, che avrebbero riso
delle sue parole.
Eppure era delle Winx che stava parlando, della sua famiglia, e
lei le amava incondizionatamente, avrebbe affidato loro la
sua vita.
Sperava solo che fosse lo stesso per tutte.
- Io riesco a vederlo, anche quando non decide di manifestarsi.
Percepì i sussulti spaventati delle sue compagne poco
lontano, le parve persino di poter contare i respiri necessari alla
preside Faragonda per tornare a fissarla senza quella patina di
incredulità
E poteva avvertire inconsciamente i muscoli di Riven tendersi come se
li avesse sotto le dita.
- Cosa …
- Quando siamo venuti qui – lo anticipò lei,
brusca, preferendo svuotare il sacco il più velocemente
possibile – io l’ho visto. Non credo lui abbia
capito che riesco a vederlo, ma io lo vedevo, e quando lui mi
è passato accanto …
Inghiottì aria e saliva per smorzare il brivido di
paura al ricordo, ma sapeva che l’ansia sarebbe
rimasta comunque.
- Sono riuscita a sentire il suo respiro tra i capelli.
- Credo che lei sia ancora sottoshock, signorina – la
interruppe pratico il preside, fissandola quasi con compassione
– è ovvio che è ancora confusa,
disorientata, e in questi casi è facile immaginare
…
Il pugno con il quale la fata colpì la cattedra fece
trasalire persino il mago, ma la consapevolezza di aver spaventato
persino le sue amiche passò in secondo piano quando
capì che non le avrebbe creduto, che non ci stava neanche
provando.
- Io.Non.Sono.Confusa.
Sono estremamente lucida –sibilò, dura, tornando
ritta con le braccia rigide lungo i fianchi.
- L’ho visto, più di una volta. Ed oggi
l’ho sentito parlare. Per questo dico che non è
cattivo, sembra solo che cerchi qualcuno –
confessò infine, stanca, aspettando una risposta
che tardò ad arrivare.
E le lacrime di frustrazione stavano già per salirle agli
occhi quando percepì la mano di Tecna scivolare lungo il suo
braccio e stringerle la mano con forza.
- Se Musa dice che lo vede, allora io le credo –
esordì ferma, voltandosi a guardare i compagni
annuire con la stessa convinzione – le crediamo
tutti.
Saladin li fissò uno ad uno, in silenzio, continuando a
tenere le mani giunte prima di massaggiarsi le tempie e affondare nella
propria poltrona con un sorriso sprezzante.
- Siete giovani, facilmente impressionabili. Ed è normale
che tra amici ci si difenda a vicenda.
- Non credo che lei menta Saladin – lo interruppe Faragonda
con voce grave – le mie allieve non sono quel tipo di ragazze.
Un altro sorriso accondiscendente, fu quello ciò che
rimediarono dal mago prima che la preside raggiungesse Musa per
guardarla negli occhi e leggere la verità.
- Sapresti descriverlo ? - le chiese gentile.
Musa annuì, riportando alla memoria il loro primo incontro
nel corridoio dove Sky e gli altri le avevano trovato.
- Ha un mantello molto vecchio, logoro ai bordi.
- Questo lo abbiamo visto tutti.
Questa volta fu Tressa ad interromperla, schiodandosi dalla libreria
contro la quale era rimasta immobile, in silenzio.
- C’eravamo tutti quando è apparso –
continuò la sirena, cupa – credo tu te lo stia
solo immaginando.
- E io credo che dovresti imparare a sentire la fine di un racconto
prima di parlare – la zittì aspra Aisha, coprendo
Musa con la propria schiena per difenderla dall’occhiata
scettica della principessa.
- Continua – la invitò la preside,
ancora una volta.
- Non sono riuscita a vederlo bene in volto – ammise
sconfitta, storcendo la bocca nel sentire il sibilo della sirena alle
spalle – ma ho visto qualche particolare. Aveva dei
lineamenti affilati, spigolosi, soprattutto sulle guance e il mento, e
aveva delle labbra molto rosse, quasi color del sangue.
Faragonda sembrò irrigidirsi dopo la sua descrizione
abbozzata, e persino il preside si era raddrizzato con il viso
contratto in una smorfia.
- Sapresti dirmi di colore avesse gli occhi ? Ti prego Musa, cerca di
ricordare – la pregò la donna, stringendole le
mani con espressione supplice.
Musa titubò un attimo, serrando gli occhi per ricordarne il
colore, ma non li aveva visti a causa del cappuccio, eppure
le era sembrato che per un istante, solo un istante, le iridi del
fantasma fossero diventate …
- Ametista. Aveva gli occhi del colore dell’ametista.
- Credi ancora che menta, Saladin ? Anche dopo questo ? – lo
aggredì Faragonda, improvvisamente meno posata di come le
Winx la ricordassero, come se ciò che Musa aveva detto
avesse avvalorato le sue supposizioni, i suoi timori.
- Osi ancora dubitare dell’integrità delle mie
allieve dopo aver udito la sua descrizione?
Il preside non le rispose, ma preferì distogliere lo sguardo
con un gesto secco del capo, congedandole con la promessa di un loro
prossimo incontro.
E non appena furono fuori dallo studio, Musa vide le sue amiche
chiuderla in un cerchio, come se temessero per la sua
incolumità mentre Flora si accostava con titubanza alla
preside.
- Ma perché solo Musa riesce a vederlo ? –
osò domandare, preoccupata di come quella
particolarità esponesse la sua migliore amica a un pericolo
peggiore di quelli affrontati in passato.
- A volte – iniziò la preside con voce grave
– le fate hanno una predisposizione innata per captare
ciò che molti non vedono – interrompendosi con un
sospiro pesante prima di guardare la sua ex allieva negli occhi.
- E alle volte invece, una perdita dolorosa e un passato difficile
possono acuire la sensibilità di una persona, di una fata.
Non ci fu bisogno, per nessuno di loro, di chiedere a Musa quale fosse
stata la perdita dolorosa, la causa del suo passato tormentato,
perché la morte prematura di sua madre aveva sempre gettato
ansie e paura tra di loro.
Paura di ferirla quando ognuno di loro poteva contare
sull’appoggio di entrambi i genitori, incuranti o attenti che
potessero essere, e la stessa Bloom tentava di non toccare mai quel
tasto, lei che ne aveva quattro, di genitori.
- E se lui si accorgesse che lei è in grado di vederlo ?
– sussurrò spaventata Tecna, rafforzando la presa
sulla mano dell’amica .
La fata della tecnologia aveva espresso la preoccupazione di tutti
loro, e una nuova reazione esagitata di Faragonda non
potè che metterli tutti in allarme.
- No !
Questo non deve succedere! Hai capito Musa ? Lui non deve mai scoprirlo
!
- Ma io non credo che lui voglia far del male –
provò a contraddirla la fata, ritrovandosi però
con lo sguardo cupo della preside a un soffio dal suo.
- Non importa. Voi non potete capire quanto possa essere
crudele e spietato, non …- riprese fiato prima di chiudere
gli occhi con una smorfia contrita – è capace di
tutto, persino di uccidere qualcuno per il semplice fatto di respirare
la sua stessa aria.
Calò il gelo dopo le parole di Faragonda, una profonda
sensazione di panico che spinse gli specialisti a stringere il cerchio
attorno alla figura rigida di Musa, gli occhi puntati oltre le loro
teste.
- Qual è il suo nome ?
La fata lo chiese per inerzia, non riuscendo più a sentire
il calore delle spalle che le sfioravano il braccio e la schiena, ma
solo freddo, dentro e fuori.
Ci fu un attimo di silenzio, una pausa tra i respiri silenziosi delle
Winx e quelli pesanti degli specialisti prima che la voce di Faragonda
tornasse a vibrare nell’aria.
- Nessuno ha mai saputo il suo vero nome, ma noi lo chiamavamo Salazar,
il ladro di anime.
Quella volta riuscirono a percepirlo tutti, non solo Musa.
E quando un lento e basso respiro sibilò sopra la loro testa
la fata della musica non potè che chiudere gli occhi e
nascondere alla vista il mantello che aveva intravisto frusciarle
affianco, sorretta prontamente da Sky ed Helia che le cinsero le spalle
con forza mentre Riven restava indietro, a qualche passo di distanza,
con il viso voltato, lo sguardo perso nel nulla e la mano
destra che gli tremava lungo il fianco.
Per un’incapacità che, ancora una volta,
lo faceva sentire impotente ed inutile.
L’impossibilità di stringerla lui stesso senza la
paura di ferirla ancora e ancora con ogni sua singola azione.
Come era sempre successo dall’inizio della loro storia.
Incapace di difenderla dai nemici, incapace di difenderla da se stesso.
Sempre.
Continua…
Aggiornamento
anticipato grazie all'avvento delle vacanze. Ringrazio tutti per
l'attenzione e la lettura.
Al prossimo
aggiornamento, Gold Eyes
|
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Capitolo 4 *** One Day Too Late ***
“Tick tock hear the clock countdown
Wish the minute hand could be
rewound
So much to do and so much I
need to say
Will tomorrow be too late
“
[…]
“Feel the moment
slip into the past
Like sand through an hourglass
In the madness I guess I just
forget
To do all the things I said
“
[…]
“Here's my chance
for a new beginning
I saved the best for a better
ending
And in the end I'll make it up
to you, you'll see
You'll get the very best of
me”
( One Day Too Late –
Skillet)
Avere una famiglia
unita e compatta come le Winx era stato uno degli aspetti
più belli della sua vita, quello che la faceva sorridere nel
buio della stanza nelle notte più tristi, eppure Musa
dovette venire a patti con l’idea che la loro
iperprotettività cominciava a risultare piuttosto soffocante.
Lo aveva pensato
quando si era trovata a dividere il letto con una premurosa Flora che
si addormentava solo con la sua testa stretta tra le braccia e la mano
ansiosa di Tecna artigliata attorno alla sua caviglia, lo
pensò nuovamente quando lo stridio della sua sedia
portò gli amici ad alzare il viso con uno scatto nervoso.
- Cosa
c’è Musa ?
- Hai sentito un
rumore ?
- Ti senti poco bene ?
Nord. Sud. Est. Ovest.
Le loro voci parvero arrivare da ogni angolazione possibile, e quando
persino la voce di Sky le piovve dall’alto con
l’ormai quotata domanda “Lo
hai visto?” , la fata non
potè che negare con il capo e storcere la bocca nel sentirsi
bombardare da altri quesiti.
- Ho finito il libro
– spiegò pacata, sgranando gli occhi quando si
vide strappare dalle mani l’ennesimo volume che aveva
divorato in meno di un'ora.
E quando Aidan le
riservò uno dei suoi sorrisi gentili, Musa capì
che non l’avrebbe spuntata, non contro
l’apprensione delle amiche e degli specialisti, non contro
l’innato altruismo del ragazzo a lei di fronte.
- Vado a prendertene
un altro allora – le assicurò Aidan con voce
calorosa prima di scappare via sotto gli sguardi divertiti delle Winx.
Erano chiuse in
biblioteca da un paio di giorni, in cerca di notizie
sull’inquietante Salazar, ma non avevano trovato altro che
annotazioni sulla sua crudeltà e su come amasse scegliere
giovani e belle fate per strappar loro le ali e bruciarle nel proprio
pentolone degli incantesimi.
Un’informazione
che aveva fatto sussultare ognuna di loro per l’orrore.
- Allora ? Che ne
pensi di lui ? – soffiò Stella, allungandosi con
un sorriso malizioso che fece ridere di cuore la fata.
- È carino
– ammise Musa, trovandosi con il dito della principessa di
Solaria puntato contro la fronte.
- Lo ha ammesso ! Lo
ha ammesso ! –canticchiò deliziata la Winx.
- Ed è
anche molto gentile- convenne Tecna, chiudendo il libro che stava
spulciando per allungare una mano e prenderne un altro.
- E non ringhia come
qualcuno di nostra conoscenza – sottolineò Bloom,
spalleggiata da Aisha che ci tenne anche a mettere in evidenza il suo
ottimo fisico da ballerino.
- Allora ? Ti piace
? – le domandò Flora con discrezione,
scoprendosi a ridacchiare nel vedere l’espressione gongolante
di Stella.
- E non dimenticarti
che fa parte del tuo fan club – le informò Brandon
dall’alto dello scaffale, scendendo dalla scala con un balzo
aggraziato.
- Ma ha sedici anni!
– lamentò Musa con voce delusa, convinta di aver
demoralizzato le compagne con quella notizia non tanto confortante, ma
Stella continuava a sorridere.
- E con questo ?
– intervenne infatti con voce civettuola –
Più giovane è, meglio è per
te. Così potrai istruirlo su cosa ti piace fare o meno.
Vorrei aver avuto io la tua fortuna, mi sarebbe piaciuto farlo con il
mio amoruccio – cinguettò sorridendo mentre
Brandon, sbiancato alla confessione della fidanzata, si dileguava con
le mani piantate nei capelli.
- Non lo so. Devo
pensarci.
Le Winx le lanciarono
un’occhiata comprensiva prima che Musa
sgattaiolasse via con la promessa di chiamarle, in caso di pericolo,
visto che Aidan tardava ad arrivare.
In realtà
la fata voleva solo rimanere un po’ con i suoi
pensieri, senza la presenza ingombrante degli specialisti e quella
costante delle sue amiche.
Girovagò
per un po’ senza meta, facendo scorrere il dito
sulla copertina di ogni libro prima di soffermare lo sguardo su un tomo
piuttosto consunto, stipato nell’angolo più alto
dello scaffale.
La attirò
l’aria antica delle pagine, nonché la polvere che
vi si era raggrumata sopra, ma quando Musa si tese per provare anche
solo a sfiorarlo si ritrovò a tornare a terra con una
smorfia.
Non avrebbe potuto
usufruire delle sue ali o della magia, avrebbe messo in allarme le Winx
e gli specialisti senza motivo, perciò provò a
piegarsi sulle gambe per saltare, con la speranza almeno di smuoverlo.
Ma quando anche il suo
terzo tentativo andò a vuoto qualcuno alle sue spalle le
andò in soccorso, allungando il braccio per
afferrare il libro, facendolo poi scivolare dolcemente tra le
sue mani.
- Grazie Aidan
– soffiò quasi inconsciamente, sicura che fosse
stato lui ad aiutarla, ma quando si voltò con un sorriso di
riconoscenza sentì gli angoli della bocca
irrigidirsi nell’accorgersi che no, non era stato Aidan ad
aiutarla, ma uno specialista dai capelli viola che la fissava con
malcelato astio.
- Cosa fai qui da sola
? – la aggredì minaccioso, sovrastandola con la
sua ombra e la sua levatura fisica.
- Stavo cercando un
libro, mi sembra ovvio – ribattè Musa, ritraendosi
inconsciamente quando lo vide avanzare.
Cozzò con
la schiena contro lo scaffale, ma non abbassò lo sguardo,
non se lo poteva permettere, non quando Riven la sfidava con lo sguardo
a ribattere.
Ed anche se erano
passati tre anni, anche se le ferite non si erano rimarginate del
tutto, quel lato del suo carattere l’avrebbe sempre spinta a
fare il contrario di quello che lui voleva.
Perchè,
più lui le si mostrava brusco e duro nei modi,più
lei lo avrebbe ripagato con la propria scortesia e sfacciataggine.
Riven
sembrò non accettare di buon grado la sua spavalderia, ma si
allontanò di un passo con un mezzo sorriso che non
prometteva nulla di buono.
- Aidan eh ? Non
credevo ti dessi da fare anche coi ragazzini –
insinuò, cattivo, incrociando le braccia al petto con uno
sguardo saputo che Musa trovò estremamente fastidioso.
- Mi stai facendo la
paternale ? – lo accusò, acida, drizzando le
spalle quando l’irritazione per quell’insinuazione
la colpì lì dove faceva più male.
Lo specialista la
guardò con sufficienza prima di scuotere il capo con un
gesto elegante e poggiarsi con la schiena contro lo scaffale opposto.
- Ti facevo notare un
semplice dato di fatto, o hai la coda di paglia ?
La sua cattiveria era
aumentata con l’andare del tempo, Musa se ne rese conto con
delusione, capendo che ciò che lo rendeva inavvicinabile non
aveva fatto che acuirsi, inspessirsi e colmare ogni spazio vuoto nel
suo sguardo e nel suo sorriso.
Forse un tempo avrebbe
provato rimorso, ma a giudicare
dall’imperturbabilità dello sguardo la fata
capì che non c’era più nulla da salvare
in Riven.
- E se anche fosse ?
Non credo di dover dare conto a te con chi io decida di "divertirmi" !
– sbottò frustrata, pronta a correre via e
ritrovare un po’ di pace quando un braccio la
mancò per un soffio nel piantarsi con forza contro lo
scaffale che vibrò leggermente.
E quando Musa si
accorse, non senza un certo timore, che Riven l’aveva
completamente imprigionata, un’ondata di panico la fece
trasalire.
- Non dirai sul serio
– rantolò furioso, soffiandole in viso la propria
rabbia, il proprio fastidio – tu non puoi.
- E chi lo dice ? Tu
?– trovò il coraggio di ribattere, stringendo al
petto il libro per farsi forza.
- Si –
rispose lui, sfacciato, continuando ad inchiodarla tra le sue braccia,
ma Musa cominciava a trovare quella presa di potere eccessiva per uno
che non la vedeva da tre anni e che si divertiva con la principessa
delle sirene.
- Io non sono affar
tuo. Non lo sono da molto tempo, perciò se sei frustrato,
prenditela con la tua ragazza con le branchie – si
lasciò sfuggire, in preda alla rabbia, ma quando la fata si
rese conto di essersi scoperta, non potè che tentare di
riparare quello che, ad occhio esterno, pareva una semplice scenata di
gelosia.
- Non che mi importi,
ovviamente, ma non voglio essere la tua valvola di sfogo.
Se l’era
cavata egregiamente, ma qualcosa nella sua accusa doveva aver fatto
scattare un meccanismo di difesa in Riven visto che lo sentì
sottolineare, con voce sepolcrale, che Tressa era solo un passatempo.
- Ti ho detto che non
mi interessa – ribadì cocciuta, desiderosa di
andarsene da lì il più velocemente possibile, e
quando riconobbe una capigliatura verde passare proprio in quel momento
pregò affinchè Aidan la scorgesse.
E la fortuna le
sorrise benevola quando lo specialista, guardandosi intorno con
curiosità, soffermò lo sguardo accigliato sulla
schiena ampia del suo professore prima di irrigidirsi nel vedere la
Winx incastrata tra le sue braccia.
- Tutto bene ?
Riven,per quanto fosse
possibile, parve incupirsi ancora di più quando riconobbe la
voce dello studente alle spalle, e Musa colse quella sua momentanea
distrazione per scappare dalla sua prigione e
correre al fianco dello specialista dai capelli verdi.
I due si scambiarono
una lunga occhiata, come se si stessero fronteggiando in silenzio prima
che Musa avvertisse Aidan tremare leggermente al suo fianco prima di
guardare Riven negli occhi.
E capì a
cosa era dovuto quel tremore, perché anche lei le prime
volte era stata spaventata da quello sguardo scuro e torbido come
l’antro buio e angusto di un lupo affamato.
Ma a differenza del
giovane studente, lei aveva imparato a fronteggiarlo, a combatterlo, e
quando lo ripagò con il suo, di sguardo cupo, si
decise a tornare indietro, trascinando con sé il povero
Aidan.
- Trovato qualcosa di
interessante ? – le chiese Tecna nel vederla avanzare di
fretta, rabbuiandosi assieme alle compagne quando videro Riven seguirla
a ruota con un occhi feroci.
- Quello era meglio
perderlo per strada – borbottò Stella con una
smorfia, arricciando le labbra nel sentirsi osservata dallo specialista
in malo modo.
Musa non ci fece quasi
caso, si limitò a prendere posto accanto all’amica
prima di aprire il tomo.
La prima cosa che
notarono fu la scrittura minuta ed elegante che imbrattava le pagine,
seguite da alcune immagini che ritraevano un gruppo di
persone allineate di fronte ad un enorme castello diroccato.
- Vediamo un
po’ – cominciò Tecna, passando un dito
affusolato sulla prima riga – "La compagnia della luce era
riuscita a braccarlo nel suo stesso castello dopo aver oltrepassato i
cancelli della dimensione oscura.
- Compagnia della
luce ? – domandò Stella con voce
interessata, come se quel nome le fosse familiare.
- Ma si, non ricordi ?
La compagnia che sconfisse le streghe antenate. Mio padre ne faceva
parte – la informò Bloom,ugualmente interessata,
invitando l’amica a continuare.
- Mi pare che anche
Faragonda ne facesse parte – pensò ad alta voce
Sky.
- Ed anche mio nonno
Saladin era uno di loro – aggiunse poco dopo Helia.
- Continua ! Che
aspetti!
Tecna cedette alla
richiesta frettolosa di Stella, prendendo a leggere dove aveva lasciato.
- "Ma non sapevano che Salazar
aveva teso loro una trappola, fingendo di essersi nascosto nel suo
maniero per sfuggire alla cattura dopo essere stato ferito gravemente.
Il ladro di anime infatti non tardò ad agire,
imprigionandoli nelle segrete con un sigillo magico. Fu così
che la Compagnia della Luce perse il suo primo compagno, sbranato dal
Drago che proteggeva il castello. – smise di
leggere perché la descrizione di quanti pezzi fossero
rimasti del povero Sir Phoebus l’avrebbe solo fatta star
male, preferendo di gran lunga chiudere il tomo con un tonfo secco
mentre attorno l’aria si era appesantita drasticamente.
- Bene, ora abbiamo
scoperto che oltre a strappare le ali delle fate per farci il brodo, il
nostro fantasma si divertiva a dare in pasto i nemici al suo
animaletto domestico – brontolò Stella con voce
cupa, afflosciandosi sul tavolo, priva di forze.
- Ecco spiegato il
motivo del suo accanimento contro Fonterossa allora –
ragionò ad alta voce Aisha – vuole vendicarsi per
essere stato perseguitato.
- Non credo sia questo
il motivo – la contraddisse Musa con gli occhi puntati al
soffitto – se proprio avesse voluto vendicarsi, avrebbe
infestato anche Torrenuvola e Alfea. Inoltre, non si spiega
perché si sia svegliato solo ora.
- Il tuo ragionamento
non fa una piega – ne convenne Tecna, trovando un riscontro
positivo negli altri compagni.
Eppure Tressa che,
come di consueto, stava in disparte e in silenzio non riuscì
a non dissentire, ipotizzando che il loro era solo
l’ennesimo tentativo di inventare storie molto
più complesse del reale.
- Rischierò
di essere ripetitiva – la aggredì Aisha
– ma dovresti ascoltare la fine dei discorsi altrui prima di
parlare . Anche se del tuo giudizio non sapremmo che farcene.
Era stata sgarbata, ma
nessuna delle Winx glielo fece notare, non quando la principessa delle
sirene si mostrava tanto dispotica, ma soprattutto, non
quando le fate sapevano che era il semplice desiderio di mettere in
cattiva luce Musa a spingerla ad opporsi con tanta foga ad ogni loro
parola.
Tressa
inghiottì l’umiliazione di sentirsi accerchiata,
ma quando cercò aiuto in Riven si trovò ancora
più sola, perché lo specialista non sembrava
interessata a lei, né tanto meno al discorso che stavano
affrontando.
E la sirena sapeva di
chi era la colpa, cosa impedisse al ragazzo di amarla come
avrebbe meritato.
- Hai visto anche
questo ? – la canzonò allora, scettica,
fronteggiandola con uno sguardo arrogante che Musa non
accettò passivamente.
- No, dico solo che
forse deve esserci una causa più profonda. Che le sue
azioni, benché crudeli, abbiano un perché
più complesso della semplice ricerca vendetta
– asserì convinta, socchiudendo gli
occhi con un sospiro pesante- le apparenze ingannano, il
più delle volte – sussurrò con meno
voce, come se stesse parlando più a se stessa,
riportando alla mente la litania e quel sussurro straziato che
l’aveva colpita, fatta sentire partecipe
dell’affannosa ricerca del fantasma.
- Anche
l’uomo più crudele e orribile
può soffrire – continuò
distratta, persa nel flusso di pensieri che da ragazzina faceva spesso,
prima di andare a dormire, dopo l’ennesimo litigio con Riven.
Perché Musa
aveva sempre creduto, fin fa bambina, che dietro ogni azione vi fosse
un motivo, una causa scatenante che, come poteva generare altruismo e
coraggio, poteva instillare nel cuore umano le tenebre e gli
orrori più aberranti.
- Non tutti possono
decidere di essere buoni o cattivi, alcuni sono solo costretti ad
esserlo, e credo che non ci sia punizione peggiore per chi cerca di
essere migliore che sapere di non avere il diritto di scegliere cosa
diventare.
Tecna avrebbe voluto
avvisare l’amica che quel piccolo sfogo era qualcosa di
troppo personale, che deragliava pericolosamente dalla strada
logica che stavano imboccando, e che non tutti avrebbero potuto essere
colpiti da un pensiero tanto profondo.
Come Tressa, che si
allontanò con un gesto secco e scettico della testa,
come il preside Saladin e Faragonda, se mai avessero esposto
le loro teorie.
Perché Musa
aveva un animo troppo sensibile e riflessivo che le
permetteva di vedere il fantasma, di capirlo quasi, e nessuno di loro
poteva comprenderla fino in fondo, nessuno all’infuori di chi
quella situazione l’aveva vissuta, saggiata sulla propria
pelle, con il sudore del proprio corpo e le lacrime di frustrazione.
Quando Riven si
allontanò in silenzio nessuno vi fece poi molto
caso, solo Flora, nascosta dietro Helia, si prese qualche
minuto a seguirlo con lo sguardo.
La fata
sobbalzò, sorpresa, quando vide lo specialista
inclinare il capo all’indietro, quel tanto che bastava per
poter inquadrare con la coda dell’occhio la figura
rigida di Musa che continuava a guardare il vuoto.
E avrebbe giurato di
aver visto rammarico nei suoi occhi viola, un’ombra scura che
quella volta non aveva nulla di tragico, di minaccioso, un barlume di
dolore che uccise con la durezza della pupilla quando questa la
scacciò con violenza, dilatandosi nell’iride che
Riven puntò avanti a sé prima di uscire, senza
più guardare indietro.
Lontano da quello
sguardo che non si soffermava su di lui come un tempo, lontano da
quelle parole che sapeva, era stato lui ad instillare in
Musa, assieme al dolore di non riuscire a comprenderlo, ad aiutarlo.
Ma su una cosa la fata
aveva ragione, l’aveva sempre avuta.
Non
c’è punizione peggiore per chi cerca di essere
migliore che sapere di non avere il diritto di scegliere cosa
diventare.
Non c’era
perdono, comprensione, aiuto per chi sapeva di essere sbagliato e non
riusciva ad accettarlo.
Riven lo
sapeva, lo aveva accettato da tempo.
Da quando quegli occhi
blu lo avevano pregato, supplicato di farsi aiutare.
Ma non c’era
aiuto per quelli come lui.
Non ce ne sarebbe mai
stato.
°°°
- Non
credete sia ora di andarcene ? Comincio a sentire un po’
sonno – sbadigliò Stella con un tremore,
assopendosi subito dopo sulla spalla del compagno che
l’affiancava.
Bloom annuì
distratta, reggendosi a Sky per non perdere l’equilibrio dopo
essere stata seduta per tutta la giornata, ma mentre le Winx
cominciavano ad avviarsi all’uscita Musa continuava,
instancabile, a voltare le pagine del libro che aveva trovato,
incupendosi ad ogni cruenta descrizione della malvagità di
Salazar.
- Musa ? –
la richiamò Tecna con una nota di rimprovero, e quando la
fata si scoprì l’unica, ancora china sui
libri, si scusò con lo sguardo, invitandoli a
precederla mentre lei riponeva il libro dove lo aveva trovato.
Ritrovarsi davanti lo
scaffale contro cui Riven l’aveva imprigionata le
inviò una scossa di ansia, ma lo specialista aveva
abbandonato la biblioteca alle prime luci del tramonto, e non sarebbe
di certo tornato lì apposta per spaventarla, ora
che era sola.
Eppure Musa non
potè che sussultare per lo spavento quando
percepì un sospiro sulla sua schiena che forse, in tutta
sincerità, poteva essere il frutto del sonno
perduto della scorsa notte, o un normale spiffero, qualunque cosa, non
necessariamente il respiro ghiacciato di un fantasma assetato di sangue.
Nonostante tutto
però, qualcosa le diceva che era molto più
pericoloso di uno spiffero d’aria.
Strinse il libro
contro il petto per sopperire al disagio di sapersi davvero sola, in
balia di una forza magica che avrebbe potuto schiacciarla con
l’ausilio di un solo sguardo, e si
maledì per essere stata tanto avventata.
Avrebbe dovuto
scappare via a gambe levate, non gironzolare da sola, a notte
inoltrata, tra i vecchi scaffali di una biblioteca sotterranea.
- Quanto posso
essere stupida – brontolò, furiosa con
se stessa, prima di irrigidirsi e crollare in ginocchio con
uno strillo che tuonò minacciosamente per il lungo corridoio
deserto.
L’eco del
suo urlo si affievolì in una manciata di secondi, ma la fata
trovò difficile tornare a rialzarsi, visto come le tremavano
le gambe.
Perché,
anche se credeva davvero che il fantasma non volesse far del male, lo
spirito che tentava di aiutare non avrebbe accettato una sconosciuta
che si era autonominata sua salvatrice.
Perciò
avrebbe potuto ucciderla, o peggio, far del male ai suoi amici se
avesse chiesto aiuto, e quello non poteva permetterlo, neanche se
Salazar, il ladro di anime, si trovava davvero alle sue spalle.
Voltarsi le
costò più fatica di quanto pensasse, ma
ruotò il busto di pochi gradi, con l’ausilio
delle ginocchia che fece strisciare sul pavimento
prima di tendere la schiena nel riconoscere il mantello che
l’aveva fatta strillare e che ora svolazza ad un soffio da
lei.
Ed eccolo
lì, lo stregone che amava strappare le ali alle fate.
Da terra le parve
ancor più alto, più minaccioso, terrificante con
quel suo viso oscurato dal cappuccio, ma il fantasma non sembrava far
caso a lei, non la guardava neanche.
Salazar si limitava
infatti a frusciare nell’aria con le mani che scorrevano
sofficemente sui tomi degli scaffali, incurante della fata che lo
fissava inorridita a pochi centimetri di stanza.
E Musa avrebbe potuto
strisciare via, in silenzio, facendo finta di non averlo alle spalle,
di non sentire il contatto morbido con il tessuto del suo mantello,
avrebbe potuto fare tutto quello se solo il fantasma non si fosse mosso
nella sua direzione , sovrastandola e tendendo un braccio sopra la sua
testa.
Fingere le fu
impossibile quando lo ebbe così vicino,
soprattutto quando sentì il mantello accarezzarle la spalla
nuda, la guancia fredda per l’orrore, e per quanto potesse
essere coraggiosa e pratica, niente le risparmiò il terrore
di sapersi tra le grinfie del fantasma che, captato il suo sussulto,
abbassò bruscamente lo sguardo.
Rimpianse la prigione
di Riven che le bloccava ogni via di uscita quando vide due braccia
ugualmente pallide, ma cosparse di una lieve peluria bionda
tendersi verso di lei, sfiorarle i capelli della testa che teneva
bassa, quasi a testare la possibilità di poter essere visto
da lei.
Salazar stava per
l’appunto allungando la mano per afferrarle una
ciocca quando Musa decise di agire.
- Cosa stai cercando ?
Il suo urlo le parve
addirittura più stridulo del primo quando i libri
schizzarono via dagli scaffali sotto l’onda magica che aveva
fatto oscillare il mantello del fantasma, irrigiditosi leggermente su
di lei con il respiro più affannoso.
Tossì per
ritrovare la voce, tenendo le ginocchia raccolte al petto e la fronte
pressata sugli avambracci serrati in vita, sforzandosi di non guardarlo
in viso.
Perché lo
aveva letto nel libro che le schiacciava lo stomaco.
Mai guardare Salazar
negli occhi, neanche di sfuggita, se non si voleva perdere
l’anima, e Musa non voleva perderla, non anche quella.
- Cosa stai cercando ?
– tornò a domandargli, facendosi piccola piccola
quando si sentì avvolgere dal suo mantello.
Il fantasma non
parlò, si limitò a soffiarle sui capelli altra
aria gelata, altro freddo ghiacciato, e quando la fata vide una patina
biancastra pizzicarle l’epidermide strinse i denti per
combattere il dolore.
La paura la
paralizzava, le bloccava il respiro in gola , le offuscava la vista, ma
stare immobile non avrebbe giovato né al sangue che sentiva
raggrumarsi nelle sue vene, a causa del freddo, non alla sua
incolumità.
Avrebbe potuto svenire
e arrendersi a lui, lasciare che facesse di lei quello che
più gli aggradava, ma Musa scelse la lotta rispetto alla
prematura sconfitta.
E pregò
davvero di non perderla, la sua anima, quando alzò il mento
con un gesto brusco, osservando con gli occhi bordati di lacrime il
viso di Salazar.
- Ti ho chiesto cosa stai cercando
! – ribadì, feroce, trovando nella
propria rabbia la forza di reagire, di resistere a quello sguardo che
davvero, era del colore delle ametiste, una pozzanghera violacea nella
quale sguazzavano pagliuzze grigie e dorate.
Neanche quella volta
le rispose, ma la guardò con le labbra leggermente
increspate, come se fosse sorpreso della sua spavalderia, del suo
sguardo duro e battagliero, ma quando lo vide allungare una mano verso
i suoi capelli il terrore tornò a farla irrigidire.
-
C’è qualcuno ?
Nel turbinio di
confusione, rabbia e paura che l’aveva resa meno
lucida, la fata riuscì ugualmente a riconoscere la voce
dello specialista che non poteva e non doveva essere
lì, non con Salazar che avrebbe potuto ferirlo, ucciderlo.
Udì i suoi
passi farsi sempre più vicini, più veloci nel
vedere i libri gettati in aria, ma Musa non potè che
pregarlo con la mente di non avanzare oltre, di non trovarla.
Eppure Riven non
sembrò captare la sua preghiera, le sue suppliche
silenziose, e quando, voltato l’angolo, vide la fata
schiacciata al suolo, raccolta su se stessa con lo sguardo appannato
non potè che irrigidirsi.
- Cosa fai ancora qui
? – le abbaiò contro, scontroso, avanzando
minaccioso nella sua direzione, ma quando gli occhi dello specialista
colsero il movimento innaturale dei capelli di Musa, come smossi da un
vento impalpabile, e soprattutto, i suoi occhi colmi di lacrime, non
potè che stringere la presa sulla propria spada.
- Cosa sta succedendo
? Cosa fai lì a terra ?
Musa si morse la
lingua per non parlare, per non distogliere l’attenzione del
fantasma da se stessa, perché Salazar non sembrava averlo
notato, preso com’era a scrutarla con quella smorfia che si
faceva via vai sempre più cupa, sorpresa.
Riven strinse la presa
sull’elsa nel vederla negare col capo, ma lui sapeva che
c’era qualcosa che non andava, lì, in quella parte
della biblioteca, nulla di umano.
- Vieni qui –
le ordinò brusco, irrigidendosi nel vederla scuotere il capo
e sussultare, come se qualcuno l’avesse appena toccata, e
quando Musa si voltò per guardare Salazar negli occhi lo
sentì parlare di nuovo, quel sussurro che non capiva ma che
soffiava con dolenza dalle labbra rosse.
- Musa ! Cosa sta
succedendo ?
La voce di Riven si
era incrinata leggermente, come se fosse spaventato, una sfumatura
impalpabile per chiunque tranne lei, anche se erano passati tre anni,
anche se non avrebbe dovuto notare, tutte quelle differenze.
Ma ora c’era
un fantasma che le parlava, cercando di farsi capire, e che le toccava
i capelli, come se volesse strapparglieli.
- Io non capisco
– sussurrò affranta, prendendosi la testa tra le
mani mentre l’urlo di Riven le giungeva ovattato,
come se fosse rinchiusa in una bolla d’aria.
- Non capisco.
- Musa !
- Io non …
- Via da lei
! – tuonò lo specialista quando
riuscì a vederlo anche lui, lo stregone chino su Musa che
si afferrò la testa con un urlo di dolore quando
il fantasma le strappò una ciocca prima di svanire nel
nulla, sussurrando quella parola che faceva sanguinare per il dolore le
orecchie della fata.
Il tonfo con il quale
lo specialista le cadde di fianco lenì il dolore alle
orecchie, ma quando si sentì voltare sul fianco con un gesto
secco non potè che pregarlo di non farle male.
- Sta zitta ! Sto
cercando di riattivarti la circolazione, stupida fata – la
rimbrottò aspro, contraendo la mandibola nel tastare la
pelle gelata delle sue braccia, congelate da uno strato sottile di
ghiaccio che avrebbe potuto portarla in ipotermia.
-Non fai che
crearmi problemi – tornò a criticarla, sempre
più duro, massaggiandole le braccia per creare un
po’ di calore. Musa non gli rispose a tono, non ne aveva la
forza,si sentiva solo stanca, intontita da un cerchio alla testa che le
stava facendo perdere lucidità.
- Devi sempre fare di
testa tua – brontolò, arcigno, ma quella
volta sembrava solo pensare ad alta voce mentre Musa riprendeva un
po’ di colore alle guancie quando lo specialista se la
tirò al petto con uno scatto nervoso.
La avvolse nel
mantello che si era sfilato in tutta fretta, costringendola a farsi
piccola piccola tra le sue braccia tese per l’irritazione,
così da attingere da lui ogni stilla di calore.
- Sempre a cacciarti
nei guai – continuò, un po’ meno duro
nel vederla socchiudere gli occhi con le ciglia imperlate di lacrime
– sempre a ferirti con gli oggetti più
impensabili. Non è così che ti sei fatta questo
graffio ?
Musa recepì
a stento il suo ennesimo ammonimento, ma qualcosa nell’ultima
frase la strappò dalle braccia dell’incoscienza.
Si tirò a
sedere per vedere a cosa Riven si stesse riferendo, ma la cicatrice
minuscola che le segnava il polso destro era una ferita vecchia di un
anno, il piccolo graffio che le rose dei suoi fan le avevano aperto
nell’afferrare il mazzo di fiori al volo.
E qualcosa nella sua
testa le diceva che lui non avrebbe dovuto saperlo, non poteva,
perché non si vedevano da tre anni, e non sarebbe stato
possibile.
- Dormi.
Qualcosa in
quell’ordine severo le causò uno
strappò al petto, ma le lacrime che le rigarono le guance
non erano causate dai suoi modi ingiusti e sgarbati.
- Non riesco ad
aiutarlo – sussurrò straziata, accettando il petto
dello specialista come appoggio per la sua testa dolente.
- Ti ho detto di
dormire – la zittì, brusco, distogliendo lo
sguardo con una smorfia contrita quando la vide piangere in silenzio.
Musa tirò
su col naso, accucciandosi su se stessa per trovare la pace, la
serenità che aveva creduto di aver guadagnato in quei tre
anni.
Stupida.
- Non riesco ad
aiutarlo – tornò a singhiozzare, coprendosi il
viso con le mani per nascondere la sua vergogna,
l’umiliazione di non poter fare nulla per lenire il dolore di
chi amava, e Riven capì che non era più
solo il fantasma il soggetto di quella frase.
- Non ci
riesco, io… non ci riesco – pianse, affranta,
sussultando nel sentire le braccia dell’uomo farsi un
po’ più morbide attorno al suo corpo, come a
rassicurarla di aver fatto del suo meglio, anche se quel suo meglio non
era bastato.
- Forse non può essere
aiutato.
La fata non
riuscì ad udire quel’ultimo sussurro,
sprofondata in un sonno agitato che Riven vegliò in
silenzio, senza mai lamentarsi, la spada piantata accanto e il corpo
pallido della guardiana abbandonato tra le sue braccia rigide.
Eppure Riven non
sapeva più se quel suo ultimo pensiero fosse rivolto solo al
fantasma di Fonterossa, non lo voleva scoprire.
Perché
capirlo avrebbe fatto male, e avrebbe fatto soffrire Musa.
E lui era stanco di
farle e farsi male, stanco, semplicemente, di lottare per un
destino di solitudine che non sapeva e non voleva cambiare per paura di
scoprirsi diverso.
Continua…
Questo capitolo è dedicato a Sylphs i cui
commenti mi riscaldano il cuore.
Stranamente i capitoli stanno scivolando come acqua sotto le mie dita,
perciò mantenendo comunque sabato come giorno di
pubblicazione non sorprendetevi se lo precedo di qualche giorno con
l'aggiornamento improvviso che credo, sarà più
celere di quanto pattuito.
Ringrazio tutti per la lettura, Gold Eyes
|
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Capitolo 5 *** Lucy ***
“Now that it's over
I just wanna hold her
I'd give up all the world to
see that little piece of heaven looking
back at me
Now that it's over
I just wanna hold her
I've gotta live with the
choices i made
And I can't live with myself
today “
[…]
Here we are
Now you're in my arms
I never wanted anything so bad
Here we are
For a brand new start
Living the life that we
could've had
( Lucy – Skillet )
- Credo che Riven mi
abbia spiata – se ne uscì Musa
all’improvviso, interrompendo il movimento delicato delle
mani di Flora che le stava spazzolando amorevolmente i
capelli.
- Come hai detto ?
La fata si
guardò attorno con una smorfia imbronciata, facendo notare
con voce sconfitta che quella stanza aveva visto giorni
migliori, e che necessitava di un cambio d’aria visto che non
ne usciva da sette dopo l’attacco in biblioteca.
- Credo che Riven mi
abbia spiata – ripetè paziente, scatenando un coro
di “In che
senso ?” attorno a lei.
Era una serata tra
donne se si escludeva la figura silenziosa di Aidan che le fissava con
gentilezza dall’angolo della stanza, ma nessuno se
l’era sentita di scacciarlo malamente con gli
altri specialisti, non quando lui le aveva supplicate con lo
sguardo di poter rimanere, promettendo loro di non dare fastidio.
Perciò,
senza sapere come e perchè, Aidan si era ritrovato
a smaltare con le palpebre serrate per la concentrazione le
unghie di Stella che soffiò via il ciuffo dorato
nell’udire le parole dell’amica.
- Intendi che
è diventato un guardone ? – azzardò
divertita, facendo qualche apprezzamento sulle ottime
capacità dello specialista nel fare tratti puliti e decisi
migliori della sua truccatrice su Solaria.
- Intendo che sa
dell’esistenza di una ferita che mi sono procurata un anno fa
durante un concerto – spiegò pragmatica, storcendo
la bocca nel sentire una fitta dolorosa alla spalla quando fece un
movimento troppo brusco.
- Ti ho fatto male ?
– le chiese Flora con sguardo dispiaciuto, allungandosi su di
lei per sistemarle la coperta sulle spalle nude, ma Musa era stanca di
stare a letto a non far nulla .
Certo, le sue amiche
le avevano tenuto compagnia per tutti quei giorni, privandosi persino
della compagnia dei rispettivi partner pur di non lasciarla sola con i
propri pensieri, ma l’immobilità le costava
fatica, e stava esaurendo il briciolo di pazienza che ancora le
rimaneva dopo essere stata brutalmente scaricata da Riven
nella sua stanza senza una risposta alle sue domande.
- Ne sei sicura ?
– si inserì la voce confusa di Tecna, distesa a
pancia in giù accanto alla fata –
perché non credo sia possibile che lui sia a conoscenza di
una ferita che ti sei procurata durante un concerto, visto…
- Che non ci vediamo
da tre anni – finì per lei, prendendosi la testa
tra le mani con un sospiro pesante – lo so! È per
questo che posso solo ipotizzare che mi abbia spiata
– confessò un po’ riluttante,
perché anche a lei l’idea di essere stata pedinata
da Riven le risultava alquanto improbabile.
Perché, che
senso avrebbe avuto mostrare un tale interessamento nei suoi confronti
dopo aver calpestato i suoi sentimenti con l’arroganza e
l’indifferenza con la quale aveva accettato la loro rottura?
Nessuno ,
semplicemente.
- Forse qualcuno dei
ragazzi se lo è lasciato sfuggire in sua presenza
– azzardò Aisha con il mento poggiato sulle mani
unite a coppa e le sopracciglia aggrottate per la confusione.
- Ne dubito
– la smontò prontamente Bloom, osservando il
soffitto con sguardo sicuro – Sky me lo avrebbe detto.
- Allora come
è possibile ? – sbuffò Musa con i nervi
a fior di pelle, chiudendo gli occhi sull’espressione
indecisa di Aidan.
E quando Stella
sentì le mani del ragazzino bloccarsi si voltò a
fulminarlo, raggrumando le labbra in un broncio concentrato quando si
accorse dello sguardo colpevole con il quale lo specialista guardava la
sua amica.
- Tu sai qualcosa,
vero ?
Quando tutti gli
sguardi si puntarono su di lui Aidan sobbalzò per la
sorpresa, arrossendo leggermente nel sentire soprattutto gli
occhi blu della fata della musica su di sé, e non
potè che annuire debolmente, scatenando un coro di
“Racconta
!” attorno a lui.
- Bè
– cominciò indeciso, altalenando lo sguardo su
ogni Winx prima di cominciare a raccontare – ho
già accennato al fatto che molti di noi sono tuoi fan.
- Si –
ammise Musa con aria interessata, accettando con un sorriso la mano con
la quale Flora la aiutò a uscire dalle coperte per mettersi
più comoda.
- Ecco, il preside
Saladin non è molto permissivo riguardo alle nostre uscite,
perciò avevamo chiesto al professor Helia se potesse
accompagnarci di nascosto ai tuoi concerti –
confessò sincero, sentendo gli sguardi delle fate serrarsi
sempre di più per la confusione.
- Ma quando il
professor Riven ha scoperto tutto si è offerto di
accompagnarci lui stesso.
- Si è
offerto lui
? – gli chiese Stella con la bocca schiusa per la
sorpresa prima di vedere lo specialista annuire e voltarsi con le
sopracciglia arcuate verso l’amica.
- Si è
offerto – ripetè meccanicamente la principessa di
Solaria, ritrovando nel resto delle amiche la stessa sorpresa,
l’identico e profondo sconcerto che aveva storpiato persino i
lineamenti di Musa, ancora più confusa.
- Ma perché
? – chiese infatti con un filo di voce, stanca di non
riuscire mai a capire il perché dietro i suoi gesti, la
verità dietro a quella bocca dalla piega dura che sapeva
essere così crudele, con lei.
- Perché
tiene ancora a te, mi pare ovvio.
Aidan capì
di aver detto qualcosa di stupido, di estremamente
stupido a giudicare dal sopracciglio inarcato della fata con le unghie
color fragola, e lui non la capì proprio, tutta
quell’incredulità.
- Mi sembra normale
– borbottò subito dopo, per colmare il silenzio
teso che cominciava a protrarsi dopo la sua confessione – in
fondo è stato il tuo fidanzato.
- Beata
gioventù – sbuffò Aisha con un
sorrisino nostalgico, spalleggiata da Stella che commiserò
lo specialista con uno sguardo premuroso .
- Stiamo parlando di
Riven, e niente di quello che noi pensiamo sia normale
è associabile alla sua persona, capirai una volta cresciuto
– lo ammansì comprensiva nel vederlo aggrottare a
quel modo le sopracciglia prima di sentire il sospiro sconsolato alle
sue spalle.
E fu proprio
l’aria abbattuta di Musa a intristire tutte loro.
Perché la
loro amica meritava davvero di distrarsi ora che l’incubo di
Riven era tornato a tormentarla assieme ad un fantasma
crudele che pareva girarle attorno, perciò Bloom
non potè che balzare in piedi con il braccio teso in una
posa di vittoria.
- So io quello che ci
vuole – esordì sicura, sorridendo delle
espressioni accigliate delle sue amiche.
- Organizzeremo una
festa clandestina a Fonterossa!
Il
momentaneo silenzio causato dalla sorpresa venne infranto
dall’esclamazione eccitata di Aidan, saltato in piedi a sua
volta con un sorriso colmo d’aspettativa.
E nessuno, neanche
Musa riuscì a smontare quell’eccitamento,
quell’allegria, perché era di quello che aveva
bisogno.
Sguardi felici, balli
e risate.
Pace, semplicemente.
°°°
Il sibilo della prima
stoccata portò via con sé l’ennesima
occhiata cospiratoria che gli specialisti si scambiarono prima di
eseguire il gesto del loro insegnate che quel giorno pareva
più irritato del solito a giudicare dai denti snudati sulle
labbra arricciate.
- Guardatela come si
pavoneggia ! E come quei ragazzini le fanno il filo ! –
lamentò Brandon per la seconda volta nel vedere la propria
fidanzata agitare civettuola le lunghe ciglia bionda per irretire il
piccolo gruppetto di specialisti che trotterellava dietro alle Winx.
- Con me dice sempre
di annoiarsi, invece con una banda di marmocchi col moccolo al naso
sembra divertirsi parecchio – ritornò alla carica
con la voce piena di risentimento, scattando in piedi dalla posa a
testa in giù avuta fino a quel momento quando la punta della
spada lo mancò in mezzo alla fronte per un soffio.
- Ma sei pazzo !
– strillò Brandon con voce gracchiante, saltando
giù dagli spalti con occhi sgranati mentre Riven sfilava il
fioretto con un gesto secco, facendo scintillare la lama dei riflessi
violacei dei suoi occhi.
- Stai disturbando la
mia lezione – lo rimproverò, acido, puntandogli
alla gola la lama con un monito nello sguardo quando lo specialista
provò a caricarlo, prima che Sky si frapponesse tra loro con
una smorfia.
- Ragazzi, vi prego !
– provò ad ammansirli, ma Brandon aveva ereditato
il temperamento indisponente della propria fidanzata.
- Ha iniziato lui
– gridò nervoso, puntando Riven con un dito che lo
specialista avrebbe affettato con un sorriso mordace se Helia non li
avesse placati con un gesto pacato ma severo del braccio.
- Riven, gli studenti
stanno aspettando – gli ricordò infatti, riuscendo
a fargli abbassare la lama lentamente, molto lentamente.
- Quindici minuti di
pausa – concesse con voce grave, aggrottando le
sopracciglia nel vedere quei piccoli rompiscatole sgattaiolare dai loro
compagni che attorniavano le Winx poco più lontano.
- Bambocci
– li aggredì Brandon con voce risentita
nell’accorgersi che quei piccoletti puntavano la sua ragazza,
e persino Helia non potè che storcere la bocca nel vedere
come alcuni suoi studenti fissassero Flora.
- È normale
che reagiscono così di fronte a delle ragazze – si
riscoprì ad ammettere, riflessivo – se poi sono le
guardiane di Magix il loro eccitamento è più che
comprensibile.
- E credi che questo
giustifichi i loro occhi a cuoricino ? – sputò lo
specialista con fervore.
- Nel caso tu non
l’abbia notato – si intromise Nabu con voce ovvia,
le braccia incrociate dietro la testa – sono delle
belle ragazze, perciò i loro “occhi a
cuoricino” sono normali. Sono identici ai tuoi quando sei con
Stella.
Punto
sull’orgoglio e sulla sua presenza maschia
all’interno del rapporto con la principessa, stava
già per riversare sul compagno la propria frustrazione
quando la constatazione di Timmy spense i suoi bollori.
- Musa sta sorridendo.
- Oh. Allora va bene.
Riven tese la frusta
che stava attorcigliando sullla mano destra quando udì il
tono sottomesso del compagno, e quando, nel voltarsi, lo vide sorridere
alla fidanzata che poco prima era pronto a crocifiggere per
l’onta del tradimento non potè che assottigliare
le palpebre con una punta di fastidio.
- Tutto qui ?
- Mhmm ?
Il sorriso da ebete di
Brandon rischiò di spezzare il suo già precario
equilibrio mentale, ma fu Helia a cogliere la vera causa del
suo fastidio.
- Brandon voleva dire
che il fatto che Musa sorrida sia una cosa positiva. Vero ?
- Già
– concordò lo specialista, addolcendo lo sguardo
nel vedere la fidanzata saltare alle spalle della fata della musica con
un sorriso spensierato.
- Quando la ragazza
della quale sei innamorato è felice, è
normale che lo sia anche tu – si lasciò sfuggire
sovrappensiero nell’osservare come Stella avesse smesso di
guardarsi attorno con occhi spaventati.
Ma Riven che non lo
guardava, che non guardava nessuno di loro, non
potè cogliere lo sguardo dolce dello specialista rivolto
alla fidanzata, sentiva solo la parola Musa seguita da “ la ragazza della
quale sei innamorato” pulsare nella
testa, come la cicatrice mai curata dal tempo, e di tempo per pensare
ce ne fu poco, un battito di ciglia.
Quando Brandon
sputò la terra che aveva inghiottito nel sentire
la testa pressata contro il terriccio Sky fu lesto ad
afferrare Riven per le braccia, tirando indietro con tutta la forza che
aveva in corpo, ma spostarlo richiese l’intervento di Nabu e
di Helia per quanto fu irremovibile, un blocco di cemento che sembrava
voler fracassare il cranio di Brandon.
Eppure riuscirono ad
allontanarlo di peso, gridandogli di stare calmo, ma Riven non sembrava
ascoltarli.
Muto e con la bocca
raggrumata in un ringhio di gola fissava Brandon come se volesse farlo
a pezzi,come se volesse ammazzarlo a mani nude, come una bestia.
- Ti ha dato di volta
il cervello ? – gli gridò contro lo specialista
quando Timmy lo aiutò a tornare in piedi, indurendo il viso
nel vedere la ferocia di quello sguardo.
- Sai che Musa per me
è come una sorella – sibilò basso,
allargando il braccio per indicare tutti loro – le vogliamo
bene, tutti noi. E non ci facciamo problemi a dirglielo, a
dimostrarglielo. È una cosa normale, ma tu non
sembri pensarla allo stesso modo.
Helia alzò
il viso di scatto per ammonire l’amico di non avanzare oltre,
di non scoperchiare un calderone all’interno del quale
ribollivano troppi pensieri e parole non dette che Riven
teneva chiuse ermeticamente all’interno del suo cuore, ma
Brandon non voleva essere riflessivo, attento ai bisogni
dell’amico.
Perché lui
non lo era mai stato nei confronti di Musa.
Ed era vero
che per lui e i compagni lei fosse come una sorella,quella
minore, quella che si vorrebbe proteggere dai dolori, e
vederla piangere, soffrire per un amore che aveva sempre dovuto
elemosinare da Riven aveva fatto male anche ai loro, di cuori.
- Continui a far finta
di non capire, di non vedere che più il tempo passa
più le possibilità si assottigliano. E quando
verrà qualcuno che al contrario di te le
dichiarerà apertamente il suo amore tu cosa farai ?
Sky lo
sentì irrigidirsi nella sua presa, tendersi fino a sentire i
suoi muscoli pungergli le ossa dei gomiti, e gli venne spontaneo
reggerlo, perché qualcosa gli diceva che se lo avesse
lasciato, lo avrebbe visto crollare in ginocchio come un castello di
carte.
- Cosa farai ?
– ringhiò fuori di sè, trattenuto da
Timmy che però non lo invitava a tacere, non quando il
ricordo di Tecna che piangeva tra le sue braccia per
l’orribile schiena ferita di Musa gli tornò alla
memoria.
- Lo picchierai come
hai fatto con me? Lo ucciderai ? Sai che succederà ! E non
distogliere gli occhi Riven! Guardami!
Non lo fece, non
lo guardò, perché Riven avrebbe visto
il riflesso di se stesso, la piega dura delle labbra, la luce morta
dello sguardo, e l’orrore di vedersi vittima di qualcosa
più grande di lui lo rendeva vigliacco.
- Cosa ti costerebbe
dirle la verità? È più facile di
quanto sembri! Tutti noi sappiamo che tu la a…
- Zitto!
Brandon
sussultò quando venne zittito da Riven, ma non fu il comando
in sé a sorprenderlo, fu il tono, il tremore di quelle
spalle larghe che aveva visto sempre davanti a sé, davanti
ai nemici, alte e forti come mura inespugnabili.
Spalle che ora
tremavano, assieme alla voce che pareva spaventata, terrorizzata da una
parola che né lui né i suoi compagni faticavano a
sussurrare nell’orecchio delle loro amate.
- È
più difficile, molto
più difficile di quello che pensi – si
lasciò sfuggire prima che la voce di Stella li avvivasse
della presenza degli studenti e delle Winx accorse alle loro urla.
E quando Riven
alzò lo sguardo si premurò di regolarizzare il
respiro e ripulire il proprio sguardo dal tremore nero che avrebbe
parlato, confessato
ciò che lui temeva di capire, accettare.
Musa
trasalì senza un reale motivo, trasalì e basta,
sentendo sul palmo destro la presa sudata e fresca del palmo di Aidan
che la fissava con sguardo preoccupato.
Riven la
notò, la mano maschile stretta al palmo piccolo e delicato
che la fata soleva tendergli con un sorriso, quella che lui aveva
sempre scacciato con un sibilo di scontento, ed anche se era
una mano ancora acerba, la sua, dai tendini visibili e i
polpastrelli lisci per il poco allenamento, lo specialista
sapeva che prima o poi sarebbe cresciuta.
Lui e le sue mani.
Cosa avrebbe fatto
allora ?
Lo avrebbe ucciso?
Picchiato ?
Si scrollò
di dosso le braccia dei compagni con un ringhio, sibilando agli
studenti di tornare al loro allenamento mentre si voltava a capo basso
verso gli spalti.
Non si
voltò quando Brandon provò a chiamarlo, non ci
provò neanche, non ne ebbe la forza.
Perché la
paura di vedere quel palmo crescere sotto i suoi occhi, sapere che
quello di fianco a Musa non era più un ragazzino pelle ossa
ma un uomo dal cuore forte e generoso gli fece tremare i polsi per il
terrore freddo.
Cosa
avrebbe fatto?
La vista gli si
velò di rosso, un rosso che schizzava a fiotti da ogni
direzione, chiazzando tutto ciò sul quale posasse lo sguardo.
Cosa
avrebbe fatto?
Preferì non
rispondere neanche a se stesso, non osò farlo.
Per paura di quello
che avrebbe visto, per paura di quello che avrebbe fatto.
Per paura di se stesso
e di ciò che quelle parole che Brandon non aveva fatto in
tempo a urlargli lo avrebbe spinto a compiere.
°°°
Quando Aidan le aveva
condotte di soppiatto nell’enorme androne nascosto dietro un
passaggio segreto del quale tutti, eccetto il preside, erano a
conoscenza, le Winx avevano sospirato estasiate nel notare quanto
spazio inutilizzato vi fosse a Fonterossa.
Gli specialisti
più grandi avevano spiegato loro che l’accademia
presentava cunicoli, sotterranei e passaggi inesplorati e sconosciuti
ai più, talmente numerosi da non poter essere
riportati nella pianta dell’edificio, neanche se
avessero voluto.
Luoghi misteriosi e
ricchi di storia e magia che gli studenti utilizzavano per sperimentare
nuove tecniche senza le supervisioni degli insegnanti e le lamentele
del preside, nascondigli con un’acustica ottima
notò Musa quando, schioccando le dita per
diffondere nell’aria le prime note percepì la
vibrazione pulita del suono.
Era una stanza
spoglia, dai soffitti bassi e dalle pareti spesse e ruvide,
ma il pavimento lucido e spazioso attirò subito
l’attenzione di Aisha che mosse i primi passi sotto lo
sguardo sognante degli studenti dell’accademia.
Le Winx, lungi
dall’essere timide e imbarazzate nel danzare di fronte a una
quantità abnorme di studenti cominciarono ad abbozzare un
ballo cadenzato dal tono secco di un tamburo, scatti secchi e sensuali
che i loro bacini e le loro teste compivano come un comando automatico.
In un vortice tinto
del colore sgargiante dei loro abiti si inserì una macchia
asettica, di un anonimo bianco sporco che Stella tirava e lanciava come
una pallina da ping pong, e quando Aidan scivolò in avanti,
zoppicando per l’incapacità di tenere il passo
della fata sussultò nel cozzare contro un petto morbido
coperto da una scia luminosa di capelli blu elettrico.
Musa sorrise del
rossore diffuso sul viso dello specialista, dondolando assieme a lui
per metterlo a proprio agio mentre Flora e Bloom tiravano qualche altro
studente nella pista improvvisata.
- Io non so ballare
molto bene – balbettò il ragazzino con voce
insicura, guardandosi i piedi per essere sicuro di non pestarli a lei,
e fu la premura di non farle male anche in quel gesto a colpire la fata.
Perché
esistevano ancora persone che mettevano se stessi prima degli altri, e
quel ragazzino dallo sguardo buono sarebbe diventato un uomo dal cuore
gentile, una volta cresciuto.
- Io sono una brava
maestra – si lasciò sfuggire con una risata,
intrecciando le dita con le sue prima di liberare una ventata di note
magiche che spruzzarono loro addosso una pioggia di tintinni dolci.
Lo coinvolse in una
giravolta che sembrò ammorbidire i tratti rigidi del volto
di Aidan prima che gli occhi dello specialista seguissero il rumore di
passi che annunciava la venuta di altri studenti.
Ma quando il ragazzino
riconobbe l’inconfondibile capigliatura
dell’insegnante più duro e rigido di Fonterossa,
non potè che tirare la fata a sè e farla
volteggiare per non farle incrociare lo sguardo del professor Riven.
Musa si
lasciò condurre, agitando i fianchi al ritmo della musica
mentre i capelli le ricadevano fluidamente sulle spalle e sul viso
arrossato per la velocità dei passi.
- Visto ? Sai ballare
– si complimentò, gentile, accettando la mano con
la quale Aidan le fece compiere l’ennesima elegante piroetta
mentre lo studente irrigidiva la schiena nel sentire su di
sé lo sguardo feroce che, se avesse potuto, gli avrebbe
bucato il petto senza pietà.
- Tutto bene ?
– gli chiese la fata nel sentirlo rigido al suo fianco, ma
quando le braccia del ragazzo le cinsero la vita per avvicinarla un
po’ di più al suo petto acconsentì
senza una parola, non riuscendo comunque a incrociare il suo sguardo.
Il professore Riven
era forse l’uomo più forte e crudele che avesse
mai conosciuto, e non avrebbe mai osato contraddirlo, o addirittura
andargli contro, ma la fata che teneva tra le braccia era troppo bella
e gentile per non rimanerne avvinto.
La sua poteva essere
una cotta adolescenziale, ma sarebbe stata la sua più grande
cotta, e neanche l’uomo che lo fissava con rabbia dal fondo
della sala lo avrebbe fatto desistere dal suo intento.
- Quando
sarò grande e abbastanza forte lo affronterò
– affermò sicuro nell’orecchio di
Musa, e la fata si preoccupò nel sentirlo
deglutire sonoramente contro i suoi capelli – e quando lo
avrò vinto verrò a chiederti di sposarmi.
La sorpresa di
quell’ultima frase le fece perdere il ritmo,
l’equilibrio, ma Aidan fu abbastanza lesto da reggerla per il
fianco e accompagnarla in quello che all’apparenza sembrava
un goffo caschè che Stella fissò con un risolino
sommesso prima che la musica scivolasse nel silenzio assieme alla fata.
Tecna non
potè non soffocare contro la spalla di Timmy un sussulto
sorpreso nel vedere la sua migliore amica, rossa in volta, sostare
rigida tra le braccia di Aidan, tornato in piedi con un sorriso
imbarazzato.
- Credo di essere
stato un po’ precipitoso nel chiederti di sposarmi
– si scusò frettoloso, scatenando uno scoppio di
risate in Bloom e Aisha che avevano udito la goffa ma emozionante
dichiarazione del ragazzino.
La fata
tornò in piedi ancora un po’ rossa, gli occhi
brillanti per la sorpresa e l’imbarazzo, ma non
potè che trovarlo teneramente eroico nel suo sproloquio di
ragazzino, un toccasana per chi come lei, della genuinità e
sincerità dei sentimenti aveva perduto ogni traccia nella
sua vita.
- Quando sarai grande
forse ne riparleremo - concordò, divertita, prima
di sentire la voce degli studenti unirsi in un coro di incitamento per
chiederle di cantare.
- Ma …
- Dai Musa, anche noi
vogliamo sentirti cantare! Non puoi negare ai tuoi fan questa
possibilità – insistette Stella, allargando il
braccio per indicare le fila di studenti che la fissavano con sguardi
supplici benché provassero ad avere una parvenza di
“uomini” che non devono mai chiedere nulla.
- Ti prego.
E Musa non
potè nulla contro le espressioni eccitate delle sue amiche,
perciò convenne che si, cantare le avrebbe fatto bene, e
avrebbe potuto sfogare un po’ del malessere che aveva
condensato dentro la testa dopo tutte quelle settimane passate a
Fonterossa tra fantasmi e amori passati.
Il ragazzino fu
attento a indirizzarla verso un piccolo rialzo, una scalinata che
avrebbe usato come palcoscenico mentre gli studenti, in file ordinate e
silenziose si sedevano a terra per ascoltarla.
Anche Aidan
sgattaiolò al proprio posto, lanciando un ululato di dolore
quando qualcosa di duro e feroce lo colpì alla nuca, e
quando, alzando lo sguardo, incrociò le iridi chiare del suo
professore sentì il sangue gelarsi nelle vene.
Perché era
una ragazzo innamorato, ma sapere di avere per rivale il suo idolo e il
suo peggior incubo avrebbe fatto tremare le gambe a chiunque.
Riven gli si
allontanò con un gesto secco della testa, nascondendosi
nell’ombra di una colonna, per non farsi vedere da Musa e
causarle altra ansia, altro turbamento.
Proprio come faceva ai
suoi concerti, preferendo il posto più buio e anonimo per
non farsi notare da nessuno.
Non aveva bisogno di
un microfono, non con quell’acustica almeno,
perciò avrebbe potuto cominciare a cantare liberalmente,
eppure Musa si scoprì con la testa vuota di pezzi, di suoni,
di note.
Era come se la fata
avesse dimenticato come cantare, cosa cantare, come se la stanchezza,
il dolore, la confusione degli ultimi giorni si fosse presentata a
chiedere il conto dei suoi nervi a pezzi.
Sentì gli
sguardi preoccupati delle sue amiche volarle addosso come abbracci
rassicuranti, le occhiate curiose degli studenti invitarla con
gentilezza a cominciare, ma c’era uno sguardo che lei sentiva
ma non vedeva, gli occhi che aveva sempre cercato ma che non trovava
mai.
E le venne in mente la
sera della biblioteca, quando, una settimana prima, si era trovata
faccia a faccia con il fantasma, con Riven che era corso in suo aiuto e
che l’aveva vegliata in silenzio e senza farsene accorgere.
La ciocca che Salazar
le aveva strappato era ben visibile, perché era quella che
accostava la sua frangia ora un po’ asimmetrica a causa del
taglio irregolare dei capelli strappati di netto, e Musa li prese in
una mano, portando alla memoria la paura, la tristezza che aveva
sentito nell’avere di fianco Riven e non avere il permesso di
toccarlo come avrebbe voluto.
Di parlargli, come
avrebbe voluto.
Perché Musa
sapeva che quella sera le sue parole erano rivolte anche a
lui, e che quel pianto, quella disperazione era anche per
l’incapacità di una ragazzina innamorata di capire
e aiutare l’uomo che amava.
Quando le prime note
si persero nell’aria le Winx capirono che quella canzone era
un’improvvisazione, una melodia nata dalla testa della fata
in quel momento, una nenia triste e malinconica che aveva il sapore
agrodolce di un addio :
“Ricordo anni fa,
qualcuno mi disse che dovevo
fare
attenzione quando si tratta
d’amore.
L’ho fatto,
Si
interruppe, una breve pausa grazie alla quale attinse più
aria, più fiato, per ripetere con rabbia e stanchezza
l’ultima strofa :
l’ho fatto.
E tu eri forte, e io no.
La mia illusione, il mio
sbaglio.
Io ero incauta, ho dimenticato
L’ho
fatto.
La
voce le si affievolì come se qualcuno avesse
abbassato la leva per ridurre il volume di una radio,
trasformando ciò che qualcuno avrebbe chiamato canto in un
sussurro dolente :
Ed ora che è tutto
finito
Non c’è
più niente da dire
Sei andato via così
facilmente.
Hai
vinto.
Puoi andare pure a dirglielo
Quando qualcosa
cominciò a grattare nella sua gola Musa capì che
ciò che ne sarebbe uscito sarebbe stato un rantolo basso e
rabbioso, l’accusa e la difesa di un’ansia,
un’agitazione che cominciava a bruciarle il petto:
Digli tutto ciò che
so adesso.
Urlalo da sopra i tetti
Scrivilo sulla linea
dell’orizzonte
Tutto ciò che
avevamo ora non c’è più
Digli che ero felice
E che il mio cuore
è spezzato
Tutte le mie cicatrici sono
aperte
Digli che quello che speravo
sarebbe
Impossibile,
impossibile
Impossibile,
impossibile.
Si
costrinse a riprendere aria per riposare la voce che le si era
strozzata in gola nell’ultima strofa che, se non si fosse
controllata, avrebbe continuato a ripetere, ancora e ancora, come
l’allarme impazzito di una bomba a tempo che non sembrava
voler mai esplodere e abbandonare la desolazione per
ll’infinita attesa di rilasciare il proprio boato:
Disinnamorarsi è
difficile
Per un tradimento è
la cosa peggiore
Fiducia spezzata, cuore spezzato
Lo so, lo so
Non
potè non sorridere aspramente dopo la parola “tradimento”
e “cuore
spezzato” . Un’ilarità
grottesca che tre anni prima l’aveva fatta crollare in
ginocchio e in lacrime su un terrazzo freddo e silenzioso e che, dopo
tutto quel tempo, continuava a spingere contro le palpebre, a sfondare
le porte del suo cuore che era sicura di aver sprangato a
dovere.
Ma il dolore fluiva da
sotto la porta, soffiava dai cardini arrugginiti, colpiva il legno
marcio delle sue ante:
Pensa che tutto ciò
di cui hai bisogno è là
Costruire la fiducia
sull’amore e le parole
Le promesse vuote si
consumeranno
Lo so, lo so
Gonfiò
i polmoni di un’aria che sperava fosse pulita, leggera e
profumata, ma ciò che le impastò la bocca e le
annacquò i polmoni e la gola fu catrame, catrame denso e
appiccicoso che stentava a deglutire e che rendeva la sua voce
ingolfata come se facesse fatica a respirare :
Ed ora quando tutto
è finito
Non c’è
più niente da dire
E hai finito di
Imbarazzarmi
Puoi andare a raccontarglielo
da solo
Digli tutto ciò che
so adesso
Urlalo da sopra i tetti
Scrivilo sulla linea
dell’orizzonte
Tutto ciò che
avevamo ora non c’è più
Digli che ero felice
E che il mio cuore
è spezzato
Tutte le mie cicatrici sono
aperte
Digli che quello che speravo
sarebbe
Impossibile,
impossibile
Impossibile,
impossibile
Impossibile,
impossibile.
Non gridò,
non rantolò, non sussurrò, si limitò
ad accompagnare l’ultima strofa con ciò che
rimaneva dei frammenti di voce che aveva in gola, il silenzioso
mormorio di una bambina che cantilenava la filastrocca per scacciare
l’uomo nero.
Ma Musa sapeva che
sotto il suo letto non si nascondeva nessuna creatura delle
tenebre, ma era nel suo cuore ciò che la spaventava, che nel
sonno la tormentava come la peggiore delle punizioni, ricordandole che
non era stata capace di farsi amare come avrebbe voluto, che non era
stata abile a camuffare il proprio dolore per non doverne patire le
disastrose conseguenze.
L’applauso
venne dopo qualche attimo di silenzio, uno scroscio che come la prima
volta le toglieva il respiro e le inumidiva lo sguardo che
però tenne incollato al soffitto per non vedere e crollare
in lacrime, per scoprire la voragine sulla quale dondolava, sospinta
tra il ricordo e la veglia di un sonno che tardava a nascondere le
brutture della notte.
Durò
più di un minuto, ma Aidan si trovò a battere il
palmo sull’avambraccio quando con le dita corse ad asciugare
le lacrime che gli appannavano lo sguardo e rotolavano giù
dalle guance a bagnargli la divisa.
Le Winx non piansero,
si limitarono a guardare il soffitto che Musa fissava con
intensità, per non consentire alle lacrime di
cadere giù per la forza di gravità, col naso
all’insù, verso qualcosa di incolore e inodore che
potesse portare via con sé l’azzurro delle sue
lacrime e il blu dei suoi occhi lucidi.
Quando gli studenti
tirarono su col naso, influenzati dall’emotività
di quel canto, decisero di tornare nei propri dormitori per riposare.
Passando
dall’entrata del passaggio segreto però ,tutti
scambiarono l’uomo immobile, inghiottito nell’ombra
della colonna, per una statua vista l’immobilità e
la rigidità degli arti che la scultura torceva dolorosamente
sul petto,a coprirgli il volto.
E Riven
avrebbe voluto esserlo davvero.
Una statua, una
scultura plasmata in un corpo di marmo e cemento privo di suono, privo
di vista e udito, e avrebbe voluto perderli, tutti quei sensi,
ucciderli e rimanere cieco, sordo e privo di tatto per non sentire quel
mormorio che nella sua testa urlava, gridava la sua colpa, la
pateticità della sua vigliaccheria, che rideva della sua
paura di soffrire, del suo terrore di ciò che avrebbe fatto
felice Musa.
E non voleva vedere,
non quel viso inclinato verso l’alto, pallido e macchiato dal
blu dei capelli che però non distoglievano
l’attenzione da quella scia invisibile che nonostante gli
sforzi le inumidiva le guance.
Morire sarebbe stata
la scelta migliore, morire per espiare la sua colpa, per aver fatto di
Musa un involucro di dolore, pianto e disperazione.
Perché era
colpa sua, era sempre stata colpa sua, fin dall’inizio.
Perché
incapace di accettarla, di accettarsi e capire che forse il buio della
sua anima non poteva essere l’unico colore della sua vita,
che forse, la tavolozza del suo cuore poteva puntellarsi del blu dei
suoi occhi, del rosa dei suoi sorrisi, del bianco delle sue guance.
Eppure ora non vedeva
nessun colore eccetto il nero.
Nero, dentro e fuori.
Nero nel cuore. Nero
nel sangue. Nero nel grido taciuto in fondo alla gola che non avrebbe
mai potuto sfogare.
Non ne aveva diritto.
Non lo aveva mai avuto.
Continua…
Come promesso, anticipo sabato visto che le cose procedono per il
meglio, e l'ispirazione continua ad illuminarmi.
La canzone cantata da Musa non è ovviamente sua, ma
di Shontelle -
Impossibile , io ne ho solo preso la traduzione e
riportata, visto che è stata questa a ispirare il capitolo.
Ringrazio tutti per la lettura, e l'attenzione
Al prossimo aggiornamento Gold Eyes
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Capitolo 6 *** Monster ***
“The secret side of me
I never let you see.
I keep it caged,
But I can't control it.
So stay away from me
The beast is ugly.
I feel the rage,
And I just can't hold it!
“
[…]
“My secret side I
keep,
Hid under lock and
key.
I keep it caged,
But I can't control it...!
Cause if I let him out...
He'll tear me up, break me
down...
Why won't somebody come and
save me from this make it end...!
[…]
“I...! I feel like a Monster!
“
( Monster – Skillet )
I giorni di
convalescenza trascorsero velocemente, più rapidi di quanto
avesse potuto immaginare, e quando Musa riuscì a
muoversi senza mostrare troppo dolore si offrì come esca per
attirare il fantasma.
Riven aveva manifestato la propria contrarietà sibilando che
quella della fata fosse un’idea davvero stupida, ma
nonostante le lamentele degli specialisti e la preoccupazione delle
Winx, Musa fece quanto detto.
Salazar
però non si presentò mai, neanche una
volta, come se fosse scomparso nel nulla.
Eppure il silenzio dei
corridoi era diventato in qualche modo più tetro, grottesco,
inquieto con le pozze di luce create dalle fiaccole affisse alle pareti
che gettavano le ombre tremolanti delle loro ali sulla pietra bianca
dei soffitti.
Le ronde notturne
erano sempre più sporadiche, e le Winx si muovevano in
gruppi di tre per essere pronte a difendersi in caso di pericolo, ma
Salazar non si presentò mai, neanche quando Musa, presa
dalla frustrazione, urlò il nome dello stregone,
chiedendogli di farsi avanti, di mostrarsi a loro, ma Salazar sembrava
sordo persino alla sua voce.
E benché
quel problema le tenesse sufficientemente impegnate, fu
un’altra complicazione a dar loro un grattacapo in
più.
Tressa.
Non che la principessa
delle sirene non fosse stata una spina nel fianco fin dal loro arrivo a
Fonterossa, ma era diventata particolarmente arcigna e acida nei
confronti delle fate e specialmente, in quelli di Musa.
La guardiana si era
infatti trovata più di una volta a rispondere per le rime
alle frecciatine della sirena ogni qual volta ne incrociava lo sguardo,
e benché l’ovvia rivalità che Tressa
provava nei confronti di Musa giustificasse quell’aperta
ostilità, fu Sky a dissipare ogni loro dubbio.
A quanto pareva, Riven
aveva brutalmente minacciato la sirena di levare le tende e di non
farsi più vedere, un atteggiamento di palese
insofferenza che Helia non aveva condannato, sottolineando
che era stata sempre Tressa a mostrarsi in qualche modo legata
affettivamente allo specialista che, a quanto pareva, non
ricambiava quel suo morboso attaccamento.
Non che fosse una
novità il fatto che Riven cacciasse a pedate la propria
compagna di vita e di letto, ma Musa non potè impedire a se
stessa di esultare internamente per quella piccola vicenda.
Perché la
fata sapeva con certezza che lei e la sirena non potevano essere
comparate come vere e proprie rivali nella vittoria
dell’amore di Riven.
Lei lo aveva vinto,
una volta, anche se era durato meno di un battito di ciglia,
lasciandola con i polpastrelli bruciati per l’arroganza di
sfiorare la fiamma ardente del suo sguardo, mentre Tressa era stato
solo un passatempo.
Parole che lei non
aveva mai avuto l’ardire di pensare, ma che lo stesso
specialista aveva sibilato nel suo orecchio quel giorno in biblioteca.
Perciò il
pensarsi in qualche modo superiore alla sirena, più vicina
all’affetto di Riven e al suo cuore la fece
sorridere morbidamente prima che Stella le avvisasse di voler esplorare
la mensa.
- Io andrò
al piano inferiore – le urlò di rimando,
raccomandandole di gridare, se il Fantasma l’avesse
attaccata, ma ancor prima di imboccare la scalinata che conduceva alla
palestra un’ombra scura inghiottì il suo profilo
proiettato sulla parete.
Una lunga sagoma nera
che Musa fece appena in tempo a cogliere con la coda
dell’occhio prima di voltarsi velocemente con la mano
investita di una nota musicale esplosiva.
E quando il viso
di Tressa venne investito dalla luce delle lanterne la fata
rilasciò il fiato trattenuto con uno sbuffo nervoso.
- Mi hai spaventato!
– la accusò, con ancora il
cuore in gola, abbassando il braccio con un movimento nervoso delle
spalle.
Perché la
sirena continuava a fissarla in silenzio, con quegli occhi dorati che
parevano quelli di un gatto alla luce fioca dei corridoi, fissi e
silenziosi come un lago d’oro investito dal gelo
dell’inverno.
- Cosa fai qui ?
– continuò, sempre più innervosita
dalla staticità di quello sguardo e
dall’immobilità delle sue pupille, un
atteggiamento inquietante che portò Musa a compiere
inconsciamente un passo indietro.
Erano sole, in mezzo
ad un corridoio deserto, a notte fonda, con la possibilità
di essere attaccate da Salazar, ma Musa si ritrovò a pregare
per la venuta del Fantasma quando capì che chi aveva davanti
poteva diventare ancora più pericoloso, ancora
più letale.
Glielo dicevano quegli
occhi fissi e morti.
Glielo
gridò la sua testa quando la vide schiudere gli angoli della
bocca fino a toccare le ciglia, scoprendo una dentatura che pareva
inumana in quel sorriso statico.
- È colpa
tua – rantolò Tressa con una voce che Musa non le
riconobbe, ritraendosi ancora nel percepire il pericolo pizzicarle le
terminazioni nervose.
- È colpa
tua se lui non ha mai potuto ricambiarmi –
continuò cattiva la sirena, allargando le braccia con le
mani schiuse in artigli che si tesero in avanti per afferrare Musa, ma
la fata fu abbastanza accorta dal librarsi in aria e sfuggire a quella
presa di ferro.
- Sei tu la causa di
tutto ! – sibilò feroce, puntandole contro uno
sguardo folle che le gelò il sangue nelle vene.
Provò a
ritrarsi ancora, ma quando si sentì tirare giù
dalle unghie della sirena che erano affondate nella sua caviglia Musa
non potè che lanciare un urlo di dolore prima di venire
scaraventata con forza contro la parete.
Lo schianto le
portò via il respiro e la voce, ma quando Tressa
provò a caricarla con un pugno riuscì a rotolare
di lato per sfuggirle ancora.
- Cosa credi di fare ?
Uccidermi ? – gridò rabbiosa, udendo sopra la sua
testa i passi frettolosi dei compagni che dovevano aver udito
le sue urla, ma avrebbero impiegato troppo tempo per raggiungerla,
perciò Musa non potè che farsi forza e tornare in
piedi con sguardo duro nel venderla annuire con rabbia.
- E quale sarebbe la
mia colpa ? – la aggredì, allontanandola con
un’onda d’urto non troppo potente da ferirla.
Tressa
cascò a terra con un singhiozzo stizzito, tornando in piedi
con uno scatto nervoso che costò a Musa un ciuffo di capelli
quando la sirena provò ancora una volta a sfregiarle il viso
con le sue unghie.
- Il fatto che tu
esisti, ecco qual è la tua colpa.
Era impazzita.
Quello Musa lo
comprese con una lucidità sorprendente prima di sentire alle
spalle la voce di Stella e delle sue compagne.
Ma quando la fata
udì un sibilo sopra la sua testa, un sibilo animale, fece
appena in tempo a pararsi il viso con le braccia prima di sentire
l’urlo strozzato di Tressa e una presa decisa attorno alle
proprie spalle.
- Musa!
Quando la fata si
convinse ad aprire gli occhi impiegò qualche secondo a
realizzare la presenza di Tressa alla fine della scalinata dalla quale
qualcuno doveva averla spinta per difenderla, ma il respiro che Musa
sentiva tra i capelli era gelido e, soprattutto, rilasciava una patina
di ghiaccio che la fece trasalire per l’orrore.
Eppure non
c’era minaccia nel petto schiacciato contro la sua schiena, o
nel braccio che le cingeva le spalle, c’era silenzio, freddo,
e un insano senso di protezione rimarcato dalla mano che il Fantasma
abbandonò lungo il fianco con un sibilo sordo.
La mano con la quale
aveva allontanato la sirena per difenderla.
- Musa!
Stella la
voltò con l’ansia nella voce, rabbrividendo nel
sentire uno sbuffo gelato investirla, ma quando i suoi occhi
intravidero i tre solchi rossastri che si dilungavano sotto
l’occhio destro dell’amica sentì la
rabbia montarle dentro.
- Guarda cosa ti ha
fatto quella strega! – strillò rabbiosa,
tamponando il sangue dei graffi con uno stralcio del proprio vestito
prima che gli specialisti e il resto delle Winx li raggiungessero
trafelati.
- Cosa è
successo ? Cosa…
- Mi hai spinto dalle
scale – tuonò la voce di Tressa dabbasso,
richiamando l’attenzione di Riven, appena arrivato con il
fiatone e la spada pronta per sferzare l’aria.
E quando lo vide, la
sirena non potè che lanciare un uggiolio di dolore,
reggendosi la caviglia e urlando che Musa aveva tentato di ucciderla,
gettandola giù dalle scale.
Bloom fu la prima a
fulminare la principessa con uno sguardo di fuoco, ma Aisha non
potè che stringere le labbra per la stizza nel notare a sua
volta i graffi sul viso dell’amica.
- E ha fatto
più che bene, guarda cosa le hai fatto!
Bastò
quella parola, unita al gesto rabbioso del braccio della fata a far
scattare di lato la testa di Riven, attirato dalle dita leggere con le
quali Stella passava un batuffolo colorato sulla guancia pallida di
Musa.
E quando la fata
serrò gli occhi con un gemito di dolore Riven
sentì le orecchie fischiare nel notare la scia di sangue
sotto le palpebre.
Quando Tressa
riconobbe l’ombra incombente dello specialista sorrise
sollevata, il sollievo di un attimo prima che la mano
dell’uomo la tirasse in piedi con uno scatto secco, tanto
doloroso da rischiare di spezzarle il braccio.
- Ora tu vieni con me
– le sibilò ad una spanna dal volto, tirandola
ancora per farle male, per farle capire quanto quel gesto le sarebbe
costato caro, ma la sirena, terrorizzata da quello sguardo chiese di
essere portata dal preside per pretendere le sue scuse.
L’urletto
che lanciò nel venire trascinata malamente per i corridoi
fece alzare il viso a Musa, accerchiata dalle amiche che giustificavano
il suo gesto come semplice autodifesa, ma quando le avvisò
di non essere stata lei, a buttare la sirena dalle scale, non ebbe il
coraggio di dire loro chi fosse stato.
Non quando Salazar le
era davanti, alle spalle di Stella, con la bocca piegata in una posa
dura che ammorbidì non appena la vide sillabare un grazie
che nessuna delle Winx colse.
Non poteva.
Perché
avrebbe rivelato la presenza del Fantasma, e la fata sapeva che lo
avrebbero attaccato, ucciso pur di allontanarlo da lei, e lei non
poteva permetterselo.
Non quando lui
l’aveva protetta, difesa da colpe che non aveva e che
tornavano, sempre, a lasciare un segno indelebile sulla propria pelle.
°°°
- Spero che lei abbia
una spiegazione per questo.
Musa annuì
impercettibilmente davanti allo sguardo duro del preside Saladin,
affiancato da un’affranta Tressa che non smetteva di
uggiolare l’oltraggio ricevuto da una fata qualunque.
In realtà
le Winx avevano creduto di trovare un alleato nel vecchio mago, una
volta giunte nel suo studio, ma quando la principessa gli era crollata
davanti in preda alle lacrime e al suo status ferito il
preside si era ben visto dall’ andarle contro.
- Voleva uccidermi.
Faragonda
sobbalzò, sconvolta.
Le Winx trasalirono,
atterrite.
E gli specialisti
indurirono lo sguardo, irritati, ,mentre Riven
rafforzava la presa attorno all’elsa della spada che teneva
dentro la cintola.
Eppure Saladin non
fece una piega, limitandosi a sorriderle con sarcasmo e un pizzico di
ammonimento.
- Non le conviene
mentire.
- Non sto mentendo
– lo contraddisse prontamente, reggendo il suo sguardo senza
arroganza ma forte della verità delle sue parole.
- Si rende conto che
la sua è un’accusa grave ? Specialmente se rivolta
ad una principessa – la reguardì il mago con voce
dura, ma Musa trovò quella sua accondiscendenza verso la
sirena ancora più irritante, e non potè non
rispondere con altrettanta verve.
- Il fatto che sia una
principessa non la rende diversa da un’assassina qualunque.
Il suo status non giustifica le sue azioni, ma le condanna maggiormente
– ribattè piccata, incrociando lo sguardo furioso
di Tressa.
- E come potevo
ucciderti ? Con le mie unghie ? – la attaccò la
sirena con l’isteria nella voce, accucciandosi accanto al
mago per spiegare la sua versione.
- È stata
lei ad aggredirmi una volta accortasi della mia presenza. Mi ha colpito
con un’onda d’urto – e ruotò
il busto per scoprire sul fianco un livido violaceo – e poi
mi ha gettata dalle scale.
- Non sono stata io.
La sua lingua fu
più veloce della testa, e Musa non potè che
stringere le labbra per l’irritazione
nell’assistere alle reazione che si era immaginata.
Tressa aveva infatti
arcuato le sopracciglia con l’accenno di scetticismo,
immagine più blanda dell’increspatura sulla fronte
del preside, irritato dalla sua sfacciataggine.
- Il suo scherzo
comincia seriamente ad irritarmi – la riprese
mordace, fulminandola con occhi severi – osa ancora negare
l’evidenza ?
Musa non rispose, si
limitò a tenere il mento alto e gli occhi puntati lontano
per non incrociare lo sguardo di nessuno, per non scoprirsi e rivelare
più di quello che avrebbe dovuto dire.
Ma il mago era
scaltro, intuitivo, e quando la richiamò
all’ordine con un colpo di tosse la fata comprese di essersi
tradita.
- Se non è
stata lei, allora è stato il Fantasma non è
così ? Vi ha attaccate lui, vero ?
C’era
qualcosa di cattivo nella voce del preside, qualcosa di profondamente
ingiusto nello sguardo accusatore e impietoso che le rivolgeva, ed
anche se non era lei, la causa di
quell’impetuosità, si sentì
personalmente coinvolta.
- Salazar sa essere
molto astuto, e avrà di sicuro provato a farvi del male
visto che lei poteva vederlo, non è vero ? –
continuò il mago con voce sempre più cupa, bassa,
intrisa di rancore e un qualcosa che Musa non comprese ma non
accettò.
- No.
- No ? – la
interrogò con gli occhi serrati sul volto grinzoso
– No cosa ?
- Lui non ci ha
attaccate – prese una lunga pausa, perché quello
che stava per confessare li avrebbe sorpresi, come lo era stata lei
nell’apprendere la verità.
- Lui mi ha solo
difeso.
La risata di Saladin
risuonò bassa e vibrante per tutto lo studio, volando sulle
loro teste come una cappa di tensione che Musa scrollò di
dosso con un gesto irritato delle spalle prima di sentirsi puntare
addosso lo sguardo divertito del mago.
- Difeso ? Salazar , il
ladro di anime, ti avrebbe difeso ? O mia cara, la tua fantasia non fa
che sorprendermi.
- Non è
fantasia, è la realtà – lo
rimbeccò, arrabbiata, frustrata da quello scetticismo che
cominciava a darle sui nervi.
Saladin la
zittì con un gesto secco della mano, lanciandole uno sguardo
raggelante che le strappò un sussulto sorpreso.
- Non essere sciocca.
Quello stregone non è capace di provare pietà per
nessuno, perché dovrebbe provarla per una piccola fata come
te ?
- Adesso stai
esagerando Saladin – si fece avanti Faragonda con il viso
paonazzo, accostando la sua ex studentessa.
- Musa sta solo
cercando di spiegarsi – la difese prontamente la donna, come
aveva sempre fatto con le sue amate allieve, ma la fata non si
risentì di quel discorso, della poca intelligenza che il
mago le stava attribuendo.
- E chi le dice che
non può provarla ?
- Musa non
… - provò ad interromperla Bloom, preoccupata dal
rossore che stava cominciando ad imporporare le guance
dell’amica.
- Chi le dice che non
sia buono anche lui ? Lei lo avrà anche conosciuto in
passato, ma se è davvero tanto potente perché non
mi ha subito ucciso ?
Le Winx trasalirono
all’ultima parola, spaventate dalla gravità di
quanto detto dalla guardiana, sempre più infervorata, sempre
più cocciuta e ferma sulle proprie posizioni.
- Se è
crudele come lei dice, perché mi avrebbe difeso ?
- E da cosa ti avrebbe
difeso ? Dalla furia di una ragazza con le unghie affilate ?
– la prese in giro il preside, stanco di quello sproloquio
senza senso, e fu l’ennesimo sfoggio di diffidenza a farle
alzare lo sguardo sull’ombra che in silenzio assisteva alla
loro battaglia verbale.
Quando Musa
osservò Salazar lo vide alzare un braccio verso il
capo, indicando con eleganza la propria fronte prima di tendere il
braccio e additare Tressa e la sua, di testa.
E ricordò
il sibilo animale che aveva udito prima di chiudere gli occhi, il verso
che sembrava essere sbucato dai capelli della principessa e dalla
variopinta fascia che le adornava i capelli.
Agì
d’impulso.
L’urlo di
Tressa fece sobbalzare Saladin e Faragonda, ma quando i due si
voltarono, si scoprirono entrambi basiti di fronte alla fata della
musica che strattonava con rabbia i capelli della ragazza.
- Cosa credi di fare ?
– strillò isterica la sirena, provando in qualche
modo ad allontanarla da sé, ma Musa le rifilò un
pugno nello stomaco per stordirla il tempo necessario da afferrare la
fascia che tirò indietro con uno strattone.
E quando la
fata zoppicò all’indietro, ondeggiando su se
stessa per lo spintone della principessa sgranò gli occhi,
orripilata, nel risentire il sibilo vicino, troppo vicino.
Nabu riuscì
appena in tempo ad afferrarla per la vita e schiaffeggiarle la mano per
liberare il serpente che, sfuggito alla presa della fata
tentò di scappare, inutilmente, quando la spada di Riven gli
tranciò la testa di netto.
- Da quello. Ecco da
cosa mi ha difeso – rantolò con voce strozzata
Musa, ancora troppo sconvolta per alzare lo sguardo da terra,
stringendo inconsciamente il braccio di Nabu che osservava con
incredulità il rettile.
- Cosa ci facevi con
un serpente di corallo nei tuoi capelli ?
Tressa
indietreggiò con un sussulto quando Aisha la
sovrastò in tutta la sua altezza, afferrandola bruscamente
per la spalla così da farsi guardare negli occhi.
- Allora ? Credi non
riconosca un rettile di Andros, Tressa ? Sai che i serpenti coralli
possono uccidere una fata, vero ?
Flora si
coprì la bocca, bianca in volto, nell’udire la
confessione dell’amica, e quando Musa capì davvero
cosa avesse rischiato fissò Salazar con iridi lucide di
incredulità.
Le aveva salvato la
vita.
Salazar le aveva
salvato la vita.
- Io … non
è stata colpa mia – piagnucolò la
sirena con voce piccola, stringendo le palpebre quando sentì
lo sguardo irritato della fata della musica su di sé
– è colpa sua se Riven non mi vuole più.
Lo specialista che era
rimasto con tutto il peso poggiato sulla spada piantata nel terreno le
riservò un’occhiata raggelante, abbozzando un
passo che la voce di Saladin bloccò quando il preside gli
ordinò di stare al suo posto.
- Cosa crede dovrei
fare ora, principessa Tressa ? –le chiese il mago con voce
dura, non potendo più negare l’evidenza, ma fu
nuovamente Musa a interromperlo e suggerire la soluzione.
- Se è
davvero così decisa a sfidarmi, perché non in un
duello magico ? – le propose la fata con occhi seri,
scivolando dalle braccia di Nabu per fronteggiare la sirena con le
spalle ritte – se sei così intenzionata a
rivaleggiare con me, perché non in un combattimento ?
La sirena
ingoiò l’ennesima umiliazione con lentezza,
alzando lo sguardo per mostrarsi autoritaria e battagliera, convenendo
che si, duellare con la fata le avrebbe risparmiato una punizione
peggiore di quella di essere rinchiusa nelle celle di Fonterossa. E
chissà che non l’avrebbe potuto ferire
maggiormente, con la propria magia.
Perciò
annuì, lanciando un’occhiata interrogativa al
preside Saladin che soffiò la propria stanchezza in un
sospiro pesante.
- E sia.
°°°
- Sembra di essere ad
una partita di calcio.
- Una partita di che ?
Bloom sorrise a Tecna
e al suo sguardo confuso, facendole posto accanto a sé
mentre gli spalti dell’arena di Fonterossa cominciavano a
pullulare di studenti eccitati.
- Credete davvero sia
stata una buona idea lasciarla combattere da sola ? – chiese
Flora alla sua destra, osservando Musa trasformarsi sotto lo sguardo
estasiato di una buona manciata di specialisti.
- Non so se lo sia,
però mi fido del suo giudizio, e se ha deciso di combattere,
allora le darò tutto il mio sostegno!
- Ben detto Bloom!
- Vai sorella!
– urlò Brandon con il pugno alzato in segno di
vittoria, facendo sorridere la fata che si guardava intorno per
prendere dimestichezza con l’ambiente.
Il campo era sterrato,
privo di erba o spuntoni sulle quali potessero ferirsi, ma la fata non
aveva bisogno di chissà quale accorgimento
naturale per utilizzare appieno i suoi poteri.
Le sarebbe bastato
l’aria e la potenza della sua voce, non aveva bisogno di
altro.
Scacciò con
una mano la ciocca asimmetrica che le solleticava la tempia, osservando
di sottecchi gli spalti, in cerca dell’uomo che
trovò appena più in basso delle Winx, accanto
all’entrata, lo specialista che pareva guardare tutto
fuorchè lei.
- Paura ?
La voce di Tressa
rimbombò per l’arena quando diede aria alle corde
vocali, torcendo il collo con un sorriso divertito che non
indispettì Musa, non come la sirena avrebbe voluto almeno.
Perché la
fata sembrava più tranquilla di quanto si sarebbe aspettata,
quasi fosse sicura di batterla senza problemi, ma era pur sempre una
principessa, e il suo dominio sull’acqua l’avrebbe
fatta vincere su quella patetica fatina dagli occhi blu.
- Sei così
spaventata da non riuscire a parlare vero ? –
rincarò acida, battendo il piede per la stizza quando la
guardiana di Magix preferì ruotare il busto in una piroetta
aggraziata che fece sospirare Aidan e la combriccola di amici a lui di
fianco.
- Chi credete che
vincerà ? – domandò il più
basso di loro, ricevendo in compenso una gomitata che gli tolse il
respiro.
- Che domande! Musa
ovviamente, non ci sono dubbi ! – ringhiò lo
specialista dai capelli verdi con sicurezza, agitando la mano per
attirare l’attenzione della fata, e quando la guardiana lo
vide gli fece un occhiolino che gli inondò il viso di un
eccesso di rossore.
- Invece di
circuire i miei studenti, dovresti concentrarti sul duello.
Quando la voce di
Riven le giunse fin troppo chiara e limpida Musa pensò di
averlo immaginato, ma quando, nel voltarsi, scorse il profilo
irregolare del suo volto non potè che raggrumare le labbra e
agitare le ali.
- Non preoccuparti,
non le farò troppo male – abbaiò
scontrosa, irritata dal pensiero che si fosse avvicinato a lei solo per
raccomandarle di non fare troppo male alla sirena, ma più
lui si mostrava interessato a Tressa, più la sua magia si
sarebbe fatta feroce, recalcitrante come la nota più ribelle
dello spartito.
Udì un
sospiro dietro di sè prima di sentire le mani di Riven
poggiarsi sulle spalle, in una carezza appena accennata che la fece
irrigidire per la sorpresa.
- Sai che non sono
preoccupato per lei. Per quanto mi riguarda, potresti liberamente
sfigurarla. Intendevo di fare attenzione, Tressa è
un’ottima combattente.
Smorzare
l’istinto di allungare una mano per toccare la sua le
costò fatica, davvero molta
fatica, ma lo sguardo stizzito della sirena a lei di fronte
riuscì a ripagarla dei suoi sforzi.
- D’accordo,
farò attenzione – gli promise, un po’
insicura, ma le mani non si spostavano da lei.
- È qui
vero ?
La domanda la colse in
contropiede, ma Musa conosceva a mena dito l’irritante
intuitività di Riven, e non potè che annuire,
accennando con il capo alla parte più alta degli spalti
quando lo specialista le chiese dove Salazar si trovasse.
- È stato
lui a dirti del serpente vero ? Ti ho visto guardare il vuoto prima di
avventarti su Tressa.
Mentire a quel punto
sarebbe stato inutile, specialmente con Riven, e Musa non
potè che annuire nuovamente e sentire le mani callose dello
specialista serrarsi attorno alle sue spalle con più forza.
- Devi fare
attenzione.
La fata
capì a cosa si stesse riferendo in quel momento, ma non gli
assicurò nulla, si limitò ad avvicinarsi al
centro dell’arena, lasciandosi alle spalle uno sguardo cupo
che la seguì per tutto il tragitto.
E quando furono una di
fronte all’altra Saladin richiamò
l’attenzione della platea, battendo il bastone per dare
inizio al duello.
Ancor prima di poter
capire da quale parte muoversi una sferzata d’acqua gelata la
colpì al fianco, sbilanciandola all’indietro prima
che una seconda, ancora più forte e densa la colpisse alla
spalla, costringendola ad affondale le mani nel terriccio per non
rotolare a terra.
- Se speri che sia
magnanima ti sbagli di grosso – le sibilò Tressa
ad una spanna dal volto, sfiorandole la ciocca strappata dal Fantasma
con un sorriso mellifluo – ti ridurrò a
pezzettini. Non mi risparmierò.
- Neanche io se
è per questo – le rispose con altrettanta ferocia,
allontanandola con un’onda d’urto che la respinse
di qualche metro prima cha una colonna d’acqua la
risollevasse dolcemente.
Proprio come aveva
accennato, Tressa non si risparmiò, neanche con i colpi
bassi.
E quando le
gettò una manciata di terra negli occhi nel risollevarsi da
terra Brandon e metà degli spettatori non poterono che
urlarle contro di giocare sporco.
- Dannazione !
– esalò lo specialista nel tornare a sedere con un
grugnito.
Perché Musa
non sembrava riuscire a contrattaccare, limitandosi a parare, scartare
ed evitare ogni attacco di Tressa, ma tra loro solo Tecna sorrideva di
cuore, muovendo il piede ad un ritmo immaginario che attirò
l’attenzione di Bloom e delle Winx.
- Che cos’
è ?
La fata della
tecnologia smise di agitare la testa quando udì la voce
confusa dell’amica, distogliendo l’attenzione dai
movimenti fluidi e secchi di Musa per prestare attenzione
all’espressione arcigna di Brandon e Stella.
- Ti sembra il caso di
essere così felice ? Musa sta perdendo – la
accusò mordace la principessa di Solaria, spalleggiata dal
compagno che lanciò l’ennesimo ringhio infastidito
quando l’amica rotolò per tutta l’arena
sotto uno sparo d’acqua ghiacciata.
- Al contrario, Musa
sta vincendo alla grande – li contraddisse orgogliosa,
riprendendo il movimento secco del piede per riallacciare il tic tac dei
tacchi sugli spalti.
- Stai scherzando non
è vero ? – la aggredì Stella, paonazza,
ma quando l’amica negò col capo, fischiettano la
stessa nenia di poco prima Bloom non potè che chiederle
nuovamente di cosa si trattasse.
- Me lo ha insegnato
Musa, è un ballo particolare dove l’uomo insegue
la donna nella danza, fronteggiandola e toccandola con la spalla
– spiegò paziente, sorridendo nel vedere la fata
della musica disegnare un arco perfetto nell’evitare
l’ennesimo colpo della sirena.
- E saperlo
potrà esserci utile ? – le chiese Flora, curiosa,
ricevendo uno sguardo saputo dalla fata.
- Certo, se volete
capire perché Musa vincerà questo duello.
Rimasero in silenzio
per un altro istante, per racimolare le idee e capire a cosa
l’amica si stesse riferendo prima di sentire la voce di Musa
lanciare un acuto che colpì Tressa sotto forma di
un’esplosione sonora che la spedì in un impatto
doloroso contro gli spalti.
Aidan socchiuse gli
occhi per la sorpresa di vedere la sua beniamina tornare in piedi in
mezzo al capo oramai disseminato di pozze d’acqua, e non
potè che schiudere le labbra per la sorpresa nel vederla
battere le mani sopra il petto con gesti secchi, intervallati dal suono
acuto della sua voce.
E Bloom non
potè non far saettare lo sguardo da Musa al
movimento del piede di Tecna, riconoscendo lo stesso ritmo.
- Sapete che il suono
viaggia più velocemente nei fluidi che nell’aria
vero ?
- Certo.
- È lo
stesso principio. Musa sta trasferendo la sua magia
all’interno dei mezzi che userà per propagare le
sue onde sonore e trasformarle in mine esplosive.
-E dove … -
iniziò Stella con voce bassa, schiudendo le labbra mano a
mano che i suoi occhi si sgranavano per la sorpresa.
Eccoli i mezzi di Musa.
L’enorme
quantità di pozze d’acqua che la sirena aveva
aperto nel terreno inseguendo la fata.
E le Winx capirono il
perché di quel ballo, come Tressa avesse interpretato
l’uomo che insegue la donna che lo rifugge, in una danza che
ora la vedeva ferma in mezzo a migliaia di piccole bombe sonore che
Musa era pronta a far saltare.
- Geniale –
le riconobbe Timmy, scambiando un’occhiata orgogliosa con
Tecna che osservava assieme i compagni il battito di Musa.
- Cosa stai facendo ?
– urlò la principessa nel tornare in piedi,
scostando i capelli zuppi dalla fronte per fissare la fata che le
rivolgeva un sorriso sottile.
- Mi stai prendendo in
giro ? – la riprese, furiosa, correndole in contro per
assalirla con un muro d’acqua prima che
il suo piede affondasse in una pozzanghera.
E fu il caos.
Lo scoppio della prima
mina sonora investì la sirena con ferocia, facendola
crollare all’indietro, in un’altra pozza che
scoppiò al contatto con la caviglia, e così
continuò.
Testa.
Spalla.
Ventre.
Tressa si
ritrovò a terra ancora e ancora, schiacciata dalla pressione
delle onde sonore che le aprirono ferite in viso, sulla spalla, sulle
gambe, ma il sorriso di Musa non spariva, né il battito
delle sue mani.
E quando la fata
cominciò a muovere i primi passi, ruotando il busto e
alzando la voce per imprimere una vibrazione maggiore nelle mine la
danza ricominciò.
Gamba.
Fronte.
Mano.
E ancora e ancora. Un
volteggio, una piroetta e un’arabesque seguiti
dall’ennesimo boato.
Poi ci fu la
rivincita, la restituzione di quel graffio sotto l’occhio che
Musa aprì sul viso di Tressa quando le fu abbastanza vicina
da rifilarle un pugno con il quale la sirena cadde atterra, senza
più rialzarsi.
Gli studenti esplosero
in vere e proprie acclamazioni di giubilo che Musa
accettò con un sorriso prima di voltarsi verso Riven e
aprire la mano in una posa di vittoria che lo specialista accolse con
un mezzo sorriso.
Poi accadde
l’impensabile.
Quando Tressa
riuscì a inginocchiarsi con un ringhio frustato nessuno
sembrò notarla, nessuno all’infuri di Tecna che
non l’aveva persa di vista per un secondo, e quando la fata
urlò all’amica di fare attenzione Musa fece appena
in tempo a voltarsi prima che la freccia d’acqua solida si
conficcasse nella testa della sirena quando l’arma
cozzò contro un muro invisibile che aveva difeso la fata
della musica.
E l’orrore
di vedere il corpo privo di vita della principessa crollare a terra in
una pozza di sangue zittì ogni loro esclamazione, uccise
ogni loro esultanza, generando il panico.
Musa fissò
quel corpo con orrore, bianca in volto, guardandosi le mani come per
cercare la causa di quel fenomeno, ma non era stata lei a farle quello,
non era stata lei.
- Non sono stata io
– sussurrò debole, guardando Riven con le lacrime
agli occhi per l’incredulità.
Ma lo sguardo sorpreso
che l’uomo le rivolgeva la colpì come uno schiaffo.
- Non sono stata io
– ripeté senza voce, indietreggiando quando lo
vide estrarre la spada e puntargliela contro, come se volesse ferirla.
Come se volesse ucciderla.
- Allontanati da lei
! – gridò Riven con voce tagliente, ma quando una
mano la tirò indietro, facendola cozzare contro un petto
forte e gelido capì che non era per lei quella spada, non
erano per lei gli sguardi orripilanti degli specialisti, nè
i gemiti strozzati delle Winx.
Erano per Salazar, per
il fantasma che ora tutta Fonterossa vedeva, il Fantasma che
la abbracciava con una poggiata sul ventre e un’altra
accostata alla sua bocca.
- Arya.
La voce cupa di Riven
passò in secondo piano quando Musa riuscì a
comprendere il sussurro incomprensibile di Salazar, quel lamento
struggente che la teneva sveglia la notte.
Un nome di donna.
Il nome che il
Fantasma le ripetè contro la tempia, tenendola stretta e
ammorbidendo la voce ad ogni suo sussulto, ad ogni suo respiro
affannoso.
Arya.
Era lei quella che
Salazar cercava, che chiamava all’infinito.
Era lei che dovevano
cercare.
- Via da lei!
Il primo colpo
rimbalzò su una patina impalpabile che aveva difeso
entrambi, ma quando la spada di Riven riuscì a trapassare la
barriera la sua mano fu veloce, le sue dita forti, il suo sguardo
feroce.
Quando Salazar
indietreggiò con il fianco ferito Musa osservò il
suo grottesco ondeggiare seppellita tra le braccia dello specialista,
bloccata da un braccio dell’uomo che rischiava di spezzarle
le costole per quanto la stingeva.
Un fascio di luce
scarlatta lo colpì alla spalla, portandolo ad accucciarsi
con una mano al petto, ma il Fantasma non aveva mai distolto lo sguardo
da lei.
E Musa potè
vederli per la prima volta, gli occhi ametista che non avrebbe mai
dovuto guardare, per proteggere la sua anima.
Ma non ci
trovò nulla di diabolico, di cattivo in quello sguardo, solo
disperazione, una cupa disperazione che le trasferì una
sensazione di disagio per quello sguardo che non la lasciava andare.
- Sparisci
!– tuonò la voce di Saladin quando alzò
il bastone contro Salazar, e questa volta il Fantasma non
potè che ritirarsi, non prima di averle lanciato
l’ennesima occhiata e l’ennesimo sussurro che
inghiottì nello sguardo, nel cuore, prima che il silenzio
tornasse a regnare per l’arena.
- Musa!
- Ti ha ferita ?
- Stai bene ?
Le domande delle Winx
le giunsero come sussurri concitati mentre Saladin e Faragonda
osservavano il corpo senza vita di Tressa poco più in
là.
L’aveva
uccisa.
Salazar l’aveva uccisa per proteggerla.
- Arya.
Helia
sembrò irrigidirsi al suo fianco quando sussurrò
quel nome, ma la reazione più sconvolgente l’ebbe
il preside, teso come una corda di violino, il volto grinzoso contratto
in una smorfia incredula.
- Cosa hai detto ?
Musa
deglutì a vuoto, stringendosi a Riven per sopperire al
disagio di sentirsi osservata da quegli occhi scuri e inorriditi, come
se avesse appena maledetto qualche divinità.
- Mi ha chiamato Arya
– confessò flebile, avvertendo distintamente
l’orrore risalire ad unghiate su ogni tratto di quel viso
anziano, incupendo ogni ruga, approfondendo ogni ferita di guerra.
- Dovete andarvene. Ora.
Era un ordine, un
comando irrevocabile, ma nessuno di loro capì
l’urgenza, non Musa, non quando aveva finalmente scoperto chi
Salazar cercasse, chi avrebbe potuto aiutarli.
- Io …-
provò a contraddirlo la fata, ma lo sguardo di Saladin le
tolse la voce, il coraggio, la speranza di essere capita.
Persino Riven parve
irrigidirsi, contrarsi contro la sua schiena di fronte a quello sguardo
selvaggio, crudele e imparziale come il più severo e feroce
dei giudici.
- Il mio è
un ordine, giovane fata. Dovete scappare. Ora, se non vuoi
essere massacrata.
Fu brutale,
più feroce di ogni altra volta, di ogni altro monito, ma
qualcosa in fondo a quello sguardo li avvertiva che quella fosse la
possibilità più vicina a loro.
Che Musa venisse
massacrata, brutalmente.
Riven la strinse con
forza, come a nasconderla da quelle parole che le avevano fatto perdere
colore al viso, ma non la voglia di contraddirlo, quella non sarebbe
mai passata.
- Ma è lei
che cerca, lei può aiutarci! Lei potrebbe
…
- No, Musa –
la interruppe Helia con voce grave, abbassando il capo quando Flora gli
lanciò un’occhiata confusa – non
può aiutarci.
- Perché ?
- Perché
mia sorella è morta, giovane fata- sibilò Saladin
con voce grave, spenta - È stata uccisa da Salazar quando
lei lo ha rifiutato, lui e la sua ossessione per lei.
Uno schiaffo avrebbe
fatto meno male, l’avrebbe fatta sentire meno sbagliata, meno
ingenua, ma l’orrore era lì, a pochi passi da lei,
la follia sulla guancia segnata dai graffi, la paura nel suo sguardo
blu velato di ansia.
Perché
Salazar il ladro di anime l’aveva scambiata per il suo
vecchio amore.
Lo stesso amore che
aveva brutalmente ucciso, una volta respinto, e qualcosa le diceva che
lui non avrebbe smesso di cercarla, non con lei che pareva somigliarle
tanto.
E l’avrebbe
trovata prima o poi, ma non avrebbe potuto aiutarlo, non come avrebbe
voluto.
Aveva fallito, ancora
una volta, prima incora di cominciare a provare.
- Non piangere.
Quasi non si accorse
delle mani di Bloom sul suo visto, dello sguardo atterrito delle amiche
sul suo ventre rivestito di ghiaccio, nulla.
Né la
stretta rigida e soffocante di Riven.
Non lo sguardo
apprensivo di Faragonda.
Era divenuta sorda
alle loro parole, muta alle loro domande, cieca alle loro espressioni.
Perché
quella voce continuava a chiamarla con un nome non suo, con voce rotta,
una voce che non avrebbe potuto aggiustare.
Bassa e incrinata come
un vecchio cuore ammaccato.
Il cuore che ancora
una volta sentì volare al centro dello stomaco, in silenzio,
ma con l’annichilente tic tac delle lacrime che non riusciva
più a fermare.
Quelle lacrime che non
erano mai per lei.
Continua…
Ringrazio per la lettura e l'attenzione,
Al prossimo aggiornamento.
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Capitolo 7 *** Never Surrender ***
“Do you know what it's like when
You're scared to see yourself ?
Do you know what it's like
when
You wish you were someone else
Who didn't need your help to
get by
Do you know what it's like
To wanna surrender
[…]
“Do you now what
it's like when
You're not who you wanna be
Do you know what it's like to
Be your own worst enemy
Who sees the things in me I
can't hide
Do you know what it's like to
wanna surrender “
[…]
“I wanna feel better
Stay with me here
And never surrender”
( Skillet – Never
Surrender)
Guardarsi allo
specchio non avrebbe dovuto farle tutta quella paura.
Vedere il proprio
riflesso non avrebbe dovuto scatenare tanti respiri strozzati
alle sue spalle.
Fissare i propri occhi
blu non avrebbe dovuto farle venire un groppo in gola per
l’angoscia.
Eppure Musa non
potè che chiudere le palpebre con un sospiro pesante,
irrigidendo il sorriso che si era sforzata di far sembrare gentile
prima di abbandonare il braccio lungo il fianco e nascondere con
l’ombra dei polpastrelli la foto rovinata che Helia le aveva
teso qualche ora prima.
L’immagine
sbiadita di una donna con i suoi capelli e i suoi occhi, ma di qualche
anno più vecchia.
- Dovremmo seguire il
consiglio del preside.
Tecna seppe con
certezza di aver sorpreso Musa, di averla ferita, ma
ritrovò nel resto delle compagne l’assenso e la
positività che cercava, perché affrontare un
Fantasma le aveva atterrite, all’inizio, le aveva rese
battagliere con l’andare del tempo, ma sapere che il
Fantasma vedeva nella loro migliore amica l’amore
ucciso in gioventù era qualcosa più grande di
loro, di Musa.
- Sai che lo dico per
il tuo bene – tentò di
rabbonirla nel vederla abbassare lo sguardo con un gesto infastidito
del capo, ma Tecna non poteva accettare la loro presenza lì,
a Fonterossa, non più se vi era la
possibilità di vedere la fata spirare tra le sue braccia.
- Musa, cerca di
capire … - le diede man forte Flora, preoccupata quanto e
più dell’incolumità
dell’amica, ma la fata non le diede tempo di finire,
chiedendo aiuto ad Helia con lo sguardo.
Ma lo specialista non
poteva aiutarla, non su quello almeno.
- Mia nonna
è sempre stato un argomento che la mia famiglia preferiva
evitare – confessò dispiaciuto, riprendendo dalle
mani della Winx l’unica fotografia che avesse mai avuto di
lei.
Sua nonna Arya era
stata una fata gentile e altruista, glielo aveva raccontato suo padre
quando era ancora molto piccolo, nonché la donna
più forte della Compagnia della Luce, ma il suo passato si
faceva vacuo con l’arrivo dell’età
adulta, così come i racconti della sua morte che nessuno
amava riesumare.
Non quando la sua
uccisione aveva scavato una ferita profonda nel cuore di suo padre e di
suo nonno.
- Non l’ho
mai conosciuta, tutto ciò che ho di lei
è questa foto.
Musa
accettò quelle informazioni con un respiro stanco,
osservando la propria immagine con rinnovata preoccupazione, con
angoscia, ma la sensazione di quelle mani sulla sua guancia non era
svanita, neanche quando Salazar si era dileguato.
La fata riusciva
ancora a sentire i polpastrelli gelidi sui graffi che pian
piano parevano cicatrizzarsi, ma rimaneva l’immagine di
Tressa stesa in una pozza di sangue a rammentarle che quello non era
più un gioco.
Perché
Salazar la credeva la fata che in passato aveva amato e poi ucciso
brutalmente, un destino che sembrava attendere anche lei se non fosse
scappata da Fonterossa a gambe levate.
Eppure Musa non voleva
fuggire, voleva solo capire, comprendere, perché quegli
occhi le fossero sembrati così addolorati, così
disperati in una ricerca senza fine, gli occhi di un uomo innamorato,
non di un crudele assassino.
- Due giorni,
lasciatemi solo due giorni per trovare la prova che mi serve. Vi prego.
Le Winx parvero
tentennare, titubanti sull’idea di lasciarla scorrazzare con
Salazar che girovagava liberamente per i corridoi, ma questa volta fu
Riven ad intervenire, con loro sorpresa, schiodandosi dalla parete
contro la quale era rimasto in silenzio, a braccia conserte.
- Io verrò
con te – affermò duro, fissando Musa con occhi
severi.
- Va bene.
- Dappertutto
– continuò mordace, sovrastandola con tutta la sua
figura – In.ogni
.Momento.
E Riven fece
quanto detto, eccome se lo fece.
Nei due giorni
pattuiti con le Winx divenne l’ombra di Musa, la presenza
costante dalla lama tesa che la seguiva nell’inutile
esplorazione dei sotterranei, nella meticolosa ricerca di notizie
riguardanti Arya, ispezionando ogni angolo, ogni anfratto,
ogni sgabuzzino dal quale, a sua parere, poteva uscire
l’assassino pronto a tranciarle la testa.
Un lavoro da
guerriero, pignolo e attento ad ogni suono, rumore, respiro che
attorniava la fata, ma quando il cigolio del letto
accompagnò il movimento nervoso con il quale si era girata
di fianco, Stella non potè che trovare snervante tutta
quella situazione.
- Basta ! Non ce la
faccio più !
Flora
sobbalzò nel sentire la compagna di letto scattare a sedere
con i capelli sconvolti dalle mani che ogni quarto d’ora vi
passava in mezzo, destando dal sonno l’intero dormitorio
femminile.
L’unica a
non sembrare sorpresa dall’uscita isterica della principessa
era Musa, incollata alla parete per sfuggire ad uno sguardo che persino
nel sonno continuava a vegliare su di lei.
- Ora basta! Non
riesco a dormire! Ed è tutta colpa tua ! –
sbraitò fuori di sé la principessa di Solaria,
incenerendo la figura inghiottita dalle tenebre che accostava il letto
della fata della musica.
E quando Riven si
degnò di fissarla, si limitò a schiudere le
labbra in un ringhio sommesso.
- Si ! Proprio a te mi
riferisco! Non credi di stare esagerando ? Se non lo hai notato noi
siamo in cinque, e siamo capacissime di difenderla – gli fece
notare la fata con un diavolo per capello, battendo i pugni sulle
lenzuola quando lo specialista la incenerì con quegli occhi
viola che al buio parevano spilli incandescenti.
- Dormi –
le ringhiò addosso, invitandola con un gesto secco della
testa a tornare giù prima di torcere il collo indolenzito e
sistemare meglio la spada poggiata contro la spalla.
- E come credi che
possa farla con te qui ?
- Girati
dall’altra parte – la liquidò allora con
voce secca, scattando a sedere quando Musa frusciò via dalle
lenzuola, mettendosi seduta sul materasso.
- Dove vai ?
– le brontolò di fianco Tecna, rotolando sul letto
per afferrarle il braccio, ma la fata aveva capito che avrebbe passato
la sua ultima sera a Fonterossa con le urla di Stella come
ninna nanna se non avesse fatto qualcosa.
- Devo andare in bagno.
Una scusa come
un’altra per allontanarsi, ma al morbido passo dei
suoi piedi nudi seguì un timbro sordo, lo schioppo degli
stivali che le si erano affiancati in un battito di ciglia, e non ci fu
bisogno di scoprirlo vicino a sé, perché lei
sapeva che lui non l’avrebbe lasciata andare.
- Non vorrai
accompagnarla spero ! – gli urlò contro Stella con
voce incredula – è alla fine del corridoio!
- Ti ho detto di
dormire – la rimbrottò Riven con acredine,
seguendo Musa che sgattaiolò silenziosa fino
all’uscita, e quando l’aria fresca le
gettò addosso una sensazione di libertà, fu il
calore improvvisamente piombato alle sue spalle a farla sobbalzare per
la sorpresa.
Ma Riven si era subito
allontanato, tornando al suo posto e fissando davanti a sé
con la mano stretta attorno all’elsa della spada che non
aveva mai abbandonato, ma Musa sapeva di non aver bisogno del suo
mantello, o della sua ingombrante compagnia.
Aveva bisogno di stare
sola, con i suoi pensieri e quella sensazione di soffocamento che
l’aveva portata a fissare il soffitto ad occhi
sbarrati, per ore.
- Non dovevi andare in
bagno ?
Musa non avrebbe mai
pensato, neanche dopo tre anni di lontananza, che avrebbe
imparato ad odiare la voce di Riven, non con
quell’intensità almeno, ma eccola lì, a
piedi nudi, in mezzo ad un corridoio deserto, con il viso congestionato
dalla rabbia e l’uomo che aveva agognato avere accanto da
quando era poco più che un’adolescente spaurita
lì dove avrebbe sempre voluto trovarlo.
- Voglio stare un
po’ sola.
- Non puoi.
La stretta al polso le
fece male, tanto che la fata fu costretta a mordersi le labbra per non
gemere dal dolore, ma Riven pareva sorpreso dallo schiaffo che aveva
fatto in tempo a parare, grazie ai suoi ottimi riflessi,
Eppure avrebbe voluto
schiaffeggiarlo, urlargli di lasciarla in pace, perché era
triste, disperata, e confusa da quello che provava, da quella
pietà che non avrebbe dovuto sentire per Salazar, per
l’empatia che la rendeva succube di un malessere non suo.
Perché non
avrebbe dovuto sentirsi in quel modo, avrebbe dovuto avere paura, come
ogni persona normale, temere per la propria vita, ma tutto
ciò che Musa sentiva nel petto era l’angoscioso
sentore di qualcosa che è sul punto di crollare.
E non
l’avrebbe fatto davanti a Riven, non un’altra volta.
- Lasciami.
- Devi smetterla
– la riprese lui, cattivo, strattonandola per il braccio che
stringeva tra le dita – devi smetterla di pensare quello che
stai pensando.
L’irragionevolezza
di quella richiesta, no, si corresse Musa con rabbia, di quel comando
la colpì come uno schiaffo in pieno viso, ne
udì lo schiocco sulla guancia, ne immaginò il
rossore diffuso, e quell’ennesima imposizione,
quell’ennesimo atto di forza con il quale Riven pretendeva di
essere ascoltato la fece scoppiare.
- Che diritto hai di
darmi ordini ora ? – gli urlò addosso, senza
curarsi della possibilità di attirare le Winx, Saladin,
forse persino Salazar,e che venissero, che la prendessero per pazza, ma
lei ne aveva abbastanza.
Di quella presenza che
aveva chiamato nelle notti più buie, ma che non
l’aveva mai soccorsa.
Di quel freddo allo
stomaco che non l’aveva abbandonata, neanche dopo il tocco
caldo di Bloom sulla patina di ghiaccio che lo congelava.
Era stanca,
semplicemente, di essere la vittima di tutto.
- Hai deciso
di starmi vicino ? Bè, sei in ritardo, in ritardo di tre
anni – lo accusò straziata, agitando il braccio
per scrollare via la mano di Riven, troppo stupito dal suo sfogo per
costringerla a tacere, a tornare in sé.
Ma non ci sarebbe
riuscita, non con quel peso sul cuore.
- Senti tutto questo
bisogno di stare accanto a me ora che sai che potrei venire
uccisa ?
Musa lo vide, il
sussulto in quegli occhi viola, il cedimento che l’uomo non
si era mai permesso di mostrare, di provare, non davanti a
lei, e capì di averlo ferito, profondamente, con
quella confessione che stava svuotando lei del suo dolore, ma
che sembrava riempire Riven del proprio.
- Ora che sai che
potrei morire, ti sei accorto che ho bisogno di te ? Avevi davvero
bisogno di sapermi in fin di vita per decidere di ascoltarmi ?
Le pareti parvero
tremare quando liberò l’ultimo strillo, e
abbassò il capo per non mostrare le lacrime, per non
mostrare il dolore che era convinta di aver cancellato ma che non
l’avrebbe mai liberata, mai.
- Tu non lo hai
sentito, non hai visto i suoi occhi – balbettò con
la bocca impastata dalla saliva e dalle lacrime che beveva a sorsi
– nessuno di voi ha visto il suo dolore, nessuno di voi lo ha
sentito chiamare il suo nome. Nessuno di voi può…
- Lo stai
giustificando ? – la aggredì Riven con la voce
strozzata dall’incredulità, dall’orrore
di quelle parole che non potevano essere comprese, accettate, non da
lui, non da chi non aveva provato, patito un dolore come quello.
- Lui ha ucciso la
donna che amava .
- Anche tu –
strillò Musa con occhi lucidi, guardandolo in viso con
rabbia, con disperazione – anche tu lo hai fatto-
soffiò più debole, abbracciandosi la vita per
trovare un conforto che non era mai riuscita ad avere.
Un conforto che Riven
ora avrebbe desiderato ricevere, un abbraccio, un tocco pur di non
percepire il gelo di quelle parole, l’orrore di una
consapevolezza che aveva provato a parlagli ma che lui aveva zittito,
ucciso con il veleno dei propri pensieri cinici e duri.
- Cre… -
tossì per ritrovare la voce quando un gemito le
salì per la gola – credevi davvero che mi sarebbe
passata Riven ?
Credevi davvero che avrei
potuto ricominciare, credere di nuovo in un uomo dopo il tuo rifiuto ?
Credevi davvero
di non avermi uccisa, su quel terrazzo ?
Ogni lacrima le
costò una parola, una confessione che non si era mai
permessa di esternare, con nessuno, perché quei pensieri
erano egoisti, non erano da lei, ed erano ingiusti per chi non poteva,
non riusciva a ricambiarla, ma nessuno può decidere di chi
innamorarsi, e anche se Musa avesse potuto farlo, avrebbe scelto sempre
lui.
Persino con i suoi
difetti, con quell’arroganza che la feriva.
Ed eccolo il motivo di
tutto quel dolore, di quella comprensione inumana che non era dettato
dall’animo gentile della fata, o dal suo passato doloroso, ma
dalla consapevolezza di essere come Salazar.
Di esserlo stata, di
continuare ad esserlo, il fantasma di se stesso che cerca e sussurra
ciò che non può avere ma che agogna, anche dopo
la morte.
Perché Arya
avrebbe potuto somigliarle come una goccia d’acqua, ma era
nel ladro di anime che Musa si rispecchiava, in quello sguardo che
aveva visto ogni sera, prima di chiudere gli occhi, riflesso
nel vetro della sua stanza di Melody.
Lo specchio di
un’anima divisa a metà che nessuno aveva mai
provato a risanare.
Quando Riven la
alzò di peso, la fata non potè che irrigidirsi e
pensare di aver davvero attirato Salazar con le sue urla, con i suoi
pensieri, ma per quanto i suoi occhi fossero incapaci, a causa delle
lacrime, di scovare la sua figura, la guardiana sapeva, sentiva che lui non
era lì.
E forse lo specialista
l’aveva abbracciata perché voleva farlo,
impietosito dalle sue lacrime, mosso da quelle urla che le avevano
raschiato la gola come l’unghiata di un mostro che tentava di
risalire l’abisso nel quale era stato gettato.
- Se io
morissi .
- Zitta.
Le braccia di Riven
rischiarono di spezzarla, di romperla con facilità, ma Musa
sapeva che nulla di lei era rimasto integro nel contatto con quelle
mani, non il suo cuore, non quella voce che racimolava con
difficoltà.
- Se io…
- Ti ho detto di stare zitta
– le ordinò ancora, con meno voce, come se anche
lui faticasse a trovarla, mentre le braccia affondavano nella
sua schiena, nei capelli inanellati tra le dita.
Ma lei
continuò, incurante del battito a singhiozzo che sentiva
pulsare contro il proprio, ingiusta verso quegli occhi viola che
fissavano il vuoto pur di non vederla, lei e le sue lacrime, e quel
riflesso tremolante che lo specialista non poteva permettersi di
diventare.
- Se io morissi, e
diventassi un fantasma, ti cercherei anche io –
confessò rauca, afflosciandosi tra le sue braccia come una
bambola di pezza, la guancia pressata sul mantello che
inumidì delle sue lacrime – e vorrei che qualcuno
mi aiutasse a ritrovarti, Riven. Perché l’amore
non è idillico come pensate tutti, ma fa male, e
c’è chi perde. Chi, nonostante gli sforzi, si
trova da solo, senza nessuno che possa aiutarlo a raccogliere i pezzi
del suo cuore.
Quando le
Winx sentirono la porta aprirsi alzarono la testa dal
cuscino, ma non osarono proferire parola nel vedere lo specialista
depositare la loro amica tra le lenzuola, con delicatezza, coprendola
con il proprio mantello prima di tornare al suo fianco, in silenzio.
E Stella avrebbe
voluto ordinargli di andarsene, di lasciarle dormire, ma quando lo vide
prendersi la testa tra le mani con un singhiozzo strozzato si
affrettò a nascondersi sotto le lenzuola, con il fiato
sospeso, incrociando gli occhi sgranati di Flora che le rimandava la
stessa sorpresa, la stessa ansia.
Perché
Riven piangeva, in silenzio, senza un lamento, con quelle lacrime che
videro brillare nel buio, e che Tecna, allungando il collo, vide colare
sulla piccola mano che lo specialista stringeva tra le sue pressate
contro la fronte, come in preghiera.
Ma nessuno lo avrebbe
ascoltato, perché non aveva mai potuto salvare la sua anima,
ma supplicò, pregò che qualcuno li liberasse
entrambi da quel fardello, da quel dolore che aveva divorato quella di
Musa, e che presto, avrebbe prosciugato lui di quella forza che non
avrebbe più potuto salvare nessuno.
Nè Se
stesso, nè la donna che amava, che aveva sempre amato.
°°°
- Siamo pronti per
partire – li avvisò Timmy dalla cabina di comando,
aprendo il portellone della navetta per farli salire, ma
c’era chi non sembrava ancora pronto ad andarsene.
La figura dal delicato
abito bianco che Riven fissava con sguardo dolente da lontano.
- Tutto bene ?
Stella non si
indignò della smorfia contrita dello specialista alla sua
domanda, non la trovò arrogante come immaginava, non dopo
quello che aveva visto e che ora la portava a rivalutare ogni
screziatura di quello sguardo che pareva muto, disinteressato.
Fintamente
disinteressato.
- Non preoccuparti,
non sei il solo al quale non ha rivolto la parola – lo
incoraggiò, un po’ esitante, ricevendo
l’ennesima occhiata scontenta che questa volta la fece
sorridere.
- Credo che abbia
bisogno di tempo, deve essere difficile per lei.
Riven non la
degnò di attenzione, non quando uno sbuffo d’aria
agitò la gonna ampia dell’abito che Musa aveva
indossato in silenzio, senza guardare nessuno di loro negli occhi prima
di uscire dalla stanza e fermarsi a guardare il cielo dal punto che non
aveva abbandonato fino a quel momento.
Non si era mossa da
lì, immobile come una statua se non
fosse stato per l’ondeggiare ipnotico dei suoi
capelli sciolti, la cascata di cielo notturno che si apriva sugli
squarci della sua schiena.
Stella lo
sentì irrigidirsi al suo fianco, notando la contrazione
della sua mascella, un gesto doloroso che la portò a
chiedersi quanto davvero Riven tacesse.
Perché
mentiva, aveva sempre mentito, a se stesso, a tutte loro, ma non
riusciva a capire il perché di quel silenzio,
dell’opportunità negata a Musa di sentirsi dire 'ti amo.
- Sai che le
basterebbe una tua sola parola per sorridere – ammise
sincera, irrigidendosi nel vederlo tendere la schiena come se lo
avessero sparato, trafitto da una spada che avrebbe zampillato veleno,
non sangue, non con quello sguardo cattivo e inquieto che le rivolse e
che lo rendeva meno umano di quello che appariva.
- E poi ? Vivremo
felici e contenti ? – raschiò cattivo con
l’arroganza della sua voce, l’insolenza di chi
sapeva che nulla sarebbe cambiato, per quanto vi avesse provato.
- Perché no
? Sono sicura che Musa possa…
- Ma io no –
la interruppe frettoloso, stroncando sul nascere la scintilla di
speranza nata lì dove non sarebbe dovuta stare, in quel
cuore nero che aveva giurato a se stesso di non concedere a nessuno,
men che meno lei, rischiando di sporcarla, di privarla di qualcosa di
migliore, di più giusto, di più buono, di
più gentile.
Perché
Riven accettava la propria arroganza, conosceva
l’irresistibile richiamo delle ombre, del buio che dimorava
in lui, una cantilena seducente che niente, neanche la voce di Musa era
mai riuscita smorzare.
Ed aveva rischiato di
perderla già una volta per quella sua incapacità
di controllare il proprio cuore, la propria malvagità, e la
prova della sua follia, di quanto fosse sbagliato era lì,
davanti ai suoi occhi, su quella schiena pallida che sarebbe dovuta
essere limpida come il canto di una sirena, non storpiata come
l’urlo tradito di una bambina abbandonata a se stessa.
- Volete salire o no ?
– li richiamò Nabu, affacciandosi dal portellone
per invitarli ad affrettarsi, ma quando Stella e Riven lo videro
aggrottare le sopracciglia non furono gli unici a sentire il freddo
innaturale calato su di loro.
- Musa ?
Stella fu
più veloce di lui nel voltarsi a guardarla, e
quando la vide abbozzare qualche passo in avanti
aggrottò le sopracciglia, chiamandola a sua volta mentre il
freddo la spingeva a massaggiarsi le braccia per riscaldarsi.
- Dove stai andando ?
Ma la fata non si
voltava, non la ascoltava, continuava ad avanzare, aggraziata
nell’abito che pareva appesantirsi ad ogni suo
passo, incollandosi alle gambe snelle che il tessuto
inguainò come una seconda pelle prima che Musa tendesse il
palmo aperto al vuoto.
E il tempo
sembrò rallentare in un lugubre tic tac che Riven
sentì strillare nella sua testa fino a schiantarsi con un
assordante rumore di vetri infranti nella sua gola.
- Arya.
Quando le braccia di
Salazar la trassero in un abbraccio Musa chiuse gli occhi con un
sospiro stanco, abbandonando il capo sulla spalla ruvida del Fantasma,
in cerca di comprensione,
di affetto incondizionato.
Anche se quella mano
che le accarezzava la testa non era per lei, ma per
l’immagine sbiadita di una se stessa più antica e
forse, più forte di lei, tanto da respingere
l’uomo che pareva averla amata con tanto ardore da
affliggerlo nella morte.
Ciò
che lei non avrebbe fatto, non avrebbe
mai respinto, non chi per amore tornava in vita, chi non si dava pace e
chiedeva come una radio rotta di essere amato.
Proprio come si
sentiva lei, una vecchia e malandata stazione radiofonica che
mandava la stessa identica canzone, ancora e ancora, tanto da storpiare
la voce in un singhiozzo infantile che faticava a ripetere le parole
all’infinito.
Parole che nessuno
voleva ascoltare, che lui
aveva sempre fatto finta di non udire.
- Musa!
La rabbia di sentire
una voce che non avrebbe dovuto sentire lì, tra quelle
braccia, che non avrebbe dovuto affliggerla anche in quel luogo la
portò a stringere gli occhi forte, tanto forte da farli
lacrimare.
- Musa!
E stava per urlare di
smetterla, di lasciarla in pace, di abbandonarla come era solito fare,
come aveva sempre fatto, quando fu costretta a socchiudere gli occhi
nel percepire qualcosa di caldo avvolgerle il braccio sinistro, quello
che avrebbe dovuto essere inghiottito dal gelo.
Poi lo sentì, un odore pungente che
nell’arena l’aveva fatta indietreggiare per
l’orrore, il puzzo del sangue che le era schizzato in volto
quando Salazar aveva affondato una mano nella spalla di
Riven, inginocchiato a terra con la spada piantata nel terreno, per
sorreggersi, e la destra serrata sul suo braccio.
Quello che bruciava,
quello che lo specialista tirava con tutte le forze per strapparla a
quella stretta di ghiaccio.
E scomparve ogni cosa.
La spalla sulla quale
si resse per non cadere, il braccio del Fantasma che la teneva alzata
per la vita, persino quella chiazza viscosa che le appesantiva le
ciglia dell’occhio destro, tutto fuorchè quella
voce che ripeteva il suo nome, ancora e ancora, mentre la mano dello
stregone gli strappava l’ennesimo lembo di pelle.
- Lasciami!
– strillò inorridita nel vederlo piegarsi per il
dolore ma non allentare la presa attorno al proprio braccio, affondando
la spada nella terra per darsi la spinta verso l’alto, verso
di lei, verso quell’ancora che lo teneva in piedi ma che al
contempo gli permetteva di farsi strappare un braccio.
Musa provò
a staccarselo di dosso, facendo forza sulle sue dita per liberarsi, per
liberarlo, ma Riven non glielo permise, sibilandole di smetterla, di
non fare la stupida.
Ma lo stupido era lui
che continuava a respingerla e attrarla come più gli
piaceva, distruggendola con quegli sguardi che le squarciavano il petto
e gesti come quello, come quella mano che non voleva abbandonarla, che
invece la portava ad amarlo totalmente.
- Ti ho detto di
lasciarmi !
- No.
Secco, asciutto,
incolore, non ci fu nulla di gentile nella sua voce, nella mano che le
stritolava il braccio, nello sguardo duro che le rivolgeva, ma quella
parola ebbe l’effetto di un abbraccio sul suo
povero cuore, un soffio di vita che rimise al proprio posto quel pezzo
che ciondolava dai resti ammassati del suo battito.
Perché
c’era la fermezza che Musa aveva sempre chiesto, pregato di
ricevere, la volontà di non lasciarla andare, di non
abbandonarla, e tanto le bastò.
- Cosa stai facendo ? Musa !
La fata non
alzò il viso dalle proprie mani, conficcandogli le unghie
nel palmo per farsi lasciare, ma dovette lottare e infliggergli qualche
graffio per allentare la presa, ma quelli sarebbe guariti, lo squarcio
sulla sua spalla invece no, non se Salazar avesse continuato a scoprire
carne viva, e quando finalmente fu libera, il sibilo del vento le
fischiò nell’orecchie quando lo stregone
fuggì via, con lei in braccio.
L’urlo di
Riven la raggiunse fin dentro Fonterossa, tra i corridoi che Salazar
percorse volando prima di infilarsi nella sala principale e sigillare
porte e finestre, depositandola al suolo con gentilezza prima che Musa
potesse sentire una sua mano sfiorarle la guancia.
E decise di prendersi
le sue responsabilità per quell’inganno, per la
debolezza che si era concessa e che aveva fatto soffrire lei e Riven,ma
che avrebbe ucciso Salazar.
- Arya.
- Io non sono Arya.
Percepì
fin sotto pelle lo spasmo della mano poggiata sulla guancia,
potè persino riconoscere il formicolio dei polpastrelli
appena curvatisi sulla tenera carne della gota, ma non si
allontanò, preferendo guardarlo negli occhi per mostrare il
proprio rimorso.
- Io non sono Arya. Il
mio nome è Musa.
La reazione del
Fantasma non si lasciò attendere, e ancor prima di provare
anche solo a resistere la fata si trovò a volare per la sala
sotto l’onda magica che l’aveva
scaraventata contro la porta principale.
Il suo grido di dolore
raschiò il pavimento, filtrando da sotto la porta che
qualcuno cominciò a prendere a pugni, urlando a gran voce il
suo nome,e quando Musa riconobbe in quelle urla la voce di Aidan,
accompagnata dai richiami delle Winx, tornò in piedi senza
un lamento.
Un’altra
onda magica rischiò di maciullarle la spalla, ma quando le
sue ali si agitarono nell’aria la fata riuscì a
proteggersi con un campo di forza, volando fin dal Fantasma con
l’intenzione di farsi ascoltare, anche se convincerlo a farsi
aiutare le avrebbe richiesto di lottare.
- Io non sono Arya, ma
posso aiutarti.
Salazar la
fissò con odio, con rabbia, caricando un altro colpo, ma fu
il suo turno, quello di attaccare, e ancor prima di lasciarglielo fare
fu lei a farlo, imprigionandolo in una prigione acustica che lo rese
innocuo, almeno per una manciata di secondi.
Eppure Musa
capì che non l’avrebbe ascoltata, non quando lo
vide colpire la barriera con le mani, la testa, ringhiando quel nome di
donna che persino in quel momento lo stregone sussurrava in preghiera.
- È morta.
Arya è morta.
Lo confessò
con quanta più inespressività poté,
affinchè Salazar leggesse la verità, nella sua
essenza di emozione, di personale coinvolgimento, e quando vide lo
stregone irrigidirsi con ancora i pugni in aria capì di
essere riuscita almeno a farsi ascoltare.
- Arya è
morta. L’hai … - non riuscì a
continuare, non potè, non ne ebbe il cuore.
Ma era necessario che
lo stregone capisse, e accettasse, per quanto possibile, la verità .
- L’hai
uccisa tu.
Fu peggio di quanto
Musa avesse immaginato, perché, se aveva previsto urla e
ringhi disumani, il silenzio gelido che ebbe in risposta la
terrorizzò a morte, tanto che si convinse ad avvicinarsi per
capire se avesse ascoltato, se avesse compreso, e quando
incrociò i suoi occhi apprese con angoscia che
l’aveva sentita.
Perché lei
lo riconosceva, quello sguardo, lo aveva visto nel riflesso
acquoso della pozza di lacrime della terrazza di Alfea, lo rammentava
nei primi mesi di disperazione.
La disperazione di chi
sa che è tutto finito, semplicemente.
- Tu...non ricordi ?
– gli chiese cauta, ricevendo una lieve negazione del capo
prima che Salazar abbandonasse le braccia lungo i fianchi con un gesto
stanco, smorto.
E la
necessità di aiutarlo, di aiutarsi , la
spinse ad avvicinarsi ancora, tanto da poter sentire il suo respiro
gelido sulle ciglia.
- Io posso aiutarti.
Posso aiutarti a ricordare, a cercare una spiegazione,
perché io non credo che tu l’abbia uccisa.
Non lo credo
- ammise sincera, sobbalzando nel vedere una mano dello stregone
andarle in contro, come una supplica, ma qualcosa in quel gesto lento e
paziente le diceva che quella di Salazar era una richiesta.
La prova della sua
integrità.
E Musa avrebbe potuto
abbandonarlo, aprire le porte e ucciderlo con l’aiuto delle
sue amiche, avrebbe potuto scrollarsi di dosso il macigno di un passato
non suo, di un amore, non suo, ma voltargli le spalle avrebbe voluto
dire voltare le spalle a se stessa, alla possibilità di
capire chi nessuno avrebbe capito, accettato all’infuori di
lei.
Perciò
allungò una mano, spaventata ma sicura delle
proprie azioni, di cosa fosse giusto fare in quel momento, e quando
Salazar la tirò a sé capì che avrebbe
pagato cara quella sua debolezza.
Quando la mano dello
stregone le trapassò il pettò sgranò
gli occhi per l’orrore, lanciando un urlo disumano che
sembrò far tremare la terra stessa, facendo saltare le
vetrate che le piovvero addosso sotto forma di schegge acuminate.
Una le si
piantò nel braccio con il quale percuoteva il petto di
Salazar, per lasciarsi mollare, per allontanarsi da quella mano che le
rovistava nel petto e rievocava nella sua testa eventi passati e
presenti.
Il suo primo incontro
con le Winx.
La lotta con le
Streghe Antenate.
Il tradimento di Riven.
La disperazione per il
suo abbandono.
E l’immagine
del suo viso accostato alla vecchia fotografia di Helia riflessa nello
specchio assieme a lei.
Poi il dolore
cessò, e quando Musa si tastò il petto lo
riscoprì integro, senza ferite o lo squarcio che il braccio
di Salazar avrebbe dovuto aprirsi per affondarle dentro, ma quando lo
stregone le si afflosciò tra le braccia non potè
che stringerlo a sé e seguirlo nella caduta, avvertendo la
pesantezza di quel corpo d’aria farsi grave come quello di un
cadavere.
- Arya.
Ancora quel nome, ma
questa volta c’era qualcosa di diverso nella sua
voce, una nota incrinata che segnava la consapevolezza, la presa di
coscienza della perdita.
E Musa non
potè che sentire gli occhi pungere a sua volta,
abbracciandolo per trasmettergli il suo coraggio, la
positività che le Winx le avevano sempre riconosciuto.
Perché
c’era sempre una soluzione, non sempre facile, non sempre
indolore, ma una soluzione.
- Ce la faremo
– gli assicurò gentile, promettendo a se stessa di
fare tutto il possibile per farlo ricordare, per scoprire il velo scuro
che ottenebrava il suo passato, ma farlo avrebbe portato alla luce
segreti che avrebbero dovuto rimanere tali.
Una consapevolezza che
seguì l’avvento di tre avvenimenti inaspettati.
Il primo fu il
chiarore del pavimento, lo squarcio di luce sprigionato a contatto con
la lacrima di Salazar con essa.
Il secondo, ben
più inaspettato, fu l’esplosione delle porte e la
conseguente venuta delle Winx.
Il terzo fu quello
più devastante, quello che la fece urlare e dimenare tra le
braccia di Nabu quando l’uomo la portò via di
peso, dirigendosi verso la navicella e lasciandola con lo sguardo
incatenato a quello spento di Salazar, la voce resa ad un sussurro che
bisbigliava il suo nome, il suo vero
nome, come il monito a mantenere la sua promessa.
La
promessa di aiutarlo.
La promessa che la
fata si vide strappare davanti al viso quando Timmy azionò
il motore, allontanandosi in tutta fretta da Fonterossa, da quella
costruzione che Musa fu costretta ad osservare dalla stanza sigillata
nella quale era stata rinchiusa per impedirle di fare qualche altra
sciocchezza.
Strappandola al suo
destino, a quelle labbra rosse che per un momento, un solo
momento, aveva visto sorriderle con comprensione durante la visione dei
suoi ricordi.
Il primo che
l’aveva capita, l’ultimo che avrebbe potuto farlo.
Continua…
Sorpresa! Due capitoli in un giorno!
Ho deciso così perchè spezzarlo mi sembrava
sbagliato visto che il personaggio di Arya, e la sua presenza nel
capitolo precedente dovevano essere approfondite un pochino, ed ecco
qui!
Ringrazio tutti per la lettura e la pazienza, al prossimo capitolo,
Gold Eyes
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Capitolo 8 *** Hero ***
“I'm just a step away
I'm just a breath away
Losin' my faith today
Fallin' off the edge
today”
[…]
“I've gotta fight
today
To live another day
Speakin' my mind today
My voice will be heard
today”
[…]
“I'm gonna fight for
what's right
Today I'm speaking my mind
And if it kills me tonight
I will be ready to
die”
( Hero- Skillet)
- Tu non capisci! Io devo tornare
indietro! Devo aiutarlo! – gridò per
l’ennesima volta, battendo i palmi aperti sulla lastra di
vetro che la divideva dal resto della navicella, ma Tecna continuava a
guardarla con fermezza, incurante delle sue preghiere.
- Io devo …
- Cosa ? Correre in
aiuto del Fantasma ? Avevamo pattuito due giorni, Musa, e guarda a cosa
ci ha portato darti ascolto!
Tecna non urlava mai,
men che meno con la sua migliore amica, ma la fata della musica
capì da quegli occhi lucidi che le sue azioni avevano
avuto ripercussioni su quelli che le stavano attorno, su chi
le voleva bene e desiderava tenerla al sicuro, proteggerla.
Ma Musa era anche
consapevole che lei aveva dei doveri, verso Salazar, vero il suo cuore,
e loro non avrebbero potuto capire il perché delle sue
azioni, la causa di quel suo morboso attaccamento ad una storia vecchia
di cent’anni.
Perché loro
non assomigliavano ad una donna morta, non avevano provato il dolore
dell’abbandono, della solitudine, non potevano comprendere la
sua empatia con lo stregone.
Non avrebbero potuto.
- Io devo andare
– affermò dura, stringendo i pugni quando vide
Tecna scuotere il capo e mordersi le labbra con forza, tanto da farle
sanguinare.
- Non te lo
lascerò fare. Non sei in te lo capisci? – le
urlò straziata, battendosi il petto con una mano –
lui ti ha plagiata. Credo che tu sia sotto incantesimo, Musa.
L’incredulità
le sformò il viso in una smorfia sofferente, ma
più che la consapevolezza di non essere creduta, Musa si
risentì del suo pensiero, del crederla vittima di
chissà quale maleficio che la guidava a compiere azioni non
da lei.
Ma per quanto le Winx
fossero la sua famiglia, il suo angolo di pace, non conoscevano tutto
di lei, come a sua volta la fata non conosceva ogni minima sfumatura di
chi la circondava.
C’era sempre
qualcosa che si teneva nascosto, persino alle persone più
care, per paura di essere giudicate, criticate, e Musa era
consapevole di non poter essere sempre l’amica che ascolta e
acconsente.
Non quando
era il suo cuore a pagarne le conseguenze, non quando c’erano
altri a soffrire, come aveva sofferto lei in passato, che nessuno
voleva aiutare e che lei poteva confortare.
- Come puoi dire
questo ? – soffiò dolente, distogliendo lo sguardo
con una punta di rabbia nella voce.
Tecna tese la schiena
per il dolore che aveva percepito in quella frase, per il risentimento
che aveva spinto Musa a volgere il capo.
- Lo dico
perché non avresti mai permesso a Riven di venire ferito a
causa tua.
Il dolore fu acuto,
come una fitta che porta un uomo a contorcersi per allontanarlo, nel
tentativo di alienarlo, ma quando Musa lo sentì, non
riuscì a difendersi, non dall’ondata di
rancore che le infiammò lo sguardo, non dalla rabbia che
l’aveva portata a colpire il vetro con i pugni serrati.
- Va via.
Il suo sibilo misto
all’eco della magia che le aveva storpiato la voce
fu atroce, fastidioso e acuto come il grattare frenetico di unghie
spezzate su una lastra di vetro, un suono da pelle d’oca.
- Io…
- Va via ho detto
– sibilò ancora, dandole le spalle con un gesto
secco e infastidito – non voglio dire cose che non penso.
Tecna
guardò quella schiena stringendo le palpebre per bloccare le
lacrime prima di avviarsi alla porta e scomparire.
E fu con la
consapevolezza di essere rimasta sola che Musa allentò la
presa feroce dei suoi denti sul labbro inferiore, rilasciando il primo
forte respiro per contenere il dolore e farlo uscire dalle sue labbra
in profonde e lente boccate.
Inutile pensare
davvero di riuscire a contenerlo, in quel modo, a piegarlo al suo
volere, ma con gli anni la fata aveva imparato a frammentarlo per non
andare in pezzi, per l’incapacità di contenere un
dolore che altrimenti l’avrebbe davvero uccisa.
Ma Tecna aveva detto
la verità.
Riven era stato ferito
mortalmente per colpa sua, ed era sempre lei ad accollarsi il dolore di
sapersi rea di ogni suo comportamento, gesto che il più
delle volte tornava come una fitta al petto, come un maledetto
boomerang che non era lei a lanciare. Mai.
Eppure eccola
là, con le lacrime agli occhi, imprigionata dentro una
gabbia di vetro perché creduta pazza, con l’uomo
che amava ad una porta di distanza in fin di vita a causa sua.
Sempre a causa sua.
Perché
avrebbe dovuto lasciarlo, dargli e darsi davvero la
possibilità di dimenticare il passato, ma lei non ci
riusciva, ci aveva creduto, ci aveva creduto tanto, ma i fatti
parlavano chiaro.
Era stata ingenua. Era
stata saccente. Era stata codarda.
E quella volta non lo
sarebbe stata, non sarebbe fuggita, non da quella promessa che la
spinse a sfiorare con una mano la parete metallica della navicella
prima di rilasciare un lento e profondo respiro.
- Cosa succede ?
Timmy riprese il
comando sterzando il volante con un gesto brusco, pigiando il bottone
dell’impianto elettrico di emergenza quando quello principale
sembrò andare in avaria, per un motivo sconosciuto.
- Non so,
c’è stato uno sbalzo di corrente –
spiegò a Sky e ai compagni quando riuscì a
riprendere quota, ma questa volta fu un sonoro scoppio al motore destro
a tossire fumo e a far ondeggiare la navicella.
- Timmy!
- Io non so cosa sta
succedendo ! Sembra che qualcosa abbia fatto contatto nella sala
macchine, io…
- Musa!
Bloom e le Winx
sgranarono gli occhi nel vedere Tecna fiondarsi con
quell’urlo fuori dalla cabina, sorpassando velocemente la
barella sulla quale Riven riposava con Helia a tenergli
compagnia prima di battere i pugni sulla porta metallica che conduceva
alla stanza di Musa.
E quando
l’entrata saltò via sotto la fiamma del Drago di
Bloom nessuno di loro potè trattenere un singulto di
sorpresa nel vedere un buco forare il tettuccio della navicella.
Sky
calpestò i frammenti della cella di vetro con sguardo duro,
alzando gli occhi sul cielo notturno puntellato di stelle, e la vide
passare, una scheggia colorata dai familiari capelli blu che Tecna
fissò con il viso schiacciato contro il finestrino e quella
domanda piantata come un paletto nella sua gola.
Perché
?
°°°
Fonterossa era tornata
al proprio rigore militare dopo la partenza improvvisa delle guardiane
di Magix, ed Aidan, che non aveva neanche potuto salutarle, non
potè che smozzicare una maledizione contro il preside prima
di irrigidirsi e allungare uno sguardo dalla torre che pattugliava.
Era notte fonda, e le
fiaccole illuminavano ben poco, eppure la chiazza
luminescente nel cielo era ben visibile anche senza l’ausilio
di una lanterna, ma pareva sfocata, inghiottita com’era dal
buio della notte.
Un’isolata
fonte di luce che lo specialista e il ragazzo di guardia assieme a lui
guardarono con curiosità prima di sentire i passi precisi e
coordinati di un gruppo di loro superiori dabbasso, studenti del terzo
anno che Aidan vide uscire di corsa prima di disporsi a fila
e puntare i propri archi verso quello che, a quanto pareva, era un
nemico.
Eppure c’era
qualcosa di familiare in quella scheggia luminosa, il blu acceso e
inconfondibile di una chioma che il ragazzo fissò ad occhi
sgranati prima di affacciarsi dalla torre e urlare ai compagni di
abbassare le armi.
- Fermi ! –
strillò con la voce resa rauca dall’orrore, ma
nessuno degli specialisti gli prestò attenzione, tendendo
l’arco per colpirla, ma si videro frantumare le frecce tra le
mani quando un’onda d’urto piovve su di loro con la
potenza di una lastra di metallo gettata sulle loro teste.
Aidan si
parò il viso per difendersi dai detriti, accucciandosi
dietro il muro di cinta per non venire sbalzato via dall’onda
sonora, e quando sentì un sibilo sopra la testa fece appena
in tempo ad intravedere il viso di Musa prima che la fata scendesse in
picchiata con tra le mani l’ennesima onda esplosiva.
L’entrata
saltò in aria quando la guardiana vi cozzò
contro, scatenando una pioggia di detriti nella quale passò
frettolosamente prima di volare tra i corridoi urlando il nome dello
stregone.
- Salazar !
- Eccola lì
!
Una lancia
rischiò di trapassarle l’ala, ma Musa fu lesta a
ruotare su se stessa e caricare una nota esplosiva che
lanciò con un ringhio contro gli specialisti, attenta
comunque a non ferirli, solo a rallentarli.
- Salazar !
– urlò ancora, ripercorrendo il sentiero che
avrebbe dovuto portarla alla sala principale, lì dove aveva
visto il pavimento illuminarsi a contatto con la lacrima dello
stregone, e la fata sapeva che quella non era una coincidenza.
Lei non ci aveva mai
creduto, alle coincidenze, men che meno a quelle così palesi.
- Salazar !
- Musa !
La sorpresa di
sentirsi chiamare le inondò il viso di sconcerto, ma quando
la fata fu costretta a ruotare il busto per evitare una freccia
intravide tra le ciocche scure l’espressione angosciata di
Aidan, intento a bloccare le truppe che le urlavano addosso
“strega”.
- Non è una
strega – sentì urlare ad Aidan, tornato in piedi
dopo lo spintone di uno specialista.
- Invece si, Aidan.
Quella donna è stata incantata. Guarda tu stesso!
Il respiro alle sue
spalle fu più significativo di ogni suo sguardo, di ogni sua
parola, ed anche se gli occhi dello specialista la pregavano di non
voltarsi, di non lasciare che quelle braccia le circondassero la vita,
Musa non potè che abbassare il capo e lasciarsi stringere.
- Dovete spostarvi
– li pregò con voce bassa, avvertendo contro la
sua schiena il petto freddo del ladro di anime.
- Mai. Saladin ci ha
ordinato di farvi prigioniera – tuonò il
più anziano tra loro, puntandole contro la propria spada.
E Musa non
potè che prendere un lungo respiro, riempiendo i suoi
polmoni di aria, di magia,
prima di alzare bruscamente lo sguardo e fissare il ragazzino con
rammarico.
- Mi dispiace.
Quando gli specialisti
caddero a terra con le mani pressate sulle orecchie, Aidan fu
l’unico a schiudere le palpebre e guardare il volo della
guardiana di Magix e dello stregone al quale stringeva la mano, e solo
lui potè leggere dispiacere in quello sguardo blu che Musa
puntava con rabbia davanti a sé, per non dover guadagnarsi
altre accuse sulla sua integrità, sulla sua coscienza.
Ma Aidan si accorse
della piega amareggiata delle sue labbra, e potè leggere
qualcosa nella mano del Fantasma che stringeva quella della fata, un
bisogno di aiuto che nessuno, all’infuori di lei, gli avrebbe
dato.
- Sigilla
l’entrata.
Lo scatto delle
serrature la informò di avere
l’attenzione e la collaborazione di Salazar, e Musa non
rimuginò sul perché lo stregone si fosse fidato
di lei, fatta eccezione per la somiglianza con la sua defunta amata.
Non se ne
curò, non quando quella consapevolezza le avrebbe fatto
storcere il naso con una smorfia contrita.
La consapevolezza di
poterlo capire perché lei era stata come lui, lo era ancora,
anche se lo mascherava egregiamente, e si ricerca l’aiuto dei
propri simili,di chi ha toccato il fondo, quello più
ributtante e cupo, prima di guardare la fine di quel tunnel e sapere di
non poterlo raggiungere più, di non poter scrollarsi di
dosso l’odore aspro della sconfitta.
- Deve esserci
qualcosa qui sotto – rimuginò ad alta voce,
inginocchiandosi sul ghirigoro intarsiato al centro della sala
principale, poggiandovi conto l’orecchio per battervi sopra
una nocca e sentire il suono fino alle fondamenta.
E Musa la
udì, la sensazione di vuoto sotto le sue mani, nascosto in
profondità.
“L’accademia
presenta cunicoli, sotterranei e passaggi inesplorati e sconosciuti ai
più” le aveva detto una
volta uno dei compagni di Aidan durante la loro esplorazione notturna,
e quel nascondiglio doveva avere qualcosa in comune con Salazar, con la
sua improvvisa comparsa, con l’inaspettata reazione a
contatto con una sua lacrima.
Quando però
la fata provò ad aprirsi un passaggio con un’onda
si trovò distesa al suolo, con gli occhi serrati per il
dolore dell’impatto contro una colonna portante quando la sua
magia la scaraventò indietro.
E forse non era il
momento di lasciarsi sommergere dalla frustrazione di non essere stata
capita, di non essere riuscita a spiegarsi, di dover credersi pazza e
sbagliata per le sue azioni, ma le lacrime le rigarono le guance senza
che lei potesse evitarle, lente e silenziose si raggrumarono sul mento
che poggiò con rabbia contro il petto prima di caricare le
braccia di
altra magia.
L’impatto
quella volta le tolse il respiro, ma quando strisciò sul
pavimento, stringendo i pugni e urlando di rabbia venne scaraventata
contro qualcosa di meno doloroso, le braccia che le avevano impedito di
riaprire quella vecchia ferita alla schiena, e lì, tra
braccia che non erano vere, che non avrebbero saputo confortare
nessuno, Musa si abbandonò ad un singhiozzo, coprendosi il
viso con le mani per soffocare il dolore contro i palmi.
Salazar rimase
immobile, con un braccio attorno alla vita della fata che teneva in
equilibrio contro il petto, gli occhi d’ametista inghiottiti
dal cappuccio attirati dalle lacrime che Musa provava ad asciugare in
tempo.
- Io voglio davvero
aiutarti.
Qualcosa
scricchiolò sotto i loro piedi, un lento cigolio, come il
suono di ingranaggi vecchi e arrugginiti messi in movimento, e quando
la fata schiuse le dita per vedervi attraverso si stupì di
scoprire una voragine in mezzo alla sala e una scalinata ripida che
portava verso il basso.
E quando la fata lo
sentì irrigidirsi contro di sé nel vedere quel
passaggio capì che c’era davvero qualcosa di suo,
lì sotto, forse i suoi ricordi, forse il racconto del
passato, ma Salazar non potè scoprilo, non quando, avanzando
assieme a lei, si trovò respinto da una barriera.
- Tu lo ricordi ?
– gli chiese un po’ sorpresa da quella reazione,
stupendosi ancora di più nel notare che lei non veniva
respinta.
Lo vide
stringere le labbra rosse in una smorfia confusa, insicuro.
- Non ha importanza,
vedrò di scoprirlo da me – gli assicurò
gentile, discendo i primi scalini con lo sguardo di Salazar addosso,
uno sguardo ansioso le suggerì la sua mente, e
capì l’ansia di lui, la percepì come un
brivido lungo la schiena quando si accorse che la scala si stringeva
sempre di più.
C’era
umidità, puzza di muffa e polvere, ma era un nascondiglio
segreto, magico si corresse quando con le dita sfiorò una
scia di rune che vorticavano sulle pareti come una canzone antica.
Lanciò un
piccolo grido quando scivolò su qualcosa di umido e
incrostato, e non potè che gemere dal dolore e massaggiarsi
la schiena con la quale aveva fatto gli ultimi scalini.
Le parve di sentire il
sibilo ansioso di Salazar fino a lì, ma non se ne
curò, non quando ebbe quella stanza davanti.
Era una sala
esagonale, piuttosto spoglia e umida, gelida per lo spiffero che
filtrava da quella che doveva essere stata l’uscita ora
sommersa da macerie.
La
perlustrò in silenzio, starnutendo per ogni granello di
polvere che inspirava, e si riscoprì sempre più
sorpresa nel pensare che quel passaggio sotterraneo somigliasse al
nascondiglio di due amanti.
Lo capì
dagli sgabelli divorati dalle termini, dalle coperte marce ma ripiegate
in un angolo, ma soprattutto, dal particolare di trovare un paio di
ogni cosa.
Libi, calamai,
scrivanie e piccoli scrigni incassati nella pietra, e fu
proprio verso uno di questi che Musa si avvicinò, schiudendo
quello che non era chiuso a chiave, e quando vi infilò una
mano sobbalzò nel toccare qualcosa di ruvido.
Quando Musa estrasse
il contenuto dello scrigno non potè che sgranare gli occhi,
sorpresa, passando una mano sul piccolo libricino consunto che
fissò con un groppo in gola.
Poi la
notò, la scritta minuscola e incisa nella copertina che le
sue dita seguirono con un tremore, quattro parole che ebbero il potere
di emozionarla, di farle salire agli occhi lacrime di gioia.
Arya. Quello era il
diario di Arya.
- Vedo che tu sei
riuscita dove io ho fallito.
La fata
trasalì nell’udire quella voce lì, dove
non sarebbe dovuto essere, eppure quando Musa
lanciò uno sguardo alle proprie spalle riconobbe
la testa grigia e lo scettro dorato del preside Saladin che si guardava
attorno con curiosità.
Il terrore la
sommerse, ma presto la guardiana si riscoprì meno
atterrita con la consapevolezza di poter dimostrare
l’innocenza di Salazar con quel diario, e lo avrebbe mostrato
al mago, glielo avrebbe ceduto se solo non avesse visto lo sguardo che
rivolgeva alla stanza.
Lo sguardo furioso e
cattivo di un uomo che vedeva attorno a sé solo spazzatura, sporcizia, qualcosa
di sbagliato, di errato, che non sarebbe dovuto esistere.
La fata nascose il
diario dentro il corpetto con un gesto veloce, indietreggiando
inconsciamente quando il mago si decise finalmente a guadarla, e
capì di aver agito bene, di dover proteggere quel segreto da
quegli occhi scuri che se avessero potuto, avrebbero dato in pasto alle
fiamme lei e quel luogo.
- Ho passato anni a
cercare questo sotterraneo, senza mai riuscirvi, mentre a te
è bastato appena un mese – pensò ad
alta voce Saladin, chiudendo in artiglio la mano che poggiava sulla
testa del drago dorato del proprio bastone – e
avevo ripromesso a me stesso di distruggerlo una volta che
l’avessi trovato.
- No.
Musa lo
trovò grottesco, lui, il suo ghigno di labbra secche e
raggrinzite, ma soprattutto, lo scatto del collo con il quale aveva
completamente voltato il capo.
- Non credo tu abbia
voce in capitolo, mia giovane fata. Faragonda è una mia
vecchia amica, e mi addolora pensare di doverle togliere una delle sue
amate studentesse.
Il pericolo di quella
voce, di quella frase la atterrì, la spinse a caricare una
nota esplosiva che però non ebbe modo di creare, incapace di
difendersi, di ripararsi da quello sguardo feroce che Saladin le
riservò con un sorriso affettato.
- Qui la magia non
funziona, mia piccola fata. Mia sorella, per quanto sia stata una donna
stupida, era molto potente – confessò il mago con
una nota di rancore, abbozzando un passo che la guardiana
fissò con astio, e raccapriccio.
- Arya non era stupida
– la difese, colpita lei stessa dal rancore con il quale il
mago si riferiva alla sorella defunta, a quella donna che le
assomigliava e che Helia aveva assicurato loro, aveva lasciato un vuoto
incolmabile nel padre e nel nonno.
Ma Musa trovava vuoto
solo quello sguardo e quel cuore che pompava disgusto e raccapriccio
verso il sangue del suo sangue.
Saladin
stirò le labbra in una linea dura, secca, raggrinzita dal
freddo e dall’età.
- Ho sempre odiato
questo di lei, la tua stessa cocciutaggine e il suo blasfemo interesse
per quell’abominio!
A chi si riferisse il
mago fu chiaro, lampante, ma la fata si stupì del senso di
quella frase, di quell’interesse che, secondo i
racconti, Arya non avrebbe avuto motivo di nutrire per
Salazar, non dopo averlo respinto.
E la fata
capì, comprese che c’era qualcosa di marcio in
quella storia, quella nota stonata che lei aveva notato
dall’inizio, perché Saladin aveva appena
confessato l’interesse di Arya per Salazar, chiaramente
ricambiato dallo stregone vista la sua presenza lì e la sua
ricerca del suo vecchio amore.
Ma erano morti
entrambi, lui in circostanze sconosciute, lei per mano del ladro di
anime.
Bugie, solo bugie.
- Non appena sapranno
di questa stanza, Faragonda e le Winx capiranno che io avevo avuto
ragione su tutto – sibilò rabbiosa, alzando il
braccio per pararsi il viso nel vederlo avanzare.
- E credi davvero che
io ti lascerò uscire da qui viva ?
Lo spintone le tolse
il respiro, e urlò di dolore quando si ritrovò
schiacciata contro una parete, la guancia ferita dallo strofinio con il
materiale granuloso conto il quale Saladin le spinse la testa,
torcendole le braccia dietro la schiena.
- Ci sono segreti che
non possono, non devono
venire alla luce, capisci ? Ma andrà tutto bene, non devi
preoccuparti.
Spiegherò
io alle tue amiche il tuo valoroso tentativo di ribellarti alla
violenza di Salazar – le soffiò
nell’orecchio con voce rauca, raschiata dalla follia, e Musa
non ebbe neanche il tempo di comprendere quanto il mago fosse disposto
a sporcarsi le mani prima di sentire uno strappo alla schiena che le
congelò il cervello e le fece perdere i sensi per il dolore.
Quando Salazar vide
un’ombra stagliarsi sullo stretto corridoio, fremette,
ringhiando per l’incantesimo che il vecchio Saladin gli aveva
lanciato e che gli impediva di muoversi.
Ma la visione
dell’ala luminosa gli alleggerì il respiro prima
che i suoi occhi riconoscessero alla fine di questa qualcosa che non
sarebbe dovuto esserci, non una mano, ma soprattutto, non il denso e
viscido fiume di sangue che gocciolava sulle scale.
- Credevi davvero che
te l’avrei lasciata ?
Ci fu qualcosa di
insano nel sussurro del mago, gli occhi spiritati che fissavano il
Fantasma, ridenti, sgranati per la gioia di vederlo trasalire, perdere
colore in viso e fissare incredulo l’ala che aveva strappato
alla fata di netto.
- Ma non preoccuparti,
il merito sarà tutto tuo – gli assicurò
gentile, chiudendo il passaggio e sfilando da sotto la casacca un
piccolo pugnale prima di gettare di lato l’ala di fata che
scivolò ai suoi piedi con un movimento innaturale,
orribile, come un braccio mutilato.
- Non appena vedranno
il grande Ladro di anime con le ali della fata ai propri piedi e il
corpo privo di sensi del proprio preside accanto, non potranno che
trovarti spregevole e orribile, come sei sempre stato, come sempre
sarai.
Il fiotto di sangue
che sporcò le vesti di Salazar fu corposo, e Saladin non
potè che congratularsi per la precisione prima di sfilare il
pugnale dalla spalla e gettarlo ai piedi dello stregone, strisciando ai
suoi piedi per trovarsi esattamente sotto le sue mani.
Ma Salazar non lo
guardava, non quel corpo, non quell’ala, vedeva solo il
passaggio chiudersi, lentamente, davanti ai suoi occhi, senza che
potesse opporvisi, senza che potesse chiamare il nome di
Musa, di quella ragazzina identica ad Arya, immobile, pietrificato
dall’incantesimo e da un antico dolore, da una vecchia
impotenza che lo aveva tormentato nel suo sonno eterno e che lo aveva
risvegliato.
La stessa annichilente
sensazione di aver perso qualcosa di prezioso e di averlo ucciso con le
proprie mani, ancora una volta.
°°°
Quando Riven rinvenne
scattò a sedere con il nome di Musa ancora
incastrato in gola, ma si costrinse a tossire per la fitta alla spalla
che lo portò a piegarsi di lato per non sforzarla troppo.
- Sono contento che tu
ti sia svegliato.
Helia sorrise gentile
quando gli occhi dello specialista gli si puntarono addosso con la
violenza che li contraddistingueva, una forza che Riven non era mai
riuscito a smorzare, a trasformare in qualcosa che altri non potessero
scambiare per semplice ferocia.
Ma tutto di lui
sottolineava quella forza.
La mascella dal taglio
netto, squadrato, che sottolineava la spigolosità dei suoi
zigomi, il taglio deciso dei suoi occhi, la piega rigida di labbra
dalla forma un po’ troppo geometrica, e quel fisico temprato
dagli allenamenti, dalle notti passate a sferzare l’aria con
la propria spada.
Una forza che Helia
vide vacillare quando Riven gli chiese notizie su Musa.
- Siamo riusciti a
recuperarla quando hai perso i sensi.
Lo specialista
potè giurare di avergli visto fremere le pupille, come il
riflesso acquoso di uno stagno smosso dal lancio di una pietra.
- Ma ? –
continuò per lui, gonfiando i muscoli delle braccia, come
per prepararsi alla confessione dell’insegnante di Fonterossa
che sembrò voler prendere tempo.
- Ma è
riuscita a scappare e a tornare a Fonterossa e … Riven !
Il tonfo del suo corpo
contro il pavimento in metallo gli causò un’altra
fitta di dolore, ma era nulla in confronto all’ansia che gli
attanagliava le viscere.
Perché non
era riuscito a proteggerla, aveva perso i sensi come un dannato
principiante, aveva fallito, ancora una volta.
Helia lo
risollevò con un sospiro stanco, tentando di riposizionarlo
sulla lettiga.
- Non devi sforzarti
così, e non devi preoccuparti. Siamo quasi arrivati, anche
se ci abbiamo impiegato un pò, Musa ha fatto saltare il
secondo motore – confessò infine, aspettando una
reazione che ebbe, e fu più normale di quanto si
sarebbe aspettato visto che si trattava di Riven, e lo specialista non
mostrava mai la propria sorpresa, o un’emozione diversa dalla
noia.
- Ha fatto cosa ?
– ringhiò avvelenato, battendo un pugno sulla
barella per sfogare la propria frustrazione.
- Lo so, non
è da lei sabotarci, ma crediamo che sia stata incantata
quando ha guardato il Fantasma negli occhi. Lo ha letto Tecna nel libro
che abbiamo trovato in biblioteca.
Incantata. Musa era
stata incantata.
Riven
ingoiò l’ennesimo ringhio quando la porta si
aprì con un fruscio, facendo passare una rigida Flora che si
accostò al fidanzato con passi nervosi, addolcendo un
po’ il taglio severo della bocca quando si accorse
dello sguardo dell’altro specialista.
- È
successo qualcosa ? – le domandò Helia con voce
stranita, ricevendo dalla compagna uno sguardo significativo che Riven
comprese, registrò e analizzò nella sua testa con
l’imparzialità di un soldato,
l’accuratezza e profondità di un guerriero.
- Cosa hai visto ?
– la richiamò Riven con voce cavernosa,
irrigidendosi nel vedere la fata abbassare il capo e torcersi le mani
per il nervosismo.
- Stiamo per atterrare
– li avvisò lei compassata, tradendo nella voce
solo un briciolo di ansia – e Timmy ci ha avvertiti della
possibilità di trovare qualche problema
nell’atterraggio visto la confusione che sembra regnare a
Fonterossa.
La corsa alla finestra
gli costò un ringhio di fastidio, ma Riven aveva patito
dolori peggiori, più profondi di una stupida ferita mortale
alla spalla, e quando si affacciò non potè che
aggrottare le sopracciglia e risentirsi del caos che intravedeva anche
da lì.
C’erano
specialisti che correvano a perdifiato per il campo, richiamando quello
o l’altro superiore per chiedere delucidazioni su un problema
che sembrava averli gettati nel panico, un problema tanto grande da
aver trasformato la rigida e composta accademia militare di Magix in
un’accozzaglia informe di ragazzini spaventati.
Come le previsioni di
Timmy, atterrare fu una manovra difficoltosa a causa
dell’inesistente supporto da terra, ma lo specialista era
pratico e avvezzo a viaggi più turbolenti, perciò
riuscì a tornare a terra senza uno sforzo eccessivo.
E quando il portellone
si aprì le Winx e gli specialisti capirono davvero
l’entità del danno.
Non solo il panico
dilagava per i corridoi, ma nessuno sembrava aver realmente capito cosa
fosse giusto fare per risanare quella ferita, solo quando, in mezzo
alla calca urlante, riuscirono ad aprirsi un varco verso la sala
principale Bloom si irrigidì, fermando la loro goffa
avanzata.
-
C’è Faragonda – li avvisò la
fata con voce nervosa.
- E
l’ispettrice Griselda – continuò con
sempre più ansia Aisha, stringendosi a Nabu quando gli occhi
di tutti loro si puntarono sull’uomo di mezza età
che la preside Griffin stava curando con la magia.
E il tempo di chiedere
spiegazioni non ci fu.
Ma
l’ispettrice Griselda, che li aveva riconosciuti e
visti avanzare aveva inforcato di fretta gli occhiali poco prima
sfilati per massaggiare le palpebre stanche prima di porsi
loro innanzi e fermarli con una mano.
- Non potete
proseguire – ordinò loro con una voce che avrebbe
dovuto essere neutra ma che le uscì bassa e
stanca, un particolare che gettò le Winx nel panico.
- È
successo qualcosa a Musa ? – chiese Tecna con voce strozzata,
ricevendo in compenso uno sguardo acido della preside Griffin quando la
strega si alzò da Saladin con espressione dura.
- Ora non è
il momento dei vostri piagnistei – le
rimproverò con ferocia, ma una mano di Faragonda sulla sua
spalla la convinse a lasciare alla fata la responsabilità di
avvisare le sue ex allieve dell’accaduto.
- Dovete essere forti
ragazze – cominciò la donna con voce seria,
notando l’ondata di terrore che aveva fatto sbiancare le
guardiane – Non sappiamo ancora cosa sia successo di preciso,
ma vi prego di non farvi prendere dal panico.
- Credo che dovresti
informarle, Faragonda, della possibilità di non rivedere la
loro povera amica.
Riven fissò
il suo preside, il mentore, il suo maestro con occhi increduli, spaventati, non di
quello che sarebbe dovuto essere il guerriero più forte di
Fonterossa, ma di un uomo che ha paura di scoprire la verità.
Saladin
tornò in piedi con un gemito, soccorso da alcuni suoi
sottoposti che lo aiutarono a non cadere prima che il mago guardasse
con aria mortificata quei visi bianchi per l’orrore.
- Ho cercato di
proteggerla – ammise il mago con voce bassa, dolente,
scuotendo il capo con un gesto rammaricato – ma Salazar era
troppo potente per …
- Lei
dov’è ?
Le Winx, le presidi,
l’ispettrice Griselda, lo stesso Saladin, nessuno
riuscì a frenare il brivido di paura corso lungo la colonna
vertebrale nel sentire il sibilo basso di Riven, la mascella contratta
e gli occhi ridotti a due schegge di luce viola.
Lo specialista la
cercò con lo sguardo, lei e quei suoi occhi blu sempre
così gentili, comprensivi, poi lo vide, lo udì,
il pianto singhiozzante di un ragazzino dai bizzarri capelli verdi.
E quando Riven
scansò l’uomo con poco garbo le Winx lo seguirono
a ruota, sussultando violentemente quando videro cosa Aidan tenesse tra
le braccia.
Non un corpo, non il
viso smorto della loro amica, ma un’ala, una
fragile e colorata ala di fata che Riven riconobbe con un colpo al
cuore prima di alzare lo sguardo su Salazar, il ladro di anime, che gli
specialisti avevano accerchiato.
- No. No, no, no. No !
Fu Tecna la prima a
rompere il silenzio, ad infrangere la cappa di incredulità
che esplose tra loro assieme alle sue urla di disperazione
mentre Stella crollava in ginocchio con le lacrime agli occhi e Flora
scoppiava in singhiozzi.
Sky fece appena in
tempo a vedere Bloom tremare violentemente prima di reggerla e
impedirle di farsi male.
Aisha si
limitò a coprirsi il viso con le mani per non guardare, per
non vedere, per non sentire il cuore andarle in pezzi nel petto mentre
Riven altalenava il proprio sguardo dallo stregone, immobile al centro
di un cerchio magico, all’ala di fata ai suoi piedi.
Ma lo specialista vide
solo il sangue, tanto, troppo sangue, una scia che tinse la sua mente e
i suoi occhi di rosso.
Lo stridio della spada
contro il pavimento fu doloroso per l’orecchio di chi gli era
vicino, ma Riven, finito carponi dopo essersi avventato sul Fantasma e
averlo attraversato non potè che tornare in piedi con lo
stesso suono, facendo strisciare la lama che alzò ancora e a
ancora, correndogli attraverso, finendo sempre col cadere.
E continuò
così, una, due, tre volte prima che la ferita alla spalla
gli strappasse un gemito di dolore che gli impedì di
mantenere una presa salda sulla spada che scivolò via prima
che lo specialista cadesse contro una colonna, le gambe divaricate e
rigide per lo sforzo, le mani abbandonate su quel petto che sentiva
muto.
“-
Ho pensato molto a quello che è successo e
… ho deciso che sarebbe meglio prenderci una
pausa”.
Si prese la testa tra
le mani con un ringhio di frustrazione, strizzando gli occhi per
cancellare la figura ingobbita di fronte a lui,
quell’espressione ferita e rammaricata che sognava ogni notte
da tre anni.
E lui avrebbe voluto
gridarle che non avevano bisogno di una pausa, che non sarebbe servito
a nulla se non a ferire entrambi, a rendere penoso il suo tentativo di
proteggerla da se stesso, da quell’orrore che covava nel
petto e che segnava la schiena di Musa.
“
- Mi biasimeresti se lo fossi ? Credi che ciò che
è successo non mi abbia fatto male ?”
Riven seppe di stare
per crollare, di non riuscire più a raccogliere i cocci
sbilenchi che componevano il suo cuore, perché non
c’era più niente a tenerli su, non la
consapevolezza che anche senza di lui, lei sarebbe stata felice, non il
pensiero di saperla al sicuro dai pericoli, da lui.
Perché lui
le aveva fatto male, tante, troppe volte per contarle, per enumerare le
cicatrici che le aveva lasciato nell’anima, su quel corpo
fragile che tremava ogni volta davanti alla sferzata del suo sguardo
che esigeva durezza e strafottenza.
Che era tremata anche
quella sera e che era indietreggiata, con l’orrore nello
sguardo, con la paura.
Paura di lui, di quel
mostro verde che si ripresentava a chiedere il conto di ogni sua
azione, ridendo dei suoi tentativi di essere migliore, di sembrarlo, di
credersi tale.
“
- Credi che tutto sarebbe tornato alla normalità,
una volta tornati ad Alfea ?
“
- Credi che non mi sia sentita morire quando ti ho visto ubbidire ai
comandi di Mandragora ? Credi che il tuo tradimento non mi abbia
ferita, Riven ?”
Non lo aveva mai
creduto, neanche una volta, perché non era così
stupido da esigere quel sacrificio, non da lei, non in quel modo. Non
quando l’aveva vista davvero
morire dentro. Non quando sapeva di aver ucciso entrambi, se stesso e
lei.
“
- Spiegami allora! Spiegami”
Ma lei non avrebbe
capito, non avrebbe compreso la complessità del suo cuore,
il grigiore della sua anima, il marciume del suo spirito,
l’orrore del suo cuore, di quell’anima nera che lo
portava a ferire, a distruggere ogni cosa buona nella sua vita.
Perché non
la meritava, né lei, nè il suo amore. Non lo
aveva mai meritato.
“
- Capisci allora che una pausa non può che farci
bene. Forse, se stiamo lontani per un po’, noi
…
“-
Cosa vuoi dire ?”
Lo aveva avvertito
anche lui, il suono di qualcosa che cade e va in pezzi,
perché li aveva visti, quegli occhi blu velati di lacrime
infrangersi come un vetro rigato dalle sue mani, dai suoi
tentativi di romperli, di farle vedere la mostruosità del
suo essere, l’ineluttabilità del suo destino.
E non
l’avrebbe portata con sé in quella caduta, non
l’avrebbe trascinata, non sarebbe stata la sua zavorra.
“-
Non parlare come se la cosa non ti riguardasse !”
Quando una mano si
poggiò sulla sua spalla Riven si spezzò, un
misero contatto con l’esterno che lo aveva catapultato in una
realtà peggiore di ogni suo incubo, di ogni sua notte
passata a rotolarsi tra le lenzuola sudate con il ricordo della sua
spada che affondava nella carne tenera di quella schiena bianca.
- Mi dispiace.
Ma non
trovò conforto in quella frase, non l’avrebbe
trovata più, da nessuna parte.
Perché
tutto quello lo riguardava, lei, lo avrebbe sempre riguardato.
Ogni sua azione, ogni
sua lacrima, ogni sua ala spezzata.
Lei sarebbe stata una
cosa sua, ma accettarlo ora non sarebbe importato, non avrebbe avuto
senso, avrebbe solo aggravato il rimorso.
Il rimorso per non
essere stato abbastanza forte da difendere entrambi.
Il rimorso di averla
amata, sempre, ma di non essere mai riuscito a dirglielo, di non essere
mai stato normale.
Il rimorso di avere di
lei, come ultima immagine, un viso inondato di lacrime e un
sorriso spezzato.
Continua…
Quatti quatti ci avviciniamo alla fine, con la speranza di riuscire a
concluderla degnamente.
Pochi capitoli alla fine che però saranno molto
più lunghi dei precedenti vista la molteplicità
di avvenimenti trattati.
Un saluto, Gold Eyes
|
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Capitolo 9 *** Sometimes ***
“Sometimes I don't wanna be better
Sometimes I can't be put back together
Sometimes I find it hard to believe
There's someone else who could be
Just as messed up as me “
[…]
“Sometimes don't deny
That everything is wrong
Sometimes rather die
Than to admit it's my fault “
[…]
“Sometimes I can't hide
The demons that I face
Sometimes don't deny
I'm sometimes sinner, sometimes saint”
( Sometimes – Skillet )
Lo squittio di un topo fu il primo suono che la riportò alla
realtà, poi ci fu dolore, e una devastante sensazione di
soffocamento al petto pressato contro il pavimento impolverato.
E quando Musa riuscì a schiudere le palpebre
trovò difficoltoso fare anche quello, e respirare,
perché ad ogni movimento delle sue costole una scarica di
fitte dolorose le agguantava il fianco e la schiena.
Impiegò più tempo del necessario per riconoscere
la sala esagonale, la puzza di muffa, ma soprattutto, l’odore
acre di quel sangue viscoso sul quale era distesa.
Il sangue che ben presto la fata si accorse, non senza un conato di
vomito, che fluiva dalla sua
schiena, in silenzio, gettando qualche spruzzo scarlatto sulle gambe
divaricate.
Doveva essere rimasta priva di coscienza per molto tempo, forse un
giorno a giudicare della grandezza della chiazza sotto di
sé, e Saladin doveva aver richiuso il passaggio vista
l’assenza di luce del sotterraneo.
Ma era la sensazione di soffocamento al petto a toglierle
lucidità, la pressione esercitata dal diario di Arya che
nella caduta le aveva schiacciato il seno, proteggendola
però da un impatto che avrebbe fatto
più male.
Poi Musa li udì, dei passi sopra la sua testa, molti, troppi
passi per essere quelli delle guardie, e la consapevolezza di
aver lasciato Salazar da solo con il preside le fece cacciare un grido
di frustrazione che soffiò via uno sbuffo di polvere dalle
sue braccia.
Eppure, per quanto provasse a muoversi, a tornare in piedi, il dolore
non glielo permetteva, né quella sensazione di squilibrio
del suo corpo, come se avesse perso un pezzo, e quando la fata
riuscì a torcere il collo per guardare le scale
inghiottì un gemito di disperazione nel vedere lo squarcio
verticale sulla schiena, lì, dove sarebbe dovuta esserci
l’altra ala.
L’orrore, l’incredulità di sapersi
mutilata di una parte essenziale del suo corpo le tolse il respiro, la
voce per esprimere il suo sconcerto, il suo raccapriccio nel capire
cosa il preside di Fonterossa le avesse fatto, le avesse tolto.
Ma fu un’altra consapevolezza a gelarla, la consapevolezza di
sapere a che pro l’uomo gliel’avesse strappata,
pechè Salzar, secondo i racconti, amava strappare le ali
delle fate, e avrebbero incolpato lui, l’avrebbero accusato
ingiustamente, e lei non poteva fare nulla per impedirlo, non in quelle
condizioni.
Quella sensazione di impotenza le fece salire le lacrime agli occhi, la
costrinse a trovare sfogo nelle labbra che morse a sangue per non
urlare, ma l’orrore le gonfiò la gola delle sue
grida, dei suoi strilli di disperazione, di rabbia, di frustrazione.
Perché lo avrebbero ucciso, distrutto per il solo motivo di
averle fatto del male, e nessuna delle Winx avrebbe provato
pietà per lui, l’ assassino, lo stregone crudele,
lo stregone che però l’aveva difesa, e che si era
fidato di lei, che le aveva ceduto la sua mano, la sua attenzione, pur
non conoscendola, pur non sentendo nessun legame con lei.
E lei che era l’unica a poterlo aiutare, a poterlo salvare,
non poteva fare niente, nulla.
Quando la voce le venne meno sgranò gli occhi per
l’incredulità, tossendo per ritrovarla, per
riscoprirsi almeno capace di sfogare il proprio, di dolore, ma tutto
ciò che le sue labbra rilasciarono fu il suono roco di una
donna senza voce.
Dimenarsi in preda alla rabbia fu naturale, fu necessario, anche
se la ferita singhiozzava sangue, anche se il dolore le raschiava il
petto in cerca di altra voce da assottigliare e rendere
incomprensibile, poi il bruciore al petto si fece
acuto, tanto doloroso da costringere Musa a rotolare su un fianco per
trovare riposo da quell’orrore.
E quando il diario di Arya rotolò via dal corpetto la fata
non potè che ritrarsi, spaventata, nel vederlo aprirsi con
uno strattone, scoprendosi attirata da una voce che
sibilava tra le pagine voltate dall’aria, dalla magia, mentre i
suoi occhi si facevano vacui, lontani, e quel canto di donna le
raccontava una storia antica, che solo lei avrebbe capito e accettato.
La storia di un amore tragico che solo lei avrebbe potuto riscoprire,
in cerca di una verità, di una pace che l’anima di
Salazar ed Arya non sarebbero mai riusciti a trovare.
°°°
- Svelti. Sbrigatevi con quelle catene magiche – li
aggredì la voce aspra di Saladin mentre gli specialisti
provavano a non mostrarsi a disagio nel trovarsi tanto vicini al
fantasma, ma la consapevolezza di poter essere vittime della sua
decantata crudeltà rendeva i loro movimenti goffi e
scoordinati, tanto che Helia dovette offrirsi volontariamente di
sistemarle al posto loro.
- Anche se fosse libero non cambierebbe nulla. Sembra che non voglia
combattere.
Il preside di Fonterossa torse il collo con un sorriso affettato,
seguendo il profilo morbido di Tecna, braccia conserte e
sguardo vitreo che scandagliava la figura immobile di Salazar con
lucida fermezza.
- La sua è una tattica, mia giovane fata. Salazar era uno
stregone furbo e potente, e il suo spirito, benchè
indebolito, è una minaccia – la avvisò
accomodante, invitando il nipote ad assicurasi del perfetto
accostamento dei cerchi magici che la preside Griffin aveva tracciato
per immobilizzare lo spirito, così da poterlo
esorcizzare.
- Eppure non credo sia stato lui ad aggredire Musa.
Tecna lo colse distintamente, con la mente analitica che le aveva
salvate da innumerevoli tranelli ed inganni, il sussulto che aveva
fatto tremare l’occhio ostile di Saladin, lo
registrò con eccessiva calma, esaminandone la
causa con prudenza.
- E da cosa lo avresti dedotto, mia
cara ?
La fata rilasciò un braccio per indicare il mantello di
Salazar, le macchie di sangue che gli puntellavano i piedi, scivolando
sul pavimento anch’esso chiazzato di rosso.
- Dalle angolazioni delle macchie. Se il Fantasma avesse aggredito
Musa, le sue mani, innanzitutto, sarebbero sporche di sangue
e…
- Potrebbe averle lavate con la magia – la interruppe il mago
con voce saputa, guardando assieme a lei il quadro generale che la fata
stava tessendo.
- Salazar è una creatura infida e …
- Troppo intelligente per farsi imprigionare così facilmente
da noi, preside. Non è stato lei a tessere le lodi sulla sua
furbizia ? – lo interrogò Tecna con voce bassa e
grave, avanzando di un passo per accostare il fantasma – e
invece, stranamente, si è lasciato catturare con troppa
facilità. Non lo trova molto strano ?
Saladin resse lo sguardo saccente della fata con occhi severi,
preferendo riportare l’attenzione sul nipote che
però sembrava avvalorare l’ipotesi della Winx.
Il mago capì allora che avrebbe potuto trovare sostegno solo
nel suo pupillo, nello specialista più promettente che
avesse mai avuto l’onore di addestrare di propria mano,
l’uomo in alta uniforme che teneva la punta della propria
spada a contatto con la giugulare pulsante di Salazar, così
da tranciargliela di netto nel caso di una sua possibile fuga, e la
catena che gli imprigionava i polsi stretti nella mano sinistra.
- Concordi con me Riven, non è vero ?
Lo specialista non scostò lo sguardo dal viso che fissava
con gelida furia, stritolando tra le dita il freddo metallo delle
catene prima di lanciare uno sguardo a Tecna che chiedeva un sostegno,
un aiuto che lui non aveva mai concesso a nessuno per semplice inerzia.
- No – negò, duro, affrontando
l’espressione severa del preside con sfrontatezza –
io stesso ho trovato delle macchie di sangue che filtrano sotto il
pavimento, perciò credo che qualcun altro l’abbia
aggredita, e che soprattutto, lei si trovi in qualche cunicolo
sotterraneo a noi sconosciuto – concluse pragmatico, tornando
a sorvegliare il Fantasma con l’irremovibilità di
un soldato posto a guardia dei cancelli degli inferi.
- Per questo le Winx e i suoi studenti si sono allontanati, la stanno
cercando – continuò per lui Tecna, cercando nello
sguardo cupo del preside un tentennamento, un cenno di
debolezza che potesse avvalorare le sue ipotesi.
Perché Tecna non aveva mai dubitato del suo sesto senso,
soprattutto se era la sua capacità innata di risolvere
enigmi a poter garantire il ritrovamento di Musa che non era stata
uccisa, non poteva, non doveva.
- Io credo, mia cara fata, che il vostro sia una perdita di tempo.
Dovreste prendere in considerazione la possibilità che la
vostra amica sia rimasta vittima di Salazar – convenne il
mago con voce sepolcrale, incurante del pallore della fata, o del lieve
tremolio della spada che Riven si trovò a stringere con
tanta forza da far sbiancare le nocche.
Una reazione che Saladin trovò patetica da quello che
sarebbe dovuto essere il suo fiore all’occhiello, il
cavaliere senza macchia che rendeva il mago fiero di averlo istruito
personalmente, e la constatazione di trovare dei buchi nella ferrea
disciplina impartitagli lo irritò, tanto che il mago lo
accusò con lo sguardo di essere un debole.
Una debolezza che non avrebbe dovuto avere, non dopo tutti quegli anni
di duri allenamenti, non con una tempra come quella di Riven, un uomo
tanto forte quanto acuto, il pupillo che si vedeva portar via da una
donna, una misera fata che lo rendeva debole e insicuro come uno
scolaro al suo primo giorno di addestramento.
- Non dimenticate che costui ha ucciso la mia amata sorella Arya.
Riven brandì l’elsa con uno scatto nervoso che
fece impallidire Tecna mentre Helia indietreggiava nel vedere le catene
piantate nel terreno tremare al movimento impercettibile di Salazar, il
lieve irrigidimento della mascella che aveva portato il fantasma ad
abbassare lo sguardo su di loro, dopo aver fissato il vuoto per un
tempo incalcolabile.
E quando Riven intravide il luccicore di occhi che sembravano tanto
quelli di un rettile non indietreggiò, non si fece assalire
dalla paura che aveva fatto sobbalzare Helia, si limitò a
gonfiare i bicipiti del braccio destro per avere una presa
più ferma e sicura.
Perché avrebbe potuto avere lo sguardo di Satana, ma non lo
avrebbe lasciato libero, non gli avrebbe permesso di fargli del male,
non più di quanto gliene avesse già fatto.
- Osi ancora sfidarmi ? – gli sibilò Saladin ad un
palmo dal viso, impietrito però dal respiro dello stregone
che si era chinato su di lui, facendo tintinnare le catene che gli
cingevano i polsi sottili.
Tutto ciò che Salazar si lasciò sfuggire fu un
ringhio, un basso e cupo rantolo che racchiudeva l’odio di
una vita, il rancore di una pace mai avuta, neanche nella morte.
E quando la testa del bastone del mago si illuminò, una
scarica di scintille violacee zampillò all’interno
del cappuccio, sferzando il viso che Salazar non ritirò,
neanche quando l’odore di carne bruciata cominciò
a soffiargli sotto al naso assieme al rivoltante scrostarsi
dell’epidermide attorno alle labbra.
Eppure lo stregone non indietreggiò, si limitò a
mettere in mostra una dentatura aguzza, lucida come il metallo
più ricercato, mentre Riven guardava di sottecchi la
reazione del suo maestro che serrò le labbra per lo sdegno.
La vampata di calore che scaturì dal bastone costrinse Riven
ad indietreggiare, e quando Salazar crollò a terra con il
corpo lambito dalle fiamme Saladin si ritrovò a sorridere
beato di quella resa che però il mago non ebbe il tempo di
saggiare quando vide lo stregone tornare ad alzare il capo, come il
più sfrontato dei condannati a morte.
Un atto di pura follia se si teneva conto del dolore che doveva fargli
tremare le membra inghiottite dal fuoco magico, ma Salazar il ladro di
anime sorrideva, grottesco e inquieto come poche cose lo erano a quel
mondo, folle e spietato come il più recalcitrante dei
prigionieri.
- Credi che possa avere pietà di te ? –
rantolò il mago con la voce raschiata dalla furia,
ingigantendo la fiamma che inghiottiva quel corpo evanescente per farlo
accartocciare come un lurido pezzo di carta dato in pasto alle fiamme
del suo odio, ma Salazar non abbassò lo sguardo,
continuò a sorridere, fino a quando la sua stessa gola non
venne raschiata dal suono di una risata.
Una risata bassa e vibrante che fece tremare l’intera sala,
portando Tecna a indietreggiare inconsciamente prima che il braccio del
mago calasse come una mannaia sul capo dello stregone,
picchiandolo con tanta rabbia da far temere lei stessa di avere il capo
sanguinante.
Ma lo stregone rideva, di lui, del patetico uomo che urlava il suo
sdegno, la ripugnanza di averlo davanti, di saperlo ancora in vita dopo
il suo tentativo di distruggere lui e quella stupida di Arya.
Lui e quell’infatuazione oscena che avrebbe gettato lordura
sul nome della loro famiglia, su di lui, su tutta la sua stirpe.
- Basta ! Lo ucciderai ! – urlò Helia nel vedere
il nonno colpirlo ancora e ancora, macchiando se stesso e la divisa di
Riven di alcune macchie di sangue prima che Salazar inghiottisse la sua
risata con un sussulto sorpreso e tornare in silenzio.
Un silenzio intervallato dagli orribili schiocchi del bastone abbattuto
con forza sulla testa dello stregone, un silenzio che un sibilo lontano
e acuto squarciò con l’orrore di una voce
sconosciuta, uno sparo di corde vocali rotte dal pianto che colpirono
la sala come il lancio frettoloso di una mina vagante.
E quando l’urlo pieno e vibrante di quella voce
tuonò tra di loro, Saladin, sbalzato via da
quell’onda acustica non potè che risollevare il
viso con l’orrore celato nello sguardo nel vederla, lei, la
piccola fata che teneva le braccia tese ai lati del volto mentre le sue
labbra inghiottivano l’ultimo alito di quell’urlo
straziato.
- Musa ?
La fata della musica si impose di non essere troppo frettolosa nello
schiudere le palpebre, di non sfidare troppo la sorte e la magia che
l’aveva portata fino a lì, la potenza della sua
voce che l’aveva disintegrata in piccole particelle acustiche
per fuggire dai minuscoli vuoti tra le rocce ammassate della seconda
entrata del passaggio, un incantesimo che le era costato altro dolore,
altro sangue, ma quando Musa si trovò a fissare lo sguardo
angosciato di Saladin non potè che accettare tutto quel
dolore.
Perché era arrivata in tempo, era riuscita a proteggere
Salazar, e lo avrebbe salvato, da quell’uomo che da terra si
riscoprì a fissarla con odio malcelato prima che le sue mani
si riempissero di bombe sonore nel vedere il mago caricare il proprio
bastone per colpirla.
Ma il fascio di luce non ebbe il tempo di raggiungerla, schiantatosi
contro la lama che le si era parata davanti al viso prima che gli occhi
blu della fata seguissero i muscoli guizzanti di un braccio che
riconobbe per le vene pulsanti e i calli di mani troppo grandi e ruvide
per poter dare un senso di dolcezza al tatto.
Eppure lei l’aveva sentita ugualmente, la dolcezza di quelle
mani che sapevano anche ferire, e di uno sguardo che Riven
ammorbidì nel voltarsi nella sua direzione con un sospiro
tremulo che le inondò gli occhi di lacrime.
Ma ciò che la sua gola emise fu un verso roco,
incomprensibile, un richiamo che però lo specialista accolse
con un sorriso, il primo sorriso che Musa vedeva tendere quel volto
tanto duro dopo quasi tre anni.
Un sorriso che profuma di casa e di un rifugio che l’avrebbe
accolta con dolcezza se solo quella voce non fosse tornata a urlare
oscenità.
- Cosa fai Riven ? Non capisci che è sotto incantesimo ?
Salazar le avrà fatto il lavaggio del cervello ! Devi
ucciderli! Devi … - gorgogliò Saladin con voce
possente prima di sputare sangue a seguito della nota esplosiva che
Musa gli aveva gettato contro con occhi lucidi di rabbia e rancore.
Ripugnata dalle menzogne che l’uomo eruttava con boria.
- Musa ? – la richiamò Tecna con voce tremante, e
quando la fata riuscì a incrociare lo sguardo blu
dell’amica non lesse menzogna in quegli occhi, solo un
bisogno bruciante di essere capita, di essere ascoltata, creduta.
E Tecna non si sarebbe permessa di ferirla ancora, non
un’altra volta, ma non potè che singhiozzare un
gemito nel vedere Musa ondeggiare su se stessa prima di scivolare
indietro.
I palmi che la afferrarono per gli avambracci erano freddi,
erano lisci, e quando la fata torse il collo con gli occhi appannati
dal dolore si riscoprì con il cuore in tumulto nel trovare
il viso di Salazar ad un centimetro di distanza prima che il ricordo di
quello che aveva visto, di quello che aveva udito la spingesse ad
allacciargli le braccia alla vita con un singhiozzo disperato.
E su quel petto liberò il pianto silenzioso che aveva
trattenuto in gola durante il racconto Arya, di quel libro nascosto nel
corpetto che estrasse con un sorriso tremulo e il viso rigato di
lacrime nello scostarsi un po’ da lui.
Salazar guardò la sua schiena e la spalla spruzzata di
sangue, il viso impolverato e umido di lacrime, quel sorriso che
tentava strenuamente di non spezzarsi prima di raggiungere con lo
sguardo le mani che gli tendevano un oggetto piccolo e consunto, un
minuscolo diario alla fine del quale lo stregone lesse quattro parole
incise nella copertina.
Dalbhach
mimò Musa con le labbra, rilasciando un sospiro tremolante
quando sentì il palmo freddo di Salazar accostarsi alla sua
guancia, accarezzandola dolcemente con il pollice mentre il corpo dello
stregone veniva irradiato da un lampo scarlatto che
concretizzò il suo tocco, rendendo le sue membra
più solide, il suo viso più chiaro, la sua voce
più calda e virile di quanto Musa ricordasse.
Quando le Winx raggiunsero Tecna nessuna di loro riuscì a
trattenere un singulto sorpreso nel vedere il cappuccio scivolare sulle
spalle del Fantasma mentre una mano dello stregone reggeva Musa contro
il petto prima di accarezzare la schiena e portare via tra le sue dita
il dolore della ferita magicamente cicatrizzatasi sotto gli occhi
increduli di Riven, impietrito dal sorriso caldo dell’uomo
che stringeva la fata come un delicato fiore.
Uno sbuffo di capelli dorati le accarezzò il viso quando
Musa riuscì a schiudere le palpebre con lentezza prima di
sentire il richiamo di Riven e delle sue compagne accompagnare il boato
con il quale Salazar la portò via con sé,
lasciando alle spalle di entrambi sguardi stupiti e il ringhio sommesso
di un uomo incredulo di fronte ad una storia che tornava a ripetersi.
Eppure questa volta non vi fu titubanza, diffidenza per ciò
che avrebbero dovuto affrontare, e quando Riven salì per
ultimo sulla navicella con le urla di Saladin ad ordinargli di
rientrare lo specialista non potè che rinfoderare la spada e
partire assieme alle fate alla volta della dimensione Oscura.
Lì dove il più grande stregone di Magix aveva
dimorato per decenni, in un castello diroccato dove una fata
veniva distesa con delicatezza in un letto vecchio di anni,
inutilizzato da secoli, vegliata da un uomo alto ed elegante che la
guardò dormire da sopra la sua vecchia poltrona chiazzata di
sangue.
Lo sguardo d’ametista che rubava l’anima ma che
Musa era riuscita a fare proprio con quel sussurro con il quale prima
di lei Arya aveva accettato il peso di un amore che l’aveva
portata alla morte.
°°°
Era inghiottita dal buio, un buio denso e gelido nel quale una voce di
donna tornava a sussurrare ininterrottamente la stessa identica frase.
- Devi aiutarci.
- Ma come ? – ripetè Musa per la terza volta,
urlando al buio quel quesito che continuava a non ricevere risposta.
- Devi aiutarci
– tornò a supplicarla la voce debole di
Arya, una brezza gelida che le vorticava attorno assieme alla
sensazione di essere toccata, sulla spalla, sul ventre, come in cerca
di calore.
Tocchi fuggevoli, impalpabili come la scia cerulea che calpestava per
non perdersi nel buio della sua mente, la via tracciata per condurla da
quella donna che agonizzava la pace della sua anima.
- Devi aiutarci.
Musa si prese la testa tra le mani con un gemito di frustrazione,
strizzando le palpebre per non vedere quella desolazione attorno a lei,
per non percepire il vuoto nel quale cercava qualcosa da aggiustare, da
rimettere in sesto.
Ma oltre alla sua figura solitaria e la voce flebile di Arya era sola,
sola con se stessa e con quel cuore che le stava andando in pezzi per
la disperazione di quel richiamo.
- Tu devi aiutarci.
Questa volta la voce non le giunse come un’eco indistinto, ma
come il sussurro cospiratorio di una compagna d’avventure, e
quando la fata schiuse le dita per allungare un’occhiata alla
sua destra non potè che sobbalzare, spaventata e sorpresa di
vederla.
Arya.
Era bella come nella foto, tinta d’azzurro e nero, una
chiazza bicolore che rimarcava la tonalità chiara dei suoi
occhi, l’evanescenza di quel corpo fatto d’aria e
spirito, e il sorriso sincero con il quale le tendeva entrambe le mani.
Musa le prese inconsciamente, spinta dal bisogno di rassicurarla, di
rassicurare entrambe che tutto sarebbe andato bene, che si sarebbero
salvati, ed anche se guardare se stessa un po’ più
vecchia era strano, la consapevolezza di essere nel posto giusto la
convinse a ricambiare il sorriso e stringere la presa su quei palmi
d’aria e spirito.
- Ho aspettato questo momento per un secolo intero – le
sussurrò Arya con voce gentile, accettando la sua sorpresa
con un sorriso ancora più dolce.
- Tu sapevi che sarei venuta ? – la interrogò lei,
confusa, ritrovando in quegli occhi tanto identici ai suoi il rammarico
e la comprensione per un destino che Arya aveva visto poco prima di
morire, poco prima di venire tradita e di tradire l’amore di
una vita.
Annuì con decisione, rafforzando la presa sulle mani della
fata che chiedeva risposte ai suoi quesiti, alla venuta di Salazar, ma
soprattutto, supplicava la risposta ad una domanda che avrebbe salvato
il suo cuore dal baratro di disperazione sul quale era in bilico.
- È stato lui ad ucciderti ?
Quello di Musa fu un verso strozzato, dettato dal terrore di sapere e
sentire il cuore andarle in frantumi assieme alla speranza di salvare
lo stregone e se stessa, ma quando vide Arya schiudere le labbra per
poi stringere gli occhi, come in preda al dolore, capì che
non poteva rivelarlo.
Perché le fate veggenti non potevano rivelare il proprio
destino, non potevano corromperlo, non loro, non chi poteva vedere, e Musa
accettò quel tabù con un sospiro di sconforto
prima di sentire una mano di Arya sollevarla il viso con dolcezza.
- Non tutto è ciò che sembra, giovane fata.
Capirai presto che è più facile credere in una
bugia che cercare la verità in fondo allo sguardo di chi ci
parla.
C’era qualcosa di estremamente materno nella mano di Arya sul
suo viso, una sensazione che Musa non aveva mai potuto saggiare e che
riscopriva in una sconosciuta che era destinata ad aiutare.
- Nel nostro mondo non esistono le coincidenze –
continuò poi con voce grave, distogliendo lo sguardo sulle
oscurità che le circondavano – e non tutti
riescono a trovare nel buio la propria luce.
Quando Arya tornò a guardarla le parve di rivedere se
stessa, una ragazzina spaventata ma sicura di aver trovato
l’amore di una vita, di dover lottare per
conquistarlo, e farsi accettare per quello che erano entrambe.
Donne che amavano uomini sbagliati, maledetti da un destino di tenebre
e sussurri inquieti che li rendevano pericolosi quanto e più
delle creature che dimoravano nelle ombre.
- Tenterà di sviarti, di allontanarti da lui, ma tu non devi
permetterglielo, non puoi, non dopo aver scoperto il suo vero nome.
Dalbhach.
Musa lo aveva sussurrato inconsciamente, ma capiva dallo sguardo serio
di Arya che quella parola racchiudeva più potere e
più significato di quanto potesse immaginare.
- Gli stregoni come lui non rivelano mai il proprio nome – le
spiegò infatti lei con voce gentile –
perché ciò li renderebbe succubi e schiavi dei
custodi del loro segreti – confessò Arya con una
punta di dolcezza, di amore, soffiando sul viso di Musa un alito di
calore che le imporporò le guance per la gioia.
Perché era stato Salazar a confessare il proprio nome ad
Arya, lo aveva letto nel suo diario, era stato lui stesso a rendersi
succube di lei, suo schiavo, era stato lo stregone a cederle il suo
cuore e la sua anima tra le mani, e lei avrebbe scoperto
perché quel cuore Arya non fosse riuscito a proteggerlo, a
difenderlo dal mondo.
- Lo aiuterò – le assicurò con
fermezza, stringendole le mani per farle sentire il suo sostegno, la
sua solidarietà, ed Arya non potè che cingerle il
capo tra le braccia e accarezzarle la testa con dolcezza.
- Walpurgis. Ricorda questa parola quando ti sveglierai – le
sussurrò lo spirito in un orecchio mentre il buio si
diradava, inghiottito da una nube di luce evanescente che rendeva il
tocco di Arya sempre più indistinto, più lontano.
- Ricorda.
Quando Musa aprì gli occhi vide rosso, un rosso borgogna
striato d’oro e con macchie di muffa un po’ qua e
là prima che gli occhi blu della fata scendessero sulle
lenzuola ruvide che la ricoprivano fino ai fianchi.
Poi riconobbe la luce dell’alba smorzata dalle pesanti tende
nere, tanto spesse da camuffare il chiarore del giorno nel bagliore
morente del crepuscolo, una falce di luce morbida che bagnava il
profilo elegante di un uomo con il viso poggiato sulle nocche di una
mano.
-Chi sei ?
La dentatura aguzza che luccicò nel buio la fece trasalire
per la paura, perché l’uomo sedutole di fronte
aveva una bocca grande, dalle labbra sottili e di un acceso rosso
porpora.
Fu però quel particolare a tranquillizzarla, e a calmare i
battiti impazziti del suo cuore.
- Salazar ?
La risata di gola dello stregone la colse in contropiede,
perché lei era abituata ai suoi sussurri deboli, al tono
supplichevole e disperato della sua voce, non a quella risata cattiva e
bassa come l’unghiata feroce di una fiera stuzzicata.
- Ben svegliata mia piccola fata della musica – la accolse
l’uomo con voce canzonatoria, continuando a fissarla con
quegli occhi ametista che Musa fissò con attenzione,
serrandoli per riconoscere altri particolari di quel viso inghiottito
dal buio.
La stanza nella quale si trovava puzzava di chiuso, di muffa, e lo
stregone sembrò notare il movimento impercettibile del suo
naso che si arricciava, poiché lo vide scivolare
elegantemente verso la finestra, afferrando con forza le pesanti tende
nere.
E quando la luce del sole la colpì in pieno viso Musa non
potè che schermarsi il viso con una mano, soffocando un
gemito di dolore nel cozzare con la schiena contro la testata del letto
nel suo debole tentativo di trovare riparo da quella luce
così accecante.
Poi i suoi si abituarono piano piano alla luce del sole, al chiarore di
un sole che baciava il profilo spigoloso di un viso aguzzo, dagli
zigomi marcati e dal naso aquilino, filtrando tra le ciglia biondissime
schiuse su occhi che alla luce del sole le parvero quasi trasparenti.
Ed eccolo, Salazar il ladro di anime, non più un Fantasma
dal mantello logoro, non più la figura evanescente che
infestava Fonterossa, ma un uomo alto, biondo e dallo sguardo
arrogante, cattivo.
Musa non lo trovò propriamente bello, non con quel viso
così deciso, non con la piega dura delle sue labbra rosse,
quasi femminee, eppure non potè che arrossire
nell’accorgersi che era affascinante, un fascino antico che
sapeva di cose passate, oscure e indicibile, come il peggiore dei
segreti.
Ma quando si voltò, quando finalmente furono faccia a
faccia, Musa capì che ci sarebbe voluto tempo e pazienza per
farsi accettare da quello sguardo duro e arrogante, gemello di quello
che la fata ricordava durante la sua adolescenza.
Uno sguardo che aveva scalfito, penetrato in cerca di calore, di amore,
e ci sarebbe riuscita ancora.
Perché lo aveva promesso ad Arya, e perché era destinata ad
aiutarlo, ad aiutare chi come lei aveva sofferto per un amore sbagliato.
E nulla poteva essere paragonato all’animo bellicoso di una
donna sul piede di guerra, non di una donna innamorata,
neanche un Fantasma dal passato tragico e tormentato.
Continua…
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Capitolo 10 *** Forgiven ***
“Forgive me now cause I
Have been unfaithful
Don't ask me why cause I don't know
So many times I've tried
But was unable
But this heart belongs to you alone “
[…]
“Now I'm in our secret place
Alone in your embrace
Where all my wrongs have been erased
You have forgiven
All the promises and lies
All the times I compromise
All the times you were denied
You have forgiven “
[…]
“Take me to our secret place
We'll leave the world away
I get down on my knees
Feel your love wash over me
There will never be another
You're the only one forever
And you know I'm yours alone “
(Forgiven – Skillet )
Se un tempo Musa aveva
erroneamente creduto che il posto più
pericoloso da lei visitato fosse stato il castello di Darkar,
capì presto che il suo metro di giudizio sarebbe andato
peggiorando se avesse svoltato un altro angolo di quel maledetto
castello.
- Sei piuttosto goffa per essere una fata – la riprese con
asprezza una voce alle spalle prima che un braccio muscoloso
la tirasse via dal bordo del corridoio appena crollato sul quale la
fata stava in bilico, ritrovandosi con gli occhi puntati sul mento
appuntito che le pungolava la testa, una scena abituale da una manciata
di giorni a quella parte.
- Sei tu quello che dovrebbe cominciare a restaurare questo
vecchio rudere – sberciò, piccata
dell’ennesima ramanzina che Salazar le dispensava da
più di due settimane.
Non che lei lo facesse apposta a poggiarsi su muri traballanti o sul
credere stupidamente di trovare ristoro sul muro di cinta, ma ogni
mattonella da lei sfiorata aveva preso la bislacca abitudine di
sgretolarsi sotto il suo corpo e di lasciarla a un palmo dal naso da
una voragine dalla quale era prontamente salvata da Salazar.
Ma la sua momentanea assenza di equilibrio era causata e
giustificata dalla seconda cicatrice che le segnava la
schiena, quella più recente, lì dove sarebbe
stata la sua ala se Saladin non gliel’avesse crudelmente
strappata.
Era come se le avessero tolto una parte di sé, e sapersi
incapace di volare in un luogo irto di pericoli e di baratri nei quali
cadere la rendeva irritabile e acida.
Solo che essere acidi con Salazar scatenava energici litigi che
portavano la fata ad arrendersi allo sguardo irato dello stregone e a
chiedergli scusa con un sussurro smozzicato.
Eppure lei quella complicità se l’era guadagnata
col sudore e con le lacrime di frustrazione soffocate contro il cuscino
della sua stanza, e non perdeva occasione di mostrarsi apertamente
irritata dai suoi comportamenti.
Musa aveva passato infatti notti infernali nelle celle dei sotterranei
nelle quali Salazar amava chiuderla per non sentirne gli sproloqui, ma
la fata aveva difeso con le unghie e con i denti il suo diritto di
parlare, di farsi capire e accettare.
Ed anche se le notti al gelo con la compagnia del cranio spolpato di
quello che doveva essere Sir Phoebus le avessero lasciato
un’ombra scura in fondo allo sguardo, Musa era riuscita a
sfondare la corazza dello stregone.
C’era voluto tempo e pazienza, molta pazienza, ma quando la
fata aveva sentito il primo ‘crack
che precedeva lo sbriciolamento del muro che non era mai
riuscita a scalare, si era sentita orgogliosa di se stessa per averlo
sfondato, lei e la sua voce unita alle parole del diario di Arya che
Musa leggeva ogni notte, pagina dopo pagina.
Quella in verità era stata una richiesta di Dalbhach,
scoprire i segreti del suo vecchio amore attraverso la voce di Musa ma
con, al contempo, il volto più giovane di Arya.
La richiesta di un aiuto, un conforto che la fata gli aveva concesso,
leggendo in quella piccola concessione la resa a lei e alla
possibilità di essere capito, e salvato, lui e la sua anima.
Ma era stata anche la sua curiosità morbosa di conoscere la
loro, di storia d’amore, a spingerla a rileggere quelle
pagine ad alta voce, a tessere la tela che aveva poi congiunto i due
fili di tinte diverse, intrecciate nel ricamo di una favola
dal sapore antico e malinconico.
Musa si era riscoperta particolarmente attratta dal modo in cui Arya
avesse agito nel tentare di rivoltarsi alle leggi della Compagnia della
Luce, alla loro visione in bianco e nero del mondo. Si era rivista nel
duello intrapreso dalla fata veggente contro Salzar poco dopo la morte
di Sir Phoebus.
Aveva trovato una profonda somiglianza nelle sue fughe clandestine da
Fonterossa, negli inseguimenti notturni e nelle imboscate solitarie con
le quali Arya aveva più volte messo lo stregone con le
spalle al muro, e ciò che era nato come
un’attrazione per l’ignoto, per ciò che
tutti ritenevano sbagliato l’aveva portata a capire e
accettare la complessità dell’anima di Salzar.
Dalbhach era in fondo l’ultimo rimasto dei vecchi supremi,
stregoni potenti, i primi ad instillare la fiamma della magia nel
mondo, quella che poi le streghe antenate avevano trasformato in
Valtor, e l’essere rimasto solo, troppo potente per poter
essere capito, lo aveva reso quello che era.
Una divinità rancorosa e spietata che ricercava nel
malessere altrui il proprio benessere, il bisogno di sentirsi voluto,
di essere percepito dalle creature, in ogni forma possibile, attraverso
l’odio e la paura che lo aveva poi reso leggenda.
- Cosa fai in questa ala del castello ? – la
richiamò con quella sua voce dalla punta aspra e a volte
cattiva, una reazione istintiva più che un vero tentativo di
intimidirla.
- Ho visto una luce lì in fondo – si difese,
agguerrita, districandosi dall’abbraccio per allungare una
mano dall’altro capo del corridoio e indicare ciò
che l’aveva attirata lì.
Dalbhach parve ignorarla per qualche altro secondo
prima di lanciare un’occhiata scettica e disinteressata
lì dove il dito della fata era puntato, e quando Musa lo
vide irrigidirsi capì che ciò che aveva trovato
era qualcosa di pericoloso, di estremamente pericoloso a giudicare
dalla sua reazione.
- Cosa c’è lì ? – lo
interrogò subito, curiosa, stringendo le labbra per la
stizza nel ricevere le spalle che la informavano di quanto potesse
importar allo stregone delle sue domande.
E fu proprio l’abituale indifferenza del Fantasma a farle
compiere l’opposto di ciò che lui le chiedeva,
solo che quando Musa provò a strisciare lungo la parete per
raggiungere l’altra sponda si ritrovò nuovamente
al punto di partenza, con il braccio stritolato nella mano di Salazar.
- Dove credi di andare ? – la aggredì lui con voce
bassa e vibrante, stringendo la presa sul braccio che la fata si
ritrovò a strattonare per non farsi fare del male,
perché lui rimaneva comunque uno stregone potente, troppo
potente, e per quanto il loro fragile legame lo ammorbidisse,
ciò non le garantiva l’immunità
assoluta.
Perché c’erano cose che non avrebbe dovuto sapere,
semplicemente.
- Cosa nascondi ?
Il sorriso di Dalbhach le aveva fatto sempre paura, perché
era inquieto, un tremolio di denti bianchissimi e metallici che ne
imitavano persino il suono quando l’aria gli sibilava contro,
un sorriso che lui le rivolgeva solo quando voleva farle del male,
quando non sopportava più la sua curiosità.
Ma ancor prima di doversi difendere dalla sua magia la sua
lingua fu più veloce del suo braccio, e quando Salazar la
fissò lo fece con rabbia, riabbassando l’arto e
prendendola in braccio per trasportarla lì dove desiderava.
Usare il potere, il suo
nome per controllarlo non le piaceva, la faceva sentire
ingiusta, lei che della libertà ne era il baluardo, ma
soprattutto, odiava il ghigno di Dalbhach dopo averlo fatto.
- Eccoci qui, mia
padrona – le sibilò lui in un
orecchio, depositandola con poco garbo di fronte a
ciò che aveva attirato la sua attenzione.
- Sai che non amo adottare questi stupidi giochetti – lo
rimproverò, severa, stringendo le dita attorno al suo
avambraccio per fissarlo negli occhi e fargli leggere
l’assenza di menzogna nel suo.
Ed era proprio la sua sincerità ad irritarlo, lui che non
concepiva l’esistenza della fiducia e della
sincerità, non se provata nei suoi confronti, e in quelli
blu della fata, come in quelli identici di Arya, c’erano
sempre stati.
Sincerità, comprensione, e quell’agghiacciante
altruismo che lui non comprendeva.
- Questo è quello che volevi – la interruppe
frettoloso, distogliendo lo sguardo da lei per fissare
l’enorme telo polveroso che tirò con uno strattone
per mostrarle uno specchio dalla superficie violacea, lucida e pulita
come se secoli di sporcizia non l’avessero neanche toccato.
La stessa cornice dorata sembrava non essere stata corrosa dal tempo,
luminosa e caratterizzata dal disegno di mani intrecciate che ne
disegnavano il contorno, palmi tesi e rivolti verso il vuoto che le
fecero accapponare la pelle.
- Bello vero ?
Musa strillò per la paura quando sentì le mani d
Salazar sulle sue spalle stringerla con tanta forza da farle male, ma
fu la visione di una scia bluastra di fronte a lei a
terrorizzarla, l’ombra impalpabile che per un attimo, un solo
attimo, le era sembrata Arya.
- Questo specchio mostra ciò che si desidera, ciò
che si brama dal più profondo del cuore – le
spiegò lui, allontanandosi di poco per non rientrare nella
superficie violacea e influenzarne il riflesso con i suoi, di desideri,
e quando Musa vide il proprio sentì gli occhi pungere e la
gola grattare per urlarne il nome.
Lo sentì sorridere contro la tempia, addolcendo la presa
sulle spalle prima che quelle stesse mani la spingessero in avanti,
verso l’uomo dai capelli viola che le tendeva una mano con un
sorriso.
- Avanti. Non è quello che vuoi, che hai sempre voluto ?
Quello aveva sempre voluto ?
Musa osservò il viso di Riven, i suoi occhi, le sue labbra,
e quella mano tesa che la attraeva come il più bello dei
sogni, ma quando d’istinto la sfiorò si sorprese
di poterla stringere, ma sopratutto, di poterla sentire fare
forza per trarla a sé.
Quando l’urlo di Musa schioccò per il corridoio
Dalbhach si limitò ad accarezzare la cornice con sguardo
nostalgico, ripensando alla sua prima volta dentro lo specchio, la
prima e l’ultima volta che aveva visto il vero orrore della
sua anima.
Perché quell’aggeggio infernale era stato
sì creato per mostrare ciò che si desiderava dal
più profondo del cuore, ma anche per rendere consapevole chi
vi si specchiava di ciò che avrebbero fatto, per averlo.
Quello che la morale non concedeva di fare ma che in fondo si
desiderava compiere, quel lato oscuro che tutti possedevano, in piccole
o grandi quantità.
E chi come lui nel male era nato, capire quanto orrore, morte e
distruzione segnasse la propria anima non poteva che far
impazzire,portandoli ad arrendersi alla consapevolezza di non
avere il diritto di essere felice, o di accettare, semplicemente quella
metà di se stessi che tutti aberravano come la peggiore
delle malattie.
E chissà che finalmente quella fata non si sarebbe rivelata
uguale a tutti quelli che aveva incrociato sul suo cammino,
terrorizzati dalla possibilità di abbracciare la propria
mostruosità tanto da credere di non meritarlo, ricercando
nel bene e nella misericordia una salvezza che per lui non
c’era mai stata.
°°°
- Ne ho abbastanza!
L’urlo frustrato di Stella trillò per la sala di
controllo come la peggiore delle sveglie, ma se le Winx sentirono la
stessa irritazione storpiare la loro, di voce, a quell’urlo,
Timmy, l’unico a non aver trovato riposo per quelle
interminabili settimane non potè che zittirlo con un sibilo
basso.
E fu proprio l’inusuale reazione dello specialista a placare
l’atto di ribellione della principessa di Solaria, tornata a
schiantarsi con un sibilo sul proprio sedile mentre i suoi occhi dorati
scrutavano il buio che circondava la navicella.
Una cappa di oscurità così spessa e pericolosa da
aver limitato la loro visibilità e che li aveva
costretti a procedere con la velocità di una tartaruga.
- Perché questa maledetta dimensione deve essere
così … così …
- Oscura? – la anticipò Bloom con un verso
divertito, strappando un sorriso agli specialisti stanchi e provati che
sostavano alle loro spalle.
Perché viaggiavano da settimane, alla cieca, trovando solo
nebbie scure e il silenzio inquieto della dimensione Oscura nella quale
si erano addentrati senza un vero piano di attacco.
L’idea iniziale di raggiungere Salazar e riprendersi Musa
aveva infatti trovato una difficile attuazione dal momento che dello
stregone, o della sua millenaria dimora non c’era traccia, e
l’impossibilità di poterne seguire le tracce in
quell’aria tinta di scuro e malvagità non faceva
che renderli particolarmente irritabili.
- Perché doveva essere un Fantasma sanguinario a
rapire Musa ? – strepitò la fata con voce
isterica, battendo i pugni sul pannello di comando per scaricare la
propria frustrazione – non poteva essere un principe biondo,
alto e bello per una volta ?
Un ringhio basso e cupo fu l’unica risposta che ebbe prima
che Riven stringesse gli occhi nel notare il movimento lento e secco
con il quale Stella si era voltata a fissarlo, gli occhi dorati tanto
grandi e segnati dall’indignazione da far deglutire
Brandon sonoramente.
- Ringhi ? - gracchiò incredula, balzando
giù dal sedile per andargli in contro con il medio puntato
contro quel viso di pietra – ringhi ? A me ?
Stava per esplodere, e Riven non potè che lasciarla sfogare
pur di non patirne i piagnistei in seguito.
- Cosa diamine ti ringhi! È colpa tua se ci troviamo in
questo guaio, solo tua! – strillò fuori di
sé, picchiettando il dito sul torace che
sentì gonfiarsi sotto il polpastrello mentre
Brandon allungava una mano alla sua spada nel cogliere il lieve
restringimento di pupille del compagno.
Ma Riven non le torse un capello, si limitò ad irrigidire il
collo e le braccia serrate sul torace con uno scatto nervoso
che però Stella non accettò come reazione, non
arrivati a quel punto.
- Sai che è così – continuò
lei con voce sempre più stridula, zittendo i tentativi di
Helia di calmarla con un gesto infastidito della mano – lo
sappiamo tutti, lo sai anche tu. Se non fossi stato tanto vigliacco
tutto questo non sarebbe mai successo!
- Stella
– provò ad ammansirla il compagno con voce dolce e
comprensiva, ma la fata non voleva sentire ragioni, non ora che poteva
scaricare la paura e la rabbia accumulata su Riven, su
quell’uomo egoista che aveva fatto soffrire la sua amica per
anni.
- Sai quanti ragazzi avrebbero voluto trovarsi al tuo posto? Hai la
minima idea di quante volte ho visto Musa evitare contatti con
l’altro sesso per colpa del tuo dannato ricordo?
E lì Riven l’ebbe, la prima reazione, un
impercettibile vena pulsante che Stella seguì con la coda
dell’occhio prima di piantargli il dito sul
pettorale sinistro, con la speranza di forare il muscolo liscio per far
sentire il proprio rancore anche su quel suo cuore di pietra.
- Non puoi immaginare quanto sia stato penoso dover assistere alla
disperazione di Musa, non potrai mai capire quanto male ci hai fatto, a
lei e a noi.
Questa volta la voce sembrò venirle meno, ma non era stata
la rabbia a soffocarle l’aria nel petto, quanto
più il ricordo di una figura rannicchiata nel letto che
sussultava e chiedeva di essere lasciata sola, solo per un
pò, un po’ che tutte loro avevano misurato con il
contagocce, come il conto alla rovescia per lo scoppio di una bomba.
Una bomba che era scoppiata, certo, ma in silenzio, strappando pezzo
per pezzo quel sorriso che non era stato più lo stesso, che
raramente raggiungeva quegli occhi blu adombrati da un dolore che non
sarebbe passato, non con la prova del tradimento ricevuto marchiato
sulla schiena ,per rammentarle che aveva fallito, che avrebbe
continuato a farlo, con lui.
- Credi che sia stato facile per noi sapere della cicatrice che Musa
provava a nascondere sotto strati e strati di vestiti? Pensi veramente che lei
potesse dimenticare ciò che le hai fatto? Credi seriamente
di non doverti assumere le tue responsabilità?
Quando Stella ritirò il braccio lo fece con lentezza, le
iridi chiare ancorate a quello sguardo duro che non sembrava
mai essere stato scalfito da nulla, da nessuno, ma la fata lo vide,
finalmente, la piccola crepa in fondo a quel viola cupo, una piccola
striatura che graffiava come un unghiata quegli occhi che non avevano
mostrato mai il senso di colpa.
E Riven trovò quell’intrusione irritante,
ingiusta, tanto che la scostò con poco garbo, ringhiandole
contro di non immischiarsi negli affari degli altri, ma la voce che gli
uscì gli parve storpiata, contratta come se la sua gola
avesse espulso assieme all’aria il dolore che gli grattava la
giugulare.
Una fragilità che non avrebbe dovuto mostrare a nessuno, men
che meno a se stesso, a quel riflesso che rimandava
l’immagine storpiata di un sorriso diviso a metà,
come se la sua bocca fosse confusa su cosa fare, se nascondere il
proprio dolore, o mostrare la propria finta tracotanza.
-Ragazzi – li richiamò Timmy con voce un poco
stridula, ma se Tecna aveva visto il singulto del fidanzato come la
reazione a scoppio ritardato dettato dal poco sonno, tutte loro si
trovarono a sussultare per lo spavento quando cozzarono contro qualcosa
di frusciante mentre il vetro della navicella veniva accarezzato da
quelle che, persino nell’oscurità, parvero loro
rami.
- Siamo arrivati.
°°°
- Fammi uscire di qui! Mi hai sentito! Fammi uscire! –
gridò rabbiosa, battendo i palmi sul vetro che la divideva
da Salazar, ma il Fantasma non sembrava vederla, né lei,
né il luogo nel quale Riven, o il suo riflesso,
l’aveva trascinata.
- Mi hai sentito? Dalbhach!
– continuò imperterrita, ma era come se fosse
stata rinchiusa in una stanza insonorizzata- dannazione –
sibilò allora, frustrata nel sapersi prigioniera, di nuovo,
ma quella volta il buio attorno a lei era più profondo di
quello delle prigioni, ed anche se lì non vi era
l’odore rancido di carne in putrefazione ed escrementi di
topo, l’aspetto asettico e monocolore di
quell’antro buio le fece uguale ribrezzo.
Musa osò compiere un passo più per il naturale
istinto di riscaldarsi che di esplorare, ma quando i suoi piedi
affondarono in una fanghiglia nerastra la fata non potè che
arricciare il naso e farsi forza per avanzare ancora e cercare una via
di fuga.
Il viscidume le imbrattò l’orlo
dell’abito che lo stregone le aveva donato pochi giorni
prima, uno dei tanti vestiti stipati nell’ammaccato baule di
Arya, la prova della breve convivenza dei due nel castello.
Le stava un po’ largo sul petto, ma il tessuto era abbastanza
morbido da non irritare la ferita alla schiena, ancora fresca, e fu
proprio il pensiero di stare imbrattando un vecchio ricordo della donna
a convincerla a ungersi le gambe pur di non sporcarlo, mentre con le
mani tirava la gonna sulle cosce.
- C’è qualcuno?
L’eco della sua domanda le fece venire i brividi, ed anche se
chiamare aiuto fosse piuttosto stupido da parte sua, Musa sperava con
tutta se stessa che la punizione dello stregone non l’avesse
davvero messa in pericolo.
Perché Dalbhach poteva essersi fidato di lei, poteva averle
aperto il suo cuore, ma la sua anima nera avrebbe difeso quello
stralcio di tenebre che vomitavano i suoi occhi ad ogni suo tentativo
di comportarsi da amica, da confidente.
In realtà Musa capiva che l’istintiva diffidenza
dello stregone lo spingeva ad allontanarla, Arya glielo aveva
addirittura predetto in sogno, ma chi come lei era abituata al rifiuto,
sapeva reagire alle intimidazioni di un uomo folle e arrogante.
Eppure la consapevolezza di essere stata ancora allontanata, esiliata
da quel piccolo spazio che si era ritagliata nel cuore di Dalbhach la
indispettiva, così come Musa si era sempre sentita irritata
dai tentativi di Riven di estraniarla da ciò che lo
riguardava.
Comportamenti che riteneva stupidi per chi avrebbe dovuto amarle, lei
ed Arya, costantemente rifiutate da uomini troppo arroganti e saccenti
per capire che quelle continue lamentele, quei loro dispetti le
ferissero profondamente.
- Dannato stregone! – gracchiò in preda alla
rabbia, calciando il vuoto prima di scivolare in
avanti, finendo con il viso immerso nella poltiglia nerastra, e quando
ne uscì Musa prese una lunga boccata d’aria prima
di schiudere le labbra in un grido agghiacciante.
- Bu !
L’orrore le portò via l’ultimo residuo
di colore presente sul volto, e quando la donna a lei di fronte le
sorrise in modo raccapricciante Musa non potè che far forza
sulle braccia per allontanarsi da quella cosa.
- Non dirmi che hai paura di me?
– la canzonò quella che sembrava davvero
un’altra se stessa, non l’immagine sbiadita di una
gemella più adulta, non il riflesso confuso di una donna
passata, ma una se stessa identica, seduta sui talloni e con le mani
chiuse a coppa sul mento, intenta a fissarla con un sorriso orribile.
I capelli incollati al viso le rendevano la vista un po’
appannata, e la sensazione di sporco si intensificò quando
la ciocca asimmetrica strappata da Salazar prese a gocciolare marciume
sulla guancia destra.
- Siamo silenziose a quanto vedo – continuò la se
stessa dal sorriso osceno, allungandole una mano per aiutarla ad
alzasi, ma Musa percepiva il pericolo in quella figura, in quel sorriso
troppo grande da poter essere contenuto in un viso tanto piccolo, nelle
dita lisce che sembravano prometterle dolore, nient’altro che
dolore.
- Avanti, non è così che dovresti
trattare te stessa- smozzicò civettuola la fata sorridente,
chinandosi per tirarla in piedi con una forza inumana, tanto che Musa
ondeggiò su se stessa prima di reggersi alla spalla della
donna .
E quando quella la ebbe tanto vicino da udirne il battito, le
circondò la vita, abbracciandola con
un’intensità tale da strappare un gemito di dolore.
- Ho aspettato tanto questo momento – le sussurrò
in un orecchio, in un piagnucolio a labbra socchiuse che Musa sapeva,
erano tese nello stesso identico sorriso di poco prima – non
immagini quanto sia felice di vedere l’altra me.
- Io non sono te – la zittì lei con voce isterica,
strizzando le palpebre nel sentire le dita gelate della donna premere
con forza sulla cicatrice verticale, sul taglio oblungo che le dita di
quella cosa
toccavano con forza, con rabbia, come se volesse riaprirla per
immergervi i polpastrelli, e quando li sentì davvero,
piantati poco sotto la scapola, Musa non potè che
irrigidirsi con uno strillo di dolore che soffocò contro la
spalla della creatura prima di sentire qualcosa di morbido accarezzarle
la punta gelata del naso.
E quando un’ala nera puntellata d’azzurro le
illuminò il viso, lì, dove poco prima non
c’era niente, non sotto le sue dita, non sulla schiena di se
stessa, sentì un conato di vomito risalirle la gola mentre
il dolore per la ferita aperta le faceva venire un capogiro.
- Non è niente, coraggio – la blandì
dolcemente, reggendola per evitarle di accasciarsi al suolo priva di
forze, ma era quell’abbraccio stesso a farla sentire male,
era quella mano che le accarezzava i capelli e la visione di
quell’ala nera che solo dopo si accorse,era macchiata di
sangue, come la sua, di ala, quando Saladin gliel’aveva
strappata.
- Non c’è nulla da temere mia piccola sciocca,
nulla.
Il lieve canticchiare di quella cosa,
di quella creatura era fastidioso come il grattare di unghie sulla
lavagna, il verso isterico di un corvo che puntava la prossima carcassa
da divorare, ma per quanto Musa lo trovasse rivoltante, qualcosa nella
sua testa le diceva che c’era del vero in quelle parole, una
verità che non sarebbe riuscita ad accettare, non senza
impazzire.
- Quel piccolo ingrato di uno stregone non ti ha spiegato nulla, vero ?
Tipico di un uomo arrogante come lui. Ma non preoccuparti, il suo turno
lui lo ha già avuto qui dentro – la
rassicurò materna, accarezzandole la testa che avrebbe
ciondolato all’indietro se non fosse stato per quelle dita
gelate.
E quando Musa rivide quell’ala nera agitarsi non
potè che allungare una mano, guidata da una voce che le
sibilava nell’orecchio di capire,comprendere e accettare che
quello non era un incubo, non lo era, non quando, nello stringere la
debole foggia dell’ala si ritrovò a schiudere le
palpebre per il dolore alla sua, di schiena.
- Sei ancora scettica, mia piccola fata ? Credi ancora che io non sia
te ?
- Io … io – balbettò Musa con un filo
di voce, trovando in quell’abbraccio il sostegno necessario
per non cadere in ginocchio, nella poltiglia che la ricopriva ma che
lentamente il suo doppione le stava togliendo con delicatezza.
- Ma io ci sono sempre stata, in ogni istante della tua vita. Come
quando sei scappata da quel locale invece di fare a pezzi quella
sgualdrina di Darcy – sibilò cattiva, tirandole i
capelli per sfogare la rabbia, la frustrazione che Musa
sentì fluire in lei, nel groviglio di orrore e
incredulità che era diventato ormai il suo stomaco.
- Avresti potuto cavarle il cuore dal petto, avresti potuto stordirla
con le onde sonore fino a farle sanguinare le orecchie e invece cosa
hai fatto? Sei scappata – ringhiò fuori di
sé, graffiandole la nuca con le unghie corte.
- Era la cosa giusta da fare – la interruppe frettolosa, il
fiato strozzato per il poco afflusso di ossigeno causato dal braccio
che le cingeva la vita e che si era rafforzato, tanto da toglierle il
respiro.
- Giusto per chi? Per te? Per le tue lacrime o per le leggi della
morale mia piccola fata? Ma io so che avresti voluto ucciderla, lo
sappiamo entrambe che avresti voluto cavarle gli occhi con le tue
piccole graziose mani.
Era vero.
Musa strizzò gli occhi per non darle soddisfazione, per non
dover immaginare la propria mano affondata nel petto della Trix, ma lei
lo sentiva ugualmente, il cuore della strega pulsare tra le sue dita,
ricordarle che lei lo aveva voluto, lo aveva voluto tanto,
perché quella strega le aveva strappato l’uomo che
amava semplicemente per ferirla, per sentire i suoi singhiozzi
trattenuti.
Quando perse sensibilità alle gambe Musa capì di
non poter far a meno di aggrapparsi all’altra se stessa,
perché la poltiglia nerastra era aumentata, tanto da
lambirle il bacino, lì dove le mani della creatura avevano
ripreso ad accarezzarle i capelli.
- O quando hai spezzato il cuore del povero Giared ? Sai di averlo
fatto, ma il pensiero di Riven ti ha reso insensibile al dolore di
chi ti circondava, allo sguardo deluso di quel caro ragazzo.
- Lui sapeva che non lo avrei mai ricambiato – si difese,
sentendo però di stare perdendo anche la
sensibilità del braccio e del busto quando il
mento venne solleticato dalla melma nera che oramai le
raggiungeva la gola.
Ma la se stessa sorridente continuava ad accarezzarle la testa, a
sibilarle all’orecchio ciò che avrebbe voluto
fare, ciò che non aveva potuto ma che aveva voluto, tante
volte, e Musa si sentì assalire dalla nausea per se stessa,
per quell’odio che non avrebbe dovuto renderla succube della
violenza, neanche in un sogno.
Perché capiva di non essere migliore di Darcy, non con quei
pensieri, non con quel pulsare frenetico nel palmo della mano che,
seppur immaginario, la rendeva consapevole di quante brutture vi
fossero nella sua anima.
Ma la fata sapeva di non essere mai stata perfetta, di essere debole,
vittima di un amore malato che non le aveva mai permesso di essere
felice quando avrebbe potuto.
E avrebbe potuto esserlo, tante e tante volte, con Giared, con gli
uomini che l’avevano corteggiata, ma il ricordo di Riven non
glielo aveva mai permesso, la consapevolezza di non poter esserlo senza
di lui gliel’aveva sempre negata, quella
possibilità.
La sensazione di intorpidimento la assalì con ferocia, tanto
che non trovò necessario neppure respirare, men che meno
quando la bocca e il naso furono inghiottiti da altra melma, da quello
che lei sapeva, era il marciume del suo cuore, di un lato oscuro che
non aveva mai avuto il coraggio di abbracciare.
E Musa capì, comprese l’afflizione di chi da quel
marciume non poteva fuggire, di chi, come Riven e Salazar sguazzavano
nel catrame, nell’oscenità di pensieri che
facevano prudere gli occhi e bruciare la gola per la paura, il terrore
di quello che un uomo giusto non avrebbe dovuto neanche pensare.
- E sai che avresti voluto uccidere Bloom per la cotta di Riven.
Un gorgoglio sommesso le uscì dalla bocca quando, riaprendo
gli occhi con uno scatto, provò a contraddirla, a negare
quella che non poteva, non era il pensiero di una donna malata, di un
cuore corrotto, non del suo, perché Musa sapeva con certezza
che quel pensiero lei non lo aveva mai avuto, mai.
E il desiderio di districarsi da quell’orrore, di scacciare
da sé quelle mani e quella melma la portò a
dimenarsi, a raschiare con le unghie per riprendere a respirare.
Sputò fanghiglia, inalò polvere e odore di morte,
di putrefazione, ma quando ebbe le mani libere fece l’unica
cosa che le avrebbe concesso la libertà da
quell’abbraccio malato.
L’urlo dell’altra se stessa le perforò
il cranio come se le avessero conficcato un punteruolo nella tempia, ma
quel dolore era necessario, le sue lacrime erano necessarie, e
quando riprese a tirare con più forza l’ala nera
la schiena riprese a sanguinarle.
- Cosa. Stai. Facendo.
– le rantolò la creatura con una voce storpiata,
non sua, mentre la melma si ammassava ai suoi piedi con il suono di un
rigurgito.
- Quello che deve essere fatto – le ringhiò di
rimando, mordendosi la lingua per non urlare prima di sentire il tonfo
brontolante con il quale finì a terra, con le dita
artigliate attorno all’ala che lei e l’altra se
stessa guardarono con l’affanno nella voce e nello sguardo.
- Io non ho mai desiderato fare del male Bloom, lei non ha
mai avuto colpa per quello che è successo. E per quanto
bugiarda io possa essere sui miei reali desideri, per quanto il terrore
di scoprire quanto in basso possa ancora cadere mi atterrisca, non ho
mai, mai desiderato di ferire le Winx. Neanche.Una.Volta.
L’altra le sibilò, selvaggia e grottesca con la
mano pressata contro la schiena che al pari della sua stillava sangue,
ma non c’era nulla di giusto in quello che Musa vedeva, nulla
che valesse la pena di raccogliere, aggiustare.
Anche se lei era sbagliata, anche se guardargli allo specchio sarebbe
stato difficile dopo aver visto cosa fosse capace di pensare, di
volere, ma avrebbe imparato a conviverci, come aveva fatto Riven, come
aveva fatto Salzar.
- Sei solo una stupida sciocca – gracchiò lei con
voce storpiata dal dolore, raggrinzendo e perdendo solidità
ad ogni strappo che Musa infliggeva alla povera ala.
- Che io sia stupida o meno, non è compito di nessuno
deciderlo. Neanche tuo.
Quando quella cosa esplose, il suono angosciante di risucchio al petto
la costrinse a ripiegarsi su se stessa, difendendo il viso e
ciò che rimaneva dell’ala dalla melma che in un
ultimo spasimo le vomitò addosso l’orrore della
sua anima, poi il dolore sparì, ma la mano che la
tirò in piedi non fu più fredda, non fu
femminile, fu grande, ruvida e con i fragili tendini ben in vista.
Musa schiuse le palpebre impastate dalla fanghiglia con
lentezza,sorridendo debolmente nel riconoscere il reticolato di venere
azzurre che amava seguire con le dita da ragazzina, e anche quando vide
un bagliore metallico risplendere nella mano destra che lo specialista
teneva dietro la schiena, non si allontanò.
La sensazione di benessere fu di breve durata, il tempo di un battito
di ciglia imperlate di lacrime e sporcizia prima che il dolore acuto al
fianco la facesse accasciare senza fiato tra le braccia di Riven con un
sorriso.
Perché era quella la macchia più scura e corrotta
del suo animo, la consapevolezza di riuscire a perdonare ogni suo
gesto, ogni sua parola, ogni suo sguardo, a costo di ferirsi e farsi
male, e di perire, se necessario, per una follia che la portava a
stringersi al corpo freddo del suo assassino.
La bruttura più evidente della sua anima, quella che
l’avrebbe sempre fatta sentire sbagliata e malata, ma che il
suo cuore e la sua schiena le avrebbero sempre rammentato con quel
pulsare frenetico che sapeva di sangue e lacrime, ma non di cose
sbagliate.
Non per lei.
°°°
L’ennesimo, rumoroso fracasso emesso dal muretto che avevano
appena scavalcato costrinse le Winx a lanciare uno sguardo irritato
alle loro spalle, e Timmy trovò molto interessante il ragno
che aveva covato una casa nel bulbo oculare di un cranio piuttosto che
le espressioni arcigne delle fate, ma lì sotto era
impossibile non creare scricchiolii sinistri, non se attraversavano un
sotterrano addobbato con scheletri impiccati, corpi ammassati e una
montagnetta di elmi medievali che Sky aveva guardato con occhi sgranati
prima di avanzare.
- Bleah ! Che schifo!– uggiolò poco dopo Stella,
ritirando il piede appena affondato in una pozza d’acqua
stagna e sangue incrostato sul fondo, e all’ennesimo “shh” degli
specialisti la fata afferrò la prima cosa trovata in terra
per lanciarla con stizza sulla nuca di Brandon.
- Ahia! Ma sei impazzita? Ora ti metti a lanciare anche un…
un … un braccio amputato – strillò il
ragazzo con voce stridula, sbiancando e lanciando l’arto
all’aria prima di ululare il proprio
orrore e trovare riparo dietro la schiena dell’apri fila.
E quando Riven lo sentì stringergli le spalle con troppa
foga non potè che colpirgli le mani con l’elsa
della spada prima di alzare la torcia, così da
illuminargli il volto e mostrare il pallore delle sue labbra stirate in
una linea dura.
- Quale parte del veloci
e silenziosi non hai capito, Brandon? – gli
sibilò ad un palmo dal viso, tornando dritto
nell’udire il respiro di qualcosa di grosso, di molto grosso
se era stato tanto forte da fargli ondeggiare il mantello.
- Lo avete sentito?
- Si Timmy, lo abbiamo sentito. Come abbiamo sentito lo squittire dei
topi all’entrata, e come abbiamo sentito l’ansito
dell’orco appeso a testa in giù del quale nessuno di noi
aveva notato la presenza, e di questo dobbiamo ringraziarti tutti
– lo riprese Tecna con asprezza, trovando
l’allarmismo del fidanzato piuttosto inadeguato per quella
circostanza, specialmente se c’erano persone sensibili come
Flora, o isteriche come Stella tra le loro fila.
- La mia era solo una costatazione – le rispose piccato,
sorpassandola con il naso all’insù prima di
rotolare in quella che, a giudicare dall’odore, doveva essere
una latrina, scatenando uno scoppio di risate che
Stella inghiottì prima di avventarsi su di lui con un grido.
- Dannazione! Non riuscite a fare un po’ di silenzio ?
– tuonò Riven con rabbia – non potete
…
- Un elastico di Musa – lo precedette la principessa di
Solaria, torcendo i capelli di Timmy per estrarne un rotolo di tessuto
bruciacchiato e unto di sangue – è
l’elastico di Musa! Riconoscerei tra mille i suoi elastici
antiestetici!
Bastò quell’informazione per far ondeggiare
l’unica fonte di luce che Riven teneva serrata tra le dita, e
quando lo specialista la raggiunse non potè che strapparle
dalle mani il piccolo oggetto per portarlo al naso.
E lo sentì, assieme al puzzo di sangue e chiuso, profumo di
fiori.
Il suo
profumo.
- Ma perché l’ha rinchiusa qui sotto? Io credevo
che…
- Lo credevamo tutti Flora – la interruppe Bloom con voce
grave, fissando l’espressione angosciata dell’amica
con uguale ansia – ma credo che Salazar le abbia teso una
trappola.
- Va bene, calmiamoci ora. Tutto quello che dobbiamo fare è
pensare ad un piano, ma soprattutto, fare più silenzio
poss…
-Musa! Musa sei qui? Musa!
Tecna si schiaffò il viso con un sospiro stanco prima di
provare a zittire la voce acuta di Stella, ma la fata, incurante delle
occhiate severe dei compagni continuò ad urlare a
squarciagola il nome dell’amica.
- Lo avete sentito?
Aisha fece una smorfia nell’udire il pigolio terrorizzato di
Timmy accanto a sé, tornando a premere le mani sulle
orecchie per non venire assordata dalle grida sempre più
stridule dell’amica che del “veloci e
silenziosi” di Riven aveva capito ben poco.
- Cosa? Le urla isteriche di Stella?
- No- deglutì sonoramente lo specialista, indietreggiando e
tirandola via quando quel soffio di vento feroce tornò a far
tremolare la fiaccola di Riven.
- Il respiro di un drago piuttosto arrabbiato –
rantolò senza voce prima di urlare ai compagni di buttarsi
giù mentre la prima fiammata inondava il canale e il ruggito
di Abharrach portava Salazar a distogliere
l’attenzione dallo specchio che parve tremolare un attimo
prima di rigurgitare la figura provata della fata della musica.
°°°
Quando l’aria pulita le riempì i polmoni, Musa
trasse un lungo respiro prima di crollare in ginocchio, facendo forza
sulle braccia tremanti per non trovarsi faccia a terra, ma il dolore
alla schiena era acuto, così deprimente da costringerla a
mordersi la lingua per non gemere.
-L’hai incontrata.
Quello di Dalbhach le arrivò come la
più cattiva delle constatazioni, come se veramente avesse
creduto che lo specchio e ciò che lo abitava
l’avesse svuotata di ogni cosa, che l’avesse resa
un bozzolo informe di rancore e odio, ma quando la fata alzò
il viso lo fece con un sorriso morbido, zittendo con la rabbia dello
sguardo l’ennesima frase volta a ferirla.
- Si. E ti manda i suoi saluti – rantolò
affaticata, chiudendo gli occhi per acquistare l’equilibrio
finalmente ritrovato, del corpo e dell’anima, ma fu Salazar a
raccoglierla da terra con una delicatezza che la lasciò
inerme tra le sue braccia, mentre lo stregone le passava le mani sulla
schiena per eliminare la scia di sangue che l’ala nera
sputava a fiotti.
- Non credevo ce l’avresti fatta –le
confessò, sinceramente sorpreso, scatenando nella fata un
borbottio incomprensibile con il quale sfogò la propria
frustrazione.
- Non dovresti mai sottovalutare la determinazione di una donna
innamorata – lo rimproverò, piccata, ammansendosi
quando lo stregone portò via con sé gli ultimi
residui di melma che la sporcavano come il liquido amniotico di una
placenta.
Perché Musa sapeva di essere rinata, in qualche maniera, di
aver trovato se stessa in fondo a quello specchio, e di poter
finalmente capire realmente il dolore di Riven e di Salazar, ora che
poteva comprenderli, ora che poteva aiutarli.
- Sei stata brava.
Quella breve concessione fu un balsamo per il suo animo spossato, per
quel corpo che ora sentiva più pesante, più
carico di responsabilità e nuove consapevolezze, ma era un
peso che sarebbe stata felice di portare pur di capire, almeno un
po’, ciò che Riven non le aveva mai permesso di
scoprire.
Quel cuore corrotto e nero che l’aveva ferita, che avrebbe
continuato a farlo, ma che avrebbe perdonato, sempre, e forse
avrebbe potuto imparare a convivere con quel suo dolore, per se stessa,
e per quella solitudine alla quale lo specialista si era arreso.
- Ora posso aiutarti come volevo – si lasciò
sfuggire con la voce intorpidita dal sonno che stava per coglierla, ma
quando la stanza prese a vibrare dopo il ruggito del drago rinchiuso
nelle prigioni Musa non potè che trasalire, artigliando la
casacca di Salazar con una smorfia.
- Cosa è stato ?
- Nulla.
Ma in quel 'nulla
appena smozzicato la fata lesse qualcosa di più,
qualcosa che lo stregone non voleva rivelarle, ma non ci fu bisogno di
strappargli a forza le parole di bocca, non quando una voce stridula,
gracchiante e familiare la portò a sgranare gli occhi per la
sorpresa.
- Stella ?
- Dannazione – sibilò Dalbach contro la sua
tempia, e Musa comprese chi il drago stesse provando ad incenerire con
il suo alito infuocato, e non erano i suoi capelli questa volta a dover
subire la furia del lucertolone.
- Portami da loro! Subito! – strepitò isterica,
dimenandosi tra le braccia che la fata sentì irrigidirsi
contro i fianchi prima che lo stregone acconsentisse alla richiesta, e
quando Musa allungò uno sguardo da sopra la spalla del
Fantasma non potè che urlare il nome delle amiche con le
lacrime agli occhi.
- Musa ? Musa !
– strepitò Stella con voce squillante nel vederla,
brontolando una bestemmia quando il drago provò ad
azzannarle la chioma lucente, ma Sky e Brandon riuscirono a impedirne
l’avanzata con le fragili catene raccolte qua e là.
- Cosa ? Dove ? – domandò Tecna con
l’affanno nella voce, liberando un sorriso di sollievo che
attirò l’attenzione delle Winx e degli specialisti
impegnati a tenere sotto controllo le fauci aperte del drago.
- Dobbiamo aiutarli !
- Tu non devi muoverti, sei ancora troppo debole – la riprese
lo stregone con voce aspra, ma Musa che di quella sua strafottenza non
sapeva che farsene, si districò dalla presa prima di
zoppicare in contro alle sue compagne.
Riven, l’unico ad essere riuscito a ferire la
creatura fece appena in tempo a cogliere con la coda
dell’occhio l’ombra familiare di una
chioma blu prima che le sue mani si serrassero con forza sulle catene
con le quali tirava a sé la bestia, tanto da farle
sanguinare per lo sforzo, ma il drago dovette riconoscerla, lei e il
suo odore, e fece forza per liberarsi.
Ma la fata non indietreggiò quando si ritrovò con
quegli occhi gialli puntati addosso, non perse la piega feroce delle
labbra nel caricare un pugno di onde esplosive quando sentì
il gorgoglio sinistro che precedeva la fiammata, ma si
ritrovò invece a rilasciare un ringhio frustrato quando si
scoprì magicamente issata
sulla spalla di Salazar, comparso dal nulla con una mano pressata sulla
sua schiena e la destra artigliata sulle narici di Abharrach che fu
costretto ad inghiottire il rigurgito di fiamme con un uggiolio
spaventato.
- Quale parte del non
devi muoverti non hai capito, stupida fata ?
– la aggredì lo stregone con voce sepolcrale,
mettendola giù con un gesto brusco che gli costò
uno sguardo irritato di Musa.
- Il “Non” di ogni tua frase – lo
rimbeccò acida, provando a sciogliere la presa ferrea del
braccio attorno alla propria vita.
- Dovresti aver imparato che non amo questa tua arroganza!
- E tu dovresti aver capito che il tuo disinteresse per quello che ti
circonda mi da sui nervi!
Un colpo di tosse li fece voltare all’unisono, e quando
Stella si sentì osservata dallo sguardo ametista del
fantasma non potè che incassare la testa tra le spalle con
un sussulto.
- Noi saremmo venuti a salvarti – brontolò la
principessa di Solaria con voce stanca, ricevendo uno sguardo morbido
dalla fata della musica e l’ennesimo ringhio di quello che ai
loro occhi si mostrava come una copia più irascibile di
quella testa calda di Riven, non un Fantasma sanguinario, non la
creatura che aveva terrorizzato Fonterossa.
- Perché devi essere così antipatico!
- Zitta!
- Io non sto zitta – rantolò Musa con la voce
congestionata dalla rabbia mentre Stella faceva ondeggiare lo sguardo
incredulo dallo stregone stranamente emotivo all’espressione
granitica di Riven, in uno scambio di pensieri che la portò,
infine, a smozzicare l’ennesimo brontolio irritato.
- Perché non poteva essere un principe, per una volta ?
Continua…
Doppio aggiornamento, cosa che avverrà anche per gli ultimi
due capitoli visto che sono concatenati tra loro.
Siamo alla fine, e al prossimo aggiornamento si
concluderà la storia.
Ringrazio tutti per l'attenzione, Gold Eyes
|
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Capitolo 11 *** Awake and Alive ***
“I'm at war with the world and they
Try to pull me into the dark
I struggle to find my faith
As I'm slippin' from your arms
It's getting harder to stay
awake
And my strength is fading fast
You breathe into me at last
“
[…]
Waking up waking up
In the dark
I can feel you in my sleep
In your arms I feel you
breathe into me
Forever hold this heart that I
will give to you
Forever I will live for
you”
[…]
“I'm awake I'm alive
Now I know what I believe
inside
Now it's my time
I'll do what I want 'cause
this is my life
here, right now
I'll stand my ground and never
back down
I know what I believe inside
I'm awake and I'm alive
“
(Awake and alive –
Skillet)
- Mi stai dicendo che
lui non ricorda nulla ? Neanche di come … capisci cosa
intendo – si affrettò a continuare Bloom, agitando
le mani per spiegare ciò che non aveva avuto il coraggio di
dire a parole.
- Morto. Come sono
morto. Non dovrebbe essere difficile da ripetere per la figlia di
Mariam – la blandì lo stregone con voce affettata,
piegando le labbra nascoste dietro le dita con un che di
spaventoso.
- Tu conosci mia madre
? – singhiozzò stranita Bloom, lanciando
un’occhiata a Musa per cercare le risposte che il Fantasma
non sembrava disposto a concederle visto il ghigno emblematico che
rivolgeva a tutti loro, e solo dopo aver fulminato Salazar
con un’occhiata caustica la fata della musica le rivolse un
sorriso gentile.
- Tua madre faceva
parte della Compagnia della Luce, è normale che Salazar
abbia un vago ricordo di lei, in fondo loro...
- Gli hanno dato la
caccia.
Musa sentì
il tremito diramarsi sul tessuto morbido della poltrona
contro la quale poggiava i fianchi e sulla
quale anche lo stregone teneva i gomiti, e le venne istintivo allungare
una mano verso la spalla di Salazar, in un blando tentativo di
sostenerlo, di rassicurarlo, mentre i suoi occhi blu incrociavano lo
sguardo diffidente di chi l’aveva appena interrotta.
Riven non si
mostrò rammaricato, anche solo interessato al fastidio
appena scatenato nel Fantasma, non gli importò, come mai gli
era importato di ferire gli altri, ma era l’eccessiva assenza
di emotività persino nella sua voce divenuta atona a far
accapponare la pelle.
Perchè il
silenzio protrattosi durante il loro incontro era stata
l’avvisaglia di una catastrofe che presto lo specialista
avrebbe vomitato assieme all’ansia, alla paura,
all’angoscia patita per quelle settimane di separazione, e
Musa sapeva che avrebbe dovuto farsi forza e pregare di riuscire a
sopportare il dolore di entrambi, ancora una volta.
- Cosa vuoi che
facciamo allora ? Non capisco come potremmo aiutarlo – si
intromise riflessiva la voce di Sky, l’unico ad aver
analizzato la situazione con l’oggettività
necessaria per non sentirsi compromesso a sua volta, non come
Musa almeno, nessuno era compromesso quanto lei.
Perchè la
fata non avrebbe avuto l’accortezza, men che meno la
prontezza mentale di giudicare oggettivamente le proprie e le azioni
dello stregone, non vi sarebbe mai riuscita.
Non dopo essere stata
nello specchio.
Non dopo aver compreso
che le tenebre del suo cuore si cibavano delle sue titubanze, dei suoi
tentennamenti, e Musa sapeva con una certezza disarmate che non sarebbe
più riuscita a capire cosa fosse sbagliato o giusto, in
ciò che faceva.
Lei voleva solo
aiutare lo stregone, era destinata
a farlo, e non avrebbe permesso a niente e a nessuno di
negarle quello che lei riteneva il suo dovere di donna, fata ed essere
umano.
Perciò non
seppe cosa rispondergli, non lo sapeva davvero, e forse la cosa
l’avrebbe atterrita un mese prima, l’avrebbe fatta
sentire debole, inutile, un tempo, forse.
- Posso farcela da
sola.
Gli sguardi sconvolti
che tutti le lanciarono la punsero come spilli, piccoli e affilati aghi
da cucito che sentiva piantarsi nella carne tenera della palpebra,
imbevuti dell’angoscioso presagio che segnava ogni loro
sguardo.
Paura. Terrore di
saperla cambiata, di vederla diversa.
Ma lei lo era.
Cambiata, mutata, dentro e fuori, ed era proprio la sfrontatezza del
mento alto e la piega sicura delle sue labbra a mostrare il cambiamento.
Lei che non avrebbe
mai osato contraddire le sue amiche e gli specialisti, non con tanta
foga, non per una causa che loro ritenevano dispendiosa e pericolosa,
per lei, per tutti.
E Musa
accettò la loro recalcitranza, il loro sospetto, lo
comprese, lo capì con la mente lucida di un soldato che
sapeva di aver compiuto un ammutinamento, il tradimento di una promessa
silenziosa che le Winx avevano concordato come una regola non scritta,
ma stipulata tra i loro cuori.
Stare sempre unite. Insieme.
- Non lo pensi davvero.
Quello di Tecna fu un
sussurro carico di disagio, di un tremore che le aveva
strozzato la voce in un rantolo basso e raschiato che Musa
incassò con un battito lento delle palpebre stanche.
Un lento e debole
battito che il suo cuore imitò, ma con un singhiozzo,
rammentandole che non aveva bisogno di altri pensieri, di altri pesi,
non ce l’avrebbe fatta, non avrebbe retto, non vi sarebbe
riuscita, non con i brandelli di quell’organo che
sputacchiava sangue e lacrime nel tentativo di riprendere colore, di
trovare respiro.
E Musa non
avrebbe sopportato anche quello, non il rancore di Tecna, non il suo
dolore, non le ansie di tutti loro, così come avrebbe fatto
fatica a leggere il dubbio nei loro sguardi, il bisogno di risposte che
lei stessa non aveva trovato.
Ma
l’impossibilità di scoprirle non l’aveva
fatta desistere dal suo intento, aveva contribuito solo a
farle capire che la soluzione sarebbe stata difficile da raggiungere,
che sarebbe costata fatica, fiducia, e avrebbe richiesto un salto nel
vuoto che nessuna delle Winx era pronta a compiere.
Non per un Fantasma.
Non per uno stregone
che aveva decimato creature magiche per puro divertimento.
- Invece si, Tecna. Lo
penso,lo credo. Sono felice di avervi rivisto, ma non posso chiedervi
di fare questo per me.
Non sarebbe giusto per
nessuno di voi.
- E per te invece lo
è ? – la interrogò Riven dal fondo
della stanza, scollandosi dal muro con un’onda che raggiunse
il suo sguardo cupo, facendone tremolare la pupilla nera, un scossa che
tenta di assestarsi, di ricomporre il turbinio di emozioni che lo
avevano portato a gonfiare il torace e flettere le gambe dalla
posizione di completa indifferenza avuta fino a poco prima.
Le stava chiedendo, ordinando di
negare, di essere arrendevole, di tornare in sé, per tutti
loro, per quello sguardo di granito che ora Musa riscopriva pieno di
graffi, di squarci vitrei che storpiavano i colori dell’iride
come un caleidoscopio.
Una richiesta che
però la fata non volle, non riuscì ad accettare a
cuor leggero.
Quando Salazar la vide
scivolare in piedi, con le spalle ricurve e lo sguardo rivolto al
nulla la seguì silenziosamente, come un’
ombra, incombendo su di lei come la più terribile delle
piaghe, ma Musa sapeva quanto confortante fosse nascondersi in
quell’ombra, quanta comprensione avesse trovato da un uomo
che l’aveva ferita, si, ma con l’intento di farla
crescere, di farle capire che la sua visione in bianco e nero del mondo
era sbagliata, era ingiusta.
Perché
c’erano così tante sfumature diverse,
così tante possibilità tra le quali scegliere da
non poterle nemmeno immaginare tutte, da non poter capire realmente
cosa fossero capaci di fare.
E lei lo aveva visto,
cosa sarebbe stata capace di fare, le sue sfumature, più
nere di quanto avesse mai immaginato, ma possibilità che non
si era mai dato pena di ascoltare, di tenere in considerazione, ed
anche se non le avrebbe mai veramente attuate, la consapevolezza della
loro esistenza, del lato sbagliato di azioni moralmente giuste non la
rendeva più insensibile, più cinica, solo
più lucida, conscia dei suoi limiti e delle sue debolezze.
Arrivare alla porta fu
come camminare su carboni ardenti per quanto i passi da compiere nel
raggiungerla le risultarono difficoltosi, ma quando Musa
girò il pomello della porta trasse un lungo e lento respiro,
voltando il capo con un gesto morbido che ne addolcì la
malinconia dello sguardo.
- Siete liberi di
andare, se volete, non vi tratterrò oltre, ma io devo
restare. Perciò, se non vi troverò qui tra
un paio d’ore non vi odierò. Non potrei
mai.
Il grattare della
serratura fu come il raschiare frenetico di unghie corte e martoriate,
un secco sfregamento che segnò i loro sguardi, i loro volti
di invisibili solchi, incisioni e rigature che Riven sentì
pungere sul suo, di sguardo, percependo l’inatteso schianto
di qualcosa che cade, andando in frantumi.
Occhi così
abituati a non far trapelare nulla da aver dimenticato, davvero, cosa
portasse il rilascio di sentimenti imbavagliati come le peggiori delle
oscenità, e lo specialista patì quella rottura
con un sospiro tremulo, chiudendo le palpebre per arginare il danno,
per lenire il dolore trapelato dalle pupille dilatate, ma lo
sentì lo stesso, il crollo definitivo del suo cuore.
Un lento e acuto
schianto che portò via con sé la
smorfia disperata del suo viso distorto da un dolore che
neanche le sue mani, per quanto grandi, ne riuscirono a reggere il peso.
°°°
“Ti
aspetto davanti alla statua del Gargoyle”
Musa sfilò
dalle labbra la matita che stava mordendo per sottolineare
l’ultima parola, lanciando uno sguardo al diario di Arya che
teneva aperto sulle gambe e al foglio che aveva imbrattato con frecce,
asterischi e appunti segnati sul bordo, poco più in
là.
Ma quando
girò la pagina si trovò a rilasciare un lungo
sibilo frustrato nel constatare che il diario non portava notizie
riguardo quella lettera, o sull’incontro segreto che la fata
veggente aveva richiesto a Salazar, il loro ultimo incontro a
giudicare dalle pagine bianche che seguivano quella che Musa stringeva
tra le dita con rabbia.
In realtà
quella non era la prima volta che controllava il diario, lo dimostrava
il complesso ma preciso riassunto che aveva trascritto con le notizie a
sua disposizione su quel foglio scarabocchiato, ma alla fine la fata
giungeva sempre ad un vicolo cieco.
Perché il
diario non menzionava minimamente quell’incontro, si limitava
a riportare la battaglia con le Streghe Antenate dalla quale Salazar
aveva salvato Arya poco prima che Oritel e Domino fossero sigillati
nella pietra.
Poi il nulla, come se
vi fosse stata una lunga pausa, un buco nel passato che lei sapeva, le
avrebbe dato le risposte che cercava.
Voltò la
pagina, desiderando di leggere altre parole, altre confessioni, altri
pensieri che avrebbero potuto sbrogliare i suoi, ma la fata si arrese
all’evidenza. Non c’era nulla, eccetto la lettera
che prese frettolosamente, rileggendo con attenzione la scrittura un
po’ sbavata, come se Arya fosse andata di fretta.
“
Ho bisogno di parlarti. Incontriamoci al castello, ti
spiegherò tutto. Indossa l’amuleto che ti ho
inviato, te ne prego, è importante. Ti aspetto davanti alla
statua del Gargoyle.
Tua,
Arya”
Poche righe colme
d’ansia, preoccupazione, e qualcos’altro che lei
non riusciva a spiegarsi.
Perché Arya
gli aveva chiesto di vedersi ?
Sembrava spaventata,
timorosa quasi, e Musa non riusciva a capirne il motivo.
Né di
quelle parole, né della minuscola ampolla di vetro legata ad
uno spago che Arya aveva inviato allo stregone con la preghiera di
indossarla.
Musa la
rimirò ancora e ancora, come aveva fatto per tutte quelle
settimane, non trovandovi nulla di strano, di inconsueto.
Era una semplice
ampollina, piuttosto graziosa con il suo colore perlaceo, ma vuota, con
uno spago ruvido che al tatto era piuttosto irritante, ma nulla di
così “magico”.
Forse era fatto a
mano, un piccolo regalo per simboleggiare la sua presenza accanto a lui
durante le loro lunghe separazioni dovute ai sospetti di Saladin,
oppure un semplice amuleto con…
- Le due ore sono
passate.
L’ampolla le
scivolò dalle dita quando, per la sorpresa di avere lo
stregone così vicino a sé, ma soprattutto, per la
paura di aver sentito il suo sussurro contro l’orecchio
allentò la presa, lanciando un ringhio di rabbia con il
quale si gettò a terra per raccogliere i frammenti
con occhi inferociti.
- Sei uno stupido !
Guarda cosa mi hai fatto fare ? – pigolò con
fastidio, sentendo gli occhi pungere per la consapevolezza di aver
rotto una cosa tanto preziosa come quella, l’unico ricordo
che lo stregone aveva di Arya, il
suo ultimo regalo.
- Non importa.
Musa tornò
seduta, strizzando gli occhi per il dolore prima di portarsi alle
labbra il dito che si era punta con un frammento mentre i suoi occhi
blu lanciavano saette.
- Non importa ? Come
puoi essere così insensibile ? Questo è
…
- Una perdita di
tempo. Ecco cos’è – la zittì
lui, lapidario, agitando la mano per far scomparire i pezzi di vetro
che la fata osservò con occhi sgranati prima di afferrare la
matita e lanciargliela addosso.
Salazar non
battè ciglio quando questa lo trapassò,
schiantandosi contro il baule di Arya prima di rotolare ancora da Musa,
tornata in piedi con il respiro pesante e irregolare.
- Perché lo
hai fatto ? – strepitò frustrata, additandolo con
l’indice che lo stregone fissò con le sopracciglia
aggrottate prima di riservarle uno sguardo raggelante.
- Perché
non mi stavi ascoltando.
Freddo. Telegrafico.
Ed egocentrico, tanto egocentrico da irritarsi perché lei
non lo ascoltava.
Musa si
lasciò cadere con un sospiro sconfortato, scostando alcune
ciocche dal viso tirato quando si accorse del disordine nel quale si
era immersa.
- E cosa avresti
tentato di dirmi ? Sentiamo – lo invitò caustica,
masticando la gomma della matita che rimise in bocca prima di chinarsi
sui suoi appunti per distrarsi dalla rabbia che le faceva prudere le
mani.
- Le due ore sono
passate. Non dovresti andare a controllare che i tuoi amici se ne siano
andati?
La punta della matita
si spezzò quando Musa vi esercitò troppa forza,
lasciando una lunga striscia nera che osservò in silenzio,
sentendo su di sé lo sguardo penetrante dello stregone.
Passò
ancora qualche minuto a fissare il suo operato prima di cancellare
l’errore e tornare a scrivere appunti, senza rispondere o dar
peso alle parole del Fantasma che ne parve ancora più
contrariato.
- Hai capito cosa ho
detto ? Dovresti andare a controllare per …
- Non ce
n’è bisogno – lo zittì
mordace, puntellandosi sui gomiti per andare più comoda, ma
la mano non si muoveva, come se non sapesse più cosa
scrivere, come se la testa della fata si fosse svuotata di tutte le
nozioni imparate fin’ora.
E forse era proprio
così.
Vuota. Ecco come si
sentiva. Aveva assorbito tutto come una spugna.
Il ritorno a
Fonterossa.
La storia di Salazar.
Tutto, aveva assorbito
ogni dolore, lacrima, sorriso inghiotto e scacciato per andare avanti,
per scavare un po’ più in fondo, per trovare se
stessa, ma ora Musa era così carica da non riuscire
più a cogliere niente.
Non il dolore per la
consapevolezza di essere rimasta, davvero, da sola.
Non la stanchezza di
dover trovare nuova forza, nuovi propositi dai quali attingere la
risolutezza che l’aveva condotta lì, seduta sul
pavimento di un maniero diroccato, sporca di inchiostro, con il viso
pallido e tirato di chi non dorme da anni, con un Fantasma che le
chiedeva di guardare in faccia la realtà.
E lei lo avrebbe
fatto, lo avrebbe fatto davvero se solo avesse trovato
l’energia per farlo, ma non ne aveva.
Da nessuna parte.
- Sei così
sicura che se ne siano andati ?
La presenza della
figura fluttuante del Fantasma accanto a lei non la smosse dalla posa
rigida mantenuta per più di qualche secondo, non ne
trovò il motivo.
Muoversi. E per quale
motivo ? Per capire che davvero, era rimasta sola ?
- Non li biasimerei
– si lasciò tuttavia sfuggire, soffocando un
sospiro stanco contro l’avambraccio quando posò la
testa dolente sul piccolo tavolino ingombro di carte.
La spossatezza che la
agguantò d’improvviso le portò via
persino la forza di tenere gli occhi aperti, perciò
calò giù le palpebre, concentrandosi sul suono
del suo respiro per trovare un po’ di conforto.
- Ma tu non lo avresti
fatto. Lo so. Te lo leggo in faccia – le confessò
Salazar con voce soffice, passandole una mano sulla testa, quasi
sovrappensiero.
- Neanche io capisco
perché tu sia ancora qui con me – pensò
poi ad alta voce.
Il fremito che ebbero
le sue palpebre le costò un respiro strozzato, ma quando
tornò a parlare, la voce le uscì forte e feroce
come il ringhio di una piccola pantera.
- Non pensare quello che stai
pensando – gli abbaiò
contro, schiumando rabbia nel riaprire le palpebre per vederne
l’espressione.
E Salazar non
mascherò il proprio scetticismo, non si premurò
di nascondere il corrugamento di sopracciglia o il fastidioso sorriso
affettato che Musa aveva sempre odiato, perché sembrava
prendersi gioco di lei, con quel sorriso che sorriso poi non era.
- Non ti sembra di
avere delle pretese troppo alte per una piccola fata come te?
– le sibilò in un orecchio, girandole intorno in
un vortice di aria fredda che le spruzzò qualche fiocco di
neve sulla testa prima che il Fantasma le si sedesse accanto.
E Musa
tornò in piedi solo per fronteggiarlo, per mostrargli che a
lei tutta quella paura non la faceva, anche se avrebbe potuto
tranciarle la testa con un colpo netto, anche se avrebbe potuto
benissimo risucchiarle l’anima.
- No. Non ho pretese
troppo alte. Sei tu che non capisci, tu e tutti gli altri. Possibile
che io debba passare per pazza, per una folle suicida solo
perché voglio semplicemente
aiutarti? – gracchiò con voce roca,
tossendo per riprendere aria e tornare a sfogare la propria
rabbia.
- Non vuoi il mio
aiuto? È questo ? Se è così a me non
importa, perché ho promesso ad Arya che ti avrei aiutato, e
io non infrango le mie promesse. Mai.
E vuoi sapere una cosa ? Potresti essere un orco, un mostro a due
teste, persino un drago sputa fuoco, ma se prometto di aiutarti,
è per il semplice fatto che io voglia farlo. Senza secondi
fini.
- Davvero non vuoi
andare a controllare ? – fu l’unica risposta che la
fata ebbe dal più indifferente e stoico uomo che avesse mai
conosciuto, e per quanto Fantasma, per quanto Supremo, Musa non
potè che gettare all’aria gli appunti e marciare
verso la porta con le narici frementi.
- Allora ? Ti muovi
?– lo aggredì con violenza, accennando con la
testa al corridoio prima di imboccarlo e avanzare con passo militare
verso l’entrata della biblioteca nella quale aveva lasciato
le Winx.
Poi il coraggio le
venne meno, come la forza dei propri passi ora divenuti saltelli
indecisi, come se Musa non sapesse davvero dove mettere il piede senza
far crollare tutto e trovarsi inghiottita da una voragine.
Ma quando la porta
bianca fu a pochi centimetri da lei, e soprattutto, quando
patì l’ennesima arrogante paternale dello stregone
si affrettò ad allungare le mani ai pomelli, tirando le ante
con una forza tale che l’avrebbe staccata dai cardini prima
di urlare un “Visto
che non c’è nessuno” piano
piano affievolitosi quando Tecna alzò lo sguardo dal
computer sul quale batteva energicamente le dita.
E quando Musa
incontrò il sorriso della sua migliore amica non seppe cosa
dire, cosa rispondere, si limitò a balbettare un
“perché” che Bloom soffocò in
un abbraccio, stringendola tanto forte da toglierle il respiro.
- Perché
siamo una famiglia. E la famiglia non si abbandona.
Le venne istintivo
ricambiare l’abbraccio, soffocare la propria risata nervosa
tra i capelli arancioni della fata prima di trovarsi con altre braccia
e altre mani tra i capelli, sui fianchi, sulle spalle.
E Musa la
trovò di nuovo, la propria forza, lì
dov’era sempre stata.
In una famiglia che
non l’aveva mai abbandonata, e nello sguardo di chi
era sempre più lontano, sempre più
isolato ma che la seguiva, la cercava.
Sempre.
°°°
L’aiuto
delle Winx fu indispensabile, essenziale per dare gli ultimi strattoni
ai fili che Musa aveva più volte sfilacciato e
intrecciato per carpirne l’essenza, ma ora, finalmente,
l’ arazzo dai colori sgargianti e decisi che tracciava la
venuta di Salzar era divenuto comprensibile a tutti.
Walpurgis.
La parola che Arya
l’aveva pregata di non dimenticare, quella che Salazar, pur
avendone un vago ricordo, non era riuscito a spiegare, ma della quale
Tecna era riuscita a dare un senso. A tutto.
Perché
Walpurgis era la festa delle streghe, un avvenimento che cadeva ogni
anno alla fine di aprile, la notte in cui la magia più
antica ululava la sua presenza al mondo, la notte degli stregoni e
degli spiriti.
Ma ciò che
aveva finalmente spiegato il perché della venuta del
Fantasma, del perché fosse comparso proprio
quell’anno era stampato sullo schermo a colori del computer
di Tecna.
Un’eclissi.
Ecco cosa vi era di
diverso.
Un’eclissi
che si presentava ogni cento anni, esattamente il tempo servito a
Salzar per svegliarsi e tornare alla vita.
Una coincidenza forse,
ma Musa ed ora, anche le Winx, non credevano alle coincidenze,
specialmente dopo aver appreso che il giorno successivo sarebbe stato
il trenta aprile, il
giorno del giudizio.
E loro erano
lì, per un fortuito caso, o perché erano
destinate, tutte loro, Musa, ad aiutare quell’uomo
biondo che aveva continuato a guardare fuori dalla finestra per tutto
il tempo, senza dare un segno di aver udito, di aver compreso.
- Ed ora? Anche se
abbiamo capito il perché della sua venuta non capisco come
questo potrebbe esserci utile – lamentò Stella con
voce soffocata dalla stanchezza, stropicciandosi l’occhio
destro prima di pigiare il tasto e voltarsi verso le amiche.
- Bè
– cominciò Bloom con voce insicura,
torcendo le mani, come per prendere tempo – io
credo… io…non lo so – soffiò
sconfitta, lanciando un'occhiata alle due fate sedute per terra, prese
dai libri che Sky aveva trovato tra gli scaffali per cercare altre
notizie.
Musa stava infatti per
chiudere il secondo tomo quando percepì lo sguardo di
sottecchi che Flora le lanciò prima di sorriderle
flebilmente e tornare al proprio, di libro, seguitando però
a guardarla quando la fata allungò un braccio per prenderne
un altro.
E Musa non
potè più far finta di nulla.
- Qualcosa non va ?
– le chiese gentile, aggrottando le sopracciglia nel notare
come la sua voce risultasse stonata, come se avesse mal di gola.
Flora
sussultò per la sorpresa di essersi scoperta, guardandosi
attorno con aria circospetta prima di tendersi verso l’amica,
per essere udita solo da lei.
- Ecco,
volevo dirtelo prima, ma … hai uno strano odore –
le confessò in un orecchio, facendola avvampare per
l’imbarazzo.
Forse aveva un cattivo
odore, e Musa comprese che forse, rotolarsi nella commiserazione senza
curarsi della propria igiene personale per due notti di fila doveva
aver dato i suoi frutti, frutti piuttosto maleodoranti.
- Mi dispiace
– si scusò, mortificata, allontanandosi un
po’ per non darle altro fastidio, ma Flora sembrò
stranirsi per quelle scuse, afferrandola per un braccio.
- Non intendevo
quello, Musa, non hai un cattivo odore – le spiegò
frettolosamente, scusandosi lei stessa per averle dato
un’impressione sbagliata – è
solo che hai un profumo familiare, solo che non ricordo di cosa.
- Oh –
sospirò la fata, un po’ più sollevata,
curvandosi su se stessa quando un'improvvisa fitta allo stomaco la fece
piegare per il dolore, e quando Flora le si accostò con un
sussurro preoccupato tutti i presenti puntarono l’attenzione
su di loro, persino Salazar, estraniatosi fino a quel momento.
- Musa ?
La fata
tentò di rimettersi in piedi, ma un’altra fitta la
costrinse a curvarsi su se stessa ancora di più.
- Non ti senti bene ?
– le chiese Helia con voce morbida, inginocchiandosi accanto
alla fidanzata per aiutarla ad alzarsi, ma furono altre mani a
scivolare sotto le ginocchia della fata, tirandola in piedi con una
delicatezza tale che Musa pensò subito a Sky, ma quando i
suoi occhi videro che tipo di mani la stessero sorreggendo non
potè che trattenere il respiro e lasciare che Riven la
prendesse in braccio senza un lamento.
E quando quelle stesse
mani, ruvide e callose, le accarezzarono la fronte la fata si
sentì ancora più stranita, ghiacciata dallo
stupore.
- Non hai la febbre
– commentò lo specialista, risoluto e apatico come
se stesse dando informazioni sul tempo, scatenando un battito di ciglia
incredule negli occhi di tutte le Winx.
- Musa ? –
la chiamò Flora con titubanza, scostando lo sguardo da lei a
Riven con le braccia tese in avanti, come se le chiedesse il permesso
di strapparla a quelle braccia per trovare rifugio nelle sue, o in
quelle di Helia, ma la fata della musica non comprese subito il
perché di quegli sguardi.
I suoi occhi blu
velati dalla stanchezza guardavano Bloom, quasi stupidamente, con una
tale fissità che la fata della Fiamma del Drago le sorrise
debolmente, chiedendole con lo sguardo il perché di
quell’attenzione così insistente.
Ma Musa non sarebbe
riuscita a spiegarglielo, non mentre il suo cervello, per quanto
indebolito, macinava nozioni, ricordi, pensieri che le avevano
affollato la testa fin dall’inizio.
E quando finalmente
ebbe l’illuminazione, quando finalmente trovò la
risposta ai suoi problemi, a
tutto, il grido con il quale
richiamò l’attenzione della principessa
di Domino li fece sobbalzare tutti.
- Si ? –
soffiò la fata con sguardo confuso, ritrovando negli occhi
dell’amica una risolutezza che quasi le fece paura.
- Tu hai visto il
passato di Domino vero? – le chiese Musa con voce tremante,
prendendo un lungo respiro quando un insolito bruciore al petto le
appesantì l’aria nello stomaco.
- Si, ma questo
cosa…
- C’entra
invece! Se tu sei ci riuscita! Anche io posso provare a
vedere quello di Salazar!
La portata di
quell’ammissione tremante portò via con
sé il respiro degli specialisti, di Tecna, che in quella
logica non trovò nessun errore, nessuna falla.
Perché se
avessero potuto davvero vedere nel passato dello stregone, se davvero
Musa avesse potuto scoprire il velo che ottenebrava il buco nel suo
lungo e tortuoso ragionamento, allora avrebbero potuto provare
l’innocenza di Salazar.
Avrebbe potuto
liberarlo, avrebbe potuto aiutarlo.
- Si, ma non credo sia
la stessa cosa – la contraddisse Bloom con voce
grave, sentendo su di sé gli sguardi contriti degli amici
– io sono riuscita a vederlo grazie alla maschera di mia
sorella, è stata quella a mostrarmi Domino. È stata la maschera
a tessere il legame tra presente e passato, qualcosa che apparteneva a
Daphe, mentre noi non abbiamo nulla che appartenga a …
- Invece si. Io ce li
ho – la anticipò Musa con la voce scossa da
un’ansia, un’agitazione tale da portarla a
districarsi dalle braccia di Riven per correre verso la porta con il
fiato stranamente ingolfato.
- Io ce li ho
– ripetè risoluta, imboccando il corridoio con
ancora lo sguardo sorpreso della amiche sulle schiena, ma Musa correva,
o ci provava, visto che trovare il respiro per non accasciarsi a terra
fosse diventato piuttosto difficile.
Fu costretta infatti a
poggiarsi ad una colonna quando la vista le traballò per un
attimo, costringendola a chiudere le palpebre e poggiarsi con la
schiena contro il gelido marmo per ritrovare l’equilibrio.
Stava male, questo lo
aveva capito, ma qualcosa nella sua testa le suggeriva che non era la
perdita di sonno ad aver scatenato quel malessere improvviso, non quel
dolore al ventre, non la strana sensazione di cadere.
Quando udì
dei passi poco lontano non riuscì ad impedirsi di
sorridere nel riconoscere il ritmo deciso e coordinato,
l’andatura elegante ma appesantita dai muscoli guizzanti
delle gambe, il ritmico tip
tap di stivali dal tacco basso, levigato, che Riven
batteva a terra con l’incedere di un soldato in cerca di
qualcuno, di lei forse.
Questo non lo
potè sapere fino a quando non fu costretta ad aprire gli
occhi nel percepire la folata di vento gelato alla sua destra, una
brezza invernale sentita così tante
volte da risultarle quasi nostalgica.
Eppure, la sensazione
di gelo si acuì quando, nel voltarsi con un sorriso,
incrociò lo sguardo duro e ramingo di Salazar, immobile di
fianco a lei, con alcune ciocche sfuggite alla coda ad adombrargli le
ciglia imperlate di piccole sfere di ghiaccio.
Il sorriso le
scivolò via dal viso, inconsciamente, mentre
l’ansia nel petto si espandeva anche verso il basso, fluendo
nelle gambe che Musa sentì incredibilmente pesanti, tanto
che nell’indietreggiare rischiò di cadere a terra
come una stupida.
Ma la
necessità di correre via, di allontanarsi era forte, glielo
gridava la testa, la sua coscienza, di scappare, di allontanarsi,
perché era pericoloso, troppo pericoloso per lei.
Però era
Salzar quello che aveva davanti, non Saladin, non un nemico, era il
Fantasma che aveva salvato, che tentava di aiutare, l’uomo
dagli occhi ametista che la freddava con lo sguardo più
cattivo che le avesse mai rivolto.
- Musa ?
Sentì i
passi di Riven farsi sempre più veloci, perché
dovette averla notata anche lui, l’aura cupa che attorniava
lo stregone, l’ ombra che Musa non trovò
più confortante, familiare, solo fredda e asettica come
l’abbraccio smorto di un pupazzo di pezza.
- Cosa è
successo ? – provò a domandargli, abbozzando un
passo nel tentativo di non allarmarlo, ma un guizzo in quegli occhi
vitrei la fece indietreggiare ancora, portandola nuovamente con la
schiena contro il muro.
L’ansia nel
petto aumentava, le toglieva il fiato, e la paura non
l’abbandonava.
Perché
c’era davvero qualcosa di sbagliato in quello che stava
succedendo.
Nella corsa affannata
di Riven che aveva appena sfoderato la spada.
Nello sguardo incolore
di Salzar.
Nel malore che la
costrinse a cadere in ginocchio quando le gambe cedettero.
Poi lo
sentì, il suo respiro sulle ciglia, pesante e denso come una
cappa di umidità che le imperlò il viso di
piccole gocce di sudore, ma quella volta la forza di affrontarlo fu
difficile da trovare, estremamente difficile.
Eppure, quando vi
riuscì, Musa capì cosa lo rendesse
così simile ad un fantasma, al riflesso storpiato dello
stregone algido ma emotivo che aveva imparato ad apprezzare.
La paura, il terrore
che attanagliava le viscere di entrambi, che strizzava i loro organi
come la mano scrupolosa e rozza di un macellaio in cerca di carne da
sfilettare.
- Hai mai provato la
vera paura, piccola fata ? – le soffiò in faccia
con un rantolo, gorgheggiando le restanti parole con l’alito
gelato espulso direttamente dal centro del suo stomaco, una nuvola di
aria e ghiaccio che le intirizzì i capelli incollati alla
fronte, persino le ciglia imperlate di lacrime che le si
impiastricciarono tra loro.
- No- lo
supplicò con voce disperata, tentando di toccarlo, di fargli
percepire il calore di una mano amica, di una presenza calda, viva, ma quella
mano Musa la abbandonò con un gemito di dolore quando
l’arto venne rivestito da una spessa lastra di ghiaccio.
- Tu non puoi. Non ora
che siamo così vicini – lo pregò
ancora, straziata da quel dolore che vedeva scavare una voragine nello
sguardo vitreo di Salazar, un pozzo senza fine nel quale il Fantasma
stava venendo fagocitato.
- Quella paura che ti
fa credere di poterne morire ? – continuò lo
stregone con uno schiocco della bocca, prendendole una ciocca di
capelli per annusarla e riempire i polmoni del suo odore.
E Musa le vide, le sue
pupille, dilatarsi proprio come quelle di un animale che aveva
percepito l’odore del sangue e che ne era inebriato, eccitato
come il più efferato degli assassini.
Perché era
in quello che si stava trasformando lo stregone.
Un assassino.
- Tu non puoi- lo
supplicò con voce rotta, sobbalzando nel sentire i passi di
Riven troppo vicini per non darle una scossa al cuore, e il breve
sguardo che Salazar lanciò allo specialista le fece
accapponare la pelle e rivoltare lo stomaco.
- No –
rantolò con la gola invasa dalla bile, boccheggiando quando
il respiro parve venirle meno nel vedere lo stregone tornare in piedi
con un gesto morbido delle vesti di seta.
- No –
gemette ancora, dondolando il braccio ghiacciato per sbilanciare il
busto e allungarsi su di lui, stringendo le dita attorno alla sua
caviglia per fermarlo, lui e quel suo malsano odio per se stesso.
Perché era
se stesso che Salazar voleva uccidere, semplicemente se stesso.
Perché quelli come lui odiavano il mondo e chi lo abitava,
persino loro stessi, tanto da desiderarne la morte.
-Ti prego Dalbhach.
Musa lo
sentì, il fremito sotto le dita, il lungo brivido di dolore
che fluì nelle sue carni, strappandole un gemito che lo
stregone percepì con le palpebre chiuse e il fiato mozzato
in gola, per racimolare il coraggio di farle del male, solo per non
farne a se stesso, per trovare benessere nel suo dolore, per scoprire
di essere ancora capace di attingere gioia dalla sofferenza di chi lo
circondava, dalle
creature magiche che aveva massacrato, dalle popolazioni che aveva
sterminato in cerca di pace, dalla donna che forse lui aveva ucciso
davvero.
Perché la
possibilità di risalire al suo passato, di capire di quale
colpa si fosse macchiato lo aveva terrorizzato assieme al fantasma dei
ricordi perduti e mai ritrovati.
Ma lei li
aveva raccolti, con un sorriso gentile e la promessa che sarebbe andato
tutto bene, che ce l’avrebbero fatta, una promessa nella
quale lui non aveva mai creduto.
Non se era lui a dover
riportare alla luce i propri scheletri, gli spettri delle sue vittime,
e vedere quel viso tra di loro lo avrebbe annientato, distrutto, ucciso.
Per questo doveva
trovare il modo di espiare quel dolore, di esorcizzarlo prima che fosse
quello a dilaniare lui, ad incrementare l’odio che
già provava per se stesso.
- Mi dispiace.
Quando Musa
crollò a terra, oramai priva di sostegno, attinse ogni
particella di aria presente nei polmoni per urlare il nome dello
stregone, per pregarlo di non farle quello, di non trovare in lei il
suo benessere.
Perché non
ci sarebbe riuscito, e lei non avrebbe retto, non nella
realtà, non con la consapevolezza che quella volta non
sarebbe scappata via da uno specchio e che la spada avrebbe trapassato
le sue vere carni, non quelle della sua coscienza.
Ma non ci fu speranza,
non ve ne fu più quando la fata vide lo spirito dello
stregone trapassare il corpo di Riven come se fosse fatto
d’aria, costringendo l’uomo a frenare la corsa e
schiudere le palpebre su occhi che Musa vide tingersi di nero, un
viscido e putrescente nero pece che ne inghiottì
l’iride, rendendo quello sguardo identico a quello di un
pazzo.
Lo sguardo che
l’uomo posò su di lei, dilatando quelle che non
erano più occhi, ma cavità nere prive di
raziocinio, l’umido abbraccio che Musa scacciò con
un sibilo basso, facendo forza sulle braccia per tornare seduta.
E quando vi
riuscì, con il fiato corto e la vista appannata dalle
lacrime, fece appena in tempo ad udire lo strappo alla schiena prima
che la lama dello specialista fendesse l’aria assieme al suo
rantolo.
Uno spruzzo di saliva
le imbrattò la guancia quando Riven si scontrò
sulla fragile barriera sonica che era riuscita ad alzare, e quando Musa
ruotò i polsi per convergerle sulla schiena
dell’uomo, così da immobilizzarlo, socchiuse gli
occhi nel sentire il gocciolio umido che le tinse le ciglia e
l’angolo della bocca quando altra saliva colò
giù dalla bocca schiusa dello specialista.
Una bocca spalancata
su una dentatura affilata, perfetta e umana che però
l’uomo snudava come quella di un animale, una bestia quando
lo sentì azzannare l’aria, provando a morderle una
ciocca che la fata portò indietro assieme alla testa,
pregandolo con lo sguardo di svegliarsi.
- Riven, ti prego,
svegliati – lo scongiurò con l’affanno
nella voce, rilasciando uno strillo disperato quando lo specialista
cominciò a dimenarsi, riuscendo a piegare la barriera che le
si inclinò addosso, costringendola ad appiattirsi contro il
pavimento per non ferirsi con la spada che l’uomo teneva tesa.
- Riven ! –
strillò angosciata nel trovarsi completamente distesa al
suolo, con le braccia ripiegate dolorosamente sul petto nel tentativo
di mantenere le distanze dal corpo frenetico che, disteso sopra il suo,
era pressato sulla barriera sonora che Musa faticava ormai a reggere.
Una fitta acuta allo
stomaco la fece piegare di lato, e Riven seguì il suo
movimento, tendendo il fianco sinistro per inclinarsi nella sua
direzione e provare ancora a morderla, e quando finalmente
riuscì ad aprirsi uno spiraglio Musa
lanciò un urlo di dolore nel sentire i suoi denti ancorarsi
all’orecchio destro, tirando con tanta forza da farglielo
sanguinare.
L’orrore fu
più forte della sua coscienza, della ragione, e quando
l’onda d’urto scaraventò Riven contro
una colonna, gettandolo a terra con un sibilo di dolore Musa fece
appena in tempo a portarsi una mano tremante all’orecchio
prima di piegarsi su se stessa e coprirsi la bocca per vomitare il suo
raccapriccio.
Ma quello che la fata
rigettò fu sangue, un lungo e viscoso fiotto di sangue che
le colò giù dal mento, gocciolando sulle mani che
la fata osservò con gli occhi sbarrati dalla paura.
Perché non
avrebbe dovuto vomitare sangue, non
avrebbe dovuto.
- Riven –
strillò ancora, ma questa volta, nella sua voce
c’era una richiesta di aiuto, non un monito a non avanzare,
mentre la fata tornava a piegarsi su se stessa e a sentire qualcosa di
orribile risalirle la gola.
Quella volta
però Musa riuscì ad inghiottirlo, continuando a
tenere le braccia aperte sul viso per tapparsi la bocca in caso di
rigetto, e quanto la fata tornò ad invocare il nome
dell’uomo, il silenzio le venne in risposta, silenzio e una
figura slanciata smossa dalla fiammella tremolante affissa alla parete.
Un capogiro la colse
impreparata, tanto che si trovò distesa nuovamente al suolo
prima che le sue ali facessero forza per riportarla quantomeno in
ginocchio, ma lo sforzo le costò altro dolore, altro sangue,
e l’angoscia l’assalì come una
coltellata al cuore.
- Riven –
biasciò con la poca voce rimasta, tornando in piedi con le
ginocchia che si scontravano tra di loro e le braccia tese nel vuoto,
in cerca di un appiglio che non trovavano, l’ancora di
salvataggio che Musa trovò alla fine del corridoio,
nell’uomo che la osservava,immobile, ma con la spada tesa
davanti al volto e l’occhio vitreo di un animale in attesa.
- Hai mai provato la
vera paura, piccola fata ?
Il primo passo le
costò una fitta tra le costole, ma il dolore le
causò un lieve ondeggiamento che frenò con un
ringhio frustrato, mettendo un piede davanti all’altro con
l’attenzione maniacale di una bambina intenta a compiere i
suoi primi passi verso la vita.
-
Quella paura che ti fa credere di poterne morire ?
Guardò
Riven, poi i muscoli guizzanti dell’avambraccio e la spada
tesa nella sua direzione prima di ricontrollare i propri passi per non
cadere di nuovo, ma le gambe erano fragili, delicate come le sue ali, e
quando un’ondata di nausea la colpì ancora furono
quelle a librarla in aria, a reggerla affinchè potesse
riprendere coscienza e tornare a camminare.
Perché
lì davanti a lei c’era la sua più
grande paura, quella per la quale avrebbe potuto morirne, quella che
nella sua mente l’aveva uccisa, ma solo perché lei
glielo aveva permesso, glielo permetteva sempre.
Ed eccola, la bruttura
della sua anima, quella più folle, quella più
masochista.
Quel maledetto amore
che la spingeva sempre tra le braccia di Riven, anche con una spada in
mano, anche con la possibilità di venirne uccisa.
Ma quello era il suo
salto nel vuoto, un vuoto che faceva paura, fatto di parole sconnesse,
grida concitate e bisbigli che la condannavano, lei e
quell’amore sbagliato, eppure lei non lo trovò
così sbagliato, non quando l’orrore e il dolore
lasciarono spazio alla stanchezza di combattere una battaglia che non
poteva vincere, che non avrebbe mai vinto.
Non contro il suo
cuore, non contro l’innaturale forza che la attraeva tra
quelle braccia.
Prese un respiro
profondo, chiudendo gli occhi quando la lama le strisciò
sulla guancia nell’andargli in contro, singhiozzando altro
sangue, mentre i suoi piedi perdevano il contatto con il pavimento e le
sue ginocchia cedevano come un legnetto frantumato da un colpo
d’ascia.
E saltò ad
occhi chiusi, le mani tese davanti al viso e un sorriso delicato a
seguire l'inevitabile caduta prima di sentire l’aria sferzata
dalla lama poco sopra il fianco destro.
E provò
dolore, un acuto dolore tra le scapole quando si sentì
sollevare, udendo lo schianto della spada contro il pavimento, lo
stridere delle suole delle scarpe quando Riven si curvò in
avanti per tirarla in piedi, e le sentì, le sue braccia,
avvolgersi attorno alla sua vita come la più calda delle
coperte mentre gli occhi le si inumidivano di nuove lacrime.
Il pianto che
liberò fu un lungo lamento, come l’eco lontano di
un allarme impazzito, intervallato dai sussulti secchi dei suoi
singhiozzi, dagli strappi nel lungo mantello che le sua dita
squarciavano per la forza con la quale si aggrappava alle spalle dello
specialista.
- Shh –
provò ad ammansirla Riven, ma anche la sua era strozzata,
incrinata da quel sangue che gli inumidiva la divisa e da
quel pianto che lo stava prosciugando della forza di scostarla e
allontanarla.
Perché non
ci sarebbe più riuscito.
Non con la prova di
quanto lei si fosse spinta per capirlo, cosa avrebbe fatto, pur di non
lasciarlo solo.
Il frusciare di seta e
vento accompagnò un altro lamento, più lungo dei
precedenti, accompagnato dalla caduta di una lacrima salata che un dito
raccolse prima di toccare terra, e quando Musa inclinò il
capo per alzare lo sguardo inghiottì un gemito di dolore nel
vedere il viso di Salazar, ma soprattutto, nel vedere le dita spiegate
sul volto contratto dello stregone, increspato da rughe profonde
attorno alle labbra e agli occhi serrati con forza.
Le sfuggì
un altro singhiozzo, basso e vibrante che la fece tremare da testa a
piedi, e quando Riven affondò il viso tra i suoi capelli,
rafforzando la presa attorno alla sua vita, Musa non potè
che rilasciare un respiro tremulo, poggiando la guancia sulla
spalla che sentì sussultare sotto la carne tenera
della gota mentre Salazar continuava a tenere la mano sulla parte
libera del suo viso.
- Mi
dispiace.
- Anche a me
– ebbe appena la forza di sussurrare, chiudendo gli
occhi con un respiro stanco che Riven accompagnò con un
sussulto secco delle spalle, il viso affondato nei capelli che persino
Salazar si trovò ad accarezzare, fissando il viso pallido
e puntellato di sangue che lo aveva perdonato, ancora una
volta.
Proprio come aveva
fatto Arya, come aveva sempre fatto quando lui si era fidato
di lei, e lo avrebbe fatto ancora.
Perché la
speranza di quell’
“andrà tutto bene”
pareva quasi un incantesimo, se detto da quella fata, e
chissà che quella magia non li avrebbe salvati tutti.
La sua anima, e il
cuore nero che Musa ripulì con ogni sua lacrima, goccia dopo
goccia, lasciando Riven nudo, inerme, e vulnerabile come il
più innocente dei bambini in cerca di conforto, di amore, di
braccia nelle quali affondare il naso per ispirare il profumo di casa.
E la sua era
lì, sulla sua spalla, in quel respiro regolare e silenzioso,
in quel profumo di fiori che gli annebbiò la vista,
cancellando l’orrore di un passato e di un futuro che poi
così nero non sembrava più.
Continua …
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Capitolo 12 *** Believe ***
“I'm still trying to figure out how to tell you I was wrong
I can't fill the emptiness
inside since you've been gone
So is it you or is it me?
I know I said things that I
didn't mean
But you should've known me by
now
You should've known me
“
[…]
“If you believed
When I said
I'd be better off without you
Then you never really knew me
at all
If you believed
When I said
That I wouldn't be thinking
about you
You thought you knew the truth
but you're wrong
You're all that I need
Just tell me that you still
believe “
[…]
“
I can't undo the things that
led us to this place
But I know there's something
more to us than our mistakes
So is it you or is it me
I know I'm so blind when we
don't agree
But you should've known me by
now
You should've known me
Cuz you're all that I want
Don't you even know me at all
You're all that I need
Just tell me that you still
believe”
( Belive – Skillet )
Dormire era stato un
lusso che Musa non si era potuta concedere in quei mesi, figurarsi
svegliarsi riposata, senza dover provare la desolazione di trovare
nuove cicatrici, nuove ferite a scalfirle la pelle come il tessuto
rattrappito di un vecchio mantello malconcio, eppure la fata si
scoprì beatamente indolenzita, con il languore del
dormiveglia a solleticarle la voce smorzata dal sonno in un lieve
borbottio concitato.
Le venne in risposta
un respiro regolare, lento e profondo come un tuffo nel mare aperto,
poi la sentì, la pesantezza sui fianchi, una lingua di
calore che le cingeva la vita.
Il braccio di qualcuno.
Qualcuno con un corpo
molto caldo, bollente, e deliziosamente comodo, questo la fata lo
pensò nel trovare il petto sul quale poggiava la guancia
estremamente rassicurante.
Un petto morbido, come
un maglione di lana calda, soffice come un coperta, ma quando Musa
schiuse le ciglia con un lungo sbadiglio si ritrovò a
dilatare le pupille nell’accorgersi che quella a contatto con
la sua guancia era pelle nuda, pallida e levigata dagli allenamenti che
l’avevano resa così comoda per il suo capo dolente.
E non ci fu bisogno di
alzare lo sguardo quando i suoi occhi, che si
muovevano a scatti per memorizzare ogni
particolare, notarono il pettorale destro scolpito e decisamente
maschile.
- Riven ? –
soffiò incredula, esalando il primo nome che da sveglia
pensava, ogni mattina, ma lui non poteva averle permesso di usare il
suo torace come cuscino, non l’avrebbe tenuta abbracciata nel
sonno, non avrebbe potuto.
Eppure, quando il
sibilo basso e familiare la raggiunse non potè che
scattare a sedere, torcendosi tra le lenzuola aggrovigliate attorno
alle gambe prima che un dolore acuto all’orecchio
la portasse a coprirlo con una mano, riscoprendolo avvolto da bende,
mentre davanti al suo sguardo incredulo Riven abbassava il braccio con
il quale l’aveva cinta, lentamente, tirandosi su per
poggiarsi contro la testata del letto.
E lo vide, il guizzo
di dolore che gli aveva attraversato il viso come una scarica
elettrica, scoperchiando nervi tesi e zigomi tirati prima di rilassare
la mandibola e ammorbidire il taglio duro delle labbra nel seguire la
sua mano coprire l’orecchio.
Poi tutto si fece nero.
Nero come il livido
che Musa riscoprì con orrore sul torace di Riven, un
ematoma che gli azzannava metà busto, come il
morso di uno squalo che pareva avergli scoperto carne viva quando la
fata si accorse, con orrore, della pelle tesa ed escoriata poco sotto
il pettorale, lì dove lei aveva poggiato la guancia per
tutta la notte.
- Mi dispiace
– esalò desolata, allungando una mano che
ritirò subito nel vederlo coprire la ferita con il lenzuolo,
con indolenza, come se non lo turbasse vederlo lì,
ma lei si, la turbò la vista, la turbò
il pensiero di sapere quale fosse stata la causa di
quell’escoriazione, dell’orecchio che sentiva
pulsare sotto le dita.
- Non piangere.
Musa si morse le
labbra per non dare un suono al proprio dolore, ma il lamento che le
sfuggì dalla gola intensificò le lacrime che le
inondavano gli occhi mentre le sue mani si stringevano
sull’orecchio che Riven le aveva morso, strappato via, mentre
l’orrore di sapersi responsabile della ferita dello
specialista le incendiava la gola di nuove urla.
- Ti ho detto di non
piangere – la rimbeccò acido, allungando una mano
per tapparle la bocca, o forse, per farla stendere di nuovo, ma quando
le dita callose le arpionarono il fianco destro, Musa si
trovò con le mani pressate sulla bocca e il mento poggiato
sulla spalla destra di Riven, le braccia tornate sulla sua schiena, ma
in un abbraccio morbido, delicato come se stesse stringendo qualcosa di
dolce, di tenero, di
suo.
Il calore di quel
torace fu un balsamo per in mulinello d’ansia e
angoscia che, come una bolla di sapone, esplose sotto i suoi occhi
sgranati per lo stupore di quell’abbraccio, e della mano
corsa ad accarezzarle i capelli.
Inumidì la
spalla sulla quale poggiava il mento con le proprie lacrime, seguendo
le scie umide rigargli la schiena come una finestra picchiettata dalla
pioggia battente, e quando ne seguì il contorno con
l’indice si ritrovò a rilasciare un singhiozzo
strozzato.
- Mi dispiace
– rantolò affannata, stringendolo con tanta forza
da sentire i muscoli contrarsi sotto le sue mani, tanto che Musa
potè sentire le sue stesse carni tendersi in uno spasmo
incredulo, desolato, come il pianto che sfogava sulla spalla
dell’uomo.
- Mi dispiace
– singhiozzò oramai senza forze, incapace di fare
altro se non scusarsi con lui, con se stessa, per dove erano arrivati.
Perché
avevano toccato il fondo entrambi, lei, con quel livido che accarezzava
con i polpastrelli, nella speranza che potessero cancellarne
l’ombra violacea, lui, con quell’orecchio
martoriato che pulsava come la ferita aperta mai chiusasi del tutto.
Un altro
singhiozzo portò via con sé l’ennesima
preghiera, l’ennesima supplica, ma quando la stanchezza la
agguantò Musa si abbandonò tra quelle braccia con
l’arrendevolezza di una bambina stanca di dover cercare un
amore che non trovava mai, ma che la fata, dopo tanto penare,
riuscì a trovare.
E lo trovò,
quell’amore che era sempre stata la sua condanna e la sua
maledizione.
Lo trovò
nei baci tiepidi e leggeri che Riven le depositava sul capo, uno dopo
l’altro, tanto vicini e impalpabili da sembrare le dita di un
neonato che tastavano la vita, in cerca di un posto per sè,
piccoli e fuggevoli tocchi che sembravano colmare i buchi che Riven
aveva nel petto, nella voce, in quello sguardo che sembrò
gonfiarsi di emozione, come una vela immobile soffiata dal vento della
ragione, della consapevolezza di aver trovato la via di casa.
- Grazie.
Un bisbiglio.
Un sussurro forzato,
dettato più dall’incapacità di
esprimere l’opprimente sensazione di calore al petto per
dargli un tono più dolce, meno aspro, ma non c’era
mai stato nulla di dolce in quell’uomo che
l’abbracciava come se stesse stringendo la sua unica ragione
vita.
Non ve ne fu nelle
mani rozze che le accarezzavano i capelli, non ve ne fu nel bacio che
Riven le rubò assieme al respiro, strofinano il pollice
ruvido sulle guance umide, un polpastrello umido del velo impalpabile
che rendeva quegli occhi viola tremolanti come il bagliore incerto di
una candela accesa dopo tanto tempo.
E Musa
sentì il petto gonfiarsi di commozione, di amore per quello
sguardo che la ringraziava di aver creduto in lui, di aver creduto in
loro, e in qualcosa che non sarebbe mai nato senza la sua perseveranza,
senza la sua compassione.
Qualcosa che Riven
aveva sempre calpestato e fatto finta di non vedere fino a sbatterci
contro e scivolarci sopra, trovandosi lì, dove sapeva,
sarebbe sempre dovuto essere.
Con quella voce
gentile a mormorare il suo nome, e quelle mani di bambina ad
incorniciare il suo cuore con dita morbide e calde che sapevano
d’amore.
Sapevano di Musa.
Sapevano di casa.
°°°
- Siamo pronti.
Musa chiuse gli occhi
con un lungo respiro, abbozzando un passo che fu costretta a troncare
quando un braccio la tirò indietro, facendola cozzare contro
un petto che riscoprì ugualmente caldo, ma meno rassicurante
di quella mattina.
Perché
c’era tensione nel torace contratto contro le sue scapole,
c’era paura, terrore, e un angoscioso senso di smarrimento
che la fata raccolse tra i palmi nel rigirarsi tra quelle braccia e
abbozzare un sorriso gentile.
- Andrà
bene – lo rassicurò, ma persino la sua voce
tradiva una nota d’ansia, di insicurezza.
Riven
guardò i suoi occhi blu, i lunghi capelli acconciati in onde
sinuose, e il vestito di seta porpora, un po’ rovinato sulle
maniche, spruzzato sull’orlo della gonna da chiazze sulle
quali né le Winx, né gli specialisti
avevano voluto soffermarsi.
Non ne avevano avuto
il coraggio, neanche Musa quando lo aveva estratto dal baule nel quale
Salzar riponeva altri indumenti di Arya.
Le andava un
po’ largo sui fianchi, ma fatta eccezione per
l’innocenza dei suoi lineamenti, nulla avrebbe potuto
renderla meno somigliante alla fata veggente.
Erano identiche, e
ciò sarebbe servito a rafforzare l’incantesimo che
avrebbe dovuto risvegliare il passato del quale quelle pareti
conservavano il ricordo.
Un passato che
però Musa cominciava a temere, per paura di non trovarvi le
risposte che cercava, non quelle che avrebbero potuto salvare lei e
Salazar.
- Musa?
La voce di Bloom le
giunse lontana come l’eco in una caverna, ma la fata sapeva
che una volta entrata nel cerchio magico tracciato dallo stregone
avrebbe perso cognizione di ogni cosa, persino di se stessa, per
ospitare nel suo corpo il ricordo di Arya, così
da riviverne gli ultimi momenti.
Strinse il diario
nascosto sotto le vesti, tremolando un po’ quando si
trovò con la punta delle scarpe a contatto con la scia di
sale, ma ancor prima di varcare il confine tra sogno e
realtà si voltò a guardare Riven, e non
potè che sorridergli per rassicurare entrambi.
Lei, e quel cuore che
sapeva, le sarebbe scoppiato nel petto se avesse continuato a battere
con quella ferocia.
E l’uomo
dallo sguardo smarrito e perso che le chiedeva, la pregava di non
lasciarlo solo, non dopo aver compreso e accettato se stesso e
l’orrore delle sua anima per lei, solo per lei.
- Qualunque cosa
accada – cominciò con voce insicura, trovando
nella posa rigida di quelle spalle ampie la sua stessa agitazione
– continuerò a proteggerlo, a
difenderlo, con o senza il tuo consenso – concluse con voce
più ferma, quasi sprezzante, e quando lo vide tendere il
viso in un guizzo di denti bianchi, nell’imitazione di quella
che solo lei, poteva ritenere un sorriso, non potè che
deglutire e ringraziarlo silenziosamente prima di voltarsi e compiere
un passo che cadde nel vuoto assieme al suo strillo.
L’orrore la
agguantò come una lancia conficcata nel ventre che qualcuno
avvitava dentro il suo petto come se volesse cavarle fuori il cuore e i
polmoni, perché non ci fu più aria alla quale
attingere quando la sua bocca si fece asciutta, secca e arida
più degli occhi che presero a bruciarle dolorosamente.
Ma era la sensazione
di essere schiacciata, di avere una mano che la rigettava a terra
più e più volte, quasi per mettere alla prova la
tempra del suo corpo e del suo spirito a farla strillare, e quando il
presentimento di stare per andare in frantumi la costrinse a lanciare
l’ennesimo urlo disperato si trovò improvvisamente
a correre su gambe che sentiva leggere, tanto leggere che le sembrava
di volare.
E non ci fu
più dolore al petto, men che meno agli occhi che schiuse per
osservare la figura ammantata di nero che sostava sotto la statua del
gagoyle e verso la quale tendeva uno sguardo innamorato.
Si riscoprì
a sorridere senza che potesse impedirlo, come se non ne fosse
cosciente, ma sapeva di starlo facendo, che Arya stava sorridendo con
la sua bocca, e l’impressione di essere lei, quella rinchiusa
nel corpo della fata veggente, le diede uno strano senso di ansia e
angoscia.
Abituarsi ai cambi
d’umore di Arya le risultò difficile,
perché sentiva la paura e l’ansia artigliarle la
voce, ma poi tornava a sorridere quando il profilo aguzzo di Salazar si
faceva più chiaro, meno sfocato, fino a quando Arya non si
fermò a pochi passi da lui, ansimando per la corsa.
- Sei qui –
mormorò senza fiato, schiudendo le labbra
nell’ennesimo sorriso delicato, e per quanto Musa fosse
influenzata dai sentimenti della fata si accorse con un sussulto
interno che c’era qualcosa che non andava nell’uomo
che le stava di fronte.
Non solo
perché lo riscoprì meno umano di quanto avesse
pensato, sarebbe stato da vivo, ma perché lo sguardo che le
puntò addosso, a lei, ad Arya, parve velarsi di calore per
un attimo, un misero attimo prima che entrambe sussultassero nel vedere
quegli stessi occhi stringersi in una striscia di odio puro.
- Salazar ?
– si trovò a mormorare, sorpresa, retrocedendo
quando lo stregone frusciò dall’ombra della statua
per mostrarsi in tutta la sua altera figura, e Musa lo
trovò ancora più alto, più feroce,
più cattivo di ogni suo incubo.
Perché non
c’era niente di buono in quella bocca schiusa in un ringhio,
non nell’ombra cupa di occhi che sembravano bulbi iniettati
di sangue viscoso, non quella voce che lei non aveva mai sentito
così fredda e tagliente.
- Sapevo che prima o
poi sarebbe successo – soffiò lui con voce
strascicata, sibilando nelle sue vesti che ondeggiavano ipnotiche sulle
spalle larghe e piazzate – solo che non pensavo sarebbe
successo così presto – continuò con la
voce sempre più flebile, come se stesse pensando ad alta
voce.
Musa provò
orrore nel vedere quel movimento, quello strisciare grottesco che lo
faceva sembrare un rettile, ma si riscoprì impossibilitata a
non farsi assalire dalla sorpresa di Arya, solo sorpresa, non paura,
non terrore, semplice stupore.
Disorientata come
poteva esserlo una bambina alla quale si cerca di impartire una lezione
troppo dura da poter incassare con un sorriso, e Musa lo
sentì scivolare via solo dal suo, di
volto, quando la vide tendere una mano verso
quell’espressione contratta in una smorfia disgustata.
E l’orrore,
il terrore di vedere le labbra di Salazar arricciarsi assieme alla
pelle tesa delle guance le inviò una scarica di paura per se
stessa, per Arya e per quella mano che Musa fissò con occhi
sgranati prima di urlare alla fata di scappare, di allontanarsi da lui.
Ma
l’innocenza che permeava anche il suo, di cuore, venne uccisa
dalla fitta alla schiena che fece gemere lei e urlare Arya
quando ricadde carponi al suolo dopo l’impatto con
una colonna della sala.
Trovò
difficile rimettersi in piedi, perché il corpo di Arya era
pesante, era più gracile del suo, meno avvezzo al dolore, e
provò a far forza a se stesse e alla fata, incitandola,
aiutandola e aiutandosi a rimettersi in piedi, un po’
traballante sulle gambe che tremavano per il contraccolpo.
Eppure c’era
ancora innocenza nel suo sguardo, lo sentiva, lo vedeva da dentro, lo
percepiva scorrere nel cervello della fata assieme alla sorpresa e
questa volta, alla preoccupazione per ciò che aveva portato
Salzar a colpirla, a farle del male.
Poi li notò
anche lei, i lividi sugli avambracci, lividi che lei non aveva fino a
poco fa, ma che Arya osservò con un sospiro pesante prima di
alzare lo sguardo e tendere le braccia con l’ennesimo sorriso.
Un altro ringhio, e il
dolore le bruciò il cervello per quanto l’impatto
con il terreno fu doloroso, agghiacciante come lo sguardo calmo e
gentile che Arya rivolgeva al soffitto, distesa sul pavimento a gambe
divaricate e con un piccolo sorriso triste in volto.
Ma non avrebbe dovuto
sorridere, sarebbe dovuto scappare, fuggire da lui e da quello sguardo
cupo e feroce che la seguiva in ogni caduta, dopo ogni impatto e crollo
contro un piedistallo, la scalinata, la stessa statua del Gargoyle.
Aveva la bocca piena
di sangue, un fiotto che sputò a terra prima di rimettersi
in piedi e tornare a tendere le braccia a quell’uomo
mostruoso che la sovrastava come l’ombra affamata di una
bestia crudele.
La paura era
scomparsa, l’orrore ucciso,
l’incredulità ghiacciata, la speranza dilaniata da
quello sguardo cattivo e dalle sue braccia tese ricoperte di graffi e
ferite.
Arya non aveva
parlato, non aveva detto una parola, si era limitata a cadere e a
rialzarsi ogni volta, colpo dopo colpo, trovandosi con il fiato mozzo
ma con quel sorriso in viso che Musa non riuscì ad imitare,
non volle, non potè.
Perché
anche lei avrebbe permesso a Riven di ucciderla, di farle del male, di
poter disporre della sua vita, lo aveva già fatto, ma lui
aveva capito, l’aveva accettata, e si era fermato.
Salzar non
lo fece, non ci provò neanche.
- Dalbhach.
Morire non faceva
male, questo Musa lo pensò con l’ultimo sprazzo di
lucidità prima di lasciare che la sua mano si allungasse sul
collo dello stregone, arpionandosi all’amuleto che Arya
trascinò nella caduta del braccio lungo il fianco
prima che un rigurgito di sangue le scuotesse il petto in uno spasmo
doloroso.
Un singhiozzo che
puntellò la palpebra destra di Salazar di tre sfere
scarlatte, poco lontano dalle ciglia biondissime che Musa vide sbattere
lentamente, come a rallentatore, su occhi che riscoprì
velarsi di dolore, di comprensione.
-
Arya.
Sorrise, senza fiato,
racimolando la forza che serbava per respirare per accarezzargli il
viso con l’indice, uno sforzo che le costò un
ultimo doloroso battito, portando via con sé il suo ansito e
il fruscio raccapricciante con il quale lo stregone ritirò
il braccio dal petto della fata.
- Musa!
Nel sentire il suo
nome, il suo vero nome,
l’ansia patita fino a quel momento la spinse a rilasciare il
primo singhiozzo, e quando un braccio la tirò su con forza,
il dolore di quel bruciore al petto la fece strillare
dall’orrore mentre Riven provava a bloccarle i polsi che
agitava davanti al viso con strilli e suppliche angosciate.
- No! –
strepitò isterica, sentendo ancora affondato nel petto quel
braccio freddo e impietoso che l’aveva trapassata da parte a
parte.
E l’orrore
di quell’omicidio le strappò l’ennesimo
singulto, l’ennesimo ansito disperato mentre gli occhi le
bruciavano per la consapevolezza di aver perduto tutto in un
battito di ciglia.
- È finita.
Musa riuscì
a concentrarsi sulla voce di Riven conto l’orecchio, sul tono
dolce e gentile delle sue corde vocali, sulla familiarità
della pelle calda sotto i polpastrelli, non fredda, non gelida, solo
calda, un tepore che la portò a rilassarsi contro il petto
dello specialista con un singhiozzo spezzato.
-È
finita – le ripetè gentile contro la tempia,
passando le labbra sulle guance per raccogliere le lacrime che le
rigavano il viso, un velo impalpabile attraverso il quale Musa lo vide.
Vuoto.
La fata non
riuscì a leggere altro nello sguardo vitreo di Salazar, solo
vuoto, un vuoto incolmabile, silenzioso e ghiacciato come la patina
umida che gli imperlava le ciglia.
E avrebbe voluto
abbracciarlo, assicurargli che avrebbero sistemato tutto, ma non
c’era più nulla da rimettere in sesto.
Perché lo
avevano visto tutti attraverso gli occhi di Musa, di Arya.
Un’uccisione
veloce e indolore.
Veloce e silenziosa
come il morso di un aspide, ma un’uccisione.
Impietosa.
Crudele.
Violenta come lo
sguardo che Salazar rivolse al vuoto, feroce come uno sparo, rabbioso
come l’urlo nero di una bestia errante, e Musa avrebbe voluto
confortare quell’anima disperata, avrebbe voluto cingergli il
capo tra le braccia e consolarlo, ma la disperazione aveva assalito
anche lei, il suo cuore, e quella mano che aveva teso al vuoto,
inconsciamente, e che fu costretta a ritirare quando uno scoppio sulle
loro teste costrinse Riven a trovare riparo sotto l’arcata.
Il polveroso soffitto
piovve giù in briciole e ammassi rocciosi che avrebbero
potuto schiacciarli se i riflessi degli specialisti non li avessero
avvisati anticipatamente della loro caduta.
Eppure c’era
chi a spostarsi non c’era riuscito, non ci aveva neanche
provato.
E quando Musa schiuse
le palpebre si scoprì con un groppo in gola nel
notare la figura immobile dello stregone, fermo in mezzo alla
desolazione del suo maniero, ferito da piccole schegge che gli
tagliarono la pelle tenera delle guance, una dopo l’altra,
causando nella fata l’ennesimo ansito disperato.
Poi lo
seguì anche lei, lo sguardo di Salazar, perso nel vuoto,
nell’immensità di quel cielo che Musa non
trovò più buio e tenebroso, denso come
una cappa di fumo, ma luminoso, puntellato di enormi scintille
scarlatte che se fecero tremare lei per la paura, portarono Bloom e Sky
a lanciare, in un richiamo, i nomi dei loro genitori.
Perché
erano i sovrani di Domino ed Eraklyon a guardarli dall’alto
delle loro navi corazzate, loro, e il numeroso esercito che un uomo
canuto guidava con lo sguardo impietoso di un dio vendicatore.
Il mago dal sorriso
osceno che la fece trasalire, lei e quel cuore che le
sussultò in petto quando, altalenando lo sguardo dal preside
di Fonterossa al Fantasma immobile, perso nel suo dolore,
comprese l’orrore di quanto stava per accadere, il terrore di
vedere piccole scintille dorate pulsare nel cielo nero come tagli nel
vuoto, minuscoli raggi di magia che avrebbero ucciso, distrutto Salazar.
Perché Musa
sapeva che lui non avrebbe fatto nulla per difendersi, non avrebbe
lottato, ma si sarebbe arreso, semplicemente, lasciandosi morire come
nel più tragico dei finali.
Un finale al
quale però lei non volle assistere, non potè,
neanche se la consapevolezza di non poterlo più aiutare le
segnasse lo sguardo di amarezza.
Ma lì di
fronte a lei vi era comunque un uomo, per quanto assassino, che
l’aveva difesa, protetta, e al quale inconsciamente si era
legata.
Non perché
era destinata a farlo, ma perché aveva voluto, aveva
desiderato fare parte della sua vita, per quanto miserevole e triste.
E quando Musa
scivolò dalle braccia di Riven seppe di stare facendo la
cosa più giusta, per se stessa, e per quella donna che aveva
teso le braccia all’uomo persino nella propria morte.
Lo schianto
alzò fuliggine, schegge di marmo e persino schizzi di
sangue, ma quando il polverone si diradò, sospinto da un
piccolo spostamento d’aria, Musa bloccò il battito
flemmatico delle sue ali, alzando lo sguardo da terra con un gesto
lento e morbido mentre il campo di energia che aveva eretto su di lei
tossicchiava un po’ per il contraccolpo.
Ma non si mosse da
lì, tenne le braccia piantate ai lati della testa e lo
sguardo altero e cattivo di chi di arrendersi non ne aveva
alcuna intenzione, anche quando Saladin la vide e la
condannò con lo sguardo ad un futuro che prometteva morte e
dolore.
Per lei, e per lo
stregone che stava proteggendo, che, nonostante tutto, avrebbe sempre
difeso, a costo di mostrare cosa avrebbe potuto fare, pur di saperlo al
sicuro, al prezzo di barattare per la vita di una creatura
già morta la lordura di quell’anima nera che ora
la portava a ringhiare come la più feroce delle belve.
Selvaggia e crudele
come Musa sapeva, sarebbe potuta diventare.
Come era diventata.
- Perché?
Fu un sussurro quello
di Salazar, simile a quelli che la fata rammentava, i lamenti disperati
di chi non crede di meritare nulla ma che continua, inutilmente, a
ricercare una pace che non gli era dovuta, che non gli era stata
concessa.
Ma quella volta le
parve ancora più fragile, flebile come il richiamo di un
bambino che non capisce ma che vorrebbe farlo pur di comprendere il
significato delle proprie azioni, di quelle degli altri, e Musa non
potè che accogliere quell’ennesima debolezza con
un sorriso gentile.
Come quelli di Arya.
Come quelli di chi
aveva amato con innocenza e che continuava a farlo, riscoprendo
lì dove non vi era altro che lordura la purezza di
un’anima che desiderava solo essere amata, compresa,
accettata.
E lei lo aveva accetto
da tempo.
La sua bassezza.
La grottesca ricerca
di piacere nel dolore altrui.
Ma anche la prova che
l’amore poteva avere delle sfumature un po’ meno
confortanti, meno dolci ma pur sempre sfumature di un sentimento che
ognuno esprimeva secondo le proprie possibilità.
E quelle di Salazar
erano state poche, se non inesistenti.
- Perché
gli amici non si abbandonano mai – confessò con la
voce resa un po’ roca dalla magia che stava incanalando nelle
sue corde vocali quando vide nuove scintille brillare nel buio del
cielo – e per quanto la cosa continui a risultarti
impossibile da credere, perché voglio aiutarti,
semplicemente.
L’onda
d’urto fu devastante, ma quando le schegge di magia si
schiantarono contro il muro sonico che Musa aveva eretto,
l’ennesimo tentativo di far del male al Fantasma
andò a vuoto, così come i precedenti.
Perché
più i loro attacchi si facevano veloci,
più la fata riempiva la sua gola di magia, di energia che
espelleva dal corpo sotto forma di barriere invisibili che si
accartocciavano sulle navi come gli artigli di una bestia, e quando
Musa seguì l’onda con il proprio corpo, lo scoppio
di un motore e di alcune navicelle causate
dall’impatto contro una massa di materia invisibile
portò via assieme alle maledizioni di Saladin il sorriso di
vittoria della guardiana.
Un sorriso macchiato
di sangue, dal rivolo che Musa sentì scendere
dalla narice e picchiettare con un suono raccapricciante il
suolo quando le navi fecero pressione sul suo muro, costringendola a
flettere le gambe per mantenere la sua posizione, richiamando altre
onde da abbattere come una mannaia sulle navi da guerra.
E per quanto il suo
potere fosse devastante, per quanto fluisse docilmente
nell’aria sotto i suoi comandi, lei era sempre sola, era
sempre una ragazza, benché fata, sola contro
un’armata magica che prese a cozzare con più
ferocia sulla lastra di magia che li proteggeva tutti.
Quando la terra le si
sbriciolò sotto i piedi Musa rischiò di perdere
l’equilibrio, ma qualcosa riuscì a reggerla prima
che il cratere apertosi sotto di lei le falciasse le gambe come un
colpo di frusta.
Il braccio che non era
mai stato tanto dolce, tanto presente come in quel momento, la presa
ferrea e confortevole di un uomo che ora si trovava al suo fianco, con
la spada tesa in aria e il fisico piantato a terra cosicchè
da reggere entrambi in ogni caduta, dopo ogni schianto.
Lo scoppio alla sua
destra la costrinse a distogliere l’attenzione dalle navi, e
quando Musa vide Aisha volare verso l’entrata della sala
capì che oltre alle navi, Saladin aveva richiesto
l’aiuto di rinforzi da terra, e quando Faragonda
sbucò dal passaggio la sorpresa la costrinse ad aggrapparsi
al braccio di Riven per incassare l’ennesimo colpo contro il
muro sonico.
- A sinistra!
– gridò Tecna nell’avventarsi contro un
manipolo di specialisti filtrati dalle immense finestre, avvisando
Bloom di difendere il fianco sinistro, ma anche quando si chiusero in
cerchio, la netta minoranza numerica le rese prede facili di quel
dispiegamento di forze.
- Dobbiamo andarcene
di qui – le avvisò Flora con voce soffocata
dall’ansia, ma quando Musa tornò a fissare in alto
sentì l’orrore ghiacciarle il sangue nelle vene.
Perché le
navi erano riuscite a rimpicciolire il suo muro, a renderlo meno
efficace con l’ausilio della spada di Oritel e della sua scia
magica che fendeva squarci, ma fu l’assenza del mago che la
fata fronteggiava con arroganza a farla sbiancare.
L’uomo che
riscoprì ad un soffio da lei prima di sentire il bastone
dorato accostarsi al ventre e rilasciare una scarica elettrica che la
sbalzò via dalle braccia di Riven.
L’impatto fu
doloroso, ma fu la mano con la quale qualcuno le schiacciò
il viso a terra a farla strillare dal dolore mentre Codatorta
le torceva le braccia dietro la schiena per ammanettarle i polsi.
- Musa!
- Non così
in fretta Riven! Con te farò i conti dopo! – lo
blandì Saladin con asprezza, invitando due specialisti ad
immobilizzare l’uomo che lanciava occhiate furiose
all’insegnante che teneva Musa inchiodata a terra, e quando
Oritel ed Erendon fecero la loro entrata assieme alle proprie guardie
fu il turno di Bloom e di Sky quello di avventarsi sui genitori con la
richiesta di rilasciare la fata.
Ma persino il re di
Domino non potè che negare con il capo e pregare la figlia
di essere ragionevole.
- Ascolta tuo padre,
giovane fata. E cerca di non fare più danni di quelli che
avete già fatto.
Riven
lanciò un ringhio frustrato quando i due specialisti lo
buttarono in ginocchio per impedirgli di correre dalla fata verso la
quale Saladin avanzava con passo marziale, fermandosi con le sue scarpe
a contatto con la bocca che Musa raggrumò in un ringhio
basso prima di sgranare gli occhi nel sentire il bastone pungolarle con
forza la sua ala nera.
- Ecco la prova che
cercavate – inziò austero, abbracciando con lo
sguardo le espressioni cupe degli altri ex membri della Compagnia della
Luce – ecco cosa succede a chi viene rubata l’anima
da Salazar.
- Lui non ha fatto un
bel niente – sputò sprezzante Musa, ritrovandosi a
singhiozzare un gemito quando il mago la colpì ferocemente
al volto, facendole sanguinare una tempia.
E quando Saladin
percepì un movimento alla sua destra fu abile nel congelare
il Fantasma scattato nella sua direzione, la bocca schiusa in un
ruggito che si limitò a covare nel petto assieme al suo
rancore.
- Allora è
vero – esalò Oritel con orrore, stringendosi la
figlia al fianco quando sentì gli occhi ametista dello
stregone puntarsi con ferocia sul suo volto.
- Sei vivo –
continuò Erendor, ma nella sua voce
c’era solo rabbia, odio, e l’orrore di chi davanti
a sé riscopre il male del mondo.
- Vedo che siete tutti
felici di rivedermi.
Gelo.
Nessuno di loro
potè contenere il ribrezzo nel sentire la voce bassa e
flautata dello stregone, nel riconoscere quella scia di
malvagità e cattiveria che gli velava lo sguardo, ma il
ricordo si infranse quando Salazar tornò a fissare Musa,
addolcendo il taglio affilato degli occhi in modo quasi impercettibile.
Ma Saladin lo
riconobbe, quel battito di ciglia morbido e delicato, un gesto umano,
troppo umano, familiare,
e il rancore gli fece prudere le mani che strinse attorno al bastone
per sfogare la sua rabbia sulla causa di quel cambiamento, un colpo che
non la raggiunse quando lo stregone si tese in avanti con la preghiera
di non farle del male, di non ferirla.
E Musa non
potè che ricambiare quello sguardo supplice con una patina
di sofferenza, dimenandosi nella presa che Codatorta dovette rafforzare
quando la fata provò a fuggire via.
- Non fatele del male.
Vi prego.
Il sorriso nato sul
viso del mago fu raccapricciante, abominevole come il parto innaturale
di qualcosa che non sarebbe dovuto sembrare tanto sbagliato, tanto
malvagio, e Musa non potè che azzannare l’aria per
allontanare la mano che le chiudeva la bocca per dire la sua, di
verità.
Quella che non aveva
avuto il tempo di confessare alle sue stesse amiche, a Riven, ma che
strillò con tutto il fiato in gola.
- Siete stato voi a
strapparmi l’ala, non Salazar. Siete voi il mostro
qui! – strepitò furibonda, torcendo il collo per
guardare le espressioni ghiacciate delle amiche, e quando
incrociò gli occhi di Riven vide l’orrore, la
rabbia divorare il viola cupo dello sguardo che si fece nero.
Quando Saladin si
voltò per zittirla con l’ennesimo colpo il dolore
al fianco lo costrinse ad inclinarsi in avanti, ma Riven ,tornato in
piedi dopo averlo scostato bruscamente con la testa lo colpì
ancora, calciando il viso del suo mentore con rabbia, con ferocia,
allontanando i due specialisti corsi a fermarlo ancora con
l’ennesima testata.
Sky non
potè che correre in suo aiuto quando vide Saladin allungare
il proprio bastone per attaccarlo, e quando gli specialisti e le Winx
ripresero a far valere le proprie ragioni, Musa colse
l’occasione per mordere la mano di Codatorta e fuggire dalla
sua presa.
Corse tra gli
specialisti che si azzuffavano tra loro, abbassandosi quando una spada
rischiò di tranciarle la testa di netto, ma fu abbastanza
accorta da gettarsi a terra e rotolare fino al fianco di Salazar per
liberarlo dalla magia benché avesse ancora i polsi
incatenati.
E quando
l’ebbe davanti, sempre ferita, ma con quello sguardo gentile,
lo stregone non potè che abbozzare un ghigno e poggiarle una
mano sulla guancia con un che di nostalgico.
Quando Musa
capì il perché di quel gesto, il ringraziamento
taciuto in quello sguardo ferito ma che sapeva divenire dolce e tenero,
quando era su di lei, non potè che scuotere la testa e
abbozzare a sua volta lo stesso ghigno.
- Non dovresti mai
sottovalutare la testardaggine di una donna innamorata.
Si sorrisero a
vicenda, complici, una complicità che qualcuno
trovò oscena, raccapricciante, un’intesa che
Saladin fagocitò nelle iridi tinte di magia, di odio verso
quel passato che tornava a ripresentarsi e a chiedere il conto delle
sue azioni.
Perché
ciò che aveva fatto era la cosa più giusta, la
cosa più saggia, l’atto di chi crede in un bene
supremo che talvolta l’onore e la giustizia tende a
dimenticare.
Riven fece appena in
tempo a tornare in piedi e sputare sangue prima di vedere il vecchio
alzare il bastone e puntarlo contro la fata alla quale Salazar
accarezzava una guancia, e il panico lo sommerse, rese la sua voce
più stridula, più acuta di ogni strillo e grido
disperato, un urlo che Musa udì a stento prima di percepire
il sibilo poco lontano dall’orecchio.
E quando il suo corpo
venne gettato malamente contro la parete opposta il silenzio
calò tra di loro, seguito dal tonfo che la fata emise nel
rotolare a terra senza più muoversi, riversa al suolo con le
gambe divaricate e il viso coperto dai capelli.
Immobile.
- M-Musa –
biasciò Tecna con voce incolore, ondeggiando su se stessa
prima di zoppicare in contro alla schiena ferita dell’amica,
verso quelle ali rigide abbandonate al suolo come steli di fiori
strappati.
Bloom sentì
la bocca invasa dalla bile quando persino al suo richiamo la fata non
le rispose, e quando lanciò uno sguardo disperato a suo
padre Oritel non potè che fissare la povera ragazza prima di
puntare sul mago uno sguardo truce e funesto.
- Cosa hai fatto!
È solo una bambina !– lo rimproverò
aspro, avanzando verso il vecchio compagno d’armi con passo
iroso – eravamo d’accordo che non le avresti fatto
del male!
Saladin
tornò in piedi con un sorriso sprezzante, spolverandosi il
mantello con un sufficienza, calmo e pacato come chi sa di non avere
colpe, chi sa di aver fatto del bene, di farlo sempre, ma quando
sentì il lieve gemito di dolore tornò a fissare
la schiena della fata con rinnovata rabbia, percependo la follia
bruciare ogni nervo sano rimasto nel suo corpo quando Musa
allungò le gambe con un sospiro soffocato.
- Musa ?
La fata schiuse le
palpebre con stanchezza, emettendo un piccolo singhiozzo, ma il dolore
era tanto forte da non permetterle di alzarsi, o di voltarsi per
rassicurare gli amici della sua incolumità, non ne ebbe la
forza né la voglia, perché i suoi occhi erano
puntati sul diario aperto a pochi centimetri da lei, sfuggitole dal
corpetto a seguito del contraccolpo contro la parete.
Un diario che
fissò con insistenza, sussultando internamente nel sentire
una voce di donna cominciare a sibilare nell’aria, a
sovrastare le voci dei compagni alle spalle, a lanciare un'ombra sul
suo viso assieme al buio cupo dell’eclissi.
E quando delle scritte
infuocate cominciarono a sporcare le pagine che lei aveva
trovato sempre bianche, pulite, sentì la mente abbandonare
il corpo per gettarsi in quelle lettere che una mano invisibile
trascriveva.
Il racconto di una
storia che Saladin aveva tentato di storpiare fino alla fine, uccidendo
quella verità che tinse le pupille di Musa di nuova
comprensione, e di incredulità.
Tecna smise di
avanzare quando udì un sussurro provenire dalla fata distesa
a terra, un mormorio concitato che Musa ripetè come una
litania nel girarsi su un fianco, lasciando che alcune ciocche le
adombrassero il viso mentre la sua bocca continuava a sillabare quella
parola, a ripetere la prova che aveva sempre cercato, guardando il
responsabile di tutto quello.
Della morte di Arya.
Dell’inspiegabile
uccisione alla quale Musa aveva assistito.
Del tradimento che
Arya aveva subito e visto risplendere nelle iridi dell’amato
poco prima di spirare, in quella pupilla nera attraverso la quale non
aveva visto il suo riflesso, ma il viso aguzzo e rigido
dell’uomo che realmente l’aveva tradita.
L’uomo che
Musa fissò con rabbia, con odio, sillabando quella parola
che Saladin registrò con sgomento prima di sbiancare e
osservare la fata con nuova ansia, con terrore.
Avvelenato.
La risata di Saladin
risuonò storpiata, isterica e nervosa per l’intera
sala, facendo retrocedere i suoi sottoposti, persino Oritel che nel
vecchio dal viso grinzoso e dalla pupilla dilata non riconobbe
l’antico amico e compagno.
- Saladin? –
lo richiamò Faragonda con tono cupo, non ricevendo risposta
dal mago che continuava a ridere di cuore, alzando il viso per guardare
l’eclissi, per trovare una via di fuga ad una condanna che
quella piccola fata continuava a sussurrare, ancora e ancora, facendo
crescere in lui l’ansia di essere scoperto, di non essere
capito.
Di essere creduto
pazzo.
E Saladin sapeva di
non esserlo mai stato. Non quando aveva soffocato l’odio per
sua sorella e per quell’amore malsano.
Non quando aveva
deciso di proteggerli tutti da quell’unione sacrilega.
Non era pazzo, non lo
era mai stato, ma lo avrebbero creduto tale se l’avessero
udito, se quella lurida ragazzina fosse riuscita a farsi capire, e lui
non poteva permetterlo, non arrivati a quel punto.
- Fermo!
La scarica elettrica
sibilò in mezzo a loro come una spada lanciata nel vuoto,
una scia metallica che Riven osservò con terrore quando ne
intuì la direzione, e Musa non avrebbe potuto difendersi da
quello, non avrebbe mai potuto senza l’aiuto di qualcuno.
Un aiuto che la fata
ebbe.
L’aiuto del
vento, e di una scia bluastra che la sovrastò come la
più algida delle divinità prima che
dall’inconsistente nube cerulea apparisse un viso di donna
dagli occhi silenti, i lunghi capelli blu a fluttuarle attorno come una
coperta mentre la scarica veniva risucchiata dalla mano che aveva teso
in avanti.
E quando
l’apparizione abbandonò il braccio lungo il
fianco, alzando il mento con lentezza, la donna puntò lo
sguardo evanescente sull’uomo vecchio e tremante che cadde
carponi con il suo nome incastrato in gola.
- Arya.
L’incredulità
dipinta sui loro volti fu nulla se paragonata all’orrore su
quello di Saladin, lo stupore di riconoscere nello spirito magico chi
lui un tempo aveva tradito.
Ma c’era chi
si era trovato a cancellare il proprio stupore per far spazio alla
gioia di quella visione, alla commozione di poter rivedere un viso che
Salazar aveva amato con tutto se stesso, fino a morirne.
- Arya.
La fata distolse lo
sguardo dal fratello nell’udire il soffio fuggevole ai suoi
piedi, e quando Musa riflettè la propria immagine in quegli
occhi tanto simili ai suoi non potè che tendere un
sorriso incerto e tremolante prima di sentirsi sfiorare da una mano
della donna.
- Sei stata brava.
Il sorriso le si
allargò in viso quando sentì
l’esclamazione del fantasma, riuscendo a ritrovare la
speranza per un destino che non doveva avere quel finale tragico, non
ora, non dopo aver scoperto la verità.
- Tu- tu…
Oritel soppresse la
propria sorpresa quando vide la vecchia amica aiutare la fata della
musica a tornare in piedi, porgendole con un sorriso il piccolo oggetto
dal quale la scia bluastra che ne componeva il corpo fuoriusciva, il
diario che Musa strinse al petto nel sentire le ferite rimarginarsi
sotto il tocco della donna.
Poi Arya lo
udì ancora, il suo nome, ma senza l’orrore e la
sorpresa a storpiarne la dolcezza, solo il suo nome, il richiamo
più dolce che lei avesse mai udito, anche se era sempre
stato atono e inespressivo.
Eppure la donna non
potè che abbozzare un sorriso che mordicchiò
prima di volare per la sala e discendere con lentezza davanti
all’uomo dallo sguardo smarrito che continuava a ripetere il
suo nome.
- Arya.
Gli sorrise, delicata
come era sempre stata, allungando una mano per sfiorargli una guancia,
e quando anche la donna sussurro il nome dell’uomo, il suo vero nome,
Salazar non potè che allungare le braccia e stringersela al
petto con un sorriso tremulo, fissando il vuoto e imprimendo nella
memoria quel tocco gentile che secoli prima lo aveva costretto ad
ammettere il bruciante bisogno di essere amato da qualcuno.
Straziante.
Musa non
potè che patire il dolce strazio di vederli insieme,
finalmente, abbracciati e uniti dopo un secolo di lontananza, di bugie,
trattenendo a stento l’istinto di urlare dalla gioia, ma lo
avrebbe fatto, lo avrebbe fatto dopo aver svelato il segreto che
Saladin serbava nel cuore corrotto.
Un segreto che la fata
rivelò con la più semplice delle accuse.
- È stato
Saladin ad ucciderla.
Il mago
sobbalzò quando la udì parlare, tradendo la
sorpresa di sentire quegli occhi blu guardarlo con disgusto, ma quando
anche Oritel e i presenti gli rivolsero occhiate confuse Saladin fu
lesto a camuffare un sorriso bonario nel tornare in piedi.
- IO ? –
sibilò incredulo, reggendosi sul bastone per non mostrare
altre debolezze – credi davvero che sia stato io ad ucciderla
?
Musa trovò
quel tentativo di sviare il discorso, di difendersi, profondamente
patetico, ingiusto per quella donna abbracciata all’uomo dal
quale era stata crudelmente strappata, e lei non avrebbe permesso a
Salazar di pensarsi ancora come l’orco cattivo.
- Non è
stata Arya a mandare la lettera. Siete stato voi. Avete scritto di
vostro pugno le missive che avete spedito ad entrambi per farli
incontrare segretamente.
Gli sfuggì
una risata nervosa con la quale tentò di stemperare il tono
serioso della fata, ma lo sguardo cupo dei maghi e delle fate
lì presenti lo fecero trasalire dalla paura.
- Ma noi lo abbiamo
visto, Musa, abbiamo visto Salazar uccidere Arya – si
insinuò la voce confusa di Tecna, un’ammissione
che se fece sorridere di vittoria Saladin, portò la fata
della musica a smozzicare un ringhio feroce.
- Perché
Salazar era stato avvelenato.
- Che sciocchezze stai
dicendo! Suvvia, non vorrai davvero…
- Cerchi ancora di
difenderti fratello ?
Saladin
tremò nel sentire la voce delicata della sorella alle
spalle, e quando incrociò lo sguardo di Arya si
trovò a inghiottire il sussulto spaventato.
- Ciò che
mi hai fatto, ciò che ci
hai fatto è ingiusto. Io amavo Salazar, e lui amava me, non
mi avrebbe mai fatto del male – confessò con
enfasi, stringendosi a quelle braccia che lo stregone
irrigidì lungo il busto della fata prima di scoccare
un’occhiata incredula a Musa.
Lei gli
annuì, addolcendo il sorriso prima di tornare a pugnalare la
schiena del mago con uno sguardo furioso.
- È vero
che Salazar ha trafitto Arya, lo abbiamo visto tutti –
confessò Musa con voce dura, abbracciando con lo sguardo le
espressioni silenti dei presenti – ma solo
perché nella boccetta che Salazar portava al collo
vi era veleno, un veleno che gli ha fatto credere di avere davanti
Saladin, non Arya.
- E di quale veleno si
tratterebbe? – domandò con rabbia il mago,
sorprendendosi nel vedere Flora fare un passo in avanti e guardare il
nonno del suo compagno con malcelato astio.
- Belladonna. La
belladonna è in grado di causare allucinazioni, tachicardia,
lesioni interne e spasmi incontrollati.
- E tu come fai a
saperlo ? – le chiese Helia con un filo di voce, guardando la
fidanzata con la gola secca.
Flora provò
pena, dispiacere per il dolore che gli avrebbe inflitto, ma la fata
sapeva di dover essere fedele anche all’amicizia con Musa.
- Perché
Musa ha avuto alcuni sintomi. Non so come abbia assorbito la
belladonna, ne ho percepito l’odore su di lei, e sono sicura
che sia stata l’esposizione al veleno a
farla stare male ieri.
Salazar sembrava
l’unico a non riuscire a comprendere, a capire, ma quando
Musa lesse sorpresa in fondo a quello sguardo desolato, quando vi lesse
speranza, seppe di dover punire Saladin e di dover liberare lo stregone
di una colpa che non aveva mai avuto.
- Ricordi quando mi
è caduta la boccetta e mi sono punta il dito ? –
gli chiese con dolcezza, sentendo il sollievo nel vederlo annuire
mentre anche in lui la propria innocenza cominciava a dipanarsi.
- Ecco come sono
venuta a contatto con la belladonna. Doveva esserne rimasta qualche
goccia quando è andata in frantumi –
spiegò infine, riuscendo a trovare quello che cercava,
quello che aveva sempre cercato in fondo al suo sguardo.
Pace.
Per se stesso, e per
quell’anima che finalmente, dopo un secolo di afflizioni,
aveva trovato ciò che poteva donargliela.
L’innocenza
da un delitto che non aveva compiuto volontariamente, non avrebbe mai
potuto.
- È finita.
Lo era davvero,
finalmente, ma Saladin non sembrò far caso alla sentenza
della fata, continuava a fissare sua sorella e lo spirito malvagio che
l’aveva plagiata, che l’aveva portata via da lui, e
non trovò giustizia in quello che vedeva.
Non l’aveva
mai vista, non in quell’abbraccio e in quegli sguardi
innamorati, non nell’odio che Arya non avrebbe mai nutrito
nei suoi confronti se non fosse stato per Salazar e per quella stupida
fata che aveva distrutto tutto.
- Non è
finita fino a quando non sono io a deciderlo.
Quando Arya si
curvò in avanti con le mani pressate contro il ventre tutti
sobbalzarono per la sorpresa di vedere Saladin svanire in una nube di
fumo e di sentire il singhiozzo della donna, ma fu un altro
suono, ben più flebile e silenzioso a far irrigidire Salazar
e Riven, il respiro mozzato alle loro spalle, fioco e spento come il
singulto di una bambina spaventata.
Un rigurgito di sangue
le sfuggì dalle labbra mentre la sensazione di
soffocamento aumentava, ma gli occhi rimanevano vitrei, sgranati sui
due uomini che vide voltarsi con lentezza nella sua direzione prima che
il bastone affondasse più in profondità,
trapassando il diario che teneva stretto al petto e il torace che ormai
Musa non sentiva più.
Non sentiva
più nulla, in verità.
- Ora, è
finita.
Il fruscio del bastone
contro le carni martoriate dei suoi organi interni le costò
un’ultima fitta di dolore prima che la fata perdesse
sensibilità nelle gambe, nelle braccia, afflosciandosi come
il gambo di un fiore calpestato, cozzando duramente contro il
suolo, e fu proprio la dolorosa caduta a toglierle
l’ultimo respiro che fu in grado di incanalare nel corpo
assieme allo sguardo divenuto opaco, spento.
Morto.
- NO !
Il grido di Riven
squarciò l’aria, frammentandola in piccole
particelle d’ossigeno che l’uomo fece fatica a
respirare quando si gettò in una corsa goffa verso il corpo
disteso al suolo, immobile come la più triste delle bambole
abbandonate a se stesse, e quando cadde in ginocchio accanto a lei le
prime lacrime gridarono il dolore di quella visione.
Lo strazio di toccare
pelle fredda e di non vedere quegli occhi blu voltarsi ai suoi richiami.
Saladin, che aveva
appena fatto in tempo ad indietreggiare non potè che
scoppiare a ridere quando vide il suo pupillo prendere tra le braccia
la fate e provare a bloccare con la mano pressata sul petto il fiotto
di sangue, il tentativo patetico di un uomo che non sapeva arrendersi
alla realtà.
Perché lei
era morta, aveva pagato il suo affronto, ed era stato lui a vincere
ancora, l’unico a ridere in un luogo dove solo
l’orrore e il dolore saturava l’aria.
Aria che il mago
inghiottì a vuoto quando, nell’alzare lo sguardo
si trovò faccia a faccia con il suo peggior incubo,
l’uomo dagli occhi ametista che lo afferrò per la
gola, costringendolo a fissare le pupille nere risucchiate nel viola
cupo dello sguardo.
Quello che ruba le
anime, quello che rubò la sua, prima che il corpo dello
stregone ricadesse al suolo con un tonfo sordo, ma nessuno vi fece caso.
Non le Winx accorse al
capezzale di Riven, non lo stregone che vide lo spirito
dell’amata svanire assieme alla vita di chi non avrebbe
potuto ritornare da chi più l’avrebbe rivoluta
indietro.
- Andrà
bene. Andrà tutto bene – singhiozzò lo
specialista con la voce strozzata dal pianto, tamponando
l’emorragia con la mano che però continuava ad
essere spruzzata di sangue, troppo sangue per non fargli
comprendere che il suo fosse il tentativo inutile e disperato
di un uomo di vincere la morte.
Eppure, inutile o
meno, l’uomo non potè che continuare a bloccare il
rigurgito di sangue, a stringere il corpo che aveva depositato
dolcemente sulle ginocchia, a rassicurare entrambi che sarebbe andato
tutto bene.
Proprio come Musa gli
aveva promesso.
E lei manteneva sempre
le promesse, lui lo sapeva, ne era certo, anche se lei continuava a
tenere gli occhi incollati al vuoto, anche se quel sangue continuava a
bagnargli i vestiti e le labbra che accostava all’orecchio
della fata per sussurrarle quello che avrebbero fatto, una volta
tornati a casa.
- Sono sicuro che tuo
padre mi prenderà a calci, ma ne verrà la pena
– biasciò stancamente, prendendo ad accarezzarle i
capelli e a continuare, stupidamente, a pressare la mano su quel torace
che aveva smesso di sputare sangue, ma non perché
l’emorragia fosse stata bloccata, perché,
semplicemente, non c’era rimasto più sangue da
espellere.
- E dovrai cantare
quella canzone che avevi dedicato a tua madre, mi è sempre
piaciuta, anche se non te l’ho mai detto –
confessò dolce, sorridendo nel sentire il sospiro sul
proprio viso, ma quando Sky, che si era chinato a guardarlo,
provò ad allungare una mano sul viso che accarezzava
ritmicamente Riven riuscì a scollare la mano dal torace per
afferrargli la gola con un ringhio.
- Non toccarla –
sibilò feroce, soffiando sul volto del principe di Eraklyon
la propria follia, gli occhi dilatati su pupille che erano state
soffocate dal viola sgargiante dell’iride, lucidi di un
pianto che Riven sfogava a tratti, trovandosi a sorridere e piangere
senza che ne fosse pienamente cosciente.
- Riven, ti prego
– lo supplicò Helia con voce stanca, ma lo
specialista non potè che urlare loro di lasciarli
soli, perché Musa doveva riposare, e non doveva essere
toccata da nessuno se non da lui, perché le avrebbe dato
fastidio mostrare il proprio disagio. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo.
Eppure, quando
Faragonda riuscì a farsi spazio tra le sue ex allieve per
sedersi accanto a lui Riven non potè far finta di nulla, o
ringhiarle di andare via, non ne ebbe la forza, neanche quando la
vecchia fata gli prese la mano tornata a coprire il foro nel petto di
Musa per scostargliela.
- Mi dispiace
– iniziò lei mortificata, con la gola stretta dal
dolore, ma lo specialista la scacciò via con un gesto brusco
del braccio, tornando a chinarsi sulla fata per rassicurarla che
nessuno l’avrebbe più disturbata, ma quando gli
occhi fino ad allora fissi di Musa ruotarono innaturalmente verso il
basso quando Riven mosse il braccio indolenzito qualcosa si
spezzò dentro di lui.
L’innaturale
e patetica speranza di aver immaginato tutto, di non stare stringendo
un corpo privo di vita ma il gracile peso di una donna dormiente.
- È morta.
- No.
- Riven, non
puoi…
- Ho detto che non è
morta – urlò fuori di sé,
facendo tremolare lo sguardo che scostò dal viso addolorato
dell’anziana preside per tornare a guardare il viso pallido e
puntellato di sangue che continuava a non rispondergli.
- Lei non è
morta – sussurrò, ma questa volta sembrava solo
pensare ad alta voce – ha promesso che sarebbe andato tutto
bene. Che ce l’avremmo fatta. Mi ha promesso che sarebbe
stata sempre con me, che mi avrebbe aspettato –
balbettò straziato, deglutendo più volte per
trovare la voce, ma non la trovò più, non quando,
nel poggiare la fronte su quella gelida della fata non sentì
alcun respiro tra le ciglia.
Solo silenzio.
Un silenzio
ingombrante, gravido delle sue urla e della disperazione di
chi aveva perso tutto, ancora una volta.
Ma Riven
sapeva che non avrebbe più potuto riprendersela,
non dalla morte.
- Lasciatemi solo.
- Ma…
- Lasciatemi solo ho detto
– sibilò incattivito dall’amarezza,
osservando l’iride opaca di Musa con un groppo in gola.
Uno spostamento
d’aria però lo costrinse a tornare ritto, e questa
volta la rabbia tornò a sformargli i lineamenti quando
scoprì chi aveva accostato il corpo di Musa.
- Cosa diavolo vuoi
ora ?
Salazar non gli
badò, preferendo guardare quello sguardo innocente perduto
nell’oblio, occhi che lo aveva spronato, perdonato, aiutato e
infine salvato da un orrore che non gravava più sulla sua
vita.
Una pace che era
costata la vita a quella fragile creatura dal cuore forte e coraggioso.
- Non la toccare.
Solo allora lo
stregone lo degnò di uno sguardo, e si
sorprese di ritrovare se stesso nello sguardo feroce e
crudele che il ragazzo gli stava rivolgendo, nella piega dura delle
labbra, e in quel ringhio animale che Salazar aveva covato nel petto
fin da ragazzo.
- Posso aiutarla -
confessò atono, tornando ad allungare la mano che lo
specialista gli aveva bloccato per sfiorare in una carezza la guancia
della fata.
- Tu puoi …
- Riportarla in vita ?
– lo precedette, storcendo la bocca in una smorfia desolata
– no, ma posso provarci.
Riven lo avrebbe
sgozzato con le proprie mani se solo lui non avesse detto quella parola.
Provarci.
Non che ci sarebbe
riuscito, ma che avrebbe provato, e tanto gli bastò.
Si fece da parte, con
un po’ di reticenza, lasciando che lo stregone incorniciasse
il viso della fata tra le mani per avere gli occhi nei suoi,
affinchè potesse farvi fluire all’interno il
potere che aveva covato per un secolo nella speranza di uccidere e
torturare l’uomo che gli aveva rovinato la vita per
l’eternità ma che ora utilizzava per salvarne una.
Eppure il pensiero di
rivedere quel sorriso, di saperla al sicuro, gli concesse
l’incitamento necessario per tentare di riportarla tra i vivi.
Durò meno
di un attimo, e quando lo stregone le abbassò le palpebre
sugli occhi statici si voltò verso Riven, verso le fate
accasciate a terra in un pianto disperato, sulla desolazione di quel
luogo pregno di morte e urla.
- Tutto qui ?
– lo accusò Riven con tono grave, riprendendola
tra le braccia senza notare però alcuna differenza.
- Tutto qui
– gli concesse Salazar, sentendo il proprio spirito
cominciare a perdere consistenza quando la magia che lo aveva
risvegliato e che aveva riversato nel corpo della fata smise di legarlo
al mondo mortale.
- Sta a te ora
decidere il da farsi, se aspettare il suo possibile risveglio, o farti
una nuova vita.
In entrambi i
casi, sappi che è una tua scelta, e che forse lei
non si sveglierà mai.
E con
quell’ultima sentenza Salazar il ladro di anime scomparve,
tornando da colei la quale aveva agognato per
l’eternità e che avrebbe ritrovato oltre quei
cancelli che finalmente, trovata la pace, avrebbe potuto varcare.
“In
qualche modo io so che io troverò un modo,
in
un più brillante giorno, nel sole.
In
qualche luogo io so che lui mi aspetta,
Un
giorno o l’altro presto lui vedrà, che sono
l’unica”
Fastidio.
Musa non
riuscì a provare altro quando il sole la colpì in
viso come la peggiore delle sveglie, costringendola a rotolarsi tra le
lenzuola ed affondare il viso nel cuscino, ma la luce era
così forte da filtrare anche attraverso la
delicata coperta di lana calda.
Eppure la fata trovava
difficile alzarsi, perché si sentiva stanca, davvero tanta
stanca, come se qualcuno l’avesse costretta a correre
all’infinito prima di concederle un po’ di riposo.
Poi il fastidio
lasciò spazio alla confusione di sapersi stesa in un letto
morbido e profumato anziché di trovarsi
sul pavimento ruvido e sgretolato del palazzo di Salazar.
E quando i ricordi la
soffocarono con domande e quesiti ai quali non seppe dare risposta
scattò a sedere con gli occhi sgranati che fu costretta a
socchiudere per l’ondata di luce che la accecò per
un attimo.
Aveva la gola secca, e
si sentiva stranamente indolenzita, tanto che nel provare a scendere
dal letto con ancora le palpebre socchiuse si ritrovò a
rotolare goffamente con le lenzuola attorcigliate attorno al corpo.
Solo che quelle che
scostò con fastidio nel rimettersi seduta non erano coperte,
ma capelli, i suoi capelli,
tanto lunghi da circondarla come una pozza d’acqua nella
quale era stata dolcemente depositata.
L’incredulità
ebbe il sopravvento sulla sensazione di smarrimento che quella stanza
le diede, perché non c’era nulla di familiare in
quel letto pulito e non sporco di sangue come quello che ricordava,
né nelle immense finestre che fissò per ultimo,
ingoiando uno strillo spaventato nell’accorgersi che vi era
qualcuno affacciato.
Qualcuno che non
riconobbe, non con quella luce che rendeva dorata ogni porzione di
pelle sulla quale posasse lo sguardo, ma qualcosa le diceva che non era
Salazar, una vocina che le sussurrava di fare attenzione alle spalle
ampie e muscolose sottolineate dall’alta divisa rossa che
indossava, una divisa sconosciuta.
Purtroppo il problema
dei capelli le diede altri grattacapi ai quali pensare quando, nel
provare a tornare in piedi, si trovò a gambe
all’aria , imprigionata in una massa di capelli che solo poco
dopo riscoprì con orrore, raggiungeva i piedi del letto in
un’onda blu chilometrica.
- Perché
diavolo ho i capelli così lunghi –
borbottò tra sé e sé, tirando la
ciocca più lunga, quella che le si era attorcigliata attorno
al polpaccio prima di irrigidirsi nel sentire la voce dello sconosciuto
che aveva momentaneamente dimenticato.
- È quello
che succede quando si dorme per dieci anni – la
informò l’uomo con una voce che non
riconobbe, perché troppo virile, calda e lontana, ma
qualcosa in quel suo tono acido, quasi scanzonato le fece trillare una
campana di allarme nella testa.
“I won't give up on
this feeling
And nothing could keep me
away”
- E tu chi sei ?
Dov’è Salazar, ma soprattutto, dove sono io ?
– strepitò stizzita, non riuscendo a non mostrarsi
influenzata dalla marcata indifferenza dello sconosciuto di spalle, non
soffermandosi però sull’aspetto
più importante della confessione dell’uomo.
Lui non le rispose,
preferendo di gran lunga guardare fuori dalla finestra che
degnarla di attenzione, e fu proprio quell’incomprensibile ma
familiare disinteresse a convincerla a cercarsi da
sé le risposte.
Ma Musa
trovò difficile pensare anche solo al modo di fuggire da
lì quando si accorse di un inconsueto luccicore al suo
anulare, riscoprendosi completamente terrorizzata dalla fede
d’oro che le abbracciava il dito.
E l’orrore
di quella scoperta la portò a guardare le mani che
l’uomo teneva intrecciate dietro la schiena, trovando
ciò che stava cercando.
Una fede.
Una fede identica alla
sua.
- No!No!No!
– strillò isterica, altalenando lo sguardo dalla
propria fede a quello dello sconosciuto, sentendo la rabbia
congestionarle il viso divenuto oramai quasi blu dall’orrore
– non è te che dovrei sposare! Non un dannato
sconosciuto!
- E chi avresti dovuto
sposare ? – la riprese l’uomo con voce incolore,
velata da un fastidio che la fece irrigidire stupidamente con le mani
corse a sfilare la fede stretta tra pollice e medio prima di scuotere
la testa e tornare a ringhiare.
- L’uomo che
amo, che domande sono! – ribattè acida, stupendosi
di come l’anello non venisse via, quasi fosse incantato.
- E chi sarebbe
l’uomo che ami ? – le chiese ancora, questa volta
più emotivo delle altre tre volte, perché
c’era ansia nella sua voce, paura, angoscia forse, e Musa non
potè che trovarlo strano, lui e quella curiosità
morbosa.
- Riven - ammise
asciutta, sobbalzando nel sentirlo ridere sofficemente prima di ruotare
il busto e lasciare che il sole la colpisse in pieno volto,
costringendola a coprirsi con entrambe le mani chiuse a coppa sugli
occhi.
Poi udì dei
passi, lenti, eleganti, ritmici, come la marcia di un soldato, e la
paura di essere attaccata la portò a serrare le mani per
opporsi a quelle dita che provavano a sciogliere l’intreccio
con il quale copriva le palpebre serrate.
Ma lui era molto
più forte di lei, e quando finalmente riuscì a
stringerle le mani tra le sue Musa pensò che quelle mani lei
le conosceva.
Perché
erano ruvide, con dei calli prominenti poco lontano dalle nocche,
dovute agli estenuanti allentamenti alle quali si sottoponeva, e fu con
un groppo in gola che schiuse le palpebre, riscoprendo un viso che
riconobbe a stento.
"Cause I still believe in
destiny
That
you and I were meant to be
I
still wish on the stars as they fall from above
'Cause
I still believe
Believe
in love"
- Hai la barba.
Riven
aggrottò le sopracciglia in un cipiglio cupo, reggendo lo
sguardo lucido e sorpreso della fata con un pò di
difficoltà vista la fissità di quelle pupille.
- È questa
la prima cosa che hai da dirmi dopo aver dormito per dieci anni ?
– le domandò stranito, pentendosi delle proprie
parole quando la vide inghiottire a vuoto e sbattere le palpebre su
occhi che ora erano pieni di lacrime.
- Volevo dire che
…
- Hai i capelli
più lunghi – lo interruppe lei con voce stozzata,
accarezzando con lo sguardo le ciocche sfuggite al codino morbido che
l’uomo aveva sulla spalla prima di riscoprire lo stesso
luccichio di poco prima, questa volta sdoppiato.
E la commozione le
riempì la gola di singhiozzi convulsi che Riven la costrinse
a soffocare contro la propria spalla quando la prese tra le braccia,
accarezzandole la schiena con mani delicate, quasi insicure, come se
non ricordasse più come si facesse.
- Continui a dire cose
senza senso, ma credo sia normale, Tecna aveva detto che saresti stata
un po’ confusa all'inizio – borbottò
pensieroso, continuando ad accarezzarle la schiena e a sentire il cuore
singhiozzargli nel petto con intervalli tanto lunghi da affannargli il
respiro.
- Dieci anni.
Musa lo
sentì tendersi contro di lei prima di tornare a rilassarsi,
ma rimase comunque dell’incertezza nei muscoli guizzanti che
le stringevano la vita, una debolezza che la fece sorridere.
- Mi hai aspettato per
dieci anni – esalò sconvolta, stringendosi a quel
corpo che riscopriva per la prima volta sorprendentemente fragile tra
le sue braccia, delicato come mai lo era stato.
- Non avevo nulla di
meglio da fare – fu la sua risposta sagace, quasi arcigna, ma
la fata colse il tremore, la commozione tra gli spigoli della sua voce,
riscoprendo una dolcezza nella quale aveva sempre confidato.
- E ci siamo sposati
– continuò senza parole, aggrottando le
sopracciglia nello scostarsi un po’ da lui per guardarlo in
viso – come hai fatto a sposarmi senza avere il mio consenso
?
Lo vide deglutire
sonoramente, ma Riven mascherò quell’attimo di
debolezza con un colpo di tosse che gli consentì di
ritrovare la voce e di non farla sembrare troppo goffa e incerta.
- Era sottinteso che
avresti detto di si a me – commentò sicuro di
sé, forse troppo, una sicurezza che l’uomo
sentì traballare nel vedere quello sguardo farsi serio come
non lo era mai stato.
- Cosa …
- Ti amo.
Fu un colpo basso.
Questo Musa lo
riconobbe con se stessa, ma quando vide la reazione di Riven
capì che ne era valsa la pena.
Bordò.
Riven era diventato
completamente bordò, un po’ bianco sulla linea
morbida della fronte, come se non sapesse bene come reagire
alla sua confessione, limitandosi a tenere le labbra divenute
incredibilmente secche appena schiuse, e lo trovò tenero
come non lo era mai stato.
Gli gettò
le braccia al collo con una risata deliziata, beandosi della
rigidità di quegli arti ancora sconvolti e confusi su come
reagire, ma ci pensò Musa a rassicurarlo con una pacca sulla
spalla che aveva capito, che sapeva che anche lui l’amava.
Perché
l’aveva aspettata per dieci anni, e qualcosa le diceva che
l’avrebbe aspettata in eterno, se necessario.
Rimasero
così, abbracciati, tanto stretti da non riuscire a
respirare, poi l’incantesimo si ruppe quando una
covata di bambini stranamente biondi e stranamente logorroici costrinse
entrambi a dare loro attenzione.
- Cosa vi ha insegnato
la mamma ? – cantilenò una Stella più
matura, con i capelli biondi acconciati in un grazioso caschetto e
quella nidiata di bambini attorno che Musa scoprì, le
assomigliavano in modo imbarazzante con quei musini imbronciati.
- Di non fare rumore
perché la zia Musa sta dormendo – ripeterono
all’unisono, mostrando la dentatura perfetta alla madre che
convinta di non doverli richiamare all’ordine alzò
il viso per trovare la sua migliore amica stesa nel letto.
Ma quando non la
trovò e i suoi occhi dorati la riscoprirono in piedi,
abbracciata a Riven, e con un sorriso imbarazzato in volto, Stella non
potè che sentire un tic nervoso all’occhio prima
di perdere i sensi mentre i suoi figli urlavano al padre che
la loro povera mamma era svenuta un’altra volta.
Uno svenimento che si
ripetè altre cinque volte, uno delle quali venne
però indotto da Riven quando Aidan sgattaiolò
dentro con un mazzo di fiori che il nuovo preside di Fonterossa
pestò con rabbia, afferrando l’uomo per la
collottola per condurlo via da quella che oramai era
indiscutibilmente sua
moglie.
"Love can make miracles
Change everything
Lift you from the darkness and
make your heart sing
Love is forever
When you fall
It's the greatest power of all"
- Coraggio. Non vorrai
rovinare la festa con il tuo muso lungo, vero Dalbhach
?
Lo stregone emise un
lungo grugnito di fastidio quando Arya gli
sventolò davanti una mano per costringerlo a distogliere lo
sguardo irritato dall’orda di bambini urlanti che
correvano attorno alle statue del giardino di Fonterossa.
Statue, che, per una
bislacca coincidenza, assomigliavano in modo imbarazzante a lui e alla
sua compagna di vita.
Il tributo delle
vettime di Saladin il feroce, la causa della sua presenza
lì, nella maledetta accademia nella quale lui ed Arya
avevano preso dimora quando avevano capito che avevano un
compito più alto lì sulla terra, che avevano
ancora delle cose in sospeso.
- So che sei contento
di vederla di nuovo, solo che io riesco ad ammetterlo
– lo prese in giro la donna, soffermando lo sguardo blu sulla
fata dal sorriso ingenuo che l’uomo in alta divisa teneva
vicino per i fianchi.
Un altro grugnito le
giunse in risposta, ma quando Salazar posò a sua volta lo
sguardo sulla giovane non potè che smorzare un sorriso e
ammorbidire il taglio degli occhi, trovano in quel sorriso la stessa
gentilezza che lo aveva aiutato.
Ed anche se erano
anime inconsistenti, spiriti
guida, lo stregone ebbe come l’impressione che lei si fosse
accorta della loro presenza, della sua, e di quella della donna alla
quale non aveva mia smesso di stringere la mano.
- Hai detto qualcosa ?
Dalbhach
scosse il capo con un ghigno deliziato, prendendo Arya tra le braccia
prima di ritornare a infestare Fonterossa e a vegliare sui
suoi abitanti, reprimendo a stento il sorriso nostalgico che lo aveva
assalito nel capire le parole che la fata aveva sillabato al vento.
Una promessa che alla
fine, Musa era riuscita a mantenere.
Perché ce
l’avevano fatta.
Ce l’avevano
fatta davvero.
The End
* La canzone è "I Still Belive" , colonna sonora di
Cenerentola III.
Sorprese di vedermi
così presto ? Anche io lo sono, ma quando l'ispirazione
arriva è bene coglierla al volo
. Ammetto di essere un pò triste al pensiero di averla
finita, ma sono felice di come sia riuscita, e spero che anche voi,
come me, abbiano pensato ad una fine come questa. Spero di aver fatto
pensare anche a voi che il vero amore esiste per
chiunque, persino per le anime più sole.
Ringrazio tutti per avermi seguito in questa nuova avventura, e di
essere arrivati fino a qui.
Un saluto caloroso,
Gold Eyes
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