Awake

di Hagne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It's Not Me It's You ***
Capitolo 2: *** Should've When You Could've ***
Capitolo 3: *** Don't Wake Me ***
Capitolo 4: *** One Day Too Late ***
Capitolo 5: *** Lucy ***
Capitolo 6: *** Monster ***
Capitolo 7: *** Never Surrender ***
Capitolo 8: *** Hero ***
Capitolo 9: *** Sometimes ***
Capitolo 10: *** Forgiven ***
Capitolo 11: *** Awake and Alive ***
Capitolo 12: *** Believe ***



Capitolo 1
*** It's Not Me It's You ***





copertina

Copertina“You left me broken

You tried to make me think
That the blame was all on me
With the pain you put me through
And now I know that it's not me it's you”
[…]
“So here we go again
The same fight were always in
I don't care so why pretend”

[…]
“It's not me it's you
Always has been you
All the lies and stupid things you say and do
It's you
It's not me it's you
All the lies and pain you put me through
I know that it's not me it's you”

( It’s not me It’s you – Skillet)








Lì sul terrazzo il freddo pungente della sera si faceva più acuto, più feroce e secco, ma Musa lo trovò sorprendentemente confortante per il dolore che sentiva tamburellarle la testa, una fitta acuta che la musica della sala dalla quale era appena  fuggita rendeva insopportabile, tanto da strapparle una smorfia di dolore.
 Eppure il macigno che le faceva dolere il petto non era la conseguenza della lenta e faticosa riabilitazione alla quale Faragonda l’aveva costretta, lo avrebbe voluto, lo avrebbe voluto tanto, ma la fata era consapevole che il blocco di ansia e angoscia che le affaticava il respiro era dovuto ad altro, a qualcosa di ben più terrificante e doloroso.
- Di cosa volevi parlarmi ?
Musa non potè evitare di sobbalzare quando lo udì alle spalle, soffocante come l’ombra scura e torbida di un mostro affamato che voleva divorarle il cuore, ma lo aveva già perduto, ed era stata lei stessa a tenderglielo con mani tremanti e la supplica di non spezzarlo ancora, non dopo tutto quello che avevano passato.
La sensazione di freddo si smorzò un poco quando percepì il calore di quel corpo accanto a lei, e quando Musa osò alzare lo sguardo blu si costrinse a non mostrare la propria amarezza nel riconoscere i lineamenti duri di Riven.
Le mancò il coraggio per un attimo, spiazzata da come fosse familiare la mancanza di dialogo tra di loro, la complicità che invece Musa riscontrava tra le sue amiche e gli altri specialisti, ma la sua relazione con Riven non era mai stata semplice come la loro.
Perché il ragazzo  al suo fianco era più coriaceo e diffidente di chiunque altro, e lei si era innamorata anche di quei difetti che l’avevano ferita più e più volte nel corso della loro storia.
Perché Musa aveva creduto davvero che avrebbero potuto farcela, anche dopo il tradimento di Riven con Darcy, anche dopo l’infatuazione dello specialista per Bloom, avrebbe sopportato tutto per il loro amore, per stare al suo fianco, ma dopo la battaglia con Mandragora qualcosa si era spezzato dentro di lei.
Quell’ultimo frammento di fiducia che aveva visto sgretolarsi davanti  alla consapevolezza di essere stata  tradita da Riven, ancora una volta, e di non essere stata capace di aiutarlo, di capirlo, di amarlo come avrebbe meritato.
- Provi ancora dolore ? –  sussurrò Riven con voce bassa e cavernosa, costringendola a distogliere la mente da quei pensieri per ricercare nello sguardo freddo del ragazzo il significato di quella domanda che Musa non comprese, non subito.
Ma quando lo vide accennare con il mento alla sua schiena  non potè evitare di distogliere lo sguardo con una punta di angoscia, deglutendo rumorosamente prima di negare con il capo.
Perché era vero, il taglio alla schiena non le faceva più molto male, non come prima almeno, e Faragonda le aveva assicurato che sarebbe guarita in meno di tre mesi, ma era l’esistenza stessa di quella ferita a farle male.
A ricordarle che aveva fallito, ancora una volta, e che non sarebbe mai stata in grado di cambiarlo, di fargli capire che il loro amore avrebbe potuto affrontare tutto, tutto eccetto quello.
- Era necessario uscire con questo freddo ? Non avresti potuto parlarmi dentro ? – la rimproverò aspro, massaggiandosi le spalle quando uno sbuffo di aria gelida li fece tremare entrambi.
- Non per quello che ho da dirti.
Musa capì di averlo sorpreso quando vide i muscoli delle braccia irrigidirsi, gonfiarsi sotto l’ondata di stupore che lo aveva portato a sgranare leggermente gli occhi, segni impercettibili, invisibili per chiunque, ma non per lei.
Lei che lo aveva sempre guardato, ed aveva memorizzato ogni sfumatura dei suoi occhi viola, ogni singolo irrigidimento della mascella o delle spalle ampie, ogni cosa che potesse esprimere il suo disagio.
Ma sapere di aver imparato a riconoscere ogni cosa di lui, persino quella più insignificante  rendeva ancora più difficile ciò che stava per fare, ciò che stava per dire.
La fata si umettò le labbra secche per il nervosismo, torcendosi le mani e aggiustando distrattamente i capelli che aveva lasciato appositamente sciolti per coprire l’orribile taglio rossastro che dalla spalla si dilungava poco sopra il bacino, per non dover spiegare, per non doversi sentire ancora umiliata di fronte allo sguardo contrito delle Winx.
- Ho pensato molto a quello che è successo e … - si irrigidì quando vide Riven serrare la mascella con rabbia, assottigliando gli occhi che Musa sapeva, la stavano fissando con asprezza  – e ho deciso che sarebbe meglio prenderci una pausa.
- Una pausa ? – sibilò Riven ancor prima di farle prendere fiato, avanzando di un passo e minacciandola con la sua ombra incombente.
E anche se la fata non aveva mai avuto paura di lui, di quelle braccia che avrebbero potuto spezzarla, se avessero voluto, il suo cervello riconobbe il pericolo, e glielo ricordò anche la sua schiena che aveva preso a pulsare.
Glielo ricordò la ferita che la spada di Riven le aveva inferto quando aveva difeso Sky con il suo corpo.
Lo vide impallidire per un attimo nel vederla indietreggiare con un sussulto, e potè leggere dolore in fondo ai suoi occhi prima che lo specialista tornasse a piegare le labbra in un sorriso cattivo che la portò a serrare i pugni lungo i fianchi.
- Hai paura di me ora ?
C’era qualcosa di sbagliato nel suo tono di voce, questo Musa lo capì quando ne fu terrorizzata, turbata da quello sguardo che sapeva di ferirla e che sfacciatamente Riven le rivolgeva serafico.
- Mi biasimeresti se lo fossi ? Credi che ciò che è successo non mi abbia fatto male ? – lo rimproverò amara, fronteggiandolo con le spalle ritte e il mento alto, sprezzante contro quello sguardo che vide velarsi di ammonimento.
Perché Riven odiava essere sfidato, specialmente da lei, ma Musa non riusciva più a tacere la desolazione che sentiva dentro, non dopo quello che era successo.
- Credi che tutto sarebbe tornato alla normalità, una volta tornati ad Alfea ?
La voce le salì di due ottave, risultando stridula persino alle sue, di orecchie, ma la fata voleva vedere una reazione in lui, tutto fuorchè la disapprovazione del suo sguardo che lei non la meritava, non il suo disprezzo,  nè la sua indifferenza.
- Credi che non mi sia sentita morire quando ti ho visto ubbidire ai comandi di Mandragora ? Credi che il tuo tradimento non mi abbia ferita, Riven ?
Erano talmente vicini da sentire il respiro dell’altro sul proprio viso, ma quello di Musa era più irregolare di quello  dello specialista, raggelato in una posa dura che gli incattivì anche lo sguardo.
- Tu non capisci – la aggredì lui con voce bassa e vibrante, sollevandola per gli avambracci quando la ragione venne meno, quando l’impossibilità di trovare una giustificazione, di trovare una scusa plausibile per quel tradimento tardò ad arrivare.
E Musa capiva la sua frustrazione, il suo rammarico, ma lei era stanca di giustificarlo.
Perché Riven non voleva farsi aiutare, non da lei almeno, e la fata della musica sapeva che ne sarebbe uscita distrutta, prima o poi.
- Spiegami allora! – strillò, frustata – spiegami !
Riven la guardò per un istante, in silenzio, con ancora le mani artigliate ai suoi avambracci, indeciso su cosa dirle, e Musa pregò affinché parlasse, affinché provasse a farsi capire, ma quando lo vide scuotere il capo e rimetterla giù con un sibilo l’ennesimo ‘crack nel petto le portò via il respiro.
- Capisci allora che una pausa non può che farci bene.  Forse, se stiamo lontani per un po’, noi …
- Possiamo anche non farla finire più, questa pausa – la zittì lui con un ringhio, allontanandosi di un passo con il viso in ombra mentre Musa sentiva la frustrazione farle salire le lacrime agli occhi.
- Cosa vuoi dire ?
- Quello che ho detto – rispose Riven , telegrafico, dandole le spalle con un gesto annoiato prima di abbozzare qualche passo verso la sala.
Il frenetico ticchettio delle sue scarpe precedette il grido con il quale lo tirò per un braccio, nel vano tentativo di farsi ascoltare e di leggergli negli occhi la verità, ma Riven non la guardò, rimase immobile mentre Musa lo pregava di non mostrarsi tanto indifferente, come se volesse farle capire che a lui non importasse poi molto.
- Non parlare come se la cosa non ti riguardasse !
- E cosa ti dice che non sia così – le sibilò cattivo prima di venire inghiottito nell’ombra del corridoio, lasciandola con il braccio ancora teso nel vuoto e la gola strozzata per il pianto.
Quando Musa cadde in ginocchio lo fece con un morbido tonfo, e non fece rumore quando le prime lacrime le rigarono il viso, non gemette, non singhiozzò, si limitò a piangere in silenzio, a capo chino, con le braccia abbandonate in grembo.
Muta nel proprio dolore e in quel grido taciuto in fondo alla gola gonfia di amarezza e disperazione.




   
Continua...
Una storia sulla mia coppia preferita che conterà in totale 12 capitoli.
Temporalmente, la storia prende piede dopo la sconfitta di Mandragora, per poi prendere una piega di mia invenzione.
Ho sempre sognato di approfondire il loro rapporto, di spiegarne le sfumature e l'andamento, anche perchè Musa è un personaggio nel quale mi rifletto.
Gli aggiornamenti avverranno ogni sabato.
Ringrazio per la lettura, al prossimo capitolo
Gold Eyes

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Capitolo 2
*** Should've When You Could've ***
















bkxbcla
“I'm done chasing you all over
May as well be chasing after thunder
Play hard to get if it makes you happy
For a change now you can start chasing me”
[…]

“Don't you understand
Don't wanna be your backup plan
Now I won't be here to clean up when it hits the fan  “
[…]
“You tried to keep me on your leash
It's time you started chasing me”

( Should’ve When You Could’ve - Skillet )


Tre anni dopo.






Lo scroscio degli applausi la raggiunse fin sopra il palco come l’abbraccio soffocante di un genitore orgoglioso, facendola sorridere sofficemente  quando qualcuno le lanciò un bouquet assieme allo schiocco di un bacio che accettò con un lieve rossore.

Perché anche se erano passati anni dal suo primo debutto, Musa sapeva che non si sarebbe mai abituata al calore di quegli applausi, alla sensazione di appagamento che sarebbe sopraggiunta dopo la vibrazione dell’ultima nota, o ai visi emozionati delle sue amiche dietro le quinte.
Quando saltò giù dal palco per andare loro in contro la voce lontana di Galatea la raggiunse come un sussurro, ma più avanzava, più la fata sentiva il sorriso scivolarle via dal viso nel notare come gli occhi di Bloom e delle altre, benché le sorridessero, fossero velati di ansia.
E qualcosa in fondo allo stomaco le suggeriva che non era stata la sua performance a intaccare l’esuberanza delle compagne.
- Sei stata fantastica – la accolse Bloom con un sorriso affettuoso, abbracciandola stretta prima di lasciare che le altre fate potessero congratularsi con l’amica che continuava a sentire una strana sensazione di ansia mulinarle nel petto.
Perché c’era preoccupazione in fondo ai loro sguardi, e loro preoccupate lo erano state poche volte.
- A giudicare dai vostri visi non credo di essere stata poi così fantastica – confessò schietta, aggrottando le sopracciglia quando vide gli occhi di Bloom rifuggire il suo sguardo  prima che Aisha le regalasse uno sguardo colmo di scuse.
- No. Sei stata fantastica, sul serio, è solo che oggi non siamo venute solo per assistere al tuo concerto – ammise lei sincera, prendendole una mano con dolcezza.
Erano caute, fin troppo, e calibravano le parole  come se fossero preoccupate di una sua brusca reazione all’ammissione del loro ulteriore motivo, e Musa capì con una chiarezza sconcertante, cosa le mettesse tanto sulle spine.
Perché erano poche le cose che avrebbero potuto turbarla, in particolare un pettegolezzo che da anni sentiva passare di bocca in bocca quando alcune sue fan confessavano di essersi infatuate del gelido insegnante degli specialisti.
- Faragonda  ci ha convocate tutte a Fonterossa, con la massima urgenza – vuotò il sacco Aisha con voce morbida, accarezzandole un palmo con il pollice, preoccupata.
Musa assorbì con difficoltà le parole che componevano quella frase, ma più pensava, più il binomio Fonterossa-massima urgenza faceva nascere in lei l’ansia, l’angoscia innaturale per qualcosa che non avrebbe più dovuto angustiarla, impensierirla.
Eppure la fata non era tanto vigliacca da negare che era preoccupata per Riven, anche dopo tutti quegli anni di silenzio, anche dopo la loro dolorosa rottura.
Ma la lontananza era valsa a qualcosa, e le aveva garantito l’equilibrio che desiderava ritrovare.
Ed ora che aveva raggiunto e afferrato i suoi sogni  aveva accettato la sua impossibilità di comprendere Riven, perché non era quella giusta, non lo sarebbe stata, e il pensiero di non poter essere la sua metà non le causava più dolore, ma una agrodolce malinconia.
- Lui sta bene ?
- Sfortunatamente si – si intromise stizzita Stella, rimirando le proprie unghie con occhi sinceramente afflitti.
Flora la pungolò con un gomito, rammaricata, ma Musa non se ne dispiacque.
In fondo, le sue compagne  avevano digerito malamente l’abbandono di Riven, ma nessuna di loro ne se ne era sorpresa, perché Riven, secondo il loro attento giudizio,  non era capace di amare qualcuno, di comprenderlo , e rimaneva l’altezzoso specialista  che aveva spezzato il cuore di una delle loro migliori amiche.
- Di cosa si tratta ? Spero non qualcosa di grave- si volle informare allora, impensierita da come Bloom fissasse il vuoto con una smorfia contrita.
- Faragonda sembrava molto preoccupata – confessò la fata della fiamma del Drago prima di fissarla finalmente negli occhi – ed ho una brutta sensazione.
Musa la guardò con comprensione, abbracciandola con calore prima di dirottare lo sguardo alle proprie spalle dove la principessa Galatea le rivolse un cenno di assenso con il capo, pregandola di fare attenzione.
La fata le sorrise, riconoscente, socchiudendo le palpebre quando sentì la magia sfrigolare attorno a lei prima che il paesaggio incontaminato di Melody venisse sostituito da un ambiente meno limpido, meno vivace ma più severo, come la stretta decisa di un soldato attorno all’elsa della propria spada.
 E Musa non potè impedire all’ansia di aggrovigliarle lo stomaco, non vi riuscì, perché non lo vedeva da tre anni e anche se aveva accettato la loro rottura, anche se il pensiero di lui non faceva male come prima, la guardiana di Magix sapeva che quel brivido lungo la schiena non avrebbe potuto zittirlo neanche se  avesse voluto.
E lo voleva, lo voleva davvero tanto.




°°°

   




Che ci fosse qualcosa di strano, di estremamente  sbagliato a Fonterossa divenne palpabile appena Musa e le Winx misero piede nell’accademia.
Gli alti soffitti parevano ancora più sconfinati, irraggiungibili, e davano una strana sensazione di malessere che fece venire qualche capogiro a Stella quando si soffermò a guardarli un attimo di più, prima di venire sorretta da mani troppo rudi e grandi per essere quelle di una delle sue compagne.
E quando Brandon sorrise loro con gentilezza la principessa di Solaria potè rilassarsi tra le sue braccia mentre Sky sopraggiungeva a salutare la sua fidanzata e Tecna e Flora si accostavano ai rispettivi partner.
Solo Musa rimaneva in disparte, con  il naso all’insù e gli occhi blu puntati sulle volte a botta che a lei non causavano nessun capogiro, nessun disagio.
Poi la fata percepì un respiro vicino al suo orecchio, così freddo da farla rabbrividire e sussultare per la sorpresa mentre si voltava con sguardo truce per capire chi degli specialisti si divertisse a spaventarla, eppure Musa si accorse con una morsa allo stomaco che nessuno le era tanto vicino da poterne percepire il respiro.
Nessuno all’infuori della figura sfocata che vagando con lo sguardo intercettò dall’altro capo del corridoio.
Assottigliò lo sguardo per metterlo a fuoco, riconoscendo un lungo mantello logoro ai bordi che sembrava piuttosto prezioso, con delle strane scritte, rune forse,  ma quando provò a scorgergli  il viso qualcosa nella sua testa le urlò di distogliere lo sguardo e di scappare il più lontano possibile da lì.
Una voce che si faceva sempre più acuta mano a mano che i tratti di un viso piuttosto giovane si assemblavano nella sua testa, disegnando il profilo aguzzo di un uomo dalle labbra rosse.
- Ehi ! Tu! Ora che sei diventata famosa non ti abbassi a salutare i tuoi vecchi amici?
Brandon aggrottò le sopracciglia quando vide la fata della musica voltarsi bruscamente al suo richiamo, come spaventata, mentre gli occhi blu di Musa smettevano di tremare per  la sensazione di pericolo che le aveva fatto rizzare i capelli sulla nuca.
- Stai bene ? Sei un po’ pallida .
- Pallida ? Musa !
Stella scansò il compagno con uno spintone prima di afferrare l’amica per le spalle, impensierita dal pallore che rendeva gli occhi e i capelli scuri della fata ancora più blu.
- Musa ? – si intromisero le altre fate, accerchiandola e coprendo la figura che Musa non ritrovò dove l’aveva lasciata un secondo prima.
- Lo sapevo che non era buona idea – sbuffò Bloom con stizza, accarezzando i capelli della guardiana che tornò in sé con un sussulto, preoccupando maggiormente le fate che in quel suo comportamento leggevano l’ansia per l’incontro oramai prossimo con Riven.
- Se vuoi possiamo rimandare l’incontro – le consigliò Aisha, apprensiva, sistemandole una ciocca dietro l’orecchio -  potremo …
- No, non preoccupatevi , non è quello che pensate – le rassicurò la fata, raddolcita da quegli sguardi così preoccupati – mi sembrava solo … - tacque ancora  quando si accorse che no, non c’era niente dall’altro capo del corridoio, e Musa capì che forse l’ansia cominciava a giocarle brutti scherzi.
- Non è niente. Andiamo ? Non vorrete far aspettare Faragonda !
Bloom non sembrava molto convinta del suo sorriso, men che meno Aisha, ma quando la fata le spinse giocosamente ad avviarsi le Winx si rilassarono, seguendo gli specialisti fin nella sala principale dell’accademia.
- Siete in ritardo- le rimproverò il preside Saladin  non appena varcarono la soglia, causando in Stella un borbottio contrariato che Brandon soffocò con la propria mano prima di sorridere all’uomo.
- Si erano perse – le giustificò lo specialista, scoccando un’occhiata in tralice a Musa che continuava a voltarsi con aria preoccupata prima che i suoi occhi notassero il viola acceso di una capigliatura che, anche volendo, non avrebbe potuto non riconoscere.
Era molto più alto di quanto ricordasse, e più ombroso , dovette ammettere nell’accorgersi che l’aria cupa che lo rendeva inavvicinabile anni prima si era acuita, ma quando incrociò i suoi occhi la fata capì che quelli non erano cambiati, invece.
Sempre impassibili, silenziosi e glaciali come li ricordava, forse un po’ più scuri, ma identici a come rammentava al loro ultimo incontro.
Solo una cosa era cambiata, e quel cambiamento le causò uno strano senso di nausea.
Perché c’era una donna accostata all’avvenente insegnante di Fonterossa, una donna dai folti capelli rossi e dagli occhi dorati appoggiata contro la propria spada dentata.
- Cosa ci fa qui la principessa Tressa ? – chiese Aisha quando Nabu, notatola da lontano, le si accostò per salutarla.
Il ragazzo sembrò tentennare, osservando con la coda dell’occhio l’espressione pacata di Musa prima di abbassare la voce e accostarsi all’orecchio delle fidanzata.
- È qui ufficialmente per visitare l’accademia.
- E ufficiosamente ? – lo interrogò la principessa di Andros con voce grave quando notò il modo in cui la sirena sfiorava il braccio di Riven.
- Ufficiosamente è…
-La compagna di Riven, mi pare ovvio – lo anticipò Musa, salutando Nobu con un sorriso gentile al quale il ragazzo non seppe rispondere, sorpreso dall’acume della fata.
Ma era evidente che tra i due non vi fosse una semplice conoscenza, e la fata della musica non potè che sentire un’ondata di delusione gonfiarle la gola prima di spianare la fronte con un sorriso di circostanza quando lo specialista le si avvicinò assieme al preside e Faragonda.
-  Ragazze, è sempre un piacere vedervi. E Musa, scusami se non sono potuta venire al concerto, ma l’ispettrice Griselda mi ha detto che è stato un successo – la salutò la preside, sorridendo calorosamente a Bloom e alle altre Winx.
- Ora basta con i convenevoli – li freddò Saladin, fissando ognuno di loro con gravità – siete state convocate qui per una questione della massima urgenza.
La sensazione di pericolo tornò a far tremare Musa quando le sembrò di sentire di nuovo quel sospiro contro l’orecchio, ma quando Bloom le strinse una mano nel vederla voltarsi  la bolla di calore che le risalì fin alle guance scacciò il freddo che le grattava la pelle tenera dietro la nuca.
 - E quale sarebbe questa questione della massima urgenza – si insinuò la voce della principessa di Domino con interesse – siete stati molto vaghi quando ci avete inviato i vostri messaggi.
Il mago la fissò con le labbra leggermente contratte prima di far volare lo sguardo verso l’enorme vetrata che dava sul campo d’addestramento dell’accademia, come se il preside Saladin temesse di far leggere in fondo al suo sguardo qualcosa che non doveva essere scoperto.
- Un fantasma. Un fantasma infesta Fonterossa.
L’orrore sui loro volti portò via ogni tentativo di ribellione, se mai ce ne fossero stati, ma tra loro solo Musa parve irrigidirsi, rilasciando un lungo brivido che fece vibrare la mano che Bloom le stringeva.
- E cosa dovremmo farci con un fantasma ? Noi siamo fate, non scaccia spiriti!-  squittì Stella con voce stridula, stringendosi al fianco di Brandon per ricercare protezione.
- Lui non è un fantasma comune. Quello che vaga per l’accademia è lo spirito di uno degli stregoni più crudeli di Magix– le informò Faragonda con sguardo basso, guardando di sottecchi l’espressione  dura del preside Saladin che continuava a guardare tutto fuorchè loro.
- Per questo motivo vi trasferirete temporaneamente negli alloggi dell’accademia. Avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile. Questo è quanto.
 Siete libere di andare ora, gli specialisti vi guideranno ai dormitori.

Faragonda sorrise loro prima di seguire il preside verso gli uffici mentre le fate alle loro spalle si guardavano l’un l’altra con terrore.
 - Un fantasma! Dobbiamo lottare contro un fantasma! E non uno normale! Ma quello del mago più crudele di Magix – strillò atterrita Stella, avviandosi nel corridoio con le mani nei capelli.
- Sembra pericoloso – sussurrò Flora con occhi impauriti, ringraziando Helia con un sorriso quando sentì la sua stretta sicura attorno alle spalle.
- Non dovete preoccupatevi, ci saremo noi con voi – le rassicurò Sky, voltandosi indietro quando si accorse che Bloom non era più al suo fianco.
Infatti la principessa di Domino era rimasta indietro assieme a Musa che, mano nella mano con la fata, fissava atterrita davanti a sé.
- Ragazze?
Quando Sky le raggiunse si accorse con un vago senso di panico che l’incarnato della fata della musica stava diventando pericolosamente grigiastro, come se faticasse a respirare, e nel vedere l’amica tanto spaventata il principe di Eraklyon non potè che circondarle le spalle con un braccio mentre Bloom gli si stringeva al fianco.
- Andrà tutto bene. Vedrete.
Musa annuì meccanicamente, lasciandosi trascinare dalla forza del principe prima di scorgere con la coda dell’occhio quella figura sfocata che continuava a fissarla dal fondo della sala, immobile e invisibile a chiunque tranne lei.
Un fantasma. Un fantasma infesta Fonterossa.
- Musa?
La fata sobbalzò quando sentì le mani di Bloom afferrarle le sue con forza mentre Sky le guidava in silenzio verso i dormitori.
- Tutto bene ?
- Non è niente- la rassicurò, sforzandosi di essere convincente mentre sorpassavano la principessa Tressa e un cupo Riven che la fissava in silenzio, con un velo di preoccupazione che la fata attribuì all’illusione dettata dalla paura.
Perché Fonterossa era infestata dal fantasma dello stregone più crudele del mondo magico e lui sembrava guardare lei.
Solo lei.




°°°






Cercare il fantasma di Fonterossa si rivelò l’impresa più ardua che le Winx avessero mai affrontato, persino la battaglia contro Darkar e Mandragora aveva richiesto un minore dispendio di energie e pazienza.
Perché i loro nemici passati erano fatti di carne e ossa, e non amavano svanire e rendersi invisibili, ma si premuravano di rendersi particolarmente rintracciabili,  per quel motivo Bloom aveva ritenuto opportuno dividersi per avere pieno controllo di ogni nicchia dell’accademia.
Eppure Tecna non trovava logico girovagare senza meta con la speranza di trovare per pura casualità il fantasma, necessitava un piano, uno piuttosto scrupoloso se si teneva in considerazione la pericolosità del loro nemico.
- Trovato niente ?
Musa scosse il capo con una smorfia contrariata, agitando le ali per liberarle dalla polvere della quale gli enormi finestroni dell’accademia erano intrise, uno sbuffo di pagliuzze grigiastre che fece starnutire la fata della tecnologia con forza.
La guardiana discese allora in tutta fretta, soffiando sui capelli rosa della compagna per aiutarla a liberarsi dalla nebbiolina di polvere che le rendeva difficile respirare, e quando gli occhi blu di Musa incrociarono quelli lucidi di Tecna un sorriso comprensivo le si aprì in volto.
- So che agire di impulso non è la soluzione più logica Tecna, ti conosco troppo bene per non capire che il tuo nervosismo non è dettato solo dalla preoccupazione – le rivelò, gentile, sfilandole dai capelli il granello più grosso prima di sentire le mani dell’amica bloccarle il polso.
E quando Tecna smise di starnutire fu lei a cercare nello sguardo della guardiana qualche forma di malessere.
- Tu sei troppo silenziosa invece. Come ti senti ?
Era chiaro a chi la fata si stesse riferendo, lampante e piuttosto scontato, ma la cantante preferì tergiversare piuttosto che affrontare un discorso che le avrebbe  tolto il sorriso con una facilità sorprendente.
- Riguardo cosa ?
- Sai di cosa sto parlando, ho aspettato che fossimo sole per chiedertelo – la rimproverò  aspra, invitandola con un cenno serio del capo a non distogliere lo sguardo, e Musa non lo fece.
Non perché la fata volesse mostrarsi spavalda, ma perché non aveva motivo di mentire alla sua migliore amica, non ne vedeva la ragione.
Le si allontanò con un sospiro pesante, accostandosi alla finestra dalla quale vedeva un gruppo di specialisti pattugliare l’area esterna.
- Sono rimasta un po’ sorpresa ad essere sincera, mi sono sentita meno ferita di quanto mi aspettassi.
- Musa – la riprese Tecna, pensando che le stesse mentendo per non farla preoccupare, ma la guardiana stava dicendo la verità.
Certo, si era sentita delusa nel notare la presenza della principessa Tressa, nel cogliere la loro familiarità, ma non aveva fatto male come credeva, come sapeva, le avrebbe fatto in passato.
Era passato troppo tempo dall’ultima volta che lo aveva incontrato per essere influenzata da ogni sua più piccola azione, ed era rimasta colpita dall’ondata di nostalgia che l’aveva colta nell’accorgersi che non era cambiato, ma non avvertiva più la fitta acuta che sopraggiungeva al solo vederlo.
Si sentiva sorprendentemente calma, incurante dei trascorsi della sirena e di Riven, e anche se avesse provato dolore, anche se la sofferenza avesse  ripreso a tormentarla,  avrebbe chiuso tutto in un angolo remoto della sua mente per compiere il suo dovere.
Perché la sua priorità non era più tentare, per di più  goffamente, di rendere Riven felice, ora come ora ciò che necessitava la sua attenzione era il fantasma che nessuno oltre lei riusciva a vedere e che non sapevano come rintracciare.
Tecna in fondo aveva ragione, avrebbero sprecato tempo  inutilmente se avessero continuato a girovagare senza meta, ma non c’era soluzione per quell’inghippo, non quando chi stavano cercando era impalpabile e non emetteva nessuno scia di magia che potesse essere captata.
Quando però Musa si sporse dalla finestra nell’udire il passo degli specialisti farsi più tonante, un’idea le balzò in mente, e la fata sapeva che Tecna era indispensabile per avvalorare la sua ipotesi.
- È possibile che il fantasma possa emettere onde sonore, anche se il suo corpo è evanescente ?
La fata sembrò pensarci un attimo prima di spianare la fronte poco prima aggrottata con un espressione sapiente.
- Certo. I fantasmi, benché costituiti di plasma e residui di spirito emettono suoni, anche se impalpabili ad orecchio umano.
- Allora credo di aver trovato il modo di trovarlo – affermò Musa, convinta, battendo il piede per terra così da udire il rimbombo attraverso le sue orecchie di fata.
Perché se un essere umano non poteva udire le vibrazioni di un fantasma, allora lei avrebbe potuto usare i suoi poteri per analizzare l’accademia e rintracciarlo.
- Mi serve un’acustica migliore – borbottò, contrariata, voltandosi a guardare Tecna che prima di sorriderle le indicò con il mento il paesaggio dietro la finestra.
- Credo dovremmo chiedere aiuto a quegli aitanti specialisti, e chissà che tra loro tu non trovi qualcuno di interessante – insinuò la fata con voce colma di sottintesi, e Musa non potè che rifilarle un buffetto sulla guancia prima di volare via dal corridoio.
Non era il momento di pensare all’amore, non con quella confusione almeno, ma la guardiana avrebbe voluto trovare davvero uno sfogo alternativo, la possibilità di scoprire che tornare ad amare, a fidarsi di un uomo non era poi così difficile.
E sperò davvero di trovare qualcuno di interessante, anche se a lei i ragazzi non erano mai interessati, come la moda d’altronde.
Eppure, a detta stessa di Stella, il suo stile sportivo era divenuto sempre più elegante con l’andare del tempo, e chissà che davvero, proprio come il suo guardaroba, non fosse venuta l’ora di cercare qualcosa di nuovo, di fresco che la facesse sentire rinata, in pace col mondo e con se stessa.




°°°
 






- Allora ? Che ne pensi ?
Musa si guardò attorno con occhio critico, ruotando su se stessa per percepire le vibrazioni del suo corpo in movimento, e quando l’onda sonora si diramò facilmente attorno a lei  sorrise con entusiasmo.
- È perfetto !
- Felice che la nostra arena vi piaccia – si intromise una voce maschile venata di curiosità – ma potrei sapere a cosa vi serva trovarvi qui ?
Tecna sorrise sotto i baffi, lasciando a Musa la responsabilità di spiegare agli "aitanti specialisti" perché li avessero intercettati  con la richiesta di condurle al luogo con l’acustica migliore dell’accademia.
E loro ce le avevano portate, con un cenno ossequioso del capo, necessario, a loro giudizio, di fronte alle guardiane di Magix, ma nessuna delle due fate si era mai presa tanto sul serio da richiedere un inchino in loro presenza.
Le aveva fatto piacere tutta quella gentilezza, ovviamente, e Musa doveva ammettere che non era stata solo la premura dello specialista  a farla sorridere.
Lo aveva notato subito, non solo perché tra gli altri due il colore bizzarro dei suoi capelli verdi l’avesse folgorata, ma perché non c’erano ombre nel suo sguardo, neanche una.
E quel particolare che per altri sarebbe parso insignificante per lei significava solo una cosa.
Niente più pianti soffocati contro le lenzuola.
Niente più ansia e angoscia per la paura di essere respinta.
Niente più cuore spezzato.
- Qui il raggio di azione delle mie onde sonore è maggiore che in altri luoghi, ed avevo bisogno di un’acustica migliore per rintracciare il fantasma – spiegò pratica, scoccando un’occhiata in tralice a Tecna quando la sentì ridere sofficemente per l’espressione colpita degli specialisti, specialmente quella di Aidan, il ragazzo dai capelli verdi, che la guardava ammirato.
Musa ne fu lusingata, anche se l’ammirazione del ragazzo era molto simile a quella dei suoi fan, eppure sapere di aver colpito lo specialista le fece piacere, davvero molto.
- E cosa potremmo fare noi per esservi d’aiuto ? – si offrì Aidan con gentilezza, sorridendole cordiale, sinceramente attento ai suoi bisogni.
- Potreste cominciare con lo stare in silenzio- li zittì Tecna mentre la fata della musica chiudeva gli occhi con un sorriso affettuoso prima di abbozzare qualche passo di danza.
Gli specialisti tacquero come era stato ordinato loro di fare, ma Aidan non potè non lasciarsi sfuggire un ‘oh di sorpresa quando seguì l’ondeggiamento ipnotico dei capelli blu della fata mano a mano che la magia le si raggrumava intorno.
- Sono d’accordo con te – lo prese in giro la guardiana al suo fianco, colpita lei stessa da come i movimenti di Musa fossero piacevoli alla vista.
In realtà Tecna aveva apprezzato fin dal principio  la naturale avvenenza della sua vecchia compagna di stanza, ne aveva ammirato il temperamento pratico ma comprensivo, e si era affezionata al suo cuore gentile e romantico.
- Hai sentito qualcosa ?
- Stella sta sgridando Brandon  nell’ala ovest – la avvisò Musa quando percepì nell’orecchio la voce isterica dell’amica inveire con prepotenza con il suo compagno, ma l’onda era ancora troppo debole, e avrebbe dovuto renderla simile ad un elastico, così da poterlo tendere un po’ più lontano.
Eseguì una piroetta, questa volta con le braccia aperte un po’ di più attorno al busto, e questa volta riuscì a vedere nella sua testa l’interno dell’ufficio del preside Saldin nella torre est, ma non riuscì a captare la presenza del fantasma neanche lì.
- Ancora niente ? – le chiese Tecna con frustrazione, sobbalzando quando vide l’amica sussultare nell’eseguire un passo di danza particolarmente complesso.
- Musa ?
La fata incespicò, tornando ritta con un saltello che le portò via un battito assieme al respiro che le si era strozzato in gola quando aveva sentito una brezza gelida soffiarle accanto,  il respiro freddo che aveva percepito non appena aveva varcato la soglia di Fonterossa.
Ed era proprio all’entrata dell’accademia che il fantasma si trovava.
Percepì il suo respiro lento e silenzioso come se gli fosse di fianco, come se potesse toccarlo, se avesse provato ad allungare una mano, ma il terrore di attirare la sua attenzione era impensabile, non quando era la sua magia a vibrare nell’aria attorno.
- Lo vedo. È all’entrata – sussurrò, spaventata, poggiando il peso sul piede destro per eseguire un arabesque  e gettare così  la sua onda ancora più lontano, così da percepirlo meglio.
Riconobbe il mantello logoro ai bordi, ma qualcosa in quella figura ingobbita le gettò in viso una secchiata di sconcerto, perché le sembrava triste, malinconico, e non potè che chiedersi perché.
Perché un fantasma avrebbe dovuto sentirsi triste ?
E Musa pensò che Saladin non aveva spiegato nulla riguardo al fantasma, nulla sulla sua storia, sul perché si accanisse contro Fonterossa, sul perché fosse lì, semplicemente.
Aveva ordinato loro di sconfiggerlo, ucciderlo se necessario, ma la fata della musica non amava far del male, non senza una giusta motivazione.
- Allora dobbiamo avvisare gli altri.
Tecna sobbalzò assieme agli specialisti quando sentirono la fata inghiottire un urlo, ma Musa non riuscì ad aprire gli occhi, non come avrebbe voluto, non ne ebbe la forza, non quando il fantasma la guardava da sotto il cappuccio come se potesse vederla, percepirla.
E l’orrore l’assalì quando si accorse che no, non era una sua impressione.
Perché il fantasma la fissava, in silenzio, e con un ringhio nascente in gola che la costrinse a spalancare gli occhi prima di urlare a Tecna di correre via da lì.
Il boato esplose come il ruggito cavernoso di un drago, e quando Musa fuggì dalla nuvola di terra e calcinacci si prodigò a cercare Tecna con lo sguardo prima di udire un forte eccesso di tosse sotto di sé.
- Tutto bene ?
Aidan annuì leggermente, scuotendo la testa e guardando in alto la fata che, afferratolo per gli avambracci, stava portando entrambi lontani dall’arena e dalla nuvola di fumo nero scoppiata allo schianto di qualcosa contro il terreno.
- Ti ringrazio, sei stata …
- Hai visto la mia amica ? – lo precedette lei, preoccupata, storcendo la bocca quando virò bruscamente nel cogliere con la coda dell’occhio un movimento sospetto alla sua destra.
- State tutte  bene ? - le urlò Bloom quando entrò assieme agli specialisti nell’arena, in compagnia  di una preoccupata  preside Faragonda, e il sollievo di non sapersi sola contro il fantasma la fece sorridere leggermente.
- Sto bene, ma Tecna…
- Sono qui – tossì la fata chiamata in causa, sgattaiolando via dal fumo con a fianco gli altri due specialisti per  essere poi raggiunta da  Timmy.
Quasi non si accorse della corsa trafelata di Riven, o di come i suoi occhi viola la cercassero nella calca, ciò che Musa sentiva su di sé era la presenza di un altro sguardo, quello di colui il quale scacciò il fumo con una sferzata d’aria gelida che per un attimo le fece perdere la presa su Aidan.
- Musa !
Lo specialista rischiò di scivolarle via dalle mani, ma fu abbastanza forte da reggerlo ancora un po’ prima di rotolare al lato opposto rispetto a quello dei suoi compagni, finendo con il reggersi allo specialista che aveva estratto con un sibilo un arco di luce.
- Così è quello il fantasma!
Più che la voce minacciosa del ragazzo al suo fianco, fu la consapevolezza di non essere più la sola a vederlo a sorprenderla, e quando riuscì a rimettersi in piedi non potè che sussultare per la sorpresa di averlo di nuovo davanti.
Eppure Musa capì subito che c’era qualcosa di diverso, quella volta, perchè ora non riusciva solo a vederlo, ma a sentirlo parlare.
- Specialisti – li richiamò all’ordine Sky, avanzando con passo minaccioso verso l’uomo ammantato di nero che non guardava nessuno di loro, come se non gli importasse, si limitava a fissare davanti a sé, incurante di chi avesse attorno, come se cercasse qualcun’altro.
La fata fu costretta ad alzare un campo di forza per proteggere se stessa e i compagni dall’ondata di energia che il fantasma riversò su di lei quando la spada che Sky gli aveva lanciato lo attraversò, e anche se la distrazione non era opportuna in quel momento, Musa non potè non  pensare che c’era qualcosa di sbagliato in quello che stavano facendo,  nella voce bassa e roca che sentiva sussurrare nell’orecchio.
- Tu lo senti ? – chiese ad Aidan non appena fu costretta a interrompere l’incantesimo per trascinare se stessa e lo specialista di nuovo in aria.
- Cosa ?
- La sua voce, la voce del fantasma – insistette, confusa, irrigidendosi nel capire che, ancora una volta, era lei a notare qualcosa che nessun altro riusciva a percepire,  e forse doveva esserci qualcosa di sbagliato nella sua testa,  nel suo cuore, perché l’idea di attaccarlo ora le costava fatica.
- Forse non dovremmo …
- Attenzione!
Quando sentì il terreno grattarle violentemente la schiena Musa sbarrò gli occhi per il dolore, fissando con incredulità il vortice di oscurità sopra la sua testa, ma la caduta le aveva portato via la voce per chiedere se lo specialista stesse bene.
- Ti sei fatta male ? – sussurrò Aidan con i capelli scompigliati dall’ennesimo boato, steso sulla fata della musica che guardava il cielo con occhi socchiusi, come se stentasse a rimanere sveglia.
- Mi dispiace, io …
- Tutto bene ?
Quando Sky li raggiunse si prodigò a difenderli dal tentacolo nero che rischiava di ghermirli, ma anche quando, riconosciuto lo specialista, il principe di Eraklyon provò a chiamarlo per chiedere informazioni su Musa, quello non si voltò.
- Aidan! Dannazione! Non è il momento di …
- Sangue – bisbigliò incredulo il ragazzo, torcendo il collo per incrociare gli occhi sgranati di Sky e mostrare con un tremore una sua mano.
E l’orrore di vederla insanguinata convinse il principe  a prestargli soccorso, ma il gocciolio sinistro non proveniva dall’inesistente ferita sul petto dello specialista sul quale Musa teneva poggiato il capo.
Era invece  la schiena della fata che Aidan reggeva,  bianco in volto,  a perdere sangue a fiotti.
- Sky !
Il crepitio che lo specialista udì sopra la  testa a seguito dell’urlo di Bloom lo portò ad alzare il volto dal corpo pallido che stringeva assieme ad Aidan,  incrociando lo sguardo di Riven che  gli inviò un’occhiata dura nel rimandare indietro l’ennesimo tentacolo, azzardando, solo in seguito, a lanciarla anche alla fata semicosciente prima di stringere i denti e impugnare la spada con un sibilo basso.
- Portatela via.
Musa schiuse gli occhi quando le parve di udire la voce di Riven accanto a sé, ma chi le era a fianco era solo Sky che le teneva una mano mentre Aidan, con l’affanno nella voce,  la portava di corsa fuori dall’arena chiedendole di stare sveglia.
Eppure la fata aveva sperato davvero che fosse stato lui a portarla in salvo, anche se era ingiusto da parte sua pretendere che lui tenesse ancora a lei, ma stava male, e stava per morire, forse.
Perciò avrebbe potuto esprimere il suo ultimo desiderio, quello che si concede anche ai condannati a morte.
E lei voleva solo una cosa, aveva sempre voluto solo una cosa.
Essere amata come meritava dall’uomo che l’aveva lasciata singhiozzare in silenzio sulla terrazza gelida di Alfea tre anni prima.




Continua…
 


Ringrazio tutti per l'attenzione, e la lettura.
Al prossimo sabato, Gold Eyes

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Capitolo 3
*** Don't Wake Me ***








dnfblws



“I went to bed I was thinking about you

And how it felt when I finally found you
It's like a movie playing over in my head
Don't wanna look 'cause i know how it ends “
[...]
“All the words that I said that I wouldn't say
All the promises I made that I wouldn't break
It's last call, last song, last dance
'Cause I can't get you back, can't get a second chance “
[…]
“And now, I guess
This is as good as it gets “
( Don’t Wake Me – Skillet )











Il vetro sul quale Musa teneva il viso pressato si condensò del suo respiro quando vi schiacciò contro anche il naso, ma per quanto la fata avesse voluto allontanarsi e scappare via, c’era qualcosa che la teneva inchiodata lì, con le mani ad incorniciarle la fronte e gli occhi lucidi di pianto.
Non era una sensazione nuova per lei sentirsi ferita dai comportamenti duri e indifferenti dello specialista del quale si era innamorata, ma Musa non poteva concepire la sua presenza lì, non con Darcy, non con la sua peggior nemica, la strega che più  e più volte aveva tentato di far del male a lei e alle Winx.
Ed anche se lui non aveva mai fatto mistero del  poco interesse nutrito nei suoi confronti, anche se Musa non poteva attribuirgli  tutta la colpa di quel suo dolore, la desolante sensazione di qualcosa che si schianta nello stomaco le portò via il respiro assieme alla lacrima che inghiottì con un groppo in gola prima di sentire la voce di Icy e Stormy alle spalle.
Ma lei non sentiva più le loro parole, o i passi frettolosi della streghe che la inseguivano per gli stretti vicoli di Magix, non udiva nulla all’infuori del grido della sua testa.
L’urlo che condannava con voce stridula l’azione di Riven.
Il suo tradimento.
Quando Musa aprì gli occhi lo fece con uno scatto nervoso che fece sobbalzare la persona seduta accanto a lei prima di sentire  qualcosa di caldo spingerla indietro,  e si accorse con un vago senso di nausea della rigida fasciatura attorno al proprio  busto.
- Sta giù. Non sei ancora in grado di alzarti  – la ammansì una voce calda e gentile, mentre la mano dello specialista la spingeva a stendersi di malavoglia contro i cuscini.
- Aidan ? Cosa ci fai qui ?
 Il sorriso che il ragazzo le rivolse  fu il più gentile che lei avesse avuto modo di vedere, ne rimase quasi colpita, non troppo però da dimenticare cosa fosse successo.
Infatti Musa sentì l’ansia ghermirle il cuore nel ricordare che aveva lasciato le sue amiche a lottare da sole contro il fantasma, e quando scostò le lenzuola  riuscì a schivare la mano con la quale Aidan intendeva rimetterla a letto.
- Non posso stare qui – blaterò frettolosa, balzando giù per correre alla porta, ma ancor prima di fare un passo,  una fitta acuta alla schiena la fece piegare su se stessa con un singhiozzo trattenuto.
Lo specialista le fu subito accanto, reggendola per le spalle con una presa decisa che sembrò anestetizzare il dolore, ma quando riuscì a capire le parole che il ragazzo le bisbigliava nell’orecchio si irrigidì nuovamente.
- Cosa ?
- La tua ferita. Sei ancora troppo debole, il taglio che hai sulla schiena deve essersi riaperto nella caduta. Come te lo sei fatta comunque ? È  una ferita troppo vecchia per essere recente – ripeté paziente lo specialista, ammorbidendo la presa quando la sentì  tendersi contro il suo fianco.
Come se l’era fatta ?
Musa distolse lo sguardo per non mostrare i primi luccicori, ma si costrinse a inghiottire il groppo in gola per mentire, ancora una volta, su una cicatrice che non aveva mai smesso di sanguinare, neanche dopo tutti quegli anni.
- Una ferita di guerra – riuscì a sussurrare, accettando il suo aiuto ma continuando, cocciuta, a spingerlo verso la porta.
 - Deve aver fatto male – ragionò ad alta voce lo specialista, troppo occupato a trattenerla per far caso al sorriso amaro della fata.
- Non immagini quanto.
Ed era vero. Quella cicatrice non l’aveva solo ferita, l’aveva uccisa, schiacciata, annientata come niente era stato in grado di fare, neanche la morte prematura di sua madre.
- Perciò dovresti tornare a letto – si impuntò lui , cocciuto quanto lei, trovandola stranamente agguerrita nonostante la ferita, ma Musa doveva sapere se le sue amiche stessero bene, ma soprattutto, doveva avvertirle che c’era qualcosa di sbagliato in quello che stavano facendo.
Perché lei lo aveva sentito parlare, il fantasma di Fonterossa, e anche se non era riuscita a decifrare il suo sussurro, sapeva con certezza che stesse chiamando qualcuno, che stesse cercando, qualcuno.
E il preside Saladin avrebbe dovuto dar loro qualche notizia in più, a cominciare dal perché lo spirito dello stregone si fosse rivelato solo ora, e perché no, anche il suo nome.
- Devo andare, le mie amiche…
- Stanno bene – la precedette Aidan, sospirando pesantemente quando la vide tirare ancora verso la porta – non preoccuparti. Ora sono nella sala principale con il preside Saladin.
- Perfetto allora. Portami da loro.
Musa non amava forzare se stessa su qualcuno, men che meno su un ragazzo appena conosciuto, ma la fata era consapevole che non sarebbe arrivata da nessuna parte senza il suo aiuto a giudicare dal dolore che percepiva anche solo respirando.
Perciò avrebbe dovuto far leva sull’animo altruista di Aidan e sul fatto che, poco prima, gli aveva salvato la vita.
Lo specialista provò ad andarle contro, ma quando vide la propria immagine riflessa negli occhi blu della fata si sentì venir meno, schiacciato da uno sguardo che avrebbe fatto indietreggiare il più minaccioso degli stregoni.
- E va bene, ma dovrò portarti in braccio – si arrese, arrossendo un poco quando le propose l’unica soluzione possibile.
Un rossore che Musa non comprese, neanche quando gli allacciò le braccia attorno al collo per farsi portare, a proprio agio tra quelle braccia che sentiva vibrare attorno alla sua vita.
Perché la fata della musica era stata innamorata solo una volta, in tenera età per di più, e non si era mai resa  conto del proprio ascendente sugli uomini, non quando il continuo rifiuto di Riven aveva scheggiato la sua autostima come donna.
Ma erano passati tre anni, e della sedicenne impacciata che vestiva sportiva  non rimaneva che lo sguardo fiero e il temperamento pratico inglobato in una diciannovenne dagli occhi da gatta e dalla voce da sirena.
Una bellezza esotica aveva sentito dire una volta da Stella nel guardarsi allo specchio con una smorfia.
Ma una bellezza che Riven non le aveva mai riconosciuto e che, per di più, non le aveva mai consentito di vincere l’amore dello specialista.




°°°






 Il brusio che si lasciarono alle spalle nell’ imboccare l’ennesimo corridoio la lasciò perplessa.
Certo, Musa era consapevole che Fonterossa , in quanto accademia prettamente maschile faticasse a non sorprendersi alla vista di una donna, una Winx, che per di più veniva scorrazzata in giro tra le braccia di uno di loro.
Era normale la sorpresa, ma non quelle occhiate maliziose che l’ennesimo gruppo di ragazzi lanciò ad Aidan quando si fecero da parte per farli passare.
-  Me li ricordavo un po’ meno guardoni- si lasciò sfuggire la fata quando uno di loro la fissò di sottecchi prima di sgattaiolare via assieme ai compagni.
Le parve di sentirlo irrigidirsi per la sorpresa, ma forse era il suo peso a costringerlo a fare sempre più forza per tenerla.
- Sono solo ammirati.
- E di cosa ?
Aidan la guardò un attimo con l’accenno di sospetto, ma quando vide la fata rivolgergli nuovamente quello sguardo sinceramente confuso non potè che trovarla adorabile.
- Bè, tu sei una Winx.
- Vero – gli accordò, ancora non del tutto sicura di dove lo specialista volesse andare a parare.
- Sei una fata, una delle guardiane di Magix – continuò lui ad elencare, cercando una comprensione che però non trovò nelle sopracciglia sempre più aggrottate delle ragazza.
- Io non ci vedo niente di strano – borbottò contrariata, facendo un cenno con la testa quando un ragazzino basso e occhialuto la adocchiò da dietro un angolo prima di scappar via.
- Sei la cantante più famosa di Magix – le spiegò allora, paziente, sospirando nel vederla sempre più confusa – bè sei Musa - dichiarò infine, come se chiamarla per nome potesse davvero spiegare il perché di quegli sguardi ammirati.
- In poche parole, qui a Fonterossa siamo tuoi grandi  fan- si lasciò sfuggire allora Aidan, e finalmente Musa potè arrossire decentemente per la sorpresa.
- Oh.
Non era stata una risposta molto intelligente la sua, ma l’imbarazzo le appesantiva la lingua per poter esprimere un commento più appropriato.
- E anche io lo sono – le confessò d’improvviso lo specialista prima che un’ombra lo investisse assieme ad un sibilo basso che Musa riconobbe con un colpo al cuore.
- Cosa credi di stare facendo ?
- Professor Riven  !
L’esclamazione di Aidan la fece trasalire, perché il binomio Professore-Riven  faticava ad essere assorbito dalla sua mente, ma ancor prima di rispondere con tono fermo al rimprovero dell’uomo un particolare di quel contesto la lasciò ancora senza parole.
- Quanti anni hai Aidan ?
Lo specialista arrossì furiosamente sotto lo sguardo irritato di Riven e quello sospettoso di Musa, torcendo il collo per non incrociare gli occhi blu della fata.
- Sedici, e dovrebbe essere al campo d’addestramento,  non qui a scorrazzare con una Winx tra le braccia – lo aggredì Riven ancor prima che Aidan avesse il tempo di giustificarsi.
Sedici anni .
Musa non potè che chiudere gli occhi con uno sbuffo contrariato, riaprendoli subito dopo  per invitare il professore a spostarsi dalla porta che conduceva alla presidenza.
- Gli ho chiesto io di aiutarmi, non è colpa sua – lo difese agguerrita – ed ora se permetti dovrei entrare a parlare con il preside.
- Invece ti converrebbe tornare indietro. Non dovresti essere neanche in piedi – la contraddisse Riven con asprezza, provando ad allungare le braccia come se avesse davvero l’intenzione di sfilarla da quelle di Aidan.
Ma quel semplice gesto causò nella fata un moto di incredulità che la portò a schiaffeggiargli la mano con sguardo duro.
- Non provarci neanche.
Udirono dei borbottii oltre la porta, e quando Bloom si fiondò ad aprirla li osservò con una punta di panico nel notare come gli occhi di Riven si fossero incupiti, tanto da risultare quasi neri.
- Musa ? Che fai qui ? E cosa … - si interruppe, accennando con la testa ad Aidan e alle sue braccia attorno alla vita, ma la fata preferì scuotere il capo per invitarla a lasciar correre prima di incrociare lo sguardo del preside.
- Credo che il fantasma non sia cattivo – ammise, seria, scivolando dalle braccia dello specialista per zoppicare verso la cattedra ed avere così l’attenzione delle Winx.
Saladin incassò l’illazione con una smorfia dura,  intrecciando le mani davanti al volto prima di lanciarle una lunga occhiata silenziosa.
- E cosa le fa credere che non lo sia, signorina ? – le chiese mellifluo il mago.
Musa tacque per un attimo, rigida e incapace di confessare ciò che sapeva, perché qualcosa nella sua testa le diceva che non l’avrebbero creduta, che l’avrebbero presa per pazza o peggio, che avrebbero riso delle sue parole.
Eppure era delle Winx che stava parlando, della sua famiglia, e lei  le amava incondizionatamente, avrebbe affidato loro la sua vita.
Sperava solo che fosse lo stesso per tutte.
- Io riesco a vederlo, anche quando non decide di manifestarsi.
Percepì i sussulti spaventati delle sue compagne poco lontano, le parve persino di poter contare i respiri necessari alla preside Faragonda per tornare a fissarla senza quella patina di incredulità
E poteva avvertire inconsciamente i muscoli di Riven tendersi come se li avesse sotto le dita.
- Cosa …
- Quando siamo venuti qui – lo anticipò lei, brusca, preferendo svuotare il sacco il più velocemente possibile – io l’ho visto. Non credo lui abbia capito che riesco a vederlo, ma io lo vedevo, e quando lui mi è passato accanto …
Inghiottì aria  e saliva per smorzare il brivido di paura al ricordo, ma sapeva che l’ansia  sarebbe rimasta comunque.
- Sono riuscita a sentire il suo respiro tra i capelli.
- Credo che lei sia ancora sottoshock, signorina – la interruppe pratico il preside, fissandola quasi con compassione – è ovvio che è ancora confusa, disorientata, e in questi casi è facile immaginare …
Il pugno con il quale la fata colpì la cattedra fece trasalire persino il mago, ma la consapevolezza di aver spaventato persino le sue amiche passò in secondo piano quando capì che non le avrebbe creduto, che non ci stava neanche provando.
- Io.Non.Sono.Confusa. Sono estremamente lucida –sibilò, dura, tornando ritta con le braccia rigide lungo i fianchi.
- L’ho visto, più di una volta. Ed oggi l’ho sentito parlare. Per questo dico che non è cattivo, sembra solo che cerchi qualcuno – confessò infine, stanca, aspettando una  risposta che tardò ad arrivare.
E le lacrime di frustrazione stavano già per salirle agli occhi quando percepì la mano di Tecna scivolare lungo il suo braccio e stringerle la mano con forza.
- Se Musa dice che lo vede, allora io le credo – esordì ferma, voltandosi a guardare i compagni  annuire con la stessa convinzione  – le crediamo tutti.
Saladin li fissò uno ad uno, in silenzio, continuando a tenere le mani giunte prima di massaggiarsi le tempie e affondare nella propria poltrona con un sorriso sprezzante.
- Siete giovani, facilmente impressionabili. Ed è normale che tra amici ci si difenda a vicenda.
- Non credo che lei menta Saladin – lo interruppe Faragonda con voce grave – le mie allieve non sono quel tipo di ragazze.
Un altro sorriso accondiscendente, fu quello ciò che rimediarono dal mago prima che la preside raggiungesse Musa per guardarla negli occhi e leggere la verità.
- Sapresti descriverlo ? - le chiese gentile.
Musa annuì, riportando alla memoria il loro primo incontro nel corridoio dove Sky e gli altri le avevano trovato.
- Ha un mantello molto vecchio, logoro ai bordi.
- Questo lo abbiamo visto tutti.
Questa volta fu Tressa ad interromperla, schiodandosi dalla libreria contro la quale era rimasta immobile, in silenzio.
- C’eravamo tutti quando è apparso – continuò la sirena, cupa – credo tu te lo stia solo immaginando.
- E io credo che dovresti imparare a sentire la fine di un racconto prima di parlare – la zittì aspra Aisha, coprendo Musa con la propria schiena per difenderla dall’occhiata scettica della principessa.
 - Continua – la invitò la preside, ancora una volta.
- Non sono riuscita a vederlo bene in volto – ammise sconfitta, storcendo la bocca nel sentire il sibilo della sirena alle spalle  – ma ho visto qualche particolare. Aveva dei lineamenti affilati, spigolosi, soprattutto sulle guance e il mento, e aveva delle labbra molto rosse, quasi color del sangue.
Faragonda sembrò irrigidirsi dopo la sua descrizione abbozzata, e persino il preside si era raddrizzato con il viso contratto in una smorfia.
- Sapresti dirmi di colore avesse gli occhi ? Ti prego Musa, cerca di ricordare – la pregò la donna, stringendole le mani con espressione supplice.
Musa titubò un attimo, serrando gli occhi per ricordarne il colore, ma  non li aveva visti a causa del cappuccio, eppure le era sembrato che per un istante, solo un istante, le iridi del fantasma fossero diventate …
- Ametista. Aveva gli occhi del colore dell’ametista.
- Credi ancora che menta, Saladin ? Anche dopo questo ? – lo aggredì Faragonda, improvvisamente meno posata di come le Winx la ricordassero, come se ciò che Musa aveva detto avesse avvalorato le sue supposizioni, i suoi timori.
- Osi ancora dubitare dell’integrità delle mie allieve dopo aver udito la sua descrizione?
Il preside non le rispose, ma preferì distogliere lo sguardo con un gesto secco del capo, congedandole con la promessa di un loro prossimo incontro.
E non appena furono fuori dallo studio, Musa vide le sue amiche chiuderla in un cerchio, come se temessero per la sua incolumità mentre Flora si accostava con titubanza alla preside.
- Ma perché solo Musa riesce a vederlo ? – osò domandare, preoccupata di come quella particolarità esponesse la sua migliore amica a un pericolo peggiore di quelli affrontati in passato.
- A volte – iniziò la preside con voce grave – le fate hanno una predisposizione innata per captare ciò che molti non vedono – interrompendosi con un sospiro pesante prima di guardare la sua ex allieva negli occhi.
- E alle volte invece, una perdita dolorosa e un passato difficile possono acuire la sensibilità di una persona, di una fata.
Non ci fu bisogno, per nessuno di loro, di chiedere a Musa quale fosse stata la perdita dolorosa, la causa del suo passato tormentato, perché la morte prematura di sua madre aveva sempre gettato ansie e paura tra di loro.
Paura di ferirla quando ognuno di loro poteva contare sull’appoggio di entrambi i genitori, incuranti o attenti che potessero essere, e la stessa Bloom tentava di non toccare mai quel tasto, lei che ne aveva quattro, di genitori.
- E se lui si accorgesse che lei è in grado di vederlo ? – sussurrò spaventata Tecna, rafforzando la presa sulla mano dell’amica .
La fata della tecnologia aveva espresso la preoccupazione di tutti loro, e  una nuova reazione esagitata di Faragonda non potè che metterli tutti in allarme.
- No ! Questo non deve succedere! Hai capito Musa ? Lui non deve mai scoprirlo !
- Ma io non credo che lui voglia far del male – provò a contraddirla la fata, ritrovandosi però con lo sguardo cupo della preside a un soffio dal suo.
- Non importa. Voi non potete capire quanto possa  essere crudele e spietato, non …- riprese fiato prima di chiudere gli occhi con una smorfia contrita – è capace di tutto, persino di uccidere qualcuno per il semplice fatto di respirare la sua stessa aria.
Calò il gelo dopo le parole di Faragonda, una profonda sensazione di panico che spinse gli specialisti a stringere il cerchio attorno alla figura rigida di Musa, gli occhi puntati oltre le loro teste.
- Qual è il suo nome ?
La fata lo chiese per inerzia, non riuscendo più a sentire il calore delle spalle che le sfioravano il braccio e la schiena, ma solo freddo, dentro e fuori.
Ci fu un attimo di silenzio, una pausa tra i respiri silenziosi delle Winx e quelli pesanti degli specialisti prima che la voce di Faragonda tornasse a vibrare nell’aria.
- Nessuno ha mai saputo il suo vero nome, ma noi lo chiamavamo Salazar, il ladro di anime.
Quella volta riuscirono a percepirlo tutti, non solo Musa.
E quando un lento e basso respiro sibilò sopra la loro testa la fata della musica non potè che chiudere gli occhi e nascondere alla vista il mantello che aveva intravisto frusciarle affianco, sorretta prontamente da Sky ed Helia che le cinsero le spalle con forza mentre Riven restava indietro, a qualche passo di distanza, con il viso voltato, lo sguardo perso nel nulla  e la mano destra che gli tremava lungo il fianco.
 Per un’incapacità che, ancora una volta, lo faceva sentire impotente ed inutile.
L’impossibilità di stringerla lui stesso senza la paura di ferirla ancora e ancora con ogni sua singola azione.
Come era sempre successo dall’inizio della loro storia.
Incapace di difenderla dai nemici, incapace di difenderla da se stesso.
Sempre.




Continua…





Aggiornamento anticipato grazie all'avvento delle vacanze. Ringrazio tutti per l'attenzione e la lettura.
Al prossimo aggiornamento, Gold Eyes

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Capitolo 4
*** One Day Too Late ***






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“Tick tock hear the clock countdown

Wish the minute hand could be rewound
So much to do and so much I need to say
Will tomorrow be too late “
[…]
“Feel the moment slip into the past
Like sand through an hourglass
In the madness I guess I just forget
To do all the things I said “
[…]
“Here's my chance for a new beginning
I saved the best for a better ending
And in the end I'll make it up to you, you'll see
You'll get the very best of me”
( One Day Too Late – Skillet)






Avere una famiglia unita e compatta come le Winx  era stato uno degli aspetti più belli della sua vita, quello che la faceva sorridere nel buio della stanza nelle notte più tristi, eppure Musa dovette venire a patti con l’idea che la loro iperprotettività cominciava a risultare piuttosto soffocante.
Lo aveva pensato quando si era trovata a dividere il letto con una premurosa Flora che si addormentava solo con la sua testa stretta tra le braccia e la mano ansiosa di Tecna artigliata attorno alla sua caviglia, lo pensò nuovamente quando lo stridio della sua sedia portò gli amici ad alzare il viso con uno scatto nervoso.
- Cosa c’è Musa ?
- Hai sentito un rumore ?
- Ti senti poco bene ?
Nord. Sud. Est. Ovest. Le loro voci parvero arrivare da ogni angolazione possibile, e quando persino la voce di Sky le piovve dall’alto con l’ormai quotata domanda “Lo hai visto?”  , la fata non potè che negare con il capo e storcere la bocca nel sentirsi bombardare da altri quesiti.
- Ho finito il libro – spiegò pacata, sgranando gli occhi quando si vide strappare dalle mani l’ennesimo volume che aveva divorato in meno di un'ora.
E quando Aidan le riservò uno dei suoi sorrisi gentili, Musa capì che non l’avrebbe spuntata, non contro l’apprensione delle amiche e degli specialisti, non contro l’innato altruismo del ragazzo a lei di fronte.
- Vado a prendertene un altro allora – le assicurò Aidan con voce calorosa prima di scappare via sotto gli sguardi divertiti delle Winx.
Erano chiuse in biblioteca da un paio di giorni, in cerca di notizie sull’inquietante Salazar, ma non avevano trovato altro che annotazioni sulla sua crudeltà e su come amasse scegliere giovani e belle fate per strappar loro le ali e bruciarle nel proprio pentolone degli incantesimi.
Un’informazione che aveva fatto sussultare ognuna di loro per l’orrore.
- Allora ? Che ne pensi di lui ? – soffiò Stella, allungandosi con un sorriso malizioso che fece ridere di cuore la fata.
- È carino – ammise Musa, trovandosi con il dito della principessa di Solaria puntato contro la fronte.
- Lo ha ammesso ! Lo ha ammesso ! –canticchiò deliziata la Winx.
- Ed è anche molto gentile- convenne Tecna, chiudendo il libro che stava spulciando per allungare una mano e prenderne un altro.
- E non ringhia come qualcuno di nostra conoscenza – sottolineò Bloom, spalleggiata da Aisha che ci tenne anche a mettere in evidenza il suo ottimo fisico da ballerino.
- Allora ? Ti piace ?  – le domandò Flora con discrezione, scoprendosi a ridacchiare nel vedere l’espressione gongolante di Stella.
- E non dimenticarti che fa parte del tuo fan club – le informò Brandon dall’alto dello scaffale, scendendo dalla scala con un balzo aggraziato.
- Ma ha sedici anni! – lamentò Musa con voce delusa, convinta di aver demoralizzato le compagne con quella notizia non tanto confortante, ma Stella continuava a sorridere.
- E con questo ? – intervenne infatti con voce civettuola – Più giovane è,  meglio è per te. Così potrai istruirlo su cosa ti piace fare o meno. Vorrei aver avuto io la tua fortuna, mi sarebbe piaciuto farlo con il mio amoruccio – cinguettò sorridendo mentre Brandon, sbiancato alla confessione della fidanzata, si dileguava con le mani piantate nei capelli.
- Non lo so. Devo pensarci.
Le Winx le lanciarono un’occhiata comprensiva prima che Musa  sgattaiolasse via con la promessa di chiamarle, in caso di pericolo, visto che Aidan tardava ad arrivare.
In realtà la fata voleva solo rimanere un po’  con i suoi pensieri, senza la presenza ingombrante degli specialisti e quella costante delle sue amiche.
Girovagò per un po’ senza meta, facendo scorrere  il dito sulla copertina di ogni libro prima di soffermare lo sguardo su un tomo piuttosto consunto, stipato nell’angolo più alto dello scaffale.
La attirò l’aria antica delle pagine, nonché la polvere che vi si era raggrumata sopra, ma quando Musa si tese per provare anche solo a sfiorarlo si ritrovò a tornare a terra con una smorfia.
Non avrebbe potuto usufruire delle sue ali o della magia, avrebbe messo in allarme le Winx e gli specialisti senza motivo, perciò provò a piegarsi sulle gambe per saltare, con la speranza almeno di smuoverlo.
Ma quando anche il suo terzo tentativo andò a vuoto qualcuno alle sue spalle le andò  in soccorso, allungando il braccio per afferrare il libro, facendolo  poi scivolare dolcemente tra le sue mani.
- Grazie Aidan – soffiò quasi inconsciamente, sicura che fosse stato lui ad aiutarla, ma quando si voltò con un sorriso di riconoscenza  sentì gli angoli della bocca irrigidirsi nell’accorgersi che no, non era stato Aidan ad aiutarla, ma uno specialista dai capelli viola che la fissava con malcelato astio.
- Cosa fai qui da sola ? – la aggredì minaccioso, sovrastandola con la sua ombra e la sua levatura fisica.
- Stavo cercando un libro, mi sembra ovvio – ribattè Musa, ritraendosi inconsciamente quando lo vide avanzare.
Cozzò con la schiena contro lo scaffale, ma non abbassò lo sguardo, non se lo poteva permettere, non quando Riven la sfidava con lo sguardo a ribattere.
Ed anche se erano passati tre anni, anche se le ferite non si erano rimarginate del tutto, quel lato del suo carattere l’avrebbe sempre spinta a fare il contrario di quello che lui voleva.
Perchè, più lui le si mostrava brusco e duro nei modi,più lei lo avrebbe ripagato con la propria scortesia e sfacciataggine.
Riven sembrò non accettare di buon grado la sua spavalderia, ma si allontanò di un passo con un mezzo sorriso che non prometteva nulla di buono.
- Aidan eh ? Non credevo ti dessi da fare anche coi ragazzini  – insinuò, cattivo, incrociando le braccia al petto con uno sguardo saputo che Musa trovò estremamente fastidioso.
- Mi stai facendo la paternale ? – lo accusò, acida, drizzando le spalle quando l’irritazione per quell’insinuazione la colpì lì dove faceva più male.
Lo specialista la guardò con sufficienza prima di scuotere il capo con un gesto elegante e poggiarsi con la schiena contro lo scaffale opposto.  
- Ti facevo notare un semplice dato di fatto, o hai la coda di paglia ?
La sua cattiveria era aumentata con l’andare del tempo, Musa se ne rese conto con delusione, capendo che ciò che lo rendeva inavvicinabile non aveva fatto che acuirsi, inspessirsi e colmare ogni spazio vuoto nel suo sguardo e nel suo sorriso.
Forse un tempo avrebbe provato rimorso, ma a giudicare dall’imperturbabilità dello sguardo la fata capì che non c’era più nulla da salvare in Riven.
- E se anche fosse ? Non credo di dover dare conto a te con chi io decida di "divertirmi" ! – sbottò frustrata, pronta a correre via e ritrovare un po’ di pace quando un braccio la mancò per un soffio nel piantarsi con forza contro lo scaffale che vibrò leggermente.
E quando Musa si accorse, non senza un certo timore, che Riven l’aveva completamente imprigionata, un’ondata di panico la fece trasalire.
- Non dirai sul serio – rantolò furioso, soffiandole in viso la propria rabbia, il proprio fastidio – tu non puoi.
- E chi lo dice ? Tu ?– trovò il coraggio di ribattere, stringendo al petto il libro per farsi forza.
- Si – rispose lui, sfacciato, continuando ad inchiodarla tra le sue braccia, ma Musa cominciava a trovare quella presa di potere eccessiva per uno che non la vedeva da tre anni e che si divertiva con la principessa delle sirene.
- Io non sono affar tuo. Non lo sono da molto tempo, perciò se sei frustrato, prenditela con la tua ragazza con le branchie – si lasciò sfuggire, in preda alla rabbia, ma quando la fata si rese conto di essersi scoperta, non potè che tentare di riparare quello che, ad occhio esterno, pareva una semplice scenata di gelosia.
- Non che mi importi, ovviamente, ma non voglio essere la tua valvola di sfogo.
Se l’era cavata egregiamente, ma qualcosa nella sua accusa doveva aver fatto scattare un meccanismo di difesa in Riven visto che lo sentì sottolineare, con voce sepolcrale, che Tressa era solo un passatempo.
- Ti ho detto che non mi interessa – ribadì cocciuta, desiderosa di andarsene da lì il più velocemente possibile, e quando riconobbe una capigliatura verde passare proprio in quel momento pregò affinchè Aidan la scorgesse.
E la fortuna le sorrise benevola quando lo specialista, guardandosi intorno con curiosità, soffermò lo sguardo accigliato sulla schiena ampia del suo professore prima di irrigidirsi nel vedere la Winx incastrata tra le sue braccia.
- Tutto bene ?
Riven,per quanto fosse possibile, parve incupirsi ancora di più quando riconobbe la voce dello studente alle spalle, e Musa colse quella sua momentanea distrazione  per scappare dalla sua  prigione e correre al fianco dello specialista dai capelli verdi.
I due si scambiarono una lunga occhiata, come se si stessero fronteggiando in silenzio prima che Musa avvertisse Aidan tremare leggermente al suo fianco prima di guardare Riven negli occhi.
E capì a cosa era dovuto quel tremore, perché anche lei le prime volte era stata spaventata da quello sguardo scuro e torbido come l’antro buio e angusto di un lupo affamato.
Ma a differenza del giovane studente, lei aveva imparato a fronteggiarlo, a combatterlo, e quando lo ripagò con il suo, di sguardo cupo,  si decise a tornare indietro, trascinando con sé il povero Aidan.
- Trovato qualcosa di interessante ? – le chiese Tecna nel vederla avanzare di fretta, rabbuiandosi assieme alle compagne quando videro Riven seguirla a ruota con un occhi feroci.
- Quello era meglio perderlo per strada – borbottò Stella con una smorfia, arricciando le labbra nel sentirsi osservata dallo specialista in malo modo.
Musa non ci fece quasi caso, si limitò a prendere posto accanto all’amica prima di aprire il tomo.
La prima cosa che notarono fu la scrittura minuta ed elegante che imbrattava le pagine, seguite da alcune immagini che ritraevano un gruppo  di persone allineate di fronte ad un enorme castello diroccato.
- Vediamo un po’ – cominciò Tecna, passando un dito affusolato sulla prima riga – "La compagnia della luce era riuscita a braccarlo nel suo stesso castello dopo aver oltrepassato i cancelli della dimensione oscura.
- Compagnia della luce  ? – domandò Stella con voce interessata, come se quel nome le fosse familiare.
- Ma si, non ricordi ? La compagnia che sconfisse le streghe antenate. Mio padre ne faceva parte – la informò Bloom,ugualmente interessata, invitando l’amica a continuare.
- Mi pare che anche Faragonda ne facesse parte – pensò ad alta voce Sky.
- Ed anche mio nonno Saladin era uno di loro – aggiunse poco dopo Helia.
- Continua ! Che aspetti!
Tecna cedette alla richiesta frettolosa di Stella, prendendo a leggere dove aveva lasciato.
- "Ma non sapevano che Salazar aveva teso loro una trappola, fingendo di essersi nascosto nel suo maniero per sfuggire alla cattura dopo essere stato ferito gravemente. Il ladro di anime infatti non tardò ad agire, imprigionandoli nelle segrete con un sigillo magico. Fu così che la Compagnia della Luce perse il suo primo compagno, sbranato dal Drago che proteggeva il castello. – smise di leggere perché la descrizione di quanti pezzi fossero rimasti del povero Sir Phoebus l’avrebbe solo fatta star male, preferendo di gran lunga chiudere il tomo con un tonfo secco mentre attorno l’aria si era appesantita drasticamente.
- Bene, ora abbiamo scoperto che oltre a strappare le ali delle fate per farci il brodo, il nostro fantasma si divertiva a dare in pasto i  nemici al suo animaletto domestico – brontolò Stella con voce cupa, afflosciandosi sul tavolo, priva di forze.
- Ecco spiegato il motivo del suo accanimento contro Fonterossa allora – ragionò ad alta voce Aisha – vuole vendicarsi per essere stato  perseguitato.
- Non credo sia questo il motivo – la contraddisse Musa con gli occhi puntati al soffitto – se proprio avesse voluto vendicarsi, avrebbe infestato anche Torrenuvola e Alfea. Inoltre, non si spiega perché si sia svegliato solo ora.
- Il tuo ragionamento non fa una piega – ne convenne Tecna, trovando un riscontro positivo  negli altri compagni.
Eppure Tressa che, come di consueto, stava in disparte e in silenzio non riuscì a non dissentire, ipotizzando che il loro era solo l’ennesimo  tentativo di inventare storie molto più complesse del reale.
- Rischierò di essere ripetitiva – la aggredì Aisha – ma dovresti ascoltare la fine dei discorsi altrui prima di parlare . Anche se del tuo giudizio non sapremmo che farcene.
Era stata sgarbata, ma nessuna delle Winx glielo fece notare, non quando la principessa delle sirene si mostrava tanto dispotica, ma soprattutto,  non quando le fate sapevano che era il semplice desiderio di mettere in cattiva luce Musa a spingerla ad opporsi con tanta foga ad ogni loro parola.
Tressa inghiottì l’umiliazione di sentirsi accerchiata, ma quando cercò aiuto in Riven si trovò ancora più sola, perché lo specialista non sembrava interessata a lei, né tanto meno al discorso che stavano affrontando.
E la sirena sapeva di chi era la colpa, cosa  impedisse al ragazzo di amarla come avrebbe meritato.
- Hai visto anche questo ? – la canzonò allora, scettica, fronteggiandola con uno sguardo arrogante che Musa non accettò passivamente.
- No, dico solo che forse deve esserci una causa più profonda. Che le sue azioni, benché crudeli, abbiano un perché più complesso della  semplice ricerca vendetta – asserì  convinta, socchiudendo gli occhi con un sospiro pesante- le apparenze ingannano, il più delle volte – sussurrò con meno voce, come se stesse parlando più  a se stessa, riportando alla mente la litania e quel sussurro straziato che l’aveva colpita, fatta sentire partecipe dell’affannosa ricerca del fantasma.
- Anche l’uomo più crudele e orribile  può  soffrire – continuò distratta, persa nel flusso di pensieri che da ragazzina faceva spesso, prima di andare a dormire, dopo l’ennesimo litigio con Riven.
Perché Musa aveva sempre creduto, fin fa bambina, che dietro ogni azione vi fosse un motivo, una causa scatenante che, come poteva generare altruismo e coraggio, poteva instillare  nel cuore umano le tenebre e gli orrori più aberranti.
- Non tutti possono decidere di essere buoni o cattivi, alcuni sono solo costretti ad esserlo, e credo che non ci sia punizione peggiore per chi cerca di essere migliore che sapere di non avere il diritto di scegliere cosa diventare.
Tecna avrebbe voluto avvisare l’amica che quel piccolo sfogo era qualcosa di troppo personale, che deragliava pericolosamente  dalla strada logica che stavano imboccando, e che non tutti avrebbero potuto essere colpiti da un pensiero tanto profondo.
Come Tressa, che si allontanò con un gesto secco e scettico della testa, come  il preside Saladin e Faragonda, se mai avessero esposto le loro teorie.
Perché Musa aveva un animo troppo  sensibile e riflessivo che le permetteva di vedere il fantasma, di capirlo quasi, e nessuno di loro poteva comprenderla fino in fondo, nessuno all’infuori di chi quella situazione l’aveva vissuta, saggiata sulla propria pelle, con il sudore del proprio corpo e le lacrime di frustrazione.
Quando Riven si allontanò in silenzio  nessuno vi fece poi molto caso, solo Flora, nascosta dietro Helia,  si prese qualche minuto a seguirlo con lo sguardo.
La fata sobbalzò,  sorpresa, quando vide lo specialista inclinare il capo all’indietro, quel tanto che bastava per poter inquadrare  con la coda dell’occhio la figura rigida di Musa che continuava a guardare il vuoto.
E avrebbe giurato di aver visto rammarico nei suoi occhi viola, un’ombra scura che quella volta non aveva nulla di tragico, di minaccioso, un barlume di dolore che uccise con la durezza della pupilla quando questa la scacciò con violenza, dilatandosi nell’iride che Riven puntò avanti a sé prima di uscire, senza più guardare indietro.
Lontano da quello sguardo che non si soffermava su di lui come un tempo, lontano da quelle parole che  sapeva, era stato lui ad instillare in Musa, assieme al dolore di non riuscire a comprenderlo, ad aiutarlo.
Ma su una cosa la fata aveva ragione, l’aveva sempre avuta.
Non c’è punizione peggiore per chi cerca di essere migliore che sapere di non avere il diritto di scegliere cosa diventare.
Non c’era perdono, comprensione, aiuto per chi sapeva di essere sbagliato e non riusciva ad accettarlo.
Riven lo sapeva,  lo aveva accettato da tempo.
Da quando quegli occhi blu lo avevano pregato, supplicato di farsi aiutare.
Ma non c’era aiuto per quelli come lui.
Non ce ne sarebbe mai stato.





°°°




   
 
 - Non credete sia ora di andarcene ? Comincio a sentire un po’ sonno – sbadigliò Stella con un tremore, assopendosi  subito dopo sulla spalla del compagno che l’affiancava.
Bloom annuì distratta, reggendosi a Sky per non perdere l’equilibrio dopo essere stata seduta per tutta la giornata, ma mentre le Winx cominciavano ad avviarsi all’uscita Musa continuava, instancabile, a voltare le pagine del libro che aveva trovato, incupendosi ad ogni cruenta descrizione della malvagità di Salazar.
- Musa ? – la richiamò Tecna con una nota di rimprovero, e quando la fata si scoprì l’unica, ancora china sui libri,  si scusò con lo sguardo, invitandoli a precederla mentre lei riponeva il libro dove lo aveva trovato.
Ritrovarsi davanti lo scaffale contro cui Riven l’aveva imprigionata le inviò una scossa di ansia, ma lo specialista aveva abbandonato la biblioteca alle prime luci del tramonto, e non sarebbe di certo tornato lì apposta  per spaventarla, ora che era sola.
Eppure Musa non potè che sussultare per lo spavento quando percepì un sospiro sulla sua schiena che forse, in tutta sincerità, poteva essere  il frutto del sonno perduto della scorsa notte, o un normale spiffero, qualunque cosa, non necessariamente il respiro ghiacciato di un fantasma assetato di sangue.
Nonostante tutto però, qualcosa le diceva che era molto più pericoloso di uno spiffero d’aria.
Strinse il libro contro il petto per sopperire al disagio di sapersi davvero sola, in balia di una forza magica che avrebbe potuto schiacciarla con l’ausilio di un solo  sguardo, e si maledì per essere stata tanto avventata.
Avrebbe dovuto scappare via a gambe levate, non gironzolare da sola, a notte inoltrata, tra i vecchi scaffali di una biblioteca sotterranea.
- Quanto posso essere  stupida – brontolò, furiosa con se stessa,  prima di irrigidirsi e crollare in ginocchio con uno strillo che tuonò minacciosamente per il lungo corridoio deserto.
L’eco del suo urlo si affievolì in una manciata di secondi, ma la fata trovò difficile tornare a rialzarsi, visto come le tremavano le gambe.
Perché, anche se credeva davvero che il fantasma non volesse far del male, lo spirito che tentava di aiutare non avrebbe accettato una sconosciuta che si era autonominata sua salvatrice.
Perciò avrebbe potuto ucciderla, o peggio, far del male ai suoi amici se avesse chiesto aiuto, e quello non poteva permetterlo, neanche se Salazar, il ladro di anime, si trovava davvero alle sue spalle.
Voltarsi le costò più fatica di quanto pensasse, ma ruotò il busto di pochi gradi, con l’ausilio delle  ginocchia che fece strisciare sul pavimento  prima di tendere la schiena nel riconoscere il mantello che l’aveva fatta strillare e che ora svolazza ad un soffio da lei.
Ed eccolo lì, lo stregone che amava strappare le ali alle fate.
Da terra le parve ancor più alto, più minaccioso, terrificante con quel suo viso oscurato dal cappuccio, ma il fantasma non sembrava far caso a lei, non la guardava neanche.
Salazar si limitava infatti a frusciare nell’aria con le mani che scorrevano sofficemente sui tomi degli scaffali, incurante della fata che lo fissava inorridita a pochi centimetri di stanza.
E Musa avrebbe potuto strisciare via, in silenzio, facendo finta di non averlo alle spalle, di non sentire il contatto morbido con il tessuto del suo mantello, avrebbe potuto fare tutto quello se solo il fantasma non si fosse mosso nella sua direzione , sovrastandola e tendendo un braccio sopra la sua testa.
Fingere le fu impossibile quando lo ebbe così vicino,  soprattutto quando sentì il mantello accarezzarle la spalla nuda, la guancia fredda per l’orrore, e per quanto potesse essere coraggiosa e pratica, niente le risparmiò il terrore di sapersi tra le grinfie del fantasma che, captato il suo sussulto, abbassò bruscamente lo sguardo.
Rimpianse la prigione di Riven che le bloccava ogni via di uscita quando vide due braccia ugualmente  pallide, ma cosparse di una lieve peluria bionda tendersi verso di lei, sfiorarle i capelli della testa che teneva bassa, quasi a testare la possibilità di poter essere visto da lei.
Salazar stava per l’appunto allungando la mano per afferrarle  una ciocca quando Musa decise di agire.
- Cosa stai cercando ?
Il suo urlo le parve addirittura più stridulo del primo quando i libri schizzarono via dagli scaffali sotto l’onda magica che aveva fatto oscillare il mantello del fantasma, irrigiditosi leggermente su di lei con il respiro più affannoso.
Tossì per ritrovare la voce, tenendo le ginocchia raccolte al petto e la fronte pressata sugli avambracci serrati in vita, sforzandosi di non guardarlo in viso.
Perché lo aveva letto nel libro che le schiacciava lo stomaco.
Mai guardare Salazar negli occhi, neanche di sfuggita, se non si voleva perdere l’anima, e Musa non voleva perderla, non anche quella.
- Cosa stai cercando ? – tornò a domandargli, facendosi piccola piccola quando si sentì avvolgere dal suo mantello.
Il fantasma non parlò, si limitò a soffiarle sui capelli altra aria gelata, altro freddo ghiacciato, e quando la fata vide una patina biancastra pizzicarle l’epidermide strinse i denti per combattere il dolore.
La paura la paralizzava, le bloccava il respiro in gola , le offuscava la vista, ma stare immobile non avrebbe giovato né al sangue che sentiva raggrumarsi nelle sue vene, a causa del freddo, non alla sua incolumità.
Avrebbe potuto svenire e arrendersi a lui, lasciare che facesse di lei quello che più gli aggradava, ma Musa scelse la lotta rispetto alla prematura sconfitta.
E pregò davvero di non perderla, la sua anima, quando alzò il mento con un gesto brusco, osservando con gli occhi bordati di lacrime il viso di Salazar.
- Ti ho chiesto cosa stai cercando ! – ribadì, feroce, trovando nella propria rabbia la forza di reagire, di resistere a quello sguardo che davvero, era del colore delle ametiste, una pozzanghera violacea nella quale sguazzavano pagliuzze grigie e dorate.
Neanche quella volta le rispose, ma la guardò con le labbra leggermente increspate, come se fosse sorpreso della sua spavalderia, del suo sguardo duro e battagliero, ma quando lo vide allungare una mano verso i suoi capelli il terrore tornò a farla irrigidire.
- C’è qualcuno ?
Nel turbinio di confusione, rabbia  e paura che l’aveva resa meno lucida, la fata riuscì ugualmente a riconoscere la voce dello specialista che non poteva e non doveva essere lì, non con Salazar che avrebbe potuto ferirlo, ucciderlo.
Udì i suoi passi farsi sempre più vicini, più veloci nel vedere i libri gettati in aria, ma Musa non potè che pregarlo con la mente di non avanzare oltre, di non trovarla.
Eppure Riven non sembrò captare la sua preghiera,  le sue suppliche silenziose, e quando, voltato l’angolo, vide la fata schiacciata al suolo, raccolta su se stessa con lo sguardo appannato non potè che irrigidirsi.
- Cosa fai ancora qui ? – le abbaiò contro, scontroso, avanzando minaccioso nella sua direzione, ma quando gli occhi dello specialista colsero il movimento innaturale dei capelli di Musa, come smossi da un vento impalpabile, e soprattutto, i suoi occhi colmi di lacrime, non potè che stringere la presa  sulla propria spada.
- Cosa sta succedendo ? Cosa fai lì a terra ?
Musa si morse la lingua per non parlare, per non distogliere l’attenzione del fantasma da se stessa, perché Salazar non sembrava averlo notato, preso com’era a scrutarla con quella smorfia che si faceva via vai sempre più cupa, sorpresa.
Riven strinse la presa sull’elsa nel vederla negare col capo, ma lui sapeva che c’era qualcosa che non andava, lì, in quella parte della biblioteca, nulla di umano.
- Vieni qui – le ordinò brusco, irrigidendosi nel vederla scuotere il capo e sussultare, come se qualcuno l’avesse appena toccata, e quando Musa si voltò per guardare Salazar negli occhi lo sentì parlare di nuovo, quel sussurro che non capiva ma che soffiava con dolenza dalle labbra rosse.
- Musa ! Cosa sta succedendo ?
La voce di Riven si era incrinata leggermente, come se fosse spaventato, una sfumatura impalpabile per chiunque tranne lei, anche se erano passati tre anni, anche se non avrebbe dovuto notare, tutte quelle differenze.
Ma ora c’era un fantasma che le parlava, cercando di farsi capire, e che le toccava i capelli, come se volesse strapparglieli.
- Io non capisco – sussurrò affranta, prendendosi la testa tra le mani mentre l’urlo di Riven le giungeva  ovattato, come se fosse rinchiusa in una bolla d’aria.
- Non capisco.
- Musa !
- Io non …
- Via da lei  ! – tuonò lo specialista quando riuscì a vederlo anche lui, lo stregone chino su Musa che si  afferrò la testa con un urlo di dolore quando il fantasma le strappò una ciocca prima di svanire nel nulla, sussurrando quella parola che faceva sanguinare per il dolore le orecchie della fata.
Il tonfo con il quale lo specialista le cadde di fianco lenì il dolore alle orecchie, ma quando si sentì voltare sul fianco con un gesto secco non potè che pregarlo di non farle male.
- Sta zitta ! Sto cercando di riattivarti la circolazione, stupida fata – la rimbrottò aspro, contraendo la mandibola nel tastare la pelle gelata delle sue braccia, congelate da uno strato sottile di ghiaccio che avrebbe potuto portarla in ipotermia.
 -Non fai che crearmi problemi – tornò a criticarla, sempre più duro, massaggiandole le braccia per creare un po’ di calore. Musa non gli rispose a tono, non ne aveva la forza,si sentiva solo stanca, intontita da un cerchio alla testa che le stava facendo perdere lucidità.
- Devi sempre fare di testa tua – brontolò,  arcigno, ma quella volta sembrava solo pensare ad alta voce mentre Musa riprendeva un po’ di colore alle guancie quando lo specialista se la tirò al petto con uno scatto nervoso.
La avvolse nel mantello che si era sfilato in tutta fretta, costringendola a farsi piccola piccola tra le sue braccia tese per l’irritazione, così da attingere da lui ogni stilla di calore.
- Sempre a cacciarti nei guai – continuò, un po’ meno duro nel vederla socchiudere gli occhi con le ciglia imperlate di lacrime – sempre a ferirti con gli oggetti più impensabili. Non è così che ti sei fatta questo graffio ?
Musa recepì a stento il suo ennesimo ammonimento, ma qualcosa nell’ultima frase la strappò dalle braccia dell’incoscienza.
Si tirò a sedere per vedere a cosa Riven si stesse riferendo, ma la cicatrice minuscola che le segnava il polso destro era una ferita vecchia di un anno, il piccolo graffio che le rose dei suoi fan le avevano aperto nell’afferrare il mazzo di fiori al volo.
E qualcosa nella sua testa le diceva che lui non avrebbe dovuto saperlo, non poteva, perché non si vedevano da tre anni, e non sarebbe stato possibile.
- Dormi.
Qualcosa in quell’ordine severo le causò uno strappò al petto, ma le lacrime che le rigarono le guance non erano causate dai suoi modi ingiusti e sgarbati.
- Non riesco ad aiutarlo – sussurrò straziata, accettando il petto dello specialista come appoggio per la sua testa dolente.
- Ti ho detto di dormire – la zittì, brusco, distogliendo lo sguardo con una smorfia contrita quando la vide piangere in silenzio.
Musa tirò su col naso, accucciandosi su se stessa per trovare la pace, la serenità che aveva creduto di aver guadagnato in quei tre anni.
Stupida.
- Non riesco ad aiutarlo – tornò a singhiozzare, coprendosi il viso con le mani per nascondere la sua vergogna, l’umiliazione di non poter fare nulla per lenire il dolore di chi amava, e Riven capì che non era più  solo il fantasma il soggetto di quella frase.
- Non ci riesco, io… non ci riesco – pianse, affranta, sussultando nel sentire le braccia dell’uomo farsi un po’ più morbide attorno al suo corpo, come a rassicurarla di aver fatto del suo meglio, anche se quel suo meglio non era bastato.
- Forse non può essere aiutato.
La fata non riuscì ad udire quel’ultimo  sussurro, sprofondata in un sonno agitato che Riven vegliò in silenzio, senza mai lamentarsi, la spada piantata accanto e il corpo pallido della guardiana abbandonato tra le sue braccia rigide.
Eppure Riven non sapeva più se quel suo ultimo pensiero fosse rivolto solo al fantasma di Fonterossa, non lo voleva scoprire.
Perché capirlo avrebbe fatto male, e avrebbe fatto soffrire Musa.
E lui era stanco di farle e farsi male, stanco, semplicemente,  di lottare per un destino di solitudine che non sapeva e non voleva cambiare per paura di scoprirsi diverso.



Continua…



Questo capitolo è dedicato a Sylphs i cui commenti mi riscaldano il cuore.
Stranamente i capitoli stanno scivolando come acqua sotto le mie dita, perciò mantenendo comunque sabato come giorno di pubblicazione non sorprendetevi se lo precedo di qualche giorno con l'aggiornamento improvviso che credo, sarà più celere di quanto pattuito.
Ringrazio tutti per la lettura, Gold Eyes

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Capitolo 5
*** Lucy ***





cknvsòl

“Now that it's over
I just wanna hold her
I'd give up all the world to see that little piece of heaven looking
back at me
Now that it's over
I just wanna hold her
I've gotta live with the choices i made
And I can't live with myself today “
[…]

Here we are
Now you're in my arms
I never wanted anything so bad
Here we are
For a brand new start
Living the life that we could've had
( Lucy – Skillet )





- Credo che Riven mi abbia spiata – se ne uscì Musa all’improvviso, interrompendo il movimento delicato delle mani di Flora che le stava spazzolando amorevolmente  i capelli.
- Come hai detto ?
La fata si guardò attorno con una smorfia imbronciata, facendo notare con voce sconfitta  che quella stanza aveva visto giorni migliori, e che necessitava di un cambio d’aria visto che non ne usciva da sette dopo l’attacco in biblioteca.
- Credo che Riven mi abbia spiata – ripetè paziente, scatenando un coro di “In che senso ?” attorno a lei.
Era una serata tra donne se si escludeva la figura silenziosa di Aidan che le fissava con gentilezza dall’angolo della stanza, ma nessuno se l’era sentita di scacciarlo malamente con  gli altri  specialisti, non quando lui le aveva supplicate con lo sguardo di poter rimanere, promettendo loro di non dare fastidio.
Perciò, senza sapere come  e perchè, Aidan si era ritrovato a smaltare con le palpebre serrate per la concentrazione  le unghie di Stella che soffiò via il ciuffo dorato nell’udire le parole dell’amica.
- Intendi che è diventato un guardone ? – azzardò divertita, facendo qualche apprezzamento sulle ottime capacità dello specialista nel fare tratti puliti e decisi migliori della sua truccatrice su Solaria.
- Intendo che sa dell’esistenza di una ferita che mi sono procurata un anno fa durante un concerto – spiegò pragmatica, storcendo la bocca nel sentire una fitta dolorosa alla spalla quando fece un movimento troppo brusco.
- Ti ho fatto male ? – le chiese Flora con sguardo dispiaciuto, allungandosi su di lei per sistemarle la coperta sulle spalle nude, ma Musa era stanca di stare a letto a non far nulla .
Certo, le sue amiche le avevano tenuto compagnia per tutti quei giorni, privandosi persino della compagnia dei rispettivi partner pur di non lasciarla sola con i propri pensieri, ma l’immobilità le costava fatica, e stava esaurendo il briciolo di pazienza che ancora le rimaneva  dopo essere stata brutalmente scaricata da Riven nella sua stanza senza una risposta alle sue domande.
- Ne sei sicura ? – si inserì la voce confusa di Tecna, distesa a pancia in giù accanto alla fata – perché non credo sia possibile che lui sia a conoscenza di una ferita che ti sei procurata durante un concerto, visto…
- Che non ci vediamo da tre anni – finì per lei, prendendosi la testa tra le mani con un sospiro pesante – lo so! È per questo che  posso solo ipotizzare che mi abbia spiata – confessò un po’ riluttante, perché anche a lei l’idea di essere stata pedinata da Riven le risultava alquanto improbabile.
Perché, che senso avrebbe avuto mostrare un tale interessamento nei suoi confronti dopo aver calpestato i suoi sentimenti con l’arroganza e l’indifferenza con la quale aveva accettato la loro rottura?
  Nessuno , semplicemente.
- Forse qualcuno dei ragazzi se lo è lasciato sfuggire in sua presenza – azzardò Aisha con il mento poggiato sulle mani unite a coppa e le sopracciglia aggrottate per la confusione.
- Ne dubito – la smontò prontamente Bloom, osservando il soffitto con sguardo sicuro – Sky me lo avrebbe detto.
- Allora come è possibile ? – sbuffò Musa con i nervi a fior di pelle, chiudendo gli occhi sull’espressione indecisa di Aidan.
E quando Stella sentì le mani del ragazzino bloccarsi si voltò a fulminarlo, raggrumando le labbra in un broncio concentrato quando si accorse dello sguardo colpevole con il quale lo specialista guardava la sua amica.
- Tu sai qualcosa, vero ?
Quando tutti gli sguardi si puntarono su di lui Aidan sobbalzò per la sorpresa, arrossendo leggermente nel sentire soprattutto  gli occhi blu della fata della musica su di sé, e non potè che annuire debolmente, scatenando un coro di “Racconta !” attorno a lui.
- Bè – cominciò indeciso, altalenando lo sguardo su ogni Winx  prima di cominciare a raccontare – ho già accennato al fatto che molti di noi sono tuoi fan.
- Si – ammise Musa con aria interessata, accettando con un sorriso la mano con la quale Flora la aiutò a uscire dalle coperte per mettersi più comoda.
- Ecco, il preside Saladin non è molto permissivo riguardo alle nostre uscite, perciò avevamo chiesto al professor Helia se potesse accompagnarci di nascosto ai tuoi concerti – confessò sincero, sentendo gli sguardi delle fate serrarsi sempre di più per la confusione.
- Ma quando il professor Riven ha scoperto tutto si è offerto di accompagnarci lui stesso.
- Si è offerto lui  ? – gli chiese Stella con la bocca schiusa per la sorpresa prima di vedere lo specialista annuire e voltarsi con le sopracciglia arcuate verso l’amica.
- Si è offerto – ripetè meccanicamente la principessa di Solaria, ritrovando nel resto delle amiche la stessa sorpresa, l’identico e profondo sconcerto che aveva storpiato persino i lineamenti di Musa, ancora più confusa.
- Ma perché ? – chiese infatti con un filo di voce, stanca di non riuscire mai a capire il perché dietro i suoi gesti, la verità dietro a quella bocca dalla piega dura che sapeva essere così crudele, con lei.
- Perché tiene ancora a te, mi pare ovvio.
Aidan capì di aver detto qualcosa di stupido, di estremamente stupido a giudicare dal sopracciglio inarcato della fata con le unghie color fragola, e lui non la capì proprio, tutta quell’incredulità.
- Mi sembra normale – borbottò subito dopo, per colmare il silenzio teso che cominciava a protrarsi dopo la sua confessione – in fondo è stato il tuo fidanzato.
- Beata gioventù – sbuffò Aisha con un sorrisino nostalgico, spalleggiata da Stella che commiserò lo specialista con uno sguardo premuroso .
- Stiamo parlando di Riven, e niente di quello che noi pensiamo sia normale è associabile alla sua persona, capirai una volta cresciuto – lo ammansì comprensiva nel vederlo aggrottare a quel modo le sopracciglia prima di sentire il sospiro sconsolato alle sue spalle.
E fu proprio l’aria abbattuta di Musa a intristire tutte loro.
Perché la loro amica meritava davvero di distrarsi ora che l’incubo di Riven era tornato  a tormentarla assieme ad un fantasma crudele  che pareva girarle attorno, perciò Bloom non potè che balzare in piedi con il braccio teso in una posa di vittoria.
- So io quello che ci vuole – esordì sicura, sorridendo delle espressioni accigliate delle sue amiche.
- Organizzeremo una festa clandestina a Fonterossa!
 Il momentaneo silenzio causato dalla sorpresa venne infranto dall’esclamazione eccitata di Aidan, saltato in piedi a sua volta con un sorriso colmo d’aspettativa.
E nessuno, neanche Musa riuscì a smontare quell’eccitamento, quell’allegria, perché era di quello che aveva bisogno.
Sguardi felici, balli e risate.
Pace, semplicemente.






°°°





Il sibilo della prima stoccata portò via con sé l’ennesima occhiata cospiratoria che gli specialisti si scambiarono prima di eseguire il gesto del loro insegnate che  quel giorno pareva più irritato del solito a giudicare dai denti snudati sulle labbra arricciate.
- Guardatela come si pavoneggia ! E come quei ragazzini le fanno il filo ! – lamentò Brandon per la seconda volta nel vedere la propria fidanzata agitare civettuola le lunghe ciglia bionda per irretire il piccolo gruppetto di specialisti che trotterellava dietro alle Winx.
- Con me dice sempre di annoiarsi, invece con una banda di marmocchi col moccolo al naso sembra divertirsi parecchio – ritornò alla carica con la voce piena di risentimento, scattando in piedi dalla posa a testa in giù avuta fino a quel momento quando la punta della spada lo mancò  in mezzo alla fronte per un soffio.
- Ma sei pazzo ! – strillò Brandon con voce gracchiante, saltando giù dagli spalti con occhi sgranati mentre Riven sfilava il fioretto con un gesto secco, facendo scintillare la lama dei riflessi violacei dei suoi occhi.
- Stai disturbando la mia lezione – lo rimproverò, acido, puntandogli alla gola la lama con un monito nello sguardo quando lo specialista provò a caricarlo, prima che Sky si frapponesse tra loro con una smorfia.
- Ragazzi, vi prego ! – provò ad ammansirli, ma Brandon aveva ereditato il temperamento indisponente della propria fidanzata.
- Ha iniziato lui – gridò nervoso, puntando Riven con un dito che lo specialista avrebbe affettato con un sorriso mordace se Helia non li avesse placati con un gesto pacato ma severo del braccio.
- Riven, gli studenti stanno aspettando – gli ricordò infatti, riuscendo a fargli abbassare la lama lentamente, molto lentamente.
- Quindici minuti di pausa – concesse  con voce grave, aggrottando le sopracciglia nel vedere quei piccoli rompiscatole sgattaiolare dai loro compagni che attorniavano le Winx poco più lontano.
-  Bambocci – li aggredì Brandon con voce risentita nell’accorgersi che quei piccoletti puntavano la sua ragazza, e persino Helia non potè che storcere la bocca nel vedere come alcuni suoi studenti fissassero Flora.
- È normale che reagiscono così di fronte a delle ragazze – si riscoprì ad ammettere, riflessivo – se poi sono le guardiane di Magix il loro eccitamento è più che comprensibile.
- E credi che questo giustifichi i loro occhi a cuoricino ? – sputò lo specialista con fervore.
- Nel caso tu non l’abbia notato – si intromise Nabu con voce ovvia, le braccia incrociate dietro la testa  – sono delle belle ragazze, perciò i loro “occhi a cuoricino” sono normali. Sono identici ai tuoi quando sei con Stella.
Punto sull’orgoglio e sulla sua presenza maschia all’interno del rapporto con la principessa, stava già per riversare sul compagno la propria frustrazione quando la constatazione  di Timmy spense i suoi bollori.
- Musa sta sorridendo.
- Oh. Allora va bene.
Riven tese la frusta che stava attorcigliando sullla mano destra quando udì il tono sottomesso del compagno, e quando, nel voltarsi, lo vide sorridere alla fidanzata che poco prima era pronto a crocifiggere per l’onta del tradimento non potè che assottigliare le  palpebre  con una punta di fastidio.
- Tutto qui ?
- Mhmm ?
Il sorriso da ebete di Brandon rischiò di spezzare il suo già precario equilibrio mentale, ma fu Helia a cogliere la vera causa  del suo fastidio.
- Brandon voleva dire che il fatto che Musa sorrida sia una cosa positiva. Vero ?
- Già – concordò lo specialista, addolcendo lo sguardo nel vedere la fidanzata saltare alle spalle della fata della musica con un sorriso spensierato.
- Quando la ragazza della quale sei  innamorato è felice, è normale che lo sia anche tu – si lasciò sfuggire sovrappensiero nell’osservare come Stella avesse smesso di guardarsi attorno con occhi spaventati.
Ma Riven che non lo guardava, che non guardava nessuno di loro,  non potè cogliere lo sguardo dolce dello specialista rivolto alla fidanzata, sentiva solo la parola Musa seguita da “ la ragazza della quale sei innamorato”  pulsare nella testa, come la cicatrice mai curata dal tempo, e di tempo per pensare ce ne fu poco, un battito di ciglia.
Quando Brandon sputò la terra  che aveva inghiottito nel sentire la testa pressata contro il terriccio  Sky fu lesto ad afferrare Riven per le braccia, tirando indietro con tutta la forza che aveva in corpo, ma spostarlo richiese l’intervento di Nabu e di Helia per quanto fu irremovibile, un blocco di cemento che sembrava voler fracassare il cranio di Brandon.
Eppure riuscirono ad allontanarlo di peso, gridandogli di stare calmo, ma Riven non sembrava ascoltarli.
Muto e con la bocca raggrumata in un ringhio di gola fissava Brandon come se volesse farlo a pezzi,come se volesse ammazzarlo a mani nude, come una bestia.
- Ti ha dato di volta il cervello ? – gli gridò contro lo specialista quando Timmy lo aiutò a tornare in piedi, indurendo il viso nel vedere la ferocia di quello sguardo.
- Sai che Musa per me è come una sorella – sibilò basso, allargando il braccio per indicare tutti loro – le vogliamo bene, tutti noi. E non ci facciamo problemi a dirglielo, a dimostrarglielo. È una cosa normale, ma tu non sembri pensarla allo stesso modo.
Helia alzò il viso di scatto per ammonire l’amico di non avanzare oltre, di non scoperchiare un calderone all’interno del quale ribollivano  troppi pensieri e parole non dette che Riven teneva chiuse ermeticamente all’interno del suo cuore, ma Brandon non voleva essere riflessivo, attento ai bisogni dell’amico.
Perché lui non lo era mai stato nei confronti di Musa.
Ed era vero che  per lui e i compagni lei fosse come una sorella,quella minore, quella che si vorrebbe proteggere dai dolori,  e vederla piangere, soffrire per un amore che aveva sempre dovuto elemosinare da Riven aveva fatto male anche ai loro, di cuori.
- Continui a far finta di non capire, di non vedere che più il tempo passa più le possibilità si assottigliano. E quando verrà qualcuno che al contrario di te le dichiarerà apertamente il suo amore tu cosa farai ?
Sky lo sentì irrigidirsi nella sua presa, tendersi fino a sentire i suoi muscoli pungergli le ossa dei gomiti, e gli venne spontaneo reggerlo, perché qualcosa gli diceva che se lo avesse lasciato, lo avrebbe visto crollare in ginocchio come un castello di carte.
- Cosa farai ? – ringhiò fuori di sè, trattenuto da Timmy che però non lo invitava a tacere, non quando il ricordo di Tecna che piangeva tra le sue braccia per l’orribile schiena ferita di Musa gli tornò alla memoria.
- Lo picchierai come hai fatto con me? Lo ucciderai ? Sai che succederà ! E non distogliere gli occhi Riven! Guardami!
Non lo fece, non lo  guardò, perché Riven avrebbe visto il riflesso di se stesso, la piega dura delle labbra, la luce morta dello sguardo, e l’orrore di vedersi vittima di qualcosa più grande di lui lo rendeva vigliacco.
- Cosa ti costerebbe dirle la verità? È più facile di quanto sembri! Tutti noi sappiamo che tu la a…
- Zitto!
Brandon sussultò quando venne zittito da Riven, ma non fu il comando in sé a sorprenderlo, fu il tono, il tremore di quelle spalle larghe che aveva visto sempre davanti a sé, davanti ai nemici, alte e forti come mura inespugnabili.
Spalle che ora tremavano, assieme alla voce che pareva spaventata, terrorizzata da una parola che né lui né i suoi compagni faticavano a sussurrare nell’orecchio delle loro amate.
- È più difficile, molto più difficile di quello che pensi – si lasciò sfuggire prima che la voce di Stella li avvivasse della presenza degli studenti e delle Winx accorse alle loro urla.
E quando Riven alzò lo sguardo si premurò di regolarizzare il respiro e ripulire il proprio sguardo dal tremore nero che avrebbe parlato, confessato ciò che lui temeva di capire, accettare.
Musa trasalì senza un reale motivo, trasalì e basta, sentendo sul palmo destro la presa sudata e fresca del palmo di Aidan che la fissava con sguardo preoccupato.
Riven la notò, la mano maschile stretta al palmo piccolo e delicato che la fata soleva tendergli con un sorriso, quella che lui aveva sempre scacciato con un sibilo di scontento, ed anche se  era una mano ancora acerba, la sua,  dai tendini visibili e i polpastrelli lisci per il poco allenamento, lo specialista sapeva  che prima o poi sarebbe cresciuta.
Lui e le sue mani.
Cosa avrebbe fatto allora ?
Lo avrebbe ucciso? Picchiato ?
Si scrollò di dosso le braccia dei compagni con un ringhio, sibilando agli studenti di tornare al loro allenamento mentre si voltava a capo basso verso gli spalti.
Non si voltò quando Brandon provò a chiamarlo, non ci provò neanche, non ne ebbe la forza.
Perché la paura di vedere quel palmo crescere sotto i suoi occhi, sapere che quello di fianco a Musa non era più un ragazzino pelle ossa ma un uomo dal cuore forte e generoso gli fece tremare i polsi per il terrore freddo.
Cosa avrebbe fatto?
La vista gli si velò di rosso, un rosso che schizzava a fiotti da ogni direzione, chiazzando tutto ciò sul quale posasse lo sguardo.
Cosa avrebbe fatto?
Preferì non rispondere neanche a se stesso, non osò farlo.
Per paura di quello che avrebbe visto, per paura di quello che avrebbe fatto.
Per paura di se stesso e di ciò che quelle parole che Brandon non aveva fatto in tempo a urlargli lo avrebbe spinto a compiere.






°°°






Quando Aidan le aveva condotte di soppiatto nell’enorme androne nascosto dietro un passaggio segreto del quale tutti, eccetto il preside, erano a conoscenza, le Winx avevano sospirato estasiate nel notare quanto spazio inutilizzato vi fosse a Fonterossa.
Gli specialisti più grandi avevano spiegato loro che l’accademia presentava cunicoli, sotterranei e passaggi inesplorati e sconosciuti ai più,  talmente numerosi da non poter essere riportati nella  pianta dell’edificio, neanche se avessero voluto.
Luoghi misteriosi e ricchi di storia e magia che gli studenti utilizzavano per sperimentare nuove tecniche senza le supervisioni degli insegnanti e le lamentele del preside, nascondigli con un’acustica ottima notò Musa quando, schioccando  le dita per diffondere nell’aria le prime note percepì la vibrazione pulita del suono.
Era una stanza spoglia, dai soffitti bassi e dalle  pareti spesse e ruvide, ma il pavimento lucido e spazioso attirò subito l’attenzione di Aisha che mosse i primi passi sotto lo sguardo sognante degli studenti dell’accademia.
Le Winx, lungi dall’essere timide e imbarazzate nel danzare di fronte a una quantità abnorme di studenti cominciarono ad abbozzare un ballo cadenzato dal tono secco di un tamburo, scatti secchi e sensuali che i loro bacini e le loro teste compivano come un comando automatico.
In un vortice tinto del colore sgargiante dei loro abiti si inserì una macchia asettica, di un anonimo bianco sporco che Stella tirava e lanciava come una pallina da ping pong, e quando Aidan scivolò in avanti, zoppicando per l’incapacità di tenere il passo della fata sussultò nel cozzare contro un petto morbido coperto da una scia luminosa di capelli blu elettrico.
Musa sorrise del rossore diffuso sul viso dello specialista, dondolando assieme a lui per metterlo a proprio agio mentre Flora e Bloom tiravano qualche altro studente nella pista improvvisata.
- Io non so ballare molto bene – balbettò il ragazzino con voce insicura, guardandosi i piedi per essere sicuro di non pestarli a lei, e fu la premura di non farle male anche in quel gesto a colpire la fata.
Perché esistevano ancora persone che mettevano se stessi prima degli altri, e quel ragazzino dallo sguardo buono sarebbe diventato un uomo dal cuore gentile, una volta cresciuto.
- Io sono una brava maestra – si lasciò sfuggire con una risata, intrecciando le dita con le sue prima di liberare una ventata di note magiche che spruzzarono loro addosso una pioggia di tintinni dolci.
Lo coinvolse in una giravolta che sembrò ammorbidire i tratti rigidi del volto di Aidan prima che gli occhi dello specialista seguissero il rumore di passi che annunciava la venuta di altri studenti.
Ma quando il ragazzino riconobbe l’inconfondibile capigliatura dell’insegnante più duro e rigido di Fonterossa, non potè che tirare la fata a sè e farla volteggiare per non farle incrociare lo sguardo del professor Riven.
Musa si lasciò condurre, agitando i fianchi al ritmo della musica mentre i capelli le ricadevano fluidamente sulle spalle e sul viso arrossato per la velocità dei passi.
- Visto ? Sai ballare – si complimentò, gentile, accettando la mano con la quale Aidan le fece compiere l’ennesima elegante piroetta mentre lo studente irrigidiva la schiena nel sentire su di sé lo sguardo feroce che, se avesse potuto, gli avrebbe bucato il petto senza pietà.
- Tutto bene ? – gli chiese la fata nel sentirlo rigido al suo fianco, ma quando le braccia del ragazzo le cinsero la vita per avvicinarla un po’ di più al suo petto acconsentì senza una parola, non riuscendo comunque a incrociare il suo sguardo.
Il professore Riven era forse l’uomo più forte e crudele che avesse mai conosciuto, e non avrebbe mai osato contraddirlo, o addirittura andargli contro, ma la fata che teneva tra le braccia era troppo bella e gentile per non rimanerne avvinto.
La sua poteva essere una cotta adolescenziale, ma sarebbe stata la sua più grande cotta, e neanche l’uomo che lo fissava con rabbia dal fondo della sala lo avrebbe fatto desistere dal suo intento.
- Quando sarò grande e abbastanza forte lo affronterò – affermò sicuro nell’orecchio di Musa,  e la fata si preoccupò nel sentirlo deglutire sonoramente contro i suoi capelli – e quando lo avrò vinto verrò a chiederti di sposarmi.
La sorpresa di quell’ultima frase le fece perdere il ritmo, l’equilibrio, ma Aidan fu abbastanza lesto da reggerla per il fianco e accompagnarla in quello che all’apparenza sembrava un goffo caschè che Stella fissò con un risolino sommesso prima che la musica scivolasse nel silenzio assieme alla fata.
Tecna non potè non soffocare contro la spalla di Timmy un sussulto sorpreso nel vedere la sua migliore amica, rossa in volta, sostare rigida tra le braccia di Aidan, tornato in piedi con un sorriso imbarazzato.
- Credo di essere stato un po’ precipitoso nel chiederti di sposarmi – si scusò frettoloso, scatenando uno scoppio di risate in Bloom e Aisha che avevano udito la goffa ma emozionante dichiarazione del ragazzino.
La fata tornò in piedi ancora un po’ rossa, gli occhi brillanti per la sorpresa e l’imbarazzo, ma non potè che trovarlo teneramente eroico nel suo sproloquio di ragazzino, un toccasana per chi come lei, della genuinità e sincerità dei sentimenti aveva perduto ogni traccia nella sua vita.
- Quando sarai grande forse ne riparleremo  - concordò, divertita, prima di sentire la voce degli studenti unirsi in un coro di incitamento per chiederle di cantare.
- Ma …
- Dai Musa, anche noi vogliamo sentirti cantare! Non puoi negare ai tuoi fan questa possibilità – insistette Stella, allargando il braccio per indicare le fila di studenti che la fissavano con sguardi supplici benché provassero ad avere una parvenza di “uomini” che non devono mai chiedere nulla.
- Ti prego.
E Musa non potè nulla contro le espressioni eccitate delle sue amiche, perciò convenne che si, cantare le avrebbe fatto bene, e avrebbe potuto sfogare un po’ del malessere che aveva condensato dentro la testa dopo tutte quelle settimane passate a Fonterossa tra fantasmi e amori passati.
Il ragazzino fu attento a indirizzarla verso un piccolo rialzo, una scalinata che avrebbe usato come palcoscenico mentre gli studenti, in file ordinate e silenziose si sedevano a terra per ascoltarla.
Anche Aidan sgattaiolò al proprio posto, lanciando un ululato di dolore quando qualcosa di duro e feroce lo colpì alla nuca, e quando, alzando lo sguardo, incrociò le iridi chiare del suo professore sentì il sangue gelarsi nelle vene.
Perché era una ragazzo innamorato, ma sapere di avere per rivale il suo idolo e il suo peggior incubo avrebbe fatto tremare le gambe a chiunque.
Riven gli si allontanò con un gesto secco della testa, nascondendosi nell’ombra di una colonna, per non farsi vedere da Musa e causarle altra ansia, altro turbamento.
Proprio come faceva ai suoi concerti, preferendo il posto più buio e anonimo per non farsi notare da nessuno.
Non aveva bisogno di un microfono, non con quell’acustica almeno, perciò avrebbe potuto cominciare a cantare liberalmente, eppure Musa si scoprì con la testa vuota di pezzi, di suoni, di note.
Era come se la fata avesse dimenticato come cantare, cosa cantare, come se la stanchezza, il dolore, la confusione degli ultimi giorni si fosse presentata a chiedere il conto dei suoi nervi a pezzi.
Sentì gli sguardi preoccupati delle sue amiche volarle addosso come abbracci rassicuranti, le occhiate curiose degli studenti invitarla con gentilezza a cominciare, ma c’era uno sguardo che lei sentiva ma non vedeva, gli occhi che aveva sempre cercato ma che non trovava mai.
E le venne in mente la sera della biblioteca, quando, una settimana prima, si era trovata faccia a faccia con il fantasma, con Riven che era corso in suo aiuto e che l’aveva vegliata in silenzio e senza farsene accorgere.
La ciocca che Salazar le aveva strappato era ben visibile, perché era quella che accostava la sua frangia ora un po’ asimmetrica a causa del taglio irregolare dei capelli strappati di netto, e Musa li prese in una mano, portando alla memoria la paura, la tristezza che aveva sentito nell’avere di fianco Riven e non avere il permesso di toccarlo come avrebbe voluto.
Di parlargli, come avrebbe voluto.
Perché Musa sapeva  che quella sera le sue parole erano rivolte anche a lui, e che quel pianto, quella disperazione era anche per l’incapacità di una ragazzina innamorata di capire e aiutare l’uomo che amava.
Quando le prime note si persero nell’aria le Winx capirono che quella canzone era un’improvvisazione, una melodia nata dalla testa della fata in quel momento, una nenia triste e malinconica che aveva il sapore agrodolce di un addio :
“Ricordo anni fa,
qualcuno mi disse che dovevo fare
attenzione quando si tratta d’amore.
L’ho fatto,
Si interruppe, una breve pausa grazie alla quale attinse più aria, più fiato, per ripetere con rabbia e stanchezza l’ultima strofa :
l’ho fatto.
E tu eri forte, e io no.
La mia illusione, il mio sbaglio.
Io ero incauta, ho dimenticato
L’ho fatto.
La voce le si affievolì  come se qualcuno avesse abbassato la leva per ridurre  il volume di una radio, trasformando ciò che qualcuno avrebbe chiamato canto in un sussurro dolente :

Ed ora che è tutto finito
Non c’è più niente da dire
Sei andato via così facilmente.
Hai vinto.
Puoi andare pure a dirglielo


Quando qualcosa cominciò a grattare nella sua gola Musa capì che ciò che ne sarebbe uscito sarebbe stato un rantolo basso e rabbioso, l’accusa e la difesa di un’ansia, un’agitazione che cominciava a bruciarle il petto:

Digli tutto ciò che so adesso.
Urlalo da sopra i tetti
Scrivilo sulla linea dell’orizzonte
Tutto ciò che avevamo ora non c’è più
Digli che ero felice
E che il mio cuore è spezzato
Tutte le mie cicatrici sono aperte
Digli che quello che speravo sarebbe
Impossibile,
 impossibile
Impossibile,
   impossibile.
Si costrinse a riprendere aria per riposare la voce che le si era strozzata in gola nell’ultima strofa che, se non si fosse controllata, avrebbe continuato a ripetere, ancora e ancora, come l’allarme impazzito di una bomba a tempo che non sembrava voler mai esplodere e abbandonare la desolazione  per ll’infinita attesa di rilasciare il proprio boato:
Disinnamorarsi è difficile
Per un tradimento è la cosa peggiore
Fiducia spezzata, cuore spezzato
Lo so, lo so
Non potè non sorridere aspramente dopo la parola “tradimento”  e “cuore spezzato” . Un’ilarità grottesca che tre anni prima l’aveva fatta crollare in ginocchio e in lacrime su un terrazzo freddo e silenzioso e che, dopo tutto quel tempo, continuava a spingere contro le palpebre, a sfondare le porte del suo cuore che era  sicura di aver sprangato a dovere.
Ma il dolore fluiva da sotto la porta, soffiava dai cardini arrugginiti, colpiva il legno marcio delle sue ante:
Pensa che tutto ciò di cui hai bisogno è là
Costruire la fiducia sull’amore e le parole
Le promesse vuote si consumeranno
Lo so, lo so
Gonfiò i polmoni di un’aria che sperava fosse pulita, leggera e profumata, ma ciò che le impastò la bocca e le annacquò i polmoni e la gola fu catrame, catrame denso e appiccicoso che stentava a deglutire e che rendeva la sua voce ingolfata come se facesse fatica a respirare :

Ed ora quando tutto è finito
Non c’è più niente da dire
E hai finito di
Imbarazzarmi
Puoi andare a raccontarglielo da solo
Digli tutto ciò che so adesso
Urlalo da sopra i tetti
Scrivilo sulla linea dell’orizzonte
Tutto ciò che avevamo ora non c’è più
Digli che ero felice
E che il mio cuore è spezzato
Tutte le mie cicatrici sono aperte
Digli che quello che speravo sarebbe
Impossibile,
impossibile
Impossibile,
 impossibile
Impossibile,
 impossibile.

Non gridò, non rantolò, non sussurrò, si limitò ad accompagnare l’ultima strofa con ciò che rimaneva dei frammenti di voce che aveva in gola, il silenzioso mormorio di una bambina che cantilenava la filastrocca per scacciare l’uomo nero.
Ma Musa sapeva che sotto il suo letto non si nascondeva nessuna creatura delle  tenebre, ma era nel suo cuore ciò che la spaventava, che nel sonno la tormentava come la peggiore delle punizioni, ricordandole che non era stata capace di farsi amare come avrebbe voluto, che non era stata abile a camuffare il proprio dolore per non doverne patire le disastrose conseguenze.
L’applauso venne dopo qualche attimo di silenzio, uno scroscio che come la prima volta le toglieva il respiro e le inumidiva lo sguardo che però tenne incollato al soffitto per non vedere e crollare in lacrime, per scoprire la voragine sulla quale dondolava, sospinta tra il ricordo e la veglia di un sonno che tardava a nascondere le brutture della notte.
Durò più di un minuto, ma Aidan si trovò a battere il palmo sull’avambraccio quando con le dita corse ad asciugare le lacrime che gli appannavano lo sguardo e rotolavano giù dalle guance a bagnargli la divisa.
Le Winx non piansero, si limitarono a guardare il soffitto che Musa fissava con  intensità, per  non consentire alle lacrime di cadere giù per la forza di gravità, col naso all’insù, verso qualcosa di incolore e inodore che potesse portare via con sé l’azzurro delle sue lacrime e il blu dei suoi occhi lucidi.
Quando gli studenti tirarono su col naso, influenzati dall’emotività di quel canto, decisero di tornare nei propri dormitori per riposare.
Passando dall’entrata del passaggio segreto però ,tutti scambiarono l’uomo immobile, inghiottito nell’ombra della colonna, per una statua vista l’immobilità e la rigidità degli arti che la scultura torceva dolorosamente sul petto,a coprirgli il volto.
 E Riven avrebbe voluto esserlo davvero.
Una statua, una scultura plasmata in un corpo di marmo e cemento privo di suono, privo di vista e udito, e avrebbe voluto perderli, tutti quei sensi, ucciderli e rimanere cieco, sordo e privo di tatto per non sentire quel mormorio che nella sua testa urlava, gridava la sua colpa, la pateticità della sua vigliaccheria, che rideva della sua paura di soffrire, del suo terrore di ciò che avrebbe fatto felice Musa.
E non voleva vedere, non quel viso inclinato verso l’alto, pallido e macchiato dal blu dei capelli che però non distoglievano l’attenzione da quella scia invisibile che nonostante gli sforzi le inumidiva le guance.
Morire sarebbe stata la scelta migliore, morire per espiare la sua colpa, per aver fatto di Musa un involucro di dolore, pianto e disperazione.
Perché era colpa sua, era sempre stata colpa sua, fin dall’inizio.
Perché incapace di accettarla, di accettarsi e capire che forse il buio della sua anima non poteva essere l’unico colore della sua vita, che forse, la tavolozza del suo cuore poteva puntellarsi del blu dei suoi occhi, del rosa dei suoi sorrisi, del bianco delle sue guance.
Eppure ora non vedeva nessun colore eccetto il nero.
Nero, dentro e fuori.
Nero nel cuore. Nero nel sangue. Nero nel grido taciuto in fondo alla gola che non avrebbe mai potuto sfogare.
Non ne aveva diritto.
Non lo aveva mai avuto.
 



Continua…


Come promesso, anticipo sabato visto che le cose procedono per il meglio, e l'ispirazione continua ad illuminarmi.
La canzone cantata da Musa non è ovviamente sua, ma di Shontelle - Impossibile , io ne ho solo preso la traduzione e riportata, visto che è stata questa a ispirare il capitolo.
Ringrazio tutti per la lettura, e l'attenzione
Al prossimo aggiornamento Gold Eyes

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Capitolo 6
*** Monster ***




kk

“The secret side of me

I never let you see.
I keep it caged,
But I can't control it.
So stay away from me
The beast is ugly.
I feel the rage,
And I just can't hold it! “
[…]
“My secret side I keep,
Hid under lock and key. 
I keep it caged,
But I can't control it...!
Cause if I let him out...
He'll tear me up, break me down...
Why won't somebody come and save me from this make it end...!

[…]
I...! I feel like a Monster! “ 
( Monster – Skillet )





I giorni di convalescenza trascorsero velocemente, più rapidi di quanto avesse potuto immaginare, e quando Musa  riuscì a muoversi senza mostrare troppo dolore si offrì come esca per attirare il fantasma.
Riven aveva manifestato la propria contrarietà sibilando che quella della fata fosse un’idea davvero stupida, ma nonostante le lamentele degli specialisti e la preoccupazione delle Winx,  Musa fece quanto detto.

 Salazar però  non si presentò mai, neanche una volta, come se fosse scomparso nel nulla.
Eppure il silenzio dei corridoi era diventato in qualche modo più tetro, grottesco, inquieto con le pozze di luce create dalle fiaccole affisse alle pareti che gettavano le ombre tremolanti delle loro ali sulla pietra bianca dei soffitti.
Le ronde notturne erano sempre più sporadiche, e le Winx si muovevano in gruppi di tre per essere pronte a difendersi in caso di pericolo, ma Salazar non si presentò mai, neanche quando Musa, presa dalla frustrazione, urlò il nome dello stregone, chiedendogli di farsi avanti, di mostrarsi a loro, ma Salazar sembrava sordo persino alla sua voce.
E benché quel problema le tenesse sufficientemente impegnate, fu un’altra complicazione a dar loro un grattacapo in più.
Tressa.
Non che la principessa delle sirene non fosse stata una spina nel fianco fin dal loro arrivo a Fonterossa, ma era diventata particolarmente arcigna e acida nei confronti delle fate e specialmente, in quelli di Musa.
La guardiana si era infatti trovata più di una volta a rispondere per le rime alle frecciatine della sirena ogni qual volta ne incrociava lo sguardo, e benché l’ovvia rivalità che Tressa provava nei confronti di Musa giustificasse quell’aperta ostilità, fu Sky a dissipare ogni loro dubbio.
A quanto pareva, Riven aveva brutalmente minacciato la sirena di levare le tende e di non farsi più vedere, un atteggiamento di palese insofferenza  che Helia non aveva condannato, sottolineando che era stata sempre Tressa a mostrarsi in qualche modo legata affettivamente allo specialista che, a quanto pareva,  non ricambiava quel suo morboso attaccamento.
Non che fosse una novità il fatto che Riven cacciasse a pedate la propria compagna di vita e di letto, ma Musa non potè impedire a se stessa di esultare internamente per quella piccola vicenda.
Perché la fata sapeva con certezza che lei e la sirena non potevano essere comparate come vere e proprie rivali nella vittoria dell’amore di Riven.
Lei lo aveva vinto, una volta, anche se era durato meno di un battito di ciglia, lasciandola con i polpastrelli bruciati per l’arroganza di sfiorare la fiamma ardente del suo sguardo, mentre Tressa era stato solo un passatempo.
Parole che lei non aveva mai avuto l’ardire di pensare, ma che lo stesso specialista aveva sibilato nel suo orecchio quel giorno in biblioteca.
Perciò il pensarsi in qualche modo superiore alla sirena, più vicina all’affetto di Riven e al suo cuore  la fece sorridere morbidamente prima che Stella le avvisasse di voler esplorare la mensa.
- Io andrò al piano inferiore – le urlò di rimando, raccomandandole di gridare, se il Fantasma l’avesse attaccata, ma ancor prima di imboccare la scalinata che conduceva alla palestra un’ombra scura inghiottì il suo profilo proiettato sulla parete.
Una lunga sagoma nera che Musa fece appena in tempo a cogliere  con la coda dell’occhio prima di voltarsi velocemente con la mano investita di una nota musicale esplosiva.
E quando il viso di  Tressa venne investito dalla luce delle lanterne la fata rilasciò il fiato trattenuto con uno sbuffo nervoso.
- Mi hai spaventato! – la accusò,  con ancora  il cuore in gola, abbassando il braccio con un movimento nervoso delle spalle.
Perché la sirena continuava a fissarla in silenzio, con quegli occhi dorati che parevano quelli di un gatto alla luce fioca dei corridoi, fissi e silenziosi come un lago d’oro investito dal gelo dell’inverno.
- Cosa fai qui ? – continuò, sempre più innervosita dalla staticità di quello sguardo e dall’immobilità delle sue pupille, un atteggiamento inquietante che portò Musa a compiere inconsciamente un passo indietro.
Erano sole, in mezzo ad un corridoio deserto, a notte fonda, con la possibilità di essere attaccate da Salazar, ma Musa si ritrovò a pregare per la venuta del Fantasma quando capì che chi aveva davanti poteva diventare ancora più pericoloso, ancora più letale.
Glielo dicevano quegli occhi fissi e morti.
Glielo gridò la sua testa quando la vide schiudere gli angoli della bocca fino a toccare le ciglia, scoprendo una dentatura che pareva inumana in quel sorriso statico.
- È colpa tua – rantolò Tressa con una voce che Musa non le riconobbe, ritraendosi ancora nel percepire il pericolo pizzicarle le terminazioni nervose.
- È colpa tua se lui non ha mai potuto ricambiarmi – continuò cattiva la sirena, allargando le braccia con le mani schiuse in artigli che si tesero in avanti per afferrare Musa, ma la fata fu abbastanza accorta dal librarsi in aria e sfuggire a quella presa di ferro.
- Sei tu la causa di tutto ! – sibilò feroce, puntandole contro uno sguardo folle che le gelò il sangue nelle vene.
Provò a ritrarsi ancora, ma quando si sentì tirare giù dalle unghie della sirena che erano affondate nella sua caviglia Musa non potè che lanciare un urlo di dolore prima di venire scaraventata con forza contro la parete.
Lo schianto le portò via il respiro e la voce, ma quando Tressa provò a caricarla con un pugno riuscì a rotolare di lato per sfuggirle ancora.
- Cosa credi di fare ? Uccidermi ? – gridò rabbiosa, udendo sopra la sua testa i passi frettolosi dei compagni che dovevano  aver udito le sue urla, ma avrebbero impiegato troppo tempo per raggiungerla, perciò Musa non potè che farsi forza e tornare in piedi con sguardo duro nel venderla annuire con rabbia.
- E quale sarebbe la mia colpa ? – la aggredì, allontanandola con un’onda d’urto non troppo potente da ferirla.
Tressa cascò a terra con un singhiozzo stizzito, tornando in piedi con uno scatto nervoso che costò a Musa un ciuffo di capelli quando la sirena provò ancora una volta a sfregiarle il viso con le sue unghie.
- Il fatto che tu esisti, ecco qual è la tua colpa.  
Era impazzita.
Quello Musa lo comprese con una lucidità sorprendente prima di sentire alle spalle la voce di Stella e delle sue compagne.
Ma quando la fata udì un sibilo sopra la sua testa, un sibilo animale, fece appena in tempo a pararsi il viso con le braccia prima di sentire l’urlo strozzato di Tressa e una presa decisa attorno alle proprie spalle.
- Musa!
Quando la fata si convinse ad aprire gli occhi impiegò qualche secondo a realizzare la presenza di Tressa alla fine della scalinata dalla quale qualcuno doveva averla spinta per difenderla, ma il respiro che Musa sentiva tra i capelli era gelido e, soprattutto, rilasciava una patina di ghiaccio che la fece trasalire per l’orrore.
Eppure non c’era minaccia nel petto schiacciato contro la sua schiena, o nel braccio che le cingeva le spalle, c’era silenzio, freddo, e un insano senso di protezione rimarcato dalla mano che il Fantasma abbandonò lungo il fianco con un sibilo sordo.
La mano con la quale aveva allontanato la sirena per difenderla.
- Musa!
Stella la voltò con l’ansia nella voce, rabbrividendo nel sentire uno sbuffo gelato investirla, ma quando i suoi occhi intravidero i tre solchi rossastri che si dilungavano sotto l’occhio destro dell’amica sentì la rabbia montarle dentro.
- Guarda cosa ti ha fatto quella strega! – strillò rabbiosa, tamponando il sangue dei graffi con uno stralcio del proprio vestito prima che gli specialisti e il resto delle Winx li raggiungessero trafelati.
- Cosa è successo ? Cosa…
- Mi hai spinto dalle scale – tuonò la voce di Tressa dabbasso, richiamando l’attenzione di Riven, appena arrivato con il fiatone e la spada pronta per sferzare l’aria.
E quando lo vide, la sirena non potè che lanciare un uggiolio di dolore, reggendosi la caviglia e urlando che Musa aveva tentato di ucciderla, gettandola giù dalle scale.
Bloom fu la prima a fulminare la principessa con uno sguardo di fuoco, ma Aisha non potè che stringere le labbra per la stizza nel notare a sua volta i graffi sul viso dell’amica.
- E ha fatto più che bene, guarda cosa le hai fatto!
Bastò quella parola, unita al gesto rabbioso del braccio della fata a far scattare di lato la testa di Riven, attirato dalle dita leggere con le quali Stella passava un batuffolo colorato sulla guancia pallida di Musa.
E quando la fata serrò gli occhi con un gemito di dolore Riven sentì le orecchie fischiare nel notare la scia di sangue sotto le palpebre.
Quando Tressa riconobbe l’ombra incombente dello specialista sorrise sollevata, il sollievo di un attimo prima che la mano dell’uomo la tirasse in piedi con uno scatto secco, tanto doloroso da rischiare di spezzarle il braccio.
- Ora tu vieni con me  – le sibilò ad una spanna dal volto, tirandola ancora per farle male, per farle capire quanto quel gesto le sarebbe costato caro, ma la sirena, terrorizzata da quello sguardo chiese di essere portata dal preside per pretendere le sue scuse.
L’urletto che lanciò nel venire trascinata malamente per i corridoi fece alzare il viso a Musa, accerchiata dalle amiche che giustificavano il suo gesto come semplice autodifesa, ma quando le avvisò di non essere stata lei, a buttare la sirena dalle scale, non ebbe il coraggio di dire loro chi fosse stato.
Non quando Salazar le era davanti, alle spalle di Stella, con la bocca piegata in una posa dura che ammorbidì non appena la vide sillabare un grazie che nessuna delle Winx colse.
Non poteva.
Perché avrebbe rivelato la presenza del Fantasma, e la fata sapeva che lo avrebbero attaccato, ucciso pur di allontanarlo da lei, e lei non poteva permetterselo.
Non quando lui l’aveva protetta, difesa da colpe che non aveva e che tornavano, sempre, a lasciare un segno indelebile sulla propria pelle.





°°°





- Spero che lei abbia una spiegazione per questo.
Musa annuì impercettibilmente davanti allo sguardo duro del preside Saladin, affiancato da un’affranta Tressa che non smetteva di uggiolare l’oltraggio ricevuto da una fata qualunque.
In realtà le Winx avevano creduto di trovare un alleato nel vecchio mago, una volta giunte nel suo studio, ma quando la principessa gli era crollata davanti  in preda alle lacrime e al suo status ferito il preside si era ben visto dall’ andarle contro.
- Voleva uccidermi.
Faragonda sobbalzò, sconvolta.
Le Winx trasalirono, atterrite.
E gli specialisti indurirono lo sguardo, irritati,  ,mentre  Riven rafforzava la presa attorno all’elsa della spada che teneva dentro la cintola.
Eppure Saladin non fece una piega, limitandosi a sorriderle con sarcasmo e un pizzico di ammonimento.
- Non le conviene mentire.
- Non sto mentendo – lo contraddisse prontamente, reggendo il suo sguardo senza arroganza ma forte della verità delle sue parole.
- Si rende conto che la sua è un’accusa grave ? Specialmente se rivolta ad una principessa – la reguardì il mago con voce dura, ma Musa trovò quella sua accondiscendenza verso la sirena ancora più irritante, e non potè non rispondere con altrettanta verve.
- Il fatto che sia una principessa non la rende diversa da un’assassina qualunque. Il suo status non giustifica le sue azioni, ma le condanna maggiormente – ribattè piccata, incrociando lo sguardo furioso di Tressa.
- E come potevo ucciderti ? Con le mie unghie ? – la attaccò la sirena con l’isteria nella voce, accucciandosi accanto al mago per spiegare la sua versione.
- È stata lei ad aggredirmi una volta accortasi della mia presenza. Mi ha colpito con un’onda d’urto – e ruotò il busto per scoprire sul fianco un livido violaceo – e poi mi ha gettata dalle scale.
- Non sono stata io.
La sua lingua fu più veloce della testa, e Musa non potè che stringere le labbra per l’irritazione nell’assistere alle reazione che si era immaginata.
Tressa aveva infatti arcuato le sopracciglia con l’accenno di scetticismo, immagine più blanda dell’increspatura sulla fronte del preside, irritato dalla sua sfacciataggine.
- Il suo scherzo comincia seriamente  ad irritarmi – la riprese mordace, fulminandola con occhi severi – osa ancora negare l’evidenza ?
Musa non rispose, si limitò a tenere il mento alto e gli occhi puntati lontano per non incrociare lo sguardo di nessuno, per non scoprirsi e rivelare più di quello che avrebbe dovuto dire.
Ma il mago era scaltro, intuitivo, e quando la richiamò all’ordine con un colpo di tosse la fata comprese di essersi tradita.
- Se non è stata lei, allora è stato il Fantasma non è così ? Vi ha attaccate lui, vero ?
C’era qualcosa di cattivo nella voce del preside, qualcosa di profondamente ingiusto nello sguardo accusatore e impietoso che le rivolgeva, ed anche se non era lei, la causa di quell’impetuosità, si sentì personalmente coinvolta.
- Salazar sa essere molto astuto, e avrà di sicuro provato a farvi del male visto che lei poteva vederlo, non è vero ? – continuò il mago con voce sempre più cupa, bassa, intrisa di rancore e un qualcosa che Musa non comprese ma non accettò.
- No.
- No ? – la interrogò con gli occhi serrati sul volto grinzoso – No cosa ?
- Lui non ci ha attaccate – prese una lunga pausa, perché quello che stava per confessare li avrebbe sorpresi, come lo era stata lei nell’apprendere la verità.
- Lui mi ha solo difeso.
La risata di Saladin risuonò bassa e vibrante per tutto lo studio, volando sulle loro teste come una cappa di tensione che Musa scrollò di dosso con un gesto irritato delle spalle prima di sentirsi puntare addosso lo sguardo divertito del mago.
- Difeso ? Salazar , il ladro di anime, ti avrebbe difeso ? O mia cara, la tua fantasia non fa che sorprendermi.
- Non è fantasia, è la realtà – lo rimbeccò, arrabbiata, frustrata da quello scetticismo che cominciava a darle sui nervi.
Saladin la zittì con un gesto secco della mano, lanciandole uno sguardo raggelante che le strappò un sussulto sorpreso.
- Non essere sciocca. Quello stregone non è capace di provare pietà per nessuno, perché dovrebbe provarla per una piccola fata come te ?
- Adesso stai esagerando Saladin – si fece avanti Faragonda con il viso paonazzo, accostando la sua ex studentessa.
- Musa sta solo cercando di spiegarsi – la difese prontamente la donna, come aveva sempre fatto con le sue amate allieve, ma la fata non si risentì di quel discorso, della poca intelligenza che il mago le stava attribuendo.
- E chi le dice che non può provarla ?
- Musa non … - provò ad interromperla Bloom, preoccupata dal rossore che stava cominciando ad imporporare le guance dell’amica.
- Chi le dice che non sia buono anche lui ? Lei lo avrà anche conosciuto in passato, ma se è davvero tanto potente perché non mi ha subito ucciso ?
Le Winx trasalirono all’ultima parola, spaventate dalla gravità di quanto detto dalla guardiana, sempre più infervorata, sempre più cocciuta e ferma sulle proprie posizioni.
- Se è crudele come lei dice, perché mi avrebbe difeso ?
- E da cosa ti avrebbe difeso ? Dalla furia di una ragazza con le unghie affilate ? – la prese in giro il preside, stanco di quello sproloquio senza senso, e fu l’ennesimo sfoggio di diffidenza a farle alzare lo sguardo sull’ombra che in silenzio assisteva alla loro battaglia verbale.
Quando Musa osservò  Salazar lo vide alzare un braccio verso il capo, indicando con eleganza la propria fronte prima di tendere il braccio e additare Tressa e la sua, di testa.
E ricordò il sibilo animale che aveva udito prima di chiudere gli occhi, il verso che sembrava essere sbucato dai capelli della principessa e dalla variopinta fascia che le adornava i capelli.
Agì d’impulso.
L’urlo di Tressa fece sobbalzare Saladin e Faragonda, ma quando i due si voltarono, si scoprirono entrambi basiti di fronte alla fata della musica che strattonava con rabbia i capelli della ragazza.
- Cosa credi di fare ? – strillò isterica la sirena, provando in qualche modo ad allontanarla da sé, ma Musa le rifilò un pugno nello stomaco per stordirla il tempo necessario da afferrare la fascia che tirò indietro con uno strattone.
 E quando la fata zoppicò all’indietro, ondeggiando su se stessa per lo spintone della principessa sgranò gli occhi, orripilata, nel risentire il sibilo vicino, troppo vicino.
Nabu riuscì appena in tempo ad afferrarla per la vita e schiaffeggiarle la mano per liberare il serpente che, sfuggito alla presa della fata tentò di scappare, inutilmente, quando la spada di Riven gli tranciò la testa di netto.
- Da quello. Ecco da cosa mi ha difeso – rantolò con voce strozzata Musa, ancora troppo sconvolta per alzare lo sguardo da terra, stringendo inconsciamente il braccio di Nabu che osservava con incredulità il rettile.
- Cosa ci facevi con un serpente di corallo nei tuoi capelli ?
 Tressa indietreggiò con un sussulto quando Aisha la sovrastò in tutta la sua altezza, afferrandola bruscamente per la spalla così da farsi guardare negli occhi.
- Allora ? Credi non riconosca un rettile di Andros, Tressa ? Sai che i serpenti coralli possono uccidere una fata, vero ?
Flora si coprì la bocca, bianca in volto, nell’udire la confessione dell’amica, e quando Musa capì davvero cosa avesse rischiato fissò Salazar con iridi lucide di incredulità.
Le aveva salvato la vita.
Salazar le aveva salvato la vita.
- Io … non è stata colpa mia – piagnucolò la sirena con voce piccola, stringendo le palpebre quando sentì lo sguardo irritato della fata della musica su di sé – è colpa sua se Riven non mi vuole più.
Lo specialista che era rimasto con tutto il peso poggiato sulla spada piantata nel terreno le riservò un’occhiata raggelante, abbozzando un passo che la voce di Saladin bloccò quando il preside gli ordinò di stare al suo posto.
- Cosa crede dovrei fare ora, principessa Tressa ? –le chiese il mago con voce dura, non potendo più negare l’evidenza, ma fu nuovamente Musa a interromperlo e suggerire la soluzione.
- Se è davvero così decisa a sfidarmi, perché non in un duello magico ? – le propose la fata con occhi seri, scivolando dalle braccia di Nabu per fronteggiare la sirena con le spalle ritte – se sei così intenzionata a rivaleggiare con me, perché non in un combattimento ?
La sirena ingoiò l’ennesima umiliazione con lentezza, alzando lo sguardo per mostrarsi autoritaria e battagliera, convenendo che si, duellare con la fata le avrebbe risparmiato una punizione peggiore di quella di essere rinchiusa nelle celle di Fonterossa. E chissà che non l’avrebbe potuto ferire maggiormente, con la propria magia.
Perciò annuì, lanciando un’occhiata interrogativa al preside Saladin che soffiò la propria stanchezza in un sospiro pesante.
- E sia.





°°°





- Sembra di essere ad una partita di calcio.
- Una partita di che  ?
Bloom sorrise a Tecna e al suo sguardo confuso, facendole posto accanto a sé mentre gli spalti dell’arena di Fonterossa cominciavano a pullulare di studenti eccitati.
- Credete davvero sia stata una buona idea lasciarla combattere da sola ? – chiese Flora alla sua destra, osservando Musa trasformarsi sotto lo sguardo estasiato di una buona manciata di specialisti.
- Non so se lo sia, però mi fido del suo giudizio, e se ha deciso di combattere, allora le darò tutto il mio sostegno!
- Ben detto Bloom!
- Vai sorella! – urlò Brandon con il pugno alzato in segno di vittoria, facendo sorridere la fata che si guardava intorno per prendere dimestichezza con l’ambiente.
Il campo era sterrato, privo di erba o spuntoni sulle quali potessero ferirsi, ma la fata non aveva bisogno di chissà quale accorgimento naturale  per utilizzare appieno i suoi poteri.
Le sarebbe bastato l’aria e la potenza della sua voce, non aveva bisogno di altro.
Scacciò con una mano la ciocca asimmetrica che le solleticava la tempia, osservando di sottecchi gli spalti, in cerca dell’uomo che trovò appena più in basso delle Winx, accanto all’entrata, lo specialista che pareva guardare tutto fuorchè lei.
- Paura ?
La voce di Tressa rimbombò per l’arena quando diede aria alle corde vocali, torcendo il collo con un sorriso divertito che non indispettì Musa, non come la sirena avrebbe voluto almeno.
Perché la fata sembrava più tranquilla di quanto si sarebbe aspettata, quasi fosse sicura di batterla senza problemi, ma era pur sempre una principessa, e il suo dominio sull’acqua l’avrebbe fatta vincere su quella patetica fatina dagli occhi blu.
- Sei così spaventata da non riuscire a parlare vero ? – rincarò acida, battendo il piede per la stizza quando la guardiana di Magix preferì ruotare il busto in una piroetta aggraziata che fece sospirare Aidan e la combriccola di amici a lui di fianco.
- Chi credete che vincerà ? – domandò il più basso di loro, ricevendo in compenso una gomitata che gli tolse il respiro.
- Che domande! Musa ovviamente, non ci sono dubbi ! – ringhiò lo specialista dai capelli verdi con sicurezza, agitando la mano per attirare l’attenzione della fata, e quando la guardiana lo vide gli fece un occhiolino che gli inondò il viso di un eccesso di rossore.
 - Invece di circuire i miei studenti, dovresti concentrarti sul duello.
Quando la voce di Riven le giunse fin troppo chiara e limpida Musa pensò di averlo immaginato, ma quando, nel voltarsi, scorse il profilo irregolare del suo volto non potè che raggrumare le labbra e agitare le ali.
- Non preoccuparti, non le farò troppo male – abbaiò scontrosa, irritata dal pensiero che si fosse avvicinato a lei solo per raccomandarle di non fare troppo male alla sirena, ma più lui si mostrava interessato a Tressa, più la sua magia si sarebbe fatta feroce, recalcitrante come la nota più ribelle dello spartito.
Udì un sospiro dietro di sè prima di sentire le mani di Riven poggiarsi sulle spalle, in una carezza appena accennata che la fece irrigidire per la sorpresa.
- Sai che non sono preoccupato per lei. Per quanto mi riguarda, potresti liberamente sfigurarla. Intendevo di fare attenzione, Tressa è un’ottima combattente.
Smorzare l’istinto di allungare una mano per toccare la sua le costò fatica, davvero molta fatica, ma lo sguardo stizzito della sirena a lei di fronte riuscì a ripagarla dei suoi sforzi.
- D’accordo, farò attenzione – gli promise, un po’ insicura, ma le mani non si spostavano da lei.
- È qui vero ?
La domanda la colse in contropiede, ma Musa conosceva a mena dito l’irritante intuitività di Riven, e non potè che annuire, accennando con il capo alla parte più alta degli spalti quando lo specialista le chiese dove Salazar si trovasse.
- È stato lui a dirti del serpente vero ? Ti ho visto guardare il vuoto prima di avventarti su Tressa.
Mentire a quel punto sarebbe stato inutile, specialmente con Riven, e Musa non potè che annuire nuovamente e sentire le mani callose dello specialista serrarsi attorno alle sue spalle con più forza.
- Devi fare attenzione.
La fata capì a cosa si stesse riferendo in quel momento, ma non gli assicurò nulla, si limitò ad avvicinarsi al centro dell’arena, lasciandosi alle spalle uno sguardo cupo che la seguì per tutto il tragitto.
E quando furono una di fronte all’altra Saladin richiamò l’attenzione della platea, battendo il bastone per dare inizio al duello.
Ancor prima di poter capire da quale parte muoversi una sferzata d’acqua gelata la colpì al fianco, sbilanciandola all’indietro prima che una seconda, ancora più forte e densa la colpisse alla spalla, costringendola ad affondale le mani nel terriccio per non rotolare a terra.
- Se speri che sia magnanima ti sbagli di grosso – le sibilò Tressa ad una spanna dal volto, sfiorandole la ciocca strappata dal Fantasma con un sorriso mellifluo – ti ridurrò a pezzettini. Non mi risparmierò.
- Neanche io se è per questo – le rispose con altrettanta ferocia, allontanandola con un’onda d’urto che la respinse di qualche metro prima cha una colonna d’acqua la risollevasse dolcemente.
Proprio come aveva accennato, Tressa non si risparmiò, neanche con i colpi bassi.
E quando le gettò una manciata di terra negli occhi nel risollevarsi da terra Brandon e metà degli spettatori non poterono che urlarle contro di giocare sporco.
- Dannazione ! – esalò lo specialista nel tornare a sedere con un grugnito.
Perché Musa non sembrava riuscire a contrattaccare, limitandosi a parare, scartare ed evitare ogni attacco di Tressa, ma tra loro solo Tecna sorrideva di cuore, muovendo il piede ad un ritmo immaginario che attirò l’attenzione di Bloom e delle Winx.
- Che cos’ è ?
La fata della tecnologia smise di agitare la testa quando udì la voce confusa dell’amica, distogliendo l’attenzione dai movimenti fluidi e secchi di Musa per prestare attenzione all’espressione arcigna di Brandon e Stella.
- Ti sembra il caso di essere così felice ? Musa sta perdendo – la accusò mordace la principessa di Solaria, spalleggiata dal compagno che lanciò l’ennesimo ringhio infastidito quando l’amica rotolò per tutta l’arena sotto uno sparo d’acqua ghiacciata.
- Al contrario, Musa sta vincendo alla grande – li contraddisse orgogliosa, riprendendo il movimento secco del piede per riallacciare il tic tac dei tacchi sugli spalti.
- Stai scherzando non è vero ? – la aggredì Stella, paonazza, ma quando l’amica negò col capo, fischiettano la stessa nenia di poco prima Bloom non potè che chiederle nuovamente di cosa si trattasse.
- Me lo ha insegnato Musa, è un ballo particolare dove l’uomo insegue la donna nella danza, fronteggiandola e toccandola con la spalla – spiegò paziente, sorridendo nel vedere la fata della musica disegnare un arco perfetto nell’evitare l’ennesimo colpo della sirena.
- E saperlo potrà esserci utile ? – le chiese Flora, curiosa, ricevendo uno sguardo saputo dalla fata.
- Certo, se volete capire perché Musa vincerà questo duello.
Rimasero in silenzio per un altro istante, per racimolare le idee e capire a cosa l’amica si stesse riferendo prima di sentire la voce di Musa lanciare un acuto che colpì Tressa sotto forma di un’esplosione sonora che la spedì in un impatto doloroso contro gli spalti.
Aidan socchiuse gli occhi per la sorpresa di vedere la sua beniamina tornare in piedi in mezzo al capo oramai disseminato di pozze d’acqua, e non potè che schiudere le labbra per la sorpresa nel vederla battere le mani sopra il petto con gesti secchi, intervallati dal suono acuto della sua voce.
E Bloom non potè non  far saettare lo sguardo da Musa al movimento del piede di Tecna, riconoscendo lo stesso ritmo.
- Sapete che il suono viaggia più velocemente nei fluidi che nell’aria vero ?
- Certo.
- È lo stesso principio. Musa sta trasferendo la sua magia all’interno dei mezzi che userà per propagare le sue onde sonore e trasformarle in mine esplosive.
-E dove … - iniziò Stella con voce bassa, schiudendo le labbra mano a mano che i suoi occhi si sgranavano per la sorpresa.
Eccoli i mezzi di Musa.
L’enorme quantità di pozze d’acqua che la sirena aveva aperto nel terreno inseguendo la fata.
E le Winx capirono il perché di quel ballo, come Tressa avesse interpretato l’uomo che insegue la donna che lo rifugge, in una danza che ora la vedeva ferma in mezzo a migliaia di piccole bombe sonore che Musa era pronta a far saltare.
- Geniale – le riconobbe Timmy, scambiando un’occhiata orgogliosa con Tecna che osservava assieme i compagni il battito di Musa.
- Cosa stai facendo ? – urlò la principessa nel tornare in piedi, scostando i capelli zuppi dalla fronte per fissare la fata che le rivolgeva un sorriso sottile.
- Mi stai prendendo in giro ? – la riprese, furiosa, correndole in contro per assalirla con un muro d’acqua   prima che il suo piede affondasse in una pozzanghera.
E fu il caos.
Lo scoppio della prima mina sonora investì la sirena con ferocia, facendola crollare all’indietro, in un’altra pozza che scoppiò al contatto con la caviglia, e così continuò.
Testa.
Spalla.
Ventre.
Tressa si ritrovò a terra ancora e ancora, schiacciata dalla pressione delle onde sonore che le aprirono ferite in viso, sulla spalla, sulle gambe, ma il sorriso di Musa non spariva, né il battito delle sue mani.
E quando la fata cominciò a muovere i primi passi, ruotando il busto e alzando la voce per imprimere una vibrazione maggiore nelle mine la danza ricominciò.
Gamba.
Fronte.
Mano.
E ancora e ancora. Un volteggio, una piroetta e un’arabesque seguiti dall’ennesimo boato.
Poi ci fu la rivincita, la restituzione di quel graffio sotto l’occhio che Musa aprì sul viso di Tressa quando le fu abbastanza vicina da rifilarle un pugno con il quale la sirena cadde atterra, senza più rialzarsi.
Gli studenti esplosero in  vere e proprie acclamazioni di giubilo che Musa accettò con un sorriso prima di voltarsi verso Riven e aprire la mano in una posa di vittoria che lo specialista accolse con un mezzo sorriso.
Poi accadde l’impensabile.
Quando Tressa riuscì a inginocchiarsi con un ringhio frustato nessuno sembrò notarla, nessuno all’infuri di Tecna che non l’aveva persa di vista per un secondo, e quando la fata urlò all’amica di fare attenzione Musa fece appena in tempo a voltarsi prima che la freccia d’acqua solida si conficcasse nella testa della sirena quando l’arma cozzò contro un muro invisibile che aveva difeso la fata della musica.
E l’orrore di vedere il corpo privo di vita della principessa crollare a terra in una pozza di sangue zittì ogni loro esclamazione, uccise ogni loro esultanza, generando il panico.
Musa fissò quel corpo con orrore, bianca in volto, guardandosi le mani come per cercare la causa di quel fenomeno, ma non era stata lei a farle quello, non era stata lei.
- Non sono stata io – sussurrò debole, guardando Riven con le lacrime agli occhi per l’incredulità.
Ma lo sguardo sorpreso che l’uomo le rivolgeva la colpì come uno schiaffo.
- Non sono stata io – ripeté senza voce, indietreggiando quando lo vide estrarre la spada e puntargliela contro, come se volesse ferirla.
Come se volesse ucciderla.
- Allontanati da lei ! – gridò Riven con voce tagliente, ma quando una mano la tirò indietro, facendola cozzare contro un petto forte e gelido capì che non era per lei quella spada, non erano per lei gli sguardi orripilanti degli specialisti, nè i gemiti strozzati delle Winx.
Erano per Salazar, per il fantasma che ora tutta Fonterossa vedeva, il Fantasma  che la abbracciava con una poggiata sul ventre e un’altra accostata alla sua bocca.
- Arya.
La voce cupa di Riven passò in secondo piano quando Musa riuscì a comprendere il sussurro incomprensibile di Salazar, quel lamento struggente che la teneva sveglia la notte.
Un nome di donna.
Il nome che il Fantasma le ripetè contro la tempia, tenendola stretta e ammorbidendo la voce ad ogni suo sussulto, ad ogni suo respiro affannoso.
Arya.
Era lei quella che Salazar cercava, che chiamava all’infinito.
Era lei che dovevano cercare.
- Via da lei!
Il primo colpo rimbalzò su una patina impalpabile che aveva difeso entrambi, ma quando la spada di Riven riuscì a trapassare la barriera la sua mano fu veloce, le sue dita forti, il suo sguardo feroce.
Quando Salazar indietreggiò con il fianco ferito Musa osservò il suo grottesco ondeggiare seppellita tra le braccia dello specialista, bloccata da un braccio dell’uomo che rischiava di spezzarle le costole per quanto la stingeva.
Un fascio di luce scarlatta lo colpì alla spalla, portandolo ad accucciarsi con una mano al petto, ma il Fantasma non aveva mai distolto lo sguardo da lei.
E Musa potè vederli per la prima volta, gli occhi ametista che non avrebbe mai dovuto guardare, per proteggere la sua anima.
Ma non ci trovò nulla di diabolico, di cattivo in quello sguardo, solo disperazione, una cupa disperazione che le trasferì una sensazione di disagio per quello sguardo che non la lasciava andare.
- Sparisci !– tuonò la voce di Saladin quando alzò il bastone contro Salazar, e questa volta il Fantasma non potè che ritirarsi, non prima di averle lanciato l’ennesima occhiata e l’ennesimo sussurro che inghiottì nello sguardo, nel cuore, prima che il silenzio tornasse a regnare per l’arena.
- Musa!
- Ti ha ferita ?
- Stai bene ?
Le domande delle Winx le giunsero come sussurri concitati mentre Saladin e Faragonda osservavano il corpo senza vita di Tressa poco più in là.
L’aveva uccisa.
 Salazar l’aveva uccisa per proteggerla.

- Arya.
Helia sembrò irrigidirsi al suo fianco quando sussurrò quel nome, ma la reazione più sconvolgente l’ebbe il preside, teso come una corda di violino, il volto grinzoso contratto in una smorfia incredula.
- Cosa hai detto ?
Musa deglutì a vuoto, stringendosi a Riven per sopperire al disagio di sentirsi osservata da quegli occhi scuri e inorriditi, come se avesse appena maledetto qualche divinità.
- Mi ha chiamato Arya – confessò flebile, avvertendo distintamente l’orrore risalire ad unghiate su ogni tratto di quel viso anziano, incupendo ogni ruga, approfondendo ogni ferita di guerra.
- Dovete andarvene. Ora.
Era un ordine, un comando irrevocabile, ma nessuno di loro capì l’urgenza, non Musa, non quando aveva finalmente scoperto chi Salazar cercasse, chi avrebbe potuto aiutarli.
- Io …- provò a contraddirlo la fata, ma lo sguardo di Saladin le tolse la voce, il coraggio, la speranza di essere capita.
Persino Riven parve irrigidirsi, contrarsi contro la sua schiena di fronte a quello sguardo selvaggio, crudele e imparziale come il più severo e feroce dei giudici.
- Il mio è un ordine, giovane fata. Dovete scappare. Ora, se non vuoi essere  massacrata.
Fu brutale, più feroce di ogni altra volta, di ogni altro monito, ma qualcosa in fondo a quello sguardo li avvertiva che quella fosse la possibilità più vicina a loro.
Che Musa venisse massacrata, brutalmente.
Riven la strinse con forza, come a nasconderla da quelle parole che le avevano fatto perdere colore al viso, ma non la voglia di contraddirlo, quella non sarebbe mai passata.
- Ma è lei che cerca, lei  può aiutarci! Lei potrebbe …
- No, Musa – la interruppe Helia con voce grave, abbassando il capo quando Flora gli lanciò un’occhiata confusa – non può aiutarci.
- Perché ?
- Perché mia sorella è morta, giovane fata- sibilò Saladin con voce grave, spenta - È stata uccisa da Salazar quando lei lo ha rifiutato, lui e la  sua ossessione per lei.
Uno schiaffo avrebbe fatto meno male, l’avrebbe fatta sentire meno sbagliata, meno ingenua, ma l’orrore era lì, a pochi passi da lei, la follia sulla guancia segnata dai graffi, la paura nel suo sguardo blu velato di ansia.
Perché Salazar il ladro di anime l’aveva scambiata per il suo vecchio amore.
Lo stesso amore che aveva brutalmente ucciso, una volta respinto, e qualcosa le diceva che lui non avrebbe smesso di cercarla, non con lei che pareva somigliarle tanto.
E l’avrebbe trovata prima o poi, ma non avrebbe potuto aiutarlo, non come avrebbe voluto.
Aveva fallito, ancora una volta, prima incora di cominciare a provare.
- Non piangere.
Quasi non si accorse delle mani di Bloom sul suo visto, dello sguardo atterrito delle amiche sul suo ventre rivestito di ghiaccio, nulla.
Né la stretta rigida e soffocante di Riven.
Non lo sguardo apprensivo di Faragonda.
Era divenuta sorda alle loro parole, muta alle loro domande, cieca alle loro espressioni.
Perché quella voce continuava a chiamarla con un nome non suo, con voce rotta, una voce che non avrebbe potuto aggiustare.
Bassa e incrinata come un vecchio cuore ammaccato.
Il cuore che ancora una volta sentì volare al centro dello stomaco, in silenzio, ma con l’annichilente tic tac delle lacrime che non riusciva più a fermare.
Quelle lacrime che non erano mai per lei.



Continua…


Ringrazio per la lettura e l'attenzione,
Al prossimo aggiornamento.

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Capitolo 7
*** Never Surrender ***



nvslnlncsàò

“Do you know what it's like when

You're scared to see yourself ?
Do you know what it's like when
You wish you were someone else
Who didn't need your help to get by
Do you know what it's like
To wanna surrender
[…]
“Do you now what it's like when
You're not who you wanna be
Do you know what it's like to
Be your own worst enemy
Who sees the things in me I can't hide
Do you know what it's like to wanna surrender “
[…]
“I wanna feel better
Stay with me here
And never surrender”
( Skillet – Never Surrender)






Guardarsi allo specchio non avrebbe dovuto farle tutta quella  paura.
Vedere il proprio riflesso non  avrebbe dovuto scatenare tanti respiri strozzati alle sue spalle.
Fissare i propri occhi blu non avrebbe dovuto farle venire un groppo in gola per l’angoscia.
Eppure Musa non potè che chiudere le palpebre con un sospiro pesante, irrigidendo il sorriso che si era sforzata di far sembrare gentile prima di abbandonare il braccio lungo il fianco e nascondere con l’ombra dei polpastrelli la foto rovinata che Helia le aveva teso  qualche ora prima.
L’immagine sbiadita di una donna con i suoi capelli e i suoi occhi, ma di qualche anno più vecchia.
- Dovremmo seguire il consiglio del preside.
Tecna seppe con certezza di aver sorpreso Musa, di averla ferita, ma ritrovò nel resto delle compagne l’assenso e la positività che cercava, perché affrontare un Fantasma le aveva atterrite, all’inizio, le aveva rese battagliere con l’andare del tempo, ma sapere che il Fantasma  vedeva nella loro migliore amica l’amore ucciso in gioventù era qualcosa più grande di loro, di Musa.
- Sai che lo dico per il tuo bene  – tentò di  rabbonirla nel vederla abbassare lo sguardo con un gesto infastidito del capo, ma Tecna non poteva accettare la loro presenza lì, a Fonterossa, non più se vi era  la possibilità di vedere la fata spirare tra le sue braccia.
- Musa, cerca di capire … - le diede man forte Flora, preoccupata quanto e più dell’incolumità dell’amica, ma la fata non le diede tempo di finire, chiedendo aiuto ad Helia con lo sguardo.
Ma lo specialista non poteva aiutarla, non su quello almeno.
- Mia nonna è sempre stato un argomento che la mia famiglia preferiva evitare – confessò dispiaciuto, riprendendo dalle mani della Winx l’unica fotografia che avesse mai avuto di lei.
Sua nonna Arya era stata una fata gentile e altruista, glielo aveva raccontato suo padre quando era ancora molto piccolo, nonché la donna più forte della Compagnia della Luce, ma il suo passato si faceva vacuo con l’arrivo dell’età adulta, così come i racconti della sua morte che nessuno amava riesumare.
Non quando la sua uccisione aveva scavato una ferita profonda nel cuore di suo padre e di suo nonno.
- Non l’ho mai conosciuta,  tutto ciò che ho di lei è questa foto.
Musa accettò quelle informazioni con un respiro stanco, osservando la propria immagine con rinnovata preoccupazione, con angoscia, ma la sensazione di quelle mani sulla sua guancia non era svanita, neanche quando Salazar si era dileguato.
La fata riusciva ancora a sentire i  polpastrelli gelidi sui graffi che pian piano parevano cicatrizzarsi, ma rimaneva l’immagine di Tressa stesa in una pozza di sangue a rammentarle che quello non era più un gioco.
Perché Salazar la credeva la fata che in passato aveva amato e poi ucciso brutalmente, un destino che sembrava attendere anche lei se non fosse scappata  da Fonterossa a gambe levate.
Eppure Musa non voleva fuggire, voleva solo capire, comprendere, perché quegli occhi le fossero sembrati così addolorati, così disperati in una ricerca senza fine, gli occhi di un uomo innamorato, non di un crudele assassino.
- Due giorni, lasciatemi solo due giorni per trovare la prova che mi serve. Vi prego.
Le Winx parvero tentennare, titubanti sull’idea di lasciarla scorrazzare con Salazar che girovagava liberamente per i corridoi, ma questa volta fu Riven ad intervenire, con loro sorpresa, schiodandosi dalla parete contro la quale era rimasto in silenzio, a braccia conserte.
- Io verrò con te – affermò duro, fissando Musa con occhi severi.
- Va bene.
- Dappertutto – continuò mordace, sovrastandola con tutta la sua figura – In.ogni .Momento.
E Riven  fece quanto detto, eccome se lo fece.
Nei due giorni pattuiti con le Winx divenne l’ombra di Musa, la presenza costante dalla lama tesa che la seguiva nell’inutile esplorazione dei sotterranei, nella meticolosa ricerca di notizie riguardanti  Arya, ispezionando ogni angolo, ogni anfratto, ogni sgabuzzino dal quale, a sua parere, poteva uscire l’assassino pronto a tranciarle la testa.
Un lavoro da guerriero, pignolo e attento ad ogni suono, rumore, respiro che attorniava la fata, ma quando il cigolio del letto accompagnò il movimento nervoso con il quale si era girata di fianco, Stella non potè che trovare snervante tutta quella situazione.
- Basta ! Non ce la faccio più !
Flora sobbalzò nel sentire la compagna di letto scattare a sedere con i capelli sconvolti dalle mani che ogni quarto d’ora vi passava in mezzo, destando dal sonno l’intero dormitorio femminile.
L’unica a non sembrare sorpresa dall’uscita isterica della principessa era Musa, incollata alla parete per sfuggire ad uno sguardo che persino nel sonno continuava a vegliare su di lei.
- Ora basta! Non riesco a dormire! Ed è tutta colpa tua ! – sbraitò fuori di sé la principessa di Solaria, incenerendo la figura inghiottita dalle tenebre che accostava il letto della fata della musica.
E quando Riven si degnò di fissarla, si limitò a schiudere le labbra in un ringhio sommesso.
- Si ! Proprio a te mi riferisco! Non credi di stare esagerando ? Se non lo hai notato noi siamo in cinque, e siamo capacissime di difenderla – gli fece notare la fata con un diavolo per capello, battendo i pugni sulle lenzuola quando lo specialista la incenerì con quegli occhi viola che al buio parevano spilli incandescenti.
- Dormi – le ringhiò addosso, invitandola con un gesto secco della testa a tornare giù prima di torcere il collo indolenzito e sistemare meglio la spada poggiata contro la spalla.
- E come credi che possa farla con te qui ?
- Girati dall’altra parte – la liquidò allora con voce secca, scattando a sedere quando Musa frusciò via dalle lenzuola, mettendosi seduta sul materasso.
- Dove vai ? – le brontolò di fianco Tecna, rotolando sul letto per afferrarle il braccio, ma la fata aveva capito che avrebbe passato la sua ultima sera a Fonterossa con le urla di Stella come  ninna nanna se non avesse fatto qualcosa.
- Devo andare in bagno.
Una scusa come un’altra per allontanarsi, ma al morbido passo  dei suoi piedi nudi seguì un timbro sordo, lo schioppo degli stivali che le si erano affiancati in un battito di ciglia, e non ci fu bisogno di scoprirlo vicino a sé, perché lei sapeva che lui non l’avrebbe lasciata andare.
- Non vorrai accompagnarla spero ! – gli urlò contro Stella con voce incredula – è alla fine del corridoio!
- Ti ho detto di dormire – la rimbrottò Riven con acredine, seguendo Musa che sgattaiolò silenziosa fino all’uscita, e quando l’aria fresca le gettò addosso una sensazione di libertà, fu il calore improvvisamente piombato alle sue spalle a farla sobbalzare per la sorpresa.
Ma Riven si era subito allontanato, tornando al suo posto e fissando davanti a sé con la mano stretta attorno all’elsa della spada che non aveva mai abbandonato, ma Musa sapeva di non aver bisogno del suo mantello, o della sua ingombrante compagnia.
Aveva bisogno di stare sola, con i suoi pensieri e quella sensazione di soffocamento che l’aveva portata a fissare il soffitto ad occhi sbarrati, per ore.
- Non dovevi andare in bagno ?
Musa non avrebbe mai pensato, neanche dopo tre anni di lontananza, che avrebbe  imparato ad odiare la voce di Riven, non con quell’intensità almeno, ma eccola lì, a piedi nudi, in mezzo ad un corridoio deserto, con il viso congestionato dalla rabbia e l’uomo che aveva agognato avere accanto da quando era poco più che un’adolescente spaurita lì dove avrebbe sempre voluto trovarlo.  
- Voglio stare un po’ sola.
- Non puoi.
La stretta al polso le fece male, tanto che la fata fu costretta a mordersi le labbra per non gemere dal dolore, ma Riven pareva sorpreso dallo schiaffo che aveva fatto in tempo a parare, grazie ai suoi ottimi riflessi,
Eppure avrebbe voluto schiaffeggiarlo, urlargli di lasciarla in pace, perché era triste, disperata, e confusa da quello che provava, da quella pietà che non avrebbe dovuto sentire per Salazar, per l’empatia che la rendeva succube di un malessere non suo.
Perché non avrebbe dovuto sentirsi in quel modo, avrebbe dovuto avere paura, come ogni persona normale, temere per la propria vita, ma tutto ciò che Musa sentiva nel petto era l’angoscioso sentore di qualcosa che è sul punto di crollare.
E non l’avrebbe fatto davanti a Riven, non un’altra volta.
-  Lasciami.
- Devi smetterla – la riprese lui, cattivo, strattonandola per il braccio che stringeva tra le dita – devi smetterla di pensare quello che stai pensando.
L’irragionevolezza di quella richiesta, no, si corresse Musa con rabbia, di quel comando  la colpì come uno schiaffo in pieno viso, ne udì lo schiocco sulla guancia, ne immaginò il rossore diffuso, e quell’ennesima imposizione, quell’ennesimo atto di forza con il quale Riven pretendeva di essere ascoltato la fece scoppiare.
- Che diritto hai di darmi ordini ora ? – gli urlò addosso, senza curarsi della possibilità di attirare le Winx, Saladin, forse persino Salazar,e che venissero, che la prendessero per pazza, ma lei ne aveva abbastanza.
Di quella presenza che aveva chiamato nelle notti più buie, ma che non l’aveva mai soccorsa.
Di quel freddo allo stomaco che non l’aveva abbandonata, neanche dopo il tocco caldo di Bloom sulla patina di ghiaccio che lo congelava.
Era stanca, semplicemente, di essere la vittima di tutto.
 - Hai deciso di starmi vicino ? Bè, sei in ritardo, in ritardo di tre anni – lo accusò straziata, agitando il braccio per scrollare via la mano di Riven, troppo stupito dal suo sfogo per costringerla a tacere, a tornare in sé.
Ma non ci sarebbe riuscita, non con quel peso sul cuore.
- Senti tutto questo bisogno di stare accanto a me  ora che sai che potrei venire uccisa ?
Musa lo vide, il sussulto in quegli occhi viola, il cedimento che l’uomo non si era mai permesso di mostrare, di provare, non davanti a lei,  e capì di averlo ferito, profondamente, con quella confessione  che stava svuotando lei del suo dolore, ma che sembrava  riempire Riven del proprio.
- Ora che sai che potrei morire, ti sei accorto che ho bisogno di te ? Avevi davvero bisogno di sapermi in fin di vita per decidere di ascoltarmi ?
Le pareti parvero tremare quando liberò l’ultimo strillo, e abbassò il capo per non mostrare le lacrime, per non mostrare il dolore che era convinta di aver cancellato ma che non l’avrebbe mai liberata, mai.
- Tu non lo hai sentito, non hai visto i suoi occhi – balbettò con la bocca impastata dalla saliva e dalle lacrime che beveva a sorsi – nessuno di voi ha visto il suo dolore, nessuno di voi lo ha sentito chiamare il suo nome. Nessuno di voi può…
- Lo stai giustificando ? – la aggredì Riven con la voce strozzata dall’incredulità, dall’orrore di quelle parole che non potevano essere comprese, accettate, non da lui, non da chi non aveva provato, patito un dolore come quello.
- Lui ha ucciso la donna che amava .
- Anche tu – strillò Musa con occhi lucidi, guardandolo in viso con rabbia, con disperazione – anche tu lo hai fatto- soffiò più debole, abbracciandosi la vita per trovare un conforto che non era mai riuscita ad avere.
Un conforto che Riven ora avrebbe desiderato ricevere, un abbraccio, un tocco pur di non percepire il gelo di quelle parole, l’orrore di una consapevolezza che aveva provato a parlagli ma che lui aveva zittito, ucciso con il veleno dei propri pensieri cinici e duri.
- Cre… - tossì per ritrovare la voce quando un gemito le salì per la gola – credevi davvero che mi sarebbe passata Riven ?
Credevi davvero che avrei potuto ricominciare, credere di nuovo in un uomo dopo il tuo rifiuto ? Credevi davvero di non avermi uccisa, su quel terrazzo ?
Ogni lacrima le costò una parola, una confessione che non si era mai permessa di esternare, con nessuno, perché quei pensieri erano egoisti, non erano da lei, ed erano ingiusti per chi non poteva, non riusciva a ricambiarla, ma nessuno può decidere di chi innamorarsi, e anche se Musa avesse potuto farlo, avrebbe scelto sempre lui.
Persino con i suoi difetti, con quell’arroganza che la feriva.
Ed eccolo il motivo di tutto quel dolore, di quella comprensione inumana che non era dettato dall’animo gentile della fata, o dal suo passato doloroso, ma dalla consapevolezza di essere come Salazar.
Di esserlo stata, di continuare ad esserlo, il fantasma di se stesso che cerca e sussurra ciò che non può avere ma che agogna, anche dopo la morte.
Perché Arya avrebbe potuto somigliarle come una goccia d’acqua, ma era nel ladro di anime che Musa si rispecchiava, in quello sguardo che  aveva visto ogni sera, prima di chiudere gli occhi, riflesso nel vetro della sua stanza di Melody.
Lo specchio di un’anima divisa a metà che nessuno aveva mai provato a risanare.
Quando Riven la alzò di peso, la fata non potè che irrigidirsi e pensare di aver davvero attirato Salazar con le sue urla, con i suoi pensieri, ma per quanto i suoi occhi fossero incapaci, a causa delle lacrime, di scovare la sua figura, la guardiana sapeva, sentiva che lui non era lì.
E forse lo specialista l’aveva abbracciata perché voleva farlo, impietosito dalle sue lacrime, mosso da quelle urla che le avevano raschiato la gola come l’unghiata di un mostro che tentava di risalire l’abisso nel quale era stato gettato.
 - Se io morissi .
- Zitta.
Le braccia di Riven rischiarono di spezzarla, di romperla con facilità, ma Musa sapeva che nulla di lei era rimasto integro nel contatto con quelle mani, non il suo cuore, non quella voce che racimolava con difficoltà.
- Se io…
- Ti ho detto di stare zitta – le ordinò ancora, con meno voce, come se anche lui faticasse a trovarla, mentre le  braccia affondavano nella sua schiena, nei capelli inanellati tra le  dita.
Ma lei continuò, incurante del battito a singhiozzo che sentiva pulsare contro il proprio, ingiusta verso quegli occhi viola che fissavano il vuoto pur di non vederla, lei e le sue lacrime, e quel riflesso tremolante che lo specialista non poteva permettersi di diventare.
- Se io morissi, e diventassi un fantasma, ti cercherei anche io – confessò rauca, afflosciandosi tra le sue braccia come una bambola di pezza, la guancia pressata sul mantello che inumidì delle sue lacrime – e vorrei che qualcuno mi aiutasse a ritrovarti, Riven. Perché l’amore non è idillico come pensate tutti, ma fa male, e c’è chi perde. Chi, nonostante gli sforzi, si trova da solo, senza nessuno che possa aiutarlo a raccogliere i pezzi del suo cuore.
Quando le Winx  sentirono la porta aprirsi alzarono la testa dal cuscino, ma non osarono proferire parola nel vedere lo specialista depositare la loro amica tra le lenzuola, con delicatezza, coprendola con il proprio mantello prima di tornare al suo fianco, in silenzio.
E Stella avrebbe voluto ordinargli di andarsene, di lasciarle dormire, ma quando lo vide prendersi la testa tra le mani con un singhiozzo strozzato si affrettò a nascondersi sotto le lenzuola, con il fiato sospeso, incrociando gli occhi sgranati di Flora che le rimandava la stessa sorpresa, la stessa ansia.  
 Perché Riven piangeva, in silenzio, senza un lamento, con quelle lacrime che videro brillare nel buio, e che Tecna, allungando il collo, vide colare sulla piccola mano che lo specialista stringeva tra le sue pressate contro la fronte, come in preghiera.
Ma nessuno lo avrebbe ascoltato, perché non aveva mai potuto salvare la sua anima, ma supplicò, pregò che qualcuno li liberasse entrambi da quel fardello, da quel dolore che aveva divorato quella di Musa, e che presto, avrebbe prosciugato lui di quella forza che non avrebbe più potuto salvare nessuno.
Nè Se stesso, nè la donna che amava, che aveva sempre amato.






°°°




- Siamo pronti per partire – li avvisò Timmy dalla cabina di comando, aprendo il portellone della navetta per farli salire, ma c’era chi non sembrava ancora pronto ad andarsene.
La figura dal delicato abito bianco che Riven fissava con sguardo dolente  da lontano.
- Tutto bene ?
Stella non si indignò della smorfia contrita dello specialista alla sua domanda, non la trovò arrogante come immaginava, non dopo quello che aveva visto e che ora la portava a rivalutare ogni screziatura di quello sguardo che pareva muto, disinteressato.
Fintamente disinteressato.
- Non preoccuparti, non sei il solo al quale non ha rivolto la parola – lo incoraggiò, un po’ esitante, ricevendo l’ennesima occhiata scontenta che questa volta la fece sorridere.
- Credo che abbia bisogno di tempo, deve essere difficile per lei.
Riven non la degnò di attenzione, non quando uno sbuffo d’aria agitò la gonna ampia dell’abito che Musa aveva indossato in silenzio, senza guardare nessuno di loro negli occhi prima di uscire dalla stanza e fermarsi a guardare il cielo dal punto che non aveva abbandonato fino a quel momento.
Non si era mossa da lì, immobile come  una statua se non  fosse stato per  l’ondeggiare ipnotico dei suoi capelli sciolti, la cascata di cielo notturno che si apriva sugli squarci della sua schiena.
Stella lo sentì irrigidirsi al suo fianco, notando la contrazione della sua mascella, un gesto doloroso che la portò a chiedersi quanto davvero Riven tacesse.
Perché mentiva, aveva sempre mentito, a se stesso, a tutte loro, ma non riusciva a capire il perché di quel silenzio, dell’opportunità negata a Musa di sentirsi dire 'ti amo.
- Sai che le basterebbe una tua sola parola per sorridere – ammise sincera, irrigidendosi nel vederlo tendere la schiena come se lo avessero sparato, trafitto da una spada che avrebbe zampillato veleno, non sangue, non con quello sguardo cattivo e inquieto che le rivolse e che lo rendeva meno umano di quello che appariva.
- E poi ? Vivremo felici e contenti ? – raschiò cattivo con l’arroganza della sua voce, l’insolenza di chi sapeva che nulla sarebbe cambiato, per quanto vi avesse provato.
- Perché no ? Sono sicura che Musa possa…
- Ma io no – la interruppe frettoloso, stroncando sul nascere la scintilla di speranza nata lì dove non sarebbe dovuta stare, in quel cuore nero che aveva giurato a se stesso di non concedere a nessuno, men che meno lei, rischiando di sporcarla, di privarla di qualcosa di migliore, di più giusto, di più buono, di più gentile.
Perché Riven accettava la propria arroganza, conosceva l’irresistibile richiamo delle ombre, del buio che dimorava in lui, una cantilena seducente che niente, neanche la voce di Musa era mai riuscita smorzare.
Ed aveva rischiato di perderla già una volta per quella sua incapacità di controllare il proprio cuore, la propria malvagità, e la prova della sua follia, di quanto fosse sbagliato era lì, davanti ai suoi occhi, su quella schiena pallida che sarebbe dovuta essere limpida come il canto di una sirena, non storpiata come l’urlo tradito di una bambina abbandonata a se stessa.
- Volete salire o no ? – li richiamò Nabu, affacciandosi dal portellone per invitarli ad affrettarsi, ma quando Stella e Riven lo videro aggrottare le sopracciglia non furono gli unici a sentire il freddo innaturale calato su di loro.
- Musa ?
Stella fu più veloce di lui nel voltarsi a guardarla, e quando  la vide abbozzare qualche passo in avanti aggrottò le sopracciglia, chiamandola a sua volta mentre il freddo la spingeva a massaggiarsi le braccia per riscaldarsi.
- Dove stai andando ?
Ma la fata non si voltava, non la ascoltava, continuava ad avanzare, aggraziata nell’abito che  pareva appesantirsi ad ogni suo passo, incollandosi alle gambe snelle che il tessuto inguainò come una seconda pelle prima che Musa tendesse il palmo aperto al vuoto.
E il tempo sembrò rallentare in un lugubre tic tac che Riven sentì strillare nella sua testa fino a schiantarsi con un assordante rumore di vetri infranti nella sua gola.
- Arya.
Quando le braccia di Salazar la trassero in un abbraccio Musa chiuse gli occhi con un sospiro stanco, abbandonando il capo sulla spalla ruvida del Fantasma, in cerca di comprensione, di affetto incondizionato.
Anche se quella mano che le accarezzava la testa non era per lei, ma per l’immagine sbiadita di una se stessa più antica e forse, più forte di lei, tanto da respingere l’uomo che pareva averla amata con tanto ardore da affliggerlo nella morte.
Ciò che  lei non avrebbe fatto, non  avrebbe  mai respinto, non chi per amore tornava in vita, chi non si dava pace e chiedeva come una radio rotta di essere amato.
Proprio come si sentiva lei, una vecchia  e malandata stazione radiofonica che mandava la stessa identica canzone, ancora e ancora, tanto da storpiare la voce in un singhiozzo infantile che faticava a ripetere le parole all’infinito.
Parole che nessuno voleva ascoltare, che lui aveva sempre  fatto finta di non udire.
- Musa!
La rabbia di sentire una voce che non avrebbe dovuto sentire lì, tra quelle braccia, che non avrebbe dovuto affliggerla anche in quel luogo la portò a stringere gli occhi forte, tanto forte da farli lacrimare.
- Musa!
E stava per urlare di smetterla, di lasciarla in pace, di abbandonarla come era solito fare, come aveva sempre fatto, quando fu costretta a socchiudere gli occhi nel percepire qualcosa di caldo avvolgerle il braccio sinistro, quello che avrebbe dovuto essere inghiottito dal gelo.
 Poi lo sentì, un odore pungente che nell’arena l’aveva fatta indietreggiare per l’orrore, il puzzo del sangue che le era schizzato in volto quando Salazar aveva affondato  una mano nella spalla di Riven, inginocchiato a terra con la spada piantata nel terreno, per sorreggersi, e la destra serrata sul suo braccio.

Quello che bruciava, quello che lo specialista tirava con tutte le forze per strapparla a quella stretta di ghiaccio.
E scomparve ogni cosa.
La spalla sulla quale si resse per non cadere, il braccio del Fantasma che la teneva alzata per la vita, persino quella chiazza viscosa che le appesantiva le ciglia dell’occhio destro, tutto fuorchè quella voce che ripeteva il suo nome, ancora e ancora, mentre la mano dello stregone gli strappava l’ennesimo lembo di pelle.
- Lasciami! – strillò inorridita nel vederlo piegarsi per il dolore ma non allentare la presa attorno al proprio braccio, affondando la spada nella terra per darsi la spinta verso l’alto, verso di lei, verso quell’ancora che lo teneva in piedi ma che al contempo gli permetteva di farsi strappare un braccio.
Musa provò a staccarselo di dosso, facendo forza sulle sue dita per liberarsi, per liberarlo, ma Riven non glielo permise, sibilandole di smetterla, di non fare la stupida.
Ma lo stupido era lui che continuava a respingerla e attrarla come più gli piaceva, distruggendola con quegli sguardi che le squarciavano il petto e gesti come quello, come quella mano che non voleva abbandonarla, che invece la portava ad amarlo totalmente.
- Ti ho detto di lasciarmi !
- No.
Secco, asciutto, incolore, non ci fu nulla di gentile nella sua voce, nella mano che le stritolava il braccio, nello sguardo duro che le rivolgeva, ma quella parola ebbe l’effetto di un  abbraccio sul suo povero cuore, un soffio di vita che rimise al proprio posto quel pezzo che ciondolava dai resti ammassati del suo battito.
Perché c’era la fermezza che Musa aveva sempre chiesto, pregato di ricevere, la volontà di non lasciarla andare, di non abbandonarla, e tanto le bastò.
- Cosa stai facendo ? Musa !
La fata non alzò il viso dalle proprie mani, conficcandogli le unghie nel palmo per farsi lasciare, ma dovette lottare e infliggergli qualche graffio per allentare la presa, ma quelli sarebbe guariti, lo squarcio sulla sua spalla invece no, non se Salazar avesse continuato a scoprire carne viva, e quando finalmente fu libera, il sibilo del vento le fischiò nell’orecchie quando lo stregone fuggì via, con lei in braccio.
L’urlo di Riven la raggiunse fin dentro Fonterossa, tra i corridoi che Salazar percorse volando prima di infilarsi nella sala principale e sigillare porte e finestre, depositandola al suolo con gentilezza prima che Musa potesse sentire una sua mano sfiorarle la guancia.
E decise di prendersi le sue responsabilità per quell’inganno, per la debolezza che si era concessa e che aveva fatto soffrire lei e Riven,ma che avrebbe ucciso Salazar.
- Arya.
- Io non sono Arya.
 Percepì fin sotto pelle lo spasmo della mano poggiata sulla guancia, potè persino riconoscere il formicolio dei polpastrelli appena curvatisi sulla tenera carne della gota, ma non si allontanò, preferendo guardarlo negli occhi per mostrare il proprio rimorso.
- Io non sono Arya. Il mio nome è Musa.
La reazione del Fantasma non si lasciò attendere, e ancor prima di provare anche solo a resistere la fata si trovò a volare per la sala sotto l’onda magica che l’aveva scaraventata  contro la porta principale.
Il suo grido di dolore raschiò il pavimento, filtrando da sotto la porta che qualcuno cominciò a prendere a pugni, urlando a gran voce il suo nome,e quando Musa riconobbe in quelle urla la voce di Aidan, accompagnata dai richiami delle Winx, tornò in piedi senza un lamento.
Un’altra onda magica rischiò di maciullarle la spalla, ma quando le sue ali si agitarono nell’aria la fata riuscì a proteggersi con un campo di forza, volando fin dal Fantasma con l’intenzione di farsi ascoltare, anche se convincerlo a farsi aiutare le avrebbe richiesto di lottare.
- Io non sono Arya, ma posso aiutarti.
Salazar la fissò con odio, con rabbia, caricando un altro colpo, ma fu il suo turno, quello di attaccare, e ancor prima di lasciarglielo fare fu lei a farlo, imprigionandolo in una prigione acustica che lo rese innocuo, almeno per una manciata di secondi.
Eppure Musa capì che non l’avrebbe ascoltata, non quando lo vide colpire la barriera con le mani, la testa, ringhiando quel nome di donna che persino in quel momento lo stregone sussurrava in preghiera.
- È morta. Arya è morta.
Lo confessò con quanta più inespressività poté, affinchè Salazar leggesse la verità, nella sua essenza di emozione, di personale coinvolgimento, e quando vide lo stregone irrigidirsi con ancora i pugni in aria capì di essere riuscita almeno a farsi ascoltare.
- Arya è morta. L’hai … - non riuscì a continuare, non potè, non ne ebbe il cuore.
Ma era necessario che lo stregone capisse, e accettasse, per quanto possibile, la verità .
- L’hai uccisa tu.
Fu peggio di quanto Musa avesse immaginato, perché, se aveva previsto urla e ringhi disumani, il silenzio gelido che ebbe in risposta la terrorizzò a morte, tanto che si convinse ad avvicinarsi per capire se avesse ascoltato, se avesse compreso, e quando incrociò i suoi occhi apprese con angoscia che l’aveva sentita.
Perché lei lo riconosceva, quello sguardo,  lo aveva visto nel riflesso acquoso della pozza di lacrime della terrazza di Alfea, lo rammentava nei primi mesi di disperazione.
La disperazione di chi sa che è tutto finito, semplicemente.
- Tu...non ricordi ? – gli chiese cauta, ricevendo una lieve negazione del capo prima che Salazar abbandonasse le braccia lungo i fianchi con un gesto stanco, smorto.
E la necessità di aiutarlo, di aiutarsi , la spinse ad avvicinarsi ancora, tanto da poter sentire il suo respiro gelido sulle ciglia.
- Io posso aiutarti. Posso aiutarti a ricordare, a cercare una spiegazione, perché io non credo che tu l’abbia uccisa.
Non lo credo  - ammise sincera, sobbalzando nel vedere una mano dello stregone andarle in contro, come una supplica, ma qualcosa in quel gesto lento e paziente le diceva che quella di Salazar era una richiesta.
La prova della sua integrità.
E Musa avrebbe potuto abbandonarlo, aprire le porte e ucciderlo con l’aiuto delle sue amiche, avrebbe potuto scrollarsi di dosso il macigno di un passato non suo, di un amore, non suo, ma voltargli le spalle avrebbe voluto dire voltare le spalle a se stessa, alla possibilità di capire chi nessuno avrebbe capito, accettato all’infuori di lei.
Perciò allungò una mano, spaventata ma  sicura delle proprie azioni, di cosa fosse giusto fare in quel momento, e quando Salazar la tirò a sé capì che avrebbe pagato cara quella sua debolezza.
Quando la mano dello stregone le trapassò il pettò sgranò gli occhi per l’orrore, lanciando un urlo disumano che sembrò far tremare la terra stessa, facendo saltare le vetrate che le piovvero addosso sotto forma di schegge acuminate.
Una le si piantò nel braccio con il quale percuoteva il petto di Salazar, per lasciarsi mollare, per allontanarsi da quella mano che le rovistava nel petto e rievocava nella sua testa eventi passati e presenti.
Il suo primo incontro con le Winx.
La lotta con le Streghe Antenate.
Il tradimento di Riven.
La disperazione per il suo abbandono.
E l’immagine del suo viso accostato alla vecchia fotografia di Helia riflessa nello specchio assieme a lei.
Poi il dolore cessò, e quando Musa si tastò il petto lo riscoprì integro, senza ferite o lo squarcio che il braccio di Salazar avrebbe dovuto aprirsi per affondarle dentro, ma quando lo stregone le si afflosciò tra le braccia non potè che stringerlo a sé e seguirlo nella caduta, avvertendo la pesantezza di quel corpo d’aria farsi grave come quello di un cadavere.
- Arya.
Ancora quel nome, ma questa  volta c’era qualcosa di diverso nella sua voce, una nota incrinata che segnava la consapevolezza, la presa di coscienza della perdita.
E Musa non potè che sentire gli occhi pungere a sua volta, abbracciandolo per trasmettergli il suo coraggio, la positività che le Winx le avevano sempre riconosciuto.
Perché c’era sempre una soluzione, non sempre facile, non sempre indolore, ma una soluzione.
- Ce la faremo – gli assicurò gentile, promettendo a se stessa di fare tutto il possibile per farlo ricordare, per scoprire il velo scuro che ottenebrava il suo passato, ma farlo avrebbe portato alla luce segreti che avrebbero dovuto rimanere tali.
Una consapevolezza che seguì l’avvento di tre avvenimenti inaspettati.
Il primo fu il chiarore del pavimento, lo squarcio di luce sprigionato a contatto con la lacrima di Salazar con essa.
Il secondo, ben più inaspettato, fu l’esplosione delle porte e la conseguente venuta delle Winx.
Il terzo fu quello più devastante, quello che la fece urlare e dimenare tra le braccia di Nabu quando l’uomo la portò via di peso, dirigendosi verso la navicella e lasciandola con lo sguardo incatenato a quello spento di Salazar, la voce resa ad un sussurro che bisbigliava il suo nome, il suo vero nome, come il monito a mantenere la sua promessa.
La promessa di aiutarlo.
La promessa che la fata si vide strappare davanti al viso quando Timmy azionò il motore, allontanandosi in tutta fretta da Fonterossa, da quella costruzione che Musa fu costretta ad osservare dalla stanza sigillata nella quale era stata rinchiusa per impedirle di fare qualche altra sciocchezza.
Strappandola al suo destino, a quelle labbra rosse che per un momento, un solo momento, aveva visto sorriderle con comprensione durante la visione dei suoi ricordi.
Il primo che l’aveva capita, l’ultimo che avrebbe potuto farlo.




Continua…

Sorpresa! Due capitoli in un giorno!
Ho deciso così perchè spezzarlo mi sembrava sbagliato visto che il personaggio di Arya, e la sua presenza nel capitolo precedente dovevano essere approfondite un pochino, ed ecco qui!
Ringrazio tutti per la lettura e la pazienza, al prossimo capitolo,
Gold Eyes

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Capitolo 8
*** Hero ***





dfnanò


“I'm just a step away

I'm just a breath away
Losin' my faith today
Fallin' off the edge today”

[…]
“I've gotta fight today
To live another day
Speakin' my mind today
My voice will be heard today”

[…]
“I'm gonna fight for what's right
Today I'm speaking my mind
And if it kills me tonight
I will be ready to die”
( Hero- Skillet)






- Tu non capisci! Io devo tornare indietro! Devo aiutarlo! – gridò per l’ennesima volta, battendo i palmi aperti sulla lastra di vetro che la divideva dal resto della navicella, ma Tecna continuava a guardarla con fermezza, incurante delle sue preghiere.
- Io devo …
- Cosa ? Correre in aiuto del Fantasma ? Avevamo pattuito due giorni, Musa, e guarda a cosa ci ha portato darti ascolto!
Tecna non urlava mai, men che meno con la sua migliore amica, ma la fata della musica capì da quegli occhi lucidi che le sue azioni avevano avuto  ripercussioni su quelli che le stavano attorno, su chi le voleva bene e desiderava tenerla al sicuro, proteggerla.
Ma Musa era anche consapevole che lei aveva dei doveri, verso Salazar, vero il suo cuore, e loro non avrebbero potuto capire il perché delle sue azioni, la causa di quel suo morboso attaccamento ad una storia vecchia di cent’anni.
Perché loro non assomigliavano ad una donna morta, non avevano provato il dolore dell’abbandono, della solitudine, non potevano comprendere la sua empatia con lo stregone.
Non avrebbero potuto.
- Io devo andare – affermò dura, stringendo i pugni quando vide Tecna scuotere il capo e mordersi le labbra con forza, tanto da farle sanguinare.
- Non te lo lascerò fare. Non sei in te lo capisci? – le urlò straziata, battendosi il petto con una mano – lui ti ha plagiata. Credo che tu sia sotto incantesimo, Musa.
L’incredulità le sformò il viso in una smorfia sofferente, ma più che la consapevolezza di non essere creduta, Musa si risentì del suo pensiero, del crederla vittima di chissà quale maleficio che la guidava a compiere azioni non da lei.
Ma per quanto le Winx fossero la sua famiglia, il suo angolo di pace, non conoscevano tutto di lei, come a sua volta la fata non conosceva ogni minima sfumatura di chi la circondava.
C’era sempre qualcosa che si teneva nascosto, persino alle persone più care,  per paura di essere giudicate, criticate, e Musa era consapevole di non poter essere sempre l’amica che ascolta e acconsente.
Non  quando era il suo cuore a pagarne le conseguenze, non quando c’erano altri a soffrire, come aveva sofferto lei in passato, che nessuno voleva aiutare e che lei poteva confortare.
- Come puoi dire questo ? – soffiò dolente, distogliendo lo sguardo con una punta di rabbia nella voce.
Tecna tese la schiena per il dolore che aveva percepito in quella frase, per il risentimento che aveva spinto Musa a volgere il capo.
- Lo dico perché non avresti mai permesso a Riven di venire ferito a causa tua.
Il dolore fu acuto, come una fitta che porta un uomo a contorcersi per allontanarlo, nel tentativo di alienarlo, ma quando Musa lo sentì, non riuscì a difendersi,  non dall’ondata di rancore che le infiammò lo sguardo, non dalla rabbia che l’aveva portata a colpire il vetro con i pugni serrati.
- Va via.
Il suo sibilo misto all’eco della  magia che le aveva storpiato la voce fu atroce, fastidioso e acuto come il grattare frenetico di unghie spezzate su una lastra di vetro, un suono da pelle d’oca.
- Io…
- Va via ho detto – sibilò ancora, dandole le spalle con un gesto secco e infastidito – non voglio dire cose che non penso.
Tecna guardò quella schiena stringendo le palpebre per bloccare le lacrime prima di avviarsi alla porta e scomparire.
E fu con la consapevolezza di essere rimasta sola che Musa allentò la presa feroce dei suoi denti sul labbro inferiore, rilasciando il primo forte respiro per contenere il dolore e farlo uscire dalle sue labbra in profonde e lente boccate.
Inutile pensare davvero di riuscire a contenerlo, in quel modo, a piegarlo al suo volere, ma con gli anni la fata aveva imparato a frammentarlo per non andare in pezzi, per l’incapacità di contenere un dolore che altrimenti l’avrebbe davvero uccisa.
Ma Tecna aveva detto la verità.
Riven era stato ferito mortalmente per colpa sua, ed era sempre lei ad accollarsi il dolore di sapersi rea di ogni suo comportamento, gesto che il più delle volte tornava come una fitta al petto, come un maledetto boomerang che non era lei a lanciare. Mai.
Eppure eccola là, con le lacrime agli occhi, imprigionata dentro una gabbia di vetro perché creduta pazza, con l’uomo che amava ad una porta di distanza in fin di vita a causa sua.
Sempre a causa sua.
Perché avrebbe dovuto lasciarlo, dargli  e darsi davvero la possibilità di dimenticare il passato, ma lei non ci riusciva, ci aveva creduto, ci aveva creduto tanto, ma i fatti parlavano chiaro.
Era stata ingenua. Era stata saccente. Era stata codarda.
E quella volta non lo sarebbe stata, non sarebbe fuggita, non da quella promessa che la spinse a sfiorare con una mano la parete metallica della navicella prima di rilasciare un lento e profondo respiro.
- Cosa succede ?
Timmy riprese il comando sterzando il volante con un gesto brusco, pigiando il bottone dell’impianto elettrico di emergenza quando quello principale sembrò andare in avaria, per un motivo sconosciuto.
- Non so, c’è stato uno sbalzo di corrente – spiegò a Sky e ai compagni quando riuscì a riprendere quota, ma questa volta fu un sonoro scoppio al motore destro a tossire fumo e a far ondeggiare la navicella.
- Timmy!
- Io non so cosa sta succedendo ! Sembra che qualcosa abbia fatto contatto nella sala macchine, io…
- Musa!
Bloom e le Winx sgranarono gli occhi nel vedere Tecna fiondarsi con quell’urlo fuori dalla cabina, sorpassando velocemente la barella sulla quale Riven  riposava con Helia a tenergli compagnia prima di battere i pugni sulla porta metallica che conduceva alla stanza di Musa.
E quando l’entrata saltò via sotto la fiamma del Drago di Bloom nessuno di loro potè trattenere un singulto di sorpresa nel vedere un buco forare il tettuccio della navicella.
Sky calpestò i frammenti della cella di vetro con sguardo duro, alzando gli occhi sul cielo notturno puntellato di stelle, e la vide passare, una scheggia colorata dai familiari capelli blu che Tecna fissò con il viso schiacciato contro il finestrino e quella domanda piantata come un paletto nella sua gola.
Perché ?
    






°°°





Fonterossa era tornata al proprio rigore militare dopo la partenza improvvisa delle guardiane di Magix, ed Aidan, che non aveva neanche potuto salutarle, non potè che smozzicare una maledizione contro il preside prima di irrigidirsi e allungare uno sguardo dalla torre che pattugliava.
Era notte fonda, e le fiaccole illuminavano ben poco, eppure  la chiazza luminescente nel cielo era ben visibile anche senza l’ausilio di una lanterna, ma pareva sfocata, inghiottita com’era dal buio della notte.
Un’isolata fonte di luce che lo specialista e il ragazzo di guardia assieme a lui guardarono con curiosità prima di sentire i passi precisi e coordinati di un gruppo di loro superiori dabbasso, studenti del terzo anno che Aidan vide uscire di corsa prima di  disporsi a fila e puntare i propri archi verso quello che, a quanto pareva, era un nemico.
Eppure c’era qualcosa di familiare in quella scheggia luminosa, il blu acceso e inconfondibile di una chioma che il ragazzo fissò ad occhi sgranati prima di affacciarsi dalla torre e urlare ai compagni di abbassare le armi.
- Fermi ! – strillò con la voce resa rauca dall’orrore, ma nessuno degli specialisti gli prestò attenzione, tendendo l’arco per colpirla, ma si videro frantumare le frecce tra le mani quando un’onda d’urto piovve su di loro con la potenza di una lastra di metallo gettata sulle loro teste.
Aidan si parò il viso per difendersi dai detriti, accucciandosi dietro il muro di cinta per non venire sbalzato via dall’onda sonora, e quando sentì un sibilo sopra la testa fece appena in tempo ad intravedere il viso di Musa prima che la fata scendesse in picchiata con tra le mani l’ennesima onda esplosiva.
L’entrata saltò in aria quando la guardiana vi cozzò contro, scatenando una pioggia di detriti nella quale passò frettolosamente prima di volare tra i corridoi urlando il nome dello stregone.
- Salazar !
- Eccola lì !
Una lancia rischiò di trapassarle l’ala, ma Musa fu lesta a ruotare su se stessa e caricare una nota esplosiva che lanciò con un ringhio contro gli specialisti, attenta comunque a non ferirli, solo a rallentarli.
- Salazar ! – urlò ancora, ripercorrendo il sentiero che avrebbe dovuto portarla alla sala principale, lì dove aveva visto il pavimento illuminarsi a contatto con la lacrima dello stregone, e la fata sapeva che quella non era una coincidenza.
Lei non ci aveva mai creduto, alle coincidenze, men che meno a quelle così palesi.
- Salazar !
- Musa !
La sorpresa di sentirsi chiamare le inondò il viso di sconcerto, ma quando la fata fu costretta a ruotare il busto per evitare una freccia intravide tra le ciocche scure l’espressione angosciata di Aidan, intento a bloccare le truppe che  le urlavano addosso “strega”.
- Non è una strega – sentì urlare ad Aidan, tornato in piedi dopo lo spintone di uno specialista.
- Invece si, Aidan. Quella donna è stata incantata. Guarda tu stesso!
Il respiro alle sue spalle fu più significativo di ogni suo sguardo, di ogni sua parola, ed anche se gli occhi dello specialista la pregavano di non voltarsi, di non lasciare che quelle braccia le circondassero la vita, Musa non potè che abbassare il capo e lasciarsi stringere.
- Dovete spostarvi – li pregò con voce bassa, avvertendo contro la sua schiena il petto freddo del ladro di anime.
- Mai. Saladin ci ha ordinato di farvi prigioniera – tuonò il più anziano tra loro, puntandole contro la propria spada.
E Musa non potè che prendere un lungo respiro, riempiendo i suoi polmoni di aria, di magia, prima di alzare bruscamente lo sguardo e fissare il ragazzino con rammarico.
- Mi dispiace.
Quando gli specialisti caddero a terra con le mani pressate sulle orecchie, Aidan fu l’unico a schiudere le palpebre e guardare il volo della guardiana di Magix e dello stregone al quale stringeva la mano, e solo lui potè leggere dispiacere in quello sguardo blu che Musa puntava con rabbia davanti a sé, per non dover guadagnarsi altre accuse sulla sua integrità, sulla sua coscienza.
Ma Aidan si accorse della piega amareggiata delle sue labbra, e potè leggere qualcosa nella mano del Fantasma che stringeva quella della fata, un bisogno di aiuto che nessuno, all’infuori di lei, gli avrebbe dato.
- Sigilla l’entrata.
Lo scatto delle serrature la  informò di avere l’attenzione e la collaborazione di Salazar, e Musa non rimuginò sul perché lo stregone si fosse fidato di lei, fatta eccezione per la somiglianza con la sua defunta amata.
Non se ne curò, non quando quella consapevolezza le avrebbe fatto storcere il naso con una smorfia contrita.
La consapevolezza di poterlo capire perché lei era stata come lui, lo era ancora, anche se lo mascherava egregiamente, e si ricerca l’aiuto dei propri simili,di chi ha toccato il fondo, quello più ributtante e cupo, prima di guardare la fine di quel tunnel e sapere di non poterlo raggiungere più, di non poter scrollarsi di dosso l’odore aspro della sconfitta.
- Deve esserci qualcosa qui sotto – rimuginò ad alta voce, inginocchiandosi sul ghirigoro intarsiato al centro della sala principale, poggiandovi conto l’orecchio per battervi sopra una nocca e sentire il suono fino alle fondamenta.
E Musa la udì, la sensazione di vuoto sotto le sue mani, nascosto in profondità.
“L’accademia presenta cunicoli, sotterranei e passaggi inesplorati e sconosciuti ai più”  le aveva detto una volta uno dei compagni di Aidan durante la loro esplorazione notturna, e quel nascondiglio doveva avere qualcosa in comune con Salazar, con la sua improvvisa comparsa, con l’inaspettata reazione a contatto con una sua lacrima.
Quando però la fata provò ad aprirsi un passaggio con un’onda si trovò distesa al suolo, con gli occhi serrati per il dolore dell’impatto contro una colonna portante quando la sua magia la scaraventò indietro.
E forse non era il momento di lasciarsi sommergere dalla frustrazione di non essere stata capita, di non essere riuscita a spiegarsi, di dover credersi pazza e sbagliata per le sue azioni, ma le lacrime le rigarono le guance senza che lei potesse evitarle, lente e silenziose si raggrumarono sul mento che poggiò con rabbia contro il petto prima di caricare le braccia di altra magia.
L’impatto quella volta le tolse il respiro, ma quando strisciò sul pavimento, stringendo i pugni e urlando di rabbia venne scaraventata contro qualcosa di meno doloroso, le braccia che le avevano impedito di riaprire quella vecchia ferita alla schiena, e lì, tra braccia che non erano vere, che non avrebbero saputo confortare nessuno, Musa si abbandonò ad un singhiozzo, coprendosi il viso con le mani per soffocare il dolore contro i palmi.
Salazar rimase immobile, con un braccio attorno alla vita della fata che teneva in equilibrio contro il petto, gli occhi d’ametista inghiottiti dal cappuccio attirati dalle lacrime che Musa provava ad asciugare in tempo.
- Io voglio davvero aiutarti.
Qualcosa scricchiolò sotto i loro piedi, un lento cigolio, come il suono di ingranaggi vecchi e arrugginiti messi in movimento, e quando la fata schiuse le dita per vedervi attraverso si stupì di scoprire una voragine in mezzo alla sala e una scalinata ripida che portava verso il basso.
E quando la fata lo sentì irrigidirsi contro di sé nel vedere quel passaggio capì che c’era davvero qualcosa di suo, lì sotto, forse i suoi ricordi, forse il racconto del passato, ma Salazar non potè scoprilo, non quando, avanzando assieme a lei, si trovò respinto da una barriera.
- Tu lo ricordi ? – gli chiese un po’ sorpresa da quella reazione, stupendosi ancora di più nel notare che lei non veniva respinta.
Lo  vide stringere le labbra rosse in una smorfia confusa, insicuro.
- Non ha importanza, vedrò di scoprirlo da me – gli assicurò gentile, discendo i primi scalini con lo sguardo di Salazar addosso, uno sguardo ansioso le suggerì la sua mente, e capì l’ansia di lui, la percepì come un brivido lungo la schiena quando si accorse che la scala si stringeva sempre di più.
C’era umidità, puzza di muffa e polvere, ma era un nascondiglio segreto, magico si corresse quando con le dita sfiorò una scia di rune che vorticavano sulle pareti come una canzone antica.
Lanciò un piccolo grido quando scivolò su qualcosa di umido e incrostato, e non potè che gemere dal dolore e massaggiarsi la schiena con la quale aveva fatto gli ultimi scalini.
Le parve di sentire il sibilo ansioso di Salazar fino a lì, ma non se ne curò, non quando ebbe quella stanza davanti.
Era una sala esagonale, piuttosto spoglia e umida, gelida per lo spiffero che filtrava da quella che doveva essere stata l’uscita ora sommersa da macerie.
La perlustrò in silenzio, starnutendo per ogni granello di polvere che inspirava, e si riscoprì sempre più sorpresa nel pensare che quel passaggio sotterraneo somigliasse al nascondiglio di due amanti.
Lo capì dagli sgabelli divorati dalle termini, dalle coperte marce ma ripiegate in un angolo, ma soprattutto, dal particolare di trovare un paio di ogni cosa.
Libi, calamai, scrivanie e piccoli scrigni incassati nella pietra,  e fu proprio verso uno di questi che Musa si avvicinò, schiudendo quello che non era chiuso a chiave, e quando vi infilò una mano sobbalzò nel toccare qualcosa di ruvido.
Quando Musa estrasse il contenuto dello scrigno non potè che sgranare gli occhi, sorpresa, passando una mano sul piccolo libricino consunto che fissò con un groppo in gola.
Poi la notò, la scritta minuscola e incisa nella copertina che le sue dita seguirono con un tremore, quattro parole che ebbero il potere di emozionarla, di farle salire agli occhi lacrime di gioia.
Arya. Quello era il diario di Arya.
- Vedo che tu sei riuscita dove io ho fallito.
La fata trasalì nell’udire quella voce lì, dove non sarebbe  dovuto essere, eppure quando Musa lanciò uno sguardo alle proprie spalle  riconobbe la testa grigia e lo scettro dorato del preside Saladin che si guardava attorno con curiosità.
Il terrore la sommerse, ma presto la guardiana si riscoprì meno atterrita  con la consapevolezza di poter dimostrare l’innocenza di Salazar con quel diario, e lo avrebbe mostrato al mago, glielo avrebbe ceduto se solo non avesse visto lo sguardo che rivolgeva alla stanza.
Lo sguardo furioso e cattivo di un uomo che vedeva attorno a sé solo spazzatura, sporcizia, qualcosa di sbagliato, di errato, che non sarebbe dovuto esistere.
La fata nascose il diario dentro il corpetto con un gesto veloce, indietreggiando inconsciamente quando il mago si decise finalmente a guadarla, e capì di aver agito bene, di dover proteggere quel segreto da quegli occhi scuri che se avessero potuto, avrebbero dato in pasto alle fiamme lei e quel luogo.
- Ho passato anni a cercare questo sotterraneo, senza mai riuscirvi, mentre a te è bastato appena un mese – pensò ad alta voce Saladin, chiudendo in artiglio la mano che poggiava sulla testa del drago dorato del proprio bastone  – e avevo ripromesso a me stesso di distruggerlo una volta che l’avessi trovato.
- No.
Musa lo trovò grottesco, lui, il suo ghigno di labbra secche e raggrinzite, ma soprattutto, lo scatto del collo con il quale aveva completamente voltato il capo.
- Non credo tu abbia voce in capitolo, mia giovane fata. Faragonda è una mia vecchia amica, e mi addolora pensare di doverle togliere una delle sue amate studentesse.
Il pericolo di quella voce, di quella frase la atterrì, la spinse a caricare una nota esplosiva che però non ebbe modo di creare, incapace di difendersi, di ripararsi da quello sguardo feroce che Saladin le riservò con un sorriso affettato.
- Qui la magia non funziona, mia piccola fata. Mia sorella, per quanto sia stata una donna stupida, era molto potente – confessò il mago con una nota di rancore, abbozzando un passo che la guardiana fissò con astio, e raccapriccio.
- Arya non era stupida – la difese, colpita lei stessa dal rancore con il quale il mago si riferiva alla sorella defunta, a quella donna che le assomigliava e che Helia aveva assicurato loro, aveva lasciato un vuoto incolmabile nel padre e nel nonno.
Ma Musa trovava vuoto solo quello sguardo e quel cuore che pompava disgusto e raccapriccio verso il sangue del suo sangue.
Saladin stirò le labbra in una linea dura, secca, raggrinzita dal freddo e dall’età.
- Ho sempre odiato questo di lei, la tua stessa cocciutaggine e il suo blasfemo interesse per quell’abominio!
A chi si riferisse il mago fu chiaro, lampante, ma la fata si stupì del senso di quella frase, di quell’interesse che,  secondo i racconti, Arya non avrebbe  avuto motivo di nutrire per Salazar, non dopo averlo respinto.
E la fata capì, comprese che c’era qualcosa di marcio in quella storia, quella nota stonata che lei aveva notato dall’inizio, perché Saladin aveva appena confessato l’interesse di Arya per Salazar, chiaramente ricambiato dallo stregone vista la sua presenza lì e la sua ricerca del suo vecchio amore.
Ma erano morti entrambi, lui in circostanze sconosciute, lei per mano del ladro di anime.
Bugie, solo bugie.
- Non appena sapranno di questa stanza, Faragonda e le Winx capiranno che io avevo avuto ragione su tutto – sibilò rabbiosa, alzando il braccio per pararsi il viso nel vederlo avanzare.
- E credi davvero che io ti lascerò uscire da qui viva ?
Lo spintone le tolse il respiro, e urlò di dolore quando si ritrovò schiacciata contro una parete, la guancia ferita dallo strofinio con il materiale granuloso conto il quale Saladin le spinse la testa, torcendole le braccia dietro la schiena.
- Ci sono segreti che non possono, non devono venire alla luce, capisci ? Ma andrà tutto bene, non devi preoccuparti.
Spiegherò io alle tue amiche il tuo valoroso tentativo di ribellarti alla violenza di Salazar – le soffiò nell’orecchio con voce rauca, raschiata dalla follia, e Musa non ebbe neanche il tempo di comprendere quanto il mago fosse disposto a sporcarsi le mani prima di sentire uno strappo alla schiena che le congelò il cervello e le fece perdere i sensi per il dolore.
Quando Salazar vide un’ombra stagliarsi sullo stretto corridoio, fremette, ringhiando per l’incantesimo che il vecchio Saladin gli aveva lanciato e che gli impediva di muoversi.
Ma la visione dell’ala luminosa gli alleggerì il respiro prima che i suoi occhi riconoscessero alla fine di questa qualcosa che non sarebbe dovuto esserci, non una mano, ma soprattutto, non il denso e viscido fiume di sangue che gocciolava sulle scale.   
- Credevi davvero che te l’avrei lasciata ?
Ci fu qualcosa di insano nel sussurro del mago, gli occhi spiritati che fissavano il Fantasma, ridenti, sgranati per la gioia di vederlo trasalire, perdere colore in viso e fissare incredulo l’ala che aveva strappato alla fata di netto.
- Ma non preoccuparti, il merito sarà tutto tuo – gli assicurò gentile, chiudendo il passaggio e sfilando da sotto la casacca un piccolo pugnale prima di gettare di lato l’ala di fata che scivolò  ai suoi piedi con un movimento innaturale, orribile, come un braccio mutilato.
- Non appena vedranno il grande Ladro di anime con le ali della fata ai propri piedi e il corpo privo di sensi del proprio preside accanto, non potranno che trovarti spregevole e orribile, come sei sempre stato, come sempre sarai.
Il fiotto di sangue che sporcò le vesti di Salazar fu corposo, e Saladin non potè che congratularsi per la precisione prima di sfilare il pugnale dalla spalla e gettarlo ai piedi dello stregone, strisciando ai suoi piedi per trovarsi esattamente sotto le sue mani.
Ma Salazar non lo guardava, non quel corpo, non quell’ala, vedeva solo il passaggio chiudersi, lentamente, davanti ai suoi occhi, senza che potesse opporvisi, senza che potesse chiamare il nome  di Musa, di quella ragazzina identica ad Arya, immobile, pietrificato dall’incantesimo e da un antico dolore, da una vecchia impotenza che lo aveva tormentato nel suo sonno eterno e che lo aveva risvegliato.
La stessa annichilente sensazione di aver perso qualcosa di prezioso e di averlo ucciso con le proprie mani, ancora una volta.





°°°


 



Quando Riven rinvenne scattò a sedere con il nome di Musa ancora  incastrato in gola, ma si costrinse a tossire per la fitta alla spalla che lo portò a piegarsi di lato per non sforzarla troppo.
- Sono contento che tu ti sia svegliato.
Helia sorrise gentile quando gli occhi dello specialista gli si puntarono addosso con la violenza che li contraddistingueva, una forza che Riven non era mai riuscito a smorzare, a trasformare in qualcosa che altri non potessero scambiare per semplice ferocia.
Ma tutto di lui sottolineava quella forza.
La mascella dal taglio netto, squadrato, che sottolineava la spigolosità dei suoi zigomi, il taglio deciso dei suoi occhi, la piega rigida di labbra dalla forma un po’ troppo geometrica, e quel fisico temprato dagli allenamenti, dalle notti passate a sferzare l’aria con la propria spada.
Una forza che Helia vide vacillare quando Riven gli chiese notizie su Musa.
- Siamo riusciti a recuperarla quando hai perso i sensi.
Lo specialista potè giurare di avergli visto fremere le pupille, come il riflesso acquoso di uno stagno smosso dal lancio di una pietra.
- Ma ? – continuò per lui, gonfiando i muscoli delle braccia, come per prepararsi alla confessione dell’insegnante di Fonterossa che sembrò voler prendere tempo.
- Ma è riuscita a scappare e a tornare a Fonterossa e … Riven !
Il tonfo del suo corpo contro il pavimento in metallo gli causò un’altra fitta di dolore, ma era nulla in confronto all’ansia che gli attanagliava le viscere.
Perché non era riuscito a proteggerla, aveva perso i sensi come un dannato principiante, aveva fallito, ancora una volta.
Helia lo risollevò con un sospiro stanco, tentando di riposizionarlo sulla lettiga.
- Non devi sforzarti così, e non devi preoccuparti. Siamo quasi arrivati, anche se ci abbiamo impiegato un pò, Musa ha fatto saltare il secondo motore – confessò infine, aspettando una reazione che ebbe, e fu  più normale di quanto si sarebbe aspettato visto che si trattava di Riven, e lo specialista non mostrava mai la propria sorpresa, o un’emozione diversa dalla noia.
- Ha fatto cosa ? – ringhiò avvelenato, battendo un pugno sulla barella per sfogare la propria frustrazione.
- Lo so, non è da lei sabotarci, ma crediamo che sia stata incantata quando ha guardato il Fantasma negli occhi. Lo ha letto Tecna nel libro che abbiamo trovato in biblioteca.
Incantata. Musa era stata incantata.
Riven ingoiò l’ennesimo ringhio quando la porta si aprì con un fruscio, facendo passare una rigida Flora che si accostò al fidanzato con passi nervosi, addolcendo un po’ il taglio severo della bocca quando si  accorse dello sguardo dell’altro specialista.
- È successo qualcosa ? – le domandò Helia con voce stranita, ricevendo dalla compagna uno sguardo significativo che Riven comprese, registrò e analizzò nella sua testa con l’imparzialità di un soldato, l’accuratezza e profondità di un guerriero.  
- Cosa hai visto ? – la richiamò Riven con voce cavernosa, irrigidendosi nel vedere la fata abbassare il capo e torcersi le mani per il nervosismo.
- Stiamo per atterrare – li avvisò lei compassata, tradendo nella voce solo un briciolo di ansia – e Timmy ci ha avvertiti della possibilità di trovare qualche problema nell’atterraggio visto la confusione che sembra regnare a Fonterossa.
La corsa alla finestra gli costò un ringhio di fastidio, ma Riven aveva patito dolori peggiori, più profondi di una stupida ferita mortale alla spalla, e quando si affacciò non potè che aggrottare le sopracciglia e risentirsi del caos che intravedeva anche da lì.
C’erano specialisti che correvano a perdifiato per il campo, richiamando quello o l’altro superiore per chiedere delucidazioni su un problema che sembrava averli gettati nel panico, un problema tanto grande da aver trasformato la rigida e composta accademia militare di Magix in un’accozzaglia informe di ragazzini spaventati.
Come le previsioni di Timmy, atterrare fu una manovra difficoltosa a causa dell’inesistente supporto da terra, ma lo specialista era pratico e avvezzo a viaggi più turbolenti, perciò riuscì a tornare a terra senza uno sforzo eccessivo.
E quando il portellone si aprì le Winx e gli specialisti capirono davvero l’entità del danno.
Non solo il panico dilagava per i corridoi, ma nessuno sembrava aver realmente capito cosa fosse giusto fare per risanare quella ferita, solo quando, in mezzo alla calca urlante, riuscirono ad aprirsi un varco verso la sala principale Bloom si irrigidì, fermando la loro goffa avanzata.
- C’è Faragonda – li avvisò la fata con voce nervosa.
- E l’ispettrice Griselda – continuò con sempre più ansia Aisha, stringendosi a Nabu quando gli occhi di tutti loro si puntarono sull’uomo di mezza età che la preside Griffin stava curando con la magia.
E il tempo di chiedere spiegazioni non ci fu.
Ma l’ispettrice Griselda, che li aveva riconosciuti e  visti avanzare aveva inforcato di fretta gli occhiali poco prima sfilati per massaggiare le palpebre stanche prima di  porsi loro innanzi e fermarli con una mano.
- Non potete proseguire – ordinò loro con una voce che avrebbe dovuto essere neutra ma che  le uscì bassa e stanca, un particolare che gettò le Winx nel panico.
- È successo qualcosa a Musa ? – chiese Tecna con voce strozzata, ricevendo in compenso uno sguardo acido della preside Griffin quando la strega si alzò da Saladin con espressione dura.
- Ora non è il momento dei  vostri piagnistei – le rimproverò con ferocia, ma una mano di Faragonda sulla sua spalla la convinse a lasciare alla fata la responsabilità di avvisare le sue ex allieve dell’accaduto.
- Dovete essere forti ragazze – cominciò la donna con voce seria, notando l’ondata di terrore che aveva fatto sbiancare le guardiane – Non sappiamo ancora cosa sia successo di preciso, ma vi prego di non farvi prendere dal panico.
- Credo che dovresti informarle, Faragonda, della possibilità di non rivedere la loro povera amica.  
Riven fissò il suo preside, il mentore, il suo maestro con occhi increduli, spaventati, non di quello che sarebbe dovuto essere il guerriero più forte di Fonterossa, ma di un uomo che ha paura di scoprire la verità.
Saladin tornò in piedi con un gemito, soccorso da alcuni suoi sottoposti che lo aiutarono a non cadere prima che il mago guardasse con aria mortificata quei visi bianchi per l’orrore.
- Ho cercato di proteggerla – ammise il mago con voce bassa, dolente, scuotendo il capo con un gesto rammaricato – ma Salazar era troppo potente per …
- Lei dov’è ?
Le Winx, le presidi, l’ispettrice Griselda, lo stesso Saladin, nessuno riuscì a frenare il brivido di paura corso lungo la colonna vertebrale nel sentire il sibilo basso di Riven, la mascella contratta e gli occhi ridotti a due schegge di luce viola.
Lo specialista la cercò con lo sguardo, lei e quei suoi occhi blu sempre così gentili, comprensivi, poi lo vide, lo udì, il pianto singhiozzante di un ragazzino dai bizzarri capelli verdi.
E quando Riven scansò l’uomo con poco garbo le Winx lo seguirono a ruota, sussultando violentemente quando videro cosa Aidan tenesse tra le braccia.
Non un corpo, non il viso smorto della loro amica, ma un’ala, una  fragile e colorata ala di fata che Riven riconobbe con un colpo al cuore prima di alzare lo sguardo su Salazar, il ladro di anime, che gli specialisti avevano accerchiato.
- No. No, no, no. No !
Fu Tecna la prima a rompere il silenzio, ad infrangere la cappa di incredulità che esplose tra  loro assieme alle sue urla di disperazione mentre Stella crollava in ginocchio con le lacrime agli occhi e Flora scoppiava in singhiozzi.
Sky fece appena in tempo a vedere Bloom tremare violentemente prima di reggerla e impedirle di farsi male.
Aisha si limitò a coprirsi il viso con le mani per non guardare, per non vedere, per non sentire il cuore andarle in pezzi nel petto mentre Riven altalenava il proprio sguardo dallo stregone, immobile al centro di un cerchio magico, all’ala di fata ai suoi piedi.
Ma lo specialista vide solo il sangue, tanto, troppo sangue, una scia che tinse la sua mente e i suoi occhi di rosso.
Lo stridio della spada contro il pavimento fu doloroso per l’orecchio di chi gli era vicino, ma Riven, finito carponi dopo essersi avventato sul Fantasma e averlo attraversato non potè che tornare in piedi con lo stesso suono, facendo strisciare la lama che alzò ancora e a ancora, correndogli attraverso, finendo sempre col cadere.
E continuò così, una, due, tre volte prima che la ferita alla spalla gli strappasse un gemito di dolore che gli impedì di mantenere una presa salda sulla spada che scivolò via prima che lo specialista cadesse contro una colonna, le gambe divaricate e rigide per lo sforzo, le mani abbandonate su quel petto che sentiva muto.
“- Ho pensato molto a quello che è successo e …  ho deciso che sarebbe meglio prenderci una pausa”.
Si prese la testa tra le mani con un ringhio di frustrazione, strizzando gli occhi per cancellare la figura ingobbita di fronte a lui, quell’espressione ferita e rammaricata che sognava ogni notte da tre anni.
E lui avrebbe voluto gridarle che non avevano bisogno di una pausa, che non sarebbe servito a nulla se non a ferire entrambi, a rendere penoso il suo tentativo di proteggerla da se stesso, da quell’orrore che covava nel petto e che segnava la schiena di Musa.
“ - Mi biasimeresti se lo fossi ? Credi che ciò che è successo non mi abbia fatto male ?”
Riven seppe di stare per crollare, di non riuscire più a raccogliere i cocci sbilenchi che componevano il suo cuore, perché non c’era più niente a tenerli su, non la consapevolezza che anche senza di lui, lei sarebbe stata felice, non il pensiero di saperla al sicuro dai pericoli, da lui.
Perché lui le aveva fatto male, tante, troppe volte per contarle, per enumerare le cicatrici che le aveva lasciato nell’anima, su quel corpo fragile che tremava ogni volta davanti alla sferzata del suo sguardo che esigeva durezza e strafottenza.
Che era tremata anche quella sera e che era indietreggiata, con l’orrore nello sguardo, con la paura.
Paura di lui, di quel mostro verde che si ripresentava a chiedere il conto di ogni sua azione, ridendo dei suoi tentativi di essere migliore, di sembrarlo, di credersi tale.
“ -  Credi che tutto sarebbe tornato alla normalità, una volta tornati ad Alfea ?
 “  - Credi che non mi sia sentita morire quando ti ho visto ubbidire ai comandi di Mandragora ? Credi che il tuo tradimento non mi abbia ferita, Riven ?”
Non lo aveva mai creduto, neanche una volta, perché non era così stupido da esigere quel sacrificio, non da lei, non in quel modo. Non quando l’aveva vista davvero morire dentro. Non quando sapeva di aver ucciso entrambi, se stesso e lei.
“  - Spiegami allora! Spiegami”
Ma lei non avrebbe capito, non avrebbe compreso la complessità del suo cuore, il grigiore della sua anima, il marciume del suo spirito, l’orrore del suo cuore, di quell’anima nera che lo portava a ferire, a distruggere ogni cosa buona nella sua vita.
Perché non la meritava, né lei, nè il suo amore. Non lo aveva mai meritato.
“ - Capisci allora che una pausa non può che farci bene.  Forse, se stiamo lontani per un po’, noi …
“- Cosa vuoi dire ?”
Lo aveva avvertito anche lui, il suono di qualcosa che cade e va in pezzi, perché li aveva visti, quegli occhi blu velati di lacrime infrangersi come un vetro rigato dalle sue mani, dai suoi  tentativi di romperli, di farle vedere la mostruosità del suo essere, l’ineluttabilità del suo destino.
E non l’avrebbe portata con sé in quella caduta, non l’avrebbe trascinata, non sarebbe stata la sua zavorra.
 “- Non parlare come se la cosa non ti riguardasse !”
Quando una mano si poggiò sulla sua spalla Riven si spezzò, un misero contatto con l’esterno che lo aveva catapultato in una realtà peggiore di ogni suo incubo, di ogni sua notte passata a rotolarsi tra le lenzuola sudate con il ricordo della sua spada che affondava nella carne tenera di quella schiena bianca.
- Mi dispiace.
Ma non trovò conforto in quella frase, non l’avrebbe trovata più, da nessuna parte.
Perché tutto quello lo riguardava, lei, lo avrebbe sempre riguardato.
Ogni sua azione, ogni sua lacrima, ogni sua ala spezzata.
Lei sarebbe stata una cosa sua, ma accettarlo ora non sarebbe importato, non avrebbe avuto senso, avrebbe solo aggravato il rimorso.
Il rimorso per non essere stato abbastanza forte da difendere entrambi.
Il rimorso di averla amata, sempre, ma di non essere mai riuscito a dirglielo, di non essere mai stato normale.
Il rimorso di avere di lei, come ultima immagine, un  viso inondato di lacrime e un sorriso spezzato.


Continua…
 

Quatti quatti ci avviciniamo alla fine, con la speranza di riuscire a concluderla degnamente.
Pochi capitoli alla fine che però saranno molto più lunghi dei precedenti vista la molteplicità di avvenimenti trattati.
Un saluto, Gold Eyes

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Capitolo 9
*** Sometimes ***





bskbfnl

“Sometimes I don't wanna be better

Sometimes I can't be put back together
Sometimes I find it hard to believe
There's someone else who could be
Just as messed up as me “


[…]
“Sometimes don't deny
That everything is wrong
Sometimes rather die
Than to admit it's my fault “
[…]

“Sometimes I can't hide
The demons that I face
Sometimes don't deny
I'm sometimes sinner, sometimes saint”
( Sometimes – Skillet )








Lo squittio di un topo fu il primo suono che la riportò alla realtà, poi ci fu dolore, e una devastante sensazione di soffocamento al petto pressato contro il pavimento impolverato.
E quando Musa riuscì a schiudere le palpebre trovò difficoltoso fare anche quello, e respirare, perché ad ogni movimento delle sue costole una scarica di fitte dolorose le agguantava il fianco e la schiena.
Impiegò più tempo del necessario per riconoscere la sala esagonale, la puzza di muffa, ma soprattutto, l’odore acre di quel sangue viscoso sul quale era distesa.
Il sangue che ben presto la fata si accorse, non senza un conato di vomito, che fluiva dalla sua schiena, in silenzio, gettando qualche spruzzo scarlatto sulle gambe divaricate.
Doveva essere rimasta priva di coscienza per molto tempo, forse un giorno a giudicare della grandezza della chiazza sotto di sé, e Saladin doveva aver richiuso il passaggio vista l’assenza di luce del sotterraneo.
Ma era la sensazione di soffocamento al petto a toglierle lucidità, la pressione esercitata dal diario di Arya che nella caduta le aveva schiacciato il seno, proteggendola però  da un impatto che avrebbe fatto più male.
Poi Musa li udì, dei passi sopra la sua testa, molti, troppi  passi per essere quelli delle guardie, e la consapevolezza di aver lasciato Salazar da solo con il preside le fece cacciare un grido di frustrazione che soffiò via uno sbuffo di polvere dalle sue braccia.
Eppure, per quanto provasse a muoversi, a tornare in piedi, il dolore non glielo permetteva, né quella sensazione di squilibrio del suo corpo, come se avesse perso un pezzo, e quando la fata riuscì a torcere il collo per guardare le scale inghiottì un gemito di disperazione nel vedere lo squarcio verticale sulla schiena, lì, dove sarebbe dovuta esserci l’altra ala.
L’orrore, l’incredulità di sapersi mutilata di una parte essenziale del suo corpo le tolse il respiro, la voce per esprimere il suo sconcerto, il suo raccapriccio nel capire cosa il preside di Fonterossa le avesse fatto, le avesse tolto.
Ma fu un’altra consapevolezza a gelarla, la consapevolezza di sapere a che pro l’uomo gliel’avesse strappata, pechè Salzar, secondo i racconti, amava strappare le ali delle fate, e avrebbero incolpato lui, l’avrebbero accusato ingiustamente, e lei non poteva fare nulla per impedirlo, non in quelle condizioni.
Quella sensazione di impotenza le fece salire le lacrime agli occhi, la costrinse a trovare sfogo nelle labbra che morse a sangue per non urlare, ma l’orrore le gonfiò la gola delle sue grida, dei suoi strilli di disperazione, di rabbia, di frustrazione.
Perché lo avrebbero ucciso, distrutto per il solo motivo di averle fatto del male, e nessuna delle Winx avrebbe provato pietà per lui, l’ assassino, lo stregone crudele, lo stregone che però l’aveva difesa, e che si era fidato di lei, che le aveva ceduto la sua mano, la sua attenzione, pur non conoscendola, pur non sentendo nessun legame con lei.
E lei che era l’unica a poterlo aiutare, a poterlo salvare, non poteva fare niente, nulla.
Quando la voce le venne meno sgranò gli occhi per l’incredulità, tossendo per ritrovarla, per riscoprirsi almeno capace di sfogare il proprio, di dolore, ma tutto ciò che le sue labbra rilasciarono fu il suono roco di una donna senza voce.
Dimenarsi in preda alla rabbia fu naturale, fu necessario, anche se la ferita singhiozzava sangue, anche se il dolore le raschiava il petto in cerca di altra voce da assottigliare e rendere incomprensibile,   poi il bruciore al petto si fece acuto, tanto doloroso da costringere Musa a rotolare su un fianco per trovare riposo da quell’orrore.
E quando il diario di Arya rotolò via dal corpetto la fata non potè che ritrarsi, spaventata, nel vederlo aprirsi con uno strattone, scoprendosi  attirata  da una voce che sibilava tra le pagine voltate dall’aria, dalla magia, mentre i suoi occhi si facevano vacui, lontani, e quel canto di donna le raccontava una storia antica, che solo lei avrebbe capito e accettato.
La storia di un amore tragico che solo lei avrebbe potuto riscoprire, in cerca di una verità, di una pace che l’anima di Salazar ed Arya non sarebbero mai riusciti a trovare.
 







°°°







- Svelti. Sbrigatevi con quelle catene magiche – li aggredì la voce aspra di Saladin mentre gli specialisti provavano a non mostrarsi a disagio nel trovarsi tanto vicini al fantasma, ma la consapevolezza di poter essere vittime della sua decantata crudeltà rendeva i loro movimenti goffi e scoordinati, tanto che Helia dovette offrirsi volontariamente di sistemarle al posto loro.
- Anche se fosse libero non cambierebbe nulla. Sembra che non voglia combattere.
Il preside di Fonterossa torse il collo con un sorriso affettato, seguendo il profilo morbido di  Tecna, braccia conserte e sguardo vitreo che scandagliava la figura immobile di Salazar con lucida fermezza.
- La sua è una tattica, mia giovane fata. Salazar era uno stregone furbo e potente, e il suo spirito, benchè indebolito, è una minaccia – la avvisò accomodante, invitando il nipote ad assicurasi del perfetto accostamento dei cerchi magici che la preside Griffin aveva tracciato per immobilizzare lo spirito, così da poterlo  esorcizzare.
- Eppure non credo sia stato lui ad aggredire Musa.
Tecna lo colse distintamente, con la mente analitica che le aveva salvate da innumerevoli tranelli ed inganni, il sussulto che aveva fatto tremare l’occhio ostile di Saladin, lo registrò con eccessiva calma, esaminandone  la causa con prudenza.
- E da cosa lo avresti dedotto, mia cara ?
La fata rilasciò un braccio per indicare il mantello di Salazar, le macchie di sangue che gli puntellavano i piedi, scivolando sul pavimento anch’esso chiazzato di rosso.
- Dalle angolazioni delle macchie. Se il Fantasma avesse aggredito Musa, le sue mani, innanzitutto, sarebbero sporche di sangue e…
- Potrebbe averle lavate con la magia – la interruppe il mago con voce saputa, guardando assieme a lei il quadro generale che la fata stava tessendo.
- Salazar è una creatura infida e …
- Troppo intelligente per farsi imprigionare così facilmente da noi, preside. Non è stato lei a tessere le lodi sulla sua furbizia ? – lo interrogò Tecna con voce bassa e grave, avanzando di un passo per accostare il fantasma – e invece, stranamente, si è lasciato catturare con troppa facilità. Non lo trova molto strano ?
Saladin resse lo sguardo saccente della fata con occhi severi, preferendo riportare l’attenzione sul nipote che però sembrava avvalorare l’ipotesi della Winx.
Il mago capì allora che avrebbe potuto trovare sostegno solo nel suo pupillo, nello specialista più promettente che avesse mai avuto l’onore di addestrare di propria mano, l’uomo in alta uniforme che teneva la punta della propria spada a contatto con la giugulare pulsante di Salazar, così da tranciargliela di netto nel caso di una sua possibile fuga, e la catena che gli imprigionava i polsi stretti nella mano sinistra.
- Concordi con me Riven, non è vero ?
Lo specialista non scostò lo sguardo dal viso che fissava con gelida furia, stritolando tra le dita il freddo metallo delle catene prima di lanciare uno sguardo a Tecna che chiedeva un sostegno, un aiuto che lui non aveva mai concesso a nessuno per semplice inerzia.
- No – negò, duro, affrontando l’espressione severa del preside con sfrontatezza – io stesso ho trovato delle macchie di sangue che filtrano sotto il pavimento, perciò credo che qualcun altro l’abbia aggredita, e che soprattutto, lei si trovi in qualche cunicolo sotterraneo a noi sconosciuto – concluse pragmatico, tornando a sorvegliare il Fantasma con l’irremovibilità di un soldato posto a guardia dei cancelli degli inferi.
- Per questo le Winx e i suoi studenti si sono allontanati, la stanno cercando – continuò per lui Tecna, cercando nello sguardo cupo del preside un  tentennamento, un cenno di debolezza che potesse avvalorare le sue ipotesi.
Perché Tecna non aveva mai dubitato del suo sesto senso, soprattutto se era la sua capacità innata di risolvere enigmi a poter garantire il ritrovamento di Musa che non era stata uccisa, non poteva, non doveva.
- Io credo, mia cara fata, che il vostro sia una perdita di tempo. Dovreste prendere in considerazione la possibilità che la vostra amica sia rimasta vittima di Salazar – convenne il mago con voce sepolcrale, incurante del pallore della fata, o del lieve tremolio della spada che Riven si trovò a stringere con tanta forza da far sbiancare le nocche.
Una reazione che Saladin trovò patetica da quello che sarebbe dovuto essere il suo fiore all’occhiello, il cavaliere senza macchia che rendeva il mago fiero di averlo istruito personalmente, e la constatazione di trovare dei buchi nella ferrea disciplina impartitagli lo irritò, tanto che il mago lo accusò con lo sguardo di  essere un debole.
Una debolezza che non avrebbe dovuto avere, non dopo tutti quegli anni di duri allenamenti, non con una tempra come quella di Riven, un uomo tanto forte quanto acuto, il pupillo che si vedeva portar via da una donna, una misera fata che lo rendeva debole e insicuro come uno scolaro al suo primo giorno di addestramento.
- Non dimenticate che costui ha ucciso la mia amata sorella Arya.
Riven brandì l’elsa con uno scatto nervoso che fece impallidire Tecna mentre Helia indietreggiava nel vedere le catene piantate nel terreno tremare al movimento impercettibile di Salazar, il lieve irrigidimento della mascella che aveva portato il fantasma ad abbassare lo sguardo su di loro, dopo aver fissato il vuoto per un tempo incalcolabile.
E quando Riven intravide il luccicore di occhi che sembravano tanto quelli di un rettile non indietreggiò, non si fece assalire dalla paura che aveva fatto sobbalzare Helia, si limitò a gonfiare i bicipiti del braccio destro per avere una presa più ferma e sicura.
Perché avrebbe potuto avere lo sguardo di Satana, ma non lo avrebbe lasciato libero, non gli avrebbe permesso di fargli del male, non più di quanto gliene avesse già fatto.
- Osi ancora sfidarmi ? – gli sibilò Saladin ad un palmo dal viso, impietrito però dal respiro dello stregone che si era chinato su di lui, facendo tintinnare le catene che gli cingevano i polsi sottili.
Tutto ciò che Salazar si lasciò sfuggire fu un ringhio, un basso e cupo rantolo che racchiudeva l’odio di una vita, il rancore di una pace mai avuta, neanche nella morte.
E quando la testa del bastone del mago si illuminò, una scarica di scintille violacee zampillò all’interno del cappuccio, sferzando il viso che Salazar non ritirò, neanche quando l’odore di carne bruciata cominciò a soffiargli sotto al naso assieme al rivoltante scrostarsi dell’epidermide attorno alle labbra.
Eppure lo stregone non indietreggiò, si limitò a mettere in mostra una dentatura aguzza, lucida come il metallo più ricercato, mentre Riven guardava di sottecchi la reazione del suo maestro che serrò le labbra per lo sdegno.
La vampata di calore che scaturì dal bastone costrinse Riven ad indietreggiare, e quando Salazar crollò a terra con il corpo lambito dalle fiamme Saladin si ritrovò a sorridere beato di quella resa che però il mago non ebbe il tempo di saggiare quando vide lo stregone tornare ad alzare il capo, come il più sfrontato dei condannati a morte.
Un atto di pura follia se si teneva conto del dolore che doveva fargli tremare le membra inghiottite dal fuoco magico, ma Salazar il ladro di anime sorrideva, grottesco e inquieto come poche cose lo erano a quel mondo, folle e spietato come il più recalcitrante dei prigionieri.
- Credi che possa avere pietà di te ? – rantolò il mago con la voce raschiata dalla furia, ingigantendo la fiamma che inghiottiva quel corpo evanescente per farlo accartocciare come un lurido pezzo di carta dato in pasto alle fiamme del suo odio, ma Salazar non abbassò lo sguardo, continuò a sorridere, fino a quando la sua stessa gola non venne raschiata dal suono di una risata.
Una risata bassa e vibrante che fece tremare l’intera sala, portando Tecna a indietreggiare inconsciamente prima che il braccio del mago calasse  come una mannaia sul capo dello stregone, picchiandolo con tanta rabbia da far temere lei stessa di avere il capo sanguinante.
Ma lo stregone rideva, di lui, del patetico uomo che urlava il suo sdegno, la ripugnanza di averlo davanti, di saperlo ancora in vita dopo il suo tentativo di distruggere lui e quella stupida di Arya.
Lui e quell’infatuazione oscena che avrebbe gettato lordura sul nome della loro famiglia, su di lui, su tutta la sua stirpe.
- Basta ! Lo ucciderai ! – urlò Helia nel vedere il nonno colpirlo ancora e ancora, macchiando se stesso e la divisa di Riven di alcune macchie di sangue prima che Salazar inghiottisse la sua risata con un sussulto sorpreso e tornare in silenzio.
Un silenzio intervallato dagli orribili schiocchi del bastone abbattuto con forza sulla testa dello stregone, un silenzio che un sibilo lontano e acuto squarciò con l’orrore di una voce sconosciuta, uno sparo di corde vocali rotte dal pianto che colpirono la sala come il lancio frettoloso di una mina vagante.
E quando l’urlo pieno e vibrante di quella voce tuonò tra di loro, Saladin, sbalzato via da quell’onda acustica non potè che risollevare il viso con l’orrore celato nello sguardo nel vederla, lei, la piccola fata che teneva le braccia tese ai lati del volto mentre le sue labbra inghiottivano l’ultimo alito di quell’urlo straziato.
- Musa ?
La fata della musica si impose di non essere troppo frettolosa nello schiudere le palpebre, di non sfidare troppo la sorte e la magia che l’aveva portata fino a lì, la potenza della sua voce che l’aveva disintegrata in piccole particelle acustiche per fuggire dai minuscoli vuoti tra le rocce ammassate della seconda entrata del passaggio, un incantesimo che le era costato altro dolore, altro sangue, ma quando Musa si trovò a fissare lo sguardo angosciato di Saladin non potè che accettare tutto quel dolore.
Perché era arrivata in tempo, era riuscita a proteggere Salazar, e lo avrebbe salvato, da quell’uomo che da terra si riscoprì a fissarla con odio malcelato prima che le sue mani si riempissero di bombe sonore nel vedere il mago caricare il proprio bastone per colpirla.
Ma il fascio di luce non ebbe il tempo di raggiungerla, schiantatosi contro la lama che le si era parata davanti al viso prima che gli occhi blu della fata seguissero i muscoli guizzanti di un braccio che riconobbe per le vene pulsanti e i calli di mani troppo grandi e ruvide per poter dare un senso di dolcezza al tatto.
Eppure lei l’aveva sentita ugualmente, la dolcezza di quelle mani che sapevano anche ferire, e di uno sguardo che Riven ammorbidì nel voltarsi nella sua direzione con un sospiro tremulo che le inondò gli occhi di lacrime.
Ma ciò che la sua gola emise fu un verso roco, incomprensibile, un richiamo che però lo specialista accolse con un sorriso, il primo sorriso che Musa vedeva tendere quel volto tanto duro dopo quasi tre anni.
Un sorriso che profuma di casa e di un rifugio che l’avrebbe accolta con dolcezza se solo quella voce non fosse tornata a urlare oscenità.
- Cosa fai Riven ? Non capisci che è sotto incantesimo ? Salazar le avrà fatto il lavaggio del cervello ! Devi ucciderli! Devi … - gorgogliò Saladin con voce possente prima di sputare sangue a seguito della nota esplosiva che Musa gli aveva gettato contro con occhi lucidi di rabbia e rancore. Ripugnata dalle menzogne che l’uomo eruttava con boria.
- Musa ? – la richiamò Tecna con voce tremante, e quando la fata riuscì a incrociare lo sguardo blu dell’amica non lesse menzogna in quegli occhi, solo un bisogno bruciante di essere capita, di essere ascoltata, creduta.
E Tecna non si sarebbe permessa di ferirla ancora, non un’altra volta, ma non potè che singhiozzare un gemito nel vedere Musa ondeggiare su se stessa prima di scivolare indietro.
I palmi che la afferrarono per gli avambracci  erano freddi, erano lisci, e quando la fata torse il collo con gli occhi appannati dal dolore si riscoprì con il cuore in tumulto nel trovare il viso di Salazar ad un centimetro di distanza prima che il ricordo di quello che aveva visto, di quello che aveva udito la spingesse ad allacciargli le braccia alla  vita con un singhiozzo disperato.
E su quel petto liberò il pianto silenzioso che aveva trattenuto in gola durante il racconto Arya, di quel libro nascosto nel corpetto che estrasse con un sorriso tremulo e il viso rigato di lacrime nello scostarsi un po’ da lui.
Salazar guardò la sua schiena e la spalla spruzzata di sangue, il viso impolverato e umido di lacrime, quel sorriso che tentava strenuamente di non spezzarsi prima di raggiungere con lo sguardo le mani che gli tendevano un oggetto piccolo e consunto, un minuscolo diario alla fine del quale lo stregone lesse quattro parole incise nella copertina.
Dalbhach  mimò Musa con le labbra, rilasciando un sospiro tremolante quando sentì il palmo freddo di Salazar accostarsi alla sua guancia, accarezzandola dolcemente con il pollice mentre il corpo dello stregone veniva irradiato da un lampo scarlatto che concretizzò il suo tocco, rendendo le sue membra più solide, il suo viso più chiaro, la sua voce più calda e virile di quanto Musa ricordasse.
Quando le Winx raggiunsero Tecna nessuna di loro riuscì a trattenere un singulto sorpreso nel vedere il cappuccio scivolare sulle spalle del Fantasma mentre una mano dello stregone reggeva Musa contro il petto prima di accarezzare la schiena e portare via tra le sue dita il dolore della ferita magicamente cicatrizzatasi sotto gli occhi increduli di Riven, impietrito dal sorriso caldo dell’uomo che stringeva la fata come un delicato fiore.
Uno sbuffo di capelli dorati le accarezzò il viso quando Musa riuscì a schiudere le palpebre con lentezza prima di sentire il richiamo di Riven e delle sue compagne accompagnare il boato con il quale Salazar la portò via con sé, lasciando alle spalle di entrambi sguardi stupiti e il ringhio sommesso di un uomo incredulo di fronte ad una storia che tornava a ripetersi.
Eppure questa volta non vi fu titubanza, diffidenza per ciò che avrebbero dovuto affrontare, e quando Riven salì per ultimo sulla navicella con le urla di Saladin ad ordinargli di rientrare lo specialista non potè che rinfoderare la spada e partire assieme alle fate alla volta della dimensione Oscura.
Lì dove il più grande stregone di Magix aveva dimorato per decenni, in un castello diroccato dove una fata  veniva distesa con delicatezza in un letto vecchio di anni, inutilizzato da secoli, vegliata da un uomo alto ed elegante che la guardò dormire da sopra la sua vecchia poltrona chiazzata di sangue.
Lo sguardo d’ametista che rubava l’anima ma che Musa era riuscita a fare proprio con quel sussurro con il quale prima di lei Arya aveva accettato il peso di un amore che l’aveva portata alla morte.







°°°




 
     
Era inghiottita dal buio, un buio denso e gelido nel quale una voce di donna tornava a sussurrare ininterrottamente la stessa identica frase.
- Devi aiutarci.
- Ma come ? – ripetè Musa per la terza volta, urlando al buio quel quesito che continuava a non ricevere risposta.
- Devi aiutarci  – tornò a supplicarla la voce debole di Arya, una brezza gelida che le vorticava attorno assieme alla sensazione di essere toccata, sulla spalla, sul ventre, come in cerca di calore.
Tocchi fuggevoli, impalpabili come la scia cerulea che calpestava per non perdersi nel buio della sua mente, la via tracciata per condurla da quella donna che agonizzava la pace della sua anima.
- Devi aiutarci.
Musa si prese la testa tra le mani con un gemito di frustrazione, strizzando le palpebre per non vedere quella desolazione attorno a lei, per non percepire il vuoto nel quale cercava qualcosa da aggiustare, da rimettere in sesto.
Ma oltre alla sua figura solitaria e la voce flebile di Arya era sola, sola con se stessa e con quel cuore che le stava andando in pezzi per la disperazione di quel richiamo.
- Tu devi aiutarci.
Questa volta la voce non le giunse come un’eco indistinto, ma come il sussurro cospiratorio di una compagna d’avventure, e quando la fata schiuse le dita per allungare un’occhiata alla sua destra non potè che sobbalzare, spaventata e sorpresa di vederla.
Arya.
Era bella come nella foto, tinta d’azzurro e nero, una chiazza bicolore che rimarcava la tonalità chiara dei suoi occhi, l’evanescenza di quel corpo fatto d’aria e spirito, e il sorriso sincero con il quale le tendeva entrambe le mani.
Musa le prese inconsciamente, spinta dal bisogno di rassicurarla, di rassicurare entrambe che tutto sarebbe andato bene, che si sarebbero salvati, ed anche se guardare se stessa un po’ più vecchia era strano, la consapevolezza di essere nel posto giusto la convinse a ricambiare il sorriso e stringere la presa su quei palmi d’aria e spirito.
- Ho aspettato questo momento per un secolo intero – le sussurrò Arya con voce gentile, accettando la sua sorpresa con un sorriso ancora più dolce.
- Tu sapevi che sarei venuta ? – la interrogò lei, confusa, ritrovando in quegli occhi tanto identici ai suoi il rammarico e la comprensione per un destino che Arya aveva visto poco prima di morire, poco prima di venire tradita e di tradire l’amore di una vita.
Annuì con decisione, rafforzando la presa sulle mani della fata che chiedeva risposte ai suoi quesiti, alla venuta di Salazar, ma soprattutto, supplicava la risposta ad una domanda che avrebbe salvato il suo cuore dal baratro di disperazione sul quale era in bilico.
- È stato lui ad ucciderti ?
Quello di Musa fu un verso strozzato, dettato dal terrore di sapere e sentire il cuore andarle in frantumi assieme alla speranza di salvare lo stregone e se stessa, ma quando vide Arya schiudere le labbra per poi stringere gli occhi, come in preda al dolore, capì che non poteva rivelarlo.
Perché le fate veggenti non potevano rivelare il proprio destino, non potevano corromperlo, non loro, non chi poteva vedere, e Musa accettò quel tabù con un sospiro di sconforto prima di sentire una mano di Arya sollevarla il viso con dolcezza.
- Non tutto è ciò che sembra, giovane fata. Capirai presto che è più facile credere in una bugia che cercare la verità in fondo allo sguardo di chi ci parla.
C’era qualcosa di estremamente materno nella mano di Arya sul suo viso, una sensazione che Musa non aveva mai potuto saggiare e che riscopriva in una sconosciuta che era destinata ad aiutare.
- Nel nostro mondo non esistono le coincidenze – continuò poi con voce grave, distogliendo lo sguardo sulle oscurità che le circondavano – e non tutti riescono a trovare nel buio la propria luce.
Quando Arya tornò a guardarla le parve di rivedere se stessa, una ragazzina spaventata ma sicura di aver trovato l’amore di una  vita, di dover lottare per conquistarlo, e farsi accettare per quello che erano entrambe.
Donne che amavano uomini sbagliati, maledetti da un destino di tenebre e sussurri inquieti che li rendevano pericolosi quanto e più delle creature che dimoravano nelle ombre.
- Tenterà di sviarti, di allontanarti da lui, ma tu non devi permetterglielo, non puoi, non dopo aver scoperto il suo vero nome.
Dalbhach.
Musa lo aveva sussurrato inconsciamente, ma capiva dallo sguardo serio di Arya che quella parola racchiudeva più potere e più significato di quanto potesse immaginare.
- Gli stregoni come lui non rivelano mai il proprio nome – le spiegò infatti lei con voce gentile – perché ciò li renderebbe succubi e schiavi dei custodi del loro segreti – confessò Arya con una punta di dolcezza, di amore, soffiando sul viso di Musa un alito di calore che le imporporò le guance per la gioia.
Perché era stato Salazar a confessare il proprio nome ad Arya, lo aveva letto nel suo diario, era stato lui stesso a rendersi succube di lei, suo schiavo, era stato lo stregone a cederle il suo cuore e la sua anima tra le mani, e lei avrebbe scoperto perché quel cuore Arya non fosse riuscito a proteggerlo, a difenderlo dal mondo.
- Lo aiuterò – le assicurò con fermezza, stringendole le mani per farle sentire il suo sostegno, la sua solidarietà, ed Arya non potè che cingerle il capo tra le braccia e accarezzarle la testa con dolcezza.
- Walpurgis. Ricorda questa parola quando ti sveglierai – le sussurrò lo spirito in un orecchio mentre il buio si diradava, inghiottito da una nube di luce evanescente che rendeva il tocco di Arya sempre più indistinto, più lontano.
- Ricorda.
Quando Musa aprì gli occhi vide rosso, un rosso borgogna striato d’oro e con macchie di muffa un po’ qua e là prima che gli occhi blu della fata scendessero sulle lenzuola ruvide che la ricoprivano fino ai fianchi.
Poi riconobbe la luce dell’alba smorzata dalle pesanti tende nere, tanto spesse da camuffare il chiarore del giorno nel bagliore morente del crepuscolo, una falce di luce morbida che bagnava il profilo elegante di un uomo con il viso poggiato sulle nocche di una mano.
-Chi sei ?
La dentatura aguzza che luccicò nel buio la fece trasalire per la paura, perché l’uomo sedutole di fronte aveva una bocca grande, dalle labbra sottili e di un acceso rosso porpora.
Fu però quel particolare a tranquillizzarla, e a calmare i battiti impazziti del suo cuore.
- Salazar ?
La risata di gola dello stregone la colse in contropiede, perché lei era abituata ai suoi sussurri deboli, al tono supplichevole e disperato della sua voce, non a quella risata cattiva e bassa come l’unghiata feroce di una fiera stuzzicata.
- Ben svegliata mia piccola fata della musica – la accolse l’uomo con voce canzonatoria, continuando a fissarla con quegli occhi ametista che Musa fissò con attenzione, serrandoli per riconoscere altri particolari di quel viso inghiottito dal buio.
La stanza nella quale si trovava puzzava di chiuso, di muffa, e lo stregone sembrò notare il movimento impercettibile del suo naso che si arricciava, poiché lo vide scivolare elegantemente verso la finestra, afferrando con forza le pesanti tende nere.
E quando la luce del sole la colpì in pieno viso Musa non potè che schermarsi il viso con una mano, soffocando un gemito di dolore nel cozzare con la schiena contro la testata del letto nel suo debole tentativo di trovare riparo da quella luce così accecante.
Poi i suoi si abituarono piano piano alla luce del sole, al chiarore di un sole che baciava il profilo spigoloso di un viso aguzzo, dagli zigomi marcati e dal naso aquilino, filtrando tra le ciglia biondissime schiuse su occhi che alla luce del sole le parvero quasi trasparenti.
Ed eccolo, Salazar il ladro di anime, non più un Fantasma dal mantello logoro, non più la figura evanescente che infestava Fonterossa, ma un uomo alto, biondo e dallo sguardo arrogante, cattivo.
Musa non lo trovò propriamente bello, non con quel viso così deciso, non con la piega dura delle sue labbra rosse, quasi femminee, eppure non potè che arrossire nell’accorgersi che era affascinante, un fascino antico che sapeva di cose passate, oscure e indicibile, come il peggiore dei segreti.
Ma quando si voltò, quando finalmente furono faccia a faccia, Musa capì che ci sarebbe voluto tempo e pazienza per farsi accettare da quello sguardo duro e arrogante, gemello di quello che la fata ricordava durante la sua adolescenza.
Uno sguardo che aveva scalfito, penetrato in cerca di calore, di amore, e ci sarebbe riuscita ancora.
Perché lo aveva promesso ad Arya, e perché era destinata ad aiutarlo, ad aiutare chi come lei aveva sofferto per un amore sbagliato.
E nulla poteva essere paragonato all’animo bellicoso di una donna sul piede di guerra, non di una  donna innamorata, neanche un Fantasma dal passato tragico e tormentato.


Continua…




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Capitolo 10
*** Forgiven ***





jfnbwsela

“Forgive me now cause I

Have been unfaithful
Don't ask me why cause I don't know
So many times I've tried
But was unable
But this heart belongs to you alone “

[…]
“Now I'm in our secret place
Alone in your embrace
Where all my wrongs have been erased
You have forgiven
All the promises and lies
All the times I compromise
All the times you were denied
You have forgiven “

[…]
“Take me to our secret place
We'll leave the world away
I get down on my knees
Feel your love wash over me
There will never be another
You're the only one forever
And you know I'm yours alone “
(Forgiven – Skillet )













Se un tempo Musa aveva  erroneamente  creduto che il posto più pericoloso da lei visitato fosse stato il castello di Darkar, capì presto che il suo metro di giudizio sarebbe andato peggiorando se avesse svoltato un altro angolo di quel maledetto castello.
- Sei piuttosto goffa per essere una fata – la riprese con asprezza una voce alle  spalle prima che un braccio muscoloso la tirasse via dal bordo del corridoio appena crollato sul quale la fata stava in bilico, ritrovandosi con gli occhi puntati sul mento appuntito che le pungolava la testa, una scena abituale da una manciata di giorni a quella parte.
- Sei tu quello che dovrebbe  cominciare a restaurare questo vecchio rudere – sberciò, piccata dell’ennesima ramanzina che Salazar le dispensava da più di due settimane.
Non che lei lo facesse apposta a poggiarsi su muri traballanti o sul credere stupidamente di trovare ristoro sul muro di cinta, ma ogni mattonella da lei sfiorata aveva preso la bislacca abitudine di sgretolarsi sotto il suo corpo e di lasciarla a un palmo dal naso da una voragine dalla quale era prontamente salvata da Salazar.
Ma la sua momentanea assenza di equilibrio era causata e giustificata  dalla seconda cicatrice che le segnava la schiena, quella più recente, lì dove sarebbe stata la sua ala se Saladin non gliel’avesse crudelmente strappata.
Era come se le avessero tolto una parte di sé, e sapersi incapace di volare in un luogo irto di pericoli e di baratri nei quali cadere la rendeva irritabile e acida.
Solo che essere acidi con Salazar scatenava energici litigi che portavano la fata ad arrendersi allo sguardo irato dello stregone e a chiedergli scusa con un sussurro smozzicato.
Eppure lei quella complicità se l’era guadagnata col sudore e con le lacrime di frustrazione soffocate contro il cuscino della sua stanza, e non perdeva occasione di mostrarsi apertamente irritata dai suoi comportamenti.
Musa aveva passato infatti notti infernali nelle celle dei sotterranei nelle quali Salazar amava chiuderla per non sentirne gli sproloqui, ma la fata aveva difeso con le unghie e con i denti il suo diritto di parlare, di farsi capire e accettare.
Ed anche se le notti al gelo con la compagnia del cranio spolpato di quello che doveva essere Sir Phoebus le avessero lasciato un’ombra scura in fondo allo sguardo, Musa era riuscita a sfondare la corazza dello stregone.
C’era voluto tempo e pazienza, molta pazienza, ma quando la fata aveva sentito il primo ‘crack che precedeva lo sbriciolamento del muro che non era mai riuscita a scalare, si era sentita orgogliosa di se stessa per averlo sfondato, lei e la sua voce unita alle parole del diario di Arya che Musa leggeva ogni notte, pagina dopo pagina.
Quella in verità era stata una richiesta di Dalbhach, scoprire i segreti del suo vecchio amore attraverso la voce di Musa ma con, al contempo, il volto più giovane di Arya.
La richiesta di un aiuto, un conforto che la fata gli aveva concesso, leggendo in quella piccola concessione la resa a lei e alla possibilità di essere capito, e salvato, lui e la sua anima.
Ma era stata anche la sua curiosità morbosa di conoscere la loro, di storia d’amore, a spingerla a rileggere quelle pagine ad alta voce, a tessere la tela che aveva poi congiunto i due fili di tinte diverse, intrecciate nel ricamo  di una favola dal sapore antico e malinconico.
Musa si era riscoperta particolarmente attratta dal modo in cui Arya avesse agito nel tentare di rivoltarsi alle leggi della Compagnia della Luce, alla loro visione in bianco e nero del mondo. Si era rivista nel duello intrapreso dalla fata veggente contro Salzar poco dopo la morte di Sir Phoebus.
Aveva trovato una profonda somiglianza nelle sue fughe clandestine da Fonterossa, negli inseguimenti notturni e nelle imboscate solitarie con le quali Arya aveva più volte messo lo stregone con le spalle al muro, e ciò che era nato come un’attrazione per l’ignoto, per ciò che tutti ritenevano sbagliato l’aveva portata a capire e accettare la complessità dell’anima di Salzar.
Dalbhach era in fondo l’ultimo rimasto dei vecchi supremi, stregoni potenti, i primi ad instillare la fiamma della magia nel mondo, quella che poi le streghe antenate avevano trasformato in Valtor, e l’essere rimasto solo, troppo potente per poter essere capito, lo aveva reso quello che era.
Una divinità rancorosa e spietata che ricercava nel malessere altrui il proprio benessere, il bisogno di sentirsi voluto, di essere percepito dalle creature, in ogni forma possibile, attraverso l’odio e la paura che lo aveva poi reso leggenda.
- Cosa fai in questa ala del castello ? – la richiamò con quella sua voce dalla punta aspra e a volte cattiva, una reazione istintiva più che un vero tentativo di intimidirla.
- Ho visto una luce lì in fondo – si difese, agguerrita, districandosi dall’abbraccio per allungare una mano dall’altro capo del corridoio e indicare ciò che l’aveva attirata lì.
 Dalbhach parve ignorarla per qualche altro  secondo prima di lanciare un’occhiata scettica e disinteressata lì dove il dito della fata era puntato, e quando Musa lo vide irrigidirsi capì che ciò che aveva trovato era qualcosa di pericoloso, di estremamente pericoloso a giudicare dalla sua reazione.
- Cosa c’è lì ? – lo interrogò subito, curiosa, stringendo le labbra per la stizza nel ricevere le spalle che la informavano di quanto potesse importar allo stregone delle sue domande.
E fu proprio l’abituale indifferenza del Fantasma a farle compiere l’opposto di ciò che lui le chiedeva, solo che quando Musa provò a strisciare lungo la parete per raggiungere l’altra sponda si ritrovò nuovamente al punto di partenza, con il braccio stritolato nella mano di Salazar.
- Dove credi di andare ? – la aggredì lui con voce bassa e vibrante, stringendo la presa sul braccio che la fata si ritrovò  a strattonare per non farsi fare del male, perché lui rimaneva comunque uno stregone potente, troppo potente, e per quanto il loro fragile legame lo ammorbidisse, ciò non le garantiva l’immunità assoluta.
Perché c’erano cose che non avrebbe dovuto sapere, semplicemente.
- Cosa nascondi ?
Il sorriso di Dalbhach le aveva fatto sempre paura, perché era inquieto, un tremolio di denti bianchissimi e metallici che ne imitavano persino il suono quando l’aria gli sibilava contro, un sorriso che lui le rivolgeva solo quando voleva farle del male, quando non sopportava più la sua curiosità.
Ma ancor prima di doversi difendere dalla sua magia la sua lingua fu più veloce del suo braccio, e quando Salazar la fissò lo fece con rabbia, riabbassando l’arto e prendendola in braccio per trasportarla lì dove desiderava.
Usare il potere, il suo nome per controllarlo non le piaceva, la faceva sentire ingiusta, lei che della libertà ne era il baluardo, ma soprattutto, odiava il ghigno di Dalbhach dopo averlo fatto.
- Eccoci qui, mia padrona – le sibilò lui in un orecchio, depositandola  con poco garbo di fronte a ciò che aveva attirato la sua attenzione.
- Sai che non amo adottare questi stupidi giochetti – lo rimproverò, severa, stringendo le dita attorno al suo avambraccio per fissarlo negli occhi e fargli leggere l’assenza di menzogna nel suo.
Ed era proprio la sua sincerità ad irritarlo, lui che non concepiva l’esistenza della fiducia e della sincerità, non se provata nei suoi confronti, e in quelli blu della fata, come in quelli identici di Arya, c’erano sempre stati.
Sincerità, comprensione, e quell’agghiacciante altruismo che lui non comprendeva.
- Questo è quello che volevi – la interruppe frettoloso, distogliendo lo sguardo da lei per fissare l’enorme telo polveroso che tirò con uno strattone per mostrarle uno specchio dalla superficie violacea, lucida e pulita come se secoli di sporcizia non l’avessero neanche toccato.
La stessa cornice dorata sembrava non essere stata corrosa dal tempo, luminosa e caratterizzata dal disegno di mani intrecciate che ne disegnavano il contorno, palmi tesi e rivolti verso il vuoto che le fecero accapponare la pelle.
- Bello vero ?
Musa strillò per la paura quando sentì le mani d Salazar sulle sue spalle stringerla con tanta forza da farle male, ma fu la visione di una scia bluastra  di fronte a lei a terrorizzarla, l’ombra impalpabile che per un attimo, un solo attimo, le era sembrata Arya.
- Questo specchio mostra ciò che si desidera, ciò che si brama dal più profondo del cuore – le spiegò lui, allontanandosi di poco per non rientrare nella superficie violacea e influenzarne il riflesso con i suoi, di desideri, e quando Musa vide il proprio sentì gli occhi pungere e la gola grattare per urlarne il nome.
Lo sentì sorridere contro la tempia, addolcendo la presa sulle spalle prima che quelle stesse mani la spingessero in avanti, verso l’uomo dai capelli viola che le tendeva una mano con un sorriso.
- Avanti. Non è quello che vuoi, che hai sempre voluto ?
Quello aveva sempre voluto  ?
Musa osservò il viso di Riven, i suoi occhi, le sue labbra, e quella mano tesa che la attraeva come il più bello dei sogni, ma quando d’istinto la sfiorò si sorprese di poterla stringere, ma sopratutto,  di poterla sentire fare forza per trarla a sé.
Quando l’urlo di Musa schioccò per il corridoio Dalbhach si limitò ad accarezzare la cornice con sguardo nostalgico, ripensando alla sua prima volta dentro lo specchio, la prima e l’ultima volta che aveva visto il vero orrore della sua anima.
Perché quell’aggeggio infernale era stato sì creato per mostrare ciò che si desiderava dal più profondo del cuore, ma anche per rendere consapevole chi vi si specchiava di ciò che avrebbero fatto, per averlo.
Quello che la morale non concedeva di fare ma che in fondo si desiderava compiere, quel lato oscuro che tutti possedevano, in piccole o grandi quantità.
E chi come lui nel male era nato, capire quanto orrore, morte e distruzione segnasse la propria anima non poteva che far impazzire,portandoli  ad arrendersi alla consapevolezza di non avere il diritto di essere felice, o di accettare, semplicemente quella metà di se stessi che tutti aberravano come la peggiore delle malattie.
E chissà che finalmente quella fata non si sarebbe rivelata uguale a tutti quelli che aveva incrociato sul suo cammino, terrorizzati dalla possibilità di abbracciare la propria mostruosità tanto da credere di non meritarlo, ricercando nel bene e nella misericordia una salvezza che per lui non c’era mai stata.





°°°







 
- Ne ho abbastanza!
L’urlo frustrato di Stella trillò per la sala di controllo come la peggiore delle sveglie, ma se le Winx sentirono la stessa irritazione storpiare la loro, di voce, a quell’urlo, Timmy, l’unico a non aver trovato riposo per quelle interminabili settimane non potè che zittirlo con un sibilo basso.
E fu proprio l’inusuale reazione dello specialista a placare l’atto di ribellione della principessa di Solaria, tornata a schiantarsi con un sibilo sul proprio sedile mentre i suoi occhi dorati scrutavano il buio che circondava la navicella.
Una cappa di oscurità così spessa e pericolosa da aver limitato  la loro visibilità e che li aveva costretti a procedere con la velocità di una tartaruga.
- Perché questa maledetta dimensione deve essere così … così …
- Oscura? – la anticipò Bloom con un verso divertito, strappando un sorriso agli specialisti stanchi e provati che sostavano alle loro spalle.
Perché viaggiavano da settimane, alla cieca, trovando solo nebbie scure e il silenzio inquieto della dimensione Oscura nella quale si erano addentrati senza un vero piano di attacco.
L’idea iniziale di raggiungere Salazar e riprendersi Musa aveva infatti trovato una difficile attuazione dal momento che dello stregone, o della sua millenaria dimora non c’era traccia, e l’impossibilità di poterne seguire le tracce in quell’aria tinta di scuro e malvagità non faceva che renderli particolarmente irritabili.
- Perché  doveva essere un Fantasma sanguinario a rapire Musa ? – strepitò la fata con voce isterica, battendo i pugni sul pannello di comando per scaricare la propria frustrazione – non poteva essere un principe biondo, alto e bello per una volta ?
Un ringhio basso e cupo fu l’unica risposta che ebbe prima che Riven stringesse gli occhi nel notare il movimento lento e secco con il quale Stella si era voltata a fissarlo, gli occhi dorati tanto grandi e segnati dall’indignazione da far deglutire Brandon  sonoramente.
- Ringhi ?  - gracchiò incredula, balzando giù dal sedile per andargli in contro con il medio puntato contro quel viso di pietra – ringhi ? A me ?
Stava per esplodere, e Riven non potè che lasciarla sfogare pur di non patirne i piagnistei in seguito.
- Cosa diamine ti ringhi! È colpa tua se ci troviamo in questo guaio, solo tua! – strillò fuori di sé, picchiettando il  dito sul torace che sentì gonfiarsi sotto il  polpastrello mentre Brandon allungava una mano alla sua spada nel cogliere il lieve restringimento di pupille del compagno.
Ma Riven non le torse un capello, si limitò ad irrigidire il collo e le braccia serrate  sul torace con uno scatto nervoso che però Stella non accettò come reazione, non arrivati a quel punto.
- Sai che è così – continuò lei con voce sempre più stridula, zittendo i tentativi di Helia di calmarla con un gesto infastidito della mano – lo sappiamo tutti, lo sai anche tu. Se non fossi stato tanto vigliacco tutto questo non sarebbe mai successo!
- Stella – provò ad ammansirla il compagno con voce dolce e comprensiva, ma la fata non voleva sentire ragioni, non ora che poteva scaricare la paura e la rabbia accumulata su Riven, su quell’uomo egoista che aveva fatto soffrire la sua amica per anni.
- Sai quanti ragazzi avrebbero voluto trovarsi al tuo posto? Hai la minima idea di quante volte ho visto Musa evitare contatti con l’altro sesso per colpa del tuo dannato ricordo?
E lì Riven l’ebbe, la prima reazione, un impercettibile vena pulsante che Stella seguì con la coda dell’occhio  prima di piantargli il dito sul pettorale sinistro, con la speranza di forare il muscolo liscio per far sentire il proprio rancore anche su quel suo cuore di pietra.
- Non puoi immaginare quanto sia stato penoso dover assistere alla disperazione di Musa, non potrai mai capire quanto male ci hai fatto, a lei e a noi.
Questa volta la voce sembrò venirle meno, ma non era stata la rabbia a soffocarle l’aria nel petto, quanto più il ricordo di una figura rannicchiata nel letto che sussultava e chiedeva di essere lasciata sola, solo per un pò, un po’ che tutte loro avevano misurato con il contagocce, come il conto alla rovescia per lo scoppio di una bomba.
Una bomba che era scoppiata, certo, ma in silenzio, strappando pezzo per pezzo quel sorriso che non era stato più lo stesso, che raramente raggiungeva quegli occhi blu adombrati da un dolore che non sarebbe passato, non con la prova del tradimento ricevuto marchiato sulla schiena ,per rammentarle che  aveva fallito, che avrebbe continuato a farlo, con lui.
- Credi che sia stato facile per noi sapere della cicatrice che Musa provava a nascondere sotto strati e strati di vestiti? Pensi veramente che lei potesse dimenticare ciò che le hai fatto? Credi seriamente di non doverti assumere le tue responsabilità?
Quando Stella ritirò il braccio lo fece con lentezza, le iridi chiare ancorate a quello sguardo duro  che non sembrava mai essere stato scalfito da nulla, da nessuno, ma la fata lo vide, finalmente, la piccola crepa in fondo a quel viola cupo, una piccola striatura che graffiava come un unghiata quegli occhi che non avevano mostrato mai il senso di colpa.
E Riven trovò quell’intrusione irritante, ingiusta, tanto che la scostò con poco garbo, ringhiandole contro di non immischiarsi negli affari degli altri, ma la voce che gli uscì gli parve storpiata, contratta come se la sua gola avesse espulso assieme all’aria il dolore che gli grattava la giugulare.
Una fragilità che non avrebbe dovuto mostrare a nessuno, men che meno a se stesso, a quel riflesso che rimandava l’immagine storpiata di un sorriso diviso a metà, come se la sua bocca fosse confusa su cosa fare, se nascondere il proprio dolore, o mostrare la propria finta tracotanza.
-Ragazzi – li richiamò Timmy con voce un poco stridula, ma se Tecna aveva visto il singulto del fidanzato come la reazione a scoppio ritardato dettato dal poco sonno, tutte loro si trovarono a sussultare per lo spavento quando cozzarono contro qualcosa di frusciante mentre il vetro della navicella veniva accarezzato da quelle che, persino nell’oscurità, parvero loro rami.
- Siamo arrivati.






°°°





   
- Fammi uscire di qui! Mi hai sentito! Fammi uscire! – gridò rabbiosa, battendo i palmi sul vetro che la divideva da Salazar, ma il Fantasma non sembrava vederla, né lei, né il luogo nel quale Riven, o il suo riflesso, l’aveva trascinata.
- Mi hai sentito? Dalbhach! – continuò imperterrita, ma era come se fosse stata rinchiusa in una stanza insonorizzata- dannazione – sibilò allora, frustrata nel sapersi prigioniera, di nuovo, ma quella volta il buio attorno a lei era più profondo di quello delle prigioni, ed anche se lì non vi era l’odore rancido di carne in putrefazione ed escrementi di topo, l’aspetto asettico e monocolore di quell’antro buio le fece uguale ribrezzo.
Musa osò compiere un passo più per il naturale istinto di riscaldarsi che di esplorare, ma quando i suoi piedi affondarono in una fanghiglia nerastra la fata non potè che arricciare il naso e farsi forza per avanzare ancora e cercare una via di fuga.
Il viscidume le imbrattò l’orlo dell’abito che lo stregone le aveva donato pochi giorni prima, uno dei tanti vestiti stipati nell’ammaccato baule di Arya, la prova della breve convivenza dei due nel castello.
Le stava un po’ largo sul petto, ma il tessuto era abbastanza morbido da non irritare la ferita alla schiena, ancora fresca, e fu proprio il pensiero di stare imbrattando un vecchio ricordo della donna a convincerla a ungersi le gambe pur di non sporcarlo, mentre con le mani tirava la gonna sulle cosce.
- C’è qualcuno?
L’eco della sua domanda le fece venire i brividi, ed anche se chiamare aiuto fosse piuttosto stupido da parte sua, Musa sperava con tutta se stessa che la punizione dello stregone non l’avesse davvero messa in pericolo.
Perché Dalbhach poteva essersi fidato di lei, poteva averle aperto il suo cuore, ma la sua anima nera avrebbe difeso quello stralcio di tenebre che vomitavano i suoi occhi ad ogni suo tentativo di comportarsi da amica, da confidente.
In realtà Musa capiva che l’istintiva diffidenza dello stregone lo spingeva ad allontanarla, Arya glielo aveva addirittura predetto in sogno, ma chi come lei era abituata al rifiuto, sapeva reagire alle intimidazioni di un uomo folle e arrogante.
Eppure la consapevolezza di essere stata ancora allontanata, esiliata da quel piccolo spazio che si era ritagliata nel cuore di Dalbhach la indispettiva, così come Musa si era sempre sentita irritata dai tentativi di Riven di estraniarla da ciò che lo riguardava.
Comportamenti che riteneva stupidi per chi avrebbe dovuto amarle, lei ed Arya, costantemente rifiutate da uomini troppo arroganti e saccenti per capire che quelle continue lamentele, quei loro dispetti le ferissero profondamente.
- Dannato stregone! – gracchiò in preda alla rabbia, calciando il vuoto prima di  scivolare  in avanti, finendo con il viso immerso nella poltiglia nerastra, e quando ne uscì Musa prese una lunga boccata d’aria prima di schiudere le labbra in un grido agghiacciante.
- Bu !
L’orrore le portò via l’ultimo residuo di colore presente sul volto, e quando la donna a lei di fronte le sorrise in modo raccapricciante Musa non potè che far forza sulle braccia per allontanarsi da quella cosa.
- Non dirmi che hai paura di me? – la canzonò quella che sembrava davvero un’altra se stessa, non l’immagine sbiadita di una gemella più adulta, non il riflesso confuso di una donna passata, ma una se stessa identica, seduta sui talloni e con le mani chiuse a coppa sul mento, intenta a fissarla con un sorriso orribile.
I capelli incollati al viso le rendevano la vista un po’ appannata, e la sensazione di sporco si intensificò quando la ciocca asimmetrica strappata da Salazar prese a gocciolare marciume sulla guancia destra.
- Siamo silenziose a quanto vedo – continuò la se stessa dal sorriso osceno, allungandole una mano per aiutarla ad alzasi, ma Musa percepiva il pericolo in quella figura, in quel sorriso troppo grande da poter essere contenuto in un viso tanto piccolo, nelle dita lisce che sembravano prometterle dolore, nient’altro che dolore.
- Avanti, non è così che  dovresti trattare te stessa- smozzicò civettuola la fata sorridente, chinandosi per tirarla in piedi con una forza inumana, tanto che Musa ondeggiò su se stessa prima di reggersi alla spalla della donna .
E quando quella la ebbe tanto vicino da udirne il battito, le circondò la vita, abbracciandola con un’intensità tale da strappare un gemito di dolore.
- Ho aspettato tanto questo momento – le sussurrò in un orecchio, in un piagnucolio a labbra socchiuse che Musa sapeva, erano tese nello stesso identico sorriso di poco prima – non immagini quanto sia felice di vedere l’altra me.
- Io non sono te – la zittì lei con voce isterica, strizzando le palpebre nel sentire le dita gelate della donna premere con forza sulla cicatrice verticale, sul taglio oblungo che le dita di quella cosa toccavano con forza, con rabbia, come se volesse riaprirla per immergervi i polpastrelli, e quando li sentì davvero, piantati poco sotto la scapola, Musa non potè che irrigidirsi con uno strillo di dolore che soffocò contro la spalla della creatura prima di sentire qualcosa di morbido accarezzarle la punta gelata del naso.
E quando un’ala nera puntellata d’azzurro le illuminò il viso, lì, dove poco prima non c’era niente, non sotto le sue dita, non sulla schiena di se stessa, sentì un conato di vomito risalirle la gola mentre il dolore per la ferita aperta le faceva venire un capogiro.
- Non è niente, coraggio – la blandì dolcemente, reggendola per evitarle di accasciarsi al suolo priva di forze, ma era quell’abbraccio stesso a farla sentire male, era quella mano che le accarezzava i capelli e la visione di quell’ala nera che solo dopo si accorse,era macchiata di sangue, come la sua, di ala, quando Saladin gliel’aveva strappata.
- Non c’è nulla da temere mia piccola sciocca, nulla.
Il lieve canticchiare di quella cosa, di quella creatura era fastidioso come il grattare di unghie sulla lavagna, il verso isterico di un corvo che puntava la prossima carcassa da divorare, ma per quanto Musa lo trovasse rivoltante, qualcosa nella sua testa le diceva che c’era del vero in quelle parole, una verità che non sarebbe riuscita ad accettare, non senza impazzire.
- Quel piccolo ingrato di uno stregone non ti ha spiegato nulla, vero ? Tipico di un uomo arrogante come lui. Ma non preoccuparti, il suo turno lui lo ha già avuto qui dentro – la rassicurò materna, accarezzandole la testa che avrebbe ciondolato all’indietro se non fosse stato per quelle dita gelate.
E quando Musa rivide quell’ala nera agitarsi non potè che allungare una mano, guidata da una voce che le sibilava nell’orecchio di capire,comprendere e accettare che quello non era un incubo, non lo era, non quando, nello stringere la debole foggia dell’ala si ritrovò a schiudere le palpebre per il dolore alla sua, di schiena.
- Sei ancora scettica, mia piccola fata ? Credi ancora che io non sia te ?
- Io … io – balbettò Musa con un filo di voce, trovando in quell’abbraccio il sostegno necessario per non cadere in ginocchio, nella poltiglia che la ricopriva ma che lentamente il suo doppione le stava togliendo con delicatezza.
- Ma io ci sono sempre stata, in ogni istante della tua vita. Come quando sei scappata da quel locale invece di fare a pezzi quella sgualdrina di Darcy – sibilò cattiva, tirandole i capelli per sfogare la rabbia, la frustrazione che Musa sentì fluire in lei, nel groviglio di orrore e incredulità che era diventato ormai il suo stomaco.
- Avresti potuto cavarle il cuore dal petto, avresti potuto stordirla con le onde sonore fino a farle sanguinare le orecchie e invece cosa hai fatto? Sei scappata – ringhiò fuori di sé, graffiandole la nuca con le unghie corte.
- Era la cosa giusta da fare – la interruppe frettolosa, il fiato strozzato per il poco afflusso di ossigeno causato dal braccio che le cingeva la vita e che si era rafforzato, tanto da toglierle il respiro.
- Giusto per chi? Per te? Per le tue lacrime o per le leggi della morale mia piccola fata? Ma io so che avresti voluto ucciderla, lo sappiamo entrambe che avresti voluto cavarle gli occhi con le tue piccole  graziose mani.
Era vero.
Musa strizzò gli occhi per non darle soddisfazione, per non dover immaginare la propria mano affondata nel petto della Trix, ma lei lo sentiva ugualmente, il cuore della strega pulsare tra le sue dita, ricordarle che lei lo aveva voluto, lo aveva voluto tanto, perché quella strega le aveva strappato l’uomo che amava semplicemente per ferirla, per sentire i suoi singhiozzi trattenuti.
Quando perse sensibilità alle gambe Musa capì di non poter far a meno di aggrapparsi all’altra se stessa, perché la poltiglia nerastra era aumentata, tanto da lambirle il bacino, lì dove le mani della creatura avevano ripreso ad accarezzarle i capelli.
- O quando hai spezzato il cuore del povero Giared ? Sai di averlo fatto, ma il pensiero di Riven ti ha reso insensibile al dolore di chi  ti circondava, allo sguardo deluso di quel caro ragazzo.
- Lui sapeva che non lo avrei mai ricambiato – si difese, sentendo però di stare perdendo anche la sensibilità del braccio e del busto quando il mento  venne solleticato dalla melma nera che oramai le raggiungeva la gola.
Ma la se stessa sorridente continuava ad accarezzarle la testa, a sibilarle all’orecchio ciò che avrebbe voluto fare, ciò che non aveva potuto ma che aveva voluto, tante volte, e Musa si sentì assalire dalla nausea per se stessa, per quell’odio che non avrebbe dovuto renderla succube della violenza, neanche in un sogno.
Perché capiva di non essere migliore di Darcy, non con quei pensieri, non con quel pulsare frenetico nel palmo della mano che, seppur immaginario, la rendeva consapevole di quante brutture vi fossero nella sua anima.
Ma la fata sapeva di non essere mai stata perfetta, di essere debole, vittima di un amore malato che non le aveva mai permesso di essere felice quando avrebbe potuto.
E avrebbe potuto esserlo, tante e tante volte, con Giared, con gli uomini che l’avevano corteggiata, ma il ricordo di Riven non glielo aveva mai permesso, la consapevolezza di non poter esserlo senza di lui gliel’aveva sempre negata, quella possibilità.
La sensazione di intorpidimento la assalì con ferocia, tanto che non trovò necessario neppure respirare, men che meno quando la bocca e il naso furono inghiottiti da altra melma, da quello che lei sapeva, era il marciume del suo cuore, di un lato oscuro che non aveva mai avuto il coraggio di abbracciare.
E Musa capì, comprese l’afflizione di chi da quel marciume non poteva fuggire, di chi, come Riven e Salazar sguazzavano nel catrame, nell’oscenità di pensieri che facevano prudere gli occhi e bruciare la gola per la paura, il terrore di quello che un uomo giusto non avrebbe dovuto neanche pensare.
- E sai che avresti voluto uccidere Bloom per la cotta di Riven.
Un gorgoglio sommesso le uscì dalla bocca quando, riaprendo gli occhi con uno scatto, provò a contraddirla, a negare quella che non poteva, non era il pensiero di una donna malata, di un cuore corrotto, non del suo, perché Musa sapeva con certezza che quel pensiero lei non lo aveva mai avuto, mai.
E il desiderio di districarsi da quell’orrore, di scacciare da sé quelle mani e quella melma la portò a dimenarsi, a raschiare con le unghie per riprendere a respirare.
Sputò fanghiglia, inalò polvere e odore di morte, di putrefazione, ma quando ebbe le mani libere fece l’unica cosa che le avrebbe concesso la libertà da quell’abbraccio malato.
L’urlo dell’altra se stessa le perforò il cranio come se le avessero conficcato un punteruolo nella tempia, ma quel dolore era necessario, le sue lacrime erano necessarie, e quando riprese a tirare con più forza l’ala nera la schiena riprese a sanguinarle.
- Cosa. Stai. Facendo.  – le rantolò la creatura con una voce storpiata, non sua, mentre la melma si ammassava ai suoi piedi con il suono di un rigurgito.
- Quello che deve essere fatto – le ringhiò di rimando, mordendosi la lingua per non urlare prima di sentire il tonfo brontolante con il quale finì a terra, con le dita  artigliate attorno all’ala che lei e l’altra se stessa guardarono con l’affanno nella voce e nello sguardo.
- Io non ho mai desiderato  fare del male Bloom, lei non ha mai avuto colpa per quello che è successo. E per quanto bugiarda io possa essere sui miei reali desideri, per quanto il terrore di scoprire quanto in basso possa ancora cadere mi atterrisca, non ho mai, mai desiderato di ferire le Winx. Neanche.Una.Volta.
L’altra le sibilò, selvaggia e grottesca con la mano pressata contro la schiena che al pari della sua stillava sangue, ma non c’era nulla di giusto in quello che Musa vedeva, nulla che valesse la pena di raccogliere, aggiustare.
Anche se lei era sbagliata, anche se guardargli allo specchio sarebbe stato difficile dopo aver visto cosa fosse capace di pensare, di volere, ma avrebbe imparato a conviverci, come aveva fatto Riven, come aveva fatto Salzar.
- Sei solo una stupida sciocca – gracchiò lei con voce storpiata dal dolore, raggrinzendo e perdendo solidità ad ogni strappo che Musa infliggeva alla povera ala.
- Che io sia stupida o meno, non è compito di nessuno deciderlo. Neanche tuo.
Quando quella cosa esplose, il suono angosciante di risucchio al petto la costrinse a ripiegarsi su se stessa, difendendo il viso e ciò che rimaneva dell’ala dalla melma che in un ultimo spasimo le vomitò addosso l’orrore della sua anima, poi il dolore sparì, ma la mano che la tirò in piedi non fu più fredda, non fu femminile, fu grande, ruvida e con i fragili tendini ben in vista.
Musa schiuse le palpebre impastate dalla fanghiglia con lentezza,sorridendo debolmente nel riconoscere il reticolato di venere azzurre che amava seguire con le dita da ragazzina, e anche quando vide un bagliore metallico risplendere nella mano destra che lo specialista teneva dietro la schiena, non si allontanò.
La sensazione di benessere fu di breve durata, il tempo di un battito di ciglia imperlate di lacrime e sporcizia prima che il dolore acuto al fianco la facesse accasciare senza fiato tra le braccia di Riven con un sorriso.
Perché era quella la macchia più scura e corrotta del suo animo, la consapevolezza di riuscire a perdonare ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni suo sguardo, a costo di ferirsi e farsi male, e di perire, se necessario, per una follia che la portava a stringersi al corpo freddo del suo assassino.
La bruttura più evidente della sua anima, quella che l’avrebbe sempre fatta sentire sbagliata e malata, ma che il suo cuore e la sua schiena le avrebbero sempre rammentato con quel pulsare frenetico che sapeva di sangue e lacrime, ma non di cose sbagliate.
Non per lei.





°°°





L’ennesimo, rumoroso fracasso emesso dal muretto che avevano appena scavalcato costrinse le Winx a lanciare uno sguardo irritato alle loro spalle, e Timmy trovò molto interessante il ragno che aveva covato una casa nel bulbo oculare di un cranio piuttosto che le espressioni arcigne delle fate, ma lì sotto era impossibile non creare scricchiolii sinistri, non se attraversavano un sotterrano addobbato con scheletri impiccati, corpi ammassati e una montagnetta di elmi medievali che Sky aveva guardato con occhi sgranati prima di avanzare.
- Bleah ! Che schifo!– uggiolò poco dopo Stella, ritirando il piede appena affondato in una pozza d’acqua stagna e sangue incrostato sul fondo, e all’ennesimo “shh” degli specialisti la fata afferrò la prima cosa trovata in terra per lanciarla con stizza sulla nuca di Brandon.
- Ahia! Ma sei impazzita? Ora ti metti a lanciare anche un… un … un braccio amputato – strillò il ragazzo con voce stridula, sbiancando e lanciando l’arto all’aria  prima di  ululare il proprio orrore e trovare riparo dietro la schiena dell’apri fila.
E quando Riven lo sentì stringergli le spalle con troppa foga non potè che colpirgli le mani con l’elsa della spada prima di alzare la torcia, così da  illuminargli il volto e mostrare il pallore delle sue labbra stirate in una linea dura.
- Quale parte del veloci e silenziosi non hai capito, Brandon? – gli sibilò ad un palmo dal viso, tornando dritto nell’udire il respiro di qualcosa di grosso, di molto grosso se  era stato tanto forte da fargli ondeggiare il mantello.
- Lo avete sentito?
- Si Timmy, lo abbiamo sentito. Come abbiamo sentito lo squittire dei topi all’entrata, e come abbiamo sentito l’ansito dell’orco appeso a testa in giù  del quale nessuno di noi aveva notato la presenza, e di questo dobbiamo ringraziarti tutti – lo riprese Tecna con asprezza, trovando l’allarmismo del fidanzato piuttosto inadeguato per quella circostanza, specialmente se c’erano persone sensibili come Flora, o isteriche come Stella tra le loro fila.
- La mia era solo una costatazione – le rispose piccato, sorpassandola con il naso all’insù prima di rotolare in quella che, a giudicare dall’odore, doveva essere una latrina,  scatenando uno scoppio di risate che  Stella inghiottì prima di avventarsi su di lui con un grido.
- Dannazione! Non riuscite a fare un po’ di silenzio ? – tuonò Riven con rabbia – non potete …
- Un elastico di Musa – lo precedette la principessa di Solaria, torcendo i capelli di Timmy per estrarne un rotolo di tessuto bruciacchiato e unto di sangue – è l’elastico di Musa! Riconoscerei tra mille i suoi elastici antiestetici!
Bastò quell’informazione per far ondeggiare l’unica fonte di luce che Riven teneva serrata tra le dita, e quando lo specialista la raggiunse non potè che strapparle dalle mani il piccolo oggetto per portarlo al naso.
E lo sentì, assieme al puzzo di sangue e chiuso, profumo di fiori.
Il suo profumo.
- Ma perché l’ha rinchiusa qui sotto? Io credevo che…
- Lo credevamo tutti Flora – la interruppe Bloom con voce grave, fissando l’espressione angosciata dell’amica con uguale ansia – ma credo che Salazar le abbia teso una trappola.
- Va bene, calmiamoci ora. Tutto quello che dobbiamo fare è pensare ad un piano, ma soprattutto, fare più silenzio poss…
-Musa! Musa sei qui? Musa!
Tecna si schiaffò il viso con un sospiro stanco prima di provare a zittire la voce acuta di Stella, ma la fata, incurante delle occhiate severe dei compagni continuò ad urlare a squarciagola il nome dell’amica.
- Lo avete sentito?
Aisha fece una smorfia nell’udire il pigolio terrorizzato di Timmy accanto a sé, tornando a premere le mani sulle orecchie per non venire assordata dalle grida sempre più stridule dell’amica che del “veloci e silenziosi” di Riven aveva capito ben poco.
- Cosa? Le urla isteriche di Stella?
- No- deglutì sonoramente lo specialista, indietreggiando e tirandola via quando quel soffio di vento feroce tornò a far tremolare la fiaccola di Riven.
- Il respiro di un drago piuttosto arrabbiato – rantolò senza voce prima di urlare ai compagni di buttarsi giù mentre la prima fiammata inondava il canale e il ruggito di Abharrach portava Salazar  a distogliere l’attenzione dallo specchio che parve tremolare un attimo prima di rigurgitare la figura provata della fata della musica.





°°°







Quando l’aria pulita le riempì i polmoni, Musa trasse un lungo respiro prima di crollare in ginocchio, facendo forza sulle braccia tremanti per non trovarsi faccia a terra, ma il dolore alla schiena era acuto, così deprimente da costringerla a mordersi la lingua per non gemere.
-L’hai incontrata.
Quello di  Dalbhach  le arrivò come la più cattiva delle constatazioni, come se veramente avesse creduto che lo specchio e ciò che lo abitava l’avesse svuotata di ogni cosa, che l’avesse resa un bozzolo informe di rancore e odio, ma quando la fata alzò il viso lo fece con un sorriso morbido, zittendo con la rabbia dello sguardo l’ennesima frase volta a ferirla.
- Si. E ti manda i suoi saluti – rantolò affaticata, chiudendo gli occhi per acquistare l’equilibrio finalmente ritrovato, del corpo e dell’anima, ma fu Salazar a raccoglierla da terra con una delicatezza che la lasciò inerme tra le sue braccia, mentre lo stregone le passava le mani sulla schiena per eliminare la scia di sangue che l’ala nera sputava a fiotti.
- Non credevo ce l’avresti fatta –le confessò, sinceramente sorpreso, scatenando nella fata un borbottio incomprensibile con il quale sfogò la propria frustrazione.
- Non dovresti mai sottovalutare la determinazione di una donna innamorata – lo rimproverò, piccata, ammansendosi quando lo stregone portò via con sé gli ultimi residui di melma che la sporcavano come il liquido amniotico di una placenta.
Perché Musa sapeva di essere rinata, in qualche maniera, di aver trovato se stessa in fondo a quello specchio, e di poter finalmente capire realmente il dolore di Riven e di Salazar, ora che poteva comprenderli, ora che poteva aiutarli.
- Sei stata brava.
Quella breve concessione fu un balsamo per il suo animo spossato, per quel corpo che ora sentiva più pesante, più carico di responsabilità e nuove consapevolezze, ma era un peso che sarebbe stata felice di portare pur di capire, almeno un po’, ciò che Riven non le aveva mai permesso di scoprire.
Quel cuore corrotto e nero che l’aveva ferita, che avrebbe continuato a farlo, ma che avrebbe perdonato, sempre, e  forse avrebbe potuto imparare a convivere con quel suo dolore, per se stessa, e per quella solitudine alla quale lo specialista si era arreso.
- Ora posso aiutarti come volevo – si lasciò sfuggire con la voce intorpidita dal sonno che stava per coglierla, ma quando la stanza prese a vibrare dopo il ruggito del drago rinchiuso nelle prigioni Musa non potè che trasalire, artigliando la casacca di Salazar con una smorfia.
- Cosa è stato ?
- Nulla.
Ma in quel 'nulla  appena smozzicato la fata lesse qualcosa di più, qualcosa che lo stregone non voleva rivelarle, ma non ci fu bisogno di strappargli a forza le parole di bocca, non quando una voce stridula, gracchiante e familiare la portò a sgranare gli occhi per la sorpresa.
- Stella ?
- Dannazione – sibilò Dalbach contro la sua tempia, e Musa comprese chi il drago stesse provando ad incenerire con il suo alito infuocato, e non erano i suoi capelli questa volta a dover subire la furia del lucertolone.
- Portami da loro! Subito! – strepitò isterica, dimenandosi tra le braccia che la fata sentì irrigidirsi contro i fianchi prima che lo stregone acconsentisse alla richiesta, e quando Musa allungò uno sguardo da sopra la spalla del Fantasma non potè che urlare il nome delle amiche con le lacrime agli occhi.
- Musa ? Musa ! – strepitò Stella con voce squillante nel vederla, brontolando una bestemmia quando il drago provò ad azzannarle la chioma lucente, ma Sky e Brandon riuscirono a impedirne l’avanzata con le fragili catene raccolte qua e là.
 - Cosa ? Dove ? – domandò Tecna con l’affanno nella voce, liberando un sorriso di sollievo che attirò l’attenzione delle Winx e degli specialisti impegnati a tenere sotto controllo le fauci aperte del drago.
- Dobbiamo aiutarli !
- Tu non devi muoverti, sei ancora troppo debole – la riprese lo stregone con voce aspra, ma Musa che di quella sua strafottenza non sapeva che farsene, si districò dalla presa prima di zoppicare in contro alle sue compagne.
Riven, l’unico ad essere riuscito a ferire la creatura  fece appena in tempo a cogliere con la coda dell’occhio l’ombra familiare  di una chioma blu prima che le sue mani si serrassero con forza sulle catene con le quali tirava a sé la bestia, tanto da farle sanguinare per lo sforzo, ma il drago dovette riconoscerla, lei e il suo odore, e fece forza per liberarsi.
Ma la fata non indietreggiò quando si ritrovò con quegli occhi gialli puntati addosso, non perse la piega feroce delle labbra nel caricare un pugno di onde esplosive quando sentì il gorgoglio sinistro che precedeva la fiammata, ma si ritrovò invece a rilasciare un ringhio frustrato quando si scoprì  magicamente   issata sulla spalla di Salazar, comparso dal nulla con una mano pressata sulla sua schiena e la destra artigliata sulle narici di Abharrach che fu costretto ad inghiottire il rigurgito di fiamme con un uggiolio spaventato.
- Quale parte del non devi muoverti   non hai capito, stupida fata ? – la aggredì lo stregone con voce sepolcrale, mettendola giù con un gesto brusco che gli costò uno sguardo irritato di Musa.
- Il “Non” di ogni tua frase – lo rimbeccò acida, provando a sciogliere la presa ferrea del braccio attorno alla propria vita.
- Dovresti aver imparato che non amo questa tua arroganza!
- E tu dovresti aver capito che il tuo disinteresse per quello che ti circonda mi da sui nervi!
Un colpo di tosse li fece voltare all’unisono, e quando Stella si sentì osservata dallo sguardo ametista del fantasma non potè che incassare la testa tra le spalle con un sussulto.
- Noi saremmo venuti a salvarti – brontolò la principessa di Solaria con voce stanca, ricevendo uno sguardo morbido dalla fata della musica e l’ennesimo ringhio di quello che ai loro occhi si mostrava come una copia più irascibile di quella testa calda di Riven, non un Fantasma sanguinario, non la creatura che aveva terrorizzato Fonterossa.
- Perché devi essere così antipatico!
- Zitta!
- Io non sto zitta – rantolò Musa con la voce congestionata dalla rabbia mentre Stella faceva ondeggiare lo sguardo incredulo dallo stregone stranamente emotivo all’espressione granitica di Riven, in uno scambio di pensieri che la portò, infine, a smozzicare l’ennesimo brontolio irritato.
- Perché non poteva essere un principe, per una volta ?



Continua…

 

Doppio aggiornamento, cosa che avverrà anche per gli ultimi due capitoli visto che sono concatenati tra loro.
 Siamo alla fine, e al prossimo aggiornamento si concluderà la storia.
Ringrazio tutti per l'attenzione, Gold Eyes

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Capitolo 11
*** Awake and Alive ***




nvlnaò

“I'm at war with the world and they

Try to pull me into the dark
I struggle to find my faith
As I'm slippin' from your arms
It's getting harder to stay awake
And my strength is fading fast
You breathe into me at last “
[…]
Waking up waking up
In the dark
I can feel you in my sleep
In your arms I feel you breathe into me
Forever hold this heart that I will give to you
Forever I will live for you”
[…]
“I'm awake I'm alive
Now I know what I believe inside
Now it's my time
I'll do what I want 'cause this is my life
here, right now
I'll stand my ground and never back down
I know what I believe inside
I'm awake and I'm alive “
(Awake and alive – Skillet)








- Mi stai dicendo che lui non ricorda nulla ? Neanche di come … capisci cosa intendo – si affrettò a continuare Bloom, agitando le mani per spiegare ciò che non aveva avuto il coraggio di dire a parole.
- Morto. Come sono morto. Non dovrebbe essere difficile da ripetere per la figlia di Mariam – la blandì lo stregone con voce affettata, piegando le labbra nascoste dietro le dita  con un che di spaventoso.
- Tu conosci mia madre ? – singhiozzò stranita Bloom, lanciando un’occhiata a Musa per cercare le risposte che il Fantasma non sembrava disposto a concederle visto il ghigno emblematico che rivolgeva a tutti loro,  e solo dopo aver fulminato Salazar con un’occhiata caustica la fata della musica le rivolse un sorriso gentile.
- Tua madre faceva parte della Compagnia della Luce, è normale che Salazar abbia un vago ricordo di lei, in fondo loro...
- Gli hanno dato la caccia.
Musa sentì il tremito diramarsi sul tessuto morbido della poltrona contro la quale  poggiava i fianchi e  sulla quale anche lo stregone teneva i gomiti, e le venne istintivo allungare una mano verso la spalla di Salazar, in un blando tentativo di sostenerlo, di rassicurarlo, mentre i suoi occhi blu incrociavano lo sguardo diffidente di chi l’aveva appena interrotta.
Riven non si mostrò rammaricato, anche solo interessato al fastidio appena scatenato nel Fantasma, non gli importò, come mai gli era importato di ferire gli altri, ma era l’eccessiva assenza di emotività persino nella sua voce divenuta atona a far accapponare la pelle.
Perchè il silenzio protrattosi durante il loro incontro era stata l’avvisaglia di una catastrofe che presto lo specialista avrebbe vomitato assieme all’ansia, alla paura, all’angoscia patita per quelle settimane di separazione, e Musa sapeva che avrebbe dovuto farsi forza e pregare di riuscire a sopportare il dolore di entrambi, ancora una volta.
- Cosa vuoi che facciamo allora ? Non capisco come potremmo aiutarlo – si intromise riflessiva la voce di Sky, l’unico ad aver analizzato la situazione con l’oggettività necessaria  per non sentirsi compromesso a sua volta, non come Musa almeno, nessuno era compromesso quanto lei.
Perchè la fata non avrebbe avuto l’accortezza, men che meno la prontezza mentale di giudicare oggettivamente le proprie e le azioni dello stregone, non vi sarebbe mai riuscita.
Non dopo essere stata nello specchio.
Non dopo aver compreso che le tenebre del suo cuore si cibavano delle sue titubanze, dei suoi tentennamenti, e Musa sapeva con una certezza disarmate che non sarebbe più riuscita a capire cosa fosse sbagliato o giusto, in ciò che faceva.
Lei voleva solo aiutare lo stregone, era destinata a farlo, e non avrebbe permesso a niente e a nessuno di negarle quello che lei riteneva il suo dovere di donna, fata ed essere umano.
Perciò non seppe cosa rispondergli, non lo sapeva davvero, e forse la cosa l’avrebbe atterrita un mese prima, l’avrebbe fatta sentire debole, inutile, un tempo, forse.
- Posso farcela da sola.
Gli sguardi sconvolti che tutti le lanciarono la punsero come spilli, piccoli e affilati aghi da cucito che sentiva piantarsi nella carne tenera della palpebra, imbevuti dell’angoscioso presagio che segnava ogni loro sguardo.
Paura. Terrore di saperla cambiata, di vederla diversa.
Ma lei lo era. Cambiata, mutata, dentro e fuori, ed era proprio la sfrontatezza del mento alto e la piega sicura delle sue labbra a mostrare il cambiamento.
Lei che non avrebbe mai osato contraddire le sue amiche e gli specialisti, non con tanta foga, non per una causa che loro ritenevano dispendiosa e pericolosa, per lei, per tutti.
E Musa accettò la loro recalcitranza, il loro sospetto, lo comprese, lo capì con la mente lucida di un soldato che sapeva di aver compiuto un ammutinamento, il tradimento di una promessa silenziosa che le Winx avevano concordato come una regola non scritta, ma stipulata tra i loro cuori.
Stare sempre unite. Insieme.
- Non lo pensi davvero.
Quello di Tecna fu un sussurro carico di disagio, di un tremore che le aveva  strozzato la voce in un rantolo basso e raschiato che Musa incassò con un battito lento delle palpebre stanche.
Un lento e debole battito che il suo cuore imitò, ma con un singhiozzo, rammentandole che non aveva bisogno di altri pensieri, di altri pesi, non ce l’avrebbe fatta, non avrebbe retto, non vi sarebbe riuscita, non con i brandelli di quell’organo che sputacchiava sangue e lacrime nel tentativo di riprendere colore, di trovare respiro.
E Musa non  avrebbe sopportato anche quello, non il rancore di Tecna, non il suo dolore, non le ansie di tutti loro, così come avrebbe fatto fatica a leggere il dubbio nei loro sguardi, il bisogno di risposte che lei stessa non aveva trovato.
Ma l’impossibilità di scoprirle non l’aveva fatta desistere dal suo intento, aveva  contribuito solo a farle capire che la soluzione sarebbe stata difficile da raggiungere, che sarebbe costata fatica, fiducia, e avrebbe richiesto un salto nel vuoto che nessuna delle Winx era pronta a compiere.
Non per un Fantasma.
Non per uno stregone che aveva decimato creature magiche per puro divertimento.
- Invece si, Tecna. Lo penso,lo credo. Sono felice di avervi rivisto, ma non posso chiedervi di fare questo per me.
Non sarebbe giusto per nessuno di voi.
- E per te invece lo è ? – la interrogò Riven dal fondo della stanza, scollandosi dal muro con un’onda che raggiunse il suo sguardo cupo, facendone tremolare la pupilla nera, un scossa che tenta di assestarsi, di ricomporre il turbinio di emozioni che lo avevano portato a gonfiare il torace e flettere le gambe dalla posizione di completa indifferenza avuta fino a poco prima.
Le stava chiedendo, ordinando di negare, di essere arrendevole, di tornare in sé, per tutti loro, per quello sguardo di granito che ora Musa riscopriva pieno di graffi, di squarci vitrei che storpiavano i colori dell’iride come un caleidoscopio.
Una richiesta che però la fata non volle, non riuscì ad accettare a cuor leggero.
Quando Salazar la vide scivolare in piedi, con le spalle ricurve e lo sguardo rivolto al nulla  la seguì silenziosamente, come un’ ombra, incombendo su di lei come la più terribile delle piaghe, ma Musa sapeva quanto confortante fosse nascondersi in quell’ombra, quanta comprensione avesse trovato da un uomo che l’aveva ferita, si, ma con l’intento di farla crescere, di farle capire che la sua visione in bianco e nero del mondo era sbagliata, era ingiusta.
Perché c’erano così tante sfumature diverse, così tante possibilità tra le quali scegliere da non poterle nemmeno immaginare tutte, da non poter capire realmente cosa fossero capaci di fare.
E lei lo aveva visto, cosa sarebbe stata capace di fare, le sue sfumature, più nere di quanto avesse mai immaginato, ma possibilità che non si era mai dato pena di ascoltare, di tenere in considerazione, ed anche se non le avrebbe mai veramente attuate, la consapevolezza della loro esistenza, del lato sbagliato di azioni moralmente giuste non la rendeva più insensibile, più cinica, solo più lucida, conscia dei suoi limiti e delle sue debolezze.
Arrivare alla porta fu come camminare su carboni ardenti per quanto i passi da compiere nel raggiungerla le risultarono difficoltosi, ma quando Musa girò il pomello della porta trasse un lungo e lento respiro, voltando il capo con un gesto morbido che ne addolcì la malinconia dello sguardo.
- Siete liberi di andare, se volete, non vi tratterrò oltre, ma io devo restare. Perciò, se non vi troverò qui tra un  paio d’ore non vi odierò. Non potrei mai.
Il grattare della serratura fu come il raschiare frenetico di unghie corte e martoriate, un secco sfregamento che segnò i loro sguardi, i loro volti di invisibili solchi, incisioni e rigature che Riven sentì pungere sul suo, di sguardo, percependo l’inatteso schianto di qualcosa che cade, andando in frantumi.
Occhi così abituati a non far trapelare nulla da aver dimenticato, davvero, cosa portasse il rilascio di sentimenti imbavagliati come le peggiori delle oscenità, e lo specialista patì quella rottura con un sospiro tremulo, chiudendo le palpebre per arginare il danno, per lenire il dolore trapelato dalle pupille dilatate, ma lo sentì lo stesso, il crollo definitivo del suo cuore.
Un lento e acuto schianto che portò via con sé la  smorfia disperata del suo viso distorto da un  dolore che neanche le sue mani, per quanto grandi, ne riuscirono a reggere il peso.







°°°






“Ti aspetto davanti alla statua del Gargoyle”
Musa sfilò dalle labbra la matita che stava mordendo per sottolineare l’ultima parola, lanciando uno sguardo al diario di Arya che teneva aperto sulle gambe e al foglio che aveva imbrattato con frecce, asterischi e appunti segnati sul bordo, poco più in là.
Ma quando girò la pagina si trovò a rilasciare un lungo sibilo frustrato nel constatare che il diario non portava notizie riguardo quella lettera, o sull’incontro segreto che la fata veggente aveva richiesto a Salazar, il loro ultimo incontro a giudicare dalle pagine bianche che seguivano quella che Musa stringeva tra le dita con rabbia.
In realtà quella non era la prima volta che controllava il diario, lo dimostrava il complesso ma preciso riassunto che aveva trascritto con le notizie a sua disposizione su quel foglio scarabocchiato, ma alla fine la fata giungeva sempre ad un vicolo cieco.
Perché il diario non menzionava minimamente quell’incontro, si limitava a riportare la battaglia con le Streghe Antenate dalla quale Salazar aveva salvato Arya poco prima che Oritel e Domino fossero sigillati nella pietra.
Poi il nulla, come se vi fosse stata una lunga pausa, un buco nel passato che lei sapeva, le avrebbe dato le risposte che cercava.
Voltò la pagina, desiderando di leggere altre parole, altre confessioni, altri pensieri che avrebbero potuto sbrogliare i suoi, ma la fata si arrese all’evidenza. Non c’era nulla, eccetto la lettera che prese frettolosamente, rileggendo con attenzione la scrittura un po’ sbavata, come se Arya fosse andata di fretta.
“ Ho bisogno di parlarti. Incontriamoci al castello, ti spiegherò tutto. Indossa l’amuleto che ti ho inviato, te ne prego, è importante. Ti aspetto davanti alla statua del Gargoyle.
Tua,
 Arya”
Poche righe colme d’ansia, preoccupazione, e qualcos’altro che lei non riusciva a spiegarsi.
Perché Arya gli aveva chiesto di vedersi ?
Sembrava spaventata, timorosa quasi, e Musa non riusciva a capirne il motivo.
Né di quelle parole, né della minuscola ampolla di vetro legata ad uno spago che Arya aveva inviato allo stregone con la preghiera di indossarla.
Musa la rimirò ancora e ancora, come aveva fatto per tutte quelle settimane, non trovandovi nulla di strano, di inconsueto.
Era una semplice ampollina, piuttosto graziosa con il suo colore perlaceo, ma vuota, con uno spago ruvido che al tatto era piuttosto irritante, ma nulla di così “magico”.
Forse era fatto a mano, un piccolo regalo per simboleggiare la sua presenza accanto a lui durante le loro lunghe separazioni dovute ai sospetti di Saladin, oppure un semplice amuleto con…
- Le due ore sono passate.
L’ampolla le scivolò dalle dita quando, per la sorpresa di avere lo stregone così vicino a sé, ma soprattutto, per la paura di aver sentito il suo sussurro contro l’orecchio allentò la presa, lanciando un ringhio di rabbia con il quale si gettò a terra per raccogliere  i frammenti con occhi inferociti.
- Sei uno stupido ! Guarda cosa mi hai fatto fare ? – pigolò con fastidio, sentendo gli occhi pungere per la consapevolezza di aver rotto una cosa tanto preziosa come quella, l’unico ricordo che lo stregone aveva di Arya, il suo ultimo regalo.
- Non importa.
Musa tornò seduta, strizzando gli occhi per il dolore prima di portarsi alle labbra il dito che si era punta con un frammento mentre i suoi occhi blu lanciavano saette.
- Non importa ? Come puoi essere così insensibile ? Questo è …
- Una perdita di tempo. Ecco cos’è – la zittì lui, lapidario, agitando la mano per far scomparire i pezzi di vetro che la fata osservò con occhi sgranati prima di afferrare la matita e lanciargliela addosso.
Salazar non battè ciglio quando questa lo trapassò, schiantandosi contro il baule di Arya prima di rotolare ancora da Musa, tornata in piedi con il respiro pesante e irregolare.
- Perché lo hai fatto ? – strepitò frustrata, additandolo con l’indice che lo stregone fissò con le sopracciglia aggrottate prima di riservarle uno sguardo raggelante.
- Perché non mi stavi ascoltando.
Freddo. Telegrafico. Ed egocentrico, tanto egocentrico da irritarsi perché lei non lo ascoltava.
Musa si lasciò cadere con un sospiro sconfortato, scostando alcune ciocche dal viso tirato quando si accorse del disordine nel quale si era immersa.
- E cosa avresti tentato di dirmi ? Sentiamo – lo invitò caustica, masticando la gomma della matita che rimise in bocca prima di chinarsi sui suoi appunti per distrarsi dalla rabbia che le faceva prudere le mani.
- Le due ore sono passate. Non dovresti andare a controllare che i tuoi amici se ne siano andati?
La punta della matita si spezzò quando Musa vi esercitò troppa forza, lasciando una lunga striscia nera che osservò in silenzio, sentendo su di sé lo sguardo penetrante dello stregone.
Passò ancora qualche minuto a fissare il suo operato prima di cancellare l’errore e tornare a scrivere appunti, senza rispondere o dar peso alle parole del Fantasma che ne parve ancora più contrariato.
- Hai capito cosa ho detto ? Dovresti andare a controllare per …
- Non ce n’è bisogno – lo zittì mordace, puntellandosi sui gomiti per andare più comoda, ma la mano non si muoveva, come se non sapesse più cosa scrivere, come se la testa della fata si fosse svuotata di tutte le nozioni imparate fin’ora.
E forse era proprio così.
Vuota. Ecco come si sentiva. Aveva assorbito tutto come una spugna.
Il ritorno a Fonterossa.
La storia di Salazar.
Tutto, aveva assorbito ogni dolore, lacrima, sorriso inghiotto e scacciato per andare avanti, per scavare un po’ più in fondo, per trovare se stessa, ma ora Musa era così carica da non riuscire più a cogliere niente.
Non il dolore per la consapevolezza di essere rimasta, davvero, da sola.
Non la stanchezza di dover trovare nuova forza, nuovi propositi dai quali attingere la risolutezza che l’aveva condotta lì, seduta sul pavimento di un maniero diroccato, sporca di inchiostro, con il viso pallido e tirato di chi non dorme da anni, con un Fantasma che le chiedeva di guardare in faccia la realtà.
E lei lo avrebbe fatto, lo avrebbe fatto davvero se solo avesse trovato l’energia per farlo, ma non ne aveva.
Da nessuna parte.
- Sei così sicura che se ne siano andati ?
La presenza della figura fluttuante del Fantasma accanto a lei non la smosse dalla posa rigida mantenuta per più di qualche secondo, non ne trovò il motivo.
Muoversi. E per quale motivo ? Per capire che davvero, era rimasta sola ?
- Non li biasimerei – si lasciò tuttavia sfuggire, soffocando un sospiro stanco contro l’avambraccio quando posò la testa dolente sul piccolo tavolino ingombro di carte.
La spossatezza che la agguantò d’improvviso le portò via persino la forza di tenere gli occhi aperti, perciò calò giù le palpebre, concentrandosi sul suono del suo respiro per trovare un po’ di conforto.
- Ma tu non lo avresti fatto. Lo so. Te lo leggo in faccia – le confessò Salazar con voce soffice, passandole una mano sulla testa, quasi sovrappensiero.
- Neanche io capisco perché tu sia ancora qui con me – pensò poi ad alta voce.
Il fremito che ebbero le sue palpebre le costò un respiro strozzato, ma quando tornò a parlare, la voce le uscì forte e feroce come il ringhio di una piccola pantera.
- Non pensare quello che stai pensando  – gli abbaiò contro, schiumando rabbia nel riaprire le palpebre per vederne l’espressione.
E Salazar non mascherò il proprio scetticismo, non si premurò di nascondere il corrugamento di sopracciglia o il fastidioso sorriso affettato che Musa aveva sempre odiato, perché sembrava prendersi gioco di lei, con quel sorriso che sorriso poi non era.
- Non ti sembra di avere delle pretese troppo alte per una piccola fata come te? – le sibilò in un orecchio, girandole intorno in un vortice di aria fredda che le spruzzò qualche fiocco di neve sulla testa prima che il Fantasma le si sedesse accanto.
E Musa tornò in piedi solo per fronteggiarlo, per mostrargli che a lei tutta quella paura non la faceva, anche se avrebbe potuto tranciarle la testa con un colpo netto, anche se avrebbe potuto benissimo risucchiarle l’anima.
- No. Non ho pretese troppo alte. Sei tu che non capisci, tu e tutti gli altri. Possibile che io debba passare per pazza, per una folle suicida solo perché voglio semplicemente aiutarti? – gracchiò con voce roca, tossendo per riprendere aria  e tornare a sfogare la propria rabbia.
- Non vuoi il mio aiuto? È questo ? Se è così a me non importa, perché ho promesso ad Arya che ti avrei aiutato, e io non infrango le mie promesse. Mai. E vuoi sapere una cosa ? Potresti essere un orco, un mostro a due teste, persino un drago sputa fuoco, ma se prometto di aiutarti, è per il semplice fatto che io voglia farlo. Senza secondi fini.
- Davvero non vuoi andare a controllare ? – fu l’unica risposta che la fata ebbe dal più indifferente e stoico uomo che avesse mai conosciuto, e per quanto Fantasma, per quanto Supremo, Musa non potè che gettare all’aria gli appunti e marciare verso la porta con le narici frementi.
- Allora ? Ti muovi ?– lo aggredì con violenza, accennando con la testa al corridoio prima di imboccarlo e avanzare con passo militare verso l’entrata della biblioteca nella quale aveva lasciato le Winx.
Poi il coraggio le venne meno, come la forza dei propri passi ora divenuti saltelli indecisi, come se Musa non sapesse davvero dove mettere il piede senza far crollare tutto e trovarsi inghiottita da una voragine.
Ma quando la porta bianca fu a pochi centimetri da lei, e soprattutto, quando patì l’ennesima arrogante paternale dello stregone si affrettò ad allungare le mani ai pomelli, tirando le ante con una forza tale che l’avrebbe staccata dai cardini prima di urlare un “Visto che non c’è nessuno” piano piano affievolitosi quando Tecna alzò lo sguardo dal computer sul quale batteva energicamente le dita.
E quando Musa incontrò il sorriso della sua migliore amica non seppe cosa dire, cosa rispondere, si limitò a balbettare un “perché” che Bloom soffocò in un abbraccio, stringendola tanto forte da toglierle il respiro.
- Perché siamo una famiglia. E la famiglia non si abbandona.
Le venne istintivo ricambiare l’abbraccio, soffocare la propria risata nervosa tra i capelli arancioni della fata prima di trovarsi con altre braccia e altre mani tra i capelli, sui fianchi, sulle spalle.
E Musa la trovò di nuovo, la propria forza, lì dov’era sempre stata.
In una famiglia che non l’aveva mai abbandonata, e nello sguardo di chi era  sempre più lontano, sempre più isolato ma  che la seguiva, la cercava.
Sempre.







°°°




L’aiuto delle Winx fu indispensabile, essenziale per dare gli ultimi strattoni ai fili che Musa aveva più volte sfilacciato e  intrecciato per carpirne l’essenza, ma ora, finalmente, l’ arazzo dai colori sgargianti e decisi che tracciava la venuta  di Salzar era divenuto comprensibile a tutti.
Walpurgis.
La parola che Arya l’aveva pregata di non dimenticare, quella che Salazar, pur avendone un vago ricordo, non era riuscito a spiegare, ma della quale Tecna era riuscita a dare un senso. A tutto.
Perché Walpurgis era la festa delle streghe, un avvenimento che cadeva ogni anno alla fine di aprile, la notte in cui la magia più antica ululava la sua presenza al mondo, la notte degli stregoni e degli spiriti.
Ma ciò che aveva finalmente spiegato il perché della venuta del Fantasma, del perché fosse comparso proprio quell’anno era stampato sullo schermo a colori del computer di Tecna.
Un’eclissi.
Ecco cosa vi era di diverso.
 Un’eclissi che si presentava ogni cento anni, esattamente il tempo servito a Salzar per svegliarsi e tornare alla vita.
Una coincidenza forse, ma Musa ed ora, anche le Winx, non credevano alle coincidenze, specialmente dopo aver appreso che il giorno successivo sarebbe stato il trenta aprile, il giorno del giudizio.
E loro erano lì, per un fortuito caso, o perché erano destinate, tutte loro, Musa, ad  aiutare quell’uomo biondo che aveva continuato a guardare fuori dalla finestra per tutto il tempo, senza dare un segno di aver udito, di aver compreso.
- Ed ora? Anche se abbiamo capito il perché della sua venuta non capisco come questo potrebbe esserci utile – lamentò Stella con voce soffocata dalla stanchezza, stropicciandosi l’occhio destro prima di pigiare il tasto e voltarsi verso le amiche.
- Bè – cominciò Bloom con voce  insicura, torcendo le mani, come per prendere tempo – io credo… io…non lo so – soffiò sconfitta, lanciando un'occhiata alle due fate sedute per terra, prese dai libri che Sky aveva trovato tra gli scaffali per cercare altre notizie.
Musa stava infatti per chiudere il secondo tomo quando percepì lo sguardo di sottecchi che Flora le lanciò prima di sorriderle flebilmente e tornare al proprio, di libro, seguitando però a guardarla quando la fata allungò un braccio per prenderne un altro.
E Musa non potè più far finta di nulla.
- Qualcosa non va ? – le chiese gentile, aggrottando le sopracciglia nel notare come la sua voce risultasse stonata, come se avesse mal di gola.
Flora sussultò per la sorpresa di essersi scoperta, guardandosi attorno con aria circospetta prima di tendersi verso l’amica, per essere udita solo da lei.
 - Ecco, volevo dirtelo prima, ma … hai uno strano odore – le confessò in un orecchio, facendola avvampare per l’imbarazzo.
Forse aveva un cattivo odore, e Musa comprese che forse, rotolarsi nella commiserazione senza curarsi della propria igiene personale per due notti di fila doveva aver dato i suoi frutti,  frutti piuttosto maleodoranti.
- Mi dispiace – si scusò, mortificata, allontanandosi un po’ per non darle altro fastidio, ma Flora sembrò stranirsi per quelle scuse, afferrandola per un braccio.
- Non intendevo quello, Musa, non hai un cattivo odore – le spiegò frettolosamente, scusandosi lei stessa per averle dato un’impressione sbagliata  – è solo che hai un profumo familiare, solo che non ricordo di cosa.
- Oh – sospirò la fata, un po’ più sollevata, curvandosi su se stessa quando un'improvvisa fitta allo stomaco la fece piegare per il dolore, e quando Flora le si accostò con un sussurro preoccupato tutti i presenti puntarono l’attenzione su di loro, persino Salazar, estraniatosi fino a quel momento.
- Musa ?
La fata tentò di rimettersi in piedi, ma un’altra fitta la costrinse a curvarsi su se stessa ancora di più.
- Non ti senti bene ? – le chiese Helia con voce morbida, inginocchiandosi accanto alla fidanzata per aiutarla ad alzarsi, ma furono altre mani a scivolare sotto le ginocchia della fata, tirandola in piedi con una delicatezza tale che Musa pensò subito a Sky, ma quando i suoi occhi videro che tipo di mani la stessero sorreggendo non potè che trattenere il respiro e lasciare che Riven la prendesse in braccio senza un lamento.
E quando quelle stesse mani, ruvide e callose, le accarezzarono la fronte la fata si sentì ancora più stranita, ghiacciata dallo stupore.
- Non hai la febbre – commentò lo specialista, risoluto e apatico come se stesse dando informazioni sul tempo, scatenando un battito di ciglia incredule negli occhi di tutte le Winx.
- Musa ? – la chiamò Flora con titubanza, scostando lo sguardo da lei a Riven con le braccia tese in avanti, come se le chiedesse il permesso di strapparla a quelle braccia per trovare rifugio nelle sue, o in quelle di Helia, ma la fata della musica non comprese subito il perché di quegli sguardi.
I suoi occhi blu velati dalla stanchezza guardavano Bloom, quasi stupidamente, con una tale fissità che la fata della Fiamma del Drago le sorrise debolmente, chiedendole con lo sguardo il perché di quell’attenzione così insistente.
Ma Musa non sarebbe riuscita a spiegarglielo, non mentre il suo cervello, per quanto indebolito, macinava nozioni, ricordi, pensieri che le avevano affollato la testa fin dall’inizio.
E quando finalmente ebbe l’illuminazione, quando finalmente trovò la risposta ai suoi problemi, a tutto, il  grido  con il quale richiamò l’attenzione della  principessa di Domino li fece sobbalzare tutti.
- Si ? – soffiò la fata con sguardo confuso, ritrovando negli occhi dell’amica una risolutezza che quasi le fece paura.
- Tu hai visto il passato di Domino vero? – le chiese Musa con voce tremante, prendendo un lungo respiro quando un insolito bruciore al petto le appesantì l’aria nello stomaco.
- Si, ma questo cosa…
- C’entra invece!  Se tu sei ci riuscita! Anche io posso provare a vedere quello di Salazar!
La portata di quell’ammissione tremante portò via con sé il respiro degli specialisti, di Tecna, che in quella logica non trovò nessun errore, nessuna falla.
Perché se avessero potuto davvero vedere nel passato dello stregone, se davvero Musa avesse potuto scoprire il velo che ottenebrava il buco nel suo lungo e tortuoso ragionamento, allora avrebbero potuto provare l’innocenza di Salazar.
Avrebbe potuto liberarlo, avrebbe potuto aiutarlo.
- Si, ma non credo sia la stessa cosa – la contraddisse  Bloom con voce grave, sentendo su di sé gli sguardi contriti degli amici – io sono riuscita a vederlo grazie alla maschera di mia sorella, è stata quella a mostrarmi Domino. È stata la maschera a tessere il legame tra presente e passato, qualcosa che apparteneva a Daphe, mentre noi non abbiamo nulla che appartenga a …
- Invece si. Io ce li ho – la anticipò Musa con la voce scossa da un’ansia, un’agitazione tale da portarla a districarsi dalle braccia di Riven per correre verso la porta con il fiato stranamente ingolfato.
- Io ce li ho – ripetè risoluta, imboccando il corridoio con ancora lo sguardo sorpreso della amiche sulle schiena, ma Musa correva, o ci provava, visto che trovare il respiro per non accasciarsi a terra fosse diventato piuttosto difficile.
Fu costretta infatti a poggiarsi ad una colonna quando la vista le traballò per un attimo, costringendola a chiudere le palpebre e poggiarsi con la schiena contro il gelido marmo per ritrovare l’equilibrio.
Stava male, questo lo aveva capito, ma qualcosa nella sua testa le suggeriva che non era la perdita di sonno ad aver scatenato quel malessere improvviso, non quel dolore al ventre, non la strana sensazione di cadere.
Quando udì dei passi  poco lontano non riuscì ad impedirsi di sorridere nel riconoscere il ritmo deciso e coordinato, l’andatura elegante ma appesantita dai muscoli guizzanti delle gambe, il ritmico tip tap di stivali dal tacco basso, levigato, che Riven batteva a terra con l’incedere di un soldato in cerca di qualcuno, di lei forse.
Questo non lo potè sapere fino a quando non fu costretta ad aprire gli occhi nel percepire la folata di vento gelato alla sua destra, una brezza invernale  sentita così  tante volte da risultarle quasi nostalgica.
Eppure, la sensazione di gelo si acuì quando, nel voltarsi con un sorriso, incrociò lo sguardo duro e ramingo di Salazar, immobile di fianco a lei, con alcune ciocche sfuggite alla coda ad adombrargli le ciglia imperlate di piccole sfere di ghiaccio.
Il sorriso le scivolò via dal viso, inconsciamente, mentre l’ansia nel petto si espandeva anche verso il basso, fluendo nelle gambe che Musa sentì incredibilmente pesanti, tanto che nell’indietreggiare rischiò di cadere a terra come una stupida.
Ma la necessità di correre via, di allontanarsi era forte, glielo gridava la testa, la sua coscienza, di scappare, di allontanarsi, perché era pericoloso, troppo pericoloso per lei.
Però era Salzar quello che aveva davanti, non Saladin, non un nemico, era il Fantasma che aveva salvato, che tentava di aiutare, l’uomo dagli occhi ametista che la freddava con lo sguardo più cattivo che le avesse mai rivolto.
- Musa ?
Sentì i passi di Riven farsi sempre più veloci, perché dovette averla notata anche lui, l’aura cupa che attorniava lo stregone, l’ ombra che Musa non trovò  più confortante, familiare, solo fredda e asettica come l’abbraccio smorto di un pupazzo di pezza.
- Cosa è successo ? – provò a domandargli, abbozzando un passo nel tentativo di non allarmarlo, ma un guizzo in quegli occhi vitrei la fece indietreggiare ancora, portandola nuovamente con la schiena contro il muro.
L’ansia nel petto aumentava, le toglieva il fiato, e la paura non l’abbandonava.
Perché c’era davvero qualcosa di sbagliato in quello che stava succedendo.
Nella corsa affannata di Riven che aveva appena sfoderato la spada.
Nello sguardo incolore di Salzar.
Nel malore che la costrinse a cadere in ginocchio quando le gambe cedettero.
Poi lo sentì, il suo respiro sulle ciglia, pesante e denso come una cappa di umidità che le imperlò il viso di piccole gocce di sudore, ma quella volta la forza di affrontarlo fu difficile da trovare, estremamente difficile.
Eppure, quando vi riuscì, Musa capì cosa lo rendesse così simile ad un fantasma, al riflesso storpiato dello stregone algido ma emotivo che aveva imparato ad apprezzare.
La paura, il terrore che attanagliava le viscere di entrambi, che strizzava i loro organi come la mano scrupolosa e rozza di un macellaio in cerca di carne da sfilettare.
- Hai mai provato la vera paura, piccola fata ? – le soffiò in faccia con un rantolo, gorgheggiando le restanti parole con l’alito gelato espulso direttamente dal centro del suo stomaco, una nuvola di aria e ghiaccio che le intirizzì i capelli incollati alla fronte, persino le ciglia imperlate di lacrime che le si impiastricciarono tra loro.
- No- lo supplicò con voce disperata, tentando di toccarlo, di fargli percepire il calore di una mano amica, di una presenza calda, viva, ma quella mano Musa la abbandonò con un gemito di dolore quando l’arto venne rivestito da una spessa lastra di ghiaccio.
- Tu non puoi. Non ora che siamo così vicini – lo pregò ancora, straziata da quel dolore che vedeva scavare una voragine nello sguardo vitreo di Salazar, un pozzo senza fine nel quale il Fantasma stava venendo fagocitato.
- Quella paura che ti fa credere di poterne morire ? – continuò lo stregone con uno schiocco della bocca, prendendole una ciocca di capelli per annusarla e riempire i polmoni del suo odore.
E Musa le vide, le sue pupille, dilatarsi proprio come quelle di un animale che aveva percepito l’odore del sangue e che ne era inebriato, eccitato come il più efferato degli assassini.
Perché era in quello che si stava trasformando lo stregone.
Un assassino.
- Tu non puoi- lo supplicò con voce rotta, sobbalzando nel sentire i passi di Riven troppo vicini per non darle una scossa al cuore, e il breve sguardo che Salazar lanciò allo specialista le fece accapponare la pelle e rivoltare lo stomaco.
- No – rantolò con la gola invasa dalla bile, boccheggiando quando il respiro parve venirle meno nel vedere lo stregone tornare in piedi con un gesto morbido delle vesti di seta.
- No – gemette ancora, dondolando il braccio ghiacciato per sbilanciare il busto e allungarsi su di lui, stringendo le dita attorno alla sua caviglia per fermarlo, lui e quel suo malsano odio per se stesso.
Perché era se stesso che Salazar voleva uccidere, semplicemente se stesso. Perché quelli come lui odiavano il mondo e chi lo abitava, persino loro stessi, tanto da desiderarne la morte.
-Ti prego Dalbhach.
Musa lo sentì, il fremito sotto le dita, il lungo brivido di dolore che fluì nelle sue carni, strappandole un gemito che lo stregone percepì con le palpebre chiuse e il fiato mozzato in gola, per racimolare il coraggio di farle del male, solo per non farne a se stesso, per trovare benessere nel suo dolore, per scoprire di essere ancora capace di attingere gioia dalla sofferenza di chi lo circondava, dalle creature magiche che aveva massacrato, dalle popolazioni che aveva sterminato in cerca di pace, dalla donna che forse lui aveva ucciso davvero.
Perché la possibilità di risalire al suo passato, di capire di quale colpa si fosse macchiato lo aveva terrorizzato assieme al fantasma dei ricordi perduti e mai ritrovati.
Ma lei  li aveva raccolti, con un sorriso gentile e la promessa che sarebbe andato tutto bene, che ce l’avrebbero fatta, una promessa nella quale  lui non aveva mai creduto.
Non se era lui a dover riportare alla luce i propri scheletri, gli spettri delle sue vittime, e vedere quel viso tra di loro lo avrebbe annientato, distrutto, ucciso.
Per questo doveva trovare il modo di espiare quel dolore, di esorcizzarlo prima che fosse quello a dilaniare lui, ad incrementare l’odio che già provava per se stesso.
- Mi dispiace.
Quando Musa crollò a terra, oramai priva di sostegno, attinse ogni particella di aria presente nei polmoni per urlare il nome dello stregone, per pregarlo di non farle quello, di non trovare in lei il suo benessere.
Perché non ci sarebbe riuscito, e lei non avrebbe retto, non nella realtà, non con la consapevolezza che quella volta non sarebbe scappata via da uno specchio e che la spada avrebbe trapassato le sue vere carni, non quelle della sua coscienza.
Ma non ci fu speranza, non ve ne fu più quando la fata vide lo spirito dello stregone trapassare il corpo di Riven come se fosse fatto d’aria, costringendo l’uomo a frenare la corsa e schiudere le palpebre su occhi che Musa vide tingersi di nero, un viscido e putrescente nero pece che ne inghiottì l’iride, rendendo quello sguardo identico a quello di un pazzo.
Lo sguardo che l’uomo posò su di lei, dilatando quelle che non erano più occhi, ma cavità nere prive di raziocinio, l’umido abbraccio che Musa scacciò con un sibilo basso, facendo forza sulle braccia per tornare seduta.
E quando vi riuscì, con il fiato corto e la vista appannata dalle lacrime, fece appena in tempo ad udire lo strappo alla schiena prima che la lama dello specialista fendesse l’aria assieme al suo rantolo.
Uno spruzzo di saliva le imbrattò la guancia quando Riven si scontrò sulla fragile barriera sonica che era riuscita ad alzare, e quando Musa ruotò i polsi per convergerle sulla schiena dell’uomo, così da immobilizzarlo, socchiuse gli occhi nel sentire il gocciolio umido che le tinse le ciglia e l’angolo della bocca quando altra saliva colò giù dalla bocca schiusa dello specialista.
Una bocca spalancata su una dentatura affilata, perfetta e umana che però l’uomo snudava come quella di un animale, una bestia quando lo sentì azzannare l’aria, provando a morderle una ciocca che la fata portò indietro assieme alla testa, pregandolo con lo sguardo di svegliarsi.
- Riven, ti prego, svegliati – lo scongiurò con l’affanno nella voce, rilasciando uno strillo disperato quando lo specialista cominciò a dimenarsi, riuscendo a piegare la barriera che le si inclinò addosso, costringendola ad appiattirsi contro il pavimento per non ferirsi con la spada che l’uomo teneva tesa.
- Riven ! – strillò angosciata nel trovarsi completamente distesa al suolo, con le braccia ripiegate dolorosamente sul petto nel tentativo di mantenere le distanze dal corpo frenetico che, disteso sopra il suo, era pressato sulla barriera sonora che Musa faticava ormai a reggere.
Una fitta acuta allo stomaco la fece piegare di lato, e Riven seguì il suo movimento, tendendo il fianco sinistro per inclinarsi nella sua direzione e provare ancora a morderla, e quando finalmente riuscì ad aprirsi uno spiraglio Musa  lanciò un urlo di dolore nel sentire i suoi denti ancorarsi all’orecchio destro, tirando con tanta forza da farglielo sanguinare.
L’orrore fu più forte della sua coscienza, della ragione, e quando l’onda d’urto scaraventò Riven contro una colonna, gettandolo a terra con un sibilo di dolore Musa fece appena in tempo a portarsi una mano tremante all’orecchio prima di piegarsi su se stessa e coprirsi la bocca per vomitare il suo raccapriccio.
Ma quello che la fata rigettò fu sangue, un lungo e viscoso fiotto di sangue che le colò giù dal mento, gocciolando sulle mani che la fata osservò con gli occhi sbarrati dalla paura.
Perché non avrebbe dovuto vomitare sangue, non avrebbe dovuto.
- Riven – strillò ancora, ma questa volta, nella sua voce c’era una richiesta di aiuto, non un monito a non avanzare, mentre la fata tornava a piegarsi su se stessa e a sentire qualcosa di orribile risalirle la gola.
Quella volta però Musa riuscì ad inghiottirlo, continuando a tenere le braccia aperte sul viso per tapparsi la bocca in caso di rigetto, e quanto la fata tornò ad invocare il nome dell’uomo, il silenzio le venne in risposta, silenzio e una figura slanciata smossa dalla fiammella tremolante affissa alla parete.
Un capogiro la colse impreparata, tanto che si trovò distesa nuovamente al suolo prima che le sue ali facessero forza per riportarla quantomeno in ginocchio, ma lo sforzo le costò altro dolore, altro sangue, e l’angoscia l’assalì come una coltellata al cuore.
- Riven – biasciò con la poca voce rimasta, tornando in piedi con le ginocchia che si scontravano tra di loro e le braccia tese nel vuoto, in cerca di un appiglio che non trovavano, l’ancora di salvataggio che Musa trovò alla fine del corridoio, nell’uomo che la osservava,immobile, ma con la spada tesa davanti al volto e l’occhio vitreo di un animale in attesa.
 - Hai mai provato la vera paura, piccola fata ?
Il primo passo le costò una fitta tra le costole, ma il dolore le causò un lieve ondeggiamento che frenò con un ringhio frustrato, mettendo un piede davanti all’altro con l’attenzione maniacale di una bambina intenta a compiere i suoi primi passi verso la vita.
- Quella paura che ti fa credere di poterne morire ?
Guardò Riven, poi i muscoli guizzanti dell’avambraccio e la spada tesa nella sua direzione prima di ricontrollare i propri passi per non cadere di nuovo, ma le gambe erano fragili, delicate come le sue ali, e quando un’ondata di nausea la colpì ancora furono quelle a librarla in aria, a reggerla affinchè potesse riprendere coscienza e tornare a camminare.
Perché lì davanti a lei c’era la sua più grande paura, quella per la quale avrebbe potuto morirne, quella che nella sua mente l’aveva uccisa, ma solo perché lei glielo aveva permesso, glielo permetteva sempre.
Ed eccola, la bruttura della sua anima, quella più folle, quella più masochista.
Quel maledetto amore che la spingeva sempre tra le braccia di Riven, anche con una spada in mano, anche con la possibilità di venirne uccisa.
Ma quello era il suo salto nel vuoto, un vuoto che faceva paura, fatto di parole sconnesse, grida concitate e bisbigli che la condannavano, lei e quell’amore sbagliato, eppure lei non lo trovò così sbagliato, non quando l’orrore e il dolore lasciarono spazio alla stanchezza di combattere una battaglia che non poteva vincere, che non avrebbe mai vinto.
Non contro il suo cuore, non contro l’innaturale forza che la attraeva tra quelle braccia.
Prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi quando la lama le strisciò sulla guancia nell’andargli in contro, singhiozzando altro sangue, mentre i suoi piedi perdevano il contatto con il pavimento e le sue ginocchia cedevano come un legnetto frantumato da un colpo d’ascia.
E saltò ad occhi chiusi, le mani tese davanti al viso e un sorriso delicato a seguire l'inevitabile caduta prima di sentire l’aria sferzata dalla lama poco sopra il fianco destro.
E provò dolore, un acuto dolore tra le scapole quando si sentì sollevare, udendo lo schianto della spada contro il pavimento, lo stridere delle suole delle scarpe quando Riven si curvò in avanti per tirarla in piedi, e le sentì, le sue braccia, avvolgersi attorno alla sua vita come la più calda delle coperte mentre gli occhi le si inumidivano di nuove lacrime.
Il pianto che liberò fu un lungo lamento, come l’eco lontano di un allarme impazzito, intervallato dai sussulti secchi dei suoi singhiozzi, dagli strappi nel lungo mantello che le sua dita squarciavano per la forza con la quale si aggrappava alle spalle dello specialista.
- Shh – provò ad ammansirla Riven, ma anche la sua era strozzata, incrinata da quel sangue che gli inumidiva la divisa  e da quel pianto che lo stava prosciugando della forza di scostarla e allontanarla.
Perché non ci sarebbe più riuscito.
Non con la prova di quanto lei si fosse spinta per capirlo, cosa avrebbe fatto, pur di non lasciarlo solo.
Il frusciare di seta e vento accompagnò un altro lamento, più lungo dei precedenti, accompagnato dalla caduta di una lacrima salata che un dito raccolse prima di toccare terra, e quando Musa inclinò il capo per alzare lo sguardo inghiottì un gemito di dolore nel vedere il viso di Salazar, ma soprattutto, nel vedere le dita spiegate sul volto contratto dello stregone, increspato da rughe profonde attorno alle labbra e agli occhi serrati con forza.
Le sfuggì un altro singhiozzo, basso e vibrante che la fece tremare da testa a piedi, e quando Riven affondò il viso tra i suoi capelli, rafforzando la presa attorno alla sua vita, Musa non potè che rilasciare un respiro tremulo, poggiando la guancia sulla spalla  che sentì sussultare sotto la carne tenera della gota mentre Salazar continuava a tenere la mano sulla parte libera del suo viso.
 - Mi dispiace.
- Anche a me – ebbe appena  la forza di sussurrare, chiudendo gli occhi con un respiro stanco che Riven accompagnò con un sussulto secco delle spalle, il viso affondato nei capelli che persino Salazar si trovò ad accarezzare, fissando il viso pallido e  puntellato di sangue che lo aveva perdonato, ancora una volta.
Proprio come aveva fatto Arya, come aveva sempre fatto quando  lui si era fidato di lei, e lo avrebbe fatto ancora.
Perché la speranza di quell’ “andrà tutto bene”  pareva quasi un incantesimo, se detto da quella fata, e chissà che quella magia non li avrebbe salvati tutti.
La sua anima, e il cuore nero che Musa ripulì con ogni sua lacrima, goccia dopo goccia, lasciando Riven nudo, inerme, e vulnerabile come il più innocente dei bambini in cerca di conforto, di amore, di braccia nelle quali affondare il naso per ispirare il profumo di casa.
E la sua era lì, sulla sua spalla, in quel respiro regolare e silenzioso, in quel profumo di fiori che gli annebbiò la vista, cancellando l’orrore di un passato e di un futuro che poi così nero non sembrava più.





Continua …



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Capitolo 12
*** Believe ***




slòablò

“I'm still trying to figure out how to tell you I was wrong

I can't fill the emptiness inside since you've been gone
So is it you or is it me?
I know I said things that I didn't mean
But you should've known me by now
You should've known me “
[…]
“If you believed
When I said
I'd be better off without you
Then you never really knew me at all
If you believed
When I said
That I wouldn't be thinking about you
You thought you knew the truth but you're wrong
You're all that I need
Just tell me that you still believe “
[…]

I can't undo the things that led us to this place
But I know there's something more to us than our mistakes
So is it you or is it me
I know I'm so blind when we don't agree
But you should've known me by now
You should've known me
Cuz you're all that I want
Don't you even know me at all
You're all that I need
Just tell me that you still believe”
( Belive – Skillet )








Dormire era stato un lusso che Musa non si era potuta concedere in quei mesi, figurarsi svegliarsi riposata, senza dover provare la desolazione di trovare nuove cicatrici, nuove ferite a scalfirle la pelle come il tessuto rattrappito di un vecchio mantello malconcio, eppure la fata si scoprì beatamente indolenzita, con il languore del dormiveglia a solleticarle la voce smorzata dal sonno in un lieve borbottio concitato.
Le venne in risposta un respiro regolare, lento e profondo come un tuffo nel mare aperto, poi la sentì, la pesantezza sui fianchi, una lingua di calore che le cingeva la vita.
Il braccio di qualcuno.
Qualcuno con un corpo molto caldo, bollente, e deliziosamente comodo, questo la fata lo pensò nel trovare il petto sul quale poggiava la guancia estremamente rassicurante.
Un petto morbido, come un maglione di lana calda, soffice come un coperta, ma quando Musa schiuse le ciglia con un lungo sbadiglio si ritrovò a dilatare le pupille nell’accorgersi che quella a contatto con la sua guancia era pelle nuda, pallida e levigata dagli allenamenti che l’avevano resa così comoda per il suo capo dolente.
E non ci fu bisogno di alzare lo sguardo quando  i suoi occhi, che si muovevano  a scatti  per memorizzare ogni particolare, notarono il pettorale destro scolpito e decisamente maschile.
- Riven ? – soffiò incredula, esalando il primo nome che da sveglia pensava, ogni mattina, ma lui non poteva averle permesso di usare il suo torace come cuscino, non l’avrebbe tenuta abbracciata nel sonno, non avrebbe potuto.
Eppure, quando il sibilo basso e familiare la raggiunse  non potè che scattare a sedere, torcendosi tra le lenzuola aggrovigliate attorno alle  gambe prima che un dolore acuto all’orecchio la portasse a coprirlo con una mano, riscoprendolo avvolto da bende, mentre davanti al suo sguardo incredulo Riven abbassava il braccio con il quale l’aveva cinta, lentamente, tirandosi su per poggiarsi contro la testata del letto.
E lo vide, il guizzo di dolore che gli aveva attraversato il viso come una scarica elettrica, scoperchiando nervi tesi e zigomi tirati prima di rilassare la mandibola e ammorbidire il taglio duro delle labbra nel seguire la sua mano coprire l’orecchio.
Poi tutto si fece nero.
Nero come il livido che Musa riscoprì con orrore sul torace di Riven, un ematoma  che gli azzannava metà busto, come il morso di uno squalo che pareva avergli scoperto carne viva quando la fata si accorse, con orrore, della pelle tesa ed escoriata poco sotto il pettorale, lì dove lei aveva poggiato la guancia per tutta la notte.
- Mi dispiace – esalò desolata, allungando una mano che ritirò subito nel vederlo coprire la ferita con il lenzuolo, con indolenza, come se non lo turbasse vederlo lì, ma  lei si, la turbò la vista, la turbò il pensiero di sapere quale fosse stata la causa di quell’escoriazione, dell’orecchio che sentiva pulsare sotto le dita.
- Non piangere.
Musa si morse le labbra per non dare un suono al proprio dolore, ma il lamento che le sfuggì dalla gola intensificò le lacrime che le inondavano gli occhi mentre le sue mani si stringevano sull’orecchio che Riven le aveva morso, strappato via, mentre l’orrore di sapersi responsabile della ferita dello specialista le incendiava la gola di nuove urla.
- Ti ho detto di non piangere – la rimbeccò acido, allungando una mano per tapparle la bocca, o forse, per farla stendere di nuovo, ma quando le dita callose le arpionarono il fianco destro, Musa si trovò con le mani pressate sulla bocca e il mento poggiato sulla spalla destra di Riven, le braccia tornate sulla sua schiena, ma in un abbraccio morbido, delicato come se stesse stringendo qualcosa di dolce, di tenero, di suo.
Il calore di quel torace  fu un balsamo per in mulinello d’ansia e angoscia che, come una bolla di sapone, esplose sotto i suoi occhi sgranati per lo stupore di quell’abbraccio, e della mano corsa ad accarezzarle i capelli.
Inumidì la spalla sulla quale poggiava il mento con le proprie lacrime, seguendo le scie umide rigargli la schiena come una finestra picchiettata dalla pioggia battente, e quando ne seguì il contorno con l’indice si ritrovò a rilasciare un singhiozzo strozzato.
- Mi dispiace – rantolò affannata, stringendolo con tanta forza da sentire i muscoli contrarsi sotto le sue mani, tanto che Musa potè sentire le sue stesse carni tendersi in uno spasmo incredulo, desolato, come il pianto che sfogava sulla spalla dell’uomo.
- Mi dispiace – singhiozzò oramai senza forze, incapace di fare altro se non scusarsi con lui, con se stessa, per dove erano arrivati.
Perché avevano toccato il fondo entrambi, lei, con quel livido che accarezzava con i polpastrelli, nella speranza che potessero cancellarne l’ombra violacea, lui, con quell’orecchio martoriato che pulsava come la ferita aperta mai chiusasi del tutto.
 Un altro singhiozzo portò via con sé l’ennesima preghiera, l’ennesima supplica, ma quando la stanchezza la agguantò Musa si abbandonò tra quelle braccia con l’arrendevolezza di una bambina stanca di dover cercare un amore che non trovava mai, ma che la fata, dopo tanto penare, riuscì a trovare.
E lo trovò, quell’amore che era sempre stata la sua condanna e la sua maledizione.
Lo trovò nei baci tiepidi e leggeri che Riven le depositava sul capo, uno dopo l’altro, tanto vicini e impalpabili da sembrare le dita di un neonato che tastavano la vita, in cerca di un posto per sè, piccoli e fuggevoli tocchi che sembravano colmare i buchi che Riven aveva nel petto, nella voce, in quello sguardo che sembrò gonfiarsi di emozione, come una vela immobile soffiata dal vento della ragione, della consapevolezza di aver trovato la via di casa.
- Grazie.
Un bisbiglio.
Un sussurro forzato, dettato più dall’incapacità di esprimere l’opprimente sensazione di calore al petto per dargli un tono più dolce, meno aspro, ma non c’era mai stato nulla di dolce in quell’uomo che l’abbracciava come se stesse stringendo la sua unica ragione vita.
Non ve ne fu nelle mani rozze che le accarezzavano i capelli, non ve ne fu nel bacio che Riven le rubò assieme al respiro, strofinano il pollice ruvido sulle guance umide, un polpastrello umido del velo impalpabile che rendeva quegli occhi viola tremolanti come il bagliore incerto di una candela accesa dopo tanto tempo.
E Musa sentì il petto gonfiarsi di commozione, di amore per quello sguardo che la ringraziava di aver creduto in lui, di aver creduto in loro, e in qualcosa che non sarebbe mai nato senza la sua perseveranza, senza la sua compassione.
Qualcosa che Riven aveva sempre calpestato e fatto finta di non vedere fino a sbatterci contro e scivolarci sopra, trovandosi lì, dove sapeva, sarebbe sempre dovuto essere.
Con quella voce gentile a mormorare il suo nome, e quelle mani di bambina ad incorniciare il suo cuore con dita morbide e calde che sapevano d’amore.
Sapevano di Musa.
Sapevano di casa.





°°°
     






- Siamo pronti.
Musa chiuse gli occhi con un lungo respiro, abbozzando un passo che fu costretta a troncare quando un braccio la tirò indietro, facendola cozzare contro un petto che riscoprì ugualmente caldo, ma meno rassicurante di quella mattina.
Perché c’era tensione nel torace contratto contro le sue scapole, c’era paura, terrore, e un angoscioso senso di smarrimento che la fata raccolse tra i palmi nel rigirarsi tra quelle braccia e abbozzare un sorriso gentile.
- Andrà bene – lo rassicurò, ma persino la sua voce tradiva una nota d’ansia, di insicurezza.
Riven guardò i suoi occhi blu, i lunghi capelli acconciati in onde sinuose, e il vestito di seta porpora, un po’ rovinato sulle maniche, spruzzato sull’orlo della gonna da chiazze sulle quali  né le Winx, né gli specialisti avevano voluto soffermarsi.
Non ne avevano avuto il coraggio, neanche Musa quando lo aveva estratto dal baule nel quale Salzar riponeva altri indumenti di Arya.
Le andava un po’ largo sui fianchi, ma fatta eccezione per l’innocenza dei suoi lineamenti, nulla avrebbe potuto renderla meno somigliante alla fata veggente.
Erano identiche, e ciò sarebbe servito a rafforzare l’incantesimo che avrebbe dovuto risvegliare il passato del quale quelle pareti conservavano il ricordo.
Un passato che però Musa cominciava a temere, per paura di non trovarvi le risposte che cercava, non quelle che avrebbero potuto salvare lei e Salazar.
- Musa?
La voce di Bloom le giunse lontana come l’eco in una caverna, ma la fata sapeva che una volta entrata nel cerchio magico tracciato dallo stregone avrebbe perso cognizione di ogni cosa, persino di se stessa, per ospitare  nel suo corpo il ricordo di Arya, così da  riviverne gli ultimi momenti.
Strinse il diario nascosto sotto le vesti, tremolando un po’ quando si trovò con la punta delle scarpe a contatto con la scia di sale, ma ancor prima di varcare il confine tra sogno e realtà si voltò a guardare Riven, e non potè che sorridergli per rassicurare entrambi.
Lei, e quel cuore che sapeva, le sarebbe scoppiato nel petto se avesse continuato a battere con quella ferocia.
E l’uomo dallo sguardo smarrito e perso che le chiedeva, la pregava di non lasciarlo solo, non dopo aver compreso e accettato se stesso e l’orrore delle sua anima per lei, solo per lei.
- Qualunque cosa accada – cominciò con voce insicura, trovando nella posa rigida di quelle spalle ampie la sua stessa agitazione –  continuerò a proteggerlo, a difenderlo, con o senza il tuo consenso – concluse con voce più ferma, quasi sprezzante, e quando lo vide tendere il viso in un guizzo di denti bianchi, nell’imitazione di quella che solo lei, poteva ritenere un sorriso, non potè che deglutire e ringraziarlo silenziosamente prima di voltarsi e compiere un passo che cadde nel vuoto assieme al suo  strillo.
L’orrore la agguantò come una lancia conficcata nel ventre che qualcuno avvitava dentro il suo petto come se volesse cavarle fuori il cuore e i polmoni, perché non ci fu più aria alla quale attingere quando la sua bocca si fece asciutta, secca e arida più degli occhi che presero a bruciarle dolorosamente.
Ma era la sensazione di essere schiacciata, di avere una mano che la rigettava a terra più e più volte, quasi per mettere alla prova la tempra del suo corpo e del suo spirito a farla strillare, e quando il presentimento di stare per andare in frantumi la costrinse a lanciare l’ennesimo urlo disperato si trovò improvvisamente a correre su gambe che sentiva leggere, tanto leggere che le sembrava di volare.
E non ci fu più dolore al petto, men che meno agli occhi che schiuse per osservare la figura ammantata di nero che sostava sotto la statua del gagoyle e verso la quale tendeva uno  sguardo innamorato.
Si riscoprì a sorridere senza che potesse impedirlo, come se non ne fosse cosciente, ma sapeva di starlo facendo, che Arya stava sorridendo con la sua bocca, e l’impressione di essere lei, quella rinchiusa nel corpo della fata veggente, le diede uno strano senso di ansia e angoscia.
Abituarsi ai cambi d’umore di Arya le risultò difficile, perché sentiva la paura e l’ansia artigliarle la voce, ma poi tornava a sorridere quando il profilo aguzzo di Salazar si faceva più chiaro, meno sfocato, fino a quando Arya non si fermò a pochi passi da lui, ansimando per la corsa.
- Sei qui – mormorò senza fiato, schiudendo le labbra nell’ennesimo sorriso delicato, e per quanto Musa fosse influenzata dai sentimenti della fata si accorse con un sussulto interno che c’era qualcosa che non andava nell’uomo che le stava di fronte.
Non solo perché lo riscoprì meno umano di quanto avesse pensato, sarebbe stato da vivo, ma perché lo sguardo che le puntò addosso, a lei, ad Arya, parve velarsi di calore per un attimo, un misero attimo prima che entrambe sussultassero nel vedere quegli stessi occhi stringersi in una striscia di odio puro.
- Salazar ? – si trovò a mormorare, sorpresa, retrocedendo quando lo stregone frusciò dall’ombra della statua per mostrarsi in  tutta la sua altera figura, e Musa lo trovò ancora più alto, più feroce, più cattivo di ogni suo incubo.
Perché non c’era niente di buono in quella bocca schiusa in un ringhio, non nell’ombra cupa di occhi che sembravano bulbi iniettati di sangue viscoso, non quella voce che lei non aveva mai sentito così fredda e tagliente.
- Sapevo che prima o poi sarebbe successo – soffiò lui con voce strascicata, sibilando nelle sue vesti che ondeggiavano ipnotiche sulle spalle larghe e piazzate – solo che non pensavo sarebbe successo così presto – continuò con la voce sempre più flebile, come se stesse pensando ad alta voce.
Musa provò orrore nel vedere quel movimento, quello strisciare grottesco che lo faceva sembrare un rettile, ma si riscoprì impossibilitata a non farsi assalire dalla sorpresa di Arya, solo sorpresa, non paura, non terrore, semplice stupore.
Disorientata come poteva esserlo una bambina alla quale si cerca di impartire una lezione troppo dura da poter incassare con un sorriso, e Musa lo sentì scivolare via solo dal suo, di  volto,  quando la vide tendere una mano verso quell’espressione contratta in una smorfia disgustata.
E l’orrore, il terrore di vedere le labbra di Salazar arricciarsi assieme alla pelle tesa delle guance le inviò una scarica di paura per se stessa, per Arya e per quella mano che Musa fissò con occhi sgranati prima di urlare alla fata di scappare, di allontanarsi da lui.
Ma l’innocenza che permeava anche il suo, di cuore, venne uccisa dalla fitta alla schiena che fece gemere lei e urlare Arya quando  ricadde carponi al suolo dopo l’impatto con una colonna della sala.
Trovò difficile rimettersi in piedi, perché il corpo di Arya era pesante, era più gracile del suo, meno avvezzo al dolore, e provò a far forza a se stesse e alla fata, incitandola, aiutandola e aiutandosi a rimettersi in piedi, un po’ traballante sulle gambe che tremavano per il contraccolpo.
Eppure c’era ancora innocenza nel suo sguardo, lo sentiva, lo vedeva da dentro, lo percepiva scorrere nel cervello della fata assieme alla sorpresa e questa volta, alla preoccupazione per ciò che aveva portato Salzar a colpirla, a farle del male.
Poi li notò anche lei, i lividi sugli avambracci, lividi che lei non aveva fino a poco fa, ma che Arya osservò con un sospiro pesante prima di alzare lo sguardo e tendere le braccia con l’ennesimo sorriso.
Un altro ringhio, e il dolore le bruciò il cervello per quanto l’impatto con il terreno fu doloroso, agghiacciante come lo sguardo calmo e gentile che Arya rivolgeva al soffitto, distesa sul pavimento a gambe divaricate e con un piccolo sorriso triste in volto.
Ma non avrebbe dovuto sorridere, sarebbe dovuto scappare, fuggire da lui e da quello sguardo cupo e feroce che la seguiva in ogni caduta, dopo ogni impatto e crollo contro un piedistallo, la scalinata, la stessa statua del Gargoyle.
Aveva la bocca piena di sangue, un fiotto che sputò a terra prima di rimettersi in piedi e tornare a tendere le braccia a quell’uomo mostruoso che la sovrastava come l’ombra affamata di una bestia crudele.
La paura era scomparsa, l’orrore ucciso, l’incredulità ghiacciata, la speranza dilaniata da quello sguardo cattivo e dalle sue braccia tese ricoperte di graffi e ferite.
Arya non aveva parlato, non aveva detto una parola, si era limitata a cadere e a rialzarsi ogni volta, colpo dopo colpo, trovandosi con il fiato mozzo ma con quel sorriso in viso che Musa non riuscì ad imitare, non volle, non potè.
Perché anche lei avrebbe permesso a Riven di ucciderla, di farle del male, di poter disporre della sua vita, lo aveva già fatto, ma lui aveva capito, l’aveva accettata, e si era fermato.
 Salzar non lo fece, non ci provò neanche.
- Dalbhach.
Morire non faceva male, questo Musa lo pensò con l’ultimo sprazzo di lucidità prima di lasciare che la sua mano si allungasse sul collo dello stregone, arpionandosi all’amuleto che Arya trascinò nella caduta del  braccio lungo il fianco prima che un rigurgito di sangue le scuotesse il petto in uno spasmo doloroso.
Un singhiozzo che puntellò la palpebra destra di Salazar di tre sfere scarlatte, poco lontano dalle ciglia biondissime che Musa vide sbattere lentamente, come a rallentatore, su occhi che riscoprì velarsi di dolore, di comprensione.
- Arya.
Sorrise, senza fiato, racimolando la forza che serbava per respirare per accarezzargli il viso con l’indice, uno sforzo che le costò un ultimo doloroso battito, portando via con sé il suo ansito e il fruscio raccapricciante con il quale lo stregone ritirò il braccio dal petto della fata.
- Musa!
Nel sentire il suo nome, il suo vero nome, l’ansia patita fino a quel momento la spinse a rilasciare il primo singhiozzo, e quando un braccio la tirò su con forza, il dolore di quel bruciore al petto la fece strillare dall’orrore mentre Riven provava a bloccarle i polsi che agitava davanti al viso con strilli e suppliche angosciate.
- No! – strepitò isterica, sentendo ancora affondato nel petto quel braccio freddo e impietoso che l’aveva trapassata da parte a parte.
E l’orrore di quell’omicidio le strappò l’ennesimo singulto, l’ennesimo ansito disperato mentre gli occhi le bruciavano per la consapevolezza di aver perduto tutto in un  battito di ciglia.
- È finita.
Musa riuscì a concentrarsi sulla voce di Riven conto l’orecchio, sul tono dolce e gentile delle sue corde vocali, sulla familiarità della pelle calda sotto i polpastrelli, non fredda, non gelida, solo calda, un tepore che la portò a rilassarsi contro il petto dello specialista con un singhiozzo spezzato.
-
È finita – le ripetè gentile contro la tempia, passando le labbra sulle guance per raccogliere le lacrime che le rigavano il viso, un velo impalpabile attraverso il quale Musa lo vide.
Vuoto.
La fata non riuscì a leggere altro nello sguardo vitreo di Salazar, solo vuoto, un vuoto incolmabile, silenzioso e ghiacciato come la patina umida che gli imperlava le ciglia.
E avrebbe voluto abbracciarlo, assicurargli che avrebbero sistemato tutto, ma non c’era più nulla da rimettere in sesto.
Perché lo avevano visto tutti attraverso gli occhi di Musa, di Arya.
Un’uccisione veloce e indolore.
Veloce e silenziosa come il morso di un aspide, ma un’uccisione.
Impietosa.
Crudele.
Violenta come lo sguardo che Salazar rivolse al vuoto, feroce come uno sparo, rabbioso come l’urlo nero di una bestia errante, e Musa avrebbe voluto confortare quell’anima disperata, avrebbe voluto cingergli il capo tra le braccia e consolarlo, ma la disperazione aveva assalito anche lei, il suo cuore, e quella mano che aveva teso al vuoto, inconsciamente, e che fu costretta a ritirare quando uno scoppio sulle loro teste costrinse Riven a trovare riparo sotto l’arcata.
Il polveroso soffitto piovve giù in briciole e ammassi rocciosi che avrebbero potuto schiacciarli se i riflessi degli specialisti non li avessero avvisati anticipatamente della loro caduta.
Eppure c’era chi a spostarsi non c’era riuscito, non ci aveva neanche provato.
E quando Musa schiuse le palpebre  si scoprì con un groppo in gola nel notare la figura immobile dello stregone, fermo in mezzo alla desolazione del suo maniero, ferito da piccole schegge che gli tagliarono la pelle tenera delle guance, una dopo l’altra, causando nella fata l’ennesimo ansito disperato.
Poi lo seguì anche lei, lo sguardo di Salazar, perso nel vuoto, nell’immensità di quel cielo che Musa non trovò più  buio e tenebroso, denso come una cappa di fumo, ma luminoso, puntellato di enormi scintille scarlatte che se fecero tremare lei per la paura, portarono Bloom e Sky a lanciare, in un richiamo, i nomi dei loro genitori.
Perché erano i sovrani di Domino ed Eraklyon a guardarli dall’alto delle loro navi corazzate, loro, e il numeroso esercito che un uomo canuto guidava con lo sguardo impietoso di un dio vendicatore.
Il mago dal sorriso osceno che la fece trasalire, lei e quel cuore che le sussultò in petto quando, altalenando lo sguardo dal preside di Fonterossa al Fantasma immobile, perso nel suo dolore,  comprese l’orrore di quanto stava per accadere, il terrore di vedere piccole scintille dorate pulsare nel cielo nero come tagli nel vuoto, minuscoli raggi di magia che avrebbero ucciso, distrutto Salazar.
Perché Musa sapeva che lui non avrebbe fatto nulla per difendersi, non avrebbe lottato, ma si sarebbe arreso, semplicemente, lasciandosi morire come nel più tragico dei finali.
 Un finale al quale però lei non volle assistere, non potè, neanche se la consapevolezza di non poterlo più aiutare le segnasse lo sguardo di amarezza.
Ma lì di fronte a lei vi era comunque un uomo, per quanto assassino, che l’aveva difesa, protetta, e al quale inconsciamente si era legata.
Non perché era destinata a farlo, ma perché aveva voluto, aveva desiderato fare parte della sua vita, per quanto miserevole e triste.
E quando Musa scivolò dalle braccia di Riven seppe di stare facendo la cosa più giusta, per se stessa, e per quella donna che aveva teso le braccia all’uomo persino nella propria morte.
Lo schianto alzò fuliggine, schegge di marmo e persino schizzi di sangue, ma quando il polverone si diradò, sospinto da un piccolo spostamento d’aria, Musa bloccò il battito flemmatico delle sue ali, alzando lo sguardo da terra con un gesto lento e morbido mentre il campo di energia che aveva eretto su di lei tossicchiava un po’ per il contraccolpo.
Ma non si mosse da lì, tenne le braccia piantate ai lati della testa e lo sguardo altero e cattivo di chi di arrendersi  non ne aveva alcuna intenzione, anche quando Saladin la vide e la condannò con lo sguardo ad un futuro che prometteva morte e dolore.
Per lei, e per lo stregone che stava proteggendo, che, nonostante tutto, avrebbe sempre difeso, a costo di mostrare cosa avrebbe potuto fare, pur di saperlo al sicuro, al prezzo di barattare per la vita di una creatura già morta la lordura di quell’anima nera che ora la portava a ringhiare come la più feroce delle belve.
Selvaggia e crudele come Musa sapeva, sarebbe potuta diventare.
Come era diventata.
- Perché?
Fu un sussurro quello di Salazar, simile a quelli che la fata rammentava, i lamenti disperati di chi non crede di meritare nulla ma che continua, inutilmente, a ricercare una pace che non gli era dovuta, che non gli era stata concessa.
Ma quella volta le parve ancora più fragile, flebile come il richiamo di un bambino che non capisce ma che vorrebbe farlo pur di comprendere il significato delle proprie azioni, di quelle degli altri, e Musa non potè che accogliere quell’ennesima debolezza con un sorriso gentile.
Come quelli di Arya.
Come quelli di chi aveva amato con innocenza e che continuava a farlo, riscoprendo lì dove non vi era altro che lordura la purezza di un’anima che desiderava solo essere amata, compresa, accettata.
E lei lo aveva accetto da tempo.
La sua bassezza.
La grottesca ricerca di piacere nel dolore altrui.
Ma anche la prova che l’amore poteva avere delle sfumature un po’ meno confortanti, meno dolci ma pur sempre sfumature di un sentimento che ognuno esprimeva secondo le proprie possibilità.
E quelle di Salazar erano state poche, se non inesistenti.
- Perché gli amici non si abbandonano mai – confessò con la voce resa un po’ roca dalla magia che stava incanalando nelle sue corde vocali quando vide nuove scintille brillare nel buio del cielo – e per quanto la cosa continui a risultarti impossibile da credere, perché voglio aiutarti, semplicemente.
 L’onda d’urto fu devastante, ma quando le schegge di magia si schiantarono contro il muro sonico che Musa aveva eretto, l’ennesimo tentativo di far del male al Fantasma andò a vuoto, così come i precedenti.
Perché più i loro attacchi si facevano  veloci, più la fata riempiva la sua gola di magia, di energia che espelleva dal corpo sotto forma di barriere invisibili che si accartocciavano sulle navi come gli artigli di una bestia, e quando Musa seguì l’onda con il proprio corpo, lo scoppio di un motore e di alcune navicelle  causate dall’impatto contro una massa di materia invisibile portò via assieme alle maledizioni di Saladin il sorriso di vittoria della guardiana.
Un sorriso macchiato di sangue, dal rivolo che Musa sentì scendere  dalla narice e picchiettare con un suono raccapricciante il suolo quando le navi fecero pressione sul suo muro, costringendola a flettere le gambe per mantenere la sua posizione, richiamando altre onde da abbattere come una mannaia sulle navi da guerra.
E per quanto il suo potere fosse devastante, per quanto fluisse docilmente nell’aria sotto i suoi comandi, lei era sempre sola, era sempre una ragazza, benché fata, sola contro un’armata magica che prese a cozzare con più ferocia sulla lastra di magia che li proteggeva tutti.
Quando la terra le si sbriciolò sotto i piedi Musa rischiò di perdere l’equilibrio, ma qualcosa riuscì a reggerla prima che il cratere apertosi sotto di lei le falciasse le gambe come un colpo di frusta.
Il braccio che non era mai stato tanto dolce, tanto presente come in quel momento, la presa ferrea e confortevole di un uomo che ora si trovava al suo fianco, con la spada tesa in aria e il fisico piantato a terra cosicchè da reggere entrambi in ogni caduta, dopo ogni schianto.
Lo scoppio alla sua destra la costrinse a distogliere l’attenzione dalle navi, e quando Musa vide Aisha volare verso l’entrata della sala capì che oltre alle navi, Saladin aveva richiesto l’aiuto di rinforzi da terra, e quando Faragonda sbucò dal passaggio la sorpresa la costrinse ad aggrapparsi al braccio di Riven per incassare l’ennesimo colpo contro il muro sonico.
- A sinistra! – gridò Tecna nell’avventarsi contro un manipolo di specialisti filtrati dalle immense finestre, avvisando Bloom di difendere il fianco sinistro, ma anche quando si chiusero in cerchio, la netta minoranza numerica le rese prede facili di quel dispiegamento di forze.
- Dobbiamo andarcene di qui – le avvisò Flora con voce soffocata dall’ansia, ma quando Musa tornò a fissare in alto sentì l’orrore ghiacciarle il sangue nelle vene.
Perché le navi erano riuscite a rimpicciolire il suo muro, a renderlo meno efficace con l’ausilio della spada di Oritel e della sua scia magica che fendeva squarci, ma fu l’assenza del mago che la fata fronteggiava con arroganza a farla sbiancare.
L’uomo che riscoprì ad un soffio da lei prima di sentire il bastone dorato accostarsi al ventre e rilasciare una scarica elettrica che la sbalzò via dalle braccia di Riven.
L’impatto fu doloroso, ma fu la mano con la quale qualcuno le schiacciò il viso a terra a  farla strillare dal dolore mentre Codatorta le torceva le braccia dietro la schiena per ammanettarle i polsi.
- Musa!
- Non così in fretta Riven! Con te farò i conti dopo! – lo blandì Saladin con asprezza, invitando due specialisti ad immobilizzare l’uomo che lanciava occhiate furiose all’insegnante che teneva Musa inchiodata a terra, e quando Oritel ed Erendon fecero la loro entrata assieme alle proprie guardie fu il turno di Bloom e di Sky quello di avventarsi sui genitori con la richiesta di rilasciare la fata.
Ma persino il re di Domino non potè che negare con il capo e pregare la figlia di essere ragionevole.
- Ascolta tuo padre, giovane fata. E cerca di non fare più danni di quelli che avete già fatto.
Riven lanciò un ringhio frustrato quando i due specialisti lo buttarono in ginocchio per impedirgli di correre dalla fata verso la quale Saladin avanzava con passo marziale, fermandosi con le sue scarpe a contatto con la bocca che Musa raggrumò in un ringhio basso prima di sgranare gli occhi nel sentire il bastone pungolarle con forza la sua ala nera.
- Ecco la prova che cercavate – inziò austero, abbracciando con lo sguardo le espressioni cupe degli altri ex membri della Compagnia della Luce – ecco cosa succede a chi viene rubata l’anima da Salazar.
- Lui non ha fatto un bel niente – sputò sprezzante Musa, ritrovandosi a singhiozzare un gemito quando il mago la colpì ferocemente al volto, facendole sanguinare una tempia.
E quando Saladin percepì un movimento alla sua destra fu abile nel congelare il Fantasma scattato nella sua direzione, la bocca schiusa in un ruggito che si limitò a covare nel petto assieme al suo rancore.
- Allora è vero – esalò Oritel con orrore, stringendosi la figlia al fianco quando sentì gli occhi ametista dello stregone puntarsi con ferocia sul suo volto.
- Sei vivo – continuò  Erendor, ma nella sua voce c’era solo rabbia, odio, e l’orrore di chi davanti a sé riscopre il male del mondo.   
- Vedo che siete tutti felici di rivedermi.
Gelo.
Nessuno di loro potè contenere il ribrezzo nel sentire la voce bassa e flautata dello stregone, nel riconoscere quella scia di malvagità e cattiveria che gli velava lo sguardo, ma il ricordo si infranse quando Salazar tornò a fissare Musa, addolcendo il taglio affilato degli occhi in modo quasi impercettibile.
Ma Saladin lo riconobbe, quel battito di ciglia morbido e delicato, un gesto umano, troppo umano, familiare, e il rancore gli fece prudere le mani che strinse attorno al bastone per sfogare la sua rabbia sulla causa di quel cambiamento, un colpo che non la raggiunse quando lo stregone si tese in avanti con la preghiera di non farle del male, di non ferirla.
E Musa non potè che ricambiare quello sguardo supplice con una patina di sofferenza, dimenandosi nella presa che Codatorta dovette rafforzare quando la fata provò a fuggire via.
- Non fatele del male. Vi prego.
Il sorriso nato sul viso del mago fu raccapricciante, abominevole come il parto innaturale di qualcosa che non sarebbe dovuto sembrare tanto sbagliato, tanto malvagio, e Musa non potè che azzannare l’aria per allontanare la mano che le chiudeva la bocca per dire la sua, di verità.
Quella che non aveva avuto il tempo di confessare alle sue stesse amiche, a Riven, ma che strillò con tutto il fiato in gola.
- Siete stato voi a strapparmi l’ala, non Salazar. Siete voi  il mostro qui! – strepitò furibonda, torcendo il collo per guardare le espressioni ghiacciate delle amiche, e  quando incrociò gli occhi di Riven vide l’orrore, la rabbia divorare il viola cupo dello sguardo che si fece nero.
Quando Saladin si voltò per zittirla con l’ennesimo colpo il dolore al fianco lo costrinse ad inclinarsi in avanti, ma Riven ,tornato in piedi dopo averlo scostato bruscamente con la testa lo colpì ancora, calciando il viso del suo mentore con rabbia, con ferocia, allontanando i due specialisti corsi a fermarlo ancora con l’ennesima testata.
Sky non potè che correre in suo aiuto quando vide Saladin allungare il proprio bastone per attaccarlo, e quando gli specialisti e le Winx ripresero a far valere le proprie ragioni, Musa colse l’occasione per mordere la mano di Codatorta e fuggire dalla sua presa.
Corse tra gli specialisti che si azzuffavano tra loro, abbassandosi quando una spada rischiò di tranciarle la testa di netto, ma fu abbastanza accorta da gettarsi a terra e rotolare fino al fianco di Salazar per liberarlo dalla magia benché avesse ancora i polsi incatenati.
E quando l’ebbe davanti, sempre ferita, ma con quello sguardo gentile, lo stregone non potè che abbozzare un ghigno e poggiarle una mano sulla guancia con un che di nostalgico.
Quando Musa capì il perché di quel gesto, il ringraziamento taciuto in quello sguardo ferito ma che sapeva divenire dolce e tenero, quando era su di lei, non potè che scuotere la testa e abbozzare a sua volta lo stesso ghigno.
- Non dovresti mai sottovalutare la testardaggine di una donna innamorata.
Si sorrisero a vicenda, complici, una complicità che qualcuno trovò oscena, raccapricciante, un’intesa che Saladin fagocitò nelle iridi tinte di magia, di odio verso quel passato che tornava a ripresentarsi e a chiedere il conto delle sue azioni.
Perché ciò che aveva fatto era la cosa più giusta, la cosa più saggia, l’atto di chi crede in un bene supremo che talvolta l’onore e la giustizia tende a dimenticare.
Riven fece appena in tempo a tornare in piedi e sputare sangue prima di vedere il vecchio alzare il bastone e puntarlo contro la fata alla quale Salazar accarezzava una guancia, e il panico lo sommerse, rese la sua voce più stridula, più acuta di ogni strillo e grido disperato, un urlo che Musa udì a stento prima di percepire il sibilo poco lontano dall’orecchio.
E quando il suo corpo venne gettato malamente contro la parete opposta il silenzio calò tra di loro, seguito dal tonfo che la fata emise nel rotolare a terra senza più muoversi, riversa al suolo con le gambe divaricate e il viso coperto dai capelli.
Immobile.     
- M-Musa – biasciò Tecna con voce incolore, ondeggiando su se stessa prima di zoppicare in contro alla schiena ferita dell’amica, verso quelle ali rigide abbandonate al suolo come steli di fiori strappati.
Bloom sentì la bocca invasa dalla bile quando persino al suo richiamo la fata non le rispose, e quando lanciò uno sguardo disperato a suo padre Oritel non potè che fissare la povera ragazza prima di puntare sul mago uno sguardo truce e funesto.
- Cosa hai fatto! È solo una bambina !– lo rimproverò aspro, avanzando verso il vecchio compagno d’armi con passo iroso – eravamo d’accordo che non le avresti fatto del male!
Saladin tornò in piedi con un sorriso sprezzante, spolverandosi il mantello con un sufficienza, calmo e pacato come chi sa di non avere colpe, chi sa di aver fatto del bene, di farlo sempre, ma quando sentì il lieve gemito di dolore tornò a fissare la schiena della fata con rinnovata rabbia, percependo la follia bruciare ogni nervo sano rimasto nel suo corpo quando Musa allungò le gambe con un sospiro soffocato.
- Musa ?
La fata schiuse le palpebre con stanchezza, emettendo un piccolo singhiozzo, ma il dolore era tanto forte da non permetterle di alzarsi, o di voltarsi per rassicurare gli amici della sua incolumità, non ne ebbe la forza né la voglia, perché i suoi occhi erano puntati sul diario aperto a pochi centimetri da lei, sfuggitole dal corpetto a seguito del contraccolpo contro la parete.
Un diario che fissò con insistenza, sussultando internamente nel sentire una voce di donna cominciare a sibilare nell’aria, a sovrastare le voci dei compagni alle spalle, a lanciare un'ombra sul suo viso assieme al buio cupo dell’eclissi.
E quando delle scritte infuocate cominciarono a sporcare  le pagine che lei aveva trovato sempre bianche, pulite, sentì la mente abbandonare il corpo per gettarsi in quelle lettere che una mano invisibile trascriveva.
Il racconto di una storia che Saladin aveva tentato di storpiare fino alla fine, uccidendo quella verità che tinse le pupille di Musa di nuova comprensione, e di incredulità.
Tecna smise di avanzare quando udì un sussurro provenire dalla fata distesa a terra, un mormorio concitato che Musa ripetè come una litania nel girarsi su un fianco, lasciando che alcune ciocche le adombrassero il viso mentre la sua bocca continuava a sillabare quella parola, a ripetere la prova che aveva sempre cercato, guardando il responsabile di tutto quello.
Della morte di Arya.
Dell’inspiegabile uccisione alla quale Musa aveva assistito.
Del tradimento che Arya aveva subito e visto risplendere nelle iridi dell’amato poco prima di spirare, in quella pupilla nera attraverso la quale non aveva visto il suo riflesso, ma il viso aguzzo e rigido dell’uomo che realmente l’aveva tradita.
L’uomo che Musa fissò con rabbia, con odio, sillabando quella parola che Saladin registrò con sgomento prima di sbiancare e osservare la fata con nuova ansia, con terrore.
Avvelenato.
La risata di Saladin risuonò storpiata, isterica e nervosa per l’intera sala, facendo retrocedere i suoi sottoposti, persino Oritel che nel vecchio dal viso grinzoso e dalla pupilla dilata non riconobbe l’antico amico e compagno.
- Saladin? – lo richiamò Faragonda con tono cupo, non ricevendo risposta dal mago che continuava a ridere di cuore, alzando il viso per guardare l’eclissi, per trovare una via di fuga ad una condanna che quella piccola fata continuava a sussurrare, ancora e ancora, facendo crescere in lui l’ansia di essere scoperto, di non essere capito.
Di essere creduto pazzo.
E Saladin sapeva di non esserlo mai stato. Non quando aveva soffocato l’odio per sua sorella e per quell’amore malsano.
Non quando aveva deciso di proteggerli tutti da quell’unione sacrilega.
Non era pazzo, non lo era mai stato, ma lo avrebbero creduto tale se l’avessero udito, se quella lurida ragazzina fosse riuscita a farsi capire, e lui non poteva permetterlo, non arrivati a quel punto.
- Fermo!
La scarica elettrica sibilò in mezzo a loro come una spada lanciata nel vuoto, una scia metallica che Riven osservò con terrore quando ne intuì la direzione, e Musa non avrebbe potuto difendersi da quello, non avrebbe mai potuto senza l’aiuto di qualcuno.
Un aiuto che la fata ebbe.
L’aiuto del vento, e di una scia bluastra che la sovrastò come la più algida delle divinità prima che dall’inconsistente nube cerulea apparisse un viso di donna dagli occhi silenti, i lunghi capelli blu a fluttuarle attorno come una coperta mentre la scarica veniva risucchiata dalla mano che aveva teso in avanti.
E quando l’apparizione abbandonò il braccio lungo il fianco, alzando il mento con lentezza, la donna puntò lo sguardo evanescente sull’uomo vecchio e tremante che cadde carponi con il suo nome incastrato in gola.
- Arya.
L’incredulità dipinta sui loro volti fu nulla se paragonata all’orrore su quello di Saladin, lo stupore di riconoscere nello spirito magico chi lui un tempo aveva tradito.
Ma c’era chi si era trovato a cancellare il proprio stupore per far spazio alla gioia di quella visione, alla commozione di poter rivedere un viso che Salazar aveva amato con tutto se stesso, fino a morirne.
- Arya.
La fata distolse lo sguardo dal fratello nell’udire il soffio fuggevole ai suoi piedi, e quando Musa riflettè la propria immagine in quegli occhi tanto simili  ai suoi non potè che tendere un sorriso incerto e tremolante prima di sentirsi sfiorare da una mano della donna.
- Sei stata brava.
Il sorriso le si allargò in viso quando sentì l’esclamazione del fantasma, riuscendo a ritrovare la speranza per un destino che non doveva avere quel finale tragico, non ora, non dopo aver  scoperto la verità.
- Tu- tu…
Oritel soppresse la propria sorpresa quando vide la vecchia amica aiutare la fata della musica a tornare in piedi, porgendole con un sorriso il piccolo oggetto dal quale la scia bluastra che ne componeva il corpo fuoriusciva, il diario che Musa strinse al petto nel sentire le ferite rimarginarsi sotto il tocco della donna.
Poi Arya lo udì ancora, il suo nome, ma senza l’orrore e la sorpresa a storpiarne la dolcezza, solo il suo nome, il richiamo più dolce che lei avesse mai udito, anche se era sempre stato atono e inespressivo.
Eppure la donna non potè che abbozzare un sorriso che mordicchiò prima di volare per la sala e discendere con lentezza davanti all’uomo dallo sguardo smarrito che continuava a ripetere il suo nome.
- Arya.
Gli sorrise, delicata come era sempre stata, allungando una mano per sfiorargli una guancia, e quando anche la donna sussurro il nome dell’uomo, il suo vero nome, Salazar non potè che allungare le braccia e stringersela al petto con un sorriso tremulo, fissando il vuoto e imprimendo nella memoria quel tocco gentile che secoli prima lo aveva costretto ad ammettere il bruciante bisogno di essere amato da qualcuno.
Straziante.
Musa non potè che patire il dolce strazio di vederli insieme, finalmente, abbracciati e uniti dopo un secolo di lontananza, di bugie, trattenendo a stento l’istinto di urlare dalla gioia, ma lo avrebbe fatto, lo avrebbe fatto dopo aver svelato il segreto che Saladin serbava nel cuore corrotto.
Un segreto che la fata rivelò con la più semplice delle accuse.
- È stato Saladin ad ucciderla.  
 Il mago sobbalzò quando la udì parlare, tradendo la sorpresa di sentire quegli occhi blu guardarlo con disgusto, ma quando anche Oritel e i presenti gli rivolsero occhiate confuse Saladin fu lesto a camuffare un sorriso bonario nel tornare in piedi.
- IO ? – sibilò incredulo, reggendosi sul bastone per non mostrare altre debolezze – credi davvero che sia stato io ad ucciderla ?
Musa trovò quel tentativo di sviare il discorso, di difendersi, profondamente patetico, ingiusto per quella donna abbracciata all’uomo dal quale era stata crudelmente strappata, e lei non avrebbe permesso a Salazar di pensarsi ancora come l’orco cattivo.
- Non è stata Arya a mandare la lettera. Siete stato voi. Avete scritto di vostro pugno le missive che avete spedito ad entrambi per farli incontrare segretamente.
Gli sfuggì una risata nervosa con la quale tentò di stemperare il tono serioso della fata, ma lo sguardo cupo dei maghi e delle fate lì presenti lo fecero trasalire dalla paura.
- Ma noi lo abbiamo visto, Musa, abbiamo visto Salazar uccidere Arya – si insinuò la voce confusa di Tecna, un’ammissione che se fece sorridere di vittoria Saladin, portò la fata della musica a smozzicare un ringhio feroce.
- Perché Salazar era stato avvelenato.
- Che sciocchezze stai dicendo! Suvvia, non vorrai davvero…
- Cerchi ancora di difenderti fratello ?
Saladin tremò nel sentire la voce delicata della sorella alle spalle, e quando incrociò lo sguardo di Arya si trovò a inghiottire il sussulto spaventato.
- Ciò che mi hai fatto, ciò che ci  hai fatto è ingiusto. Io amavo Salazar, e lui amava me, non mi avrebbe mai fatto del male – confessò con enfasi, stringendosi a quelle braccia che lo stregone irrigidì lungo il busto della fata prima di scoccare un’occhiata incredula a Musa.
Lei gli annuì, addolcendo il sorriso prima di tornare a pugnalare la schiena del mago con uno sguardo furioso.
- È vero che Salazar ha trafitto Arya, lo abbiamo visto tutti – confessò Musa con voce dura, abbracciando con lo sguardo le espressioni silenti dei presenti – ma solo perché  nella boccetta che Salazar portava al collo vi era veleno, un veleno che gli ha fatto credere di avere davanti Saladin, non Arya.
- E di quale veleno si tratterebbe? – domandò con rabbia il mago, sorprendendosi nel vedere Flora fare un passo in avanti e guardare il nonno del suo compagno con malcelato astio.
- Belladonna. La belladonna è in grado di causare allucinazioni, tachicardia, lesioni interne e spasmi incontrollati.
- E tu come fai a saperlo ? – le chiese Helia con un filo di voce, guardando la fidanzata con la gola secca.
Flora provò pena, dispiacere per il dolore che gli avrebbe inflitto, ma la fata sapeva di dover essere fedele anche all’amicizia con Musa.
- Perché Musa ha avuto alcuni sintomi. Non so come abbia assorbito la belladonna, ne ho percepito l’odore su di lei, e sono sicura che  sia  stata l’esposizione al veleno a farla stare male ieri.
Salazar sembrava l’unico a non riuscire a comprendere, a capire, ma quando Musa lesse sorpresa in fondo a quello sguardo desolato, quando vi lesse speranza, seppe di dover punire Saladin e di dover liberare lo stregone di una colpa che non aveva mai avuto.
- Ricordi quando mi è caduta la boccetta e mi sono punta il dito ? – gli chiese con dolcezza, sentendo il sollievo nel vederlo annuire mentre anche in lui la propria innocenza cominciava a dipanarsi.
- Ecco come sono venuta a contatto con la belladonna. Doveva esserne rimasta qualche goccia quando è andata in frantumi – spiegò infine, riuscendo a trovare quello che cercava, quello che aveva sempre cercato in fondo al suo sguardo.
Pace.
Per se stesso, e per quell’anima che finalmente, dopo un secolo di afflizioni, aveva trovato ciò che poteva donargliela.
L’innocenza da un delitto che non aveva compiuto volontariamente, non avrebbe mai potuto.
- È finita.
Lo era davvero, finalmente, ma Saladin non sembrò far caso alla sentenza della fata, continuava a fissare sua sorella e lo spirito malvagio che l’aveva plagiata, che l’aveva portata via da lui, e non trovò giustizia in quello che vedeva.
Non l’aveva mai vista, non in quell’abbraccio e in quegli sguardi innamorati, non nell’odio che Arya non avrebbe mai nutrito nei suoi confronti se non fosse stato per Salazar e per quella stupida fata che aveva distrutto tutto.
- Non è finita fino a quando non sono io a deciderlo.
Quando Arya si curvò in avanti con le mani pressate contro il ventre tutti sobbalzarono per la sorpresa di vedere Saladin svanire in una nube di fumo e di sentire il  singhiozzo della donna, ma fu un altro suono, ben più flebile e silenzioso a far irrigidire Salazar e Riven, il respiro mozzato alle loro spalle, fioco e spento come il singulto di una bambina spaventata.  
Un rigurgito di sangue le sfuggì dalle labbra  mentre la sensazione di soffocamento aumentava, ma gli occhi rimanevano vitrei, sgranati sui due uomini che vide voltarsi con lentezza nella sua direzione prima che il bastone affondasse più in profondità, trapassando il diario che teneva stretto al petto e il torace che ormai Musa non sentiva più.
Non sentiva più nulla, in verità.
- Ora, è finita.
Il fruscio del bastone contro le carni martoriate dei suoi organi interni le costò un’ultima fitta di dolore prima che la fata perdesse sensibilità nelle gambe, nelle braccia, afflosciandosi come il gambo di un fiore calpestato, cozzando duramente contro il suolo,  e fu proprio la dolorosa caduta a toglierle l’ultimo respiro che fu in grado di incanalare nel corpo assieme allo sguardo divenuto opaco, spento.
Morto.
- NO !
Il grido di Riven squarciò l’aria, frammentandola in piccole particelle d’ossigeno che l’uomo fece fatica a respirare quando si gettò in una corsa goffa verso il corpo disteso al suolo, immobile come la più triste delle bambole abbandonate a se stesse, e quando cadde in ginocchio accanto a lei le prime lacrime gridarono il dolore di quella visione.
Lo strazio di toccare pelle fredda e di non vedere quegli occhi blu voltarsi ai suoi richiami.
Saladin, che aveva appena fatto in tempo ad indietreggiare non potè che scoppiare a ridere quando vide il suo pupillo prendere tra le braccia la fate e provare a bloccare con la mano pressata sul petto il fiotto di sangue, il tentativo patetico di un uomo che non sapeva arrendersi alla realtà.
Perché lei era morta, aveva pagato il suo affronto, ed era stato lui a vincere ancora, l’unico a ridere in un luogo dove solo l’orrore e il dolore saturava l’aria.
Aria che il mago inghiottì a vuoto quando, nell’alzare lo sguardo si trovò faccia a faccia con il suo peggior incubo, l’uomo dagli occhi ametista che lo afferrò per la gola, costringendolo a fissare le pupille nere risucchiate nel viola cupo dello sguardo.
Quello che ruba le anime, quello che rubò la sua, prima che il corpo dello stregone ricadesse al suolo con un tonfo sordo, ma nessuno vi fece caso.
Non le Winx accorse al capezzale di Riven, non lo stregone che vide lo spirito dell’amata svanire assieme alla vita di chi non avrebbe potuto ritornare da chi più l’avrebbe rivoluta indietro.
- Andrà bene. Andrà tutto bene – singhiozzò lo specialista con la voce strozzata dal pianto, tamponando l’emorragia con la mano che però continuava ad essere spruzzata di sangue, troppo sangue per non fargli comprendere  che il suo fosse il tentativo inutile e disperato di un uomo di vincere la morte.
Eppure, inutile o meno, l’uomo non potè che continuare a bloccare il rigurgito di sangue, a stringere il corpo che aveva depositato dolcemente sulle ginocchia, a rassicurare entrambi che sarebbe andato tutto bene.
Proprio come Musa gli aveva promesso.
E lei manteneva sempre le promesse, lui lo sapeva, ne era certo, anche se lei continuava a tenere gli occhi incollati al vuoto, anche se quel sangue continuava a bagnargli i vestiti e le labbra che accostava all’orecchio della fata per sussurrarle quello che avrebbero fatto, una volta tornati a casa.
- Sono sicuro che tuo padre mi prenderà a calci, ma ne verrà la pena – biasciò stancamente, prendendo ad accarezzarle i capelli e a continuare, stupidamente, a pressare la mano su quel torace che aveva smesso di sputare sangue, ma non perché l’emorragia fosse stata bloccata, perché, semplicemente, non c’era rimasto più sangue da espellere.
- E dovrai cantare quella canzone che avevi dedicato a tua madre, mi è sempre piaciuta, anche se non te l’ho mai detto – confessò dolce, sorridendo nel sentire il sospiro sul proprio viso, ma quando Sky, che si era chinato a guardarlo, provò ad allungare una mano sul viso che accarezzava ritmicamente Riven riuscì a scollare la mano dal torace per afferrargli la gola con un ringhio.
- Non toccarla – sibilò feroce, soffiando sul volto del principe di Eraklyon la propria follia, gli occhi dilatati su pupille che erano state soffocate dal viola sgargiante dell’iride, lucidi di un pianto che Riven sfogava a tratti, trovandosi a sorridere e piangere senza che ne fosse pienamente cosciente.
- Riven, ti prego – lo supplicò Helia con voce stanca, ma lo specialista non potè che  urlare loro di lasciarli soli, perché Musa doveva riposare, e non doveva essere toccata da nessuno se non da lui, perché le avrebbe dato fastidio mostrare il proprio disagio. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo.
Eppure, quando Faragonda riuscì a farsi spazio tra le sue ex allieve per sedersi accanto a lui Riven non potè far finta di nulla, o ringhiarle di andare via, non ne ebbe la forza, neanche quando la vecchia fata gli prese la mano tornata a coprire il foro nel petto di Musa per scostargliela.
- Mi dispiace – iniziò lei mortificata, con la gola stretta dal dolore, ma lo specialista la scacciò via con un gesto brusco del braccio, tornando a chinarsi sulla fata per rassicurarla che nessuno l’avrebbe più disturbata, ma quando gli occhi fino ad allora fissi di Musa ruotarono innaturalmente verso il basso quando Riven mosse il braccio indolenzito qualcosa si spezzò dentro di lui.
L’innaturale e patetica speranza di aver immaginato tutto, di non stare stringendo un corpo privo di vita ma il gracile peso di una donna dormiente.
- È morta.
- No.
- Riven, non puoi…
- Ho detto che non è morta – urlò fuori di sé, facendo tremolare lo sguardo che scostò dal viso addolorato dell’anziana preside per tornare a guardare il viso pallido e puntellato di sangue che continuava a non rispondergli.
- Lei non è morta – sussurrò, ma questa volta sembrava solo pensare ad alta voce – ha promesso che sarebbe andato tutto bene. Che ce l’avremmo fatta. Mi ha promesso che sarebbe stata sempre con me, che mi avrebbe aspettato – balbettò straziato, deglutendo più volte per trovare la voce, ma non la trovò più, non quando, nel poggiare la fronte su quella gelida della fata non sentì alcun respiro tra le ciglia.
Solo silenzio.
Un silenzio ingombrante, gravido delle sue urla e della disperazione di  chi aveva perso tutto, ancora una volta.
Ma Riven sapeva  che non avrebbe più potuto riprendersela, non dalla morte.
- Lasciatemi solo.
- Ma…
- Lasciatemi solo ho detto – sibilò incattivito dall’amarezza, osservando l’iride opaca di Musa con un groppo in gola.
Uno spostamento d’aria però lo costrinse a tornare ritto, e questa volta la rabbia tornò a sformargli i lineamenti quando scoprì chi aveva accostato il corpo di Musa.
- Cosa diavolo vuoi ora ?
Salazar non gli badò, preferendo guardare quello sguardo innocente perduto nell’oblio, occhi che lo aveva spronato, perdonato, aiutato e infine salvato da un orrore che non gravava più sulla sua vita.
Una pace che era costata la vita a quella fragile creatura dal cuore forte e coraggioso.
- Non la toccare.
Solo allora lo stregone lo degnò di uno sguardo, e si  sorprese  di ritrovare se stesso nello sguardo feroce e crudele che il ragazzo gli stava rivolgendo, nella piega dura delle labbra, e in quel ringhio animale che Salazar aveva covato nel petto fin da ragazzo.
- Posso aiutarla - confessò atono, tornando ad allungare la mano che lo specialista gli aveva bloccato per sfiorare in una carezza la guancia della fata.
- Tu puoi …
- Riportarla in vita ? – lo precedette, storcendo la bocca in una smorfia desolata – no, ma posso provarci.
Riven lo avrebbe sgozzato con le proprie mani se solo lui non avesse detto quella parola.
Provarci.
Non che ci sarebbe riuscito, ma che avrebbe provato, e tanto gli bastò.
Si fece da parte, con un po’ di reticenza, lasciando che lo stregone incorniciasse il viso della fata tra le mani per avere gli occhi nei suoi, affinchè potesse farvi fluire all’interno il potere che aveva covato per un secolo nella speranza di uccidere e torturare l’uomo che gli aveva rovinato la vita per l’eternità ma che ora utilizzava per salvarne una.
Eppure il pensiero di rivedere quel sorriso, di saperla al sicuro, gli concesse l’incitamento necessario per tentare di riportarla tra i vivi.
Durò meno di un attimo, e quando lo stregone le abbassò le palpebre sugli occhi statici si voltò verso Riven, verso le fate accasciate a terra in un pianto disperato, sulla desolazione di quel luogo pregno di morte e urla.
- Tutto qui ? – lo accusò Riven con tono grave, riprendendola tra le braccia senza notare però alcuna differenza.
- Tutto qui – gli concesse Salazar, sentendo il proprio spirito cominciare a perdere consistenza quando la magia che lo aveva risvegliato e che aveva riversato nel corpo della fata smise di legarlo al mondo mortale.
- Sta a te ora decidere il da farsi, se aspettare il suo possibile risveglio, o farti una nuova vita.
In entrambi i casi,  sappi che è una tua scelta, e che forse lei non si sveglierà mai.
E con quell’ultima sentenza Salazar il ladro di anime scomparve, tornando da colei la quale aveva agognato per l’eternità e che avrebbe ritrovato oltre quei cancelli che finalmente, trovata la pace, avrebbe potuto varcare.





“In qualche modo io so che io troverò un modo,
in un più brillante giorno, nel sole.
In qualche luogo io so che lui mi aspetta,
Un giorno o l’altro presto lui vedrà, che sono l’unica”




Fastidio.
 Musa non riuscì a provare altro quando il sole la colpì in viso come la peggiore delle sveglie, costringendola a rotolarsi tra le lenzuola ed affondare il viso nel cuscino, ma  la luce era così forte da filtrare anche  attraverso la delicata coperta di lana calda.
Eppure la fata trovava difficile alzarsi, perché si sentiva stanca, davvero tanta stanca, come se qualcuno l’avesse costretta a correre all’infinito prima di concederle un po’ di riposo.
Poi il fastidio lasciò spazio alla confusione di sapersi stesa in un letto morbido e profumato  anziché di  trovarsi sul pavimento ruvido e sgretolato del palazzo di Salazar.
E quando i ricordi la soffocarono con domande e quesiti ai quali non seppe dare risposta scattò a sedere con gli occhi sgranati che fu costretta a socchiudere per l’ondata di luce che la accecò per un attimo.
Aveva la gola secca, e si sentiva stranamente indolenzita, tanto che nel provare a scendere dal letto con ancora le palpebre socchiuse si ritrovò a rotolare goffamente con le lenzuola attorcigliate attorno al corpo.
Solo che quelle che scostò con fastidio nel rimettersi seduta non erano coperte, ma capelli, i suoi capelli, tanto lunghi da circondarla come una pozza d’acqua nella quale era stata dolcemente depositata.
L’incredulità ebbe il sopravvento sulla sensazione di smarrimento che quella stanza le diede, perché non c’era nulla di familiare in quel letto pulito e non sporco di sangue come quello che ricordava, né nelle immense finestre che fissò per ultimo, ingoiando uno strillo spaventato nell’accorgersi che vi era qualcuno affacciato.
Qualcuno che non riconobbe, non con quella luce che rendeva dorata ogni porzione di pelle sulla quale posasse lo sguardo, ma qualcosa le diceva che non era Salazar, una vocina che le sussurrava di fare attenzione alle spalle ampie e muscolose sottolineate dall’alta divisa rossa che indossava, una divisa sconosciuta.
Purtroppo il problema dei capelli le diede altri grattacapi ai quali pensare quando, nel provare a tornare in piedi, si trovò a gambe all’aria , imprigionata in una massa di capelli che solo poco dopo riscoprì con orrore, raggiungeva i piedi del letto in un’onda blu chilometrica.
- Perché diavolo ho i capelli così lunghi – borbottò tra sé e sé, tirando la ciocca più lunga, quella che le si era attorcigliata attorno al polpaccio prima di irrigidirsi nel sentire la voce dello sconosciuto che aveva momentaneamente dimenticato.
- È quello che succede quando si dorme per dieci anni – la informò l’uomo con una voce  che non riconobbe, perché troppo virile, calda e lontana, ma qualcosa in quel suo tono acido, quasi scanzonato le fece trillare una campana di allarme nella testa.


“I won't give up on this feeling
And nothing could keep me away”



- E tu chi sei ? Dov’è Salazar, ma soprattutto, dove sono io ? – strepitò stizzita, non riuscendo a non mostrarsi influenzata dalla marcata indifferenza dello sconosciuto di spalle, non soffermandosi però  sull’aspetto più importante della confessione dell’uomo.
Lui non le rispose, preferendo di gran lunga guardare fuori dalla finestra che  degnarla di attenzione, e fu proprio quell’incomprensibile ma familiare disinteresse  a convincerla a cercarsi da sé le risposte.
Ma Musa trovò difficile pensare anche solo al modo di fuggire da lì quando si accorse di un inconsueto luccicore al suo anulare, riscoprendosi completamente terrorizzata dalla fede d’oro che le abbracciava il dito.
E l’orrore di quella scoperta la portò a guardare le mani che l’uomo teneva intrecciate dietro la schiena, trovando ciò che stava cercando.
Una fede.
Una fede identica alla sua.
-  No!No!No! – strillò isterica, altalenando lo sguardo dalla propria fede a quello dello sconosciuto, sentendo la rabbia congestionarle il viso divenuto oramai quasi blu dall’orrore – non è te che dovrei sposare! Non un dannato sconosciuto!
- E chi avresti dovuto sposare ? – la riprese l’uomo con voce incolore, velata da un fastidio che la fece irrigidire stupidamente con le mani corse a sfilare la fede stretta tra pollice e medio prima di scuotere la testa e tornare a ringhiare.
- L’uomo che amo, che domande sono! – ribattè acida, stupendosi di come l’anello non venisse via, quasi fosse incantato.
- E chi sarebbe l’uomo che ami ? – le chiese ancora, questa volta più emotivo delle altre tre volte, perché c’era ansia nella sua voce, paura, angoscia forse, e Musa non potè che trovarlo strano, lui e quella curiosità morbosa.
- Riven - ammise asciutta, sobbalzando nel sentirlo ridere sofficemente prima di ruotare il busto e lasciare che il sole la colpisse in pieno volto, costringendola a coprirsi con entrambe le mani chiuse a coppa sugli occhi.
Poi udì dei passi, lenti, eleganti, ritmici, come la marcia di un soldato, e la paura di essere attaccata la portò a serrare le mani per opporsi a quelle dita che provavano a sciogliere l’intreccio con il quale copriva le palpebre serrate.
Ma lui era molto più forte di lei, e quando finalmente riuscì a stringerle le mani tra le sue Musa pensò che quelle mani lei le conosceva.
Perché erano ruvide, con dei calli prominenti poco lontano dalle nocche, dovute agli estenuanti allentamenti alle quali si sottoponeva, e fu con un groppo in gola che schiuse le palpebre, riscoprendo un viso che riconobbe a stento.



"Cause I still believe in destiny
That you and I were meant to be
I still wish on the stars as they fall from above
'Cause I still believe
Believe in love"



 
- Hai la barba.
Riven aggrottò le sopracciglia in un cipiglio cupo, reggendo lo sguardo lucido e sorpreso della fata con un pò di difficoltà vista la fissità di quelle pupille.
- È questa la prima cosa che hai da dirmi dopo aver dormito per dieci anni ? – le domandò stranito, pentendosi delle proprie parole quando la vide inghiottire a vuoto e sbattere le palpebre su occhi che ora erano pieni di lacrime.
- Volevo dire che …
- Hai i capelli più lunghi – lo interruppe lei con voce stozzata, accarezzando con lo sguardo le ciocche sfuggite al codino morbido che l’uomo aveva sulla spalla prima di riscoprire lo stesso luccichio di poco prima, questa volta sdoppiato.
E la commozione le riempì la gola di singhiozzi convulsi che Riven la costrinse a soffocare contro la propria spalla quando la prese tra le braccia, accarezzandole la schiena con mani delicate, quasi insicure, come se non ricordasse più come si facesse.
- Continui a dire cose senza senso, ma credo sia normale, Tecna aveva detto che saresti stata un po’ confusa all'inizio – borbottò pensieroso, continuando ad accarezzarle la schiena e a sentire il cuore singhiozzargli nel petto con intervalli tanto lunghi da affannargli il respiro.
- Dieci anni.
Musa lo sentì tendersi contro di lei prima di tornare a rilassarsi, ma rimase comunque dell’incertezza nei muscoli guizzanti che le stringevano la vita, una debolezza che la fece sorridere.
- Mi hai aspettato per dieci anni – esalò sconvolta, stringendosi a quel corpo che riscopriva per la prima volta sorprendentemente fragile tra le sue braccia, delicato come mai lo era stato.
- Non avevo nulla di meglio da fare – fu la sua risposta sagace, quasi arcigna, ma la fata colse il tremore, la commozione tra gli spigoli della sua voce, riscoprendo una dolcezza nella quale aveva sempre confidato.
- E ci siamo sposati – continuò senza parole, aggrottando le sopracciglia nello scostarsi un po’ da lui per guardarlo in viso – come hai fatto a sposarmi senza avere il mio consenso ?
Lo vide deglutire sonoramente, ma Riven mascherò quell’attimo di debolezza con un colpo di tosse che gli consentì di ritrovare la voce e di non farla sembrare troppo goffa e incerta.
- Era sottinteso che avresti detto di si a me – commentò sicuro di sé, forse troppo, una sicurezza che l’uomo sentì traballare nel vedere quello sguardo farsi serio come non lo era mai stato.
- Cosa …
- Ti amo.
Fu un colpo basso.
Questo Musa lo riconobbe con se stessa, ma quando vide la reazione di Riven capì che ne era valsa la pena.
Bordò.
Riven era diventato completamente bordò, un po’ bianco sulla linea morbida della fronte, come se non sapesse bene  come reagire alla sua confessione, limitandosi a tenere le labbra divenute incredibilmente secche appena schiuse, e lo trovò tenero come non lo era mai stato.
Gli gettò le braccia al collo con una risata deliziata, beandosi della rigidità di quegli arti ancora sconvolti e confusi su come reagire, ma ci pensò Musa a rassicurarlo con una pacca sulla spalla che aveva capito, che sapeva che anche lui l’amava.
Perché l’aveva aspettata per dieci anni, e qualcosa le diceva che l’avrebbe aspettata in eterno, se necessario.
Rimasero così, abbracciati, tanto stretti da non riuscire a respirare, poi l’incantesimo si ruppe  quando una covata di bambini stranamente biondi e stranamente logorroici costrinse entrambi a dare loro attenzione.
- Cosa vi ha insegnato la mamma ? – cantilenò una Stella più matura, con i capelli biondi acconciati in un grazioso caschetto e quella nidiata di bambini attorno che Musa scoprì, le assomigliavano in modo imbarazzante con quei musini imbronciati.
- Di non fare rumore perché la zia Musa sta dormendo – ripeterono all’unisono, mostrando la dentatura perfetta alla madre che convinta di non doverli richiamare all’ordine alzò il viso per trovare la sua migliore amica stesa nel letto.
Ma quando non la trovò e i suoi occhi dorati la riscoprirono in piedi, abbracciata a Riven, e con un sorriso imbarazzato in volto, Stella non potè che sentire un tic nervoso all’occhio prima di perdere i sensi mentre i  suoi figli urlavano al padre che la loro povera mamma era svenuta un’altra volta.
Uno svenimento che si ripetè altre cinque volte, uno delle quali venne  però indotto da Riven quando Aidan sgattaiolò dentro con un mazzo di fiori che il nuovo preside di Fonterossa pestò con rabbia, afferrando l’uomo per la collottola per condurlo via da quella che oramai era  indiscutibilmente sua moglie.



"Love can make miracles
Change everything
Lift you from the darkness and make your heart sing
Love is forever
When you fall
It's the greatest power of all"




- Coraggio. Non vorrai rovinare la festa con il tuo muso lungo, vero 
Dalbhach ?
Lo stregone emise un lungo  grugnito di fastidio quando Arya gli sventolò davanti una mano per costringerlo a distogliere lo sguardo irritato  dall’orda di bambini urlanti che correvano attorno alle statue del giardino di Fonterossa.
Statue, che, per una bislacca coincidenza, assomigliavano in modo imbarazzante a lui e alla sua compagna di vita.
Il tributo delle vettime di Saladin il feroce, la causa della sua presenza lì, nella maledetta accademia nella quale lui ed Arya avevano preso dimora  quando avevano capito che avevano un compito più alto lì sulla terra, che avevano ancora delle cose in sospeso.
- So che sei contento di vederla di nuovo, solo che io riesco ad ammetterlo  – lo prese in giro la donna, soffermando lo sguardo blu sulla fata dal sorriso ingenuo che l’uomo in alta divisa teneva vicino per i fianchi.
Un altro grugnito le giunse in risposta, ma quando Salazar posò a sua volta lo sguardo sulla giovane non potè che smorzare un sorriso e ammorbidire il taglio degli occhi, trovano in quel sorriso la stessa gentilezza che lo aveva aiutato.
Ed anche se erano anime inconsistenti, spiriti guida, lo stregone ebbe come l’impressione che lei si fosse accorta della loro presenza, della sua, e di quella della donna alla quale non aveva mia smesso di stringere la mano.
- Hai detto qualcosa ?
 
Dalbhach  scosse il capo con un ghigno deliziato, prendendo Arya tra le braccia prima di ritornare a infestare Fonterossa e  a vegliare sui suoi abitanti, reprimendo a stento il sorriso nostalgico che lo aveva assalito nel capire le parole che la fata aveva sillabato al vento.
Una promessa che alla fine, Musa era riuscita a mantenere.
Perché ce l’avevano fatta.
Ce l’avevano fatta davvero.


The End


* La canzone è "I Still Belive" , colonna sonora di Cenerentola III.


Sorprese di vedermi così presto ? Anche io lo sono, ma quando l'ispirazione arriva  è bene coglierla al volo
. Ammetto di essere un pò triste al pensiero di averla finita, ma sono felice di come sia riuscita, e spero che anche voi, come me, abbiano pensato ad una fine come questa. Spero di aver fatto pensare anche a voi che   il vero amore esiste per chiunque, persino per le anime più sole.
Ringrazio tutti per avermi seguito in questa nuova avventura, e di essere arrivati fino a qui.
Un saluto caloroso,
Gold Eyes


 


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