Never look back

di Ari_92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I__Pickle-mart ***
Capitolo 2: *** II__Move on ***
Capitolo 3: *** III__You're good, you know? ***
Capitolo 4: *** IV__Do you love her? ***
Capitolo 5: *** V__Yes, but you did ***
Capitolo 6: *** VI__Again ***
Capitolo 7: *** VII__Hugs ***
Capitolo 8: *** VIII__Running ***
Capitolo 9: *** IX__Pretending ***
Capitolo 10: *** X__Train ***
Capitolo 11: *** XI__Me neither ***
Capitolo 12: *** XII__You're falling in love with him ***
Capitolo 13: *** XIII__Stay ***



Capitolo 1
*** I__Pickle-mart ***


Ciao a tutti :)
Dopo quasi tre mesi che ci lavoro sopra, con un pizzico (anche più di un pizzico) di agitazione mi sono decisa a pubblicare il primo capitolo di questa long. È la terza che scrivo dopo Semplicemente, era destino e I’ll try to fix you con il suo sequel, e devo dire che mi mancava cimentarmi in qualcosa di completamente diverso visto che gira e rigira sui personaggi dell’ultima storia ci sono stata sopra più di un anno.
Quindi sì: storia nuova, e parecchia ansia u.u
Preferisco lasciarvi subito al primo capitolo e fare le dovute precisazioni in fondo alla pagina, quindi ci rivedremo sotto (sì, è una minaccia *mwahaha*)
 
Avvertimenti: li scrivo affinché non vi ritroviate a dover perdere tempo con una storia che non fa per voi.
Prima di tutto – come avrete potuto notare dalle informazioni generali della storia – non si tratterà solo ed esclusivamente di una Klaine, ma ci sarà anche un po’ di Faberry, e un’altra coppia che verrà fuori più avanti, anche se meno rilevante. Di conseguenza se siete fan sfegatati della Finchel, questo non è il vostro posto.
Altra cosa: mi rendo conto che ci sono persone che preferiscono leggere fanfiction in cui la trama si sviluppa velocemente. Se cercate questo, di nuovo, fuggite: l’evoluzione di questa storia – lo dico da subito –  non sarà immediata e circoscritta a pochi capitoli... Sono una lagna, lo so *sguardo addolorato*
Ecco. Queste erano essenzialmente le due cose fondamentali che volevo dire prima di lasciarvi alla lettura, per il resto vi rimando in fondo :) Oh! E non odiate indiscriminatamente un personaggio in particolare già dal primo capitolo... Capirete <3
...*prende un profondo respiro*

 
 
 
 
 
 
 
 

Capitolo 1

“Il destino, te ne accorgi che c’è quando guardi indietro, mai quando guardi avanti.”
 _G. Cercasi

 
 
 
 
 
Quella mattina, Kurt aprì gli occhi consapevole di ciò che lo attendeva.
Non gli fu nemmeno necessario un piccolo istante per prendere coscienza di sé, per ricollegare il cervello: non era il genere di cose che necessitano funzionalità neuronali attive per essere ricordate. Si era svegliato con il cuore pesante, e sapeva il perché senza bisogno di pensarci.
Si mise lentamente a sedere sul letto e allungò una mano verso sinistra: come immaginava, l’altra metà del materasso era vuota.
 
<< Rachel? >> Chiamò, con la voce vigile di chi ha passato buona parte della notte a fissare il soffitto. O ad ascoltare le turbe psichiche della propria coinquilina, in alternativa.
Un fruscio di fogli lo raggiunse dal salotto, seguito dal tonfo di qualcosa di pesante che cadeva a terra. Kurt sbuffò e si passò una mano tra i capelli arruffati. Doveva aspettarselo: Rachel era troppo nervosa anche solo per rispondergli.
 
Non poteva biasimarla, dopotutto anche lui si sarebbe sentito ugualmente eccitato se quello fosse stato il suo primo giorno alla NYADA. Non che non fosse felice per lei, lo era: le voleva bene e sapeva che quel college era il suo destino, il suo posto nel mondo. Se avesse dovuto dipingere un quadro raffigurante la NYADA davanti all’ingresso ci sarebbe stata Rachel Berry. Il lato negativo stava nel fatto che, nonostante tutte quelle settimane passate a cercare di assimilare la cosa, continuava a non riuscire ad accettare di aver dovuto cancellare se stesso, da quella riproduzione ideale.
 
Certo, ora era a New York, avrebbe preso qualche lezione di canto, studiato minuziosamente gli spartiti di Rachel e ritentato l’ammissione l’anno successivo, ma sarebbe stato stupido fingere che fosse la stessa cosa.
 
Scansò le coperte in cui era avvolto e scese dal letto, imprecando mentalmente quando colpì la abat-jour sul comodino con il gomito, rischiando di farla cadere. Vivevano in quell’appartamento da più di un mese, eppure continuava a dimenticare quanto fosse piccolo, in particolare al buio.
 
Si trovava in una vecchia palazzina non lontana dalla NYADA, abbastanza incassata da non essere particolarmente appetibile e di conseguenza costosa. Buona parte degli inquilini del palazzo erano studenti, il che poteva anche essere un bene per la compagnia, ma decisamente un male per tutte le ore di sonno perse a sentire i gorgheggi della ragazza che abitava sopra di loro, le litigate dei due fratelli dall’altra parte del pianerottolo e le performance sessuali del tizio il cui muro confinava direttamente con quello della loro camera.
Kurt a volte si riproponeva di andare a lamentarsi, ma in tutta probabilità l’avrebbero solo preso per il rompiscatole di turno, e francamente non aveva idea di come presentarsi dal loro vicino – Jacob, se non ricordava male – e chiedergli di essere più silenzioso mentre faceva sesso senza sembrare un maniaco.
 
Ad ogni modo, il loro appartamento era uno dei meglio arredati del palazzo; non che Kurt ne avesse mai visti altri, ma dopotutto era stato lui a scegliere i mobili.
 
Quando lui e Rachel erano entrati per la prima volta era stato come ricevere un pugno nello stomaco. Entrambi si erano guardati sforzandosi di apparire entusiasti, fino a quando lei non aveva detto qualcosa come << Fa schifo, non è vero? >>; il che aveva portato Kurt a chiedere all’affittuario di poter riverniciare, oltre ad inserire nuovi pezzi di arredamento.
Quando acconsentì, nessuno di loro era stupito: il marrone scuro – scrostato, tra l’altro – non è esattamente il colore più indicato al muro dell’appartamento di due diciottenni. Non è un colore adatto a un muro e basta.
Lui e Rachel si erano anche divertiti, le prime settimane: avevano tappezzato il pavimento dell’ingresso di vecchi quotidiani e dato due passate di vernice azzurrino chiaro su pareti e soffitto.
 
L’ingresso dava subito sul soggiorno: a destra c’era un divano grigio già presente prima del loro arrivo ed addossata al muro una piccola libreria. Di fronte al divano il televisore, qualche mensola e, a sinistra dell’ingresso, il tavolo da pranzo. Kurt aveva insistito per mettere un tappeto al centro del salotto, al che Rachel aveva iniziato a parlargli di qualcosa di rosa, morbido e cosparso di stelline dorate. Dopotutto, cosa se ne facevano di un tappeto?
La cucina era minuscola – riuscivano a malapena ad entrarci in due – ed era collegata alla sala da una porta vicina alla libreria. Di fronte al tavolo da pranzo c’era un’altra porta che dava su un piccolo corridoio: la soglia a sinistra portava alla camera di Rachel e Kurt, quella frontale al bagno e quella a destra ad una stanza che era per il momento il ricettacolo del resto delle loro valigie e dei mobili che avevano eliminato dall’arredo originario.
 
Kurt non poteva ancora dirsi completamente soddisfatto del risultato, ma considerava già una vittoria aver impedito a Rachel di riempire tutto lo spazio disponibile di rosa: era stato più volte nelle sua stanza ai tempi del liceo, sapeva il pericolo che correva.
 
<< Rachel? >> Ripeté ancora una volta, uscendo dalla loro stanza e percorrendo a passi strascicati il corridoio. Come si aspettava, Rachel stava mettendo sotto sopra l’intero salotto, in un uragano di spartiti, fogli, matite e quaderni.
 
Aveva tutto perfettamente sotto controllo, o almeno era quanto stava ripetendo a se stessa da più di una settimana. Dopotutto era Rachel Berry, nessuna competizione artistica era in grado di spaventarla o metterla in difficoltà, nemmeno se questa si presentava sotto forma di primo giorno di college alla NYADA.
Si sistemò i capelli dietro le orecchie e si ancorò alla spalla la cartella scura che le aveva consigliato Kurt, pronta per uscire. Per sicurezza controllò un’ultima volta l’elastico dei suoi calzettoni, assicurandosi che fossero entrambi alla stessa altezza.
 
Per un momento desiderò che Finn fosse lì con lei a farle i complimenti e a dirle una delle sue battute stupide, per poi ricordare che a quel punto lui doveva già essere in Georgia da quel pezzo, e ancora non le aveva chiesto scusa per quella sottospecie di rottura che avevano avuto il giorno della sua partenza per New York. Si rifiutava di credere che Finn intendesse davvero quello che aveva detto. Assorta in quelle ultime considerazioni, non fece il minimo caso alla figura che aveva appena fatto capolino dal corridoio.
 
<< Perciò? Volevi andartene senza salutare? >> Rachel sussultò, voltandosi finalmente verso Kurt che la osservava sorridendo, con la spalla appoggiata allo stipite della porta. Aveva impiegato più di due settimane a convincerlo che poteva benissimo farsi vedere in giro anche prima di essersi vestito, pettinato e incremato: finalmente sembrava aver afferrato il concetto.
<< Naturalmente ti avrei svegliato prima di uscire, volevo solo lasciarti dormire un po’. >> Il ragazzo evitò di farle presente che sarebbe stato comunque impossibile con lei che dichiarava guerra ai suoi spartiti, ma decise di evitare di infierire: dopotutto il primo giorno alla NYADA capita una sola volta nella vita.
 
<< Non ti vesti? >> Le chiese piuttosto, adocchiando con aria critica i suoi calzettoni. Rachel abbassò la testa e sistemò con attenzione l’orlo della gonna che indossava.
<< Sono vestita, Kurt. >>
<< ...Dimmi che è uno scherzo. Non intenderai davvero affrontare il tuo primo giorno vestita in quel modo! >>
<< Cosa? Ma- >>
<< Non ti faranno neanche entrare, Rachel! >> Lei sbiancò completamente, presa alla più totale sprovvista. Kurt scosse la testa, indicando con il pollice la porta della loro camera da letto.
<< Fortunatamente avevo messo in previsione questa eventualità, così mi sono preso la libertà di mettere insieme un outfit alternativo. >> Rachel non fece nemmeno in tempo ad aprire bocca.
<< Appeso in basso a destra, nella tua parte di armadio. >>
 
Kurt si godette l’aria riconoscente della sua coinquilina, mentre portava i suoi inguardabili calzettoni e il suo imbarazzante cerchietto nell’altra stanza, esattamente dove sarebbero rimasti. La ragazza sparì oltre la porta della loro camera e lui appoggiò le spalle al muro, approfittando del momento per condividere con Rachel i piani del giorno: sapeva benissimo che ora come ora non le sarebbe potuto importare di meno, ma doveva pur tenersi la mente occupata in qualche modo. Ne aveva bisogno, perché una notte insonne era bastata a farlo crogiolare nella sua stupida disperazione da inutile fallito.
 
<< Tu... Tu prenditi pure il tuo tempo oggi, vado io a fare la spesa. >>
<< Kurt- Umph, >> Rachel infilò la testa nella maglietta chiara che Kurt aveva scelto per lei << te l’ho detto che il Market dove andavamo di solito per la tua enorme spesa mensile ha chiuso, vero? >>
<< Che cosa? >>
<< Ci sono passata davanti ieri mentre tornavo dalla NYADA, sai, per il mio giro di ispezione. Forse si sono trasferiti, non so... >>
<< Questa è una tragedia! Conoscevo quegli scaffali come le mie tasche- >>
<< Ci siamo stati due volte, Kurt. E comunque puoi sempre andare allo Store dietro l’angolo finché non troviamo un nuovo supermercato di fiducia. >>
Kurt sospirò silenziosamente. Probabilmente a Rachel sfuggiva il fatto che lui volesse distrarsi, e magari ragionare sulle offerte più vantaggiose in mezzo a una sconfinata miriade di mensole poteva rappresentare una valida alternativa al deprimersi per quanto stava succedendo nella sua vita. O meglio, per quanto non stava succedendo nella sua vita.
 
Aveva lasciato Lima convinto che il solo essere a New York sarebbe stato sufficiente a dare una sferzata al suo morale a pezzi eppure, se possibile, lì si sentiva anche peggio.
Certo, era il luogo che più adorava sulla faccia della terra, ma vegetarci mentre la sua migliore amica scalava tutti quei sogni che per lui erano ormai cocci irreparabili non sembrava essere d’aiuto.
Si sentiva inutile, sospeso, e anche in colpa per non riuscire ad essere felice per Rachel come avrebbe dovuto. Aveva il bisogno fisico di fare qualcosa, ad esempio contribuire al pagamento dell’affitto – Burt e i genitori di Rachel si erano offerti di finanziare i primi mesi, ma sia lui che la sua coinquilina desideravano sopprimere quel rituale il prima possibile.
 
Kurt era anche riuscito a trovarlo, un lavoro: dopo tanti viaggi a vuoto aveva rintracciato un posto disponibile in una gelateria. Peccato che la paga fosse talmente bassa e il negozio talmente lontano da casa che,basandosi sul costo dei trasporti e sul livello di fatica accumulato,finiva decisamente per rimetterci. Da quando era stato costretto a rinunciare, né lui né Rachel avevano trovato uno straccio di impiego disponibile,.
 
<< Io vado. Augurami buona fortuna. >> Kurt la abbracciò. Un po’ perché sapeva quanto Rachel fosse incoraggiata dal contatto fisico, un po’ perché temeva lo conoscesse troppo bene per non intercettare quella punta di infelicità che sapeva non sarebbe stato capace di mascherarle. Fece un sorriso triste, con la guancia premuta sulla testa di Rachel: avrebbe dovuto lavorare anche sulla recitazione, in quello schifosissimo anno di ferma.
 
Lei lo baciò sulla guancia e, quando si chiuse la porta di casa alle spalle, Kurt decise che poteva farcela.
 
Dopotutto era sopravvissuto quattro anni in una scuola pubblica dell’Ohio senza mai smettere di essere se stesso – piccola idiozia con Brittany a parte – perciò sì, avrebbe saputo rimettere insieme i suoi sogni, per quanto delusi e spezzati fossero adesso.
Dovevariuscirci: era impensabile che tutti quei voli nei cassonetti, gli spintoni e le costose camiciedi Marc Jacobs irrimediabilmente profanate dal colorante per granite fossero fini a loro stesse.
Le star più splendenti partono dal basso e preferibilmente sono anche maltrattate e incomprese, finché non entrano nella leggenda. E Kurt sapeva di essere una di quella stelle: doveva solo trovare il suo posto perché si sa, il cielo è immenso, non si può pretendere di appartenergli al primo sguardo.
 
Kurt sorrise: per la prima volta da quando era a New York quei dodici mesi di stallo non sembravano più una palla al piede, ma un’opportunità.
 
Poi, ragionando più a breve termine, si ricordò della spesa.
 
 

***

 
 
Neanche un’ora dopo la partenza di Rachel – e per Kurt fu un record riuscire a spalmarsi le sue creme e scegliere cosa indossare in così poco tempo – era già sul pianerottolo di casa, intento a dare tre mandate alla porta del loro appartamento.
Aveva solo bisogno di una boccata d’aria per riordinare le idee, tutto qui. Portò un’ultima volta la mano alla tasca dei pantaloni, per controllare che il portafoglio fosse ancora lì.
 
<< Vai da qualche parte? >>
Kurt si voltò istintivamente verso dove proveniva la voce: esattamente dietro di lui – con i fianchi appoggiati al corrimano delle scale e le braccia incrociate – c’era il tizio che Kurt riconobbe come il rumoroso amante della porta accanto, che puntualmente obbligava lui e Rachel ad involontarie quanto imbarazzanti sedute di ascolto.
 
Jacob – Josh, Jeremy? – non si fece alcuno scrupolo a squadrarlo dalla testa ai piedi, tanto che Kurt non ci pensò due volte a riservargli lo stesso trattamento, più per ripicca che per interesse vero e proprio.
Non era particolarmente alto, giusto quelle due o tre dita più di lui; aveva un fisico asciutto e sicuramente più atletico del suo, corti capelli castani sparati in aria e un paio di lucidi occhi neri. Nell’insieme, era davvero, davvero un bel ragazzo, se non fosse stato per il perenne ghignetto strafottente che aveva dipinto in faccia.
 
Kurt non sapeva se era per tutte le notti insonni che quel tipo gli aveva inconsciamente fatto passare o altro, fatto stava che non gli sembrava esattamente il prototipo della simpatia. Questo naturalmente non gli impediva di provare ad intrattenere una civile conversazione tra vicini di pianerottolo.
 
<< Niente di importante, faccio solo due passi. >> Lui annuì, accentuando il suo sorrisetto irritante. Beh, meraviglioso.
<< Tu sei Kurt, giusto? Condividi l’appartamento con quella ragazza carina... >>
<< Rachel Berry, sì. E tu sei Jacob, se non sbaglio? >> Il tizio che ci delizia a suon di orgasmi. Altro sorrisetto idiota e il ragazzo aveva fatto due passi in avanti, tendendogli la mano.
 
<< Jacob Hale. >> Kurt gliela strinse, semplicemente perché sarebbe stato fin troppo scortese lasciarla a mezz’aria.
<< Kurt Hummel e, giusto per la cronaca, la mia coinquilina carina è nel bel mezzo di una rottura con il suo ragazzo storico, quindi fossi in te non ci proverei. >>
Senza accorgersene, Kurt doveva aver detto qualcosa di molto divertente, perché Jacob Hale scoppiò a ridere.
 
Non poté davvero farne a meno, non dopo tutta l’ingenuità che quel ragazzino aveva dimostrato. Era così evidente che fosse appena arrivato da un paesino, uhm, dell’Indiana, probabilmente.
Gli tenne la mano solo un istante più a lungo del necessario e, quando Kurt ritrasse la sua, si premurò di passare casualmente il pollice su ognuna delle sue nocche. Jacob lo vide aprire la bocca per dire qualcosa, ma poi richiuderla, fissando il pavimento. Non poté evitarsi di sorridere nuovamente mentre Kurt proseguiva oltre di lui senza aggiungere una parola, diretto verso le scale.
 
<< Alla prossima, Kurt Hummel. >> Disse, senza curarsi davvero che lo sentisse: si trattava più di un appunto personale che di un saluto vero e proprio.
 
Lo guardò scendere le scale leccandosi le labbra.
 
 

***

 
 
Kurt avrebbe dovuto saperlo: vagare senza meta e sovrappensiero in una delle più grandi metropoli al mondo non è esattamente una buona idea, soprattutto quando sei dotato di un senso dell’orientamento imbarazzante. Fatto stava che era una buona mezz’ora che Kurt non aveva la più pallida idea di dove si trovava e non voleva nemmeno prendere la metro e tornare a casa, perché dopotutto quella parte di New York non era così male.
 
Decise deliberatamente di non pensare alla figuraccia che aveva fatto con il suo molesto vicino: non era da lui andarsene di punto in bianco e piantare le persone nel bel mezzo di una conversazione – non era sicuro che la loro avrebbe potuto definirsi tale, ma tant’è.
Era stato più forte di lui: Jacob l’aveva fatto sentire completamente a disagio, e qualcosa gli diceva che l’aveva fatto apposta. Inoltre, non gli piaceva per niente quel suo sorrisetto presuntuoso.
 
Kurt scosse la testa, ricordando a se stesso il significato del termine distrazione.
Percorse un ulteriore tratto di strada, sempre più stupito di non essere sballottato in ogni dove: probabilmente quella era la parte di New York meno affollata in cui fosse mai stato. Proseguì fino al primo angolo, dove svoltò a sinistra, affianco a un negozio di fiori.
La sua attenzione fu catturata da qualcosa dall’altro lato della strada. In particolare, una delle più brutte insegne per Minimarket che avesse mai visto. Pickle-mart, blu su uno sfondo marrone. Storta, tra l’altro.
 
Kurt scosse criticamente la testa e per curiosità abbassò lo sguardo fino a scorgere l’interno del negozio, completamente visibile dall’enorme vetrata posta sul davanti. Strinse gli occhi nel tentativo di cogliere, nonostante il riflesso del sole, i segni distintivi di quello che sembrava un litigio in piena regola.
Incuriosito da tutte quelle braccia che si alzavano e dai clienti che uscivano dal Market alla velocità della luce, si decise ad assecondare il suo istinto ed attraversare la strada per vedere più da vicino cosa stava succedendo. Distrarsi, sì, quello era un primo passo.
 
Meno di un minuto dopo era davanti all’ingresso ed evitò per un pelo una donna seccata che usciva dal negozio tirando per un braccio un bambino, che al contrario sembrava estremamente esaltato dal movimento all’interno del locale. Kurt decise di entrare: dopotutto doveva ancora comprare qualcosa per cena ed era anche abbastanza sicuro che avrebbe fatto un favore; un posto con un’insegna del genere non doveva fare grandi affari.
Non appena le porte automatiche gli si spalancarono davanti, fu immediatamente chiaro che gli strepitiprovenivano da una della dieci casse: gli bastò un passo in più per avere una perfetta visione della scena. A quanto pareva si trattava di un licenziamento particolarmente teatrale, o qualcosa del genere.
 
Un ragazzo biondo, con addosso lo stesso inguardabile grembiule verdognolo dei suoi colleghi, sembrava in procinto di fare una strage.
 
<< Io non resto in questo posto un minuto di più! >>
<< Matt! Lo capisci che c’è un contratto da rispett- >>
<< Fanculo il contratto! Io me ne vado! >>
In quell’esatto istante, un uomo visibilmente trafelato fece il suo ingresso nel Market, sorpassando Kurt senza nemmeno rendersi conto della sua presenza.
<< Si può sapere che diavolo sta succedendo nel mio negozio? >>
<< Niente Charlie, davvero, è solo- >>
<< Matt che a quanto pare non ha voglia di lavorare. >> Intervenne un tizio alto e robusto, interrompendo le spiegazioni della ragazza al suo fianco.
 
<< Io ho voglia di lavorare. Sono solo stanco di essere preso per il culo! >> Un altro commesso ridacchiò sommessamente, facendo infuriare Matt ancora di più.
<< Andate tutti a farvi fottere! >> E giù un’altra pioggia di risate. A quel punto intervenne l’uomo basso e tarchiato che era corso dentro poco prima.
<< Non vi sembra che i clienti siano già abbastanza pochi senza che vi ci mettiate anche voi?! Matt, sei licenziato. >>
<< No, me ne vado io. >> Si slacciò il grembiule con rabbia e lo appallottolò, gettandolo a terra. Dieci secondi dopo era fuori dal negozio e l’ingresso era calato in un silenzio glaciale.
Il proprietario era sconvolto, e la cosa sembrò peggiorare non appena fece finalmente caso a Kurt, a quanto pareva l’unico cliente rimasto.
 
<< Ci scusi, sono costernato. Lasci che le offra qualcosa, è il minimo che- >>
<< Non importa. >> Durante tutta la pittoresca evoluzione di quel piccolo dramma, Kurt aveva avuto modo di pensare.
 
Quel piccolo negozietto indipendente – per quanto aveva potuto immaginare dal suo pigro pellegrinaggio – non era lontano da casa; lui doveva pagare l’affitto e possibilmente qualche lezione di canto, un dipendente si era appena licenziato e – cosa più importante di tutte – il proprietario era in debito con lui.
Non poteva semplicemente ignorare un’opportunità del genere: era evidente che il destino l’avesse condotto lì in qualche modo, per servirgli quell’occasione su un piatto d’argento. E lui doveva credere nel destino, giusto? Tutte le grandi star ne hanno uno glorioso scritto apposta per loro. Rachel aveva ragione, qualche mese prima: una volta diventato famoso avrebbe potuto parlare con un pizzico di nostalgia di quei primi tempi passati a fare il commesso in un supermercato minuscolo con un’insegna storta. Come l’aveva chiamato, lei? Periodo dei cibi in scatola, forse.
 
Kurt non poteva ancora sapere che il destino, a volte, è scritto in un alfabeto difficile da decifrare.
 
<< Mi chiedevo... Ora avete un commesso in meno. Cercate per caso qualcuno che lo sostituisca...? >>
Il proprietario si dimostrò stupito solo per un attimo prima di aggrottare le sopracciglia, fissandolo con insistenza. Kurt dovette sforzarsi davvero, davvero tanto per non scoppiargli a ridere in faccia. Con i suoi baffetti sottili, i capelli radi e i vestiti palesemente troppo stretti per la sua taglia sembrava una caricatura.
Era perfettamente consapevole di avere gli occhi di tutti i commessi puntati addosso e avrebbe mentito dicendo di essere perfettamente a suo agio con la cosa, ma aveva bisogno di quel lavoro più di quanto non cercasse di dare a vedere.
 
<< ...E lei si starebbe proponendo come candidato? >> Proseguì dopo qualche istante, per niente sicuro di credere a quel ragazzino. Sembrava piuttosto giovane, e tutto ciò che voleva era evitarsi altri problemi simili a quelli che gli aveva procurato Matthew Burns. Sapeva fin troppo bene di cosa aveva bisogno il suo negozio: personale efficiente, una buona pubblicità e poche scenate da adolescenti; ne aveva già sentite abbastanza da bastargli fino alla pensione.
<< Sì, signore. Mi chiamo Kurt Hummel e lavoravo in una gelateria fino a poco tempo fa, quindi ho già esperienza nel contatto con i clienti. Non so fare solo quello, naturalmente! Posso occuparmi dell’inventario, rifornire gli scaffali, fare- >>
 
<< Sì, sì. Ho capito. Senti, un nuovo ragazzo mi serve. Non vedo cosa dovrebbe farmi preferire te a qualcun altro, Kurt Hummel. >> Continuò, curioso di cosa quel ragazzo – giovane, troppo giovane – avrebbe saputo inventarsi.
<< Perché, >> cominciò Kurt, ignorando i bisbigli dei commessi intorno a loro << con le persone ci so fare, lavoro senza lamentarmi e soprattutto non mollo buttando per terra il grembiule come un bambino dell’asilo. >> La risposta, in qualche modo, sembrò convincere il proprietario.
 
<< Okay, Kurt. Io sono Charlie Tomash e domani è il tuo giorno di prova. >> Kurt tirò un sospiro di sollevo tra sé e sé e strinse la mano al suo futuro capo, al che gli tornò in mente il comportamento discutibile di Jacob e per poco non riuscì a non reprimere un ghigno infastidito.
 
<< Per oggi fatti spiegare come funziona qui da Scarlett, di solito è lei che pensa ai nuovi arrivati. Domani definiremo con più calma- Ehi! Si può sapere cosa avete da guardare?! >> Tuonò, facendo animare all’istante tutti i dipendenti che tornarono alle loro funzioni abituali in un batter d’occhio.
Charlie si passò le mani tra i pochi capelli che gli erano rimasti e, senza aggiungere altro, sparì nel piccolo stanzino privato in fondo alla piccola fila di casse.
 
Kurt trattenne a stento un sorriso vittorioso: non credeva sarebbe stato così semplice.
I casi erano due: o lui era davvero un abilissimo persuasore, o il Pickle-mart era completamente alla frutta.
 
Basandosi sulle condizioni dell’insegna all’ingresso, la risposta era amaramente palese.
 
<< Ciao! E così hai appena deciso di imbarcarti in questo schifo, buon per te. >> Kurt si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con la ragazza che gli aveva appena dato due colpetti sulla spalla.
<< ...Scarlett? >>
<< In persona. E tu sei Kurt. Ti spiego in breve come funziona qui, al solito. >> Cominciò, sorridendogli allegramente – fin troppo considerando quanto sembrava detestare il suo lavoro. Kurt l’avrebbe definita una ragazza singolare: aveva un ciuffo arruffato sulla fonte, il resto dei capelli erano tenuti insieme da un grosso fermaglio; i colori in cui spaziavano andavanodall’arancione brillante al fucsia, con punte viola intenso. Aveva un piercing al labbro – che non faceva altro che muovere con la lingua – e almeno due spesse passate di matita nera sugli occhi; dal bordo sfilacciato della maglietta che fuoriusciva dal grembiule verdognolo facevano capolino quelli che sembravano i prolungamenti di un tatuaggio piuttosto vistoso.
Kurt piegò la testa da un lato, osservandola meglio: nonostante tutto l’armamentario di prodotti da cui era coperto, il suo volto sembrava quello di una ragazzina. Cresciuta troppo in fretta, forse.
 
<< Dunque, prima di tutto le tre regole sacre da rispettare qui dentro. Uno: non si ruba dalla cassa. Due: i clienti vanno sempre trattati bene. Tre: non si fa sesso con i colleghi. Questa non è una delle regole di Charlie ma fidati, bisogna rispettarla; se Matt l’avesse fatto sarebbe ancora dei nostri. >> Continuò, facendogli l’occhiolino. Kurt arrossì, borbottando qualcosa a proposito del fatto che non aveva nemmeno bisogno di dirglielo.
 
<< Qui siamo in venti. Servirebbe più personale, ma Charlie è un po’ al verde, quindi ci si arrangia. Dieci sono fissi alle casse – più qualche idiota a caso che da il cambio ogni tanto, ma gli unici con il contratto regolare sono loro. Io, Megan e Alexis ci occupiamo della pubblicità, gli altri servono i clienti, riempiono gli scaffali e fanno l’inventario. >> Spiegò, indicando le varie persone che nominava.
<< Tu naturalmente partirai dal basso, il rifornimento scaffali dovrebbe andare bene. Ora se permetti io torno ai miei volantini, ti chiamo l’altro nuovo tizio così ti fa vedere come si fa, aspetta. >> Scarlett se ne andò tanto velocemente quanto era arrivata, congedandosi da lui con una pacca sulla spalla. Kurt la guardò allontanarsi un tantino frastornato, mentre gli altri ragazzi riprendevano a fissarlo come se avesse sei gambe.
 
<< Ehi, numero venti! Ti rendi conto di esserti appena perso la sfuriata di Matt, vero? Muovi il culo e vieni a spiegare due cose al ragazzo nuovo. >> Kurt incrociò le braccia al petto, sempre più nervoso. Non che si fosse mai fatto particolari problemi ad essere al centro dell’attenzione, tuttavia non poteva negare di trovarsi leggermente a disagio in una situazione del genere.
Stava giusto valutando se la sua idea di proporsi subito come sostituto di quel Matthew non fosse stata eccessivamente avventata, quando il ragazzo di cui parlava Scarlett gli si presentò davanti.
 
La prima cosa che pensò fu di averlo già visto, da qualche parte.
 
La seconda, che dopotutto in quel posto assurdo c’era qualcuno di apparentemente normale. Niente capelli inquietanti, niente piercing, niente occhiate inquisitorie e niente strette di mano imbarazzanti.
 
E Kurt sapeva che era assurdo, eppure era come se quel momento, quel sorriso autentico e quel volto così stranamente familiare fossero le prime cose che sembravano giuste, da quando aveva messo piede a New York.
 
<< Ciao! Io sono Blaine. >>
 
<< ...Kurt. >>
 
 

***

 
 

 
 
 
 
 
*saluta timidamente con la manina* ...Guys? Ci siete ancora? *parte un NO collettivo*
Prima cosa: NON è un colpo di fulmine! Dico sul serio, vedrete.
Dunque, cosa dire di questo inizio? Prima di tutto che io faccio schifo con gli inizi. Sul serio: per entrare davvero nella storia bisogna aspettare qualche capitolo, perché io e gli incipit non andiamo proprio d’accordo -.-“
Detto questo... Beh, come avrete notato ci sarà qualche personaggio originale: non temete, non staranno troppo tra i piedi (per non dire altro). Oh! Non odiate Jacob, fidatevi di me, non sono infida come TrollMurphy.
 
Qualche piccola info generale.
Ho cercato di far rimanere i personaggi più IC possibile, anche se con Blaine da un certo punto in poi ci sarà un’inevitabile cambiamento dovuto all’AUità (??) della storia.
Il rating è arancione per alcune scene che ci saranno più avanti, non so se diventerà rosso... Non credo, ma comunque vi farò sapere :)
Per quanto riguarda la lunghezza della storia, sono un po’ in alto mare per dare risposte precise. Sono arrivata a scrivere fino al capitolo sette (3.000/4.000 parole a capitolo) e direi di essere ancora piuttosto indietro, quindi sicuramente almeno una ventina: anche in quel caso vi farò sapere :)!
Per quanto riguarda gli aggiornamenti per ora me li riservo settimanali, ogni domenica, almeno finché non avrò un margine di capitoli abbastanza consistente. A quel punto potranno tranquillamente diventare due alla settimana :)
...Bene. Mi sembra di aver detto più o meno tutto. Ora credo che ritornerò nel mio angolino a terrorizzarmi e inveire contro la mia incapacità di scrivere i prologhi. Grazie di cuore a chi è arrivato vivo fino a qui, e grazie alla mia meravigliosa beta (non avevo mai avuto una beta priama *-*) Giada <3
A domenica prossima <3 Ari
 
Per spoiler, curiosità e qualunque cosa mi trovate sempre qui: http://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
E se vi va di farmi qualche domanda (amo quel sito) anche su ask: http://ask.fm/Nonzy9

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Capitolo 2
*** II__Move on ***


Capitolo 2

“Il brutto dei cuori spezzati è questo: che non ci puoi buttare sopra l'acqua ossigenata e soffiare mentre le bollicine camminano sulla ferita, puoi solo tenerti i cocci. E non ci sono operazioni e non ci sono medicine che li possono rimettere insieme, te lo devi tenere così il tuo cuore, rotto.”
_G. Cercasi

 
 
 
 
 

Dicono che sia necessario frequentare qualcuno da parecchio tempo prima di poter affermare di conoscerlo. Dicono che bisogni entrare in diretto contatto con le sue manie, le abitudini strane, il modo di arrabbiarsi, di sorridere e di scherzare per dire qualcosa del genere.
 
Non è vero.
 
O almeno non lo era per Kurt, non in quel momento.
C’era qualcosa nel sorriso di Blaine che lo rendeva sicuro di questo. Era come tirare un sospiro di sollievo, svegliarsi la mattina con il pensiero di dover correre al lavoro per poi realizzare che è domenica, ritrovare una cosa che ormai si dava per smarrita.Era più o meno quella la prima sensazione che Blaine Anderson gli aveva trasmesso.
 
<< Sei nuovo di qui? >> Kurt annuì, domandandosi sbadatamente se i suoi capelli fossero lisci o ricci sotto quella montagna di gel.
Era un po’ più basso di lui, aveva un sorriso allegro e – doveva ammetterlo – probabilmente gli occhi più belli che avesse mai visto.
Non lo pensava perché wow, fa tanto cliché da film romantico di seconda mano notare per prima cosa gli occhi, in un ragazzo: lui per primo pensava che fosse stupido nonché impossibile non accorgersi di tutto il resto – e Blaine era dotato di un gran bel tutto il resto, per la cronaca. Semplicemente erano davvero degli occhi particolari, e non notarli sarebbe stato complicato al pari di quanto lo sarebbe stato non riconoscere fino a che punto il grembiule che lo infagottava non gli rendesse giustizia.
 
<< Vivo a New York da circa due mesi, ma non avevo mai visto questo posto. Ed è strano, perché è vicino a dove abito e io ho una specie di passione per i Minimarket- >> Passione per i Minimarket? Davvero? Blaine fortunatamente sembrò non fare caso a quanto idiota potesse sembrare la sua affermazione.
<< Non ci vedono in tanti, in effetti. >>
<< Questo è per via dell’insegna marrone. >> Blaine inarcò un sopracciglio – triangolare, notò – lanciandogli un’occhiata confusa. Perché non poteva semplicemente stare zitto?
<< ...Come? >>
<< Niente. Non importa. >>
 
A quanto pareva quella era la giornata internazionale delle figure di merda, e lui la stava festeggiando alla grande. Prima era letteralmente corso via da un ragazzo che forse ci stava provando con lui – cosa che non gli era ancora ben chiara, tra l’altro – ed ora si metteva d’impegno a persuadere il suo nuovo collega di essere un cerebroleso. Di bene in meglio.
 
Blaine guardava Kurt. E lo guardava ancora.
 
Era praticamente sicuro di averlo già visto da qualche parte.
Non ricordava i suoi lineamenti e nemmeno i suoi occhi – se li avesse visti da vicino prima di allora l’avrebbe saputo, poco ma sicuro – tuttavia c’era qualcosa nel suo modo di muoversi, nella sua voce, che lo rendevano certo che quella non era la prima volta che si incontravano.
 
Peccato che fosse ancora sul posto di lavoro con Kurt stesso davanti che necessitava di qualche spiegazione: stare semplicemente in piedi a fissarlo non era il modo migliore per instaurare un sereno e gioviale rapporto tra colleghi.
<< Okay, uhm... Vieni con me. Ti spiego come funziona qui. >>
 
Si incamminò lungo il corridoio da cui era venuto, e per un momento ebbe quasi paura che Kurt non lo avrebbe seguito.
 
<< Perciò vivi a New York da due mesi. Cosa fai? Studi? >>
<< L’idea era quella. Peccato che all’ultimo momento non mi abbiano più preso. Al college dove dovevo andare, intendo. >>
<< Oh. Mi dispiace. >> Kurt roteò gli occhi: certo, lo conosceva da tre minuti e si dispiaceva se non era stato preso in uno stupido college- Okay. Avrebbe seriamente dovuto fare qualcosa per i livelli di acidità che raggiungeva quando si parlava dei suoi fallimenti.
Mosse la mano in un gesto non curante, seguendo Blaine tra i vari corridoi del Pickle-mart.
 
<< Non importa. Avrò un anno in più per esercitarmi e intanto mi pago le lezioni di canto con questo lavoro, sempre se alla fine verrò assunto. >> Blaine si fermò sul posto e per poco Kurt non gli finì addosso: sarebbe stato il perfetto coronamento della giornata internazionale delle figure di merda.
 
<< Tu... Tu canti? >> Kurt adocchiò con sospetto il sorriso speranzoso sul volto del suo interlocutore.
Che la sua sensazione su Blaine fosse sbagliata? Se non rappresentasse la sua piccola ancora di normalità in quella gabbia di matti ma solo l’ennesimo ragazzino pronto a sfotterlo per i suoi sogni fatti di teatri e luci di Broadway?
<< Sembra così strano? >> Replicò, sulla difensiva.
Era così stanco di dover sempre andare con i piedi di piombo e correre il costante pericolo di essere ridicolizzato. Fosse perché sognava in grande, diceva schiettamente quello che pensava o semplicemente perché era gay, sembrava che chiunque avesse sempre qualcosa da ridire su di lui.
 
Blaine, in ogni caso, non sembrava parte di quei chiunque.
<< No, assolutamente! Solo... posso farti una domanda, se è troppo personale puoi non rispondere. >> Fantastico.
Gli avrebbe chiesto se era gay. Succedeva così da quando ricordava: come se fosse qualcosa di indispensabile da sapere, fondamentale. Kurt poteva già sentire il disagio crescere in previsione di quanto stava per succedere e si detestò per questo. Decise di precederlo.
<< Sì, sono- >>
<< Hai per caso frequentato il liceo in Ohio? >>
 
Oh. Beh, questo era inaspettato. E inquietante.
 
<< ...E tu come fai a saperlo? >>
<< Cantavi anche a scuola? In un Glee Club? >> Blaine poteva fisicamente vedere l’inquietudine spargersi a macchia d’olio sul volto di Kurt e non poteva negare di aver scelto un modo un tantino inappropriato per intavolare la conversazione, ma ormai era fatta.
<< ...Sì. Andavo il liceo McKinley, a Lima- >>
<< Lo sapevo! Sapevo di averti già visto! Io frequentavo la Dalton Academy, hai presente? >> Kurt ci mise qualche istante per far combaciare i tasselli.
 
<< Oh! I ragazzi con le cravatte a strisce- E tu eri il leader, non è così? Mi ricordo di te! Il medley di P!nk che avete fatto l’anno scorso... Sì. Eri tu. >> Blaine sorrise al rinnovato entusiasmo di Kurt: sembrava il tipo di persona abituata a dover misurare le parole, quei ragazzi che – appena trovano qualcuno di affidabile – iniziano a dire tutto quello che passa loro per la testa.
 
Il genere che finisce per ferirsi più spesso.
<< Come si chiamava il tuo Glee Club? >>
Bastò quella semplice domanda perché gli occhi di Kurt si velassero di una patina di malinconia. Blaine si sentiva quasi in imbarazzo per quanto gli risultasse semplice capire quel ragazzo: era come invadere involontariamente la sua privacy, cosa che Kurt sembrava cercare di evitare in tutti i modi. Era chiaro dal modo protettivo in cui teneva le braccia incrociate al petto, da quanto stava lontano da lui giusto un passo in più del normale per una conversazione, schivando a tratti il suo sguardo.
 
Kurt aveva l’aria di chi ha sofferto, e Blaine avrebbe solo voluto non essere bravo ad inquadrare le persone.
 
<< New Directions. >>
<< ...Ma- Ma voi avete vinto le Nazionali l’anno scorso! >> Blaine sembrava sinceramente elettrizzato e Kurt non poté fare a meno di lasciarsi prendere dal suo entusiasmo: almeno avrebbe potuto ripensare all’anno prima con gioia anziché la solita malinconia.
 
Parlarono dei rispettivi Glee Club per un po’ – nonostante Blaine si dimostrasse a tratti restio, soprattutto quando toccavano l’argomento compagni di squadra – e Kurt imparò in fretta come riempire gli scaffali, non che fosse particolarmente complicato, e come muoversi nel magazzino.
La prima volta che controllò l’orologio si stupì di quanto fosse tardi: forse era davvero riuscito a trovare un potenziale amico in quell’immensa città; ed era abbastanza stupido considerando che praticamente venivano dallo stesso posto, ma Blaine gli aveva dato una buona impressione e gli piaceva parlare con lui.
 
Fino a quella mattina, Kurt non aveva realizzato quanto avesse bisogno di un amico.
Blaine gli disse di essere a New York per i suoi stessi motivi ma, a differenza sua, aveva volontariamente deciso di prendersi un anno di pausa prima di pensare al college. Kurt aveva ritenuto inappropriato chiedergli il perché, così si era limitato ad annuire.
 
<< Spero che Charlie ti assuma domani. Sai, iniziavo a pensare di essere l’unico non completamente folle qui dentro. >> Ed era vero.
Blaine si era trovato bene con il nuovo arrivato: non aveva mai parlato così tanto con qualcuno da quando aveva messo piede a New York, eccezion fatta per il suo coinquilino, naturalmente.
Magari era la sua buona occasione per farsi un amico: non era certo di averne mai avuto uno vero.
 
Kurt se ne andò che l’ora di pranzo era già passata da un pezzo e – prevedibilmente – si guadagnò un’altra generosa serie di occhiate da tutti gli altri commessi, paurosamente simili a una macchina sincronizzata pronta ad aggredirlo non appena se ne fosse presentata l’occasione. Avrebbero presto avuto modo di scoprire che lui non era Matthew: non si sarebbe fatto buttare fuori tanto facilmente.
 
<< A domani! >> Li provocò, forte del fatto che in quella strana mischia di alieni aveva almeno un alleato. O almeno così sperava.
Raggiunse in fretta le porte automatiche e, esattamente un attimo prima che potesse uscire, qualcuno lo prese per mano. Kurt si irrigidì e ritrasse istintivamente il braccio, per poi trovarsi faccia a faccia con un ciuffo arruffato dal colore indecifrabile.
 
Scarlett gli prese il viso tra le mani, fissandolo abbastanza da vicino che per un momento Kurt credé avesse intenzione di baciarlo. Fortunatamente non lo fece, ma era abbastanza inquietante pensare che si comportasse in quel modo con perfetti sconosciuti.
 
Quando Scarlett parlò, Kurt decise che se quello fosse stato un fumetto lui sarebbe definitivamente caduto a gambe all’aria.
 
<< Ma sei gay? >>
 
 

***

 
 
Spento.
Spento.
 
Rachel si lasciò cadere a pancia in su sul letto, gettando con noncuranza il cellulare da qualche parte tra le lenzuola.
Non era possibile, non era accettabile che Finn non si facesse sentire né rintracciare da due interi mesi; nemmeno quel giorno, per poter condividere l’esperienza del suo ingresso alla NYADA.
 
Rachel era infelice, e non era in quel modo in cui aveva progettato di sentirsi una volta raggiunto il posto dei suoi sogni, di giorno in giorno più vicina all’obiettivo per cui lavorava tanto duramente da una vita.
Odiava sbagliare i conti, odiava che la sua felicità dipendesse da qualcun altro: era qualcosa che semplicemente non riusciva a sopportare. E invece era lì, in una casa vuota, con il cuore a pezzi e troppo orgogliosa per ammetterlo. Chiuse gli occhi e si sforzò di rievocare gli ampi saloni della NYADA, la stanza dove aveva incontrato i suoi compagni di corso – diciannove, agguerritissime matricole – e la grande sala da ballo: era incantevole, certo, eppure lei non riusciva a goderne come avrebbe dovuto. Finn non poteva averla semplicemente lasciata, non dopo tre anni di alti e bassi e ben due matrimoni mandati a monte.
 
A dirla tutta, nonostante Kurt, Rachel non si era mai sentita più sola in tutta la sua vita.
Sentì una chiave girare nella toppa della porta d’ingresso, e tornò a fingere che andasse tutto bene.
 
<< Kurt? Sei tu- >> Non fece nemmeno in tempo a finire di parlare che il suo migliore amico era già davanti a lei, con quello che sembrava un sorriso raggiante. Kurt si lanciò letteralmente sul letto, piazzandosi a gambe incrociate accanto a lei.
<< Allora, questa NYADA? È come te l’aspettavi? >> Il ragazzo ignorò il senso di opprimente dolora al petto che porre quella domanda gli aveva provocato, dopotutto aveva deciso: non era un anno sprecato, solo un’opportunità in più.
<< Sì e no. Voglio dire, è bellissima. I professori sono qualificati e naturalmente è frequentata dai più grandi talenti di- >>
<< ...Ma? >> La incalzò Kurt, lasciandola per un momento del tutto spiazzata.
 
Ma?
 
<< Non ho detto che c’è un ma. >>
<< Rachel. >>
<< E tu cosa hai fatto oggi? >> Lo interruppe di punto in bianco, decisa ad aggirare l’argomento. Non era per Kurt, era semplicemente qualcosa a cui voleva evitare di pensare.
 
Rifletterci sopra era doloroso, ed era già abbastanza difficile da sopportare alla sera, quando lei e Kurt provavano a dormire ma non facevano che rimanere lì, con gli occhi fissi nel buio a sforzarsi di non lasciare che i pensieri fluissero.
 
A volte ci riuscivano, la maggior parte no.
 
Entrambi avevano pensato che ricominciare in un’altra città avrebbe significato ripartire da zero: entrambi si erano dovuti rassegnare al fatto che, se il cielo sopra di loro poteva essere cambiato, il cuore che gli batteva nel petto era quello di sempre.
 
<< Prima di tutto ho fatto conoscenza con Jacob- >>
<< Gli hai detto di darsi una regolata?! C’è gente che di notte vorrebbe dormire! >>
<< No, ma in compenso ho scoperto che ti trova carina. E poi ci ha provato con me. >> Rachel inarcò un sopracciglio.
<< ...Adesso sono confusa. >>
<< Oh, lascia perdere. Piuttosto: indovina chi ha appena trovato lavoro come riempi-scaffali? >> Rachel scoppiò a ridere, incapace di immaginarsi la scena.
 
<< Tu in uno di quei grembiulini da Minimarket- >>
<< Non me lo ricordare, ti prego. Tra l’altro sono quasi tutti malati di mente in quel negozio: per ora si salva solo il ragazzo che mi ha fatto vedere il posto. Ci credi che era il solista dei Warblers? Si chiama Blaine. >>
 
Rachel sorrise tra sé e sé: conosceva Kurt abbastanza bene da sapere che quella non era l’ultima volta che avrebbe sentito quel nome.
Lui aveva un debole per i ragazzi gentili, e non poteva biasimarlo dopo tutto lo schifo che gli avevano tirato addosso in quegli anni. Appena trovava qualcuno che si dimostrasse carino con lui di solito passava direttamente alla fase sospiri sognanti. In effetti, era strano che non fosse già intento a decantare quanto fosse meraviglioso quel Blaine.
Si accigliò appena, perché inevitabilmente tutti quei ragionamenti non avevano fatto che riportarla al punto di partenza. Era come pretendere di seminare la propria ombra.
Non si accorse nemmeno di essere rimasta in silenzio troppo a lungo per non destare sospetti, che Kurt sospirò.
 
<< ...Lo so che è presto per dirlo, ma dovresti davvero voltare pagina. >> Rachel distolse lo sguardo, fissando il suo cellulare abbandonato sul letto.
<< Questi dovrebbero essere i giorni più belli della tua vita, non dovresti permettere che- >>
<< Lo so. È solo... Vorrei solo sapere con certezza qual è la cosa giusta da fare, capisci? Mi servirebbe un consiglio. >>
 
Kurt la fissò con tanto d’occhi. Come se lui non gliene avesse mai dati, di consigli. Rachel sembrò intuire la sua protesta sul nascere e si affrettò a correggersi.
<< Tu sei troppo coinvolto. Sei il mio migliore amico, è normale che faresti di tutto per indorarmi la pillola e non mi diresti mai in faccia se ho sbagliato qualcosa. E alla NYADA... Non lo so. Quei ragazzi mi guardano come se volessero farmi fuori. >>
Kurt evitò di fare qualche battuta su come, in effetti, la cosa non fosse poi così improbabile.
 
<< Non lo so. Forse ho solo bisogno di un parere esterno. Qualcuno che mi conosce, ma al contempo non si faccia problemi a dirmi le cose come stanno, per quanto dolorose possano essere. >> Era palese.
Voleva qualcuno che le dicesse chiaro e tondo che tra lei e Finn era finita, in modo che potesse risultare finalmente reale anche ai suoi occhi.
Kurt, per quanto desiderasse aiutarla, sapeva di non essere la persona adatta a quello scopo. Sperò solo che Rachel avrebbe avuto presto modo di lasciarsi il passato alle spalle e vivere per se stessa e per il suo sogno, anziché per Finn Hudson.
 
A quanto pareva gli unici che sapevano della sua esistenza al momento erano Burt e Carole, anche perché se non li avesse chiamati in tutta probabilità sarebbero andati in Georgia di persona a controllare che non fosse finito schiacciato da un qualche carro armato di passaggio.
Dio, Kurt non si sarebbe mai abituato all’idea di Finn nell’esercito. Era come cercare di immaginare l’assegnazione di un premio Nobel a Brittany, o forse peggio.
 
<< Rachel... Era solo il primo giorno: vedrai che presto alla NYADA ti farai dei nuovi amici che ti sapranno dare quello che cerchi. E poi lo sai che io ci sono sempre, per qualunque cosa. >>
 
Lei lo abbracciò, perché lo sapeva benissimo.
 
 

***

 
 
Kurt non aveva protestato quando Rachel gli aveva chiesto di spegnere la luce prima del solito, perché sapeva già come sarebbe finita. Dieci minuti dopo lei gli si era accoccolata vicino: Kurt non poteva vederla, ma sapeva che stava piangendo.
 
Rachel aspettò che lui si fosse addormentato per sgusciare fuori dalle sue braccia: si asciugò gli occhi con il dorso della mano e scese dal letto, procedendo a tentoni per la camera ancora non del tutto familiare. Trovò la maniglia, la abbassò ed era in corridoio. Si richiuse la porta alle spalle.
Per un lungo, doloroso momento fu tentata di sedersi semplicemente a terra, incassare la testa tra le ginocchia e piangere. Non lo fece. Aveva diciannove anni, era nella città dei suoi sogni e stava vivendo il momento migliore della sua vita: non poteva sedersi per terra e piangere.
 
Per la prima volta dopo due lunghi mesi, Rachel aveva più voglia di andare avanti che di lasciarsi consumare.
 
Aveva bisogno di trovare una linea di partenza, qualcosa da cui iniziare per costruire il suo mondo da capo. Mossa da quella necessità aprì la porta che aveva di fronte, quella che dava sulla stanza tuttora inutilizzata che lei e Kurt avevano usato principalmente come ripostiglio.
Fece scattare l’interruttore e raggiunse la grande valigia rosa con cui era arrivata a New York, la stessa che Finn le aveva portato in stazione, due lunghi mesi prima.
 
Inconsciamente aveva già deciso quale sarebbe stato il suo atto simbolico per il nuovo inizio che andava tanto ricercando – dopotutto era una star: le star vivono di atti simbolici.
 
Quella valigia doveva sparire quella notte stessa.
Rachel si inginocchiò di fronte a quest’ultima e – presa dalla foga di liberarsene il più velocemente possibile – rovesciò tutto il contenuto a terra.
 
Come se uno stupido ammasso di plastica e stoffa in meno sarebbe stato in grado di restituirle quella stabilità che di punto in bianco le era venuta completamente a mancare.
 
Rachel sospirò ed iniziò a radunare i pochi oggetti sparsi sul pavimento: da pacchetti di fazzoletti a spazzolini da denti nuovi, passando per qualche penna mordicchiata e due stick per labbra. La sua attenzione tuttavia non fu catturata da nessuna di questi oggetti.
Al contrario, tutto ciò che Rachel riusciva a vedere su quel pavimento era un pezzetto di carta.
 
New York – New Haven
 
Per la prima volta dopo due mesi, sorrise.
 
 

***

 
 
 
 

 
 
 
 
Buona domenica :)!
Prima di passare a parlare di questo capitolo, ci tenevo a ringraziare con tutto il cuore le persone che hanno aggiunto questa storia alle seguite, e le otto che mi hanno dato tanta fiducia da metterla direttamente tra le preferite: non ho davvero parole per dire quanto vi adoro <3
Naturalmente un grazie particolare va alle 12 persone che hanno lasciato un recensione: non ho parole :’)
 
Per quanto riguarda questo capitolo, come avrete notato siamo ancora nel pieno della fase introduttiva: dal prossimo inizieremo ad entrare un po’ meglio nella storia, spero apprezzerete :)
In ogni caso, sappiate che già da questo secondo capitolo ho iniziato a disseminare qualche vago indizio su Blaine ;) Il prossimo – a parte la Klaine e un po’ di Faberry – vedrà la comparsa di un altro personaggio... Vedrete u.u
Un ultimo grazie va alla mia adorabile beta, che venero <3
A domenica!
 
Per spoiler, chiacchiere, domande e qualsiasi altra cosa mi trovate qui: http://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
o anche: http://ask.fm/Nonzy9  

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Capitolo 3
*** III__You're good, you know? ***


Capitolo 3

“Io penso che quando si perde qualcosa non ci si è badato abbastanza, perché se ci tieni veramente ci stai attento, te la leghi stretta.”
_G. Cercasi
 

 
 
 
 

Blaine avrebbe dovuto immaginarselo.
Se solo non fosse stato sempre così stupidamente perso nei suoi pensieri, ora in tutta probabilità non si sarebbe ritrovato lungo disteso sul pavimento, dopo aver dato una delle peggiori facciate della sua esistenza. Un giorno o l’altro sarebbe morto in quel maledettissimo appartamento.
 
<< Quale parte di “non lasciare le tue cavolo di ciabatte davanti alla porta” non ti è chiara, esattamente? >> Era più un lamento esasperato che un vero e proprio rimprovero. Ormai era definitivamente venuto a patti con l’idea che – qualunque cosa avesse detto o fatto – non c’era verso di essere preso sul serio.
 
Non fece nemmeno in tempo a rimettersi in piedi che un enorme baccano lo raggiunse dalla cucina, seguito dal rumore assordante di piatti che si spaccavano. Un buon numero di piatti che si spaccavano.
Blaine si tirò su di scatto, rischiando peraltro di inciampare in tutte le cianfrusaglie sparse sul pavimento, intramezzate da pacchetti di patatine più o meno vuoti e le più disparate bibite. Arrancò fino alla porta della cucina, adocchiando immediatamente il disastro ai piedi del tavolo da pranzo.
 
<< Giuro che questa è la buona volta che ti uccido. >> Nick sfoderò la migliore faccia colpevole del suo repertorio. Come se sarebbe anche lontanamente potuta servire a qualcosa.
<< Ma Blaine! Cercavo di apparecchiare, mi sono scivolati di mano- >>
<< Anche le ciabatte, le patatine e i cartoni di latte ti sono scivolati di mano? >>
<< Non è colpa mia se entri in casa, rotoli per terra e mi spaventi! >> Certo.
Ora era anche colpa sua se lui aveva rotto le uniche quattro stoviglie decenti che gli erano rimaste. Inspirò a fondo, sforzandosi di pensare lucidamente.
 
<< Nick. Te ne rendi conto anche tu che così non può continuare, vero? >> Il ragazzo inarcò un sopracciglio, iniziando a radunare i cocci di quelli che una volta erano piatti di ceramica.
<< Così come? >>
<< Lo sai come. Questo posto fa già schifo di suo, non ha bisogno di noi due che lo mettiamo sottosopra; per di più non possiamo più permettercelo. >>
<< Certo che possiamo! Tu hai il tuo lavoro al market, e io- >>
<< E tu non hai ancora trovato niente. Appunto. Nick, ci serve un terzo coinquilino. >>
 
E, se non sbagliava, quella era più o meno la millesima volta che provava ad intavolare il discorso con Nick.
Sapeva benissimo che all’inizio il patto era di tutt’altra natura: un anno nella Grande Mela insieme, solo loro due. Peccato che alla fine la necessità di pagare l’affitto fosse risultata più impellente dei loro sogni da aspiranti newyorkesi.
 
Blaine non avrebbe definito la loro un’amicizia convenzionale. In realtà, non era nemmeno certo che si trattasse di amicizia in assoluto. Erano soltanto due persone che, per un motivo e per l’altro, avevano finito per trovarsi nella stessa situazione ed inevitabilmente avevano unito le forze.
Blaine apprezzava la sua compagnia, perché era una persona divertente, e soprattutto perché non faceva troppe domande. Erano questo: due estranei che si volevano bene messi insieme dalle circostanze.
 
C’erano state volte in cui Blaine aveva voluto che Nick gli chiedesse cosa c’era che non andava, che superasse quell’ultimo scoglio e diventasse il suo primo vero amico a tutti gli effetti.
Ogni volta tirava un sospiro di sollievo, quando puntualmente non succedeva.
 
<< Io no. >>
<< ...Tu no, cosa? >>
<< Non voglio un altro coinquilino. >> Protestò debolmente, buttando via i frammenti più grossi in cui si erano disintegrati i piatti. Nick non aveva nemmeno ben presente il motivo che gli faceva affermare una cosa del genere e sicuramente non avrebbe saputo spiegarlo, fatto stava che non voleva qualcun altro che girasse per casa. Non lo voleva e basta.
 
<< Nick- >>
<< Rovinerebbe i nostri equilibri, e poi c’è una sola camera da letto. >>
<< Esiste il divano, Nick, ed esistono decine e decine di ragazzi che ucciderebbero per un appartamento a New York con un affitto diviso per tre! È l’unico modo. >>
Nick sembrava intenzionato a ribattere, ma poi non lo fece. Rimase semplicemente zitto e, da uno che straparla sempre, è un brutto, bruttissimo segno.
 
<< Va bene. >> E detto questo uscì dalla cucina, passando di fianco a Blaine senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Oh, magnifico.
Ora doveva anche fare pace con Nick prima che desse fuoco alla sua collezione di CD, e sapeva per certo che ne era capace. Sospirò e si sedette al tavolo della cucina, avviò il portatile che vi era appoggiato sopra ed iniziò a buttaregiù un’inserzione convincente per cercare di accaparrarsi un nuovo coinquilino.
 
Mentre scriveva, si ritrovò a pensare che se Nick gli avesse chiesto cos’era successo di interessante quel giorno anziché andarsene infuriato, gli avrebbe sicuramente parlato di Kurt.
 
Sbatté le ciglia, confuso da quel suo pensiero privo di una qualsivoglia ragion d’essere e – prima ancora che potesse seriamente domandarsi perché gli fosse venuto in mente – le sue attenzioni erano già passate ad altro. Precisamente, la scheggia di ceramica che gli si era appena conficcata nel tallone.
 
 

***

 
 
La mattina seguente, Kurt non trovò Rachel accanto a sé nel letto matrimoniale, né intenta a sistemare gli spartiti in soggiorno. Kurt non trovò Rachel e basta.
L’unico segnale del suo passaggio era il pigiama che aveva lasciato appallottolato ai piedi del letto e il fatto che i suoi libri non fossero più in giro per casa.
 
Si ripromise di mandarle un messaggio più tardi per accertarsi che andasse tutto bene: per il momento la sua priorità era farsi una doccia e fiondarsi al Pickle-mart per il suo primo vero giorno di lavoro, sempre ammesso che lo avrebbero assunto.
 
Il tutto fu relativamente rapido: aveva già in mente l’outfit che avrebbe scelto, la sua unica preoccupazione era quella di non incrociare quel Jacob mentre scendeva le scale. Non gli piaceva, non c’era molto da dire.
Indossò un paio di jeans piuttosto aderenti, una camicetta bianca arrotolata fino al gomito ed un gilet grigio scuro, per poi sistemarsi un discreto foulard intorno al collo. Quando realizzò fino a che punto il suo abbigliamento impeccabile sarebbe stato smontato da quell’orrendo grembiulino verdognolo, ormai era già per strada.
 
Una volta raggiunto il market, non poté davvero fare molto per contenere l’ondata di depressione che lo attraversò: era solo fino a quando non avrebbe trovato qualcosa di meglio, poteva farcela.
 
Entrò nel negozio con passo deciso, determinato ad ottenere quel lavoro, per quanto stridesse con gli scintillanti progetti che fino a pochi mesi prima spacciava già per realizzati.
Non fece nemmeno in tempo a mettere piede oltre la porta automatica, che Scarlett gli si era già parata davanti.
Quel giorno aveva lasciato i capelli sciolti: le arrivavano poco sotto le spalle e avevano decisamente l’aria di aver sofferto parecchio a causa di tutti gli acidi che avevano dovuto sopportare. Lei si sistemò una spallina cascante della canotta bucherellata che indossava, squadrando Kurt da capo a piedi.
 
<< Mi domando perché ho sentito il bisogno di chiederti conferma sul fatto che sei gay. >> Rifletté, arricciandosi una ciocca di capelli sull’indice.
<< Buongiorno anche a te. >>
<< Oh, andiamo Kurt! Dico solo che è uno spreco. Se hai voglia di “sperimentare” fammi un fischio, uhm? >> Beh, di bene in meglio.
Kurt annuì giusto perché lei non sembrava intenzionata ad aggiungere altro prima di un suo cenno. Scarlett gli fece l’occhiolino e lo prese sottobraccio, trascinandolo senza particolare delicatezza oltre le casse, fino al piccolo stanzino dentro al quale era sparito Charlie il giorno prima.
 
<< È là dentro. Sono tutte formalità, praticamente sei già preso. Anche se non ho ancora capito cosa ci fa un bel faccino come il tuo in un posto come questo. >> Kurt sospirò: Scarlett non era l’unica a chiederselo, se per questo.
<< A dopo, collega! >> Esclamò, per poi girare i tacchi, non prima di avergli dato una considerevole pacca sul sedere.
Kurt sgranò gli occhi e per un momento fu quasi dell’idea di indignarsi, ma il proposito scemò tanto in fretta quanto era nato. Con un ultimo sospiro esasperato bussò alla porta ed entrò, esattamente un secondo prima di potersi accorgere di Blaine che faceva capolino dal corridoio principale.
 
Come lo vide sparire nello stanzino di Charlie il ragazzo non poté fare a meno di sorridere: alla fine Kurt aveva deciso di tornare, e non era qualcosa da dare per scontato in quella mezza topaia dove lavoravano. Charlie probabilmente gli avrebbe innalzato una statua se solo non fosse stato troppo orgoglioso per ammettere che trovare un sostituto in così breve tempo era stata una vera manna dal cielo.
 
<< Che fai? Ti sei incantato? >> Scarlett gli sventolò una mano davanti alla faccia, indicandogli gli scaffali in fondo al negozio.
<< Anderson, i fiocchi d’avena non si riproducono durante la notte: cammina, prima che Charlie se la prenda con tutti. Oh, tra poco ti mando il tizio nuovo. >> Blaine girò i tacchi ancor prima che lei potesse finire di parlare: Scarlett era quella che lavorava lì da più tempo ed era sempre al corrente di ogni singolo pettegolezzo, che puntualmente non si risparmiava di promulgare a destra e a manca.
Proprio per questo Blaine si guardava bene dal darle più confidenza del dovuto: ci sarebbe mancato solo che venisse a sapere le ragioni per cui tutti i giorni arrivava al lavoro praticamente disfatto. Non poteva permettersi di far spargere la voce su cose del genere.
 
Come ogni mattina prima dell’apertura fece un giro di ispezione generale, per controllare se la sera precedente l’addetto al rifornimento scaffali avesse fatto bene il suo lavoro. Che l’unico addetto al rifornimento scaffali fosse lui aveva poca importanza, almeno agli occhi di Charlie.
Se non altro da quel momento in poi avrebbe avuto qualcun altro con cui passare le giornate, sicuramente più piacevole di Matt. Non che avesse niente contro di lui ma Dio, era un tale idiota. Ed era un peccato, perché era davvero carino, ma troppo dannatamente stupido e tra l’altro già immischiato in faccende abbastanza complicate senza che ci si mettesse in mezzo anche lui.
 
<< Blaine? >> Lui si fermò di colpo davanti al reparto surgelati e si voltò, per poi trovarsi davanti un sorriso timido che identificò all’istante.
<< Kurt! Ciao. Allora, com’è andata con Charlie? >>
<< Per ora mi ha dato una settimana di prova. Se va tutto bene dovrei rimanere almeno tre mesi. >> Blaine stava per tirare un sospiro di sollievo, ma dopotutto avrebbe potuto sembrare inopportuno.
 
<< Beh, è fantastico. >> Uhm. Cosa diceva a proposito di essere inopportuno?
A quell’uscita Kurt abbassò lo sguardo, evidentemente imbarazzato, e Blaine si diede dell’idiota in tutte le lingue che conosceva: possibile che invece di apparire come un comune ragazzo che cerca di stringere amicizia dovesse passare per lo stalker di turno?
Non gli restava che provare a rimediare, possibilmente senza fare la figura dell’idiota.
 
<< ...Voglio dire. Prima lavoravo con Matt e non era esattamente il massimo della simpatia- >>
<< No. Cioè, grazie, suppongo. >> Kurt, se solo non fosse stato così inorridito all’idea di rovinarsi la piega, si sarebbe volentieri messo le mani tra i capelli.
 
Perché doveva sempre essere così dannatamente imbranato?
Perché imbarazzarsi se un suo collega gli diceva che era felice di lavorare con lui? Era tremendamente senza speranza. Ed era anche una situazione nuova per lui; non gli era mai capitato che un ragazzo presumibilmente etero si dimostrasse così gentile nei suoi confronti: se solo non si fosse comportato da pazzo schizzato avrebbero anche potuto essere amici.
 
<< Scusa. È che non sono abituato a parlare con... uhm, >> Perché glielo stava dicendo?
Per un lungo momento, Kurt considerò l’opzione di aprire il frigo dei surgelati ed ibernarsi lì fino a nuovo ordine.
 
Quello che ignorava, era l’enorme sorriso sulla faccia di Blaine, che non aveva più avuto il coraggio di guardare da cinque minuti buoni.
Quel ragazzo era nientemeno che adorabile e in un certo senso in lui riusciva a rivedere se stesso, i primi giorni alla Dalton, ai tempi in cui ancora spalancava gli occhi quando qualcuno gli rivolgeva parole che non fossero “schifoso” e “frocio”.
 
Per un momento Blaine si chiese se anche Kurt fosse gay, o se le sue cicatrici da liceo – talmente palesi da risultare quasi dolorose da guardare – fossero dovute ad altro. Concluse che non aveva importanza: di qualunque cosa si trattasse, di certo non era compassione quella che cercava. Probabilmente voleva solo qualcuno che lo trattasse come tutti gli altri, esattamente come Blaine lo voleva per sé. Non gli era mai capitato di sentirsi così vicino a una persona in così poco tempo.
 
<< Non preoccuparti. Piuttosto, iniziano ad arrivare i primi clienti, sarà meglio darsi da fare. >> Kurt lo ringraziò mentalmente per aver fatto cadere l’argomento e seguì Blaine tra i vari reparti, cercando di memorizzarne il più possibile. Arrivati all’ala destinata agli animali si fermarono.
 
<< La mattina di solito la passo da queste parti: le prime ad arrivare sono ultraottantenni con problemi a leggere il retro delle scatolette per il cibo dei loro gatti. Ci vuole molta, molta pazienza con loro. >>
 
Kurt annuì. Vecchiette miopi, okay.
 
<< Prima di pranzo mi sposto nel reparto giocattoli: passano le madri in carriera a prendere qualche vaschetta preconfezionata da propinare ai loro figli, e per farsi perdonare della loro assenza non se ne vanno mai senza una bambola o una macchinina. Il più delle volte non hanno la minima idea di cosa va di moda ultimamente, così chiedono a me. L’importante è fare finta di saperne qualcosa. >>
<< Dopodiché abbiamo quaranta minuti di pausa pranzo- >>
<< Oh mio Dio. Io ieri te l’ho fatta saltare! >> Esclamò Kurt senza riuscire a trattenersi, portandosi una mano sulla bocca. Era stato il solito idiota.
 
Blaine, tuttavia, lo liquidò con un gesto della mano.
<< Va tutto bene: ho avuto i miei quaranta minuti più tardi, Charlie sapeva che eri con me. >>
No. La cosa non lo aiutava a sentirsi meno mortificato.
 
<< Ad ogni modo, dopo pranzo è il momento dei single. Prendono poche cose per volta e tornano tutti i giorni: li riconoscerai perché non guardano mai in faccia nessuno. È come se si vergognassero di dover fare la spesa solo per loro. Di solito sistemo un po’ gli scaffali, e riempio se manca qualcosa. >>
<< Dalle quattro in poi arrivano le famiglie. Ed è lì che bisogna armarsi di straccio e segatura: non sarebbe la prima volta che i bambini combinano qualche disastro. Se una madre con due figli in braccio e un terzo nel carrello ti guarda, tu lanciale un’occhiata comprensiva. Non sembra, ma aiuta. >>
 
Blaine si rese conto un po’ più tardi del dovuto di non essersi limitato a dire lo stretto necessario: doveva aver annoiato Kurt a morte. Lo guardò con una certa apprensione, e di tutto si aspettava fuorché sorprenderlo con gli occhi ben aperti e la bocca appena dischiusa, a fissarlo. Lui distolse lo sguardo, grattandosi nervosamente la base del collo.
 
<< Sei bravo, lo sai? A inquadrare le persone. >> Blaine sorrise istintivamente, con una punta di amarezza: aveva avuto modo di esercitarsi in questo. Per molto, molto tempo.
<< L’hai fatto anche con me? >>
 
Si azzardò a chiedere Kurt, sinceramente incuriosito da quanto di lui fosse riuscito a cogliere Blaine, sempre che l’avesse trovato abbastanza interessante da provarci in assoluto.
Il ragazzo balbettò qualche sillaba a vuoto, preso in contropiede. Avrebbe dovuto dirgli la verità? Sarebbe stato meno grave mentire o affermare cose che avrebbero potuto ferirlo? Blaine si era quasi deciso per una mezza verità – sulla falsariga della timidezza mescolata all’ambizione, ben lungi da tutte le congetture sul suo passato – quando la provvidenziale vibrazione del cellulare di Kurt lo salvò dall’imbarazzo.
 
<< Scusami un secondo... >> Estrasse il telefono dalla tasca dei jeans, facendosi spazio sotto l’orribile grembiule verde marcio che Charlie aveva pensato bene di scegliere come divisa obbligatoria.
Kurt sbloccò lo schermo con qualche difficoltà, nient’affatto sicuro del motivo per cui le dita gli tremavano un po’.
 
08:41
Da: Rachel
“Domenica sono a New Haven. Ti porto un souvenir ;) xoxo”
 
Kurt inarcò un sopracciglio, come se Rachel avrebbe potuto vederlo attraverso il messaggio. Perciò lo lasciava un giorno intero da solo, senza nemmeno chiedergli di accompagnarla?
 
<< Grazie, eh. >> Doveva seriamente perdere l’abitudine di parlare con gli oggetti, soprattutto in pubblico. Blaine si accigliò.
<< Qualcosa non va? >> Kurt si rificcò il telefono in tasca, sbuffando contrariato.
<< Problemi tra coinquilini. >>
 
Oh, ne sapeva qualcosa.
 
 

***

 
 
Rachel fece scorrere la punta del dito sul bordo liscio del grande bicchiere di carta che aveva davanti. Continuò per un po’, con gli occhi piantati nel caffè che iniziava a raffreddarsi senza che lei l’avesse nemmeno assaggiato. Più passavano i minuti, più realizzava quanto fosse stato stupido piombare a New Haven in quel modo, con così poco preavviso.
 
Quinn le aveva dato appuntamento proprio lì, alle dieci, nel bar appena fuori la stazione: naturalmente Rachel non aveva nemmeno sperato che la venisse a prendere direttamente al binario. O forse l’aveva fatto, ma comunque la cosa non la sorprese poi così tanto.
In realtà, più passavano i minuti, più si chiedeva cosa ci facesse lì in assoluto, e il fatto che fossero le dieci e mezza e lei fosse seduta con un caffè ormai imbevibile davanti non migliorava la situazione.
 
Dopotutto in quale modo parlare con Quinn Fabray avrebbe potuto cambiare le cose?
Certo, Quinn non la sopportava, e aveva anche le sue buone ragioni dato che le aveva praticamente scippato sia il ragazzo sia la coroncina da Reginetta del ballo, che tra l’altro non riusciva ancora a credere di aver vinto.
 
Nonostante questo, però, era sempre stata sincera con lei.
A volte brutalmente sincera, fregandosene di convenzioni sociali quali le buone maniere,eppure – alla fine – per quanto stupido ed egoista da parte sua, era lei che Rachel era andata a cercare.
 
<< Scusa il ritardo! >>
Rachel sollevò a fatica gli occhi dai bordi del bicchiere che aveva fissato per tutto quel tempo, ritrovandosi davanti chi a quel punto dava ormai per scontato le avesse dato buca. Quinn aveva i capelli leggermente scompigliati e il fiato corto, un vestito bianco stretto in vita che le arrivava al ginocchio e un coprispalle nocciola.
Rachel le sorrise e si alzò ad abbracciarla, come era solita fare con praticamente qualsiasi persona che non vedesse da più di ventiquattr’ore. Quinn la strinse a sua volta, senza stritolarla come lei temeva di aver fatto, poi si separarono.
 
<< Ciao! Ti trovo bene- >>
<< Mi dispiace, ma la mia compagna di stanza in dormitorio è stata ad una festa e stamattina non faceva che vomitare, perciò- >>
<< Non preoccuparti, davvero. >> Quinn le sorrise di nuovo, agganciando la tracolla della borsa al retro della sedia.
<< Lascia almeno che ti offra qualcosa di commestibile. >>
 
Cinque minuti dopo erano sedute allo stesso tavolo, con due tazze fumanti davanti.
 
<< Perciò, >> iniziò Quinn, aggiungendo una punta di dolcificante al suo caffè << come vanno le cose a New York? >> Rachel prese un sorso della cioccolata calda che aveva ordinato.
<< Uhm, bene. Molto bene. La NYADA è fantastica, ho appena finito la prima settimana e compagni montati a parte è davvero un bel posto. Kurt ha trovato una specie di lavoro in un market indipendente, quindi ce la caviamo. >>
 
E non era una bugia. Ma nemmeno la verità.
 
<< E tu? >> Si precipitò a chiedere, prima che Quinn potesse approfondire l’unico aspetto che aveva deliberatamente aggirato. Lei si strinse nelle spalle.
<< Io sto abbastanza bene. Yale è più dura di quanto pensassi, ma riesco a cavarmela. Sai, senza gli allenamenti dei Cheerios mi sembra di non fare più niente dalla mattina alla sera. >> Sorrise, con una punta di malinconia. A quanto pareva, un po’ tutte le New Directions erano scosse per aver cambiato direzione.
<< Però mi ci abituerò, suppongo. >> Rachel annuì, incoraggiante.
 
<< Ne sono sicura. E cosa mi dici di Joe? >>
Quinn la guardò per qualche secondo da dietro il bordo della sua tazza di carta, come se non sapesse di cosa stesse parlando. Poi finì la sua sorsata di caffè, riappoggiandolo sul tavolo.
<< Mi sembrava di avertelo già detto durante la settimana su Michael Jackson. Ho avuto tanti ragazzi alle superiori e ho addirittura creduto di amarli. Come prevedevo, ne ho già dimenticato il motivo. >> Disse semplicemente, e Rachel osservò in un misto di sorpresa e ammirazione quanto sembrasse distaccata, come parlasse senza il minimo rimpianto.
 
Per l’ennesima volta nella sua vita, Rachel Berry invidiò Quinn Fabray.
 
<< Quindi non... Non l’hai più sentito da giugno? >> Si sentì in dovere di indagare: non riusciva a credere che per Quinn fosse stato così semplice lasciarsi semplicemente il passato alle spalle. Perché lei non ne era capace? Quinn sembrava tranquilla e pacata come al solito.
 
<< No. Né lui né gli altri ragazzi... Beh, a parte Puckerman che cercava di usarmi come navigatoresatellitare quando si è perso a Los Angeles. Per il resto ho sentito solo Mercedes, Santana, Brittany- >>
<< E come stanno? Sai, con la NYADA sono stata davvero molto impegnata ed è un po’ che non faccio un giro di telefonate. >>
<< Non molto bene. Santana è un po’ in crisi, perché a quanto pare Brittany si è presa una cotta. Per un ragazzo. >> Rachel sgranò gli occhi.
 
<< Oh, lo sai com’è Brittany. Alla fine torna sempre da Santana. >>
Lei abbassò lo sguardo, sentendosi più che mai colpita sul vivo. Quindi era così che sarebbero andate le cose? Finn avrebbe finito per tornare con la coda fra le gambe un giorno o l’altro, e il suo compito sarebbe stato riprenderselo come se niente fosse? Santana l’avrebbe fatto con Brittany, perché si perdona tutto al primo amore. Di conseguenza, anche lei era supposta fare la stessa cosa con Finn.
Si chiese se avrebbe semplicemente potuto imporsi di chiudere un occhio e andare avanti, per quanto potesse essere poco spontaneo da parte sua.
 
<< Rachel? >>
<< ...Uhm. >> Quinn sospirò e appoggiò i gomiti sul tavolo, facendosi più vicina.
<< Si tratta di Finn, non è vero? >>
 
Si trattava sempre di Finn, quando Rachel si rivolgeva a lei.
Andava così dalla notte dei tempi, e Quinn avrebbe solo voluto conoscere il motivo per cui questo continuava a succedere. Lei distolse lo sguardo, ma la bionda sapeva già di aver centrato l’obiettivo. L’aveva fatto la mattina stessa in cui Rachel l’aveva chiamata, chiedendole se era un problema incontrarsi quel fine settimana. Ogni cellula del suo cervello le aveva urlato di rimandare. Poi rimandare di nuovo e ancora, fino a quando il tempo non avrebbe seppellito Rachel Berry.
 
Come per tutte le altre cose della sua vita, aveva fallito.
 
<< Ricordi quando ti ho chiesto del matrimonio? Beh, forse mi serve un’altra di quelle tue risposte sincere, dirette e coscienziose. >> Recitò, con ancora ben impresso nella mente quel “non puoi” pronunciato da Quinn quando le aveva chiesto un consiglio in seguito alla proposta di matrimonio di Finn. Ancora non avrebbe saputo spiegare perché era stata proprio lei la prima cui ne aveva parlato. Era andata così e basta.
<< Avanti, allora. >> Rachel strinse con entrambe le mani la sua tazza ormai vuota.
 
<< La mattina in cui io e Kurt siamo partiti per New York... Be’, Finn ha praticamente detto che era finita tra noi. E adesso sono due mesi che provo a cercarlo e ha sempre il cellulare spento; io- io non so più che fare. >>
Quinn aspettò qualche secondo prima di rispondere, scrutando con attenzione gli occhi di Rachel, che a quel punto era abbastanza sicura non sarebbe mai riuscita a vedere Quinn diversamente dalla capo cheerleader bellissima ed irraggiungibile che era sempre stata ai suoi occhi.
Non aveva mai incontrato nessun altro capace di farle abbassare lo sguardo come invece era in grado di fare Quinn Fabray.
 
<< Sinceramente non capisco dove sta il punto. >> Rachel la guardò, confusa.
<< Voglio dire, cosa ti aspetti che ti dica esattamente? Su cosa devo darti un consiglio? >> Continuò, appoggiando la tazza di caffè sul tavolino.
<< Sei stata lasciata e basta, Rachel. Il fatto che sia sparito completamente dopo averti quasi sposata due volte non è altro che l’ennesima dimostrazione di quanto sia stupido, ma il punto rimane lo stesso. È finita. >>
 
Ed eccolo, il motivo che l’aveva spinta ad andare da Quinn. Ecco ciò da cui aveva disperatamente cercato di proteggersi che le veniva sbattuto in faccia, senza dubbi o ripensamenti. Senza nemmeno che si sentisse in dovere di andarci piano: non l’aveva mai fatto con lei, Rachel lo sapeva bene.
 
A Quinn non sfuggì quel pizzico di timida riconoscenza nei suoi occhi.
 
 

***

 
 
 

 
 

 
 
 
Eccoci qua :)
Allora, cosa dire di questo capitolo. Innanzitutto che era un più lungo degli altri, e che tra una cosa e l’altra si inizia ad intravedere l’ombra di una trama O__O (non è vero, ma fingiamo che sia così)
Okay, smetterò di ignorare l’enorme elefante rosa nella stanza: Nick. Aaaaah. Pensavate davvero che loro non ci sarebbero stati? Come si può portare avanti una long senza la folle presenza di Nick e... Okay. Ora sapete chi presto farà la sua apparizione u.u #NoRegrets
Also, finalmente Quinn è tra noi :’) È la prima volta che scrivo di lei... speriamo bene :)
Prima di eclissarmi  ci tengo a ringraziare chi ha aggiunto questa storia a seguite/preferite/ricordate, e in particolare a tutti coloro che hanno recensito: siete adorabili :’)!!
As always, un grazie speciale alla mia adorabile beta, Giada <3
A domenica prossima :)
 
Spoiler/curiosità/domande/qualsiasi cosa:  http://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
e anche: http://ask.fm/Nonzy9

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Capitolo 4
*** IV__Do you love her? ***


Capitolo 4

“Prima o poi, l'oceano del tempo ci restituisce i ricordi che vi seppelliamo.”
_Carlos R. Zafon

 
 
 
 
 
<< Blaine, non ho capito niente! Aspetta. >>
Kurt si sbracciò in avanti, tenendo il telefono schiacciato tra l’orecchio e la spalla, il suo panino in bocca, una penna in una mano e un foglio nell’altra.
<< Oka- uhp... >> Ingoiò un pezzo della sua presunta cena. << Okay, vai. Quanti sottaceti hai detto? >>
<< Otto. E non sottaceti, ma pomodori pelati. E sì, c’è differenza. >>
 
Kurt ridacchiò tra sé e sé, aggiungendo alla lista ciò che Blaine gli aveva appena detto.
Avrebbe avuto due cose da dire sulla questione dei pomodori pelati, ma la verità era che si sentiva troppo in colpa per porre una qualsivoglia obiezione.
Durante tutta la settimana lui e Blaine erano rimasti fino a tardi per fare l’inventario e – visto che era domenica – avevano l’incarico di sommare tutte le mancanze della settimana e passare ad un altro ragazzo la lista completa dell’ordine di lunedì.
Una rogna, insomma, e Kurt si sentiva uno schifo per aver lasciato Blaine al market per conto suo fino alle dieci passate, mentre lui era direttamente rimasto a casa già dalla fine regolare del loro turno, alle cinque.
 
Fondamentalmente era preoccupato per Rachel: per quanto avesse provato a farla confessare non era riuscito a estrapolarle nessun dettaglio sull’entità della sua presunta gita a New Haven per tutta la settimana, e ci teneva ad essere lì al suo ritorno.
Blaine si era offerto di coprirlo per quella sera, e Kurt era stato preso dall’idea di edificare un piccolo altarino in suo onore.
 
<< Okay. Otto scatole. C’è altro? >>
<< A parte i cibi freschi a cui hanno già pensato Connor e compagnia direi di no. >> Rispose, sbadigliando. Kurt si sentì ancora più in colpa.
<< Grazie ancora per non avermi fatto tornare lì, stasera. Ti restituirò il favore alla prima occasione- >>
<< Kurt, tranquillo. Non mi pesa farlo per un amico, e comunque sei rimasto al telefono con me tutto il tempo. >> Gli fece notare.
Kurt non riusciva a credere che persone come Blaine esistessero: lo conosceva da una settimana e si stava già maledicendo che non fosse successo prima.
 
<< Piuttosto, è tornata la ragazza che vive con te? Rachel, giusto? >> Kurt sbuffò, ripiegando il foglio che aveva preparato e mettendolo in bella mostra sul tavolo in modo da non dimenticarlo la mattina seguente.
<< Non ancora. >>
<< Capito. Senti, domani pranziamo insieme vero? >>
<< Esattamente come abbiamo fatto tutta la settimana, Blaine. >> Lui sembrava entusiasta.
<< Oh, fantastico! Perché ho trovato questo posticino ad una laterale poco lontana dal negozio di fiori- >>
 
Kurt per poco non stramazzò giù dal divano, colto alla sprovvista dall’improvviso rumore della porta di casa che si apriva su una Rachel piuttosto trafelata.
Sembrava... diversa, in qualche modo.
 
<< Scusa Blaine, devo andare. Il posto nuovo che vuoi provare andrà benissimo. >>
<< Cosa? Uhm, okay. Buonanotte, Kurt. >>
<< Buonanotte. >>
Incastrò senza particolare cura il telefono tra i cuscini scombinati del divano e si alzò, parandosi di fronte ad una Rachel palesemente turbata. D’istinto percorse la sua intera figura con lo sguardo, alla ricerca di un dettaglio che la potesse tradire. Kurt non lo trovò.
Di qualunque cosa si trattasse doveva essere nella sua testa, o nel suo cuore, o in entrambi.
 
<< Ciao. >> Esordì, fissandola come se si aspettasse qualcosa da lei.
Rachel non sapeva cosa Kurt volesse vedere, e nemmeno se lei sarebbe stata in grado di mostrarglielo. La sua unica e sola certezza in quell’esatto istante era di essere sospesa nel vuoto su un filo più sottile di un capello. Non poteva fare la mossa sbagliata, perché era troppo in alto e cadere avrebbe significato non riuscire più a rialzarsi; al contempo, aveva dimenticato come mettere un piede dietro all’altro per continuare a camminare.
 
In definitiva, l’unica certezza di Rachel era quella che sarebbe rimasta sospesa fino a nuovo ordine.
 
<< Ciao. >> Rispose con un filo di voce.
Appoggiò la borsa ai piedi del divano e si sedette sul bracciolo, prendendo fiato. Kurt si mise vicino a lei.
 
<< Lo sai che non me la bevo questa storia della gita a New Haven sola soletta, vero? >> Rachel, sul suo filo, barcollò un po’.
<< Ero con Quinn. >> Kurt sollevò un sopracciglio, prendendosi qualche istante per assimilare la cosa.
Aveva senso, dopotutto: Quinn frequentava Yale ed era l’unica delle ex New Directions ad essersi trasferita a New Haven dopo il diploma. Quello che gli sfuggiva, tuttavia, era il motivo di tutto quel mistero. Non aveva idea che – in realtà – nemmeno Rachel stessa sapeva ciò che l’aveva spinta a tenere segreta la sua visita.
 
<< Oh. Come sta? E Joe? >>
<< Sta bene. Yale le piace, ed è già entrata nel Club di recitazione proprio come voleva. Non sta più insieme a Joe. >>
Kurt non si stupì particolarmente: da quanto aveva potuto capire nel corso di quegli anni, le relazioni di Quinn Fabray duravano fino a quando lei non si trovava un nuovo giocattolino con cui divertirsi.
 
<< Abbiamo parlato di Finn, e... Lo so che non sarà facile, ma voglio davvero provare a voltare pagina. >> Continuò e, a quel punto, aveva definitivamente perso l’equilibrio.
Scivolò nel vuoto ma, con sua grande meraviglia, atterrò sul morbido. Nella sua testa, per qualche strana ragione, era stata Quinn a prenderla al volo un attimo prima che si sfracellasse al suolo. Kurt la avvolse in un abbraccio tenero e lei lo strinse a sua volta, felice. Per la prima volta da tanto, troppo tempo.
 
<< Si direbbe che parlare con Quinn ti abbia fatto bene. La prossima volta che vai dimmelo, così ci ritroviamo tutti insieme. >> Rachel dovette mordersi la lingua per non rigettare al volo quella proposta. Il che era completamente insensato e folle da parte sua.
<< Certo. >> Mentì. Senza sapere perché lo stesse facendo.
 
<< Comunque se non sbaglio quando sono arrivata eri al telefono con Blaine... >> Riprese, cambiando drasticamente argomento. Un po’ perché era stanca di tutte quelle strane sensazioni che le ronzavano in corpo da ore ed era troppo stanca per dar loro ascolto, un po’ perché era sinceramente curiosa degli sviluppi della futura storia d’amore del suo migliore amico.
Oh sì, era solo questione di tempo. Kurt, ad ogni modo, non sembrava aver colto i sottintesi di quanto lei aveva appena detto.
 
<< Sì...? >>
<< Quindi siete già allo stadio fidanzatini-perdutamente-innamorati-che-non-possono-passare-un-minuto-senza-sentirsi? >>
Rachel si sarebbe aspettata di tutto – magari anche un’occhiataccia torva: sapeva che Kurt faceva così quando non voleva ammettere di avere una cotta per qualcuno – ma sicuramente non che le si mettesse a ridere in faccia. Sì, perché iniziò letteralmente a sghignazzare, lasciandola piuttosto perplessa.
 
<< Kurt? >>
<< Rachel! Non- non lo vedo in quel modo! Non credo nemmeno che sia gay, e comunque non cambierebbe le cose: siamo amici ed è esattamente ciò di cui ho bisogno, e anche lui, visto che mi sta sempre addosso. >> Rachel roteò gli occhi.
<< Oppure ti sta addosso perché gli piaci. Andiamo, Kurt! È tutta la settimana che non fai che parlarmi di lui! “Ho pranzato con Blaine, ho riempito lo scaffale della carta igienica con Blaine, ho asciugato il vomito di un bambino con Blaine...” >>
<< Rachel. Non mi piace, okay? Abbiamo solo molte cose in comune e ci divertiamo a passare del tempo insieme- >>
<< Stai dicendo che non ci passeresti  il tempo insieme in un modo diverso dalla vostra solita routine? Sii sincero. >>
 
Kurt non poté evitare di arrossire.
Non era per Blaine, davvero, era solo che parlare di certe cose lo imbarazzava sempre e comunque: era più forte di lui.
 
<< Ti ho detto di no! Mi piace come amico, punto. >>
<< Ah-ah. Sappi che considero aperto un giro di scommesse per quanto tempo ci metterete a finire a letto insieme- Kurt! Dove vai? >>
<< A dormire! E dovresti farlo anche tu visto che sei stata in giro tutto il giorno e domani hai lezione. >> Esclamò, sparendo dietro la porta del bagno che si sbatté alle spalle con una certa violenza.
 
Rachel sorrise: non si trattava d’altro che di una passeggera fase di rifiuto; presto avrebbe dovuto far attenzione ad entrare in casa per l’eventualità di coglierli in qualche atteggiamento imbarazzante. Fece presente la cosa a Kurt, che la mandò gentilmente a quel paese.
Non riusciva a capire per quale motivo Rachel non volesse credergli: erano semplicemente amici, non era matematico perdere la testa per qualunque ragazzo carino e gentile gli si presentasse davanti... Be’, non sarebbe stata la prima volta, ma non era quello il caso. Nel modo più assoluto.
 
Raggiunse la sua camera da letto un’oretta più tardi: i suoi rituali di idratazione erano andati per le lunghe, e comunque non aveva così tanto sonno. Rachel, al contrario, era già addormentata della grossa, esattamente al centro del materasso. Kurt sbuffò silenziosamente e la fece rotolare dalla sua parte, guadagnandosi qualche borbottio infastidito.
Quando finalmente si fu sistemato e prese mano al cellulare per impostare la sveglia, notò l’icona di un nuovo messaggio che lampeggiava sul display.
 
Da: Blaine A.
“Non ti scordare la lista! Buonanotte :)”
 
Nel silenzio della stanza – interrotto solo dal picchiettare di un paio di dita su uno schermo – Kurt sorrise.
 
 

***

 
 
Salì le scale in tutta fretta, deciso a preparare la cena prima che Rachel fosse di ritorno.
Alla fine lui e Blaine erano andati a quel nuovo ristorante a due passi dal Pickle, dove in effetti avevano mangiato piuttosto bene. Ciò non toglieva che non ci fosse niente di pronto in casa e aveva la ferma intenzione di cucinare qualcosa di buono: era parecchio tempo che lui e Rachel non si concedevano una cena decente insieme.
 
Proprio mentre tentava di mettere mano alle chiavi di casa senza farsi cadere le buste della spesa, il cellulare pensò bene di suonargli. A quell’ora, poteva essere solo una persona. Appoggiò velocemente le buste sull’ultimo gradino prima del suo pianerottolo ed estrasse il telefono dalla tasca, mordendosi l’interno delle guance per non sorridere.
 
<< Blaine? >> Rispose sottovoce, appoggiando tranquillamente le spalle alla parete.
<< Spiacente, bel faccino: non sono il tuo ragazzo. >> Kurt spalancò gli occhi, riconoscendo all’istante la voce dall’altro capo del telefono. D’accordo, era ufficialmente un idiota.
 
<< ...Scarlett? >>
<< Così pare. Allora sei davvero il nuovo amichetto di Anderson? >>
<< Il nuovo... Oh, no. Non sono proprio niente. >> Cominciò Kurt, raccogliendo entrambe le buste con una mano sola, intenzionato ad entrare in casa.
<< Io e Blaine- >>
 
<< Vai da qualche parte? >>
 
Kurt si irrigidì e fece istintivamente due passi indietro nell’attimo in cui si accorse di essere andato a sbattere esattamente contro Jacob Hale.
Peccato per i gradini dietro di lui, sui quali inciampò stupidamente e per poco non cadde di peso all’indietro.
 
<< Oh porc- >>
<< Kurt? Che stai facendo?! >> Continuò Scarlett, totalmente ignara dell’ennesima figura di merda che era intento a portare a termine. Kurt si sbracciò per cercare di mantenere l’equilibrio e, ancor prima che se ne rendesse conto, Jacob l’aveva afferrato per la vita, sorreggendolo.
<< Hummel?? Si può sapere che cazzo combini! >> Kurt tirò un sospiro di sollievo perché ehi, dopotutto non era qualche decina di gradini più in basso con il cranio fracassato.
 
<< ...Ti richiamo tra dieci minuti. >> Mormorò con un filo di voce, ancora scosso dallo spavento. Riattaccò prima ancora di darle tempo di replicare, pronto ad affrontare il secondo problema all’ordine del giorno, vale a dire se stesso tra le braccia di quel maniaco sessuale del suo vicino di casa.
 
Emise qualche sottile protesta imbarazzata e appoggiò le mani contro il suo petto, spingendolo appena indietro e togliendosi definitivamente dalla vicinanza delle scale, nonché di quelle mani che con tanta riluttanza si erano staccate dai suoi fianchi.
Jacob lo lasciò fare tutto il tempo, sorridendo al suo modo impacciato di muoversi. Probabilmente avrebbe dovuto trovarlo carino, se non fosse che erano ben altri i pensieri che Kurt gli provocava.
 
<< Beh... Grazie. Credo. >> Disse, evitando accuratamente lo sguardo di Jacob mentre poteva sentire le guance scaldarsi velocemente.
<< Figurati. Non avrei mai permesso che ti facessi del male, Kurt. >> Il che di per sé avrebbe persino potuto sembrare cortese da dirsi. Peccato che il tono che aveva usato, il modo in cui l’aveva detto avesse mandato a farsi benedire tutta la carineria del momento.
<< Sì... Sì, okay. >> Borbottò, facendo per voltarsi definitivamente verso casa mentre Jacob continuava a ridersela come se la cosa lo divertisse enormemente.
 
E in effetti sì, lo divertiva enormemente.
 
<< E le borse con la spesa? Le lasci qui, dolcezza? >>
E, a quel punto, Kurt non sapeva davvero cosa fare, a parte arrossire come non ricordava di aver mai fatto. L’aveva detto sul serio? Avanzò velocemente e afferrò le borse, pronto a fare marcia indietro fino al suo appartamento e possibilmente non uscirne mai più.
 
<< Ehi, perché tanta fretta? >>
<< Cosa vuoi da me, Jacob? Perché se credi di convincermi a venire a letto con te sei sulla cattiva strada. >> Sputò fuori tutto d’un fiato, avendo ormai completamente rinunciato al suo proposito di convivenza civile tra vicini di pianerottolo. Jacob improvvisò la migliore delle sue espressioni scandalizzate.
<< Cosa? Io? Non mi permetterei mai. Poi ho sentito che parlavi di un ragazzo al telefono... >> Kurt lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, esasperato.
<< Non... Non sono fidanzato, ma questo non cambia le cose: non sono il tipo di persona che- uhm... >>
<< Certo che non lo sei. >> Concordò Jacob, con il suo solito sorrisetto beffardo stampato in faccia.
 
Si avvicinò a lui di qualche passo, e prima ancora che Kurt potesse decidere la sua prossima mossa gli aveva già accarezzato delicatamente un lato del viso, facendo scorrere le dita fino al collo della maglietta che indossava.
Se c’era una cosa che Kurt detestava era che qualcuno invadesse il suo spazio personale senza il suo permesso. Aver passato quattro anni della sua vita a farsi spintonare contro gli armadietti aveva influito parecchio su questo, e incisivo era stato anche quel bacio impostogli con la forza da quello che fino a pochi secondi prima considerava il più accanito omofobo della scuola. Quindi no, niente contatti ravvicinati non consentiti.
 
Spinse via la sua mano di riflesso, senza che il suo cervello avesse nemmenodovuto mobilitarsi in proposito per far reagire i suoi muscoli. Quando pensò che probabilmente aveva esagerato perché dopotutto lui gli aveva solo fatto una carezza, il danno era già fatto.
 
Jacob lasciò che Kurt gli schiaffeggiasse via la mano e – nonostante questo – continuò a sorridere. Se all’inizio aveva avuto qualche dubbio in proposito, ora era praticamente certo al cento per cento che fosse vergine. Li conosceva i piccoli paesini degli Stati insignificanti: lì la gente era bigotta da paura, e sicuramente nessun ragazzo aveva avuto le palle per chiedergli un appuntamento. Tanto peggio per loro, nonostante non fosse propriamente un appuntamento quello che Jacob aveva in mente. In ogni caso, Kurt sembrava essere arrossito ancora di più.
 
<< Devo... Devo andare a preparare la cena- >>
<< Kurt. Non sono una persona così spregevole, non ti sto pregando di venire a letto con me. Dico solo che sei davvero molto, molto carino. Questo almeno mi è concesso? >> Kurt arrossì furiosamente e strinse gli occhi, come se non vederlo davanti a lui avrebbe potuto rendere la cosa meno reale di quanto non fosse.
 
<< Jacob... >>
<< Non dirmi che sono il primo a fartelo notare, dolcezza. >> Kurt mise finalmente mano alle chiavi di casa, armeggiando rabbiosamente con la serratura. Forse, in assoluto, quello era uno dei momenti più imbarazzanti della sua intera esistenza.
 
<< Beh, sarà meglio che vada. Ci vediamo, Kurt. >> Gli passò oltre, avendo cura di sfiorare la sua schiena mentre passava. Fu talmente leggero che Kurt non era nemmeno sicuro che fosse accaduto davvero o se avesse immaginato tutto, cosa che gli impediva anche di voltarsi e mandarlo a quel paese una volta per tutte.
Quando finalmente riuscì a spalancare la porta non fece nemmeno in tempo a trascinare dentro le buste con la spesa e ad immaginare molteplici scenari differenti della conversazione appena avuta che il telefono riprese a vibrargli in tasca, facendolo sussultare.
 
<< Scarlett!! Ti ho detto che ti avrei richiamato io appena- >>
<< ...Chi è Scarlett? >>
 
La prima cosa che Kurt pensò, fu che doveva seriamente smetterla di farsi un’idea di chi lo stesse chiamando prima di rispondere o leggere il nome sul display. La seconda fu che lo aspettava una lunga, lunga telefonata.
 
 

***

 
 
<< Finn Hudson! Allora sei ancora nel mondo dei vivi, buono a sapersi! >>
<< Kur- >>
<< Sai una cosa? Forse avresti fatto meglio a rimanere nell’oltretomba! Ti rendi conto che sono due mesi, Finn, due mesi che ho tue notizie solo e soltanto attraverso mio padre e Carole?! Te ne esci con questa idiozia – perché è un’idiozia – del coso militare in Georgia e poi sparisci nel nulla? Ti rendi conto?! >>
 
<< Lo so, io- >>
<< No Finn, tu non lo sai. Tu non hai la più pallida idea di tutte le notti in bianco che hai fatto passare alla tua quasi-moglie – grazie al cielo non vi siete sposati sul serio! – nonché mia migliore amica ad aspettare una tua dannatissima chiamata! Tu non sai quando diavolo ha pianto in queste settimane, Finn, perché l’hai distrutta e sei sparito nel nulla. Beh, sentiti realizzato perché grazie a te non si sta godendo un benemerito accidenti della NYADA, io vivo con il fantasma di Rachel Berry, con un cavolo di vicino di pianerottolo che si porta a letto uno diverso ogni sera – o una, dato che a quanto pare gli basta che respirino –, il mio schifosissimo lavoro in un minimarket pidocchioso e Scarlett – sì, quella a cui credevo di rispondere al telefono – che non fa altro che insinuare una mia presunta relazione con un mio cavolo di amico. Come pensi che dovrei sentirmi al riguardo?! >>
 
Kurt era praticamente viola per lo sforzo. Anche perché tutto quell’assurdo monologo l’aveva sparato urlando come un matto e non si sarebbe stupito se a quel punto l’intero palazzo lo desse per schizoide. Si accasciò sul divano, del tutto senza forze.
 
<< Per pietà, ti prego. Dì qualcosa di intelligente prima che mi parta un embolo. >> E sì, era una richiesta piuttosto pretenziosa da rivolgere a Finn-ho-messo-incinta-la-mia-ragazza-con-l’idromassaggio-Hudson. Ma, in tutta franchezza, Kurt non aveva la prontezza fisica e morale di aggiungere altro.
 
<< Okay, senti. Per quel che conta mi dispiace tantissimo... >>
<< Oh, ti dispiace?! Ti dispiacerà di più quando a Natale ci rivedremo a Lima e ti prenderò a pugni talmente forte che- >>
<< Kurt! Posso almeno spiegarti la situazione? >> Avrebbe voluto urlargli un “no” a pieni polmoni, se non fosse stato per il fatto che in tutta probabilità non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose.
Prese un respiro profondo, sforzandosi di rimandare le sue macchinazioni sui modi più lenti e dolorosi per uccidere il suo fratellastro a più tardi, e di concentrarsi piuttosto su quella telefonata.
 
<< ...Almeno hai chiamato Rachel? >>
<< No. Non ho chiamato nessuno fino ad ora a parte Burt e mia madre. Non so cosa fare, Kurt... >>
Il ragazzo chiuse gli occhi, sfregandoseli con il palmo della mano: se solo avesse chiamato due giorni prima le cose sarebbero state diverse, già più recuperabili. Ma decidere di parlare di Finn a Rachel proprio ora, quando si era finalmente decisa a guardare avanti, era qualcosa di tremendamente complicato e Kurt non si sentiva di prendere in mano le cose e scegliere cosa fosse più giusto per lei.
 
<< Finn... >>
<< Ho sbagliato, okay? L’ho lasciata perché non volevo esserle di peso e ho pensato che il modo migliore fosse tagliare completamente i ponti- >>
<< Sei un idiota. Sei ufficialmente un idiota. >>
<< Sì, grazie. Quello che voglio dire è che non so più cosa fare. Mi hai detto che ha sofferto molto in questo periodo, e non so davvero come comportarmi. >> Kurt sbuffò.
<< Finn. Tu non sai mai come comportarti, e l’hai dimostrato pienamente in più occasioni. >> Si alzò a fatica dal divano, appoggiando le buste della spesa sul tavolo.
 
<< La ami? >>
<< Sì. >>
<< Guarda che non devi dirlo come un riflesso incondizionato! Per piacere, pensa prima di parlare e dì solo cose di cui sei sicuro, altrimenti non posso aiutarti. La ami? >>
Finn rimase in silenzio qualche lungo istante, balbettando mozziconi di parole sconnesse.
<< ...Non mi riesco ad immaginare in nessun altro modo. È difficile da spiegare. >>
 
Fantastico.
Da incasinata com’era, quella situazione stava vertendo nel cataclisma. Kurt poteva fare di tutto nella sua vita, ma mettersi a psicanalizzare Finn Hudson era uno scoglio insormontabile perfino per lui.
 
<< Perciò cosa pensi di fare? La chiamerai? >>
<< No. No, per ora. >>
<< ...Cosa? E io cosa dovrei fare? Tenerle nascosto che mi hai telefonato?! Finn io- >>
<< Non ti sto chiedendo questo. Tu... fai quello che ti sembra meglio per lei, okay? Ti richiamo, uh, e mi dispiace per il tuo vicino pervertito. Devo scappare, scusami... >>
<< Eh?! No, no Finn aspetta! Finn!! >>
 
Quando anche l’ultimo brusio dall’altra parte della cornetta venne smorzato, Kurt aveva completamente dimenticato la cena da preparare.
 
 

***

 
 
 
 
 
 
 
 
Buona domenica :)!
Ebbene sì, siamo sopravvissuti a più di un mese di hiatus. Io sono ancora dell’idea che dovrebbero assegnare una specie di premio per questo, ma whatever u.u
Cosa dire di questo capitolo? Beh, innanzitutto che è un miracolo che io sia riuscita a postarlo dato che ho la febbre a novanta e non so nemmeno quello che sto scrivendo adesso u.u In secondo luogo, questo è il capitolo delle telefonate xD Me ne sono accorta dopo, ma a quanto pare sì, è una telefonata continua O_O
Adesso mi preparo psicologicamente agli insulti per Jacob, so che stanno arrivando u.u
Scusate se non mi dilungo troppo ma sto davvero da cani al momento, quindi mi limito a ringraziare chi ha aggiunto questa storia a preferite/seguite/ricordate e le sante anime pie che hanno recensito, vi amo :’)!
Come sempre, un ringraziamento speciale va alla Giada, la mia supermegafoxyawesomehot beta <3
A domenica prossima :)
 
Per spoiler, curiosità, scleri, qualunque cosa: http://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
Per le domande (amo questo sito *-*): http://ask.fm/Nonzy9

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Capitolo 5
*** V__Yes, but you did ***


 Capitolo 5

“Il mondo è strano: si allarga, si ristringe e poi si riallarga e tu non puoi mai essere sicuro di riuscire a starci bene dentro. Ma quando riesci a stare dentro, devi rubare tutta la vita che puoi.”
_G. Cercasi

 
 
 
 
 
<< Vuoi un altro po’ di salsa? >>
Kurt si limitò a sospirare, punzecchiando la bistecca che aveva sotto il naso con la punta del coltello. Teoricamente avrebbe dovuto essere il suo pranzo, eppure era lì, perfettamente intatta nel suo piatto.
Blaine, ricevendo l’ennesimo sospiro struggente della giornata, iniziò seriamente a preoccuparsi.
 
Quella mattina al Pickle non aveva fatto nemmeno uno dei soliti commenti sull’abbigliamento a suo dire assai discutibile dei clienti, e non aveva nemmeno reagito alle quotidiane provocazioni di Scarlett su loro due e una loro presunta relazione; insinuazioni per le quali Blaine era solito scoppiare a ridere e Kurt inseguirla brandendo il manico dello spazzolone che usavano per pulire i pavimenti.
 
Sì, era completamente assurdo vedere Kurt così giù di morale.
Blaine lo studiò attentamente da sotto le ciglia, mentre sorseggiava un altro sorso del the che Kurt l’aveva obbligato a prendere in sostituzione alle bibite gasate che beveva decisamente più volentieri. Non era certo di come comportarsi, a quel punto.
 
Kurt era suo amico, certo, ma entrambi sembravano essersi guardati bene dal portare quel loro rapporto su un piano più confidenziale. Blaine immaginava che fosse qualcosa di inconscio per Kurt non esporsi del tutto con le altre persone: doveva far parte del bagaglio gentilmente offerto con le cicatrici da liceo. Blaine ne sapeva qualcosa, dopotutto. Era esattamente questo il motivo che gli impediva di spingersi oltre: era consapevole che premere il tasto sbagliato l’avrebbe fatto chiudere a riccio, e lui non voleva intaccare quello che avevano adesso.
 
Era piccolo, era stupido ma era importante, in qualche strano modo che non avrebbe saputo spiegare.
 
Non seppe mai cosa esattamente fece scattare quel meccanismo arrugginito dentro di lui, quella mattina, cosa gli permise di rischiare. Fu come una consapevolezza improvvisa: il fatto che lui era triste se Kurt era triste, e vederlo sorridere sembrava una ragione sufficiente per farlo sorridere a sua volta.
 
<< Cosa c’è che non va? >>
No. Non era affatto la persona giusta per psicanalizzare gli altri, eppure lo stava facendo ugualmente.
Kurt sollevò lo sguardo, incontrando gli occhi color caramello di Blaine. Erano davvero dei begli occhi, e non si stupì di dimenticare per un istante la domanda che gli era stata posta dopo averli visti, non sarebbe stata la prima volta che succedeva.
In ogni caso, Blaine sembrava sinceramente preoccupato per lui, e dal canto suo si sentiva un verme: odiava far ricadere le sue preoccupazioni sugli altri, cosa che evidentemente non toccava affatto Finn, che era comparso tranquillamente dopo mesi lasciandolo con un insostenibile peso sulle spalle.
 
<< Ho un fratellastro molto stupido e una coinquilina tremendamente drammatica. >> Confessò, senza essere ben sicuro da quale momento in poi la sua amicizia con Blaine avesse preso quella nuova piega. Di solito scherzavano e basta, come è normale con qualcuno che si conosce da poco più di una settimana. A un tratto Kurt fu preso dall’idea che emotivamente parlando le cose tra loro si stessero evolvendo troppo velocemente, un attimo dopo si diede dell’idiota.
 
<< Ti va di raccontarmi? >> Fino a quando Blaine non glielo chiese chiaro e tondo, Kurt non aveva idea di averne così tanta voglia.
<< Immagina di avere un fratellastro, un fratellastro orribilmente cretino. Questo tizio tra alti e bassi >> più bassi che alti, ma questo Kurt evitò di specificarlo, così come omise la parte in cui lui si prendeva una cotta allucinante per Finn << resta insieme alla tua migliore amica per tutto il liceo, rischiando di sposarla per ben due volte. Bene, ora immagina di andare a vivere a New York con questa ragazza, mentre il tuo cavolo di fratellastro è in Georgia a farsi investire dai carri armati e sparisce per mesi. Metti che ieri sera mentre pensavi a cosa fare da cena ti abbia chiamato dicendo che forse la ama ancora... Cosa faresti? Ne parleresti con Rach- ...con la tua amica? Aspetteresti? Assumeresti un cecchino per far fuori Finn Hudson? >>
 
Blaine appoggiò il mento sul palmo della mano, cercando di assimilare con una certa difficoltà tutto quel tanto decantato amore senza mettersi a ridere. Kurt sembrava già più rilassato di qualche minuto prima, e anche lui – di riflesso – si sentiva meglio.
 
<< In effetti è un bel problema. >> Convenne, facendo tintinnare distrattamente la forchetta contro il piatto.
<< Dovrei mantenere il segreto? Sul fatto che Finn ha chiamato. >>
<< Secondo me dovresti dirglielo. Insomma, da quanto mi è sembrato di capire tu vuoi essere messo in mezzo il meno possibile e al contempo aiutare Rachel, giusto? >> Kurt annuì velocemente, invitandolo a proseguire con un cenno della mano.
<< In questo caso credo che la cosa migliore sia essere completamente onesto con entrambi. Intanto perché le verità nascoste sono anche peggio delle bugie, e prima o poi finiscono sempre per essere scoperte, >> poteva affermarlo con più cognizione di causa di quanto non avrebbe voluto avere << e poi se lei vuole davvero lasciarsi il tuo fratellastro alle spalle, prima ha bisogno di visualizzare tutte le opzioni, e tu come amico non dovresti negarglielo solo per paura che reagisca male. Dovresti dirglielo prima possibile, secondo me. >>
 
Kurt lo fissò senza dire nulla per qualche secondo. Avrebbe decisamente dovuto rivolgersi a Blaine più spesso quando si trattava di consigli: a quanto pareva le sue abilità con le persone si spingevano ben oltre il già complicato riuscirle ad inquadrare al primo sguardo.
Kurt era quasi affascinato dal suo modo di vedere le cose, e tutto ciò che riusciva a pensare era che avrebbe voluto sapere di più su Blaine Anderson, più di quel poco che rivelava sul suo conto e di cui lui si vergognava di chiedere. Si chiese se fosse la classica persona che a furia di concentrarsi sugli altri finisce per smarrire se stessa.
 
<< Hai ragione. Grazie, Blaine. >>
Il sorriso sollevato che gli rivolse Kurt valse tutta l’inutile preoccupazione che aveva preceduto quel semplice discorso. Blaine scoprì che il suo sorriso era uno dei più belli che aveva mai avuto il piacere di ammirare; non che ci fosse da stupirsi, già dalla prima volta che l’aveva visto aveva pensato che fosse un ragazzo estremamente carino.
Però era un suo collega, l’avrebbe dovuto vedere tutti i giorni per parecchio tempo e in più stavano instaurando un tipo di rapporto totalmente diverso da quello che scattava di solito con gli altri ragazzi, senza contare il fatto che non poteva affermare con certezza che fosse gay.
In sostanza, se il primo pensiero di Blaine era stato quello di provarci spudoratamente, ormai questo non era nemmeno più un’alternativa possibile. Il che era un gran peccato visto quanto era attraente ai suoi occhi, ma d’altra parte era meglio così: Kurt era diverso dagli altri ragazzi che aveva incontrato. Aveva l’aria di chi – nonostante tutto – crede ancora nei principi azzurri e nei lieti fini.
 
Prima o poi qualcuno gli avrebbe spezzato il cuore, solo, non voleva essere lui a farlo.
 
<< Figurati. Allora, quella bistecca? >>
<< Blaine... >>
<< Dimmi. >> Kurt si morse la lingua. Per un momento era stato sul punto di chiedergli un consiglio anche su Jacob, ma non aveva nemmeno fatto in tempo a formulare la domanda che se ne era già pentito. Blaine dopotutto veniva dall’Ohio: chi gli diceva che non avesse la stessa identica mentalità chiusa di tutti gli altri? Di tutto aveva bisogno tranne un altro omofobo a sbarrargli la strada e, per quanto infantile, preferiva continuare ad essere suo amico ignorando cosa pensasse di lui.
 
Anche perché arrivati a quel punto sarebbe stato piuttosto doloroso, soprattutto da una persona a cui si era praticamente aggrappato come un’ancora di salvezza in quella città. Per il momento, Kurt voleva solo godersi la compagnia di Blaine.
 
E possibilmente smetterla di incantarsi tutte le volte che lo guardava in faccia.
 
<< Niente, niente. >>
 
 

***

 
 
<< Nick? Senti qua: ventun anni, disoccupata ma con una famiglia piuttosto agiata alle spalle... Cosa ne pensi? >> Blaine lesse ogni inserzione con crescente entusiasmo, nella speranza di coinvolgere minimamente Nick, bellamente spaparanzato sul divano con il portatile sulle gambe. Come per le volte precedenti, nessuna risposta.
 
<< Allora? >>
<< Uhm. >>
 
Blaine roteò gli occhi, ormai più sconfitto che arrabbiato.
Quel ragazzo sapeva essere testardo come pochi altri quando ci si metteva: aveva detto niente coinquilini? Bene, avrebbe fatto l’offeso fino a quando Blaine non gli avrebbe direttamente ficcato qualcuno in casa dal giorno alla notte; a quel punto si sarebbe incavolato ancora di più, poi sarebbe stato apatico, poi se ne sarebbe fatto una ragione e tutto sarebbe tornato alla normalità. Blaine puntava molto su quest’ultimo passaggio, anche perché in caso contrario le cose sarebbero decisamente precipitate a picco.
 
<< Oggi sono stato a pranzo con Kurt. >> Buttò lì, ancora intento a spulciare i profili dei possibili candidati a diventare loro compagni di appartamento. Nick emise una risata priva di allegria, dietro lo schermo del computer. Blaine si voltò a guardarlo.
 
<< Che c’è? >>
<< Dovrei chiederlo io a te, mi pare. È tutta la settimana che parli di questo Kurt. >> L’aveva fatto?
<< Ma continua. Siete andati a pranzo e poi che cosa, Blaine? Vi siete fidanzati? >>
 
Il puntatore del mouse sullo schermo del portatile di Blaine precipitò velocemente verso il basso, come le sue dita scattarono involontariamente sul comando tattile. Fu come strappare i punti da una ferita non ancora rimarginata, solo, molto più doloroso. Nick sembrò accorgersi della sua reazione, perché un attimo dopo stava già parlando.
 
<< ...Mi dispiace. Non volevo. >>
<< Sì, però l’hai fatto. >>
<< Blaine- >>
<< Non importa. >>
 
E, in effetti, non importava. Di certo non era colpa di Nick se lui non era in grado di lasciarsi il passato alle spalle e crescere, una buona volta.
 
Ringraziò mentalmente l’avviso luminoso che gli apparve sotto il naso un attimo dopo per averlo distolto dai suoi pensieri: un nuovo candidato alla lista dei coinquilini. Aprì distrattamente la scheda, con ancora le viscere in subbuglio.
La prima cosa che pensò quando ingrandì la finestra di presentazione fu di essere impazzito del tutto, poi che doveva esserci stato un errore.
 
Infine sbiancò totalmente, come se avesse visto un fantasma.
 
 

***

 
 
<< Quindi pensavo: perché non una bella pubblicità di volantini nel quartiere? >>
 
Kurt scosse la testa, impostando con la mano libera il timer del forno.
<< Forse perché la cosa più comune che la gente fa con i volantini è raccogliere la cacca dei propri cani? >> Scarlett, dall’altro capo del telefono, sbuffò risentita.
<< Cristo, Hummel! Certo che non ti va bene niente! E l’insegna marrone, e la disposizione degli scaffali, ora anche i volantini! Sai che non vado più in bagno al lavoro perché ho paura di vederti sbucare da dietro il water per dirmi che non sto pisciando come dovrei?! >>
<< Quanta finezza. >>
<< Oh, vaffanculo. >>
 
Beh, come minimo.
Kurt ormai aveva avuto modo di abituarsi alle maniere non esattamente raffinate di Scarlett, nonché alle frequenti pacche sul sedere che sembrava non poter fare a meno di dargli. Era fatta così, e dal poco che aveva capito di lei era meglio averla tra gli amici che tra i nemici, quindi sì, l’avrebbe sopportata fino a nuovo ordine, nonostante Blaine non facesse che lamentarsi di quella loro amicizia perché a suo avviso lui non aveva “niente a che spartire” con Scarlett.
 
<< Dato che tu sei tanto furbo perché non ci dai una mano a trovare qualche idea invece di imboscarti sempre con Anderson, eh? >>
<< Io non mi imbosco proprio con nessuno- >>
<< Sì. E intanto lo guardi come se ti augurassi che i vestiti gli saltino via di dosso. Ma per favore. >> Kurt sospirò.
In ogni caso, non ci sarebbe stato modo di convincerla che lui non guardava Blaine proprio in nessun modo: quando si metteva in testa qualcosa non c’era niente che si potesse fare per farle cambiare idea.
 
<< Sì okay, come vuoi. Ora, cos’è che dicevi riguardo quei volantini? >> Kurt era talmente impegnato nel suo dibattito sulle discutibili pratiche commerciali di Scarlett che nemmeno si accorse di Rachel, che si era appena infilata in una tuta pulita dopo essersi concessa una doccia distensiva.
 
Le giornate alla NYADA erano stancanti, e non solo per una questione di corde vocali: le prove di ballo correlate alla costante tensione che si respirava tra le matricole non l’aiutavano di certo a rilassarsi. Arrivata in salotto apparecchiò velocemente la tavola e – una volta che Kurt ebbe finito di parlare al telefono con una delle sue colleghe – si concessero una cena tranquilla solo per loro, cosa che ormai non succedeva da parecchio tempo.
 
Kurt passò tutto il tempo ad iniziare e ricominciare un breve countdown interiore, ripromettendosi che una volta raggiunto lo zero avrebbe semplicemente aperto bocca e rivelato tutta la faccenda della telefonata di Finn, esattamente come gli aveva suggerito Blaine quella mattina stessa. Peccato che, in più di due ore, avesse iniziato il suo fantomatico conto alla rovescia dozzine di volte, trovando una scusa diversa in ogni occasione per rimandare.
Era un codardo, lo sapeva, ma non riusciva a sentirsi del tutto una persona orribile per voler evitare un’ulteriore sofferenza a Rachel, nonostante sapesse che tenendoglielo nascosto in assoluto a lungo andare sarebbe stato anche peggio.
 
Alla fine erano a letto.
Rachel relativamente tranquilla, con il naso infilato nel suo giornale di gossip preferito.
Kurt si sentiva uno strano incrocio tra un verme e un’ameba, che era più o meno la stessa cosa.
 
<< ...Rachel? >> Uh, oh. L’ultimo countdown era andato a buon fine, dopotutto. Ora tutto ciò che gli serviva era un pizzico di coraggio-
<< Uhm? ...Ma- Oh mio Dio!! >> 
 
Sia lui che Rachel fecero uno scatto in avanti, allarmati dal tonfo assai poco interpretabile proveniente dalla stanza adiacente alla loro.
Una testiera del letto che sbatteva ritmicamente contro al muro, seguita a ruota da... versi – Kurt non avrebbe saputo definirli in altro modo – anch’essi decisamente poco interpretabili. Jacob, naturalmente. Se pensava che avrebbe potuto essere lui quello insieme al ragazzo oltre la parete gli veniva una gran voglia di vomitare.
 
Comunque non era possibile sorbirsi ogni dannata notte quel tormento e Dio, sembrava farlo appostaper farsi sentire da più persone possibili. Incontrò immediatamente gli occhi spalancati di Rachel, che lo fissavano con lo stesso sconcerto che doveva esserci nei suoi.
 
<< Non se ne può più. Giuro che domani gli dico qualcosa! Non è possibile che- ...Rachel? >>
La ragazza si era appena messa in ginocchio sul letto e aveva spinto giù dal materasso entrambi i loro cuscini, spostandosi fino alla testata di ferro battuto, che afferrò con entrambe le mani. Kurt ci capiva sempre di meno, e come se non bastasse il fatto che il cuscino dove appoggiava la testa tutte le notti fosse per terra a prendere microbi non gli piaceva per niente. Lo afferrò per la federa, appoggiandolo ai piedi del letto.
 
<< Rachel? Si può sapere che diavolo stai facendo? >> Il sorrisetto che prese forma sul suo volto non gli piacque per niente. Rachel afferrò più saldamente il ferro e inarcò la schiena all’indietro, dandosi lo slancio per sbattere la testata controil muro.
<< Sei impazzita?! >>
<< Oh! Kurt... >>
 
Se non fosse stato certo al cento per cento di essere sveglio, Kurt avrebbe riso dello strambo sogno in cui era capitato. Peccato che quella fosse la realtà, e Rachel Berry fosse sul serio uscita definitivamente di senno.
Aprì la bocca per protestare, ma lei gli fece cenno di stare zitto. Sbatté un’altra volta il ferro contro la parete, mentre oltre il muro arrivava l’ennesimo gemito di Jacob.
 
<< Kuuurt!! Oddio sì! >>
<< Che diavolo stai facendo? >>
Bisbigliò, con un colorito vagamente tendente al cremisi, perché ormai era palese cosa stesse cercando di combinare Rachel e la cosa era geniale ed inquietante allo stesso tempo.
 
<< Lo ripago con la sua stessa moneta. >> Biascicò sottovoce, tra una spinta e l’altra al muro << Però mi serve il tuo aiuto... >> Aggiunse, senza togliersi quell’aria divertita dalla faccia. Oh no, non c’era nemmeno la più vaga possibilità che-
<< Oh, sì! >> Kurt si nascose la faccia dietro le mani, arrossendo violentemente. Questa Rachel gliela avrebbe pagata, e anche cara.
 
<< Kurt, senti? Fanno meno casino adesso. >> Bisbigliò lei, fissandolo con occhi supplicanti nonché un malcelato sorriso sulle labbra.
<< Ti prego? >> Oh, al diavolo.
Kurt si mise in ginocchio a sua volta e raggiunse la sua parte di testata, afferrandola e spingendola contro il muro.
 
<< OH!! Kurt! >> Rachel – come se la cosa non fosse già abbastanza imbarazzante di suo – iniziò a saltellare sul posto perché, a quanto poteva intendere dal suo labiale, il rumore di molle faceva sempre il suo effetto. Kurt non sapeva se ridere o piangere.
<< Dì qualcosa! >> Aggiunse sottovoce, staccandosi dalla testata per poi mettersi in piedi sul letto, sgambettando avanti e indietro in un modo che presto avrebbe portato alla rottura irreversibile delle doghe sotto di loro. Kurt continuò a muovere la testiera, sotto suggerimento di Rachel.
Oh beh, cosa aveva detto riguardo le sue doti di attore? Ogni occasione era buona per esercitarsi, giusto? Kurt evitò di dare ascolto alla vocina nella sua testa che gli faceva presente che quella non era che una patetica scusa per fare l’idiota, perché ormai era in ballo e tanto valeva ballare.
 
<< Oh, Rachel... >>
<< Oh mio Dio sì! Più forte- >>
<< Sul serio? >> Bisbigliò Kurt guardandola dal basso in alto, mentre lei continuava a saltare su e giù con l’aria di chi potrebbe scoppiare a ridere da un momento all’altro. E, in effetti, anche Kurt doveva mordersi la lingua per evitarlo. A quel punto Rachel iniziò semplicemente ad urlare, e Kurt si mise a ridere sul serio. Ricevette una cuscinata in testa che gli fece cambiare idea in fretta.
 
<< Sì Rachel, così... >> Lei sembrò compiaciuta, perché smise di colpirlo e riprese a strillare, mentre Kurt muoveva la testiera più in fretta. Dall’altra stanza non arrivava più un singolo rumore.
 
Lui si voltò verso Rachel, che sembrava un incrocio tra una pazza schizofrenica e... una pazza schizofrenica, probabilmente.
 
<< Rachel, basta. >> Lei continuava a sgolarsi. Le tirò il bordo dei pantaloni con la mano che aveva appena staccato dal ferro, guadagnandosi la sua attenzione.
<< Vieni e facciamola finita. >> Rachel a quel punto scoppiò seriamente a ridere, e fu Kurt a doversi alzare in piedi sul materasso traballante e tapparle la bocca con una mano, improvvisando un gemito conclusivo che facesse intendere che avevano terminato la loro prodigiosa performance.
 
<< Okay, ormai è andata ma sappi che non esce da questa stanza! >> Dovette impedirle di sghignazzare per almeno cinque minuti, poi entrambi erano troppo concentrati sulla stanza adiacente alla loro per farci caso in assoluto.
 
Silenzio.
 
Un completo, tombale silenzio.
 
Kurt e Rachel si guardarono per un singolo istante, prima di scoppiare a ridere talmente forte da rimanere senz’aria.
 
 

***

 
 
 
 
 
 
 

 
Buona domenica :)!
Prima di tutto mi scuso per il ritardo nel rispondere alle recensioni, ma con il fatto che sto scrivendo il capitolo nono di questa storia (e ve lo assicuro, non è facile ç_ç), la Warblers Week e due originali non ho avuto un momento libero! Inizierò proprio adesso, comunque u.u
Dunque, che dire di questo capitolo? Innanzitutto mi scuso per la sclerosità della parte finale, ma ormai mi era venuta l’idea e ho dovuto scriverla per forza xD
Per il resto, mi rendo conto che ci siano ancora millemila interrogativi in sospeso riguardo a Blaine. Ecco, tanto per tranquillizzarvi vi avviso che tra pochi capitoli è previsto un cliffhanger inumano :’)
Il prossimo capitolo sarà abbastanza importate, con un inizio Faberry e una vagonata di Klaine in mezzo... Più un finale assai WTF u.u
Okay, me ne vado seriamente a rispondere alle recensioni u.u

Un bacione a tutti coloro che hanno aggiunto questa storia a seguite/preferite/ricordate: siete l’amore ç______ç Così come chi lascia un commento: prima o poi troverò un modo degno di ringraziarvi :’) Un grazie particolare va alla mia adorabile beta, che sopporta me, i miei scleri e subisce oscene ff inedite x’D
A domenica prossima <3
 
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Capitolo 6
*** VI__Again ***


Capitolo 6

“Tu sai che significa quando il cuore ti schizza fuori dal petto? Io si, l'ho scoperto poco dopo, quella mattina.
È come sentirsi morire, però poi rinasci e non nasci da solo stavolta, no, nasci insieme a lui. Te lo ritrovi accanto. E forse lui non lo sa, ma siamo nati insieme. Siamo nati insieme, quella mattina.”
_G. Cercasi

 
 
 
 
 
È frustrante trovare una risposta sicura ad ogni cosa tranne aquelle che siamo davvero interessati a conoscere.
Anche il più complicato dei problemi matematici – con un procedimento fisso – può essere sciolto in un solo ed inequivocabile numero. Ci sono volte in cui ci sforziamo di scoprire la formula perfetta per affrontare i sentimenti irrisolti. Per Rachel, era uno di quei momenti.
 
Aveva perso il conto dei minuti che aveva trascorso a fissare il soffitto, con la testa affollata di domande senza risposta e il cuore vuoto, distante.
In fin dei conti non si stava davvero ponendo nessuno degli interrogativi che gli imponeva il suo buon senso; semplicemente stava lì, a non sentire niente.
Dopo il loro scherzo ai danni di Jacob e del suo accompagnatore di quella sera, Kurt le aveva detto di una telefonata ricevuta da parte di Finn la sera prima, riferendole ogni cosa. Lo stesso Kurt che al momento fingeva di dormire al suo fianco, nella speranza di essere poco invadente ma vigile allo stesso tempo.
 
Rachel avrebbe sorriso, se solo non avesse avuto tutta quella rabbia dentro.
E quantomeno un sentimento l’aveva individuato, da qualche parte in quell’ammasso di “come ha potuto farmi questo?” e “dopo tutto quello che abbiamo passato”.
 
In quel momento, Rachel avrebbe voluto sapere come è giusto sentirsi, quando il tuo fidanzato e futuro marito si accorge di averti amata solo perché era l’unica cosa che lo faceva sentire appagato di se stesso, o qualcosa del genere.
Non aveva nemmeno voglia di sforzarsi di capire: aveva già capito ben oltre ciò di cui necessitava. Rimase sdraiata ancora qualche minuto prima di far scivolare i piedi giù dal letto, afferrando il cellulare che teneva sul comodino.
 
<< Rachel? >> Kurt le sfiorò un braccio, come se si fosse ricordato troppo tardi di aver mandato all’aria la sua recita da presunto addormentato.
<< Non ho intenzione di compiere nessun gesto estremo. >> Lo tranquillizzò, con un sorriso tirato ma abbastanza convincente da far sì che la lasciasse andare in salotto senza seguirla.
Rachel lanciò uno sguardo distratto all’ora segnata sul cellulare: le quattro di notte passate.
 
Quando si rinchiuse in bagno per comporre il numero, sapeva già che se ne sarebbe amaramente pentita. Lo fece comunque, però, come se non fosse capace di impedirselo, cosa che normalmente per una maniaca del controllo come lei sarebbe stato un dramma. Per qualche ragione, non era così che si sentiva in quel momento.
 
Rispose al quinto squillo.
 
<< ...Mmh? >>
<< Quinn? >>
<< ...Chi parl- Oh! R..Rachel! Chi è morto?! >>
 
Stava dormendo.
Beh, naturalmente stava dormendo alle quattro del mattino. Perché aveva dovuto essere presa da un’idea così incredibilmente stupida?
 
<< N-Nessuno, uhm... Volevo solo parlarti di una cosa- >>
<< Che naturalmente non poteva aspettare domani! Hai visto che ore sono?! >>
Di nuovo si maledisse per non essere stata capace di controllarsi: era del tutto normale che lei reagisse così. Era consapevole che se avesse parlato Quinn avrebbe capito che stava piangendo, quindi rimase in silenzio.
 
<< Rachel? >> Silenzio.
<< Rachel, maledizione! >>
Anche volendo, non poteva semplicemente svegliarla nel cuore della notte per poi starsene zitta. Come sapeva sarebbe accaduto, ogni sillaba che si lasciava sfuggire la faceva piangere più forte.
<< S..Scusa, non avrei neanche dovuto chiamarti, è solo che- uhm... >>
<< Cosa è successo? >>
 
La voce di Quinn sembrava essersi addolcita di punto in bianco: Rachel ne sarebbe rimasta più sorpresa se solo non fosse stata intenta a non piangere troppo forte.
Le raccontò come stavano le cose in poche frasi strascicate, come facciamo quando dobbiamo per forza comunicare qualcosa, nonostante ogni parola che ci esce dalle labbra si porti via una scheggia del nostro cuore.
Ed era più o meno così che Rachel si sentiva dopo aver parlato, a pezzi.
 
<< Dì qualcosa. Per favore. >> Quinn sospirò leggermente, e in qualche parte del suo cervello Rachel era colpita dal fatto che non le avesse ancora riattaccato in faccia.
<< Vorrei poter dire di essere dispiaciuta, Rachel, davvero. Ma tutto quello che riesco a pensare ora è che sono contenta per te. Penso- Ho sempre pensato che fosse un altro tipo di persona quella adatta a stare al tuo fianco. >>
<< Cosa vuoi dire? >>
<< Diciamo le cose come stanno. Finn Hudson ha passato tutta la vita a cercare di capire che razza di persona è, e ha finito per identificarsi nel fidanzato di Rachel Berry. È bloccato alla condizione mentale di- >>
<< No, voglio dire. Hai detto che hai sempre immaginato un altro tipo di persona con me. >> La incalzò, senza sapere esattamente perché lo stava facendo.
 
<< Sì. Sei una ragazza forte e determinata: non hai bisogno di uno zerbino o di un portaborse; per una storia che funzioni ti serve qualcuno che sappia tenerti testa, che sia fuori dagli schemi, che ti sorprenda, che non sia senza spina dorsale e senza speranza o ripieghi su di te. Qualcuno di forte, che sia innamorato di te perché ai suoi occhi hai- hai sempre avuto qualcosa in più rispetto a tutti gli altri. >>
 
La conversazione proseguì ancora un po’, Rachel non  avrebbe saputo stabilire quanto esattamente.
La sua mente era ancora focalizzata su quelle poche frasi, quelle parole incatenate una dopo l’altra che le si erano insinuate sottopelle con la stessa potenza e delicatezza che sprigionava la persona che le aveva pronunciate.
Ed erano semplici parole, un susseguirsi di suoni che presi singolarmente non sarebbero stati altro che deliri privi di consistenza. Ma l’effetto delle parole – esattamente come con le emozioni – è qualcosa che non si può controllare per quanto maniacalmente ci si provi, e normalmente Rachel avrebbe odiato non poterlo fare.
 
Quella sera ne fu sollevata: dopotutto non dipendeva da lei se il cuore le batteva così forte.
 
 

***

 
 
<< ...E poi è sparita nell’altra stanza e mi sono addormentato come un idiota! Spero solo non abbia cercato di chiamare Finn. >>
Quando Kurt terminò il suo resoconto della serata – evitando accuratamente tutta la parte relativa al sesso simulato con la sua migliore amica per rovinare la festa al suo vicino – ormai il riso che aveva nel piatto aveva fatto in tempo a congelarsi completamente.
 
Quello del pranzo fuori con Blaine era diventato un rituale inalienabile per lui, soprattutto da quando avevano iniziato ad approfondire la loro conoscenza o, per meglio dire, Kurt aveva iniziato ad aprirsi con Blaine, dato che dall’altra parte arrivavano solo grandi sorrisi e qualche commento.
 
Non che Kurt si lamentasse – perché non si lamentava affatto – ma aveva come l’impressione di contare su Blaine molto di più di quanto non fosse adeguato dopo così poco tempo che si conoscevano, di sicuro più di quanto non fosse vero il contrario. La cosa lo metteva un po’ in imbarazzo, ma in fin dei conti non si può obbligare qualcuno a sentirsi in un determinato modo nei confronti di un’altra persona.
 
<< Posso portare via? >>
Kurt si risvegliò dal suo stato di trance giusto in tempo per trovarsi davanti un cameriere piuttosto carino che indicava il suo piatto con il tipico sorriso di cortesia sulle labbra.
Kurt fece un distratto segno di assenso e – dato che fino a prova contraria era fatto di carne anche lui – non poté fare a meno di fissarlo mentre si allontanava.
 
E Blaine se ne accorse.
 
Notò talmente bene gli occhi spalancati di Kurt che non si sarebbe stupito di vederlo sbavare direttamente sul tavolino.
Quell’immagine lo fece sorridere, perché era fin troppo ovvio che Kurt non avesse idea di quanto fosse ridicolmente attraente: avrebbe potuto avere quel cameriere ai suoi piedi in un attimo se solo avesse avuto un briciolo di fiducia in se stesso.
 
Peccato che non poteva semplicemente dirgli che era bellissimo senza risultare quantomeno equivoco.
 
<< Carino, vero? >>
 
Kurt si voltò verso di lui in una frazione di secondo, gli occhi talmente spalancati che Blaine temette gli sarebbero schizzati fuori dalle orbite da un momento all’altro.
Sì, non aveva idea di quanti ragazzi avrebbero fatto la fila per lui.
 
<< Chi? >>
Scattò, con la voce un po’ più alta del normale e uno sguardo che Blaine non avrebbe saputo definire diversamente se non terrorizzato. Smise di guardarlo negli occhi, perché per l’ennesima volta aveva finito per sentirsi in imbarazzo davanti lui.
Quindi era a questo che erano dovuti quei suoi atteggiamenti scostanti, quella poca propensione a parlare di cose personali così nettamente in contrasto con tutta l’ambizione e i sogni da star che esternava tutto il resto del tempo.
 
Il liceo è un branco di squali: tutti fiutano sperando di sentire l’odore del sangue e – trovata una piccola ferita – ci si avventano e mordono, strappano e lacerano fino a quando non è più rimarginabile.
 
Quella di Kurt era il fatto di essere gay, e Blaine non avrebbe dovuto stupirsene dato che conosceva l’Ohio bene esattamente quanto lui eppure – dopo tutto quel tempo – il sapore amaro dell’ingiustizia continuava a bruciargli in bocca.
 
E probabilmente fu per gli occhi impauriti che aveva davanti, per il modo in cui aveva già stretto i pugni sui braccioli della sedia abbastanza forte da farsi diventare le nocche bianche che glielo disse.
Senza riflettere, senza stilare mentalmente la sua solita lista di pro e di contro: in quel momento voleva solo che Kurt tornasse a rilassarsi, che capisse che lui non era l’ennesimo vigliacco da cui avrebbe dovuto scappare.
 
<< Kurt, va tutto bene. Anch’io sono gay. >>
Glielo disse dolcemente, come se sperasse di placare il subbuglio interiore che l’aveva travolto: Kurt non voleva perdere Blaine, non voleva sprecare quello che c’era tra loro perché sapeva che era speciale, se lo sentiva.
Non voleva trascinarsi dietro la stessa croce che aveva dovuto sopportare tutti quegli anni a Lima.
 
Kurt guardò le mani di Blaine, leggermente protese verso il centro del tavolo. Per un momento ebbe l’istinto di farsi avanti ed afferrarle, ma si trattenne in tempo per assimilare l’ultima informazione ricevuta: anche lui era gay.
Era gay, ed apparentemente era una specie di incarnazione vivente del ragazzo perfetto.
 
Questo però non cambiava niente: per Kurt era un amico, qualcuno di cui aveva avuto bisogno per così tanto tempo che ora non poteva semplicemente rovinare tutto prendendosi una stupida cotta. Non che ci fosse pericolo che succedesse: gli voleva bene come ad un amico, un amico e basta.
 
<< Oh. >> Sussurrò semplicemente, e Blaine sorrise al modo in cui le sue guance si tingevano appena di rosa.
Era quasi doloroso pensare che quell’innocenza sarebbe stata spazzata via, prima o poi, ed era triste, perché era già condannato in partenza.
Tuttilo sono, ma questo non gli impediva di immaginarselo così, dolce e ingenuo come adesso, ed era esattamente in quel modo che l’avrebbe ricordato.
 
<< Non... Non immaginavo che anche tu- >>
<< Be’, sì. Scarlett non fa tutte quelle battutine su di noi a caso. >> Spiegò con una smorfia infastidita: non gli andava affatto a genio l’amicizia tra Kurt e quella pazza scatenata.
 
<< Hai un ragazzo? >>
 
E – dopo quella – Blaine avrebbe seriamente voluto mettersi a ridere. Ma in fin dei conti non era così maleducato da iniziare a sghignazzare davanti a lui, né voleva essere il primo a metterlo faccia a faccia con la realtà, quella ben lontana dalle trame fiabesche dei romanzetti per adolescenti.
 
<< No. Mai avuto. >> Si limitò a rispondere, mentre Kurt abbassava repentinamente lo sguardo.
<< Chiedevo solo per curiosità! Non stavo cercando- >>
<< Ho capito, tranquillo. >>
E aveva capito davvero. Probabilmente Kurt non aveva mai avuto un amico maschio, e tutto voleva fuorché fraintendesse le sue intenzioni.
 
<< E tu? >>
<< ...Ce l’avevo, più o meno. Pochi mesi fa quando ero ancora a Lima: sono andato in questo negozio di spartiti... Sai? Al Glee Club era la settimana dedicata a Whitney Houston e cercavo qualche pezzo da poter cantare. Ho incontrato un ragazzo e siamo stati insieme fino alla fine della scuola. >>
<< E poi? >> Kurt si strinse nelle spalle.
<< Non eravamo fatti l’uno per l’altro, tutto qui. Ma credo che questo lo sapessimo tutti e due fin dall’inizio. È stata un’esperienza, immagino. >>
Spiegò brevemente, evitando con cura tutta la parte relativa al suo primo bacio, in terza liceo. Aveva già ricevuto abbastanza occhiate compassionevoli da bastargli per tutta la vita e davvero, non era questo che di sé voleva trasmettere agli altri.
Non era un ragazzino da proteggere, né mai lo era stato.
 
<< Sì, è pur sempre un’esperienza. >> Convenne Blaine con un sorriso complice.
<< Perciò il cameriere, eh? >>
<< Blaine! >> Si guadagnò un calcio sotto il tavolo, ma ne era valsa decisamente la pena considerato quanto arrossì subito dopo. Blaine non riusciva a smettere di sorridere un solo istante quando guardava Kurt.
 
<< Che c’é? Non ero io a fissarlo in quel modo. >>
A quel punto Kurt si mise a ridere, e a Blaine la sua risata piaceva tanto che continuò a prenderlo in giro per un bel po’, cosa che Kurt iniziò a fare a sua volta, aggrappandosi alle cose più stupide solo per fargliela pagare.
 
Quella mattina, Blaine trovò il primo vero amico che avesse mai avuto.
 
Quella mattina, Kurt si chiese come fosse possibile che Blaine non avesse mai avuto un ragazzo.
 
Poi ricordò che non erano cose che avrebbe dovuto chiedersi, e riprese a scroccare cucchiaiate dal budino alla vaniglia del suo amico.
 
 

***

 
 
Blaine tornò a casa piuttosto tardi: un bambino aveva pensato bene di mettersi a giocare con i vasetti di marmellata appena arrivati dal fornitore, e lui e Kurt avevano impiegato ore a rendere il pavimento di nuovo percorribile senza rimanere con le suole appiccicate a terra.
 
Se non altro Charlie aveva promesso un po’ di denaro extra per tutta quella fatica fuoriprogramma, non che questo avrebbe anche solo lontanamente ripagato i pantaloni che aveva inevitabilmente finito per macchiare e – cosa ben più grave – l’enorme sfuriata che stava per sorbirsi.
 
Quella era la buona volta che Nick lo faceva fuori, poco ma sicuro.
Gli avrebbe tirato dietro tutto ciò che gli sarebbe capitato a tiro. Non poteva negare di sentirsi un po’ in colpa per aver assecondato quella richiesta alla sua inserzione così ciecamente, ma dopotutto sapeva che era stata la cosa giusta da fare.
 
Nick avrebbe finito per ringraziarlo prima o poi, lo sapeva già dai tempi del liceo che quella questione, a differenza della sua, era ancora in sospeso.
 
Blaine sentì un brivido scuoterlo dalla testa ai piedi, ma lo ignorò. Aveva avuto modo di fare pratica: ora era capace di estraniarsi da se stesso più facilmente.
Dopotutto “se stesso” non era un bel posto in cui stare.
 
<< Blaine? Sei tu? >> E quello era Nick, e non gli aveva ancora tirato niente addosso. Le opzioni erano due: o era completamente uscito di senno, o lui non si era ancora presentato.
 
<< E chi se no? >>
<< Sei in ritardo. >>
<< Avevo da fare al lavoro. >>
 
Blaine si guardò bene dall’incontrare i suoi occhi: Nick lo conosceva abbastanza bene da riconoscere il senso di colpa che sapeva esserci dipinto. Il suo coinquilino gli stava giusto rivolgendo uno sguardo scettico quando il campanello di casa suonò alle sue spalle, e per poco non lo fece saltare per aria.
Aveva completamente sbagliato la dinamica dei tempi: avrebbe dovuto trovarsi in casa da solo a quel punto. Avrebbe dovuto aver già cacciato Nick con una scusa e avrebbe dovuto parlargliene con calma quella sera, dopo la visita stessa. Ma era tutto andato a monte.
E Blaine era in un mare di guai.
 
<< Aspettavi qualcuno? >> A quella domanda, Blaine si sentì ancora più verme di quando non fosse già prima. Peccato che i ripensamenti sono abbastanza inutili quando l’oggetto delle tue riflessioni ti sta scampanellando davanti casa.
Scosse leggermente la testa e si limitò ad aprire la porta: il ragazzo sulla soglia gli sorrise e, quando vide Nick alle sue spalle, sbatté le palpebre più volte, e se possibile sorrise ancora di più.
 
<< Ciao. >>
<< ...Jeff? >>
 
Nick aveva pronunciato il suo nome, eppure sembrava non aver emesso alcun suono.
Accadde tutto talmente in fretta che faticò a cogliere quello che era passato per la testa del suo amico: un attimo dopo si era già voltato ed era corso in camera da letto, sbattendosi la porta alle spalle.
 
Quello di cui Blaine si accorse bene – però – fu il modo in cui il sorriso di Jeff si incrinò, nel modo rapido e inesorabile di quando ci si spezza il cuore.
 
Di nuovo.
 
 

***

 
 
 
 
 

 
 
 
Buona domenica ragazzi :)!
Non so voi, ma io sono un tantino sconcertata da Glee ultimamente (guess why -.-“), quindi boh, non provo nemmeno più la mia consueta e malvagia soddisfazione nel chiudere i capitoli con un cliffhanger (e ve lo dico, questo non è niente in confronto a un altro che arriverà più avanti è.é).
Cooomunque: don’t worry! Se già mi conoscevate prima di questa storia, saprete che i Niff NON POSSONO essere angstosi, quindi tranquilli, davvero, you’ll see u.u
 
Per il resto che dire? Beh, intanto che le cose tra Rachel e Quinn iniziano a prendere una piega diversa (non avete idea di quanto ho amato scrivere quella telefonata u.u) e poi i Klaine! Beh, direi che hanno fatto un certo passo avanti... Aspettatevi altre news nel prossimo capitolo, che sarà abbastanza importante nonché parecchio lungo o.O
Direi di aver detto tutto. Come sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto, e ne approfitto per ringraziare chi ha aggiunto questa storia a seguite, preferite o ricordate e chi recensisce: non avete idea di quanto vi adori, siete adorabili e vi amo çç
Un grazie speciale va alla mia carissima beta, sempre efficiente e disponibile; tra l’altro si fa le riot da sola in seguito a capitoli particolarmente importanti che ha già letto in anteprima :’) Ti amo <3
A domenica prossima <3
 
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Capitolo 7
*** VII__Hugs ***


Capitolo 7

“Non credo ai principi e alle belle addormentate, ai vissero felici e contenti... credo alle persone che si sopportano... a quelli che maledicono il giorno in cui si sono incontrati.”
_G. Cercasi

 
 
 
 
 
Sabato mattina, Kurt arrivò al Pickle-mart prima del solito.
Non che avesse chissà quale voglia di decifrare il retro delle scatolette per gatti alle vecchiette; semplicemente, il clima che si era creato in casa da quando aveva raccontato a Rachel della telefonata di Finn non era dei migliori.
 
Se all’inizio pensava che tutto si sarebbe risolto in una manciata di giorni con il supporto di qualche assolo alla NYADA, aveva decisamente sottovalutato l’inclinazione da Drama Queen di Miss Rachel Berry, addirittura più spiccata della sua.
Kurt aveva provato a richiamare Finn: non che avesse la più vaga idea di cosa dirgli nell’eventualità che avesse risposto al telefono; in ogni caso il problema non si era posto dato che si era guardato bene dal farlo.
 
Kurt sospirò, infilando svogliatamente il grembiule verde vomito che una volta era appartenuto al suo predecessore Matthew: tutto quello che voleva era risollevare l’umore di Rachel che, giorno dopo giorno, non faceva che sembrare più apatica e svuotata. Ed era assurdo, per Kurt.
Nella sua testa Rachel era sempre stata simboleggiata dall’immancabile stellina dorata che compariva affianco al suo nome in ognuna delle sue firme. Ne avevano passate tante in quegli anni eppure – Kurt avrebbe potuto giurarlo – non l’aveva mai vista più vicina a trasformarsi in un buco nero come in quegli ultimi giorni.
 
<< Non monti il turno tra mezz’ora, bel musetto? >>
Scarlett gli passò di fianco aggiustandosi il piercing sul labbro, con il suo consueto sorrisetto divertito stampato in faccia. L’unica differenza dall’ultima volta era la sistemazione dei capelli – raccolti in due treccine alte – e la matita per gli occhi, inconsuetamente sbavata.
<< Infatti. Sono solo in anticipo. >>
La ragazza scosse la testa, passandosi la punta dell’indice sotto la rima inferiore dell’occhio. Sfregò tra le dita la considerevole quantità di matita nera accumulatasi: a quanto pareva, era consapevole che la riga scura non fosse maniacalmente precisa come al solito.
 
<< Sai una cosa, Kurt? La gente che arriva ad avere mezz’ora di anticipo sul lavoro ha seriamente bisogno di una scopata. >>
Kurt si pentì all’istante di aver anche solo considerato l’idea che una come lei avesse pianto: era la solita Scarlett di sempre, solo con la matita sbavata. E lui doveva seriamente smettere di psicanalizzare tutti quanti nell’inconscia ammirazione che nutriva nei confronti di Blaine e di tutta la facilità con cui lui riusciva ad inquadrare le persone. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.
 
<< Guarda che se non ci pensa Anderson io sono sempre disponibile. >>
Kurt annuì perché sì, gli ripeteva frasi del genere praticamente ogni giorno e stava seriamente iniziando a farci l’abitudine.
<< Tra me e Blaine non c’è niente, Scarlett. >> Ripeté come un mantra, ed era abbastanza sicuro che Blaine sarebbe stato fiero di lui nel sentirlo dire una cosa del genere: ultimamente assecondava Scarlett nel solo intento scherzoso di farlo arrabbiare. La ragazza sorrise.
 
<< Vedremo. >>
 
 

***

 
 
Rachel preferiva pensare che non stesse capitando a lei.
 
Preferiva concentrarsi sui suoi spartiti, gli arabesque e gli esercizi di fiato che prestare attenzione a quella ragazzina sola, spaesata ed irrimediabilmente ferita che la seguiva ad ogni passo. Si rifiutava di vederla, si rifiutava di darle ascolto; non importava quanto forte stesse urlando.
 
Seguì la lunga scia di matricole in silenzio, mentre si issava meglio la cartella sulla spalla e la teneva stretta al suo fianco, quasi a volersi fare più piccola possibile; esattamente come si sentiva.
Non era altro che l’ennesima giornata trascorsa alla NYADA: niente complicazioni particolari, nessuna buona ragione per eccitarsi o deprimersi.
 
Ed era un po’ che Rachel iniziava a farci l’abitudine; a non sentire niente.
La ragazza sbuffò, scendendo velocemente le imponenti scalinate che portavano fuori dalla scuola: doveva solo trovare un modo per voltare pagina, prima che fosse troppo tardi per non uscirne distrutta.
Rachel si diresse automaticamente verso la stazione della metropolitana più vicina: avrebbe aspettato tre minuti, sarebbe salita a bordo e avrebbe raggiunto il minuscolo appartamento dove viveva insieme a Kurt. Avrebbe trascorso buona parte del pomeriggio da sola ad esercitarsi per la NYADA – senza interessarsi al fatto che il giorno dopo era domenica – poi avrebbe cenato con il suo migliore amico e sarebbero andati a dormire. Le stesse cose, del tutto uguali a se stesse, si sarebbero ripetute nei giorni a venire.
 
Per un singolo, piccolo istante, Rachel si ritrovò a domandarsi se tutti quegli anni passati a combattere così ciecamente per quella vita fossero davvero valsi le innumerevoli lacrime e i sacrifici a cui aveva fatto fronte.
 
<< Ehi? >>
 
La ragazza si paralizzò in fondo alle scale, come sentì un paio di dita toccarla sulla spalla e una voce controllata e gentile accarezzarle l’orecchio.
Rachel poté avvertire distintamente il principio di un brivido attraversarle duramente tutta la spina dorsale, facendole tremare le ossa. Quando il suo cervello comandò ai suoi muscoli di voltarsi, lei l’aveva già fatto.
 
<< Q..Quinn? >>
Rachel non fece in tempo a domandarsi il motivo per cui quel nome le suonasse sempre così meravigliosamente tra le labbra, perché era già intenta a guardare la ragazza che aveva davanti, abbastanza intensamente da rendere tutto il resto dei suoi pensieri improvvisamente vuoti.
Quinn portava una camicetta chiara, un golfino blu e una gonna a vita alta dello stesso colore: quel giorno aveva pettinato i capelli con le punte in fuori e il ciuffo ondulato da una parte.
 
In quel momento, tutto a un tratto fu come essere tornata al primo giorno di liceo: impacciata e intimidita da quanto la capo cheerleader, la fidanzata del quarterback, lei potesse essere bella, tanto da rendere impossibile a qualunque altra anche solo provare a competerle.
 
Rachel glielo aveva detto, al Junior Prom, di non aver mai visto una ragazza più bella di lei.
Le aveva anche detto che era molto più di questo: ancora si domandava dove ne avesse trovato il coraggio.
 
Quinn le sorrise cautamente, come se stesse misurando le distanze, se cercasse di capire come prenderla. E lo stava facendo, in realtà: stava sul serio valutando quale fosse il modo migliore per approcciarsi a Rachel.
 
Dopo una gravidanza, una breve permanenza negli Skanks e un incidente che aveva rischiato di farle perdere l’uso delle gambe avrebbe dovuto aver imparato qualcosa. Avrebbe dovuto sapere come muoversi, cos’era giusto osbagliato.
Per l’ennesima volta, Quinn si sentiva la stessa ragazzina bloccata e sola del liceo, come se non le fosse fisicamente possibile allontanarsi da quella condizione mentale.
 
<< Ciao, Rachel. >> Lei boccheggiò, sbattendo più volte le palpebre.
<< Tu... Cosa ci fai qui? >>
<< Diciamo che la tua telefonata notturna dell’altra sera mi ha fatta preoccupare. Domani non c’è lezione quindi ho pensato- Rachel? >>
 
Quinn la guardò abbassare le testa, mentre le sue spalle iniziavano a salire e scendere impercettibilmente, al ritmo dei leggeri singhiozzi che la scuotevano.
Tutto quello che riusciva a provare era imbarazzo: non ricordava l’ultima volta che qualcuno si era messo a piangere davanti a lei. Non era nemmeno sicura che fosse mai successo.
Quinn si sforzò di pensare a qualcosa da dire, ma Rachel aveva già ripreso a parlare.
 
Era così tipico di lei che per poco non sorrise, nonostante non sarebbe stato il momento opportuno.
 
<< Mi dispiace. È solo... >> Distolse lo sguardo, fissandosi le punte dei piedi. Quinn fu scossa da un improvviso lampo di consapevolezza.
<< Oh. Vuoi che me ne vada? Non preoccuparti, avrei dovuto avvisare prima di- >>
Non riuscì a portare a termine la frase che Rachel aveva già fatto un passo avanti e la stava abbracciando.
 
Quinn conosceva quella stretta: la stessa disperata e bisognosa che lei stessa aveva rivolto alle poche persone della sua vita di cui credeva di potersi fidare. Le passò una mano sulla schiena agitata dai singhiozzi, mentre qualche passante lanciava loro uno sguardo distratto.
 
In seconda liceo non avrebbe mai scommesso di trovarsi a New York – tre anni più tardi – a consolare la sua più acerrima nemica che aveva appena rotto con quello che all’epoca era il suo ragazzo. Ma ne era passata di acqua sotto i ponti e, sebbene Quinn non avrebbe tutt’ora saputo spiegarne la ragione, la successione degli eventi aveva finito per legarla a Rachel Berry in un modo curioso e anomalo di cui ignorava le ragioni e la natura.
 
In ogni caso, come tutte le cose curiose e anomale di questo mondo, era successo e basta.
 
E lei, in quel momento, con Rachel che le piangeva su una spalla, per qualche ragione sentiva di trovarsi nel posto giusto. Forse per la prima volta.
 
<< Non andartene anche tu. Per favore. >>
Rachel lo disse così piano che Quinn non avrebbe potuto giurare che fosse reale.
 
Non se ne sarebbe andata in ogni caso.
 
 

***

 
 
<< Questo era l’ultimo. Perché era l’ultimo, vero? >> Chiese Kurt con una punta di terrore, voltandosi verso il ragazzo dietro di lui. Blaine annuì senza particolare entusiasmo, e si sforzò di abbozzare un sorriso quando si rese conto che Kurt lo stava fissando. Non ci riuscì particolarmente bene, a giudicare dallo scetticismo che aleggiava nello sguardo del suo amico.
 
Lo fissò semplicemente per qualche secondo prima di tornare a parlare, allineando distrattamente le scatole di preparati per dolci con la mano libera.
Era un gesto di praticamente nessuna utilità, e Blaine sapeva che lo stava facendo al semplice scopo di evitare di guardarlo in faccia: non poteva davvero biasimarlo. Non doveva essere un bello spettacolo, ora come ora.
 
<< ...E comunque continuo a pensare che non sia giusto. Voglio dire, perché dobbiamo essere proprio noi a rimanere oltre la chiusura per fare l’inventario? Anche il sabato sera, poi! >>
Blaine si strinse nelle spalle, appoggiando distrattamente un gomito ad uno degli scaffali al suo fianco.
<< Perché siamo gli ultimi arrivati, suppongo. >> Le dita di Kurt indugiarono sull’ultima confezione di farina e crema di burro, fermandosi un attimo prima di toccare il braccio che Blaine aveva inconsciamente piazzato in mezzo al suo percorso.
 
<< D’accordo, ma tutti i giorni della settimana? >>
<< Hai qualcosa di meglio da fare al sabato sera? >> Lo punzecchiò, senza intenderlo per davvero. Kurt lasciò definitivamente i bordi della scatola e incrociò le braccia al petto, guardandolo storto.
 
<< Okay. Si può sapere cos’hai? >>
 
E davvero, Kurt odiava arrivare a questo punto. Non aveva mai sopportato le persone che ti si parano semplicemente davanti e pretendono di sapere cosa c’è che non va; come se non glielo avresti già detto, se avessi voluto.
Tuttavia era tutto il giorno che Blaine si comportava in quel modo: lo contraddiceva in ogni cosa, era scostante e quando parlava non lo guardava negli occhi. E sì, a dirla tutta a Kurt mancava il modo in cui gli sorrideva, per quanto questo fosse stupido, immotivato e abbastanza remoto nel suo cervello da non rappresentare un vero e proprio problema.
 
Blaine girò la testa da un lato, ma no, non avrebbe trovato nessun aiuto in un negozio vuoto ad eccezione di loro due e Charlie, ermeticamente chiuso nel suo piccolo ufficio.
Vederlo cercare una via di fuga fece immediatamente sentire Kurt in colpa.
 
<< Scusa. Non sei obbligato a- >>
<< Ho fatto un casino, Kurt. >>
 
E Kurt sentì qualcosa cedergli, da qualche parte tra lo sterno e lo stomaco.
A pensarci, era la prima volta in assoluto che Blaine gli apriva uno spiraglio sulla sua vita. Si era sempre dimostrato piuttosto restio in proposito, limitandosi a definire in modo inquietante la personalità di tutti quanti, pur continuando a celargli la sua. Kurt si chiese se fosse normale sentirsi così in subbuglio per una cosa del genere.
 
Ma no, probabilmente no.
 
<< Che genere di casino? >> Chiese lentamente, riuscendo in qualche modo a ritrovare il suo sguardo. E per un momento si sentì a disagio, nella consapevolezza che erano praticamente soli in quel supermercato, a guardarsi negli occhi.
 
Quando Kurt si rimproverò di non averne motivo, ormai era già arrossito.
 
<< ...Il genere che parte come una buona azione, ma poi si rivela una pessima idea. >>
Blaine sospirò appena, sollevato di avere qualcuno con cui parlarne. Fin dal loro primissimo incontro, aveva sempre avuto una sorta di propensione naturale a desiderare di confidarsi con Kurt: per qualche ragione, gli sembrava di conoscerlo da sempre.
Chiuse gli occhi solo per un momento e – quando li riaprì – il suo interlocutore era seduto a terra sul proprio grembiule, con le gambe incrociate.
 
<< Kurt? >>
<< Ti ascolto. >>
Blaine sorrise istintivamente, andandosi a mettere di fronte a lui.
Quando le sue ginocchia sfiorarono quelle di Kurt e lui arrossì di nuovo, Blaine dovette mordersi la lingua per non sorridere.
 
<< Si tratta del mio coinquilino. >> Iniziò, sotto gli occhi curiosi che aveva davanti, che gli esternarono un invisibile invito a proseguire.
<< Noi... Sai, non abbiamo abbastanza soldi per l’affitto. Così anche se lui non era d’accordo ho dovuto mettermi a cercare un nuovo ragazzo che si unisse a noi. >> Blaine sbuffò, stringendosi nelle spalle.
<< Puoi immaginare la mia sorpresa quando tra i candidati ho letto il nome del suo... diciamo così, ex ragazzo. >> Kurt spalancò gli occhi.
 
<< Oh, Blaine. Non dirmi che te lo sei messo in casa! >>
E davvero, Kurt non avrebbe potuto dirsi un ammirevole esempio nella scelta dei coinquilini: dopotutto era stato lui quello che aveva macchinato intricati stratagemmi per andare a vivere sotto lo stesso tetto del suo attuale fratellastro, per il quale all’epoca aveva una cotta a dir poco imbarazzante. Non che avesse intenzione di rivelarlo a Blaine, comunque; era già stato sufficientemente spinoso venire a patti con se stesso al riguardo, non aveva alcuna voglia di tornarci sopra.
Blaine sospirò, mordicchiandosi il labbro inferiore.
 
<< Be’... >>
<< Blaine! È ovvio che abbiate dei problemi adesso. Come ti è venuto in mente di- >>
<< Kurt, non... Non sono così fuori di testa, okay? Pensavo solo- Non importa. >> Kurt incrociò le braccia al petto, aggrottando le sopracciglia.
<< che importa. >>
 
Blaine abbassò lo sguardo, fissando con insistenza i cartellini trasparenti che riportavano i prezzi dei preparati per dolci del ripiano inferiore. Kurt piegò la testa da un lato, nel tentativo di intercettare gli occhi improvvisamente tristi del suo amico.
Non avrebbe saputo dare un nome al nodo allo stomaco che gli bloccò il fiato nel vederlo così vuoto, così rassegnato; forse non avrebbe dovuto indurlo a parlare. O più probabilmente era esattamente quello che doveva fare.
 
<< Blaine... >>
<< Nick e Jeff sono migliori amici da quando erano bambini. C’è sempre stato qualcosa di speciale tra di loro, questo mi è stato chiaro fin dalla prima volta che li ho incontrati alla Dalton. >> Kurt annuì, preoccupato che qualunque cosa avrebbe potuto dire si sarebbe rivelata quella sbagliata, quella che avrebbe portato Blaine a smettere di parlare.
 
<< In quarta liceo Nick ha iniziato a frequentare una ragazza. Le cose sono cambiate bruscamente tra di loro e... E ancora oggi mi dispiace di non averne parlato con Jeff. >> Mormorò sovrappensiero, con gli occhi offuscati dalla tipica patina densa dei rimpianti. Kurt la conosceva bene, dopotutto. Il ragazzo alzò lo sguardo un attimo dopo, quasi a ricordarsi che stava parlando con qualcun altro senza limitarsi a dare voce ai suoi pensieri.
<< Jeff era il mio compagno di stanza, all’epoca. Ma io ero troppo preso da... da altro per provare a dargli una mano. >> Kurt scorse un’altra ondata di rassegnazione. Era fuori posto negli occhi di un ragazzo così giovane, era paradossale.
 
<< Una sera abbiamo organizzato una piccola festa tra di noi, sai, per la fine della scuola. C’è stata una litigata epica tra Jeff e Nick, ed è finita con un bacio. >>
 
A quella parola, Kurt non riuscì a evitare al suo sguardo di scivolare fino alle labbra di Blaine.
Le labbra piene, definite e morbide del suo amico, che lui non stava fissando per qualche ragione in particolare, naturalmente. Avrebbe potuto distogliere lo sguardo esattamente quando voleva; solo che non voleva, ecco perché continuava a guardarle.
 
<< ...Con un bacio? >>
<< Sì. Il giorno dopo nessuno dei due voleva affrontare l’argomento, fino a quando Jeff non gli ha chiesto se era pentito, e lui ha detto di sì. Così Jeff ha detto di esserlo anche lui, e che non sapeva come era potuto succedere dato che nessuno di loro era gay. Nick comunque ha chiuso con la sua ragazza di allora. È venuto a New York con me. >> Concluse rapidamente, senza smettere di far indugiare il suo sguardo sulla base degli scaffali.
Per quanto disperatamente stesse provando a non darci troppo peso quella era in assoluto la prima volta che rievocava il suo passato alla Dalton, o quantomeno la prima volta che lo faceva ad alta voce.
 
Si lasciò qualche altro istante per ricacciare quei pensieri da qualche parte in fondo al suo cervello, abbastanza lontani da non essere in grado di tormentarlo come in effetti – in un modo o nell’altro – trovavano sempre il modo di fare. Fu silenziosamente grato a Kurt per non aver detto niente, nonostante Blaine percepisse perfettamente il suo sguardo su di sé.
 
<< Non credo che tu abbia fatto la scelta sbagliata. >> Disse a un tratto, e Blaine rimase stordito da come il suono dolce della sua voce si mescolasse così discretamente al silenzio circostante.
 
Solo per un attimo.
 
<< Rischiosa, certo. Ma non sbagliata. >>
<< Non lo so, Kurt. Praticamente non si rivolgono la parola, e a dirla tutta penso che Nick stia segretamente progettando di uccidermi- >>
<< Hanno solo bisogno di tempo. Non ha senso rovinare tanti anni di amicizia per un singolo episodio... Devono essersi mancati molto in questi mesi. >> Blaine fece saettare gli occhi attorno a loro, evidentemente a disagio. Kurt avrebbe solo voluto saperne il motivo.
<< Sì. Loro... sì. >>
<< Forse non oggi e nemmeno domani, ma prima o poi ti ringrazieranno. C’è una seconda possibilità per tutti- >>
 
<< No. Non per tutti. >>
 
E Kurt non rimase colpito tanto dalla frase in sé, ma dal modo in cui la pronunciò.
Parlò subito, senza nemmeno lasciarlo finire, come un riflesso incondizionato. Non riusciva a capacitarsi di come un ragazzo così allegro e pieno di vita potesse diventare di colpo così incredibilmente rassegnato e disilluso.
 
Kurt, semplicemente, agì senza riflettere.
 
Non era da lui essere così impulsivo, ma prima che potesse pensare a cosa fosse da lui e cosa no stava già abbracciando Blaine.
E non era poi così normale al sabato sera, sul pavimento freddo di un market deserto, ma era esattamente quello che voleva fare quindi sì, sotto un certo punto di vista era normale.
 
Blaine ricambiò quasi subito la sua stretta e, più che abbracciarlo, voleva fisicamente tenerlo lì, contro di lui.
Aveva dimenticato l’ultima volta che qualcuno l’aveva stretto in quel modo, aveva dimenticato cosa si provava a sentire qualcuno vicino così, senza malizia, senza secondi fini.
 
Blaine avrebbe solo voluto rimanere così per sempre.
Avrebbe solo voluto congelare il tempo in quell’immobile attimo di equilibrio, così dissonante nel vortice altalenante di alti e bassi che era la sua vita.
Per l’ennesima volta, Blaine si ritrovò a maledire mentalmente chi avrebbe tolto a Kurt quell’essere così ingenuamente se stesso, quello che avrebbe sottratto per sempre ai suoi occhi la luce di cui si illuminavano quando parlava di sogni, tempo e seconde possibilità. Non aveva importanza chi sarebbe stato a togliergli tutto questo, Blaine lo detestava già con tutte le sue forze.
 
Kurt gli diede una piccola pacca sulla schiena, allontanandosi da lui con un sorriso dolce e incoraggiante, e Blaine avrebbe solo voluto che non fosse stato così bello da rappresentare una continua tentazione, per lui.
 
<< Dai, vieni a casa mia e mangiamo qualcosa. Dovrebbe esserci anche Rachel, così la conosci. >> Blaine sorrise, e se solo avesse creduto in Dio l’avrebbe ringraziato per avergli mandato qualcuno come Kurt.
 
<< Grazie. >>
<< Non si ringraziano gli amici. >>
 
 

***

 
 
 
 
 
 
 
 
Buona domenica guys :)
Inizio con un piccolo appunto che non c’entra niente con la storia.
Un tempo quella sottospecie di trollface vivente col berretto giallo aveva definito la puntata del ringraziamento un “Faberry Haven”. Ora, qualcuno è così gentile da spiegarmi DOVE sarebbe questo fottuto haven?? Grazie. Oh, aveva detto anche che sarebbe stato pieno di baci Brittana. Vedo, Ryan, vedo.
 
Okay, basta, tanto è come mettersi a litigare con un termosifone.
Cosa dire di questo capitolo? Beh, intanto che mai titolo fu più appropriato u.u Sono quasi annegata nel miele scrivendo la scena Klaine, il particolare quando Kurt allontana la mano un attimo prima di toccare il braccio di Blaine. Non chiedetemi perché ma la cosa mi ha scaturito molti awww.
Okay, caratterizzare Quinn mi sta piacendo tantissimo *-* Spero non sia troppo OOC, naturalmente i pareri spettano a voi!
 
Permettetemi di mandare tutto il mio amore virtuale alle meravigliose persone che hanno aggiunto questa storia a seguite/preferite/ricordate, e chi recensisce: vi amo vi adoro e vi venero <3
Un grazie particolare va alla mia adorabile beta, sempre efficiente nonché pronta a sopportare e appoggiare i miei scleri su antiche OTP che ci portiamo dietro dalla prima stagione :’)
Un bacione a tutti e preparatevi, perché domenica prossima non solo avremo un capitolo lungo il doppio di questo, ma anche molto importante. ...Mi ucciderete, ma vi amerò lo stesso u.u <3
 
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Capitolo 8
*** VIII__Running ***


Capitolo 8

“E non capisco che senso ha amare, concentrarsi su una persona e basta. Preferisco passare la notte con uomini di cui non m'importa, non avere le loro foto, dimenticarne all'alba nomi e facce. Mi basta solo una parte di loro [...] Per il resto un uomo è da buttare.”
_G. Cercasi
 
 

 
 
 
<< È un problema se mangiamo una fetta di pizza? Perché conoscendo Rachel dubito fortemente che abbia cucinato qualcosa di- >>
<< Kurt, tranquillo. Va benissimo qualunque cosa. >>
 
Il ragazzo sospirò, sollevato.
Era stato già abbastanza imbarazzante constatare che i responsabili avevano nuovamente dimenticato di pagare le bollette delle luce, con conseguente taglio di quest’ultima da tutto il palazzo e dalle abitazioni singole che avevano avuto lo stesso problema. Fortunatamente, lui e Rachel non rientravano in quella categoria; non che questo avesse impedito a lui e a Blaine di arrancare su per le scale avvinghiati nel tentativo di non inciampare nel buio circostante.  
Quando arrivarono davanti al pianerottolo di casa, Kurt si sarebbe volentieri inginocchiato a baciare il pavimento.
 
<< Okay, ce l’ho fatta. >> Decretò alla fine, dopo essere finalmente uscito vittorioso dall’eroica impresa di girare la chiave nella toppa. Blaine sorrise istintivamente, seguendolo dentro casa.
 
Fu un attimo.
 
Un decimo di secondo in cui desiderò con tutto se stesso che Kurt non fosse altro che l’ennesimo degli sconosciuti senza volto che aleggiavano come fantasmi nella sua memoria, esattamente come avrebbe voluto all’inizio e come sarebbe stato incredibilmente più facile.
 
Poi quella sensazione di vuoto sparì. Si dissolse così come era comparsa, nella consapevolezza di avere decisamente più bisogno di un amico – per quanto estremamente attraente – piuttosto che un altro dei ragazzi che, uno dopo l’altro, lo prosciugavano dall’interno.
 
Kurt fu tentato di prendere per mano Blaine e farlo entrare, ma poi gli sembrò un tantino fraintendibile e sicuramente sconveniente, così si limitò a farsi seguire.
Contrariamente a quanto si aspettava il salotto era completamente immerso nell’oscurità, se non fosse stato per la luce intermittente proveniente dal televisore acceso su quello che Kurt riconobbe subito come uno dei musical preferiti di Rachel, Funny Girl.
Il ragazzo fece qualche piccolo passo in casa, accorgendosi quasi immediatamente di qualcuno steso sul divano alla sinistra dell’ingresso.
 
<< Rach- >>
Kurt si bloccò, spalancando gli occhi: non c’era solo la sua coinquilina, in quell’ammasso di cuscini e coperte.
 
Rachel era sdraiata a pancia in giù con il viso voltato verso lo schermo del televisore, la bocca socchiusa e il respiro pesante di chi dorme profondamente. Non fu questo a sconvolgere Kurt, comunque. Ma piuttosto il fatto che lo stomaco su cui Rachel appoggiava la testa non apparteneva a niente di meno che Quinn Fabray.
L’ex cheerleader era appoggiata ai cuscini del divano, con una mano a penzoloni e l’altra sulla spalla della ragazza sdraiata addosso a lei, e dormiva.
 
Il primo impulso di Kurt fu quello di abbracciare Quinn, il secondo di chiedere a Rachel perché diavolo non l’avesse informato che sarebbe passata da loro e il terzo di controllare se ci fosse effettivamente della pizza in frigo.
 
Sospirò, lasciando che il suo lato razionale riprendesse il sopravvento: non aveva senso svegliare le ragazze adesso; avrebbe avuto modo di parlare con loro il giorno seguente, e magari anche appurare da quando in qua Rachel Berry e Quinn Fabray fossero diventate tanto amiche da spaparanzarsi a guardare un film insieme.
Per il momento aveva un Blaine Anderson in piedi sulla porta, il che rappresentava un problema ben più consistente.
 
<< Kurt? >>
<< A quanto pare una nostra ex compagna di liceo è venuta a farci una visita a sorpresa. >> Bisbigliò, roteando gli occhi. Blaine annuì, apparentemente tranquillo.
<< Capisco, non preoccuparti. Tolgo il disturbo- >> Kurt lo afferrò per un polso, bloccandolo esattamente lì dov’era.
<< Oh, no. Ti ho promesso un insulso pezzo di pizza e un insulso pezzo di pizza avrai! >>
 
Blaine ridacchiò alla serietà con cui lo disse, lasciandosi poi trascinare fino al piccolo tavolo da pranzo a sinistra dell’ingresso.
Kurt fu di ritorno poco dopo con qualche piatto, posate e una grossa candela fucsia puntellata di stelline dorate. Blaine inarcò un sopracciglio.
<< Non fare commenti, per favore. >> Lo ammonì in prevenzione, accendendo lo stoppino e piazzando la discutibile fonte luminosa in mezzo al tavolo, in modo da non dover accendere tutte le luci e svegliare così le ragazze addormentate qualche metro più in là.
 
Kurt si ripresentò due minuti più tardi con le fette di pizza diligentemente scaldate al microonde e una bottiglia di sidro frizzante.
Cenarono così, parlando di ogni cosa più a bassa voce possibile, con Kurt che tirava un pugno a Blaine tutte le volte che sembrava in procinto di lasciarsi andare a una risata un po’ più rumorosa e viceversa.
 
Kurt era consapevole del tipo di energia presente tra di loro; l’avrebbe definita come una tensione distesa, l’anticipazione di qualcosa che non avrebbe saputo definire con esattezza.
Ed era strano, assurdo anche solo pensarci, eppure si sentiva davvero come se conoscesse Blaine da sempre.
 
Si dice che le persone destinate a incontrarsi trovino sempre il modo di incrociare le loro strade, prima o poi.
Quello che Kurt non sapeva – dopo aver dato la buonanotte a Blaine ed aver sommariamente sparecchiato la tavola, del tutto incurante delle due ragazze lunghe distese sul divano – era che la strada in questione non deve essere sempre e necessariamente in discesa.
 
Spense la candela con un soffio.
 
 

***

 
 
Quinn mosse pigramente gli occhi sotto le palpebre ancora chiuse, completamente stordita dal sonno.
Si prese qualche attimo prima di provare ad arricciare le dita dei piedi e a muovere appena il collo da una parte, scoprendo di essere indolenzita praticamente ovunque.
Aveva la cerniera di un cuscino conficcata nel braccio destro, la spalla sinistra a pezzi, la testa rovesciata all’indietro e come se non bastasse faticava a sentire le gambe, rigide e formicolanti.
La ragazza provò distrattamente a ricordare l’allenamento dei Cheerios che l’aveva ridotta in quello stato, per poi realizzare che no, non era più una cheerleader da diversi mesi ormai.
Aprì piano un occhio, per un attimo confusa dall’ambiente circostante, fino a quando nella sua mente annebbiata dal sonno si fece largo un singolo, nitido nome.
 
<< Rachel? >> Borbottò incoerentemente, mettendo a fuoco la figura che giaceva inerme su di lei, in una spolverata di capelli castani incastrati tra le sue dita, ferme all’altezza delle spalle dell’altra ragazza.
 
Per l’ennesima volta da quando si era immischiata in quella storia, Quinn si ritrovò ad avere paura.
 
Paura per la piega che quella situazione stava prendendo, per non volere allontanare la propria mano dalla spalla di Rachel, per aver mancato alla sua promessa di tagliare definitivamente tutti i ponti con il passato e ricominciare da capo.
E invece si ritrovava lì, nel minuscolo appartamento di quella che era stata la sua più acerrima nemica, senza avere la più pallida idea di cosa stesse facendo.
 
<< Quinn. >> Il suo nome uscì dalle labbra di Rachel come le prime note di una ninnananna e lei non si stupì di se stessa per essere rimasta immobile a fissarla, un po’ confusa, soprattutto terrorizzata.
Rachel aprì pigramente gli occhi, confortata dal corpo tiepido su cui era placidamente distesa.
Le ci volle più di un istante per realizzare che si trattava di Quinn, e ancora qualche secondo per spingersi rapidamente a sedere, allontanandosi dalla sua pelle come se scottasse.
 
<< Mi... Mi dispiace! Dobbiamo esserci addormentate durante Funny Girl, io... Ti ho fatto male? >>
<< Calmati. Va tutto bene. >> Mormorò lentamente Quinn, mentre Rachel chiudeva per un momento gli occhi, presa da un lieve capogiro per la velocità con cui si erasollevata da lei.
Non fece in tempo a riaprirli che il tocco delicato di due dita aveva già raggiunto la sua guancia, facendole tremare le ginocchia.
 
Quinn era delicata, leggera, tanto che Rachel a malapena avrebbe potuto accorgersi della sua mano su un lato del viso se solo quel semplice contatto non le stesse facendo contorcere così tanto le budella. Fu per questo che riaprì gli occhi un po’ più tardi di quanto non fosse necessario: non voleva che quelle dita si allontanassero da lei.
<< Rachel? Sei bianca come un cadavere. >> Sbatté rapidamente le palpebre, lasciando che il suo sguardo si incatenasse con quello che aveva davanti.
 
Quinn era davvero la più bella ragazza che avesse mai visto.
 
<< Buongiorno, eh! Grazie di tutto il meraviglioso preavviso che mi avete dato su quest’allegra rimpatriata. >> Esclamò Kurt, che usciva proprio in quel momento dal corridoio che dava alla camera da letto, già vestito di tutto punto per il lavoro.
Quinn ritrasse la mano così in fretta che Rachel non avrebbe nemmeno potuto giurare che fosse mai stata sulla sua guancia in assoluto.
 
Kurt, comunque, non sembrò averlo notato.
<< Ciao, Quinn. >> Lei apparve sopraffatta per qualche istante, poi tornò la ragazza imperturbabile di sempre.
<< Kurt! Allora è vero che hai trovato lavoro in un market. >> Lui alzò gli occhi al cielo e si piegò sul divano, stringendola in un breve abbraccio.
<< Non me lo ricordare. E comunque per colpa vostra non mi sono neanche potuto godere una cena normale con Blaine, ieri sera. >> Quinn alzò un sopracciglio.
 
<< Chi è Blaine? >>
<< Il ragazzo di Kurt. >>
<< Non è il mio ragazzo! >> Ringhiò contro Rachel, che dal canto suo sogghignava malignamente.
<< Certo, certo. >> Kurt roteò gli occhi, infilando la giacca leggera appoggiata sullo schienale di una delle sedie da pranzo.
 
<< Io vado, visto che a differenza vostra io ho da fare anche di domenica. Oggi pomeriggio tenetevi libere, così se mai facciamo un giro insieme. >>
<< Sì, portati anche Blaine. >> Ridacchiò Rachel, guadagnandosi uno sguardo bieco.
 
<< Va bene, così facciamo un appuntamento a quattro. >> Sbuffò uscendo di casa, del tutto ignaro del minuto di silenzio imbarazzato che provocarono le sue parole.
 
 

***

 
 
Jeff afferrò in silenzio la confezione di pasta sopra la credenza, mettendone in un piatto la quantità sufficiente per due persone mentre aspettava che l’acqua iniziasse a bollire.
 
La sera precedente – appena prima che Blaine uscisse per conto suo come ogni santissima volta – era riuscito a fermarlo e pregarlo che il giorno seguente facesse un salto a casa durante la pausa pranzo, in modo da mangiare tutti e tre insieme.
Blaine si era limitato a dire che sarebbe andato fuori con Kurt, e lui aveva dovuto rassegnarsi a un’ennesima giornata di silenzio imbarazzante, passata ad evitare quello che di punto in bianco era diventato il suo nuovo coinquilino.
 
Non erano mai stati tanto vicini e al contempo distanti, e Jeff stava semplicemente fingendo che la cosa non lo distruggesse.
 
Il problema era che Nick gli mancava.
Gli mancava il bambino sorridente che gli aveva fatto coraggio il primo giorno di scuola, quando non riusciva a smettere di piangere; gli mancava lo stronzo che gli aveva rivelato che Babbo Natale non esiste, quello che aveva abbracciato quando aveva ottenuto il suo primo – ed unico – assolo nei Warblers.
 
A Jeff mancava più tutto questo di quanto non gli mancasse il ragazzo di cui si era innamorato. Perché sì, l’aveva fatto. Non era stato semplice ammetterlo all’inizio, ma era Nick: la loro amicizia era sempre stata diversa da tutte le altre; era qualcosa di più radicato, più indispensabile.
 
Non si sarebbe mai immaginato che lui avrebbe definito quel bacio uno sbaglio e davvero, Jeff non era il tipo da dare troppo peso alle cose, ma sentire un’affermazione del genere l’aveva ferito più di quanto non avrebbe potuto ammettere.
Versò il pranzo dentro l’acqua fumante, usando un mestolo per far immergere sul fondo della pentola i pochi pezzi di pasta ancora in superficie.
 
Piombargli in casa in quel modo era stata l’idea più stupida della sua vita. Cosa si aspettava? Che tornasse tutto come prima? Sul serio?
Sentì due passi arrestarsi di fronte alla porta della cucina e si voltò di scatto.
 
<< Ah... >> Mormorò Nick, evidentemente sorpreso di trovarlo lì. Fece per voltarsi, ma Jeff aprì bocca d’istinto. Esattamente come si era impedito di fare per tutte quelle settimane e Dio, era seriamente arrivato al limite umano di sopportazione.
 
<< Guarda che non devi comportarti per forza così. >> Lui sembrò riflettere qualche istante prima di rispondere, neanche fosse indeciso se rivolgergli o meno la parola. Ed evidentemente era così, dato che sarebbe stata la prima volta da quando due giorni prima gli aveva detto di uscire dal bagno alla svelta perché aveva dimenticato il cellulare sul lavandino.
 
<< Non mi comporto in nessun modo. >> E quello fu semplicemente troppo.
<< A parte il fatto che mi eviti neanche fossi un appestato e in due settimane che sono qui non mi hai rivolto la parola nemmeno una volta? Sì, a parte questo non ti comporti in nessun modo! >> Sbottò, gesticolando con il mestolo di legno in mano.
<< Non sono io quello che si è trasferito qui dal nulla, senza neanche avvertire! >> Esclamò sulla difensiva, spaventato da quello che Jeff voleva davvero da lui. Spaventato di desiderare la stessa cosa, sin dai tempi di quel maledetto bacio.
 
<< E come avrei potuto avvertirti, sentiamo, se non rispondi alle mie chiamate e ignori i miei messaggi?! >> Fece un passo verso di lui, e Nick ne fece uno indietro.
<< Si può sapere che cosa vuoi da me? Non mi dirai che sei venuto qui in modo del tutto casuale, perché non posso credere che- >>
<< No, Nick. Non sono qui casualmente. Forse per te tagliare completamente i ponti con qualcuno che conosci da più di dieci anni è normale, ma io sentivo la tua mancanza! >>
 
E fu più o meno in quel momento che Nick si sentì un verme.
Un brutto, viscido lombricostrisciante.
 
Perché ci sono constatazioni che arrivano pian piano, altre che sono semplicemente fulminanti.
 
Fulminante come fu per lui in quel momento ritrovarsi davanti lo stesso ragazzo con cui aveva condiviso ogni istante della sua vita da quando ricordava, ed era incredibile che non l’avesse visto fino a quel momento.
A che pro continuare a fare del male a entrambi? Perché lasciare che uno stupido bacio incrinasse la loro amicizia storica e, soprattutto, perché ci stava ancora pensando su? Lui non era affatto il tipo che riflette sulle cose.
 
<< Anche tu mi sei mancato. >> Disse lentamente, guardandolo dritto negli occhi.
Jeff sembrava sorpreso di non dover partire all’attacco con qualcos’altro, perché brandiva ancora il mestolo a mezz’aria.
 
<< ...Eh? >>
<< Ho detto che anche tu mi sei mancato- >>
<< Guarda che ci sento. Il mio “eh?” stava a significare “cosa hai intenzione di fare adesso?” >>
E sì. Gli era mancato anche il modo non troppo velato con cui lo prendeva in giro, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
 
<< Prima di tutto dirti che mi dispiace. Mi dispiace di averti tagliato fuori e aver detto che quel bacio è stato un errore. >> Jeff spalancò gli occhi.
<< Cioè, con questo non voglio dire che sono gay- >>
<< Infatti nemmeno io. >> Mentì.
<< Appunto. Dico solo che avrei potuto fare errori peggiori. Che so, rubare a Wes il suo martello, propormi per un assolo contro Blaine... >>
<< Sì, sì ho capito. >> Lo liquidò sbrigativo, guardandolo in faccia con una certa urgenza.
<< Perciò... amici? >>
 
Nick sorrise.
 
 

***

 
 
Kurt infilò l’ennesimo vasetto di marmellata alla fragola nel suo scomparto, con decisamente più energia di quanta non se ne richiederebbe per un compito del genere.
 
Non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura – in particolar modo adesso, con Scarlett che si aggirava pericolosamente tra i reparti in cerca di lui – eppure era oscenamente preoccupato per Blaine. Lo era, era naturale che lo fosse.
 
Chi non sarebbe preoccupato se un suo collega di lavoro nonché amico sparisse misteriosamente per un giorno intero – due, contando quella mattina – senza mandare uno straccio di messaggio per far sapere che era ancora al mondo?
Perché sì, era passato un mese da quando Kurt aveva invitato per la prima volta Blaine a cena da lui e poteva essere che la cosa si fosse ripetuta, e poteva essere che lui si stesse affezionando. Poteva essere, certo; in ogni caso lo stava facendo decisamente più di Blaine, che dal canto suo non si faceva problemi a sparire nel nulla per più di ventiquattro fottutissime ore.
 
Kurt appoggiò l’ultimo barattolo di vetro con tanta foga che corse il serio rischio di far schizzare fuori tutti gli altri dall’altro lato dello scomparto, quando il suono ritmico di due stivaloni borchiati in avvicinamento lo fece gelare sul posto.
Il ragazzo imprecò tra i denti, cercando in tutti i modi di appiattirsi tra le confetture d’arancia, magari di diventare una confettura d’arancia a sua volta.
Ma in fondo sapeva di essere già spacciato.
 
<< Bene, bene, bene. >>
<< Ti prego. Qualunque cosa tu abbia intenzione di dire, non farlo. >>
 
Scarlett ridacchiò sommessamente e in un batter d’occhio Kurt se la ritrovò davanti, accucciata esattamente di fronte a lui. Il ragazzo roteò gli occhi, in previsione della frecciatina che poteva già sentire avvicinarsi.
<< Scarlett- >>
<< Allora, Kurtie. Si può sapere dove hai nascosto Anderson? Non che mi interessi, ma ho sentito che le mantidi religiose mangiano il loro partner dopo l’accoppiamento, così- >>
<< Scarlett. Non sono una mantide religiosa, non ho mangiato Blaine e – soprattutto – io e lui non ci accoppiamo. >> Lei sorrise, con l’aria di chi la sa lunga.
 
<< Sulle prime due cose posso anche essere d’accordo. Mettiamo che sia vera anche la terza; in ogni caso, quel nano dalle sopracciglia triangolari ti piace. >>
<< Tanto non c’è verso che io riesca a convincerti del contrario- >>
<< Oh, andiamo! Anderson sparisce per mezza giornata e tu sei già qui a spaccare dei poveri vasetti di marmellata innocenti. >>
 
Kurt arrossì. E davvero, non aveva alcun motivo di arrossire.
 
<< È... È una giornata intera, quasi due, e comunque non ho rotto nessun vasetto! >>
<< Lo spero per te, o dovrai ripagarli a Charlie, bel musetto. >>
 
Scarlett, in un modo o nell’altro, non gli diede tregua per tutto il pomeriggio. E questo non solo peggiorò il suo orribile umore, ma gli impedì anche di chiamare Blaine: se anche solo ci avesse provato lei l’avrebbe preso in giro da lì alla fine dei tempi. E oltre.
Fu più o meno verso la fine del suo turno che la fin troppo familiare voce di Charlie, come al solito palesemente alterata, si fece sentire dai meandri del reparto cartoleria.
Senza nemmeno rendersene conto Kurt si stava già dirigendo a grandi passi in quella direzione, con Scarlett che – naturalmente – lo seguiva a ruota.
 
<< Almeno ti rendi conto di quello che hai fatto? >>
<< Charlie- >>
<< Devi ringraziare Hummel che si è fatto in quattro, ragazzo, o a questo punto saresti già licenziato. Sparire due interi turni lavorativi senza nemmeno avvisare... >>
<< Lo so, io- giuro che non ricapiterà più. >>
<< Lo spero bene, Anderson. Anche perché non ci saranno seconde possibilità. >> Quando Charlie portò a termine il suo illuminato discorso – seguito dall’immancabile retromarcia diretta nel suo minuscolo ufficio – Kurt aveva già fatto capolino da dietro un espositore di quaderni.
 
Blaine.
Oh sì, Blaine: Kurt si trovava in uno strano limbo tra la voglia di prenderlo a schiaffi e quella di... prenderlo a schiaffi, sì.
 
Il ragazzo tirò qualcosa di simile ad un sospiro di sollievo e sollevò lentamente le palpebre, incontrando all’istante gli occhi chiari – nonché vagamente irritati – di Kurt Hummel. Blaine non poté fare a meno di sorridere, per la semplice consolazione di rivedere il volto del suo migliore amico.
A dire il vero, non era stato consapevole di quell’urgenza fino all’esatto momento in cui se l’era trovato davanti e – senza un motivo apparente – aveva provato uno strano senso di conforto.
 
A pensarci, sembrava che tutti gli eventi che l’avevano coinvolto nelle ultime quarantott’ore convergessero in quell’esatto momento, in quel market pidocchioso, con Kurt.
Se solo non avesse saputo per certo che era impossibile, Blaine avrebbe incolpato lui per la nuova piega che stavano iniziando a prendere le sue nottate da qualche settimana a quella parte. Una piega che, nonostante fosse ben lungi dall’ammetterlo, iniziava decisamente a spaventarlo.
 
<< Ciao, Kurt. >> Lo disse un attimo prima di notare la presenza di Scarlett, con le mani sui fianchi e l’aria vagamente divertita. Non poté fisicamente evitarsi di lanciarle un’occhiataccia, che naturalmente lei non si risparmiò di ricambiare.
<< Guarda che se vuoi saltargli addosso puoi farlo. Io non mi scandalizzo. >>
 
Blaine si aspettava che a quel punto Kurt avrebbe fatto qualcosa.
Kurt faceva sempre qualcosa nel momento in cui Scarlett insinuava quel genere di rapporto tra loro due: quando andava bene la fulminava con un’occhiataccia, in altri casi la rincorreva brandendo lo straccio per i pavimenti, in altri ancora le tirava la prima cosa che gli capitava sottomano, ogni volta senza riuscire a centrarla.
Non fece niente di tutto questo.
 
Kurt avanzò semplicemente verso di lui, inchiodandolo esattamente dov’era con quei suoi impressionanti occhi chiari.
Blaine odiava quella sensazione, non riuscire a muoversi. Eppure non c’era niente che potesse fare per smettere di fissarlo.
 
<< “Ciao Kurt”? Sul serio, Blaine? >> Enfatizzò con voce tagliente, rivolgendogli un’occhiata che Blaine avrebbe definito ferita, se solo questo avesse avuto un minimo di senso. Aggrottò la fronte, confuso.
<< Sì... credo. >> Kurt scoppiò a ridere. Il genere di risata forzata che porta immancabilmente a qualcosa di male.
 
<< Naturalmente, ovvio. Perché tu di solito sparisci completamente dalla circolazione per intere giornate senza neanche degnarti di far sapere che sei vivo, giusto? Dico, ti sembra normale fare una cosa del genere?! Ho provato a chiamarti mille volte e avevi sempre il telefono spento, razza di deficiente! Potevi essere morto, ostaggio di qualche terrorista, potevi esserti trasferito in Paraguay per quanto ne sapevo! >>
Stava praticamente gridando mentre continuava a puntellargli il centro del petto con un dito, facendogli fare una serie di piccoli passi indietro.
 
Se solo in quel momento avesse avuto modo di tornare in possesso delle sue consone facoltà razionali, Kurt si sarebbe probabilmente preso a schiaffi da solo. Lui era tutto fuorché un tipo da scenate... be’, in realtà lo era, ma non quel tipo di scenate.
Non si sarebbe mai sognato di dare di matto così pesantemente se qualcuno non rispondeva ai suoi messaggi per ventiquattr’ore. Peccato che – per qualche curiosa ragione che davvero non voleva conoscere – avrebbe volentieri scuoiato Blaine per averlo fatto preoccupare così tanto.
Era quasi sicuro di essere sul punto di piangere dal sollievo, ma no, sul serio, non poteva arrivare a tanto.
 
<< Kurt- >>
<< Blaine! Hai idea di quanto cavolo mi hai fatto preoccupare?! Tu... Tu- Blaine? >> Kurt lo vide distogliere lo sguardo, in un misto di disagio e tristezza.
<< Blaine? >>
<< Mi dispiace. >>
<< ...Cosa? >> Blaine alzò la testa.
<< Ho detto che mi dispiace, scusami. Io non credevo che... oh, lasciamo perdere. >>
 
Kurt piegò la testa di un lato, troppo incuriosito per chiedersi il motivo per cui tutta quella rabbia gli fosse scivolata via dalle viscere in un singolo istante.
<< Non credevi che cosa? >> Lui distolse nuovamente lo sguardo e – prima che potesse registrare le sue stesse azioni – era già avanzato di qualche passo, esattamente di fronte a lui, con gli occhi piantati nei suoi.
 
<< Che cosa, Blaine? >>
<< Che ti importasse. >>
 
Biascicò in un sussurro appena percepibile, mentre il suo sguardo vibrava in quello fisso nel proprio, come se non avesse alternative a parte stare così, immerso nei suoi occhi.
Non aveva la più pallida idea del perché avesse finito per ammettere di essere così stupito di quell’interessamento. Non aveva la più pallida idea di cosa lo portasse ad essere sincero con quel ragazzo, del perché gli risultasse così difficile mentire, nascondersi, recitare come se andasse tutto bene.
 
Perché non andava tutto bene, e Kurt glielo stava tirando fuori con le pinze.
 
I riflessi di Blaine non fecero nemmeno in tempo ad attivarsi che aveva già incassato un pugno – nemmeno troppo misurato – su una spalla.
 
<< Ahia! Ma che cos- oh >>
Un attimo dopo, Kurt lo stava abbracciando.
 
Lo stava stringendo forte, del genere che si riserva a qualcuno che non vogliamo perdere, a qualcuno a cui teniamo al punto da preferire legarcelo addosso che provare a lasciarlo andare, per quanto d’impaccio possa essere vivere così, saldati a un’altra persona.
Lo stava abbracciando in un modo che fece dimenticare a Blaine il fatto che gli aveva appena tirato un pugno ben piazzato.
 
Avvolse istintivamente quel corpo sottile con le braccia, e il modo in cui si adattava al suo gli spezzò il cuore.
Solo un po’.
Forse.
 
<< Non farlo mai più, Blaine. >> Sussurrò Kurt vicino al suo orecchio, facendolo rabbrividire in un modo che non gli piacque per niente.
Tutta quella stupida storia dell’attrazione che provava nei suoi confronti doveva finire, e doveva finire alla svelta. Gli amici sono amici, i ragazzi con cui vai a letto sono i ragazzi con cui vai a letto, tutto qui: semplice, lineare e immediato.
 
Non aveva idea di quando esattamente avesse cominciato ad essere tutto così imprevedibilmente complicato; e non aveva senso, perché le sue regole non avevano niente, niente di complicato. Doveva trattarsi di Kurt, della sua spensierata innocenza: doveva essere stato quello a confonderlo.
 
<< Non sparire nel nulla, e soprattutto non provare a pensare che non mi importa di te, okay? >> Blaine si ritrovò ad annuire stupidamente, preoccupato di come sarebbe suonata la sua voce se avesse osato aprir bocca.
 
Per un momento fu quasi in procinto di baciarlo, fregandosene di tutte le norme e le barriere autoimposte che regolamentavano la sua vita fin dai tempi del liceo. Poi non lo fece, perché sì, in fondo sarebbe stata davvero una cosa stupida.
Entrambi si allontanarono l’uno dall’altro con una goffa rapidità, distratti dal click di una fotografia.
 
<< ...Scarlett? >>
<< Scusate. Avevo bisogno di un nuovo sfondo. >>
 
 

***

 
 
<< Fammi capire bene, >> Rachel fece rotolare distrattamente i wurstel sulla padella incandescente senza perdere d’occhio le patate sull’altro fornello << gli hai dato un pugno e poi l’hai abbracciato come un koala. Lì, in mezzo al negozio. >>
Kurt alzò gli occhi al cielo e in due passi affiancò l’amica, togliendole il mestolo di mano: se non altro non si detestava ancora al punto da voler cenare con qualcosa cucinato da Rachel Berry.
 
<< Lo so, è patetico. >> La ragazza aprì lo sportello sopra le loro teste, estraendone due piatti e due bicchieri.
<< Patetico? Io non lo trovo affatto patetico. Lo definirei, mmh... >>
<< Ti suggerirei qualcosa, ma tutto quello a cui riesco a pensare è “patetico”. >>
<< “Istericamente romantico” rende meglio. >> Kurt si voltò di scatto verso Rachel, con un’aria talmente indignata che lei dovette fare davvero del suo meglio per non scoppiare a ridere.
 
<< Mi dici una volta per tutte cosa diavolo devo fare per convincerti che non provo niente, niente per Blaine? >> La ragazza strinse le labbra per non tradirsi, mentre sbirciava la padella sul fuoco.
<< Niente, eh? >>
<< Esatto! Niente al di là del fatto che gli voglio bene. Naturalmente gli voglio bene, dato che siamo amici e passiamo tutti i giorni insieme da più di tre mesi, sarebbe strano il contrario. >>
Rachel annuì solennemente, mentre poteva cogliere l’espressione di Kurt farsi di secondo in secondo più dubbiosa riguardo ciò che lui stesso aveva affermato. Non poté trattenersi oltre.
 
<< Stai bruciando i nostri wurstel. >>
Kurt strabuzzò gli occhi e spense il fuoco, fingendo di non essere minimamente turbato dalla cosa. Il fatto che non avesse sbagliato a preparare un singolo piatto da quando aveva nove anni avrebbe dovuto dirla lunga sulle sue condizioni psicofisiche, ma no, Kurt si rifiutava di considerare la cosa al momento.
<< ...E comunque non lo so, Kurt. Magari è normale per voi confondere l’amicizia con qualcosa di più. Dopotutto siete entrambi gay- >>
<< Questo cosa c’entra? >> Borbottò sulla difensiva, sistemando le patate in un piatto fondo – almeno quelle erano venute decentemente.
 
<< Dico solo che il vostro rapporto è decisamente più stretto di quello ordinario tra due amici. Voglio dire, grazie al market passate tutto il tempo insieme, quando viene a cena da noi me ne accorgo: ridete, scherzate e – non interpretarla male – vi toccate continuamente. >> Kurt per poco non fece cadere le posate che aveva appena estratto dal cassetto sotto i fornelli.
<< Noi che cosa?! >>
<< Oh, hai capito cosa intendo! >>
 
E a dire il vero sì, aveva capito cosa intendeva. Kurt sapeva benissimo che la sua amicizia con Blaine avrebbe potuto risultare fraintendibile, ma davvero: non avrebbe rovinato il legame che li univa per il semplice fatto che Blaine era... Be’, era Blaine. Il ragazzo incoerentemente perfetto sotto ogni punto di vista che aveva conosciuto tre mesi prima e il cui unico punto a sfavore era stato quello di non voler raccontare che diavolo gli fosse successo di così grave da mancare due giorni dal lavoro.
 
Ma no, ormai era una questione di principio, e lui ci teneva alle questioni di principio: niente stupide cotte infantili, assolutamente.
Rachel fece rotolare i wurstel parzialmente anneriti su un piatto, iniziando a raschiarne via la parte bruciacchiata con un coltello.
<< Siamo davvero messi così male? Ridotti a vivisezionare dei wurstel? >> La ragazza si strinse nelle spalle, facendosi largo per riuscire ad uscire dalla cucina senza andare a sbattere contro Kurt e – considerando le dimensioni di quella stanza – non era niente di così scontato.
 
<< Comunque Quinn ha detto che ti saluta. Il prossimo sabato viene a New York, quindi se vuoi puoi chiedere a Blaine di tenersi libero per uscire tutti e quattro insieme. È stato divertente l’ultima volta. >> Kurt annuì, sovrappensiero.
 
<< È una mia impressione o passi molto tempo con Quinn, ultimamente? >> Chiese senza pensarci, abbastanza distratto da non notare il modo in cui Rachel aveva rivolto repentinamente lo sguardo dall’altra parte della stanza.
E no, per quanto la riguardava non era ancora ben sicura della ragione che la portava a sentirsi così vulnerabile tutte le volte che si parlava di Quinn. Certo, sapeva che in quel particolare periodo della sua vita lei si stava rivelando un fulcro centrale, ma ciò non toglieva che continuasse a sentirsi vagamente inadeguata a pensare a Quinn in quei termini, per quanto irrazionale potesse sembrare.
 
<< No... no, non direi. >>
 
 

***

 
 
Fra una cosa e l’altra finirono per andare a letto all’una passata.
 
Kurt ci aveva impiegato più del previsto a portare a termine il suo quotidiano rituale di idratazione e, una volta raggiunta la loro camera, Rachel era già seduta a gambe incrociate sul materasso con la faccia più esasperata che Kurt ricordasse di averle visto da parecchio tempo. La ragazza indicò con il pollice il muro alle sue spalle.
 
<< Jacob si è accaparrato un ragazzo. Di nuovo. >> Kurt alzò gli occhi al cielo, trascinandosi a sua volta fino al letto.
<< Sappi che non simulerò un altro rapporto sessuale, Rachel. >>
<< Ah-ah, molto divertente... Piuttosto, sembra che stasera si sia portato a casa un tipo difficile. >> Constatò la ragazza, estraendo dal primo cassetto del comodino una delle sue riviste, mentre Kurt si limitava ad affondare miseramente nel cuscino.
 
<< Non vedo come sia possibile. Non penso che la gente dei posti dove di solito va a rimorchiare si sia mai fatta troppi problemi. >> Rachel inarcò un sopracciglio.
<< Non senti? Ha messo della musica. Vorrà creare l’atmosfera. >>
 
Kurt si strinse nelle spalle: francamente non gli poteva importare di meno dei problemi che quella sottospecie di maniaco sessuale si faceva per creare l’atmosfera; al momento tutto ciò che voleva era riuscire a dormire sei ore di fila per poi dedicarsi a un’altra giornata di lavoro.
 
O almeno era ciò di cui Kurt era convinto, prima di sentire qualcosa.
 
Una singola serie di sillabe non meglio identificate provenienti da oltre la parete alle sue spalle. Una voce che Kurt avrebbe riconosciuto tra un’infinità di voci diverse.
Rachel spalancò gli occhi, con ancora la rivista aperta sulle ginocchia.
 
<< ...Kurt? Ma questo non è- Kurt! Dove diavolo stai correndo?! >>
 
 

***

 
 
 

 
 
 
 
 
*Boom cliffhanger!!*
... *osserva con preoccupazione la schiera di gente pronta a lapidarla viva* mmh.
Vi avevo avvisato che questo capitolo sarebbe stato trolleggiante... ma aspettate a picchiarmi, non sono un troll ai livelli di Ryan, so trust me u.u E intanto Kurt si è fiondato fuori di casa all’una di notte per fermare Blaine è.é... Domenica prossima vedremo cosa succederà u.u
Anyway, spero che a parte questo finale per il quale mi toglierete il saluto in massa il resto del capitolo vi sia piaciuto *-*! Le Faberry sono state pucciose, ad esempio, e anche i Niff *-* E anche i Klaine comunque, a parte la scena finale u.u
Okay, la smetto e corro a scrivere per la Warbler Week: sono indietro come non so cosa ç_ç
Come sempre un enorme grazie a chiunque abbia aggiunto questa storia a seguite/preferite/ricordate, e le sante anime che mi lasciano un parere: vi amo profondamente :’)
Un grazie particolare alla mia adorabile beta, che restituendomi questo capitolo corretto ha aggiunto anche 44 pagine di insulti :’) <3
A domenica prossima :)! E happy Klainsmas giovedì *_____*!!!
 
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Capitolo 9
*** IX__Pretending ***


Capitolo 9
 

“Lo guardo ancora. E ancora. E ancora. [...] Non c'è stato niente tra noi. Niente baci, niente sesso, niente di niente. Però mi sento pieno. Mi sento pieno di lui.”
_G.Cercasi

 

 
 
 
 
Se gli fosse stato chiesto di spiegarlo, Kurt non sarebbe stato in grado di motivare ciò che stava facendo.
 
Perché dopotutto non esiste una spiegazione razionale che avrebbe potuto giustificare quel suo stupido mettersi a correre, sfrecciare a tutta velocità fuori dal suo appartamento – senza nemmeno curarsi di essere scalzo e in pigiama – e bussare violentemente alla porta del suo vicino di pianerottolo, con tanta foga e urgenza da spaventarsene da solo.
 
Kurt colpì il legno tanto forte da rischiare di spaccarsi una mano e Dio, era la cosa più folle che faceva da- da sempre, per quanto ricordava.
 
L’idea di Blaine insieme a un altro lo aveva mandato completamente fuori di testa.
Non sarebbe stata nemmeno la cosa giusta da pensare: Blaine non era con un altro, era semplicemente con qualcuno. Perché Kurt non aveva nessun diritto su di lui in quanto suo amico e no, di sicuro non avrebbe provato a buttare giù la porta per impedire a Rachel di combinare qualcosa con un ragazzo, in quanto sua amica.
 
Quando sentì il pomello di metallo cigolare leggermente, Kurt sapeva benissimo che Rachel, Quinn e maledizione, perfino Scarlett avevano avuto ragione fin dall’inizio.
Ma no. Non poteva davvero provare qualcosa di più dell’amicizia per Blaine.
 
Non poteva.
 
Poteva?
 
La porta si socchiuse quanto bastava a rendergli possibile vedere la testa di Jacob fare capolino in corridoio.
Kurt ad un tratto si sentì incredibilmente stupido a stare lì, in pigiama, scalzo e con la bocca aperta come se sapesse esattamente cosa dire, quando in realtà non sapeva nemmeno perché si trovasse lì in assoluto. Jacob sogghignò.
 
<< Ehi, dolcezza. Hai voglia di unirti a noi- >>
<< Jacob. Dì a Blaine di venire qui; adesso. >> Lui sollevò un sopracciglio, in apparenza sinceramente stupito.
<< Blaine? >>
<< È inutile che fai finta di non sapere di chi sto parlando. L’ho sentito da camera mia. >> Jacob sembrò interessarsi improvvisamente all’argomento.
<< Oh, Blaine. È così che si chiama. >>
Kurt spalancò gli occhi, senza capire. Blaine stava davvero per andare a letto di sua spontanea volontà con un ragazzo che nemmeno sapeva il suo nome? Decise che no, questo non era assolutamente possibile.
 
<< Jake, sul serio. Devo parlargli- >>
<< Sai, Kurt? Non credo che Blake- >>
<< Blaine! >>
<< ...Come ti pare. Comunque non credo abbia molta voglia di parlare, adesso. E in ogni caso è troppo ubriaco per farlo e a dirla tutta lo sono anche io. Quindi se vuoi scusarmi... >>
<< Cos- no! No, aspetta! Jac- >>
 
Così Kurt rimase in piedi, scalzo e in pigiama nel corridoio buio, sentendosi più idiota che mai e maledicendosi per le fitte dolorose in cui si contraeva il suo stomaco al pensiero di Blaine oltre quella parete, insieme a Jacob.
Ed era disgustoso, perché probabilmente quel maniaco aveva trovato un modo per farlo bere fino a renderlo abbastanza docile da convincerlo senza troppi problemi ad andare a letto con lui.
Kurt si sentiva male per lui innanzitutto come amico e per qualche ragione vagamente in colpa, nonostante non ci sarebbe stato comunque modo per lui di riuscire ad impedirlo.
 
In secondo luogo per il fatto che – per quanto avesse provato in ogni singolo modo a negarlo a se stesso – aveva finito per farsi piacere il suo migliore amico.
 
 

***

 
 
Kurt non chiuse occhio fino alle quattro del mattino.
 
Rachel aveva provato in tutti i modi a calmarlo, farlo ragionare e ricordargli che dopotutto avrebbe rivisto Blaine il giorno dopo e non aveva senso arrovellarsi in inutili congetture quando avrebbe avuto semplicemente la possibilità parlarne con lui nel giro di qualche ora.
 
Kurt aveva cercato di fingersi ragionevole e maturo; aveva finto di non desiderare di abbattere la parete della loro camera da letto con un caterpillar e possibilmente passare sopra a Jacob anche in retromarcia. Più di una volta.
Finse che la velocità a cui batteva il suo cuore fosse la stessa di sempre, e di non sentire la testa girargli e le ginocchia formicolargli.
 
Finse non ritenersi un emerito idiota per essere dovuto arrivare a questo per capire di non volere soltanto che Blaine gli parlasse, gli desse delle pacche sulle spalle e gli sorridesse. Si odiò per aver preteso che tutto quello fosse sufficiente, quando avrebbe solo voluto baciarlo.
 
Perché Blaine era gentile, bellissimo e Kurt avrebbe solo voluto non essere stato così stupido.
Erano le quattro di mattina quando Kurt si rese conto che stare in quella stanza – a un muro di distanza da dove Blaine era insieme a Jacob – era il principale motivo per cui gli era impossibile chiudere occhio.
 
Si alzò, afferrò il cuscino e si fiondò sul divano del soggiorno.
 
Dormì addirittura un’ora e mezza.
 
 

***

 
 
Kurt arrivò al lavoro più di mezz’ora in anticipo, con la testa che scoppiava e gli occhi che pizzicavano dal sonno.
 
Non che fosse nelle sue intenzioni presentarsi al market prima dell’orario di apertura, ma decise che anticipare qualche minuto sarebbe valso la sicurezza di evitare di parlare con Rachel e – soprattutto – di imbattersi in Jacob. Per quanto ne sapeva quel tizio non faceva niente dalla mattina alla sera, per cui di certo non si sarebbe disturbato ad alzarsi presto, sicuramente non dopo una notte di sesso.
 
Calciò un tappo di bottiglia che gli capitò sotto i piedi, maledicendosi mentalmente: per quanto si stesse sforzando con tutte le sue forze di non pensarci l’immagine di Jacob insieme a Blaine continuava ad affiorargli prepotentemente nel cervello, come se si fosse semplicemente stampata lì, come se fosse fuori dal suo controllo poter fare qualunque cosa al riguardo.
 
Quello che Kurt non si aspettava – dopo aver attraversato la strada, poco dopo il negozio di fiori – era di ritrovarsi Blaine davanti; proprio lì, seduto per terra davanti all’ingresso del market ancora chiuso.
 
Kurt si fermò a guardarlo.
 
Non lo fece perché voleva, né perché ci fosse qualcosa in lui che attirava particolarmente la sua attenzione. Kurt lo guardò semplicemente, e si sentì spezzare in due.
 
Blaine si accorse della sua presenza un secondo troppo tardi per cogliere il lampo ferito nei suoi occhi.
 
<< Kurt! >> Si alzò immediatamente da terra, spostandosi nella sua direzione.
Kurt lo guardò e non poté fare a meno di pensare alle mani di Jacob su di lui. Su quelle spalle che in tutti quei mesi Kurt non aveva fatto altro che sfiorare casualmente; le mani che era capitato entrassero in contatto con le sue, i capelli, il collo, le gambe e tutto il resto.
 
Fece un passo indietro, perché non sapeva come dirglielo.
Non sapeva con che coraggio rivelargli il tipo di persona che era Jacob, e soprattutto non voleva che Blaine la prendesse come un suo personale tentativo di sabotare una loro possibile relazione, perché davvero: se fosse stato qualunque altro ragazzo Kurt avrebbe potuto accettare la cosa.
Forse.
 
No, non l’avrebbe accettato comunque, ma avrebbe fatto finta che andasse tutto bene: erano diciotto anni che faceva finta che andasse tutto bene. Ma non Jacob. Non qualcuno che si porta a letto uno diverso ogni sera e Dio, Kurt non aveva idea di dove avesse raccattato Blaine.
 
<< Ehi. >> Non avrebbe dovuto essere imbarazzante. Perché era imbarazzante?
<< Ehi. >> Rispose semplicemente Blaine, mentre Kurt incrociava le braccia al petto, a disagio.
 
A quel punto era abbastanza sicuro che l’ordine cosmico avesse fatto la sua scelta: per tutta la vita, lui si sarebbe fatto piacere solo ragazzi etero, psicolabili o neanche minimamente interessati a lui.
Ne seguì qualche dilatato istante di silenzio; il genere di quiete tesa che in tre mesi non si era mai verificata tra loro, nemmeno una volta.
 
<< Devo parlarti- >> Lo dissero insieme, cosa che fece ridacchiare Blaine. Kurt era troppo infervorato nei confronti dei suoi stessi sentimenti per dargli corda.
<< Okay, prima tu. >> Lo invitò Blaine, infilandosi le mani in tasca.
 
Non avrebbe dovuto sentirsi così nervoso e lo sapeva bene. Eppure in quel momento, con la testa pesante, lo stomaco in subbuglio e Kurt davanti sembrava non poter fisicamente fare nulla al riguardo. Lo vide prendere un respiro profondo e distogliere lo sguardo.
Per qualche ragione, Blaine si sentì ancora più uno schifo di quanto già non succedesse normalmente.
 
<< Prima di tutto... Non ho intenzione di fare finta che non sia successo niente, okay? Voglio dire, non posso semplicemente- >>
<< Sì. Sì, io- non ti sto chiedendo di fare finta. >> Ribatté prontamente Blaine e sì, era stato stupido averci sperato.
La verità era che non ricordava l’ultima volta che essere se stesso l’aveva fatto sentire così male come adesso e con Kurt. E no, non c’era la minima ragione che si sentisse in colpa; era stanco di sentirsi in colpa.
Kurt abbassò lo sguardo più di quanto fosse umanamente possibile.
 
<< Blaine, tu... Tu non puoi frequentare Jacob. >>
 
Blaine rimase spiazzato qualche interminabile istante, mentre osservava come il sangue affluiva velocemente alle guance del ragazzo di fronte a lui.
 
<< Cos- >>
<< Tu non hai idea di che razza di persona è! Non so che cosa ti abbia fatto credere, ma davvero Blaine: stagli lontano. Va a letto con chi capita e sono mesi che ci prova con me. Non voglio che pensi che ti dico queste cose per- >>
<< Lo so. >> Kurt smise di parlare, mentre l’imbarazzo lasciava il posto alla confusione.
<< ...Cosa? >> Blaine fece vagare lo sguardo in tutte le direzioni, a disagio.
La verità era che non aveva motivo di sentirsi così in colpa, se non per il fatto che le cose avevano finito per prendere esattamente la piega che fin dal principio si era riproposto di evitare, ovvero dover essere lui ad aprire gli occhi a Kurt sulla realtà.
 
Una realtà dove i principi non sono poi così coraggiosi e le principesse non possono semplicemente aspettare che arrivi qualcuno a salvarle, a meno che non siano disposte ad aspettare per sempre.
 
<< So che tipo di persona è, Kurt. E mi va benissimo così. >> Blaine parlò lentamente, cogliendo uno dopo l’altro il susseguirsi di emozioni sul viso di Kurt. Confusione, incredulità, rabbia mescolata a tristezza.
<< Non capisco. >>
 
Era una bugia.
Kurt era un ragazzo sveglio, Blaine l’aveva intuito subito. Il problema non stava tanto nel fatto che non capisse, quanto in quello che si rifiutasse di credere a quanto aveva appena sentito. Blaine incontrò i suoi occhi spaesati, e si sentì un verme per quello che stava per rivelargli. Si sentì un verme perché probabilmente Kurt l’avrebbe ritenuto tale da quel momento in poi, fino a quando non avrebbe sperimentato sulla sua pelle la verità di quelle parole.
Allora sarebbe cresciuto e sarebbe diventato come tutti gli altri.
 
<< Kurt, non sapevo neanche come si chiamasse quel ragazzo. L’ho incontrato in un locale e abbiamo bevuto parecchio... Mi dispiace, non sarei mai andato a casa sua se avessi saputo che era il tuo vicino di pianerottolo- >>
<< Perché? >>
<< ...Beh, perché naturalmente è stato inappropriato che tu dalla tua stanza sentis- >>
<< No. No, Blaine. Perché sei andato in un locale ad ubriacarti per poi finire a letto con uno sconosciuto e adesso te ne stai qui in piedi a parlarmene come se fosse la cosa più normale del mondo! >> Kurt spalancò le braccia, ancora completamente incredulo.
 
<< Perché? Sei- Sei triste? Non credi di meritare di meglio di una scopata che la mattina dopo non ricorderai nemmeno? È questo, Blaine? >> Blaine rise nervosamente, evitando il suo sguardo.
<< Kurt, non... non è questa la questione. In realtà è tutto molto più semplice: se un ragazzo mi interessa e io interesso a lui facciamo sesso. Tutto qui. >>
 
Tutto qui. Semplice, lineare, senza intoppi.
Nessuno dei due finiva per costruirsi castelli in aria, rimanere insoddisfatto, deluso o ferito e – Blaine ne era sicuro – era così che funzionava la vita vera, il mondo degli adulti. Magari era stato meglio che Kurt lo scoprisse così e ora, piuttosto che con un cuore spezzato più avanti. Forse avrebbe insistito per un po’ con le sue teorie, all’inizio, ma poi la vita gli avrebbe insegnato che è un bene tenersi vicine le persone a cui vogliamo bene, e che tra di loro non deve essercene nessuna legata da qualcosa di diverso dall’amicizia.
 
Avrebbe solo voluto che Kurt la smettesse di guardarlo come se avesse fatto qualcosa di sbagliato, perché era semplicemente il mondo dove vivevano e se lui voleva continuare a volare di fantasia era libero di farlo, a patto che questo non implicasse giudicare qualcuno che aveva semplicemente deciso di crescere.
 
<< Tu... Non puoi pensarlo davvero. >>
Blaine si sentiva sempre più vulnerabile, sempre più con le spalle al muro. Non poté impedirsi di reagire, per quanto volesse bene a Kurt e non intendesse arrabbiarsi con lui.
<< Non credo che tu sia nella posizione di dirmi cosa posso o non posso pensare, Kurt. >> Disse lentamente, guardandolo dritto in quei suoi occhi fiammeggianti di chissà quante miriadi di motivazioni.
<< Oh, io credo proprio di , invece. Sono tuo amico, ricordi? E se permetti penso che andare a letto con uno diverso ogni sera non risolverà i tuoi problemi, qualunque essi siano. Non sei quel tipo di persona, Blaine. >>
 
Blaine rise nervosamente, guardandosi bene dall’incontrare gli occhi di Kurt.
<< Fammi capire, tu vieni qui dopo tre mesi che ci conosciamo e pretendi di sapere che tipo di persona sono? E che persona sarei, Kurt? Vivere in un modo diverso da come vivresti tu fa di me un tipo di persona particolare? Quale? >>
<< No, Blaine. fingere di essere a tuo agio con la situazione in cui ti sei cacciato fa di te un tipo di persona particolare. Un idiota, nello specifico. >>
Kurt lo disse con tutta la tranquillità di questo mondo, senza vacillare un solo istante nelle sue convinzioni così come nel suo atteggiamento: risoluto, sicuro, di chi sa di aver ragione.
 
Blaine ripensò alla sera prima, e a tutte quelle precedenti.
Lo sapeva, sapeva benissimo che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in quello che gli stava capitando ultimamente, così come sapeva perfettamente che in qualche modo aveva a che fare con Kurt.
Ma no: non poteva permettere di farsi schiacciare di nuovo dalla persona che era stato una volta, non ora, non dopo tutti gli sforzi che aveva fatto per crescere.
Kurt era solo ingenuo, e lui doveva solo lasciar perdere.
 
<< Io non fingo, Kurt. È semplicemente quello che sono, e se sei mio amico dovresti accettarlo- >>
<< Blaine, >>
<< Vuoi vivere nel tuo paradiso personale di amori eterni e matrimoni? Nessuno ti dice che non puoi farlo, okay? Ma non venirmi ad incolpare se io non ci credo. >>
Kurt socchiuse la bocca, come se fosse in procinto di ribattere qualcosa. Non ne uscì lo sproloquio che Blaine si aspettava.
 
<< Bene. >> Disse semplicemente.
 
 

***

 
 
<< Sono preoccupata per Kurt. >>
Quinn, dall’altro capo della cornetta, sbuffò una piccola risata.
 
<< Cosa c’è? >>
<< Niente. Solo... è divertente che mi chiami sempre quando sei preoccupata per qualcuno. >> Rachel arrossì, mentre infilava velocemente i vestiti del corso di ballo nella sua borsa targata “NYADA”: si comportava sul serio in quel modo?
 
<< No! Io- ...uhm- >>
<< Tranquilla. Avanti, qual è il problema? >> La ragazza sospirò e si issò la tracolla sulla spalla, dirigendosi a grandi passi verso la classe dell’ora successiva.
<< ...Hai presente il nostro vicino di casa maniaco? Ecco, ieri sera si è portato a letto Blaine. >>
<< Ahia. >>
<< Appunto. Kurt era devastato: in qualche modo ha cercato di fermarli, ma non ho idea di come ci sia riuscito – se ci è riuscito – perché si è rifiutato di parlarne e stamattina è uscito molto presto. >>
 
Rachel raggiunse lo spogliatoio in fretta e iniziò a togliersi le scarpe, tenendo il telefono incastrato tra l’orecchio e la spalla. Quinn sospirò leggermente – il gracchiare del telefono non rendeva neanche lontanamente la splendida brillantezza della sua voce.
 
<< Non lo so, Rachel. Vorrei dire che Blaine è stato uno stronzo, ma sinceramente credo che la colpa sia di Kurt. >> Rachel spalancò gli occhi, incredula.
<< Quinn! Li ha sentiti all’una di notte dal nostro appartamento! >>
<< D’accordo, questo è indelicato, te lo concedo. Ma sono passati... quanti? Tre mesi da quando si sono conosciuti? Non mi sembra che Kurt gli abbia mai fatto intendere di volere qualcosa di più della semplice amicizia. Blaine non ha fatto nulla di sbagliato. >>
<< Q-Questo perché Kurt non sapeva ancora di provare qualcosa per lui, l’ha realizzato solo ieri, quando- >> Quinn rise leggermente, interrompendola.
 
<< Rachel. Il liceo è finito: nella vita vera le persone non si rincorrono insensatamente per mesi: se c’è qualcosa, c’è qualcosa; se non c’è, si passa oltre. >>
 
Detta così, sembrava la cosa più semplice e lineare di questo mondo.
Eppure, per quanto si sforzasse, Rachel non riusciva a cogliere sul serio il nesso logico di quelle parole.
 
A un tratto si sentì incredibilmente stupida e infantile ripensando ai precedenti quattro anni: ricordava di sentirsi una vera e propria adulta nel destreggiarsi all’interno – e all’esterno – della sua relazione con Finn; vista da quell’ottica, invece, di punto in bianco sembrava tutto un’immensa giostra per bambini destinata ad arrugginirsi, non lasciando altro che il ricordo frivolo di quello che avrebbe potuto essere, quando i cavallini di plastica sembravano ancora veri e propri destrieri.
 
<< ...Credo che mi manchi il liceo. >>
Sussurrò, per il semplice fatto che avrebbe volentieri vissuto in quell’illusione ancora per un po’, pur consapevole che non fosse altro che uno stupido inganno.
 
Quinn, dall’altro capo della cornetta, sorrise con un pizzico di malinconia.
Lasciare le superiori era sempre stata la prospettiva più terrificante per lei: ora era a Yale, aveva buoni voti e si era unita al Club di Recitazione dell’istituto.
Eppure quella sensazione di ansia costante, di caduta libera nel vuoto sembrava non volerla mai lasciare per davvero.
Era una donna adulta ormai – se lo ripeteva da quando era poco più di una bambina – e doveva comportarsi come tale: imparare a dire addio, ad esempio; smettere di pensare al suo glorioso passato da cheerleader e a quanto effettivamente gli mancava essere la regina della scuola.
Quei tempi erano finiti, per sempre.
 
<< Ti va di venire qui a New Haven, domenica? Stanno iniziando ad allestire gli stand di Natale ed è qualcosa che non puoi assolutamente perderti. >> Le propose, anziché ammettere che sì, il liceo mancava da morire anche a lei.
 
Rachel finì di sistemarsi in un paio di collant neri semitrasparenti, osservando la sua immagine nel grande specchio dall’altra parte dello spogliatoio.
 
La Rachel nel riflesso stava sorridendo, senza un motivo apparente.
 
<< Certo. >>
 
 

***

 
 
Kurt spinse la porta del tristissimo palazzo in cui viveva, rincasando da quella che sarebbe passata alla storia come la giornata più schifosamente lunga della sua vita.
 
Non sarebbe stato in grado di dire quale sensazione prevalesse dentro di lui, in quel momento: tutto ciò che sapeva era che aveva lo stomaco chiuso e un grande groppo alla gola, quello che probabilmente gli impediva di scoppiare a piangere.
 
Era buffo, sotto un certo punto di vista: dopo tutte le accortezze che aveva usato in quelle settimane al fine di non incrinare in alcun modo il rapporto con Blaine, in una sola conversazione sembrava essere riuscito a distruggerlo completamente.
 
Kurt non poteva incolparsi per questo: aveva sempre avuto dentro di sé quella scintilla di insofferenza verso le persone che cercano di nascondersi dietro una maschera per il semplice fatto che questo sembrava allontanarli dai loro problemi.
Forse era perché lui si era sempre rifiutato di soffocare se stesso, forse perché si era odiato quando aveva fatto credere a Mercedes di avere una cotta per Rachel, in seconda superiore.
Da quel momento, Kurt aveva giurato a se stesso di non nascondersi più, e vedere Blaine fare esattamente questo l’aveva semplicemente fatto reagire.
 
Blaine non era quel tipo di persona.
 
Non importava quello che gli ripeteva a pappagallo in faccia: Kurt lo sapeva e basta, ed era perfettamente sicuro di non sbagliarsi.
Tuttavia, la sua consapevolezza in merito non aveva alcun valore se soppesata con i due principali problemi che aveva ora.
 
Il primo: avevano discusso; Blaine non gli aveva rivolto la parola per tutto il giorno e Kurt non aveva intenzione di farlo a sua volta, a costo di congelare i rapporti come effettivamente stava succedendo.
Il secondo: Blaine gli piaceva. Gli piaceva davvero, e sì, era stato stupido da parte sua rendersene conto mentre lui stava facendo sesso con un altro, ma non poteva farci niente.
 
Salì gli ultimi gradini con il respiro pesante: era stremato e l’ascensore era di nuovo fuori funzione.
 
D’accordo, poteva ancora passare per la persona matura della situazione: sarebbe entrato nel suo minuscolo appartamento, si sarebbe fatto una doccia, avrebbe preso qualcosa come due intere confezioni di valeriana e poi – fiduciosamente – avrebbe passato il resto del giorno e della notte a dormire.
 
Per quanto riguardava i suoi sentimenti per Blaine e il fatto che non poteva provare qualcosa per una persona che non crede in relazioni più durature di una notte, beh, a quello avrebbe pensato il giorno dopo.
 
<< Kurt! Ciao. >>
 
No.
 
Aveva tutto il controllo del mondo sulle sue azioni, sul serio. Solo... non con Jacob davanti.
Kurt trattenne il fiato e passò oltre, con gli occhi ben piantati sulle fughe delle mattonelle. Estrasse con violenza il suo mazzo di chiavi dalla tasca, armeggiando furiosamente per trovare quella che apriva la porta del suo appartamento.
 
<< ...Senti, capisco che tu non abbia tanta voglia di parlarne, >> Attese qualche secondo, come se si aspettasse che Kurt prendesse la parola. Oh, avrebbe aspettato molto a lungo se sperava in qualcosa del genere.
<< ma... beh, ieri sera- >>
 
Kurt fece cadere le chiavi a terra.
Si chinò a raccoglierle.
 
<< Ehi? Mi ascolti? >>
 
<< Non so quale forza mi trattenga dal prenderti a calci, esattamente. Ma so con certezza che non durerà; quindi voltati, torna da dove sei venuto e lasciami in pace una volta per tutte. >> Disse, ficcando finalmente la chiave giusta nella toppa.
 
<< Ma Kurt, devo- >>
 
<< Ora. >>
 
 

***

 
 
 
 
 
Eccoci qua ^_^
Dunque, prima di tutto mi scuso immensamente per il ritardo di pubblicazione! Ho avuto parecchie cose a cui pensare ultimamente (non ultima la scuola e la Warblers Week, che ho ultimato ieri) e dato che non mi piace lasciare le cose a metà ho preferito mettere un punto a tutto quello che avevo in sospeso, per poi tornare a dedicarmi completamente a questa storia.
Anche se siamo ancora piuttosto indietro devo dire che mi sto affezionando parecchio a questa ff: sto cercando di rendere i personaggi più IC possibile (mi riferisco a Kurt, Rachel e Quinn ovviamente, perché per ora Blaine è fuori da ogni grazia di Dio :’D tuttavia più avanti vedrete che non è così diverso da quello che conosciamo... io lo vedo come un’anima buona, ma infinitamente più fragile di Kurt) quindi sì, spero che l’evoluzione dei personaggi vi stia piacendo almeno la metà di quanto a me sta piacendo scriverla :)
Posso anticiparvi che il prossimo capitolo conterrà una svolta fondamentale per una delle coppie. Quale sarà :)?
 
Prima di salutarvi ne approfitto per ringraziare ogni singola persona che legge, segue, ricorda o preferisce e soprattutto chi mi lascia un parere: rileggere ciò che scrivo attraverso i vostri occhi è una delle cose che mi spronano a continuare, e vi ringrazio davvero tanto per ogni parere: sono preziosissimi per me.
Spero di riuscire a riprendere il mio ritmo di un aggiornamento settimanale: per ora sfrutterò la fine delle vacanze per scrivere il più possibile del prossimo e – cosa non meno importante – tornare a rispondere alle recensioni, per cui non ho avuto un attimo libero ultimamente. In ogni caso, vi terrò aggiornati sulla mia pagina facebook, dove naturalmente potete anche chiedermi/dirmi tutto quello che volete: http://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
 
Grazie di cuore a tutti, anche e soprattutto per la pazienza. Un bacio <3

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Capitolo 10
*** X__Train ***


Capitolo 10
 

“Mi avevano detto che il passato condiziona il futuro, ma non mi avevano detto che vale anche il contrario: il futuro riscrive il passato, come l'ultima pagina di un romanzo trasfigura tutto quello che è stato letto a tal punto che a volte è necessario rileggere.”
_G. Cercasi

 
 
 
 
 
 
«Jeff? Hai finito di apparecchiare?»
Domandò Nick, evidentemente troppo assorto a fissare le due confezioni di cibi precotti che ruotavano su loro stessi nel forno a microonde per controllare di persona. L’altro ragazzo si appoggiò le mani sui fianchi, contemplando la tovaglia sgombra.
 
«Sai, risulterebbe più facile se ci fossero dei piatti in questa casa.»
«Oh! Uhm... Può essere che Blaine abbia rotto anche l’ultimo servizio.» Ipotizzò con nonchalance, mentre Jeff inarcava le sopracciglia, scettico.
«Blaine? Ma se Blaine non è mai a casa- »
«Trovi quelli di plastica nel secondo cassetto in basso a destra.» Spiegò in fretta, mentre Jeff alzava gli occhi al cielo e si chinava a prenderli, esattamente sotto Nick, che dal canto suo continuava a fissare il loro pranzo.
 
Jeff era contento che fossero tornati amici: era la cosa che l’aveva reso più felice in tutta la sua vita.
C’erano stati momenti in cui aveva semplicemente pensato di non farcela, nei mesi in cui ogni singolo ponte tra loro era stato completamente bruciato. Tutti hanno una persona senza la quale non riescono ad immaginare la loro esistenza; senza la quale non sanno cosa fare di loro stessi e si sentono completamente persi: per Jeff era Nick, e rientrare nella sua vita era stato un po’ come tornare a respirare.
L’unica cosa che gli rimaneva da sperare era di poter ricominciare a vederlo come niente di più di un amico dato che al momento – nonostante tutti i suoi sforzi – non riusciva semplicemente a smettere di essere innamorato di lui.
 
Jeff si costrinse a non pensarci: concentrarsi su quello quando Nick era nelle vicinanze aveva il potere di renderlo incredibilmente impacciato e in imbarazzo; decise di dedicare la sua attenzione ai piatti di plastica che aveva in mano e si alzò velocemente, abbastanza in fretta da non calcolare correttamente le distanze e tirare una gomitata a Nick.
«Scusa!» Si affrettò a dire, ancor prima di rendersi conto di quanto effettivamente erano vicini. Aveva calcolato decisamente male le distanze.
 
Nick scrollò le spalle e si voltò a guardarlo.
Il timer del microonde segnava che mancavano quindici secondi, quindi no, non sarebbe stato troppo imbarazzante parlare direttamente a Jeff per un così breve lasso di tempo.
Nick era felice che fossero tornati amici, sul serio, eppure non poteva mentire a se stesso dicendosi che era di nuovo tutto come prima. Perché – ancor più della lontananza e dei contatti interrotti – quel bacio aveva stravolto completamente le cose, tra di loro.
 
Non era normale.
Non esiste al mondo che due amici si ritrovino ad affrontare la loro prima vera litigata e che questa si concluda con un bacio. Nick ne era stato spaventato a morte; e capitava che lo fosse ancora, quando era insieme a Jeff e di punto in bianco gli tornava in mente, senza una ragione precisa.
Davvero: stava provando con tutte le sue forze a sentirsi come si era sentito per tutti gli anni precedenti, però non ci riusciva. Nello stesso modo in cui ora non riusciva a decidere cosa fare delle sue mani, dei suoi occhi e di tutto il suo corpo, avendo Jeff inaspettatamente così vicino. Non sapeva nemmeno com’era successo: doveva essere per via dei piatti di plastica.
 
Non erano più stati a quella distanza né a qualcosa di vagamente simile da quel bacio.
Nick sentì le ginocchia tremargli, ma non si mosse. Jeff deglutì rumorosamente, ma non si mosse nemmeno lui.
 
Due colpi secchi alla porta di ingresso fecero sobbalzare entrambi.
 
«Vado- Vado a vedere chi è.»
Mormorò Jeff con un filo di voce, mentre si faceva strada oltre il suo amico badando bene a non sfiorarlo. Nick non fece caso al timer del forno che suonava.
 
Quando Jeff aprì la porta, avrebbe potuto aspettarsi chiunque tranne-
«...Blaine?» Il ragazzo si mise le mani sui fianchi e superò il coinquilino, entrando in casa.
«È così assurdo? Questa è anche casa mia.»
«Okay, ma non sei mai rimasto a pranzo. Di solito sei sempre fuori con Kur- »
«Beh, a quanto pare oggi non sono qui. Adesso gradirei mangiare qualcosa dato che tra quaranta minuti devo essere di nuovo al lavoro.» Jeff lo fissò in silenzio per una manciata di secondi prima di voltarsi verso la cucina.
 
«Nick! Abbiamo un problema.»
 
 

***

 
 
Cinque minuti dopo Jeff e Nick si stavano dividendo una vaschetta di cibo precotto, e Blaine ne mangiava una intera, tutti e tre seduti in salotto.
 
«Cristo, Blaine! Proprio il suo vicino di casa?!»
«Non sapevo che era il suo cavolo di vicino di casa! Ero talmente ubriaco che non mi ricordo neanche come ho fatto ad arrivare nel suo appartamento- E poi sul serio, che cosa ho fatto di così terribile?»
Jeff e Nick si scambiarono una delle loro occhiate d’intesa. Blaine odiava quando si rintanavano nel loro piccolo mondo. Tuttavia, il fatto di aver in qualche modo fatto la sua parte per permettergli di tornare amici compensava quel perenne senso di estraniamento in casa sua.
 
«Blaine...»
«Non capisco. Perché gli importa così tanto?» Altra occhiata d’intesa. Blaine si trattenne a stento dall’alzare gli occhi al cielo. A un tratto Jeff si sporse in avanti, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia.
 
«Blaine. Hai mai preso in considerazione l’ipotesi che potresti piacere a quel ragazzo?»
«...Cosa? No! Certo che no, e sicuramente non dopo aver saputo il mio- beh, stile di vita
Nick aggrottò le sopracciglia, e Blaine appoggiò sul bracciolo della poltrona la sua vaschetta del pranzo vuota.
«È quel tipo di ragazzo. Quello che crede nell’amore eterno e tutto il resto.» Jeff esitò qualche istante prima di porre la sua domanda.
 
«E tu cosa provi per lui, esattamente?»
«Gli voglio bene, naturalmente. È mio amico, o almeno lo era. Non avete idea di quanto sia stato imbarazzante fare l’inventario insieme ieri sera- »
«Blaine. Stai divagando.» Il ragazzo scosse la testa, alzandosi dal suo posto un po’ più in fretta di quanto non sarebbe stato necessario.
 
«Sì, beh, devo tornare al market.» Disse velocemente, rifiutandosi di portare avanti quella conversazione un minuto di più.
Sapeva fin troppo bene la piega che avrebbe preso, con Nick che criticava le sue immancabili uscite serali e Jeff che continuava a ripetere di non riconoscerlo più. Che fosse esattamente ciò che non aveva bisogno di sentirsi dire, questo non sembrava importargli minimamente.
 
L’ultima volta che aveva parlato con Kurt – se non voleva contare le comunicazioni necessarie, come annotare quante confezioni di merendine avrebbero dovuto ordinare per il market – era stata soltanto due giorni prima. Eppure gli mancava.
 
Gli mancava il tono gentile della sua voce, il modo in cui gli sorrideva e semplicemente si rivolgeva a lui. Non sapeva quando averlo al suo fianco e parlare cin lui fosse diventato così importante, esattamente, ma questo non cambiava le cose: Kurt era sparito dal giorno alla notte.
 
E gli mancava da morire.
 
 

***

 
 
«Non ci posso credere.»
Kurt alzò gli occhi al cielo, lisciandosi con noncuranza il suo orribile grembiulino verde.
A dirla tutta, era già abbastanza giù di morale per conto suo senza che ci si mettesse anche Scarlett, la quale non sembrava avere niente di meglio da fare se non stressarlo con la storia di Blaine.
 
Kurt aveva già dimenticato il motivo per cui glielo aveva raccontato.
Probabilmente a causa di Rachel, che aveva bellamente deciso di passare la domenica a New Haven pretendendo che lui la seguisse, cosa che aveva portato ad una discussione su chi dei due avesse i problemi più gravi, seguiti da una varia ed eventuale sfilza di “tu non puoi capire” e una porta sbattuta in faccia.
 
«Beh, dovresti- ...Perché stai ridendo?»
«Perché è la prima volta che sento della rottura tragica di due persone che non sono mai state insieme.» Kurt smise di allineare le boccette di shampoo sullo scaffale che aveva davanti e si voltò a guardare Scarlett, che sembrava sinceramente impegnata a trattenere un sorriso.
 
«...Prego?»
«Dio, Kurt. È la sua vita: lasciagliela vivere come meglio crede! Pensi che stia facendo la cosa sbagliata? Pazienza! Se ne renderà conto, oppure continuerà così e sarà felice ed eri tu quello nel torto- » Kurt scosse con decisione la testa, tornando a quello che stava facendo.
«No. Non lascerò che si faccia questo- »
«Kurt, ha diciannove anni. Lascialo vivere, per la miseria!»
Kurt voleva ribattere. Lo voleva davvero, e l’avrebbe anche fatto se solo fosse stato in grado di trovare una singola buona ragione a sostenerlo.
 
Forse era stato troppo duro con Blaine: dopotutto gli aveva dato dell’idiota, che non è una cosa tanto carina da dire e rientra sicuramente nel genere di cose che necessita di scuse.
 
Ma poteva davvero scusarsi con Blaine? Poteva dirgli che gli dispiaceva di aver cercato di spazzare quella patina di rassegnazione che offuscava i suoi bellissimi occhi e lo faceva sembrare più vecchio di mille anni?
Forse era egoista da parte sua, ma non voleva scusarsi.
 
Quando Scarlett – al suo rifiuto di portare avanti quella conversazione – alzò gli occhi al cielo e girò i tacchi, Kurt non poté fare molto per evitare lo sguardo di Blaine, dall’altra parte del corridoio stipato di prodotti per capelli.
 
Non aveva idea di quale fosse il modo giusto in cui avrebbe dovuto guardarlo, così smise di chiederselo e lo guardò e basta.
 
Lasciò che i suoi occhi indugiassero sul contorno del suo viso – la naturalezza con cui aveva memorizzato ogni cenno della testa e tutte le impercettibili peculiarità di quel volto continuava a sorprenderlo – e spaziò su tutto ciò che poteva raggiungere. Non si sorprese quando rimase sospeso su un unico punto.
 
Non si sorprese di desiderare di baciarlo.
 
Era qualcosa che aveva serbato inconsciamente dentro di sé fin dal primo momento: dalla prima parola gentile, il sorriso caldo e rassicurante che gli aveva rivolto, il suo modo di scherzare.
Fin da quando si chiedeva il motivo dello strano slancio che a volte lo prendeva di allungare una mano e stringere la sua, di abbracciarlo o semplicemente sentirlo più vicino possibile.
 
Kurt deglutì e tornò a voltarsi verso le sue confezioni si shampoo: era una cotta, e doveva semplicemente trovare il modo di farsela passare.
Non poteva permettersi di soffrire ancora dietro a qualcuno di inaccessibile; non che Blaine lo fosse propriamente, ma Kurt non riusciva a concepire il sesso fuori da una relazione. Forse non era altro che infantile da parte sua,  ma non era in grado di immaginare di farlo con qualcuno a cui non era legato da altro se non pura e semplice attrazione fisica, qualcuno di cui non era innamorato.
 
Kurt lasciò perdere quelle congetture, totalmente ignaro del fatto che – dall’altra parte del corridoio – Blaine non aveva ancora smesso di fissarlo.
 
 

***

 
 
«Credi di riuscire a venire a New York prima di Natale?»
Chiese Rachel, mentre osservava incuriosita le decorazioni natalizie di cui l’ennesima bancarella davanti alla quale lei e Quinn passavano davanti faceva mostra, insieme ad un’infinità di altri piccoli oggetti fatti a mano.
 
Quella domenica pomeriggio era passata piuttosto in fretta, nonostante fosse ancora turbata dalla sua recente discussione con Kurt e ben consapevole che l’avrebbe aspettata una lunga chiacchierata una volta tornata a casa. In qualche modo, la compagnia di Quinn era riuscita a farglielo dimenticare per qualche ora.
La ragazza bionda scrollò le spalle, seguendo con lo sguardo tutti gli addobbi che Rachel sfiorava distrattamente con le dita.
 
«Non ne sono sicura. Ho parecchio da fare con il college, e poi ho promesso a mia madre di passare le feste a Lima, così- »
«Vorrà dire che sarà per dopo Capodanno. Oppure anche io e Kurt potremmo tornare in Ohio per qualche giorno.»
Quinn annuì, chiedendosi – per l’ennesima volta – quando e come fossero arrivate a quel punto.
 Non aveva idea che le cose avrebbero potuto cambiare così tanto tra di loro, non dopo il trascorso che le aveva coinvolte e segnate. Pensandoci, per quanto in modo assurdo e travagliato, anche in passato avevano finito per trovarsi sempre e costantemente insieme.
A Quinn piaceva pensare che il presente avesse semplicemente trovato il modo giusto di tenerle l’una nella vita dell’altra.
 
«Tuttavia, nel caso non ci vedessimo fin dopo Natale...»
Lasciò la frase in sospeso e tese la mano quel tanto che bastava a prendere delicatamente tra il pollice e l’indice il ciondolo di una collanina, sollevandolo in modo da poterlo esaminare più da vicino.
Quinn lasciò che Rachel valutasse il piccolo pendente, nonostante sapesse perfettamente che l’aveva riconosciuto al primo sguardo, esattamente come lei.
 
Rachel ne aveva indossato uno simile per buona parte del liceo: una sottile catenina dorata, con la lettera R che le pendeva poco più in basso della base del collo.
Quinn la ricordava perfettamente: avrebbe saputo descrivere con estrema facilità il modo in cui il ciondolo oscillava leggermente quando camminava, o come la catena le si staccava appena dalla pelle passando sopra le clavicole.
 
Probabilmente non avrebbe dovuto serbarne un’immagine così nitida in testa.
 
Per qualche motivo Rachel arrossì un po’ mentre chiamava il proprietario della bancarella e gli allungava la collana, senza dare il mino segno di volersi voltare a guardare la ragazza al suo fianco.
Quinn osservò la piccola lettera Q oscillare nell’aria, con Rachel che si apprestava a mettere mano al portafoglio.
 
«Rachel... Non c’è bisogno, davvero- »
«È il mio regalo di Natale, non puoi rifiutarlo. Non ti piace?» Chiese in fretta, bloccando la mano sulla cerniera della borsetta.
«No! Non è questo. È bellissima, ma- »
«Allora è deciso.»
La ragazza allungò una banconota all’uomo che aveva davanti con un gran sorriso.
 
Quinn si limitò a prendere coscienza del fatto che il cuore non le era mai battuto così forte.
 
Non durante la sua prima volta con Puck – di cui non ricordava praticamente nulla a causa dell’alcol, grazie al cielo –, non con Finn, non quando Sam le aveva praticamente chiesto di sposarla, e sicuramente non con Joe.
 
Adesso– mentre Rachel la faceva girare su se stessa per poterle allacciare dietro al collo il suo regalo di Natale – Quinn non poteva fare altro che realizzare pienamente il motivo per cui non era stata capace di chiudere i ponti con il passato come avrebbe voluto.
Ci sono cose- ci sono persone che in passato non riescono a trovare il modo di incastrarsi con noi, di combaciare. È incredibile quanto profondamente questo possa cambiare di punto in bianco.
Quinn era talmente assorta nei suoi pensieri che quando Rachel parlò, alle sue spalle, non poté far altro che rabbrividire.
 
«Non so se ti ricordi, ma anch’io avevo una collana simile quando- »
«Mi ricordo. Molto bene.»
Tornò a voltarsi verso di lei, e sorrise al modo in cui i suoi occhi le sfuggivano. Quinn era abbastanza sicura che Rachel non si facesse problemi a sostenere lo sguardo di nessun altro, e questo le aveva sempre dato una vaga sensazione di compiacimento che non avrebbe davvero saputo spiegare.
 
«Grazie, mi piace molto.»
«N-Non devi ringraziarmi- uhm...»
Infilò il portafoglio in borsa con decisamente più attenzione di quanto quel semplice gesto non richiedesse. Quinn continuò a sorridere: Rachel sapeva essere stranamente adorabile quando si sentiva in imbarazzo per qualcosa. Lei di solito si limitava ad incazzarsi e urlare contro la prima persona che le capitava a tiro: non sopportava quella sensazione, essere vulnerabile.
 
«Ti accompagno in stazione.»
 
 

***

 
 
Non riusciva a credere di averlo fatto.
 
Comprare a Quinn Fabray un regalo che ricordava così tanto la Rachel Berry del liceo McKinley si era rivelato un autentico attentato alla sua vita.
Era stato spontaneo, all’inizio. Poi una caterva di preoccupazioni avevano iniziato a bombardarla da tutte le parti: Quinn probabilmente non avrebbe voluto rivangare il periodo delle superiori, dopotutto era stata lei stessa a prodigarsi tanto per lasciarselo alle spalle; o magari avrebbe voluto rievocarlo, ma di certo non con un ciondolo simile a quello che era appartenuto a lei, una delle ragazze più impopolari che probabilmente avrebbero mai calcato i corridoi di quella scuola.
 
Poi però lei aveva sorriso, e Rachel in qualche modo sapeva che era valsa la pena di provare tutta quell’ansia.
 
La voce gracchiante dell’altoparlante annunciò l’imminente arrivo del treno per New York che stava aspettando.
Rachel si avvicinò ai binari – insieme ad una folla piuttosto consistente di persone – affiancata da Quinn.
 
«Sono sempre stata una persona impulsiva. Sai, da Beth alle Skanks. Tu cosa ne pensi?»
Rachel inarcò le sopracciglia, rivolgendo a Quinn un’occhiata stranita. In tutta sincerità, le sfuggiva da dove fosse venuto fuori un discorso del genere.
 
«...Di che cosa?»
«Del mio essere impulsiva.» Ribadì semplicemente, con gli occhi piantati in quelli di Rachel.
La ragazza farfugliò qualche parola priva di senso: non poteva davvero sperare in un’altra reazione da parte del suo corpo, non quando Quinn la fissava in quel modo.
 
Il treno si fermò al binario, e i primi passeggeri cominciarono a scendere.
Rachel parlò lentamente, nel tentativo di mettere insieme una risposta soddisfacente.
 
«Beh, è l’ennesima cosa in cui siamo diverse.» Cominciò. Tutti i passeggeri erano scesi dai loro vagoni, e i nuovi iniziavano a prendere posto, smaltendo la calca attorno a loro.
 
«Io tendo ad essere estremamente razionale, eccetto quando... Quando agisco per amore.»
Arrossì, senza nemmeno saperne il motivo. Si mosse per ultima verso il treno, con Quinn che la seguiva.
 
«Per amore?»
Rachel salì con attenzione il gradino e si ritrovò a bordo, poco più in alto dell’altra ragazza, immobile di fronte a lei, sulla piattaforma del binario.
«Sì. Beh, la maggior parte delle volte è amore verso me stessa, ma non è sempre così. Quando ho truccato le elezioni per far vincere Kurt, ad esempio, o quando ho venduto quel paio di orecchini per dare il ricavato in beneficienza, oppur- »
 
Rachel non portò a termine il suo discorso.
Non lo fece, perché le parole non poterono far altro che morirle in gola nel momento in cui Quinn si sporse in avanti a baciarla.
 
Tutto quello che riuscì a cogliere fu il lampo cristallino dei suoi occhi, poi più nulla. A parte un paio di labbra morbide e decise che si muovevano piano sulle sue.
 
Rachel tenne gli occhi aperti tutto il tempo: non sapeva se si trattava di un’eternità o di una manciata di secondi. Poi Quinn si separò dalla sua bocca immobile e fece un passo indietro, senza smettere di guardarla negli occhi.
 
Rachel voleva dire qualcosa.
 
Ma le porte si erano già chiuse, e il treno era già partito.
 
 

***

 

 
 
 
 
Eeee... They kissed *-*
Non avete idea di quanto ho amato scrivere quest’ultima scena... e sì, mi rendo conto che adesso qualcuno starà bestemmiando in turco per come è finito, ma tranquilli: nel prossimo ci sarà tempo e modo di andare a fondo su questa faccenda u.u
In oltre, in arrivo una certa parte Klaine... Soon è.é Molti di voi mi vorranno uccidere, ma ormai ci ho fatto l’abitudine ~
Ne approfitto per ringraziare con tanto aMMore tutti coloro che hanno aggiunto la storia a seguite/preferite/ricordate, e in modo particolare a chi recensisce: vi amo, siete stupendi :’)!
 
As always, se volete seguire in tempo reale i miei scleri qui c’è la mia pagina fb: http://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
E se volete chiedermi qualcosa, ask *-*: http://ask.fm/Nonzy9

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Capitolo 11
*** XI__Me neither ***


Capitolo 11

“Ho paura che un giorno, dopo esserci tanto mancati, ci chiederemo se potevamo fare qualcosa concretamente, invece di mancarci senza fare niente.”
_G.Cercasi

 
 
 
 
 
 
 
 
Rachel non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando si era semplicemente lasciata cadere sul divano di casa, con gli occhi fissi sul televisore spento.
 
Nonostante il delirio confusionario che aveva in testa – fatto di una lunga serie di “non è possibile” e “non posso crederci” – non riusciva a dare sul serio di matto come si sarebbe aspettata.
Era uscita dall’aula canto sbattendosi teatralmente la porta alla spalle talmente tante volte e per motivi così insignificanti da aver perso il conto più o meno dopo la prima settimana dalla nascita del Glee Club e ora – solo pochi mesi dopo il diploma – riceveva un bacio – un bacio! – da Quinn Fabray e tutto ciò che riusciva a fare era stare seduta su un fottutissimo divano?
 
O era davvero cambiata fino a quel punto, oppure, dopo i recenti avvenimenti, anche la sua radicata indole da Drama Queen aveva finito per passare in secondo piano.
Quinn l’aveva baciata. E lei aveva passato tutto il viaggio in treno verso New York a fissare il vetro appannato che aveva di fronte, senza curarsi dei passeggeri che la spingevano da una parte e dall’altra salendo e scendendo dal vagone.
 
Rachel avrebbe potuto giurare di sentire ancora le labbra di Quinn premute sulle sue.
E di essersi pentita di non aver ricambiato il bacio.
 
Sarebbe stato stupido, nonché inutile negare di aver desiderato lasciar partire il treno senza di lei solo per scendere sulla piattaforma e baciarla di nuovo. Era chiaro che si era trattato di un pensiero sporadico e completamente privo di fondamento del quale si era pentita solo un secondo più tardi, ma l’aveva toccata lo stesso. E non avrebbe dovuto.
 
Rachel appoggiò i gomiti sulle ginocchia, lasciandosi sprofondare il viso tra le mani. La tracolla della borsetta gli scivolò lungo la spalla, mentre si sforzava di pensare quale fosse la mossa giusta da fare.
 
La soluzione sembrava evidente: parlarne con Quinn.
Il problema stava nel fatto che non ne aveva la minima intenzione. Che cosa avrebbe potuto dirle, dopotutto? “Ciao, ti chiamo per sapere perché mi hai baciato.”
No. Non avrebbe decisamente funzionato.
Prima di fare un passo come quello aveva bisogno di fare chiarezza e, in tutti quegli anni, l’unica persona capace di aiutarla davvero in questo era stata una ed una soltanto. La stessa con la quale aveva avuto una catastrofica discussione non più di qualche giorno prima.
 
La ragazza sospirò, mentre il suo cervello iniziava a mobilitarsi alla ricerca del modo più rapido e indolore per farsi perdonare da Kurt.
Alzò lo sguardo verso il frigorifero: non le servirono nemmeno due secondi per realizzare che se avesse deciso di preparargli la cena tutto ciò che avrebbe ottenuto sarebbe stata una lunga serie di imprecazioni per aver accidentalmente dato fuoco al loro appartamento.
Magari avrebbe semplicemente potuto prenderlo alla sprovvista: raccontargli come stavano le cose e sperare che fosse abbastanza comprensivo da non girare i tacchi e andarsene senza rivolgerle la parola per il fatto che erano ufficialmente ancora arrabbiati. Forse poteva ricordargli che la rabbia provocava un certo numero di rughe, e da quanto ricordava lui non era molto propenso a ricorrere al botulino-
 
Quando il campanello suonò, qualche minuto più tardi, Rachel era quasi certa di puntare sull’effetto sorpresa che avrebbe indubbiamente travolto il suo amico alla sua rivelazione di essere stata recentemente baciata da Quinn Fabray.
Rachel ignorò il modo in cui le ginocchia le tremarono a quell’ultimo pensiero, si diresse verso la porta e inspirò più profondamente possibile prima di stringere le dita sulla maniglia.
 
«È successo un casino. Sono appena tornata da New Haven e ho bisogno di- »
La ragazza interruppe sul nascere il suo monologo, nel momento in cui si rese conto che la persona che aveva di fronte aveva un’espressione decisamente troppo arrogante per essere Kurt.
«...te.» Concluse con filo di voce.
 
«Per quanto i tuoi casini mi interessino, non è per questo che sono qui. Kurt è in casa?»
Rachel gli rivolse un’occhiata a metà tra il confuso e lo schifato, appoggiandosi entrambe le mani sui fianchi.
«Tu devi essere Jacob. Non vedo con che coraggio ti presenti qui dopo quello che- »
«E tu devi essere Rachel, ed evidentemente ignori la sottovalutata arte di farsi gli affari propri. Kurt è in casa sì o no?» La ragazza lo fissò con indignazione.
«No, Jacob! Non è qui, e anche se ci fosse di certo non avrebbe voglia di parlare con te.»
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e porse a Rachel un piccolo rettangolo di cartoncino, senza nemmeno preoccuparsi di guardarla in faccia. Lei inarcò le sopracciglia in direzione del foglietto.
 
«E quello cos’è?»
«Un indirizzo. Potresti dire a Kurt di raggiungermi qui? Quando vuole, basta che sia dopo le dieci di sera.» Rachel lo fissò per qualche lungo istante, in attesa di un qualsivoglia segnale che avesse intenzione di scherzare, per poi concedersi una risatina sarcastica.
«E tu pensi davvero che Kurt verrebbe? Cosa hai intenzione di fare, esattamente? Vuoi- vuoi cercare di abbordarlo come hai fatto con- »
«Rachel. Ho solo bisogno di parlargli.» La ragazza si incrociò le braccia al petto, senza nemmeno guardare il biglietto che Jacob le continuava ad allungare.
 
«E per quale motivo dovrei fidarmi di te? Non ho intenzione di spedire il mio migliore amico in chissà che postaccio.» Lui sospirò, sporgendo ulteriormente il cartoncino in sua direzione.
«Non credi che sia abbastanza grande da deciderlo da solo? E comunque non voglio fare niente del genere, ho semplicemente bisogno di parlargli.» Rachel gli lanciò un’occhiata in tralice, per poi allungare velocemente la mano e afferrare il bigliettino di Jacob tra il pollice e l’indice.
 
«E adesso sparisci.» Lui tornò in fretta al suo consueto ghignetto insopportabile, facendo qualche passo indietro.
«Come vuoi! ...Uhm, Rachel?»
«Cosa
 
«Dimmi che quella sera non stavi davvero facendo sesso con Kurt, perché potrebbe diventare il mio incubo peggiore.»
 
 

***

 
 
Kurt ricordava benissimo la sensazione che aveva provato dopo aver aperto la sua lettera della NYADA, ormai diversi mesi prima.
Sapeva perfettamente cosa significava precipitare nel vuoto, sentire tutte le certezze venir meno, chiedersi cosa ne sarebbe stato di lui, da quel momento in poi.
 
Ciò che non sapeva, era di poter tornare a sentirsi in quel modo a causa di qualcosa di diverso da un’incontrollabile circostanza esterna che aveva mandato all’aria i suoi piani.
Ciò che Kurt non sapeva, era di potersi sentire in quel modo a causa di Blaine.
 
Non che non ci avesse provato, a trovare un’altra spiegazione; a psicanalizzarsi e ricollegare tutta quella tristezza al fatto di essere in una città nuova praticamente da solo, visto che erano giorni che non parlava con Rachel. Eppure, per quanto odiasse ammetterlo, la verità era perfettamente definita nella sua testa; iniziava e finiva in un paio di occhi brillanti, in un sorriso abbastanza trasparente da privare tutto il resto del mondo di un po’ della sua luce.
 
Blaine gli piaceva. Blaine gli mancava come non gli era mai mancato nessuno da quando ricordava, fatta eccezione per sua madre.
 
Kurt sospirò e girò la chiave nella toppa della porta, vagamente consapevole del tipo di serata che lo attendeva: all’insegna delle frecciatine inferte e ricevute da Rachel Berry.
La trovò seduta sul divano, con la borsa di fianco e gli occhi fissi nel vuoto.
 
«Ciao.» Biascicò, badando bene a contenere qualsivoglia parvenza di entusiasmo.
Si chiuse la porta alle spalle, appoggiò le chiavi sul tavolo e andò ad appendere la giacca in camera. Quando tornò, Rachel era esattamente nella stessa posizione di cinque minuti prima. Se solo fosse stato possibile, Kurt avrebbe giurato di avere davanti una statua di cera.
 
«Sai, non pensavo fossimo arrivati al punto di toglierci il saluto.»
Rachel sembrò tornare miracolosamente nel mondo dei vivi e – quando si alzò in piedi per raggiungerlo – la sua espressione era talmente inquietante che per un attimo Kurt si chiese se non nascondesse un coltello dietro la schiena e avesse intenzione di usarlo contro di lui.
Invece di una lama affilata, Rachel aveva in mano un cartoncino rettangolare. Kurt lo fissò con aria scettica.
 
«E quello cosa sarebbe?»
«Jacob ha detto di darti questo.»
Il solo suono di quel nome fece contorcere dolorosamente lo stomaco di Kurt. non riusciva ad accettare che uno come lui avesse davvero messo le mani addosso a Blaine. Non era in grado di capacitarsi che lui glielo avesse lasciato fare.
 
«Ripeto: cosa sarebbe?»
«Ha detto di presentarti a questo indirizzo quando vuoi, a patto che sia dopo le dieci di sera. Pare che abbia bisogno di parlarti.»
Kurt fissò il foglietto, incredulo. Come poteva anche solo lontanamente sperare che avrebbe acconsentito? Afferrò il cartoncino tra il pollice e l’indice e se lo infilò in tasca, esattamente dove aveva intenzione di lasciarlo marcire per l’eternità.
 
«Se pensa di avere qualche possibilità con me può anche mettersi il cuore in pace. Per colpa sua io e Blaine non ci rivolgiamo ancora la parola... Non che a te importi qualcosa, ovviamente.» Aggiunse alla fine, ricordando che sì, era ancora in guerra con Rachel.
Tuttavia, a differenza di quanto si aspettava, non ricevette in risposta nessun commento sarcastico e non assisté a nessuna delle sue uscite di scena da regina del dramma.
 
In realtà, Rachel aveva qualcosa che non andava: era piuttosto chiaro dal suo sguardo perso e imbambolato al tempo stesso, o dal semplice fatto che non avesse ancora menzionato un qualsivoglia musical di Broadway in dieci minuti che si trovavano nella stessa stanza.
Kurt prese un profondo respiro, e si odiò per quello che stava per dire.
 
«...Cosa è successo?» Sperò che Rachel la prendesse come una tregua, perché non aveva alcuna intenzione di fargliela passare liscia così facilmente. La ragazza alzò lo sguardo su di lui, e per un momento Kurt pensò che fosse davvero successo qualcosa di grave. Per quale motivo avrebbe dovuto fissarlo con un’aria tanto sconvolta, altrimenti?
«Mi dispiace di aver sminuito i tuoi problemi, Kurt.»
D’accordo. Se Rachel si scusava la cosa era grave sul serio. Kurt accantonò momentaneamente ogni risentimento e la guardò dritto negli occhi, cercando di farsi un’idea di cosa potesse essere successo.
 
«Rachel- »
«Quinn mi ha baciata.»
 
Lo disse con un filo di voce, senza nemmeno il coraggio di guardare il suo migliore amico negli occhi. Non era del tutto sicura di riuscire a credere alle sue stesse parole. Quando finalmente alzò lo sguardo su Kurt, lo trovò con la bocca semiaperta e le sopracciglia inarcate, probabilmente più pallido del solito.
 
«...Mi stai prendendo per il culo.»
 
Rachel sospirò pesantemente, senza rispondere.
«Rachel.» Al suo rifiuto di parlare, Kurt si passò entrambe le mani tra i capelli e fece qualche passo indietro, fino a lasciarsi cadere a sedere sul divano.
 
«Kurt- »
«Tu non hai risposto al bacio, vero?» Rachel non gli aveva mai sentito un tono di voce così vertiginosamente alto. Nemmeno durante i suoi assoli più riusciti.
«Non ho fatto in tempo, no.» D’accordo. Magari non era stata una scelta di parole così azzeccata-
 
«Cosa vorrebbe dire che non hai fatto in tempo?!»
«Io-»
«Avresti voluto farlo? Rachel, non puoi dire una cosa del genere. Hai rischiato di sposare mio fratello due volte, sei stata con Jessie, con Puck... Vi siete odiate per quattro anni! Com’è umanamente possibile che- no. Ho bisogno d’aria.»
 
Ci vollero due porzioni di torta-gelato, la colonna sonora completa di Wicked e una prolissa spiegazione degli avvenimenti delle ultime settimane per far tornare Kurt in possesso delle sue facoltà psicofisiche, o quantomeno per renderlo in grado di dire qualcosa di diverso da “oh mio Dio” e “Rachel, se è uno scherzo giuro che ti caccio da casa”.
 
«...E non ho la minima idea di cosa fare.» Concluse, dopo un lungo monologo interrotto soltanto da qualche sporadico sospiro affranto da parte del suo migliore amico.
 
Rimasero in completo silenzio per quello che a Rachel parve un millennio.
Fino a quel momento, non si era resa conto di quanto disperatamente agognasse il parere di qualcuno. Vivere quella faccenda solo e soltanto dentro la sua testa la stava facendo impazzire e – magari – un punto di vista differente avrebbe potuto aiutarla a sentirsi meno alla deriva in quel mare di sensazioni a cui non riusciva a dare un nome.
 
«Dovrei chiamarla?» Kurt scosse brevemente la testa, voltandosi a guardarla.
«Non credo che tu sia l’unica ad essere confusa. Dovresti darti un po’ di tempo per fare chiarezza su quello che provi prima di confrontarti con lei, e immagino che anche Quinn ne abbia bisogno. Forse potresti mandarle un messaggio per dirle che è tutto a posto e che la chiamerai presto.» Rachel annuì e iniziò a raspare nella borsetta alla ricerca del suo cellulare.
 
«...Sai, ho sempre avuto un vago sospetto su Quinn.» Kurt si guadagnò un’occhiata stranita.
«Sul serio?»
«Sì. Non sono ben sicuro del motivo... Sarà che il mio gay radar fa cilecca nove volte su dieci e non ci ho mai dato troppo peso, ma in effetti sì, ci ho pensato qualche volta.»
«Quali volte, esattamente? Quando stava con Finn, poi con Puck, poi con Sam, e poi di nuovo- »
«Quando si circondava sempre di cheerleader carine come Santana e Brittany, o quando è entrata in quel gruppo di lesbiche punk- »
 
«Quelle erano le Skanks.»
«C’è differenza? E comunque fino a prova contraria oggi ti ha baciato, quindi ho ragione io.» Concluse con una certa soddisfazione, per poi sorridere dolcemente verso una Rachel alquanto sconsolata.
 
«Ehi. Devi stare tranquilla, okay? Può essere dovuto a mille fattori. È appena finita con il tuo ragazzo storico, e la tua amica-nemica è improvvisamente diventata fondamentale nella tua vita. Siamo esseri umani, Rachel. Essere confusi è quello che ci riesce meglio.»
Rachel liberò l’ennesimo sospiro della serata, poi appoggiò la testa sulla spalla di Kurt, accoccolandosi contro di lui. Il suo amico la strinse a sua volta tra le braccia, lasciando che si rilassasse.
 
«...E per la cronaca: tieni lontano i tuoi ormoni impazziti dal sottoscritto.»
«Uhm. Te ne pentirai il giorno in cui una ragazza ti bacerà e ti scoprirai bisex.»
«Già. Lo stesso in cui Britt vincerà un nobel per scienza.»
 
 

***

 
 
Kurt sapeva perfettamente che quella non era altro che una mera, nonché vagamente patetica scusa.
 
Certo, dire che la notizia bomba di Rachel non lo avesse sconvolto sarebbe stata una bugia, eppure era abbastanza sicuro di essere in grado di assimilare la cosa senza bisogno di condividerla con qualcun altro. Proprio per questo motivo era consapevole che quello del bacio di Quinn non era altro che un pretesto come un altro per tornare a parlare con-
 
«Blaine! Ciao.»
Il ragazzo distolse lo sguardo dalle scatole di cereali che stava infilando negli scaffali, e si voltò verso Kurt. Kurt che – di punto in bianco, senza un’apparente ragione – aveva deliberatamente deciso che fosse di nuovo degno di considerazione.
 
«...Kurt?» Blaine non avrebbe voluto farla sembrare una domanda, davvero. Solo... Che diavolo?
«Uhm... È successa una cosa, e ho davvero bisogno di parlarne con qualcuno.»
Il leggero rossore che ravvivò le guance di Kurt fu più che sufficiente per mandare a farsi benedire tutti i suoi buoni propositi di fare il sostenuto. Insomma: l’aveva criticato, gli aveva dato dell’idiota, o qualcosa del genere.
 
Però era Kurt. E questo, in qualche strano modo, riusciva ad essere sufficiente.
 
Blaine dovette farsi violenza fisica per non abbracciarlo, o anche solo per non sorridere troppo apertamente.
«Cos’è successo?»
«Si tratta di Rachel.»
 
E a Blaine, con tutto l’amore del mondo, non poteva importare di meno.
Così si limitò a fissare la bocca di Kurt, che si apriva e si chiudeva man mano che la spiegazione degli ultimi avvenimenti proseguiva. Guardò la punta della sua lingua, che di tanto in tanto faceva capolino ad inumidirgli il labbro inferiore. Si lasciò trasportare dal suono incantevole della sua voce e Dio, non l’aveva sentita per troppo tempo.
 
E poi Kurt smise di parlare.
E Blaine non aveva la più pallida idea di cosa avesse detto.
 
«...Blaine?»
«Uhm?»
«Allora?»
«Allora, cosa?» Kurt si stava palesemente sforzando di non sorridere. Blaine ne era piuttosto sollevato: non aveva la minima intenzione di farlo arrabbiare di nuovo.
 
«Allora, cosa ne pensi.»
«...Penso che stare separati uccida le nostre cellule cerebrali. Le mie di sicuro.»
A quel punto, Kurt emise una sorta di versetto strano. Qualcosa compreso tra un’esclamazione di gioia e un sospiro di sollievo.
 
«Kurt...?»
«Scusa, sono solo felice. Non riesco a stare senza di te, Blaine.»
Neanche un decimo di secondo più tardi, Kurt aveva iniziato a boccheggiare qualche parola priva di senso, più imbarazzato – e adorabile – di quanto Blaine non lo avesse mai visto.
Prima di poter ricevere un qualunque tipo di risposta Kurt si era già voltato verso il reparto surgelati, avanzando in quella direzione ad una velocità piuttosto impressionante.
 
Blaine rimase a guardarlo allontanarsi, con un sorriso vagamente intontito sulle labbra.
 
«Nemmeno io.»
 
 

***

 
 
 
 
 
 
 
 

Ragazzi, non ne avete idea :’D
Tra 20 minuti devo trovarmi in un parcheggio per partire alla volta di Praga, con la scuola. E sono qui a pubblicare. What’s wrong with me?
No, sul serio: starò via una settimana e non potevo protrarre l’attesa per il nuovo capitolo per altri sette giorni, faccio già abbastanza schifo così con la sporadicità degli aggiornamenti. Perciò eccomi qui: spero che il capitolo vi sia piaciuto, e mi scuso per i millemila errori che ci saranno, visto che ho finito di scriverlo 10 minuti fa e non è nemmeno betato.
Scusatemi ancora, spero di leggere i vostri commenti una volta tornata dalla gita çç
Scappo guys, grazie a tutti come sempre, vi amo vi amo e vi amo *-*!!
Un bacione <3 <3
_Ari
 
Pagina fb, as always: http://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl

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Capitolo 12
*** XII__You're falling in love with him ***


Capitolo 12
 

“Io penso che un tuo bacio può valere le macerie in cui forse un giorno mi lascerai.”
_G. Cercasi








 
Nei due giorni immediatamente successivi al loro rappacificamento, Kurt non poté fare a meno di godersi il modo goffamente imbarazzato in cui lui e Blaine si stavano riavvicinando, all’insegna di una gentilezza reciproca ai limiti del patetico e della sistematica ossessione al non contraddirsi per nessuna ragione al mondo.
Kurt lasciava semplicemente che Blaine gli sorridesse, gli parlasse e passasse del tempo con lui, nello sforzo quasi doloroso di non chiedersi nelle mani di chi sarebbe finito quella sera.
E quella successiva.
E quella dopo ancora.
 
Sapeva che rimanere vicino a Blaine avrebbe finito per ferirlo, esattamente come era perfettamente consapevole di non poterne fare a meno.
 
«Ti do una mano?» Kurt alzò lo sguardo dalle sue confezioni di cibo precotto e sorrise a Blaine, che indicava le scatole alle sue spalle offrendogli il suo aiuto.
«Blaine, sono scatole di minestrone. Non sono così pesanti.» Blaine sembrava confuso, come se non avesse nemmeno preso in considerazione quell’aspetto. In ogni caso annuì in fretta, appoggiandosi cautamente allo scaffale semivuoto alle sue spalle. Kurt non poté davvero fare molto per evitare di concentrare la sua attenzione sul modo in cui i jeans gli aderivano alle gambe, o alle sue braccia muscolose-non-così-tanto-ma-abbastanza piegate sul ripiano dei condimenti.
 
«...Kurt?» Lui abbassò lo sguardo tanto in fretta da avvertire un discreto dolore ai muscoli dietro al collo.
«Mm?»
«Ti ho chiesto se hai già qualche programma per pranzo.» Ripeté Blaine per quella che era evidentemente la seconda volta – Kurt si rifiutava di prendere in considerazione che fossero di più – e lui si limitò a sorridere, scuotendo leggermente la testa.
«Allora potremmo mangiare insieme. Se vuoi provare qualcosa di diverso ha appena aperto un nuovo ristorante qui in zona- »
«Il posto dove siamo sempre andati andrà benissimo, Blaine. Scusa un secondo...» Kurt si alzò velocemente in piedi e si infilò una mano in tasca, estraendo il cellulare che aveva appena iniziato a suonargli.
 
Blaine sapeva che non avrebbe dovuto pensare a Kurt in quel modo.
Sapeva che erano amici, sapeva di avere bisogno di lui e sapeva anche che immaginarselo senza vestiti per buona parte del tempo che passavano insieme non era esattamente il metodo migliore di perseguire i suoi propositi.
Tuttavia, onestamente, in nessun modo avrebbe potuto evitarsi di far indugiare lo sguardo sulla sua bocca, o ignorare le sue gambe, il suo sedere e il suo sguardo così disperatamente magnifico.
Blaine non aveva mai visto niente di più bello. E pensare di averlo costantemente a portata di mano senza poterlo toccare lo stava facendo impazzire.
 
Kurt sapeva che tipo di vita conduceva, e lui non aveva niente da offrirgli. Gli voleva bene, certo, ed era attratto da lui in un modo quasi imbarazzante, sicuro, ma non poteva semplicemente privarlo di quella sua dolcezza innata, così rara che Blaine quasi non riusciva a credere di avere il privilegio di ammirarla ogni giorno.
Non poteva fare sesso con Kurt – sempre ammesso che Kurt ricambiasse la sua attrazione in assoluto – e poi girare pagina come se niente fosse. Kurt credeva nell’amore, a differenza sua.
Era un’illusione infantile, carina, che prima o poi si sarebbe lasciato alle spalle. Non voleva spezzargli il cuore, non era giusto.
 
Eppure, Blaine non si biasimò per aver fissato la mano del suo amico stretta attorno al suo cellulare ed averla immaginata in un contesto del tutto differente e non necessariamente edificante.
 
«Pronto?» Kurt era già arrabbiato.
Probabilmente il nome che aveva letto sul display prima di rispondere era stato sufficiente a prognosticare guai. Blaine era abbastanza sicuro che si trattasse della sua coinquilina: a quanto gli risultava stavano avendo qualche problema ultimamente.
«Oh, io benissimo! E tu? Per quanto ne so potresti benissimo essere morto da settimane. Ti costa tanto prendere in mano un cavolo di telefono e chiamare?!»
 
D’accordo. Evidentemente non si trattava di Rachel. A meno che non avesse lasciato l’appartamento che condividevano rifiutandosi di dare notizie di sé senza che Kurt gli avesse mai detto nulla al riguardo. Un attimo dopo, Blaine socchiuse appena la bocca.
 
Morto?
 
«Questa volta non ti farai perdonare così facilmente- aspetta, cosa?» Kurt spalancò gli occhi, riappoggiando la confezione di zuppa che aveva appena preso in mano.
«...Non posso crederci. E io che cosa faccio? Tu- Tu verrai qui, vero? Ti prego, dimmi che verrai qui.»
Era il suo ragazzo. Era abbastanza chiaro. Un ragazzo con cui evidentemente aveva litigato, magari lo stesso che era uscito con lui gli ultimi mesi di liceo.
 
Un ragazzo che Kurt stava pregando di venire lì, insieme a lui.
Nonostante ci fosse già Blaine, lì, insieme a lui.
 
Era un ragionamento stupido. Così stupido che Blaine non si stupì della conseguente stupidità della sua azione immediatamente successiva.
«Sei fortunato che ti voglio bene. Molto, molto fortunato- Blaine
 
Prima anche solo di pensare – perché era escluso che avrebbe fatto davvero una cosa così idiota a mente lucida – Blaine gli aveva già preso il telefono dalle mani, interrompendo la comunicazione.
 
Kurt rimase immobile a fissarlo per una buona dose di secondi, con un’aria del tutto sconvolta. Blaine era abbastanza sicuro di avere a sua volta qualcosa di simile dipinto in faccia. Quando Kurt parlò, Blaine aveva le sue buone ragioni per credere di essere uscito completamente di senno.
 
«Ti conviene dirmi che in quel telefono c’era una bomba o qualcosa del genere, perché altrimenti sei ufficialmente fuori di testa.» Blaine valutò velocemente le sue opzioni.
Dire la verità – ovvero che per qualche oscura ed insensata ragione era geloso del suo fidanzato – era del tutto fuori discussione. Tuttavia, inventarsi una bugia credibile atta a spiegare un comportamento del genere gli risultava abbastanza complicato.
 
«Pensavo fossimo amici, Kurt.» Improvvisò, con fare accusatorio. Era abituato a convogliare la tristezza nella rabbia. Kurt spalancò gli occhi, incredulo.
«Ma lo siamo, razza di menomato mentale- »
«E allora perché non mi hai detto di avere un ragazzo?» Kurt lo fissò come se gli fosse appena spuntata una seconda testa.
«Blaine, ti droghi?»
«...Eh?»
«Era Finn, il mio fratellastro nonché ex ragazzo della mia migliore amica molto schizofrenica e ultimamente molto lesbica! Mi ha richiamato dopo settimane dicendomi di aver mollato l’esercito e di voler tornare con Rachel. Così gli ho detto di venire qui e chiarire con lei, e adesso conoscerei anche la sua risposta se tu non mi avessi strappato il cellulare di mano!»
 
Blaine avrebbe voluto sprofondare nel pavimento appiccicaticcio del Pickle mart.
 
Non riusciva a credere a quanto aveva appena fatto e – soprattutto – si sentì un vero idiota nel trattenere un sospiro di sollievo.
Quali erano le sue intenzioni, esattamente? Tenersi Kurt come amico e fantasticare su di lui senza permettere a nessun altro di sfiorarlo?
Era irrealizzabile. Era stupido.
 
«Mi dispiace.» Disse semplicemente, consapevole che ogni altra parola che avrebbe potuto aggiungere non avrebbe fatto altro che aggravare la sua già precaria posizione. Tuttavia, Kurt non sembrava propenso a continuare la discussione né ad arrabbiarsi più di quanto non avesse già fatto. Prese un profondo respiro, abbassando per un momento le palpebre.
Blaine avrebbe voluto baciarlo più di qualunque altra cosa al mondo.
 
«Non importa. Lo richiamerò.» Disse alla fine, sforzandosi di abbozzare un sorriso. Kurt tornò alle sue zuppe, e Blaine tornò a fissare Kurt.
 
«...Blaine?» Lo chiamò dopo qualche minuto di silenzio, con un tono esitante. Il moro si affrettò ad allungargli il cellulare che ancora teneva in mano, non senza una certa dose di imbarazzo. Kurt lo prese, scuotendo leggermente la testa.
«Blaine, Finn non è il mio ragazzo, ma... Se lo fosse stato- Perché hai reagito in quel modo?» Blaine lesse qualcosa di simile alla speranza nei suoi – bellissimi, meravigliosi, incredibili – occhi. Era così bello da non sembrare nemmeno reale.
«Ti ho già detto che mi dispiace. Oggi ti offro il pranzo, okay?» Kurt cercò di nascondere la sua delusione abbassando lo sguardo.
 
«Okay.»
 
 

***

 
 
«Non sono normale.»
 
Nick alzò distrattamente lo sguardo dai piatti che stava lavando, trovandosi di fronte un Blaine particolarmente inquieto. Tornò ad strofinare il bicchiere che aveva momentaneamente lasciato sprofondare sul fondo del lavello.
 
«Dimmi qualcosa che non so, Blaine.» Lui sbuffò, appoggiandosi entrambe le mani sui fianchi.
«Si tratta di Kurt.»
«E anche questo è tutto fuorché una novità.» Sottolineò, con voce volutamente annoiata. Blaine lo fulminò con un’occhiataccia.
«Nick. Sono serio.»
«Vai. Ascolterò quanto è meraviglioso il tuo Kurtie, fingerò interesse e tutto il resto.» Nick ignorò del tutto l’ennesimo sguardo omicida appena ricevuto.
 
«...Okay, farò finta di non aver sentito. Diciamo che oggi Kurt era al telefono con un ragazzo. Era suo fratello, ma io ho creduto che fosse il suo fidanzato. ...Così gli ho preso il cellulare di mano e ho chiuso il telefono in faccia a Finn.» Spiegò in fretta Blaine, senza avere davvero il coraggio di guardare Nick in faccia.
 
Sapeva perfettamente a cosa assomigliava, raccontata in quel modo. Sapeva quanto fosse insensato da parte sua essere geloso, soprattutto considerando il tipo di vita che lui stesso conduceva. Non aveva alcun diritto di sentirsi in quel modo nei confronti di Kurt.
Nick si voltò a guardarlo, senza curarsi dei guanti di gomma gialli che sgocciolavano abbondantemente sul pavimento della cucina.
 
«Gesù, Blaine. Ti stai innamorando di quel ragazzo!» Blaine sbuffò una risata, scuotendo la testa.
«Ti prego. Sai benissimo come la penso- »
«Puoi pensare quello che vuoi. Le tue convinzioni non possono cambiare quello che provi.» Naturalmente, Blaine stava già iniziando ad innervosirsi. Era sempre così, quando Nick cercava di farlo ragionare. Avrebbe solo voluto che riuscisse a lasciarsi alle spalle il passato, in qualche modo.
 
«...Devo andare.»
«Blaine- »
«C’è un ragazzo che mi aspetta al bar giù all’angolo. Torno domattina.»
«Un altro? Ancora?» Blaine non rispose. Semplicemente, gli voltò le spalle e uscì in tutta fretta dalla cucina. Un minuto più tardi Nick sentì la porta di casa sbattere, e non poté fare altro che abbandonarsi a un sospiro sconsolato.
 
Si sfilò i guanti e tolse il tappo dal lavello, rinunciando all’eroico proposito di lavare i piatti in favore di una bella dormita: magari qualche ora di sonno in più gli avrebbe regalato la giusta ispirazione per riuscire a ricondurre Blaine sulla retta via. Dopotutto, se non lui, o in alternativa quel meraviglioso Kurt di cui aveva le orecchie piene da mesi, non aveva idea di chi altro potesse aiutarlo.
Raggiunse la camera da letto poco più tardi, e non poté fare a meno di imbambolarsi all’ingresso non appena si rese conto della presenza di un’altra persona, seduta sulla sua parte di materasso.
 
«Ehi.»
Jeff alzò lo sguardo su di lui, gli occhi spalancati di chi è troppo immerso nei propri pensieri per fare caso a chiunque altro. E, se non aveva sentito i passi tutt’altro che discreti di Nick dal corridoio, doveva essere preda di preoccupazioni piuttosto serie.
 
«Ehi.»
Rispose con un filo di voce, stringendo più forte il pugno su un ginocchio. Aveva qualcosa in mano, Nick non avrebbe saputo dire di cosa si trattasse esattamente. Quando il silenzio tra loro iniziò a farsi imbarazzante, Nick si sentì in dovere di dire qualcosa. Di solito era Jeff il chiacchierone tra di loro, e quell’improvviso cambio di rotta lo spiazzava.
 
«Credo che Blaine si stia innamorando di Kurt. Ho appena scoperto che è geloso di lui, oltre a parlarne come di un Dio sceso in terra e a propinarci monologhi inascoltabili su quanto sia adorabile. Pensa che oggi gli ha preso il telefono di mano mentre stava chiamando suo fratello, perché- »
«Nick?»
Lui si interruppe e piegò la testa da un lato, confuso. Non aveva mai visto Jeff così spiazzato da quanto ricordava. E ricordava bene, ricordava ogni cosa quando aveva a che fare con il suo migliore amico.
 
«Stai... Stai bene?- »
«So che non avrei dovuto, ma ho trovato il cassetto del tuo comodino aperto e l’ho presa.»
 Dischiuse lentamente il pugno, rivelando una striscia di stoffa a righe rosse e blu che entrambi conoscevano alla perfezione. Non avrebbe potuto essere altrimenti, dopo averla indossata tutti i giorni per quattro anni delle loro vite. Nick si sentì tremare le gambe, mentre la testa iniziava a girargli. Sapeva perfettamente che avrebbe dovuto nascondere meglio quella cravatta, eppure non l’aveva fatto.
Perchénon l’aveva fatto?
 
«Mi dispiace di aver guardato tra le tue cose, è solo- »
«Jeff. Guardi tra le mie cose da quando abbiamo sei anni. E poi non vedo cosa ci sia di così sconvolgente: ho solo conservato la mia cravatta della Dalton.»
Jeff ascoltò in silenzio le sue parole, annuendo leggermente. Nick si augurò che la cosa sarebbe finita lì, ma – quando il suo migliore amico si alzò dal letto e avanzò verso di lui fino a fermarsi a venti centimetri dalla sua faccia – era abbastanza sicuro che no, non era affatto finita.
 
«Che cosa vuoi che faccia, esattamente?»
«Cos- »
«Ti ho chiesto che cosa vuoi che faccia!»
Jeff stava quasi urlando, e quasi piangendo. Ed era impressionante quanto lui potesse soffrire di riflesso nel vederlo in quello stato.
 
«Jeff...»
«Devo fare finta di crederti? Devo convincermi che è stato normale per te rubare la mia cravatta quando ancora non ci parlavamo e tenerla nel comodino per tutto questo tempo?! Devo pensare che è una cosa da amici, che va bene così?»
Nick decise di fare un ultimo tentativo. In cuor suo, sapeva che non avrebbe funzionato.
«Questa è la mia cravatta- » Jeff indicò una piccola macchia scura in un angolo del pezzo di stoffa.
 
«Secondo anno, biologia. Ero seduto di fianco a Wes quando la sua stupidissima stilografica è esplosa macchiando d’inchiostro qualunque cosa nel raggio di due metri. Compresa la mia cravatta.»
 
Ora stava piangendo davvero, e Nick non si era mai sentito così disperato da quando gli aveva detto che quel bacio – quello che si erano dati mentre litigavano, quello del loro ultimo anno – era stato solo un errore.
 
«Jeff, per favore, non piangere- »
«Ti rendi conto della realtà, Nick? Puoi smetterla di fingere di non capire che sono venuto qui solo per te? Se ne sono accorti anche i sassi, okay?»
Si asciugò una lacrima con la manica del maglione e lo spinse senza troppa delicatezza da una parte, intenzionato a lasciare quella stanza il più in fretta possibile. Nick, però, lo prese per mano. Più o meno nello stesso istante in cui lo investì la consapevolezza che magari – più o meno consciamente – voleva che Jeff trovasse quella stupidissima cravatta.
 
«Lasciami andare- »
«Quando abbiamo fatto pace ti ho detto che quel bacio non è stato un errore,» Jeff sembrava confuso. Nick l’aveva sempre trovato così carino con quell’aria spaesata. Si avvicinò di un passo e – una volta certo che non sarebbe corso via – gli sfiorò timidamente un lato del viso con la punta delle dita.
«...Intendevo davvero quello che ho detto.»
Jeff si limitò a fissarlo per quella che gli parve tutta l’eternità. Poi socchiuse la bocca e iniziò a parlare, con il labbro inferiore che tremava ancora a causa del pianto.
 
«Se il tuo è uno strano modo per chiedermi di baciarci di nuovo, la risposta è sì. In caso contrario dimentica quello che ho appena det- »
Nick non aveva intenzione di dimenticare. Non dimenticava niente quando si trattava di Jeff.
Semplicemente, si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò.
 
Non aveva la completa certezza di quanto stava facendo, affatto. Tuttavia, sapeva che in quel momento era esattamente quello che entrambi volevano. Sentì le dita di Jeff stringersi sulle sue spalle mentre avvicinava i loro corpi, con l’urgenza di chi aspetta da sempre. Nick gli afferrò istintivamente i fianchi con le mani, facendolo voltare e spingendolo senza troppa difficoltà verso il letto.
 
Non smisero di baciarsi quando le loro gambe cozzarono contro il bordo materasso. E nemmeno quando si lasciarono cadere sul copripiumone ancora intatto.
Jeff si separò dalle sua labbra con il fiato corto, senza tuttavia allontanarsi più di qualche centimetro da lui. Nick – prima di poter davvero rendersene conto – aveva già fatto scivolare le mani sotto la sua maglietta. Quando Jeff lo fermò, per un attimo desiderò sparire nel nulla.
 
«Io- uhm, scusa! Non volevo dire che dobbiamo- » Fu zittito con un altro bacio.
«Se domani mi dici che è stato un errore ti uccido.» Nick si sporse verso di lui e lo strinse tra le braccia, facendolo rotolare sul letto con lui e cercando le sue labbra.
 
E Jeff la considerò una garanzia più che soddisfacente.
 
 

***

 
 
«Non è normale.»
 
Rachel inarcò le sopracciglia, senza smettere di girare assiduamente un mestolo di legno nell’acqua che aveva appena messo a bollire.
«Chi non è normale?» Chiese, guadagnandosi un’occhiata scettica da parte del suo coinquilino, che l’aveva appena raggiunta in cucina.
«Beh, prima di tutto tu, dato che stai mescolando dell’acqua. E poi Blaine. È fuori di testa.» Rachel interruppe la sua sterile occupazione e si voltò verso Kurt, appoggiando i fianchi al piano di lavoro della cucina.
 
«Per il fatto che va a letto con chiunque?»
«No, per il fatto che è geloso.» Rachel incrociò le braccia al petto.
«Geloso? E di cosa?»
«Di me.» La ragazza spalancò gli occhi, per poi aprirsi in un enorme sorriso.
«Sul serio? E come lo sai?»
 
Kurt stava per dirlo. Stava sul serio per farsi scappare la faccenda della telefonata di Finn in quel modo, in una mera esposizione delle sue congetture riguardo la presunta gelosia di Blaine Anderson. Se avesse fatto qualcosa del genere, Rachel avrebbe avuto ogni ragione del mondo per accusarlo di anteporre i propri fatti personali ai suoi. Semplicemente, gliene avrebbe parlato con calma dieci minuti più tardi. Di Finn, e del fatto che – stando alla loro seconda telefonata di quel giorno – non aveva intenzione di raggiungerla a New York. O almeno non ancora.
 
«Diciamo che è abbastanza evidente.»
Rachel annuì e sollevò il contenitore pieno di pasta cruda dalla bilancia elettronica, per poi far sprofondare la loro cena nell’acqua bollente.
Kurt seguì con lo sguardo la traiettoria dei piccoli schizzi d’acqua generati da quella collisione.
 
«Glielo voglio dire.» La ragazza aggrottò la fronte.
«Kurt, ti voglio bene, ma non sono certa di seguire i tuoi flussi di coscienza stasera- »
«Che mi piace. Tanto. Voglio dirlo a Blaine, anche se lui non crede a questo genere di cose.»
«Kurt- »
«Sì, lo so: è una pessima idea. Ma mi conosci: a fingere faccio piuttosto schifo.» Rachel scosse la testa con un piccolo sorriso, girando – stavolta sensatamente – il contenuto della pentola.
 
«Concordo pienamente sul fatto che dovresti dirglielo. Se non altro mescolerà un po’ le carte in tavola, non credi?» Kurt si sporse per prendere due tovaglioli, deciso ad aiutare Rachel nell’allestire la cena.
«E tu invece? Hai preso qualche decisione riguardo Quinn?»
«Ho fatto come hai detto tu: le ho scritto un messaggio dicendole che andava tutto bene e che l’avrei chiamata presto...» Kurt attese qualche istante e, siccome il palese seguito di quella frase tardava ad arrivare, decise di agire per primo.
 
«E...?»
«E mi manca.»
 
Kurt e Rachel, mentre stavano avendo quella conversazione nella tranquillità della loro cucina, erano ben lungi dall’immaginare cosa stesse accadendo a pochi isolati di distanza, nell’ennesimo stereotipato appartamento squallido che iniziava sul serio a disgustare Blaine, quasi con la stessa intensità con cui lui odiava se stesso per le parole che aveva appena propinato allo sconosciuto con cui avrebbe dovuto passare la notte.
Naturalmente, erano ancora più lontani dall’immagine di una ragazza che – senza un motivo apparente – si trascina fino in stazione e sale sul primo treno per New York su cui le cade l’occhio nel tabellone delle partenze.
 
 

***

 
  
 
 
 
 
 
 
Eccoci qui ^_^
Ave, o elette anime sopravvissute alla performance di Come What May. Anche stavolta non posso dilungarmi perché ho talmente tanta roba da studiare che questa vita non basterebbe :’) *ride per non piangere*
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e vi anticipo che il prossimo conterrà una svolta non trascurabile ;) Un enorme bacio a chiunque abbia messo questa storia tra seguite/preferite/ricordate e soprattutto a chi la recensisce, che madda sempre il mio day u.u
Un ringraziamento particolare alla mia adorabile nonché stupenda moglie (che si da il caso sia anche la mia beta) che mi ha impedito di scrivere cose come “mane” al posto di “mani” o “il suo fratello” <3
A presto guys, vi amo!
_Ari
 
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Capitolo 13
*** XIII__Stay ***


Capitolo 13
 

“Sono poche le ragioni per dire la verità, mentre quelle per mentire sono infinite.”
_Carlos R. Zafon

 
 
 
 
 
Blaine cercava di trattenere il fiato.
 
Ci provò più a lungo possibile, nella speranza di non sentirsi invadere le narici dall’odore di lenzuola vecchie e colonia da due soldi che in qualche modo si fondevano perfettamente, in una completa cornice di squallore. Tenne chiusi gli occhi. Ermeticamente chiusi.
 
Voleva coinvolgere meno sensi possibile in ciò che stava facendo. Voleva tenere se stesso lontano da quel letto, quelle coperte e quel ragazzo che – inevitabilmente – continuava a toccare come se volesse davvero farlo. Strinse più forte le palpebre, abbastanza da riuscire a vedere nel buio una lunga serie di pallini bianchi.
Si concentrò sulle mani sconosciute che scorrevano sul suo corpo, sulle labbra che cercavano inutilmente le sue e – rassegnate – finivano per cambiare destinazione.
 
E poi – proprio mentre Blaine iniziava a pensare che sarebbe finita senza intoppi – accadde.
 
Di nuovo.
 
«Kurt...»
Sperò che fosse solo nella sua testa. Di solito era sempre nella sua testa. Eppure, quella volta era quasi sicuro di aver sentito la sua stessa  voce risuonare nella stanza. Al di sopra dei gemiti nauseanti del ragazzo al suo fianco, e del suo starsene zitto e far finta che andasse tutto bene. Perché Kurt era al di sopra di tutto.
 
«Kurt?» Il tizio smise di fare quello che stava facendo. Blaine fu costretto ad aprire gli occhi.
«Chi è Kurt? Il tuo ragazzo?» Blaine scosse la testa.
«Perché è abbastanza deprimente fare sesso con qualcuno che ti chiama con il nome di un altro.»
«No, io non- »
«Credo che dovresti andartene.»
 
Blaine non voleva piangere. Quando le cose si facevano troppo dure non piangeva.
Si ripiegava su se stesso e sperimentava com’era morire mentre il cuore continua a batterti.
 
 

***

 
 
Erano le quattro passate quando Blaine si richiuse la porta di casa alle spalle.
La sua testa cercava disperatamente di tenere il passo con la confusa mole di pensieri di cui era piena fino all’orlo, senza particolare successo. Si sfilò la giacca e la lanciò da qualche parte vicino al divano, lasciando che le sue macchinazioni senza capo né coda continuassero a loro piacimento.
Pensò al giorno in cui aveva rischiato di perdere il lavoro: era la terza volta che pensava a Kurt mentre era con uno dei suoi ragazzi-fantasmi. Le prime due erano state classificate come coincidenze, la terza era stata affogata dalla peggiore ubriacatura della sua vita. Purtroppo, dopo più di una giornata di estraneazione dalla realtà, se ne ricordava ancora alla perfezione.
 
Pensò al ragazzo-fantasma di quella sera, e si sforzò di riportare alla mente il colore dei suoi capelli. Pensò che aveva sonno. Pensò a Kurt. Pensò agli occhi di Kurt, al sorriso di Kurt e ad ogni altra cosa che riguardava Kurt. Pensò che quello che provava per lui era la cosa più vicina all’amore che potesse esistere.
Poi pensò che doveva essere davvero stanco per pensare qualcosa del genere.
 
Blaine raggiunse la camera da letto che condivideva con Nick nel giro di pochi minuti, camminando nel buio in punta di piedi in modo da non svegliare il suo amico.
Tutto quello che gli serviva era una manciata di ore di sonno per schiarirsi le idee. È universalmente noto che le realizzazioni da cui si è colpiti di notte alla luce del giorno finiscono per mostrarsi per quello che sono: fantasie senza capo né coda.
Si sedette a colpo sicuro sulla sua parte di letto. Se non fosse stato per il fatto che quello sotto al suo sedere non era un lenzuolo appallottolato.
 
«AAH!!» Blaine scattò in piedi un decimo di secondo più tardi, evitando per un pelo di mettersi ad urlare a sua volta.
«Ma sei deficiente?! Ti sei seduto su una mia gamba!» Protestò animatamente una voce che – quello era poco ma sicuro – non apparteneva a Nick.
«...Jeff? Cosa cavolo ci fai al mio posto?- »
«Fidati: non vuoi saperlo.»
Però, Blaine voleva saperlo. Lo voleva davvero dato che essere sfrattato sul divano di un appartamento che era stato lui a volere in primo luogo non era esattamente il massimo della sua aspirazione, per quanto fosse contento che i suoi amici si fossero riavvicinati. Così accese la luce. E se ne pentì amaramente.
 
«No.»
«Sì.» Rispose prontamente un Jeff senza maglietta, grazie a Dio sotto le coperte dalla vita in giù, che lo fissava con un sorriso vittorioso e vagamente ebete sulla faccia. Di fianco a lui, c’era Nick. Sdraiato a pancia in giù e con la faccia schiacciata nel cuscino. Russava come un trattore ed era completamente nudo a parte un ridicolo bordo di lenzuolo piazzato sopra al suo fondoschiena come un centrino su un tavolo. Blaine si chiese perché diavolo stava pensando ai centrini mentre aveva appena beccato Jeff e Nick nel suo cavolo di letto.
 
«Voi... no.»
«Oh, noi .» Nick smise di russare, evidentemente infastidito dall’improvvisa luminosità della stanza. Aprì un occhio.
«Blaine, vai via.»
«Ma- Ma voi- »
«Già. Due volte.» Si vantò, ricevendo uno schiaffo sulla spalla da Jeff. Blaine impiegò qualche istante a formulare la sua successiva affermazione.
 
«Voi... Nel mio letto?! Che schifo!!»
«Ehi, sono le quattro di mattina- »
«Sì, sono le quattro di mattina e voi avete fatto sesso nel mio cavolo di letto!»
«Ne parliamo domani. Adesso tu vai sul divano.»
«Ma- »
«Divano. Oppure puoi metterti qui con noi. Su questo letto. Questo letto che non verrà cambiato fino a domani mattina.» Precisò allegramente Jeff, senza togliersi quel sorrisetto idiota dalla faccia.
 
Blaine accettò la sua sconfitta come totale e definitiva. Il giorno in cui aveva deciso di provare ad appianare le cose fra loro, aveva implicitamente firmato la sua condanna a morte. Di sicuro quella della sua schiena, condannata a soffrire sul divano letto da lì all’eternità.
Nick voltò pigramente il collo verso di lui.
«Sei ancora qui?» Blaine sbuffò rumorosamente e spense la luce, muovendosi a passo di marcia verso la porta. Non era un fan delle parolacce o delle imprecazioni in generale, ma a volte erano seriamente indispensabili.
 
«Andate a farvi fottere.»
«Già fatto.»
 
Oh, già.
 
 

***

 
 
Rachel si accoccolò sul divano, la testa appoggiata al bracciolo, una cioccolata calda in mano e gli occhi fissi sullo schermo del televisore, sul quale scorrevano le immagini delle ultime repliche di America’s Next Top Model.
Avrebbe passato il suo pomeriggio esattamente in quel modo, per quanto improduttivo potesse sembrare. Kurt era fuori con Blaine, i corsi della NYADA si avviavano velocemente verso la pausa Natalizia e lei, francamente, voleva solo concedersi una pausa.
 
Allungò tranquillamente le gambe sui cuscini; non fece nemmeno in tempo a considerare l’idea di andarsi a mettere qualcosa di più comodo che il campanello di casa stava già suonando.
Rachel sbuffò, ormai rassegnata all’idea che stare in pace tra quelle mura per più di venti minuti era evidentemente una richiesta troppo pretenziosa.
 
Aprì la porta con una certa svogliatezza e – non appena si rese conto di chi aveva di fronte – per poco non lasciò cadere a terra la tazza di cioccolata che ancora teneva in mano.
 
«Q-Quinn?»
Era bellissima. Qualunque altro aggettivo a cui avesse potuto ricorrere per descriverla sarebbe sembrato inadeguato di fronte ad una verità semplice e lampante come quella. Portava un vestito bianco, un paio di stivali pesanti e una spessa giacca marrone. Rachel la fissava con la bocca socchiusa, mentre la mente le si annebbiava al ritmo sconclusionato dei battiti del  suo cuore. Quinn abbozzò un sorriso.
 
«Ciao, Rachel.» Nessuna risposta.
«Posso entrare?» Rachel  annuì in fretta, facendosi velocemente da parte per lasciarla passare. Quinn entrò in casa senza guardarla negli occhi, fingendo di trovare estremamente interessanti i bottoni della sua giacca.
Rachel richiuse la porta dell’appartamento, e per un attimo le domande che avrebbe voluto farle superarono abbondantemente le capacità limitate del suo cervello, irrimediabilmente compromesso dalla sola presenza  dell’altra ragazza.
 
«Vuoi- Vuoi qualcosa da bere? Ho appena fatto della cioccolata.»
«Oh... Certo.»
Quinn non voleva sembrare a disagio. In realtà, aveva impiegato una vita ad imparare come fingere di essere sempre e comunque padrona della situazione, anche e soprattutto quando non sapeva dove sbattere la testa. Ed era proprio la capacità di non farsi mai cogliere in contropiede a separare nettamente i perdenti dai vincenti: aveva perso il conto delle volte in cui se l’era ripetuto in quegli anni.
Eppure in quel momento – nonostante tutta la sua buona volontà – Quinn non era in grado di comportarsi come era abituata a fare. Guardò Rachel avviarsi in cucina e si sedette cautamente sul divano, sistemandosi i capelli dietro le orecchie.
La ragazza riapparve pochi minuti più tardi con una tazza fumante, e Quinn sperò di sprofondare nel divano. Come aveva potuto essere così stupida da baciarla? Come, dopo tutti quegli anni passati a concentrare tutte le sue energie da un ragazzo all’altro, nel tentativo di essere sempre troppo occupata per fermarsi e provare sul serio a capire cosa le stesse succedendo, e perché diavolo non potesse fare altro che incentrare ogni cosa che faceva su Rachel Berry.
 
Così Quinn non la guardò negli occhi quando le porse la sua tazza di cioccolata. Continuò a fissarsi le punte delle scarpe, perché non riusciva a credere di aver davvero mollato tutto, aver preso il primo treno disponibile ed essersi catapultata a New York. Per Rachel. Era sempre stato tutto per Rachel. Lei si sedette cautamente al suo fianco – Quinn finse di non notare l’attenzione che impiegò nel non mettersi né troppo vicina né troppo lontana da lei.
«Allora... Tutto bene a Yale?» Annuì lentamente, prendendo una breve sorsata di cioccolata.
«Sì. Insomma, è impegnativo. Ma non è una novità.» Rachel inspirò a fondo e appoggiò la sua tazza ai piedi del divano.
 
«...Non hai intenzione di fingere che non sia successo, vero? Perché non hai idea di quante notti ho passato sveglia a scrivere delle liste di pro e contro su cosa avrei dovuto fare- »
«Rachel.»
«Ho praticamente rischiato di far morire di infarto Kurt- »
«L’hai detto a Kurt?!»
«Certo che gliel’ho detto! Non... Non è qualcosa che potevo affrontare da sola.»
Balbettò, evitando accuratamente il suo sguardo. Dirlo ad alta voce lo faceva sembrare estremamente stupido: Quinn aveva dovuto sentirsi confusa almeno quanto lei, eppure non aveva avuto bisogno del supporto morale di nessuno per trovare il coraggio di alzarsi e andare da lei per mettere in chiaro quella situazione.
 
«...Comunque non avrei dovuto baciarti senza il tuo permesso. Mi dispiace.»
«No. Non- non devi scusarti.» Quinn rise nervosamente.
«Rachel, non farlo.»
«Fare che cosa?»
«Fingere che vada bene così.» Rachel prese un respiro profondo, voltandosi alla fine a fronteggiare la ragazza al suo  fianco.
«D’accordo. Se è questo che vuoi te lo chiederò: perché mi hai baciata?»
 
«Perché non c’era più niente che me lo impedisse.»
Rispose prontamente Quinn, con la sicurezza di chi ha già avuto modo di farsi quella domanda parecchio tempo prima. Rachel socchiuse la bocca, sorpresa.
 
«...Che cosa significa?»
«Esattamente quello che ho detto, Rachel. Non sono più la capo cheerleader alla caccia del fidanzato più popolare per tenersi a galla, non ho più bisogno di dare significato alla mia vita sulla base di cosa pensano gli altri di me. Non sono più in cima a una piramide. Sono me stessa e basta- »
Rachel si alzò in piedi in una mossa fulminea, piazzandosi di fronte a lei con l’indice e il medio di entrambe le mani ben premuti sulle tempie e il suo immancabile atteggiamento teatrale che, arrivati a quel punto, difficilmente l’avrebbe mai abbandonata.
 
«Quinn, tu... avevi detto di avere trovato la vera te stessa anche quando ti sei unita alle Skanks, o quando hai ritrovato la fede dopo essere rimasta in sedia a rotelle per- Dio, per colpa mia. Però ti prego, mettiti nei miei panni. Come faccio a crederti?» Tentò disperatamente di nascondere l’incrinarsi inesorabile della sua voce. Perché se voleva davvero lasciarsi andare a quell’enorme punto di domanda che era il suo rapporto con Quinn Fabray, aveva bisogno di una certezza. Gliene bastava una sola, una sicura a cui potersi aggrappare in modo da non essere travolta da tutto il resto.
 
«Ehi...»
«Dimmi solo come faccio a crederti. Per favore.» Quinn strinse le labbra, ripulendosi dalle ultime tracce di cioccolato. Lasciò la tazza mezza vuota sul pavimento vicino a quella di Rachel e si mise in piedi, con entrambe le mani strette sulle spalle della ragazza che aveva di fronte.
 
«Rachel, so di aver passato buona parte del tempo a comportarmi come una bambina, okay? Lo capisco, e capisco anche che questo adesso ti spinga a non credermi. Però... Non hai mai- non hai mai sentito il bisogno di respingere le cose che ti spaventano?» Rachel annuì, confusa.
«Sì. Credo di sì, insomma, sono un’artista, non ci sono molte cose che mi fanno paura- »
«Io ho provato a respingere te. L’ho fatto per parecchio tempo, fin dal primo anno in realtà, quando lasciavo quei commenti poco carini ai tuoi video su My Space o facevo certi disegni nei bagni...»
«Già. Come dimenticare quei disegni.»
«Mi dispiace. È che avevo troppo da perdere a fare... quello che ho fatto l’altro giorno in stazione. E poi avevo già troppi problemi per conto mio.» Rachel annuì brevemente, tenendo lo sguardo basso.
 
«...Ma stiamo crescendo, il liceo è finito. So di non avere nessun diritto di chiederti una possibilità- »
«Stai dicendo che vuoi stare con me?»
«Sì.»
«Oh mio Dio- »
«Rachel, non ti sto promettendo che sarà tutto perfetto, okay? Ti sto promettendo che ho tutte le intenzioni di provarci. ...E se continuo a parlarti è perché credo che anche tu provi qualcosa per me.»
 
Ne seguì un lungo momento di silenzio.
Tra le manciate di secondi più disperatamente infinite che Quinn avesse mai sperimentato. Scandì mentalmente gli istanti che la separavano dalla risposta di Rachel, decisa a andarsene da quella casa allo scadere del suo personale countdown per non rendersi ulteriormente ridicola.
Stava già lasciando la presa sulle sue spalle quando Rachel la fermò.
 
«Va bene.» Quinn trasalì.
«Cos...»
«Io- Io ci ho pensato. A quello che hai significato per me in questi anni, e poi in questi ultimi mesi. Alle cose che abbiamo passato e al fatto che avrei- avrei davvero voluto fare in tempo a ricambiare quel bacio- »
«Avresti- »
«Lasciami finire.» Quinn sorrise. Già. Mai interrompere un monologo di Rachel Berry. Il fatto che da quel momento in avanti avrebbe dovuto ricordarsene più spesso non poteva fare a meno di farla sorridere.
«Mi sono chiesta se questo può significare che sono- insomma, che mi piacciono le ragazze. E non lo so, insomma, non credo. Poi ho smesso di pensarci e mi sono chiesta se provare a stare con te era quello che volevo e che in quel momento mi avrebbe resa felice. E la risposta è sì. ...Perché ridi?»
«Perché parli sempre troppo.» Rachel abbassò lo sguardo, e Quinn era abbastanza sicura che fosse arrossita. Si avvicinò a lei di un altro passo.
 
«E perché sono felice.»
Ammise con un piccolo sorriso, timidamente ricambiato dalla ragazza che aveva di fronte. Quinn le sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio, facendosi abbastanza vicino da rendere ovvia la sua intenzione di baciarla, lasciandole tuttavia l’alternativa di voltarsi ed evitarlo.
 
Rachel si sporse quel poco che bastava a far sfiorare le loro labbra, appoggiandole timidamente le mani sui fianchi. Quinn lasciò che fosse lei a muoversi, a fare quello che si sentiva: ora che l’aveva davvero tra le sue braccia non aveva la minima intenzione di fare niente che potesse farla andare via. Era troppo importante; era troppo tempo che si impediva anche solo di immaginare uno scenario del genere per permettersi di mandare tutto all’aria.
La titubanza iniziale di Rachel perse a poco a poco consistenza, e Quinn non riusciva a credere che stesse succedendo sul serio. Non quando la sentì respirarle contro la bocca e stringere forte la stoffa del suo vestito.
 
«Oh. OH! Woah
 
Rachel si separò bruscamente da lei, ed entrambe si girarono in direzione della porta, verso uno sgomento Kurt, che le fissava letteralmente a bocca aperta.
«Kurt! Ciao- ehm,»
«Quinn, Rachel. Vi chiederei come si sono evolute le cose, ma a quanto mi sembra di capire- »
«Sì. Noi... sì.» Kurt annuì, celando a stento un sorrisetto.
 
«Okay. Buon per voi.» Quinn prese dolcemente la mano di Rachel, che gliela strinse a sua volta. Kurt appese la giacca su una delle sedie del tavolo da pranzo, per poi rivolgersi di nuovo alle ragazze.
 
«...Penso sia il caso di liberare il nostro sgabuzzino e comprare le lenzuola per l’altro letto.»
 
 

***

 
 
Mancavano poco più di due settimane all’inizio delle vacanze di Natale. Non che questo avesse cambiato minimamente l’intensità dei turni lavorativi al Pickle, né tantomeno le noiose sessioni domenicali di inventario, dove Kurt rimaneva bloccato con Blaine fin ben oltre l’orario di chiusura.
 
«Mi passi quelle bottiglie?»
Blaine annuì senza particolare entusiasmo, raggiungendo con passo lento il lato opposto del magazzino in penombra in cui erano rinchiusi. Kurt si trattenne a stento dall’alzare gli occhi al cielo. Rimanere segregati lì dentro la domenica sera non era già una gran bella prospettiva di per sé senza che ci si mettesse anche Blaine con il suo umore altalenante.
A dire il vero, erano già parecchi giorni che si comportava in quel modo, e Kurt iniziava seriamente ad irritarsi – oltre che essere preoccupato per lui, cosa che comunque non aveva la minima intenzione di ammettere. Blaine tornò con una confezione da sei di una bevanda energetica non meglio identificata, che Kurt infilò nel suo scomparto con le rimanenti.
 
«Okay, di queste ne ordinerei venti scatole. Anche se ancora mi sfugge come mai la gente si ostini a comprare questo schifo.» Blaine annuì, limitandosi a segnare le direttive dell’altro sul foglietto che aveva in tasca. Kurt inarcò le sopracciglia, incrociando le braccia al petto.
 
«Non essere troppo simpatico, mi raccomando.»
Non voleva essere così diretto, sul serio. Il problema era che altalenarsi ogni giorno tra le giostre emotive di Rachel e quelle di Blaine cominciava ad essere veramente stancante. Soprattutto per il fatto che – in qualche strano modo – l’umore del suo amico finiva per riflettersi anche sul suo, e non era esattamente piacevole.
 
«Mi dispiace.» Rispose con un filo di voce, continuando a fissare intensamente il foglietto che aveva in mano. Kurt sentì lo stomaco contorcersi dolorosamente per il tono triste che aveva usato.
 
«Blaine. Mi dici che succede?»
E sì, sapeva perfettamente che non gli piaceva parlare di se stesso, ma Kurt aveva bisogno di saperlo. Perché voleva aiutarlo, vederlo così lo faceva stare male e per il piccolo ma significativo dettaglio che – nonostante tutti i suoi sforzi per evitarlo – aveva finito per innamorarsi di lui.
Non era la cosa giusta; ma non aveva avuto scelta.
 
Blaine rimase immobile, in un silenzio che sfiorava l’inquietante. Fino a quando non venne interrotto.
 
«Blaine? Oh mio Dio- P...Perché stai piangendo?»
Oh, no. Non era a questo punto che voleva arrivare, affatto. Kurt non aveva la minima intenzione di farlo piangere- cosa diavolo aveva fatto per farlo piangere? Fece un passo avanti, a disagio. Qualcuno avrebbe dovuto scrivere una specie di manuale con le norme di comportamento da adottare in casi come quello. Gli appoggiò sperimentalmente una mano sulla spalla, allontanandola non appena Blaine fece un passo indietro.
 
«Ehi? Va tutto bene- »
«No- No, Kurt! Non va bene per niente!» Sbottò, a voce abbastanza alta da far risuonare tutto il piccolo magazzino in cui si trovavano. Kurt iniziava seriamente a spaventarsi.
«Parlami, allora. Dimmi cosa c’è che non va.» Blaine scosse la testa, sollevando finalmente lo sguardo verso di lui.
 
Vederlo così gli spezzò il cuore.
 
«Non- Non posso dirtelo.»
«Sì che puoi. Puoi dirmi tutto, ricordi? È a questo che servono gli amici.» Blaine si lasciò andare a una risata triste, sotto lo sguardo confuso dell’altro.
«È questo il punto. Non posso dirtelo perché io- io non so cosa mi sta succedendo.»
 
Kurt cercò il suo sguardo, senza riuscire a catturarlo per più di qualche istante. Non aveva idea di che cosa stesse parlando; in realtà, avrebbe solo voluto abbracciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, perché c’era lui al suo fianco. Però non poteva prometterglielo, e soprattutto lui non era al suo fianco. Non nel modo in cui avrebbe voluto. Così si limitò a parlare.
 
«Se non sai cosa ti sta succedendo non significa che non dovresti provare a dirmelo. Parlarne con qualcun altro di solito aiuta a schiarirsi le idee. Come con Quinn e Rachel- »
«È colpa tua.» Kurt rimase completamente spiazzato.
«...Che cosa?!»
 
«No, non in senso letterale, ma- non capisco. Non capisco cosa diavolo mi hai fatto, perché da quando ti conosco è diventato così difficile... » Continuare con la vita di prima. Andare a letto con qualcuno senza immaginare che sia tu. Non dirti che sei il ragazzo più bello che abbia mai visto nonostante lo pensi continuamente.
 
Tuttavia, Blaine non disse nessuna di quelle cose.
Non poteva farlo, non davanti agli occhi brillanti che lo fissavano nella penombra della stanza con qualcosa di simile all’aspettativa. Kurt era bellissimo, era tutto ciò a cui riusciva a pensare e stava facendo crollare miseramente ogni sua singola certezza. Ed era lì. In uno sgabuzzino minuscolo e poco illuminato, con quel suo corpo perfetto e quelle labbra socchiuse, mentre lo guardava.
 
Così, nonostante ogni briciola rimanente del suo buon senso gli urlasse contro le più improbabili ingiurie, si ritrovò a fare l’ultima cosa che avrebbe dovuto al mondo.
Ma di tutto questo – qualche istante più tardi, quando stava già baciando Kurt – non gli importava più niente.
 
Non paragonato a quelle labbra morbide e calde premute sulle sue – esattamente come le aveva sempre immaginate, solo mille volte meglio – o alle sue braccia, che si erano avvolte all’istante dietro al suo collo. Kurt lo strinse forte contro di sé, e Blaine non poté fare niente per impedirsi di chiudere le dita a pugno intorno alla stoffa spessa della sua giacca, avvicinandoselo abbastanza da sentire tutto il proprio corpo premere contro il suo.
Ed era troppo. Troppo vicino, troppo bollente e troppo perfetto per essere sopportato.
 
Blaine fece scorrere una mano lungo la sua schiena fino a raggiungerne la base e applicare la pressione necessaria a far scontare i loro fianchi. Kurt barcollò appena, respirando rumorosamente contro la sua bocca e insinuando istintivamente una gamba tra le sue, in una mossa avventata che fece perdere l’equilibrio ad entrambi.
Si schiantarono senza particolare delicatezza su qualche confezione di bottiglie di plastica, che Kurt cacciò via a suon di gomitate, senza smettere di tenerlo stretto e mordicchiargli le labbra.
 
Blaine non era ben certo di come fossero arrivati a quel punto, con lui a cavalcioni di Kurt, aggrappati disperatamente l’uno all’altro sul pavimento di un magazzino.
Eppure, i sospiri tranquilli del ragazzo sotto di lui erano reali, così come le sue unghie conficcate nella schiena e le ginocchia strette attorno ai suoi fianchi.
 
Ed era perfetto, era tutto completamente e totalmente perfetto-
«Oh- Blaine...» Fino a quando smise di esserlo.
 
E fu più o meno nel momento in cui la voce di Kurt raggiunse per la prima volta le sue orecchie che si accorse davvero di quello che stava facendo. E di quanto fosse sbagliato, e folle, e di che persona orribile lui fosse. Come- Come poteva averlo fatto sul serio? Come poteva fare questo a lui?
 
Blaine spalancò gli occhi e si liberò dalla presa di Kurt, scattando in piedi tanto in fretta da farsi girare la testa.
Lo sguardo confuso e spaventato che ricevette fu una delle cose più insopportabili di tutta la sua vita.
 
«C-Cosa c’è? Ho fatto qualcosa di sbagliato- »
«Mi dispiace. Scusami, mi- mi dispiace tanto.»
 
E con quelle parole, semplicemente, gli voltò le spalle e uscì dal magazzino.
Quando Kurt si sollevò sui gomiti per provare ad urlargli di non andarsene, la porta si era già chiusa.
 
E lui stava già piangendo.
 
 

***

 
 
 
 
 
 

 
 
Eccoci qua ^_^
Well... Che dire? Un capitolo piuttosto intenso u.u *schiva allegramente i pomodori che le stanno lanciando*.
Sì, lo so: non è un gran bel finale per quanto riguarda i Klaine... Ma quando mai ho mai scritto bei finali :’)? Non vi anticipo niente per quanto riguarda il prossimo capitolo, mi limito a lasciare i Klainers nella sofferenza e nel dolore (non è vero, dai, non ho un cappello giallo, di me potete fidarmi) e mandare tanto love agli shipper Niff & Faberry u.u
Detto questo, al solito ringrazio chi ha aggiunto questa storia a seguite/preferite/ricordate, e soprattutto a chi recensisce: siete l’amore :’) <3 <3
Ne approfitto anche per dirvi che secondo i miei calcoli questa storia dovrebbe avere un totale di 20 capitoli ;)
Una menzione speciale per la mia beta nonché lover nonché wife nonché preziosa compagna di scleri e idee per fanfiction, senza la quale sarei sperduta come un Blaine in un negozio di papillon.
A presto guys, ve amo <3 <3
 
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