Shot me outta the sky. di lietome_ (/viewuser.php?uid=164362)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** 17. ***
Capitolo 18: *** 18. ***
Capitolo 19: *** 19. ***
Capitolo 20: *** 20. ***
Capitolo 21: *** 21. ***
Capitolo 22: *** 22. ***
Capitolo 23: *** 23. ***
Capitolo 24: *** 24. ***
Capitolo 25: *** 25. ***
Capitolo 26: *** 26. ***
Capitolo 27: *** 27 - ultimo. ***
Capitolo 1 *** 1. ***
1.
Harry
passa davanti a quel bar come ogni
mattina e, come ogni mattina, guarda dentro dalla vetrata fantasticando
sulla
vita di tutta quella gente che non è lui.
Rallenta
il suo passo come ogni mattina e la cerca tra i tavoli, dietro al
bancone,
nascosta tra tutta quella gente.
Poi
la vede.
Seduta
al lato del banco, aspettando qualcuno che abbia bisogno di lei.
Il
grembiule bianco torbido scomposto sopra le gambe, chiuse come le
labbra.
Harry
corre a cercarle il viso con lo sguardo, sapendo già
l’espressione che vi
troverà dipinta sopra.
Un
cocktail di sonno e sopportazione malcelato dietro ad un sorriso sempre
gentile; il tutto servito con due occhi che sa guarderanno da
un’altra parte,
ci cui Harry non ha ancora capito il colore.
Il
cartellino che porta al petto dice “Allyson” e
Harry annuisce riprendendo a
camminare verso la macchina.
Le
sorride ormai distante.
Lui
le è passato davanti, come ogni mattina; il ragazzo riccio
dagli occhi verdi
che sembrano spaccare la vetrata che li separa.
Lui la cerca e lei si lascia trovare, lui la legge e lei
non glielo
permette, mantenendo lo sguardo sempre altrove, guardandolo riflesso da
qualche
parte, sorridendo dentro.
Entrambi
sanno che si vedranno la mattina seguente, entrambi sanno che
basterebbe uscire
dalla porta posta sempre tra loro, entrambi sanno che nessuno dei due
lo farà
mai.
__
Alzare
il volume della radio e battere il tempo sul volante, abbassare il
finestrino e
sorridere difronte alla primavera che arriva anche a Londra.
Niall
decelera in prossimità di un semaforo, ma scatta in avanti
quando questo
diventa verde.
Tutto
un ballo fra i tre pedali, il volante e la frizione.
Il
telefono gli vibra ripetutamente nella tasca davanti dei pantaloni
beige, ma
lui non stacca gli occhi dalla strada.
Il
Dj passa, con voce squillante, la linea ad una certa Sarabeth,
ascoltatrice che
chiama da chissà dove per chiedere una canzone da dedicare a
chissà chi.
Niall
è affascinato da tutto ciò che non conosce, che
potrebbe essere una variabile.
“Ciao
a tutti” inizia Sarabeth storpiata dal telefono e dalla radio
contemporaneamente, un omicidio alla voce naturale. “Volevo
sentire What makes
you beautiful dei One Direction.”
“Perfetto
Sarabeth, a chi la vorresti dedicare?” la incalza il Dj,
proprietario di una
voce suadente e dieci volte più naturale di quella di lei.
“Oh,
beh…”
Se
Niall potesse vederla saprebbe che si sta mordendo le labbra, lottando
mentre
cerca di trovare le chiavi di casa.
“La
vorrei dedicare a Niall, che forse non sa quante cose lo rendono bello,
che
forse non sa quante persone lui rende belle, che vorrei tanto sentisse
questo.”
Niall
guarda la radio cercando di darle un volto.
Si
sente bene dentro, in fondo, nel profondo, grazie a quelle poche
parole.
Sorride
ulteriormente.
E
se lo vedessero ora si potrebbe creare un’intera
costellazione di sorrisi.
“Ma
ho smesso di credere nei miracoli.” Lei finisce, sospira,
chiude la chiamata e
parte la canzone.
E
il sorriso sul volto di Niall si spegne e con esso tutte le sue
ipotetiche
terminazioni, i suoi satelliti.
Sono
le 09.32 e lui nel giro di cinque minuti è cambiato tre
volte.
__
“Puoi
anche evitare di dirmi tutto un’altra volta, guarda che ti ho
capito!”
La
voce al limite tra il parlato e l’urlato.
“No,
Louis, tu non hai capito proprio un caz*o!”
Lei
si passa una mano tra i capelli, stanca e arrabbiata.
Stanca
di essere arrabbiata, arrabbiata di essere stanca.
“Samantha”
si chiamano ogni due frasi per ricordare all’altro che si
ricordano ancora il
suo nome.
“Samantha,
perché non mi credi?”
“L’ho
letto, Louis! Che ti hanno visto con una e che…”
“No,
Samantha, non voglio sentire tutto di nuovo, voglio solo capire
perché non ti
fidi di me.”
Fa
una pausa, mentre dentro sta franando sempre di più.
“Lou,
io l’ho letto; perché vuoi continuare a
mentirmi?”
Le
labbra secche.
Lui
che si sente un innocente a cui
stanno per dare la sedia elettrica.
“Io
non ti sto mentendo, è questo il punto!”
Lei
gli sbatte il giornale sul tavolo, lo spiana violentemente con la mano.
“Ti
credevo una persona migliore, Louis.”
Nessun
“addio”, solo la sua figura che si allontana.
Louis
alza il giornale e punta gli occhi, per la prima volta, sulla pagina
incriminata.
La
foto c’è. C’è
e lui scoppia a
piangere.
Sono
due pagine che hanno distrutto la fiducia che lei nutriva per lui, il
loro rapporto,
che gli hanno tagliato i collegamenti con l’amore.
Louis
continua a leggere, continua a farsi del male.
Il
telefono squilla lontano. La porta per la salvezza.
Appoggia
nuovamente la rivista, la foto sotto la luce.
Lui
e Gemma, la sorella di Harry, fotografati più volte mentre
entrano in casa di
lei.
Ridono
e Louis riuscirebbe anche a ripetere il perché.
Stava
andando a casa di Harry per andare poi con lui dagli altri, lo stava
passando a
prendere quando aveva incrociato Gemma per la strada che tornava a casa.
Si
erano incamminati assieme ed erano stati immortalati da più
fotografie
destinate poi a rovinare il suo mondo così perfetto.
L’apocalisse.
Che
ve ne pare? Spero sia stato un buon inizio.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** 2. ***
2.
“Ciao
Michael, sono Niall.”
L’aria
della primavera, fuori dalla finestra cade a gocce somigliando
così tanto al
freddo inverno appena finito.
“Ehi
Niall, come stai?”
La
voce sentita poco prima alla radio continua a mantenere il suo tono
naturale e
suadente.
“Benissimo,
ma starò ancora meglio se tu mi farai un favore.”
Questi
sono i momenti in cui ama essere famoso, ama conoscere tutta quella
gente, ama
sapere di poter chiedere con la quasi certezza di ricevere.
Michael,
poi, è proprio un amico e, tra le altre cose, ha anche
origini irlandesi.
“Dimmi
tutto amico!”
“Mi
dovresti dare il numero della ragazza che oggi ha richiesto la mia
canzone.
Erano circa le nove e mezza.”
“Sai
che non posso, per tutta la roba sulla privacy…”
“Michael,
ti prego.”
Sente
la propria voce supplichevole e si chiede perché lo sta
facendo.
Forse
per sentirsi meglio.
Perché
infondo sa che tutti gli abbracci che darà, per tanti che
siano, non
riusciranno mai ad arrivare a tutte le loro fan. E
forse così facendo,
scegliendone una a caso, spera di abbracciare maggiormente anche tutte
le
altre.
Spera
che questa Sarabeth sia una specie di Gesù che, invece di
raccogliere i peccati
degli altri, ne raccolga la voglia di abbracci.
O
forse, molto più egoisticamente, molto più nel
profondo, vuole godere di quella
particolare libertà che ha.
Ascoltando
il silenzio di Michael ripensa ad una frase che, tempo prima, Harry
aveva
scritto su Twitter mentre, tutti insieme, facevano lo stesso pensiero
che fa
ora lui, solo.
Il
messaggio era: “Posso
fare urlare la tua ragazza più forte di quanto potrai mai
fare tu, solo
premendo il pulsante ‘segui’”.
Ecco,
forse vuole solamente farla urlare lui, lui e non Harry.
Scaccia
le sue pare d’inferiorità con la mano e torna ad
ascoltare Michael.
“Senti,
Niall, tu non l’hai avuto da me, ok?”
“E
chi ti conosce?” ironizza, pronto a scrivere il numero.
Lo
segna velocemente su un foglio, ringrazia e chiude la chiamata per poi
tornare
subito al telefono.
Si
stende sul divano, sente in lontananza Zayn che fa la doccia.
Tre
squilli a vuoto.
L’unica
cosa che sa è che si chiama Sarabeth.
Il
suono della chiamata che parte.
“Pronto?”
“Ciao
Sarabeth, sono Niall.”
Silenzio.
I brividi lungo la schiena. Non
può
essere lui.
“Non
prendermi in giro.”
“Non
lo sto facendo.”
“Ora
attacco.”
Vede sfumare davanti ai propri occhi tutto il suo piano.
“Nono,
aspetta. Sei Sarabeth Willis, no?” la butta sullo sbaglio di
numero, mentre
pensa vorticosamente come fare.
“No,
io sono Pole. Sarabeth Pole.”
Niall
sorride al proprio tenue riflesso sulla televisione; ora almeno sa come
si
chiama.
Uno
a zero per lui.
“Sarabeth,
sono davvero Niall.”
“Non
ci credo. Chiunque tu sia finiscila qui.”
La
voce ferita e il suono della chiamata che si chiude.
__
“Ciao
Mad.”
Il
lieve bacio ai confini tra la guancia e le labbra.
“Ciao
Liam. Cosa dovevi dirmi?”
Lei
lo guarda. Quei capelli che continuano a crescere ribelli sebbene lui
cerchi
ogni volta di domarli, quegli occhi in cui annegherebbe così
volentieri.
Si
morde il labbro e lui le fa passare il braccio attorno alla vita;
iniziano a
camminare.
Clifftown
Road che gli scorre regolare accanto, sotto.
Quell’ultima
estate passata a Southend-on-Sea, quell’ultima estate passata
a guardarsi negli
occhi, a sorridersi.
Quell’ultima
estate passata a costruire niente, a scrivere e cancellare.
Madison
si lascia trasportare per le vie della sua città, lo tiene
stretto a sé, ne
sente il profumo, l’odore fresco della schiuma da barba.
“Mad,
tra poco il lavoro diventerà massacrante.”
Si
passa una mano tra i capelli e cerca le parole, cerca i pensieri.
“Siamo
pieni di ospitate a partire da inizio aprile, poi il tour che continua
e non credo
riuscirò a venire più tanto spesso qui da
te.”
Silenzio.
I
loro respiri vicini e complementari.
Silenzio.
Madison
deglutisce sperando di cacciare più a fondo il magone che ha
in gola.
Maledetti
i chilometri che li separano, maledetta la patente che non ha ancora
preso,
maledetti i suoi genitori e la loro preoccupazione del treno, maledetta
questa
carriera che glielo tiene lontano, maledetto lui, lei, tutti.
Chiude
lentamente le palpebre; sospira.
“Ho
capito. Tornerai mai?”
Si
lecca le labbra e sospira ancora.
“Certo.”
Lui lo sussurra, spaventato e speranzoso allo stesso tempo.
Più
spaventato che speranzoso.
__
Gente
da ogni parte.
Possibile
che Londra sia così incasinata? Contando che lei capisce i
tre quarti di quello
che dicono… sicuramente non aiuta.
Si
fa largo tra la gente, calpestando piedi e sussurrando “Disculpe”
al vento.
Non
sa nemmeno in che strada è.
“Ehi,
scusa, mi puoi dire dove sono?”
Il
ragazzo a cui ha chiesto informazioni la guarda socchiudendo gli occhi.
Lei
sa che la pronuncia non è delle migliori, ma spera abbia
capito.
“La
strada…” sussurra muovendo la cartina in aria.
“Oh,
sì sì! Victoria Street!”
Lui
le sorride, lei ricambia e gli indica un altro punto sulla cartina.
“E
come arrivo qui?”
“Segui
le indicazioni.”
Ridono
a labbra strette entrambi.
“Capissi
qualcosa di questa città…” Alza le
spalle e si guarda in torno, cercando un
qualsiasi punto di riferimento.
“Come
ti chiami?”
Zayn
inclina la testa da una parte aspettando la risposta.
“Brenda.
Tu?”
“Zayn.
Di dove sei? Spagna?”
“Argentina.”
Si
sorridono nuovamente.
Zayn
alza le spalle. “Se ti va ti accompagno io a casa.”
Un
ulteriore sorriso ad acconsentire.
E
ora la gente sembra meno fitta, le strade più limpide.
Ecco
qui il secondo! Ora
conoscete un pochino l'inizio della storia di tutti e cinque!
Che ve ne
pare?
Vi
aspetto sempre nelle recensioni, spero vi sia piaciuto e bla bla bla :3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** 3. ***
3.
Harry
sospira e scavalca per la prima volta la porta. Quella
porta.
Louis,
vicino, tiene gli occhi sul pavimento.
Qualcuno
sussurra alle loro spalle e entrambi sperano che non si avvicinino; non
ora,
non oggi.
Si
siedono ad un tavolo e Louis pensa a cosa ci faccia lì, a
perché ha dovuto
lasciare il divano. Gli occhi gli bruciano ancora.
Una
ragazza si avvicina, sorride e si liscia il grembiule con la sinistra.
“Cosa
vi porto ragazzi?” dice rivolta al portatovaglioli al centro
del tavolo.
La
penna che scarabocchia qualcosa nell’angolo del blocco.
“Te.”
Louis
alza gli occhi su Harry che, a sua volta, fa scattare i suoi sulla
ragazza.
Gli
tira un calcio da sotto il tavolo al quale lui non risponde.
La
cameriera arriccia lievemente il naso, si morde un labbro.
“Come
scusa?” l’espressione serena è tradita
dal tono della voce.
“Due
caffè, vorremmo due caffè grazie.”
Louis pronto a rispondere.
Due
segni sul foglio e si allontana, il naso ancora arricciato, sbuffa in
lontananza.
“Ma
che, sei scemo?”
“Lo
sto diventando!”
Harry
si passa una mano tra i capelli sconvolgendosi i ricci.
Louis
alza le spalle e le sopracciglia contemporaneamente aspettando una
risposta che
sa non tarderà ad arrivare.
Si
accartoccia e dimentica le sue lacrime, i respiri rotti, le ferite sui
palmi a
forza di stringere i pugni, le nocche sbucciate per i pugni dati al
muro.
Cancella
temporaneamente se stesso per lasciare spazio ad Harry che sotto quei
capelli,
sotto gli occhi chiari ma oggi torbidi, nasconde una
bomba ad orologeria.
Louis
oggi si farà travolgere,
semplicemente.
“Dimmi
quante, quante ragazze in tutta Londra vorrebbero uscire con
me?”
“Non
lo so, Harry, molte, sicuramente! Contando tutte le fan, poi, eh!
Tante!”
Louis
non capisce ma risponde. Si tiene i dubbi dentro, nascosti tra i pianti
non
versati e la voglia di cioccolato.
“Ecco.
E l’unica, dico l’unica che interessa a me, non mi
guarda minimamente!”
I
pugni stretti attorno alla tovaglia di carta che si è
strappata in alcuni
punti.
“La
cameriera?”
Annuisce
e si morde il labbro sentendola tornare con i loro caffè.
Non
lo zucchera nemmeno e lo beve, non la guarda per la
centesima volta
quando torna indietro. Il sapore amaro giù per la gola che
non sa se è il rammarico
o il caffè.
__
La
birra fresca tra le mani, davanti il sole che muore ai limiti della
campagna.
Harry,
Zayn, Liam e Niall in giardino.
“Lou?”
chiede qualcuno.
“È
a casa, ha detto che per stasera non se la sentiva.” Risponde
qualcun altro.
“Che
ha?” di nuovo la prima voce.
Tre
figure che all’unisono alzano le spalle.
“Ragazzi,
vi va di aiutarmi?” Niall apre maggiormente i suoi occhi
azzurri voltandosi
verso gli altri tre.
“Ovvio.”
Harry li contrasta con i suoi.
Liam
annuisce.
“Vas
happenin’?”
Tutti
e quattro entrano in casa e si siedono per terra, in cerchio,
l’elenco
telefonico al centro e la voce di Niall che spiega tutta la storia.
“Quanti
Pole ci sono in tutta Londra?”
“Tu
spera che sia di Londra!”
“Quanti??”
Zayn
fa scorrere il dito lungo l’elenco contando le famiglie
accomunate dallo stesso
cognome.
“Diciassette.”
“Beh,
meglio se iniziamo subito, allora.” Dice Harry iniziando a
dettare al biondo il
primo numero.
“Pronto,
sono Niall, c’è Sarabeth?”
La
solita frase ogni volta.
“Hai
sbagliato numero, qui non c’è nessuna
Sarabeth.”
La
solita risposta.
“Niall,
questo è l’ultimo numero, prega perché
sia lei.” Gli sussurra Liam prima di
iniziare a dettare.
“Pronto,
sono Niall, c’è Sarabeth?”
“Aspetta
un attimo che te la chiamo.”
Una
voce giovane e maschile. Fratello? Fidanzato?
“Sarabeth!
Ti vogliono al telefono, un certo Niall!”
“Non
prendermi in giro, Samuel.”
Qualche
scusa detta di fretta e la chiamata che si chiude brusca per la seconda
volta
in una giornata.
Niall
che si appunta l’indirizzo, segnato accanto al nome, tra le
note del cellulare.
“Non
sono disposto a
perdere.”
__
“Ehi
ragazzo!”
Zayn
si volta di lato e sussurra qualcosa al telefono.
La
vede, sussurra qualcos’altro e chiude la chiamata.
“Ciao!”
Lei
lo guarda dall’alto del suo balcone, si lecca le labbra
seccate dall’aria che
ha ricominciato a soffiare fredda.
“Ti
va di fare un giro?”
Zayn
rompe il silenzio e tossisce.
Lei
ride. “Stai scherzando, verdad?”
Qualcuno
urla in lontananza, l’entusiasmo per la squadra che fa goal.
“No.
Ma, ehi, mica ti voglio rapire!”
Lei
si è sporta più avanti e i capelli le ricadono
tra le peonie, o qualsiasi fiore
siano quelli che ha sul balcone.
Fa
una smorfia con la bocca e torna a sorridere. “Dammi due
minuti e scendo, ok?”
Zayn
si siede sul marciapiede davanti al balcone e allarga le braccia.
Lei
gli piace perché ride, perché ha gli occhi grandi
e le labbra ben disegnate,
perché è spontanea e perché pronuncia
male alcune parole, perché ha una
cantilena buffa, perché non si è ancora fatta
prendere dalla tachicardia dato
che “Lui è Zayn!”.
Lei
gli piace perché ci sta, perché esce con uno che
ha visto dieci minuti tre
giorni prima, perché non si fa tanti problemi anche se Zayn
immagina che si
sappia difendere; gli piace perché non gli piace come tutte
le altre.
“Dove
mi porti di bello?”
La
voce di lei lo riporta sulla terra.
Zayn
si alza e si pulisce i jeans con le mani, si guarda riflesso in una
macchina e
si auto-sorride.
“In
giro.”
“A
caso.” Aggiunge poi.
Lei
sorride ancora e si passa una mano tra i capelli riportando i ciuffi
ribelli al
loro posto.
“Va
bene.” Alza le spalle e inizia a camminare, sprofonda le mani
nelle tasche del
giubbino chiaro scamosciato.
Quando
c’è Zayn la gente sembra scansarsi di lato e
fissarlo e Londra riacquista un
ordine, diventa quasi capibile davanti agli occhi di lei.
“Perché
sei venuta a Londra?”
“Mia
mamma ha trovato lavoro qui. Avevamo bisogno di cambiare.”
Tronca
lei subito prima di passarsi la lingua sui denti. Mette le mani
più a fondo.
Zayn
annuisce e torna a guardare la strada; mette mentalmente una croce
sopra al
discorso e lo accatasta nella lista degli
“inappropriati”.
“Ciao
Zayn!”
Due
ragazze lo salutano da lontano e lui alza la mano a sua volta.
“Chi
erano?” chiede lei, curiosa, sorridendo solo con la
metà della bocca.
“Non
ne ho idea.”
Lei
ride e sgrana gli occhi. “Come non ne hai idea?”
“Saranno
mie fan!” Ride anche lui pensando a quanto sia assurdo il
tutto se visto razionalmente.
È
conosciuto da gente che non vedrà mai. Vede gente che non
conoscerà mai.
Lei
lo manda in posti troppo affollati e continua a sorridere storta.
Passano
davanti al primo negozio di dischi e le si illuminano gli occhi davanti
ad un
disco dei Green Day che ancora non ha.
Poi
sposta lo sguardo più a sinistra e lo vede. Quel CD con la
copertina chiara e
cinque figure sopra.
“Oh,
mio Dio!”
Si
gira verso di lui che nasconde la faccia nella sciarpa.
“Ma
stavi parlando sul serio?”
Zayn
alza le spalle e le sorride da sotto la sciarpa. “Non mento
mai, io.”
“Oddio.
Quindi tu? Cioè, io..? Oddio!”
“Sono
un ragazzo normale eh!”
Apre
le braccia e fa un giro su se stesso.
“E
mi sei piaciuta subito perché non sapevi chi ero.
Perché con te potevo essere
me stesso e basta.”
“Non
stai mentendo nemmeno adesso?”
“No.”
“Nemmeno
quando hai detto che ti sono piaciuta subito?”
“No.”
Si
sorridono e riprendono a camminare.
Sotto
allo scamosciato è cambiato qualcosa, però. Le
illusioni di una ragazza stanno
prendendo forma e solo chi ne è stato vittima può
sapere quanto fanno male.
Ed ecco qui anche il capitolo
numero 3!
Arriviamo almeno alle 3
recensioni? Eddai!
Recensite anche con un
"gnè", tanto per sapere che l'avete letto, tanto per dirmi
che ne pensate!
Grazie a chi lo
farà.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** 4. ***
4.
“Sei sicuro
che sia questa?”
Il cielo è
limpido e le villette sono chiare sotto la luce
del sole.
“Numero?”
Niall ricontrolla sul
cellulare. “186”
“Quella,
allora.”
Cinque ragazzi
appostati in una via di Londra Est che
giocano a fare le spie.
Louis si alza lo scalda
collo nero fin sotto gli occhi, li
socchiude, unisce le mani a formare una pistola e piega i comini fino a
ritrovarsi gli indici all’altezza del naso.
Zayn fa qualche
musichetta di tensione in sottofondo mentre
Niall si mangia nervoso le unghie.
Vorrebbe non aver mai
iniziato il tutto perché ora ha paura
che non lo noti, che dato che ci sono tutti lui passi in secondo piano.
“Niall.”
Harry lo guarda serio
dalla sua sinistra.
Gli appoggia una mano
sulla spalla e scuote i ricci.
“Tu vali. Tu sei
qui
perché te lo meriti. Tu sei un quinto del tutto, importante
alla pari degli
altri.”
Liam inizia ad
applaudire e gli altri lo seguono a ruota
facendo tornare un briciolo di autostima all’irlandese.
È una cosa a
cui la gente, forse, non pensa.
Miliardi di
soddisfazioni, centinaia e centinaia di fans un
po’ ovunque, concerti sold-out e CD ai primi posti delle
classifiche mondiali
eppure un pensiero su cui sbatti spesso è quello di essere
un intruso, un
fortunato, di non essere abbastanza.
“Sta uscendo,
ragazzi!” Louis torna a prendere la loro
attenzione puntando il dito verso una figura che esce dal cancello
della 186.
Niall preme la cornetta
verde sul suo telefono e tutti
escono silenziosamente dalla macchina, arrivando alle spalle della
ragazza.
“Pronto?”
“Sarabeth,
sono Niall.”
Lei si blocca al centro
della strada.
“Prima che tu
possa dire qualsiasi cose, per favore,
girati.”
Sarabeth si volta
titubante e li vede. Lo
vede.
“Oh mio
Dio.” Riesce a sussurrare portandosi una mano alla
bocca. Le unghie smaltate di blu che si intonano con i suoi occhi.
Loro si avvicinano
sorridenti a lei e sembra quasi la scena
dei suoi sogni.
“Cosa ci fate
qui? Perché? Oh, dio, è uno scherzo? Come mi
avete trovata? Perché?”
La voce le trema.
“Ti ho
sentita la settimana scorsa alla radio.”
Lei arrossisce.
“Ho chiesto
al dj il tuo numero, ti ho chiamata e tu mi hai
attaccato in faccia.”
Lui le sorride, lei si
infuoca e si sente morire. Si insulta
in silenzio.
“Così
ho cercato il tuo cognome sull’elenco, ti ho chiamata
e mi hai attaccato in faccia di nuovo. Allora sono venuto
qui.”
Zayn tossisce.
“Siamo venuti
tutti qui.” Specifica Niall.
“Perché?”
Sarabeth ha gli occhi lucidi e le sue mani
continuano a tremare.
“Per farti
credere nei miracoli.”
Il silenzio dilaga poi
tra loro. Lei con le lacrime agli
occhi e la vista appannata, lui felice e soddisfatto, protagonista.
“Ti va di
venire ad una festa?”
Louis ravviva
l’atmosfera.
Tutti si girano
all’unisono verso di lui che si è appena
inventato una festa che non c’è.
“Oh mio
Dio!”
“Questo
è un sì?” Harry le sorride mandando
definitivamente
a morire la sua capacità di produrre un discorso sensato.
“Sì.
Certo che sì.”
__
Zayn entra correndo nel
grande soggiorno della casa di Louis
e Harry. Urla.
“Fiestaaaa!”
Batte le mani e fa qualche passo di danza che
dovrebbe essere salsa.
Si butta, poi, sul
divano tra Liam e Harry.
Sospira stanco e ride
ancora.
“Abbiamo
organizzato una festa in quattro ore, ma quanto
siamo bravi?”
Harry allunga le gambe
sopra quelle di Zayn.
“Niall, only for you!”
gli urla raggiungendolo con la voce in cucina e facendolo sorridere
davanti al
frigo aperto.
Louis entra a sua volta
in soggiorno e Niall lo raggiunge
poco dopo.
“Devo dirvi
una cosa.” Dice Louis poi e se lo guardassero
bene in faccia vedrebbero gli occhi arrossati e lucidi.
Il silenzio cala sul
gruppo, sono come una persona sola e sentono che c’è
qualcosa che non
va dietro i sorrisi ammaliatori di Louis.
“Samantha mi
ha lasciato.”
Glielo spara in faccia
a bassa voce.
Harry si copre la
faccia con un cuscino e Niall resta con la
bocca aperta nell’atto di mordere la brioche.
Zayn sprofonda
più in basso nel divano e sussurra, dolce,
un: “Oh, Boo…”
Louis sorride e si
siede sul bracciolo della poltrona in cui
è Niall passandogli una mano tra i capelli come se fosse
compito suo consolare
gli altri e non viceversa.
“Stasera
film?” dice Liam cercando si smuovere il silenzio.
“Sì!”
Louis salta e torna ad essere se stesso. Le lacrime
condivise sono meno pesanti.
“Scusate, ma
io non posso.”
Zayn alza gli occhi
dallo schermo del cellulare, appena
illuminato da un nuovo messaggio.
Quattro paia di occhi
lo guardano interrogativi. Le pupille
a forma di punto interrogativo a mo’ di cartone animato.
“Esco con una.” Spiega.
“Nuova di
quanto?” gli sorride Harry.
“Abbastanza,
ma qui il putta*iere sei tu, Hazza, ricordalo.”
“Io?”
Ride e gli occhi gli si illuminano.
“Sei un caso
perso, Harnold.” Niall ride a sua volta e con
morso finisce la merenda.
Momenti di ordinaria
follia.
__
“Ciao
Zayn.”
“Ehi…”
La bacia lievemente su una guancia e le sorride con
quel sorriso capace di chissà quali magie.
“Ho una
proposta da farti.”
Lei si sposta una
ciocca dietro l’orecchio.
Un tuffo al cuore e il
cervello che la mantiene attaccata
alla terra.
“Dimmi.”
Regola la voce.
Si siedono su una
panchina e guardano la gente che cammina
spedita, le coppiette che si baciano poco distanti.
“Sabato sera
diamo una festa.”
Un suono gutturale a
chiedergli di continuare.
“Ti va di
venire?”
Una signora ride
lontano e accarezza il viso del marito.
Brenda sorride e
annuisce. “Certo!”
Zayn le consegna la
busta turchese e lei sbircia dentro.
“Louis ha
insistito per scriverli tutti a mano. La pessima
calligrafia è la sua.”
Brenda ride e si stende
sulle gambe di Zayn, i capelli
aperti a ventagli con cui lui gioca cercando d non fare caso a quello
che gli
sta nascendo nello stomaco.
__
La porta si chiude con
uno scampanellio dietro ad Allyson.
Fa qualche passo
spedita verso la macchina parcheggiata poco
distante.
La tuta che porta le
fascia le curve dolcemente.
Arriva alla macchina e
vede che c’è qualcuno appoggiato
sopra. La figura le sorride nella luce del crepuscolo.
Lui. È
lì che l’aspetta.
Lui. È la
seconda
volta che lo vede così da vicino.
Lui. È qualcosa
che
non può volere, né avere.
Lui. È troppo
concreto, e bello, e reale allo stesso tempo.
Lui. È
così di tutti
che non crede sarà mai di qualcuno se non di se stesso.
“Ciao
Allyson.”
Silenzio
dall’altra parte.
“Senti, so
che non ci siamo mai visti, ma non lo so, m’ispiri.”
Si morde il labbro e fa
una faccia strana.
“No, detta
così sembra che tu sia un nuovo tipo di
detersivo, scusa. Non è quello che
intendevo…”
Lei gli sorride di
nascosto.
Harry sbuffa e allarga
lievemente le mani.
“Senti, ti va
di venire alla festa che abbiamo organizzato?”
Lui incrocia
mentalmente le dita, lei si sottomette al
proprio regime.
“No.”
Secca. Decisa. Si odia.
“Perché?”
Abbattuto. Sconfitto.
Non la odia.
“Senti,
smettila con i tentativi. Smettila all’inizio,
subito. Fallo per te.”
Fallo anche per lei.
“Solo
perché sei famoso non vuol dire che puoi avere tutte
le ragazze che vuoi.”
“Io non
voglio tutte le altre, tutte le ragazze. Io voglio
te.” A cosa serve fare il romantico quando, la cosa che
più ami al mondo, e
cioè cantare, ti sbatte in faccia una porta?
“Allora
rimani da solo.”
Si odia intensamente e,
passandogli accanto e riconoscendo
il suo profumo, entra in macchina.
Si allontana e sparisce
dopo una curva.
Ha un cervello
masochista travestito da salvatore.
Rieccoci
qui :D Che ve ne pare?
Nel
capitolo 5 ci saranno tutte le storie, con un pezzo leggermente
più lungo per Liam che in questo capitolo non compare.
A tre recensioni pubblico!
Grazie a tutte.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** 5. ***
5.
Il
locale prenotato solo per loro.
Le
bariste che muoiono davanti ad ogni sorriso.
Il
buttafuori che pensa alla fidanzata lontana, alla modella di quella
pubblicità
della macchina che gli piace tanto, i figli che mai vorrà
avere e fa entrare,
fa passare.
Annuisce
davanti ai biglietti azzurri e fa cenni con la testa. Resta impassibile
davanti
alle fan decise a buttare una bella sera di fine marzo davanti a quella
porta
aspettando di vederli uscire.
Aspettano
invano, ma lui non glielo dice.
Dentro
la musica copre un po’ tutto, alla pari delle luci
stroboscopiche e
dell’allegria, genuina o artificiale che sia.
Madison
sorpassa il buttafuori e punta lo sguardo in alto.
Cerca
i capelli a lei così familiari, che saprebbe disegnare. Si
mangia le illusioni
e incomincia a farsi largo tra la folla. Ringrazia sua madre in
silenzio, il
permesso strappatole dalle labbra di prendere il treno e venirlo a
vedere.
Ringrazia Zayn della chiamata.
“Dai,
vieni e fagli una sorpresa, dai!” le aveva detto.
E
lei si era morsa l’interno della guancia per non mettersi ad
urlare.
Perché
lui le manca da quando volta le spalle e se ne va, lui le manca quando
sale sul
treno e torna a casa, lui le manca incessantemente fino a quando non
scende
nuovamente dal treno una, due settimane dopo , a volte tre.
Lei,
tutto questo, non gliel’ha mai detto o magari lui non
l’ha mai voluto
ascoltare.
Forse
non è troppo tardi.
“Liam!”
Lui
smette di sorridere al ragazzo che ha di fronte appena la sente.
Si
gira a destra e abbassa involontariamente lo sguardo.
La
vede che saltella tra la gente, le brillano gli occhi.
Cosa
ci fa qui? Chi le ha detto di venire? Come l’ha saputo?
Vorrebbe
annullarsi, mangiarsi un atomo di antimateria.
Tutto,
tutto per non vederla, per non doverle spiegare, per evitare quello
che,
invece, sta succedendo.
Pochi
passi e sarà davanti a lui che ancora non ha aperto bocca.
La
camicia marrone e bianca è diventata gelida contro la sua
pelle.
“Liam.”
Lo pronuncia di nuovo arrivandogli vicino solamente per sentirne il
sapore
sotto la lingua.
“Cosa
ci fai qui?”
Il
sorriso sul volto di Madison si attenua e i suoi occhi si fanno
più grandi.
Un
colore misto tra il verde e il grigio che non ti aspetteresti mai di
trovare
sotto tutti quei capelli castani, resi leggermente mossi per
l’occasione. Per lui.
“Mi
ha invitata Zayn. Sorpresa.”
La voce
ferita quasi impercettibile.
“Che,
non mi volevi?” Lui
le legge il labiale.
Liam
la pianta in mezzo alla pista e si fa largo tra la folla.
__
Il
rossetto di Brenda le contorna le parole e Zayn non sa se ascoltarla o
guardarla perché no, tutte e due le cose non è in
grado di farle assieme. Non
ora.
Le
sorride perché sa che va sempre bene e batte la mano sulla
spalla a qualcuno
che, passando, lo saluta.
“Puoi
venire un attimo con me?”
La
interrompe nel suo discorso e le sue labbra laccate di rosso rimangono
socchiuse.
Zayn
si piega leggermente sulle ginocchia. “Per
favore…”
Brenda
butta la testa all’indietro e la cascata di capelli
è illuminata da un fascio
di luce verde.
Prende
la mano di Zayn e si fa condurre. Pelle santa dove lui la sta toccando.
Salgono
assieme una scaletta sbucata da chissà dove che prima, lei
poteva giurare non,
non c’era.
Zayn
apre tre porte in fila e continua a salire. Più su, sempre
più su.
“Siamo
arrivati. Nulla di poetico.” Alza le spalle ma si vede che
è felice dentro.
La
terrazza del locale, riservata solo ad alcune feste, quel giorno
l’hanno tenuta
chiusa.
Poco
distante da loro i tetti di case poco più basse.
Zayn
non le ha ancora lasciato la mano; intreccia le sue dita con le sue e
si gira a
guardarla negli occhi.
La
bacia.
E
solo lei vede, dietro i suoi occhi chiusi, i fuochi
d’artificio. Chè se anche
finirà tutto lì, sarà stato bello
ugualmente. Un desiderio da spuntare dalla
lista.
“Oh,
Dio.” Sussurra lei appena lui si allontana lievemente, non
troppo.
Muovendo
le labbra sfiora quelle di lui e muore ancora un po’.
“Cos’è
successo?” Zayn trema dentro e spera di non aver mandato
tutto all’aria.
“Fallo
ancora, per favore.”
__
Louis
la vede ballare con un’amica e non la riconosce. Socchiude
gli occhi per
vederla meglio ma continua a non identificarla. Nemmeno
l’altra.
Si
avvicina alla prima, capelli ricci e occhi grandi.
“Che
ne dici di offrirmi da bere? Sono parecchio giù.”
Lei
lo guarda spalancando maggiormente gli occhi. Le ciglia disegnate dal
mascara.
“Oppure
posso sempre far notare al bestione là fuori,” con
un cenno del capo allude al
buttafuori “che tu e la biondina,” con un altro
cenno indica l’amica, “siete
imbucate.”
“Ti
va una birra, hai detto?” Lei gli sorride e lo scavalca,
diretta al bar.
__
Liam
sale i gradini a due a due, la camicia tornata calda. Si sente uno
schifo.
Arriva
sul terrazzo e, mentre la porta si chiude sbattendo alle sue spalle lo
vede.
Sorride
per lui e si sente ancora più uno schifo quando si avvicina
a Zayn e gli
appoggia una mano sulla spalla.
Zayn
scioglie le proprie braccia da lei e si gira verso l’amico.
Le labbra più rosse
del solito.
“Cosa
c’è?” Nel tono un misto tra irritazione
e disperazione. Qualcosa che non va.
Glielo legge in faccia.
“Hai
il trucco sbavato.” Gli sorride Liam.
“Cosa c’è?” ripete con lo
stesso tono prima di passarsi la manica nera sulle
labbra.
“Hai
invitato Mad.”
“Sì.”
“Non
dovevi farlo.”
Zayn
sgrana gli occhi. Liam non se la sente di dirgli che non vuole stare
con lei perché
è lontana, perché ha paura, è
insicuro, non vuole dirgli che è troppo bella e
non vuole che soffra lontano da lui, non ha il coraggio per
raccontargli la
verità lì, al vento. Non ha il coraggio di
raccontarsela.
Zayn
continua a stare zitto e Brenda indietreggia, li lascia soli, andando
ad
ammirare il paesaggio dal bordo del terrazzo.
“Zayn,
è che io…”
“Liam,
devi prendere una decisione amico.” Gli appoggia entrambe le
mani sulle spalle.
“E devi farlo ora.”
Liam
respira a fondo, il contatto di Zayn gli passa un po’ della
sua forza, di
quello che lui è.
Chiude
lentissimamente gli occhi e torna a riaprile altrettanto lentamente.
Inspira.
Espira.
“Vai
da lei.” Gli sussurra prima di girarsi e scendere le scale
nuovamente, sempre
due a due.
__
Harry
vede Louis con una ragazza e sorride di più alle tre che gli
ballano attorno.
Sono
sempre stati la versione moderna di Achille e Patroclo, loro due.
E
vedendo Louis lasciarsi andare, come Patroclo che muore, Harry aveva
deciso di (ri)mettersi
in gioco, con Allyson, come Achille che torna a combattere.
Qualcuno
gli scatta una foto e lui sorride in automatico, cinge con le braccia
le
ragazze, scuote i ricci.
La
figura di Allyson cucita dietro agli occhi. Lei e il suo grembiule
torbido. Lei
e il suo sorriso gentile.
Altro
flash, altra foto, altra posa.La
ragazza alla sua destra, un’amica di
Zayn, gli è sempre più vicina.
Gli
sorride vicino, gli balla vicino. Un fisico invidiabile, i muscoli in
tensione
che si delineano armonicamente sotto il vestito corto.
Altro
flash, altra foto, altra posa.
La ragazza gli appoggia la mano sul petto e
continua a ballare.
Cerca
nei suoi occhi un consenso che lui non le darà.
Allyson
scuote il capo dentro la sua testa e Harry, simultaneamente, lo scuote
fuori.
Nessuno
fotografa la ragazza che gli sorride, alza le spalle e va via.
__
“Sarabeth!”
Niall
la riconosce nella calca, appostato dietro il buttafuori. La stava
aspettando,
ma non glielo dice.
“Sei
venuta davvero, allora!”
Lei
ride, timida. “Sì. Non immagini quante ragazze
sono appostate lì fuori.”
“Non
immagini quanto mi dispiaccia saperlo e non poter fare
niente.”
“Posso
chiederti una cosa, Niall?”
Lui
annuisce e, poggiandole la mano dietro la schiena, la guida per il
locale.
Il
colore degli occhi è richiamato dalle pietre sugli orecchini.
“Sai,
so che sembra stupido, ma magari dopo questa festa cancellerai la mia
faccia
dalla memoria.”
Io
non cancellerò
te, però, pensa.
“E
quindi, come da tradizione, beh, potremmo fare una foto
assieme?”
Niall
le sorride con quel sorriso che a lei apre le porte del paradiso e
annuisce
ancora.
“Andiamo
fuori, però, che qui c’è troppa
gente.”
Camminando
tutti lo salutano e lui ride mentre lei si fa piccola dietro le sue
spalle.
Arrivano
fuori, fanno la foto, sorridono entrambi abbracciandosi lievemente.
“Comunque
non cancellerò la tua faccia dalla memoria.”
Fa
qualche passo di danza irlandese su una base tecno che proviene da
dentro e poi
si siete su una panchina di ferro verde. Si appoggia
sull’osso sacro e divarica
le gambe, i pantaloni a vita bassa che si tendono.
“Niall,
posso farti un’altra domanda?”
“Vai,
mi mancavano le interviste.” Ride e lei con lui.
“Però
non vorrei essere indiscreta o chessò io, insomma, non
vorrei farmi i fatti
tuoi…”
Il
suo vestito a fiori mosso leggero dal vento.
“I
miei fatti sono già così pubblici..”
sospira lui di rimando.
“Sei
fidanzato?”
Gliela
butta così, voltandogli poi le spalle per andare ad
accarezzare una pianta di
alloro.
“No.
Purtroppo.”
Lei
sta festeggiando, ma è un’altra delle cose che non
gli dice.
“Però
c’è una, se è questo che mi
chiedi.”
Volendo
essere sincero con lei non sa quanto male le fa.
La
frase del “devi essere felice per lui” è
solo l’ennesima cazzata.
__
“Mad!”
Il
sapore amaro del suo nome, ora, che un tempo –così
poco prima- era sinonimo di
miele.
Lei
scosta lo sguardo dalla finestra. Passa una mano sotto gli occhi per
cancellare
lacrime che vede solo lei.
“Cos’è,
Liam, non provi più quello che provavi per me?”
È
la prima volta che se lo dicono, che rendono pubblico, tra loro, quello
che c’è
stato, quello che tutti gli altri vedevano e davanti a cui entrambi
chiudevano
gli occhi.
La
camicia di Liam torna ad essere fredda perché no, proprio
non se l’aspettava
così.
Ma
questa è Madison, dopo tutto, e sa che fa presto ad arrivare
a ciò che vuole.
Tutti
i suoi progetti, pensati scendendo le scale, cancellati.
Passa
anche lui all’attacco. Un tenue ricordo delle loro litigate
in riva al mare,
che finivano con un tuffo in acqua e il trucco di lei, sbavato, pulito
dalle
sue mani.
Le
stesse mani che ora torna a guardarsi, disperato.
“Non
ho mai provato
qualcosa per te, Mad.”
Ed
ecco qui il capitolo cinque.
E' totalmente dedicato alla Cat (Cath_) che è la mia musa
ispiratrice per quanto riguarda Madison, alla Sara che reincarna
Sarabeth e alla mia Metà che è colei che mi da
degli spunti per scrivere 'ste pappardelle di roba.
Un saluto alla Camilla e alla Francesca (soprannome in arrivo, stai
tranquilla) e a tutti quelli che leggono ciò che scrivo.
Grazie.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** 6. ***
6.
Venerdì
30 marzo, un altro giorno da cancellare dal calendario.
James
Morrison canta qualcosa, piano, in sottofondo mentre Liam è
intento a guardarsi
allo specchio.
Conclusioni.
Il
suo speciale elenco mentale che vuole stilare guardandosi fisso negli
occhi,
troppo nocciola per i propri gusti. Se solo sapesse quanto erano
perfetti per
lei.
Non
può fare a meno di guardarsi arrabbiato faticando a
contenere l’urlo in gola.
La
cosa che più gli serve è tornare a casa, rivedere
sua mamma e ripeterle quant’è
buono il pollo che ha fatto per cena, percorrere a piedi Long Street e
ricordarsi di aver dato lì il suo primo bacio, davanti
all’incrocio con Fryer
Street.
Ma
non può.
Venerdì
30 marzo e poi il tour ricomincia.
Sul
palco cinque figure nuove, ma di questo non importa a nessuno.
Devono
cantare, no? Cosa importa se hai appena mollato la ragazza che ora
rischi di
amare e ti senti uno schifo? Cosa importa se al tuo amico
l’hanno appena
mollato per una foto falsa, se a quell’altro piace una
distante anni luce? Almeno
c’è Zayn che è felice, totalmente
felice.
Sa
già cosa gli direbbe, ridendo con la lingua tra i denti come
suo solito,
“Payne, ma come sei pessimista!”
Avrebbe
alzato le mani e indicato fuori dalla finestra “il cielo
è ancora intatto,
vedi? Noi siamo ancora qui,” e con un altro gesto si sarebbe
indicato “e stiamo
tutti bene. Sai che non puoi imparare a volare, ma non vedo
perché tu debba
farne un dramma!”
Avrebbe
sfumato tutto con un altro sorriso e si sarebbe voltato, lasciandolo
con un
sorriso inconscio sulle labbra e qualcos’altro a cui pensare
in testa.
Venerdì
30 marzo, l’anno scorso non si ricorda nemmeno
cos’è successo.
Madison
c’era?
Oh,
Madison.
Venerdì
30 marzo e lei non c’è già
più e chi se ne importa se c’era l’anno
prima. Ora
non c’è.
Pennellate
nere sui muri della sua stanza.
Conclusioni.
L’elenco
ancora da stillare.
Punto
primo: lei gli manca.
Punto
secondo: lei gli manca.
Punto
terzo: lei gli manca.
“Liam!”
La
voce di Niall lo raggiunge e lo scuote.
Punto
quarto.
“Vieni
a fare un giro?”
“Mmmmmmm!”
la risposta.
Lei
gli manca.
“Eddai!”
Perché,
poi, stanno urlando per chiamarsi?
“Arrivo.”
Sospira e si incammina.
Poco
prima di uscire dalla stanza torna poi allo specchio e si rituffa nei
proprio
occhi.
Venerdì
30 marzo e, punto quinto: lei gli manca.
__
Harry
alza la testa e si morde il labbro.
Diciotto
anni racchiusi dentro un giubbotto di jeans scuro che contrasta con i
pantaloni
chiari, la polo a maniche corte che ha sotto spunta sulla sinistra.
Qualcuno
bisbiglia alle sue spalle e lui sorride al muro in mattoni che ha
davanti.
Da
dentro un cane abbaia e lui distoglie lo sguardo sentendosi un intruso.
Diciotto
anni riconoscibili dalla voce e quell’aria da bambino.
“Non
sono mai stato male per una ragazza, non inizierò
ora.” La stessa balla di ogni
volta.
A
quanto pare la gente è tremendamente masochista.
Si
pensi solo ai pugili, che di mestiere o per passione, prendono un sacco
di
botte; i donatori di sangue che –per fare del bene, ok- si
fanno perforare le
braccia; la gente che si droga cercando un Nirvana a cui non
arriverà mai, non
così; quegli stupidi che muoiono dietro a una ragazza che
mai li guarderà; lui.
Omette
di dire che
lei l’ha tremendamente preso solamente sfuggendogli
costantemente.
La
porta del bar si apre e una signora entra tenendo la figlia per mano.
Undici
anni smascherati dalle treccine.
Allyson
passa velocemente davanti alla vetrata, i capelli raccolti in una coda
di
cavallo scomposta.
Le
sfumature che potrebbero avere i tronchi dell’Amazzonia.
Ah,
per la cronaca, mentre aspetta che lei finisca il turno, Harry rammenta
che lei
ha gli occhi verdi.
Verde
scuro, tormentato.
Non
dice a se stesso che pensa si intonino coi propri per non sembrare
troppo
perso.
Il
problema è che, nel profondo, lui sa che lei saprebbe
riportarlo sulla strada
di casa.
La
porta si apre nuovamente e ne esce qualcuno, il buon profumo di
caffè arriva
fino a lui.
Il
palo su cui è appoggiato è freddo e un brivido
gli passa lungo la schiena.
Conta
i minuti che li separano.
Lei
riuscirebbe a sostenerlo quando cade, a ridere con lui.
E
tutto questo l’ha capito guardandola mentre camminava?
Sì, probabilmente sì.
Forse
lei reincarna solo i suoi sogni più belli, inconsciamente.
La
reincarnazione sei suoi sogni apre la porta, saluta la collega e inizia
a
camminare.
Harry
non la chiama e lascia che lei lo veda.
Come
se non l’avesse già fatto. Da
quant’è che lui è lì? Da
quant’è che lei lo
guarda senza farsi notare?
Harry
non si muove e contrae i muscoli. Ha le mani indolenzite a forza di
stargli
dietro la schiena, tra lui e il palo. La lascerà arrivare e
andarsene, se è
questo quello che lei vuole.
Come
se lei fosse coerente e facesse quello che vuole e non quello che crede
di
dover volere.
Allyson
lo sorpassa e lui inizia a perdere la presa. Scivola fuori, frana
dentro.
“Se
la ami devi lasciarla andare.” Il mondo è pieno di
frasi che sparano un mucchio
di cazzate.
Lei
si ferma poco distante. Quel giubbino di jeans gli sta divinamente. Fa
tre
passi in dietro e gli arriva davanti, non calcola le distanze e si
ritrova
forse un po’ troppo vicino a lui che le sorride.
Il
profumo di lui arriva a baciarle le labbra. Tutto ciò che
mai avrà.
“Ti
avevo chiesto di smetterla.”
“Non
posso smetterla.”
“Volere è potere.”
“Non voglio smettere, allora.”
Lei
si morde il labbro inferiore, sottile e ben disegnato, lucido di burro
cacao.
Inspira. Espira.
Prende
dalla borsa l’I-phone e si collega rapidamente ad internet.
Il
silenzio attorno a loro che fa più rumore di un jet che
decolla.
Il
cuore di Harry che lui crede si possa sentire a chilometri di distanza.
La
perfetta base per un pezzo rap.
“Vedi
questa?”
Lei
gira il polso e gli mostra una foto.
“Cosa
mi stai offrendo, tu?”
Il
paradiso. Si
risponde da sola.
“Non
voglio finire così, proprio non voglio.”
La
ragazza nella foto, accanto a lui, è l’amica di
Zayn. Una delle tante foto
fatte alla festa.
Quella
in cui lei era più vicina, la mano sul petto di lui che
sorride e la guarda.
Nessuno
ha fotografato lei che se ne va, nessuno gli darà mai
ascolto.
Lui
è il puttaniere, è quello facile, che si diverte
spesso e volentieri che no,
dai, non avrà nulla di serio con le ragazze. È
quello che fa gli apprezzamenti
a voce alta e manda in tilt le fan, è quello sicuro di
sé che no, dai, non avrà
mai bisogno di una persona fissa accanto.
E
invece sì,
scopritori di persone, lettori delle anime. Lui ha bisogno di quella
metà tanto
cercata, lui vuole sentirsi amato e utile, vuole cantare, puntare il
dito tra
la folla e dedicare a qualcuno ciò che sente, e dedicarsi a
qualcuno.
__
La
maglia a righe aderente, il fisico asciutto messo in risalto.
Louis
che ride davanti a Niall e Zayn, Liam sotto la doccia ignaro della fine
che i
suoi vestiti stanno facendo.
Harry
intento a nascondere una scarpa sul lampadario, arrampicandosi sul
divano.
Ora
la luce di una delle lampade e vagamente leopardata.
“Ultima
sera di riposo.” Scherza Niall bevendo un sorso di birra
dalla bottiglia
sbagliata e prosciugando, così, la riserva di Harry, ancora
intento a piazzare
vestiti in giro.
Il
tour ormai si sente, è nell’aria.
Città,
concerto, città dopo, concerto, città dopo
ancora, concerto.
Fans
fans fans fans. Quella grande famiglia che si è venuta a
creare, quel sentirsi
a casa da ogni parte.
“Ho
un’idea per domani.” Sbotta Louis giocherellando un
la cintura di Liam.
Tutti
tacciono e lo stanno ad ascoltare.
Lui
beve un sorso di birra e fa schioccare la cintura contro il tavolo.
“Saliamo
sul palco vestiti solo di una cintura!”
Qualche
attimo di silenzio.
“Toglietegli
quella bottiglia da lì vicino, subito.”
Ordina Zayn trattenendo la risata.
“Woah,
brillante idea ragazzo!” Harry, ancora in piedi sul divano,
gli scompiglia i
capelli, duri di lacca.
Già
si immagina la faccia delle fan. Ride e viene seguito da Niall che ride
e ride
e ride e ride come suo solito.
Louis
si fionda su Harry facendolo cadere sui morbidi cuscini e riempiendolo
di baci
che il riccio, pronto, ripulisce con la manica della felpa.
Niall
e Zayn si buttano sulla coppia a loro volta.
“Sapevo di mancarvi, amori, ma non tutti insieme!”
ride e urla Louis.
Una
mucca muggisce lontana e poi, pian piano, il suono aumenta.
O
la casa è diventata una fattoria o stanno chiamando Louis.
Il
ragazzo, la maglia fuori dai pantaloni rossi, parte di corsa verso il
secondo
divano.
Scava
tra i cuscini e, dentro la seconda scarpa di Liam, trova il telefono.
Tiene
la scarpa in mano e se la porta all’orecchio mentre il
cellulare continua a
muggire nell’altra.
“Oh,
cazzo.”
Impreca
poi cambiando la mano da portare all’orecchio.
“Pronto?”
La
voce serissima mentre risponde mentre, in sottofondo, gli altri tre si
stanno
rivoltando dal ridere.
“Louis.”
Lo chiama per intero.
“Sono
Samantha.” Si chiama per intero.
“Mettimi
in vivavoce e guarda quello che ti sto inviando.”
Louis
sbianca ed esegue quello che gli è stato chiesto.
Niall,
Harry e Zayn ammutoliscono, le guance ancora rosse dalle troppe risate.
“Appena
inviato.” La voce metallica di lei dall’altra parte
del telefono.
Louis
ha ancora in mano la scarpa di Liam e, tenendo contemporaneamente
scarpa e
cellulare, apre il messaggio.
Si
vede in un cerchio rosso. La festa della sera prima. La ragazza che gli
aveva,
non proprio spontaneamente, offerto da bere seduta accanto a lui che
ride.
La
deve richiamare, gliel’ha promesso appena Sam attacca lo
farà, questo lo
promette a sé.
La
stessa foto che ha fatto vedere Allyson a Harry poche ore prima.
“Vedo
che ti diverti anche senza di me.”
La
voce squillante che vorrebbe incrinarsi a suo piacimento, rompersi dal
pianto.
Ma lei non se lo permette.
“E
pensare che mi manchi terribilmente, Lou.”
Tira
su col naso, crolla un pochino.
Mai
quanto lei manca a lui.
“Domani
ricominci il tour.”
Se
lo ricorda ancora.
“Quindi
non voglio davvero più essere un peso perché,
sai,”
No,
a dire il vero lui non sa più niente.
“Ti
avrei dato anche una seconda possibilità, dopo quello che
è successo.”
Harry
la insulta a denti stretti sapendo che non è successo
proprio niente.
“È
una cosa che può capitare a tutti, no?”
Squilibrata.
“Però,
a quanto pare, sei già ben accompagnato.”
Lei
attacca e Louis cade in ginocchio, una voragine nelle vicinanze dello
sterno.
Una
stella scoppiata nello stomaco che diventa rapidamente un buco nero.
Niente
luce nel cervello. Niente luce in fondo al tunnel.
Harry
affonda la faccia nel cuscino e urla, urla perché si sente
impotente, perché quella
foto ha rovinato sia lui che Louis. Quindi l’ha rovinato due
volte.
Liam
esce dal bagno, con le mani si copre.
“Uno:
dove caspita sono i miei vestiti? Due: cos’è tutto
‘sto casino? Tre: Cosa stai
facendo, Lou?”
Louis
scatta in piedi e gli tira una scarpa che Liam prende al volo,
rimanendo
temporaneamente scoperto.
Nessuno
dice niente , nessuno ride.
Marzo
improvvisamente gelido.
Ciao
bella gente, come state?
Grazie
per le recensioni e i complimenti. Qui c'è un freddo boia, e
domani non si va a scuola. (nemmeno venerdì, yeah!)
Spero
vi piacca anche questo capitolo. Fatemelo sapere.
ps:
andate tutti a leggere la FF di loveway_
: "17"
perchè è qualcosa di fenomenale.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** 7. ***
7.
Sblocca il telefono e si guarda sorridere, il viso premuto contro quello di suo fratello.
Nessuna chiamata, nessun messaggio.
“Ehi, domani ti chiamo, eh!”
La solita frase che poi mai nessuno rispetta.
La solita frase a cui ci si ostina a credere.
Ma il domani è passato, e anche il domani del domani, e anche il giorno dopo ancora.
Il calendario segna venerdì 30 marzo, ma lei non vuole crederci.
Chiude gli occhi. Li riapre. Inspira. Espira. Ricontrolla il telefono: nulla.
“Ehi, domani ti chiamo, eh!”
Ma poi non gliene importa. È solo l’ennesimo ragazzo conosciuto ad una festa con cui bevi una birra, con cui ridi, a cui dai il tuo numero, in cui riponi una piccola speranza.
È solo l’ennesimo ragazzo che ti delude. L’ennesimo nome da cancellare dalla lista.
Buonasera amarezza.
“Ehi, domani ti chiamo, eh!”
Ma poi non gliene importa già più. Com’è che si chiamava?
Non se e ricorda più, proprio più. Era biondo? No, forse moro.
Occhi scuri per certo e basso e rotondetto.
E si sta raccontando un sacco di cazzate.
Sblocca il telefono e continua a vedersi. Continua a non vedere nessun segno di quella chiamata promessa e aspettata.
“Ehi, domani ti chiamo, eh!”
Una nenia in testa, una ninnananna africana, un rito satanico, la filastrocca di un bambino, il disco che si inceppa e salta.
Non vuole continuare a pensarci ed accende la TV.
Una biondina cotonata sorride e guarda in telecamera. Sembra che guardi te, che giudichi la tua carta da parati, le tue tende.
Una biondina cotonata che si alza dalla sua poltrona rosa shocking, stile casa di Barbie e con il braccio presenta l’ospite.
Il telecomando cade rimbalzando sul divano mentre Louis alza il braccio e saluta il pubblico in sala, seguito dagli altri membri della band.
“Ehi, domani ti chiamo, eh!”
Forse avrà avuto le sue scusanti. O forse no.
Ma la vita va avanti e a quella birra ne seguirà un’altra, un altro numero da aspettare.
Il mondo non si ferma a lui, di questo è sicura.
Eppure, Dio, quegli occhi le scavano dentro.
__
Luci soffuse e rumore di mandibole al lavoro. Triste morte di popcorn un tantino troppo salati. La ragazza, sul grande schermo, si copre con un accappatoio color panna.
Ha una casa perfetta e Brenda sprofonda un po’ più giù nella poltroncina blu scuro.
Il profumo di Zayn le avvolge i capelli, le accarezza la pelle.
Le lacrime spingono da dietro gli occhi, in gola. Il petto le fa male.
La ragazza nel grande schermo si guarda allo specchio e inizia a piangere, complice con lei, piccola dentro la poltroncina. Il ragazzo, quello moro e figo che inquadreranno sicuramente tra poco, l’ha mollata con la solita telefonata strappalacrime.
Anche Brenda inizia a piangere, in silenzio, tradita solo dal movimento delle spalle, dai singhiozzi.
“Ehi, ehi, ehi, non puoi piangere per questo film!” Zayn le sorride nel buio della sala e lei lo mangerebbe a baci. Se solo lui sapesse.
“Perché?!” gli dice un po’ troppo bruca, tirando su col naso.
“Dai, ammettilo che fa schifo.”
Continua imperterrito a sorridere mentre entrambe le ragazze –dentro e fuori dallo schermo- continuano imperterrite a piangere.
Oh, Zayn, se solo sapessi quanto lei fa fatica a non esplodere.
Perché tu sei così vicino e lei ti sente così tanto suo che ha paura.
Hai mai avuto paura tu, con quei due maledettissimi occhi che per qualche strana legge dell’universo risplendono anche al buio?
Oh, Zayn, hai mai pensato che starti vicino, accanto, possa essere terribile?
Chi le assicura che non te ne andrai lasciandola con un mucchietto di polvere incastrato nella cassa toracica? Ci vuole così poco, sai?
Che credi, che solo perché è forte fuori, lo sia anche dentro?
È la classica maschera, quella che porti anche tu. Quella repellente alle dimostrazioni eccessive d’affetto o forse all’affetto stesso.
“Sì, è orribile.” Lascia trapelare un sorriso ma non smette di piangere e lui l’abbraccia.
Ancora peggio. Il viso poggiato contro il suo maglione e quella devastante malinconia di casa che la prende tutte le volte.
“Allora smettila di piangere, su.” Proprio non ce la fa a vederla così.
“Non è solo per il film che piango.”
Sente che sta per replicare ma torna a parlare lei.
“Ma ti prego non chiedermi nulla.”
Sente che soffoca i dubbi.
“Posso solo tenerti abbracciato e piangere, mentre finiamo di guardare ‘sto film patetico?”
“A patto che tu mi dia i tuoi popcorn.”
__
Lui le ha chiesto di uscire. Lei non respira.
Oh, Dio. Inspira. Espira. Andrà tutto bene, spera.
Sa di essere in anticipo ma fa finta di credere che sia lui quello in ritardo, tanto per complicarsi un po' la vita. Tanto perché non vuole smettere di tremare.
“Ehi, stai tranquilla.” le ha detto alla festa, così poco tempo prima, ma sembra che siano passati anni se si considera quanto lui le manca.
“Come si fa a stare tranquilli accanto al proprio idolo?” aveva sussurrato. Le mani le tremavano. Tutto troppo irreale, la paura di svegliarsi sotto la pelle.
Prima che lui potesse replicare lei si era alzata e il vestito si era mosso ancora, mosso dall'aria.
“Sappiamo tutti che quando vedi Justin poi urli.”
Niall aveva sorriso. Un altro dei mille buoni motivi per amarlo.
“Ma tranquillo, io non urlerò.” Aveva specificato. “Forse.”
Ora è seriamente in ritardo e Sarabeth alza gli occhi al cielo.
“Vediamoci prima del tour.” le aveva scritto il giorno prima.
E lei era lì sognante e illusa.
“Sarabeth!”
Aveva abbassato istantaneamente gli occhi sentendosi chiamare da quella voce.
Il sorriso sul volto di lei si era spento.
“Oh, Niall.”
Una fitta al petto che l'amore platonico non contempla.
“Ciao.” Le sorride ma non basta a scaldarla.
Lasciatela morire. Spegnete la luce e lasciatela sola.
Corre con lo sguardo alla mano di Niall che ne stringe un'altra. Le unghie smaltate di verde. Sapeva sarebbe successo, sapeva che anche lui avrebbe trovato, prima o poi, qualcuno di altrettanto regale da poterli stare accanto.
Ma per come si era svolto tutto, una parte (enorme) di lei sperava di essere la fortunata.
“Vi lascio soli.” sussurra quella creatura prescelta, dalle lunghe gambe e dal bel sorriso.
Chissà cosa le ha raccontato lui di loro. Un loro che non esiste ma che Sarabeth continua a sognare, notte dopo notte, botta dopo botta.
“Sono così felice per te.”
Peccato che per quanto riguarda lei si senta uno schifo.
“Grazie Sarabeth, davvero.”
Le guance le vanno in fiamme e gli occhi le bruciano. Non qui, non ora. Tu sei felice.
“Non devi ringraziarmi, Niall.” ora il suo nome, tra le labbra, ha un sapore diverso. Distante.
“Oh, sì che devo!”
Le spara uno sguardo giù nell'anima e lei spera non la legga, con quei due pezzi di cielo che c'ha incastonati in faccia.
“Se non fosse stato per te non avrei mai avuto il coraggio di dirle che mi piaceva, tremendamente. Se tu non mi avessi spinto a dirglielo, alla festa, sarei rimasto zitto e non l'avrei mai avuta.”
Come un castello di sabbia crolla sotto l'urto con l'onda, così Sarabeth crolla dentro, trascinata a picco dalle parole di Niall. Grazie a lei.
Ognuno è artefice del proprio destino, no? La fortuna ce la si crea da soli, no?
Beh, lei, a quanto pare, è una completa frana in tutto.
Ciao bellissima gente :3
Come state? Spero che la storia continui a piacervi e ringrazio tutti infinitamente per i complimenti.
Durante questo capitolo sono stata colpita dalla fatidica sindrome da pagina bianca, ma ho lottato contro il cursore e ho vinto, donandovi questa fantasmagorica schifezza.
Capitolo femminile, questo, sì. Perchè noi donne possiamo.
Dopo questo, mi ritiro. Siete belle.
xx. |
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** 8. ***
8.
“Posso farti una domanda che non dovrei farti?”
L’adrenalina del backstage che lo avvolge e lui che tiene stretto il cellulare così forte che ha le nocche bianche.
Brenda sussurra un tenue “sì” che lui percepisce più come un sospiro.
“Perché piangevi, l’altro giorno?”
Si sente abbastanza forte da poter ascoltare qualsiasi brutta cosa che il suo cervello ha ipotizzato.
Brenda trema leggermente, rannicchiata sul divano.
“Mi manca casa mia.” La voce sempre tenue.
“Argentina?”
“Argentina.” Sospira.
Zayn immagina il vuoto che provochi non vedere più i soliti visi, sentire i soliti profumi.
Immagina che ci si senta spaesati non vedendo più, sopra di sé, il solito pezzo di cielo.
“Ci tornerai.” La rassicura mentre un fonico gli passa veloce accanto.
“Non credo.” Continua a nascondergli qualcosa che forse lui non deve sapere.
“Cos’è che non mi dici, eh, Be?”
Un altro brivido a sentire il miele dentro al soprannome.
“Zayn, meno venti.” Gli sussurra Louis e lui annuisce.
“Ho così paura di perderti, di non essere abbastanza, di non dimostrarti abbastanza. E allo stesso tempo ho una tremenda paura di tenerci troppo, di tenerci per davvero.”
Continuano a fermare i loro sentimenti più profondi, più potenti, circoscrivendoli allo stomaco e alle farfalle simili a pterodattili che vi abitano.
“Ti vorrò sempre Be, che tu ti conceda tutta o meno a me.”
Prima che lei controbatta lui torna a parlarle.
“Ci andremo insieme a casa, ok?”
Un flash con le montagne perennemente sullo sfondo che danno quel tremendo senso di protezione che ora le manca così tanto.
“Promesso?”
Freme.
“Promesso.”
__
Sarabeth; il cuore che martella nel petto, si sistema i capelli e sente il brusio della gente, l'agitazione.
“Resta qui dietro.” Niall le sfiora la guancia con le dita.
Il cuore di lei che continua a creparsi ancora, e ancora, e ancora.
La mente le vola alla ragazza di Niall e proprio non vuole immaginare cosa hanno fatto insieme, ma lo fa comunque.
Ora lui le chiede di restare, quando lei non c'è. La voglia, presente e pressante, di essere la seconda scelta, la ruota di scorta.
Il tenue istinto che le dice di girarsi e correre, che le ricorda che non se lo merita.
Niall le disegna il profilo dello zigomo col pollice.
“Resta qui con me.”
Tutte le barriere costruite che crollano, il dover ricostruire tutto da capo.
Sarabeth pensa a tutte le persone nel mondo che, in quel preciso momento, stanno per dire “sì”.
Come lei.
Pensa a tutte quelle persone che si stanno auto-sminuendo, che si stanno buttando via.
Come lei.
Immagina centinaia di scene, di volti, di case in cui qualcuno ha davanti i propri sogni, in cui qualcuno li sta respirando.
Come lei.
Tutte quelle persone pazze e masochiste che vanno solo salvate prima che si distruggano del tutto, prima che inizino a piangersi addosso e a trovare una scusa per tutto, quando le scuse per il loro caso patologico non le hanno ancora inventate. Non per esperienza, eh.
“Niall, vedi...”
“Vedi, mi piaci tremendamente e vorrei passare tutta la vita dietro ad un palco con te.” Pensa.
“Il mio posto è da quella parte del palco, sempre.”
Lui le annuisce, ma non abbassa la mano dal suo viso.
Il confine tra amore e odio così vicino e pericoloso.
__
Cinque figure si dispongono sul palco, illuminati da una tenue luce rosa.
Cinque figure scombussolate, più vive che mai, che non si sono mai sentite così morte.
Cinque figure che sognano, che fanno sognare; che amano, che sono amati.
“Buonasera a tutti.” Boato.
Quel 31 marzo sarà un giorno prezioso da proteggere per tutta quella gente lì davanti.
Non ci si sposa e non ci si fidanza il 31 marzo, non ci si lascia, non si divorzia.
Quel giorno è il loro giorno, per sempre idolo-fan, almeno nei ricordi, almeno per poche ore ogni anno. Splendido anniversario indelebile.
A day to remember.
Louis fa oscillare l'asta del microfono davanti a sé mentre sente Liam intonare le prime note di More Than This.
Si blocca.
Non ha più chiamato la ragazza e gli è tornato in mente solo ora perché una che sta in prima fila ha la sua stessa maglietta.
Odia non mantenere le promesse, non fare ciò che dice. Si sporge e canta la sua parte, facendola tornare piccola dentro alla sua testa, dimenticandola ancora in parte, ancora una volta.
“Scusa.” pensa e glielo dedica sulle note conclusive della canzone, sulle note iniziali degli applausi che partono dal fondo e si avvicinano, investendoli.
“La prossima canzone dice “Can we try one more time?” e penso la conosciate tutti. Beh, ecco...”
Le belle parole appena formulate, scomparse.
“Volevo dedicarle ad una ragazza che non è qui stasera, con cui mi sono comportato male.”
Gli altri quattro lo guardano storto congiungendo le sue parole alla ragazza sbagliata che no, proprio non merita scuse.
Liam parte a cantare e la base si alza di volume.
Altri quattro minuti che volano veloci via, accompagnati e scanditi da quelle voci che urlano i loro nomi e cantano con loro.
Come sentirsi sempre troppo amati.
“Ciao Chelsea.” la saluta lui alla fine, dandole un ulteriore spunto per illudersi e dando una voce da ingrandire a piacere alle proprie fan.
Come sentirsi sempre al centro dell'attenzione.
__
Lui canta poco distante da lei, dalle sue dita tese. Spera non la riconosca.
Il biglietto lasciatole al bar, una qualche frase mielosa dentro.
Quindi questo è il suo vero io, la vera persona che è.
Questo è il vero Harry, l'autentico, l'immutato, quello puro. Ciao.
Harry la cerca tra la gente ma ha una miriade di luci contro e non vede oltre la terza fila.
Gli basterebbe solo spostare lo sguardo poco più a destra e riconoscere la sfumatura dei suoi capelli sotto il blu dei faretti che percorrono il pubblico.
Allyson lo guarda mentre, canzone dopo canzone, nota dopo nota, si spoglia di tutte le maschere che porta. Scavare dentro le persone.
Chissà se ha paura di tutta quella gente che lo fissa, che lo giudica.
Chissà se ne è attratto.
Allyson si guarda attorno e vede numerosi paia di occhi chiari e profondi, gambe lunghissime, vestiti corti. Questa è la gente con cui compete?
“Non mi interessano tutte le altre ragazze.”
Gliel'aveva detto lui, ma come crederci? Come affidarsi a qualcuno capace di controllarti attraverso una parete di vetro?
Il sottile confine tra il suolo e il baratro. L'orlo del precipizio da cui si sta per buttare.
La scritta “Harry”, tenue e confusa, davanti a sé. Un passo per prenderla, un passo per cadere.
Harry si gira di colpo dalla sua parte e lei si fa piccola sui tacchi alti. Negli occhi una luce nuova.
Con le unghie in gel laccate di rosa preme veloce sulla qwerty del suo blackberry e gli invia un messaggio, poi torna a guardarlo mentre gioca coi sogni di tutte quelle ragazze lì intorno. Che gioca coi suoi, ma non lo rivela a se stessa.
Un telefono vibra dentro uno dei camerini, ma nessuno ci fa caso.
“Se questo sei tu posso fare un passo avanti e sperare di non cadere. Non farmi cadere.”
__
“Chi è il più romantico?”
Il twit sullo schermo, scritto grande.
Tutte le dita che si puntano simultaneamente verso di lui che scuote i ricci e sorride, timido. Molto poco romantico, il suo ultimo gesto.
Egoista e autodistruttivo.
Eppure tutto ciò non lo esonera dall'essere il romantico del gruppo, colui che con le rose al compleanno ha un feeling speciale.
Colui che crede nell'amore ciecamente ma che pratica poco. Si fida poco di se stesso, forse, per sentirlo abbastanza.
Il problema è che ci voleva Madison per farglielo capire, per scuoterlo.
Il problema è che ci voleva che Madison se ne andasse perché lui capisse quando a fondo crede nell'amore.
Sapere bene la teoria e non saperla applicare, questo è il problema.
Scorrono altri twit nello schermo e il pubblico è in delirio.
La prima ragazza che vede è alta quasi quanto lui, sembra almeno, capelli di un biondo sporco, corti. Occhi anonimamente giallognoli.
Non come quelli verdi di Madison. Non come quelli grigi di Madison. Che sono sempre un po' tutto e un po' niente.
I twit scorrono e loro si indicano a vicenda, tutto appare casuale ma sono domande che gli hanno posto così tante volte che è automatico.
“La bugia più grande che hai mai detto.”
Altra scritta grande, capace di svelare più di quanto ci si aspetti, più di quanto si senta.
Louis sussurra qualcosa al microfono e la gente ride, Harry arrossisce violentemente.
È il suo turno e lui ripassa velocemente tutte le sue bugie. La più grande la trova subito.
Tra le recenti, ancora fresche di suono e vibrazioni.
“Non ho mai provato niente per te, Mad.”
Ciao bella gente :3
Questo capitolo va alla nuova gente che ho conosciuto grazie alla FanFiction stessa.
Grazie a tutti voi che recensite, siete i più fighi. :3
Ho visto che le visite crescono e che sono tra le seguite di parecchia gente in più. Grazie davvero a tutti.
Scusate per l'edit di questo capitolo, ma non sono a casa e non ho il programma e per il tremendo ritardo.
Spero di fare meglio in futuro.
Bye.
ps: oggi Lou era in radio, oh, Dio. <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** 9. ***
9.
Il
burro di arachidi perde il suo sapore se, mentre lo si mangia
(rigorosamente
col cucchiaino, a palate) si pensa a qualcosa dolce
all’ennesima potenza, lo
sapevate?
Le
cascate del Niagara fatte di cioccolato, la colonna sonora di Titanic,
un
ragazzo che ti chiede scusa, in maniera celata come tutto il suo
essere, ad un
proprio concerto, tanto per citare qualche esempio.
Il
burro di arachidi, però, continua ad esercitare il proprio
fascino sulla
vittima che continua imperterrita a spingersi calorie, di cui si
pentirà poco
dopo, giù per la gola.
Lo
stomaco pieno non colma i vuoti del cuore, sapevate anche questo?
Ci
si sente tremendamente asimmetrici e disuguali.
Rewind
di trenta
minuti.
“Ciao
Mad. Cerca su youtube i video del concerto di ieri sera; il momento dei
twit.”
Invia.
Le
mani di Liam incerte sul cellulare. Cosa diavolo sta facendo?
“Dovresti
chiamarla.”
Louis
avanza e si siede in un angolo del divano.
Il
profumo della villa di Liam, Niall e Zayn gli piace. Quel silenzio che
filtra
dalla campagna circostante sa di sole.
“Da
quando sei un guru nell’amore?”
“Dovresti
chiamarla.” Ripete uguale, stesso timbro e intonazione. E
forse lo sta dicendo
a sé stesso.
Liam
annuisce alle risposte che non avrà e alla consapevolezza
che sì, sarebbe la
cosa giusta da fare. Lui e le cose giuste, però, ultimamente
non hanno un buon
rapporto.
Fast
forward.
Il
video è in riproduzione automatica e riparte tutte le volte
da capo; la mano è
in comando automatico e porta tutte le volte nuovo burro
d’arachidi.
Qualcosa
dentro la testa di Madison non la smette di esplodere.
Perché
devono continuare a fare gli estranei quando entrambi sanno a che
livelli sono
arrivati? Lei l’ha sempre saputo, l’ha sempre
voluto, l’ha sempre sperato.
Però
Liam sembrava così lontano, e protetto, e ordinato per
entrare a far parte del
suo casino che lei si è tenuta tutto dentro, tutto sparso.
Le
sue amiche, ridendo e alludendo al gruppo di Liam, le indicavano Harry.
Pieni
di caos entrambi, dicevano, una bomba nucleare divisa a metà.
Ma
sono gli opposti che si attraggono, no? E lei ha disperatamente bisogno
della
persona che identifichi la pace più assoluta, di colui che
la sappia sedare.
E
il primo nome che le viene in mente è Liam. Il primo,
l’ultimo, l’unico.
Prende
il cellulare in mano senza staccare gli occhi dal computer.
Con
lo sguardo segue il movimento delle labbra di Liam che pronunciano il
suo nome.
È
così difficile
dover ripartire sapendo di aver sbagliato. Ricominciare tutto da capo
quando si
credeva di aver distrutto tutto per sempre. Ricominciare tutto da capo
senza
voler dimenticare il passato. Ma ce la faranno, forse. Tempesta dopo
tempesta.
Insieme.
__
Brenda
tiene gli occhi bassi e guarda la coperta ricamata. Piccole righine
chiare si
stagliano sul blu intenso del cotone. Spera anche oggi di non
svegliarsi e
continuare a sognare. Inspira. Espira.
“Vogliochetuvengaconmealmioprossimoconcerto.”
Lei
alza di scatto la testa e sbatte veloce le palpebre.
Zayn
ha parlato così veloce che ha detto tutta la frase
nell’arco di mezzo respiro.
Le
ci vuole qualche secondo per capire.
Ride
e lui sgrana gli occhi. Poi si blocca di colpo.
“Stavi
parlando sul serio?”
“Ti
ho detto che non (ti)
dico mai bugie.” Le sorride e un immaginario terremoto
scuote la stanza bruscamente, solo per lei.
“Quand’è
il prossimo?”
“L’8.”
Tossisce piano e lei pietrifica.
“Il
biglietto è gratis.” Lui continua a parlare e a
sorridere, sapendo di aver
colto nel segno.
Fiero
di se stesso anche più del solito.
“Siamo
a Parigi.” Le svela pian piano le informazioni.
Lei
pian piano delinea l’itinerario e sorride sempre
più forte.
“Ma.”
Il
sorriso si opaca leggermente.
“Dobbiamo
partire il 7, perché ci sarà un
Meet&Great nel pomeriggio.”
Come
se fosse un problema.
Zayn
apre il giubbotto di pelle e tira fuori qualcosa dalla tasca interna.
“E
questi sono i due biglietti, il tuo e il mio, e non puoi dirmi di
no.”
Gli
occhi le si illuminano quando prende conoscenza di tutto.
“Numero
uno: devo chiedere.” Inizia a dire poi. Freme.
“Numero
due: sai che giorno è l’8?”
Zayn
annuisce. “Gli auguri in anticipo portano sfortuna, non lo
sai?”
Parigi.
Il giorno
del suo compleanno. Con Zayn. Dov’è il trucco?
“Numero
tre: entro domani devo studiare matematica. Verifica. Se vado male dico
addio
sia a Parigi, che a te.”
Zayn
la guarda e si siede sul letto. Si chiede seriamente quanto debba
essere
intelligente.
È
pochissimo che risiede a Londra e sta già frequentando il
primo anno
supplementare delle superiori per poi accedere
all’università.
“Punto
ad economia e commercio, lo sai. Mia mamma ha fatto tanti sacrifici per
farmi
arrivare qui.” Fa una pausa e sospira.
Zayn
si avvicina e la bacia. Il profumo dello shampoo gli entra nei polmoni
dandole un
ulteriore pezzo di lei da portare sempre con sè.
Si
alza, poi, le appoggia il biglietto sulla scrivania e le sorride.
“Ci
sentiamo domani, ok, genio?”
Brenda
annuisce e lo guarda uscire a malincuore.
Parigi.
Il giorno
del suo compleanno. Con Zayn. Forse, per un qualche miracolo, per la
prima volta nella sa vita, il trucco non
c’è.
__
La
Holmes Chapel Comprehensive School ha il tipico aspetto austero ma allo
stesso
tempo accogliente delle scuole. La facciata in mattoni e gli alberi
tutt’attorno
conferiscono un senso di pace misto a dovere.
Camminando
Harry sfiora con le proprie dita quelle di lei ed entrambi arrossiscono
violentemente.
“Volevi
sapere chi era il
vero Harry, giusto?”
La
voce bassa e vibrata le arriva delicata da destra. Lei annuisce.
“Beh,
qui il vero Harry è cresciuto.”
Allyson
non sente il peso delle tre ore di macchina durante le quali ha dormito
beatamente, non sente il peso dello sguardo di suo padre quando
tornerà a casa.
Non
sente nulla se non la voce di Harry che le racconta.
Davanti
a quell’albero ha dato il suo primo bacio, racconta, ad una
ragazza che si
chiama Mary e che tutt’ora vede in giro, racconta, lei non sa
che è stato il
primo, se no a quest’ora sarebbe morta, racconta.
“Credo
abbia conservato un debole per me.” Le sorride per poi
aggiungere: “chi è che
non ce l’ha, poi?”
Allyson
gli tira un’amichevole pugno sulla spalla e lo prega di
continuare a parlare.
Non
sente, poi, il peso dei conti del bar che non tornano, non sente le
proprie
insicurezze e non sente che lui è un cantante famoso, non
sente la sua
ipotetica superbia.
Sente
solo la sua voce che continua a parlarle di quando andava a scuola,
mentre loro
passeggiano lì nei dintorni, lungo Selkirk
Dr
,
accanto alle sue casette basse e tutte uguali che sanno di abitudine e
protezione.
Si
stendono su un telo nei pressi del giardino della scuola e sentono in
lontananza
i ragazzi che ridono.
“Tu
di dove sei?”
“Londra.”
“Londra
Londra?”
Allyson
annuisce e si gira per guardarlo negli occhi. Annuisce ancora notando
che si intonano
con i propri senza sapere che lui c’ha già pensato.
“Ho
letto un pacco di roba su di te, sai?”
Harry
si appoggia sui gomiti e guarda da lontano la gente uscire per pranzare
sull’erba,
ora che il tempo lo permette. Spera che nessuno lo veda, non ancora,
almeno.
Torna
a guardarla e con un cenno del capo la invita a proseguire.
“Ci
sono scritte un sacco di cose diverse, contrastanti. Nessuno ti
può conoscere
attraverso un computer.”
Non
sa quanto male questo faccia alle sue fan.
Harry
si alza e lei si siede. Lui si sistema i pantaloni blu scuro e si passa
la
sinistra tra i ricci. Tende, poi, la mano destra davanti a
sé.
“Ciao,
sono Harry Styles, piacere.”
Lei
fa scivolare la propria mano in quella di lui.
“Allyson
Coen.” Gli sorride e lui torna a sedersi.
“Questo
è tutto ciò che devi sapere di me.
L’essenziale.”
Il
silenzio scandito dai loro respiri, sempre più vicini.
“Ciao
Harry Styles.” Gli dice senza smettere di avvicinarsi a lui.
“Ciao
Allyson Coen.” Ride lui in risposta.
Una
voce lontana li raggiunge. “Ehi ragazzi, ma quello
è Harry!”
Allyson
ride e appoggia la testa sulla spalla di lui. Sospira.
È
questo quello con cui deve competere?
“Scusa.”
Le sussurra lui piano, delicato. La voce che non smette di vibrare.
“Vai.”
Gli risponde lei mentre, da dentro, le avanza sempre più la
certezza che
potrebbe sacrificarsi. Sacrificare i loro momenti. Sarebbe pronta ad
interromperli bruscamente.
Harry
si alza e va verso lo stormo di ragazzine che gli stanno venendo in
contro.
“Non
sei gelosa, vero?” gli chiede voltandosi a guardarla, senza
smettere di
camminare.
“Perché
me lo chiedi?” Harry sorride e alza le spalle.
“Posso
imparare.” Gli dice lei di rimando, prima che venga
accerchiato.
Dalla
massa una sbuca e gli si para davanti.
“Ehi,
Harry, scusa.” Con la testa accenna ad Allyson.
“Io
le ho avvisate, ho chiesto loro di non venire,
ma…” Apre le braccia e
sospira.
“Non
ti preoccupare, Susan. Sai che mi fanno piacere.”
“Credo che lei ti
faccia più piacere, però.”
“Con
lei ho tempo tutta la vita e, più concretamente, tre
interminabili ore di
viaggio.”
Si
sorridono.
Vecchie
amicizie che ti fanno sentire sempre lo stesso, ogni volta che torni a
casa.
Questo
è il vero Harry.
Il
pensiero che si delinea nella mente di lei, che lo guarda da lontano e
che la
fa stare bene.
Nuove
amicizie che
ti fanno sentire ogni istante una versione migliore di te stesso.
Ciao bellezze, come state?
Io sono sopravvissuta
alla verifica di latino, quindi credo di poter sopravvivere a tutto.
Questo capitolo, e in
particolare la parte in neretto di Liam, va alla Cat, che
è bella e che amo tanto.
Tempesta dopo tempesta,
ok?
piesse
importante: pubblico quando raggiungo le 5 recensioni.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** 10. ***
10.
Il cellulare
squilla sempre troppo lontano, costringendola, ancora una volta, ad
alzarsi.
“Pronto?”
La voce
assonnata di chi ha passato due ore stesa sul divano guardando
tv-spazzatura.
“Ehi, sono
Louis.”
Silenzio.
Un orologio
che ticchetta distante, non si sa bene in quale delle due case.
“Quello
della festa, hai presente?”
Chelsea
sorride e guarda automaticamente per terra. Come se ci si potesse
dimenticare
di lui.
“Sì, sì. Ho
capito.”
Ripercorre
con la mente tutti i poster che le sue sorelle hanno attaccato sui loro
muri.
Tutti quelli che lei stessa ha aiutato ad attaccare. Sempre i soliti
occhi, di
quell’azzurro misto a qualcos’altro che ancora non
ha capito cos’è, che ha
avuto la (s)fortuna di vedere arrossati, stanchi.
E forse non
è l’unica ad inventarsi le scuse per piangere, ad
aspettare la pioggia, la
doccia, una birra, la canna, per giustificare gli occhi rossi, per
giustificare
la breccia nel muro dell’autocontrollo.
Louis
respira regolare, il telefono premuto contro l’orecchio e
Harry che lo guarda
severo di fronte.
Gli amici si vedono nel momento del
bisogno, dicono, quando ti consigliano cosa devi fare, dicono, quando
ti
indicano la strada, quando ti sei perso, quando ti riportano alla
realtà,
dicono. Anche se fa male, dicono.
“Louis, non
ritornerà.” Gli ha detto poco prima e le sue
parole, vibrate, ancora gli
rimbombano in testa.
Male, fa
sempre più male. L’omissione del suo nome dalle
frasi, il primo passo per
l’omissione da lei dalla sua vita. Male, fa sempre
più male. E lui continua a
respirare regolare, cercando qualcosa di carino da dire.
“Scusa se
non ti ho chiamata.”
Harry
socchiude gli occhi e annuisce. Può essere un inizio.
“Louis, è
andata.” Il
discorso di Harry che
continua a scorrere sopra i suo respiri, le parole che ritornano dentro
la sua
testa, che non vogliono andarsene.
Il male che
si placa ad ogni respiro per poi tornare, sempre più forte,
ogni volta che
l’aria torna a toccargli le pareti dei polmoni.
“Non ti
preoccupare, è tutto ok.”
Lei non
smette di immaginarselo al telefono mentre, con tutta
l’indifferenza che le
riesce, rimane sulla superficie dei loro possibili discorsi. Complicati
problemi di una mente troppo fantasiosa.
Ogni volta
ci crede un po’ di più, riponendo speranze in
persone casuali.
Il tempo di
una birra e lei ci è già dentro fino al collo.
“Beh, non so,
ti va di uscire?”
Harry
sorride più convinto e Louis si illude di aver detto la
frase giusta al momento
giusto.
Gli amici ti obbligano a fare ciò
che
è meglio per te, dicono, ti obbligano ad essere una persona
migliore, ad
esternare il tuo vero “io”, dicono.
Le parole
ritmate di Harry che continuano a girare e a ripetersi.
“Se ne è
andata e chissà quando capirà
quant’è stata cogliona, quanto sei
splendido.”
E detto da
lui è così strano e profondo che gli sembra quasi
vero.
“Sì.” Si
lascia sfuggire lei con troppa enfasi mandando all’aria tutti
i suoi piani del
“farsi desiderare”.
Lo riporta
alla realtà e gli appanna un sorriso sul viso. Harry implode
vedendo una
piccola luce infondo al tunnel dell’amico, che poi
è anche il proprio.
Gli amici sperano, soffrono, vivono
con te, dicono, per non farti mai sentire solo, dicono.
“Oh,
perfetto.” Entrambi parlano con sospiri che nessuno sa come
interpretare.
“Che ne dici
di, uhm, domani?” Non vuole darle tempo e vuole ricominciare
ad ingranare.
Ripartire e
carburare, correre e ricordarsi com’era. Vuole rifare tutto
da zero e
rischiare.
Lei è solo
un’opportunità ed è sicuro che
rimarrà tale. Non vuole illudersi, non vuole
iniziare a credere nel colpo di fulmine e cazzate varie proprio ora.
Anche se
ne avrebbe così bisogno.
A qualche
chilometro di distanza, dentro altre pareti, lei sta facendo gli stessi
pensieri quando risponde alla domanda di lui affermativamente.
“Alle
quattro a Trafalg Square, ok?” aggiunge.
Posti
scontati, per gente scontata che vive vite scontate quali la sua.
Lui
acconsente e chiude la chiamata. Inizia a rinascere e le parole del
riccio si
appannano un poco davanti alla prospettiva di un nuovo viso da studiare.
Harry si
alza ed esce dalla stanza, gli scombina i capelli passando e fa un
suono con la
gola simile alle fusa dei gatti.
Gli amici si limitano a sorridere
quando sanno che le parole non sono abbastanza, dicono, ti leggono e
capiscono
prima di tutti, dicono, e non ti giudicano, dicono.
__
“Mi sento
uno schifo.”
Gli occhi
velati e tristi,
più chiari e limpidi
del solito, forse più belli.
“Cos’è
successo, Nialler?”
Zayn lo
guarda fisso, intensamente e Niall sostiene lo sguardo.
A vederli
sembrano gli opposti. Così, seduti su una panchina del
centro, uno biondo e
chiaro, l’altro moro e più scuro. Sono
complementari.
A vederli
così non si riesce a capire il bene che si vogliono e che
forse non dimostrano
sempre.
“Ti è mai
capitato, Zayn, di…” cerca di sviare i propri
discorsi, di prenderli da
lontano, con calma.
“Di
illuderti, di valutare qualcuno in modo superiore, di
stupirti vedendo che
non ti conosci abbastanza?”
Niall ad ogni
parola affonda sempre più dentro alla
maglietta chiara.
“Sì, credo
di sì.” La voce leggermente insicura che cerca di
dire le cose giuste.
“Non credo
che Felicity sia così giusta per me.”
Sospira e
affonda. “O
meglio, credo di non essere
giusto io.”
Tipico di
Niall, darsi la colpa. Anche quando nessuno può averla.
“E pensare
che l’ho sognata così tanto.”
“Non potevi
sapere com’era.”
“Avrei
potuto pensarci, Zayn!” alza la voce e arrossisce
violentemente.
La sta
ferendo e lo sa, lo sta facendo consciamente e inconsciamente al tempo
stesso.
Le sta
facendo del male, anche se lei non lo sa ancora. E non vuole essere
quel tipo
di persona.
“E ora come
glielo dico? Come le dico che pensavo fosse diversa?”
Affonda
ancora e sembra non respiri più, tanto sta fermo. La vita
confermata dalle guance
che continuano a bruciargli e dalle dita che, impercettibilmente,
tremano.
“Prova a
darle tempo, vedrai che scoprirai com’è
realmente.”
Zayn non
vuole sapere cos’ha lei che non va, perché sa
già che non capirebbe.
“Mi sento un
bambino viziato.” Sentenzia dopo un lungo silenzio Niall e
abbassa lo sguardo
quando una ragazza gli sorride da lontano.
“Hai solo
fatto un po’ di casini…”
Niall lo
guarda malissimo e Zayn alza le spalle. Dopotutto, è
lì per dirgli la verità,
no?
Il biondo
tira fuori il cellulare e fa partire una chiamata.
“Ehi, ciao,
sono Niall.” Un lieve sorriso sulle guance del ragazzo e Zayn
si illude lei che
possa capirlo.
Spera che sia
tanto buona quanto bella. Perché sì, se ve lo
state chiedendo, l’ha studiata
parecchio.
Era il suo Niall che stava
frequentando, non un ragazzo qualsiasi.
La ragazza
dall’altra parte del telefono dice qualcosa che lui non
capisce. Niall si
illumina inconsciamente.
“Ho bisogno
del tuo aiuto, Sarabeth.”
Le teorie di
Zayn crollano e Niall tiene lo sguardo distante, cosicché
lui non lo possa
rimproverare.
Sarabeth
muore dentro come ogni volta che sente il biondo pronunciare il suo
nome.
Ciò che
prova per lui sa sempre meno di ‘platonico’ e
sempre più di ‘oh, cazzo, ti
piace’.
Illusioni su
illusioni. E lei afferma, gli da la sua disponibilità.
Usala, che
tanto te lo lascerà fare. Feriscila, trascurala e poi
ritorna da lei. Sarà
sempre lì ad aspettarti, tranquillo.
Niall chiude
la chiamata dopo averle dato appuntamento per l’indomani e un
sorriso gli
sporca ancora il volto.
“Sai che non
dovresti farlo.” Zayn
si sente preso in
causa, in dovere di salvarlo o, quanto meno, di metterlo in guardi.
“Cosa?”
Niall ha il terrore di sbagliare anche con lei.
“Illudervi
così. Illudervi tutti e tre.”
Conta, poi,
con le dita.
“Uno: tu. Ti
illudi che tutto possa migliorare prendendo la via più
facile. Lasciando correre
e passando più tempo che puoi lontano da Felicity
perché sì, Niall, entrambi sappiamo
che è quello che farai.”
Alza l’indice
e continua. “Due: Felicity. Almeno non dirle che
l’ami, che sai quanto le
ragazze ci credono. Devi deciderti al più presto e devi
farlo per te.”
Alza il
medio andando a completare la sua conta. “Tre: Sarabeth. Che
ti ‘amava’ ancora
prima di conoscerti e tu sai come si può sentire. Si sta
buttando via per te,
non c’arrivi?”
Niall lo
abbraccia e cerca di assorbire quella forza che l’amico ha
dentro. Cerca di
sapere sempre anche lui cosa fare. La voce di Zayn che enuncia i punti
è ancora
dentro la sua testa, sommata a tutto il casino che già
c’è.
__
Liam tiene
il microfono dolcemente mentre Madison lo guarda.
Il soggiorno
di lei, grande e dai colori caldi, li contiene.
“Ho studiato
tutta la settimana questa canzone, ma credo verrà bene solo
cantata davanti a
te.”
Si sorridono
e qualcosa dentro di loro scatta appena la base parte e lei la
riconosce.
Ocean
Avenue. Ama quella canzone, ama gli Yellowcard e qualcosa le
dice che può aggiungere
anche Liam alla lista.
“There's
a place off
Ocean Avenue
Where I used to sit and talk with you
We were both 16 and it felt so right
Sleeping all day, staying up all night
Staying up all night.”
(C'è un posto su
Ocean Avenue
Dove mi sedevo a parlare con te
Avevamo 16 anni e stavamo così bene
Dormivano tutto il giorno, stavamo svegli di notte. Stavamo svegli
tutta la
notte)
Quando
si sono
conosciuti avevano 16 anni, lui quasi 17, e si parlavano
così poco. Solo quando
gli altri della compagnia andavano via, solo quando erano soli e
potevano
permettersi di essere loro stessi.
“There's
a place on
the corner of Cherry Street
We would walk on the beach in our bare feet
We were both 18 and it felt so right
Sleeping all day, staying up all night
Staying up all night”
(C'è un posto
all'angolo con Cherry Street
Camminavamo sulla spiaggia a piedi nudi
Avevamo 18 anni e stavamo così bene
Dormivano tutto il giorno, stavamo svegli di notte
Stavamo svegli tutta la notte)
Madison non
smette di sorridergli mentre la voce di Liam canta quella che potrebbe
essere
la loro storia.
Diciotto
anni li hanno ora e sì, correvano a piedi nudi sulla sabbia,
l’estate prima.
Diciotto
anni, quelli che Liam ha festeggiato con lei sugli scogli, alle tre del
mattino.
“If
I could find you
now things would get better
We could leave this town and run forever
Let your waves crash down on me and take me away”
(Se ti trovassi
adesso le cose andrebbero meglio
Potremmo
lasciare la città e correre per sempre
Lascia
che le tue onde si infrangano su di me e portami via)
E
lui è lì a
ritrovarla. E lei è lì che si lascia trovare. Una
pace cantata a segnare il loro
nuovo inizio.
Madison non
toglie lo sguardo dagli occhi di Liam. Non ha bisogno di portarlo via,
se sa
che lui le appartiene.
“There's
a piece of
you that's here with me
It's everywhere I go, it's everything I see
When I sleep, I dream and it gets me by
I can make believe that you're here tonight
That you're here tonight”
(C'è un pezzo di te
che è ancora qui con me
è ovunque io vada, è tutto ciò che vedo
Quando
dormo, sogno e la notte passa veloce
Posso farmi credere che tu sei qui stanotte
Che sei qui stanotte)
Sanno
che
staranno lontani, sanno che si mancheranno, che si vedranno poco e che
ci
saranno momenti difficili. Ma lui sarà lì da lei
ogni attimo disponibile, ogni
giorno libero. E lei studierà per prendere quella maledetta
patente, comprerà
una macchina e andrà a trovarlo. Si sogneranno la notte e
abbracceranno il
cuscino, fingendo che possa essere più che un ammasso di
piume d’oca.
“If
I could find you
now things would get better
We could leave this town and run forever
I know somewhere, somehow
we'll be together
Let your waves crash down on me and take me away”
(Se ti trovassi
adesso le cose andrebbero meglio
Potremmo lasciare la città e correre per sempre
So che in qualche posto, in qualche modo
staremo insieme
Lascia che le tue onde si infrangano su di me e portami via)
Madison
non
la smette di tremare e sente le lacrime spingere dietro le palpebre.
Non vuole
piangere. Vuole trattenere tutte le immagini che ha di lui in questo
momento e
crede che piangendo esse possano essere lavate via e proprio non se lo
permette.
“I
remember the look
in your eyes
When I told you that this was goodbye
You were begging me not tonight
Not here, not now”
(Ricordo lo sguardo
nei tuoi occhi
Quando ti ho detto che quello era un addio
Tu mi pregavi 'non stanotte
non qui, non adesso')
A
Liam sale
la nausea, pensando quant’è stato cretino, quella
sera. Pensando a che disastro
poteva combinare e ringrazian tutti gli dei a cui può
arrivare per avergli dato
una seconda possibilità.
“We're looking up at
the same night sky
And
keep pretending the sun will not rise
Be together for one more night
Somewhere, somehow”
(Adesso guardiamo lo
stesso cielo di notte
E continuiamo a fingere che il sole non sorgerà
Che staremo insieme ancora una notte
In qualche posto, in qualche modo)
Entrambi
staccano lo sguardo dall’altro e lo puntano fuori dalla
finestra, quasi sotto
comando.
Il
sole sta
tramontando solo per loro e una falce di luna sorride timida.
La loro
prima notte vera e propria, effettiva, alla luce di un sole che li sta
lasciando.
Finalmente allo scoperto, finalmente totalmente sinceri.
“If
I could find you
now things would get better
We could leave this town and run forever
I know somewhere, somehow
we'll be together
Let your waves crash down on me and take me away”
(Se ti trovassi
adesso le cose andrebbero meglio
Potremmo lasciare la città e correre per sempre
So che in qualche posto, in qualche modo
staremo insieme
Lascia che le tue onde si infrangano su di me e portami via)
Liam
decelera sull’ultima frase e si concede a lei. Abbassa la
testa e sorride al
pavimento.
Madison
applaude e gli va incontro. Gli prende il viso tra le mani e affoga
dentro agli
occhi di lui.
Speciale
dose quotidiana di cioccolato. Liam si abbassa e, cingendole la vita
con le
mani, la bacia.
La bacia per
tutte le volte che non l’ha fatto e che avrebbe dovuto, la
bacia per tutte le
volte che avrebbe voluto. La bacia per chiederle scusa e per dirle di
restare,
per smettere di sentirsi un cretino, un colpevole. La bacia per
alleviare quel
terribile peso che si porta dietro da quando l’ha lasciata.
“Quando te
ne sei andato, alla festa, ho capito che qualche parte di me era venuta
via con
te.”
Gli dice poi
lei, respirandogli vicino.
“E sapevo
che non sarebbe più tornata se non fossi tornato
tu.”
Lui torna a
baciarla.
“Credevo di
non riuscire a vivere un’intera vita senza essere me. Senza
avere te.”
Lui la bacia
di nuovo.
“E ora che
sei qui, so che avevo ragione.”
Ok, ciao gente :3 Spero che
questo capitolo vi piaccia e che recensiate.
Scusate per l'edit
(soiprattutto nella parte di Liam, ma Nviu non mi prende il testo su
due colonne -o probabilmente non so fare-).
Un saluto enormissimo a Weas che
mi riempie di complimenti che non mi merito e che è
simpaticissima.
Se vi va, andate a
leggere la sua FF perchè merita.
Siete i più
belli.
ps: 5 recensioni e
pubblico, again.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** 11. ***
11.
Trafalgar
square riecheggia poco distante quando loro scendono dalla macchina di
Harry.
Zayn
si specchia in un finestrino e gli altri lo canzonano, lui ride con
loro.
Ha
voglia di vederla, un po’ come sempre. Una voglia sempre
diversa e sempre la
stessa.
Trafalgar
square sembra chiamarli cantando e loro si lasciano ammaliare, ognuno
diretto
verso occhi diversi.
Firmano
qualche autografo prima di dividersi e augurarsi a vicenda buona
fortuna
battendosi le mani sulle spalle.
Perché
ognuno di loro vive quattro vite che non sono la propria, ama, ride,
soffre in
quelle quattro vite quasi quanto fa nella propria.
E
forse tiene più a
quegli speciali universi paralleli di se stesso che a se stesso
direttamente.
Brenda
l’aspetta sotto la statua e quando lui arriva è
già lì, circondata da coppie
innamorate che si scattano foto tenendosi stretti.
“Ehi…”
le sorride lui sperando non si accorga che è in ritardo.
Lei
si porta l’indice alle labbra, anche questa volta rosse, e
gli fa segno di fare
silenzio.
Zayn
si guarda attorno mentre lei tiene lo sguardo perso nel vuoto, distante.
Qualche
secondo dopo si scuote e sembra tornare nel nostro mondo.
“Che
hai fatto?” le chiede Zayn, le sopracciglia alzate, che non
ha ancora smesso di
sgranare gli occhi attorno a sé.
“Niente,
stavo solamente sentendo i due che litigavano.”
Entrambi
scoppiano a ridere e lui la prende per mano e la spinga contro di se.
Lei
deglutisce a vuoto perché ancora deve imparare a sostenere
quello sguardo che
sembra dirle sempre un sacco di cose e sembra aspettare sempre che sia
lei a
parlare.
Lui
deglutisce a vuoto perché ancora deve imparare a sentirsi
così bene e così
pieno tutto in una volta sola.
Le
mani di Brenda sono aperte sul petto di Zayn che si alza regolare al
suo
respiro.
“Mi
sei mancata.” Le sussurra lui e la stringe più
forte, le respira più vicino.
Ora
provate a trovare le differenze tra loro e tutte le coppie che li
circondano.
Guardandoli, attentamente, nei loro pensieri, scavandoci dentro,
troverete solo
una piccola nota stonata, un dettaglio apparentemente insignificante,
cosa
volete che sia?, nulla di cui preoccuparsi.
Trovato
nulla? Cercate meglio.
Andate
oltre gli occhi a cuoricino e le labbra che si sfiorano, oltre le dita
che si
percorrono a vicenda e oltre le parole di miele. Scendete lungo la
strada delle
parole sussurrate e continuate a camminare, svoltate
all’angolo dei pensieri
nascosti e sentitevi quasi vicini al vostro particolare.
La
statua di Nelson li scruta dall’alto e sembra aver capito, e
voi?
“Anche
tu.” Gli risponde lei, andandolo poi a cercare per un bacio,
un altro, l’ennesimo,
mai l’ultimo.
Improvvisamente
si scosta e gli appoggia la testa sulla spalla, inquieta.
“Cos’è
successo, Be?”
Le
mani di Zayn le scendono sui fianchi e le scaldano la pelle sotto la
felpa
chiara.
Brenda
continua a respirare e cerca dentro di sé la forza per
dirglielo senza sapere
come reagirà.
Vi
sentite vicini alla verità?
“Zayn,
se io ti dicessi che non mi chiamo Brenda, che questa non è la mia
vita, come reagiresti?”
__
“Voglio
che tu venga con me a Parigi.”
Le
sorride Liam e incrocia le dita sotto al tavolino del bar in cui sono
entrati
per pranzare.
Una
birra e una coca li separano e lui deve controllarsi per non mettere
tutto da
parte e avvicinarsi di più.
Eppure
loro sì che sanno cos’è la distanza,
fisica, spirituale.
Ma
solo chi se ne va
può tornare, solo chi si perde può essere trovato
e forse qualcosa dentro di
loro li ha solamente spinti ad essere un ritorno e non una
novità.
Madison
sbatte le ciglia, unite dal mascara, e lo guarda fisso negli occhi.
Beve
un sorso di Coca e gli sorride sapendo che non può aspettare
tanto perché non
ha pazienza.
Senza
mai staccargli gli occhi dai suoi respira regolare e sorride.
“Sai
che non mi faranno mai venire.” Sentenzia alla fine, ma
sorride ancora.
Questo
può essere preso come un biglietto per la sua vita, quella
da cui lui l’ha
sempre tenuta lontana.
Quella
da cui lui l’ha sempre protetta, direbbe lui.
“Nemmeno
se vengo di persona a parlare con tuo padre?”
Madison
ha male alle guance a forza di sorridere ma rincara la dose e i suoi
denti
spuntano leggermente dalle labbra socchiuse.
“Forse
si può fare.”
“Ho
due biglietti del treno che parte fra un’ora, non accetto un
forse come
risposta.”
“Oh,
Liam, io ti…”
Inizia
a parlare con troppo slancio e frena bruscamente sul finale della
frase, il freno a mano che viene tirato.
Silenzio.
Di
quelli strani e carichi, di quelli rumorosi e pieni.
Allungandosi
sopra il tavolo e raggiungendola lui la bacia, teneramente.
“Anche
io.”
__
Jeans
troppo stretti e tacchi troppo alti; camicia troppo azzurra, capelli
troppo
ricci.
Non
sa come aspettarlo e cosa aspettarsi. Non sa cosa dovrebbe avere di
sbagliato,
non sa cos’ha.
“Chelsea!”
Una
voce che la chiama e lei si volta. Lui le trotterella davanti facendosi
largo
tra la folla.
“Scusa
il ritardo, davvero, ma Zayn ci ha messo delle ore e Harry è
attentissimo ai
limiti perché ha la patente nuova e Niall non la smetteva di
mangiare…”
Louis
si guarda riflesso nei suoi occhi scuri e decide che è
meglio smetterla.
“Ma
immagino tutto questo non ti importi.”
Se
la ricordava più bassa, ma forse sono i tacchi; se la
ricordava meno bella, ma
forse era l’alcool.
“Ti
va di fare un giro? Io non ho molta fame…” Propone
lei e lui le annuisce.
“Senti,”
inizia poco dopo, i suoi pantaloni si intonano con un palloncino
sfuggito a
qualche bambino che ora vaga da solo, “mi dispiace veramente
tanto di non
essermi fatto sentire subito, ma sono in un periodo di merda.”
“E
allora cosa aspetti ad uscirne?” La domanda-risposta schietta
lo lascia
spiazzato e l’eco delle parole di lei lo riempie.
Molte
volte c’è solo
bisogno di qualcuno che ci faccia le domande che non riusciamo a farci
da soli.
“È
difficile e mi sembra di non farcela.”
La
sua sincerità un pegno da pagare per farsi perdonare.
“C’è
sempre una luce in fondo al tunnel.”
“Nel mio non la vedo.”
“Allora
vuol dire che sei girato contro un muro.”
“Ma
poi, cosa vuoi saperne? Non conosci quello che ho passato,
cos’è successo, cos’hai
fatto.”
Ora
sta dando la colpa a lei e sa che non deve.
Si
blocca e qualcosa dentro di lei esplode. L’onda
d’urto le esce dalle labbra
al rossetto ‘nude’ sotto forma di sussurro.
“Ah
sì? Credi non ne sappia niente? Credi non abbia mai provato
quel peso nello
stomaco che ti inchioda a terra e la cosa più giusta da fare
sembra fissare il
soffitto per ore sperando di non piangere?”
“Scusa.”
Le dice lui mordendosi il labbro e no, proprio non è stato
un buon inizio.
Sempre il solito.
Chelsea
continua, spostandosi i capelli scuri dietro le spalle.
“Ora
facciamo un esempio, ok? Tanto per vedere se ne posso sapere qualcosa,
guru
dell’amore.”
Alza
le sopracciglia e parla veloce. Tasto dolente per entrambi.
“Mettiamo,
per ipotesi eh, che una ragazza di 18 anni sposi il suo migliore amico
di cui è
innamorata persa dai tempi delle medie, ok? Ora immagina che i genitori
di lei
siano felicissimi e che lei si senta finalmente completa. Bene, adesso
prendi
il ragazzo diventato suo marito e fagli capire qualcosa più
a fondo su se
stesso e sui propri gusti. Cosa ottieni?”
Non
gli da il tempo di rispondere e torna a parlare.
“Ottieni
un divorzio, un ragazzo gay alla scoperta di se stesso e una ragazza
con
frammenti di cuore e nessun tubetto di colla. Ah e come dimenticare i
genitori
freddi che non la capiscono e le danno la colpa.”
Chelsea
è spaventata dall’avergli raccontato tutto ma non
le hanno dato il tasto 'rewind' nella vita.
“Scusa.”
Ripete lui, costante e le parole gli vengono a mancare così
passa agli
abbracci.
“Non
li sopporto.” Sentenzia lei, premendogli lo stesso il viso
sulla spalla.
“Nemmeno
io.” Le sussurra lui all’orecchio e posandole
entrambi i palmi aperti sulla
schiena.
“Sei
mai stata in Francia?”
Non
sa cosa sta per dire ma non intende saperlo. Ha voglia di ascoltarsi e
poi
capirsi, liberarsi.
“Ci
vado questo fine settimana.”
Quale
Dio vuole loro bene?
“Sei
invitata a cenare sul Bateaux-Mouches sabato sette, allora.”
Lei
si scosta leggermente tornando a guardarlo negli occhi e pensando alla
faccia
che faranno le sue sorelle.
“Concerto.”
Tossisce piano lui.
Si
avvicinano troppo l’uno all’altra, nessuno ragiona
più.
“Non
so cosa mi stia succedendo.” Dice lui indietreggiando e
passandosi le mani sul
viso.
Nessuno
dei due lo sa, solamente che a lei non interessa.
Sapere,
non sapere, che differenza fa? Da qualche parte, qualcuno, ha scritto
la tua
vita e tu stai solo avverando i suoi desideri. Quindi perché
non prendere come
un bene tutto ciò che arriva?
“So
che, un giorno,
riuscirai a mettere assieme i pezzi.” Gli
appoggia una mano sul petto e sente il
suo battito.
“Credi
di avere la
colla?”
“La
spaccio la sera.”
Rieccomi
qui, fanciulle e fanciulli (?)
Ho
poco meno di sei recensioni a capitolo e non sapete quanto questo mi da
piacere.
Come
vi è sembrato? Recensionate per dirmi quello che vi passa
per la testa, anche un "io mi chiamo semaforo", tranquillli, sarete
capiti.
Auguri
a tutte le directioners, oggi.
xx
ps:
grazie infinite per tutti i complimenti.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** 12. ***
12.
Una
ragazza mora gli sorride, in grembiule teso sopra la divisa del
ristorante, il
piccolo galletto appuntato sul petto.
“Non
puoi non esserci mai stata!” ride lui e frena la voglia di
prenderla per mano.
“Fino
a venti minuti fa, quando mi ci hai trascinata, non avevo idea che
esistesse un
posto così.” Gli sorride tenera lei e frena
l’impulso di sciogliersi ai suoi
piedi.
“Sai”
inizia poco dopo, mentre aspettano da mangiare seduti vicini, uno di
fronte all’altra,
“non riesco a credere che tu, che io…”
ha paura di pronunciare quel ‘noi’ che
non ha ragione di essere.
“Non
riesco a credere di essere così fortunata a starmene qui,
con te.”
Ok,
l’ha detto. Inspira. Espira.
“Ho
bisogno di te, Sarabeth.”
Niall
la interrompe e cambia discorso, disperato. Ha veramente
bisogno di lei in tutti i modi lei possa essergli utile.
Perché
sa che lei può aiutarlo come Felicity non riuscirebbe mai a
fare, perché sa che
lei è la giusta mescolanza tra fan e ragazza,
perché lo legge in quegli occhi
azzurri e trasparenti che lei è ciò di cui ha
bisogno.
Sarabeth
morde il bordo in vetro del bicchiere per non urlare. Resistere, deve
solo
resistere e non affondare in quegli occhi di cielo, resistere e
continuare a
respirare, resistere ed essere ciò di cui lui ha bisogno.
“Cos’hai
fatto, Niall?” la voce che non sa se essere distante o
interessata, presa o
leggermente distaccata.
“Prima
devo dirti una cosa, Beth.”
“Sara.” Lo corregge e Niall si riscopre impreparato
e ansioso di imparare.
“Non
voglio tu stia male per me, perché sono un cretino che non
fa mai la cosa
giusta.” La voce roca.
“Ehi,
tu sei Niall dei One Direction, quello solare che ama la vita,
ricordi?”
È
così che lei l’ha conosciuto, così che
lei l’ha sempre visto ed ha paura di ciò
che lui le sta per dire.
“Ascoltami
come se fossi Niallebasta e non NialldeiOneDirecion, per
favore.”
Sarabeth
annuisce e lui torna a guardarla, mentre una cameriera troppo magra
appoggia i
piatti davanti a loro.
“So
che con Felicity non va come mi aspettavo.” E lei muore
dentro.
“So
che con te non va come mi aspettavo.” E da qui è
un percorso in discesa.
“Ma
non voglio che lei stia male a causa mia e allo stesso tempo non voglio
stia
male tu.”
“Chiamala
e dille tutto, non puoi sminuirti per sempre. Non devi prenderla in
giro.”
“Vieni
in Francia con me.”
Il
cibo si raffredda dentro i loro piatti, ma sono entrambi troppo
impegnati a
sostenere lo sguardo dell’altro.
“Tu
chiamala.” Lo sta facendo ancora, lei. Continua a gettarsi
via per quella buona
causa che è lui, che è la sua
felicità, che è la sua vita pulita e scorrevole,
spensierata.
Alla
propria penserà un altro giorno.
“Tu
vieni a Parigi con me.” Non ha intenzione di cedere
perché dentro a quegli
occhi legge che è ciò che deve fare. Per
sé, per lei.
Sarabeth
non sa se alzarsi in piedi sul tavolo e ballare o urlargli quello che
deve
fare, quello che è giusto che faccia.
“Facciamo
un patto, ok?”
Niall
le ferma i pensieri ancora una volta e, ancora una volta, li calamita
attorno a
sé.
Lei
annuisce e mangia qualcosa.
“Tu
vieni a Parigi con me” ama ripeterlo “e io, quando
siamo là, chiamo Felicity e
le dico tutto.”
La
salsa piccante le brucia le labbra.
“Hai
vinto, Horan.”
Entrambi
stringono il bordo del tavolo per non alzarsi e saltare, alla paura per
ciò che
stanno facendo penseranno poi, ai rimpianti, ai sensi di colpa.
“Tu
vieni a Parigi
con me.” Dice
per l’ultima volta Niall, riassaporandone il sapore, prima di
concedersi Nando’s
tutto per sé.
__
Liam
guarda fuori dal finestrino del treno e si autoconvince che sia il
vagone ad
oscillare e non lui a tremare.
“Non
ho mai visto tuo padre.” Sentenzia poi scendendo dal treno e
rompendo il suo
lungo silenzio.
“Lui
ha visto te, però.”
Liam
la guarda e alza le sopracciglia; lei gli sorride.
“Ok,”
inizia “vedi, devi sapere che i miei sono molto protettivi,
forse troppo.
Appena sei arrivato, la prima estate, lui è venuto sotto
casa tua a vederti,
vedere che tipo eri, conoscerti da lontano senza farsi conoscere. Tutto
per me,
per la sua bambina.”
E
le guance le diventano rosse e lui la mangerebbe.
“E
ho superato l’esame?”
“E
hai superato l’esame.” Proclama e lui si sente
più vicino alla meta.
Arrivano
camminando vicini alla casa di lei e lui sente il profumo del mare
investirli.
“Mi
mancava questo posto.” Dice lui sull’uscio della
costruzione verniciata di
bianco da poco.
“A
questo posto
mancavi tu.”
Liam
si china a cercare le sue labbra e la porta davanti a loro si apre.
Liam
devia e si china a raccogliere un immaginario oggetto, per poi tornare
scattante in piedi, pulirsi le mani sui jeans e tendere la destra
davanti a sé.
“Salve.”
La
mamma di Madison gli fascia la mano con la propria.
“Ciao
Liam, entra pure.”
Sorride
poi alla figlia che le sorride a sua volta; due gocce
d’acqua, la stessa
persona a distanza di anni.
Liam
varca per la centesima volta quella soglia, ma lo fa dentro a spoglie
diverse.
Un
altro “io” sta entrando in quella casa dal profumo
d’arancia, altri sentimenti
ed altre intenzioni lo stanno accompagnando.
E
spera tanto che sia l’”io” giusto.
Il
padre di Madison lo aspetta in cucina, appoggiato contro il tavolo. Si
alza
quando lo vede entrare e gli sorride, la ragazza e la madre escono.
Sembra
tutto così da film che Liam spera di aver imparato bene la
parte. Buona la
prima, qui.
“Vuoi
davvero portarla a Parigi?”
“Sì,
signore.” La sua parte militare e sottomessa che parla per
lui mentre tutte le
altre sperano.
Alza
la testa e incontra gli occhi dell’uomo, più verdi
che grigi, più grigi che
azzurri. Ed ecco un’altra Madison.
“Non
lo so, Liam… Mi sembri un bravo ragazzo, ma non ti ho mai
visto prima” bugia.
“E
non so se è un bene affidarti mia figlia. Come posso sapere
se non è un tuo intento
approfittarti di lei e basta? Illuderla con un viaggio per poi tornare
e non
farti mai più vedere?”
“Iperprotettivo”
riecheggia dentro Liam, ma lui lo tiene per sé.
“Sa,
la capisco.” In realtà no, ma anche questo non
glielo dice.
“Ma
so cosa vuol dire avere Madison lontana, so cosa vuol dire aver Madison
arrabbiata, so cosa vuol dire aver Madison triste. Ci sono passato, ci siamo passati. E davvero, mi creda
quando le dico che non posso permettermi di sbagliare ancora, di essere
cieco
ed insensibile un’altra volta. Quindi, per favore, la lasci
venire e io gliela
porterò intatta, dentro e fuori e chissà, magari
più felice.”
Fa
una pausa e si lascia scrutare da quei due grandi occhi semi nascosti
dalle
spesse lenti degli occhiali.
“Mi
dia una possibilità e, al ritorno, potrà
sbattermi quella porta in faccia se lo
riterrà necessario.”
Silenzio.
Lungo e interminabile. Silenzio.
“Dicendoti
di sì ti sto consegnando il mio più grande dono
tra le mani, ragazzo. Stai
attento, mi raccomando.” Lo sguardo severo sembra, ora che
possiede un sì tra
le dita, più dolce.
Madison
spalanca la porta e gli si fionda tra le braccia, bisognosa del calore
che il
suo corpo può offrirle.
“Tra
venti minuti ho il treno di ritorno, baby.” Le sussurra
all’orecchio,
pettinandole i capelli all’indietro con le dita.
“Ed
è meglio che vada.”
“Ora.”
Dice a fatica.
Madison
gli accarezza il viso e i loro occhi si dicono così tante
cose che le parole
non servono. Non bastano.
Richiudendosi,
poco dopo, la porta alle spalle Liam si sente terribilmente euforico e
non vede
l’ora di raccontare tutto ai ragazzi, a sua mamma, alle sue
sorelle, di urlarlo
al mondo.
“Ah,
Liam!” la porta si riapre con uno schiocco e il padre di
Madison esce e si
sporge verso di lui.
“Benvenuto
in
famiglia.”
__
Allyson
alza le sue ciglia viola e si lecca le labbra.
In
mano regge un panino più grande di lei, ma alla dieta
penserà un’altra volta.
“Quanti
anni hai, Harry?”
“Diciotto.”
Il
riccio le risponde mezzo sprofondato in un panino gemello del suo. Dire
cosa
contengano è un’impresa.
Allyson
sbatte le ciglia viola e sorride.
“Sei
piccolo.”
Qualcosa
dentro di Harry scatta e lo porta lontano dal panino qualche minuto.
“Quanti
anni hai, Al?”
“Venti
a Settembre.”
Harry
ride e scuote i ricci, le guarda gli occhi contornati di viola.
“Appena
lo sapranno i ragazzi mi uccideranno.”
“Cos’è
che non so?” gli chiede lei mentre un rivolo di olio le
scende lungo il polso
facendola imprecare a denti stretti.
“Ho
un, uhm, debole verso le ragazze più grandi di me.”
“Caroline?”
il nome le esce fuori dalle labbra troppo velocemente.
Harry
ride di nuovo e non sembra turbato. “Un esempio.”
Le risponde.
“Ah,
quindi sono l’ultima della lista? L’ultimo nome
tatuato sul braccio sotto
quelli tatuati in precedenza e poi cancellati?”
“Nessuno
ha detto che sei entrata nella lista.”
Allyson
incassa il colpo e alza un sopracciglio. “Uno a zero per te,
riccio.”
Questa
è l’aria che si respira durante i loro incontri,
questi sono loro e basta,
fuori dagli schemi e dagli stereotipi, senza nessuna etichetta o
pensiero. L’essenza
di loro stessi messa a nudo di fronte all’altro.
Ciò
che Allyson cercava in Harry e ciò che Harry aveva sempre
trovato in Allyson.
Qualche
morso più tardi, consumato in silenzio, Allyson torna a
portare il suo sguardo
su ciò che la circonda e si blocca.
“Harry.”
Lo chiama e lui la guarda mentre accartoccia la carta e fa centro in un
cestino
poso distante.
“Dimmi
che quella non sono io.”
Il
ragazzo segue lo sguardo di lei e arriva ad una rivista, una tra le
tante che
porta la sua faccia.
“Cosa
ci tiene nascosto il ricco?”
È
il titolo arancione e blu, grande, sotto la loro foto.
Camminano
vicini e si sorridono, complici e illusi di essere protetti. La scuola
di Harry
alle loro spalle.
Allyson
si appoggia ad un muro e sospira. “Oh, Dio.”
“Non
è nulla di grave.” Cerca di rassicurarla lui.
“Non
è una gran cosa vedere la propria faccia spiattellata su una
rivista, se
permetti!”
“Dicono
così tanto di me eppure vedi, non me ne importa!”
Queste
sono le bugie buone, a fin di bene, quindi non fateci caso se sapete la
verità.
“Ma
non vedo perché debbano spettegolare su di noi.”
Harry
si avvicina leggermente.
“Cosa
abbiamo fatto per averceli attorno?”
Harry
fa un altro passo e si perde sul contorno viola dei suoi occhi.
“Non
hanno nessun motivo per parlare di noi!”
Allyson
continua sempre con lo stesso tono, scioccata, offesa, arrabbiata,
sorpresa.
“Allora
diamogliene uno valido, no?”
Ora
è Harry ad alzare un sopracciglio e a sorriderle; i loro
visi vicini.
“Cosa
stai dicendo, Styles?”
“Vieni
con me a Parigi, Coen.”
L’ha
invitata, è fatta, non può più tirarsi
indietro.
E
fanculo a chi dice che fare le prove davanti allo specchio non serve a
niente.
Allyson
lo guarda sorridendo e con l’indice gli disegna il profilo
del viso.
“Due
a zero per te,
riccio.”
Eccolo
qui, il capitolo tanto aspettato (???????????)
Spero
come al solito che vi piaccia e che, magari, recensiate.
come
state, pasticcini? Avete sentito della ragazza che ha dato il suo
numero ad Harry alla signin del 17?
Cheppalleoh!
Ora
scappo a fare i compiti, se no la mia vita è finita domani a
scuola (?)
Il
latino mi aspetta, salvatemi!
Ok,
la smetto di sparare minchiate. Grazie a tutti.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** 13. ***
13.
“Ciao
Niall, sei bellissimo, posso abbracciarti?”
Un
muro di fan davanti e distanti quanto la larghezza di un tavolo. Lui le
sorride, si alza e l’abbraccia.
Non
sa che quella semplice frase lei l’ha provata per due mesi,
cercando di
mascherare le imperfezioni della propria pronuncia. Non sa che quel
semplice
abbraccio lo porterà dentro per sempre.
“Puoi
dire qualcosa in francese?”
La
lucina lampeggiante di una fotocamera puntata sul viso. Accesa, spenta,
accesa,
spenta.
“Bonjour ma chérie.”
E
non sa propriamente cos’ha
detto, ma lei
sorride e va via. Felice.
La
chiamata che ancora deve fare gli oscilla sopra la testa e, tra una
firma e
l’altra, pensa alle parole da dire, a chi deve essere.
“Tutti sbagliamo,
Niall.”
Liam
che non riuscirà mai a consolarlo pienamente, non
‘sta volta.
“Ti
amo.”
E
lui scrive ‘Niall’ sulla sua faccia.
“Sei
bellissimo.”
E
lui scrive ‘Niall’ intersecando la
‘L’ di Louis.
“Ci
vediamo domani.”
E
lui scrive ‘Niall’ in una maniera tanto orribile
che non saprebbe dire dove
inizia una lettera e finisce l’altra.
Tutti
i frammenti di frase lo scaldano dentro e lui ride, ride con Zayn che
prova a
parlare il francese, ride con le fan, ride per
le fan.
Mentre
fuori, da qualche parte in una Parigi sconosciuta,
c’è Sarabeth che lo aspetta,
che gli tende la mano e lo salva dal suo casino, che rischia
di caderci
dentro pur di non lasciarlo andare.
__
Il
cielo è azzurro sporco e ogni insegna dice qualcosa che lei
non capisce.
Stringe
la coda di cavallo e intrappola i ciuffi ribelli attraverso spille
nere,
nasconde gli occhi chiari dietro grandi occhiali da sole che danno al
mondo una
sfumatura ramata.
Le
altre quattro ragazze sono attorno a lei, tutte alla ricerca di un bar
poco
affollato in cui parlare, capire chi hanno di fronte, sorridersi.
Crede
che non riuscirà mai ad accettare pienamente che i suoi
idoli, gli One
Direction, si sono fidanzati e che un giorno, magari, si sposeranno,
metteranno
su famiglia, saranno felici anche senza le fans. Ci prova, ci pensa, si
sforza,
eppure non crede di farcela.
Perché
ogni fan ha una parte possessiva, una parte che ha voglia dei
riflettori, che
ha voglia di urlare “ehi,
guardatemi,
sono qui!”.
Perché
ogni fan ha una parte opposta a questa che le spinge a stare in
silenzio, la
parte filosofa del “se sono felici loro, sono felice anche
io.”
E
solitamente non prevale mai nessuna parte, se ne stanno solo
lì, a far del
casino.
“Guardate
ragazze!” il braccio della ragazza
con quegli occhi bellissimi teso ad indicare un bar in una strada
laterale la
distoglie dai suoi pensieri. Chi è lei?
Tutte
loro hanno seriamente bisogno di caffè e di risposte.
Il
cielo è azzurro sporco e Sarabeth crede di poter farcela ad
ammettere, davanti
a loro che “no, non è la ragazza di Niall e che a
dire il vero non ha idea di
cosa ci faccia lì con lui”. Perché sa
che glielo chiederanno.
__
Inspira.
Espira.
Quella
ragazza assomiglia a Samantha in una maniera impressionante.
Si
dice che al mondo abbiamo 7 sosia, ma avrebbe preferito non confermare
le voci,
non con lei.
“Ciao
Louis” la ragazza gli storpia il nome ma poco importa,
“puoi dire ‘Ti
amo’?”
Metti
al posto dei suoi occhi castani qualcosa di più chiaro e
sì, avrai Samantha.
“Ti
amo.” Le dice e si lascia immortalare da una foto, si lascia
trasportare.
Chelsea
che ha riso e si è unita a loro per due giorni, lui che non
sa perché l’ha
invitata ma è felice che ci sia. Pensieri. Louis sorride
alla nuova fan, alla
nuova firma e pensa alla faccia di Harry quando le ha detto che sarebbe
venuta
anche lei.
“Hai
presente chi è?” gliel’aveva quasi
urlato.
Louis
aveva riso anche allora e gli altri si erano voltati verso di loro per
sentire
di chi stavano parlando.
Harry
si era avvicinato al tavolino basso in vetro posto al centro del divano
e aveva
preso una delle riviste che vi era poggiata sopra, aveva sfogliato
velocemente
le pagine.
“Ecco
a voi, signori, una foto di Chelsea Cavendish, figlia di quel bancario
ricco
che ha possedimenti un po’ ovunque e, dettaglio a cui
sicuramente il caro
vecchio Lou non ha dato peso, fotomodella.”
Harry
aveva girato la rivista verso gli altri ragazzi e loro avevano
applaudito,
Louis era arrossito.
Nella
foto, bidimensionale, Chelsea era in riva mare, il lungo vestito bianco
bagnato
le si apriva sulla coscia e una collana in diamanti e lapislazzuli le
ornava il
collo. I capelli mossi e studiati ribelli, lo sguardo lontano.
Ora
lei era da qualche parte fuori, con le altre ragazze che lui aveva
salutato di
fretta quella mattina.
Ora
lei c’era e Samantha no e lui non sapeva come spiegarsi
tutto, come continuare
a salvare e perdonare colei che ormai era il suo passato ma che lui non
riusciva a relegarcela. Vedi anche: pregare
per l’anima del proprio demone.
__
“Mi
chiamo Chelsea Cavendish, ho vent’anni.”
La
sua vita in meno di dieci parole, se stessa in un respiro.
Il
caffè che le scalda le dita, strette attorno alla tazza.
Sorride alle altre
ragazze.
“Come
mai siete qui? Chi vi ha invitate?”
Madison,
la ragazza con gli occhi di quel colore così strano,
è la prima a fare la
domanda che si stavano chiedendo tutte. E ciascuna, nello stesso
momento,
dietro a tazze diverse, sospira.
“Sono
venuta qui con Zayn, stiamo insieme da un
po’…” e Brenda non ha voglia di
contare i giorni perché ha paura del tempo.
Chelsea le sorride, più dolce di quanto
solitamente è, e si specchia in
quegli occhi da bambina. Zayn rievoca, nella sua mente, immagini e
persone che
no vuole riconoscere, che non vuole rivedere. Pelle ramata e denti
bianchi,
occhi profondi quanto la voce. Tutt’un’altra
vita.
“Mi
ha invitata Niall, per combattere i suoi mostri, per far tornare i
miei, non lo
so. So solo che ci sono.”
Chelsea
passa a fare congetture sulla bionda, gli occhi incerti dentro ai suoi
e
qualcosa di non detto.
“State
insieme?” chiede e sembra centrare il bersaglio.
“No.”
Sussurra la bionda.
Chelsea
la guarda e cerca di risollevarla. Davvero troppo zucchero oggi.
“Sono
qui per lavoro, ho un set domani mattina alle undici sulla
Senna.” Parla e la
salva.
“E
chi ti ha invitata? Stai con qualcuno?”
“Mi
ha invitata Louis e no, questa è la terza volta che lo
vedo.”
Le
ragazze le sorridono eppure lei le sente ostili, nessuno si
è ancora sciolto e
lei non sarà la prima.
La
guardano leggermente severe, piene di domande che non possono farle e a
cui lei
risponderà solo la mattina dopo, ma questo non
glielo dico, io.
__
Sente
urla da ogni parte ed è come essere sordi.
Sorridi
e autografa, fai ciò che ti chiedono, sii bello nelle foto e
ridi, di te
stesso, dei tuoi compagni.
Ricordati
che sei umile, che tutto potrebbe finire, goditi ogni momento.
Non
pensare a ciò che sei fuori di qui, a ciò che
hai, a chi eri, a chi sarai.
Non
pensare ad Allyson e alle sue labbra che ancora non hai fatto tue.
Harry
firma e pensa, firma e vive altrove, firma.
“Cinque
sterline che appena esci di qui ti bacia.”
Zayn
sembra leggerlo e lo risolleva dal suo vortice di pensieri, di
desideri. Harry
gli sorride.
“Andata
fratello.”
È
così che ti senti capito e amato, è
così che ti senti invincibile.
Allyson
e quelle sue gambe che non finiscono mai, e quelle sue mani consumate
prematuramente, e quei capelli che gli sembra di essere sempre in
Amazzonia.
Allyson
fuori e lui dentro, collegati dai pensieri che ognuno fa
sull’altra.
Collegati
da tutto ciò che ancora deve capitar loro, da tutto
ciò che loro faranno
capitare.
“Io
ne punto dieci che non ti bacia, ma ti sei visto?”
Niall
ride due posti più in là mentre Louis stringe la
mano ad Harry consolidando la
loro scommessa.
Harry
firma ancora e si chiede perché, perché non
può semplicemente essere tutto più
veloce, perché non può esserci meno gente,
perché lei non può arrivare. Tipo
ora. E intanto firma.
__
“Harry
mi ha portata qui, mi ha invitata.” Allyson
inizia a parlare. “Harry mi ha portata qui e non so cosa
succederà se resto,
perché ogni volta vado così vicino a
mangiarmelo.”
Tutte
ridono e l’aria sembra meno pesante.
“E
allo stesso tempo ho una paura tremenda della gente, dei riflettori,
dell’opinione
pubblica, delle fan.” Lo confessa ad alta voce per la prima
volta e si mette un
po’ a nudo.
“Stringigli
la mano.” Brenda, la lunga treccia che le oscilla sulla
schiena, le parla e
sorride, lei alza le sopracciglia.
“Quando
hai paura, quando non sai cosa fare, stringigli la mano. Lui
saprà cosa fare,
cosa dire, come muoversi.”
“Voi,
ecco, le fan lo sanno?” le chiede, curiosa di come possano
aver reagito.
“No.”
Sarabeth torna a parlare, lo sguardo vispo e acceso.
“Come
lo sai?” Questa è Madison che parla mezza dentro
alla tazza, le labbra
macchiate di latte.
“Sono
una fan.” Sussurra ancora, timida, e Allyson pensa che deve
solo avere il
coraggio di aprire le ali e volare, chiudere gli occhi e provare.
Voci
confuse seguono la notizia e la bionda ricomincia.
Allyson
è incantata dai suoi modi delicati e vorrebbe farli un
po’ suoi.
“Però
ci stanno arrivando, inizia a circolare una mezza foto in cui sono
vicini, sono
presi da dietro.”
“Come
prende la gente la notizia?”
Allyson
sospira e tende le orecchie, aspetta preoccupata.
“Bene,
siamo tutte felicissime per lui e esaltate dallo scoprire chi
è la ragazza.”
Le
ragazze iniziano a parlare ridendo, confusamente, e Allyson precipita
un po’
nel suo mondo, nelle sue paure.
“Stringigli
la mano.” Le sussurra nuovamente Brenda.
__
“Cosa
le regali?” Harry si appoggia al muro e sospira. Piccola e
meritata pausa.
“Parigi,
non deve pagare nulla, devo fare anche dell’altro?”
Zayn apre le mani.
“E
poi, voglio dire,” si intromette Louis, seduto
dall’altra parte del piccolo
camerino, “lei ha Zayn! ZAYN, ragazzi!”
Tutti
ridono e la stanchezza si cancella momentaneamente dai loro occhi.
Hanno
bisogno di una pausa, di dormire fino a tardi, di stare con le persone
che (li)
amano. Hanno bisogno di respirare.
“Brenda
ha qualcosa di importante da dirmi.”
Tutti
tacciono e lo guardano, non sembra turbato, o scosso, o ansioso, ma lui
è Zayn
e non sembra mai niente. Ed è sempre l’opposto di
tutto.
“Brenda
ha detto qualcosa tipo ‘se questa non fosse la mia vita, come
la metteresti?’ “
Sospira.
“E io non ho idea di cosa risponderle.”
“Magari
scopri che viene da Marte.” Azzarda Louis cercando di farlo
sorridere e
riuscendoci.
“E
io non ho idea di cosa aspettarmi.” La voce gli si incrina,
preoccupata.
Omette
che non è lei a spaventarla ma è se stesso, come
prenderà la notizia?
Ha
paura che, qualsiasi cosa lei gli dirà, lui si
metterà ad urlare, si
arrabbierà, litigheranno e si diranno cose che non pensano.
E poi tornare a
baciarla non sarà semplice.
Ma
sarà se stesso, nel bene e nel male. Inspira. Espira.
Distillato
di curiosità e paura giù per la gola, fino allo
stomaco, che si contrae.
Inspira. Espira.
__
Sono
uscite tutte dal bar e l’aria le batte sulle guance arrossate.
Si
sente stranamente a casa, in un paese straniero, circondata da persone
estranee.
Eppure
sente di non aver nulla da chiedere, se non qualche preghiera per
scontare i
suoi peccati. Alza gli occhi al cielo e incrocia le dita, spera che lui
l’ami
anche quando saprà la verità, spera che non abbia
paura, che non si arrabbi.
Perché
ormai lei è
arrivata al punto di non-ritorno e lo ama, oh Dio, eccome.
Girano
in cerchio attorno all’auditorium in cui sono i ragazzi, sono
stanche ma non si
fermano. Brenda pensa ad una vita fatta così, una vita
d’attesa.
Come
le mogli dei soldati, a casa con la paura che il loro amato non torni,
lei è lì
fuori con la paura che lui veda una più bella,
più magra, più sincera, meno
masochista.
Gruppi
di fan escono con le lacrime agli occhi e ringrazia chiunque abbia il
potere di
farla felice. Gruppi di fan escono e parlano parole che non riesce a
capire, ma
nei loro occhi ci si può leggere tutto quanto.
__
Un
bouquet di cucchiai legati con un fiocco verde.
La
bambola di ToyStory.
Così
tanto amore che non riuscirà mai a contenere e ricambiare
per intero.
Questo
e molto altro è ciò che le fan gli portano,
coloro che sono all’inizio e alla
fine della loro carriera, che sono la domanda e la risposta.
Un
amore lontano e vicino al tempo stesso, un amore che non fa mai male.
“Abbiamo
quasi finito, ti ricordi ancora di me?”
Le
invia il messaggio facendo inceppare la fila e alludendo
all’eternità che hanno
trascorso dentro a quelle pareti.
“Mi
ricorderò sempre di te, idiota.”
La
nota stonata nella frase che è propria di Madison, che trova
alloggio dentro ai
suoi occhi incasinati, dentro alla sua testa incasinata, in un mondo
incasinato.
Forse
solo lui sembra salvarsi, finge bene a tutti.
Lo
sguardo del padre di Madison lo spinge a risponderle ancora e a far
bloccare
nuovamente la fila.
“Fai
la brava che se no io muoio.”
Si
sorridono a vicenda, lontani, e una ragazza si illude che quel sorriso
sia
diretto a lei.
__
Sedute
su una panchina guardano la gente passare e parlano di tutto, di niente.
“Ho
fame.” Sentenzia lei sorridendo al messaggio di Liam e
rimette il cellulare
dentro la borsa, non gli risponde per non disturbarlo e consuma altri
due
minuti sorridendo a vuoto.
“Non
ti manca mai, Liam?”
Sarabeth
le affonda lo sguardo negli occhi e si morde il labbro, cosparso di
burro cacao.
“Terribilmente,
ogni singolo istante.”
Perché
l’ossigeno c’è
quando lui c’è, perché il Sole
è sinonimo del suo nome.
“Ma
abbiamo scommesso con noi stessi e mandato a fanculo i
chilometri.”
E,
a pensarci bene, non ne può più di queste fans,
di questa fama, che glielo
stanno sottraendo per troppo, troppo tempo.
Poi
pensa a lui, al suo sorriso che si accende quando parla di loro, ai
suoi occhi
che si illuminano e a quanto cazzo possono renderlo bello.
Loro,
che glielo porteranno sempre un po’ via, con cui
dovrà competere sempre un po’
e che, allo stesso tempo, lei amerà incondizionatamente,
perché hanno reso Liam
chi è adesso. Perché hanno avverato i suoi sogni,
quelli che le sussurrava all’orecchio,
il mare come unica colonna sonora.
Un
campanile risuona lontano e l’ultimo gruppo di fan esce dalla
porta.
Ora
saranno loro due per poco e per sempre, da soli in mezzo alla gente, in
quel
fine settimana che porterà i loro visi vicini, dentro ai
ricordi.
E
solo Dio sa quanto lei l’ha aspettato, questo momento.
'giorno bellezze.
capitolo chilometrico e senza senso, scusatemi, ma mi serviva da
congiunzione.
spero che il prossimo sia meglio perchè no, questo non mi
convince.
Grazie infinite a Sam_SH
che mi aspetta paziente e che contiene i miei scleri e a Weas, che mi fa
ridere e che è davvero troppo, troppo dolce.
Grazie a tutti, a dire il vero.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** 14. ***
14.
“Come ti è sembrata la cena?”
“Come mi è sembrata come?”
“Non so, la gente, il posto, ti è piaciuta?”
Sarabeth ride e si slaccia i bottoni della giacca. “Se escludiamo la bava di Harry davanti alle gambe di Chelsea sì, è stata una bella serata.”
Niall ride e si sfila il maglione bordeaux. “Devi capirlo è, come dire,”
Cerca le parole muovendo le mani nell'aria.
“Un maniaco?” Consiglia lei sorridendo e uscendo dalle ballerine.
“Un maniaco.” ripete lui e non smette di sorridere.
“Torno subito.”
Sarabeth si infila in bagno e si guarda allo specchio. Passandosi una salvietta struccante sul viso ringrazia tutti gli dei a cui può arrivare.
Prendete una fan e fatela immaginare, fatela sognare. Si ritroverà in una camera d'albergo con il proprio idolo, in una camera matrimoniale. Ora fermate questa fan e sorridetele, abbracciatela e ditele che sì, è tutto vero.
Sarabeth guarda il proprio riflesso e sorride incondizionatamente, si infila una camicia da notte in raso.
Niall, fuori dalla porta bianca, si è steso sul letto in diagonale, occupandolo tutto.
Cerca nel soffitto una risposta a tutte le domande che ha in testa, una cura a quel totale senso di inadeguatezza. Sa che la sua risposta, ora, è dentro al bagno, ad una porta di distanza. Sorride a se stesso.
“Allora, com'è che non hai ancora composto il numero?”
Sarabeth si siede accanto a lui, le gambe nude. Speciale pigiama-party capace di cambiare le loro vite. Hanno gli occhi troppo azzurri entrambi che a vederli insieme vengono le vertigini. Niall preme due tasti e chiama. Lunghi squilli che li scavano dentro.
"Ehi Fel, sono io. So che è orribile dirtelo così, per telefono, ma credo sia ancora più orribile continuare a fingere, a prendersi in giro.”
Respira lentamente, parla piano, sussurra. La ragazza, dall'altro lato del telefono piange in silenzio perchè sa cosa sta per succedere.
“Speravo andasse tutto meglio, tra me e te.” Non usa 'noi' e Sarabeth se ne accorge, gli poggia una mano sul petto e sente il suo cuore battere veloce.
“Addio Niall.” tronca lei, coraggiosa fino in fondo, spirito guerriero.
“Arrivederci, Fel.”
Il biondo lancia il telefono per terra e lei non sposta la mano. “Andrà tutto bene.”
Le solite parole a cui non credi mai, ma che sei felice di ascoltare.
“Tu mi piaci, Sarabeth.”
Lui le punta lo sguardo sul viso, sulle lentiggini chiare ai bordi del naso.
Le rare parole a cui non credi mai comunque, ma che ogni sera vorresti poter ascoltare.
“Mi piaci quando sorridi e abbassi gli occhi, quando arrossisci davanti ai complimenti, quando chiedi scusa alle persone anche se non hai colpe, quando ridi e ti copri la bocca con la mano anche se non dovresti. Mi piaci perchè ti metti da parte per gli altri, dai tutta te stessa per loro e non credo tu possa immaginare quanto mi dispiace essere stato così cieco. Mi piaci e basta.”
“Tu mi sei sempre piaciuto, Niall. E ho una tremenda paura di svegliarmi e ritrovarmi a riguardare le tue foto e sapere che sono l'unica cosa di te che ho.”
Niall si mette a sedere e lei non sposta la mano. Niall le disegna il profilo del viso con un dito e le sagoma le labbra. Appoggia le sue su quelle di lei.
“Questo sarà tuo per sempre, Sarabeth.”
__
“Dimmi che non succederà niente, che non ci succederà niente.”
“Ti amerò sempre, Be.”
Fuochi d'artificio e stelle cadenti.
Brenda, solamente un nome sopra un'altra persona, si alza a sedere al centro del letto; socchiude gli occhi davanti a Zayn disteso lì accanto. Sospira e sorride.
Cianuro tra le labbra e le vertigini nello stomaco, il precipizio sotto i piedi, il cielo che la opprime.
“Avevo otto anni quando, la prima volta, vidi quello che non dovevo vedere.”
Che nessun bambino deve vedere, mai.
“Mio padre prendeva a pugni un ragazzo, tenuto fermo da altri due. Il suo sangue era sulle mani che ogni sera mi rimboccavano le coperte. Le sue parole nemmeno le ricordo ma, Dio, vedevo dentro quegli occhi tutto quello che mai potrebbe aver detto.”
Chiude gli occhi per non fargli vedere che sono così simili a quelli del padre. Chiude gli occhi e parla di nuovo.
“Poi non so da dove è uscito un coltellino e...” si passa la lingua sulle labbra secche e tiene gli occhi chiusi. “Non ho urlato. Non ho pianto. Sono solo scappata. E quella sera abbiamo ballato attorno al fuoco, riesci a crederci? Bruciava la sua camicia sporca di sangue, quella camicia che gli avevamo regalato a Natale. Bruciava e noi ci ridevamo attorno, falsi inconsapevoli. Ballavamo a piedi nudi, cantavamo al cielo e io mi ripetevo che c'era stato un errore, che l'aveva fatto per difendersi.”
Fumo di sigaretta, lacrime, tutte le parole che non ha mai urlato, in gola.“E ogni volta, dopo quella sera, che cantavamo attorno al fuoco sapevo cos'era successo, sapevo che non erano i miei voti a scuola a meritarsi il calore del fuoco. Sapevo che tutta quella gente, i sigari stretti tra le labbra, non erano amici, non erano lontani parenti, erano quanto più ci si potesse avvicinare alla veste di 'colleghi'. Ma continuavamo a ballare, io e mia mamma per mano, senza riuscire a muoverci, senza riuscire a scappare. E ogni sera, ogni volta che mi baciava, vedevo nei suoi occhi una minaccia. Mi urlava di non dire niente a nessuno solo guardandomi, solo comparando i suoi occhi con i miei e notando che erano uguali, che sono uguali.”
Zayn la guarda e si appoggia sui gomiti, guarda quei sedici anni fatti di terrore, e fuga, e bugie.
Promette a se stesso che si impegnerà ad amarla per quanto l'altra gente non l'ha amata.
E lei continua, si culla andando avanti, indietro, avanti, indietro; tiene gli occhi chiusi.
“Un giorno un ragazzo mi si è avvicinato a scuola, mi ha sorriso e mi ha preso per mano. Sapevo chi era, sapevo come si chiamava, conoscevo ogni particolare dentro ai suoi occhi. Quanto l'avevo guardato, quanto l'avevo sognato. E lui, per sdebitarsi del mio tempo perso dietro a lui, delle notti che gli avevo dedicato, mi ha salvata. Si chiamava Salvador, non sto scherzando. Quel pomeriggio mi ha portato a casa sua, mi ha presentato suo padre. Erano uguali, uno la versione bella e giovane dell'altro. Il Salvador stempiato e massiccio mi ha chiuso le mani attorno ad una cartellina in plastica; mi hanno accompagnato alla porta. Lì, il Salvador giovane mi ha baciato lievemente sulle labbra e mi ha detto addio.”
Brenda, il nuove finto e falso come un involucro che la protegge dal mondo, apre gli occhi, lucidi.
“In mano avevo due biglietti aerei per Londra, due carte d'identità false, due passaporti. Me e mia madre, protette e lontane, al sicuro, in attesa del processo. Programma protezione testimoni.”
Zayn le fa segno di avvicinarsi, batte la mano sul suo petto.
Brenda, e chissà per quanto la gente continuerà a darle un nome non suo, si stende accanto a lui, cerca sul petto nudo di lui il calore che le serve a scacciare i suoi mostri, i suoi fantasmi.
“Ti amerò sempre,” ripete lui, abbracciandola e baciandole la fronte. Lascia la frase in sospeso, senza il nome per completarla.
“Miriam.” sussurra lei, premendo gli occhi bagnati di lacrime contro il collo di lui, bagnandolo.
“Miriam.” ripete lui.
__
“Hai delle gambe che non finiscono più.”
E la bacia.
“Mi pagano per questo.”
E la bacia. Si sorridono vicini.
Louis ha bisogno della libertà che lei può dargli, lei ha bisogno di sentirsi utile e amata, almeno per un po', almeno per poco.
Camera d'albergo numero 541, come due amanti clandestini.
Lei gli sgancia le bretelle dai pantaloni rossi, ride pensando che è la prima volta che le capita, incontra di nuovo le labbra di lui.
“Tutto questo non nuocerà alla tua fama?” le chiede lui, mentre le sue mani scorrono a slacciarle la camicia, bottone dopo bottone. Lo chiede a lei per non chiederlo a se stesso.
Perchè uno scandalo è quello che non deve avvenire, parole del manager, e lui sta infrangendo una regola. Ma andrà tutto bene.
Le slaccia un altro bottone e decide di smetterla di farsi delle pare.
In risposta lei lo aiuta a sfilarsi la maglia e lo bacia ancora.
Hanno tutta la notte, la notte li ha tutti per sé.
E ora tutte le domande delle altre ragazze avrebbero una risposta, un 'sì' detto ridendo.
E lui la bacia di nuovo.
La sveglia suona rompendo i sogni che si stavano consumando dietro le loro palpebre chiuse. La sveglia suona e lo affondano la faccia nel cuscino.
Visti da lontano, magari da un altro pianeta, possono sembrare complementari.
Visti da vicino, invece, visti dai loro occhi, sono solamente il passatempo di una, due, tre sere, sono solo l'alternativa alla tv e alla birra.
Sono lo scaccia sogni sopra il loro letto.
“Ho bisogno di caffè.” sentenzia Chelsea avvolgendosi nel lenzuolo e alzandosi, lasciandolo nudo e al freddo, lasciandolo sorridere come un ebete da solo, guardandola sparire in bagno. “Bel tatuaggio.” le urla e si butta a peso morto tra i due cuscini.
Chelsea apre la porta e lo guarda inclinando la testa. “Tu non l'hai mai visto, intesi?”
“Di chi è la frase?” continua imperterrito lui.
“Non so di cosa tu stia parlando.” gli urla in risposta lei, mentre l'acqua della doccia inizia a scendere e a far rumore.
“È qualcosa come: 'nothing about me is original. I am the combined effort of everyone I've ever known', giusto?” Lei non pensa a come faccia a saperla a memoria.
“Ti ho detto che non so di cosa tu stia parlando.”
Louis si alza ed entra in bagno, una nuvola di vapore gli appanna la vista e lo bagna lievemente. Entra dentro la doccia con lei, che urla.
“Ma che fai? Non vedi che sono nuda!? Esci subito di qui!”
Si copre con le mani aperte e un flacone di bagnoschiuma al miele.
“Scusa?” le sorride Louis.
Lei gli da le spalle e lui la guarda indisturbato. “Non ho più privacy.” sentenzia poi.
“Allora, di chi è la frase?” le chiede avvicinandosi e facendola ruotare, arrivando a sfiorarle le labbra, ma mantenendo un minimo di distanza.
“Se te lo dico, uscirai da qui?”
Louis annuisce e punta il viso sotto il getto.
“Palahniuk, ma tu non me l'hai letta addosso, capito?”
“Non so di cosa tu sia parlando.” ride poi uscendo e facendosi avvolgere nuovamente dal vapore che ha invaso il bagno. “Ma se lo sapessi ti direi che è molto carino.”
Lei ride e si lascia scivolare sul piatto della doccia, l'acqua che le scivola veloce addosso.
Entrambi sono il prodotto di altre persone, di altri gesti e altre parole; entrambi lavorano inconsciamente per creare l'altro e per autodistruggersi, entrambi si sono creati da capo quella notte, entrambi si sono traslati nell'altro.
Entrambi non sanno che continueranno a crearsi e distruggersi a vicenda per molto, molto tempo.
Hello people! Come state?
Io mi sono schiantata giù da un cavallo sabato e mi fa ancora male la schiena... per il resto tutto ok!
Questa volta salutiamo: Fancy_ che è un cucchiaino di miele tutte le volte, bountyH che è un'accanita fan del burro d'arachidi e LLstrong, che rimane sempre la migliore.
xx
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** 15. ***
15.
Harry
guarda Louis sorridere e affondare gli occhi dentro alla tazza di the.
“Cos’è
che non so?” sbotta nel silenzio facendo girare tutti gli
occhi verso di sé e
poi, poco dopo, verso Louis. Il ragazzo continua a sorridere, perso.
Attorno
al grande tavolo, nel bar dell’hotel, mancano solo Chelsea,
già partita per il
set in cui doveva lavorare, Liam e Madison, ancora chiusi nella loro
stanza.
“Sono
sulla strada per dimenticarla, Harry.” Sentenzia Louis senza
smettere di
guardare l’acqua calda e brunastra e continua a sorridere.
“Sei
stato a letto con lei, vero?” sentenzia Zayn storpiando le
labbra in un mezzo
sorriso.
Harry
scatta in piedi di fronte al silenzio rivelatore dell’amico.
“Oh, mio dio. Tu?
Lei? Voi?”
Louis
si limita a sorridere e non distogliere lo sguardo, rigira il the,
ormai
freddo.
Niall
fischia e ride, prende istintivamente la mano a Sarabeth.
“Harry,
puoi uscire un momento?” Allyson in piedi, sembra essere
tornata solo ora da un
mondo a parte, un viaggio dentro se stessa.
Il
riccio le sorride e lei crede di morire dentro a quelle fossette.
Il
piccolo terrazzo dell’hotel li accoglie e un vento fresco
scompiglia loro i
capelli.
“Io…”
inizia lei, le sue parole svanite, nascoste in chissà quale
cassetto dentro al
suo cervello, sicuramente troppo pieno di frammenti del ragazzo.
Harry
che ride, Harry che canta, Harry che parla, Harry, Harry, Harry.
Tutti
a formare qualcosa di più grande di lei, qualcosa che la
riempie, la completa,
la allontana da quello che lei è realmente per elevarla al
livello superiore.
Ed
è qualcosa che la
gente normale chiama sentimenti, ma che lei non capisce e non
visualizza se non
con il volto del ragazzo.
“Tu?”
la aiuta lui, sorridendo. Fossette; ricci che si muovono; altra
immagine da
conservare e difendere.
“Non
ce la faccio più, ad averti così vicino, alla
distanza di un respiro, e non
poterti avere, e non averti.”
Ed
entrambi trattengono il fiato, sperando che il respiro tra loro possa
svanire.
Lui
le prende le mani, intreccia le dita con le sue.
Il
tempo sembra fermarsi quando la distanza che li separa viene a
colmarsi, solo
il poco rumore lontano ricorda loro che sono ancora attaccati alla
terra, che questo
non è il nuovo Paradiso, è solo una versione
migliore del loro inferno.
__
Passi
veloci e vicini la precedono nel bar dell’hotel avvisando
tutti della sua
presenza e facendoli voltare verso la porta ad arco.
Liam
la segue poco distante, respira veloce.
“Mad,
aspetta!” allunga una mano come a prenderla.
“Aspetto
cosa, eh? Dio mio, Liam, è questo il problema! Io
dovrò sempre aspettarti!”
Parlano
a voce alta, lei muove le mani e una nuova luce le accende lo sguardo.
Ripete
il suo nome, come a confermare che è con lui che sta
discutendo, ancora una
volta.
E
violento il ricordo delle loro notti, passate ad urlare al cielo quello
che
pensavano l’uno dell’altra.
E
ancora più violento il ricordo degli abbracci per fare la
pace, che ogni volta
lei sogna e ogni volta riceve, ma che non aspetta mai fino in fondo.
“Mi
chiedo come faremo, me lo chiedo davvero!”
Liam
è preso di sorpresa. “A fare cosa?”
chiede, il tono pacato al limite.
“A
stare insieme, tu ed io, noi. Non vedi? Siamo
già qui che litighiamo!”
Il
mare in tempesta che incorniciava la loro
tempesta torna alla mente anche del ragazzo.
“Sì,
Madison, sì! Noi siamo due che litigano, che si urlano le
cose in faccia, che
fanno mille storie per nulla, che tirano fuori il peggio
dall’altro. Siamo fatti per
distruggerci e ricostruirci
ogni volta.”
Lei
trema leggermente, spaventata da quando lui riesce a capire, a leggere.
Spaventata di quanto lui possa avere ragione.
“Non ci
accontentiamo della solita melodia,
del solito CD. Abbiamo bisogno di stoppare tutto, correre contro un
muro e
fermarci, per poi cambiare canzone, per ricominciare a correre. E sono
disposto
a cambiare ritmo tutte le volte che vorrai, se questo
servirà a farti stare con
me.”
Il
mare in tempesta, dentro alla voce di Liam, la bagna ancora.
“Per
sempre.” Sillaba con le labbra e lei torna contro il suo
petto.
Respirano
insieme e vicini.
Basta
premere stop, cambiare CD, premere play.
Nuovi
graffi e nuove cicatrici, carnefice e salvatore nella stessa persona.
Ogni
volta è il martirio di se stessi in nome di una pagina nuova.
__
Madison
e Liam urlano poco lontani ma loro non li sentono, Allyson e Harry si
guardano
e sorridono con un sorriso nuovo. Ognuno ha un proprio lieto fine, alla
fine.
Ma
quando si può collocare l’inizio della fine?
Questi
i pensieri di Sarabeth, contorti già dalla mattina, nascosti
sotto uno chignon
accurato.
Alza
lo sguardo e incontra il cielo negli occhi di Niall. Tutte le risposte
lì
dentro, sono solo da guardare più da vicino, da scovare.
Possibilmente senza
lasciarci tutti se stessi dentro.
Lui
le prende la mano e distoglie lo sguardo, se la appoggia sulla gamba.
Lei
trattiene il respiro e prega, prega che stia accadendo realmente.
Lui
le traccia un segno sulla mano, la punta del polpastrello leggermente
ruvida a
causa della chitarra. Lei lo guarda, lui ripete lo stesso segno.
“S”
Lei annuisce e sorride davanti a questo stupido gioco, un messaggio
cifrato
solo per lei. “C” Sarà la sigla di
qualcosa? Il nome si qualcuno? “U” e forse
ha già capito.
“S”
la parola, non il contesto, non il perché.
“A” come, ‘aveva ragione’.
Lo
guarda e affonda, lui speculare. Non capisce.
“Per
essermi dato una svegliata solo ora.” Si sorridono.
“Ho
paura di tradirle.” Sentenzia lei, già collegata
ad altri pensieri.
Il
cambio ad una velocità che lui non potrà mai
arrivare ad avere. Questo è ciò
che ama nelle ragazze, questo e molto altro. Questo è
ciò che ritrova sempre in
Sarabeth, questo e molto altro.
Lei
beve un sorso di succo d’arancia e le brucia la gola.
“È
come Romeo e Giulietta. L’hai studiato, no? Loro intrappolati
nella loro bella
Verona, che si amano e non dovrebbero. Appartengono a famiglie distanti
tanto
quanto noi apparteniamo a mondi distanti.”
Sarabeth ha paura di uscire
da uno dei due
mondi e non poterci più fare ritorno, ha paura di essere
cacciata da quella
famiglia che la fa sentire a casa ovunque.
“Sono
arrivato tardi, ci ho fatto del male e no, ora non ti
lascerò andare. Io sono
qui, oggi, domani, il giorno dopo e quello dopo ancora. Non ti chiedo
di non
pensare a loro, perché le amo tanto quanto te, ti ricordo
solo che esisti anche
tu. Punta i riflettori sul tuo viso.”
E
ora le risposte sembrano più chiare, limpide in quel mare
azzurro limpido.
Sarabeth
si avvicina a lui e lo bacia, davanti alla gente, senza più
paura.
Speciale
antidoto contro i dubbi.
E
se l’amore occupasse spazio, quella stanza ne sarebbe satura.
Eccomi ancora qui.
Grazie mille a tutti per le recensioni, che sono pochissimo al di sotto
della media di 6 per capitolo.
Davvero, un sogno,
siete fantastici.
Questo capitolo, in
particolare la parte di Liam, il suo discorso, vanno a Cath_, che ne è parte
attiva, non per quanto riguarda la stesura, ma invece dal lato dei
sentimenti.
Guardate Madison e
vedete lei, easy. Ed io ho la (s)fortuna di sopportarla anche dal vivo.
Basta miele, solo sei
bellissima.
xx
ps: passate tutti a
leggere la sua fanfiction.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** 16. ***
16.
“Occhi riposati sono l’effetto di un lungo sonno, Chelsea. E cosa ti avevo chiesto? Solo una cosa, solo una! Ti avevo chiesto di dormire!”
James sbraita, le mani in aria, e Chelsea gli sorride davanti. Come se la gente le guardasse gli occhi.
James le vuole bene e non glielo dirà mai, Chelsea non glielo farà mai dire.
Il pizzo della canottiera che porta le da fastidio alla pelle, le ciglia finte le pesano sugli occhi.
Sorridi alla camera. Apri gli occhi, ancora un po’, ancora di più. Fai quella faccia assorta che tutto il mondo reputa sexy. Ridi. Torna a pensare alle vacanze che nemmeno quest’anno farai perché farle da soli è deprimente. Istintivamente sorridi pensando allo squallore di tutta la scenetta.
“Sei splendida e ti amo tanto. Cambiati, poi cinque minuti di pausa, poi riprendiamo, ok?”
Louis la guarda da lontano, il cappello di lana rosso rubato ad Harry sulla testa.
Lei è la sua sicurezza, anche se non se lo sa spiegare. Forse perché offusca Samantha in un modo totalmente diverso. Forse semplicemente perché è bellissima. Forse perché è l’ultima cosa che gli rimane a cui appendersi e pregare per un miracolo.
Le si avvicina sorridendo e per un momento a lei manca il respiro.
No, non è così che deve andare.
“Sei venuto a rapirmi?”
“Veramente volevo solo salutarti, fare un giro e salutarti.” Ancora quel sorriso.
“Puoi venire a rapirmi allora?”
Louis sfiora con due dita la seta della canottiera, scende verso il basso e il denim dei jeans gli graffia i polpastrelli. No, non è così che deve andare.
“Vieni con me.” Lo prende per mano e lo trascina lontano dal set, verso un posto qualsiasi.
Nulla di quello che ha addosso è realmente suo e spera davvero tanto che James la ami abbastanza da perdonarla.
“Dove stiamo andando di preciso?”
“Ti va bene qui?” lei si ferma e i piedi le scivolano un poco in avanti dentro agli stivali.
“Qui?” Una fontana bagna leggermente loro i capelli, piccole gocce che arrivano da destra.
Lei gli appoggia la mano libera sul petto. Lui la bacia, prendendo di sorpresa anche se stesso. Non è nemmeno così che deve andare.
“Oh mio Dio, Lou!” lei sgrana gli occhi e le ciglia finte puntano il cielo. Lui segue il suo sguardo. “Non trovi che quella ragazza sia tremendamente bella?”
Le fa male qualcosa dentro a dirlo.
“Sì, è carina.” Sentenzia lui, ha ancora la mano sul collo di lei.
“Che ne dici di andarci a parlare? Buttati, su, coraggio!”
Come se lui fosse capace di muovere un solo muscolo, ora.
Chelsea scompare tra la folla e torna al lavoro che ha lasciato. Scompare lasciandogli una traccia di lucidalabbra sulla bocca, lasciandogli qualcosa di più complicato dentro.
Perché alla fine siamo sempre soli, quando risolviamo i nostri problemi.
Chelsea scompare tra la folla e soffoca in gola la voglia di urlare e piangere.
Non era così che doveva andare, non sarà così che andrà.
La prima volta che l’ha visto ha capito che sarebbe arrivata ad amarlo.
La prima volta che l’ha visto ha deciso che non l’avrebbe mai fatto.
__
La luce puntata sul viso e il computer che fa rumore sotto il tavolo. Play.
“Ciao a tutti, non ho idea del perché sto facendo questa tweetcam, ma ciao.”
I messaggi delle fan scorrono troppo veloci perché lui riesca a leggerli e le visualizzazioni salgo, e salgono, e salgono. Sorride e ancora non riesce a crederci.
“Anzi sì, so cosa devo dire, me lo sento dentro da un po’.”
La sua immagine, nel quadratino sullo schermo, tende al giallo.
E le visualizzazioni sono già più di 50 mila. Se la sente di dirlo ora, qui, così?
Dentro la mente i grandi occhi di Brenda velati dalle lacrime.
Vuole farla sentire importante almeno un millesimo di quanto è.
Vuole farla sentire vera, viva e vuole che tutto il mondo veda quant’è bella, vuole che tutti la conoscano. Anche se nessuno la conoscerà veramente.
Fa qualche faccia buffa davanti alla telecamera e abbassa la musica.
“Pronti per il concerto di questa sera?!”
Nelle orecchie sente il boato di quei cuori sparsi un po’ ovunque.
Chiude gli occhi e ora sente il suo cuore battere, nelle orecchie.
“Sapete,” inizia poi, divaricando le gambe sotto la scrivania e accendendosi una sigaretta.
“Oggi è il compleanno di una persona speciale.” Sospira e sembra che le parole ormai escano da sole. “Tanto speciale.” Ora sorride e tutte hanno capito.
Silenzio. E il rumore dell’hard disk che lavora. Silenzio.
“Solo, fatela sentire a casa tanto quanto fate sentire a casa me.”
Alza le spalle e la sigaretta è finita. La spegne nel posacenere che c’è lì vicino e controlla ancora i messaggi. “Lei è bellissima.” Qualcuno che non può saperlo ha detto la verità.
“E sì, è bellissima.” Risponde, guarda fisso in web e segue la ragazza che ha scritto il messaggio. Totalmente a caso.
Si alza, poi e bacia leggermente l’occhio della videocamera. “Siete la famiglia migliore del mondo.” Sussurra vicino prima di spegnere.
Cos’è, Zayn, l’amore ti addolcisce?
__
C’è qualcosa nell’aria di diverso ed Harry lo sente, i brividi sulla schiena, i crampi nello stomaco, sono diversi. Forse perché Allyson ha lasciato il suo profumo sulla sua maglietta, forse perché Allyson sarà seduta tra il pubblico, forse semplicemente perché c’è un ‘forse’ che riguarda Allyson.
Canta e ci mette tutto se stesso, canta perché è la cosa migliore che sa fare.
Canta perché ora, finalmente, ha qualcuno per cui farlo, qualcuno di reale e vicino.
Zayn si passa una mano sulla polo stirata e pulita e si morde il labbro, nervoso.
Harry sa cosa sta per succedere e lancia uno sguardo perso verso la galleria, sperando in un qualche impossibile modo, di riuscire a vedere Allyson, di vederla sorridere.
Batte le palpebre contro la grande luce e sorride, sapendo che lo sta guardando.
“Ora vorrei fare gli auguri a qualcuno di veramente, veramente speciale.”
Inizia Zayn e lui sente quanto amore c’è in quelle parole. Tutti lo sentono.
Il morettino fa qualche passo avanti e si fa coraggio Harry lo guarda attento e invidia un po’ quello che c’è tra lui e Brenda. Spera di poterci arrivare, un giorno.
O magari no, ma non gli importa nemmeno. Se ci sarà Allyson, anche la pena di morte sarà il miglior matrimonio. Torna a guardare il pubblico sperando di vederla e aspetta che Zayn torni a parlare.“Tanti auguri Brenda.
” Qualche incertezza prima del nome e sì, sarà l’emozione.
Harry si gira verso destra e vede Brenda salire, camminare veloce, sorridere ancora, e ancora, e ancora. Non se l’aspettava. Va veloce ad abbracciare Zayn, gli si tuffa sul petto sapendo di trovarci un porto sicuro.
Harry torna al pubblico e alla sua particolare sfida sapendo di trovare nell’accenno della presenza di lei il proprio porto sicuro.
Distoglie ancora una volta lo sguardo, afflitto, e apre le braccia alla ragazza che gli sta venendo incontro.
“Auguri Be.” Le sussurra ad un orecchio e tutte le ragazze presenti lo sentono.
Maledetti microfoni che captano anche i battiti del cuore.
“Grazie Harry.” Lei gli poggia la mano sul viso, lo fa poi girare verso il pubblico e gli tiene la testa puntata in una direzione.
“Cerchietto luminoso giallo, la vedi?”
Lui non le risponde, perso in quel luccichio che potrebbe tranquillamente definire ‘casa’.
Annuisce e si gira per l’ennesima volta verso Zayn. Non si sente più perso, ora.
__
“Che ore sono?”
“E' tardi.” le sussurra sorreggendola mentre scende dalla macchina.
Saluta con un cenno l'autista che ha accompagnato tutti fino all'hotel e si incammina verso l'entrata. Madison ha dormito tutto il viaggio contro il suo petto.
La ragazza punta i piedi a pochi passi dalla porta e alza gli occhi al cielo.
Le stelle le si riflettono in quegli specchi verdi che ha sul viso, ci cadono dentro.
“Non salire, Liam.” si gira e gli affonda lo sguardo negli occhi, facendo vedere anche a lui quelle stesse stelle che ha catturato poco prima.
Lui sente nella voce di lei qualcosa di diverso e le sorride intuendo cos'è.
Camminano vicini dirigendosi a destra. Nessuna meta, nessuna destinazione.
Solo loro, ancora per poco, ancora per un po'.
E tutte le parole che hanno da dirsi non basteranno per soffocare il silenzio che li dividerà.
“Cosa faccio io, tutti i giorni, tutto il giorno, senza di te, eh?”
Madison torna a guardarlo e sbadiglia. Ma non sprecheranno la loro ultima notte.
“Mi pensi e ripeti quanto sono bello.”
“Come se avessi bisogno di ripeterlo per saperlo.”
Sorride e Liam fa suo quel microsecondo di dolcezza, lo conserva nascosto da qualche parte dentro di sé.
Non vuole pensare al treno che li dividerà, non vuole pensare a cosa saranno i suoi giorni pieni senza Madison. Vorrebbe che lei non se ne andasse,
orrebbe andare con lei.
“Mi mancherai, Mad.”
Hanno represso per così tanto i loro sentimenti che ora hanno bisogno di ripeterli e rinnovarli, dare suono ai respiri per sentirsi sicuri.
Lei si morde l'interno della guancia e continua a guardare davanti a sé, si stringe leggermente nel giubbotto di pelle e trema. Le braccia di Liam arrivano a scaldarla.
La gola fa male ad entrambi, un misto di lacrime, e parole, e saliva.
Liam spera in un miracolo, e spera, e spera, e spera. Si illude.
“Posso sempre infilarmi sotto la tua camicia, che dici?” dice Madison e trema leggermente.
Liam le bacia la fronte e la stringe a sé. Cerca dentro di lei, in quel piccolo corpo tremante, la forza che sente mancare. E la trova, quando lei alza lo sguardo, la trova nelle stelle che continuano a riflettersi nei suoi grandi occhi.
Ed ora tutto è -sembra- meno buio.
__
Ultima notte in Francia, champagne accanto al loro letto.
“Il concerto è stato splendido.” Gli sussurra lei e ancora non riesce a credere a tutto.
“Più o meno di te?” Occhi azzurri contro occhi azzurri, si sorridono.
“Ti va di ballare?” le propone lui, tendendole la mano.
Sarabeth la prende e il cuore le arriva in gola. “Non ho idea di come si faccia” dice appoggiandosi al petto di lui e alzandosi leggermente sulle punte.
“Oh, nemmeno io.”
Come base l’incessante battere dei loro cuori, unica melodia veramente importante.
Niall torna a cercare le labbra di lei, profumate di burro-cacao.
Sarabeth gli sorride vicino al viso. Tutto questo non può essere vero, ma tra i loro corpi, vicini, non c’è spazio per i dubbi. Niall la stringe un po’ più a sé e Sarabeth si sente male dentro, si sente una traditrice, quando colpe non ne ha.
Gli occhi di Niall si riaprono e tolgono l’ossigeno alle sue paure, facendole morire.
Ballando, lentamente, si spostano a cercare le lenzuola profumate dell’hotel, il grande letto che li vedrà vicini ancora un’altra notte.
Un altro bacio e un’altra fitta, un altro bacio e sguardi tristi dietro le palpebre, un altro bacio e non se la sente di baciarlo un'altra volta.
Un altro bacio e crede non avrà mai la forza di smettere.
Sarabeth toglie la mano dal collo di Niall e la poggia sul materasso sotto di lei, andando poi a stendersi. Freddo sotto la schiena, caldo sul petto.
Lei al centro, sempre in bilico.
Un sentimento composto, nascosto, le sfiora lo stomaco, poi passa ai polmoni e il fiato le rimane in gola. La mano di Niall le si infila sotto la maglia, calda contro la pelle e le ridà aria.
Niall solleva la testa e deglutisce il profumo di lei. Cerca i suoi occhi ma li trova chiusi a combattere contro i mostri che ognuno di noi si porta dentro.
Sarabeth si alza a sedere e lui indietreggia, particolare ballo di cui nessuno sa mai i passi e che viene sempre dannatamente bene. Lei si sfila la maglietta e i capelli le ricadono davanti agli occhi facendole vedere il mondo attraverso una griglia bionda.
Niall sorride alla sua pelle candida, alle scapole alate, alla piccola voglia che ha sulla pancia, alle guance che sono bordeaux.
Tornano a dividere lo spazio che li separa e lui le porta una mano sul viso, si bagna il pollice, la guarda negli occhi, ora così simili ad oceani.
Non posso ancora farlo, Niall.” sussurra, piano. Non vuole mandare tutto all'aria.
“Stai tranquilla, Sara.”
La guancia bagnata di lei si posa contro la spalla del ragazzo che la circonda con le braccia, la stringe a sé. Niall vuole proteggerla da un mondo che le sue spalle non riuscirebbero a sopportare, il suo. Eppure è sicuro di non riuscire più a fare a meno delle sue lentiggini e dei suoi sorrisi timidi.
“Sai cosa?” lei si passa due dita sotto gli occhi.
Le cola il mascara, le cola il naso, cola un po' tutto, cola lei.
“Mi sono stancata di nascondermi, di doverti fermare, perchè ho paura. Oh, dio. Ho paura dell'invidia, degli insulti, di chi non capisce.”
“Non capisce cosa?”
“Che mi piaci dannatamente, Niall. E che non sono qui per farti del male, quando invece passerò sicuramente per la cattiva, per quella che ti allontana da loro, da noi.”
Lui la guarda e asciuga una nuova lacrima. Torna a premerla contro il suo petto e prega perchè lei senta il suo battito, perchè lei capisca che è tutto suo.
Ciaaaaaaaaaaaao a tutti.
Questo capitolo mi convince come un calcio nei denti, quindi scusate l'obrobrio, stringete i denti e andate avanti.
Un megasaluto a PiccolaEl che ho scoperto essere una mia fotocopia siciliana.
Grazie mille a tutti.
xx
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** 17. ***
17.
Il
grande orologio a pendola sulla parete in fondo al salone le rapisce lo
sguardo.
Destra,
sinistra. Destra, sinistra.
I
suoi pensieri sono sedati da quel lento oscillare, sono cullati da quel
movimento sempre uguale e teoricamente eterno. Destinato a durare per
sempre.
Anche
lei e Zayn, posti in un universo dove tempo, spazio e
gravità sono nulli,
potrebbero essere destinati a durare per sempre. Soprattutto in un
universo
senza spazio.
Torna
a concentrarsi sulla pendola e non sente Zayn arrivarle alle spalle,
così
sussulta quando lui le appoggia le mani calde vicino al collo.
Scatta
in piedi e gli si apre in un sorriso.
“Volevi
vedermi?” le chiede lui, tirandola verso di sé e
baciandola dolcemente.
“Ho
sempre voglia di vederti.” Inizia lei, prima che lui torni a
rubarle il
respiro.
“Ma
questa volta è una volta diversa.” Termina poi.
Zayn
si siede a gambe larghe, la maglia bianca che porta gli aderisce al
fisico
asciutto e il giubbotto di pelle nero gli da la classica aria da
cattivo
ragazzo.
“Sei
incinta?” le chiede a bruciapelo, mentre fa segno al
cameriere di avvicinarsi.
È
passata una settimana dalla loro piccola fuga a Parigi, è
passata una settimana
dalla verità. Una settimana da quando Miriam è
rinata, per poi tornare dentro a
Brenda e proseguire a fingere. Tutti questi nomi gli fanno girare la
testa.
Al
ragazzo in uniforme bianca indica un panino sul menu.
“Lo
stesso per me.” Chiede Brenda senza guardare.
“Allora,
cos’è, sei incinta?” torna a chiedere
ridendo Zayn.
“Sì.”
Sussurra Brenda e ora è lui a scattare in piedi, gli occhi
spalancati e la gola
secca.
“Siediti,
stai tranquillo, volevo solo vedere che faccia facevi.” Ride
lei coprendosi la
bocca con le mani, gli occhi le lacrimano.
“Quindi
non sei incinta?” chiede Zayn tornando a sedersi e a
rilassarsi.
“Zayn,
come posso esserlo se non abbiamo mai…” gesticola
facendogli capire a cosa
allude, anche se non è difficile arrivarci. Zayn le risponde
alzando le spalle
e sorridendo.
Ci
aveva veramente creduto, aveva veramente tremato.
Il
ragazzo in bianco torna a portargli il pranzo e li lascia soli ad
affrontare
due panini più grandi di loro.
Entrambi
ci affondano il viso dentro, felici di quella felicità che
solo il cibo può
dare.
“Allora,”
chiede Zayn cercando di pulirsi la bocca con un fazzoletto simile a
carta
velina.
“Cosa
mi dovevi dire?”
Brenda
fissa per qualche momento l’orologio che continua a
dondolare. Inspira. Espira.
“Tra
un mese ci sarà il processo di mio…”
non termina la frase perché quella parola
non riesce più a dirla focalizzando il viso
dell’uomo. “Tra un mese ci sarà il
processo.” Ripete e conclude.
Zayn
appoggia il panino e la guarda aprendo gli occhi, e forse
l’idea di un bambino
non era così male.
Il
processo sta a significare un tribunale, un tribunale posto in
Argentina. L’Argentina
sta a significare un viaggio di andata e forse nessun viaggio di
ritorno. L’Argentina sta a
significare ‘casa’ per lei
e lei stessa sta a significare ‘casa’ per lui. Sono
tutte parole che non si
dicono, respiri rimasti senza suono, ma che entrambi formulano, veloci
e
precisi. Pensieri che fanno breccia nelle loro menti.
Sotto
ai capelli dritti di gel di Zayn, però, si delinea a poco a
poco un altro
pensiero.
Dicono
‘se la ami devi lasciarla andare’, ma nessuno pensa
mai al fatto che forse non
la si vuole lasciare andare. “Se
ami devi
lasciarla andare” si ripete mentalmente Zayn, “e se non vuoi lasciarla andare, devi
andare con lei.”
__
“Ciao
riccio.”
Allyson
mette da parte il bicchiere che sta asciugando e guarda Harry sedersi
difronte
a lei. Solita vita, solite fossette sulla faccia del ragazzo, solito
scalpitio
nel petto.
“Le
fan hanno preso bene la faccenda di Brenda.” Sentenzia lui,
aprendo una bustina
di zucchero e facendosi scivolare l’interno in bocca
lentamente, a piccole dosi.
Piccola
allusione silenziosa ai paparazzi che l’hanno seguito fino a
fuori dal bar,
alle voci che iniziano a girare e all’unica foto di Allyson
pubblicata, e
pubblicata, e pubblicata.
Harry
sa di essere il più difficile della band, quello che tutti
seguono, quello che
passa per leader. Sa che alle fan vanno bene tutte le ragazze che gli
altri
avranno, ma che le sue saranno sempre le più discusse. Ma
non può scegliere chi
gli deve piacere.
E
soprattutto Harry sa che Allyson sa, e sa anche che lei non
sarà mai così sua
finche non riuscirà a
fregarsene. E forse è per aiutarla che si alza e la bacia,
sporgendosi sul
bancone e rovesciando il contenitore dei tovaglioli di carta.
Quando
torna a sedersi il sole di Aprile si riflette sulla macchina del
caffè e gli fa
brillare ancora di più il sorriso. Allyson prega in silenzio
di non morire, non
ancora.
Invoca
uno speciale permesso di soggiorno per restare in Paradiso.
Harry
ha caldo, ma sa che non è il sole. E trema allo stesso
tempo, ma non c’è così
freddo. Harry ride di se stesso e si riconferma che no, non
cambierà mai.
Spiana
le mani sul bancone e si alza velocemente. “Ci vediamo
stasera, ti va?”
Cerca
di contenere i suoi pensieri e di non focalizzare lo sguardo sulla
camicetta
sbottonata, sul sottile profilo del reggiseno sottostante.
Allyson
gli sorride e lo guarda dirigersi verso la porta, lentamente, cercando
dentro
di sé qualcosa che ancora abbia una temperatura normale, che
ancora sia in sé.
E
questo sole è ora troppo caldo per i suoi gusti e la porta
del bar sempre
troppo distante e il profumo di Allyson sempre troppo presente.
“Ehi,
Harry.” Lo chiama lei e lui si gira di scatto, gli occhi
spalancati. Ride
ancora dentro di sé, ride ancora di
sé.
“Mi
aiuti a spostare alcuni scatoloni di là?” e con la
mano indica la sua sinistra.
“Sono
lì da un’eternità, sono molto
pesanti…” scivola fuori dal bancone e si avvicina
lentamente alla porta dello stanzino lì accanto senza mai
distogliere i propri
occhi da quelli di lui. “E poi a quest’ora non
viene mai nessuno, quindi è il
momento perfetto.”
Harry
le si avvicina a larghe falcate, le poggia le mani sui fianchi e la
tira verso
di sé.
E
poi dicono che la ragazza perfetta non esiste.
Una
porta che sbatte, mani fredde su pelle calda, brividi; i loro respiri
vicini,
gli occhi negli occhi, brividi; il passare delle macchine nella strada
vicina
che copre i loro sospiri, quel sogno da spuntare dalla lista, brividi.
__
Chelsea
cammina veloce tra la gente, sembra
volare sui tacchi alti.
E
tutta questa euforia non è scritta nei
suoi piani.
Chelsea
cammina veloce tra la gente e vede
Louis sorriderle da lontano, alzare una mano e salutarla. E il cuore in
gola
non è scritto nei suoi piani.
Il
cellulare le vibra nella tasca ma lei lo
lascia vibrare. Non ha tempo per nessuno, quando
c’è lui, anche se non se lo
vuole dire.
“Gelato?
Caffè? Passeggiata? Città? Parco?”
le propone lui sorridendo e allontanandosi sempre più da
quell’abisso che aveva
toccato dopo Samantha.
“Tu.”
Si lascia sfuggire lei e punta subito
gli occhi al cielo, quando la propria voce le arriva alle orecchie.
“Cosa?”
le chiede lui, puntandole lo sguardo
sul viso.
“Tutto
quello che vuoi.” Ride poi
lei, tornando a guardarlo e ritrovando il cielo lasciato poco prima
negli occhi
del ragazzo.
“Opterei
per passeggiata, e città, e magari
anche gelato.”
Lei
annuisce e lo prende sottobraccio, rimproverandosi
sottovoce.
Riesce
a regolarsi col mangiare, a fare
educazione fisica ogni santissimo giorno. Riesci a camminare su tacchi
altissimi e stare seminuda su un set fotografico attorniata da semi
estranei.
Riesce a sopportare lo sguardo di sua madre quando si parla di Dawson e
riesce
addirittura a non vomitare ogni volta che pensa a come sono andate le
cose.
Ma
non
chiedetele di riuscire a stare lontana da Louis.
Anche
se tutto questo nei suoi piani non c’è
scritto.
“Bella
quella ragazza, non trovi?” punta il
dito contro una dopo alcuni passi in silenzio.
“Mh.”
Sussurra Louis e ancora non capisce a
che gioco sta giocando.
“Esci
con qualcuna, Lou?” chiede ancora lei,
per poi aggiungere: “Perché devi superare
Samantha, anche se fa male.”
Lui
si gira e la guarda negli occhi, si
abbassa a baciarla e spera serva a dirle tutto quello che a parole non
riesce a
dire. Spera serva a farle capire che per ora c’è
lei e Samantha è solo un brutto incubo.
Un
ragazzo con la telecamera in mano si
avvicina a loro, sul microfono il nome di una qualche rete televisiva
minore.
“State
insieme?” chiede improvvisamente,
senza peli sulla lingua, guardando Chelsea e riconoscendoci la ragazza
della
pubblicità.
“Siamo
solo amici.” Afferma lei, guardando
la tempesta dentro agli occhi di Louis.
Annuisce
e va via, scompare dentro la folla
lasciandolo ancora una volta solo e confuso.
“Allyson,
non so davvero come fare.” La voce
storpiata dal telefono e l’amica in silenzio
dall’altra parte. Sono passate quasi
quattro settimane dalla loro speciale gita a Parigi e le due ragazze si
sono
avvicinate molto, ritrovando nell’altra una preziosa fonte di
consigli.
Le
cose non sono cambiate per nessuna delle
due, tutto il mondo sembra rimanere fermo.
“Chelsea
devi dirglielo, dirgli che non deve
illudersi, che hai troppa paura per
rimetterti in gioco.” Perché è davvero
così che vanno le cose e Allyson è la
prima che gliel’ha detto davvero. Chelsea resta in silenzio.
“Chel,
ho una notizia. Ma non so ancora
nulla. Ecco, insomma, non voglio farti preoccupare.”
“Allyson!”
tuona nel telefono Chelsea.
“Ecco,
vedi, ho un ritardo.” Silenzio dall’altra
parte. “Ho paura di essere incinta.” Ripete.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** 18. ***
18.
Questa
è una di quelle sere in cui il tuo più grande
sogno è stare in pigiama davanti
alla televisione mangiando porcherie. Invece è sempre in
queste serate che
qualche idiota decide di festeggiare il proprio compleanno e invitarti.
Quindi
addio pigiama e cibo spazzatura; anche stasera niente patatine
integrali da
cospargere di cioccolato, niente conati di nausea davanti ad un vecchio
film
strappalacrime.
Madison
alza gli occhi e scollega il cervello dai suoi pensieri.
L’insegna luminosa
della discoteca le colora la faccia di rosso-giallo-verde-blu.
Rimpiange le
ciabatte con i coniglietti e pesta i piedi fasciati, invece, in alte
scarpe col
tacco che la fanno arrivare ad un ‘altezza al limite minimo
della decenza.
Maledetto DNA puffo.
Il
cellulare le vibra dentro la tasca degli shorts kaki e lei sorride
riconoscendo
il numero di Liam nello schermo. “Divertiti.
xx” Semplice
e coinciso, dolce. L’essenza
di Liam dentro ad un messaggio.
Una
morsa allo stomaco le ricorda quanto lui le manca mentre la musica che
pulsa
dalle pareti del locale la riporta alla realtà. Madison alza
il viso e si avvia
con ampie falcate verso la porta immettendosi nella mischia. Con un
cenno del
capo saluta tutta quella gente che la mattina dopo non la
guarderà neppure.
Una
ragazza le si avvicina, snella dentro ad un tubino cobalto. La guarda
dall’alto
in basso e sorride con quel sorriso indecifrabile che Madison ha sempre
invidiato e provato davanti allo specchio.
“Sei
Madison, vero?” Lei si limita ad alzare le sopracciglia in
segno di assenso.
“Oh
mio dio.” Sussurra la bionda in un modo che consente a
Madison di catalogarla
nella lista delle oche e di spuntare il suo nome, qualunque esso sia,
dalla
lista di persone da salvare quando il mondo salterà in aria.
Quella lista che
poi, oltre ai famigliari più stretti e a qualche amica,
conta Liam, e Liam, e
Liam.
“Girano
voci che tu stia con LiamdeiOneDirection.”
Dice più forte l’altra, alzando la voce per
sovrastare la musica. Intanto
dentro alla tasca il cellulare vibra di nuovo e Mad sorride.
“Potrebbe
essere.” Sentenzia poi appoggiando una mano sul cellulare e
illudendosi che lui
la possa sentire e stringere. Vede la bionda vacillare leggermente sui
tacchi,
imbarazzata.
“Mi
sembra un tipo un po’ sfigato.” Dice e ride
l’altra, sapendo di aver colpito
nel segno quando vede gli occhi di Madison spalancarsi.
“Non
ti permettere mai più di dargli dello sfigato, razza di oca
troglodita.” Si lascia
sfuggire Madison prima di tapparsi la bocca con la mano e rendersi
conto di
aver risposto affermativamente alla domanda della bionda. Quanto tempo
ci vorrà
prima che lei lo dica a X e X lo dica a Y e Y a Z e Z a tutto il mondo?
Sfocando
la figura della ragazza che si allontana risponde velocemente a Liam.
“Ho
fatto un casino. Ho detto che stiamo assieme ad una. Pronto per la fine
del
mondo?” suona
ironica ma non lo è, sente
i nervi a fior di pelle e spera veramente che non sia un problema, che
lui non
se la prenda.
Si
avvicina al bancone e beve
un Angelo
azzurro offertole da chissà chi, declina
una proposta di ballare e sorride al telefono che vibra ancora. “Non vedevo
l’ora
di baciarti sotto al sole.”
E
anche questo è Liam, pronto a rimediare e sostenere e
confortare in ogni
momento. Tante volte Madison si chiede se lui solamente non sia uno
sbaglio della natura perché,
davvero, non è possibile che ci sia qualcuno come lui in
mezzo a così tanta
merda quale è il mondo. Eppure c’è il diamante tra gli
zirconi e quel diamante
brilla per lei.
Le
luci psichedeliche entrano da sotto la porta come le mani di quel nuovo
ragazzo
entrano sotto i suoi vestiti. La testa le gira, o forse è
solo il mondo che si
è messo a correre. Un bacio rubato le viene tolto dalla
bocca da quelle labbra
sconosciute ma lei non è in sé, e tutto questo
è solo un gioco in un mondo che ha
ingranato la quinta e non smette di girare. Le luci psichedeliche
entrano da
sotto la porta ed illuminano a scatti quelle due ombre troppo ubriache
per
capire. E domani sarà troppo tardi per rimediare.
__
Niall
segue Sarabeth dentro la sua stanza e si vede ovunque, strana
allucinazione.
Le
sue foto sono attaccate ai muri, all’armadio laccato, alla
spalliera del letto.
Sono
infilate nei bordi del grande specchio appeso al muro, sono tra le
pagine dei
libri.
“Ogni
camera di ogni tua fan è così, non lo
sapevi?” gli chiede lei sorridendo
vedendolo sorpreso. “No.” Sussurra.
È
una cosa che fa quasi paura, che mette in soggezione. Devozione, non
ossessione. Speciale branca dell’amore impossibile,
microcosmo di illusioni.
“Quando
ti dico che non voglio tu torni ad essere solo questo” e con
un gesto indica le
foto, i sorrisi, “lo faccio perché non sopporterei
di vederti nuovamente
bidimensionale.”
Niall
la tira verso di sé intrecciando le proprie dita con le sue,
non stacca lo
sguardo dai muri. Si sente troppo importante, sopravvalutato e ha paura
di
deludere la gente, si sente eccessivamente amato, si sente quasi fuori
luogo in
tutti quei cuori.
Perché
semplicemente lui non è uno capace di congratularsi con se
stesso e dirsi
fatto ‘hai fatto un buon lavoro,
amico’.
Si
avvicina maggiormente a lei specchiandosi nei suoi occhi rubati al
cielo, lei
si scosta prevedendo il bacio già materialezzatosi tra i
pensieri del ragazzo.
“E
quando ti dico che ho paura per come reagiranno loro” con un
altro gesto,
simile al precedente, indica una raccolta di foto leggermente in
disparte
rappresentante volti, sorrisi, cartelloni alzati, “lo dico
perché loro sono la
seconda migliore famiglia che mi sia mai capitata, loro sono una parte
di me,
anche se litighiamo, anche se parliamo lingue diverse.”
In quel santuario d’amore
non corrisposto i sentimenti dei due ragazzi stonano.
“E
quando ti ripeto di non preoccuparti lo faccio perché so che
potrebbero capire,
so che lo faranno.” Niall parla imitandola e si interpone tra
lei e le foto delle altre
fan.
Sarabeth
rimane in silenzio e abbassa lo sguardo, si sente sbagliata e cattiva.
Chiunque
al suo posto avrebbe già detto sì, e
sì, e sì. Mentre lei è brava solo a
fare
tira-e-molla, troppo combattuta per pensare lucidamente a qualsiasi
cosa,
troppo concentrata sulle due fazioni –le fan e Niall- per
mettersi a guardare
la loro intersezione.
“Sarabeth,
ti prego.” Implora lui e bisogna stare attenti a non
affogargli nello sguardo.
Lei
tiene lo sguardo per terra e arretra di un passo senza però
lasciargli le mani.
È
Niall che apre le dita e fa scivolare via quelle di lei, si morde il
labbro e
alza gli occhi.
“So
che aspettare una che sia anche solo quasi come te sarebbe inutile,
quindi mi
limiterò ad aspettare te. Sto male con te, sto male da
solo.”
Sarabeth
alza leggermente gli occhi sfocando la polo rossa del ragazzo. Qualcosa
dentro
la sua testa le urla il solito ‘te
l’avevo detto’ e lei, automaticamente,
le
ordina di tacere.
“Quindi
non vedo cosa mi dia il permesso di tenerti occupata, di farti
diventare
pensierosa, e triste, e malinconica.” Le parole per dirgli
quant’è bello e
quanto ci tiene a lui le muoiono in gola, come in quei sogni dove vuoi
urlare
ma non ti esce la voce.
“Quando
avrai fatto pace con te stessa sai dove trovarmi.” Le
sussurra prima di uscire
lasciandola senza la forza di muoversi, di parlare. Solo piangere
sembra sia la
cosa da fare, anche se tutto in lei dice che è inutile.
Qualcuno di cui non
ricorda il nome direbbe: “Sassi e
bastoni
ti rompono le ossa, ma occhio a quelle cazzo di parole.”
Non
è propriamente un addio, si ripete Niall camminando veloce
verso la macchina, è
solo una terribile forma di arrivederci pronunciata da qualcun altro
che a
quanto pare abita dentro di lui.
E
guardando le rare gocce aprirsi sul parabrezza della sua macchina Niall
guida
lentamente verso casa, prendendo la strada più lunga.
__
“Ho
qualcosa che mi preme sullo stomaco.”
E
Zayn la bacia, sapendo che non può nulla contro
l’ansia. La bacia per dirle che
è sempre lì con lei, che lo sarà anche
domani, e dopodomani e ancora il giorno
dopo, e quello dopo ancora. Sempre? Sempre.
“Miriam.”
La chiama poco dopo respirandole vicino. Il cielo di Londra che gli
riflette
una strana luce grigia negli occhi.
“Brenda.”
Lo corregge lei. “Fino alla fine del processo, fino a quando
non sapremo il
verdetto, chiamami Brenda.” Zayn annuisce e vorrebbe fosse
tutto più semplice.
“Brenda.”
Si corregge e lei gli poggia la testa sulla spalla, respira il suo
profumo che
sa di casa e protezione e famiglia.
“Andrà
tutto bene.” Sentenzia poi.
“E
se invece non succedesse? Se gliela dessero vinta, se le mie parole non
contassero, se qualcuno prendesse il suo posto, se qualcuno mi
cercasse, e se…”
Baciarla
è l’unico modo che conosce per farla azzittire,
per mettere a tacere tutte le
sue paure.
“Io
sarò qui anche in quel caso.”
“Non
posso permettermi di sconvolgere il tuo mondo.”
“Oh,
baby, l’hai sconvolto più di quanto
credi.”
Ed
è forse la prima volta che lui si apre davvero.
L’ha fatto seriamente?
Nella
sua mente la frase da lui appena pronunciata continua a girare, lui
continua a
premere ‘repeat’. Oh, sì, l’ha
detto realmente, ha detto la verità.
Ad alta voce e non solo a se
stesso. Per una qualche strana ragione gli sembra di averla resa ancora
più
vera, se questo è mai possibile.
“Più
di quanto credi.” Ripete nuovamente, per essere sicuro di
averlo detto davvero.
Ed
un nuovo bacio li unisce sotto quel cielo che preannuncia pioggia.
Il
tempo previsto per i giorni seguenti è terribilmente mosso,
con finale incerto
e una vaga speranza di vittoria.
Ecco
qui anche questo capitolo bellezze. Grazie mille a tutte per le
recensioni, e i complimenti e bla bla bla.
Se
vi va (e vi deve andare!) premete su 'angelo azzurro', nella prima
parte, quella di Mad, e andate a leggere la Fic di 'PiccolaEl' che
ringrazio moltissimo per la pazienza.
siete
splendide.
xx
ps:
la frase di quel 'qualcuno di cui non ricorda il nome' nella parte di
Sarabeth è di Palahniuk **
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** 19. ***
19.
La
luna sorge davanti ai loro sguardi complici, li illumina nel buio della
casa di
lei, fa risplendere le lenzuola lavate di fresco che sanno di pulito,
tramonta
lasciandoli abbracciati. E sarà compito del sole baciarli
coi suoi raggi e
svegliarli, illuminare i capelli scuri di Chelsea che sembrano fondersi
con il
petto di Louis.
Nessun
ostacolo tra i loro corpi se non i loro corpi stessi. E
l’ostacolo è tra le
loro menti, tra i progetti di uno e le barriere dell’altra,
tra i sogni celati
dentro occhi azzurri che muoiono dentro a quelli castani. Tutto questo
è il
problema, ma col sole che sorge piano e in silenzio, le mani di Louis
sui
fianchi di lei, sembra quasi che tutto possa avere una fine migliore.
Illusioni
sotto un cielo grigio macchiato di rosa.
Chelsea
si sveglia e socchiude gli occhi alla luce inaspettata. Si gira verso
Louis che
le dorme ancora accanto e gli sorride, dolce. Si
alza sottraendosi a quello speciale calore
che lui le trasmetteva dove la toccava, il persistente buco nel petto a
sentirsi così meschina e opportunista ed egoista.
Arriva
in cucina e si stringe maggiormente nella vestaglia di seta di un verde
che le
fa risaltare la pelle candida e i capelli scuri. Ragazza in cui si
scontrano
gli opposti, ragazza che no, proprio non riesce a controllare tutto.
Anche se
quei due occhi grandi e profondi implorano ordine.
“Buongiorno.”
Louis le sussurra all’orecchio cogliendola di sorpresa
appoggiata alla grande
finestra vicino al tavolo. Le poggia le labbra calde sul collo, e
giù di
brividi.
Chelsea
ruota per ritrovarselo difronte, tra loro la sua tazza di
caffè fumante. Il
buongiorno le rimane in gola e le labbra le
diventano aride di baci da donargli. Perché qualcosa dentro
di lei dice che
mandarlo via ora è la cosa giusta da fare, per entrambi.
Dolorosa, per
entrambi, ma giusta.
“È
ora
che tu vada a casa, non credi?” abbassa lo sguardo sulle
piastrelle ordinate
del pavimento e prega perché i pezzi della sua vita si
dispongano altrettanto
bene. Louis abbassa lo sguardo a sua volta e nasconde il sangue vivo
che quelle
parole gli hanno fatto scorrere dentro. “Capito.”
Annuisce
ancora per illudersi che ha davvero capito,
che è davvero la cosa
giusta da fare.
Annuisce quando la porta dell’appartamento di Chelsea gli si
chiude alle
spalle. Annuisce quando entra in casa sua e trova gli occhi verdi di
Harry ad
aspettarlo, lui seduto su una delle poltrone del soggiorno che ha
già capito
tutto, che l’ha sempre saputo. Louis gli legge le domande
nello sguardo e,
ancora una volta, annuisce.
Portone
laccato scuro contro occhi verde magnetico, portone laccato scuro
contro la
rabbia che cresce fino a toccare i ricci ribelli sulla testa del
ragazzo. Il
portone si apre, sconfitto, e dall’altra parte della soglia
Chelsea si appoggia
allo stipite, stupita. “Non ti aspettavo.” Gli
confessa e lui deglutisce a
vuoto cercando di calmarsi. “Io non mi aspettavo nulla da te,
non pretendevo lo
facessi felice, che gli ridonassi il sorriso.”
Inizia
a sente che più parla più non riesce a fermarsi
ma no, proprio non può vedere
Louis spegnersi ancora.
“Ma
non
ti immaginavo così egoista e menefreghista.
Perché il mondo legge nei suoi
occhi che c’è qualcosa che non va. E lui ha
infranto una delle regole per poter
stare con te, lui è venuto a letto con te pur non potendo.
Lui ha messo in
pericolo tutti, per te. Devi smetterla di illuderlo.” Si
ferma e cerca nel viso
di Chelsea qualcosa che tremi, che ceda; cerca le lacrime. “Ma forse sei troppo bella per avere
anche un cuore.” E quelle
parole le fanno più male di uno sparo, di un treno sui
polmoni. Quelle parole sono
braccia che le aprono la cassa toracica, sono graffi dritti al cuore.
__
Harry
affonda il viso nel collo di Allyson che lo abbraccia.
Lui
ha
bisogno di fermarsi e ricaricare, ha bisogno di un momento in cui tutti
siano felici, non gli sembra di
chiedere
tanto. Ma ha stampato dietro agli occhi lo sguardo vuoto di Louis,
spento,
abbattuto.
Lei
ha
bisogno della sfacciataggine di Harry del suo coraggio e della sua
dolcezza.
Lei ha bisogno del suo sostegno e di conferme.
Sulla
confezione del test di gravidanza c’è scritto che
bisogna aspettare almeno il
settimo/ottavo giorno per farlo, altrimenti il risultato potrebbe
risultare
negativo e sbagliato. E lei è solo al terzo e mezzo. Spera
di starsi
sbagliando, spera e prega.
E
le
brutte notizie non arrivano mai da sole perché, qualcuno, in
qualche modo, l’ha
scoperto. E ora la rete è piena di dubbi, di domande a cui
nemmeno lei sa
rispondere.
Harry
sente nelle sue braccia una stretta diversa e la guarda in viso, altro
paia d’occhi
senza luce, eclissati da pensieri più scuri.
“Cos’è
successo?”
“Ho
un
ritardo.”
“Merda.”
Non
era
così che lei se l’era immaginato, ma non sembra
averla presa troppo male. Ora
la notizia peggiore. Estrae da dietro la schiena due riviste e gliele
appoggia
contro il petto.
Harry
ne prende una, cerca il suo nome nell’indice e sfoglia fino a
pagina 14. Apre
maggiormente gli occhi quando scopre una foto di Chelsea, bella come
sempre,
capace di smontare la sua vita come fosse un puzzle.
“Cosa vuol dire che pensi
di essere incinta
di Harry?”
Le
parole sentite da Allyson attraverso il cellulare scritte, ma,
soprattutto leggibili.
“Merda.”
Ripete Harry perché no, questo non è proprio il
momento di totale felicità che
si aspettava, che in qualche modo pensava gli fosse dovuto.
E
qualcosa dentro allo stomaco gli sussurra che non sarà mai
un buon padre e che,
sinceramente, dai, non lo vuole essere. Inspira. Espira.
__
È
Madison
quello che gli manca e lo sa. È il suo sorriso e la sua
voce, i suoi capelli
lisci e quegli occhi che ci puoi annegare. È Madison il poco
zucchero nel caffè
della sua vita.
E
dopo
questo pensa sia seriamente ora di andare a letto, che anche se
è presto è stanco sfatto.
Il
cellulare che suona, un classico, quando è già
quasi sotto le coperte.
“Pronto?”
la voce assonnata e impastata.
“Ehi
Liam, sono Janet! Volevo dirti che sono un po’ in ritardo,
che ne dici se
facciamo alle undici, invece che alle dieci e mezza?”
Janet
e quella voce che non sentiva da così tanto tempo. Janet e
l’appuntamento che
si sono dati e che lui si è dimenticato. Butta
un’occhiata alla sveglia sul
comodino. Sono le dieci e ventiquattro. Si scuote sentendo il respiro
della
ragazza al telefono.
“Sì, certo, è perfetto. Anche io sono
in ritardo, a dire la verità.”
E
un
tempo non se lo sarebbero mai permessi.
Davanti
al locale, quello solito in cui andavano spesso, Liam ritrova gli occhi
chiarissimi di Janet contornati di matita-mascara-ombretto azzurri e
chiari in
modo che rende quei due pezzi di cielo quasi sconfinati. E Liam ci si
perde un
po’ dentro, con i ricordi che gli riaffiorano. Le sorride.
Strano quanto
possano essere belli e allo stesso tempo facili da accantonare gli
attimi
vissuti al fianco di qualcuno.
“Come
stanno le tue ragazze?” gli chiede lei poco dopo, seduti ad
uno dei tavolini
del locale, illuminati da luci rosse e rosa fluo.
Liam
sa a chi si riferisce perché lui gliele ha sempre nominate
così ed è felice di
sapere che se lo ricorda ancora. “Benissimo, crescono sempre
di più, ci fanno
sentire a casa ovunque, ci vogliono bene. È tutto splendido.
Tu come stai?”
Janet
beve un altro sorso di birra. “Bene, sì.”
“Non
sei cambiata per niente.” Le dice lui.
“No,
è
vero. Alzo ancora la musica più forte dei tuoni, durante i
temporali, mangio
ancora i biscotti in coppia.” Alza le spalle e ride, beve
ancora. “Anche tu sei
quasi uguale.”
“Quasi?”
ora è Liam a bere e alzare le spalle.
“Quasi. Sei più sicuro, e meno timido,
più grande.” Più
bello, ma questo non glielo dice.
“Sono
stata bene questa sera.”
I
sedili della macchina di Liam le sono ancora così familiari.
“Anche
io.” Risponde ed è vero. Non si aspettava di stare
così bene, nessuna
tensione, niente di niente. Solo rivangare e
ridere del passato.
“Perché
ci siamo lasciati, Jane?” è una domanda che si fa
da quando l’ha rivista in
viso.
Non
se
lo ricorda proprio, è un tassello che manca completamente.
“Non
lo so, le cose dovevano andare semplicemente così, a quanto
pare.”
Si
guardano entrambi prima che lei rompa nuovamente il silenzio.
“Bene,
ora è meglio che vada.”
Liam
si sporge verso di lei per darle un bacio sulla guancia e torna a
fermarglisi
il respiro quando è così
vicino a
quegli occhi. Lei elimina la distanza che li separa e lo bacia.
Deja-vu
al sapore di birra.
Liam
scatta indietro dopo aver tentennato ancora un po’ su quelle
labbra conosciute
e nuove allo stesso tempo. “Non posso. Io, io sono
fidanzato.”
Janet
annuisce ma non abbassa gli occhi. “Sapevo
l’avresti detto. Sei rimasto lo
stesso di sempre ed è davvero stato bello rivederti. La tua
ragazza è
fortunata, davvero.”
okay, ciao gente.
questo capitolo mi fa pena, ma il temporale fuori non si concilia con
le mie ispirazioni. già.
'e quegli occhi che ci puoi
annegare.' so che è sgrammaticato, ma suona bene. licenza
poetica (??)
bah, siete bellissime
e gentilissime. un grazie inifito a tutte.
xx
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** 20. ***
20.
L’aria
fresca sulla pelle le bacia le lentiggini, ma vorrebbe fosse Niall a
farlo, la
accarezza i capelli e glieli sposta dal viso, ma non è come
se lo facesse Niall
e l’unica cosa d’azzurro che può trovare
è il cielo sopra di lei, ma è di un
azzurro sporco e distante da quello degli occhi del ragazzo.
Perché,
per quanto faccia male ammetterlo, non c’è nessuno
come Niall. E lei è riuscito
a farlo andare via, facendo del vento la sua unica consolazione, la sua
unica
illusione. E l’aria negli occhi le fa scendere una lacrima,
ma forse non è
l’aria. E le mani assenti di Niall ne fanno scendere una
seconda.
Sarabeth
si siede su una panchina di Regent Street, la gente le passa veloce
accanto e
qualche bambino la guarda incuriosito, i gelati lasciati in pace per
qualche
prezioso secondo. La ragazza che sembra una principessa piange al
centro di
Londra e loro ne sono affascinati, guardano i lunghi capelli biondi e
non sanno
che su di loro manca il solito profumo di Niall, guardano le pallide
lentiggini
e non sanno che manca il rossore prodotto dalle risate. La guardano e
non sanno
che è stata un’idiota. Poi, in un attimo
fortunato, una mano scesa dal celo le
si poggia sulla testa e le si avvicina una bimba, la nonna che la tiene
per
mano distratta a guardare una vetrina. Le porge un fiore –un
fiore!- e a Sarabeth nasce un sorriso. E forse ha capito
cosa
deve fare.
Bussa
piano alla porta e poi si scuote, batte un piede per terra e si
rimprovera
mentalmente.
Questo
non è un buon momento per essere la Sarabeth fragile,
timida, introversa;
questo è uno di quei momenti in cui bisogna solo buttarsi,
saltare e lasciarsi cadere.
Bussa
più forte mentre un tuono scoppia poco lontano, lei conta i
secondi che passano
prima di vedere la luce del lampo. Sette. Stringe maggiormente le dita
attorno
alla carta stagnola quando sente la porta scattare. Inspira. Espira.
Ed
è
Niall quello che vede tra i petali rossi delle rose, e sono i suoi
occhi che le
cercano il viso nascosto dai fiori. Tende le braccia in avanti.
“Perché
in noi non c’è niente di normale, e a me i fiori
farebbero piacere. Perché non
so proprio come farmi perdonare, e io non mi perdonerei mai. E forse non lo
farò.”
Niall
fa un passo verso di lei e prende i fiori, li appoggia delicatamente
sul
pavimento e non importa se qualche petalo cadrà.
Perché il suo più grande
regalo è lì davanti e non tollera più
niente che la tenga così lontana. È
passato solo un giorno, uno solo. Ma il sole sembrava non sorgere mai.
“Grazie
per essere tornata.” La stringe a sé e
l’aria torna a riempirsi d’ossigeno.
“Grazie
per essertene andato.”
“Non
me ne sono mai realmente andato.”
“Lo
so.” Lo sa e lo stringe più forte, lo sa e fa
scivolare fuori il cellulare
dalla tasca, lo sa e lo bacia. Scatta una foto. E sa anche che non se
ne andrà
realmente mai. Niall indietreggia leggermente e sorride. Sarabeth,
forte dello
sguardo, preme veloce alcuni tasti ed è fatta. Torna a
baciarlo.
E
la
loro foto inizia a girare, retwittata e ripubblicata, la didascalia ad
addolcire cuori.
“Perché
se ami, devi amare forte. E io ti
amo forte.”
__
“Metti
anche questo.”
“E questo.”
“E questo.”
Avere
i ragazzi attorno annebbia la paura, l’ansia, e qualsiasi
cosa gli faccia
chiudere lo stomaco. Nemmeno il suo riflesso allo specchio sembra lo
stesso.
Impilano
nella valigia qualsiasi cosa passi loro per la mente, Harry ci ha messo
addirittura un paio di suoi calzini, “da spargere per il
pavimento dell’hotel e
sentirti a casa”.
Ridono
come se fosse un giorno normale ma non lo è. Ridono con i
muscoli del viso tesi
e le spalle rigide, Niall non si dimentica di respirare come fa di
solito.
Zayn
ha paura ed è l’unica cosa di cui è
sicuro.
La
sera prima ha raccontato ai ragazzi tutta la storia di Brenda, del
falso nome,
del processo. Liam si è alzato e l’ha abbracciato,
silenziosamente. Tutti gli
altri l’hanno seguito.
“Non
sto andando in guerra.” Riesce a dire a denti stretti sulla
soglia, guardando
ciascuno negli occhi e ritrovandoci dentro i propri che si muovono
agitati.
“Cerca
di tornare vincitore lo stesso, però.” Gli sorride
Louis.
Tutti
annuiscono e Zayn si gira, si dirige al taxi che ha prenotato poco
prima. Fa un
cenno con la mano prima di partire e tutti lo seguono con lo sguardo
fino a
quando il giallo del taxi non scompare dietro ad una curva.
Ora
lui è solo con se stesso, almeno fino a quando non
vedrà Miriam. Brenda.
“Amo
volare, sai?” l’atmosfera in aereo è
rilassata. Saranno i sorrisi della mamma
di Brenda, sarà Brenda stessa, ma Zayn riesce quasi a
respirare facilmente. Quasi.
“Sì?
Questa è la seconda volta che lo faccio in tutta la mia
vita. Il ritorno di un
viaggio che mi ha portato nella città dei miei sogni e, caso
del destino, all’uomo
dei miei sogni.”
Gli
sorride e sente che è teso, eppure non è lui che
deve testimoniare contro
qualcuno che ama incondizionatamente. Gli si appoggia alla spalla e
scivola un
po’ in basso sul sedile, chiude gli occhi e si lascia cullare
dal respiro di
Zayn che le accarezza i capelli.
Zayn
trotterella giù dalle scale e si dirige alle cabine
telefoniche dell’hotel.
Potrebbe usare il suo cellulare tranquillamente, ma la
verità è che non vuole
passare per quello che se la tira davanti alla mamma di Brenda.
Inserisce una
quantità incalcolabile di monete dentro
l’apparecchio e inizia a digitare
numeri su numeri. Sua mamma, i nonni, i ragazzi della band, qualche
amico. “Andrà
tutto bene piccolo.” Gli dice sua mamma prima di salutarlo.
Zayn
si appoggia contro la parete in vetro della cabina e scivola per terra.
Nemmeno
quella voce così chiara e conosciuta sembra riuscire a
mettere le cose a posto.
“Andrà
tutto bene piccolo.”
E spera veramente sia
così, perché non ha idea di cosa possa succedere
se non lo farà.
__
“Ciao
famiglia!”
Entra
in
casa, appoggia le borse e Phoebe gli si lancia al collo. E questa
può davvero
essere la cura. Sua mamma si avvicina a passo svelto e lo abbraccia
più
stretto.
Ha
bisogno di stare in mezzo ai sorrisi che conosce a memoria e ha bisogno
di
essere viziato, e amato e amato e amato. Di fare scorta
d’amore perché ora la
lucina ‘empty’ lampeggia furiosamente.
Chelsea
si guarda allo specchio e vuole piangere, vuole piangere fino ad avere
la
faccia imbrattata di mascara, vuole piangere fino a non avere
più lacrime per
poi bere e tornare a piangere. Chelsea vuole piangere fino a sentirsi
vuota,
tremendamente vuota e urlare fino a quando non le farà male
la gola, fino a
quando i vicini non chiameranno la polizia, fino a quando
avrà voce. Ma non fa
niente, sta ferma a guardarsi. Inspira. Espira.
Batte
un’ultima volta le palpebre, lentamente, prima di girarsi e
uscire, salire in
macchina e partire. La strada le passa veloce accanto e lei sa cosa
deve fare.
Evita di incrociare il proprio sguardo nello specchietto retrovisore.
Lottie
apre la porta e sorride alla ragazza che le si presenta davanti. Tre
ore di
macchina per arrivare fino a lì e non ha un singolo capello
fuori posto. Lottie
la guarda sognante e poi si scuote. “Cerchi Louis,
vero?”
Chelsea
si limita a sorridere ed annuire. Lo sta veramente facendo? Lo
è andato
veramente a cercare sotto casa? Riuscirà veramente a
guardarlo negli occhi
senza perdercisi dentro? Riuscirà poi a farsi perdonare? Ci
sarà ancora un
posto in Paradiso per lei? Oh, lo spera tanto.
“Ehi.”
La voce leggermente aspra di Louis le fa alzare lo sguardo. Non vuole
sembrare
illuso e deluso, non vuole far vedere che sta male. Vuole nasconderle
le
lacrime che ha versato anche quella
notte e darsi un’aria da duro. Magari questo la
riporterà indietro.
“Ehi.”
Gli risponde lei e lui crolla in un sorriso. Perché
è felice che sia venuta
fino a lì e al diavolo tutte le sue pare mentali: Lei
è venuta fino a lì.
“Louis
sei il miglior ragazzo che io abbia mai conosciuto.” Inizia e
sfoca i contorni
del viso di lui per mettere a fuoco gli occhi. “Sei bello, oh
dio se lo sei. E
sei gentile e dolce e simpatico. Sei il miglior antidoto alla noia,
alla
tristezza e alla solitudine che ogni ragazza vorrebbe.” Da
dove le escano tutte
le parole non lo sa, ma vuole solamente che continuino ad uscire e che,
magari,
i polmoni smettano di bruciarle.
“Sei
il miglior antidoto che io vorrei, che io voglio, che io
vorrò.”
Louis
fa un passo avanti e gli sembra ormai di avercela fatta, ha il cuore di
Chelsea
in mano, cosa può chiedere di meglio?
“Ma
proprio non posso permettermi di illuderti, di giocare con te. Di farti
aspettare in attesa il momento del mai, quello in cui mi
libererò
definitivamente di tutte le mie pare, di tutte le mie paure, di tutti i
miei
fantasmi e sarò pronta ad accogliere te. E anche se so che
quel momento sarebbe
il più felice della mia vita, la mia scelta migliore, la mia
ascesa al
Paradiso, beh, so anche che sono troppo incasinata e masochista per
farlo mai
arrivare.”
E
Louis scivola nel baratro delle false certezze, delle illusioni,
scivola e
aspetta solamente di cadere e schiantarsi. Spera
di morire e smetterla di volerlo così fortemente.
La
sagoma di Chelsea che
si allontana
allude ad un baratro profondo, molto profondo.
“Chelsea
ti prego non andare via. Sono disposto a venire a letto con te per
sempre e basta,
sono disposto a trasgredire le regole e scendere a patti con Paul. Sono
disposto ad andarmene quando vorrai, a sparire nei tuoi giorni no, a
non
chiamarti e tornarti utile alle feste. Sono disponibile a farti da
autista e
porta borse, qualsiasi cosa, ma non te ne andare.”
Chelsea
fa un grande respiro e ricaccia indietro le lacrime prima di girarsi.
“Voglio
tu sia felice, Louis. E credi che fare da, da, da portaborse!
Ti renderebbe contento, soddisfatto, felice? Credi che
venire altre cento, mille volte a letto con me riuscirebbe a farti
stare
meglio?” Lo guarda fisso e trema. “No, non sarebbe
così. E io non posso lasciare
che tu distrugga te stesso per una causa persa, per me. Io non
sarò mai quella
che resta, io sarò sempre quella che se ne va e che forse
non torna,
altalenante e lunatica. E questo non è quello che
vuoi.” Inspira. Espira. “Ed è
per questo che ti sto dicendo definitivamente addio. Cancellami tu,
eliminami,
passa oltre. Fallo tu per me, perché credo che dimenticarti
sarà impossibile.”
Inspira. Espira. Ancora una volta prima di tornare in auto e dirigersi
verso
casa.
Indelebile
è la prima parola che le viene in
mente, eternità la
seconda, alcool la terza.
eccomi ancora qui,
ieri e oggi a casa da scuola per colpa del terremoto. "le scosse di
assestamento potrebbero durare anche settimane." ma chi ci dura?
e a me è
andata bene, solo un po' l'intonaco crepato, ma nulla di grave. Ma
dovete vedere! Ci sono paesi (Mirabello, San Carlo, Sant'Agostino..)
che sono un disastro.
Speriamo vada tutto
bene.
Tornando al capitolo,
beh, eccolo qui. Spero come al solito che vi piaccia e scusatemi per questo concentrato di
brutte notizie, ma arriveranno momenti migliori.
Grazie a tutti.
xx
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** 21. ***
21.
Harry
si sveglia di soprassalto e si mette a sedere sul letto. Inspira.
Espira.
Non
si
sentono i soliti rumori di Louis dalla cucina, non si sentono le sedie
che
strisciano per terra o il tintinnio dei piatti nel secchiaio.
Harry
si sveglia di soprassalto e il silenzio lo abbraccia. Solo al risveglio
di una
notte passata solo, senza sogni, solo buio, solo. Nemmeno gli incubi
gli sono
andati a tener compagnia.
Poi
un
pensiero inizia a nascergli sotto i ricci, gli offusca gli occhi verdi
ancora
annebbiati di sonno.
Diventerà
padre, forse, lui. Padre. E al
solo
pensiero lo stomaco gli si chiude e gli sale la nausea.
Sa
di
poter donare amore, a pacchi, ma non crede di poter crescere un figlio.
Non
crede di poterlo crescere come si deve. Non crede, semplicemente non
crede.
Un’ultima
speranza segue quel pensiero e gli dona quel minimo di forza che gli
permette
di uscire di casa, salire in macchina e guidare fino a casa di Allyson.
La
speranza gli fa poggiare il dito sul campanello e gli placa
l’ennesimo conato quando
sente il suono.
Il
padre
di lei gli viene ad aprire alla porta e lo guarda ombroso, fisso sulla
soglia.
Harry mantiene lo sguardo basso e pensa che no, proprio non
è il caso di
rimettere sulle ciabatte bordeaux del nonno del suo possibile figlio. Nonno. Figlio. Altro conato.
“Salve.”
Iniziare a respirare regolarmente sembra una buona cosa da fare, un
buon
obiettivo da porsi.
L’uomo
resta zitto, continua a guardarlo con quegli occhi verdi
così simili a quelli
della figlia.
Questa
volta Harry non pensa che si intonino ai suoi, però.
Più che altro crede che
stiano dichiarando guerra.
“Io,
beh ecco, io sto cercando Allyson.” E l’uomo si
limita ad annuire, si scosta
leggermente permettendogli di passare. Lo blocca poi per un polso.
“Sei
tu il padre?”
Harry
nota sul tavolo della sala da pranzo alcune riviste con la sua faccia
sopra.
Inspira. Espira.
Torna
a guardare l’uomo negli occhi. “Mi
dispiace.” Gli sussurra per poi divincolarsi
e salire le scale a due a due. Forse non è tutto perso.
Bussa
piano alla porta della camera di lei ed entra senza che lei abbia detto
niente.
“Ehi.”
La saluta appoggiandole una mano sulla schiena e vedendo il loro
riflesso nello
specchio posto davanti a loro. Sente il suo cuore battere e trova
magnifico e
spaventoso che possano batterne due all’interno dello stesso
corpo.
“Non
voglio abortire. Se sono incinta. Non voglio abortire.”
“Non
devi…” il fiato corto e i suoi piani che si
rivoluzionano.
“So
che sei venuto per questo.” Non lo guarda negli occhi, tiene
le mani sulla
propria pancia.
“Non”
Inspira. “Non è vero.” Espira.
“Oh,
ma per favore Harry. Non prendermi in giro.” Alza per la
prima volta lo sguardo
e Harry si sente vacillare sul bordo di quegli occhi davvero troppo
verdi.
Semplicemente l’ha letto, come ha fatto non lo sa.
“È
che
non sarei un buon padre. Guardami! Hai intenzione di crescere tuo
figlio, Nostro figlio dietro ad un
palco?
Circondato da ragazze urlanti? Su un aereo con la destinazione sempre
provvisoria?”
Allyson
continua a guardarlo tramite lo specchio, nascondendosi in parte dietro
quella
superficie lucida.
“La
domanda è un’altra, Harry. Tu,
proprio
tu, hai davvero intenzione di crescere mio figlio, nostro figlio, tuo
figlio?”
Il silenzio dopo la domanda vibra ancora delle parole di lei.
Harry
alza gli occhi. Inspira. Espira. “No.” Dice, la
voce strozzata, un mezzo
sussurro.
Le
lancia un’ultima occhiata di riflesso, toglie la mano dalla
sua schiena ed esce
dalla stanza. Allyson si sente affogare tra le sue lacrime quando lo
sente
scendere le scale, andare via. Via.
Harry
si appoggia contro un muro e si lascia scivolare per terra, affonda il
viso nelle
mani e non si accorge del padre di Allyson che gli si avvicina e gli si
siede
accanto. Solleva lo sguardo riconoscendo le pantofole, il viso
dell’uomo
annacquato dalle lacrime.
“La
madre di Allyson se n’è andata quando lei aveva
quattro mesi.” Dice.
“L’ho
sempre cresciuta da solo e non mi sembra di aver fatto proprio
schifo.” Dice.
“Ha
fatto un ottimo lavoro, davvero. Lei è una persona
fantastica e so che sarà
anche un’ottima madre. Sono io quello che farà
schifo.” Confessa a quell’uomo
dalle mani grandi, ed è strano immaginarselo con una bambina
in braccio. “Io
faccio fatica anche a cucinarmi la colazione, come posso pensare di
educare qualcun
altro? I miei non hanno ancora finito di educare me!”
“Non
ti sembra il momento di diventare uomo?” gli dice prima di
alzarsi e tornare in
giardino a curare la siepe di mughetto. Uomo.
Inspira. Espira.
Harry
si alza in piedi e si asciuga le lacrime con il dorso della mano, torna
a
salire gli scalini in coppia e torna a bussare alla porta di Allyson,
torna ad
aprirla senza aspettare che lei dica niente.
“Ci
metterò tutto me stesso. Non ti sto dicendo che ci
riuscirò, che sarò anche
lontanamente bravo. Ti sto dicendo che ci proverò. Posso
solo assicurarti che
lo amerò.”
Allyson
gli si avvicina lentamente, le guance rigate dalle lacrime.
“Ti amo.” Gli sussurra
prima di baciarlo.
Ed
Harry si accorge di non aver mai pensato al concetto di famiglia
e di esserne appena entrato a fare parte.
__
Liam
batte con le dita, sul volante, il ritmo di una qualche canzone che gli
passa
per la testa. Guida impaziente diretto a Southend-on-Sea e
l’odore del mare già
gli impregna i vestiti.
“Ehi
Maddy, ho baciato un’altra.” Troppo
diretto.
“Ehi,
Mad. Sai, l’altro giorno ho incontrato una mia conoscente,
non eravamo nemmeno
amici.” Falso.
Parcheggia
e pensa a cosa dirle, le frasi gli rimbalzano in testa e sembra non ce
ne sia
una giusta.
Forse
perché
non ci sono frasi giuste che descrivono gli errori, forse
perché gli errori si
commettono e basta, forse perché le parole non sono
contemplate. Forse perché aggiustare
tutto è impossibile.
Fermate
i nastri, riavvolgeteli e tagliate quella parte del suo passato
recente, per
favore. Tagliate quei due occhi color del ghiaccio, tagliate quelle
labbra
nuovamente così vicine, tagliate l’assenza di
spazio tra loro.
Eliminate
tutte le prove di quell’incontro, eliminate le mani di Janet
sul collo di Liam
e quelle di Liam sui fianchi di lei. Eliminate tutto ed eliminate con
tutto i
sensi di colpa del ragazzo che ora cammina spedito verso il bar dove si
sono
dati appuntamento. E’ in anticipo di mezz’ora e sa
che lei sarà in ritardo.
“Mad,
io non volevo, mi ha baciato lei.” Pensa, ma
scaricare la colpa solo su Janet
lo fa stare peggio.
Due
ragazze gli si avvicinano e lui sorride loro distante, hanno gli occhi
lucidi
quando le abbraccia e si mette in posa per una foto. Forse dice loro
qualcosa,
ma non riesce a pensare a nient’altro se non a quello che
dovrà dire, a quello
che teoricamente dovrebbe dire, a quello che sarebbe meglio dicesse.
“Sai,
io, Janet. Nella mia macchina, beh ecco.” No,
farla più incasinata non servirebbe.
Sorride
alla seconda foto riscoprendosi un buon attore, un buon falso.
Dov’è
la sua bravura, però, quando le parole da dire sono le sue?
Quando non deve
recitare una parte, o meglio quando deve recitare sé?
“Io
non volevo, Maddy, è che non so com’è
successo. Avevo bevuto troppo!” Ma anche
questa sarebbe una balla perché lui non può bere
troppo e lui non beve troppo.
E questo Mad lo sa.
Saluta
con la mano le due ragazze che si allontanano e lo guardano con gli
occhi
spalancati cercando di immettere nella loro mente quanti più
fotogrammi
riescono a stiparci. Comprimendoli e pressandoli.
“Ho
baciato la mia ex perché non sono riuscito a fermarmi in
tempo.” No, gli
darebbe un’aria da traditore incallito, anche se il succo
della questione è
quello.
Apre
la porta del bar e la vede seduta ad uno dei tavolini, davanti a lei
due
frullati alla frutta.
Gli
ultimi
istanti per pensare a qualcosa di decente, un salvagente, ma ha la
mente vuota.
Quei due occhi tormentati gli hanno risucchiato i pensieri lasciando
nella
testa solo un gran vuoto. Nella testa e nello stomaco.
Lei
si
alza e lo bacia leggermente, delicata. Ora anche il petto si aggiunge
alla
lista dei posti lasciati vuoti.
Madison
lo guarda e si chiede come potrà mai perdonarla.
È andata con un altro che non
era lui, non le sue mani, non le sue labbra. È andata con un
altro in uno
schifo di discoteca, ad uno schifo di festa.
È
andata
con un altro e non riesce a dirglielo, non riesce a smettere di
sentirsi dire ‘sei
mia’ e ‘mi manchi’ e ‘ti
amo’. È andata con un altro e non riesce a non
baciarlo.
Liam
si siede tenendole le mani, le stringe e cerca in loro la forza, il
coraggio,
le parole.
Madison
lo guarda in viso e cerca le stesse cose dentro i grandi occhi castani.
“Maddy,
senti, ho fatto una cosa che non dovevo. Sono uscito con una mia ex,
era un po’
che non ci vedevamo, gliel’avevo promesso e quindi, basta, ci
sono uscito.”
Ispira. Espira. Per la prima volta le parole che pensa hanno un suono.
“L’ho
riaccompagnata a casa e sembrava tutto così normale,
sembrava di essere tornati
indietro nel tempo. Così lei mi ha baciato. Ma non voglio
dire che è stata solo
colpa sua, insomma, inizialmente non mi sono tirato
indietro.” Inspira. Espira.
Madison si sente leggermente ferita, forse allora potrà
capirla. “Ma poi mi sei
venuta in mente tu, a dire il vero non te ne sei mai andata, e ho
pensato che
non mi sarei dovuto comportare così. Che non avrei dovuto
farlo.”
Non
le importa se ha baciato un’altra perché adesso
lui è lì, per lei. “Scusa.”
Le dice
alla fine, e forse ha trovato sia le parole giuste che la forza, che il
coraggio. E potrebbe giurare che li ha trovati dentro a quelle mani.
Madison
gli sorride e gli accarezza il viso con la punta delle dita.
“È tutto a posto.
Va bene, non fa niente. Sono felice che tu me l’abbia
detto.” Gli sorride per
confermare nuovamente le sue parole.
“Oh,
sono così felice, e sollevato, e felice!” beve un
lungo sorso di frullato.
“Hai
detto due volte ‘felice’” gli fa notare
lei sorridendo.
“È
che lo sono tremendamente!” le sorride di risposta.
“Tu hai qualcosa da dirmi?
Novità?”
Madison
si sente rabbrividire nel caldo di Maggio. Le si tappano le orecchie e
qualcosa
le urla dentro la testa non facendole capire niente, sovrastando tutti
gli
altri rumori.
La
voce si ferma per riprendere fiato e lei sorride nuovamente.
“No, nessuna
novità.” Piega la testa da una parte senza
smettere di sorridere. “Mi sei
mancato.”
“Anche
tu.”
E
nuovamente la voce torna ad urlare a pieni polmoni, riempiendo ogni
spazio
disponibile dentro la sua testa.
__
Le
candele emanano una luce soffusa, le stelle sembrano brillare per loro.
“Il mio account twitter è stato preso
d’assalto. I miei followers sono saliti
un sacco. Mi seguono 80 mila persone in più, riesci a
crederci? Credo mi
manderanno il computer in tilt.”
“Oh,
le mie ragazze.” Sussurra Niall componendo il numero del
ristorante giapponese
più vicino.
Sarabeth
sorride pensando di essere doppiamente la sua ragazza e il cuore le
scoppia.
“Hai
detto che ti piace il sushi, no?” chiede Niall, la cornetta
del telefono tra l’orecchio
e la spalla mentre con le mani cerca un accendino dentro uno dei
cassetti della
cucina. Lei annuisce.
La
luna sbuca fuori da una nuvola proprio quando Niall chiude la porta
dietro le
spalle del ragazzo delle consegne. La loro cena tenuta con due mani e
racchiusa
in un sacchetto di carta.
Parlano
e parlano e parlano e non credono di essere mai stati così
felici. Come se ogni
cosa fosse al proprio posto, come se fosse esattamente dove deve essere. Gli astri allineati al
posto giusto, tanto
per capirci, se qualcuno ci crede. Loro non parlano di fortuna ma di
destino,
loro non parlano di ‘io e te’ ma di
‘noi’.
Niall
le avvicina alle labbra uno degli ultimi involtini di riso e pesce,
Sarabeth
sente il freddo contro le labbra e subito dopo il sapore del pesce.
Prende a
sua volta un involtino e lo avvicina a lui.
Tutto
questo potrebbe essere rappresentato nell’episodio di un
telefilm rosa.
Niall
socchiude le labbra e Sarabeth gli sorride. Poco prima di posarglielo
contro la
bocca, però, vira il percorso della mano e preme
l’involtino contro la guancia
del ragazzo, scoppia a ridere mentre gli spalma il riso sulla guancia,
la
sottile fetta di salmone scivola sul pavimento.
Niall
rimane immobile qualche secondo prima di scoppiare a sua volta a ridere
riempiendo l’aria dei suoi respiri, mischiandoli a quelli di
lei.
Il
ragazzo torna all’attacco, si vendica, spalmando un involtino
cilindrico sul
naso di Sarabeth che ride e piega la testa all’indietro
cercando di
allontanarsi. Niall prende un’altra manciata di sushi e
continua ad imbrattarle
la faccia. Ridono insieme e la notte sembra meno scura.
Niall
si ferma un momento per prendere fiato e Sarabeth lo bacia. Le sue
labbra ora
sanno di pesce, e crostacei, e alghe, e riso. Niall si spinge verso di
lei
spostando con una mano i piatti che li dividono.
Sarabeth
si fa scivolare sulla coperta stesa sul pavimento, lo tira verso di
sé prendendogli
il colletto della polo rossa. Niall scarica il peso sulle braccia
quando le
arriva sopra, la bacia un’ultima volta prima di fermarsi un
attimo per
guardarla negli occhi. Inspira. Espira. Sarabeth chiude piano le
palpebre in
segno di assenso, sorride e torna a baciarlo.
La
luna torna dentro la sua nuvola e un alito di vento spegne qualche
candela. Inspira.
Espira.
Sarabeth
pensa di scoppiare dalla felicità. Chi l’ha detto
che a sognare troppo ci si
illude solamente?
Beh,
chiunque sia stato, fanculo.
ciao bellezze, come
state? qui la scuola è finita prima causa terremoto. che
incubo, Dio mio.
per fortuna nella mia
famiglia stiamo tutti bene.
comunque ecco il
capitolo, che ne pensate? nel prossimo ci saranno tutti i ragazzi,
preparatevi psicologivamente (?)
un saluto a PiccolaEl che oggi ha preso 8
praticamente ovunque e che mi ama tanto, anche se mi odia. E che alla
fine mi comprerebbe sempre.
xx
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** 22. ***
22.
In
una
settimana il tempo passa, i giorni nascono e muoiono, cambia il tempo,
piove e
poi smette.
Ma
i
cuori infranti non si rimarginano. E a pensarci bene i cuori infranti
non si
rimarginano mai del tutto, ma
questa
è un’altra storia e Louis non vuole pensarci.
Continua
a far rimbalzare una pallina da tennis contro il muro e a riprenderla
con le
mani quando torna verso di lui. Toc-toc-toc-toc.
Ritmato e sempre regolare.
Un
pensiero gli attraversa la mente, gli accende lo sguardo per un secondo
e lo fa
sedere di scatto. L’impatto con la pallina è
inevitabile e fa un male cane, ma
anche questa è un’altra storia.
E
Louis è davvero stanco di avere così tante storie
sottomano quando l’unica che
gli interessa leggere è chissà-dove, con
chissà-chi, ma sicuramente non con
lui.
Compone
veloce il numero copiandolo da un foglietto e si fa scavare dentro
dagli
squilli del telefono. Chelsea, non poi così lontano, guarda
lo schermo
illuminarsi e si sente morire dentro.
Dawson
la guarda e alza le sopracciglia, lei gli sorride e preme lentamente la
cornetta rossa, lasciandosi passare da parte a parte da qualcosa che le
toglie
il respiro e che, è sicura, prima o poi le farà
bene. Sicuramente non ora.
Louis si accascia nuovamente sul letto, fuori la luce del sole sta
morendo,
dentro di lui qualsiasi tipo di luce sta morendo. È arrivato
il periodo del
buio e del freddo, nessun rimedio per salvarsi o scappare che non sia
quella
ragazza dalle gambe lunghe e il sorriso perfetto.
Inspira.
Espira.
“Che
giorno è oggi, Daw?” Chelsea lo guarda negli occhi
e come ogni volta ritrova
casa sua.
“Sabato,
perché?” lui le risponde e sorride sapendo che non
saprà mai il vero motivo.
Chelsea resta in silenzio e distoglie lo sguardo, lo punta sulla gente
che
passa davanti a loro al St. James Park.
E
una
manifestazione lontana risuona nell’aria.
“Ti
va
di venire a Bristol, stasera?”
“Venire
a Bristol a fare cosa?” Chelsea deve sforzarsi di non trovare
in quella voce
tutti i suoi ricordi, quella che è stata la sua vita. Deve imporsi di pensare ad
altro e non alle
mani di Dawson sul suo viso, al suo respiro tra i capelli, a pelle
contro
pelle.
È
gay,
questo è il dato di fatto che alla stampa è
piaciuto così tanto ed è servito
come sostegno morale a tante ragazze. L’uomo perfetto non
esiste e se esiste
–vedi Dawson, appunto- è gay.
Non
che in questo ci sia niente di male, ma ‘in questo’
non c’è nemmeno Chelsea. E
il suo cuore-stomaco-cervello non l’hanno ancora assimilato
del tutto.
“Andiamo
a vedere un concerto.” Non lo
propone, lo decreta sorridendo e aprendo maggiormente gli occhi.
Dawson
cede e annuisce, ride e le disegna il
profilo del viso con il pollice. “Perché non ti
sei più fidanzata, Chel? Sei
bellissima, lo sei sempre stata, e non credo assolutamente che non ci
sia
nessuno che ti voglia.”
Chelsea
tentenna e incomincia a parlare per
non mandare in fiamme il punto dove ancora lui la tocca.
“Perché
vivo in un limbo, a metà tra la vita
e i ricordi.” Fa una pausa per sistemare le parole e
mentalmente crea un
discorso sensato, efficace, limpido, che viene spazzato via da una
piccola
frase di sette parole che non era stata contemplata.
“Perché ti ho amato così
tanto.”
E
Dawson la abbraccia, il suo profumo le
entra dentro e sembra riesca a rimarginare le ferite.
Louis
si ferma in mezzo al piccolo sentiero alberato facendo fermare anche
Liam che
gli cammina vicino, le borse di carta piene di vestiti fanno rumore
andando a
sbattere contro le sue gambe.
Louis
tiene lo sguardo fisso su un punto e Liam si gira cercandolo. Questo
è il bello
di Liam, che non parla, ma studia, che non chiede ma cerca, che non
dice, ma
consola.
Ed
ora
li vedono tutti e due, Chelsea e un ragazzo, un ragazzo e Chelsea. Lui
l’abbraccia, lui stringe quello che fino a poco fa era Louis
a stringere e che
lo sta facendo precipitare. E pensare che lui credeva fosse arrivata
per
salvarlo. Lei alza lo sguardo e lo vede, nessun rumore ad indicare due
cuori
vicini che si crepano ancora una volta. Non
sarebbe mai dovuta andare così, lei
l’aveva sempre detto. Ma alle illusioni
non si può dire no. Chelsea nasconde il viso nel collo di
Dawson e lo stringe
più forte.
Nessun
rumore ad indicare due cuori vicini che cercano disperatamente cosa
fare per
salvarsi e non morire.
Sanno
ma non devono sapere che la soluzione si trova sulle labbra
dell’altro, che ora
è così vicino e distante.
Rumore
di sassi calpestati e borse che sbattono ad indicare Louis che va via
e,
Chelsea potrebbe giurarlo, è il suono più brutto
del mondo.
__
L’ultima
cosa che Liam vuole è incontrare Janet il giorno prima del
loro concerto a
Bristol, ma succede. La penultima è vedere Louis andare in
pezzi, ma succede
anche questo. Quella ancora prima è sapere che Harry
sarà padre e, davvero, non
smontategli tutto, ora che gli è rimasta l’unica
cosa da sperare.
Ma
ora
Janet è lì che lo guarda, le labbra premute
contro la bottiglia di birra.
“Non
dobbiamo più vederci, Jane.”
“Credevo
potessimo restare amici.” La voce ferita che Liam fa finta di
non notare,
assieme agli occhi leggermente opachi e a quella maglietta che,
è davvero,
davvero troppo aderente.
“Lo
speravo anche io.” Confessa e Janet smette di accavallare le
gambe sotto il
tavolo.
“E
allora cosa c’è che non va?” Il suo
piede, fasciato da una ballerina turchese,
scivola veloce contro la gamba di Liam che rimane fermo a guardare quel
viso da
bambina che si apre in un sorriso perdendo la metà della sua
purezza. Il modo
in cui arcua le sopracciglia, spalanca
gli occhi, tiene le mani, si passa la lingua sulle labbra, ancorano
Liam ad un
fondale composto di detriti del passato. Janet non ha ancora
allontanato la
propria gamba dalla sua.
“Questo
non va, tutto questo!” scatta in piedi per allontanarsi da
lei “Non tornerò con
te, Jane. Non verrò a letto con te, non ti bacerò
più. E so che non si può
essere ‘solo amici’ con te, perché, ti
ricordi?, all’inizio noi eravamo
‘solo amici’.”
Lei
lo
guarda e annuisce piano e capisce che è davvero finita e
capisce che è un ‘a
mai più’.
E
in
una piccola cittadina sul mare, nello stesso momento o quasi,
c’è una ragazza
che non sa dire ‘a mai più’ e che non si
è mai odiata più di quando le sue
labbra poggiano nuovamente su quelle di un ragazzo che non è
Liam.
“Mi
sei mancata, Maddy.”
“Anche
tu.” E non c’è mai fine
all’abisso.
__
Nuovo
palco e sempre le stesse emozioni. Nuovo palco, le stesse canzoni, cari
vecchi
brividi da riscoprire. Canzone dopo canzone, in un luogo in cui ognuno
è
davvero se stesso, in un frammento di tempo che sembra congelato ed
esente da
regole, che sembra non scorra nemmeno. Ma le lancette sul suo Swatch
viola corrono
sempre troppo veloci e sempre alla solita andatura.
Cambia
le parole della canzone che canta, ma non ci pensa e ride con le fan.
Un
primo twit sullo schermo e lui si stende sul divano.
“Di
cosa avete paura?”
Harry
ama questo momento del concerto, in ogni concerto. Perché
può essere sincero e
passare per ironico, perché può mentire
spudoratamente ed essere preso sul
serio, perché nessuno gli dice cosa deve dire,
perché lo dice e basta.
“Di
crescere.” Soffia nel microfono quando arriva il suo turno,
sbatte veloce le
palpebre e l’uccellino azzurro sullo schermo sembra sbattere
le ali.
Louis
lo prende in giro, ma sa a cosa si riferisce.
Sanno
che Allyson ha comprato il test e sanno che ha paura a farlo.
Gli
tornano in mente le parole di Niall dette davanti ad una tazza di latte
e
cereali consumata per placare l’ansia da concerto.
“Noi saremo sempre qui per
te, Harry.”
Ed
è
uno strano silenzio che lo richiama alla realtà e lo fa
sedere sul divano, la
schiena rivolta al pubblico e gli occhi puntati sullo schermo.
Tre
parole, perché tutte le frasi con tre parole sono
così letali?
“io
ti amo”; “io ti lascio”;
“vattene da
qui”; “Harry, sarai papà.”
Solo
per fare qualche esempio.
Il
silenzio fa rumore, Harry si alza e si risiede di nuovo, affonda la
faccia
nelle mani e da qualche parte nella platea inizia una canzone, un
piccolo coro
in cui sono le fans a cantare per lui. Un canto che cresce e arriva
forte a lui
con una frase forte per lui.
“But
isn't she lovely made from love?”
Harry
si alza un’altra volta e punta lo sguardo da qualche parte in
mezzo al pubblico
in modo da avere la vista sfocata, si avvicina il microfono alle
labbra. “Ti
amo, Al.” Sussurra poi, prima di tornare a sedersi, chiudere
gli occhi per
qualche istante e sentir morire la canzone attorno a lui. Prima di
sentirsi
rinascere.
__
“Ehy
papi.” Zayn si siede pesantemente sul divano e viene colpito
da un’occhiataccia
di Harry che fa quasi rumore. “Primo: stai zitto se non vuoi
che ti prenda a
schiaffi. Secondo: com’è andata? Non ci hai detto
niente sul tribunale, su
Brenda, su…”
“Miriam.”
“Woah.”
Niall alza gli occhi dalla sua tarda cena, o spuntino di mezzanotte, o
colazione anticipata o per qualunque motivo stia mangiando, e li punta
su Zayn
che gli sorride di risposta.
Torna
poi a guardare Harry ed inizia a parlare.
“Mentre
voi eravate qui a scegliere di che colore comprare i
pannolini,”
Si gira poi verso di Louis alzando le sopracciglia “o ad
andare a letto con
qualcuno che non è il vostro animale di pelouche,”
prende fiato per continuare
ma viene interrotto da Niall che avvampa ed inizia a tossire. Zayn si
gira
lentamente e sorridendo verso di lui e sa, nel profondo, che sarebbe un
ottimo
Re del Male.
Le
guance di Niall sono bordeaux e lui si maledice in silenzio, tossisce
ancora
una volta. “Vai pure avanti, Malik, siamo interessati. Mi
è solo, ecco, andato
di traverso un po’ di pane.”
E
sventola il tramezzino in aria come per dare solidità alla
propria frase.
“Già,
il pane, certo.” Liam parla e gli sorride
dall’altro lato della stanza e a
Niall non rimane altro che affondare la faccia nel suo spuntino.
“Comunque.
Mentre voi eravate qui, io sono andato al processo.”
Fa
una
pausa lunga e lascia depositare le proprie parole.
“E
l’hanno accusato, l’hanno messo in prigione, con
lui i suoi complici, hanno
fatto tutto, tutto questo!” alza la voce e ride, affonda tra
i cuscini e ride.
Ormai
senza quel peso che era anche sulle sue spalle, senza l’ansia
di veder sparire
Miriam perché qualcuno aveva scoperto dov’era,
senza la paura di vederle
sparire il sorriso. Ride.
“E
Miriam? Rimarrà qui?” la voce di Liam lo raggiunge
e lo blocca, vibra
nell’aria.
Zayn
spinge la lingua sui denti e sorride storto.
“Ci
sono io qui, come potrebbe non rimanere?”
__
Il
sole brilla più forte, quando si è felici,
l’aria accarezza e gli uccelli
cantano, non urlano.
Tutto
il mondo ti gira attorno, quando sei felice, e quando Niall le si
avvicina e
l’abbraccia, Sarabeth potrebbe giurare che il mondo, il suo,
riesce addirittura
a tenerla tra le braccia.
“Ho
sentito di Harry.” Gli dice appoggiando la testa sulla sua
spalla.
“Non
si parla d’altro, lo so.”
“Ti
va
di parlarmene?” sa che è preoccupato anche lui, sa
che il ragazzo riccio è un
tassello fondamentale nella sua vita, e prezioso, e che ama.
“Non
si parla d’altro, almeno noi facciamolo.”
“Potete
sempre parlare di quanto tu sia patetica!” Sarabeth apre gli
occhi e quelle
parole sono un pugno allo stomaco, Niall la stringe più
forte quando si girano
entrambi verso la ragazza che ha parlato. “O di quanto non ti
meriti lui.” Aggiunge
un’altra, i capelli cotonati e castani, il fisico asciutto.
“O di come ti
lascerà per una migliore.” Terza ed ultima voce.
“Una
come noi!” intona ancora la priva vipera producendo un
coretto di risate
isteriche.
“Lui…Io…”
Sarabeth non ha più le parole, riesce solo a guardare quelle
tre ragazze e
visualizzarsele accanto a Niall, una alla volta, le mani di lui sui
loro
fianchi allo stesso modo in cui ora li tiene sui suoi.
“Tu
e
lui cosa? Cosa, Sarabeth?” la voce di non si sa bene chi
delle tre, tanto non
importa, tanto fa male lo stesso.
“Perché
è così che ti chiami, vero?” sempre una
voce a caso, sempre la solita fitta.
“Tu
sei quella che un tempo era una di noi, che sognava con noi.”
Niall
la fa indietreggiare leggermente e si interpone fra lei e loro,
perché questo è
l’unico tasto che non devono toccare, non ancora una volta.
“Ed
ora guardati, sei arrivata a destinazione, sei felice?”
Urlano per passare
oltre a Niall, per continuare a toglierle l’ossigeno con le
loro parole.
“Tu
eri una di noi, Sarabeth.”
“Ora
smettetela!” Niall alza la voce e continua a tenerle la mano.
“Perché voi non
sarete mai come lei, voi non sarete nemmeno mai come tutte le vere fan,
quelle
che mi amano a prescindere da con chi sto e che, di riflesso, amano
anche con
chi sto. Lo tollerano, non gli importa. Basta che io stia bene. Basta
che io
sia felice. E io sono felice!”
“Mai
quanto potresti esserlo con me.” Una gli si avvicina, la
seconda la segue “o
con me.” e la terza le raggiunge “o con
me.”
“Andatevene.”
Sibila lui.
Le
sagome di quelle tre figure non sono ancora scomparse completamente tra
la
folla che Niall sente la mano di Sarabeth staccarsi dalla sua e si gira
appena
in tempo per vederla rimettere dentro ad un cestino, le lentiggini
accentuate
dalle lacrime.
Le
si
avvicina piano e le appoggia una mano sulla schiena, sente i muscoli
contrarsi
quando lei rimette un’altra volta.
“Ora
basta Sarah, basta. È finita, se ne sono andate.”
Le porge la bottiglia d’acqua
che aveva nello zaino e Sarabeth si siete per terra, la schiena contro
un
albero.
“Pensa
a quante, quante persone la pensano come loro. Perché tu non
lo sai, tu non
puoi saperlo, ma io l’ho visto. Io sono stata testimone degli
atti di odio
verso le vostre ragazze, le minacce, le frasi cattive.” Ed
è così fragile che
non riesce a vedere che, dentro agli occhi di Niall, riuscirebbe a
trovare solo
il proprio riflesso. Lei gli poggia la testa sulla spalla e Niall tira
fuori il
telefono dalla tasca e scrive velocemente.
<>
“Sarah,
se non ti alzi entro trenta secondi giuro che ti riempio di
sberle.”
“Arrivo,
Michelle, arrivo.” La voce impastata dal sonno e la mano di
sua sorella che la
tira verso la scrivania. “Che
c’è?” chiede sedendosi sulla poltroncina
con le
ruote e sbandando leggermente a destra. Rimane immobile guardando lo
schermo,
la bocca semi aperta e gli occhi fissi sui TT mondiali di quel momento.
Sorride
leggendo il suo nome e si ripete che, alla fine, fa sempre parte di
quella
grande famiglia che temeva di perdere.
<<#DirectionersLoveSarabeth>>
ciao
bellezze. questo capitolo mi fa piuttosto schifo, ma è
scritto di fretta perchè era un'eternità che non
pubblicavo.
spero continui a piacervi e ringrazio tutti quelli che ancora
commentano/leggono/mettono nelle preferite-ricordate-seguite.
sfida: riusciamo ad arrivare a 7 recensioni?
grazie a tutti e passate, passate, passate!, se non l'avete
già fatto da LLstrong
perchè è una meraviglia.
xx
ps: su twitter sono @Giuis_ , in caso aveste voglia di scrivermi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** 23. ***
23.
“La
nostra vita non è qui.” Parole in circuito dentro
alla testa, poste in
ripetizione automatica sperando che facciano meno male, prima o poi,
sperando
di anestetizzare il proprio essere e arrivare ad esser loro immuni
solamente
ripetendole mentalmente più e più volte.
La
porta di camera sua si apre lentamente e non le serve alzare lo sguardo
per
sapere che è sua madre, per sapere che indossa quella sua
espressione da
pre-litigio, piena di fermezza e orgoglio e decisione.
E
lei
si sente distrutta già prima di partire, perché
sa già quali saranno le parole
di sua madre, quale sarà il suo tono, quali saranno i suoi
gesti. Ed è stanca
di sapere tutto tranne l’unica cosa che le interessa davvero:
ce la farà?
Miriam
si siede sul letto e fa scivolare la treccia dietro la spalla, chiude
gli occhi
un’ultima volta e desidera che Zayn sia lì con
lei.
“Non
verrò via con te, non verrò via e
basta.” Le voce ferma e totalmente finta,
perché si sente persa e non sa dove scappare.
“Pensa
a tutto quello che hai lasciato, pensa a tutto quello che potrai
riavere.”
E
l’unico viso che le viene in mente è quello di
Zayn.
“Pensa
alle tue amiche, alla tua vecchia scuola.” Continua sua madre
sedendosi di
fronte a lei. “Alla nostra vecchia casa, alla nostra vecchia
vita.”
Un
attimo
di silenzio e Miriam torna col pensiero agli occhi del ragazzo.
“La nostra vita
non è qui.” Ripete la donna spostandosi una ciocca
di capelli dietro l’orecchio
e aspettando che sua figlia esploda, perché la conosce
troppo bene per non sapere
che lo farà.
Miriam
alza gli occhi al cielo ma nessuna preghiera pensa potrà mai
salvarla, e dentro
sente salire la rabbia e lo sconforto.
“La
tua vita non è qui,
mamma! Io ho trovato
il mio mondo, qui, ho trovato le braccia in cui mi sento a casa e gli
occhi che
mi salvano dagli incubi. Ho trovato l’amore, la
serenità e per la prima volta
in tutta la mia vita ho trovato la felicità. Come puoi dire
che la mia vita non
è qui, ora? Tutto quello che si sia mai avvicinato a
‘vita’ è qui, ora. E non
puoi chiedermi di andarmene, mamma, proprio non puoi.”
“Ne
ho
parlato con il padre di Salvador, il poliziotto, ricordi? Mi ha detto
che là la
situazione è tornata pulita, vivibile, non
c’è nessun pericolo. Non devi avere
paura di tornare, le cose saranno diverse.”
“Certo
che saranno diverse: la mia paura non è quella di vivere
là, è quella di non
poter più vivere qui, non poter vedere il suo
sorriso ogni giorno, non farmi più dire quando sbaglio a
pronunciare le parole,
non ritrovare il paradiso ogni volta che mi bacia.”
“Non
è
una domanda che ti faccio, Mir, è
un’affermazione.” Un’altra pausa per
cercare
di non notare le lacrime dentro agli occhi della figlia. Sa che
è meglio così,
per tutti. “Torniamo a casa.”
Zayn
le sembra più bello che mai, quella sera, e forse
è così.
Sa
che
deve dirglielo ma non vuole, proprio no, non vuole distruggere tutto. E
quando
lui la bacia dolcemente, poggiandole le mani sui fianchi, capisce che
non
esisterà mai un momento adatto.
“Ho
una cosa da dirti.” E mentre parla la fiamma della candela
posta sul tavolo tra
loro ondeggia lentamente. “Ma non voglio ancora
farlo.”
“È
qualcosa di importante?” Lui le spara uno sguardo che la
legge dentro.
“È
qualcosa di importante.” Ripete e afferma mentre una nuova
canzone viene
diffusa dolcemente in tutto il locale. “Ma ti prego di non
fare domande.”
“Quando
non devo fare domande e non vuoi dirmi le cose è sempre
qualcosa di brutto.”
La
frase ha un tono strano che Zayn lascia depositare rimanendo in
silenzio e
facendola sentire ancora più persa, lui e le sue
maledettissime pause sempre
azzeccatissime.
“Sappi
solo che ti amo, e che ti amerò. Sempre? Sempre.”
E
nulla come la strofa della canzone che James Morrison canta in
sottofondo
sembra descriverla meglio.
__
La
porta della casa di Niall sbatte dietro a Zayn e Louis sussulta un poco
quando
sente vibrare il telefono dentro alla tasca dei jeans. Estrae il
cellulare e
una morsa gli prende lo stomaco come ogni volta che lo fa, sperando sia
lei,
fino alla fine.
E
poi
la vista gli si appanna davanti a quelle poche lettere ed un sorriso
torna a sporcargli
il viso, anche se forse non dovrebbe. Perché alla fine
è lei che se n’è andata,
lei che abbracciava un altro, lei che l’ha lasciato solo. Solo. E lui non dovrebbe permetterle di
vincere anche questa volta,
ma ormai le guance gli fanno male da quanto sorride. E forse
è meglio così.
Apre
il messaggio dopo qualche istante, cercando di assaporarsi ogni secondo
prima
di sapere se dentro a quel messaggio c’è qualcosa
che lo innalzerà o che lo
farà precipitare ancora una volta, ancora più in
basso.
Se
ci
fosse scritto ‘scusa’ sa che la perdonerebbe e
niente, nessun rimprovero da
parte dei ragazzi, saprebbe fermarlo. Nessun “ti stai
abituando a stare senza
di lei, non mandare tutto all’aria.” Riuscirebbe a
trattenerlo dal risponderle
e ricominciare così a scalare.
Se
ci
fosse scritto ‘addio’ sa che niente lo tratterrebbe
dal morire dentro, giorno
dopo giorno, fino a quando la consapevolezza di averla persa davvero
per sempre
non avrebbe avuto il sopravvento su tutto.
E
ancora una volta rimane senza parole, vedendo tutte quelle presenti nel
messaggio, su quel piccolo schermo che ora vorrebbe poter proiettare
sul
soffitto e far finta di affogarci dentro.
“Ciao
Lou, non so davvero come iniziare, ma
qualcuno, nel poco tempo che siamo stati insieme, mi ha insegnato a
buttarmi e
non arrendermi, a dire quello che provo. Sono stata al concerto, ieri
sera, e
mi è sembrato di rinascere. La verità? Mi
mancavi. E ogni sorriso che facevi a
tutte quelle ragazze che, sicuramente, ti amano nel modo giusto, mi
illudevo
fosse diretto a me. Respira, ora, e decidi se hai ancora voglia di
sentirmi
parlare. Sono nel bar dove c’è il barista
messicano, ricordi?, ci siamo stati
assieme. Ti aspetto fino alle cinque.”
Louis
sposta veloce lo sguardo sull’orologio del telefono e si alza
di scatto. Il bar
non è molto lontano, ma non ha la macchina. Uscendo prende
le chiavi dalla
tasca di Harry e assicura a se stesso che capirà.
Quando
arriva la trova nel tavolo che era stato per qualche istante loro, che
si gira
una ciocca di capelli attorno all’indice e fa oscillare
rapidamente una gamba,
appoggiata sull’altra.
Quando
lei lo vede scatta in piedi e gli sorride, gli si avvicina
più veloce di quanto
si era prefissata e torna a sorridergli. “Ciao.”
Gli sussurra piano, come
spaventata che qualcuno potesse sentirla.
E
Louis non trova le parole per descrivere come si sente, come se fosse
tornata
la primavera dopo un’eternità di gelo. Si siede e
poggia le mani sul tavolo,
aspetta che sia lei a parlare e il movimento del suo sguardo gli fa
capire che
non ci vorrà molto prima che inizi.
“Senti,
non volevo andarmene.” Dice e blocca i pensieri di lui.
“Non volevo venire e
dirti addio, non volevo poi stare male ogni sera e far finta di non
sentire la
tua mancanza.”
“A
quanto pare la mascheravi bene.” Si lascia sfuggire lui,
però proprio non ce la
fa a stare zitto.
“Di
cosa stai parlando?”
“Ti
ho
vista. E tu hai visto me. Abbracciata a quel ragazzo, abbracciata
così… in un
modo che…” non riesce a finire la frase,
perché qualcosa gli dice che in
quell’abbraccio c’era qualcosa che non
capirà mai.
“Lui
è
il mio ex marito.” La parola ‘marito’
suona così strana su quelle labbra pesca.
“Ed è rimasto il mio migliore amico. E mi stava
consolando, perché non avevo
te.” Ha il tono leggermente ferito. “Ma sono
tornata perché non sei colmabile
da abbracci altrui, non sei rimpiazzabile.”
“Mi
sei mancata anche tu, Chel.”
“Però
sono terrorizzata che tutto possa andare male.”
Louis
si alza e le porge la mano, la tira verso di sé cercando di
rassicurarla.
“Andrà tutto bene.”
“Perché
con i sentimenti io non ci so fare, e questo che sento è
qualcosa di potente e
distruttivo.”
La
stringe più forte e sente il profumo del suo shampoo.
“E
forse Harry aveva ragione, tu sei troppo per me.”
E
Louis non ha il tempo di rendersi conto che le sue braccia non
stringono più
nulla che lei è già uscita, si è
mescolata alla gente cercando di soffocare i
propri singhiozzi e i propri dubbi.
__
“Harry
hai qualcosa da dirmi?” Louis cammina a grandi falcate nel
soggiorno di Niall
rischiando di scivolare sul tappeto verde steso a terra.
Il
riccio si alza dalla sedia e lo guarda alzando le spalle. “Tu
mi hai fregato la
macchina!”
“Non
mi importa!” sbotta Louis ed Harry si siede, confuso, mentre
lo ascolta
continuare. “Cosa hai detto a Chelsea?”
“Nulla.”
Mentire non lo salverà.
“Cosa
le hai detto?”
“La
verità.” Si arrende e china la testa, realizzando
che forse non era la cosa
giusta.
“Cosa,
Harry?”
“Che
non è fatta per te, che sei troppo buono per lei, troppo una
bella persona. Sei
tutto quello che lei non è.”
“Era
tornata a cercarmi, sai? Ha dei sentimenti nascosti e un matrimonio da
dimenticare, sai? Ha avuto una storia anche lei che l’ha
plasmata, ha un lavoro
che la plasma, una vita che la intrappola. Ed era tornata, per
me.”
Negli
occhi verdi di Harry Louis trova la richiesta di concludere, mista ad
una
richiesta di perdono, forse.
“Ma
se
n’è andata dicendo che avevi ragione
tu.” E ringrazia che nell’azzurro dei suoi
occhi le lacrime siano più difficili da vedere.
“Grazie.” Ringhia all’amico
prima di uscire definitivamente.
Harry
scivola un poco sulla sedia e chiude gli occhi. Inspira. Espira.
Solo
Allyson saprà tirarlo su, perché litigare con
Louis lo distrugge ogni volta, ed
è sempre così difficile
ricostruirsi
da soli.
“Entra,
Harry.” Il viso buono del padre di Allyson lo accoglie sulla
porta e manca un
poco via l’ansia che ha.
Lo
ha
conosciuto ma Allyson ci teneva a portarlo a cena, come se tutto fosse
normale.
“Allyson
è di sopra, tra venti minuti è pronta la
cena.”
Gli
sorride in risposta e sale le scale, svolta a destra ed entra nella
camera della
ragazza che, appena lo vede, si alza dal letto e lo bacia dolcemente.
“È
così strano pensare di avere dentro un’altra vita,
non trovi?”
“Credo
di poter immaginare come ci si sente. Mi sento
così… importante da quando è
successo. La prova che anche io posso fare qualcosa di
bello.” Le sorride.
“Importante e distruttivo.” La guarda con gli occhi
socchiusi e lei gli sorride
leggermente.
“Non
voglio nessuna foto del bambino sui giornali.” Dice e gli si
appoggia al petto
mentre parla, i suoi capelli vanno a fondersi con le pieghe della
maglia
preferita di Harry. “Non voglio i paparazzi in ospedale, non
voglio niente che
un bambino normale non avrebbe.”
“Sarà
tutto perfetto, saremo una famiglia e il bambino,”
“O
la
bambina!” lo corregge lei alzandosi e abbassandosi al ritmo
del respiro del
ragazzo.
“O
la
bambina, sarà bellissimo, o bellissima.” Sorride.
“Saremo
una famiglia.” Sussurra ancora una volta Allyson, chiude gli
occhi, e crede di
poter toccare la propria felicità.
ciaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaao!
Sono finalmente tornata, scusate davvero tanto ma ogni cosa
è sembrata mettersi contro di noi.
Spero che questo
capitolo vi piaccia e vi avviso che siamo vicini alla fine. La storia
si concluderà al capitolo 27.
Ditemi sempre quello
che ne pensate, siate sincere e grazie a chiunque mi segue ancora.
xx
|
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** 24. ***
24.
“Ciao
Madison.”
Southend-on-Sea
l’ha accolto con la solita aria che sa di sale, con quel sole
tiepido che
sembra brillare costantemente e con due occhi in cui sembra racchiuso
il senso
stesso della sua esistenza.
Può
permettersi di dire che quegli occhi, la loro proprietaria che ora gli
sorride,
sono suoi? Perché è ciò che sogna,
ciò a cui pensa la sera prima di andare a
letto. Madison, è la sua Madison
o è
solo una ragazza con cui sta ora? O meglio, lui per lei
cos’è?
“Volevo
dirti che ti amo.” Le sussurra sperando di rispondere ad
entrambi e di apporre
davanti al nome di lei quell’aggettivo possessivo che lo sta
mandando fuori di
testa.
E
Madison crolla dentro e cerca di mettere assieme un sorriso per
ricambiarlo. Perché
semplicemente è stanca di fingere e di mentirgli,
è stanca di dirgli che va tutto
bene quando non è così, è stanca di
odiarsi perché non gli dice quello che ha
fatto e che continua a fare.
E
l’unica
cosa che le piacerebbe avere è una risposta. Le piacerebbe
sapere perché continua
a farlo, perché alla fine, le mani che
l’accarezzano alla mattina non sono così
spesso quelle di Liam. Ma dovrebbe scavare troppo a fondo dentro se
stessa per
scoprirlo e non tutti sono disposti ad ammettere di essere dei bastardi.
“Due
giorni da Harry è andato dal papà di Allyson,
sai?”
Liam
sorride e alza gli occhi al cielo. Vuole invitarla dai suoi e sa che lo
prenderà
in giro, ma se fosse la cosa giusta da fare? Se fosse davvero, davvero
la cosa
giusta da fare? Il passo esatto, la mossa vincente, l’asso
nella manica?
Torna
a
guardarla, sente i gabbiani che cantano poco lontano e nel modo in cui
lei
annuisce trova una risposta.
Madison
sorride ancora forzatamente e coglie la piccola domanda nella frase di
Liam.
Non
può
farle questo, e lei non può dirglielo proprio ora che lui
sta per portarla a
casa.
Sarebbe
ipocrita farlo dopo e sarebbe cattivo farlo ora.
Dieci
punti bonus a chi ha detto per primo che la verità fa male.
“Ti
va, insomma di andrebbe di… ecco, di venire a cena da
me?”
Madison
si piana più a fondo i denti nel labbro e prega
perché la battaglia dentro di
lei finisca.
“Quel tipo di cena?” chiede
spostandosi
una ciocca di capelli e prendendo tempo, implorando che
un’invasione aliena la
salvi.
“Quel
tipo di cena.” Liam le sorride teso. La sua risposta
sarà la risposta che lui
cerca.
“Sì.”
Dieci
punti anche a chi ha detto che smettere di mentire è
difficile e toglietene
dieci a chi dice che prima o poi le proprie bugie ci si rivoltano
contro, non
sa che la verità fa male?
__
“Mio
Dio Niall guarda quelle scarpe.”
Soffia Sarabeth interrompendo il biondo che si
gira verso la vetrina davanti alla quale la ragazza si è
fermata.
Nei
suoi occhi riesce a vedere quel luccichio che lui stesso sa di avere
davanti ad
una nuova chitarra, o semplicemente davanti a quella ragazza che ora ha
accanto.
E
sorride alla consapevolezza di essere fortunato.
“Possiamo
entrare?” sembra una bambina di dieci anni davanti ad un
negozio di bambole e
lui, da bravo genitore quale spera un giorno di essere, annuisce.
“Vorrei
provare quelle in vetrina.” Dice alla commessa Sarabeth
cambiando leggermente
tono di voce. “Devi fingere di essere ricco, qui, non voglio
passare per l’idiota
di turno che si prova le scarpe che non si potrà mai
permettere.”
Niall
si limita a sorridere e con un cenno calibrato della testa scorge il
prezzo sul
cartellino.
Tanto,
ma non troppo.
“Dimenticavo.”
Aggiunge Sarabeth sedendosi e sfilandosi le All Stars che porta.
“Tu sei ricco.
Ricco e famoso.”
“Stai
zitta.” E Niall si chiede perché si sente
così a disagio quando la gente glielo
fa notare.
Sarabeth
infila le scarpe che scintillano sotto la luce sapientemente collocata
all’interno
dell’atelier e si alza in piedi superando così
Niall di qualche centimetro.
“Toglile,
mi sento in imbarazzo.” Scherza lui trovando nuovamente
quella luce.
“Io
mi
sento in paradiso e quando scenderò da qui su
potrò affermare di essere povera,
ma non ricordarmelo ora.” Si guarda ancora una volta allo
specchio. “Sai cosa?
Risparmierò! E magari non mi comprerò
nient’altro, o non uscirò al cinema, ma
le comprerò. Prima o poi.”
Niall
suona al campanello della casa di Sarabeth e nasconde la borsa che ha
dietro la
schiena. Quello stesso pomeriggio era tornato in centro,
all’atelier di
Louboutin e le aveva comprato le scarpe che le piacevano
così tanto. E ora
pretendeva i luccichini negli occhi, ancora una volta.
Sarabeth
apre la porta e splende nel vestito azzurro che porta o forse
è solo per lui
che splende sempre.
“Ciao.
Ti ho portato una cosa.” Le dice prima che lei possa parlare
e estrae da dietro
la schiena la borsa. Sarabeth sgrana gli occhi e prende la scatola in
mano, la
apre e trova le scarpe.
“Non
le voglio.” Dice dura, tornando a guardarlo e cercando di non
farsi ammaliare
da tutto quel luccichio.
“Come
no? Perché? Non sono quelle giuste?”
“Sono
perfette, ma costano troppo e non voglio la tua carità. Ho
detto che me le
comprerò io, non voglio i tuoi soldi.”
“È
solo un regalo, Sarah, non vedo perché tu te la debba
prendere così tanto! E
non è carità, è amore.” E
l’ultima parola gli esce graffiata dalla gola.
Sarabeth
fa scendere nuovamente gli occhi sulle scarpe e pensa a quanto bene
starebbero
col vestito che ha indosso ora. E ognuno di quei piccoli brillantini,
gocce di
rugiada, la chiamano, riesce a sentirli.
“Stasera
sono io che ti porto a cena, intesi? Andiamo da Hakkasan perché so che ti
piace e perché piace a me
e pago io, non si discute.”
Lo
bacia velocemente e sorride. “So che
probabilmente mi costerà di più portarti fuori a
cena che comprarmi le
Louboutin, ma questo è amore, giusto?”
__
“Addirittura
le candele?”
“Ci
vogliono cose speciali per le persone speciali, ti sembrano
abbastanza?”
“Sono
perfette.”
“Louis
mi ha intimato di non comprarne di più sia per evitare un
incendio sia per non
esagerare.”
“Louis
ha gusto, digli che approvo e lo ringrazio.”
Miriam
si siede sul divano in pelle nera del loft di Zayn e lancia uno sguardo
ai
tetti di Londra fuori dalla finestra. Ha iniziato a piovere.
“Cosa
faresti se un giorno io me ne andassi via?” chiede poi a Zayn
che si è appena
seduto e le offe un bicchiere di vino e che solleva gli occhi su di lei
al
suono della domanda.
“Tu
non te ne andrai, Miriam.” E solo l’idea che possa
succedere lo manda nel
panico. Beve un lungo sorso e inclina leggermente la testa verso destra
mente
la ragazza torna a parlare.
“Pensa
se succedesse, se dovessi trovare un lavoro lontano, cosa
succederebbe?” E ora
è lei ad accostare le labbra al bicchiere e a sperare che
tutto rimanga solo un’ipotesi,
solo una chiacchierata con il ragazzo più bello del mondo in
un’ambientazione
da film.
“Una parte di me
sarebbe sempre con te, e la
restante verrebbe appena ne avesse l’occasione.” E
Zayn si sporge verso di lei,
appoggia il proprio bicchiere sul tavolo in vetro accanto ai loro piedi
e le
bacia il collo. Miriam butta la testa indietro e non crede stia per
succedere
davvero perché lo sente nell’aria che quella sera
è la sera.
Ed
ogni ragazza fantastica sempre sulla propria prima volta e Miriam spera
con
tutta se stessa che, per ogni ragazza al mondo, ci sia uno come Zayn.
Gli
avvicina il viso all’orecchio. “Non
c’è bisogno che me lo dici, lo so
già.” Le dice
Zayn tornando poi a baciarla, questa volta direttamente sulle labbra.
“Come
fai a saperlo?”
“Certe
cose si sentono.”
Miriam
scivola un poco sul divano ritrovandosi stesa sotto di lui, la sua
maglietta
che sfiora la propria. “E da oggi, in ogni caso, qualsiasi
strada prenderanno
le nostre vite, sarò tua, sempre e per sempre.”
ecco il capitolo,
spero come al solito vi piaccia e spero di non deludervi giusto alla
fine.
grazie mille a chi
continua a leggere.
xx
|
Ritorna all'indice
Capitolo 25 *** 25. ***
25.
Il
cigolio della porta per poi ritrovarsela lì davanti, bella
come al solito,
struccata e dentro ad una tuta più grande di due taglie. La
vede impallidire e
il sorriso cordiale che aveva istintivamente sparisce dal suo viso.
Ed
è
inspiegabile come faccia ad essere sempre bella anche così.
“Ciao.”
Le dice Louis accennando un sorriso e lei avvampa sentendosi una
ragazzina. Si
passa una mano tra i capelli cercando di sistemarli, fa un risvolto
all’elastico
dei pantaloni della tuta così che la fascino un
po’ di più. Louis legge nei
suoi occhi grandi una domanda e alza le spalle.
“Vieni,
entra.” Gli dice lei cercando di modulare la propria voce e,
Dio, quant’è
difficile.
Ogni
volta le sembra di dover ripartire da capo, ogni volta ritorna con la
mente
alla prima volta che l’ha visto, a quel bancone e a quel bar,
alle luci che si
riflettevano negli occhi chiari di lui arrossati da un dolore ormai
sparito. E
non si fidava così tanto di se stessa per prendersene il
merito.
Louis
oltrepassò la soglia e le immagini di loro due in quel loft
lo fecero piegare
leggermente sulle ginocchia. E come ogni volta che la guardava
sorridere
appena, mentre alzava gli occhi al soffitto e batteva quelle ciglia da
pubblicità, Louis si chiede perché doveva essere
sempre così difficile.
“So
che te ne sei andata per quello che ti ha detto Harry.” Le
disse guardandola
sedersi e senza imitarla per paura di non voler rialzarsi
più nel caso gli
avesse chiesto di farlo. E già i suoi piedi sembravano
piantati in quel parquet
scuro. “E quindi ho pensato che non l’hai fatto per
me, perché io non ti
piaccio più, o non ti sono mai piaciuto.” E
Chelsea si sentì morire al pensiero
che lui l’avesse creduto, ma qualcosa di più forte
di lei la fece restare senza
parole da dargli, senza una consolazione. Si morse il labbro talmente
forte da
farlo sanguinare.
Louis
distolse lo sguardo e incassò il silenzio senza dire una
parola, come un colpo
al torace e l’ossigeno che spariva a poco a poco. Chelsea si
alzò e lui
indietreggiò nuovamente fino alla porta mentre i polmoni gli
bruciavano sempre
di più. La ragazza si sporse verso di lui e lo
baciò con una tenerezza
devastante che fece crollare entrambi e che si contrastava a quel
sapore di
sangue che le sue labbra avevano.
Strana
metafora per una fine ormai visibile.
Louis
chiuse
gli occhi mentre la porta di Chelsea si richiudeva con il suo solito
cigolio e,
quando li riaprì, li alzò al cielo. Non si
sarebbe arreso, non questa volta.
“Chel,
so che sei lì.” Urlò alla porta chiusa
prima di appoggiarvicisi con la fronte e
respirare lentamente.
“Non
me ne andrò, non lascerò che le tue paure ci
distruggano, non lascerò che
nessuno ci distrugga.”
E
se
solo avesse potuto vedere attraverso il legno, avrebbe visto la figura
della ragazza
rannicchiata contro la porta dall’altro lato e cullata dalle
parole che lui le
diceva.
E
la
notte era scesa su di loro, ancora vicini
divisi da quella superficie laccata in verde. Chelsea
aprì la porta
facendo scivolare Louis che si svegliò dal sonno inquieto in
cui era caduto. Gli
si avvicinò lenta e gli sorrise.
L’alba
sul suo viso. “Pensavo non saresti rimasto.” Gli
sussurrò all’orecchio
avvicinandosi maggiormente e lasciandosi abbracciare. Il ragazzo
sentì il
proprio petto tornare caldo e si fidava abbastanza di lei per non
attribuire
tutto il merito alla coperta che lei aveva stretta tra le braccia.
__
“Dov’è,
Harry?” Gemma sistema le pieghe nella gonna bordeaux che
porta e guarda il
fratello.
“Non
lo so, starà per arrivare, la strada è
tanta.” Risponde il riccio e getta l’ennesima
occhiata all’orologio bianco sulla parete davanti a loro.
“Hai
provato a chiamarla?” continua la ragazza.
“Sì,
certo. Provo ancora.” Le risponde nuovamente il ragazzo prima
di estrarre il
cellulare dalla tasca e comporre il numero della fidanzata.
“Hai
intenzione di sposarla?” chiede Gemma guardandolo in attesa
della risposta dall’altro
capo e cogliendo nei suoi occhi un luccichio entusiasta.
“Non
lo so,” mente ad entrambi, “perché? Non
ora, in ogni caso. Ma più avanti,
magari con il bambino, o la bambina, a farci da paggetto. Magari
sì.”
“Quindi
pensi di sposarla.” Ripete chiara la sorella sovrastando con
la propria voce il
‘bip’ della segreteria telefonica di Allyson che
scatta.
“Quindi
penso di sposarla.” Ripete a sua volta Harry e la sua voce
arriva limpida alla
ragazza che, in auto, viaggia sopra al limite per raggiungerlo
più in fretta.
Allyson
così guarda il telefono come se potesse vedere le parole del
ragazzo che, nel
frattempo, a chiuso la chiamata. Ed è in quel momento,
proprio in quel momento
che Allyson passa attraverso quell’incrocio,
ed è proprio in quel momento che la macchina blu cobalto
alla sua destra non si
ferma.
Allyson
alza gli occhi troppo tardi, avvisata dal colore brillante
dell’altra auto, e
non ha tempo di fermarsi. Porta una mano al ventre quando sente la
forza dell’urto
spingerla lontano, e a destra, per poi tornare a sbattere contro il
sedile. E c’è
odore di fumo, nell’aria, e rumore di vetri che si rompono.
E
il
cielo grigio sporco attraverso il vetro è l’ultima
cosa che ricorda, mentre il
sangue le gocciola lungo il viso, quando si abbandona a quel sonno che
la
avvolge completamente.
Altro
motore a rombare potente, questa volta via da Holmes Chapel e verso
l’ospedale
di Crewe e quei 20 minuti non erano mai sembrati così lunghi
ad Harry che, le
mani strette sul volante e le nocche bianche, cercava di non piangere.
“Cerco
Allyson Coen, dev’essere stata ricoverata poco,
fa.” Trema mentre parla all’infermiera
che è troppo, davvero troppo calma.
“Non
può ancora vederla.” Oh, davvero troppo. Ed Harry
vorrebbe che anche lei si
sentisse persa e distrutta come lui è in quel momento per
decidersi a dire le
cose più velocemente e meglio.
“Perché
no?”
“È
ancora in sala operatoria.” Harry ringhia piano
un’imprecazione.
“Sala
operatoria per cosa!?” sbotta poi stendendo la mano sul
bancone verde chiaro.
“Non
posso dirglielo, per la privacy. Chi è lei?”
“Lei
deve dirmi
cos’è successo! Deve dirmi
come sta lei, come sta il bambino, lei deve, deve…”
“Qualche
problema?” un uomo alto gli si avvicina e guarda la donna
svogliata dietro al
bancone.
“Vuole
vedere la paziente della 283, ma è ancora in sala operatoria
e non posso dirgli
perché. Privacy.”
Il
medico annuisce e poggia una mano sulla spalla del ragazzo che scatta
di lato,
nervoso.
“È
appena uscita, ero dentro con lei.” Ed Harry si aggrappa a
quegli occhi grigi e
chiari. “Tu chi sei, ragazzo?”
“Sono,
io sono, il fidanzato.” Dice confusionario troppo scosso per
mettere in fila le
parole. “Il fidanzato.” Ripete con più
convinzione prima di tornare ad oscurarsi
ancora una volta per poi alzare nuovamente gli occhi. “Il
padre! Sono il padre
del bambino.”
E
lo
sguardo che l’uomo allora gli rivolge va al di là
di ogni dubbio, o parola e l’unica
cosa che Harry riesce a fare è cadere in ginocchio e
piangere tutte le lacrime
che si era negato fino a quel momento, sentendo la gola bruciare e un
senso di
vuoto che lo divora dentro.
__
Lettera dopo lettera il nome
di Liam compare
sullo schermo e la barra di Google si riempie dei completamenti
automatici. ‘Liam
Payne One Direction”; “Liam
Payne
birthday”; “Liam Payne hot”;
“Liam Payne and his girlfriend”
“Sei
hot, ragazzo!” lo prende in giro Zayn, seduto lì
accanto a lui senza staccare
gli occhi dallo schermo.
“Mmmh,
guarda lì che pettorali!” continua aprendo una
foto di Liam senza maglietta e
il ragazzo sorride e spinge giocosamente l’amico.
“Cretino.” Gli sussurra per
poi continuare a scorrere le foto.
La
mano di Zayn si ferma sul mouse mentre l’altra corre a
cercare la spalla dell’amico,
fermo.
Ed
è
Madison, quella nella foto, le sue spalle fragili. E ci sono mani,
altre mani
che la stringono. Ed è un bacio, quello, è
proprio un bacio. La presa di Zayn
sulla spalla dell’amico si fa più salda prima che
Liam si alzi di scatto e si
avvii verso la porta. Prende la giacca e cerca le chiavi della macchina
in
tasca.
“Vengo
con te.” Gli dice Zayn raggiungendolo e chiudendo la porta
della grande casa. “E
guido io.” Aggiunge con un tono che non accetta storie.
“Vuoi
scendere?” Liam gli rivolge la parola per la prima volta da
quando sono partiti
e Zayn si sente male per lui. “Non sarà una cosa
lunga, in ogni caso.” Continua
e nei suoi occhi si legge il dolore e la resa.
“Sto
qui. Prendi il tempo che ti serve e fai quello che ti senti.”
Risponde il
ragazzo dagli occhi neri prima che la portiera della macchina sbatta
dietro all’amico.
“E sii forte.” Gli sussurra alle spalle.
Liam
si avvicina alla porta della casa di Madison e dalla luce accesa nella
sua
camera capisce che è in casa.
Bussa
ed è lei ad aprirgli dopo qualche istante.
“Liam!” gli sorride prima di
abbracciarlo e sentirlo rigido sotto di lei.
“Cos’è successo?” chiede ed
è
spaventata.
Liam
estrae il telefono dalla tasca e le mostra la foto; Madison sbianca e
abbassa
lo sguardo.
Ed
il
silenzio fa così male che Liam vorrebbe urlare per colmarlo
e smettere di non
sentire nulla.
“Te
l’avrei
detto.” Inizia Madison salvandolo da quella condanna per
iniziare a scontare la
propria, guardandolo negli occhi e vedendo che non
c’è posto per lei lì dentro.
Non più.
“Dimmelo
ora, dimmi che è stato solo un bacio.” Liam la
guarda mentre lei riporta i
propri occhi al pavimento, la porta dietro di lei si chiude sbattendo
ma
nessuno dei due sussulta. Ancora quel silenzio che lo uccide e che
conferma i
suoi dubbi. “Mad, dimmi che è stato solo un bacio.
Un maledettissimo bacio.
Dimmi che eri ubriaca, o che non capivi, o qualsiasi cosa. Ma dimmi che
vi
siete fermati a questo bacio.”
Mad
lo
guarda e si morde il labbro, sgrana gli occhi lucidi e una lacrima le
solca il
viso.
“Dimmi
qualcosa, cazzo!” urla Liam girandosi di lato e dando un
pungo al grande albero
lì accanto. “Qualsiasi cosa!” urla
ancora mentre il secondo colpo fa volare
pezzi di corteccia ovunque.
“Mi
dispiace.” Sussurra tra i singhiozzi Madison mentre la prima
goccia di sangue
lascia la mano di Liam e precipita tra l’erba. “Mi
dispiace così tanto!”
continua Madison senza togliere lo sguardo dalla mano ferita di Liam.
“Non
sapevo come dirtelo, ma mi dispiace immensamente.”
Alza
lo sguardo sul suo fidanzato e incontra nuovamente quello sguardo di
pietra. “Non
è abbastanza.” Le dice lui, lentamente e a bassa
voce, prima di darle le spalle
e lasciarla alle sue lacrime, cercando di combattere con le proprie.
“Woah,
amico, cos’è successo!?” chiede Zayn
guardandolo risalire con la mano gonfia e
sanguinante.
“È
andata.” Sussurra roco Liam. “E questo,”
dice alzando la mano e facendo una
smorfia per il dolore “è solo un albero poco
fortunato.”
Abbozza
un sorriso e Zayn lo stringe a sé sapendo che sta fingendo,
che quella
leggerezza non è che una maschera.
“Andrà tutto bene.” Gli sussurra piano. Lo stringe più
forte quando sente le prime lacrime
dell’amico bagnargli la spalla.
Ciaaaaaaaaaaaao
bellezze, come state? Ecco qui il capitolo, siamo prossimi alla fine e
le storie devono avviarsi alla conclusione. So che è un
capitolo triste, ma non arrabbiatevi con me. (Si, El, sto parlando
esplicitamente con te.) Spero vi sia piaciuto lo stesso.
A
presto, e grazie a tutti.
xx
|
Ritorna all'indice
Capitolo 26 *** 26. ***
26.
La
sua
faccia sui giornali quando passa davanti alle edicole, la faccia delle
ragazze,
delle loro mamme che sicuramente sanno. La faccia di tutti,
perché tutti sanno
e non dovrebbero.
Nessun
sorriso che non sia compassionevole, nessuno che si avvicina a chiedere
una
foto.
La
gente davanti a lui si apre e fa spazio, o comunque sembra lo faccia.
Non
ti senti mai realmente vuoto finchè non
lo sei davvero. E non puoi sapere quando lo sei finchè non
lo senti. Ed
Harry potrebbe
giurare che tutto quello che prima lo riempiva si è dissolto.
Sparite
le sue ambizioni ed i suoi sogni, sparite le illusioni e le
disillusioni,
spariti i rimpianti e i rimorsi. Forse spariti perfino il dolore e le
lacrime,
la disperazione e l’angoscia.
Perché
è niente, quello che sente. Quella sensazione di nulla che paradossalmente lo riempie.
Affonda
le mani nelle tasche del giubbotto e continua a camminare, quasi
arrivato alla
sua meta.
E
poi
li vede e dopo qualche passo gli arriva il profumo, ed il calore. E se
ne
riempie, tornando a sembrare normale ed intero.
Cosa
succede quando la parte migliore di te muore? Cosa succede quando
davvero sai
che non potrai fare niente di migliore, o di più perfetto?
Cosa succede se non
hai mai potuto ammirare quella parte?
Harry
si ferma fuori dalla casa e perde lo sguardo tra le fiamme delle
candele
accese, nel colore dei fiori posati per terra, negli orsacchiotti di
pelouche
azzurri e viola.
E
piange. Ancora, e ancora, e ancora. Piange stando fermo e in piedi,
dritto,
continuando a guardare quel segno di affetto che non
arriverà mai al suo vero
destinatario. Perché quel destinatario non
c’è.
Cammina
poi verso la porta seguendo il sentiero che la gente ha lasciato libero
e alle
sue spalle qualcun altro poggia dei fiori a terra e lo guarda
allontanarsi e
singhiozzare. Bussa e trova la porta aperta.
Il
padre di Allison sul divano che alza gli occhi su di lui appena entra
in
soggiorno e che non prova nemmeno a reggere il confronto con lo
sguardo. Sembra
sgonfiarsi quando si riaccascia sul divano lanciandogli un ultimo
sguardo.
“Al?”
chiama con la voce roca poggiando la mano sulla ringhiera della scala
in legno
e sentendola fredda.
Tutto
a loro immagine e somiglianza.
Sale
gli scalini lentamente e l’unica cosa che vuole è
vederla, abbracciarla e
piangerle sulla spalla.
Perché
la cosa più difficile quando qualcuno ci lascia è
andare avanti. Ed è quello
che devono fare, anche se detto ora sembrano calcoli di astrofisica.
La
vede sulla porta della sua camera, gli occhi rossi e i punti in fronte,
la
crosta sul mento. La camicia larga sulla pancia a dare
l’illusione di una
qualsiasi rotondità.
“Ti
prego, vattene.” E lui si immobilizza sentendo la presa farsi
minore.
“È
colpa tua. È colpa mia. Siamo stati noi.” Dice
ancora lei e trema. “Tu mi hai
invitata, io ho accelerato. Non dovevamo.”
“Non
mandarmi via.” Le sussurra salendo un altro scalino e
crollando. A picco.
Sempre più giù.
“Non
chiedermi di poter restare.” Gli risponde alzando gli occhi
al soffitto, gli
angoli della bocca che le scendono.
“Ti
prego.” Dicono contemporaneamente ed entrambi sanno che hanno
tutti ragione e
tutti hanno torto.
Perché
col dolore non si vince. Mai. Semplicemente il dolore ti distrugge, ti
annienta. E non rimane niente. Niente.
__
“Quando
troverai questa lettera sarà ormai
troppo tardi. E comunque non potrai farci niente. Non ci
sarò più. Partita.
Volerò lontano. Tornerò in quella che la gente
continua a dirmi che è casa mia,
ma la gente non conosce te. Perché tu sei la casa
più bella, il porto più
sicuro, il cielo più sereno.
Ed
il tuo nome è l’unico inno che canterei.
Ma qualcosa è contro di noi.
Lo
spazio? I chilometri? La materia che
rende questa distanza maledettamente fisica e vera?
Qualsiasi
cosa che non mi fa averti qui ora.
Con me.
E
per ‘qui’ intendo al mio fianco. I posti
non sono una cosa importante per noi. Per me.
Le
tue braccia saranno sempre i confini
dell’unico Stato in cui vorrò mai vivere, i tuoi
baci la sua materia prima. E
facciamo finta che questa volta sono solo andata in ispezione sulla
Luna.
La
verità è che sono dovuta andare via.
Hanno deciso gli altri per me e non ho potuto che seguirli.
Ma
aspetta due anni, amore mio. Aspetta che
io cresca, che diventi maggiorenne. E tornerò da te,
perché gli addii
semplicemente non li so dire. E tu sarai l’unico caso nella
mia vita in cui non
mi arrenderò.
Concedimi,
quando succederà, anche solo un
abbraccio. Non posso chiederti la fedeltà, non sarebbe
giusto.
Legati
a qualcun’altra, una ragazza bella
che ci sia per te, che ci sia davvero e materialmente.
E
lascia a me solo un ultimo pensiero,
leggendo questa lettera, e la promessa di un abbraccio.
E
sarò felice. Più o meno. E tutto andrà
bene. Più o meno.
Non
ti ho detto niente perché non volevo
vederti fare quell’espressione che sicuramente ora stai
facendo. La bocca
chiusa, gli occhi bassi. Ti starai mordendo l’interno di una
guancia. Quanti
punti ho vinto?
E
sono scappata davanti al tuo dolore,
troppo presa dal mio. Ho nascosto a te le mie lacrime, il mio ultimo
‘ti amo’.
Sei
stato il primo, sarai l’ultimo. Perché
davvero non riesco a spiegarmi quello che sento senza ripetermi che ti
amo. Ti
amo. Ti amo. Ti amo.
E
sarò per sempre tua. Da qualsiasi luogo,
in qualsiasi tempo. Per sempre.
Ti
amo.
-M.”
__
“Ciao
Chelsea.” Il respiro che diventa corto al solo vederla.
“Ehi.”
Lo guarda e poi abbassa gli occhi davanti a quell’azzurro
oceano che si trova
davanti.
“Ho
sentito quello che è successo ad Harry. Dio.”
“Certe
cose non dovrebbero succedere e basta.” Soffia Louis
avvicinandosi a lei e
baciandola cercando di dimenticare le notti insonni degli ultimi cinque
giorni,
i caffè presi come l’acqua, le lacrime versate e
asciugate, la voce che non ha
voglia di uscire. Cercando di dimenticare gli occhi di Harry e lo
sguardo che
gli hanno lanciato quando insieme ai ragazzi era andato
all’ospedale.
La
bacia ancora sentendola così facile ed accessibile e sua che
almeno in parte
torna il sereno.
Lei
sarà sempre il suo arcobaleno. Prima, durante e dopo
qualsiasi tempesta dovrà
mai affrontare.
Chelsea
si siede sul divano rosso della casa di Louis e appoggia la testa allo
schienale. Chiude gli occhi.
Il
ragazzo accende la musica, piano, dolce.
“È
Bethoven.”
Dice poi senza aprire gli occhi.
“Come
lo sai?” Louis le si siede accanto muovendo l’aria
e facendole scivolare una
ciocca di capelli sul viso.
“Perché
oltre ad essere incredibilmente bella,” fa una pausa e gli
sorride senza aprire
gli occhi “sono anche incredibilmente colta ed
intelligente.”
E
Louis sa che non è il momento di dirle che sì,
è tutto vero. E soffoca le
proprie parole andando a cercare le labbra di lei e facendola sorridere
nuovamente, colta di sorpresa.
E
al
primo bacio ne segue un altro, ed un altro, ed un altro. E alla fine
sono
sempre all’inizio.
“Aspetta.”
Lo ferma lei poggiandogli una mano sul petto e buttando i capelli
all’indietro.
Louis
corruga le sopracciglia e mette quell’espressione
stropicciata che ha quando ha
delle domande dietro agli occhi.
“Ci
tengo a te.”
“Lo
so.” Le risponde rapido lui mandando al diavolo tutti i
progetti della ragazza
di fare un discorso intero e pieno di pathos. “Anche io tengo
a te.” Si
affretta ad aggiungere colto impreparato dal silenzio che lei lascia.
“Okay.”
Riprende poi la ragazza. “Ho pensato che dovremmo andarci
piano.”
Lo
guarda sperando che le sue parole siano state sempre vere, sperando che
lui ci
tenga davvero, che non se ne vada. Louis si siede nuovamente dritto sul
divano
e questa volta è lui a chiudere gli occhi.
“Il
tuo ‘andarci piano’ presumo non contenesse fare
sesso sul pavimento del mio
appartamento.”
“No.”
Dice
piano e ride lei.
“O
in
quello del tuo.”
“No.”
“E
nemmeno nella macchina di Harry.”
“O nei bagni di quel ristorante.” Aggiunge lei
ancora. “No. Niente di tutto
questo.”
Louis
resta in silenzio ed entrambi ascoltano quanto tutto suoni assurdo.
“L’ultima
volta che hai voluto andarci piano hai finito per sposarti.”
Ricomincia poi il
ragazzo aprendo gli occhi e guardandola sorridendo. “E per
quanto io tenga a te
non penso sia quello che vuoi.”
“Non
ora. Non ancora.”
Tornano
a stare zitti ed ora non suona più assurdo, ora fa un casino
tremendo.
Ed
è
quando Louis ha perso quasi tutte le argomentazioni a cui appendersi
Chelsea si
gira e gli sale in braccio. Lo bacia ed i suoi capelli si fondono con
quelli
del ragazzo.
“Al
diavolo tutto.”
Ed
eccomi qui con il penultimo ! Grazie a tutti quelli che continuano a
seguirmi/recensire. Davvero grazie.
Non odiatemi troppo, magari c’è ancora
spazio per i vostri happy ending.
Non
vi
rimane che aspettare e leggere il prossimo.
xx
|
Ritorna all'indice
Capitolo 27 *** 27 - ultimo. ***
27
– ultimo.
Chelsea
tiene il viso premuto contro il materasso tiepido e si lascia invadere
dalla
nuova sensazione che la sta prendendo. Dalla consapevolezza che
l’ha svegliata
quella mattina. Inspira. Espira.
Sente
Louis farsi la doccia nel bagno del suo appartamento e sente
l’odore del caffè
che sale dal bar lì davanti, violento. E non riesce a non
ricondurre anche
quello a come si sente, a quella nuova morsa allo stomaco, violenta. A
quel
nuovo calore, diverso.
Diverso
dal calore astratto dei flash delle macchine fotografiche, diverso da
quello
luminoso delle luci sulle passerelle, diverso da quello dei baci che
sua mamma
le dava quando ancora c’era, quando era bambina, e diverso
perfino dai baci che
era Dawson a darle.
È
un
calore nuovo, come lo era stato quello delle mani si Louis sulla sua
pelle
quella prima loro sera, diverso ma, lei lo sa,
potente.
Louis
esce dal bagno avvolto in un telo morbido di microfibra rosa dalla vita
in giù.
Davvero molto virile.
Si
siede sul bordo del letto e le posa una mano sulla schiena, in
silenzio. “Pensi
di muoverti, prima o poi?” chiede dopo un po’ e
allude al fatto che lei sia
nella stessa posizione da mezz’ora. Un mugolio è
la sua risposta. “Bene.” Le
sorride prima di alzarsi e avviarsi verso la cucina, i piedi nudi sul
parquet
caldo.
“Questo
profumo mi uccide, prendo un caffè. Te ne va uno?”
La
voce della ragazza, le sue parole dette veloci e attaccate le une alle
altre,
soffiate, lo bloccano sulla porta.
“Louispensodiamarti.”
E
per
fortuna Chelsea non può vedere il sorriso che ora dipinge il
viso del ragazzo,
la pennellata messa nel modo migliore di sempre.
Lo
sapeva, l’aveva sempre saputo. Sperato. E l’ama
anche lui, sebbene non sia il
momento giusto per dirglielo, per spezzare quel legame ancora
così fragile che
lei gli sta porgendo. Louis non si gira a guardarla e le torna a
parlare
cercando di modulare il timbro della voce e di non saltellare in giro
per la
stanza in preda ad un attacco di fangirlismo.
Lei
lo
ama.
“Due
di zucchero, vero?”
__
“Non
penso mi riprenderò mai.” La voce ridotta ad un
sussurro che Harry riesce a
percepire lo stesso. “Le cicatrici raccontano la nostra
storia.” Continua.
Allyson
sta rannicchiata tra le braccia del ragazzo e lancia veloci occhiate
allo
specchio in fondo al suo letto, con le dita percorre la cicatrice lunga
che le
passa sotto l’ombelico.
“Mi
dispiace averti mandato via.”
“Lo
so.” E lo sa davvero, e sa che ad entrambi dispiace. Dispiace
e basta.
“Ci
sarà mai un momento in cui ‘andare
avanti’ mi sembrerà una scelta giusta?
Un’alternativa che non ferisce nessuno? Che non ferisce
me?”
“No.”
Le risponde lui prima di prenderle il polso e spostarle la mano dalla
pancia,
prima di baciarle delicatamente la fronte. “Ma in ogni caso
io sono qui per te,
e tu sei qui per me. E noi siamo qui, noi.
E andremo avanti, in un qualche modo.”
“Per
quanto masochista mi possa essere sembrato i primi tempi, io davvero
volevo una
famiglia con te, davvero volevo mandare all’aria tutta la mia
giovinezza, tutte
le feste future e le nottate in bianco passate a ballare.”
“Tu
sarai sempre la mia famiglia, intesi? Sempre.”
E
parlano così per tanto, davvero tanto tempo. Fino a quando
le cose non sembrano
andare un pochino meglio o, almeno, sono meno torbide. Fino a quanto
tutte le
loro domande non si sono depositate.
Lei
chiedendo e lui rispondendo ai quesiti di entrambi, perché
ci sono persone che
semplicemente vivono in simbiosi, prima e dopo che qualcosa le scuota.
Qualsiasi
cosa.
Parlano
così fino a quando entrambi si addormentano stretti e
vicini, troppo deboli per
rivivere il passato, ma forse sufficientemente forti per affrontare il
futuro.
Perché
ci sono traumi che non passano mai, cicatrici che restano davvero per
sempre (e
che quasi mai sono esterne), parole che danno i brividi e vuoti a forma
di
persone che non si potranno mai colmare. Ma per ogni trauma Allyson
aveva
trovato Harry e lui aveva trovato lei; per ogni cicatrice potevano
contare nel
trucco che l’altro poteva stendere per renderle, almeno agli
occhi della gente,
invisibili; per ogni parola da brividi avrebbero trovato
un’intera canzone che
li scaldasse a vicenda e per quanto riguarda i vuoti sarebbero
semplicemente
stati vicini ad ammirarne la forma, a tracciarne il contorno con le
dita. E non
c’era niente di più simile al vero amore che
avrebbe potuto rompere la vetrata
del bar che li divideva all’inizio, e non
c’è niente di più simile al vero
amore che possa tenerli insieme per sempre.
__
Niall
guarda l’interno della vetrina ancora per qualche secondo
prima di chiudere
forte gli occhi, girarsi e riprendere a camminare. Vede le lucine che
si
muovono ovunque quando li riapre, quando consente alla gente che gli
cammina
veloce accanto di pensare un ‘wow’ guardandoli.
Ricondurli al mare, o a quel
cielo di quando erano giovani e liberi e lontani.
Sente
che qualcosa lo attrae nuovamente verso la vetrina dalla quale sta
cercando di
scappare, il negozio che ha lasciato lo chiama ed è davvero
difficile non
starlo a sentire.
Devia
per una stradina secondaria e si siede sugli scalini di una palazzina
in
mattoni scuri, inizia a muovere ritmicamente la gamba destra cercando
invano di
calmarsi.
Torna
a chiudere gli occhi e appoggia la testa contro il portone in legno,
canticchia
una qualche melodia che passa nel suo cervello e che gli dà
l’impressione di
essere integro e fedele a se stesso.
Nei
giorni
come quello, in cui il sole bacia la pelle ma non è quello a
fare caldo,
vorrebbe tornare in Irlanda. Sarebbe andato, così, al bar di
quel vecchietto
così simpatico che diceva cose senza senso e che dava
consigli belli da sentire
ma indecifrabili.
Se
si fosse
seduto al suo bancone l’anziano signore, facendo penzolare il
sigaro spento tra
le labbra, avrebbe detto qualcosa come: “Molte
volte i fiori più belli non sono ancora sbocciati, ma nulla
ti vieta di
prendere il seme e aspettare.”
E
lui
l’avrebbe guardato e per tanto, tanto tempo dopo avrebbe
pensato alle sue
parole.
Il
ragazzo biondo sorride distratto al cielo di Londra e si alza, allunga
il giro
e ripassa davanti alla vetrina, continua a camminare in cerchio
pensando a cosa
deve fare.
Poi
si
ferma.
“Sei
bellissima.”
“Sei
un bugiardo.”
“Forse,
ma tu rimani bellissima.”
Sarabeth
gli sorride e due lievi fossette le si disegnano ai lati del viso. Lui
le si stende
accanto sul telo verde pastello che hanno steso per terra.
“Oggi
pomeriggio ho letto qualche fan fiction su di te.”
Niall
non si gira quando lei gli parla, si limita a fissare il cielo ora
coperto da
una lieve foschia. “Tutte ti vogliono felice. Nessuna parla
di dolore, o
sofferenza, o separazione.”
“E
io
ho te.”
Le
risponde e Sarabeth sorride e gli dà un lieve bacio su una
guancia. Gli si
spinge più contro, ne sente il calore.
“In
una finivi per sposarti con una ragazza che era perfetta. Amo quella
storia.”
Niall
si gira di scatto e chiude il pugno dentro la tasca della felpa.
“Tu sei
perfetta.” Continua a dire con il solito tono, cercando di
non far trasparire
quanto le parole della ragazza l’abbiano colpito. ‘nulla ti vieta di prendere il seme e
aspettare’ si ripete
mentalmente.
Niall
si chiude la porta di casa alle spalle e per la prima volta estrae
dalla tasca
l’acquisto della giornata. La piccola scatola fa un rumore
sordo e vellutato
quando la appoggia sul tavolo, scatta facilmente sotto la pressione
delle sue
dita.
Quando
si apre rivelando il sottile anello che contiene, Niall non
può non sentirsi
invadere da un’ondata di caldo improvviso.
Perché
quella è la vita che vuole avere, lui e Sarabeth sempre e
per sempre.
Si incanta
a guardare il piccolo diamante. E se il per sempre non esiste, se
è una cosa da
fan fiction che a lei piacciono tanto, vorrà dire che
saranno lui e Sarabeth finchè
morte non li separi.
Chiude
la scatola e la ripone al sicuro dentro ad un cassetto, il cuore che
gli batte
forte nel petto, e si promette di aspettare. I desideri più
attesi hanno l’adempimento
migliore.
Guardando
fuori dalla finestra il cielo ormai scuro si ripete nuovamente la frase
del
vecchio barista e annuisce pensando che, ancora una volta, avrebb avuto
ragione.
“Molte
volte i fiori più belli non sono
ancora sbocciati, ma nulla ti vieta di prendere il seme e
aspettare.”
__
“Ciao.”
Quella
voce. Quante volte l’ha sognata? Un brivido le scorre lungo
la schiena e
spalanca gli occhi dietro le mani che li coprono. Li sente umidi di
lacrime che
non vogliono essere di delusione, di illusione.
Da
quando è andata via le è capitato troppe volte di
vederlo passare per le
strade, di sentire la sua voce a scuola, di sentire il suo tocco sui
fianchi,
di crederlo lì accanto a lei per poi riscuotersi e trovarsi
nuovamente sola. Al
freddo.
Le
è
capitato troppe volte, tante volte, di tornare a casa e cercare la sua
orma sul
cuscino, sentire il suo profumo nell’aria, di non trovare
nulla e sentirsi
nuda, spogliata di tutto.
E
nulla
ha più senso.
Ora
respira piano e cerca di concentrarsi su ogni cellula del viso che
è a contatto
con le mani calde e grandi che le coprono la vista, si impegna per
trattenere
la sensazione che dà il contatto pelle contro pelle nel caso
anche questa volta
fosse solo un suo sogno.
Poi
le
mani si aprono e il sole le brucia negli occhi, la visuale compromessa
per
qualche minuto.
Si
gira lentamente in direzione della voce e trattiene il respiro.
Ed
è
lui, è davvero lui. Il
suo sorriso
storto con la lingua tra i denti, i capelli sacrificati sotto ad un
cappello in
lana grigia e azzurra, gli occhi profondi e scuri che la guardano
ridendo.
“Zayn.”
È l’unica cosa che riesce a dire prima che la gola
le si riempia di lacrime.
È
lì,
con lei. Così lontano da quella che è la sua
casa, così nuovamente vicino a
lei.
La
voce di Miriam risuona ancora nell’aria tra loro quando il
ragazzo annulla la
distanza che li divide e la bacia. Ed è un bacio che sa di
distanza, di
mancanze, di nostalgia e di vuoto. E sa di cuori che scoppiano e fuochi
d’artificio,
di zucchero e abbracci nuovi.
“Cosa
ci fai qui?”
“Senza
ossigeno non si vive.” E non le confessa, passandole le mani
sul viso come per
riconfermare che ciò che aveva sognato tutte le notti era
reale, che quella
frase se l’è preparata nel volo di dodici ore che
l’ha portato lì.
“Non
andartene mai più, Miriam.” Le dice stringendola a
sé così forte che le nocche
gli diventano bianche e la gola gli si secca. Parla con voce impastata
dalle
lacrime che non vuole versare. “Non lasciarmi mai
più.”
La
ragazza gli si abbandona contro il petto e ne respira nuovamente
l’odore, così tanto
più materiale delle sue ormai
solite visioni che fa male.
“Dimmi
che mi amerai sempre.”
“Ti
amerò sempre.” Gli ripete lei poco dopo, seduti su
una panchina a caso, in una
strada a caso, perché non è il luogo che conta.
“Dimmi
che amerai solo me, e che nessun ragazzo di qui potrà mai
farti cambiare idea.”
“Sai
che è così.” Fa un grande respiro e
torna ad appoggiare la testa sulla sua
spalla. Quel calore di cui ha avuto così bisogno che
nuovamente la riempie.
“E
tu
dimmi che mi aspetterai, che resisterai anche se sono qui. Dimmi che
non mi
dimenticherai e che continuerai a sognare un futuro con me.”
Torna nuovamente a
piangere verso la fine della frase.
Perché
tutto davanti a loro sembra incerto e offuscato, ma qualcosa nello
stomaco la
sprona ad andare avanti, a non arrendersi. Perché il tempo
passa veloci, se
solo lo si lascia scorrere, se solo si distoglie l’occhio
dall’orologio le
lancette corrono.
E
forse
per la prima volta nella sua vita Miriam ringrazia che sia
così.
__
Liam
esce dal bar dove Allyson è tornata a lavorare e dove dove
ha accompagnato
Harry quella mattina. Esce dal bar e stringe le mani attorno al
bicchiere di
caffè caldo.
Deve
ricostruirsi, riplasmarsi, tornare a respirare.
Madison
ha lasciato la propria impronta sul suo petto, la sagoma della sua mano
posta
accanto al cuore. E ha lasciato un sacco di immagini che non smettono
di
passargli davanti agli occhi, ha lasciato la sua risata che lo culla
ancora la
sera.
Ma
ha
lasciato disperazione e terra bruciata, ha lasciato dolore e lacrime
piante
contro ad un cuscino. Ha lasciato un vuoto che sembra così
enormemente grande e
così fermamente incolmabile che lo spaventa.
Lo
spaventa davvero il fatto di aver sofferto e di stare soffrendo, lo
spaventano
le proprie lacrime che lo colgono impreparato, ormai estraneo ai propri
sentimenti, come se li avesse gettati ai piedi di
quell’albero che aveva preso
a pugni, arrabbiato, quell’ultima sera.
L’ultima
sera in cui avesse il ricordo di un battito nel petto,
l’ultima sera prima
della sua discesa nell’apatia.
Deve
scuotersi e tornare ad urlare, a cantare con passione, a credere nei
propri
sogni.
Magari
deve finire quel puzzle che tiene sotto al letto e di cui ha
già completato
tutto il bordo e sicuramente perso qualche pezzo fondamentale per
l’intreccio. L’occhio
della bambina sulla destra, metà del sorriso della
vecchietta sullo sfondo.
È
ancora
immerso nei suoi pensieri quando passa davanti ad una casetta di un
insolito color
pesca e va a sbattere contro la ragazza che ne è appena
uscita.
È
sicuro
che la colpa non sia sua ma ad ogni modo è suo il
caffè che ora gocciola dal
trench beige della ragazza che gli sgrana gli occhi grandi e scuri
davanti.
Come
la
recita di una vecchia poesia che si conosce a memoria Liam si prepara
per
srotolare la sua infinita serie di scuse, ma la voce cristallina della
ragazza
lo blocca.
Ride.
Si
è messa a ridere dopo aver guardato i propri vestiti forse
irrimediabilmente
compromessi e la faccia del ragazzo che le ha versato tutto addosso
prima
inespressiva poi come risvegliata.
Ride
e
Liam sente uno strano caldo alle punte delle dita.
“Senti,
mi dispiace davvero.” Attacca a dire lui quando la risata
della ragazza si
smorza leggermente. Ed è vero dispiacere
quello che prova?
“Volevo
buttarlo, non ti preoccupare.” Gli risponde lei alludendo al
trench, le guance rosse per la risata
e gli occhi luminosi.
“A
me
piaceva.” Confessa lui sorridendo leggermente. È vera attrazione quella che prova?
“Se
vuoi un giorno te lo presto.”
Ridono
un poco assieme e Liam riscopre fremiti che non ricordava. È
vera allegria, questa?
O
sono
solo tutte immagini distorte che la sua mente gli manda per combattere
l’evidente
stato di solitudine e isolamento in cui la delusione l’ha
fatto chiudere?
“Potremmo
discutere dei dettagli a colazione. Il tuo bel cappotto si è
appena mangiato la
mia.” Le risponde e lei non smette di sorridere.
“È
per
caso la scena di un film, questa?” chiede la ragazza dai
grandi occhi alzando
un poco le spalle e guardandosi velocemente in torno in cerca delle
telecamere.
“Ha
per caso importanza?” le sorride Liam ponendo il primo pezzo
per il
completamento del nuovo puzzle che ora ha deciso di ricomporre dopo il
pugno all’albero:
se stesso.
__
Liam,
Harry, Niall, Louis e Zayn stanno seduti in silenzio dentro al piccolo
pullman
che li porterà in una nuova città dove potranno
urlare al cielo quanto sono
felici, o tristi, o incompleti, o soli, o distrutti, o stanchi. Dove
potranno cantare quanto sono vivi.
Ognuno
è immerso nei propri pensieri, ognuno sente gli altri che
fremono piano, che
respirano ciò che la vita ha preparato per loro.
E
non c’è
spazio per la disperazione, o il dolore, o la malinconia accanto a quei
visi
ormai così noti e familiari. Ognuno le cova dentro di
sé, le rinchiude in un
piccolo scompartimento buio dentro al proprio cervello per evitare di
farcisi divorare.
Liam,
Harry, Niall, Louis e Zayn stanno seduti in silenzio dentro al piccolo
pullman
che li porterà in una nuova città e, lo sanno,
ognuno sta pensando esattamente
alla stessa cosa: davanti al futuro che gli sorride per poi
distruggerli,
davanti alle lacrime e al dolore, c’è solo una
cosa che possono fare, qualcosa
che possono ripetersi mentalmente o che possono far vibrare
nell’aria e che
avrà sempre la solita, azzeccata conseguenza. Davanti al
futuro che li nomina
casualmente vincitori o vinti, prede o cacciatori, rimangono loro solo
quelle
due parole.
Inspira.
Espira.
Ciao
a tutti, questo è il
capolinea.
Mi
scuso enormemente per il
ritardo assurdo, ma un po’ non avevo ispirazione, un
po’ sono stata molto
impegnata e un po’, probabilmente, non volevo staccarmi
definitivamente da
questa storia. Ma tutte le cose belle prima o poi finiscono e io voglio
davvero
ringraziare tutti, dal primo all’ultimo che ha posato gli
occhi sulle mie
parole.
Voglio
ringraziare chi ha
recensito e chi ha letto in silenzio, chi recensirà magari
in futuro.
Voglio
ringraziare tutti
per le belle parole e per il sostegno che forse non sapete di avermi
dato.
Tornerò
presto con una
nuova storia, Word ha un’influenza troppo grande su di me per
tenermi lontana
molto tempo. E chissà, magari, se vi interesserà,
ci rivedremo anche là.
Ancora
grazie.
Giulia.
xx
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=925761
|