Il mio angelo custode di eos75 (/viewuser.php?uid=15191)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 10: *** 9 ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12 ***
Capitolo 14: *** 13 ***
Capitolo 15: *** 14 ***
Capitolo 16: *** 15 ***
Capitolo 17: *** 16 ***
Capitolo 18: *** 17 ***
Capitolo 19: *** 18 ***
Capitolo 20: *** 19 ***
Capitolo 21: *** 20 ***
Capitolo 22: *** 21 ***
Capitolo 23: *** 22 ***
Capitolo 1 *** prologo ***
SILENZIO
Galoppo…Trotto… si spengono le ultime note della musica…
Alt Abbasso lentamente la mano destra e chino il capo per
il saluto alla giuria. Sorrido appena, col cuore che batte veloce ed un
groppo alla gola, conscia di aver dato il massimo. Il pubblico esplode
in un applauso lunghissimo, tutto per noi... “Ce l’abbiamo fatta, amico!
Siamo qui, davanti a tutti a dimostrare finalmente a noi stessi cosa valiamo!”
lo penso soltanto, ma so che il mio compagno di avventure mi ha
sentita. Allungo le redini sul collo sudato, con una mano
accarezzo il pelo morbido e la criniera intrecciata mentre ci dirigiamo al passo
verso l’uscita. Accanto alla porta, Kristine ci aspetta con un sorriso
compiaciuto. Al suo fianco, tre persone care che non vediamo da quasi un
anno…
Nebbia, quella nebbia leggera che ti avvolge la
mattina presto; profumo d’ erba e di cuoio, di fieno e sudore. Il tonfo
regolare del trotto di un cavallo sul prato... E il silenzio… Ho sempre amato correre la mattina presto, fin da
ragazzino, da quando iniziai giocare a calcio. Da solo. Con i miei
pensieri. Con in miei guai. Con la mia
solitudine. Poi, un fredda mattina di febbraio, il suono degli zoccoli
sull’erba. All’improvviso un grosso cavallo nero comparve alle mie spalle. L’
aria si mosse leggermente mentre mi sorpassava rapidamente e così com’era
apparso sparì davanti a me, come un fantasma. Mi fermai come al solito al limite di un grande prato a
fare stretching. Ed eccoli
di nuovo, il cavallo e la sua amazzone, non si curavano di me, tutti presi dai
loro esercizi. Rimasi mezz’ora, e per mezz’ora la ragazza non mi
rivolse un’occhiata, un saluto, nulla. Esisteva solo il suo stallone,
che dirigeva con delicatezza e decisione in complicate evoluzioni per poi
ringraziarlo sussurrandogli parole dolci. Semplicemente, non
esistevo… Terminammo insieme il nostro allenamento. Allungò le redini sul
collo sudato dell’animale, accarezzandolo. Tra noi il silenzio... Ognuno nel suo mondo, coi sui pensieri, con la propria
passione. La mattina seguente ancora così, ed il giorno seguente ancora....
Ed ora quel silenzio mi manca.
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Capitolo 2 *** 1 ***
Un mercoledì sera come tanti: cena veloce, televisione
accesa e piatti da lavare. La vita di due ragazze single che condividono un
piccolo appartamentino in una zona tranquilla di Monaco di Baviera può essere, a
seconda, molto tranquilla o molto movimentata. E a volte, basta una partita di
coppa a renderla a dir poco rovente... “Dio, quanto sei FIGO!” “Marjorie!!!” “Ok, ok, lo so... Però
è TROPPO BELLO!” Ormai ci ho fatto il callo... In
questa casa non si vive in pace quando gioca il Bayern... “Siii!!!!” all'urlo di gioia,strappo
il piatto gocciolante dalle mani della mia biondissima coinquilina, che ha
cominciato a saltellare per il salotto, estasiata dalle prodezze del suo
idolo. Scuoto la testa e sorrido rassegnata mentre i suoi occhioni azzurri
luccicano beati, fissi allo schermo sul quale appare, per la gioia delle fans,
una bella inquadratura in primo piano di un giovane asiatico che, con molta
flemma, si sistema la tesa del cappellino volatogli via dopo il balzo felino col
quale è agilmente arrivato sul pallone, salvando per l'ennesima volta la
porta del Bayern ed il suo meritatissimo titolo: Super Great Goal Keeper. Il
pallone viene rimesso in gioco con un rinvio millimetrico al regista della
squadra, lo svedese Stefan Levin, e Marj si appoggia pesantemente coi
gomiti alla spalliera del divano, il viso tra le mani e lo sguardo trasognato,
totalmente dimentica dei piatti da lavare... Inutile dire che quell'uomo è il
mio incubo... A quasi trent'anni mi trovo a convivere con la mia più cara
amica che è totalmente strapersa per colui il quale viene considerato uno dei
migliori portieri in circolazione in campo mondiale, tale Benjiamin
Price. Posters appesi alle pareti di camera, foto all'interno dell'anta
dell'armadio e, ovviamente, abbonamento televisivo a tutte le partite del
Bayern. A volte mi pare di abitare con una quindicenne! Me ne torno in
cucina, lasciandola a bearsi e sospirare, tanto lo so che neppure se scoppiasse
un incendio riuscirei a smuoverla di lì. A volte, quando fa così, un pochino non
la sopporto, ma è grazie a lei ed al suo carattere schietto e vivace che sono
qui, lontana dai miei guai, a costriurmi una nuova vita. Mentre affondo le
mani nella schiuma, sorridendo all'ennesimo grido di esultanza proveniente
dall'altra stanza, ripenso a quella mattina di tre mesi fà, quando Marj si
catapultò letteralmente a casa mia nella nebbiosa Milano, mi fece i bagagli,
caricò me ed il mio stallone su di un van e ci portò qui a Monaco. “Bada!
Lo faccio più per me che per te! Ne ho strapiene le scatole di leggere mail
disperate e di raccoglierti col cucchiaino via telefono! E’ ora di cambiare
vita, signorina!” disse senza lasciarmi il tempo di
replicare. Ed ora, eccomi qua: convivo con una pazza scatenata, monto a
cavallo sognando un giorno di partecipare ad un Grand Prix di dressage ed ho
ripreso con successo il mio lavoro di fotografo sportivo free-lance. La vita
sentimentale... beh, lasciamo perdere... Per quella ci sarà tempo... Un
sussulto ad alta voce mi strappa nuovamente un sorriso: Marj, che di problemi
non ne avrebbe proprio a trovarsi un ragazzo, carina com'è, alta, bionda
platino, occhi azzurrissimi da gatto ed un fisico da favola, ad altri non pensa
che a lui, l'uomo della sua vita... “SEI TROPPO FIGOOO!” Già... lui, il
suo sogno impossibile... “Dai Marj, finiamo qui che poi il secondo tempo
ce lo guardiamo dal divano!” supplico, senza speranza di essere
ascoltata. “Si... si... un attimo...” Appunto...
“Marjorie, più andatura,
forza! Ele, mani più ferme! E più flessione interna!” Così cominciano,
più o meno, tutte le nostre mattine: sotto la frusta inflessibile della
nostra istruttrice, Kristine Schneider. Ex amazzone di dressage di fama
internazionale, ha dovuto lasciare l’agonismo a causa del calcio di un cavallo
ad un ginocchio ed ora si dedica solamente all’istruzione. “Ele, più trotto!
Marj, anche tu! Allora, ma che avete oggi?!” “Piano
sorellina, così le massacri! A volte ringrazio il cielo che tu non faccia
l’allenatore di calcio!” l'Adone biondo che ha appena pronunciato queste
parole, appoggiandosi alla cavallerizza accanto a Kris, è Karl Heinz
Schneider... Già, quel Karl Heinz Schneider: capitano del Bayern Monaco,
della Nazionale tedesca e, naturalmente, compagno di squadra di Price, nonchè
fratello minore della nostra maestra. La quale ha avuto una non
bella esperienza sentimentale col bel portiere, tanto da arrivare ad interdirgli
l'ingresso in scuderia, con grande disperazione di Marjorie. “Benjiamin è peggio
della droga: dà dipendenza, lo ami, lo odi ma non puoi più fare a meno di lui.
Ma lui non si innamora... mai.” ripete continuamente alla mia socia
quando la sente sospirare sconsolata, assicurandole che è anche per il suo bene
se il giovane giapponese non deve neppure osare mettere la punta del naso al
club, pena la fucilazione. Poi un giorno... “Ele, quando hai
finito di fare le fasce, vieni in club house per favore!” “Sissignora!" risposi scattando allegramente
sull'attenti. Non sapevo cosa mi aspettava.Era una bella mattina dei primi di
maggio e Kristine stava per dare una svolta alla mia vita . “Ieri sera è venuto qui a cena il patron del Monaco.”
esordì sedendosi su un divanetto e distendendo le gambe ancora fasciate dagli
stivali, guardandomi sorniona. “Wow!
E che ci faceva qui Stephen Lauber?” mi sedetti
cavalcioni ad una sedia di fronte a lei, incuriosita. “E’ uno dei soci di maggioranza del club ed ogni tanto
viene a dare un occhio. Sai, è rimasto affascinato dalle tue foto...” In quei pochi mesi avevo dato sfogo alla mia fantasia ed il
risultato era che la club house ed il ristorante del centro erano letteralmente
tappezzati di immagini di cavalli in gara, salti, particolari di occhi e narici
sbuffanti. “Sai, Stephen è un maniaco dell’immagine” continuò
“stava giusto cercando un fotografo in grado di realizzare delle immagini
“alternative” dei giocatori da inserire sui siti ufficiali e da dare alle
riviste. Vorrebbe te!” mi annunciò Kris con un sorriso. “
Coosa? Ma io non ne capisco un accidenti di calcio! Mai visto una partita
dal vero in vita mia! E non ho l’attrezzatura adeguata, e...” “OOOh basta!
Domani ti presenti alla sede del Bayern (ti ci porto io) e non ti preoccupare!
Lauber non vuole foto di gioco, di quelle ne è strapieno! Vuole quelle cose
strane che sai fare tu...” disse indicando il particolare dell’occhio del
suo cavallo, stampato formato poster e appeso alle sue spalle
“Capito?” mi fece l'occhiolino, incoraggiante. “Grazie, capo... Ma non è
c’è dietro il tuo zampino?” “Mah, può essere...” mi sorrise
complice.
Così dovevo a Kristine la mia nuova
collaborazione come fotografo al Bayern Monaco.
“Gli farai tante belle foto, vero?” Marj era al settimo cielo e saltellava per
la stanza come una bimbetta alla quale avessero appena regalato una bambola
nuova. La sua migliore amica avrebbe visto tutti i giorni dal vivo il suo amore
impossibile! “Marj, ti prego!Kri mi ha detto che ha un
carattere terribile, scontroso, arrogante, pieno di sé e...” “Figo!” sospirò, lo sguardo sognante perso nel vuoto.
Ormai ero rassegnata... “Ok, ok, non è che me ne
importi molto.” tentai di riportarla alla realtà " Basta che non mi venga a
rompere le scatole!” “Sei sempre
le solita!” disse fissandomi corrucciata “ Per te chi è dall’alta
parte dell’obbiettivo è solo un soggetto da manipolare a tuo piacimento!” “Più o meno... Ma ti ricordo anche quello che dico
sempre: quando il soggetto ha dentro qualcosa, in foto viene fuori ed
allora si che si ottengono delle immagini fantastiche!” “Vedrai come verranno belle le foto del mio amore!” e
si lanciò a pancia all'aria sul letto, sorridendo beata. No, non c'era assolutamente speranza...
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Capitolo 3 *** 2 ***
ac02a
Maggio ci stava regalando delle bellissime giornate. Un
bel sole caldo inondava il campo di allenamento del Bayern sul cui tappeto
erboso perfettamente curato si stava disputando una partitella che, a dire
il vero, non aveva nulla di amichevole. Ero l’unico fotografo presente, in
quanto i miei colleghi si occupavano per lo più delle partite ufficiali. La cosa
non mi dispiaceva perché avevo così la possibilità di muovermi a mio
piacimento ma era anche un problema in quanto di calcio allora ne capivo proprio
poco! "Amen!" mi dissi, sistemando l'attrezzatura e guardandomi attorno
"Vorrà dire che per questa settimana il mio compito sarà quello di capire come
vanno le cose qui. Lauber mi ha detto di non avere fretta per cui mi posso
studiare con calma il lavoro, tanto il campionato è agli sgoccioli e la finale
di Champions è settimana prossima..." Stephan Lauber era stato così gentile
da ricevermi personalmente. Era rimasto entusiasta dei miei scatti e
voleva che realizzassi qualcosa di simile anche per la sua squadra. "Sono
stufo delle solite cose, delle solite inquadrature!" mi aveva detto "e
inizio a non sopportare anche le immagini da fotomodelli che ogni tanto i
tuoi colleghi rifilano ai nostri webmaster! Vorrei degli scatti che rendessero
umani i ragazzi, che li rappresentassero nella vita della squadra di tutti i
giorni ma che fossero anche delle belle foto, particolari e, perchè
no, un po’ artistiche!" "Oh, mamma! Sui cavalli è una parola ma con dei
calciatori… Mi sa che Herr Lauber mi ha un po’ sopravvalutata… o è Kristine che
ha esagerato?" pensai tra me, piuttosto preoccupata dalla responsabilità che mi
si poneva di fronte. Tentai di dissuadere il patron del Monaco: non me la
sentivo, mi pareva che volesse un lavoro molto al di sopra delle mie
capacità. Inoltre io ed il calcio non eravamo mai andati molto d’accordo. Non ci
fu nulla da fare, anzi, il fatto che il calcio non fosse il mio sport a parer
suo era un vantaggio "Meglio così! Non conoscendo i giocatori, non sarai
inflenzata dalla loro notorietà e tratterai tutti alla stessa stregua!" e
ci fece su una bella risata. Così, eccomi sola soletta a bordo campo. Per
questioni di luce mi posizionai alle spalle della porta assegnata ai titolari,
sorridendo tra me al pensiero di tutto quello che avrebbe detto Marj sapendo che
avevo passato quasi quarantacinque minuti a meno di dieci metri dal suo sogno
impossibile. Mi resi subito conto che la mia scelta non era stata poi tanto
felice: Price non faceva passare un pallone e quelli che non tratteneva,
deviandoli, finivano puntualmente a pochi millimetri dalle mie ottiche, con
mio grande disappunto. Al quarto d'ora dall'inizio l’azione si fece
interessante: Schuster si smarcò e passò la palla a Brennan, il quale la
ricevette e, liberatosi di due avversari con bel dribbling sciolto, eseguì un
splendido cross per Karl che, guarda caso, era nel posto giusto al momento
giusto. Il secondo portiere del Bayern neanche vide la palla che, come un
fulmine, si infilò nell’angolo in alto a sinistra della sua rete. Da questa
parte del campo, l 'SGGK aveva seguito attentamente l’azione con le
braccia incrociate al petto e lo sguardo celato da un cappellino rosso. Solo le
labbra si erano increspate in un lieve sorriso soddisfatto al gol del
Kaiser. Il lavoro (palloni a parte!) mi piaceva parecchio: le azioni, la
stanchezza, la concentrazione, lo spirito cameratesco che teneva unita la
squadra, il divertimento e l'amore per il calcio. Mi piaceva andare a cogliere
questi piccoli particolari, sviscerando le emozioni genuine di quei ragazzi i
quali, normalmente, apparivano tanto distanti dal mondo reale. Perfino Karl,
che pure conoscevo, anche se soltanto di sfuggita, mi parve più vero, forse
proprio perchè per la prima volta lo vedevo nel suo ambiente naturale. Solo
uno di loro non mi diede alcuna soddisfazione: Benjiamin Price. Nessuna
emozione scomponeva i suoi tratti; l'unico motivo per lui di alterarsi era
se un difensore non aveva eseguito alla lettera i suoi ordini o se per
caso qualcuno davanti era disattento o pasticciava durante l'azione. Freddo,
controllato, distaccato. Sempre. Mi chiesi come Kristine potesse essere
ancora tanto presa da un uomo simile. Price l’aveva letteralmente ammaliata,
cosa incredibile conoscendola bene come la conoscevamo io e Marj. Seria,
tutta d’un pezzo ma anche molto sensibile, proprio non capivo come potesse
essere ancora così innamorata di quel Dongiovanni (perché tale era Benjiamin
fuori dal campo) che le aveva spezzato il cuore l’estate precedente il mio
arrivo in Germania. E dopo di lei ,come anche prima, il bel portiere aveva
continuato a lasciare dietro di se una scia interminabile di donne sedotte ed
abbandonate. Mai amore, mai sentimento o coinvolgimento. Era
sconvolgente... Alla fine dell’allenamento i ragazzi si lasciano andare
rilassandosi finalmente un poco; risuonarono risate, pacche sulle spalle e
anche qualche battutaccia pesante buttata amichevolmente sullo scherzo. "Ehi,
capitano! Ieri Roxane ti ha mandato in bianco, eh?" "Già, pare abbia
preferito gli occhioni neri del nostro portiere!" "Non solo gli occhi,
direi..!" "Non gli hai fatto goal neanche stavolta!" Karl rispose qualcosa
fingendosi arrabbiato con Brennan che lo prendeva in giro mentre sulle labbra di
Price aleggiava un sorrisetto sarcastico e nulla più. Quando tornai a
casa non feci a tempo ad aprire la porta che Marj mi saltò addosso, subissandomi
di domande con gli occhioni che luccicavano. Voleva sapere tutto, nei
minimi dettagli e non mi lasciò fare la doccia fino a che non mi ebbe spremuta
come un limone. Sospirai, pensando che non avrei retto molto quel
trattamento. Il giorno seguente il programma d'allenamento prevedeva
esclusivamente esercizi: scatti, palleggi, e... rigori! Ero
entusiasta. Detesto i rigori in partita, ma ammetto che sono un momento
emozionantissimo da immortalare. Mi apprestai a riprendere i ragazzi che
dovevano tirare, ottenendo degli scatti tutto sommato non malvagi: Karlz teso,
Brennan concentrato, Shuster forse un pò troppo rilassato. E Karl. Per lui
segnare, in allenamento o no era questione di principio. Solo che quando tra i
pali c'era l' SGGK l'impresa si prospettava ardua. E Karl, a quanto mi
parve di capire, era un problema anche per Benjiamin. Il portiere, prima
quasi noncurante di chi fosse ad occupare il cerchietto
degli undici metri, ora era concentrato su Schneider, lo sguardo
bruciante direttamente in quello gelido del tedesco. Che caricò il tiro e…
parata! Benji si rialzò recuperando il cappellino che era volato via nel salto e
si voltò con un sorrisetto sprezzante verso Karl, il quale, per il
disappunto aveva stretto i pugni. Altri quattro tiri, altre quattro parate.
Ogni volta gli stessi sguardi tra i due. Tanto amici fuori dal campo, tanto
rivali quando si trovavano l’uno di fronte all’altro. Il giorno e la
notte...Così diversi eppure così simili… "Attenzione là dietro!!" Mi abbassai
appena in tempo per schivare un bolide che sfiorò la mia macchina ancora sul
cavalletto e si infilò dritta nella siepe alle mie spalle. "Accidenti! Ero
distratta!" "Palla!" L’allenamento era ufficialmente finito ed i
raccattapalle erano già tutti a cambiarsi, ma i due nemiciamici avevano deciso
di fare ancora qualche tiro. "Ehi, fotografo, ho detto palla!" Avevo i
capelli raccolti sotto un cappellino, gli occhiali scuri, maglietta larga e
pantaloni sportivi a "centotasche" (ovvero come diceva sempre Marj: "Non sei una
donna, sei un fotografo!"). Ora: mica perché non avevo gonna corta e tacchi a
spillo uno stupido asino che gioca a calcio ( in porta, per giunta, e che
quindi, per definizione, non fa un tubo per quasi 90 minuti!) mi poteva trattare
a quel modo! "Come hai appena tenuto a puntualizzare tu, sono un fotografo e
non un raccattapalle. Quello che gioca a calcio sei tu, quindi riprenditela
!" Non era affatto abituato a farsi trattare a quel modo. Lo sguardo
gelido del portiere prese fuoco ma non mi feci
intimidire. "Come ti permetti?! Ehi, tu, dico a te! Non sai con chi stai
parlando, ragazzino!?" Intanto stavo riordinando la mia attrezzatura,
piuttosto scocciata da quella discussione che rischiava di farmi arrivare tardi
alla lezione con Kristine. "Senti un po’: visto che lavoro per questa squadra
so benissimo chi sei, e me ne infischio! State giocando dopo l’orario di
allenamento, i raccattapalle non ci sono più, io faccio il fotografo quindi
arrangiatevi!" Non la prese bene. Portò le braccia al petto, serrando le
labbra e la mascella con fare risoluto, mentre gli occhi scuri lampeggiavano con
il chiaro intento di volermi incenerire. Era nero, decisamente. Sentii alle
sue spalle la voce del biondo capitano venirmi in soccorso e sospirai "Ehi,
Elena non esagerare! Benjiamin potrebbe perdere la pazienza!" "Elena?"
Price si voltò di scatto verso Schneider per poi squadrarmi da capo a piedi,
allibito. Non gli diedi il tempo di replicare "Scusa Karl ma della sua
pazienza me ne frego! E poi se arrivo tardi tua sorella mi scuoia
viva!" dissi, caricandomi il tele in spalla ed andandomene lasciando il
giapponese di stucco e la palla nella siepe.
"Elena?!" mi girai piuttosto
sorpreso che Karl conoscesse quel rospetto arrogante. "Già, Elena! E’
un’allieva di mia sorella ed un ottimo fotografo. Ed ha anche un bel
caratterino... direi che ti ha dato proprio una bella lezione!" ridendo mi diede
una pacca sulla spalla. "Ma vaffanculo, Schneider!" gli ringhiai,
rinviandogli senza troppa gentilezza il pallone che avevo recuperato nel
frattempo dall'intrico di rami dove si era incastrato, e che il Kaiser stoppò
con un sorrisetto ironico stampato sulle labbra.
"Coosa? Cos’hai
fatto?" "Tranquilla ciccia, mica te l’ho sciupato! Gli ho solo dato una
lezioncina di educazione!" "Già, e da domani ti renderà la vita
impossibile!" "Karl!" "Ciao fratellino!" lo salutò Kristine, andongli
incontro per poi sedersi sulla staccionata accanto a lui. Il capitano non
indossava più la divisa da allenamento ma un paio di jeans che gli fasciavano le
gambe muscolose ed una polo bianca che disegnava il torace scolpito. I capelli
erano ancora un poco bagnati e gli occhi azzurro-ghiaccio sorridevano mentre il
bomber rievocava la scenetta di un’ora prima. Bello da lasciare senza
fiato... "Benjiamin è andato avanti almeno dieci minuti ad inveire contro di
te! Vi conoscete da mezza giornata neanche, e sei già riuscita a mandarlo in
bestia, complimenti! " "Mmm, già, grazie! Comunque di cosa pensa Mr
Sontuttoio me ne infischio! Tra l’altro come soggetto è pure
deludente!" "Deludente l’uomo più ambito di Monaco? Colui per il quale ci
sono le file di ragazzine urlanti fuori dai locali? Ma dai!" "Cos’è
fratellino, parli per invidia?" lo schernì Kristine con un sorrisetto ironico
"Un uccellino mi ha detto che ti ha soffiato la ragazza l’altra sera…" "Gli
uccellini della mia squadra parlano un po’ troppo e non ti raccontano mai quando
sono io a soffiarle a lui!" e così dicendo prese scherzosamente la sorella da
dietro e la strinse con forza, ridendo. "Ahi stupido! Lo so, cosa credi, che
tu e lui andate in giro insieme a caccia!" si ribellò Kris. "Povera
sorellina ferita! Non ti è ancora passata, eh?" Io e Marj ci scambiammo uno
sguardo preoccupato e decidemmo di intervenire: Karl adorava la sorella ma alle
volte faceva il fratellino insensibile, proprio come in quel caso... "Certo
che fotografare il capitano del Monaco è tutta un’altra cosa… mica quel
ghiacciolo giapponese!" (lo sguardo infuriato di Marj diceva: "Vabbè salvare la
situazione ma vorrai mica mettere…!" Cercai di trattenermi dal ridere...
) Karl raccolse il complimento "Vedo che te ne sei accorta!" e mi
sorrise malizioso. "Beh" continuai "tu in campo sei autoritario ma umano. Lui
è terrificante! Freddo come un iceberg! Ma respira?" "Respira ,
respira!" rispose, rivolgendo un un sorrisetto acido rivolto alla
sorella "altroché se respira! Se tu lo conoscessi in privato te ne
accorgeresti!" "Karl! Tieni Benjiamin lontano dalle mie
ragazze!" "Sorellina, hai mandato tu quest’agnellina tra i lupi!" replicò con
aria innocente. "Mi sembra di non avervi mandato esattamente un’agnellina… o
sbaglio? Non è stramazzata ai piedi di Benji, o no? Elena si sa difendere da
certi tipi! Non come qualcun’altra…" disse, rivolgendo a Marj
un’occhiata eloquente. "Tu ci sei cascata, però!" rispose la mia socia senza
pensare. L'avrei strozzata volentieri... Per fortuna Kristine sembrava aver
ormai assorbito il colpo. La guardò sospirando e scuotendo il capo "E' per
questo che voglio che vi stia lontano, e vi assicuro che non è per gelosia!" e
poi, rivolgendosi minacciosa al fratello "Tieni Benji molto, molto lontano da
Elena o giuro che i prossimi Mondiali non li giochi!" "Ma non è quella che
si sa difendere da sé? Comunque,tranquilla, Elena non se l’è certo fatto
amico!Anzi, temo che da domani le darà del filo da torcere!" Infatti il
giorno seguente fu guerra aperta. Per mia fortuna Price fu troppo preso
dall'allenamento intensivo a cui l'allenatore dei portieri aveva deciso di
sottoporre i sui pupilli per potersi sfogare, ma le occhiatacce che mi lanciava
erano più che eloquenti. In un momento di pausa, Karl mi si avvicinò,
confermandomi che il nipponico me l'aveva proprio giurata! Non me l'avrebbe
assolutamente fatta passare liscia, non poteva permettersi di farsi trattare a
quel modo da una ragazzina! Il pomeriggio passò comunque tranquillo, e fui
costretta ad ammettere che seppure il giapponese aveva un carattere detestabile,
il suo lavoro lo sapeva fare, eccome. Non si fece sfuggire un pallone e dimostrò
una dedizione quasi maniacale alla preparazione atletica. Davvero un
campione. Erano gli ultimi tiri, di nuovo si ripeteva la sfida tra il Kaiser
e l'SGGK. Pensavo di poter stare tranquilla, posizionata com'ero quasi dietro la
bandierina del calcio d'angolo. Invece mi sbagliavo. Il bastardo si fece
infilare un gol da Karl (si era visto lontano un kilometro che non aveva fatto
il minimo sforzo per andare a prendere quella palla... ) e con falso disappunto
colse l’occasione per scagliare violentemente il pallone sul prato dietro di se
in modo che mi rimbalzasse quasi addosso. Non ci vidi più… "Stronzo!"
sibilai in modo che mi sentisse. "Coosa?" si voltò, gli occhi lampeggiarono
promettendo nulla di buono. L’avevo fatto di nuovo, l’avevo sfidato ancora
davanti ai suoi compagni! E ché credeva, che mi sarei fatta prendere a
pallonate? "Senti bello! Ti ho già detto che non me ne frega un accidenti di
chi sei! Sono qui a lavorare anche per te, purtroppo! Se il tuo muso appare
sulle riviste più bello di quello che è tanto da attirarti intorno le ragazzine
come le mosche il miele, beh, spiacente ma è anche merito mio!" Aveva proprio
perso la pazienza. Mi si avvicinò sovrastandomi con tutta la sua mole, ma sono
testarda e non mollai: troppi sbruffoni come lui mi avevano messo i piedi in
testa, era questione di principio! "Tu sei solo una ragazzina sfrontata che
non si può permettere di dire certe cose al portiere titolare del Bayern!
Pretendo le tue scuse "fotografo"!" Aveva decisamente superato il
limite… "Senti un po’, Benjiamin Price! Sono stata assunta per eseguire un
compito spiacevole: seguirvi nei vostri dannati allenamenti e nelle vostre
dannatissime partite per farvi delle foto in cui si veda che siete umani e non
extraterrestri! Herr Lauber ha davvero delle belle pretese! E se già prima
non mi stavi simpatico per nulla, ora è pure peggio! Perché quella palla ha più
espressione della tua faccia!" un sopracciglio scattò verso l’alto. Era
veramente nero. "Almeno, vedi di non rompere e fa il tuo lavoro come se io
non ci fossi!" continuai e, abbassando il tono della voce, cosicché mi potesse
udire solo lui, aggiunsi "come tutte le mattine nel parco, non sei d’accordo?"
Lo avevo spiazzato. Mi fissò e mi accorsi che l'ira aveva lasciato posto
allo sgomento. A Marj non l’avevo detto altrimenti sarebbe venuto fuori il
finimondo! Già, il tipo che correva e si allenava con me e Zingaro tutte le
mattine era lui, l’odiato portiere… Non che non l’avessi già riconosciuto,
faccio il fotografo, mica sono cieca! Solo che non c’era nulla da dire. Io nel
mio mondo, lui nel suo. E che vuoi dire all’uomo che ha spezzato il cuore di una
delle tue migliori amiche? Così, ognuno nei suoi pensieri, nei suoi
problemi, a dedicarsi alla propria passione. In silenzio.
"No, non ci
credo, non è possibile! Certo che il mondo è piccolo! Così questo ragnetto
strafottente è l'amazzone silenziosa che si allena con me la mattina! Che
assurda coincidenza! Mmmm, e adesso?" ero allibito, ma non avevo
nessuna intenzione di dargliela vinta. Lei era lì, piazzata dinnanzi a me a
braccia conserte e mi guardava dritto negli occhi. Che sfrontata! "Ok
ragazzina, io il mio lavoro, tu il tuo. Ma vedi di portare un po’ più di
rispetto!" La ragazza mi guardò con aria di sufficienza, fece spallucce e
girò sui tacchi senza proferire altra parola. "Accidenti che tipo!
Almeno fosse una bella ragazza!" pensai spazientito. Aveva davvero il dono di
farmi saltare i nervi.
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Capitolo 4 *** 3 ***
ac03a
Era l’ultima di campionato, già per altro in mano al
Monaco da almeno due giornate. Ma la partita è la partita, nulla a che vedere
con l’allenamento.
L'atteggiamento dei ragazzi era completamente differente: la tensione era palpabile, l'adrenalina alle stelle, i
sorrisi tesi. Compresi davvero allora perchè Karl fosse
soprannominato "Il Kaiser". In campo non vidi scendere il solito ragazzo ironico e pronto
a ribattere alle battute degli amici, ma un dio indiscusso dai propri
compagni. Impassibile, controllo del gioco invidiabile, sempre nel posto giusto al momento giusto,
pronto a ricevere la palla ma anche a passarla a chi era in posizione migliore
della sua. Un vero leader. Anche in porta tirava un’altra aria: Price era se possibile ancora
più puntiglioso con la difesa che non in allenamento, ed è tutto dire...
Seguiva il gioco con attenzione, non si faceva sfuggire nulla, neanche il
minimo dettaglio e interagiva alla grande anche col centrocampo. Il tono
della voce perentorio, deciso. Nello sguardo la stessa voglia di vincere di
Karl, gli occhi scuri in fiamme, mentre quelli azzurri del tedesco avevano
assunto il colore dell’acciaio. Difesa e attacco… complementari,
indispensabili l’uno all’altro. Ragionavano come una cosa sola e gli altri non
ribattevano mai. Era come se il ruolo del capitano fosse sdoppiato ma la squadra
non ne risentiva, anzi! La loro forza era quella di essere "squadra". Certo,
erano tutti campioni, militavano praticamente tutti nelle rispettive nazionali,
ma la loro vera forza era che sapevano giocare insieme e si fidavano ciecamente
di quei due che lavoravano come un unico cervello. Monaco–Stoccarda 3-0! I
nostri avversari le provarono tutte ma già dopo tre minuti erano sotto di un
goal. L'idolo
di Marjorie dimostrò per l'ennesima volta di meritare pienamente il titolo di SGGK: non fece passare un pallone, diresse magistralmente
la difesa ma, soprattutto, non sottovalutò mai l'avversario, prevedendone le mosse
con intuito e senso del gioco da vero
fuoriclasse. Dal canto suo Karl era un martello: non perdeva occasione di
portare in avanti la squadra, palla al piede, determinato a segnare. I colleghi che mi circondavano mi canzonavano amichevolmente, comprendendo benissimo che il calcio
non era proprio il mio sport. Uno di loro, tale Paul, anch'egli assunto dal
Bayern, mi diede una mano e rimase di stucco quando capì quale era effettivamente il mio
compito. "Ti hanno assunta per fare un bel lavoretto!" sorrise "Con alcuni giocatori... beh... non
ci sarà molto da dire... ma altri ti daranno sicuramente
parecchia soddisfazione!" e mi strizzò un occhio, facendo cenno col capo in
direzione della nostra porta. Lo guardai ad occhi spalancati "Lui?! Sarà pure
un bell'uomo, ma fino ad ora non è che mi abbia poi entusiasmato
tanto..." Paul allargò il sorriso bonario e mi dette una pacca su una spalla
"Lo conosci da troppo poco, eppure ti assicuro che Price si dimostrerà un osso
duro ma un soggetto molto interessante..."
"Però, Ben!Non
male questa foto sul tiro di Bauer!" esclamò Karlz, evidentemente sorpreso da
quello che stava osservando
sul monitor del pc acceso. La foto che appariva nell’ home page del sito
della squadra mi ritraeva a terra, il pallone tra le braccia e l’attaccante
dello Stoccarda, che per poco non mi aveva travolto, che mi guardava da dentro la
rete, furioso. "Non male, effettivamente…" La fissai per diversi minuti, quasi ipnotizzato: in
quella immagine c’era tutto quello che avevo provato nei brevi istanti
dell’azione. Era come se chi l’aveva scattata mi avesse inspiegabilmente letto
dentro...
"Belle! Proprio proprio
belle!" Marj stava ancora pensando alle foto della partita che le avevo mostrato
poc’anzi. Eravamo in maneggio dopo l’ultima lezione della giornata e stavamo passeggiando
l’una accanto all’altra mentre aspettavamo che il sudore dei nostri cavalli si
asciugasse un po’. "Ok, ammetto che la partita è mooolto più divertente degli
allenamenti. Niente a che vedere però con una bella gara di equitazione, meglio
ancora se di dressage!" dissi facendole l'occhiolino e sistemando una ciocca
ribelle della criniera del mio stallone. "Niente a che
vedere coi nostri bimbi, certo!" anche Marj accarezzò con affetto il suo
grigio "Ma vedrai mercoledì in finale! Ci saranno i fuochi
d’artificio!" "Addirittura?!" la guardai un po’ interdetta (per un
momento l’avevo presa in senso letterale e la mia socia mi guardò con
compassione). "Cretina! Volevo dire che mercoledì si ripeterà la sfida
Hutton-Price!" "Hutton?" chiesi, cadendo dalle nuvole mentre la bionda scuoteva
il capo disperata per la mia totale ignoranza in campo
calcistico. "Sei una frana! Oliver Hutton, capitano della squadra giapponese, è
l’avversario che Benji teme di più! Fu il primo a segnargli un goal ancora
quand’ erano ragazzini! E’ la sua bestia nera! Eppure è anche il suo più grande
amico!" "Wow, che telenovela!" esclamai e Marj di nuovo dette un sospiro
rassegnato.
"Sera, lo stadio è in delirio.
Eccoti lì, incurante di quello che ti accade intorno, il piede destro sul
pallone in attesa che l’arbitro dia il via alla partita… L’ultima volta che
ci scontrammo, ormai due anni fa, vincesti tu. Come sempre... Ma stasera
no, non sarà così, non violerai la mia rete. Vincerò io… devo… l’ho promesso…" Osservavo Oliver dal
centro della porta, come ormai avevo fatto decine di volte. Ma qualla partita
era diversa, dovevo prendermi ben più di una rivincita. E forse sarebbe stata
la mia ultima
occasione.
Dovetti dare ragione a Marjorie: la finale di Champions
era tutta un'altra cosa rispetto al campionato! L'atmosfera era densa di
aspettative, tensione e, sì, anche un pò di paura. La voglia di vincere era come
un fluido palpabile che avvolgeva i giocatori. Karl metteva quasi soggezione
e Price... ne rimasi colpita. Non l'avevo mai visto così. I tratti del viso
severi, glaciali, ma gli occhi erano tizzoni ardenti. Quella sera era
impossibile reggere il suo sguardo, bruciante e magnetico. Hutton, pensai,
doveva essere davvero un avversario temibile. Oliver si dimostrò veramente
una brutta gatta da pelare. Lui e Karl si dettero battaglia a centro campo con
risultati alterni. L'SGGK dovette sfoggiare tutta la sua bravura, fece miracoli
e non permise al compatriota di segnare. Ne stava facendo più che una questione
di principio. Novanta minuti. Novanta lunghi minuti di battaglia
estenuante. Causa la troppa tensione uno dei nostri, Schieffer, si fece buttare fuori
lasciandoci in dieci. Schneider era furioso ma reagì immediatamente mentre
Price mantenne una calma glaciale e si riorganizzò la difesa. Allo
scadere del secondo tempo supplementare dovette nuovamente dar sfoggio di
tutta la sua tecnica, salvando la situazione in extremis. Hutton aveva infilato
un tunnel a Coleman, dribblato agilmente due dei nostri difensori e fatto
scivolare con precisione la palla sui piedi di Gonzales. Il quale si trovò praticamente
solo davanti al portiere, che non aveva mollato l’azione un istante
ma nonostante tutto non si era ancora sbilanciato. Un cambio di equilibrio
sbagliato o frettoloso e la palla sarebbe stata dentro! E lui di Hutton
non si fidava… Difatti Gonzales fintò il tiro, che si rivelò uno splendido
assist per il giapponesino, il quale si gettò sulla palla di testa e… parata!
Benjiamin aveva aspettato fino all’ultimo, cogliendo l'intuizione giusta. Il suo
sguardo aveva seguito il centravanti del Barcellona ma il suo istinto gli aveva
detto che il portoghese non avrebbe concluso l’azione. Era stata una partita
stupenda, carica di emozioni. Era davvero un piacere vedere degli atleti
impegnarsi così a fondo. Andammo ai rigori e di nuovo si ripetè l'eterno duello
tra i due campioni.
"Eccoci di nuovo qui, l’uno di
fronte all’altro. Come è successo tante volte che non le conto più. Lo sai,
Holly, che sono quasi vent’anni che ci conosciamo? E’ da tutto questo tempo
che giochiamo insieme, come compagni o come avversari. Fosti tu, in quel
campetto a Fujisawa il primo a segnarmi un goal… Fosti tu il mio primo, vero
amico. Ma sei anche il mio peggior nemico. Stasera non ti lascerò segnare,
stasera mi prenderò la rivincita di quella sfida a Fujisawa. Non mi farò
scappare quest’occasione, anche perché sai, amico, potrebbe essere l’ultima
volta che ci affrontiamo in campo ufficiale... E poi ho fatto una promessa… ho giurato che avrei
vinto
la Champions e che ti avrei
finalmente battuto… e poi i Mondiali l’anno prossimo…"
"Siamo ancora qui Benji, vecchio amico. Quante volte…
Quanto tempo… Eravamo bambini quando ci sfidammo la prima volta… ora siamo
uomini, ma non è cambiato nulla. L’amicizia, l’amore per il calcio. Siamo sempre
rimasti legati anche se ci trovavamo ai capi opposti del mondo. Mi mancava una
bella sfida con te… Sei l’unico portiere che mi mette veramente in difficoltà…
perché mi conosci bene, troppo bene. L’ultima volta ho vinto io, ma tu non
c’eri con la testa, lo so, non eri il solito Benji e ne avevi tutte le ragioni…
Oggi vedo nei tuoi occhi la solita determinazione, la solita freddezza, il
vecchio fuoco ardente della voglia di vincere. E’ questo il Benjiamin Price che
conosco, quello che amo sfidare... e battere!"
Ero affascinata da quello strano rapporto tra i due
giocatori. Era profondo, molto più profondo dell’intesa quasi fraterna tra il
portiere ed il capitano tedesco. Era amore-odio allo stato puro. Mi
concentrai su Price, provando una sensazione strana, come una certezza assoluta
che lui non poteva sbagliare. Non in quel momento, almeno... Fotografare un
portiere non è cosa poi tanto facile: bisogna cogliere quel leggero
sbilanciamento che precede il salto per precederlo ed ottenere l'inquadratura
perfetta. Può essere la foto di un trionfo o di una sonora sconfitta. Ma in
quell'istante avevo piena fiducia in lui. Hutton caricò il tiro, lo sguardo
dritto in quello di Price…
LA SFIDA
HUTTO-PRICE
E’ SEMPRE EMOZIONANTE! I DUE NIPPONICI SI STANNO
OSSERVANDO IN ATTESA DEL FISCHIO DELL’ARBITRO…HUTTON CARICA IL TIRO…
PARATA!!!! PRICE L’HA PRESA! GRANDE PRESTAZIONE DEL PORTIERE DEL BAYERN CHE, QUESTA VOLTA,
NON SI E’ LASCIATO TRARRE IN INGANNO DAL CONNAZIONALE! UNA PARATA CHE VALE
LA VITTORIA
DELLA CHAMPIONS ALLA
SQUADRA DI MONACO DI
BAVIERA!
Esultai
guardando il monitor della mia reflex. Ce l'avevo fatta! Avevo una foto spettacolare
del momento in cui Price afferrava saldamente il pallone tirato da Hutton
ed un'altra stupenda in cui levava gli occhi e la sfera al cielo. Bellissime! Più
tardi riguardai le immagini della partita e sussultai soffermandomi su
quell'ultimo scatto: gli occhi neri, sempre freddi ed inespressivi erano colmi
di lacrime. E non erano lacrime di gioia. Rimasi ad osservarla per un
poco mentre una sensazione di pena mi stringeva lo stomaco. Alla fine
la celata si era sollevata, mostrando sotto quella spessa corazza un cuore
umano. Il giorno seguente
consegnai il lavoro a Sonya Ferrari, la giovane italo-americana responsabile dell'immagine della squadra, con la
quale avevo subito fatto amicizia. Tra le altre, misi
anche quella foto. Non avevo avuto cuore di cancellarla ma la pregai di non
pubblicarla, se non dopo aver chiesto il permesso al diretto
interessato. Sonya mi guardò con un sorrisetto malizioso, lanciando una
frecciatina cattiva "Ma non eri tu quella che non lo sopportava? Vuoi vedere che
il nostro bel portiere ha fatto colpo pure su di te?" Dovetti assumere un'espressione davvero inorridita,
poichè la manager scoppiò
in una sonora risata alla quale risposi con una boccaccia
stizzita.
Campionato e Champions finito, io e le mie amiche ci concedemmo
alcuni giorni nella mia adorata Toscana. Al nostro rientro, spettava a Sonya
un compito per lei poco piacevole: l'organizzazione di una festa semi ufficiale
durante la quale due nuovi elementi sarebbero stati presentati al resto della
squadra. Uno di loro era il suo ex fidanzato, il francese Louis
Martinì. Ci chiese perciò di essere presenti: aveva bisogno di un sostegno
morale anche se ormai era storia vecchia. Andammo e Marj rimase a
casa… "Ma uffa!" pestò i piedi come una bimba capricciosa, gli occhioni
azzurri carichi di lacrime. " Marj" le dissi mentre mi cambiavo "Non è
che io sia proprio contenta, e neppure Kris lo è!" "E
allora perché ci andate?
E, soprattutto, perché MI LASCIATE A CASA?!" "Perché stasera ci sarà
anche Lupo dè Lupis e con te sarebbe un problema… No, tesoro, quell’ uomo è un
pericolo pubblico e tu saresti facile preda. Già non mi piace che Kris lo debba
rivedere ma Sonya ha detto che stasera non se la sente di affrontarli da sola.
Tanto più che quel francese è un suo ex…" "Dì la verità, tu ci vai per
Karl!" Colpito e affondato… "Ok, anche… Non è che mi dispiaccia
l’idea, ma Karl e Price non sono molto diversi, sotto quell’aspetto. No, cara,
me lo vado a mangiare con gli occhi ma non mi faccio prendere
all’amo!" "Anche
perché giuro che stavolta non ti raccolgo! Capito?" disse
imbronciata. Sapevo che la sua era tutta una finta… Marj era preoccupa per
me, perchè sapeva benissimo che io, ragazza normale e fondamentalmente
terribilmente timida, in quel mondo di vip proprio non mi ci trovavo, al contrario di lei
che ci era cresciuta, figlia di una modella canadese e di un direttore
d'orchestra tedesco, ora purtroppo separati. "Tieni a bada la lingua e sii gentile con il
mio fratellino adottivo! Dai, dai che Kris mi ha riferito che la tua abbronzatura
ha fatto colpo sull’Imperatore!" e mi fissò socchiudendo gli
occhioni, maliziosa. "Vipera!" le urlai, lanciandole un cuscino e
facendole la linguaccia. Beh, quella sera l’abbronzatura non l’avevo nascosta... Sonya mi
aveva costretto a mettermi in tiro indossando il mio completo preferito: bolero
bianco senza spalle, corto, pantaloni anch'essi bianchi, larghi a dissimulare le
forme un pò troppo prosperose, a vita bassa, che lasciavano intravvedere il
tatuaggio in fondo alla schiena. Fece il suo effetto. Io e Kristine
arrivammo che Sonya stava discutendo animatamente con due giornalisti. Ci
raggiunse quasi subito, rincuorata dalla nostra presenza, e cominciammo a
chiacchierare un po’ in attesa dell’arrivo dei giocatori e degli altri
invitati. "Eccolì lì, Mimì e Cocò!" esclamò indicando alle nostre spalle i
due campioni. Price
e Schneider avevano fatto "l’ingresso in campo". Me ne ero accorta: lo sguardo
delle ragazze intorno a noi si era improvvisamente puntato sulla porta della
hall!
"Kristine è sempre
bellissima! Quell’abito azzurro le è sempre stato molto bene. A volte penso proprio di aver
fatto un'idiozia, con lei…" La sorella di Schineider indossava un abito di
seta blu cangiante, aderente al corpo cesellato dallo sport. Molto fine e molto
sensuale.
"Chi diavolo è la ragazza con lei e Sonya? Mai vista, non male!"
notai automaticamente. "Se ti stai chiedendo chi
è il tipino con mia sorella, preparati perché sarà uno schok!" Karl doveva aver
intercettato il mio sguardo e mi sorrideva con aria furba. "Non ci crederai mai ma
la conosci, ci hai già parlato almeno due volte..." era molto, molto divertito!
"Ciao sorellina! Buona sera Elena, non pensavo che Sonya sarebbe riuscita a
convincerti!" sorrise alla morettina e girò uno sguardo complice verso di
me. La ragazza si voltò: capelli
mogano, occhi nocciola poco truccati, viso leggermente ovale, labbra piccole ma
carnose con un filo di rossetto chiaro. Semplice ma carina. Non mi
era nuovo quel viso, ma dove?... Mi guardò negli dritto occhi, sorprendendomi:
quasi nessuna aveva il coraggio di farlo così direttamente, a parte… No! Lei?!
La dimostrazione che la fiaba del brutto anatroccolo non è una balla!
"Sorpreso, eh Price?" la sua espressione diceva tutto e non c’era il cappellino a poter
celare la sorpresa che lessi nei suoi occhi. 1-0 per me. La partita cominciava
alla grande! "Bene bene!" riprese istantaneamente il controllo
della situazione "Karl mi aveva detto che eri una ragazza ma quasi non gli
credevo!" e mi lanciò un'occhiata sarcastica. Stavo per rispondere in maniera
non molto ortodossa ma Kristine mi precedette "Dai Benji, sei sempre il
solito! Tu le donne le guardi sole se hanno gonna e tacchi alti! Come sei
maschilista!" lo canzonò. Price stette al
gioco. Aveva molta confidenza con Kri, e non solo per la loro storia finita male: prima
di quello erano stati in qualche modo amici. "Diciamo che preferisco gli
abiti aderenti e scollati a magliette larghe e tute da ginnastica!" le sorrise
accennando un occhiolino, ed in quel momento vidi la corazza di Kristine andare
in frantumi Per fortuna Karl quella sera fu clemente con la sorella e ci
portò via il portiere con una scusa.
Peccato, io la compagnia del biondino
l’avrei gradita! Meglio però salvare il cuore in cocci della mia
amica.
"Non male la nostra fotografa. Peccato
che abbia proprio un brutto carattere!" constatai. "Molla l’osso,
amico!" disse Karl fintandomi un pugno sulla spalla "Quella è la mia
preda personale!" Lo guardai stupito "Schneider, mi sorprendi! Non
pensavo ti piacessero i brutti anatroccoli!" "Devi ammettere che la
trasformazione in cigno ha lasciato piacevolmente sorpreso anche te… o sbaglio?
Elena non è male, ma per quel che CI riguarda " e così dicendo mi rivolse uno
sguardo d’intesa "è terreno tabù! Dopo quello è successo con mia
sorella anche io devo stare attento con le sue allieve! Ma con lei, a tempo
debito, penso che ci proverò…" "Contento tu…" dissi scuotendo il capo e
lanciando un'ultima occhiata alle due ragazze. "Si" pensai " effetivamente la trasformazione
in cigno non è male per nulla..."
La mia serata continuava meglio del previsto: anche gli
altri ragazzi della squadra avevano apprezzato la mia "mise" da sera, qualcuno
azzardando la battutina che se mi fossi presentata così in campo il giorno dopo
di certo non avrebbero pensato a giocare! Però Sonya aveva ragione, un po’
di complimenti stavano facendo bene al mio ego ormai inesistente e
calpestato... Verso le dieci e mezza arrivarono i due nuovi
elementi della squadra. Io e Kristine fummo prontamente al fianco di Sonya ma, per
fortuna, la nostra amica resse il colpo meglio di quanto lei stessa
si sarebbe aspettata. Il bel francese, tra l'altro, si comportò da vero
cavaliere, fugando definitivamente ogni nostra preoccupazione. Chi mi
colpì piacevolmente fu l’altro giocatore nuovo, lo scozzese Jacob Mc
Comick. Riccioli rossi, occhi castano – verdi, qualche lentiggine
sparsa ed un corpo eccezionale, messo in risalto da una maglia nera
aderente a manica lunga e jeans firmati anch’essi aderenti alle gambe muscolose.
Non male, no niente male davvero… Era quasi mezzanotte e mi sentivo
soffocare. Non ne potevo più di vip, modelle, calciatori e bel
mondo. Uscii sulla terrazza a prendere un pò d'aria,
sperando di potermene stare tranquilla, quando mi trovai d'improvviso il rosso
scozzese accanto, bicchiere in mano ed un sorriso seducente sulle labbra. Fui subito
all'erta. Con tutte le splendide ragazze che affollavano la sala, proprio ME
doveva venire a cercare? Non mi fidavo. "Sai, non è che ami più di tanto
tutto quel trambusto. Dei giornalisti poi proprio non ne parliamo! Sempre in
cerca della scaldaletto da infilare in prima pagina! Anche quando sei innocente
vorrebbero metterti in gattabuia!" mi sorrise cercando complicità. "Già, certo che
alcuni tuoi colleghi non è che non li cerchino i guai!" puntai lo sguardo su
Price, il quale si trovava alle sue spalle in compagnia dell’ennesima super
modella. Anche Jacob si voltò. "Già, qualcuno di guai a Sonya ne procura
proprio tanti… Ma alla fine, finchè si tratta di donne non è poi tanto grave! Ce
chi ne combina di peggio!" così ci mettemmo a chiacchierare di giocatori
disonesti, partite, campionati… calcio! Di solito non era il mio argomento
preferito, ma quella sera e quella compagnia lo fecero diventare
interessante.
"Allora, non è andata male la serata di ieri, eh?" Marj ed
io avevamo finito di montare ed ci stavamo concedendo una passeggiata rilassante
nel parco in sella ai due cavalli di Kristine . "No, non male… Jacob non
sembra il solito calciatoretestavuota." risposi sorridendo. "Neanche Karl lo
è! E neanche Benjiamin!" replicò stizzita. "Sul secondo evito
di pronunciarmi…" le feci una smorfia e continuai "Karl non ha di
certo la testa vuota ma è troppo pericoloso, troppo Dongiovanni e, soprattutto,
è il fratello di Kristine nonché tuo amico d’infanzia! Scusa, troppe
complicazioni!" sorrisi, scuotendo il capo. "Forse hai ragione, ma vacci coi
piedi di piombo con lo scozzese,ok?" "Tranquilla, tesoro! Sono stufa pure io
di farmi raccogliere in cocci da te!" Sospirai, assaporando deliziata l'aria
frizzante del tardo pomeriggio. Mi sentivo bene.
Finalmente mi sentivo bene.
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Capitolo 5 *** 4 ***
Salii rapidamente le scale e mi fermai sulla soglia
dell'ufficio di Sonya, bussando sulla porta aperta. “Buon
pomeriggio, bellezza!” esordii con un sorriso. Seduta ad una delle scrivanie
che occupavano l'ampia stanza affollata di monitor e pc perennemente
accesi, la nostra affascinante manager era concentrata nella lettura
di un qualche fascicolo che teneva elegantemente posato sulle lunghe gambe
accavallate. Non potei fare a meno di ammirare ancora una volta
quella splendida donna che avevamo l'onore di avere come manager della squadra:
alta, mora, fisico perfetto, lunghi capelli neri tra i quali spiccava una
ciocca bianca su un lato della fronte, Sonya era sempre impeccabilmente
elegante. Peccato che Lauber la ritenesse praticamente una figlia... Non
mi andava di rischiare il posto in squadra per una donna. “Toh, chi si vede! E che ci fai qui su nel mio regno?” rispose sollevando lo
sguardo verde acqua su di me e sorridendo a sua volta. “Burocrazia… Una delle tue
assistenti mi ha detto che ci sono degli autografi da fare…” Quando sei
l’SGGK devi scendere a qualche compromesso coi tuoi fans... “Mmm, è vero, me ne stavo dimenticando” mentre mi rispondeva, la ragazza si voltò a prendere da
una scrivania un pacchettino di foto da firmare, porgendomele “Ecco qui, buon
lavoro!” “Grazie!” risposi sedendomi.
Cominciando a scrivere, sfiorai il mouse del pc, riaccendendo il monitor. Volsi automaticamente lo sguardo
e rimasi gelato, senza fiato. “E questa cos’è?” Lo vedevo benissimo
cos’era: una mia foto scattata durante la finale di Champions, una foto di cui
non conoscevo l'esistenza. “Ah,si... stavo cercando delle immagini per un lavoro che
stiamo preparando io ed Elena…” “Questa non l’ho mai vista…” continuavo a fissarla,
ipnotizzato. Potevo sentire il battito del cuore profondo nel mio petto,
travolto nuovamente da quell'emozione, misto di gioia e dolore, che avevo
provato la sera della finale... “Già, Elena mi ha proibito di pubblicarla.”
rispose la ragazza, stringendosi nelle
spalle e scuotendo il capo. “Ti ha proibito di pubblicarla?”
mi voltai di scatto verso di lei, sconcertato dalle sue parole. “Già, mi ha detto che in quella foto sei triste e che
la tristezza della gente non si sbatte in prima pagina. Così non l’ho messa in
circolazione, ma se a te piace…” “No, va bene così.” replicai secco. Il monitor era andato
nuovamente in stand by, nascondendomi quell’immagine. Si, preferivo che non
andasse in giro, preferivo non vederla… Ricominciai il mio lavoro, stando ben attento a non
toccare più il mouse.
Il campionato era ripreso da un paio di settimane.
Quella sera me ne andai da solo in un locale in centro. Karl non c’era causa
un’amichevole della nazionale tedesca, e comunque avevo voglia di starmene per i
fatti miei. Quella ragazzina aveva il dono di mandarmi in bestia! Quell'immagine era
lì, continuamente, nella mia mente e davanti ai miei occhi. Una tortura. Per
il dolore al quale era legata, per quei ricordi che avevo cercato si seppellire
immergendomi in una vita forse non mia, ma che in un certo senso mi stordiva e
distraeva. Per quel sentimento che avevo cercato di cancellare, ma che la sera
della finale era tornato prepotente, e non ero riuscito a nasconderlo neppure a
me stesso. Quella foto era lì, a testimoniare tutto questo, e l’autrice aveva proibito di pubblicarla… Le
dovevo un favore. “Tutto solo stasera, campione?” La voce sensuale
di Lyv mi risvegliò dai miei pensieri “Karl è via per un’amichevole della
nazionale..” “Mmmm, e tu sei
qui da quasi venti minuti e non ha ancora avvicinato una ragazza… Dì, non sarai
mica innamorato?!” mi si appoggiò ad una spalla, portando il viso
molto vicino al mio. Conoscevo Lyv molto bene, e lei conosceva molto bene me…
Nell’ultimo anno era stata una delle frequentatrici più assidue del mio letto.
Avevamo un rapporto solo ed esclusivamente fisico, privo di coinvolgimento
a livello sentimentale. Andava bene così.
L’amore provoca
solo guai e dolore. Ma quella sera non ero in vena, volevo semplicemente starmene per conto mio.
“No, tesoro, sai bene che non mi innamoro mai” le sfiorai
le labbra con un bacio e l’allontanai un poco “soltanto, stasera non ho voglia di
compagnia…” “Vecchi ricordi?” “Già…” “Mmmm, allora, se vuoi
startene nel tuo mondo, è meglio se cambi aria, caro! Tra poco potresti non essere
l'unico giocatore del Bayern qui dentro!” Fui sorpreso da quella affermazione. Io e
Karl non avevamo mai trovato nessuno dei nostri in quel locale, ed era forse una
dei motivi per cui ci andavamo così spesso, oltre al numero notevole di belle
donne che lo frequentavano. “E chi ha scoperto il
rifugio mio e del Kaiser?” chiesi appoggiandomi al bancone,
incuriosito. “Quel nuovo scozzese… Mc Cormick?” rispose la bionda Rimasi di stucco: il rosso scozzese ci provava con la nostra
fotografa fin dalla sera della festa. Il loro non era ancora un rapporto
stabile, ma Jacob pareva comportarsi da vero cavaliere con lei...
“E cosa ci viene a fare al Fashion?” chiesi alla bionda, la quale nel frattempo si
era seduta accanto a me accavallando le lunghe gambe in una posa piuttosto
sexy. “Che domande, Price! La stessa cosa che ci vieni a fare tu quando
non sei di umore nero come stasera! E non è neanche tanto male, ti dirò….” ammiccò
un sorriso che diceva tutto… Non che mi desse fastidio che Lyv fosse andata a
letto con Mc Cormick, non me ne importava assolutamente nulla, ma stava
prendendo forma in me un timore che riguardava il nostro brutto
anatroccolo. “Lyv, dimmi, ma Jacob non ti ha per caso parlato di una
ragazza con cui sta uscendo?” non era da me farmi gli affari degli altri, ma non
riuscivo a mettere a tacere quel maledetto campanello d’allarme che trillava in
fondo al mio cervello. “Chi? Quella che sta cercando di portarsi a letto
da un mese? La ragazza non sa cosa si perde...” Lyv sorrise sempre più
provocante ma non le feci caso, il campanello squillava più forte... “Allora non
sei l’unica ad aver apprezzato le sue attenzioni?” continuai. “Cos’è, sei geloso?” gli
occhi ambrati da gatta si socchiusero maliziosi. Sospirai:
se volevo saper di più dovevo stare al suo gioco. Alla fine poteva anche essere
piacevole. Le presi il mento con delicatezza e la baciai di nuovo “Lo so che
sono la tua preda preferita… Jacob non si accontenta solo di te
allora?” “Curioso?” un altro bacio “Un po’…” dissi carezzandole il viso con un dito. “E va bene,
amore, hai vinto! Ma per queste informazioni paghi dazio!” scese dall’alto sgabello
del bar e mi buttò le braccia al collo, parlando con le labbra quasi a sfiorare
le mie. “Il signorino si è passato tutte le ragazze del locale e quasi tutte
le frequentatrici occasionali… La tua amichetta, se è una brava ragazza,
fa bene a non dargliela, e farebbe ancora meglio a stargli alla larga! Jacob
l’ha presa di mira, ha fatto una scommessa con dei suoi amici che si sarebbe
fatto la piccola prima di Natale! Solo per il gusto di giocare con un’anima
innocente!” Ora il campanello era un allarme rosso… Jacob era un vero
bastardo! Io non ero un santo con le donne, ma non avevo mai ne illuso ne
ingannato nessuna delle ragazze con cui ero stato. Neanche Kristine, che, pur
conoscendomi bene, si era innamorata di me. E per questo avevo troncato
subito. “Grazie della soffiata, tesoro...” “Adesso pretendo il
pagamento…” “Certo.” risposi, ricambiando il bacio. La serata prese una piega piacevole.
La mattina, quando mi svegliai per la solita corsa, mi trovai avvolto dai
lunghi capelli biondi e dall’intenso profumo della ragazza. Al mio ritorno, solo la
dolce fragranza sarebbe rimasta tra le lenzuola. Lo
stallone mi superò come tutte le mattine e lo ritrovai con la sua amazzone a
fare esercizio nel prato in fondo al parco. Non sapevo casa fare. La ragazza non
mi avrebbe creduto, probabilmente, anzi, conoscendo la mia fama di donnaiolo,
avrebbe pensato che ci stavo provando. No, era inutile parlare direttamente con
lei. Ci allontanammo dalla radura come ogni giorno, lei coccolando il suo
cavallo, io immerso nei miei pensieri. Le lanciai un ultimo sguardo prima che
sparisse dietro agli alberi: l’allarme continuava a martellarmi il
cervello. Karl la conosceva abbastanza bene, avrei potuto parlarne con lui, ma poi ci sarebbero
stati sicuramente guai in squadra, meglio evitare. Ed inoltre quello
che l’Imperatore mi aveva detto la sera della festa mi suggeriva di tenerlo
fuori il più possibile da quella storia, non volevo che il mio amico si
cacciasse in una brutta situazione. Kris era l’unica via di uscita. Dopo gli allenamenti sarei
andato a parlarle in scuderia. Avevo l’interdizione all’ingresso nel suo regno,
certo, ma sapevo bene quanto tenesse alle sue allieve. Poi quel pomeriggio Elena
aveva del lavoro da fare con Sonya, lo sapevo da lei, e quindi non sarebbe stata
nei paraggi. Era più di un anno che non entravo in quelle scuderie.
Gli stessi odori, gli stessi suoni, un tuffo nel passato. Mi
trovai la strada sbarrata da uno stallone grigio legato nel mezzo del
corridoio, vestito con i paracolpi da viaggio. Dalla selleria lì accanto
giunse un’imprecazione seguita da un tonfo e quindi ne uscì una splendida bionda dai
grandi occhi azzurri ed un fisico da favola, letteralmente sepolta da un' enorme sella
da dressage. “Hai bisogno di una mano?” chiesi. “N-no grazie…” un boccolo biondo platino
cadde davanti agli occhi che mi fissavano come se la ragazza avesse visto il
diavolo in persona. Peccato, pensai, Kri aveva fatto un bel lavoretto con le sue
ragazze… “Kristine è in
scuderia?” le tolsi la sella dalle braccia, posandola sul cavalletto lì accanto. “S-si, nell’altro corridoio…” balbettò,
fissandomi senza quasi respirare. “Ok,
grazie” risposi, voltandomi ed andandomene. La sentii sospirare e
sorrisi tra me.
Un vero peccato, davvero... Trovai Kris intenta a preparare finimenti e
coperte per la gara del fine settimana. “Siete in partenza?” esordii con un sorriso.
La
risposta non fu amichevole “TU! Che diavolo ci fai qui?!” era
furiosa. “Calma, Kris, calma! Lo sai che non vengo meno alle promesse se non
per le emergenze!” “E di che si tratta? Invece che
lasciare sei stato tu ad essere lasciato dall’ennesima puttana?” si voltò
di scatto fulminandomi con lo sguardo, inviperita. Ok, convenni, con lei avevo
decisamente fatto un'idiozia enorme, forse perché mi ero illuso anche io di
poter trovare in lei finalmente la soluzione ai miei problemi. Decisi
di prendere l’argomento di petto per stroncare subito la sua ostilità
“Sono qui per la tua allieva fotografa, si sta cacciando in un bel
guaio…”
Kris mi conosceva, sapeva che non amavo farmi gli affari degli altri. Si
levò in piedi, incrociando le braccia al seno, fissandomi seria. “Ti
ascolto.” Le raccontai quello che mi aveva riferito Lyv, spiegandole perché
avevo preferito non dir nulla a Karl ne, tantomeno, alla diretta
interessata. “Mmmm, Ele è specializzata a trovarsi
dei bastardi di prima categoria! E’ un bel guaio.” sospirò, molto preoccupata per l’amica
“Proprio oggi me lo dici! Accidenti! Io e Marj partiamo per quattro giorni per
una gara nazionale, e francamente vorrei parlarne a quattrocchi con
Elena!” “Non credo che quattro giorni possano fare tanta differenza,
sai?” mi appoggiai al muro accanto a lei con le braccia conserte “Hai detto che lei non ha intenzione di lanciarsi in
storie importanti e Lyv parlava di una scommessa che ha il suo termine a Natale…
Se anche le parli lunedì non dovrebbe essere la fine del mondo! E poi in questi
giorni so che Sonya le ha dato parecchio lavoro da fare per il sito
ufficiale della squadra, non credo avranno molto tempo di vedersi quei
due!” “Già, infatti
oggi Zingaro se l’è smazzato Marj… Mmmm, hai ragione, quattro giorni non fanno molta
differenza, le parlerò lunedì! E tu” mi disse semiseria “vedi di non farti più vedere da queste
parti!” “Bel ringraziamento!” replicai ridendo.
“Ok…”
allungò una mano a calarmi il cappello sugli occhi “Grazie!”
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Capitolo 6 *** 5 ***
ac05a
Erano le cinque del pomeriggio di un piovoso venerdì di
agosto. Di solito guidare mi rilassa, ma il traffico
congestionato della città mandata in tilt dalla pioggia non faceva che acuire il
mal di testa che mi martellava da almeno un’ora. Avevo
dedicato
gran parte della giornata ad una riunione con alcuni membri del consiglio
di amministrazione dell’azienda di mio padre. Erano ormai due anni che,
come promessogli, mi occupavo degli affari della Price Corporation. Non
vedevo l’ora di liberarmi di giacca e cravatta e di farmi una doccia: per quella
riunione avevo dovuto rinunciare agli allenamenti del pomeriggio e fuggire da
quelli del mattino.
Parcheggiai nel
garage e cercai rapidamente le chiavi di casa.
All’interno sentivo il telefono squillare insistentemente e nessuno rispondeva.
Sollevai il ricevitore al volo “Pronto!” risposi trafelato. “Finalmente! Ma dove cavolo eri finito!? E’ da due ore che
ti chiamo sul cellulare!” Portai automaticamente la mano
alla tasca della giacca “Accidenti, Karl! Nella fretta stamattina devo averlo
lasciato in spogliatoio!” “Maledizione a te e alle tue
riunioni, stavo quasi per preoccuparmi! Comunque, io e Kalz siamo tornati e
stavamo organizzando una cena da me stasera, ci sei? Non ci crederai ma ho
convinto anche Sonya!” “Infatti non ci credo!” sorrisi
al pensiero del nostro “cane da guardia in minigonna” che partecipava ad una
cena con noi. “Già, forse ha accettato perché le ho
detto che sarebbe venuta anche Elena...” “Karl! Quella
ragazza stà con un tuo compagno di squadra e…” “Tranquillo, amico! E poi quei due non sono
insieme e comunque non intenzione di provarci! Il fatto è che
Elena stasera è a casa da sola perché Jacob è fuori con dei suoi
amici mentre mia sorella e la sua amica Marjorie sono via per una gara.” "Beh, una sera di meno col bastardo" pensai. “A proposito, visto che devi tornare in sede, vai a
recuperarla e portacela! Ha staccato il telefono per non essere disturbata e non
sono ancora riuscito ad avvisarla!” Sospirai,
appoggiandomi al muro con la schiena e massaggiandomi gli occhi. Doccia
rimandata. La riunione mi aveva sfinito più di un allenamento intensivo e se mi
fossi rilassato probabilmente mi sarei svegliato la mattina seguente. “Ok, ok, vado a prenderla! Però se arriva inviperita perché
sono andato io a disturbarla, non prendetevela!” “Tranquillo socio! Alle otto e mezza a casa
mia!” rispose allegro il mio capitano, chiudendo la conversazione. Risalii in auto piuttosto scocciato e mi diressi il più
velocemente possibile verso la sede della squadra, litigando nuovamente con il
traffico. Sebastian, la guardia, in un primo momento non
mi riconobbe e mi bloccò all'ingresso. “Accidenti,
Benji! Mi pareva che questo mostro fosse il tuo, ma in giacca e cravatta
stentavo a riconoscerti!” mi sorrise allegro, lanciando un'occhiata di
ammirazione al mio coupet. “Non ti
preoccupare, Sebastian, così faccio fatica pure io a riconoscermi! Dì, la fotografa è
ancora qui?” “Chi, Elena? Si, dev’essere ancora al
lavoro… Jacob e due suoi amici sono stati qui a trovarla, sono appena andati
via! Avevi bisogno di lei?” Non sapevo perché, ma il
campanello aveva ricominciato a trillare… “No, stamane
ho lasciato il cellulare negli spogliatoi. Vado a riprenderlo.” “Prego. Le luci di sotto sono spente però…” “Non importa, conosco la sede a memoria.” ed entrai, portando
l’auto direttamente davanti all’ingresso della palazzina centrale. Al piano
superiore una luce era accesa nell’ufficio di Sonya. Elena stava ancora
lavorando. Sarei andato da lei dopo aver ripreso il telefono. L’atrio era illuminato solo da pochi neon di emergenza ed
il corridoio che portava agli spogliatoi, a quell’ora e con il buio del
temporale fuori, aveva un aspetto piuttosto tetro. Lo percorsi fino alla porta dello spogliatoio della
squadra. La trovai socchiusa e mi parve strano, in quanto non avrebbe dovuto
esserci nessuno a quell'ora. “Ma cos’è?”
pensai “Stai diventando vecchio? Ti lasci intimidire da un corridoio
buio!?” sorrisi tra me, ricacciando quella strana sensazione di paura che
mi aveva chiuso lo stomaco quando avevo toccato la fredda maniglia di
plastica. Non aveva senso... Passai la prima fila di armadietti ed arrivai al
mio. Stavo componendo la combinazione del lucchetto, quando percepii un suono
sommesso, come di pianto. Rimasi immobile, l'orecchio teso all'ascolto ed il
respiro corto. “Cretino!” mi dissi, scuotendo il capo ma di nuovo
provando un'inspiegabile ansia che non era da me. Il suono si ripetè,
flebile tra il rombo dei tuoni che veniva dall'esterno. “Non è possibile, mi sto facendo influenzare
da un corridoio buio! Le riunioni mi fanno male…” sdrammatizzai, facendo
scattare il lucchetto, ma... Ancora quel suono... “No, non me lo sono sognato!” decisi, dando retta al mio
istinto e tendendo i sensi “C’è qualcuno?” chiesi ad alta voce. Silenzio. Solo la pioggia sui vetri. “C’è nessuno?” la mia voce si perse nell'ampia stanza
deserta. Un sospiro, quasi un singhiozzo, mi rispose. Avvertii il sangue gelarsi nelle vene, il respiro
accorciarsi ed un timore profondo impadronirsi del mio cervello, spingendomi a
muovermi in direzione di quel suono. Il pianto
veniva dalle docce. Superai velocemente una fila di
armadietti e poi la successiva, lanciando rapidi sguardio a destra e sinistra.
Colsi con la coda dell’occhio dei particolari che mi fecero ancor più allungare
il passo: su di una panca tra gli armadi, una maglietta e dei jeans.
Ancora un singhiozzo. Il
campanello nella mia testa squillava con violenza. Non
volevo pensare… Rabbia furiosa. E preoccupazione. L’ultima fila e poi le docce. Altri
indumenti, intimi, sparsi a terra. Una pozza d’acqua e… quello che
non avrei mai e poi mai voluto vedere.
“Ma perché in Germania,
d’estate, deve fare così maledettamente freddo?!” Ero
gelata, nel corpo e nell’anima. Non riuscivo a pensare,
a fare nulla. Solo a piangere e stringermi le gambe il più forte possibile al
corpo per recuperare un poco di calore. Un rumore. La porta degli spogliatoi che si apriva... “No, fa che non mi trovino così, ti prego! Adesso mi alzo,
mi sistemo, vado a casa e non è successo nulla...” sragionavo, sconvolta e
terrorizzata, la testa vuota, per tenere il più lontano possibile il ricordo, il
dolore, l'umiliazione... Mi sfuggì un singhiozzo. “C’è qualcuno?” udii chiedere. “Quella voce… no, non lui!” mi assalì il panico, mi
rannicchiai ancor più su me stessa, ricominciando a piangere con la testa
tuffata tra le braccia. “C’è nessuno?” chiese
nuovamente. “No, ti prego, non voglio che mi veda!”
urlai silenziosamente nella mia testa, supplicando. Passi… “Elena…” la sua voce bassa,
spezzata... E il suo sguardo su di me... “VATTENE!”
Quasi mi spaventò. No! Se lo poteva scordare, non
l’avrei lasciata in quelle condizioni! Nuda, bagnata fradicia e… Il solo pensiero scatenò in me una furia quasi omicida.
Strinsi i pugni fino a sbiancarne le nocche. Si, avrei potuto uccidere... Tornai rapidamente all’armadietto, lo aprii e ne presi un
grande asciugamano pulito. In quell’istante il cellulare
si mise a suonare. “Karl…” soppesai se rispondere
ed alla fine spensi il telefono. Troppe complicazioni, dovevo occuparmi di
lei...
Se ne andò. Era quello che
volevo... “No, eccolo di nuovo, ma cosa?...” si era
avvicinato piano, silenziosamente, inginocchiandosi quasi di fronte a me e
parlando adagio. Non riuscivo a credere che fosse la persona
che conoscevo, ruvida ed insensibile. Il suo tono era gentile, sinceramente
preoccupato. “Elena… guardami…ti prego…” Non ce la facevo, l'umiliazione era una lama sottile e
dolorosa. “Per favore…” supplicò, coprendomi nel
frattempo con un grande telo asciutto. “Lasciami stare,
ti supplico, vattene!” “Scordatelo, io di qui non me ne
vado senza di te! Guardami, per favore…” La voce calda,
dolce, sommessa… Non mi capacitavo del fatto che lui, proprio lui,
normalmente burbero ed arrogante, potesse trasmettermi tanta serenità in quegli
istanti così terribili... Sollevai lo sguardo appena al di sopra delle
braccia ed incontrai il suo. Quegli occhi, di solito freddi come il ghiaccio
e duri come l’acciaio erano come due profonde pozze di acqua calda, accoglienti,
avvolgenti come velluto. Mi sentii più tranquilla, protetta… Allungò un mano a sfiorarmi delicatamente il viso.
Sobbalzai per dolore che mi provocò l’ematoma che dovevo avere intorno all’occhi
sinistro e per un istante, un solo istante, un lampo rabbia violenta
illuminò suoi occhi. “Meglio?” mi sorrise. Non
il solito sorriso sardonico… era un’altra persona. O forse era semplicemente se
stesso. “Meglio… grazie...” risposi senza staccarmi da
quegli occhi che, in quel momento, erano come un'ancora di salvezza in un oceano
di lacrime. “Non mi sembra di aver fatto nulla, non ti
pare?” la sua espressione si addolcì ulteriormente “ Ora, se vuoi, stai qui
ancora un poco a calmarti, poi ti vesti e ti porto in ospedale… Ok?” “Ma…” in un istante pensai a Sonya, a Lauber, alla squadra.
Mi lesse nel pensiero. “A Stephan e Sonya ci penso
io. Tu vieni con me in ospedale.” perentorio. Non si
poteva discutere. Non volevo discutere. “Non mi chiedi
chi è stato…” dissi a bassa voce. Lo sguardo si incupì.
Fece per sistemarmi meglio il telo addosso, come per proteggermi
ulteriormente. “Temo di saperlo...” sorrise triste “Te
la senti di andare? Vorrei portarti in pronto soccorso il prima possibile...” “Così?...” Capì e si alzò. “Vado a recuperarti i vestiti ed esco dallo
spogliatoio. Intanto chiamo Stephan.”
Andò
a prendere i miei abiti, che dovevano essere sparsi per la stanza, li piegò il
più ordinatamente possibile, posandoli sulla panca di fronte e si
inginocchiò nuovamente accanto a me. “Fatti una doccia
calda… sei gelata!” era un sorriso dolce e triste quello che mi
rivolse “Io sarò qui fuori ad aspettarti, ok?” “Ok.
Grazie…” Non rispose,
allungò semplicemente una mano a sfiorarmi delicatamente l’occhio pesto ed
uscì. Quando uscii dallo spogliatoio, Benjiamin aveva appena chiuso il
cellulare.
“Meglio?” chiese sorridendomi. “Un po’…” risposi stringendomi le
braccia intorno dal freddo. Si accorse del mio gesto. Tolse la giacca e me la
mise in spalla. Era calda. Quel calore mi ridiede un poco di energie. Mi accorsi solo allora del suo abbigliamento “Mmmm,
ti ho rotto le uova nel paniere? Stavi andando ad una festa?” “Se fai queste
battutine acide vuol dire che stai meglio! No, sono tornato da una riunione con
mio padre….” lasciò la frase in sospeso, lo sguardo serio per un istante. “Andiamo?” “Si.” Non pensavo a quello che sarebbe successo all’ospedale: le
visite, le domande, l’interrogatorio… Benjiamin rimase
sempre con me. Fuori dall’ambulatorio, accanto quando il medico mi fece le prime
domande e nella stanzina con il commissario che mi dovette chiedere… tutto. Sempre vicino.
Come un angelo custode.
“Purtroppo si risulta che l’elemento in questione
non sia del tutto nuovo a cose del genere… Solo che le altre vittime hanno
sempre ritrattato tutto ed i fattacci son stati messi a tacere grazie ad un bel
po’ di soldi…” il commissario Moss, mia vecchia
conoscenza, guardò Elena appoggiando i gomiti sul tavolo ed intrecciando le
dita. Jacob, quella volta, non l’avrebbe passata liscia, pensai. “Moss, la signorina non ritratterà e per quel che riguarda
l’insabbiamento della faccenda… beh, l’unica cosa che non dovrà apparire sui
giornali è il suo nome. Mc Cormick non deve poter ripetere una cosa simile!” “Il tuo collega ha ottimi avvocati e parecchi soldi… Certo,
freuilein Elena ha dalla sua parte Herr Lauber, però…” “Non sono un problema né gli avvocati, né i soldi.”
presi il telefono e chiamai Rudolph Berger, braccio destro di mio padre in
Germania. “Signor Price, cosa vuole?” il suo tono
non era né amichevole né accondiscendente. D’altronde sapevo di non essere molto
amato dai collaboratori di Richard Price, che mi ritenevano un incapace. Anche quel
conto a tempo debito… “Un avvocato, ho una situazione
delicata tra le mani.” prima che potesse saltarmi in testa gli spiegai a
grandi linee l'accaduto. “L’avvocato Fuchs fa al nostro
caso” bene, pensai “Domattina la farò chiamare.” “Benjiamin, io non posso permettermi uno dei tuoi
avvocati!” stava meglio, lo sguardo era decisamente agguerrito. “Tu
no, io si!” “Ma… io non voglio la carità!” “Nessuna carità! Non ti preoccupare, a Jacob ci penso io.
Domani mi metterò d’accordo con Stephan… va bene così e basta!”
Come prima, non potei discutere! E perché discutere con qualcuno che ti vuole aiutare a
tutti i costi? Certo, mai e poi mai mi sarei aspettata
di ricevere aiuto e sostegno proprio da lui! E non era finita! “Signorina, ora torni a casa. Domattina la richiameremo…
Price, agli allenamenti di domani probabilmente ci sarà un po’ di trambusto…” “Sarò felice di vederla!” rispose, e rivolgendosi a me
“Tu ti scordi di dormire a casa da sola. Da me ci sono almeno tre stanze vuote.
Passiamo da casa tua, prendi dei vestiti e qualcosa per la notte e vieni da me!
E non è un invito galante, è un ordine!” sorrideva ma non c’era nulla da
obbiettare, dovevo ubbidire. Comunque non avevo molta voglia di stare a casa da
sola. “Sissignore!” cercai di sorridergli di rimando ma
la faccia mi fece troppo male. Arrivammo
all’appartamentino che dividevo con Marj. “Belle...” stava guardando due particolari dei musi
dei nostri cavalli formato poster sul muro in sala. “Grazie… Zingaro e Gitano...
che fantasia, eh? Nero e bianco. Zingaro lo conosci già…” “E l’altro devo averlo visto in scuderia…” Gli resi la giacca. “Grazie… non solo della giacca!” “E cos’altro avrei dovuto fare, signorina? Lasciarti lì
fino a domattina? Ringrazia il cielo che avevo scordato il telefono negli
spogliatoi!” “Si,ok. Ma Lauber , l’avvocato, il
commissario…” “Non ti preoccupare… Andiamo?” mi sorrise,
indicandomi con un cenno del capo ed una strizzata d'occhio la porta. Uscimmo di casa. Mi sentivo come in un limbo. Era come se
avessi improvvisamente cancellato le ore precedenti e fossi in compagnia di un
caro, vecchio amico. Amico.
Chi se lo sarebbe immaginato che un giorno avrei chiamato
quell’arrogante borioso “amico”. Eppure… “Wow,
fantastica! Non ne hanno vendute molte!” mi riferivo alla Porche Carrera
GT nera sulla quale stavo salendo. “Te ne accorgi solo
ora?” per un secondo il solito Benji… “Scusa, non volevo… Stai tornando
alla realtà?” buffo che mi chiedesse scusa. Buffo che fosse imbarazzato
per una reazione per lui del tutto normale. “Niente…
Beh, in effetti me ne accorgo solo ora. Cerco di distrarmi… “ cambiai di nuovo
argomento “E’ forse la mia macchina preferita! Io che sono sempre stata
un’accanita ferrarista…” “Italiana…” “Già…” Ci scambiammo un
sorriso ed quel mentre squillò il telefono “Karl! Mi ero del tutto
scordato di lui!” “Dove cavolo sei!? Ma oggi cosa c’è?
Prima non rispondi, poi riappari, poi mi chiudi il telefono… Che diamine
c’è?! E Elena? Non la si trova da nessuna parte…” ”E’
qui con me… Non è stata bene..” mi guardò con sguardo d’intesa “Non vi
preoccupate, me ne occupo io.” “TU?! Ascolta, Sonya ha
appena ricevuto una strana telefonata dal boss… non c’entrerà con Elena…?” “Karl, ne parliamo domani mattina prima dell’allenamento.
La porto a casa mia, non se la sente di stare a casa da sola. Se ti chiama Kris
non allarmarla. E non ti preoccupare, ora sta bene.”. “Benjiamin...” “Karl, fidati…” Sentii il Kaiser sospirare, vinto dalla determinazione
dell’amico “Ok, a domattina. Mi fido di te, socio.” “Grazie.” Nel frattempo eravamo
arrivati alla villa di Benji: cavoli se si guadagna bene giocando a calcio! “Entra. Avviso Marie che ci sei anche tu a cena e di
preparati una stanza.” “Grazie, non volevo portare tanto
disturbo...” Mi guardò come per rimproverarmi e poi
sorrise “Piantala! Vado a togliermi questa roba e a farmi una doccia. Aspettami
in sala e fa come fossi a casa tua!” e se ne andò sfilandosi finalmente la
cravatta. Fare come fossi a casa mia, una parola! Quella
villa era veramente fantastica! Non enorme, arredata con gusto in maniera
moderna ma non troppo. In sala un bel camino, un divano in alcantara blu,
dipinti giapponesi alle pareti e... foto! Decine di foto di partite, squadre,
amici. “Guarda guarda! Questa è mia!” era la foto della
parata della prima partita che avevo seguito. Li
accanto un’immagine molto vecchia, un Benji giovanissimo, la squadra raccolta
intorno al capitano (Holly?) che teneva sollevato un trofeo. Un' altra mi colpì e mi
lasciò perplessa. Finale di Champions, mi pareva… La squadra che esultava
intorno a Karl, insieme ai ragazzi anche fidanzate, gente dello staff…
Abbracciata al SGGK, che la teneva stretta, una ragazza dai capelli rossi,
ricci, occhi verdissimi, uno sguardo… incredibile, da perdercisi dentro! L’altra
cosa che mi colpì fu la magrezza di quella ragazza…e l’affetto con il quale
Benjiamin la stingeva a sé. “Il frutto di una lunga
carriera...” sobbalzai. Non l’avevo sentito arrivare. Si era cambiato, polo
rossa, che gli stava piuttosto aderente, jeans e capelli ancora bagnati. Mi
sorse spontaneo “Ma voi calciatori siete allergici al phon?” mi guardò e scoppiò
a ridere! Giuro che mi lasciò di stucco. Non avrei mai immaginato di sentirlo
ridere, non a quel modo. Una risata calda e serena, accompagnata da un luccichio
malizioso degli occhi scuri. “Effettivamente credo di
non averlo mai usato…” replicò, scuotendo allegro il capo. “E sì che non è una grande spesa...” “No, non credo. Vuoi mangiare o no?” “Non sarebbe una cattiva idea.” risposi. La governante aveva preparato una splendida cena per due…
giapponese. Mi accorsi della sua titubanza “Le bacchette
le so usare e adoro il sushi.” dissi, sedendomi a tavola. “Tu mangi giapponese?!” l’avevo sorpreso. “Tu mangi italiano?” risposi di rimando. “Beh, si… non è esattamente la stessa cosa!” Continuammo la conversazione sullo stesso tono, parlando
dell’Italia, della Germania, del Giappone. Solo otto ore
prima non avrei pensato di cenare e, soprattutto, divertirmi, con Benjiamin
Price.
Quasi non ci credevo… se qualcuno mi avesse detto
che sarei diventato amico del brutto anatroccolo gli avrei riso in faccia!
Invece eravamo lì, a casa mia, davanti a una cena giapponese a
chiacchierare del più e del meno come vecchi amici. E la situazione mi piaceva.
La compagnia di quella ragazza era… rilassante. Non stavo così bene con una
persona da tanto tempo. Neanche con Karl sentivo di avere quel feeling. Solo due
altre persone mi mettevano così a mio agio: Holly e... Kim. “Stanca?” era una domanda stupida, con quello che aveva
passato quel giorno doveva essere distrutta! Ma sembrava voler stare in piedi a
tutti i costi. Mi rivolse uno sguardo un poco atterrito. “A dirti la verità sono stanchissima, ma…” “Ma?” “Temo di avere una specie di
attacco di panico… non me la sento di starmene da sola al buio…” si interruppe
sorridendo “E non è un invito galante!” “Da te non è che
mi aspettassi un invito galante!” sorrise, ma era evidentemente
molto stanca “Vieni, vediamo se riesco a farti dormire...” La portai sul divano e siccome vedevo che aveva ancora
freddo (donne!) le diedi un piccolo plaid. “Mmmm, si
vede che questa casa è frequentata da donne…” Incassai
la frecciata, e
risposi “Spiacente, signorina! Mai portata una donna qualsiasi in questa
sala!” un punto per me, l’avevo sorpresa “Il plaid è per mia madre che,
ogni tanto, mi viene a trovare!” “Oh, scusa…” mi
guardò contrita ma si riprese subito “ Quante foto! C’e n’è pure una
mia!” “Già…” guardai anch’io quelle immagini che
conoscevo a memoria “Una vita dedicata al calcio…” intanto si era
raggomitolata come una gatto sul divano. “Ancora
freddo?” “Un po’… non ho smaltito quello di
oggi pomeriggio...” ed un brivido, non solo di gelo, la scosse da capo a
piedi. “Posso?” d'istinto mi sedetti accanto
a lei e l’abbracciai, come avevo fatto tante volte con Kim… anche lei aveva
bisogno della mia protezione… Per un attimo sentii il suo corpo irrigidirsi e
pensai che forse la vicinanza di un uomo, dopo quello che le era successo poche
ore prima, poteva non essere piacevole per lei...“Ti dò fastidio?” le
chiesi. Stette in silenzio un attimo, e poi rispose,
espirando “No... Grazie” e finalmente si rilassò, lasciando che il
capo si appoggiasse alla mia spalla. “Posso chiederti
un piacere?” “Certo!" “Se
domattina vai ad allenarti, puoi portarmi da Zingaro?” “Te la senti di montare?” “Tu te la
sentiresti di giocare? Montare e fotografare sono le uniche cose che mi fanno
sentire veramente bene.” “Ti capisco. Ok, quando mi
sveglio vengo a buttarti giù dal letto e ti porto dal tuo stallone!” Andammo avanti a parlare ancora un’oretta, poi, finalmente,
crollò. La portai in braccio nella sua stanza e l’indomani mattina presto andai
a svegliarla.
Mi svegliai in un caldo letto
ad una piazza e mezza. Ero vestita come la sera precedente… Benji doveva avermi
portata lì dopo che mi ero addormentata. Sentii che bussava alla porta. “Allora? Colazione prima di montare o no?” di nuovo quel
sorriso che non poteva essere del SGGK… “A meno
che tu non mangi, io andrei direttamente in scuderia.” “Ok, ci vediamo giù.” Scesi. Mi
aspettava nel grande atrio già in tuta ed immancabile cappellino. “Ma tu di solito te la fai di corsa…” “Stamattina farò uno strappo alla regola! Non pretendo che
tu mi venga dietro correndo, non credo reggeresti!” mi fece l’occhiolino e di
nuovo quasi non riuscii a credere che fosse lui. “No,
penso che stramazzerei dopo trecento metri!” risposi, e così ci avviammo
camminando e chiacchierando verso le scuderie. “Ehi, di
qui!” lo richiamai. “Ma... il maneggio è là in
fondo!” era perplesso. “Ragazzo, io mica sono
ricca come te! Kri mi fa lezione, ma Zingaro lo tengo in cascina! Pago molto
meno, devo sistemare io il box e pulirmi il cavallo, ma non mi pesa.” Mi seguì fino in scuderia. “Vuoi
una mano?” “Direi che hai fatto abbastanza e che ti ho
anche sufficientemente rovinato l’allenamento mattutino, no?” si vedeva che era
titubante a lasciarmi sola “Non ti preoccupare, c’è Zingaro a proteggermi! Ci
vediamo al prato…” Sospirò e si lasciò cacciare
“Ok, ma quando hai finito vengo a riprenderti!” Ci
trovammo al prato grande. Non parlammo, come sempre, ma l’atmosfera era diversa.
Ora ci conoscevamo e sapevamo quanto fosse importante quel silenzio, quel
chiudersi ognuno nel proprio mondo. Mi venne a
riprendere in cascina. “Finito?” chiese, entrando in
scuderia. Si avvicinò ed accarezzò Zingaro sul collo “Come sei bello!” Il mio stallone è sempre stato un gran coccolone e gli
diede una musata di approvazione. Tornammo a casa. La
governante ci preparò una bella colazione. Guardai
Benjiamin e gli chiesi “E ora?...” sapeva cosa intendevo. “Stephen e Moss avranno già avvisato Sonya di quello che
sta per succedere. Tra poco chiamerò Karl per vederlo prima degli allenamenti in
modo da spiegargli con calma cosa è successo. Se l’avessi fatto ieri sarebbe
corso a casa di Jacob e l’avrebbe ammazzato… gli avrei dato volentieri una mano,
ma non era la cosa giusta da fare.”
Mi trovai mezz’ora prima dell’allenamento con Karl. Gli
raccontai tutto. Era una furia ma capì perché non lo avevo informato la sera
precedente. Arrivammo prima degli altri in sede. Moss era già lì ed aveva
posto sotto temporaneo sequestro gli spogliatoi. Quando arrivò il resto della
squadra spiegammo l’accaduto. Jacob non c’era ancora. I ragazzi gli avrebbero
fatto volentieri la pelle. Lo scozzese si presentò con mezz’ora di ritardo
sull’orario dell’allenamento e fu sorpreso di trovarci ad attenderlo nell’atrio.
Fu ancora più sorpreso quando vide Moss. Si fece portare via con un sorrisetto
sardonico sulle labbra “Tanto quella puttanella ritratterà, vedrete!”
no, quella volta non l’avrebbe passata liscia.
Nel pomeriggio i telegiornali già davano la notizia del
suo arresto. Sonya diresse magistralmente la situazione: la società rimase estranea al fataccio e
l'identità della nostra fotografa tenuta gelosamente nascosta, mentre la vita
privata di Mc Cormick venne data in pasto ai giornalisti che se la divisero come
le iene con una succulenta carcassa... Elena rimase a casa mia anche quella
sera. La sua compagnia era piacevole. Era da tanto, troppo tempo che non
parlavo così con qualcuno. In salotto si avvicinò alla foto che mi aveva
fatta in Bayern-Stoccarda “Mmmm” soppesò guardandosi attorno “no, belle
come questa nessun’altra…” Mi venne da sorridere “Mi ricordi vagamente
qualcuno…” “Già già, sai chi va con lo zoppo impara a zoppicare!” e mi
sorrise di rimando. “Ok, è bella, ma in finale di Champions ne hai fatta una
molto più bella. E hai proibito a Sonya di pubblicarla…” lo ammetto, ero
curioso di sapere. Mi guardò sorpresa. “E tu come sai?…” “L’ho vista per
puro caso… Perché?”
Lo osservai, incuriosita da quell’ interesse per una semplice foto.
Oppure... no,avevo fatto centro… Gli risposi, pesando le parole
“Io non so cosa ti sia preso quella sera in quell’istante ma… non eri lì… eri da
un’altra parte e stavi male. Io l’ho colto. D’istinto. Ma la tristezza non si
sbatte in prima pagina… Anche se allora mi stavi sulle scatole… Io cercavo la
gioia per la vittoria di un campionato, ho trovato cose che non erano di mia
competenza.” “Ti devo un favore…” “Scherzi?! Con tutto quello che hai
fatto per me in questi giorni… “ mi interruppe, scuotendo il capo “ Un
giorno te ne parlerò...” prese la foto di quand’era ragazzino. Cambiai
argomento. “Il calcio è una malattia per te e Oliver, vero?” “Già… e
pensare che il primo pallone me lo regalò mio padre…” “Appassionato anche
lui?” “Una volta… si. Non molto negli ultimi, diciamo… vent’anni?” ero
interdetta! “Scherzi!? Con figlio campione come te, ha smesso di seguire il
calcio!?” la mia reazione lo fece sorridere, ma, ancora una volta quella
sera, non era un sorriso felice. “Vedi… mio padre non tollera che il calcio
mi abbia portato tanto lontano da lui e dai suoi affari.” stavo
cominciando a capire… “E io non l’ho mai perdonato per avermi mollato a dieci
anni da solo in Giappone. Il calcio è diventato la mia vita, la mia famiglia.”
non mi guardava, continuava a fissare quella vecchia foto. I suoi compagni di
una vita. “Mi spiace… ma tu lavori con tuo padre, no?” “Già, ma quella è
un’altra storia… “ sospirò e per un istante non fu in quella stanza.
Si riprese quasi subito, posò la foto al suo posto e mi chiese se volevo un
caffè. “Vedo che apprezzi le buone abitudini italiane!” e
poi, guardandolo ad occhi stretti “mica d’orzo, vero?” Trattenne
una risata “ No, no, non mi permetterei mai! Vieni…” e si diresse in
cucina dove prese una moka (?) ed un barattolo del caffè. “Lo… prepari…
TU?” ero interdetta e si doveva vedere. Questa volta rise di
gusto. “Cos’è? Hai paura di morire avvelenata?” “In un certo senso…”
mi guardò divertito, aspettando che finissi la frase “Beh, è un po’ strano
vedere un calciatore ricchissimo che prepara il caffè da solo,
no?...” “Vedi” disse voltandomi le spalle e armeggiando alla
caffettiera “ come ti ho detto non è che io vada proprio d’accordo con mio
padre… “ una pausa. Era evidentissimo che non parlava volentieri di se. Lo
interruppi “Mi conosci da due giorni e non mi sembri tipo da
confessioni…” Si voltò e sorrise “No, non sono tipo da confessioni ma…”
mi soppesò con lo sguardo “tu sei una persona a cui si possono raccontare
certe cose...” ero a dir poco sconvolta. “Grazie...” dissi continuando
a fissarlo e sedendomi al tavolo della cucina. Non mi rispose e riprese a
parlare “La mia non è una confessione… A diciott’anni litigai furiosamente
con mio padre. Erano già circa tre anni che giocavo nella prima squadra
dell’Amburgo e mi ero messo via denaro sufficiente a vivere da solo.
Lui continuava a rimproverarmi del fatto che vivevo a sue spese e che se
avessi continuato a quel modo col calcio sicuramente non sarei stato in grado di
occuparmi dell’azienda di famiglia. E così andai a vivere da solo. Mi presi un
piccolo appartamento in centro città e per un certo periodo rinunciai
volontariamente agli agi di cui avevo goduto fino ad
allora.” “Perché?” Fece spallucce “Ero furioso… con mio padre, con
il lavoro che me l’aveva portato lontano per tanto tempo, non solo come distanza
fisica… Per un pò non andai neppure a scuola…” sorrise tra se “ proprio
io, tanto orgoglioso, che pretendevo di essere primo in tutto...” Fece una
pausa. Ero… allibita? Interdetta? Sorpresa? Perché ne stava parlando con
ME? “Benjiamin… perché mi hai voluto raccontare tutte queste cose su di
te?” Si voltò con due tazzine in mano. Le posò in silenzio sul tavolo e versò
il caffè. Si sedette di fronte a me, appoggiando il mento sul dorso delle mani e
guardandomi dritta negli ochhi. Era il solito Benjiamin, di nuovo duro e sicuro
di sé. “Io mi fido ciecamente del mio istinto… è così che sono diventato
quello che sono.” “Non capisco...” Sorrise appena “Era da tanto
tempo che non incontravo una persona come te, che non ha paura di sfidarmi, che
mi guarda dritto in faccia e mi dice a chiare lettere quello che pensa. Era un
secolo che non trovavo qualcuno che potessi definire "amico" ” mi guardò
ancora più intensamente, quasi trafiggendomi con quel suo sguardo scuro. Reagii,
ironica come sempre,
come prevedeva, altrimenti non saremmo stati lì a parlare “Wow, allora mi
devo ritenere un’ “eletta”!” se lo aspettava e il sorriso si allargò “Già,
più o meno…” e mi sorrise appena da sopra la tazzina da cui
stava bevendo il caffè. Che non era poi male… Mi ero fatta un amico.
Mica un’amico qualsiasi, no! Uno di quelli che darebbero un braccio per te, di
quelli che ci sono veramente. Solo che ci sono a modo loro, magari solo per te e
per pochi altri. Perché il resto del mondo vede solo una corazza
impenetrabile. Quella fu la prima di una lunga serie di cene a quattrocchi
con Benjiamin Price. E l’inizio di una splendida amicizia. Con colui che avevo
soprannominato il mio “angelo custode”.
La domenica scendemmo in campo in uno stadio colmo forse più di curiosi
che di tifosi. Ma la squadra si fece valere e la vittoria fu nuovamente
nostra. Quando tornai a casa Elena non c’era. Kristine e la sua allieva erano
di ritorno dalla gara e lei voleva andare di persona a raccontare
l’accaduto. Ero tornato da circa un’ora dalla partita quando udii una
macchina fermarsi davanti casa. Il campanello ed il maggiordomo che andava a
rispondere. Mi avviai verso l’ingresso “Hermann, chi è?” “Sono
io!” la voce di mia madre. La cui presenza improvvisa a casa mia
significava solo una cosa: guai! Ci incontrammo a metà dell’atrio. Aveva le
braccia conserte ed uno sguardo furioso. Cosa diavolo avevo combinato? “Si
può sapere cos’è questa storia?” la mia espressione interrogativa la fece
arrabbiare ancor di più “Hai chiamato Berger per assumere Fuschs a causa
di una ragazza… e oggi cosa sento? Che una giovane dello staff del Monaco è
stata violentata da un giocatore! Io…” Mille cose, mille sensazioni mi si
affollarono nel cervello. Ma come poteva credere che c’entrassi qualcosa!? Lei
che era sempre stata dalla mia! “Cos’è, ora mi credi un delinquente come lo
crede Richard?” avevo smesso da anni di chiamare mio padre “papà”
“Pensi veramente che sarei capace di una cosa simile?” Stette in silenzio un
attimo. Vidi che sospirava e che si rilassava, pentita, forse, di avermi
aggredito in quel modo. “Cosa è successo, figlio?” ora andava
meglio. “Vieni, accomodati. Ti spiego...” Mi ascoltò in
silenzio. “Scusa… forse passo troppo tempo con tuo padre…” sorrise
ironica ed in quell'istante realizzai che le assomigliavo veramente molto “Non
gli ho detto nulla… ma credo che gli farò sapere quanto cavaliere è suo
figlio!” “Avrà sicuramente da ridire…” “Mmmm, probabile…” ci scambiammo
una sguardo d’intesa. Sapevamo entrambi che se anche avessi salvato il mondo mio
padre non ci avrebbe trovato nulla di buono. Suonarono nuovamente alla porta.
Guardai l’ora. “Probabilmente è Elena che è venuta a riprendere le sue
cose.” infatti... “I phon costano poco, gli ombrelli meno
ancora!” la canzonai vedendola entrare bagnata di pioggia e coperta solo
dal cappuccio della felpa. Mi rispose con una smorfia “Ho messo la
macchina qui davanti. E poi sai quant’acqua avrei preso se fossi stata alla
partita?” “Esattamente la stessa che ho preso io!” le ricordai,
facendola entrare in casa.
Quella domenica non ero scesa in campo con la squadra. Anche se, a dire
il vero, nonostante pioggia e freddo avrei lavorato volentieri. Ne avevo
approfittato per andare in scuderia ad aiutare Kri e Marj che tornavano dalla
gara. La mia dolce bionda si fiondò letteralmente giù dal van e mi
venne incontro “Amore, cosa ti è successo?” mi abbracciò
scostandomi i capelli dall’occhio pesto. “L’ennesimo bastardo… questo
decisamente più degli altri…” Marj mi guardò e si mise a
piangere. “Piangere serve a poco! Elena, che diavolo è successo? Chi cavolo
ha osato conciarti a quel modo?” Kri sembrava un carro Leopard
pronto a sparare. “Vi aiuto a scaricare e vi racconto.” Scaricammo i
cavalli ed intanto raccontai l’accaduto, più o meno tutto. Quando dissi di
come si era comportato Benjiamin, soprattutto a casa (tralasciai, naturalmente,
la “confessione” della sera precedente), Marj per poco svenne. Invece Kri mi
guardò, sorrise, e se ne uscì con un “Non cambierà mai!” “Tu lo sapevi
che è Dr. Jackyl e Mr. Hyde, vero?” “Già…” con lo sguardo perso nel vuoto ed
un sorriso sognante. Si riprese “ Lo so… due anni
fa sono accadute delle cose… di cui molto probabilmente ti parlerà. Allora scoprii
il suo lato buono. E fu la fine!” il rubacuori aveva mietuto, allora, l’ennesima
vittima! Mi rivolsi a Marj, che era evidentemente tra l’arrabbiato e
l’invidioso. “Beh, almeno, stavolta, non mi hai raccolta tu col
cucchiaino…” Mi fissò ancora un po’ corrucciata, poi si sciolse in un sorriso
“Guarda che ce l’ho con te anche un po’ per quello…” ci scambiammo
un'occhiata d'intesa e ci mettemmo a ridere. Tornai a casa di Benji per
riprendermi i vestiti. Non sapevo come sdebitarmi con lui. Trovai una
grossa Mercedes argento davanti alla villa. Suonai e mi aprì Benji stesso, il
quale mi prese in giro per la mia allergia agli ombrelli. Alle sue spalle una
splendida donna sulla cinquantina, alta, capelli rosso scuri raccolti in una
crocchia e occhi nerissimi di chiara origine orientale. Che fosse?… “Elena,
ti presento mia madre, Evelyn Price. Mamma, questa è Elena, fotografo ufficiale
del Bayern Monaco!” sorrise e mi strizzò un occhio. La signora Price
era una donna squisita, oltre che davvero molto bella. Non accennò
minimamente all’accaduto e fu molto cordiale. Anche se, pensai, Benjiamin aveva
preso molto da lei. Si vedeva chiaramente che aveva una personalità fortissima
e, probabilmente, un carattere non proprio facile. “Monti a cavallo? Che
meraviglia! Non so quanti anni sono che non tocco una sella!” “Beh,
Zingaro è sempre a disposizione...” Benji mi guardò incuriosito “Ha un carattere
molto docile. A volte Kristine lo usa con i bimbi!” “Penso che un giorno o l’altro
accetterò l’invito.” disse la donna, alzandosi “Ora, però, devo
andare.” “Non resti a cena?” “No, caro, ho una relazione da
stendere!” e sorrise complice al figlio. “Mi abbandoni anche tu?”
era un invito? “Cos’è? Sei a corto di donne?” lo
canzonai. “Ragazzine con cui uscire ne ho una fila, donne con cui parlare…
beh, una ha appena detto che ha da fare, dall’altra aspetto una risposta.”
“Wow, un complimento! Domani
nevica!” mi guardò fintamente spazientito, incrociando le braccia e sbuffando
a fior di labbra. “Ok, resto… Tanto Marj sarà gia andata a
letto, era stravolta! Solo…” “Solo?” “Chi la sente domattina! E’ una tua
fan sfegatata e venderebbe l’anima al diavolo per una cena con te!” risi,
pensando alla reazione della mia amica. “Si può sempre rimediare…” e
socchiuse gli occhi con fare malizioso. “Dovresti passare sul
cadavere di Kris…” “Ok, rinuncio…” replicò alzando lo sguardo al cielo con
allegra rassegnazione “Ma stasera ti porto fuori!” Sospirai, sorridendo e
scuotendo la testa: quando prendeva una decisione, era impossibile fermarlo!
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Capitolo 7 *** 6 ***
Passarono giorni, settimane, mesi. Arrivò
Novembre e con esso l'inverno e le nevicate sempre più frequenti. Uscire a cena col SGGK
era diventata un'abitudine, quasi quanto l'allenamento mattutino, con
la differenza che nelle lunghe serate le parole tra
noi correvano a fiumi e il silenzio certo non regnava sovrano. Il mio amico era
un ascoltatore paziente ma in quei mesi si lasciò anche andare a qualche confidenza
che certo da lui mai mi sarei aspettata: mi parlò della sua famiglia, la sua
vera famiglia, di quei compagni lontani coi quali non si vedeva più tanto spesso, dei
suoi sogni di gloria e si, anche delle sue (molte) donne. Altro argomento che
non mancava mai nelle nostre chiacchierate: Karl Heinz
Schneider. Già... Benjiamin aveva intuito che il suo capitano proprio
proprio non mi era indifferente e cercava di rifilarmelo in tutti i modi, quasi
come fosse un cavallo alla fiera! E solo perchè secondo il suo "modestissimo"
parere, Karl era l'uomo col quale sarei stata felice ed al sicuro... Aveva la
mania di proteggermi! "Ma la pianti?!" era una fredda sera di fine
Novembre, nevicava forte ed eravamo usciti a cena nel nostro ristorante
giapponese preferito "TI- HO- DETTO – NO! Accidenti, Karl non mi
interessa!" "Come no…" replicò col solito
sorrisetto furbo. "Price, piantala!" lo fulminai con lo sguardo,
ottenendo soltanto che il sorriso si allargasse ancora di più. Lo divertiva
provocarmi, senza nè malizia nè cattiveria. Solo per farmi tirar fuori un pò di
grinta quando ero evidentemente in serata no e cominciavo a fare la
vittima. "E comunque, signor Cupido da quattro soldi" lo guardai scherzosa"
per qualsiasi freccia tu voglia scoccare temo dovrai aspettare dopo l'8 di
Dicembre!" "Ah si? E come mai?" "Il 7 a Milano è festa, e siccome, grazie
a questo tempaccio infame, i vostri allenamenti sono fermi, mi son presa un paio
di giorni per tornare a casa." "Il 7 è festa? Ma pensa..." non mi sfuggì il
tono leggermente ironico. "Si, è festa, perchè ti
sorprende?" "Perchè il 7 è il mio compleanno..." "Accidenti, e io sono via..." ero
sinceramente dispiaciuta. Mi sentivo in debito perenne con lui e mi spiaceva non
esserci proprio il giorno del suo compleanno. Mi capì al volo e, scrollando le
spalle bevve d'un fiato il suo sakè "Non ti preoccupare, sono anni che non lo
festeggio. Non è importante..." Per lui forse non era importante, ma per me
si! E così partii come al mio solito, stile carroarmato... "Beh, visto che
sei alla soglia dei trent’anni si potrebbe anche ricominciare…" "Primo, non sono trenta ma ventinove. E poi, sarò io a
decidere, o no?!" replicò con un sopracciglio che scattava verso l'alto, con
quell'aria tipicamente un pò scocciata che gli si dipingeva sul volto quando
voleva fare il duro. Ma con me non attaccava. "Hai da fare il 7?"
continuai. Fece
di nuovo spallucce e scosse il capo ma non gli diedi il tempo di parlare
"Perfetto! Allora vieni con me!"
Mi guardò esterrefatto e trattenne
una risata "Ma tu non volevi andare da tuo padre?" Stava evidentemente
cercando una scusa per scappare, ma non mi feci cogliere impreparata "Ho tutte
le vacanze di Natale per stare con lui, e comunque da quando è in pensione è
sempre in giro, quindi dubito di riuscire a vederlo molto in quei due giorni!
Stai tranquillo" gli sorrisi maliziosa "non ho nessuna intenzione di
presentartelo!" "Non avevo dubbi..." Ci pensò ancora un po’ su,
cercando di accampare blande scuse ed infine accettò. "Ok, vengo. Milano l’ho già vista, qualche tempo fa, ma
senza cicerone! Vorrà dire che lavorerai un po’ per me!" sorrise strizzandomi un
occhio "ma bada che non voglio feste di compleanno!"
Era sempre
la solita, quando partiva, nulla poteva fermarla! Non poteva sapere dei ricordi
che mi suscitava la sua città, non le avevo ancora raccontato niente…
Ancora? Stavo pensando, forse, di parlarle di cose che non
avevo voluto confidare neppure al mio migliore amico?
Forse si… forse era giunto il momento di liberarsi di quel
peso.
"Ne approfitterò per passere da un paio di persone
che non vedo da un po’…" mi guardò incuriosita.
"Warner e Lenders…" continuai mentre lei faceva tanto
d'occhi
"Ma quei due…" "Giocano a
Torino, e allora?" Scosse il capo, sospirò e si
arrese. Sapeva che non si poteva discutere. Alla fine avevo avuto la mia piccola
rivincita sulla sua tirannia...
Qualche giorno dopo ero in ufficio
con Sonya a selezionare foto e video per creare dei montaggi con musica
incentrati sulle singole carriere dei nostri giocatori. Avevo finito con Karl e avevo cominciato con le immagini più
recenti di Benji, in quanto tutte facenti parte del nostro archivio e mi
venne in mano la stessa foto che avevo visto a casa sua. "Sonya, e questa?" pensai che la mia amica potesse darmi
delle delucidazioni a riguardo. Ero curiosa... "Uhm?" si girò verso lo schermo del mio pc ma quando
vide la foto s’incupì. Rimase un attimo in silenzio, poi chiese "Benji non ti ha
ancora detto nulla, vero?" No, mi aveva raccontato
moltissimo della sua vita, ma nulla che avesse a che vedere con
quell’immagine. Sonya mi guardò molto seriamente, le braccia conserte,
appoggiata in posa rigida allo schienale della sedia "Non te ne posso parlare,
Ele, mi spiace… Se vuole te ne parlerà lui, io non posso…" Non mi piacque il tono quasi drammatico che usò, mi trasmise
una sensazione di angoscia che, associata al mio amico, mi fece preoccupare un
poco per lui. "Ok, visto che riguarda qualcosa di brutto, che ne faccio? E’
quella che avevate usato quell’anno per la vittoria della Champions. Ed è
l’unica che ritrae Benjiamin in maniera decente in quella occasione! Che, direi,
è un punto importantissimo della sua carriera…" non volevo curiosare nella vita
del SGGK senza il suo consenso, ma quello era un piccolo, grande problema per
quel che riguardava il mio lavoro. Sonya sospirò,
comprendendo il mio dilemma "Chiedilo a lui. E’ l’unico che ti può dare una
risposta. Io, stavolta, la responsabilità non posso prendermela. Mi dispiace,
davvero..." e riprese a lavorare, lasciandomi una brutta gatta da
pelare.
Arrivò Dicembre. Con esso il giorno del mio
compleanno… "Ok, niente festa e niente regalo. Gli auguri
posso farteli o mi mandi a quel paese?" stavamo salendo in macchina, dopo
il solito allenamento mattutino, alla volta dell’Italia. "Accettati." "Wow! Grazie,
maestà!" mi rivolse un sorrisetto ironico e cambiò argomento. Ormai mi
conosceva bene, sapeva di aver ottenuto già molto costringendomi ad
accompagnarla. La lasciai davanti al portone di casa.
Quando le dissi che ci saremmo visti la mattina dopo diede il solito sospiro di
rassegnazione "Tanto con te non si discute, no?" No,
infatti. Arrivai a Torino che gli allenamenti del
pomeriggio erano appena cominciati. Mark e Ed giocavano
in quella città da quasi dieci anni… Mi presentai al
campo di allenamento ed al ct per poco venne un colpo "Cos’è Price? Sei
venuto a far da riserva a Warner?" "Al massimo sarebbe
lui a dover passare a fare la mia riserva!" De Carli si mise
a ridere "Non cambierai mai! Volevi parlare con Ed e Mark? Te li vado
a chiamare…" "No, lasci stare. Aspetterò che finiscano.
Grazie." Rimasi in disparte a guardare l’allenamento. "Ed è diventato veramente bravo… No, Ed è sempre stato molto
bravo. Non è il primo portiere del Giappone solo perché ci sono io… Se mi
sentisse Elena!" sorrisi tra me al pensiero della ragazza che mi
rimbrottava come al solito per il mio egocentrismo. Mark
aveva affinato parecchio il suo stile, in quegli anni in Italia, sarebbe stato
un bel avversario nella Champions di quell’anno. "Ma non
mi segnerai da fuori area, amico! Scordatelo!" guardai i miei compagni di
Nazionale terminare l’allenamento e dirigersi verso gli spogliatoi. Mi avvicinai
alla squadra e mi rivolsi loro in giapponese "Noto con piacere che gli allenamenti in
vista dell’ incontro con noi sono piuttosto duri. Paura di perdere?" Si voltarono istantaneamente, Ed sorpreso ma calmo, Mark,
come sempre quando c'ero di mezzo io, furioso. "Price" pronunciò il mio nome quasi con odio. Non
eravamo mai andati d’accordo. "Che diavolo vuoi qui?" Mi strinsi nelle spalle “Sono sceso in Italia per affari
personali e ho pensato di venirvi a trovare…” il tono che avevo usato lo
fece infuriare ancora di più, ma Ed lo anticipò "Non raccontare balle,
cosa vuoi?” "Ti devo parlare." "Parla." si piantò di fronte a me a braccia
conserte. Il mio sguardo passò da lui a Mark e poi nuovamente a lui. Il portiere
acrobata corrugò la fronte "Cos’è, vuoi parlarmi a quattrocchi?" Mark si fece avanti "Ancora la storia del posto
in Nazionale? Sei preoccupato Price? Non sei in forma e vieni a chiedere a Ed di
farti giocare titolare comunque?" Stavo per perdere
la pazienza. "Lenders" risposi a denti stretti "fatti gli affari tuoi e
sloggia!" Ed lo fermò un istante prima che mi saltasse
alla gola "Mark! Piantala! Vattene in spogliatoio. Voglio sapere cos’ha da dirmi
il damerino." Gli occhi della Tigre mandavano lampi, ma
si lasciò convincere. Restai solo con Warner. "Allora? Non
sei certo venuto qui per chiedermi il posto in Nazionale." Mi appoggiai con le spalle alla recinzione e per un attimo
non gli risposi. "Questo sarà il
mio ultimo Mondiale." Mi fissò in silenzio.
"Perché?" "Sarà così e basta. Volevo che lo sapessi. Hai
giocato per anni come riserva. Non credere" lo guardai fisso negli occhi
"sarai il mio secondo anche stavolta." "Credi?"
replicò con un sorriso ironico, sicuro. "Ci giocheremo il posto in
Nazionale nelle partite di Champions, lo sai. Con questi Modiali si chiuderà la mia
carriera e li giocherò da titolare, costi quel che costi!" non avevo
distolto lo sguardo un solo istante dal suo. Volevo che capisse che quella volta
non ci sarebbero stati né dubbi né discussioni. Per quel che mi riguardava c’era
troppo in gioco. "Voglio che lo sappia anche Mark." "Perché?" Mi allontanai dalla rete e
gli passai accanto "Diglielo. E basta. Ci rivedremo alla partita" Stette in silenzio un attimo, poi si voltò a chiedermi
"Marshall lo sa?" Mi fermai "No." Ancora silenzio. "Ci
vedremo alla partita." non gli diedi modo di replicare e me ne andai. Sapevo
di aver raggiunto il mio scopo.
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Capitolo 8 *** 7 ***
Arrivò puntuale come il suo solito alle nove sotto casa mia. Salii in
macchina senza far domande, anche se mi spiaceva non poco non aver potuto
festeggiare il suo compleanno, ma d'altronde lo sapevo bene: lui era fatto così,
quando prendeva una decisione non c'era verso di fargli cambiare idea.
"Allora, signorina, dove avresti intenzione di portarmi?" chiese col suo
solito sorrisetto sulle labbra. "Mmmm" affondai nel sedile con gli occhi al
cielo per poi riportarli su di lui "Allo stadio credi di saperci
arrivare?" Scosse il capo e avviò l'auto con una risatina sommessa.
Milano il giorno dell'Immacolata è un inferno:
il caos provocato dalle bancarelle, dai mercatini che spuntano nelle piazze,
davanti alle chiese, si sovrappone a quello quotidiano, amplificato dalla frenesia per le feste
natalizie che si avvicinano. Eppure è proprio in quel periodo che è ancora più
bella da visitare, forse proprio perchè un poco si spoglia di quella sua veste
di città seriosa che indossa durante tutto l'anno. Costrinsi il mio amico ad un
bel tour de force e, se non lo colpì allora la sindrome di Stendhal, credo non
gli verrà più! Apprezzò il giro turistico tra le bellezze della mia città e
non fece domande notando che mi ero tenuta il più lontana possibile dalla piazza
del Duomo. Avevo i miei perchè... La sera lo condussi ad un ristorante al
quale ero molto affezionata, e mi sorprese il suo atteggiamento. "Qui?"
chiese immobilizzandosi davanti all'ingresso, restando per un lungo attimo a
fissare la porta. "Si, perchè?" lo guardai un poco preoccupata, ma si
riscosse quasi subito, scuotendo il capo e chiudendo gli occhi, come a
cancellare vecchi ricordi. "Avanti, signorina! Con tutto quello che mi hai
fatto camminare, ora ho fame!" e mi spinse all’ interno sorridendo allegro, come
se nulla fosse successo.
Che coincidenza incredibile! Lo stesso
locale di qualche anno prima... Proprio la sera che avevo deciso di
parlarle. "Ehi, ci sei?" non la stavo ascoltando e mi richiamò
all'ordine passandomi una mano davanti agli occhi. Sospirò "Ok, portiere, ma che diavolo hai?" La fissai per un attimo in silenzio. "Questa non è la prima volta che visito la tua città… E non
è neppure la prima volta che vengo qui… Hai una bella mira, signorina!" Restò stupefatta, e anche un poco amareggiata. "Mi spiace… Ecco, lo sapevo! Parto sempre come un
carroarmato e…" "E hai fatto bene! Era tanto che ci
volevo tornare. E comunque la prima volta non avevo una guida brava come
te!" "Mmmm… grazie... però..." "Però mi manca un pezzo importante di città, o sbaglio? E'
tutto il giono che ci giriamo attorno..."
Intrecciò le dita sotto il mento
e mi guardò dritto negli occhi con quella espressione un pò ironica ed un pò
maliziosa che mesi addietro mi avrebbe mandata in bestia. Sospirai e risposi "Il Duomo è bello di giorno,
però… Di sera è stupendo! E, soprattutto, non c’è la calca che c’è di
giorno." "E a te la calca non piace…" "No. E il Duomo mi piace di più di sera. Ok?" Finimmo la cena e si lasciò trascinare in piazza. L’effetto fu quello desiderato: di sera, illuminato, il sagrato quasi
completamente sgombro dalla folla che la occupa di
giorno, il cielo limpido di una bella sera d’inverno che risplendeva tra le
guglie, il Duomo si presentava come uno spettacolo affascinante. Non voleva essere una serata romantica, era solo una cosa
bella che desideravo condividere con una persona cara, alla quale dovevo un
favore enorme e che non voleva in alcun modo farsi ripagare. Usciti dalla metro, la
facciata della cattedrale occupò la nostra visuale.
A me fa sempre un certo effetto e lo fece anche a
lui. "Avevi ragione." disse cingendomi
appena le spalle "molto, molto più bello di notte che di giorno!" "Ovviamente, tu c’eri stato di giorno…" non volevo essere
curiosa. Mi era venuta spontanea, ma avevo evidentemente toccato un brutto
tasto. S’incupì all’improvviso, distolse lo sguardo per concentrarsi sulla
chiesa. Mise le mani in tasca. Rimase in silenzio per un
minuto e poi, sempre senza guardarmi, disse "Vieni" e si avviò verso le scale
della cattedrale. Lo seguii senza fiatare. Fece due scalini, alzò il viso ad osservare le grandi
vetrate che campeggiano sulla facciata, sorrise e si sedette, inviandomi con un
cenno del capo a mettermi accanto a lui. Rimase ancora in silenzio. Lo sguardo
perso in avanti a fissare nel vuoto, le braccia sulle ginocchia.
"Ce
l’hai fatta, piccola rompiscatole! mi hai messo in buca! Anche se, per la verità, forse un po’ me la sono
cercata.. Ora però sono qui ed il peso che ho
dentro è diventato troppo opprimente. Questo posto suscita fa riaffiorare
così tanti ricordi..."
Sapevo cosa dovevo fare ed in
fondo mi ero fatto trascinare in Italia proprio per quello. Ma non era
facile. Erano anni che non ne parlavo con nessuno. E, comunque, a nessuno
avevo mai detto l’intera verità.
Guardai con la coda
dell’occhio la ragazza che mi stava accanto. Si stava godendo la vista di quel
luogo che le era tanto caro. Non mi chiedeva nulla. Aspettava e basta.
"Incredibile" pensai
"E’ la prima donna da almeno due anni con la quale non ci provo… E non è da dire
che sia una brutta ragazza! Solo… " non lo trovavo giusto. Un po’ per quello che
le era capitato, un po’ perché, mi resi conto in quell’ istante, mi ero
affezionato molto a lei. Fu come un fulmine a ciel sereno. Sorrisi tra me.
Già, mi aveva conquistato con quel modo di fare che era un po’ anche il mio. Mi
guardava sempre dritto negli occhi, non mi risparmiava né sarcasmo, né
rimbrotti. E mi ascoltava senza chiedere niente.
"Ok, Price, coraggio! E’ ora di vuotare il sacco!" mi dissi,
e mille ricordi affollarono la mia mente… Avevo seguito il mio istinto, avevo
dato ragione a Karl ed alla mia voglia di vincere. E avevo perso. Non
solo! Mi ero pure giocato il posto in squadra. Ero furioso col mister che ci
aveva costretti a giocare un gioco inutile ed insulso, al quale mi ero
ribellato, tentando di portare la squadra alla vittoria. Ma la fortuna quel
giorno non era stata dalla mia. Uscii dallo stadio in silenzio, gli sguardi
dispiaciuti dei miei compagni sulle mie spalle e le parole di alcuni tifosi
amareggiati nelle orecchie. Il cellulare squillò e lo spensi. Tornare ad
Amburgo non sarebbe stato un problema e comunque avevo bisogno di starmene per
i fatti miei. Girai per le vie di Monaco senza meta. Allora non la conoscevo
come la conosco oggi, e mi imbattei in un pub ancora aperto nonostante l'ora
tarda. Entrai. Era deserto. Meglio così, pensai. Dietro il banco un uomo grosso, pochi
capelli rossi e ricci ed un viso cordiale. "E’ aperto?"
chiesi. "Prego! Si accomodi! Stiamo per chiudere, ma una
birra non si nega a nessuno!" dall’accento compresi che non era tedesco.
Inglese, forse. Con un vocione allegro richiamò l’attenzione della figlia, che
mi dava le spalle mentre sistemava le bottiglie su un ripiano. "Kim, una birra per il signore! Sembra averne bisogno!" Non avevo chiesto nulla, ma andava bene così. "Ok, papà! " rispose allegra la ragazza. La osservai meglio.
Piccola di statura, non magra ma… sottile. Quest’impressione accentuata
dall’enorme massa di capelli ricci rosso rame che le scendevano sulla schiena. Quando si voltò per spillarmi la birra rimasi esterrefatto.
Non era bellissima, no. Un viso tutto sommato abbastanza comune, carico di
lentiggini su una pelle chiarissima ed un fisico niente di chè, però… Occhi
verdi enormi, ben disegnati, limpidi come un lago di montagna. E che non
lasciavano scampo. Non per altro, ma ti guardavano dentro senza fare troppi
complimenti. Mi sottrassi da quello sguardo calando il
cappello sugli occhi ma mi riconobbe comunque. "Guarda guarda chi abbiamo
l'onore di avere qui! Il portiere che si lancia all'attacco del Bayern
Monaco!" Mi voltai di scatto verso di lei. Ma come osava
trattarmi a quel modo! Mi guardava tranquilla, dopo aver fatto
quell’osservazione, mentre mi preparava la birra. "Deve ammettere, Herr
Price, che quell'azione è stata piuttosto sfortunata..." Non avevo voglia di
parlare della partita, mi ero allontanato dagli altri proprio per quello. Le
ferite al mio orgoglio facevano ancora troppo male... "E lei che ne
sa?..." Fece spallucce e mi servì senza abbassare lo sguardo "Non
ci vuole un genio, no?" Mi alzai fissandola e feci per
andarmene. "E la birra?" "Tranquilla che gliela pago.” "Non mi
interessa che la paghi, la offro io." Mi voltai
nuovamente verso di lei "Non ho bisogno della tua carità." era già una
brutta serata e quella ragazza mi stava dando sui nervi. Pensare che ero entrato
lì dentro per starmene per i fatti miei! "E' stata
un'azione disperata. Ti è andata male ed in un certo senso hai regalato la
vittoria alla mia squadra. Cos'è, pensavi di essere un superuomo invicibile,
costantemente baciato dalla fortuna?" Tornai verso il bancone e,
appoggiandomi ad esso, mi sporsi e le parlai col viso molto vicino al suo "Sai
chi sono, vero?" Non si spostò. Mi rispose inclinando la
testa da un lato "Si." "Sai quanti goal ho subito
nell’ultima stagione?" "Price" strinse leggermente gli
occhi "sei la bestia nera di tutti gli attaccanti della Bundesliga, e non
solo… Ma stasera sei stato costretto a giocare d'azzardo nel
tentativo di portare la tua squadra alla vittoria. E ti è andata male. Quindi,
visto che ho l’onore di averti qui, ti offro una birra, ok?" Rimasi a
guardarla. Non volevo dargliela vinta. Ma quel suo modo di fare schietto
mi piaceva. "Ok." e mi risedetti al mio posto "In
fondo, me la sono meritata!" "Si, decisamente!" e mi
sorrise da dietro il bancone. Bevvi con calma mentre la
ragazza e suo padre riordinavano il locale. Parlavano tra di loro, in inglese… Dopo una mezz’ora si sedette accanto a me, appoggiandosi
con un gomito al banco e guardandomi di nuovo dritto negli occhi. "Tu e tuo padre non siete tedeschi. Inglesi?" Mi guardò inorridita "No! Irlandesi!" Sorrisi per la foga con la quale mi aveva risposto. "Ma non hai letto il nome del locale?" mi riprese quasi
stizzita. "No. Avevo altro per la testa."
distolsi lo sguardo dal suo. Era come essere continuamente sotto esame. "L’irlandese volante." "Come?" era un modo come un altro per cambiare
argomento. "Mio padre è venuto in Germania dopo che mia
madre morì, circa otto anni fa." Rimasi
spiazzato da quella confidenza tanto personale. Se ne accorse e mi sorrise "Acqua
passata! Ora siamo qui, e continuiamo il suo sogno! Questo è l’importante!" Era piena di allegria e voglia di vivere. Saltò giù
dallo sgabello e girò dietro la spina della birra per riempirsi un piccolo
boccale. Quindi tornò a sedere accanto a me. "In fondo per stasera un po’ mi dispiace…" "Ah, si? Non mi pareva…." "E' stato
spiacevole vedere l'Amburgo giocare a quel modo, difendersi senza attaccare. La tua azione
è stata un bel piglio d'orgoglio, ed è un vero peccato che sia finita così... L'allenatore
non l'ha presa bene, vero?" Puntai lo sguardo sul boccale ormai vuoto nel
quale un rivolo di schiuma stava lentamente raccogliendosi sul fondo "No, non
l'ha presa bene... Temo che per un pò sarò fuori squadra." "Ma non è giusto! Si gioca per vincere altrimenti dov'è il
divertimento? Dov'è lo scopo del giocare a calcio? La tua è stata l'unica azione
decente dell' Amburgo di tutta la partita!" aveva pronunciato quelle parole con
enfasi, ricordandomi, in un lampo, quelle dette dal Kaiser sul campo solo poche
ore prima. "Grazie." le dissi alzandomi. "E di chè?" chiese, spalancando
sorpresa gli enormi occhi verdi. "Di aver dato la risposta alle mie domande.
Mi chiedevo se avevo fatto la cosa giusta, stasera. E la risposta è si. Perchè
se non si gioca per vincere non c'è divertimento. Ed io continuo a divertirmi
quando gioco a calcio, nonostante tutto!" Scesi dallo sgabello e feci per
portare la mano al portafogli. "Ti ho detto che offro io, campione!"
disse sottolineando l’ultima parola con un sorriso "Ma pretendo che la
prossima volta che passerai di qui, avrai giocato in porta tutti e novanta i
minuti della partita!" "Vuoi veder perdere la tua squadra?" le sorrisi di
rimando. "Scherzi? E’solo che non c’è gusto a vincere se in porta non
c’è il SGGK!" mi strizzò un occhio mentre uscivo dal locale. Tornai… Quei mesi
erano stati veramente tutti in salita. Avevo dovuto faticare, lottare per
riconquistare il mio posto in squadra. Non fu facile, ma alla fine il mister
dovette cedere, anche se, purtropo per noi, ormai le speranze di entrare in
Champions erano completamente perdute. Quando si tenne il ritorno col Bayern
giocai tra i pali tutti e novanta i minuti. Vincemmo la partita. Karl
dette fondo ad ogni astuzia ma non
lo feci passare ed i ragazzi in attacco rimediarono un fortunoso ma provvidenziale
goal. Tornai a Monaco, nel bar di Kim. Mi accolse con un gran
sorriso e un boccale di birra. Irlandese… "Spiacente… avete perso!” Fece
un finto broncio corrucciando le labbra "Mmmm, quasi quasi ti preferivo in
panchina!" disse, risfoderando il suo solito, limpido sorriso. In quei
mesi c’erano state diverse ragazze, ma nessuna importante e più di una
volta avevo ripensato a quella conversazione con la piccola irlandese. Rimasi
fino all’ora di chiusura per poter parlare di nuovo con lei con calma. Tornai
altre volte a Monaco e non solo in occasione delle partite… E le ragazze
nella mia vita diminuirono, fino a sparire. Poi, un giorno, finalmente
accettai la proposta che Karl mi aveva fatto più volte per conto della sua
squadra. "Buonasera! Ehi, ma mica c’è aria di partita!" gli occhi
verdi erano luminosi come non mai. "Veramente, d’ora in avanti, non dovrai
più temere per la tua squadra…" mi appoggiai con le braccia al bancone,
sporgendomi verso di lei. Si appoggiò a sua volta coi gomiti, tenendosi il
viso tra le mani "Ah si? E come mai? Non sei abbastanza vecchio per andare
in pensione!" Sorrisi al suo sarcasmo e annunciai "Avete appena
acquistato il miglio portiere della Bundesliga ed oltre!" "Waaaaa!
Grande!" Volò letteralmente fuori dal banco e mi saltò al collo
abbracciandomi. La invitai a cena. "Posso, papà?" Shaun Ryan ci guardò
sorridendo, passando lo sguardo dalla figlia a me. Annuì piano più volte e, alla
fine, disse "Come no, figlia! Certo…" e puntò i piccoli occhi verde scuro nei
miei. Era l’avvertimento di un padre premuroso. Fu la serata più bella da
quando ero giunto in Germania. Kim era bellissima. Fu anche la prima volta
che mi trovai in difficoltà con una donna. Perché, quella volta, ero
innamorato. Come al solito fu lei a togliermi dagli impicci. Fuori dal
ristorante ci avviammo a piedi verso il centro, abbracciati e in
silenzio. Giungemmo in piazza. Kim si fermò all'improvviso e mi guardò,
piuttosto spazientita. Fissò quel suo sguardo verde smeraldo su di me,
squadrandomi e sospirando "Allora?" chiese. Al momento non capii
"Allora, cosa?" o forse ero troppo spaventato da quel sentimento per
capire. Chiuse gli occhi, sospirò profondamente, mi buttò le braccia al collo
e premette le sue labbra sulle mie. Era la prima volta che non ero io a
prendere l’iniziativa. Mi sentivo un’idiota perché quella avrebbe dovuto essere
l’unica volta in cui avrei proprio dovuto farlo… ma fu meglio così. Ricambiai
quel bacio… ed i successivi. Il mio soggiorno a Monaco cominciò così: una
nuova vita e un nuovo sentimento. Proprio io, che avevo sempre rifiutato
l’amore. Kim era eccezionale. I miei compagni mi prendevano in giro perché,
dicevano, non era possibile che una ragazza dolce ed adorabile come lei si fosse
innamorata di un tipo duro ed arrogante come me. Quando li sentiva
rispondeva semplicemente che a lei piacevo così e che non avrebbe cambiato una
virgola del mio pessimo carattere. Ero l’uomo più felice del
mondo! Purtroppo, un giorno, la nostra felicità venne turbata da un evento
terribile. Era aprile. Un piovosissimo aprile.
Eravamo più o meno a metà dell’allenamento pomeridiano quando il mister
mi chiamò fuori dal campo. Non capivo chi potesse essere a quell'ora.
Arrivai nell’atrio della sede cercando di asciugare almeno i capelli fradici d'acqua e vi
trovai Kim che mi dava le spalle. "Amore, che succede?" Si voltò di
scatto, il viso stravolto, le lacrime che scendevano copiose dai grandi
occhi arrossati. Mi si buttò tra le braccia ed iniziò a singhiozzare
violentemente. Lasciai cadere a terra l’asciugamano e l'abbracciai. "Calma, tesoro,
calma…" la stringevo senza capire, accarezzandole e baciandole i riccioli rossi
zuppi di pioggia. "Benjiamin, papà…" "Cos’è successo?" Singhiozzò
ancora. Poi rivolse il viso verso di me, e con un filo di voce disse "E’
morto…" Mi colpì come un pugno allo stomaco. Com’era possibile? Quel grosso
uomo gioviale e pieno di vita? Col quale avevamo discusso e riso solo che poche
ore prima, la sera precedente, nel suo pub… "Infarto…" seppe solo
spiegarmi, prima di riprendere a piangere. Da quel momento, mi resi
conto, nella sua vita ero rimasto solo io. La portai a casa
mia. La feci calmare. Insieme decidemmo il daffarsi. Il funerale. La gestione
del pub. La sua laurea. "Tu vieni ad abitare qui." "Cosa?" sembrava non
credere alle mie parole " ma…" cercò di opporsi
debolmente. "Niente ma! Tu non vivrai da sola in una casa piena di ricordi
che ti fanno stare male.Volevo già chiedertelo, in realtà… Ne avevo anche
parlato con Shaun.” La guardai. Le lacrime non solcavano più il suo viso.
"Cosa ti ha detto?" Le parole di suo padre erano legge per lei, per quello mi ero
rivolto prima a lui. Chi avrebbe mai pensato che gli eventi si sarebbero svolti
a quel modo… "Aveva detto si…" mi sedetti accanto a lei e la strinsi.
Sentii nuovamente il suo corpo venire scosso dal pianto. Passò il funerale.
Passò la laurea. Kim venne ad abitare con me. Eravamo felici, veramente
felici! Il dolore per la perdita del padre era una
presenza costante, ma lei reagiva con forza. Andava avanti. Come avrebbe voluto
lui Kim si era laureata in scienza della comunicazione, e per un caso
fortuito il predecessore di Sonya era rimasto senza assistente.
Non volle raccomandazioni ma non furono necessarie, era
bravissima, zelante e competente e venne assunta subito. Erano
passati almeno sei mesi da chè era venuta ad abitare con me, che mi venne a trovare
mia madre. Da quando avevo litigato con mio padre la vedevo ancor meno di
prima. Fu sorpresa, molto sorpresa della presenza di Kim. Ma la mia
piccola irlandese l’ammaliò, esattamente come aveva fatto con me. Non pensai
minimamente alle conseguenze di quella visita. Era da tempo che non pensavo ai
guai con mio padre. Pochi giorni dopo, al rientro dagli allenamenti, trovai
una grossa Mercedes nera davanti a casa. Sapevo cosa voleva dire. Non appena
mi avvicinai al portone, l’autista scese ad aprire la portiera a mio padre.
Continuai a dare le spalle all’auto e ai suoi occupanti. "Benjiamin!" mi
sentii chiamare. Strinsi i denti. Non volevo né vederlo né parlargli. "Ti
sembra il modo di trattare tuo padre?" Respirai forte, trattenendomi. Mi
voltai e l’affrontai "Cosa diavolo vuoi da me?" "Ti devo
parlare." "Parla." non avevo alcuna intenzione di farlo entrare in
casa mia. "Non pretendo di essere invitato, ma non sono cose di
cui discutere in mezzo ad una strada." Mi arresi, anche perché diverse
persone si erano soffermate a curiosare. "Ok, sali." gli voltai le spalle e
salii le scale. Giunti nel mio appartamento, chiusi la porta e mi preparai ad
affrontare l’ennesima battaglia. Richard Price, mio padre, era in piedi di
fronte a me. Sicuro di se, determinato. La sua solita espressione
sprezzante. "Tua madre mi ha portato notizie della tua nuova vita. Sembra che
tu abbia trovato una ragazza decisa a sopportarti." Non capivo cosa volesse
da Kim, e la cosa non mi piaceva. "Forse, però ti sei dimenticato di un
piccolo particolare." continuò, fissando il suo sguardo nel mio. Non
mi piaceva per nulla il suo tono. "Cosa vuoi? Cosa vuoi da me e da
Kim?" "Volere da voi? Nulla! Sono solo qui a ricordarti i tuoi
doveri." "Non ho doveri verso di te. Ti ricordo che ormai è già qualche
annetto che non mi mantieni più." mi piazzai davanti a lui, a braccia
conserte, lo sguardo dritto nel suo. "Lo so. Ma sei comunque mio figlio. Il
mio unico figlio. E sarai comunque l’erede del mio patrimonio." cercò come
il suo solito di farmi pesare quelle parole. "E allora?" "Forse la vita
da calciatore ti ha fatto dimenticare il mondo dal quale provieni." "Non mi
pare di essere un marziano!" gli risposi ironico. "Poco sarcasmo, figlio! Ti
ricordo che la nostra è una delle famiglie più importanti del Giappone! Ed è
solo perché te l’ho concesso che sei ancora in giro per il mondo a divertirti
col calcio, invece che essere a prenderti le tue responsabilità!" Il solito
discorso… "Ascolta, sai benissimo perché sono quello che sono. E’ solo colpa
tua. O merito tuo! Il calcio è divento la mia ragione di vita, la squadra la mia
famiglia, semplicemente perché TU mi hai mollato a dieci anni da solo in
Giappone! Cosa diavolo vuoi ancora da ME!?" Mi fissò un momento e poi esordì
"Quella ragazza non fa per te!" Caddi letteralmente delle nuvole! Come poteva
dire una cosa del genere! Di Kim! Che neppure conosceva! La rabbia prese il
sopravvento "Fuori di qui!" Non si mosse, anzi la sua figura perve farsi ancor più inamovibile
dinnanzi a me "Scaldati quanto vuoi. Sai benissimo come funzionano le
cose…" Certo, matrimoni combinati e via dicendo... Non ne avevamo mai
parlato, ma c’era da aspettarselo! Tanto, per lui, ero solo un burattino da
manipolare per i suoi interessi. "Scordatelo!" ringhiai minaccioso. Se ne
andò. Passandomi accanto mi sibilò un : "Ne riparleremo." Quando uscì dalla
porta , chiusi gli occhi tentai di calmarmi. Poi mi sedetti pesantemente sul divano
tenendomi la testa fra le mani. Sapevo che non sarebbe stata la
sua ultima visita. Sapevo che da quel momento sarebbe stata una lotta continua e
senza quartiere.
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Capitolo 9 *** 8 ***
I ricordi lo avevano travolto. Non stava
parlando con me… stava solo ricordando. Fatti, persone, emozioni, sentimenti
sepolti da tanto, troppo tempo. Fissai per un po’ quel bel profilo regolare e
quegli occhi neri che avevo tante volte visto ardere come carboni ardenti. Ora
erano persi in un lontano passato, fissi a guardare scene già viste. "Sei sicuro di voler continuare?" chiesi sottovoce. Chiuse un secondo le palpebre e
sospirò "Si, devo… E’ troppo tempo che devo alleggerirmi di questo peso." si voltò verso
di me "Tu, piuttosto, sei certa di volermi ascoltare?" Gli sorrisi "E,
secondo te, gli amici a cosa servono, scusa?" "Grazie." e volse nuovamente lo sguardo alla piazza, continuando
il suo racconto.
Non so quanto dopo che mio padre era uscito dall’
appartamento, Kim rientrò a casa. Mi trovò seduto sul divano, totalmente immerso
nei miei pensieri. Comprese al volo che c’era qualcosa che non andava. Le raccontai dell’incontro con Richard,
della sua velata minaccia. Non capiva. Ma come avrebbe mai potuto capire una
situazione del genere, lei, amata e adorata dai genitori che erano sempre stati
al suo fianco! Buffo, no? Quanto fossimo complementari in tutto, io e lei! Kim
aveva sempre avuto l’appoggio incondizionato di due genitori amorevoli che,
disgraziatamente, erano venuti a mancare troppo presto. Io, nonostante li avessi
ancora entrambi, li consideravo poco più che estranei ed erano praticamente
sempre stati assenti per tutta la mia vita. "Non posso credere che ti abbia detto
una cosa del genere!" non avevo mai visto quei bei occhi verdi tanto infiammati d’ira
"Ma come può!" Le sorrisi stancamente "Amore, sono almeno vent’anni che va
avanti questa storia… Te l’ho già detto: mio padre non condivide la mia vita,
non condivide il fatto che mi sia allontanato da lui, dalla famiglia, dagli
affari..." "Ma se l’è cercata lui! Ti ha mollato da solo a dieci anni
in Giappone! E cosa pretendeva? Non può prendersela con te, con le tue scelte,
con la tua vita, col calcio! Ma che ragionamenti!" si era seduta accanto a me e mi
abbracciava tenendo la testa appoggiata alla mia. "Mi ha lasciato fuori
dalla sua vita per anni, per poi pretendere che corressi da lui. Se penso…" ricordi
lontanissimi, di quando ero piccolo e mio padre era a casa, accanto a me… "A
cosa pensi?" Mi alzai e la presi per mano "Vieni, ti mostro uno dei motivi per cui
mio padre ce l’ha tanto con me!" mi guardò incuriosita ma non fece domande e mi
seguì. La portai in camera ed aprii l’anta dell’armadio dove
tenevo le mie divise. Ne spostai alcune, presi un vecchissimo pallone e glielo porsi. Lo tenne
tra le mani, non comprendendo. "E’ stato uno dei primi regali che mi fece mio padre...
Ero piccolissimo, e l’ho sempre tenuto e portato con me..." Rimase
un attimo in silenzio, fissando quella vecchia palla di cuoio, consunta dal tempo
e dall’uso. Poi fissò di nuovo il suo sguardo verde smeraldo non mio "Tu non lo
odi… O meglio: tu gli ha sempre voluto bene, ma non gli perdoni di averti
lasciato, giusto?" Ripresi il pallone e lo rimisi al suo posto "Già… Mi
regalò questo pallone, perché anche lui amava il calcio. Freddy, il mio
allenatore, era un suo amico di vecchia data. Mi affidò a lui proprio per
quello, non solo perché è un ottimo trainer. Ma se ne andò per troppo tempo. Non
tornava se non per impegni di lavoro. Quasi mai per me. All’inizio della mia
carriera era entusiasta dei miei successi… poi, quando venni in Germania, si
accorse che ormai questa era la mia vita. Ed iniziò a mettermi i bastoni fra le
ruote… A diciott’anni decisi che non mi sarei più fatto tiranneggiare e mi presi
un appartamento per conto mio…" "Ti ha
lasciato in buone mani… ma la situazione è sfuggita al suo controllo… E
quando ha cercato di riprenderlo, era troppo tardi." mi abbracciò "Io non penso che tu
odi veramente tuo padre." "Ah no? E allora, signorina, perché mi viene da
spaccargli la faccia ogni volta che lo vedo?" Mi guardò
facendomi una smorfia "Perché hai un caratteraccio, Benji Price!" e poi, seriamente "Perché ti
senti tradito, e vorresti che ti apprezzasse per quello che sei… E non credo,
alla fine, che anche lui ti disprezzi, sai? Se ti disprezzasse, non farebbe di
tutto per farti mollare tutto per averti con sé, al suo fianco. Non
credi?" Non ci avevo mai pensato… Non avevo mai pensato che, effettivamente,
se mio padre mi avesse disprezzato, di certo non mi avrebbe voluto come suo
successore… Certo, sono figlio unico, ma Richard Price ha almeno tre nipoti,
figli dei miei zii, che lavoravano già allora nell’azienda… Perché incaponirsi
con me? Solo perché ero suo figlio? Solo per orgoglio? Forse… "Kim…" "Voi
due dovreste parlare. Da soli e tranquillamente." "Non è possibile,
sono vent’anni che ci proviamo! E adesso, con questa storia che non sei la
donna adatta a me..." le parole di mio padre mi tornavano alla mente, facendomi
rimontare in rabbia. Kim sospirò paziente "Anche quello… Forse per te vuole
una donna del tuo rango, in grado di aiutarti nell’azienda..." Non la
feci finire "Tu vai benissimo! E non parlarmi di ranghi, per favore!"
Il suo sguardo fu compassionevole "Il solito Benji… Ahaaa che palle! Io di certo
non ti mollo, solo perché lo dice tuo padre!" detto questo, mi strinse ancora più
forte e mi dette un lungo bacio, per poi staccarsi all’improvviso e guardarmi
pensierosa. "Che hai?" chiesi. "Mmmmm… dì un po’, ma il matrimonio dei tuoi era
combinato?" Mi prese del tutto alla sprovvista. "N-non… non lo so! Francamente
non mi è mai venuto in mente di chiederlo!" "Ok, informati!" e mi
dette un bacio sulla guancia, liberandosi dal mio abbraccio "Io, tanto che ci
pensi, vado a preparare la cena!" e se ne andò allegramente in cucina, lasciandomi
perplesso ed imbambolato nel mezzo della camera da letto. Il giorno seguente
andai agli allenamenti con la testa in subbuglio. Lavorai distrattamente e se ne
accorsero tutti, ma nessuno fece domande. Ripensavo alla sera precedente, a mio
padre, ai nostri litigi, a quello che mi aveva detto Kim… E, soprattutto,
alla sua domanda. Solo una persona poteva rispondermi. Lo chiamai quella sera
stessa, subito dopo gli allenamenti del pomeriggio. "Benji! Ciao! Tutto bene?
Dimmi, è successo qualcosa?" Era stato come un secondo padre… E mi aveva
sempre trattato come un figlio. "Ciao Freddy! Tutto bene, grazie! No, non è
successo nulla in particolare, solo, avevo una domanda da
farti..." "Dev’essere ben importante per chiamarmi alle otto del
mattino!" Presi un respiro, non era facile parlargli dei miei… "Ascolta,
Freddy, tu conosci i miei genitori da una vita… Da prima che si
sposassero?" "Ma… che domande?! Benji, che succede?" "Per favore,
rispondi!" "Si, da prima che si sposassero. Ma mi vuoi spiegare..." "No,
non posso… è meglio di no! Per favore, rispondimi senza far domande! Il loro è
stato un matrimonio combinato?" Silenzio… Aveva capito. Anni di litigi tra me
e mio padre, tra il suo pupillo ed il suo migliore amico… Lo sentii sospirare "No,
il loro non è stato un matrimonio combinato… Si conobbero al liceo, si
innamorarono e si sposarono." "Grazie." Silenzio. "Forse è meglio che
faccia una chiacchierata con Richard..." "No, lascia perdere! Me la cavo da
solo! Non ho più dieci anni, Freddy!" Un altro sospiro "Ok, come vuoi...
Ricordati che se hai bisogno di una mano con tuo padre…" "Grazie. Lo so. A
presto!" Tornai a casa e riferii a Kim della telefonata. Il suo
viso s’illuminò di un gran sorriso, mentre mi riempiva il piatto "Ok,
signorino Price! Ora hai la tua carta da giocare! Vediamo se te la cavi bene in
attacco quanto in porta!" e mi fece l’occhiolino. Passarono le settimane.
Mio padre non si fece risentire. Io non lo chiamai. Vivevo serenamente
la mia vita con Kim, giorno per giorno, aspettando la bomba… Che non tardò a
scoppiare. Arrivò per raccomandata. La ricevette Kim. Non la aprì fino al mio
arrivo. Era di uno degli avvocati giapponesi di mio padre. Ed era decisamente
una minaccia. Il consiglio della famiglia Price mi metteva alle strette: se non
avessi rinunciato alla mia carriera entro un anno, mi avrebbero diseredato ed il
posto di mio padre, a tempo debito, sarebbe stato preso da mo cugino Kevin. Per
non perdere i miei diritti, inoltre, avrei dovuto accettare il matrimonio con
tale Melody Krone, già, per altro, stabilito in precedenza, e di cui io non
sapevo assolutamente nulla. Ero un furia! "Ma che vadano al diavolo!
Loro, la loro azienda ed i loro loschi affari!" appallottolai la lettera e la
scagliai con violenza contro una finestra. "Calmati!" "Ma come puoi dirmi
di calmarmi! Potrei pure capire la richiesta di abbandonare il calcio! E’
impensabile, ma, tutto sommato, logica! Ma chiedermi di lasciare TE! Sono
pazzi!" Ero in piedi, nel mezzo del salotto. Kim seduta sul divano, i gomiti
sulle ginocchia ed il mento appoggiato sulle mani, Lo sguardo sereno… Ma come
faceva a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno?! "Calmati e siediti!" mi
sorrise… e mi disarmò. Come sempre. Cedetti e mi misi accanto a lei. Cominciò
a parlare piano, con calma "Cos’ hai studiato?" La guardai sorpreso… Stavo
finendo di laurearmi in ingegneria gestionale. Non era facile, tra partite,
allenamenti, ritiri.Ma non mi interessava finire nei tempi canonici. Non avevo
fretta. "Lo sai… perché me lo chiedi?" "Benji, un campione come
te potrebbe pure fare a meno di una laurea… per di più di una laurea del
genere! Senza contare che, ogni tanto, segui pure i corsi di lingue!" mi rivolse uno
sguardo di rimprovero. "Quello perché mi piacciono... e, magari, mi servono
pure, col lavoro che faccio!" "Ingegneria gestionale non c’entra
molto col calcio… Mica ti aiuta a gestire la difesa del Bayern!" stavo per ridere… poi
capii dove voleva andare a parare… Aveva fatto centro. Come al
solito… Riprese seria "Tu stai studiando perché sai che un giorno dovrai
prendere il posto di tuo padre. Perché non è vero che non te ne frega niente!
Perché, in fondo (me lo hai detto tu stesso diverse volte) tuo padre ha
sacrificato tutto, te compreso, per rimettere i sesto un’azienda che stava
andando a rotoli! Ed è stato grande… E, nonostante tutto, tu lo ammiri per
questo." Il su sguardo era pesante da sopportare. Le sue parole
verissime. "Non voglio perderti… Il calcio… è la mia vita. Hai ragione quando
dici che al posto del cuore e del cervello ho un pallone! Ma non si può giocare
in eterno… Le carriere finiscono… Ho sempre pensato che avrei preso ad
affiancare mio padre a fine carriera. E’ vero: ho studiato perché sapevo che
avrei lavorato con lui. Ma negli ultimi anni è diventato insopportabile… La
storia del matrimonio poi!" "Kevin è in grado di prendere quel posto?" Ci pensai… forse… "No." risposi scuotendo ilo capo "Lavora con loro da un paio di anni, ma è soprattutto un
ragazzino viziato!" "Ok. E, secondo te, tuo padre è tanto fesso da lasciare
che tutte le sue fatiche ed i suoi sacrifici vengano vanificati da un ragazzino
viziato?" No. "Parlagli. Con Calma. Anche di me. Se vuoi, verrò anch’io.
Non mi faccio mica sostituire da una Melody qualsiasi, sai?!" La guardai. Era
più bella del solito. No, non l’averi mai lasciata! Non risposi a quella
lettera. Continuai a giocare a calcio ed a vivere con Kim. Quell’anno
vincemmo la Champions. La mia prima Coppa dei Campioni con il Bayern. La
vittoria della foto a casa mia… Finì il campionato. Secondi dietro il Brema.
Un pareggio di troppo. La mia porta sempre salva… Era un giugno terribilmente
caldo. Kim era tornata a casa prima di me perché non si era sentita
bene. Un giramento di testa. "Non ti preoccupare!" mi rassicurò "E’ la solita storia
della pressione bassa! Vado a casa al fresco, mangio qualcosa, e stasera sono
come nuova! Tu non ti preoccupare e finisci l’allenamento! A dopo!" Ero
preoccupato, naturalmente, ma con lei non si discuteva! Volai a casa, ma
quando arrivai, vi trovai l’auto di mio padre. Salii velocemente le scale,
col cuore che batteva a mille. Spalancai la porta e quello che vidi mi lasciò di
sasso. Richard Price seduto su divano, un bicchiere di the freddo in
mano e Kim sulla poltrona accanto che mi sorrideva facendomi l’occhiolino. Per
un istante non respirai. "Stai meglio?" chiesi, ignorando mio padre. "Si,
molto meglio! Ti stavamo aspettando!" inclinò la testa verso Richard e mi strizzò
nuovamente l’occhio. Ripresi fiato ma rimasi in guardia. "Non hai risposto
alla lettera…" Lo fissai. Era tranquillo. E, per una volta, non c’era sul suo
volto il solito sorriso sprezzante. "Non ce n’era bisogno. Non ho
nessuna intenzione di mollare la mia carriera adesso. E non ho intenzione di sposare
la signorina Vattelapesca! Ho già preso le mie decisioni in proposito!" rivolsi
il mio sguardo su Kim, che arrossì visibilmente. Mio padre non reagì come avevo pensato "Bene. Me l’aspettavo." fece una pausa. Posò
il bicchiere sul tavolino davanti a lui e si alzò, mettendomisi di fronte. Ero
pronto all’ennesimo litigio. Invece… "Kevin è un buono a
nulla. E lo sai pure tu!" esordì, guardandomi dritto negli occhi e cogliendo la mia sorpresa "Non ho
nessuna, ripeto, nessuna intenzione di lasciargli rovinare il mio lavoro di vent’anni!
Tu prenderai il mio posto, volente o nolente!" era un ordine. "E se non
volessi?" "Allora, spiegami perché stai studiando, e pure con
profitto!" Volsi per un attimo lo sguardo a Kim, che allargò il sorriso. Non
sapevo se strozzarla o cos’altro! Sospirai e gli risposi ironico "Lo sai
che do sempre il meglio in tutto quello che faccio… amo essere il primo della
classe… Non leggi i giornali?" "Li leggo… buon per te! Quando sarà il momento
ti verrà utile! Per il momento..." "Si?... Hai altre richieste assurde? Come
farmi lasciare la donna che amo per venire a dirigere la tua stupida
azienda!" Si trattenne. "No. Voglio solo che ti prenda le tue
responsabilità." "Ah si?" "Benjiamin, non mi provocare! Ne riparleremo
più avanti!" mi passò accanto ed uscendo salutò Kim. La guardai,
chiedendole dubbioso "Cosa gli hai
detto?" "Ho giocato la nostra carta!" e mi sorrise. "Come?!"
"E’ entrato in tromba, attaccandomi e dicendomi che non ci saremmo mai
potuti sposare perché il tuo matrimonio era già combinato da anni, che faceva parte
di un accordo tra famiglie e che io non sono la donna adatta a te! Fermo, non
ti agitare!" mi aveva preceduto. "Io, con molta calma gli ho solo chiesto
una cosa." mi rivolse uno sguardo malizioso. "Beh?" "Gli ho chiesto cos’avrebbe fatto se
tua madre, invece che essere una ricca aristocratica giapponese, fosse stata una
normale donna, magari non nipponica. Più ho meno ha fatto la tua stessa faccia
di ora!" Mi aveva spiazzato "Cos’ha risposto?" Si strinse nelle
spalle "Non ha risposto."
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Capitolo 10 *** 9 ***
Le pretese del consiglio di amministrazione della
famiglia Price divennero pressanti. Arrivarono perfino a convocarmi. Mio
padre non fu presente a quell’incontro. Non mi feci minimamente
intimidire. Non avrei mai lasciato Kim. E non avrei abbandonato una
brillante carriera calcistica, non ancora al suo apice! Tornai casa, sfinito
da tre ore di lunga ed inconcludente discussione. Kim aprì la porta e mi
sorrise. A quella vista la stanchezza passò di colpo "Mmmm, accidenti!" disse "Quasi
quasi ti convinco io a mollare il calcio per il lavoro d’ufficio! Sei bellissimo
in giacca e cravatta!" e mi saltò al collo baciandomi con passione. Quando
riuscii a liberarmi, rimasi un poco ad osservarla: le lentiggini sulla pelle
chiara, il viso leggermente ovale, le labbra morbide, i lunghi capelli
rosso fuoco. Era piccola, leggera, si perdeva tra le mie braccia, la sollevavo
senza quasi accorgermene! Mi accorsi meccanicamente in quell’istante, che
ultimamente pareva ancora più leggera. "Ti sei incantato?" mi chiese con un
sorrisetto furbo. “Si, a guardare te!” Erano già diversi mesi che stavamo
insieme. Quella storia del matrimonio combinato mi aveva irritato e
preoccupato non poco, ma ora… al diavolo mio padre, l’azienda e la
famiglia! "Ehi, Price, ci sei?" "Settimana prossima sono a giocare una
partita in Italia, vieni anche tu?" "Come?" era esterrefatta "Di
solito non mi vuoi in giro quando giochi! Cosa succede?" mi guardò strizzando
gli occhi, con il suo solito fare scherzoso, inclinando la testa da un
lato. "Ti va di venire, si o no?" "Ho scelta?" "Tu che dici?"
le detti un bacio, dal quale si staccò sospirando "No. Come sempre, mio
signore!" Arrivammo a Milano il giovedì mattina. Era una partita di
triangolare, quasi più un divertimento che lavoro serio, ma avremmo incontrato
la squadra di Mark… Era molto che non giocavo contro di lui, ero curioso
di vedere come se la sarebbe cavata. Le sfide con Lenders mi mettevano sempre
parecchia adrenalina addosso. Lui e Karl si fronteggiarono a
centrocampo. Mark sbruffone come sempre, il Kaiser freddo e sprezzante. Tecnicamente
non c’era e non c’era mai stato paragone. Ma il mio connazionale ha sempre
avuto dalla sua una risolutezza ed una forza d’animo veramente invidiabili, che
lo rendono un rivale temibile, non solo per me! La palla toccò agli
avversari. Lenders partì con la solita grinta, riuscendo, in un primo momento,
ad eludere il contrattacco di Karl. Shuster riuscì a fermarlo con una bella
scivolata ed a passare la palla in avanti. I primi venti minuti furono
abbastanza equilibrati. La difesa riuscì a contenere le avanzate della Tigre,
che però arrivò mai ad essere pericoloso. Poi Mark si riscosse. Riuscì ad
intercettare un bel passaggio di Brennan a Karl, e partì verso la mia porta. Mi
lasciò sorpreso: non tenne la palla per se, ma creò un bel gioco, passando a
Vivier, il quale si smarcò abilmente dall’onnipresente Shuster, fece un
passaggio raso terra all’indietro per Di Lisa, il quale, saltando Muller, passò
a Mark che, abilmente, aveva evitato di trovarsi in fuori gioco ed attendeva il
pallone. Era solo davanti a me. Il suo sguardo violento, infuocato di voglia di
vincere. Era al limite dell’area. Era la sfida di sempre. Il Tiger Shot arrivò
violentissimo, alla mia sinistra. Era un tiro prevedibile, ma di una forza
incredibile. L’unico ad eguagliare una tale potenza era Karl. Saltai ed afferrai
il pallone, stringendolo per non dare possibilità agli avversari di essere
nuovamente pericolosi. Lo rimisi in gioco, scambiandomi un’occhiataccia con
Lenders. Ci avrebbe riprovato. Karl ricevette il rinvio, si portò in avanti,
determinato a segnare. E segnò. Da fuori area. Mark non la prese bene. Tornò
all’attacco, la sua squadra, a quel punto, martellò la nostra difesa. Tirò in
porta almeno tre volte ancora. Ma non passò. Vincemmo il
triangolare. Quella sera ero euforico. Portai Kim a cena. Proprio nel posto
dove mi hai portato tu… Già, per quello sono rimasto imbambolato a guardare
la porta. Passai una serata splendida in quel locale. Kim era bellissima,
sprizzava gioia da tutti i pori. Non riuscivamo a prenderci molte vacanze,
era un’occasione speciale! E lei non sapeva ancora quanto speciale. La
mattina seguente ci alzammo di buon’ora. La squadra sarebbe ripartita nel primo
pomeriggio e volevamo goderci un po’ di quella vacanza. Venimmo in
centro. Hai ragione, di sera è più tranquillo. Girammo qui in torno e poi
giungemmo in piazza. Kim rimase estasiata. Restò per un bel pezzo col naso
all’insù, rimirando la tua bella cattedrale. Nel frattempo pensavo a come dirle
quello che dovevo. "E’ stupendo! Bellissimo! Ma sai una cosa, sono proprio un
po’ stanca!" Aveva un sorriso radioso ma si vedeva che era
affaticata; il viaggio, l’euforia della partita, la cena, la lunga passeggiata.
Mi guardai intorno e vidi un gruppetto di ragazzi seduti sugli
scalini. "Vieni." la portai qui, esattamente qui, e la feci sedere.
Poteva continuare a guardarsi attorno e, nel frattempo, riposare. Ed io potevo,
finalmente, parlarle in tranquillità. "Kim..." "Mmm?" aveva gli occhi
che splendevano. Presi fiato. Era davvero l’unica donna ad avermi messo in serie
difficoltà. E non era facile quello che stavo per dirle. "Mi vuoi sposare?"
avevo parlato tutto d’un fiato, cercando di non staccare i miei occhi dai suoi.
Per un attimo non respirò. E non parlò. Mi parve un’eternità. "Si."
Probabilmente non avevo respirato neppure io per quel lasso di tempo.
"Ti amo, Benjiamin Price!" mi buttò le braccia al collo e mi baciò. Ora
capisci, perché questo posto è tanto importante per me? Tornammo in
Germania. Kim iniziò ad occuparsi dei preparativi, cercando però di tenere la
cosa più privata possibile. Lo seppero i miei compagni di
squadra, naturalmente, poi Tom, Ed, Mark, Julian, tutta la Nazionale giapponese e, in
testa a tutti, Oliver, che volevo come testimone, insieme a Karl. Lo dissi
anche ad un’altra persona: mia madre. Le ho sempre voluto bene, e l’ho anche
sempre ritenuta vittima come me del lavoro di mio padre. Sospirò alla
notizia, temeva le conseguenze, ma disse che, per quello che la riguardava, era
felicissima che avessi trovato una ragazza dolce come Kim. Qualche giorno
dopo, mio padre si presentò al campo del Bayern. Non osò interrompere il mio
allenamento, rimase al limite del campo ad osservarmi. Provai una vecchia
sensazione: erano anni che Richard non assisteva ad un mio allenamento, né,
tanto meno, ad una partita.. Quando ebbi terminato, mi si avvicinò con
calma "Benjiamin, dovrei parlarti." "Parla." mi piazzai davanti a lui a
braccia conserte. "Ho una proposta da farti.Una proposta che, penso,
potrebbe interessarti." Era di fronte a me, una mano in tasca, l’altra
appoggiata a quel bastone che era ormai compagno fedele dopo l’incidente d’auto
di alcuni anni prima, lo sguardo freddo e tranquillo. "Sentiamo."
"Nel 2010 ci saranno i Mondiali. Quell’anno compirai trent’anni..."
"E allora?" non capivo dove voleva andare a parare.
Respirò profondamente, socchiudendo gli occhi. Si stava evidentemente trattenendo "Diciamo così.
Non ho intenzione di troncare ora la tua carriera. Comunque, non ritengo di
avere bisogno di te adesso in azienda. Più avanti, sì." Ero esterrefatto, ma non lo
diedi a vedere. "Continua." "Ti
propongo questo: al compimento del tuo trentesimo
anno di età, prenderai il tuo posto, prima accanto a me, poi, più
avanti, sostituendomi alla guida della Price Corporation. Avrai così il tempo di
finire la tua carriera in bellezza, credo, da come stai andando in questi anni,
senza alcun rimpianto." Mi prese alla sprovvista. Poteva anche essere, tutto
sommato, una proposta ragionevole. Ma… "Per quel che riguarda Kim?"
"Vi state per sposare, no?" lo disse tranquillamente, come se per lui fosse un
dato di fatto assolutamente appurato. "Si. Qualcosa da ridire?" "No."
non potevo crederci! "Ma non più tardi dell’anno scorso..." Il suo
sguardo si addolcì, accennò perfino un sorriso "La tua fidanzata mi ha fatto
riflettere. Su un piccolo particolare al quale non avevo mai pensato. Mi chiese
cos’avrei fatto se tua madre non fosse stata una ricca giapponese. Ebbene, avrei
fatto esattamente quello che stai facendo tu ora: l’avrei sposata, pur contro il
parere della famiglia!" Lo fissai per un lungo momento. Quello era mio padre.
Il Richard Price che ricordavo. "Hai la mia benedizione figlio, che tu
la voglia o no! Sposati, sii felice, ma ti prego di prenderti le tue
responsabilità quando sarà il momento. Accetti la proposta?" Non
risposi subito "Fammici pensare." Tornai a casa con i pensieri
in subbuglio. Descrissi a Kim la conversazione avuta con mio padre. Mi guardò seria "Cosa vuoi fare?" Ricambiai il suo sguardo "Tu cosa
dici?" Eravamo nuovamente sul divano, l’uno accanto all’altra. Il suo sguardo sereno
ma preoccupato. Non che la lasciassi, no. Ma che facessi qualche follia
per lei di cui mi sarei pentito in seguito. Ad un certo punto prese le mie mani
fra le sue e si sedette in terra davanti a me, fissandomi con quegli occhi verdi
smeraldo nei quali amavo perdermi. "Tra non molto ci sarà la Coppa d’Asia.
Tu, Oliver e gli altri vi state seriamente preparando per vincerla. E ce la
potete fare. Tra tre anni il Mondiale in Sud Africa. E anche in quello sarete
protagonisti di certo. La carriera di un portiere può andare ben oltre i
trent’anni, e tu lo sai bene. Col Bayern stai giocando una stagione più bella dell’altra.
Il calcio è la tua vita. Non voglio che tu abbia rimpianti per colpa
mia!" Il calcio è la mia vita… forse era vero fino a qualche anno prima. Ma
da quando c’era lei… No, non era più tutto! Non avrei rinunciato alla
carriera, no. Ma l’avrei conclusa in bellezza, per poi dedicarmi appieno a
quella donna. E anche ai doveri verso mio padre. Continuò a fissarmi seria
"Ma non dimenticare tuo padre…" "Kim, io…" "Lasciami finire! Ci sta
dando un’opportunità. Ma sta anche cercando di far vivere il suo sogno. Ha lavorato
anni, sacrificando i suoi affetti, per recuperare un’azienda che, tu mi dici,
era praticamente collassata. Il suo sacrificio, il suo lavoro, ha aiutato molte
persone. Tutte quelle che lavorano per lui. Pensa anche a questo, facendo la tua
scelta." Le sue mani strinsero forte le mie "Non sei uno stupido. Non hai
la testa vuota come tanti tuoi colleghi! Altrimenti non ti amerei! Ho fiducia
che tu faccia la scelta giusta, senza poi pentirtene in futuro…" Avevo già
preso la mia decisione. "Accetterò la proposta di mio
padre. E’ vero, trent’anni sono pochi per un portiere, ma da qui ad allora ho
molto da dare. Campionati, Champions, Coppa d’Asia, i Mondiali… Se devo
ritirami, allora farò in modo che il mondo del calcio non dimentichi facilmente il
nome di Benjiamin Price!" mi alzai e le cinsi la vita "E per quello che riguarda la Price
Corporation, beh… tra qualche anno mio padre si dovrà ricredere sulle mie
capacità di dirigente!" Mi sorrise dolcemente "Non vedo l’ora di
assaporare le tue vittorie, SGGK!" Il giorno dopo mi recai da mio padre e
gli comunicai la mia decisione. Non dissi nulla ai ragazzi della squadra, e
neppure a Tom, il quale giocava già da anni in Francia e saltuariamente, veniva
a trovarmi. La coppa d’Asia si avvicinava. Fui convocato come portiere titolare.
Iniziarono i ritiri con i miei vecchi amici. E le partite di qualificazione.
I nostri avversari, in quegli anni, erano cresciuti molto, tecnicamente
e tatticamente. Mi impegnai a fondo per portare la mia nazionale
alla vittoria. Nessuno violò la mia rete e il Giappone fu l’unica squadra a
portare a termine il torneo senza aver subito alcun goal. Neppure in finale,
contro la fortissima Corea. Fu una partita combattutissima, ma prima Mark e poi
Oliver segnarono le reti della vittoria. Al termine della partita mi sentii come
quando avevamo vinto il Word Youth. Eravamo di nuovo sulla vetta. Quando
rientrammo negli spogliatoi, euforici, Freddy mi prese da parte. Aveva
un’espressione grave, il viso tirato. "Freddy, che succede? La partita…"
"La partita non c’entra Benji…" "E allora?" fui colto da un’angoscia
inspiegabile, ora che ci ripenso, quasi profetica. "Al termine del secondo
tempo, Patty mi ha avvisato che ti avevano cercato dalla Germania…" Avvertii un tuffo al cuore "Kim..." "Era a sbrigare del lavoro alla sede della
squadra ed è svenuta. E’ successo prima dell’inizio della partita, ma quando, poco dopo
il risveglio, le hanno detto che ti volevano avvisare, li ha fermati. Ha voluto
a tutti i costi farti giocare tranquillo." Mentre Marshall mi parlava, mi ero
appoggiato alla parete, la fronte contro il pugno chiuso. "Freddy, io
parto stasera. Scusami coi ragazzi. Vado in albergo e poi cerco una coincidenza
per Monaco." sentii la sua mano sulla spalla. "Ci penso io. Vai." e andò
dagli altri. Mi conosceva meglio di mio padre. Sapeva che non c’era altro da
dire. Tornai a Monaco col primo volo e mi precipitai al Policlinico, dov’era
ricoverata Kim. Quando arrivai e chiesi di vederla venni intercettato dal
primario. "Signor Price! Avrei urgente bisogno di parlarle." Era un uomo
alto, brizzolato, sulla quarantina. "Mi scusi dottore, vorrei vedere la mia
fidanzata prima…" "Mi
spiace, ma sarebbe meglio se prima scambiassimo quattro chiacchiere.
Prego, venga con me." Il suo tono era gentile ma
perentorio. Lo seguii nel suo ufficio. "Prego si sieda." Ubbidii.
"Signor Price, suppongo che per telefono non le abbiano detto
tutto..." "Tutto cosa? Si spieghi, dottore!" la paura mi attanagliava lo
stomaco.Volevo correre da Kim, capivo che quello che il medico stava per
dirmi non erano buone notizie… "La signorina Ryan ha disgraziatamente subito
un aborto naturale…" Mi colpì come una pallonata in pieno petto. Aborto? Ma
allora?... "La vedo sorpreso. Si, la signorina era in stato interessante.
Probabilmente non gliel’ aveva detto perché non era del tutto sicura. Era solo
al secondo mese…" "Oddio" pensai "Stavo per diventare padre!" mi sentii
scivolare in un baratro. Mio figlio, non c’era più… "Signor Price, mi
dispiace doverle dare un’altra brutta notizia..." Quelle parole mi riportarono
alla realtà. Quale altra brutta notizia? "Kim..." lo guardai con
apprensione. "In realtà l’aborto è stato scatenato da qualcosa di più grave.
Mi spiace doverglielo dire così, ma freuilein Ryan è affetta da
linfoma." Smisi di respirare per un attimo e chiusi gli occhi. E mi
apparvero quelli di lei. Verdi, immensi. Il suo sorriso. La nostra vita
insieme. "Cosa…" "In parole povere si tratterebbe di un tumore linfatico.
Non colpisce un organo in particolare, ma la linfa ed il sangue..."
Avevo smesso di ascoltarlo "Lei lo sa?" "Si." Andai da lei. Era
piccola, minuscola in quel letto bianco.Stava dormendo. Mi sedetti accanto a lei,
in silenzio, prendendole la mano. Si svegliò, voltandosi verso di me. I suoi
occhi sembravano ancora più grandi. Sorrise "Ehi, SGGK, complimenti!" Era sempre
la stessa. "Grazie..." "Cos’è quel sorriso triste, campione?" Il
suo coraggio, la sua sconsideratezza, mi fecero quasi arrabbiare "Smettila, Kim,
ti prego!" Puntò il suo sguardo su di me. Quando voleva poteva essere molto
dura, a volte perfino più di me! "Siamo qui, amore. Temevo che avrebbe
potuto succedere. E’ la stessa malattia che mi ha portato via mia madre. Si può
solo affrontare. Così." e mi fece un sorriso dolce, inclinando il capo da una
parte. Il dolore mi sopraffece. Le strisi forte la mano, portandola
alle labbra "Nostro figlio…" La sentii sospirare "I primi tre mesi
di una gravidanza sono i più difficili. Avrebbe potuto accadere comunque.
Sto solo cercando di farmene una ragione…" disse, incrociando il mio sguardo
disperato "Non ero sicura di essere incinta. Lo desideravo tanto. E adesso…" gli enormi
occhi verdi si riempirono di lacrime. L’abbracciai, beandomi ancora una volta
del suo profumo, del suo calore. Da li in avanti sarebbe cominciato
l’inferno. Ma non avevo nessuna intenzione di arrendermi. Non l’avrei mai
abbandonata. Iniziarono, gli esami, le terapie. Dovetti rinunciare a parte
degli allenamenti, per portarla in ospedale, per stare accanto a lei nelle
lunghe ore durante e dopo la chemio. Non volevo mollare, se c’era una pur
minima possibilità di salvarla, l’avrei trovata. Abbandonammo anche,
temporaneamente, pensai io, i preparativi per il matrimonio. Poi, un giorno,
mi fece una richiesta inaspettata. "Mi piacerebbe tanto tornare in
Irlanda! Lassù c’è mia zia Karol che manda avanti una piccola pensioncina. Vicino
al paesino dove abitavo una volta, e dove è sepolta mia madre…" si voltò a
guardarmi con lo sguardo terso e sereno che ormai la caratterizzava in quegli
ultimi mesi. Era incredibilmente tranquilla, mentre io non facevo che lottare
con me stesso e maledire il destino che ci aveva colpiti. La pensione di Karol White era
molto semplice e molto accogliente. Kim volle andare subito da sua madre.
Erano ormai sei anni che non l’andava a visitare. Le si inginocchiò accanto e
cominciò a pregare sottovoce. Rimasi in piedi, alle sue spalle. Il dolore mi
stava attanagliando l’animo. Non sopportavo l’idea di perderla. Non sopportavo
l’idea che potesse essere vittima dello stesso destino di sua madre. Si alzò
e si votò verso di me. Aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva. Si avvicinò e si
appoggio al mio petto col viso e con le mani. La cinsi piano ed ascoltai il suo
respiro. "Ti amo." disse. "Lo so. Anch’io ti amo. Tantissimo." avvertii il suo
sorriso. "Lo sai che sei un inguaribile testardo?" "Sbaglio o è una delle
cose che ami di me?" "Anche terribilmente egocentrico…" "Idem." Sospirò "Le saresti piaciuto. Molto." Guardai quella semplice croce in mezzo ad un
prato verde, come gli occhi di Kim. Mi aveva parlato molto di sua madre. Della
sua malattia. Del dolore che aveva sconvolto il padre, portandolo prima
all’esaurimento e poi alla decisione di allontanarsi dall’Irlanda per farsi una
nuova vita. "Avrei voluto conoscerla." Sollevò il viso, sorridendomi.
"Ti sarebbe piaciuta. Anche se, conoscendovi, vi sareste scontrati più volte.
Non aveva un carattere tanto facile, sai?" La strinsi forte. Era esile,
leggera, quasi trasparente. Eppure forte. Lei mi dava la forza di andare avanti.
Lei mi infondeva coraggio. Ero furioso, avrebbe dovuto essere il
contrario! Mi guardò di nuovo, sorridendo appena. Mi diede un bacio leggero
e ripetè "Ti amo." Tre giorni dopo tornai in Germania. Da solo. Karl
era venuto in aeroporto a prenderci. Quando mi vide arrivare solo, colsi il
panico nei suoi occhi. "Kim?..." Credo di avergli risposto in tono
assolutamente incolore… non avevo forza, non ero in me. "Se n’è andata… per
sempre."
Il suo sguardo era sempre fisso sulla piazza, quella
piazza dove aveva chiesto di sposarlo alla donna più importante della sua
vita. Gli occhi neri, tristi, profondi, lontani…. Eppure erano gli stessi
occhi che, gelidi e duri, mettevano in soggezione i più forti bomber del
campionato tedesco ogni settimana. Rimase in silenzio per un po’. Ripensai
alla sua storia, al dolore che doveva aver provato. Al fatto che non si era mai
sfogato con nessuno, che si era sempre tenuto tutto dentro. Alla corazza che si
era costruito tutt’intorno, tanto spessa ed impenetrabile da far pensare a tutti
che nel suo petto non battesse un cuore umano. Pensieri. Emozioni. Tristezza.
Per quell’amico che aveva deciso di confidarsi con me. Perché, poi, lo sapeva
solo lui… Perché l’istinto non l’aveva mai tradito, mi aveva detto una
volta… Sempre così severo, con gli altri e, soprattutto, con sé
stesso… All’improvviso, un’idea… un’idea assolutamente folle ( ma cosa non
era pazzesco quella sera?) mi balenò per la mente… "Benjiamin…. Kim non è
morta, vero?" Chiuse gli occhi abbassando leggermente il capo. Poi lo
sollevò, sorridendo appena. "Lo vedi? Il mio istinto non sbaglia
mai!"
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Capitolo 11 *** 10 ***
“Ciao campione. Sono un’egoista perché so che, in fondo, quello che sto
facendo lo faccio più per me che per te. Ma non sopporto più di vederti
combattere e soffrire per me, non sopporto di vedere che stai rovinando la tua
vita, la tua carriera, il tuo sogno a causa mia. Già alcuni mesi fa compisti
una scelta difficile: accettare la proposta di tuo padre pur di continuare la
nostra vita insieme a scapito del tuo sogno. Non lo sopporto, non
voglio! Sei testardo, caparbio, non ti dai mai per vinto. Leggo nei tuoi
occhi, tutti i giorni, che se potessi sconfiggere la mia malattia a mani nude,
lo faresti. Ma non puoi e non vuoi rendertene conto. E non ti dai
pace. Ho già visto mio padre soffrire e quasi morire con mia madre,
struggersi fino a ridursi l’ombra di sé stesso. Non sopporto l’idea che tu debba
soffrire altrettanto. Detesti le sconfitte, non le tolleri. Ma questa è una
battaglia persa, amore. Non mi sto dando per vinta, ma so di cosa parlo. Le
cure, nel mio caso, come in quello di mia madre, sono solo un modo per vivere
qualche mese in più. Questo, lo vedo, non l’hai accettato e quando la verità
ti si para davanti agli occhi, ogni volta che usciamo da un ospedale, avverto il
dolore che provi. Voglio che tu continui a vivere, a realizzare il tuo
sogno. Anche per me. Quando accettasti di lasciare il calcio,
mi promettesti che prima di chiudere la carriera avresti battuto
Oliver vincendo la vostra vecchia sfida ed avresti portato il Giappone
alla conquista del Mondiale. Credo in te. Ti prego, realizza il tuo sogno
anche per me! Se ti rimanessi accanto, non potresti farlo. Saresti intento a
seguirmi passo passo, giorno dopo giorno in una sofferenza che ti annullerebbe
l'animo e giunti all’inevitabile conclusione della mia malattia, le vite
spezzate sarebbero due e non una sola. Ti amo, voglio che tu viva!
Ovunque io sia, sarò sempre al tuo fianco, a gioire delle tue
vittorie. Ti amo. Kim”
Mi aveva dato quella lettera che portava sempre con se. Era scritta in
inglese, con una calligrafia limpida e sottile. Mentre leggevo, Benjiamin
era rimasto immobile, le braccia appoggiate mollemente sulle ginocchia, lo
sguardo perso in punto lontano del suo passato. Quando finii di leggere lo
osservai un istante. Quanto dolore aveva forgiato quella dura corazza! Presi
coraggio e gli parlai “Di questa, non ne sa nulla nessuno, vero?” Sospirò,
chiudendo gli occhi “No” “Perché?” Aprì gli occhi: erano
freddi, duri come quando aveva davanti un avversario “Mi ha lasciato.”
Rispose. Sentii la rabbia montarmi dentro. "Stupido, egocentrico testone!"
pensai "Ma manco a scrivertele le cose le capisci!" Ripiegai con cura la
lettera e presi fiato,frenando l'istinto omicida che mi aveva assalita e
parlai. Non me ne fregava niente se si fosse infuriato “Non ti ha
lasciato. E, comunque, non l’ha fatto nel modo che pensi tu! E se non lo hai
capito da questa lettera, beh, davvero non so cosa aggiungere!” Si voltò,
fulminandomi con lo sguardo “Cosa vuoi dire?” sibilò a denti
stretti. Kim aveva ragione. Testardo, caparbio, orgoglioso. Ma non stupido,
quello no! Possibile che non l’avesse capita? Sospirai, cercando di
calmarmi e di spiegarmi meglio “L’hai letta?” chiesi con voce più
pacata. “Un milione di volte! Mi ha lasciato! Non ha avuto fiducia in me! Non
ha creduto che potessi rimanerle accanto!” si era alzato di scatto, senza
distogliere lo sguardo dal mio, affondando le mani nelle tasche del giaccone e
parlando tutto d’un fiato. Non era rabbia. Era dolore. Rimasi dov’ero.
Lasciai che sbollisse un attimo e quando riprese a respirare, continuai “E’
per questo che non hai voluto che i tuoi amici ne sapessero nulla? Certo, quando
Karl in aeroporto ti ha visto arrivare da solo e tu gli hai detto che lei se
n’era andata per sempre lui, conoscendo la sua malattia, ha pensato fosse morta.
E tu sei stato al gioco. Perché, pensavi, mi ha lasciato. Non mi ha ritenuto
degno di starle vicino fino in fondo!” presi fiato e lo guardai dritto in
faccia “Ma lo sai che sei proprio cretino?” Di nuovo lo sguardo di
ghiaccio dell’ SGGK. Cosa potevo aspettarmi? L’avevo volutamente provocato!
Ripresi a parlare prima che mi riempisse d’invettive “ Non si è
allontanata per quello che dici tu! Non ti ha tradito, se è questo che pensi! Ti
ha amato, e ti ama tutt’ora, ovunque sia! Semplicemente si era resa conto che
stavi dando il cento per cento per lei, lasciando da parte il resto! Perché
quando il destino ti mette davanti a una sfida, Benjiamin Price, tu parti a
testa bassa, deciso a vincere, qualunque sia il prezzo da pagare! Ma per lei
quel prezzo era troppo alto! Sapeva che, in quel modo, la sua malattia avrebbe
portato via anche te, non fisicamente, ma psicologicamente sì! Non voleva che
dopo la sua morte a te non rimanesse neppure il tuo sogno, la tua vita da
calciatore che stavi mettendo a serio repentaglio! Ha preferito allontanarsi,
lasciarti vivere. Ti conosceva, sapeva che avresti sofferto ma che avresti
reagito. Facendo l’unica cosa che ti ha sempre salvato da tutti i tuoi guai:
giocare a calcio. Al massimo.” Mi fermai un attimo, vedendo che le mie parole
avevano sortito l’effetto voluto. Sollevò lo sguardo alla cattedrale e parlò
ad occhi chiusi, quasi sottovoce “ Ho sempre pensato di aver sbagliato qualcosa,
allora. Temevo di non esserle stato sufficientemente accanto, di non essere
abbastanza per lei. Quando Karl venne tratto in inganno dalle mie parole,
lasciai che credesse così. Mi chiusi in me stesso e pregai tutti quanti di non
parlare mai più né di Kim, né della malattia. Misi tutto a tacere, attaccando
con violenza chiunque osasse tornare sull’argomento. I primi mesi senza di lei
furono un inferno. A maggio, come quest’anno, andammo in finale di Champions,
più per merito di Mejer che mio. Barcellona. I miei compagni vollero che fossi
io a giocare quella partita. Anche Mejer fu d’accordo "Meglio un Price fuori
forma contro Hutton, che un Mejer in formissima!"." lo vidi
sogghignare, di sé stesso. Abbassò il viso verso di me “Lo sai com’è
finita quella partita, non è vero?” “Si… Sonya mi ha detto che due ragazzi
sbagliarono delle punizioni che erano goal fatti e che Oliver ti spiazzò con un
tiro in area formidabile, vincendo la partita.” Un altro sorriso triste
“Sonya è stata troppo buona…” sollevò il viso e respirò
profondamente “Se fossi stato al cento per cento l’avrei preso, quel tiro.
Ma ero stanco. Non riuscivo ad essere freddo e concentrato come al solito.
Oliver giocò contro di noi come sempre, dando il massimo. Arrivò ad essere
pericoloso più di una volta. I ragazzi della difesa fecero muro per gran parte
della partita e, in effetti, gli impedirono di tirare in più di un’occasione. Ma
quando, alla metà del secondo tempo, riuscì ad entrare in area per la seconda
volta in pochi minuti, e a tirare. Non ci arrivai. Nessuno me ne fece una colpa.
Holly mi si avvicinò mentre mi rialzavo, mi tese la mano. Aveva un’espressione
triste sul viso “Mi dispiace. Oggi non sei in te, amico…” mi disse. Alcuni
giorni dopo tornò in Germania per parlarmi. Venne a casa mia.Non me la sentii di
dirgli tutta la verità… Il mio stupido orgoglio... O forse, per me allora Kim
era veramente morta. Preferivo pensare che non fosse più, solo perché il
pensiero che fosse viva e non accanto a me era ancora più doloroso. Holly mi
aiutò a ricordare i miei sogni di una volta, il nostro incontro da ragazzini,
l’amore per il calcio. Il calcio… la mia vita e la mia famiglia… Devo a
Oliver se sono tornato a giocare con la stessa grinta di una volta. Se
sono tornato a giocare per realizzare il mio sogno e…” si
interruppe, guardando il cielo sopra la cattedrale. “E...?” “E il sogno di
Kim.” mi guardò sorridendo “Quello non l’ho mai dimenticato, non
credere.” “Ma poi, la tua vita è cambiata…” Si risedette accanto a
me “Se parli delle donne… Beh, tornai alla vita che conducevo prima di
conoscere lei. Mai più amore. Non mi interessava. La mia unica passione è il
calcio. L’amore per una donna provoca troppa sofferenza. Ne ho avuta
abbastanza.” Il suo sguardo era d’acciaio, ma ormai sapevo cosa nascondeva.
Lasciai perdere. Per quella sera era abbastanza. Un’unica cosa m’incuriosiva
ancora. Una cosa che, bene o male, mi riguardava indirettamente “E
Kristine ?” Sospirò serrando leggermente le labbra “Un errore. Un
grandissimo errore. Mai mettersi con la sorella del tuo migliore
amico!” “Stupido il tuo amico che lascia che sua sorella si metta con te che,
dichiaratamente, hai dichiarato guerra all’amore! O no?” Scosse il
capo, sorridendo appena “Vedi, io Karl e Kris eravamo amici già da diverso
tempo. Li consideravo, e li considero, come i fratelli che non ho mai avuto. Due
estati fa… beh, Kris è decisamente una bella donna e io non le ero mai rimasto
indifferente. Mi conosceva bene, sapeva cosa avevo passato. Come forse sai,
andammo in vacanza tutti e tre insieme. Vuoi che sia sincero? Forse sperai di
potermi innamorare di lei. Forse confusi l’amicizia e il gran bene che provavo
per lei, con l’amore. Kris, invece, si innamorò sinceramente. Quando me ne
accorsi, la lasciai. Perché mi ero reso conto dell’enorme sbaglio che stavo
facendo. Perché non volevo farle più male di quello che le avrei fatto
lasciandola. Perché non l’amavo. Perché, in realtà, amavo ancora Kim. Parlai con
Karl. Mi capì e non se la prese, anzi. E mi capì anche Kristine. Lo so, ci sta
ancora male. E mi ha interdetto l’accesso alle scuderie perché non vuole che le
sue “protette” rischino di fare la sua fine. Mi spiace sinceramente, è una
donna fantastica, sarebbe stata una compagna meravigliosa. Contenta?” si
voltò a guardarmi, gli occhi scuri come la notte, finalmente limpidi come un
cielo senza nuvole. “Che il mio angioletto custode abbia una vita tanto
tormentata? No! Ma se parlare con me ti ha fatto bene, allora sì, sono molto
contenta! Tu, piuttosto, come stai?” “Meglio… molto meglio.” mi
rivolse un sorriso, un sorriso vero “Grazie.” “E di chè?” Si alzò,
tendendomi una mano “Di essere quello che sei!” Allungai la mano a prendere
la sua “Il tuo istinto non sbaglia mai, giusto?” “Giusto.” Mi tirò
in piedi. Rimasi per un secondo a due millimetri da lui. Alzai il viso. Mi lesse
negli occhi la domanda che non osavo fare “No, non l’ho mai più cercata.
Ho smesso di chiedermi se sia morta. Ho smesso di sperare che sia viva. So solo
che ogni vittoria la dedico a lei.Tu lo sai…” Non sapevo cosa rispondergli.
Mi venne solo istintivo di abbracciarlo. Ricambiò stringendomi piano e
sussurrando ancora “Grazie” “E ora?” il viso era tornato sereno, più
disteso di quando eravamo arrivati. “E ora, a piedi!” risposi allegra. “A
piedi?” sollevò un sopracciglio, sorpreso. “Caro mio, siamo
in Italia! I mezzi pubblici finiscono i turni a mezzanotte e mezza!” Tirò un
sospiro, sorridendo “Ok, allora in marcia, signorina!” mi prese
sottobraccio e ci avviammo così, chiacchierando e ridendo, verso l’auto. La
notte dei ricordi era finita
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Capitolo 12 *** 11 ***
"Allora?" avevamo finito gli allenamenti
del mattino e stavo riordinando la borsa. Karl era appoggiato con la
schiena all’armadietto a braccia conserte e mi guardava con un sorrisetto furbo.
Sapevo a cosa alludeva. "Allora
cosa?" risposi, facendo finta di niente. Sbuffò spazientito ed attaccò "Price, non fare il
finto tonto! Passi due giorni da solo con una ragazza e io cosa ti dovrei
chiedere?" "Karl… è un’amica!" mi sollevai, buttandomi il
borsone sulle spalle e feci per uscire. "Dai Benji,
piantala! Non dirmi che non ti sei accorto che
è pure una ragazza!" riattaccò "E una ragazza decisamente carina, quando vuole!" Mi voltai verso il capitano che mi stava fissando
con disappunto. Sospirai scuotendo la testa e replicai: "Schneider,
Elena non mi interessa. E non fraintendermi!" Lo bloccai prima che
ricominciasse con la paternale “Mi sono accorto che è una bella ragazza, non sono cieco! Ma è
soprattutto un’amica e con lei non ci proverei mai!" Un
sopracciglio scattò verso l’alto, mentre un’espressione piuttosto
meravigliata si dipingeva sul suo volto. La lunga notte
italiana era stata molto importante per me. Ero di nuovo in debito con Elena: mi
aveva aiutato ad affrontare una verità che era troppo dura da digerire per il
mio stupido orgoglio e le dovevo davvero molto. Il mio cuore era più leggero, mi
sentivo finalmente in pace con me stesso. Il capitano
dette un sospiro di rassegnazione, scuotendomi dalle mie riflessioni. "Ok, allora, visto che è solo un’amica, sarà il caso che ti
dica un paio di cosette..." Lo guardai incuriosito
mentre ci avviavamo fuori dagli spogliatoi “Che ti piace ancora e che,
visto che mi è solo amica, vuoi continuare a provarci?" "Quello sicuro!” gli occhi azzurri mandarono un
lampo. No, il Kaiser non mollava tanto facilmente le sue prede, pensai. "Ma non solo quello… Vedi, mia sorella e Marjorie, l’amica
che convive con Elena, sono un po' preoccupate per lei…" "Ti ho appena detto..." "Non
c’entri tu amico! L’abbiamo capito che tu sei tutto meno che un pericolo
per lei!” disse sorridendo e scuotendo la testa "No, il problema è
altro…" "Karl, non farla lunga, che c’è?" Stavo per perdere la
pazienza. Lo guardai socchiudendo gli occhi e lasciando che facesse qualche
passo avanti a me. Si fermò, tirando un sospiro e mi
guardò fisso, chiedendomi : “Non ti ha più parlato di quello che è
successo, vero?” Effettivamente… no. Avevo provato, in
verità, ad accennare l’argomento, ma mi si era rivoltata contro come un
gatto furioso. Speravo che ne avesse parlato con le sue amiche. Tra donne,
forse…. "No, ho rinunciato a parlare dell’accaduto." risposi, scuotendo il capo "Cosa
preoccupa Kristine?" "Sono almeno due mesi che Elena non esce con
nessuno. Solo con te…” lo guardai sorpreso. Riprese prima che potessi
interromperlo "Non con Kris, non con Sonya, non con Marj. Ho provato anche
io a tirala fuori di casa. Nulla. Si sta chiudendo nel suo mondo. Non è colpa
tua" mi aveva preceduto di nuovo "tu le stai vicino e ringrazio il cielo che
abbia trovato conforto in un amico come te. Ma per il resto, non va…"
Ci scambiammo un’occhiata. Sapevo cosa dovevo fare e Karl aveva fiducia che lo
facessi. "Ci penso io. Non assicuro nulla... E’ quasi più
testarda di me!" Sorrise e mi dette una pacca sulla
spalla "Scherzi?! Più cocciuto dell’SGGK non esiste nessuno!"
Concludemmo il
discorso con una risata e ci avviammo a casa.
Allenamento finito, meno male!
Che freddo! Ero volata dal mio stallone che non vedevo
da tre giorni. Lo avevo riempito di coccole e mi ero fatta un’oretta in sella
sotto la frusta di Kristine. Che bello tornare a
montare! Erano state due splendide giornate. La prima,
tutta dedicata a mio padre, la seconda, tutta dedicata al mio amico. Benjiamin… Pensavo a lui, ai suoi guai, a quanto aveva
sofferto, a come aveva reagito e al muro di ghiaccio che si era costruito
intorno. Per non soffrire più, o comunque, il meno possibile. Com’era diverso dalla persona che avevo conosciuto quella
primavera! Marjorie mi riscosse dai miei pensieri
“Ehi, ci sei o sei ancora a Milano?” Beccata. Con tono pure un poco
geloso. “Non è successo nulla di quello che pensi, invidiosa!” le risposi
mentre continuava a guardarmi male “Ni-en-te!” le sorrisi
“Primo: uno come lui, una come me manco se la fila. Secondo: siamo
solo amici. Terzo: non voglio storie. Punto” Mi guardò ancora più seria e decisamente
arrabbiata “Proprio di questo vorrei parlarti!” Mi attaccò.
Stavamo per litigare, lo sentivo. “Senti un po’, tu!" continuò "Capisco che con quello che ti è successo non voglia trovarti una
storiella tanto per, che non mi sembra proprio il caso… Non riesco neppure ad
immaginare come sei stata male, ma…” “Ma?” mi
voltai piuttosto seccata verso la bionda che si era piantata accanto a me a
braccia conserte. “Ma non posso neppure immaginarlo,
perché l’unico col quale ti confidi è Price! Dimmi che non devo essere
gelosa!” Capivo: era di me che era gelosa! Accidenti
alle amiche... Sospirai “Se può farti
piacere, non ne ho parlato neppure con lui.” Così dicendo mi rimisi a fare le fasce a
Zingaro. “No che non sono contenta!” Marj aveva
praticamente urlato, costringendomi a rialzarmi. “E
perché? Sono
fatti miei!” Replicai furiosa. Stavo cominciando a stare male. Non volevo
pensare né ricordare. “Ti stai chiudendo
nel tuo mondo. Non esci con nessuno. Solo con lui. Capisco, ti dà conforto e ti
senti protetta. Ma visto che è solo
un amico, non pensi che sia il caso di uscire dal
guscio e ricominciare a farti una vita sociale?” La bionda aveva buttato fuori il discorso tutto d’un fiato,
parlando a pochi centimetri dal mio viso, i grandi occhi azzurri
spalancati dalla frustrazione. Aveva ragione. Sapevo che aveva
ragione. Ma non ce la facevo. Era stato troppo per i miei nervi già provati. Ricordare il dolore, la vergogna, mi fecero stare tanto
male che le risposi con rabbia. Anche se non lo meritava affatto. Lei che mi era
sempre stata vicina e che, quella volta, avevo escluso dalla mia vita. “Fatti gli affari tuoi Marj!" risposi alzando la voce "Uscirò con gli altri quando e
se ne avrò voglia! Sempre che abbia voglia di ricominciare a uscire con
voi!” Detto questo presi i finimenti e me ne andai in selleria,
lasciandola in piedi, sconsolata, accanto a Zingaro. Quando tornai se n’era andata a casa. Portai lo stallone
nel box e proprio in quel mentre arrivò un sms. “Non
molla! Ah no! Benji... Chè vorrà?” Aprii il messaggio, diceva:
“Dobbiamo parlare. Vengo a prenderti alle nove.” Neanche
ciao! Ma cos’avevano tutti?! Tornai a casa anch’io. Marj non c’era. Mangiai qualcosa al
volo e mi cambiai per uscire. In verità
non è che ne avessi proprio voglia, ma non avevo neppure voglia di discutere con Benjiamin!
Quando si metteva in testa una cosa era praticamente impossibile fargli cambiare
idea e sentivo di non avere energie sufficienti a tenergli testa.
Tanto valeva cedere... Alle nove in punto il rombo della Porche sotto casa annunciò il suo
arrivo. Scesi ed aprii la portiera. “Cioccolata?” mi
chiese senza guardarmi. “Ho scelta?” “No.” Entrammo in un locale
tranquillo appena fuori città. Ordinammo due cioccolate. Fino a quel momento non
avevamo parlato di nulla d’importante. Partite, allenamenti, lavoro. Iniziai a preoccuparmi quando appoggiò i gomiti al tavolo,
intrecciando le dita davanti alla bocca. Sentivo il suo sguardo penetrante su di
me mentre fissavo la bevanda fumante. Dopo almeno cinque minuti di silenzio,
sospirai: “Ok, cosa diavolo vuoi anche tu oggi?!” Lo guardai ma non
ressi il confronto con quelle pozze scure che erano i suoi occhi. Mi sentivo un tantino
in trappola. “Elena,” cominciò a parlare
adagio, con quella voce bassa e profonda che a volte mi faceva venire la
pelle d’oca “quello che ho da chiederti non ti piacerà. Ma pretendo
una risposta. E non ce ne andremo di qui finchè non l'avrò ottenuta!” Come al solito, non si poteva discutere! Temevo la domanda
e dove voleva andare a parare. “Ho già litigato con
Marj, non ho voglia di litigare pure con te!” Questa volta lo guardai
dritto in viso. “Spiacente, sono qui per
litigare!” rispose, sorridendo appena. Sapevo che
avrebbe vinto, ma sono testarda come
un mulo e non mollai. Non subito, almeno. “Sono
quasi tre mesi che non esci con nessun altro al di fuori di me… La cosa mi
lusinga, ma non va bene per te.” “E tu sei convinto di sapere cosa va bene per
me?” risposi piccata. Non era facile reggere i suoi occhi neri dritti
in faccia. Mi trapassavano, mi guardavano dentro anche
se tentavo di oppormi a quella intrusione nei miei pensieri. Quei
pensieri che facevano male, troppo male. “Immagino che non sia facile parlare
di quello che ti è successo. Soprattutto parlarne con un uomo. E infatti non
voglio che ne parli per forza con me, ma con le tue amiche, che ti conoscono
da una vita, sì!” “Cos’è? Ti sei messo in combutta con
Marjorie?!” Ringhiai e feci per alzarmi. “Tu
non te ne vai di qui!” Il suo tono non ammetteva replica. Mi risedetti. “Ti prego, lasciami in pace!” Lo supplicai con un filo di voce. “No, mi spiace.” Non riuscivo a
reggere il suo sguardo, era una tortura eppure non riusci a staccarmene. “Non ci riesco. Né con te, né, peggio, con Marj!”
Ripresi. Stavo per mettermi a piangere ed era l' ultima cosa
che volevo in quel momento. “Perché?" chiese "Capisco con me,
alla fine mi conosci da poco, ma Karl mi dice che tu e lei siete come sorelle!
Non ti capisco!” Dette un respiro profondo “Vorrei poterti essere
d’aiuto...” Ancora quel sorriso caldo e dolce, impensabile sul suo viso se
lo si conosceva solo superficialmente. “Direi che hai
già fatto troppo e che sono fin troppo in debito con te! Ti pare?” Non lo
guardavo più, fissavo la tazza semivuota che tenevo tra le mani. “No.” Mi sollevò leggermente il mento,
costringendomi a mostrargli le lacrime che ormai
avevano deciso di rigarmi il viso. Le asciugò con un dito, carezzandomi la guancia in
un gesto protettivo “Non ci sono né debiti né crediti tra amici. Ci si aiuta e basta!” Mi venne da sorridere “Questa non è tua, Benjiamin
Price!” lo punzecchiai. Sorrise pure lui “No,
infatti l’ho rubata ad uno dei miei migliori amici! Che mi disse queste
parole quando anch’io stavo facendo come te…” “Oliver.” Ricordai. “Già.” Rispose,
accennando col capo. “Ma tu stesso hai detto che, dopo quel discorso, tu
tornasti sì a vivere ma, in un certo senso, nascondendoti, rinunciando ai sentimenti più
profondi...” “Ma, almeno, sono tornato a vivere. Che poi mi
sia volutamente precluso certe cose… beh, è stata comunque una scelta
voluta.” Riprese “Perché non riesci a parlarne con
Marjorie?” Non mollava. Tipico! “Ok, mi arrendo! Sei un martello!” Sospirai,
lasciandomi andare contro lo schienale e socchiudendo gli occhi. “Ne ero certo!” Il solito sorrisetto soddisfatto si dipinse sulle sue labbra. Era a dir
poco stremante trovarsi davanti uno ostinato come lui! “Fammi
parlare e non interrompermi. Ora o mai più!” Tirai un
lungo sospiro e parlai. Lui era la persona giusta. Avrebbe capito. Aiutarmi…
beh, c’era poco da aiutare! Non era esattamente vero che Marj non sapeva nulla di quel
giorno. In realtà era l’unica persona alla quale avevo raccontato qualcosa
dell’accaduto, abbastanza nei dettagli. Non tutto. A parte il dolore e la
vergogna che provavo rievocando quel maledetto pomeriggio, era inutile dirle
cosa mi aveva fatto veramente male. Non l’avrebbe capito. Non perché fosse
stupida o un’oca come molti la consideravano, no! Solo che lei, bella,
estroversa, ammirata dagli uomini, certe cose non se le era mai sentite dire.
Io si. Tante volte. Troppe. Ma quel giorno, sommato a quello che stava
accadendo… Sentirti dire da un uomo (uomo?) che ti ha presa di mira perché sei
la bruttina di turno, che è stato con te solo per scommessa, che per scommessa
doveva venire a letto con te perché eri quella che aveva la fama di essere una
santarellina, che non vali neanche la metà di quelle con le quali va di solito…
Quello era il
peggio. Quelle parole aveva fatto crollare definitivamente il mio mondo. Quel mondo ovattato nel quale il brutto anatroccolo che sono, si era rifugiato, scansando le
battutine amare dei ragazzi che mi prendevano in giro. Facendo finta di
nulla se nei locali e nella vita di tutti i giorni l’attenzione maschile era tutta meno
che per me, che vivevo normalmente all’ombra delle mie amiche, belle, perfette,
sicure di sè stesse. Jacob mi era parso un sogno
impossibile… infatti si era rivelato un incubo! Non ero
scottata, ero ustionata! E non avevo voglia di rientrare in quella vita che non
faceva altro che farmi male. Avevo paura. E non mi fidavo di nessuno, neppure di
Karl, che pure sapevo mi voleva bene ed in quei mesi aveva fatto di tutto per
farmi uscire. No, di un uomo mi fidavo. Ce l’avevo
davanti. Ma lui non era un uomo. Era un amico. Marj mi avrebbe preso per pazza a sentirmi dire una cosa
del genere! Allungò nuovamente una mano ad asciugarmi gli
occhi dalle lacrime che li riempivano. Mi sollevò il mento con un dito
costringendomi a guardarlo. Mi persi per un attimo in quelle pozze scure, mi
lasciai cullare dal loro immoto mare scuro che riportò la tranquillità nelle
acque agitate della mia mente.
Sorrise. Un sorriso caldo, di quelli che ti fanno capire quanto
bene ti voglia una persona. “Mi
dispiace.” Disse semplicemente. “Benjiamin,
io...” “Tra una settimana c’è la festa di Natale della
squadra. Tu ci vieni.” Categorico. “Non voglio
se. Non accetto ma. Ti ci porto io. Se sarà necessario, di peso.” Aveva preso la sua decisione e
nulla l'avrebbe fermato. Scossi la testa,
opponendo una debole resistenza “Non me la
sento… Non… Non reggerei lo sguardo dei ragazzi. Non sopporterei altri
giudizi…” Mi
costrinse di nuovo a guardarlo e in quel momento non invidiai chi lo doveva sfidare in durante le
partite. Alabastro nero lucido e penetrante, tanto da togliere il fiato. “Quella che si giudica sei tu e non sei molto buona con
te stessa!” Sentenziò. “Ma…” “Niente ma! Negli spogliatoi ci sono io coi miei compagni!
E, ti assicuro, stamattina prima di sorbirmi Karl mi sono beccato
una fila di frecciatine perché sono venuto in Italia con te! Non certo perché ti
giudicano una brutta ragazza, anzi! E ognuno di loro spaccherebbe volentieri il muso
a Jacob, per come si è comportato! Quindi...” disse tirandosi dritto contro lo
schienale della sedia ed incrociando le braccia “ farò il sacrificio di
venire con te alla festa di Natale, per poi fare lo sforzo immane
di parare le bordate malefiche dei miei maliziosissimi compagni di squadra! “ Un sorrisetto tra il
furbo e l’arrogante comparve sulle sue labbra mentre un lampo allegro
ne illuminava lo sguardo. Sapeva di avere vinto. Sospirai, scuotendo il capo e mi arresi.
Era passata circa una settimana dalla mia chiacchierata
con Elena. Quella sera ci sarebbe stata la festa natalizia. Ci eravamo incrociati come tutte le mattine al parco e
mentre mi allenavo, la osservavo con la coda dell’occhio.
Guidava con gentile fermezza il grosso stallone nero,
che le ubbidiva docilmente. Era uno spettacolo rasserenante: armonia, eleganza,
passione. Sorrisi tra me: improvvisamente l’avevo associata ad Oliver. L’amore e
la dedizione per il proprio sport erano gli stessi. Solo, lei non partecipava
mai a gare o competizioni, montava a cavallo per il puro piacere di farlo. Mi riscossi dalle mie considerazioni: la mezz’ora di
allenamento al prato era finita. L’amazzone aveva allungato le redini sul collo
del cavallo, dal cui corpo emanava un leggero vapore dovuto al contrasto col
freddo pungente della mattina. Zingaro sbuffò forte, soffiando dalle narici come
un piccolo drago e vidi Elena ridere ed abbracciarlo cingendogli il collo. Mi
resi conto che non l’avevo mai vista sorridere in quel modo se non quando era in
sella. Avvertii una stretta al cuore: mi dispiaceva che la sua vera felicità
fosse legata esclusivamente a quei pochi attimi che concedeva alla sua passione.
Non era stato facile ascoltare quello che lo turbava, giorni prima. Aveva
ragione: mi era difficile comprendere il suo dolore. Ero sempre stato il primo della classe,
ammirato ed invidiato. Il mio carattere deciso e orgoglioso mi aveva
portato ad essere quello che ero, facendo sì che mi imponessi su chi mi
stava attorno. Per lei non era così. Forte, decisa, determinata ma
anche timida, forse troppo timida. E sfortunata. Di certo la sua vita sentimentale
passata non l'aveva aiutata, anzi. E così il cigno si era richiuso sotto le piume confortevoli
e rassicuranti del brutto anatroccolo... Decisi di seguirla in
scuderia, giusto per ricordarle che quella sera aveva un appuntamento. Testarda
com’era sarebbe stata capace di far finta di nulla! Arrivai alla cascina e trovai Zingaro legato nel mezzo
del corridoi della scuderia, senza sella e con in dosso una coperta bordeaux,
solo. “Buon giorno!” dissi. “Buon dì! Cosa ci fai da queste parti?” la sua voce proveniva
da una selleria in fondo al corridoio. Dopo un istante si affacciò con aria
sorpresa “Allora?” chiese. Le sorrisi passando
sotto alla longhina che teneva legato il cavallo e fermandomi accanto ad
esso accarezzandogli il collo sudato “Sono venuto a controllare che la mia
dama di stasera non tenti la fuga!” Sospirò, roteando
gli occhi al cielo e sparendo nuovamente in selleria “Sei insopportabile,
quando ti ci metti! Lo sai?” Non le risposi. Abbassai la
visiera del cappello e tornai all’aperto, ricominciando a fare qualche
esercizio leggero, tanto per non raffreddarmi del tutto, rimanendo davanti alla
scuderia e a pochi passi da Zingaro che mi guardò borbottando. “Pensavo te ne fossi andato!”
Esclamò, riapparendo alle mie spalle. “Dò fastidio?”
Chiesi
ironico. La sentii sospirare rumorosamente “Mamma
quanto sei permaloso! No, nessun fastidio, anzi!” Tolse la testiera al
cavallo e gli infilò una capezza rossa. “Natale?”
Mi chiese all’improvviso. “Spagna.” Risposi. “Spagna? E che ci vai a fare?” Si era messa accanto
a me, arrotolando una fascia, rossa anche quella. “Oliver
ha invitato me ed alcuni ragazzi della Nazionale a casa sua. Se non ti ricordi,
quest’anno ha vinto il Pallone d’Oro. Cogliamo l’occasione ed andiamo a
festeggiarlo!” “Ahaaa! Ma se non mi sbaglio anche
qualcun’ altro era nelle nomination… Aspetta, stà fermo e renditi utile, tanto
che sei qui!” e così dicendo mi piazzò in mano un capo della morbida
stoffa vermiglia, iniziando ad arrotolarla dall’altro. “Non è la prima volta che entro nelle nomine per il Pallone
d’Oro. Se è per questo sono nuovamente anche in quelle per il Migliore giocatore
dell’Anno. Ma non mi faccio molte illusioni…” Le dita
veloci si fermarono e mi guardò allibita “Cooosa? Tu che non ti fai
illusioni? No, non ci credo!” Aveva sgranato gli occhi nocciola sollevando
entrambe le sopracciglia. “Ho smesso di sperarci già
parecchio tempo fa! E non fare quella faccia! Non sono impazzito! Solo, mi sono
dovuto arrendere all’evidenza che giocando nel ruolo in cui gioco, non sono
riconoscimenti che mi verranno assegnati tanto facilmente! Solo un portiere,
nella storia del calcio, ha ricevuto il Pallone d’Oro…” “Yashin, detto “Il ragno nero”. Dinamo Mosca. Nel
Giurassico, più o meno! E non guardarmi così! Mica vivo su Marte! Qualcosina di
calcio la so pure io!” Effettivamente stavo per scoppiare
a ridere! Elena, che era per l’odio per il calcio per antonomasia, sapeva
chi fosse Yashin? Pazzesco! Lesse l’ilarità nei miei occhi, ma venni salvato
dalla scarica di invettive di cui stava per ricoprirmi dal suono insistente del
suo telefono. Sbuffò, guardandomi storto e togliendomi dalle mani la fascia
ormai arrotolata “Salvo in corner!” e rientrò in scuderia. Ripresi a fare
qualche piegamento, soffocando una risata.
“Pronto! Ciao capo! Come
va?” Era stranissimo che
Sonya mi chiamasse a quell’ora, soprattutto a campionato fermo. “Ciao bella. Benissimo, direi! Ascolta, sai mica dove
potrebbe essere Price? Il suo telefono suona, ma lui non risponde.” Mi affacciai al corridoio. Benjiamin aveva ripreso a fare
dei piegamenti nel cortile davanti ai box. “E’ qui, a
farmi compagnia." risposi "Sta finendo il suo allenamento mattutino. Perché? E’ accaduto
qualcosa?” Ero un pochino preoccupata da quella stana telefonata. “Siediti!”
Ordinò con tono scherzoso. “Sonya! Sono in
scuderia! Mica ci sono sedie qui!” “Ok… A pensarci bene,
sei la persona più adatta a dirglielo! Reggiti forte!” “Sono appoggiata al muro, è sufficiente?” dissi
spazientita. “Ok, ok…” tirò un sospiro e continuò
“Ti leggo la comunicazione che mi è arrivata stamane via mail dalla FIFA: “Con
la presente siamo lieti di comunicare allo staff del Bayern Monaco F.C. la
nomina come Miglior Giocatore dell’Anno 2009 al portiere Benjiamin R.
Price!” Fece una pausa “ Ele?... Ci sei?” Mi
ero appoggiata con la schiena al muro, senza fiato ed incapace di parlare. Aveva
appena detto che non ci sperava, che aveva smesso di crederci da anni… E quello,
lo sapevo, sarebbe stato il suo ultimo campionato. Dopo i Mondiali si sarebbe
ritirato per prendere posto accanto al padre. “Ele!” la voce di Sonya mi riscosse dai miei pensieri
“Eccomi capo! Scusa…” “Ascolta: l’assegnazione avverrà il
20 a Zurigo. Gli altri non sanno nulla, glielo diremo stasera. Penso che sarà un
bel regalo per tutti! A più tardi!” “A stasera.”
Ripresi fiato e mi riaffacciai a guardarlo oltre il mio cavallo. Era intento nei
suoi esercizi. Tranquillo e distaccato come sempre. Sarebbe stato un bel regalo,
sì!
Il Pallone d’Oro e
il premio come Miglior giocatore dell’anno.Quante volte ero entrato nei
primi dieci? Sette? Otto? Non lo ricordavo più. La prima volta ci avevo creduto.
Anche la seconda. Ma poi avevo dovuto arrendermi all’evidenza. Il ruolo
del portiere difficilmente è considerato come quello di un attaccante. Anche
Kim ci aveva creduto. Ricordai quando lesse della mia nomina tra i candidati
il primo anno che stavamo insieme. Era al settimo cielo! Poi
l’espressione amareggiata del suo viso quando il premio fu assegnato a Karl… Venni riscosso dai ricordi dalla voce di Elena in fondo
alla scuderia. Ero piegato sulla gamba destra, le mani sul ginocchio e la fronte
a sfiorarle, tenendo la posizione. La sentivo inveire contro la FIFA, il calcio
e certi asini ignoranti. Trattenni una risata per non perdere concentrazione.
Vidi la sua ombra accanto a me. “Cavoli! Non è possibile
che assegnino i premi con tanta leggerezza! Con tanti giocatori bravi che ci
sono, proprio certi asini devono venir premiati! Ma io non lo so! Non è
veramente possibile! E’ a dir poco inammissibile! E io che mi lamento dei
giudici di dressage!” Sorrisi. A volte, effettivamente,
i giudizi della Federazione avevano sconcertato un poco pure me. “Capisco che ti hanno comunicato il vincitore del Miglior giocatore, è così?" interruppi il
fiume di parole "E chi sarebbe, quest’incapace che ha scatenato le tue ire?”
chiesi. Si piegò su un fianco accanto a me, i lunghi
capelli mogano sfiorarono il terreno mentre portava il viso all’altezza del
mio. “Tu.” Per un attimo non
respirai. Gli occhi nocciola mi guardavano a pochi centimetri di distanza,
illuminati di felicità. Un sorriso si allargò sul viso della ragazza. Tale e
quale a quello che le avevo visto poco prima mentre montava. “Pronto!? Ci sei?” Allungò una mano a scompigliarmi i
capelli. Mi alzai piano. “Mi prendi in giro?” Si risollevò anche lei ed un lampo malizioso le passò sul
viso. “E bravo il
mio portiere!” Mi saltò al collo, abbracciandomi. D’istinto la presi al volo per la vita
e rimasi immobile per qualche secondo. La riposai a terra, ma non mollai la
presa.”Non stai scherzando, vero?” Sorrise, socchiudendo
gli occhi e scuotendo leggermente il capo “ Non potrei mai.” La fissai ancora un istante. Chinò il capo da una parte,
dicendomi : “Alla fine non sono mica tanto sorpresa, sai? Te lo meritavi!”
lessi una fiducia indiscutibile negli occhi color dell’autunno. E mi resi
conto della portata delle sue parole. “Baaastaaa! Mettimi
giù! Soffro di vertigini e odio volare!” L’avevo sollevata, iniziando
a ruotare su me stesso velocemente, ridendo. Erano anni che non mi sentivo così
al settimo cielo! Mi fermai tenendola a qualche centimetro da terra, il viso
poco più in alto del mio. Aveva le mani sulle mie spalle, le gote un poco
arrossate e lo sguardo rovente “Potrei tornare coi piedi per terra? Sai, non
sono abituata a stare con la testa fra le nuvole!” La posai delicatamente,
scoppiando nuovamente a ridere. “E ora, se non ti dispiace, se mi
lasci andare, dovrei finire di sistemare il mio povero stallone!” Effettivamente la stavo ancora tenendo per i fianchi, mentre mi
guardava tra l’ironico e l’indispettito. Le diedi un bacio leggero sulla fronte
“Grazie.” le dissi. Si scostò guardandomi
perplessa. Scosse la testa,
socchiudendo gli occhi sorniona e fece per slacciarsi dal mio abbraccio. “Ehi! Tre quarti delle donne di Monaco darebbero non so
cosa per essere abbracciate da me e tu te ne vai scocciata?” Mi si piazzò davanti a braccia conserte “Ma tu!? Non cambi
proprio mai, eh, signorino?” Raccolse il cappellino che
avevo lasciato lì accanto e me lo mise in testa, calandomi la visiera sugli
occhi. “Vedi di non far tardi stasera, capito?” e se ne
andò in scuderia, legandosi i capelli con un elastico che aveva al polso. Passando accanto a Zingaro, lo abbracciò stampandogli un
bacio sul muso e gli parlò sorridendo. Stava raccontandogli la felicità per un
amico e lo stallone ascoltava paziente la cascata di parole.
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Capitolo 13 *** 12 ***
ac09
"Cos'ha detto Sonya?" chiese per la
milionesima volta in un'ora la mia dolce coinquilina. "Festa infomale,
abbigliamento informale." Sospirai, sollevando un sopracciglio e rispondendo con
tono piatto. Erano le sei di sera ed io e Marj ormai da più di mezz'ora
cercavamo di risolvere uno dei problemi che dai tempi dei tempi affligge le
donne: la scelta dell'abito indossare per la serata! Probabilmente chi ci avesse viste
avrebbe trovato il quadretto che si presentava in camera da letto piuttosto
ridicolo: due ragazze, una un poco più alta dell'altra, vestite solo di morbidi
accappatoi bianchi, i capelli bagnati raccolti sopra la testa da ascigamani
pure bianchi, appoggiate spalla contro spalla e testa contro testa davanti alle
ante dell'armadio spalancate. D'un tratto, il suo improvviso del citofono ci
riscosse. "Oddio! Kris! E' già qui!" Un'espressione ridicola di terrore si
dipinse sul viso della bionda che schizzò in direzione della porta mentre io mi
lasciavo andare sconsolata sul bordo del letto, lanciando un'occhiata dubbiosa
ai vestiti che straripavano da mensole e cassetti. "Ma non siete ancora
minimamente pronte?!" Tuonò la nostra istruttrice, squadrandoci da capo a
piedi. Ci scambiammo uno sguardo contrito e poi, a voce bassa e con tono
piagnucoloso, protestai: "E' tutta colpa sua! E' da stamattina che litighiamo!
Pretende che metta la gonna, ma io non voglio morire di freddo!"
Kristine assunse la sua tipica posa da caporalmaggiore: braccia conserte, mento
alto, gambe semidivaricate, sorriso furbo e occhi azzurri socchiusi "Non fare storie,
signorina! Tu stasera gonna e tacchi!" ordinò "E non pensare al freddo! Immagina
piuttosto la faccia che farà il mio adorato fratellino vedendoti arrivare a
braccetto col suo caro amichetto!" sogghignò divertita mentre io sgranavo gli
occhi e balzavo in piedi, inviperita "Ehi no! Un attimo! Non scherziamo, io non..."
"Ma smettila!" mi interruppe, allungando una mano e zittendomi con
un dito "Sto scherzando! Anche se..." e mi squadrò con aria furba. "Anche
se, cosa?" la fissai ad occhi stretti, aspettandomi l'ennesima
frecciatina. Il sorriso sulle labbra sottili si aprì civettuolo ed un
sopracciglio biondo scattò malizioso verso l'alto "Anche se credo farà piacere
ad entrambi vederti un po' le gambe..." Evitò agile il cuscino che le lanciai
e Marj scoppiò in una sonora risata, esclamando "Ehi, tesoro! Lasciami almeno
uno dei due, stasera!" Kristine ed
io ci lanciammo un'occhiata a quelle parole e smettemmo di ridere, guardando serie Marj,
che sospirò e sedette sul letto pesantemente "Ok, sono pronta" mugolò "Fatemi la ramanzina
anche stasera! Tanto me l'aspettavo..." Sorridemmo, scuotendo il capo e
sedendoci una per parte, stringendoci accanto a lei. "Marj"
cominciò Kris "Sappiamo tutte che bella cotta hai per Price." "Ma
ricordati che è un uomo pericoloso!" cantilenò la bionda, scimmiottando l'altra quando le
parlava di Benji. "Sì" intervenni io, beccandomi un'occhiataccia
"E non guardarmi così! Benjiamin è fondamentalmente un bravo ragazzo, ma ha
anche un ascendente molto forte sulle donne. Peccato che non sia in grado, per il momento,
di costruire un rapporto stabile. Quindi..." dissi guardandola negli occhi "stai
attenta! Non ho voglia di raccattarti col cucchiaino! Una storia con uno come
lui può essere davvero devastante, te lo dice una che ne sa qualcosa!" Per tutta
risposta ricevetti un abbraccio ed un bacio schioccante su una guancia "Ok, ok! Però vi
ricordo che mi avete promesso che almeno me l'avreste presentato..."
Sospirai sconsolata e sorrisi vedendo Kris che volgeva gli occhi
al soffitto.
Arrivai sotto casa di Elena puntuale alle otto
e le feci uno squillo sul cellulare per avvisarla. Dopo pochi minuti la portiera si aprì e mi costrinsi
a soffocare una risata nel vederla imbaccuccata da capo a piedi. "Guarda che non c'è
proprio nulla da ridere!" sibilò attraverso la stoffa della sciarpa fucsia che
le avvolgeva la parte bassa del viso "Tu non hai amiche tiranniche che ti
costringono a mettere la gonna quando fuori c'è meno venti!" "No, in effetti..."
risposi ridendo "non ho amiche che mi costringono a mettere la
gonna!" la canzonai " E comunque fuori non fa meno venti, anche se tu sembri
pronta per una spedizione polare!" "Price..." ringhiò con gli occhi nocciola
che mandavano lampi. Mi voltai ed avviai l'auto, soffocando nuovamente
una risata che, ne ero certo, mi sarebbe costata la vita! Arrivammo tra gli ultimi
alla sede. Fuori dal grande edificio moderno campeggiava un enorme albero di
Natale, scintillante di luci e decorazioni e l'ingresso era addobbato con
festoni e ghirlande. Una grande festa in famiglia, questo era ciò che intendeva
Herr Lauber per la festa di Natale. Per lui la squadra doveva essere come
un'unica, grande, affiatata famiglia ed effettivamente fin dal primo giorno a
Monaco quella era la sensazione che avevo provato entrando a far parte
del Bayern. Ero stato accolto a braccia aperte e quella squadra mi aveva dato
quella sicurezza, quella atmosfera di "casa" che provavo solo
con i miei compagni di Nazionale.
Mi soffermai davanti alle porte a
vetro, tornando per un istante al passato e calcolando mentalmente che ormai erano
più di due anni che non partecipavo a quell'evento. L'ultima volta c'ero stato con
Kim... Elena mi dovette leggere nel pensiero. Una volta di
più.
Abbassò con un dito il bordo della sciarpa, scoprendo un
sorriso triste "Mi dispiace, quasta sera ti dovrai accontentare..."
"Ma chè accontentarmi!" risposi allegro,
scacciando a forza la malinconia, cingendole le
spalle e trascinandola all'interno "I ragazzi moriranno di invidia
vedendomi arrivare con te!" In effetti... Accidenti, a volte quella ragazza era
sorprendente! Sotto quel piumino nero,
lungo fino ai piedi, davvero adatto a una spedizione al Polo, il
brutto anatroccolo aveva nuovamente lasciato il posto al cigno: stivali scamosciati con
tacco a spillo, gonna corta, nera e maglione bianco col collo risvoltato, tanto ampio
da scoprire leggermente le spalle. Una volta tanto, truccata. L'effetto, dovevo
ammetterlo, era nel complesso piuttosto seducente. Si accorse della mia analisi accurata,
seguita da un sorriso di approvazione. "Allora?" chiese, le mani ai fianchi
in posa militare ed un lampo negli occhi nocciola. "Mejer
ha ragione, se ti
presentassi così agli allenamenti, passerei tutto il tempo a dire ai
ragazzi di guardare avanti e non alle spalle della porta!" "Non ti ammazzo
giusto perché è Natale..." ringhiò minacciosa ma con un sorrisetto
evidentemente compiaciuto sulle labbra. "Oh, grazie!" risposi ridendo e
dandole il braccio "E ora: vogliamo andare, signorina?"
La serata era
fredda e quelle arpie mi avevano costretta a mettermi in gonna. Meditavo le
torture a cui le avrei sottoposte cercando di distrarmi da quello che i miei
occhi si rifiutavano di smettere di fissare. Erano settimane che dicevo la
stessa cosa a Marj, e ora ci stavo cascando io... Consideravo Benjiamin un
amico, un amico speciale, però lo dovevo ammettere, era difficile restare
totalmente insensibile al suo fascino. Inoltre quella sera, vestito di semplici
jeans che fasciavano le gambe lunghe e con un maglioncino nero a dolce vita,
aderente, che certo non nascondeva i pettorali perfetti e gli addominali
scolpiti, era davvero più bello del solito. Quando mi porse il braccio da vero
cavaliere ma con un sorriso scherzoso, di quelli che non riservava ai comuni
mortali ma agli "eletti" che riteneva amici, mi sentii avvampare e distolsi lo
sguardo. No, non era facile restare del tutto indifferenti. Appena entrati in sala, la
mia visuale fu totalmente occupata da quella montagna umana che è il secondo
portiere, Leo Mejer. "Accidenti a te, Benji!" esclamò con il suo solito sorriso
bonario "Ti aggiudichi sempre le ragazze più carine!" poi, facendomi
l'occhiolino "Spero, gentile fotografa, che almeno un ballo vorrai concedermelo
stasera!" "Certo, molto volentieri, Leo!" risposi ridacchiando. "Vorrà dire che per stasera mi
farai giocare titolare!" canzonò il gigante, dando una sonora pacca sulla spalla
al mio cavaliere. "Dovrai conquistartela, Leo!" replicò, restituendo
il colpo. Leo ci lasciò, non prima di avermi sorriso ed aver rivolto gli
occhi al cielo e poi in direzione di Benjiamin, scrollando il capo
divertito. Mi divincolai dalla presa del SGGK e lo guardai
piccata "Ma cos'è? Li hai addestrati per l'occasione?" Strinse gli occhi con
fare felino, spazientito, ma una voce alle mie spalle bloccò la ramanzina che,
ero certa, mi sarei dovuta sorbire. "Bene, bene! A quanto pare il nostro
Benji ce l'ha fatta! Sei di nuovo dei nostri!" Mi voltai di scatto e per
un istante non respirai. I profondi occhi azzurri di Karl mi stavano
letteralmente scannerizzando da capo a piedi, mentre un sorrisetto
compiaciuto aleggiava sulle sue labbra. Bello. Forse troppo. No.
Decisamente troppo. Giacca e pantaloni bianchi, che manco a dirlo mettevano in
risalto la muscolatura eccezionale delle gambe e una maglia sottile, nera
dal collo tondo, aderente che sottolineava il busto scolpito di quel dio
greco vivente. Mi mancò il
fiato, sentendomi come presa tra due fuochi. Un movimento alle spalle di Karl, che
mi sovrastava tenendo in mano un calice di champagne e continuava ad
analizzarmi con quegli occhi azzurri da incantatore, mi riportò alla
realtà. "Scusate!" esclamai decisa, abbandonando ai loro
discorsi i due Adoni che, lo sentivo, non avevano smesso di fissarmi un
secondo. "Ok!" dissi, piantandomi a braccia conserte davanti alle mie
amiche sogghignanti "Ditemi un po' cosa avete da ridere!"
Marj soffocò una risatina e Sonya cominciò a
parlare "Oh beh, Miss A-me-certi-uomini-non-fanno-nessun-effetto, avresti dovuto vedere la tua faccia!" e trattenne una
risatina mentre Marj mi si avvicinava e mi dava un bacetto di scuse "Perdonami,
cara! Ma davvero dovevi vederti!" Le squadrai ad una ad una "Dite la
verità... Siete invidiose!" "Ok, lo ammetto, sono invidiosa!"
disse la mia coinquilina "Ma davvero, avevi una faccia!" "Avrei voluto
vedere te!" replicai. "Beh, tesoro, mi ci vedrai tra poco!" si imbambolò
improvvisamente ed immaginai di chi potesse essere la colpa. "Buona sera!" la voce profonda le dette il colpo di grazia.
Arrossì violentemente e, contrariamente al suo solito, rimase zitta per un
minuto intero. Io e Kris ci guardammo, intendendoci al volo, e con
un sospiro decisi che dovevo correre in soccorso della mia bionda amica. Mi
voltai e, lanciando un'occhiata omicida al portiere, feci le presentazioni.
Benjiamin mi sorrise appena, accennando di avere capito. Avevamo parlato
dell'argomento Marj e l'avevo avvisato: un solo passo, un solo gesto che non
fosse volto come minimo ad una promessa seria di matrimonio e l'avrei seviziato
con le mie mani. Aveva riso delle mie minaccie ma aveva anche giurato di fare il
bravo. Mi fidavo di lui. Dell'autocontrollo di Marj, no... "Price, ti
presento la mia famosa coinquilina, nonché migliore amica, Marjorie."
"Molto piacere!" salutò tendendo la mano che la bionda strinse
automaticamente, quasi in trance "Elena mi ha detto che ho l'onore di averti tra
le mie fans più accanite..." "Già, credo che Marj sia a conoscenza di cose
della tua vita sportiva ignote perfino a me!" intervenne ironico il Kaiser,
spezzando la tensione e prendendo un po' un giro la bionda che si risvegliò
dal torpore e lo fulminò con gli occhioni da gatta. Perfetto, pensai,
se Karl la riportava con le sue battutine acide coi piedi per terra potevo stare
abbastanza tranquilla. D'un tratto mi sentii stringere un braccio e mi
voltai. Sonya aveva richiamato la mia attenzione, facendo un cenno col
capo. Il momento dell'annuncio era arrivato ed avvertii il cuore cominciare a
battere veloce. I ragazzi della squadra stavano per ricevere un bel regalo di
Natale! La mora accompagnò Lauber al piccolo palco dove il gruppo
musicale che doveva allietare la serata aveva smesso di suonare, richiamando
l'attenzione degli astanti. Ci voltammo tutti in quella direzione, qualcuno
con espressione sorpresa, qualcuno preoccupato da quella strana
interruzione, io personalmente con un sorriso a trentadue denti stampato sulle
labbra. Herr Lauber chiese un attimo di silenzio e quando l’ebbe ottenuto,
Sonya lesse il comunicato ufficiale che aveva letto a me la mattina stessa. La
sala si riempi degli applausi, degli "Urrah!", dei fischi e delle esclamazioni
di gioia dei compagni di squadra. Sul viso del patron del Bayern un sorriso
soddisfatto: Benjiamin era uno dei suoi pupilli, uno di quei ragazzi che
considerava quasi come un figlio proprio. Vidi gli occhi di Karl riempirsi di
sorpresa e di gioia per l’amico e dargli un pugno amichevole, che l’SGGK
bloccò sorridendo con la mano destra. Gli furono tutti in torno a
complimentarsi. Herr Stefan gli si avvicinò, stringendogli la mano e
posandogli l'altra sulla spalla. Benjiamin ricevette
tutto questo senza scomporsi, serio e pacato come il suo
solito. Schneider propose un brindisi per lui e una sessantina di calici si
levarono in onore del primo portiere del Bayern. La
serata trascorse piacevole. I ragazzi della squadra furono adorabili. In verità
si comportavano un po’ tutti come guardie del corpo! Soprattutto i due campioni
pareva proprio non volessero mollarmi un istante, me li trovavo
ogni momento tra i piedi! Non che la cosa mi dispiacesse, certo, ma mi
metteva piuttosto in imbarazzo. Avevo da sempre un certo debole per Karl
e avevo notato che quella sera si stava comportando in maniera più galante
del solito. Le occhiate, i sorrisi maliziosi e le frecciatine che mi lanciava
non erano esattamente solo di quelle che si fanno tra amici, no. Però io non ero
pronta. Non ero assolutamente pronta. Lui lo sapeva e si limitò a fare
il perfetto cavaliere, guadagnando un punto in più sui mille che aveva già nella
mia stima Benjiamin era il vero problema. Ormai mi ero resa del tutto conto
che restare indifferenti al suo fascino non era facile, anzi, era quasi
impossibile. Ma ritenevo l'amicizia che ci legava un bene troppo prezioso,
unico, che sarebbe stato da veri idioti rovinare per della banale
attrazione fisica. Eppure quella sera l'avevo scoperto più di una volta a
fissarmi intensamente. Colto sul fatto, accennava un sorriso, portando
l'attenzione altrove.
Lauber, Schneider, Karlz, Mejer... Erano
felici per me, perché dopo anni di sacrifici avevo finalmente conquistato
uno dei premi più ambiti per un portiere. Hermann, battendomi una
sonora manata tra le spalle e masticando come il suo solito uno
stuzzicadenti, mi disse tutto sorridente che quello era uno dei
più bei regali di Natale che gli avrei potuto fare. Anche per me era la
stessa cosa. Quello sarebbe stato l’ultimo anno della mia carriera. Avevo
conquistato il Premio come Miglior giocatore dell’anno, la squadra era già in
ottima posizione in classifica e la Coppa dei Campioni sarebbe stata
nostra, a tutti i costi. E poi i Mondiali… Mi
ritrovai, per l’ennesima volta quella sera, a cercare con lo sguardo la mia
amica. Perché? Non lo so. Me lo chiedevo anch’io. Quegli
ultimi mesi in sua compagnia erano stati il periodo migliore della mia vita da
due anni a quella parte. Mi aveva aiutato ad uscire da quel vortice d'oblio dove
mi ero rifugiato, tentando di fuggire dal dolore e dai ricordi. Le dovevo ben
più di un favore. La vidi che era accanto a Karl.
Di nuovo. Sorrisi, constatando che il Kaiser aveva deciso di marcarla stretta
e mi sorpresi a provare una sensazione che mi era sconosciuta da tempo:
gelosia. Una breve, intensa fitta mi contrasse la bocca dello stomaco mentre
serravo la mascella, fulminando il mio capitano con un'occhiata omicida. Il buon
senso, per fortuna, prese il sopravvento e mi diedi dello stupido. Perché
diavolo avrei dovuto essere geloso se Karl ci provava con Elena? Sapevo che
sarebbe stato così, io e lui ne avevamo perfino parlato quel pomeriggio stesso!
Poi Karl è uno dei miei migliori amici e sapevo benissimo che la mia compagna di
allenamenti mattutini aveva un debole per lui… E allora perché? Una voce di
donna alle mie spalle mi riportò alla realtà. Voltandomi incrociai gli
enormi occhi azzurri della coinquilina di Elena e in un lampo realizzai
dove l'avevo già vista "Ma certo, ora ricordo! Tu sei la proprietaria dello
stallone grigio! Ci siamo incrociati in scuderia!" Le labbra carnose a
cuore si incurvarono appena mentre lo sguardo celeste si illuminava.
Splendida, a dir poco splendida. Sospirai, maledicendo per un attimo
Kris, Elena e la promessa che avevo fatto. Ma Benjiamin Price tiene sempre fede
alla parola data. "Già già, proprio io..." rispose quasi
sottovoce, il briciolo di coraggio racimolato per venire a parlarmi
evidentemente andato in fumo. "Allora, cosa posso fare per la mia fan più
accanita?" ripresi, cercando di rendere la situazione meno imbarazzante. Mi
regalò uno splendido sorriso, caldo e solare. Bella, non potei fare a meno
di pensare, davvero splendida. "Veramente hai già fatto qualcosa per me!"
rispose, e vedendo il mio stupore continuò "Sei stato vicino ad Elena,
l'hai aiutata quel giorno terribile e poi non l'hai mollata un istante. E'
grazie a te se stasera è qui con noi." Fui colpito da una dimostrazione di
amicizia tanto profonda "Veramente non credo di aver fatto nulla di più di
quello che avrebbe fatto chiunque altro..." I boccoli biondi dondolarono ed
uno di essi, ribelle, sfuggì da dietro l'orecchio ed andò a sfiorare il viso
della ragazza, che con un gesto lo rimise al suo posto, sorridendo
"Non è vero. Tu hai fatto molto di più di quello che avrebbe fatto chiunque
altro. Hai fatto anche molto più di me, che proprio in questa occasione non sono
stata gran ché utile." Non sapevo cosa risponderle, e se ne accorse. Mi
tolse d'impaccio cambiando argomento "E mi spiace che domattina te la dovrò
portare via, per cui dovrai allenarti da solo!” “Come mai? Una gara così sotto Natale?” chiesi
stupefatto. Scosse il capo, scompigliando di nuovo la massa di boccoli
biondi “No, non lo sai che Ele non esce in gara? No, mi accompagna
all’aereoporto. Parto per il Canada per festeggiare con mia madre che vive
laggiù!” Ricordavo qualcosa in proposito: Elena mi aveva
accennato al fatto che la sua amica era figlia di una ex fotomodella canadese e
di un direttore d’orchestra tedesco. “Natale in famiglia,
quindi...” Nel pronunciare quelle parole avvertii una stretta al petto.
Quanti anni erano passati da quando avevo trascorso una festa con i miei? Dieci?
No, probabilmente di più... “Non esattamente.” rispose,
portando alle labbra il calice di champagne che teneva tra le dita. Notò la mia sorpresa e sorrise un po’ triste “Vedo che
non ti ha detto tutto di me. I miei si separarono quando avevo cinque anni. Da
allora, sei mesi qui, sei mesi in Canada. Un anno Natale e Capodanno qui, l’anno
dopo da mia madre. E’ l’unico sistema che ho per avere una parvenza di
famiglia...” si strinse nelle spalle, sorseggiando il liquido biondo come se
ormai tutto ciò fosse una realtà che non faceva più male. Considerai come sotto certi aspetti io e lei fossimo simili
e quanta tristezza e quanto dolore erano celati dietro quel bel viso d'angelo.
Kristine richiamò l'attenzione della bionda, portandomela via. Mi dispiacque.
Molto.
Si era fatta l'una ed io e Marj dovevamo assolutamente andare.
L'indomani mattina l'aereo era ad un'ora impossibile e ci dovevamo svegliare
prestissimo. Prima di scappare avevo però un'ultima cosa da fare. Cercai il mio
amico in tutta la sala, ma non lo trovai. Mi diressi allora verso l'ingresso e
lo trovai che studiava la grande vetrina nella quale erano costuditi alcuni dei
premi vinti dalla squadra. "Ciao, campione! Io dovrei andare..." Si voltò,
regalandomi uno dei suoi sorrisi speciali caldi e avvolgenti come coperte di
soffice lana "Vai già, signorina?" chiese. Accennai di sì col capo "Domani,
anzi, stamattina, sveglia prestissimo! Però avevo questo da darti." Estrassi da
dietro la schiena una pacchettino avvolto in una carta rossa. "E mi raccomando!"
sentenziai con voce burbera "guai a te se lo apri prima di Natale!" Scoppiò a
ridere, scrollando il capo e cingendomi le spalle. "Beh, veramente avrei
anche io qualcosa per te!" disse facendomi l'occhiolino e trascinandomi
verso il parcheggio, non prima di aver recuperato la giacca di pelle dal
guardaroba. Aprì la portiera lato passeggero ed estrasse dal cassettino un
pacchetto stretto e lungo, pure incartato di rosso. "Mi pareva che fosse il tuo
colore preferito." disse consegnandomelo "E dopodomani non avrei avuto il tempo
di dartelo, visto che finita la cerimonia partirò direttamente con Oliver per la
Spagna. Tu ci sarai, vero?" Non suonava come una domanda, no. Suonava come un
ordine. Trattenni una risata, mi sollevai in punta di piedi e gli schioccai un
bacio su una guancia, canzonandolo "Lo so che vorresti liberarti di me, ma non è
mica così facile, sai?" Tre giorni dopo ero a Zurigo in compagnia di Sonya.
Serata elegante ed ufficialissima. Lauber mi aveva praticamente proibito di
lavorare, dicendomi che dell'evento si sarebbe occupato Paul e che io mi dovevo
godere la festa. Mi aveva preso sotto la sua ala protettrice ed era del
tutto inutile discutere. Come era stato inutile discutere con Sonya, che due
giorni prima mi aveva trascinata a viva forza a far compere. Il risultato era
l'abito in seta blu notte che indossavo. Sbracciato all' americana, una piccola
scollatura a goccia sul seno, lasciava spalle e schiena scoperti mentre uno
spacco profondo (un po' troppo profondo...) si apriva sul lato sinistro. Quando
Kris me l'aveva visto addosso, il commento era stato: "Assolutamente da urlo.
Scordati di schiodarti mio fratello di dosso per tutta la sera!" Ecco. Appunto.
Con delle premesse del genere di certo non riuscivo ad essere serena e
rilassata! Karl, come previsto dalla sorella, non sembrava
intenzionato a smettere di fissarmi con quel suo sguardo ammaliatore col
risultato che Sonya ridacchiava, soddisfatta del suo operato. Mi accorsi
dell'arrivo del festeggiato del cenno che mi fece Paul. In una frazione di
secondo la hall dell'albergo si riempì di fotografi e giornalisti che
assediarono il SGGK. In quel momento ero in piedi accanto alla mia amica
e ci voltammo entrambe, cercando di scorgere il campione nel mezzo di
quella piccola folla. Price sovrastava i fotografi
di tutta la testa. Vicino a lui Kaltz, col quale aveva fatto il viaggio per
Zurigo. Il drappello di gente si avvicinò a noi e Benjiamin ne emerse facendosi
largo con gentile fermezza. Rimasi un
istante senza fiato. L’unica altra volta che l’avevo visto in abito formale
non ero assolutamente in grado di godermi lo spettacolo. Il taglio della
giacca metteva in risalto le spalle larghe, la vita stretta , il corpo ben
proporzionato se pur molto muscoloso. Non era semplicemente elegante, aveva
qualcosa di finanche aristocratico. Portamento importante, signorile,
pacato. In effetti, considerai, non molto diverso dal solito, ma
quella sera era diverso. Intorno a lui aleggiava una sensazione
accentuata di magnetismo e mascolinità. Sonya si accorse della mia
reazione e mi dette un pizzicotto. Tornai coi piedi per terra e mi trovai
lo sguardo scuro e ardente del bel portiere fisso su di me. Gli sorrisi
meccanicamente e lui ricambiò. Per un istante scorsi sul suo viso, nei suoi
occhi, quel lampo malizioso che aveva mietuto decine di vittime. Presi fiato,
cercando di convincermi che era tutto frutto della mia
immaginazione.
Io ed Hermann arrivammo che il resto
della squadra era già lì ad aspettarci. Venni attorniato in un istante da decine
di giornalisti e fotografi, dai quali mi liberai con non poca difficoltà. Cercai con lo sguardo gli altri ragazzi e notai subito il
capitano, che mi sorrise e fece un cenno con la mano in segno di saluto,
indicandomi col capo l’uomo che gli era accanto. Oliver. Andai in contro al mio
vecchio amico, che mi strinse la mano con il suo solito sorriso aperto e
cordiale. “Quest’anno il Giappone comincia bene la sua
stagione!” disse “E la finirà al meglio, vincendo il Mondiale! Che
ne dici amico?” “Dico che hai perfettamente ragione!"
risposi, ricambiando la stretta "Non credo ci sarà storia per
nessun’altro!” ci scambiammo uno sguardo d’intesa mentre Schneider ci
guardava con fare sprezzante. “Allora ci vedremo in
finale...” disse, sollevando il calice che teneva in mano verso di noi. “Ovviamente.” Holly accennò di sì col capo, sereno e sicuro
come sempre. “Puoi contarci, capitano!” dissi
e i nostri sguardi si incrociarono mandando scintille. Era tempo che
aspettavamo di scontrarci in una sfida ufficiale. Mancava ad
entrambi! Uno dei responsabili dell’organizzazione della serata ci
fece segno di avviarci verso la sala congressi, dove mi sarebbe stato
conferito ufficialmente il premio. In quell’istante, alle spalle di Karl, notai
finalmente la persona che cercavo. Non l’avevo ancora vista e temevo non fosse
venuta. Invece eccola lì, accanto a Sonya. Non sfigurava affatto accanto alla
nostra manager, anzi… L’abito da sera blu notte, lungo, si modellava
perfettamente sulle sue curve morbide ed un’ampia scollatura scopriva la
schiena, rendendo l’effetto decisamente seducente. Mi trovai a fissarla dandomi
dell’idiota. Stavo lasciando una bella preda nelle mani del mio capitano! Ma
forse era meglio così... Non si meritava che la facessi soffrire come avevo
fatto con Kristine, e la nostra amicizia era veramente un bene prezioso da
costudire con cura. Inoltre, pensai, Elena era veramente l’unica donna, oltre
forse a Sonya, a non aver mai dimostrato di cedere al mio fascino. Mi
considerava unicamente un amico. Peccato, in fondo, ma meglio così. Incrociai il suo sguardo, mi sorrise di rimando ma non potei
fare a meno di ammirarla ancora un istante. Il brutto anatroccolo, quando
voleva, sapeva trasformarsi in uno splendido cigno.
Grazie al cielo, pensai, l'avevano trascinato via!
Il suo sguardo aveva avuto l'effetto di una scossa elettrica e non ero ancora
riuscita a riprendermi. Decisi che l'avrei evitato il più possibile, quella
sera. Comunque, tra vecchi e nuovi amici intervenuti a quell'evento, avrebbe
avuto parecchio da fare. D'un tratto una mano calda si posò sulla mia
schiena, facendomi tasalire. Mi voltai di scatto e immediatamente affondai nel
cielo azzurro degli occhi del capitano. Non ci fosse stato il suo braccio a
sostenermi, probabilmente sarei franata a terra. "Visto che Benjiamin sarà
piuttosto occupato stasera, spero mi consentirai di farti da
cavaliere..." Dalla padella nella brace... Comunque, in effetti il mio
amico fu attorniato per tutta la sera dai vecchi compagni di squadra, piuttosto
che dagli amici venuti dal Giappone o dai giornalisti che lo tormentavano. Al
momento della consegna del premio, ci scambiammo un sorriso. Ero felice per lui,
ero felice che proprio quell'anno si fosse realizzato uno dei suoi sogni. Se lo
meritava. Cominciarono le danze. Lo evitai molto accuratamente e comunque tra Karl e Leo
non ebbi praticamente tregua! Non potei però fare a meno di una cosa: Benjiamin
non si era intrattenuto per più di due minuti con ognuna delle ragazze che gli
ronzavano costantemente intorno. Stava facendo il bravo ragazzo. Danzò con Frau
Lauber, con Sonya, con Patty, la moglie di Oliver. Sapevo che non era un
ragazzaccio grossolano come molti suoi colleghi, ma mi stupì vedere quanto
fosse perfettamente a suo agio in quella situazione. L'erede di una
delle più ricche famiglie del Giappone stava tirando fuori il suo lato
aristocratico. Perfino Julian Ross, detto “Il Principe del calcio” per la
sua naturale eleganza ed signorilità dentro e fuori dal campo, era messo
in ombra dalla presenza imponente del mio amico. La mia
serata passò splendidamente. Karl fu un cavaliere fantastico, ovviamente,
perfetto sotto ogni aspetto. Non mi ero mai sentita così coccolata da un uomo,
la cosa mi lusingava moltissimo, ridandomi coraggio e rafforzando un poco la
stima che avevo di me stessa.
Era mezzanotte e mezza. Mi aveva
accuratamente evitato per tutta le sera e non capivo perché. Un sorriso, una
strizzata d’occhio ed un bacio lanciato con un dito erano stati il suo modo per
complimentarsi con me dopo l’assegnazione del premio. Non ci eravamo neppure
salutati. Aveva passato tutta la serata chiacchierando con i ragazzi della
squadra (Leo era assillante!) ed in particolare con Karl. Quando l’avevo vista
ballare tra le braccia del mio capitano, avevo avvertito di nuovo una fitta di
gelosia. E di nuovo mi ero dato dell’idiota. Mi
allontanai dalla sala. Non sopportavo di stare troppo tempo al chiuso e sotto
assedio. La popolarità e l’ammirazione hanno sempre alimentato il mio spiccato
egocentrismo, ma sono fondamentalmente un lupo solitario. L’ingresso dell’hotel era riparato da una tettoia le cui
volute stile liberty erano state ricoperte da splendenti decorazioni natalizie.
Respirai a pieni polmoni l’aria gelida e mi beai del freddo pungente che
aggrediva il mio volto, osservando il primo fiocco di neve scendere dal cielo.
Chiusi gli occhi. Pensai a Kim e, ancora una volta, le dedicai la vittoria.
L’immagine del mio primo amore venne affiancata da quella della donna che aveva
reso più dolce quel ricordo. Se non fosse stato per le parole di Elena, il
ricordo di lei, avrebbe avuto un sapore molto, molto più amaro. Rientrai. La hall era deserta. Erano tutti nel salone
principale, intenti in danze o chiacchiere. Era un vecchio albergo ottocentesco,
di gran classe e accuratamente restaurato. Lungo il corridoio che portava alla
sala si aprivano alcune porte decorate che davano su salottini arredati con
gusto. Una di queste porte era aperta. Diedi un’occhiata distratta all’interno e
mi bloccai all’istante. Una figura ben nota era in piedi davanti alla finestra,
la mano destra a scostare il tendaggio pesante. La luce era spenta, penetrava
solo quella dei lampioni del giardino, resa lattiginosa dalla neve che, ormai,
scendeva
abbondante.
Nel salone l'aria era calda e quasi
opprimente. Con una scusa mi allontanai da Karl e dagli altri. Avevo
bisogno di starmene un pochino sola con me stessa. Quella serata stava prendendo
una piega molto piacevole, ma mi stava anche scombussolando un po’. Troppe
sensazioni, troppe emozioni. Non c’ero più abituata. La festa di Natale era
stato solo un assaggio, avevo bisogno di un attimo di tregua. All’arrivo
avevo notato dei salotti aperti lungo il corridoio. Entrai in uno di essi e
scostai la pesante tenda in broccato blu. Il freddo pungente che filtrava dal
vetro mi diede un brivido piacevole dopo il caldo soffocante del salone. Notai
con sommo piacere che aveva cominciato a nevicare. Mi lasciai cullare dalla
vista dei fiocchi che scendevano placidi, rinunciando a mettere ordine nelle mie
emozioni e svuotando la mente. Non sapevo da quanto ero
lì. Non lo sentii entrare. Sussultai quando posò la mano grande e calda sopra la
mia che reggeva la tenda e con l’altra mi cingeva delicatamente, ma con
fermezza, la vita. Il calore del suo corpo, in netto contrasto con quello che
proveniva dal vetro, fece moltiplicare il battito del mio cuore, stroncandomi il
respiro. “Stavo chiedendomi come mai la mia dama
preferita questa sera abbia deciso di evitarmi con tanta cura…” sussurrò,
sfiorandomi il collo con l'alito tiepido. Il tono basso e profondo mi fece
correre un brivido nella schiena. Ripresi fiato e, più o meno, il controllo
di me. Mi voltai piano, trovandomi veramente troppo vicina a lui. Al buio
i suoi occhi neri erano due tizzoni ardenti, pozzi profondi nei quali cadere per
non emergere più. “Figurati se ti ho evitato!" risposi,
tentando inutilmente di fingere "Solo, ti ho visto molto preso dai tuoi
amici che non vedevi da tanto tempo!” Ovviamente, non mi credette. “Non mi pare di aver ballato con nessuno di loro…"
ironizzò "Ma stasera non mi hai concesso neppure una danza… O sei
troppo presa dal nostro capitano da dimenticarti degli amici?” Il solito sorrisetto sarcastico e seducente si disegnò sulle
sue labbra, mentre un lampo di…gelosia? passò negli occhi scuri come la
pece. Sospirai. “Ok, hai vinto. Vorrà dire che ti
concederò l’ultimo ballo della serata, va bene?” “Molto
bene.” Giusto in quell’istante la musica riattaccò con un
motivo moderno ma lento, insinuandosi dalla porta del
salottino. “Madamigella…” si allontanò un poco, accennando un leggero
inchino e tendendomi la mano. Sospirai, scuotendo la testa e roteando gli occhi,
e accettai l’invito. Mi ritrovai con le mani sulle sue
spalle, tenuta delicatamente stretta per la vita, le sue mani troppo
pericolosamente vicine alla scollatura sulla schiena. Maledissi mentalmente
Sonya...
Bugiarda. E non ne capivo il perché! La costrinsi
letteralmente a danzare con me l’unico lento della serata, in quel salotto dal
sapore antico. Avvertii il suo profumo, leggermente
amaro, non dolce e nauseabondo come quello di molte donne con le quali ero
stato. Discreto. Come lei. Mi trovai ad osservarla e sì, anche a giudicarla. Da
uomo e non da amico. Carina. No, anche bella. Non una bellezza sfrontata,
volgare o appariscente. Semplice. Anche in quell’abito cercava di non farsi
notare, di far scivolare via gli sguardi che si posavano su di lei. Eppure,
soffermandosi a guardarla, la sua semplicità aveva un qualcosa di
sottilmente sensuale, intrigante. Capii Karl e lo invidiai non poco.
Sapevo bene che Elena aveva da sempre un debole per lui. Reggeva il mio sguardo con un sorriso quasi canzonatorio,
come a dire: “Ok, hai tra le braccia la tua ennesima preda! Contento?” Sì. Decisamente. Era molto, molto tempo che non stavo così bene con una
donna. Non ricordavo più cosa fosse l’amore, ma il solo
pensiero mi terrorizzò e lo scacciai all’istante. Ma lei non era come le altre.
L’avevo rispettata fino a quel momento proprio per quello. Perché non era come
loro. Non le avrei mai e poi mai fatto del male. Ma… Per un istante, un solo maledetto istante mi persi in quegli
occhi nocciola. Le mie mani scorsero fino alla scollatura sulla schiena ed
accarezzarono la pelle serica, morbida e quasi bollente. Fu un momento. La
strinsi un poco di più e, non avvertendo alcuna resistenza da parte sua, portai
una mano fra i lunghi capelli mogano, fin sotto la nuca. Tra le nostre labbra
neppure un centimetro, quando avvertii le sue dita sulla mia bocca, a
dividerci. Sospirò, senza allontanarsi, gli occhi
socchiusi. Solo le sue dita ad impedire quel bacio al quale mancavano pochi
millimetri. “Sei certo di voler mettere a repentaglio la
nostra amicizia così?”
Il pomeriggio seguente ero in
maneggio. Avevo finito di montare e mi stavo dando ad
uno dei lavori più odiosi che ci possano essere: ingrassare sella e
finimenti. Kristine era in piedi accanto a me, appoggiata
al muro con braccia e gambe incrociate, gli occhi chiusi. “Dimmi, ti supplico dimmi che non ti stai innamorando di
lui!” Le avevo raccontato tutto, nei minimi dettagli. Finii di passare una redine con lo straccio intriso d’olio e
fissai il lavoro che stavo facendo stringendo le labbra e sospirando. “Non lo so. Mi sento presa tra due fuochi! Tuo fratello da
una parte, il mio sogno fin da quando sono arrivata qui, irraggiungibile fino a
pochi giorni fa...” “Irraggiungibile perché lo volevi tu!
E molto meno pericoloso…” Non la lasciai terminare,
fulminandola con lo sguardo “E Benjiamin, con il quale ho stretto un’amicizia
davvero speciale e che non voglio assolutamente rovinare!” sospirai
chiudendo gli occhi e rievocando la notte precedente. Il cuore perse un
battito “Ma che ha un fascino al quale è impossibile resistere…” “Ele…” mi stava guardando preoccupata. Sapeva quanto
fosse pericoloso innamorasi di Benjiamin Price! “Maledizione a me e a quando ti
ho mandata a lavorare per il Bayer!” “No, Kris,
tranquilla. Benji è un caro, carissimo amico. E ieri sera questa cosa l’abbiamo
messa ben in chiaro. Mi ha chiesto scusa e si è limitato a darmi un
innocentissimo bacio sulla fronte.” “Si, ma…” La zittii con un cenno della mano “Niente ma. Non ci vedremo
per almeno quindici giorni. Tempo di decompressione. Tranquilla tesoro. Non ho
voglia di farmi male! E poi, ti ricordo che il tuo dolce fratellino mi stringe
d’assedio!” le sorrisi incoraggiante, facendole l’occhiolino. “Tesoro, ma cosa mi combini?!”
Angolino
dei ringraziamenti^^ A tutte/i coloro che hanno recensito questa mia storia,
grazie di cuore! Come alcuni di voi sanno, la sto riscrivendo daccapo
cercando di allineare lo stile più acerbo dei primi capitoli della vecchia
versione, a quello un po' più maturo degli ultimi. A volte la cosa mi riesce
facile, a volte no (vedi questo capitolo^^) Spero comunque che continui a
piacervi e di non deludervi.
Akuma: sì, effettivamente c'è molto di
"casa" in "Angelo", credo soprattutto perché c'è molto di mio. Per quanto non
creda che sia la ff meglio riuscita, è sicuramente quella in cui ci ho messo più
cuore.
Kitiara: grazie ancora per aver letto anche questo mio
lavoro. Come vedi, ho cercato di aggiornare entro fine mese ^^. Immagino di
averti quasi accontentata con Benji ed Ele. Quasi... XD
Valentina78:
felicissima di aver emozionato anche te^^ Se vedi che non aggiorno, non perdere
le speranze. La storia è già tutta scritta, devo solo trovare il tempo di
risistemarla :)
Sanae78: grazie di avermi seguita. Sono contenta che
apprezzi il fatto che la sto sistemando :) E sono felice che continui a
piacerti.
Lynn: come vedi sono qui. Ci ho messo più tempo del previsto,
ma "Angelo" va avanti. Felice che il mio SGGK ti piaccia e che la ff sia tra le
tue preferite^^
Minigo: grazie anche a te. Anche tu conosci già tutta la
storia e sono contenta che apprezzi il restile^^
Ok, credo di avere
finito... Lo so, sono una bestiaccia, fino ad ora non avevo ringraziato
nessuno pubblicamente, ma mi è sembrato giusto farlo. Grazie, ovviamente,
anche a chi legge e non recensisce. Spero davvero che la mia storia continui
a piacervi. Alla prossima Eos75
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Capitolo 14 *** 13 ***
Ero in ritardo! Ero stramaledattemente in
ritardo! E, per l’ennesima volta, a causa di una delle riunioni di mio padre. Avevo appuntamento
con Karl in scuderia per le quattro, gli avevo promesso che l’avrei accompagnato
a ritirare l’auto nuova ed erano le quattro e mezza. Lasciai la
macchina nel parcheggio sterrato e mi avviai quasi correndo verso la club
house. “Andiamo di
fretta, portiere?” udii una voce squillante
che mi chiamava e mi voltai verso il campo. Marjiorie era in
sella ad uno stalloncino grigio ferro dall’espressione furba. I grandi
occhi da gatto della bionda splendevano nel viso arrossato dalla fatica,
illuminato da un bellissimo sorriso. Mi fermai un istante, appoggiandomi alla
staccionata. “Buon giorno e ben tornata! Sì, sono molto di fretta! Hai per caso visto
Karl?” Rispose venendo verso di me, le redini lunghe sul collo
mentre scendeva ad accarezzare la spalla dell’animale “Sì, è in club house con Kris…”
Non fece in tempo a terminare la frase che il mio cellulare squillò.
Fu un attimo. Lo stallone stava aspettando solo una scusa. Abbassò il collo,
sgranando gli occhi e facendo un breve stop tendendo tutte e quattro le
gambe. Quindi scartò violentemente a destra, iniziando a smontonare come un cavallo
selvatico, la testa tra gli anteriori e i posteriori che
calciavano. L’amazzone, colta sbilanciata in avanti, non fece in tempo a rientrare in sella e venne
sbalzata a terra, mentre il puledro correva via sgroppando. Senza pensarci
due volte scavalcai la recinzione e corsi verso la ragazza, che era rimasta a
terra immobile e mi inginocchiai accanto a lei.
“Marjiorie!” quasi
gridai vedendo che non accennava a
muoversi. Gli occhi erano chiusi ma un leggero sorriso le increspò le
labbra mentre li riapriva, seguito da una sonora risata. Mi fece prendere
un colpo. “Ma che cretina che sono!” poi, vedendo la
mia espressione di disappunto
“Tranquillo, è tutto a posto! Nulla di rotto!Anzi, mi daresti una mano ad alzarmi?” disse
tendendomi, sorridendo, la sottile mano guantata, che afferrai non molto convinto “Ma
sei sicura di stare bene?” chiesi preoccupato. Mi sorrise nuovamente, mentre
faceva forza per sollevarsi “Sì sì, tranquillo! L’unica cosa ferita è il mio orgoglio!
Ma che cretina che sono! Non avrei dovuto abbassare così la guardia con
Sebastian! Ha solo quattro anni…” Intanto si era rimessa in piedi e stava tentando di togliere la
sabbia dai vestiti. Considerai quanto strano fosse che una ragazza come lei,
dall’aspetto fragile e delicato, si fosse rialzata come un calciatore atterrato
dopo un brutto fallo. “A proposito... Mi spiace di averlo fatto spaventare!”
mi scusai. Si voltò verso di me, mettendosi le mani ai fianchi e
tirando la schiena “Scherzi? Non è colpa tua! Seby non aspettava altro che abbassassi
la guardia per tirami uno dei suoi scherzetti! Guardalo lì, lo stupido!” disse,
indicandomi il cavallo che scosso, correva allegro per il campo. La osservai un
momento e vidi lo stesso amore e la stessa passione che tante volte avevo visto
sul viso di Elena. “Tombola!” mi voltai di scatto in direzione di quella voce scherzosa, ed ecco la mia
compagna di allenamenti. Era appoggiata alla cavallerizza, in mano una longhina alla
quale era legato Zingaro che osservava con disapprovazione il collega scorrazzare
libero per il campo. Elena sorrideva divertita, negli occhi un lampo d’allegria
e, finalmente, serena… Capodanno, pensai, le aveva fatto bene!
Trattenni una risata scuotendo
il capo: Marj era stata proprio avventata a voler salire subito in sella dopo un viaggio di dieci ore d' aereo! Ma la
capivo, la capivo benissimo. Non ne poteva più di non montare a
cavallo! La nostra non era una semplice passione, era una malattia. “Però…" mi dissi "Guarda guarda quei due come
stanno bene insieme...” Osservavo i miei amici, in piedi l’uno
accanto all’altra, constatando che facevano proprio una bella coppia. Tirai un
sospiro, stringendo le labbra: se solo Benji avesse avuto le idee un po' più
chiare riguardo all'amore... In un flash ripensai a Zurigo, a quello
che avevo provato, a quello che ci eravamo detti… E a come aveva reagito alla mia
telefonata di Capodanno. Capodanno. Alcuni
ragazzi della squadra ed altri amici avevano
organizzato una festa in uno chalet di montagna. Ero andata anch’io, letteralmente
trascinata da Kristine e Karl. Invece dei fuochi d’artificio
avevamo pensato a preparare un bel falò. Guardavo
i ragazzi che sistemavano la catasta di legna stringendomi le braccia intorno al
corpo e saltellando nel tentativo di non congelare. Amo la neve ma
detesto il freddo. Qualcuno lo sapeva e pensò bene di porre
rimedio a questo mio piccolo problema. Era quasi mezzanotte ed all’improvviso mi sentii
cingere da dietro “Non starai per caso morendo di freddo? Come faremo noi senza la
nostra fotografa, il prossimo anno!?” Karl mi aveva abbracciata, tenendomi
stretta nell’intento di scongelarmi. Fui piacevolmente sorpresa, sia dal tepore del
suo corpo che dal suo atteggiamento e mi lasciai affondare tra le sue
braccia, rispondendogli a tono “Sei tu il capitano. Tu ti devi occupare della cura
della tua squadra…” Lo sentii sogghignare “Come vedi lo sto
facendo… Sempre che ti faccia piacere…” L'abbraccio si fece più stretto, sentivo
il suo fiato caldo solleticarmi piacevolmente il viso. Sospirai, creando una
nuvoletta che si perse subito nell'aria tersa, e per tutta risposta mi accomodai
meglio sul suo petto, rilassandomi e chiudendo un istante gli occhi. Scoccò la mezzanotte e venne dato fuoco alla
pira. Karl non mi lasciò andare un istante e quando i ragazzi, sfoderate le
chitarre, cominciarono a suonare e cantare, mi costrinse dolcemente a ballare
con lui in mezzo alla neve. Non riuscivo a vederlo bene in viso, scorgevo
solo lo scintillio azzurro cielo dei suoi occhi ed un sorriso leggero che
piegava le labbra sottili. Vinti dal freddo, gli altri rientrarono. Mi voltai
per seguirli, certa che il capitano avrebbe fatto lo stesso ma mi sentii
trattenere e in un istante mi trovai nuovamente tra le sue braccia, la sua bocca
sulla mia. Il giorno seguente, devo essere sincera, non fu facile chiamare
Benjiamin per fargli gli auguri.. Tergiversai un
poco e poi glielo dissi. Rimase zitto un istante che
mi parve un eternità. Non sapevo come avrebbe reagito. Lo intuii sorridere all’altro
capo del telefono e poi scoppiare in un'allegra risata “Sei arrivata
tardi! Lo sapevo già!” “Cosa?” rimasi di sasso, gli occhi
spalancati e la cornetta a mezz'aria, immaginando quasi il sorrisetto
divertito e strafottente sulla sua faccia. “Karl mi ha
chiamato stamattina, dormigliona! La prima cosa
che mi ha detto era che pretendeva la mia benedizione! E così, alla
fine, la sua pazienza è stata premiata.” concluse serafico. Respirai e ricordai la
notte precedente. Karl mi aveva trattenuta fuori al freddo, baciandomi con
tenera passione. Quando si era staccato da me, gli avevo fatto la domanda che già dalla
festa di Natale mi ronzava in testa “Perché io?” lo avevo guardato dritto negli
occhi. Ferite ne avevo abbastanza. Lessi sorpresa nel suo sguardo “Come, perché
tu?” chiese. “Perché io e
non una delle splendide ragazze che ti ronzano intorno?!” continuai, mille dubbi e stupide angosce che mi ronzavano nella
testa. Appoggiò la sua fronte alla mia, parlando piano
“Splendida ragazza, tu non sei uno scherzo…” e mi sorrise dolce, riavvicinando le sue
labbra alle mie. “E poi, “ riprese, sorridendo divertito quando ci
slacciammo da quel bacio “ricordati che per quello che ho appena fatto,
rischio la vita! La tua specialissima guardia del corpo non ci penserebbe due
secondi a spezzarmi la schiena se solo sospettasse che le mie intenzioni non
sono più che serie!” mi strinse più forte, con un lampo divertito negli
occhi. Era vero, era assolutamente vero. Benjiamin non avrebbe mai permesso che qualcuno mi
facesse di nuovo male, tantomeno il suo migliore amico. “Ehi! Terra chiama Elena! Ci sei?” la voce di Karl
mi riscosse dai ricordi e me lo trovai accanto, lo sguardo azzurro splendente come
il cielo a primavera. Era meraviglioso. Dolce, protettivo, paziente...
“Mhmmm…sì, più o meno…” risposi, riportando la mia attenzione sulla coppia in piedi
nel mezzo del campo. Il Kaiser intercettò il mio sguardo, annuendo pensoso “Non stanno per
nulla male insieme…”
La domenica dopo,
finalmente, scendemmo nuovamente in campo. Il Colonia non era un avversario molto
impegnativo, ma quando si gioca fuori casa, meglio non prendere le partite
sottogamba. Schneider e Levin, rientrato dopo una lunga assenza dovuta
ad infortunio sottovalutato, dettero spettacolo in attacco. Gli avversari non entrarono che due
o tre volte nella nostra area, senza peraltro essere mai veramente pericolosi.
Si era ormai alla fine di Gennaio, ma il freddo non accennava a diminuire. I
ragazzi, bene o male correndo si scaldano. Rimanendo pressochè fermo in porta,
tra l’altro in una partita per nulla impegnativa, mi eroquasi congelato. Feci
una lunga doccia bollente per sciogliere i muscoli indolenziti dal freddo. Quando ne
uscii ero solo col capitano, che mi aveva evidentemente aspettato, mentre
riordinava molto con calma le sue cose. Colsi l’occasione per togliermi quel peso
che mi gravava ormai da prima di Natale. Lo presi di petto, era inutile
tergiversare “Karl, a Zurigo ho commesso un’idiozia...” mi guardò corrugando la fronte,
sorpreso “Pensi di non aver meritato il premio e vorresti concederlo al tuo capitano?”
sorrise ironico. Sospirai,
incassando e mettendo in conto. ”No, molto peggio.” continuai, e vidi comparire sul
suo volto un’espressione interrogativa “Ho tentato di baciare Elena.” negli occhi azzurri
passò un lampo d’acciaio. Sapevo cosa voleva dire e a cosa andavo in
contro. Si sollevò dalla panca, incrociando le braccia al petto, fissandomi
irato. Ripresi “Mi ha
bloccato lei. Sono stato un vero stupido. Elena è solo un’amica. Un’amica
particolare ma solo un’amica. Soprattutto ora che
è la tua ragazza.” Eravamo l’uno di fronte all’altro, Karl mi stava
squadrando da capo a piedi. Avvertivo la sua furia e lo capivo. Dopo
un minuto che mi parve eterno, espirò profondamente, espellendo fiato e rabbia. Lo sguardo
d’acciaio riprese il solito color azzurro cielo. La tempesta era passata. “Ti credo."
riprese "E so che lei non potrebbe avere guardia del corpo migliore di te.”
sorrise, chiuse la borsa e mi voltò le spalle per uscire ma si fermò un istante,
girato verso la porta la mano sulla maniglia “Benjiamin.” “Dimmi, Karl”
Silenzio. Pochi secondi che nuovamente sembrarono
anni. “Grazie per essere stato sincero con me.” Sospirai, sollevato. “Ho chiesto io ad
Elena di non dirti nulla. Era compito mio. L’idiozia l’ho fatta io.” Vidi
che serrava con forza la maniglia della porta “Non ne sei innamorato,
vero?” Non me l’aspettavo. Quella domanda mi colse come
una pallonata nello stomaco. Sentii la testa svuotarsi da ogni pensiero,
come incapace di trovare una risposta. “No. Karl. E’ solo un’amica”
Si girò a guardarmi, un sorriso
accennato “Grazie” disse ed uscì. Finii di cambiarmi con calma. La
domanda di Karl e la mia risposta continuavano a vorticarmi per la
testa. Riconsiderai quello che avevo appena detto al mio capitano “Non è vero… La verità è che
non lo so neppure io…” scossi il capo, scacciando quel pensiero e l’immagine di
un paio di allegri occhi nocciola dalla mente.
Quella sera invitammo Benji e Karl al ristorante del maneggio. Non
per altro, dopo la partita mi ero fiondata a montare, mentre Kris e Marj
erano rientrate piuttosto tardi da una gara e nessuna di noi avrebbe avuto la
forza di uscire. Fu una serata molto piacevole, e notai con gioia che Marj
reggeva molto bene la presenza del mio amico portiere. Il quale, ogni tanto,
mi sorrideva appena per rassicurarmi che avrebbe fatto il bravo. Comunque,
dovetti ammettere di nuovo, quei due stavano proprio bene insieme. Chiacchierarono tutta la
sera di calcio e, a volte, di cavalli. Karl li osservava, tenendo d’occhio
il compagno di squadra. Se Benji era la mia personalissima guardia del corpo, lui lo
era di Marj. Si conoscevano fin da piccoli e lui la considerava una
sorellina minore. Più di una volta la mia biondissima amica si era rifugiata a
casa Schneider, piangente perché il padre era partito per l’ennesima
tournè lasciandola improvvisamente sola o perché i suoi avevano litigato per lei. E
Karl l’aveva presa sotto protezione. In effetti, vedendoli tutti e tre insieme si sarebbero detti
veramente fratelli! Ora, in quella situazione, il Kaiser si sentiva
probabilmente in difficoltà: da una parte io, la “protetta” dell’SGGK,
dall’altra lo stesso che stava instaurando un bel rapporto con la sua
“pupilla”. “Vado a dare un’occhio a Zingaro” mi
alzai da tavola e gli occhi azzurro cielo
mi guardarono divertiti “Penso che dovrei essere geloso…” disse con un un bellissimo sorriso
leggermente di sbieco. “Guarda che, prima viene Zingaro,
poi tutto il resto! E non dirmi che col calcio non siam messi nelle stesso
modo” risposi, strizzandogli un occhio. Il sorriso si allargò, gli occhi si illuminarono e pensai di
essere la donna più fortunata del mondo. Mi seguì in scuderia. Arrivai al box
del mio cavallo e mi assicurai che stesse bene. Mi voltai e, me
l’aspettavo, venni cinta in un abbraccio stretto e le mie labbra catturate in un
bacio tenero ed urgente. Quando mi liberò da quella dolce prigionia ercai, buio com’era,
di scrutarlo in viso “Smettila di preoccuparti per lei!" lo rimproverai scherzosa
"Ho smesso pure io! Benjiamin farà il bravo, vedrai!” Avvertii il suo sorriso.
Poi ”Mi ha detto di Zurigo...” e una pausa lunga un secolo “L’hai
rifiutato. Perché?” Non me l’aspettavo. Mille risposte si
affollarono nella mente. Tutte vere. Tranne l’ultima, che fu quella che diedi “Perché non
volevo gettare al vento la nostra amicizia e capivo che si era solo fatto trascinare
dalla situazione. Non mi farebbe mai del male.E non voleva assolutamente
farmene.” “Ne sei
innamorata?” respirava piano, potevo vedere la luce riflessa nei suoi occhi. “No. E’ solo un amico” risposi d'un
fiato. Storie, pensai mentre pronunciavo quelle parole. Era un
amico. Vero. Non mi avrebbe mai fatto male? Vero. Ma la realtà
dei fatti era che ero dannatamente attratta da lui ma ne ero pure spaventata a
morte! Troppo bello, troppo importante, troppo complesso, troppo
coinvolgente. No! Ero innamorata? Non lo sapevo…
Volevo considerarlo solo un amico, dimenticando tutto il
resto. Karl mi
piaceva, mi era sempre piaciuto e si era dimostrato più rasserenate di quanto credessi. Stavo bene con lui, ero
felice, ero al settimo cielo! Ed ero certa di potermi fidare al cento
percento. Amarlo? Non ancora. Neppure lui mi amava ancora. Era un rapporto che
doveva crescere e stabilizzarsi. Una settimana e mezza circa dopo quella serata, la partita di
ritorno degli ottavi della Champions. Bayern – Stoccarda. Nelle file avversarie,
una vecchia conoscenza dei miei amici. Il centrocampista Sho, ex del Monaco
da una stagione. La squadra di Dieter Muller aveva perso all’andata per 2-0,
doppietta di Levin su assist di Schneider. Brutto colpo per il miglior
portiere tedesco Avrebbero dovuto segnare tre reti per passare. Con Price in
porta era pressoché impossibile! Il primo tempo passò in un lampo. Le due
squadre si diedero battaglia senza esclusione di colpi. Lo Stoccarda era
perennemente in avanti, trascinato da uno Sho in piena forma. Il Bayern non
rimaneva certo inattivo. Karlz e Shuster, diretti magistralmente da Price,
formavano un muro impenetrabile e, non appena s’impossessavano della palla, a
turno scattavano in avanti, portando il gioco agli attaccanti. Levin era
temporaneamente in panca. Il mister aveva deciso di non sforzarlo subito.
Quattro mesi di stop non sono uno scherzo da recuperare e Stefan sarebbe stato
molto prezioso in semifinale e finale. Karl si dimostrò un regista
d’eccezione; portò la squadra più volte in area avversaria, senza però forzare
troppo. Conosceva bene sia Yi che Sho: fare un goal nel primo tempo voleva sì
dire mettere al sicuro il risultato, ma anche trovarsi davanti undici belve
feroci nel secondo. E il Kaiser non voleva correre rischi. Attaccava, certo, lui
non si tirava mai indietro, ma senza foga, come un leone che gioca con la preda.
Sapeva di avere le spalle coperte in porta, non dubitava minimamente dell’SGGK
però conosceva bene il cinismo e la fredda determinazione di Sho, che erano
costati cari al suo amico anni prima. I primi quarantacinque minuti si conclusero con un sofferto
0-0. Mentre i ragazzi entravano in campo per la ripresa, sentii Karl
incitarli all’attacco e vidi l’occhiata d’intesa che si scambiava con Price.
Il Bayern ricominciava a fare sul serio.
Accanto al
capitano, finalmente il biondo svedese. Ero più o meno in linea con la nostra
porta. Volevo fare un paio di scatti ancora sui difensori ed il portiere per poi
spostarmi verso l’area avversaria a riprendere l’attacco. La furia dello
Stoccarda non si fece attendere. Karl e gli altri se lo aspettavano ma comunque
la difesa venne elusa da una serie di passaggi veloci e molto precisi.
Soprattutto il cinese evitò accuratamente il confronto diretto col nostro
capitano, sapendo che con ogni probabilità ne sarebbe uscito sconfitto. Il
terzetto Sho-Richter – Yi entrò in profondità nella nostra metà campo. Karlz ,
Strauss e Shuster non arrivarono a rubare il pallone agli avversari, nonostante
Price avesse previsto con precisione i loro movimenti. Se li trovò
praticamente tutti e tre in area. Shuster tentò di blindare Yi ma l’agile
attaccante coreano lo fregò con una finta magistrale al termine di un duello
tecnicamente eccezionale. Yi si girò a passare a Sho, il quale era a pochi passi
da Price. Si sfidarono. E Sho capì che con la forza non sarebbe passato. Fintò
un tiro in porta ma Benji non si fece ingannare: aveva visto Richter con la coda
dell’occhio. Uscì dalla porta, contando sulla sua eccezionale elevazione,
sapendo che sarebbe arrivato sul pallone prima del tedesco. Avevo
l’obiettivo puntato su di lui. Mi aspettavo di stare per scattare l’ennesima
foto su parata spettacolare. Ma quello che intravidi con l’occhio sinistro,
libero dall’oculare della macchina, mi fece gelare. Richter era saltato
comunque, in rovesciata alla sinistra di Price. Lo scontro in aria era
inevitabile. Benjiamin arrivò sul pallone, afferrandolo saldamente, e una
frazione di secondo dopo ci arrivò pure il piede sinistro del tedesco, che però
colpì con violenza il polso di Benji. Crollarono entrambi a terra, Richter
letteralmente addosso a Price che, nonostante tutto, non aveva lasciato il
pallone e lo stringeva sotto di se col braccio destro. Lo vidi serrare i denti
dal dolore. Gli occhi infuocati di rabbia. Poi si voltò verso l’attaccante
avversario, che gli aveva detto qualcosa. Sul viso del tedesco un sorriso sadico
e soddisfatto. Lo avrei ammazzato! Si beccò un cartellino rosso per gioco
pericoloso.
“E così sei fuori gioco, caro il mio SGGK!” Mi voltai verso
Richter: ero furioso ed il dolore al polso era lancinante, ma non riuscivo a
credere alle mie orecchie. Si rialzò, un sorriso soddisfatto, per nulla
dispiaciuto di quello che aveva fatto, anzi, era pienamente consapevole delle
sue azioni, il bastardo! “Price, tutto a posto?” la voce del capitano mi
riportò alla realtà. Vidi la sua mano tesa verso di me, ma quando mi appoggiai
sul braccio sinistro per afferrarla con la destra, crollai a terra. Il polso non
reggeva. Karl e Shuster si chinarono accanto a me. “Tu
esci.” “No.” “Piantala Benji! Mi servi sano per la finale! E Leo non è
in grado di fermare Holly! A questi qui ci pensiamo noi! Tu esci!” mi ritrovai
con gli occhi di ghiaccio del Kaiser a poca distanza dai miei. I suoi ordini non
si discutevano. Era vendetta quella che ardeva in quello sguardo. E comunque
aveva ragione. Uscii dal campo tra gli applausi del pubblico. Mi voltai un
istante e scorsi la mia piccola fotografa che mi osservava preoccupata. Le
sorrisi, cercando di rassicurarla. Sorrise appena di rimando, portando due dita
alla fronte, come un saluto militare. “Non è rotto. Solo una
brutta lussazione. Meglio se te ne stai a riposo per un po’, Benjiamin. La squadra
avrà bisogno di te in partite molto più importanti di questa!” Il medico aveva
intuito la mia angoscia. Mi ero già rotto i polsi ed ero stato fermo troppo
tempo per quell ’infortunio. Quell’anno non potevo assolutamente permettermelo!
All’improvviso, udii un boato dagli spalti e l’inno della squadra urlato a squarciagola.
La vendetta del Kaiser non aveva tardato a venire.
Tornammo a casa. 2-1. Mejer è un ottimo portiere, ma Sho è un avversario temibile
anche per me, mentre Dieter è un avversario eccezionale per Karl e
Stefan. Sentii il telefono vibrare. Un messaggio che diceva : ”Cena per la meritata
vittoria e dolce per un povero ferito di guerra. Il tutto offerto dalla Premiata
Ditta Ele-Marj & Kris. Venite?” Guardai Karl che, evidentemente, aveva
ricevuto lo stesso sms. Si voltò, sorridendomi e strizzandomi un occhio “Direi
che ce la siamo meritata, che dici, socio?” Ci ritrovammo nuovamente al
riding club, questa volta non al raffinato ristorante ma nella più semplice club
house. Le tre amiche avevano deciso di cucinare in nostro onore. Eravamo solo
noi cinque. Chiacchierammo tutta la sera, rilassandoci finalmente un poco. Ad un
certo punto vidi lo sguardo di disappunto di Marjorie fisso sulla fasciatura che
avevo al polso. “Così non serve a niente!” “Come?” ero
interdetto. Scosse i boccoli biondi per poi raccoglierli in una coda alta
con un elastico, lanciandomi una sguardo spazientito “Aspetta un po’.” disse e vidi Elena
osservarci e sorridere divertita. Non capivo. In effetti la fasciatura si era
allentata un poco dopo la doccia, ma l’indomani mattina dovevo recarmi in
ambulatorio comunque. Marj rientrò nella piccola sala armata di benda,
fascia elastica e forbici. “Avanti, dammi quel polso, altrimenti messo così guarisci tra
cent’anni e il Bayern non se lo può permettere!” Guardai dubbioso Elena, che ora
sorrideva apertamente. Lesse la mia sorpresa e negli occhi nocciola passò un
lampo birichino “Lo sai che Marj è il nostro veterinario, no?
Specializzata in grandi animali!! Per cui…” fece una pausa, guardandomi
maliziosa “che differenza vuoi che facciano per lei cavalli o…
asini!?” Si trattenne dal ridere senza smettere di fissarmi. Karl osservò
prima lei e poi me. Poi scosse la testa e sorrise sconcertato. Mi conosceva bene
e sapeva che chiunque altro avesse fatto una battuta del genere nei miei
confronti sarebbe finito male. Con lei non era così.
Marj finì di medicarmi. Per essere un veterinario se la cavava
bene con gli esseri umani.
Eravamo a casa. Marj era stesa sul letto, i boccoli sparsi
disordinatamente sul cuscino, le mani intrecciate dietro la nuca e lo sguardo
perso nel vuoto. Mi domandai se avevo fatto bene a lasciarla per un po’ da
sola con Benjiamin. Forse Kris aveva ragione, forse era troppo persa,
era troppo rischioso farla uscire in compagnia con lui. La stavo fissando da
almeno mezz’ora, quando mi sfuggì un sospiro. “Che hai?” chiese. “Lo
sai…” risposi
atona. “Avevi ragione sai?” riprese, e
cominciai a preoccuparmi. “Mmm?” mugugnai, sforzandomi
di far finta di nulla. “Non è solo uno splendido ragazzo, è
anche una bella persona.” “Lo so” e la cosa mi preoccupava non poco. Chiuse gli
occhi sospirando “Hai ragione.” “Io ho sempre ragione!” ridacchiai nervosa. Sorrise, sempre ad
occhi chiusi “Sono innamorata persa!” “Tombola!” esclamai, buttandomi sul letto a pancia in su, espirando
profondamente e chiudendo a mia volta gli occhi. Rimasi in
silenzio qualche minuto, riordinando le idee. “Marj…" ripresi. “Lo so
cos’hai da dirmi.” mi interruppe
stizzita. “E invece
no!” alzai la voce e si voltò verso di me, guardandomi
sorpresa. Continuai, pregando dentro di me di non stare commettendo
un'enorme sciocchezza “Ascolta e non interrompermi. Voi due state piuttosto bene insieme.
Interessi in comune, gusti musicali, tante cose...” “Anche per te è così…” sussurrò. “Ti ho detto di non interrompere! E poi per me è diverso! Benjiamin è mio amico, stop!” dissi, cercando di convincere più me stessa che
lei. “E Zurigo?” La domanda che non volevo sentire... Mi stava fissando. Smisi un attimo di respirare, ripensando
a quella cascata di emozioni, ai suoi occhi, al suo calore... Al mio terrore.
E chiusi istantaneamente tutto dietro una porta a doppia mandata,
gettando via la chiave. “A Zurigo non è successo nulla Marj. Lo sai che l’amicizia
tra uomo e donna non è sempre facile, ma le cose sono state messe in
chiaro. Siamo amici. Punto.” “Solo amici?” insistette. Sospirai, spazientita “Marj! Solo
amici! Ti ricordo che sto con il tuo (e suo) migliore amico! E’ vero, lo
ammetto: Benjiamin è terribilmente affascinante e non è che ogni tanto non mi
incanti pure io a guardarlo! Sono di carne ed ossa anch’io!” la strizzai un
ochhio e mi sorrise
comprensiva. “Ascolta e senza
svenire! Sarei molto, molto felice se le cose fra voi due andassero bene, ma
“ la fissai dritta in viso, perché capisse che non stavo assolutamente
scherzando “ Benji non è solo quello che vedi. E’ molto, molto di più. Non
è solo forza, decisione, fascino, magnetismo, freddezza. Quella è una
corazza che nasconde una splendida personalità molto complessa e dagli equilibri
piuttosto fragili…” Sgranò gli occhioni da gatta, trattenendo il
respiro. L’avevo sconcertata. Non le avevo mai parlato di Benjiamin in quei
termini ma ormai lo ritenevo necessario. Continuai “Price non è
solo il grande SGGK del quale leggi sulle riviste. E quello che ti ha
mostrato di sé è un decimo di quello che è… Tu ami un’immagine che ti sei fatta
di lui da quindici anni a questa parte. Non è detto che tutto quello che hai
sognato sia corrispondente alla verità. Sarei felicissima se lui ti concedesse
di scoprirlo, e tu potessi imparare ad amarlo per la persona che è. Ma non sarà
facile. Ha chiuso il suo cuore all’amore per ragioni che non posso spiegarti
e per questo potrebbe farti soffrire parecchio.” Mi ascoltava
respirando piano, stringendo il copriletto tra le dita, conscia che quello
che le stavo mettendo su un piatto d'argento era il sogno della sua
vita
“Marj. Sei una ragazza fantastica. Non
voglio assolutamente crearti illusioni, ma non credo che il cuore di Benjiamin potrà
stare chiuso a chiave a vita. Se ci tieni tanto a lui, provaci,
semplicemente essendo te stessa! Non prometto che funzionerà. E ti
avviso che potresti rimanerne scottata. Molto.” Le labbra a forma di
cuore si piegarono in un dolce sorriso, mentre una lacrima le solcava la
guancia “Grazie” sussurrò e mi strinse forte. Mentre l’abbracciavo, una morsa gelida mi
attanagliava lo stomaco. Avevo fatto la cosa giusta?
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Capitolo 15 *** 14 ***
ac14e15a
Erano passate due settimane dalla partita durante la
quale mi ero infortunato. Il polso andava meglio ma il mister non voleva
comunque rischiare, e neanche io. Brema - Bayern
fuori casa, però, non è uno scherzo. Il terzetto Margas, Victorino, Schester è
una brutta gatta da pelare ma avevo molta fiducia in Leo. Nonostante l’aspetto
bonario ed il sorriso aperto, Mejer in campo non lascia spazio ad indecisioni e
prende tutto molto sul serio. La sua regia della difesa è leggermente diversa
dalla mia: tende a bloccare l’avversario al limite dell’area ma è meno
organizzata quando questi si avvicina alla porta. Con quei tre dall’altra parte
poteva essere un grosso problema. Karl lo sapeva, e prese
le sue precauzioni. Si sistemò in posizione leggermente più arretrata del
solito, con l’intenzione di occuparsi personalmente, per almeno tutto il primo
tempo, di Victorino. Levin era in campo. Il mister aveva messo nelle sue mani la
responsabilità dell’attacco nei primi quarantacinque minuti, con l’ordine di
sfondare il blocco serrato di Schester. Fischio d’inizio
e palla agli avversari. Mi sentivo un leone in gabbia. L’uruguayano ed il tedesco partirono all’attacco senza
esitazione. Stefan s’incollò a Margas, mentre Karl non perdeva d’occhio
Victorino, il quale fu costretto ad un retropassaggio dalla marcatura
strettissima del mio capitano. L’intenzione era per Shester, ma il solito
Karlz si spostò rapido in avanti, riconquistando il pallone per passarlo a
Levin. Cominciavamo bene, la tattica di Karl funzionava. Manfred e Ramon erano
neutralizzati. Ora stava a Stefan trovare il sistema di liberarsi di Schester.
Intorno al venticinquesimo parve avercela fatta. L’ennesimo attacco del Brema
era stato si era infranto contro la nostra difesa. Shuster aveva rilanciato
lungo per Karl il quale, affiancato dallo svedese, era partito in un contropiede
travolgente. Il Kaiser voleva mettere il risultato subito al sicuro. Levin si
era liberato di Schester, aveva ricevuto un bel passaggio da Karl, verso il
quale effettuò, triangolando, uno splendido assist. Il capitano insaccò la
palla in rete nell’angolo a destra. Preciso. Come sempre. La reazione del Brema non si fece attendere. L’attaccante
uruguaiano riuscì ad eludere la marcatura di Schneider, avvicinandosi
pericolosamente alla nostra area. Leo diresse con precisione la difesa,
prevedendo correttamente l’azione messa in atto dagli avversari. Karlz riprese
la palla e fece per allontanarla dall’area. Melvin, centrocampista del Werder,
si era però portato avanti inosservato dai nostri. Una distrazione che ci costò
cara. S’inserì sul rinvio di Karlz, prima che arrivasse a Schneider, e fece un
lungo passaggio per Margas, il quale si girò ad effettuare uno splendido tiro al
volo. Mejer non lo vide, coperto com’era da uno dei nostri difensori. Intuì la
direzione del pallone, ma era tardi. 1-1. Scattai in
piedi. “Siedi e stà calmo, Price. Possono farcela anche
senza di te, per oggi. Il tuo polso non è ancora a posto e non voglio rischiare
che peggiori.” Strinsi i pugni ed obbedii. Karl
richiamò i ragazzi alla calma. La partita era tutta da giocare e un gol non era
poi la fine del mondo. In effetti i nostri avversari, se pur euforici per il
punto segnato, non crearono più azioni di rilievo fino al termine del primo
tempo. Anche l’inizio della ripresa fu, tutto sommato, piuttosto equilibrato. Ma
quello che non mi convinceva era il fatto che il terzetto del Brema non si stava
impegnando più di tanto. Un pareggio non è una
tragedia. Karl, quando si trovava in possesso di palla, avanzava con la solita
tenacia, ma il nostro attacco non era sufficientemente incisivo. E al quarantesimo del secondo tempo, scattò la trappola del
Brema. Approfittando di un istante di distrazione della difesa, Ramon e Margas
penetrarono in area. Shuster era lì, entrò in scivolata sul tedesco, il quale
però lo scavalcò agilmente, passando al volo a Victorino. Mejer uscì dalla
porta. E si fece fregare. Ramon colpì di testa, ma non verso la porta,
leggermente indietro verso Schester, smarcato. 2-1 per il Brema. Era la prima volta che eravamo sotto di un goal. Vidi Leo picchiare un pugno a terra. Lo sguardo di Karl
rivolto a Schester non prometteva nulla di buono. Ma
accadde l’incredibile. Forse la tensione, forse il non essere abituati ad essere
in svantaggio, fecero sì che la nostra difesa non rispondesse con tempestività
agli ordini del mister. Mejer è bravo ma non freddo. E questo lo portò a
subire il terzo goal. “Price! In porta! Lester,
sostituisci Karlz che non ce la fa più!” Erano le ultime
due sostituzioni a nostra disposizione. Leo mi passò
accanto con una faccia da cane bastonato. “Ci penso io.
Tranquillo” Mi rispose con un sorriso triste. Scambiai uno sguardo d’intesa col Kaiser. Non sarebbero più
passati ma lui doveva segnare. Il capitano si diresse fulmineo verso la
porta avversaria, affiancato da Levin. Schester alle calcagna. Non c’era molto
tempo. I due erano già in area avversaria, la palla ai piedi di Karl, che
travolse la difesa del Werder Brema. Fintò la tattica utilizzata in precedenza
con lo Stoccarda: cross lungo e preciso in direzione di Levin. Il portiere si
sbilanciò, convinto che lo svedese avrebbe tirato. Stefan dribblò l’ultimo
avversario e alzò il pallone per Karl, che con una spettacolare rovesciata mise
in rete. 3-2. Due minuti più due di recupero. C’era tempo
perfino per vincere. Rimessa lunga, gli avversari che
caracollano verso la nostra area, più che mai intenzionati a segnare. Nuovamente
la coppia Margas – Victorino. Il sudamericano stentò a liberarsi di Karl, ma con
un passaggio fortunoso la palla finì a Simms, che non perse tempo e la rigirò a
Margas. Il tedesco era una furia: travolse Lester che gli si era parato davanti
e ci trovammo faccia a faccia. Tendenzialmente tirava alla destra del portiere,
ma sapendo dell’infortunio? Aspettai. Infatti,
contrariamente al solito, Manfred tirò una bordata pazzesca alla mia sinistra.
Ci arrivai, ma il poso mi fece male e non trattenni. Per fortuna Shuster era lì
e sparò la palla lontano ma non abbastanza. Schester era risalito, aveva
intercettato il rinvio e ripreso l’azione offensiva. Supportato dalle due punte,
riportò il Brema in area dopo pochi secondi. Lester, Shuster, Muller si
fiondarono sugli avversari ma ebbero nuovamente la peggio. Questa volta fu
Victorino a sfidarmi. Un tiro potentissimo alla mia sinistra. Lo bloccai ma non
sentivo più la mano. Rinviai lungo, direttamente su Levin. Ricevette la palla,
si voltò e travolse i due difensori che aveva davanti. Il suo assist a Karl vene
vanificato dall’onnipresente Schester. Il quale, nel voltarsi verso la nostra
metà campo, dovette ingaggiare un bel duello con Shuster, che si era
portato decisamente in avanti. Albert ce la mise tutta e, con un miracolo,
riprese la palla e la diresse su Karl. Il capitano vide una spiraglio.
Mancava poco. Tirò. Uno splendido tiro al volo, preciso e potente,
da fuori area. Goddard non potè farci nulla. Tre pari. Il
Bayer si era svegliato, tardi, ma si era svegliato. E in un’azione fulminante,
come solo il Kaiser e Levin sapevano fare, si riportò in vantaggio al
quarantaseiesimo, senza neppure dare il tempo al Brema di rendersene conto. Goal
di Schneider. Un minuto. Schester non si dava per
vinto.Portò avanti la sua squadra con foga. Ramon ricevette un bel
pallone, la difesa si chiuse, ma Lester lasciò un piccolo spiraglio. Sempre a
sinistra… Victorino lo vide e non esitò. Era appena dentro l’area. Intuii la sua
mossa.
Ero dalla parte della metà campo
del Brema. La foto sul goal di Karl era spettacolare! E pure quella della gioia
composta del mio adorato capitano. Le ottiche che
avevo non erano sufficientemente lunghe per riprendere la nostra area.
Vidi la furia di Schester. L’azione veloce del Brema. Mi accorsi dello spiraglio
nella nostra difesa, e mi resi conto che pure Victorino l’aveva notato. Un
tiro dal limite di una potenza inudita, dettato più dalla disperazione che
altro. Chiusi gli occhi. Udii il boato. Quando li riaprii, l’SGGK si
stava rialzando da terra, rimettendosi il fedele cappellino, il pallone
saldamente nella destra. Sulle labbra, il solito sorriso strafottente, gli occhi
celati dalla tesa rossa. Mi accorsi che avevo smesso di
respirare. Poi notai un gran baccano provenire dagli spalti. Una voce
squillante soverchiava e altre: la mia dolce Marjorie che, per una
volta, era riuscita a venire allo stadio, inneggiava al suo campione.
L’arbitrò fischiò. Fine della partita e della tortura.
L’avevo presa. Era
stato un bello sforzo. Parare il tiro di Victorino praticamente con una sola mano
non è uno scherzo ma ce l’avevo fatta. Fine della partita. Alla mia destra una
voce squillante sulle altre. Mi voltai, focalizzando nel mezzo della calca un
paio di occhi splendidamente azzurri. Marjorie era venuta alla partita e, persa
nel mezzo della nostra tifoseria, stava inneggiando il mio nome. Mi venne da
sorridere, tornando ai vecchi ricordi di una ragazzina undicenne, piuttosto maschiaccio,
che seguiva la mia squadra urlando a squarciagola il nome di Holly. Come
cambiano le persone col tempo, pensai: Patty era una bella donna, felicemente
sposata, madre di due bellissimi bimbi e con una promettente carriera di medico
davanti a sé. Quando entra negli spogliatoi l’atmosfera
era tutto meno che accogliente. I ragazzi stavano mettendo in ordine le loro
cose a testa bassa. Karl, ancora sotto la doccia, doveva averli strigliati per
bene. Leo fece per uscire e caricandosi il borsone sulle spalle incrociò il mio
sguardo. Abbassò gli occhi, scuotendo il capo e soffermandosi sulla vistosa
fasciatura che avevo al polso sinistro “Mi spiace, Benji.” “Lascia perdere Leo. “ Gli misi una mano sulla spalla
e lo oltrepassai. Mi buttai sotto la doccia. Karl era lì
accanto e, si vedeva chiaramente, non aveva ancora smaltito l’arrabbiatura. Lo
lasciai perdere e mi rilassai. I miei pensieri corsero immediatamente alla
bionda amica di Elena che era venuta allo stadio. Sorrisi tra me. Marjorie era
una ragazza molto piacevole. Mi era capitato più di una volta di restare solo
con lei per dare un po’ di spazio e privacy alla nuova coppia di piccioncini e
mi ero trovato molto bene. Non era solo una bella ragazza, era dotata di un’
intelligenza viva e brillante. Mi faceva piacere pensare che fosse venuta allo
stadio per me… Uscii dalla
doccia. Il capitano stava finendo di cambiarsi.
“Mi spiace, amico” disse e si
voltò appena, sul viso un’espressione costernata. Cercai di tranquillizzarlo. Alzai
le spalle e scossi la testa “Non ti preoccupare, Karl. Le partite
storte capitano. Il polso andrà a posto." Uscimmo insieme dagli spogliatoi, senza più
parlare della partita. Ci aspettava una serata tranquilla. O almeno così
credevo…
Il cielo sopra Monaco era terso e il rosa dell'alba
cominciava a volgere all'azzurro intenso. Benjiamin stava terminando il suo
allenamento, concentrato, distaccato, apparentemente incurante del
mondo. Era sempre così che lo vedevo quando ci incrociavamo durante i nostri
silenziosi allenamenti mattutini. Eppure qualcosa, forse, stava finalmente
cambiando nella sua vita… Era già ormai quasi un mese che usciva con
Marjorie. Ripensai a quella domenica: che giornata
incredibile! La partita era stata veramente al cardiopalma, con Leo che si era
fatto infilare tre goal, costringendo il mister a mettere in campo un Price non
esattamente in forma. E il mio amico aveva fatto la differenza. Incredibilmente
avevamo vinto una partita praticamente persa! La sera
avevamo festeggiato al club. Cena tranquilla. Karl mi aveva riportata a casa
molto presto perché dopo la partita mi era salita la febbre (solita, maledetta
influenza!) e anche Kris era a casa malata. Avevamo
lasciato Benji e Marj soli in scuderia perché la bionda veterinaria,
rientrata dallo stadio, aveva trovato una brutta sorpresa: Konstantin, il
cavallo più vecchio di Kristine, era andato in colica. Non sembrava nulla di
grave, ma Marj non era tranquilla. L’animale, è vero, si era ripreso nel giro di
un paio d’ore, ma continuava ad avere la febbre, e la giovane veterinaria
preferiva monitorarlo per un po’. Konstantin aveva pur sempre ventitré anni! A Benji l’idea di lasciare sola Marj in scuderia non
andava, così rimase a farle compagnia. Fu una lunga notte. La mattina seguente mi svegliai ancora frastornata
dall’influenza. Marj era nel letto accanto al mio. Sveglia. I grandi occhi
azzurri contornati da vistosissime occhiaie. “Che hai?
Sembra che non hai dormito!” In effetti, notai in quell’istante, la mia
amica aveva ancora in dosso gli abiti della sera prima. Non mi rispose. “Marj! Cosa c’è?!” Scansai le lenzuola e la guardai
preoccupata con un brutto presentimento. Chiuse gli
occhi e cominciò a piangere silenziosa. Mi avvicinai adagio “Marj…
Konstantin?” “Non ci ho potuto fare nulla…” iniziò
a singhiozzare. La vista mi si annebbiò, le lacrime iniziarono a scendere.
Konstantin era il cavallo più vecchio della scuola, gli volevamo tutti un gran
bene. Potevo immaginare il dolore di Marj per aver perso un paziente tanto
caro. “Eravamo andati a controllarlo un quarto d’ora
prima. Poi, a mezzanotte, abbiamo sentito dei rumori dalla scuderia. Moon, lì
vicino, raspava e nitriva. Il vecchietto si era sdraiato e si rotolava per
la colica… Ho chiamato al volo Doc Kloster e ho cercato di rimettere in piedi
Konstantin. Benjiamin è stato adorabile. Anche se di cavalli non ne sa nulla, ha
fatto di tutto per aiutarmi! Lo ha perfino passeggiato fuori al freddo mentre
preparavo le iniezioni. Ma non è servito a nulla. Con Doc avevamo appena
chiamato Kris a casa per dirle che portavamo il cavallo in clinica, che il cuore
gli ha ceduto… così…all’improvviso… Sono rimasta per un po’ ad accarezzarlo… il
mio dolce vecchietto… Lo sai vero, che era stato il primo cavallo col quale ero
uscita in gara?” Non smetteva di parlare e piangere, aveva bisogno di sfogarsi.
Andai ad abbracciarla sul suo letto. Continuò “Benjiamin mi è
stato accanto tutto il tempo. Mi ha allontanata con dolcezza quando Kloster ha
fatto portare via Konstantin. Mi ha abbracciata…” Si strinse un po’ a me.
Il mio abbraccio non è certo quello di Benji, so bene quanto sia confortante… “Sai? Mi ha dato una gran tranquillità. Stavo così bene tra
le sue braccia ! Era come…” “Stare tra le braccia del
tuo angelo custode...” Sospirai carezzandole i boccoli scomposti. Sollevò il viso, sorridendo appena “Tu ne sai
qualcosa…” “Già…” “Ele…”
mi guardò seria. “Mmmm?” “Giurami che non ti arrabbi!” mugolò stringendomi. Una mano artigliata mi attanagliò lo stomaco.
Sapevo cosa stava per dirmi, ed egoisticamente non volevo udirlo.
Ma non potevo. Scossi appena il capo, per rassicurala. Appoggiò il capo
alla mia spalla “Mi ha riportata in club house. E’ stato tanto caro da
prepararmi un the. Abbiamo ricominciato a parlare… no! Io ho ricominciato a
parlare…di Konstantin…di quando ho conosciuto Kris, di quando ho iniziato ad
andare in gara…E ho ricominciato a piangere… Mi ha abbracciata di nuovo e…” “Ti ha baciata.” Mormorai. Sospirò “Già…”
Era adorabile. Resistente eppure fragile,
determinata ma sensibile. Avevo imparato di più a
conoscerla in quelle poche ore che non in tutte le sere precedenti. E poi… Me
l’ero trovata tra le braccia. I boccoli biondo platino scarmigliati profumavano
di fieno, addosso a lei ancora l’odore pungente del povero animale che,
purtroppo, non era riuscita a salvare. Eppure era così bella quella sera… forse
più bella della sera della festa! Perché era nel suo mondo, quella era veramente
la sua vita. Posai le mie labbra delicatamente sulle sue, e non si
ritrasse da quel bacio, vi si rifugiò… Il pomeriggio
seguente andai a trovare Elena. Sapeva perché ero da
lei. “Cosa vuoi fare?" mi aggredì ancor prima che avessi
finito di varcare la soglia di casa "Non rispondere: “Non lo so!”
perché altrimenti puoi anche uscire da quella porta!” Sorrisi vedendo l'espressione seria e determinata sul viso
smunto a causa della febbre e una volta di più ebbi la certezza che, se c'era
una persona su cui potevo fare cieco affidamento, era Elena. Semplice, diretta,
non me le mandava mai a dire. Mi misi sul divano,
accanto a lei e cominciai a parlare adagio, guardandola serio “Non voglio
illudere Marj. Ieri sera non mi pareva il caso di parlargliene. Ma non voglio
illuderla. E non voglio illudere neppure me stesso! Marj mi piace, ma non so se
mi innamorerò di lei. E questo ho intenzione di dirglielo. So che ha una
bella cotta per me, anche se, in realtà, non mi conosce neppure. Farò di tutto
per non farle del male, ma non voglio precludermi quella che penso possa essere
un’opportunità di avere un rapporto nuovamente vero con una donna…”
Lo ammetto, quelle parole mi facevano male. E’ stupido, me ne rendo conto! Stavo con Karl e, tutto
sommato, stavamo abbastanza bene insieme. Eppure il nostro rapporto non
decollava. Non era ancora giunto il momento di dire “Ti amo”. Né per me, né per
lui. Anche se, capivo, non era facile costruire qualcosa con me… Quel maledetto
pomeriggio di fine agosto mi aveva lasciato segni più profondi di quello che
pensavo. Rimasi un poco in silenzio, poi risposi a
Benjiamin “So che non vuoi farle male. Spero che riuscirai a non illuderla.
Ma soprattutto, ti prego di una cosa” lo guardai fisso negli occhi “Non
confondere l’amicizia con l’amore. Non pretendere di provare un sentimento se
questo non è nato.” “No, non ti preoccupare… Né per lei.
Né per me!” e mi sorrise dolce. Sapevo che mi avrebbe ascoltato. E così era passato un mese da quella sera… Stavano imparando a conoscersi, a capirsi, a scoprirsi e,
sì, anche a litigare! Benjiamin a volte è
insopportabile: testardo, borioso, sicuro di sé ed egocentrico in maniera
veramente irritante! Anche Marj, comunque, non è sempre
facile: scoppiettante, allegra, travolgente. A volte troppo. E quest’esuberanza
non ci aveva messo molto ad entrare in conflitto col carattere fondamentalmente
riservato del SGGK. Con il risultato che i due avevano già fatto scintille.
Io e Karl ci eravamo trovati a far da pacieri. Aveva funzionato.
Reggevano.
E reggevamo pure noi. Con molta, molta
pazienza da parte sua.
Sapevo che avevano parlato, lui e
Benjiamin come io, ovviamente, con Marj. Ma non era facile.
Leo organizzò una piccola festa per il suo compleanno e ci
ritrovammo per la prima volta dopo più di un mese ad uscire tutti e quattro
insieme. Fu una bella serata. Leo e la sua compagna Isabel avevano
organizzato una cena in piedi a casa loro, seguita da un po’di musica.
Era la prima volta che vedevo Marj ballare tra le braccia
di Benjiamin. Provai una sensazione strana e mi sforzai di augurar loro
mentalmente tanta felicità. Mi voltai verso il mio bel cavaliere; anche il suo
sguardo era puntato sulla nuova coppietta, indecifrabile. Lo svegliai dandogli
un leggero bacio sulle labbra e per tutta risposta venni trascinata in mezzo
alla fortunosa pista da ballo. Non era tardi ma non era neppure
prestissimo, tenendo conto che la mattina seguente dovevo essere da
Zingaro alle sette. Abbracciai Karl, che mi avvicinò a sé con dolcezza
“Sarebbe meglio andare…” gli sussurrai in un orecchio.
Sospirò, stringendomi di più “Va bene, piccola
Cenerentola!” e mi diede un bacio leggero sulla fronte.
All’improvviso lo sentii irrigidirsi. Mi voltai, seguendo la direzione del suo
sguardo. I nostri amici erano avvinghiati in un bacio tutto meno che casto. In
una frazione di secondo mi resi conto che quella notte la mia coinquilina
non sarebbe tornata a casa… Mi appoggiai al capitano, che mi cinse nuovamente
più forte. Il nostro bacio non fu meno bollente di quello al
quale avevamo assistito e, per la prima volta da Capodanno, neppure la
notte fu tanto fredda…
La mattina seguente mi svegliai tra le braccia di Karl. Le
sette erano passate da un pezzo… Il biondo capitano aveva finalmente scacciato i fantasmi
che infestavano le mie notti. Osservai il contrasto della pelle più scura della
mia mano con quella chiara del suo petto, che si alzava ed
abbassava regolare. Mi strinsi un poco a lui, ascoltando il battito del
cuore e chiudendo gli occhi.
“Sei sveglia?”
“Si.”
Un attimo di silenzio, poi “Come stai?” Sorrisi appena,
premendo il viso al suo torace “Bene.” Sì, finalmente bene.
Ero andato a
correre.
Ma
quella mattina rimasi solo. Me lo aspettavo.
Mi ero svegliato
immerso nei lunghi capelli di Marjorie. Era stata una notte splendida.
Mi ero alzato senza svegliarla, e la consapevolezza che l’avrei trovata al mio ritorno mi aveva dato una
piacevole sensazione di serenità.
Correre la mattina non era più solo un’abitudine, era un rito.
Nel quale Elena e Zingaro si erano inseriti silenziosamente.
Ero uscito per cercare di convincermi
che quell’incontro mattutino, divenuto una costante, non era realmente così fondamentale. Allontanai la sensazione
di vuoto che mi assalì mentre ero fermo in un canto del
prato grande e rinunciai a lanciare occhiate apprensive al sentiero che avevo appena percorso,
tendendo l'orecchio al suono ritmico degli zoccoli sul terreno. Tornai a casa. Marjorie aveva
finito di farsi la doccia ed era seduta su letto con in dosso un mio
accappatoio, spazzolandosi i boccoli biondi. Era veramente bella. Scacciai ogni
altro pensiero e mi concentrai su quella visione, richiamando alla mente la
notte trascorsa insieme. Mi avvicinai silenziosamente e l'abbracciai, sorridendo
nel sentirla sussultare dalla sorpresa ma zittendola con un bacio. Non avevo
nessuna intenzione di illuderla, e tantomeno di illudere me stesso. Eppure
avvertivo una nota stonata in quella mattina assolutamente perfetta. Rientrai a casa. Marj, come previsto, non c’era. Dopo poco,
il rombo della Porsche, le chiavi nella toppa.
“Ciao.” Non mi guardò negli occhi e
neanche io ci provai.
“Ciao.” Risposi atona. Passammo una mezz’ora in un silenzio imbarazzato,
sistemando le nostre cose. Poi, contrariamente al solito, prese lei
la parola “Ele, come stai?” Mi
venne da sorridere: era preoccupata per me. Mi voltai a guardarla e le
sorri rassicurante, scostandole un ricciolo ribelle dal viso “Io bene.
Tu?” Arrossì un poco, sorridendo appena e mi abbracciò “Bene.” Abbandonammo l’argomento.
Entrambe sapevamo che non era il caso di parlarne. I rapporti “incrociati” con i
nostri rispettivi ragazzi ci impedivano di parlare liberamente di certe cose. Ma
il sapere che l’altra era finalmente felice ci bastava.
L’allenamento parve volare. Non ebbi occasione di
parlare con Elena, che scappò a montare non appena uscimmo dal campo, e
fu meglio così.
In spogliatoio
i ragazzi non capivano perché io e Karl non ci eravamo ancora
rivolti la parola. “Capitano. Benjiamin. A domani!” Hermann ci salutò
guardandoci dubbioso. “Ciao Karlz!” “A
domani!” Rispondemmo quasi simultaneamente.
Finalmente soli. Ci fu un minuto di silenzio
imbarazzato. Mi sedetti pesantemente sulla panca, fissando per alcuni
istanti il profilo del mio amico, per poi chiedere d'un fiato: “Elena?”
Chiuse piano l’armadietto e si voltò piano, sorridendo appena “Sta bene.”
“Ne sono felice.” Era assolutamente vero.
Anche se, mi resi conto, per un attimo il cuore aveva perso
un battito. “Anche io.” Rispose, sedendomisi
accanto. Lo capivo: quei mesi non erano stati facili per loro. Lei non
aveva superato lo choc di quel pomeriggio d' Agosto e Karl non poteva
avvicinarla più di tanto. Era stata una tortura per entrambi.
“Marjorie?” Mi chiese d'improvviso lui, svegliandomi dai
miei pensieri.
Sorrisi “Bene.” Risposi. “Le ho parlato chiaramente: non ho intenzione di
usarla, ferirla, illuderla. Desidero che il nostro rapporto vada avanti, ma non
prometto di innamorarmi di lei. E lo sa. Ho nuovamente la tua
benedizione?” Mi sorrise,
mettendomi una mano sulla spalla “Ovvio! Io ho la tua?” Non c’era neanche da chiederlo. Stava facendo rinascere il
mio brutto anatroccolo, come non esserne felice? Certo,
il rapporto con Marjorie non era sempre facile… La bionda coinquilina della mia
amica ha decisamente un carattere tutto suo. Vivace, allegra, brillante,
determinata ma, a volte per non dire spesso, troppo esuberante. E questo
lato della sua personalità si veniva a scontrare facilmente con la mia, che
tende ad essere piuttosto schiva e riservata. Se in quei mesi
non ci fosse stata Elena, non credo ci saremmo sopportati
a lungo. Mi trovai spesso davanti alle scuderie dove teneva Zingaro,
di mattina, dopo l’allenamento.
La prima volta
mi guardò sospirando, le braccia conserte mentre scuoteva sconsolata il
capo “Pazienza ci vuole con voi due! Pazienza!” Ero una furia e lei riuscì a calmarmi. Come al
solito. “Senti un po’! Piantala di fare i tuoi dannati
esercizi e ascoltami!” Si piazzò a pochi centimetri da me, mani ai fianchi
e posa da generale. Per il primo quarto d’ora litigammo come cane e
gatto.
“Ok, ora
che ti sei sfogato, si può anche parlare di Marj!” Sorrise soddisfatta. Mi
aveva provocato consapevolmente per darmi modo di scaricare l'arrabbiatura e vedere poi
le cose con calma. Ennesima dimostrazione che mi conosceva meglio di quanto mi
conosca io stesso.
“Ma perché è così!? Perché deve essere sempre così
duro?! Così severo! Lui non è così!”
Eravamo a casa a
rifare i letti.
Era la prima di una lunga serie di
discussioni. Argomento: Benjiamin.
La capivo: a volte
Benji è troppo severo, troppo intransigente e per nulla accondiscendente.
E questo la mandava in bestia. Ma, per la prima volta, non
riuscivo a farla ragionare. La mattina mi ero sorbita il suo bel portiere,
e con lui, alla fine, l’avevo spuntata. Con Marj stava diventando un problema.
Non per altro: mi accusava di difenderlo. Non è facile trovarsi nel mezzo di
una storia tra i tuoi due più cari amici.
“Senti
tesoro!" sbottai innervosita "Io non lo stò difendendo e neanche voglio
difenderlo! Và in maneggio, rilassati e poi se ne riparla, ok?” E
la cacciai letteralmente fuori di casa.
Due
ore più tardi Karl me la riportò. Più tranquilla. Li spedimmo fuori a cena e
fecero pace.
“Si può sapere cosa le hai fatto?” chiesi
al mio bel capitano mentre ci godevamo una bella cenetta a lume di candela,
finalmente soli e sereni.
“La stessa cosa che hai fatto
tu stamane con Benjiamin.” mi sorrise prendendomi una mano e baciando piano la
punta delle dita.
Conosceva Marj da sempre. Era la sua
“sorellina”, le aveva sempre fatto da spalla, da custode e da consigliere. Più
che Kris. Era la persona giusta per darle una calmata in quelle
situazioni. Mi sporsi sul tavolo e gli diedi un bacio sulle labbra, dal quale
non mi consentì di staccarmi se non dopo un lunghissimo istante. Ero felice:
tutto sembrava andare finalmente per il verso giusto.
Eccomi qui^^
Finalmente un po' di tempo per sistemare la mia vecchia ff dopo la baraonda del
lavoro pre natalizio. Colgo l'occasione per ringraziare tutte coloro stanno
seguendo "Angelo", chi mi ha recensita in pubblico, in privato, chi la sta
semplicemente leggendo e chi è stata così carina da metterla tra le sue storie
preferite. A tutte: grazie di cuore! Stilisticamente, lo so, non è perfetta,
ma ho voluto rimaneggiarla senza modificarla troppo dall'originale perché
proprio non ne avevo cuore. La amo così com'è. Abbiate pazienza^^ Infatti nella
fase di riscrittura di questo capitolo avevo avuto il dubbio se togliere o meno
la parte sportiva, ma ho preferito tenerla e, vi avviso, ce ne saranno altre
intercalate alle parti romantiche anche in seguito. Questo perchè amo "Holly e
Benji" così come l'ho conosciuto da piccola e il calcio è, ovviamente, parte
fondamentale ed essenziale di quest'anime ed in questa mia prima storia ricopre
comunque un ruolo importante. Donne che non amate il calcio, perdonatemi! XD
Spero che la storia continui in ogni caso a piacervi ^^ Grazie ancora e al
prossimo capitolo!
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Capitolo 16 *** 15 ***
Mancavano due giorni all’inizio del ritiro per le
semifinali di Coppa. Io e Karl stavamo approfittando di quella ultime ore per
goderci un poco di intimità. Certo, come fotografo della squadra l’avrei visto
comunque anche durante gli allenamenti, ma di stare insieme non se ne sarebbe
parlato per almeno una settimana. Stavo godendomi il suo caldo abbraccio, aspettando che il
suono della sveglia mi riportasse alla realtà. Avevo il capo sulla sua spalla e
ascoltavo il battito calmo del cuore.
Lo strinsi un poco,
lasciandomi sfuggire un sospiro. “Già sveglia?” chiese, sfiorandomi una
spalla e coprendomi col lenzuolo in un gesto protettivo. “Anche tu.” Mi allungai
un poco a sfiorargli le labbra con un bacio, che ricambiò accarezzandomi una
guancia. “Ehi, cos’hai? Sembri preoccupato! La Champions?” L’azzurro
dei suoi occhi era cupo, come un cielo in tempesta. Mi guardò serio, poi: “Sì, sono
preoccupato. Ma non per la Coppa. Sarà dura ma ce la faremo anche quest’anno.
No, sono preoccupato per Benjiamin.” C’era da aspettarselo. Sospirai, fingendo disappunto
e cercai di coprire il mio
amico “E perché mai?” chiesi con finta sorpresa. “Si sta buttando su allenamenti
e partite con una foga ed una determinazione che non vedevo da anni.
Esattamente come quando arrivò in Germania. Ma ora non deve più dimostrare nulla a
nessuno! Elena” mi fissò intensamente “cosa ha?” “Ma perché lo chiedi a me? Per me
è tutto normale! Perché non lo chiedi a Marjorie!?” Sospirò, cingendomi con un braccio e spostandomi
sopra di sé, guardandomi con aria corrucciata “Perché lei è la sua ragazza e tu sei la sua
confidente.” Già, pensai... “Non c’è nulla Karl. E’ solo molto preso anche per i
Mondiali. Tutto qui!” “Sicura?” “Sicura!” Non era vero, naturalmente.
Ma non potevo rivelare quali pensieri passassero realmente per la testa di
Benjiamin. Il mio amico stava dando il centodieci percento di sé perché sapeva
che quella sarebbe stata la sua ultima stagione, i suoi ultimi Mondiali. E stava
facendo di tutto per arrivarci al massimo. Non aveva detto nulla né a Karl né
a Marjorie perché temeva che avrebbero fatto di tutto per convincerlo a trovare
un modo di continuare a giocare e mi aveva pregata di coprirlo. “Marjorie è preoccupata,
Ele. Molto. Non sa da che verso prenderlo.” Sorrise dolce baciandomi la fronte.
Adorava la sua “sorellina” e sapeva quanto potesse essere difficile un rapporto
con l’SGGK. “Lo immagino… Ti ha chiesto lei di interrogarmi, vero?” “Sì…” mi sfiorò le labbra con un bacio, stringendomi dolcemente.
Io ero
la confidente di Benji, lui la spalla di Marj. Non ero gelosa del
fatto, ci ero abituata. Da quando conoscevo la mia bionda amica, Karl era sempre
stato il suo sostegno. Anche quando lei era stata costretta a
venire a vivere in Italia (dove ci eravamo conosciute), lui era sempre
stato presente con telefonate o lettere. Quando Marjorie aveva un problema grosso, di solito generato
dai suoi genitori, prima chiamava Karl e poi si rifugiava da me. E ora,
con questa storia, stava facendo lo stesso. In più, certo, c’era il problema che
un pochino, in effetti, era gelosa del mio rapporto col portiere del
Bayern. Se io ero ormai abituata alla strettissima amicizia che la legava al
Kaiser, lei faceva fatica ad abituarsi a quella che mi legava al SGGK. Capivo e
sopportavo.
Mi sarebbe mancata in quei giorni. La strinsi un poco a me
e udii un sospiro di piacere. Era veramente adorabile. Non sempre… mi venne da
sorridere e le accarezzai la spalla nuda con un dito. No, non era sempre adorabile.
A volte era insopportabile. Adorabilmente insopportabile. Se non ci
fosse stata Elena ad accorrere in soccorso, ci saremmo saltati accapigliati più
di una volta. La sentii stiracchiarsi contro di me. “Buon giorno!” dissi con un
sorriso. “Buon giorno!" rispose, sfiorandomi con un bacio "Da quant’è che sei sveglio?” “Un po’.” le accarezzai
il viso. Era davvero bella.
Sarebbe stato fantastico innamorarsi di
una ragazza così. Ma non era ancora accaduto. Si alzò su un gomito, accarezzandomi
il viso ma guardandomi seria “Cos’hai?” chiese all'improvviso. Ero sorpreso
“Scusa?” Fermò la mano sul mio torace, fissandomi a labbra strette “Sono tre settimane che ti massacri
agli allenamenti e che giochi ogni partita, perfino quelle d’allenamento, come
se fossero l’ultima! Cos’hai?” Era vero. Quella era la mia ultima
stagione, la mia ultima Champions, il mio ultimo Mondiale. Ma non potevo dirglielo.
Se l’avessi fatto, l’avrebbe riferito a Karl, e allora sarebbe stato tutto più
difficile… Le sorrisi e, a malincuore, mentii “Non c’è nulla. Voglio solo arrivare
preparato ai Mondiali. E poi quest’anno in Coppa incontrerò probabilmente
sia Tom che Holly.Voglio arrivarci al cento per cento! Tutto qui."
La baciai piano, dolcemente, ma l'espressione corrucciata mi fece capire che non era convinta.
“Anche Karl è preoccupato.” Continuò
decisa e un poco imbronciata. Sviai la conversazione, fingendo gelosia
“ Karl? E così parli di me col capitano, eh?”
Socchiuse gli occhi da gatta, incrociando le mani sul mio petto ed
appoggiandovi il mento “Piantala! Lo sai che è come un fratello per me!” L’abbracciai, avvicinando la fronte alla sua, sorridendo
“Lo so, lo so. Ma mi sono sempre chiesto una cosa: com’è che in tutti questi
anni non ti ho mai vista?” “Semplice: i miei allenamenti sono contemporanei
ai vostri, inoltre,quando voi giocavate ad Amburgo io ero a qui Monaco, e poi ho
passato qualche anno in Italia, dove ho conosciuto Elena… In realtà sono venuta
a vedere parecchie partite per ammirare i miei campioni!” “I tuoi campioni?!" Trattenni una risata mentre
cercava inutilmente di divicolarsi dalla mia stretta "Ma se non mi
conoscevi neppure!” “Karl mi parlava di te!" Il broncio sul
suo viso arrossato era adorabile mentre replicava piccata "Di un
ragazzino giapponese ostinato e dannatamente bravo, unico portiere a metterlo veramente
in difficoltà che aveva conquistato la sua piena ammirazione! Devi ringraziare lui
se sono diventata la tua fan numero uno!” e mi sorrise con un’espressione adorante
sul viso. Non volevo deluderla e
tantomeno ferirla. Era dolce, piena di vita, assolutamente meravigliosa, ma...
“Ultimo allenamento prima del
ritiro?” La voce di Sonya mi raggiunse da dietro la porta. “Sì, capo!” Risposi affacciandomi. Ero passata a sistemare delle cose nel suo ufficio prima di tuffarmi in campo. Notai che
la mia amica era intenta nella lettura di una rivista scandalistica, compito
che faceva, purtroppo per lei, parte del suo lavoro “Roba interessante? Ti vedo
concentrata…” “Guai…” rispose seria. “Cosa?” Il suo tono cupo mi aveva fatto preoccupare. Alzò lo sguardo verde smeraldo dal giornale e me lo porse. In copertina un bel ragazzo
moro, orientale, cingeva la vita ad una modella mozzafiato. Non lessi il
titolo e constatai stupita “Ma non è uno dei nostri…” Sorrise, scrollando la frangia
corvina “Non è neppure un calciatore,
se è per questo! Leggi! Il signorino è tale Kevin Price...” Il nome mi ricordava
qualcosa. Ci arrivai una frazione di secondo più tardi ed esclamai: “Il cugino di Benjiamin?!” ero interdetta “E
che ci fa su una rivista del genere?”
Sonya si raddrizzò sulla sedia, sospirando “Si è messo con Pamela Klein, ex,
diciamo così, “compagna” di Benji…” La sua espressione era piuttosto eloquente su quanto fosse stata importante
miss Klein nella vita del mio amico. “Compagna? Scaldaletto, vorrai dire!” rincarai la dose
abbandonando con un gesto quasi teatrale la rivista sul
tavolo. Scrollò il capo, ridacchiando ironica “Chiedilo a lei! Quando smisero
di frequentarsi la signorina dichiarò ai quattro venti di essere l’unica donna ad aver
mollato Benji Price invece che essere stata lasciata!” “E lui?” Sogghignai, immaginando la risposta ed il
sorrisetto beffardo stampigliato sulla faccia del portiere. "Fece
spallucce." la mora manager rise affondando nella sedia
"Cito testualmente: “Bisognerebbe esser stati insieme per poter dire di aver
lasciato…” “Tipico… E allora, perché dici guai?” chiesi nuovamente, indicando il giornale aperto
sul sorriso smagliante della modella. “Perché il cuginetto si sta
pavoneggiando di aver conquistato la donna che ha mollato il famoso SGGK… E,
per di più, verrà qui oggi pomeriggio a discutere con Lauber un’eventuale
partecipazione nelle azioni del Bayern…” “Oh cavoli…” Sospettavo la reazione
del mio amico. “Sì, Benji lo sa e non è per nulla contento. Temo che salterà
parte degli allenamenti di oggi per questa storia…” Alle tre di quel
pomeriggio stavo tornando in sede per sistemare il lavoro del mattino. La Porsche
nera era li. Salii in ufficio e trovai la porta aperta. Un uomo alto,
moro, vestito di un completo bianco-panna, stava osservando degli ingrandimenti
di foto sul mio tavolo, dandomi le spalle. “Prego?” esordii schiarendomi la
voce. Si voltò.
La somiglianza col mio amico mi fece capire subito di chi si trattava. Bel
fisico, meno atletico di quello di Benjiamin, capelli lunghi pettinati all’indietro col
gel, abbronzatura da lampada, occhi neri dalla forma leggermente
allungata.Carino… Ma no, non c’era paragone! Un sorriso ammaliatore piegò
le labbra sottili “Suppongo sia lei l’autrice di queste meravigliose
immagini!” Odioso, pensai, terribilmente viscido. Insopportabile. Risposi con uno dei miei sorrisi più fasulli, avvicinandomi alla scrivania reggendo il suo
sguardo “Esattamente! Onorata che siano di suo gradimento!” “Suppongo che sappia chi sono io?”
Si stava gonfiando come un pallone ma gli non diedi
soddisfazione “No." replicai
semplicemente e un ghigno malefico si disegnò nella mia mente nel vedere il suo
ego scalfito "Solo mi fa piacere quando qualcuno apprezza il mio
lavoro!" Un’espressione
scocciata si dipinse sul suo volto. Abbandonò con stizza le foto e riprese a
parlare con tono altero “Mi chiamo Kevin Price. Già… parente del suo “soggetto
preferito” evidentemente…” mi rivolse un sorrisetto sarcastico. In
effetti tutte le immagini che aveva in mano erano del SGGK.
“Un ottimo soggetto, direi..." ripresi con aria concentrata "Miglior giocatore dell’anno, imbattuto
anche in questa stagione. E poi fotogenico, ammirato dalle donne…” dissi mentre
sfogliavo a mia volta le foto. “Ammirato dalle donne!" sbottò il giovane alle mie spalle "Guarda caso una sembra
gli sia sfuggita, però!” “Ah sì?” mi voltai con aria innocente. “Non legge i giornali, signorina?
Pare che Pamela Klein, dopo averlo mollato, abbia trovato una nuova fiamma
nella famiglia Price…” mi squadrò dall’alto in basso, con aria superiore. Non resistetti e sbottai “Oh, ma è meraviglioso!" esclamai euforica "Ma lo sa che lei mi sta dando una notizia veramente fantastica!?
Stento a crederlo! Sono entusiasta!” Era esterrefatto
dalla mia reazione e balbettò confuso
“Davvero?” “Certo!" risposi, annuendo convinta "Pare che Freuilain Klein abbia finalmente imparato una
cosa importante!” “E
sarebbe?” aggrottò la fronte, evidentemente disorientato. Sfoderai la
mia miglior faccia da schiaffi ed un sorriso smagliante “Ad accontentarsi! E ora
scusi ma il lavoro mi aspetta!” Lo superai uscendo, lasciandolo di stucco. Sulla porta
era apparso Benjiamin. Bellissimo come sempre in completo marroncino e cravatta regimental
in tinta. No, non c’era assolutamente paragone, pensai. Doveva
aver ascoltato almeno l’ultima parte della conversazione e stava
trattenendo una risata, gli occhi neri brillavano divertiti. “Perdonami”
sussurrai nel passargli accanto “è il mio massimo in diplomazia!” Mi rispose con un lampo nello
sguardo ed un sorriso che diceva tutto. Archiviai il fatto e non ci pensai più.
Tre giorni dopo, semifinale!
Parigi. Stadio in delirio. Paris St. Germain – Bayern
Monaco. Altri vecchi ricordi per il mio amico…. Tom Becker era un’altra
brutta gatta da pelare. In accoppiata con Napoleon, la stella del Paris
poi! Tom non ha un gioco potente come quello di Victorino,
non è imprevedibile come Oliver, ma ha una tecnica ed un senso del gioco
eccezionali e crea continuamente occasioni imperdibili per il suo
capitano. Benjiamin era seriamente impensierito, anche se non dava a
vederlo.. La partita fu molto tesa fin dal principio, con i
nostri avversari sostenuti, tra l’altro, da una tifoseria veramente indiavolata. Ma
il Bayern non è squadra da farsi intimidire. Karl e Stefan portarono il Monaco in
attacco e vennero subito a scontrarsi con Tom. Il giapponesino ci sapeva fare!
I passaggi di Levin a Schneider vennero intercettati più di una volta, mentre
Becker marcava stretto il capitano. Benjiamin scalpitava. Riusciva a prevedere
le mosse del compagno di nazionale, la sua difesa non lo lasciava passare
e gli impediva quasi ogni contatto col centravanti francese. Alla fine del primo
tempo uno zero a zero veramente sofferto. Karl uscì dal campo bene o male
soddisfatto. Stava già rimuginando sui prossimi quarantacinque minuti. Negli
occhi neri dell’SGGK un’espressione indecifrabile. Il secondo tempo iniziò con un Bayern
tutto in attacco. Rapidi e precisi passaggi tra Levin, Schneider e Muller.
Napoleon ed il Kaiser ebbero un bello scontro a centro campo. Non ci fu storia,
la classe del tedesco venne fuori ed il francese dovette arrendersi.
Triangolazione velocissima con Levin, Schneider in area e Backer in
scivolata! Ma Karl non si fece cogliere di sorpresa: rinunciò al tiro in porta,
passando lateralmente al biondo svedese che insaccò in rete con uno splendido
tiro al volo.
0-1 per noi. Il gioco riprese con
Napoleon che, palla al piede, si diresse con fredda determinazione verso l’area
del Bayern. Venne bloccato da un Karlz in piena forma, ma il Paris tornò quasi
subito in possesso di palla. Tom venne avanti, portando con se Napoleon.
Nonostante le indicazioni precisissime di Price, i due penetrarono nella nostra
area. Cross telecomandato di Backer e bordata di Napoleon. Ovviamente parata.
Benjiamin effettuò un lunghissimo rinvio, direttamente su Karl. Il quale
ricevette la palla e fece per girarsi ma si ritrovò a terra. L’intervento
sconsiderato di Durand era costato il cartellino rosso al francese ma il nostro
capitano era steso e si teneva la gamba destra. Il medico accorse. Non sembrava
nulla di grave ma lo vidi medicare Schneider per togliergli del sangue che
usciva da un taglio sotto il ginocchio. Rientrò. Figurarsi se mollava per così
poco! La partita era agli sgoccioli. I francesi si fecero nuovamente pericolosi,
trascinati dal giapponesino. Price era un muro di cemento. Levin scattò su
rinvio del portiere, affiancato da un Karl affaticato ma che non demordeva.
L’azione fu, come sempre, devastante.
0-2. Tornavamo a casa contenti. Marj e io aspettavamo fuori dagli spogliatoi.
La mia amica era felice ma si vedeva lontano un miglio che era preoccupata.
“Karl!” esclamò, assalendolo letteralmente. “Ciao sorellina!” Il nostro biondo
capitano era finalmente uscito, seguito da Karlz e Muller. Marjorie gli saltò al
collo come una sorella premurosa e Karl mi guardò da sopra la sua spalla mentre
l’abbracciava per rassicurarla. Non ero gelosa. Ci ero abituata. Qualcun altro
no… “Ehi, potrei essere geloso!” Benjiamin comparve alle spalle del Kaiser, un sorrisetto
sbieco e un lampo furbo negli occhi. “Oh, sei sempre il solito! Non sei tu
ad essere infortunato, no? Devi sentirti sempre al centro dell'attenzione!" lo canzonai
ridendo. Karl e Marjorie ci guardavano divertiti. Era la nostra
solita scenetta. Io lo provocavo, lui rispondeva scocciato, continuavamo
pizzicandoci con battutine e frecciate finchè Price, spazientito, mi prendeva alle spalle
e, sollevandomi, mi faceva roteare al punto che chiedevo pietà…. Li lasciammo
davanti al pullman. “E
tu! Vedi di riguardarti!” gridò ancora la mia bionda amica al mio fidanzato. “Sì,
signorina!” rispose questi e, voltandosi verso Price “ Ma tu, come fai a
sopportarla?” “Ho un’arma segreta!” e accennò verso di me col
capo. Dormimmo a Parigi. L’aereo era il mattino seguente. Marj era stesa sul
letto, le mani intrecciate dietro la nuca. “Ok” sospirai “cosa ti
prende?” “Perché è così con te?” “Scusa?” sgranai gli occhi, sorpresa. Si voltò verso di me, fissandomi seria “Con te
ride… Con me è dolce, gentile, protettivo, un amante fantastico ma… non ride
mai. Perché con me non si lascia andare?” I grandi occhi felini erano tristi. Lo sapevo. Ne avevo
parlato con lui e la risposta era stata che sì, Marj gli piaceva, e molto,
ma… Non riusciva ad aprirle il suo cuore, non riusciva ad essere se stesso.
E soprattutto, non era innamorato. Non ancora… Non sapevo
più cosa dire. Né a lui.
Né a lei. Non volevo veder soffrire Marj ma sapevo che per Benjiamin
la situazione non era facile.
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Capitolo 17 *** 16 ***
ac14
“Allora! Ci sei?” Marj scalpitava davanti alla porta
della scuderie. “Arrivo!Arrivo” di lì a mezz'ora sarebbe iniziata
l’altra semifinale di Coppa e non volevamo perdercela. Barcellona – Juventus, ovvero Oliver Hutton e Mark Lenders a confronto. Benjiamin mi aveva
parlato moltissimo di loro, e anche del portiere, Ed Warner, il suo eterno secondo in
nazionale. Benji era quasi certo che anche quell’anno in finale avrebbe
incontrato Oliver. Ma…. La partita fu veramente entusiasmante! Holly si
dimostrò veramente un fenomeno: regia perfetta, gran trascinatore, sempre
presente, pronto a passare quando non c’era gioco per lui. Eppure… Zero a zero!
Warner fu davvero fantastico, veramente al pari di Price. Riuscì perfino a bloccare
per due volte il famoso Drive Shot di Hutton, cosa, mi insegnava il mio guru
in materia, estremamente difficile. Lenders, dal canto suo, fu un martello.
Non riuscì a segnare solo perché si trovava Oliver tra i piedi ogni tre per due,
ma si dimostrò un avversario temibile. Comunque, un pareggio fuori casa in
Champions vale parecchio. La mattina seguente tornai da Zingaro. Montai in campo,
senza andare fino al prato. In assenza di Benjiamin mi sentivo
sola. Terminato il breve allenamento, mi fermai a chiacchierare con
Kristine, mattiniera pure lei. “Cavoli che spettacolo!” esclamai riferendomi ad uno
splendido castrone sauro, alto, ben proporzionato, il muso con un poco di arabo
e l’espressione intelligente. “Già… stupendo…” sospirò la mia istruttrice
appoggiandosi alle inferriate del box e carezzando il muso che si era fatto
vicino in cerca di coccole. “Beh? Che hai?” Scrollò il capo con un sorriso triste
“Lo sai quanto detesto che bei cavalli finiscano nelle mani sbagliate… E questo
è proprio il caso! Rouge è un animale splendido: ottimi movimenti, buon
carattere, addestramento perfetto… Peccato che sia stato acquistato da una
modellina senza cervello che non è minimamente in grado di montarlo! O,
comunque, non come si dovrebbe…” La capivo. Era una situazione che tutti gli amanti
dei cavalli detestavano: chi ha il pane non hai denti eccetera
eccetera… “E di chi sarebbe questa meraviglia?” chiesi
sfiorando la pelle rosea e morbida del naso del cavallo. “Pamela
Klein…” “Cosa?!” La
guardai sgranando gli occhi: ero interdetta! La ex scaldaletto di Benji e nuova
fidanzatina del cuginetto borioso… “Lascia
perdere…Secondo me l’ha fatto di proposito
a portare qui il cavallo…” Beh, pensai, visto come si era comportato Kevin…
Probabilmente i due si stavano muovendo in vista del fatto che il mio
amico presto avrebbe affiancato il padre alla guida dell’azienda di famiglia.
Avevo il sospetto che volessero, in qualche modo, mettergli i bastoni fra le
ruote. Qualche ora più tardi ero al bordo campo. Dopo la partita della sera prima avevo
sentito sia Benji che, ovviamente, Karl. Il capitano era tranquillo, Warner
non lo impensieriva e tantomeno Lenders. Benjiamin era di altro avviso. Conosceva
bene i suoi compagni, e Mark gli dava da pensare. Warner… ottimo portiere,
migliorato parecchio negli ultimi anni. Quelle due parate sul Drive
Shot poi… Poteva essere che quell’anno la finale si giocasse con loro,
sì. Evitai di dire a Price di Pamela, non aveva senso dargli altri pensieri.
Comunque mi aveva assicurato che Lauber non aveva voluto trattare con Kevin
riguardo alle azioni del Bayern ma solo con lui, in attesa di discutere con
Richard Price. Il cugino non riscontrava molti favori. Il mercoledì successivo:
Bayern – Paris Saint Germain! Che bello giocare in casa! Stadio pieno, il tifo tutto per
noi. La finale era praticamente in mano nostra, con Benjiamin in porta poi,
neanche a parlarne di perdere con chicchessia! Li vidi scambiarsi un sorriso ed
una stretta di mano, lui e il suo vecchio amico. Tom. Lo avevo conosciuto di
persona qualche mese prima. Gentile, pacato, lo sguardo sincero. Ma in campo… Un
giocatore correttissimo ma una dannazione per gli avversari. Preciso, gran senso
del gioco, altruista e, all’occorrenza, tiratore eccezionale.
Il calcio d’inizio fu
nostro. La solita accoppiata Karl-Stefan avanzò imperterrita. Come la volta precedente, Tom si
fece loro incontro, interrompendo il gioco del Bayern. I risultati a centro campo furono
alterni e per trenta minuti circa non ci furono azioni di
rilievo nelle due aree. Benji stava tenendo il connazionale ben lontano dalla sua
porta. Al quarantesimo, l’inammissibile: Stefan entrò in scivolata su Leroy. Il francese,
è vero, fece un bel volo, per quanto l’intervento fosse assolutamente sul pallone
ma l’arbitro dette il giallo a Levin. Fischi e strepiti dagli spalti ma il
giudizio arbitrale non si discute. Il gioco continuò nervoso e il primo tempo
terminò in parità. Al rientro scrutai l’espressione del capitano e dell’SGGK:
imperscrutabili e piuttosto tesi. Il gioco riprese. Paris all’attacco. Difesa
del Bayern chiusa, Karlz che riprende la palla. Passaggio lungo per Levin, il
quale girò a Karl. Due giocatori su di lui. Il solito, splendido dribbling
dell’Imperatore. E poi… di nuovo un intervento falloso su di lui. Nuovamente la
gamba destra. Sarebbe stato un rosso e invece fu solo giallo! Il Kaiser
era furioso, glielo si leggeva negli occhi. Calcio di punizione per noi, verso
Schieffer. Il Bayern partì alla carica ma venne fermato dall’onnipresente
Becker. Stefan lo inseguì, ingaggiando con lui un bel duello a centro campo.
Alcuni, brevi secondi di gioco intenso tra i due poi Tom trovò uno spiraglio nel
muro di Levin e fece per passare alla sua destra. In quell’istante il biondo
svedese, leggermente sbilanciato, nel cadere si allungò per togliere la palla
all’avversario. Tom finì a terra e nuovamente la decisione arbitrale fu tutto
meno che equa: di nuovo giallo. Eravamo in dieci. I ragazzi erano impietriti. Se
c’era uno che non si meritava di essere sbattuto fuori era proprio Stefan! Karl
era una furia. Benjiamin guardava il centrocampo a braccia conserte, lo sguardo
in fiamme. I francesi, ringalluzziti dagli eventi, si fecero sotto. Karl
faticava a muoversi. Schieffer ce la mise tutta ma, praticamente solo, non
riusciva a contenere Napoleon e Becker. Il quale trascinò il Paris
nella nostra area. L’ultimo passaggio era per lui. Si trovarono di fronte.
Mancava una manciata di minuti e la finale era comunque nostra. Tom era solo
davanti al portiere, appena fuori dall’area. Ma non tirò. Lo sguardo puntato in
quello dell’SGGK, il portiere più forte al mondo sui tiri da fuori. E infatti
Becker fece un ultimo sforzo. Karlz era tornato indietro ad affrontarlo. Tom lo
superò con un’agilità impressionante. C’era solo Benji davanti a lui. Tiro. Una
botta incredibile e ad effetto. Non saprò mai come ci arrivò… Mi ero
resa conto che era sbilanciato troppo a destra per prenderlo. Eppure ci
arrivò. Gli bastò sfiorare quella palla per modificarne la traiettoria e farla
sbattere contro la traversa. Napoleon recuperò e tirò di nuovo. Ma di fretta.
Era un tiro facile e Benji era in gran forma. Con un bel colpo di reni si
rimise in piedi ed afferrò il pallone con sicurezza. Fischio dell’arbitro.
Zero a zero.
Eravamo in
finale! Il giorno dopo per i nostri campioni meritato riposo. Erano le sei di
sera e avevo appena finito di muovere una dei cavalli di Kris, mentre Marj era
a fare delle visite fuori città. Più tardi saremmo andati tutti insieme a
vedere la partita a casa di Karl “Buona sera! Serve aiuto?” Mi voltai,
semisommersa da sella e finimenti, trovandomi di fronte gli occhi neri del
portiere del Bayern. Sorrideva allegro e decisamente rilassato, lo sguardo
finalmente luminoso e sereno. Non aspettava altro che la finale. “Non sarebbe una cattiva idea…” dissi porgendogli la sella, che mi tolse dalle braccia.
Camminammo l’uno accanto all’altra, chiacchierando. “Cosa ne pensi
della partita di ieri, signorina?” un sorrisetto malizioso gli increspò le
labbra. “Mmmmm… carina… sì. Potevate fare meglio… Tu, poi…” punzecchiai ricambiando il
sorriso. “Ah sì? E chi avrebbe salvato la situazione all’ultimo minuto?”
Aveva posato la sella sul suo supporto e mi guardava a braccia conserte, negli
occhi un lampo d’allegria e un sorriso furbo sulle labbra. “Tutta fortuna!” risposi a tono, facendo spallucce e avviandomi verso l’uscita della
scuderia “Sei il solito egocentrico!” gli urlai. “Piantalaa!!
Maledetto, mettimi giù! Subito!” come al solito... Mi aveva rincorsa, presa per la vita da
dietro e mi faceva roteare come un burattino, ridendo di gusto. Mi rimise a
terra, senza mollarmi – Accidenti che fatica! Dico! Mi pari un po’ più pesante
del solito!” Mi voltai di scatto verso di lui, inviperita. Mi guardava con la sua
solita espressione ironica, ma gli occhi erano illuminati
d’allegria. “Ahia!” Gli avevo inflitto una
leggera gomitata nelle costole che non era servita allo scopo di
liberarmi. “Ma che damerino che sei!” lo conzonai. Per tutta risposta mi fece fare un
altro giro. “Ma la pianti di maltrattarmi la socia?!” Marj era
arrivata a salvarmi. Ci guardava a braccia conserte, scuotendo la testa “Sembrate
bimbi delle elementari!” disse e si mise a ridere. Benji finalmente mi lasciò
andare “La vittoria ti mette allegria, eh portiere?” gli chiesi. “E a chi non
la metterebbe, scusa?” mi sorrise. Marj lo stava fissando, mi
accorsi. In effetti Benjiamin era tutta un’altra persona quando si lasciava
andare. Peccato lo facesse praticamente solo in mia presenza.
La vidi sospirare e poi sorridere scrollando i boccoli
biondi. In quel momento non lo sapevo, ma qualcun altro ci stava
osservando. Qualcuno che aveva interpretato in maniera tutta sua quell’allegro
scambio di scherzi tra me e l’SGGK. Io, dal canto mio, avevo cercato di
calmare i battiti del mio cuore, dicendomi che erano dovuti solo all’euforia
del gioco.
Con lei stavo bene. Sempre. Mi sentivo a mio agio,
non avevo bisogno di nascondere quello che provavo. Era l’unica che mi potesse canzonare a quel modo, l’unica
dalla quale accettavo certi scherzi…
Ormai
quel gioco era diventato un’abitudine. Con lei avevo un rapporto che non avevo
mai avuto con nessun’altra donna. Un’amica, un’amica vera, un’amica molto
particolare. E allora, perché quel desiderio di stringerla, di potermi godere
ancora un poco il suo profumo lievemente amaro, mischiato a quello dolce del
fieno e a quello acre dei cavalli? Arrivò Marjorie. Elena non si accorse del mio
sospiro, intenta com’era a ribattere all’amica.
Perché con Marjorie non
poteva essere così? Quella sera ero felice. La semifinale era andata bene,
arbitraggio a parte, e la finale l’avrei giocata sicuramente contro uno dei miei
vecchi amici. Ci avviammo a casa di Karl. Avremmo visto da lui
Juventus-Barcellona. Ero curioso di sapere contro quale dei due avrei giocato la
mia ultima finale di Champions. Il Kaiser era uscito un po’ ammaccato dalla
partita col Paris, ma cercava di non farci caso. Cenammo tutti insieme nella
sua veranda. Cominciò la partita. Lenders e Hutton incrociarono lo sguardo a
centro campo. Il gioco si fece subito interessante: il Barcellona avanzava con
scambi rapidi ma gli avversari erano eccezionali nell’intercettarli. Notai come
Mark fosse migliorato tantissimo, non solo tecnicamente, quanto tatticamente.
Oliver però è un osso duro, un uomo capace di fare una squadra. Vinse l’ennesima
sfida col nostro connazionale e si avviò con decisione verso la porta di Warner.
Di nuovo il Drive Shot. Ed si mosse con sicurezza, non bloccò ma la palla non
entrò in rete. Vidi Karl accanto a me tendersi, incrociando le braccia al petto,
il viso corrucciato. Sì, sarebbe stato un problema…. Le azioni si susseguirono
velocissime. La squadra torinese stava tenendo testa alla grande agli spagnoli,
anche se questi, effettivamente, creavano molte più occasioni da gol.
Ma Warner era un muro. Eccezionale. Sorrisi. Quell’anno mi sarei dovuto
conquistare il posto in Nazionale. Primo tempo, zero a zero. Vidi Mark
uscire dal campo per nulla soddisfatto. Tipico… Infatti, nel secondo tempo, la
sua furia non si fece attendere. Partì verso la porta avversaria con fredda
determinazione, come il suo solito. Holly tentò di fermarlo ma non vi riuscì. Il
Tiger Shot partì, preciso, potente. Non è un tiro difficile, ma la sua potenza è
pari se non a volte superiore a quella del Fire Shot. Non un bel regalo per un
portiere! Mendez non ci arrivò. Karl dette un sospiro. Per il Barca si metteva
male. Oliver è nettamente superiore a Mark, tecnicamente e tatticamente, ma
Lenders aveva il vantaggio, in quell’occasione, di essere attorniato da una
squadra in ottima forma, mentre gli spagnoli mancavano di qualche pezzo forte.
Inoltre Warner in porta era una garanzia… Hutton, ovviamente, non si arrese,
anzi! Ripartì col suo solito contropiede fulminante, ma la sfortuna
sembrava perseguitarlo. Per due volte i difensori bianconeri riuscirono ad
intercettare i suoi tiri, vanificando le azioni. Mancava poco. Il capitano della
mia nazionale non è tipo da cedere. La sua regia del gioco è perfetta. Fece i
nuovo in modo da trovarsi faccia a faccia con il portiere. Era solo. Impostò il
tiro come per un Drive Shot. Ed uscì. Ma Holly si era solo alzato la palla, da
maestro qual è, fintando il tiro. Warner era troppo sbilanciato in avanti.
Hutton si portò con un passo dentro l’area e tirò. Ma anche Mark non si arrende
mai. Lenders era tornato indietro, aggirando Hutton e si era lanciato di testa
sulla palla. A portiere sconfitto, l’attaccante nipponico aveva battuto il suo
capitano. Fischio dell’arbitro. Partita chiusa.
Vidi Oliver tendere la mano a Mark e
il sorriso tra i due. Mi
appoggiai allo schienale della sedia, fissando quelle immagini. Il mese seguente i miei avversari
sarebbero stati due.
Eccomi qui^^ Scusate il
ritardo dell'aggiornamento ma tra il poco tempo per scrivere, le trecentomila
idee che mi frullano per la testa e un paio di ff in preparazione per dei
contest, ho decisamente trascurato "Angelo". Chiedo perdono e prometto che
cercherò di essere un po' più veloce^^ Intanto ringrazio chi mi ha recensita
in pubblico e in privato e chi, pur senza scrivermi nulla, ha inserito la storia
tra i preferiti. Grazie, grazie di cuore! Amo molto questa storia e sono
felice che faccia emozionare un poco anche voi! Grazie! Spero che il nuovo
capitolo vi sia piaciuto, nonostante la parte calcistica^^ Ciao a tutte e
alla prossima! Eos75
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Capitolo 18 *** 17 ***
ac15
Era stata una mattina pesante, avevo finalmente
spostato Zingaro nelle scuderie di Kristine (il lavoro al Bayern rendeva
piuttosto bene!) e avevo finito di sistemare sella, finimenti, cassone da viaggio, tutto
insomma! Per di più il mio dolce stallone aveva stabilito che rotolarsi
nel fango era proprio un bel gioco. Ne ero uscita un disastro! Lo stavo riportando nel box
dopo averlo accuratamente strigliato, quando mi trovai la strada sbarrata da
una ragazza alta, mora, le gambe lunghe e ben tornite fasciate da candidissimi
pantaloni da equitazione. Una maglietta rossa attillata metteva in
risalto il seno piccolo e la vita stretta. Era perfettamente truccata, i lunghi e
serici capelli neri raccolti in un’elegante crocchia appena sotto la nuca.
Mi squadrò da capo a piedi facendomi sentire, se possibile, ancora più intimidita: la
maglietta bianca che indossavo, larga e un po' sformata, era macchiata
e coperta di peli di cavallo mentre alcune ciocche erano sfuggite dal mollettone
che stentava a raccogliere la massa ribelle dei miei capelli. Inoltre ho sempre
avuto la vita stretta, ma le gambe non sono e non saranno mai perfettamente
modellate… Abbassai lo sguardo chiedendo
permesso. “Ma prego!”esclamò e si profuse in
un inchino tanto cerimonioso quanto fasullo “E così tu saresti l’ amichetta di Benji Price…”
Il tono ed il significato delle parole mi fecero infuriare. Alzai gli
occhi ad incontrare i suoi “Io non sono l’amichetta di Benjiamin! Sono sua amica.
Punto!” Un
sopracciglio scattò in alto con fare altezzoso “Già… L’amica del
cuore che monta lo stalloncino salvato dal macello nella speranza di portarlo
nei Grand Prix…” Misi Zingaro nel box, chiudendo piano la porta e mi preparai ad
affrontare l’arpia. Non l’avevo mai vista prima d’allora di persona ma sapevo
di chi si trattava: Pamela Klein. “Ma chi sei? Solo perché ti fai
suo cugino e ti vanti di aver mollato tu Benjiamin, chi diavolo ti credi di
essere?!” Mi si avvicinò, tanto da sovrastarmi di tutta la testa, gli occhi
stetti come un gatto furioso “Chi ti credi di essere tu! Guardati! Pari uscita da
una fattoria! Ma sai cosa vuol dire essere la compagna di un Price? Ti rendi
minimamente conto di cosa significhi? Sai chi è Benjiamin Price? Non solo
un giocatore di fama internazionale, no! E’ anche l’erede di una delle più
importanti multinazionali nipponiche! Sai cosa vuole dire essere la sua
donna?” Mi sentii morire. Quelli, anche quelli, erano i motivi per cui avevo
rifuggito il bacio a Zurigo. “Non capisco perché tu stia facendo
questo discorso a me!” Mi piantai davanti a lei a braccia conserte, lo sguardo dritto
nel suo. Gli occhi castano verdi mandarono
un lampo malizioso “Vi ho visti giocare tre settimane fa, sai? Giocare… Sì,
certo! Ho visto come ti stringeva, ho visto come vi sorridevate, ho visto come
si comporta con te! Lo conosco, sai…”
La interruppi. Non volevo sentire. Non volevo che dicesse la frase che temevo "Piantala!"
urlai furibonda "Ma se anche fossi la sua ragazza, a te che cosa importa?! Saranno
affari suoi!” Mi si accostò di più, sul viso perfetto cattiveria e alterigia “Ti sbagli, ragazzina!
Sono eccome affari miei! Kevin sarà a capo di un’importante sezione della
Price ed è intollerabile che il suo diretto superiore possa avere accanto a
sé una ragazzetta scialba ed inadeguata, assolutamente impreparata ed inadatta a
quel ruolo! La Price non si può permette di accogliere una Cenerentola
qualunque!” “E’ inutile che ne parli con me! Io non sono la ragazza
di Benjiamin!” Di nuovo, avevo quasi urlato. Sbuffò allontanandosi ma
continuando a fissarmi
“Bene. Spero sia per me che per te che la situazione resti tale…” Si avviò verso l’uscita delle scuderie, fermandosi accanto al box di Rouge e voltandosi mi lanciò
l'ennesima occhiata altera “Ah, scordavo! Se hai intenzione di darti sul serio al dressage, sarà il caso che
ti compri un cavallo vero! Dubito che con quel coso tu possa mai partecipare ad
un Gran Prix!” Mi aveva stesa moralmente ma a quell’insulto rivolto
a Zingaro sapevo come rispondere “Io, almeno, il mio cavallo sono in grado di
montarlo. Tu, il tuo?” Si voltò con un sorrisetto strafottente “Rouge è un investimento.
Per mio conto, lo monta Alan Letterman. Sai chi è, non è vero? Con
lui in sella vincerà certamente sia il Gran Prix di Lucerna che quello di
Colonia. Tu, piuttosto: non mi pare di averti mai vista in gara, o sbaglio?” e
così dicendo si voltò, andandosene senza darmi occasione di ribattere. Rimasi
immobile, aggrappata con una mano all’inferriata del box, incapace di muovermi.
Incapace di pensare. Solo dopo parecchi minuti mi accorsi che stavo piangendo.
Aveva ragione. Aveva dannatamente ragione. A Zurigo l’avevo rifiutato
soprattutto per quello. Per quello l’avevo scaraventato tra le braccia di
Marjorie. Lei, così bella, così aristocratica, così adatta al bel mondo. Poi
dolce, intelligente, sensibile. Stavano tanto bene insieme! Io mi ero rifugiata nelle braccia di Karl. Lui non mi
spaventava. Ne ero sempre stata attratta, mi piaceva.
Ma il nostro rapporto stentava a decollare, e non solo a causa delle
mie indecisioni; anche il capitano era vittima di paure che non voleva
ammettere. Né con me, né con sé stesso. C’era un motivo per cui quello splendido ragazzo
non aveva mai avuto una storia vera in quasi trent’anni di vita. Ma non lo
ammetteva e io, ormai, l’avevo capito. Ci crogiolavamo a vicenda in un bel rapporto di
amicizia e complicità, mascherato da storia d'amore, per fuggire dalle nostre
realtà, dalle nostre paure. Stavamo bene così.
Apparentemente.
“Eccolo lì, a centro campo, fiero come sempre. E l’altro? Esattamente
di fronte a me, lo sguardo sereno e impassibile da karateka. Ma so bene
quale fuoco arda in quel petto. L’ho voluto io. Sapere che questa sarà la mia
ultima Champions, l’ultima occasione per sfidarmi e battermi, ha acceso in quei
due il sacro fuoco della vendetta. E’ esattamente quello che volevo!” La finale stava per cominciare. Ironia della sorte, proprio
in quella città che mi suscitava tanti ricordi. Era destino che dovessi giocare
la finalissima della mia ultima Champions proprio al Meazza di Milano. Elena era
euforica. Adorava quel posto, per lei era lo stadio più bello del mondo.
Sorrisi. Avrei vinto anche per
lei quella sera, glielo dovevo… Karl e Lenders si fronteggiavano. Levin, purtroppo, ci
seguiva dagli spalti. Accanto al capitano il francese Martinì, poca esperienza
ma parecchia grinta. Al fischio dell’arbitro Mark partì come una furia. Aveva
trovato un ottimo sostituto di Mellow nell’italiano Salvini. I due si diressero
decisi verso la nostra area. Karl li lasciò alle cure di Kalz e Shuster, i quali
non lo delusero. Hermann soffiò la palla alla coppia d’oro avversaria
rilanciandola direttamente sul capitano. Non era al massimo della forma,
l’infortunio col Paris non era andato del tutto a posto ma la sua regia fu
perfetta. Rapidi scambi con Schieffer e Martinì ed il Kaiser si trovò in area,
di fronte a Warner. Caricò il tiro. Vidi Ed spostarsi. L'avrebbe presa. Infatti, come prevedevo,
il Fire Shot finì tra le braccia del mio rivale che, rialzandosi, incrociò
lo sguardo col mio. Per tutta risposta gli sorrisi, abbassando la tesa
del cappello. Dopo pochi minuti Schneider gli era nuovamente di fronte. Di
nuovo Warner non venne colto impreparato. Vidi Karl complimentarsi con lui. Negli
occhi di Lenders passò un lampo furbo e l'istinto mi disse che dovevo
aspettarmi qualche sorpresa. Al trentaduesimo finalmente Mark arrivò a
sfidarmi direttamente. Precedentemente avevo vanificato tre suoi splendidi
assist per i compagni Salvini e Gregari. In quegli anni aveva imparato cosa
significa gioco di squadra. Negli occhi aveva lo sguardo della Tigre.
Voleva battermi, a tutti i costi. Lo osservai muoversi. Non era un Tiger
Shot, era troppo prevedibile e lo sapeva! Il piede strisciò sull’erba, quasi
bruciandola. La palla schizzò roteando verso di me, potente e velocissima. Se mi
fossi lanciato su di essa non l’avrei potuta bloccare e sarebbe quasi
sicuramente finita in rete. Feci mezzo passo all’interno della linea. Il Raiju
Shot effettua un’impennata appena prima di entrare in porta, perdendo velocità e
potenza. Giusto quel poco che mi avrebbe consentiti di prenderla. E infatti la
bloccai. Solo un millesimo di ritardo e la sfera si sarebbe impennata,
sfondando la rete alle mie spalle. Avevo utilizzato la tecnica che
già aveva neutralizzato il tiro di Levin per annientare la veloce rotazione di
quello di Lenders.
Mark mi guardò furioso mentre Ed era esterrefatto. Per lui
il Raiju Shot era quasi imprendibile. Feci per rimandare lungo, ma Karl
e Martinì erano marcati. Mi affidai a Kalz. Il mio vecchio amico capì l’intenzione
e partì a razzo. Quando voleva era anche un ottimo attaccante. Si liberò
agilmente di un paio di avversari ma evitò lo scontro con Lenders, disimpegnandosi
verso il francese. Louis creò una bellissima azione, riscendo a trascinare in
area sia Karl che Schieffer. Warner si trovò una notevole ressa
davanti, ma ne uscì abilmente rinviando in angolo un tiro al volo improvvisato
dal francese, il quale si apprestò a battere il corner. Chiunque avrebbe pensato
che quello era un passaggio perfetto per Karl, invece la palla effettuò un
arco perfetto in aria, veloce, preciso anche se non potentissimo, diretto all’incrocio opposto
dei pali. L’avevamo perfezionato in quei mesi ma Ed ci
arrivò comunque. Non si fece ingannare dal movimento dei giocatori in
area e con un colpo di reni magistrale, da maestro di arti marziali quale è,
deviò la palla per uno dei suoi difensori. Dovetti ammettere che era migliorato moltissimo, forse
più di quanto mi aspettavo. Mancava una manciata di
secondi alla fine del primo tempo. Vidi Mark avventarsi sulla palla con la
grinta di sempre. Il suo vecchio modo di giocare, violento e solitario. I miei
ragazzi non lo fermarono. Era impossibile. Di nuovo gli occhi della Tigre.
Di nuovo il Raiju Shot. Warner ne blocca uno su tre. E di nuovo lo
fermai.
“Tira quanto vuoi, Lenders! Tanto di qui non passi!” dissi, rinviando per Louis, mentre Mark
mi fulminava con gli occhi. Il fischio dell’arbitro ci mandò in spogliatoio
carichi come non mai, anche se sapevo che i successivi quarantacinque minuti sarebbero
stati un inferno. Nel secondo tempo Lenders e la sua squadra non ce
le mandarono a dire. Attaccarono come ossessi, martellando la nostra area.
Ma anche noi non eravamo da meno.
Ogni rilancio di Kalz era un invito a nozze per Schneider e Martinì che ingaggiarono battaglie
serrate con la difesa bianconera. Karl e Ed si fronteggiarono tre
volte direttamente. Due Fire Shot ed una rovesciata da manuale. Niente
da fare. Anche io e Mark avemmo i nostri bei duelli. Il mio connazionale
riprovò col suo tiro ad effetto e con la mia vecchia conoscenza, il Tiger
Shot. Mi tolse il fiato. Per bloccarlo in sicurezza lo presi in pieno petto
e non fu piacevole, ma lo fu meno per lui. Il risultato languiva su uno
zero a zero sofferto. Eravamo a più di metà del secondo tempo. Salvini era
penetrato in area ma il suo cross era stato deviato in angolo da Shuster.
Davanti a me c’era ressa. Mark mi controllava con la coda dell’occhio. Salvini
battè il corner, Lenders saltò ed io bloccai, rinviando fulmineamente ad
Hermann. Il quale si vide portar via la palla da Warner! Ed non era nuovo a
queste cose. Il suo tiro si diresse potente verso la porta. Lo ribattei ma lo
intercettò Gregari per Mark, di testa. Saltai, una frazione di secondo dopo che
aveva effettuato il tiro, impedendogli di segnare. Mi rovinò addosso, facendomi
sbattere violentemente con la spalla destra contro il palo. “Tutto ok,
portiere?” chiese mentre tendeva la mano abbronzata verso di me. “Price, tutto
a posto?” l’arbitro si era avvicinato, soppesando il gioco pericoloso. “Tutto a posto! Nulla di rotto!” mi allungai ad afferrare la mano del mio compagno
di nazionale. Mark mi sorrise “Voglio batterti sano…” “Non mi
batteresti neanche se fossi infortunato…” gli risposi di rimando. Il gioco riprese. La spalla mi
faceva piuttosto male ma non ci feci caso. Mi preoccupava l’atteggiamento
assolutamente calmo del mio avversario. Lenders macchinava qualcosa. Quattro
minuti dopo le sorprese vennero a galla. Nuovamente una giocata veloce di
Salvini, la difesa di Kalz e Shuster che andava a farsi benedire, di nuovo Mark
in area. Quell'atteggiamento e quella posa particolare mi gelarono il
sangue: mille volte avevo visto quel tiro, e non era un bel regalo
davvero. Nei tiri dall’area, solo due giocatori avevano una media di
successo contro di me superiore al cinquanta percento: Karl e Oliver. E
quello era un Drive Shot, l'arma quasi infallibile del capitano della mia
nazionale. Mi spostai meccanicamente. Conoscevo quella tecnica. Oliver mi
aveva giocato più di una volta a quel modo. Sentii il sudore gelarmisi
addosso e la paura, per un istante, attanagliarmi lo stomaco. Ma fu solo un
istante. Kim. Elena. Marjorie. Karl. La mia carriera, la mia
vita e i miei sogni… Sapevo parare quel tiro, ne ero in grado! Anche se
calciato da Mark sarebbe stato mille volte più potente e veloce di quello
di Oliver. La sfera partì, rapida, alta, effettuando la sua bella traiettoria
ad arco verso il cielo. Feci un passo indietro
e caricai il salto, aspettando che la palla iniziasse la parabola
discendente, quindi mi avventai su di essa con tutta la mia forza
ed il mio peso, afferrandola stretta e ruotando, rotolando a terra per
vanificare l’effetto. La spalla urlò, ma l’avevo presa! Lessi ira negli occhi di
Lenders. Spettava a noi in quel momento sorprendere gli avversari.
Scambiai un cenno d’intesa con Karl, che annuì. Mark non era l’unico ad aver
affinato tiri non suoi. Mi portai col pallone al limite dell’area rinviai con un
lancio potentissimo, direttamente sul Kaiser il quale corse a raggiungere la
palla nella area avversaria. Ed lo stava aspettando. Ma non poteva sapere cosa
aveva in serbo per lui il capitano. Schneider non stoppò il mio rinvio, dal
limite dell’area si limitò ad uno splendido tiro al volo. Warner uscì ma la
palla colpì la traversa e tornò direttamente al Kaiser. Warner era
sbilanciato. Karl fece un passo in area, preparò il tiro e Ed gli si parò
davanti pronto per un Fire Shot. Invece la palla partì
velocissima con una traiettoria ad arco ampio, assolutamente imprendibile
dalla posizione in cui si trovava il portiere avversario.
Warner battè il pugno a terra, furioso. Un minuto. Di
nuovo lotta a centro campo e subito Lenders e Schneider a confronto.
Il capitano ne uscì vincitore ma il suo passaggio a Martinì fu vanificato da una
scivolata di Salvini. Quindi Lenders, di nuovo a pochi secondi dalla
fine. Era al limite dell’area. Di tentò nuovo il tiro di Oliver.
Sapevo che non sarei riuscito a bloccarlo, la spalla era indolenzita
ed il pallone mi sarebbe sfuggito di certo. Così rischiai. Mi lanciai a pugni
uniti. Sentii la pelle delle nocche spaccarsi nonostante i guanti, ma la sfera
non entrò. Il fischio dell'arbitro sovrastò per un attimo il boato del
pubblico.
Era finita, avevo vinto la mia ultima Champions.
Vidi Karl esultare, il
pugno destro a cielo mentre Kalz gli saltava al collo. Warner scoteva il
capo, le braccia conserte e le labbra strette. Lenders teneva i
pugni serrati lungo i fianchi e lo sguardo diretto in quello del mio
amico. Lo vidi rialzarsi. Lo vidi esultare. Lo vidi rivolgere gli
occhi al cielo per poi chiuderli e chiamare piano quel nome che teneva
nel cuore. Quando li riaprì, mi cercò con lo sguardo e mi sorrise. Poi di
nuovo la gioia, la festa, l’abbraccio con i compagni di squadra e con gli amici
di sempre. E con gli avversari di sempre. Lo stadio era esploso: luci,
colori, coriandoli, fumogeni. I ragazzi si dispersero un attimo a salutare e
ringraziare pubblico, allenatore, la gente del team.
Mi trovai accanto Karl. Mi abbracciò, tenendomi
stretta. Dopo poco anche qualcun altro aveva scavalcato gli striscioni di bordo campo.
Mi guardava, le braccia spalancate, il viso illuminato da uno splendido
sorriso, gli occhi neri splendenti come non mai “Posso?”
Sospirai appoggiandomi con un braccio alla macchina sul cavalletto “Va beh, visto
che hai vinto…te lo concedo!” Mi ritrovai in aria, stretta per la vita dalle sue
grandi mani. Mi fece fare quattro giri velocissimi, tenendomi sopra la sua testa
tra le risate dei ragazzi Nella foga il cappellino era volato via, rivelando la
felicità nei suoi occhi. Quando si fermò, mi tenne ancora un poco sollevata, il
viso non distante dal mio. “Ok” gli dissi trafelata “nel caso remoto che
tu vinca i Mondiali, vedrò di trovarmi un rifugio post partita!” Il
sorriso si allargò ancora di più “Allora comincia a cercarlo, signorina! E comunque
stà certa che ti troverò ugualmente!” I festeggiamenti continuarono.
Venne portata la Coppa, i giocatori vennero premiati nello stadio in
delirio.Tutto quel chiasso mi attirò. Presi in mano il mio tele e scarrellai sugli spalti di
fronte a me, così, giusto per curiosità. C’era di tutto: adolescenti, ragazze,
uomini di mezza età, famiglie. Ad un tratto il mio cuore si fermò, gelato.
Nelle file in basso, nei posti dedicati ai disabili, un paio di occhi verde
smeraldo fissavano il campo. “Ehi, tutto ok?” Paul, accanto a me, si era
reso conto della mia reazione. “S-si, tutto bene” mi riscossi e per un istante
non seppi cosa fare. Poi presi una decisione, lì, su due piedi, dettata dalla speranza,
dall'amicizia o forse da qualcos'altro “Paul, prenditi cura della mia attrezzatura per favore! Portamela
in albergo da Sonya! Io…devo fare una cosa importante!” e mi allontanai. “Ma ai ragazzi cosa dico?” mi urlò dietro. “Dì loro che ho visto un mio vecchissimo
amico e che gli sono andata in contro!” e fuggii via. Attraversai lo stadio in un lampo. Dovevo
sapere. Magari era solo un’allucinazione, magari solo una coincidenza, ma
dovevo sapere. Mi affacciai alla tribuna dove avevo visto la ragazza.
Nulla. Mi voltai e vidi un giovane che spingeva una carrozzina. La
ragazza che la occupava si voltò a parlargli. Era lei. Corsi loro
dietro. “Kim!”
gridai mentre ancora correvo. L’uomo si voltò, e così
pure l’occupante della carrozzella. Era magra, quasi trasparente. Il viso glabro ed
il capo coperto da un bandana rosso rubino. Ma gli occhi erano gli stessi
che avevo visto in quella foto mesi prima. “Come fai a sapere
chi sono?” mi chiese con un filo di
voce. “Mi ha parlato di te…” Vidi lo sguardo smeraldo velarsi di lacrime
mentre accennava al giovane di voltare la carrozzina verso di me.
Mi avvicinai e
lei mi osservò sorridendo gentile “Sei la ragazza che ha sollevato e abbracciato
prima, vero? Sei la sua ragazza?” Scossi il capo. La tristezza le velò
il viso “E’ solo a causa mia?” “No!” la rassicurai “No, non è solo…
Ma ti ha sempre nel cuore.” “Anche io…” sospirò “Ti andrebbe di
parlare un poco?” Ci ritrovammo in uno dei bar dello stadio, ormai
semivuoto. “Come sta?” “Bene…” “E’ innamorato della donna che gli
sta accanto?” Benjiamin aveva ragione: Kim andava sempre diretta al
sodo! “No.” Sospirò, sollevando gli occhi al cielo “Perché?” Le dissi la verità, non avevo motivo
per mentirle “Perché sei stata un amore troppo grande per lui. Perché non è facile
infrangere quella corazza e conquistare il suo cuore. Perché ha paura di amare.
Esattamente come l’aveva prima di conoscere te!” “Vorrei che fosse
felice…” “Anche io. Ma non è triste ed è già qualcosa!” La feci
sorridere “Vedi sempre le cose così rosee, tu?” Mi
strinsi nelle spalle “Cerco solo di non vederle
nere. Benjiamin non è innamorato ma sta bene con Marjorie. E’ già un
grande passo avanti. Ha deciso finalmente che può pensare di riaprire il suo cuore a
qualcuno…” “Hai detto che ti ha parlato di me: cosa ti ha detto?”
“Mi ha raccontato la vostra storia: quando vi siete conosciuti, quando ti ha
chiesto di sposarlo, quando ti sei ammalata e…quando l’hai lasciato.” Ripensai a
quella notte, alla sofferenza nelle parole di Benjiamin “Era furioso con sé
stesso...” Alle mie
parole la vidi tendersi sulla sedia “Perché?” chiese. “Perché diceva di non esserti stato sufficientemente
accanto. Mi ha fatto leggere la lettera. Ti ho
capita. Ne abbiamo parlato con calma e il suo dannatissimo orgoglio ha
ceduto. Sa che non l’hai tradito, ha compreso perché te ne sei andata. Forse
lo ha sempre saputo, ma era troppo doloroso ammetterlo.” “Non ne ha parlato con
nessuno, vero? Mi ha fatto credere morta…” “Solo perché non sopportava di saperti
viva e lontana da lui! E comunque non ti hai mai dimenticata, non ha mai scordato
le promesse che ti fece. La vittoria di oggi era per te…” “Lo so…”
il suo volto era triste, lo sguardo perso nella tazza di the che aveva davanti,
nel ricordo di anni perduti. “Ha molta fiducia in te, vero?” di nuovo una
domanda diretta, dritta dritta al punto. “Sì. Direi di sì.” Un sorriso, dolce, splendido, le illuminò il
viso “Se lui ha fiducia in te, ne devo avere pure io.” Prese fiato, come a
cominciare un discorso vitale “Io non so veramente più quanto mi resti. In
questi due anni ho sofferto le pene dell’inferno in Irlanda, passando da un
ospedale all’altro, da una cura all’altra. Non mi sono arresa. Ma una vita del
genere avrebbe stroncato sia la carriera che l’esistenza di Benjiamin. Lo amo.
L’ho sempre amato e l’amerò per sempre! Per questo stasera sono qui: sono uscita
in via speciale dalla clinica dove sono ricoverata. Ho ragione di credere che
sarà il mio ultimo viaggio da viva fuori di là. Volevo vederlo vincere. Volevo
vederlo trionfare. Sapevo che ce l’avrebbe fatta. Questo è il suo ultimo anno,
vero?” Annuii in risposta e lei continuò accennando un
sorriso “Immaginavo che non avrebbe abbandonato suo padre. Non dirgli
che ci siamo incontrate, non voglio che mi cerchi. Lasciami il tuo indirizzo.
Quando mancherò, farò in modo che qualcuno ti avvisi. Se e quando lo riterrai
necessario lo porterai da me. Non devo essere il fantasma che infesta la sua
vita per sempre! Deve essere libero di amare serenamente. Lascio a te questo
compito. Mi fido come si fida lui.” Benjiamin aveva ragione: era
piccola, debole, indifesa eppure forte, decisa, sprigionava un'energia alla
quale non si poteva restare indifferenti. Era una donna davvero fantastica e non
fu difficile capire per me, in quella mezz'ora in cui parlammo, come la scorza
ghiacciata del cuore del SGGK si fosse sciolta come neve al sole davanti a quel
sorriso.
“Farò
come vuoi." risposi assentendo seria "Ma…” “Ma?” “I Mondiali? Ti promise
anche quelli!” La mia fu una reazione stupida, dettata più dall'istinto che dalla
ragione. O dal desiderio che lei potesse avere abbastanza tempo per vedere il
trionfo del suo grande amore. Scosse il capo, comprensiva e
mi sorrise “Li vedrò, non ti preoccupare. Non da qui, ma li vedrò! E gioirò
della sua vittoria!” Le lacrime mi salirono agli occhi. Perché dovevano
accadere cose del genere? Perché un amore tanto bello doveva essere
spezzato in modo tanto tragico? Ci salutammo. Mentre mi avviavo lungo
il corridoio udii la sua voce chiamarmi “Elena!” “Dimmi...” Mi squadrò con
occhio critico da
capo a piedi e mi sorrise inclinando il capo da un lato “Mi spiace molto che non sia tu la
sua compagna…”
E' di dovere l'angolino dei
ringraziamenti^^ A Kitiara, Akuma, Valentina78, Ammy e a tutte coloro le
quali hanno messo "Angelo" tra i preferiti, grazie di cuore! E grazie anche a
chi legge, anche senza commentare. Spero che comunque la storia vi stia piacendo
almeno un po' ^^ Siamo ormai a pochi capitoli dalla fine, spero di non essere
né troppo melensa, né troppo calcistica. Questo Benjiamin è quello che ha
fatto da "base" per la caratterizzazione nelle altre ff da me scritte, sia etero
che yaoi. E' cresciuto con me e, per quanto mi renda conto essere piuttosto
imperfetto, lo adoro proprio per questo. Grazie ancora a
tutte, Eos75
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Capitolo 19 *** 18 ***
ac16
Il mio ufficio era immerso nella penombra del tardo pomeriggio. Vi entrai, allungai
una mano e feci scattare l'interruttore. I neon bianchi lampeggiarono e
s'accesero mentre mi sedevo pesantemente davanti al monitor spento del
mio pc ed in quel momento il cellulare che tenevo stretto in mano iniziò a
squillare insistentemente. Lo guardai un istante, scrollando il capo con un
sorriso sconsolato sulle labbra e risposi dando un sospiro, lasciandomi andare
mollemente sullo schienale della sedia. “Pronto! Ciao! Cos'è successo che
mi chiami a quest'ora e alla vigila di un
ritiro?” chiesi sforzandomi di essere il più allegra
possibile. “Volevo solo fare quattro chiacchiere…” la calda voce baritonale
dall'altra parte vibrò di un tono amaro e un poco triste. Immaginavo una richiesta del
genere, nonostante il giorno seguente dovesse iniziare il ritiro ufficiale della
squadra Giapponese in Germania, in preparazione di alcune amichevoli
pre-Mondiale.
Marjorie mi aveva mantato un messaggio non più
di un'ora prima, dicendomi che non sarebbe tornata a casa per cena e che sarebbe andata da
Karl... "Sono in ufficio, sei autorizzato
a venirmi a disturbare!" continuai sullo stesso tono, e
lo sentii ridacchiare dall'altro capo dell'apparecchio. Mezz'ora più
tardi un breve bussare precette l'aprirsi della porta laccata di
nero. “Buona sera.” “Buona sera! Com’è
andata la rimpatriata con i tuoi compagni?” chiesi senza sollevare lo sguardo dal
pc, totalmente immersa com'ero nello sbrogliare la matassa intricata del mio archivio. Con la coda dell'occhio lo vidi sogghignare e scuotere la
testa con fare canzonatorio. Prese una sedia, la portò accanto alla mia e vi si
mise a cavallo, le braccia conserte sullo schienale “Bene, direi. A parte
i ragazzi che giocano in Europa, gli altri erano abbastanza stanchi per il
viaggio. Domani l’allenamento è per le quattro…”
Il giorno
successivo avrei dovuto esserci anche io, a bordo campo come il solito ma con tutt'altri soggetti: la sua squadra nazionale. Era stata
una richiesta esplicita di Lauber: aveva dato in prestito i campi del Bayern per
gli allenamenti della squadra nipponica e voleva delle immagini dei compagni di
Benjiamin. "Ah ah…" assentii continuando a fissare il
monitor "Altro?" gli lanciai un'occhiata di sottecchi e lo vidi chinare il capo, nascondendolo
tra le braccia, sconsolato “Lo immagini…” “Marj è fuori con Karl. Cos’è successo
esattamente?” mi voltai finalmente verso di lui e mi misi anch'io a cavalcioni della sedia
col mento poggiato sulle mani chiuse a pugno. “Alla fine l’ha detto…” lo sentii respirare profondamente
e potei solo immaginare la mascella stretta dalla rabbia “Lo
sapevo, no? Sono io che non dovevo aspettare! Sono io che ho sbagliato!”
era amareggiato, addolorato, deluso. Deluso da sé stesso e dalla
propria apparente incapacità d'amare.
Ed in fine le cose erano precipitate: Marjorie non
aveva resistito più e gli aveva detto "ti amo".
Ma era poi vero? mi chiesi. “Piantala!" mi rizzai sulla sedia
con uno scatto "Non hai sbagliato solo tu!
Lei sapeva bene che non sarebbe stato
facile! Marj è innamorata di quel Benjiamin Price che ha idealizzato in tutti questi
anni in cui ha seguito la tua carriera, ma che non sei realmente tu! Forse avete
preteso troppo l’uno dall’altra. Marjiorie ha desiderato fino all’ultimo che ti
innamorassi di lei, e tu hai fatto lo stesso. E temo che in gran parte sia anche colpa
mia… e non puoi capire come mi dispiace!” Si girò a guardarmi,
sorridendo appena e accennando "no" col capo “Noi piuttosto ti
abbiamo causato un sacco di guai…” Mi appoggiai alla sua spalla
e sospirai “Non solo a me. Ma non importa. Gli
amici a cosa servono, altrimenti?” Benjiamin tirò un sospiro e strinse le
labbra passandosi una mano tra i corti capelli scuri "Karl... Anche il
capitano ha avuto fin troppa pazienza con noi." disse ridacchiando di sé
stesso, ironico. "Come va con lui?" mi chiese d'un
tratto, fissandomi negli occhi tra le ciglia socchiuse. Scossi la testa e mi
allontanai, tornando a fissare le immagini sul monitor. Il suo sguardo profondo
aveva la capacità di mettere a nudo i miei pensieri ma quella sera essi erano
troppo confusi, mi rendevano fragile ed io non volevo esserlo. "Ci abbiamo
provato." risposi
alzando un poco le spalle con rassegnazione "Noi due, almeno, non ci
eravamo fatti illusioni. E’ stata una bella storia, che resterà una bella
amicizia. Abbiamo entrambi bisogno di mettere un po’ d’ordine nelle nostre
teste…” Allungò una mano a sfiorarmi una guancia “Mi spiace.” Mi
sforzai di sorridere “Comunque è stata
una bella cosa, ha fatto bene tutti e due...” Mi voltai, nuovamente incrociando il
suo sguardo e mi persi un istante in quei pozzi profondi che ogni volta mi
regalavano la serenità che vi cercavo. Gli sorrisi, sincera quella volta, e
mi appoggiai con la testa sulla sua spalla. Chiusi gli occhi e mi sentii circondare
da un braccio forte che mi tenne stretta. Mi lasciai coccolare finché non
sentii il suo respiro sfiorarmi le guance e le labbra. Un brivido mi percorse la
schiena e spalancai le palpebre di scatto, liberandomi dal suo abbraccio e
saltando letteralmente in piedi, quasi fuggendo. "Ti
spiace se metto della musica?" chiesi con voce fin troppo
allegra "Qui ne avrò almeno per un’altra ora!" Quel contatto prolungato,
troppo prolungato, troppo dolce, troppo intimo aveva per un istante fatto
vacillare le mie barriere. Dovevo allontanarmi, estraniare la mente tuffandola
nel lavoro e annegandola nella musica che per me è come una droga soporifera e
rilassante. “Prego!” mi rispose ridacchiando
e s'alzò a sua volta. Gli diedi le spalle
e senza pensare alle
conseguenze, cambiai il cd che avevo nel lettore. “Niente rock? Strano!” si
era soffermato a curiosare tra le foto sparse sul tavolo di Sonya e mi
osservava con aria divertita e un po' stupita. "No!" risposi allegra
iniziando a battere il tempo con un'unghia sulla superficie di legno
lucido "Stasera latino-americano!
Perché?" chiesi senza guardarlo in
viso ma scorrendo velocemente le immagini posate alla rinfusa sulla scrivania. “Mai sentito nulla di diverso dal rock entrando qua dentro, da quando ci sei tu!” mi
rivolse un sorrisetto furbo. “Oggi non sono in vena... E poi lo sai che adoro
ballare, no?” non voleva essere una provocazione, era l'ultima delle mie intenzioni! Eppure sapevo che quella era
l'ennesima passione che avevamo in comune. Decine di volte mi aveva fatto
da cavaliere dopo quella sera a Zurigo... “Sembra un invito!” disse ridendo
e mi prese con
decisione per la vita, accennando qualche passo di danza. Risi anch'io a quel suo gioco ma
l'assecondai, cercando di non far caso al mio cuore che aveva ricominciato a
battere forte. Un lampo malizioso passò negli occhi neri e quel sorriso seducente che mi aveva rivolto
solo quella sera di mesi prima si dipinse nuovamente sulle sue labbra. Mi fece
volteggiare, una, due tre volte. Alla terza mi trovai stretta tra le sue
braccia. “Stanno meglio sciolti…” mormorò piano, sfilando intanto delicatamente in un gesto, lo spillone
fermacapelli d’argento che era stato il suo regalo di Natale. “E allora perché me lo avresti
regalato?” chiesi con un filo di voce, totalmente incapace di liberarmi
dal suo sguardo incantatore. Mi strinse più forte, portando il viso ancor più vicino al mio
“Per il piacere di toglierlo…” sussurrò appena, prima che le sue labbra si
posassero sulle mie. Non opposi resistenza. Non volevo. Lo desideravo da
troppo tempo.
Per troppo tempo avevo negato l’evidenza. Lo abbracciai,
accarezzando il corpo muscoloso, godendo del suo calore, del sapore dolce dei
suoi baci, della sensazione inebriante delle sue mani che erano scivolate sotto
la maglietta e scorrevano lungo la mia schiena. Lo amavo. Lo avevo
ammesso, finalmente. Mi lasciai trasportare da quel fiume di
emozioni che mi dava, avvertivo il suo desiderio, avevo il cuore che
batteva all’impazzata. Mi baciò sul collo, delicatamente ma con passione, facendo scivolare
la spallina della maglia, carezzandomi con dolcezza e passione, accendendo i miei sensi come mai
mi era accaduto. Neppure con Karl. Poi, all'improvviso "Ti voglio." il cuore si fermò. L'aveva
sussurrato piano, un soffio sul mio orecchio, la voce bassa, roca, profonda, carica
di desiderio. Avvertii un
brivido correre lungo la spina dorsale e togliermi il respiro mentre il
mio corpo andava a fuoco sotto quelle labbra e quelle mani che mi avevano fatto perdere totalmente il
controllo e la ragione. Volevo
dire "sì", con tutta me stessa. Ma un briciolo di senno era timasto e me l'impedì. Benjiamin era ancora
il ragazzo di Marjorie, con lei le cose non erano state chiarite. E io, mi
resi finalmente conto, mi sentivo un verme per quello che stavo facendo. Lo
desideravo, più di ogni altra cosa al mondo!
Non avevo mai desiderato tanto un uomo in tutta la mia vita! E sapevo
che non mi stava ingannando, che non mi avrebbe mai fatto del male. Ma non potevo fare
un torto simile a Marjorie. Gli sfiorai le labbra con un
ultimo bacio, posando le mani sul suo petto ed allontanandolo un poco. Sentivo
il battito del suo cuore sotto le mie dita, accelerato, possente. Mi stingeva
ancora delicatamente ma con fermezza, negli occhi neri un fuoco ardente che
mi attirava e faceva bruciare il sangue nelle vene. Ma resistetti. Mi si
spezzò il cuore, ma non potevo fare altrimenti. Posai le
dita sulle labbra carnose e bollenti, accarezzandole piano. Le baciò
dolcemente ed io trattenni il fiato mentre il mio cuore
perdeva un battito "Vattene." dissi, facendo forza per allontanarmi.
Per un istante vidi
un lampo di disperazione in quegli occhi, seguito da comprensione
e resa.
Allentò la presa ma non mi
liberò. "Ti prego...Vattene!" lo supplicai, e una lacrima mi rigò il viso "Siamo già andati troppo oltre. Sei ancora
il ragazzo della mia migliore amica..." rimisi a posto la spallina. Chiuse gli occhi, sospirando. Sfiorò ancora con le labbra le dita
che avevano bloccato i suoi baci ardenti e mi guardò con un sorriso triste mentre con delicatezza asciugava le lacrime sulle mie
guancie e sulla mia bocca "Elena..." sussurrò piano. "Taci... Ti prego... Non dire nulla finchè non sarai
ben certo di aver messo ordine nei tuoi sentimenti. Ti prego..." ancora una
lacrima e ancora una carezza a portarla via. Stavo rinunciando,
forse, alla persona che più avevo amato in tutta la mia
vita. Ma era l'unica scelta che avevo in quel momento. Benjiamin non disse più nulla,
prese il mio volto tra le mani e posò un bacio leggero
sulla mia fronte. "A domani." salutò accennando un sorriso. "A domani..." risposi. Quando uscì
dalla porta, mi appoggiai ad essa con la schiena e, lasciandomi scivolare, finii
a terra, le braccia strette intorno alle ginocchia, piangendo silenziosamente. Lo amavo
ma mi terrorizzava. Non era solo per Marj che lo avevo respinto. Sapevo che
la storia con lei era praticamente finita da un pezzo. Era perchè avevo paura
di lui! Era troppo bello, troppo forte, troppo coinvolgente! Non mi sentivo
alla sua altezza, non credevo di essere la donna adatta a lui. Amica, sì
certo, sufficiente per essere un'amica. Ma compagna? Di un famosissimo
calciatore? Che sarebbe presto diventato un potente magnate della finanza? Uomo
agognato da donne stupende come Pamela? No, quell'arpia aveva ragione: non ero
abbastanza per lui! Musica allegra continuava a riempire
la stanza mentre le lacrime mi rigavano il volto e
io non riuscivo a non pensare all'onda travolgente di emozioni che
l'uomo al quale avevo rinunciato era riuscito a regalarmi in pochi, intensi
momenti di passione.
Andai all'albergo dove era ospitata la Nazionale. Avevo
la testa in subbuglio. Ero andato da Elena per
parlare di Marjorie e me l'ero ritrovata tra le braccia. E questa volta non si
era sottratta ai miei baci, anzi... Al ricordo del suo sapore, del contatto con la
sua pelle sentii nuovamente ribollirmi il sangue. Era da tanto, tanto tempo che non
desideravo a quel modo una donna. Per quanto avevo negato l'evidenza? Mi piaceva. Molto.
Forse... Sì, ne ero innamorato. Lo avevo ammesso finalmente.
A
Zurigo non avevo capito, avevo temuto di essermi fatto trascinare dagli
eventi, dalla situazione, come con Kristine. Di aver scambiato l'affetto che provavo
per lei per qualcos'altro anche se, certo, mi ero reso conto
da un pezzo di provare dell'attrazione fisica per lei. Ma non
era solo quello, no. L'amavo già allora ma temevo di ammetterlo. E con Marjorie? mi
chiesi. Elena me
l'aveva letterelmente buttata tra le braccia, sperando che potessi amarla,
sperando che lei potesse innamorarsi veramente di me. Ma non era stato così, non
poteva esserlo. L'acqua gelida della doccia ci mise non poco a
calmare i miei ardori. Non riuscivo a non pensare a lei. Il pomeriggio seguente l'avrei rivista
a bordo campo poiché Lauber voleva delle immagini della mia Nazionale. Lei avrebbe
seguito il Giappone e Paul si sarebbe occupato della squadra
tedesca. Mi vestii e scesi a mangiare con i pochi compagni che non avevano
da smaltire il fuso. "Tutto bene, Benji?" la voce di Oliver mi colse alla sprovvista ma se c'era una persona in squadra che
mi capiva sempre al volo era lui. In fondo, non c'era motivo per
mentirgli. "No.
purtroppo no..." risposi posando le bacchette. "Karl?..." Sorrisi divertito alla sua domanda. Ovvio!
Per lui veniva sempre prima il calcio! Normalmente anche per me... Ma
non quella sera. Scossi il capo e il suo viso si
rabbuiò. "Donne?" "Sì." ammisi con un
sospiro, lasciandomi andare contro lo schienale della sedia. "Ti va di fare quattro passi?" mi alzai da
tavola e lo seguii. Ci fermammo al bordo della piscina
dell'hotel. "Allora?" chiese col suo solito sorriso aperto. Presi fiato e risposi, cercando nel frattempo di mettere
ordine nelle mie idee "Sono un'idiota. Ho illuso una ragazza fantastica e
sono fuggito da quella che amo." Mi guardò sollevando un sopracciglio e
chiese fissandomi "Sei sicuro di amarla?" Scossi
il capo "Dopo Kim non sono più sicuro di nulla, lo sai. Sto bene con lei, mi
rende sereno, mi fa sentire me stesso e, come se non bastasse, la
desidero come non mi capitava da tempo immemore con una donna, ma..." "Ma?"
Mi voltai a guardarlo "Mi prenderai per folle." Scosse il capo
sorridendo e mi posò una mano sulla
spalla "Parla." "Mi spaventa." Sgranò gli occhi e
credo che per un istante mi ritenne davvero pazzo. Tutto si sarebbe aspettato, tranne quello "Come?
Ma... Perché?" Mi voltai a
fissare l'acqua sulla quale si specchiava una luminosa mezza luna d'argento "E' forte,
quanto e a volte più di me, eppure è anche terribilmente fragile, sensibile. Mi legge dentro come
neppure Kim riusciva a fare. Mi ha fatto riscoprire lati del mio carattere che
pensavo scomparsi da anni. L'adoro, Oliver, ma mi spaventa. Forse sono fuggito da lei finora perché temevo di deluderla. Perchè
ho il terrore di amarla, di deluderla, di ferirla come ho fatto con
Kristine..." "Cos'è successo oggi perchè tu l'abbia finalmente
ammesso?" "L'ho baciata." "Mmmm..."
annuì pensieroso "E poi?" Chiusi gli occhi per un istante ed avvertii il
profumo di lei stordirmi di nuovo i sensi,
il calore del suo corpo accendere il mio di desiderio. Mi appoggiai pesantemente
alla scaletta "La desideravo, Oliver. Come mai nessun'altra ma..." sospirai, ripensando
alle sue dita sulla mia bocca "Mi ha fermato." "E' stato meglio così." Mi voltai a guardarlo, esterrefatto
"Perché?" la domanda mi sfuggì prima ancora
che potessi pensare di formularla. "Forse, ora che avete ammesso entrambi che
la vostra non è solo amicizia, avete bisogno di
tempo per riordinare le idee." Mi sorrise di nuovo, annuendo ed affacciandosi al bordo
accanto a me. "Ma... Tu come fai a sapere di chi sto parlando?" avevo capito che sapeva chi fosse la donna in questione, eppure, mi
dissi, l'aveva vista solo a Zurigo e probabilmente per non più di dieci minuti! Com'era
possibile? Il suo sorriso si allargò ancor più e mi diede una
pacca amichevole su un braccio "Patty mi ha fatto notare come a Natale
uscisse abbastanza spesso il nome di una certa tua amica, alla quale,
evidentemente, tieni molto... Ho semplicemente fatto due più
due!" Sorrisi di rimando e lui continuò "Sai, Patricia
sospettava qualcosa. Quando sei ripartito mi ha
detto che pensava che tu fossi innamorato ma che non lo volevi ammettere con
te stesso! Ci ha azzeccato!" mi strizzò un occhio e scoppiammo a ridere
insieme. Patty, l'unica persona che poteva arrivare ad una conclusione del
genere! No, certo Oliver da solo non ce l'avrebbe mai fatta! Sorrisi a quel
pensiero. "Cosa mi consigli, amico?" Si avvicinò guardandomi dritto negli occhi, con quello sguardo deciso e carismatico che
tante volte aveva ridato coraggio ai nostri nelle partite difficili "Adesso abbiamo i Mondiali a
cui pensare. Concentrati su quelli, sfoga la tua tensione in partita e
negli allenamenti. Ha sempre funzionato, no? Se continui a rimuginarci sopra,
non ne caverai un ragno dal buco! Vedrai che affrontando le cose con calma,
le tessere del mosaico andranno a posto. Ci sono passato anch'io,
ricordi?" Era vero, pensai. Il mio capitano ci
aveva messo parecchio a capire
cosa provava per Patty e a trovare il coraggio per
dichiararsi. La mattina seguente mi alzai presto ed andai a correre. Sapevo che l'avrei vista ma quando non mi vidi superare da Zingaro a metà percorso, mi
preoccupai. Giunsi al prato grande e sentii il cuore farsi leggero
alla vista del grande stallone che si stagliava sulla distesa verde. L'ansia sparì, e
mi preparai a godermi il solito spettacolo. Rimasi sorpreso quando vidi Zingaro
dirigere verso di me al trotto deciso. "Buon dì!" "Ciao..." Mi regalò un
bellissimo, timido sorriso. Era la prima volta che ci rivolgevamo la parola in
quel prato. "Faresti una cosa per me?" mi chiese chinando la testa da un lato. "Certo!" risposi un poco sconcertato. "Allora seguimi." disse e voltò il cavallo nella direzione in cui era venuta. La seguii.
Si fermarono accanto al troco di un albero che veniva usato come panchina sul quale
era posato un lettore cd. "Quando ti faccio segno, accendi la musica,
d'accordo?" e si allontanò.
Mi accorsi solo allora che sull'erba erano state disposte le
lettere di riferimento per un rettangolo da dressage. Arrivò accanto alla metà campo e mi fece segno con la mano
destra. Accesi il lettore. Avevo una vaga idea di quello che aveva in
mente.
Mi aspettavo musica classica,
invece... Rimasi a dir poco allibito! Quasi tutte le kur sono normalmente montate su
musica classica. Non quella di Elena e Zingaro. Il grosso cavallo morello si
muoveva agilmente, seguendo il ritmo scoppiettante ed inusuale di un brano di
musico pop. Eppure, per quanto bizzarro potesse sembrare,
erano
sempre in armonia, eleganti, belli da vedere. C'era allegria, c'era passione in
quello che stavo vedendo. Il trotto di Zingaro passava fluidamente dal ritmo
incalzante delle allungate a quello più morbido del passage o del piaffe, per
poi entrare nel movimento del galoppo con
eleganza e senza sforzo. Non sono un esperto, ma sapevo che quell'esercizio era
perfetto. Mai un'incertezza, mai un intervento brusco, mai un'incomprensione.
Sempre insieme. Erano perfetti. La musica si spense. In quel momento il
binomio si fermò in un alt piazzato e l'amazzone salutò un'immaginaria giuria di
fronte a lei, per poi allungare le redini e ringraziare il suo adorato
stallone. Lo diresse al passo verso di me, continuando ad
accarezzarlo, gli occhi splendenti come non li avevo mai visti "Solo per te..." mi
sorrise. "Perché?" "Perché sì..." fece spallucce timidamente e distolse lo sguardo dal
mio. "Perché non esci in gara? Siete eccezionali! Non ho mai visto neppure
Marj montare come ha fatto tu ora! Mi aveva detto che non hai mai montato una
kur, e invece..." "Lei non lo sa, altrimenti mi costringerebbe ad uscire. E
io non voglio." "Perché?" chiesi nuovamente, esasperato
dalla sua cocciutaggine. "Perché ho paura!" esclamò con
un gesto quasi stizzito, le labbra serrate e lo sguardo lontano. "Siete bravissimi. " le sussurrai avvicinandomi adagio e
posando una mano sulle sue che erano chiuse sulle redini "Non hai nulla da
temere!"
Non mi guardava, fissava la criniera
dello stallone, risistemandola. "Quando sono davanti al pubblico... mi prende il panico!
Ho paura. Di sbagliare, di essere giudicata. Mi sento addosso lo
sguardo di tutti e ho paura!" Ridacchiai "E io cosa dovrei
dire?" mi guardò, finalmente, con un sorriso contrito "Allo stadio c'è un po' più di gente che a vedere un
dressage, lo sai?" "Lo so... e non sai quanto invidio il tuo sangue
freddo!" "Per me il pubblico non esiste." "Come?" Mi misi ad accarezzare il
muso di Zingaro, che apprezzò e si appoggiò pesantemente alla mia spalla "Io non
sento nulla, non vedo nulla di quello che c'è intorno. Solo la partita, i
compagni, il pallone. Quando poi ho un avversario in area, non c'è veramente
niente altro che la palla. Non importa chi sta tirando. Esiste solo lei. Il
mondo esterno semplicemente non esiste più. Non mi interessa... E'
così da sempre." "Non credo di essere in grado di fare una cosa
del genere..." affermò convinta, scuotendo il capo. "Io credo di sì, invece."
Ne ero assolutamente certo. Se avesse voluto ce l'avrebbe fatta. Quel pomeriggio gli
allenamenti cominciarono puntuali alle quattro. Notai con la coda dell'occhio la
sua figura esile a bordo
campo armeggiare con macchine ed obiettivi che parevano più grandi di lei. Ormai
era un'abitudine vederla alle mie spalle o a metà campo. Freddy ci mise
subito sotto. La nostra Nazionale non gioca insieme quanto quelle europee e ogni
volta ricreare un gioco di squadra armonico è il primo lavoro da fare.
Oliver trascinava il gruppo come sempre. A qualcuno parve strano che io e Mark non
ci fossimo ancora scannati. Nessuno aveva notato lo sguardo d'intesa e l'accenno
di sorriso che mi aveva rivolto. In fondo, eravamo sempre stati amici ed inoltre, lui
sapeva... La prima parte del pomeriggio volò via. Ero felice di giocare
nuovamente con i miei compagni. Ad un certo punto, qualcosa attirò la mia attenzione. Vidi
Elena rispondere al telefono tramite l'auricolare. Nulla di strano, mi
dissi, capitava spessissimo. Quello che mi stupì e preoccupò fu quello che
accadde poi. La vidi avvicinarsi a Lukas, l'altro fotografo del Bayern,
affidargli l'attrezzatura e correre via. Terminai gli
allenamenti con una sensazione di angoscia che mi stringeva lo stomaco. In spogliatoio
non proferii parola, ed Oliver se ne accorse. Mi guardò preoccupato,
ma non chiese nulla. Riaccesi il telefono e subito arrivò un
messaggio. "Le ragazze non ti danno tregua, eh Benji?!" mi canzonò il solito
Bruce. "Karl..." "Karl?" Holly mi lanciò un'occhiata impensierita. In
quell'istante il cellulare si mise a squillare. "Dimmi
Schneider!" "Benjiamin..."
la voce del capitano del Monaco era a dir poco
angosciata. "Che hai Karl?" "Zingaro..." "Cosa!?" sentii un baratro aprirmisi sotto i
piedi: quel cavallo era la vita di Elena! Non poteva, non doveva essergli
accaduto nulla! "Una colica?" chiesi subito, ricordandomi di
Konstantin. "No, peggio! Pare che abbia litigato
con un altro stallone e ne sia uscito malridotto! E' in clinica veterinaria."
Per un istante rimasi immobile, un unico pensiero che mi
torturava l'animo. "Vai da lei." la voce del Kaiser mi
riportò alla realtà. "Karl..." "Muoviti! Ha bisogno di
te." Mollai tutti davanti all'albergo. Diedi una spiegazione sommaria al
mister e volai alla clinica Kloster. Mi
accolse Kristine, in lacrime. "Karl è arrivato due minuti
fa..." mi disse. "Cos'è successo?" l'abbracciai,
lasciando che sfogasse le ultime lacrime sulla mia spalla. "Verso le
cinque sono andata a riprendere i cavalli al paddok. Ho trovato Zingaro in una
pozza di sangue, il posteriore squarciato dalla groppa fin quasi al
garretto.." "Ma com'è possibile!?Chi..." "Sebastian..."
"Sebastian? Il puledro di Marjorie? Ma come?" Scosse il capo "Colpa mia... Pensavo fosse ancora giovane
per mettersi a litigare con uno stallone più anziano. Invece ha saltato il
recinto ed è andato a sfidare Zingaro. Ha
una brutta botta nel costato e un paio di morsi ben assestati sul collo, ma deve
aver ferito Zingaro con un ferro..." "Come sta?" chiesi con la voce che tremava. Scosse di nuovo
la testa "Ha perso molto sangue..." "Elena?" non riuscivo neanche immaginare
quanto stesse male. "Vieni." disse e mi portò davanti
alla porta di quella che doveva essere una specie di sala per la terapia
intensiva. Lì fuori Marjorie in lacrime, vestita col camice operatorio, piangeva
stretta tra le braccia di Karl, il quale mi fece cenno col capo di entrare. Zingaro era disteso a
terra, su un letto di soffice paglia. Sul posteriore destro spiccava una lunga
ferita appena ricucita e una grossa fiala di sangue era collegata al suo
anteriore. Respirava appena, ad occhi chiusi. Elena era seduta a terra
accanto a lui e lo accarezzava piano sul collo. Piangeva. Restai per qualche
minuto alle sue spalle, in silenzio. "Elena..." Si voltò. Gli occhi color
dell'autunno colmi di lacrime, cerchiati di rosso. Il viso pallido, lo sguardo
vacuo. Si alzò improvvisamente in piedi e me la ritrovai tra le braccia. La
tenni stretta, senza dirle nulla.
Era passata una settimana, i
Mondiali si avvicinavano. Paul e Lukas mi avevano sostituito a bordo campo
seguendo gli allenamenti e le partite di Giappone e Germania in programma in Europa.
I nipponici avevano giocato un'amichevole contro la
Svizzera, stravincendo. Non sarei andata in Sud
Africa. Lauber fu molto comprensivo, Zingaro era messo male, molto male ed
io non me la sentivo di lasciarlo solo. Non avevo
più rivisto Benjiamin da quel giorno. Mi davo la colpa di quello che era
successo, mi pareva di essere vittima della pena del contrappasso! Il
giorno prima avevo baciato il ragazzo della mia migliore amica, il pomeriggio
seguente il suo cavallo aveva quasi ammazzato
il mio stallone. Me l'ero meritato! Marjorie amava Benjiamin da una vita, non
avevo alcun diritto di fare quello che avevo fatto! Anche se le cose tra loro
non andavano come dovevano, non avevo alcun diritto. Quel pomeriggio tornai a casa
dalla clinica che Marj era già rientrata. Sapevo che si sentiva in colpa per
Sebastian, ma io avevo un peso sulla coscienza. Presi il coraggio a due mani
e cminciai a parlare, appoggiandomi pesantemente al muretto che divideva il
cucinino dal salotto e guardandola con aria
seria mentre finiva di preparasi un
thé. "Marj..." "Mmmm?" mugugnò col cucchiaino tra le labbra "Ho da dirti una cosa..." "Zingaro?" chiese,
subito preoccupata. Scossi il capo e l'abbassai, fuggendo il suo sguardo "No, Benjiamin..." Si sedette sul divano e mi
fissò severa, trafiggendomi con quegli occhi azzurro cielo che s'eran fatti
cupi in un istante "Mi pareva..." "Come?" rimasi sorpresa dal suo
tono piuttosto scocciato. "Beh, l'altro giorno si è catapultato da te. Siete stati
da soli in rianimazione almeno mezz'ora. Quando è uscito non mi ha degnata quasi
di uno sguardo..." "Marj..." mi sentii morire, mi mancò il pavimento sotto ai
piedi e l'aria nei polmoni. Era vero, Benjiamin non l'aveva degnata di uno
sguardo... Era tutto così palese. Tutto così dannatamente sbagliato... "Piantala!" mi urlò contro "Se eri innamorata di lui potevi
evitare di buttarmi fra le sue braccia! E di prendere per il naso anche Karl!
Non mi ama, non mi ha mai amato e non mi amerà mai!" Piangevamentre mi gridava contro la sua rabbia. Accennai un passo verso
di lei "Marj, ti avevo detto..." "Cosa!? Che non lo amavi?
Che non ti interessava? Bugiarda! Sono quindici anni che sogno quell'uomo,
non ho mai avuto una storia vera perché ho sempre desiderato solo lui! Così
vicino eppure così distante! Karl me lo ha fatto conoscere! Lui me l'ha fatto
amare! Tu me l'hai solo portato via!" Quelle parole mi fecero
male, lei non sapeva quanto... Avevo sbagliato. Avevo sbagliato
tutto! Avevo mentito a lei, a Karl, a me stessa. E tutto perché non avevo
avuto un briciolo di coraggio, per l'ennesima volta, nell'affrontare la
vita. Mi sentii schiacciata dagli eventi, che mi scorsero rapidi e
dolorosi nella testa. E d'un tratto
mi resi conto che un tassello non quadrava... "Tu non ami Benjiamin...
Tu neppure lo conosci!" "Cosa?! Come ti permetti!" puntò il suo
sguardo azzurrissimo su di me,
con tutta l'intenzione di folgorarmi. "Tu sei innamorata di un'immagine che ti sei fatta
di lui. Un sogno che ti sei costruita basandoti su quel che ti raccontava Karl.
Che non ti parlava poi così tanto di Price, quanto di se stesso, della vita
della squadra e, sì, anche del suo migliore amico... Tu ami il tuo uomo perfetto Marj,
e lo hai dentificato con Benji. Ma da chi sei corsa l'altra
sera?" Nei suoi occhi, d'improvviso,
un'espressione smarrita. Sapeva che avevo ragione. Il primo a sapere dell'incidente
non era stato l'SGGK ma Karl. La prima persona che Marj aveva
chiamato era stato lui. Non colui il quale era, fino a prova contraria, il suo
ragazzo, ma il suo amico di sempre... "Ele, io..."
disse con un fil di voce, crollando tra i cuscini del divano. Mi sedetti di
fronte a lei e raccolsi tutto il mio coraggio. Dovevo dirglielo.
"Io sono imperdonabile, Marjorie.
L'altra sera ho baciato Benjiamin." "Come?" la rabbia ritornò
repentina sul suo viso. Non potevo darle torto "Come hai potuto?!" urlò
nuovamente, alzandosi di scatto e cominciando a camminare infuriata per la stanza,
stando ben attenta a starmi il più lontana possibile. "Ho sbagliato. So che non mi perdonerai
facilmente... Non lo pretendo. Hai ragione. Lo amo. E l'ho messo tra
le tue braccia perchè sono una vigliacca, perchè ho paura di amarlo. E perchè
speravo che voi due sareste stati felici insieme..." "Tu..." sibilò
furiosa "Lo sapevo! Fino da Zurigo! Altro che
tentare di farci andare d'accordo! Cercavi di farlo innamorare di te!La povera
piccola, innocente Elena!" La rabbia la stava facendo sragionare, ne ero consapevole, ma non ressi
quell'insulto. Non da lei che mi conosceva da una vita! "Lo sapevi?" mi alzai dal tappeto sul quale ero
rimasta inginocchiata e l'affrontai "Fin dall'inizio? E allora perchè non
hai tentato di aprirmi gli occhi, eh? Certo, perché Benjiamin era solo tuo! Se
sapevi che in realtà amavo lui, perché mi spingevi tra le braccia di Karl?
Perchè continuavi a dirmi: "Vi innamorerete, vedrai?" Non pensavi a quanto ci stavo male, in fondo, a
cercare di tenervi uniti? Non pensavi che avrebbe sofferto anche
Karl?" "Oddio... Karl..." si fermò,
voltandosi di scatto tanto che due boccoli dorati le s'incastrarono nell'angolo
della bocca. "Già. E non pensi a quanto ha sofferto per
te?" Di quello avevamo parlato io e lui la sera prima che partisse per il
ritiro della Nazionale, la sera che avevamo deciso che il nostro rapporto, da quel momento,
sarebbe stato di sola amicizia. Era inutile continuare a mentire, continuare a fingere.
Non eravamo fatti l'uno per l'altra. "Ma..." "Marjorie" dissi,
riprendendo un tono più calmo "abbiamo bisogno tutti
quanti di una bella pausa. Ma loro due, ora più che mai, se ne devono stare
tranquilli. Hanno altro a cui pensare! Dopo i Mondiali..." Si
sedette sul divano a gambe incrociate, lo sguardo basso, vuoto "Ho rovinato
tutto..." "Come?..." Stupita da quell'affermazione, mi sedetti
cautamente accanto a lei e le scostai delicatamente i capelli dal viso. Chiuse gli occhi e iniziò a piangere "Avevamo fatto l'amore. Era
stato bellissimo, come sempre. L'avevo abbracciato. Era stupendo, un sogno...
Gli ho detto "ti amo". Mi ha stretto a sé... E non ha risposto. Mi sono
sentita morire... Non mi ama. Lo sapevo. Mi sono arrabbiata, l'ho insultato e di nuovo è
rimasto in silenzio. Ha incassato e basta. Ma si vedeva che era triste. Se fossi stata
zitta... sarebbe ancora con me..." "Marj... Lo sai che non è
vero." Sollevò gli occhi da gatta, lucidi di lacrime "Ele..." "Sarebbe stata una bugia, tutta una bugia! E il
primo ad andarsene sarebbe stato
lui." le dissi mentre le lacrime cominciavano a rotolare lungo le mie
guance. "Allora perché non mi ha lasciata prima?!" Le sorrisi e scossi
triste il capo "Perché l'ho
convinto io... E ho sbagliato..." "E' innamorato di te?" mi chiese sussurrando tra un
singhiozzo ed un altro.
"Non lo so..." sospirai. E avevo paura di saperlo, pensai. Sarei stata solo una delusione per
lui. Marjorie mi abbracciò
stretta e piangemmo insieme come era capitato mille altre volte. Eppure io sapevo che
qualcuno avrebbe raccolto con cura il cuore in cocci della mia amica, per poi
ricomporlo con amore. Un amore tenuto in serbo per tanti, troppi anni...
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Capitolo 20 *** 19 ***
ac17
La luce rosata dell’alba stava abbandonando le piste
dell’aeroporto di Monaco. Mi lasciai cullare dal rollio dell’aereo e trattenni
il fiato quando la potenza dei motori lo scaraventò in aria. Sentii i ragazzi
rilassarsi e ricominciare a chiacchierare e ridere non appena arrivammo in quota
e si spense il segnale rosso. “E naturalmente, chi è stato l’unico fortunato
ad essere salutato da una bella damigella alla partenza?” Bruce rivolse ad alta
voce quella domanda e gli altri risposero con risatine e commenti ironici,
lanciandomi occhiate divertite. L’unico a tacere fu il capitano, seduto
accanto a me. Chiusi gli occhi ed incrociai le braccia sul petto, abbassando la
visiera del cappello senza reagire alle provocazioni. L’ultima cosa che udii fu
Oliver che diceva ai ragazzi di lasciarmi in pace, prima di sprofondare
nel sonno e nei ricordi. Quella mattina
dovevamo finalmente partire alla volta del Sud Africa. Eravamo praticamente
tutti pronti e ci stavamo accingendo a salire sul pullman quando un’auto
sportiva rossa entrò nel parcheggio dell’hotel attirando la mia attenzione.
Stavo parlando con Holly e Tom e m'interruppi
all'istante,
basito. Era l’auto di Elena. Rimasi a fissarla imbambolato mentre una testolina bionda faceva
capolino dallo sportello che s'apriva. Mai e poi mai mi sarei aspettato che Marjorie venisse a salutarmi,
non dopo tutto quello che era successo. “Scusate un attimo” dissi e mi allontanai dagli altri, dirigendomi verso l’automobile. Non feci
caso alle risatine dei miei compagni e malapena mi accorsi del mio capitano che mi
sfiorava un braccio, incoraggiante. Marjorie era a pochi passi dalla macchia, le
labbra strette e gli occhi luccicanti di lacrime. “Perdonami…”
la udii sussurrare. Scossi il capo,
sorridendole amaramente mentre le asciugavo la guancia col dorso delle dita “Direi che sono io a dover chiedere perdono. Ti avevo promesso che non ti avrei né
illusa né ingannata. Non ho tenuto fede alle mie parole e ti ho fatto soffrire.
Non te lo meriti, assolutamente.” Due lacrime le solcarono nuovamente il
viso, i riccioli biondi dondolarono in segno di diniego “Sbagli: io mi sono illusa. Io mi sono
ingannata. Elena aveva ragione. Come sempre. Sono innamorata del mio “uomo
perfetto” e l’ho identificato in te… Volevo, pretendevo che tu fossi come ti ho
sempre immaginato, ma non può essere così!” “Marjorie, io…” “Aspetta! Fammi finire! Abbiamo sbagliato, abbiamo cercato
tutti le soluzioni alle nostre paure dove sapevamo che non le avremmo
trovate! Tu eri solo un sogno e tale dovevi rimanere! Elena aveva sperato che io
fossi la soluzione ai tuoi problemi, solo perché…” mi guardò, affondando lo
sguardo azzurro nel mio. Sapevo dove voleva arrivare e avvertii una
morsa serrarmi la bocca dello stomaco “perché sa benissimo di
essere lei la soluzione, e ne è terrorizzata!
Sono stata un’egoista! Non ho voluto accettare
che la vostra non era più solo amicizia già da tempo solo perché lei mi ha
gettata tra le tue braccia! Ed io ero convinta di amarti...” Mi sentii
improvvisamente leggero, come se il peso di quelle verità mi fosse scivolato di
dosso semplicemente per il fatto di averle finalmente ammesse. Era vero. Era maledettamente
vero! Avevamo passato mesi a fuggire l’una dall’altro solo perché temevamo di
innamorarci, quando ormai, in realtà, era già
accaduto.
Elena si era aggrappata a Karl, io a Marjorie, e viceversa.
“Benjiamin…” la voce sommessa mi riscosse dai miei pensieri “ tu la ami. E lei ama te. E
non so chi dei due abbia più paura ad ammetterlo!” Sorrisi, sincero e sereno “Hai
ragione Marjorie, e ti chiedo ancora di perdonarmi.
Sono stato uno stupido. Sono fuggito davanti ad un sentimento che, lo
ammetto, mi spaventa e così facendo vi ho fatte soffrire entrambe. Sono
davvero imperdonabile!”
La mia ormai ex ragazza mi si avvicinò ed alzandosi un poco in punta di
piedi, mi dette un bacio leggero sulla guancia per poi restare a fissarmi da
vicino, sorridendo appena con uno sguardo serio negli occhi “Quando tornerai non
sarà facile con lei. La conosci, forse ormai meglio di me! E’ forte ma
terribilmente insicura di sé stessa.
Non è stato coraggio quello che le ha impedito di
cedere alle tue avance, è stata paura! Dovrai essere molto bravo e molto paziente
con lei, ma sono sicura che tu sei l’unica persona che possa farla
veramente felice!” “Grazie.” Le
risposi semplicemente. Non mi aspettavo quelle parole e mi avevano fatto
bene “E tu?” chiesi andando immediatamente col pensiero a Karl. Si
allontanò, sorridendo “Mmmm, sai… Credo
che dovrò risolvere un problemino simile al vostro. C’è un certo capitano
che è una vita che mi fa da balia e credo di averlo sempre escluso dai
miei pensieri proprio perché tengo talmente tanto a lui da avere il terrore di
perderlo!” “Non lo perderai mai, Marj.” Il suo
viso si illuminò “Credi anche tu? E’ la stessa cosa che mi ha assicurato la mia
migliore amica! Ma ora và, altrimenti i Mondiali non li giochi!” Le sfiorai
la fronte con un bacio e corsi dai miei compagni che mi stavano chiamando a gran
voce. Avevo il cuore più leggero e la
mente finalmente sgombra. Ero pronto a giocare il mio ultimo Mondiale dando
davvero il meglio del meglio di me.
Zingaro era tornato in scuderia. La ferita gli
doleva, il pelo era meno lustro del solito ma i grandi occhioni scuri dicevano che
non aveva nessuna intenzione di mollare. Lo stavo
strigliando e intanto ripensavo ai giorni appena trascorsi e a tutto ciò che
avevano lasciato e portato via, rotolando nella mia
vita come le onde sulla battigia. Pensavo a Karl. Ci
eravamo lasciati, senza rimpianti né
rancori. Avevamo parlato molto, moltissimo, anche, sì, di quello che era accaduto tra
me e Benjiamin. E di quello che non era mai successo tra lui e Marj.
Che situazione assurda! mi trovai a pensare. Quattro
persone adulte, all’apparenza sicure di sé, affermate professionalmente e
stimate nei rispetivi ambienti di lavoro, in realtà rose dalle stesse
paure, dalle stesse insicurezze che le rendevano fragili e incapaci di
instaurare rapporti sentimentali veri e stabili. Pensavo a Benjiamin, e mi
rendevo conto di non poter fare a meno di avvampare, ricordando le sue mani su
di me, la sua bocca sulla mia e la sua voce che sussurava suadente facendomi
accendere il sangue nelle vene.
Pensavo al
suo abbraccio, ai suoi rari e preziosi sorrisi e a quanto stavo bene con
lui... “Heilà! Ci sei o sei in Sud Africa?” la voce di Kris mi riscosse, riportandomi al presente e strappandomi ai miei sogni ad occhi
aperti. “Ci sono,
ci sono capo!” risposi allegra, dando un'ultima vigorosa bruscata al mantello del mio stallone. “E invece non ci sei…” Kristine scrollò la frangia biondo cenere, sogghignando maliziosa “Muoviti! Tra poco iniziano!” Riportai Zingaro nel box e mi avviai con lei
in club house, dove ci aspettava Marjorie davanti al televisore. La mia biondissima amica mi
sorrise, facendomi posto sul divanetto accanto a lei, e io ricambiai. I nostri
attriti si erano sciolti. Ci siamo sempre volute bene, ci siamo sempre capite.
Avevamo parlato ed eravamo giunte ad una conclusione: dopo i Mondiali avremmo
finalmente preso il coraggio a due mani dando una svolta alle nostre
vite. Seguimmo tutte le partite delle eliminatorie di Germania e
Giappone in quella saletta, soffrendo ad ogni Fire Shot non andato a segno,
coprendoci gli occhi ogni volta che un avversario entrava nell’area
nipponica.
Ma passarono
entrambi... Agli ottavi: Germania – Argentina, Giappone – Svezia. Il Kaiser
fu spettacolare, i suoi compagni, eccezionali. Dieter Muller contendeva a
Benjiamin il titolo di miglior portiere dei Mondiali. La classe e la fantasia
argentine vennero travolte dall’armata teutonica. Il gioco della squadra tedesca
non lasciò spazio né ad errori, né ad incertezze. Due a zero. Marcatori Schneider
e Margas. Temevo molto l’altra
partita: Stefan è un ottimo compagno di squadra ma anche un avversario
notevole. Certo, il suo gioco non era più violento come quello di un tempo, ma
il Levin Shot non è un bel regalo. I polsi di Price ne avevano un brutto
ricordo. Oliver si dimostrò nuovamente un eccellente regista.
Affiancato da Tom era veramente imbattibile, mentre Mark era nel pieno della
forma. Erano una squadra. Avevo seguito solo un loro allenamento,
solo una volta li avevo visti giocare dal vivo, da vicino, e mi avevano dato
esattamente quella sensazione. Erano una squadra. Legati dall’amicizia,
dall’amore per il calcio, dalla voglia di vincere. Forse perché venivano da quel
Paese lontano dove si ha una concezione tanto diversa, forse più vera, di onore
e di amicizia.
E poi c’era lui:
Oliver Hutton! Un trascinatore, una forza della natura! Sereno, calmo, un’ancora
di salvezza per i suoi compagni, un generale in mezzo ai soldati. Benjiamin
ne aveva un rispetto quasi reverenziale e questa cosa mi aveva portato a guardare
con attenzione quel ragazzo un poco più piccolo degli altri, ma con un carisma
eccezionale. Fu una partita dura. Levin è un regista d’eccezione e ha ben poco da
invidiare ad Hutton, ma la Svezia dovette soccombere. Le bordate violentissime
del suo capitano non infransero la barriera dell’ SGGK mentre un Drive Shot
preciso e potente sfondò la rete della squadra venuta dal freddo. L’ultima
azione fu per gli svedesi: Stefan, dopo un’abilissima e splendida triangolazione
con Hegger, si trovò solo davanti alla porta. Il tiro fu potente ma non ne vidi la
conclusione, avvertii solo la mano di Marj che stritolava la
mia. “Ragazze, potete ricominciare a respirare!” sentii
Kristine ridacchiare e sospirai di gioia vedendo Benjiamin che si rialzava da
terra, accingendosi ad effettuare un lunghissimo rinvio per Diamond.. Io e Marj ci guardammo
sorridendo, abbracciandoci. Due minuti dopo aveva termine la
partita. Ai quarti Spagna – Germania e Francia – Giappone I compagni di campionato di Holly non diedero
vita facile al Kaiser ed ai suoi. Dopo novanta estenuanti minuti di partita e
mezz’ora di supplementari, si andò ai rigori. Muller diede il meglio di sé. Era
bravo, molto molto bravo. Era l’unico portiere della Bundesliga ad avere una
media pari a quella di Price su Schneider. E la Germania passò.
La partita si era giocata sotto un’acqua battente. D’altronde,
in Sud Africa, era praticamente inverno. Il giorno seguente ancora pioggia.
Una volta, ricordai, avevo chiesto a Benjiamin cosa ne pensasse del
freddo tedesco e degli improvvisi temporali che scuotevano il fine estate
in Germania. Mi aveva risposto sorridendo e scrollando le spalle “Ormai non ci
faccio più caso, sai? Mi sono abituato a giocare in qualsiasi situazione, anche
con la neve. Un po’ d’acqua non mi spaventa.” La Francia
era una brutta gatta da pelare e di certo la pioggia battente che rendeva
insidioso il campo e viscide ed insicure le prese faceva sì che tutto fosse più
difficile. Tom conosceva bene i francesi ed Oliver gli lasciò la regia,
facendogli da spalla e puntando tutto l’attacco su Lenders. Da parte sua
Price organizzò magistralmente la difesa, facendo sì di tenere gli avversari il
più fuori possibile dall’area, costringendoli a tirare dal limite e facendo
della pioggia un’alleata importante, ben sapendo che Napoleon e Le Blanc
non hanno la potenza di Levin o Schneider.
Mark segnò due splendidi goal e realizzò uno
spettacolare assist per il suo capitano, dandogli l’occasione di siglare la
terza rete. Marj ed io avevamo guardato la partita da casa, strette su quel divano che
aveva dovuto sopportare tante volte le acrobazie della mia coinquilina quando seguiva
il suo eroe durante le partite del Bayern. Giappone si qualificò e l'avversaria successiva sarebbe
stata l'Italia. “Oh accidenti! E
adesso?! Per chi tifo?” Mi chiesi ad alta voce, osservando gli
accoppiamenti delle squadre sul monitor. "Ahi!" un cuscino, lanciato con
vigore e mira, mi aveva centrato una spalla e sbilanciata, facendomi crollare
sul divano. Marj s'era alzata e mi guardava con una buffa smorfia di disappunto
sul viso, le mani strette a pugno puntate ai fianchi
e lo sguardo corrucciato
“Cretina! Per lui, no? Ma ti
pare!?” La ramanzina che doveva seguire venne interrotta fortunatamente dal mio cellulare che
squillava. “Pronto!
Ciao capo!” esclamai allegra ma preoccupata, mentre nel frattempo rilanciavo il
cuscino alla bionda, facendole la linguaccia. “Ele! Un disastro! Lo
so che avevi chiesto di non andare ai Mondiali, ma siamo nei guai!” la voce di
Sonya era tesissima. “Che è successo di tanto
grave?” le chiesi sistemandomi a sedere composta e facendo cenno a Marj di ascoltare. “Lukas tra ieri e oggi alla partita ha preso parecchio freddo ed ora ha la schiena bloccata! E
Paul non può fare tutto da solo…” Sapevo perfettamente cosa voleva
dire. Io non avevo nessun obbligo, il mio lavoro col Bayern era una
collaborazione da libero professionista, non ero assunta, non ero una
dipendente. Ma non potevo dar loro picche, Lauber aveva fiducia in me e nel
mio lavoro, era stato sempre gentilissimo. Quando poi era accaduto il
fattaccio si era prodigato in ogni modo per me. Inoltre aveva accettato il
mio diniego ad andare in Sud Africa dopo che era stato informato dell'incidente
di Zingaro. Il mio stallone però stava meglio e Sonya mi aveva pregata più di
una volta di andare ad unirmi ai miei colleghi, soprattutto per avere qualche
scatto in più di Benjiamin.
La
società, ovviamente, era al corrente delle sue decisioni ed era già in progetto un'uscita
di scena in pompa magna per il SGGK.
Le ruote dell’aereo percossero violentemente l’asfalto
della pista mentre un paesaggio quasi lunare sfrecciava tutt’intorno. Avevamo
vinto. Eravamo in semifinale.
Il mio sogno si avvicinava. Scendemmo la
scaletta, ci avviammo al terminal e dopo qualche minuto un altro veivolo toccò
terra. Stavamo tornando al villaggio creato appositamente per ospitare
giocatori, staff medici e tecnici, giornalisti e fotografi, situato alla
periferia di Cape Town. Ci attardammo un poco all’ingresso dell’aeroporto: Harper, in
uno dei suoi soliti eccessi d'allegria, mentre scherzava coi fratelli Derrik aveva
aperto il suo bagaglio, rovesciandolo. “Ehi, Price! Se quello è lo standard
dello staff tecnico del Bayern, giuro che cambio squadra!” “Bruce, piantala
o Evelyn ti ammazza!” Crocker e Diamond ripresero, canzonandolo, il nostro difensore. Mi voltai, seguendo lo sguardo di
Herper, non capendo a cosa alludesse. E rimasi senza parole.
Mi
dava le spalle ma la riconobbi: tacchi alti, abito nero giacca e pantaloni, quando
si voltò notai sul risvolto il ricamo dello stemma della squadra. Lo
scollo ampio della camicetta candida fece intravedere appena la curva del seno
quando si chinò a raccogliere la tracolla dell’ottica che aveva accanto. Scostò
la massa ribelle di capelli castani dal viso ed incrociò lo sguardo col mio.
Restammo immobili un attimo. Poi mi sorrise, portando due dita alla fronte, come
uno scherzoso saluto militare. Le risposi toccando la tesa del cappello e
sorridendole a mia volta. I suoi occhi cambiarono traiettoria, puntandosi alle
mie spalle. Dall’aereo atterrato dopo il nostro era scesa la nazionale
tedesca. Karl mi venne incontro. Ci scambiammo una stretta di mano ed una
pacca sulla spalla. “Ora la squadra è proprio al completo…” disse ed accennò col
capo verso Elena. “Già, a quanto pare sì.” Il pomeriggio seguente una figurina
ben nota armeggiava con macchine fotografiche ed ottiche più grandi di lei a
bordo campo. Era una
sensazione strana. Mi dava tranquillità. Quei giorni
erano stati difficili, molto difficili. La squadra stava andando forte, contro
ogni pronostico. L’umore era alle stelle ma eravamo tutti tesi, concentrati allo
spasmo. Vederla lì, al suo posto alle mie spalle, mi faceva sentire
a casa. I ragazzi si accorsero del mio cambiamento di umore ma pensarono
derivasse dal fatto che eravamo in semifinale. Tutti, tranne Oliver. Al termine
dell’allenamento richiamò la mia attenzione e mi sorrise strizzandomi un occhio,
accennando col capo a bordo campo. Mi avvicinai a lei togliendomi i guanti. I lunghi
capelli mogano erano raccolti sotto un cappellino e l’ampia pettorina numerata
nascondeva le curve del corpo. “Zingaro?” le chiesi. “Meglio.
Molto meglio. Lukas un po’ meno…” rispose mettendo in ordine l’attrezzatura. “Ho
saputo.
Sei qui a sostituirlo…” “Già…” parlava senza
guardarmi in viso, concentrata sul suo
lavoro. “Allora…buona giornata!” me ne andai col cuore
pesante. “Domani farò uno strappo alla regola!” mi gridò dietro,
costringendomi a voltarmi. "Ovvero?" chiesi
sorpreso da quel cambio repentino d'atteggiamento. Mi sorrise, togliendo gli
occhiali scuri e fissandomi finalmente con gli occhi color dell’autunno “Credo che sarà
la prima volta in trent’anni che pregherò che la mia Nazionale non
segni!” “Perché? Hai dubbi, per caso?” Socchiuse gli occhi,
sorridendo appena e scotendo il capo “No. Ma non si sa mai…” Gli altri stavano andando
in spogliatoio, qualcuno si era seduto sull’erba a rinfrescarsi e
chiacchierare. “Ehi, SGGK! Da quand’è che ti abbassi a
parlare con i fotografi?” normalmente il tono strafottente di Mark mi avrebbe mandato in
bestia, invece gli risposi con tono quasi allegro, passandogli oltre senza degnarlo
di uno sguardo “Da quando il fotografo è una splendida ragazza,
Lenders!” Scorsi un sopracciglio scattare verso l’alto mentre il mio vecchio
rivale si sporgeva oltre Danny, seduto accanto a lui, quasi sdraiandosi
sull’erba per guardare meglio il soggetto della nostra discussione. In
quell’istante Elena tolse il cappello, sciogliendo la massa ribelle dei capelli
castani. La pettorina era stata appoggiata su un cavalletto e le forme
morbide a clessidra strapparono un fischio a Mark. I jeans a vita bassa
lasciavano scoperto il tatuaggio in fondo alla schiena mente una maglia rossa a
maniche lunghe, attillata e scollata a V chiudeva l’effetto rendendo il tutto
piuttosto sensuale. Sorrisi sarcastico vedendo gli sguardi imbambolati dei miei
compagni. "Cos'è, Lenders? Anche tu all'improvviso
vorrai entrare nel Bayern l’anno prossimo?” lo canzonai, dando un’ ultimo sguardo al mio
brutto anatroccolo ed avviandomi negli spogliatoi. Non si accorgeva di come la guardavano gli uomini. Non
sapeva quanto l’ammirassero. Si era sempre chiusa in se stessa, timida e
spaventata come un gattino per poi andare a cacciarsi tra le braccia di lupi
travestiti da agnelli.
Ma non quella volta.
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Capitolo 21 *** 20 ***
ac18
Le fiamme del camino danzano
pigre nel tentativo di spegnersi, riempiendo di bizzarri riflessi il bicchiere
semivuoto che reggo in mano ormai da ore, perso nei miei pensieri.
Fuori piove.
E’ stata una primavera fredda,
questa che sta volgendo al termine.
Quasi un anno…
Porto il calice alle labbra e
subito l’aroma intenso del brandy invecchiato mi assale le narici, mentre il
gusto violento dell’alcool mi riporta alla realtà.
Una fotografia in più tra le
tante…
Una medaglia in più, ma questa e
quella hanno posti d’onore tra le decine che affollano quell’angolo di sala.
Mi soffermo a fissarle.
Il fuoco si riflette sull’oggetto
dorato rendendolo vivo, facendone confondere la superficie cesellata con mille
calde sfumature.
Abbandono il
bicchiere sul tavolo accanto a
me e mi levo in piedi, attirato da quel bagliore. Il contatto col freddo
metallo risveglia altri ricordi.
Sogni.
Desideri realizzati.
Amici.
Amori…
Lo sguardo corre all’immagine lì
accanto. Il compimento di un sogno.
“La fine
di una vita e l’inizio di un’altra. Sarai sempre un campione, qualunque cosa tu
faccia.” E una firma. Non ho bisogno di
avvicinarmi per leggere, conosco quella dedica a memoria.
Stasera,
decido, ho voglia di farmi del
male.
Sfioro con le dita le copertine
dei dvd che affollano la mia libreria. Eccolo: una custodia bianca; sulla costa,
il mio nome, il simbolo del sol levate e la bandiera tedesca.
Soppeso un attimo se torturarmi
ancora un poco, prima di decidermi a sfilarla dal suo posto.
Un regalo di Natale.
Sorrido
ripensando alla faccia che fece Oliver quando scartai quel
pacchettino rosso, sotto l’albero a casa sua ormai più di un anno
fa.
Tutta la mia carriera, tutta la
mia vita...
Le immagini iniziano a
susseguirsi lente seguendo il crescere di quel brano di musica metal che è tra i
miei preferiti.
Goditi il silenzio, dice.
Il silenzio.
Mi manca.
Mi concentro sul video che avanza
ora incalzante davanti ai miei occhi.
Oliver, Tom,
Mark, Ed, Bruce…
E poi ancora Karl, Hermann,
Dieter, Napoleon, Sho, Stefan….
Sono tutti lì. Raccolti in pochi
minuti di musica e immagini.
L’ultima, l’assegnazione del
Fifa World Player. Le ultime note si spengono, lo schermo diventa buio per
pochi secondi. Poi lo sfondo nero viene improvvisamente graffiato da una
calligrafia tagliente, che scrive in bianco una sola parola: “Continua…”
Socchiudo gli occhi, fissando
ancora una volta lo sguardo su quella foto, su quei volti.
Come fosse ieri.
La partenza per Cape Town, le
prime partite, la pioggia violenta sui quarti di finale…
Il suo arrivo improvviso.
E la
semifinale, contro la Nazionaledel suo Paese.
Eravamo euforici, ma anche molto
tesi. L’Italia di quei Mondiali era una gran squadra, migliore, sotto molti
aspetti, di quella che aveva vinto la Coppa del Mondo quattro anni prima.
Il tempo sembrava voler essere
clemente. Non pioveva più da due giorni e un pallido sole fece capolino sul
campo.
Il sorteggio diede la palla ai
nostri avversari che non si fecero attendere. Passaggi brevi, veloci, precisi.
Oliver e Tom accettarono immediatamente la sfida degli attaccanti azzurri. L’ebbero vinta
ma la loro progressione venne fermata sul nascere dall’onnipresente Gentile. Mark, che stava
per ricevere il pallone, dovette rientrare. Cominciammo subito a ritmo sostenuto. Dopo pochi minuti
Julian e Clifford si trovarono in area il trio di punta avversario.
Gli italiani sfondarono la difesa di Peterson ed Everett ma dovettero soccombere alla classe di Ross e
alla grinta di Yuma, il quale rinviò lungo per il nostro
capitano. Oliver non perse tempo, si diresse verso l’area avversaria trascinandosi
Lenders e Denton. Hutton passò a Rob che si trovò marcato stretto. Per poco il
suo passaggio per Mark non venne vanificato dall’intervento di Gentile, che
non lasciava respirare Lenders un solo secondo. Oliver era scattato verso l’area, gli
italiani si apprestavano a mettere in atto il fuorigioco ma la
Tigre fu
più svelta di loro. Il capitano ricevette ed il Drive Shot partì con l’usuale
potenza, finendo tra le braccia di Hernandez. Non ero l’unico in grado
di bloccare quel tiro. Il rinvio lungo arrivò direttamente
nella nostra area ma la classe del Principe dal cuore di cristallo non
fallì. Giocammo così per tre quarti del primo tempo. Due conclusioni per
l’Italia e la palla che terminava sempre fermamente nelle mie mani, ma neppure
noi riuscivamo a segnare. Hernandez era un muro. Il Tiger Shot per lui non era
uno sconosciuto e pure il tiro di Oliver, inoltre la loro difesa era quasi
impenetrabile. Così le occasioni di tiro venivano a mancare ed il gioco era
incentrato tutto a centrocampo, in una battaglia sfiancante.
Poi la tensione ebbe la meglio. L’ultimo
rinvio di Clifford diede il via ad un’azione scombinata, disordinata. Tom
ricevette il pallone e iniziò un’avanzata disperata in accoppiata con Oliver.
Fu assurdo quello che accadde: Mark chiamò la palla, Becker la passò ma
la Tigre
si trovò stretto tra due avversari. Nonostante la posizione sfavorevole,
tirò. Il Tiger Shot s’infranse sul palo destro, Hernandez non si era neppure mosso.
Il pallone rimbalzò verso Gentile ma Holly fu lesto a soffiarglielo.
Udii distintamente il mio rivale che sfidava il capitano: “Tira pure, Hutton! Tanto
di qui non passi! Io sono l’unico in grado di fermarti sempre, qualunque
trucchetto tu usi!” Vidi Oliver caricare
il tiro ed il portiere italiano in posizione per pararlo. Gridai ad Holly di
non farlo, di passarla a Philip che era in posizione migliore della sua. Ma
non mi udì, o non volle ed il Drive Shot si spense tra le braccia di uno
sprezzante Hernandez. Il rinvio fu, al solito, lunghissimo,
direttamente sui piedi di Sandri. La nostra difesa si sciolse come neve al sole,
sbigottita e frastornata. Julian non riuscì a mettere ordine mentre Patrick non
mi diede retta e si fece fregare da Rossi.
Un assist preciso e Levati appena dentro l’area. Il tiro fu potente
ma non imprendibile. In una frazione di secondo mi avvidi
di un’ ombra alla mia destra ed il mio istinto che mi disse
di aspettare. Gregari era passato inosservato e si era lanciato di testa a modificare
quella traiettoria che avrei sicuramente preso. Ma non aveva fatto i
conti con l’SGGK. Spostai velocemente il peso a sinistra ed
arrivai al pallone in extremis. Yuma recuperò prontamente ma, nella fretta,
scaraventò verso Gentile che era salito ed effettuò un passaggio
precisissimo per Rossi che, ancora in area e smarcato, si girò effettuando uno
splendido tiro al volo. Avevo appena fatto in tempo a rialzarmi ma mi lanciai
verso quella palla, afferrandola saldamente.
In quell’istante finì il primo
tempo. Marshall era furioso. Riprese Mark, Patrik, Clifford ed, in ultimo,
anche il nostro capitano.
“Da te, Oliver, non mi
sarei mai aspettato un comportamento del genere!” Conoscevo molto bene quel
tono, fermo e pacato ma che feriva come una lama affilata. L'avevo provato molte
volte nel corso della mia carriera...
Un silenzio teso e drammatico calò in spogliatoio. Vidi
lo scoramento sui volti dei miei amici, vidi la tensione averla vinta sul
coraggio e la determinazione ed in quell'istante sentii la rabbia montarmi
dentro.
Non poteva
finire così. Non
potevamo crollare a quel modo!
“Si stanno
prendendo gioco di noi.” Dissi a voce bassa ma ferma ed i
ragazzi si voltarono, come se quella mia affermazione li avesse ridestati dal sonno.
Ero seduto su una panca, non li guardavo,
tenevo il viso coperto dalla visiera del cappello. Alzai gli occhi e li
fissai uno ad uno. Erano i miei amici, erano stati per tanto tempo la mia
famiglia. Per anni avevamo dato il tutto per tutto gli uni per gli altri. Decisi
che toccava a me dare loro un motivo di più per vincere.
Mi alzai e cominciai
a parlare scandendo le parole “Sanno quanto sia importate per noi questa partita e
giocano di nervi. Gino ti ha volutamente provocato, Oliver! Rendendoti
prevedibile in un momento in cui la squadra ha ceduto. Siamo arrivati qui per
vincere! Abbiamo giocato come una squadra affiatata fino ad ora, non possiamo
cedere ai protagonismi proprio adesso!”
“Benjiamin…”
“Hai ragione….”
Il capitano mi si avvicinò, tendendomi
una mano e sorridendo, col suo solito sorriso aperto, negli occhi di nuovo
la ferma determinazione che lo avevano reso quello che era “Sei sempre tu a
rimetterci in riga in queste situazioni, fino dai tempi dalle elementari!”
“Non ci faremo battere!
Arriveremo in finale!”
Un “Sì!” corale riempì la stanza,
mentre Marshall ci guardavo soddisfatto a braccia conserte.
“Ragazzi,
devo dirvi una cosa importante…” Era il momento giusto, pensai, l'affetto che,
sapevo, provavano per me avrebbe dato loro un motivo in più di riscossa. Infatti
si immobilizzarono e mi fissarono
stupiti, preoccupati dal mio tono serio.
“Qualcosa non va, Benji?”
mi chiese il solito, gentile Tom. Incrociai lo sguardo con Lenders e Warner. Ed
mi fece cenno di "sì" col capo, Mark si limitò a fissarmi, incrociando le
braccia.
“Questo sarà il mio ultimo
Mondiale.”
Un silenzio
ancora più profondo del precedente gelò il piccolo ambiente. Oliver lo spezzò,
parlando adagio “Cosa stai dicendo, Benjiamin?!”
“La mia carriera
finisce qui, capitano. La finale sarà la mia ultima partita ufficiale. Quindi…”
li guardai nuovamente tutti “vi prego di fare di tutto per vincere questa semifinale!”
“E’ una scelta definitiva
la tua?” vidi la tristezza velare il volto del mio vecchio amico e rivale.
Feci cenno
col capo e gli posai una mano sulla spalla, rivolgendomi con lo sguardo agli
altri "Non c'è tempo per darvi spiegazioni. E' così, e vi sto chiedendo di
vincere anche per me!"
“Allora…” Holly si voltò verso
la squadra, il pugno destro stretto “ visto che è il tuo ultimo Mondiale, abbiamo una
ragione di più per vincerlo assolutamente! Giusto, ragazzi?”
Di nuovo il
coro dei miei compagni
riempì l'aria, unito al fischio che ci richiamava per il secondo tempo.
Scendemmo in campo decisi e
determinati. Mentre rientravamo ricevetti pacche sulle spalle e sorrisi tristi
ma incoraggianti. Sapevo di poter contare su di loro.
Ricominciammo. Di nuovo l’Italia in avanti, ma il loro
attacco si frantumò contro la difesa ferrea di Philip e Julian. Oliver, Tom,
Mark e Rob si catapultarono verso l’area avversaria. Né Gentile né gli
altri difensori riuscirono nell’intento di fermare Oliver e Tom, che si
trovarono in area in un baleno. Oliver fintò il tiro, passando invece a Mark.
Hernandez era pronto ma Lenders passò inaspettatamente a Denton in arrivo sulla
destra. Gino dimostrò di essere un fuoriclasse: anticipò l’intervento di Rob e
bloccò con sicurezza la palla.
In quel momento una goccia mi bagnò il
viso: stava ricominciando a piovere. Nel giro di pochi
minuti il campo fu letteralmente fradicio. Il gioco divenne difficile, le traiettorie imprevedibili.
L’Italia salì con impeto, decisa a batterci ad ogni costo. Rossi e Levati
travolsero Callaghan e Yuma. Il tiro di Rossi fu non molto potente ma
carico d’effetto. Arrivai a malapena all’ incrocio dei pali prima che s’infilasse
in rete. Peterson allontanò ma venne intercettato da Morandi. Di nuovo l’Italia nella
nostra area e di nuovo un tiro in porta che bloccai in
sicurezza e rinviai direttamente su Mark che partì alla
carica. Fu nuovamente una bella dimostrazione di gioco di squadra ma la sfortuna era con
noi. La Tigre si
trovò davanti all’estremo difensore italiano. Il Raju Shot partì violento ma un’entrata in scivolata di Gentile
ne deviò la traiettoria, spedendolo sulla traversa. Recupero del pallone
e nuova azione di Becker per Denton ma conclusione
inspiegabilmente fuori. Vidi un ghigno beffardo disegnarsi sulle labbra di
Hernadez. Tornarono alla carica, la nostra difesa li fermò una, due, tre volte…
Poi passarono. Ci fu ressa davanti alla porta e la palla andò alta, altissima.
Rossi saltò al di sopra del mucchio. Saltai anch’io. E la presi. Per un
soffio.
Nuovamente il nostro assalto alla loro area, di nuovo la sfortuna:
Oliver costretto a tirare da fuori, il Drive Shot che si spegneva tra le braccia
di Hernandez.
Tornarono,
attaccarono e li respinsi.
Sempre. Ma non riuscivamo a segnare. A due minuti alla fine la pioggia
non cessava, anzi, rinforzava. Vidi lo sguardo irato di Oliver e quello un poco
smarrito degli altri. Di tutti, tranne uno.
“Avanti
ragazzi!" udii tuonare da oltre la metà campo "Ci facciamo abbattere
da un po’ di sfortuna?! Abbiamo un Mondiale da vincere!”
e così dicendo Mark si voltò verso la mia porta, un sorriso sicuro sulle
labbra e il sacro fuoco della Tigre nello sguardo. Sapevo di potermi fidare
di lui.
Lo vidi
parlare con Oliver e scambiarsi gesti di assenso. Erano
intenzionati a segnare.
Il gioco riprese,
mancava un minuto. Gino effettuò un
rinvio lunghissimo, per Morandi che si era portato a centro campo. La triangolazione con
Rossi vanificata da Julian. Becker, Hutton e Lenders partirono all’attacco. Per gli
avversari non ci fu nulla da fare, la difesa italiana non resse. Cross
di Tom per Mark. Un tiro veloce, potente, da fuori, diretto nell’angolo in alto
a sinistra. Hernandez si tuffò ma la palla rimbalzò violenta all’incrocio dei
pali. Gino era a terra e Oliver non aspettava altro. Saltò a prendere la palla
al volo, effettuando il tiro da mezz’aria. In quell’attimo il triplice fischio
dell’arbitro. La palla che si insaccò in rete, alle spalle di un Hernandez
battuto.
“Goal!” decretò l’arbitro.
Era finita,
finalmente. Eravamo in finale!
La pioggia continuava a colpirci
imperterrita, ma ormai non ci facevamo più caso.
Restammo immobili per alcuni
secondi, tutti e undici. Poi un grido di vittoria dagli spalti e lo stadio in
delirio.
Il giorno
seguente lo vivemmo tutti quanti come in un limbo, eravamo ad un passo dal
Paradiso ma la sua conquista richiedeva ancora uno sforzo. E che sforzo! Karl e
i suoi avevano superato il Brasile di Naturezza e Santana.
Il Kaiser era più forte che mai.
Quella sera
camminavo solo per i vialetti alberati del villaggio sportivo. Non avevo voglia
di dormire, volevo godermi il più possibile ancora quell’atmosfera inebriante
che permea le occasioni importanti.
Qualcun altro la pensava come me. Lo riconobbi da
lontano, e lui riconobbe me.
“Cos’è, SGGK,
il pensiero di batterti finalmente con me non ti fa dormire?” Vidi un lampo
divertito passare negli occhi di ghiaccio. Mi sarebbe mancato. Lo consideravo
più di un amico, praticamente un fratello. Lui era stato il primo, l'unico a
darmi fiducia quando ero arrivato in Germania. E
sì, pensai in quel momento sorridendo tra me, se ero diventato il SGGK per
molta parte lo dovevo a lui.
"Senti chi
parla!" replicai ironico "Mi pare che
il nostro Kaiser non sia molto tranquillo al pensiero di affrontarmi!” gli
sorrisi malizioso, incrociando il mio sguardo col suo.
Ci mettemmo a
camminare in silenzio, l’uno accanto all’altro.
All’intersezione di due vialetti una piccola
fontana illuminata doveva servire a portare ristoro
agli atleti che si ritrovavano in quel luogo nella calda estate africana. Mi
fermai al bordo, fissando lo zampillio dell’acqua.
Non c’era più
motivo di tacere.
“Karl...”
“Mhm?” si
voltò a guardarmi con aria interrogativa,
dando la schiena alla fontana, appoggiato al muretto di marmo candido.
“Quella di dopodomani
sarà la mia ultima partita.” dissi d'un fiato, quasi sottovoce ma abbastanza forte perché mi potesse udire
chiaramente.
Silenzio. Per
un attimo, mi accorsi, aveva smesso
di respirare mentre sentivo il suo sguardo fisso su di me.
“Stai
scherzando, vero?” chiese d'un tratto, anch'egli quasi sussurrando.
“No.”
Chiuse gli
occhi e sospirò “Lo sapevo che c’era sotto qualcosa. Ti conosco troppo
bene. Ora si spiegano molte cose.” Li riaprì e puntò le iridi di ghiaccio
nuovamente su di me “Perché?” mi chiese semplicemente.
Non ricambiai il suo sguardo, semplicemente
continuai ad osservare le gocce che allegre si spegnevano nello specchio limpido che rifletteva la mia
immagine distorcendola leggermente.
“Oramai più
di tre anni fa, prima che Kim
se ne andasse, promisi a mio padre che quest’anno, dopo i Mondiali, avrei abbandonato
il calcio. Stavo scendendo ad un compromesso: avrei terminato la
mia carriera all’apice della gloria per poi vivere il resto della mia vita accanto
alla donna che amavo e sostenendo mio padre che chiedeva il mio aiuto.
Una volta ogni tanto senza pretenderlo.”
“Kim non c’è più, Benjiamin…”
Chiusi gli
occhi, cercando di ricacciare quel dolore che mi portavo dentro. Avvertii il
suo profumo, vidi il suo sorriso, il verde immenso del suo sguardo nel
quale amavo perdermi e che a volte ancora pervadeva i miei sogni.
“Lo so, Karl.
" risposi trattenendo un sospiro amaro "Io e lei parlammo anche
di questo, quando si ammalò. Ho fuggito le responsabilità verso mio padre
per molto tempo, rinunciando a capire le sue ragioni, accusandolo di avermi
abbandonato. Ma, in fondo, devo anche a lui di essere quello che sono.
E ora ha bisogno di me. Allora feci una promessa, ho intenzione di
mantenerla. Non ho rimpianti, te lo giuro. La mia carriera è al culmine, Karl e ho
tutta l’intenzione di portarla a termine in trionfo!” mi voltai verso di lui,
incrociando finalmente il suo sguardo. Un sorriso deciso gli piegò le labbra,
mentre l’azzurro degli occhi si faceva d’acciaio.
“Sarà la partita più dura che tu abbia
mai giocato, SGGK. E finirà sicuramente in un trionfo. Anche se mi spiacerà
vederti concludere la carriera con una sconfitta!”
Avevo ottenuto quello che
desideravo: Karl avrebbe fatto di tutto per rendere quegli ultimi novanta minuti
indimenticabili.
Lo so, lo so... Vi aspettavate
qualcosina di più romantico XD Mi dispiace, "Angelo", come vi dissi ai tempi,
è una storia che vuole cogliere anche l'animo calcistico di Capitan Tsubasa e, a
parer mio, il rapporto di Benjiamin coi suoi compagni è fondamentale per
delineare il suo personaggio. E' nata così e, nonostante la stia risistemando, non
riesco ad eliminarne parti che, forse, la rendono noiosa. Ma la amo così com'è
perché è la prima storia che ho scritto, per cui abbiate pazienza^^ Grazie a
tutte di cuore per le recensioni, per aver messo la storia tra i preferiti, per
averla anche solo letta. Grazie. Manca poco, pochissimo alla fine, giuro
che non vi tedierò ancora per molto e che il prossimo aggiornamento sarà più
rapido. Per chi ha voglia di seguirmi, alla
prossima!
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Capitolo 22 *** 21 ***
ac22
La scuderia pare essere deserta. E’ mattina presto e
l’alba tinge di un rosa delicato la nebbiolina che sale dai campi. Il
profumo del fieno impregna l’aria, tra i box corre qualche nitrito soffocato ed il
raspare degli zoccoli sulle porte rompe definitivamente il silenzio. Tra
un’ora dovrei essere in ufficio, ma mi fermo ugualmente. Non ho perso
l’abitudine di correre nel parco prima di andare al lavoro. Entro e mi
accosto al secondo box, quello di Zingaro… Un paio di assurdi occhi
azzurri mi fissano mentre un borbottio fa vibrare morbide narici. Uno splendido
stalloncino color dell’acciaio, criniera e coda d’argento, mi viene incontro,
allungando il muso sottile perché lo possa accarezzare. “Il suo puledro
preferito…” “Già...” rispondo atono. La voce di Kristine alle mie spalle non mi ha sorpreso.
Si avvicina e porge una mano all’animale, che l’annusa curioso. “Cosa
ci fai qui, SGGK?” Sorrido a quel vecchio soprannome “Malinconia?”
Scrollo il capo, allungo a mia volta la mano
che l puledro, incuriosito, mi annusa sbuffando
e brontolando piano “Un poco." sussurro "Ieri sera ho ripensato al Mondiale…” Le labbra della
sorella del Kaiser si piegano un
sorriso triste e comprensivo. “Mi manca…” ammetto, appoggiando la
fronte alle sbarre del box e chiudendo gli occhi. Sento il tocco di Kristine sul mio braccio “In fondo questa
lontananza forzata sta facendo bene anche a te…” Sorrido senza guardarla
“Già…”
Finalmente ha
smesso di piovere! Eravamo veramente stufi
di montare al coperto! La primavera quest'anno si stava davvero facendo
desiderare.
Guardo
soddisfatta il pelo lucido del mio
stallone: in controluce appaiono lievi la riga di mulo e le pomellature della
salute. Finisco di strigliarlo, passando con delicatezza la brusca sulla
cicatrice che ormai rappresenta solo un brutto ricordo.
E’ passato quasi un anno da
allora…
Il caldo sole
italiano illumina il prato accanto alle scuderie e mi rammenta l’immagine di un
campo da calcio. L’azzurro del cielo sudafricano mi riempie la mente e vedo
dinnanzi a me ventidue campioni pronti alla sfida.
Quante emozioni in quella
finale!
I ragazzi del Giappone erano
seriamente intenzionati a vincere, a tutti i costi. Per la gloria, per l’amore
per il calcio e per quel loro amico che non avrebbe più giocato con loro.
Karl e i suoi non erano da meno.
Inoltre il capitano era a conoscenza della decisione del portiere ed era
determinato a vincere quell’ultima sfida.
I nipponici
attaccarono da subito, Becker e Hutton in combinazione, Lenders in avanti,
pronto a ricevere. Il Kaiser si fece sotto, interrompendo l’azione fulminea
della coppia d’oro giapponese e portando i suoi nella metà campo avversaria,
Margas al suo fianco. Ross, Callaghan e Yuma, seguendo le istruzioni precise
di Price, si lanciarono nel tentativo di arginare l’attacco teutonico e vennero
travolti. Dopo neppure due minuti di gioco Karl e Benjiamin erano l’uno di
fronte all’altro. Il Fire Shot partì violento e implacabile. Sentii il
fiato bloccarmisi in gola. Media del cinquanta percento, pensai...
Con un balzo degno di un gatto Price
andò a bloccare la palla, ricevendola in pieno petto e compiendo una breve
capriola sulla spalla destra, ad annullarne la potenza.
Vidi Karl sorridere. La sfida
aveva inizio.
L'azione nipponica ripartì
direttamente dal portiere, con Oliver e Tom che, dopo una sequenza di
passaggi millimetrici servirono uno splendido pallone a Mark, ancora fuori area. Muller
non aspettava altro, anche lui aveva un conto in sospeso con Benjiamin. Una voce
dalle retrovie giapponesi gridò un ordine. Non sapevo cosa Benji avesse detto a Mark, ma vidi
il cannoniere rinunciare al tiro, fare ancora qualche passo dentro l’area
avversaria e poi sparare una bordata pazzesca verso la porta di Dieter. Il
portiere aveva intuito la traiettoria ma un’ombra s’inserì nella mia visuale. Tom si era lanciato di
testa, spostando la palla alla sinistra di Dieter, ormai sbilanciato. Quasi gol:
Karl era arrivato fulmineo, allontanando il pallone un istante prima che
entrasse in rete. Incitò i suoi all’attacco mentre i giapponesi, sconcertati,
ripiegavano alla rinfusa.
Passaggi
velocissimi, precisi, che lasciarono di sasso la difesa nipponica. Ross sfidò il
Kaiser in uno splendido dribbling, avendo la meglio per un istante ma Karl si
riprese il pallone, tornando a confrontarsi con Benjiamin. Il tiro di Schneider
fu potente e violento, ma privo di effetto e finì direttamente tra le
braccia del portiere. Schneider non si scompose, fissò negli occhi
l’amico, sorrise e gli voltò le spalle, rientrando nella sua metà campo. Dal
canto suo Benjiamin ricambiò lo sguardo, impassibile, i profondi occhi neri
erano freddi, determinati. Sapeva cosa lo aspettava ed era pronto a
ricevere qualsiasi attacco dell’Imperatore. La lotta a centrocampo si fece
sempre più serrata. La difesa del Giappone, magistralmente diretta da Price e
Ross, rese vano ogni tentativo dell’attacco teutonico di penetrare in area.
Benjiamin conosceva molto bene i suoi avversari e ne prevedeva abilmente ogni
mossa. Aveva studiato quella partita nei minimi dettagli, dando precise
indicazioni ai compagni di squadra esattamente come aveva fatto quindici anni
prima, al Torneo di Parigi. Ma quel giorno come allora, la Germania non aveva
ancora cominciato a giocare e l’SGGK ne era perfettamente conscio. Il
primo tempo si concluse così in parità. Notai parecchia stanchezza nelle file
giapponesi, mentre i tedeschi uscivano dal campo quasi rilassati. Il continuo
cambiamento di schema aveva costretto la difesa dei rappresentanti del Sol
Levante a sforzi extra. Certo, Price li dirigeva con precisione ed efficienza,
ma gli attacchi tedeschi erano stati un lento stillicidio volto a sfiancare gli
avversari. La ripresa vide tra le fila della Germania un nuovo entrato, una
vecchia conoscenza di Benjiamin: Klaus Richter. Già, quel
Richter. Il simpaticone che per
poco non aveva spezzato un polso a Price qualche mese prima. Sapevo cosa
pensasse di lui Karl ma d’altronde Klaus, carattere a
parte, era un ottima punta e a fianco del Kaiser poteva risultare molto
pericoloso. Ricominciarono e la Germania iniziò a fare sul serio.
Lenders venne letteralmente spazzato via con malagrazia dal nuovo entrato, che
passò istantaneamente la palla al capitano, evitando lo scontro diretto con
Hutton. Schneider non trattenne, evitando a sua volta Tom e lasciando il gioco
nelle mani di Schester. Il biondo regista si liberò agilmente di due avversari
ed eseguì una splendida triangolazione con Margas, mentre le due punte si
portavano sempre più vicine all’area nipponica. Julian ebbe il suo daffare nel
tentare di fermare Stefan, che riuscì a rimanere in possesso di palla passandola
poi Richter, al limite dell’area. Una finta e un passaggio lungo
spiazzarono i giapponesi. Tutti tranne uno. Benjiamin non s'era mosso, aveva
visto Karl avanzare in direzione del pallone, pronto a tirare. Non il solito
Fire Shot, ma quel particolare tiro ad effetto visto nella finale di
Champions. L’avevano ideato insieme per perforare la difesa di Warner
e si trovava doverlo affrontare in partita. Ricordavo le lunghe
sessioni di allenamento extra e ricordavo anche gli ultimi dannatissimi cinque
tiri in porta prima di quella partita. Cinque reti. Vidi la sfera schizzare
violenta e carica d’effetto, con quella strana traiettoria ad arco teso che
rendeva il tiro inarrestabile dai difensori e quasi imprendibile per il
portiere. Quasi. Benjiamin saltò a pugni chiusi, impedendo al pallone di
infilarsi poco sotto la traversa. Becker intercettò il rinvio e riprese ad
avanzare, mettendo di nuovo Lenders in condizione di affrontare Muller. Il
quale, ancora una volta, si dimostrò degno avversario di Price. Non ci
fu un attimo di tregua. Le due squadre continuavano ad attaccare
imperterrite senza che ci fosse una vera predominanza sul possesso di palla. Era
un continuo, sfiancante difendersi ed attaccare. Benjiamin e Dieter dettero
fondo alla loro bravura, facendo miracoli. Dal canto Schneider, Margas, Hutton e
Lenders sfoderarono classe e tecnica da vendere, dando filo da torcere ai
rispettivi avversari. Al quarantesimo la partita s'era
trasformata in una vera e propria guerra di nervi e la stanchezza cominciava a farsi
sentire. Margas partì a razzo dopo l’ennesima azione nipponica andata a
vuoto, Schester al suo fianco. Superarono Callaghan ed Everet
effettuando un cross per Richter. Price respinse ma la sfera tornò a Margas che
superò di un soffio Ross. Di nuovo Benjiamin non trattenne e la palla finì
direttamente sui piedi di Karl. Il Fire Shot non è un bel regalo, no...
Soprattutto da meno di dieci metri.
Ma la prese ugualmente. Un balzo
felino, disperato, il linea diretta col pallone, giusto a riceverlo in pieno
petto per non dare l’ennesima possibilità di tirare in porta. Lo vidi inspirare
piano e dolorosamente prima che si rimettesse in piedi. Un sorriso soddisfatto gli increspò le labbra
mentre il suo sguardo incrociava quello gelido del Kaiser. Non compresi cosa disse
ai compagni ma li vidi rianimarsi, decisi a non mollare. Il pallone fu per Hutton.
Ripartirono, lui, Tom e Rob. L’azione fu una copia perfetta di quella appena
vista in area nipponica ma Dieter non fu da meno del suo rivale. Il Tiger
Shot di Lenders ed il Drive Shot di Oliver vanificati l’uno dietro l’altro.
Il rinvio del portiere tedesco per il suo capitano fu però intercettato da
Callaghan, che anticipò di un soffio Schneider e venne avanti trascinandosi dietro
parte dei difensori, come una valanga. I giapponesi travolsero la difesa tedesca
frastornata. Philip passò ad Oliver, che si liberò di due avversari e girò
il pallone ad un Lender più determinato che mai. Il suo tiro fu di una potenza
inaudita, tale che Muller rinunciò alla presa, preferendo ribatterlo coi pugni
chiusi. La palla finì sui piedi di Tom, che tirò. Dieter fece appena in tempo
a rialzarsi e deviare. Hutton fu sul pallone in un attimo. Era appena fuori
dall’area, il portiere si stava rialzando. Il Drive Shot partì, preciso e
implacabile. Da dov’era Muller non potè fare nulla. Uno a zero. Giappone in
vantaggio.
Lo stadio esplose in delirio. La partita
riprese da centrocampo con i due capitani a confronto: lo stile perfetto
del Kaiser contro la tecnica raffinata del giapponese. Ebbe la meglio quest’ultimo,
ma per poco. Il solito, poco ortodosso Richter gli fu
addosso, rubandogli la palla. Con un contropiede fulminante, la Germania fu in area avversaria e di
nuovo la difesa perfetta dell’SGGK non diede scampo ai tedeschi. L’azione
giapponese ripartì dalla porta, la palla per Lenders e tutta la squadra
andò in attacco mentre la Germania era allo sbaraglio. Il cross
di Becker fu per Hutton, Muller respinse e Mark raccolse. Dieter era praticamente battuto. Poteva
essere il gol del due a zero ma il goal kepper tedesco fu graziato
da un miracolo: il Tiger Shot s’infranse contro un palo e lui fu lesto a
rialzarsi e bloccare il pallone prima che finisse nuovamente in gioco.
Mancavano una manciata di secondi alla
fine.
“Dieter!”
da centro campo udii la voce imperiosa del Kaiser. Muller rinviò lunghissimo,
Karl agganciò la palla, voltandosi verso l’area giapponese. Ross, Callaghan,
Yuma, Everett vennero spazzati via dalla furia disperata
dell’Imperatore.
Si trovarono
nuovamente l’uno di fronte all’altro. Si confrontarono. Si sfidarono
ancora. Per l'ultima volta. Karl era quasi al limite dell’area, stava
caricando il tiro...
E l’arbitro fischiò tre volte.
Il Fire Shot
si spense in rete. Benjiamin non si era mosso dal centro della porta. La sfera
l'aveva sfiorato ma lui non aveva fatto nulla per afferrarla.
Il goal non era valido, il Giappone aveva
vinto il Mondiale.
Prima lo
sgomento poi la gioia si dipinsero sui visi
dei compagni di squadra del mio amico, mentre Karl restava in ginocchio, appena
fuori area, il capo chino e gli occhi serrati.
Benjiamin,
fermo tra i pali, chiuse gli occhi e li riaprì rivolgendoli al
cielo. Era la prima volta che lo vedevo piangere dopo mesi, ma fu solo un
attimo.
Riportò lo sguardo davanti a
sé, asciugando le lacrime che gli rigavano le guance e si avviò lentamente verso
il suo amico, compagno e capitano. Gli tese la mano, sorridendo ed aiutandolo ad
alzarsi. Si scambiarono un lungo, caloroso abbraccio, quasi un addio. Non ci
sarebbero state altre sfide, nessuna rivincita.
I due vennero travolti dai
compagni. Molti dei ragazzi piangevano e anche quelli che riuscivano a
trattenersi, non potevano nascondere il luccichio degli occhi quando si
complimentavano con l’SGGK. Perfino Lenders non si limitò ad una stretta di mano
ma gli cinse le spalle in un abbraccio fraterno.
Gli avversari, vecchi amici,
finirono di complimentarsi. I capitani si salutarono con un sorriso poi la
squadra tedesca lasciò definitivamente la scena ai nuovi Campioni del Mondo.
Lo stadio era esploso, in
delirio.
Paul, accanto a me, non
sapeva se ridere o piangere mentre continuava ad immortalare quegli attimi di
gloria. Io continuavo a scattare, incurante delle lacrime che a tratti mi
annebbiavano la vista. Sentii la mano del mio collega stringermi una spalla, il viso
rubizzo illuminato d’ allegria. Mi trovai stretta, quasi stritolata, dal mio
compagno di avventure.
“Asciugati quei lacrimosi,
testona!” mi disse, asciugando i suoi e ci mettemmo a ridere.
“Qualcuno non aveva detto che
avrebbe trovato un rifugio sicuro, nel recondito caso avessi vinto il
Mondiale?”
Mi voltai.
Il suo sorriso era bello come non
mai. Allargò le braccia e gli saltai al collo. Per l’ennesima volta fu fatta
roteare in aria come un burattino, veloce sempre più veloce. Risi di gusto a
quel gioco, anche se le lacrime avevano ricominciato a riempirmi gli occhi. Si
arrestò bruscamente, tenendomi stretta e baciandomi con tenera passione, lì,
davanti a tutti.
“Non piangere.” lo sentii sussurrare piano.
“Non
posso…” risposi, affondando il viso contro il suo torace, ascoltando il battito profondo
e veloce del suo cuore e del mio mentre mi stringeva ancora di più.
“Benjiamin!” lo chiamò il suo
capitano. Mi lasciò, posandomi un leggero bacio sulle labbra e tornando dai sui
compagni. Oliver lo accolse con una
pacca sulla spalla, mentre gli altri lo canzonavano allegramente. Vidi Holly
voltarsi e sorridermi, facendo un leggero cenno di assenso col capo e poi
correre nuovamente in campo.
Venne
portatala Coppa. Agli atleti furono consegnate le
medaglie ed in ultimo, ad Oliver, l’ambito trofeo. Il capitano giapponese
sollevò verso il cielo la realizzazione del suo sogno e di quello di tutti i
suoi compagni. Esultarono, tra coriandoli argentati, fuochi d’artificio, urla e
grida festanti.
Vidi Hutton avvicinarsi a
Benjiamin e porgergli quel simbolo di gloria che avevano rincorso insieme per
una vita.
Non cedette alle lacrime, non di
nuovo, anche se nei suoi occhi lessi una gratitudine e una gioia infinite. Il
suo sguardo si soffermò un istante sull’oggetto dorato, quasi ad assaporare
meglio quella vittoria. Poi un urlo di gioia liberatorio,
la Coppa alzata, scintillante alla luce
dei mille flash. La squadra, la sua famiglia, tutt’intorno a gioire con lui.
I festeggiamenti continuarono
anche se, pian piano, lo stadio cominciava a svuotarsi, mentre l’allegria e
l’euforia dell’evento si riversavano nella città intorno.
I ragazzi rientrarono al
villaggio sportivo.
Scambiai solo che un sorriso col
mio campione.
Il giorno
dopo tornai al volo a Monaco e non potei salutarlo. Il lavoro andava scaricato
ed elaborato immediatamente, non c’era tempo da perdere! Il nostro portiere era
campione del Mondo e tre quarti della squadra, comunque ,vice campioni! E poi
c’era una brutta notizia da comunicare ai tifosi del Bayern.
Sonya mi aveva comunicato che voleva un’uscita
di scena in pompa magna per l’SGGK, per quel campione che aveva
dato così tanto alla nostra squadra.
Il pomeriggio
seguente al ritorno, mi concessi di
andare un’oretta in scuderia dove trovai il mio stalloncino ad accogliermi
felice.
“Avevi ragione, sai? Ha proprio
un carattere dolcissimo!”
Mi voltai di scatto, presa di
sorpresa. Non mi sarei mai aspettata di vederla lì.
La figura alta ed
elegante di Evelyn Price si stagliava all’entrata delle scuderie. Mi sorrise ed
in quel momento mi accorsi di quanto suo figlio le somigliasse.
“Dovrei parlarti…” disse
accostandosi allo stallone e carezzandolo sul muso. Percepii nella sua voce una
nota triste che mi fece preoccupare.
Un’ora dopo ero abbracciata a
Zingaro, il quale si godeva con piacere quella dose di coccole extra.
Carezzavo il pelo lucido e
morbido, giocherellando con la lunga criniera crespa.
Asciugai una lacrima, lasciando
il collo del cavallo e passandogli una mano sul mantello, dal garrese fino alla
groppa, fermandomi sulla cicatrice che sfiorai delicatamente per tutta la
lunghezza. Zingaro, infastidito, fece tremare un poco la pelle come per
scacciare una mosca.
Mi avvicinai al muso, glielo
presi tra le mani e lo guardai nei grandi occhi buoni. Le narici vibrarono
appena in un borbottio complice.
Sorrisi e presi la mia
decisione.
Frau Price mi aveva
detto che Pamela e Kevin stavano facendo di tutto per rendere la vita
impossibile a Benjiamin, avevano intenzione di attaccarsi ad ogni cosa pur di
screditarlo e relegarlo ad un ruolo minore nell'azienda. Pamela aveva già
sguinzagliato paparazzi e giornalisti alle calcagna del SGGK, pronti a cogliere
qualsiasi piccolo fatto potesse essere trasformato in scandalo. E certo quel
bacio dato in mondovisione non era passato inosservato... Se Richard Price
aveva imparato la lezione, rendendosi perfettamente conto che fare la felicità
del figlio avrebbe sicuramente fatto anche la sua, da ottimo uomo d'affari
qual'era aveva annusato l'odore dei guai. La Klein era benissimo in grado di
demolire l'immagine pubblica di Benjiamin. Io ero l'anello debole della catena,
attaccabile sotto molti punti di vista. Troppi. Collaboratrice del Bayern e
amica della sua ex ragazza... I giornali scandalistici sarebbero stati capaci di
montare una telenovela infinita, e non volevo sapere fino a che punto si
sarebbero spinti sia nella mia che nella sua vita privata.
La signora Price mi stava chiedendo tempo. Tempo per
neutralizzare Pamela ed i suoi scagnozzi. Tempo perché Benjiamin potesse dimostrare
al direttivo dell'azienda che non era solo capace di giocare a calcio.
Sospirai. Non sarebbe stato
facile ma avrei approfittato di quella pausa forzata per rivedere la mia vita in
sospeso.
Il
lavoro, le gare... Avevo deciso: avrei ricominciato a montare per
uscire in concorso e avrei portato Zingaro a partecipare ad un Gran Premio!
Dovevo dimostrarmi che valevo qualcosa, altrimenti quel senso di inadeguatezza
che mi perseguitava ogni volta che ero in presenza dell'uomo che amavo avrebbe
sicuramente, prima o poi, minato il nostro rapporto.
E lui
credeva in me.
“Non temere di non essere adatta a lui. Ti
ama, e questo deve bastarti per annullare ogni tua insicurezza.”
Le parole di sua madre
continuavano a tornarmi in mente.
“E’ vero." mi
dissi "Ma è giunto il momento che anche io dimostri finalmente chi
sono a me stessa.” Asciugai l'ultima lacrima e mi
apprestai a preparare i miei piani per i mesi successivi.
Quando, tre mesi dopo il Mondiale, Benjiamin
rientrò in Germania dal Giappone, trovò solo un box vuoto.
Kristine
aveva capito, aiutandomi per il rimpatrio dello stallone e stilando un programma
di allenamento intensivo che avrebbe messo me e Zingaro in piena forma per la
stagione successiva. Lei stessa sarebbe scesa in Italia almeno una volta al mese
per tenermi d'occhio. Marjorie aveva incassato il colpo. Soprattutto
aveva lanciato invettive furiose contro Pamela e mi aveva giurato che avrebbe
stracciato lei ed il suo castrone sauro ogni volta che li avesse trovati in
gara. L'aveva buttata sul ridere, ma sapevo benissimo quanto stesse male, lo
leggevo in quegli occhioni azzurri velati
di lacrime a stento non versate.
Con Benjiamin fu molto
più difficile.
Il giorno
della partenza ci sentimmo al telefono. Preso alla sprovvista dalla mia
decisione, che gli avevo taciuto fino all'ultimo, s'infuriò e minacciò di
correre a dirne quattro all'esimio genitore. Per fortuna, se lui è testardo, io
lo sono molto di più. Lo feci ragionare, a stento ma ci riuscii. E si arrese.
Sapevo ormai bene che quella che pareva furia cieca altro non era
che dolore. Era lo stesso che provavo io. Ma avevo fiducia in lui, nelle sue
capacità e sapevo che ben presto avrebbe dimostrato alla famiglia Price che il
SGGK non era un campione solo sui verdi prati da calcio. E finalmente avremmo
potuto vivere quella storia dalla quale eravamo fuggiti per
mesi. Ci sentiamo tutti i giorni, per quanto lo consentano i nostri
impegni. Le sue giornate, poi, sono diventate terribilmente
lunghe.
Kristine mi
tiene aggiornata su tutto quello che lui cerca di tenermi nascosto, in primis i
pettegolezzi che ogni tanto fanno capolino sulle riviste scandalistiche
tedesche, puntualmente smentiti e messi a tacere. I due fidanzatini ne stanno
combinando di tutti i colori pur di rendergli la vita impossibile ma lui si sta
dimostrando un campione anche alle prese con contratti e scartoffie. Non avevo dubbi a
riguardo.
Mi manca. Da morire.
Finisco di montare e allungo le
redini sul collo sudato di Zingaro che distende i muscoli rilassato.
“Ele!
Telefono!” Marco, il
nostro groom, mi viene in contro tenendo in mano il mio cellulare che squilla.
“Pronto?”
rispondo aggrottando la fronte nel vedere il numero della mia istruttrice sul
display.
“Guten Tag!"
esordisce col suo solito tono da caporalmaggiore "Siete iscritti all’
Internazionale di Colonia. Scendo domani che rivediamo la kur.”
Sgrano gli
occhi e serro istintivamente le ginocchia, bloccando Zingaro, che aveva
continuato tranquillamente al passo, in un alt perfetto “Kris, ma…”
riesco solo a dire.
“Niente ma! Siete pronti! Punto.
Biss Morgen!”
Sento il
cuore battere profondo come
un tamburo, assordante.
Accarezzo Zingaro con un nodo
allo stomaco e la testa che sembra piena di ovatta.
Poi una
scarica di adrenalina mi percorre la schiena, l'eccitazione della gara si
impadronisce di me e sorrido sicura “Da domani si lavora sodo, amico!
Abbiamo un Gran Premio da vincere!” Abbraccio il collo muscoloso, affondando il
viso nella criniera e Zingaro mi risponde con un borbottio compiaciuto.
E' giunta l'ora di dimostrarmi quel che
valgo.
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Capitolo 23 *** 22 ***
ac23
Il cielo sopra Monaco è ormai di un blu intenso e gli
ultimi raggi del tramonto infuocano gli edifici della città che si stende sotto
di noi. Mi rilasso finalmente sulla sedia mentre mio padre continua ad
ammirare lo spettacolo del giorno che si spegne, in piedi dinnanzi alla vetrata
che fa da perimetro a gran parte della sala riunioni ormai deserta appoggiato
pesantemente al suo fedele bastone. Chiudo gli occhi e rivedo le espressioni
di quei ventidue uomini che fino a pochi minuti fa erano qui di fronte a me.
Erano entrati qui dentro, quattro ore e mezza fa, pienamente intenzionati a
farmi a pezzi. Sono usciti da quella porta lanciandomi ognuno uno sguardo
d’approvazione. Anche Kevin. Al pensiero sogghigno. Alla fine si è dovuto
arrendere anche lui. Finalmente. Riapro gli occhi. Richard Price mi sta
fissando. E quello che vedo, per la prima volta dopo tanti anni, è uno sguardo
d’orgoglio. Accenna un sorriso sincero. E questa, forse, è la vittoria più
grande che io abbia mai conquistato negli ultimi vent’anni. “Ho sempre saputo
che non mi avresti mai deluso, Benjiamin.” Sento la gola chiudermisi mentre
il peso di tutti gli anni passati a litigare scivola via, come un brutto sogno
al risveglio. “Papà…”
Campo prova. Siamo nervosi. Sia io che
Zingaro. E Kristine è visibilmente preoccupata. Cominciamo il
riscaldamento. I movimenti sono legati, rigidi. Lo stallone non mi risponde, o
forse, più probabilmente, sono io che non mi faccio capire. Kris non si
scompone, cerca di farmi rientrare in me dandomi ordini precisi, secchi, senza
urlarmi la rabbia che le vedo negli occhi. Ha ragione. Ma la mia solita,
dannata paura sta di nuovo prendendo il sopravvento. Le avevo chiesto di avvisare Benjiamin solo
all'ultimo, per scaramanzia o più probabilmente per paura. Non so se ora sia qui
ed ho il terrore di saperlo. Marjorie e Gitano preparano il loro ingresso in campo. Sono belli,
perfetti. Continuo ad eseguire circoli, volte, passage... Il trotto è affrettato,
il cavallo rigido, le allungate rompono in galoppi scomposti… Decido di
fermarmi a guardare da lontano la mia amica ed il suo stallone eseguire il loro
esercizio. Mi fermo in un canto del campo, preparandomi ad ammirare il loro
splendido lavoro. Scorgo nelle file a metà della tribuna un paio di occhi di
ghiaccio che seguono intenti l’esercizio della mia bionda amica. Sorrido.
Finalmente insieme, quei due. Uno scroscio di applausi accompagna l’uscita di
Marj e del grigio. Il suo sorriso è radioso quando Karl, sceso al volo dagli
spalti, le si avvicina per farle i complimenti. Esecuzione perfetta,
impeccabile. Ricomincio a lavorare cercando di estraniarmi, rilassarmi. Se mi
rilasso io, si rilassa pure Zingaro. Lo sento, in questo momento non mi
sopporta. Avverte tutta la mia tensione e non ne capisce la causa. Mi fermo al
passo e incrocio il mio sguardo con quello di Kris. Mi sorride comprensiva,
facendomi cenno di calmarmi. Un’ombra rossa mi sorpassa al trotto sostenuto, accompagnata
da una scia di profumo dolce, quasi nauseabondo. Rouge è uno spettacolo,
tanto bravo da parere telecomandato. Tanto che perfino Pamela lo riesce
a montare. Potenza dell’addestramento e del buon carattere dei
cavalli. Mi ripassa accanto e vedo un ghigno cattivo sulle labbra perfettamente truccate. La
rabbia mi monta dentro e sento le lacrime che stanno per riempirmi gli occhi, ma
le ricaccio indietro con decisione. La chiamano in campo. Fa apposta
a passare accanto a noi per poi stopparsi in un alt perfetto “ E tu pensi di
essere in grado di partecipare a questo Gran Premio? Per evitare figuracce,
sarebbe meglio se ti ritirassi!” Amaro in bocca, sapore di sconfitta. In
un lampo spero che lui non sia qui… Accarezzo la criniera intrecciata e
guardo i miei amici. Marj mi sorride incoraggiante. Mancano due cavalli al
nostro ingresso. Ricomincio a lavorare, senza troppa convinzione. Una
voce mi chiama. Mi volto. Karl mi fa cenno. Mi accosto alla cavallerizza e
gli sorrido triste mentre mi si avvicina, alzando una mano ed andando a
stringere le mie appoggiate sul garrese e chiuse sulle redini. Cielo limpido
negli occhi del Kaiser. “Noi abbiamo fiducia in te. Vuoi, per una volta,
averne pure tu?” Un sorriso. Il mio nome e quello di Zingaro chiamati alla
porta. Respiro. Raccolgo le redini, tiro la schiena e mi avvio
all’ingresso. “Sono un idiota! E’ un anno che gareggiamo in vista di questo
Grand Prix! Proprio ora vado in crisi!” Dirigo Zingaro al trotto alla destra
del rettangolo e saluto i giudici. Alt a metà del lato lungo. Mi sistemo
in sella aspettando il suono della campana. Sollevo lo sguardo in direzione
dei miei amici che mi osservano dalla porta. E un paio di occhi neri, profondi,
magnetici rapiscono tutta la mia attenzione, trascinandomi in un profondo
pozzo di tranquillità. Fiducia. Piena, assoluta fiducia. Il
mondo intorno non c’è più. La paura non c’è più. Lui me l’aveva insegnato,
sapeva che ci sarei riuscita. Un sorriso, un cenno del capo. Mi rilasso e
sento che pure Zingaro si rilassa, quasi tirando un sospiro di sollievo. “Ok,
amico…
andiamo!” Alzo la mano destra per far partire la musica della
kur. Esistiamo solo io, il mio stallone e la musica. Trotti morbidi,
galoppi potenti, figure precise, cambi eleganti. Una cosa sola, una mente
sola, è come se fosse un prolungamento naturale del mio corpo. Io penso, lui
esegue, senza la minima esitazione, danzando in armonia con quel ritmo inusuale
per una kur. Galoppo… trotto… alt. Felicità, soddisfazione, applausi. Ci
dirigiamo sereni verso la porta, consci di aver dato tutto quello che
potevamo. Incrocio il mio sguardo con quello scuro dell’ SGGK e
sorrido. Non faccio in tempo a scendere di sella che un paio di braccia forti
mi sollevano per poi farmi roteare in aria per l’ennesima volta come
un burattino. Un abbraccio stretto, protettivo. Un bacio lungo, tenero ed
appassionato, che vorrei non finisse mai. Un lampo malizioso negli occhi
neri e un sorriso dolce sulle labbra “Adesso non hai più scuse per scappare…”
EPILOGO
Fuori nevica. Monaco è ricoperta da
una spessa e soffice coltre bianca. Nessun rumore dall’esterno, solo lo
scoppiettio della legna nel camino rompe il silenzio. Raccolgo le gambe sotto
di me, accovacciandomi contro il suo corpo caldo e ascolto il battito calmo e
regolare del suo cuore, mentre un braccio mi avvolge delicatamente in un gesto protettivo. Poso piano la mia mano su quella grande che mi stringe piano e ammiro per un istante i
riflessi delle fiamme giocare su quelle due sottili vere d’oro che differiscono
solo per dimensione. Carezzo piano la sua. Non ha mai portato anelli, troppo
pericoloso per il suo lavoro, ma questo si è costretto a tenerlo. Intreccia
le dita con le mie, stringendomi ancora un poco e posando un bacio sui
capelli. Sorrido e mi ritrovo a fissare il ritratto di Zingaro che campeggia
accanto al ricordo dei Mondiali. Ad ognuna delle foto è legata una medaglia: una
d’oro e una d’argento. Capisco che intercetta il mio sguardo. Mi solleva
piano il mento, fissandomi da vicino. Il suo respiro mi accarezza il viso mentre
un bacio dolce mi sfiora le labbra. “Perché non torni in gara?” Sorrido e
ricambio il bacio “A me basta montare. Non mi interessano le gare, ho già avuto
la mia soddisfazione, so di cosa siamo capaci. Ma io monto a cavallo per il
piace di farlo. Mi basta. E poi ora Zingaro ha altro a cui
pensare!” Avvicina la fronte alla mia, quasi ridendo “Dimenticavo! Sai già come
chiamerai il puledro?” “Mmmm… no. Ma quando vedrò il ragnetto a quattro zampe
penso che un’idea mi verrà.” “In questo periodo non puoi montarlo,
però…” “Diciamo che è stata una scelta dettata dalle condizioni…” mi
appoggio alla sua spalla, sorridendo furba e continuando a fissarlo. Mi
guarda perplesso. Non ha capito. O forse, come il suo solito, quando ha a che
fare con certe cose, non vuole capire. Non cambierà mai. Guido la sua
mano sul mio ventre ed avvicino le labbra alle sue “Diciamo che per i prossimi mesi
è sconsigliabile che monti…” Un bacio a fior di labbra, il suo respiro che si
spezza mentre sento il cuore che accelera. In una frazione i secondo mi
ritrovo in aria mentre la sua risata riempie il silenzio della casa. Quando
stacca la bocca dalla mia posso finalmente vedere gli occhi neri splendere di
felicità. Riprendo fiato e lo canzono “Ringrazio il cielo che tra qualche
mese saremo troppo pesanti perché tu ci strapazzi a questo modo!” Malizia divertita e un sorriso furbo “Vorrà dire che ne approfitterò ora.” Un altro
giro. Un altro bacio. Le braccia forti che mi stringono con delicata
fermezza. Una certezza che si riconferma. Se gli angeli
custodi esistono, io ho trovato il mio.
E così, eccoci giunti alla
fine di questa ff. Dopo due anni dalla sua prima stesura, finalmente
sono riuscita a postarla tutta e mi sembra quasi un miracolo. Un pochino, lo
ammetto, mi mancherà^^ Grazie a chi ha avuto la pazienza di seguirla
e recensirla. Grazie a chi l'ha messa tra i preferiti e a chi l'ha anche
soltanto letta. Grazie a chi mi è stata vicina e mi ha spronata a continuare
a scrivere, a chi mi ha dato le botte in testa che meritavo e che mi tiravano
fuori regolarmente dai momenti di sconforto nei quali mi caccio
periodicamente. La "Elena" di questa storia ha molti, moltissimo di me e del
mio carattere, a volte pure troppo. Spero che l'aver messo un pezzettino del mio
cuore in questo lavoro abbia contribuito ad emozionarvi almeno un po'.
Tecnicamente non è il mio lavoro migliore, di certo è quello a cui tengo di più
in assoluto. Grazie di cuore a tutti eos75
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