L'importante è incontrarsi di TheOnlyWay (/viewuser.php?uid=125619)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII. ***
Capitolo 1 *** I. ***
Introduzione:
E’
la
prima storia che pubblico, che ha come protagonista Ben Barnes e non so
nemmeno
cosa ne verrà fuori. Va be’, io ci provo lo
stesso.
Dico la
verità, all’inizio avevo pensato di pubblicarla
come un’unica One-shot – quindi
di concluderla con il primo capitolo – ma non escludo
l’eventualità di
continuarla, per questo non ho segnato la storia come completa.
Un’altra
cosa: la storia non ha nessuna pretesa. E anche la
situazione, come
leggerete – be’, se
leggerete – è un po’
inverosimile. In ogni caso, mi è capitato di leggere cose
talmente assurde che
la mia lo sembra forse un po’ meno.
Ecco, ho
finito.
Spero che
vi piaccia e, per piacere, se ne avete voglia lasciatemi la vostra
opinione,
per me sarebbe veramente
importante.
Buona
lettura,
TheOnlyWay.
L’importante
è incontrarsi
«Allora,
ragazze! Cosa ne dite?», domanda la
presentatrice, con un urlo stridulo che le ricaccerei volentieri in
gola.
Che
situazione assurda. Non ci posso credere che io,
Morgan Anderson, vent’anni, sia costretta a fare da
baby-sitter a
un’accozzaglia di cinque ragazzine di tredici anni, tra le
quali ho il dispiacere
di annoverare anche mia sorella Ellie.
Tanto per
iniziare, ancora non capisco come abbiano fatto
ad ottenere sei biglietti – no, dico: sei! – per
questo stupidissimo programma.
Passo a
spiegare: dopo l’uscita dell’ultimo film delle
Cronache di Narnia, certi produttori dalle tendenze bizzarre (e per
bizzarre
intendo alquanto stupide), hanno deciso di creare una sorta di momento
in cui
gli attori protagonisti possono interagire con i propri fan.
In questo
caso particolare con le fan, ossia una mandria
di ragazzine esaurite e totalmente fuori controllo in visibilio per un
attore
che ha trent’anni.
Io, quando
avevo tredici anni, non mi sarei mai invaghita
di qualcuno che ai miei occhi sembrava tanto vecchio.
Ellie invece
sì, e come lei tutte le duecento persone
assiepate nello studio. L’attore in questione, se ve lo state
chiedendo, è
proprio lui. Sì, lui:
Ben Barnes. Non
lo nego, è bello, soprattutto con i capelli un po’
più corti, però mi sembra
davvero assurdo che qui dentro non ci sia nessuno in grado di mantenere
un po’
di contegno.
Vi
stupirà saperlo, ma Ben Barnes risulta nella categoria
degli esseri umani, non delle divinità.
La
conduttrice è una sorta di stangona alta un metro e
ottanta, con le gambe chilometriche e con il seno palesemente rifatto.
Per non
parlare poi dei suoi zigomi e della faccia in generale.
Ha appena
fatto la proposta più idiota, assurda e
completamente insensata che io abbia mai sentito in tutta la mia vita.
E mi
stupisce che non ci sia nessuno a farglielo capire. Dai, non si
può sentire una
cosa del genere.
«D’accordo,
Ben. Ora sceglierai una ragazza tra il
pubblico. Dopodiché avrete un’ora di tempo per
stare da soli. Si, mia cara,
dico davvero», cinguetta in direzione di una marmocchia di
quindici anni. Santo
cielo, Ben Barnes ha il doppio della sua età.
Ben annuisce,
ma non sembra un granché soddisfatto della
proposta: a giudicare dalla sua faccia preferirebbe buttarsi
giù dal Tower
Bridge. E come dargli torto? La più grande qui dentro
avrà ventidue anni.
Si, avete
capito benissimo. C’è gente più grande
di me,
che si comporta come una pazza esaurita. Ellie non sta più
nella pelle, per
quanto spera di essere scelta.
Naturalmente,
se dovesse capitare una tale disgrazia, non
permetterò di certo che vada da sola chissà dove
con un trentenne.
«Un
po’ di silenzio, ragazze. Date a Ben il tempo di
scegliere».
Mi do
un’occhiata intorno, incredula: c’è chi
si mangia le
unghie, chi si attorciglia una ciocca di capelli nella speranza di
sembrare più
carina, c’è chi tiene le mani giunte in preghiera.
E infine c’è chi – solo io,
in realtà – se ne sbatte completamente.
Ben si guarda
intorno; il suo sguardo vaga per tutto lo
studio, soffermandosi ogni tanto su qualche speranzosa fanciulla. Alla
fine,
dopo minuti di intenso ragionamento, il suo sguardo si posa su di me.
Lo fisso
anche io, proprio come lui sta facendo con me, ma sono sicura che la
mia faccia
non ha nessuna espressione vagamente compiaciuta o speranzosa. Anzi,
più che
altro sono del tutto scocciata.
Che palle.
«È
scaduto il tempo!», annuncia la presentatrice,
alzandosi in piedi ed invitando tutte quante a seguire il suo esempio.
Oh, ma
certo! Prostratevi, comuni mortali. Ben Barnes ha scelto
l’agnello sacrificale.
Io me ne sto seduta, primo perché sono in piedi da
stamattina e le gambe mi
fanno un male cane e secondo perché
l’eventualità di essere scelta è
talmente
remota che non ho la minima intenzione di sforzarmi di apparire
partecipe.
«Chi
sarà la fortunata?». Io la ammazzo. Davvero, non
credo di aver mai sentito un’altra voce così
fastidiosamente stridula. È la
cosa più odiosa che esiste al mondo.
Ben sorride,
ma appare ancora poco convinto. Il che,
ripeto, è completamente comprensibile, a mio parere.
«Lei».
Nello studio
cala il silenzio più totale. Giuro, è una
cosa inquietante.
«Finalmente.
Ehi, Ellie, adesso possiamo andare?»,
bisbiglio, nell’orecchio di mia sorella che mi rivolge
un’occhiata incredula. È
la sua amica Julia, una bambina che io avrei proprio evitato di mettere
al
mondo, a rispondere.
Tecnicamente
risponde a Ellie, che ancora se ne sta con
gli occhi strabuzzati a fissarmi come se fossi un’apparizione
angelica.
«Certo
che tua sorella è proprio stupida, Ellie. Non ha
neanche capito che Ben ha scelto lei», si lagna, quasi con le
lacrime agli
occhi.
«Stammi
a sentire, mocciosa. Stupida lo dici a tua m… cosa?»,
so di aver lanciato un acuto
degno della presentatrice, ma ho appena realizzato.
«Fantastico!
La graziosa signorina in sesta fila, ci
farebbe la cortesia di venire sul palco?». Che? Ma tu sei
scema. Primo: graziosa signorina a
chi? E secondo:
cosa? Io non ci vado lì, a fare figure di merda. Ellie mi
tira delicatamente la
manica della felpa, poi si abbassa fino al mio orecchio.
«Per
favore, Morgan. Gli chiedi l’autografo?», mi
supplica, con quegli occhioni azzurri che scioglierebbero anche un
iceberg.
Alzo gli occhi al cielo, ma annuisco.
Poi, seccata
e lievemente indispettita, mi alzo e salgo
sul palco. Ben si è seduto e mi osserva con uno sguardo poco
decifrabile,
mentre la presentatrice è completamente uscita di senno.
«Ti
rendi conto, cara, che tra tante bellissime ragazze,
sei tu la prescelta?», mi domanda, passandomi un microfono.
Lo afferro
titubante, ma vorrei solo sbatterglielo in testa fino a farle passare
la voglia
di dire cazzate.
«Che
fortuna», borbotto quindi, sforzandomi di sembrare
convincente.
«Prima
che voi due andiate, dicci almeno il tuo nome», mi
invita, amabile. Quanto vorrei sparire in questo momento lo so solo io,
credetemi.
«Morgan»,
sputo il mio nome come se fosse un insulto, ma
la presentatrice sobbalza compiaciuta.
«Che
nome fantastico. Se mai avrò una figlia la
chiamerò
proprio come te». Piccolo appunto mentale: se mai questa
dovesse avere una
figlia, vai all’anagrafe e cambia il nome in Guendalina.
Prima che
possa rendermene conto, vengo spinta verso una
porta sulla destra del palco. Una volta dentro, capisco di essere in
una
stanza, sola insieme ad un uomo che non conosco e che è un
attore.
«Non
ci posso credere», sussurro, stranita.
«Cosa,
di essere qui con me?», risponde Ben, andando a
sedersi sul divanetto di pelle bianca posto rasente al muro.
«Ma
per favore. Non posso credere di essere così sfigata.
Non so se puoi capire, ma quella vuole chiamare sua figlia come
me», spiego,
ancora sbigottita. Assurdo. Assurdo.
Ben ride,
divertito.
«E
così ti chiami Morgan. È un nome poco
comune»,
commenta, versandosi un bicchiere d’acqua e porgendone uno
anche a me. Mi
accomodo accanto a lui, mantenendo lo stesso una certa distanza.
«Già.
Se proprio vuoi saperlo, credo che mia madre si sia
drogata, prima di decidere». Ride ancora, prima di porgermi
la mano.
«Non
mi sono ancora presentato. Sono Ben».
Lo guardo, un
po’ stranita. Mi dimentico persino di
stringergli la mano, troppo confusa dal suo sguardo. Ha uno sguardo
ammaliante,
Ben Barnes. Molto profondo.
«Fai
sul serio?», chiedo quindi.
«Se
ti avessi incontrata fuori, mi sarei presentato. Non
funziona così?», chiede, inarcando un
sopracciglio. Ecco, mi ha zittita.
Arrossisco,
come una povera scema.
«Si,
hai ragione. Però non credo che se mi avessi
incontrata fuori ti saresti mai avvicinato», sostengo, in
tutta tranquillità.
Insomma, quando mai un uomo – perché è
ciò che è – così
affascinante si è mai
interessato a me? Appunto, mai.
«Dubiti
così tanto di te stessa?», domanda, incuriosito.
Perfetto, ora mi sembra di essere dall’analista.
«No,
solo che… lascia stare».
«Sono
curioso. Spiegami», e lo sembra davvero.
«Be’,
se ci fossimo incontrati fuori – cosa completamente
impossibile – sono certa che non mi avresti nemmeno notata.
Non mi spiego
neanche come mai tu abbia scelto me. Non prendertela a male, ma non ero
venuta
qui per vedere l’uomo dei miei sogni o per confondermi con
una massa di oche
starnazzanti. Anzi, la mia idea era rimanere completamente invisibile
per tutto
l’incontro, o come cavolo si chiama», gli spiego.
Sento altre parole salire
prima che lui riesca a rispondermi, così le butto fuori. Chi
se ne frega,
tanto.
«Che
poi, scusa se te lo dico, ma è un po’ da pedofili,
scegliere una ragazzina e rinchiudersi con lei in una
stanza». Sembra un po’
piccato, mentre gli parlo e lo capisco, perché ci sono
andata davvero pesante.
Cavolo, gli ho dato del depravato.
«Tanto
per iniziare, non sono un maniaco. E poi, cosa
principale, non ho deciso io di fare questa pagliacciata. Credimi, non
entusiasmava nemmeno me, l’idea. Lì
fuori…».
«È
un delirio, lo so. Urlano e basta».
«E
allora perché sei qui?».
«Ho
promesso a mia sorella che l’avrei accompagnata a
vedere il suo attore preferito. A proposito, dovrò anche
inventarmi una
conversazione alternativa. Non posso dirle di averti dato del
pedofilo»,
ragiono. Lo so, lo so, sto sparando davvero un sacco di cavolate, ma
che volete
farci?
Posso
confermare una cosa: dopo un’ora intera passata con
Ben Barnes, posso assicurarvi che lui è un uomo.
Ed è bello, intelligente e tremendamente affascinante.
È l’uomo che io vorrei
al mio fianco e trovo crudele che la sua realtà sia
completamente differente
dalla mia. Se l’avessi incontrato in un altro contesto,
credetemi, avrei fatto
di tutto per avere una possibilità con lui.
Mancano pochi
minuti allo scadere dell’ora e finalmente mi
ricordo:
«Mi
faresti un autografo?», gli domando, improvvisamente
imbarazzata.
Dio, Morgan.
Sembri una bambina di cinque anni.
«A
chi devo dedicarlo?».
«A
mia sorella. Si chiama Ellie».
Ben
scarabocchia qualcosa con una penna nera, poi mi
restituisce due fogli. Penso abbia fatto un autografo anche per me, ma
non
voglio guardarlo o rischierei di tirarglielo in testa. Sarebbe
parecchio
presuntuoso, da parte sua, avermi firmato un autografo senza che io
gliel’abbia
chiesto. E non sono ancora tanto disperata da credere che un pezzo di
carta sia
la cosa più importante della mia vita.
«È
stato un piacere conoscerti, Morgan».
«Anche
per me», gli sorrido, poi gli porgo la mano. Lui
sorride, ignora la mia mano tesa e si avvicina. Mi lascia un bacio
sulla
guancia, in un punto pericolosamente vicino alla bocca. Sento il sangue
affluire
al viso e l’unica cosa che riesco a fare è
sorridergli timidamente, prima di
uscire dalla stanza.
«Vogliamo
sapere tutto», comunica la presentatrice.
Sai che ti
dico? Và al diavolo. Io non apro bocca.
È
solo più tardi, una volta tornate a casa, che mi ricordo
di dover dare l’autografo a Ellie. Tiro fuori i due foglietti
dalla tasca,
porgo il primo a Ellie, che si mette a saltellare, euforica e
completamente
soddisfatta.
Poi, una
volta rimasta sola, spiego l’altro foglio.
Sapete, mi sono venute le lacrime agli occhi, quando l’ho
letto.
“È
vero, non ci
siamo incontrati fuori ma, se fosse successo, ti avrei guardata di
certo. Così
come ti ho vista tra duecento persone. Non ci siamo
incontrati fuori, è vero, ma ci siamo incontrati. Non
è già qualcosa? E, per
inciso, Morgan è davvero un bellissimo nome.
Ben”
Sotto, in un
angolo, c’è un numero di telefono.
“P.s.
Cosa ne pensi se ci incontrassimo davvero fuori? A cena, Magari.”
|
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Capitolo 2 *** II. ***
Buon
pomeriggio a tutte ^^
Finalmente
sono riuscita a completare il secondo capitolo, spero che vi
piaccia.
Se
vi và, fatemi sapere cosa ne pensate, tanto per capire se
sono sulla strada giusta o se sta uscendo una perfetta scemata! Cosa
molto probabile.
Quindi,
passo a ringraziare Eruanne
e CinderNella,
che hanno commentato lo scorso capitolo. Spero che questo non vi deluda!
Grazie
anche a chi ha inserito la storia tra le seguite e le ricordata! E,
naturalmente, anche a chi legge soltanto.
Con affetto,
TheOnlyWay
II.
Perfetto, ed
ora che faccio? Sto rimuginando da due
giorni, sempre sulla stessa cosa. Sapete quant’è
stancante pensare per circa 48
ore ad un unico pensiero? Be’, il mio cervello, praticamente,
è in declino. Ed
è un guaio, perché senza non so proprio come
fare.
Non ho detto
a nessuno di avere il numero di Ben Barnes,
nemmeno a Grace, la mia migliore amica. So già cosa mi
direbbe, nel caso lo
venisse a sapere. Il vero problema, in effetti, è che non
sono tanto sicura di
volerlo sentire.
Sono passati
due giorni, da quando ho letto il biglietto:
e se fosse uno scherzo di cattivo gusto? Insomma, continuo a ritenere
piuttosto
improbabile che Ben Barnes – non so se ci capiamo –
mi abbia lasciato il suo
numero di telefono.
La
verità? Il problema non è tanto che lui sia Ben
Barnes.
Cioè, lo è, ma non è quello a
preoccuparmi. Ciò che mi turba, in realtà,
è che
lui ha trent’anni ed è un uomo. Io, invece, sono
una ragazzina alle prime
esperienze, se vogliamo mettere le nostre situazioni a confronto.
Però
– si, c’è anche un però
– mi ha piacevolmente colpito e rivederlo non sarebbe una
gran
tragedia, no?
Mi butto sul
letto, un po’ esasperata. Che fare?
Le
alternative sono tre: non lo chiamo, lo chiamo, gli
mando un messaggio.
Dopo
un’altra ora di intenso ragionamento, decido: gli
mando un messaggio, perché non avrei il coraggio di parlarci
al telefono.
Lo so, lo so,
è una cosa da bambini di tre anni, ma sono
fatta così. L’idea di uscire con un uomo mi mette
in agitazione, perché
l’ultima esperienza che ho avuto, credo potrebbe bastarmi per
tutta la vita.
E va bene,
ora glielo mando.
Ma cosa gli
scrivo? Cioè, non posso esordire con un “Ehilà, Ben. Ti ricordi di me? Io ti ho
dato
del pedofilo e tu mi hai lascito il tuo numero. Quando usciamo?”,
non so se
mi spiego.
Rifletti,
Morgan, rifletti.
Afferro il
telefono, e inizio a digitare un abbozzo di messaggio,
ma dopo le prime tre parole – ciao,
sono
Morgan – cancello e mi arrendo. Che poi, in
effetti, se lo chiamassi
sarebbe tutto più semplice. No, no, non ce la faccio.
Trascorro il
resto della giornata parecchio nervosa e,
dopo aver litigato con Ellie e con Brian – il fratello
maggiore – me ne vado a
letto.
Non
è possibile che l’idea di Ben mi mandi
così in
agitazione, dico davvero. Così, decido definitivamente:
domani mattina gli
mando il messaggio e fine della storia. Dopotutto, non è
detto che voglia
ancora uscire con me. Magari il biglietto era solo una cortesia. No?
È
mattino, adesso, ed io sono a letto, con il telefono
stretto nella mano destra.
Alla fine,
ieri sera, ho trovato il coraggio di dire tutto
quanto a Grace. Come avevo previsto la sua risposta è stata
piuttosto ovvia: “Se non lo chiami”,
ha detto “ti rubo il biglietto e
faccio finta di
essere te. Vedrai che ti combino”. L’ho
trovata molto convincente, quindi
mi sono decisa.
Digito
frettolosamente, prima che la paranoia torni. In
meno di un minuto, il messaggio è inviato. Tiro un respiro
profondo, ora più
sollevata. Resta solo da vedere se lui risponderà, cosa di
cui un po’ dubito.
Una volta
tolto il pensiero, è stato più semplice
trascorrere la giornata in maniera normale. Non penso neanche al fatto
che Ben
non ha risposto, perché me lo immaginavo, che sarebbe andata
così.
Quando il
telefono inizia a suonare, ormai sono le cinque
di pomeriggio ed io sono stanca morta dopo un pomeriggio trascorso a
riordinare
la casa. Mamma e papà non ci sono, sono fuori
città per un paio di giorni, e
sia Brian che Ellie non sono in grado di combinare niente,
all’infuori che
mettere casino dappertutto.
«Pronto?».
«Morgan? Sono Ben».
A momenti mi strozzo con la saliva, mentre ricollego quella voce
tranquilla e
calda al viso affascinante dell’attore.
«Ben…
ciao», farfuglio, un po’ imbarazzata. Ma
com’è che
qualche giorno fa ero tanto tranquilla?
«Sai, pensavo che
non mi avresti chiamato», dice, tranquillo.
«Ci
ho pensato, in effetti», rispondo, sincera. Perché
mentire? L’idea di non chiamarlo mi ha assillato parecchie
volte.
«Davvero?», a
giudicare dal suo tono sembra parecchio stupito. Insomma, lo capisco,
quale
ragazza gli direbbe mai di no?
«Si,
ma non ti offendere», mormoro, un po’ contrita.
«Nessun offesa».
Rimaniamo in silenzio per qualche secondo, poi Ben sospira e la sua
voce mi
avvolge di nuovo, pacata.
«Se non ti và di
uscire, non sentirti obbligata», mi tranquillizza.
«No,
mi và». E dico davvero, voglio uscire con lui.
«Che ne dici di stasera?»,
domanda. Do’ un’occhiata alla sveglia sul comodino.
Sono già le cinque.
«Per
che ora?».
«Va bene per le
otto?».
«Si,
per le otto sarebbe perfetto. Posso chiederti una
cosa?», un dubbio improvvisamente mi assale.
«Certo».
«Dove
andiamo?».
«Non ti preoccupare,
penso a tutto io. Ti passo a prendere alle otto, allora».
Dopo essersi
segnato l’indirizzo, Ben mi saluta e riattacca. Resto ancora
un po’ intontita,
prima di riscuotermi e dirigermi verso l’armadio alla ricerca
di qualcosa di
decente da mettermi.
C’è
una cosa importante, che dovete sapere: amo i tacchi
alti. Ma non ci so camminare per niente, per cui mi limito ad
osservarli nelle
vetrine e a lasciarli lì, dove non sono nocivi per nessuno.
Inutile dire
che l’unico paio di scarpe col tacco che io
abbia mai avuto, sono decedute in poco tempo. I tacchi barbaramente
spezzati ce
li ho ancora conservati nel cassetto, in ricordo della mia
incapacità di
camminare sopraelevata di qualche centimetro.
Tutto questo
per dire che non ho la minima idea di cosa
indossare. E se chiamassi Ben e glielo spiegassi? Insomma, potremmo
andare da
McDonald, no? Lì andrebbero bene le scarpe da tennis. Mi sa
tanto che lo
faccio.
Sto per
cercare il numero nella rubrica, quando qualcuno
inizia a bussare insistentemente alla porta. Mollo il telefono sul
letto e mi
precipito verso la porta. Chiunque sia, ha una gran fretta.
Be’,
mi sarei aspettata chiunque, davvero, tranne Grace.
Che in questo lunedì mattina dovrebbe essere
all’università. Cosa ci fa a casa?
«Scordati
il McDonald», mi ammonisce, rifilandomi un
sacchetto. Lo apro, curiosa. Quando ne tiro fuori un paio di stivali
neri con
un tacco da dodici centimetri – dodici! – vorrei
davvero buttarmi giù dal
balcone.
«Ma
perché?», protesto. E non so se riferirmi alle
scarpe
o alla negazione del caro, vecchio Mc. Dove sarebbe il problema? Gli
attori non
mangiano patatine fritte?
Seguo Grace
nella mia stanza e, quando inizia a frugare
nel guardaroba, inizio seriamente a preoccuparmi. Perché
quando Grace si mette
in testa qualcosa, è la fine. Con mio enorme sollievo
afferra un paio di
pantacollant neri e una lunga camicia bianca, abbinata ad una cintura
di cuoio
intrecciato, da mettere sotto il seno.
Poi si fionda
in bagno, verso il mobile dove tengo i
trucchi, gli orecchini, e tutti quegli accessori che ho comprato ma che
non ho
mai messo. Colgo al volo l’occasione per infilare un paio di
ballerine nella
borsa. Me le cambierò appena lei uscirà di casa.
Sono le sette
ed io sono quasi pronta, a parere di Grace.
Volete la verità? Ho un sonno allucinante. Questa esaurita
mi ha sballottata
tutto il pomeriggio, nemmeno fossimo nel backstage di un importante
sfilata di
moda. E, se devo proprio ammetterlo, il risultato è
piuttosto soddisfacente.
Convinco
Grace a lasciarmi truccare da sola: non sopporto
il trucco pesante, così mi limito ad un po’ di
cipria, fard, una leggera linea
di eye-liner e mascara.
Per i
capelli, invece, non posso fare altro se non
concederle il piacere di acconciarli in morbidi boccoli. Le ho fatto
notare, in
ogni caso, che nel giro di dieci minuti saranno di nuovo lisci, ma lei
non
demorde. Così, come ho fatto con le ballerine, imbosco anche
un elastico
bianco.
Lo so, lo so,
io e l’eleganza non andiamo di pari passo,
ma non è colpa mia! Lo giuro. È che Morgan
è il nome di un pirata, non di una
principessa. Ed io, di conseguenza, sono parecchio lontana
dall’esserlo. Anche
perché essere un pirata è molto più
divertente.
Alle otto
sono pronta. Grace si affaccia alla finestra
ogni tredici secondi, con l’aria di una vecchia impicciona
che osserva tutti i
passanti, per commentare quello vestito peggio. Io, invece, sono
sdraiata sul
divano e sto sonnecchiando.
Dovrei essere
nervosa, ma non lo sono. Non più di tanto,
in realtà. E c’è un motivo ben preciso:
credo che alla fine di questa serata
Ben non vorrà più vedermi.
Non
fraintendetemi, non sono pessimista. È che succede
sempre così.
L’ultima
volta che sono uscita con un ragazzo, lui non si
è fatto più sentire. Anzi, no, mi ha mandato un
messaggio, nel quale affermava
che lui preferiva le ragazze un po’ più
sofisticate e soprattutto più aperte.
Lasciamo
perdere quello che gli ho sofisticatamente
risposto, fatto sta che un appuntamento che a me era sembrato piuttosto
tranquillo, si era rivelato un vero fiasco. Per questo non nutro alcuna
aspettativa.
Se Rick, il
sofisticato, voleva qualcuno più serio di me,
come avrei potuto andar bene per Ben?
L’urlo
stridulo di Grace mi riscuote dai miei pensieri.
Sicuramente Ben è arrivato.
«È
così figo», mormora. Le getto
un’occhiata un tantino
scettica, perché quando la sento parlare così
è tanto simile ad Ellie. E, come
con Ellie, mi viene voglia di strozzarla.
«Bello
come un Dio», sussurro, portandomi le mani sul
cuore. Grace si accorge che la sto palesemente prendendo per il culo e
mi
scocca un’occhiataccia.
«Muoviti,
và», dice, allungandomi il cappotto nero. Lo
indosso, poi, dopo aver afferrato la borsa, esco di casa. Inutile dire
che nel
scendere i tre gradini che conducono al vialetto rischio di ammazzarmi
un
numero imprecisato di volte.
Sentendomi
come una sopravvissuta, raggiungo Ben, che mi
aspetta appoggiato alla macchina con le braccia incrociate. E, proprio
come
Ellie e Grace, non posso fare a meno di pensarlo: “Sei così figo”.
Sorrido tra me e me, prima di avvicinarmi. Ora si
che mi sento in imbarazzo, perché non so come salutarlo. Un
bacio sulla
guancia? Una stretta di mano? Un abbraccio?
Per fortuna
ci pensa lui a togliermi dall’impiccio,
lasciandomi un bacio sulla guancia.
«Scusa
se ci ho messo un po’ a scendere». Con aria confusa
– no, non confusa, scettica
– Ben
osserva i tre gradini. So cosa sta pensando e non posso dargli torto.
Ci
vogliono dieci secondi a percorrere i gradini e il vialetto.
«Non
so camminare sui tacchi», spiego. Lui ridacchia, poi
mi apre la portiera. Ed ecco un punto da aggiungere a suo favore. Ben
Barnes è
molto galante. Ma che ci faccio io con lui? No, davvero. Io non ho
niente di
elegante.
Si accomoda
al posto del guidatore e mette in moto e
quando svoltiamo l’angolo, frugo nella borsa ed estraggo le
ballerine e
l’elastico.
«Ah-Ah!»,
esclamo, felice come una pasqua. Sotto lo
sguardo allibito di Ben sfilo gli stivali e infilo le ballerine, poi
raccolgo i
capelli in uno chignon disordinato e sospiro soddisfatta. Quanto
scommettete
che ora Ben torna indietro e mi riporta a casa?
È
questo, il mio problema. Tendo a dimenticare che non
tutti comprendono e approvano il mio comportamento. D’altra
parte, però, non
vedo perché dovrei fingere di essere qualcuno che non sono
solo per piacere ad
un ragazzo. Non mi interessa.
«E
allora perché li hai messi?», domanda, confuso.
«Perché
la mia migliore amica pensava che fossero adatti.
E non potevo dirle di no», spiego, alzando le spalle. Ben
sorride, tranquillo.
Non sembra nemmeno un po’ stranito dal mio comportamento e
questo mi fa
piacere.
«Sai,
ho pensato molto a dove potevamo andare. Di solito
le ragazze amano i ristoranti raffinati, dove possono sfoggiare tacchi
alti»,
accenna un sorriso divertito, «vestiti eleganti e
acconciature elaborate. Ma tu…
tu sei tutta un’altra storia», afferma.
Lo bacio, io
vi giuro che lo bacio. Mi guarda un attimo,
prima di voltare a destra ed accostare. Mi guardo intorno, curiosa e,
quando
riconosco l’insegna gialla del McDonald capisco che io, Ben
Barnes, lo sposerò.
«Andiamo
al McDonald?», domando, allibita. Lui annuisce,
prima di scendere dalla macchina e fare il giro per aprirmi la
portiera.
Scendo, sentendomi incredibilmente a mio agio senza quei maledetti
trampoli e
gli sorrido, come una bambina di fronte al parco giochi.
«Credo
di amarti», gli dico, come se niente fosse. Lui
ride, prima di porgermi il braccio, in un gesto tanto galante che
centra poco
con il fatto che stiamo per cenare in un fast-food.
Quando
entriamo nel ristorante (si, lo so, non è proprio da
considerarsi tale), tutti gli sguardi si catalizzano su di noi. E
quando dico
tutti, intendo proprio tutti. Compresi i camerieri. Ben, proprio come
un comune
mortale – si, esatto, avete capito bene – si mette
in coda. Lo seguo e mentre
aspettiamo il nostro turno parliamo un po’ del più
e del meno.
«E
quindi hai un fratello maggiore?», mi chiede, mentre
camminiamo verso un tavolo libero. Ben regge il vassoio, sul quale
stanno in
bilico tutte le schifezze possibili immaginabili. L’ho
già detto che adoro il
McDonald e Ben Barnes? Se non l’avessi fatto, rimedio subito:
li adoro.
«Si.
Si chiama Brian ed è uno scemo, ma gli voglio davvero
bene», ammetto, afferrando una patatina dal vassoio.
«Sai, insegna educazione
fisica in una scuola elementare vicino Wimbledon. Mi racconta di quelle
cose
che…», e parto a raccontare di Brian, dei suoi
bambini che lui adora alla
follia e di quegli episodi esilaranti che gli sono capitati.
E Ben mi
ascolta, partecipe ed interessato come mai
nessun’altro è stato nei miei confronti. Ride,
divertito, quando passo a
spiegargli della mia ultima caduta.
«Sei
una piccola calamità naturale, quindi», riassume,
divertito. Annuisco, dando un morso alla crocchetta di pollo.
«Si,
ma non è colpa mia. Mi hanno cresciuta come un
pirata», affermo, tranquilla. Non è una cosa che
dico spesso, quando sono in
compagnia di un ragazzo, perché non mi è mai
capitato che un ragazzo si
interessasse tanto a me.
Lui ride e i
suoi occhi scuri luccicano di divertimento e
partecipazione.
«Qual
è il tuo film preferito?», mi chiede.
Sapete, non
penso nemmeno per un momento al fatto che lui
sia un attore e che io, magari, per compiacerlo, potrei rispondere, che
ne so,
“Dorian Gray”, o “Le Cronache di
Narnia”.
«Pirati
dei Caraibi, ovviamente», esclamo, come se fosse
scontato.
«Jack
Sparrow?», domanda, col tono di uno che ha già
capito tutto. Gli sorrido, e sono sicura che i miei occhi brillino.
Perché se c’è
qualcosa che amo più del McDonald, quello è Jack
Sparrow.
«Jack
Sparrow», confermo, quindi.
Ben ride e,
per mia fortuna, non sembra per niente offeso.
«Hai mai visto uno dei film in cui ho recitato?»,
domanda, curioso. Annuisco,
tranquilla, afferrando un’altra patatina.
«Si,
certo. Anche se Dorian Gray mi ha fatto un po’ impressione.
Preferisco le Cronache di Narnia», spiego. Be’, che
volete? A me Dorian Gray ha
fatto senso in certi punti. Naturalmente non quando c’era
Ben.
Ben annuisce,
serio, ma non offeso. Non sembra mai
prendersela per i commenti sfacciati che gli rivolgo e non capisco
perché. Poi lo
guardo e capisco: lui non è un ragazzino.
Dopo aver
offerto la cena – che ho apprezzato in una
maniera che non credo possiate capire –, Ben mi accompagna a
casa. In macchina,
a differenza di quanto è successo per il resto della serata,
stiamo in
silenzio.
Non
è un silenzio pesante, però, almeno non per me,
che ho
la tendenza a restare in silenzio quando mi trovo particolarmente a mio
agio. Lo
so, è strano, però se non avverto il bisogno di
parlare, perché dovrei farlo
solo per dare aria alla bocca?
Quando scendo
dalla macchina, sono palesemente in
imbarazzo. La verità? Avrei davvero voglia di baciarlo.
Però non vorrei
sembrare una di quelle oche con cui lui è abituato ad
uscire, perciò decido di
ignorare quello che vorrei fare davvero e di comportarmi come una
persona
seria.
Ben mi si
affianca, tranquillo.
«Sono
stata bene», gli dico, puntando lo sguardo al
pavimento. Be’, che volete? Sono una persona timida, in
fondo. Molto in fondo.
«Anche
io, Morgan».
«Be’,
allora ciao», sorrido, poi mi allontano un po’.
«Al
diavolo», lo sento borbottare, prima che la sua mano
afferri il mio polso e mi tiri di nuovo verso di lui. «Poi
prendimi pure a
schiaffi», mormora, prima di chinarsi e baciarmi.
Prenderti a
schiaffi?, penso,
mentre ricambio il bacio, non ci penso
neanche!
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Capitolo 3 *** III. ***
Vi lascio subito alla lettura, le note sono giù!
Enjoy!
Fede.
III.
«Arrivo! Un
attimo!», urlo, infilandomi in tutta fretta i
pantaloni del pigiama e la maglietta. Mi precipito verso la porta di
casa,
mentre chiunque sia là fuori continua a suonare il
campanello, insistentemente.
«Arrivo!»,
ripeto, per l’ennesima volta. Che nervoso. Si
può sapere chi è l’anima sadica che
decide di svegliarmi alle nove del mattino?
Le nove! Dico io: è una
cosa normale? Poi mi ritrovo
davanti una Grace palesemente incazzata e non posso fare a meno di
rabbrividire. Credetemi, è terrificante.
«Stavo
dormendo», la informo, facendomi da parte per farla
entrare. Si avvia in gran carriera verso la mia stanza, senza nemmeno
rivolgermi la parola. Sospiro, senza riuscire a non pensare che la mia
amica
avrebbe seriamente bisogno di una visita dall’analista. O di
una perizia
psichiatrica completa.
«Si può sapere
cos’hai?», le chiedo, chiudendo la porta
della camera. Brian dorme ancora, anche se non capisco come sia
possibile,
visto tutto il casino che ha fatto Grace. Sicuramente ha svegliato
anche i miei
vicini.
«Cos’ho?»,
sibila, puntandomi un dito contro il petto e scandendo ogni parola con
attenzione e rabbia. Resisto alla tentazione di spazzare via la sua
mano e
presto un po’ di attenzione.
Be’, che
c’è? Quando mi sveglio con il piede sbagliato
divento antipatica. A voi non succede? A me si, e vi assicuro che resto
di
malumore per tutto il giorno.
«Tu sei una
stronza», sbotta Grace, mentre gli occhi le si
fanno lucidi. Non ci capisco niente, dico davvero. Forse sto ancora
sognando.
«Si può sapere
di cosa diavolo stai parlando?», rispondo,
un po’ acida. Non è proprio giornata, oggi.
«Di questo! Ecco di cosa
sto parlando!», tira fuori il suo
telefono dalla tasca dei jeans e schiaccia qualche tasto
freneticamente, prima
di piazzarmi lo schermo a dieci centimetri dagli occhi.
È una foto. Che ritrae
me e Ben in fila al McDonald. La
osservo, con attenzione. Volete la verità? Siamo strani,
insieme. Si vede
subito che facciamo parte di due mondi completamente diversi. Lui
è elegante e
posato e affascinante, mentre io sono… be’, sono
io.
«Ha deciso lui di andare
al Mc. Giuro che non l’ho
proposto io», alzo le mani, convinta che sia quello il motivo
per cui Grace sia
tanto inviperita. Poi guardo meglio la foto ed è evidente
che ho i capelli
legati e le ballerine.
Merda.
«Non riuscivo a
camminare, su quei cosi. Lo sai, Grace.
Sono impedita. Non c’è bisogno che te la prendi.
Non l’ho fatto per farti un
dispetto», le dico, sentendo un po’ della stizza
che ho provato fino a questo
momento allontanarsi.
«E i capelli?»,
sussurra, con gli occhi lucidi.
«Avevo caldo e
continuavano a finirmi davanti alla
faccia», alzo le spalle. Mi dispiace che ci sia rimasta male,
ma ero io a
sentirmi a disagio con i tacchi e i boccoli, non lei.
«Potevi dirmelo
subito», borbotta. E, guardandola, capisco
che la tempesta è passata. È per questo che adoro
Grace: sa sempre quando è
giusto arrabbiarsi e quando è meglio lasciar perdere. Con
me, principalmente,
conviene lasciar perdere.
Ci sediamo sul letto, e mi preparo
all’interrogatorio. Per
un attimo mi aspetto quasi che tiri fuori un block-notes per gli
appunti, ma
Grace si limita a sorridermi e a farmi qualche domanda.
«Dici
davvero?», mi chiede, quando le racconto del bacio.
«Certo. Io sono
irresistibile», mi vanto, consapevole di
quanto la realtà sia ben diversa. Grace inarca le
sopracciglia e ridacchia,
divertita.
«Ovviamente. E come siete
rimasti?», domanda.
Bella domanda. Proprio una bella
domanda. Come siamo
rimasti? Non ne ho la più pallida idea. Dopo che mi ha
baciata, ho effettuato
una fuga strategica e mi sono rinchiusa in casa, con un batticuore per
niente
indifferente. Dio, non so nemmeno quand’è stata
l’ultima volta che mi sono sentita
così per qualcuno.
Patetica? Forse. Ma provateci voi,
a passare una serata
con Ben, poi ne riparliamo.
«Sei
un’idiota», borbotta Grace, incredula. Mi tira un
coppino, consapevole di quanto mi dia fastidio. Per questa volta non le
dico
niente, visto che non me la sento di darle torto.
«Morgan!»,
Brian spalanca la porta della mia camera, con
un asciugamano avvolto intorno ai fianchi e i capelli ancora
gocciolanti.
«Brian, cazzo. Poi devo
asciugare io. E dai, che ti costa
vestirti?», brontolo.
«Non rompere, Strega».
Lo ammazzerei, quando mi chiama in quel modo. Da bambina mi mettevo
sempre a
piangere.
«Io sono un Pirata»,
rispondo, incrociando le braccia al petto e mettendo il broncio.
«D’accordo, Morgana».
Ma perché vuole sempre l’ultima parola? Lo detesto
quando fa così. Poi, però,
mi ricordo che Grace è ancora qui. In realtà,
è come se non ci fosse, visto che
il suo sguardo sembra catalizzato completamente dagli addominali di mio
fratello.
Okay,
lo ammetto.
Brian è figo. Ma è mio
fratello! No,
dico sul serio, come fa Grace ad avere una cotta per lui. Brian
è così Brian.
È dispettoso, un po’ troppo
dispettoso. E poi è dispettoso, l’ho
già detto?
«Vatti a
vestire», brontolo, alzando gli occhi al cielo.
Sento a malapena Grace mormorare un «oppure
leva l’asciugamano», prima di lanciare un
urlo esasperato e cacciare Brian
dalla stanza. Lui fa un occhiolino a Grace, che arrossisce come una
mocciosa
alla prima cotta e se ne và.
«Comunque ero venuto a
dirti che c’è qualcuno per te, in
cucina», lo sento dire, prima che il rumore della porta del
bagno che si chiude
soffochi la sua voce.
Perplessa, esco dalla stanza,
seguita da Grace, che inizia
a riprendersi, finalmente. Giuro che se Brian ha fatto entrare Jason lo
sopprimo.
Voi non lo sapete, ma Jason
è un altro appuntamento finito
male. Jason è l’unico ragazzo che IO abbia deciso
di non cercare più, nemmeno
per sbaglio. E non solo perché ha provato a infilare le sue
manacce nella
scollatura della mia maglietta. Principalmente l’ho
cancellato perché è un
grandissimo, completo idiota. Più di Brian.
Perciò quando metto
piede in cucina sono già sul piede di
guerra, alla ricerca delle parole adatte per dire a Jason che non
voglio
vederlo nemmeno in cartolina.
Non mi ricordo se l’ho
mai detto, ma non sono un vero
fenomeno con le previsioni. Anzi, non credo di averne mai azzeccata
una.
Dico questo perché Ben
Barnes seduto al tavolo della mia
cucina è l’ultima persona che mi aspetto di
vedere, in questa mattina
cominciata male e che rischia di diventare anche peggio.
Sei stupida, direte voi. E io vi
darei pienamente ragione,
perché l’uomo dei miei sogni è nella
mia cucina ed io non potrei chiedere di
meglio. Ma lasciate che vi spieghi le cose dal mio punto di vista: sono
in
pigiama. In pigiama! E non un pigiama qualsiasi, no. Sarebbe troppo
semplice,
troppo bello. Questo è IL pigiama, quello azzurro, con le
nuvolette bianche.
Capite, adesso? Prima di uscire con Ben ho avuto quasi tre giorni per
prepararmi mentalmente ed ora lui si presenta in cucina, elegante come
sempre e
con un sacchetto di Starbucks.
«Ben!»,
squittisco, sull’orlo di una crisi nervosa. Lui
sorride, prima di avvicinarsi, lasciarmi un bacio sulla guancia e
scompigliarmi
i capelli.
«Buongiorno,
Morgan».
«Che vergogna»,
sussurro, passandomi una mano sulla
fronte. Ben ride ancora, prima di alzare gli occhi al cielo.
«Non mi presenti la tua
amica?», chiede, inclinando la
testa da un lato e guardando Grace, che balbetta qualcosa di
incomprensibile.
Ben non sembra per niente turbato dalla sua reazione, probabilmente
è abituato.
Cercando di non farmi vedere,
pizzico il braccio di Grace,
che si riprende e porge la mano a Ben, con un sorriso un tantino
inquietante.
Spero proprio che non gli salti addosso.
Cade un silenzio imbarazzante,
durante il quale io non
faccio altro se non guardare con aria critica il mio stupido, stupido
pigiama,
promettendomi di buttarlo questa sera stessa.
Guardo Ben di
sott’occhio, cercando di capire cosa gli
passa per la testa, ma è incomprensibilmente sereno, anche
mentre mi porge un
bicchiere di cappuccino e cede il suo a Grace, che lo ringrazia.
«Grazie»,
mormoro. Grazie, perché portarmi la colazione è
stato un gesto tanto carino quanto inaspettato. Nessuno è
mai stato tanto
carino con me.
«Sai, ho immaginato che
fossi in paranoia», comunica,
addentando – sempre con eleganza – il croissant
alla crema. Quasi mi strozzo
con il cappuccino, mentre mi rendo conto che quest’uomo mi ha
già inquadrata
alla perfezione.
Di bene in meglio, Morgan.
«Hai immaginato
bene», risponde Grace, al mio posto. Ben
la guarda incuriosito, spingendola ad andare avanti.
«Be’, sai,
Morgan è un po’ insicura. Paranoica, esaurita, un
tantino schizofrenica. Poi è permalosa, se proprio dobbiamo
dirle tutte, e
sarcastica. E poi è orgogliosa, sai? Un sacco».
«Ti prego, basta con i
complimenti. Potrei arrossire»,
ringhio, cercando di farle capire che non mi sta esattamente mettendo
in buona
luce. Ma Grace continua, sotto invito di Ben, che ha puntato i gomiti
sul
tavolo e ha appoggiato il mento sul pugni chiusi. Guarda me, e si sta
divertendo un mondo, a giudicare dal sorriso che troneggia sul suo
volto.
«Non so se te
l’ha detto, ma ha una cotta esagerata per
Johnny Depp».
«A proposito di cotte,
Grace. Mio fratello potrebbe aver
bisogno di un aiuto per vestirsi».
Grace boccheggia, mentre le sue
guance si colorano di un
rosso acceso. Sorrido vittoriosa, quando la sento annunciare che deve
assolutamente andare in bagno a fare la pipì.
«Per la cronaca, sono
anche vendicativa», finisco di
sorseggiare il mio cappuccino, sotto lo sguardo divertito di Ben, che
scoppia a
ridere. Credo che fino a quel momento si sia trattenuto per non
offendere
Grace.
Si alza, fa il giro del tavolo e mi
si piazza davanti.
Arrossisco, di fronte all’evidenza di trovarmi praticamente
bloccata tra il
bancone della cucina, al quale sono appoggiata, e il suo corpo.
«E così hai
una cotta per Johnny Depp», mormora, mentre i
suoi occhi scuri scintillano di divertimento e… di malizia?
«Assolutamente
si», sussurro, sforzandomi di mantenere il
contatto visivo.
Sii coraggiosa, Morgan. Tu sei un
pirata!, mi ripeto.
«Non ho nessuna
possibilità, allora», sostiene,
avvicinandosi un po’ di più. sento distintamente
il suo respiro sfiorarmi la
guancia e mi ci vuole tutta la mia forza di volontà per non
far cedere le
ginocchia, che improvvisamente sono diventate piuttosto traballanti.
«Non essere pessimista,
Ben. Può anche darsi che tu mi
piaccia, chi lo sa. Certo, non sei Jack Sparrow, ma ci si accontenta lo
stesso». Adesso, per favore, qualcuno mi spieghi da dove
cavolo mi escono certe
cose. Dico davvero, forse dovrei accompagnare Grace da quello
psicologo. E
magari dovrei fermarmi a farci una lunga chiacchierata.
Ben ride, avvicinandosi ancora un
poco.
«Buono a sapersi, allora.
Perché potrebbe darsi che anche
tu mi piaccia, chi lo sa», sussurra, prima di lasciarmi un
bacio leggero sulle
labbra e scostarsi. Cosa? Non può mollarmi così!
Non dopo avermi detto che
potrei piacergli. Io! Proprio io! Morgan il pirata. Non Morgan la
principessa.
Il pirata. Io, io, io.
Così lo afferro per il
maglione nero, trattenendolo
abbastanza vicino da poter sentire il suo calore.
«Anche se ho questo
pigiama?», chiedo, indicando una
nuvoletta bianca in corrispondenza del mio braccio.
«Soprattutto
per
questo pigiama», conferma lui, divertito. Mi lascia un altro
bacio sulle labbra,
ma questa volta si sofferma più a lungo e lo approfondisce.
Mi passa una mano
dietro la schiena e una dietro la testa, stringendomi di più
a lui.
Vi ricordate quando ho detto che la
giornata poteva solo
che peggiorare? Be’, scherzavo, perché meglio di
così non potrebbe andare.
E vi ricordate anche quando ho
detto che Brian è parecchio
dispettoso? Tenetelo bene a mente, perché lui non
è solo dispettoso, è
malefico. Ed è geloso. Parecchio geloso, in
verità.
Quindi mi stacco subito da Ben,
quando sento mio fratello
schiarirsi la voce come fa sempre quando è molto vicino a
perdere la pazienza.
«Scusate se vi
interrompo, ma avrei bisogno di un
bicchiere», sibila, indicando la credenza esattamente sopra
la mia testa.
Arrossisco e mi faccio da parte, costringendo Ben a fare lo stesso.
«Ehi, Morgan! Vieni un
attimo!», la voce di Grace mi
raggiunge dal piano di sopra, così getto
un’occhiata di scuse a Ben e una
d’avvertimento a Brian, prima di correre da Grace.
Ho un brutto presentimento.
«Non dirmelo»,
la supplico, non appena metto piede in
camera. No, no, no.
«Brian voleva parlare da
solo con lui».
«Merda. Ben
scapperà a gambe levate», mugugno, prendendomi
la testa tra le mani. E che cavolo.
«Scusa, Morgan. Ma era a
petto nudo e non c’ho capito
niente. Credo l’abbia fatto apposta». Agito le
mani, facendole intendere che so
che non è colpa sua: è che Brian è un
maledetto stronzo, quando ci si mette.
«E poi la strega sarei
io», brontolo, sedendomi sul letto
accanto a Grace. Pochi minuti dopo sento i passi di Brian salire le
scale e
attraversare il corridoio, segnale che ho il via libera.
Mi precipito al piano di sotto,
rischiando di ammazzarmi
almeno una ventina di volte. La verità? Non credo che Ben
sia rimasto. Brian
incute parecchio timore, quando vuole.
E invece Ben è ancora
lì, seduto al tavolo della cucina
con aria tranquilla e per niente abbattuta.
«Sei rimasto»,
boccheggio, incredula. È qui. È qui.
«Avevi dubbi? Non
sarò Jack Sparrow, ma anche il Principe
Caspian ha il suo perché, sai?», ride, prima di
abbracciarmi.
Scoppio a ridere anche io, poi gli
lascio un bacio sulla
guancia.
Non ci posso credere. Morgan il
Pirata e il Principe
Caspian. Ma dove andremo a finire?
Ta-daaaaaan!
Eccomi qui.
Allora,
sono stata piuttosto in dubbio su questo capitolo. Non so, mi sembra
che le cose stiano procedendo troppo in fretta, no? Non so dirvi come
mai mi sia uscito così, ma non lo vedrei scritto in nessun
altro modo. A me piace, se devo dire la verità,
però ammetto che può sembrare strano. Che ne
pensate?
Scusatemi
se sembro paranoica, ma proprio non posso farne a meno >.<
Comunque,
spero che vi sia piaciuto e aspetto di sentire le vostre opinioni in
merito, pure per dirmi che è una completa schifezza! Giuro
che non mi offendo u.u
Bene,
at last but not least, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: perfectvip94, justanechelon,
Eruanne, CinderNella e Lisbeth17.
Grazie di cuore!
|
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Capitolo 4 *** IV. ***
Hola!
:D
Allora,
prima che leggiate, c'è una cosa che volevo spiegarvi...
Non
so perchè, ma praticamente nella mia testa la storia
è uscita divisa in due parti, e questo capitolo sarebbe
praticamente il primo della seconda parte. Infatti è
ambientato parecchio tempo dopo il terzo, ma si capisce comunque tutto
quanto! Tra le altre cose, non credo che manchi molto per la fine della
storia, forse altri cinque capitoli, o forse meno.
Detto
questo, spero che il capitolo vi piaccia, anche perchè io mi
sono divertita da morire, a scriverlo...
P.s:
GRAZIE A VOI CHE AVETE COMMENTATO LO SCORSO CAPITOLO! VI
ADORO!
E
scusatemi se non vi ho risposto alle recensioni meravigliose che avete
lasciato, provvederò al più presto!
Con
affetto,
Fede.
IV.
Lo so io dove
andremo a finire:
all’inferno. No, non sto scherzando. Sono trascorsi
all’incirca tre mesi, da
quando ho iniziato a frequentare Ben e posso affermare con assoluta
certezza
che sono stati i tre mesi più belli della mia vita.
Ben mi ha
fatto sentire
desiderata, corteggiata, protetta – cosa che non mi capita
quasi mai, visto che
ritengo di essere del tutto autosufficiente e quindi in grado di badare
a me
stessa – e, soprattutto, mi ha fatto sentire amata.
Perciò
qualcuno mi spieghi per
quale fottuto motivo gli è venuto in mente di proibirmi
– proibirmi! Come se
avessi due anni! – di andare Italia con Grace. Okay,
magari il fatto che Grace abbia detto davanti a lui che suo cugino
Giacomo non
vede l’ora di conoscermi non ha certo contribuito a
tranquillizzarlo, ma cavolo,
sono una persona seria, io!
Di certo non
mi sarebbe venuto in
mente di saltare nel letto di Giacomo come una maledetta traditrice
alla quale
non gliene frega assolutamente niente di essere già
impegnata. E poi Giacomo
neanche mi piace!
Comunque, Ben
ha protestato
vivamente, di fronte all’invito di Grace e per la prima volta
non mi è sembrato
il trentenne che tanto si vanta di essere, ma un ragazzino geloso di
qualcosa
che pensa gli appartenga.
Perciò
adesso ci troviamo nel
salotto di casa sua. Lo osservo mentre fa avanti e indietro,
nervosamente,
nemmeno gli avessi detto di essere rimasta incinta. Si tratta solo di
un
viaggio, santo cielo.
Incrocio le
gambe, e infilo le
mani nella tasca della felpa blu. Dico davvero, non capisco cosa cavolo
gli
prenda. E dire che, fino a settimana scorsa, andava tutto bene. Che
motivo c’è
di perdere la pazienza in questo modo? Non che io sia così
tanto paziente, per
carità, ma quando il mese scorso mi ha informato che avrebbe
girato un film con
quella gran figa di non-mi-ricordo-come-si-chiama non ho mica
organizzato un
corteo di protesta, né mi sono incatenata nuda al cancello
di casa sua minacciando
uno sciopero della fame e rischiando la morte per ipotermia.
Quindi, o mi
dice le cose come
stanno e si comporta come il trentenne che è, oppure inizio
io a comportarmi
come la ventenne che sono, e vi assicuro che in quel caso non gli
converrebbe
un granché.
Dieci minuti
dopo, la situazione
non è cambiata di una virgola: anzi, è
addirittura peggiorata. Ben inizia a
sembrare un leone rinchiuso in gabbia ed io non ci tengo proprio a
passare per
la gazzella di turno. L’aria è tesa, sembra quasi
irrespirabile e non riesco a
credere che nonostante sia parecchio seccata dalla situazione,
l’unica cosa che
vorrei sarebbe alzarmi, abbracciarlo e dirgli che va tutto bene.
Si
dà il caso, però, che non vada
tutto bene per niente e che io sia giunta al punto di perdere la
pazienza.
«Allora?
Pensi di parlare o devo
aspettare che rimanga il solco sul pavimento?» chiedo,
osservandolo un po’ scettica.
Ben storce il naso e per un attimo mi sembra che voglia mettersi a
ridere. Ma è
solo un momento, perché subito dopo sbotta.
«Hai
così fretta di andare da
Giacomo, Morgan?» chiede, rivolgendomi un’occhiata
provocatoria.
Giuro che ora
lo prendo a
schiaffi.
Mi costringo
a rimanere calma, a
prendere un respiro profondo e a raccogliere tutta la proverbiale
pazienza che
sono riuscita ad accumulare fino ad oggi. Che non è poca,
considerando che vivo
con Brian.
«Ti
sta venendo il ciclo, per
caso? O è la menopausa?»
Lo so, lo so.
Ho detto che sarei
rimasta calma. Solo che certe volte proprio non riesco a trattenermi e
questo è
il risultato. Ben ringhia qualcosa di molto simile ad un “davvero divertente” ed io non
posso fare a meno di sogghignare
internamente. Cosa crede, di essere l’unico in grado di far
perdere la testa a
qualcuno? Oppure pensava che fossi davvero
una ragazzina vittima del suo fascino?
«Qual
è il problema, Morgan?»
chiede, passandosi una mano sugli occhi, stizzito. Inarco un
sopracciglio,
incredula. Lui chiede a me quale sia il problema? Non ci siamo proprio.
«Non
c’è nessun problema, Ben. Stai
facendo tutto tu.» ribatto, secca. Mi guarda, con quegli
occhi neri che di
solito hanno lo straordinario potere di tranquillizzarmi, ma che ora mi
fanno
solo innervosire più di quanto io lo sia già.
«Davvero?
Perché ho ridacchiato io
quando la tua amica ti ha proposto di conoscere suo cugino?»
Basta
così. Mi sta praticamente
accusando di qualcosa che non ho neanche fatto, nemmeno
l’avessi tradito. Ed io
non ci sto a sentirmi dire certe cose, non quando settimana scorsa gli
ho
confessato che per me c’è solo lui, già
da un po’ di tempo. Forse già da quando
mi ha portato al McDonald, forse già da quando mi ha
accettato con il pigiama
da bambina.
Afferro il
giubbotto, la borsa e
il cellulare, che avevo appoggiato sul tavolo, e mi dirigo verso
l’ingresso,
con tutto l’intento di mollarlo lì, come il
perfetto idiota che sta dimostrando
di essere. Se fossimo in un film, Ben mi rincorrerebbe, mi tratterrebbe
per il
polso, mi bacerebbe e mi confesserebbe di essere uno stupido. Ma
siccome non
siamo in un film, e siccome con i se
e con i ma non si va da nessuna
parte, si limita a fissarmi arrabbiato, dall’alto del suo
metro e ottantacinque.
Cosa crede,
che non abbia il
coraggio di piantarlo in asso?
«Quando
hai finito di comportarti come
un coglione, fammelo sapere.» dissi, prima di chiudermi la
porta alle spalle e
lasciarlo da solo. E non pensiate che sia stato tanto facile dirlo.
Assolutamente
no.
A
dimostrarlo, ci sono i
singhiozzi che premono per uscire, ma che mi sto sforzando di
trattenere per
non fare la figura della pazza isterica con una crisi di pianto in
mezzo alla
strada. Per non parlare di Brian, che farebbe rinsavire Ben a furia di
calci in
culo. Perciò gli mando un messaggio, informandolo che mi
fermerò a dormire da
Grace e mi dirigo verso casa della mia amica.
È
evidente che Grace si sarebbe
aspettata qualunque cosa, tranne che trovarmi in lacrime.
«Deficiente.»
singhiozzo,
ovviamente riferendomi a Ben. E Grace sembra capire perfettamente,
perché mi
stringe in un abbraccio caldo e pieno d’affetto, che per un
attimo mi fa
dimenticare di stare tanto male. Poi lo sguardo duro di Ben si
riaffaccia nella
mia mente, facendomi riprendere a singhiozzare più forte di
prima.
Dio, che
giornata di merda.
«Cos’è
successo, tesoro?» mi
domanda Grace, mettendomi sotto il naso una tazza fumante di
tè caldo.
«Il
Principe Caspian è un
coglione.» farfuglio, prima di bere un lungo sorso che mi
ustiona la lingua e
il palato. Grace ridacchia. «L’ho sempre detto che
Edmund è il migliore.»
afferma, tranquilla. Faccio spallucce, per darle ragione.
Le racconto
per filo e per segno
dell’incontro con Ben e ad ogni secondo che passa vedo sul
suo viso i segni del
senso di colpa, così mi affretto a tranquillizzarla, prima
che anche lei scoppi
a piangere.
«Il
punto non è Giacomo, l’Italia
e il viaggio. Il punto è mi ha fatto sentire una merda, per
una cosa che non ho
neanche fatto. Praticamente mi ha dato della zoccola!» urlo,
inferocita. Grace scuote
la testa, in palese disaccordo.
«Non
esagerare, Morgan. Ben ha
solo paura che qualcuno ti allontani da lui.» spiega, con una
serietà a dir
poco sconcertante. Insomma, stiamo parlando di Grace, che aveva pianto
perché mi
ero tolta le scarpe con tacco, capite?
Boccheggio
per qualche istante,
prima di chinare il capo sul tavolo e chiudere gli occhi. Cosa ci
voleva a
dirlo? Non poteva semplicemente dirmi che gli dava fastidio? No, lui
doveva
fare le scene da attore melodrammatico. Doveva farmi sentire una poco
di buono,
un fedifraga, un’adultera, una merda! E tutto per non
ammettere che è geloso.
Stupido,
affascinante idiota che
non è altro.
«Dovresti
richiamarlo.» consiglia
Grace, lasciandomi un bacio sulla testa.
«Non
se ne parla. Se vuole
richiama lui, altrimenti addio.»
«Tragica.
Certo che fate proprio
la coppia perfetta…»
Certo, la
coppia perfetta un paio
di palle. Ora mi sento anche in colpa per tutte le cose che ho pensato.
Lo so
che non è come tutti gli altri. So che è
intelligente, che a me ci tiene, che
mi vuole bene. So anche che nessuno è perfetto e che come
sbaglia lui potrei
sbagliare io.
«Sta
suonando il tuo telefono.» mi
informa Grace, guardando verso la mia borsa. Un po’ agitata,
corro a prenderlo,
nella speranza che sia Ben. Voglio
che
sia lui. Perciò ci rimango davvero male, quando leggo il
nome di mio fratello
lampeggiare sul display.
«Cosa
c’è, Brian?» chiedo, un po’
nervosa.
«Mi
spieghi per quale motivo il
tuo fidanzato sta piantonando la porta di casa nostra? Se non se ne
và entro
dieci minuti chiamo la polizia, ti avverto.» borbotta, prima
di attaccare.
Alzo gli
occhi al cielo,
consapevole che Brian sarebbe davvero capace di farlo, raccatto di
nuovo il giubbotto
e la borsa, saluto Grace con un veloce «ti chiamo tra
poco» e mi precipito
fuori casa. Fortunatamente, io e Grace abitiamo solo a cinque minuti di
distanza, così quando arrivo sono ancora in tempo per
evitare di vedere Ben
trascinato via dagli agenti.
Ed
è davvero lì, seduto sui
gradini, con un’aria un po’ sbattuta, ma decisa.
Senza dirgli nemmeno una
parola, entro in casa, comunico a Brian che non
c’è più bisogno di chiamare la
polizia e riesco fuori.
Mi siedo
accanto a Ben, in
silenzio, e aspetto che sia lui a parlare per primo. Io non so proprio
cosa
dire.
«Credo
di doverti delle scuse.»
mormora, rigirandosi tra le mani le chiavi della macchina. Annuisco,
come a
dirgli di continuare a parlare.
«Mi
dispiace davvero, Morgan. È che
quando si parla di te tendo a perdere la testa.» spiega,
voltandosi per
guardarmi negli occhi e accennando un sorriso poco convinto. Inutile
dire che
arrivati a questo punto l’ho già perdonato, ma
sono proprio curiosa di sentire
cos’ha da dire.
«Sai,
non credevo che avrebbe
potuto darmi tanto fastidio, l’idea che qualcuno si
interessasse a te. Non mi è
mai capitato di essere geloso delle donne con cui sono stato, ma forse
è perché
di loro non mi è mai interessato realmente. Tu sei tutta
un’altra storia. E sapere
che il cugino di Grace non vede l’ora di conoscerti mi ha
fatto perdere la
testa. Mi sono scoperto geloso, possessivo, e l’unica cosa a
cui riuscivo a
pensare era “Morgan è mia”. Come uno
stupido, non ho affatto pensato di dirtelo
e ho finito per comportarmi come»
«Un
coglione. Ti sei comportato
come un coglione.» gli vado incontro. Poi sospiro e appoggio
la testa sulla sua
spalla. Ben ride. «Già.»
Dopotutto,
è questo il bello, no?
Si litiga, poi si fa pace.
Gli lascio un
bacio sulle labbra,
prima di scoppiare a ridere, ricordandomi di una cosa che, tra un
litigio e l’altro
non ero riuscita a dirgli.
«Sai,
Ben. Giacomo è gay.»
***
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Capitolo 5 *** V. ***
Ciao!
Avete visto? Ce l'ho fatta
ad aggiornare di nuovo :) Lo so, lo so, è passato un sacco
di tempo dall'ultima pubblicazione, ma proprio ero a corto di
ispirazione per questa storia. L'illuminazione mi è venuta
stanotte, perciò... ta-daaan!
Non
fatevi nessun problema a dirmi che il capitolo è una
schifezzina, perchè non è che mi convinca un
granché, se devo dire la verità. Però
boh. Spero comunque che non vi deluda, perchè mi
dispiacerebbe davvero tanto.
Well,
vi auguro buona lettura!
P.s.
Grazie mille alle ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo!
Questo capitolo è dedicato a voi, che mi incoraggiate sempre
<3
V.
L’Italia è
esattamente come l’ho sempre sognata: calda,
soleggiata e accogliente. A differenza di Londra, in cui piove di
continuo, qui
il sole splende, gli uccellini cinguettano e gli scoiattoli stanno
sugli alberi
e non ti camminano in mezzo ai piedi. Il che è assolutamente
fantastico, visto
che l’idea di schiacciare un povero animaletto con il mio
peso piuma mi riempie
di tristezza.
Alla fine, Ben ha dovuto
rassegnarsi all’idea che –
volente o nolente – sarei partita per Roma, sia che lui fosse
d’accordo, sia
che non lo fosse. C’è rimasto un po’
male e probabilmente si aspettava che
rifiutassi l’invito, da brava fidanzata rispettosa.
Ma andiamo! È assurdo!
Perché mai dovrei privarmi
dell’opportunità di trascorrere
un’intera settima a Roma con la mia migliore
amica, solo perché il signor super star decide di fare il
paranoico?
Perciò l’ho
salutato con un lungo bacio e con la promessa
che ci saremmo sentiti non appena avessi toccato il suolo italiano. Ed
è ciò
che ho provato a fare, ma Ben non ha risposto.
La cosa, se proprio volete sapere
tutta la verità, mi
infastidisce parecchio. Cioè, prima fa storie e mi fa
promettere – a un certo
punto credevo che mi avrebbe fatto firmare un contratto con il sangue
– di
chiamarlo il prima possibile, poi io lo chiamo e lui cosa fa? Non
risponde.
Oh, be’. Problemi suoi.
Io ora ho ben altro a cui pensare.
Come Alessandro, per esempio. È il migliore amico di Giacomo
e non è assolutamente
gay. Ma proprio neanche da
lontano. Lui e Giacomo sono venuti a prenderci in aeroporto, alla guida
di una
monovolume verde menta a dir poco orripilante. Strano, eppure io adoro
il
verde. È il mio colore preferito. E adoro anche Jack
Sparrow. E amo Ben. Oh,
cielo, e questa da dove mi è uscita?
Credo sia colpa del fuso orario.
Non si direbbe, ma un’ora
in più è un sacco di tempo. Ed ho anche sonno.
Perciò ignoro le domande di
Alessandro, anche perché non capisco niente di
ciò che dice, e appoggio la
testa sulla spalla di Grace, che mi circonda con un braccio e mi lascia
un
bacio sui capelli.
«Già ti
manca?» domanda, tranquilla.
Scuoto la testa in segno di
diniego, poi le rispondo. «No.
già mi sta facendo incazzare. Non mi risponde.»
brontolo, facendola ridere. Si,
certo, ridi pure Grace. Tanto chi se ne importa se io adesso mi sento
in colpa
per essere partita, pur sapendo che Ben non era d’accordo. E
se mi lasciasse?
Oh, merda.
«Chi è
Ben?» si intromette Giacomo, in un inglese
pressoché perfetto, ma un po’ viziato
dall’accento romano. Anche Alessandro,
che per il momento aveva abbondato i tentativi di fare conversazione,
appare
parecchio interessato.
«Il fidanzato di
Morgan.»
Alessandro borbotta qualcosa di cui
sinceramente non
afferro nemmeno il senso e si volta dall’altra parte,
stizzito. Giacomo
ridacchia e attraverso lo specchietto retrovisore colgo la sua occhiata
divertita. Gli sorrido debolmente, poi guardo ancora il display del
telefono.
Chi lo sa, magari nel frattempo Ben si è deciso a chiamarmi.
Ma niente. È
desolatamente vuoto.
«Vi ho visti, su
internet.» commenta Giacomo, con
incredibile non-chalance. Oh, wow, e così i cavoli miei
vengono sbattuti in
prima pagina senza il minimo riguardo. Che simpatici, questi fotografi
della
domenica.
«Lui è un
attore famoso, no?» incalza, con evidente
curiosità. Ma si può sapere cosa vuole?
Un’intervista, per caso?
«Si. Ma non mi
và di parlarne, scusa.» lo liquido
velocemente, perché gli affari miei restano sempre affari
miei, a prescindere
che Ben sia famoso o meno. Santo cielo, ma perché la gente
deve essere a tutti
i costi così pettegola?
La casa degli zii di Grace si trova
in un quartiere
elegante e residenziale di Roma. È una grande villa,
circondata da un giardino
verde e ben curato e recintata da un lungo cancello nero. Spalanco gli
occhi,
mio malgrado colpita, poi seguo Grace lungo il vialetto
d’ingresso. George, il
fratello del padre di Grace è un uomo attraente, con gli
occhi azzurri e i
capelli corvini e saluta sia la nipote che me con un abbraccio
caloroso. Anche
Elena, la moglie, ci abbraccia e ci dà il benvenuto,
prendendo entrambe
sottobraccio e conducendoci verso il salotto. È elegante,
arredato con
semplicità e con gusto e mi piace, se devo essere sincera.
Ma c’è
qualcosa che non va: Alessandro. Continua a tenermi
gli occhi addosso, seguendo ogni mio movimento e la cosa mi
infastidisce oltre
ogni dire. Sarei quasi tentata di dirlo a Giacomo e di pregarlo di
farlo
sloggiare, ma proprio non voglio essere fonte di problemi. E comunque,
Alessandro non mi piace affatto.
Io voglio Ben. Cavolo, se mi manca.
Proprio in quel
momento, il mio telefono inizia a squillare. Con un sospiro di
sollievo, leggo
il nome di Ben e non posso fare a meno di sorridere.
«Ciao!»
cinguetto, felice. Sentire la sua voce calda mi
riempie di nostalgia, ma quando capto il suo tono forzatamente
tranquillo,
capisco che mi sta nascondendo qualcosa.
«Ehi,
piccola. Com’è
andato il viaggio?» domanda. Decido di lasciar
perdere quella strana
sensazione che mi stringe lo stomaco e gli racconto per filo e per
segno tutto
quello che ho fatto durante la giornata.
«… e poi non
ci crederai, ma in volo ci hanno servito dei
panini già pronti troppo buoni! Te lo giuro. Certo, poi mi
è venuto da vomitare,
però non erano affatto male. A proposito, quando torno
dobbiamo andare di nuovo
al Mc. Eh? Ci andiamo?» farfuglio a tutto spiano, facendolo
ridere. È così
bella la sua risata…
«Certo
che ci
andiamo. Tutte le volte che vuoi, amore.»
Amore. È la prima volta
che mi chiama così. Ed è così
fantasticamente bello, sentirglielo dire, che devo sedermi sul divano
perché mi
tremano le gambe per l’emozione. Si, certo, prendetemi pure
in giro, ma è la
prima volta che qualcuno mi chiama così. Qualcuno di
veramente importante,
intendo.
«Dillo
di nuovo.»
lo supplico.
Ben ride, poi lo ripete. «Certo che ci andiamo. Tutte le volte che vuoi.»
«Ma non quello, stupido!
L’altra cosa che hai detto!»
rido, perché so che ha capito perfettamente dove voglio
andare a parare. «Amore, dici? Ma i
pirati in genere non sono poco
romantici?» chiede.
Alzo gli occhi al cielo,
perché questa boiata del pirata
mi si sta ritorcendo contro. «Be’, potresti
accompagnarlo con un: “corpo di
mille balene!”» suggerisco, prima di cominciare a
ridere come una deficiente,
catturando l’attenzione di tutti gli altri presenti nella
stanza. Mi sono
persino dimenticata di non essere sola: è questo
l’effetto che mi fa Ben. Quando
c’è lui, non considero il resto del mondo.
«Ottima
idea, amore.
Grazie per il consiglio.»
«Figurati, quando
vuoi.» rimaniamo in silenzio per qualche
secondo, poi sospiro.
«Sai, non
l’avrei mai detto, ma mi manchi.» gli confesso. Ed
è la pura e semplice verità: mi manca stare con
lui, anche se è da soli tre
giorni che non lo vedo. E mi manca baciarlo, fare l’amore,
prenderlo in giro
davanti alle sue foto con i capelli lunghi dove mi sembra un
po’ pirla. Mi manca
davvero.
«Io
invece lo sapevo
che mi saresti mancata da fare schifo.» risponde,
tranquillo. Ma come fa a
dire queste cose come se niente fosse? Non si rende conto che le mie
coronarie
potrebbero subire un grave danno?
«Quanto schifo?»
«Tanto
schifo. Così tanto
che stavo pensando di fare un biglietto e raggiungerti.»
magari potesse
farlo davvero. Magari.
«Così
schifo»
continua «che ho davvero fatto il
biglietto.» il mio cuore salta qualche battito, fa
una capriola e torna al
suo posto. «Talmente schifo che
potrei
essere proprio qui fuori.» conclude. Un minuto di
silenzio.
Ho davvero bisogno di un minuto per
ricollegare tutte le
mie sinapsi e iniziare a dare un senso logico a ciò che ho
appena sentito. “Potrei
essere proprio qui fuori”, ha detto. Non può
essere vero. No, assolutamente no.
Perché se lo fosse, significherebbe che l’idea di
stare senza di me lo
rattrista per davvero. Se lo fosse, significherebbe che anche lui prova
quello
che provo io. Se lo fosse, significherebbe che per la prima volta
qualcuno ha
davvero voglia di stare al mio fianco.
Sto per rispondere, poi Grace mi
strappa il telefono di
mano, si allontana e si dirige verso l’ingresso.
«Credo che tu l’abbia traumatizzata.»
dice, divertita. Poi qualche altro secondo di completo silenzio; riesco
persino
a sentire le cicale frinire nel giardino qui fuori.
E Grace ritorna, seguita dalle
ultime tre persone che mi
sarei mai aspettata di vedere: Ellie, Brian e… Ben.
«Corpo
di mille balene.
Sei qui.» farfuglio. Mi alzo e gli corro incontro, poi gli
getto le braccia al
collo. È qui davvero. Sul serio. Veramente. Ben ride e mi
bacia brevemente
sulle labbra. Non ci posso credere.
«Ciao, eh! Si, il viaggio
è andato bene, grazie per
avercelo chiesto. Le valigie le abbiamo ritrovate. Ellie si
è rotta la gamba e
io sono stato tirato sotto da un camion. Ma fai pure come se non
esistessimo.»
brontola Brian, guardandomi in tralice. Come uscendo da uno stato di
trance, mi
rendo conto che Brian e Ellie sono qui. Con Ben. E che Brian non ha
ucciso Ben.
«Brian!» urlo,
staccandomi da Ben per saltare in braccio a
mio fratello. Lui sorride, mi lascia un bacio sulla fronte e mi
scompiglia i
capelli.
«Ciao, pulce.»
saluto anche Ellie, che mette il broncio
quando la chiamo in quel modo che odia, salvo poi sciogliersi in un
sorriso
quando si accorge che Ben sta sorridendo. Che storia è
questa? Ben sorride e
lei sorride? Non và affatto bene.
Poi ricordo: è merito di
Ellie se ora io e Ben stiamo
insieme. E poi la capisco, è così difficile non
prendersi una cotta per lui.
Pensare che fino a qualche tempo fa credevo che fosse il solito pallone
gonfiato.
Poco dopo, ci ritroviamo tutti
quanti seduti a tavola. Ben,
ovviamente, è seduto accanto a me. Mangia con la sua solita
eleganza e risponde
a tutte le domande di Giacomo sulla sua carriera. Poi, però,
il suo sguardo
slitta su Alessandro, che lo sta fissando con un astio assolutamente
ingiustificato. E non guarda male solo lui, ma anche Brian. Si
può sapere qual
è il problema di questo ragazzo?
«Tu hai
trent’anni.» afferma Alessandro, prima di portare
alla bocca una forchettata di insalata. Ben inarca un sopracciglio,
perplesso.
«Si.» risponde,
monosillabico. Ah, quanto mi piace quando
fa così. Sembra che niente e nessuno possa turbarlo. In
realtà, so che la
questione dell’età lo preoccupa un po’.
Non ne abbiamo mai parlato apertamente,
ma credo che l’idea che io abbia dieci anni di meno lo
blocchi un po’. Ed è un po’
restio a parlarne, soprattutto con chi non gli piace. E non ho alcun
dubbio:
Alessandro non gli piace affatto.
«Morgan ne ha
venti.» continua quest’ultimo. A tavola cala
il silenzio. È evidente che nessuno di noi si aspettava che
la conversazione
potesse prendere una piega del genere. Grace si mordicchia le unghie
– lo fa
sempre quando è nervosa, Ellie muove il piede avanti e
indietro, facendo
ballare il tavolo, Giacomo e i genitori, invece, osservano con
incredibile
attenzione, come se questo fosse il loro spettacolo televisivo
preferito.
Brian, dite? Oh, Brian sta
letteralmente fulminando
Alessandro con lo sguardo. Ed è una cosa che mi stupisce
parecchio, perché non
è che sia un fan accanito di Ben. Anzi, settimana scorsa ha
persino minacciato
di denunciarlo, quando Ben si è piazzato davanti casa
nostra. Io invece non so
cosa dire. Ed è la prima volta che mi succede, visto che di
solito ho la
risposta abbastanza pronta.
«Non sei un po’
vecchio, per lei?»
Ben contrae un po’ la
mascella, poi respira con calma,
appoggia le posate alla destra del piatto e incrocia le braccia. Posso
quasi
sentire la tensione che lo avvolge e l’unica cosa che vorrei
fare sarebbe
prendere Alessandro e infilargli la testa in quella stupida insalatiera
gialla.
«Non vedo come questo
possa interessarti.» commenta Ben,
con invidiabile aplomb. Alessandro
arrossisce
lievemente, poi parte all’attacco. Avrei dovuto capire da
subito quanto fosse
idiota, ma davvero non pensavo che si potessero raggiungere livelli
simili.
«Io potrei darle
più soddisfazione.» insinua, volgare.
Dio, qualcuno lo ammazzi, prima che
provveda io stessa. Brian,
che di fatto è sempre stato piuttosto possessivo, protettivo
e un po’ geloso
della sorellina minore – alias moi
– mette
la mano sulla spalla di Alessandro, in un gesto che apparentemente
sembra
amichevole, ma che in realtà vuole essere minatorio. E, a
giudicare dalla
faccia di Alessandro, direi che la presa di Brian non è quel
che si dice
delicata.
«Te lo dico una volta
sola: se ti risento fare un
insinuazione del genere su mia sorella…» sussurra
qualcosa all’orecchio di
Alessandro, che sbianca e annuisce freneticamente.
«Vedo che ci siamo
capiti.» l’ho già detto che adoro mio
fratello alla follia? Oh, si. Lo amo follemente. Giuro. E non credo di
essere
la sola, visto che Grace sta leggermente sbavando. Glielo faccio notare
picchiettandomi l’angolo della bocca con il dito indice e, in
tutta risposta,
lei solleva il dito medio nella mia direzione e scoppia a ridere.
Poi Ben si scusa, dice che non sta
troppo bene e senza
dire nient’altro si alza e si allontana. Lo seguo con lo
sguardo e mi ci vuole
solo un secondo scegliere cosa fare: perciò mi alzo e lo
raggiungo.
Dalla sua faccia, è
chiaro che la conversazione che
seguirà non sarà per niente piacevole per nessuno
dei due.
***
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Capitolo 6 *** VI. ***
VI.
Se non fossi consapevole del fatto
che i prossimi minuti
saranno in tutta probabilità i più difficili
della mia vita, giurerei di
trovarmi in un film. La sera, a Roma, non è tanto fredda
quanto quella
londinese e il cielo è stellato, di un blu intenso e quasi
magico. È un vero
peccato sprecare una serata del genere e un panorama così
mozzafiato, per uno
stupido litigio scatenato da un’idiota.
Ben ha spalancato le finestre della
camera degli ospiti e
si è rifugiato in balcone: tiene i gomiti appoggiati alla
balaustra e lo
sguardo è lontano, quasi assente. Chissà,
probabilmente sta già pensando al
modo più giusto per lasciarmi.
Mi sembra
di essere finita in una terribile commedia-tragedia romantica: ancora
non so,
però, come finirà. Credo dipenda tutto da Ben e
da quello che uscirà dalla sua
bocca. Quando è sotto pressione, o nervoso, tende a dire una
marea di cavolate.
Con l’agilità
di un bradipo zoppo, mi isso sul cornicione,
in modo da poter vedere Ben in faccia. Lui, in una sorta di riflesso
automatico, afferra il mio braccio e mi tira un po’ in
avanti. Probabilmente
teme che potrei sfracellarmi al suolo da un momento
all’altro. Non che abbia
torto, in effetti. Con l’equilibrio che mi ritrovo, rischio
sul serio di
cadere. Quando mi sono stabilizzata, Ben si stacca, quasi come se si
fosse
scottato. Siamo arrivati già a questo punto?
Spero di no, perché non
ho intenzione di diventare la
Bella Swan della situazione. Si, ho letto Twilight e mi piace, ma io
non sono
così sfigata. Non mi ridurrò uno straccio solo
perché Ben ha deciso che è
troppo vecchio, per me.
Cielo, Edward ha
novant’anni e Bella non ne fa mica una
tragedia! Perciò, non ho intenzione di sentire una sola
parola in merito. Se
non sapessi che quando Ben ha intenzione di portare avanti un discorso,
di
solito lo fa fino alla fine, gli impedirei proprio di cominciare.
Ma, siccome so quanto gli piace
fare il tragico, resto
zitta, in attesa che trovi il coraggio di dire quello che pensa, evidentemente, dal primo momento in cui
ci siamo conosciuti. Merda, perché prevedo che non
finirà affatto bene?
«L’Italia
è bella. Sai, ci sono già stato.»
esordisce poco
dopo, in tutta tranquillità. Inarco un sopracciglio, senza
capire dove voglia
andare a parare, e non replico. O almeno ci provo, visto che le parole
mi
salgono alle labbra prima che io riesca a ricacciarle indietro.
«Non girarci intorno,
Ben.» lo supplico. Mi guarda
intensamente per qualche istante, poi sospira.
«Non ha tutti i torti,
sai?» con un cenno della testa
indica l’interno della casa. Visto? Lo sapevo io che quel
deficiente avrebbe
rovinato tutto. Maledetti italiani e maledetta la loro lingua lunga e
biforcuta. Se Ben mi lascerà per colpa delle insinuazioni di
Alessandro, giuro
che questa notte lo impicco con le lenzuola. Giuro.
«Senti,
Ben…»
«No, Morgan. Stammi a
sentire tu: sono troppo grande per
te.» mormora. Non mi guarda neanche. E io sento il cuore
sprofondare sempre più
in basso, lo stomaco contratto per il nervoso e un vago senso di
vertigine mi
assale.
Ora, non so se sono semplicemente
stanca per il viaggio in
aereo o se, cosa molto più probabile, sono vicina ad
un’incazzatura coi
fiocchi. Non posso credere che Ben metta in dubbio tutto ciò
che siamo per un’insinuazione
tanto stupida fatta da qualcuno che, tra le altre cose, non ha alcuna
voce in
capitolo.
Non rispondo, troppo presa dal
nervoso e dalla delusione. Se
parlassi adesso, sono certa che finirei con il dire qualcosa di troppo.
«Dieci anni sono tanti.
Troppi…» continua Ben,
imperterrito. Adesso, però, mi guarda. Cosa si aspetta, che
scoppi a piangere
qui, così? e dargli questa soddisfazione?
«Non la pensavi allo
stesso modo, quando siamo andati a
letto insieme.» replico, maligna. Vuole lasciarmi? Bene,
allora diciamo le cose
come stanno.
«Sono troppo piccola
quando si tratta di presentarmi ai
tuoi, o quando si tratta di farci vedere insieme, ma quando hai voglia
di fare
sesso i miei vent’anni non sono un problema. È
così, Ben? Dimmelo, avanti.»
incrocio le braccia sotto il seno, in attesa di una sua risposta. Che,
puntualmente, non arriva.
Ahi. Ora si, che mi viene da
piangere. È così, quindi: la differenza
d’età era il pretesto per lasciarmi. Non
posso credere di esserci cascata. E con entrambe le scarpe, poi!
Come sei stupida, Morgan. Illusa.
Ecco la verità.
«Si può sapere
che cazzo dici, Morgan?» sbotta Ben,
qualche istante dopo. Eh, certo, fa anche l’incazzato,
adesso. Come se avesse
ragione lui! Come se non fossi io, quella che ha appena scoperto di
essersi
innamorata di uno stronzo.
«Stronzo.»
farfuglio, passandomi rabbiosamente un pugno
sulla guancia. Quando ho iniziato a piangere? Non me ne sono neanche
accorta.
«Che pezzo di stronzo. Io
ci ho creduto, sai? Quando Brian
mi diceva che mi avresti preso in giro, che mi avresti spezzato il
cuore, non
gli ho mai dato ascolto. Che stupida.»
«La vuoi piantare di dire
cazzate, per piacere?» mi
blocca, tappandomi la bocca con una mano. Lo scosto bruscamente, poi
continuo
nel mio isterico monologo.
«Che deficiente. Ci
credi? Io, che porto avanti tutta ‘sta
stronzata del pirata! Io! Mi sono fatta fregare come una cazzo di
principessa
rincoglionita. Che cretina. Morgan il pirata. Ma dove? Cielo, neanche
Bella
Swan sarebbe tanto idiota. Beh, forse lei si. No, neanche lei.
Deficiente.»
«Hai finito?»
«Non ho neanche iniziato!
E tu, brutto stronzo che non sei
altro, come ti sei permesso di illudermi in questo modo? Ti vorrei
buttare giù
da questo cazzo di balcone, se non fosse che è troppo basso
e che non ti
faresti niente! Ah, quanto vorrei picchiarti!» inveisco
totalmente fuori
controllo.
Non posso credere di essere stata
tanto stupida. Dico davvero.
Sono una gran deficiente. Innamorarmi di Ben Barnes. Ma dai, a chi
volevo darla
a bere? È durata anche fin troppo, per i miei gusti. E anche
per i gusti di
Ben, evidentemente, perché altrimenti non mi lascerebbe.
Se penso a tutto le storie che mi
ha fatto affinché non
venissi a Roma, mi viene da ridere. Lui, che fa storie a me! E poi
viene
apposta a Roma per lasciarmi. Ci credo che è incazzato, ha
anche speso i soldi
del biglietto. Ci godo. Se lo merita. La prossima volta me ne vado in
Messico.
Ma quale maledetta prossima volta?
Ancora tutta presa dal mio
interessante sfogo psicopatico
e vagamente isterico, mi accorgo che Ben ha cominciato a ridere e mi
interrompo.
«Mi prendi anche per il
culo?»
«Ti rendi conto delle
stronzate che stai dicendo?» ride,
forte. Lo ammazzo. Davvero. Ora lo afferro per quella camicia del
cavolo – che bella,
è la mia preferita – e lo butto giù.
Forse se cade di testa si fa abbastanza
male, no?
«IO?»
«Non voglio lasciarti,
Morgan.»
Ecco, ora mi spezzerà il
cuore e… cosa? Non vuole
lasciarmi? E allora si può sapere perché ha fatto
tutto questo maledetto teatrino del balcone, con
l’espressione tragica,
assorta, affranta o come cavolo si dice, facendomi partire le
coronarie?
«Scusa?»
«Pensi davvero che quello
che dice quell’idiota potrebbe
indurmi a lasciarti?»
«Ma tu hai detto
che…»
«Non mi hai fatto finire
di parlare, come al solito.»
«Quindi non mi vuoi
lasciare?»
«No.»
Oh, questo cambia decisamente
tutto. Ed improvvisamente,
non so perché, mi sento parecchio deficiente. Secondo voi lo
sono davvero? Deficiente,
intendo. Secondo me si. E parecchio. Beh, tecnicamente Ben avrebbe
potuto
essere chiaro sin da subito. Essere un attore non lo autorizza mica a
fare di
tutto una tragedia. O no?
Non ci capisco più
niente. Mi strofino gli occhi,
probabilmente sbavando quel poco trucco che ho usato e che ha resistito
al
pianto. Poi tiro un pugno sul braccio di Ben, sperando di fargli male.
Vana
speranza, visto che comincia a ridacchiare senza ritegno. Ma si,
tranquillo. Prendimi
pure per il culo. Cosa vuoi che sia?
«Cos’era?»
«Doveva essere un pugno,
ma evidentemente non ha avuto l’effetto
sperato.» borbotto, risentita. Poteva almeno fingere che gli
avessi fatto male.
Insomma, non dev’essere poi così difficile, no?
«Mi dispiace. La prossima
volta fingerò di essermi
fratturato il braccio.»
«Davvero divertente,
Benjamin. Dico sul serio.» sarcasmo
allo stato puro, ecco cosa sono. Ancora una volta, Ben non riesce a
prendermi
sul serio, e si mette a ridere. Mi lascia un bacio sulla fronte, poi mi
abbraccia forte. Gli avvolgo i fianchi con le braccia, e nascondo il
viso nell’incavo
tra il suo collo e la sua spalla.
«Quindi non vuoi
lasciarmi…» ripeto, per l’ennesima
volta.
Proprio non mi capacito di questa cosa. Se non vuole lasciarmi, allora
cosa
vuole? Non che mi dispiaccia stare ancora con lui, eh! È
l’uomo che amo, e per
quanto io finga di essere forte, sono esattamente come Bella Swan: una
stupida mollacciona.
«Ancora? Non ho nessuna
intenzione di lasciarti. A dire la
verità, volevo chiederti una cosa…»
accenna Ben. Ogni traccia di divertimento è
sparita, sostituita da un tono serio e vagamente emozionato.
Il mio cuore perde un battito.
Questa volta, anziché scendere
nello stomaco, balza in gola. Non vorrà mica chiedermi di
sposarlo?
Vero?
Non so neanche cosa potrei dirgli.
Certo, ovviamente direi
di si, perché lo amo e tutto il resto. Ma io,
sposata? A vent’anni? Come lo dirò a Brian? E a
mamma e papà? Oh, merda. Non ce
la posso fare. No, assolutamente. È troppo, per il mio
povero, piccolo cuore. Ho
sempre pensato che sarei rimasta zitella a vita. Insomma, non
è che sperassi per davvero
di trovare un uomo
abbastanza pazzo da condurmi all’altare.
«Si, lo
voglio.» rispondo, in automatico. Ben sorride.
«Vuoi cosa? Non ho
neanche parlato!» protesta, poi. La sua
voce è di nuovo divertita. Non è che anche questa
volta vuole prendermi per il
culo? No, perché lo uccido sul serio, adesso.
«Non lo so, cosa vuoi
chiedermi?» rispondo, confusa. Non ci
capisco più niente, mi sento così frastornata, da
tutto quello che sta
succedendo. Oh, mamma mia, che faccio? Non so neanche più
dove sono.
«Cosa pensi che voglia
chiederti?»
«Non lo so!
Cosa?»
«Dimmelo tu.»
«Ben, non capisco
più niente. Ti prego, parla chiaro.»
«D’accordo…»
Un ultimo respiro, poi Ben si
inginocchia e dalla tasca
dei pantaloni tira fuori una scatolina in velluto rosso.
«Morgan Anderson, vuoi
sposarmi?»
E adesso lo so per certo: Bella
Swan, al mio confronto, è
una povera sfigata.
***
Signore,
ci siamo. Questo è il penultimo capitolo. Personalmente, non
credo che sia un granché, ma mi sono davvero divertita, a
scriverlo. E un pò mi sono anche emozionata. Spero che non
vi abbia deluso, o che la proposta non vi sia sembrata stupida, o
troppo avventata. Nel prossimo capitolo, che sarà l'ultimo,
avrete tutte le dovute e meritate risposte.
Davvero,
spero che non vi abbia deluso, perchè mi dispiacerebbe
moltissimo, ecco. Ho anche pensato di tirare la storia per le lunghe,
ma non ce l'ho fatta. L'ho pensata così, corta, e
così sarà. Niente, spero che vi sia
piaciuto.
Fatemi
sapere che ne pensate, ci conto!
Grazie
mille alle ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e anche a chi
ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate. E a chi legge
soltanto. Grazie di cuore.
Con
affetto,
Fede.
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Capitolo 7 *** VII. ***
Godetevi
il capitolo, per le note ci sentiamo alla fine.
***
VII.
La vita è un circolo.
Che è come dire che prima o poi
tutti i nodi vengono al pettine, no? Okay, non è proprio la
stessa cosa. In
effetti non so neanche che cavolo centra. Quello che volevo dire
è che, prima o
poi, ci si ritrova di nuovo al punto di partenza.
Il mio punto di partenza? Si,
proprio quello: gli studi
televisivi in cui Ben mi ha scelto,
trasformando quello che ritenevo il giorno peggiore della mia vita in
quello
che ha dato il via alla mia vita vera e propria.
Personalmente, se ci fosse stato un
solo modo per evitare
di presentarmi, l’avrei fatto più che volentieri,
ma Ben ha voluto che lo
accompagnassi. Gli ho fatto giurare col sangue (figurativamente
parlando) che
non mi avrebbe tirato in ballo in alcun modo. Il mio intento era quello
di
rimanere dietro le quinte, invisibile, in attesa che lui e quella
simpatica
donna dell’intervistatrice terminassero la loro
chiacchierata.
Ma quando mai le cose sono andate
come volevo io?
«Bentornato, Ben.
È sempre un piacere averti qui con noi.»
cinguetta la simpaticona che, tanto per farvi sapere, è la
stessa che ha deciso
di chiamare sua figlia come me. Questo è il primo fattore
che mi ha messo in
allarme, perché quella non è in grado di farsi
gli affari suoi nemmeno se la
pagassi in lingotti d’oro.
«Anche per me,
Allyson.» ecco svelato il nome della
misteriosa tettona. Okay, forse sono cattiva, ma non mi piace.
Soprattutto
perché guarda Ben come se volesse mangiarselo e, tanto per
essere chiari, Ben è
mio. Si, sono possessiva, e allora?
«Allora, come
stai?» domanda, con un sorriso smagliante.
Ben sorride in rimando, anche se, conoscendolo, non è molto
entusiasta di
essere seduto di nuovo lì, a parlare dei cavoli suoi.
«Molto bene, grazie.
Tu?» risponde, cortese come suo
solito.
Allyson agita le mani, poi sorride
– di nuovo – e si sporge
in avanti, mettendo in evidenza la scollatura abbondante del vestito
azzurro.
«Non parliamo di me,
caro. Raccontaci tutto, sappiamo che
sei fidanzato.» ‘azz. E ora? Ti prego, Ben, non
tirarmi in ballo, non tirarmi
in ballo, non tirarmi in ballo.
«Si, è
vero.» conferma. Dio, grazie. Per un attimo ho
temuto che se ne sarebbe uscito con qualcosa di simile ad un
“Si, ed è proprio
qui con me. Prego, amore, entra!”. Per fortuna il mio
fidanzato è intelligente
e ogni tanto ascolta quello che dico.
«Vai
così.» esulto, a mezza voce. Un tecnico mi osserva
con aria perplessa, forse meditando sulla mia sanità
mentale. Gli rivolgo
un’occhiata in tralice, così distoglie lo sguardo
e riprende a fare il suo
lavoro.
«Sappiamo anche che
è qui con te.» incalza Allyson. Oh,
no. Visto? Questa è sfiga, ragazzi. C’è
poco da dire. È sfiga nera. Bastarda.
No, dai. Mi ha già fregato una volta, questa cavolo di
presentatrice. Ben
ridacchia, ma mantiene comunque la sua aria impostata.
«Lavori per i servizi
segreti, Allyson?» domanda, cercando
di deviare l’attenzione. Ma lei è troppo furba e
assetata di pettegolezzi per
lasciarsi distrarre così facilmente.
«Certo che no, Ben. Ma da
qui la vedo perfettamente.
Gradiresti raggiungerci, Morgan?»
No, non gradirei, grazie per
l’offerta. Ora addio.
«Coraggio, non essere
timida.» non sono affatto timida,
sto solo pensando a centotrentaquattro modi per svignarmela. Ben si
volta a
guardarmi e fa un cenno con la testa. Sibilo un no
e incrocio le braccia al petto.
Poi interviene di nuovo il
simpatico tecnico, che mi
spinge non proprio delicatamente, facendomi finire sul palco.
È un miracolo che
sia ancora in piedi e non spalmata sul parquet. Mi volto, con
l’espressione di
un serial killer e lo minaccio di morte.
Lui fa spallucce, come a dire che
è il suo lavoro e che
non può farci niente, poi si siede dove prima stavo io e mi
fa un sorriso che
vuole essere di incoraggiamento, ma che a me sembra solo un ghigno.
Praticamente pietrificata, guardo
la platea: non ho idea
di quante persone ci siano, ma so che tutte cercano me. E non mi piace.
Odio
gli occhi addosso, lo sapete? Li odio così tanto che sono
tentata di rifugiarmi
di nuovo dietro le quinte.
Ben si alza, mi viene incontro e mi
afferra per mano,
conducendomi fino al divanetto, dove Allyson sorride vittoriosa.
«Mi dispiace, amore. Io
ci ho provato.» mormora Ben al mio
orecchio, in modo che solo io possa sentirlo. Annuisco con aria mesta,
poi mi
accomodo al suo fianco, per niente intenzionata a lasciare la sua mano.
Ho idea
che mi verrebbe la malsana tentazione di stringerla intorno al collo
della
simpaticona.
«Ciao,
dolcezza.» saluta, porgendomi la mano. Con uno
sforzo sovraumano gliela stringo – forse un po’
troppo forte, visto che
digrigna i denti – poi borbotto un ciao poco entusiastico e
ricado nel mio
mutismo.
Ma Allyson non demorde: sembra del
tutto intenzionata a
scoprire ogni più sordido dettaglio della mia relazione con
Ben. Stupida
impicciona e stupida carriera da attore. Dico io, ma Ben non poteva
fare il
pescivendolo?
«Allora, Morgan, come
stai?» domanda, curiosa. Oh, certo,
curiosa. Come se non lo sapessi che sta facendo finta di interessarsi
solo per
arrivare al punto. Dovrà pur mantenere le apparenze, no?
«Una meraviglia, non si
vede?» celio, ironica. Ben sorride
sotto i baffi, Allyson ridacchia. Che risata da oca isterica, santo
cielo.
«Certo, sei una
favola.» conferma, prima di chiedere al
pubblico di manifestare la sua approvazione con un grande applauso.
Ovviamente,
arrossisco fino alla radice dei capelli. Preferirei morire, piuttosto
che stare
un altro secondo in presenza di questi morti di gossip.
Mi passo una mano tra i capelli,
nervosamente, ma quando
mi accorgo dello sguardo incredulo di Allyson e di quello un
po’ rassegnato di
Ben è troppo tardi per riportare la mano in tasca.
«Ci vedo male, o quello
è un anello con un brillante?»
chiede, con gli occhi azzurri sgranati per la sorpresa.
«Ci vedi male.»
replico. Poi provo a nascondere la mano in
tasca, ma Allyson la intercetta e se la tira fin sotto gli occhi.
Resisto all’impulso
di strattonarla e sospiro. Tanto prima o poi lo sarebbero venuti a
sapere. Ho imparato
presto che i curiosi non mancano mai e che i fatti di una
celebrità sono sempre
sulla bocca di tutti.
«Questo, signori e
signore, è un anello di fidanzamento! Gliel’hai
regalato tu, Ben?»
No, figurati. Me l’ha
portato Babbo Natale, nella speranza
che prima o poi l’’avrei sposato e mi sarei
trasferita in Lapponia con lui.
Stupida. Chi vuoi che me l’abbia regalato, mia nonna?
Non appena apro bocca, Ben mi
stringe un po’ più forte la
mano libera, per farmi intendere di lasciar parlare lui. Peccato,
proprio
adesso che cominciavo a divertirmi.
«Si, certo. È
una cosa recente, comunque.» spiega,
sbrigativo e un po’ misterioso.
«Recente
quanto?»
«Solo un paio di
mesi.» risponde Ben. Si, sono già passati
un paio di mesi da quando abbiamo fatto ritorno dall’Italia.
«E a quando, le nozze?
Voglio essere invitata, eh!» si,
come no. Te ne spedisco tre di inviti, tanto per andare sul sicuro.
Figurarsi se
mi passa per l’anticamera del cervello di invitare questa
pazza al mio
matrimonio.
«Tra qualche anno, ancora
non è il momento.» risponde Ben,
pacato. Che? Non avrete davvero pensato che mi sarei sposata a
vent’anni? È troppo
presto, anche se io sono parecchio intelligente, per la mia
età (certo, ma a
chi voglio darla a bere?) e amo Ben con tutto il cuore. Non sono pronta
per il
matrimonio, ecco la verità.
Ma lasciate che vi spieghi un
po’ meglio, altrimenti detto
così sembra che io abbia qualche grave tara mentale.
Quella sera, quando Ben mi ha
chiesto di sposarlo, il si mi
è salito alle labbra in modo del
tutto istintivo. Così come credo fosse istintiva la proposta
di Ben. Presa dall’emozione,
ero assolutamente convinta di volerlo sposare al più presto.
Lo sono ancora adesso, ma a mente
fredda, abbiamo deciso
che è troppo presto. Siamo giovani – io lo sono,
più che altro – e innamorati. Non
ci corre dietro nessuno, perciò perché affrettare
le cose?
«Le ho chiesto di
sposarmi perché temevo che qualcun altro
l’avrebbe portata via da me.» rivela Ben, a
sorpresa. Mi volto di scatto,
sorpresa: non me l’aveva mai detto. Quando si accorge del mio
sguardo
interrogativo, fa spallucce.
«E, sai, lei è
mia.» continua «E la amo più di
qualunque
altra cosa al mondo, perciò ho pensato che una promessa
fosse il modo migliore
di dimostrarglielo.»
Credo che Allyson sia sul punto di
piangere, visto che si
picchietta l’angolo dell’occhio destro nella
speranza che il trucco non sia
sbavato. E non è l’unica, visto che anche io credo
di essermi commossa. Poi, in
tutto lo studio scoppia un applauso fragoroso.
«Ti amo.»
sussurro a Ben, sul punto di piangere.
«Sapete qual è
la cosa più bella?» domanda Allyson, che
ormai non mi sembra più nemmeno tanto antipatica.
«La cosa più importante?»
Alla parola importante, sia io che
Ben sorridiamo.
«L’importante…»
inizia Ben, con voce ferma. «L’importante
è incontrarsi.»
Ci siamo. E' finita.
Non so se ci sia ancora
qualcuno, visto che è passato davvero tanto TANTISSIMO
tempo, dall'ultima volta che ho aggiornato. A dire la
verità, non so neanche con che coraggio mi ripropongo, ma
tant'è che ci sono.
Vorrei spiegarvi, prima di
tutto, il perchè di tutto questo ritardo. Ho scritto
l'intera storia di getto, senza programmare niente di quello che
sarebbe successo. Perciò, in un certo senso, anche lo scorso
capitolo è stato una sorpresa, per me. Non pensavo che Ben
avrebbe chiesto a Morgan di sposarlo, non rientrava nemmeno un
pò nelle idee di base, a dire la verità.
Così una volta pubblicato, mi sono sentita come se avessi
toppato di brutto. Non so, mi sembrava quasi sbagliato, tanto che ad un
certo punto ho anche avuto la tentazione di cancellare il capitolo e
pubblicarne un altro. Poi ci ho pensato bene e ho capito che in
realtà a me non dispiaceva che le cose fossero andate
così.
Ho pensato tanto a come
sarebbe stato il capitolo successivo, cioè questo, e nella
mia testa credo che fosse esattamente così come l'ho
scritto. Certo, di sicuro un pò più bello, ma io
mi sono impegnata, ve lo assicuro. Infatti il risultato non mi dispiace
e mi sembra piuttosto in linea con il resto della storia e anche con i
protagonisti. Voi che ne pensate?
Comunque, detto questo, mi scuso
per avervi fatto aspettare tanto e spero tanto che mi perdonerete e che
non siate deluse da come la storia si è conclusa,
perchè mi dispiacerebbe da matti.
Ora passo ai ringraziamenti,
perchè ci tengo da morire a farvi capire quanto sia stato
importante, per me, avere il vostro appoggio.
Perciò, GRAZIE a Serena VdW
e a CinderNella
per aver recensito lo scorso capitolo (scusate se non ho risposto), poi
GRAZIE
mille a CinderNella,
eloise
de winter ed Eruanne
per aver inserito la storia tra le preferite, GRAZIE mille a Cate 96, CinderNella, kitty483, Klaroline99, Lisbeth17, maty98, Misfit, NichiiixD, Polinnia, Sapphire, Serena VdW, _Vicky_ e _Alis3
per aver inserito la storia tra le seguite e, ovviamente, GRAZIE mille
anche alle lettrici silenziose.
Per questa volta,
però, vi invito a commentare, così che possa
ringraziarvi tutte quante di persona :)
E' tutto, direi!
GRAZIE ANCORA.
Con affetto,
Fede.
P.s. Per chi volesse, mi
trovate su Twitter come @FTheOnlyWay
e su Facebook come TheOnlyWay Efp
:)
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