L'importante è incontrarsi

di TheOnlyWay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII. ***



Capitolo 1
*** I. ***


Introduzione:

E’ la prima storia che pubblico, che ha come protagonista Ben Barnes e non so nemmeno cosa ne verrà fuori. Va be’, io ci provo lo stesso.

Dico la verità, all’inizio avevo pensato di pubblicarla come un’unica One-shot – quindi di concluderla con il primo capitolo – ma non escludo l’eventualità di continuarla, per questo non ho segnato la storia come completa.

Un’altra cosa: la storia non ha nessuna pretesa. E anche la situazione, come leggerete – be’, se leggerete – è un po’ inverosimile. In ogni caso, mi è capitato di leggere cose talmente assurde che la mia lo sembra forse un po’ meno.

Ecco, ho finito.

Spero che vi piaccia e, per piacere, se ne avete voglia lasciatemi la vostra opinione, per me sarebbe veramente importante.

Buona lettura,

TheOnlyWay.

 

 

 

 

L’importante è incontrarsi

 

 

«Allora, ragazze! Cosa ne dite?», domanda la presentatrice, con un urlo stridulo che le ricaccerei volentieri in gola.

Che situazione assurda. Non ci posso credere che io, Morgan Anderson, vent’anni, sia costretta a fare da baby-sitter a un’accozzaglia di cinque ragazzine di tredici anni, tra le quali ho il dispiacere di annoverare anche mia sorella Ellie.

Tanto per iniziare, ancora non capisco come abbiano fatto ad ottenere sei biglietti – no, dico: sei! – per questo stupidissimo programma.

Passo a spiegare: dopo l’uscita dell’ultimo film delle Cronache di Narnia, certi produttori dalle tendenze bizzarre (e per bizzarre intendo alquanto stupide), hanno deciso di creare una sorta di momento in cui gli attori protagonisti possono interagire con i propri fan.

In questo caso particolare con le fan, ossia una mandria di ragazzine esaurite e totalmente fuori controllo in visibilio per un attore che ha trent’anni.

Io, quando avevo tredici anni, non mi sarei mai invaghita di qualcuno che ai miei occhi sembrava tanto vecchio.

Ellie invece sì, e come lei tutte le duecento persone assiepate nello studio. L’attore in questione, se ve lo state chiedendo, è proprio lui. Sì, lui: Ben Barnes. Non lo nego, è bello, soprattutto con i capelli un po’ più corti, però mi sembra davvero assurdo che qui dentro non ci sia nessuno in grado di mantenere un po’ di contegno.

Vi stupirà saperlo, ma Ben Barnes risulta nella categoria degli esseri umani, non delle divinità.

La conduttrice è una sorta di stangona alta un metro e ottanta, con le gambe chilometriche e con il seno palesemente rifatto. Per non parlare poi dei suoi zigomi e della faccia in generale.

Ha appena fatto la proposta più idiota, assurda e completamente insensata che io abbia mai sentito in tutta la mia vita. E mi stupisce che non ci sia nessuno a farglielo capire. Dai, non si può sentire una cosa del genere.

«D’accordo, Ben. Ora sceglierai una ragazza tra il pubblico. Dopodiché avrete un’ora di tempo per stare da soli. Si, mia cara, dico davvero», cinguetta in direzione di una marmocchia di quindici anni. Santo cielo, Ben Barnes ha il doppio della sua età.

Ben annuisce, ma non sembra un granché soddisfatto della proposta: a giudicare dalla sua faccia preferirebbe buttarsi giù dal Tower Bridge. E come dargli torto? La più grande qui dentro avrà ventidue anni.

Si, avete capito benissimo. C’è gente più grande di me, che si comporta come una pazza esaurita. Ellie non sta più nella pelle, per quanto spera di essere scelta.

Naturalmente, se dovesse capitare una tale disgrazia, non permetterò di certo che vada da sola chissà dove con un trentenne.

«Un po’ di silenzio, ragazze. Date a Ben il tempo di scegliere».

Mi do un’occhiata intorno, incredula: c’è chi si mangia le unghie, chi si attorciglia una ciocca di capelli nella speranza di sembrare più carina, c’è chi tiene le mani giunte in preghiera. E infine c’è chi – solo io, in realtà – se ne sbatte completamente.

Ben si guarda intorno; il suo sguardo vaga per tutto lo studio, soffermandosi ogni tanto su qualche speranzosa fanciulla. Alla fine, dopo minuti di intenso ragionamento, il suo sguardo si posa su di me. Lo fisso anche io, proprio come lui sta facendo con me, ma sono sicura che la mia faccia non ha nessuna espressione vagamente compiaciuta o speranzosa. Anzi, più che altro sono del tutto scocciata.

Che palle.

«È scaduto il tempo!», annuncia la presentatrice, alzandosi in piedi ed invitando tutte quante a seguire il suo esempio. Oh, ma certo! Prostratevi, comuni mortali. Ben Barnes ha scelto l’agnello sacrificale. Io me ne sto seduta, primo perché sono in piedi da stamattina e le gambe mi fanno un male cane e secondo perché l’eventualità di essere scelta è talmente remota che non ho la minima intenzione di sforzarmi di apparire partecipe.

«Chi sarà la fortunata?». Io la ammazzo. Davvero, non credo di aver mai sentito un’altra voce così fastidiosamente stridula. È la cosa più odiosa che esiste al mondo.

Ben sorride, ma appare ancora poco convinto. Il che, ripeto, è completamente comprensibile, a mio parere.

«Lei».

Nello studio cala il silenzio più totale. Giuro, è una cosa inquietante.

«Finalmente. Ehi, Ellie, adesso possiamo andare?», bisbiglio, nell’orecchio di mia sorella che mi rivolge un’occhiata incredula. È la sua amica Julia, una bambina che io avrei proprio evitato di mettere al mondo, a rispondere.

Tecnicamente risponde a Ellie, che ancora se ne sta con gli occhi strabuzzati a fissarmi come se fossi un’apparizione angelica.

«Certo che tua sorella è proprio stupida, Ellie. Non ha neanche capito che Ben ha scelto lei», si lagna, quasi con le lacrime agli occhi.

«Stammi a sentire, mocciosa. Stupida lo dici a tua m… cosa?», so di aver lanciato un acuto degno della presentatrice, ma ho appena realizzato.

«Fantastico! La graziosa signorina in sesta fila, ci farebbe la cortesia di venire sul palco?». Che? Ma tu sei scema. Primo: graziosa signorina a chi? E secondo: cosa? Io non ci vado lì, a fare figure di merda. Ellie mi tira delicatamente la manica della felpa, poi si abbassa fino al mio orecchio.

«Per favore, Morgan. Gli chiedi l’autografo?», mi supplica, con quegli occhioni azzurri che scioglierebbero anche un iceberg. Alzo gli occhi al cielo, ma annuisco.

Poi, seccata e lievemente indispettita, mi alzo e salgo sul palco. Ben si è seduto e mi osserva con uno sguardo poco decifrabile, mentre la presentatrice è completamente uscita di senno.

«Ti rendi conto, cara, che tra tante bellissime ragazze, sei tu la prescelta?», mi domanda, passandomi un microfono. Lo afferro titubante, ma vorrei solo sbatterglielo in testa fino a farle passare la voglia di dire cazzate.

«Che fortuna», borbotto quindi, sforzandomi di sembrare convincente.

«Prima che voi due andiate, dicci almeno il tuo nome», mi invita, amabile. Quanto vorrei sparire in questo momento lo so solo io, credetemi.

«Morgan», sputo il mio nome come se fosse un insulto, ma la presentatrice sobbalza compiaciuta.

«Che nome fantastico. Se mai avrò una figlia la chiamerò proprio come te». Piccolo appunto mentale: se mai questa dovesse avere una figlia, vai all’anagrafe e cambia il nome in Guendalina.

Prima che possa rendermene conto, vengo spinta verso una porta sulla destra del palco. Una volta dentro, capisco di essere in una stanza, sola insieme ad un uomo che non conosco e che è un attore.

«Non ci posso credere», sussurro, stranita.

«Cosa, di essere qui con me?», risponde Ben, andando a sedersi sul divanetto di pelle bianca posto rasente al muro.

«Ma per favore. Non posso credere di essere così sfigata. Non so se puoi capire, ma quella vuole chiamare sua figlia come me», spiego, ancora sbigottita. Assurdo. Assurdo.

Ben ride, divertito.

«E così ti chiami Morgan. È un nome poco comune», commenta, versandosi un bicchiere d’acqua e porgendone uno anche a me. Mi accomodo accanto a lui, mantenendo lo stesso una certa distanza.

«Già. Se proprio vuoi saperlo, credo che mia madre si sia drogata, prima di decidere». Ride ancora, prima di porgermi la mano.

«Non mi sono ancora presentato. Sono Ben».

Lo guardo, un po’ stranita. Mi dimentico persino di stringergli la mano, troppo confusa dal suo sguardo. Ha uno sguardo ammaliante, Ben Barnes. Molto profondo.

«Fai sul serio?», chiedo quindi.

«Se ti avessi incontrata fuori, mi sarei presentato. Non funziona così?», chiede, inarcando un sopracciglio. Ecco, mi ha zittita.

Arrossisco, come una povera scema.

«Si, hai ragione. Però non credo che se mi avessi incontrata fuori ti saresti mai avvicinato», sostengo, in tutta tranquillità. Insomma, quando mai un uomo – perché è ciò che è – così affascinante si è mai interessato a me? Appunto, mai.

«Dubiti così tanto di te stessa?», domanda, incuriosito. Perfetto, ora mi sembra di essere dall’analista.

«No, solo che… lascia stare».

«Sono curioso. Spiegami», e lo sembra davvero.

«Be’, se ci fossimo incontrati fuori – cosa completamente impossibile – sono certa che non mi avresti nemmeno notata. Non mi spiego neanche come mai tu abbia scelto me. Non prendertela a male, ma non ero venuta qui per vedere l’uomo dei miei sogni o per confondermi con una massa di oche starnazzanti. Anzi, la mia idea era rimanere completamente invisibile per tutto l’incontro, o come cavolo si chiama», gli spiego. Sento altre parole salire prima che lui riesca a rispondermi, così le butto fuori. Chi se ne frega, tanto.

«Che poi, scusa se te lo dico, ma è un po’ da pedofili, scegliere una ragazzina e rinchiudersi con lei in una stanza». Sembra un po’ piccato, mentre gli parlo e lo capisco, perché ci sono andata davvero pesante. Cavolo, gli ho dato del depravato.

«Tanto per iniziare, non sono un maniaco. E poi, cosa principale, non ho deciso io di fare questa pagliacciata. Credimi, non entusiasmava nemmeno me, l’idea. Lì fuori…».

«È un delirio, lo so. Urlano e basta».

«E allora perché sei qui?».

«Ho promesso a mia sorella che l’avrei accompagnata a vedere il suo attore preferito. A proposito, dovrò anche inventarmi una conversazione alternativa. Non posso dirle di averti dato del pedofilo», ragiono. Lo so, lo so, sto sparando davvero un sacco di cavolate, ma che volete farci?

Posso confermare una cosa: dopo un’ora intera passata con Ben Barnes, posso assicurarvi che lui è un uomo. Ed è bello, intelligente e tremendamente affascinante. È l’uomo che io vorrei al mio fianco e trovo crudele che la sua realtà sia completamente differente dalla mia. Se l’avessi incontrato in un altro contesto, credetemi, avrei fatto di tutto per avere una possibilità con lui.

Mancano pochi minuti allo scadere dell’ora e finalmente mi ricordo:

«Mi faresti un autografo?», gli domando, improvvisamente imbarazzata.

Dio, Morgan. Sembri una bambina di cinque anni.

«A chi devo dedicarlo?».

«A mia sorella. Si chiama Ellie».

Ben scarabocchia qualcosa con una penna nera, poi mi restituisce due fogli. Penso abbia fatto un autografo anche per me, ma non voglio guardarlo o rischierei di tirarglielo in testa. Sarebbe parecchio presuntuoso, da parte sua, avermi firmato un autografo senza che io gliel’abbia chiesto. E non sono ancora tanto disperata da credere che un pezzo di carta sia la cosa più importante della mia vita.

«È stato un piacere conoscerti, Morgan».

«Anche per me», gli sorrido, poi gli porgo la mano. Lui sorride, ignora la mia mano tesa e si avvicina. Mi lascia un bacio sulla guancia, in un punto pericolosamente vicino alla bocca. Sento il sangue affluire al viso e l’unica cosa che riesco a fare è sorridergli timidamente, prima di uscire dalla stanza.

«Vogliamo sapere tutto», comunica la presentatrice.

Sai che ti dico? Và al diavolo. Io non apro bocca.

 

È solo più tardi, una volta tornate a casa, che mi ricordo di dover dare l’autografo a Ellie. Tiro fuori i due foglietti dalla tasca, porgo il primo a Ellie, che si mette a saltellare, euforica e completamente soddisfatta.

Poi, una volta rimasta sola, spiego l’altro foglio. Sapete, mi sono venute le lacrime agli occhi, quando l’ho letto.

 

“È vero, non ci siamo incontrati fuori ma, se fosse successo, ti avrei guardata di certo. Così come ti ho vista tra duecento persone. Non ci siamo incontrati fuori, è vero, ma ci siamo incontrati. Non è già qualcosa? E, per inciso, Morgan è davvero un bellissimo nome.

Ben”   

Sotto, in un angolo, c’è un numero di telefono.

 

“P.s. Cosa ne pensi se ci incontrassimo davvero fuori? A cena, Magari.”

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Capitolo 2
*** II. ***


Buon pomeriggio a tutte ^^ 
Finalmente sono riuscita a completare il secondo capitolo, spero che vi piaccia. 
Se vi và, fatemi sapere cosa ne pensate, tanto per capire se sono sulla strada giusta o se sta uscendo una perfetta scemata! Cosa molto probabile. 
Quindi, passo a ringraziare Eruanne e CinderNella, che hanno commentato lo scorso capitolo. Spero che questo non vi deluda!
Grazie anche a chi ha inserito la storia tra le seguite e le ricordata! E, naturalmente, anche a chi legge soltanto. 

Con affetto, 

TheOnlyWay

 

 

 

II.

 

Perfetto, ed ora che faccio? Sto rimuginando da due giorni, sempre sulla stessa cosa. Sapete quant’è stancante pensare per circa 48 ore ad un unico pensiero? Be’, il mio cervello, praticamente, è in declino. Ed è un guaio, perché senza non so proprio come fare.

Non ho detto a nessuno di avere il numero di Ben Barnes, nemmeno a Grace, la mia migliore amica. So già cosa mi direbbe, nel caso lo venisse a sapere. Il vero problema, in effetti, è che non sono tanto sicura di volerlo sentire.

Sono passati due giorni, da quando ho letto il biglietto: e se fosse uno scherzo di cattivo gusto? Insomma, continuo a ritenere piuttosto improbabile che Ben Barnes – non so se ci capiamo – mi abbia lasciato il suo numero di telefono.

La verità? Il problema non è tanto che lui sia Ben Barnes. Cioè, lo è, ma non è quello a preoccuparmi. Ciò che mi turba, in realtà, è che lui ha trent’anni ed è un uomo. Io, invece, sono una ragazzina alle prime esperienze, se vogliamo mettere le nostre situazioni a confronto.

Però – si, c’è anche un però – mi ha piacevolmente colpito e rivederlo non sarebbe una gran tragedia, no?

Mi butto sul letto, un po’ esasperata. Che fare?

Le alternative sono tre: non lo chiamo, lo chiamo, gli mando un messaggio.

Dopo un’altra ora di intenso ragionamento, decido: gli mando un messaggio, perché non avrei il coraggio di parlarci al telefono.

Lo so, lo so, è una cosa da bambini di tre anni, ma sono fatta così. L’idea di uscire con un uomo mi mette in agitazione, perché l’ultima esperienza che ho avuto, credo potrebbe bastarmi per tutta la vita.

E va bene, ora glielo mando.

Ma cosa gli scrivo? Cioè, non posso esordire con un “Ehilà, Ben. Ti ricordi di me? Io ti ho dato del pedofilo e tu mi hai lascito il tuo numero. Quando usciamo?”, non so se mi spiego.

Rifletti, Morgan, rifletti.

Afferro il telefono, e inizio a digitare un abbozzo di messaggio, ma dopo le prime tre parole – ciao, sono Morgan – cancello e mi arrendo. Che poi, in effetti, se lo chiamassi sarebbe tutto più semplice. No, no, non ce la faccio.

Trascorro il resto della giornata parecchio nervosa e, dopo aver litigato con Ellie e con Brian – il fratello maggiore – me ne vado a letto.

Non è possibile che l’idea di Ben mi mandi così in agitazione, dico davvero. Così, decido definitivamente: domani mattina gli mando il messaggio e fine della storia. Dopotutto, non è detto che voglia ancora uscire con me. Magari il biglietto era solo una cortesia. No?

È mattino, adesso, ed io sono a letto, con il telefono stretto nella mano destra.

Alla fine, ieri sera, ho trovato il coraggio di dire tutto quanto a Grace. Come avevo previsto la sua risposta è stata piuttosto ovvia: “Se non lo chiami”, ha detto “ti rubo il biglietto e faccio finta di essere te. Vedrai che ti combino”. L’ho trovata molto convincente, quindi mi sono decisa.

Digito frettolosamente, prima che la paranoia torni. In meno di un minuto, il messaggio è inviato. Tiro un respiro profondo, ora più sollevata. Resta solo da vedere se lui risponderà, cosa di cui un po’ dubito.

Una volta tolto il pensiero, è stato più semplice trascorrere la giornata in maniera normale. Non penso neanche al fatto che Ben non ha risposto, perché me lo immaginavo, che sarebbe andata così.

Quando il telefono inizia a suonare, ormai sono le cinque di pomeriggio ed io sono stanca morta dopo un pomeriggio trascorso a riordinare la casa. Mamma e papà non ci sono, sono fuori città per un paio di giorni, e sia Brian che Ellie non sono in grado di combinare niente, all’infuori che mettere casino dappertutto.

«Pronto?».

«Morgan? Sono Ben». A momenti mi strozzo con la saliva, mentre ricollego quella voce tranquilla e calda al viso affascinante dell’attore.

«Ben… ciao», farfuglio, un po’ imbarazzata. Ma com’è che qualche giorno fa ero tanto tranquilla?

«Sai, pensavo che non mi avresti chiamato», dice, tranquillo.

«Ci ho pensato, in effetti», rispondo, sincera. Perché mentire? L’idea di non chiamarlo mi ha assillato parecchie volte.

«Davvero?», a giudicare dal suo tono sembra parecchio stupito. Insomma, lo capisco, quale ragazza gli direbbe mai di no?

«Si, ma non ti offendere», mormoro, un po’ contrita.

«Nessun offesa». Rimaniamo in silenzio per qualche secondo, poi Ben sospira e la sua voce mi avvolge di nuovo, pacata.

«Se non ti và di uscire, non sentirti obbligata», mi tranquillizza.

«No, mi và». E dico davvero, voglio uscire con lui.

«Che ne dici di stasera?», domanda. Do’ un’occhiata alla sveglia sul comodino. Sono già le cinque.

«Per che ora?».

«Va bene per le otto?».

«Si, per le otto sarebbe perfetto. Posso chiederti una cosa?», un dubbio improvvisamente mi assale.

«Certo».

«Dove andiamo?».

«Non ti preoccupare, penso a tutto io. Ti passo a prendere alle otto, allora». Dopo essersi segnato l’indirizzo, Ben mi saluta e riattacca. Resto ancora un po’ intontita, prima di riscuotermi e dirigermi verso l’armadio alla ricerca di qualcosa di decente da mettermi.

C’è una cosa importante, che dovete sapere: amo i tacchi alti. Ma non ci so camminare per niente, per cui mi limito ad osservarli nelle vetrine e a lasciarli lì, dove non sono nocivi per nessuno.

Inutile dire che l’unico paio di scarpe col tacco che io abbia mai avuto, sono decedute in poco tempo. I tacchi barbaramente spezzati ce li ho ancora conservati nel cassetto, in ricordo della mia incapacità di camminare sopraelevata di qualche centimetro.

Tutto questo per dire che non ho la minima idea di cosa indossare. E se chiamassi Ben e glielo spiegassi? Insomma, potremmo andare da McDonald, no? Lì andrebbero bene le scarpe da tennis. Mi sa tanto che lo faccio.

Sto per cercare il numero nella rubrica, quando qualcuno inizia a bussare insistentemente alla porta. Mollo il telefono sul letto e mi precipito verso la porta. Chiunque sia, ha una gran fretta.

Be’, mi sarei aspettata chiunque, davvero, tranne Grace. Che in questo lunedì mattina dovrebbe essere all’università. Cosa ci fa a casa?

«Scordati il McDonald», mi ammonisce, rifilandomi un sacchetto. Lo apro, curiosa. Quando ne tiro fuori un paio di stivali neri con un tacco da dodici centimetri – dodici! – vorrei davvero buttarmi giù dal balcone.

«Ma perché?», protesto. E non so se riferirmi alle scarpe o alla negazione del caro, vecchio Mc. Dove sarebbe il problema? Gli attori non mangiano patatine fritte?

Seguo Grace nella mia stanza e, quando inizia a frugare nel guardaroba, inizio seriamente a preoccuparmi. Perché quando Grace si mette in testa qualcosa, è la fine. Con mio enorme sollievo afferra un paio di pantacollant neri e una lunga camicia bianca, abbinata ad una cintura di cuoio intrecciato, da mettere sotto il seno.

Poi si fionda in bagno, verso il mobile dove tengo i trucchi, gli orecchini, e tutti quegli accessori che ho comprato ma che non ho mai messo. Colgo al volo l’occasione per infilare un paio di ballerine nella borsa. Me le cambierò appena lei uscirà di casa.

Sono le sette ed io sono quasi pronta, a parere di Grace. Volete la verità? Ho un sonno allucinante. Questa esaurita mi ha sballottata tutto il pomeriggio, nemmeno fossimo nel backstage di un importante sfilata di moda. E, se devo proprio ammetterlo, il risultato è piuttosto soddisfacente.

Convinco Grace a lasciarmi truccare da sola: non sopporto il trucco pesante, così mi limito ad un po’ di cipria, fard, una leggera linea di eye-liner e mascara.

Per i capelli, invece, non posso fare altro se non concederle il piacere di acconciarli in morbidi boccoli. Le ho fatto notare, in ogni caso, che nel giro di dieci minuti saranno di nuovo lisci, ma lei non demorde. Così, come ho fatto con le ballerine, imbosco anche un elastico bianco.

Lo so, lo so, io e l’eleganza non andiamo di pari passo, ma non è colpa mia! Lo giuro. È che Morgan è il nome di un pirata, non di una principessa. Ed io, di conseguenza, sono parecchio lontana dall’esserlo. Anche perché essere un pirata è molto più divertente.

Alle otto sono pronta. Grace si affaccia alla finestra ogni tredici secondi, con l’aria di una vecchia impicciona che osserva tutti i passanti, per commentare quello vestito peggio. Io, invece, sono sdraiata sul divano e sto sonnecchiando.

Dovrei essere nervosa, ma non lo sono. Non più di tanto, in realtà. E c’è un motivo ben preciso: credo che alla fine di questa serata Ben non vorrà più vedermi.

Non fraintendetemi, non sono pessimista. È che succede sempre così.

L’ultima volta che sono uscita con un ragazzo, lui non si è fatto più sentire. Anzi, no, mi ha mandato un messaggio, nel quale affermava che lui preferiva le ragazze un po’ più sofisticate e soprattutto più aperte.

Lasciamo perdere quello che gli ho sofisticatamente risposto, fatto sta che un appuntamento che a me era sembrato piuttosto tranquillo, si era rivelato un vero fiasco. Per questo non nutro alcuna aspettativa.

Se Rick, il sofisticato, voleva qualcuno più serio di me, come avrei potuto andar bene per Ben?

L’urlo stridulo di Grace mi riscuote dai miei pensieri. Sicuramente Ben è arrivato.

«È così figo», mormora. Le getto un’occhiata un tantino scettica, perché quando la sento parlare così è tanto simile ad Ellie. E, come con Ellie, mi viene voglia di strozzarla.

«Bello come un Dio», sussurro, portandomi le mani sul cuore. Grace si accorge che la sto palesemente prendendo per il culo e mi scocca un’occhiataccia.

«Muoviti, và», dice, allungandomi il cappotto nero. Lo indosso, poi, dopo aver afferrato la borsa, esco di casa. Inutile dire che nel scendere i tre gradini che conducono al vialetto rischio di ammazzarmi un numero imprecisato di volte.

Sentendomi come una sopravvissuta, raggiungo Ben, che mi aspetta appoggiato alla macchina con le braccia incrociate. E, proprio come Ellie e Grace, non posso fare a meno di pensarlo: “Sei così figo”. Sorrido tra me e me, prima di avvicinarmi. Ora si che mi sento in imbarazzo, perché non so come salutarlo. Un bacio sulla guancia? Una stretta di mano? Un abbraccio?

Per fortuna ci pensa lui a togliermi dall’impiccio, lasciandomi un bacio sulla guancia.

«Scusa se ci ho messo un po’ a scendere». Con aria confusa – no, non confusa, scettica – Ben osserva i tre gradini. So cosa sta pensando e non posso dargli torto. Ci vogliono dieci secondi a percorrere i gradini e il vialetto.

«Non so camminare sui tacchi», spiego. Lui ridacchia, poi mi apre la portiera. Ed ecco un punto da aggiungere a suo favore. Ben Barnes è molto galante. Ma che ci faccio io con lui? No, davvero. Io non ho niente di elegante.

Si accomoda al posto del guidatore e mette in moto e quando svoltiamo l’angolo, frugo nella borsa ed estraggo le ballerine e l’elastico.

«Ah-Ah!», esclamo, felice come una pasqua. Sotto lo sguardo allibito di Ben sfilo gli stivali e infilo le ballerine, poi raccolgo i capelli in uno chignon disordinato e sospiro soddisfatta. Quanto scommettete che ora Ben torna indietro e mi riporta a casa?

È questo, il mio problema. Tendo a dimenticare che non tutti comprendono e approvano il mio comportamento. D’altra parte, però, non vedo perché dovrei fingere di essere qualcuno che non sono solo per piacere ad un ragazzo. Non mi interessa.

«E allora perché li hai messi?», domanda, confuso.

«Perché la mia migliore amica pensava che fossero adatti. E non potevo dirle di no», spiego, alzando le spalle. Ben sorride, tranquillo. Non sembra nemmeno un po’ stranito dal mio comportamento e questo mi fa piacere.

«Sai, ho pensato molto a dove potevamo andare. Di solito le ragazze amano i ristoranti raffinati, dove possono sfoggiare tacchi alti», accenna un sorriso divertito, «vestiti eleganti e acconciature elaborate. Ma tu… tu sei tutta un’altra storia», afferma.

Lo bacio, io vi giuro che lo bacio. Mi guarda un attimo, prima di voltare a destra ed accostare. Mi guardo intorno, curiosa e, quando riconosco l’insegna gialla del McDonald capisco che io, Ben Barnes, lo sposerò.

«Andiamo al McDonald?», domando, allibita. Lui annuisce, prima di scendere dalla macchina e fare il giro per aprirmi la portiera. Scendo, sentendomi incredibilmente a mio agio senza quei maledetti trampoli e gli sorrido, come una bambina di fronte al parco giochi.

«Credo di amarti», gli dico, come se niente fosse. Lui ride, prima di porgermi il braccio, in un gesto tanto galante che centra poco con il fatto che stiamo per cenare in un fast-food.

Quando entriamo nel ristorante (si, lo so, non è proprio da considerarsi tale), tutti gli sguardi si catalizzano su di noi. E quando dico tutti, intendo proprio tutti. Compresi i camerieri. Ben, proprio come un comune mortale – si, esatto, avete capito bene – si mette in coda. Lo seguo e mentre aspettiamo il nostro turno parliamo un po’ del più e del meno.

«E quindi hai un fratello maggiore?», mi chiede, mentre camminiamo verso un tavolo libero. Ben regge il vassoio, sul quale stanno in bilico tutte le schifezze possibili immaginabili. L’ho già detto che adoro il McDonald e Ben Barnes? Se non l’avessi fatto, rimedio subito: li adoro.

«Si. Si chiama Brian ed è uno scemo, ma gli voglio davvero bene», ammetto, afferrando una patatina dal vassoio. «Sai, insegna educazione fisica in una scuola elementare vicino Wimbledon. Mi racconta di quelle cose che…», e parto a raccontare di Brian, dei suoi bambini che lui adora alla follia e di quegli episodi esilaranti che gli sono capitati.

E Ben mi ascolta, partecipe ed interessato come mai nessun’altro è stato nei miei confronti. Ride, divertito, quando passo a spiegargli della mia ultima caduta.

«Sei una piccola calamità naturale, quindi», riassume, divertito. Annuisco, dando un morso alla crocchetta di pollo.

«Si, ma non è colpa mia. Mi hanno cresciuta come un pirata», affermo, tranquilla. Non è una cosa che dico spesso, quando sono in compagnia di un ragazzo, perché non mi è mai capitato che un ragazzo si interessasse tanto a me.

Lui ride e i suoi occhi scuri luccicano di divertimento e partecipazione.

«Qual è il tuo film preferito?», mi chiede.

Sapete, non penso nemmeno per un momento al fatto che lui sia un attore e che io, magari, per compiacerlo, potrei rispondere, che ne so, “Dorian Gray”, o “Le Cronache di Narnia”.

«Pirati dei Caraibi, ovviamente», esclamo, come se fosse scontato.

«Jack Sparrow?», domanda, col tono di uno che ha già capito tutto. Gli sorrido, e sono sicura che i miei occhi brillino. Perché se c’è qualcosa che amo più del McDonald, quello è Jack Sparrow.

«Jack Sparrow», confermo, quindi.

Ben ride e, per mia fortuna, non sembra per niente offeso. «Hai mai visto uno dei film in cui ho recitato?», domanda, curioso. Annuisco, tranquilla, afferrando un’altra patatina.

«Si, certo. Anche se Dorian Gray mi ha fatto un po’ impressione. Preferisco le Cronache di Narnia», spiego. Be’, che volete? A me Dorian Gray ha fatto senso in certi punti. Naturalmente non quando c’era Ben.

Ben annuisce, serio, ma non offeso. Non sembra mai prendersela per i commenti sfacciati che gli rivolgo e non capisco perché. Poi lo guardo e capisco: lui non è un ragazzino.

Dopo aver offerto la cena – che ho apprezzato in una maniera che non credo possiate capire –, Ben mi accompagna a casa. In macchina, a differenza di quanto è successo per il resto della serata, stiamo in silenzio.

Non è un silenzio pesante, però, almeno non per me, che ho la tendenza a restare in silenzio quando mi trovo particolarmente a mio agio. Lo so, è strano, però se non avverto il bisogno di parlare, perché dovrei farlo solo per dare aria alla bocca?

Quando scendo dalla macchina, sono palesemente in imbarazzo. La verità? Avrei davvero voglia di baciarlo. Però non vorrei sembrare una di quelle oche con cui lui è abituato ad uscire, perciò decido di ignorare quello che vorrei fare davvero e di comportarmi come una persona seria.

Ben mi si affianca, tranquillo.

«Sono stata bene», gli dico, puntando lo sguardo al pavimento. Be’, che volete? Sono una persona timida, in fondo. Molto in fondo.

«Anche io, Morgan».

«Be’, allora ciao», sorrido, poi mi allontano un po’.

«Al diavolo», lo sento borbottare, prima che la sua mano afferri il mio polso e mi tiri di nuovo verso di lui. «Poi prendimi pure a schiaffi», mormora, prima di chinarsi e baciarmi.

Prenderti a schiaffi?, penso, mentre ricambio il bacio, non ci penso neanche!   

 

 

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Capitolo 3
*** III. ***




Vi lascio subito alla lettura, le note sono giù! 

Enjoy! 
Fede.

III.

 

 

«Arrivo! Un attimo!», urlo, infilandomi in tutta fretta i pantaloni del pigiama e la maglietta. Mi precipito verso la porta di casa, mentre chiunque sia là fuori continua a suonare il campanello, insistentemente.

«Arrivo!», ripeto, per l’ennesima volta. Che nervoso. Si può sapere chi è l’anima sadica che decide di svegliarmi alle nove del mattino?

Le nove! Dico io: è una cosa normale? Poi mi ritrovo davanti una Grace palesemente incazzata e non posso fare a meno di rabbrividire. Credetemi, è terrificante.

«Stavo dormendo», la informo, facendomi da parte per farla entrare. Si avvia in gran carriera verso la mia stanza, senza nemmeno rivolgermi la parola. Sospiro, senza riuscire a non pensare che la mia amica avrebbe seriamente bisogno di una visita dall’analista. O di una perizia psichiatrica completa.

«Si può sapere cos’hai?», le chiedo, chiudendo la porta della camera. Brian dorme ancora, anche se non capisco come sia possibile, visto tutto il casino che ha fatto Grace. Sicuramente ha svegliato anche i miei vicini.

«Cos’ho?», sibila, puntandomi un dito contro il petto e scandendo ogni parola con attenzione e rabbia. Resisto alla tentazione di spazzare via la sua mano e presto un po’ di attenzione.

Be’, che c’è? Quando mi sveglio con il piede sbagliato divento antipatica. A voi non succede? A me si, e vi assicuro che resto di malumore per tutto il giorno.

«Tu sei una stronza», sbotta Grace, mentre gli occhi le si fanno lucidi. Non ci capisco niente, dico davvero. Forse sto ancora sognando.

«Si può sapere di cosa diavolo stai parlando?», rispondo, un po’ acida. Non è proprio giornata, oggi.

«Di questo! Ecco di cosa sto parlando!», tira fuori il suo telefono dalla tasca dei jeans e schiaccia qualche tasto freneticamente, prima di piazzarmi lo schermo a dieci centimetri dagli occhi.

È una foto. Che ritrae me e Ben in fila al McDonald. La osservo, con attenzione. Volete la verità? Siamo strani, insieme. Si vede subito che facciamo parte di due mondi completamente diversi. Lui è elegante e posato e affascinante, mentre io sono… be’, sono io.

«Ha deciso lui di andare al Mc. Giuro che non l’ho proposto io», alzo le mani, convinta che sia quello il motivo per cui Grace sia tanto inviperita. Poi guardo meglio la foto ed è evidente che ho i capelli legati e le ballerine.

Merda.

«Non riuscivo a camminare, su quei cosi. Lo sai, Grace. Sono impedita. Non c’è bisogno che te la prendi. Non l’ho fatto per farti un dispetto», le dico, sentendo un po’ della stizza che ho provato fino a questo momento allontanarsi.

«E i capelli?», sussurra, con gli occhi lucidi.

«Avevo caldo e continuavano a finirmi davanti alla faccia», alzo le spalle. Mi dispiace che ci sia rimasta male, ma ero io a sentirmi a disagio con i tacchi e i boccoli, non lei.

«Potevi dirmelo subito», borbotta. E, guardandola, capisco che la tempesta è passata. È per questo che adoro Grace: sa sempre quando è giusto arrabbiarsi e quando è meglio lasciar perdere. Con me, principalmente, conviene lasciar perdere.

Ci sediamo sul letto, e mi preparo all’interrogatorio. Per un attimo mi aspetto quasi che tiri fuori un block-notes per gli appunti, ma Grace si limita a sorridermi e a farmi qualche domanda.

«Dici davvero?», mi chiede, quando le racconto del bacio.

«Certo. Io sono irresistibile», mi vanto, consapevole di quanto la realtà sia ben diversa. Grace inarca le sopracciglia e ridacchia, divertita.

«Ovviamente. E come siete rimasti?», domanda.

Bella domanda. Proprio una bella domanda. Come siamo rimasti? Non ne ho la più pallida idea. Dopo che mi ha baciata, ho effettuato una fuga strategica e mi sono rinchiusa in casa, con un batticuore per niente indifferente. Dio, non so nemmeno quand’è stata l’ultima volta che mi sono sentita così per qualcuno.

Patetica? Forse. Ma provateci voi, a passare una serata con Ben, poi ne riparliamo.

«Sei un’idiota», borbotta Grace, incredula. Mi tira un coppino, consapevole di quanto mi dia fastidio. Per questa volta non le dico niente, visto che non me la sento di darle torto.

«Morgan!», Brian spalanca la porta della mia camera, con un asciugamano avvolto intorno ai fianchi e i capelli ancora gocciolanti.

«Brian, cazzo. Poi devo asciugare io. E dai, che ti costa vestirti?», brontolo.

«Non rompere, Strega». Lo ammazzerei, quando mi chiama in quel modo. Da bambina mi mettevo sempre a piangere.

«Io sono un Pirata», rispondo, incrociando le braccia al petto e mettendo il broncio.

«D’accordo, Morgana». Ma perché vuole sempre l’ultima parola? Lo detesto quando fa così. Poi, però, mi ricordo che Grace è ancora qui. In realtà, è come se non ci fosse, visto che il suo sguardo sembra catalizzato completamente dagli addominali di mio fratello.

 Okay, lo ammetto. Brian è figo. Ma è mio fratello! No, dico sul serio, come fa Grace ad avere una cotta per lui. Brian è così Brian. È dispettoso, un po’ troppo dispettoso. E poi è dispettoso, l’ho già detto?

«Vatti a vestire», brontolo, alzando gli occhi al cielo. Sento a malapena Grace mormorare un «oppure leva l’asciugamano», prima di lanciare un urlo esasperato e cacciare Brian dalla stanza. Lui fa un occhiolino a Grace, che arrossisce come una mocciosa alla prima cotta e se ne và.

«Comunque ero venuto a dirti che c’è qualcuno per te, in cucina», lo sento dire, prima che il rumore della porta del bagno che si chiude soffochi la sua voce.

Perplessa, esco dalla stanza, seguita da Grace, che inizia a riprendersi, finalmente. Giuro che se Brian ha fatto entrare Jason lo sopprimo.

Voi non lo sapete, ma Jason è un altro appuntamento finito male. Jason è l’unico ragazzo che IO abbia deciso di non cercare più, nemmeno per sbaglio. E non solo perché ha provato a infilare le sue manacce nella scollatura della mia maglietta. Principalmente l’ho cancellato perché è un grandissimo, completo idiota. Più di Brian.

Perciò quando metto piede in cucina sono già sul piede di guerra, alla ricerca delle parole adatte per dire a Jason che non voglio vederlo nemmeno in cartolina.

Non mi ricordo se l’ho mai detto, ma non sono un vero fenomeno con le previsioni. Anzi, non credo di averne mai azzeccata una.

Dico questo perché Ben Barnes seduto al tavolo della mia cucina è l’ultima persona che mi aspetto di vedere, in questa mattina cominciata male e che rischia di diventare anche peggio.

Sei stupida, direte voi. E io vi darei pienamente ragione, perché l’uomo dei miei sogni è nella mia cucina ed io non potrei chiedere di meglio. Ma lasciate che vi spieghi le cose dal mio punto di vista: sono in pigiama. In pigiama! E non un pigiama qualsiasi, no. Sarebbe troppo semplice, troppo bello. Questo è IL pigiama, quello azzurro, con le nuvolette bianche. Capite, adesso? Prima di uscire con Ben ho avuto quasi tre giorni per prepararmi mentalmente ed ora lui si presenta in cucina, elegante come sempre e con un sacchetto di Starbucks.

«Ben!», squittisco, sull’orlo di una crisi nervosa. Lui sorride, prima di avvicinarsi, lasciarmi un bacio sulla guancia e scompigliarmi i capelli.

«Buongiorno, Morgan».

«Che vergogna», sussurro, passandomi una mano sulla fronte. Ben ride ancora, prima di alzare gli occhi al cielo.

«Non mi presenti la tua amica?», chiede, inclinando la testa da un lato e guardando Grace, che balbetta qualcosa di incomprensibile. Ben non sembra per niente turbato dalla sua reazione, probabilmente è abituato.

Cercando di non farmi vedere, pizzico il braccio di Grace, che si riprende e porge la mano a Ben, con un sorriso un tantino inquietante. Spero proprio che non gli salti addosso.

Cade un silenzio imbarazzante, durante il quale io non faccio altro se non guardare con aria critica il mio stupido, stupido pigiama, promettendomi di buttarlo questa sera stessa.

Guardo Ben di sott’occhio, cercando di capire cosa gli passa per la testa, ma è incomprensibilmente sereno, anche mentre mi porge un bicchiere di cappuccino e cede il suo a Grace, che lo ringrazia.

«Grazie», mormoro. Grazie, perché portarmi la colazione è stato un gesto tanto carino quanto inaspettato. Nessuno è mai stato tanto carino con me.

«Sai, ho immaginato che fossi in paranoia», comunica, addentando – sempre con eleganza – il croissant alla crema. Quasi mi strozzo con il cappuccino, mentre mi rendo conto che quest’uomo mi ha già inquadrata alla perfezione.

Di bene in meglio, Morgan.

«Hai immaginato bene», risponde Grace, al mio posto. Ben la guarda incuriosito, spingendola ad andare avanti.

«Be’, sai, Morgan è un po’ insicura. Paranoica, esaurita, un tantino schizofrenica. Poi è permalosa, se proprio dobbiamo dirle tutte, e sarcastica. E poi è orgogliosa, sai? Un sacco».

«Ti prego, basta con i complimenti. Potrei arrossire», ringhio, cercando di farle capire che non mi sta esattamente mettendo in buona luce. Ma Grace continua, sotto invito di Ben, che ha puntato i gomiti sul tavolo e ha appoggiato il mento sul pugni chiusi. Guarda me, e si sta divertendo un mondo, a giudicare dal sorriso che troneggia sul suo volto.

«Non so se te l’ha detto, ma ha una cotta esagerata per Johnny Depp».

«A proposito di cotte, Grace. Mio fratello potrebbe aver bisogno di un aiuto per vestirsi».

Grace boccheggia, mentre le sue guance si colorano di un rosso acceso. Sorrido vittoriosa, quando la sento annunciare che deve assolutamente andare in bagno a fare la pipì.

«Per la cronaca, sono anche vendicativa», finisco di sorseggiare il mio cappuccino, sotto lo sguardo divertito di Ben, che scoppia a ridere. Credo che fino a quel momento si sia trattenuto per non offendere Grace.

Si alza, fa il giro del tavolo e mi si piazza davanti. Arrossisco, di fronte all’evidenza di trovarmi praticamente bloccata tra il bancone della cucina, al quale sono appoggiata, e il suo corpo.

«E così hai una cotta per Johnny Depp», mormora, mentre i suoi occhi scuri scintillano di divertimento e… di malizia?

«Assolutamente si», sussurro, sforzandomi di mantenere il contatto visivo.

Sii coraggiosa, Morgan. Tu sei un pirata!, mi ripeto.

«Non ho nessuna possibilità, allora», sostiene, avvicinandosi un po’ di più. sento distintamente il suo respiro sfiorarmi la guancia e mi ci vuole tutta la mia forza di volontà per non far cedere le ginocchia, che improvvisamente sono diventate piuttosto traballanti.

«Non essere pessimista, Ben. Può anche darsi che tu mi piaccia, chi lo sa. Certo, non sei Jack Sparrow, ma ci si accontenta lo stesso». Adesso, per favore, qualcuno mi spieghi da dove cavolo mi escono certe cose. Dico davvero, forse dovrei accompagnare Grace da quello psicologo. E magari dovrei fermarmi a farci una lunga chiacchierata.

Ben ride, avvicinandosi ancora un poco.

«Buono a sapersi, allora. Perché potrebbe darsi che anche tu mi piaccia, chi lo sa», sussurra, prima di lasciarmi un bacio leggero sulle labbra e scostarsi. Cosa? Non può mollarmi così! Non dopo avermi detto che potrei piacergli. Io! Proprio io! Morgan il pirata. Non Morgan la principessa. Il pirata. Io, io, io.

Così lo afferro per il maglione nero, trattenendolo abbastanza vicino da poter sentire il suo calore.

«Anche se ho questo pigiama?», chiedo, indicando una nuvoletta bianca in corrispondenza del mio braccio.

«Soprattutto per questo pigiama», conferma lui, divertito. Mi lascia un altro bacio sulle labbra, ma questa volta si sofferma più a lungo e lo approfondisce. Mi passa una mano dietro la schiena e una dietro la testa, stringendomi di più a lui.

Vi ricordate quando ho detto che la giornata poteva solo che peggiorare? Be’, scherzavo, perché meglio di così non potrebbe andare.

E vi ricordate anche quando ho detto che Brian è parecchio dispettoso? Tenetelo bene a mente, perché lui non è solo dispettoso, è malefico. Ed è geloso. Parecchio geloso, in verità.

Quindi mi stacco subito da Ben, quando sento mio fratello schiarirsi la voce come fa sempre quando è molto vicino a perdere la pazienza.

«Scusate se vi interrompo, ma avrei bisogno di un bicchiere», sibila, indicando la credenza esattamente sopra la mia testa. Arrossisco e mi faccio da parte, costringendo Ben a fare lo stesso.

«Ehi, Morgan! Vieni un attimo!», la voce di Grace mi raggiunge dal piano di sopra, così getto un’occhiata di scuse a Ben e una d’avvertimento a Brian, prima di correre da Grace.

Ho un brutto presentimento.

«Non dirmelo», la supplico, non appena metto piede in camera. No, no, no.

«Brian voleva parlare da solo con lui».

«Merda. Ben scapperà a gambe levate», mugugno, prendendomi la testa tra le mani. E che cavolo.

«Scusa, Morgan. Ma era a petto nudo e non c’ho capito niente. Credo l’abbia fatto apposta». Agito le mani, facendole intendere che so che non è colpa sua: è che Brian è un maledetto stronzo, quando ci si mette.

«E poi la strega sarei io», brontolo, sedendomi sul letto accanto a Grace. Pochi minuti dopo sento i passi di Brian salire le scale e attraversare il corridoio, segnale che ho il via libera.

Mi precipito al piano di sotto, rischiando di ammazzarmi almeno una ventina di volte. La verità? Non credo che Ben sia rimasto. Brian incute parecchio timore, quando vuole.

E invece Ben è ancora lì, seduto al tavolo della cucina con aria tranquilla e per niente abbattuta.

«Sei rimasto», boccheggio, incredula. È qui. È qui.

«Avevi dubbi? Non sarò Jack Sparrow, ma anche il Principe Caspian ha il suo perché, sai?», ride, prima di abbracciarmi.

Scoppio a ridere anche io, poi gli lascio un bacio sulla guancia.

Non ci posso credere. Morgan il Pirata e il Principe Caspian. Ma dove andremo a finire?






Ta-daaaaaan! Eccomi qui. 
Allora, sono stata piuttosto in dubbio su questo capitolo. Non so, mi sembra che le cose stiano procedendo troppo in fretta, no? Non so dirvi come mai mi sia uscito così, ma non lo vedrei scritto in nessun altro modo. A me piace, se devo dire la verità, però ammetto che può sembrare strano. Che ne pensate? 
Scusatemi se sembro paranoica, ma proprio non posso farne a meno >.<
Comunque, spero che vi sia piaciuto e aspetto di sentire le vostre opinioni in merito, pure per dirmi che è una completa schifezza! Giuro che non mi offendo u.u 
Bene, at last but not least, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: perfectvip94, justanechelon, Eruanne, CinderNella e Lisbeth17.
Grazie di cuore!

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Capitolo 4
*** IV. ***


Hola! :D 
Allora, prima che leggiate, c'è una cosa che volevo spiegarvi...
Non so perchè, ma praticamente nella mia testa la storia è uscita divisa in due parti, e questo capitolo sarebbe praticamente il primo della seconda parte. Infatti è ambientato parecchio tempo dopo il terzo, ma si capisce comunque tutto quanto! Tra le altre cose, non credo che manchi molto per la fine della storia, forse altri cinque capitoli, o forse meno.
Detto questo, spero che il capitolo vi piaccia, anche perchè io mi sono divertita da morire, a scriverlo... 

P.s: GRAZIE A VOI CHE AVETE COMMENTATO LO SCORSO CAPITOLO! VI ADORO! 
E scusatemi se non vi ho risposto alle recensioni meravigliose che avete lasciato, provvederò al più presto! 

Con affetto,
Fede.

IV.

                         

 

Lo so io dove andremo a finire: all’inferno. No, non sto scherzando. Sono trascorsi all’incirca tre mesi, da quando ho iniziato a frequentare Ben e posso affermare con assoluta certezza che sono stati i tre mesi più belli della mia vita.

Ben mi ha fatto sentire desiderata, corteggiata, protetta – cosa che non mi capita quasi mai, visto che ritengo di essere del tutto autosufficiente e quindi in grado di badare a me stessa – e, soprattutto, mi ha fatto sentire amata.

Perciò qualcuno mi spieghi per quale fottuto motivo gli è venuto in mente di proibirmi – proibirmi! Come se avessi due anni! – di andare Italia con Grace. Okay, magari il fatto che Grace abbia detto davanti a lui che suo cugino Giacomo non vede l’ora di conoscermi non ha certo contribuito a tranquillizzarlo, ma cavolo, sono una persona seria, io!

Di certo non mi sarebbe venuto in mente di saltare nel letto di Giacomo come una maledetta traditrice alla quale non gliene frega assolutamente niente di essere già impegnata. E poi Giacomo neanche mi piace!

Comunque, Ben ha protestato vivamente, di fronte all’invito di Grace e per la prima volta non mi è sembrato il trentenne che tanto si vanta di essere, ma un ragazzino geloso di qualcosa che pensa gli appartenga.

Perciò adesso ci troviamo nel salotto di casa sua. Lo osservo mentre fa avanti e indietro, nervosamente, nemmeno gli avessi detto di essere rimasta incinta. Si tratta solo di un viaggio, santo cielo.

Incrocio le gambe, e infilo le mani nella tasca della felpa blu. Dico davvero, non capisco cosa cavolo gli prenda. E dire che, fino a settimana scorsa, andava tutto bene. Che motivo c’è di perdere la pazienza in questo modo? Non che io sia così tanto paziente, per carità, ma quando il mese scorso mi ha informato che avrebbe girato un film con quella gran figa di non-mi-ricordo-come-si-chiama non ho mica organizzato un corteo di protesta, né mi sono incatenata nuda al cancello di casa sua minacciando uno sciopero della fame e rischiando la morte per ipotermia.

Quindi, o mi dice le cose come stanno e si comporta come il trentenne che è, oppure inizio io a comportarmi come la ventenne che sono, e vi assicuro che in quel caso non gli converrebbe un granché.

Dieci minuti dopo, la situazione non è cambiata di una virgola: anzi, è addirittura peggiorata. Ben inizia a sembrare un leone rinchiuso in gabbia ed io non ci tengo proprio a passare per la gazzella di turno. L’aria è tesa, sembra quasi irrespirabile e non riesco a credere che nonostante sia parecchio seccata dalla situazione, l’unica cosa che vorrei sarebbe alzarmi, abbracciarlo e dirgli che va tutto bene.

Si dà il caso, però, che non vada tutto bene per niente e che io sia giunta al punto di perdere la pazienza.

«Allora? Pensi di parlare o devo aspettare che rimanga il solco sul pavimento?» chiedo, osservandolo un po’ scettica. Ben storce il naso e per un attimo mi sembra che voglia mettersi a ridere. Ma è solo un momento, perché subito dopo sbotta.

«Hai così fretta di andare da Giacomo, Morgan?» chiede, rivolgendomi un’occhiata provocatoria.

Giuro che ora lo prendo a schiaffi.

Mi costringo a rimanere calma, a prendere un respiro profondo e a raccogliere tutta la proverbiale pazienza che sono riuscita ad accumulare fino ad oggi. Che non è poca, considerando che vivo con Brian.

«Ti sta venendo il ciclo, per caso? O è la menopausa?»

Lo so, lo so. Ho detto che sarei rimasta calma. Solo che certe volte proprio non riesco a trattenermi e questo è il risultato. Ben ringhia qualcosa di molto simile ad un “davvero divertente” ed io non posso fare a meno di sogghignare internamente. Cosa crede, di essere l’unico in grado di far perdere la testa a qualcuno? Oppure pensava che fossi davvero una ragazzina vittima del suo fascino?

«Qual è il problema, Morgan?» chiede, passandosi una mano sugli occhi, stizzito. Inarco un sopracciglio, incredula. Lui chiede a me quale sia il problema? Non ci siamo proprio.

«Non c’è nessun problema, Ben. Stai facendo tutto tu.» ribatto, secca. Mi guarda, con quegli occhi neri che di solito hanno lo straordinario potere di tranquillizzarmi, ma che ora mi fanno solo innervosire più di quanto io lo sia già.

«Davvero? Perché ho ridacchiato io quando la tua amica ti ha proposto di conoscere suo cugino?»

Basta così. Mi sta praticamente accusando di qualcosa che non ho neanche fatto, nemmeno l’avessi tradito. Ed io non ci sto a sentirmi dire certe cose, non quando settimana scorsa gli ho confessato che per me c’è solo lui, già da un po’ di tempo. Forse già da quando mi ha portato al McDonald, forse già da quando mi ha accettato con il pigiama da bambina.

Afferro il giubbotto, la borsa e il cellulare, che avevo appoggiato sul tavolo, e mi dirigo verso l’ingresso, con tutto l’intento di mollarlo lì, come il perfetto idiota che sta dimostrando di essere. Se fossimo in un film, Ben mi rincorrerebbe, mi tratterrebbe per il polso, mi bacerebbe e mi confesserebbe di essere uno stupido. Ma siccome non siamo in un film, e siccome con i se e con i ma non si va da nessuna parte, si limita a fissarmi arrabbiato, dall’alto del suo metro e ottantacinque.

Cosa crede, che non abbia il coraggio di piantarlo in asso?

«Quando hai finito di comportarti come un coglione, fammelo sapere.» dissi, prima di chiudermi la porta alle spalle e lasciarlo da solo. E non pensiate che sia stato tanto facile dirlo. Assolutamente no.

A dimostrarlo, ci sono i singhiozzi che premono per uscire, ma che mi sto sforzando di trattenere per non fare la figura della pazza isterica con una crisi di pianto in mezzo alla strada. Per non parlare di Brian, che farebbe rinsavire Ben a furia di calci in culo. Perciò gli mando un messaggio, informandolo che mi fermerò a dormire da Grace e mi dirigo verso casa della mia amica.

È evidente che Grace si sarebbe aspettata qualunque cosa, tranne che trovarmi in lacrime.

«Deficiente.» singhiozzo, ovviamente riferendomi a Ben. E Grace sembra capire perfettamente, perché mi stringe in un abbraccio caldo e pieno d’affetto, che per un attimo mi fa dimenticare di stare tanto male. Poi lo sguardo duro di Ben si riaffaccia nella mia mente, facendomi riprendere a singhiozzare più forte di prima.

Dio, che giornata di merda.

«Cos’è successo, tesoro?» mi domanda Grace, mettendomi sotto il naso una tazza fumante di tè caldo.

«Il Principe Caspian è un coglione.» farfuglio, prima di bere un lungo sorso che mi ustiona la lingua e il palato. Grace ridacchia. «L’ho sempre detto che Edmund è il migliore.» afferma, tranquilla. Faccio spallucce, per darle ragione.

Le racconto per filo e per segno dell’incontro con Ben e ad ogni secondo che passa vedo sul suo viso i segni del senso di colpa, così mi affretto a tranquillizzarla, prima che anche lei scoppi a piangere.

«Il punto non è Giacomo, l’Italia e il viaggio. Il punto è mi ha fatto sentire una merda, per una cosa che non ho neanche fatto. Praticamente mi ha dato della zoccola!» urlo, inferocita. Grace scuote la testa, in palese disaccordo.

«Non esagerare, Morgan. Ben ha solo paura che qualcuno ti allontani da lui.» spiega, con una serietà a dir poco sconcertante. Insomma, stiamo parlando di Grace, che aveva pianto perché mi ero tolta le scarpe con tacco, capite?

Boccheggio per qualche istante, prima di chinare il capo sul tavolo e chiudere gli occhi. Cosa ci voleva a dirlo? Non poteva semplicemente dirmi che gli dava fastidio? No, lui doveva fare le scene da attore melodrammatico. Doveva farmi sentire una poco di buono, un fedifraga, un’adultera, una merda! E tutto per non ammettere che è geloso.

Stupido, affascinante idiota che non è altro.

«Dovresti richiamarlo.» consiglia Grace, lasciandomi un bacio sulla testa.

«Non se ne parla. Se vuole richiama lui, altrimenti addio.»

«Tragica. Certo che fate proprio la coppia perfetta…»

Certo, la coppia perfetta un paio di palle. Ora mi sento anche in colpa per tutte le cose che ho pensato. Lo so che non è come tutti gli altri. So che è intelligente, che a me ci tiene, che mi vuole bene. So anche che nessuno è perfetto e che come sbaglia lui potrei sbagliare io.

«Sta suonando il tuo telefono.» mi informa Grace, guardando verso la mia borsa. Un po’ agitata, corro a prenderlo, nella speranza che sia Ben. Voglio che sia lui. Perciò ci rimango davvero male, quando leggo il nome di mio fratello lampeggiare sul display.

«Cosa c’è, Brian?» chiedo, un po’ nervosa.

«Mi spieghi per quale motivo il tuo fidanzato sta piantonando la porta di casa nostra? Se non se ne và entro dieci minuti chiamo la polizia, ti avverto.» borbotta, prima di attaccare.

Alzo gli occhi al cielo, consapevole che Brian sarebbe davvero capace di farlo, raccatto di nuovo il giubbotto e la borsa, saluto Grace con un veloce «ti chiamo tra poco» e mi precipito fuori casa. Fortunatamente, io e Grace abitiamo solo a cinque minuti di distanza, così quando arrivo sono ancora in tempo per evitare di vedere Ben trascinato via dagli agenti.

Ed è davvero lì, seduto sui gradini, con un’aria un po’ sbattuta, ma decisa. Senza dirgli nemmeno una parola, entro in casa, comunico a Brian che non c’è più bisogno di chiamare la polizia e riesco fuori.

Mi siedo accanto a Ben, in silenzio, e aspetto che sia lui a parlare per primo. Io non so proprio cosa dire.

«Credo di doverti delle scuse.» mormora, rigirandosi tra le mani le chiavi della macchina. Annuisco, come a dirgli di continuare a parlare.

«Mi dispiace davvero, Morgan. È che quando si parla di te tendo a perdere la testa.» spiega, voltandosi per guardarmi negli occhi e accennando un sorriso poco convinto. Inutile dire che arrivati a questo punto l’ho già perdonato, ma sono proprio curiosa di sentire cos’ha da dire.

«Sai, non credevo che avrebbe potuto darmi tanto fastidio, l’idea che qualcuno si interessasse a te. Non mi è mai capitato di essere geloso delle donne con cui sono stato, ma forse è perché di loro non mi è mai interessato realmente. Tu sei tutta un’altra storia. E sapere che il cugino di Grace non vede l’ora di conoscerti mi ha fatto perdere la testa. Mi sono scoperto geloso, possessivo, e l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era “Morgan è mia”. Come uno stupido, non ho affatto pensato di dirtelo e ho finito per comportarmi come»

«Un coglione. Ti sei comportato come un coglione.» gli vado incontro. Poi sospiro e appoggio la testa sulla sua spalla. Ben ride. «Già.»

Dopotutto, è questo il bello, no? Si litiga, poi si fa pace.

Gli lascio un bacio sulle labbra, prima di scoppiare a ridere, ricordandomi di una cosa che, tra un litigio e l’altro non ero riuscita a dirgli.

«Sai, Ben. Giacomo è gay.»  

***

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Capitolo 5
*** V. ***


Ciao!
Avete visto? Ce l'ho fatta ad aggiornare di nuovo :) Lo so, lo so, è passato un sacco di tempo dall'ultima pubblicazione, ma proprio ero a corto di ispirazione per questa storia. L'illuminazione mi è venuta stanotte, perciò... ta-daaan!

Non fatevi nessun problema a dirmi che il capitolo è una schifezzina, perchè non è che mi convinca un granché, se devo dire la verità. Però boh. Spero comunque che non vi deluda, perchè mi dispiacerebbe davvero tanto. 

Well, vi auguro buona lettura! 

P.s. Grazie mille alle ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo! Questo capitolo è dedicato a voi, che mi incoraggiate sempre <3

V.

 

L’Italia è esattamente come l’ho sempre sognata: calda, soleggiata e accogliente. A differenza di Londra, in cui piove di continuo, qui il sole splende, gli uccellini cinguettano e gli scoiattoli stanno sugli alberi e non ti camminano in mezzo ai piedi. Il che è assolutamente fantastico, visto che l’idea di schiacciare un povero animaletto con il mio peso piuma mi riempie di tristezza.

Alla fine, Ben ha dovuto rassegnarsi all’idea che – volente o nolente – sarei partita per Roma, sia che lui fosse d’accordo, sia che non lo fosse. C’è rimasto un po’ male e probabilmente si aspettava che rifiutassi l’invito, da brava fidanzata rispettosa.

Ma andiamo! È assurdo! Perché mai dovrei privarmi dell’opportunità di trascorrere un’intera settima a Roma con la mia migliore amica, solo perché il signor super star decide di fare il paranoico?

Perciò l’ho salutato con un lungo bacio e con la promessa che ci saremmo sentiti non appena avessi toccato il suolo italiano. Ed è ciò che ho provato a fare, ma Ben non ha risposto.

La cosa, se proprio volete sapere tutta la verità, mi infastidisce parecchio. Cioè, prima fa storie e mi fa promettere – a un certo punto credevo che mi avrebbe fatto firmare un contratto con il sangue – di chiamarlo il prima possibile, poi io lo chiamo e lui cosa fa? Non risponde.

Oh, be’. Problemi suoi. Io ora ho ben altro a cui pensare. Come Alessandro, per esempio. È il migliore amico di Giacomo e non è assolutamente gay. Ma proprio neanche da lontano. Lui e Giacomo sono venuti a prenderci in aeroporto, alla guida di una monovolume verde menta a dir poco orripilante. Strano, eppure io adoro il verde. È il mio colore preferito. E adoro anche Jack Sparrow. E amo Ben. Oh, cielo, e questa da dove mi è uscita?

Credo sia colpa del fuso orario. Non si direbbe, ma un’ora in più è un sacco di tempo. Ed ho anche sonno. Perciò ignoro le domande di Alessandro, anche perché non capisco niente di ciò che dice, e appoggio la testa sulla spalla di Grace, che mi circonda con un braccio e mi lascia un bacio sui capelli.

«Già ti manca?» domanda, tranquilla.

Scuoto la testa in segno di diniego, poi le rispondo. «No. già mi sta facendo incazzare. Non mi risponde.» brontolo, facendola ridere. Si, certo, ridi pure Grace. Tanto chi se ne importa se io adesso mi sento in colpa per essere partita, pur sapendo che Ben non era d’accordo. E se mi lasciasse? Oh, merda.

«Chi è Ben?» si intromette Giacomo, in un inglese pressoché perfetto, ma un po’ viziato dall’accento romano. Anche Alessandro, che per il momento aveva abbondato i tentativi di fare conversazione, appare parecchio interessato.

«Il fidanzato di Morgan.»

Alessandro borbotta qualcosa di cui sinceramente non afferro nemmeno il senso e si volta dall’altra parte, stizzito. Giacomo ridacchia e attraverso lo specchietto retrovisore colgo la sua occhiata divertita. Gli sorrido debolmente, poi guardo ancora il display del telefono. Chi lo sa, magari nel frattempo Ben si è deciso a chiamarmi. Ma niente. È desolatamente vuoto.

«Vi ho visti, su internet.» commenta Giacomo, con incredibile non-chalance. Oh, wow, e così i cavoli miei vengono sbattuti in prima pagina senza il minimo riguardo. Che simpatici, questi fotografi della domenica.

«Lui è un attore famoso, no?» incalza, con evidente curiosità. Ma si può sapere cosa vuole? Un’intervista, per caso?

«Si. Ma non mi và di parlarne, scusa.» lo liquido velocemente, perché gli affari miei restano sempre affari miei, a prescindere che Ben sia famoso o meno. Santo cielo, ma perché la gente deve essere a tutti i costi così pettegola?

La casa degli zii di Grace si trova in un quartiere elegante e residenziale di Roma. È una grande villa, circondata da un giardino verde e ben curato e recintata da un lungo cancello nero. Spalanco gli occhi, mio malgrado colpita, poi seguo Grace lungo il vialetto d’ingresso. George, il fratello del padre di Grace è un uomo attraente, con gli occhi azzurri e i capelli corvini e saluta sia la nipote che me con un abbraccio caloroso. Anche Elena, la moglie, ci abbraccia e ci dà il benvenuto, prendendo entrambe sottobraccio e conducendoci verso il salotto. È elegante, arredato con semplicità e con gusto e mi piace, se devo essere sincera.

Ma c’è qualcosa che non va: Alessandro. Continua a tenermi gli occhi addosso, seguendo ogni mio movimento e la cosa mi infastidisce oltre ogni dire. Sarei quasi tentata di dirlo a Giacomo e di pregarlo di farlo sloggiare, ma proprio non voglio essere fonte di problemi. E comunque, Alessandro non mi piace affatto.

Io voglio Ben. Cavolo, se mi manca. Proprio in quel momento, il mio telefono inizia a squillare. Con un sospiro di sollievo, leggo il nome di Ben e non posso fare a meno di sorridere.

«Ciao!» cinguetto, felice. Sentire la sua voce calda mi riempie di nostalgia, ma quando capto il suo tono forzatamente tranquillo, capisco che mi sta nascondendo qualcosa.

«Ehi, piccola. Com’è andato il viaggio?» domanda. Decido di lasciar perdere quella strana sensazione che mi stringe lo stomaco e gli racconto per filo e per segno tutto quello che ho fatto durante la giornata.

«… e poi non ci crederai, ma in volo ci hanno servito dei panini già pronti troppo buoni! Te lo giuro. Certo, poi mi è venuto da vomitare, però non erano affatto male. A proposito, quando torno dobbiamo andare di nuovo al Mc. Eh? Ci andiamo?» farfuglio a tutto spiano, facendolo ridere. È così bella la sua risata…

«Certo che ci andiamo. Tutte le volte che vuoi, amore.»

Amore. È la prima volta che mi chiama così. Ed è così fantasticamente bello, sentirglielo dire, che devo sedermi sul divano perché mi tremano le gambe per l’emozione. Si, certo, prendetemi pure in giro, ma è la prima volta che qualcuno mi chiama così. Qualcuno di veramente importante, intendo.

 «Dillo di nuovo.» lo supplico.

Ben ride, poi lo ripete. «Certo che ci andiamo. Tutte le volte che vuoi.»

«Ma non quello, stupido! L’altra cosa che hai detto!» rido, perché so che ha capito perfettamente dove voglio andare a parare. «Amore, dici? Ma i pirati in genere non sono poco romantici?» chiede.

Alzo gli occhi al cielo, perché questa boiata del pirata mi si sta ritorcendo contro. «Be’, potresti accompagnarlo con un: “corpo di mille balene!”» suggerisco, prima di cominciare a ridere come una deficiente, catturando l’attenzione di tutti gli altri presenti nella stanza. Mi sono persino dimenticata di non essere sola: è questo l’effetto che mi fa Ben. Quando c’è lui, non considero il resto del mondo.

«Ottima idea, amore. Grazie per il consiglio.»

«Figurati, quando vuoi.» rimaniamo in silenzio per qualche secondo, poi sospiro.

«Sai, non l’avrei mai detto, ma mi manchi.» gli confesso. Ed è la pura e semplice verità: mi manca stare con lui, anche se è da soli tre giorni che non lo vedo. E mi manca baciarlo, fare l’amore, prenderlo in giro davanti alle sue foto con i capelli lunghi dove mi sembra un po’ pirla. Mi manca davvero.

«Io invece lo sapevo che mi saresti mancata da fare schifo.» risponde, tranquillo. Ma come fa a dire queste cose come se niente fosse? Non si rende conto che le mie coronarie potrebbero subire un grave danno?

«Quanto schifo?»

«Tanto schifo. Così tanto che stavo pensando di fare un biglietto e raggiungerti.» magari potesse farlo davvero. Magari.

«Così schifo» continua «che ho davvero fatto il biglietto.» il mio cuore salta qualche battito, fa una capriola e torna al suo posto. «Talmente schifo che potrei essere proprio qui fuori.» conclude. Un minuto di silenzio.

Ho davvero bisogno di un minuto per ricollegare tutte le mie sinapsi e iniziare a dare un senso logico a ciò che ho appena sentito. “Potrei essere proprio qui fuori”, ha detto. Non può essere vero. No, assolutamente no. Perché se lo fosse, significherebbe che l’idea di stare senza di me lo rattrista per davvero. Se lo fosse, significherebbe che anche lui prova quello che provo io. Se lo fosse, significherebbe che per la prima volta qualcuno ha davvero voglia di stare al mio fianco.

Sto per rispondere, poi Grace mi strappa il telefono di mano, si allontana e si dirige verso l’ingresso. «Credo che tu l’abbia traumatizzata.» dice, divertita. Poi qualche altro secondo di completo silenzio; riesco persino a sentire le cicale frinire nel giardino qui fuori.

E Grace ritorna, seguita dalle ultime tre persone che mi sarei mai aspettata di vedere: Ellie, Brian e… Ben.

«Corpo di mille balene. Sei qui.» farfuglio. Mi alzo e gli corro incontro, poi gli getto le braccia al collo. È qui davvero. Sul serio. Veramente. Ben ride e mi bacia brevemente sulle labbra. Non ci posso credere.

«Ciao, eh! Si, il viaggio è andato bene, grazie per avercelo chiesto. Le valigie le abbiamo ritrovate. Ellie si è rotta la gamba e io sono stato tirato sotto da un camion. Ma fai pure come se non esistessimo.» brontola Brian, guardandomi in tralice. Come uscendo da uno stato di trance, mi rendo conto che Brian e Ellie sono qui. Con Ben. E che Brian non ha ucciso Ben.

«Brian!» urlo, staccandomi da Ben per saltare in braccio a mio fratello. Lui sorride, mi lascia un bacio sulla fronte e mi scompiglia i capelli.

«Ciao, pulce.» saluto anche Ellie, che mette il broncio quando la chiamo in quel modo che odia, salvo poi sciogliersi in un sorriso quando si accorge che Ben sta sorridendo. Che storia è questa? Ben sorride e lei sorride? Non và affatto bene.

Poi ricordo: è merito di Ellie se ora io e Ben stiamo insieme. E poi la capisco, è così difficile non prendersi una cotta per lui. Pensare che fino a qualche tempo fa credevo che fosse il solito pallone gonfiato.

Poco dopo, ci ritroviamo tutti quanti seduti a tavola. Ben, ovviamente, è seduto accanto a me. Mangia con la sua solita eleganza e risponde a tutte le domande di Giacomo sulla sua carriera. Poi, però, il suo sguardo slitta su Alessandro, che lo sta fissando con un astio assolutamente ingiustificato. E non guarda male solo lui, ma anche Brian. Si può sapere qual è il problema di questo ragazzo?

«Tu hai trent’anni.» afferma Alessandro, prima di portare alla bocca una forchettata di insalata. Ben inarca un sopracciglio, perplesso.

«Si.» risponde, monosillabico. Ah, quanto mi piace quando fa così. Sembra che niente e nessuno possa turbarlo. In realtà, so che la questione dell’età lo preoccupa un po’. Non ne abbiamo mai parlato apertamente, ma credo che l’idea che io abbia dieci anni di meno lo blocchi un po’. Ed è un po’ restio a parlarne, soprattutto con chi non gli piace. E non ho alcun dubbio: Alessandro non gli piace affatto.

«Morgan ne ha venti.» continua quest’ultimo. A tavola cala il silenzio. È evidente che nessuno di noi si aspettava che la conversazione potesse prendere una piega del genere. Grace si mordicchia le unghie – lo fa sempre quando è nervosa, Ellie muove il piede avanti e indietro, facendo ballare il tavolo, Giacomo e i genitori, invece, osservano con incredibile attenzione, come se questo fosse il loro spettacolo televisivo preferito.

Brian, dite? Oh, Brian sta letteralmente fulminando Alessandro con lo sguardo. Ed è una cosa che mi stupisce parecchio, perché non è che sia un fan accanito di Ben. Anzi, settimana scorsa ha persino minacciato di denunciarlo, quando Ben si è piazzato davanti casa nostra. Io invece non so cosa dire. Ed è la prima volta che mi succede, visto che di solito ho la risposta abbastanza pronta.

«Non sei un po’ vecchio, per lei?»

Ben contrae un po’ la mascella, poi respira con calma, appoggia le posate alla destra del piatto e incrocia le braccia. Posso quasi sentire la tensione che lo avvolge e l’unica cosa che vorrei fare sarebbe prendere Alessandro e infilargli la testa in quella stupida insalatiera gialla.

«Non vedo come questo possa interessarti.» commenta Ben, con invidiabile aplomb. Alessandro arrossisce lievemente, poi parte all’attacco. Avrei dovuto capire da subito quanto fosse idiota, ma davvero non pensavo che si potessero raggiungere livelli simili.

«Io potrei darle più soddisfazione.» insinua, volgare.

Dio, qualcuno lo ammazzi, prima che provveda io stessa. Brian, che di fatto è sempre stato piuttosto possessivo, protettivo e un po’ geloso della sorellina minore – alias moi – mette la mano sulla spalla di Alessandro, in un gesto che apparentemente sembra amichevole, ma che in realtà vuole essere minatorio. E, a giudicare dalla faccia di Alessandro, direi che la presa di Brian non è quel che si dice delicata.

«Te lo dico una volta sola: se ti risento fare un insinuazione del genere su mia sorella…» sussurra qualcosa all’orecchio di Alessandro, che sbianca e annuisce freneticamente.

«Vedo che ci siamo capiti.» l’ho già detto che adoro mio fratello alla follia? Oh, si. Lo amo follemente. Giuro. E non credo di essere la sola, visto che Grace sta leggermente sbavando. Glielo faccio notare picchiettandomi l’angolo della bocca con il dito indice e, in tutta risposta, lei solleva il dito medio nella mia direzione e scoppia a ridere.

Poi Ben si scusa, dice che non sta troppo bene e senza dire nient’altro si alza e si allontana. Lo seguo con lo sguardo e mi ci vuole solo un secondo scegliere cosa fare: perciò mi alzo e lo raggiungo.

Dalla sua faccia, è chiaro che la conversazione che seguirà non sarà per niente piacevole per nessuno dei due.

***

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Capitolo 6
*** VI. ***


VI.

 

Se non fossi consapevole del fatto che i prossimi minuti saranno in tutta probabilità i più difficili della mia vita, giurerei di trovarmi in un film. La sera, a Roma, non è tanto fredda quanto quella londinese e il cielo è stellato, di un blu intenso e quasi magico. È un vero peccato sprecare una serata del genere e un panorama così mozzafiato, per uno stupido litigio scatenato da un’idiota.

Ben ha spalancato le finestre della camera degli ospiti e si è rifugiato in balcone: tiene i gomiti appoggiati alla balaustra e lo sguardo è lontano, quasi assente. Chissà, probabilmente sta già pensando al modo più giusto per lasciarmi.  Mi sembra di essere finita in una terribile commedia-tragedia romantica: ancora non so, però, come finirà. Credo dipenda tutto da Ben e da quello che uscirà dalla sua bocca. Quando è sotto pressione, o nervoso, tende a dire una marea di cavolate.

Con l’agilità di un bradipo zoppo, mi isso sul cornicione, in modo da poter vedere Ben in faccia. Lui, in una sorta di riflesso automatico, afferra il mio braccio e mi tira un po’ in avanti. Probabilmente teme che potrei sfracellarmi al suolo da un momento all’altro. Non che abbia torto, in effetti. Con l’equilibrio che mi ritrovo, rischio sul serio di cadere. Quando mi sono stabilizzata, Ben si stacca, quasi come se si fosse scottato. Siamo arrivati già a questo punto?

Spero di no, perché non ho intenzione di diventare la Bella Swan della situazione. Si, ho letto Twilight e mi piace, ma io non sono così sfigata. Non mi ridurrò uno straccio solo perché Ben ha deciso che è troppo vecchio, per me.

Cielo, Edward ha novant’anni e Bella non ne fa mica una tragedia! Perciò, non ho intenzione di sentire una sola parola in merito. Se non sapessi che quando Ben ha intenzione di portare avanti un discorso, di solito lo fa fino alla fine, gli impedirei proprio di cominciare.

Ma, siccome so quanto gli piace fare il tragico, resto zitta, in attesa che trovi il coraggio di dire quello che pensa, evidentemente, dal primo momento in cui ci siamo conosciuti. Merda, perché prevedo che non finirà affatto bene?

«L’Italia è bella. Sai, ci sono già stato.» esordisce poco dopo, in tutta tranquillità. Inarco un sopracciglio, senza capire dove voglia andare a parare, e non replico. O almeno ci provo, visto che le parole mi salgono alle labbra prima che io riesca a ricacciarle indietro.

«Non girarci intorno, Ben.» lo supplico. Mi guarda intensamente per qualche istante, poi sospira.

«Non ha tutti i torti, sai?» con un cenno della testa indica l’interno della casa. Visto? Lo sapevo io che quel deficiente avrebbe rovinato tutto. Maledetti italiani e maledetta la loro lingua lunga e biforcuta. Se Ben mi lascerà per colpa delle insinuazioni di Alessandro, giuro che questa notte lo impicco con le lenzuola. Giuro.

«Senti, Ben…»

«No, Morgan. Stammi a sentire tu: sono troppo grande per te.» mormora. Non mi guarda neanche. E io sento il cuore sprofondare sempre più in basso, lo stomaco contratto per il nervoso e un vago senso di vertigine mi assale.

Ora, non so se sono semplicemente stanca per il viaggio in aereo o se, cosa molto più probabile, sono vicina ad un’incazzatura coi fiocchi. Non posso credere che Ben metta in dubbio tutto ciò che siamo per un’insinuazione tanto stupida fatta da qualcuno che, tra le altre cose, non ha alcuna voce in capitolo.

Non rispondo, troppo presa dal nervoso e dalla delusione. Se parlassi adesso, sono certa che finirei con il dire qualcosa di troppo.

«Dieci anni sono tanti. Troppi…» continua Ben, imperterrito. Adesso, però, mi guarda. Cosa si aspetta, che scoppi a piangere qui, così? e dargli questa soddisfazione?

«Non la pensavi allo stesso modo, quando siamo andati a letto insieme.» replico, maligna. Vuole lasciarmi? Bene, allora diciamo le cose come stanno.

«Sono troppo piccola quando si tratta di presentarmi ai tuoi, o quando si tratta di farci vedere insieme, ma quando hai voglia di fare sesso i miei vent’anni non sono un problema. È così, Ben? Dimmelo, avanti.» incrocio le braccia sotto il seno, in attesa di una sua risposta. Che, puntualmente, non arriva.

Ahi. Ora si, che mi viene da piangere. È così, quindi: la differenza d’età era il pretesto per lasciarmi. Non posso credere di esserci cascata. E con entrambe le scarpe, poi!

Come sei stupida, Morgan. Illusa. Ecco la verità.

«Si può sapere che cazzo dici, Morgan?» sbotta Ben, qualche istante dopo. Eh, certo, fa anche l’incazzato, adesso. Come se avesse ragione lui! Come se non fossi io, quella che ha appena scoperto di essersi innamorata di uno stronzo.

«Stronzo.» farfuglio, passandomi rabbiosamente un pugno sulla guancia. Quando ho iniziato a piangere? Non me ne sono neanche accorta.

«Che pezzo di stronzo. Io ci ho creduto, sai? Quando Brian mi diceva che mi avresti preso in giro, che mi avresti spezzato il cuore, non gli ho mai dato ascolto. Che stupida.»

«La vuoi piantare di dire cazzate, per piacere?» mi blocca, tappandomi la bocca con una mano. Lo scosto bruscamente, poi continuo nel mio isterico monologo.

«Che deficiente. Ci credi? Io, che porto avanti tutta ‘sta stronzata del pirata! Io! Mi sono fatta fregare come una cazzo di principessa rincoglionita. Che cretina. Morgan il pirata. Ma dove? Cielo, neanche Bella Swan sarebbe tanto idiota. Beh, forse lei si. No, neanche lei. Deficiente.»

«Hai finito?»

«Non ho neanche iniziato! E tu, brutto stronzo che non sei altro, come ti sei permesso di illudermi in questo modo? Ti vorrei buttare giù da questo cazzo di balcone, se non fosse che è troppo basso e che non ti faresti niente! Ah, quanto vorrei picchiarti!» inveisco totalmente fuori controllo.

Non posso credere di essere stata tanto stupida. Dico davvero. Sono una gran deficiente. Innamorarmi di Ben Barnes. Ma dai, a chi volevo darla a bere? È durata anche fin troppo, per i miei gusti. E anche per i gusti di Ben, evidentemente, perché altrimenti non mi lascerebbe.

Se penso a tutto le storie che mi ha fatto affinché non venissi a Roma, mi viene da ridere. Lui, che fa storie a me! E poi viene apposta a Roma per lasciarmi. Ci credo che è incazzato, ha anche speso i soldi del biglietto. Ci godo. Se lo merita. La prossima volta me ne vado in Messico. Ma quale maledetta prossima volta?

Ancora tutta presa dal mio interessante sfogo psicopatico e vagamente isterico, mi accorgo che Ben ha cominciato a ridere e mi interrompo.

«Mi prendi anche per il culo?»

«Ti rendi conto delle stronzate che stai dicendo?» ride, forte. Lo ammazzo. Davvero. Ora lo afferro per quella camicia del cavolo – che bella, è la mia preferita – e lo butto giù. Forse se cade di testa si fa abbastanza male, no?

«IO?»

«Non voglio lasciarti, Morgan.»

Ecco, ora mi spezzerà il cuore e… cosa? Non vuole lasciarmi? E allora si può sapere perché ha fatto tutto questo maledetto teatrino del balcone, con l’espressione tragica, assorta, affranta o come cavolo si dice, facendomi partire le coronarie?

«Scusa?»

«Pensi davvero che quello che dice quell’idiota potrebbe indurmi a lasciarti?»

«Ma tu hai detto che…»

«Non mi hai fatto finire di parlare, come al solito.»

«Quindi non mi vuoi lasciare?»

«No.»

Oh, questo cambia decisamente tutto. Ed improvvisamente, non so perché, mi sento parecchio deficiente. Secondo voi lo sono davvero? Deficiente, intendo. Secondo me si. E parecchio. Beh, tecnicamente Ben avrebbe potuto essere chiaro sin da subito. Essere un attore non lo autorizza mica a fare di tutto una tragedia. O no?

Non ci capisco più niente. Mi strofino gli occhi, probabilmente sbavando quel poco trucco che ho usato e che ha resistito al pianto. Poi tiro un pugno sul braccio di Ben, sperando di fargli male. Vana speranza, visto che comincia a ridacchiare senza ritegno. Ma si, tranquillo. Prendimi pure per il culo. Cosa vuoi che sia?

«Cos’era?»

«Doveva essere un pugno, ma evidentemente non ha avuto l’effetto sperato.» borbotto, risentita. Poteva almeno fingere che gli avessi fatto male. Insomma, non dev’essere poi così difficile, no?

«Mi dispiace. La prossima volta fingerò di essermi fratturato il braccio.»

«Davvero divertente, Benjamin. Dico sul serio.» sarcasmo allo stato puro, ecco cosa sono. Ancora una volta, Ben non riesce a prendermi sul serio, e si mette a ridere. Mi lascia un bacio sulla fronte, poi mi abbraccia forte. Gli avvolgo i fianchi con le braccia, e nascondo il viso nell’incavo tra il suo collo e la sua spalla.

«Quindi non vuoi lasciarmi…» ripeto, per l’ennesima volta. Proprio non mi capacito di questa cosa. Se non vuole lasciarmi, allora cosa vuole? Non che mi dispiaccia stare ancora con lui, eh! È l’uomo che amo, e per quanto io finga di essere forte, sono esattamente come Bella Swan: una stupida mollacciona.

«Ancora? Non ho nessuna intenzione di lasciarti. A dire la verità, volevo chiederti una cosa…» accenna Ben. Ogni traccia di divertimento è sparita, sostituita da un tono serio e vagamente emozionato.

Il mio cuore perde un battito. Questa volta, anziché scendere nello stomaco, balza in gola. Non vorrà mica chiedermi di sposarlo?

Vero?

Non so neanche cosa potrei dirgli. Certo, ovviamente direi di si, perché lo amo e tutto il resto. Ma io, sposata? A vent’anni? Come lo dirò a Brian? E a mamma e papà? Oh, merda. Non ce la posso fare. No, assolutamente. È troppo, per il mio povero, piccolo cuore. Ho sempre pensato che sarei rimasta zitella a vita. Insomma, non è che sperassi per davvero di trovare un uomo abbastanza pazzo da condurmi all’altare.

«Si, lo voglio.» rispondo, in automatico. Ben sorride.

«Vuoi cosa? Non ho neanche parlato!» protesta, poi. La sua voce è di nuovo divertita. Non è che anche questa volta vuole prendermi per il culo? No, perché lo uccido sul serio, adesso.

«Non lo so, cosa vuoi chiedermi?» rispondo, confusa. Non ci capisco più niente, mi sento così frastornata, da tutto quello che sta succedendo. Oh, mamma mia, che faccio? Non so neanche più dove sono.

«Cosa pensi che voglia chiederti?»

«Non lo so! Cosa?»

«Dimmelo tu.»

«Ben, non capisco più niente. Ti prego, parla chiaro.»

«D’accordo…»

Un ultimo respiro, poi Ben si inginocchia e dalla tasca dei pantaloni tira fuori una scatolina in velluto rosso.

«Morgan Anderson, vuoi sposarmi?»

E adesso lo so per certo: Bella Swan, al mio confronto, è una povera sfigata.




***

Signore, ci siamo. Questo è il penultimo capitolo. Personalmente, non credo che sia un granché, ma mi sono davvero divertita, a scriverlo. E un pò mi sono anche emozionata. Spero che non vi abbia deluso, o che la proposta non vi sia sembrata stupida, o troppo avventata. Nel prossimo capitolo, che sarà l'ultimo, avrete tutte le dovute e meritate risposte. 
Davvero, spero che non vi abbia deluso, perchè mi dispiacerebbe moltissimo, ecco. Ho anche pensato di tirare la storia per le lunghe, ma non ce l'ho fatta. L'ho pensata così, corta, e così sarà. Niente, spero che vi sia piaciuto. 
Fatemi sapere che ne pensate, ci conto! 
Grazie mille alle ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e anche a chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate. E a chi legge soltanto. Grazie di cuore. 
Con affetto, 
Fede.

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Capitolo 7
*** VII. ***





Godetevi il capitolo, per le note ci sentiamo alla fine.

***

VII.

 

La vita è un circolo. Che è come dire che prima o poi tutti i nodi vengono al pettine, no? Okay, non è proprio la stessa cosa. In effetti non so neanche che cavolo centra. Quello che volevo dire è che, prima o poi, ci si ritrova di nuovo al punto di partenza.

Il mio punto di partenza? Si, proprio quello: gli studi televisivi in cui Ben mi ha scelto, trasformando quello che ritenevo il giorno peggiore della mia vita in quello che ha dato il via alla mia vita vera e propria.

Personalmente, se ci fosse stato un solo modo per evitare di presentarmi, l’avrei fatto più che volentieri, ma Ben ha voluto che lo accompagnassi. Gli ho fatto giurare col sangue (figurativamente parlando) che non mi avrebbe tirato in ballo in alcun modo. Il mio intento era quello di rimanere dietro le quinte, invisibile, in attesa che lui e quella simpatica donna dell’intervistatrice terminassero la loro chiacchierata.

Ma quando mai le cose sono andate come volevo io?

«Bentornato, Ben. È sempre un piacere averti qui con noi.» cinguetta la simpaticona che, tanto per farvi sapere, è la stessa che ha deciso di chiamare sua figlia come me. Questo è il primo fattore che mi ha messo in allarme, perché quella non è in grado di farsi gli affari suoi nemmeno se la pagassi in lingotti d’oro.

«Anche per me, Allyson.» ecco svelato il nome della misteriosa tettona. Okay, forse sono cattiva, ma non mi piace. Soprattutto perché guarda Ben come se volesse mangiarselo e, tanto per essere chiari, Ben è mio. Si, sono possessiva, e allora?

«Allora, come stai?» domanda, con un sorriso smagliante. Ben sorride in rimando, anche se, conoscendolo, non è molto entusiasta di essere seduto di nuovo lì, a parlare dei cavoli suoi.

«Molto bene, grazie. Tu?» risponde, cortese come suo solito.

Allyson agita le mani, poi sorride – di nuovo – e si sporge in avanti, mettendo in evidenza la scollatura abbondante del vestito azzurro.

«Non parliamo di me, caro. Raccontaci tutto, sappiamo che sei fidanzato.» ‘azz. E ora? Ti prego, Ben, non tirarmi in ballo, non tirarmi in ballo, non tirarmi in ballo.

«Si, è vero.» conferma. Dio, grazie. Per un attimo ho temuto che se ne sarebbe uscito con qualcosa di simile ad un “Si, ed è proprio qui con me. Prego, amore, entra!”. Per fortuna il mio fidanzato è intelligente e ogni tanto ascolta quello che dico.

«Vai così.» esulto, a mezza voce. Un tecnico mi osserva con aria perplessa, forse meditando sulla mia sanità mentale. Gli rivolgo un’occhiata in tralice, così distoglie lo sguardo e riprende a fare il suo lavoro.

«Sappiamo anche che è qui con te.» incalza Allyson. Oh, no. Visto? Questa è sfiga, ragazzi. C’è poco da dire. È sfiga nera. Bastarda. No, dai. Mi ha già fregato una volta, questa cavolo di presentatrice. Ben ridacchia, ma mantiene comunque la sua aria impostata.

«Lavori per i servizi segreti, Allyson?» domanda, cercando di deviare l’attenzione. Ma lei è troppo furba e assetata di pettegolezzi per lasciarsi distrarre così facilmente.

«Certo che no, Ben. Ma da qui la vedo perfettamente. Gradiresti raggiungerci, Morgan?»

No, non gradirei, grazie per l’offerta. Ora addio.

«Coraggio, non essere timida.» non sono affatto timida, sto solo pensando a centotrentaquattro modi per svignarmela. Ben si volta a guardarmi e fa un cenno con la testa. Sibilo un no e incrocio le braccia al petto.

Poi interviene di nuovo il simpatico tecnico, che mi spinge non proprio delicatamente, facendomi finire sul palco. È un miracolo che sia ancora in piedi e non spalmata sul parquet. Mi volto, con l’espressione di un serial killer e lo minaccio di morte.

Lui fa spallucce, come a dire che è il suo lavoro e che non può farci niente, poi si siede dove prima stavo io e mi fa un sorriso che vuole essere di incoraggiamento, ma che a me sembra solo un ghigno.

Praticamente pietrificata, guardo la platea: non ho idea di quante persone ci siano, ma so che tutte cercano me. E non mi piace. Odio gli occhi addosso, lo sapete? Li odio così tanto che sono tentata di rifugiarmi di nuovo dietro le quinte.

Ben si alza, mi viene incontro e mi afferra per mano, conducendomi fino al divanetto, dove Allyson sorride vittoriosa.

«Mi dispiace, amore. Io ci ho provato.» mormora Ben al mio orecchio, in modo che solo io possa sentirlo. Annuisco con aria mesta, poi mi accomodo al suo fianco, per niente intenzionata a lasciare la sua mano. Ho idea che mi verrebbe la malsana tentazione di stringerla intorno al collo della simpaticona.

«Ciao, dolcezza.» saluta, porgendomi la mano. Con uno sforzo sovraumano gliela stringo – forse un po’ troppo forte, visto che digrigna i denti – poi borbotto un ciao poco entusiastico e ricado nel mio mutismo.

Ma Allyson non demorde: sembra del tutto intenzionata a scoprire ogni più sordido dettaglio della mia relazione con Ben. Stupida impicciona e stupida carriera da attore. Dico io, ma Ben non poteva fare il pescivendolo?

«Allora, Morgan, come stai?» domanda, curiosa. Oh, certo, curiosa. Come se non lo sapessi che sta facendo finta di interessarsi solo per arrivare al punto. Dovrà pur mantenere le apparenze, no?

«Una meraviglia, non si vede?» celio, ironica. Ben sorride sotto i baffi, Allyson ridacchia. Che risata da oca isterica, santo cielo.

«Certo, sei una favola.» conferma, prima di chiedere al pubblico di manifestare la sua approvazione con un grande applauso. Ovviamente, arrossisco fino alla radice dei capelli. Preferirei morire, piuttosto che stare un altro secondo in presenza di questi morti di gossip.

Mi passo una mano tra i capelli, nervosamente, ma quando mi accorgo dello sguardo incredulo di Allyson e di quello un po’ rassegnato di Ben è troppo tardi per riportare la mano in tasca.

«Ci vedo male, o quello è un anello con un brillante?» chiede, con gli occhi azzurri sgranati per la sorpresa.

«Ci vedi male.» replico. Poi provo a nascondere la mano in tasca, ma Allyson la intercetta e se la tira fin sotto gli occhi. Resisto all’impulso di strattonarla e sospiro. Tanto prima o poi lo sarebbero venuti a sapere. Ho imparato presto che i curiosi non mancano mai e che i fatti di una celebrità sono sempre sulla bocca di tutti.

«Questo, signori e signore, è un anello di fidanzamento! Gliel’hai regalato tu, Ben?»

No, figurati. Me l’ha portato Babbo Natale, nella speranza che prima o poi l’’avrei sposato e mi sarei trasferita in Lapponia con lui. Stupida. Chi vuoi che me l’abbia regalato, mia nonna?

Non appena apro bocca, Ben mi stringe un po’ più forte la mano libera, per farmi intendere di lasciar parlare lui. Peccato, proprio adesso che cominciavo a divertirmi.

«Si, certo. È una cosa recente, comunque.» spiega, sbrigativo e un po’ misterioso.

«Recente quanto?»

«Solo un paio di mesi.» risponde Ben. Si, sono già passati un paio di mesi da quando abbiamo fatto ritorno dall’Italia.

«E a quando, le nozze? Voglio essere invitata, eh!» si, come no. Te ne spedisco tre di inviti, tanto per andare sul sicuro. Figurarsi se mi passa per l’anticamera del cervello di invitare questa pazza al mio matrimonio.

«Tra qualche anno, ancora non è il momento.» risponde Ben, pacato. Che? Non avrete davvero pensato che mi sarei sposata a vent’anni? È troppo presto, anche se io sono parecchio intelligente, per la mia età (certo, ma a chi voglio darla a bere?) e amo Ben con tutto il cuore. Non sono pronta per il matrimonio, ecco la verità.

Ma lasciate che vi spieghi un po’ meglio, altrimenti detto così sembra che io abbia qualche grave tara mentale.

Quella sera, quando Ben mi ha chiesto di sposarlo, il si mi è salito alle labbra in modo del tutto istintivo. Così come credo fosse istintiva la proposta di Ben. Presa dall’emozione, ero assolutamente convinta di volerlo sposare al più presto.

Lo sono ancora adesso, ma a mente fredda, abbiamo deciso che è troppo presto. Siamo giovani – io lo sono, più che altro – e innamorati. Non ci corre dietro nessuno, perciò perché affrettare le cose?

«Le ho chiesto di sposarmi perché temevo che qualcun altro l’avrebbe portata via da me.» rivela Ben, a sorpresa. Mi volto di scatto, sorpresa: non me l’aveva mai detto. Quando si accorge del mio sguardo interrogativo, fa spallucce.

«E, sai, lei è mia.» continua «E la amo più di qualunque altra cosa al mondo, perciò ho pensato che una promessa fosse il modo migliore di dimostrarglielo.»

Credo che Allyson sia sul punto di piangere, visto che si picchietta l’angolo dell’occhio destro nella speranza che il trucco non sia sbavato. E non è l’unica, visto che anche io credo di essermi commossa. Poi, in tutto lo studio scoppia un applauso fragoroso.

«Ti amo.» sussurro a Ben, sul punto di piangere.

«Sapete qual è la cosa più bella?» domanda Allyson, che ormai non mi sembra più nemmeno tanto antipatica. «La cosa più importante?»

Alla parola importante, sia io che Ben sorridiamo.

«L’importante…» inizia Ben, con voce ferma. «L’importante è incontrarsi.»











Ci siamo. E' finita. 

Non so se ci sia ancora qualcuno, visto che è passato davvero tanto TANTISSIMO tempo, dall'ultima volta che ho aggiornato. A dire la verità, non so neanche con che coraggio mi ripropongo, ma tant'è che ci sono.
Vorrei spiegarvi, prima di tutto, il perchè di tutto questo ritardo. Ho scritto l'intera storia di getto, senza programmare niente di quello che sarebbe successo. Perciò, in un certo senso, anche lo scorso capitolo è stato una sorpresa, per me. Non pensavo che Ben avrebbe chiesto a Morgan di sposarlo, non rientrava nemmeno un pò nelle idee di base, a dire la verità. Così una volta pubblicato, mi sono sentita come se avessi toppato di brutto. Non so, mi sembrava quasi sbagliato, tanto che ad un certo punto ho anche avuto la tentazione di cancellare il capitolo e pubblicarne un altro. Poi ci ho pensato bene e ho capito che in realtà a me non dispiaceva che le cose fossero andate così. 
Ho pensato tanto a come sarebbe stato il capitolo successivo, cioè questo, e nella mia testa credo che fosse esattamente così come l'ho scritto. Certo, di sicuro un pò più bello, ma io mi sono impegnata, ve lo assicuro. Infatti il risultato non mi dispiace e mi sembra piuttosto in linea con il resto della storia e anche con i protagonisti. Voi che ne pensate?
Comunque, detto questo, mi scuso per avervi fatto aspettare tanto e spero tanto che mi perdonerete e che non siate deluse da come la storia si è conclusa, perchè mi dispiacerebbe da matti.


Ora passo ai ringraziamenti, perchè ci tengo da morire a farvi capire quanto sia stato importante, per me, avere il vostro appoggio. 
Perciò, GRAZIE a Serena VdW e a CinderNella per aver recensito lo scorso capitolo (scusate se non ho risposto), poi GRAZIE mille a CinderNella, eloise de winter ed Eruanne per aver inserito la storia tra le preferite, GRAZIE mille a Cate 96, CinderNella, kitty483, Klaroline99, Lisbeth17, maty98, Misfit, NichiiixD, Polinnia, Sapphire, Serena VdW, _Vicky_ e _Alis3 per aver inserito la storia tra le seguite e, ovviamente, GRAZIE mille anche alle lettrici silenziose.
Per questa volta, però, vi invito a commentare, così che possa ringraziarvi tutte quante di persona :)
E' tutto, direi! 
GRAZIE ANCORA.

Con affetto,

Fede.

P.s. Per chi volesse, mi trovate su Twitter come @FTheOnlyWay e su Facebook come TheOnlyWay Efp :)

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