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Lista capitoli: Capitolo 1: *** ‘Say something!’ ~ Snow White and the Seven Dwarves *** Capitolo 2: *** Desolation ~ Pinocchio *** Capitolo 3: *** Chaos ~ Fantasia *** Capitolo 4: *** Rumors ~ Dumbo *** Capitolo 5: *** Déjà-vu ~ Bambi *** Capitolo 6: *** ‘Why me...?’ ~ Saludos Amigos *** Capitolo 7: *** Holiday ~ The Three Caballeros *** Capitolo 8: *** Games ~ Make Mine Music *** Capitolo 9: *** Reaching ~ Fun and Fancy Free *** Capitolo 10: *** Cloud 9 ~ Melody Time *** Capitolo 11: *** Seven deadly sins ~ The Adventures of Ichabod and Mr. Toad *** Capitolo 12: *** ‘If only...’ ~ Cinderella *** Capitolo 13: *** Cinnamon ~ Alice in Wonderland *** Capitolo 14: *** Boundless energy ~ Peter Pan *** Capitolo 15: *** Walk out ~ Lady and the Tramp *** Capitolo 16: *** Sword & Shield ~ Sleeping Beauty *** Capitolo 17: *** Mail ~ One Hundred and One Dalmatians *** Capitolo 18: *** Unsweetened tea ~ The Sword in the Stone *** Capitolo 19: *** Protection ~ The Jungle Book *** Capitolo 20: *** Reunion ~ The Aristocats *** Capitolo 21: *** Fortune ~ Robin Hood *** Capitolo 22: *** ‘Never give up!’ ~ The Many Adventures of Winnie the Pooh *** Capitolo 23: *** Can’t deny it ~ The Rescuers *** Capitolo 24: *** Forever ours ~ The Fox and the Hound *** Capitolo 25: *** Lyrics ~ The Black Cauldron *** Capitolo 26: *** ‘What was that for?’ ~ The Great Mouse Detective *** Capitolo 27: *** Private stash ~ Oliver & Company *** Capitolo 28: *** Begging ~ The Little Mermaid *** Capitolo 29: *** Inspiration ~ The Rescuers Down Under *** Capitolo 30: *** Bittersweet ~ Beauty and the Beast *** Capitolo 31: *** Served your purpose ~ Aladdin *** Capitolo 32: *** Pain relief ~ The Lion King *** Capitolo 33: *** Words of the heart ~ Pocahontas *** Capitolo 34: *** Justice ~ The Hunchback of Notre-Dame *** Capitolo 35: *** Sacrifice ~ Hercules *** Capitolo 36: *** Hidden among us ~ Mulan *** Capitolo 37: *** Realization ~ Tarzan *** Capitolo 38: *** Release ~ Fantasia 2000 *** Capitolo 39: *** Introspection ~ Dinosaur *** Capitolo 40: *** ‘Wait a minute!’ ~ The Emperor’s New Groove *** Capitolo 41: *** Secret art ~ Atlantis: The Lost Empire *** Capitolo 42: *** Lost ~ Lilo & Stitch *** Capitolo 43: *** Windows of the soul ~ Treasure Planet *** Capitolo 44: *** Dry your tears ~ Brother Bear *** Capitolo 45: *** My happy ending ~ Home on the Range *** Capitolo 46: *** School uniforms ~ Chicken Little *** Capitolo 47: *** Technology ~ Meet the Robinsons *** Capitolo 48: *** Black & White ~ Bolt *** Capitolo 49: *** Cross-dressing ~ The Princess and the Frog *** Capitolo 50: *** Sensations ~ Tangled ***
Capitolo 1 *** ‘Say something!’ ~ Snow White and the Seven Dwarves ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#01
Snow White and
the Seven Dwarves, 1937
# ‘Say
something!’
Più degli animali impazziti, più
delle preoccupazioni di Dotto, fu il
silenzio a fargli capire che qualcosa di terribile poteva e doveva essere
accaduto.
Balzò innanzi
a tutti, agitando minaccioso il piccone – se c’era una strega, una vera, se la sarebbe vista con lui – ma
gli cadde di mano quasi subito al vedere la porta di casa spalancata e il
braccino pallido disteso sul pavimento, appena visibile dalla soglia, eppure
così foriero di brutte notizie.
I nani si
bloccarono. Solo Brontolo non si arrese, irruppe nella stanza, balzò accucciato
su di lei e la scosse, ma piano, sempre più piano...
Tutto inutile.
Se n’era andata. Biancaneve, la bella, la dolce, l’unica donna al mondo che
sarebbe mai riuscita a fargli fare il bagno. Non puoi piombare in una vita e stravolgerla e poi andartene così.
Se n’era
andata senza una parola, e Brontolo la odiò più che mai, e la odiò di più per
ogni lacrima che gli fece versare.
[ 160 parole ]
Spazio dell’autrice
Ho favoleggiato su una raccolta basata
sui Classici Disney fin dall’uscita del cinquantesimo, Rapunzel, quindi per prima cosa
mi scuso per averci messo tanto a mettere la teoria in pratica. Ma ora che per
caso ho trovato i 50_themes ho finalmente la giusta ispirazione e il giusto
input. E dunque eccoci qui!
Tratterò una serie di missingmoments di tutti i classici,
il che presuppone anche quei film non propriamente uniformi quali Fantasia e quel genere di lungometraggi
a piccoli/medi quadri narrativi; spero di riuscirci. Ad ogni modo, avendo
deciso di seguire l’ordine cronologico, l’esordio non poteva che riguardare Biancaneve e i sette nani – e vi
assicuro che non è stato difficile trovare il giusto prompt
e il giusto personaggio, perché di rado ho amato una ‘spalla’ quanto amo
Brontolo ♥
Noticina importante: il titolo della
raccolta è una quote di Walt Disney in persona, che ho scelto perché il mio
intento è proprio quello di soffermarmi su ciò che le storie della Disney,
raccontate prevalentemente ai bambini, non hanno voluto mettere del tutto in
luce (anche se dubito che tutte le
flash saranno di genere così malinconico).
Ringrazio fin da ora chiunque vorrà
seguirmi in questa traballante impresa, sperando di farvi cosa gradita!
Davanti ai suoi occhi dipinti
d’azzurro, la stanza fredda si animò delle luci del ricordo: il burattino
avanzava e attorno a lui gli orologi si coloravano di vita e i cucù cinguettavano e i
carillon trillavano e il fuoco scoppiettava di nuovo allegro nel camino; c’era una
boccia per i pesci sulla mensola e lì accanto un gattino nero dall’aria troppo
felice per pensare di papparsi la sua preda, e là, naturalmente, là, seduto sull’unica sedia della
stanza, a braccia aperte, c’era il babbo. Pinocchio avrebbe voluto soltanto corrergli in
braccio e stringerlo forte e non lasciarlo andare mai più, ma non appena mosse
un passo verso di lui, ecco che le luci si spensero, tutti i colori tornarono
grigi, gli orologi e i giocattoli tacquero, il fuoco morì, gatto e pesce
svanirono e lui non c’era più, non c’era
più, non c’era più.
Gli restavano solo una stanza fredda, una sedia vuota, il silenzio di un grillo parlante,
le lacrime che gli pasticciavano i colori del viso e il suo piccolo cuore di
bambino mai nato che si spezzava e si frantumava in mille trucioli di legno e
polvere.
[ 190 parole ]
Spazio dell’autrice
In primis lasciatevi dire che siete
meravigliosi ;///; Non mi sarei mai aspettata tanto entusiasmo per questa
iniziativa. Grazie di cuore!
Per quanto riguarda Pinocchio, ho voluto rappresentare il
momento in cui il burattino torna a casa e scopre che Geppetto è partito – e ho
immaginato il suo senso di colpa nel ritrovarsi solo in quell’unica stanza che
adesso non risuona più di musica e risate. Pinocchio non è esattamente uno dei
miei protagonisti Disney preferiti, ma Geppetto indubbiamente sì, e quella casa
non è casa senza di lui ♥
Spero di poter essere ancora così
regolare con i prossimi aggiornamenti ;D
Allo Stregone era bastato un
gesto delle mani per dividere le acque, ridurre al silenzio la confusione e
cancellare tutto ciò che era stato. Il mondo era tornato alla normalità. La sala
era di nuovo silenziosa, la vasca non straripava più giù per le scale, sul
pavimento una scopa e un paio di secchi giacevano immoti – come avrebbe sempre
dovuto essere. Solo gli occhi dello Stregone, fissi su di lui e colmi di muto e
inesorabile rimprovero, testimoniavano che qualcosa si era rotto, era
irrimediabilmente cambiato. Il caos non si dimentica.
L’apprendista
si sfilò il berretto a punta e abbassò gli occhi. Allo Stregone era bastato un
gesto delle mani per cancellare tutto; a lui non sarebbe bastata l’eternità per
fare ammenda e dimostrare di aver imparato la lezione.
Non si gioca con la magia.
[ 135 parole ]
Spazio dell’autrice
Fantasia mi ha dato del
filo da torcere xD Ero abbastanza sicura sulla scelta
del prompt e naturalmente non potevo che scrivere su L’apprendista stregone (amo anche gli
altri episodi, ma questo è oggettivamente il più completo in termini narrativi),
però non sapevo bene come impostare la flash e anche in seguito i dubbi sono
rimasti. In effetti, vedete, ho l’impressione di aver scritto una roba
piuttosto banale. u///ù
Spero di rifarmi, e mi auguro che la
raccolta continui a incuriosirvi ♥
Si diceva che il figlioletto
della signora Jumbo non fosse un elefante normale.
Tanto per
cominciare, non parlava con nessuno. Le vecchie circensi avevano visto cuccioli
andare e venire, sotto quel tendone vagante, e non era mai accaduto prima che
uno di loro si mostrasse così silenzioso,
così poco incline ai più comuni fondamenti della civile convivenza; ma il
figlio della signora Jumbo se ne stava per ore e ore con la proboscide in su, a
rincorrere con gli occhi chissà che cosa, e tutta la sua conversazione si
limitava a un barrito occasionale che suonava più come un bizzarro sospiro.
Poi, sembrava andare straordinariamente d’accordo con un topo, e la cosa di per sé sarebbe bastata a far preoccupare
qualunque madre degna di questo nome, giusto?
E infine quelle orecchie, cielo, quelle
orecchie.
C’erano tutti
i presupposti per ritenere che il figlioletto della signora Jumbo non fosse un
elefante normale; a dirla tutta, non sembrava neppure essere un elefante.
Dumbo
le sentiva, qualche volta. Ed era in quei momenti che Timoteo temeva davvero di
non poter riuscire a salvarlo.
[ 180 parole ]
Spazio dell’autrice
Non avevo mai visto Dumbo prima di questa estate,
quando mi sono data a una maratona di tutti i Classici Disney (e adesso sapete
anche a cosa mi è servita, LOL); mi è piaciucchiato abbastanza, ma
probabilmente ciò che ho amato di più in tutta la storia è stato Timoteo.
Questo topolino che decide di aiutare quello che dovrebbe essere il suo nemico
naturale, un elefantino incompreso, e ci
riesce – credo che sia un messaggio meraviglioso, davvero degno di tutta la
poetica di zio Walt.
Grazie infinite di essere ancora qui,
sul serio. ♥
Ogni anno, alla fine del freddo,
era sempre la stessa storia. All’improvviso il bosco risuonava di
canzoncine, di cinguettii grondanti miele, e il sonno del vecchio gufo veniva continuamente
interrotto da quell’insulsa primavera che sembrava non avere niente di
meglio da fare che tornare a tormentarlo, più puntuale della stagione
delle piogge.
A ben poco
serviva gracchiare contro gli invasori. Il principino aveva il suo bel dire che
a lui non sarebbe successo –
alla rincitrullaggine
non c’era scampo, a meno di non essere un vecchio gufo.
E il giorno in
cui lo vide seguire la bella cerbiatta lungo il ruscello, non poté fare
altro che affondare il capo tra le ali e cercare di riprendere il sonno.
Proprio come accadeva ogni anno.
«
Rincitrullito » borbottò, un po’ più tristemente del
solito.
[ 130 parole ]
Spazio dell’autrice
Penso che questa flash sia quasi
più comica che malinconica xD Beh, a me
l’Amico Gufo di Bambi fa morire
dal ridere, quindi anche se il mio proposito era di rappresentarlo più
solo che mai – perché dopotutto Bambi, Tamburino e Fiore sono
stati finora la sua sola compagnia: veder rincitrullire anche loro è
quasi un ‘tradimento’ – non potevo che ammantare la cosa di
tutta l’ironia che caratterizza il personaggio. Spero apprezziate ♥
I cowboy non erano fatti per la
pampa argentina; questo il narratore
doveva saperlo benissimo. Eppure la cosa non gli aveva impedito di strapparlo
al suo amato Nordamerica per trasportarlo – letteralmente – nel vasto e
sconosciuto meridione; di spogliarlo di sé per cacciargli addosso bombachas, sombrero, saco, tirador, chiripá, pañuelo,
botas, espuelas con tanto di poncho finale che copriva tutto quanto; infine di
affidargli quel cavallo pazzo che non ne voleva sapere di collaborare con la
sua già piuttosto difficile giornata. Il cowboy (gaucho) era diventato
praticamente un altro. E il cowboy (gaucho) era un tipo pacifico, davvero, non
s’era neanche sognato di obiettare, di far notare al narratore quanto crudele
fosse la cosa.
Eppure, adesso
che il narratore lo afferrava di nuovo bruscamente per il pañuelo
e lo riscaraventava indietro, a casa, il cowboy (gaucho) aveva negli occhi una
domanda tristissima. Ma si limitò a un « ¡Hasta la
vista! » più allegro che mai, perché lui era un cowboy (gaucho) per bene. E anche
questo il narratore lo sapeva benissimo.
In fondo era
per questo che se la prendeva sempre con lui.
[ 181 parole ]
Spazio dell’autrice
Ecco, questa è praticamente una
scemenza xD
D’altro canto era difficile scegliere
il frammento narrativo più ‘ficwritabile’ di SaludosAmigos, una
pellicola a spezzoni interamente basata sulla vita in Sudamerica. Alla fine mi
sono prefissa di sprofondare il Pippo dell’episodio El Gaucho Goofy in un’atmosfera semi-malinconica,
cosa in cui ho inevitabilmente fallito, perché anche volendo non si può non
ridere di fronte a questo povero cowboy che suo malgrado si ritrova a imparare le
abitudini del gaucho argentino. Quindi niente, sono pronta per i vostri
pomodori *afferra un elmetto*
Apprezzo comunque infinitamente che non
mi abbiate ancora mandata al diavolo u///ù ♥
Pablo non voleva veramente andarsene dal Polo Sud. Era
vero che era un pinguino freddoloso, era vero che era diverso da tutti gli altri;
ma non era questo che l’aveva spinto a ritagliare il quadrato di ghiaccio su
cui poggiava il suo igloo solitario e partire alla volta del caldo equatore.
Il gauchito non aveva catturato il ciuchino volante solamente per vincere la gara. Era vero
che c’erano mille pesos in palio, era vero che così avrebbe dato una lezione a
tutti gli adulti che lo prendevano in giro; ma non era per questo che gli aveva
imbrigliato le zampe e aveva imparato a volare con lui.
José e Panchito non lo avevano portato a visitare Baía e tutti quei meravigliosi angoli del Messico solo per fargli un regalo di compleanno.
Paperino se ne
rendeva conto adesso, adesso che era rimasto solo davanti a un grosso pacco
aperto e un po’ distrutto, con nell’aria l’odore degli ultimi fuochi d’artificio
spenti e in mano dei libri che erano tornati ad essere soltanto libri. Se ne
rendeva conto e già rimpiangeva tutti quei colori, tutte quelle musiche, tutti
quei profumi e tutte quelle ragazze.
Era il viaggio a contare, non la destinazione.
[ 200 parole ]
Spazio dell’autrice
“Sei
mai stato a Baía?!” BWAHH.
Non potete immaginare quanto io amiI tre caballeros.
Per moltissimi anni è stato praticamente il mio Classico Disney preferito; ci sono
cresciuta ed è sempre stato in grado di trasmettermi un’euforia assurda, ma
sempre accompagnata da una certa malinconia che ho capito solo più tardi, da
grande, constatando che quella realtà splendida che vedevo attraverso gli occhi
di Paperino, José Carioca (♥) e Panchito mi sarebbe tanto piaciuto toccarla con mano.
Onestamente non pensavo che mi sarei
dilungata tanto su questa flash, però alla fine, rileggendola, per una volta
sono rimasta – non lo negherò – piuttosto soddisfatta. Quella nostalgia dolceamara
che ho voluto conferire a Paperino che guarda il pacco vuoto dei regali dei
suoi amici – beh, è ciò che sento anch’io ogni volta che arrivo alla fine del
film. Ogni singola volta. Ancora oggi. ♥
(Ho paura di non aver rispettato
appieno il prompt, ma ho identificato la ‘vacanza’
dei protagonisti con il ‘viaggio’, ergo spero me la passiate. ^^’)
Il nonno gli aveva sempre
borbottato, in quel suo tono da vecchio fagotto, che quello della caccia al
lupo era solo un sogno, uno stupido gioco per bambinetti in fasce, e che era «
tempo di crescere, Pierino, o il gioco finirà male prima che tu te ne accorga
». Gli sequestrava il fucile; qualche volta gli aveva anche rifilato una bella
sculacciata – ma Pierino aveva continuato imperterrito a riprendersi la sua
arma di guerra e a fantasticare di liberare il paese dalla
minaccia del lupo cattivo, perché lui dopotutto era un bambino; e se crescere voleva dire smettere di voler fare
qualcosa con tutto se stesso, allora grazie tante, lui non sarebbe cresciuto
mai.
Oggi però il
lupo era vero, e della buona Sonia non restavano che una piuma e un paio
d’impronte nella neve.
E a Pierino ci
volle tutto il suo coraggio per non darsi per vinto e per continuare ad essere
un bambino.
[ 155 parole ]
Spazio dell’autrice
Anche Musica, maestro! è un Classico che non avevo mai visto prima del
mio più recente periodo disneyano, ma in questo caso la scelta dell’episodio su
cui scrivere è stata immediata. Il cortometraggio su Pierino e il lupo fu integrato, se non ricordo male, nel vecchio
VHS de La carica dei 101, ergo lo
conoscevo già molto bene – ed è stata una piacevole sorpresa scoprire che
faceva parte di una pellicola sullo stile di Fantasia. Ho sempre amato questa scenetta musicale – nonché
l’impareggiabile voce narrante! XD – e mi sarebbe tanto piaciuto scrivere in
particolare su Sasha e Ivan, i miei personaggi preferiti; però mi fa piacere
aver scritto piuttosto di Pierino alle prese con il lupo: penso che il prompt fosse proprio giusto per questa situazione. L’ultima
frase sta proprio a significare che forse, in una circostanza del genere, solo
i bambini sarebbero in grado di non perdere la testa.
Questa raccolta sta ottenendo un successo
che non credo che meriti: grazie davvero di cuore, ogni volta di più *///*
Vivere nel Fuori era difficile.
Il primo giorno Bongo aveva saltellato senza pensieri di cespuglio in
cespuglio, ma già l’alba seguente aveva portato alla luce la paura
– ma forse si aveva sempre un po’ paura di fronte alla
libertà. Lui non poteva saperlo, non era mai stato così libero prima d’ora.
Vivere nel
Fuori era diventato ancora più difficile quando era arrivata lei. Lulubelle
gli aveva sorriso più luminosa del sole e poco dopo gli aveva mollato un
ceffone, e ora Bongo non sapeva più che pesci pigliare – letteralmente. Era, quello, un mondo che
non aveva mai conosciuto, in nessun senso; in fondo non gli era mai capitato di
voler bene a qualcuno.
La
guardò tristemente mentre, giù al ruscello, danzava tra gli orsi
che erano tutti uguali, tutti diversi da lui. E rifletté ancora e ancora
su quanto fosse difficile vivere nel
Fuori.
Eppure era
sicuro che, se ci fosse stata Lulubelle insieme a lui
sopra il suo piccolo monociclo, correre attraverso quello strano e nuovo e
meraviglioso mondo e toccarlo non gli
avrebbe fatto nessuna paura.
[ 178 parole ]
Spazio dell’autrice
Sarò sincera: per quanto
riguarda Bongo e i tre avventurieri
preferisco molto di più l’episodio su Topolino, Paperino e Pippo
ispirato alla fiaba di Jack e il fagiolo
magico. Eppure ho scelto di scrivere su Bongo – tutti e tre i
protagonisti del secondo mediometraggio sono già comparsi in questa
raccolta, perciò non sarebbe stato molto giusto tornare su di loro e
lasciare Bongo e Lulubelle da parte. Il risultato
comunque – me ne rendo conto – non è dei migliori, proprio
perché, dal momento che non amo moltissimo la vicenda narrata (che mi sa
un po’ troppo di cliché persino per la Disney), logicamente dal
testo non traspare un grande entusiasmo da parte mia. Oh, spero che non vi
stiate pentendo di seguire questa raccolta ;///;
Da quando era arrivata lei, Bill,
il suo Bill, era diventato un
estraneo. Non avevano più fatto nulla insieme – non avevano
più rincorso banditi e non avevano più sovvertito la natura e non
avevano più neanche galoppato
liberi verso il tramonto. Bill aveva sempre la testa tra le nuvole e non se ne
vergognava nemmeno, perché, farfugliava tra sé e sé, il cielo erano gli occhi di Sue.
Del resto,
Sputafuoco era solo un cavallo, e gli uomini tendevano a non concepire il fatto
che la proverbiale fedeltà dei cavalli fosse dettata non
dall’istinto, ma dal più cieco e naturale affetto.
Così,
il giorno del regalo alla sposa, Bill trovò un altro motivo per vivere con la testa tra le nuvole; e per la prima
volta Sputafuoco avvertì anche il dolore tutto umano del rimorso.
[ 135 parole ]
Spazio dell’autrice
Lo scrigno delle sette perle è un gioiellino come dice il titolo. Ho adorato tutti
gli episodi, ma il mio preferito è senza dubbio quello su Pecos Bill, il
cowboy texano che si perse per amore di una donna. La Disney, così brava
a infondere umanità nei personaggi più improbabili, ha fatto
risaltare in quei quindici minuti il cavallo Sputafuoco e la sua gelosia nei
confronti della bella Sue – però mi sono detta che quella gelosia
non poteva sfociare in un vero e proprio senso di soddisfazione, alla fine,
perché con la scomparsa di Sue Sputafuoco ha ‘perso’ Bill
più che mai.
Cloud 9 è un’espressione idiomatica che indica un
senso di beata distrazione; penso che il modo migliore di renderlo in italiano sia
il nostro ‘avere la testa tra le nuvole’, che in questo caso
specifico si prestava bene tanto all’innamoramento di Bill quanto al suo
dolore finale.
Capitolo 11 *** Seven deadly sins ~ The Adventures of Ichabod and Mr. Toad ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#11
The Adventures
of Ichabod and Mr. Toad, 1949
# Seven deadlysins
Non
dovete peccare, dicevano loro da bambini, o finirete all’inferno.
Taddeo non era
cattivo, davvero. I suoi amici lo conoscevano da tutta la vita e lo sapevano che non era cattivo. Topus storceva un po’ il naso, sì, quando d’improvviso lo
vedevano scorrazzare per il paese tutto preso dalla sua nuova mania – che fosse
un cavallo, un motore o chissà cosa, il chiasso era lo stesso – ma a Talpino
faceva soprattutto ridere, ed era
sicuro che sotto sotto anche i baffi di Topus
nascondessero un sorriso.
Ma non dovete peccare, dicevano loro da
bambini, o finirete all’inferno; e
Taddeo doveva aver superato da un pezzo quella linea invisibile che stava tra
il divertimento e il vizio, sfiorando un po’ tutte di quelle cose che il buon
vecchio Tasso raccomandava spesso di non
fare.
Il peggio era
che non era finito all’inferno, ma in prigione.
Quella volta
Talpino ci mise un po’ a smettere di piangere.
[ 155 parole ]
Spazio dell’autrice
Anche in questo caso, devo dire che amo
molto di più l’episodio su Ichabod che non quello su
Taddeo di Villa Rospo, però il prompt prescelto si adattava
molto meglio a quest’ultimo – e poi non ho resistito all’impulso di raccontare
le sue tristi vicende attraverso gli occhi del dolcissimo Talpino.
Piccolo chiarimento: quando dico che il peggio è finire in prigione piuttosto
che all’inferno, voglio dire che in prigione ci si può finire anche da
innocenti. All’inferno no. Forse avrei dovuto specificarlo meglio nella flash,
ma mi piaceva l’idea di chiudere solamente con il pianto di Talpino: lo so, mi
capisco solo io. xD
Sono infinitamente grata a tutti i miei
lettori, ma un ringraziamento speciale va a Honest che non si perde un
capitolo e mi lascia sempre splendide parole che non merito ç///ç ♥
La guardava dal suo posto
segreto, molto distante dal mondo degli uomini, e si sentiva stringere il cuore
ogni giorno un po’ di più.
Smemorina
era una fata come si deve. Aveva dedicato i suoi anni più verdi allo studio
della magia, decisa a conseguire l’obiettivo più alto che una creatura fatata potesse
rappresentare: quello di guida, di conforto a quei poveri piccoli umani che
spesso preferivano non credere e che
per questo imparavano a soffrire in silenzio. Era diventata Fata Madrina, aveva
ottenuto la sua stirpe di protetti, e la sua felicità era stata piena perché finalmente avrebbe potuto portare il suo
contributo in una terra che, se solo avesse guardato un po’ più in su del
proprio naso, avrebbe capito di non essere sola.
E poi, Smemorina era anche una fata ottimista; il tempo era
trascorso – e lei probabilmente aveva dimenticato qualcosa per strada – e il
momento giusto doveva ancora venire, però non aveva mai dubitato di poter
riuscire, di poter salvare qualcuno che sognasse
abbastanza da poter essere salvato.
E tuttavia, quando
abbassava lo sguardo sulla ragazzina sola che in silenzio soffriva così tanto e di cui tutti avevano
dimenticato persino il nome, non poteva davvero evitare che il cuore le si
stringesse ogni volta un po’ di più.
[ 212 parole ]
Spazio dell’autrice
Lo giuro, non avrei mai immaginato di
scrivere su Smemorina. Era mia intenzione fin dall’inizio
concentrarmi sul periodo che il film non ci mostra, quello dell’infanzia di
Cenerentola dopo la morte del padre, ma a un tratto mi sono detta che
considerato il filo narrativo della raccolta sarebbe stata una scelta scontata
rappresentare lei alle prese con i soprusi della matrigna e delle sorellastre. Così,
non so neanch’io come, ho immaginato una Smemorina
che la osservasse dal mondo delle fate, in attesa del momento giusto per
scendere ad aiutarla, a dimostrarle di non essere sola. Il ‘Se solo...’ del prompt si riferisce anche al suo desiderio inespresso che
il tempo si affretti, non solo all’incapacità degli uomini di credere nell’impossibile.
Capitolo 13 *** Cinnamon ~ Alice in Wonderland ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#13
Alice in
Wonderland, 1951
# Cinnamon
« Un’altra tazza! Più in là! Cambiar!
»
Il Leprotto
afferrò al volo la teiera in cui russava il Ghiro e seguì il
Cappellaio lungo la tavolata, fino a una nuova serie di tazzine scintillanti e colme
di buon tè. Ma neanche qui c’era ciò che serviva per il
tè migliore, quello più buono e dolce, quello che non avevano
più gustato da – impossibile dirlo; dopotutto il Tempo si era
offeso. Il Cappellaio si voltò con aria grave, scosse la testa e riprese
la sua pazza corsa, più pazza che mai.
« Cambiar! Più in là!
Un’altra tazza! »
Ancora sedie e
ancora tazze e ancora una volta il Cappellaio scosse il capo stizzito, poi
arrabbiato, poi deluso. Non c’era. Non
c’era più cannella. E senza cannella il tè non sarebbe
più stato lo stesso. La cannella aveva
lo stesso profumo di quella simpatica bambina. Forse dopotutto anche lei si
era offesa. Non restava che continuare a correre.
«
Più in là! Cambiar! Un’altra
tazza! »
[ 160 parole ]
Spazio dell’autrice
Sì, shippo
Cappellaio/Alice. No, non shippo Cappellaio/Alice in
versione Disney. Sì, ho scritto una mezza Cappellaio/Alice in versione
Disney.
Il fatto è che il Cappellaio
Matto è irresistibile quando
chiama Alice “simpatica bambina” (xD), e
a me piaceva l’idea che più tardi – dopo averla offesa come
ha offeso il Tempo (riferimento al romanzo di Carroll) – potesse sentire
la sua mancanza.
Lo odiava perché
era un piccolo fuoco d’artificio verde e rosso che non aveva bisogno del
buio per risplendere. Lo odiava perché sapeva combattere, ma con la
spensierata ingenuità di chi alla guerra gioca soltanto. Lo odiava perché
rideva, rideva sempre, e non
rimpiangeva un mondo che non gli era piaciuto e anzi aveva avuto il coraggio di
andarsene via da solo pur di non crescere mai, di essere quello che voleva lui.
Lo odiava perché sapeva volare.
L’uncino
trafisse il punto della mappa sul quale la fata aveva tracciato una croce, e lo
fece come se sotto la pergamena pulsasse il cuore stesso di Peter Pan.
L’avrebbe
ucciso perché lui era il bambino che Giacomo Uncino non aveva mai potuto
essere.
[ 127 parole ]
Spazio dell’autrice
Qui non ho avuto dubbi fin dall’inizio.
Volevo scrivere su Uncino e sul fatto che forse, se odia così tanto
Peter, c’è una ragione molto valida – probabilmente a
influenzarmi è stata anche un po’ la miniserie Neverland in cui il loro rapporto
viene totalmente rivisitato, ma io ho immaginato qualcosa di diverso ancora e
la mia testa se n’è andata per un po’ a zonzo tra gli anni d’infanzia
di un James non ancora ‘Hook’ che per
forza di cose (famiglia, epoca, quello che vi sembra più probabile)
è stato costretto a crescere e
che forse proprio per questo odia l’unico bambino al mondo che non
crescerà mai.
Un uomo e un cane passeggiavano
nel parco di domenica mattina.
Era una
vecchia abitudine consolidata da lunghi anni di serena coesistenza, anni che
né la guerra né le perdite dei beni e degli affetti erano
riuscite a sfumare. Anche quella che l’uomo aveva di parlare al cane come
se questi potesse rispondergli era qualcosa che non sarebbe mai cambiato.
« È
passato tanto tempo, eh, vecchio mio? Ti ricordi quand’eri cucciolo e
venivamo qui a terrorizzare le lepri, e quegli alberi laggiù non erano
altro che giovani arbusti? Guarda ora come sfiorano le nuvole, mentre tu fai da
mentore alla cagnetta dei vicini... Ti ricordi, vero, Fido? »
Il cane aveva
grande rispetto di quel sorriso triste e di quella voce nostalgica, e ogni
volta, consapevole di fare la cosa giusta, tuffava il naso nell’erba e
proseguiva il cammino alla ricerca dell’odore familiare di una lepre,
anche se non era più riuscito a stanarne una.
Un vecchio
cane e un vecchio uomo passeggiavano nel parco di domenica mattina, e l’uno
non vedeva mai le lacrime offuscare gli occhi stanchi dell’altro al
pensiero delle cose che invece erano cambiate.
[ 187 parole ]
Spazio dell’autrice
Mi è venuta di getto. L’ho
scritta senza apportare neanche una correzione. E penso che il merito sia del
mio smisurato amore per i cani in generale, oltre che per Fido.
Si parla molto della proverbiale
fedeltà dei cavalli che, si dice, sono ancora più leali dei
nostri migliori amici a quattro zampe, però il messaggio lanciato da
Fido in Lilli e il vagabondo è
qualcosa di sublime: il suo ostinarsi a non accettare il fatto di aver perso l’odorato
è un’immagine di speranza e di perseveranza che tocca un mondo
ancora più ampio che quello solamente canino.
Per una volta sono davvero fiera di
ciò che ho scritto, sì. E spero che possa piacere anche a voi ♥
Aprì gli occhi e si
ritrovò nel letto insieme alla sua vecchia amica delusione. Andava avanti
da tempo, ormai – sempre lo stesso
sogno...
Le buone zie
erano molto diverse l’una dall’altra, ma tutte e tre l’avevano
cresciuta raccontandole delle storie meravigliose: zia Flora le parlava di
castelli, di magia e di sovrani buoni e giusti; zia Fauna accendeva le sue
fantasie con romantiche fiabe d’amore eterno; zia Serenella si animava al
narrarle grandi avventure, colme di draghi da sconfiggere e tesori da conquistare.
Rosaspina aveva fatto sue tutte quelle immagini e tutte quelle parole e fin da
bambina aveva capito che non era questa
la vita che sognava, che le sarebbe piaciuto infinitamente di più essere
una di quelle principesse innamorate o una di quelle creature fatate che
popolavano ormai ogni suo sogno ad occhi aperti – e forse era per questo
che in quelli ad occhi chiusi ormai compariva sempre lui, lo sconosciuto principe con cappa e spada, quello che veniva a
liberarla dall’esistenza che un qualche potere maligno aveva scelto come
sua prigione e la restituiva a una vita di colori, di emozioni, di magia...
Non aveva mai
trovato il coraggio di parlarne alle zie; ce la mettevano tutta ed erano deliziose, davvero, ma non
avrebbero capito. Fin troppe volte, senza riuscire a spiegarsene il motivo,
aveva avvertito il peso di un’insondabile diversità che la
divideva da loro ogni giorno di più.
Rosaspina
si rigirò nel letto e abbracciò il cuscino, ricordando a se
stessa che forse era tempo di crescere, di smetterla di sognare; dopotutto l’indomani
avrebbe compiuto sedici anni...
Chiuse gli
occhi e ritrovò ad aspettarla il sorriso del principe. Sorrise a sua
volta.
Domani, si disse.
[ 280 parole ]
Spazio dell’autrice
Non mi aspettavo di scrivere granché
su Aurora, invece una volta preso il via non sono più riuscita a
fermarmi. Credo che lei sia, insieme a Belle, la protagonista Disney che mi
somiglia di più – leggasi il sognare ciò che è di
più diverso dalla sua vita attuale, l’ingenuità e anche la
lieve incostanza di fronte ai propri sentimenti (pensate alla faccenda non posso incontrarvi / incontriamoci
stasera del suo primo incontro con Filippo xD) –
e se di Belle ho lo spirito di pesce fuor d’acqua e l’esigenza di
nascondermi in altri mondi tramite la lettura, tutto il resto l’ho preso
sicuramente da lei.
Ma tutto ciò non c’entra
niente e onestamente non so perché ve lo sto dicendo. Uhm. Forse volevo
solo giustificarmi della relativa lunghezza della flash.
Ad ogni modo, spero davvero che vi sia
piaciuta perché finora è una di quelle che ho sentito di più ♥
Capitolo 17 *** Mail ~ One Hundred and One Dalmatians ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#17
One Hundred and
One Dalmatians, 1961
# Mail
Era come un rituale: il trillo
pulito del campanello all’angolo della strada, il lieve stridio della ruota
nello sfrecciare di fronte al vialetto, il tonfo morbido della carta fresca di
stampa tra l’erba umida di rugiada e infine lo scatto di Pongo, lingua di
fuori, orecchie al vento, verso la sua prima occasione quotidiana di rendersi
utile a quello scansafatiche del suo compagno bipede.
Erano passati
così tanti anni che, per Rudy, l’intera faccenda era
diventata un qualcosa da dare per
scontato, come il caffè caldo che era comparso sulla tavola della colazione
solo grazie ad Anita – probabilmente l’occasione migliore che Pongo gli avesse
mai regalato – o le pantofole che il suo caro vecchio cagnone gli faceva
trovare allineate accanto al letto ad ogni risveglio.
Non c’è nulla di più doloroso di un’abitudine
spezzata, si disse il giorno in cui il postino
arrivò e se ne andò e Pongo non corse
all’arrembaggio col giornale stretto tra i denti.
Rimase a
guardare dalla porta aperta, stringendo a sé sua moglie, i singhiozzi di Nilla
troppo forti nelle orecchie.
Pongo e Peggy erano
immobili con gli sguardi puntati sulla strada che sfumava all’orizzonte e
probabilmente così sarebbero rimasti per molti, molti giorni. O almeno finché
quindici cuccioli non fossero comparsi laggiù, nella scia della bici del
postino.
[ 215 parole ]
Spazio dell’autrice
Anche in questo caso non pensavo di
dilungarmi, ma La carica dei 101 è l’amore
assoluto e, una volta stabilito di scrivere sul post-rapimento, l’immagine che
il prompt mi ha suggerito mi ha fatto male. Ma male davvero.
Questa volta un ringraziamento tutto
speciale va a _Li_. Perché sì, ecco.
Perché a momenti mi faceva piangere e io sono pessima perché non sono in grado
neppure di rispondere a una recensione come la sua senza commuovermi, ma ci
tenevo che lo sapesse. E quindi grazie, grazie davvero.
Capitolo 18 *** Unsweetened tea ~ The Sword in the Stone ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#18
The Sword in the
Stone, 1963
# Unsweetened
tea
Per l’ennesima volta la
tavola fu percorsa da uno sguardo appuntito come solo quello di un gufo
irascibile sa essere, e la zuccheriera rabbrividì sensibilmente.
Anacleto la detestava, quella cosa. Intendiamoci, non
che il resto di tutta quella chincaglieria gli stesse simpatico. Aveva sempre ritenuto quantomeno indecoroso il
ritrovarsi perennemente circondato da quella schiera di oggetti capricciosi
quanto e più di lui; non bisognerebbe mai dare un’anima a una
suppellettile, e sì che gliel’aveva
detto spesso!, perché è il modo sicuro di farla credere
chissà chi. Però lei, la
zuccheriera, in quell’ostinarsi a trotterellare avanti a tutti quando
il ragazzo veniva a prendersi un sacrosanto tè, nel volere a tutti i
costi riempirgli una tazza che era già abbastanza difficile buttare
giù – nel suo maledetto ricordare a un ragazzino intristito un
vecchio lunatico che se n’era andato a Honolulu – era la più
seccante di tutte.
Eppure doveva
vederlo anche lei che da quel giorno
il ragazzo non aveva più chiesto un solo cucchiaino di zucchero.
Per l’ennesima
volta Anacleto gonfiò le penne e brontolò qualcosa nel suo miglior
tono di gufo irascibile, fingendo di non vedere le lacrime che dagli occhi di
Semola cadevano in una tazza sempre troppo piena.
[ 200 parole ]
Spazio dell’autrice
Ma quanto posso amare Anacleto, quanto? ♥
Prima figura ostile, poi maestro, infine amico e unico compagno di Semola dopo
che Merlino offeso se ne va a Honolulu. Ho voluto pensare alla zuccheriera come
catalizzatore di tutti i sensi di colpa del povero Artù, ed ecco che l’inimitabile
gufo è venuto a farmi da voce narrante.
Sempre grazie di essere qui. Ogni volta
spero di non deludervi.
Molte primavere e innumerevoli
lune si erano susseguite dall’arrivo del cucciolo d’uomo alla soglia della sua
tana, e in tutto quel tempo Rama l’aveva cresciuto, sfamato e istruito senza
indugiare né dubitare mai, neppure per un breve istante, di essere nel giusto.
Il pelo ingrigiva, la forza della giovinezza si trasmetteva col latte materno ai
corpi irrobustiti dei piccoli, e Mowgli diventava un giovane esemplare di una
specie che non era umana e non era animale, ma agli occhi suoi e di Raksha non avrebbe potuto essere migliore di quel che era –
così come un padre non avrebbe potuto essere più orgoglioso; questo era ciò che pensava. Non aveva dubitato mai.
Ma giunse la
notte del consiglio, giunsero le parole di Akela e le
esortazioni di Bagheera, e allora Rama tornò al
rifugio curvo sotto un peso che né tutto il tempo trascorso né la paura della
più grande minaccia della giungla potevano eguagliare – poiché per quanto sapesse che, ancora, era giusto così, che l’intero branco
agiva solo per il bene di Mowgli, per
proteggerlo, pure Rama si ritrovava per la prima volta a esitare.
Dopotutto, qualunque
fosse stata la fine, lui avrebbe perduto un figlio.
E accolse
quell’istante con una sorta di gioioso dolore, fermandosi a cercare in sé la
forza di condividerlo con Raksha, ululando all’ennesima
di quelle lune che sempre, da che il tempo aveva memoria, mute e incuranti restavano
a guardare.
[ 235 parole ]
Spazio dell’autrice
Il mio amore per i lupi non si quantifica
e no, non avrei potuto scrivere su altri che su Rama, costretto suo malgrado a
dire addio al ‘cucciolo d’uomo’ per metterlo in salvo da Shere
Khan.
Questa flash è forse quella che
rispecchia meglio il senso che mi ero prefissa di raggiungere con l’intera
raccolta, perché appunto, Il libro della
giungla non si è affatto soffermato sul dolore che i lupi devono provare nel separarsi da Mowgli,
e io non lo trovo giusto. Ho voluto dare un po’ più di spazio alla reazione di
Rama a quel consiglio che sancisce l’allontanamento del ragazzo dalla famiglia
sua e di Raksha – che, per inciso, nel film è solo ‘Mamma
Lupa’, mentre è questo il suo nome originale nel romanzo di Kipling (che
leggerò presto ♥); in fin dei conti è vero che, Shere
Khan o non Shere Khan, adesso loro stanno perdendo
Mowgli comunque.
Il ringraziamento speciale di questa
puntata (?!) va a mia mogliaH Ray08, per tutto, ecco, e perché io non smetterò mai di
ringraziarla per quel tutto che sappiamo noi.
I giorni di Adelaide Bonfamille erano stati di molti colori, come si addice a
una vita piena e degna d’essere vissuta. C’era stato il verde della
gioventù, il caldo giallo dorato del successo, il rosso di un amore che
era venuto senza avvertire e se n’era andato senza sbiadire, il bianco
perlaceo della quiete raggiunta con lo sfiorire degli anni. E infine
c’era stato il nero, il buio di cui ogni giorno e ogni notte si erano
tinti, fin dal momento in cui la luce cruda di un lampo aveva illuminato il
vuoto di un lettino.
La vita di
Adelaide Bonfamille era stata lunga e vivida e in
quel tempo così oscuro la donna pensava che forse poteva anche morire
adesso, poiché non avrebbe sopportato altro dolore dopo quello che la
scomparsa dei suoi soli affetti al mondo le aveva inferto.
Soltanto
quando alla porta della sua stanza risuonarono di nuovo i miagolii – e
stavolta no, non l’aveva
sognato, erano lì, erano davvero
lì – e gli anni non furono più tanto pesanti da impedirle
di correre ad aprire e ritrovare il suo vecchio cuore intatto, si rese conto di
avere ancora qualcosa da vivere. Una gioia così intensa era di un colore
indefinibile, di quelli che s’intravedono una sola volta e non li si
dimentica mai più.
Adelaide Bonfamille si ritrovò a piangere nel pelo di
Duchessa e si convinse che la sua vita era davvero
stata degna d’essere vissuta.
[ 240 parole ]
Spazio dell’autrice
Perché la gioia di Adelaide nel
ritrovare i suoi mici alla porta dev’essere stata così smisurata
che il film da solo non l’avrebbe contenuta. Ci ho provato io, con tutta
l’umiltà possibile, perché un pensiero tutto suo questa
donna se lo meritava.
Non mi dilungo
oltre: sono sempre troppo felice che siate ancora qui ♥
Non si
può andare così da una ragazza, darle un mazzo di fiori e
dirle...
I primi mesi, la foresta di
Sherwood echeggiava di più frecce di quante la selvaggina e gli sgherri
occasionali dello sceriffo ne richiedessero. Colui che aveva scelto di
indossare il cappuccio del bandito e ne aveva adottato il nome colpiva tutto
ciò che poteva, alberi e rocce, nemici
e amici, gridando silenziosamente la sua rabbia a un cielo che in quel
momento non aveva nulla della libertà che gli aveva promesso. Gli ci
volle del tempo per imparare ad annullarsi nella battaglia, nella risata
liberatoria di una sorta di vendetta contro il mondo che gli aveva tolto tutto
– perché quelli come lui forse non avevano il diritto di possedere
niente.
Eppure, se si
fosse guardato dentro per un attimo, di certo l’avrebbe capito che il suo
bene più grande era sempre stata lei.
“Ehi, ti
ricordi? Eravamo bambini insieme! Vuoi sposarmi?”
I primi mesi, la torretta del
castello di Re Riccardo echeggiava di più lacrime di quante mai ne
fossero state versate in una prigione. La fanciulla che aveva fatto del proprio
velo il suo inseparabile fazzoletto piangeva quando cuciva, quando pregava,
quando chiudeva gli occhi e vedeva quelli timidi di un eroe, quando sedeva
inerte a una finestra a guardare e maledire un cielo che il riquadro del suo
povero punto di vista trasformava nell’ennesima dolorosa ferita. Le ci
volle del tempo per imparare a sperare, a sorridere alla cara vecchia balia che
le diceva che la lontananza rafforza
l’amore – e non sempre lo distrugge.
Eppure, lei
non aveva mai avuto bisogno di domandarsi nulla per sapere che il suo bene
più grande era sempre stato lui.
No... Sono cose
che non si fanno.
[ 260 parole ]
Spazio dell’autrice
Non credo di
esagerare se dico che Robin Hood
è uno dei Classici Disney che ho guardato più volte,
affezionandomi sempre di più a tutti i personaggi e a Robin in
particolare. QUANTO LO AMO ♥
Il prompt è usato nel senso di fortuna economica, di
prosperità. Robin ha scelto di rinunciare a quel poco che aveva per
diventare colui che ruba ai ricchi per sfamare ai poveri, e in questo modo ha
perso anche l’amore, che era il suo unico vero bene. Marian è
rimasta a guardare e ad aspettare, eppure sono sicura che non avrebbe esitato a
rinunciare a tutto anche lei, pur di seguire lui che è la sua vera
ricchezza.
Quella citazione,
esclusa dal conteggio parole, dovevo inserirla per forza. Secondo me è
una delle migliori frasi della Disney. In
assoluto.
Capitolo 22 *** ‘Never give up!’ ~ The Many Adventures of Winnie the Pooh ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#22
The Many
Adventures of Winnie the Pooh, 1977
# ‘Never
give up!’
Christopher Robin sentì la
voce della mamma che lo chiamava per la cena e si preparò di malavoglia
a interrompere il suo gioco preferito. Prima di alzarsi dal tappeto,
dov’era rannicchiato assieme ai suoi amici, prese delicatamente Ih-Oh tra
le mani e lo sollevò in modo da poterlo guardare direttamente negli
occhioni neri e tristi.
Ih-Oh era
sempre stato un asinello malinconico, ma stavolta non si sentiva davvero di
fargliene una colpa. Era una cosa dura quella che gli era successa. Nessuno
meritava di perdere la coda, ecco.
« Non
avere paura, Ih-Oh, la ritroveremo. Ora aspettami qui; e mi raccomando, non arrenderti!
»
Lo posò
di nuovo con delicatezza tra un Tappo molto assorto e un Tigro molto eccitato,
e quando si alzò per raggiungere la mamma gli sembrò di vedere
sul suo muso di stoffa un mesto ma grato sorriso.
[ 140 parole ]
Spazio dell’autrice
Voglio essere del
tutto sincera con voi: ho sempre odiato Winnie the Pooh di un odio visceralexD Non parlo tanto dei film e dei relativi
merchandising, quanto del personaggio in sé. Ci sono persone che odiano
a prescindere il Grande Puffo o Hello Kitty o le Winx; beh, io odio a prescindere Winnie the Pooh, mi prendo
le mie colpe e le ammetto candidamente. Non vogliatemene. È stata quasi
una sofferenza guardarsi quel film all’unico scopo di costruire per bene
questa raccolta e integrarvi tutti i
primi cinquanta Classici Disney.
Però... Però.
Sono rimasta
piacevolmente sorpresa dallo scoprire che le avventure di questo gruppetto di
peluche in realtà è tutto frutto non della follia di un narratore
sotto effetto di sostanze stupefacenti e alle prese con i suoi personalissimi
elefanti rosa, bensì, in modo più semplice e naturale, della
fantasia di un bambino. Mi è parso anzi un elemento a dir poco geniale
della storia, che di per sé ha poco e niente di speciale al di là
di questo caratteristico punto di partenza. Forse è anche per questo che
ho deciso che la flash al riguardo sarebbe stata proprio dal punto di vista di
Christopher Robin, ambientata magari nel momento di interrompere il gioco e
tornare alla sua ‘vera’ vita di ragazzino con una casa e una famiglia
e tutto ciò che della fantasia non fa parte.
Poi, beh, non ho
potuto fare a meno di parlare della faccenda della coda perduta di Ih-Oh
perché lui è – assieme a Tigro e Tappo, appunto – il
mio preferito tra i personaggi della strana combriccola ♥ (Nota bene: so che la storia della coda non
appartiene a questo film, bensì a Le
nuove avventure di Winnie the Pooh, ma i due lungometraggi sono di
ambientazione così simile che non mi è parsa molto grave la
piccola libertà che mi sono presa.)
In quella stanza erano rimasti
solo una vecchia scatola e un vecchio gatto.
Erano tanti
anni che Rufus viveva all’orfanotrofio Morningside,
e a differenza dei bambini, lui probabilmente da lì non se ne sarebbe
andato mai. Quand’era cucciolo passava le sue giornate a rincorrere
gomitoli di lana e a farsi accarezzare pigramente da quei bimbi simpatici con
le tasche sempre piene di biscotti; poi, a poco a poco, i bimbi se
n’erano andati e così i gomitoli e così i biscotti. Aveva
imparato allora la più inesorabile verità che un gatto
come-si-deve debba far sua: mai voler
bene a un essere umano. Alla fine se ne andavano, se ne andavano sempre.
Eppure non
poteva negare che a quella bambina così speciale, che parlava con gli
animali ma aveva gli occhi tristi di chi quell’uccellino
blu non riusciva a vederlo, voleva bene davvero.
D’altro
canto, era davvero troppo vecchio per fare il
gatto come-si-deve...
Aveva preso
l’abitudine di raggomitolarsi accanto alle sue poche cose, così
che, quando Penny fosse tornata – perché
lei sarebbe tornata – lui sarebbe stato lì, come sempre. E se
ne stavano vicini, una vecchia scatola e un vecchio gatto, ad aspettare.
[ 193 parole ]
Spazio dell’autrice
Le avventure di Bianca e Bernie è un altro
Classico che mi ha vista crescere e cui sono molto affezionata. Anche in questo
caso scrivere sulle pene vissute dalla protagonista sarebbe stato scontato; invece
ho scelto di focalizzarmi su Rufus, il vecchio gatto del Morningside,
che deve aver visto bambini andare e venire ma con Penny aveva evidentemente un
rapporto tutto speciale: ho cercato di rappresentarlo subito dopo la scomparsa
di lei e prima dell’arrivo di Bianca e Bernie in missione per conto
dell’S.I.S.S.P.A., e insomma, spero di non aver strafatto perché
Rufus merita amore ♥
La riflessione sulla
verità che ogni gatto come-si-deve si ritrova a dover accettare
deriva dal fatto piuttosto oggettivo che, in linea di massima, i nostri amici
felini non sono affatto fedeli a noi come lo sono i cani: alcuni ritengono sia
per via di un’intelligenza minore (o__ò),
ma io penso che si tratti piuttosto di maggiore indipendenza.
Capitolo 24 *** Forever ours ~ The Fox and the Hound ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#24
The Fox and the
Hound, 1981
# Forever ours
Il ruscello scorreva, come aveva
fatto il giorno prima e come avrebbe fatto il giorno dopo.
Su una delle due
sponde c’era una volpe, così immobile da dare l’impressione di star aspettando
che alla riva opposta comparisse qualcun
altro. Ma niente cambiava, in quella scena, oggi come sempre. La volpe
restava ancora sola insieme al silenzio più completo, che l’acqua e i
cinguettii del mondo circostante non riuscivano mai ad addolcire.
«
Questo è il nostro posto, vero, Toby? »
« Certo, Red! »
« E lo sarà per sempre, vero? Anche tra centinaia di
anni. Noi torneremo qui e ci ritroveremo sempre, vero? »
«
Sì, Red, sempre. »
A volte la
signora Tweed passava di lì col passo cauto della preoccupazione, sentendosi
come un’intrusa nel segreto di un santuario, e non trovava la forza di spezzare
quel silenzio, e pur non capendo non riusciva a far altro che tornare indietro,
illudendosi che prima o poi quello sconosciuto qualcun altro comparisse davvero alla riva opposta.
Come il giorno
prima e come il giorno dopo, il ruscello scorreva.
[ 170 parole ]
Spazio dell’autrice
L’amicizia tra Red e Toby è di quelle che spezzano
il cuore, e in tutto ciò io penso che la signora Tweed debba aver notato qualcosa nel lungo periodo che i due cuccioli
hanno vissuto separati. Da buona ‘mamma’, non poteva non farlo; soprattutto non
poteva non preoccuparsi della tristezza di Red. Così
l’ho immaginata sbirciare in quel posto segreto che è il loro posto, ma poi farsi indietro, perché non potrebbe essere che
così.
Sono felicissima che
continuiate a seguirmi in questo strano percorso, davvero. ♥
Il buio delle segrete sembrava
aprire la strada ai pensieri più cupi.
Non era mai
stato il più valido dei cantastorie, il buon vecchio Sospirello.
Gli era capitato, certo, di incantare qualche signorotto e qualche nobildonna –
talvolta un paese intero – lungo la sua via priva di meta, ma presto o tardi
tutti finivano con lo scoprire il segreto e i sorrisi d’ammirazione si
trasformavano in smorfie di sufficienza. La triste verità era che non contavano
le sue canzoni, non contava la sua voce; era la lira, quella lira miracolosa
che non aveva alcun bisogno dell’ausilio delle sue dita nervose, a compiere
ogni volta la magia. Senza di essa Sospirello non era
un cantastorie, non era nessuno. Forse
per questo la prigionia lo rendeva più inerme di quanto lo sarebbe stato
chiunque altro nei suoi panni...
Eppure un
giorno, si era sempre detto, un giorno avrebbe composto un’ode tale che la
musica sarebbe passata inascoltata, e le
sue parole sarebbero state l’unica vera magia. Un giorno, si ripeteva
ancora adesso, un giorno...
Quel giorno il
buio si schiarì all’arrivo di una bambina, pronta a prenderlo per mano e a
portarlo via con sé verso la luce. Diceva di essere una principessa e
guardandola Sospirello non poté che credere ad ogni
sua parola.
Forse, un giorno, la sua canzone fatata sarebbe
stata per lei.
[ 222 parole ]
Spazio dell’autrice
Taron e la
pentola magica
è uno dei Classici Disney più ignorati o comunque sottovalutati (almeno a mio
avviso) di sempre. Certo non è un film adatto ai più piccoli, ma forse proprio
per questo io lo trovo particolarmente degno di attenzione. Senza contare che
gli evidenti concept di Tim Burton meritano davvero almeno una visione.
Comunque, il prompt ‘lyrics’ non poteva che
farmi pensare a Sospirello, questo povero bardo
sfortunato ma provvisto di una lira che ha evidentemente una propria volontà. Francamente
non ricordo se anche nel film venisse affrontato questo argomento – l’eventualità,
cioè, che senza quello strumento magico in definitiva Sospirello
non avrebbe un mestiere! – ma mi piace pensare che sia una conclusione tutta
mia; ho voluto giocare sui sogni di gloria dell’ometto che, quando viene
liberato da Ailin e Taron,
trova improvvisamente una qualche ispirazione per un’ode futura che sarà
interamente sua e non frutto della magia della lira.
Questa flash non
vuole assolutamente essere una Sospirello/Ailin, badate, però devo dire che adoro il modo in cui la
ragazzina si pone di fronte a lui.
Grazie come sempre a
tutti voi: ci credete che siamo già a metà raccolta? ♥
Capitolo 26 *** ‘What was that for?’ ~ The Great Mouse Detective ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#26
The Great Mouse Detective, 1986
# ‘What was that
for?’
Quella che avrebbe potuto chiamare
Operazione Olivia – suonava bene: sì, forse poteva chiamarla così; in fondo non si ricordava mai il suo cognome
– si era chiusa con un prevedibile successo, e fu con un sorriso soddisfatto
che Basil si lasciò abbracciare dalla piccola senza neppure pensare di ritrarsi
dal suo infantile entusiasmo.
E forse era
questa, dopotutto, l’unica sorpresa. Forse ciò che di assolutamente imprevedibile era nato dalla missione, dalla giovane
Olivia e dal buon Topson che non molto tempo prima
erano entrati dalla sua porta e nella sua vita, fu il fatto che in quel momento
Basil non si ritrasse. Non quando si
sentì trascinare al livello dei suoi occhi, non quando si vide guardato con la
più sincera delle ammirazioni, né quando si sentì posare sul naso un qualcosa
di umido e caldo che, se non andava errato, era quel genere di effusione che ci
si scambiava quando ci si voleva bene...
Quando ci si
voleva bene? Oh.
Quella che
avrebbe potuto chiamare Operazione Olivia – suonava benissimo: sì, decisamente
poteva chiamarla così; in fondo gli
piaceva tanto il suo nome – si era chiusa con un prevedibile successo, eppure
fu con un sorriso incredulo che Basil guardò padre e figlia uscire dalla sua
porta e dalla sua vita insieme a un po’ del calore che il bacio gli aveva
lasciato sul muso.
Si voltò a
guardare Topson, che sorrideva a sua volta, e si
ritrovò a chiedersi se in quella vita non mancasse qualcosa.
[ 245 parole ]
Spazio dell’autrice
Anche di Basil l’investigatopo
non sapevo nulla prima della maratona Disney della scorsa estate. L’ho guardato
aspettandomi un qualcosa di così così, invece ne sono rimasta conquistata ♥ Non riesco davvero
a capire perché sia stato un flop, io lo trovo intelligente e molto ben fatto. Oh,
be’.
Basil mi ha fatto
tanta tenerezza, alla fine del film, quando Topson fa
per andarsene sulla scia di Olivia e suo padre: il prompt
‘e questo per cos’era?’ mi ha
riportata immediatamente a quell’atmosfera di cose che lui non ha mai avuto
fino ad allora; anche in questo caso, lungi da me l’idea di finire sul
sentimentale con una sorta di Basil/Olivia, ma l’immagine che la frase mi ha
costruito in mente riguardo quei due mi ha fatta squagliare come un gelato ♥
Capitolo 27 *** Private stash ~ Oliver & Company ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#27
Oliver &
Company, 1988
# Private stash
In un posto che tutti conoscevano
ma dove nessuno veniva mai, solo come il cane che era costretto a – no, che voleva essere, Dodger
divorava una salsiccia dietro l’altra con la netta impressione che sapessero di
fiele.
Avrebbe dovuto
immaginarlo. Loro erano ladri, erano randagi, erano cani di strada; e Oliver,
beh, Oliver era solo un micetto
affettuoso. Avrebbe dovuto immaginarlo che non sarebbe mai finita diversamente.
Che in nessun caso e in nessuna vita avrebbero potuto essere amici.
E come
accadeva spesso, anche oggi Dodger divorava una
salsiccia dietro l’altra, sforzandosi di non pensare che quella sua scorta
privata sarebbe rimasta sempre tale – con lui l’avrebbe condivisa, forse, ma se n’era andato, aveva dovuto
andarsene, aveva voluto andarsene. E le salsicce sapevano di fiele.
[ 125 parole ]
Spazio dell’autrice
Dodger mi è entrato nel
cuore. Trovo di un dolore immenso la sua decisione di allontanare duramente
Oliver, sentendosi tradito dal suo preferire la compagnia degli umani e in
particolare della piccola Jenny, perché in realtà è indice di quanto in cuor suo
si senta deluso da questo ‘abbandono’.
Non deve essere bello per un randagio affezionarsi a qualcuno e poi vederlo
andare via, come fanno sempre anche tutti gli altri. Anche nel caso in cui quel
qualcuno sia un gattino.
Quando accenno al
fatto che un’amicizia simile non può esistere in nessun caso e in nessuna vita, in realtà si tratta di un velato
omaggio al romanzo Oliver Twist cui
si ispira questo film, poiché anche lì s’intravede un certo affetto tra Jack ‘Dodger’ Dawkins e il piccolo
Oliver – affetto che non può sussistere per motivi analoghi a quelli che la
Disney attribuisce alle loro versioni animali. Due mondi così diversi
difficilmente possono toccarsi.
Ho cercato di
scrivere questa flash in modo rabbioso e frammentato per trasmettere al meglio
le emozioni contrastanti di Dodger, e spero umilmente
di avervi dato un po’ di quel che ho sentito io. Uhm, ho l’impressione che
questa raccolta vi stia dando un’idea piuttosto precisa di quanto amo gli
animali :3
Faceva male, più male di mille
punture di medusa, perché a questo
tipo di dolore non c’era rimedio possibile e, se anche ne fosse esistito uno,
qualcuno di certo ne avrebbe sofferto.
Il tempo
scorreva più immoto dell’acqua mentre al sale dell’oceano si mescolava quello
delle lacrime – nascoste, eppure più
fragorose delle tempeste di cui cantavano gli umani: quegli umani che il mare
lo guardavano dall’alto e non avevano idea di quanto dolore potesse contenere l’infinita distesa azzurra che a
loro parlava di pace e libertà.
A un tratto,
Ariel aveva smesso di supplicare. E aveva cominciato a fuggire.
Lui gliel’aveva permesso.
Se sua madre
fosse stata ancora lì, di certo avrebbe saputo cosa fare. Ma Re Tritone, signore
di tutti gli oceani, non era altro che un
padre, troppo vecchio e fiero per lasciarsi toccare il cuore da favole e
sogni e insieme troppo stanco di sentir piangere sua figlia.
[ 151 parole ]
Spazio dell’autrice
Con La sirenetta entriamo ufficialmente nel Rinascimento
Disney, ossia quella decade più o meno corrispondente agli anni Novanta che ci
ha regalato un capolavoro dopo l’altro. Non a caso è in questi film che i
protagonisti appaiono più reali, le storie più sentite e, volendo uscire dal
sentimentalismo, lo stile più efficace e ricercato.
Ho esitato a lungo nell’immaginare
questa flash. Era abbastanza scontato che la malinconia portante appartenesse
ad Ariel, che fin da bambina avrebbe voluto conoscere il mondo degli umani e
alla fine ha cominciato a spiarlo di nascosto nonostante l’espresso divieto;
così ho giocato sul fraintendimento e, pur muovendomi dal dolore di lei, in
realtà ho parlato di quello che secondo me è uno dei personaggi che nel corso
della storia soffrono di più: suo padre.
Credo che Tritone
non avrebbe avuto poi molti problemi a impedire seriamente quelle uscite in superficie – da Re, avrebbe potuto
mettere Ariel sotto sorveglianza (ben prima di affidarla a Sebastian!) o
qualcosa del genere. Il fatto che non
l’abbia fatto mi fa riflettere. Lui l’ama infinitamente, ed è solo per
proteggerla che passa per il ‘cattivo’ di turno. Ogni volta che mi soffermo sul
suo sguardo quando accetta di firmare il contratto con Ursula per salvare la
figlia, resto puntualmente colpita dall’immensa tristezza che trasmette con
quel suo lungo silenzio. E poi, «quanto
sentirò la sua mancanza, Sebastian».
E niente, spero che
le mie immancabili family!issues non vi facciano
sembrare i miei ragionamenti troppo patetici XD Un milione di grazie, come
sempre.
Capitolo 29 *** Inspiration ~ The Rescuers Down Under ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#29
The Rescuers
Down Under, 1990
# Inspiration
In fondo le cose non sarebbero
mai cambiate. Bianca era Bianca. E lui, beh, lui era solo Bernie.
Era stato sul
punto di parlarle, finalmente, di dirle quanto l’amasse e di chiederle di non
lasciarlo mai più, di restare per sempre al suo fianco, a dividere con lui il
bene come il male, le notti tranquille come i giorni spericolati. E non c’era
riuscito. E non una volta sola ma – onestamente aveva perso il conto. Forse doveva
prenderli come segni del destino, come quel dannato numero tredici che aveva
infestato tutta la loro prima avventura insieme – e che però li aveva fatti incontrare.
Perché in
fondo le cose non sarebbero mai cambiate. Bianca era Bianca e Bernie era solo Bernie.
Continuò a
guardarla ridere alle parole di quel tipo amabile e sicuro, attraversando il
mondo sconosciuto che qualcuno un giorno aveva deciso di chiamare Australia, e si
rese conto che tutto ciò che lui stava
cercando – al di là del bambino, della missione, della stessa Società di
Salvataggio – non era altro che il momento giusto.
Basta con le
superstizioni. Forse le cose, dopotutto, potevano
cambiare.
[ 185 parole ]
Spazio dell’autrice
Bianca e Bernie nella terra dei canguri è uno dei pochi
sequel Disney che rientrino nell’elenco dei Classici ufficiali, ma, come vale
per moltissimi altri (non voglio dire proprio tutti ma le eccezioni si contano sulle dita di una mano), personalmente
non lo trovo affatto all’altezza dell’originale. Tutto ciò che me l’ha fatto
riconoscere come degno di attenzione è il continuo soffermarsi sul rapporto tra
i due topini che, a differenza di quanto suggerito dal primo film, non hanno
ancora chiarito i propri sentimenti l’uno verso l’altra. Di conseguenza non ho
potuto fare a meno di sciogliermi di fronte al povero Bernie continuamente
ostacolato dalla sorte e da Jake – come gli accadeva con il numero tredici! – e
costretto a rimandare fino all’ultimo la sua proposta di matrimonio per Bianca.
Ho un po’ giocato
con il prompt, stavolta, perché ‘ispirazione’ è anche
concepibile come momento di espressione, di coraggio di parlare, perciò non è
che il mio Bernie stia cercando di comporre un’ode o roba del genere ma sta più
semplicemente cercando (appunto) il momento giusto per riprendere quel discorso
già mille volte interrotto.
Prometto che le
prossime flash saranno molto più sentite di questa: stanno per arrivare alcuni
dei miei film preferiti.
Capitolo 30 *** Bittersweet ~ Beauty and the Beast ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#30
Beauty and the Beast, 1991
# Bittersweet
Era successo tutto
all’improvviso, al pari di qualunque avventura degna di questo nome, e adesso
si ritrovava a vivere in un castello dove tutto, dalla mobilia chiacchierona ai
cibi sopraffini, era letteralmente incantato. E sarebbe stato bellissimo se
solo non avesse fatto così paura.
La neve aveva
ricoperto ogni angolo del giardino, il giorno in cui Belle uscì con Philippe e
per la prima volta si guardò intorno con gli occhi dell’ospite e non della
prigioniera. Tutto era bianco, puro, silenzioso. Senza rendersene conto, si
disse che forse non sarebbe stato poi così male restare per sempre tra i
confini di quel posto che aveva tanto da raccontarle – come il più avvincente
dei libri che avesse mai letto.
Non molto
tempo prima, la bellezza del giardino innevato e cinto da solide mura le
sarebbe parsa uno spettacolo dolceamaro; solo il pensiero di suo padre, salvo e
al sicuro, le avrebbe dato la forza per non piangere. Ma qualcosa era cambiato
dal momento in cui il padrone del castello l’aveva raggiunta e l’aveva salvata.
Allora, e soltanto allora, le era stato chiaro che là nessuno le avrebbe mai
fatto del male, e che in realtà quella paura non aveva motivo di esistere.
Come se avesse
udito i suoi pensieri, Philippe le sfiorò la spalla con il muso, rassicurante.
Belle si voltò, lo accarezzò, sorrise.
La Bestia era
a un balcone – la benda che gli fasciava la zampa ferita era bianca come la
neve – e la guardava, e a dispetto della distanza Belle seppe che nel suo
sguardo doveva esserci la stessa pace che finalmente lei si sentiva nel cuore.
[ 268 parole ]
Spazio dell’autrice
La bella e la Bestia è ai primissimi posti tra i miei
Classici Disney preferiti. Non pensavo che sarei mai riuscita a scriverci su,
ma dovevo, a prescindere da questa
raccolta. *seppellisce il viso tra i fazzoletti* ♥
Devo proprio
ammettere che questa volta, ebbene sì, sono caduta nella banalità, perché ho
scelto di descrivere l’ampliamento degli orizzonti di Belle (il
post-malinconia, stavolta) trattando un momento del tutto canonico e senza
starmi a inventare scenari di contorno – cosa che finora avevo evitato con
cura; ma il punto è che di Belle io ho davvero moltissimo, come di Aurora, e mi
sarebbe parsa un’ingiustizia non scegliere di rappresentare lei. Lei e il
fiorire del suo sentimento per la Bestia. Per me loro sono la coppia Disney e perciò chiedo scusa, chiedo davvero scusa per
non aver riflettuto su qualcos’altro che meritasse ugualmente (come Maurice disperato
al pensiero della figlia perduta, o i servitori del principe Adam distrutti
dalla condizione del loro signore, o infinite altre cose su cui quegli ottantotto
minuti di film non pongono l’accento), ma sono andata dove mi ha portata il
cuore e questa cosuccia già sentita è tutto ciò che ne è venuto fuori.
Fluttuava senza forma, in quel
suo minuscolo spazio vitale che non gli era mai parso più minuscolo di così, non una volta negli ultimi lunghissimi diecimila
anni. Là dentro non aveva occhi né mani né piedi, ma non era per questo che si
sentiva il cuore in pezzi.
A pensarci
bene, già per due volte aveva esaudito dei desideri per i quali Al non aveva
dovuto aprire bocca: la prima era stata orgoglio, la seconda un salvataggio. E
d’accordo, non gli andava di scomodare dei paroloni, però in fondo era facile
identificare salvataggio con amicizia.
Gli aveva
salvato la vita, ad Al, perché era la cosa giusta. Gli aveva salvato la vita,
ad Al, perché non avrebbe potuto farlo nessun altro. Per Al, aveva fatto quel che un amico
avrebbe fatto, senza starsi a domandare il perché.
Perché lui no?
[ 140 parole ]
Spazio dell’autrice
Il Genio è uno dei
migliori personaggi della Disney di sempre.
È esplosivo, iperattivo, ma dietro quella superficie fatta di risate a
crepapelle si nasconde un angst micidiale. Dubito che
prima di Aladdin abbia mai avuto un padrone che si sia rivelato anche un amico,
perciò deve avergli fatto doppiamente male il momento in cui Al gli ha negato
la sua promessa – quella di usare il terzo desiderio per liberarlo.
Sono piuttosto
affezionata a questa flash ♥ Spero sempre di non deludervi.
Timon
diceva che HakunaMatata
era l’unico modo per buttarsi il mondo dietro le spalle, e Pumbaa
ci aveva sempre creduto. Tutti e due, in fondo, avevano delle cose da
dimenticare. E nel tempo che avevano passato insieme nella lussureggiante oasi
che un giorno avevano chiamato casa, le parole del suo piccolo – unico – amico si
erano sempre dimostrate verità assoluta, perché mai, neanche per un secondo, Pumbaa aveva
pensato al passato o si era pentito di essere qui o si era sentito solo. Timon era così intelligente, e l’HakunaMatata era così perfetta. Niente gli avrebbe mai più
fatto del male.
Poi era arrivato
Simba.
Simba ci aveva
messo un po’ a capire il significato di HakunaMatata, ma non era questo il punto. Il punto era che ancora
oggi, dopo molti inverni e molte estati, capitava che lo trovassero rintanato
da qualche parte a fare il muso scuro, arrabbiato o triste o deluso da chissà
che cosa. Timon sbuffava, diceva che tanto presto gli
sarebbe passato tutto e avrebbero ripreso a cacciare vermi insieme, ma Pumbaa aveva qualche dubbio sul fatto che a Simba, qualunque cosa fosse, sarebbe passata
mai. C’era un che di sbagliato, adesso, nell’HakunaMatata, se il suo grosso – nuovo – amico continuava a
soffrire così.
E adesso era arrivata Nala.
Pumbaa
non era un facocero intelligente e non era neppure sicuro di poter essere
migliore dell’HakunaMatata,
ma, quando convinse Timon a seguire le orme di Simba,
era piuttosto sicuro che qualche volta il mondo bisognava affrontarlo muso a
muso.
[ 254 parole ]
Spazio dell’autrice
Timon e Pumbaa sono ugualmente straordinari, ma mi piace pensare
che tra i due sia Pumbaa a capire meglio i silenzi di
Simba, il disagio che non è mai riuscito del tutto a superare e che con l’arrivo
di Nala riemerge in tutta la sua potenza. Forse sono
semplicemente influenzata dal sequel/prequel HakunaMatata, ma credo sia abbastanza chiaro
che Timon è – passatemi il termine – più cinico, non
dotato della sensibilità di Pumbaa.
Ho scelto di
scrivere dal suo punto di vista anche per riscattarlo un po’: Elton John si
risentì quando gli dissero che il ritornello di Can youfeel the
love tonight? sarebbe stato cantato dal facocero,
come se non fosse degno delle parole che pronunciava, e ottenne la modifica che
conosciamo oggi; io stimo John oltre ogni dire, ma trovo anche che sia
riduttivo concentrarsi solamente sulla prospettiva dei due leoni. Simba è un
protagonista immenso, davvero, ma ciò
non dovrebbe andare a sminuire nessun altro personaggio, soprattutto in un film
come questo che è talmente pregno di sentimenti da fare fisicamente male.
Capitolo 33 *** Words of the heart ~ Pocahontas ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#33
Pocahontas, 1995
# Words of the
heart
« Questa è la via che io ho
scelto, padre. Quale sarà la tua? Dimmi. »
Negli occhi
neri e belli di sua figlia c’era una luce nuova, e improvvisa come i raggi del
sole giunse la consapevolezza che Pocahontas non era più una fanciulla: era una
donna, fiera e coraggiosa e immensa com’era stata sua madre. Powhatan la guardò in silenzio, il suo capo su quello dell’uomo
bianco, i suoi capelli e le sue mani e il suo petto a proteggerlo, lasciandosi
pervadere da ciò che le parole da sole non potevano esprimere – la forza del
suo cuore innamorato.
Quando giunse il vento a ricordargli che era in quella
voce inudibile che risiedeva la verità, seppe cosa era giusto fare.
La guerra era
finita prima ancora di cominciare. Sorrise, perché Pocahontas aveva appena
salvato anche lui.
[ 135 parole ]
Spazio dell’autrice
La bellezza di
Pocahontas che si getta su John per salvargli la vita. La bellezza di Powhatan che leva le braccia al cielo e invita tutti a
deporre le armi. Non sono assolutamente in grado di rendere giustizia a una
scena così potente, ma era su di loro che volevo concentrarmi, perché il prompt non poteva essere più giusto per nessun altro e
perché in questo film tutto l’angst va a scontrarsi
con l’amore più assoluto. E sì, tutto sommato sono piuttosto soddisfatta del risultato.
Capitolo 34 *** Justice ~ The Hunchback of Notre-Dame ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#34
The Hunchback of
Notre-Dame, 1996
# Justice
Quantus tremor est futurus / quando judex est venturus / cuncta stricte discussurus.
Aveva sei anni quando imparò il
concetto di giustizia.
Sedeva sul
legno freddo del suo abbaino polveroso, ai piedi del maestro, emozionato e riverente
di fronte a tanta saggezza: gli aveva chiesto che cosa fossero il Paradiso e l’Inferno,
e Frollo aveva accennato un sorriso – uno lieve: non sorrideva molto, il padron
Frollo – e gli aveva detto che l’Inferno era dove andavano i perversi e il
Paradiso dove andavano i puri.
« E io? » chiese
il piccolo, intimorito, aggrappato alla sua tunica nera come l’inchiostro. « Dove
andrò, io? »
Frollo gli
carezzò la grossa testa. « Tu resterai sempre qui. È questo, il tuo posto. »
Quasimodo non
si rilassò, non del tutto. « Perché? »
« Perché è
giusto. »
Rex tremendae majestatis /
qui salvandos salvas gratis / salva me, fons
pietatis.
Aveva vent’anni quando i suoi
amici – gli unici che avesse – misero in dubbio il suo concetto di giustizia.
C’era la Festa
dei Folli e le parole del maestro erano sempre vive in lui: l’Inferno, ecco
dove sarebbero andati tutti quei perversi, all’Inferno
– ma c’erano così tanti colori e così tanta musica e così tante risate che
Quasimodo, rannicchiato goffamente nella sua balconata preferita, pensava che
dopotutto l’Inferno non doveva essere un posto così brutto.
Poi Hugo,
Victor e Laverne lo convinsero, adducendo la saggezza
della pietra che ne sa più di chiunque altro perché, diversamente dagli uomini,
non ha tempo.
« Ma perché? »
domandò, terrorizzato, perché il mondo sembrava
bello ma faceva paura.
Hugo si
grattò il pancione granitico. « Perché?... Beh, perché è giusto, no? »
Frollo e i gargoyle
gli avevano insegnato in diversi modi una stessa verità: giustizia, alla resa
dei conti, era essere se stessi.
Ma gli ci era
voluto il grido della zingara, sulla pubblica piazza, per capire quale fosse la
giustizia vera.
Quando le tese
la mano sotto le stelle, sorridendo e stupendosi di quanto sorridere potesse
essere facile, Esmeralda non guardò giù: quegli incantevoli occhi di smeraldo
non lasciarono per un attimo i suoi.
« Perché? »
gli chiese, sapendo già la risposta.
« Perché è
giusto. »
Perché questo lo era davvero: lei pose la mano
nella sua e Quasimodo pensò che il suo mondo non era l’Inferno, ma il Paradiso.
Oro supplex et acclinis / cor contritum quasi cinis /
gere curam mei finis.
[ 345 parole ]
Spazio dell’autrice
Capitolo extralungo e infarcito di riferimenti perché Il gobbo di Notre-Dame è, insieme a La Bella e la Bestia e I tre Caballeros, il mio Classico Disney
preferito di sempre.
Quasimodo è il mio protagonista, quello che ho amato e
sentito di più: sapevo fin dall’inizio che avrei parlato di lui perché la sua
storia trasuda un angst inesprimibile – di fatto non
credo di averne espresso neanche un ipotetico grammo, ma un tentativo volevo
farlo. E il suo amore per Esmeralda è la cosa più nobile e pura che mai sia stata
rappresentata, pari solo all’amore che nasce in Belle per la Bestia.
Le citazioni sono
tratte dal DiesIrae che accompagna
molte delle canzoni del film, e non sono incluse nel conteggio parole.
Il
ringraziamento/dedica di questo capitolo va a blackmiranda, perché anche se
non rispondo praticamente mai *imbarazzo* non mi perdo una recensione e so che
lei in particolare aspettava da tanto questa flash: spero tantissimo che non ti
abbia delusa, cara ♥
Quando era venuto il momento di
compiere la scelta più dura che i capricci degli dei avessero in serbo per quel
misero mondo mortale, Megara non si era fermata a riflettere
né ad esitare. L’aveva visto là, inerme, sull’orlo della fine, e aveva subito
saputo di essere la sua unica speranza – la sola per entrambi.
E non era
stato poi così difficile: era bastato calarsi nell’eterno dell’oltretomba e
offrire se stessa al dio dagli occhi di fuoco. Uno scambio equo. Una pazzia.
« Le persone
fanno sempre cose pazze, quando sono innamorate. »
Sorrise nel
ripetere quelle stesse parole il giorno in cui la scelta si rivelò immensamente più facile, quando non ci
furono contratti né viaggi ultraterreni, quando per cessare di esistere fu
sufficiente spingere via un uomo – il secondo che avesse mai amato, il primo
che avesse mai amato lei.
C’erano
lacrime nella voce di Ercole che le prometteva che sarebbe vissuta, ma Megara continuò a sorridere. Per un altro aveva dato
l’anima; per lui avrebbe volentieri dato la vita.
[ 170 parole ]
Spazio dell’autrice
Meg è indubbiamente una
delle migliori protagoniste Disney, in termini di Rinascimento e non: per via
della sua sottomissione ad Ade può sembrare una debole, e invece è una persona
di una forza incredibile, che è arrivata a sacrificarsi per amore non una ma due volte. La flash su Hercules doveva essere tutta per lei.
Era la prima sosta dalla
battaglia della montagna, all’orizzonte si stagliava già nitida la sagoma del
palazzo dell’Imperatore, e gli uomini non avevano ancora smesso di parlarne.
« Hai visto? »
« Era una
donna. »
« Fa Ping è una donna.
»
« Una donna si nascondeva tra noi! »
« E il
capitano le ha risparmiato la vita... »
Shang
sentiva costantemente su di sé le occhiate di rimprovero di Chi Fu, ma non
aveva mai trovato la forza di redarguire quei commenti in alcun modo. Tutto ciò
che aveva nella mente e negli occhi – tutto ciò che restava in un mondo
improvvisamente impazzito – era lo sguardo di Ping
quando aveva chinato il capo in attesa della condanna. No, non Ping – Mulan. Era una donna e il suo nome era Mulan.
« Ho pagato il
mio debito » ripeteva a se stesso, ancora,
le dita strette a pugno nella neve. « Ho
pagato il mio debito. »
Ma se salvarla
equivaleva a perderla, avrebbe preferito che Mulan
fosse Ping – avrebbe preferito che fosse questo a impedirgli di innamorarsene.
Era la prima
sosta dalla battaglia della montagna, e ancora
il capitano Li Shang non riusciva a dormire e non
riusciva a smettere di pensare a lei. Forse, l’indomani, porre la spada di Shan
Yu tra le mani dell’Imperatore gli avrebbe fatto
dimenticare che lo stesso onore che gli aveva fermato la mano gli aveva anche
fatto voltare le spalle agli occhi tristi di Fa Mulan.
[ 232 parole ]
Spazio dell’autrice
Vediamo un po’ di
chiarire qualche cosuccia. Il film non ci mostra nulla di particolarmente
sentimentale tra Shang e Mulanprima che lui scopra la vera natura
di quest’ultima – ed è anche abbastanza normale; figuriamoci se in una
pellicola rivolta soprattutto ai più giovani si potrebbe mai rintracciare un
qualsiasi accenno ad argomenti delicati quali l’omosessualità, per potenziale
che sia. Però è anche innegabile che Shangnon può innamorarsi di Mulan così, di punto in bianco, dopo aver scoperto che è
una donna. Perciò, a conti fatti, penso che debba esserci stato un momento,
magari proprio durante il viaggio verso la città dell’Imperatore, in cui si è
fermato a chiedersi che cosa provasse in realtà nei confronti della persona che
lo ha salvato e che lui ha salvato in cambio: io penso che a quel punto avrebbe
preferito non aver mai scoperto la verità, e magari ‘non poter’ amare Ping in quanto uomo, ma poterlo almeno avere accanto –
poiché il fatto che ‘Ping’ sia una donna impedisce
comunque a Shang di amare quella che è una traditrice
della propria patria (l’onore, il maledetto onore, è sempre colpa sua xD). Oddio, credo di essermi un po’ incartata nelle
spiegazioni, ma spero che abbiate compreso il mio/suo punto di vista.
In tutta onestà, non
avrei mai immaginato che avrei scritto su uno dei Disney!heroes
che mi hanno colpita di meno (niente di personale, penso solo sia fin troppo perfetto per i miei gusti, lol). Oltretutto nel prompt
compare la parola among,
che non è un ‘tra’ inteso come ‘tra due persone’ ma più generale, ‘tra... elementi
di un gruppo’; ergo l’accenno alla donna nascosta nell’esercito cinese. Invece
poi è stato proprio questo particolare a darmi l’ispirazione: sono partita da
quel ‘tra’ generico per finire a parlare di ciò che è nascosto nello specifico
tra Shang e Mulan. E boh, spero
che l’espediente regga e che la flash vi piaccia ♥
Aveva sempre saputo che, presto o
tardi, quel momento sarebbe arrivato.
Forse si era
solamente illusa di poter fermare il tempo, di poter vivere per sempre nella magia
che era stata l’istante in cui il cucciolo rosa le aveva sfiorato il muso gorgogliando
felice; si era illusa che Kerchak si sbagliasse, per una volta, e che a Tarzan sarebbe
bastato il sapere di avere due occhi e un naso e due mani e un cuore proprio come
lei, come tutti loro.
Forse sarebbe bastato, se non fossero arrivati
quegli uomini.
Kala
aveva sempre saputo che un giorno l’avrebbe perso. Ma fu solo quando vide che
gli occhi di Tarzan cominciavano a guardare altrove, sempre altrove – sempre
verso di lei – che comprese davvero quanto il lasciarlo andare le avrebbe
fatto male.
[ 130 parole ]
Spazio dell’autrice
Kala: quanto mi fa
piangere, e quanto l’adoro. La scena in cui fa notare al piccolo Tarzan le loro
somiglianze piuttosto che le loro differenze scioglie il cuore. Ed è sempre una
pena il punto in cui decide di mostrargli le sue origini per poi lasciarlo
andare via. Forse è vero che, se i Porter e Clayton non fossero arrivati a
distruggere un equilibrio già faticosamente raggiunto, non sarebbe mai cambiato
niente e lei non avrebbe mai dovuto perdere un altro figlio – e certo alla fine
si risolve tutto in un happy ending, ma l’angstpre-epilogo, l’eventualità
che Tarzan lasci il mondo in cui è cresciuto per seguire Jane, mi uccide. ;///;
Con questo film
usciamo dal Rinascimento Disney, ma c’è ancora molto di cui parlare. Grazie
infinite: sembrerebbe quasi superfluo specificarlo ogni volta, ma per me è
davvero un orgoglio che siate ancora qui ♥
Aveva dimenticato da quanto fosse
lì, a custodire la foresta, ad assistere ogni volta al ciclo di sonno e veglia che
era il costante susseguirsi delle stagioni. In un tempo molto remoto, lo
spirito era venuto a lui a sorridergli e a carezzargli il muso – mari d’erba
negli occhi e farfalle tra le dita: era così bella, la Primavera – e l’aveva eletto a suo fedele compagno e amico; da
allora, a ogni disgelo, avevano corso insieme lungo la strada della rinascita
del mondo.
Aveva
dimenticato quanto tempo fosse passato, sì, e aveva anche quasi scordato quale
fosse il suo compito vero, ciò che lo rendeva diverso da tutti gli altri
abitanti della foresta – ma quando il fuoco si svegliò e distrusse la vita, il
custode ricordò.
Lei era potente,
ma era sola. Lui poteva aiutarla a
ricominciare daccapo.
Il pianto
dello spirito fu una rinascita nuova, e fu quella la primavera che il vecchio
cervo non avrebbe dimenticato mai più.
[ 160 parole ]
Spazio dell’autrice
Fantasia 2000 ;////; Prendetemi pure per un’eretica, ma
confesso di averlo amato molto di più del primo Fantasia. In particolare l’episodio ispirato da L’uccello di fuoco di Stravinskij è una
cosa da far commuovere le montagne – giustappunto.
Il prompt sta per ‘rilascio’, ‘liberazione’, ‘emissione’: il
mio primo pensiero è andato allo spirito della primavera che faceva risorgere
la foresta dopo aver accidentalmente risvegliato il Male. Ma in tutto ciò,
quale narratore migliore del cervo, silenzioso custode e aiutante senza il
quale forse quella rifioritura non sarebbe stata possibile? ♥
Devo anche dire che
questa flash non mi dispiace affatto, credo sia una di quelle venute meglio
*immodestia mode on* Beh, spero possa piacere anche a voi!
Ad Aladar
non sembrava importare poi molto, di quella faccenda. Beh, qualche volta ci
pensava, e allora allungava ancora di più quel suo muso già così innaturalmente
lungo, questo sì; però non sembrava
prenderla come una questione di vita o di morte – o comunque, quali che fossero
i suoi veri sentimenti, il suo primo pensiero era sempre andato a lui, a Zini.
Ma questo non contava. Nonostante tutto, Aladar era diverso. Certo, era uno di loro ed era
un tipo a posto – molto a posto – ma era
diverso. Non era un lemure.
Zini sì, però.
E a Zini importava, di quella
faccenda. E non avrebbe potuto continuare a raccontarsi per altri dieci o cento
o mille anni la storia che le femmine, in fin dei conti, non erano poi questo
granché, e che accoppiarsi e accopparsi erano più o meno la stessa cosa...
E il fatto era
che, ogni volta che Aladar gli si avvicinava, con
quel suo lungo muso disteso in quello che poteva essere solo il naturale
affetto di un fratello, gli veniva da chiedersi chi fosse, tra loro due, quello meno
lemure.
Non avrebbe
voluto ammetterlo, però la tristezza negli occhi della mamma cominciava a fare
male.
[ 200 parole ]
Spazio dell’autrice
Parto dal presupposto
che Dinosauri è uno dei pochissimi
film Disney che mi hanno lasciata abbastanza freddina. Geniale l’idea di
focalizzarsi sull’estinzione di una specie, sì, ma trovo che siano state
ripercorse fin troppo le tracce di Tarzan
per parlare di vera e propria originalità. Forse è proprio per questo motivo
che non mi sono particolarmente affezionata alla trama né ai personaggi. Ah, e
aggiungeteci anche il fatto che il prompt (l’unico
che fosse adatto, lol) è di un generico che più
generico non si può. Come logica conseguenza di tutto ciò, questa flash
stupida-stupida è stata un autentico parto XD
Ho scelto di
focalizzarmi sull’unica scena che mi sia rimasta vagamente impressa, quella del
mancato accoppiamento di Zini e di Aladar, che è ciò
che più accomuna due creature e due caratteri così differenti: inconsciamente,
mi sono detta, Zini deve provare un filo d’invidia per il modo in cui Aladar reagisce alla propria diversità, perché dopotutto a lui quella diversità è concessa. Da Zini
ci si aspetta qualcosa di preciso, e credetemi, so bene come ci si sente a
deludere le aspettative del mondo che ti circonda.
Non avete ancora
mollato? Aw, ma voi siete proprio dei temerari ♥
Capitolo 40 *** ‘Wait a minute!’ ~ The Emperor’s New Groove ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#40
The Emperor’s
New Groove, 2000
# ‘Wait a
minute!’
Un minuto. Gli sarebbe bastato un
minuto, un secondo, un maledettissimo istante.
« Pacha! Pacha, scu...
Pacha, mi dis...
Dannazione, Pacha, ce l’ho con te, fatti vedere immediatamente! »
E va bene,
forse gli ci sarebbe voluto un pochino
di tempo in più. Ma non era colpa sua, accidenti. Non si poteva fargliene una
colpa, giusto?, se era la prima volta che si ritrovava in una situazione così
surreale – talmente surreale da portarlo a volersi scusare con un insolente bifolco di collina.
Anche se – sorprendentemente – l’insolente bifolco
di collina in questione – o forse non
così tanto – ora si rivelava essere l’unico vero amico che avesse mai avuto.
« ... Pacha? »
Inutile. La
soglia della locanda era vuota, il sentiero deserto, la valle inesorabilmente
silenziosa. Avrebbe avuto tutto il tempo del mondo, e non ci sarebbe stato
nessuno a cui chiedere scusa.
« Pacha... Un momento... Solo un momento... »
Al ricordare
che un momento era ciò che lui per
primo gli aveva negato, l’imperatore Kuzco chinò il brutto
testone peloso e si chiese se piangere fosse più facile per i lama che non per
gli uomini.
[ 180 parole ]
Spazio dell’autrice
Le follie dell’imperatore è forse il film più
esilarante che abbia mai visto, in
assoluto, anche al di là della Disney stessa; eppure, il rapporto che si
delinea via via tra Kuzco e Pacha
è di un angst dolorosissimo – anche e soprattutto dal
punto di vista di Kuzco: in Pacha
trova un amico, poi si ritrova a dubitare di lui e a cacciarlo via, e poi
ancora si accorge di aver sbagliato tutto e affoga nei sensi di colpa e,
finalmente, cambia. La scena che ho scelto di rappresentare è antecedente a
quel suo cambiamento, ossia subito dopo il suo aver ascoltato il dialogo tra
Yzma e Kronk e aver scoperto che Pacha
è davvero l’unica persona cui importi
qualcosa se lui sia vivo o no.
La frase-prompt si ricollega al fatto che Pacha
per primo ha chiesto a Kuzco ‘un momento’ (quando lui
gli ha parlato di Kuzcotopia, per poi buttarlo fuori
senza ascoltare le sue proteste), ma soltanto adesso il giovane imperatore si
rende conto di come il contadino debba essersi sentito.
«Allora: sei stanco di essere un lama?» «*sniff* Sììììì! *sniff*» ♥
Capitolo 41 *** Secret art ~ Atlantis: The Lost Empire ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#41
Atlantis: The
Lost Empire, 2001
# Secret art
Il buio si venò di vita,
lentamente ma senza preavviso, e Helga Sinclair scoprì che in quella vita era
ancora compresa anche lei.
Ingoiò un
gemito, scosse appena il capo, constatando di avere intatte voce e sensibilità.
La vista tornò quando le palpebre si schiusero e attraverso quei due strappi
nel nero più fitto fluì una luce azzurra, vivida, che le parve quanto di più
abbagliante potesse mai esistere – anche in un mondo come Atlantide.
Atlantide. Bizzarro; credeva
davvero di esserci morta, ad
Atlantide.
Fu quella luce
a portarle tutto il resto: la visione del volto chino sul suo corpo abbattuto,
la coscienza della mano premuta sul suo ventre, il calore. Helga strinse gli occhi. Riconobbe i tratti fieri della
principessa, le labbra piene indurite nella concentrazione, e le venne voglia
di tendere le sue in un sorriso storto. Invece, tutto ciò che riuscì a fare fu
articolare una sola parola.
« Perché? »
Kida
– così la chiamavano gli amici, così l’aveva chiamata anche lei prima di
tradirla – la guardò senza interrompere il flusso di energia pura che le stava
infondendo per curare le sue ferite. Per un attimo, fu la potente saggezza di
quegli occhi a rendere il buio circostante meno greve, meno buio.
« Non desidero
che tu muoia. Voglio che tu viva, per ricordare e andare avanti. »
Helga abbandonò
di nuovo il capo e chiuse gli occhi; ma la luce filtrava ancora, forte, molto
più forte delle sue palpebre stanche.
Ecco perché sei tu l’eroina, avrebbe voluto dirle. E non c’entrava
affatto quella sua fottuta magia.
[ 256 parole ]
Spazio dell’autrice
Vi dirò, anche Atlantis non è
che mi abbia detto un granché. Oh, intendiamoci, graficamente parlando non ha
una pecca. Solo che fin dalla prima volta che l’ho guardato ho avuto l’impressione
che sia stata data molta più importanza all’effetto visivo, appunto, che non a
quello emozionale. Per quanto mi riguarda, non ho ‘sentito’ affatto la storia,
che mi è parsa stereotipata oltre ogni dire e molto più fredda della [per certi
versi analoga] vicenda di Pocahontas.
E forse è anche per questo che stavolta ho deciso di ritrarre un missing moment palesemente inventato, come ho fatto d’altronde
per Cenerentola che è un altro
festival del cliché.
L’ispirazione mi è
venuta tempo addietro da questafanart: il prompt prescelto nella raccolta mi ha fatto pensare al
potere intrinseco di Kida, e da lì è venuto il resto.
Ah, e potete vederci un po’ di sano femslash, se vi
va. Io personalmente ce ne vedo tanto. *spudoratezza mode on* ♥
Il libro giaceva nell’erba, fradicio
di quelle che avrebbero potuto essere gocce di pioggia, ma che forse erano solo
le prime di una lunga serie di lacrime arrabbiate. Dalla pagina che guardava al
cielo, il brutto anatroccolo gridava di essersi perso e aspettava – sperava –
di ritrovare la sua famiglia.
‘Ohana significa famiglia.
Era rimasta
rannicchiata accanto al libro a lungo, la creaturina, a chiedersi cosa ci fosse
di tanto sbagliato in lei. Così piccola, così pericolosa, così cattiva. Aveva morso, scalciato,
graffiato, ferito. E poi era corsa via, e adesso per lei non ci sarebbe stata
nessuna famiglia, non più.
Famiglia significa che nessuno viene abbandonato...
Ma alla fine,
proprio quando le era parso che il temporale – o il pianto? – non sarebbe mai
finito, Nani era comparsa alla curva del sentiero. L’aveva raggiunta e l’aveva
stretta forte a sé, e le lacrime di lei erano state le sue. L’aveva trovata. La famiglia si ritrovava
sempre, in qualche modo, sempre.
... O dimenticato.
Fu per questo che
oggi, oggi che Stitch sgusciava fuori dalla stessa
finestra stringendosi al petto lo stesso libro, Lilo
non lo fermò.
« Io ricordo tutti quelli che se ne vanno. »
[ 192 parole ]
Spazio dell’autrice
Ce l’ho fatta. Pensavo
che non sarei mai riuscita a scrivere su questo film, tanto mi distrugge emotivamente. Ma ce l’ho fatta.
*valle di lacrime*
Il prompt non poteva essere che quello, ma non volevo cadere
nel già sentito; parlare di Stitch ‘perso’ di fronte
a quel libro aperto sarebbe stato come ripercorrere la scena del film, e io
volevo trovare qualcosa in più. E allora ho immaginato che quella situazione l’abbia
vissuta anche Lilo, in occasione della morte dei suoi
genitori. Anche lei si è sentita abbandonata, e molto probabilmente – come l’intero
film ci suggerisce – anche lei ha reagito a quella perdita in modo ‘cattivo’. Ma
lei ha sempre avuto Nani, anche.
Forse uno dei motivi per cui Lilo lascia andare Stitch, in quella scena strappacuore, è proprio perché sa che in un modo o nell’altro ‘ohana vince su tutto. ♥
Grazie ancora a
tutti voi, e al prossimo capitolo, Maya permettendo XD
Capitolo 43 *** Windows of the soul ~ Treasure Planet ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#43
Treasure Planet,
2002
# Windows of the
soul
La mappa era andata distrutta con
il pianeta e il tesoro, ma i ricordi
erano ancora lì, tutti lì, e facevano
male. Giorno dopo giorno. Un dolore che il tempo addolciva, che avvolgeva di
nostalgici sorrisi, ma che non spegneva mai.
Qualche volta,
Jim avrebbe voluto
dimenticare – era tornato a casa, dopotutto, e finalmente la mamma sorrideva, sorrideva senza piangere – ma si
ritrovava a pensarci ogni volta, ogni giorno nel volgere lo sguardo al cielo,
ogni notte nel guardare le stelle da lontano prima di chiudere gli occhi.
Rivedeva il
viaggio, lungo ed estenuante e distruttivo e ineguagliabile com’era stato. Il
capitano Amelia in tutta la sua fierezza. I membri dell’equipaggio, uno a uno,
fino a quello che più l’aveva fatto arrabbiare e stare male e stare bene –
quello che ancora rideva, da qualche
parte, tra quelle stelle improvvisamente troppo lontane. Soprattutto rivedeva
la mappa, la mappa che si svolgeva, il meccanismo che mostrava ogni volta un
mondo diverso, più sfolgorante, più sorprendente, più bello.
Rivedeva quei
luoghi a occhi aperti o chiusi e si chiedeva cosa avrebbe fatto, oggi, oggi che il viaggio era finito e
che sua madre sorrideva senza piangere, se mai si fosse trovato di nuovo di
fronte alla possibilità di imboccare uno di quei portali e andare a visitare un
pezzo di universo e un pezzo di sé. E qualche
volta arrivava a dirsi che sarebbe stato l’unico modo per ritrovarlo, e allora sì, dannazione, si sarebbe
tuffato senza rimpianti – e quelle volte si odiava.
La mappa era
andata distrutta, ma i ricordi erano tutti lì: JimHawkins passò tutta la vita a chiedersi se gli sarebbero
bastati per ritrovarsi.
[ 275 parole ]
Spazio dell’autrice
Jim è un altro di quei
personaggi che non mi hanno mai particolarmente colpita – caso strano, questo,
se penso che in realtà un pochino mi somiglia. Ma il suo rapporto con John
Silver è di quelli che lasciano il segno in chiunque,
e il prompt, ‘finestre dell’anima’, mi ha fatto
venire in mente che tutti i luoghi che Jim ha solo
intravisto in quel suo rocambolesco viaggio vanno a costituire, alla fine del
viaggio stesso, non solamente un ipotetico mezzo per ritrovare Silver, ma anche
per riavere indietro parte di se stesso.
Perché è così che ci lasciano gli addii, no?... Incompleti.
C’è anche da dire
che questa flash ripercorre un tema che la bravissima Elos
ha trattato molto meglio di me, in una shot che vi
consiglio caldamente ♥ Se stai leggendo
queste righe, caraH, sappi che da parte mia non c’è
tentativo di imitazione, bensì di umile omaggio. E che prima o poi verrò a
lasciarti quelle famose recensioni-premio, accidenti.
C’era neve, tanta neve – un altro
dei giorni più freddissimissimi
della sua vita. Correva lasciandosi alle spalle impronte subito sepolte, non
sapendo bene il dove o il perché. Forse
era solo una sensazione, ma credeva di avere appena perso qualcosa. Qualcosa
d’importante...
C’era
un’aquila, in mezzo a tutta quella neve, e a un tratto il cucciolo si chiese se
in fondo non stesse inseguendo quella. Dovette ricredersi quando dinanzi ai
suoi occhi (offuscati) l’aquila si
tramutò in uno di quei mostri a due zampe armati di bastoni – solo che questo uomo non aveva nessun bastone,
non sembrava un mostro, e non gli fece nessuna paura. Aveva un’aria buona, anzi.
Il cucciolo non aveva ancora smesso di correre che lui già lo accoglieva a sé,
sussurrandogli qualcosa nella sua lingua incomprensibile, versi che però gli
furono stranamente familiari.
Non piangere. Non sarai solo, vedrai.
Neppure al
risveglio Koda capì, ma quello strano sogno gli
lasciò dentro una sensazione calda, piacevole. E dire che c’era così tanta neve.
Il giorno dopo
incontrò Kenai.
[ 171 parole ]
Spazio dell’autrice
Di Koda, fratello orso amo soprattutto Sitka, che con il suo ruolo di guida apre la strada a tutta
la storia di Kenai come orso e come uomo. Ho sempre
voluto dedicargli un pensiero e, anche se qui il tutto è filtrato dagli occhi
di Koda che – pur inconsapevolmente – ha appena perso
la sua mamma, sono felice di esserci più o meno riuscita ♥
Questo è proprio un
aggiornamento lampo, la real life durante queste
vacanze mi sta tenendo davvero molto occupata... Ma ci tenevo a restare
regolare con questa raccolta. Spero sempre che continui a piacervi.
Capitolo 45 *** My happy ending ~ Home on the Range ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#45
Home on the
Range, 2004
# My happy
ending
La pioggia incessante si portava
via le impronte – e con quelle ogni speranza. Dal suo piccolo, freddo riparo, lei
le guardava sparire, ripetendosi che forse era meglio così, che tanto quella non sarebbe mai stata la sua
casa, che per lei non esisteva nessun angolo
di paradiso – non da quando sulla sua terra era piombato il diavolo in
persona. E che così sarebbero rimaste le cose.
Grace e Mrs. Calloway dormivano. Grace e Mrs. Calloway
non potevano capire. Anche loro avrebbero perso tutto, però loro erano insieme.
Maggie affondò
il muso nella terra umida, soffocando sul nascere un muggito di dolore, e cercò
di addormentarsi per non veder più sparire le impronte e le speranze e quel
poco che restava del suo lieto fine impossibile.
[ 125 parole ]
Spazio dell’autrice
Mucche alla riscossa: per quanto originale e divertente, è
un altro Classico tutt’altro che all’altezza di alcuni dei successivi e di
moltissimi dei precedenti. Però anche qui l’immancabile poetica Disney si fa
sentire. Trovo molto simbolica quella pioggia che si porta via le tracce di
Buck e con esse ogni possibilità di riscatto per le tre mucche – ma soprattutto
per Maggie, quella cui Slim ha tolto più che a
chiunque altro, quella che per colpa sua è davvero rimasta sola. Non ho scelto di rappresentare quel momento per forza di
cose, ma proprio in virtù dell’emozione che è in grado di trasmettermi,
nonostante l’atmosfera canzonatoria dell’intera pellicola.
A voi vadano,
insieme ai miei ringraziamenti più sinceri, mille auguri di un buon anno ♥
Capitolo 46 *** School uniforms ~ Chicken Little ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#46
Chicken Little,
2005
# School
uniforms
« Uhm, sai, papà. A scuola stanno
pensando di adottare un’uniforme uguale per tutti. »
Suo padre continuò
a guidare, in un silenzio che magari nelle sue intenzioni era incoraggiante, ma
che alle orecchie del pulcino rattrappito nel sedile posteriore suonò come una
disapprovazione per quell’ennesimo vuoto discorso. Non che a Chicken Little piacesse
parlare con lui di sciocchezze, ma, come Alba non perdeva occasione di fargli
notare, sciocchezze erano le uniche
cose di cui avessero mai parlato da tanto, troppo tempo.
Eppure proseguì,
ostinato, giocherellando con la cintura di sicurezza che pendeva inerte senza
riuscire a tenerlo stretto al suo posto, come a ricordargli che persino in
macchina lui e suo padre erano inesorabilmente diversi. « Sì, beh, hanno avuto
quest’idea, ecco. Ma io non sono molto d’accordo. » Si raddrizzò, alzò la voce
in un tono appena un po’ petulante, solo un pochino – era così sicuro di avere
ragione! « Se tutti indossano gli stessi vestiti, che ne è della nostra
individualità? Insomma, cosa siamo noi, squadre di automi o gruppi di studenti?
»
Il papà gli
lanciò uno sguardo dallo specchietto retrovisore. Uno sguardo che avrebbe voluto sembrare distratto, ma che disse
molto più delle sue parole.
« Non vederla
così, figliolo. A volte è un bene non farsi notare, non sei d’accordo? »
Chicken
Little si sgonfiò, deluso, rattrappendosi ancora di più.
Neanche più di
sciocchezze poteva parlargli. Non dopo la
storia della ghianda.
[ 230 parole ]
Spazio dell’autrice
Chicken Little è
l’adorabilità pura e mi rispecchio in lui molto più di quanto non vorrei.
Insomma, io non sono ancora andata in giro a parlare di cielo che
crolla, però so come ci si sente a sapersi non creduti quando si è in assoluta
buona fede, come di certo lo sapranno anche molti di voi. Un pensiero per
questo povero piccolo pulcino incompreso era doveroso (senza contare che le uniformi scolastiche non avrei potuto
affibbiarle a nessun altro personaggio Disney, LOL) ♥
Avete passato delle
buone feste? Spero tanto di sì :) Grazie ancora a tutti voi.
Capitolo 47 *** Technology ~ Meet the Robinsons ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#47
Meet the
Robinsons, 2007
# Technology
Ogni bambino ha in sé qualcosa
che lo rende speciale.
Il giorno del
sesto compleanno di Lewis – sei anni erano passati da quando qualcuno l’aveva
lasciato alla sua porta sparendo nella pioggia – un vecchio tostapane rotto già
da qualche tempo resuscitò misteriosamente: un mistero che si dipanò come un gomitolo
quando Mildred sollevò lo sguardo sugli orfani seduti al tavolo della colazione
e, stupita, vide gli occhi di Lewis scintillare.
Da allora fu
un fervore continuo. Lewis non si limitava a riparare le cose; lui cambiava,
creava, inventava. Era il suo essere
speciale. Solo che, beh, era comunque un po’ bizzarro per un bambino così
piccolo. E alla fine Mildred non poté impedirsi di chiedergli il perché.
Lewis aveva
quasi sette anni, e aveva le guance costellate di piccole stelle nei punti in cui
premeva l’inseparabile cacciavite mentre inseguiva un pensiero. Quella volta,
quando alzò gli occhi, Mildred vide un’ombra al posto della solita luce, un’ombra
che mai aveva visto prima.
« Voglio
inventare una macchina che mi permetta di vedere il passato. »
« Come il
cinema? »
« No, non come
il cinema. » Lewis si accigliò, come se il paragone fosse semplicemente
ridicolo. « Uno scanner mnemonico!
Sarà un modo per vedere cos’è accaduto in passato a partire dai ricordi più
nascosti di una persona. »
Mildred
sorrise a tanta passione, ma continuava a non capire. « Ma perché proprio uno...
‘scanner mnemonico’, Lewis? A cosa potrebbe mai servire? »
E quell’ombra
si fece un po’ più intensa e d’improvviso le spiegò molte cose. « È l’unico
modo che ho per rivedere la mia mamma. »
Ogni bambino
ha in sé qualcosa che lo rende speciale. Il qualcosa
di Lewis era il suo impegno, il suo amore per la tecnologia.
Eppure, Mildred
non avrebbe mai immaginato che le fredde macchine potessero essere una via per
ritrovare il proprio cuore.
[ 300 parole ]
Spazio dell’autrice
Per prima cosa mi
scuso dell’improvvisa sparizione. Ho avuto dei problemi di software, ma ora
pare che sia tutto sistemato.
I Robinson: una famiglia spaziale è un altro Classico
post-rinascimentale che personalmente adoro. È mindfuck,
buffo e dolce in egual misura. Il prompt non poteva
essere utilizzato che per Lewis, così ho scelto di rappresentare il momento in
cui il suo desiderio di creare uno scanner mnemonico si manifesta per la prima
volta – in particolare volevo concentrarmi su Mildred: la si vede per poco
tempo, ma secondo me il suo rapporto con Lewis è molto profondo e degno di
attenzione. Voglio dire, un bambino prodigio che non riesce a trovare il suo
posto nel mondo: chi non gli si
sarebbe affezionato? ♥
Spero di essere più
regolare nei tre aggiornamenti che mancano per chiudere la raccolta. Come
sempre, più di sempre, grazie infinite di essere ancora qui!
Da qualche parte aveva letto che
i cani vedono in bianco e nero. Per fortuna, oggi agli occhi di Bolt la realtà
si era tinta di tutte le gradazioni del grigio, com’era giusto che fosse.
« Ci vediamo
domani, bello. »
Si lasciò
grattare dietro le orecchie, estasiato. Penny sorrise nel ricordare quante
volte quegli occhi da supereroe le avessero salvato la vita – gli stessi occhi
da supercucciolo
che ora luccicavano di canina goduria: in cuor suo sapeva bene che il
salvataggio più riuscito era avvenuto quando il supereroe aveva lasciato il
posto al suo cane.
Si accoccolò
sotto le coperte e Bolt la raggiunse con un balzo. Era così che iniziava la
loro avventura più grande e più straordinaria, che sarebbe stata di un bel
grigio splendente, come ogni piccola grande vita vera che si rispetti. Penny sorrise di nuovo. Era una bella
sensazione.
« Bravo il mio
cucciolotto... Dormi bene, Bolt. »
[ 150 parole ]
Spazio dell’autrice
Avevo scritto
precedentemente questa flash assieme a tutte le altre, ma la versione originale
mi è andata perduta, e se ho esitato così tanto a pubblicare la nuova stesura è
perché non è affatto venuta come l’avevo impostata all’inizio. Pietà di me. L’onere
della raccolta comincia a farsi sentire XD
Ad ogni modo, thisisit: un semplice momento della nuova vita di Bolt,
quello iniziale – lui e Penny che dormono insieme come una ragazzina e il suo
cucciolo, semplicemente. Nonostante l’essenzialità, spero tanto che vi piaccia ♥ Ai prossimi aggiornamenti.
Capitolo 49 *** Cross-dressing ~ The Princess and the Frog ***
For every laugh, there should
be a tear ~
#49
The Princess and
the Frog, 2009
# Cross-dressing
« Vestita così sei bellissima, Tia » trillò Charlotte eccitata, battendo le mani, « sembri
proprio un principe! »
Eudora sospirò
tra sé, badando a non farsi sentire dalle piccole, e continuò a sistemare le
pieghe del mantello sulle spalle esili di sua figlia. Quel giorno Charlotte La Bouff compiva sei anni e il meno pretenzioso dei suoi –
svariati – desideri di compleanno era stato che Tiana l’aiutasse in una piccola
recita, solo una scenetta improvvisata tra loro due, riguardante un’immancabile
principessa e un ranocchio da trasformare in principe. Tiana aveva accettato di
buon grado di fare la parte del principe, perché, aveva detto, « è mille volte
meglio che baciare un ranocchio, anche
finto ». Eudora aveva riso, cercando di non ricrearsi nella mente l’immagine
di una vecchiaia solitaria, senza nipotini da viziare e coccolare: Tiana era
ancora una bambina e le bambine hanno tutto il tempo del mondo per capire che
nell’amore vero non c’è proprio niente di disgustoso.
« Ecco fatto,
ragazze, potete cominciare. »
Alla sua
spinta gentile, Tiana raggiunse Charlotte sul piccolo palco improvvisato, dove
la bimba stringeva già tra le braccia un pupazzo verde e gonfio.
« Tia » l’accolse, con una traccia tutta nuova di
preoccupazione sul visetto, « sei sicura che non ti scoccia, vero? »
« Ma no » rise
Tiana, mostrando il vuoto di un dentino caduto, « è tutto a posto, tanto io non
bacerò mai nessuno! »
Eudora rise di
nuovo, ma quell’immagine si faceva sempre più insistente. E la portava a
chiedersi se non stesse diventando un po’ paranoica.
[ 245 parole ]
Spazio dell’autrice
Ehm, sì, salve, sono
ancora io. Dopo anni-luce, ma eccomi di nuovo qui. Siate clementi, come vi
dicevo gli ultimi capitoli erano andati perduti in un guasto e ci ho messo del
tempo per ritrovare l’ispirazione necessaria a riscriverli come li avevo
immaginati all’inizio. ;__;
Comunque, eccoci:
penso che questa flash non abbia bisogno di tante spiegazioni. Mi fa sempre
molto ridere il fatto che Eudora voglia dei nipotini e Tiana non sia
minimamente interessata all’amore (situazione che mi è fin troppo familiare), e
difatti dubito di essere riuscita a ‘immalinconire’ la cosa... Ma il prompt mi ha suggerito questo e questo è (ri)venuto fuori, tant’è.
Il prossimo sarà l’ultimo
capitolo e credetemi, credetemi,
spero tantissimo di non perderci altrettanto tempo. Perché voi siete stati
meravigliosi a seguirmi fino alla fine e per me questo conta. A prestissimo, mi
auguro.
In fondo non le sembrava di
chiedere tanto. Voleva solo sapere com’era.
Voleva
camminare su un piano che non fosse un pavimento e sentire sotto i piedi l’erba
umida di rugiada, i ciottoli duri e lisci, l’acqua del ruscello. Voleva toccare
con mano gli alberi e le foglie e raccogliere dei fiori, inspirarne il profumo
senza che questo si mescolasse agli odori delle altre cose raccolte da sua
madre in un unico cestino. Voleva persone con cui parlare, suoni nuovi da
imparare a riconoscere, perché queste cose i libri non possono dartele, non se
non le hai mai vissute prima. Voleva correre, correre, correre, perché era stanca di percorrere gli stessi pochi passi che
andavano dalla stanza circolare al suo letto ed era stanca anche di
arrampicarsi su travi e balconate per dipingere sui muri – correre dove ci
fosse abbastanza spazio per sporgersi a colorare tutto il cielo, non appena ne
avesse avuto voglia. Voleva respirare il vento senza il bisogno di aprire una
finestra, e scoprire cosa ci fosse dietro la cascata e oltre i confini della
valle stessa; voleva vedere le luci fluttuanti, da vicino, rispondere a quel cosa e magari anche a quel perché.
Voleva il
mondo, Rapunzel, o magari anche solo un pezzetto un po’
più grande di quello che vedeva da lassù.
Sua madre
chiuse le tende, in un gesto quasi distratto, e tutti i suoi sogni ad occhi
aperti sprofondarono di nuovo nel buio.
[ 240 parole ]
Spazio dell’autrice
E finalmente ci
siamo. Rapunzel: l’intreccio della torre, il Classico
che per primo mi ha dato l’idea di questa raccolta, la ripresa in grande stile
della Disney che ci riavvicina al Rinascimento e – ebbene sì – l’ultimo
capitolo. A pelle mi sembra tra i più scontati, ma non avrebbe potuto essere
diverso, riscrittura o meno. E dopo questo vado a ringraziarvi uno per uno,
come si deve, finalmente.
Grazie immensamente
a LittleHarmony13, Ray08, Ilovewrite, Honest, Inside to a Dream, pinkstone, minestrina3, _Li_, KelloggsSnowflakes, Selhin, Elelovett, TheHeartIsALonelyHunter,
blackmiranda,
Dea_Diana
e _JK_, per tutte le meravigliose recensioni
che pur nella mia poca presenza non mi sono mai persa e che mi hanno tirato su
di morale più di una volta;
grazie infinitamente
ad Amberle,
Aoii, BIC_, blackmiranda, camomilla17, Cat_, DazedAndConfused,
Dea_Diana,
disneymaniac,
Elelovett,
F13, Honest, Ilovewrite, Kia_chan_93, KikiWhiteFly, lilica, Lily Dub
Black, Marina94, metaldolphin, MoonLove, pinkstone, Plutonia, Ray08, Revan93, Selhin, Silent_Warrior, stellaskia, Taminia, TheHeartIsALonelyHunter,
xAlisx e x_LucyW, per
avermi seguita fin proprio alla fine
in questo delirio non lasciandosi scoraggiare dalla mia sempre più frequente
irregolarità;
grazie enormemente a
disneymaniac,
Fuuma, KikiWhiteFly, MeAndHoran69, Pinapple1712 e yaoiincest, per aver inserito questa raccolta tra le storie
ricordate;
grazie
smisuratamente ad Aoii,
blackmiranda,
Dea_Diana,
Diana Dea, disneymaniac, Ilovewrite, Jaqueline, LittleHarmony13, Marina94, metaldolphin,
minestrina3, Selhin, TheAkaiBookFrog e _cinnamon,
per averla inserita addirittura tra le preferite;
nonché a tutte le
ugualmente straordinarie persone che si sono prese il tempo e il disturbo di
venire a leggere le mie sciocchezze come se davvero per me valesse la pena di
scomodare i mostri sacri della mia infanzia. Semplicemente grazie, a tutti voi.