Il silenzio della violenza

di franceska92
(/viewuser.php?uid=248015)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Francesca

Erano circa le sei di sera, ma, per il mese di dicembre, era già buio. Erika si strofinò le braccia scoperte per fare calore. Era, invece, non soffriva per niente di freddo: era uno splendido pastore maremmano originale a pelo lungo, che sbandava e faceva correre Erika dovunque.

Stanca, lasciò il guinzaglio e lasciò che il cane corresse dove voleva, consapevole del fatto che sarebbe comunque ritornata da lei. Si accasciò su una panchina che si trovava lì per lì, ma si sollevò subito: era umida. Passò le mani sul sedere, provando ad asciugarsi, ma fu subito interrotta da un forte sparo.

-Era! Era!- urlò la ragazza, e corse qua e là cercando il proprio cane, anche se sarebbe stato molto difficile trovarla.

Cominciò a correre per il parco, a guardare dovunque.

Sentì dei passi, ma comunque non si tranquillizzò, anzi, si sentì ancor di più preoccupata.

Sapeva che non era Era, ma qualcuno, qualcuno che pensava avesse sparato al suo cane, o almeno ci aveva provato, e che si stava avvicinando a lei.

Rimase ferma, con la mano appoggiata sullo scivolo. Rimaneva voltata a fissare la giostra. Sentiva i passi che si facevano sempre più forti e non aveva il coraggio di girarsi per vedere chi era. D’un tratto, sentì dentro di lei un brivido che le percorse la colonna vertebrale e chiuse gli  occhi, strizzandoli.

Un tocco alla spalla. Scattò con il capo, facendo un profondo sospiro. Voltò prima il capo, e poi si girò con tutto il corpo, sbattendo violentemente alla parete della giostra. Non ebbe nemmeno il tempo di spalancare gli occhi e di sorprendersi, che subito la figura muscolosa le colpì il fianco sinistro con un bastone di metallo.

Erika fece un profondo respiro. Ormai era abituata a non urlare, a non lamentarsi, e, soprattutto, a piangere.

Ma in quel momento uscì da ogni suo schema. Si piegò sul fianco e iniziò a tenerselo con le mani, e scoppiò in un pianto. Dopodiché si piegò ancor di più e ingurgitò.

Si voltò a guardare il suo aggressore, che impugnava ancora il bastone, poco curvo dopo il colpo che aveva inflitto, e fissava la ragazza soddisfatto. Rimaneva immobile, con le gambe semiaperte, coperte da un pantalone da ginnastica mimetico e un paia di scarponcini grigi. Guardò soddisfatto il viso della ragazza in lacrime, con il labbro e le punte dei capelli completamente sporchi di sangue, e un po’ di vomito.

Subito la ragazza venne raggiunta da Era, che, con un salto, aggredì l’uomo, mordendolo al braccio. I suoi canini portarono con sé gran parte della sua maglia e metà della pelle che c’era sul suo braccio. Continuò ad urlare mentre il coraggioso pastore si avventava contro di lui.

Continuò a mordergli il braccio creando uno spettacolo horror davanti alla sua padrona, che intanto, socchiudendo a poco a poco i suoi occhi per non guardare, provò ad avanzare. Le fu quasi impossibile; infatti, si accasciò a terra e premette fortissimo sul fianco.

Intanto, il cane, sfoderò i suoi artigli, colpendo la membrana sclerotica dell’occhio. Scoppiò un’esplosione fra il sangue sul corpo dell’aggressore, e le percorrevano il suo viso facendo bruciare ancora di più il suo occhio.

Erika, intanto provò ad urlare qualcosa. Si udiva solo la parola “aiuto”.

Gli raggiunse un altro uomo, che, afferrato il bastone di metallo, colpì Era, che rotolò sul terreno e andò a finire dritta per dritta in una pozzanghera fangosa, perdendo i sensi. Erika capì che ormai non c’era più niente da fare, tolse le mani dal fianco e si accasciò sul terreno, scoppiando di nuovo in lacrime.

Il secondo uomo si caricò addosso l’aggressore, trascinandolo a fatica su una grossa jeep. Dopodiché ritornò da Erika.

Si sentì di nuovo raggiunta dal panico più totale, e, ormai debole e priva di forse, non poté fare altro che coprirsi il viso con la mano, sporca di terra e del vomito che aveva pestato.

-Ti prego, non uccidermi…- sussurrava appena, cercando di identificare il ragazzo.

Singhiozzava e piangeva, sperando di fare almeno un po’di compassione. Ma la figura la prese per i capelli e trascinò anche lei verso la jeep.

Iniziò ad urlare per il dolore, benché non potesse camminare, e con lui che continuava a tirarla con forza. Arrivati alla jeep, con un calcio la spinse in macchina, e chiuse in fretta la portiera. Appena entrò si trovò davanti all’aggressore, con l’occhio e il braccio squartati, coperti da tonnellate di ghiaccio.

Si voltò subito e guardò fuori dal finestrino, dove però intravide nel buio Era, addormentata in una pozza di fango. Cominciò di nuovo a piangere, ma questa volta silenziosamente. Si appoggiò violentemente allo schienale e, singhiozzando, chiese:

-Che cosa mi volete fare?-

Il ragazzo che guidava la macchina non le rispose, ma si limitò a voltarsi per dare un’occhiata alla ragazza.

Erika riconobbe un ragazzo giovane, di massimo venticinque anni. La sua attenzione si era particolarmente rivolta ai suoi occhi: erano di verde mediterraneo e risaltavano sulla sua pelle abbronzata e su suoi capelli scuri.

Poi si voltò a scrutare l’altro uomo, per metà coperto da tonnellate di ghiaccio. Era rivolto a guardare fuori dal finestrino, e non si accorse per niente che Erika lo stava guardando. A differenza dell’altro, il suo aggressore era molto più robusto, ma allo stesso tempo forte e anche muscoloso. Dopo quello che era successo, Erika si limitò a guardare la parte rimanente del suo giubbotto, in pelle rossa, blu notte e bianca.

Ad un certo punto, il conducente accelerò e iniziò a correre. Il viaggio durò circa un quarto d’ora, e giunsero ad un capanno immerso nel bosco della montagna. Il ragazzo fece la stessa cosa che fece per caricare i due passeggerei: sollevò prima il suo complice, e poi Erika, che, appena tentò d’afferrarla, si scansò e si appoggiò alla portiera, per fare segno che sarebbe scesa da sola.

Ma subito dopo che entrò nella capanna, l’omone l’afferrò per il braccio, con la forza che gli rimaneva in corpo, e la trascinò su una sedia, dove la legò con strati e strati di scotch. Erika cominciò ad urlare e a piangere. Chiedeva aiuto, ma si accorse che in quel luogo sperduto nessuno sarebbe accorso, neanche Era, che credeva fosse morta sul colpo.

Nel breve silenzio, caratterizzato solo dai suoi singhiozzi, si guardò attorno. Lei era posizionata in fondo alla capanna, vicino a due letti, larghi abbastanza ognuno per ospitare almeno due persone. Proprio avanti a lei c’era un tavolo larghissimo pieno zeppo di barattoli aperti, di bustine con della roba bianca e, buttate qua e là, qualche siringa. Appoggiata a terra c’era un piccolo stereo, attaccato senza presa, e, inoltre, nella capanna non c’era luce.

La sua attenzione poi si soffermò sul ragazzo che aveva guidato la macchina e che gli aveva portati lì. Stava armeggiando con qualche pezzo di carta, per come lo vedeva lei. Fece una specie di tubo.

“Si starà facendo una sigaretta” pensò la ragazza. Subito dopo, il ragazzo, spinse indietro tutti gli oggetti, probabilmente per fare spazio, e qualcosa cadde all’indietro, tipo due o tre siringhe, e una busta di plastica trasparente, chiusa, contenente un’insolita polverina bianca.

Poi aprì una busta di questa polverina e ne posizionò un po’a file sul tavolo. Dopodiché prese il tubo-sigaretta che si era costruito e iniziò ad aspirare la polverina.

Erika fece un grosso sospiro. Ciò che stava vedendo la turbò moltissimo. Un po’di lacrime percorsero il suo viso.

-Sono due drogati…- mormorò a bassissima voce, e, a quel punto, notando che il ragazzo la fissava con un ghigno mentre continuava a sniffare, scoppiò in un pianto.

-Preparati, che ora tocca a te.- affermò l’uomo ferito, che, nel frattempo, si era seduto su uno dei due letti, e aveva messo una benda sull’occhio.

-Che cosa devo fare?- domandò Erika, fra lacrime e singhiozzi. Cominciava già a pensare che sicuramente l’avrebbero imbottita di tutta quella roba, e che sarebbe morta per collasso.

Anche a questa domanda non ebbe risposta, ma, piuttosto, l’omone si alzò e, preso un taglierino, strappò lo scotch che la legava alla sedia. Tutto ciò la distrasse dal ragazzo, che, nel frattempo, sempre con il suo ghigno fastidioso, stava preparando una specie di siringa.

Fece un cenno all’aggressore, che, intanto, teneva Erika forte per i polsi, e aveva la testa girata dall’altra parte, a controllare se l’amico avesse finito.

A quel cenno, buttò con violenza Erika sul letto, che strillava e tirava calci. Si contorceva sul letto come una larva, mentre l’uomo prova a farla stare ferma tenendola per le braccia. Il ragazzo arrivò tenendo una siringa, troppo lunga dal punto di vista di Erika, e si sedette sul suo addome, all’altezza media del diaframma, in modo da non farla respirare, e quindi, da non farla muovere.

Erika si bloccò per un po’, rimanendo senza fiato e respirando a fatica. Vide la siringa avvicinarsi al suo braccio, e, agitatasi, iniziò a muoverlo. Il ragazzo fece scorrere la siringa sulla sua pelle, provocandole un taglio lungo e profondo, da dove cominciarono ad uscire flussi di sangue, che si sparpagliavano sul suo braccio, o che si lasciavano andare sulla sua maglia, bianca e grigia, e, da quel momento, anche rossa.

-Cazzo.- sussurrò il giovane con nervosismo. Spostò la sua gamba dal fianco sinistro  al braccio destro della ragazza, per tenerglielo fermo.

La siringa penetrò con velocità nella vena sporgente della ragazza, il quale, diede un urlo ancora più forte e iniziò a farsi venire delle crisi di panico. Aveva tutto il sudore che le scendeva dalla fronte, che si mischiava alle lacrime.

Fu questione di circa sei o sette secondi, che per Erika fu un’eternità. Tirò fuori l’ago e si sollevò da Erika. I due percorsero la capanna e posarono l’ago sul tavolo.

Intanto, la ragazza, tentò di alzarsi, per arrivare al suo braccio, ma, istantaneamente aver sollevato il petto, il dolore al fianco ritornò a farsi sentire, e, di botto, si lasciò andare sul cuscino. Non riusciva più neanche a piangere, anzi, si meravigliava che ancora riuscisse a tenere gli occhi aperti. Tutto quello che faceva è scrutare il soffitto e sospirare profondamente.

Aveva incontrato qualcosa di peggio delle molestie di suo zio, il fratello della nuova donna che conviva con suo padre. I suoi avevano divorziato e suo padre non ci aveva messo molto tempo a trovarne un’altra.

Si chiamava Adnana ed era rumena. Da quando lei stava intorno, Erika aveva sentito che suo padre non la voleva, che non pensasse più a lei. Infatti era stato così: i due si erano allontanati, cancellando il loro rapporto familiare. Inoltre, con lei, Adnana si era portata suo fratello, di circa dieci anni più piccolo. Si chiamava Pavel, e aveva circa 23 anni.

Pavel era un prepotente che pretendeva si facesse come diceva lui, ma non esercitava la sua prepotenza né con sua sorella, né con il suo nuovo cognato, bensì con sua nipote.

Il grosso ritornò e si sedette sull’altro letto. Aveva una canna, in mano, e fissava l’amico in attesa che gli portasse qualcosa per accenderla.

L’agente Sorrentino percorse tutta la stanza, con una foto e alcuni registri in mano. Dopodiché buttò la foto sulla scrivania del capitano.

-Chi è?- domandò il capitano, afferrando la fotografia.

-Erika Fasana. È andata a fare una passeggiata con il cane ed è tornato solo il cane­, sporco sia di sangue che di fango.- rispose la donna, e si sedette sulla sedia, di fronte la scrivania della stanza, a gambe incrociate.

-Ah. Vabbé mandate una squadra e portatevi il cane della ragazza, ci indicherà il luogo dell’accaduto.- ordinò l’uomo, fissando la fotografia di Erika.

L’agente Sorrentino si alzò dalla sedia, si fece restituire la foto e uscì dall’ufficio.

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 ***


Cap 2

Il ragazzo attaccò la radio ad una delle prese sparse per la capanna, e l’accese. L’altro era addormentato, e russava profondamente. Erika era stesa sul letto, con l’impossibilità di muoversi. Era appoggiata sul fianco e stava fissando il malvivente che si stava facendo un’altra delle sue canne.

Si voltò e si appoggiò sul tavolo, girato verso Erika, e stava mettendo nella canna dell’erba. Alzò lo sguardo.

-Cazzo guardi?- domandò in modo sgarbato ad Erika.

La ragazza non rispose e si girò sull’altro fianco, che ricominciò a farle dolore, e, quindi, si mise prona. L’altro, invece, era seduto accanto alla radio e ascoltava musica a volume esagerato, e Erika la seguiva con movimenti delle mani e del capo.

-Vuoi fumare?- domandò lui alla ragazza stesa sul letto, alzando la canna accesa.

-No.- sussurrò lei, a voce abbastanza alta da farsi sentire. Lui le rispose con una smorfia, espirando ciò che aveva aspirato dalla canna.

-Come stai con il rumeno?- chiese poco dopo il ragazzo.

A Erika vennero i brividi: come faceva a sapere della sua famiglia? Non ebbe il coraggio di rispondere, e distolse lo sguardo verso il cuscino. Il ragazzo la guardava impaziente di una risposta. Aveva un’espressione né curiosa, né con il suo solito ghigno. Nascondeva un’espressione triste, e fissava il viso della ragazza.

-Che vuol dire?- fu la sua risposta. Voleva far finta di non capire, non voleva rispondere.

-Sto a parlà del tuo ragazzo, il rumeno. Tiene il doppio dei tuoi anni, lo sai?- affermò poi lui, girando il capo dall’altra parte. Continuava a nascondere quella triste espressione, e ora ancor di più.

-Io non ho un ragazzo. Che dici.- bisbigliò la ragazza, anche lei guardando da un’altra parte.

-Ma tu davvero non sai chi sono?- domandò poi.

-No, e non voglio nemmeno saperlo. Penso solo che siete due stronzi e anche drogati…- disse la ragazza, nuovamente a bassa voce. Il ragazzo si voltò di scatto e si alzò. Intanto anche l’uomo si svegliò, e alzatosi dal letto, si avvicinò subito alla droga.

Erika sperava che non l’avesse sentita. Si mise sotto le coperte del letto e abbassò lo sguardo, mentre il ragazzo si avvicinava velocemente e squadrava con aria poco amichevole.

Tolse in fretta le coperte dal corpo della ragazza, che, con uno scatto, cercò di mettersi seduta e di indietreggiare, acchiappando il cuscino e mettendoselo davanti al viso.

Il ragazzo salì sul letto e, avanzando con le ginocchia, si avvicinò alla ragazza. Le afferrò con forza il braccio, e la tirò a sé. Erika riprese a piangere e tirò dall’altra parte, con meno forza.

-Lasciami stare.- frusciò con il cuscino davanti la bocca. Cercava di sfilarsi il braccio, ma la stretta del ragazzo era troppo forte.

D’un tratto le diede un forte strattone e la spinse sul letto, facendola stendere. Gli si sedette addosso e cominciò a sbottonarle il jeans. Lei intanto gridava e si muoveva, cercando di scansare il ragazzo, che sembrava irremovibile.  

Sputò a terra, e, Erika, rimase ferma per qualche secondo, con le lacrime che le segnavano lunghe righe curve sul viso. Le righe di gocce si piegavano e andavano a finire sulle sue orecchie e le bagnavano i capelli.

La ragazza, presa dal panico, gli affondò le unghie nella pelle, provocandogli dei profondi graffi. Dopo averle, tolto la parte superiore dei jeans, le bloccò le braccia, poiché gli stava facendo molto male, e le smollò uno schiaffone sulla guancia sinistra. Erika trasalì e girò la faccia dall’altra parte.

-Smettila!- ripeteva, singhiozzando. Ma come risposta ebbe un altro vitale schiaffone, dato con il dorso della mano sulle labbra. Iniziò ad uscire un po’di sangue dalle labbra, ed Erika, ormai senza più la forza di dire neanche più “basta!”, cercò di succhiarlo e di lasciare della saliva, per rimarginare la ferita.

Intanto il ragazzo, le aveva fatto arrivare il jeans all’altezza delle ginocchia, ma la ragazza fece resistenza e piegò le gambe, mentre scalciava e tirava ceffoni qua e là.  

-Giorgio! Cazzo vieni!- sbraitò il ragazzo.

Il complice lo raggiunse lentamente. Mise le gambe sotto il capo di Erika, faccia a faccia con il suo amico. La riempì di sberle sul viso. Erika piangeva e gridava, mentre l’altro le aveva tolto i pantaloni ed era ritornato al suo solito ghigno.

La radio era ancora accesa e aveva il volume ancora molto alto. Stava trasmettendo una canzone energica, di quelle che piacevano a lui. Iniziò anche lui a scalarsi i pantaloni, mentre guardava negli occhi di Erika sorridente, e si muoveva a ritmo. Tutto questo per prenderla in giro.

L’uomo le aveva coperto con la sua grossa mano le labbra, ridendo guardando il suo amico, e lei non poteva fare a meno di socchiudere gli occhi e girare il capo, per resistere alle provocazioni di quel ragazzo, apparentemente in preda ad una crisi sessuale.

-Ahahahahaha! Tu non stai bene!- esclamò l’altro, che teneva Erika.

-Aspetta mo’.- gli rispose lui, che prese i suoi pantaloni e scaraventò sull’altro letto, poco distante. Alzò di poco la maglia bianca e grigia di Erika, e le afferrò lo slip.

-Vedi ‘sta maglia? Mo’ci diventa completamente bianca per tutto lo sperma che ci faccio finì.- affermò il ragazzo, e rise. Rise anche l’altro, che si piegò e rimase quasi senza fiato.

Erika, invece, gli guardava solo con disprezzo. Piegò di nuovo le due gambe, per non dare la possibilità che le scalassero gli slip. Lui incominciò a tirargli, e la ragazza contrattaccò con un calcio in pancia. Il ragazzo non si fece nulla, e, con un cenno, ordinò all’amico di schiaffeggiarla di nuovo.

Erika abbassò subito le gambe, e le abbassò anche gli slip. Continuava a piangere, e guardava gli occhi verdi di lui, pensando che probabilmente lo conosceva, pensando che probabilmente, se lo conosceva, perché le stava facendo questo.

Si sentiva impotente e debole, non riusciva a reagire, e l’unica cosa che pensava era quella di chiudere gli occhi. “Prima o poi finirà… Prima o poi qualcuno mi troverà, o mi lasceranno stare, o morirò direttamente, ma almeno non starò più qui dentro…” ponderava dentro di sé, e chiuse gli occhi, ancora gonfi dalle lacrime.

L’uomo si alzò e si avvicinò al tavolo. Era girato e si stava preparando un panino. Da dietro si sentivano soltanto le urla della ragazza, che erano un misto fra il pianto e il dolore fisico che il ragazzo le stava provocando. Il letto tremava, come se ci fosse un terremoto, e il ragazzo, ormai anche senza la maglia, rideva come un pazzo, e ogni tanto dava ad Erika qualche carezza in viso.

Dopo che il panino fu pronto, si voltò verso i due, ma non gli guardò. Fissava il suo sandwich ripieno di pomodori, insalata, salame e qualche altra schifezza. Dopo circa mezz’ora il ragazzo si avvicinò al complice.

-Vai che tocca a te.- affermò.

-No, mo non tengo voglia. Mi voglio fa un po’.- rispose invece l’uomo, che aveva finito il panino.

I due si diressero verso il tavolo e cominciarono a maneggiare la roba.

-Facciamolo anche a lei.- disse poi il ragazzo.

-E basta. Tu stai fissato!- esclamò l’altro, tirandogli una gomitata sarcastica.

-Almeno io la riconosco la bellezza, non come a te che tieni gusti che fanno schifo!- rispose. Preparò una siringa e si diresse verso Erika, che era sfinita sul letto.

-No basta.- mormorò con la poca forza che le rimaneva in corpo. –Ti prego basta, lasciami stare.-

Riprese a scalciare e a muovere le braccia: l’orrore della sera prima l’aveva stravolta, e cercava in tutti i modi di evitare di provare le stesse emozioni, di sentire addosso lo stesso brivido, e, soprattutto, evitare di sentirsi impotente e incapace di fare qualcosa.

Il ragazzo, che oramai era molto infastidito, si lasciò prendere dall’ira. Gettò via la siringa e prese le braccia della ragazza, provando a piegargliele al petto. Ma Erika gli sferrò un calcio potente nella pancia, facendolo indietreggiare di qualche passo.

Si piegò all’indietro e mise una mano sull’addome, per alleviare il dolore. Non riusciva a sopportare il fatto di essere stato “battuto” da una quattordicenne. Afferrò subito un coltello, sporco di qualcosa di marroncino, che si trovava lì a terra.

Il ragazzo lo prese e lo affondò nella coscia dell’adolescente, che diede un urlo straziante.

 

                                                                       ***

 

Il funerale ci fu alle tre del pomeriggio. La ragazza, anzi, le sue ceneri, erano state ritrovate nel bel mezzo del bosco, sotto le macerie di una casa completamente in fiamme. C’era poca gente, tra cui la sua famiglia e tutti i suoi amici, che piangevano tristi la sua tragica morte prematura.   

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1336091