Dark Warden di Gareth (/viewuser.php?uid=239958)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'oscuro angelo in me ***
Capitolo 2: *** La prima possessione ***
Capitolo 3: *** Tutto ciò a cui non ho pensato ***
Capitolo 4: *** Sempre più spesso ***
Capitolo 5: *** Pensiero e Dominazione ***
Capitolo 6: *** "Tu sei diverso" ***
Capitolo 7: *** Uno e un altro ancora ***
Capitolo 1 *** L'oscuro angelo in me ***
DarkShadows in me
Primavera, 1998
Andrea se ne stava seduto sopra l' altalena, l'unica di tutto il
giardino dell'orfanotrofio, a dondolarsi lentamente e ad ascoltare il
cigolio insistente che emetteva, mentre tutti gli altri bambini
giocavano a rincorrersi per tutto lo spazio aperto che gli veniva
offerto.
<<
Perché non vuoi andare a giocare con i tuoi amichetti?
Perché non vai con loro? >>
disse la vecchia suor Cristina, abbassando il volto all'altezza del
viso del bambino.
<< Non sono
miei amici. E poi è noioso, non voglio. >>
gli rispose Andrea dopo aver riflettuto qualche secondo.
<<
Finché te ne stai qui è difficile che diventino
tuoi amici... sicuramente ti divertiresti di più che stare
qui da solo tutto il tempo >>.
<< Non sono
solo: c'è l'altro Andrea >>.
La suora sorrise e poi continuò:
<<
Sì, c'è Andrea. Ma non pensi che anche lui
sarebbe contento se sapesse che giochi con altri? >>
"No, non sarei contento"
<< Non
è vero! Lui vuole che io gli parli! Dice sempre che quando
sto con gli altri lui si sente solo e non può fare niente!
>>
<< E va
bene...Ma resto convinta che dovresti stare un po' più con
gli altri. Se tra dieci minuti sarai ancora qua, ti
trascinerò a forza! >>
"Visto? Che ti avevo
detto? Non ti crede! Non crederà mai a te! Nessuno
crederà mai a te! Solo io ti conosco bene, solo io. Tienilo
a mente!"
<< Non sono
solo c'è l'altro Andrea! >>
La suora sbuffò e si allontanò. Andrea riprese a
dondolare e a bisbigliare a bassa voce:
<< Ma
allora gli altri non hanno l'altro se stesso? È per questo
che nessuno mi crede? >>
"Esatto, solo tu, solo
tu hai me! Ti ho detto che ero l'altro te, ma devi sapere che mentivo
perché era ancora troppo presto! Ora invece sei grande, hai
otto anni! Sei un uomo! E quindi te lo passo dire: io sono il tuo
angelo custode!"
<< Quindi
sei come ha detto suor Francesca...ti occupi di tutte le mie azioni e
quando sono cattive mi dai consigli su come rimediare? >>
"Sì, bravo!
Ma non solo: ti devo sempre proteggere...quella suora in
realtà vuole solo che tu sia come tutti gli altri ma tu, tu
sei diverso! Tu hai me, non hai bisogno degli altri!"
<< Io ho
te...che fortuna! Ma la prossima volta? Come facciamo? Ha detto che non
accetterà più che parli con te... >>
"Non preoccuparti,
staremo al gioco. Così vedrai quanto hai bisogno di me.
Forza alzati"
<< Ok...
>>
Andrea scese dall'altalena e si diresse di corsa verso il gruppo di
ragazzi:
<< Posso
giocare anch'io? >>
<< Tu?
Vattene a parlare da solo tu, Pazzo! >>
disse un bambino con i capelli corti e marroncini e con lui si
aggregarono anche alter ragazzini.
<< Non dite
sciocchezze! Andrea giocherà! È stato tanto
gentile da chiedervelo e voi siete dei maleducati. Chiedetegli sscusa
immediatamente! >>
<< Scusa
Andrea... >>
dissero i bambini in coro con tono strascicato. E cominciarono a
giocare a prendersi. Per qualche momento Andrea si divertì
anche... ma poi il ragazzino che era sotto lo prese:
<< Sei
sotto! Ora tocca a te! >>
<< Va bene!
Adesso vedrete! >>
rispose subito lui allegro e corse a cercare di prendere qualcuno.
"Che cosa stai facendo
sei impazzito!? Devi prendere quel bastardo e fargliela pagare! Forza
va alla ricerca! E smetti di ridere, dannazione!"
<< Ma
perché? Io mi sto tanto divertendo... >>
Bisbigliò lui alla voce interiore.
"Come perché?
non l'hai sentito prima!? Era tra quelli che ti prendevano in giro
prima. Che CI prendevano in giro. Ti ha seguito tutto il tempo per
prenderti. Tu sei stato il suo unico obiettivo!"
<< Ma a me
non pareva proprio che mi avesse seguito... >>
"Sta zitto e corri! Lo
vedi? Prendilo e buttalo a terra! Così ci vendicherai! Se
non lo farai ci prenderanno sempre in giro. Sempre!"
Andrea corse veloce e lo acchiappò e una volta fatto lo
buttò in terra con tutte le forze che aveva in corpo.
<< Ehi! Ma
che fai è un gioco! >>
Gli urlò dietro il bambino.
"Non starlo ad
ascoltare! È una guerra! Ora va giù un con lui e
dagli un pugno. In faccia. Svelto prima che si rialzi!"
Allora Andrea gli piovve addosso e gli diede un pugno. Ma non in
faccia, in pancia. E poi non così forte come avrebbe voluto
il suo angelo.
"Dagliene un altro.
Forza!"
Ma Andrea si rifiutò e il ragazzo si rialzò,
anche se adesso stava piangendo. Un nugolo di suore arrivò a
soccorrere il fanciullo mentre suor Cristina si diresse da lui:
<< Ma cosa
hai fatto? Calmati ragazzo mio! >>
Ma Andrea rispose:
<< Quel
bastardo prima CI ha insultato e poi CI ha rincorso e scelto come
obiettivo! Dovevo vendicarCI! >>
<< O
ragazzo! Sempre con questo plurale! Ma non c'è nessun noi!
Non esiste nessun altro Andrea! Ci sei solo tu! Bambin del Signore, ci
sei solo tu! Vieni con me. >>
La suora lo prese per la mano e lo portò via con
sé poi entrò prima dentro l'orfanotrofio, poi
dentro il suo studio. Chiuse la porta dietro di loro.
<< Bene,
anzi male, Andrea. Ora basta, è da un bel po' di tempo che
vai avanti con questa storia: non c'è nessun altro te. Tu
sei unico, come me e come tutti gli altri ragazzini della tua
età >>
"Infatti io sono il tuo
angelo custode, te l'ho detto"
<<
Sì, ha ragione. Non c'è nessun altro me
>>
<< Mi stai
dicendo che te ne sei reso conto? Così? All'improvviso
>>
<< No, me
l'ha detto lui. Lui non è un altro me, lui è il
mio angelo custode >>
La suora, che per un attimo si era convinta di aver liberato il ragazzo
da quell'ossessione, fece una faccia rassegnata, ma poi
continuò con tono calmo e deciso:
<<
Ascoltami attentamente. Un vero angelo custode non ti direbbe mai di
picchiare un ragazzino. Mai. Quella cosa che hai dentro non esiste. Ti
senti solo e triste e perciò ti sei inventato un amico. Solo
perché non ne hai >>
"Ma che ne
sa questa vecchia di angeli custodi! Fidati di me. Io ci sono, esisto.
Non mi senti forse? Sei sordo?"
<< Ma lui
è con me da sempre! È sempre stato con me
>>
<< Non so
più cosa dirti. Però ora avrai una punizione per
ciò che hai fatto >>
Detto questo lo prese, gli abbassò i pantaloni, e lo prese a
sculacciate. Quando smise, Andrea aveva il sedere dolorante
all'inverosimile.
<< E ora va
ad aspettare gli altri nella camera comune >>
Andrea uscì dalla stanza e si distese sul suo lettino nella
grande camera dove dormivano almeno altri quaranta ragazzini. Era
l'unico a non avere il letto a castello. Inoltre il suo letto era
più distante da tutti gli altri.
"Non ti preoccupare.
Come ti ho detto, nessuno ti crederà mai. E tu non hai
bisogno di loro. Hai me. Peccato solo che tu ti sia tirato indietro
come un codardo nel momento più importante"
Andrea cominciò allora a piagnucolare:
<< Ma
io...io mi stavo divertendo...perché mi hai fatto fare
quella cosa cattiva? Io non volevo... >>
"Cosa stai dicendo? Ti
assicuro che ora nessuno tra quei piccoli mostri oserà mai
anche solo dirci una parola di più del necessario. Se tu
però avessi fatto come ti avevo detto, neanche quella strega
avrebbe osato avvicinarsi...e ora smettila di piagnucolare come una
femminuccia"
<< E
adesso? Che facciamo? >>
Disse Andrea che continuava a essere scosso da singhiozzi e lacrime.
"Non è
chiaro? Aspettiamo. Aspettiamo e decidiamo come fargliela pagare a
quella vecchia..."
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Angolo dell'autore: Questa storia l'ho pensata mentre leggevo Platone.
Non chiedetemi perché... XD
Spero che vi sia piaciuto questo primo capitolo, ma prometto che i
prossimi saranno più interessanti.
Dopotutto, oggi si è trattato di un pugno ma domani... non
per niente ho messo il tag per violenza...
Comunque, cari lettori, che voi abbiate apprezziato o meno questa mia
umilissima creazione, vi invito
a lasciare una recensione. Perché se qualcuno non mi da
retta, mi deprimo... sto scherzando XD
Comunque io concludo con dei fastosi e gioviali saluti,
Gareth
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Capitolo 2 *** La prima possessione ***
Dark Warden 2
Il giorno dopo, Mercoledì
<< Allora? Che facciamo con suor Cristina?
>>
bisbigliò tra sé e sé con voce
innocente Andrea,
il quale, come sempre, era comodamente seduto sopra la "sua" altalena.
Stavolta, al contrario di tutte le volte
precedenti, suor Cristina non aveva perso tempo a cercare di
convincerlo a raggiungere gli altri ragazzini e giocare un po' con
loro, dal momento che sapeva che non l'avrebbero fatto rientrare nel
gruppo così presto a causa del fatto avvenuto il giorno
prima.
Era un pomeriggio ventoso e tutti erano a godersi il fresco che
sembrava aver fermato il susseguirsi di giornate sempre più
calde in quella primavera. Gli altri ragazzi stavano correndo e
giocando come sempre mentre c'erano tre suore sedute su delle sedie a
ridosso dell'edificio, a qualche decina di metri dai bambini.
"Per ora niente. Finché non mi verrà in mente
un'idea
abbastanza buona non le faremo niente. Ascoltami piuttosto, andiamo a
giocare con gli altri"
<< Ma come? Proprio ora che abbiamo fatto di tutto per
stare un po' da soli a parlare... >>
"Appunto! Ora nessuno si aspetta che rientriamo nel gruppo ed
è
per questo che noi dobbiamo farlo! Fai quello che ti dico,
non ho tempo per parlarne. Ti ricordi che sono il tuo angelo custode?
Faccio di
tutto per il tuo bene ma sembra quasi che tu voglia stare male...fidati
di me"
<< Scusami... hai ragione tu... >>
"Da bravo, ora alzati"
Andrea si alzò immediatamente e si avvicinò agli
altri
che ora lo guardavano tutti. Alcuni erano spaventati e preoccupati di
quello che sarebbe potuto succedere, altri invece lo fissavano con
occhi ostili.
<< Posso giocare con voi? >>
chiese con voce dolce Andrea. Ora le suore osservavano curiose la
marmaglia di ragazzi che, memori del precedente avvenimento, non
osavano dire nulla. Solo uno, il più grosso di tutti, gli
disse:
<< Ti aspetti che ti facciamo giocare con noi solo
perché
fai paura? Beh, noi non abbiamo paura! E ora vattene, stupido moccioso
che parla da solo!
>>.
Quel ragazzo doveva sicuramente essere più pesante di almeno
dieci chili rispetto ad Andrea.
<< Cavati, grassone! Perché non te ne vai tu!?
>>.
Dopo aver pronunciato quelle parole, Andrea sentì dapprima
un
grugnito e dopo un colpo parecchio pesante sulla tempia. Si
accasciò a terra mentre sentiva le risa di scherno del
ragazzo. Presto accorsero le suore.
"Alzati! Che fai qua a terra!? Alzati e reagisci!"
Ma Andrea sentiva davvero tanto dolore e aveva ormai incominciato a
piangere.
Le giovani suor Francesca e suor Teresa si presero cura di lui
mentre suor Cristina, come sempre, si avvicinò al
monello
di turno e lo trascinò per un orecchio dentro l'edificio,
evidentemente diretta verso il suo ufficio.
Gli venne dato del ghiaccio per attenuare il dolore mentre le suore gli
sussurravano le solite parole di rito: -non badare più a
quel
ragazzo- -non rispondere anche se ti provocano- e così via.
"dannazione, dannazione, DANNAZIONE! Cosa facciamo qua? Dovremmo
pestare quel tipo! Ma adesso vedrà cosa gli faremo!
Vedrà
e non lo dimenticherà più per tutta la vita!"
Più tardi lo accompagnarono al suo letto, quello
più
isolato fra tutti, per riposare un po' e suor Francesca gli chiese:
<< Vuoi che rimanga un altro po' con te? >>
Andrea, ancora con le lacrime agli occhi, ci rifletté sopra
qualche secondo.
"Certo che no! Anche ci pensi!'"
<< No, voglio stare un po' da solo >>
infine rispose.
<< Ok, ma non preoccuparti di Marco, quel ragazzo, non ti
farà più nulla e penso che dopo ti
chiederà anche
scusa >>
disse con un sorriso molto dolce suor Francesca.
"Al diavolo le sue scuse! Gli faremo vedere domani!"
Dopo che suor Francesca uscì dalla stanza e chiuse la porta,
Andrea, singhiozzando, parlò sottovoce come era
solito fare tra sé e
sé:
<< Ma...ma come facciamo no..noi a batterlo!?
È molto più grosso di me! >>
"Non esistono solo i pugni a questo mondo, ci sono cose ben
peggiori...si possono usare delle armi: un pezzo di legno, un
coltello.."
<< Che..che hai intenzione di...di fare? >>
"Domani seguiremo quello che fa per tutto il giorno e sapremo quando
è solo. Allora faremo qualcosa"
Più tardi Marco gli chiese anche scusa, proprio come aveva
detto
suor Francesca. Ma la sua parlata tradiva un leggero sentimento di
obbligo nel dover chiedere perdono: come prevedibile, gli scapaccioni
di suor Cristina erano stati convincenti.
Tre giorni dopo, Sabato, ore 5.00
Andrea si trovava dentro l'orfanotrofio al primo piano. L'orfanotrofio
era un edificio quadrangolare di due piani con stanze e aule a fianco
nei quattro corridoi. Ogni corridoio corrispondeva ad un lato della
struttura così, percorrendoli tutti, si ritornava al punto
di
partenza. Ancora prima di essere un orfanotrofio era una
scuola elementare dunque la sua struttura era molto simile a quelle
solite degli edifici adibiti all'istruzione.
Era un edificio piuttosto carino: fuori era di colore giallo ocra e
rosa, mentre all'interno, al piano terra, i quattro corridoi avevano
tutti un colore diverso: l'entrata principale ti portava immediatamente
nel corridoio rosso che era ricco di decorazioni disegnate e messe a
punto dai bambini e allo stesso tempo privo di aule; proseguendo verso
sinistra e poi girando ovviamente a destra si entrava nel corridoio
giallo dove c'era il bagno più
nuovo e grande e altre quattro aule dedicate all'insegnamento
mattutino; alla fine del corridoio l'unica strada da percorrere era
quella a destra che conduceva nel corridoio verde ove c'erano le scale
che conducevano al secondo piano (di cui parlerò un'altra
volta), il temibile ufficio di suor Cristina e il primo dei dormitori
dei ragazzi dove si trovava anche il letto di Andrea; infine il
corridoio azzurro aveva ben due aule per il laboratorio di arte, un
aula molto grande, detta aula magna, che fungeva come mensa, la cucina
e un bagno, più
vecchio e più piccolo rispetto all'altro.
Andrea si trovava nel punto in cui il corridoio rosso girava e si
entrava nel corridoio giallo. Se ne stava lì come ad
aspettare
di nascosto che qualcuno entrasse nel corridoio rosso e quindi
nell'edificio: aveva infatti tutto il corpo nel corridoio giallo tranne
l'occhio destro che era nel corridoio rosso intento a
sbirciare l'arrivo di qualcuno. Con sé nella mano sinistra
portava una borsetta di
plastica con alcuni strani oggetti mentre nella
mano destra aveva un pezzo di legno, probabilmente residuo di una scopa
spezzata.
"Allora Andrea, ripassiamo il piano: aspettiamo il grassone e quando lo
vediamo corriamo verso il bagno, ci nascondiamo nel suo gabinetto
preferito ma lasciamo aperta la porta e a quel punto..."
Il giorno precedenti avevano infatti scoperto la strana mania di Marco.
Era
solito andare in bagno da solo e guai a chi osava accompagnarlo! E non
è finita qui perché sceglieva sempre la stessa
identica
cabina. Sempre la stessa! Avevano passato tutto giovedì a
osservarlo e
avevano scoperto la strana paranoia del ragazzo. Venerdì ne
avevano avuto anche la conferma.
All'angelo dev'essere
balzata in mente una grande idea la sera di Giovedì, aveva
pensato Andrea, dato che aveva avuto un'idea tanto precisa di tutti gli
oggetti che gli aveva detto di prendere
in prestito e che gli sarebbero serviti.
"Comunque, chiunque sia quello che verrà per primo per
andare in
bagno, dovremo correre per chiuderci dentro uno stanzino: non dobbiamo
farci vedere con questa roba. Qualcuno potrebbe pensare che stiamo
facendo una cattiva azione mentre in realtà ne stiamo
facendo
una buona, fidati di me".
Fortunatamente per loro, come prevedibile e come era solito fare a
quell'ora, Marco varcò l'entrata dell'edificio
colorato e
Andrea, che lo vide subito, si affrettò a raggiungere il
bagno.
Lo stanzino era piccolo ma sufficientemente largo per permettergli di
nascondersi a fianco della porta. Si nascose e aspettò
l'arrivo
del ragazzino. I passi di Marco erano notevolmente pesanti e le sue
movenze sgraziate. In questo modo Andrea percepiva il suo avvicinarsi e
i suoi passi sempre più rumorosi.
La porta scricchiolò e Marco fece un passo dentro lo
stanzino.
"Ora!"
Un rumore sordo colpì il ragazzo sulla nuca. Il ragazzo
crollò a terra come un peso morto e Andrea esultò
silenziosamente.
"Sei stato bravo, davvero bravo. Ora tiralo su e fallo sedere. Non mi
interessa se è pesante".
Il corpo era davvero pesante e Andrea dovette farsi forza per
sistemarlo sopra il water.
"Ora tira fuori le funi
e legalo: fai
esattamente come ti dico. Segui le mie istruzioni e non
riuscirà
mai a liberarsi. Ma prima togligli la maglietta".
Andrea eseguì tutte le direttive del suo angelo. Alla fine
il
ragazzo era legato in tre punti: al collo, alle mani dietro la schiena
e ai piedi con il gabinetto. Non poteva di certo muoversi. La corda non
era stato facile trovarla e rubarla ma in qualche modo era riuscito a
sottrarla alla palestra che si trovava al secondo piano. La corda era
quella utilizzata per il salto, per l'appunto, con la corda.
"Ora mettigli lo scotch sulla bocca"
Gli fece passare lo scotch che aveva trovato facilmente nello stanzino
delle scope insieme al pezzo di legno attorno alla bocca e fece due
giri per sicurezza.
"Bendagli gli occhi"
Sicuramente la benda era stata la cosa più facile da
procurarsi: gli era bastato rubare un panno.
"Bravo, ora tira fuori
il coltello. Vedrà che bel regalino gli facciamo..."
Andrea infine tirò fuori l'arma. Era stato sicuramente la
cosa
più difficile da procurarsi: a mensa infatti venivano
distribuiti esclusivamente coltelli di plastica e l'unico posto dove
avrebbe potuto trovarne d'acciaio era senza ombra di dubbio la cucina.
In cucina però c'era sempre suor Diana, la cuoca, che non
lasciava mai la cucina se non per andare a dormire. E, siccome la porta
del loro dormitorio veniva sempre chiusa a chiave di notte, dovette per
forza andarci di giorno. Per farla addormentare aveva dovuto anche
rubare una pasticca di sonnifero a suor Martina, che soffriva di
insonnia, metterla nel suo tè pomeridiano di nascosto, una
cosa
molto rischiosa, e aspettare che facesse effetto. A quel punto aveva
dovuto semplicemente prendere il coltello in fretta e fuggire via senza
farsi notare da nessuno. Ne aveva preso uno affilato e sottile, molto
sottile. Tutti questi strumenti li aveva presi il pomeriggio del giorno
prima, Venerdì.
"Ora incidi sul petto!
Sulla carne!"
<< Io...non
ce la faccio... >>
"Non ce la fai? NON CE
LA FAI!? Ti ho
detto che devi fidarti di me! Fidati di me! Incidi! INCIDI! Sai come si
fanno le stelle? Fai una stella...da bravo... però falla al
contrario, al CONTRARIO!"
Andrea cominciò a piagnucolare ma poi provò lo
stesso: si
fece coraggio e spinse la mano, spinse il polso e, così
facendo,
spinse il coltello sulla carne.
Il bambino si svegliò di soprassalto per il dolore. Dal
petto
era uscito del sangue e il bambino scalciava e urlava. Per modo di dire
visto che aveva i piedi immobilizzati e lo scotch non gli permetteva di
far uscire neanche un suono dalla sua bocca. Comunque il suo busto si
muoveva e rendeva difficile l'uso del coltello. Andrea si
allontanò dal corpo.
"Cosa fai!? Attaccalo!
ATTACCALO!"
Ancora una volta Andrea fece un respiro forte e provò ad
avvicinarsi. Tremava come una foglia e i suoi respiri erano affannosi.
Ma ad un certo punto si calmò. Con presa salda
avvicinò
il coltello al petto e, con estrema abilità,
disegnò un
pentacolo rovesciato.
Il sangue scivolava su tutto il corpo del grassone che,
ormai, era svenuto.
Andrea si lasciò sfuggire un sorriso. Ma forse quello non
era
Andrea. Quel ghigno dipinto sul volto non poteva appartenere a un
bambino di otto anni. Ma soprattutto, non gli potevano appartenere
quegli occhi neri, neri con delle misteriose sfumature violacee.
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Angolo dell'autore: Uff! Che fatica scrivere questo capitolo! Spero di
essere stato abbastanza inquietante... XD Mi sono un po' messo
all'opera per far avvenire qualcosa di macabro. Ah, ma non pensiate sia
un satanista solo perchè ho messo un pentacolo rovesciato!
;-)
Comunque volevo ringraziare tutti i miei recensori per il supporto e i
complimenti! Spero che, se questo capitolo vi è piaciuto, mi
recensiate positivamente mentre, se questo capitotolo non vi
è
piaciuto, mi recensiate o neutralmente o negativamente dicendomi dove
devo migliorare. Tanti orgogliosi e felici saluti, Gareth
|
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Capitolo 3 *** Tutto ciò a cui non ho pensato ***
Dark warden 3
Tre quarti d'ora più tardi
L'ispettore era stato immediatamente avvisato dell'accaduto e
così si era diretto subito verso l'istituto. L'ispettore
Mascarpini era una figura che instillava sicurezza: ventre
tondeggiante, baffi da gran signore, capigliatura castana, occhi
marrone scuro e lineamenti austeri che si confacevano al suo lavoro.
Portava un soprabito beige che gli copriva tutto il corpo e gli
conferiva un aria da investigatore e le sue scarpe somigliavano a
grossi scarponi. La mania di indossare il pesante soprabito gli era
venuta quando aveva sentito suo figlio dire che i soprabiti sono
"ganzi" perché li aveva visti in un recente telefilm di
fantascienza: così gli era venuto il pallino di imitare
questo
fantomatico attore, sebbene non ci somigliasse per niente.
Però
bisognava ammettere che ci stava da dio sulla sua imponente figura.
Circa alle sei si trovava di già all'orfanotrofio dopo
essere
stato accompagnato da una volante della polizia. Era rimasto un po' di
stucco quando aveva sentito dell'accaduto e aveva cercato di trovare il
metodo più efficace di trovare il colpevole. Le sue ipotesi
erano tre fino ad ora: la prima e più probabile era che si
trattasse di un pazzo satanico esterno all'orfanotrofio che aveva
voluto marchiare un povero ragazzo, la seconda che fosse stata una
suora in preda a crisi mistiche, la terza un altro ragazzo
dell'istituto con problemi di adattamento. In ogni caso si trattava di
un folle, poiché nessun sano di mente avrebbe mai potuto
fare
una cosa simile. Probabilmente la scientifica avrebbe comunque trovato
il colpevole il giorno dopo. Infatti il ragazzo, Marco Rivobello, era
stato trovato da una suora in stato di incoscienza legato con corde e
scotch e le armi del misfatto erano state lasciate lì, in
bella
mostra, macchiate di sangue e quant'altro. Ma l'ispettore
Mascarpini era un tipo che odiava sottomettersi alle
tecnologie
ed esserne dipendente: quand'era piccolo era uno di quelli che sognava
essere il nuovo Holmes o il novello Poirot e voleva dimostrare a
sé stesso di essere in grado di risolvere dei casi con il
solo
proprio ingegno. Dopotutto amava quando gli altri gli facevano
complimenti, anche se ciò non avveniva più come
una volta
quando era giovane e tutti lo guardavano come un genio: lui ora era un
cinquantenne con esperienza e sembrava che l'esperienza e la vecchiaia
giustificasse ogni sua brillante deduzione.
Aveva comunque deciso di fare la sua sfida contro il tempo: chi avrebbe
trovato prima il pazzo? Il suo romantico ingegno poliziesco o la
squallida tecnologia senza poesia?
Erano ormai le sei e mezza quando, dopo aver atteso che la scientifica
trovasse delle tracce nel bagno e aver parlato sommariamente con la
dirigente, suor Cristina, prese la sua decisione, ossia interrogare
prima alcune suore e poi i ragazzi più vicini alla vittima.
Perlomeno avrebbe tratto qualche indizio.
Un'ora più tardi
Andrea era nella sala comune con tutti gli altri ragazzi sapendo, a
differenza di tutti gli altri, tutti i particolari di quello che era
successo: Le suore si erano lasciate sfuggire che Marco era stato
aggredito e le voci correvano per tutta l'aula magna piene di
congetture o accuse.
"Non ti preoccupare, non
ci possono beccare finché non glielo diciamo noi. Potranno
anche accusarci ma non potranno mai incastrarci. Hahahahahaha!"
<< Ma... ne sei sicuro? >>
bisbigliò a voce bassissima Andrea. Si trovava come sempre
isolato e in fondo alla mensa e gli altri giravano al largo da lui.
"Ne dubiti? Spiegami tu
come farebbero allora!"
<< Ok hai
ragione ma... non farlo più d'accordo? >>
"Fare cosa? Ah, ho
capito! Tu ti riferisci ancora a quello! Ne abbiamo già
parlato ricordi?"
<<
Sì ma...ho avuto tanta paura, angelo custode...
>>
"Non avevi paura di
quello, avevi paura di un po' di sangue e basta! Se non l'avessi fatto
io non saresti andato fino in fondo!
Sono qui per aiutarti, te lo ricordi? Se non l'avessi fatto io non
l'avresti fatto e quindi tutta la tua fatica sarebbe andata in fumo.
Volevi questo?"
<<
No...ma...avevo così
freddo e così buio ed era come se stessi per cadere nel
vuoto,
non potevo più muovermi... hoavuto tanta tanta paura, mi
capisci? Ma tu come fai a stare là? >>
"Io ci sono abituato e
poi sono il
tuo angelo custode, io soffro per te, io patisco per te. È
il
mio dovere. Ora però sai comemi sento e perché
qualche volta mi arrabbio"
<< Ok,
scusa, angelo custode...ma poi sono fuggito via...ho fatto bene no?
>>
"Sì,
perlomeno hai trattenuto
le lacrime fino al dormitorio, anche se te l'ho consigliato io. Ho
notato che stanno chiamando uno a uno qualche ragazzo,
chissà che non chiamino anche noi: forse ci sarà
da divertirsi. Hahahahahaha!"
<< Ma io ho
paura... >>
"Se succede qualcosa tu
fa' parlare me d'accordo? Non hai nulla da temere: ci sono qua io con
te"
<<
Sì...ma perché
ci devono interrogare? Noi non abbiamo fatto nulla di male...ci siamo
solo vendicati >>
"Esatto! Vedi che lo
sai? Questo
è lo spirito! Noi ci siamo solo vendicati, sono loro che
fanno
di tutta l'erba un fascio: se quel grassone non ci avesse infastidito
non sarebbe successo nulla."
<< Suor
Cristina sta venendo verso di noi...tutti ci guardano...ci hanno
scoperti, angelo custode, lo sanno! >>
"Vuoi stare zitto!? Cosa
ti ho detto? DIMMI COSA TI HO DETTO!"
<< Che non
ci possono scoprire...ma... >>
"Niente ma! Sono stati
quei fottuti amici di quel ciccione a fare il nostro nome ma non hanno
prove ti dico, non hanno prove! Tu sta' zitto e fa' quello che ti dico:
segui la vecchia"
Suor Cristina si avvicinò al suo tavolo e disse:
<< Su,
Andrea, muoviti e seguimi che un signore vuole solo farti qualche
domanda >>
Andrea stava per essere preso dal panico.
"STAI CALMO. Non
piangere, bastardo, non piangere. Se piangi va in malora tutto. stai
calmo e fa' come ti dice"
Andrea cercò di trattenersi e seguì la donna.
Suor Cristina lo portò nel suo ufficio dove lo aspettava,
serenamente e comodamente seduto, l'ispettore Mascarpini, il quale lo
invitò a sedersi. La suora si sedette su una sedia
lì
vicina. Una volta seduto Andrea, l'ispettore prese a parlare:
<< Prima di
tutto le
presentazioni. Io sono l'ispettore Mascarpini. Non sono tuo amico e,
anche se ciò non significa chesia tuo nemico, voglio che tu
mi dia del lei. Compreso? >>
Andrea fece cenno di sì con la testa.
<< Bene. Tu
devi essere Andrea. Devi sapere, Andrea, che è successo un
brutto fatto in questa scuola. >>
"Dicono che qualcuno
abbia fatto del male al mio amico Marco. Su, diglielo"
<< Dicono
che qualcuno abbia fatto del male al mio amico Marco >>
<<
Sì, è
così: l'hanno aggredito. Strano che tu lo chiami amico, i
tuoi
amici mi hanno detto che tu non ci vai molto d'accordo >>
<< Non sono
miei amici! >>
rispose di getto Andrea senza pensarci.
"Idiota, idiota, idiota!
Cosa ti
avevo detto!? Fa' quello che ti dico! Dannazione! Digli che
c'è
stata una scazzottata tra divoi ma poi non è successo nulla,
che avete fatto la pace >>
<< Comunque
con Marco mi sono picchiato, ma poi c'ho fatto la pace >>
disse allora titubante il giovane. Allora Mascarpini prima si
alzò, poi cominciò a passeggiare su e
giù per la
stanza.
<< Ah
sì? Sorella, è vero che hanno fatto la pace?
>>
<< Non li
ho mai visti fare la
pace ma non lo escludo, mica posso averli tutti di vista:
l'orfanotrofio è grande >>
disse la suora dopo averci pensato qualche secondo. L'ispettore allora
proseguì:
<< Dunque,
Andrea, ho chiesto a
tutti gli amici di Marco chi secondo loro è stato. Li ho
interrogati separatamente e sai cosa mi hanno detto? Che sei stato tu.
Sempre tu, sempre il tuo nome. Mi hanno anche detto che tu non c'eri in
giardino >>
Ma la suora intervenne nel mezzo della conversazione:
<< Questo
non c'entra, ognuno poteva muoversi tra il giardino e la mensa
>>
<< Ma non
è stato visto
nemmeno là. Mi sono informato. Andrea, dove sei stato tra le
quattro e mezza e le cinque e mezza >>
"Nel dormitorio. Svelto!
Questo è furbo!"
<< Nel
dormitorio. Sto sempre da solo >>
<< Non
è possibile, stai
mentendo, c'era suor Teresa nel dormitorio. Ora lo so, dimmi come hai
fatto. Come hai fatto e perché >>
"Non può
incastrarci, ricorda, non ha le prove! Le prove! Mancano le prove!"
Andrea cercò di mantenere la calma.
<< Non sono
stato io. Non avete le prove >>
L'ispettore si mise a ridere e poi parlò:
<< E a cosa
credi che serva la
scientifica? Io trovo i criminali e la scientifica dimostra che sono
loro! Andrea sei stato tu, questo lo sappiamo entrambi, giusto? No? non
lo sei? Va bene, ti racconterò una cosa >> e
poi continuò
<< Devi sapere
che tutti quelli che fanno dei crimini vanno in prigione. Ma tu non
andrai in prigione. Sai perché? Perché disegnare
quel simbolo sulla carne viva è da psicopatici. E lo rende
ancor più pazzesco il fatto che tu sia solo un bambino.
In poche parole tu andrai in un centro speciale, per
bambini...speciali, sì dev'essere la parola giusta.
Lì
non hai la più pallida idea di quello che fanno ai bambini
come te. Non starai mai solo: ci sarà sempre qualcuno vicino
a te che ti segue e cerca di parlarti. Gente pagata per farlo che non
demorde e non ha paura di niente. So che ti piace stare da solo non
è vero? >>
"Sta mentendo! La
scientifica o qualunque cosa sia non ti può incastrare! Come
fa? Eh? Magia? Ragiona, Andrea! E stai calmo, ho la situazione in pugno"
Ma Andrea, ormai, era sotto l'ipnosi dell'uomo e gli urlò
contro piagnucolando:
<< No, non
ci voglio andare! NO! Fatemi rimanere qua, vi prego. non sono stato IO!
>>
<< Andrea,
Andrea, Andrea...
è inutile negare ormai...ma c'è una cosa che
posso fare
per te. Mettiamo che tu confessi: dopotutto si tratterebbe solo di un
caso isolato e se ti senti in colpa vuol dire che non sei pazzo per
niente quindi potresti rimanere qui, sempre se ti va >>
<<
D'accordo, va bene, sì
sono stato io. È che Marco mi ha picchiato e mi ha fatto
tanto
male...dovevo fargliela pagare... >>
<< Visto
sorella? E lei che era
sicura che non fosse possibile. Bene, il caso è risolto,
lascio
a lei il compito di star vicino al ragazzo, d'accordo? >>
<< Certo,
certo >>
rispose con tono sommesso suor Cristina, un po' sconvolta dal'esito
della situazione. Chi l'avrebbe mai detto che uno dei suoi ragazzi
fosse capace di simili crudeltà? Suor Cristina si sentiva
tutto
il peso della faccenda sulle spalle: a chi poteva essere affibiata la
colpa? Senz'altro era lei che doveva osservare il ragazzo. Aveva
sottovalutato questa sua schizofrenia e ora probabilmente il ragazzo
sarebbe stato seguito sempre da uno psicologo. Chissà, forse
gli
avrebbero dovuto pure far cambiare stanza. Per quella notte lo avrebbe
fatto dormire in una camera a parte.
<< Vieni
Andrea, seguimi che ora ti mostro dove dormirai stanotte.
Così parleremo un po' da soli.
<< Va bene
>>
Disse Andrea che ora era esploso e stava piangendo a dirotto.
"Semttila di piangere!
SMETTILA DI
PIANGERE! Dannazione, che cazzo credevi di fare? Per colpa tua tutto
è rovinato! E solo per quelle quattro parole di quel demente
ispettore! Era ovvio che stesse bluffando, OVVIO! E tu ci sei
cascato?Fai ridere, sul serio...non ho parole"
Nel frattempo Mascarpini se ne era uscito di fretta dalla stanza dopo
aver compilato qualcosa su alcuni fogli.
Nel frattempo Andrea continuava a piangere e a nulla valevano le
rassicurazioni della suora che, cercando di fare una faccia tranquilla,
lo conduceva su per il secondo piano.
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Angolo dell'autore: Eccomi tornato nel mondo dei vivi con questo
capitolo! Scusate se non ho potuto farlo prima ma prendetevela con la
mia professoressa che è sadica e pallosa...
Comunque, ecco qua un capitolo senza sangue! (ecco che arrivano gli
insulti di chi mi legge solo per questo... XD). Spero vi sia piaciuto e
in realtà non ho altro da dire :) comunque
rinnovo la mia richiesta di lasciarmi correzioni, recensioni (anche
negative se volete) e magari anche incoraggiamenti, che, vi assicuro,
non fanno mai male. :D Grazie per aver letto
la mia umile opera e Au revoir!
P.S. : forse il prossimo capitolo lo pubblicherò tra qualche
giorno o comunque non più tardi di una settimana.
Con gaudio, Gareth.
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Capitolo 4 *** Sempre più spesso ***
DarkWarden4
Suor Cristina condusse Andrea per le scale che portavano al piano
superiore. Non era la prima volta che Andrea si trovava là e
sapeva esattamente come era decorata la struttura: c'erano molte meno
decorazioni che nel piano terra e i muri erano tutti color giallo, un
po' spento a causa della mancanza di riverniciatura, e c'erano qua e
là dei disegni giusto per cercare di dare un po'
di
vivacità all'ambiente, ma servivano a ben poco e, anzi,
conferivano all'ambiente un aspetto malinconico. Come il piano
inferiore, era composto da quattro corridoi con le loro rispettive
aule.
Si fermarono davanti ad una delle tante camere che avevano incontrato
proseguendo intorno alla struttura. Questa camera però era
più spaziosa delle altre che servivano per le suore, delle
camere che assomigliavano più a celle e che venivano
utilizzate
quasi esclusivamente nelle ore notturne quando ci si addormentava. La
vita delle sorelle era piuttosto ripetitiva e monotona o almeno questo
lo avrebbe giudicato un esterno, una persona che non ne conosceva
l'ambiente. Ma per loro stare a contatto con i ragazzi era sempre un
esperienza nuova, così dicevano. La fondatrice, suor
Cristina
Torrini, insieme ad un gruppo di altre suore disposte a tutto, aveva
impiegato tre anni di lotte e sacrifici, scioperi della fame e
proteste, e tutto per trasformare la vecchia e abbandonata scuola
elementare "Carducci" nell'orfanotrofio "MelaBianca". E molte erano
coloro che erano rimaste lì dentro fino a quel momento e
alcune
che ci erano morte. E tutte loro erano d'accordo quando dicevano che
vedere un bambino crescere e superare i propri difetti era la cosa
più bella che si potesse mai vedere in vita e l'orfanotrofio
dava loro la possibilità di assisterne più di
cento. E in
nome di questi pensieri suor Cristina si sentiva in dovere di aiutare
quel ragazzo, in nome di queste gioie avrebbe voluto vedere anche lui
crescere e diventare un ragazzo forte e robusto come gli altri e magari
avrebbe voluto piangere il giorno in cui lui si sarebbe allontanato,
divenuto ormai grande. Ma sentiva che avrebbe dovuto fare qualcosa, le
cose non sarebbero cambiate da sole: troppe volte aveva concluso che
era un male passeggero, troppe volte era stata convinta che le cose si
sarebbero sistemate da sole; ora ci avrebbe provato sul serio.
<< Questa
sarà la tua camera per questa notte, Andrea >>
<<
Perché non posso dormire nel mio letto? >>
<<
Perché Marco era amico di tutti, Andrea, e tu gli hai
fatto del male. Ora non prendertela se i tuoi compagni probabilmente ti
guarderanno
o ti tratteranno male >>
disse la suora ad Andrea per tagliare corto.
<< Vai,
siediti sul tuo nuovo letto >>
Andrea si sistemò e, non appena si sedette, anche la suora
si accomodò vicino a lui cingendogli le spalle con un
braccio.
<< Andrea,
ora mi devi raccontare tutto >>
"Non dirgli niente di
me. Tanto ti crederebbe solo pazzo. Hai fatto tutto da solo. Ringrazia
che ti ho già perdonato per quello che hai appena fatto: non
sarò così buono la prossima volta, hai capito?"
<< Mi sono
vendicato >>
Disse Andrea con un certo timore. La sua faccia tradiva il nervosismo e
la paura data dalla situazione.
<< E lo
ritieni una cosa giusta? Non te ne penti ancora? Andrea,
Andrea...dimmi: eri da solo o...c'era "l'altro Andrea" lì
con te? >>
<< Ero solo
>>
<< Non
mentirmi, Andrea. Lo sai cosa faccio se menti >>.
"TU ERI SOLO. Continua
così."
<< Andrea,
so che tu menti. Tu sei convinto che...lui...ci sia, esista. Ma non
è così, lui è frutto della tua
immaginazione! Noi siamo vivi, noi! La senti la mia mano? È
calda perché c'è vita. Invece sono convinto che
lui è freddo vero? Questo significa che è morto.
>>.
Suor Cristina aveva nel frattempo posato la propria mano sopra la sua e
poi l'aveva stretta forte.
"Oh, sì
certo, come no. La senti, Andrea, la mia voce? Non è
altrettanto confortante e, a suo modo, calda? Quante volte l'avrai
sentita? Quante volte? E i morti parlano? Dai, Andrea, non siamo
sciocchi. Lei è come tutti: credono solo a ciò
che vedono"
<< In
effetti è freddo ma... >>
E Andrea ricominciò a piagnucolare.
"Madonna Andrea, quanto
sei stupido! Non ho parole veramente..."
<< Vedi? Se
tu non vorrai che esista non esisterà. Desideralo
>>
"Fai pure, Andrea. Sono
qua che aspetto. Pfffffff..."
<< Ma io
sento la sua voce, la sento anche ora...la sento sempre, non smette mai
e...ho paura. Io ho paura >>
<< O
cucciolo, vieni qua... >>
Suor Teresa lo strinse forte. Il suo abbraccio era caldo e profumato e
Andrea per un momento credette di essere felice. Era felice. In
quell'istante passò, dopo molto tempo, un barlume di
contentezza e spensieratezza e le sue lacrime cessarono. Ma poi
ripresero a scorrere. Perché sentiva ancora quella voce.
"CHE DIAVOLO FAI!?
SPINGILA VIA! SMETTILA! SMETTILA! ALLONTANALA SUBITO! AAAAAAAAAHHHHH!"
Andrea la respinse. La prese anzi per il collo e poi, con una forza che
il suo debole copicino non avrebbe dovuto disporre,
scaraventò suor Cristina a terra, la quale battè
la testa e svenne. Ma prima di perdere conoscenza questo fu il
suo ultimo pensiero: "Ma Andrea ha sempre avuto quegli occhi neri?".
Già, aveva visto il sorriso che gli si era stampato sui quei
suoi grandi occhi neri. Un sorriso che, proprio come il ghigno, diceva:
"ti uccido".
Il giorno dopo, ore 14.30
Il dottore si trovava dentro ad un taxi."Dannate auto...ti lasciano a
piedi quando ne hai bisogno" e poi il suo pensiero si estese "come le
fidanzate, tra l'altro". Quel taxi era stato un colpo di fortuna: si
era trovato in tasca il biglietto proprio quando si era convinto che la
macchina non sarebbe più partita. Una fortuna nella
sfortuna, come si suol dire. Ma il disastro più grande ora
era che Kelly l'aveva lasciato. Cinque anni insieme per cosa poi?
finirla con un messaggino? Non l'avrebbe permesso. Ecco
perché aveva organizzato quella cena: per capire le sue
ragioni e cercare di rimediare e riconquistarla...ma era stato un
fiasco, un terribile fiasco. Appena Kelly era arrivata al ristorante la
sera prima, tra l'altro in ritardo, gli aveva fatto capire che non
avrebbe mai più voluto vederlo. Sì, era stata
decisamente esplicita: "Sei troppo fottutamente impegnato coi tuoi
fottuti amichetti matti per preoccuparti per me! Beh, sai che ti dico?
Fottiteli!".
E quando lei era fuggita via ritornando al taxi da cui era scesa che
gli era caduto dalla tasca, per l'appunto, il biglietto di quel taxi.
Dopotutto aveva ragione lei: negli ultimi mesi aveva seguito
più pazienti lui che il dottor house durante tutta la durata
delle varie serie, senza contare che sua madre era morta, suo padre in
stato terminale di Alzheimer e, nonostante tutto il lavoro, fosse
indietro con l'affitto mensile. Ma forse, tra tutti, questo era il
fatto meno rilevante. Così lui aveva effettivamente
trascurato leggermente la ragazza -anzi la donna, ormai non erano
più ragazzini- e lei, evidentemente, si era trovato
qualcun'altro. Che molto probabilmente la soddisfava maggiormente, se
capite quello che intendo.
Stava fissando il conducente del taxi: sembrava più giovane
di lui ma forse lo traeva in inganno il fisico, senz'altro invidiabile
e sicuramente dovuto ad una certa attività fisica periodica,
che, come si sa, ringiovanisce il corpo. Ora che ci pensava forse era
il conducente che aveva portato via Kelly la sera prima...e
probabilmente era così, dopotutto il foglietto era scivolato
dalla tasca di Kelly. Sembrava nervoso, però. Stava sudando
infatti nonostante la frescura di quel giorno e nonostante indossasse
abiti tutto sommato leggeri...va beh, non erano affari suoi.
Il viaggio proseguì tranquillo e senza intoppi.
Riuscì ad arrivare in tempo al luogo destinato e
ringraziò il tassista pagando, oltre ai soldi convenzionali,
anche una mancia e procedette tranquillo verso l'edificio giallo ocra e
rosa.
Gli vennero incontro alcune suore e prese a parlare quella che appariva
più giovane. E anche la più bella,
pensò il dottore:
<<
Benvenuto, lei dev'essere il dottor Franchi. Piacere, io sono suor
Francesca. Prego, da questa parte >> e lo
condussero all'interno dell'edificio, poi continuò: << Come
saprà già il bambino soffre di quella che
pensiamo sia una forma di schizofrenia. Si è creato un amico
immaginario e sembra che questo gli suggerisca di fare quelle
cose...beh, gliel'avranno già detto, immagino
>>
<< Si
giustifica dicendo che non è stato lui ma un altro che
gliel'ha suggerito, ho capito >>
Allora concluse il dottor Franchi.
<<
Sì, ma lui dice che l'ha fatto per vendetta...ma non
è normale che un bambino usi queste parole, vede. Di solito
dicono: "ha comincito prima lui" o giù di lì. Ma
non ho mai sentito un bambino dire: "l'ho fatto per vendetta".
È una cosa strana >>
Il dottor Franchi annuì allora un po' perplesso. Una volta
salite le scale e giunti al secondo piano, si fermarono davanti ad una
porta chiusa:
<< Bene,
è qui dentro. Le auguriamo buona fortuna >>
<< Grazie
molte. Ora proseguo da solo >>
Il dottor Franchi entrò nella stanza. Tutto ciò
che vide era un bambino rannicchiato su se stesso che borbottava parole
tra sé e sé. Effettivamente aveva un che di
inquietante.
<< Buona
giornata, Andrea. Sarò il tuo migliore amico per un po' di
tempo, che tu lo voglia o no. Che ne dici? >>
Il dottor Franchi non sapeva che gli rimanevano poche ore di vita.
________________________________________________________________________________________________________________________
Cantone dell'autore: scusate, scusate, scusate, scusate, scusate,
scusate, scusate, scusate, scusate, scusate, scusate, scusate, scusate,
scusate, scusate.
Bene, penso sia sufficiente. Comunque vi sarete domandati: ma
perché quel testa di raperonzolo (tanto per usare termini
gentili e carini) di un Gareth, dopo aver promesso che l'avrebbe
scritto tre giorni dopo sto capitolo, si presenta solo due settimane
dopo? Con che coraggio poi?
Beh, le mie motivazioni le ho, anche se sono un po' povere: l'avevo
già scritto una volta sto capitolo, ma non mi piaceva anzi,
mi disturbava. E quindi l'ho sgancellato e l'ho riscritto. Il punto
cruciale è che non mi veniva in mente nulla di un po'
più sadico e roba così.
Alla fine ho deciso: sti capitoli anche se non succede qualcosa di
divertente e sanguinolento ve li dovete sorbire lo stesso :)
perché mi servono ai fini della trama. Io quindi vi devo
solo chiedere un po' di pazienza e di apprezzarli per quello che sono.
Oltre, come al solito, ad invitarvi a lasciare delle recensioni se il
racconto vi è piaciuto e perché o se non vi
è piaciuto e perché. Poi, volevo ringraziare
tutti quelli che mi seguono, mi ricordano, mi preferiscono e mi
lasciano recensioni.
Tanti bei bei saluti,
Gareth
|
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Capitolo 5 *** Pensiero e Dominazione ***
Dark Wardens 5
<< Dico che stai commettendo uno sbaglio >>
rispose il ragazzino. Ammesso che quello fosse un ragazzino: lo sguardo
terribile e la faccia contratta in una smorfia lo facevano sembrare
più una creatura degli inferi. Ma non era la prima volta che
lui
affrontava un caso del genere: i ragazzini erano il suo forte, riusciva
a farli sentire a loro agio in qualche modo...e quei poveri bambini
avevano solo bisogno di quello, dopotutto. Certo lui era
un ottimista per natura, pronto a scommettere che in fondo ad una
persona folle si trovasse solo molta tristezza che nessuno aveva mai
ascoltato veramente. Certo non dava la colpa alle suore: passeggiando
per i corridoi aveva notato la quantità di bambini presenti
nelle classi e aveva capito che ci sarebbero volute almeno duecento
suore per capire in fondo quei piccoli dolci mostriciattoli! Anche se
sapeva che spesso loro, tradendo le apparenze, sapevano essere
terribili: a chi non è mai capitato di ricordare con
paroline
non proprio dolci la propria tutrice dell'asilo nido, la quale non era
nient'altro che una suora?
<< Piacere Andrea, io sono Francesco. Ci diamo una
stretta di mano da veri uomini? >>
Mentre lo diceva si avvicinò a lui porgendo la
mano.
Pancia in dentro e petto in fuori, come gli diceva sempre suo padre. Ma
Andrea, il fanciullino dallo sguardo grave, continuò a
fissarlo.
E a fissarlo. E fu attirato per un secondo dagli
occhi del ragazzino: erano...strani, avevano qualcosa di strano.
Cedette allo sguardo cupo, si sedette sulla sedia, sistemata
precedentemente per lui
davanti al letto del bambino, e ritraè la mano.
<< Ti senti bene? >>.
<< Starei meglio se non ci fossi tu >>.
"Un ragazzino terribile dagli occhi terribili... ma perché
capitano tutti a me"? Per un attimo anche il dottor Franchi
pensò che, in effetti, sarebbe stato meglio se lui non ci
fosse:
quel bambino sarebbe stato sicuramente meglio senza di lui...ma che
diavolo stava pensando? Forse la sua depressione era più
grande
di quanto non avesse immaginato.
<< Io invece mi sento bene. cioè, spiegamo
meglio,
c'è una parte di me che è triste, sai, ho alcuni
problemi. Tutti abbiamo problemi. Ma l'altra parte di me è
felice: faccio il mio lavoro con persone sempre nuove. Tu sei una
persona nuova, oggi. Ti capita anche a te di sentirti mai triste e
felice assieme? >>
Prepararsi le frasi a seconda dei casi era la sua
specialità.
Nessuno riusciva quanto lui a escogitare sistemi per far sentire
tranquille le persone. Avere tutti e due un problema comune aiuta
sempre la conversazione, pensava. Il bambino rispose:
<< Ma a te questo non interessa >>.
Non si aspettava questa risposta, lo ammise a sé stesso. Lo
guardò dritto negli occhi e vedeva che c'era qualcosa che
non
andava. No, in effetti non gli interessava anzi, meglio cambiare
argomento. No, invece, devo continuare su questa strada: solo
così lui mi si aprirà, pensò. Ma
perché oggi era
così confuso e indeciso? Quegli occhi, nel frattempo, non
gli
davano pace.
<< Sì, invece, è il mio lavoro.
Sappiamo tutti e
due perché sono qui. Però tu pensi che sia solo
per
questo, per lavoro. E sbagli perché io sono qui
perché
voglio farti capire delle cose. Vedi, la gente pensa che avere un amico
dentro di sé sia sbagliato, sia una cosa stupida, falsa e
completamente inventata. E in parte è vero: quello che tu
hai
dentro lo hai immaginato, ma ora è vivo e non puoi
dimenticarlo
né far finta che non esista. Lui esiste. >>
Ancora una volta frasi fatte. Ma stavolta era sicuro di aver centrato
l'obiettivo. Quando una persona muta stato d'animo cambia, nella sua
espressione facciale, un piccolo particolare o a volte più
d'uno. Spesso sono molto simili tra loro e notarli non è
difficile, ma per riuscire a capire il vero significato di
ogni
gesto bisogna conoscere a fondo la persona. Andrea aveva rilassato gli
occhi. Se prima erano così minacciosi, ora apparvero
così
pieni di speranza e allo stesso tempo di una sorta di
paura...però non la paura di un individuo davanti ad una
situazione difficile, ma la paura dell'ignoto che normalmente
caratterizza chi è, per l'appunto, in età
infantile.
Andrea aveva cambiato stato d'animo, di questo era certo, ed era sicuro
che si trattasse proprio della sua schizofrenia. Un cambiamento
così radicale non avviene quasi mai in nessuna
persona...almeno
in quelle normali. Era la prova che cercava.
<< Sì sì! Io sono Andrea, ma prima
non ero io...era lui...>>.
La cosa si fa interessante...ma che film gli fanno vedere a questi
ragazzini? Cioè, si comporta come Gollum*...per un attimo
pensò che avrebbe cominciato a piangere ma qualcosa
trattenne il
ragazzino...e gli parlò:
<< È sempre così? A volte parli tu
e a volte parla lui? >>
Poteva permettersi qualche domanda diretta: ormai sentiva di aver fatto
breccia. Anche se aveva uno strano presentimento.
<< No, questa è la prima volta che parla lui
al posto mio! >>
Il dottore, dopo alcuni secondi, stava quasi per rispondere quando
Andrea cominciò a urlare e mise di scatto le mani alle
orecchie,
come se provasse a non sentirsi gridare. Succese tutto così
in
fretta che il dottore non se ne rese neanche conto: urlò per
una
decina di secondi fino a che non entrarono di scatto alcune suore. Il
dottore si alzò e le suore andarono a tranquillizzare
Andrea, il
quale non voleva farsi toccare da nessuno. Per dieci minuti Andrea
continuò a respingere i tentativi delle suore e Franchi
intanto
provava a calmare le suore e dava il suo contributo nel zittire il
ragazzino. Alla fine, Andrea se ne stava rannicchiato sul letto
dondolando con le gambe vicino al petto e sussurando tra sé
e
sé alcune parole che parevano essere sempre le stesse. Ma
Franchi, poiché le suore gli chiedevano con ansia cosa fosse
successo, non riusciva a distinguere quali. Franchi liquidò
così le suore:
<< State tranquille, ora è tutto a posto...ora
uscite e
non tornate finché non ve lo chiedo. Tra mezz'ora
avrò
finito >>.
Le suore accettarono e uscirono lasciando nuovamente soli i due.
dopotutto l'ora di terapia era quasi finita.
Ora poteva finalmente capire cosa stesse dicendo Andrea...si mise in
ascolto:
<< Non voglio, non voglio, non voglio, non voglio...non
ancora,
fa freddo, freddo...non voglio, non voglio, non voglio...
>>.
"Non voglio"? Ma che significa?
<< Andrea, alzati e guardami, ti prego >>
Andrea obbedì, stranamente.
<< Parlami, dimmi tutto. Sono qui per te. Sono qui per
questo >>
Andrea rimaneva in silenzio. Gli occhi erano angosciati e disperati, il
viso, all'improvviso, era diventato estremamente pallido, le labbra
tremavano. Poi parlò, la voce spezzata e balbuziente:
<< È lui che mi dice di...non avere paura
ma...io ho paura
e...mi dice che non devo fare niente io...devo farlo parlare...
>>
E prese a singhiozzare. Franchi allora disse:
<>
<< Ma lui non è mio amico, lo so questo...lui
è il
mio angelo custode! Lui mi aiuta, mi dice cos'è meglio per
me
però... >>
<< Però cosa? Non hai bisogno di lui, Andrea!
Lui è
tutto ciò che tu vuoi sia! Se hai bisogno che ti dia un
consiglio, ti da consigli e se invece vuoi che ti sia amico,
sarà tuo amico. Allora, visto che vuole così
tanto il tuo
bene, perché hai paura di farlo parlare?>>
<< Perché dentro fa così
freddo...si sta
così male! Lì dentro c'è paura,
c'è
ansia...e io non voglio >>
<< Andrea, non preoccuparti: se non ci vuoi andare non ci
andrai. Cosa ti può fare? >>
All'improvviso Andrea abbassò la testa e rimase immobile per
qualche secondo. Poi, la alzò lentamente.
Al Dottor Franchi rimaneva poco tempo. In effetti la terapia era quasi
finita ma...non è questo. Al Dottor Franchi rimaneva poco
tempo
da vivere.
Un altro cambiamento di stato d'animo: lo stesso di prima solo al
contrario. Ora la situazione sarebbe diventata critica. Ancora quegli
occhi...non sapeva per quanto tempo ancora sarebbe riuscito a
sopportarli. Secondo quanto detto dallo stesso Andrea, quella era la
sua seconda personalità. E Andrea, o il suo "angelo custode"
che
dir si voglia, disse:
<< Andrea ha ragione: io voglio solo il suo bene e quindi
devi starCI lontano! Hai capito, ora? >>.
Si sentì osservato dritto dritto negli occhi. Non aveva mai
distolto gli occhi di fronte a un ragazzino e quel giorno l'aveva fatto
ben due volte. Non avrebbe perso una terza. Fece ricorso a tutte le
proprie forze e stettero silenziosi a osservarsi, senza avere modo di
calcolare il lento scorrere dei secondi.
Ad un certo punto seppe che non ce l'avrebbe più fatta a
continuare. Provò a distogliere lo sguardo. Non ci
riuscì. I suoi occhi erano come calamitati e non riusciva a
muovere alcun muscolo. Stava soffrendo terribilmente.
<< Ora tu uscirai e farai in modo di non ritornare
più qui.
Anzi, farai in modo di non vederCI mai più. Dovrai
assicurartene. Ora vai >>
Il ragazzino aveva ragione: doveva andarsene. Diede le spalle al
bambino e se ne uscì dalla stanza. Ma dove andare?
Incontrò delle suore che gli chiesero:
<< Allora, che è successo? Mancano ancora
dieci minuti! >>.
<< Niente, penso che sia meglio per il ragazzo che me ne
vada ora:
fatelo pure notare al comune che mi decuterà lo stipendio
>>
mentì il dottore.
Uscì velocemente dall'edificio. Non doveva ritornarci mai
più. Ma soprattutto non doveva vedere più vedere
loro
due. Ma cosa poteva fare? Doveva fuggire via verso dove? Sarebbe stato
via senza nessuno e non avrebbe avuto né soldi né
un
lavoro. E anche fosse stato?
Chiamò un taxi. Non quello che l'aveva portato fin
lì.
Non voleva vedere di nuovo il viso di quel tipo: gli avrebbe
sicuramente fatto ritornare in mente Kelly...e non era il momento
migliore. Ora doveva pensare a una soluzione.
Il taxi arrivò e arrivò il momento di decidere
dove
andare. Casa, pensò, lì mi verrà in
mente
qualcosa. Il conducente era un tipetto abbastanza professionale:
perfettamente rasato, vestito con un completo giallo che doveva essere
un'uniforme. Era una di quelle poche volte che, nella vita, lo
gradì.
Arrivò a casa, pagò l'autista e gli diede anche
una lauta mancia. Non gli pareva il momento di fare il taccagno.
Entrò in casa e si sedette sul vecchio divano in pelle nera.
Lo
odiava quel divano: ogni volta che ci si sedeva i cuscini scivolavano
sotto trasformando la sua posizione da seduto in disteso.
Pensò
a cosa avrebbe potuto fare. Poi, un lampo di genio. Restò
seduto
sul divano.
L'idea c'era, ma come realizzarla? Andò in cucina.
Aprì
il cassetto delle posate. Guardò a lungo tutti i coltelli
fino a
trovarne uno che forse sarebbe stato abbastanza lungo e affilato. Lo
prese e si immaginò nell'atto. Sarebbe stato facile, ma...ci
sarebbe stato sangue e lui odiava il sangue. Pensò a
qualcos'altro. Quando era giovane aveva pensato che la
morte sublime per eccellenza fosse buttarsi da un'altezza
spropositata e schiantarsi a terra. Gli era venuto in mente pensando
che la stessa parola "sublime" significa letteralmente "il
più
elevato" e quindi aveva pensato che la più profonda delle
morti
fosse cadere da una grande altezza. Lui però abitava in
centro e
lì vi erano solo edifici non molto alti e non gli avrebbero
dato
la giusta soddisfazione.
Per una volta nella vita, poteva scegliere. La sua vita non era stata
altro che un susseguirsi di decisioni prese da altri, pensò.
Prima i genitori poi l'amore e infino il dovere l'avevano portato a
essere una stolta marionetta di quello che noi diciamo essere vita. Per
una volta nella vita, poteva scegliere e, ironia della sorte, non
sapeva che scegliere.
Si alzò e se ne andò in bagno. Si
sciacquò la faccia e
poi gli venne in mente la malsana idea di farsi una doccia.
Perché no? Che fretta c'è?
Quando uscì e si asciugò decise di farsi anche la
barba.
Si prese il suo tempo e finì con una sciacquata veloce e
l'aggiunta del dopobarba. Mentre riponeva la schiuma sul vano
portaoggetti a fianco dello specchio, il suo sguardo cadde su di una
boccetta color verde con alcuni simboli rossi. "Idrossido di sodio"
diceva la scritta. E si mise a ridere.
Decise che dopo barba e doccia, doveva mettersi qualcosa di elegante.
Prese una camicia bianca, una giacca beige-dorata e dei pantaloni molto
eleganti dello stesso colore. Se doveva farlo, chi gli vietava di farlo
con classe? Sì vestì e prese la boccetta che
conteneva il
liquido trasparente. Prese dalla cucina una bottiglia di vino regalata
il Natale scorso, un Barbaresco Gaja di vent'anni, la
stappò, e
riempì un calice, che prese da una mensola. Infine aggiunse
l'idrossido di sodio.
Si sedette nuovamente sul divano col calice pieno all'orlò e
posizionò, quasi fosse un compagno di bevute, il Barbaresco
accanto a lui. Certo le persone che lo avrebbero trovato avrebbero
pensato che in vita era una persona di buon gusto.
Il suo ultimo pensiero fu "Dovrò anche morire, ma questa
morte avrà un gran bel gusto!". Bevve.
La morte non ha mai un buon sapore.
*Gollum: il famoso personaggio de "Il Signore degli Anelli" dotato di
una doppia personalità, la quale parla a volte una, a volte
l'altra.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Cantone dell'autore:
Intanto, visto che lo pubblico a poche ore dall'agognata mezzanotte,
Buon Natale a tutti! Allora, questo capitolo qui mi piace, quindi
vedete bene di farmi recensioni positive! :) I'm joking. Se la storia
vi piace, vi interessa, vi ha incuriosito o magari volete insegnarmi a
scrivere un po' meglio, sarei felice di avere da voi delle recensioni.
Ho anche sistemato alcune gaffe sul capitolo 4 che mi ha gentilmente
fatto notare _Whisper_ e la ringrazio per questo. Detto tutto (se mi
dimentico qualcosa, dopo sistemo), Vi saluto con onorabile stima,
Gareth
|
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Capitolo 6 *** "Tu sei diverso" ***
Dark Warden 6
L'orfanotrofio "Gennari", che era di proprietà del
comune
ed era gestito da dipendenti comunali, aveva fama di essere un centro
molto importante e al suo interno vi lavoravano pediatri e,
più
occasionalmente, psichiatri. Generalmente i bambini erano normali,
ovviamente, ma vi erano molti casi anomali di ragazzini con varie
problematiche, sia di tipo fisico che psicologico. Infatti spesso
bambini con questi disturbi di altri istituti venivano inviati qui per
poter essere meglio seguiti ed aiutati. Questo era il caso di Andrea.
Il giorno della partenza non c'erano bambini della sua età,
dato
che non aveva amici, ma erano presenti quasi tutte le suore (le uniche
assenti erano quelle incaricate di tenere a bada gli altri) tra cui,
ovviamente, suor Cristina. Lei lo abbracciò e lo
baciò
sulla fronte: pensava a quanto dovesse soffrire quel ragazzino, preso
da un male così strano. Lei ricordava ancora perfettamente
quei
terribili occhi neri, certa che in quel momento avesse visto la vera
natura del male che soffriva. L'odio provocato dal non essere capito,
pur sentendo di non avere bisogno di nessuno. L'odio che si accumula
nei giorni, nelle settimane, nei mesi. L'odio di anni di solitudine.
C'era ancora qualcosa che avrebbe potuto fare per lui, tuttavia:
sarebbe andata a trovarlo il più spesso possibile, per
dimostrargli che in quella scuola, anche se lui non lo pensava, il suo
ricordo non sarebbe mai svanito. Certo il ricordo della sua aggressione
non sarebbe andato tanto presto dimenticato, ma lei voleva piuttosto
che non scordasse che c'era qualcuno che gli voleva bene. Questo
avrebbe dato una certezza al ragazzo, si diceva.
<< Andrea,
andrà tutto bene. Verrò a trovarti ogni
volta che posso, siamo abbastanza vicini lo sai? Verrò a
trovarti tutte le settimane, tutti i Giovedì di sicuro.
>>
<< Davvero?
>>
chiese Andrea.
"Ma che te ne importa?"
<< Davvero.
Ora va' su, non vorrai far aspettare il dottor Gugliacci?
>>
<< A me non
piace quello... >>
Il dottor Gugliacci era il pediatra che aveva cominciato a seguirlo
solo due giorni prima e con cui aveva avuto un brevissimo colloquio,
anche se in presenza delle altre suore. Aveva deciso il trasferimento
per il ragazzo ancora prima di parlargli: nessuno lo avrebbe
mai
biasimato per questo, dal momento che Andrea per riabilitarsi avrebbe
sicuramente dovuto fare delle nuove amicizie. Ma probabilmente il
pediatra non sarebbe durato molto: una volta arrivati al nuovo centro
altre persone, magari più qualificate, lo avrebbero seguito.
<< Non fare
storie, amore. Va', su >>
<<
Buongiorno, suor Cristina! >>
In fondo era un bambino così buono.. ma come, solo due
settimane prima, erano potute succedere certe cose?
La partenza avvenne la mattina verso le 9.00. Andrea fu accompagnato in
auto da uno sconosciuto, il quale doveva essere sicuramente un
dipendente del comune. Seduto vicino a lui, il dottor Gugliacci.
Andrea aveva gli occhi incollati al finestrino. Adorava vedere tutti i
paesaggi che veloci veloci si susseguivano e mutavano colori. Non era
mai stato in un auto, solo in bus nei rarissimi episodi in cui avevano
fatto delle gite con le suore e gli altri bambini. L'auto era meglio,
fu questo il pensiero che gli attraversò la testa.
"L'auto non è meglio, stupido, è una gabbia
mortale come
la corriera. E smettila di guardare dal finestrino, mi da la nausea."
Andrea, su consiglio del suo angelo, aveva imparato a non rispondergli
se c'erano persone come il dottore. Tuttavia distolse lo sguardo e
guardò un punto fisso all'interno dell'auto. Non voleva che
si
arrabbiasse.
Il viaggio durò poco più di mezz'ora. La macchina
si
fermò in un grande parcheggio, pieno di righe perfette e
parallele e segnali di vari colori ovunque, anche per terra.
Sceserò dall'auto e si diressero verso un grande edificio
bianco, spoglio di ornamenti.
<< Ecco
>> disse il dottor Gugliacci << questa
sarà la tua nuova casa. Non farti ingannare dall'aspetto:
dentro
è molto più bella e colorata. >>
La cosa non si rivelò del tutto vera: dopo essere entrato,
Andrea aveva guardato le pareti bianche e gialle ornate da qualche raro
scarabocchio qui e là. Non capiva perché fossero
tutti
incorniciati, portassero una firma (che lui sapesse, nessuno firmava i
disegni: chi è lo scemo che non saprebbe riconoscere il
proprio?) e, cosa più importante ma che notò per
ultima,
erano fotografati. Si decise a chiederlo al pediatra, il dottor
Gugliacci, che lo stava accompagnando da qualche parte per i corridoi,
mentre l'altro uomo, l'autista, si era fermato all'auto. Quando lo
chiese il dottore prima allargò un grande sorriso e poi
disse:
<< Sono
dipinti astratti e valgono tanti soldi. Siccome non se li
possono permettere li fotografano. Li incorniciano perché...
beh
perché sono dipinti. Tutti i dipinti vanno incorniciati.
E...
beh, hanno la firma perchè gli autori vogliono far sapere di
chi
sono e perché nessuno si prenda il merito al posto loro.
Anche
se personalmente, preferivo i disegni al MelaBianca. Anche tu giusto?
>>
<<
Sì >>
Forse non era così antipatico come pensava...
"Non dire idiozie, vuole
solo entrare in confidenza con te,
nient'altro. E questi dipinti non sono altro che una perdita di tempo,
come tutti disegni, quante volte l'ho detto? Ora sta' zitto e cerca di
non pensare a nulla, così posso stare un po' tranquillo."
Il corridoio gli sembrava sempre uguale e ormai, tra una svolta e
l'altra, non avrebbe saputo ritrovare l'uscita. In quel momento si
fermarono davanti ad una stanza. Il dottore bussò.
<< Avanti.
>>
arrivò la risposta dall'interno. Il pediatra fece strada
aprendo la porta.
<<
Buongiorno, direttore. Questo è il ragazzo di cui le parlavo
ieri. >>
Il direttore era un uomo tarchiato, sulla cinquantina, con dei grandi
occhiali circolari di colore nero-argento, che lo caratterizzavano in
modo particolare. Per il resto aveva i capelli corti e il viso un po'
squadrato, gli occhi molto grandi.
<< Vedo,
vedo. Il nome è Andrea, vero ragazzo? >>
Andrea annuì.
<< Bene,
aspettate solo un secondo >>
Alzò la cornetta del citofono che aveva a fianco, posto
sulla sua scrivania. Lo portò all'orecchio:
<< Emma?
>> aspetto qualche secondo, in cui aveva
evidentemente ricevuto la risposta dell'interlocutrice, e poi
continuò <<
Vieni su ad accompagnare il ragazzo,
quell'Andrea che stavamo aspettando, su nei dormitori e dagli il suo
posto. >>
Rivolto ad Andrea parlò poi:
<< Allora,
Andrea, ti do il benvenuto in questo istituto e spero che qui troverai
persone che ti piacciono. >>
Andrea annuì in silenzio. La figura del direttore lo
spaventava
un pochino e fu felice di sentire il bussare alla porta di quella che
doveva essere la signorina Emma.
Dopo essere entrata lo prese per mano e si rivolse subito a lui:
<< Ciao
Andrea, io sono Emma. Come ti senti? beh immagino che
vorrai vedere dove ti sistemerai, giusto? Sì? Seguimi
allora,
dai. >>
Era una donna la cui età oscillava tra i trentacinque e i
quaranta, gambe lunghe, molto magra, ma con un viso molto duro e ben
delineato. Metteva una certa soggezzione e poi... beh, Andrea non aveva
mosso un singolo muscolo da quando era entrata! Aveva fatto le domande
e si era anche risposta da sola.
"Queste sono le persone
che incontrerai qui, stanne certo. Di te non si interessano per niente.
Tu per loro non conti niente"
Comunque, la seguì, salutando sia il direttore che il
pediatra con un rapido "buongiorno".
Emma lo guidò per i corridoi e poi su per le scale e
finalmente
giunsero nel dormitorio, un'enorme stanza rettangolare nella quale
erano stipati moltissimi letti. I colori dominanti erano sempre il
bianco e il giallo, colori molto tristi e anonimi per Andrea.
Il letto che gli venne assegnato era il 12-B, perché
lì i
letti erano tutti numerati. Era molto comodo e spazioso, se non altro.
Emma fu abbastanza fredda e certo non si preoccupava troppo di
nascondere la noia e disse:
<< Vieni,
Andrea, ora ti devo portare nella tua classe. >>
<< Devo
cominciare di già? >>
<< Certo,
così ti farai subito tanti amici. >>
Uscirono dalla stanza e fecero venti metri, fino ad una porta verde: un
colore finalmente era diverso! C'era, appiccicato appena sopra la
maniglia un biglietto con su scritto: 3° B. La signorina Emma
bussò e poi entrò con Andrea.
<<
Buongiorno ragazzi, buongiorno Marta, ecco il nuovo alunno che
aspettava >>
Andrea diede un'occhiata alla classe: come tutto finora, appariva meno
colorata di quanto, secondo Andrea, avrebbe dovuto essere. Poi
scrutò i suoi futuri compagni: tutti molto annoiati a parte
qualcuno che scribacchiava velocemente qualcosa sul quaderno. Tutti si
girarono verso di lui.
<<
Buongiorno Emma! E buongiorno a te, caro! Vieni qua, dai.
>>
Disse quella che doveva essere la professoressa.
Emma cercò di dileguarsi:
<< A questo
punto io vado! Glielo lascio, Marta>>
Disse ciò con un sorriso un po' falso, poi uscì
dalla classe richiudendo la porta alle sue spalle. La maestra allora
gli disse:
<< Allora,
io sono la maestra Marta e sarò la tua maestra di
matematica. Ora devi presentarti alla classe >>
Andrea annuì, poi parlò rivolto alla classe:
<< Io sono
Andrea, piacere! >>
"Bravo, devi comportarti come ti ho detto. Devi sembrare tranquillo e
sereno, così smetteranno di disturbarci"
<< E ora un
rapido appello per farti orientare con i nomi.
Ragazzi, quando vi chiamo alzate la mano, capito? Allora... Bertucci
Martina? >>
L'appello continuò e fece tutti nomi di quei bambini. Andrea
ascoltò, ciononostante dimenticò uno a uno tutti
nomi.
Poi arrivò all'ultimo.
<< eeee...
Verdi Natasha! Natasha alza la mano, sii collaborativa una buona volta!
>>
Una bambina, che stava scarabocchiando in un solitario banco in fondo
alla classe, alzò la testa di scatto. Poi, una volta resasi
conto della situazione, alzò velocemente la mano. La bambina
portava i capelli corti, biondissimi. Aveva lineamenti dolci e allegri,
che trasmettevano vivacità.
<< Bene,
abbiamo finito. Ora rimane solo da trovarti un banco...
c'è qualcuno che vuole sedersi vicino ad Andrea
>>
Come prevedibile, nessuno si offrì volontario... anzi no!
<< Io,
professoressa! Se vuole può sedersi vicino a me!
>>
Una vocina leggera e melodiosa si alzò dal fondo della
classe.
La graziosa bambina che rispondeva al nome di Natasha aveva alzato la
mano e ora stava insistendo. Tutti girarono gli occhi verso di lei. Non
si trattava di una cosa stranissima... in fondo stava parlando... ma lo
sguardo di incredulità nei loro occhi, negli occhi della
maestra
perfino, era troppo curioso per non essere notato.
"Ho un brutto
presentimento! Attento!"
La maestra all'improvviso fece un larghissimo sorriso, come se fosse
felicissima ma allo stesso tempo diffidente. Poi disse:
<< Tu,
Natasha? Sei sicura? Va bene allora: vai Andrea a sederti lì
con lei. Ah, dimenticavo! >>
Si diresse verso l'armadietto grigio metallico che si trovava in un
angolo dell'aula alla sua destra, lo aprì e ne
tirò fuori
una penna e un foglio che consegnò ad Andrea.
<< Tieni,
questo è tutto ciò che ti serve per ora.
All'intervallo, alla fine di quest'ora, mi faccio procurare tutto il
materiale che ti serve. Ora va' >>
Andrea si diresse al banco, preoccupato per l'avvertimento del suo
angelo.
Gli occhi di tutti erano ora di nuovo puntati su di lui: ma non erano
gli sguardi di prima... questi erano minacciosi, terribili, come se
stessero cercando una risposta a qualcosa. Che avesse a che fare con la
biondina?
Non era il momento per tormentarsi.
<< Ciao
>>
esordì Andrea con la sua nuova compagna di banco. Lei
rispose nello stesso modo:
<< Ciao
>>
Andrea si sedette. Pensò a qualcosa da dire alla ragazzina,
ma
non gli venne in mente nulla. Era curioso di sapere perché
l'avesse voluto come compagno di banco e anche perché tutti
l'avessero guardata in quel modo. E perché avessero poi
guardato
lui, in quel modo. Non disse nulla.
La bambina cominciò a scrivere qualcosa su dei pezzi di
carta.
Poi gliene consegnò uno: -meglio scrivere che parlare, se no
la
maestra ci sente- poi gli passò dei fogliettini bianchi.
Andrea scrisse su di uno -perché?- e lei in tutta fretta
sullo
stesso foglio -non vuoi sapere perché erano tutti
così
strani quando mi sono offerta?- e lui -sì.
Allora la bambina si diede da fare e su un foglietto scrisse: -Non ho
molti amici e di solito non parlo con nessuno. Così hanno
trovato strano che proprio io mi offrissi per darti un posto.
Andrea allora prese un foglietto: -Ma perché io?
-Tu sei diverso: lo so da quando ti ho visto. Ora basta, per stamattina
niente più messaggi.
Ma Andrea insistette: -Spiegati meglio. Perché sarei diverso?
La ragazza vide il messaggio ma non rispose.
Per tutto il resto dell'ora Andrea provò a parlarle, anche
sottovoce, ma ottenne solo il silenzio. Poi la campanella
squillò, segnando l'inizio dell'intervallo.
Andrea si alzò, vedendo che gli altri lo facevano, e si
allontanò dalla ragazzina. Quando fu poco più
lontano sentì la voce del suo angelo:
"NON AVVICINARTI
PIÙ A QUELLA RAGAZZA! MAI PIÙ! MI HAI CAPITO?"
Ora che ci pensava non si era fatto vivo da troppo tempo.
Perché non aveva parlato prima? Ma questa volta avrebbe
fatto di testa sua. Ora voleva sapere quello che lei gli avrebbe detto.
Si diresse di nuovo verso la bambina, certo che ora non ci sarebbero
stati segreti.
___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Cantone dell'autore:
Intanto mi scuso per il ritardo della pubblicazione ma ho avuto diversi
impegni. Per il resto, spero che apprezziate il capitolo: è
molto narrativo e mi sono sforzato di restringere il trasferimento, che
a una prima scrittura era incredibilmente lungo e poco pregno di
avvenimenti. È un capitolo un po' di transizione, se non si
considera l'ultima parte, nella quale appunto presento il personaggio
della bambina.
Vi ringrazio per tutte le recensioni che mi lasciate e a presto
(perché stavolta spero che riuscirò a pubblicare
in tempo).
|
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Capitolo 7 *** Uno e un altro ancora ***
Dark Warden 7
La bambina non si era ancora alzata dalla sedia. Andrea, prendendo un
po' di coraggio, le si avvicinò e le parlò:
<< Allora?
Ora mi dici perché sarei diverso? >>
La ragazzina parve scocciata dalla domanda.
<< Potrei
farlo. >>
<< E allora
parla. >>
Non voleva aspettare. Nessuno gli aveva mai parlato in quel modo come
quella ragazzina. Si sentiva più sicuro di sé,
più
audace ma allo stesso tempo leggermente spaventato. Era come se sapesse
che non era una buona idea parlare con lei. Forse perché
glielo
aveva detto il suo angelo, tuttavia...
<< Uh, ma
come siamo frettolosi... e va bene, parlerò...
è solo che per farlo avrò bisogno di raccontarti
una
lunga storia, e, vedi, se io ti racconto una storia anche tu me ne devi
raccontare una. Nulla si ricava da nulla. >>
<< Che cosa
vuoi che ti dica? >>
<< Voglio
sapere cosa ti è successo nelle ultime due settimane. Per
filo e per segno. >>
<< Che
cosa? Perché ti interessa? >>
Andrea temeva che avrebbe dovuto parlare del suo angelo... mentre di
comune accordo avevano deciso che il suo angelo lo avrebbe aiutato e
consigliato di nascosto e lui non ne avrebbe più parlato con
nessuno. Forse avrebbe potuto raccontargli tutto senza dire nulla a
proposito del suo angelo custode...
<< Se vuoi
che risponda a questa domanda dovrai essere pronto a
rispondere a questa che ti ho appena fatto. Nulla si ricava da nulla.
Ora... o parli, o
vattene. >>
<< E va
bene... >>
Andrea raccontò tutto quello che gli era successo: quando
aveva
inciso sulla pelle del ciccione, delle suore impiccione e del suo
vecchio psicologo, quello che era fuggito senza più farsi
rivedere e della noia seguente, giorni e giorni buttati al vento. Tutto
senza mai dire niente del suo angelo, ovviamente.
Il suo racconto non durò molto, giusto qualche minuto.
<< Mi stai
nascondendo qualcosa, non mi hai detto tutto. Non mi hai detto una cosa
importante, giusto? >>
Andrea rimase
sconcertato. Com'era possibile, gli aveva forse letto nel
pensiero? Quella ragazzina creava timore più che mai.
<< N-no, ti
ho detto tutto... >>
La ragazzina scoppiò a ridere.
<< So
benissimo cosa stai nascondendo, stupido. Come lo chiami quello che
è dentro di te? >>
Sapeva anche del suo angelo! Ma chi era? A questo punto non era
più possibile mentirle.
<< Lui
è il mio angelo... >>
La ragazzina si mise ancora a ridere, questa volta peggio di prima,
tanto che le vennero le lacrime agli occhi. Quando ebbe finito, assunse
un'aria seria.
<< Angelo?
No, non è un angelo. Ed ecco la tua risposta,
tu sei diverso perché hai lui. Sei speciale. >>
<< Ma
allora chi è lui? E poi non mi dovevi raccontare una storia?
>>
<< Lascia
perdere, quella era una bugia per farti parlare: sapevo
di lui, ma non sapevo cos'era successo. Lui è... beh, di
sicuro
non è un angelo. In realtà... beh, vedi... io
sono un
angelo >>
Che cosa!? Quella ragazzina era un angelo? E il suo angelo non era un
angelo?
Stava per chiedere spiegazioni quando, all'improvviso arrivò
una
voce alle sue spalle. Era la maestra, sempre con un largo sorriso sulla
bocca.
<< Andrea,
eccoti qua! Ti ho portato questa, che sarà la
tua cartella. Dentro ci sono tutti i libri e i quaderni che ti
serviranno e un astuccio con tutto il materiale. Ora hai tutto. Bene,
tra qualche secondo suonerà la campanella, immagino. Ora,
siediti e divertiti. >>
Gli aveva consegnato uno zaino nero molto semplice e abbastanza
pesante, evidentemente a causa del contenuto. Andrea
pronunciò
un accennato "grazie". La maestra allora disse:
<< Vedo che
hai già fatto amicizia con Natasha... sono
contenta. Ora devo andare, ho un altra classe. Tu invece rimani qua,
ora avrai due ore di italiano, buona fortuna. >>
La maestra Marta se ne uscì dalla classe con fare deciso.
Natasha, la bambina, era seduta sul suo banchetto, intenta a disegnare
cose strane. Andrea si avvicinò e le chiese:
<< come
sarebbe a dire che sei un angelo!? >>
Lei scrisse qualcosa su un bigliettino di quelli che erano avanzati
precedentemente e glielo allungò. Andrea lesse: - credi a
quello
che vuoi. Io sono un angelo. E non parlarmi più, sai che non
ti
risponderò.
Andrea era spazientito ma non potè fare altro che starsene
in
silenzio. La campanella suonò e arrivò la nuova
maestra, che si chiamava Eleonora.
La lezione cominciò e finì solo due ore
più tardi.
Nel frattempo si era presentata un'altra maestra, di nome Claudia. Ad
Andrea sembravano tutte uguali queste persone.
Durante queste due ore i due vicini di banco non si scambiarono una
sola parola e Andrea si
chiese come mai il suo angelo o, per meglio dire, quello che aveva
dentro di sé non avesse ancora parlato... era evidente
che vicino a quella ragazza non poteva dire o fare nulla.
Quindi
era per questo che gli aveva ordinato di starne alla larga? La cosa
non dispiaceva ad Andrea: era piacevole starsene un po' a pensare
tranquilli. Era una sensazione che non aveva mai provato prima.
Quando la lezione finì, la ragazza continuò a
ignorarlo.
A questo punto, aveva capito Andrea, qualsiasi tentativo di provare a
parlarle era impossibile.
All'improvviso si fece viva nuovamente la maestra Claudia. Si rivolse
alla classe con un largo sorriso e parlò a gran voce:
<< Ragazzi!
Ora si va a mensa, ricordate di portare con voi anche
il vostro materiale perché oggi pomeriggio non ci
servirà
e quindi lo dovremo prima portare nel dormitorio. Seguitemi.
>>
Tutti quanti, imbracciati gli zaini, seguirono la maestra che li
condusse nei dormitori, dove poterono liberarsi dei fardelli. Andrea
rimase sempre vicino a Natasha: aveva paura del momento in cui sarebbe
di nuovo rimasto solo e il suo angelo -lui continuava a fidarsi
più di lui della bambina e quindi avrebbe continuato a
chiamarlo ancora così- lo avrebbe severamente rimproverato
Andrea non riuscì a memorizzare la struttura: era troppo
complessa e piena di biforcazioni, non come la semplicistica MelaBianca.
Poi fu la volta della sala da pranzo, un vasto stanzone pieno di gente.
A destra c'era una breve fila di ragazzi di tutte le età:
era
evidente che si trattasse del luogo in cui ci si poteva servire. Poi la
maestra parlò:
<< Bene,
ora andate pure a servirvi e poi a sedervi; eccovi i ticket di oggi.
>>
Venne distribuito a tutti un foglietto rosa.
Andrea osservò gli altri: tutti si accodavano e poi un
giovane
uomo, sulla ventina, ritirava il biglietto da dietro uno sportello e li
faceva procedere a uno a uno, dopodiché tutti si dotavano di
un
vassoio e passavano avanti mentre delle persone servivano loro
velocemente le pietanze su piatti di plastica. Ognuno poi
trovava
un posto nella grande sala.
Andrea fece lo stesso che faceva Natasha, sempre vicino a lui.
Il menù consisteva in un piatto di spaghetti al
ragù ben
fornito, una bistecca di pollo non molto grande ma dall'aspetto
invitante, una mela e ovviamente, dell'acqua, che tuttavia era
già presente in brocche sopra i tavoli.
Andrea seguì la sua compagna in fondo all'aula e le chiese:
<< Posso
sedermi vicino a te? >>
<< Fa' come
vuoi, ma non chiedere nulla, per ora. >>
Si sedettero e mangiarono in assoluto silenzio.
Più tardi, quando la pausa pranzo era ormai finita, un folto
gruppo di insegnanti riunì le classi e contò i
ragazzi,
li portò nei corridoi e, girando per l'edificio, li
distribuì in tre aule molto grandi e con enormi
scaffali
pieni di libri. Qui Andrea dovette separarsi dalla bambina
perché a lui e ad altri cinque, quattro ragazzi e un'altra
ragazza, non fu
permesso entrare: Un insegnante che Andrea non conosceva invece fece
cenno loro di seguirla.
Appena Andrea fu ragionevolmente distante dalla fanciullina,
sentì nuovamente la sua presenza interiore arrabbiarsi e
divenire feroce.
"Che cosa ti avevo
detto!? Perché devi fare sempre di testa tua!? QUELL'ESSERE
È MALVAGIO, qualunque cosa sia! Non sono io che sto
mentendo, io sono un angelo e lei no!"
Andrea non poteva credere che quella ragazza fosse un essere malvagio:
quando stava con lei provava un senso di sicurezza e
tranquillità che non aveva mai sentito prima, e non solo
perché non sentiva il suo angelo.
Dunque l'insegnante che li guidava li portò in un
corridoio
completamente bianco e privo di ornamenti. A una decina di metri l'una
dall'altra vi erano ai lati delle porte in legno color nocciola, dove,
uno per stanza, vennero fatti entrare i sei ragazzi, tra cui Andrea.
La voce che proveniva dall'interno di sé aveva continuato a
parlare per tutto il tempo riguardo a quello che era successo e aveva
ripetuto più o meno sempre la solita solfa: "quella bambina
è malvagia", "io sono l'unico angelo" e via dicendo.
Tuttavia Andrea, dopo che entrò in una delle stanze con le
porte color nocciola e dopo che ebbe sentito il "click" della serratura
alle sue spalle, non udì più la persistente
cantilena, come se il suo angelo si fosse ammutolito di colpo
spaventato da qualcosa.
Dopo essere entrato nella stanza, si rese conto di dove si trovava e
cosa avrebbe fatto nella prossima ora.
<<
Buongiorno >>
disse una voce proveniente dalla scrivania in fondo alla stanza. Si
trattava di una donna dall'aspetto giovane, i capelli scuri tenuti
corti, i lineamenti del viso dolci e la pelle molto chiara. Era una
donna motlo bella. Indossava un maglioncino di lana verde e dei
pantaloni beige lievemente aderenti.
<<
Buongiorno... >>
rispose Andrea facendosi strada lentamente verso il centro della
stanza. La donna lo raggiunse e prendendogli la mano seguitò
a parlare:
<< Tu sei
Andrea. Piacere di conoscerti, il mio nome è Michela.
Sarò la tua nuova psichiatra. Vieni qui. >>
Andrea aveva imaginato bene. Però non si aspettava una
psichiatra donna. Aveva le mani molto fredde, concluse Andrea, e non
rispose.
La dottoressa lo accompagnò a un lato del locale, dove si
trovavano un lettino e una sedia.
<< D'ora in
poi, mentre parleremo, tu ti stenderai qui, mentre io starò
qui seduta accanto a te. >>
La donna aveva l'aria molto sicura di sé, e Andrea
eseguì i suoi ordini. Ancora si chiedeva perché
il suo angelo non si facesse più sentire, ma forse non era
il caso di preoccuparsi troppo.
<< Ora ti
farò qualche domanda, tu rispondi senza pensarci troppo,
d'accordo? >>
<< Va bene.
>>
<< Hai mai
fatto del male a qualcuno? >>
<<
Sì, ma ha cominciato lui... >>
<< Ne sono
sicura, ma tu rispondi semplicemente alle domande. Dunque... hai mai
desiderato fare del male a una delle suore del vecchio orfanotrofio?
>>
<< No.
>>
<< Eppure
l'hai fatto. >>
Andrea aveva dimenticato l'episodio con Suor Cristina.
<< Non ero
io che le ho fatto male! >>
<< Non
importa, continuamo. Avevi molti amici al tuo vecchio orfanotrofio?
>>
<< Ecco...
Io... no. Nessuno. >>
<< Come
mai? >>
<< Dicevano
che ero strano >>
<< E
perché? >>
<<
Perché dicevano che parlavo da solo... >>
<< Tu
parlavi... ma non eri solo, giusto? >>
<< No...
>>
Poi però Andrea ricordò le parole del suo angelo:
"da ora in poi dirai a tutti che io non esisto". Si corresse
<<
Cioè, sì, sì che ero solo! Non avevo
altri con cui parlare. >>
<< Stai
mentendo? >>
<<
Sì, cioè, volevo dire no, non sto mentendo
>>
<< Stai
mentendo ancora, e non perché ti sto leggendo il pensiero.
So che cos'hai dentro di te, Andrea. >>
Andrea restò stupito: lei sapeva! Sapeva del suo angelo! Che
fosse in combutta con Natasha? La donna continuò:
<< Sono qui
per aiutarti. Ti sarai chiesto perché la presenza interiore
a te non parla da quando sei entrato in questa stanza. Ebbene, sono io
che non gli permetto di intervenire. E non solo, in questo momento non
può né sentire né percepire le tue
emozioni, come ti sarai accorto normalmente può fare.
>>
<< Come fai
a sapere tutte queste cose!? >>
<<
È perché io sono un'essenza, uno spirito, per
dirlo con parole che potresti capire. Molti prima di me sono stati
definiti angeli. Sono qui per farti capire la tua situazione.
>>
Andrea rimase sconvolto.
Ora sembrava quasi che tutti sapessero molto più di lui
riguardo alla "sua presenza interiore", come lo chiamava lo psichiatra.
E poi, insomma, ma quanti angeli c'erano?
<<
È normale essere sconvolti, Andrea. >>
<<
Ascolti... ma non è che ci sono altri angeli qui?
>>
<< No di
certo, perché mi fai questa domanda? >>
<<
Così... per sapere... >>
<< Va beh,
lascia perdere, ora dobbiamo parlare di cose serie. >>
La donna aveva mantenuto sempre un'espressione impassibile,
né fredda né calda, né amichevole
né scontrosa. Quella donna proprio non aveva un aria umana,
in quel momento.
Andrea intervenì:
<< Ma
cos'é che ho dentro di me, allora? Non è un
angelo custode? >>
<< Ti ha
detto di essere un angelo custode? No, non lo è. Egli non
è cosa buona, ti basti sapere questo. >>
Andrea si stava stufando:
<< Ma
perché non mi puoi dire di più? È
dentro di me! >>
<< Vuoi la
verità? Temo che tu potresti agire per il peggio se la
sapessi. >>
<< QUESTO
NON IMPORTA! Dimmela! >>
<< Non
posso. Devo agire per il meglio, sai che è la
verità. Ora calmati. Devi imparare a farlo. >>
<<
Perché dovrei calmarmi, eh!? PERCHÈ!?
>>
<<
Perché è in casi come questi che lui potrebbe
prendere il sopravvento >>
Andrea ricordò quello che era successo con quel bambino,
quando il suo angelo aveva preso il controllo del suo corpo e aveva
inciso sulla carne, e ricordò il freddo, e ne ebbe paura.
<<
Intendi... >>
<< Vedo che
hai già avuto esperienze simili. Se tu perdi il controllo
delle emozioni oppure, per assurdo, accosenti a lasciarlo fare, lui
diventa padrone del tuo corpo. Per "perdere il controllo delle
emozioni" si intende infuriarsi o essere terrorizzati, che si traduce
spesso e volentieri in piangere, per un bambino della tua
età. >>
Andrea capì allora quello che era successo. Probabilmente
stava dicendo la verità...
<< Ma lui
è forte, più di me. Non posso affatto fermarlo. E
poi lui ha sempre fatto tutto per il mio bene. >>
<< No, lui
ha sempre fatto quello che voleva fare, e se ha fatto qualcosa di buono
l'ha fatto perché dopotutto siete... coinquilini.
>>
<< Non ti
credo. >>
<<
È la verità, fai come vuoi. Io sono un angelo e
sono qui per aiutarti: innanzitutto dovrai imparare a controllare le
tue emozioni e te stesso. >>
<< Cosa
devo fare? >>
<< Esistono
molte tecniche umane che ho imparato per controllarsi. Prima di tutto,
dovrai imparare a riconoscere i tuoi stati d'animo. >>
<< In che
senso? >>
<< Io ti
insegnerò delle tecniche per calmarti, ma come farai ad
applicarle se non sai quando usarle? Tuttavia esistono delle
complicazioni: qui l'essere dentro di te non può prendere il
sopravvento quindi sarebbe inutile insegnarti cose del genere. Dovrai
cercare di capire da te i momenti opportuni, non posso fare di
più. Invece posso insegnarti dei modi molto
semplici e particolarmente banali per sconfiggere le emozioni
dominanti, ossia le emozioni che una persona non è in grado
di controllare. >>
<< Ma
quando imparerò? Ogni volta che verrò qui?
>>
<< Esatto.
Alzati. >>
Andrea si alzò di scatto. Ora era curioso di sapere cosa
avrebbe fatto: ne rimase profondamente deluso.
<< Tutto
quello che dovrai fare oggi è respirare a diverse
intensità regolarmente per diversi minuti. >>
<< E questo
mi aiuterà? >>
<<
Sperando, sì. Ora guarda come faccio io. >>
La psichiatra-angelo cominciò a respirare intensamente molto
velocemente. Dopo una decina di secondi, fece cenno ad Andrea di
imitarla. E questo, seppur riluttante, provò a imitarla,
nonostante fosse abbastanza sicuro che sarebbe stato inutile.
Continuarono a compiere di respirazione: lento, veloce, moderato, a
tutte le velocità e intensità. Alla fine Andrea
pensò di aver respirato più quella volta che in
tutta la sua vita precedente.
L'ora stava per finire e Michela si rivolse ad Andrea:
<< Bene,
abbiamo quasi finito e tra poco verrà a prenderti un
insegnante per portarti dagli altri bambini. C'è ancora una
cosa molto importante che ti devo dire: mi devi promettere che non lo
dirai all'essere dentro di te. Lui non sa nulla, mentigli dicendo che
non sai perché non ha potuto parlare o altro. Questa non
è la prima volta che hai uno psichiatra, digli che hai fatto
quello che fai di solito o qualcosa del genere. >>
<< Lui
però spesso riesce a leggere i miei pensieri...
>>
<< Ne sono
a conoscenza, ma non preoccuparti, non ci riuscirà: non
sarà in grado di leggere i tuoi pensieri quando starai
pensando a questo incontro e alle informazioni che hai ottenuto e
neanche se ne accorgerà. E mi sembra superfluo dirtelo, ma
lo farò lo stesso: non dirlo neanche a nessun umano, per
quanto in ogni caso non ti crederebbe. >>
<<
D'accordo... ma quando ci rivedremo adesso? >>
<< Non lo
so, si deve ancora decidere a quanto ne so. Spero presto.
>>
Sentirono bussare alla porta. Michela alzò la voce in modo
che potesse venire ascoltata dall'esterno della stanza:
<< Va bene,
ora abbiamo finito, ancora qaulche secondo però!
>>
Dopodiché la psichiatra si rivolse ad Andrea:
<< Allora,
Andrea, ora devi andare. Mi raccomando, fa' quello che ho detto!
>>
<< Certo...
ciao, Michela. >>
<< Ciao,
Andrea. >>
Andrea si diresse verso l'uscio e aprì la porta.
Uscì dalla stanza e la richiuse.
Il suo primo pensiero fu: "non mi vuole dire la tutta la
verità, eh? Teme che possa fare la cosa sbagliata? Bene, ora
racconterò tutto a Natasha, dopotutto non è umana
lei! Ma a questo punto, chi è davvero un angelo? E
cos'è che ho dentro di me?"
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Cantone dell'autore: Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Qui le cose cominciano a complicarsi realmente: ma quanti angeli ci
sono? XD
Comunque, se avete avuto un po' di timore che questo racconto si sia
trasformato in qualcosa di più banale, state tranquilli,
è molto più profondo e complesso di quanto
possiate credere... l'angelo dopotutto è solo un nome e
più avanti vi spiegherò meglio come funziona sta
faccenda: vi anticipo solo che non ci sarà nessun
collegamento con divinità nè poteri
particolarmente mistici o miracoli o robe del genere,che personalmente
mi fanno schifo. Non sarà niente di già visto,
dunque. Abbiate fiducia e pazienza: tra tre-quattro capitoli le cose
saranno più chiare mentre in quelli che verranno tra breve
sarò sempre misterioso.
Spero di non avervi deluso,
Gareth
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