Ancestrale

di BBambi
(/viewuser.php?uid=125952)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00. Prologo ***
Capitolo 2: *** 01. Passionale ***



Capitolo 1
*** 00. Prologo ***


Prologo.









       C’era stato un tempo in cui la vita gli era apparsa ridicolmente facile, un qualcosa che gli era stato cucito addosso dalla nascita e che si portava dietro con disinvoltura come la sua propria pelle.
Ogni alba - al Tempio dell’Aria - riempiva l’aere di luce, inondando i cortili, riverberando sulle decorazioni in pietra turchese che rivestivano le facciate.
La nebbia si rarefaceva lentamente intorno a quel nugolo di costruzioni aggrappate a quell’ultima solitaria vetta nel cielo e i monaci accoglievano con rinnovata gioia il nuovo giorno. E lui con loro.
Ora quei giorni erano finiti.
       Aprì gli occhi su un cielo ancora pregno di oscurità. Spostò lo sguardo da una parte all’altra, totalmente estraneo a ciò che lo circondava. Non ricordava come fosse finito disteso su quella superficie erbosa, col naso rivolto alle stelle. Ruotò sul fianco e il suo cuore perse un battito.
Lei era lì, fagocitata dal suo sacco a pelo, il viso affondato in una chioma bruna selvatica. Era bellissima. Bellissima come la prima volta che l’aveva vista e come ogni volta che si soffermava sul suo viso. Nel silenzio della sua contemplazione gli arrivò il sommesso russare di Sokka, disteso a pochi passi da lei. E ancora più in là ecco Toph nel suo improvvisato rifugio di pietra, simile a quelle costruzioni che si fanno con un paio di carte.
Eccoli lì, una manciata di marmocchi sotto un cielo di velluto nero. Sokka che era il più grande non aveva ancora messo neanche un pelo di barba, pensò, sogghignando tra sé e il pensiero in realtà gli parve così estraneo, così distante. Ma non capì. Non immediatamente.
       Cercò di issarsi in piedi, il corpo gli apparve improvvisamente troppo, davvero troppo pesante. Solo in quel momento si accorse che aveva le estremità completamente affondate nel terreno, le mani erano sparite sotto folti ciuffi d’erba verde ed i piedi, lontani lontani laggiù, erano stati anche loro inghiottiti da quelle fauci di terra e radici. Impossibile liberarsene.
Impossibile dominare quella terra che sembrava ora ragionare per conto suo. La pietra disobbediva al suo volere, l’aria restava muta al suo richiamo e quella lingua di fuoco che gli scaturiva dal petto si era estinta definitivamente.
       Una grossa crepa si stava aprendo nel terreno e correva verso di loro, serpeggiava inesorabile, dividendo in due la radura, precipitandola in un crepaccio senza fine.
Impotente, cercò di gridare, di svegliare i suoi compagni, quei suoi amici bambini, ancora così giovani e già con un compito così grande da assolvere. Sokka che era il più grande aveva quindici anni e lui, sebbene avesse trascorso un secolo in ghiacciaia, ne aveva ancora dodici.
La venatura si avvicinava implacabile, mentre la voce gli usciva dalla bocca in piccole nuvole di condensa atona. Il terreno cominciò a franare e il crepaccio si aprì esattamente tra lui e tutti loro, che ignari, addormentati in quel sonno letale, stavano lentamente precipitando dalla propria sponda friabile. Tentò di gridare ancora una volta, e ancora, e ancora, mentre la voragine li inghiottiva ad uno ad uno e i loro occhi si spalancavano su di lui solo nel momento in cui i loro corpi precipitavano verso quel nulla vorace.
       Gridò con tutto il fiato che aveva in corpo e questa volta poté udire la sua stessa voce. Una voce lontana, diversa, nuova. La sua stessa voce che lo strappava da quell’incubo infernale.
       Si ritrovò seduto tra lenzuola sconosciute, in un piccolo letto, posto sul lato est di una piccola stanza bianca.
Si prese il viso tra le mani, la pelle era completamente imperlata di sudore gelido. Rabbrividì e si alzò. Le gambe gli cedettero per un momento ma ritrovarono subito la propria stabilità.
Si avvicinò al mobile da toeletta posto sulla parete di fronte al letto nel quale aveva giaciuto per una quantità di tempo che ignorava. Proprio al di sopra del mobiletto in legno era stato appeso uno specchio di forma rettangolare. SI avvicinò per detergersi il viso da quella fastidiosa patina di sudore formatasi nell’agitazione dei sogni.
       E finalmente si vide.
       Non più un bambino di dodici anni, ma un uomo che andava per i trenta.
Una rada peluria ombreggiava il suo mento e le mascelle definite, sulla nuca i capelli castani nascondevano il tatuaggio che scendeva a percorrergli tutto il dorso. Gli occhi erano stanchi, ma ancora giovani e vitali come quelli del ragazzo che era stato fino a una quindicina d’anni prima.
       Portava ancora indosso i suoi indumenti, quelli tipici della sua terra. La stoffa era sgualcita e stracciata in più punti, l’arancione vivo della mantella virava ad un marrone sporco, così come il tessuto giallo aveva perso la sua originale brillantezza e si era spento in un timido ocra.
Dai bordi irregolari e dentellati di quel che rimaneva delle maniche spuntavano i suoi avambracci e le garze che li ricoprivano. Aveva diverse medicazioni, poteva sentire anche la fasciatura che gli conteneva l’addome dolente, sotto gli abiti logorati da uno scontro che non ricordava.

       Già, che cosa gli era successo?
       Quando tentò di ricordare, un violento capogiro lo costrinse ad aggrapparsi ai bordi lignei del mobile. La memoria si mescolava all’incubo che ancora aveva negli occhi, ostacolando la sua capacità di distinguere il vero dal sognato.
       Di una sola cosa era sicuro, lei era precipitata.
Lei era morta.

       La vertigine lo colse impreparato e a nulla valse l’appiglio che aveva trovato un momento prima, le gambe cedettero senza preavviso e prima che potesse prenderne atto, la sua mente sprofondò in una vorace voragine oscura.

Continua……









Salve =)
Sono una vera matricola qui: questa è la mia prima FF in questo fandom…ammetto che ho scoperto questa serie americana solo da poco, ma ho finito con l’innamorarmene. Ho adorato i personaggi davvero tantissimo… E spero di render loro un minimo di giustizia - senza troppe pretese - in questa long =) Ammetto che mi affascinava molto tentare di colmare parte del vuoto che c’è tra la serie di Aang e quella di Korra, quindi come avrete ben capito da questo prologo le vicende si svolgono circa quindici anni dopo la fine della terza stagione del ciclo di Aang =)
Spero di avervi incuriosito almeno un po’con queste prime battute ;)
A presto,
BB

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 01. Passionale ***


01.   Passionale.


 






     C’era un tempo in cui poteva guardare negli occhi il monaco Gyatso, c’era un tempo in cui era considerato al pari di un re, ma ora si sentiva solo un uomo stanco, in un letto troppo piccolo.

     Come un dejà vu si era nuovamente risvegliato tra quelle lenzuola leggere, tra quelle pareti candide. Ma questa volta niente incubi, niente voraci voragini, niente di niente, eccetto il breve, sfumato ricordo di due donne che si scambiavano battute concitate.
« Oh Cielo!»
« Presto, ha perso nuovamente i sensi!»
« Oh, Santo Cielo…»
« Smettila di blaterare e aiutami a issarlo!»
« Speriamo non abbia battuto la testa…e se fosse morto sul serio questa volta???»
Rammentava il brontolare e imprecare iracondo dell’altra donna, mentre si lasciava trascinare verso il materasso.
Quante volte aveva perso i sensi? Quanto tempo era durata la sua permanenza in quel letto?

     Il ricordo gli arrivò un’altra volta violentissimo, ma decise di non lasciarsi sopraffare e di accoglierlo e accettarlo, di riceverlo come si riceve un dono del quale non si conosce il contenuto.
Ed ecco lì il suo ricordo, la sua battaglia, la sua disfatta.
Si trovava nel regno del fuoco, si trovava lì per restaurare ancora una volta la pace, chiedendosi che diavolo scorresse nelle vene di quei dominatori da renderli così portati alla guerra.
Zuko era stato brutalmente ferito e giaceva a terra privo di sensi, mentre Katara ancora resisteva, seppur le sue gambe non la reggessero più con sicurezza come al principio.

     Si trovavano sull’Altopiano Rovente, un lembo di terra costellata di geyser e adagiata ai piedi di un vulcano quiescente. Ricordava benissimo il calore che emanava la terra sotto i suoi piedi e il tremore dell’aria incandescente . Persino le nubi nel cielo sembravano essersi tinte di rosso in quel panorama infernale.
     Frhan, il signore del tempio del fuoco si ergeva come uno spunzone di roccia dinanzi a loro. I suoi occhi neri sembravano tizzoni combusti, stravolti da una pazzia furente, le labbra sottili digrignate in un ghigno delirante, i capelli corvini, sempre raccolti sul capo, ora gli ricadevano sul viso in grandi ciocche disordinate. Era completamente pazzo.
Con sorprendente rapidità, il dominatore del fuoco richiamò a sé il magma che scorreva sotto il terreno incandescente. Ai piedi di Frhan si aprì uno squarcio e la lava iniziò ad uscire a fiotti da quella ferita nella terra. Il sacerdote del tempio del fuoco se ne servì per colpirli, per separarli. Katara aveva ancora parte dell’acqua che sempre conservava nella sua piccola bisaccia legata in vita, ma la esaurì per difendersi dall’attacco. L’acqua evaporò nell’aria, dissolvendosi. Frhan continuò ad accanirsi sul dominatore dell’aria che schivava e deviava i colpi con sferzate di vento. Mentre l’avatar tentava di non essere sommerso da un’onda di magma rovente, Frhan ne approfittò per attaccare Katara, rimasta disarmata. Con un gesto della mano di Frhan, la terra le si aprì sotto i piedi, spaccata in due dalla violenza della lava.
Aang si liberò in tempo dallo tsunami infuocato per vederla cadere.
Stava rapidamente precipitando nel fuoco. Si lanciò verso di lei, sorretto dalla corrente che aveva creato sotto i propri piedi, ma una fiamma giallissima lo respinse indietro, sbattendolo sulla terra ustionante.
Sentì il suo nome rimbombare tra le pareti del crepaccio, ormai troppo lontane da lui.
Insieme a lei qualcos’altro stava cadendo dentro di lui. Raziocinio, lucidità, fermezza andavano precipitando al centro del suo io, catapultandolo fuori, facendo entrare l’altro, quello che non poteva ora controllare. L’Avatar.
E ogni ricordo si esauriva sulla luce che lo inondava, accecando la sua mente.

     Si prese il viso tra le mani, affondando le dita nella pelle fino a percepire le ossa, fino a percepire di essere sveglio, di essere vivo.   
Non tentò di rialzarsi questa volta, lasciò che il sudore rotolasse semplicemente sul suo viso contrito, cercando di domare il dolore, di sopprimerlo come si conveniva ad un uomo come lui.
Ma non ci riuscì, perché lei era morta e questa certezza, questa realtà, lo stava distruggendo, lo stava sgretolando da dentro. Soffocò un grido, stringendo i denti e lasciando che tutta la frustrazione esondasse dai suoi occhi.

     Era ben conscio di non potersi concedere il lusso di tanto abbandono, lui era l’Avatar.
Ma era pur vero che, prima di essere l’Avatar, era un uomo - un giovane qualsiasi - e sentiva tutto il peso di questa sua essenza terrena disgiunta dagli spiriti, di questa passionalità umana e materiale, dura come la roccia, ardente come il fuoco. Palpabile.
Così era il suo stato d’animo, un qualcosa di caldo e pesante, come un grande masso rovente appeso con un filo alla sua ugola e penzolante al centro del suo ventre.

     La porta emise un grave scricchiolio, strappandolo momentaneamente ai suoi pensieri. Si passò rapidamente il dorso della mano sul viso bagnato di lacrime e sudore, assumendo un’espressione contegnosa.
Dall’uscio fece capolino una donna sulla cinquantina, i capelli raccolti in una lunga treccia bruna adagiata sulla spalla sinistra e gli abiti della tribù del fuoco indosso.
I piccoli occhi blu erano incorniciati da un fitto reticolo di rughe che si distesero tutte insieme quando la donna si accorse che era sveglio.
« Oh Santo Cielo!» pigolò e Aang intuì subito che doveva trattarsi di una delle due che lo aveva trascinato nel letto, quando aveva perso i sensi.
« Oh Cielo, Outi!!! Outi, presto vieni! » la voce le usciva strozzata, mentre agitava concitatamente le mani davanti al petto prosperoso « Ha ripreso conoscenza!».
La donna che entrò nella stanza doveva essere di appena qualche anno più giovane di quella che l’aveva così apprensivamente chiamata « Arrivo, Donna Reeta, arrivo! ».
Aang rimase attonito a fissarla.
Quello che attirò la sua attenzione non fu il suo aspetto: aveva un fisico tanto generoso quanto maturo. Quello che in realtà lo colpì di questa donna, che doveva avere oltrepassato la soglia dei quaranta da diverse lune, erano i suoi capelli sorprendenti. Sebbene fossero sciupati dagli anni e da alcuni fili che già si erano ingrigiti, la chioma era di un colore nuovo, caldo e freddo allo stesso tempo. Prezioso. Se avesse dovuto esprimerlo per paragoni sarebbe stato il colore delle spighe di grano nel mese di maggio, o quello della polpa delle pesche o ancora quello del miele cristallizzato.  Un colore che ancora non aveva visto. Prezioso.
La donna fece un breve inchino e lui dal suo letto la imitò.
« E’ un onore per noi potervi ospitare nella nostra colonia » esordì lei con voce piena di rispetto e sicurezza « Qualsiasi desiderio l’Avatar volesse esprimere, il popolo dell’Acqua della colonia del Fuoco è a sua completa disposizione…»
« Popolo dell’Acqua? » il giovane inarcò un sopracciglio, accentuando l’espressione incuriosita «Della colonia del Fuoco?».
« Già, suona strano ma è così » intorno alla bocca sorridente le si disegnarono piccole rughe « La nostra colonia si è formata spontaneamente al termine dell’oppressione del signore del Fuoco, Ozai. »
Aang annuì silenziosamente, ancora piacevolmente colpito dai mille riflessi dorati che correvano su e giù per quei capelli.
« Vi farò portare degli abiti puliti e farò preparare immediatamente qualcosa da mangiare, così che possiate rifocillarvi! » congiunse le mani, congedandosi con un rapido elegante inchino.
Donna Reeta la imitò e gli lanciò un’ultima occhiata carica di soggezione, prima di sparire anche lei dietro la porta.

     Il giovane si lasciò andare sul cuscino e gli parve che il suo corpo si fosse appesantito d’un tratto. Si tirò nuovamente a sedere, deciso ad alzarsi e a darsi una ripulita. Dove farcela.
Infondo, lei non era più sua da diverso tempo.
Effimera consolazione e incessante rimorso. L’aveva persa, due volte.
Zuko gliel’aveva portata via sotto il naso, l’aveva sedotta e fatta sua signora. Ancora ora si domandava come avesse fatto a lasciarsela scivolare via così, come l'acqua che ti passa attraverso le dita senza che tu possa afferrarla.
Eppure continuava ad amarla, lo stesso amore che provava a dodici anni, la stessa passione pulita. E, nonostante questo, l’aveva lasciata andare con lui, si era lasciato strappare via il cuore e aveva continuato la sua vita.
Era cresciuto, aveva imparato a perdonare e a domare il dolore, a concentrarsi sulla gente che aveva bisogno di lui, dimenticandosi per un po’ di se stesso e del suo buco nel petto.
Ma ora che lei era definitivamente scivolata via, quel piccolo foro era diventato una voragine ed era stanco di contenersi.

     Si levò dal materasso e si diede una ripulita al mobile da toeletta. Si lavò e si rasò barba e capelli. Un bambino gli portò abiti puliti e profumati. Il piccolo teneva lo sguardo basso e aveva le guance rosse di imbarazzo.
« Ti ringrazio moltissimo….» Aang lasciò cadere la frase a metà, aspettando che il bimbo gli suggerisse il proprio nome.
« Niilo» mormorò.
« Grazie, Niilo» concluse quindi sorridendo e scompigliandogli i capelli. Il bambino corse via, colmo di gioia e vergogna allo stesso tempo.

     Aang terminò di vestirsi con gli abiti tipici della regione del fuoco. Una fitta al ventre lo colse alla sprovvista, e non seppe dire se fossero state le ferite sotto le medicazioni o quel grande masso infuocato che gli dondolava dentro.
L’ultima volta che aveva indossato quegli abiti era stato coi suoi amici più cari, mentre cercava di riportare l’equilibrio che il mondo sembrava aver perso in quei suoi cento anni di assenza.
Ricordò Katara: quanto era bella in quel completo di seta rossa e nera, una giovane donna carica di quella sua sensualità innocente ed acerba.

     Si aggiustò il colletto, lasciando aperti gli ultimi bottoni, in modo da far respirare il collo. Dalla finestra posta alle spalle del letto filtrava una luce abbacinante che inondava la stanza. Si apprestò al rettangolo luminoso.
Fuori la casa era circondata da un bellissimo prato e poco più in là spuntavano altre case. In lontananza si sentiva l’allegro vociare di un centro urbano vitale e vivace.
Nel bel mezzo del prato c’era una giovane donna, probabilmente poco più che ventenne. Alla sua destra un catino di metallo, colmo d’acqua fino all’orlo.
La giovane fletté le ginocchia e mosse con grazia le mani nell’aria, sembrava stesse disegnando eleganti volute di nulla nel vuoto. Porse la mano destra verso la sommità del catino, muovendo delicatamente l’indice in anelli concentrici.
L’acqua rispose al suo richiamo, risvegliandosi dal suo torpore e levandosi dal secchio. La massa fluida trasparente si muoveva ora nell’aria, addomesticata dalle sapienti mani della ragazza.
Poi l’acqua si fece solida, e una lastra di ghiaccio si formò a dieci piedi da suolo, per poi tornare alla sua forma liquida. Ora la ragazza comandava l’elemento con più foga e più energia, l’acqua si era di nuovo  consolidata in una lastra fredda e trasparente, sulla quale lei poteva correre e volteggiare a suo piacimento, come su un nastro che la seguiva nel suo avanzare. Ma più che una corsa sembrava una danza. Una danza senza musica, sulle note del silenzio dell’anima.
Rimase a contemplarla, a fissare quei capelli così lunghi e così chiari che quasi sembravano bianchi. Non erano come quelli di Outi. Sembravano più sottili e avevano il colore dei raggi del sole sul cielo d’estate, il colore di un riverbero sul mare o sulla neve. Un colore impalpabile, leggero. Prezioso.

     Restò ad osservala, fermo in piedi, dietro quella finestra che era l’unico schermo tra loro.
Così assorto com’era non si accorse che anche lei, volteggiando e veleggiando, lo stava guardando.
 
 


continua.....

 


Salve =)
Innanzi tutto grazie a chi ha dedicato un po’ del suo tempo a leggere e a recensire questa storia.
La narrazione sta in realtà procedendo da sé…non sono del tutto sicura di dove mi porterà e questo mi preoccupa soprattutto per quanto riguarda la coerenza dei fatti e i legami che intercorrono tra gli eventi, anche perchè di solito mi faccio un breve schema di tutta la storia...questa volta vado alla cieca quindi…incrociamo le dita :P
Per quanto riguarda la questione dei capelli...bah, non ho mai visto un personaggio che non avesse capelli neri o castani (se sbaglio per favore indicatemi in che episodio lo trovo ;D ) quindi ho voluto introdurre come "stranezza" il biondo dei capelli di queste donne....è una cagata ma vabbè, passatemela ;)
Detto questo spero continuiate a leggere e se avete un po’ di tempo anche a lasciare un piccolo commento =)
Grazie di cuore.
BB

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1336500