Hunger Games - La storia come ancora nessuno la conosce..

di Icy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** - Capitolo 1: Ricordi - ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: La Mietitura ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


- Prologo -
 

Gli Hunger Games, un reality show organizzato ogni anno
da Capitol City, con una sola regola: Uccidi o Muori.


Sono in un bosco, sto scappando da qualcosa. Il bosco è pieno di alberi, a occhio e croce sembrano pini, ma non gli do molta importanza, sto cercando di andare sempre più veloce, devo correre, devo scappare. Ad un certo punto inizia a piovere, una pioggia tanto fitta da sembrare quasi nebbia, ho la vista offuscata, ma non rallento. Mentre corro sento il fango che si attacca sotto gli stivali e mi appesantisce il passo, i rami degli alberi e il terreno irregolare mi graffiano e mi fanno incespicare. Ma la paura che ho in circolo nelle vene mi fa aumentare i battiti del cuore, ho quasi paura che mi possa uscire dalla gabbia toracica. Ho il fiatone, provo a respirare con la bocca, ma mi si riempie di acqua, la sputo e cerco di respirare con il naso. Fa male, i miei polmoni cercano morbosamente l'ossigeno in una quantità che non riesco a fornirgli. Ad un certo punto cado a terra e picchio il viso contro qualcosa di duro e ruvido, probabilmente una radice. Copro subito la ferita con la mano, cercando di capire quale fosse il danno. Il sangue inizia a scorrere tra le mie dita, mi oscura la vista e mi riempie la bocca, lasciandomi una spiacevole sensazione di nausea. La tuta ormai fradicia e sporca di fango mi si è appiccicata al corpo, il sangue continua a scorrere seza sosta, correndo anche giù per la manica e finendo a terra, formando una mistura insopportabile all'olfatto. Mi sento stordita e respiro a fatica mentre cerco di rialzarmi, senza successo. Mi fischiano le orecchie e la pioggia non è d'aiuto, ma nonostante questo fastidioso rumore sento un urlo, di una voce troppo familiare. Alzo di scatto la testa e uso la manica della tuta, anche se ormai non c'è rimasto un solo centimetro di tuta asciutto, per tamponarmi la ferita creata sulla fronte, ostacolando come meglio posso la fuoriuscita del sangue e capire chi stesse urlando. Il mondo inizia a girare a causa della mossa brusca, potrei svenire da un istante all'altro, ma si ferma appena realizzo chi avesse urlato. Soffoco un grido vedendo un ragazzo alto, slanciato, con i capelli neri e, anche se non riesco a vederli a causa della distanza e della pioggia due bellissimi e profondi occhi blu: è mio fratello, e sta combattendo contro un animale con la parvenza di un orso bruno, ma molto più grande e con artigli e fauci di una tigre: un ibrido. Julius è veloce e forte, ma fa comunque fatica a parare i colpi di quella bestia geneticamente modificata da Strateghi pronti a tutto pur di divertire il vasto pubblico di Capitol City e terrorizzare i 12 Distretti.

Sento il sangue rigarmi il viso e cadere a terra, la ferita brucia a causa del contatto con la pioggia e inizia a pulsare, otturandomi sempre di più le orecchie, ma sono troppo presa da quella terribile lotta per poter dare importanza a un insignificante taglio. Vorrei alzarmi, correre accanto a mio fratello e aiutarlo dicendogli che va bene e che io sono con lui, che lo proteggerò, ma i miei muscoli sono paralizzati, i miei arti non rispondono più al mio volere.

Succede tutto in pochi attimi. L'ibrido riesce a disarcionare mio fratello, lanciando la sua spada a diversi metri di distanza. Julius indietreggia e cerca di scappare, ma la bestia gli da' una zampata, creandogli delle profonde ferite sulla schiena. Vedo il sangue iniziare a scorrere a fiumi da quelle lacerazioni, la sua tuta ormai è distrutta. Un altro urlo. Mio fratello cade, preso alla sprovvista dagli spasmi, è bloccato a terra, non ha più vie di scampo. Lui ne è consapevole, io ne sono consapevole. Mi muore un urlo in gola quando vedo l'ibrido avvicinarsi e stringere in bocca mio fratello. Il sangue crea ruscelli che scorrono tra le fauci di quella bestia senza pietà. Lo vedo stringere le fauci, aumentando il flusso di sangue che sembra non finire mai. Ci fu un attimo di silenzio seguito da un colpo di cannone: è morto. Mio fratello è morto davanti ai miei occhi senza che potessi fare niente per aiutarlo, non me lo sarei mai perdonato..

Non riesco a trattenere le lacrime che iniziano a rigarmi il viso, insieme al sangue e al fango. Vengo colta di sorpresa da un tremito che mi blocca più di quanto non lo sia già. L'ibrido lascia cadere a terra il corpo inerme e dissanguato di Julius, lo fisso, senza realmente vederlo e vengo presa dai pensieri, penso a quando eravamo piccoli e giocavamo insieme nel giardino, alle ore passate a fantasticare su un futuro che non avremmo mai condiviso e a tutte le volte che mi hai protetta.. Mi sento uno schifo, tu hai sempre fatto tutto per me e adesso io, nel momento più oscuro della tua vita, sto qui a guardarti, a osservare un ibrido che ti uccide. Le lacrime aumentano seguite dai singhiozzi ormai incontrollabili, non riesco a fermarmi. Mi accorgo troppo tardi di aver fatto rumore, con il fango addosso ero mimetizzata, ma dovevo stare zitta. L'ibrido mi sente e si gira verso di me, fissandomi con i suoi occhi rossi come il fuoco. Quegli occhi mi catturano subito, facendomi pulsare sempre di più la ferita che ho sulla fronte, mi sembra che il flusso del sangue sia aumentato. Urlo terrorizzata, cerco di scappare, ma non posso e ad ogni movimento finisco con il cadere, procurandomi nuovi tagli e ferite: sono in trappola. Il sangue continua a fuoriuscire dalla ferita, appannandomi la vista, ma non abbastanza da non notare l'ibrido che in tutta la sua grandezza e quasi maestosa perfidia mi si piazza davanti e ruggisce. Per me è la fine

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Capitolo 2
*** - Capitolo 1: Ricordi - ***


- Capitolo 1: Ricordi -
 

"Non c'è separazione definitiva fino a quando c'è il ricordo."



Mi sveglio di colpo, urlando. Ho il viso imperlato di sudore e respiro a fatica. Il cuore mi batte talmente velocemente che sembra voglia uscirmi dal petto, mi sento come squarciata dentro. Inpiego diversi minuti a capire che sono al sicuro nel mio letto e che era tutto solo un incubo.

Mi guardo intorno, girando lentamente la testa. La casa è sempre la stessa, la solita casa di legno con il tetto rinforzato per evitare che la neve la faccia cadere. La stanza è sempre la stessa. Alla destra del letto c'è una finestra che da' sul recinto che dovrebbe essere elettrificato, ma non lo è quasi mai: serve a tenere rinchiusi gli abitanti del Distretto 12. Alla mia sinistra c'è l'armadio e di fronte a me c'è un mobile di legno di castagno, accuratamente ornato, sul quale sono appoggiate le foto della mia famiglia. Cerco di non soffermarmi troppo sui miei cari e distolgo lo sguardo appena sento una fitta al petto.

Vedo che le lenzuola e il cuscino sono a terra: devo aver avuto un sonno molto agitato, anche perché la mia mise da notte è intrisa di sudore.

Respiro profondamente e, quando il mio cuore rallenta la sua sfrenata corsa tornando a un ritmo regolare, decido di alzarmi per mettermi qualcosa di asciutto. Quando mi alzo sento le gambe molli, come se si fossero dimenticate come si devono muovere. Riesco a controllarle nonostante mi senta disorientata e a piccoli passi, cercando di abituare di nuovo le gambe al mio peso, mi avvicino al bagno.

La camicia da notte scivola delicatamente sulla mia pelle, cadendo a terra, seguita dall'intimo. Mi immergo completamente nella vasca piena d'acqua, ormai fredda, cercando di affogare le mie paure. I miei polmoni richiedono presto l'ossigeno e sono costretta a riemergere e respirare. Non è servito a molto, quindi inizio ad accarezzarmi quasi la pelle, cercando di levarmi tutto lo sporco di dosso. Mentre mi lavo ripenso a quell'incubo, è un'incubo che mi tormenta, o meglio tormentava sovente, ma negli ultimi 3 mesi non era mai tornato ad infastidire le mie notti.

Dopo circa un quarto d'ora esco, mi asciugo rapidamente e torno in camera, evitando di rivolgere lo sguardo alle foto, apro l'armadio per vestirmi. Opto per una tuta nera, aderente, ma comoda. La prendo e mi ci infilo dentro. La stoffa si adatta subito alle mie forme. Alzo lo sguardo da terra e guardo lo specchio: vedo una ragazza non molto alta, ma abbastanza esile, con i capelli corvini e gli occhi di un blu intenso, molto scuro. La pelle è in contrasto, perché è molto chiara. Le labbra sono rosee e carnose, ma non c'è nessun cenno ad un sorriso.

Mi giro di scatto, mi dirigo in cucina e mi scaldo un po' di latte, lo metto in una tazzina e inizio a berlo. Mi siedo a tavola e, mentre bevo a piccoli sorsi il latte, stando attenta a non bruciarmi, decido che andrò al lago, fuori dal recinto, anche perché non ho più niente da mangiare.

Non sono la migliore cacciatrice della zona, ma me la cavo abbastanza bene nel lancio di oggetti. I pesci sono prede facili, basta un rametto rigido e appuntito. A cacciare non me la cavo male in fondo, ma non è di certo una delle cose che mi riesce meglio. So costruire qualche trappola, so tirare con l'arco, sono veloce e so arrampicarmi sugli alberi, ma d'altro canto non sono molto forte, ho poca resistenza fisica e, una volta catturato e ucciso un animale, squartarlo e pulirlo è un supplizio. Spesso mentre pulisco scoiattoli o conigli sento un forte senso di nausea, ma non posso permettermi di rigurgitare e perciò mi limito a cacciare giù i conati. Non mangio molto, il cibo è caro ed è poco, non tutti possono permetterselo e, inutile dirlo, io non faccio parte di quest'élite, e per questo devo resistere, se vomitassi anche quelle poche sostanze che ingerisco probabilmente non avrei neanche la forza di stare in piedi. Quindi devo farmi forza e distrarmi, pensando a cose meno rivoltanti. Le prime volte non è semplice, ma dopo qualche tempo diventa un'abitudine, le mie mani si muovono meccanicamente.

Poi riesco a riconoscere diversi tipi di piante, questo lo devo soprattutto a mio fratello maggliore, Julius, lui era bravo in tutto, a cacciare, a riconoscere le piante, a pescare.. Lui da solo riusciva a mantenere una famiglia composta da tre persone: mio padre, Julius e io. Mia madre è morta dopo avermi messo al mondo, ancora non si sa come io sia sopravvissuta.

Quando ero piccola mio padre mi diceva sempre che ero bella come la mamma e che avevo i suoi stessi occhi. Non l'ho mai conosciuta, ma dalle foto non posso che dargli ragione, io e la mia mamma siamo due gocce d'acqua.

Ripensare ai miei parenti mi fa venire un tuffo al cuore. Mi hanno abbandonata tutti, se ne sono andati tutti. Mio padre è stato ucciso da un Pacificatore che l'ha trovato fuori dal recinto a cacciare: è stato veloce, un colpo di fucile alla tempia.

Io e Julius abbiamo tirato avanti, anche se a fatica. "Fortunatamente" eravamo abbastanza grandi da poterci iscrivere per prendere le tessere, una porzione giornaliera di cereali e farina. Niente di che, ma ci permetteva di andare avanti. Ma questo era solo un lato della mediaglia, una tessera comportava che il nostro nome comparisse più volte per l'elezione del tributo per gli Hunger Games, uno stupido reality che serve a divertire la gente di Capitol City e a ricordare ai dodici Distretti chi è che comanda. Dodici ragazzi tra i dodici e i diciotto anni, vengono scelti a caso e mandati in un'arena che può variare dall'essere un bosco o un deserto: solo il vincitore torna a casa. Gli altri vengono uccisi o muoiono per disidratazione o fame.

Li detesto, sono dei giochi infami e quei senza cuore di Capitol City dovrebbero capirlo e vergognarsi, invece no, li aspettano con ansia, per il loro puro divertimento.

Pensarci mi fa venire i tremiti di rabbia e mi sto accorgendo solo ora che sto stringendo la tazza talmente tanto da farmi male.

Julius non mi ha mai permesso di prendere le tessere, o almeno finché ci fosse stato lui.

All'età di diciotto anni lui aveva un totale di ventiquattro tessere, ma molti ragazzi ne avevano anche quaranta, aveva poche possibilità di venire scelto... Ma la fortuna quel giorno non fu dalla sua parte. Venne scelto come tributo.

Mi promise che avrebbe fatto di tutto per tornare a casa, da me, ma non tornò più.

Ormai è inutile piangere o dispiacersi, devo farmene una ragione, lo so.

Mi alzo, lavo la tazza, infilo gli stivali ed un gilet ed esco di casa, diretta al bosco. Controllo che non ci sia nessuno nei paraggi, ma è troppo presto e tutti stanno ancora dormendo. Mi avvicino alla recinzione dietro casa mia e ascolto. Silenzio totale. Striscio sotto la rete metallica e sono dall'altra parte, inizio a correre finché non sparisco nel bosco.

E' tutto così tranquillo qui, così silenzioso, l'unico rumore è il flebile canto degli uccellini che si stanno svegliando.

Cammino godendomi quella musica, e ammirando la natura che sta terminando un altro ciclo. Ormai le foglie sono gialle e secche, presto cadranno al suolo. Sto attenta a dove cammino per non spaventare la selvaggina, anche se non è a quella che sto puntando.

Dopo una buona mezz'ora arrivo al lago. Mi nascondo dietro ad un cespuglio, prima di uscire allo scoperto, non vorrei che ci fosse qualcuno, tipo dei Pacificatori o simili. Sto ferma con un ginocchio appoggiato a terra, in posizione di partenza per la corsa, in caso ce ne sia la necessità, per diversi minuti. Mi fanno male le gambe, ma devo resistere. Quando vedo che non c'è nessuno esco allo scoperto. Stiracchiare le gambe e le braccia mi da' un forte sollievo e un senso di piacere. Passeggio sulle rive del lago finché non arrivo davanti ad una casetta, costruita a mano con i pochi materiali che erano riusciti a trovare nel bosco. Come lo so? L'ha costruita mio padre, insieme a me e a mio fratello, prima della rivolta e degli Hunger Games.

Mi avvicino timidamente a quella che per me è sempre stata una fortezza ed entro. Non fa ancora molto freddo, anzi, al contrario, perciò mi levo gli stivali, il gilet e la tuta e decido di farmi il bagno. L'acqua è fredda a contatto con la mia pelle accaldata per la passeggiata, ma cerco di non dargli peso, infatti dopo pochi minuti mi sento assolutamente a mio agio. Non sono molti nel mio distretto a saper nuotare, anche perché non abbiamo niente che possa in qualche modo aiutarci, come una piscina per esempio.

Il Distretto 12 è sicuramente uno dei più poveri, anche se, pensandoci bene, lo sono un po' tutti rispetto a Capitol City.

Esco dall'acqua e sto un po' sotto il sole per asciugarmi alla peggio, mentre con una fiocina che ho recuperato dalla casetta catturo un paio di pesci. Quando mi reputo abbastanza asciutta mi vesto, poso la fiocina, nascondo i pesci in una sacca che mi lego alla cintura e torno verso casa. I pesci non sono il mio piatto preferito, ma la fame è fame.

Mentre rientro raccolgo qualche bacca e le posiziono in una tasca del gilet, stando attenta a non farli diventare una marmellata.

Arrivo nei pressi della recinzione e mi nascondo dietro un albero per controllare la situazione: adesso c'è più gente rispetto a stamani, ma non vedo nessun Pacificatore. Corro dietro casa, ascolto se c'è qualche ronzio, ma la recinzione come al solito non è elettrificata, perciò striscio sotto ed entro in casa dalla porta del retro. Arrivo in cucina e poso i pesci e le bacche sul tavolo.

Le persone che ho visto prima erano tutte molto pallide e avevano uno sguardo vitreo... Sposto lo sguardo sul calendario appeso sulla parete di fronte a me e capisco subito il motivo. C'è un tratto rosso intorno alla data di oggi con accanto una scritta che, da quella distanza, non riesco a leggere, ma che purtroppo conosco. Mietitura,

Oggi è il giorno della mietitura.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: La Mietitura ***


- Capitolo 2: La Mietitura -


 

"La morte è un sonno senza sogni e forse senza risveglio"




Il distretto è pieno di Pacificatori, uomini e donne provenienti soprattutto dal Distretto 2 o da Capitol City che, per piacere o per estinguere i propri debiti, decidono di incutere terrore nei distretti per farci rispettare la legge. Uscire dal recinto ha come pena una fustigazione in pubblico, cacciare ha come pena la morte. Sono stata molto fortunata oggi, magari finirà bene la giornata, o almeno lo spero.

Questo spiega perché stamani c'era tanta gente in giro: durante il giorno della mietitura tutti hanno la giornata libera. Questa sera il distretto festeggerà, tranne una famiglia, quella a cui verrà strappato il figlio dalle braccia che andrà verso morte quasi certa. Fino ad adesso nessun tributo proveniente dal Diostretto 12 è mai tornato vivo.

Visto che è già mezzogiorno decido di mangiare qualcosa, prepararmi e andare alla mietitura. Torno a passi lenti in camera per pettinarmi i capelli. A differenza delle altre ragazze io non ho nessuno che mi pettini e mi leghi i capelli, quest'anno devo vedermela da sola. Un anno fa c'era Julius che mi legava i capelli mentre mi raccontava una storia per tranquillizzarmi, mi accarezzava i capelli sussurrandomi che sarebbe andato tutto bene, e in quel momento ci ho creduto. E' stato molto difficile accettare il fatto che sarei rimasta sola per il resto della vita, tutt'ora lo è. I primi giorni rimasi chiusa in casa a piangere, non riuscivo a credere che ciò che avevo visto in tv fosse reale. Tutto per colpa degli Strateghi, senza il loro stupido ibrido mio fratello avrebbe potuto vincere, c'era solo una cosa che non andava bene agli Strateghi: aveva deciso che non avrebbe ucciso nessuno, anzi, aiutò diversi tributi in difficoltà. Ma nonostante questo riuscì ad arrivare in finale con uno dei Favoriti, ragazzi provenienti dai distretti 1,2 e 4 che vengono allenati sin da bambini per gli Hunger Games. Vengono dai distretti più ricchi,quindi ricevono più doni durante la durata dei Giochi. Hanno più probabilità di vincere, ma quel ragazzo era messo male, era gravemente ferito e non smetteva di sanguinare, quando rimasero in due. Era chiaro che sarebbe morto, ma gli Strateghi pensarono bene di farlo vincere uccidendo Julius, e in pochi secondi eccolo lì, un perfetto ibrido assetato di sangue a rincorrere mio fratello. L'avevano ucciso loro, ne ero sicura.

Senza accorgermene sto piangendo e la mia mano è talmente stretta all'impugnatura della spazzola da farmi male. Lo nocche sono bianche e i muscoli del mio braccio sono tesi. Mollo la spazzola e respiro un paio di volte lentamente.

Ogni mio tentativo di fare un'acconciatura strana è vana, non posso farcela da sola. Alla fine mi arrendo ad una semplice coda alta, è sempre la migliore scelta.

Cerco un vestito più carino, per la mietitura tutti dobbiamo metterci i vestiti migliori, come se tutti stessimo bene e fossimo felici, ma non è così.

Sospiro. Guardo l'unico vestito che ho, è azzurro, non molto lungo. Non ha fiocchi o pizzi, niente che lo impreziosisca, tranne una cosa: era di mia madre.

Mi levo controvoglia la tuta per infilarmi il vestito, anche se mi sembra ogni anno più corto. Mi giro davanti allo specchio, adesso mi arriva sopra il ginocchio. "Adesso ho capito da chi ho preso l'altezza" penso. Non sono molto alta, ma a quanto pare neanche mia madre lo era.

Mi allontano dallo specchio rapidamente, non ho voglia di vedermi in lacrime perché non riesco a pensare ad altro che non sia la mia famiglia.

Mi faccio forza e, una volta tornata in cucina, mangio con poca voglia le bacche.

L'ansia mi sta uccidendo. Penso a quante probabilità ho di venire scelta. Non dovrebbero essere molto, a occhio e croce ho solo sette nomine, ma a questo punto posso aspettarmi tutto.

Finisco le bacche, ma lascio stare il pesce, se sono fortunata lo mangerò stasera.

Cerco il modo migliore per conservarlo, così che non inizi a puzzare e ad attirare ospiti indesiderati, come i gatti dei vicini.

Sono già le due, manca solo mezz'ora. Non ho niente da fare, ma devo tenere occupato il mio cervello, o rischio di ricadere in depressione.

Esco di casa e chiudo la porta.

So che tra un po' i Pacificatori verranno a controllare che tutti siano alla mietitura, nessuno può mancare ad un evento tanto importante. Venire trovati dai Pacificatori in casa durante la mietitura equivale a una fustigazione in pubblico, o, nel peggiore dei casi, la trasformazione in senza-voce. I senza-voce sono persone che hanno cercato di ribellarsi alle regole di Capitol City, cercando di saltare la mietitura o scappando dal distretto, ma sono stati catturati e come punizione gli hanno tagliato la lingua e sono diventati schiavi di Capitol City.

Cammino a passi lenti, dirigendomi verso il Palazzo della Giustizia, cercando di concentrarmi sui miei passi, dove metto i piedi. Ad un certo punto vedo in terra qualcosa che riflette la luce del sole. Mi chino per avvicinarmi e vedere cosa sia. E' una moneta.

"Trovane solo una e ti porterà fortuna... o almeno così dicono" penso. Stringo la moneta nel pugno della mano, sperando con tutta me stessa che sia vero.

Riprendo a camminare e mi guardo intorno. La maggior parte delle case sono già chiuse, le strade sono piene di persone, soprattutto donne che accompagnano i figli alla mietitura, tenendoli in braccio o stringendogli la mano. Hanno tutti un'espressione esangue, e non li biasimo. Mi guardo intorno, c'è troppa gente, troppi bambini. Alcuni piangono, altri fissano punti indefiniti della strada, gli occhi vuoti, senza luce. Solo tanta paura.

Stringo più forte la moneta.

Non è giusto, non è giusto che dei ragazzi così giovani vengano buttati in un'arena per uccidersi a vicenda: verranno segnati a vita! Ovviamente se resteranno in vita...

Faccio un profondo respiro e cerco di controllarmi. Mi fermo un secondo e mi appoggio allo stipite di una porta di una casa chiusa. Chiudo gli occhi, alzo il viso e mi concentro sul ritmo lento del mio respiro, ma i battiti del mio cuore sono così forti da rimbombarmi nelle orecchie.

"Dai Hather! Non ti ho mai vista così, e tutto solo per la mietitura! Andrà bene, andrà tutto bene" cerco di convinvermi.

Apro gli occhi lentamente e ritrovo un po' di coraggio e fierezza. Sono troppo orgogliosa per farmi vedere debole dagli altri.

Riprendo a camminare, a testa alta e con passo moderato. Manca poco all'inizio della mietitura.

Arrivo davanti al Palazzo della Giustizia in pochi minuti, durante i quali sono riuscita a camminare senza incespicare o dovermi fermare. Mi sento soddisfatta del mio risultato.

Davanti al maestoso palazzo, la piazza pullula di ragazzi già divisi per sesso ed età. Cerco le ragazze di diciassette anni per aggregarmi a loro. Non faccio in tempo a trovarle che mi si piazzano due uomini in tuta bianca davanti: Pacificatori.

«Come ti chiami?» mi chiede quello più alto. Sono entrambi grandi come armadi, ma uno è biondo con gli occhi azzurri, l'altro è abbronzato, ha gli occhi verdi e i capelli castani. Distretto 2 e 4.

«Heather Evans» rispondo, cercando di non mostrarmi troppo sottomessa.

«Anni?» chiede l'altro.

«Diciassette»

«Seguimi» mi dice il biondo e, dopo essersi girato, inizia a camminare, dirigendosi verso un gruppo di ragazze. Non posso fare altro che seguirlo.

«Sei arrivata» mi dice secco, allontanandosi e lasciandomi da sola, in un gruppo di mie coetanee. Sono in trappola. Non posso scappare.

Ad un certo punto arriva sul palco una donna all'incirca sulla trentina, che sembra arrivata direttamente da Capitol City. Ha un'enorme parrucca rossa, intonata ad un vestito a mio parere ridicolo. Gli occhi sono pesantemente truccati con eyeliner nero e ombretto rosso. Ha stampato sulla faccia un sorriso a trentadue denti. Le labbra sono state manomesse chirurgicamente, sono troppo gonfie e il rossetto non fa che metterle in evidenza. Si chiama Tracy ed è l'organizzatrice degli impegni del tributo, impegni che comprendono il viaggio, la sfilata, l'intervista e cavolate simili per intrattenere i personaggi di Capitol City e far crescere l'ansia tra i tributi.

«Benvenuti!» squittisce la donna «e felici Hunger Games! Possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!» ci fu un attimo di silenzio.

«Bene, prima di estrarre il nome del fortunato o fortunata che verrà scelto come tributo per gli Hunger Games, vorrei mostrarvi un video arrivato direttamente da Capitol City!» dice, e con un ampio gesto della mano indica uno schermo sospeso in aria che s'illumina. Sappiamo già cosa mostrerà il video.

Immagini della rivolta. La capitale che torna al potere. Vengono indetti i primi Hunger Games. Immagini su come i ragazzi si uccidano a vicenda. Qualcuno esulta, perché ha vinto.

Metto la mano in tasca e stringo la moneta quando vedo che c'è anche mio fratello.

Finalmente appare lo sigillo di Capitol City e lo schermo si oscura.

«Okay, direi che è giunto il momento di scegliere il fortunato o fortunata tributo che rappresenterà il Distretto 12 agli Hunger Games!»

Viene avvicinata a Tracy una boccia enorme, ci saranno minimo mille nomine. Mi riecheggiano nella testa le parole di Julius dell'anno scorso: "Hai solo cinque nomine, Heather, non verrai scelta come tributo, vedrai, andrà tutto bene"

Quest'anno ho solo due nomine in più. Non possono fare tutta questa differenza, in fondo sono solo due in più, sono sette su più di mille...

Tracy affonda la mano nella boccia e tira lentamente su un pezzettino di carta.

Il mio cuore inizia a battere sempre più velocemente, una reazione analoga in ogni ragazzo del distretto.

«La fortunata» inizia. Fortunata, è una ragazza. Merda. «che rappresenterà il Distretto 12 alla nona edizione degli Hunger Games è... Heather Evans!»

Due parole si fanno strada nella mia testa, fino a diventare estremamente irritanti, ma purtroppo vere: sono morta.

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