Come Back To Me Please...

di LA dreamer
(/viewuser.php?uid=63678)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Memories And Thoughts ***
Capitolo 2: *** Sometimes... ***
Capitolo 3: *** I can wait forever. ***



Capitolo 1
*** Memories And Thoughts ***


Camminavo per le strade affollate della città,senza perdermi un minuto della mia libertà e della mia giornata,simile a tutte le precedenti.
Le persone mi passavano a fianco facendo finta di niente,ma in alcune di loro coglievo un sorriso affascinato che spuntava sulle labbra. Amavo trascorrere la mia giornata così,semplicemente camminando per la città,senza una meta precisa,senza niente da fare.
C’eravamo presi un mese di stacco dal lungo tour che ormai andava avanti da mesi,e mentre gli altri si dividevano tra famiglie,fidanzate e amici,io mi concedevo queste camminate infinite dalla mattina alla sera,senza dovermi dividere con nessuno,se non con me stesso,e con questa città illuminata da un sole caldo,coperta da un’aria frizzante e leggera che mi pungeva le guance,e quel cielo che mai avrei voluto dimenticare,un cielo azzurro come le acque di posti lontani,come lo era quel giorno.La città era sempre la stessa,la mia casa,il mio rifugio personale nei momenti in cui volevo chiudere col mondo esterno,nei momenti in cui il ricordo di lei era sempre più forte da farmi male.La mia città incantata,la mia bella e luminosa Montreal.
E ora mi ritrovavo con le mani nelle tasche dei jeans,la testa rivolta verso il marciapiedi,a camminare solitario per questa città che mi ha sempre dato tanto,ma che per destino,mi ha tolto il doppio della mia stessa vita.
Non c’era niente che non mi piacesse di quel posto.
I grandi grattacieli,che decoravano il panorama,mi rendevano sicuro e allo stesso tempo rilassato,come protetto davanti a tanta massa solida e luccicante.
I raggi del sole si scontravano dolcemente contro le finestre dei palazzi,creando nell’aria dei grossi cerchi luminosi e colorati,come l’arcobaleno dopo la tempesta,come la quiete dopo la tempesta.La mia tempesta interiore ancora non cessava,ancora non era intenzionata a cessare.Sentivo il disordine della mia mente girare impazzito,come se fossi sulle montagne russe,mille e mille pensieri,ricordi,vagano indisturbati nella mia testa,senza volersi fermare,o molto più probabilmente ero io che non volevo farli fermare…Già forse ricordare mi faceva bene quanto male.
Ogni volta che pensavo a quegli anni trascorsi,mi si apriva una voragine nel petto tanto forte da farmi sentire come tagliato a metà,opprimevo tutto questo semplicemente chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte alla parete fredda del bagno,ma a volte non bastava ed ero costretto ad aprire quel maledetto armadietto e tirare fuori la mia disgrazia,quella disgrazia di cui solo io ero a conoscenza.Odiavo quei momenti,arrivavo persino ad odiare me stesso per farmi del male in quel modo,ma avevo scoperto che era l’unico modo per sopprimere tutto quel dolore.
Eppure,nonostante stessi male,continuavo a pensare a quegli attimi lontani,ma nitidi nella mia testa,nonostante tutto io non permettevo alla mia mente di dimenticarmi di lei.Della mia piccola lei. Sorrisi a me stesso,per la prima volta dopo giorni,sorridevo a me stesso,per quanto riuscissi a pensare senza annegare nelle acque più nascoste del mio corpo.
I miei amici ormai lo sapevano,e sapevo di poter contare su di loro,infondo anche loro avevano vissuto gli ultimi atti di quella recita insieme a me,e tentavano in tutti i modi di farmi pensare ad altro,ma c’erano momenti in cui niente era più forte che la sua immagine stampata sui miei occhi,talmente forte da farmi accecare. Avevo tutto quello che avevo desiderato.
Il mio sogno più grande si era avverato.
Ero famoso e potevo portare la mia,la nostra musica in tutto il mondo,colpendo il cuore delle persone che ci venivano a sentire.Amavo i miei fans quanto loro amavano me,amavo poterli incontrare,fare foto con loro e vederli felici come lo ero io un tempo nella loro posizione.
Ma,perché in ogni storia bella c’è un ma,mancava qualcosa di troppo grande,mancava qualcosa di troppo vitale,mancava lei.
Passai per il piccolo ponte di legno che divideva la vecchia Montreal da quella nuova.
I fiori ricoprivano la maggior parte della superficie legnosa di cui era fatto il ponte.Accanto a me camminavano coppie di fidanzati,abbracciati e innamorati,che si sorridevano felici e consci di un amore che,forse,sarebbe durato a lungo.Gli occhi di lei brillavano nel momento in cui scontravano con quelli del suo lui,e lui le carezzava dolcemente la pelle della guancia con la punta delle dita,come se premuta troppa,si fosse rotta in mille pezzi.
Non guardarli,diceva la voce dentro di me,vai avanti senza guardarli.Ma come potevo ignorare tanta felicità?come potevo privarmi anche di quelle visioni assurde e dannatamente belle?
Quanto sarebbe passato prima che anche i miei occhi fossero tornati a sorridere come facevano in quel tempo tanto lontano da sembrare sfuocato?tanto,poco,o forse mai.La vita è troppo scivolosa per capirne davvero il futuro che ci riserva.
David vai avanti.Ascoltai la voce furiosa e camminai fino ad uscire dal quel paradiso con le sembianze dell’inferno.
7 anni,mi ripetevo,7 anni e tu stai peggio di quel giorno stesso. Ma cosa potevo farci?
Ogni volta che il verde delle piante mi accecava mi venivano in mente i suoi occhi che mi guardavano,felici nei momenti belli,tristi come quel giorno in cui la vidi per l’ultima volta.
Quegli occhi che credevano in me,che credevano in tutto ciò che facevo,pur sbagliato o giusto che fosse,a cui non importava di quanto idiota fosse quello che facevo,quegli occhi che mi hanno sempre fatto sentire importante e vero,quegli stessi occhi dove vedevo me stesso senza aver paura di scoprirne la verità.Quegli stessi occhi in cui vedevo tutto il mondo,che erano tutto il mio mondo e dove ancora mi sentivo intrappolato,dove forse ero ancora intrappolato.
Entrai distratto in un bar,avevo bisogno di sedermi,bere un caffè e continuare a placare il dolore che il mio cuore pompava come il sangue caldo nelle vene.
Mi sedetti vicino alla grande finestra.Il mio posto preferito,dove amavo stare,dove potevo guardare il mondo andare avanti,mentre io mi prendevo preziosi minuti di silenzio,di riflessione e di calma interiore.
Il caos della città cessò nel momento in cui l’ultimo cliente chiuse la porta d’ingresso,così di botto mi lasciò vuoto anche dentro,un minuto prima una signora suonava il clacson come impazzita,un minuto dopo il silenzio regnava sovrano quel posto,come se fosse lui a governare i sentimenti delle persone.
-Ciao dimmi tutto.-la ragazza davanti a me stringeva nervosa un blocco e una penna,pronta a scrivere per poi scappare dietro al bancone con la mia ordinazione.Possibile che fossi geloso anche di una stupida ordinazione?scossi la testa come annientare tutta la pazzia che governava i miei pensieri e sfoggiai un sorriso amichevole e gentile.
-un caffè con panna extra zuccherato e una ciambella al caramello.
-altro?
-per ora no grazie.-sorrisi ancora fissandola.Sapevo che stava per chiedere altro.Si mordeva il labbro inferiore in modo frenetico che avrei voluto metterle una mano sulla bocca per farla smettere.Quel gesto mi dava sui nervi,la mia piccola lei,il mio miracolo personale,lo faceva sempre.
-posso…-si fermò un secondo valutando la mia espressione. Chissà che espressione avevo assunto.Cercai di non pensarci e ricominciai a sorridere.
-dammi pure.-le sfilai dalle mani il blocchetto e la penna.-come ti chiami?
-Sharon.-balbettò continuando col gesto di poco prima.Scrissi velocemente aggiungendo qualcosa di speciale e le diedi di nuovo il blocchetto.-oddio grazie David.
-non c’è di che Sharon.-mi voltai ancora alla finestra e al mondo pieno di emozioni e privo di me.Chiusi gli occhi placando la secchezza della gola e l’urlo che stava per uscirmi a pieni polmoni dalla bocca e ricominciai come un pazzo furioso a scuotere la mia coscienza e sognare ad occhi chiusi.
Avevo ancora troppe domande da porle,troppe erano le cose rimaste in sospeso quel pomeriggio di Luglio,perché quel gesto?perché andarsene così senza motivo?beh forse il motivo c’era e a me era ancora sconosciuto.
Avevo capito tardi che quella che provavo io non era amicizia,così tanto tardi da sentirla scivolare via dalle mie mani per poi non riprenderla più.Mi davo la colpa per qualcosa di cui non sapevo niente di niente,perché forse qualcosa che avevo fatto io a lei aveva fatto male,e se fosse davvero così non sarei mai riuscito a perdonarmelo.
BASTA,urlai dentro di me.Ma basta risultava ancora troppo poco per convincermi a lasciarmi tutto alle spalle e ricominciare da zero. Dovevo convincermi che lei non c’era più,che forse non sarebbe mai tornata,e che il mio piccolo mondo fatto solo di me e lei,non avrebbe più continuato a vivere se non soffocato dal dolore e da incubi.Erano passati 7 anni,7 lunghi anni e ancora non riuscivo a dire addio alla mia piccola lei.
Il vibrare del cellulare mi fece tornare per un momento ad una realtà dura e difficile.Estrassi il telefono dalla tasca della giacca di pelle nera e sorrisi nel vedere il nome sul display.
-ciao Pierre.
-eih dove sei?
-in un bar a prendermi un caffè.
-ottimo,senti domani sera che fai?ti va di uscire un po’?
-dove mi vuoi trascinare?
-al Metropolitan,dai è un sacco che non ci andiamo e saremo un po’ gli ospiti d’onore.
-non si era detto di stare tranquilli per un mese?-chiesi sospirando e sprofondando nel divanetto di pelle del bar.Possibile che anche quello mi ricordasse il suo profumo?ero pazzo,pazzo da legare.
-si lo so Dave però che palle.-sbuffò sonoramente come se volesse farmi capire qualcosa.Solo allora ci arrivai.
-hai litigato con Denise vero?
-mi leggi nel pensiero?
-no si dal caso che ti conosco dalla bellezza di 8 anni e credo di capire ormai quando mi fai certe proposte.
-uffa…e comunque si per una cazzata che domani si risolverà.-Sharon arrivò al tavolo con la mia ordinazione,con mano tremante posò il caffè e la ciambella sul tavolo facendo sbattere troppo il piatto contro il legno del tavolo.Le sorrisi per tranquillizzarla e mimando un << grazie >> tornai ad ascoltare le parole del mio amico.
-quindi devo prenderla per metà la tua offerta di domani sera?
-beh…si?
-tranquillo,tanto non ho molta voglia di uscire quindi tranquillo se risolvi con lei.
-è tutto ok Dave?
-certo mi riposo e basta.fammi sapere ok?
-contaci.-riposi il cellulare nella tasca e assaggiai il caffè.Ora si che iniziavo a ragionare.Come sempre mi aveva capito,aveva capito che c’era qualcosa che non andava,e come sempre aveva lasciato perdere,non avevo voglia di lagnarmi al telefono con lui,non avevo proprio voglia di parlarne con nessuno.
Sospirai posando il caffè sul tavolo.Ovunque tu sia,e non mi importa che sia vicino o lontano,sappi che soffro per te,che piango per te,che penso a te come se fossi ancora viva dentro di me,perché il tuo ricordo,il ricordo della tua voce cammina lento sul mio cuore,corre veloce nella mia mente.Ed era proprio la sua voce il ricordo più doloroso,l’immagine più critica da inquadrare.
Sprofondai ancora di più sul divanetto,fino a sentire il contatto della pelle contro l’incavo del mio collo.Chiusi,per l’ennesima volta,gli occhi e mi abbandonai del tutto a pensieri lontani.
Lo feci.
Non avrei dovuto,ma lo feci.Ripensai a tutto di lei,ai suoi occhi,alla sua pelle che tante volte avevo potuto toccare,ma senza scoprirne ogni singolo vertice,senza andare oltre ad un abbraccio amico.Le sue mani che mi disegnavano prima di qualche gara tra amici sullo skate,a quel sorriso così magico,così sincero e semplice che compariva ogni qual volta riuscivo in uno dei miei giochetti.Ma la cosa che più mi mancava,di cui più avevo bisogno in momenti come questo,era la melodia della sua voce,della sua risata che faceva schizzare il mio cuore fuori dal petto ogni qual volta accadeva.
Perché niente poteva tornare a quei giorni?Perché se n’era andata? Pensavo a tutte le volte che ero salito su quel palco,con in pugno il mio basso,con davanti a me migliaia di occhi che mi guardavano sorridenti,era tutto quello che volevo,tutto quello di cui le avevo sempre parlato nelle notti d’estate,sdraiati sopra un tetto,sotto il cielo luminoso e stellato di Montreal,in quei momenti persi in posti troppo lontani,sognati a gran voce,dove io capivo lei,e lei,come sempre,capiva me.Mi dava la forza di andare avanti,di sognare senza cadere dalla mia nuvoletta immaginaria,ma di rimanere sempre con i piedi sopra di essa,sognando come mai avevo fatto,perché lei credeva in me,più di quanto io credessi in me stesso.
Su quel palco,chiudevo gli occhi nelle canzoni più importanti,cantando quelle parole che in qualche modo erano,anche,dedicate a lei,e una volta riaperti la cercavo con lo sguardo,con il cuore,sperando di poter incontrare nuovamente i suoi occhi,vederli sorridere per me,vederli piangere dall’emozione,per me,ma ogni volta che li riaprivo trovavo solo volti nuovi,con emozioni diverse scritte nei loro volti,ma non vidi mai quegli occhi verdi!
La sera stava scendendo.
Le prime luci dei lampioni si accendevano lungo le strade.Lasciai una banconota da dieci dollari sul tavolo,una mancia per te Sharon,pensai mentre mi alzavo e uscivo da quel posto.Tornai svelto verso casa,senza mai fermarmi troppo sui particolari di quei ricordi,ne tanto meno sulle vie che stavo percorrendo,senza nemmeno rendermi conto.Provavo una sensazione di chiusura,di apatia,ma soprattutto di panico.Così aumentai il passo fino a ritrovarmi a correre,sbattendo contro le persone,senza nemmeno chiedere scusa.Questo non era di certo il David che la gente vedeva in televisione o nei nostri dvd.Era diverso,nuovo,o semplicemente un David che soffriva davanti a tutto questo,ma che riusciva sempre in qualche modo a nasconderlo e non farlo apparire,non volevo deludere nessuno,ne i miei fans,ne tanto meno i miei migliori amici,in teoria nemmeno me stesso,ma lo stavo facendo,eccome se lo stavo facendo!
Chiusi il portone del palazzo dove abitavo così forte da far vibrare il vetro delle finestre poste nell’atrio all’entrata.Mi sedetti sui gradini per qualche minuto con la testa fra le mani e le dita completamente sprofondate nei capelli.Cercai di respirare normalmente per non dare nell’occhio,nel caso qualcuno fosse entrato in quel momento.Mi tremavano le gambe,e sentivo le mani tra i miei capelli irrigidirsi ad ogni secondo che passava.Il panico stava crescendo,ma non potevo salire le scale in questo momento,avrei rischiato di cadere e rotolare fino a questo punto ancora una volta,così restai li per un tempo indefinito,senza che nessuno si accorgesse di me,senza che nessuno mi vedesse,ero solo con me stesso,solo col ricordo di lei,solo col panico dentro di me che mi scuoteva come un pazzo,come infondo lo ero io in questa situazione!

Spero che qualcuno la legga e mi dica che ne pensa,è uscita in una notte d'insonnia totale mentre per la duecentoquarantesima volta ascoltavo Dear God degli Avenged Sevenfold,quindi il consiglio è di ascoltarla con quella,Stavolta ci sono I Simple Plan o meglio il nostro bassista alle prese con l'amore,la delusione e il dolore.Non è molto lunga come storia,ma l'ho divisa comunque in capitoli!Beh fatemi sapere.baci baci

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Sometimes... ***


Ok forse nessuno si ricorderà di questa storia, ma ho ritrovato il seguito e ho deciso di postarlo. Io ci provo.

-NO-mi alzai di colpo completamente sudato,e nel momento preciso che aprì gli occhi,urlai quel “NO” così forte da sentire un dolore acuto alla gola,quasi come se qualcuno mi stesse strofinando una spatola contro le pareti del muscolo. Portai le gambe al petto stringendole forte e dondolandomi su me stesso tentai in tutti i modi di non pensare all’ennesimo incubo che mi perseguitava ormai da anni,nemmeno da mesi,ma da lunghissimi anni. Asciugai il sudore delle fronte con un lembo delle lenzuola prima di alzarmi e catapultarmi,nel vero senso della parola,sotto il getto caldo della doccia.
Faceva quasi male l’acqua che scivolava sulla mia pelle liscia e vellutata,e la mia mano appoggiata al vetro della doccia,lasciava la grande impronta contornata dalla condensa che appannava il vetro.
Tenevo la testa bassa,con lo sguardo rivolto verso il pavimento della doccia,vedevo le gocce cadere dalla mia faccia e scontrarsi contro la superficie bianca e calda,s’infrangevano violente e poi scomparivano col resto dell’acqua,anche loro mi stavano abbandonando,ma solo dopo capì che i miei occhi bruciavano non per l’acqua,ma per quelle gocce salate che scendevano da essi,e li,sotto quella doccia,piansi ancora una volta,forse la millesima,ma non mi importava tanto nessuno poteva vedermi,nessuno se non il suo ricordo serio in volto e preoccupato.
Mi sedetti per terra portando le gambe al petto,lasciando l’acqua accesa e calda scivolare sulla mia pelle,e sentì come se le sue mani stessero cingendo le mie spalle,sentì di nuovo quel calore di vita e di felicità invadermi il corpo nel momento esatto che diedi il permesso a me stesso di pensare a tutto ciò che le apparteneva.
Sentì di nuovo il suo respiro sul mio collo,la sua risata spensierata e il calore del suo corpo sul mio. Nessuna aveva mai avuto lo stesso potere su di me,come lei lo sapeva esercitare su di me.
Alla fine di ogni mia storia,non soffrivo mai quanto stavo soffrendo in questi anni,eppure lei era venuta prima di tutte,eppure lei riusciva a ferirmi anche adesso che non c’era più.
Uscì dalla doccia più veloce che potevo,mi asciugai la faccia e prendendo in mano il cellulare composi un numero che ormai conoscevo quanto le mie tasche.
-A che ora stasera?-chiesi infilandomi i jeans neri.
-Vieni?
-Si dimmi a che ora.
-Alle 9 davanti al posto. Sei il migliore lo sai?
-Diciamo che me lo immagino a dopo.-Infilai il telefono in tasca e mettendomi la prima maglietta che trovai sparsa per la stanza,la indossai uscendo ancora di casa,ma stavolta con un sorriso in più. Se dovevo soffrire era meglio farlo in grande stile,abbandonandomi a qualsiasi provocazione e trasgressione esistente al mondo,liberarmi completamente la mente da tutto e gettarmi come un peso morto nel vuoto in qualcosa di irreparabile.
Posai la scatoletta arancione,che portavo sempre in giacca,sul ripiano del mobiletto del bagno. Non ne avevo bisogno,o perlomeno non quel giorno,avrei vissuto la giornata in piena tranquillità aspettando le 9 di stasera,camminando come sempre per la città e fermandomi a salutare qualche amico di vecchia data,oltre che la mia famiglia,evitando,tentando in tutti i modi di non pensare che in tasca la mia rovina stesse solo aspettando di essere stappata e brindata come ad una festa.
Per un giorno cercai in tutti i modi di prendere una pausa dalla mia voragine interna,dai sensi di colpa inspiegati,dalla depressione,dal triste canto della sua voce.
E ci riuscì abbastanza bene.
Andai a trovare mia madre che,come sempre,mi disse che mi trovava un po’ sciupato e stanco,ma che fu felice di trascorrere qualche ora in mia compagnia,e per me fu lo stesso.
Vidi mia sorella e il suo fidanzato per pranzo,con cui mi feci delle grandissime risate,anche se ogni tanto il ricordo della sua squillava nella mia mente come un campanellino,come se volesse avvertirmi di non dimenticarmi del tutto di lei,ma come avrei potuto?mi sarei sentito solo meschino!
Incontrai per strada un vecchio amico della band,con cui scambiai qualche chiacchiera giusto per passare il tempo e alle 7 puntuali di sera chiusi la porta di casa,stavolta in maniera meno brusca,stavolta con un senso di leggerezza che mi invadeva il corpo.
Mi preparai col sorriso sulle labbra,come se lei fosse li a guardarmi,come facevo tanti anni fa prima di uno show. I miei pantaloni stretti e neri,le mie superga bianche tutte macchiate,ma sempre con il loro bell’effetto,la camicia rossa con la cravatta bianca.
Mi truccai leggermente con la matita nera e rimisi i piercings al loro posto,dov’erano sempre stati,perché erano li che dovevano stare.
Pronto aspettai le 8.45 senza batter ciglio,semplicemente seduto sul divano di casa mia,davanti all’enorme vetrata che mi dava la possibilità di vedere tutta Montreal splendere sotto la luce della sera,una birra in mano e sorriso idiota sul volto.
-David tu se diventi famoso è ok,ma che poi farai la rock star con una casa enorme e da figo,allora te lo scordi che ti vengo a trovare.-ecco per cosa ridevo,ecco cosa mi faceva ridere,non solo la sua voce,ma quelle parole e scoppiai a ridere nel vero senso della parola,perché immaginavo la sua faccia buffa e i suoi capelli sbarazzini volare sulle sue spalle,col vento,sfiorarle le guance,e stranamente sopportavo tutto questo,non sentivo alcuna traccia di dolore,se non soffocata dal mio sorriso.
Stavo bene. Ma quanto sarebbe durato questo senso di felicità?quanto sarei andato avanti senza dover ricorrere al peggio?Speravo di riuscire almeno a superare la serata senza dovermi nascondere in bagno e reprimere la mia rabbia.
<< Dave siamo qui davanti ti aspettiamo per entrare…Pierre >>.
Mi alzai dal divano,posando la birra sul tavolino della sala,infilai la giacca e chiudendomi la porta alle spalle andai incontro alla mia serata piena di tutto e vuota di niente.

Ho deciso di mettere tutti i vari capitoletti uno dietro l'altro così almeno la chiudo e posso dire di averne una completa.

LA dreamer xxx

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** I can wait forever. ***



Le luci della discoteca si riflettevano sul mio volto nascosto in parte dal cappellino che portavo.
Come in strada,le persone non facevano caso a me,come io non facevo caso a loro,ma il mio punto di vista in questo caso non era lo stesso.
Camminavo lentamente,facendomi spazio fra le persone,attento a non far cadere il mio drink.
Pierre era già sparito da qualche parte con altri amici che all’ultimo si erano uniti.
Io da perfetto ragazzo felice,mi godevo il locale da tutte le parti,salutando chi conoscevo,e sorridendo a chi mi riconosceva. Sentivo la musica perforarmi il cervello e far urlare le mie orecchie,ma non importava,era normale per un posto del genere.
La gente ballava,si scatenava,all’interno della pista,in movimenti anche del tutto provocatori.
Forse…NO!era impensabile una cosa del genere,non ero di certo il tipo da fare certe cose,non in un posto dove tutti mi conoscevano e dove sarei stato dannato a vita. Scossi la testa e ricominciai il mio giro notturno,tra le mille luci del posto,tra le mille emozioni che la gente mi trasmetteva,senza perdermene una le assaporavo,le gustavo e le rendevo mie.
E così spostavo lo sguardo da una parte all’altra,senza fermarlo,senza impedirgli di scrutare ogni singolo centimetro.
Nel profondo del mio inconscio sapevo benissimo che stavo cercando qualcosa,lo sapevo ma non lo ammettevo,non volevo che proprio ora che avevo trovato un equilibrio,questo venisse distrutto da pensieri lontani e profondi come una ferita.
Vagando e vagando ancora una volta,trovai una minima parte di ciò che stavo cercando.
Un volto conosciuto,non il suo,ma un volto che avevo nei ricordi.
La seguì,posando il drink su un tavolo libero,mi feci spazio fra la gente tendendo la mano fino a che non le presi la spalla e la feci girare verso di me. Respirai affannosamente per la corsa che avevo fatto e la guardai negli occhi,come se stessi guardando la mia piccola lei,riservando la tristezza nascosta nel mio interiore.
Strabuzzò gli occhi come faceva sempre 7 anni fa,e anche lei non era cambiata per niente.
La sua migliore amica.
La ragazza che aveva rapito il cuore di Pierre e l’aveva fatto suo con semplicità,simpatia e tanto amore. La ragazza che era scappata,dando almeno una misera spiegazione della sua fuga improvvisa.
-Lara?-chiesi quasi per cercare una conferma che non aveva bisogno di essere svelata perché sapevo benissimo che era lei.
-David Desrosiers.
-Usciamo di qui che almeno parliamo meglio.-Annuì lasciandosi guidare,e prendendola per un polso,nella paura che scappasse ancora,uscimmo fuori!
L’aria fresca e al dir poco gelida,invase le mie guance facendomi stringere i denti e chiudere gli occhi per un secondo. Non illuderti David,ripetevo a me stesso,non è lei,ma come potevo non farlo?come potevo reprimere ancora una volta la felicità,l’illusione,ma soprattutto la speranza di ritrovarla?
Ci sedemmo sul muretto davanti all’entrata della discoteca,in silenzio. Con lei era così,bastavano poche parole,bastavano pochi sguardi per capire davvero la situazione,il momento,e l’attesa nel sapere.
Avevo imparato a conoscerla giorno dopo giorno,sentendone parlare sempre dalla mia piccola lei,che mi descriva l’amica stupenda che era,in cui lei trovava sempre comprensione,amore e serenità,e così io,col passare del tempo,trovai in lei una persona stupenda,la stessa che con il suo sorriso semplice e sincero,aveva fatto perdere la testa al mio migliore amico.
Il suo primo vero amore,lo ripeteva sempre,nonostante la sua storia con Denise ormai andasse avanti da due anni,ma non smetteva mai di parlarne,di riportare alla luce quella storia,e potevo capirlo quando col suo sguardo da eterno bambino,mi diceva che le mancava quella piccola pazza in caccia di guai e divertimento. Lo capivo perché a me mancava la mia meraviglia personale e unica al mondo.
Come faccio a dimenticarmi della prima volta che Pierre la vide.
Dal ridere a crepapelle si bloccò di colpo rimanendo impassibile a qualsiasi battuta o parola che gli stavo dicendo.
Le sue guance sempre rosse si erano accese come un semaforo e quando si perse nei suoi occhi marroni,semplici,ma sinceri,sentì il cuore battere così forte da uscire dal petto,il sangue scorrere veloce e caldo nelle vene,sentì il suo mondo rinascere come in una favola,nella sua favola personale che portava il nome di Lara.
Ed era felice,lo eravamo tutti quanti,sempre noi quattro,a differenza che io e…Io e la mia piccola lei non eravamo insieme sotto quell’aspetto,ma lui sorrideva come non mai,e lei sempre pazza e allegra lo imprigionava ogni volta che era al suo fianco. Si amavano così semplicemente che facevano invidia a chiunque,non erano i classici fidanzatini,erano qualcosa di più,qualcosa che Pierre stesso faceva fatica a descriverlo,perché certe cose devi viverle per comprenderle fino in fondo.
E ora lei era qui,al mio fianco,come sette anni fa,ma con qualcosa in meno,e forse soffriva quanto soffrivo io,ma dovevo sapere,avevo bisogno di sapere quanto la mia tristezza avrebbe continuato a farmi compagnia.
-Allora?-le sorrisi appoggiandomi al freddo marmo del muro.
-Eh allora,dovrei chiederlo io. Un giorno siete i miei migliori amici e il giorno dopo vi vedo su tutti gli schermi con la mia canzone preferita.-Alzò le mani al cielo e sorrise scuotendo la testa. Si non era cambiata per niente,sempre col suo modo divertente di vedere le cose anche più semplici.
-Beh siamo qui,pausa dal tour. Da quanto sei tornata a Montreal?
-Da circa due anni,sono scappata da Vancouver e mi sono rifugiata qui,dopo aver chiuso con i miei.
-Due anni?-sputai quelle parole quasi con rabbia. Due anni?Perchè solo ora si era fatta viva?o meglio solo ora l’avevo rivista.
-Si due anni David,cosa volevi che vi venissi a cercare?
-Forse Pierre ci sperava.-dissi acido,non volevo,ero arrabbiato con me stesso di qualcosa di cui ancora sapevo poco e niente.
-Ah si certo. Ti ricordo che due anni fa eravate in piena registrazione del vostro secondo cd,e che il signorino è felicemente fidanzato con una modella tutta tette e culo. Cosa credi che io non ci sia stata male David?che andandomene abbia fatto il salti di gioia?avevo 18 anni dovevo seguire i miei per forza.-finì la frase quasi urlando incrociando le braccia al petto,forse avevo esagerato con lei,ma non era colpa mia,se il senso di nausea,angoscia e terrore stavano tornando in me.
-No scusa Lara hai ragione è che sono stanco tutto qui.
-Perché non me lo chiedi direttamente David al posto di girarci intorno?-mormorò avvicinandosi per non farsi sentire dal gruppo di ragazzi che stava lasciando la discoteca ridendo tra di loro.
Mi voltai verso di lei incapace di capire dove volesse arrivare,o forse l’avevo anche capito,stupida non lo era mai stata e sapeva benissimo dovevo volevo andare a parare con quella conversazione.
-Che cosa scusa?-restai sul vago per avere una certezza di cui ormai ero sicuro.
-Chiedermi dov’è finita Sara. Vuoi una risposta David?beh mi spiace ma non ce l ho una risposta.-si alzò in piedi iniziò a camminare.-Non so dove cazzo sia,non so più niente di lei,l’ultima volta che l’ho sentita era a New York,poi dopo è sparita senza nemmeno una chiamata.-iniziò a piangere debolmente come se fosse l’ennesimo pianto della giornata,e forse lo era,era la prima volta che la vedevo piangere,nemmeno quando aveva dovuto dire addio al suo grande amore aveva versato una lacrima,solo un ultimo sorriso dal finestrino,non era in lei piangere.-e David sono anni che soffro per lei,per voi e ancora per lui,mi manca tanto,era come una sorella per me e tu lo sai bene,mi manca tutto di lei,la sua vivacità,i suoi abbracci,mi fa schifo tutto,tutto quanto.-Si risedette a peso morto sul muretto. Le misi una mano sulla spalla e lei mi guardò sorridendo tra le lacrime.
-Ti capisco Lara,io sono sette lunghi anni che soffro per lei,non dormo più la notte,faccio incubi su incubi,sorrido alle telecamere,poi appena sono in camera mi sento come sprofondare in un buco nero senza fine,mi sento il terrore avvolgermi,piango senza farmi vedere e combatto contro il panico che però non mi lascia stare. Mi manca anche a me Lara.
-L’hai più sentita?
-No mai. Tu sai perché è scappata così?
-Tu non lo sai David?
-No e sono anni che mi tormento.-Iniziò a mordersi il labbro inferiore fissandomi. Avrebbe voluto parlare,ma allo stesso tempo non poteva. Una promessa stava per essere infranta,un segreto stava per essere svelato e forse quel segreto era la risposta a tutte le mie domande,la risposta a tutti i miei incubi.-Lara ti prego,tu non sai quanto cazzo ho sperato questo momento.
-David.-sospirò profondamente due volte prima di chiudere gli occhi e continuare a parlare.-Sara era innamorata di te,ma tua ti sei messo con quella demente di Jessica,e quando l’hai lasciata è stato troppo tardi perché lei se n’è andata,era innamorata persa di te,nello stesso modo in cui io lo ero di Pierre,ma tu…
-Io…-la interruppi alzando una mano.-io ero innamorato di lei Lara,ma avevo paura,paura di perderla per sempre,anche se alla fine è successo ugualmente.
-Perché non glielo hai mai detto David?
-Perché avevo paura che lei non ricambiasse,che lei non capisse che l’amavo sul serio e mi sono messo con Jessica sperando di dimenticare,ma non era possibile. Sara - riuscì per la prima volta a pronunciare il suo nome.-Sara era unica e so che tu puoi capirmi,lei era semplicemente lei.
-Proprio così.- sorrise ancora appoggiando la testa alla grata dietro di noi.
-Pensi mai a Pierre?
-Ci penso da sette anni,tutti i giorni della mia vita.
-Lo sai che è qui?
-No,anzi ora si,ma lo immagino perché dove ci sei tu c’è lui,culo e camicia.-Si portò una ciocca di capelli dietro all’orecchio,sbadigliando delicatamente.-Scusa ma sono parecchio stanca.
-Che fai adesso?
-Lavoro in uno studio di design,anche se miro ancora ad altro,magari fumetti.
-Mi ricordo che eri parecchio brava.
-Eih Desrosiers lo sono ancora.-borbottò dandomi un buffetto sulla spalla. Mi lasciai trasportare dal momento e scoppiai a ridere riguardando tra i miei ricordi,tra le sue mille facce buffe e quella vocina isterica che veniva fuori quando,scherzosamente,ci rimproverava.
-Avresti voglia di rivederlo?-le chiesi a bassa voce,così bassa che persino io feci fatica a sentirmi,ma lei mi sentì tanto da girare di scatto la testa e guardarmi dritto negli occhi,insicura,angosciata e forse impaurita,e potevo capirla anche questa volta,quanti dubbi volavano per la sua mente in quel momento?penso tanti,forse troppi,o magari nessuno,ma quest’ultima era da escludere,i dubbi c’erano,la paura anche,ma l’amore stava vincendo ancora una volta.
-Io…Non lo so Dave,non lo so davvero,una parte di me vorrebbe e non sai quanto vorrebbe,ma l’altra no,sono sette anni che non ci vediamo,e sono cambiate tante cose,io per prima sono cambiata,lui è cambiato,e forse anche i sentimenti sono cambiati.
-Forse,hai detto bene.
-Smettila di fare il filosofo David non ti riesce per niente bene.-Arricciò il naso scuotendo la testa lasciandosi scappare un sorriso.
-No dico sul serio,sono sette anni che voi due non vi vedete,ma sono sette anni che io ci vivo a momenti 24 ore su 24 forse ne so qualcosa in più di te.
-Ok ok hai ragione,ma non voglio sapere dico sul serio.
-Paura?
-Molta credimi. Cavolo sono quasi le due.
-Te ne vai?-Lo dissi quasi come un lamento doloroso,come se fosse la mia piccola lei a doversene andare. L’avrei mai rivista?Come facevo a farmi scappare anche lei?Non potevo,non volevo che accadesse.
-David che ti prende?-Il suo viso cambiò espressione nel giro di pochissimi secondi,e molto probabilmente anche il mio cambiò. Sentivo le gambe molli tremare sotto il mio corpo,sentivo il sudore scendere veloce e freddo dalla mia fronte,il panico era tornato dritto e acuto dentro di me e questi erano semplicemente i sintomi.-David respira.-appoggiò le mani sulle mie spalle inchiodandomi con lo sguardo,e senza nemmeno accorgermene iniziai a fissarla.
Lasciai andare il respiro che avevo trattenuto,come se fossi sott’acqua,e lentamente riiniziai a respirare regolarmente.
-Ora capisci quando ti dico che sono anni che vivo nel panico?
-Si ti capisco David,ma non scappo,non me ne vado,cioè devo solo andare a casa.
-Lara…Lara ho bisogno di lei,ho bisogno di lei.
-Lo so David,anche io ne ho bisogno e anche tanto.
-Senti questo è il mio numero di casa,cellulare,chiamami quando vuoi ok?
-Va bene.
-David?Dave dove cavolo sei finito?-Sentì le sue mani irrigidirsi sulle mie spalle nel momento in cui la voce di Pierre si isolò dal casino all’interno della discoteca,e uscì fuori all’aria aperta,a pochi metri da noi.
La guardai.
Era spaventata.
Era agitata.
Era emozionata. Aveva tutte quelle emozioni che io stavo solo aspettando di far uscire allo scoperto nel momento in cui Sara sarebbe comparsa davanti ai miei occhi,così dal nulla,come se nulla fosse.
Le sorrisi come per incoraggiarla,ma leggevo in lei la voglia di non doversi girare,di poter scappare,l’avrei fermata,questo era sicuro,almeno loro dovevano far tornare alla luce un amore così unico e speciale.
-Ah scusa sei in dolce compagnia…-Lo sentì ridacchiare dietro di noi. Possibile che fosse così idiota da non riconoscerla?Da non riconoscere i suoi capelli,il modo di vestire,ma soprattutto il tatuaggio sulla gamba destra?
-Pierre…
-Ok me ne vado Dave…
-No aspetta…tranquilla ok?-Sussurrai prima di alzarmi dal muretto e prendere in mano la situazione.
-Eih ma che succede?-Chiese confuso il mio amico,una confusione che scompari’ nel momento in cui la feci girare verso di lui,lasciando che i loro occhi si scontrassero ancora una volta,che i loro sorrisi tornassero più vivi che mai sui loro volti,lasciando che quei sentimenti così forti potessero riempire l’aria di dolcezza e padronanza.-Lara…
-Ciao Pierre…
-Oddio,ma,ma sei tu…
-In carne ed ossa…
-Scusa,non so cosa dire…
-Peccato dopo sette anni ce ne sarebbero di cose da dire…-Tutto si stava ripetendo,tutto prima o poi doveva ripetersi,e ora era il loro momento,non mi chiedo nemmeno quando sarebbe arrivato il mio,iniziavo ad annoiarmi da solo.
Li guardai seduto ancora su quel muretto dove la speranza stava iniziando a salire sul mio corpo,dove la mia mente aveva iniziato a fare filmini su un futuro incontro,ancora immaginario e senza una fine,ma qualcosa di positivo c’era,e sapevo bene che un giorno,magari lontano,l’avrei rivista,avrei potuto riguardarla negli occhi e farla mia. Per ora mi accontentavo di questi pensieri,e di loro due che si guardavano,si osservavano e sorridevano finalmente felici.
Non sono poi così egoista,sapevo voler bene anche a loro,come gliene ho sempre voluto.
Si amavano ancora e forse non avevano mai smesso di farlo,anche se per questi sette lunghi anni il loro cuore è andato da un altro o un’altra,si capiva benissimo che non potevano aver messo da parte il ricordo di quei mesi trascorsi insieme.
E si,Pierre,ma anche lei,se lo meritavano quel momento,si meritavano di tornare ad amare veramente,sinceramente,non come Pierre amava Denise,anche se durava da due anni,Denise non sarebbe mai potuta essere quella giusta per lui,era solo interessata ai parties,alle prime,a far vedere a tutto il mondo che lei era la ragazza del cantante dei Simple Plan. Mentre Lara sarebbe stata in disparte,avrebbe evitato le foto,non avrebbe messo il becco degli affari del gruppo,avrebbe amato Pierre come se fosse un ragazzo di 28 anni qualunque perché il suo era un amore sincero. Sentivo dentro di me la voglia di amare. La sentivo bruciare viva dentro il mio cuore,la voglia di baciare,di abbracciare,di regalare gesti piccoli e romantici,gesti degni di un sorriso che mi avrebbe permesso di andare avanti nella mia giornata senza problemi,senza fatica.
Avevo voglia di urlare quel ti amo tanto desiderato.
-David?
-Ditemi?-Alzai la testa e li vidi li davanti a me,che sorridevano come due scemi,chissà che cavolo di faccia avevo per ridere così di gusto.
-Sei ancora vivo?-mi chiese lei strofinandomi i capelli con la mano aperta.
-Più o meno…La smettete di ridere?Non abbiamo più 18 anni.
-Parla per te amico,il mio cervello di certo non ne dimostra 27.
-Nemmeno il tuo fisico Pierre…Un novantenne ti fa tanto di capello.
-Touchè…Andiamo a berci qualcosa?-chiese Pierre dopo avermi fatto un inchino. Quel ragazzo più cresce e più diventa idiota non smetterò mai di dirlo. Dovrei parlare per me?forse,ma questa è la verità su Pierre.
-Io devo andare,sai com’è ho un lavoro e non sono una rock star.-lo prese in giro dandogli una gomitata nei fianchi. Si,erano davvero belli insieme,c’era qualcosa di…Si c’era,cazzo c’era.
-Va bene…Ma ci rivediamo vero?
-Pierre Bouvier non cambi mai tu. Comunque si tranquilli mi faccio sentire. Ciao Dave.
-Lara se per caso…
-Sarai il primo tranquillo.-Mi abbracciò forte e mi lasciai trasportare da quel gesto di affetto.
Mi immaginai lei e non me ne vergognai per niente. Volevo.
Abbracciò anche Pierre con più imbarazzo e dopo un bacio sulla guancia,sperato e desiderato,scomparve nel parcheggio della discoteca lasciando in tutti e due enormi ricordi,e in me grandissime speranze.
Così mi ritrovai in macchina,alle tre di notte,sotto la pioggia incessante di Marzo,fermo davanti a casa mia,senza nessuna voglia di scendere,solo di pensare a lei e ancora a lei.
November Rain suonava bassa nella macchina,ma potevo capirne ogni singola parola,ogni singola nota di quel pianoforte che tanto avevo amato e con cui lei mi regalava sensazioni che andavano oltre al reale.
La mia piccola lei era ovunque,la mia piccola lei esisteva e mai sarebbe scomparsa dai miei pensieri,della mia piccola lei non avrei mai potuto dimenticare niente. Scesi dalla macchina a canzone finita,corsi sotto il portico e salì velocemente le scale.
Aprì la porta di casa,correndo contro l’angoscia e l’orrore e stendendomi a letto andai incontro ai miei incubi che mi aspettavano,ancora una volta,a braccia aperte.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=314013