Kurtbastian Oktoberfest

di Kiki87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trick or treat! - The way you haven't seen me yet. ***
Capitolo 2: *** Nightmares - I'll always be with you ***
Capitolo 3: *** Ghost Stories - You Will Be Loved ***
Capitolo 4: *** Wizards And Witches - Slyther in the magic world ***
Capitolo 5: *** Lycanthropy of any sort - Hidden Truth ***
Capitolo 6: *** Lost... so very lost - Ça va? ***
Capitolo 7: *** Crossover - Gossip Glee ***



Capitolo 1
*** Trick or treat! - The way you haven't seen me yet. ***


1 Trick Or Treat!

Kurtbastian Oktoberfest

Era una giornata di Agosto quando, per la prima volta, mi sono imbattuta in un post che annunciava le tracce della Kurtbastian Week dedicata ad Halloween. Debbo ammettere che l'idea di partecipare ad una Week era già tra le mie sinapsi e me l'ero proposta ma la prima occhiata ai temi non mi aveva subito illuminata non essendo particolarmente incline al genere fantasy o addirittura horror. Ciononostante, l'idea era sempre più seducente e non volevo attendere un'altra week per mettermi alla prova. Ne sono usciti sette racconti che vi proporrò di giorno in giorno, ad ognuno ho dedicato qualche ora della mia giornata costellata di impegni universitari e vicende familiari al limite del comico-grottesco.
Devo avvertirvi – in alcuni contesti più che in altri – che talvolta la trama differisce dagli eventi della 4° Stagione, sia perché alcune trame le ho pensate quest'estate sia perché è stata una scelta personale e/o dovuta al fatto siamo fermi al 4° episodio.
Ci tengo a ringraziare therentgirl che è stata la prima a conoscere e suggerirmi l'iniziativa di cimentarmi in questo progetto, spronandomi quasi quotidianamente ed assistendo a deliri di onnipotenza, fangirlamenti per questa o quell'idea – con spoiler talvolta crudeli aggiungerei – o lo stress quotidiano. Se lei è la mia Sebastian, un pensiero, lo devo anche alla mia Blaininuccia, Amanda, che ho tenuto all'oscuro fino all'ultimo momento: spero così di potermi far perdonare e sorprenderla perché se anche non mi sono imbarcata nel progetto che sta aspettando ansiosamente, spero le sia gradita anche perché particolarmente amante della ricorrenza di Halloween.
Ma che premessa chilometrica, meglio che lasci spazio ai Kurtbastian!
Buona lettura! :)
 
TRICK OR TREAT!
The way you haven't seen me yet.
 
 
Non aveva mai realmente resistito al richiamo della festa di Halloween e alla logica che si celava dietro questo tipo di festeggiamenti: sembrava quasi che potessero autorizzare i partecipanti a poter richiudersi dietro una maschera. Non era soltanto ispirato dal suo gusto nel vestiario che spesso e volentieri, a giudicare da alcuni maglioni, qualche poncio o qualche bustino, sembrava essere piuttosto... eccentrico; ma era la serata adatta a lasciarsi andare e folleggiare tra bambini alla ricerca di dolciumi con cui mettere alla prova lo smalto dentale nonché ai festeggiamenti a tema con gli altri membri del Glee Club.
Ma era una realtà diversa quella che si stava presentando, quell'anno: New York dalla mentalità molto più spumeggiante di una piccola località anonima dell'Ohio, con le sue leggende metropolitane e il suo mito dell'essere la città che non dormiva mai, offriva fin troppe e suggestive aspettative per rifiutare il suo suadente invito.
Allorché era stato necessario riuscire a convincere Rachel ad uscire dal loro loft e, se anche dalla fine dell'estate, aveva già immaginato diverse maschere e costumi; era stata proprio la moretta a suggerire un abbigliamento coordinato che aveva posto come condizione basilare.
La sua prima reazione al suo entusiastico annuncio fu probabilmente lo shock e poi il terrore. Certo, non era un mistero che l'ambiziosa stella di Lima sognasse da sempre di ricalcare le orme di Barbra Straisand ma non si sarebbe immaginato che la sua fantasia sconfinasse persino nel travestirsi da Barbra.
E dal momento che, dai tempi del Glee Club (e da quando avevano smesso di guerreggiare per ogni assolo settimanale), lo definiva la sua Judy Garland, era sembrato quasi ovvio che dovessero vagare insieme per le strade colorate della città. Non che poi si sarebbero limitati alla dicitura così poco originale ed infantile del “Dolcetto o Scherzetto” ma – e aveva osservato con occhi sgranati quel luccichio folle nello sguardo di Rachel – avrebbero dovuto cantare qualche verso di “Get Happy/Happy Days Are Here Again”.
Non che Kurt avesse remore, nel giorno di Halloween nel quale tutto era concesso, ad indossare un vestito da donna e truccarsi (anzi, doveva riconoscere di essere molto più attraente di qualche compagna di corso di Rachel che la snobbavano quando, a loro volta, avrebbero avuto bisogno di un restauro d'emergenza) ma c'era voluta tutta la sua caparbietà e sicurezza contro la follia esageratamente fagocitata di Rachel per impedirle di cercare gli indirizzi di tutti gli insegnanti della Nyada, compreso quello della temutissima Cassie.
Se anche ella volesse rischiare – tanto per cambiare – di sabotarsi da sola la carriera e la formazione, lui di certo non avrebbe osato ulteriormente sfidare il fato, non quando si stava preparando nel tempo libero per tentare nuovamente le audizioni al semestre successivo.
Si era rimirato allo specchio con evidente soddisfazione dopo aver meglio acconciato la parrucca, considerando tra sé e sé che poteva vantare davvero un vitino di vespa che poche coetanee potevano sfoggiare. Senza contare che i lineamenti dolci che aveva in natura potevano giovare già a suo favore, dovendo soltanto correggerli con un filo di trucco.
Nessuna esagerazione, tuttavia, anche perché non poteva rischiare di presentarsi in ufficio senza aver dormito le ore necessarie al suo “sonno di bellezza” poiché avrebbe impiegato il doppio del tempo a struccarsi prima di applicare le creme da notte e, solo allora!  coricarsi.
E così, a braccetto, avevano trascorso una piacevolissima serata, bussando di porta in porta ed ottenendo non pochi sorrisi stupiti e divertiti, talvolta persino qualche standing ovation (che si trattasse soltanto di persone adulte, che Kurt immaginò fossero coetanee di Barbra - una delle quali l'aveva abbracciato con tanto vigore tra le lacrime al ricordo della cantante - era superfluo; la vera musica e il talento, dopotutto, non avevano età) fino a quando entrambi non avevano cominciato ad accusare la stanchezza, soprattutto a causa delle calzature seppur Kurt potesse compiacersi dell'avere più portamento dell'aspirante Barbra.
“Oh, soltanto un'altra casa, Judy” lo aveva supplicato Rachel, smuovendo il labbro inferiore in una sorta di broncio prima di trascinarlo letteralmente in una bella villetta con giardino.
Kurt aveva sospirato, prima di guardare l'orologio.
“Solo se mi cedi i tuoi turni per il bagno stasera e domattina” si era impuntato, le braccia incrociate al petto e le sopracciglia inarcate pur con le palpebre ritoccate con l'ombretto che rendevano quelle smorfie persino più divertenti.
“Oh, grazie, grazie!” aveva trillato Rachel stampandogli un sonoro bacio sulla guancia che lo aveva fatto sussultare.
“Non hai neppure un rossetto che non lascia segni!” aveva commentato stizzito, cercando rapidamente nella borsetta abbinata all'abito, le salviette inumidite.
“Ora mi uscirà anche il fondotinta” aveva sbottato, fissandola con evidente aria di rimprovero mentre la giovane, ancora ridente, si avvicinava rapidamente all'uscio.
“Sbrigati, Kurt, non possiamo deludere un'altra fan di Barbra”.
“E Judy” aveva fatto notare, affrettandosi, pur attento a camminare nuovamente con fare fluido e leggero, come si sarebbe convenuto ad una signorina, fino all'uscio dopo che la moretta ebbe già provveduto a suonare il campanello.
Vi era della musica proveniente dall'interno al che Rachel aveva trillato eccitata che sarebbero dovuti entrare ed esibirsi di fronte ad un vero pubblico: sia mai che andasse a dormire senza aver ricevuto una standing ovation da una folla incantata dai suoi gorgheggi. Suonò nuovamente il campanello e sentirono dei passi provenire dall'interno: si erano già stretti l'uno all'altra, pronti ad intonare qualche verso, le teste vicine e i sorrisi stampati sul volto.
Fino a quando la porta non si schiuse.
Fino a quando Sebastian Smythe non fissò dall'uno all'altro: le sopracciglia inarcate e gli occhi sgranati in un'espressione di autentica sorpresa.
E l'aria sembrò congelarsi per un lunghissimo istante.
 
Kurt sentì il cuore fermarsi nello scrutare quella fisionomia fin troppo nota: un fiotto di calore lo convinse del fatto che doveva essere arrossito furiosamente. Aveva scambiato uno sguardo di puro terrore con Rachel: la sola idea di ciò che Sebastian avrebbe detto, ritorcendogli contro quegli insulti di cui il più gettonato “faccia da checca” lo fece deglutire a fatica. Ma la prima a riprendersi fu Rachel e ancora una volta dovette darle atto della sua pronta reazione.
Più o meno.
Aveva letteralmente strillato ed era indietreggiata, stringendo così tanto il braccio di Kurt da fargli quasi bloccare la circolazione sanguigna mentre il ragazzo di fronte alla porta incrociava le braccia al petto, il viso inclinato di un lato e un sorrisetto saputo nell'osservarla.
“Rachel, anche per me è un vero piacere” aveva commentato allusivamente mentre ella sembrava perdere del tutto il proprio contegno: si era strappata letteralmente dal capo la parrucca e gliel'aveva lanciata addosso.
Il giovane fu abbastanza pronto di riflessi dall'evitarla ma inarcò le sopracciglia nell'osservare la parrucca ai suoi piedi.
“O forse no” concluse in tono pacato, appoggiandosi con la spalla allo stipite della porta.
“Sebastian!” aveva strillato quella. “Che-diavolo-ci-fai-tu-qua?!” Aveva letteralmente scandito, le braccia incrociate al petto, fissandolo con sguardo ostile, le sopracciglia aggrottate mentre l'altro smuoveva le labbra in un vago sorriso.
“Ci vivo, forse?” di fronte al suo sguardo interdetto e shockato, sorrise ancora più divertito. “Si dà il caso che io mi sia iscritto alla Juilliard, Rachel”.
Una risata sarcastica era sgorgata dalle labbra di Rachel.
“E da quando permettono ai terroristi di frequentare l'università?” e Kurt stesso dovette trattenere uno sbuffo divertito: da quando Sebastian le aveva porto quel regalo di fidanzamento/ricatto, quando – e solo se costretta! - doveva parlare di lui, usava sempre quella definizione.
Ma per una volta tanto dovette ringraziare la sua indole schizofrenica: se soltanto fosse riuscito ad afferrare casualmente un paio di occhiali dalla borsetta avrebbe potuto ritenersi al sicuro.
Mantenne il profilo basso, studiando la struttura della casa ed osservando il giardino ben curato: evidentemente era ancora adito ai lussi con tutti i soldi di mamma e papà.
Era sorpreso tuttavia dalla scelta dell'Università, una delle più rinomate nell'ambito artistico: dunque era anche sua intenzione riuscire ad affermarsi nell'ambito musicale o, in generale, dello spettacolo.
“Così mi ferisci, Rachel” aveva replicato l'altro, il tono pacato ma grondante di sarcasmo. “... ma ammetto di aver pensato di darmi alla fotografia: siti web, fotomontaggi” aveva calcato dolcemente l'ultima parola, un sorrisetto beffardo e divertito nell'osservare il rossore sulle guance dell'altra.
Kurt mantenne lo sguardo ancora basso: poteva tergiversare fin quando Sebastian non lo avesse fissato apertamente in viso fino a riconoscerlo. Era sufficiente non parlare. E magari non respirare neppure, così che continuasse ad ignorarlo, cosa alla quale poi era più che avvezzo, se non per motivi sbeffeggiatori.
Sentì Rachel sbattere il piede a terra in un moto di stizza, stringendogli più forte il braccio, facendolo trasalire.
“Noi ce ne andiamo K-”
“Kate” aveva replicato lui, in preda al panico, imitando una risatina femminile, le guance ancora in fiamma ma fissandola ostentatamente negli occhi sperando che quella loro sinapsi da “Barbra & Judy” fosse sufficiente a farle comprendere il messaggio implicito.
“Cosa stai dic-” si illuminò, ridendo e facendolo voltare bruscamente, per poi rivolgere una smorfia a Sebastian.
“Andiamo, Kate” aveva pronunciato il suo nome con voce più alta di un'ottava. “Meglio non attardarci”
“Un momento” aveva scandito Sebastian nel momento in cui stavano per scendere dalle scale del portico e Kurt aveva sentito la schiena irrigidirsi come se il suo sguardo fosse in grado di farlo letteralmente accapponare per il terrore.
Se aveva avuto un'insperata fortuna con la quale il giovane non sembrava averlo riconosciuto, non avrebbe potuto sostenere quella commediola a lungo: sarebbe bastato lo scrutasse più attentamente in viso. Sempre che poi Sebastian si fosse mai preso la briga di rimirarlo per più di quindici secondi, quelli necessari a lanciargli un'occhiata canzonatoria e rivolgergli un insulto poco velato.
Con loro sommo terrore, lo sentirono scostarsi dalla soglia della porta per avvicinarsi, pochi passi ma che risuonarono come i tonfi sordi del loro cuore prima che si fermasse alle loro spalle. Se possibile, Kurt aveva la sensazione di poter effettivamente sentire il suo sguardo che ne scorreva la spina dorsale.
“Non avrai intenzione di andartene senza avermi presentato la tua amica?” seppur non lo avesse guardato, riusciva perfettamente ad immaginare – e ad una maniera fin troppo vivida ad essere onesti! - il sorriso che doveva avergli increspato le labbra in quel momento nonché il luccichio dello sguardo.
Sentì Rachel al suo fianco irrigidirsi e fu un momento infinitamente lungo quello in cui si osservarono sgomenti, prima che la brunetta si voltasse appena, la presa ancora salda sul braccio dell'amico.
“Se ci fosse qualcuno degno di essere present-” non aveva completato la risposta perché, un movimento fluido del braccio, il giovane aveva artigliato il polso di Kurt che, completamente inebetito dallo shock e dallo sgomento, si ritrovò avvinghiato nella sua stretta.
E' finita, si disse mentre – gli occhi sgranati e le labbra schiuse – si ritrovava faccia a faccia con Sebastian, abbastanza vicino da poter contare tutti i nei che gli punteggiavano la guancia, il luccichio fin troppo noto del suo sguardo mentre le sue labbra si modellavano in un sorriso.
Non sembrava un sorriso di scherno e neppure un sorriso sarcastico: un semplice sorriso. Perché poi ne stesse analizzando le sfumature psicologiche (in fondo era una semplice contrazione di muscoli facciali) era meglio non domandarselo, non quando l'esigenza principale era sopravvivergli.
Sentì la stretta sul polso venir meno mentre ne cingeva la mano, per portarsela lentamente alle labbra, con suo sommo orrore, in quello che somigliava spaventosamente ad un gesto galante.
Dovette ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per non strappargli la propria mano dalla presa e magari rifilargli un pugno (non che fosse mai stato così impulsivo o tendenzialmente violento) dopo essersi tolto la parrucca e avergliela gettata addosso, premunendosi di colpirlo in faccia.
Ciò che, tuttavia, lo fece deglutire nervosamente (per fortuna indossava un foulard che celava il pomo d'Adamo e dovette ringraziare la sua mania per i dettagli) fu denotare quel silenzio nel quale Sebastian non aveva smesso di fissarlo negli occhi. Sembrava esservi un tacito confronto in quello scrutarsi, probabilmente attendendo che l'altro tradisse un cenno, un pensiero, una semplice parola.
Riusciva a sentire lo sguardo fremente di Rachel la quale scrutava dall'uno all'altro, neppure sapendo come e se fosse il caso di agire in qualunque maniera.
“Enchanté” aveva sussurrato Sebastian nella sua lingua madre e Kurt sentì fin troppo palese ed evidente quel brivido lungo la spina dorsale e il rossore che si diffuse su tutto il volto, maledicendo interiormente la sua predilezione per quella lingua.
Oh Dio, pensò terrorizzato, adesso si aspetta pure che gli risponda.
“Ti ricordo che sei gay” aveva berciato Rachel, premunendosi di mettersi nel mezzo e Kurt sospirò di sollievo al sentire la pressione della mano di Sebastian venir meno.
Se da un lato non poteva che ringraziare la presenza della ragazza, non poté che rimproverarsi per il modo in cui stava agendo così inibito e timoroso.
“Andiamo, Kate” gli aveva sibilato vicino al volto, il tono perentorio ma Kurt non fu mai così lieto di sentirsi letteralmente trascinare dalla sua natura più dispotica.
Tanto per mantenere la copertura intatta, agitò appena la mano verso Sebastian senza tuttavia guardarlo, squittendo una sorta di “arrivederci”, voltandosi e quasi inciampando sui tacchi.
Decisamente aveva perso la concentrazione nella sua parte se neanche più riusciva a muovere decentemente un passo: dov'era finito per portamento impeccabile? Doveva averglielo rubato Sebastian con quella sorta di gesto galante che avrebbe poi analizzato a mente più lucida. Ma, sicuramente, la cosa peggiore fu sentirsi cingere dalla presa più sicura del giovane: la pressione ferma delle sue braccia sulla vita sottile.
Kurt deglutì a fatica. Un gemito d'emozione era sgorgato dalle labbra, un calore che in vero non aveva più sentito dall'ultimo abbraccio con Blaine e che era divenuto soltanto un fuggevole ricordo cui aggrapparsi nelle notti insonni per il dolore e la nostalgia.
Volle nuovamente credere si trattasse della sorpresa e dello spiazzamento per una simile confidenza ma deglutì a fatica e, nel momento in cui Sebastian si chinò verso il suo orecchio e vi soffiò dentro, rimase completamente immobile.
Neppure percepì la stretta di Rachel o quel suo inveire contro Sebastian, soltanto il suo profumo avvolgerlo: stuzzicante ed inebriante così come quel soffio caldo del suo respiro o la voce che sussurrò suadente.
“Potrei volerlo dimenticare in questo momento”.
Lo sentì scostarsi e la pressione delle sue braccia venir meno ma Kurt non riuscì a ritrovare respiro se non quando lui e Rachel scesero i gradini del portico: sembrò una passeggiata infinita quella che li condusse nuovamente in strada e neppure quando sentì la porta della villa richiudersi alle spalle, riuscì a tornare alla realtà.
La voce di Rachel era solo un borbottio e sottofondo confuso allo scorrere dei propri pensieri ma persino quando fu immerso nel piacevole calore delle sue coperte, ripensò a quello sguardo durante il baciamano. Quel soffio della sua voce e quel profumo ad intossicargli i pensieri.
Un sospiro più forte, scosse il capo ed abbracciò il cuscino.
 
~
Con suo sommo sollievo, la disavventura della serata prima non aveva inficiato sui suoi sogni e tanto meno sul suo risposo: aveva vincolato Rachel al segreto e si era alzato con la stessa determinazione e concentrazione che precedeva una nuova giornata di lavoro. Si era svegliato di buon mattino, aveva provveduto alla sua abitudinaria pulizia del viso dopo la colazione e stava ancora riordinando il suo kit di cancelleria da riporre nella valigetta del lavoro.
“Ho trovato questa qui fuori” annunciò Rachel, le sopracciglia inarcate nel porgergli una busta gialla e rettangolare con sopra scritto il nome del giovane. Un fiocco azzurro e arricciato a mo' di decorazione mentre Kurt, le sopracciglia inarcate, la prendeva tra le mani. Lacerò l'involucro e si avvide della presenza di una fotografia: lui e Rachel fissarono l'immagine per un lungo istante prima che, un gemito strozzato, la lasciasse cadere.
Un fotomontaggio: era il volto sorridente di Judy Garland ma era il viso di Kurt quello sovrapposto al corpo della donna.
Non ci fu bisogno pronunciassero il nome: in vero sembrava essere un'ulteriore minaccia.
“Sa dove abitiamo!” aveva strillato Rachel. “te l'ho detto! Fa parte di una cellula terroristica e adesso dobbiamo cambiare quartiere, anzi dobbiamo cambiare città e forse persino pianeta! E tutto perché tu...” il resto delle sue parole non era stato percepito dal giovane che aveva voltato la fotografia fino a scorgere la calligrafia di Sebastian.
 
Chérie Mademoiselle Hummel,
temo che la foga del nostro incontro, abbia fatto dimenticare la domanda di rito ma ho provveduto io allo scherzetto. Ragione per cui, mi aspetta un bel dolcetto.
La caffetteria di fronte a Central Park, alle 3 di questo pomeriggio. Se non ti presenterai, sappi che sospetto che Isabelle Wright e Vogue.com potrebbero essere non poco interessati a questo look retrò.
A più tardi, dunque.
SM
 
PS: spero si sia notato che il fiocco voleva essere intonato al colore dei tuoi occhi.
 
“Stai ascoltando una sola parola di quello che ti ho detto?!” aveva commentato Rachel esasperata, le mani appoggiate ai fianchi e l'espressione intestardita e perentoria mentre Kurt scuoteva il capo.
“Che cosa c'è?” aveva domandato, le sopracciglia aggrottate ma Kurt si era affrettato a riprendere la fotografia e la busta, chiudendola di nuovo e giocherellando distrattamente con il fiocchetto azzurro.
“Niente, ma... ci vediamo stasera: dopo pranzo sono impegnato” aveva risposto prima di chinarsi a baciarle la guancia per augurarle buona giornata ed uscire dal loft, un vago sorriso gli curvava le labbra prima di chiudersi la porta alle spalle.
Schiuse nuovamente la busta per leggere le parole iscritte prima di sollevare il cellulare e scorrere la rubrica con le guance arrossate. Non lo aveva mai confessato a nessuno ma, ai primi tempi in cui aveva conosciuto Sebastian, aveva sottratto il suo numero di cellulare da quello di Blaine, così da averlo sempre a disposizione in caso di necessità (magari farlo seguire con un GPS dalla polizia per dirla in termini più Berryani). Scosse il capo ma aprì la cartella dei messaggi dopo aver inserito il giusto destinatario.
 
[To Sebastian 8.57 AM]
Sono i tuoi modi contorti, scommetto, il focus del tuo presunto fascino. Fingerò che l'invito sia stato stretto in termini meno perentori e più simili ad un gentile invito.
KH
PS: l'azzurro è il mio colore preferito e le tue capacità di fare fotomontaggi sono lievemente migliorate.
 
[From Sebastian 9.30 AM]
Fingerò che tu non stia disperando e contando i minuti al nostro rendez-vous.
PS: non solo nel fotomontaggio sono in continuo miglioramento, Miss Hummel.
 
[To Sebastian 9.32 AM]
Un rendez-vous implicherebbe una certa galanteria.
Nessun PS questa volta.
 
[From Sebastian: 2.40 PM]
Soltanto se continuerai ad arrossire per me.
 
Affrettò il passo nel risalire le scale della metropolitana, consultando per un solo istante la cartina prima di accelerare il passo.
 
[To Sebastian: 2.45 PM]
Megalomane.
 
Osservò l'insegna della caffetteria e strinse maggiormente la tracolla della borsa, mentre deglutiva a fatica. Socchiuse gli occhi e prese un bel respiro ma si riscosse alla vibrazione del cellulare.
 
[From Sebastian 2.58 PM]
Affascinante megalomane. E ora smettila di sorridere come un idiota.
 
[To Sebastian 2.59 PM]
Non sto sorridendo. 
 
[From Sebastian 3.00 PM]
Ti vedo.
 
Trasalì quando, l'attimo dopo, si sentì cingere nuovamente il polso e si ritrovò pressato nella morsa suadente e sicura delle sue braccia.
Un sorriso e Sebastian si chinò al suo orecchio, soffiandoci dentro.
“Stai sorridendo”

 

Eccoci qua. Ho deciso per un inizio molto semplice e leggero ma premetto che – soprattutto domani e dopodomani – la lettura diverrà più impegnativa. Ad ogni modo, spero che questo piccolo raccontino sia stato di vostro gradimento e magari vi indurrà a continuare a seguire questa settimana. Un ringraziamento a tutti coloro che leggeranno e sarò più che disponibile (anzi, vi spero vivamente!) ai vostri commenti. Non mi resta che augurarvi una buona Halloween Kurtbastian Week e darvi appuntamento a domani, il tema trattato sarà “NIGHTMARES”.
Baci a tutti,
 
Kiki87

 

 

 

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Capitolo 2
*** Nightmares - I'll always be with you ***


Buon pomeriggio e ancora buona Kurtbastian Week! 

Anzitutto ringrazio di cuore le persone che hanno recensito ed inserito la raccolta tra le seguite e da ricordare, ne sono davvero molto lusingata e spero di continuare ad interessarvi e regalarvi qualche bel momento in compagnia dei nostri adorati.

Un ringraziamento come sempre alla mia Blaininuccia e alla mia Sebastian e passiamo subito a noi: questa è stata la fanfiction che sicuramente mi ha dato più da pensare (fino al momento precedente alla scrittura stavo persino cambiando versione) avevo immaginato la “trama” ma scriverla è stato tutt’altro che semplice, probabilmente per l’atmosfera più malinconica.

Ma spero comunque vi possa piacere, soprattutto il finale all’insegna del fluff.

Ok, la finisco di darvi questi avvertimenti pseudo minacce e vi auguro buona lettura!

 

NIGHTMARES

I'll always be with you.

 

La stanza era silenziosa ma non era lo stesso silenzio che lo aveva cullato per molto tempo: quello sonnacchioso che sembrava invogliarlo dolcemente a lasciarsi andare alla stanchezza. Quello che seguiva la carezza della mamma, la sua ninnananna cantata o la lettura di qualche favola mentre il papà li osservava dalla soglia della porta, talvolta intrattenendosi lui stesso o intervenendo per sollevarlo e fargli fare qualche giravolta solo per farlo ridere.

Non era lo stesso silenzio perché quella stessa stanza non sembrava più la stessa: quelle pareti erano improvvisamente estranee ed ostili.

Odiava il momento in cui suo padre, dopo la buonanotte, spegnava le luci e il buio avvolgeva tutto quanto: tremava sotto le coperte, si nascondeva al di sotto come se fossero una fortezza per sfuggire al male del mondo, come se, così facendo, potesse di nuovo sentirsi al sicuro.

Socchiudeva spasmodicamente gli occhi, stringeva i pugnetti ed ascoltava i tonfi quasi convulsi del proprio cuore, attendeva ed attendeva. Contava, o cercava di ricordare qualcosa di bello: il viso della mamma, la sua risata, il modo in cui pronunciava il suo nome.

A volte singhiozzava contro il cuscino ma mordeva le lenzuola: poteva ancora sentire l'abbraccio del papà, la stretta della sua mano e quel suo blandirlo. Gli ripeteva che era il suo piccolo ometto e che tutto sarebbe andato bene, che insieme avrebbero affrontato tutto quanto e la mamma avrebbe continuato a guardarli dal cielo e sarebbe stata felice, non avrebbe voluto che lei fosse triste. E neppure stanca e sofferente come era apparsa per così tanto tempo quando aveva perso la sua allegria, la sua energia fino a consumarsi lentamente ma sempre capace di regalargli un sorriso meraviglioso, sempre pronta a leggergli una favola fino a quando non se lo stringeva al petto. Riusciva a vedere i suoi occhi lucidi, le domande inespresse che gli balzavano nella mente eppure sembrava tutto così perfetto in quei momenti: stavano in silenzio e appoggiava il viso sul suo seno, ascoltava i battiti del suo cuore, il suo profumo di rose e a volte si addormentavano insieme fin quando il papà non lo portava nel suo letto.

Era in momenti come quelli, mentre stringeva forte il suo cuscino, che capiva che non sarebbe più successo e l'angoscia diveniva ancora più forte: cercava nuovamente di ricordare quel profumo, lo stesso che lo avvolgeva quando si nascondeva ai piedi del suo armadio. Le gambe strette al petto, gli occhi chiusi, circondato da una stanza che ancora parlava di lei, quasi sperando ciò fosse sufficiente a riportarla indietro; quasi sperando che gli angeli capissero che anche lui e suo padre avevano bisogno di lei. Che non avrebbe dovuto lasciarli.

Un singulto strozzato gli sgorgò dalle labbra, rimase nascosto sotto il piumone, strinse forte il cuscino e mantenne gli occhi serrati.

La pioggia non smetteva di picchiettare contro la finestra della sua camera.

 

 

Non sapeva quale strano luogo fosse quello: gli ricordava le illustrazioni del libro di favole, la foresta oscura e piena di occhi che si scorgevano nel buio, nella quale Biancaneve fuggiva per salvarsi dal cacciatore. Neppure riusciva a comprendere come vi fosse giunto e quanto tutto fosse iniziato: si era guardato attorno, il respiro rado e gli occhi sgranati nel tentativo di mettere a fuoco ciò che lo circondava. Se soltanto vi fosse stato uno spiraglio di luce o un sentiero da seguire per trarsi in salvo. Continuò a camminare, soltanto l'eco dei suoi passi, lo scricchiolio dei rami sotto di sé e quegli occhi che lo scrutavano nell'oscurità, occhi che divenivano sempre di più e continuavano a fissarlo. Riusciva a sentire i propri battiti e aveva la folle paura che fossero così forti che tutti sarebbero stati in grado di sentirli: avrebbe dovuto allontanarsi in fretta per evitare di essere catturato. Doveva trovare una soluzione e non c'era tempo di abbandonarsi alla paura o alla disperazione, non c'era tempo di cercare il papà o qualcuno che potesse soccorrerlo.

Era solo, solo e sperduto.

Ma soprattutto sembrava che nessuno ancora si fosse accorto della sua assenza: nessuno sarebbe venuto a cercarlo in quel luogo sconosciuto.

Le lacrime cominciarono a sgorgare sul viso, si morse le labbra ma cercò di essere silenzioso: si strinse maggiormente al suo pigiamino e prese a correre.

Non aveva senso cercare di nascondersi: quegli occhi nell'oscurità continuavano a scrutarlo e sentiva quegli sguardi scivolare lungo la spina dorsale come se potessero trattenerlo strettamente con dei lacci, come se sapessero esattamente dove sarebbe andato e lo avrebbero atteso, perché non vi era alcuna via di fuga. O stava già intrappolandosi da solo.

La pioggia diveniva sempre più scrosciante, gli bagnava i capelli, il viso e si insinuava sotto il pigiama fradicio fino a farlo intirizzire ma non poteva far altro che continuare a correre, gli occhi sgranati nel tentativo di scovare un'uscita. Inciampò più volte tra le radici che non riusciva a scorgere in quella semioscurità, si ferì le mani coi cespugli e gli arbusti ma continuò la sua corsa, quasi consapevole che se si fosse fermato, sarebbe stato perduto.

Non poteva guardarsi alle spalle, poteva solo e soltanto andare avanti. E sperare che tutto finisse. Prima che fosse troppo tardi.

Non seppe per quanto tempo avesse corso, fermandosi solo di tanto in tanto per recuperare respiro, ma finalmente scorse la fine della radura: la luce del giorno e lì, a pochi passi da lui, persino i raggi del sole. La pioggia apparteneva soltanto a quella foresta malvagia e a tutti quegli occhi che non avevano smesso di fissarlo per un solo istante.

Un ultimo sprint e raggiunse finalmente quella landa benevola, si lasciò cadere, completamente stremato: rotolò fino a ritrovarsi supino e sostò per qualche istante con il sole che gli sfiorava il viso, un moto di calore a sopperire gli abiti fradici e la pelle intirizzita al di sotto.

Cercò di placare quel gelo che gli faceva battere i denti.

Soltanto quando il respiro tornò a regolare, schiude gli occhi per scrutare il paesaggio: vi era un sentiero costeggiato da cespugli di fiori. Fiori azzurrini, quelli preferiti della mamma e, un nuovo singulto nel petto, si era messo in piedi: probabilmente quella era la strada che lo avrebbe ricondotto a lei. Probabilmente lei lo stava già attendendo e si domandava perché non l'avesse ancora raggiunta.

Doveva essere così, probabilmente anche il papà stava aspettando e se non si fosse sbrigato sarebbe dovuto entrare nella radura per cercarlo.

Non era ancora giunto a metà di quel percorso quando scorse quella che somigliava incredibilmente alla cupola costruita dai Nani per Biancaneve dopo che la mela avvelenata le aveva tolto i sensi. Sentì il cuore fermarsi a quella visione, un verso di sgomento e di timore e percorse l'ultimo tratto correndo disperatamente.

Aveva un brutto, bruttissimo presentimento.

Per un istante fu troppo sconvolto per reagire: bellissima quanto immobile, eterea, delicata e fragile. Sembrava stesse dormendo ma era tutto così silenzioso, così immobile intorno a lei, quasi  persino la natura loro attorno sembrasse sospesa. Nulla al di fuori di quel viso i cui lineamenti sembravano esser stati cesellati su finissima porcellana; nulla al di fuori delle labbra che erano curvate in quel sorriso, quasi stesse dormendo e non sentisse più dolore.

Come se fosse, finalmente, in pace.

Mamma” aveva pigolato, la voce rotta dall'orrore e dallo sgomento mentre le piccole mani si adagiavano sul vetro freddo, cercando un'apertura, cercando di sollevarne il coperchio, il respiro affannato e le lacrime che già scorrevano sul viso.

Mamma” ripeté angosciato, guardandosi attorno disperatamente.

“Aiuto!” si sentì gridare, allontanandosi dalla cupola e guardandosi attorno, in quel verde sconfinato che sembrava tutto racchiudersi intorno a quello spazio, infinito quanto inquietante.

“QUALCUNO MI AIUTI” si sentì gridare con quanto fiato aveva in gola, prima di tornare verso la struttura, ne abbracciò la superficie, osservò il riflesso di quel viso, così vicino eppure già appartenente ad un'altra realtà, già lontana da lui da tanto, troppo tempo. Osservò le proprie lacrime ricadere sulla vetrata, i pugni serrati mentre nuovamente, spasmodicamente, cercava un'apertura.

Ignorò il pensiero molesto che fosse ormai troppo tardi. Ignorò la paura di sentirne nuovamente il cuore fermo o la pelle fredda e marmorea: doveva soltanto trovare un modo, se solo ci fosse stato qualcuno o qualcosa che potesse aiutarlo, se solo non fosse stato così solo e sperduto.

Fu in quel momento: un alone dorato che sembrò circondarlo e Kurt sentì il cuore riempirsi di una nuova pace mentre una melodia struggente e lontana risuonava tutto attorno, trasportata da chissà dove.

Kurt”

Un sussurro delicato e così ovattato, una voce che somigliava anch'essa ad una sinfonia delle più dolci: schiuse gli occhi, sbatté le palpebre e si volse fino a quando, il cuore in gola e gli occhi sgranati, ne rimirò l'immagine.

Splendente, i capelli sciolti e il sorriso sulle labbra, gli occhi della sua stessa tonalità che sembravano brillare come quando era serena: aveva le braccia aperte come quando soleva stringerlo.

Le labbra schiuse e gli occhi sgranati, la contemplò come fosse incapace di realizzare che fosse reale e si trovasse di fronte a lui: fu con slancio che si gettò su di lei ma si accorse che era incapace di sfiorarla e di stringerla.

Mamma” aveva pigolato, la voce strozzata e la vide mettersi in ginocchio: allungò le mani diafane al suo viso, quasi volesse scostarne le lacrime ma constatò con dolore di non poterlo realmente toccare. Ciononostante, il cuore del bambino sembrò comunque invaso di un dolce calore: fin quando avesse anche soltanto potuto scorgerla, fin quando fosse rimasta e gli avesse potuto parlare o lo avesse guardato in quel modo, avrebbe potuto accontentarsi.

Mi manchi” aveva pigolato, le lacrime che non smettevano di scivolare lungo le guance malgrado il sorriso adesso sostasse sulle labbra e la donna annuì, lo stesso sorriso reso umido dalla commozione.

Anche tu... anche voi. Ma non me ne sono mai andata” aveva sussurrato con voce melodica, la mano che si era avvicinata a sfiorarne il petto.

“Io sarò sempre con te, Kurt” ma Kurt aveva scosso il capo, ormai stanco di sentire quelle parole che gli erano state ripetute così tante volte dal giorno del funerale. Aveva imparato ad ascoltarle  solo passivamente, senza credervi. Immaginando soltanto fossero le parole che si dicevano per gentilezza in quei casi.

Adesso sei qui” aveva commentato il bambino in risposta e aveva allungato a sua volta le mani sperando di poterne sfiorare il viso o i capelli, sentirne nuovamente il profumo o il calore di un abbraccio. Ma le mani rimasero sospese a pochi millimetri nel realizzare che sembrava fatta d'aria e impossibile da riuscire realmente a toccare. Un verso roco di frustrazione e di disappunto e il sorriso della donna sembrò rattristarsi seppur si sforzò di continuare ad osservarlo.

Devi lasciarmi andare, Kurt” aveva sussurrato.

NO!” aveva esalato il bambino, nuovamente tremante, le labbra schiuse quasi a cercare di anelare un fiotto d'aria che tornasse a farlo respirare, mordendosi con forza le labbra e sbattendo gli occhi a più riprese. Si era avvicinato maggiormente, aveva allungato le mani disperatamente ma ella aveva continuato a sorridergli.

Questo non significa che mi perderai: non passerà un solo giorno senza che io ti guardi. Non passerà un solo giorno senza che io rimpianga di non essere con te. Non passerà un solo giorno senza che io vegli su te e su papà. Vi amerò sempre, e so che insieme affronterete tutto”

Non te ne andare” neppure si sforzava di controllare le lacrime e i singhiozzi che sferzavano il respiro. “... ti prego, no, non farlo” aveva pigolato nuovamente prima che la donna si rimettesse in piedi.

Il gesto sembrò già essere una risposta perché il bambino cercò di stringerla a sé, sferzando solo l'aria e riprendendo a singhiozzare più forte fin quando non la vide chinarsi. Sembrò soffiare sul proprio viso o qualcosa di simile e Kurt socchiuse gli occhi per istinto.

Ne sentì la voce più simile ad un eco, sempre più lontano e sempre più confuso.

Sarò sempre con te”

Mamma!” Schiuse gli occhi, li sgranò nell'avvedersi che tutto intorno a sé fosse scomparso, soltanto quel sussurro che continuava a risuonare nella radura ora immobile e silenziosa come pochi istanti prima. Uno strappo all'altezza del petto, continuò ad invocarla, pur consapevole fosse ormai troppo tardi ed ella se ne fosse andata laddove non l'avrebbe più vista.

Tremò e singhiozzò più forte.


“Kurt! Kurt, svegliati” era la voce di suo padre a riscuoterlo mentre lo smuoveva delicatamente e fu con un singulto che si sollevò con il torso. Sentì i lampi del temporale ancora in corso ma focalizzò lo sguardo sulla propria camera adesso illuminata e su suo padre, seduto sul suo letto mentre ne sfiorava la guancia bagnata.

Mamma” aveva sussurrato, la voce nuovamente rotta e gli occhi lucidi mentre Burt, anch'egli visibilmente scosso,  gli sfiorava delicatamente la guancia.

Va tutto bene, ometto” aveva sussurrato ma neppure lui sembrava crederci.

Kurt  singhiozzò. Si lasciò stringere al suo petto, affondò il mento contro la sua spalla, ne ascoltò le parole di conforto, le carezze sui capelli.

E pianse. Pianse come il giorno in cui aveva compreso che tutto era finito, non curante, in quel momento, che avrebbe dovuto essere il suo ometto, che avrebbe dovuto cercare di essere forte. Non quando la nostalgia era così dolorosa, non quando quel vuoto era così intenso da farlo precipitare nel baratro.

Burt rafforzò l'abbraccio, continuò a stringerlo e sfiorarne i capelli e la schiena, baciandone la fronte ed attendendo che i singhiozzi si placassero per scostarlo dal proprio petto.

Scusa papà” pigolò con voce rotta.

Egli scosse il capo e sorrise malgrado gli occhi lucidi e i lineamenti contratti dallo stesso dolore.

Non devi scusarti” aveva sussurrato e seppur non riuscisse a dirlo in quel momento, guardando i gli stessi occhi di lei: sapeva che, se possibile, lo avrebbe amato persino di più perché incarnava tutte le qualità della donna che aveva da sempre amato.

“Non scusarti” aveva commentato, stringendolo per baciarne il capo.

Siamo io e te Kurt, insieme affronteremo tutto: ho bisogno di te” aveva sussurrato e il bambino si era scostato ed aveva annuito, gli occhi ancora lucidi ma brillanti di una nuova determinazione.

Io e te” aveva ripetuto, trovando nuovamente rifugio contro il suo petto.

“Resti fin quando non mi addormento?” aveva chiesto quasi timorosamente.

Il padre gli rimboccò le coperte: cercò di farlo nello stesso modo cui provvedeva la moglie.

Aveva annuito, la mano stretta a quella del figlio.

Sarò sempre con te” fu l'ultima cosa che sentì prima di cadere nuovamente nel torpore.

 

~

Si svegliò di soprassalto: completamente madido di sudore ma le sensazioni e le immagini erano esattamente le stesse. Il sogno era ormai divenuto ricorrente, si ripeteva con la stessa regolarità all'avvicinarsi dell'anniversario dalla scomparsa della madre. E quello da lì a pochi giorni sarebbe

stato il quindicesimo: quindici anni nei quali il ricordo era divenuto flebile, la sua risata rimasta in un angolo remoto della propria memoria, ma erano gli stessi occhi che lo contemplavano nel riflesso dello specchio. Era ancora il suo profumo quello che, di tanto in tanto, acquistava per poterlo spruzzare tutto attorno in quei momenti in cui il dolore era così straziante da lasciarlo paralizzato.

Anche quell'anno non fu diverso ma l'immagine del giovane uomo che l'aveva supplicata, ancora una volta, di non lasciarlo solo, era mutata esteriormente.

Ogni volta, tuttavia, in cui il pensiero rincorreva il suo volto o le fotografie che ritraevano la loro famiglia, ogni volta che ne contemplava il viso in un sogno, riusciva ancora sentirsi quel bambino smarrito e bisognoso di protezione e di sostegno.

Osservò l'altra parte del letto nel quale Sebastian ancora dormiva: il respiro regolare e l'espressione serena. Si concentrò su quell'immagine quasi cercando in essa l'appiglio a restare completamente presente a se stesso, cercando di ricordarsi chesi fosse trattato soltanto di un sogno.

Cercò di domare quel tremore diffuso mentre tornava a stendersi. Si raggomitolò sotto le coperte, si rannicchiò di un fianco, strinse il cuscino e socchiuse gli occhi.

Cercò di inspirare a fondo per controllare il respiro ancora accelerato, attento a non lasciarsi sfuggire dei suoni che potessero disturbare il sonno dell'altro ragazzo. Cercò di rilassarsi, socchiuse gli occhi e sperò di cadere nuovamente nel torpore del sonno, strinse forte le lenzuola come quando era solo un bambino ma all'ennesima immagine di quel volto, di quel sorriso e di quello sguardo dolce, sentì un verso strozzato sgorgare dalle labbra.

Fu in quel momento che, ancora assopito come accadeva molto spesso, Sebastian si pose a sua volta di un fianco e il suo braccio ne cinse la vita come a trattenerlo.

Era qualcosa di davvero suggestivo e che non smetteva mai di sorprenderlo: il modo in cui, anche dormendo, sembrasse avere un'esatta percezione della sua vicinanza o lontananza. Persino quando lasciava il letto per primo, si era abituato a sentirne la voce prima che raggiungesse la porta della stanza.

Trattenne il fiato e l'attimo dopo percepì la pressione del suo abbraccio: il suo petto adagiato contro la propria schiena, accerchiandolo. Non poté che stupirsi, persino in quel momento, di come il proprio corpo più esile e gracile sembrasse esser nato per essere avvolto dal suo.

Sorrise malgrado le lacrime che scorrevano lungo il viso e il tremore delle membra: sollevò la mano a stringere delicatamente quella del giovane, attento a non svegliarlo. Ma persino nell'incoscienza del suo riposo, sembrò scorgere l'irrigidimento del suo corpo perché a poco a poco sembrò destarsi.

Trattenne il fiato ma l'attimo dopo Sebastian aveva adagiato il mento contro la sua spalla e lo strava stringendo con più forza.

Kurt?” ne sussurrò il nome con intonazione interrogativa e ciò sembrò soltanto acuire quel magone in gola e il dolore che si cristallizzò in nuove lacrime che scorsero lungo il viso, nel singhiozzo che non riuscì a soffocare.

Ne immaginò il viso accigliato ma ne sussurrò nuovamente il nome, fino a quando non si volse nel suo abbraccio, fino ad affondare il volto contro il suo petto: la mano artigliata quasi spasmodicamente alla sua t-shirt. Il proprio viso premuto contro i suoi battiti regolari.

Lo sentì appoggiare il mento contro il proprio capo: non disse nulla ma prese a sfiorarne la schiena e i capelli con fare rassicurante, attendendo che la foga del pianto si esaurisse. Attendendo che quel calore riuscisse nuovamente a scalfire il dolore, come era sempre stato con gli abbracci di suo padre.

Sostò a lungo, gli occhi socchiusi, il profumo di Sebastian, la pressione delle sue braccia e quell'abbandono tremante ed indifeso nel suo abbraccio fino a quando non si calmò.

Restò comunque vicino, la pressione delle sue braccia meno spasmodica mentre il ragazzo ne scostava quel ciuffo disordinato dalla fronte, come sua abitudine, prima di lasciar scorrere le labbra lungo la curvatura della mascella dalla quale baciò via una lacrima.

Un brutto sogno?” aveva bisbigliato e il giovane aveva annuito, gli occhi arrossati e pesanti che si schiudevano istintivamente al tocco delle sue dita o la pressione delle sue labbra in quei momenti di vezzeggiamenti più delicati. Aveva annuito, quasi troppo stanco per parlare, quasi timoroso che lasciar sgorgare quelle parole potesse nuovamente far scoppiare il proprio dolore. Incapace di gestirlo e di trattenerlo eppure persino di lasciarlo andare, quasi temendo di lasciar andare un ultimo appiglio di lei.

Ogni anno” si sentì dire con voce rauca, inframmezzata e rotta, la gola ancora infiammata e i battiti più radi. “... mi sembra di non riuscire più a trattenerla, di perderla sempre più. Ma mi ha già lasciato” si era morso il labbro prima di stringersi nuovamente al suo petto.

Sentì Sebastian sostare in un silenzio teso: sapeva che non fosse tipo da blande paroline al miele e quanto vederlo turbato lo mettesse sempre a disagio, non sapendo come consolarlo. Ma laddove le parole mancavano, era sempre in grado di mostrargli tacitamente il suo sostegno, con gesti che riuscivano ad essere un'espressione più diretta della sua vicinanza. Lasciò che gli sollevasse il mento, tuttavia, e incontrò quello smeraldo lucente del suo sguardo: lasciò che ne rimirasse il viso ancora arrossato e socchiuse gli occhi al tocco gentile della sua mano.

Non sei solo” aveva bisbigliato, guardandolo più intensamente e Kurt era riuscito a simulare un sorriso prima di ricollocarsi tra le sue braccia, trovando un perfetto incavo tra il collo e la sua spalla. Indugiò con la mano sul suo petto, sospirando al tocco gentile della sua mano tra i capelli ed aveva annuito alle sue parole.

Tu credi...” si era morsicato il labbro ma, di fronte allo sguardo incoraggiante dell'altro, aveva sospirato prima di riprendere fiato e lasciar andare quelle parole.

Credi che esista un'altra vita... dopo?” aveva domandato con voce così esitante che somigliava a quella di un bambino che, per la prima volta, ponga quel tipo di questioni e cerchi di comprendere un mistero troppo grande per essere appreso e spiegato esaurientemente.

Non seppe neppure lui perché porgli un simile interrogativo, se stesse cercando conforto in qualcosa di soprannaturale nel quale non aveva mai creduto o se avesse solo bisogno delle sue rassicurazioni, della sua voce che lo cullasse nuovamente nel riposo. Sentì le carezze di Sebastian interrompersi per un istante nel quale ne vide le sopracciglia corrugate, un vago sospiro e lo sguardo nuovamente fisso sul suo viso, cercando probabilmente le giuste parole da rivolgergli.

Credo in te” aveva sussurrato dopo un lungo istante e Kurt aveva sollevato gli occhi azzurrini in quelli del giovane, ne aveva visto il sorriso più dolce sfiorarne le labbra, il luccichio nello sguardo che le faceva baluginare quando realmente sereno.

Credo il tuo amore la renda immortale” aveva sussurrato contro la sua pelle e Kurt aveva sentito nuovamente la gola occludersi pericolosamente ma era un sorriso quello che ne faceva scintillare nuovamente le iridi in un moto di commozione e di dolcezza.

Sentì Sebastian intrecciare la sua mano alla propria nel riprendere a sfiorarne i capelli e la schiena, nel cullarlo con movimenti lenti e ritmici del palmo, le labbra che sostavano contro la sua fronte, osservandone il petto alzarsi ed abbassarsi mentre la respirazione diveniva più regolare.

Se il suo amore fosse stato davvero in grado di trattenerla, in fondo, era proprio come gli aveva detto: non se ne sarebbe mai andata. Non completamente.

Strinse maggiormente la maglietta del giovane, il viso affondato contro l'incavo del suo collo, lo sfiorò appena con le labbra, gli occhi ancora chiusi e il torpore ad avvolgerlo dolcemente.

Credo in noi” aveva soffiato prima di cadere nel torpore, prima che le braccia di Sebastian lo avvolgessero maggiormente.

Non ne vide lo sguardo smeraldino che continuava ad osservarne la perfetta immagine di eterea immobilità nel riposo, non ne sentì la nuova pressione delicata delle labbra sulla propria fronte.

Non ne sentì l'ultimo sussurro.

Sarò sempre con te”

 

 

 

Sono riuscita, spero, a risollevare gli animi con questo finale multi fluffluoso ma non abituatevi, non è affatto facile immaginare Sebastian in queste vesti. Non fraintendetemi credo che sia molto più sensibile di quanto dia a vedere – si pensi all’episodio di Karofsky e come ne fosse sconvolto  e si sentisse in colpa  almeno quanto Kurt – ma era giusto concedergli un alone più dolce in un momento di difficoltà di Kurt.
Spero che comunque vi sia piaciuta, al solito, commenti sono molto graditi e vi do appuntamento a domani. Il tema sarà “GHOST STORIES” e vi proporrò sicuramente la più elaborata trama tra quelle della raccolta.
Preparatevi a sorridere ma anche qualche fazzolettino di scorta se siete più sensibili ;)
Un bacione a tutti,
Kiki87

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Capitolo 3
*** Ghost Stories - You Will Be Loved ***


Questo è stato il primo racconto (ma l'ultimo che ho stilato per mia logica contorta) di cui ho immaginato la trama, per questa Kurtbastian Week, ispirandomi ad un libro di Sophie Kinsella, che adoro in modo particolare “La ragazza fantasma” ragion per cui, se siete fan della scrittrice o riuscirò a incuriosirvi, ve ne consiglio caldamente la lettura. Scorrevole, molto piacevole, divertente e a tratti anche romantico.
E’ anche il racconto a cui ho dedicato più tempo, nonché il più lungo ma è stato tra quelli che più ha emozionato e spero sia lo stesso per voi ;-)
Ancora i miei sentiti ringraziamenti di cuore alla mia metà Klaine e Kurtbastian che rendono la scrittura ancora più piacevole di fronte a simili manifestazioni di entusiasmo e di partecipazione, vi adoro! ♥
Ma adesso veniamo a noi, spero di aver calzato bene i panni di Sebastian e farvi un po’ sorridere.
Non vi trattengo oltre, buona lettura!
 
 
GHOST STORIES
You will be loved.
 
 
I know they're only ghosts
And memories that I'm clutching at
Maybe I'm reaching back
For something I never had
Still it seems so real to me
These ragged threads
That lead me back to you
(Your Love - Keane)
 
Quella decisamente non era cominciata come una buona giornata per Sebastian. Si era svegliato di scatto dal letto dell'ultimo ragazzo che aveva abbordato allo Scandals – un certo Brian, Ryan o qualcosa del genere – un bel moretto dal culo d'oro, come aveva constatato, fissandolo apertamente, da che era entrato nel locale. Ma da lì a poco aveva potuto denotare che aveva anche degli addominali scolpiti e un corpo abbastanza flessibile per...  scosse il capo, la gola secca e fissò il proprio riflesso dallo specchio. Cercò di ridare al viso un'apparenza composta e riordinò i capelli, modellandoli con le mani umide.
Controllò l'orologio al polso ed imprecò.
Era in ritardo ed era certo che suo padre non ne sarebbe stato affatto lieto: non il signor procuratore che, in quanto ad esigenze di puntualità, aveva il temperamento di un generale e una capacità oratoria, nelle sue prosaiche lavate di capo, degne di un predicatore.
Fu con un sospiro quasi afflitto che strinse meglio il nodo della cravatta e si rimirò con aria incerta in quel tight scuro che era stato definito dalla madre abbastanza “decoroso” per l'occasione. Incerto riguardo il completo in sé, sia ben inteso, e non certo sulla sua magnifica persona che sarebbe riuscita comunque a risplendere.
Il punto era che non capiva per quale ragione, se non un buonismo e una certa attitudine ad una sorta di ipocrita sentimento di “famiglia unita”, dovesse presenziare al funerale del bisnonno, Jacques Laurent.
Tanto per essere chiari – o abbastanza sinceri – nessuno si era mai premunito di interessarsi di quella sottospecie di cariatide, afflitta da mesi dall'alzheimer e capace soltanto di sbavare sui piatti che gli venivano propinati dalle grassocce infermiere della casa di riposo.
Ogni volta che i genitori si erano recati, in qualche occasione retorica come il Natale con tutte quelle fissazioni su come tutti debbano essere più buoni e “altre stronzate della stessa risma”, a fargli visita, era stato solo capace di abbaiare loro contro, scambiandoli per questo o quel famigerato infermiere che puntualmente doveva pungerlo sul deretano con aghi mostruosamente lunghi. Poi tornava alla sua abitudinaria contemplazione della parete, canticchiava qualche motivetto a tempo di una musica che soltanto lui riusciva a sentire, per poi chiedere nuovamente alla madre  di Sebastian, nonché sua nipote:
“Mi scusi signorina, ma lei chi è?”.
Nessuno avrebbe potuto biasimare Sebastian se, appena sfuggito al controllo del parentado, era riuscito a trarsi fuori da quell'incombenza. Spesso e volentieri assumendo qualche sosia che facesse le sue parti e ai quali dava una semplice indicazione: “Interpreti me: ti basti sapere che, se potessi, mi stuprerei da solo ma che anziché star lì a tenergli la mano preferirei farmi Rachel Berry mentre mi trapassa il timpano con un acuto di Céline Dion”.
Il punto era che quel vecchiaccio col pannolone aveva ben pensato di tirare le cuoia, dopo anni nei quali si era preso il disturbo di vegetare come una pianta da comodino, e adesso dovevano tutti riunirsi e fingere di provare compassione per l'increscioso evento.
Persino suo padre si era preso la briga di annullare gli appuntamenti del giorno e, al telefono, aveva soggiunto un:
“Per l'amor del cielo, Sebastian. Se proprio non te ne importava nulla di Jacques, fai quello che dovresti aver imparato in quella scuola privata: recita. Se non per lui, fallo almeno per tua madre”.
Ma per quanto le doti melodrammatiche di Sebastian Smythe potessero essere più che eccelse, nulla poteva rimediare a quel momento di isolato imbarazzo nel quale quasi tutte le sedie della stanza dove si sarebbe tenuta la cerimonia, erano vuote. Ad eccezione della prima fila dove sedevano i genitori di Sebastian e qualche donna con la divisa da infermiera.
Sperò che almeno l'ufficiante fosse tipo abbastanza rapido e, soprattutto, non fosse un fanatico religioso che li ammonisse a non guardare alla vita terrena ma a compiere opere buone per la ricompensa in cielo e tutte le altre lezioncine dottrinali.
Era quasi tentato di fare dietrofront ma quando la madre si volse e, con gli occhi già arrossati, gli sorrise.  Si sentì fottuto.
Con una smorfia fissò la fotografia del vegliardo che somigliava ad una tartaruga rinsecchita incrociata ad un carlino prima di prendere posto tra i genitori, neppure degnando di sguardo il feretro. Sentì la pacca del padre sulla schiena che sembrava tanto la consolazione di un padrone al suo cagnolino fedele che si lasci infilare il termometro su per l'orifizio e osservò con la coda dell'occhio la madre che strombazzava sonoramente sul suo fazzolettino.
Dio, se è vero che esisti, ammazzami adesso.
Si riscossero tutti alla vista dell'ufficiante che appoggiò una mano sulla spalla della Signora Smythe con fare comprensivo e bonario e salutò tutti con un sorriso di circostanza prima di infilare gli occhialini da lettura. Sebastian lo vide aguzzare la vista come una talpa prima di fissare le file di sedie vuote alle loro spalle.
“Forse il preavviso dell'anticipo della funzione non è giunto a tutti gli altri conoscenti?” aveva chiesto guardando il Signor Smythe che aveva scosso il capo.
“Siamo tutti presenti, prego, può cominciare” il solito tono condiscendente e formale che usava anche coi propri sottoposti mentre l'uomo osservava curiosamente la scena prima di decidere di assumere un'espressione professionale.
“Capisco” si schiarì la voce ed estrasse una biro. “Mi chiedevo se poteste rispondere a qualche domanda, così che il mio intervento sia più idoneo e rispecchi le sue volontà” aveva convenuto in tono quasi mistico che aveva fatto sollevare gli occhi al cielo a Sebastian.
Era solo una mummia rottamata, che altro c'è da sapere: quante volte si pisciava addosso?
“NO! NON PUO' ESSERE VERO!” Sebastian trasalì e sgranò gli occhi: dalla porta di ingresso era appena giunto un ragazzo sconosciuto che, una volta vista la fotografia del defunto, aveva attraversato l'ampio corridoio tra le due postazioni di sedie vuote fino a fermarsi di fronte al feretro. Ne osservò l'uomo all'interno e indietreggiò,  le mani a coprirsi le labbra.
“NO, NON E' POSSIBILE” aveva esclamato nuovamente, il tono angosciato e sgomento e Sebastian immaginò si trattasse di qualche sperduto parente – aveva notato un accento francese – che stava improvvisando quella pantomima, nella speranza di fare bella figura ed ereditare qualcosa.
“Era coetaneo di Silente, certo che è possibile” aveva sibilato in risposta ma fu l'aria che si congelò attorno a lui a farlo riscuotere. Nessuno dei presenti si era voltato ad osservare il giovane che sembrava in procinto di una crisi isterica ma, al contrario, fissavano tutti lui.
Sua madre aveva persino placato le lacrime, le labbra schiuse mentre l'ufficiante si sistemava meglio gli occhiali sul naso. Lo fissò interdetto.
“Prego?” Chiese educatamente.
“Non ce l'avevo con lei” ribatté, indicando con il braccio il giovane che continuava a fissare il feretro con lo stesso viso mortalmente pallido, quasi... evanescente. Quasi non avesse una reale consistenza.
Fu in quel momento che si volse e, finalmente, Sebastian lo osservò realmente: aveva capelli ondulati e fluenti, biondi come il grano,  che ricadevano sulle spalle e delle ciocche ne sfioravano le guance pallide. Una delle guance era punteggiata da nei che scivolavano lungo la pelle d'alabastro e si disperdevano fino al colletto della blusa bianca, abbinata a quei pantaloni scuri, trattenuti con bretelle.
Per un istante sembrarono esistere solo loro.
“Tu... riesci a vedermi” gli aveva chiesto, lo stesso tono incredulo.
“Certo che riesco a veder-” la frase morì a metà e la consapevolezza lo colpì come un secchio d'acqua gelida sul viso.
Come un movimento coreografico, tutti i presenti si erano voltati ad osservare il feretro prima di tornare a fissare lui: sembrò che il silenzio assordasse Sebastian.
Erano tutti sconcertati, inebetiti e sospettosi, sentì i battiti del proprio cuore rallentare mentre schiudeva le labbra e un brivido freddo scivolò lungo la spina dorsale, la gola improvvisamente secca e gocce di sudore a scivolargli sulle tempie.
Sentì sua madre appoggiargli una mano sulla spalla.
“Tesoro, ti senti bene?”
“Sto bene” si sentì dire e si schiarì la gola, mettendosi nuovamente comodo. “Sto benissimo, ma voi non -” sgranò gli occhi.
Quello strano ragazzo, apparso dal nulla, era scomparso. Volatilizzato.
 
 
~
La funzione era stata molto semplice e sbrigativa e, a parte qualche sporadica occhiata confusa dei genitori, sembrarono tutti essersi dimenticati di quello strano episodio.
L'ufficiante stesso – lo aveva sentito quell'idiota! - aveva rassicurato la Signora Smythe che non erano rari episodi psichici nei quali qualcuno di particolarmente sensibile, a causa della grave perdita, aveva la sensazione tangibile e reale di vedere una creatura ultraterrena o immaginare una presenza incorporea. Era un meccanismo di difesa della psiche, aveva continuato in tono saccente, un modo di arginare lo sbilanciamento conseguente al trauma.
Ma Sebastian non riusciva a spiegarsi cosa fosse accaduto: eppure era certo di non aver ingerito pasticche e neppure di esser stato vittima di un qualche psicopatico maniaco che gli avesse propinato qualcosa per alternarne i sensi.
Un caffè corretto col cognac di certo avrebbe potuto aiutarlo a superare il trauma di un non-trauma, perché non era accaduto nulla, nulla degno di nota.
Una volta appurato questo, si era fatto servire la sua tazza di caffè e sostava sul balcone, il viso appoggiato alla mascella mentre un sospiro impercettibile gli sfuggiva dalle labbra: allentò la cravatta prima di toglierla e così anche la giacca e sbottonò il primo bottone della camicia.
Meglio, decisamente molto meglio.
Sorseggiò la sua tazza di caffè come se, in quel momento, fosse in pace con il mondo: il calore della bevanda e del liquore gli scaldarono piacevolmente lo stomaco, aveva socchiuso gli occhi, completamente avvolto in quella nuvola di piacere per un gesto così quotidiano ma mai casuale.
“SEI TU!” .
Poco ci mancò che Sebastian sputasse il contenuto del bicchiere oltre il balcone ma tossì convulsamente e sentì rivoli di sudore freddo scivolare lungo le tempie, gli occhi sgranati mentre il giovane, che era certo di aver visto al funerale, stava proprio di fronte a lui.
E lo stava fissando. Non c'erano dubbi.
Scosse il capo, fissò il suo bicchiere ancora interdetto.
“Tu riesci a vedermi! Non fingere il contrario: tu puoi vedermi e sentirmi” cercò di ignorare quella voce petulante ed evidentemente sollevata, scosse il capo e chiuse spasmodicamente gli occhi.
Non poteva essere vero, non aveva alcun senso, e cosa, chi diavolo avrebbe mai dovuto essere...? Ne studiò ancora una volta i lineamenti, si soffermò sul viso ovale, i nei a punteggiarne la guancia e gli occhi, i suoi stessi occhi.
“NON IGNORARMI!” urlò direttamente nel suo timpano e Sebastian quasi cadde dallo sgabello, i denti stretti e le sopracciglia aggrottate.
“Sì, dannazione, sì!” ruggì, guardandosi attorno e bisbigliando, lo sguardo lampeggiante di rabbia e di sgomento, prima di scuotere il capo.
“Tu devi aiutarmi!” piagnucolò l'altro, nuovamente agitato: il volto cinereo mentre allungava la mano per artigliarlo.
“Io non devo fare proprio niente e tu devi sparire” sibilò e aggrottò le sopracciglia al vederlo sporgersi. Si scansò ma non fu necessario: con sguardo  interdetto e gli occhi sgranati, constatò che la mano del ragazzo non riusciva a sfiorarlo. Una vaga sensazione di gelo ma la sua mano sembrò attraversare il braccio di Sebastian, quasi non fosse... materiale.
Il ragazzo stesso indietreggiò, fissando Sebastian con sguardo sgomento, lo stesso che aveva rivolto al feretro mentre si portava le mani alle labbra.
“Allora è vero... io sono morto” aveva sussurrato, la voce flebile mentre Sebastian continuava ad osservarlo per valutare quanto effettivamente, e senza saperlo!, si fosse fatto per riuscire a vedere quell'amabile sconosciuto con manie psico-depressive-suicide.
“Non so chi tu sia, neppure mi importa, ma farai meglio a scomparire dalla mia testa prima che io ti ammazzi sul serio” aveva continuato a sussurrare, spasmodicamente, attento che nessuno lo cogliesse a parlare apparentemente da solo.
“Se tu avessi capito qualcosa di quello che ho detto” sibilò con simile espressione stizzita, le sopracciglia aggrottate “sapresti che non ce ne sarebbe bisogno. Sono Jacques comunque. Jacques Laurent. E tu, invece, chi diavolo sei?”.
L'aria sembrò svanire dai polmoni di Sebastian, dovette appoggiare il bicchiere sul balcone per il formicolio al braccio.
Sbatté le palpebre a più riprese.
Non aveva senso: come poteva avere una visione della mummia in quelle sembianze, senza averne mai visto una fotografia risalente all’epoca?
“Non mi hai sentito? CHI SEI?” urlò nuovamente nel suo orecchio e Sebastian gemette, scostandosi bruscamente e massaggiandosi il timpano.
“Non sono sordo, cazzone imbecille”.
“Cazzone?” ripeté quello, sbattendo le palpebre quasi come una bambino.
 “... ma come parli? E che ci facevi al mio funerale?”.
“Buffo, me la sono domandato anche io” rispose sardonico prima di aggrottare le sopracciglia. “Sono Sebastian, Sebastian Smythe”.
“Smythe, non conosco nessun Smythe, non è un cognome francese” Sebastian sollevò gli occhi al cielo prima che lo incalzasse ancora, con lo stesso atteggiamento ansioso.
“Tu devi aiutarmi: io non so cosa sia successo” il tono era nuovamente accorato, quasi fosse vicino alle lacrime. “Mi sono ritrovato in quel luogo, quella tomba e...” sembrò non trovare le parole per descrivere il suo stato d'animo.
“Se hai bisogno di una benedizione, hai sbagliato persona” replicò freddamente, passandosi una mano tra i capelli e, una volta lasciata una banconota sul balcone, si rimise in piedi.
“Aspetta, non puoi lasciarmi: non so cosa fare” cercò nuovamente di artigliarne il braccio ma fu capace soltanto di schermare l'aria mentre Sebastian sbuffava.
“Rivolgiti ad un ghostbuster, un prete, un medium” aveva commentato con voce indifferente, scrollando le spalle. “quello che ti pare”.
“Ma tu sei l'unico che può vedermi e sentirmi e...” si era bloccato nel mezzo della stanza e Sebastian, la giacca abbandonata sulla spalla, si voltò interdetto – non che lo stesse realmente ascoltando! - fino a quando non lo vide così immobile.
Gli occhi sgranati, le labbra schiuse e un'espressione così beota e trasognata che inarcò le sopracciglia: che stesse vedendo la volta celeste? Probabilmente un alone dorato lo avrebbe avvolto, avrebbe detto una frase alla Patrick Swayze e poi sarebbe scomparso.
“Chi è questo splendore?” aveva domandato con voce rauca, il sorriso ancora stolto ed illuminato da un'espressione talmente stucchevole e diabetica che Sebastian avrebbe avuto subito bisogno di un altro caffè nero per poterla dimenticare. O di trapanare un ragazzo come quello della sera precedente. Possibilmente entrambe le opzioni.
Seguì la direzione del suo sguardo, tuttavia, immaginando di intravedere una versione cadaverica di Miss Marple o della Signora in Giallo, ma fu con sopracciglia ancora più aggrottate che si avvide che non vi fosse una clientela sopra i cent'anni.
Lo guardò interrogativamente mentre Jacques – le mani congiunte al petto – si avvicinava ad un ignaro Kurt Hummel che era chino sul proprio quaderno, l'espressione ancora beatamente trasognata.
“Faccia da checca?!” domandò ed entrambi sollevarano gli occhi sgranati in sua direzione.
“Che cos'è una checca?” aveva domandato Jacques con voce confusa per poi tornare alla contemplazione del giovane: allungò una mano, anelando evidentemente di sfiorarne il viso.
“... anche per me è un dispiacere rivederti, Sebastian” aveva replicato Kurt con espressione indifferente.
“TU LO CONOSCI!” aveva esclamato Jacques e sotto lo sguardo incredulo e/o disgustato di Sebastian si sedette al suo fianco: o almeno quella doveva essere l'intenzione perché rimase sospeso di qualche millimetro sopra la sedia ma lo sguardo era ancora puntato su Kurt.
“Non è il bocconcino più prelibato che tu abbia mai visto? Guarda che lineamenti, sembra scolpito nella porcellana, o forse è finto... non può esistere qualcosa di così bello in natura e...”
“... ma tu sei gay!” aveva esclamato incredulo, boccheggiando senza fiato e Sebastian poté giurare che fosse arrossito, per quanto ciò fosse possibile per chi non aveva una consistenza corporea.
A quanto ne sapeva, Jacques aveva sposato la sua amica d'infanzia e, a detta della madre, il loro era stato un matrimonio sereno e felice. Certo, lui stesso riconosceva in Miss Hummel dei lineamenti femminei ma...
Si concentrò su Kurt che aveva sgranato gli occhi e sbattuto le palpebre prima di inarcare le sopracciglia e sospirare con quell'espressione di stoica mal sopportazione.
“Hai qualche altro sinonimo di dubbio gusto da propormi o posso tornare al mio studio?” aveva domandato altezzoso prima di scuotere il capo.
Senza più guardarlo, tornò al proprio quaderno, giocherellando con la penna sul foglio, ignaro che il fantasma del suo bisnonno stesse continuando a cercare di sfiorarne il viso. Evidentemente non soddisfatto, si diede alla sfacciata contemplazione del suo collo e del suo petto e cercò di sbirciare da dentro la sua camicia.
Forse erano davvero parenti, dopotutto.
Scosse il capo a rimuovere quel pensiero e l'immagine disgustosa di Jacques avvinghiato al collo di Miss Hummel, mentre sbatteva le palpebre a più riprese.
Affondò, infine, la mano libera nella tasca dei pantaloni e sorrise, il viso inclinato di un lato.
“Affatto” aveva commentato con un sorrisino diabolico nell'osservare Jacques alle prese con quella sorta di stupro inconsapevole.
“Buono studio, Miss Hummel” non attese risposta e si volse verso l'uscita.
“... perché c'è scritto il tuo nome sul suo quaderno?” la voce di Jacques, in tono evidentemente accusatorio, lo colpì come una pugnalata tra le scapole.
L'attimo dopo gli fu davanti, le sopracciglia aggrottate e le braccia consorte.
“Sei il suo Sebastian!” lo aveva additato ma quando questi lo ignorò, lo seguì fino all’uscita.
Sebastian sperò si dissolvesse alla luce del sole ma evidentemente quella era solo una prerogativa dei vampiri.
“Smettila” sibilò nel tentativo di muovere le labbra il meno possibile di fronte agli altri passanti.
“... io non sono il Sebastian di nessuno, tanto meno di Hummel” aveva storto le labbra in un'espressione disgustata.
“Allora perché ha disegnato un cuore coi vostri nomi?” aveva domandato con tono di chi è certo di aver sferrato il colpo mortale: il suo sorriso si accrebbe al denotare che Sebastian sembrava realmente senza parole a quella domanda.
Si era voltato ad osservare la vetrata: individuò nuovamente il tavolo sul quale il giovane era seduto. Aveva la penna tra le dita ma lo sguardo era perso in un punto indefinito.
Sbatté le palpebre.
“E perché non ha inciso le vostre iniziali su un albero?”.
Sebastian aveva scosso il capo ed era tornato a fissarlo con le sopracciglia aggrottate. Ignorò completamente quei riferimenti a Miss Hummel e lo fissò con le labbra strette in una smorfia incredula.
“Ma non ti piacevano le donne?” le sopracciglia inarcate e lo sguardo sospettoso, prima di additarlo.
“Se provi a dirmi che la mia bisnonna assomigliava a Miss Hummel, allora...”
Ma Jacques non lo stava ascoltando.
Sembrò persino perdere più consistenza, quasi più pallido. Aveva sgranato gli occhi, gli tremavano le labbra e sembrava più smarrito che mai nell'osservare Sebastian.
“La tua... bisnonna. Tu sei mio...?”
Sebastian sospirò, massaggiandosi la tempia: per coronare quella meravigliosa giornata avrebbe presto avuto un mal di testa da primato.
“La donna al funerale era mia madre: la figlia di tua figlia Claire” sussurrò con voce più pacata ma l'espressione di Jacques non mutò seppur si fosse concentrato per un istante a rivedere quel momento.
“Io... non ricordo”
Sebastian sgranò gli occhi e sbatté le palpebre.
L'attimo dopo era nuovamente scomparso.
~
 
Molte ore – e tazze di caffè – dopo, Sebastian aveva nuovamente acquisito un senso di sicurezza che si era rivelato maledettamente falso. Il pomeriggio era, infatti, trascorso in modo piacevole se con tale termine si intendeva il non essere più costretto a vedere il fantasma del proprio bisnonno, da poco trapassato a miglior vita.
Quella sera era rientrato allo Scandals con l'intenzione di trascorrere una serata piacevole nell'accezione meramente carnale del termine: decisamente non vi era nulla di meglio per scaricare la frustrazione e lo stress giornaliero. E sarebbe stato tutto perfetto se, nel momento in cui si era ritirato con la nuova conoscenza ed erano atterrati sul letto, una voce nel silenzio non si fosse schiarita la gola.
“Oh, ti prego: fai pure come se io non ci fossi. Tanto nessuno si accorge di me”
Se ciò non fosse bastato a troncare di netto la sua libido – l'idea di un bisnonno che lo osservasse non aveva decisamente un effetto “levitante” - si era congedato dal giovane di malo modo e aveva cominciato seriamente a constatare che non sarebbe stato facile scrollarselo di dosso.
Ironico come in vita lo avesse evitato come la peste e da morto, invece, fosse divenuta un'ombra che lo seguiva ovunque, particolarmente loquace ed incredibilmente insopportabile.
La morale di quel raccapricciante melodramma che stava vivendo, era che da una settimana non aveva più una vita sessuale e Jacques appariva nei momenti meno sperati e all'idiosincrasia di non volerlo tra i piedi, si aggiungeva anche la precauzione di non dover abbaiargli contro fin quando fosse stato in pubblico se non voleva rischiare di ritrovarsi ricoverato in un ospedale psichiatrico. Sapeva che quella sorta di convivenza lo avrebbe soltanto condotto alla follia, ma erano state le parole di Jacques pronunciate la sera prima a riscuoterlo.
Sebastian era già steso sotto le coperte del proprio letto mentre Jacques stava sospeso qualche centimetro sopra il davanzale della finestra.
“Credi che per me sia facile? Non so perché sono ancora qui”.
Non era valsa neppure una maratona di episodi di Supernatural – non che vedere il culo di Jensen Ackles e gli addominali di Jared Paralecki potesse definirsi perdita di tempo. Un peccato che lanciargli addosso una caraffa di sale grosso non fosse valso a nulla – ad essere illuminante se non comprendere che vi era una questione in sospeso che tratteneva Jacques.
Non riusciva tuttavia a spiegarsi perché l'incombenza di mandarlo letteralmente all'altro mondo, fosse stata destinata soltanto a lui ma non restava risolvere l’enigma.
Dulcis in fundo, quando si era presentato alla casa di riposo dove aveva esalato l'ultimo respiro – a ben pensarci sarebbe stato soddisfacente essere presente per soffocarlo ripetutamente col cuscino ed assicurarsi che fosse realmente cadavere – la grassoccia infermiera che aveva presenziato al suo funerale, lo aveva accolto con insolita ed esagerata cordialità.
Non gli era sfuggito il modo in cui tutte quei dirigibili umani con le tette ad airbag e il culo come una portaerei lo avevano osservato: evidentemente doveva esserci stato un bel passaparola sull'episodio del funerale.
Aveva digrignato i denti ma si era chiuso la porta della camera che era stata di Jacques con un calcio e con sguardo arcigno aveva osservato la stanza: spoglia e dall'aspetto piuttosto deprimente, con quelle pareti bianche. Mentre gli altri pazienti l'avevano decorata ed arricchita di affetti personali, per Jacques non era stato così: soltanto abiti e una vecchia collana militare con una targa in metallo scuro di cui non si riuscivano più a leggere le iscrizioni e che lo stesso Jacques aveva osservato con occhi spenti.
“Mi ricordo di essere stato qui: era così deprimente” aveva commentato in tono lugubre, guardandosi attorno e provando a sedersi sul letto.
“Fissavo sempre fuori dalla finestra, e canticchiavo una vecchia canzone, ogni tanto ricevevo visite... ma sono sicuro di non averti mai visto prima del funerale” aveva convenuto ad un certo punto. Malgrado in precedenza avesse parlato come se le parole provenissero da un anelito di consapevolezza che neppure lui era in grado di spiegare, sembrava quasi certo dell'ultima asserzione, mentre lo osservava quasi con biasimo.
Si era morso le labbra per non rispondere acidamente, come aveva pensato, la catenina militare ancora tra le mani ma aveva scosso il capo.
“E' stata solo una perdita di tempo” aveva borbottato, calciando via una sedia.
 
Neppure di fronte ad una tazza di caffè del Lima Bean era riuscito a risollevare il proprio umore: Jacques sostava sulla sedia di fronte alla sua, guardandosi attorno quasi ansiosamente, sorridendo di tanto in tanto alla vista di qualche bel ragazzo, cosa che rendeva la situazione persino più deprimente e frustrante. Non che in quel momento, tra le altre cose, volesse indagare sulla confusione sessuale di un vegliardo trapassato.
“Che fine ha fatto il tipo dell'altra sera?” gli aveva chiesto ad un certo punto e Sebastian aveva aggrottato le sopracciglia, da sopra il caffè.
“Quello a cui volevi dare la ripassata”.
Si incupì maggiormente, l'auricolare appoggiato saldamente all'orecchio così da simulare una telefonata.
“Non ho intenzione di girare un porno di fronte al mio defunto bisnonno” aveva commentato e l'altro aveva sorriso. Vi fu un alone così malizioso nel modo in cui gli si curvarono le labbra che Sebastian dovette distogliere lo sguardo: ricordarsi che fossero legati dal DNA non era particolarmente suggestivo.
“Peccato” aveva commentato, facendogli sbarrare gli occhi. “... ma non vi tenete in contatto? Non gli scrivi una lettera o con quello strano telecomando?” aveva indicato il cellulare del giovane che, in risposta, aveva roteato gli occhi.
“Non si usa farlo con il proprio amante?”.
“Non se non si ha intenzione di non rivederlo: come accade sempre nel mio caso” aveva risposto candidamente e questa volta fu il turno di Jacques di inarcare le sopracciglia.
“Non hai un amante fisso?” aveva domandato e Sebastian aveva emesso uno sbuffo ironico in risposta che aveva fatto inarcare nuovamente le sopracciglia del parente.
“Ma almeno sei mai stato innamorato?” aveva domandato così ingenuamente e spontaneamente che Sebastian era rimasto interdetto: lo aveva osservato per un lungo istante, apparentemente incapace di pronunciare motto,prima di riaversi bruscamente.
Scosse il capo ma ignorò la domanda esplicita.
“Ci ho pensato: l'unica soluzione è andare a Parigi, la vecchia casa, ma ti avverto. Sarà l'ultima possibilità: se non troviamo nulla, tu te ne torni da dove sei venuto”.
“Sei così ansioso di liberarti di me?”.
“Sinceramente?”.
Aveva sorriso Jacques, un sorriso appena ironico.
“E comunque neppure tu sei la mia compagnia preferita e, oddio, eccolo!” aveva terminato con tono visibilmente eccitato e Sebastian aveva levato lo sguardo in tempo per scorgere Kurt Hummel al balcone. Stava parlando con la barista e le rivolse uno di quei sorrisi più vezzosi, dondolò le spalle con fare infantile quanto da checca.
Sollevò gli occhi al cielo.
“Ti prego, se hai intenzione di spiare nelle sue mutande, fallo dove non possa vederti” aveva borbottato ma Jacques sembrava essersi illuminato, sporgendosi verso di lui.
“Invitalo a venire a Parigi con noi”.
“Sei impazzito?” Aveva domandato, quasi ridendo.
“Fallo!” Aveva replicato, in tono imperativo che gli aveva fatto aggrottare le sopracciglia.
Spontanea fu la replica.
“Fottiti”.
“Che vuol dire?” aveva scosso il capo. “Fallo, FALLO!” aveva preso ad urlare nuovamente nel suo orecchio e Sebastian aveva trasalito abbastanza perché l'auricolare gli cadesse dall'orecchio. Imprecò tra i denti e si chinò per recuperarlo, nel momento esatto in cui Miss Hummel passava accanto al suo tavolo. I loro sguardi si incrociarono e Jacques, che era nuovamente scivolato dietro Kurt, lo fissò da dietro la sua spalla. 
“CHIEDIGLIELO!”.
Sebastian lo fulminò con lo sguardo e Kurt si fermò ad osservarlo, le sopracciglia inarcate.
“A forza di fare quelle espressioni truci, ti verranno le rughe precocemente” aveva commentato con quella voce da frocio competente in questioni di make-up. E poi aveva l'ardire di domandarsi perché tutti lo considerassero una donnicciola.
“Ti consiglierei  di provarci per toglierti quella faccia da checca, ma considerando la tua scarsa dose di testosterone”.
“Smettila di attirare l'attenzione su di te! CHIEDIGLIELO!” aveva sbottato Jacques frapponendosi tra loro ma Kurt aveva sollevato gli occhi al cielo, stretto la sua tazza di caffè e puntato ad un altro tavolo.
“Dopo questi convenevoli, fingerò volentieri di non averti visto. Con permesso”.
“La questione è reciproca Hum-” non aveva terminato la frase perché Jacques si era nuovamente stretto a Kurt e aveva preso ad urlare nel suo orecchio: “SIEDITI! SIEDITI CON LUI!” e Sebastian osservò la scena inebetito.
Kurt appariva confuso: si era voltato nella direzione da cui proveniva la voce di Jacques e aveva scosso il capo tra sé, prima di riscuotersi. Ma non poté compiere un altro passo in avanti perché nuovamente Jacques ripeté il comando, a voce ancora più alta e penetrante.
Lo sguardo del ragazzo si fece vacuo mentre, lentamente, tornava ad osservare Sebastian e la sedia vuota. Sembrava più sconcertato che mai mentre la spostava per prendere posto.
Jacques sorrise soddisfatto:
“Niente di più facile” si sedette tra i due e si avvicinò a Kurt, restando lievitante dalla sedia, il capo appoggiato sulla spalla del ragazzo mentre Sebastian distoglieva lo sguardo disgustato.
“Non mi sembra di averti invitato, Hummel” commentò, le braccia incrociate al petto e il sorriso più suadente. “... anche se mi rendo conto di essere irresistibile, temo di non essere interessato a farmi una donna quindi...” gli aveva indicato un tavolo vuoto mentre Jacques lo fissava arcigno.
Nessuno appariva più confuso di Kurt che, tuttavia, si limitò a sorseggiare il suo caffè, il viso inclinato di un lato e il sorriso velenoso.
“Sto soltanto ricambiando il favore: non ero io a fare il terzo incomodo. Ma mi dispiace di aver interrotto il tuo solitario” aveva commentato in risposta, le sopracciglia inarcate e quel sorriso ironico che ne aveva fatto curvare le labbra con fare più suadente.
Sebastian sogghignò prima di sporgersi in sua direzione.
“Mi dispiacerebbe esser stato frainteso ma non c'era nulla di lusinghiero nel mettermi tra te e Blaine, di certo non per te” aveva proclamato e, inaspettatamente, aveva scorto un guizzo nello sguardo di Kurt.
Si sarebbe aspettato che reagisse alla stessa maniera ironica. Fu un solo istante ma quelle parole sembrarono aver colpito il bersaglio perché sostò per un lungo momento, prima di ritrovare la sua compostezza e fulminarlo con lo sguardo.
Persino Jacques sembrava essersi riavuto dalla sua contemplazione perché, le labbra schiuse, seguiva il loro dialogo.
“E, dopotutto, neppure mi sono dovuto sforzare troppo o sbaglio? Checché facesse il bravo fidanzatino, il suo sguardo da cane bavoso era evidente: sono certo che stesse anche scodinzolando” aveva commentato, suscitando uno sguardo di puro disgusto da parte di Kurt.
“Non ti avrebbe mai scelto” aveva commentato con tono risoluto e sicuro, tanto che Sebastian sospettò che avesse uno spasmodico bisogno di crederlo, persino dopo la separazione.
“Forse” gli concesse, facendo schioccare le labbra sul palato.
“Ma comunque è rinsavito da solo alla fine o ha capito di essere davvero gay” aveva continuato quasi serafico, tornando a sorseggiare il proprio caffè.
“Devo riconoscere che comunque sei durato più di quanto ci si sarebbe aspettati”.
“Sebastian” aveva commentato Jacques che sembrava evidentemente sconvolto ma fu la sedia spostata a riscuoterlo mentre Kurt, più pallido che mai, si rimetteva in piedi.
Gli parve di scorgere un luccichio remoto nelle iridi azzurre malgrado si sforzasse di mantenersi composto nel rivolgergli un cenno del capo, raccogliere il proprio caffè ed allontanarsi rapidamente dal locale.
Vi fu un lungo momento di silenzio nel quale Jacques seguì Kurt con lo sguardo, prima di fissarlo.
“Lo sai, Sebastian? Sei proprio, com'è quella parola?, sì...  uno stronzo”.
~
 
Il sonno tardava a giungere quella notte e Sebastian si rigirò nuovamente nelle lenzuola: abbracciò il cuscino dopo averlo appiattito con qualche pugno, coronato da imprecazioni.
Aveva socchiuso gli occhi e stretto spasmodicamente le palpebre ma, anche nel momento in cui si abbandonava a quel dolcissimo torpore, non riusciva a trovare riposo.
Bastava socchiudere gli occhi perché le immagini di quel giorno tornassero a tormentarlo: soprattutto quegli occhi azzurri striati di quell'emozione indefinibile e alla cui sola vista aveva sentito l'aria svuotarsi dai propri polmoni. Aveva boccheggiato nel silenzio della stanza in penombra, maledicendo il giovane con parole poco lusinghiere prima di scuotere il capo.
Non era concepibile che provasse un reale senso di colpa: non aveva fatto nulla di male, nulla di diverso, almeno. Soltanto ricordargli la verità e non era certo stata una sua colpa se il suo idillio con Blaine era terminato, a dispetto di ciò che avrebbero potuto pensare i suoi cari amici, non che si curasse della loro opinione ad ogni modo.
Non vi era stato nulla di insolito nell'infierire contro di lui se non la sua stessa reazione: laddove solitamente era l'ironia e la baldanza, quell'anelito altezzoso con cui scacciava le sue parole come non fossero assolutamente degne della sua considerazione; lo aveva visto vacillare pericolosamente.
Era comprensibile che una checca mestruata come Hummel soffrisse ancora per la separazione dall'amore della sua vita, ma che fossero proprio le sue parole ad affondarlo a quel modo, non se lo sarebbe immaginato se non aggrappandosi al sospetto di Jacques.
Avrebbe dovuto, allora, credere che realmente covasse un sentimento nei propri riguardi? L'ipotesi era così irreale che lo fece sorridere ironicamente, lo sguardo volto al soffitto mentre il petto si alzava ed abbassava al suo respiro.
“Non riesci a dormire?” gli chiede una voce beffarda e Sebastian digrignò i denti e si nascose sotto il lenzuolo alla vista di Jacques che lievitava a pochi millimetri dal suo letto, le braccia incrociate al petto.
“Non c'è nulla di male, rivelerebbe che dopotutto anche tu hai un cuore” aveva continuato, con la stessa intonazione melliflua e Sebastian si morse la lingua per non replicare o ne sarebbe nata un'altra interminabile discussione. Avrebbe potuto persino indursi al sonno dandosi un pugno pur di non dover continuare ad assecondarlo.
“Sono stato a casa di Kurt” continuò a parlare, quasi quello tra loro fosse un dialogo in corso, ma quando l'altro non lo degnò di risposta, riprese:
“Ha passato la serata chiuso nella propria camera a scrivere sul suo diario personale”.
“E scommetto che il lucchetto è azzurro e che tiene le chiavine dentro il portafoglio” la voce flautata con intonazione di scherno che fece ulteriormente incupire Jacques.
“Anche io avevo un diario” aveva commentato l'attimo dopo e quella frase sembrò completamente cambiare l'atmosfera della stanza.
Il silenzio da ostile si fece più concentrato ed attonito: Sebastian si era sollevato con il torso e Jacques fu certo che avessero lo stesso pensiero.
“Potrebbe esserci ciò che cerchiamo” aveva convenuto il giovane.
“... ma sicuramente non ricordi se è ancora integro e dove potrebbe essere” aveva continuato con intonazione più sarcastica che indusse l'altro a schioccargli uno sguardo di fuoco.
“Forse” replicò vagamente e Sebastian inarcò le sopracciglia ancora scettico ma Jacques sembrò profittare di quel momento, nel quale aveva la sua completa attenzione, per porsi al suo fianco.
Steso a sua volta, seppur sospeso di qualche centimetro, lo sguardo volto al soffitto, schiuse le labbra.
Si sporse verso Sebastian, fissandolo dritto negli occhi.
“Le persone credono che non vi sia niente di più doloroso dell'indifferenza: dell'essere invisibile agli occhi di chi amano o sognano di poter amare. Io dico che non è vero: niente è più doloroso del disprezzo di un paio di iridi di cui si anela lo sguardo. In silenzioso bisogno ma angosciante rassegnazione” recitò quelle parole in un sussurro delicato ed intriso dell'amarezza che esse racchiudevano e Sebastian sbatté le palpebre prima di scuotere il capo.
“Risparmiami gli aforismi da cioccolatino” aveva berciato, le sopracciglia aggrottate.
“Lo ha scritto Kurt”.
A quello Sebastian non trovò nulla da ridire: sostò per qualche istante nel silenzio della stanza, le labbra piegate in una smorfia indefinibile.
Ascoltò soltanto i battiti accelerati del proprio cuore, ripensò allo sguardo ferito del giovane, quell'azzurro sconfinato come il cielo e il guizzo di dolore che vi aveva scorto all'interno, prima che si allontanasse senza guardarsi alle spalle.
“Domani prenoterò il biglietto” si sentì dire con voce asciutta e gli diede le spalle prima di affondare contro il proprio cuscino. Ma restò a lungo insonne, quei maledetti occhi e le parole scritte sul suo diario che ancora tornavano a tormentarlo.
“Sebastian” lo richiamò ad un  certo punto Jacques. “... forse non ho solo una questione in sospeso: forse devo aiutarti, voglio provarci almeno. Ho sempre sognato che la mia vita valesse a qualcosa”
Non replicò, non si accorse neppure che il fantasma si era appena sporto e che aveva allungato la mano sulla fronte, quasi desiderando di scostarne i capelli in una carezza.
Non ne sentì l'ultimo sussurro, prima di cadere nel sonno.
“Non disprezzare ciò che tutti cercano, anche se non lo hai chiesto”.
 
~
 
Non era la prima volta che metteva piede in quella casa: da bambino era stata la meta delle vacanze natalizie trascorse con i nonni. Non aveva ricordi di Jacques in quel contesto: l'unica traccia che aveva di lui – e che aveva mai avuto – era proprio quella versione più o meno coetanea che lo seguiva passo passo nel tentativo di risolvere quel mistero così che anch'egli, finalmente, trovasse la pace. E lui, soprattutto, tornasse a vivere la sua quotidianità: quando il problema più imminente,
era allontanarsi alle prime luci del mattino dalla camera di uno sconosciuto e sperare di agganciare qualcun altro la sera successiva. 
Dopo che Jacques e sua moglie si erano stabiliti in America, la casa era stata abbandonata fino a quando non vi si era trasferita Claire, la figlia di Jacques, con il marito e avevano deciso di vivervi dopo averla ristrutturata. Jacques, tuttavia, non vi aveva più fatto ritorno e la proprietà, dopo la morte dei nonni di Sebastian e il ricovero di Jacques a causa dell'ictus, era passata alla signora Smythe che aveva provveduto ad affittarla.
Sebastian si era trovato di fronte ai nuovi inquilini ma non fu difficile spiegare la propria presenza. Persone disponibili e cordiali quali erano, avevano dimostrato sincero cordoglio alla notizia della scomparsa del capostipite prima di consentirgli l'ingresso. Allora Jacques sembrava essere tornato in sé: lo sguardo era molto più luminoso mentre si aggirava per quelle stanze. Seppure non degnasse di sguardo le fotografie e i segni dell'esistenza della nuova famiglia, aveva indicato più zone della casa, illustrando l'angolo nel quale, con la moglie, sedeva ad ascoltare la radio prima di coricarsi, laddove leggeva e anche laddove vi era il suo personale scrittoio e si dedicava alla corrispondenza o al suo diario.
I nuovi inquilini avevano comunicato a Sebastian che tutti i vecchi mobili erano stati accatastati nella mansarda e il giovane aveva chiesto subito di poterla visitare.
Aveva imprecato, tuttavia, alla vista dei molteplici scatoloni e mobilia sotterrati dalla polvere tanto che dovette tossire più volte prima di attraversare la stanza a schiudere la finestra. Osservò il fantasma del suo bisnonno che, lo sguardo nuovamente lucido, sfiorava ogni oggetto: consapevole che ognuno avesse rappresentato una parte di sé, ognuno era un pezzo della sua storia. Molto meno entusiasta era Sebastian che aveva soffiato un:
“Hai idea di quanto cazzo di tempo sprecherò ad esaminare tutto?”.
“Sebastian, ti prego: non puoi abbandonarmi adesso” dallo sguardo che gli rivolse era evidente che non avrebbe desiderato altro ma, sempre coronando ogni gesto con imprecazione insofferente e stizzita, cominciò ad esaminare il contenuto di ogni singola scatola. Senza trovare altro, tuttavia, che stupidi ninnoli o fotografie ormai sbiadite ma che Jacques prendeva con dita tremanti.
“Marie-Claire” sussurrò, allungando la mano verso il volto della donna, ritratta. “... e la nostra piccola Claire” contrasse le dita e serrò le labbra per l'impossibilità di toccarle, prima di riscuotersi bruscamente, allo sguardo dell'altro.
“Continua a cercare, deve esserci qualcosa” aveva commentato in tono spiccio e sembrò lui stesso cercare di convincersi nel pronunciare quelle parole.
Era ormai mezzogiorno inoltrato e Sebastian aveva già riposto la giacca, prima di imprecare tra i denti e dare un calcio all'ultima scatola.
“Niente, niente di niente, quel fottuto diario deve essere andato perduto oppure lo hai portato con te in America e non lo ricordi” aveva sibilato con evidente tono accusatorio ma Jacques aveva scosso il capo.
“No, il diario doveva restare qui”.
“Ma perché?”.
“Non lo so” aveva commentato e con voce così flebile e accorata che Sebastian non poté neppure crogiolarsi nella soddisfazione di continuare ad urlargli contro.
“Beh, è stato un buco nell'acqua, spero che tu sia soddisfatto e-” .
“La mattonella” aveva sussurrato Jacques, fissando i piedi di Sebastian, inginocchiandosi e facendogli cenno di arretrare: quest'ultimo continuò a fissarlo come se fosse completamente impazzito ma una nuova risoluzione brillava nelle iridi così simili alle proprie.
“Sollevala” gli aveva chiesto ansiosamente e il giovane si era inginocchiato ad osservare attentamente la composizione del pavimento: vi era una mattonella scalfita. Con lo sguardo dubbioso fissò su Jacques, avvicinò la mano fino a rivelarle un'increspatura: incredulo riuscì a sollevarla e, gli occhi sgranati, osservò il libricino dalla copertina scura, abbandonato sul fondo.
“Aprilo, presto!” aveva commentato l'altro impaziente e lui stesso, nel momento in cui lo prese tra le mani, avvertì quasi uno sfrigolio lungo la nuca: quel piccolo ed apparentemente insignificante libricino poteva avere tutte le risposte.
Lo schiuse, Jacques al suo fianco che divorava avidamente con lo sguardo le pagine ingiallite, osservò fotografie simili a quelle trovate tra gli album e gli scatoloni, continuò a far scorrere distrattamente lo sguardo sulle date, annotazioni e parole vergate. Le ultime pagine, soprattutto, erano state scritte con dita tremanti, tanto che la calligrafia diveniva più difficile da decifrare e l'ultima iscrizione risaliva al periodo precedente alla partenza per l'America.
Inarcò le sopracciglia allo scorgere un nome citato nelle ultime righe e sollevò lo sguardo sull'altro: nessuno della sua famiglia si chiamava così.
“Chi è Mathieu?”.
Fu istantaneo. Il volto di Jacques sembrò rendersi ancora più evanescente, gli tremarono le labbra e lo sguardo si fece più vacuo: sembrava più fragile e spettrale che mai. Aveva allungato la mano in sua direzione, pur consapevole che non avrebbe potuto sfiorarlo ma, atterrito, Jacques era indietreggiato.
Lo sguardo fisso su Sebastian e sul libricino.
“... ora ricordo tutto” sussurrò con voce flebile.
Fu l'ultima cosa che Sebastian sentì: aveva sbattuto le palpebre e l'attimo dopo era nuovamente scomparso, lasciandogli tra le mani il libricino.
 
~
 
Seduto sul letto dell'albergo, chiuse il libricino e prese tra le dita la collana militare: ne osservò la targa e ne toccò l'iscrizione.
Tutti i pezzi del puzzle sembrarono aver trovato la loro giusta collocazione.
Ripensò alla storia scritta su quelle pagine: una verità che Jacques aveva trattenuto con sé tutta la vita, un rimpianto da cui non si era mai liberato e che aveva lasciato fosse contenuto tra quelle pagine quasi come monito a non dimenticare ciò che era stato.
Sospirò un'ennesima volta, una mano tra i capelli e scosse il capo: ironico che quando, appena due settimane prima, si era tenuto il funerale, fosse rimasto seduto tra i propri genitori e dell'uomo cui era dedicata la celebrazione, non sapesse nulla. Ironico era, poi, constatare che credeva di conoscerlo adesso e persino comprenderne gli atteggiamenti.
“Adesso sai tutto” si era riscosso e Jacques la cui figura sembrava ancora più pallida ed evanescente, prese posto al suo fianco, lo sguardo sulla collana che Sebastian teneva tra le dita.
“Com'è possibile che Mathieu sia la tua questione irrisolta?” era evidente quanto la sola menzione fosse capace di suscitargli quel malessere nello sguardo ma Jacques scosse il capo, le labbra tremanti.
“Forse sono condannato a scontare il mio errore”.
“O forse è ancora vivo: ci hai pensato?” lo aveva incalzato Sebastian e lo sguardo dell'altro era divenuto ancora più pallido ma aveva scosso mestamente il capo.
“Lo hai letto: era stato dato per disperso durante la guerra, non può... no” si era sollevato dal materasso, l'espressione afflitta ed angosciata mentre passeggiava lungo la stanza, ricoprendola con rapidi passi.
“Ho lasciato tutta questa storia alle spalle, non avrei dovuto ricordare...”.
“Non puoi arrenderti adesso: un solo controllo, non vuoi sapere cosa ne è stato di lui?” Sebastian stesso si era sollevato dal materasso e gli si era avvicinato: le sopracciglia aggrottate nel tentativo di farlo ragionare.
“Non credi che glielo dovresti?” aveva, infine, pronunciato con tono quasi accusatorio che aveva fatto trasalire l'altro. L’attimo dopo era uno sguardo stizzito quello che gli era rivolto contro, lo aveva visto stringere i pugni e si era irrigidito ad una maniera straordinariamente familiare.
“E tu non dovresti delle scuse a Kurt? O hai voluto aiutarmi soltanto per liberarti di me e tornare alla tua vita scoordinata e agli amanti diversi ogni notte?”.
“Magari scappare è genetico” aveva sibilato l'altro ma aveva ignorato ogni menzione a Kurt, un pensiero che si era lasciato alle spalle la notte prima della partenza e sul quale, soprattutto, non aveva intenzione di tornare.
Jacques sorrise, un sorriso sardonico ed amaro.
“Cosa ne sai tu dell'amore?”.
“Forse non molto” aveva convenuto, stringendosi nelle spalle. “Ma non diventerò una patetica impronta di ciò che ero per scoprirlo” non aveva aggiunto altro ed era uscito dalla camera d'albergo, sbattendo la porta.
Il libricino sostava sul materasso e il vento penetrato dalla portafinestra ne scosse le pagine ingiallite ma le parole erano ancora testimoni di un dolore che non aveva ancora trovato espiazione.
 
~
 
Aveva esitato a lungo prima di andare a bussare alla porta: aveva controllato le vecchie cronache dall'archivio storico (ne aveva sgraffignato una pagina) e stampato un articolo recente sulla medaglia al valore assegnata a Mathieu Blanche in onore delle sue gesta durante la guerra. Osservò ancora una volta l'abitazione e trasse un profondo respiro: a quanto aveva scoperto, anche chiedendo informazioni ad un bar nelle vicinanze, Mathieu  versava in gravi condizioni fisiche ma aveva rifiutato l'accanimento terapeutico, volendo soltanto vivere gli ultimi giorni nella propria casa. Non si era mai sposato e neppure aveva avuto figli: era la nipote del fratello che vegliava su di lui. Era completamente paralizzato nel suo letto, quasi non riusciva più ad articolare suono ma ciononostante continuava ad esalare ogni respiro ancora concessogli: aveva ancora una tempra forte che gli aveva concesso di prolungare la sua esistenza oltre quanto i medici si sarebbero mai aspettati.
Tutti in quel quartiere ne parlavano con rispetto ed affetto, facendogli comprendere quanto fosse ancora amato, qualcosa che non era cambiato, da quanto aveva letto nel diario. Malgrado la sua timidezza, era sempre stato un amico devoto e fedele per Jacques e non aveva esitato a stargli accanto in ogni istante, persino spronandolo nel legarsi a Marie-Claire.
Chissà quanto doveva aver sofferto, in silenzio, pur di saperlo sereno. Quanto avessero entrambi rimpianto quell'addio frettoloso. Chissà se lo aveva sempre amato o era stata una realizzazione soltanto recente che l'angoscia del non rivedersi gli aveva strappato dalle labbra, come quell'unico bacio di cui Jacques aveva scritto su pagine che ancora sembravano conservarne le lacrime che ne avevano fatto sbavare l'inchiostro.
Sospirò nello stringere la catenina ed infine bussò alla porta.
Si presentò come il bisnipote di un amico di infanzia e mostrò una fotografia: la nipote di Mathieu, una bellissima ragazza dai capelli scuri e dagli stessi occhi nocciola del parente, lo portò nella stanza dell'uomo.
Sebastian esitò un solo istante prima di entrare e la giovane, Melanie, ne strinse rassicurante il braccio per esortarlo e solo allora osservò l'uomo disteso nel suo letto:  la pelle del viso era raggrinzita dagli anni e dalle sofferenze ma gli occhi erano ancora pieni di spirito.
Li sgranò alla vista di Sebastian e il monitor che ne segnalava le pulsazioni sembrò prendere nuova vita mentre Melanie si affrettava a raggiungerlo e stringerne la mano.
“Va tutto bene” lo rassicurò nella loro lingua madre. “Questo ragazzo si chiama Sebastian, è il nipote di...?”.
“Jacques” aveva sussurrato Sebastian e osservò come gli occhi dell'uomo sembrarono improvvisamente rianimarsi: schiuse le labbra nello spasmodico tentativo di dire qualcosa ma ne uscì soltanto un verso gutturale.
“Va tutto bene, zio, va tutto bene” lo rassicurò ancora la nipote ma questi sollevò debolmente la mano, additò la cassettiera alle spalle del giovane, nuovamente quel lungo verso gutturale mentre ella osservava da lui a Sebastian.
“L'album, vuoi , vuoi che prenda l'album?” si era affrettata a scostarsi e recuperare l'oggetto che portò al capezzale del malato, lo sfogliò lentamente fino a quando non trovò la giusta fotografia. Un sorriso commosso balenò sul volto della giovane, porse l'album a Sebastian: la fotografia era ingiallita ma i volti di entrambi erano inconfondibili.
Un'esatta copia del riflesso del fantasma gli sorrideva, un braccio avvolto intorno alle spalle di quello che era stato Mathieu: quest'ultimo era più basso ed esile di Jacques, i capelli accuratamente pettinati a spazzola e lo sguardo sognante.  Ignorava completamente l'obiettivo per osservare il suo amico, il sorriso vezzoso sulle labbra malgrado questi gli stesse scombinando la capigliatura.
“Vi somigliate molto” aveva osservato delicatamente Melanie.
“Non è vero” avevano risposto due voci, o così riuscì ad udire Sebastian mentre Jacques, più pallido che mai, entrava a sua volta nella stanza: ignorò completamente l'album che il nipote tratteneva. Gli occhi lucidi, avanzò senza essere visto verso il letto, osservando Mathieu dall'alto.
“Mathieu” aveva sussurrato con voce rauca. “... sono qui” aveva allungato debolmente la mano e Sebastian osservò come lo sguardo di Mathieu fosse nuovamente perso nel vuoto mentre Jacques cercava, inutilmente, di sfiorarne il viso.
“Mi dispiace così tanto” aveva commentato con voce rauca e Sebastian desiderò soltanto potersi allontanare dalla stanza, attirare anche Melanie con una qualsiasi scusa.
Si limitò a porgerle la medaglia militare mentre Jacques appoggiava il capo contro il petto dell'altro, le spalle percosse dai singhiozzi silenziosi.
“Era nella camera della casa di riposo del mio bisnonno” si dovette schiarire la voce. “Credo fosse sua” aveva alluso al giovane. “L'aveva ricevuta con una lettera che diceva che era disperso, è stato allora che lui e la mia bisnonna si sono trasferiti in America, prima della nascita di mia nonna” aveva spiegato e la giovane aveva sorriso, visibilmente commossa, prendendola tra le mani e apponendola intorno al collo dello zio.
“Te la ricordi?” gli aveva chiesto in un anelito di tenerezza, sfiorandone delicatamente la guancia, attraversando inconsapevole il corpo di Jacques.
Sebastian sospirò.
“Il mio bisnonno non ha mai trovato pace dopo aver creduto che fosse morto” pronunciò con voce incerta, non era certo di quanto Jacques volesse rivelare del suo passato e quanto i discendenti della famiglia Blanche fossero disposti a sapere della vera natura del loro legame. “... tra le sue cose vi era un suo diario personale e non ha mai smesso di scrivere di lui, sono certo che ovunque sia” aveva osservato Jacques che aveva sollevato lo sguardo in sua direzione, gli occhi lucidi e le labbra tremanti. “... ovunque sia, sta vegliando su di lui” aveva concluso e Melanie aveva sorriso con lo stesso sguardo commosso.
Jacques schiuse le labbra in un silenzioso ringraziamento prima che Sebastian si congedasse e Melanie si alzasse per stringerne la mano.
“Sei stato molto gentile a venire fin qui, non so come ringraziarti” si erano entrambi riscossi e Mathieu, che fino a quel momento sembrava essersi assopito, aveva di nuovo schiuso gli occhi e, era solo una sua impressione?, sembrò guardare in direzione di Jacques.
Aveva proteso la mano e Sebastian stesso era rimasto immobile, soltanto i suoi battiti sembrarono segnare quel momento.
“Mathieu” aveva sussurrato Jacques, cercando di prenderne la mano, inginocchiandosi di fronte al letto. “Sono qui... Mathieu, guardami” aveva sussurrato, la voce rauca ma, quasi fosse impossibile mantenere la mano sollevata, essa ricadde sul materasso.
Volse uno sguardo a Sebastian e una lacrima solitaria ne rigò il viso.
Sebastian seppe che aveva compreso più di quanto un diario avrebbe potuto raccontare ma fu con un sorriso che cadde nuovamente nel torpore.
Melanie lo accompagnò verso la porta ma prima di uscirne guardò in direzione di Jacques che, il sorriso dolce e lo sguardo devoto, aveva scosso lentamente il capo.
“Adesso che l'ho ritrovato, non posso lasciarlo”.
Annuì, un cenno del capo e lasciò la stanza.
 
~
 
Ci sono così tante cose che mi mancano di Mathieu: è come se, giorno dopo giorno, il suo ricordo sbiadisse e lo stessi nuovamente perdendo. Quasi non sento più il suono della sua risata, o il suo sussurro mentre pronunciava il mio nome: sacrificherei la mia stessa anima pur di sentirlo un'altra volta. Se almeno in sogno riuscissi a scorgerlo ancora una volta, se almeno sapessi che l'oblio non me lo porterà via una seconda volta.
Mi crogiolo nell'immagine del suo volto ancora impressa di fronte ai miei occhi: non passa notte senza che compaia innanzi a me. Quel sorriso di pura vita impresso di una dolcezza così pura e fanciullesca, cristallizzato nel suo viso, che neppure l'età potrebbe portargli via; la luce nel suo sguardo ogni volta che rideva e quel sorriso più amorevole. Il sorriso che dedicava soltanto a me.
Stolto è l'uomo che crede di poter sottomettere il tempo, stolto è colui che non si abbandona al suo vero amore per timore o per orgoglio. Stolto è colui che non riconosce la sofferenza nello sguardo di chi lo ama e l'alimenta con indifferenza, incoscienza o arroganza. Il tempo non espierà e sarà quel dolore a ricordare l'errore ormai irreparabile.
 
Sebastian sospirò, chiuse il diario e lo lasciò cadere sul materasso mentre si abbandonava fino a stendersi: si coprì gli occhi con un braccio piegato sul viso. Quasi disperando di cadere in un profondo sonno, di impedire che, nuovamente, quel paio di occhi gli apparissero di fronte, quasi disperando di sottrarsi da quel respiro trattenuto ogni volta che la sua mente caparbiamente lo riportava a quel momento.
Tastò il letto alla ricerca del cellulare e scorse la rubrica: osservò a lungo la schermata dello stesso nominativo: le labbra strette e le sopracciglia aggrottate.
Trasalì, tuttavia, all'apparizione di Jacques e sbatté le palpebre: non era certo lo avrebbe rivisto così presto, che fosse giunto per dargli un addio, che fosse il momento di andare oltre, qualunque cosa significasse?
Ma bastò scorgerne il volto e gli occhi che parlavano di un'indicibile sofferenza perché Sebastian trattenesse il respiro, incapace di formulare una qualsiasi domanda.
“Se n'è andato” sussurrò soltanto e sembrò che quelle parole paralizzassero l'aria nei suoi polmoni. Boccheggiò, lo sguardo nuovamente estraniato a cogliere quell'ultimo momento che li aveva visti riuniti ad una maniera del tutto particolare.
Si rimise in piedi: non sapeva se allungare il braccio per non appoggiarlo  sulla sua spalla o se dire qualcosa. Non credeva esistessero parole che avrebbero potuto consolarlo o lenirne il dolore.
Pensò amaramente a quanto la vita avesse potuto essere beffarda e quanto, anche dopo la sua morte, lo aspettasse un tormento che probabilmente non avrebbe avuto fine.
Si passò una mano tra i capelli, schiuse le labbra quasi sperando che quei confusi pensieri potessero tradursi in parole ma Jacques scosse il capo. Un sorriso simile al suo.
“Non l'ho abbandonato questa volta” aveva commentato e, malgrado tutto, riuscì a sorridere con tale dolcezza che persino lui riuscì a sentire nuovamente il respiro più facile.
Scosse il capo, le labbra ancora piegate in una smorfia pensierosa.
“Per quanto possa valere” aveva sospirato e si era stretto nelle spalle. “... mi dispiace per entrambi” aveva sussurrato e Jacques aveva annuito, sussurrando un ringraziamento.
Osservò il diario abbandonato sul suo letto e Sebastian si maledisse per non averlo scostato precedentemente.
“Non c'è più nulla che mi tenga legato qui” aveva sussurrato e Sebastian si accorse di quanto la sua voce sembrasse già più lontana, di quanto la sua stessa immagine divenisse più evanescente mentre i secondi trascorrevano.
“Ma avrei un'ultima richiesta, te ne prego” lo sguardo lucido, le labbra tremanti e Sebastian aveva annuito senza esitazione.
“Sono stato codardo in vita ma adesso non voglio più nascondermi” aveva indicato il diario con un cenno del mento. “Voglio che sappiano, che tutti sappiano: l'ho abbandonato una volta, non potrei farlo di nuovo”.
Un sorriso sfiorò le labbra di Sebastian ed annuì, prese il libricino e lo allungò in sua direzione ma Jacques scosse il capo.
“Neppure se potessi sfiorarlo, lo porterei con me: vorrei lo tenessi tu” e Sebastian comprese che il momento che tanto aveva atteso, fin dalla sua prima comparsa, era adesso giunto.
Si era aspettato di provare sollievo, euforia e un crescente senso di soddisfazione, ma non fu così.
Non riusciva a sentire nulla in quel momento.
“Vorrei poter dire che è stato un piacere” aveva commentato Jacques, schiarendosi la voce e sorridendogli con la stessa ironia che albergava spesso nello sguardo di Sebastian.
Gli fu grato per come sembrò voler smussare i toni e soprattutto le emozioni che non avrebbe mai voluto esternare, soprattutto in quel momento. Avrebbe voluto ricordarlo per i loro numerosi alterchi, avrebbe voluto non percepire quella sorta di strappo al solo pensiero che non lo avrebbe più visto per quanto avesse anelato di tornare alla normalità.
Si era avvicinato, tuttavia, e aveva allungato la mano a pochi millimetri dalla spalla di Sebastian e, seppur non vi fosse stato contatto, riuscì a percepire un nuovo moto di calore mentre sospirava.
“Abbi cura di te, Sebastian” aveva commentato, il tono più delicato e il giovane aveva annuito.
“Non sentirò la tua mancanza ma se così fosse sicuramente sarebbe per una sbronza” aveva commentato e Jacques rise, una risata echeggiante ma già distante mentre la sua immagine diveniva più trasparente.
Gli rivolse un cenno di assenso, tuttavia: ancora una volta, aveva compreso più di quanto Sebastian fosse disposto a lasciar trapelare.
Era ormai sempre più sfocato, soltanto un barlume di luce quando Sebastian ne sentì nuovamente il richiamo.
“Lasciati amare” erano state le ultime parole.
Sbatté le palpebre ma seppe che se n'era andato.
Sostò a lungo ad osservare il punto da cui era scomparso.
Una stilla di rugiada gli solcò la guancia e Sebastian scosse il capo.
Vecchiaccio rompiscatole.
 
 
Probabilmente non si era mai sentito così nervoso come in quel momento, neppure quando avevano affrontato le Regionali ed erano stati sconfitti dalle Nuove Direzioni, dopo la tragedia sfiorata della famiglia Karofsky. Aveva atteso fuori dalla sala nella quale si sarebbe tenuta la celebrazione del funerale ed aveva sorriso alla vista dei genitori, abbracciato la madre ed osservato il padre da sopra la sua spalla.
“Non capisco, Sebastian, perché ci hai chiesto di venire? Hai idea di quanti appuntamenti ho dovuto disdire e con così poco preavviso?” il giovane aveva annuito ma aveva sorriso.
“Grazie di essere venuti: entriamo, capirete presto” li aveva condotti all'interno ed erano rimasti entrambi basiti al comprendere in quale situazione fossero stati coinvolti.
“Non conoscevo nessun Mathieu Blanche” aveva commentato sua madre, scambiando uno sguardo incredulo e confuso con il marito che si era stretto nelle spalle ma Sebastian aveva fatto loro cenno di accomodarsi tra le prime file prima di stringere la mano di Melanie.
“Grazie di esser rimasto: gli avrebbe fatto molto piacere” aveva commentato, gli occhi arrossati e il fazzoletto stretto tra le dita.
Aveva sospirato, sentendosi come mai impacciato e cercando di ignorare quella stretta al petto quando quella visione ne suscitò un'altra parallela eppure così differente. Strinse maggiormente il diario di Jacques ed attese, con gli astanti, l'inizio della celebrazione.
“E adesso, il signor” l'ufficiante aveva letto da un fogliettino. “Smythe (?) vorrebbe dire qualcosa”. Aveva sentito puntati addosso gli sguardi confusi ed interdetti dei genitori, quelli sorpresi degli amici, i vicini, i concittadini, e i parenti di Mathieu. Osservò il sorriso commosso di Melanie per darsi coraggio.
Si era alzato dalla sua sedia, il libricino tra le mani e si era fermato di fronte al feretro, un nodo in gola prima di voltarsi verso i presenti.
“Mi chiamo Sebastian Smythe” esordì e cercò di mantenere a mente le parole che aveva pensato di pronunciare in quel contesto. “e sono il nipote di Jacques Laurent. Forse non molti di voi ne hanno sentito parlare ma è soprattutto per lui che mi trovo qui, in questo momento. Per lui e per Mathieu” aveva preso un profondo respiro, lo sguardo volto adesso ai genitori.
“Rimpiango di non aver avuto occasione di conoscere meglio Jacques ma posso dire di non averlo mai sentito così vicino come in questi giorni, anche se ci ha lasciati da poco.
Credo che una parte di sé, per quanto insopportabile e saccente, resterà con me” un sorriso più ironico gli aveva curvato le labbra prima di schiudere il libricino ad una pagina ben precisa, quella che aveva letto a più riprese e che aveva scelto perché il desiderio di Jacques si realizzasse.
Notò come gli sguardi dei presenti gli fossero avvinti: era evidente la sorpresa e la curiosità e decise di non lasciarli attendere ancora molto.
“Questo diario era appartenuto a Jacques e non vi è una sola pagina contenuta in esso che non parli di Mathieu: suo fratello, il suo miglior amico e... qualcosa di più” aveva lasciato che quelle parole si diffondessero in un silenzio rotto presto da brusii di sorpresa e di incredulità ma non vi badò. Nessuno avrebbe più potuto ferirli, nessuno li avrebbe più costretti a nascondersi.
“Tutti noi abbiamo conosciuto Jacques come un marito devoto e fedele: Marie-Claire è stata la donna della sua vita, la sua migliore amica e confidente, la sua metà. E' stato un padre ed un nonno altrettanto affettuoso ma era molto di più e vorrei leggervi le sue ultime pagine perché riusciate a vederlo come Mathieu e poi anche io siamo riusciti”
Fu in quel momento: sgranò gli occhi e il suo cuore sembrò scalpitare ancora più furiosamente. Tra le due file di sedie, era comparso Jacques: impettito e serio come non mai, gli fece un cenno d'assenso e Sebastian trovò il coraggio che necessitava per quell'ultimo passo.
Si schiarì la voce e iniziò a leggere:
Erano le 11.30 l'ultima volta che ho guardato l'orologio. L'ultima perché da allora la mia vita si è fermata e non riesco più a trovarvi un senso e un significato: so che la nascita del mio bambino potrà alleviarla e che la vita, col suo scorrere perenne, potrà attenuare il dolore.
Ma quest'oggi lo tengo stretto gelosamente.
Partirò per l'America domani: cominceremo una nuova vita e dovrò lasciare che i fantasmi del mio passato si arrendano e rimangano confinati tra queste pagine ma il fardello più grande sarà sempre con me. Ed è una promessa che stringo in tuo nome, Mathieu, il mio più grande dolore, il più dolce e struggente desiderio di riconciliazione con me stesso.
Il dolore sarà la più struggente delle promesse perché, fin quando avrò vita, il mio pensiero resterà ancorato al tuo sorriso, al tuo volto meravigliosamente sereno. Quell'unico bacio, prima delle tua partenza, mischiato alle lacrime che solcavano il tuo viso di un preannunciato e prematuro addio, quasi tu già sapessi che ti avrebbero strappato a questa vita; quasi già sapessi quanta codardia ci fosse nel mio cuore e quanto lenta sia stata la mia comprensione di ciò che davvero ci aveva uniti per tanto tempo.
Se soltanto mi fosse concesso un ultimo sguardo, un tuo ultimo sorriso, una tua ultima parola. Neppure le lacrime che solcano il foglio possono parlare abbastanza intensamente di te; neppure il mio sordo grido di aiuto riuscirà a raggiungerti ovunque tu sia. E prego perché ogni giorno io soffra questo patimento e ogni singolo giorno io rimpianga ciò che è stato e avrebbe potuto essere.
Non chiederò mai il tuo perdono ma spero che una traccia di me, in questo mondo, rimanga. E tale traccia porti il tuo nome.
Mon ami et mon amour, che il tuo bacio mi sfiori quando esalerò l'ultimo respiro.
Finalmente tuo,
Jacques Lescaut”
Non si era neppure sforzato perché la sua voce non suonasse rauca sulle righe finali: aveva sostato con lo sguardo sulle pagine del quaderno fino a quando non l’aveva risollevato.
Il viso di Melanie e di sua madre condividevano la stessa commozione, persino suo padre sembrò scosso ma fu un'altra reazione quella che cercò.
Jacques sorrideva, un sorriso beato e pieno di pace, come mai lo aveva visto e seppe che, finalmente, aveva perdonato se stesso. Aveva sussurrato un ringraziamento e Sebastian aveva annuito. Sbatté le palpebre quando, al suo fianco, scorse un altro viso, quello della fotografia a casa Blanche.
Jacques sorrise, quel sorriso più suadente e soddisfatto prima di prendere la mano di Mathieu e, in un battito di palpebre, entrambi scomparvero.
Finalmente insieme.
 
“Sono fiera di te”sussurrò sua madre quando si fu nuovamente seduto e suo padre ne strinse la spalla con un annuire silenzioso. Sebastian trasse un profondo respiro, osservò ancora una volta il libricino e chiuse gli occhi.
Aveva detto addio a Jacques e Mathieu.
Ma sapeva che vi era ancora una questione in sospeso.
 
~
 
Abituarsi alla mancanza di Jacques fu più difficile di quanto avesse immaginato o tanto meno ammesso, se mai qualcuno avesse potuto credere a quella storia. Lui stesso avrebbe cominciato a pensare che si fosse trattato soltanto di un sogno se non avesse avuto ancora tra le mani il suo diario, se nuovamente non si fosse soffermato sulle parole scritte con mano tremante. Parole che sembravano più che mai attuali e vincolanti e il tempo che non aveva impiegato, durante il volo di ritorno, al pensiero dei due amanti finalmente riconciliati, era stato speso nel ricordare ed immaginare un altro paio di iridi. Le stesse che ogni notte sopraggiungevano al calare delle ombre e dalle quali non riusciva a sottrarsi malgrado la propria determinazione.
Persino entrare nella consueta caffetteria aveva un sapore più amaro e si era scoperto ad osservare l'ambiente e constatare quanto sembrasse strano non scorgerlo seduto ad uno dei tavoli, lo sguardo sognante e il sorriso svenevole, guardando un inconsapevole...
“Kurt” ne aveva pronunciato il nome con voce sussurrata ma ciò bastò a far trasalire il giovane il cui sguardo era rivolto al proprio quaderno, una penna tra le dita mentre l'altra si sfiorava i capelli distrattamente.
Attese fino a quando non sollevò il mento e i loro sguardi si incrociarono: ne aveva riconosciuto la voce ma sembrava comunque teso nell'osservarlo.
Era la prima volta che manteneva così intensamente quel contatto di sguardi e che, soprattutto, cercasse di interpretare il guizzo che appariva in quelle iridi: scoprendo di conoscerne il moto di calore o di gioia, il romanticismo o la serenità che li faceva risplendere talvolta. Ma erano occhi stanchi quelli che ricambiavano il suo sguardo, sembravano essersi spenti e il pensiero di esserne stato la causa, ne suscitò un sospiro più profondo.
“Cosa vuoi, Sebastian?” aveva domandato, non vi era quella tipica intonazione più sarcastica ed ironica, stizzita ed insofferente che aveva esibito fino a quel momento. Si scoprì quasi timoroso di scoprire da quanto tempo e se, davvero, i suoi sentimenti fossero sfumati in qualche modo. Probabilmente quello di Jacques era stato un ultimo tiro mancino o soltanto un espediente per farlo maturare, probabilmente era solo un senso di colpa negato e nascosto tra le proprie sinapsi ad influenzarne le valutazioni.
Scosse il capo, dispendioso ed inutile era, in quel frangente, soffermarsi su Kurt quando era lui, in prima istanza, ad aver bisogno di aprire un nuovo spiraglio.
“Voglio raccontarti una storia” all'espressione di confusione ed evidente incredulità che Kurt gli rivolse, indicò con un cenno del mento l'uscita dal locale.
“Credo potrebbe piacerti” aggiunse a mo' di convincimento, le mani affondate nelle tasche dei jeans e lo sguardo volto al quaderno innanzi a Kurt.
Senza staccare lo sguardo da lui, Kurt lo richiuse e sospirò: sembrò voler valutare la possibilità ma almeno aveva scorto un barlume di curiosità che ne aveva animato le iridi.
L'attimo dopo aveva riposto gli oggetti nella propria borsa e si era stretto nelle spalle in un tacito cenno di assenso prima di alzarsi e seguirlo fuori dal locale.
 
Sebastian si scoprì a raccontargli della storia di Jacques e in modo molto più fluido e rassicurante di quanto si sarebbe aspettato: si sorprese non soltanto di quanto fosse semplice imbastire una conversazione molto più vissuta e profonda di quella che si fossero concessi fino a quel momento (non che i dialoghi, poi, facessero parte delle normali relazioni sociali intraprese da Sebastian fino a quel momento) ma si scoprì persino sollevato. Quasi quel peso avesse cominciato ad alleggerire la presa che stava esercitando sul suo cuore.
Probabilmente perché stava lasciando andare Jacques, probabilmente perché era proprio Kurt quello che lo stava ascoltando con simile attenzione: non c'era voluto molto perché la sua espressione interrogativa e quasi guardinga e sospettosa lasciasse spazio alla mera curiosità e poi alla concentrazione. Aveva notato come il suo stesso volto si fosse trasfigurato: come spesso lo sguardo cominciasse a rilucere. Dalla tenerezza e la comprensione che ne avevano visto le labbra curvarsi in quel sorriso più trasognato, fino alla commozione che ne aveva reso gli occhi lucidi ed arrossati sulle note più amare e finali.
Non intervenne nella narrazione, neppure gli domandò perché avesse coltivato quell'improvvisa curiosità circa quel parente scomparso di recente e a cui, in vita, non aveva mai dedicato che pensieri all'insegna dell'insofferenza e dell'indifferenza.
Aveva taciuto Sebastian, aveva continuato ad osservarne il profilo di sottecchi mentre continuavano a camminare, fianco a fianco, apparentemente senza alcuna destinazione precisa. Aveva sospirato Kurt, infine, e gli aveva rivolto uno sguardo ancora incuriosito ma lucente della commozione che quella vicenda ne aveva mosso l'animo.
Si morsicò il labbro inferiore in un'evidente dimostrazione di insicurezza.
“E' una storia molto triste” aveva sussurrato, infine, le sopracciglia inarcate e il viso inclinato di un lato mentre si fermava, inducendo Sebastian a fare lo stesso, voltandosi finalmente ad osservarlo. “Molto intensa e commovente” aveva soggiunto seppur nuovamente la curiosità ne avvincesse lo sguardo.  “Perché hai voluto raccontarmela?”.
Malgrado si fosse aspettato quella legittima domanda, scoprì che cercare le giuste parole o una giusta risposta – se poi esistesse – era quanto di più arduo potesse auspicare mentre sostava ad osservarne il volto, mentre sostava in quello sguardo così espressivo delle sue reali emozioni che si scoprì quasi timoroso di continuare ad osservarlo e lasciare che guardasse dentro se stesso.
Non riusciva a smettere di pensare che, per grazia di Jacques e Mathieu, era riuscito a strappare un'emozione diversa, seppur per pochi istanti, da uno sguardo che spesso era stato solo ferito o indisposto.
“Perché non voglio che gli errori di Jacques siano stati vani” evidentemente era stata una risposta abbastanza intensa ed eloquente perché, nuovamente, lo vide trattenere il fiato: le iridi sembrarono esprimerne lo sconcerto, la sorpresa e persino un timore latente che lo indusse a distogliere lo sguardo quando un pensiero particolare dovette colpirlo.
Fu allora che avanzò di un passo: si scoprì quasi timoroso nel compiere una flessione del braccio che lo potesse indurre a cingerne delicatamente il mento.
Sostò con il braccio rigido al proprio fianco, le sopracciglia aggrottate, mentre Kurt si stringeva nelle spalle con fare quasi protettivo nel distogliere nuovamente lo sguardo.
“Jacques non poteva indursi a ricambiare il suo amore se non era quello che desiderava: avrebbe solo ferito entrambi” aveva sussurrato in tono amaro.
Sebastian sentì il proprio cuore oscillare: la consapevolezza che, tra quelle parole, vi fosse una verità celata, quella che adesso sembrava sostare persino tra loro. Quella da cui sentiva la tentazione irresistibile di fuggire, quella che lo vincolava tuttavia, più spasmodica che mai, a ricercarne lo sguardo.
Inclinò il viso di un lato ma Kurt scosse il capo come un implicito segnale, morsicandosi nervosamente il labbro, lo sguardo lucido.
“Jacques ha avuto il timore persino di guardarsi dentro e l'ha rimpianto tutta la vita” aveva sussurrato in risposta ed era stato con un movimento fluido, delicato e quasi timoroso che ne aveva, finalmente, sfiorato il mento per intrecciare i loro sguardi.
Ne vide le labbra schiuse in un'espressione di sorpresa, gli occhi lucidi e adesso avvinti dal timore e dalla soggezione. Quasi disperando che quel contatto non avvenisse, quasi disperando che Sebastian non scorgesse cosa si celasse incastonato tra le iridi, oltre alle lacrime di commozione per una struggente storia d'amore.
“Kurt” ne pronunciò nuovamente il nome con voce più sussurrata ma il ragazzo strinse le labbra e scosse il capo.
“No, non fare così: non ne hai il diritto, Sebastian!” aveva commentato, il braccio sollevato quasi a voler porre una distanza, nell'aprire e chiudere spasmodicamente la mano nell'articolare quelle parole prima che gli desse le spalle.
Sebastian ne vide le spalle irrigidirsi nel tentativo di trattenere quella verità sopita che mai, come in quel momento, aveva percepito così intensa. Stolto era stato a non comprenderlo, nel lasciare che la propria superficialità continuasse ad infierire colpo su colpo, più di quanto egli stesso già non facesse in normali circostanze nel mortificare se stesso.
“Non ti biasimo se hai creduto di non poterlo neppure ammettere a te stesso” si era sentito dire mentre indugiava alle sua spalle osservandone le scapole.
Gli parve di sentirne un verso soffuso ma se di ironica consapevolezza o di amarezza non avrebbe saputo dirlo. Era quasi timoroso di indurlo a svelare nuovamente l'emozione delle sue iridi e, al contempo, consapevole che vi fosse quanta più realtà e sentimento a cui aggrapparsi soltanto nelle sue iridi, di quante ne avrebbe potute scorgere in tutta una vita di fuga dalla possibilità di lasciarsi amare.
Kurt aveva annuito, tuttavia, e lo vide stringersi le braccia al corpo prima che abbassasse lo sguardo e scuotesse il capo.
“Dirlo lo renderebbe più reale e non lo sopporterei” aveva sussurrato con voce più flebile che aveva fatto stringere le labbra di Sebastian. Pur senza vederne il viso, non gli fu difficile immaginare le lacrime sospese sulle ciglia, in attesa di rigarne le guance.
“... non da solo” aveva soggiunto ed era soltanto in virtù del moto che aveva indotto Sebastian a fermarsi alle sue spalle, se era riuscito a sentirne il sussurro.
“Non sei solo” aveva bisbigliato. Lo sentì irrigidirsi quando ne colse la vicinanza, ma ebbe la percezione che il battito alterato di Kurt fosse in sincronia con il proprio, che potesse sentire fluire in sé la sua disperazione, la sua paura. Il suo bisogno di una certezza e di un calore che riuscisse a scalfirlo, a dispetto dei sentimenti trattenuti così spasmodicamente fino a quel momento.
Aveva sospirato, Sebastian, nuovamente sembrò indeciso: aveva proteso il braccio quasi desiderasse avvincerlo a sé ma socchiuse gli occhi a sentirne il profumo che ne avvolgeva la figura slanciata ed esile.
Una delicata ma stuzzicante essenza di vaniglia mentre, lentamente, con occhi socchiusi adagiava il mento alla sua spalla.
Ne sentì il corpo irrigidirsi ma non desistette, voltò appena il capo a sussurrare nel suo orecchio.
“Non sarai solo se non per tua volontà” aveva bisbigliato e si era sorpreso di quanto la sua stessa voce apparisse più bassa, rauca, un sussurro delicato mentre percepiva Kurt stesso ammorbidirsi.
Reclinò appena il capo contro la spalla di Sebastian ad osservarlo, quasi chiedendone conferma: gli occhi erano lucidi ma le labbra tremavano di una nuova emozione.
“Non devi farlo per non ferirmi, non-” aveva scosso il capo Sebastian ma non gli aveva permesso di continuare la frase: le braccia si erano strette attorno alla sua vita e fu quasi un sospiro dell'animo avvedersi di quanto il suo corpo più esile e delicato sembrasse così perfetto da cingere e trattenere a sé. Quanto calore vi fosse in un contatto così accennato, un calore che, lo sentiva, sarebbe permeato attraverso le vesti e rimasto anche dopo che si fosse scostato o Kurt lo avesse respinto.
“Dammi una possibilità” aveva sussurrato in risposta, il fiato trattenuto e lui stesso perse il conto dei propri battiti: rimase in accorata e spasmodica attesa, in quel teso silenzio che seguì quella richiesta.
Non si era mai sentito più vulnerabile e scoperto, non aveva mai odiato così tanto il sentirsi emotivamente coinvolto in un momento di simile intensità ma neppure si era mai sentito così spasmodico e bisognoso di concedersi quell'occasione. Di trovare una risposta e di provare a se stesso che Sebastian Smythe fosse in grado di mettersi in gioco e che non si sarebbe concesso il rimpianto di non averci mai provato.
Aveva atteso una reazione: le sue braccia avevano artigliato Kurt come se, in quel momento, fosse l'unico appiglio ad avvincere le sue ultime remore e il suo timore, disperando perché pronunciasse una qualsiasi risposta pur di non lasciarlo ulteriormente in sospeso.
Un effluvio di dolce calore e boccheggiò: sentì Kurt rigirarsi nel proprio abbraccio, non disse nulla ma fu con un'intensità quasi struggente e disperata che le sue braccia esili si avvinsero al suo collo. Affondò il viso contro il suo petto e Sebastian neppure cercò di regolare il respiro o i battiti, lo sentì artigliarne la camicia e sorrise nell'appoggiare il mento al suo capo. Socchiuse gli occhi, avvolto da quel calore, promessa di una nuova speranza, racchiusa tra le sue iridi.
“Devo prenderlo come un sì?” domandò, soltanto, con voluto intento ironico ma celando, con autentica difficoltà, il sorriso impresso nella voce. Lo sentì emettere un verso soffuso di divertimento ma non si mosse, lo sentì completamente rilassarsi contro il suo petto, quasi finalmente avesse ritrovato pace.
Quasi finalmente fosse in comunione con se stesso.
E Sebastian stesso seppe di esserlo, sollevò lo sguardo: l'azzurro del cielo, laddove Jacques stava facendosi beffe di lui, era secondo soltanto alle iridi del ragazzo che stringeva tra le braccia.
Socchiuse a sua volta gli occhi e sorrise del contatto prolungato.
“Non credi che sarebbe ora di darmi un bacio?” aveva domandato, l'intonazione sardonica che aveva fatto sollevare gli occhi al cielo a Kurt ma il sorriso non sfumava dalle sue labbra: abbassò la mano stretta al suo petto a cercare quella del giovane. Sebastian la strinse di riflesso, la fronte adagiata alla sua in quella reciproca e nuova contemplazione.
“Forse” aveva sussurrato, dondolandosi sulle spalle con quel fare più vezzoso prima di cingerne nuovamente con un anelito più puerile il collo e fu la volta di Sebastian di alzare gli occhi al cielo.
“Lo farai ogni volta?” cercò di nascondere il sorriso.
“Seriamente, è così da checca che-” le parole si spensero al contatto con le sue labbra, lo sentì sorridere nel bacio e, artigliandone il viso con maggior decisione, ne ricambiò il sorriso a fior di labbra.
Grazie, vecchiaccio rompipalle.

 
 
You put a spell upon me there
Never be broken in your love
Nowhere to run to but your love
Over and over in your love
(Your Love - Keane)
 
 
 
 
Ho preferito rimandare la stesura di questo racconto all’ultima settimana – la scorsa – prima della pubblicazione, prevedendo sarebbe stata la più lunga ed elaborata. L’idea di sfruttare lo stratagemma del fantasma – come Sophie Kinsella – mi ha subito sfiorata, grazie anche alla seconda lettura del romanzo ma mi ha fatto sognare immaginare una storia d’amore più amara che fosse da sprono a Sebastian. Spero di avervi emozionato come è stato per me con la stesura in particolare di alcune parti di questo racconto.
Al solito, commenti e riflessioni sono ben accetti e ancora grazie di cuore a chiunque legga, commenti e gradisca.
A domani, il tema trattato sarà “WIZARDS AND WITCHES” e vi prometto che mi farò perdonare con una lettura molto più spensierata e leggera! :)

 

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Capitolo 4
*** Wizards And Witches - Slyther in the magic world ***


Non ho molte premesse prima di lasciarvi alla lettura, a parte che oltre a rispettare la Week Kurtbastian mi sono concessa un altro piccolo sfizio, anzi meglio dire due, uno dei quali si dovrebbe cogliere dal sottotitolo (:

Ancora un ringraziamento di cuore per le recensioni, per aver inserito la raccolta tra seguite/preferite/ricordate, è davvero molto lusinghiero e ve ne sono grata.

Un bacione alle mie Blaine e Sebastian, come sempre, che rendono tutto ancora più meraviglioso di quanto non sia! ♥

Buona lettura!


WIZARDS AND WITCHES

Slyther in the magic world.
 
Non era inusuale, di tanto in tanto, avere il blocco dello scrittore, persino per chi, come lui, aveva sognato, fin dalla tenera età, di rendere realtà quei personaggi che erano così vividi e scolpiti nella sua fantasia.
Aveva tambureggiato sul ripiano della scrivania, lo sguardo fisso sul documento aperto sul proprio pc: il puntatore che lampeggiava come un invito o una minaccia, a seconda dei punti di vista. Aveva riletto l'ultimo paragrafo almeno una dozzina di volte (correggendo qua e là la punteggiatura o sostituendo qualche termine con un altro) prima di scuotere il capo e comprendere che, decisamente,  per quella mattina, l'ispirazione sembrava esaurita.
Sbadigliò, una mano premuta di fronte alle labbra e un vago senso di spossatezza da che la sera prima era rimasto a scrivere fino a tardi e ciononostante non aveva ancora concluso la scena del capitolo. Una cosa che detestava,infatti, era il lasciarne in sospeso una.
Si riscosse quando, dopo un placido miagolio, Brian saltò agilmente e gli si accoccolò in grembo. Sorrise di fronte a quegli occhioni che spesso e volentieri sembravano scrutarlo con un'eloquenza che lo rendevano molto più umano di quanto ci si sarebbe aspettati da un animale domestico. Allungò la mano ad accarezzarlo tra le orecchie, sorridendo al sentirlo miagolare con evidente soddisfazione: gli occhi socchiusi e le fusa che si espandevano facendolo rilassare sotto il proprio tocco.
Prenditi pure la tastiera, Brian, niente scrittura stamani”.
Chris sorrise prima di spegnere il computer e stiracchiarsi. Si alzò in piedi e si diresse verso il proprio letto e si lasciò scivolare. Ma il micio fu lesto a raggiungerlo, si raggomitolò all'altezza del suo stomaco mentre lui, pigramente, allungava il braccio a prendere il libro che stava leggendo. O meglio rileggendo in quel periodo.
Lo aprì fino a ritrovare il punto in cui aveva interrotto la lettura: Harry e tutti gli allievi del primo anno stavano attendendo il ritorno della Professoressa McGrannith prima di varcare, per la prima volta, la soglia della Sala Grande.
Cominciò la lettura: la piacevole morbidezza del materasso si confondeva al calore della vicinanza di Brian, le sue fusa come sottofondo sempre più lontano.
 
 
Mettetevi in fila e seguitemi” ordinò la professoressa McGrannith agli allievi del primo anno[1].
Sgranò gli occhi, il cuore in gola nell'osservare la mastodontica costruzione che si trovava di fronte a lui. Se possibile, accanto a quei ragazzini, poco più che bambini, si sentiva persino più esile, soprattutto a rimirare qualcosa di così stupefacente. Ma l'idea di sfilare di fronte a tutta la scuola, insegnanti e studenti più grandi, e di esser giudicato da quando avrebbe varcato quelle porte, lo rese persino più nervoso.
Deglutì a fatica, cercò lo sguardo di Ron, al suo fianco, e varcò la soglia insieme a tutti gli altri studenti che si muovevano in ranghi serrati quasi sperando di passare inosservati. Malgrado una parte di sé già sapesse cosa sarebbe accaduto, la prima reazione fu quella di restare, semplicemente, a bocca spalancata.
Mai visto un posto stupefacente come quello.
Era illuminato da migliaia e migliaia di candele sospese a mezz'aria sopra quattro lunghi tavoli, intorno ai quali erano seduti altri studenti. In fondo alla sala c'era un altro tavolo lungo, intorno al quale erano seduti gli insegnanti. Fu lì che la professoressa McGrannith accompagnò gli allievi del primo anno, cosicché, sempre tutti in fila, si fermarono davanti agli altri studenti, dando le spalle agli insegnanti. Alla luce tremula delle candele, le centinaia di facce che li guardavano sembravano tante pallide lanterne.
Cercò di ignorare quegli sguardi che avrebbero soltanto potuto accrescere il proprio timore e la propria esitazione, soprattutto l'idea che tutti potessero stabilire, ad una prima occhiata, che non era degno di restare tra loro. Sembrava esservi una grande aspettativa dal silenzio teso con cui tutti osservavano il punto in cui erano tutti rannicchiati, in attesa che succedesse qualcosa.
Fu allora che la professoressa McGrannith depositò uno sgabello di fronte ai nuovi arrivati e vi pose sopra quello che appariva come un vecchio cappello, senza alcun valore. Ma fu con occhi sgranati e il cuore in gola che si accorse che sembrò contrarsi.
Da quella che somigliava straordinariamente ad una bocca, proruppe una lunga filastrocca che descriveva le quattro Case in cui sarebbero stati smistati e le caratteristiche peculiari di ognuna.
Osservò la processione degli studenti che venivano chiamati uno alla volta: si accomodavano sullo sgabello e veniva loro posto sopra il cappello il quale, dopo un tempo più o meno lungo, declamava il nome della Casa a cui si sarebbero uniti.
Provò a rimandare a mente la filastrocca che aveva da poco ascoltato ma non riusciva minimamente ad immaginare quale sarebbe stata la decisione del cappello, una volta che fosse arrivato il suo turno. Molto prima di quanto si sarebbe aspettato, seppur non sarebbe mai stato pronto probabilmente, la professoressa McGrannith chiamò:
Hummel Kurt!”
Sentì il cuore salire in gola e tremò, cercò di ignorare gli sguardi di centinaia di anonimi visi fissi sul suo volto e lentamente camminò nel corridoio creato tra i due tavoli centrali prima di fermarsi di fronte allo sgabello.
Si accomodò e sentì il cappello appoggiarsi al suo capo.
Tutto fu silenzio e si domandò cosa stesse per accadere prima che, un verso strozzato d'emozione e di sorpresa, il cappello mormorò nella sua mente.
Mhm, molto difficile. Vedo un grande talento nel canto e nel ballo, molta ambizione, una lingua tagliente, un bel cervello, ma anche il desiderio di mettersi alla prova. Dove ti metto?” sembrò chiedergli e il giovane aggrottò le sopracciglia, mordendosi il labbro.
Le parole sgorgarono prima che potesse controllarle.
Non a Serpeverde, non a Serpeverde!”.
Non a Serpeverde, eh?” disse la vocina. “Ne sei proprio sicuro? Potresti diventare grande, sai: qui, nella tua testa, c'è di tutto, e Serpeverde ti aiuterebbe sulla via della grandezza, su questo non c'è dubbio... No? Be' se sei proprio così sicuro... ”.
Attese trepidante il momento in cui il cappello prendesse la sua decisione finale.
CORVONERO!”  lo sentì gridare al resto della sala e, le guance arrossate, si rimise in piedi e raggiunse il tavolo designato.
Una volta che si fu accomodato, riuscì a godersi il resto dello smistamento molto più sereno e tranquillo, sperando che terminasse il più in fretta possibile vista la fame impellente.
Smythe Sebastian!” sentì ad un certo punto chiamare la professoressa McGrannith e il suo sguardo seguì un giovane che spiccava tra tutti gli altri studenti in statura. Ma probabilmente ciò che lo rendeva tanto particolare era quel sorrisetto allusivo e sicuro e di sé mentre avanzava con incedere fluido verso lo sgabello sul quale si accomodò con grazia. Sembrava già consapevole di quale fosse il proprio valore perché non si scompose quando il capello, appena appoggiato al suo capo, gridò “SERPEVERDE!”.
Si mise in piedi e si diresse verso il tavolo dirimpetto a quello a cui era seduto Kurt: fu un solo istante ma, mentre prendeva posto accanto a due giovani di ampia stazza, i loro sguardi si incrociarono. Dapprima fu uno sguardo glaciale e di sprezzo quello che gli rivolse Sebastian ma poi le labbra si contrassero in un sorriso suadente e, per qualche motivo, il respiro di Kurt accelerò e così i battiti del proprio cuore.
 
~
 
Non ci volle molto tempo perché imparasse ad ambientarsi nella scuola magica ma memorizzare i giusti passaggi, le scale da percorrere e le scorciatoie per raggiungere le aule di lezioni, richiese le prime settimane del suo primo anno. Molto più semplice fu comprendere quali fossero i professori più temibili – il professor Piton che, in particolar modo, sembrava avercela con tutti gli studenti ad eccezione dei suoi favoriti, i Serpeverde - e quali fossero i corsi più ardui e quali quelli in cui fosse particolarmente portato.
Se non amava particolarmente Erbologia – le macchie di erba erano così difficili da togliere dalla divisa e dalle camicie bianche – e neppure Pozioni – gli abiti e i suoi capelli erano sensibili ai vapori e alle boccette con sostanze viscide e dagli improbabili colori – aveva una particolare predilezione per Incantesimi e per l'Astrologia. Non era raro trovarlo ad osservare le stelle prima di ritirarsi nel proprio dormitorio, ben attento a non rischiare di infrangere il coprifuoco.
Si applicava nello studio e, seppur non avesse una media altissima come quella di Hermione Granger o qualche studentessa della sua stessa Casa, i suoi risultati erano soddisfacenti. Era in buoni rapporti con i propri compagni di dormitorio e anche con gli studenti delle altre Case, con l'eccezione – ovvia e scontata – dei Serpeverde che sapevano rendersi sgradevoli con tutti e avevano amicizie molto elitarie. Non che ci tenesse particolarmente a stringere amicizia con qualcuno di loro, specialmente se aveva i modi arroganti e spocchiosi di Sebastian Smythe, soprattutto da quando – e lì si era domandato se Silente non si fosse ubriacato di whisky incendiario – era stato nominato Prefetto della sua Casa. Aveva immaginato che avesse scelto persone di carisma ed influenza, un peccato che, nel suo caso, fosse negativo. Ed era persino più spocchioso ed insopportabile, da quando era entrato nella squadra di Quidditch della sua Casa.
Lo sport era sicuramente un altro ambito nel quale Kurt non fosse particolarmente entusiasta, tanto da preferire disertare il tifo e passare del tempo, in tutta tranquillità, nel Dormitorio deserto, magari con qualche libro a fargli compagnia di fronte al camino.
Erano stati anni davvero piacevoli quello che lo avevano visto sostare tra le mura del castello e immaginava come la vita da mago diplomato sarebbe stata vuota senza quella routine. Il suo futuro, poi, era una particolare incognita ma aveva ancora un anno prima dei M.A.G.O e avrebbe potuto decidere quale fosse la sua strada.
Ma, in quel momento, mentre entrava nell'aula di Babbanologia profittando non vi fossero lezioni, voleva soltanto concedersi un momento di quiete. Scorse gli strumenti musicali che la professoressa Burbage si era procurata per le lezioni della settimana. Si era tolto la casacca della divisa e il maglione: appuntò la sua spilla a forma di corvo sulla camicia – seppur fosse costretto ad indossare la divisa come gli altri studenti, non poteva certamente rinunciare a qualche motivo ornamentale che lo contraddistinguesse – e si sedette sulla panchina di fronte al pianoforte. Ne scoprì i tasti e, dopo aver scelto uno spartito, lasciò che le note del pianoforte vezzeggiassero il silenzio, riempiendolo con quel suono delicato e malinconico.
Seppur non potesse vantare il timbro profondo e rauco del cantante della versione originale, non avrebbe rinunciato a dare suono a quelle parole che, in parte, sembravano scaturire dal profondo di se stesso.
Gli occhi socchiusi, completamente preso dalla melodia, mentre vezzeggiava le note più alte:
 
In my life there's been heartache and pain [2]
I don't know if I can face it again
Can't stop now, I've travelled so far
To change this lonely life
 
Il ritmo era divenuto più sostenuto e così il corrugamento delle sopracciglia, mentre, senza smettere di sfiorare i tasti, lasciava sgorgare le successive parole: il tono delicato e quasi struggente che sgorgò dalle labbra, nel riuscire a dare loro suono a quelle parole, a quello stato d'animo. A quelle paure e a quelle emozioni covate nel profondo di se stesso, in quel dolore e quell'insicurezza, in quella necessità di trovare se stesso, quasi comprendesse la sua vita non fosse ancora completa. Sognando quel momento, il suo momento che ancora non sembrava giungere, quello che aveva per ora soltanto sognato per un futuro sempre più incombente eppure cristallizzato nella monotonia del presente che, il più delle volte, appariva così privo di senso e di significato.
 
I wanna know what love is 
I want you to show me 
I wanna feel what love is 
I know you can show me
 



Trasse un profondo respiro, quasi quelle parole gli avessero portato via i lembi della propria determinazione e della propria sicurezza, quasi fosse timoroso di lasciar sgorgare quel dolore e scoprirlo nella sua essenza.
Talmente concentrato, non si era accorto che la porta della camera era stata schiusa e qualcuno sostava sulla soglia fino a quando non aveva sentito un battito di mani.
Bene, bene, bene” aveva esordito con quella sua tipica cadenza sardonica e Sebastian Smythe si era scostato dalla soglia della porta per attraversare la stanza mentre Kurt, il volto arrossato dall'imbarazzo per quell'intromissione nella sua privacy, aveva smesso bruscamente di suonare. Con un colpo secco, coprì nuovamente i tasti del pianoforte e si volse: le sopracciglia aggrottate, con espressione di disappunto, mentre il giovane si fermava a pochi passi, le braccia incrociate al petto.
Che cosa vuoi, Sebastian?” domandò con voce stizzita.
Quest'ultimo sorrideva a quella maniera sardonica ed incredibilmente irritante: alla fioca luce delle torce della stanza e al baluginio argentato della luce lunare, i nei sulla guancia sembrarono risaltare e così il dardeggiare ironico delle iridi.
Si dà il caso, Kurt, che tu debba dirmi cosa facevi fuori dal dormitorio quando è quasi ora del coprifuoco” si era interrotto, il tempo di vedere Kurt arrossire perché chiaramente non poteva ribattere a quell'osservazione. Indicò il distintivo con lo stesso fare pomposo con cui dava sfoggio dell'antico lignaggio della sua famiglia.
“Perdonami, non sapevo di star interrompendo le tue pene d'amore, mi aspettavo di trovare una ragazza mestruata e... non mi sbagliavo a quanto pare” aveva soggiunto in tono vellutato che aveva fatto sgranare gli occhi dell'altro.
Non aveva tuttavia voluto concedergli alcuna soddisfazione mentre, sia per rimettersi in ordine che per evitarne lo sguardo allusivo, riprendeva il pullover per indossarlo.
Si chiama interpretazione del testo” aveva spiegato in tono altezzoso, dopo essersi tolto momentaneamente la spilla.
“Comunque fai quello che devi fare”.
Non si era aspettato che le sue parole creassero un simile impatto: in fin dei conti era sembrato ovvio che, a quel punto, avrebbe spadroneggiato come suo solito e probabilmente gli avrebbe tolto il doppio se non il triplo dei punti previsti dalle normali sanzioni. Ma non si spiegò quel silenzio, fino a quando non sollevò nuovamente lo sguardo sul giovane mentre riassettava le maniche della camicia per farle fuoriuscire dal maglione.
Solo allora notò che Sebastian lo stava scrutando: le sopracciglia inarcate, il sorrisetto allusivo mentre schioccava la lingua sul palato e inclinava il viso di un lato.
Non credevo fossi tanto arrendevole, Kurt e neppure così disperato” aveva commentato con voce dolciastra e, sotto lo sguardo incredulo e sgomento dell'altro, lo sentì imprigionargli il mento fino a chinarsi in sua direzione.
Fu un attimo così intenso che Kurt trattenne il fiato: lo sguardo azzurrino era incatenato a quello di Sebastian e ad una maniera così intima e sentita che sentì il fiato venir meno e boccheggiò nel vederlo avvicinarsi. Fu come se tutto intorno a loro si fosse fermato ad eccezione dei propri battiti divenuti così intensi che temette che Sebastian fosse in grado di sentirli, ad eccezione del suo respiro che ne sfiorava le labbra in una promessa allusiva e così tentatrice che...
Sbatté le palpebre e si sottrasse scostandosi e rimettendosi in piedi: le guance arrossate e le gambe formicolanti prima di fissarlo incredulo.
Cosa stai facendo?!”.
Quest'ultimo si era già rimesso in posizione eretta e non sembrava affatto essersi scomposto: scrollò le spalle, le mani adesso affondate nelle tasche dei pantaloni.
Non volevi che ti mostrassi... qualcosa?” domandò in tono di vellutata ironia nel riferirsi a quei versi che aveva cantato poco prima e Kurt sentì il respiro mancare, prima di stringere i pugni e sentirsi rispondere con voce quasi in falsetto.
“ERA SOLO UNA CANZONE” che lo fece soltanto ridacchiare maggiormente, lo scintillio ancora ben presente nelle iridi smeraldine, le sopracciglia inarcate.
Sembri quasi crederci persino tu” aveva commentato con saccente sicurezza dei propri sospetti, avanzando nuovamente fino a occupare – e ad una maniera che Kurt trovò irrispettosa – il suo spazio personale, tanto da indurlo ad indietreggiare. Ma era come se una parte di sé si sentisse comunque avvinta dall'alone del suo sguardo, come consapevole nel reflusso della propria coscienza che non avrebbe potuto ingannare se stesso. E neppure smentire il modo in cui riuscisse, con estrema facilità, a giocare con le sue emozioni, soprattutto in un ambito, come quello, dove si sentisse così poco sicuro di sé.
Magari perché è proprio così” aveva ribattuto Kurt cercando di simulare ulteriormente quel tono più altezzoso, il mento sollevato e le sopracciglia aggrottate. Sperò che non riuscisse davvero a sentire quanto il suo cuore, a dispetto della sua apparente compostezza, sembrasse incapace di non reagire all'avvicinarsi dell'altro.
Sebastian si fermò a pochi passi da lui, il sorriso che ancora sostava sulle sue labbra, il viso inclinato di un lato e il baluginio più intenso delle iridi e Kurt ebbe quasi l'impressione che riuscisse a scovare dentro se stesso, che riuscisse a comprendere cosa si celasse dietro le sue parole e le sue emozioni.
Avrebbe voluto non fosse così dannatamente vicino, tanto da farlo sentire intrappolato, avrebbe voluto che i suoi sensi non apparissero così annebbiati e che la sua voce non risuonasse così roca ed ammaliante, che lui stesso non sprigionasse tutta quella sicurezza e che il suo corpo non  riconoscesse quei segnali. Quel senso di aspettativa che lo fece tendere. In attesa. Di qualcosa che, e la consapevolezza era terrorizzante e intrigante insieme, soltanto Sebastian avrebbe potuto soddisfare o comprendere.
Guardami negli occhi e dillo un'altra volta” erano state le parole di Sebastian che, con un movimento fluido, ne aveva avvinto nuovamente il mento, costringendolo a sollevarlo in propria direzione fino a quando non si smarrì nuovamente nelle sue iridi.
Io non...” la voce sembrò morire in gola e le parole furono sussurrate con tono tremulo. Lo sguardo non riusciva a sfuggire a quello dell'altro: in vero sembravano entrambi sospesi in quell’attimo. Cercando un gesto, una domanda tacita o un implicito accordo che non dovesse scomodare l'orgoglio di entrambi.
Annaspò, le sopracciglia aggrottate mentre sentiva le dita di Sebastian vezzeggiarne il sottomento, le dita che gli sfioravano il collo e la pelle si intirizzì visibilmente.
“... voglio niente” si era sentito pronunciare ma era come se la voce, di fatto, più non gli appartenesse e le parole provenissero da lontano.
Di fatto, infatti, quando con un movimento fluido Sebastian lo attrasse a sé, sentì soltanto il calore di quel contatto, il modo in cui le sue braccia lo avvolgevano perfettamente in quella morsa, le sue dita che vezzeggiavano i piccoli nei sotto al collo, quelli che cercava sempre di nascondere con uno strato di fondotinta.
E poi lo riconobbe: quel luccichio.
Seppe cosa stava per accadere e il cuore sembrò fermarsi in gola, le labbra schiuse nell'osservarlo protendersi maggiormente: i suoi occhi che ancora scrutavano i propri.
Sebastian si umettò le labbra nello sfiorare con il pollice quelle di Kurt.
Inclinò il capo di un lato, le palpebre si abbassarono quasi temendo di non poter neppure contemplare quell'attimo.
Soltanto sentirlo.
... da te...” aveva terminato ma tutta la propria determinazione aveva lasciato posto ad un sussurro quasi languido ed arrendevole.
Una consapevolezza che fece sorridere Sebastian.
Sta zitto, Kurt” aveva sussurrato a fior di labbra, l'intonazione più maliziosa malgrado la sua stessa voce avesse tradito un sorriso, lo stesso che adesso sfiorava le proprie labbra.
In attesa di quel momento tanto sospirato, in attesa di lui.
Il suo respiro caldo contro le proprie labbra, la pressione della sua mano incastonata tra i capelli per avvicinarlo e...
 
Si sollevò con il torso, il respiro convulso e gli occhi sgranati: sentì Brian protestare prima di soffiare e scendere dal suo letto con fare indignato. Sbatté le palpebre a più riprese, gli occhi sgranati nel ricordare i dettagli così vividi di quel sogno tanto da non aver realmente dubitato di essere il suo alter ego di Glee.
E neppure di trovarsi a Hogwarts in una sorta di Crossover davvero fuori dal comune.
Scosse il capo quando si accorse delle dita che si erano sfiorate istintivamente le labbra prima di lasciarsi cadere sul materasso: osservò il libro ancora aperto e, dopo aver riposto il segnalibro, lo chiuse e lo adagiò sul comodino.
Osservò l'ora e sussultò nel rendersi conto che erano le tre del mattino.
Si strofinò una mano sul viso: ripensò a quella scena tanto vivida e  sentì il cuore scalpitare furiosamente: un lieve accenno di rossore sulle guance al pensiero di quanto aveva vissuto in sogno. L'emozione che stava provando – che Kurt stava provando! - era stata così intensa da percepirla quasi reale ed era stato allora che il sogno aveva raggiunto l'apice d’intensità fino a destarlo così bruscamente.
Sicuramente Ryan avrebbe potuto riderci sopra di un simile aneddoto e chissà che non pensasse ad una puntata di Glee a tema.
Scosse il capo ed osservò il cellulare accanto al libro: lo prese tra le dita e aprì l'applicazione di twitter con un vago sorriso.
 
I libri di @jk_rowling rendono magici anche i sogni. Mi dispiace Harry e Draco ma Kurt e Sebastian vi hanno rimpiazzato! #IndovinateChiEraIlSerpeverde.
 
Si prese qualche istante per rimirare le menzioni e qualche battuta o saluto affettuoso da parte dei fan, qualche commento sul suo libro o domande sul contenuto del sogno. Ma non era decisamente qualcosa di spiegabile in 140 caratteri, magari avrebbe potuto sfruttare l'aneddoto in un'intervista o qualcosa di simile.
O magari, ripensò all’ultima scena, no.
Si rimise in piedi, sentì lo stomaco brontolare e decise di far una breve tappa in cucina nell'attesa che il computer si accendesse nuovamente per provare a terminare la scena, visto che il sonno non sarebbe tornato se non nel pomeriggio probabilmente.
Dopo lo spuntino, si sedette nuovamente di fronte al pc: aprì il documento della propria storia e cominciò a digitare le parole che sembravano faticare a venire, ringraziando tra sé e sé i romanzi di Harry Potter e la magia di cui quelle pagine erano ancora intrise e che non scemava con il numero di letture diluite nel tempo.
Era ormai mattino quando salvò il documento e si stiracchiò con espressione soddisfatta: aprì casualmente la pagina di twitter per annunciare, finalmente, il titolo del libro ma, le sopracciglia inarcate, osservò la propria time-line prima di scorgere una menzione da parte di Grant Gustin.
Non si sarebbe aspettato che scorgesse il proprio tweet, non avendolo neppure menzionato, ma lesse le sue parole con una risata divertita mentre Brian miagolava speranzoso.
Lo prese tra le braccia.
Hai sentito, Brian?” gli parlò con quella voce più infantile. “hai letto cosa ha scritto Grant?”
 
 
@chriscolfer mi hai sognato finalmente. Attendevo questo momento dalla nostra prima scena al Lima Bean.
 
Un sorriso ironico gli si dipinse sulle labbra al pensiero di come le fan di entrambe avrebbero potuto leggere quello scambio di battute ma prima che potesse rispondere, con altrettanta ironia, scorse un altro tweet, questa volta da parte di Kevin.
 
@grantgust smettila di tradirmi con @chriscolfer !
 
Assistette al loro scambio di battute con un lieve scuotimento del capo e il sorriso che sostava sulle labbra di fronte a quello che era stato definito il “McGustin” ma preferì non intromettersi. Era certo che le fan per quel mattino avessero già abbastanza per cui sognare: si rimise in piedi, tastando i capelli che ricadevano scombinati sulla fronte e controllò l'orologio.
Sì, era decisamente ora di togliersi il pigiama, una rapida doccia e cominciare la giornata ma si riscosse alla suoneria del cellulare, individuando un messaggio. Ne lesse il mittente con espressione sorpresa prima di concentrarsi sul testo.
 
[From Grant G. 9.28 AM]
Non puoi ignorarmi dopo avermi sognato: è molto poco Grifondoro da parte tua. Sicuro che non fossi un Serpeverde al mio fianco?

Rise, un lieve scuotimento del capo prima di replicare rapidamente.

[To Grant G. 9.29 AM]
Ti piacerebbe.
Si chiuse la porta alle spalle e si concesse, finalmente, una lunga doccia ristoratrice. Al suo ritorno osservò curiosamente il lampeggiare del blackberry per l'arrivo di un nuovo messaggio.
[From Grant G. 9.30 AM]
Più di quanto immagini. Ma sei tu lo scrittore tra noi due: ti stai occupando di una Drarry/Kurtbastian anziché del seguito del tuo libro?
[To Grant G. 9.57 AM]
Kurtbastian? E' così che li chiami nei tuoi sogni?
[From Grant G. 9.59 AM]
Ti stupiresti di quanti sognano di Kurt e Sebastian. E quanti di Harry e Draco, immagino.
[To Grant G. 10.02 AM]
Non mi stupisce, nella prima coppia ci sarebbe la mia faccia.
[From Grant G. 10.05 AM]
A quanto pare anche nella seconda, da oggi in poi.
Rise, un lieve scuotimento del capo prima di replicare ulteriormente, il sorriso ancora sulle labbra mentre con una mano cercava di rispondere e con l'altra frizionava i capelli con l'asciugamano.
[To Grant G. 10.07 AM]
E io che speravo ti sfuggisse il riferimento a Sebastian.
[From Grant G. 10.09 AM]
Mai. In realtà ogni volta che entri su twitter dovrebbe fermarsi l'universo.
Inarcò le sopracciglia: certo non era mai stata una sua abitudine usare quel social network per condividere ogni singolo istante della sua vita. Era piacevole talvolta condividere coi fan qualche momento particolare, qualche fatto bislacco che gli fosse capitato o pubblicare una foto tratta dal set o della vita domestica. Ma era persino più piacevole fingere di non utilizzarlo per poi leggere le menzioni dei fan e talvolta sorridere o persino commuoversi dall'affetto che ne traspariva, anche soltanto in quei brevi caratteri.
[To Grant G. 10.13 AM]
Prima togli la polvere dal profilo di Darren. Chi ti dice che io non osservi in silenzio? E già che ci siamo, i tuoi piedi sono gelosi del tuo cane. E credo che ai tuoi fan manchino.
Ps: spero tu non abbia dato un nome a quella schifosa mantide religiosa.[3]
Aveva sorriso divertito: non avrebbe ammesso di aver osservato il suo profilo negli ultimi istanti, soltanto per fargli intendere che fosse onnipresente. Ma persino ad un utente così distratto, come lui, non era sfuggito come i soggetti – ed oggetti – delle sue fotografie fossero cambiati di recente.
[From Grant G. 10.15 AM]
Questa è la frase più romantica mi sia mai stata dedicata, Colfer. E comunque sempre felice di attirare la tua attenzione.[4]
PS: sono indeciso tra Kurt e Chris. Suggerimenti?
Rise al riferimento ad uno dei loro primi scambi di risposte: non avrebbe dimenticato neppure quante menzioni avesse ricevuto, alcune talmente folli da ipotizzare una loro relazione seppur – come nel caso dei loro alter ego – ovviamente la più quotata fosse la cosiddetta Crisscolfer.
[To Grant G. 10.18 AM]
Scommetto che era la tua intenzione, fin dal principio.
PS: Solo se Chris sta per Chris Stewart. Ma forse per ruolo dovremmo definirlo Vanessa.[5]
[From Grant G. 10.20 AM]
Touché.
PS: Quando avevi intenzione di dirmi che hai visto il mio film?
Sorrise: sia perché anch'egli aveva esattamente replicato come nel loro primo scambio di battute, sia per il riferimento al suo film che aveva visto durante il weekend, nei giorni in cui era rimasto coi genitori. Sua sorella, per l'esattezza, aveva selezionato quel canale,  gli aveva indicato il collega – ero certo che avesse una cotta per lui! - e si era trovato lui stesso coinvolto nelle disavventure del giovane liceale.
[To Grant G. 10.22 AM]
Alla prossima scena Kurtbastian che gireremo.
Rispose sibillino.
[From Grant G. 10.24 AM]
Sei un Serpeverde, Colfer.
Rise persino più forte, un luccichio divertito nello sguardo prima di constatare che avrebbe dovuto cominciare a prepararsi e raggiungere gli studi di registrazione.
[To Grant G. 10.27 AM]
Un caffè dopo le riprese?
[From Grant G. 10.30 AM]
Solo se al Lima Bean.
[To Grant G. 10.32 AM]
Era scontato.
[From Grant G. 10.35 AM]
A più tardi, Colfer.
 
Il sorriso sostò sulle labbra per tutto il tempo necessario alla preparazione prima di uscire e cominciare un'altra lunga giornata di lavoro.
Magica, in un certo senso.
 

Mi sono tolta la soddisfazione di una piccola interpretazione dei due attori, tanto per cambiare ;) spero vi sia piaciuta e vi abbia fatto sorridere: mi manca vederli interagire su twitter L
Vi do’ appuntamento a domani, tema del giorno “LYCANTHROPY OF ANY SORT”
Buon Sabato a tutti, a domani!


[1] Tutte le parti che, da questo momento, troverete in corsivo, sono tratte da “Harry Potter e la pietra filosofale” di JKRowling, tradotto da Marina Astrologo, Adriano Salani Editore, 2002, pp 112, 117

[2] Versi tratti da “I Want to know what love is” dei Foreigner.

 

[3] Chi segue Grant Gustin su twitter non ha bisogno di prove di quante siano le foto postate sul suo cane, e di recente anche quella di un insetto che – credo! – sia proprio una mantide religiosa. Schifoso in ogni caso, personalmente preferivo lo scoiattolo °-°  https://twitter.com/i/#!/grantgust/media/slideshow?url=http%3A%2F%2Finstagr.am%2Fp%2FQc2vnoAVKt%2F

[4] Questo è un riferimento ad un dialogo tra Chris e Grant su twitter:  http://24.media.tumblr.com/tumblr_mbkeowZAN31rgsa46o1_400.jpg

[5] Chris Stewart è il personaggio interpretato da Grant in “A Mother’s Nightmare”, coprotagonista di Vanessa, interpretata da Jessica Lowndes

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Capitolo 5
*** Lycanthropy of any sort - Hidden Truth ***


Kb Week 5 Siamo agli sgoccioli della Kurtbastian Week e ci avviciniamo ad Halloween con un’atmosfera davvero a tema visto il calo di temperature e le piogge un po’ sparse per la penisola, ma siamo ancora qui a farci compagnia. Ancora grazie di cuore a voi tutti che leggete e seguite, un bacione alle mie Blaine e Sebastian e veniamo subito a noi.
Il mio primo collegamento quando ho letto questa traccia, era quella di sfruttare quell’adorabile aneddoto secondo cui Kurt ha una cotta per Taylor Lautner nonché una passione per la saga di Twilight. Ma non vi anticipo altro, spero solo che le fan della saga non me ne vogliano se vedranno degli accenni piuttosto ironici e non mi prendo la responsabilità di Kurt, quindi prendetevela con lui, nel caso :P
Per chi non avesse visto la 4x04 di Glee (io l’ho vista in inglese) ci saranno dei riferimenti a quella puntata, probabilmente lo spoiler più eclatante già lo conoscete, ma è a vostra discrezione continuare o meno, sapendo questo.
Buona lettura! ;)
 
Lycanthropy of any sort
Hidden Truth
 
 
[…] Il contatto lo faceva rabbrividire fin nel profondo: era come scoprire una parte di sé remota. Una verità sopita, persino più sconvolgente che lo aveva tenuto per tanto tempo lontano dalla donna che credeva avrebbe amato per tutta la vita. Ma se la prima reazione era stata una repulsione e il sentirsi prigioniero ed ostaggio di se stesso, in un vortice chiamato passione e desiderio che riusciva a scavare nelle profondità del suo essere, in vero Jacob aveva compreso che non avrebbe potuto mentire a se stesso.
Non a lungo, non in quei momenti in cui specchiandosi nel suo sguardo, comprendeva che tutto era già stato deciso, proprio come il sangue che gli scorreva nelle vene e che era stato fonte di quella che, ad un primo acchito, era stata percepita come una condanna. Ma soltanto accettando se stesso, persino ciò che di sé non avrebbe potuto facilmente apprendere, avrebbe potuto votarsi completamente a quel sentimento rigettato e sminuito. E poi letteralmente esploso tra loro.
Si rivestì con rapidità dei suoi pantaloni corti, senza guardarsi alle spalle o sfiorarlo con lo sguardo: non sarebbe stato facile, allora, lasciare quel luogo anch'esso fautore del loro segreto. Per quanto di segreto potesse esservi tra quella specie di cui non aveva mai nutrito alcun rispetto o fiducia. Trasalì, tuttavia, al tocco sulla schiena. E dovette imporsi di pensare che fosse soltanto dovuto al freddo marmoreo delle sue dita.
Vorrei non avessi sempre così tanta fretta” e Jacob si era voltato ad osservare la zazzera mai scombinata dei capelli color bronzo. Si era stretto nelle spalle.
Vorrei non fossi un surrogato di un iceberg” aveva replicato, ma sorrideva come non avveniva dall'ultima volta.
Ancora più consapevole, non vi fosse un perché o, se anche vi fosse stato, non avrebbe potuto negare se stesso. […]
[cit. da “Hidden Truth” cap 8 – Mr Lautner]
 
Con un sorriso soddisfatto, Kurt aprì la pagina del sito di fanfiction corrispondente alla sezione dedicata a Twilight e sgranò gli occhi alla vista del numero di recensioni. A parte qualche fedele lettrice, non si era aspettato che la sua prima long-fanfiction con tema l'amore slash potesse suscitare approvazioni o anche mera e semplice curiosità. Aveva accettato di buon grado le critiche di qualche ragazzina isterica pro Team Jacob/ Team Edward che si erano indignate e avevano sentito il bisogno di confermare la virilità dei personaggi nonché degli attori che prestavano loro volto. Ciononostante era già soddisfacente constatare, dal contatore del sito, di aver ricevuto un numero di letture nettamente superiore a quelle che avrebbe immaginato in prima istanza.
Quella della scrittura era iniziata come qualcosa di leggero, un modo di sfogarsi e in cui vedere realizzati i propri desideri e non mancavano spezzoni nei quali, nel personaggio di Jacob e nella scoperta di quella verità circa la sua sessualità, vi fosse un'impronta di se stesso. Nel modo in cui guardava l'amore tra Bella ed Edward, invece, un riflesso del suo amore non corrisposto per Blaine: era stato, infatti, proprio nei corridoi della Dalton che aveva cominciato ad ipotizzare quell'idea.
A poco a poco era divenuta più precisa, aveva assunto contorni ben delineati fino a formarla di fronte ai propri occhi. Scriveva su un'agenda o sul retro di dispense scolastiche e soltanto di recente aveva cominciato a trascrivere a pc tutti i propri scritti, dando loro un ordine e strutturando la storia a capitoli.
Negli ultimi giorni, in modo particolare, vi aveva riversato anima e corpo e non era insolito trovarlo chino sul portatile per ore e ore, dopo la giornata passata a lavorare per Vogue.com.
Un modo, soprattutto, di non pensare ed era qualcosa che stava cercando di evitare più o meno da quando Blaine aveva lasciato il loft e non si erano scambiati una parola.
Soltanto quel mazzo di rose e quel bigliettino che aveva gettato nel cestino. Probabilmente il tempo avrebbe mitigato la ferita, probabilmente sarebbero potuti perlomeno giungere ad un confronto e da ciò assestare se avessero potuto preservare la loro amicizia.
La scrittura era un modo di dar voce ai propri pensieri, anche quelli più celati, e farlo ad una maniera traslata che, tuttavia, dava talvolta l'impressione di scoprire nuove sfumature di se stesso o guardarsi con maggiore obiettività.
Ma, soprattutto, era qualcosa di personale e privato tanto che nessuno dei suoi conoscenti si era mai imbattuto in questo suo hobby. Si era detto che, probabilmente, col tempo, quando conclusa quella lunga storia a capitoli, sarebbe riuscito a superare lo scoglio della propria discrezione e del disagio.
Aprì la schermata delle recensioni che “Mr Lautner” aveva ricevuto per l'ultimo capitolo, con quel tipico batticuore che precede la comprensione del giudizio e delle aspettative altrui. Aveva sorriso e riso di qualche commento confidenziale fino a quando non si era imbattuto nel commento di un nuovo lettore a quanto poté constatare.
Anti-Twilight” ne lesse il nome: nessun nickname più o meno decifrabile, nessuna informazione nel suo account (un account da lettore) ma aveva segnalato la sua fanfiction tra quelle seguite e preferite. Eppure dal tipo di nome scelto, sembrava tutt’altro che un fan della saga, tanto che si sarebbe aspettato un’invettiva ma non fu così.
Un sorriso lusingato, dopo il primo momento di confusa interdizione, alla lettura.
 
Caro Mr Lautner,
non sono un fan della saga e neppure di Mr Lama – senza offesa! - ma ho trovato davvero coraggioso il tentativo di scrivere una fanfiction di questo genere sugli idoli delle ragazzine arrapate di vampiri/licantropi di tutto il mondo. E devo ammettere che, malgrado le mie moltissime riserve in ambito, ne sono rimasto particolarmente colpito. Non tanto l'intrigo di per sé – detesto cordialmente ogni personaggio uscito dalla penna di quella donna – ma la tua capacità di esprimere certi sentimenti e sensazioni e l'introspezione dedicata a Mr Addominali Sempre Scoperti.
Continuerò sicuramente a leggere capitoli che avranno la tua firma.
PS: le scene passionali sono pura fantasia o...? Chiedo venia, troppo personale. Al prossimo aggiornamento, Mr Lautner!
 
Anti-Twilight,
 
Ho letto con vivo interesse il tuo commento e la tua ironia non ha mancato di farmi sorridere ma devo dirmi molto lusingato di aver saputo accattivare le attenzioni di qualcuno che si ritiene “esterno” alla saga (nickname interessante, tra l’altro! :P)
Significa davvero molto per me, più di quanto non si potrebbe ritenere nell'avvicinarsi alla scrittura.
Sarò lieto di ricevere qualche altro tuo commento piccato e così interessante, al prossimo aggiornamento e grazie!
PS: decisamente troppo personale! (:
 
~
 
Era divenuta un'abitudine quella di sedersi in una delle caffetterie più rinomate di New York portando con sé il proprio portatile: talvolta gli bastava immergersi in quell'atmosfera casuale per ritrovare un po' di quiete e tranquillità.
Prendere un bel caffè e cercare nuova ispirazione o, come avveniva sempre più spesso, uno scambio di e-mail con quello che era ormai divenuto un corrispondente giornaliero.
Sì, perché dopo quel ringraziamento alla recensione, Anti-Twilight gli aveva scritto un messaggio privato usando il server ospitante delle fan fiction, prima che si scambiassero i contatti di posta elettronica. Ben presto i loro scambi di messaggi erano esulati dai commenti sulla sua storia fino a parlare di loro stessi.
Nonostante le proprie remore, Kurt aveva scoperto che fosse quasi un sollievo lasciarsi andare con una persona fondamentalmente estranea. Si riusciva ad essere più sinceri con se stessi, non temendone il giudizio e immaginando che l'opinione che ne sarebbe derivata, sarebbe stata altrettanto imparziale ed oggettiva.
Sorrise all'ennesimo messaggio di posta con la proposta di una conversazione in chat per quella sera stessa: premette il tasto per rispondere al suo nuovo corrispondente, le dita già pronte a digitare, quando lo sguardo cadde sul bicchiere di caffè posto di fronte al proprio pc.
Aggrottò le sopracciglia e, con un sorriso sbilenco, Sebastian Smythe si sedette dall'altra parte del tavolo, ovviamente senza preamboli e senza neppure chiedere un permesso che sicuramente Kurt non gli avrebbe concesso. Non fino a quando fosse stato nel pieno delle sue facoltà mentali almeno.
Abbassò lo schermo del portatile che si avviava ad andare in standby mentre l'altro ragazzo sogghignava.
Stai guardando un porno? Ti prego, non smettere a causa mia” aveva commentato con voce altisonante che aveva attirato lo sguardo di una non poco scandalizzata signora anziana al tavolo poco distante e strappato a lui un singulto strozzato di indignazione.
Si premunì di rimettere il proprio portatile nella borsa.
Era stata davvero una sgradevolissima sorpresa scoprire che Sebastian Smythe si era iscritto alla Juilliard il che gli dava un altrettanto sgradevole ma fondato motivo per essersi trasferito a New York. Come entrambi avessero finito con il frequentare la stessa caffetteria, lo aveva preso come una manifestazione di pura e semplice sfortuna. A meno che non ci si lasciasse sedurre dall'ipotesi di Rachel sul suo avere contatti con una cellula terroristica e voler attentare alle loro vite. E alle carriere, in quest'ordine più o meno.
Che cosa vuoi, Sebastian?” aveva domandato scornato “ e non mi sembra di averti invitato a sederti” puntualizzò con quel solito spirito battagliero e polemico che diveniva così naturale – un caposaldo dell'adattamento in termini darwiniani – quando, e suo malgrado!, aveva a che fare con lui.
Sei davvero poco socievole, Kurt, te lo hanno mai detto?” aveva domandato in tono serafico, il sorriso che ancora sostava sulle sue labbra mentre, sollevando appena il bicchiere in sua direzione come a brindare alla sua salute, sorseggiava il suo caffè caldo.
Si sedette più comodo, non smettendo di sorridere.
Kurt aggrottò le sopracciglia: non soltanto dubitava seriamente delle sue parole ma il fatto che si fosse accomodato dava a pensare, purtroppo, che non avesse neppure fretta. Strinse i pugni sulle proprie gambe, sollevando gli occhi al cielo.
Disse colui che si intratteneva amichevolmente accecando il suo prossimo” rispose, il sorriso obliquo e l'arricciare del naso in una smorfia quasi felina di finta cortesia mentre Sebastian si limitava ad uno scrollo di spalle.
Credevo di essermi già scusato” e Kurt si stupì per quanto apparisse adesso più serio e pacato, prima di inclinare il viso di un lato, un altro sorriso vezzoso sulle labbra: sembrava si fosse letteralmente illuminato.
“A proposito di quello schianto di Blaine” dunque era lì che voleva arrivare.
Kurt si irrigidì istintivamente e non soltanto perché, e molto stupidamente da parte propria, la sola menzione del giovane fosse capace di procurargli un nodo in gola, ancora quasi incapace di ripensare al suo volto e a quelle parole senza sentire gli occhi inumidirsi.
Non ho potuto fare a meno di notare il suo cambiamento di situazione sentimentale”
Come se tu non fossi sempre attivo sulla sua bacheca di facebook, sarebbe stata la replica piccata e più spontanea ma ostinatamente si impose di continuare a fissarlo: le sopracciglia aggrottate e la postura più rigida. Segnali non verbali a fargli comprendere che non fosse sua intenzione quella di lasciarsi provocare per dargli una qualche perversa e malsana soddisfazione.
Lieto di constatare che tu sappia ancora leggere” aveva replicato in tono pacato mentre si premuniva di indossare nuovamente il proprio cappotto: non poteva costringere Sebastian a cambiare tavolo ma nessuno lo obbligava a dover sostare e contaminargli ulteriormente l'umore. Avrebbe risposto all'ultima e-mail di David (così aveva detto di chiamarsi, non potendo continuare a chiamarlo Anti-Twilight) dal proprio appartamento e lì sarebbe potuto tornare alla scrittura del nuovo capitolo. Non c'era motivo per cui Sebastian Smythe dovesse trionfare in quella che era la sua caratteristica: rovinare la vita e la giornata altrui.
Dunque è vero” aveva domandato l'altro: lo sguardo di smeraldo che ne scrutava il viso con fin troppa attenzione mentre Kurt sbuffava nel sollevarsi dal tavolo e abbottonare il cappotto, dopo aver nuovamente indossato la sciarpa.
Dunque è vero” replicò Kurt, le braccia incrociate al petto, dopo essersi messo la borsa a tracollo “sai ancora leggere correttamente”.
Aveva sollevato gli occhi al cielo, lo sguardo adesso puntato verso l'uscita ma non aveva previsto che nell'istante necessario a passargli accanto – non aveva alcuna intenzione di congedarsi – Sebastian avrebbe potuto sorprenderlo. Di fatto, un singulto strozzato di sorpresa e l'irrigidimento dell'arto, si sentì artigliare il polso e si scoprì nel denotare che la presa fosse delicata malgrado il gesto fosse stato risoluto. Ma soprattutto, non si sarebbe aspettato che incontrarne lo sguardo, pur fissandolo dall'alto, fosse capace di bloccargli il respiro e fargli scorrere un brivido lungo la spina dorsale.
Si disse che fosse soltanto la sorpresa di un gesto così inaspettato: se Sebastian si fosse accorto o meno di quello strano momento di tensione, non lo diede a vedere.
Le sopracciglia inarcate, si limitò ad osservarlo in quegli occhi azzurri la cui sfumatura variava a seconda dell'illuminazione, rendendone comunque lo sguardo limpido : uno scorcio della sua stessa anima e di ciò che si celava dietro quei modi talvolta altezzosi o da prima donna. Ciò che ne rendeva lo sguardo così sognante o il sorriso vezzoso quando visto in compagnia di quello che si sarebbe detto l'amore della sua vita.
Non ti mancavano i nostri litigi?” domandò, le labbra curvate in un sorriso più suadente che fece sgranare gli occhi di Kurt, le sopracciglia aggrottate nel tentativo di scostarsi dalla sua presa. La fronte corrugata e l'arricciare del naso.
No, per niente” aveva commentato con un sorriso ironico e la voce velenosamente dolce che strappò all’altro un ironico verso di divertimento.  Lo scrutò dal basso ma con tale presunzione e sicurezza da far sentire, stranamente, Kurt sottoposto al vaglio di un giudizio di cui, ovviamente, non gli importava nulla.
E ora se vuoi scusarmi, vado a dimenticarmi di averti incontrato”.
Alla prossima, Kurt” lo sentì esclamare con tono gioviale e, quando si voltò a fissarlo stizzito e stralunato, lo scorse a leccarsi oscenamente le labbra.
Disgustato, uscì dal locale sbattendo la porta d'ingresso e, sicuramente fu frutto della sua immaginazione, gli parve persino di averne sentito la risata (che poi ne ricordasse il suono, era già segno di quanto gli avesse avvelenato le sinapsi).
 
 
 
~
[…] Jacob ne aveva il disgusto. O meglio lo detestava: più lo osservava e più doveva domandarsi per qualche motivo Bella – o qualsiasi altro essere femminile – potesse mai trovare attrazione nei suoi confronti. Se anche i suoi lineamenti sembrassero scolpiti ad arte nell'alabastro, ciò non compensava quella sua disgustosa arroganza da “succhiasangue”. Immaginava che l'alone di uno sguardo tormentato, per il dramma dell'immortalità solitaria, combinato a quella sua natura meditabonda da “poeta maledetto”, fosse facilmente considerabile... esteticamente apprezzabile. Ogni volta che credeva di aver raggiunto i massimi livelli della sua sopportazione – umana e lupesca - riusciva nuovamente a sorprenderlo, a farsi cordialmente detestare. E di questo, in fondo, gli era grato. Molto più semplice odiare colui che gli aveva strappato l'amore della propria vita.
Far convogliare il dolore nell'avversione nei suoi confronti, era più facile che contemplare quella ferita che non si sarebbe mai rimarginata […]
 
[cit. da “Hidden Truth” cap 3 – Mr Lautner]
 
 
Era rientrato nel loft particolarmente stizzito: ancora non riusciva a capacitarsi di come Sebastian riuscisse a guastargli fin troppo facilmente l'umore ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di sapere di essere al centro dei propri (omicidi) pensieri. Lesse il post-it lasciatogli da Rachel nel quale alludeva al fatto che avrebbe cenato fuori con Brody e mise da parte i propri pensieri in qualche rilassante attività di natura domestica: si era privato del cappotto ed aveva programmato il microonde per scaldare una porzione di lasagne surgelate. Nell'attesa del trillo del campanello, accese nuovamente il portatile e confermò l'appuntamento in chat, per quella sera, con David. Un sospiro di sollievo dopo averlo fatto e, un bicchiere di vino tra le mani, lasciò fluire via i pensieri nefasti.
 
Si sorprese ancora una volta per come fosse divenuto semplice parlare con quel giovane e di come avesse avvinto la propria naturale discrezione e riservatezza, fino a quando, da una semplice domanda circa la giornata, la discussione che avevano imbastito aveva preso una svolta inaspettata.
Soprattutto perché si era detto, e aveva sperato, che tutta la propria attenzione sarebbe stata volta altrove. Quel misero neo non avrebbe compromesso il proprio umore fino ad influire anche sulla serata che avrebbe dedicato ad una bella chiacchierata e magari qualche nuova riga da aggiungere al capitolo ancora in stesura.
David:
Scusa la domanda diretta, ma perché era così importante che si trattasse o meno di questo Sebastian?
Parlare di Blaine era stato facile, probabilmente fin troppo: o David era un osservatore fin troppo acuto o, altrettanto probabilmente, le sue capacità di provetto scrittore lo avevano tradito. Aveva suggerito ad una maniera del tutto allusiva (e quasi inquietante) che talvolta dai suoi scritti, avesse lasciato emergere qualcosa di completamente personale. Il rimpianto e la rabbia di Jacob nei confronti di Bella, erano i propri.  Qualcosa che era avvenuto, ad una lettura più razionale ed obiettiva, ad una maniera quasi catartica. Si era accorto, infatti, che riuscire a ripercorrere la propria storia d'amore con Blaine e il suo epilogo tanto disastroso e doloroso, era divenuto meno arduo, meno pregno dell'emotività che gli impediva persino di pronunciarne il nome senza sentire un vuoto interiore. Senza quel terrore, talvolta quasi cieco nel calore delle coperte, di scoprirsi nuovamente solo. E il dubbio che non sarebbe più stato in grado di provare il vero amore o esser disposto a lasciarsi andare: quasi le cicatrici di quell'ultima ferita ne avrebbero inaridito l'animo. Tutti interrogativi che non era in grado di esprimere a voce alta e che divenivano ardui e terribili da rivolgere anche a se stesso e cercarvi una risposta sincera.
Sospirò alla domanda del giovane: si era morsicato il labbro ma, dopo aver sospirato, aveva preso a digitare la risposta.
 
Kurt:
L'ho dato per scontato: ha passato tutto l'anno scorso a flirtare spudoratamente con lui. Sembrava la risposta più ovvia, per quanto Blaine continuasse a dire di non esserne minimamente interessato.
 
La risposta di David fu immediata:
Da come mi hai parlato di Blaine non mi stupisce. Tu per primo dai l'impressione di porlo su un piedistallo: sembra tu avessi – e hai tuttora! - perso la consapevolezza del tuo valore a causa sua. Sembra quasi tu ti aspettassi che potesse finire così, perché tu stesso faticavi a credere di essere degno di lui, proprio come diceva questo Sebastian.
 
Kurt si morse il labbro, incredulo per come quelle poche righe fossero riuscito a colpirlo nel vivo: per il modo in cui sembrasse esser riuscito, e con una facilità sorprendente, a leggergli dentro.
A dirgli quelle parole che lui stesso non aveva mai espresso se non in uno sfogo particolarmente risentito contro Blaine, dopo il litigio a causa di Chandler.
Con un altro sospiro più pesante, ripensò alle parole di Sebastian, dopo quell’alterco con tanto di “non mi piaci” “buffo: neanche tu mi piaci” e quanto gli avesse detto esplicitamente di non essere all’altezza di Blaine.
Era stato abile, in quel momento, a non mostrargli quanto impatto avessero avuto, quanto fossero ancora umilianti a distanza di tempo. Non aveva potuto, tuttavia, negare a se stesso di aver provato una futile, inutile ma sincera soddisfazione nel sapere che non era stato Sebastian, il ragazzo con cui Blaine... scosse il capo, strinse i pugni prima di tornare alla conversazione attuale.
 
Kurt:
Sebastian è il tipo di persona che riesce a farti sentire ancora più insicuro: era come se capisse esattamente ciò che pensavo del mio rapporto con Blaine e di me stesso, anche se non ho mai voluto ammetterlo.  Vederlo flirtare con lui, persino dedicargli una canzone di fronte a me...
Si era morsicato il labbro ancora più nervosamente al ricordo della sua ultima – e suicida a livello umorale – visita alla Dalton. Quella scuola che aveva visto lo sbocciare del suo primo amore, in quelle aule doveva aveva donato e ricevuto il primo vero bacio, adesso era pervasa da un altro ricordo, molto più infido e doloroso.
Quell'esibizione dal vivo dei Warblers guidati da Sebastian: non era stata tanto la coreografia o la bravura di Sebastian, il timbro della sua voce a sorprenderlo (aveva dovuto riconoscergli un plauso – a malincuore comunque!) ma il modo in cui, dietro quegli istinti omicidi che lo avevano pervaso per tutto il tempo della performance, si fosse sentito umiliato.
Se non fosse stato abbastanza grave vederlo ballare e sorridere ad una maniera provocatoria nei confronti del ragazzo che amava, il sentirsi un elemento puramente decorativo della scena, era stato persino più doloroso.
Più di quanto avrebbe voluto ammettere. Più di quanto avrebbe voluto comprendere: non soltanto Sebastian aveva dimostrato di non temere affatto la sua presenza ma persino che neppure fosse degno di essere considerato, quasi fosse completamente... privo di valore.
Invisibile.
E aveva odiato Sebastian per questo, avrebbe voluto ferirlo ad una maniera simile, avrebbe voluto soprattutto non riconoscere quel tipo di sensazioni, soprattutto se correlate a Sebastian stesso.
È stato come dimostrare che non solo – come mi aveva detto esplicitamente – non ero degno di Blaine. Ma neppure di essere notato e questo... mi ha fatto ancora più male, molto più di quanto fossi disposto ad ammettere.
 
Soltanto pochi secondi di attesa prima dell’ulteriore replica: chiunque fosse, David, dimostrava una comprensione e una scioltezza di pensiero davvero impressionanti.
 
David
Per essere quel ragazzaccio di cui parli con un certo disprezzo, sembra quasi che ti preoccupi fin troppo di ciò che pensa. E forse non soltanto per Blaine.
 
Ho creduto ci fosse qualcosa di buono in lui... ho voluto davvero crederci.
David
Lo hai voluto?
Kurt:
Credo di sì.
David
Sai, Kurt. Credo tu sappia il motivo per cui hai bisogno di crederlo. Forse è lo stesso motivo per cui hai provato sollievo al sapere non fosse lui il ragazzo con cui Blaine ha passato la notte. Forse è il motivo per cui ti ha fatto male sentirti ignorato da lui.
 
Un sorriso più amaro increspò le labbra di Kurt. Ma sorrise dopo aver deglutito a fatica e digitò poche lettere.
 
Kurt:
Vorrei non saperlo.
 
David
Ma come qualcuno ha scritto, riferendosi a Mr Lama, “le risposte più sincere sono quelle che cerchiamo di celare a noi stessi. Ma inevitabili. Prima o poi andranno affrontate. Ma possiamo decidere come”.
Kurt:
Mi hai citato, sono onorato tu conosca così bene i miei scritti.
 
David
Credo di conoscere abbastanza te. Ma forse tu non a sufficienza, pensaci. Non per Sebastian o Blaine e neppure per me. Fallo per te. E per Mr Lama che, tra parentesi, spero si decida ad uscire da quella situazione di stallo.
 
 
~
 
[…] Non era concepibile. Non era qualcosa che Jacob avrebbe mai potuto preventivare e soprattutto qualcosa che avrebbe voluto si innescasse, qualcosa che avrebbe dovuto seppellire dentro di sé. In vero, non sarebbe mai riuscito a perdonarsi alla realizzazione che qualcosa di simile stesse avvenendo in cuor suo, qualcosa che avrebbe dovuto estinguere alla radice. Qualcosa che era indicibilmente sbagliato. Malato. In fondo, il fato non era già stato abbastanza crudele, stabilendo, prima ancora che nascesse, quale sarebbe stato il suo destino attraverso una questione genetica? E adesso, quella realizzazione che sembrava farsi beffe di lui, e di quanto credeva di conoscere di se stesso. Una verità molesta, simile dapprima ad una pugnalata nello stomaco, una condanna di indicibile peso ed umiliazione che ne aveva innescato un insano e rinnovato odio verso se stesso. Ma, per quanto si sforzasse, non avrebbe potuto nascondersi. E il peso di quella verità avrebbe continuato a macerare dentro di sé.
Una risposta inattesa, indesiderata ma forte. Più che mai. […]
 
[cit. da “Hidden Truth” cap 5 – Mr Lautner]
 
 
Si era morsicato nervosamente il labbro: aveva provato a restare seduto sulla panchina del parco, rimirando il laghetto alle luci tenui e romantiche del tramonto. Qualcosa di solitamente così ispiratore e delicato da portarlo persino a prendere appunti per una nuova scena.
Aveva sospirato, per l'ennesima volta, e si era alzato per poi prendere a girare tutto attorno, osservando distrattamente gli altri frequentatori del parco: bambini alle prese coi loro giochi, giovani coppie, abituali di jogging fino a passeggiatori coi loro cani domestici. Stirò la camicia sotto la giacca da pieghe inesistenti, controllò ancora una volta l'orologio e maledisse il suo nervosismo e la tensione che lo avevano visto uscire di casa con un netto ed esagerato anticipo, rispetto all'appuntamento concordato.
In verità, una parte di sé era ancora paralizzata dal panico e non riusciva a credere di aver realmente accettato quell'appuntamento ma – e ancora si vedeva di fronte le parole apparse sul monitor del proprio portatile – quando aveva visto quella proposta, non aveva potuto esimersi.
Io e la mia famiglia saremo a New York domani, poche ore e per il lavoro di mio padre. Mi rendo conto che sia una proposta dell'ultimo minuto, ma credo valga comunque la pena chiedertelo: mi concederesti un'oretta del tuo tempo?
 
Ed eccolo lì, intirizzito per l'emozione e per il freddo, le mani conficcate nelle tasche del lungo cappotto, stava attendendo di vedere qualcuno di cui non conosceva minimamente le sembianze. L'unico segno di riconoscimento sarebbe stato un gadget che aveva comprato dopo averlo scorto casualmente in un negozio e che non aveva potuto fare a meno di associare a lui. Sperò non tardasse ad arrivare, soprattutto tenendo conto dei due bicchieri di caffè che si era premunito di comprare prima di giungere all'appuntamento a Central Park.
Fu in quel momento che percepì una presenza alle proprie spalle ma, prima che potesse sporgersi, il braccio del giovane alle sue spalle fu proteso in avanti e Kurt scorse un piccolo pupazzo rappresentante un lama. Lo prese tra le dita, una risatina soffusa per quell'aneddoto così piacevole e più puerile che ne smorzò l'agitazione prima di voltarsi.
Ne riconobbe i lineamenti con gli occhi sgranati e le labbra schiuse: il giovane di fronte a lui sorrise di quel suo sorriso più gioviale che ne fece scintillare lo sguardo gentile, sotto i capelli scuri e disordinati, come ai tempi della Dalton.
Ciao Kurt, è un piacere rivederti”.
Di fronte a lui, stava probabilmente l'ultima delle persone alle quali avrebbe potuto pensare in quel momento.
Nick Duval.
 
Superato il primo impatto, i due avevano passeggiato fino a giungere al ponte e si erano entrambi appoggiati allo stesso per rimirare il lago, sfiorato dalla luce rossastra del sole morente, sorseggiando il caffè che Kurt aveva precedentemente comprato. Avevano esaurito i convenevoli circa gli ultimi avvenimenti di Westerville – l'arrivo di un nuovo elemento nel coro e nuove decisioni per sperare in una qualifica alle Nazionali di quell'anno – fino all'apprendistato di Kurt.
Ci fu un momento di silenzio nel quale entrambi osservarono l'acqua scorrere sotto di loro mentre lentamente il cielo assumeva una tonalità più lillà, e Kurt giocherellava con il pupazzo.
Adesso che aveva scoperto l'identità di David – avrebbe poi dovuto domandargli se ci fosse un motivo per aver scelto quel nome piuttosto che un altro – non era poi così sicuro di voler affrontare una discussione o commentare i propri scritti. Tanto meno Sebastian e con qualcuno che conoscesse tutti i soggetti dell'equazione.
Evidentemente Nick dovette averne ben interpretato i pensieri perché quel sorriso sostava ancora sulle labbra: caloroso e sincero, leale senza mai essere invasivo ma sempre disposto ad aiutare chi considerasse degno della sua amicizia, non era affatto cambiato dal semestre frequentato insieme.
Possiamo fingere di non sapere entrambi perché siamo qui, se preferisci” aveva esordito e Kurt aveva sentito le guance imporporarsi mentre un sospiro sostava sulle labbra, il viso inclinato di un lato nel tornare a scrutarlo.
Non capisco perché tu abbia dovuto fingerti un estraneo: le tue parole e la tua amicizia non sarebbero stati meno apprezzati” le sopracciglia inarcate nel tentativo di comprendere quel passaggio più insolito ma l'altro aveva continuato a sorridere, persino più dolcemente mentre gli appoggiava una mano sulla spalla.
Adesso lo so” aveva sussurrato e di fronte al sopracciglio inarcato ed interrogativo di Kurt, aveva soggiunto. “Non sapevo se il mio ricordo o il mio interessamento sarebbero stati ancora graditi” aveva visto Kurt tendersi, evidentemente rincorrendo entrambi il pensiero dello stesso giovane.
Lo sai, tutti noi Warblers siamo sempre stati i vostri primi sostenitori: vogliamo bene a Blaine ma ne abbiamo voluto anche a te. Io, Jeff, Thad e anche gli altri, abbiamo tutti conservato il tuo ricordo e abbiamo sentito la mancanza di entrambi ed è tuttora così, Kurt.
Sei stato con noi solo un semestre ma non significa che la tua presenza non ci abbia colpiti tutti” aveva commentato con tale sincerità ed intensità che Kurt aveva sentito gli occhi pizzicare di una commozione più tenera al pensiero di quella meravigliosa accoglienza.
Se anche a distanza di tempo aveva convenuto che lasciare il McKinley era stato un errore, non avrebbe parimenti dimenticato coloro che erano stati, seppur per breve tempo, una seconda famiglia.
Quello che Blaine ha fatto” la voce di Nick si era abbassata ed era divenuta più morbida e delicata “ci ha amareggiati e se anche sono sicuro che se ne pentirà per tutta la vita, al contempo volevamo essere certi che tu stessi bene. E così mi sono ricordato di un giorno alla sala prove: avevi dimenticato il tuo quaderno e lì avevi scritto una bozza della tua fanfiction, è stato semplice rintracciarti, una volta introdotto il titolo”
Ti sei letto una fanfiction di cui non ti interessava nulla soltanto per entrare in contatto con me?” aveva domandato, una vaga risata a spezzare la tensione iniziale e l’imbarazzo.
Nick aveva ricambiato il sorriso, persino più divertito.
In realtà non soltanto io ma comunque sì, abbiamo pensato a questo anonimo lettore: ci siamo sforzati per creargli una personalità specifica e il pupazzo è stata un'idea di Jeff” a Kurt non sfuggì come lo sguardo avesse sfolgorato, come sempre, nel parlare del biondo energico e spensierato dal quale sembrava inseparabile.
“Sarebbe voluto venire lui stesso ma ho pensato che uno shock fosse sufficiente”.
Malgrado tutto, Kurt sorrise: certo, l'imbarazzo non sarebbe stato semplice da scemare ma probabilmente era stato l'espediente più bizzarro ma efficace perché riuscisse a schiudere il proprio cuore. E non poteva pentirsi se dietro quello pseudonimo, si nascondessero delle persone tanto premurose e sincere.
Comunque i nostri commenti erano sinceri: non è affatto scritto male per quanto nessuno di noi sia un fan della saga” si era nuovamente fatto serio, il viso inclinato di un lato.
“Il punto, Kurt, è che non dovresti nasconderti e non hai motivo di temere i tuoi sentimenti o quello che potrebbe essere un nuovo amore. Soprattutto, dovresti darti un'altra possibilità e ricordarti che non sei mai stato inferiore a Blaine. Il tuo valore è sempre stato a prescindere da lui e così sarà, chiunque tu scelga d'amare.
Non permettere alla paura di bloccarti: sei stato ferito e sei confuso, hai paura e temi di fare nuovamente lo stesso errore ma noi crediamo in te e saremo pronti a sostenerti.
Qualunque cosa accada e chiunque avrai al tuo fianco, non smettere di credere in te stesso: era questo che ti rendeva un Warbler e un amico”.
Ascoltò quelle parole con occhi velati dalla commozione, il sorriso che continuava a sostare sulle proprie labbra: un calore che non sentiva così intenso da molto tempo.
Seppe che, da quel momento in poi, quando avrebbe ripensato ai corridoi della Dalton e allo splendore tutto attorno, con il tempo avrebbe imparato ad associarlo a quelle persone che, ad un modo tanto semplice e spontaneo, avevano fatto breccia nel proprio cuore fino a conquistarsi il suo affetto.

Non vi erano parole abbastanza esaustive per esprimergli la gratitudine e la commozione ma era certo che a Nick sarebbe bastato guardarlo negli occhi, osservarne il nuovo sfolgorio.
Si sporse a stringerlo in un abbraccio, lasciandosi cullare per un istante da quel dolce calore.
Grazie Nick, grazie a tutti voi”
Once a Warbler, always a warbler” aveva convenuto Nick, ripetendo quello che era ormai un motto e un motivo di orgoglio.
 
~
 
 
 
[…] Il coraggio era una delle doti che un capobranco avrebbe dovuto possedere per il bene di tutti, per essere un leader in grado di prendere decisioni anche nei momenti più difficili o di maggiore tensione. Il coraggio di affrontare il nemico anche quando si era in svantaggio numerico o l'impresa pareva impossibile.
Ma c'era un tipo di coraggio davvero unico, e speciale a cui avrebbe dovuto fare appello e che sentiva essergli mancato in tutto quel tempo.
Il coraggio di contemplare se stesso ed accettarsi completamente. Persino quando quella verità nascosta diveniva impossibile ignorare; quando essa era già iscritta e non vi sarebbe stata fuga se non continuando e provando a scappare da se stesso.
Nulla che, a lungo andare, non avrebbe ulteriore scheggiato le pareti del suo essere, niente che non sarebbe riuscito, prima o poi, ad emergere quando sarebbe ormai stato svuotato della forza di lottare contro l'inevitabile.
E Jacob non si sarebbe mai arreso, neppure e soprattutto a se stesso. […]
 
[cit. da “Hidden Truth” cap 7 – Mr Lautner]
 
 
Nel momento esatto in cui entrò nella caffetteria e cominciò a scrutare il salone, si domandò, per l'ennesima volta, se non fosse stata la sua eccessiva emotività nonché il suo sentimentalismo a persuaderlo. Si ripeteva che era ancora in tempo, soprattutto, a fare dietrofront e nessuno avrebbe mai saputo di quel tentativo folle.
Nessuno se non se stesso, almeno.
Nel momento in cui ne scorse le scapole familiari, percepì il fiato venir meno e il suo cuore scalpitò furiosamente: continuò ad osservarne la nuca quasi questo potesse aiutarlo a prendere una risoluzione finale.
Trattenne il respiro e, prima di poter cambiare idea, avanzò nel locale: dopo averne distinto la nuca e le spalle familiari. Ebbe solo un altro guizzo al petto al realizzare che stesse parlando con un altro giovane e, lo constatò dolorosamente, davvero un moretto molto affascinante e dai cui sorrisi che gli rivolgeva, poteva soltanto immaginare il tipo di conversazione in corso.
Ma non sarebbe bastato quello a fermarlo: un moto di assenso a se stesso, si ripeté un incoraggiamento a mezza voce e si fermò di fronte al tavolo.
Silenziarono entrambi seppur stessero ridendo fino ad un istante prima: se il moretto lo guardò confuso ed interrogativo, fu Sebastian ad inarcare le sopracciglia e scrutarlo con fare guardingo, le braccia incrociate al petto.
Ti sei perso?” gli domandò, infine, un vago sorriso sornione sulle labbra, il viso reclinato ad osservarlo dal basso e, ancora una volta, Kurt dovette farsi coraggio.
Probabilmente” gli porse un plico di fogli che Sebastian fissò con sopracciglio ancora più inarcato con evidente intento interrogativo.
E' un mio racconto: non è completo, ancora non ho deciso come la storia terminerà ma è parte di me. Vorrei che lo leggessi e solo allora decidessi se merito o meno la tua considerazione. Per favore”.
Prima che Sebastian – la mano aveva preso il plico di fogli ma lo sguardo era ancora fisso sul suo volto, le labbra vagamente schiuse per la sorpresa – potesse replicare, si era rivolto ad entrambi con un sorriso di circostanza.
Scusate l'interruzione”.
Si era allontanato e soltanto quando fu uscito dal locale, riuscì a riprendere fiato.
Incredulo di esserci riuscito ma, in qualche modo, sollevato: niente, qualunque fosse stata la reazione di Sebastian, avrebbe potuto essere più temibile e pericoloso dell'affrontare se stesso.
E Kurt Hummel c'era riuscito.
 
[Sms To Nick]
Grazie infinite, di tutto. Non importa cosa accada da questo momento: lo vivrò, vada come vada. Senza paura e soprattutto credendo in me stesso.
 
Chi era quello?” aveva chiesto il moretto rimasto silenzioso fino a quel momento, un verso di ilarità mentre si sporgeva ad osservare il plico di fogli.
Sebastian inarcò le sopracciglia al gesto, mettendosi più composto e sollevandoli perché non vi posasse nuovamente lo sguardo.
Sebastian?” lo aveva richiamato l'altro, vagamente interdetto, prima di abbassare i fogli per attirarne nuovamente l'attenzione. “Non avrai davvero intenzione di...”
Abbiamo finito” replicò Sebastian, senza più guardarlo, le sopracciglia aggrottate per la concentrazione mentre riprendeva la propria lettura, dopo aver scostato il racconto dalla sua portata.
Ma se neppure abbiamo cominciato...!”. Aveva protestato indignato.
Sparisci” . Fu l’ordine spiccio che gli rivolse per l’ultima volta.
 
 
~
 
[…] Più che mai in quel momento non avrebbe saputo ciò che sarebbe stato di se stesso e di loro. Se ancora, soprattutto, avrebbe potuto sperare o se avrebbe dovuto imparare a convivere con la consapevolezza che quella verità, divenuta un sogno insperato, sarebbe rimasta solo una crudele illusione e [...]
 
Sbuffò al sentire i tonfi sulla porta ed abbassò lo schermo del portatile, si affrettò ad aprire: appoggiato con un braccio sullo stipite, vi era Sebastian, nell'altra mano reggeva il plico di fogli della sua fanfiction, lo sguardo accigliato.
Kurt deglutì a fatica, indietreggiando e bisbigliandone il nome con voce sussurrata: non si sarebbe aspettato di scorgerlo così presto quando solo quel pomeriggio gli aveva lasciato quei fogli. Una parte di sé si era detta che, se anche avesse letto, non avrebbe potuto aspettarsi una risposta perché non avrebbe compreso o comunque non gli sarebbe importato, perché non era mai stato degno di considerazione se non per ricordargli quanto di lui disprezzasse.
Quest'ultimo entrò nel loft, l'espressione stizzita mentre, con un gesto incurante, lasciava cadere tutti i fogli sul divano: gesto al quale Kurt reagì deglutendo a fatica e schiudendo le labbra, guardando ora incerto quei fogli che sembravano una pericolosa allegoria dei suoi sentimenti, ora il giovane che avanzava in sua direzione.
Se credi che io sia il tuo Edward-Palle-Di-Ghiaccio, potrei decidere di castrarti subito” era trasalito, Kurt, un verso di imbarazzo e di timore mentre incrociava le braccia al petto. Si impose di rispondere ad una maniera pacata, cercando di non tradire il nervosismo e il timore che stava provando in quel momento.
E' soltanto un'allegoria di me stesso e...”.
Ma Sebastian non lo ascoltò: si chinò al suo orecchio e vi respirò dentro: ebbe un solo istante per scorgere quanto il suo volto si fosse disteso e come lo sguardo guizzasse.
Non lo trattenne ma, in quel momento, Kurt seppe di non avere comunque scampo, che non sarebbe potuto sfuggirgli. Esattamente come non poteva sfuggire neppure a se stesso.
Scoprirai che ciò che Edward ha fatto a Jacob è davvero nulla rispetto a ciò che ti potrei fare io” aveva sussurrato, la voce volutamente rauca che fece intirizzire Kurt e scorrere brividi caldi e freddi lungo la spina dorsale. Deglutì a fatica, un verso rauco di emozione, domando quell'istinto che lo avrebbe visto socchiudere gli occhi, a privarsi del potere incantatore delle iridi smeraldine.
Cercò di restare presente a se stesso anche e soprattutto quand'egli sembrava così facilmente soggiogarlo. Persino con semplici parole, con uno sguardo così intenso che Kurt si sentì più vulnerabile ed esposto che mai.
C-Cosa vuol dire?” si sentì domandare, la voce più tremula e stridula e Sebastian si scostò appena per poterne incrociare lo sguardo. Lentamente le labbra si curvarono in un sorriso e seppur fosse quel sorriso suadente che ne faceva scintillare le iridi, nella pressione della sua mano che ne sfiorò il mento, percepì un dolce brivido di aspettativa e di bisogno. Inequivocabile bisogno.
Ti sei meritato la mia considerazione” aveva risposto pacato, stringendosi nelle spalle prima di scostarsi, dopo aver ammiccato. Si diresse verso la porta per uscire dall'appartamento.
Passo a prenderti stasera e, ti prego, vestiti da uomo per una volta tanto, ok?” aveva di nuovo valicato la porta quando Kurt lo richiamò.
Sei la mia verità nascosta”. Aveva bisbigliato con voce più vellutata, un sorriso più vezzoso e complice, lo sguardo azzurro che baluginava in quella sorta di ammissione tra le righe.
Dovette comprenderlo bene perché il sorriso si addolcì prima di scrollare le spalle.
Se ti aspetti che ti dica che sei la mia qualità preferita di eroina, dovresti valutare l’idea di farti la Berry” aveva replicato in tono più spiccio prima di sorridere nuovamente.
Un cenno del mento ed era scomparso, lasciandolo contemplare quel momento con un sorriso vezzoso. Sospirò, il sorriso che non scemava dalle labbra mentre riprendeva tra le mani il portatile.
Un vago verso di ilarità e dondolò le spalle compiaciuto.
Corresse l’ultima frase prima di concludere il capitolo.
 
 
[…] avrebbe potuto sperare in un loro o se avrebbe dovuto imparare a convivere con la consapevolezza che quella verità, divenuta un sogno insperato, sarebbe rimasta solo una crudele illusione e ma una cosa era certa, in cuor suo.
Non avrebbe rinunciato a se stesso. E non avrebbe smesso di provare, qualunque fosse stato l'epilogo. La più grande paura era la più grande verità mai celata al suo cuore e la gioia più grande di cui si sarebbe potuto privare. […]
 
To be Continued...
 
[cit. da “Hidden Truth” cap 8 – Mr Lautner]

 
 
Se avevate sospettato che il giovane che si nascondeva dietro lo pseudonimo fosse Sebastian, beh... non eravate gli unici. L’idea iniziale, in effetti, era proprio quella ma poi ho pensato fosse troppo scontato ed è sempre bene sorprendere i lettori e poi dovevo togliermi anche lo sfizio di poter muovere l’adorabilissimo Nick :).
Al solito, i commenti sono ben graditi, vi do’ l’appuntamento a domani, il tema del giorno sarà “Lost… so very lost”. 
Buona Domenica a tutti! :)
 
 

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Capitolo 6
*** Lost... so very lost - Ça va? ***


Ed eccoci agli sgoccioli della Kurtbastian Week, questo è il nostro penultimo appuntamento.

Devo dire che è stata la traccia, questa, che mi ha dato più da pensare, soprattutto l’inghippo del comprendere se “perso” si riferisse ad una questione puramente geografica e di orientamento o uno stato d’animo ma, come sempre, ho interpretato la traccia a modo mio.

Prima di cominciare, come sempre ringrazio tutti voi che commentate, inserite tra preferiti, ricordate e seguite.

Ci tengo poi a dare un personale benvenuto alla mia Blaininuccia (SuperAmy82) approdata su EFP da poche ore e che già ha fatto lievitare il numero di recensioni in generale, come se i commenti in privato e i suoi betaggi a posteriori non fossero abbastanza preziosi. E’ un onore e una gioia averti con noi! :D

E, come sempre, a ringraziare la mia Sebastian (therentgirl) per le sue splendide recensioni e l’entusiasmo con cui legge ma anche perché, nello specifico in questa fanfiction, è stata così gentile da leggerlo la scorsa settimana, dandomi un suo parere sulle parti in lingua straniera e in un italiano (che poi sarebbe inglese nella narrazione) maccheronico, oltre a qualche dubbio dell’ultimo momento :D

Buona lettura! :)

 

 

 

 

LOST... SO VERY LOST

Ça va?

 

Kurt amava darsi all'esplorazione della soffitta: in vero spesso e volentieri si rammaricava molto di non avere abbastanza tempo da farlo. Ogni volta che si rinchiudeva nella mansarda, era come trovarsi di fronte ad innumerevoli tesori e reliquie del passato: ognuno di quegli oggetti – per quanto adesso impolverato o rotto o usurato dal tempo – recava un pezzo della sua storia, un pezzo di sé. Con particolare cura, lui e suo padre avevano conservato oggetti che erano appartenuti a sua madre:  la spazzola d'avorio, ad esempio, o lo specchio che Kurt non mancava di tenere sempre sullo scaffale dalla propria toeletta. Ognuno di quei ninnoli di valore economico più o meno elevato, aveva visto una fase della sua vita e così come ogni capitolo era parte del libro, ciascuno aveva rappresentato qualcosa, l'uomo che era adesso.

E quale occasione migliore del trasloco nella nuova casa, con la sua nuova vita per cercare – con un approccio un po' sentimentale e nostalgico – un piccolo segno del suo passato?

Un suggello del presente, scavando in ciò che era stato.

Aveva già catalogato gli oggetti: in una scatola separata delle altre aveva tratto qualche gingillo che, dopo l'approvazione di Carole e di suo padre, avrebbe portato nella nuova casa. All'interno ne spiccavano alcuni: dal guanto che aveva cucito lui stesso per esibirsi in “Single Ladies” fino alla divisa della Dalton, la toga rossa del suo diploma, un poster di Taylor Lautner (quello avrebbe dovuto nasconderlo) fino agli spartiti delle sue canzoni preferite.

Restava da togliersi un ultimo sfizio prima di tornare alla realtà: aveva occhieggiato lo scaffale con tutti gli album di famiglia fino a trarne il primo della pila.

Rimirò a lungo le fotografie di sua madre: una splendida donna dai capelli biondi ed ondulati, i suoi stessi occhi azzurri baluginanti di serenità nello stingere il ventre dolcemente ricurvo. Si soffermò sulle fotografie di quella che era stata la famiglia Hummel fino a quando la malattia non se l'era portata via: quanta gioia nel volto di suo padre e quanto entrambi apparissero innamorati e devoti l'uno all'altro. Aveva sospirato all'ennesima fotografia che lo ritraeva, ancora neonato, tra le sue braccia fino a quando gli occhi non si erano inumiditi e aveva ripreso a sfogliare le pagine, una per una.

Giunse all'estate del suo settimo anno, l'ultima che avevano trascorso tutti insieme, erano andati in vacanza in Europa e non avrebbero mai immaginato quanto le loro vite sarebbero cambiate da lì a poco. Se aveva sorriso di fronte agli scatti familiari o di se stesso vestito di tutto punto ed elegante, particolarmente compiaciuto in un completo perfettamente abbinato alle valigie che trasportava, si fermò di fronte ad un'ennesima fotografia.

Sbatté le palpebre a più riprese nel leggere la data riportata in basso e la scritta “Paris” prima di osservare il bambino ritratto al suo fianco.

Sentì un vuoto d'aria alla realizzazione, una mano andò a coprirsi le labbra: scollò delicatamente la fotografia dall'album e se la portò vicino al viso per studiarne i lineamenti.

Lo stesso sguardo, lo stesso sorrisino compiaciuto e sicuro di sé malgrado fosse poco più che un bambino ma aveva già la stessa sicurezza e lo stesso savoir-faire.

Quello ritratto nella fotografia non era altri che Sebastian Smythe.

 

~

 

Quella delle vacanze in Europa era stata sicuramente una delle idee più meravigliose che i suoi genitori potessero mai avere.

Erano sempre entrambi troppi impegnati, a suo parere, ma avevano stretto la promessa di trascorrere molto più tempo insieme e quel proposito non avrebbe potuto iniziare che in un momento lieto, come le vacanze estive.

Così era accaduto. Avevano lasciato l'Ohio, pieni di entusiasmo e di spirito d'avventura ed erano partiti per l’estero.  

Kurt non era stato capace di frenare l'entusiasmo al conoscere la meta del loro viaggio: Parigi. La città dell'amore nonché una delle principali icone della moda: già prima di partire aveva immaginato come sarebbe stato bello camminare sui boulevard, mangiare baguette, bere acqua frizzante e rimirare il paesaggio dalla Tour Eiffel. Se aveva sempre pensato che Parigi fosse una meravigliosa città, a giudicare dalle immagini della televisione e dalle fotografie nei suoi libri di scuola, poterla vedere dal vivo e poterla vivere, era sicuramente ciò che si era prefisso.

Anche se solo per quei pochi giorni, prima che la famiglia Hummel terminasse il suo piccolo tour europeo per poi rientrare negli Stati Uniti.

Aveva già terminato un rullino di fotografie ma era inevitabile: ogni piazza o luogo rinomato era ricco di fascino, dai monumenti storici fino ai giardini con le fontane e i giochi d'acqua e persino le boutique con l'esposizione delle nuove collezioni di Coco Chanel.

Stare a Parigi, checché ne dicesse il padre che lo punzecchiava sorridendo, era un calarsi in quello stato d'animo e lui, con l'aiuto della mamma, poteva dire di esservi perfettamente riuscito.

Kurt, sbrigati” lo aveva richiamato l'ennesima volta suo padre e Kurt aveva annuito distrattamente: aveva dovuto indietreggiare per poter cogliere la Tour Eiffel in tutta la sua considerevole altezza.

Sorrise soddisfatto dopo aver premuto il pulsante per azionare la macchina fotografica e rimirò l'immagine che aveva catturato.

Guarda, papà, ho-”.

Sbatté le palpebre, guardandosi attorno e sgranando gli occhi alla ricerca della sua familiare fisionomia.

Papà?” lo richiamò a voce più alta, avanzando nella piazza gremita di persone e sollevandosi su una panchina per cercarlo. Il cuore prese a scalpitare furiosamente e si morsicò il labbro prima di continuare a chiamarlo, a voce sempre più alta, attirando l'attenzione generale.

Si era perso. Solo a Parigi. E non aveva la benché minima idea di come poter far ritorno all'albergo: si erano spostati con il taxi per giungere fin lì, senza contare che non avrebbe saputo ritrovare la strada.

Cercò di placare i battiti convulsi e mantenersi calmo. Suo padre sarebbe sicuramente tornato indietro: insomma quando gli diceva “guarda che ti lascio qua e raggiungo tua madre” stava soltanto scherzando, non lo avrebbe davvero lasciato solo e sperduto. Nessun genitore lo avrebbe mai fatto.

Con aria afflitta si sedette sulla panchina: le manine sulle ginocchia, lasciò penzolare le gambe, in attesa. Suo padre sarebbe tornato a cercarlo, avrebbe soltanto dovuto attendere.

Ma i minuti trascorrevano e l'angoscia diveniva sempre più opprimente, aveva gli occhi lucidi ma si era imposto di mantenersi calmo. Quasi a rinvigorire quel monito, aveva stretto i pugni e corrugato le sopracciglia.

Andrà tutto bene, andrà tutto bene, andrà tutto bene…

Comment tu t'habilles?” [1]

Si era voltato al sentire il suono di quella voce e aveva scorto un bambino più o meno della sua età che lo scrutava con le sopracciglia inarcate e gli occhi verdi fissi su di sé. Lo stava squadrando dall'alto al basso tanto che, seppur non ne avesse compreso le parole e non conoscesse la sua lingua, poté intuire che quella che gli aveva rivolto era una critica.

Tuttavia, aveva un problema ben più urgente da risolvere: si morse il labbro ma riprese a scrutare la folla, ancora cercando la fisionomia familiare del padre.

Alors?” lo aveva apostrofato l'altro che, senza attendere invito, si era seduto al suo fianco, dopo aver appoggiato la bicicletta contro la panchina. Il braccio si era sporto sullo schienale della panchina, alle sue spalle.

“Répondes-moi, donc!” [2].

Sapeva che era maleducato non rispondere alle persone ma come dire a quel bambino, con tutto il rispetto possibile, che in quel momento aveva un ben altro problema da risolvere? Si era morso il labbro prima di voltarsi mentre questi continuava a fissarlo con lo stesso atteggiamento critico: aveva anche notato come la sua voce fosse apparsa imperativa.

Scusa, io non capisco” aveva balbettato e l'altro sembrò intuire perché il sorriso si fece più suadente.

Non palli la mia langue, donc”.[3]

Kurt aveva scosso la testa ma era evidentemente sollevato che il bambino fosse, invece, abbastanza pratico di inglese così da poterlo comprendere e, inoltre, il suo accento era particolarmente simpatico.

No” aveva risposto contrito seppur sollevato: avrebbe sempre potuto chiedere a lui un aiuto per far ritorno in albergo o almeno ritrovare suo padre.

Sei un turissa?”. Lo incalzò di nuovo, prima che potesse aprir bocca.

Turista” lo corresse automaticamente Kurt e il bambino sembrò accigliarsi perché si sollevò dalla postazione, le braccia incrociate al petto.

“E io cosa ho detto? Turissa!” aveva ribattuto e Kurt dovette trattenere il sorriso: non era educato sorridere degli errori altrui e, dopotutto, era lui il bambino straniero tra i due.

Scusa” aveva ribattuto ma era tornato ad osservare la folla.

“Comment ti chiami-tu?” aveva chiesto ancora, evidentemente facendo una fusione tra le due lingue che, Kurt lo doveva ammettere, era davvero molto buffa a sentirsi.

Kurt e tu?”. Aveva risposto distrattamente.

Sébastien” replicò subito, il sorriso pronto sulle labbra e il dardeggiare del suo sguardo mentre si stringevano le mani come avevano visto fare dagli adulti in simili occasioni.

Alors, Katt” dovette mordersi il labbro per ricordarsi che non sarebbe stato educato ripetere e scandire meglio il proprio nome ma sembrava avere dei particolari problemi a pronunciare la erre. “... comment ti sei habbiliato?” e di fronte al suo sguardo confuso, aveva indicato i suoi vestiti come a dargli prova della propria perplessità.

Fu il momento di Kurt di apparire spiazzato.

Non ti piacciono?” aveva domandato quasi mortificato e lui stesso aveva osservato nuovamente il proprio completo: una maglietta a strisce azzurre e blu, jeans, scarpe da ginnastica e un basco abbinato al foulard azzurro allacciato al collo. Aveva persino degli occhialini da sole che aveva appuntato alla maglietta.

“Ci si veste così in Francia” aveva ribattuto con tono sicuro, le braccia adesso incrociate al petto mentre l'altro si accigliava nuovamente.

C'est ne pas vrai!” Aveva ribattuto indignato. “Non è velo!” aggiunse poi tornando all'inglese per poi indicarsi e Kurt lo scrutò a sua volta dubbioso: non era poi così diverso da come si vestiva lui per giocare al parco.

Cosa aveva di tanto speciale? Dov'era lo spirito parigino?

Come vuoi” aveva ribattuto, sollevandosi dalla panchina e morsicandosi il labbro al pensiero del padre che, nel frattempo, ancora non era tornato.

Quanto tempo era passato? E se si fosse perso a sua volta? Non avrebbero dovuto separarsi dalla mamma, e avrebbero dovuto comprare una cartina della città.

Sentì nuovamente l'angoscia stringergli la gola.

Pourquoi sei qui tutto solo? Dove sono i tuoi paronti?[4]”.

Ero qui con il mio papà” rispose Kurt, la voce più rauca ad indicare che stava per mettersi a piangere.

“Ma adesso non lo vedo più” si era nuovamente volto ad osservarlo, adesso speranzoso.

“Puoi aiutarmi? Devo tornare all'albergo”. Gli aveva descritto l'edificio e il quartiere nel quale si trovava fino a quando l'altro non aveva annuito con sguardo illuminato.

Sai dove si trova?”.

Absolument. Scerto che lo so!”.

Allora mi ci puoi portare, per favore?” aveva domandato, adesso in tono quasi supplichevole nel congiungere le mani ed osservarlo, si stava nuovamente morsicando il labbro ma Sébastien continuò a scrutarlo vagamente divertito.

No” rispose con una scrollata di spalle.

Cosa?! Perché?!”. Si sentì chiedere con voce più stridula, aggrappandosi al braccio del bambino che in risposta aveva sorriso ancora più divertito prima di stringersi nelle spalle.

Ti sci potto, va bien... ma après devi faire una cosa per moi” aveva dichiarato: le braccia strette al petto nello scrutarlo con il sopracciglio inarcato al che Kurt aveva annuito, un sorriso sollevato.

Quello che vuoi... grazie. Messì”. Cercò di pronunciare quel “merci” che la madre aveva spesso pronunciato in quei giorni, rivolgendosi alle persone dell'albergo, accompagnando la parola con un bel sorriso. Ma Sébastien aveva sorriso maggiormente prima di stringersi nelle spalle.

Allora devi passare toute la sgiornata con me. Poi ti potto dai tuoi paronti”.

 

~

 

Non c'era stato modo di dissuadere Sébastien e aveva constatato già in quei primi momenti quanto potesse essere cocciuto e dispotico quando si metteva in testa qualcosa. In fondo, tra il restare tutto il giorno in quella piazza ad attendere da solo e poter trascorrere la giornata con qualcuno che già si ambientava abbastanza da uscire da solo, sapeva che avrebbe preferito la seconda opzione. Aveva tuttavia scongiurato l'altro bambino perché gli permettesse di telefonare ai genitori per avvisarli che stava bene e che sarebbero potuti tornare a prenderlo quella sera, perché – come promesso – avrebbero trascorso insieme quella giornata. Così, nonostante la sua cocciutaggine, il parigino si era lasciato convincere, assicurandolo che sarebbero subito andati da sua madre e che lei avrebbe avvisato i suoi genitori.

Lo stupore e la meraviglia di Kurt aveva raggiunto l'apogeo quando il bambino lo aveva condotto, con perfetta nonchalance, al ristorante del primo piano della splendida Tour Eiffel. Era da quando erano giunti a Parigi che desiderava scalarla – magari non facendosi tutti i più di mille scalini a piedi – per rimirare il paesaggio notturno e i giochi d'acqua delle fontane.

Aveva osservato quell'ambiente lussuoso con gli occhi sgranati e le labbra schiuse ma, quasi intimorito, era rimasto fuori dalla porta fino a quando l'altro non si era voltato a guardarlo.

“Che fai lì impalatò? Viens, Katt, devi dile a Maman come si chiama la tua mamma così può chiomare l'albeggo” il bambino, tuttavia, era arretrato maggiormente.

Aveva osservato il locale dalle vetrate con evidente desiderio ma sembrava incapace di compiere un passo in avanti.

Non posso” aveva commentato, morsicandosi il labbro.

“Non sono vestito per venire al ristorante: non ho neppure una cravatta! O una spilla!”. Aveva esclamato con tono evidentemente palese del suo dilemma e della sua vergogna al riguardo.

Sébastien aveva sorriso divertito prima di scuotere il capo ed avvicinarsi.

Va tutto bien, devi solo stammi viscino” aveva commentato e, senza attendere risposta, ne aveva cinto la mano per poi entrare finalmente nel locale. Kurt sentì un improvviso calore al viso, sembrò scivolare lungo la spina dorsale fino e fargli bruciare le guance ma non aveva nulla a che vedere con il calore del locale. Era la sensazione di quella mano dalle dita affusolate che aveva stretto la propria con tanta delicatezza ma sicurezza.

Un gesto che, a quanto Kurt ne sapeva, si compiva quando ci si trovava in presenza di una persona importante per la quale si provasse un forte affetto. Non aveva comunque esitato a stringergli a sua volta la mano, notando come le loro dita riuscissero perfettamente a combaciare tra loro e quanto fosse piacevole abbandonarsi a lui, senza paura. Non sapeva neppure da cosa nascesse quel riuscire a seguirlo senza timori di sorta:  nella sua città avesse spesso problemi a interagire coi compagni di classe o i bambini della sua età. Ma non era una sua colpa se, a differenza loro, non amava praticare gli sport, o fare giochi di lotta o qualsiasi altro espediente che gli facesse macchiare i suoi bei vestiti. Per la prima volta, provava quel dolce calore al petto e non avrebbe voluto per alcun motivo che dovesse finire.

Sébastian si muoveva con incedere sicuro, salutando di tanto in tanto qualche cameriere, evidentemente non era la prima volta che entrava nel locale e se anche qualcuno osservò curiosamente Kurt, ma tutti sorridenti, nessuno sembrò trovare qualcosa da ridire sulla sua presenza. E la sua mamma era davvero una splendida signora, vestita con un tailleur elegante – Coco Chanel registrò Kurt osservandone il marchio dei bottoni e della cintura – ed era il maître: aveva un viso ovale dai lineamenti cesellati ad arte. Gli stessi occhi di quella sfumatura di verde e qualche neo a punteggiarle la guancia, proprio come quelli di Sébastien che Kurt aveva trovato deliziosi alla vista malgrado lui, invece, si fosse sempre rammaricato di quelle piccole efelidi a coronarne il nasino o la mezzaluna sotto l'occhio.

Oltre ad essere bella, la sua mamma era anche molto gentile ed affabile: parlava un perfetto inglese – dovevano essere moltissimi i turisti che incontrava tutti i giorni, a ben pensarci – e fu subito disponibile a telefonare agli Hummel e persino invitarli a cena, quella sera, nel suo locale, così da assicurare ai due bambini di poter trascorrere del tempo insieme.

Si era dimostrata non poco entusiasta dell'iniziativa del figlio ed aveva insistito perché pranzassero lì malgrado Kurt fosse apparso molto imbarazzato per la mancanza di denaro.

La donna si era limitata a scompigliargli i capelli e ridere della sua preoccupazione, rassicurandolo che per gli amici del figlio avrebbe potuto far bene altro.

L'idea di sedere, però, in quel ristorante era stata non poco elettrizzante e, sorseggiando la sua acqua frizzante, aveva osservato il panorama dalla vetrata prima di volgersi al bambino seduto dall'altro lato.

 Allora è vero?” aveva domandato, ripensando alle parole della madre di Sébastien.

Mh?” aveva chiesto l'altro, lo sguardo già volto alla sua crème brûlée che prese a gustare con evidente golosità mentre Kurt ne studiava la forma e la composizione – chissà quante calorie aveva quel dolce? - prima di sollevare la posata.

Siamo amici?” aveva domandato e avrebbe voluto che la sua voce non tradisse quell'imbarazzo e quell'anelito di emozione ma il bambino di fronte si era limitato a sorridere con evidente sicurezza, stringendosi appena nelle spalle.

Ça va[5]” aveva risposto e, di fronte allo sguardo perplesso di Kurt, aveva riso.

Forse” aveva soggiunto, scrollando le spalle come a sminuire il tutto ma, in fondo al suo cuore, Kurt seppe che si trattava di una dolce conferma ma proclamata a bassa voce.

 Un po' come il suo papà che sembrava burbero a chi non lo conosceva e magari si impressionava a sentirlo parlare con la voce grossa ma, in realtà, era l'uomo più buono al mondo.

 

 

~

 

Parigi sembrava vestire il suo abito migliore quando calavano le luci e, avvolto nel suo soprabito più elegante, stava rimirando il paesaggio della città con l'immancabile presenza di Sébastian al suo fianco. La città appariva così minuscola da quella prospettiva ma lo sguardo abbracciava un paesaggio strabiliante: persino le automobili che attraversavano i lunghi boulevard apparivano come giocattoli, osservava con occhi sgranati la luce che dalla Torre scendeva ad illuminare tutto ciò che vi era al di sotto. Si sentiva come un sovrano che osservava il suo vasto impero che si apriva di fronte a lui, in tutto il suo splendore: si era stretto maggiormente nella giacca a causa dell'aria più fresca ma aveva riso con entusiasmo quando i giochi d'acqua delle fontane erano stati attivati. Le labbra schiuse e negli occhi azzurri si riflettevano quelle molteplici luci ma l’entusiasmo non era condiviso dal  bambino al suo fianco per il quale quella vista doveva aver perso ogni attrazione. Ma non aveva lasciato il posto vicino al suo e sorrideva del suo divertimento: era stato in quel momento che Kurt si era voltato e aveva notato il suo sguardo su di sé. Aveva sgranato gli occhi e aveva sentito il cuore battere più forte ma puerilmente si era scostato una ciocca di capelli dalla fronte che sembrava sempre voler sfuggire alla sua pettinatura più ordinata.

Ho i capelli in disordine?” aveva chiesto ma Sébastien aveva scrollato le spalle. L'attimo dopo, tuttavia, si era chinato con un ghignetto a scompigliarli completamente, strappandogli uno strillo di disappunto che aveva fatto voltare molti altri turisti e ridere i genitori. Questi ultimi avevano scosso il capo prima di tornare a loro volta ad ammirare il paesaggio, vicini ai genitori di Sébastien.

Oui, sono tutti dissordinoti” lo aveva canzonato ma Kurt aveva imbronciato le labbra seppur cercasse di nascondere il sorriso divertito: era tornato ad osservare il paesaggio prima di volgersi nuovamente ad osservarlo.

E' vero che Parigi è la città dell'amore?” aveva chiesto dopo un breve istante di silenzio e aveva sentito il bambino al suo fianco ridere di cuore. E

ra arrossito furiosamente prima di imbronciarsi e volgere lo sguardo altrove per non fargli capire quanto si sentisse offeso dal fatto che non lo prendesse sul serio. Cosa c'era di male nel rispondere ad una sua domanda? Lo considerava una femminuccia come tutti gli altri bambini? Era per questo che si faceva beffe di lui?

Non lo so” aveva risposto dopo un attimo, il sorriso sulle labbra nel tornare ad osservarlo.

 “Forse sì” si era avvicinato a Kurt fino ad abbassarsi ad appoggiare le labbra contro la sua guancia. Un tocco delicato e soffuso che gli fece aumentare i battiti del cuore e sgranare gli occhi mentre Sébastien, lo sguardo ancora ridente, lo osservava dall'alto, quel cipiglio che aveva ormai imparato ad associare al suo viso e al suo carattere.

“Vuoi sposammi, Katt Ammèl?” aveva chiesto, infine, con un sorriso così presuntuoso in quell'ammiccargli che Kurt aveva dovuto distogliere lo sguardo, le guance arrossate malgrado ridesse lui stesso. Si strinse nelle spalle.

Sa va” cercò di storpiare la stessa risposta che Sébastien gli aveva fornito quando erano seduti al ristorante, seppur non avesse ben capito cosa significasse. A quel punto l'altro bambino aveva sorriso trionfante.

Quando saremo grondi, viendrò in Amerique e sci sposseremo, ça va?” aveva domandato con un sorriso scintillante che, suo malgrado, Kurt aveva ricambiato, annuendo vigorosamente.

Ne rimirò ancora una volta il profilo e provò ad immaginare quale linea avrebbe potuto disegnare per congiungere tutti i suoi nei.

Sa va” aveva replicato in un sussurro.

 

~

 

 

Aveva osservato il suo operato con evidente soddisfazione, prima di togliersi il grembiule. La tavola era già stata apparecchiata per due, le candele erano accese per creare un'atmosfera più romantica, il sottofondo musicale e aveva indossato un completo nuovo e ancora lustro.

Quando sentì la porta dell'ingresso schiudersi non poté che sorridere, pieno di aspettative, mentre l'uomo annunciava il suo ritorno. C'erano ancora molte e molte scatole di oggetti da riporre nonché la tappezzeria e la moquette, le decorazioni di cui occuparsi ma aveva tutto accatastato nel salotto perché la sala da pranzo fosse perfettamente in ordine.

Perché è tutto buio, non dirmi che hai dimenticato di pagare la bolletta della luce e...?” si era interrotto nell'osservare lo scenario romantico che il giovane aveva creato in sua assenza.

Oddio, non dirmi che ho dimenticato una ricorrenza” si era lasciato sfuggire mentre Kurt solleva gli occhi al cielo ma accettava di buon grado quel bacio sfiorato a mo' di saluto.

Zitto e siediti” aveva convenuto e non si era meravigliato dello sguardo allusivo e divertito di Sebastian che aveva fatto scoccare la lingua sul palato prima di prendere posto, un sorriso a dir poco sornione.

Mhm, mi eccita quando cominci a darmi ordini” e Kurt dovette ringraziare che la penombra della stanza celasse ad entrambi il suo rossore. Si domandò distrattamente se mai sarebbe stato in grado di fronteggiare quella sincerità tanto sfrontata e sfacciata.

Non rispose ma depositò di fronte a Sebastian un piatto con coperchio, prima di fargli cenno di sollevarlo: cosa che fece rivelando una crème brûlée.

Non è il mio compleanno” aveva ribattuto l'altro per poi sorridere. “E non conterrà un po' troppe calorie?” aveva chiesto sornione, cingendogli la vita sottile e strappandogli un vezzoso verso di divertimento. Si era dolcemente divincolato prima di estrarre una fotografia dalla tasca e porgergliela. Lo vide inarcare le sopracciglia nel prenderla per poi osservarla e i suoi lineamenti ne tradirono l'iniziale sorpresa prima che un sorriso più suadente gli sfiorasse le labbra.

Inarcò le sopracciglia.

E così te lo sei ricordato, infine, Ammèl” aveva convenuto.

Era passato molto tempo, eppure lo sguardo aveva ancora lo stesso scintillio sicuro di sé, lo stesso sorrisetto suadente ed allusivo che gli fece sgranare gli occhi alla realizzazione.

Sentì le proprie guance imporporarsi e il cuore sembrò restare sospeso in gola mentre il dubbio diveniva sempre più palese.

Tu lo ricordavi... fin dal primo momento?”.

Persino da quando si erano conosciuti e tra loro era subentrato quell’antipatia? E non ne avrebbe mai fatto parola se lui non avesse trovato, per puro caso, quella fotografia? Lo aveva ricordato per tutti quegli anni, mentre lui – dopo la morte della madre – aveva smarrito ogni ricordo?

Ci ho messo un po' di tempo a collegare le due cose” convenne con una lieve scrollata di spalle che, se possibile, fece solo accrescere la curiosità e l’incredulità di Kurt.

E non mi hai detto nulla”. Si era morsicato il labbro quasi a disagio.

Sapevo che prima o poi ci saresti arrivato ma se credi che userò questo aneddoto per il tuo compleanno, allora mio caro Hummel-”.

Non aveva terminato la frase perché Kurt gli aveva appoggiato un dito sulle labbra e si era chinato in sua direzione. Avrebbero avuto tutta la vita davanti per discutere di questo e dell’inizio di quel loro rapporto. Avrebbe avuto altre occasioni per ripercorrere quel primo incontro, ma vi era una dolce consapevolezza che, in fondo, avevano sempre saputo di appartenersi.

Ad una maniera del tutto particolare.

Hummel-Smythe, prego” aveva sussurrato, la fede che scintillava al riflesso delle candele mentre la metteva in bella mostra.

Lo sguardo smeraldino guizzò compiaciuto mentre lo attirava dolcemente a sé.

Tutto si può dire di me, dopotutto, tranne che non rispetti le promesse”.

 

Un altro raccontino molto semplice, come avete visto, ma all’insegna di qualcosa di più tenero e romantico di cui, davvero, non potevo fare a meno.
Sarà il mio ultimo appuntamento, quello stabilito per domani: la Week lasciava libera scelta tra una one-shot A/U o Crossover.
Ho optato per il Crossover ma non vi svelerò altro, a domani dunque! :)


[1] Traduzione “Ma come ti vesti?”.

[2] “Allora?” “Rispondimi, dunque!”

[3] Da qui ho inserito volutamente qualche errore di scrittura, per rendere l’idea di un inglese maccheronico.

[4] Sebastian voleva dire “genitori” che in francese si dice “parentes”.

[5] Traduzione “va bene”.

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Capitolo 7
*** Crossover - Gossip Glee ***


Eccoci all’ultimo appuntamento della Kurtbastian Week, passata anche più rapidamente di quanto avevo immaginato, malgrado stessi lavorando su queste tracce da quasi un mese, ma bando ai rammarichi e alla nostalgia.

Questa è stata in assoluto la prima storia della Kurtbastian Week che abbia scritto: è cominciato una Domenica mattina in cui ero particolarmente ispirata e sono letteralmente sgusciata dal letto. Questa fan fiction non sarebbe stata possibile se Irene, a cui la dedico per quanto sia un gesto semplice e riduttivo rispetto alla nostra amicizia, non mi avesse spronato a conoscere Gossip Girl. Devo ammettere di aver avuto molti pregiudizi e tuttora alcuni elementi della fiction mi lasciano a desiderare, ma sono felice di essermi fidata di lei, anche in qualcosa di così semplice. Mi sono lasciata sedurre dagli intrighi di Blair, dal mistero alla base della fiction e dai tanti volti e vicende che si intrecciano e ho pensato che un Crossover con Kurt e Sebastian fosse irresistibile. Seppur A/U per una questione di trama, ma lo vedrete.

Per coloro che non conoscono Gossip Girl, vi tranquillizzo perché non ci saranno menzioni particolari che vi impediranno la lettura scorrevole, ma comunque provvederò ad inserire qualche breve nota che possa aiutarvi. Per coloro che la conoscono, non c'è una cronologia precisa a cui affidarsi ma spero che il divertimento sia doppio.

Rinnovo i ringraziamenti a chiunque abbia letto, recensito, preferito, seguito e ricordato questa Week, ne sono molto onorata.

Un bacione alla mia Blaine e Sebastian e non mi resta che augurarvi una buona lettura!

 

CROSSOVER: 

Gossip Glee

 

 

Sono Gossip Girl[1], la vostra sola fonte di notizie sulle vite scandalose dell'élite di Manhattan.

Anche quest'anno l'inverno si preannuncia gelido, amici dell'Upper East Side; sembra il momento che una torbida passione possa scontrarsi con il drastico calo delle temperature. E, per mia fortuna, la mia Principessa preferita è sempre pronta a far parlare di sé.

Avvistati: B che ospita un uomo nel suo letto e... non si tratta di Chuck Bass. E neppure di Nate Archibald...

 

 

Un lieve mugugno e la giovane si era tolta la fascia che le copriva gli occhi: aveva emesso un lamentoso pigolio quando Dorota, la sua fedele governante, aveva schiuso le tende e lasciato che la luce del giorno entrasse nella stanza.

Deve alzarsi, signorina Blair, come diciamo in Polonia...”.

Mhm, va via, Dorota” aveva pigolato la giovane che si era ulteriormente rannicchiata contro le coperte, incurante dei bonari rimproveri della sua dipendente.

“Come desidera ma poi non si lamenti con me se arriverà in ritardo e dubito sua madre sarà comprensiva: è la settimana della moda e ha bisogno di tutto l'aiuto possibile[2]”.

La giovane Waldorf le aveva fatto un cenno imperioso con la mano e un mugugno più forte: se non avesse voluto disturbare il cosiddetto sogno di bellezza del giovane accanto, l'avrebbe già minacciata con parole ben più eloquenti e il suo caratteristico tono perentorio. Si era messa di un fianco, abbracciando ancora il cuscino, prima di osservare con un sorriso il viso del ragazzo: sembrava davvero fatto di porcellana, come poi veniva comunemente definito seppur in un'accezione del tutto ironica. Dopotutto qualcosa di buono Hamphrey[3] l'aveva anche fatta, conducendolo a quel brunch nel quale si era subito contraddistinto per la sua splendida mise e il gusto impeccabile per la moda. Quando aveva saputo del suo trasferimento a New York e della sua ricerca di un lavoro nell'ambito della moda, era stato automatico far cadere casualmente l'attenzione su di lui – era bastato avvicinarsi e far scattare una fotografia da Penelope[4] e inviarla a Gossip Girl. In vero, non si era dimostrato soltanto la sua anima gemella in quanto a competenza nell'ambito della moda (anch'egli la considerava un'arte che attingeva anche alla storia e lo dimostravano alcuni elementi decisamente retrò del suo guardaroba colorato e multi - accessoriato) ma ne amava la tempra ironica e quel pizzico di vanità, la sua scrupolosa cura di se stesso che nascondevano un animo più fragile e sentimentale.

Qualcosa che, in fondo, riusciva ad accomunarli. Se lo avesse conosciuto prima, non avrebbe mai avuto bisogno di quella biondastra butterata e... scosse il capo. Non voleva certamente rovinarsi la mattinata partorendo pensieri omicidi nei confronti di S[5]. Sarebbe soltanto occorso del tempo perché tutti ne comprendessero la sua vera natura ed ella restasse sola quando anche quel bifolco di Humphrey avrebbe compreso che... ma perché vi stava ancora pensando?

Suo malgrado, per quanto detestasse le prese di iniziativa di Dorota, che le facevano venir voglia di rispedirla in Bielorussia o da qualunque paese dell'Est Europa provenisse la sua famiglia, non poteva ignorare quell’ammonimento e sapeva che sua madre non sarebbe stata affatto flessibile.

Aveva sorriso e si era avvicinata al giovane, rannicchiandosi contro il suo pigiama di seta, cingendolo appena e sfiorandogli la guancia con un bacio.

Lo sentì mugugnare qualcosa.

Dormito bene?” aveva domandato e, lentamente, il giovane aveva schiuso le palpebre per rivelare quelle iridi più splendenti degli zaffiri di cui ella stessa amava circondarsi. Lentamente le sue labbra si mossero in un sorriso, seppur sostò qualche altro istante contro il guanciale.

Meravigliosamente bene: mai sentito un materasso più comodo” aveva convenuto e la giovane non aveva potuto trattenersi dall'emettere uno sbuffo divertito. Non che ne dubitasse: era soltanto perché conosceva Kurt e la sua cura di se stesso se ospitava qualcuno che aveva respirato la stessa aria del loft più simile ad una discarica di Dan Humphrey. Lo stesso nel quale, e represse il pensiero con un brivido di disgusto, spesso aveva pernottato la sua acerrima nemica.

Si era addolcita nell'osservarlo e aveva sorriso ulteriormente prima di accoccolarsi maggiormente alla sua spalla e sentirlo sfiorarle gentilmente i capelli, quasi a volerla ulteriormente cullare per un altro breve istante.

Vi era sempre stata un'intesa particolare, aveva convenuto Blair: riuscivano a comprendersi e non soltanto quando condividevano opinioni e pareri sugli abiti che la madre metteva in mostra nelle sue sfilate ma spesso la loro comunicazione, seppur mancasse di parole di particolare stucchevolezza, riusciva a lenire al tutto con un semplice gesto. Si era sempre sentita al sicuro nel suo abbraccio, una sensazione che non aveva più provato da quando suo padre si era allontanato dalla madre o almeno fino a quando la madre non si era risposata.

E' la prima volta che indosso lingerie nuova dormendo con un ragazzo e non rischiando che mi sia strappata rudemente via” aveva commentato con tono più frivolo e compiaciuto che aveva fatto appena arrossire Kurt all'allusione a Chuck Bass e al suo precedente fidanzato, Nate per il quale – mai lo avrebbe confessato – aveva avuto un'infatuazione fin dalla prima volta che ne aveva scorto il profilo a quel brunch in cui Dan lo aveva condotto, invitato da Serena. Colei che, nelle ultime ore, era divenuta rappresentante del “fronte nemico”.

... che è esattamente il motivo per cui le madri adorano gli amici gay delle figlie e poi rovinare una vestaglia di Raulph Lauren!” era letteralmente rabbrividito alla sola prospettiva e Blair aveva riso, pizzicandogli il naso.

Sei la mia anima gemella gay, Kurt Hummel. Sei sprecato per Brooklyn e Humphrey”.

Kurt aveva schiuso le labbra, quasi in procinto di dire qualcosa ma vi aveva ripensato: in fondo, non era il caso di suscitarle qualche attacco nevrastenico di prima mattina circa le sue supposizioni di quanto, invece, sarebbero stati una coppia interessante. Il fascino fine ed elegante, capriccioso e vanitoso di Blair, Principessa di Manhattan e quello più urbano e trasandato, dal capello e dalla barba incolti – almeno fino a quando non lo avrebbe trascinato lui stesso da un barbiere di fiducia – di Dan Humphrey.

All'ennesimo richiamo di Dorota, avevano esclamato entrambi un “Il bagno è mio!” prima di scapicollarsi verso lo stesso.

Sospirò quando una Blair trionfante si chiuse la porta alle spalle: “Posso usare le tue creme?” aveva gridato dall'interno per poi ridere con un “Grazie, sei un amore!” prima ancora che potesse proferire risposta.

Aveva scosso il capo e si era lasciato ricadere sul letto, sentì i capelli afflosciarsi nell'esatto momento in cui toccò il materasso e si passò una mano sul viso.

Ma quando vide Blair uscire in accappatoio ed esaminare il suo vasto guardaroba, non poté trattenersi dal sorridere mentre le passava accanto e la sentiva strillare dopo averle stropicciato affettuosamente i capelli.

Non adesso, Kurt, ho un'emergenza moda da affrontare prima del pranzo e ancora non so cosa indossare stasera alla festa di Chuck”.

Dopo averle indicato il cerchietto che si sarebbe perfettamente abbinato alla mise del giorno, nonché averle suggerito quali scarpe abbinare e averla vista girarsi su se stessa con fare compiaciuto, dovette sorridere.

Forse, in qualche particolare accezione, erano veramente anime gemelle.

 

~

 

 

Anche quella mattina non poté fare a meno di domandarsi per quale motivo ancora sostasse nella casa di Lily Van Der Woodsen[6] ( o era Buss e poi Humphrey?), quella sorta di mausoleo che assomigliava ad un misto tra un bordello, a giudicare dai ragazzi e gli uomini che l'avessero frequentata per anni alla mercé di Lily e di Serena (e poi lui era giudicato dai bigotti il “prostituto” di famiglia?) e una sorta di mostra d'arte contemporanea. Anche quella mattina, un ghigno stampato sul viso mentre contemplava il suo riflesso dallo specchio del bagno ornato di marmo, si disse che dopotutto avrebbe potuto trarre un qualche vantaggio dall'avere per “mammina” una donna la cui vastità di esperienze in ambito sessuale era pari soltanto alla quantità di zeri del suo conto bancario. Non che l'avesse mai considerata una figura materna e, se fosse dipeso da lui, avrebbe beatamente continuato a vivere la sua vita parigina con il padre e la sua nuova compagna, la donna che lo aveva cresciuto, quella che si era dedicata sempre e soltanto a suo padre, Thomas Smythe[7]. Ma poiché la cara mammina si era lasciata prendere da qualche pseudo rimorso di coscienza – volubile almeno quanto gli abiti che indossava e che per, spasmodico e vitale bisogno, cambiava spesso almeno quanto l'intimo – che cosa gli impediva, dopotutto, di trascorrere nella nota città americana quelle due settimane? Soprattutto se ciò comportava il poter girare in limousine, avere accesso a ristoranti e feste e luoghi di intrattenimento; avrebbe anche potuto sopportare stoicamente quella situazione degna di uno sceneggiato televisivo di pessima specie.

A fare tanto atmosfera da fiction adolescenziale, sembrava che tutti in quella città – e quella famiglia di svitati che lo ospitava non faceva certo eccezione – fossero ossessionati da un'anonima e psicopatica nevrotica che, evidentemente incapace di una vita sociale e/o sessuale, sembrava raggiungere l'orgasmo intellettuale nel diffondere notizie e pettegolezzi, scandali e retroscena delle famiglie più note e prestigiose. Tale soggetto si faceva chiamare Gossip Girl e sembrava che nessuno avesse la benché minima idea di chi fosse la pettegola in questione; che lui personalmente aveva ribattezzato Psyco Stalker Girl.

Non che non avesse meditato di vendere lui stesso le confessioni di un figlio gay abbandonato dalla bizzosa Lily Van Der Woodsen quando ancora in fasce, in seguito ad una breve e torbida relazione. Ma perché rovinarsi il soggiorno con lacrimevoli accuse ed eccessi di isterismo di due arrapate donne mestruate che, quando non riempivano la giornata con il marito/fidanzato del momento, sembravano crogiolarsi nell'eccitante attività di darsi ad un'appassionata litigata con una nevrotica ancora più mestruata. Oppure – gioia di tutte le gioie – partecipare a gala e cene lussuose per il puro gusto di finire sui giornali ed essere viste come icone di moda e di filantropia.

Quell'ambiente non era decisamente sano neppure per un gay e probabilmente l'unico modo di sopravvivervi senza perdere l'uso della ragione, era vivere nella propria ed incantevole bolla di sapone: limitarsi a far strisciare la carta di credito di Lily e cercare qualche locale gay – Chuck Bass[8] (il fratellastro della sua sorellastra o qualcosa del genere) era sembrato interessato alla sua idea – in cui trascorrere la serata, il più lontano possibile da quell'eccesso di estrogeni e di profumi mangia-uomini.

Giunto alla cucina aveva arricciato le labbra in una smorfia di disgusto a quell'evidente quadretto familiare che sembrava tanto l'icona della perfetta famigliola felice e, ancora una volta, dovette sforzarsi per trattenersi dallo sciorinare una delle sue impietose battute o verità scomode. Soltanto quando Lily lo richiamò mettendosi in piedi e sorridendogli, si limitò a farsi avanti e prendere posto accanto a Serena. Allungò il braccio verso la caraffa del caffè mentre Lily tornava a parlare alla figlia, evidentemente avvinta dall'ennesimo dilemma adolescenziale su quale cerchietto far ingoiare a Blair Wandolf oppure quale fosse il prossimo ragazzo con il quale sarebbe uscita, così da anticiparne le mosse e scoparselo, possibilmente nel retrobottega di un matrimonio ancora in corso, giusto per dare alla sveltina un carattere più “sacro”.[9]

Tu e Blair attraversate sempre qualche piccola crisi: certo quando tra l'una e l'altra incorre così poco tempo, probabilmente varrebbe la pena chiedersi se ne valga la pena”.

Serena aveva sospirato con fare melodrammatico nel riporsi le ciocche di capelli dietro l'orecchio e cincischiare con la forchetta nel proprio piatto.

E' la mia migliore amica e, al contempo, la mia peggior nemica: per quanto tempo dovremo continuare a distruggerci?”.

Serena” l'uomo al fianco di Lily di cui non ricordava il nome aveva preso a sua volta la parola: evidentemente ogni tanto doveva ricordarsi di essere l'uomo di casa. A quanto aveva compreso il suo unico contributo, da quando era giunto in quella casa, era stato quello di farsi quasi sottrarre la neo-moglie dal suo primo ex marito e poi, cosa? Coprire la scervellata bionda da una disperata crisi di identità a causa della quale aveva rimandato a data da stabilirsi il suo ingresso alla Brown per poi decidere di seguire la “migliore amica barra nemica”.

A quel punto aveva ufficialmente spento i suoi sensori di ricezione dell'udito mentre un sorriso quasi perverso gli sfiorava le labbra – improvvisamente così secche da doversele lambire lentamente – al ricordo di uno di quei riccastri figli di papà che gravavano intorno a quella casa. Un peccato che fosse troppo interessato alla sodezza del suo sedere per ricordarsi il nome, anzi no, convenne tra sé. Valeva decisamente la pena ricordare i suoi pensieri su quanto sarebbe stato appagante poter-

Sebastian?” aveva sbattuto le palpebre nel momento in cui la donna aveva allungato la mano verso il suo braccio. “Mi stavo chiedendo: la festa di Charles” aveva notato quanto ancora una volta la sua voce aveva assunto quell'intonazione nasale. Era così irritante, senza contare che è inutile che gli improvvisi un nome d'arte, gallina decrepita: hai una figlia battona d'alta società e un figliastro puttaniere e promotore della prostituzione etero, bisessuale e gay. [10]

E poi seriamente? Come si poteva dubitare del suo nome di battesimo quando il suo era un disco rotto che ripeteva costantemente “sono Chuck Bass”; evidentemente il viagra naturale più potente a cui ricorresse prima di masturbarsi nella sua limousine.

Strinse i pugni lungo i fianchi e cercò di trattenersi dal pronunciare quelle parole.

... potrebbe essere un'ottima occasione per presentarti ufficialmente e andarci tutti insieme come una famiglia” sbatté educatamente le palpebre quasi aspettandosi ch'ella si rendesse conto di quali parole aveva effettivamente pronunciato.

Esattamente quale famiglia?” si sentì replicare, la tazza di caffè ancora sospesa tra le mani. “Temo di aver perso il contro tra ex mariti, defunti mariti e vecchie fiamme che diventano i nuovi mariti, senza offesa Reginald”.

Rufus” aveva risposto l'altro a denti stretti.

Il fatto che io non mi ricordi il tuo nome dovrebbe spiegarti quanto mi importi” aveva risposto impietosamente ma prima che l'uomo potesse reagire – sembrava stesse perdendo le staffe – Lily gli aveva posto una mano sul braccio quasi ciò avesse potere lenitivo sulla ferita che doveva aver posto al suo amor proprio. Probabilmente ben poco restava quando si poteva legittimamente dubitare che degli uomini incontrati durante una giornata, la legittima moglie se ne fosse portati a letto almeno la metà.

Posso chiederti almeno, fino a quando resterai sotto questo tetto, di provare a sforzarti di essere quanto meno educato?” al solito Lily dava sfoggio di quel parlare pacato e gentile. Sembrava che nulla potesse scomporla e le sopracciglia si sollevavano appena, nessuna ruga ne increspava la fronte ma molto probabilmente ciò era imputabile alla bravura del chirurgo estetico.

Un vago sorriso gli increspò le labbra mentre si sollevava dalla propria sedia per poi indossare il proprio cappotto.

Signore e nuovo marito, se poteste cortesemente scusarmi, avrei delle commissioni che mi attendono. Nel frattempo siete tutti pregati, cortesemente si intende, di andare a farvi fottere” aveva sorriso dell'espressione scandalizzata che era apparsa sul viso della donna improvvisamente pallida e della reazione indignata dell'uomo che si era sollevato così bruscamente da far cadere la sedia alle sue spalle.

Possibilmente con lo stesso partner, la sifilide è davvero una gran brutta faccenda a quanto ho sentito. E, Serena” si era volto verso di lei con le sopracciglia inarcate e un ghigno che ne fece illuminare le iridi. “... visto che siamo in vena di confidenze familiari, sono stato io a mandare a Gossip Girl il video di Blair, temo di aver firmato con il tuo nome. Buona giornata”.

Un ultimo e affettato sorriso, aveva sentito Serena alzarsi dal tavolo e provare ad inseguirlo coi tacchi, prima di premere il pulsante dell'ascensore, dopo averle rivolto un ultimo e suadente sorriso.

Dopotutto, la vita a New York continuava a non essere noiosa.

 

~

 

 

Evidentemente il nervosismo e lo stress erano componenti essenziali ed imprescindibili quando, come nel caso della sua referente, nonché leader e proprietaria dell'atelier cui aveva dato il proprio nome, ci si avvicinava ad un evento di fondamentale importanza nell'ambito lavorativo.

La nuova collezione autunnale, infatti, avrebbe dovuto dare nuovo slancio alle industrie Waldorf dopo una battuta di arresto in seguito alla crisi economica; anche l'abbigliamento aveva bisogno di nuovi orizzonti e vedute ed ella non mancava in tale occasione di servirsi anche della fantasia e dell'ingegno dei suoi sottoposti.

Kurt non faceva eccezione ma ciò non lo esimeva dal dover collaborare anche ad una maniera più umile come l'acquisto delle miscele di caffè preferite per tutti i membri del meeting di metà mattinata. Era un sacrificio cui, tuttavia, si prestava ben volentieri, soprattutto l'idea del prestigio che il cognome Waldorf avrebbe apportato sul suo curriculum nonché una dimostrazione di come il sogno americano potesse realizzarsi: e da semplice tirocinante divenire, un giorno, lui stesso direttore di un atelier d'alta moda. Un sorriso trasognato ne aveva illuminato le iridi azzurrine mentre, un vassoio carico di bicchieri di plastica i cuoi coperchi erano contraddistinti per colore ad indicare la diversa miscela, si era voltato rapidamente, dopo aver pagato.

Così facendo, un verso stridulo di sorpresa e di imbarazzo, cozzò contro il soprabito di un ragazzo e se aveva sgranato gli occhi alla vista del caffè versato sullo stesso, (“Mi dispiace, sono desolato: ero completamente sovrappensiero!” aveva squittito) quando l'attimo dopo indietreggiò e sollevò lo sguardo, fu un'altra emozione quella che gli trasfigurò il viso.

Aveva boccheggiato e le sue gote si erano colorate di una delicata sfumatura rosata mentre, il viso leggermente reclinato data la differenza d'altezza, non poteva fare a meno di rimirare il viso del giovane. Doveva avere più o meno la sua stessa età: una figura alta e statuaria dalle spalle larghe e la silhouette ben delineata seppur si riuscisse ad intravedere pettorali e bicipiti tonici di chi doveva tenersi in forma con esercizio fisico, palestra probabilmente.

Il viso era un perfetto ovale, aveva lineamenti cesellati ad arte e sulla fronte ricadevano ciocche di capelli di un biondo cenere, vaporosi e ben curati in quel caschetto. Si sentì totalmente avvinto dal suo sguardo smeraldino e dalla piega delle belle labbra dal taglio virile mentre osservava la chiazza colorata.

Kurt arrossì ancora più intensamente. Aveva avvicinato timidamente una salvietta al suo cappotto, il viso ancora reclinato ad osservarlo.

Mi rincresce moltissimo: mi permetta di pagargli la tintoria, io...” si interruppe nel notare il sorriso che aveva curvato le labbra del giovane, dopo quel primo istante in cui aveva contemplato il disastro con una vaga smorfia.

Potresti pagarmi il caffè: caldo e corretto col cognac” aveva replicato, le braccia incrociate al petto mentre lo scrutava con un sorrisetto saputo ed allusivo, scrutandone la figura con interesse che ne fece scintillare le iridi e procurò a Kurt un singulto strozzato. Aveva annuito, tuttavia, controllato l'ora e depositato il vassoio sul primo tavolo libero, per poi voltarsi verso il balcone, cercando lo sguardo del barista per la nuova ordinazione.

Era trasalito e aveva sussultato quando aveva sentito il fiato caldo del giovane sulla propria nuca e il suo respiro a soffiargli nell'orecchio.

Solitamente non mi faccio offrire il caffè da un altro gay sconosciuto” e Kurt era sobbalzato prima di voltarsi in sua direzione: le sopracciglia inarcate e le labbra schiuse per l'imbarazzo e l'incredulità.

Cosa... come...?” Come aveva fatto a capire che fosse... un momento. Aveva appena detto lui stesso di essere omosessuale? Scosse il capo come a rimuovere quel pensiero spontaneo e repentino ma, quasi fosse riuscito a leggergli il pensiero, lo sconosciuto sogghignò maggiormente.

A giudicare da come mi hai scrutato o lo sei sempre stato o lo sei diventato negli ultimi tre minuti” aveva replicato in tono perfettamente composto e divertito, indugiando nuovamente con lo sguardo sul suo volto, facendolo boccheggiare ed arrossire mentre indietreggiava istintivamente.

Signore, signore... voleva ordinare?” il barista aveva sbuffato l'ennesima volta prima di richiamarlo. Kurt era stato lieto di poter avere un espediente per riprendere lucidità prima di ordinare l'ennesimo bicchiere di caffè oltre a quello che aveva versato in parte sulla giacca del giovane alle sue spalle.

Si era voltato e aveva boccheggiato quando il giovane sembrava essersi volatilizzato fino a quando non lo scorse seduto sullo stesso tavolo cui aveva appoggiato il vassoio. Gli posò di fronte il caffè corretto col cognac, fece per riprendere il vassoio ma l'altro era stato lesto ad allontanarlo dalla sua portata. Aveva sorriso, schioccando la lingua sul palato.

Continuo a non accettare il caffè dagli sconosciuti” aveva recitato nuovamente e Kurt dovette trattenersi dal sorridere con fare troppo languido seppur si rendesse conto di essere completamente alla mercé dei suoi occhi.

Kurt Hummel” aveva sussurrato porgendogli la mano che il giovane aveva ignorato mentre continuava a scrutarlo pensierosamente, lambendosi lentamente le labbra ancora prima che il caffè le sfiorasse. Così facendo suscitò un singulto strozzato a Kurt che dovette ricordarsi di essere atteso da Eleanor e dai suoi collaboratori.

Sebastian Smythe” aveva replicato, indicandogli con il mento il posto di fronte al suo ma Kurt si era morso il labbro.

Scusami Sebastian, è stato un piacere e se vorrai che ti paghi la lavanderia...”.

Lascia perdere la lavanderia: sarebbe scortese lasciarmi solo a prendere un caffè che mi hai così gentilmente offerto” aveva continuato in tono blando e la sfumatura soave della voce che contrastava con quel sorrisetto allusivo e sicuro di sé. “... Kurt” aveva soggiunto, pronunciando il suo nome ad una maniera tale che il giovane sentì letteralmente la terra mancargli sotto i piedi. Un suono quasi languido e sensuale per il modo in cui le sue labbra si erano schiuse e il tono era divenuto roco nel pronunciarlo, quasi lo stesse letteralmente assaggiando.

Io...” oh quanto avrebbe voluto! “mi dispiace, magari un'altra volta e...” si era sporto per riprendere il vassoio ma il giovane nuovamente lo aveva spiazzato cingendone il braccio, pur restando seduto, il viso sollevato a rimirarlo.

Fu un momento di stasi nel quale quel contatto fece scorrere un brivido lungo la spina dorsale di Kurt. Così presi da quell'improvvisa contemplazione da non essersi accorto di Penelope che, un sorriso suadente sul volto, scattava una fotografia.

Pochi istanti dopo quasi tutti i cellulari dei presenti, compreso quello di Kurt, presero a suonare ad indicare l'arrivo di un messaggio. Kurt si aggrappò persino a quell'espediente mentre, una volta liberatosi della pressione dell'altro, estraeva l'iPhone dalla tasca del soprabito per poi paralizzarsi quando, dalla consueta finestra che indicava il messaggio di Gossip Girl, vide i loro volti riprodotti.

 

Se le regine del dramma, B e S, in quest'uggiosa giornata autunnale hanno deciso di abbandonarmi, fortunatamente posso sempre contare sulla gentile collaborazione di parenti misteriosi arrivati clandestinamente o di amicizie recenti e già compromettenti.

Avvistati in uno Starbucks del centro: l'amico gay della Principessa B. con nient’altri che il fratellino di S.

E a giudicare dalla stretta, sembra che ci sia qualcosa che sta bollendo ma non è soltanto il caffè...

 

Che c'è?” aveva domandato Sebastian che, il caffè ancora tra le dita, stava scrutando il giovane.

Kurt fissava il display e, dal colorito pallido in viso, sembrava prossimo allo svenimento.

Tu sei il fratello di Serena Van Der Woodsen” aveva pigolato e, di fronte al suo sguardo attonito, aveva mostrato il proprio cellulare. Il giovane aveva aggrottato le sopracciglia nel leggere la notizia appena pubblicata sul celebre blog prima di sorridere allusivo.

Siamo venuti bene: ma forse dovremmo impegnarci per un vero scandalo” aveva sogghignato ma Kurt neppure sembrò averlo udito.

Hai detto di essere Sebastian Smythe!” lo aveva accusato con voce più stridula che lo aveva fatto sospirare prima di stringersi nelle spalle.

Siamo solo fratellastri, padri diversi” spiegò in tono spiccio ed indifferente.

Ma è orribile!” aveva strillato Kurt con voce in falsetto che fece ridere il suo interlocutore.

Perché credi che ogni notte mi svegli urlando?” Kurt aveva alzato le mani a zittirlo, evidentemente agitato.

Tu non capisci: a quest'ora Blair lo avrà già letto, posso considerarmi un uomo morto e sono in ritardo da quella tiranna di sua madre, quindi sono morto e nuovamente morto” aveva continuato a parlare in tono agitato.

Non credi di star leggermente esag-”.

Kurt!”

Sebastian!” si erano entrambi riscossi alla vista delle due giovani che si erano fermate di fronte al loro tavolino: avevano scrutato entrambi prima di fissarsi l'un l'altra.

“E TU CHE CI FAI QUI?” si erano aspramente rimbeccate mentre Kurt gemeva, una mano sul viso.

Che ti avevo detto?” aveva pigolato, afferrando nuovamente il vassoio mentre Blair, dopo aver scambiato altre occhiate di fuoco con Serena, lo afferrava per il braccio.

“Andiamocene, Kurt, non è luogo per noi” aveva commentato altezzosamente fissando schifata la sua rivale. “Avanti, facci un video mentre usciamo guardandoti con disprezzo”.

Per l'ultima volta B, non sono stata io a filmarti insieme a Chuck, è stato.. Sebastian!” il giovane si era alzato dalla sua postazione, una mano affondata nella tasca del suo soprabito, l'altra che reggeva il suo caffè, passò davanti a tutti senza degnare di alcuno sguardo le due litiganti.

Solo quando passò vicino a Kurt, schiuse appena le labbra.

Stasera, all'Empire Hotel di Chuck Bass, non mancare”.

Kurt boccheggiò e, le voci di Serena e Blair registrate in un angolo remoto della sua mente, continuò ad osservare la figura del giovane mentre si faceva largo tra la folla prima di uscire in strada.

Occorse molto tempo e un'invettiva di Blair perché si rendesse conto che non aveva ancora smesso di sorridere.

 

~

 

Come aveva immaginato, ben lungi dall'essere la serata di beneficenza tanto decantata dagli articoli dei giornali, quella serata avrebbe ospitato, nello stesso salone celebrativo, l'élite di Manhattan. Che altro non consisteva in donne di mezza età che ancora cercavano un anelito di popolarità: evidentemente avere un conto bancario spropositato non compensava la mancanza di un minimo senso in tante vite futili. Che lui riuscisse a sentirsi la voce della moralità in quel contesto nel quale tutto ciò che contava era il denaro, il lusso e le apparenze sociali, era abbastanza eloquente del tipo di situazione nella quale si fosse cacciato.

Era stato particolarmente soddisfacente, tuttavia, illudere Lily di aver abboccato alla sua iniziativa da “famigliola felice ed unita” ed era certo che la figlia fosse ancora troppo scossa dal recente litigio con Blair e si stesse preparando ad un'altra serata, per dirle quale fosse il proprio intento.

Aveva osservato il suo riflesso con evidente soddisfazione: dopotutto quei tight d'alta moda non facevano che metterne in risalto la figura longilinea e, tanto per entrare bene nel ruolo, aveva modellato i capelli perché gli ricadessero all'indietro, mettendo così in risalto i bei lineamenti e la lieve spruzzata di barba.

Si era presto scostato dal clan Van Der Woodesn-Humphrey con la scusa di prendere un drink ma aveva cominciato a far vagare lo sguardo tutto attorno, domandandosi se avrebbe scorto un viso familiare tra tante persone anonime, per quanto tutte calzanti abiti di alta sartoria o circondate da lustro e sfarzo che, così riunito, diveniva quasi pacchiano e persino qualcosa di naturale.

Scosse il capo tra sé, prima di avvicinarsi al balcone per farsi preparare da bere: il bicchiere tra le dita e il gomito appoggiato indolentemente sulla superficie piana mentre faceva nuovamente vagare lo sguardo sulla sala. La sua lenta e annoiata contemplazione si interruppe nello scorgere una familiare sagoma e un sorriso gli curvò le labbra prima di rimettersi eretto e, dopo aver ordinato un bicchiere di champagne, si rimise in piedi.

Si stava guardando attorno con lo stesso entusiasmo di un bambino nello scorgere qualche viso evidentemente familiare: era evidente che quell'ambiente gli suscitasse una sincera trepidazione, il braccio porto cavallerescamente alla capricciosa Blair, fino a quando Sebastian non si era fermato alle sue spalle.

Si era chinato al suo orecchio come quella stessa mattina, il calice di fronte a lui e un sorriso nel sfiorare appena l'orecchio con la punta del naso.

Sei arrivato” aveva sussurrato con voce roca e flebile nell'orecchio, sorridendo del suo evidente trasalimento: l'attimo dopo si era volto in sua direzione, gli occhi sgranati di sorpresa, le labbra schiuse e le guance rosate.

Sebastian” ne aveva bisbigliato nuovamente il nome, quasi riuscisse a malapena a respirare.

Chuck Bass” si intromise un'altra voce suadente, nel volgersi al gruppetto per poi osservare la giovane e porgerle il braccio. “Un incantato Chuck Bass, se possibile questa sera sei persino più splendida".

Lo so” Blair aveva scrollato le spalle seppur un sorriso compiaciuto le curvasse le labbra: lasciò il braccio di Kurt dopo aver scambiato uno sguardo allusivo e si strinse a quello di Chuck. 

Signori, buon divertimento” si rivolse a questi ultimi. “E se avete bisogno di una suite, non esitate a farmelo sapere” aveva ammiccato in direzione di Sebastian che aveva fatto schioccare la lingua sul palato, lo sguardo ancora incatenato a quello di Kurt.

Non mancheremo” aveva commentato, il sorriso persino più esteso al vedere il giovane imbarazzato.

 

 

Era sempre stato romantico di natura, in vero, Kurt ma – appena varcata la soglia del lussuoso hotel - non aveva potuto fare a meno di domandarsi se nuovamente avrebbe incontrato il giovane di quella mattina. Vi era qualcosa nel suo sguardo, nel suo modo di sorridere così sicuro di sé e del suo fascino, quel modo di agire molto più estroverso e sfacciato che riusciva, ad una maniera del tutto particolare, a metterlo in soggezione. O probabilmente era il ricordo ancora palpabile dell'esatta sfumatura delle sue iridi: il solo pensiero di quello sguardo penetrante e del modo in cui avesse sussurrato al suo orecchio e persino di quella sorta di invito, erano sufficienti a strappargli il respiro. A renderlo davvero scalpitante e trepidante all'idea di rivederlo.

Non aveva neppure parlato ma era riuscito a riconoscerlo ancora prima che si palesasse e ne scorgesse nuovamente il volto, quasi una parte di sé gli fosse ormai così avvinta da distinguerne la presenza.

Non poté trattenere l'effluvio di emozioni a scorgerne nuovamente il viso: sembrava persino più affascinante in quel bel completo di marca, in quell'acconciatura che sembrava impreziosirne i lineamenti e conferirgli un alone più signorile e dovette ringraziare il suo impeccabile gusto per la moda, se non si era sentito a disagio da quel versante.

L'altra coppia si era appena allontanata che aveva visto il giovane porgergli la mano ed indicare la pista da ballo, dopo aver posato il suo bicchiere sul vassoio del primo cameriere di passaggio.

Vieni, diamo a Gossip Girl un motivo per cui parlare” aveva sussurrato in tono sardonico ed allusivo, di nuovo quel sorriso più suadente ma Kurt sentì le gote infiammarsi.

Qui...?”.

Kurt, di solito non porto un ragazzo che ho appena agganciato nel cubicolo di un gabinetto: sarebbe così volgare” aveva commentato, storcendo il naso ad una maniera così aristocratica ed altezzosa che Kurt avrebbe persino potuto ridere se non fosse stata ben altra emozione a scuoterlo nel profondo.

Probabilmente avrebbe dovuto essere quello il segnale a fargli comprendere che avrebbe seriamente rischiato di lasciarsi troppo andare: ma, di fatto, guardandosi nervosamente attorno, si stava lasciando condurre verso la pista da ballo.

Sebastian doveva averne intuito l'imbarazzo ma aveva sorriso maggiormente e, l'attimo dopo, con un fluido movimento, la sua mano ne aveva cinto il fianco e l'aveva avvinto a sé. Si era chinato al suo orecchio, un sospiro nuovamente appena percepibile.

Rilassati: non mordo, almeno fino ai preliminari” aveva alitato nel suo orecchio e il giovane aveva emesso un verso strozzato d'emozione e di indignazione.

Aveva sollevato il mento, le sopracciglia aggrottate per quel continuo schermirsi di lui: le braccia esili che ne cingevano il collo in un gesto più intimo e confidenziale, ignaro degli sguardi loro volti.

Le sopracciglia inarcate e le labbra piegate in un sorrisetto più allusivo.

Pensi davvero di arrivare a tanto?” aveva domandato, il tono volutamente ironico malgrado sostasse in quella posizione, dondolandosi a sua volta a tempo di musica e lasciando che gli facesse fare una lieve piroetta prima di avvincerlo nuovamente a sé, la presa ben salda sul suo fianco.

Non lo penso” aveva sussurrato contro il suo orecchio, facendo scivolare il respiro lungo la linea sensibile del suo collo. “Io lo so” aveva soggiunto, strappandogli un verso di indignazione ma una rapida risposta altrettanto ironica.

Ma più volte dovette cercare di non sorridergli, più volte di nascondere l'emozione di quel contatto o di non lasciarsi completamente annullare da quello sguardo che sembrava cercare qualcosa di preciso, scavare tra le sue emozioni e renderlo più vulnerabile di come si sentisse.

Persino quando, una volta allontanatisi dalla folla, si ritrovò premuto contro la parete, e il respiro di Sebastian contro il proprio orecchio, cercò di restare fedele a se stesso.

Persino negli sguardi che si incontravano a poche spanne, nel respiro più accelerato e in quel luccichio dello sguardo quando lo guardò: non lo stava semplicemente contemplando, sembrava volerlo letteralmente immobilizzare nello sporgersi al suo viso.

Aveva sentito tutto il sangue fluire al viso, la mano di Sebastian ancora avvinta al suo fianco, il suo respiro caldo sul viso ma si era irrigidito, le labbra tremanti.

Dovette accorgersene perché si fermò e Kurt arrossì ulteriormente ma fu lesto ad appoggiare le mani al suo petto, quasi a trattenerlo.

Scusami” aveva bisbigliato, la voce più rauca. “... mi piaci. Mi piaci molto” aveva soggiunto, le guance che si erano nuovamente arrossate, facendo sorridere l'altro giovane.

Questi aveva sfregato il naso contro la sua carotide, strappandogli un singulto strozzato e facendogli letteralmente scoppiare il cuore in gola, nel tentativo di restare lucido e presente a se stesso.

Ma... io...”.

Tutta questa timidezza è insolitamente eccitante” aveva replicato l'altro, il sorriso sulle labbra mentre sfilavano lungo la sua guancia, scivolando verso il collo, rendendo il respiro di Kurt persino più flebile. Fu con un enorme sforzo che riuscì ad aumentare la pressione sul suo petto così da farlo gentilmente scostare per rimirarlo in viso: si stava morsicando il labbro, lo sguardo basso e le guance ancora arrossate.

Mi dispiace, non posso... non così” aveva sussurrato con voce flebile.

Sentì la pressione di Sebastian sul suo fianco venir meno e pregò perché infrangesse quel silenzio sceso tra loro, fin quando non lo sentì sollevargli il mento così da rimirarlo in viso: le sopracciglia inarcate e lo sguardo interrogativo.

Non hai mentito: so di piacerti” aveva constatato guardandolo negli occhi e fu ancora più difficile per Kurt trovare le parole. “... allora qual è il problema?”.

Il mio primo bacio” aveva esalato, le guance infiammate e le labbra tremanti “... se prima potessimo frequentarci, conoscerci meglio, se tu volessi una-”.

Una relazione?” aveva domandato Sebastian ma, di fatto, si era già scostato, le braccia incrociate al petto e le sopracciglia inarcate.

“Torno in Europa tra due settimane, Kurt e temo di non essere il tipo da relazioni. Almeno quelle che durano più di quindici minuti, il tempo necessario per... sì, hai capito” aveva replicato e Kurt sentì il cuore strozzato in una morsa dolorosa, il respiro venir meno mentre gli sembrava che tutta l'aria fosse venuta a mancare.

Boccheggiò ma rimase silente.

Ma sembrava già aver capito, già deciso: si strinse nelle spalle e affondò le mani nelle tasche dei pantaloni, completamente incurante di sgualcirle a quella maniera.

Un ultimo sguardo o così lo interpretò Kurt.

Se cambiassi idea, saprai dove trovarmi. Buona notte, Kurt” non aveva atteso risposta e si era allontanato.

Lo aveva osservato a lungo, cercando di convincersi che la propria fosse stata la giusta decisione.

Ma sembrò arduo, terribilmente arduo, soprattutto nel loft che condivideva con Dan, quando, dopo essersi congedati, rimase a lungo seduto sul proprio letto a sfiorarsi le labbra.

Quasi riusciva a sentirlo: il dolore di un bacio mancato.

 

Chi aveva detto che la Francia fosse il paese dell'amore? Sicuramente non conosceva il fratellino rinnegato di S. Sembra proprio che il caro SebastiHard abbia portato dall'Europa qualcosa di più dello spazzolino da denti. Forse qualche abitudine che non era nota alla cara mammina?

Avvistato: SebastiHard che esce dal bagno di uno streap bar per gay nel quartiere più dissoluto della città; sembra che dopotutto non tutti soffrano il gelo invernale. E sembra, soprattutto, che io abbia trovato un nuovo amico.

xoxo Gossip Girl

 

 

Aveva lasciato ricadere il cellulare sul comodino accanto al letto, si era immerso maggiormente sotto le coperte.

Affondò il viso nel cuscino, morse le lenzuola e chiuse con forza gli occhi, sperò che il sonno lo raggiungesse subito.

 

~

 

Blair storse il naso mentre faceva scorrere la timeline della schermata del sito di Gossip Girl: sembrava che negli ultimi giorni, la tanto odiata fonte di gossip si fosse concentrata su un solo obiettivo. E come se non bastasse aveva bellamente ignorato i suoi spostamenti nonché la sfilata della madre, se non riportando soltanto un breve articolo mostrando una fotografia di Kurt particolarmente provato ed alludendo ad una “sindrome di mancanza da SebastiHard”.

Stai scendendo sempre più in basso, Gossip Girl” commentò tra sé e sé mentre tambureggiava con le dite smaltate sul touchpad del portatile.

Non che mi sorprendi, è figlio di Lily” aveva soggiunto con la stessa smorfia sprezzante. Si riscosse alla vibrazione del blackberry e lo sollevò per poi osservare il nome del chiamante. Premette il pulsante per ignorare la telefonata, prima di ricevere un sms.

[From Serena 11.24 AM]

B, rispondi. Non è una domanda.

Come se le Waldorf prendessero ordini da qualcuno” aveva borbottato infastidita, mentre Dorota, il pancione sempre più proteso per l'imminente e seconda nascita, prendeva a spolverare.

Signorina Blair, non può continuare ad ignorare la signorina Serena”.

Allora rispondile tu, sempre che in Polonia esista qualche rito voodoo che possa essiccarle le ovaie per linea telefonica”.

La cameriera aveva borbottato qualcosa nella sua lingua madre prima di rispondere al telefono che non aveva smesso di squillare dall'ultimo messaggio che aveva deliberatamente ignorato.

Signorina Serena, salve. Sì, è qui con me ma non vuole rispondere!” aveva alzato la voce alle ultime tre parole, una smorfia in direzione della giovane che in risposta aveva incrociato le braccia al petto, gli occhi sollevati al cielo.

Dopodiché si era messa in ascolto, annuendo.

Dice che è importante” aveva commentato, porgendole il cellulare ma la ragazza si era ritratta come se le avesse sferrato contro un pugnale.

Forse vorrà informarti su quanti gay single il suo fratellino si sia portato a letto nell'ultima ora”.

Dice che è per il signorino Hummel”.

Kurt?” aveva domandato la giovane che era sembrata evidentemente indecisa di fronte allo sguardo promettente di Dorota. Aveva sbuffato, infine, e le aveva fatto cenno di avvicinarle il cellulare all'orecchio.

Hai due minuti, S., non ho tempo da perdere”.

 

 

~

 

Non sapeva esattamente perché si trovasse in quel luogo fuori dall'orario lavorativo dopo che, per giunta, Eleanor era andata in Francia per una settimana di relax dopo gli impegni per la sfilata. Ma, come aveva scoperto da quando si era trasferito a New York, non era assolutamente facile, anzi era impossibile dire di no a Blair Waldorf ed aspettarsi che ella desistesse tanto rapidamente. Certo, la prospettiva di poter provare qualche abito della sfilata o persino di curiosare nelle zone più remote di cui Blair aveva l'accesso, era una prospettiva eccitante. Ciò almeno gli avrebbe impedito, per qualche ora se fosse stato abbastanza fortunato, di continuare a scrutare imperterrito il proprio cellulare, alla ricerca di qualche nuovo aggiornamento dallo spietatissimo sito di gossip.

Non era mancato giorno nel quale non avesse osservato quelle fotografie e ripensato a quella serata e ciò che ne sarebbe stato dell'epilogo se si fosse completamente lasciato andare.

Si costrinse a tornare alla realtà quando Blair gli mostrò un completo, ancora avvolto nel cellofan, costituito da una camicia nera di seta e un paio di attillati pantaloni dorati che avevano davvero l'aria di essere una riproduzione di...

Oh, mio Dio: sono, sono loro! I pantaloni che indossava-”.

Hugh Jackman in “Not the boy next door”: mia madre era una sua fan o forse il compagno di mio padre, non lo so[11]” aveva borbottato in tono chiaramente indifferente prima di porgergli il tutto con delicatezza. “Perché non li provi?”.

Lo sguardo di Kurt sembrò essersi illuminato ma altrettanto rapidamente aveva indietreggiato e scosso il capo.

No, non posso” .

Oh, avanti: quando mai ti potrà ricapitare, non puoi vivere nell'Upper East Side senza commettere qualche follia”.

Veramente io vivo a Broo-”.

Per carità, non nominarlo neppure quel luogo” aveva ribattuto con sguardo sprezzante prima di indicargli il camerino con le sopracciglia inarcate, muovendo il completo di fronte a lui come un giocattolo di fronte ad un cucciolo.

Un sorriso suadente le aveva curvato le labbra nell'osservarlo ritirarsi dietro il camerino prima che il suo cellulare l'avvertisse dell'arrivo di un messaggio.

[From Serena 03.35 PM]

Stiamo arrivando, trattienilo.

 

 

Non avrebbe mai ammesso di essersi, se così si poteva dire, abituato all'Upper East Side, di certo tutta quella sorta di fama e popolarità era piuttosto divertente, ed era stato un modo abbastanza efficace per trascorrere gli ultimi dieci giorni.

Avrebbe soltanto dovuto concludere la settimana in bellezza prima di far ritorno alla sua vita parigina. Studiò accigliato la ragazza al suo fianco, ancora incredulo di essersi davvero lasciato convincere a seguirla: aveva osservato le porte dell'ascensore richiudersi con il caratteristico ronzio.

Ricordami ancora perché mi trovo qui”.

I modelli gay, ricordi? E poi Eleanor ha visto le tue foto su Gossip Girl, saresti un perfetto testimonial”.

La risposta parve essergli sufficiente visto il sorriso tronfio e sicuro di sé.

E immagino che questo non sia un modo per infastidire ulteriormente la tua ex amichetta” aveva domandato con le sopracciglia inarcate e le mani affondate nelle tasche del soprabito.

Più o meno” aveva risposto vagamente, sorridendo all'arrivo di un messaggio.

Di nuovo Gossip Girl?” aveva domandato sfacciatamente sorridente ma Serena ma si era stretta nelle spalle. “E' Dan” aveva risposto con un sorrisetto allusivo al che Sebastian aveva alzato gli occhi al cielo prima di osservare le porte schiudersi con evidente sollievo. Non avrebbe sopportato i retroscena della cosiddetta “Derena Love Story” intrisa di separazioni e di riappacificazioni che facevano concorrenza ad una squallida soap opera adolescenziale.

Si lasciò condurre dalla giovane attraverso gli ampi corridoi dalle cui vetrate si poteva osservare il sole morente che donava all'ambiente un alone rossastro e quasi rilassante alla vista.

Si era guardato attorno piuttosto circospetto, soprattutto il denotare che non sembrasse esserci alcuna presenza della Direttrice, tanto meno di sarti o modelli che facessero avanti ed indietro.

Là dentro” lo aveva esortato Serena e, dopo averle rivolto un altro sguardo circospetto, era entrato in quella che sembrava essere la camera di prova delle modelle data la presenza degli ampi specchi sulle pareti.

Blair?” una voce familiare dal camerino alle sue spalle e, l'attimo dopo, così lo vide dal riflesso,  Kurt Hummel vestito di un paio di pantaloni dorati, incredibilmente attillati, e una camicia di seta, comparve a pochi passi da lui.

Fissarono entrambi il riflesso dell'altro, senza parole.

 

E' entrato?” Blair era uscita dal nascondiglio con la stessa espressione esaltata di quando un complotto giungeva a buon fine.

Credi che andrà tutto bene?” aveva domandato Serena con tono preoccupato e Blair si era stretta nelle spalle.

Credo che Kurt potrà ritenersi fortunato se non gli strapperà quei pantaloni con lo sguardo” aveva replicato e si erano osservate un lungo istante prima di ridere.

Mi dispiace, B per tutta la faccenda del video”.

E' acqua passata, avrei dovuto saperlo che non era opera tua: ma dovrò escogitare un modo per farla pagare a Sebastard. E se farà soffrire di nuovo Kurt, lo farò deportare in Bielorussia”.

 

 

Aveva sgranato gli occhi ed era rimasto immobile, completamente sconvolto: sembrò aver perso il respiro, il viso era divenuto completamente esangue mentre indietreggiava, dopo essersi guardato nervosamente attorno ed aver compreso cosa doveva essere successo.

Alla fine lui stesso era stato vittima di uno dei famosi intrighi di Blair Waldorf ma di certo non avrebbe immaginato che ciò avrebbe comportato la presenza dello stesso giovane il cui ricordo non aveva mai smesso di tormentarlo.

Sebastian non sembrò essersi scomposto: dopo il primo istante di stasi e di immobilità nel quale era rimasto ad osservarne l'esile figura alle sue spalle, studiandolo attraverso lo specchio, si era voltato.

I loro sguardi si incrociarono nuovamente e Kurt si sentì più vulnerabile e fragile che mai: se aveva sempre avuto la percezione che il giovane di fronte a lui riuscisse a sondare la sua stessa anima, indossare quelle vesti tanto compromettenti sembrava essere un vero e proprio suicidio involontario.

Silenziarono a lungo ma lentamente le labbra di Sebastian si piegarono in un sorriso allusivo. Lo osservò umettarsi lentamente le labbra e quasi istintivamente si ritrasse ulteriormente, suscitandone un verso di lieve ilarità.

Quel rossore continua ad essere eccitante. Ma non è la sola cosa” aveva convenuto, le mani ancora affondate nelle tasche mentre, il viso inclinato di un lato e il sorriso suadente, si avvicinava: lo sguardo incatenato a quello del giovane che non aveva potuto che indietreggiare, quasi sgomento. In trappola, un pensiero repentino che lo indusse ulteriormente ad irrigidirsi.

N-Non sapevo che saresti stato qui” si sentì in dovere di dire, per qualche strano motivo che fece soltanto sogghignare il giovane.

Oh, non lo metto in dubbio” aveva replicato l'altro, senza tuttavia interrompere quello scambio di sguardi. “... ma se non vuoi essere baciato, hai sbagliato pantaloni” aveva sussurrato una volta che si era fermato di fronte a lui: si era chinato a sussurrare quelle parole al suo orecchio e Kurt aveva emesso un ansimo d'emozione, percependo nuovamente quella scarica di brividi.

Brividi caldi e freddi scesero lungo la spina dorsale: consapevole che se non vi fosse stata la parete alle sue spalle non sarebbe stato in grado di sopportarne lo sguardo.

Aveva reclinato il capo, il bisogno di continuare a sondare in quello smeraldino e, tuttavia, la consapevolezza ch'egli non avrebbe agito.

Non se non lo avesse desiderato.

Se non vuoi che io possa conoscerti, hai sbagliato ad avvicinarti” aveva sussurrato e, malgrado il rossore sulle guance e la difficoltà ad articolare persino motto, ne aveva sostenuto lo sguardo.

Rimasero entrambi immobili e silenziosi, un altro lungo istante prima che Sebastian sorridesse, vagamente ironico, il viso inclinato di un lato.

Me ne andrò tra quattro giorni” lo aveva informato, scostandosi ma era stato Kurt questa volta a ridurre le distanze, le mani adagiate al suo petto a trattenerlo.

Allora ti chiederò soltanto quattro giorni” aveva replicato, la voce più flebile mentre, lentamente, lo sguardo di Sebastian era attraversato da un remoto guizzo di divertimento o di qualcos'altro, non avrebbe saputo dirlo.

Un vago cenno d'intesa.

Quattro giorni saranno sufficienti a farti desistere”.

 

~

 

Non aveva avuto mai niente di simile ad una vera e propria relazione per propria idiosincrasia al riguardo e ciononostante, quella che stava vivendo con il giovane in quei giorni era stato quanto di più vicino. Aveva imparato ad apprezzarne in breve la compagnia: ben lungi dall'osservarlo soltanto ad un'ottica meramente fisica e carnale, seppur l'occhio, specie un occhio allenato come il suo!, volesse la sua parte.

Ciò che ne aveva apprezzato fin da subito, una volta superato quel velo di emozione che lo faceva sembrare così timido ed indifeso (non che ancora non mancasse di arrossire a quella maniera deliziosa, nei momenti in cui ardiva qualche parola o gesto di particolare confidenza) erano quelle schermaglie ironiche che intrattenevano spesso e volentieri. Nelle quali entrambi adottavano un atteggiamento più puerile nell'ostinarsi a volere ragione sull'altro e spesso e volentieri per le questioni più frivole come il gusto nell'abbigliamento che Kurt riteneva intoccabile; ma tutt'altro che litigi all'insegna dell'ostilità. Al contrario, sembravano all'insegna della mera e semplice complicità che li vedeva sostare persino in quei battibecchi con un sorriso più spensierato.

Per la prima volta, soprattutto, aveva vissuto l'emozione scalpitante di un primo bacio: il primo bacio di Kurt, il quale lo aveva accolto con quel rossore sulle guance e quello scintillio nello sguardo così devoto ed emozionato che persino lui era riuscito a sentire l'anelito di un calore sconosciuto da molto tempo.

Il riflesso delle sue stesse emozioni che sembravano invaderlo, come potessero trascendere da quel corpo più gracile che stringeva quasi con l'implicito timore di poterlo spezzare ad una pressione troppo intensa eppure, al contempo, volendo trattenerlo come ad assicurarsi che non avesse a sfuggirgli.

Avevano cenato nel loft di Brooklyn (dopo che Kurt lo aveva letteralmente trascinato e, per una volta, si era detto d'accordo con Blair nel rimirare quel distretto come una discarica a cielo aperto rispetto al lusso e sfarzo da cui era si era fin troppo abituato in quelle settimane) nel quale Kurt si era premunito di creare un'atmosfera ad arte con tavola apparecchiata per due, candele e musica di sottofondo.

Se hai scelto questa sera per perdere la tua verginità, potrei essere di buon umore” aveva convenuto con suadente divertimento nel vederlo arrossire come da regola.

Erano usciti nel balcone dopo aver consumato la cena: rimirando il cielo stellato come le luci dei locali dell'Upper East Side non avevano mai concesso ed era stato quanto una folata di vento aveva scarmigliato i capelli di Kurt, che Sebastian aveva compreso di non poter più pensare di trascorrere un altro istante con lui senza avvalersi di quel bacio ancora in sospeso tra loro.

Era stato un momento spontaneo quello con cui ne aveva spostato quel ciuffo sbarazzino che soleva spesso ricadergli sulla fronte: i loro sguardi si erano incrociati, aveva osservato il rossore sulle sue gote eppure entrambi erano rimasti immobili a contemplarsi, in attesa di quel gesto che suggellasse quel momento.

Scostati adesso se non vuoi” aveva sussurrato con voce più rauca ma il giovane aveva sorriso in risposta mentre le braccia affusolate ne cingevano il collo.

Hai intenzione di farmi attendere ancora per molto?” aveva domandato in tono sardonico mentre l'altro aggrottava le sopracciglia, facendolo cozzare contro il muro esterno del loft.

Non provocarmi” aveva sussurrato a fior di labbra ma non vi era stato tempo per altro o non gli avrebbe comunque concesso diritto di replica.

Non in quel momento almeno.

Era stato con un movimento fluido quello con cui ne aveva cinto la gota con la mano libera e si era chinato finalmente a cogliere il respiro sulle sue labbra: aveva sentito le sue braccia stringersi più strettamente intorno al suo collo, i suoi battiti cozzare contro i propri e il sorriso che ne aveva curvato le labbra nel bel mezzo del bacio. Aveva inclinato il viso di un lato, dopo essersi scostato per un breve istante, a coglierle con maggiore pressione. Ne sfiorò il fianco e lo attirò maggiormente a sé: il tempo necessario a lambirne le labbra con più intensità e conferire un sapore a quel momento.

Si era scostato dopo un lungo istante, il sorriso ancora sostava sulle labbra di Kurt, l'espressione così trasognata e raggiante che non aveva potuto che sorridere nuovamente, per poi inarcare le sopracciglia al vederlo alzarsi sulle punte.

Ingordo” lo aveva blandito, un vezzo ironico che si estinse nel sorriso che lui stesso impresse nell'ennesimo contatto.

 

~

Malgrado la sua indole romantica e sognatrice, non avrebbe saputo quale termine fosse più opportuno per definire il suo rapporto con Sebastian.

Neppure avrebbe saputo dire se il loro, da parte propria, fosse un esempio di quello che la letteratura e i film sentimentali, ai quali si dedicava spesso e volentieri, definivano “colpo di fulmine”. Non perché non mancasse di ricordare quel primo incontro con evidente emozione e un anelito più divertito, ma perché non credeva esistessero metri di paragone per il tipo di rapporto che avevano instaurato. E neppure per descrivere il modo in cui sembrasse esser divenuto così intensamente e così semplicemente parte di sé e della propria quotidianità, come fosse divenuto parte dei suoi pensieri e fatto presa sui propri sentimenti.

Si era ripromesso che non avrebbe lasciato che l'imminente ritorno di Sebastian a Parigi potesse intaccare quell'ultima serata ma sembrava che, malgrado nessuno dei due ne facesse parola, il semplice bisogno di sostare l'uno tra le braccia dell'altro, fosse più vivo e scalpitante che mai. E così avevano sostato anche quella serata tra le consuete schermaglie, una passeggiata e momenti nei quali le parole erano fin troppo superflue eppure mai completamente esaustive.

Lo aveva condotto nella sua camera d'albergo – aveva preferito lasciare l'abitazione dei Van Der Woodsen e, a giudicare dagli ultimi giorni, aveva particolarmente giovato della totale privacy della suite che Chuck gli aveva messo a disposizione – e aveva cercato di ignorare la vista delle valigie nelle quali aveva già iniziato a riporre parte dei suoi effetti personali. Ma c'era quell'inevitabile tensione negli sguardi, a comprensione di quel pensiero che sostava silenzioso tra loro.

Sarebbe stato forse il giusto momento di parlare di sentimenti? Forse avrebbe dovuto cercare di guardare dentro se stesso e comprendere quanto ormai fosse divenuto parte di sé e l'idea della separazione gli troncasse il respiro.

A quale pro rendere più evidente quella realtà che sarebbe stata fin troppo espressiva e crudele da lì a poche ore?

Sembrò intuire lo stato d'animo perché gli si sedette accanto, togliendogli il bicchiere che neppure aveva sfiorato dalle mani, prima di costringerlo a guardarlo in viso.

Non pensare a nulla adesso” aveva sussurrato al suo orecchio e, malgrado quell'intonazione più suadente che lo contraddistingueva, vi era quella nota più dolce che fece stringere il cuore di Kurt, il respiro appena più convulso.

Sebastian” ne aveva sussurrato il nome a mo' di preghiera o di supplica ma aveva emesso un languido gemito e si era abbandonato alla pressione delle sue labbra, laddove quel bacio sembrò racchiudere tutto mentre si abbandonavano sul materasso.

Sostò con il capo affondato contro il suo petto: si sollevò sul gomito ad osservarlo un lungo istante e, sotto il suo sguardo incuriosito, le sopracciglia inarcate, percorse con la mano e gentilmente quei lineamenti tanto noti, indugiando laddove i nei ne sfioravano la guancia a creare una linea curva immaginaria.

Kurt”.

Voglio restare, stanotte” aveva sussurrato e il ragazzo aveva schiuso le labbra in un modo di reale sorpresa nel sollevarsi appena con il busto: sembrò in procinto di dire qualcosa ma non gliene diede il tempo.

Ne sfiorò nuovamente le labbra, con maggiore intensità, ricercando la sua mano con la propria, stringendola e affondando per un altro istante il viso contro il suo collo, apponendo le labbra a seguire la linea immaginaria creata dai nei, baciandoli con devozione.

Non voglio alcun rimpianto, nessuna paura o incertezza: solo noi” aveva sussurrato, lo sguardo azzurro brillante di una nuova determinazione nel rimirarne gli occhi. Prima di essere avvinto tra le sue braccia con maggiore intensità e sentire le sue labbra sulle proprie con maggiore passione e quasi disperazione nell'intrecciare le dita alla sua nuca, a trattenerlo per serbare quel calore.

 

~

 

La sua pelle era chiara e delicata come l'aveva immaginata, quasi rivestita di un pallore perlaceo alla luce della luna; sembrava realmente fatto di porcellana e non si sorprendeva fosse un nomignolo che gli era stato affibbiato.

Non erano mancate singole nottate nelle sue esperienze e neppure di riuscire a intingersi del sapore della pelle di qualcun altro, sentire quel calore irradiare e fremere lungo la spina dorsale ma, per qualche motivo su cui non voleva realmente interrogarsi, fu tutto diverso.

Scoprì una delicatezza e un'attenzione, una premura che non incisero sulla foga e la passione che sembravano irradiare ma fecero riscoprire dei gesti cui non era più avvezzo, eppure così naturali mentre si specchiava in quell’azzurro sconfinato dei suoi occhi.

Laddove i respiri si fondevano e il suo sapore non era mai sufficiente, laddove continuò a stringerne la mano e ne intuì la preghiera anche quando ritrovò se stesso in quel turbine di emozioni.

Aveva continuato a stringerlo tra le braccia, aveva lasciato che si adagiasse al suo petto, ne aveva coperto le spalle con il lenzuolo e aveva osservato il modo in cui il suo viso riuscisse a trovare un incavo perfetto nello spazio tra il collo e la spalla, laddove lo sentì sfregarvi il naso, inducendolo a sfiorarne i capelli.

Non dimenticarmi” aveva sussurrato, quasi timoroso: quasi che quelle parole, se pronunciate a voce troppo alta, potessero corrodere quell'atmosfera.

Come potrei dimenticare un simile culo?” aveva commentato in risposta in quel blando tentativo di ripristinare quell'atmosfera più suadente e briosa.

Rise Kurt, ma quando Sebastian rafforzò la pressione dell'abbraccio, si abbandonò in un tremore più delicato e fanciullesco nel socchiudere gli occhi: la mano adagiata al suo torace ad ascoltarne i battiti del cuore, socchiudendo le palpebre ad ogni tocco della mano di Sebastian lungo la schiena.

Sorrideva, tuttavia, quel mattino mentre ancora dormiva: era stato attento a non svegliarlo mentre si scostava per alzarsi dal letto ma, anche quando si fu lavato e vestito e le valigie furono pronte, restò a rimirarne il volto a lungo.

Non aveva mai amato gli addii e se anche sarebbe stato semplice allontanarsi dalla famiglia Van Der Woodsen senza tradire alcuna emozione (non che fosse divenuto così sentimentale!), non avrebbe voluto vivere il momento della separazione.

Sarebbe stato più semplice ricordarsi quegli ultimi giorni e sperava che lo comprendesse e non avesse, così, a portargli rancore.

Sospirò e rimase immobile per un altro lungo istante prima di chinarsi a sfiorarne le labbra, sostò a pochi centimetri dal suo viso, un'ultima carezza sul viso di porcellana. Scostò quel ciuffo sbarazzino dalla fronte ma si sentiva già lontano un oceano da lui.

Addio Kurt”.

 


Aveva cercato il posto contraddistinto dal suo biglietto per l'imbarco e si era lasciato cadere con un sospiro. Ancora un vago sorriso sulle labbra al ricordo delle parole di congedo di Lily e come sembrassero realmente dispiaciuti della sua imminente partenza. Come, poi, cercasse di nascondere che una parte di sé fosse nettamente sollevata perché il suo cognome non sarebbe più stato associato a quello che era stato conosciuto dai media come SebastiHard.

Aveva saputo fin dall'inizio che non sarebbe mai appartenuto all'Upper East Side ma, fin quando aveva visto quegli occhi di zaffiro, era stata una piacevole illusione.

Constatò con uno sbuffo che gli era toccato il lato corridoio ma si era seduto, ben intenzionato a ignorare qualsivoglia presenza.

Neppure si accorse che il suo vicino aveva appena abbassato il giornale, un sorriso sbarazzino sul volto.

Non ho mai visto la Francia ma la settimana della moda deve essere incredibile. Te l'ho detto che parlo un ottimo francese, vero?”.

Era trasalito e con un gemito di sorpresa aveva sondato in quel sorriso compiaciuto e sbarazzino in quel moto d’allegria con cui si era dondolato con il busto.

Kurt”.

Perché così sorpreso? Fai un bel sorriso, questa la mandiamo a Gossip Girl”.

Aveva sorriso, puntando l'iPhone di fronte a loro e avvicinando il volto a quello del giovane prima di scattare la fotografia.

Un ottimo francese, hai detto. Niente ripetizioni di lingua, quindi?” aveva domandato, sporgendosi al suo orecchio, quella scintilla di suadente divertimento-.

Ma nella carezza con cui gli sfiorò il viso e nello scintillio dello sguardo, vi era tutta la dolcezza, il sollievo e la gioia di quell'istante.

Lo aveva visto sollevare gli occhi al cielo ma vi era un sorriso vezzoso sulle labbra mentre si sporgeva a sfiorare le sue per un breve istante.

Peut-être[12]”.

Oh sì, decisamente sì”.

 

 

Lo confesso, questa partenza mi rattrista ma dopotutto non sarebbe la prima volta che la vostra intrepida amica, riesca a varcare gli oceani. Non ho mai avuto una particolare predilezione per questi finali da commediola romantica ma per una volta, e soltanto per questa, potrei fare un'eccezione.

A quanto pare il nostro SebastiHard tornerà in Francia e non sarà soltanto una valigia quella che porterà con sé: preparatevi perché la Kurtbastian Oktober Fest si è appena conclusa ma non si può mai sapere!

Sapete di amarmi,

Bisous Bisous,[13]

Gossip Girl

 

 

 

 

 

Credo che non mi resti che aggregarmi al saluto di Gossip Girl, quando mai potrebbe ricapitarmi l’occasione?
Al solito, i commenti sono benvenuti e sarei curiosa di sapere quale dei sette racconti sia stato il più gradito o se avete una classifica personale al riguardo.
Ringrazio nuovamente tutti coloro che hanno seguito l’intera settimana, chissà che non torni con qualche altro progetto Kurtbastian, ma per questo mese posso dirmi sinceramente soddisfatta di aver contribuito umilmente e dato un piccolo pegno della mia passione per questa coppia, che diventi canon o meno.
Per questo mese è tutto, buon Halloween!
Kiki87


[1]              Gossip Girl di cui non si conosce l’identità (a parte nella quinta stagione dove si sono nascoste Giorgina e poi Serena dietro lo pseudonimo), è la gestrice di un sito internet nel quale si raccontano le vicende delle principali famiglie nonché i protagonisti della fiction. Soprattutto attraverso la collaborazione di loro stessi (mandando soprattutto foto e filmini) quando ne fanno ricorso per spionaggio, vendetta o per semplice amore di pettegolezzo. Ha l’abitudine di assegnare a personaggi dei soprannomi o chiamarli con l’iniziale (B sta per Blair, infatti).

[2]              Blair è figlia di Eleanor, una famosissima stilista di New York che dirige un atelier a suo nome.

[3]              Dan Humphrey, un altro dei protagonisti della fiction: vi basti sapere che vive a Brooklyn e ciò fa sì che spesso venga trattato con sufficienza, soprattutto Blair che non manca spesso di rinfacciarglielo almeno fino ad un loro avvicinamento nella quinta stagione. E’ nel loft che apparteneva ai genitori che ospiterebbe il nostro Kurt.

[4]              Nelle prime stagioni era una dei lacchè al servizio di Blair ma non manca di tirarle ogni tanto qualche tiro mancino, aspirando lei stessa alla sua stessa fama e popolarità.

[5]              Serena Van Der Woodsen, un’altra delle protagoniste della fiction nonché miglior amica/nemica di Blair, hanno un rapporto abbastanza distruttivo e non è poco comune che litighino più volte in una stessa stagione per i più disparati motivi; di certo Blair che ama essere al centro dell’attenzione spesso si sente minacciata dal modo in cui Serena attiri su di sé l’attenzione. Ha avuto una lunga relazione con Dan Humphrey.

[6]              La madre di Serena nonché vecchia fiamma di Rufus Humphrey (il padre di Dan). Si badi bene che, a parte l’ironia, Sebastian non esagera affatto poiché ella è stata sposata per tre – o quattro?! – volte  prima di sposare Rufus; suo marito “attuale” nella narrazione.

[7]              Tutto questo è ovviamente farina del mio sacco ma doveva esserci un motivo se Sebastian è giunto a NY, diciamo che è un Crossover e A/U

[8]              Chuck è fratellastro di Serena, in quanto Lily è stata sposata anche con Bart, suo padre per l’appunto. Ed essere figlio di Lily – che i RIB mi fulmino! – lo renderebbe fratellastro di Serena a sua volta.

[9]              Qui Sebastian fa riferimento al famoso matrimonio Sheppard, rimasto celebre nella fiction perché lei e Nate, allora fidanzato con Blair, avevano fatto sesso prima che ella scappasse dal locale e poi dalla città.

[10]             Chuck è stato per molto tempo al timone delle industrie del padre e non è insolito che tra varie attività, vi siano locali o intrattenimenti a luci rosse.

[11]             Come si scopre nella prima stagione, il padre di Blair ha abbandonato la moglie, in quanto innamorato di un modello che lavorava con Eleanor.

[12]             Traduzione: “Forse”.

[13]             Solitamente Gossip Girl si firma con “xoxo”, in un caso come questo ricorrerebbe ad un “baci baci” in lingua francese.

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