Kurtbastian Oktoberfest di Kiki87 (/viewuser.php?uid=289)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trick or treat! - The way you haven't seen me yet. ***
Capitolo 2: *** Nightmares - I'll always be with you ***
Capitolo 3: *** Ghost Stories - You Will Be Loved ***
Capitolo 4: *** Wizards And Witches - Slyther in the magic world ***
Capitolo 5: *** Lycanthropy of any sort - Hidden Truth ***
Capitolo 6: *** Lost... so very lost - Ça va? ***
Capitolo 7: *** Crossover - Gossip Glee ***
Capitolo 1 *** Trick or treat! - The way you haven't seen me yet. ***
1 Trick Or Treat!
Kurtbastian
Oktoberfest
Era una
giornata di Agosto
quando, per la prima volta, mi sono imbattuta in un post che annunciava
le
tracce della Kurtbastian Week dedicata ad Halloween. Debbo ammettere
che l'idea
di partecipare ad una Week era già tra le mie sinapsi e me
l'ero proposta ma la
prima occhiata ai temi non mi aveva subito illuminata non essendo
particolarmente incline al genere fantasy o addirittura horror.
Ciononostante,
l'idea era sempre più seducente e non volevo attendere
un'altra week per
mettermi alla prova. Ne sono usciti sette racconti che vi
proporrò di giorno in
giorno, ad ognuno ho dedicato qualche ora della mia giornata costellata
di
impegni universitari e vicende familiari al limite del
comico-grottesco.
Devo avvertirvi – in alcuni
contesti più che in altri – che talvolta la trama
differisce dagli eventi della
4° Stagione, sia perché alcune trame le ho pensate
quest'estate sia perché è
stata una scelta personale e/o dovuta al fatto siamo fermi al
4° episodio.
Ci tengo a ringraziare therentgirl
che è stata la prima a conoscere e suggerirmi l'iniziativa
di cimentarmi in
questo progetto, spronandomi quasi quotidianamente ed assistendo a
deliri di
onnipotenza, fangirlamenti per questa o quell'idea – con
spoiler talvolta
crudeli aggiungerei – o lo stress quotidiano. Se lei
è la mia Sebastian, un
pensiero, lo devo anche alla mia Blaininuccia, Amanda,
che ho tenuto
all'oscuro fino all'ultimo momento: spero così di potermi
far perdonare e
sorprenderla perché se anche non mi sono imbarcata nel
progetto che sta
aspettando ansiosamente, spero le sia gradita anche perché
particolarmente
amante della ricorrenza di Halloween.
Ma che premessa chilometrica,
meglio che lasci spazio ai Kurtbastian!
Buona lettura! :)
TRICK
OR TREAT!
The
way you haven't seen me yet.
Non
aveva mai realmente resistito al richiamo della festa di Halloween e
alla
logica che si celava dietro questo tipo di festeggiamenti: sembrava
quasi che
potessero autorizzare i partecipanti a poter richiudersi dietro una
maschera.
Non era soltanto ispirato dal suo gusto nel vestiario che spesso e
volentieri,
a giudicare da alcuni maglioni, qualche poncio o qualche bustino,
sembrava
essere piuttosto... eccentrico; ma era la serata adatta a lasciarsi
andare e
folleggiare tra bambini alla ricerca di dolciumi con cui mettere alla
prova lo
smalto dentale nonché ai festeggiamenti a tema con gli altri
membri del Glee
Club.
Ma
era una realtà diversa quella che si stava presentando,
quell'anno: New York
dalla mentalità molto più spumeggiante di una
piccola località anonima dell'Ohio,
con le sue leggende metropolitane e il suo mito dell'essere la
città che non
dormiva mai, offriva fin troppe e suggestive aspettative per rifiutare
il suo
suadente invito.
Allorché
era stato necessario riuscire a convincere Rachel ad uscire dal loro
loft e, se
anche dalla fine dell'estate, aveva già immaginato diverse
maschere e costumi;
era stata proprio la moretta a suggerire un abbigliamento coordinato
che aveva
posto come condizione basilare.
La
sua prima reazione al suo entusiastico annuncio fu probabilmente lo
shock e poi
il terrore. Certo, non era un mistero che l'ambiziosa stella di Lima
sognasse
da sempre di ricalcare le orme di Barbra Straisand ma non si sarebbe
immaginato
che la sua fantasia sconfinasse persino nel travestirsi
da Barbra.
E
dal momento che, dai tempi del Glee Club (e da quando avevano smesso di
guerreggiare per ogni assolo settimanale), lo definiva la sua Judy
Garland,
era sembrato quasi ovvio che dovessero vagare insieme per le strade
colorate
della città. Non che poi si sarebbero limitati alla dicitura
così poco
originale ed infantile del “Dolcetto o Scherzetto”
ma – e aveva osservato con
occhi sgranati quel luccichio folle nello sguardo di Rachel –
avrebbero dovuto
cantare qualche verso di “Get Happy/Happy Days Are Here
Again”.
Non
che Kurt avesse remore, nel giorno di Halloween nel quale tutto era
concesso,
ad indossare un vestito da donna e truccarsi (anzi, doveva riconoscere
di
essere molto più attraente di qualche compagna di corso di
Rachel che la
snobbavano quando, a loro volta, avrebbero avuto bisogno di un restauro
d'emergenza) ma c'era voluta tutta la sua caparbietà e
sicurezza contro la
follia esageratamente fagocitata di Rachel per impedirle di cercare gli
indirizzi di tutti gli insegnanti della Nyada, compreso quello della
temutissima Cassie.
Se
anche ella volesse rischiare – tanto per cambiare –
di sabotarsi da sola la
carriera e la formazione, lui di certo non avrebbe osato ulteriormente
sfidare
il fato, non quando si stava preparando nel tempo libero per tentare
nuovamente
le audizioni al semestre successivo.
Si
era rimirato allo specchio con evidente soddisfazione dopo aver meglio
acconciato la parrucca, considerando tra sé e sé
che poteva vantare davvero un
vitino di vespa che poche coetanee potevano sfoggiare. Senza contare
che i
lineamenti dolci che aveva in natura potevano giovare già a
suo favore, dovendo
soltanto correggerli con un filo di trucco.
Nessuna
esagerazione, tuttavia, anche perché non poteva rischiare di
presentarsi in
ufficio senza aver dormito le ore necessarie al suo “sonno di
bellezza” poiché
avrebbe impiegato il doppio del tempo a struccarsi prima di applicare
le creme
da notte e, solo allora! coricarsi.
E
così, a braccetto, avevano trascorso una piacevolissima
serata, bussando di
porta in porta ed ottenendo non pochi sorrisi stupiti e divertiti,
talvolta
persino qualche standing ovation (che si trattasse soltanto di persone
adulte,
che Kurt immaginò fossero coetanee di Barbra - una delle
quali l'aveva
abbracciato con tanto vigore tra le lacrime al ricordo della cantante -
era
superfluo; la vera musica e il talento, dopotutto, non avevano
età) fino a
quando entrambi non avevano cominciato ad accusare la stanchezza,
soprattutto a
causa delle calzature seppur Kurt potesse compiacersi dell'avere
più portamento
dell'aspirante Barbra.
“Oh,
soltanto un'altra casa, Judy” lo aveva supplicato Rachel,
smuovendo il labbro
inferiore in una sorta di broncio prima di trascinarlo letteralmente in
una
bella villetta con giardino.
Kurt
aveva sospirato, prima di guardare l'orologio.
“Solo
se mi cedi i tuoi turni per il bagno stasera e domattina” si
era impuntato, le
braccia incrociate al petto e le sopracciglia inarcate pur con le
palpebre
ritoccate con l'ombretto che rendevano quelle smorfie persino
più divertenti.
“Oh,
grazie, grazie!” aveva trillato Rachel stampandogli un sonoro
bacio sulla
guancia che lo aveva fatto sussultare.
“Non
hai neppure un rossetto che non lascia segni!” aveva
commentato stizzito,
cercando rapidamente nella borsetta abbinata all'abito, le salviette
inumidite.
“Ora
mi uscirà anche il fondotinta” aveva sbottato,
fissandola con evidente aria di
rimprovero mentre la giovane, ancora ridente, si avvicinava rapidamente
all'uscio.
“Sbrigati,
Kurt, non possiamo deludere un'altra fan di Barbra”.
“E
Judy” aveva fatto notare, affrettandosi, pur attento a
camminare nuovamente con
fare fluido e leggero, come si sarebbe convenuto ad una signorina, fino
all'uscio dopo che la moretta ebbe già provveduto a suonare
il campanello.
Vi
era della musica proveniente dall'interno al che Rachel aveva trillato
eccitata
che sarebbero dovuti entrare ed esibirsi di fronte ad un vero pubblico:
sia mai
che andasse a dormire senza aver ricevuto una standing ovation da una
folla
incantata dai suoi gorgheggi. Suonò nuovamente il campanello
e sentirono dei
passi provenire dall'interno: si erano già stretti l'uno
all'altra, pronti ad
intonare qualche verso, le teste vicine e i sorrisi stampati sul volto.
Fino
a quando la porta non si schiuse.
Fino
a quando Sebastian Smythe non fissò dall'uno all'altro: le
sopracciglia
inarcate e gli occhi sgranati in un'espressione di autentica sorpresa.
E
l'aria sembrò congelarsi per un lunghissimo istante.
Kurt
sentì il cuore fermarsi nello scrutare quella fisionomia fin
troppo nota: un
fiotto di calore lo convinse del fatto che doveva essere arrossito
furiosamente. Aveva scambiato uno sguardo di puro terrore con Rachel:
la sola
idea di ciò che Sebastian avrebbe detto, ritorcendogli
contro quegli insulti di
cui il più gettonato “faccia da checca”
lo fece deglutire a fatica. Ma la prima
a riprendersi fu Rachel e ancora una volta dovette darle atto della sua
pronta
reazione.
Più
o meno.
Aveva
letteralmente strillato ed era indietreggiata, stringendo
così tanto il braccio
di Kurt da fargli quasi bloccare la circolazione sanguigna mentre il
ragazzo di
fronte alla porta incrociava le braccia al petto, il viso inclinato di
un lato
e un sorrisetto saputo nell'osservarla.
“Rachel,
anche per me è un vero piacere” aveva commentato
allusivamente mentre ella
sembrava perdere del tutto il proprio contegno: si era strappata
letteralmente
dal capo la parrucca e gliel'aveva lanciata addosso.
Il
giovane fu abbastanza pronto di riflessi dall'evitarla ma
inarcò le
sopracciglia nell'osservare la parrucca ai suoi piedi.
“O
forse no” concluse in tono pacato, appoggiandosi con la
spalla allo stipite
della porta.
“Sebastian!”
aveva strillato quella. “Che-diavolo-ci-fai-tu-qua?!”
Aveva
letteralmente scandito, le braccia incrociate al petto, fissandolo con
sguardo
ostile, le sopracciglia aggrottate mentre l'altro smuoveva le labbra in
un vago
sorriso.
“Ci
vivo, forse?” di fronte al suo sguardo interdetto e shockato,
sorrise ancora
più divertito. “Si dà il caso che io mi
sia iscritto alla Juilliard, Rachel”.
Una
risata sarcastica era sgorgata dalle labbra di Rachel.
“E
da quando permettono ai terroristi di frequentare
l'università?” e Kurt
stesso dovette trattenere uno sbuffo divertito: da quando Sebastian le
aveva
porto quel regalo di fidanzamento/ricatto, quando – e solo se
costretta! -
doveva parlare di lui, usava sempre quella definizione.
Ma
per una volta tanto dovette ringraziare la sua indole schizofrenica: se
soltanto fosse riuscito ad afferrare casualmente un paio di occhiali
dalla
borsetta avrebbe potuto ritenersi al sicuro.
Mantenne
il profilo basso, studiando la struttura della casa ed osservando il
giardino
ben curato: evidentemente era ancora adito ai lussi con tutti i soldi
di mamma
e papà.
Era
sorpreso tuttavia dalla scelta dell'Università, una delle
più rinomate
nell'ambito artistico: dunque era anche sua intenzione riuscire ad
affermarsi
nell'ambito musicale o, in generale, dello spettacolo.
“Così
mi ferisci, Rachel” aveva replicato l'altro, il tono pacato
ma grondante di
sarcasmo. “... ma ammetto di aver pensato di darmi alla
fotografia: siti web,
fotomontaggi” aveva calcato dolcemente l'ultima parola, un
sorrisetto beffardo
e divertito nell'osservare il rossore sulle guance dell'altra.
Kurt
mantenne lo sguardo ancora basso: poteva tergiversare fin quando
Sebastian non
lo avesse fissato apertamente in viso fino a riconoscerlo. Era
sufficiente non
parlare. E magari non respirare neppure, così che
continuasse ad ignorarlo,
cosa alla quale poi era più che avvezzo, se non per motivi
sbeffeggiatori.
Sentì
Rachel sbattere il piede a terra in un moto di stizza, stringendogli
più forte
il braccio, facendolo trasalire.
“Noi
ce ne andiamo K-”
“Kate”
aveva replicato lui, in preda al panico, imitando una risatina
femminile, le
guance ancora in fiamma ma fissandola ostentatamente negli occhi
sperando che
quella loro sinapsi da “Barbra & Judy”
fosse sufficiente a farle
comprendere il messaggio implicito.
“Cosa
stai dic-” si illuminò, ridendo e facendolo
voltare bruscamente, per poi
rivolgere una smorfia a Sebastian.
“Andiamo,
Kate” aveva pronunciato il suo nome con voce più
alta di un'ottava. “Meglio non
attardarci”
“Un
momento” aveva scandito Sebastian nel momento in cui stavano
per scendere dalle
scale del portico e Kurt aveva sentito la schiena irrigidirsi come se
il suo
sguardo fosse in grado di farlo letteralmente accapponare per il
terrore.
Se
aveva avuto un'insperata fortuna con la quale il giovane non sembrava
averlo
riconosciuto, non avrebbe potuto sostenere quella commediola a lungo:
sarebbe
bastato lo scrutasse più attentamente in viso. Sempre che
poi Sebastian si
fosse mai preso la briga di rimirarlo per più di quindici
secondi, quelli
necessari a lanciargli un'occhiata canzonatoria e rivolgergli un
insulto poco
velato.
Con
loro sommo terrore, lo sentirono scostarsi dalla soglia della porta per
avvicinarsi, pochi passi ma che risuonarono come i tonfi sordi del loro
cuore
prima che si fermasse alle loro spalle. Se possibile, Kurt aveva la
sensazione
di poter effettivamente sentire il suo sguardo che
ne scorreva la spina
dorsale.
“Non
avrai intenzione di andartene senza avermi presentato la tua
amica?”
seppur non lo avesse guardato, riusciva perfettamente ad immaginare
– e ad una
maniera fin troppo vivida ad essere onesti! - il sorriso che doveva
avergli increspato
le labbra in quel momento nonché il luccichio dello sguardo.
Sentì
Rachel al suo fianco irrigidirsi e fu un momento infinitamente lungo
quello in
cui si osservarono sgomenti, prima che la brunetta si voltasse appena,
la presa
ancora salda sul braccio dell'amico.
“Se
ci fosse qualcuno degno di essere
present-” non aveva completato la
risposta perché, un movimento fluido del braccio, il giovane
aveva artigliato
il polso di Kurt che, completamente inebetito dallo shock e dallo
sgomento, si
ritrovò avvinghiato nella sua stretta.
E'
finita, si
disse mentre – gli
occhi sgranati e le labbra schiuse – si ritrovava faccia a
faccia con
Sebastian, abbastanza vicino da poter contare tutti i nei che gli
punteggiavano
la guancia, il luccichio fin troppo noto del suo sguardo mentre le sue
labbra
si modellavano in un sorriso.
Non
sembrava un sorriso di scherno e neppure un sorriso sarcastico: un
semplice
sorriso. Perché poi ne stesse analizzando le
sfumature psicologiche (in
fondo era una semplice contrazione di muscoli facciali) era meglio non
domandarselo, non quando l'esigenza principale era sopravvivergli.
Sentì
la stretta sul polso venir meno mentre ne cingeva la mano, per
portarsela
lentamente alle labbra, con suo sommo orrore, in quello che somigliava
spaventosamente
ad un gesto galante.
Dovette
ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per non strappargli la
propria mano
dalla presa e magari rifilargli un pugno (non che fosse mai stato
così
impulsivo o tendenzialmente violento) dopo essersi tolto la parrucca e
avergliela gettata addosso, premunendosi di colpirlo in faccia.
Ciò
che, tuttavia, lo fece deglutire nervosamente (per fortuna indossava un
foulard
che celava il pomo d'Adamo e dovette ringraziare la sua mania per i
dettagli)
fu denotare quel silenzio nel quale Sebastian non aveva smesso di
fissarlo
negli occhi. Sembrava esservi un tacito confronto in quello scrutarsi,
probabilmente attendendo che l'altro tradisse un cenno, un pensiero,
una
semplice parola.
Riusciva
a sentire lo sguardo fremente di Rachel la quale scrutava dall'uno
all'altro,
neppure sapendo come e se fosse il caso di agire in qualunque maniera.
“Enchanté”
aveva sussurrato Sebastian nella sua lingua madre e Kurt
sentì fin troppo
palese ed evidente quel brivido lungo la spina dorsale e il rossore che
si
diffuse su tutto il volto, maledicendo interiormente la sua
predilezione per
quella lingua.
Oh
Dio,
pensò terrorizzato, adesso
si aspetta pure che gli risponda.
“Ti
ricordo che sei gay” aveva berciato Rachel, premunendosi di
mettersi nel mezzo
e Kurt sospirò di sollievo al sentire la pressione della
mano di Sebastian
venir meno.
Se
da un lato non poteva che ringraziare la presenza della ragazza, non
poté che
rimproverarsi per il modo in cui stava agendo così inibito e
timoroso.
“Andiamo,
Kate” gli aveva sibilato vicino al volto, il tono perentorio
ma Kurt non fu mai
così lieto di sentirsi letteralmente trascinare dalla sua
natura più dispotica.
Tanto
per mantenere la copertura intatta, agitò appena la mano
verso Sebastian senza
tuttavia guardarlo, squittendo una sorta di
“arrivederci”, voltandosi e quasi
inciampando sui tacchi.
Decisamente
aveva perso la concentrazione nella sua parte se neanche più
riusciva a muovere
decentemente un passo: dov'era finito per portamento impeccabile?
Doveva
averglielo rubato Sebastian con quella sorta di gesto galante che
avrebbe poi
analizzato a mente più lucida. Ma, sicuramente, la cosa
peggiore fu sentirsi
cingere dalla presa più sicura del giovane: la pressione
ferma delle sue
braccia sulla vita sottile.
Kurt
deglutì a fatica. Un gemito d'emozione era sgorgato dalle
labbra, un calore che
in vero non aveva più sentito dall'ultimo abbraccio con
Blaine e che era
divenuto soltanto un fuggevole ricordo cui aggrapparsi nelle notti
insonni per
il dolore e la nostalgia.
Volle
nuovamente credere si trattasse della sorpresa e dello spiazzamento per
una
simile confidenza ma deglutì a fatica e, nel momento in cui
Sebastian si chinò
verso il suo orecchio e vi soffiò dentro, rimase
completamente immobile.
Neppure
percepì la stretta di Rachel o quel suo inveire contro
Sebastian, soltanto il
suo profumo avvolgerlo: stuzzicante ed inebriante così come
quel soffio caldo
del suo respiro o la voce che sussurrò suadente.
“Potrei
volerlo dimenticare in questo momento”.
Lo
sentì scostarsi e la pressione delle sue braccia venir meno
ma Kurt non riuscì
a ritrovare respiro se non quando lui e Rachel scesero i gradini del
portico:
sembrò una passeggiata infinita quella che li condusse
nuovamente in strada e
neppure quando sentì la porta della villa richiudersi alle
spalle, riuscì a
tornare alla realtà.
La
voce di Rachel era solo un borbottio e sottofondo confuso allo scorrere
dei
propri pensieri ma persino quando fu immerso nel piacevole calore delle
sue
coperte, ripensò a quello sguardo durante il baciamano. Quel
soffio della sua
voce e quel profumo ad intossicargli i pensieri.
Un
sospiro più forte, scosse il capo ed abbracciò il
cuscino.
~
Con
suo sommo sollievo, la disavventura della serata prima non aveva
inficiato sui
suoi sogni e tanto meno sul suo risposo: aveva vincolato Rachel al
segreto e si
era alzato con la stessa determinazione e concentrazione che precedeva
una
nuova giornata di lavoro. Si era svegliato di buon mattino, aveva
provveduto
alla sua abitudinaria pulizia del viso dopo la colazione e stava ancora
riordinando il suo kit di cancelleria da riporre nella valigetta del
lavoro.
“Ho
trovato questa qui fuori” annunciò Rachel, le
sopracciglia inarcate nel
porgergli una busta gialla e rettangolare con sopra scritto il nome del
giovane. Un fiocco azzurro e arricciato a mo' di decorazione mentre
Kurt, le
sopracciglia inarcate, la prendeva tra le mani. Lacerò
l'involucro e si avvide
della presenza di una fotografia: lui e Rachel fissarono l'immagine per
un
lungo istante prima che, un gemito strozzato, la lasciasse cadere.
Un
fotomontaggio: era il volto sorridente di Judy Garland ma era il viso
di Kurt
quello sovrapposto al corpo della donna.
Non
ci fu bisogno pronunciassero il nome: in vero sembrava essere
un'ulteriore minaccia.
“Sa
dove abitiamo!” aveva strillato Rachel. “te l'ho
detto! Fa parte di una
cellula terroristica e adesso dobbiamo cambiare quartiere, anzi
dobbiamo
cambiare città e forse persino pianeta! E tutto
perché tu...” il resto delle
sue parole non era stato percepito dal giovane che aveva voltato la
fotografia
fino a scorgere la calligrafia di Sebastian.
Chérie
Mademoiselle Hummel,
temo
che la foga del nostro incontro, abbia fatto dimenticare la domanda di
rito ma
ho provveduto io allo scherzetto. Ragione per cui, mi aspetta un bel
dolcetto.
La
caffetteria di fronte a Central Park, alle 3 di questo pomeriggio. Se
non ti
presenterai, sappi che sospetto che Isabelle Wright e Vogue.com
potrebbero
essere non poco interessati a questo look retrò.
A
più tardi, dunque.
SM
PS:
spero si sia notato che il fiocco voleva essere intonato al colore dei
tuoi
occhi.
“Stai
ascoltando una sola parola di quello che ti ho detto?!” aveva
commentato Rachel
esasperata, le mani appoggiate ai fianchi e l'espressione intestardita
e
perentoria mentre Kurt scuoteva il capo.
“Che
cosa c'è?” aveva domandato, le sopracciglia
aggrottate ma Kurt si era
affrettato a riprendere la fotografia e la busta, chiudendola di nuovo
e
giocherellando distrattamente con il fiocchetto azzurro.
“Niente,
ma... ci vediamo stasera: dopo pranzo sono impegnato” aveva
risposto prima di
chinarsi a baciarle la guancia per augurarle buona giornata ed uscire
dal loft,
un vago sorriso gli curvava le labbra prima di chiudersi la porta alle
spalle.
Schiuse
nuovamente la busta per leggere le parole iscritte prima di sollevare
il
cellulare e scorrere la rubrica con le guance arrossate. Non lo aveva
mai
confessato a nessuno ma, ai primi tempi in cui aveva conosciuto
Sebastian,
aveva sottratto il suo numero di cellulare da quello di Blaine,
così da averlo
sempre a disposizione in caso di necessità (magari farlo
seguire con un GPS
dalla polizia per dirla in termini più Berryani). Scosse il
capo ma aprì la
cartella dei messaggi dopo aver inserito il giusto destinatario.
[To
Sebastian 8.57 AM]
Sono
i tuoi modi contorti, scommetto, il focus del tuo presunto fascino.
Fingerò che
l'invito sia stato stretto in termini meno perentori e più
simili ad un gentile
invito.
KH
PS:
l'azzurro è il mio colore preferito e le tue
capacità di fare fotomontaggi sono
lievemente migliorate.
[From
Sebastian 9.30 AM]
Fingerò
che tu non stia disperando e contando i minuti al nostro rendez-vous.
PS:
non solo nel fotomontaggio sono in continuo miglioramento, Miss Hummel.
[To
Sebastian 9.32 AM]
Un
rendez-vous implicherebbe una certa galanteria.
Nessun
PS questa volta.
[From
Sebastian: 2.40 PM]
Soltanto
se continuerai ad arrossire per me.
Affrettò
il passo nel risalire le scale della metropolitana, consultando per un
solo
istante la cartina prima di accelerare il passo.
[To
Sebastian: 2.45 PM]
Megalomane.
Osservò
l'insegna della caffetteria e strinse maggiormente la tracolla della
borsa,
mentre deglutiva a fatica. Socchiuse gli occhi e prese un bel respiro
ma si
riscosse alla vibrazione del cellulare.
[From
Sebastian 2.58 PM]
Affascinante
megalomane. E ora smettila di sorridere come un idiota.
[To
Sebastian 2.59 PM]
Non
sto sorridendo.
[From
Sebastian 3.00 PM]
Ti
vedo.
Trasalì
quando, l'attimo dopo, si sentì cingere nuovamente il polso
e si ritrovò
pressato nella morsa suadente e sicura delle sue braccia.
Un
sorriso e Sebastian si chinò al suo orecchio, soffiandoci
dentro.
“Stai
sorridendo”
Eccoci
qua. Ho deciso per un
inizio molto semplice e leggero ma premetto che – soprattutto
domani e
dopodomani – la lettura diverrà più
impegnativa. Ad ogni modo, spero che questo
piccolo raccontino sia stato di vostro gradimento e magari vi
indurrà a
continuare a seguire questa settimana. Un ringraziamento a tutti coloro
che
leggeranno e sarò più che disponibile (anzi, vi
spero vivamente!) ai vostri
commenti. Non mi resta che augurarvi una buona Halloween Kurtbastian
Week e
darvi appuntamento a domani, il tema trattato sarà
“NIGHTMARES”.
Baci
a tutti,
Kiki87
|
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Capitolo 2 *** Nightmares - I'll always be with you ***
Buon pomeriggio e ancora buona Kurtbastian
Week!
Anzitutto ringrazio di cuore le persone che
hanno recensito ed inserito la raccolta tra le seguite e da ricordare,
ne sono
davvero molto lusingata e spero di continuare ad interessarvi e
regalarvi
qualche bel momento in compagnia dei nostri adorati.
Un ringraziamento come sempre alla mia
Blaininuccia e alla mia Sebastian e passiamo subito a noi: questa
è stata la
fanfiction che sicuramente mi ha dato più da pensare (fino
al momento
precedente alla scrittura stavo persino cambiando versione) avevo
immaginato la
“trama” ma scriverla è stato
tutt’altro che semplice, probabilmente per
l’atmosfera più malinconica.
Ma spero comunque vi possa piacere,
soprattutto il finale all’insegna del fluff.
Ok, la finisco di darvi questi avvertimenti
pseudo minacce e vi auguro buona lettura!
NIGHTMARES
I'll
always be with you.
La stanza era silenziosa ma
non era lo stesso
silenzio che lo aveva cullato per molto tempo: quello sonnacchioso che
sembrava
invogliarlo dolcemente a lasciarsi andare alla stanchezza. Quello che
seguiva
la carezza della mamma, la sua ninnananna cantata o la lettura di
qualche
favola mentre il papà li osservava dalla soglia della porta,
talvolta
intrattenendosi lui stesso o intervenendo per sollevarlo e fargli fare
qualche
giravolta solo per farlo ridere.
Non era lo stesso silenzio
perché quella stessa
stanza non sembrava più la stessa: quelle pareti erano
improvvisamente estranee
ed ostili.
Odiava il momento in cui suo
padre, dopo la
buonanotte, spegnava le luci e il buio avvolgeva tutto quanto: tremava
sotto le
coperte, si nascondeva al di sotto come se fossero una fortezza per
sfuggire al
male del mondo, come se, così facendo, potesse di nuovo
sentirsi al sicuro.
Socchiudeva spasmodicamente
gli occhi, stringeva i pugnetti
ed ascoltava i tonfi quasi convulsi del proprio cuore, attendeva ed
attendeva.
Contava, o cercava di ricordare qualcosa di bello: il viso della mamma,
la sua
risata, il modo in cui pronunciava il suo nome.
A volte singhiozzava contro il
cuscino ma mordeva
le lenzuola: poteva ancora sentire l'abbraccio del papà, la
stretta della sua
mano e quel suo blandirlo. Gli ripeteva che era il suo piccolo
ometto e che tutto sarebbe andato bene, che insieme
avrebbero affrontato tutto quanto e la mamma avrebbe continuato a
guardarli dal
cielo e sarebbe stata felice, non avrebbe voluto che lei fosse triste.
E
neppure stanca e sofferente come era apparsa per così tanto
tempo quando aveva
perso la sua allegria, la sua energia fino a consumarsi lentamente ma
sempre
capace di regalargli un sorriso meraviglioso, sempre pronta a leggergli
una
favola fino a quando non se lo stringeva al petto. Riusciva a vedere i
suoi
occhi lucidi, le domande inespresse che gli balzavano nella mente
eppure sembrava
tutto così perfetto in quei momenti: stavano in silenzio e
appoggiava il viso
sul suo seno, ascoltava i battiti del suo cuore, il suo profumo di rose
e a
volte si addormentavano insieme fin quando il papà non lo
portava nel suo
letto.
Era in momenti come quelli,
mentre stringeva forte
il suo cuscino, che capiva che non sarebbe più successo e
l'angoscia diveniva
ancora più forte: cercava nuovamente di ricordare quel
profumo, lo stesso che
lo avvolgeva quando si nascondeva ai piedi del suo armadio. Le gambe
strette al
petto, gli occhi chiusi, circondato da una stanza che ancora parlava di
lei,
quasi sperando ciò fosse sufficiente a riportarla indietro;
quasi sperando che
gli angeli capissero che anche lui e suo padre avevano bisogno di lei.
Che non
avrebbe dovuto lasciarli.
Un singulto strozzato gli
sgorgò dalle labbra,
rimase nascosto sotto il piumone, strinse forte il cuscino e mantenne
gli occhi
serrati.
La pioggia non smetteva di
picchiettare contro la
finestra della sua camera.
Non sapeva quale strano luogo
fosse quello: gli
ricordava le illustrazioni del libro di favole, la foresta oscura e
piena di
occhi che si scorgevano nel buio, nella quale Biancaneve fuggiva per
salvarsi
dal cacciatore. Neppure riusciva a comprendere come vi fosse giunto e
quanto tutto
fosse iniziato: si era guardato attorno, il respiro rado e gli occhi
sgranati
nel tentativo di mettere a fuoco ciò che lo circondava. Se
soltanto vi fosse
stato uno spiraglio di luce o un sentiero da seguire per trarsi in
salvo.
Continuò a camminare, soltanto l'eco dei suoi passi, lo
scricchiolio dei rami
sotto di sé e quegli occhi che lo scrutavano
nell'oscurità, occhi che
divenivano sempre di più e continuavano a fissarlo. Riusciva
a sentire i propri
battiti e aveva la folle paura che fossero così forti che
tutti sarebbero stati
in grado di sentirli: avrebbe dovuto allontanarsi in fretta per evitare
di
essere catturato. Doveva trovare una soluzione e non c'era tempo di
abbandonarsi alla paura o alla disperazione, non c'era tempo di cercare
il papà
o qualcuno che potesse soccorrerlo.
Era solo, solo e sperduto.
Ma soprattutto sembrava che
nessuno ancora si fosse
accorto della sua assenza: nessuno sarebbe venuto a cercarlo in quel
luogo
sconosciuto.
Le lacrime cominciarono a
sgorgare sul viso, si
morse le labbra ma cercò di essere silenzioso: si strinse
maggiormente al suo
pigiamino e prese a correre.
Non aveva senso cercare di
nascondersi: quegli
occhi nell'oscurità continuavano a scrutarlo e sentiva
quegli sguardi scivolare
lungo la spina dorsale come se potessero trattenerlo strettamente con
dei
lacci, come se sapessero esattamente dove sarebbe andato e lo avrebbero
atteso,
perché non vi era alcuna via di fuga. O stava già
intrappolandosi da solo.
La pioggia diveniva sempre
più scrosciante, gli
bagnava i capelli, il viso e si insinuava sotto il pigiama fradicio
fino a
farlo intirizzire ma non poteva far altro che continuare a correre, gli
occhi
sgranati nel tentativo di scovare un'uscita. Inciampò
più volte tra le radici
che non riusciva a scorgere in quella semioscurità, si
ferì le mani coi
cespugli e gli arbusti ma continuò la sua corsa, quasi
consapevole che se si
fosse fermato, sarebbe stato perduto.
Non poteva guardarsi alle
spalle, poteva solo e
soltanto andare avanti. E sperare che tutto finisse. Prima che fosse
troppo
tardi.
Non seppe per quanto tempo
avesse corso, fermandosi
solo di tanto in tanto per recuperare respiro, ma finalmente scorse la
fine
della radura: la luce del giorno e lì, a pochi passi da lui,
persino i raggi
del sole. La pioggia apparteneva soltanto a quella foresta malvagia e a
tutti
quegli occhi che non avevano smesso di fissarlo per un solo istante.
Un ultimo sprint e raggiunse
finalmente quella
landa benevola, si lasciò cadere, completamente stremato:
rotolò fino a
ritrovarsi supino e sostò per qualche istante con il sole
che gli sfiorava il
viso, un moto di calore a sopperire gli abiti fradici e la pelle
intirizzita al
di sotto.
Cercò di placare
quel gelo che gli faceva battere i
denti.
Soltanto quando il respiro
tornò a regolare,
schiude gli occhi per scrutare il paesaggio: vi era un sentiero
costeggiato da
cespugli di fiori. Fiori azzurrini, quelli preferiti della mamma e, un
nuovo
singulto nel petto, si era messo in piedi: probabilmente quella era la
strada
che lo avrebbe ricondotto a lei. Probabilmente lei lo stava
già attendendo e si
domandava perché non l'avesse ancora raggiunta.
Doveva essere così, probabilmente anche il
papà stava aspettando e se
non si fosse sbrigato sarebbe dovuto entrare nella radura per cercarlo.
Non era ancora giunto a
metà di quel percorso
quando scorse quella che somigliava incredibilmente alla cupola
costruita dai
Nani per Biancaneve dopo che la mela avvelenata le aveva tolto i sensi.
Sentì
il cuore fermarsi a quella visione, un verso di sgomento e di timore e
percorse
l'ultimo tratto correndo disperatamente.
Aveva un brutto, bruttissimo
presentimento.
Per un istante fu troppo
sconvolto per reagire:
bellissima quanto immobile, eterea, delicata e fragile. Sembrava stesse
dormendo ma era tutto così silenzioso, così
immobile intorno a lei, quasi persino
la natura loro attorno sembrasse
sospesa. Nulla al di fuori di quel viso i cui lineamenti sembravano
esser stati
cesellati su finissima porcellana; nulla al di fuori delle labbra che
erano
curvate in quel sorriso, quasi stesse dormendo e non sentisse
più dolore.
Come se fosse, finalmente, in
pace.
“Mamma” aveva
pigolato, la voce rotta dall'orrore e
dallo sgomento mentre le piccole mani si adagiavano sul vetro freddo,
cercando
un'apertura, cercando di sollevarne il coperchio, il respiro affannato
e le
lacrime che già scorrevano sul viso.
“Mamma”
ripeté angosciato, guardandosi attorno
disperatamente.
“Aiuto!”
si sentì gridare, allontanandosi dalla
cupola e guardandosi attorno, in quel verde sconfinato che sembrava
tutto
racchiudersi intorno a quello spazio, infinito quanto inquietante.
“QUALCUNO MI
AIUTI” si sentì gridare con quanto
fiato aveva in gola, prima di tornare verso la struttura, ne
abbracciò la
superficie, osservò il riflesso di quel viso,
così vicino eppure già
appartenente ad un'altra realtà, già lontana da
lui da tanto, troppo tempo.
Osservò le proprie lacrime ricadere sulla vetrata, i pugni
serrati mentre
nuovamente, spasmodicamente, cercava un'apertura.
Ignorò il pensiero
molesto che fosse ormai troppo
tardi. Ignorò la paura di sentirne nuovamente il cuore fermo
o la pelle fredda
e marmorea: doveva soltanto trovare un modo, se solo ci fosse stato
qualcuno o
qualcosa che potesse aiutarlo, se solo non fosse stato così
solo e sperduto.
Fu in quel momento: un alone
dorato che sembrò
circondarlo e Kurt sentì il cuore riempirsi di una nuova
pace mentre una
melodia struggente e lontana risuonava tutto attorno, trasportata da
chissà
dove.
“Kurt”
Un sussurro delicato e
così ovattato, una voce che
somigliava anch'essa ad una sinfonia delle più dolci:
schiuse gli occhi, sbatté
le palpebre e si volse fino a quando, il cuore in gola e gli occhi
sgranati, ne
rimirò l'immagine.
Splendente, i capelli sciolti
e il sorriso sulle
labbra, gli occhi della sua stessa tonalità che sembravano
brillare come quando
era serena: aveva le braccia aperte come quando soleva stringerlo.
Le labbra schiuse e gli occhi
sgranati, la
contemplò come fosse incapace di realizzare che fosse reale
e si trovasse di
fronte a lui: fu con slancio che si gettò su di lei ma si
accorse che era
incapace di sfiorarla e di stringerla.
“Mamma” aveva
pigolato, la voce strozzata e la vide mettersi in ginocchio:
allungò le mani
diafane al suo viso, quasi volesse scostarne le lacrime ma
constatò con dolore
di non poterlo realmente toccare. Ciononostante, il cuore del bambino
sembrò
comunque invaso di un dolce calore: fin quando avesse anche soltanto
potuto
scorgerla, fin quando fosse rimasta e gli avesse potuto parlare o lo
avesse
guardato in quel modo, avrebbe potuto accontentarsi.
“Mi manchi” aveva pigolato, le lacrime che
non smettevano di scivolare lungo le
guance malgrado il sorriso adesso sostasse sulle labbra e la donna
annuì, lo
stesso sorriso reso umido dalla commozione.
“Anche tu... anche voi. Ma non
me ne sono mai
andata” aveva sussurrato con voce
melodica, la mano che si era avvicinata a sfiorarne il petto.
“Io sarò
sempre con te, Kurt” ma Kurt aveva scosso il capo,
ormai stanco di
sentire quelle parole che gli erano state ripetute così
tante volte dal giorno
del funerale. Aveva imparato ad ascoltarle solo
passivamente, senza credervi. Immaginando
soltanto fossero le parole che si dicevano per gentilezza in quei casi.
“Adesso sei qui” aveva commentato il bambino
in risposta e aveva allungato a sua volta
le mani sperando di poterne sfiorare il viso o i capelli, sentirne
nuovamente
il profumo o il calore di un abbraccio. Ma le mani rimasero sospese a
pochi
millimetri nel realizzare che sembrava fatta d'aria e impossibile da
riuscire
realmente a toccare. Un verso roco di frustrazione e di disappunto e il
sorriso
della donna sembrò rattristarsi seppur si sforzò
di continuare ad osservarlo.
“Devi lasciarmi andare,
Kurt” aveva sussurrato.
“NO!” aveva
esalato il bambino, nuovamente tremante, le labbra schiuse quasi a
cercare di
anelare un fiotto d'aria che tornasse a farlo respirare, mordendosi con
forza
le labbra e sbattendo gli occhi a più riprese. Si era
avvicinato maggiormente,
aveva allungato le mani disperatamente ma ella aveva continuato a
sorridergli.
“Questo non significa che mi
perderai: non passerà
un solo giorno senza che io ti guardi. Non passerà un solo
giorno senza che io
rimpianga di non essere con te. Non passerà un solo giorno
senza che io vegli
su te e su papà. Vi amerò sempre, e so che
insieme affronterete tutto”
“Non te ne andare” neppure si sforzava di
controllare le lacrime e i
singhiozzi che sferzavano il respiro. “... ti
prego, no, non farlo” aveva
pigolato nuovamente prima che la donna si rimettesse in piedi.
Il gesto sembrò
già essere una risposta perché il
bambino cercò di stringerla a sé, sferzando solo
l'aria e riprendendo a
singhiozzare più forte fin quando non la vide chinarsi.
Sembrò soffiare sul
proprio viso o qualcosa di simile e Kurt socchiuse gli occhi per
istinto.
Ne sentì la voce
più simile ad un eco, sempre più
lontano e sempre più confuso.
“Sarò sempre con
te”
“Mamma!”
Schiuse gli occhi, li sgranò nell'avvedersi che tutto
intorno a sé fosse
scomparso, soltanto quel sussurro che continuava a risuonare nella
radura ora
immobile e silenziosa come pochi istanti prima. Uno strappo all'altezza
del
petto, continuò ad invocarla, pur consapevole fosse ormai
troppo tardi ed ella
se ne fosse andata laddove non l'avrebbe più vista.
Tremò e
singhiozzò più forte.
“Kurt! Kurt, svegliati” era la voce di suo padre a
riscuoterlo mentre lo
smuoveva delicatamente e fu con un singulto che si sollevò
con il torso. Sentì
i lampi del temporale ancora in corso ma focalizzò lo
sguardo sulla propria
camera adesso illuminata e su suo padre, seduto sul suo letto mentre ne
sfiorava la guancia bagnata.
“Mamma” aveva
sussurrato, la voce nuovamente rotta e
gli occhi lucidi mentre Burt, anch'egli visibilmente scosso, gli sfiorava delicatamente
la guancia.
“Va tutto bene,
ometto” aveva sussurrato ma neppure
lui sembrava crederci.
Kurt
singhiozzò. Si lasciò stringere al
suo petto, affondò il mento contro la
sua spalla, ne ascoltò le parole di conforto, le carezze sui
capelli.
E pianse. Pianse come il
giorno in cui aveva
compreso che tutto era finito, non curante, in quel momento, che
avrebbe dovuto
essere il suo ometto, che avrebbe dovuto cercare di essere forte. Non
quando la
nostalgia era così dolorosa, non quando quel vuoto era
così intenso da farlo
precipitare nel baratro.
Burt rafforzò
l'abbraccio, continuò a stringerlo e
sfiorarne i capelli e la schiena, baciandone la fronte ed attendendo
che i
singhiozzi si placassero per scostarlo dal proprio petto.
“Scusa
papà” pigolò con voce rotta.
Egli scosse il capo e sorrise
malgrado gli occhi
lucidi e i lineamenti contratti dallo stesso dolore.
“Non devi scusarti”
aveva sussurrato e seppur non
riuscisse a dirlo in quel momento, guardando i gli stessi occhi di lei:
sapeva
che, se possibile, lo avrebbe amato persino di più
perché incarnava tutte le qualità
della donna che aveva da sempre amato.
“Non
scusarti” aveva commentato, stringendolo per
baciarne il capo.
“Siamo io e te Kurt, insieme
affronteremo tutto: ho
bisogno di te” aveva sussurrato e il bambino si era scostato
ed aveva annuito,
gli occhi ancora lucidi ma brillanti di una nuova determinazione.
“Io e te” aveva
ripetuto, trovando nuovamente
rifugio contro il suo petto.
“Resti fin quando
non mi addormento?” aveva chiesto
quasi timorosamente.
Il padre gli
rimboccò le coperte: cercò di farlo nello
stesso modo cui provvedeva la moglie.
Aveva annuito, la mano stretta
a quella del figlio.
“Sarò sempre con
te” fu l'ultima cosa che sentì
prima di cadere nuovamente nel torpore.
~
Si svegliò di
soprassalto: completamente madido di
sudore ma le sensazioni e le immagini erano esattamente le stesse. Il
sogno era
ormai divenuto ricorrente, si ripeteva con la stessa
regolarità all'avvicinarsi
dell'anniversario dalla scomparsa della madre. E quello da
lì a pochi giorni
sarebbe
stato il quindicesimo:
quindici anni nei quali il
ricordo era divenuto flebile, la sua risata rimasta in un angolo remoto
della
propria memoria, ma erano gli stessi occhi che lo contemplavano nel
riflesso
dello specchio. Era ancora il suo profumo quello che, di tanto in
tanto,
acquistava per poterlo spruzzare tutto attorno in quei momenti in cui
il dolore
era così straziante da lasciarlo paralizzato.
Anche quell'anno non fu
diverso ma l'immagine del
giovane uomo che l'aveva supplicata, ancora una volta, di non lasciarlo
solo,
era mutata esteriormente.
Ogni volta, tuttavia, in cui
il pensiero rincorreva
il suo volto o le fotografie che ritraevano la loro famiglia, ogni
volta che ne
contemplava il viso in un sogno, riusciva ancora sentirsi quel bambino
smarrito
e bisognoso di protezione e di sostegno.
Osservò l'altra
parte del letto nel quale Sebastian
ancora dormiva: il respiro regolare e l'espressione serena. Si
concentrò su
quell'immagine quasi cercando in essa l'appiglio a restare
completamente
presente a se stesso, cercando di ricordarsi chesi fosse trattato
soltanto di
un sogno.
Cercò di domare
quel tremore diffuso mentre tornava
a stendersi. Si raggomitolò sotto le coperte, si
rannicchiò di un fianco, strinse
il cuscino e socchiuse gli occhi.
Cercò di inspirare
a fondo per controllare il
respiro ancora accelerato, attento a non lasciarsi sfuggire dei suoni
che
potessero disturbare il sonno dell'altro ragazzo. Cercò di
rilassarsi,
socchiuse gli occhi e sperò di cadere nuovamente nel torpore
del sonno, strinse
forte le lenzuola come quando era solo un bambino ma all'ennesima
immagine di
quel volto, di quel sorriso e di quello sguardo dolce, sentì
un verso strozzato
sgorgare dalle labbra.
Fu in quel momento che, ancora
assopito come
accadeva molto spesso, Sebastian si pose a sua volta di un fianco e il
suo
braccio ne cinse la vita come a trattenerlo.
Era qualcosa di davvero
suggestivo e che non
smetteva mai di sorprenderlo: il modo in cui, anche dormendo, sembrasse
avere
un'esatta percezione della sua vicinanza o lontananza. Persino quando
lasciava
il letto per primo, si era abituato a sentirne la voce prima che
raggiungesse
la porta della stanza.
Trattenne il fiato e l'attimo
dopo percepì la
pressione del suo abbraccio: il suo petto adagiato contro la propria
schiena,
accerchiandolo. Non poté che stupirsi, persino in quel
momento, di come il
proprio corpo più esile e gracile sembrasse esser nato per
essere avvolto dal
suo.
Sorrise malgrado le lacrime
che scorrevano lungo il
viso e il tremore delle membra: sollevò la mano a stringere
delicatamente
quella del giovane, attento a non svegliarlo. Ma persino
nell'incoscienza del
suo riposo, sembrò scorgere l'irrigidimento del suo corpo
perché a poco a poco
sembrò destarsi.
Trattenne il fiato ma l'attimo
dopo Sebastian aveva
adagiato il mento contro la sua spalla e lo strava stringendo con
più forza.
“Kurt?” ne
sussurrò il nome con intonazione
interrogativa e ciò sembrò soltanto acuire quel
magone in gola e il dolore che
si cristallizzò in nuove lacrime che scorsero lungo il viso,
nel singhiozzo che
non riuscì a soffocare.
Ne immaginò il viso
accigliato ma ne sussurrò
nuovamente il nome, fino a quando non si volse nel suo abbraccio, fino
ad
affondare il volto contro il suo petto: la mano artigliata quasi
spasmodicamente alla sua t-shirt. Il proprio viso premuto contro i suoi
battiti
regolari.
Lo sentì appoggiare
il mento contro il proprio
capo: non disse nulla ma prese a sfiorarne la schiena e i capelli con
fare
rassicurante, attendendo che la foga del pianto si esaurisse.
Attendendo che quel
calore riuscisse nuovamente a scalfire il dolore, come era sempre stato
con gli
abbracci di suo padre.
Sostò a lungo, gli
occhi socchiusi, il profumo di
Sebastian, la pressione delle sue braccia e quell'abbandono tremante ed
indifeso nel suo abbraccio fino a quando non si calmò.
Restò comunque
vicino, la pressione delle sue
braccia meno spasmodica mentre il ragazzo ne scostava quel ciuffo
disordinato
dalla fronte, come sua abitudine, prima di lasciar scorrere le labbra
lungo la
curvatura della mascella dalla quale baciò via una lacrima.
“Un brutto sogno?”
aveva bisbigliato e il giovane
aveva annuito, gli occhi arrossati e pesanti che si schiudevano
istintivamente
al tocco delle sue dita o la pressione delle sue labbra in quei momenti
di
vezzeggiamenti più delicati. Aveva annuito, quasi troppo
stanco per parlare,
quasi timoroso che lasciar sgorgare quelle parole potesse nuovamente
far
scoppiare il proprio dolore. Incapace di gestirlo e di trattenerlo
eppure
persino di lasciarlo andare, quasi temendo di lasciar andare un ultimo
appiglio
di lei.
“Ogni anno” si
sentì dire con voce rauca,
inframmezzata e rotta, la gola ancora infiammata e i battiti
più radi. “... mi
sembra di non riuscire più a trattenerla, di perderla sempre
più. Ma mi ha già
lasciato” si era morso il labbro prima di stringersi
nuovamente al suo petto.
Sentì Sebastian
sostare in un silenzio teso: sapeva
che non fosse tipo da blande paroline al miele e quanto vederlo turbato
lo
mettesse sempre a disagio, non sapendo come consolarlo. Ma laddove le
parole
mancavano, era sempre in grado di mostrargli tacitamente il suo
sostegno, con
gesti che riuscivano ad essere un'espressione più diretta
della sua vicinanza.
Lasciò che gli sollevasse il mento, tuttavia, e
incontrò quello smeraldo
lucente del suo sguardo: lasciò che ne rimirasse il viso
ancora arrossato e
socchiuse gli occhi al tocco gentile della sua mano.
“Non sei solo” aveva
bisbigliato, guardandolo più
intensamente e Kurt era riuscito a simulare un sorriso prima di
ricollocarsi
tra le sue braccia, trovando un perfetto incavo tra il collo e la sua
spalla.
Indugiò con la mano sul suo petto, sospirando al tocco
gentile della sua mano
tra i capelli ed aveva annuito alle sue parole.
“Tu credi...” si era
morsicato il labbro ma, di
fronte allo sguardo incoraggiante dell'altro, aveva sospirato prima di
riprendere fiato e lasciar andare quelle parole.
“Credi che esista un'altra
vita... dopo?” aveva
domandato con voce così esitante che somigliava a quella di
un bambino che, per
la prima volta, ponga quel tipo di questioni e cerchi di comprendere un
mistero
troppo grande per essere appreso e spiegato esaurientemente.
Non seppe neppure lui
perché porgli un simile
interrogativo, se stesse cercando conforto in qualcosa di
soprannaturale nel
quale non aveva mai creduto o se avesse solo bisogno delle sue
rassicurazioni,
della sua voce che lo cullasse nuovamente nel riposo. Sentì
le carezze di
Sebastian interrompersi per un istante nel quale ne vide le
sopracciglia
corrugate, un vago sospiro e lo sguardo nuovamente fisso sul suo viso,
cercando
probabilmente le giuste parole da rivolgergli.
“Credo in te” aveva
sussurrato dopo un lungo istante
e Kurt aveva sollevato gli occhi azzurrini in quelli del giovane, ne
aveva
visto il sorriso più dolce sfiorarne le labbra, il luccichio
nello sguardo che
le faceva baluginare quando realmente sereno.
“Credo il tuo amore la renda
immortale” aveva
sussurrato contro la sua pelle e Kurt aveva sentito nuovamente la gola
occludersi pericolosamente ma era un sorriso quello che ne faceva
scintillare
nuovamente le iridi in un moto di commozione e di dolcezza.
Sentì Sebastian
intrecciare la sua mano alla
propria nel riprendere a sfiorarne i capelli e la schiena, nel cullarlo
con
movimenti lenti e ritmici del palmo, le labbra che sostavano contro la
sua
fronte, osservandone il petto alzarsi ed abbassarsi mentre la
respirazione
diveniva più regolare.
Se il suo amore fosse stato
davvero in grado di
trattenerla, in fondo, era proprio come gli aveva detto: non se ne
sarebbe mai
andata. Non completamente.
Strinse maggiormente la
maglietta del giovane, il
viso affondato contro l'incavo del suo collo, lo sfiorò
appena con le labbra,
gli occhi ancora chiusi e il torpore ad avvolgerlo dolcemente.
“Credo in noi” aveva
soffiato prima di cadere nel torpore,
prima che le braccia di Sebastian lo avvolgessero maggiormente.
Non ne vide lo sguardo
smeraldino che continuava ad
osservarne la perfetta immagine di eterea immobilità nel
riposo, non ne sentì
la nuova pressione delicata delle labbra sulla propria fronte.
Non ne sentì
l'ultimo sussurro.
“Sarò sempre con
te”
Sono riuscita, spero,
a risollevare gli animi con questo finale multi fluffluoso ma non
abituatevi,
non è affatto facile immaginare Sebastian in queste vesti.
Non fraintendetemi
credo che sia molto più sensibile di quanto dia a vedere
– si pensi
all’episodio di Karofsky e come ne fosse sconvolto e si sentisse in colpa almeno quanto Kurt
– ma era giusto
concedergli un alone più dolce in un momento di
difficoltà di Kurt.
Spero che comunque vi sia
piaciuta, al solito, commenti sono molto graditi e vi do appuntamento a
domani.
Il tema sarà “GHOST STORIES” e vi
proporrò sicuramente la più elaborata trama
tra quelle della raccolta.
Preparatevi a
sorridere ma anche qualche fazzolettino di scorta se siete
più sensibili ;)
Un bacione a tutti,
Kiki87
|
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Capitolo 3 *** Ghost Stories - You Will Be Loved ***
Questo è stato il
primo racconto (ma l'ultimo che ho stilato per mia logica contorta) di
cui ho
immaginato la trama, per questa Kurtbastian Week, ispirandomi ad un
libro di
Sophie Kinsella, che adoro in modo particolare “La
ragazza fantasma” ragion per cui, se siete fan
della scrittrice
o riuscirò a incuriosirvi, ve ne consiglio caldamente la
lettura. Scorrevole,
molto piacevole, divertente e a tratti anche romantico.
E’ anche il racconto a
cui ho dedicato più tempo, nonché il
più lungo ma è stato tra quelli che
più ha
emozionato e spero sia lo stesso per voi ;-)
Ancora i miei sentiti
ringraziamenti di cuore alla mia metà Klaine e Kurtbastian
che rendono la
scrittura ancora più piacevole di fronte a simili
manifestazioni di entusiasmo
e di partecipazione, vi adoro! ♥
Ma adesso veniamo a
noi, spero di aver calzato bene i panni di Sebastian e farvi un
po’ sorridere.
Non vi trattengo
oltre, buona lettura!
GHOST
STORIES
You will
be loved.
I know they're only ghosts
And
memories that I'm clutching at
Maybe
I'm reaching back
For
something I never had
Still
it seems so real to me
These
ragged threads
That
lead me back to you
(Your
Love - Keane)
Quella
decisamente non era cominciata come una buona
giornata per Sebastian. Si
era svegliato di scatto dal letto dell'ultimo ragazzo che aveva
abbordato allo
Scandals – un certo Brian, Ryan o qualcosa del genere
– un bel moretto dal culo
d'oro, come aveva constatato, fissandolo apertamente, da che
era entrato
nel locale. Ma da lì a poco aveva potuto denotare che aveva
anche degli
addominali scolpiti e un corpo abbastanza flessibile per... scosse il capo, la gola
secca e fissò il
proprio riflesso dallo specchio. Cercò di ridare al viso
un'apparenza composta
e riordinò i capelli, modellandoli con le mani umide.
Controllò
l'orologio al polso ed imprecò.
Era
in ritardo ed era certo che suo padre non ne sarebbe stato affatto
lieto: non
il signor procuratore che, in quanto ad esigenze di
puntualità, aveva il
temperamento di un generale e una capacità oratoria, nelle
sue prosaiche lavate
di capo, degne di un predicatore.
Fu
con un sospiro quasi afflitto che strinse meglio il nodo della cravatta
e si
rimirò con aria incerta in quel tight scuro che era stato
definito dalla madre
abbastanza “decoroso” per l'occasione. Incerto
riguardo il completo in sé, sia
ben inteso, e non certo sulla sua magnifica persona che sarebbe
riuscita
comunque a risplendere.
Il
punto era che non capiva per quale ragione, se non un buonismo e una
certa
attitudine ad una sorta di ipocrita sentimento di “famiglia
unita”, dovesse
presenziare al funerale del bisnonno, Jacques Laurent.
Tanto
per essere chiari – o abbastanza sinceri – nessuno
si era mai premunito
di interessarsi di quella sottospecie di cariatide, afflitta da mesi
dall'alzheimer e capace soltanto di sbavare sui piatti che gli venivano
propinati dalle grassocce infermiere della casa di riposo.
Ogni
volta che i genitori si erano recati, in qualche occasione retorica
come il
Natale con tutte quelle fissazioni su come tutti debbano essere
più buoni e “altre
stronzate della stessa risma”, a fargli visita, era
stato solo capace di
abbaiare loro contro, scambiandoli per questo o quel famigerato
infermiere che
puntualmente doveva pungerlo sul deretano con aghi mostruosamente
lunghi. Poi
tornava alla sua abitudinaria contemplazione della parete, canticchiava
qualche
motivetto a tempo di una musica che soltanto lui riusciva a sentire,
per poi
chiedere nuovamente alla madre di
Sebastian, nonché sua nipote:
“Mi
scusi signorina, ma lei chi è?”.
Nessuno
avrebbe potuto biasimare Sebastian se, appena sfuggito al controllo del
parentado, era riuscito a trarsi fuori da quell'incombenza. Spesso e
volentieri
assumendo qualche sosia che facesse le sue parti e ai quali dava una
semplice
indicazione: “Interpreti me: ti basti sapere che, se potessi,
mi stuprerei da
solo ma che anziché star lì a tenergli la mano
preferirei farmi Rachel Berry
mentre mi trapassa il timpano con un acuto di Céline
Dion”.
Il
punto era che quel vecchiaccio col pannolone aveva
ben pensato di tirare
le cuoia, dopo anni nei quali si era preso il disturbo di vegetare come
una
pianta da comodino, e adesso dovevano tutti riunirsi e fingere di
provare
compassione per l'increscioso evento.
Persino
suo padre si era preso la briga di annullare gli appuntamenti del
giorno e, al
telefono, aveva soggiunto un:
“Per
l'amor del cielo, Sebastian. Se proprio non te ne importava nulla di
Jacques,
fai quello che dovresti aver imparato in quella scuola privata: recita.
Se non per lui, fallo almeno per tua madre”.
Ma
per quanto le doti melodrammatiche di Sebastian Smythe potessero essere
più che
eccelse, nulla poteva rimediare a quel momento di isolato imbarazzo nel
quale
quasi tutte le sedie della stanza dove si sarebbe tenuta la cerimonia,
erano
vuote. Ad eccezione della prima fila dove sedevano i genitori di
Sebastian e
qualche donna con la divisa da infermiera.
Sperò
che almeno l'ufficiante fosse tipo abbastanza rapido e, soprattutto,
non fosse
un fanatico religioso che li ammonisse a non guardare alla vita terrena
ma a
compiere opere buone per la ricompensa in cielo e tutte le altre
lezioncine
dottrinali.
Era
quasi tentato di fare dietrofront ma quando la madre si volse e, con
gli occhi
già arrossati, gli sorrise.
Si sentì fottuto.
Con
una smorfia fissò la fotografia del vegliardo che somigliava
ad una tartaruga
rinsecchita incrociata ad un carlino prima di prendere posto tra i
genitori,
neppure degnando di sguardo il feretro. Sentì la pacca del
padre sulla schiena
che sembrava tanto la consolazione di un padrone al suo cagnolino
fedele che si
lasci infilare il termometro su per l'orifizio e osservò con
la coda
dell'occhio la madre che strombazzava sonoramente sul suo fazzolettino.
Dio,
se è vero che esisti, ammazzami adesso.
Si
riscossero tutti alla vista dell'ufficiante che appoggiò una
mano sulla spalla
della Signora Smythe con fare comprensivo e bonario e salutò
tutti con un
sorriso di circostanza prima di infilare gli occhialini da lettura.
Sebastian
lo vide aguzzare la vista come una talpa prima di fissare le file di
sedie
vuote alle loro spalle.
“Forse
il preavviso dell'anticipo della funzione non è giunto a
tutti gli altri
conoscenti?” aveva chiesto guardando il Signor Smythe che
aveva scosso il capo.
“Siamo
tutti presenti, prego, può cominciare” il solito
tono condiscendente e formale
che usava anche coi propri sottoposti mentre l'uomo osservava
curiosamente la
scena prima di decidere di assumere un'espressione professionale.
“Capisco”
si schiarì la voce ed estrasse una biro. “Mi
chiedevo se poteste rispondere a
qualche domanda, così che il mio intervento sia
più idoneo e rispecchi le sue
volontà” aveva convenuto in tono
quasi mistico che aveva fatto sollevare gli occhi al cielo a Sebastian.
Era
solo una mummia rottamata, che altro c'è da sapere: quante
volte si pisciava
addosso?
“NO!
NON PUO' ESSERE VERO!” Sebastian trasalì e
sgranò gli occhi: dalla porta di
ingresso era appena giunto un ragazzo sconosciuto che, una volta vista
la
fotografia del defunto, aveva attraversato l'ampio corridoio tra le due
postazioni
di sedie vuote fino a fermarsi di fronte al feretro. Ne
osservò l'uomo
all'interno e indietreggiò,
le mani a
coprirsi le labbra.
“NO,
NON E' POSSIBILE” aveva esclamato nuovamente, il tono
angosciato e sgomento e
Sebastian immaginò si trattasse di qualche sperduto parente
– aveva notato un
accento francese – che stava improvvisando quella pantomima,
nella speranza di
fare bella figura ed ereditare qualcosa.
“Era
coetaneo di Silente, certo che è possibile” aveva
sibilato in risposta ma fu
l'aria che si congelò attorno a lui a farlo riscuotere.
Nessuno dei presenti si
era voltato ad osservare il giovane che sembrava in procinto di una
crisi
isterica ma, al contrario, fissavano tutti lui.
Sua
madre aveva persino placato le lacrime, le labbra schiuse mentre
l'ufficiante
si sistemava meglio gli occhiali sul naso. Lo fissò
interdetto.
“Prego?”
Chiese educatamente.
“Non
ce l'avevo con lei” ribatté, indicando con il
braccio il giovane che continuava
a fissare il feretro con lo stesso viso mortalmente pallido, quasi...
evanescente. Quasi non avesse una reale consistenza.
Fu
in quel momento che si volse e, finalmente, Sebastian lo
osservò realmente: aveva
capelli ondulati e fluenti, biondi come il grano,
che ricadevano sulle spalle e delle ciocche
ne sfioravano le guance pallide. Una delle guance era punteggiata da
nei che
scivolavano lungo la pelle d'alabastro e si disperdevano fino al
colletto della
blusa bianca, abbinata a quei pantaloni scuri, trattenuti con bretelle.
Per
un istante sembrarono esistere solo loro.
“Tu...
riesci a vedermi” gli aveva chiesto, lo stesso tono incredulo.
“Certo
che riesco a veder-” la frase morì a
metà e la consapevolezza lo colpì come un
secchio d'acqua gelida sul viso.
Come
un movimento coreografico, tutti i presenti si erano voltati ad
osservare il
feretro prima di tornare a fissare lui: sembrò che il
silenzio assordasse
Sebastian.
Erano
tutti sconcertati, inebetiti e sospettosi, sentì i battiti
del proprio cuore
rallentare mentre schiudeva le labbra e un brivido freddo
scivolò lungo la
spina dorsale, la gola improvvisamente secca e gocce di sudore a
scivolargli
sulle tempie.
Sentì
sua madre appoggiargli una mano sulla spalla.
“Tesoro,
ti senti bene?”
“Sto
bene” si sentì dire e si schiarì la
gola, mettendosi nuovamente comodo. “Sto
benissimo, ma voi non -” sgranò gli occhi.
Quello
strano ragazzo, apparso dal nulla, era scomparso. Volatilizzato.
~
La
funzione era stata molto semplice e sbrigativa e, a parte qualche
sporadica
occhiata confusa dei genitori, sembrarono tutti essersi dimenticati di
quello
strano episodio.
L'ufficiante
stesso – lo aveva sentito quell'idiota! - aveva rassicurato
la Signora Smythe
che non erano rari episodi psichici nei quali qualcuno di
particolarmente sensibile,
a causa della grave perdita, aveva la
sensazione tangibile e reale
di vedere una creatura ultraterrena o immaginare una presenza
incorporea. Era
un meccanismo di difesa della psiche, aveva continuato in tono
saccente, un
modo di arginare lo sbilanciamento conseguente al trauma.
Ma
Sebastian non riusciva a spiegarsi cosa fosse accaduto: eppure era
certo di non
aver ingerito pasticche e neppure di esser stato vittima di un qualche
psicopatico maniaco che gli avesse propinato qualcosa per alternarne i
sensi.
Un
caffè corretto col cognac di certo avrebbe potuto aiutarlo a
superare il trauma
di un non-trauma, perché
non era
accaduto nulla, nulla degno di nota.
Una
volta appurato questo, si era fatto servire la sua tazza di
caffè e sostava sul
balcone, il viso appoggiato alla mascella mentre un sospiro
impercettibile gli
sfuggiva dalle labbra: allentò la cravatta prima di
toglierla e così anche la
giacca e sbottonò il primo bottone della camicia.
Meglio,
decisamente molto meglio.
Sorseggiò
la sua tazza di caffè come se, in quel momento, fosse in
pace con il mondo: il
calore della bevanda e del liquore gli scaldarono piacevolmente lo
stomaco,
aveva socchiuso gli occhi, completamente avvolto in quella nuvola di
piacere
per un gesto così quotidiano ma mai casuale.
“SEI
TU!” .
Poco
ci mancò che Sebastian sputasse il contenuto del bicchiere
oltre il balcone ma
tossì convulsamente e sentì rivoli di sudore
freddo scivolare lungo le tempie,
gli occhi sgranati mentre il giovane, che era certo di aver visto al
funerale,
stava proprio di fronte a lui.
E
lo stava fissando. Non c'erano
dubbi.
Scosse
il capo, fissò il suo bicchiere ancora interdetto.
“Tu
riesci a vedermi! Non fingere il contrario: tu puoi vedermi e
sentirmi” cercò
di ignorare quella voce petulante ed evidentemente sollevata, scosse il
capo e
chiuse spasmodicamente gli occhi.
Non
poteva essere vero, non aveva alcun senso, e cosa, chi diavolo avrebbe
mai
dovuto essere...? Ne studiò ancora una volta i lineamenti,
si soffermò sul viso
ovale, i nei a punteggiarne la guancia e gli occhi, i suoi stessi occhi.
“NON
IGNORARMI!” urlò direttamente nel suo timpano e
Sebastian quasi cadde dallo
sgabello, i denti stretti e le sopracciglia aggrottate.
“Sì,
dannazione, sì!” ruggì, guardandosi
attorno e bisbigliando, lo sguardo
lampeggiante di rabbia e di sgomento, prima di scuotere il capo.
“Tu
devi aiutarmi!” piagnucolò l'altro, nuovamente
agitato: il volto cinereo mentre
allungava la mano per artigliarlo.
“Io
non devo fare proprio niente e tu devi sparire”
sibilò e aggrottò le
sopracciglia al vederlo sporgersi. Si scansò ma non fu
necessario: con
sguardo interdetto
e gli occhi sgranati,
constatò che la mano del ragazzo non riusciva a sfiorarlo.
Una vaga sensazione
di gelo ma la sua mano sembrò attraversare il braccio di
Sebastian, quasi non
fosse... materiale.
Il
ragazzo stesso indietreggiò, fissando Sebastian con sguardo
sgomento, lo stesso
che aveva rivolto al feretro mentre si portava le mani alle labbra.
“Allora
è vero... io sono morto” aveva sussurrato, la voce
flebile mentre Sebastian
continuava ad osservarlo per valutare quanto effettivamente, e senza
saperlo!,
si fosse fatto per riuscire a vedere quell'amabile sconosciuto con
manie
psico-depressive-suicide.
“Non
so chi tu sia, neppure mi importa, ma farai meglio a scomparire dalla
mia testa
prima che io ti ammazzi sul serio” aveva continuato a
sussurrare,
spasmodicamente, attento che nessuno lo cogliesse a parlare
apparentemente da
solo.
“Se
tu avessi capito qualcosa di quello che ho
detto” sibilò con simile
espressione stizzita, le sopracciglia aggrottate “sapresti
che non ce ne
sarebbe bisogno. Sono Jacques comunque. Jacques Laurent. E tu, invece,
chi
diavolo sei?”.
L'aria
sembrò svanire dai polmoni di Sebastian, dovette appoggiare
il bicchiere sul
balcone per il formicolio al braccio.
Sbatté
le palpebre a più riprese.
Non
aveva senso: come poteva avere una visione della mummia in quelle
sembianze,
senza averne mai visto una fotografia risalente all’epoca?
“Non
mi hai sentito? CHI SEI?” urlò nuovamente nel suo
orecchio e Sebastian gemette,
scostandosi bruscamente e massaggiandosi il timpano.
“Non
sono sordo, cazzone imbecille”.
“Cazzone?”
ripeté quello, sbattendo le palpebre quasi come una bambino.
“...
ma come parli? E che ci facevi al mio
funerale?”.
“Buffo,
me la sono domandato anche io” rispose sardonico prima di
aggrottare le
sopracciglia. “Sono Sebastian, Sebastian Smythe”.
“Smythe,
non conosco nessun Smythe, non è un cognome
francese” Sebastian sollevò gli
occhi al cielo prima che lo incalzasse ancora, con lo stesso
atteggiamento
ansioso.
“Tu
devi aiutarmi: io non so cosa sia successo” il tono era
nuovamente accorato,
quasi fosse vicino alle lacrime. “Mi sono ritrovato in quel
luogo, quella tomba
e...” sembrò non trovare le parole per descrivere
il suo stato d'animo.
“Se
hai bisogno di una benedizione, hai sbagliato persona”
replicò freddamente,
passandosi una mano tra i capelli e, una volta lasciata una banconota
sul
balcone, si rimise in piedi.
“Aspetta,
non puoi lasciarmi: non so cosa fare”
cercò nuovamente di artigliarne il braccio ma fu capace
soltanto di schermare
l'aria mentre Sebastian sbuffava.
“Rivolgiti
ad un ghostbuster, un prete, un medium” aveva commentato con
voce indifferente,
scrollando le spalle. “quello che ti pare”.
“Ma
tu sei l'unico che può vedermi e sentirmi e...” si
era bloccato nel mezzo della
stanza e Sebastian, la giacca abbandonata sulla spalla, si
voltò interdetto –
non che lo stesse realmente ascoltando! - fino a quando non lo vide
così
immobile.
Gli
occhi sgranati, le labbra schiuse e un'espressione così
beota e trasognata che
inarcò le sopracciglia: che stesse vedendo la volta celeste?
Probabilmente un
alone dorato lo avrebbe avvolto, avrebbe detto una frase alla Patrick
Swayze e
poi sarebbe scomparso.
“Chi
è questo splendore?” aveva domandato con voce
rauca, il sorriso ancora stolto
ed illuminato da un'espressione talmente stucchevole e diabetica che
Sebastian
avrebbe avuto subito bisogno di un altro caffè nero per
poterla dimenticare. O
di trapanare un ragazzo come quello della sera
precedente. Possibilmente
entrambe le opzioni.
Seguì
la direzione del suo sguardo, tuttavia, immaginando di intravedere una
versione
cadaverica di Miss Marple o della Signora in Giallo, ma fu con
sopracciglia
ancora più aggrottate che si avvide che non vi fosse una
clientela sopra i cent'anni.
Lo
guardò interrogativamente mentre Jacques – le mani
congiunte al petto – si
avvicinava ad un ignaro Kurt Hummel che era chino sul proprio quaderno,
l'espressione ancora beatamente trasognata.
“Faccia
da checca?!” domandò ed entrambi sollevarano gli
occhi sgranati in sua
direzione.
“Che
cos'è una checca?” aveva domandato Jacques con
voce confusa per poi tornare
alla contemplazione del giovane: allungò una mano, anelando
evidentemente di
sfiorarne il viso.
“...
anche per me è un dispiacere rivederti, Sebastian”
aveva replicato Kurt con
espressione indifferente.
“TU
LO CONOSCI!” aveva esclamato Jacques e sotto lo sguardo
incredulo e/o
disgustato di Sebastian si sedette al suo fianco: o almeno quella
doveva essere
l'intenzione perché rimase sospeso di qualche millimetro
sopra la sedia ma lo
sguardo era ancora puntato su Kurt.
“Non
è il bocconcino più prelibato che tu abbia mai
visto? Guarda che lineamenti,
sembra scolpito nella porcellana, o forse è finto... non
può esistere qualcosa
di così bello in natura e...”
“...
ma tu sei gay!” aveva esclamato incredulo, boccheggiando
senza fiato e
Sebastian poté giurare che fosse arrossito, per quanto
ciò fosse possibile per
chi non aveva una consistenza corporea.
A
quanto ne sapeva, Jacques aveva sposato la sua amica d'infanzia e, a
detta
della madre, il loro era stato un matrimonio sereno e felice. Certo,
lui stesso
riconosceva in Miss Hummel dei lineamenti femminei ma...
Si
concentrò su Kurt che aveva sgranato gli occhi e sbattuto le
palpebre prima di
inarcare le sopracciglia e sospirare con quell'espressione di stoica
mal
sopportazione.
“Hai
qualche altro sinonimo di dubbio gusto da propormi o posso tornare al
mio
studio?” aveva domandato altezzoso prima di scuotere il capo.
Senza
più guardarlo, tornò al proprio quaderno,
giocherellando con la penna sul
foglio, ignaro che il fantasma del suo bisnonno stesse continuando a
cercare di
sfiorarne il viso. Evidentemente non soddisfatto, si diede alla
sfacciata
contemplazione del suo collo e del suo petto e cercò di
sbirciare da dentro la
sua camicia.
Forse
erano davvero parenti, dopotutto.
Scosse
il capo a rimuovere quel pensiero e l'immagine disgustosa di Jacques
avvinghiato al collo di Miss Hummel, mentre sbatteva le palpebre a
più riprese.
Affondò,
infine, la mano libera nella tasca dei pantaloni e sorrise, il viso
inclinato
di un lato.
“Affatto”
aveva commentato con un sorrisino diabolico nell'osservare Jacques alle
prese
con quella sorta di stupro inconsapevole.
“Buono
studio, Miss Hummel” non attese risposta e si volse verso
l'uscita.
“...
perché c'è scritto il tuo nome sul suo
quaderno?” la voce di Jacques, in
tono evidentemente accusatorio, lo colpì come una pugnalata
tra le scapole.
L'attimo
dopo gli fu davanti, le sopracciglia aggrottate e le braccia consorte.
“Sei
il suo Sebastian!” lo aveva additato ma
quando questi lo ignorò, lo
seguì fino all’uscita.
Sebastian
sperò si dissolvesse alla luce del sole ma evidentemente
quella era solo una
prerogativa dei vampiri.
“Smettila”
sibilò nel tentativo di muovere le labbra il meno possibile
di fronte agli
altri passanti.
“...
io non sono il Sebastian di nessuno, tanto meno di Hummel”
aveva storto le
labbra in un'espressione disgustata.
“Allora
perché ha disegnato un cuore coi vostri nomi?”
aveva domandato con tono di chi
è certo di aver sferrato il colpo mortale: il suo sorriso si
accrebbe al
denotare che Sebastian sembrava realmente senza parole a quella domanda.
Si
era voltato ad osservare la vetrata: individuò nuovamente il
tavolo sul quale
il giovane era seduto. Aveva la penna tra le dita ma lo sguardo era
perso in un
punto indefinito.
Sbatté
le palpebre.
“E
perché non ha inciso le vostre iniziali su un
albero?”.
Sebastian
aveva scosso il capo ed era tornato a fissarlo con le sopracciglia
aggrottate.
Ignorò completamente quei riferimenti a Miss Hummel e lo
fissò con le labbra
strette in una smorfia incredula.
“Ma
non ti piacevano le donne?” le sopracciglia inarcate e lo
sguardo sospettoso,
prima di additarlo.
“Se
provi a dirmi che la mia bisnonna assomigliava a Miss Hummel,
allora...”
Ma
Jacques non lo stava ascoltando.
Sembrò
persino perdere più consistenza, quasi più
pallido. Aveva sgranato gli occhi,
gli tremavano le labbra e sembrava più smarrito che mai
nell'osservare
Sebastian.
“La
tua... bisnonna. Tu sei mio...?”
Sebastian
sospirò, massaggiandosi la tempia: per coronare quella
meravigliosa giornata
avrebbe presto avuto un mal di testa da primato.
“La
donna al funerale era mia madre: la figlia di tua figlia
Claire” sussurrò con
voce più pacata ma l'espressione di Jacques non
mutò seppur si fosse
concentrato per un istante a rivedere quel momento.
“Io...
non ricordo”
Sebastian
sgranò gli occhi e sbatté le palpebre.
L'attimo
dopo era nuovamente scomparso.
~
Molte
ore – e tazze di caffè – dopo, Sebastian
aveva nuovamente acquisito un senso di
sicurezza che si era rivelato maledettamente falso. Il pomeriggio era,
infatti,
trascorso in modo piacevole se con tale termine si intendeva il non
essere più
costretto a vedere il fantasma del proprio bisnonno, da poco trapassato
a
miglior vita.
Quella
sera era rientrato allo Scandals con l'intenzione di trascorrere una
serata
piacevole nell'accezione meramente carnale del termine: decisamente non
vi era
nulla di meglio per scaricare la frustrazione e lo stress giornaliero.
E sarebbe
stato tutto perfetto se, nel momento in cui si era ritirato con la
nuova
conoscenza ed erano atterrati sul letto, una voce nel silenzio non si
fosse
schiarita la gola.
“Oh,
ti prego: fai pure come se io non ci fossi. Tanto nessuno si accorge di
me”
Se
ciò non fosse bastato a troncare di netto la sua libido
– l'idea di un bisnonno
che lo osservasse non aveva decisamente un effetto
“levitante” - si era
congedato dal giovane di malo modo e aveva cominciato seriamente a
constatare
che non sarebbe stato facile scrollarselo di dosso.
Ironico
come in vita lo avesse evitato come la peste e da morto, invece, fosse
divenuta
un'ombra che lo seguiva ovunque, particolarmente loquace ed
incredibilmente
insopportabile.
La
morale di quel raccapricciante melodramma che stava vivendo, era che da
una
settimana non aveva più una vita sessuale e Jacques appariva
nei momenti meno
sperati e all'idiosincrasia di non volerlo tra i piedi, si aggiungeva
anche la
precauzione di non dover abbaiargli contro fin quando fosse stato in
pubblico
se non voleva rischiare di ritrovarsi ricoverato in un ospedale
psichiatrico.
Sapeva che quella sorta di convivenza lo avrebbe soltanto condotto alla
follia,
ma erano state le parole di Jacques pronunciate la sera prima a
riscuoterlo.
Sebastian
era già steso sotto le coperte del proprio letto mentre
Jacques stava sospeso
qualche centimetro sopra il davanzale della finestra.
“Credi
che per me sia facile? Non so perché sono ancora
qui”.
Non
era valsa neppure una maratona di episodi di Supernatural –
non che vedere il
culo di Jensen Ackles e gli addominali di Jared Paralecki potesse
definirsi
perdita di tempo. Un peccato che lanciargli addosso una caraffa di sale
grosso
non fosse valso a nulla – ad essere illuminante se non
comprendere che vi era
una questione in sospeso che tratteneva Jacques.
Non
riusciva tuttavia a spiegarsi perché l'incombenza di
mandarlo letteralmente
all'altro mondo, fosse stata destinata soltanto a lui ma non restava
risolvere
l’enigma.
Dulcis
in fundo, quando si era presentato alla casa di riposo dove aveva
esalato
l'ultimo respiro – a ben pensarci sarebbe stato soddisfacente
essere presente
per soffocarlo ripetutamente col
cuscino ed assicurarsi che fosse
realmente cadavere – la grassoccia infermiera che
aveva presenziato al suo
funerale, lo aveva accolto con insolita ed esagerata
cordialità.
Non
gli era sfuggito il modo in cui tutte quei dirigibili umani con le
tette ad
airbag e il culo come una portaerei lo avevano osservato: evidentemente
doveva
esserci stato un bel passaparola sull'episodio del funerale.
Aveva
digrignato i denti ma si era chiuso la porta della camera che era stata
di
Jacques con un calcio e con sguardo arcigno aveva osservato la stanza:
spoglia
e dall'aspetto piuttosto deprimente, con quelle pareti bianche. Mentre
gli
altri pazienti l'avevano decorata ed arricchita di affetti personali,
per
Jacques non era stato così: soltanto abiti e una vecchia
collana militare con
una targa in metallo scuro di cui non si riuscivano più a
leggere le iscrizioni
e che lo stesso Jacques aveva osservato con occhi spenti.
“Mi
ricordo di essere stato qui: era così deprimente”
aveva commentato in tono
lugubre, guardandosi attorno e provando a sedersi sul letto.
“Fissavo
sempre fuori dalla finestra, e canticchiavo una vecchia canzone, ogni
tanto
ricevevo visite... ma sono sicuro di non averti mai visto prima
del
funerale” aveva convenuto ad un certo punto. Malgrado in
precedenza avesse
parlato come se le parole provenissero da un anelito di consapevolezza
che
neppure lui era in grado di spiegare, sembrava quasi certo dell'ultima
asserzione, mentre lo osservava quasi con biasimo.
Si
era morso le labbra per non rispondere acidamente, come aveva pensato,
la
catenina militare ancora tra le mani ma aveva scosso il capo.
“E'
stata solo una perdita di tempo” aveva borbottato, calciando
via una sedia.
Neppure
di fronte ad una tazza di caffè del Lima Bean era riuscito a
risollevare il
proprio umore: Jacques sostava sulla sedia di fronte alla sua,
guardandosi
attorno quasi ansiosamente, sorridendo di tanto in tanto alla vista di
qualche
bel ragazzo, cosa che rendeva la situazione persino più
deprimente e
frustrante. Non che in quel momento, tra le altre cose, volesse
indagare sulla
confusione sessuale di un vegliardo trapassato.
“Che
fine ha fatto il tipo dell'altra sera?” gli aveva chiesto ad
un certo punto e
Sebastian aveva aggrottato le sopracciglia, da sopra il
caffè.
“Quello
a cui volevi dare la ripassata”.
Si
incupì maggiormente, l'auricolare appoggiato saldamente
all'orecchio così da simulare
una telefonata.
“Non
ho intenzione di girare un porno di fronte al mio defunto
bisnonno” aveva commentato
e l'altro aveva sorriso. Vi fu un alone così malizioso nel
modo in cui gli si
curvarono le labbra che Sebastian dovette distogliere lo sguardo:
ricordarsi
che fossero legati dal DNA non era particolarmente suggestivo.
“Peccato”
aveva commentato, facendogli sbarrare gli occhi. “... ma non
vi tenete in
contatto? Non gli scrivi una lettera o con quello strano
telecomando?” aveva
indicato il cellulare del giovane che, in risposta, aveva roteato gli
occhi.
“Non
si usa farlo con il proprio amante?”.
“Non
se non si ha intenzione di non rivederlo: come
accade sempre nel mio
caso” aveva risposto candidamente e questa volta fu il turno
di Jacques di inarcare
le sopracciglia.
“Non
hai un amante fisso?” aveva domandato e Sebastian aveva
emesso uno sbuffo
ironico in risposta che aveva fatto inarcare nuovamente le sopracciglia
del
parente.
“Ma
almeno sei mai stato innamorato?” aveva domandato
così ingenuamente e
spontaneamente che Sebastian era rimasto interdetto: lo aveva osservato
per un
lungo istante, apparentemente incapace di pronunciare motto,prima di
riaversi
bruscamente.
Scosse
il capo ma ignorò la domanda esplicita.
“Ci
ho pensato: l'unica soluzione è andare a Parigi, la vecchia
casa, ma ti
avverto. Sarà l'ultima possibilità: se non
troviamo nulla, tu te ne torni da
dove sei venuto”.
“Sei
così ansioso di liberarti di me?”.
“Sinceramente?”.
Aveva
sorriso Jacques, un sorriso appena ironico.
“E
comunque neppure tu sei la mia compagnia preferita e, oddio,
eccolo!”
aveva terminato con tono visibilmente eccitato e Sebastian aveva levato
lo
sguardo in tempo per scorgere Kurt Hummel al balcone. Stava parlando
con la
barista e le rivolse uno di quei sorrisi più vezzosi,
dondolò le spalle con
fare infantile quanto da checca.
Sollevò
gli occhi al cielo.
“Ti
prego, se hai intenzione di spiare nelle sue mutande, fallo dove non
possa
vederti” aveva borbottato ma Jacques sembrava essersi
illuminato, sporgendosi
verso di lui.
“Invitalo
a venire a Parigi con noi”.
“Sei
impazzito?” Aveva domandato, quasi ridendo.
“Fallo!”
Aveva replicato, in tono imperativo che gli aveva fatto aggrottare le
sopracciglia.
Spontanea
fu la replica.
“Fottiti”.
“Che
vuol dire?” aveva scosso il capo. “Fallo,
FALLO!” aveva preso ad urlare
nuovamente nel suo orecchio e Sebastian aveva trasalito abbastanza
perché
l'auricolare gli cadesse dall'orecchio. Imprecò tra i denti
e si chinò per
recuperarlo, nel momento esatto in cui Miss Hummel passava accanto al
suo
tavolo. I loro sguardi si incrociarono e Jacques, che era nuovamente
scivolato
dietro Kurt, lo fissò da dietro la sua spalla.
“CHIEDIGLIELO!”.
Sebastian
lo fulminò con lo sguardo e Kurt si fermò ad
osservarlo, le sopracciglia
inarcate.
“A
forza di fare quelle espressioni truci, ti verranno le rughe
precocemente”
aveva commentato con quella voce da frocio competente in questioni di
make-up.
E poi aveva l'ardire di domandarsi perché tutti lo
considerassero una
donnicciola.
“Ti
consiglierei di
provarci per toglierti
quella faccia da checca, ma considerando la tua scarsa dose di
testosterone”.
“Smettila
di attirare l'attenzione su di te! CHIEDIGLIELO!” aveva
sbottato Jacques
frapponendosi tra loro ma Kurt aveva sollevato gli occhi al cielo,
stretto la
sua tazza di caffè e puntato ad un altro tavolo.
“Dopo
questi convenevoli, fingerò volentieri di non averti visto.
Con permesso”.
“La
questione è reciproca Hum-” non aveva terminato la
frase perché Jacques si era
nuovamente stretto a Kurt e aveva preso ad urlare nel suo orecchio:
“SIEDITI!
SIEDITI CON LUI!” e Sebastian osservò la scena
inebetito.
Kurt
appariva confuso: si era voltato nella direzione da cui proveniva la
voce di
Jacques e aveva scosso il capo tra sé, prima di riscuotersi.
Ma non poté
compiere un altro passo in avanti perché nuovamente Jacques
ripeté il comando,
a voce ancora più alta e penetrante.
Lo
sguardo del ragazzo si fece vacuo mentre, lentamente, tornava ad
osservare
Sebastian e la sedia vuota. Sembrava più sconcertato che mai
mentre la spostava
per prendere posto.
Jacques
sorrise soddisfatto:
“Niente
di più facile” si sedette tra i due e si
avvicinò a Kurt, restando lievitante
dalla sedia, il capo appoggiato sulla spalla del ragazzo mentre
Sebastian
distoglieva lo sguardo disgustato.
“Non
mi sembra di averti invitato, Hummel” commentò, le
braccia incrociate al petto
e il sorriso più suadente. “... anche se mi rendo
conto di essere
irresistibile, temo di non essere interessato a farmi una donna
quindi...” gli
aveva indicato un tavolo vuoto mentre Jacques lo fissava arcigno.
Nessuno
appariva più confuso di Kurt che, tuttavia, si
limitò a sorseggiare il suo
caffè, il viso inclinato di un lato e il sorriso velenoso.
“Sto
soltanto ricambiando il favore: non ero io a fare il terzo incomodo. Ma
mi
dispiace di aver interrotto il tuo solitario” aveva
commentato in risposta, le
sopracciglia inarcate e quel sorriso ironico che ne aveva fatto curvare
le
labbra con fare più suadente.
Sebastian
sogghignò prima di sporgersi in sua direzione.
“Mi
dispiacerebbe esser stato frainteso ma non c'era nulla di lusinghiero
nel
mettermi tra te e Blaine, di certo non per te” aveva
proclamato e,
inaspettatamente, aveva scorto un guizzo nello sguardo di Kurt.
Si
sarebbe aspettato che reagisse alla stessa maniera ironica. Fu un solo
istante
ma quelle parole sembrarono aver colpito il bersaglio perché
sostò per un lungo
momento, prima di ritrovare la sua compostezza e fulminarlo con lo
sguardo.
Persino
Jacques sembrava essersi riavuto dalla sua contemplazione
perché, le labbra
schiuse, seguiva il loro dialogo.
“E,
dopotutto, neppure mi sono dovuto sforzare troppo o sbaglio?
Checché facesse il
bravo fidanzatino, il suo sguardo da cane bavoso era evidente: sono
certo che
stesse anche scodinzolando”
aveva
commentato, suscitando uno sguardo di puro disgusto da parte di Kurt.
“Non
ti avrebbe mai scelto” aveva commentato con tono risoluto e
sicuro, tanto che
Sebastian sospettò che avesse uno spasmodico bisogno di
crederlo, persino dopo
la separazione.
“Forse”
gli concesse, facendo schioccare le labbra sul palato.
“Ma
comunque è rinsavito da solo alla fine o ha capito di essere
davvero gay” aveva
continuato quasi serafico, tornando a sorseggiare il proprio
caffè.
“Devo
riconoscere che comunque sei durato più di quanto ci si
sarebbe aspettati”.
“Sebastian”
aveva commentato Jacques che sembrava evidentemente sconvolto ma fu la
sedia
spostata a riscuoterlo mentre Kurt, più pallido che mai, si
rimetteva in piedi.
Gli
parve di scorgere un luccichio remoto nelle iridi azzurre malgrado si
sforzasse
di mantenersi composto nel rivolgergli un cenno del capo, raccogliere
il
proprio caffè ed allontanarsi rapidamente dal locale.
Vi
fu un lungo momento di silenzio nel quale Jacques seguì Kurt
con lo sguardo,
prima di fissarlo.
“Lo
sai, Sebastian? Sei proprio, com'è quella parola?,
sì... uno
stronzo”.
~
Il
sonno tardava a giungere quella notte e Sebastian si rigirò
nuovamente nelle
lenzuola: abbracciò il cuscino dopo averlo appiattito con
qualche pugno,
coronato da imprecazioni.
Aveva
socchiuso gli occhi e stretto spasmodicamente le palpebre ma, anche nel
momento
in cui si abbandonava a quel dolcissimo torpore, non riusciva a trovare
riposo.
Bastava
socchiudere gli occhi perché le immagini di quel giorno
tornassero a
tormentarlo: soprattutto quegli occhi azzurri striati di quell'emozione
indefinibile e alla cui sola vista aveva sentito l'aria svuotarsi dai
propri
polmoni. Aveva boccheggiato nel silenzio della stanza in penombra,
maledicendo
il giovane con parole poco lusinghiere prima di scuotere il capo.
Non
era concepibile che provasse un reale senso di colpa: non aveva fatto
nulla di
male, nulla di diverso, almeno.
Soltanto ricordargli la verità e non era certo stata una sua
colpa se il suo
idillio con Blaine era terminato, a dispetto di ciò che
avrebbero potuto
pensare i suoi cari amici, non che si curasse della loro opinione ad
ogni modo.
Non
vi era stato nulla di insolito nell'infierire contro di lui se non la
sua
stessa reazione: laddove solitamente era l'ironia e la baldanza,
quell'anelito
altezzoso con cui scacciava le sue parole come non fossero
assolutamente degne
della sua considerazione; lo aveva visto vacillare pericolosamente.
Era
comprensibile che una checca mestruata come Hummel soffrisse ancora per
la
separazione dall'amore della sua vita, ma che fossero proprio le sue
parole ad affondarlo a quel modo, non se lo sarebbe immaginato se non
aggrappandosi al sospetto di Jacques.
Avrebbe
dovuto, allora, credere che realmente covasse un sentimento nei propri
riguardi? L'ipotesi era così irreale che lo fece sorridere
ironicamente, lo
sguardo volto al soffitto mentre il petto si alzava ed abbassava al suo
respiro.
“Non
riesci a dormire?” gli chiede una voce beffarda e Sebastian
digrignò i denti e
si nascose sotto il lenzuolo alla vista di Jacques che lievitava a
pochi millimetri
dal suo letto, le braccia incrociate al petto.
“Non
c'è nulla di male, rivelerebbe che dopotutto anche tu hai un
cuore” aveva
continuato, con la stessa intonazione melliflua e Sebastian si morse la
lingua
per non replicare o ne sarebbe nata un'altra interminabile discussione.
Avrebbe
potuto persino indursi al sonno dandosi un pugno pur di non dover
continuare ad
assecondarlo.
“Sono
stato a casa di Kurt” continuò a parlare, quasi
quello tra loro fosse un
dialogo in corso, ma quando l'altro non lo degnò di
risposta, riprese:
“Ha
passato la serata chiuso nella propria camera a scrivere sul suo diario
personale”.
“E
scommetto che il lucchetto è azzurro e che tiene le chiavine
dentro il
portafoglio” la voce flautata con intonazione di scherno che
fece ulteriormente
incupire Jacques.
“Anche
io avevo un diario” aveva commentato l'attimo dopo e quella
frase sembrò
completamente cambiare l'atmosfera della stanza.
Il
silenzio da ostile si fece più concentrato ed attonito:
Sebastian si era
sollevato con il torso e Jacques fu certo che avessero lo stesso
pensiero.
“Potrebbe
esserci ciò che cerchiamo” aveva convenuto il
giovane.
“...
ma sicuramente non ricordi se è ancora integro e dove
potrebbe essere” aveva
continuato con intonazione più sarcastica che indusse
l'altro a schioccargli
uno sguardo di fuoco.
“Forse”
replicò vagamente e Sebastian inarcò le
sopracciglia ancora scettico ma Jacques
sembrò profittare di quel momento, nel quale aveva la sua
completa attenzione,
per porsi al suo fianco.
Steso
a sua volta, seppur sospeso di qualche centimetro, lo sguardo volto al
soffitto, schiuse le labbra.
Si
sporse verso Sebastian, fissandolo dritto negli occhi.
“Le
persone credono che non vi sia niente di più doloroso
dell'indifferenza:
dell'essere invisibile agli occhi di chi amano o sognano di poter
amare. Io
dico che non è vero: niente è più
doloroso del disprezzo di un paio di iridi di
cui si anela lo sguardo. In silenzioso bisogno ma angosciante
rassegnazione” recitò quelle
parole in un sussurro delicato ed
intriso dell'amarezza che esse racchiudevano e Sebastian
sbatté le palpebre
prima di scuotere il capo.
“Risparmiami
gli aforismi da cioccolatino” aveva berciato, le sopracciglia
aggrottate.
“Lo
ha scritto Kurt”.
A
quello Sebastian non trovò nulla da ridire: sostò
per qualche istante nel
silenzio della stanza, le labbra piegate in una smorfia indefinibile.
Ascoltò
soltanto i battiti accelerati del proprio cuore, ripensò
allo sguardo ferito
del giovane, quell'azzurro sconfinato come il cielo e il guizzo di
dolore che
vi aveva scorto all'interno, prima che si allontanasse senza guardarsi
alle
spalle.
“Domani
prenoterò il biglietto” si sentì dire
con voce asciutta e gli diede le spalle
prima di affondare contro il proprio cuscino. Ma restò a
lungo insonne, quei
maledetti occhi e le parole scritte sul suo diario che ancora tornavano
a
tormentarlo.
“Sebastian”
lo richiamò ad un certo
punto Jacques.
“... forse non ho solo una questione in sospeso: forse devo
aiutarti, voglio provarci
almeno. Ho sempre sognato che la mia vita valesse a qualcosa”
Non
replicò, non si accorse neppure che il fantasma si era appena
sporto e che aveva
allungato la mano sulla fronte, quasi desiderando di scostarne i
capelli in una
carezza.
Non
ne sentì l'ultimo sussurro, prima di cadere nel sonno.
“Non
disprezzare ciò che tutti cercano, anche se non lo hai
chiesto”.
~
Non
era la prima volta che metteva piede in quella casa: da bambino era
stata la
meta delle vacanze natalizie trascorse con i nonni. Non aveva ricordi
di
Jacques in quel contesto: l'unica traccia che aveva di lui –
e che aveva mai
avuto – era proprio quella versione più o meno
coetanea che lo seguiva passo
passo nel tentativo di risolvere quel mistero così che
anch'egli, finalmente,
trovasse la pace. E lui, soprattutto, tornasse a vivere la sua
quotidianità: quando
il problema più imminente,
era
allontanarsi alle prime luci del mattino dalla camera di uno
sconosciuto e
sperare di agganciare qualcun altro la sera successiva.
Dopo
che Jacques e sua moglie si erano stabiliti in America, la casa era
stata
abbandonata fino a quando non vi si era trasferita Claire, la figlia di
Jacques, con il marito e avevano deciso di vivervi dopo averla
ristrutturata.
Jacques, tuttavia, non vi aveva più fatto ritorno e la
proprietà, dopo la morte
dei nonni di Sebastian e il ricovero di Jacques a causa dell'ictus, era
passata
alla signora Smythe che aveva provveduto ad affittarla.
Sebastian
si era trovato di fronte ai nuovi inquilini ma non fu difficile
spiegare la
propria presenza. Persone disponibili e cordiali quali erano, avevano
dimostrato sincero cordoglio alla notizia della scomparsa del
capostipite prima
di consentirgli l'ingresso. Allora Jacques sembrava essere tornato in
sé: lo
sguardo era molto più luminoso mentre si aggirava per quelle
stanze. Seppure
non degnasse di sguardo le fotografie e i segni dell'esistenza della
nuova
famiglia, aveva indicato più zone della casa, illustrando
l'angolo nel quale,
con la moglie, sedeva ad ascoltare la radio prima di coricarsi, laddove
leggeva
e anche laddove vi era il suo personale scrittoio e si dedicava alla
corrispondenza o al suo diario.
I
nuovi inquilini avevano comunicato a Sebastian che tutti i vecchi
mobili erano
stati accatastati nella mansarda e il giovane aveva chiesto subito di
poterla
visitare.
Aveva
imprecato, tuttavia, alla vista dei molteplici scatoloni e mobilia
sotterrati
dalla polvere tanto che dovette tossire più volte prima di
attraversare la
stanza a schiudere la finestra. Osservò il fantasma del suo
bisnonno che, lo
sguardo nuovamente lucido, sfiorava ogni oggetto: consapevole che
ognuno avesse
rappresentato una parte di sé, ognuno era un pezzo della sua
storia. Molto meno
entusiasta era Sebastian che aveva soffiato un:
“Hai
idea di quanto cazzo di tempo
sprecherò ad esaminare tutto?”.
“Sebastian,
ti prego: non puoi abbandonarmi adesso” dallo sguardo che gli
rivolse era
evidente che non avrebbe desiderato altro ma, sempre coronando ogni
gesto con
imprecazione insofferente e stizzita, cominciò ad esaminare
il contenuto di
ogni singola scatola. Senza trovare altro, tuttavia, che stupidi
ninnoli o
fotografie ormai sbiadite ma che Jacques prendeva con dita tremanti.
“Marie-Claire”
sussurrò, allungando la mano verso il volto della donna,
ritratta. “... e la
nostra piccola Claire” contrasse le dita e serrò
le labbra per l'impossibilità
di toccarle, prima di riscuotersi bruscamente, allo sguardo dell'altro.
“Continua
a cercare, deve esserci
qualcosa”
aveva commentato in tono spiccio e sembrò lui stesso cercare
di convincersi nel
pronunciare quelle parole.
Era
ormai mezzogiorno inoltrato e Sebastian aveva già riposto la
giacca, prima di
imprecare tra i denti e dare un calcio all'ultima scatola.
“Niente,
niente di niente, quel fottuto
diario
deve essere andato perduto oppure lo hai portato con te in America e
non lo
ricordi” aveva sibilato con evidente tono accusatorio ma
Jacques aveva scosso
il capo.
“No,
il diario doveva restare
qui”.
“Ma
perché?”.
“Non
lo so” aveva commentato e con voce così flebile e
accorata che Sebastian non
poté neppure crogiolarsi nella soddisfazione di continuare
ad urlargli contro.
“Beh,
è stato un buco nell'acqua, spero che tu sia soddisfatto
e-” .
“La
mattonella” aveva sussurrato Jacques, fissando i piedi di
Sebastian, inginocchiandosi
e facendogli cenno di arretrare: quest'ultimo continuò a
fissarlo come se fosse
completamente impazzito ma una nuova risoluzione brillava nelle iridi
così
simili alle proprie.
“Sollevala”
gli aveva chiesto ansiosamente e il giovane si era inginocchiato ad
osservare
attentamente la composizione del pavimento: vi era una mattonella
scalfita. Con
lo sguardo dubbioso fissò su Jacques, avvicinò la
mano fino a rivelarle
un'increspatura: incredulo riuscì a sollevarla e, gli occhi
sgranati, osservò
il libricino dalla copertina scura, abbandonato sul fondo.
“Aprilo,
presto!” aveva commentato l'altro impaziente e lui stesso,
nel momento in cui
lo prese tra le mani, avvertì quasi uno sfrigolio lungo la
nuca: quel piccolo
ed apparentemente insignificante libricino poteva avere tutte le
risposte.
Lo
schiuse, Jacques al suo fianco che divorava avidamente con lo sguardo
le pagine
ingiallite, osservò fotografie simili a quelle trovate tra
gli album e gli
scatoloni, continuò a far scorrere distrattamente lo sguardo
sulle date,
annotazioni e parole vergate. Le ultime pagine, soprattutto, erano
state scritte
con dita tremanti, tanto che la calligrafia diveniva più
difficile da decifrare
e l'ultima iscrizione risaliva al periodo precedente alla partenza per
l'America.
Inarcò
le sopracciglia allo scorgere un nome citato nelle ultime righe e
sollevò lo
sguardo sull'altro: nessuno della sua famiglia si chiamava
così.
“Chi
è Mathieu?”.
Fu
istantaneo. Il volto di Jacques sembrò rendersi ancora
più evanescente, gli
tremarono le labbra e lo sguardo si fece più vacuo: sembrava
più fragile e
spettrale che mai. Aveva allungato la mano in sua direzione, pur
consapevole
che non avrebbe potuto sfiorarlo ma, atterrito, Jacques era
indietreggiato.
Lo
sguardo fisso su Sebastian e sul libricino.
“...
ora ricordo tutto” sussurrò con voce flebile.
Fu
l'ultima cosa che Sebastian sentì: aveva sbattuto le
palpebre e l'attimo dopo
era nuovamente scomparso, lasciandogli tra le mani il libricino.
~
Seduto
sul letto dell'albergo, chiuse il libricino e prese tra le dita la
collana
militare: ne osservò la targa e ne toccò
l'iscrizione.
Tutti
i pezzi del puzzle sembrarono aver trovato la loro giusta collocazione.
Ripensò
alla storia scritta su quelle pagine: una verità che Jacques
aveva trattenuto
con sé tutta la vita, un rimpianto da cui non si era mai
liberato e che aveva
lasciato fosse contenuto tra quelle pagine quasi come monito a non
dimenticare
ciò che era stato.
Sospirò
un'ennesima volta, una mano tra i capelli e scosse il capo: ironico che
quando,
appena due settimane prima, si era tenuto il funerale, fosse rimasto
seduto tra
i propri genitori e dell'uomo cui era dedicata la celebrazione, non
sapesse
nulla. Ironico era, poi, constatare che credeva di conoscerlo adesso e
persino comprenderne
gli atteggiamenti.
“Adesso
sai tutto” si era riscosso e Jacques la cui figura sembrava
ancora più pallida
ed evanescente, prese posto al suo fianco, lo sguardo sulla collana che
Sebastian teneva tra le dita.
“Com'è
possibile che Mathieu sia la tua questione irrisolta?” era
evidente quanto la
sola menzione fosse capace di suscitargli quel malessere nello sguardo
ma
Jacques scosse il capo, le labbra tremanti.
“Forse
sono condannato a scontare il mio errore”.
“O
forse è ancora vivo: ci
hai pensato?”
lo aveva incalzato Sebastian e lo sguardo dell'altro era divenuto
ancora più
pallido ma aveva scosso mestamente il capo.
“Lo
hai letto: era stato dato per disperso durante la guerra, non
può... no”
si era sollevato dal materasso, l'espressione afflitta ed angosciata
mentre
passeggiava lungo la stanza, ricoprendola con rapidi passi.
“Ho
lasciato tutta questa storia alle spalle, non avrei dovuto
ricordare...”.
“Non
puoi arrenderti adesso: un solo controllo, non vuoi sapere cosa ne
è stato di
lui?” Sebastian stesso si era sollevato dal materasso e gli
si era avvicinato:
le sopracciglia aggrottate nel tentativo di farlo ragionare.
“Non
credi che glielo dovresti?” aveva, infine, pronunciato con
tono quasi
accusatorio che aveva fatto trasalire l'altro. L’attimo dopo
era uno sguardo
stizzito quello che gli era rivolto contro, lo aveva visto stringere i
pugni e
si era irrigidito ad una maniera straordinariamente familiare.
“E
tu non dovresti delle scuse a Kurt? O hai voluto aiutarmi soltanto per
liberarti di me e tornare alla tua vita scoordinata e agli amanti
diversi ogni
notte?”.
“Magari
scappare è genetico” aveva sibilato l'altro ma
aveva ignorato ogni menzione a
Kurt, un pensiero che si era lasciato alle spalle la notte prima della
partenza
e sul quale, soprattutto, non aveva intenzione di tornare.
Jacques
sorrise, un sorriso sardonico ed amaro.
“Cosa
ne sai tu dell'amore?”.
“Forse
non molto” aveva convenuto, stringendosi nelle spalle.
“Ma non diventerò una
patetica impronta di ciò che ero per scoprirlo”
non aveva aggiunto altro ed era
uscito dalla camera d'albergo, sbattendo la porta.
Il
libricino sostava sul materasso e il vento penetrato dalla
portafinestra ne
scosse le pagine ingiallite ma le parole erano ancora testimoni di un
dolore
che non aveva ancora trovato espiazione.
~
Aveva
esitato a lungo prima di andare a bussare alla porta: aveva controllato
le
vecchie cronache dall'archivio storico (ne aveva sgraffignato una
pagina) e
stampato un articolo recente sulla medaglia al valore assegnata a Mathieu Blanche in onore delle sue gesta
durante la guerra. Osservò ancora una volta l'abitazione e
trasse un profondo
respiro: a quanto aveva scoperto, anche chiedendo informazioni ad un
bar nelle
vicinanze, Mathieu versava
in gravi
condizioni fisiche ma aveva rifiutato l'accanimento terapeutico,
volendo
soltanto vivere gli ultimi giorni nella propria casa. Non si era mai
sposato e
neppure aveva avuto figli: era la nipote del fratello che vegliava su
di lui. Era
completamente paralizzato nel suo letto, quasi non riusciva
più ad articolare
suono ma ciononostante continuava ad esalare ogni respiro ancora
concessogli:
aveva ancora una tempra forte che gli aveva concesso di prolungare la
sua
esistenza oltre quanto i medici si sarebbero mai aspettati.
Tutti
in quel quartiere ne parlavano con rispetto ed affetto, facendogli
comprendere
quanto fosse ancora amato, qualcosa che non era cambiato, da quanto
aveva letto
nel diario. Malgrado la sua timidezza, era sempre stato un amico devoto
e
fedele per Jacques e non aveva esitato a stargli accanto in ogni
istante,
persino spronandolo nel legarsi a Marie-Claire.
Chissà
quanto doveva aver sofferto, in silenzio, pur di saperlo sereno. Quanto
avessero entrambi rimpianto quell'addio frettoloso. Chissà
se lo aveva sempre
amato o era stata una realizzazione soltanto recente che l'angoscia del
non
rivedersi gli aveva strappato dalle labbra, come quell'unico bacio di
cui
Jacques aveva scritto su pagine che ancora sembravano conservarne le
lacrime
che ne avevano fatto sbavare l'inchiostro.
Sospirò
nello stringere la catenina ed infine bussò alla porta.
Si
presentò come il bisnipote di un amico di infanzia e
mostrò una fotografia: la
nipote di Mathieu, una bellissima ragazza dai capelli scuri e dagli
stessi
occhi nocciola del parente, lo portò nella stanza dell'uomo.
Sebastian
esitò un solo istante prima di entrare e la giovane,
Melanie, ne strinse
rassicurante il braccio per esortarlo e solo allora osservò
l'uomo disteso nel
suo letto: la pelle
del viso era
raggrinzita dagli anni e dalle sofferenze ma gli occhi erano ancora
pieni di
spirito.
Li
sgranò alla vista di Sebastian e il monitor che ne segnalava
le pulsazioni
sembrò prendere nuova vita mentre Melanie si affrettava a
raggiungerlo e
stringerne la mano.
“Va
tutto bene” lo rassicurò nella loro lingua madre.
“Questo ragazzo si chiama
Sebastian, è il nipote di...?”.
“Jacques”
aveva sussurrato Sebastian e osservò come gli occhi
dell'uomo sembrarono
improvvisamente rianimarsi: schiuse le labbra nello spasmodico
tentativo di dire
qualcosa ma ne uscì soltanto un verso gutturale.
“Va
tutto bene, zio, va tutto bene” lo rassicurò
ancora la nipote ma questi sollevò
debolmente la mano, additò la cassettiera alle spalle del
giovane, nuovamente
quel lungo verso gutturale mentre ella osservava da lui a Sebastian.
“L'album,
vuoi , vuoi che prenda l'album?” si era affrettata a
scostarsi e recuperare
l'oggetto che portò al capezzale del malato, lo
sfogliò lentamente fino a
quando non trovò la giusta fotografia. Un sorriso commosso
balenò sul volto
della giovane, porse l'album a Sebastian: la fotografia era ingiallita
ma i
volti di entrambi erano inconfondibili.
Un'esatta
copia del riflesso del fantasma gli sorrideva, un braccio avvolto
intorno alle
spalle di quello che era stato Mathieu: quest'ultimo era più
basso ed esile di
Jacques, i capelli accuratamente pettinati a spazzola e lo sguardo
sognante. Ignorava
completamente
l'obiettivo per osservare il suo amico, il sorriso vezzoso sulle labbra
malgrado questi gli stesse scombinando la capigliatura.
“Vi
somigliate molto” aveva osservato delicatamente Melanie.
“Non
è vero” avevano risposto due voci, o
così riuscì ad udire Sebastian mentre
Jacques, più pallido che mai, entrava a sua volta nella
stanza: ignorò
completamente l'album che il nipote tratteneva. Gli occhi lucidi,
avanzò senza
essere visto verso il letto, osservando Mathieu dall'alto.
“Mathieu”
aveva sussurrato con voce rauca. “... sono qui”
aveva allungato debolmente la
mano e Sebastian osservò come lo sguardo di Mathieu fosse
nuovamente perso nel
vuoto mentre Jacques cercava, inutilmente, di sfiorarne il viso.
“Mi
dispiace così tanto” aveva commentato con voce
rauca e Sebastian desiderò
soltanto potersi allontanare dalla stanza, attirare anche Melanie con
una
qualsiasi scusa.
Si
limitò a porgerle la medaglia militare mentre Jacques
appoggiava il capo contro
il petto dell'altro, le spalle percosse dai singhiozzi silenziosi.
“Era
nella camera della casa di riposo del mio bisnonno” si
dovette schiarire la
voce. “Credo fosse sua” aveva alluso al giovane.
“L'aveva ricevuta con una
lettera che diceva che era disperso, è stato allora che lui
e la mia bisnonna
si sono trasferiti in America, prima della nascita di mia
nonna” aveva spiegato
e la giovane aveva sorriso, visibilmente commossa, prendendola tra le
mani e
apponendola intorno al collo dello zio.
“Te
la ricordi?” gli aveva chiesto in un anelito di tenerezza,
sfiorandone
delicatamente la guancia, attraversando inconsapevole il corpo di
Jacques.
Sebastian
sospirò.
“Il
mio bisnonno non ha mai trovato pace dopo aver creduto che fosse
morto”
pronunciò con voce incerta, non era certo di quanto Jacques
volesse rivelare
del suo passato e quanto i discendenti della famiglia Blanche fossero
disposti
a sapere della vera natura del loro legame. “... tra le sue
cose vi era un suo
diario personale e non ha mai smesso di scrivere di lui, sono certo che
ovunque
sia” aveva osservato Jacques che aveva sollevato lo sguardo
in sua direzione,
gli occhi lucidi e le labbra tremanti. “... ovunque sia, sta
vegliando su di
lui” aveva concluso e Melanie aveva sorriso con lo stesso
sguardo commosso.
Jacques
schiuse le labbra in un silenzioso ringraziamento prima che Sebastian
si
congedasse e Melanie si alzasse per stringerne la mano.
“Sei
stato molto gentile a venire fin qui, non so come
ringraziarti” si erano
entrambi riscossi e Mathieu, che fino a quel momento sembrava essersi
assopito,
aveva di nuovo schiuso gli occhi e, era solo una sua impressione?,
sembrò
guardare in direzione di Jacques.
Aveva
proteso la mano e Sebastian stesso era rimasto immobile, soltanto i
suoi
battiti sembrarono segnare quel momento.
“Mathieu”
aveva sussurrato Jacques, cercando di prenderne la mano,
inginocchiandosi di
fronte al letto. “Sono qui... Mathieu, guardami”
aveva sussurrato, la voce
rauca ma, quasi fosse impossibile mantenere la mano sollevata, essa
ricadde sul
materasso.
Volse
uno sguardo a Sebastian e una lacrima solitaria ne rigò il
viso.
Sebastian
seppe che aveva compreso più di quanto un diario avrebbe
potuto raccontare ma
fu con un sorriso che cadde nuovamente nel torpore.
Melanie
lo accompagnò verso la porta ma prima di uscirne
guardò in direzione di Jacques
che, il sorriso dolce e lo sguardo devoto, aveva scosso lentamente il
capo.
“Adesso
che l'ho ritrovato, non posso lasciarlo”.
Annuì,
un cenno del capo e lasciò la stanza.
~
Ci
sono così tante cose che mi mancano di Mathieu: è
come se, giorno dopo giorno,
il suo ricordo sbiadisse e lo stessi nuovamente perdendo. Quasi non
sento più
il suono della sua risata, o il suo sussurro mentre pronunciava il mio
nome:
sacrificherei la mia stessa anima pur di sentirlo un'altra volta. Se
almeno in
sogno riuscissi a scorgerlo ancora una volta, se almeno sapessi che
l'oblio non
me lo porterà via una seconda volta.
Mi
crogiolo nell'immagine del suo volto ancora impressa di fronte ai miei
occhi:
non passa notte senza che compaia innanzi a me. Quel sorriso di pura
vita
impresso di una dolcezza così pura e fanciullesca,
cristallizzato nel suo viso,
che neppure l'età potrebbe portargli via; la luce nel suo
sguardo ogni volta
che rideva e quel sorriso più amorevole. Il sorriso che
dedicava soltanto a me.
Stolto
è l'uomo che crede di poter sottomettere il tempo, stolto
è colui che non si
abbandona al suo vero amore per timore o per orgoglio. Stolto
è colui che non riconosce
la sofferenza nello sguardo di chi lo ama e l'alimenta con
indifferenza,
incoscienza o arroganza. Il tempo non espierà e
sarà quel dolore a ricordare
l'errore ormai irreparabile.
Sebastian
sospirò, chiuse il diario e lo lasciò cadere sul
materasso mentre si abbandonava
fino a stendersi: si coprì gli occhi con un braccio piegato
sul viso. Quasi
disperando di cadere in un profondo sonno, di impedire che, nuovamente,
quel
paio di occhi gli apparissero di fronte, quasi disperando di sottrarsi
da quel
respiro trattenuto ogni volta che la sua mente caparbiamente lo
riportava a
quel momento.
Tastò
il letto alla ricerca del cellulare e scorse la rubrica:
osservò a lungo la
schermata dello stesso nominativo: le labbra strette e le sopracciglia
aggrottate.
Trasalì,
tuttavia, all'apparizione di Jacques e sbatté le palpebre:
non era certo lo
avrebbe rivisto così presto, che fosse giunto per dargli un
addio, che fosse il
momento di andare oltre, qualunque
cosa significasse?
Ma
bastò scorgerne il volto e gli occhi che parlavano di
un'indicibile sofferenza
perché Sebastian trattenesse il respiro, incapace di
formulare una qualsiasi
domanda.
“Se
n'è andato” sussurrò soltanto e
sembrò che quelle parole paralizzassero l'aria
nei suoi polmoni. Boccheggiò, lo sguardo nuovamente
estraniato a cogliere
quell'ultimo momento che li aveva visti riuniti ad una maniera del
tutto
particolare.
Si
rimise in piedi: non sapeva se allungare il braccio per non
appoggiarlo sulla
sua spalla o se dire qualcosa. Non
credeva esistessero parole che avrebbero potuto consolarlo o lenirne il
dolore.
Pensò
amaramente a quanto la vita avesse potuto essere beffarda e quanto,
anche dopo
la sua morte, lo aspettasse un tormento che probabilmente non avrebbe
avuto
fine.
Si
passò una mano tra i capelli, schiuse le labbra quasi
sperando che quei confusi
pensieri potessero tradursi in parole ma Jacques scosse il capo. Un
sorriso
simile al suo.
“Non
l'ho abbandonato questa volta” aveva commentato e, malgrado
tutto, riuscì a
sorridere con tale dolcezza che persino lui riuscì a sentire
nuovamente il
respiro più facile.
Scosse
il capo, le labbra ancora piegate in una smorfia pensierosa.
“Per
quanto possa valere” aveva sospirato e si era stretto nelle
spalle. “... mi
dispiace per entrambi” aveva sussurrato e Jacques aveva
annuito, sussurrando un
ringraziamento.
Osservò
il diario abbandonato sul suo letto e Sebastian si maledisse per non
averlo
scostato precedentemente.
“Non
c'è più nulla che mi tenga legato qui”
aveva sussurrato e Sebastian si accorse
di quanto la sua voce sembrasse già più lontana,
di quanto la sua stessa
immagine divenisse più evanescente mentre i secondi
trascorrevano.
“Ma
avrei un'ultima richiesta, te ne prego”
lo sguardo lucido, le labbra tremanti e Sebastian aveva annuito senza
esitazione.
“Sono
stato codardo in vita ma adesso non voglio più
nascondermi” aveva indicato il
diario con un cenno del mento. “Voglio che sappiano, che
tutti sappiano: l'ho
abbandonato una volta, non potrei farlo di nuovo”.
Un
sorriso sfiorò le labbra di Sebastian ed annuì,
prese il libricino e lo allungò
in sua direzione ma Jacques scosse il capo.
“Neppure
se potessi sfiorarlo, lo porterei con me: vorrei lo tenessi
tu” e Sebastian
comprese che il momento che tanto aveva atteso, fin dalla sua prima
comparsa, era
adesso giunto.
Si
era aspettato di provare sollievo, euforia e un crescente senso di
soddisfazione, ma non fu così.
Non
riusciva a sentire nulla in quel momento.
“Vorrei
poter dire che è stato un piacere” aveva
commentato Jacques, schiarendosi la
voce e sorridendogli con la stessa ironia che albergava spesso nello
sguardo di
Sebastian.
Gli
fu grato per come sembrò voler smussare i toni e soprattutto
le emozioni che
non avrebbe mai voluto esternare, soprattutto in quel momento. Avrebbe
voluto
ricordarlo per i loro numerosi alterchi, avrebbe voluto non percepire
quella
sorta di strappo al solo pensiero che non lo avrebbe più
visto per quanto
avesse anelato di tornare alla normalità.
Si
era avvicinato, tuttavia, e aveva allungato la mano a pochi millimetri
dalla
spalla di Sebastian e, seppur non vi fosse stato contatto,
riuscì a percepire
un nuovo moto di calore mentre sospirava.
“Abbi
cura di te, Sebastian” aveva commentato, il tono
più delicato e il giovane
aveva annuito.
“Non
sentirò la tua mancanza ma se così fosse
sicuramente sarebbe per una sbronza”
aveva commentato e Jacques rise, una risata echeggiante ma
già distante mentre
la sua immagine diveniva più trasparente.
Gli
rivolse un cenno di assenso, tuttavia: ancora una volta, aveva compreso
più di
quanto Sebastian fosse disposto a lasciar trapelare.
Era
ormai sempre più sfocato, soltanto un barlume di luce quando
Sebastian ne sentì
nuovamente il richiamo.
“Lasciati
amare” erano state le ultime parole.
Sbatté
le palpebre ma seppe che se n'era andato.
Sostò
a lungo ad osservare il punto da cui era scomparso.
Una
stilla di rugiada gli solcò la guancia e Sebastian scosse il
capo.
Vecchiaccio
rompiscatole.
Probabilmente
non si era mai sentito così nervoso come in quel momento,
neppure quando
avevano affrontato le Regionali ed erano stati sconfitti dalle Nuove
Direzioni,
dopo la tragedia sfiorata della famiglia Karofsky. Aveva atteso fuori
dalla
sala nella quale si sarebbe tenuta la celebrazione del funerale ed
aveva
sorriso alla vista dei genitori, abbracciato la madre ed osservato il
padre da
sopra la sua spalla.
“Non
capisco, Sebastian, perché ci hai chiesto di venire? Hai
idea di quanti
appuntamenti ho dovuto disdire e con così poco
preavviso?” il giovane aveva
annuito ma aveva sorriso.
“Grazie
di essere venuti: entriamo, capirete presto” li aveva
condotti all'interno ed
erano rimasti entrambi basiti al comprendere in quale situazione
fossero stati
coinvolti.
“Non
conoscevo nessun Mathieu Blanche” aveva commentato sua madre,
scambiando uno
sguardo incredulo e confuso con il marito che si era stretto nelle
spalle ma
Sebastian aveva fatto loro cenno di accomodarsi tra le prime file prima
di
stringere la mano di Melanie.
“Grazie
di esser rimasto: gli avrebbe fatto molto piacere” aveva
commentato, gli occhi
arrossati e il fazzoletto stretto tra le dita.
Aveva
sospirato, sentendosi come mai impacciato e cercando di ignorare quella
stretta
al petto quando quella visione ne suscitò un'altra parallela
eppure così
differente. Strinse maggiormente il diario di Jacques ed attese, con
gli
astanti, l'inizio della celebrazione.
“E
adesso, il signor” l'ufficiante aveva letto da un
fogliettino. “Smythe (?)
vorrebbe dire qualcosa”. Aveva sentito puntati addosso gli
sguardi confusi ed
interdetti dei genitori, quelli sorpresi degli amici, i vicini, i
concittadini,
e i parenti di Mathieu. Osservò il sorriso commosso di
Melanie per darsi
coraggio.
Si
era alzato dalla sua sedia, il libricino tra le mani e si era fermato
di fronte
al feretro, un nodo in gola prima di voltarsi verso i presenti.
“Mi
chiamo Sebastian Smythe” esordì e cercò
di mantenere a mente le parole che
aveva pensato di pronunciare in quel contesto. “e sono il
nipote di Jacques
Laurent. Forse non molti di voi ne hanno sentito parlare ma
è soprattutto per
lui che mi trovo qui, in questo momento. Per lui e per
Mathieu” aveva preso un
profondo respiro, lo sguardo volto adesso ai genitori.
“Rimpiango
di non aver avuto occasione di conoscere meglio Jacques ma posso dire
di non
averlo mai sentito così vicino come in questi giorni, anche
se ci ha lasciati
da poco.
Credo
che una parte di sé, per quanto insopportabile e saccente,
resterà con me” un
sorriso più ironico gli aveva curvato le labbra prima di
schiudere il libricino
ad una pagina ben precisa, quella che aveva letto a più
riprese e che aveva
scelto perché il desiderio di Jacques si realizzasse.
Notò
come gli sguardi dei presenti gli fossero avvinti: era evidente la
sorpresa e
la curiosità e decise di non lasciarli attendere ancora
molto.
“Questo
diario era appartenuto a Jacques e non vi è una sola pagina
contenuta in esso
che non parli di Mathieu: suo fratello, il suo miglior amico e...
qualcosa di
più” aveva lasciato che quelle parole si
diffondessero in un silenzio rotto
presto da brusii di sorpresa e di incredulità ma non vi
badò. Nessuno avrebbe
più potuto ferirli, nessuno li avrebbe più
costretti a nascondersi.
“Tutti
noi abbiamo conosciuto Jacques come un marito devoto e fedele:
Marie-Claire è
stata la donna della sua vita, la sua migliore amica e confidente, la
sua metà.
E' stato un padre ed un nonno altrettanto affettuoso ma era molto di
più e
vorrei leggervi le sue ultime pagine perché riusciate a
vederlo come Mathieu e
poi anche io siamo riusciti”
Fu
in quel momento: sgranò gli occhi e il suo cuore
sembrò scalpitare ancora più
furiosamente. Tra le due file di sedie, era comparso Jacques: impettito
e serio
come non mai, gli fece un cenno d'assenso e Sebastian trovò
il coraggio che
necessitava per quell'ultimo passo.
Si
schiarì la voce e iniziò a leggere:
“Erano
le 11.30 l'ultima volta che ho guardato l'orologio. L'ultima
perché da allora
la mia vita si è fermata e non riesco più a
trovarvi un senso e un significato:
so che la nascita del mio bambino potrà alleviarla e che la
vita, col suo
scorrere perenne, potrà attenuare il dolore.
Ma
quest'oggi lo tengo stretto gelosamente.
Partirò
per l'America domani: cominceremo una nuova vita e dovrò
lasciare che i
fantasmi del mio passato si arrendano e rimangano confinati tra queste
pagine
ma il fardello più grande sarà sempre con me. Ed
è una promessa che stringo in
tuo nome, Mathieu, il mio più grande dolore, il
più dolce e struggente
desiderio di riconciliazione con me stesso.
Il
dolore sarà la più struggente delle promesse
perché, fin quando avrò vita, il
mio pensiero resterà ancorato al tuo sorriso, al tuo volto
meravigliosamente
sereno. Quell'unico bacio, prima delle tua partenza, mischiato alle
lacrime che
solcavano il tuo viso di un preannunciato e prematuro addio, quasi tu
già
sapessi che ti avrebbero strappato a questa vita; quasi già
sapessi quanta
codardia ci fosse nel mio cuore e quanto lenta sia stata la mia
comprensione di
ciò che davvero ci aveva uniti per tanto tempo.
Se
soltanto mi fosse concesso un ultimo sguardo, un tuo ultimo sorriso,
una tua ultima
parola. Neppure le lacrime che solcano il foglio possono parlare
abbastanza
intensamente di te; neppure il mio sordo grido di aiuto
riuscirà a raggiungerti
ovunque tu sia. E prego perché ogni giorno io soffra questo
patimento e ogni
singolo giorno io rimpianga ciò che è stato e
avrebbe potuto essere.
Non
chiederò mai il tuo perdono ma spero che una traccia di me,
in questo mondo,
rimanga. E tale traccia porti il tuo nome.
Mon
ami et mon amour, che il tuo bacio mi sfiori quando esalerò
l'ultimo respiro.
Finalmente
tuo,
Jacques
Lescaut”
Non
si era neppure sforzato perché la sua voce non suonasse
rauca sulle righe
finali: aveva sostato con lo sguardo sulle pagine del quaderno fino a
quando
non l’aveva risollevato.
Il
viso di Melanie e di sua madre condividevano la stessa commozione,
persino suo
padre sembrò scosso ma fu un'altra reazione quella che
cercò.
Jacques
sorrideva, un sorriso beato e pieno di pace, come mai lo aveva visto e
seppe
che, finalmente, aveva perdonato se stesso. Aveva sussurrato un
ringraziamento
e Sebastian aveva annuito. Sbatté le palpebre quando, al suo
fianco, scorse un
altro viso, quello della fotografia a casa Blanche.
Jacques
sorrise, quel sorriso più suadente e soddisfatto prima di
prendere la mano di
Mathieu e, in un battito di palpebre, entrambi scomparvero.
Finalmente
insieme.
“Sono
fiera di te”sussurrò sua madre quando si fu
nuovamente seduto e suo padre ne
strinse la spalla con un annuire silenzioso. Sebastian trasse un
profondo
respiro, osservò ancora una volta il libricino e chiuse gli
occhi.
Aveva
detto addio a Jacques e Mathieu.
Ma
sapeva che vi era ancora una questione in sospeso.
~
Abituarsi
alla mancanza di Jacques fu più difficile di quanto avesse
immaginato o tanto
meno ammesso, se mai qualcuno avesse potuto credere a quella storia.
Lui stesso
avrebbe cominciato a pensare che si fosse trattato soltanto di un sogno
se non
avesse avuto ancora tra le mani il suo diario, se nuovamente non si
fosse
soffermato sulle parole scritte con mano tremante. Parole che
sembravano più
che mai attuali e vincolanti e il tempo che non aveva impiegato,
durante il
volo di ritorno, al pensiero dei due amanti finalmente riconciliati,
era stato
speso nel ricordare ed immaginare un altro paio di iridi. Le stesse che
ogni
notte sopraggiungevano al calare delle ombre e dalle quali non riusciva
a
sottrarsi malgrado la propria determinazione.
Persino
entrare nella consueta caffetteria aveva un sapore più amaro
e si era scoperto
ad osservare l'ambiente e constatare quanto sembrasse strano non
scorgerlo
seduto ad uno dei tavoli, lo sguardo sognante e il sorriso svenevole,
guardando
un inconsapevole...
“Kurt”
ne aveva pronunciato il nome con voce sussurrata ma ciò
bastò a far trasalire
il giovane il cui sguardo era rivolto al proprio quaderno, una penna
tra le
dita mentre l'altra si sfiorava i capelli distrattamente.
Attese
fino a quando non sollevò il mento e i loro sguardi si
incrociarono: ne aveva
riconosciuto la voce ma sembrava comunque teso nell'osservarlo.
Era
la prima volta che manteneva così intensamente quel contatto
di sguardi e che,
soprattutto, cercasse di interpretare il guizzo che appariva in quelle
iridi:
scoprendo di conoscerne il moto di calore o di gioia, il romanticismo o
la
serenità che li faceva risplendere talvolta. Ma erano occhi
stanchi quelli che
ricambiavano il suo sguardo, sembravano essersi spenti e il pensiero di
esserne
stato la causa, ne suscitò un sospiro più
profondo.
“Cosa
vuoi, Sebastian?” aveva domandato, non vi era quella tipica
intonazione più
sarcastica ed ironica, stizzita ed insofferente che aveva esibito fino
a quel
momento. Si scoprì quasi timoroso di scoprire da quanto
tempo e se, davvero, i
suoi sentimenti fossero sfumati in qualche modo. Probabilmente quello
di
Jacques era stato un ultimo tiro mancino o soltanto un espediente per
farlo
maturare, probabilmente era solo un senso di colpa negato e nascosto
tra le
proprie sinapsi ad influenzarne le valutazioni.
Scosse
il capo, dispendioso ed inutile era, in quel frangente, soffermarsi su
Kurt
quando era lui, in prima istanza, ad aver bisogno di aprire un nuovo
spiraglio.
“Voglio
raccontarti una storia” all'espressione di confusione ed
evidente incredulità
che Kurt gli rivolse, indicò con un cenno del mento l'uscita
dal locale.
“Credo
potrebbe piacerti” aggiunse a mo' di convincimento, le mani
affondate nelle
tasche dei jeans e lo sguardo volto al quaderno innanzi a Kurt.
Senza
staccare lo sguardo da lui, Kurt lo richiuse e sospirò:
sembrò voler valutare
la possibilità ma almeno aveva scorto un barlume di
curiosità che ne aveva
animato le iridi.
L'attimo
dopo aveva riposto gli oggetti nella propria borsa e si era stretto
nelle
spalle in un tacito cenno di assenso prima di alzarsi e seguirlo fuori
dal
locale.
Sebastian
si scoprì a raccontargli della storia di Jacques e in modo
molto più fluido e
rassicurante di quanto si sarebbe aspettato: si sorprese non soltanto
di quanto
fosse semplice imbastire una conversazione molto più vissuta
e profonda di
quella che si fossero concessi fino a quel momento (non che i dialoghi,
poi,
facessero parte delle normali relazioni sociali intraprese da Sebastian
fino a
quel momento) ma si scoprì persino sollevato. Quasi quel
peso avesse cominciato
ad alleggerire la presa che stava esercitando sul suo cuore.
Probabilmente
perché stava lasciando andare Jacques, probabilmente
perché era proprio Kurt
quello che lo stava ascoltando con simile attenzione: non c'era voluto
molto
perché la sua espressione interrogativa e quasi guardinga e
sospettosa
lasciasse spazio alla mera curiosità e poi alla
concentrazione. Aveva notato
come il suo stesso volto si fosse trasfigurato: come spesso lo sguardo
cominciasse a rilucere. Dalla tenerezza e la comprensione che ne
avevano visto
le labbra curvarsi in quel sorriso più trasognato, fino alla
commozione che ne
aveva reso gli occhi lucidi ed arrossati sulle note più
amare e finali.
Non
intervenne nella narrazione, neppure gli domandò
perché avesse coltivato
quell'improvvisa curiosità circa quel parente scomparso di
recente e a cui, in
vita, non aveva mai dedicato che pensieri all'insegna dell'insofferenza
e
dell'indifferenza.
Aveva
taciuto Sebastian, aveva continuato ad osservarne il profilo di
sottecchi
mentre continuavano a camminare, fianco a fianco, apparentemente senza
alcuna
destinazione precisa. Aveva sospirato Kurt, infine, e gli aveva rivolto
uno
sguardo ancora incuriosito ma lucente della commozione che quella
vicenda ne
aveva mosso l'animo.
Si
morsicò il labbro inferiore in un'evidente dimostrazione di
insicurezza.
“E'
una storia molto triste” aveva sussurrato, infine, le
sopracciglia inarcate e
il viso inclinato di un lato mentre si fermava, inducendo Sebastian a
fare lo
stesso, voltandosi finalmente ad osservarlo. “Molto intensa e
commovente” aveva
soggiunto seppur nuovamente la curiosità ne avvincesse lo
sguardo. “Perché
hai voluto raccontarmela?”.
Malgrado
si fosse aspettato quella legittima domanda, scoprì che
cercare le giuste
parole o una giusta risposta – se poi esistesse –
era quanto di più arduo
potesse auspicare mentre sostava ad osservarne il volto, mentre sostava
in
quello sguardo così espressivo delle sue reali emozioni che
si scoprì quasi
timoroso di continuare ad osservarlo e lasciare che guardasse dentro se
stesso.
Non
riusciva a smettere di pensare che, per grazia di Jacques e Mathieu,
era
riuscito a strappare un'emozione diversa, seppur per pochi istanti, da
uno
sguardo che spesso era stato solo ferito o indisposto.
“Perché
non voglio che gli errori di Jacques siano stati vani”
evidentemente era stata
una risposta abbastanza intensa ed eloquente perché,
nuovamente, lo vide
trattenere il fiato: le iridi sembrarono esprimerne lo sconcerto, la
sorpresa e
persino un timore latente che lo indusse a distogliere lo sguardo
quando un
pensiero particolare dovette colpirlo.
Fu
allora che avanzò di un passo: si scoprì quasi
timoroso nel compiere una
flessione del braccio che lo potesse indurre a cingerne delicatamente
il mento.
Sostò
con il braccio rigido al proprio fianco, le sopracciglia aggrottate,
mentre
Kurt si stringeva nelle spalle con fare quasi protettivo nel
distogliere
nuovamente lo sguardo.
“Jacques
non poteva indursi a ricambiare il suo amore se non era quello che
desiderava:
avrebbe solo ferito entrambi” aveva sussurrato in tono amaro.
Sebastian
sentì il proprio cuore oscillare: la consapevolezza che, tra
quelle parole, vi
fosse una verità celata, quella che adesso sembrava sostare
persino tra loro.
Quella da cui sentiva la tentazione irresistibile di fuggire, quella
che lo vincolava
tuttavia, più spasmodica che mai, a ricercarne lo sguardo.
Inclinò
il viso di un lato ma Kurt scosse il capo come un implicito segnale,
morsicandosi nervosamente il labbro, lo sguardo lucido.
“Jacques
ha avuto il timore persino di guardarsi dentro e l'ha rimpianto tutta
la vita”
aveva sussurrato in risposta ed era stato con un movimento fluido,
delicato e
quasi timoroso che ne aveva, finalmente, sfiorato il mento per
intrecciare i
loro sguardi.
Ne
vide le labbra schiuse in un'espressione di sorpresa, gli occhi lucidi
e adesso
avvinti dal timore e dalla soggezione. Quasi disperando che quel
contatto non
avvenisse, quasi disperando che Sebastian non scorgesse cosa si celasse
incastonato tra le iridi, oltre alle lacrime di commozione per una
struggente
storia d'amore.
“Kurt”
ne pronunciò nuovamente il nome con voce più
sussurrata ma il ragazzo strinse
le labbra e scosse il capo.
“No,
non fare così: non ne hai il diritto, Sebastian!” aveva
commentato, il braccio sollevato quasi a voler
porre una distanza, nell'aprire e chiudere spasmodicamente la mano
nell'articolare quelle parole prima che gli desse le spalle.
Sebastian
ne vide le spalle irrigidirsi nel tentativo di trattenere quella
verità sopita
che mai, come in quel momento, aveva percepito così intensa.
Stolto era stato a
non comprenderlo, nel lasciare che la propria superficialità
continuasse ad
infierire colpo su colpo, più di quanto egli stesso
già non facesse in normali
circostanze nel mortificare se stesso.
“Non
ti biasimo se hai creduto di non poterlo neppure ammettere a te
stesso” si era
sentito dire mentre indugiava alle sua spalle osservandone le scapole.
Gli
parve di sentirne un verso soffuso ma se di ironica consapevolezza o di
amarezza non avrebbe saputo dirlo. Era quasi timoroso di indurlo a
svelare
nuovamente l'emozione delle sue iridi e, al contempo, consapevole che
vi fosse
quanta più realtà e sentimento a cui aggrapparsi
soltanto nelle sue iridi, di
quante ne avrebbe potute scorgere in tutta una vita di fuga dalla
possibilità
di lasciarsi amare.
Kurt
aveva annuito, tuttavia, e lo vide stringersi le braccia al corpo prima
che
abbassasse lo sguardo e scuotesse il capo.
“Dirlo
lo renderebbe più reale e non lo sopporterei”
aveva sussurrato con voce più
flebile che aveva fatto stringere le labbra di Sebastian. Pur senza
vederne il
viso, non gli fu difficile immaginare le lacrime sospese sulle ciglia,
in
attesa di rigarne le guance.
“...
non da solo” aveva soggiunto ed era soltanto in
virtù del moto che aveva
indotto Sebastian a fermarsi alle sue spalle, se era riuscito a
sentirne il sussurro.
“Non
sei solo” aveva bisbigliato. Lo sentì irrigidirsi
quando ne colse la vicinanza,
ma ebbe la percezione che il battito alterato di Kurt fosse in
sincronia con il
proprio, che potesse sentire fluire in sé la sua
disperazione, la sua paura. Il
suo bisogno di una certezza e di un calore che riuscisse a scalfirlo, a
dispetto dei sentimenti trattenuti così spasmodicamente fino
a quel momento.
Aveva
sospirato, Sebastian, nuovamente sembrò indeciso: aveva
proteso il braccio
quasi desiderasse avvincerlo a sé ma socchiuse gli occhi a
sentirne il profumo
che ne avvolgeva la figura slanciata ed esile.
Una
delicata ma stuzzicante essenza di vaniglia mentre, lentamente, con
occhi
socchiusi adagiava il mento alla sua spalla.
Ne
sentì il corpo irrigidirsi ma non desistette,
voltò appena il capo a sussurrare
nel suo orecchio.
“Non
sarai solo se non per tua volontà” aveva
bisbigliato e si era sorpreso di
quanto la sua stessa voce apparisse più bassa, rauca, un
sussurro delicato
mentre percepiva Kurt stesso ammorbidirsi.
Reclinò
appena il capo contro la spalla di Sebastian ad osservarlo, quasi
chiedendone
conferma: gli occhi erano lucidi ma le labbra tremavano di una nuova
emozione.
“Non
devi farlo per non ferirmi, non-” aveva scosso il capo
Sebastian ma non gli aveva
permesso di continuare la frase: le braccia si erano strette attorno
alla sua
vita e fu quasi un sospiro dell'animo avvedersi di quanto il suo corpo
più
esile e delicato sembrasse così perfetto da cingere e
trattenere a sé. Quanto
calore vi fosse in un contatto così accennato, un calore
che, lo sentiva,
sarebbe permeato attraverso le vesti e rimasto anche dopo che si fosse
scostato
o Kurt lo avesse respinto.
“Dammi
una possibilità” aveva sussurrato in risposta, il
fiato trattenuto e lui stesso
perse il conto dei propri battiti: rimase in accorata e spasmodica
attesa, in
quel teso silenzio che seguì quella richiesta.
Non
si era mai sentito più vulnerabile e scoperto, non aveva mai
odiato così tanto
il sentirsi emotivamente coinvolto in un momento di simile
intensità ma neppure
si era mai sentito così spasmodico e bisognoso di concedersi
quell'occasione.
Di trovare una risposta e di provare a se stesso che Sebastian Smythe
fosse in
grado di mettersi in gioco e che non si sarebbe concesso il rimpianto
di non averci
mai provato.
Aveva
atteso una reazione: le sue braccia avevano artigliato Kurt come se, in
quel
momento, fosse l'unico appiglio ad avvincere le sue ultime remore e il
suo
timore, disperando perché pronunciasse una qualsiasi
risposta pur di non lasciarlo
ulteriormente in sospeso.
Un
effluvio di dolce calore e boccheggiò: sentì Kurt
rigirarsi nel proprio
abbraccio, non disse nulla ma fu con un'intensità quasi
struggente e disperata
che le sue braccia esili si avvinsero al suo collo. Affondò
il viso contro il
suo petto e Sebastian neppure cercò di regolare il respiro o
i battiti, lo
sentì artigliarne la camicia e sorrise nell'appoggiare il
mento al suo capo.
Socchiuse gli occhi, avvolto da quel calore, promessa di una nuova
speranza,
racchiusa tra le sue iridi.
“Devo
prenderlo come un sì?” domandò,
soltanto, con voluto intento ironico ma celando,
con autentica difficoltà, il sorriso impresso nella voce. Lo
sentì emettere un
verso soffuso di divertimento ma non si mosse, lo sentì
completamente rilassarsi
contro il suo petto, quasi finalmente avesse ritrovato pace.
Quasi
finalmente fosse in comunione con se stesso.
E
Sebastian stesso seppe di esserlo, sollevò lo sguardo:
l'azzurro del cielo,
laddove Jacques stava facendosi beffe di lui, era secondo soltanto alle
iridi
del ragazzo che stringeva tra le braccia.
Socchiuse
a sua volta gli occhi e sorrise del contatto prolungato.
“Non
credi che sarebbe ora di darmi un bacio?” aveva domandato,
l'intonazione
sardonica che aveva fatto sollevare gli occhi al cielo a Kurt ma il
sorriso non
sfumava dalle sue labbra: abbassò la mano stretta al suo
petto a cercare quella
del giovane. Sebastian la strinse di riflesso, la fronte adagiata alla
sua in
quella reciproca e nuova contemplazione.
“Forse”
aveva sussurrato, dondolandosi sulle spalle con quel fare
più vezzoso prima di
cingerne nuovamente con un anelito più puerile il collo e fu
la volta di Sebastian
di alzare gli occhi al cielo.
“Lo
farai ogni volta?” cercò di nascondere il sorriso.
“Seriamente,
è così da checca che-” le parole si
spensero al contatto con le sue labbra, lo
sentì sorridere nel bacio e, artigliandone il viso con
maggior decisione, ne
ricambiò il sorriso a fior di labbra.
Grazie,
vecchiaccio rompipalle.
You put a spell upon me there
Never be broken in your love
Nowhere to run to but your love
Over and over in your love
(Your
Love - Keane)
Ho preferito
rimandare la stesura di questo racconto all’ultima settimana
– la scorsa –
prima della pubblicazione, prevedendo sarebbe stata la più
lunga ed elaborata.
L’idea di sfruttare lo stratagemma del fantasma –
come Sophie Kinsella – mi ha
subito sfiorata, grazie anche alla seconda lettura del romanzo ma mi ha
fatto
sognare immaginare una storia d’amore più amara
che fosse da sprono a
Sebastian. Spero di avervi emozionato come è stato per me
con la stesura in
particolare di alcune parti di questo racconto.
Al solito,
commenti e riflessioni sono ben accetti e ancora grazie di cuore a
chiunque
legga, commenti e gradisca.
A domani, il tema
trattato sarà “WIZARDS AND WITCHES” e
vi prometto che mi farò perdonare con
una lettura molto più spensierata e leggera! :)
|
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Capitolo 4 *** Wizards And Witches - Slyther in the magic world ***
Non ho molte premesse prima di lasciarvi
alla lettura, a parte che oltre a rispettare la Week
Kurtbastian mi sono
concessa un altro piccolo sfizio, anzi meglio dire due, uno dei quali
si
dovrebbe cogliere dal sottotitolo (:
Ancora un ringraziamento di cuore per le
recensioni, per aver inserito la raccolta tra
seguite/preferite/ricordate, è
davvero molto lusinghiero e ve ne sono grata.
Un bacione alle mie Blaine e Sebastian, come
sempre, che rendono tutto ancora più meraviglioso di quanto
non sia! ♥
Buona
lettura!
WIZARDS AND WITCHES
Slyther in the magic world.
Non era
inusuale, di tanto in tanto, avere il
blocco dello scrittore, persino per chi, come lui, aveva sognato, fin
dalla
tenera età, di rendere realtà quei personaggi che
erano così vividi e scolpiti
nella sua fantasia.
Aveva tambureggiato
sul ripiano della scrivania, lo
sguardo fisso sul documento aperto sul proprio pc: il puntatore che
lampeggiava
come un invito o una minaccia, a seconda dei punti di vista. Aveva
riletto
l'ultimo paragrafo almeno una dozzina di volte (correggendo qua e
là la
punteggiatura o sostituendo qualche termine con un altro) prima di
scuotere il
capo e comprendere che, decisamente, per
quella mattina, l'ispirazione sembrava esaurita.
Sbadigliò,
una mano premuta di fronte alle labbra e
un vago senso di spossatezza da che la sera prima era rimasto a
scrivere fino a
tardi e ciononostante non aveva ancora concluso la scena del capitolo.
Una cosa
che detestava,infatti, era il lasciarne in sospeso una.
Si riscosse quando,
dopo un placido miagolio, Brian
saltò agilmente e gli si accoccolò in grembo.
Sorrise di fronte a quegli
occhioni che spesso e volentieri sembravano scrutarlo con un'eloquenza
che lo
rendevano molto più umano di quanto ci si sarebbe aspettati
da un animale
domestico. Allungò la mano ad accarezzarlo tra le orecchie,
sorridendo al
sentirlo miagolare con evidente soddisfazione: gli occhi socchiusi e le
fusa
che si espandevano facendolo rilassare sotto il proprio tocco.
“Prenditi
pure la tastiera, Brian, niente scrittura
stamani”.
Chris sorrise prima di
spegnere il computer e
stiracchiarsi. Si alzò in piedi e si diresse verso il
proprio letto e si lasciò
scivolare. Ma il micio fu lesto a raggiungerlo, si
raggomitolò all'altezza del
suo stomaco mentre lui, pigramente, allungava il braccio a prendere il
libro
che stava leggendo. O meglio rileggendo in quel periodo.
Lo aprì
fino a ritrovare il punto in cui aveva
interrotto la lettura: Harry e tutti gli allievi del primo anno stavano
attendendo il ritorno della Professoressa McGrannith prima di varcare,
per la
prima volta, la soglia della Sala Grande.
Cominciò la
lettura: la piacevole morbidezza del
materasso si confondeva al calore della vicinanza di Brian, le sue fusa
come
sottofondo sempre più lontano.
“Mettetevi
in fila e seguitemi” ordinò la
professoressa McGrannith agli allievi del primo anno.
Sgranò gli
occhi, il cuore in gola nell'osservare
la mastodontica costruzione che si trovava di fronte a lui. Se
possibile,
accanto a quei ragazzini, poco più che bambini, si sentiva
persino più esile,
soprattutto a rimirare qualcosa di così stupefacente. Ma
l'idea di sfilare di
fronte a tutta la scuola, insegnanti e studenti più grandi,
e di esser giudicato
da quando avrebbe varcato quelle porte, lo rese persino più
nervoso.
Deglutì a
fatica, cercò lo sguardo di Ron, al suo
fianco, e varcò la soglia insieme a tutti gli altri studenti
che si muovevano
in ranghi serrati quasi sperando di passare inosservati. Malgrado una
parte di
sé già sapesse cosa sarebbe accaduto, la prima
reazione fu quella di restare,
semplicemente, a bocca spalancata.
Mai visto un posto
stupefacente come quello.
Era
illuminato da migliaia e migliaia di candele
sospese a mezz'aria sopra quattro lunghi tavoli, intorno ai quali erano
seduti
altri studenti. In fondo alla sala c'era un altro tavolo lungo, intorno
al
quale erano seduti gli insegnanti. Fu lì che la
professoressa McGrannith
accompagnò gli allievi del primo anno, cosicché,
sempre tutti in fila, si
fermarono davanti agli altri studenti, dando le spalle agli insegnanti.
Alla
luce tremula delle candele, le centinaia di facce che li guardavano
sembravano
tante pallide lanterne.
Cercò di
ignorare quegli sguardi che avrebbero
soltanto potuto accrescere il proprio timore e la propria esitazione,
soprattutto
l'idea che tutti potessero stabilire, ad una prima occhiata, che non
era degno
di restare tra loro. Sembrava esservi una grande aspettativa dal
silenzio teso
con cui tutti osservavano il punto in cui erano tutti rannicchiati, in
attesa
che succedesse qualcosa.
Fu allora che la
professoressa McGrannith depositò
uno sgabello di fronte ai nuovi arrivati e vi pose sopra quello che
appariva
come un vecchio cappello, senza alcun valore. Ma fu con occhi sgranati
e il
cuore in gola che si accorse che sembrò contrarsi.
Da quella che
somigliava straordinariamente ad una
bocca, proruppe una lunga filastrocca che descriveva le quattro Case in
cui
sarebbero stati smistati e le caratteristiche peculiari di ognuna.
Osservò la
processione degli studenti che venivano
chiamati uno alla volta: si accomodavano sullo sgabello e veniva loro
posto
sopra il cappello il quale, dopo un tempo più o meno lungo,
declamava il nome
della Casa a cui si sarebbero uniti.
Provò a
rimandare a mente la filastrocca che aveva
da poco ascoltato ma non riusciva minimamente ad immaginare quale
sarebbe stata
la decisione del cappello, una volta che fosse arrivato il suo turno.
Molto
prima di quanto si sarebbe aspettato, seppur non sarebbe mai stato
pronto probabilmente,
la professoressa McGrannith chiamò:
“Hummel
Kurt!”
Sentì il
cuore salire in gola e tremò, cercò di
ignorare gli sguardi di centinaia di anonimi visi fissi sul suo volto e
lentamente camminò nel corridoio creato tra i due tavoli
centrali prima di
fermarsi di fronte allo sgabello.
Si accomodò
e sentì il cappello appoggiarsi al suo
capo.
Tutto fu silenzio e si
domandò cosa stesse per
accadere prima che, un verso strozzato d'emozione e di sorpresa, il
cappello
mormorò nella sua mente.
“Mhm, molto
difficile. Vedo un grande talento nel
canto e nel ballo, molta ambizione, una lingua tagliente, un bel
cervello, ma
anche il desiderio di mettersi alla prova. Dove ti metto?”
sembrò chiedergli e
il giovane aggrottò le sopracciglia, mordendosi il labbro.
Le parole sgorgarono
prima che potesse
controllarle.
“Non
a Serpeverde, non a Serpeverde!”.
“Non
a Serpeverde, eh?” disse la vocina. “Ne sei
proprio sicuro? Potresti diventare grande, sai: qui, nella tua testa,
c'è di
tutto, e Serpeverde ti aiuterebbe sulla via della grandezza, su questo
non c'è
dubbio... No? Be' se sei proprio così sicuro... ”.
Attese trepidante il
momento in cui il cappello
prendesse la sua decisione finale.
“CORVONERO!”
lo sentì
gridare al resto della sala e, le
guance arrossate, si rimise in piedi e raggiunse il tavolo designato.
Una volta che si fu
accomodato, riuscì a godersi il
resto dello smistamento molto più sereno e tranquillo,
sperando che terminasse
il più in fretta possibile vista la fame impellente.
“Smythe
Sebastian!” sentì ad un certo punto chiamare
la professoressa McGrannith e il suo sguardo seguì un
giovane che spiccava tra
tutti gli altri studenti in statura. Ma probabilmente ciò
che lo rendeva tanto
particolare era quel sorrisetto allusivo e sicuro e di sé
mentre avanzava con
incedere fluido verso lo sgabello sul quale si accomodò con
grazia. Sembrava
già consapevole di quale fosse il proprio valore
perché non si scompose quando
il capello, appena appoggiato al suo capo, gridò
“SERPEVERDE!”.
Si mise in piedi e si
diresse verso il tavolo
dirimpetto a quello a cui era seduto Kurt: fu un solo istante ma,
mentre
prendeva posto accanto a due giovani di ampia stazza, i loro sguardi si
incrociarono. Dapprima fu uno sguardo glaciale e di sprezzo quello che
gli
rivolse Sebastian ma poi le labbra si contrassero in un sorriso
suadente e, per
qualche motivo, il respiro di Kurt accelerò e
così i battiti del proprio cuore.
~
Non ci volle molto
tempo perché imparasse ad
ambientarsi nella scuola magica ma memorizzare i giusti passaggi, le
scale da
percorrere e le scorciatoie per raggiungere le aule di lezioni,
richiese le
prime settimane del suo primo anno. Molto più semplice fu
comprendere quali
fossero i professori più temibili – il professor
Piton che, in particolar modo,
sembrava avercela con tutti gli studenti ad eccezione dei suoi
favoriti, i
Serpeverde - e quali fossero i corsi più ardui e quali
quelli in cui fosse
particolarmente portato.
Se non amava
particolarmente Erbologia – le macchie
di erba erano così difficili da togliere dalla divisa e
dalle camicie bianche –
e neppure Pozioni – gli abiti e i suoi capelli erano
sensibili ai vapori e alle
boccette con sostanze viscide e dagli improbabili colori –
aveva una
particolare predilezione per Incantesimi e per l'Astrologia. Non era
raro
trovarlo ad osservare le stelle prima di ritirarsi nel proprio
dormitorio, ben
attento a non rischiare di infrangere il coprifuoco.
Si applicava nello
studio e, seppur non avesse una
media altissima come quella di Hermione Granger o qualche studentessa
della sua
stessa Casa, i suoi risultati erano soddisfacenti. Era in buoni
rapporti con i
propri compagni di dormitorio e anche con gli studenti delle altre
Case, con
l'eccezione – ovvia e scontata – dei Serpeverde che
sapevano rendersi
sgradevoli con tutti e avevano amicizie molto elitarie. Non che ci
tenesse
particolarmente a stringere amicizia con qualcuno di loro, specialmente
se
aveva i modi arroganti e spocchiosi di Sebastian Smythe, soprattutto da
quando
– e lì si era domandato se Silente non si fosse
ubriacato di whisky incendiario
– era stato nominato Prefetto della sua Casa. Aveva
immaginato che avesse
scelto persone di carisma ed influenza, un peccato che, nel suo caso,
fosse
negativo. Ed era persino più spocchioso ed insopportabile,
da quando era
entrato nella squadra di Quidditch della sua Casa.
Lo sport era
sicuramente un altro ambito nel quale
Kurt non fosse particolarmente entusiasta, tanto da preferire disertare
il tifo
e passare del tempo, in tutta tranquillità, nel Dormitorio
deserto, magari con
qualche libro a fargli compagnia di fronte al camino.
Erano stati anni
davvero piacevoli quello che lo
avevano visto sostare tra le mura del castello e immaginava come la
vita da
mago diplomato sarebbe stata vuota senza quella routine. Il suo futuro,
poi,
era una particolare incognita ma aveva ancora un anno prima dei M.A.G.O
e
avrebbe potuto decidere quale fosse la sua strada.
Ma, in quel momento,
mentre entrava nell'aula di
Babbanologia profittando non vi fossero lezioni, voleva soltanto
concedersi un
momento di quiete. Scorse gli strumenti musicali che la professoressa
Burbage
si era procurata per le lezioni della settimana. Si era tolto la
casacca della
divisa e il maglione: appuntò la sua spilla a forma di corvo
sulla camicia –
seppur fosse costretto ad indossare la divisa come gli altri studenti,
non
poteva certamente rinunciare a qualche motivo ornamentale che lo
contraddistinguesse – e si sedette sulla panchina di fronte
al pianoforte. Ne
scoprì i tasti e, dopo aver scelto uno spartito,
lasciò che le note del
pianoforte vezzeggiassero il silenzio, riempiendolo con quel suono
delicato e
malinconico.
Seppur non potesse
vantare il timbro profondo e
rauco del cantante della versione originale, non avrebbe rinunciato a
dare
suono a quelle parole che, in parte, sembravano scaturire dal profondo
di se
stesso.
Gli occhi socchiusi,
completamente preso dalla
melodia, mentre vezzeggiava le note più alte:
In my life there's been heartache and pain
I don't know if I can face it again
Can't stop now, I've travelled so
far
To change this lonely life
Il ritmo
era divenuto più sostenuto e
così il corrugamento delle sopracciglia, mentre, senza
smettere di sfiorare i
tasti, lasciava sgorgare le successive parole: il tono delicato e quasi
struggente che sgorgò dalle labbra, nel riuscire a dare loro
suono a quelle
parole, a quello stato d'animo. A quelle paure e a quelle emozioni
covate nel
profondo di se stesso, in quel dolore e quell'insicurezza, in quella
necessità
di trovare se stesso, quasi comprendesse la sua vita non fosse ancora
completa.
Sognando quel momento, il suo momento che ancora non sembrava giungere,
quello
che aveva per ora soltanto sognato per un futuro sempre più
incombente eppure
cristallizzato nella monotonia del presente che, il più
delle volte, appariva
così privo di senso e di significato.
I wanna know what love is
I want you to show me
I wanna feel what love is
I know you can show me
Trasse
un profondo respiro, quasi
quelle parole gli avessero portato via i lembi della propria
determinazione e
della propria sicurezza, quasi fosse timoroso di lasciar sgorgare quel
dolore e
scoprirlo nella sua essenza.
Talmente
concentrato, non si era
accorto che la porta della camera era stata schiusa e qualcuno sostava
sulla
soglia fino a quando non aveva sentito un battito di mani.
“Bene,
bene, bene” aveva esordito con quella sua tipica cadenza
sardonica e Sebastian
Smythe si era scostato dalla soglia della porta per attraversare la
stanza
mentre Kurt, il volto arrossato dall'imbarazzo per quell'intromissione
nella
sua privacy, aveva smesso bruscamente di suonare. Con un colpo secco,
coprì
nuovamente i tasti del pianoforte e si volse: le sopracciglia
aggrottate, con
espressione di disappunto, mentre il giovane si fermava a pochi passi,
le
braccia incrociate al petto.
“Che
cosa vuoi, Sebastian?” domandò con voce stizzita.
Quest'ultimo
sorrideva a quella maniera
sardonica ed incredibilmente irritante: alla fioca luce delle torce
della
stanza e al baluginio argentato della luce lunare, i nei sulla guancia
sembrarono risaltare e così il dardeggiare ironico delle
iridi.
“Si dà
il caso, Kurt, che tu debba dirmi cosa facevi fuori
dal dormitorio
quando è quasi ora del coprifuoco” si era
interrotto, il tempo di vedere Kurt
arrossire perché chiaramente non poteva ribattere a
quell'osservazione. Indicò il
distintivo con lo stesso fare pomposo con cui dava sfoggio dell'antico
lignaggio della sua famiglia.
“Perdonami,
non sapevo di star
interrompendo le tue pene d'amore, mi aspettavo di trovare una ragazza
mestruata e... non mi sbagliavo a quanto pare” aveva
soggiunto in tono
vellutato che aveva fatto sgranare gli occhi dell'altro.
Non
aveva tuttavia voluto concedergli
alcuna soddisfazione mentre, sia per rimettersi in ordine che per
evitarne lo
sguardo allusivo, riprendeva il pullover per indossarlo.
“Si
chiama interpretazione del testo” aveva spiegato in tono
altezzoso, dopo
essersi tolto momentaneamente la spilla.
“Comunque
fai quello che devi fare”.
Non si
era aspettato che le sue parole
creassero un simile impatto: in fin dei conti era sembrato ovvio che, a
quel
punto, avrebbe spadroneggiato come suo solito e probabilmente gli
avrebbe tolto
il doppio se non il triplo dei punti previsti dalle normali sanzioni.
Ma non si
spiegò quel silenzio, fino a quando non sollevò
nuovamente lo sguardo sul
giovane mentre riassettava le maniche della camicia per farle
fuoriuscire dal
maglione.
Solo
allora notò che Sebastian lo stava
scrutando: le sopracciglia inarcate, il sorrisetto allusivo mentre
schioccava
la lingua sul palato e inclinava il viso di un lato.
“Non
credevo fossi tanto arrendevole, Kurt e neppure così
disperato” aveva
commentato con voce dolciastra e, sotto lo sguardo incredulo e sgomento
dell'altro, lo sentì imprigionargli il mento fino a chinarsi
in sua direzione.
Fu un
attimo così intenso che Kurt
trattenne il fiato: lo sguardo azzurrino era incatenato a quello di
Sebastian e
ad una maniera così intima e sentita che sentì il
fiato venir meno e boccheggiò
nel vederlo avvicinarsi. Fu come se tutto intorno a loro si fosse
fermato ad
eccezione dei propri battiti divenuti così intensi che
temette che Sebastian
fosse in grado di sentirli, ad eccezione del suo respiro che ne
sfiorava le
labbra in una promessa allusiva e così tentatrice che...
Sbatté
le palpebre e si sottrasse
scostandosi e rimettendosi in piedi: le guance arrossate e le gambe
formicolanti prima di fissarlo incredulo.
“Cosa
stai facendo?!”.
Quest'ultimo
si era già rimesso in
posizione eretta e non sembrava affatto essersi scomposto:
scrollò le spalle,
le mani adesso affondate nelle tasche dei pantaloni.
“Non
volevi che ti mostrassi... qualcosa?”
domandò in tono di vellutata
ironia nel riferirsi a quei versi che aveva cantato poco prima e Kurt
sentì il
respiro mancare, prima di stringere i pugni e sentirsi rispondere con
voce
quasi in falsetto.
“ERA
SOLO UNA CANZONE” che lo fece
soltanto ridacchiare maggiormente, lo scintillio ancora ben presente
nelle
iridi smeraldine, le sopracciglia inarcate.
“Sembri
quasi crederci persino tu” aveva commentato con saccente
sicurezza dei propri
sospetti, avanzando nuovamente fino a occupare – e ad una
maniera che Kurt
trovò irrispettosa – il suo spazio personale,
tanto da indurlo ad
indietreggiare. Ma era come se una parte di sé si sentisse
comunque avvinta
dall'alone del suo sguardo, come consapevole nel reflusso della propria
coscienza che non avrebbe potuto ingannare se stesso. E neppure
smentire il
modo in cui riuscisse, con estrema facilità, a giocare con
le sue emozioni,
soprattutto in un ambito, come quello, dove si sentisse così
poco sicuro di sé.
“Magari
perché è proprio così” aveva
ribattuto Kurt cercando di simulare ulteriormente
quel tono più altezzoso, il mento sollevato e le
sopracciglia aggrottate. Sperò
che non riuscisse davvero a sentire quanto il suo cuore, a dispetto
della sua
apparente compostezza, sembrasse incapace di non reagire
all'avvicinarsi
dell'altro.
Sebastian
si fermò a pochi passi da
lui, il sorriso che ancora sostava sulle sue labbra, il viso inclinato
di un
lato e il baluginio più intenso delle iridi e Kurt ebbe
quasi l'impressione che
riuscisse a scovare dentro se stesso, che riuscisse a comprendere cosa
si
celasse dietro le sue parole e le sue emozioni.
Avrebbe
voluto non fosse così
dannatamente vicino, tanto da farlo sentire intrappolato, avrebbe
voluto che i
suoi sensi non apparissero così annebbiati e che la sua voce
non risuonasse
così roca ed ammaliante, che lui stesso non sprigionasse
tutta quella sicurezza
e che il suo corpo non riconoscesse
quei
segnali. Quel senso di aspettativa che lo fece tendere. In attesa. Di
qualcosa
che, e la consapevolezza era terrorizzante e intrigante insieme,
soltanto
Sebastian avrebbe potuto soddisfare o comprendere.
“Guardami
negli occhi e dillo un'altra volta” erano state le parole di
Sebastian che, con
un movimento fluido, ne aveva avvinto nuovamente il mento,
costringendolo a
sollevarlo in propria direzione fino a quando non si smarrì
nuovamente nelle
sue iridi.
“Io
non...” la voce sembrò morire in gola e le parole
furono sussurrate con tono
tremulo. Lo sguardo non riusciva a sfuggire a quello dell'altro: in
vero
sembravano entrambi sospesi in quell’attimo. Cercando un
gesto, una domanda
tacita o un implicito accordo che non dovesse scomodare l'orgoglio di
entrambi.
Annaspò,
le sopracciglia aggrottate
mentre sentiva le dita di Sebastian vezzeggiarne il sottomento, le dita
che gli
sfioravano il collo e la pelle si intirizzì visibilmente.
“...
voglio niente” si era sentito
pronunciare ma era come se la voce, di fatto, più non gli
appartenesse e le
parole provenissero da lontano.
Di
fatto, infatti, quando con un
movimento fluido Sebastian lo attrasse a sé,
sentì soltanto il calore di quel
contatto, il modo in cui le sue braccia lo avvolgevano perfettamente in
quella
morsa, le sue dita che vezzeggiavano i piccoli nei sotto al collo,
quelli che
cercava sempre di nascondere con uno strato di fondotinta.
E poi lo
riconobbe: quel luccichio.
Seppe
cosa stava per accadere e il
cuore sembrò fermarsi in gola, le labbra schiuse
nell'osservarlo protendersi maggiormente:
i suoi occhi che ancora scrutavano i propri.
Sebastian
si umettò le labbra nello
sfiorare con il pollice quelle di Kurt.
Inclinò
il capo di un lato, le palpebre
si abbassarono quasi temendo di non poter neppure contemplare
quell'attimo.
Soltanto
sentirlo.
“...
da te...” aveva terminato ma tutta la propria determinazione
aveva lasciato
posto ad un sussurro quasi languido ed arrendevole.
Una
consapevolezza che fece sorridere
Sebastian.
“Sta
zitto, Kurt” aveva sussurrato a fior di labbra, l'intonazione
più maliziosa malgrado
la sua stessa voce avesse tradito un sorriso, lo stesso che adesso
sfiorava le
proprie labbra.
In
attesa di quel momento tanto
sospirato, in attesa di lui.
Il suo
respiro caldo contro le proprie
labbra, la pressione della sua mano incastonata tra i capelli per
avvicinarlo
e...
Si
sollevò con il torso, il respiro
convulso e gli occhi sgranati: sentì Brian protestare prima
di soffiare e
scendere dal suo letto con fare indignato. Sbatté le
palpebre a più riprese,
gli occhi sgranati nel ricordare i dettagli così vividi di
quel sogno tanto da
non aver realmente dubitato di essere il suo alter ego di Glee.
E
neppure di trovarsi a Hogwarts in una
sorta di Crossover davvero fuori dal comune.
Scosse
il capo quando si accorse delle
dita che si erano sfiorate istintivamente le labbra prima di lasciarsi
cadere
sul materasso: osservò il libro ancora aperto e, dopo aver
riposto il
segnalibro, lo chiuse e lo adagiò sul comodino.
Osservò
l'ora e sussultò nel rendersi
conto che erano le tre del mattino.
Si
strofinò una mano sul viso: ripensò
a quella scena tanto vivida e sentì
il
cuore scalpitare furiosamente: un lieve accenno di rossore sulle guance
al
pensiero di quanto aveva vissuto in sogno. L'emozione che stava
provando – che Kurt stava provando!
- era stata
così intensa da percepirla quasi reale ed era stato allora
che il sogno aveva
raggiunto l'apice d’intensità fino a destarlo
così bruscamente.
Sicuramente
Ryan avrebbe potuto riderci
sopra di un simile aneddoto e chissà che non pensasse ad una
puntata di Glee a
tema.
Scosse
il capo ed osservò il cellulare
accanto al libro: lo prese tra le dita e aprì l'applicazione
di twitter con un
vago sorriso.
I
libri di @jk_rowling rendono magici
anche i sogni. Mi dispiace Harry e Draco ma Kurt e Sebastian vi hanno
rimpiazzato! #IndovinateChiEraIlSerpeverde.
Si prese
qualche istante per rimirare
le menzioni e qualche battuta o saluto affettuoso da parte dei fan,
qualche
commento sul suo libro o domande sul contenuto del sogno. Ma non era
decisamente qualcosa di spiegabile in 140 caratteri, magari avrebbe
potuto
sfruttare l'aneddoto in un'intervista o qualcosa di simile.
O
magari, ripensò all’ultima scena, no.
Si
rimise in piedi, sentì lo stomaco
brontolare e decise di far una breve tappa in cucina nell'attesa che il
computer si accendesse nuovamente per provare a terminare la scena,
visto che
il sonno non sarebbe tornato se non nel pomeriggio probabilmente.
Dopo lo
spuntino, si sedette nuovamente
di fronte al pc: aprì il documento della propria storia e
cominciò a digitare
le parole che sembravano faticare a venire, ringraziando tra
sé e sé i romanzi
di Harry Potter e la magia di cui quelle pagine erano ancora intrise e
che non
scemava con il numero di letture diluite nel tempo.
Era
ormai mattino quando salvò il
documento e si stiracchiò con espressione soddisfatta:
aprì casualmente la
pagina di twitter per annunciare, finalmente, il titolo del libro ma,
le
sopracciglia inarcate, osservò la propria time-line prima di
scorgere una
menzione da parte di Grant Gustin.
Non si
sarebbe aspettato che scorgesse
il proprio tweet, non avendolo neppure menzionato, ma lesse le sue
parole con
una risata divertita mentre Brian miagolava speranzoso.
Lo prese
tra le braccia.
“Hai
sentito, Brian?” gli parlò con quella voce
più infantile. “hai letto cosa ha scritto
Grant?”
@chriscolfer
mi hai sognato finalmente.
Attendevo questo momento dalla nostra prima scena al Lima Bean.
Un
sorriso ironico gli si dipinse sulle
labbra al pensiero di come le fan di entrambe avrebbero potuto leggere
quello
scambio di battute ma prima che potesse rispondere, con altrettanta
ironia,
scorse un altro tweet, questa volta da parte di Kevin.
@grantgust
smettila di tradirmi con @chriscolfer !
Assistette al loro
scambio di battute con un lieve
scuotimento del capo e il sorriso che sostava sulle labbra di fronte a
quello
che era stato definito il “McGustin” ma
preferì non intromettersi. Era certo
che le fan per quel mattino avessero già abbastanza per cui
sognare: si rimise
in piedi, tastando i capelli che ricadevano scombinati sulla fronte e
controllò
l'orologio.
Sì, era
decisamente ora di togliersi il pigiama,
una rapida doccia e cominciare la giornata ma si riscosse alla suoneria
del
cellulare, individuando un messaggio. Ne lesse il mittente con
espressione
sorpresa prima di concentrarsi sul testo.
[From
Grant G. 9.28 AM]
Non puoi
ignorarmi dopo avermi sognato: è molto
poco Grifondoro da parte tua. Sicuro che non fossi un Serpeverde al mio
fianco?
Rise, un lieve scuotimento del capo prima di replicare rapidamente.
[To
Grant
G. 9.29 AM]
Ti
piacerebbe.
Si chiuse la porta
alle spalle e si concesse,
finalmente, una lunga doccia ristoratrice. Al suo ritorno
osservò curiosamente
il lampeggiare del blackberry per l'arrivo di un nuovo messaggio.
[From
Grant G. 9.30 AM]
Più
di quanto immagini. Ma sei tu lo scrittore tra
noi due: ti stai occupando di una Drarry/Kurtbastian anziché
del seguito del
tuo libro?
[To
Grant
G. 9.57 AM]
Kurtbastian?
E' così che li chiami nei tuoi sogni?
[From
Grant G. 9.59 AM]
Ti stupiresti
di quanti sognano di Kurt e
Sebastian. E quanti di Harry e Draco, immagino.
[To
Grant
G. 10.02 AM]
Non mi
stupisce, nella prima coppia ci sarebbe la
mia faccia.
[From
Grant G. 10.05 AM]
A quanto pare
anche nella seconda, da oggi in poi.
Rise, un lieve
scuotimento del capo prima di
replicare ulteriormente, il sorriso ancora sulle labbra mentre con una
mano
cercava di rispondere e con l'altra frizionava i capelli con
l'asciugamano.
[To
Grant
G. 10.07 AM]
E io che
speravo ti sfuggisse il riferimento a
Sebastian.
[From
Grant G. 10.09 AM]
Mai. In
realtà ogni volta che entri su twitter
dovrebbe fermarsi l'universo.
Inarcò le
sopracciglia: certo non era mai stata una
sua abitudine usare quel social network per condividere ogni singolo
istante
della sua vita. Era piacevole talvolta condividere coi fan qualche
momento
particolare, qualche fatto bislacco che gli fosse capitato o pubblicare
una
foto tratta dal set o della vita domestica. Ma era persino
più piacevole
fingere di non utilizzarlo per poi leggere le menzioni dei fan e
talvolta sorridere
o persino commuoversi dall'affetto che ne traspariva, anche soltanto in
quei
brevi caratteri.
[To
Grant
G. 10.13 AM]
Prima togli
la polvere dal profilo di Darren. Chi
ti dice che io non osservi in silenzio? E già che ci siamo,
i tuoi piedi sono
gelosi del tuo cane. E credo che ai tuoi fan manchino.
Ps: spero tu
non abbia dato un nome a quella
schifosa mantide religiosa.
Aveva sorriso
divertito: non avrebbe ammesso di
aver osservato il suo profilo negli ultimi istanti, soltanto per fargli
intendere che fosse onnipresente. Ma persino ad un utente
così distratto, come
lui, non era sfuggito come i soggetti – ed oggetti
– delle sue fotografie
fossero cambiati di recente.
[From
Grant G. 10.15 AM]
Questa
è la frase più romantica mi sia mai stata
dedicata, Colfer. E comunque sempre felice di attirare la tua
attenzione.
PS: sono
indeciso tra Kurt e Chris. Suggerimenti?
Rise al riferimento ad
uno dei loro primi scambi di
risposte: non avrebbe dimenticato neppure quante menzioni avesse
ricevuto,
alcune talmente folli da ipotizzare una loro relazione seppur
– come nel caso
dei loro alter ego – ovviamente la più quotata
fosse la cosiddetta Crisscolfer.
[To
Grant
G. 10.18 AM]
Scommetto che
era la tua intenzione, fin dal
principio.
PS: Solo se
Chris sta per Chris Stewart. Ma forse
per ruolo dovremmo definirlo Vanessa.
[From
Grant G. 10.20 AM]
Touché.
PS: Quando
avevi intenzione di dirmi che hai visto
il mio film?
Sorrise: sia
perché anch'egli aveva esattamente
replicato come nel loro primo scambio di battute, sia per il
riferimento al suo
film che aveva visto durante il weekend, nei giorni in cui era rimasto
coi
genitori. Sua sorella, per l'esattezza, aveva selezionato quel canale, gli aveva indicato il
collega – ero certo che
avesse una cotta per lui! - e si era trovato lui stesso coinvolto nelle
disavventure del giovane liceale.
[To
Grant
G. 10.22 AM]
Alla prossima
scena Kurtbastian che gireremo.
Rispose sibillino.
[From
Grant G. 10.24 AM]
Sei un
Serpeverde, Colfer.
Rise persino
più forte, un luccichio divertito nello
sguardo prima di constatare che avrebbe dovuto cominciare a prepararsi
e
raggiungere gli studi di registrazione.
[To
Grant
G. 10.27 AM]
Un
caffè dopo le riprese?
[From
Grant G. 10.30 AM]
Solo se al
Lima Bean.
[To
Grant
G. 10.32 AM]
Era scontato.
[From
Grant G. 10.35 AM]
A
più tardi, Colfer.
Il sorriso
sostò sulle labbra per tutto il tempo
necessario alla preparazione prima di uscire e cominciare un'altra
lunga
giornata di lavoro.
Magica, in un certo senso.
Mi sono tolta la
soddisfazione di una piccola interpretazione dei due attori, tanto per
cambiare
;) spero vi sia piaciuta e vi abbia fatto sorridere: mi manca vederli
interagire su twitter L
Vi do’ appuntamento a
domani, tema del giorno “LYCANTHROPY OF ANY SORT”
Buon Sabato a tutti, a
domani!
|
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Capitolo 5 *** Lycanthropy of any sort - Hidden Truth ***
Kb Week 5
Siamo agli sgoccioli della Kurtbastian Week
e ci avviciniamo ad Halloween con un’atmosfera davvero a tema
visto il calo di
temperature e le piogge un po’ sparse per la penisola, ma
siamo ancora qui a
farci compagnia. Ancora grazie di cuore a voi tutti che leggete e
seguite, un
bacione alle mie Blaine e Sebastian e veniamo subito a noi.
Il mio primo collegamento quando ho letto
questa traccia, era quella di sfruttare quell’adorabile
aneddoto secondo cui
Kurt ha una cotta per Taylor Lautner nonché una passione per
la saga di
Twilight. Ma non vi anticipo altro, spero solo che le fan della saga
non me ne
vogliano se vedranno degli accenni piuttosto ironici e non mi prendo la
responsabilità di Kurt, quindi prendetevela con lui, nel
caso :P
Per chi non
avesse visto la 4x04 di Glee (io l’ho vista in
inglese) ci saranno dei
riferimenti a quella puntata, probabilmente lo spoiler più
eclatante già lo
conoscete, ma è a vostra discrezione continuare o meno,
sapendo questo.
Buona lettura! ;)
Lycanthropy
of any sort
Hidden Truth
[…]
Il contatto lo faceva rabbrividire fin nel
profondo: era come scoprire una parte di sé remota. Una
verità sopita, persino
più sconvolgente che lo aveva tenuto per tanto tempo lontano
dalla donna che
credeva avrebbe amato per tutta la vita. Ma se la prima reazione era
stata una
repulsione e il sentirsi prigioniero ed ostaggio di se stesso, in un
vortice
chiamato passione e desiderio che riusciva a scavare nelle
profondità del suo
essere, in vero Jacob aveva compreso che non avrebbe potuto mentire a
se
stesso.
Non a lungo,
non in quei momenti in cui
specchiandosi nel suo sguardo,
comprendeva che tutto era già stato deciso, proprio come il
sangue che gli
scorreva nelle vene e che era stato fonte di quella che, ad un primo
acchito,
era stata percepita come una condanna. Ma soltanto accettando se
stesso,
persino ciò che di sé non avrebbe potuto
facilmente apprendere, avrebbe potuto
votarsi completamente a quel sentimento rigettato e sminuito. E poi
letteralmente esploso tra loro.
Si
rivestì con rapidità dei suoi pantaloni corti,
senza guardarsi alle spalle o sfiorarlo con lo sguardo: non sarebbe
stato
facile, allora, lasciare quel luogo anch'esso fautore del loro segreto.
Per
quanto di segreto potesse esservi tra quella specie di cui non aveva
mai
nutrito alcun rispetto o fiducia. Trasalì, tuttavia, al
tocco sulla schiena. E
dovette imporsi di pensare che fosse soltanto dovuto al freddo marmoreo
delle
sue dita.
“Vorrei
non avessi sempre così tanta fretta” e Jacob
si era voltato ad osservare la zazzera mai scombinata dei capelli color
bronzo.
Si era stretto nelle spalle.
“Vorrei
non fossi un surrogato di un iceberg” aveva
replicato, ma sorrideva come non avveniva dall'ultima volta.
Ancora
più consapevole, non vi fosse un perché o,
se anche vi fosse stato, non avrebbe potuto negare se stesso.
[…]
[cit. da
“Hidden Truth” cap 8 – Mr Lautner]
Con un sorriso
soddisfatto, Kurt aprì la pagina del
sito di fanfiction corrispondente alla sezione dedicata a Twilight e
sgranò gli
occhi alla vista del numero di recensioni. A parte qualche fedele
lettrice, non
si era aspettato che la sua prima long-fanfiction con tema l'amore
slash
potesse suscitare approvazioni o anche mera e semplice
curiosità. Aveva
accettato di buon grado le critiche di qualche ragazzina isterica pro
Team
Jacob/ Team Edward che si erano indignate e avevano sentito il bisogno
di
confermare la virilità dei personaggi nonché
degli attori che prestavano loro
volto. Ciononostante era già soddisfacente constatare, dal
contatore del sito,
di aver ricevuto un numero di letture nettamente superiore a quelle che
avrebbe
immaginato in prima istanza.
Quella della scrittura
era iniziata come qualcosa
di leggero, un modo di sfogarsi e in cui vedere realizzati i propri
desideri e
non mancavano spezzoni nei quali, nel personaggio di Jacob e nella
scoperta di
quella verità circa la sua sessualità, vi fosse
un'impronta di se stesso. Nel
modo in cui guardava l'amore tra Bella ed Edward, invece, un riflesso
del suo
amore non corrisposto per Blaine: era stato, infatti, proprio nei
corridoi
della Dalton che aveva cominciato ad ipotizzare quell'idea.
A poco a poco era
divenuta più precisa, aveva
assunto contorni ben delineati fino a formarla di fronte ai propri
occhi.
Scriveva su un'agenda o sul retro di dispense scolastiche e soltanto di
recente
aveva cominciato a trascrivere a pc tutti i propri scritti, dando loro
un
ordine e strutturando la storia a capitoli.
Negli ultimi giorni,
in modo particolare, vi aveva
riversato anima e corpo e non era insolito trovarlo chino sul portatile
per ore
e ore, dopo la giornata passata a lavorare per Vogue.com.
Un modo, soprattutto,
di non pensare ed era
qualcosa che stava cercando di evitare più o meno da quando
Blaine aveva
lasciato il loft e non si erano scambiati una parola.
Soltanto quel mazzo di
rose e quel bigliettino che
aveva gettato nel cestino. Probabilmente il tempo avrebbe mitigato la
ferita,
probabilmente sarebbero potuti perlomeno giungere ad un confronto e da
ciò assestare
se avessero potuto preservare la loro amicizia.
La scrittura era un
modo di dar voce ai propri
pensieri, anche quelli più celati, e farlo ad una maniera
traslata che,
tuttavia, dava talvolta l'impressione di scoprire nuove sfumature di se
stesso
o guardarsi con maggiore obiettività.
Ma, soprattutto, era
qualcosa di personale e
privato tanto che nessuno dei suoi conoscenti si era mai imbattuto in
questo
suo hobby. Si era detto che, probabilmente, col tempo, quando conclusa
quella
lunga storia a capitoli, sarebbe riuscito a superare lo scoglio della
propria
discrezione e del disagio.
Aprì la
schermata delle recensioni che “Mr Lautner”
aveva ricevuto per l'ultimo capitolo, con quel tipico batticuore che
precede la
comprensione del giudizio e delle aspettative altrui. Aveva sorriso e
riso di
qualche commento confidenziale fino a quando non si era imbattuto nel
commento
di un nuovo lettore a quanto poté constatare.
“Anti-Twilight”
ne lesse il nome: nessun nickname più o meno decifrabile,
nessuna informazione
nel suo account (un account da lettore) ma aveva segnalato la sua
fanfiction
tra quelle seguite e preferite. Eppure dal tipo di nome scelto,
sembrava
tutt’altro che un fan della saga, tanto che si sarebbe
aspettato un’invettiva
ma non fu così.
Un sorriso lusingato,
dopo il primo momento di
confusa interdizione, alla lettura.
Caro Mr
Lautner,
non sono un
fan della saga e neppure di Mr Lama –
senza offesa! - ma ho trovato davvero coraggioso il tentativo di
scrivere una
fanfiction di questo genere sugli idoli delle ragazzine arrapate di
vampiri/licantropi di tutto il mondo. E devo ammettere che, malgrado le
mie
moltissime riserve in ambito, ne sono rimasto particolarmente colpito.
Non
tanto l'intrigo di per sé – detesto cordialmente
ogni personaggio uscito dalla
penna di quella donna – ma la tua capacità di
esprimere certi sentimenti e
sensazioni e l'introspezione dedicata a Mr Addominali Sempre Scoperti.
Continuerò
sicuramente a leggere capitoli che
avranno la tua firma.
PS: le scene
passionali sono pura fantasia o...?
Chiedo venia, troppo personale. Al prossimo aggiornamento, Mr Lautner!
Anti-Twilight,
Ho letto con
vivo interesse il tuo commento e la
tua ironia non ha mancato di farmi sorridere ma devo dirmi molto
lusingato di
aver saputo accattivare le attenzioni di qualcuno che si ritiene
“esterno” alla
saga (nickname interessante, tra l’altro! :P)
Significa
davvero molto per me, più di quanto non
si potrebbe ritenere nell'avvicinarsi alla scrittura.
Sarò
lieto di ricevere qualche altro tuo commento
piccato e così interessante, al prossimo aggiornamento e
grazie!
PS:
decisamente troppo personale! (:
~
Era divenuta
un'abitudine quella di sedersi in una
delle caffetterie più rinomate di New York portando con
sé il proprio
portatile: talvolta gli bastava immergersi in quell'atmosfera casuale
per
ritrovare un po' di quiete e tranquillità.
Prendere un bel
caffè e cercare nuova ispirazione
o, come avveniva sempre più spesso, uno scambio di e-mail
con quello che era
ormai divenuto un corrispondente giornaliero.
Sì,
perché dopo quel ringraziamento alla recensione,
Anti-Twilight gli aveva scritto un messaggio privato usando il server
ospitante
delle fan fiction, prima che si scambiassero i contatti di posta
elettronica. Ben
presto i loro scambi di messaggi erano esulati dai commenti sulla sua
storia
fino a parlare di loro stessi.
Nonostante le proprie
remore, Kurt aveva scoperto
che fosse quasi un sollievo lasciarsi andare con una persona
fondamentalmente
estranea. Si riusciva ad essere più sinceri con se stessi,
non temendone il
giudizio e immaginando che l'opinione che ne sarebbe derivata, sarebbe
stata
altrettanto imparziale ed oggettiva.
Sorrise all'ennesimo
messaggio di posta con la
proposta di una conversazione in chat per quella sera stessa: premette
il tasto
per rispondere al suo nuovo corrispondente, le dita già
pronte a digitare, quando
lo sguardo cadde sul bicchiere di caffè posto di fronte al
proprio pc.
Aggrottò le
sopracciglia e, con un sorriso
sbilenco, Sebastian Smythe si sedette dall'altra parte del tavolo,
ovviamente
senza preamboli e senza neppure chiedere un permesso che sicuramente
Kurt non
gli avrebbe concesso. Non fino a quando fosse stato nel pieno delle sue
facoltà
mentali almeno.
Abbassò lo
schermo del portatile che si avviava ad
andare in standby mentre l'altro ragazzo sogghignava.
“Stai
guardando un porno? Ti prego, non smettere a
causa mia” aveva commentato con voce altisonante che aveva
attirato lo sguardo
di una non poco scandalizzata signora anziana al tavolo poco distante e
strappato a lui un singulto strozzato di indignazione.
Si premunì
di rimettere il proprio portatile nella
borsa.
Era stata davvero una
sgradevolissima sorpresa
scoprire che Sebastian Smythe si era iscritto alla Juilliard il che gli
dava un
altrettanto sgradevole ma fondato motivo per essersi trasferito a New
York. Come
entrambi avessero finito con il frequentare la stessa caffetteria, lo
aveva
preso come una manifestazione di pura e semplice sfortuna. A meno che
non ci si
lasciasse sedurre dall'ipotesi di Rachel sul suo avere contatti con una
cellula
terroristica e voler attentare alle loro vite. E alle carriere, in
quest'ordine
più o meno.
“Che cosa
vuoi, Sebastian?” aveva domandato scornato
“ e non mi sembra di averti invitato a sederti”
puntualizzò con quel solito
spirito battagliero e polemico che diveniva così naturale
– un caposaldo
dell'adattamento in termini darwiniani – quando, e suo
malgrado!, aveva a che
fare con lui.
“Sei davvero
poco socievole, Kurt, te lo hanno mai
detto?” aveva domandato in tono serafico, il sorriso che
ancora sostava sulle
sue labbra mentre, sollevando appena il bicchiere in sua direzione come
a
brindare alla sua salute, sorseggiava il suo caffè caldo.
Si sedette
più comodo, non smettendo di sorridere.
Kurt
aggrottò le sopracciglia: non soltanto
dubitava seriamente delle sue parole ma il fatto che si fosse
accomodato dava a
pensare, purtroppo, che non avesse neppure fretta. Strinse i pugni
sulle
proprie gambe, sollevando gli occhi al cielo.
“Disse colui
che si intratteneva amichevolmente
accecando il suo prossimo” rispose, il sorriso obliquo e
l'arricciare del naso
in una smorfia quasi felina di finta cortesia mentre Sebastian si
limitava ad
uno scrollo di spalle.
“Credevo di
essermi già scusato” e Kurt si stupì
per
quanto apparisse adesso più serio e pacato, prima di
inclinare il viso di un
lato, un altro sorriso vezzoso sulle labbra: sembrava si fosse
letteralmente
illuminato.
“A proposito
di quello schianto di Blaine” dunque
era lì che voleva arrivare.
Kurt si
irrigidì istintivamente e non soltanto
perché, e molto stupidamente da parte propria, la sola
menzione del giovane
fosse capace di procurargli un nodo in gola, ancora quasi incapace di
ripensare
al suo volto e a quelle parole senza sentire gli occhi inumidirsi.
“Non ho
potuto fare a meno di notare il suo cambiamento
di situazione
sentimentale”
Come se tu
non fossi sempre attivo sulla sua
bacheca di facebook, sarebbe stata
la replica piccata e più spontanea ma ostinatamente si
impose di continuare a
fissarlo: le sopracciglia aggrottate e la postura più
rigida. Segnali non verbali
a fargli comprendere che non fosse sua intenzione quella di lasciarsi
provocare
per dargli una qualche perversa e malsana soddisfazione.
“Lieto di
constatare che tu sappia ancora leggere”
aveva replicato in tono pacato mentre si premuniva di indossare
nuovamente il
proprio cappotto: non poteva costringere Sebastian a cambiare tavolo ma
nessuno
lo obbligava a dover sostare e contaminargli ulteriormente l'umore.
Avrebbe risposto
all'ultima e-mail di David (così aveva detto di chiamarsi,
non potendo continuare
a chiamarlo Anti-Twilight) dal proprio appartamento e lì
sarebbe potuto tornare
alla scrittura del nuovo capitolo. Non c'era motivo per cui Sebastian
Smythe
dovesse trionfare in quella che era la sua caratteristica: rovinare la
vita e
la giornata altrui.
“Dunque
è vero” aveva domandato l'altro: lo sguardo
di smeraldo che ne scrutava il viso con fin troppa attenzione mentre
Kurt
sbuffava nel sollevarsi dal tavolo e abbottonare il cappotto, dopo aver
nuovamente indossato la sciarpa.
“Dunque
è vero” replicò Kurt, le braccia
incrociate
al petto, dopo essersi messo la borsa a tracollo “sai ancora
leggere
correttamente”.
Aveva sollevato gli
occhi al cielo, lo sguardo
adesso puntato verso l'uscita ma non aveva previsto che nell'istante
necessario
a passargli accanto – non aveva alcuna intenzione di
congedarsi – Sebastian avrebbe
potuto sorprenderlo. Di fatto, un singulto strozzato di sorpresa e
l'irrigidimento dell'arto, si sentì artigliare il polso e si
scoprì nel
denotare che la presa fosse delicata malgrado il gesto fosse stato
risoluto. Ma
soprattutto, non si sarebbe aspettato che incontrarne lo sguardo, pur
fissandolo dall'alto, fosse capace di bloccargli il respiro e fargli
scorrere
un brivido lungo la spina dorsale.
Si disse che fosse
soltanto la sorpresa di un gesto
così inaspettato: se Sebastian si fosse accorto o meno di
quello strano momento
di tensione, non lo diede a vedere.
Le sopracciglia
inarcate, si limitò ad osservarlo
in quegli occhi azzurri la cui sfumatura variava a seconda
dell'illuminazione,
rendendone comunque lo sguardo limpido : uno scorcio della sua stessa
anima e
di ciò che si celava dietro quei modi talvolta altezzosi o
da prima donna. Ciò
che ne rendeva lo sguardo così sognante o il sorriso vezzoso
quando visto in
compagnia di quello che si sarebbe detto l'amore della sua vita.
“Non ti
mancavano i nostri litigi?” domandò, le
labbra curvate in un sorriso più suadente che fece sgranare
gli occhi di Kurt,
le sopracciglia aggrottate nel tentativo di scostarsi dalla sua presa.
La
fronte corrugata e l'arricciare del naso.
“No, per
niente” aveva commentato con un sorriso
ironico e la voce velenosamente dolce che strappò
all’altro un ironico verso di
divertimento. Lo
scrutò dal basso ma con
tale presunzione e sicurezza da far sentire, stranamente, Kurt
sottoposto al
vaglio di un giudizio di cui, ovviamente, non gli importava nulla.
“E ora se
vuoi scusarmi, vado a dimenticarmi di
averti incontrato”.
“Alla
prossima, Kurt” lo sentì esclamare con tono
gioviale e, quando si voltò a fissarlo stizzito e
stralunato, lo scorse a
leccarsi oscenamente le labbra.
Disgustato,
uscì dal locale sbattendo la porta
d'ingresso e, sicuramente fu frutto della sua immaginazione, gli parve
persino
di averne sentito la risata (che poi ne ricordasse il suono, era
già segno di
quanto gli avesse avvelenato le sinapsi).
~
[…]
Jacob ne aveva il disgusto. O meglio lo
detestava: più lo osservava e più doveva
domandarsi per qualche motivo Bella –
o qualsiasi altro essere femminile – potesse mai trovare
attrazione nei suoi confronti.
Se anche i suoi lineamenti sembrassero scolpiti ad arte nell'alabastro,
ciò non
compensava quella sua disgustosa arroganza da
“succhiasangue”. Immaginava che
l'alone di uno sguardo tormentato, per il dramma
dell'immortalità solitaria,
combinato a quella sua natura meditabonda da “poeta
maledetto”, fosse
facilmente considerabile... esteticamente apprezzabile. Ogni volta che
credeva
di aver raggiunto i massimi livelli della sua sopportazione –
umana e lupesca -
riusciva nuovamente a sorprenderlo, a farsi cordialmente detestare. E
di
questo, in fondo, gli era grato. Molto più semplice odiare
colui che gli aveva
strappato l'amore della propria vita.
Far
convogliare il dolore nell'avversione nei suoi
confronti, era più facile che contemplare quella ferita che
non si sarebbe mai
rimarginata […]
[cit.
da “Hidden
Truth” cap 3 – Mr Lautner]
Era rientrato nel loft
particolarmente stizzito:
ancora non riusciva a capacitarsi di come Sebastian riuscisse a
guastargli fin
troppo facilmente l'umore ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di
sapere di
essere al centro dei propri (omicidi) pensieri. Lesse il post-it
lasciatogli da
Rachel nel quale alludeva al fatto che avrebbe cenato fuori con Brody e
mise da
parte i propri pensieri in qualche rilassante attività di
natura domestica: si
era privato del cappotto ed aveva programmato il microonde per scaldare
una
porzione di lasagne surgelate. Nell'attesa del trillo del campanello,
accese
nuovamente il portatile e confermò l'appuntamento in chat,
per quella sera, con
David. Un sospiro di sollievo dopo averlo fatto e, un bicchiere di vino
tra le
mani, lasciò fluire via i pensieri nefasti.
Si sorprese ancora una
volta per come fosse
divenuto semplice parlare con quel giovane e di come avesse avvinto la
propria
naturale discrezione e riservatezza, fino a quando, da una semplice
domanda
circa la giornata, la discussione che avevano imbastito aveva preso una
svolta
inaspettata.
Soprattutto
perché si era detto, e aveva sperato,
che tutta la propria attenzione sarebbe stata volta altrove. Quel
misero neo
non avrebbe compromesso il proprio umore fino ad influire anche sulla
serata
che avrebbe dedicato ad una bella chiacchierata e magari qualche nuova
riga da
aggiungere al capitolo ancora in stesura.
David:
Scusa la
domanda diretta, ma perché era così
importante che si trattasse o meno di questo Sebastian?
Parlare di Blaine era
stato facile, probabilmente
fin troppo: o David era un osservatore fin troppo acuto o, altrettanto
probabilmente, le sue capacità di provetto scrittore lo
avevano tradito. Aveva
suggerito ad una maniera del tutto allusiva (e quasi inquietante) che
talvolta
dai suoi scritti, avesse lasciato emergere qualcosa di completamente
personale.
Il rimpianto e la rabbia di Jacob nei confronti di Bella, erano i
propri. Qualcosa
che era avvenuto, ad una lettura più
razionale ed obiettiva, ad una maniera quasi catartica. Si era accorto,
infatti, che riuscire a ripercorrere la propria storia d'amore con
Blaine e il
suo epilogo tanto disastroso e doloroso, era divenuto meno arduo, meno
pregno
dell'emotività che gli impediva persino di pronunciarne il
nome senza sentire
un vuoto interiore. Senza quel terrore, talvolta quasi cieco nel calore
delle
coperte, di scoprirsi nuovamente solo. E il dubbio che non sarebbe
più stato in
grado di provare il vero amore o esser disposto a lasciarsi andare:
quasi le
cicatrici di quell'ultima ferita ne avrebbero inaridito l'animo. Tutti
interrogativi che non era in grado di esprimere a voce alta e che
divenivano
ardui e terribili da rivolgere anche a se stesso e cercarvi una
risposta
sincera.
Sospirò
alla domanda del giovane: si era morsicato
il labbro ma, dopo aver sospirato, aveva preso a digitare la risposta.
Kurt:
L'ho dato per
scontato: ha passato tutto l'anno
scorso a flirtare spudoratamente con lui. Sembrava la risposta
più ovvia, per
quanto Blaine continuasse a dire di non esserne minimamente
interessato.
La risposta di David
fu immediata:
Da come mi
hai parlato di Blaine non mi stupisce.
Tu per primo dai l'impressione di porlo su un piedistallo: sembra tu
avessi – e
hai tuttora! - perso la consapevolezza del tuo valore a causa sua.
Sembra quasi
tu ti aspettassi che potesse finire così, perché
tu stesso faticavi a credere
di essere degno di lui, proprio come diceva questo Sebastian.
Kurt si morse il
labbro, incredulo per come quelle
poche righe fossero riuscito a colpirlo nel vivo: per il modo in cui
sembrasse
esser riuscito, e con una facilità sorprendente, a leggergli
dentro.
A dirgli quelle parole
che lui stesso non aveva mai
espresso se non in uno sfogo particolarmente risentito contro Blaine,
dopo il
litigio a causa di Chandler.
Con un altro sospiro
più pesante, ripensò alle
parole di Sebastian, dopo quell’alterco con tanto di
“non mi piaci” “buffo:
neanche tu mi piaci” e quanto gli avesse detto esplicitamente
di non essere
all’altezza di Blaine.
Era stato abile, in
quel momento, a non mostrargli
quanto impatto avessero avuto, quanto fossero ancora umilianti a
distanza di
tempo. Non aveva potuto, tuttavia, negare a se stesso di aver provato
una
futile, inutile ma sincera soddisfazione nel sapere che non era stato
Sebastian, il ragazzo con cui Blaine... scosse il capo, strinse i pugni
prima
di tornare alla conversazione attuale.
Kurt:
Sebastian
è il tipo di persona che riesce a farti
sentire ancora più insicuro: era come se capisse esattamente
ciò che pensavo
del mio rapporto con Blaine e di me stesso, anche se non ho mai voluto
ammetterlo. Vederlo
flirtare con lui,
persino dedicargli una canzone di fronte a me...
Si era morsicato il
labbro ancora più nervosamente
al ricordo della sua ultima – e suicida a livello umorale
– visita alla Dalton.
Quella scuola che aveva visto lo sbocciare del suo primo amore, in
quelle aule
doveva aveva donato e ricevuto il primo vero bacio, adesso era pervasa
da un
altro ricordo, molto più infido e doloroso.
Quell'esibizione dal
vivo dei Warblers guidati da
Sebastian: non era stata tanto la coreografia o la bravura di
Sebastian, il
timbro della sua voce a sorprenderlo (aveva dovuto riconoscergli un
plauso – a
malincuore comunque!) ma il modo in cui, dietro quegli istinti omicidi
che lo
avevano pervaso per tutto il tempo della performance, si fosse sentito
umiliato.
Se non fosse stato
abbastanza grave vederlo ballare
e sorridere ad una maniera provocatoria nei confronti del ragazzo che
amava, il
sentirsi un elemento puramente decorativo della scena, era stato
persino più
doloroso.
Più di
quanto avrebbe voluto ammettere. Più di
quanto avrebbe voluto comprendere: non soltanto Sebastian aveva
dimostrato di
non temere affatto la sua presenza ma persino che neppure fosse degno
di essere
considerato, quasi fosse completamente... privo di valore.
Invisibile.
E aveva odiato
Sebastian per questo, avrebbe voluto
ferirlo ad una maniera simile, avrebbe voluto soprattutto non
riconoscere quel
tipo di sensazioni, soprattutto se correlate a Sebastian stesso.
È
stato come dimostrare che non solo – come mi
aveva detto esplicitamente – non ero degno di Blaine. Ma
neppure di essere
notato e questo... mi ha fatto ancora più male, molto
più di quanto fossi
disposto ad ammettere.
Soltanto pochi secondi
di attesa prima dell’ulteriore replica: chiunque fosse,
David, dimostrava una
comprensione e una scioltezza di pensiero davvero impressionanti.
David
Per essere
quel ragazzaccio di cui parli con un
certo disprezzo, sembra quasi che ti preoccupi fin troppo di
ciò che pensa. E
forse non soltanto per Blaine.
Ho creduto ci
fosse qualcosa di buono in lui... ho
voluto davvero crederci.
David
Lo hai
voluto?
Kurt:
Credo di
sì.
David
Sai, Kurt.
Credo tu sappia il motivo per cui hai
bisogno di crederlo. Forse è lo stesso motivo per cui hai
provato sollievo al
sapere non fosse lui il ragazzo con cui Blaine ha passato la notte.
Forse è il
motivo per cui ti ha fatto male sentirti ignorato da lui.
Un sorriso
più amaro
increspò le labbra di Kurt. Ma sorrise dopo aver deglutito a
fatica e digitò
poche lettere.
Kurt:
Vorrei non
saperlo.
David
Ma come
qualcuno ha scritto, riferendosi a Mr Lama,
“le risposte più sincere sono quelle che cerchiamo
di celare a noi stessi. Ma
inevitabili. Prima o poi andranno affrontate. Ma possiamo decidere
come”.
Kurt:
Mi hai
citato, sono onorato tu conosca così bene i
miei scritti.
David
Credo di
conoscere abbastanza te. Ma forse tu non a
sufficienza, pensaci. Non per Sebastian o Blaine e neppure per me.
Fallo per
te. E per Mr Lama che, tra parentesi, spero si decida ad uscire da
quella
situazione di stallo.
~
[…]
Non era concepibile. Non era qualcosa che Jacob
avrebbe mai potuto preventivare e soprattutto qualcosa che avrebbe
voluto si
innescasse, qualcosa che avrebbe dovuto seppellire dentro di
sé. In vero, non
sarebbe mai riuscito a perdonarsi alla realizzazione che qualcosa di
simile
stesse avvenendo in cuor suo, qualcosa che avrebbe dovuto estinguere
alla
radice. Qualcosa che era indicibilmente sbagliato. Malato. In fondo, il
fato
non era già stato abbastanza crudele, stabilendo, prima
ancora che nascesse,
quale sarebbe stato il suo destino attraverso una questione genetica? E
adesso,
quella realizzazione che sembrava farsi beffe di lui, e di quanto
credeva di
conoscere di se stesso. Una verità molesta, simile dapprima
ad una pugnalata
nello stomaco, una condanna di indicibile peso ed umiliazione che ne
aveva
innescato un insano e rinnovato odio verso se stesso. Ma, per quanto si
sforzasse, non avrebbe potuto nascondersi. E il peso di quella
verità avrebbe
continuato a macerare dentro di sé.
Una risposta
inattesa, indesiderata ma forte. Più
che mai. […]
[cit. da
“Hidden Truth” cap 5 – Mr Lautner]
Si era morsicato
nervosamente il labbro: aveva
provato a restare seduto sulla panchina del parco, rimirando il
laghetto alle
luci tenui e romantiche del tramonto. Qualcosa di solitamente
così ispiratore e
delicato da portarlo persino a prendere appunti per una nuova scena.
Aveva sospirato, per
l'ennesima volta, e si era
alzato per poi prendere a girare tutto attorno, osservando
distrattamente gli
altri frequentatori del parco: bambini alle prese coi loro giochi,
giovani
coppie, abituali di jogging fino a passeggiatori coi loro cani
domestici. Stirò
la camicia sotto la giacca da pieghe inesistenti, controllò
ancora una volta
l'orologio e maledisse il suo nervosismo e la tensione che lo avevano
visto
uscire di casa con un netto ed esagerato anticipo, rispetto
all'appuntamento
concordato.
In verità,
una parte di sé era ancora paralizzata
dal panico e non riusciva a credere di aver realmente accettato
quell'appuntamento ma – e ancora si vedeva di fronte le
parole apparse sul
monitor del proprio portatile – quando aveva visto quella
proposta, non aveva
potuto esimersi.
Io e la mia
famiglia saremo a New York domani,
poche ore e per il lavoro di mio padre. Mi rendo conto che sia una
proposta
dell'ultimo minuto, ma credo valga comunque la pena chiedertelo: mi
concederesti un'oretta del tuo tempo?
Ed eccolo
lì, intirizzito per l'emozione e per il
freddo, le mani conficcate nelle tasche del lungo cappotto, stava
attendendo di
vedere qualcuno di cui non conosceva minimamente le sembianze. L'unico
segno di
riconoscimento sarebbe stato un gadget che aveva comprato dopo averlo
scorto
casualmente in un negozio e che non aveva potuto fare a meno di
associare a
lui. Sperò non tardasse ad arrivare, soprattutto tenendo
conto dei due
bicchieri di caffè che si era premunito di comprare prima di
giungere
all'appuntamento a Central Park.
Fu in quel momento che
percepì una presenza alle
proprie spalle ma, prima che potesse sporgersi, il braccio del giovane
alle sue
spalle fu proteso in avanti e Kurt scorse un piccolo pupazzo
rappresentante un
lama. Lo prese tra le dita, una risatina soffusa per quell'aneddoto
così
piacevole e più puerile che ne smorzò
l'agitazione prima di voltarsi.
Ne riconobbe i
lineamenti con gli occhi sgranati e
le labbra schiuse: il giovane di fronte a lui sorrise di quel suo
sorriso più
gioviale che ne fece scintillare lo sguardo gentile, sotto i capelli
scuri e
disordinati, come ai tempi della Dalton.
“Ciao Kurt,
è un piacere rivederti”.
Di fronte a lui, stava
probabilmente l'ultima delle
persone alle quali avrebbe potuto pensare in quel momento.
Nick
Duval.
Superato il primo
impatto, i due avevano
passeggiato fino a giungere al ponte e si erano entrambi appoggiati
allo stesso
per rimirare il lago, sfiorato dalla luce rossastra del sole morente,
sorseggiando il caffè che Kurt aveva precedentemente
comprato. Avevano esaurito
i convenevoli circa gli ultimi avvenimenti di Westerville –
l'arrivo di un
nuovo elemento nel coro e nuove decisioni per sperare in una qualifica
alle
Nazionali di quell'anno – fino all'apprendistato di Kurt.
Ci fu un momento di
silenzio nel quale entrambi
osservarono l'acqua scorrere sotto di loro mentre lentamente il cielo
assumeva
una tonalità più lillà, e Kurt
giocherellava con il pupazzo.
Adesso che aveva
scoperto l'identità di David –
avrebbe poi dovuto domandargli se ci fosse un motivo per aver scelto
quel nome
piuttosto che un altro – non era poi così sicuro
di voler affrontare una
discussione o commentare i propri scritti. Tanto meno Sebastian e con
qualcuno
che conoscesse tutti i soggetti dell'equazione.
Evidentemente Nick
dovette averne ben interpretato
i pensieri perché quel sorriso sostava ancora sulle labbra:
caloroso e sincero,
leale senza mai essere invasivo ma sempre disposto ad aiutare chi
considerasse
degno della sua amicizia, non era affatto cambiato dal semestre
frequentato
insieme.
“Possiamo
fingere di non sapere entrambi perché
siamo qui, se preferisci” aveva esordito e Kurt aveva sentito
le guance
imporporarsi mentre un sospiro sostava sulle labbra, il viso inclinato
di un
lato nel tornare a scrutarlo.
“Non capisco
perché tu abbia dovuto fingerti un
estraneo: le tue parole e la tua amicizia non sarebbero stati meno
apprezzati”
le sopracciglia inarcate nel tentativo di comprendere quel passaggio
più
insolito ma l'altro aveva continuato a sorridere, persino
più dolcemente mentre
gli appoggiava una mano sulla spalla.
“Adesso lo
so” aveva sussurrato e di fronte al
sopracciglio inarcato ed interrogativo di Kurt, aveva soggiunto.
“Non sapevo se
il mio ricordo o il mio interessamento sarebbero stati ancora
graditi” aveva
visto Kurt tendersi, evidentemente rincorrendo entrambi il pensiero
dello
stesso giovane.
“Lo sai,
tutti noi Warblers siamo sempre stati i
vostri primi sostenitori: vogliamo bene a Blaine ma ne abbiamo voluto
anche a
te. Io, Jeff, Thad e anche gli altri, abbiamo tutti conservato il tuo
ricordo e
abbiamo sentito la mancanza di entrambi ed è tuttora
così, Kurt.
Sei stato con noi solo
un semestre ma non significa
che la tua presenza non ci abbia colpiti tutti” aveva
commentato con tale
sincerità ed intensità che Kurt aveva sentito gli
occhi pizzicare di una
commozione più tenera al pensiero di quella meravigliosa
accoglienza.
Se anche a distanza di
tempo aveva convenuto che
lasciare il McKinley era stato un errore, non avrebbe parimenti
dimenticato
coloro che erano stati, seppur per breve tempo, una seconda famiglia.
“Quello che
Blaine ha fatto” la voce di Nick si era
abbassata ed era divenuta più morbida e delicata
“ci ha amareggiati e se anche
sono sicuro che se ne pentirà per tutta la vita, al contempo
volevamo essere
certi che tu stessi bene. E così mi sono ricordato di un
giorno alla sala
prove: avevi dimenticato il tuo quaderno e lì avevi scritto
una bozza della tua
fanfiction, è stato semplice rintracciarti, una volta
introdotto il titolo”
“Ti sei
letto una fanfiction di cui non ti
interessava nulla soltanto per entrare in contatto con me?”
aveva domandato,
una vaga risata a spezzare la tensione iniziale e
l’imbarazzo.
Nick aveva ricambiato
il sorriso, persino più divertito.
“In
realtà non soltanto io ma comunque sì, abbiamo
pensato a questo anonimo lettore: ci siamo sforzati per creargli una
personalità specifica e il pupazzo è stata
un'idea di Jeff” a Kurt non sfuggì
come lo sguardo avesse sfolgorato, come sempre, nel parlare del biondo
energico
e spensierato dal quale sembrava inseparabile.
“Sarebbe
voluto venire lui stesso ma ho pensato che
uno shock fosse sufficiente”.
Malgrado tutto, Kurt
sorrise: certo, l'imbarazzo
non sarebbe stato semplice da scemare ma probabilmente era stato
l'espediente
più bizzarro ma efficace perché riuscisse a
schiudere il proprio cuore. E non
poteva pentirsi se dietro quello pseudonimo, si nascondessero delle
persone
tanto premurose e sincere.
“Comunque i
nostri commenti erano sinceri: non è
affatto scritto male per quanto nessuno di noi sia un fan della
saga” si era
nuovamente fatto serio, il viso inclinato di un lato.
“Il punto,
Kurt, è che non dovresti nasconderti e
non hai motivo di temere i tuoi sentimenti o quello che potrebbe essere
un
nuovo amore. Soprattutto, dovresti darti un'altra
possibilità e ricordarti che
non sei mai stato inferiore a Blaine. Il tuo valore è sempre
stato a
prescindere da lui e così sarà, chiunque tu
scelga d'amare.
Non permettere alla
paura di bloccarti: sei stato
ferito e sei confuso, hai paura e temi di fare nuovamente lo stesso
errore ma
noi crediamo in te e saremo pronti a sostenerti.
Qualunque cosa accada
e chiunque avrai al tuo
fianco, non smettere di credere in te stesso: era questo che ti rendeva
un
Warbler e un amico”.
Ascoltò
quelle parole con occhi velati dalla
commozione, il sorriso che continuava a sostare sulle proprie labbra:
un calore
che non sentiva così intenso da molto tempo.
Seppe che, da quel momento in poi, quando avrebbe ripensato ai corridoi
della
Dalton e allo splendore tutto attorno, con il tempo avrebbe imparato ad
associarlo a quelle persone che, ad un modo tanto semplice e spontaneo,
avevano
fatto breccia nel proprio cuore fino a conquistarsi il suo affetto.
Non vi erano parole
abbastanza esaustive per
esprimergli la gratitudine e la commozione ma era certo che a Nick
sarebbe
bastato guardarlo negli occhi, osservarne il nuovo sfolgorio.
Si sporse a stringerlo
in un abbraccio, lasciandosi
cullare per un istante da quel dolce calore.
“Grazie
Nick, grazie a tutti voi”
“Once a
Warbler, always a warbler” aveva convenuto
Nick, ripetendo quello che era ormai un motto e un motivo di orgoglio.
~
[…]
Il coraggio era una delle doti che un
capobranco avrebbe dovuto possedere per il bene di tutti, per essere un
leader
in grado di prendere decisioni anche nei momenti più
difficili o di maggiore
tensione. Il coraggio di affrontare il nemico anche quando si era in
svantaggio
numerico o l'impresa pareva impossibile.
Ma c'era un
tipo di coraggio davvero unico, e
speciale a cui avrebbe dovuto fare appello e che sentiva essergli
mancato in
tutto quel tempo.
Il coraggio
di contemplare se stesso ed accettarsi
completamente. Persino quando quella verità nascosta
diveniva impossibile
ignorare; quando essa era già iscritta e non vi sarebbe
stata fuga se non
continuando e provando a scappare da se stesso.
Nulla che, a
lungo andare, non avrebbe ulteriore
scheggiato le pareti del suo essere, niente che non sarebbe riuscito,
prima o
poi, ad emergere quando sarebbe ormai stato svuotato della forza di
lottare
contro l'inevitabile.
E Jacob non
si sarebbe mai arreso, neppure e
soprattutto a se stesso. […]
[cit.
da “Hidden
Truth” cap 7 – Mr Lautner]
Nel momento esatto in
cui entrò nella caffetteria e
cominciò a scrutare il salone, si domandò, per
l'ennesima volta, se non fosse
stata la sua eccessiva emotività nonché il suo
sentimentalismo a persuaderlo. Si
ripeteva che era ancora in tempo, soprattutto, a fare dietrofront e
nessuno
avrebbe mai saputo di quel tentativo folle.
Nessuno se non se
stesso, almeno.
Nel momento in cui ne
scorse le scapole familiari,
percepì il fiato venir meno e il suo cuore
scalpitò furiosamente: continuò ad
osservarne la nuca quasi questo potesse aiutarlo a prendere una
risoluzione
finale.
Trattenne il respiro
e, prima di poter cambiare
idea, avanzò nel locale: dopo averne distinto la nuca e le
spalle familiari. Ebbe
solo un altro guizzo al petto al realizzare che stesse parlando con un
altro
giovane e, lo constatò dolorosamente, davvero un moretto
molto affascinante e
dai cui sorrisi che gli rivolgeva, poteva soltanto immaginare il tipo
di
conversazione in corso.
Ma non sarebbe bastato
quello a fermarlo: un moto
di assenso a se stesso, si ripeté un incoraggiamento a mezza
voce e si fermò di
fronte al tavolo.
Silenziarono entrambi
seppur stessero ridendo fino
ad un istante prima: se il moretto lo guardò confuso ed
interrogativo, fu
Sebastian ad inarcare le sopracciglia e scrutarlo con fare guardingo,
le
braccia incrociate al petto.
“Ti sei
perso?” gli domandò, infine, un vago sorriso
sornione sulle labbra, il viso reclinato ad osservarlo dal basso e,
ancora una
volta, Kurt dovette farsi coraggio.
“Probabilmente”
gli porse un plico di fogli che
Sebastian fissò con sopracciglio ancora più
inarcato con evidente intento
interrogativo.
“E' un mio
racconto: non è completo, ancora non ho
deciso come la storia terminerà ma è parte di me.
Vorrei che lo leggessi e solo
allora decidessi se merito o meno la tua considerazione. Per
favore”.
Prima che Sebastian
– la mano aveva preso il plico
di fogli ma lo sguardo era ancora fisso sul suo volto, le labbra
vagamente
schiuse per la sorpresa – potesse replicare, si era rivolto
ad entrambi con un
sorriso di circostanza.
“Scusate
l'interruzione”.
Si era allontanato e
soltanto quando fu uscito dal
locale, riuscì a riprendere fiato.
Incredulo di esserci
riuscito ma, in qualche modo,
sollevato: niente, qualunque fosse stata la reazione di Sebastian,
avrebbe
potuto essere più temibile e pericoloso dell'affrontare se
stesso.
E Kurt Hummel c'era
riuscito.
[Sms To Nick]
Grazie
infinite, di tutto. Non importa cosa accada
da questo momento: lo vivrò, vada come vada. Senza paura e
soprattutto credendo
in me stesso.
“Chi era
quello?” aveva chiesto il moretto rimasto
silenzioso fino a quel momento, un verso di ilarità mentre
si sporgeva ad
osservare il plico di fogli.
Sebastian
inarcò le sopracciglia al gesto,
mettendosi più composto e sollevandoli perché non
vi posasse nuovamente lo
sguardo.
“Sebastian?”
lo aveva richiamato l'altro, vagamente
interdetto, prima di abbassare i fogli per attirarne nuovamente
l'attenzione.
“Non avrai davvero intenzione di...”
“Abbiamo
finito” replicò Sebastian, senza più
guardarlo, le sopracciglia aggrottate per la concentrazione mentre
riprendeva
la propria lettura, dopo aver scostato il racconto dalla sua portata.
“Ma se
neppure abbiamo cominciato...!”. Aveva
protestato indignato.
“Sparisci”
. Fu l’ordine spiccio che gli rivolse per
l’ultima volta.
~
[…]
Più che mai in quel momento non avrebbe saputo
ciò che sarebbe stato di se stesso e di loro. Se ancora,
soprattutto, avrebbe
potuto sperare o se avrebbe dovuto imparare a convivere con la
consapevolezza
che quella verità, divenuta un sogno insperato, sarebbe
rimasta solo una
crudele illusione e [...]
Sbuffò al
sentire i tonfi sulla porta ed abbassò lo
schermo del portatile, si affrettò ad aprire: appoggiato con
un braccio sullo
stipite, vi era Sebastian, nell'altra mano reggeva il plico di fogli
della sua
fanfiction, lo sguardo accigliato.
Kurt
deglutì a fatica, indietreggiando e
bisbigliandone il nome con voce sussurrata: non si sarebbe aspettato di
scorgerlo così presto quando solo quel pomeriggio gli aveva
lasciato quei
fogli. Una parte di sé si era detta che, se anche avesse
letto, non avrebbe
potuto aspettarsi una risposta perché non avrebbe compreso o
comunque non gli
sarebbe importato, perché non era mai stato degno di
considerazione se non per
ricordargli quanto di lui disprezzasse.
Quest'ultimo
entrò nel loft, l'espressione stizzita
mentre, con un gesto incurante, lasciava cadere tutti i fogli sul
divano: gesto
al quale Kurt reagì deglutendo a fatica e schiudendo le
labbra, guardando ora
incerto quei fogli che sembravano una pericolosa allegoria dei suoi
sentimenti,
ora il giovane che avanzava in sua direzione.
“Se credi
che io sia il tuo
Edward-Palle-Di-Ghiaccio, potrei decidere di castrarti
subito” era trasalito,
Kurt, un verso di imbarazzo e di timore mentre incrociava le braccia al
petto.
Si impose di rispondere ad una maniera pacata, cercando di non tradire
il
nervosismo e il timore che stava provando in quel momento.
“E' soltanto
un'allegoria di me stesso e...”.
Ma Sebastian non lo
ascoltò: si chinò al suo
orecchio e vi respirò dentro: ebbe un solo istante per
scorgere quanto il suo
volto si fosse disteso e come lo sguardo guizzasse.
Non lo trattenne ma,
in quel momento, Kurt seppe di
non avere comunque scampo, che non sarebbe potuto sfuggirgli.
Esattamente come
non poteva sfuggire neppure a se stesso.
“Scoprirai
che ciò che Edward ha fatto a Jacob è
davvero nulla rispetto a ciò che ti potrei fare
io” aveva sussurrato, la voce
volutamente rauca che fece intirizzire Kurt e scorrere brividi caldi e
freddi
lungo la spina dorsale. Deglutì a fatica, un verso rauco di
emozione, domando
quell'istinto che lo avrebbe visto socchiudere gli occhi, a privarsi
del potere
incantatore delle iridi smeraldine.
Cercò di
restare presente a se stesso anche e
soprattutto quand'egli sembrava così facilmente soggiogarlo.
Persino con
semplici parole, con uno sguardo così intenso che Kurt si
sentì più vulnerabile
ed esposto che mai.
“C-Cosa vuol
dire?” si sentì domandare, la voce più
tremula e stridula e Sebastian si scostò appena per poterne
incrociare lo
sguardo. Lentamente le labbra si curvarono in un sorriso e seppur fosse
quel
sorriso suadente che ne faceva scintillare le iridi, nella pressione
della sua
mano che ne sfiorò il mento, percepì un dolce
brivido di aspettativa e di
bisogno. Inequivocabile bisogno.
“Ti sei
meritato la mia considerazione” aveva
risposto pacato, stringendosi nelle spalle prima di scostarsi, dopo
aver
ammiccato. Si diresse verso la porta per uscire dall'appartamento.
“Passo a
prenderti stasera e, ti prego, vestiti da
uomo per una volta tanto, ok?” aveva di nuovo valicato la
porta quando Kurt lo
richiamò.
“Sei la mia
verità nascosta”. Aveva bisbigliato con
voce più vellutata, un sorriso più vezzoso e
complice, lo sguardo azzurro che
baluginava in quella sorta di ammissione tra le righe.
Dovette comprenderlo
bene perché il sorriso si
addolcì prima di scrollare le spalle.
“Se ti
aspetti che ti dica che sei la mia qualità
preferita di eroina, dovresti valutare l’idea di farti la Berry”
aveva replicato in
tono più spiccio prima di sorridere nuovamente.
Un cenno del mento ed
era scomparso, lasciandolo
contemplare quel momento con un sorriso vezzoso. Sospirò, il
sorriso che non
scemava dalle labbra mentre riprendeva tra le mani il portatile.
Un vago verso di
ilarità e dondolò le spalle
compiaciuto.
Corresse
l’ultima frase prima di concludere il
capitolo.
[…]
avrebbe potuto sperare in un loro o se avrebbe
dovuto imparare a convivere con la consapevolezza che quella
verità, divenuta
un sogno insperato, sarebbe rimasta solo una crudele illusione e
ma una
cosa era certa, in cuor suo.
Non avrebbe
rinunciato a se stesso. E non avrebbe
smesso di provare, qualunque fosse stato l'epilogo. La più
grande paura era la
più grande verità mai celata al suo cuore e la
gioia più grande di cui si
sarebbe potuto privare. […]
To be
Continued...
[cit.
da “Hidden
Truth” cap 8 – Mr Lautner]
Se
avevate sospettato che il giovane che si nascondeva dietro lo
pseudonimo fosse
Sebastian, beh... non eravate gli unici. L’idea iniziale, in
effetti, era
proprio quella ma poi ho pensato fosse troppo scontato ed è
sempre bene
sorprendere i lettori e poi dovevo togliermi anche lo sfizio di poter
muovere
l’adorabilissimo Nick :).
Al
solito, i commenti sono ben graditi, vi do’
l’appuntamento a domani, il tema
del giorno sarà “Lost… so very
lost”.
Buona Domenica a tutti! :)
|
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Capitolo 6 *** Lost... so very lost - Ça va? ***
Ed
eccoci agli sgoccioli della Kurtbastian Week, questo è il
nostro penultimo
appuntamento.
Devo
dire che è stata la traccia, questa, che mi ha dato
più da pensare, soprattutto
l’inghippo del comprendere se “perso” si
riferisse ad una questione puramente geografica
e di orientamento o uno stato d’animo ma, come sempre, ho
interpretato la
traccia a modo mio.
Prima
di cominciare, come sempre ringrazio tutti voi che commentate, inserite
tra
preferiti, ricordate e seguite.
Ci
tengo poi a dare un personale benvenuto alla mia Blaininuccia (SuperAmy82) approdata su EFP da poche
ore e che già ha fatto lievitare il numero di recensioni in
generale, come se i
commenti in privato e i suoi betaggi a posteriori non fossero
abbastanza
preziosi. E’ un onore e una gioia averti con noi! :D
E,
come sempre, a ringraziare la mia Sebastian (therentgirl)
per le sue splendide recensioni e l’entusiasmo con cui
legge ma anche perché, nello specifico in questa fanfiction,
è stata così
gentile da leggerlo la scorsa settimana, dandomi un suo parere sulle
parti in
lingua straniera e in un italiano (che poi sarebbe inglese nella
narrazione)
maccheronico, oltre a qualche dubbio dell’ultimo momento :D
Buona
lettura! :)
LOST...
SO VERY LOST
Ça
va?
Kurt amava darsi
all'esplorazione della soffitta:
in vero spesso e volentieri si rammaricava molto di non avere
abbastanza tempo da
farlo. Ogni volta che si rinchiudeva nella mansarda, era come trovarsi
di
fronte ad innumerevoli tesori e reliquie del passato: ognuno di quegli
oggetti
– per quanto adesso impolverato o rotto o usurato dal tempo
– recava un pezzo
della sua storia, un pezzo di sé. Con particolare cura, lui
e suo padre avevano
conservato oggetti che erano appartenuti a sua madre:
la spazzola d'avorio, ad esempio, o lo specchio
che Kurt non mancava di tenere sempre sullo scaffale dalla propria
toeletta.
Ognuno di quei ninnoli di valore economico più o meno
elevato, aveva visto una
fase della sua vita e così come ogni capitolo era parte del
libro, ciascuno
aveva rappresentato qualcosa, l'uomo che era adesso.
E quale occasione migliore del
trasloco nella nuova
casa, con la sua nuova vita per cercare – con un approccio un
po' sentimentale
e nostalgico – un piccolo segno del suo passato?
Un suggello del presente,
scavando in ciò che era
stato.
Aveva già
catalogato gli oggetti: in una scatola
separata delle altre aveva tratto qualche gingillo che, dopo
l'approvazione di
Carole e di suo padre, avrebbe portato nella nuova casa. All'interno ne
spiccavano alcuni: dal guanto che aveva cucito lui stesso per esibirsi
in “Single
Ladies” fino alla divisa della Dalton, la toga rossa del suo
diploma, un poster
di Taylor Lautner (quello avrebbe dovuto nasconderlo) fino agli
spartiti delle
sue canzoni preferite.
Restava da togliersi un ultimo
sfizio prima di
tornare alla realtà: aveva occhieggiato lo scaffale con
tutti gli album di
famiglia fino a trarne il primo della pila.
Rimirò a lungo le
fotografie di sua madre: una
splendida donna dai capelli biondi ed ondulati, i suoi stessi occhi
azzurri
baluginanti di serenità nello stingere il ventre dolcemente
ricurvo. Si
soffermò sulle fotografie di quella che era stata la
famiglia Hummel fino a
quando la malattia non se l'era portata via: quanta gioia nel volto di
suo
padre e quanto entrambi apparissero innamorati e devoti l'uno
all'altro. Aveva
sospirato all'ennesima fotografia che lo ritraeva, ancora neonato, tra
le sue
braccia fino a quando gli occhi non si erano inumiditi e aveva ripreso
a
sfogliare le pagine, una per una.
Giunse all'estate del suo
settimo anno, l'ultima
che avevano trascorso tutti insieme, erano andati in vacanza in Europa
e non
avrebbero mai immaginato quanto le loro vite sarebbero cambiate da
lì a poco.
Se aveva sorriso di fronte agli scatti familiari o di se stesso vestito
di
tutto punto ed elegante, particolarmente compiaciuto in un completo
perfettamente abbinato alle valigie che trasportava, si
fermò di fronte ad
un'ennesima fotografia.
Sbatté le palpebre
a più riprese nel leggere la
data riportata in basso e la scritta “Paris” prima
di osservare il bambino ritratto
al suo fianco.
Sentì un vuoto
d'aria alla realizzazione, una mano
andò a coprirsi le labbra: scollò delicatamente
la fotografia dall'album e se
la portò vicino al viso per studiarne i lineamenti.
Lo stesso sguardo, lo stesso
sorrisino compiaciuto e
sicuro di sé malgrado fosse poco più che un
bambino ma aveva già la stessa
sicurezza e lo stesso savoir-faire.
Quello ritratto nella
fotografia non era altri che
Sebastian Smythe.
~
Quella delle vacanze in Europa
era stata
sicuramente una delle idee più meravigliose che i suoi
genitori potessero mai
avere.
Erano sempre entrambi troppi
impegnati, a suo
parere, ma avevano stretto la promessa di trascorrere molto
più tempo insieme e
quel proposito non avrebbe potuto iniziare che in un momento lieto,
come le
vacanze estive.
Così era accaduto.
Avevano lasciato l'Ohio, pieni
di entusiasmo e di spirito d'avventura ed erano partiti per
l’estero.
Kurt non era stato capace di
frenare l'entusiasmo
al conoscere la meta del loro viaggio: Parigi. La città
dell'amore nonché una
delle principali icone della moda: già prima di partire
aveva immaginato come
sarebbe stato bello camminare sui boulevard, mangiare baguette, bere
acqua
frizzante e rimirare il paesaggio dalla Tour Eiffel. Se aveva sempre
pensato
che Parigi fosse una meravigliosa città, a giudicare dalle
immagini della
televisione e dalle fotografie nei suoi libri di scuola, poterla vedere
dal
vivo e poterla vivere, era
sicuramente ciò che si era prefisso.
Anche se solo per quei pochi
giorni, prima che la
famiglia Hummel terminasse il suo piccolo tour europeo per poi
rientrare negli
Stati Uniti.
Aveva già terminato
un rullino di fotografie ma era
inevitabile: ogni piazza o luogo rinomato era ricco di fascino, dai
monumenti
storici fino ai giardini con le fontane e i giochi d'acqua e persino le
boutique con l'esposizione delle nuove collezioni di Coco Chanel.
Stare a Parigi,
checché ne dicesse il padre che lo
punzecchiava sorridendo, era un calarsi in quello stato d'animo e lui,
con
l'aiuto della mamma, poteva dire di esservi perfettamente riuscito.
“Kurt, sbrigati” lo
aveva richiamato l'ennesima
volta suo padre e Kurt aveva annuito distrattamente: aveva dovuto
indietreggiare per poter cogliere la Tour Eiffel
in tutta la sua considerevole
altezza.
Sorrise soddisfatto dopo aver
premuto il pulsante
per azionare la macchina fotografica e rimirò l'immagine che
aveva catturato.
“Guarda, papà,
ho-”.
Sbatté le palpebre,
guardandosi attorno e sgranando
gli occhi alla ricerca della sua familiare fisionomia.
“Papà?” lo
richiamò a voce più alta, avanzando nella
piazza gremita di persone e sollevandosi su una panchina per cercarlo.
Il cuore
prese a scalpitare furiosamente e si morsicò il labbro prima
di continuare a
chiamarlo, a voce sempre più alta, attirando l'attenzione
generale.
Si era perso. Solo a Parigi. E
non aveva la benché
minima idea di come poter far ritorno all'albergo: si erano spostati
con il
taxi per giungere fin lì, senza contare che non avrebbe
saputo ritrovare la
strada.
Cercò di placare i
battiti convulsi e mantenersi
calmo. Suo padre sarebbe sicuramente tornato indietro: insomma quando
gli
diceva “guarda che ti lascio qua e raggiungo tua
madre” stava soltanto
scherzando, non lo avrebbe davvero
lasciato
solo e sperduto. Nessun genitore lo avrebbe mai fatto.
Con aria afflitta si sedette
sulla panchina: le
manine sulle ginocchia, lasciò penzolare le gambe, in
attesa. Suo padre sarebbe
tornato a cercarlo, avrebbe soltanto dovuto attendere.
Ma i minuti trascorrevano e
l'angoscia diveniva
sempre più opprimente, aveva gli occhi lucidi ma si era
imposto di mantenersi
calmo. Quasi a rinvigorire quel monito, aveva stretto i pugni e
corrugato le
sopracciglia.
Andrà tutto bene,
andrà tutto bene, andrà tutto
bene…
“Comment tu
t'habilles?”
Si era voltato al sentire il
suono di quella voce e
aveva scorto un bambino più o meno della sua età
che lo scrutava con le
sopracciglia inarcate e gli occhi verdi fissi su di sé. Lo
stava squadrando
dall'alto al basso tanto che, seppur non ne avesse compreso le parole e
non
conoscesse la sua lingua, poté intuire che quella che gli
aveva rivolto era una
critica.
Tuttavia, aveva un problema
ben più urgente da
risolvere: si morse il labbro ma riprese a scrutare la folla, ancora
cercando
la fisionomia familiare del padre.
“Alors?” lo aveva
apostrofato l'altro che, senza
attendere invito, si era seduto al suo fianco, dopo aver appoggiato la
bicicletta contro la panchina. Il braccio si era sporto sullo schienale
della
panchina, alle sue spalle.
“Répondes-moi,
donc!” .
Sapeva che era maleducato non
rispondere alle
persone ma come dire a quel bambino, con tutto il rispetto possibile,
che in
quel momento aveva un ben altro problema da risolvere? Si era morso il
labbro
prima di voltarsi mentre questi continuava a fissarlo con lo stesso
atteggiamento critico: aveva anche notato come la sua voce fosse
apparsa
imperativa.
“Scusa, io non
capisco” aveva balbettato e l'altro sembrò
intuire perché il sorriso si fece più suadente.
“Non palli la mia langue,
donc”.
Kurt aveva scosso la testa ma
era evidentemente
sollevato che il bambino fosse, invece, abbastanza pratico di inglese
così da
poterlo comprendere e, inoltre, il suo accento era particolarmente
simpatico.
“No” aveva risposto
contrito seppur sollevato:
avrebbe sempre potuto chiedere a lui un aiuto per far ritorno in
albergo o
almeno ritrovare suo padre.
“Sei un turissa?”. Lo
incalzò di nuovo, prima che
potesse aprir bocca.
“Turista” lo corresse
automaticamente Kurt e il
bambino sembrò accigliarsi perché si
sollevò dalla postazione, le braccia
incrociate al petto.
“E io cosa ho detto?
Turissa!” aveva
ribattuto e Kurt dovette trattenere il sorriso: non era educato
sorridere degli
errori altrui e, dopotutto, era lui il bambino straniero tra i due.
“Scusa” aveva
ribattuto ma era tornato ad osservare
la folla.
“Comment ti
chiami-tu?” aveva chiesto ancora,
evidentemente facendo una fusione tra le due lingue che, Kurt lo doveva
ammettere, era davvero molto buffa a sentirsi.
“Kurt e tu?”. Aveva
risposto distrattamente.
“Sébastien”
replicò subito, il sorriso pronto sulle
labbra e il dardeggiare del suo sguardo mentre si stringevano le mani
come
avevano visto fare dagli adulti in simili occasioni.
“Alors, Katt” dovette
mordersi il labbro per
ricordarsi che non sarebbe stato educato ripetere e scandire meglio il
proprio
nome ma sembrava avere dei particolari problemi a pronunciare la erre.
“...
comment ti sei habbiliato?” e di fronte al suo sguardo
confuso, aveva indicato
i suoi vestiti come a dargli prova della propria perplessità.
Fu il momento di Kurt di
apparire spiazzato.
“Non ti piacciono?”
aveva domandato quasi
mortificato e lui stesso aveva osservato nuovamente il proprio
completo: una
maglietta a strisce azzurre e blu, jeans, scarpe da ginnastica e un
basco abbinato
al foulard azzurro allacciato al collo. Aveva persino degli occhialini
da sole
che aveva appuntato alla maglietta.
“Ci si veste
così in Francia” aveva ribattuto con
tono sicuro, le braccia adesso incrociate al petto mentre l'altro si
accigliava
nuovamente.
“C'est ne pas vrai!”
Aveva ribattuto indignato. “Non
è velo!” aggiunse poi tornando all'inglese per poi
indicarsi e Kurt lo scrutò a
sua volta dubbioso: non era poi così diverso da come si
vestiva lui per giocare
al parco.
Cosa
aveva
di tanto speciale? Dov'era lo spirito parigino?
“Come vuoi” aveva
ribattuto, sollevandosi dalla
panchina e morsicandosi il labbro al pensiero del padre che, nel
frattempo,
ancora non era tornato.
Quanto tempo era passato? E se
si fosse perso a sua
volta? Non avrebbero dovuto separarsi dalla mamma, e avrebbero dovuto
comprare
una cartina della città.
Sentì nuovamente
l'angoscia stringergli la gola.
“Pourquoi sei qui tutto solo?
Dove sono i tuoi
paronti?”.
“Ero qui con il mio
papà” rispose Kurt, la voce più
rauca ad indicare che stava per mettersi a piangere.
“Ma adesso non lo
vedo più” si era nuovamente volto
ad osservarlo, adesso speranzoso.
“Puoi aiutarmi? Devo
tornare all'albergo”. Gli
aveva descritto l'edificio e il quartiere nel quale si trovava fino a
quando
l'altro non aveva annuito con sguardo illuminato.
“Sai dove si trova?”.
“Absolument. Scerto che lo
so!”.
“Allora mi ci puoi portare, per
favore?” aveva
domandato, adesso in tono quasi supplichevole nel congiungere le mani
ed
osservarlo, si stava nuovamente morsicando il labbro ma
Sébastien continuò a
scrutarlo vagamente divertito.
“No” rispose con una
scrollata di spalle.
“Cosa?!
Perché?!”. Si sentì chiedere con voce
più
stridula, aggrappandosi al braccio del bambino che in risposta aveva
sorriso
ancora più divertito prima di stringersi nelle spalle.
“Ti sci potto, va bien... ma
après devi faire una
cosa per moi” aveva dichiarato: le braccia strette al petto
nello scrutarlo con
il sopracciglio inarcato al che Kurt aveva annuito, un sorriso
sollevato.
“Quello che vuoi... grazie.
Messì”. Cercò di
pronunciare quel “merci” che la madre aveva spesso
pronunciato in quei giorni,
rivolgendosi alle persone dell'albergo, accompagnando la parola con un
bel
sorriso. Ma Sébastien aveva sorriso maggiormente prima di
stringersi nelle
spalle.
“Allora devi passare toute la
sgiornata con me. Poi
ti potto dai tuoi paronti”.
~
Non c'era stato modo di
dissuadere Sébastien e
aveva constatato già in quei primi momenti quanto potesse
essere cocciuto e
dispotico quando si metteva in testa qualcosa. In fondo, tra il restare
tutto
il giorno in quella piazza ad attendere da solo e poter trascorrere la
giornata
con qualcuno che già si ambientava abbastanza da uscire da
solo, sapeva che
avrebbe preferito la seconda opzione. Aveva tuttavia scongiurato
l'altro
bambino perché gli permettesse di telefonare ai genitori per
avvisarli che
stava bene e che sarebbero potuti tornare a prenderlo quella sera,
perché –
come promesso – avrebbero trascorso insieme quella giornata.
Così, nonostante
la sua cocciutaggine, il parigino si era lasciato convincere,
assicurandolo che
sarebbero subito andati da sua madre e che lei avrebbe avvisato i suoi
genitori.
Lo stupore e la meraviglia di
Kurt aveva raggiunto
l'apogeo quando il bambino lo aveva condotto, con perfetta nonchalance,
al
ristorante del primo piano della splendida Tour Eiffel. Era da quando
erano
giunti a Parigi che desiderava scalarla – magari non
facendosi tutti i più di
mille scalini a piedi – per rimirare il paesaggio notturno e
i giochi d'acqua
delle fontane.
Aveva osservato quell'ambiente
lussuoso con gli
occhi sgranati e le labbra schiuse ma, quasi intimorito, era rimasto
fuori
dalla porta fino a quando l'altro non si era voltato a guardarlo.
“Che fai
lì impalatò? Viens, Katt, devi dile a
Maman come si chiama la tua mamma così può
chiomare l'albeggo” il bambino,
tuttavia, era arretrato maggiormente.
Aveva osservato il locale
dalle vetrate con
evidente desiderio ma sembrava incapace di compiere un passo in avanti.
“Non posso” aveva
commentato, morsicandosi il
labbro.
“Non sono vestito
per venire al ristorante: non ho
neppure una cravatta! O una spilla!”. Aveva esclamato con
tono evidentemente
palese del suo dilemma e della sua vergogna al riguardo.
Sébastien aveva
sorriso divertito prima di scuotere
il capo ed avvicinarsi.
“Va tutto bien, devi solo
stammi viscino” aveva
commentato e, senza attendere risposta, ne aveva cinto la mano per poi
entrare
finalmente nel locale. Kurt sentì un improvviso calore al
viso, sembrò scivolare
lungo la spina dorsale fino e fargli bruciare le guance ma non aveva
nulla a
che vedere con il calore del locale. Era la sensazione di quella mano
dalle
dita affusolate che aveva stretto la propria con tanta delicatezza ma
sicurezza.
Un gesto che, a quanto Kurt ne
sapeva, si compiva
quando ci si trovava in presenza di una persona importante per la quale
si
provasse un forte affetto. Non aveva comunque esitato a stringergli a
sua volta
la mano, notando come le loro dita riuscissero perfettamente a
combaciare tra
loro e quanto fosse piacevole abbandonarsi a lui, senza paura. Non
sapeva
neppure da cosa nascesse quel riuscire a seguirlo senza timori di
sorta: nella sua
città avesse spesso problemi a
interagire coi compagni di classe o i bambini della sua età.
Ma non era una sua
colpa se, a differenza loro, non amava praticare gli sport, o fare
giochi di
lotta o qualsiasi altro espediente che gli facesse macchiare i suoi bei
vestiti. Per la prima volta, provava quel dolce calore al petto e non
avrebbe
voluto per alcun motivo che dovesse finire.
Sébastian si
muoveva con incedere sicuro, salutando
di tanto in tanto qualche cameriere, evidentemente non era la prima
volta che
entrava nel locale e se anche qualcuno osservò curiosamente
Kurt, ma tutti
sorridenti, nessuno sembrò trovare qualcosa da ridire sulla
sua presenza. E la
sua mamma era davvero una splendida signora, vestita con un tailleur
elegante –
Coco Chanel registrò Kurt osservandone il marchio dei
bottoni e della cintura –
ed era il maître: aveva un viso ovale dai lineamenti
cesellati ad arte. Gli
stessi occhi di quella sfumatura di verde e qualche neo a punteggiarle
la
guancia, proprio come quelli di Sébastien che Kurt aveva
trovato deliziosi alla
vista malgrado lui, invece, si fosse sempre rammaricato di quelle
piccole efelidi
a coronarne il nasino o la mezzaluna sotto l'occhio.
Oltre ad essere bella, la sua
mamma era anche molto
gentile ed affabile: parlava un perfetto inglese – dovevano
essere moltissimi i
turisti che incontrava tutti i giorni, a ben pensarci – e fu
subito disponibile
a telefonare agli Hummel e persino invitarli a cena, quella sera, nel
suo
locale, così da assicurare ai due bambini di poter
trascorrere del tempo
insieme.
Si era dimostrata non poco
entusiasta
dell'iniziativa del figlio ed aveva insistito perché
pranzassero lì malgrado
Kurt fosse apparso molto imbarazzato per la mancanza di denaro.
La donna si era limitata a
scompigliargli i capelli
e ridere della sua preoccupazione, rassicurandolo che per gli amici del
figlio
avrebbe potuto far bene altro.
L'idea di sedere,
però, in quel ristorante era
stata non poco elettrizzante e, sorseggiando la sua acqua frizzante,
aveva
osservato il panorama dalla vetrata prima di volgersi al bambino seduto
dall'altro lato.
“Allora è
vero?” aveva domandato, ripensando alle parole della madre di
Sébastien.
“Mh?” aveva chiesto
l'altro, lo sguardo già volto
alla sua crème brûlée che prese a
gustare con evidente golosità mentre Kurt ne
studiava la forma e la composizione – chissà
quante calorie aveva quel dolce? -
prima di sollevare la posata.
“Siamo amici?” aveva
domandato e avrebbe voluto che
la sua voce non tradisse quell'imbarazzo e quell'anelito di emozione ma
il
bambino di fronte si era limitato a sorridere con evidente sicurezza,
stringendosi appena nelle spalle.
“Ça va”
aveva risposto e, di fronte allo sguardo perplesso di Kurt, aveva riso.
“Forse” aveva
soggiunto, scrollando le spalle come a
sminuire il tutto ma, in fondo al suo cuore, Kurt seppe che si trattava
di una
dolce conferma ma proclamata a bassa voce.
Un
po' come
il suo papà che sembrava burbero a chi non lo conosceva e
magari si
impressionava a sentirlo parlare con la voce grossa ma, in
realtà, era l'uomo
più buono al mondo.
~
Parigi sembrava vestire il suo
abito migliore quando
calavano le luci e, avvolto nel suo soprabito più elegante,
stava rimirando il
paesaggio della città con l'immancabile presenza di
Sébastian al suo fianco. La
città appariva così minuscola da quella
prospettiva ma lo sguardo abbracciava
un paesaggio strabiliante: persino le automobili che attraversavano i
lunghi boulevard
apparivano come giocattoli, osservava con occhi sgranati la luce che
dalla
Torre scendeva ad illuminare tutto ciò che vi era al di
sotto. Si sentiva come
un sovrano che osservava il suo vasto impero che si apriva di fronte a
lui, in
tutto il suo splendore: si era stretto maggiormente nella giacca a
causa
dell'aria più fresca ma aveva riso con entusiasmo quando i
giochi d'acqua delle
fontane erano stati attivati. Le labbra schiuse e negli occhi azzurri
si
riflettevano quelle molteplici luci ma l’entusiasmo non era
condiviso dal bambino
al suo fianco per il quale quella
vista doveva aver perso ogni attrazione. Ma non aveva lasciato il posto
vicino
al suo e sorrideva del suo divertimento: era stato in quel momento che
Kurt si
era voltato e aveva notato il suo sguardo su di sé. Aveva
sgranato gli occhi e
aveva sentito il cuore battere più forte ma puerilmente si
era scostato una
ciocca di capelli dalla fronte che sembrava sempre voler sfuggire alla
sua pettinatura
più ordinata.
“Ho i capelli in
disordine?” aveva chiesto ma Sébastien
aveva scrollato le spalle. L'attimo dopo, tuttavia, si era chinato con
un
ghignetto a scompigliarli completamente, strappandogli uno strillo di
disappunto che aveva fatto voltare molti altri turisti e ridere i
genitori.
Questi ultimi avevano scosso il capo prima di tornare a loro volta ad
ammirare
il paesaggio, vicini ai genitori di Sébastien.
“Oui, sono tutti
dissordinoti” lo aveva canzonato ma
Kurt aveva imbronciato le labbra seppur cercasse di nascondere il
sorriso
divertito: era tornato ad osservare il paesaggio prima di volgersi
nuovamente
ad osservarlo.
“E' vero che Parigi
è la città dell'amore?” aveva
chiesto dopo un breve istante di silenzio e aveva sentito il bambino al
suo fianco
ridere di cuore. E
ra arrossito furiosamente
prima di imbronciarsi e
volgere lo sguardo altrove per non fargli capire quanto si sentisse
offeso dal
fatto che non lo prendesse sul serio. Cosa c'era di male nel rispondere
ad una
sua domanda? Lo considerava una femminuccia come tutti gli altri
bambini? Era
per questo che si faceva beffe di lui?
“Non lo so” aveva
risposto dopo un attimo, il
sorriso sulle labbra nel tornare ad osservarlo.
“Forse
sì”
si era avvicinato a Kurt fino ad abbassarsi ad appoggiare le labbra
contro la
sua guancia. Un tocco delicato e soffuso che gli fece aumentare i
battiti del
cuore e sgranare gli occhi mentre Sébastien, lo sguardo
ancora ridente, lo
osservava dall'alto, quel cipiglio che aveva ormai imparato ad
associare al suo
viso e al suo carattere.
“Vuoi sposammi, Katt
Ammèl?” aveva chiesto, infine,
con un sorriso così presuntuoso in quell'ammiccargli che
Kurt aveva dovuto
distogliere lo sguardo, le guance arrossate malgrado ridesse lui
stesso. Si
strinse nelle spalle.
“Sa va”
cercò di storpiare la stessa risposta che
Sébastien gli aveva fornito quando erano seduti al
ristorante, seppur non
avesse ben capito cosa significasse. A quel punto l'altro bambino aveva
sorriso
trionfante.
“
Quando saremo grondi,
viendrò in Amerique e sci
sposseremo, ça va?” aveva domandato con un sorriso
scintillante che, suo
malgrado, Kurt aveva ricambiato, annuendo vigorosamente.
Ne rimirò ancora
una volta il profilo e provò ad
immaginare quale linea avrebbe potuto disegnare per congiungere tutti i
suoi
nei.
“Sa va” aveva
replicato in un sussurro.
~
Aveva osservato il suo operato
con evidente
soddisfazione, prima di togliersi il grembiule. La tavola era
già stata
apparecchiata per due, le candele erano accese per creare un'atmosfera
più
romantica, il sottofondo musicale e aveva indossato un completo nuovo e
ancora
lustro.
Quando sentì la
porta dell'ingresso schiudersi non
poté che sorridere, pieno di aspettative, mentre l'uomo
annunciava il suo
ritorno. C'erano ancora molte e molte scatole di oggetti da riporre
nonché la
tappezzeria e la moquette, le decorazioni di cui occuparsi ma aveva
tutto
accatastato nel salotto perché la sala da pranzo fosse
perfettamente in ordine.
“Perché è
tutto buio, non dirmi che hai dimenticato
di pagare la bolletta della luce e...?” si era interrotto
nell'osservare lo
scenario romantico che il giovane aveva creato in sua assenza.
“Oddio, non dirmi che ho
dimenticato una ricorrenza”
si era lasciato sfuggire mentre Kurt solleva gli occhi al cielo ma
accettava di
buon grado quel bacio sfiorato a mo' di saluto.
“Zitto e siediti”
aveva convenuto e non si era
meravigliato dello sguardo allusivo e divertito di Sebastian che aveva
fatto
scoccare la lingua sul palato prima di prendere posto, un sorriso a dir
poco
sornione.
“Mhm, mi eccita quando cominci
a darmi ordini” e
Kurt dovette ringraziare che la penombra della stanza celasse ad
entrambi il
suo rossore. Si domandò distrattamente se mai sarebbe stato
in grado di
fronteggiare quella sincerità tanto sfrontata e sfacciata.
Non rispose ma
depositò di fronte a Sebastian un
piatto con coperchio, prima di fargli cenno di sollevarlo: cosa che
fece
rivelando una crème brûlée.
“Non è il mio
compleanno” aveva ribattuto l'altro
per poi sorridere. “E non conterrà un po' troppe
calorie?” aveva chiesto
sornione, cingendogli la vita sottile e strappandogli un vezzoso verso
di
divertimento. Si era dolcemente divincolato prima di estrarre una
fotografia
dalla tasca e porgergliela. Lo vide inarcare le sopracciglia nel
prenderla per
poi osservarla e i suoi lineamenti ne tradirono l'iniziale sorpresa
prima che
un sorriso più suadente gli sfiorasse le labbra.
Inarcò le
sopracciglia.
“E così te lo sei
ricordato, infine, Ammèl” aveva
convenuto.
Era passato molto tempo,
eppure lo sguardo aveva
ancora lo stesso scintillio sicuro di sé, lo stesso
sorrisetto suadente ed
allusivo che gli fece sgranare gli occhi alla realizzazione.
Sentì le proprie
guance imporporarsi e il cuore
sembrò restare sospeso in gola mentre il dubbio diveniva
sempre più palese.
“Tu lo ricordavi... fin dal
primo momento?”.
Persino da quando si erano
conosciuti e tra loro
era subentrato quell’antipatia? E non ne avrebbe mai fatto
parola se lui non
avesse trovato, per puro caso, quella fotografia? Lo aveva ricordato
per tutti
quegli anni, mentre lui – dopo la morte della madre
– aveva smarrito ogni
ricordo?
“Ci ho messo un po' di tempo a
collegare le due
cose” convenne con una lieve scrollata di spalle che, se
possibile, fece solo
accrescere la curiosità e l’incredulità
di Kurt.
“E non mi hai detto
nulla”. Si era morsicato il
labbro quasi a disagio.
“Sapevo che prima o poi ci
saresti arrivato ma se
credi che userò questo aneddoto per il tuo compleanno,
allora mio caro Hummel-”.
Non aveva terminato la frase
perché Kurt gli aveva
appoggiato un dito sulle labbra e si era chinato in sua direzione.
Avrebbero
avuto tutta la vita davanti per discutere di questo e
dell’inizio di quel loro
rapporto. Avrebbe avuto altre occasioni per ripercorrere quel primo
incontro,
ma vi era una dolce consapevolezza che, in fondo, avevano sempre saputo
di
appartenersi.
Ad una maniera del tutto
particolare.
“Hummel-Smythe,
prego” aveva sussurrato, la fede che
scintillava al riflesso delle candele mentre la metteva in bella mostra.
Lo sguardo smeraldino
guizzò compiaciuto mentre lo
attirava dolcemente a sé.
“Tutto si
può dire di me, dopotutto, tranne che non
rispetti le promesse”.
Un altro raccontino molto semplice, come avete
visto, ma all’insegna di
qualcosa di più tenero e romantico di cui, davvero, non
potevo fare a meno.
Sarà il mio ultimo appuntamento,
quello stabilito per domani: la Week lasciava libera
scelta
tra una one-shot A/U o Crossover.
Ho optato per il Crossover ma non vi
svelerò altro, a domani dunque! :)
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Capitolo 7 *** Crossover - Gossip Glee ***
Eccoci all’ultimo appuntamento della
Kurtbastian Week, passata anche più rapidamente di quanto
avevo immaginato,
malgrado stessi lavorando su queste tracce da quasi un mese, ma bando
ai
rammarichi e alla nostalgia.
Questa è stata in assoluto la prima
storia
della Kurtbastian Week che abbia scritto: è cominciato una
Domenica mattina in
cui ero particolarmente ispirata e sono letteralmente sgusciata dal
letto.
Questa fan fiction non sarebbe stata possibile se Irene,
a cui la dedico
per quanto sia un gesto semplice e riduttivo rispetto alla nostra
amicizia, non
mi avesse spronato a conoscere Gossip Girl. Devo ammettere di aver
avuto molti
pregiudizi e tuttora alcuni elementi della fiction mi lasciano a
desiderare, ma
sono felice di essermi fidata di lei, anche in qualcosa di
così semplice. Mi
sono lasciata sedurre dagli intrighi di Blair, dal mistero alla base
della
fiction e dai tanti volti e vicende che si intrecciano e ho pensato che
un
Crossover con Kurt e Sebastian fosse irresistibile. Seppur A/U per una
questione
di trama, ma lo vedrete.
Per coloro che non
conoscono Gossip Girl, vi tranquillizzo perché non ci
saranno
menzioni particolari che vi impediranno la lettura scorrevole, ma
comunque
provvederò ad inserire qualche breve nota che possa
aiutarvi. Per coloro che la
conoscono, non c'è una cronologia precisa a cui affidarsi ma
spero che il
divertimento sia doppio.
Rinnovo i ringraziamenti a chiunque abbia
letto, recensito, preferito, seguito e ricordato questa Week, ne sono
molto
onorata.
Un bacione alla mia Blaine e Sebastian e non
mi resta che augurarvi una buona lettura!
CROSSOVER:
Gossip Glee
Sono Gossip Girl[1],
la vostra sola fonte di notizie sulle vite scandalose
dell'élite di Manhattan.
Anche quest'anno l'inverno si
preannuncia gelido,
amici dell'Upper East Side; sembra il momento che una torbida passione
possa
scontrarsi con il drastico calo delle temperature. E, per mia fortuna,
la mia
Principessa preferita è sempre pronta a far parlare di
sé.
Avvistati: B che ospita un
uomo nel suo letto e...
non si tratta di Chuck Bass. E neppure di Nate Archibald...
Un lieve mugugno e la giovane
si era tolta la
fascia che le copriva gli occhi: aveva emesso un lamentoso pigolio
quando
Dorota, la sua fedele governante, aveva schiuso le tende e lasciato che
la luce
del giorno entrasse nella stanza.
“Deve alzarsi, signorina Blair,
come diciamo in
Polonia...”.
“Mhm, va via, Dorota”
aveva pigolato la giovane che
si era ulteriormente rannicchiata contro le coperte, incurante dei
bonari
rimproveri della sua dipendente.
“Come desidera ma
poi non si lamenti con me se
arriverà in ritardo e dubito sua madre sarà
comprensiva: è la settimana della
moda e ha bisogno di tutto l'aiuto possibile[2]”.
La giovane Waldorf le aveva
fatto un cenno
imperioso con la mano e un mugugno più forte: se non avesse
voluto disturbare
il cosiddetto sogno di bellezza del giovane accanto, l'avrebbe
già minacciata
con parole ben più eloquenti e il suo caratteristico tono
perentorio. Si era
messa di un fianco, abbracciando ancora il cuscino, prima di osservare
con un
sorriso il viso del ragazzo: sembrava davvero fatto di porcellana, come
poi
veniva comunemente definito seppur in un'accezione del tutto ironica.
Dopotutto
qualcosa di buono Hamphrey[3]
l'aveva anche
fatta, conducendolo a quel brunch nel quale si era subito
contraddistinto per
la sua splendida mise e il gusto impeccabile per la moda. Quando aveva
saputo
del suo trasferimento a New York e della sua ricerca di un lavoro
nell'ambito
della moda, era stato automatico far cadere casualmente
l'attenzione su
di lui – era bastato avvicinarsi e far scattare una
fotografia da Penelope[4] e inviarla a Gossip Girl.
In vero, non si era
dimostrato soltanto la sua anima gemella in quanto a competenza
nell'ambito
della moda (anch'egli la considerava un'arte che attingeva anche alla
storia e
lo dimostravano alcuni elementi decisamente retrò del suo
guardaroba colorato e
multi - accessoriato) ma ne amava la tempra ironica e quel pizzico di
vanità,
la sua scrupolosa cura di se stesso che nascondevano un animo
più fragile e
sentimentale.
Qualcosa che, in fondo,
riusciva ad accomunarli. Se
lo avesse conosciuto prima, non avrebbe mai avuto bisogno di quella
biondastra
butterata e... scosse il capo. Non voleva certamente rovinarsi la
mattinata
partorendo pensieri omicidi nei confronti di S[5].
Sarebbe soltanto
occorso del tempo perché tutti ne comprendessero la sua vera
natura ed ella
restasse sola quando anche quel bifolco di Humphrey avrebbe compreso
che... ma perché vi stava ancora
pensando?
Suo malgrado, per quanto
detestasse le prese di
iniziativa di Dorota, che le facevano venir voglia di rispedirla in
Bielorussia
o da qualunque paese dell'Est Europa provenisse la sua famiglia, non
poteva
ignorare quell’ammonimento e sapeva che sua madre non sarebbe
stata affatto flessibile.
Aveva sorriso e si era
avvicinata al giovane,
rannicchiandosi contro il suo pigiama di seta, cingendolo appena e
sfiorandogli
la guancia con un bacio.
Lo sentì mugugnare
qualcosa.
“Dormito bene?” aveva
domandato e, lentamente, il
giovane aveva schiuso le palpebre per rivelare quelle iridi
più splendenti
degli zaffiri di cui ella stessa amava circondarsi. Lentamente le sue
labbra si
mossero in un sorriso, seppur sostò qualche altro istante
contro il guanciale.
“Meravigliosamente bene: mai
sentito un materasso
più comodo” aveva convenuto e la giovane non aveva
potuto trattenersi
dall'emettere uno sbuffo divertito. Non che ne dubitasse: era soltanto
perché
conosceva Kurt e la sua cura di se stesso se ospitava qualcuno che
aveva
respirato la stessa aria del loft più simile ad una
discarica di Dan Humphrey.
Lo stesso nel quale, e represse il pensiero con un brivido di disgusto,
spesso
aveva pernottato la sua acerrima nemica.
Si era addolcita
nell'osservarlo e aveva sorriso
ulteriormente prima di accoccolarsi maggiormente alla sua spalla e
sentirlo
sfiorarle gentilmente i capelli, quasi a volerla ulteriormente cullare
per un
altro breve istante.
Vi era sempre stata un'intesa
particolare, aveva
convenuto Blair: riuscivano a comprendersi e non soltanto quando
condividevano
opinioni e pareri sugli abiti che la madre metteva in mostra nelle sue
sfilate
ma spesso la loro comunicazione, seppur mancasse di parole di
particolare
stucchevolezza, riusciva a lenire al tutto con un semplice gesto. Si
era sempre
sentita al sicuro nel suo abbraccio, una sensazione che non aveva
più provato
da quando suo padre si era allontanato dalla madre o almeno fino a
quando la
madre non si era risposata.
“E' la prima volta che indosso
lingerie nuova
dormendo con un ragazzo e non rischiando che mi sia strappata rudemente
via”
aveva commentato con tono più frivolo e compiaciuto che
aveva fatto appena
arrossire Kurt all'allusione a Chuck Bass e al suo precedente
fidanzato, Nate
per il quale – mai lo avrebbe confessato – aveva
avuto un'infatuazione fin
dalla prima volta che ne aveva scorto il profilo a quel brunch in cui
Dan lo
aveva condotto, invitato da Serena. Colei che, nelle ultime ore, era
divenuta
rappresentante del “fronte nemico”.
“... che è
esattamente il motivo per cui le madri
adorano gli amici gay delle figlie e poi rovinare una vestaglia di Raulph
Lauren!” era letteralmente rabbrividito alla sola
prospettiva e Blair aveva
riso, pizzicandogli il naso.
“Sei la mia anima gemella gay,
Kurt Hummel. Sei
sprecato per Brooklyn e Humphrey”.
Kurt aveva schiuso le labbra,
quasi in procinto di
dire qualcosa ma vi aveva ripensato: in fondo, non era il caso di
suscitarle
qualche attacco nevrastenico di prima mattina circa le sue supposizioni
di
quanto, invece, sarebbero stati una coppia interessante. Il fascino
fine ed
elegante, capriccioso e vanitoso di Blair, Principessa di Manhattan e
quello
più urbano e trasandato, dal capello e dalla barba incolti
– almeno fino a
quando non lo avrebbe trascinato lui stesso da un barbiere di fiducia
– di Dan
Humphrey.
All'ennesimo richiamo di
Dorota, avevano esclamato
entrambi un “Il bagno è mio!” prima di
scapicollarsi verso lo stesso.
Sospirò quando una
Blair trionfante si chiuse la
porta alle spalle: “Posso usare le tue creme?”
aveva gridato dall'interno per
poi ridere con un “Grazie, sei un amore!” prima
ancora che potesse proferire
risposta.
Aveva scosso il capo e si era
lasciato ricadere sul
letto, sentì i capelli afflosciarsi nell'esatto momento in
cui toccò il
materasso e si passò una mano sul viso.
Ma quando vide Blair uscire in
accappatoio ed
esaminare il suo vasto guardaroba, non poté trattenersi dal
sorridere mentre le
passava accanto e la sentiva strillare dopo averle stropicciato
affettuosamente
i capelli.
“Non adesso, Kurt, ho
un'emergenza moda da
affrontare prima del pranzo e ancora non so cosa indossare stasera alla
festa
di Chuck”.
Dopo averle indicato il
cerchietto che si sarebbe
perfettamente abbinato alla mise del giorno, nonché averle
suggerito quali
scarpe abbinare e averla vista girarsi su se stessa con fare
compiaciuto,
dovette sorridere.
Forse, in qualche particolare
accezione, erano
veramente anime gemelle.
~
Anche quella mattina non
poté fare a meno di
domandarsi per quale motivo ancora sostasse nella casa di Lily Van Der
Woodsen[6]
( o era Buss e poi Humphrey?), quella sorta di mausoleo che
assomigliava ad un
misto tra un bordello, a giudicare dai ragazzi e gli uomini che
l'avessero
frequentata per anni alla mercé di Lily e di Serena (e poi
lui era giudicato
dai bigotti il “prostituto” di famiglia?) e una
sorta di mostra d'arte
contemporanea. Anche quella mattina, un ghigno stampato sul viso mentre
contemplava il suo riflesso dallo specchio del bagno ornato di marmo,
si disse
che dopotutto avrebbe potuto trarre un qualche vantaggio dall'avere per
“mammina” una donna la cui vastità di
esperienze in ambito sessuale era pari
soltanto alla quantità di zeri del suo conto bancario. Non
che l'avesse mai
considerata una figura materna e, se fosse dipeso da lui, avrebbe
beatamente
continuato a vivere la sua vita parigina con il padre e la sua nuova
compagna,
la donna che lo aveva cresciuto, quella che si era dedicata sempre e
soltanto a
suo padre, Thomas Smythe[7].
Ma poiché la cara
mammina si era lasciata prendere da qualche pseudo rimorso di coscienza
–
volubile almeno quanto gli abiti che indossava e che per, spasmodico e
vitale
bisogno, cambiava spesso almeno quanto l'intimo – che cosa
gli impediva,
dopotutto, di trascorrere nella nota città americana quelle
due settimane?
Soprattutto se ciò comportava il poter girare in limousine,
avere accesso a
ristoranti e feste e luoghi di intrattenimento; avrebbe anche potuto
sopportare
stoicamente quella situazione degna di uno sceneggiato televisivo di
pessima
specie.
A fare tanto atmosfera da
fiction adolescenziale,
sembrava che tutti in quella città – e quella
famiglia di svitati che lo
ospitava non faceva certo eccezione – fossero ossessionati da
un'anonima e
psicopatica nevrotica che, evidentemente incapace di una vita sociale
e/o
sessuale, sembrava raggiungere l'orgasmo intellettuale nel diffondere
notizie e
pettegolezzi, scandali e retroscena delle famiglie più note
e prestigiose. Tale
soggetto si faceva chiamare Gossip Girl e sembrava che nessuno avesse
la benché
minima idea di chi fosse la
pettegola
in questione; che lui personalmente aveva ribattezzato Psyco Stalker
Girl.
Non che non avesse meditato di
vendere lui stesso
le confessioni di un figlio gay abbandonato dalla bizzosa Lily Van Der
Woodsen
quando ancora in fasce, in seguito ad una breve e torbida relazione. Ma
perché
rovinarsi il soggiorno con lacrimevoli accuse ed eccessi di isterismo
di due
arrapate donne mestruate che, quando non riempivano la giornata con il
marito/fidanzato del momento, sembravano crogiolarsi nell'eccitante
attività di
darsi ad un'appassionata litigata con una nevrotica ancora
più mestruata.
Oppure – gioia di tutte le gioie – partecipare a
gala e cene lussuose per il
puro gusto di finire sui giornali ed essere viste come icone di moda e
di
filantropia.
Quell'ambiente non era
decisamente sano neppure per
un gay e probabilmente l'unico modo di sopravvivervi senza perdere
l'uso della
ragione, era vivere nella propria ed incantevole bolla di sapone:
limitarsi a
far strisciare la carta di credito di Lily e cercare qualche locale gay
– Chuck
Bass[8]
(il fratellastro della sua sorellastra o qualcosa del genere) era
sembrato
interessato alla sua idea – in cui trascorrere la serata, il
più lontano
possibile da quell'eccesso di estrogeni e di profumi mangia-uomini.
Giunto alla cucina aveva
arricciato le labbra in
una smorfia di disgusto a quell'evidente quadretto familiare che
sembrava tanto
l'icona della perfetta famigliola felice e, ancora una volta, dovette
sforzarsi
per trattenersi dallo sciorinare una delle sue impietose battute o
verità
scomode. Soltanto quando Lily lo richiamò mettendosi in
piedi e sorridendogli,
si limitò a farsi avanti e prendere posto accanto a Serena.
Allungò il braccio
verso la caraffa del caffè mentre Lily tornava a parlare
alla figlia,
evidentemente avvinta dall'ennesimo dilemma adolescenziale su quale
cerchietto
far ingoiare a Blair Wandolf oppure quale fosse il prossimo ragazzo con
il
quale sarebbe uscita, così da anticiparne le mosse e
scoparselo, possibilmente
nel retrobottega di un matrimonio ancora in corso, giusto per dare alla
sveltina un carattere più “sacro”.[9]
“Tu e Blair attraversate sempre
qualche piccola
crisi: certo quando tra l'una e l'altra incorre così poco
tempo, probabilmente
varrebbe la pena chiedersi se ne valga la pena”.
Serena aveva sospirato con
fare melodrammatico nel
riporsi le ciocche di capelli dietro l'orecchio e cincischiare con la
forchetta
nel proprio piatto.
“E' la mia migliore amica e, al
contempo, la mia
peggior nemica: per quanto tempo dovremo continuare a
distruggerci?”.
“Serena” l'uomo al
fianco di Lily di cui non
ricordava il nome aveva preso a sua volta la parola: evidentemente ogni
tanto
doveva ricordarsi di essere l'uomo di casa. A quanto aveva compreso il
suo
unico contributo, da quando era giunto in quella casa, era stato quello
di
farsi quasi sottrarre la neo-moglie dal suo primo ex marito e poi,
cosa?
Coprire la scervellata bionda da una disperata crisi di
identità a causa della
quale aveva rimandato a data da stabilirsi il suo ingresso alla Brown
per poi
decidere di seguire la “migliore amica barra
nemica”.
A quel punto aveva
ufficialmente spento i suoi
sensori di ricezione dell'udito mentre un sorriso quasi perverso gli
sfiorava
le labbra – improvvisamente così secche da
doversele lambire lentamente – al
ricordo di uno di quei riccastri figli di papà che gravavano
intorno a quella
casa. Un peccato che fosse troppo interessato alla sodezza del suo
sedere per
ricordarsi il nome, anzi no, convenne tra sé. Valeva
decisamente la pena
ricordare i suoi pensieri su quanto sarebbe stato appagante poter-
“Sebastian?” aveva
sbattuto le palpebre nel momento
in cui la donna aveva allungato la mano verso il suo braccio.
“Mi stavo
chiedendo: la festa di Charles” aveva
notato quanto ancora una volta la
sua voce aveva assunto quell'intonazione nasale. Era così
irritante, senza
contare che è inutile che gli improvvisi un nome
d'arte, gallina decrepita:
hai una figlia battona d'alta società e un figliastro
puttaniere e promotore
della prostituzione etero, bisessuale e gay. [10]
E poi seriamente? Come si
poteva dubitare del suo
nome di battesimo quando il suo era un disco rotto che ripeteva
costantemente
“sono Chuck Bass”; evidentemente il viagra naturale
più potente a cui
ricorresse prima di masturbarsi nella sua limousine.
Strinse i pugni lungo i
fianchi e cercò di
trattenersi dal pronunciare quelle parole.
“... potrebbe essere un'ottima
occasione per
presentarti ufficialmente e andarci tutti insieme come una
famiglia” sbatté
educatamente le palpebre quasi aspettandosi ch'ella si rendesse conto
di quali
parole aveva effettivamente pronunciato.
“Esattamente quale
famiglia?” si sentì
replicare, la tazza di caffè ancora sospesa tra le mani.
“Temo di aver perso il
contro tra ex mariti, defunti mariti e vecchie fiamme che diventano i
nuovi
mariti, senza offesa Reginald”.
“Rufus” aveva
risposto l'altro a denti stretti.
“Il fatto che io non mi ricordi
il tuo nome dovrebbe
spiegarti quanto mi importi” aveva risposto impietosamente ma
prima che l'uomo
potesse reagire – sembrava stesse perdendo le staffe
– Lily gli aveva posto una
mano sul braccio quasi ciò avesse potere lenitivo sulla
ferita che doveva aver
posto al suo amor proprio. Probabilmente ben poco restava quando si
poteva
legittimamente dubitare che degli uomini incontrati durante una
giornata, la
legittima moglie se ne fosse portati a letto almeno la metà.
“Posso chiederti almeno, fino a
quando resterai
sotto questo tetto, di provare a
sforzarti di essere quanto meno educato?” al solito Lily dava
sfoggio di quel
parlare pacato e gentile. Sembrava che nulla potesse scomporla e le
sopracciglia si sollevavano appena, nessuna ruga ne increspava la
fronte ma
molto probabilmente ciò era imputabile alla bravura del
chirurgo estetico.
Un vago sorriso gli
increspò le labbra mentre si
sollevava dalla propria sedia per poi indossare il proprio cappotto.
“Signore e nuovo marito, se
poteste cortesemente
scusarmi, avrei delle commissioni che mi attendono. Nel frattempo siete
tutti
pregati, cortesemente si intende, di andare a
farvi fottere” aveva sorriso
dell'espressione scandalizzata che era apparsa sul viso della donna
improvvisamente pallida e della reazione indignata dell'uomo che si era
sollevato così bruscamente da far cadere la sedia alle sue
spalle.
“Possibilmente con lo stesso
partner, la sifilide è
davvero una gran brutta faccenda a quanto ho sentito. E,
Serena” si era volto
verso di lei con le sopracciglia inarcate e un ghigno che ne fece
illuminare le
iridi. “... visto che siamo in vena di confidenze
familiari, sono stato io a mandare a Gossip Girl il video di
Blair, temo di
aver firmato con il tuo nome. Buona giornata”.
Un ultimo e affettato sorriso,
aveva sentito Serena
alzarsi dal tavolo e provare ad inseguirlo coi tacchi, prima di premere
il
pulsante dell'ascensore, dopo averle rivolto un ultimo e suadente
sorriso.
Dopotutto, la vita a New York
continuava a non essere noiosa.
~
Evidentemente il nervosismo e
lo stress erano
componenti essenziali ed imprescindibili quando, come nel caso della
sua
referente, nonché leader e proprietaria dell'atelier cui
aveva dato il proprio
nome, ci si avvicinava ad un evento di fondamentale importanza
nell'ambito
lavorativo.
La nuova collezione autunnale,
infatti, avrebbe
dovuto dare nuovo slancio alle industrie Waldorf dopo una battuta di
arresto in
seguito alla crisi economica; anche l'abbigliamento aveva bisogno di
nuovi
orizzonti e vedute ed ella non mancava in tale occasione di servirsi
anche
della fantasia e dell'ingegno dei suoi sottoposti.
Kurt non faceva eccezione ma
ciò non lo esimeva dal
dover collaborare anche ad una maniera più umile come
l'acquisto delle miscele
di caffè preferite per tutti i membri del meeting di
metà mattinata. Era un
sacrificio cui, tuttavia, si prestava ben volentieri, soprattutto
l'idea del
prestigio che il cognome Waldorf avrebbe apportato sul suo curriculum
nonché
una dimostrazione di come il sogno americano potesse realizzarsi: e da
semplice
tirocinante divenire, un giorno, lui stesso direttore di un atelier
d'alta
moda. Un sorriso trasognato ne aveva illuminato le iridi azzurrine
mentre, un
vassoio carico di bicchieri di plastica i cuoi coperchi erano
contraddistinti
per colore ad indicare la diversa miscela, si era voltato rapidamente,
dopo
aver pagato.
Così facendo, un
verso stridulo di sorpresa e di
imbarazzo, cozzò contro il soprabito di un ragazzo e se
aveva sgranato gli
occhi alla vista del caffè versato sullo stesso,
(“Mi dispiace, sono desolato:
ero completamente sovrappensiero!” aveva squittito) quando
l'attimo dopo
indietreggiò e sollevò lo sguardo, fu un'altra
emozione quella che gli
trasfigurò il viso.
Aveva boccheggiato e le sue
gote si erano colorate
di una delicata sfumatura rosata mentre, il viso leggermente reclinato
data la
differenza d'altezza, non poteva fare a meno di rimirare il viso del
giovane.
Doveva avere più o meno la sua stessa età: una
figura alta e statuaria dalle
spalle larghe e la silhouette ben delineata seppur si riuscisse ad
intravedere
pettorali e bicipiti tonici di chi doveva tenersi in forma con
esercizio
fisico, palestra probabilmente.
Il viso era un perfetto ovale,
aveva lineamenti
cesellati ad arte e sulla fronte ricadevano ciocche di capelli di un
biondo
cenere, vaporosi e ben curati in quel caschetto. Si sentì
totalmente avvinto
dal suo sguardo smeraldino e dalla piega delle belle labbra dal taglio
virile
mentre osservava la chiazza colorata.
Kurt arrossì ancora
più intensamente. Aveva
avvicinato timidamente una salvietta al suo cappotto, il viso ancora
reclinato
ad osservarlo.
“Mi rincresce moltissimo: mi
permetta di pagargli la
tintoria, io...” si interruppe nel notare il sorriso che
aveva curvato le
labbra del giovane, dopo quel primo istante in cui aveva contemplato il
disastro con una vaga smorfia.
“Potresti pagarmi il
caffè: caldo e corretto col
cognac” aveva replicato, le braccia incrociate al petto
mentre lo scrutava con
un sorrisetto saputo ed allusivo, scrutandone la figura con interesse
che ne
fece scintillare le iridi e procurò a Kurt un singulto
strozzato. Aveva
annuito, tuttavia, controllato l'ora e depositato il vassoio sul primo
tavolo
libero, per poi voltarsi verso il balcone, cercando lo sguardo del
barista per
la nuova ordinazione.
Era trasalito e aveva
sussultato quando aveva
sentito il fiato caldo del giovane sulla propria nuca e il suo respiro
a
soffiargli nell'orecchio.
“Solitamente non mi faccio
offrire il caffè da un
altro gay sconosciuto” e Kurt era sobbalzato prima di
voltarsi in sua
direzione: le sopracciglia inarcate e le labbra schiuse per l'imbarazzo
e
l'incredulità.
“Cosa... come...?”
Come aveva fatto a capire che
fosse... un momento. Aveva appena detto lui stesso di essere
omosessuale?
Scosse il capo come a rimuovere quel pensiero spontaneo e repentino ma,
quasi
fosse riuscito a leggergli il pensiero, lo sconosciuto
sogghignò maggiormente.
“A giudicare da come mi hai
scrutato o lo sei sempre
stato o lo sei diventato negli ultimi tre minuti” aveva
replicato in tono
perfettamente composto e divertito, indugiando nuovamente con lo
sguardo sul
suo volto, facendolo boccheggiare ed arrossire mentre indietreggiava
istintivamente.
“Signore, signore... voleva
ordinare?” il barista
aveva sbuffato l'ennesima volta prima di richiamarlo. Kurt era stato
lieto di
poter avere un espediente per riprendere lucidità prima di
ordinare l'ennesimo
bicchiere di caffè oltre a quello che aveva versato in parte
sulla giacca del
giovane alle sue spalle.
Si era voltato e aveva
boccheggiato quando il
giovane sembrava essersi volatilizzato fino a quando non lo scorse
seduto sullo
stesso tavolo cui aveva appoggiato il vassoio. Gli posò di
fronte il caffè
corretto col cognac, fece per riprendere il vassoio ma l'altro era
stato lesto
ad allontanarlo dalla sua portata. Aveva sorriso, schioccando la lingua
sul
palato.
“Continuo a non accettare il
caffè dagli
sconosciuti” aveva recitato nuovamente e Kurt dovette
trattenersi dal sorridere
con fare troppo languido seppur si rendesse conto di essere
completamente alla
mercé dei suoi occhi.
“Kurt Hummel” aveva
sussurrato porgendogli la mano
che il giovane aveva ignorato mentre continuava a scrutarlo
pensierosamente,
lambendosi lentamente le labbra ancora prima che il caffè le
sfiorasse. Così
facendo suscitò un singulto strozzato a Kurt che dovette
ricordarsi di essere
atteso da Eleanor e dai suoi collaboratori.
“Sebastian Smythe”
aveva replicato, indicandogli con
il mento il posto di fronte al suo ma Kurt si era morso il labbro.
“Scusami Sebastian,
è stato un piacere e se vorrai
che ti paghi la lavanderia...”.
“Lascia perdere la lavanderia:
sarebbe scortese
lasciarmi solo a prendere un caffè che mi hai
così gentilmente offerto” aveva
continuato in tono blando e la sfumatura soave della voce che
contrastava con
quel sorrisetto allusivo e sicuro di sé. “...
Kurt” aveva soggiunto,
pronunciando il suo nome ad una maniera tale che il giovane
sentì letteralmente
la terra mancargli sotto i piedi. Un suono quasi languido e sensuale
per il
modo in cui le sue labbra si erano schiuse e il tono era divenuto roco
nel
pronunciarlo, quasi lo stesse letteralmente assaggiando.
“Io...” oh quanto
avrebbe voluto! “mi dispiace,
magari un'altra volta e...” si era sporto per riprendere il
vassoio ma il
giovane nuovamente lo aveva spiazzato cingendone il braccio, pur
restando
seduto, il viso sollevato a rimirarlo.
Fu un momento di stasi nel
quale quel contatto fece
scorrere un brivido lungo la spina dorsale di Kurt. Così
presi da
quell'improvvisa contemplazione da non essersi accorto di Penelope che,
un
sorriso suadente sul volto, scattava una fotografia.
Pochi istanti dopo quasi tutti
i cellulari dei
presenti, compreso quello di Kurt, presero a suonare ad indicare
l'arrivo di un
messaggio. Kurt si aggrappò persino a quell'espediente
mentre, una volta
liberatosi della pressione dell'altro, estraeva l'iPhone dalla tasca
del
soprabito per poi paralizzarsi quando, dalla consueta finestra che
indicava il
messaggio di Gossip Girl, vide i loro volti riprodotti.
Se le regine del dramma, B e
S, in quest'uggiosa
giornata autunnale hanno deciso di abbandonarmi, fortunatamente posso
sempre
contare sulla gentile collaborazione di parenti misteriosi arrivati
clandestinamente o di amicizie recenti e già compromettenti.
Avvistati in uno Starbucks del
centro: l'amico gay
della Principessa B. con nient’altri che il fratellino di S.
E a giudicare dalla stretta,
sembra che ci sia
qualcosa che sta bollendo ma non è soltanto il
caffè...
“Che c'è?”
aveva domandato Sebastian che, il caffè
ancora tra le dita, stava scrutando il giovane.
Kurt fissava il display e, dal
colorito pallido in
viso, sembrava prossimo allo svenimento.
“Tu sei il fratello di Serena
Van Der Woodsen” aveva
pigolato e, di fronte al suo sguardo attonito, aveva mostrato il
proprio
cellulare. Il giovane aveva aggrottato le sopracciglia nel leggere la
notizia
appena pubblicata sul celebre blog prima di sorridere allusivo.
“Siamo venuti bene: ma forse
dovremmo impegnarci per
un vero scandalo” aveva sogghignato ma Kurt neppure
sembrò averlo udito.
“Hai detto di essere Sebastian
Smythe!” lo aveva
accusato con voce più stridula che lo aveva fatto sospirare
prima di stringersi
nelle spalle.
“Siamo solo fratellastri, padri
diversi” spiegò in
tono spiccio ed indifferente.
“Ma è
orribile!” aveva strillato Kurt con voce in
falsetto che fece ridere il suo interlocutore.
“Perché credi che
ogni notte mi svegli urlando?”
Kurt aveva alzato le mani a zittirlo, evidentemente agitato.
“Tu non capisci: a quest'ora
Blair lo avrà già
letto, posso considerarmi un uomo morto e sono in ritardo da quella
tiranna di
sua madre, quindi sono morto e nuovamente morto” aveva
continuato a parlare in
tono agitato.
“Non credi di star leggermente
esag-”.
“Kurt!”
“Sebastian!” si erano
entrambi riscossi alla vista
delle due giovani che si erano fermate di fronte al loro tavolino:
avevano
scrutato entrambi prima di fissarsi l'un l'altra.
“E TU CHE CI FAI
QUI?” si erano aspramente
rimbeccate mentre Kurt gemeva, una mano sul viso.
“Che ti avevo detto?”
aveva pigolato, afferrando
nuovamente il vassoio mentre Blair, dopo aver scambiato altre occhiate
di fuoco
con Serena, lo afferrava per il braccio.
“Andiamocene, Kurt,
non è luogo per noi” aveva
commentato altezzosamente fissando schifata la sua rivale.
“Avanti, facci un
video mentre usciamo guardandoti con disprezzo”.
“Per l'ultima volta B, non sono
stata io a filmarti
insieme a Chuck, è stato.. Sebastian!” il giovane
si era alzato dalla sua
postazione, una mano affondata nella tasca del suo soprabito, l'altra
che
reggeva il suo caffè, passò davanti a tutti senza
degnare di alcuno sguardo le
due litiganti.
Solo quando passò
vicino a Kurt, schiuse appena le
labbra.
“Stasera, all'Empire Hotel di
Chuck Bass, non
mancare”.
Kurt boccheggiò e,
le voci di Serena e Blair
registrate in un angolo remoto della sua mente, continuò ad
osservare la figura
del giovane mentre si faceva largo tra la folla prima di uscire in
strada.
Occorse molto tempo e
un'invettiva di Blair perché
si rendesse conto che non aveva ancora smesso di sorridere.
~
Come aveva immaginato, ben
lungi dall'essere la
serata di beneficenza tanto decantata dagli articoli dei giornali,
quella
serata avrebbe ospitato, nello stesso salone celebrativo,
l'élite di Manhattan.
Che altro non consisteva in donne di mezza età che ancora
cercavano un anelito
di popolarità: evidentemente avere un conto bancario
spropositato non
compensava la mancanza di un minimo senso in tante vite futili. Che lui
riuscisse a sentirsi la voce della moralità in quel contesto
nel quale tutto
ciò che contava era il denaro, il lusso e le apparenze
sociali, era abbastanza
eloquente del tipo di situazione nella quale si fosse cacciato.
Era stato particolarmente
soddisfacente, tuttavia,
illudere Lily di aver abboccato alla sua iniziativa da
“famigliola felice ed
unita” ed era certo che la figlia fosse ancora troppo scossa
dal recente
litigio con Blair e si stesse preparando ad un'altra serata, per dirle
quale
fosse il proprio intento.
Aveva osservato il suo
riflesso con evidente
soddisfazione: dopotutto quei tight d'alta moda non facevano che
metterne in
risalto la figura longilinea e, tanto per entrare bene nel ruolo, aveva
modellato i capelli perché gli ricadessero all'indietro,
mettendo così in
risalto i bei lineamenti e la lieve spruzzata di barba.
Si era presto scostato dal
clan Van Der
Woodesn-Humphrey con la scusa di prendere un drink ma aveva cominciato
a far
vagare lo sguardo tutto attorno, domandandosi se avrebbe scorto un viso
familiare tra tante persone anonime, per quanto tutte calzanti abiti di
alta
sartoria o circondate da lustro e sfarzo che, così riunito,
diveniva quasi
pacchiano e persino qualcosa di naturale.
Scosse il capo tra
sé, prima di avvicinarsi al
balcone per farsi preparare da bere: il bicchiere tra le dita e il
gomito
appoggiato indolentemente sulla superficie piana mentre faceva
nuovamente
vagare lo sguardo sulla sala. La sua lenta e annoiata contemplazione si
interruppe
nello scorgere una familiare sagoma e un sorriso gli curvò
le labbra prima di
rimettersi eretto e, dopo aver ordinato un bicchiere di champagne, si
rimise in
piedi.
Si stava guardando attorno con
lo stesso entusiasmo
di un bambino nello scorgere qualche viso evidentemente familiare: era
evidente
che quell'ambiente gli suscitasse una sincera trepidazione, il braccio
porto
cavallerescamente alla capricciosa Blair, fino a quando Sebastian non
si era
fermato alle sue spalle.
Si era chinato al suo orecchio
come quella stessa
mattina, il calice di fronte a lui e un sorriso nel sfiorare appena
l'orecchio
con la punta del naso.
“Sei arrivato” aveva
sussurrato con voce roca e
flebile nell'orecchio, sorridendo del suo evidente trasalimento:
l'attimo dopo
si era volto in sua direzione, gli occhi sgranati di sorpresa, le
labbra
schiuse e le guance rosate.
“Sebastian” ne aveva
bisbigliato nuovamente il nome,
quasi riuscisse a malapena a respirare.
“Chuck Bass” si
intromise un'altra voce suadente,
nel volgersi al gruppetto per poi osservare la giovane e porgerle il
braccio. “Un
incantato Chuck Bass, se possibile questa sera sei persino
più splendida".
“Lo so” Blair aveva
scrollato le spalle seppur un
sorriso compiaciuto le curvasse le labbra: lasciò il braccio
di Kurt dopo aver
scambiato uno sguardo allusivo e si strinse a quello di Chuck.
“Signori, buon
divertimento” si rivolse a questi
ultimi. “E se avete bisogno di una suite, non esitate a
farmelo sapere” aveva
ammiccato in direzione di Sebastian che aveva fatto schioccare la
lingua sul
palato, lo sguardo ancora incatenato a quello di Kurt.
“Non mancheremo”
aveva commentato, il sorriso
persino più esteso al vedere il giovane imbarazzato.
Era sempre stato romantico di
natura, in vero, Kurt
ma – appena varcata la soglia del lussuoso hotel - non aveva
potuto fare a meno
di domandarsi se nuovamente avrebbe incontrato il giovane di quella
mattina. Vi
era qualcosa nel suo sguardo, nel suo modo di sorridere così
sicuro di sé e del
suo fascino, quel modo di agire molto più estroverso e
sfacciato che riusciva,
ad una maniera del tutto particolare, a metterlo in soggezione. O
probabilmente
era il ricordo ancora palpabile dell'esatta sfumatura delle sue iridi:
il solo
pensiero di quello sguardo penetrante e del modo in cui avesse
sussurrato al
suo orecchio e persino di quella sorta di invito, erano sufficienti a
strappargli il respiro. A renderlo davvero scalpitante e trepidante
all'idea di
rivederlo.
Non aveva neppure parlato ma
era riuscito a
riconoscerlo ancora prima che si palesasse e ne scorgesse nuovamente il
volto,
quasi una parte di sé gli fosse ormai così
avvinta da distinguerne la presenza.
Non poté trattenere
l'effluvio di emozioni a
scorgerne nuovamente il viso: sembrava persino più
affascinante in quel bel
completo di marca, in quell'acconciatura che sembrava impreziosirne i
lineamenti e conferirgli un alone più signorile e dovette
ringraziare il suo
impeccabile gusto per la moda, se non si era sentito a disagio da quel
versante.
L'altra coppia si era appena
allontanata che aveva
visto il giovane porgergli la mano ed indicare la pista da ballo, dopo
aver
posato il suo bicchiere sul vassoio del primo cameriere di passaggio.
“Vieni, diamo a Gossip Girl un
motivo per cui
parlare” aveva sussurrato in tono sardonico ed allusivo, di
nuovo quel sorriso
più suadente ma Kurt sentì le gote infiammarsi.
“Qui...?”.
“Kurt, di solito non porto un
ragazzo che ho appena
agganciato nel cubicolo di un gabinetto: sarebbe così volgare”
aveva
commentato, storcendo il naso ad una maniera così
aristocratica ed altezzosa
che Kurt avrebbe persino potuto ridere se non fosse stata ben altra
emozione a
scuoterlo nel profondo.
Probabilmente avrebbe dovuto
essere quello il
segnale a fargli comprendere che avrebbe seriamente rischiato di
lasciarsi troppo
andare: ma, di fatto, guardandosi nervosamente attorno, si stava
lasciando
condurre verso la pista da ballo.
Sebastian doveva averne
intuito l'imbarazzo ma
aveva sorriso maggiormente e, l'attimo dopo, con un fluido movimento,
la sua
mano ne aveva cinto il fianco e l'aveva avvinto a sé. Si era
chinato al suo
orecchio, un sospiro nuovamente appena percepibile.
“Rilassati: non mordo, almeno
fino ai preliminari”
aveva alitato nel suo orecchio e il giovane aveva emesso un verso
strozzato
d'emozione e di indignazione.
Aveva sollevato il mento, le
sopracciglia
aggrottate per quel continuo schermirsi di lui: le braccia esili che ne
cingevano il collo in un gesto più intimo e confidenziale,
ignaro degli sguardi
loro volti.
Le sopracciglia inarcate e le
labbra piegate in un
sorrisetto più allusivo.
“Pensi davvero di arrivare a
tanto?” aveva
domandato, il tono volutamente ironico malgrado sostasse in quella
posizione,
dondolandosi a sua volta a tempo di musica e lasciando che gli facesse
fare una
lieve piroetta prima di avvincerlo nuovamente a sé, la presa
ben salda sul suo
fianco.
“Non lo penso” aveva
sussurrato contro il suo
orecchio, facendo scivolare il respiro lungo la linea sensibile del suo
collo.
“Io lo so” aveva soggiunto, strappandogli un verso
di indignazione ma una
rapida risposta altrettanto ironica.
Ma più volte
dovette cercare di non sorridergli,
più volte di nascondere l'emozione di quel contatto o di non
lasciarsi
completamente annullare da quello sguardo che sembrava cercare qualcosa
di
preciso, scavare tra le sue emozioni e renderlo più
vulnerabile di come si
sentisse.
Persino quando, una volta
allontanatisi dalla
folla, si ritrovò premuto contro la parete, e il respiro di
Sebastian contro il
proprio orecchio, cercò di restare fedele a se stesso.
Persino negli sguardi che si
incontravano a poche
spanne, nel respiro più accelerato e in quel luccichio dello
sguardo quando lo
guardò: non lo stava semplicemente contemplando, sembrava
volerlo letteralmente
immobilizzare nello sporgersi al suo viso.
Aveva sentito tutto il sangue
fluire al viso, la
mano di Sebastian ancora avvinta al suo fianco, il suo respiro caldo
sul viso
ma si era irrigidito, le labbra tremanti.
Dovette accorgersene
perché si fermò e Kurt arrossì
ulteriormente ma fu lesto ad appoggiare le mani al suo petto, quasi a
trattenerlo.
“Scusami” aveva
bisbigliato, la voce più rauca. “...
mi piaci. Mi piaci molto” aveva soggiunto, le guance che si
erano nuovamente
arrossate, facendo sorridere l'altro giovane.
Questi aveva sfregato il naso
contro la sua
carotide, strappandogli un singulto strozzato e facendogli
letteralmente
scoppiare il cuore in gola, nel tentativo di restare lucido e presente
a se
stesso.
“Ma... io...”.
“Tutta questa timidezza
è insolitamente eccitante”
aveva replicato l'altro, il sorriso sulle labbra mentre sfilavano lungo
la sua
guancia, scivolando verso il collo, rendendo il respiro di Kurt persino
più
flebile. Fu con un enorme sforzo che riuscì ad aumentare la
pressione sul suo
petto così da farlo gentilmente scostare per rimirarlo in
viso: si stava
morsicando il labbro, lo sguardo basso e le guance ancora arrossate.
“Mi dispiace, non posso... non
così” aveva
sussurrato con voce flebile.
Sentì la pressione
di Sebastian sul suo fianco
venir meno e pregò perché infrangesse quel
silenzio sceso tra loro, fin quando
non lo sentì sollevargli il mento così da
rimirarlo in viso: le sopracciglia
inarcate e lo sguardo interrogativo.
“Non hai mentito: so di
piacerti” aveva constatato
guardandolo negli occhi e fu ancora più difficile per Kurt
trovare le parole.
“... allora qual è il problema?”.
“Il mio primo bacio”
aveva esalato, le guance
infiammate e le labbra tremanti “... se prima potessimo
frequentarci,
conoscerci meglio, se tu volessi una-”.
“Una relazione?”
aveva domandato Sebastian ma, di
fatto, si era già scostato, le braccia incrociate al petto e
le sopracciglia
inarcate.
“Torno in Europa tra
due settimane, Kurt e temo di
non essere il tipo da relazioni. Almeno quelle che durano
più di quindici
minuti, il tempo necessario per... sì, hai capito”
aveva replicato e Kurt sentì
il cuore strozzato in una morsa dolorosa, il respiro venir meno mentre
gli
sembrava che tutta l'aria fosse venuta a mancare.
Boccheggiò ma
rimase silente.
Ma sembrava già
aver capito, già deciso: si strinse
nelle spalle e affondò le mani nelle tasche dei pantaloni,
completamente
incurante di sgualcirle a quella maniera.
Un ultimo sguardo o
così lo interpretò Kurt.
“Se cambiassi idea, saprai dove
trovarmi. Buona
notte, Kurt” non aveva atteso risposta e si era allontanato.
Lo aveva osservato a lungo,
cercando di convincersi
che la propria fosse stata la giusta decisione.
Ma sembrò arduo,
terribilmente arduo, soprattutto
nel loft che condivideva con Dan, quando, dopo essersi congedati,
rimase a
lungo seduto sul proprio letto a sfiorarsi le labbra.
Quasi riusciva a sentirlo: il
dolore di un bacio
mancato.
Chi aveva detto che la Francia
fosse il paese
dell'amore? Sicuramente non conosceva il fratellino rinnegato di S.
Sembra
proprio che il caro SebastiHard abbia portato dall'Europa qualcosa di
più dello
spazzolino da denti. Forse qualche abitudine che non era nota alla cara
mammina?
Avvistato: SebastiHard che
esce dal bagno di uno
streap bar per gay nel quartiere più dissoluto della
città; sembra che
dopotutto non tutti soffrano il gelo invernale. E sembra, soprattutto,
che io
abbia trovato un nuovo amico.
xoxo Gossip Girl
Aveva lasciato ricadere il
cellulare sul comodino
accanto al letto, si era immerso maggiormente sotto le coperte.
Affondò il viso nel
cuscino, morse le lenzuola e
chiuse con forza gli occhi, sperò che il sonno lo
raggiungesse subito.
~
Blair storse il naso mentre
faceva scorrere la
timeline della schermata del sito di Gossip Girl: sembrava che negli
ultimi
giorni, la tanto odiata fonte di gossip si fosse concentrata su un solo
obiettivo. E come se non bastasse aveva bellamente ignorato i suoi
spostamenti
nonché la sfilata della madre, se non riportando soltanto un
breve articolo
mostrando una fotografia di Kurt particolarmente provato ed alludendo
ad una “sindrome di mancanza da
SebastiHard”.
“Stai scendendo sempre
più in basso, Gossip Girl”
commentò tra sé e sé mentre
tambureggiava con le dite smaltate sul touchpad del
portatile.
“Non che mi sorprendi,
è figlio di Lily” aveva
soggiunto con la stessa smorfia sprezzante. Si riscosse alla vibrazione
del
blackberry e lo sollevò per poi osservare il nome del
chiamante. Premette il
pulsante per ignorare la telefonata, prima di ricevere un sms.
[From
Serena 11.24 AM]
B, rispondi. Non è
una domanda.
“Come se le Waldorf prendessero
ordini da qualcuno”
aveva borbottato infastidita, mentre Dorota, il pancione sempre
più proteso per
l'imminente e seconda nascita, prendeva a spolverare.
“Signorina Blair, non
può continuare ad ignorare la
signorina Serena”.
“Allora rispondile tu, sempre
che in Polonia esista
qualche rito voodoo che possa essiccarle le ovaie per linea
telefonica”.
La cameriera aveva borbottato
qualcosa nella sua
lingua madre prima di rispondere al telefono che non aveva smesso di
squillare
dall'ultimo messaggio che aveva deliberatamente ignorato.
“Signorina Serena, salve.
Sì, è qui con me ma non
vuole rispondere!” aveva alzato la voce alle ultime tre
parole, una smorfia in
direzione della giovane che in risposta aveva incrociato le braccia al
petto,
gli occhi sollevati al cielo.
Dopodiché si era
messa in ascolto, annuendo.
“Dice che è
importante” aveva commentato, porgendole
il cellulare ma la ragazza si era ritratta come se le avesse sferrato
contro un
pugnale.
“Forse vorrà
informarti su quanti gay single il suo
fratellino si sia portato a letto nell'ultima ora”.
“Dice che è per il
signorino Hummel”.
“Kurt?” aveva
domandato la giovane che era sembrata
evidentemente indecisa di fronte allo sguardo promettente di Dorota.
Aveva
sbuffato, infine, e le aveva fatto cenno di avvicinarle il cellulare
all'orecchio.
“Hai due minuti, S., non ho
tempo da perdere”.
~
Non sapeva esattamente
perché si trovasse in quel
luogo fuori dall'orario lavorativo dopo che, per giunta, Eleanor era
andata in
Francia per una settimana di relax dopo gli impegni per la sfilata. Ma,
come
aveva scoperto da quando si era trasferito a New York, non era
assolutamente
facile, anzi era impossibile dire di no a Blair
Waldorf ed aspettarsi
che ella desistesse tanto rapidamente. Certo, la prospettiva di poter
provare
qualche abito della sfilata o persino di curiosare nelle zone
più remote di cui
Blair aveva l'accesso, era una prospettiva eccitante. Ciò
almeno gli avrebbe
impedito, per qualche ora se fosse stato abbastanza fortunato, di
continuare a
scrutare imperterrito il proprio cellulare, alla ricerca di qualche
nuovo
aggiornamento dallo spietatissimo sito di gossip.
Non era mancato giorno nel
quale non avesse
osservato quelle fotografie e ripensato a quella serata e
ciò che ne sarebbe
stato dell'epilogo se si fosse completamente lasciato andare.
Si costrinse a tornare alla
realtà quando Blair gli
mostrò un completo, ancora avvolto nel cellofan, costituito
da una camicia nera
di seta e un paio di attillati pantaloni dorati che avevano davvero
l'aria di
essere una riproduzione di...
“Oh, mio Dio: sono, sono loro!
I pantaloni che
indossava-”.
“
Hugh
Jackman
in “Not the boy next door”: mia madre era una sua
fan o forse il compagno di mio padre, non lo so[11]”
aveva borbottato
in tono chiaramente indifferente prima di porgergli il tutto con
delicatezza.
“Perché non li provi?”.
Lo sguardo di Kurt
sembrò essersi illuminato ma
altrettanto rapidamente aveva indietreggiato e scosso il capo.
“No, non posso” .
“Oh, avanti: quando mai ti
potrà ricapitare, non
puoi vivere nell'Upper East Side senza commettere qualche
follia”.
“Veramente io vivo a
Broo-”.
“Per carità, non
nominarlo neppure quel luogo” aveva
ribattuto con sguardo sprezzante prima di indicargli il camerino con le
sopracciglia inarcate, muovendo il completo di fronte a lui come un
giocattolo
di fronte ad un cucciolo.
Un sorriso suadente le aveva
curvato le labbra
nell'osservarlo ritirarsi dietro il camerino prima che il suo cellulare
l'avvertisse dell'arrivo di un messaggio.
[From Serena 03.35 PM]
Stiamo arrivando, trattienilo.
Non avrebbe mai ammesso di
essersi, se così si
poteva dire, abituato all'Upper East Side, di certo tutta quella sorta
di fama
e popolarità era piuttosto divertente, ed era stato un modo
abbastanza efficace
per trascorrere gli ultimi dieci giorni.
Avrebbe soltanto dovuto
concludere la settimana in
bellezza prima di far ritorno alla sua vita parigina. Studiò
accigliato la
ragazza al suo fianco, ancora incredulo di essersi davvero lasciato
convincere
a seguirla: aveva osservato le porte dell'ascensore richiudersi con il
caratteristico ronzio.
“Ricordami ancora
perché mi trovo qui”.
“I modelli gay, ricordi? E poi
Eleanor ha visto le
tue foto su Gossip Girl, saresti un perfetto testimonial”.
La risposta parve essergli
sufficiente visto il
sorriso tronfio e sicuro di sé.
“E immagino che questo non sia
un modo per
infastidire ulteriormente la tua ex amichetta” aveva
domandato con le
sopracciglia inarcate e le mani affondate nelle tasche del soprabito.
“Più o
meno” aveva risposto vagamente, sorridendo
all'arrivo di un messaggio.
“Di nuovo Gossip
Girl?” aveva domandato
sfacciatamente sorridente ma Serena ma si era stretta nelle spalle.
“E' Dan”
aveva risposto con un sorrisetto allusivo al che Sebastian aveva alzato
gli
occhi al cielo prima di osservare le porte schiudersi con evidente
sollievo.
Non avrebbe sopportato i retroscena della cosiddetta “Derena
Love Story”
intrisa di separazioni e di riappacificazioni che facevano concorrenza
ad una
squallida soap opera adolescenziale.
Si lasciò condurre
dalla giovane attraverso gli
ampi corridoi dalle cui vetrate si poteva osservare il sole morente che
donava
all'ambiente un alone rossastro e quasi rilassante alla vista.
Si era guardato attorno
piuttosto circospetto,
soprattutto il denotare che non sembrasse esserci alcuna presenza della
Direttrice, tanto meno di sarti o modelli che facessero avanti ed
indietro.
“Là
dentro” lo aveva esortato Serena e, dopo averle
rivolto un altro sguardo circospetto, era entrato in quella che
sembrava essere
la camera di prova delle modelle data la presenza degli ampi specchi
sulle
pareti.
“Blair?” una voce
familiare dal camerino alle sue
spalle e, l'attimo dopo, così lo vide dal riflesso, Kurt Hummel vestito di un
paio di pantaloni
dorati, incredibilmente attillati, e una camicia di seta, comparve a
pochi
passi da lui.
Fissarono entrambi il riflesso
dell'altro, senza
parole.
“E' entrato?” Blair
era uscita dal nascondiglio con
la stessa espressione esaltata di quando un complotto giungeva a buon
fine.
“Credi che andrà
tutto bene?” aveva domandato Serena
con tono preoccupato e Blair si era stretta nelle spalle.
“Credo che Kurt
potrà ritenersi fortunato se non gli
strapperà quei pantaloni con lo sguardo” aveva
replicato e si erano osservate
un lungo istante prima di ridere.
“Mi dispiace, B per tutta la
faccenda del video”.
“E' acqua passata, avrei dovuto
saperlo che non era
opera tua: ma dovrò escogitare un modo per farla pagare a Sebastard.
E
se farà soffrire di nuovo Kurt, lo farò deportare
in Bielorussia”.
Aveva sgranato gli occhi ed
era rimasto immobile,
completamente sconvolto: sembrò aver perso il respiro, il
viso era divenuto
completamente esangue mentre indietreggiava, dopo essersi guardato
nervosamente
attorno ed aver compreso cosa doveva essere successo.
Alla fine lui stesso era stato
vittima di uno dei
famosi intrighi di Blair Waldorf ma di certo non avrebbe immaginato che
ciò
avrebbe comportato la presenza dello stesso giovane il cui ricordo non
aveva
mai smesso di tormentarlo.
Sebastian non
sembrò essersi scomposto: dopo il
primo istante di stasi e di immobilità nel quale era rimasto
ad osservarne
l'esile figura alle sue spalle, studiandolo attraverso lo specchio, si
era
voltato.
I loro sguardi si incrociarono
nuovamente e Kurt si
sentì più vulnerabile e fragile che mai: se aveva
sempre avuto la percezione
che il giovane di fronte a lui riuscisse a sondare la sua stessa anima,
indossare quelle vesti tanto compromettenti sembrava essere un vero e
proprio
suicidio involontario.
Silenziarono a lungo ma
lentamente le labbra di
Sebastian si piegarono in un sorriso allusivo. Lo osservò
umettarsi lentamente
le labbra e quasi istintivamente si ritrasse ulteriormente,
suscitandone un
verso di lieve ilarità.
“Quel rossore continua ad
essere eccitante. Ma non è
la sola cosa” aveva convenuto, le mani ancora affondate nelle
tasche mentre, il
viso inclinato di un lato e il sorriso suadente, si avvicinava: lo
sguardo
incatenato a quello del giovane che non aveva potuto che
indietreggiare, quasi
sgomento. In trappola, un pensiero
repentino che lo indusse ulteriormente ad irrigidirsi.
“N-Non sapevo che saresti stato
qui” si sentì in
dovere di dire, per qualche strano motivo che fece soltanto sogghignare
il
giovane.
“Oh, non lo metto in
dubbio” aveva replicato l'altro,
senza tuttavia interrompere quello scambio di sguardi. “...
ma se non vuoi
essere baciato, hai sbagliato pantaloni” aveva sussurrato una
volta che si era
fermato di fronte a lui: si era chinato a sussurrare quelle parole al
suo
orecchio e Kurt aveva emesso un ansimo d'emozione, percependo
nuovamente quella
scarica di brividi.
Brividi caldi e freddi scesero
lungo la spina
dorsale: consapevole che se non vi fosse stata la parete alle sue
spalle non
sarebbe stato in grado di sopportarne lo sguardo.
Aveva reclinato il capo, il
bisogno di continuare a
sondare in quello smeraldino e, tuttavia, la consapevolezza ch'egli non
avrebbe
agito.
Non se non lo avesse
desiderato.
“Se non vuoi che io possa
conoscerti, hai sbagliato
ad avvicinarti” aveva sussurrato e, malgrado il rossore sulle
guance e la
difficoltà ad articolare persino motto, ne aveva sostenuto
lo sguardo.
Rimasero entrambi immobili e
silenziosi, un altro
lungo istante prima che Sebastian sorridesse, vagamente ironico, il
viso
inclinato di un lato.
“Me ne andrò tra
quattro giorni” lo aveva informato,
scostandosi ma era stato Kurt questa volta a ridurre le distanze, le
mani
adagiate al suo petto a trattenerlo.
“Allora ti chiederò
soltanto quattro giorni” aveva
replicato, la voce più flebile mentre, lentamente, lo
sguardo di Sebastian era
attraversato da un remoto guizzo di divertimento o di qualcos'altro,
non
avrebbe saputo dirlo.
Un vago cenno d'intesa.
“Quattro giorni saranno
sufficienti a farti
desistere”.
~
Non aveva avuto mai niente di
simile ad una vera e
propria relazione per propria idiosincrasia al riguardo e
ciononostante, quella
che stava vivendo con il giovane in quei giorni era stato quanto di
più vicino.
Aveva imparato ad apprezzarne in breve la compagnia: ben lungi
dall'osservarlo
soltanto ad un'ottica meramente fisica e carnale, seppur l'occhio,
specie un
occhio allenato come il suo!, volesse la sua parte.
Ciò che ne aveva
apprezzato fin da subito, una
volta superato quel velo di emozione che lo faceva sembrare
così timido ed
indifeso (non che ancora non mancasse di arrossire a quella maniera
deliziosa,
nei momenti in cui ardiva qualche parola o gesto di particolare
confidenza)
erano quelle schermaglie ironiche che intrattenevano spesso e
volentieri. Nelle
quali entrambi adottavano un atteggiamento più puerile
nell'ostinarsi a volere
ragione sull'altro e spesso e volentieri per le questioni
più frivole come il
gusto nell'abbigliamento che Kurt riteneva intoccabile; ma tutt'altro
che
litigi all'insegna dell'ostilità. Al contrario, sembravano
all'insegna della
mera e semplice complicità che li vedeva sostare persino in
quei battibecchi
con un sorriso più spensierato.
Per la prima volta,
soprattutto, aveva vissuto
l'emozione scalpitante di un primo bacio: il primo bacio di Kurt, il
quale lo
aveva accolto con quel rossore sulle guance e quello scintillio nello
sguardo
così devoto ed emozionato che persino lui era riuscito a
sentire l'anelito di
un calore sconosciuto da molto tempo.
Il riflesso delle sue stesse
emozioni che
sembravano invaderlo, come potessero trascendere da quel corpo
più gracile che
stringeva quasi con l'implicito timore di poterlo spezzare ad una
pressione
troppo intensa eppure, al contempo, volendo trattenerlo come ad
assicurarsi che
non avesse a sfuggirgli.
Avevano cenato nel loft di
Brooklyn (dopo che Kurt
lo aveva letteralmente trascinato e, per una volta, si era detto
d'accordo con
Blair nel rimirare quel distretto come una discarica a cielo aperto
rispetto al
lusso e sfarzo da cui era si era fin troppo abituato in quelle
settimane) nel
quale Kurt si era premunito di creare un'atmosfera ad arte con tavola
apparecchiata per due, candele e musica di sottofondo.
“Se hai scelto questa sera per
perdere la tua
verginità, potrei essere di buon umore” aveva
convenuto con suadente divertimento
nel vederlo arrossire come da regola.
Erano usciti nel balcone dopo
aver consumato la
cena: rimirando il cielo stellato come le luci dei locali dell'Upper
East Side
non avevano mai concesso ed era stato quanto una folata di vento aveva
scarmigliato
i capelli di Kurt, che Sebastian aveva compreso di non poter
più pensare di
trascorrere un altro istante con lui senza avvalersi di quel bacio
ancora in
sospeso tra loro.
Era stato un momento spontaneo
quello con cui ne
aveva spostato quel ciuffo sbarazzino che soleva spesso ricadergli
sulla
fronte: i loro sguardi si erano incrociati, aveva osservato il rossore
sulle
sue gote eppure entrambi erano rimasti immobili a contemplarsi, in
attesa di
quel gesto che suggellasse quel momento.
“Scostati adesso se non
vuoi” aveva sussurrato con
voce più rauca ma il giovane aveva sorriso in risposta
mentre le braccia
affusolate ne cingevano il collo.
“Hai intenzione di farmi
attendere ancora per
molto?” aveva domandato in tono sardonico mentre l'altro
aggrottava le
sopracciglia, facendolo cozzare contro il muro esterno del loft.
“Non provocarmi”
aveva sussurrato a fior di labbra
ma non vi era stato tempo per altro o non gli avrebbe comunque concesso
diritto
di replica.
Non in quel momento almeno.
Era stato con un movimento
fluido quello con cui ne
aveva cinto la gota con la mano libera e si era chinato finalmente a
cogliere
il respiro sulle sue labbra: aveva sentito le sue braccia stringersi
più
strettamente intorno al suo collo, i suoi battiti cozzare contro i
propri e il
sorriso che ne aveva curvato le labbra nel bel mezzo del bacio. Aveva
inclinato
il viso di un lato, dopo essersi scostato per un breve istante, a
coglierle con
maggiore pressione. Ne sfiorò il fianco e lo
attirò maggiormente a sé: il tempo
necessario a lambirne le labbra con più intensità
e conferire un sapore a quel
momento.
Si era scostato dopo un lungo
istante, il sorriso
ancora sostava sulle labbra di Kurt, l'espressione così
trasognata e raggiante
che non aveva potuto che sorridere nuovamente, per poi inarcare le
sopracciglia
al vederlo alzarsi sulle punte.
“Ingordo” lo aveva
blandito, un vezzo ironico che si
estinse nel sorriso che lui stesso impresse nell'ennesimo contatto.
~
Malgrado la sua indole
romantica e sognatrice, non
avrebbe saputo quale termine fosse più opportuno per
definire il suo rapporto
con Sebastian.
Neppure avrebbe saputo dire se
il loro, da parte
propria, fosse un esempio di quello che la letteratura e i film
sentimentali,
ai quali si dedicava spesso e volentieri, definivano “colpo
di fulmine”. Non
perché non mancasse di ricordare quel primo incontro con
evidente emozione e un
anelito più divertito, ma perché non credeva
esistessero metri di paragone per
il tipo di rapporto che avevano instaurato. E neppure per descrivere il
modo in
cui sembrasse esser divenuto così intensamente e
così semplicemente parte di sé
e della propria quotidianità, come fosse divenuto parte dei
suoi pensieri e
fatto presa sui propri sentimenti.
Si era ripromesso che non
avrebbe lasciato che l'imminente
ritorno di Sebastian a Parigi potesse intaccare quell'ultima serata ma
sembrava
che, malgrado nessuno dei due ne facesse parola, il semplice bisogno di
sostare
l'uno tra le braccia dell'altro, fosse più vivo e
scalpitante che mai. E così
avevano sostato anche quella serata tra le consuete schermaglie, una
passeggiata e momenti nei quali le parole erano fin troppo superflue
eppure mai
completamente esaustive.
Lo aveva condotto nella sua
camera d'albergo –
aveva preferito lasciare l'abitazione dei Van Der Woodsen e, a
giudicare dagli
ultimi giorni, aveva particolarmente giovato della totale privacy della
suite
che Chuck gli aveva messo a disposizione – e aveva cercato di
ignorare la vista
delle valigie nelle quali aveva già iniziato a riporre parte
dei suoi effetti
personali. Ma c'era quell'inevitabile tensione negli sguardi, a
comprensione di
quel pensiero che sostava silenzioso tra loro.
Sarebbe stato forse il giusto
momento di parlare di
sentimenti? Forse avrebbe dovuto cercare di guardare dentro se stesso e
comprendere quanto ormai fosse divenuto parte di sé e l'idea
della separazione
gli troncasse il respiro.
A quale pro rendere
più evidente quella realtà che
sarebbe stata fin troppo espressiva e crudele da lì a poche
ore?
Sembrò intuire lo
stato d'animo perché gli si
sedette accanto, togliendogli il bicchiere che neppure aveva sfiorato
dalle
mani, prima di costringerlo a guardarlo in viso.
“Non pensare a nulla
adesso” aveva sussurrato al suo
orecchio e, malgrado quell'intonazione più suadente che lo
contraddistingueva,
vi era quella nota più dolce che fece stringere il cuore di
Kurt, il respiro
appena più convulso.
“Sebastian” ne aveva
sussurrato il nome a mo' di
preghiera o di supplica ma aveva emesso un languido gemito e si era
abbandonato
alla pressione delle sue labbra, laddove quel bacio sembrò
racchiudere tutto
mentre si abbandonavano sul materasso.
Sostò con il capo
affondato contro il suo petto: si
sollevò sul gomito ad osservarlo un lungo istante e, sotto
il suo sguardo
incuriosito, le sopracciglia inarcate, percorse con la mano e
gentilmente quei
lineamenti tanto noti, indugiando laddove i nei ne sfioravano la
guancia a
creare una linea curva immaginaria.
“Kurt”.
“Voglio restare,
stanotte” aveva sussurrato e il
ragazzo aveva schiuso le labbra in un modo di reale sorpresa nel
sollevarsi
appena con il busto: sembrò in procinto di dire qualcosa ma
non gliene diede il
tempo.
Ne sfiorò
nuovamente le labbra, con maggiore
intensità, ricercando la sua mano con la propria,
stringendola e affondando per
un altro istante il viso contro il suo collo, apponendo le labbra a
seguire la
linea immaginaria creata dai nei, baciandoli con devozione.
“Non voglio alcun rimpianto,
nessuna paura o
incertezza: solo noi” aveva sussurrato, lo sguardo azzurro
brillante di una
nuova determinazione nel rimirarne gli occhi. Prima di essere avvinto
tra le
sue braccia con maggiore intensità e sentire le sue labbra
sulle proprie con
maggiore passione e quasi disperazione nell'intrecciare le dita alla
sua nuca,
a trattenerlo per serbare quel calore.
~
La sua pelle era chiara e
delicata come l'aveva
immaginata, quasi rivestita di un pallore perlaceo alla luce della
luna;
sembrava realmente fatto di porcellana e non si sorprendeva fosse un
nomignolo
che gli era stato affibbiato.
Non erano mancate singole
nottate nelle sue
esperienze e neppure di riuscire a intingersi del sapore della pelle di
qualcun
altro, sentire quel calore irradiare e fremere lungo la spina dorsale
ma, per
qualche motivo su cui non voleva realmente interrogarsi, fu tutto
diverso.
Scoprì una
delicatezza e un'attenzione, una premura
che non incisero sulla foga e la passione che sembravano irradiare ma
fecero
riscoprire dei gesti cui non era più avvezzo, eppure
così naturali mentre si
specchiava in quell’azzurro sconfinato dei suoi occhi.
Laddove i respiri si fondevano
e il suo sapore non
era mai sufficiente, laddove continuò a stringerne la mano e
ne intuì la
preghiera anche quando ritrovò se stesso in quel turbine di
emozioni.
Aveva continuato a stringerlo
tra le braccia, aveva
lasciato che si adagiasse al suo petto, ne aveva coperto le spalle con
il
lenzuolo e aveva osservato il modo in cui il suo viso riuscisse a
trovare un
incavo perfetto nello spazio tra il collo e la spalla, laddove lo
sentì
sfregarvi il naso, inducendolo a sfiorarne i capelli.
“Non dimenticarmi”
aveva sussurrato, quasi timoroso:
quasi che quelle parole, se pronunciate a voce troppo alta, potessero
corrodere
quell'atmosfera.
“Come potrei dimenticare un
simile culo?” aveva
commentato in risposta in quel blando tentativo di ripristinare
quell'atmosfera
più suadente e briosa.
Rise Kurt, ma quando Sebastian
rafforzò la
pressione dell'abbraccio, si abbandonò in un tremore
più delicato e
fanciullesco nel socchiudere gli occhi: la mano adagiata al suo torace
ad
ascoltarne i battiti del cuore, socchiudendo le palpebre ad ogni tocco
della
mano di Sebastian lungo la schiena.
Sorrideva, tuttavia, quel
mattino mentre ancora
dormiva: era stato attento a non svegliarlo mentre si scostava per
alzarsi dal
letto ma, anche quando si fu lavato e vestito e le valigie furono
pronte, restò
a rimirarne il volto a lungo.
Non aveva mai amato gli addii
e se anche sarebbe
stato semplice allontanarsi dalla famiglia Van Der Woodsen senza
tradire alcuna
emozione (non che fosse divenuto così sentimentale!), non
avrebbe voluto vivere
il momento della separazione.
Sarebbe stato più
semplice ricordarsi quegli ultimi
giorni e sperava che lo comprendesse e non avesse, così, a
portargli rancore.
Sospirò e rimase
immobile per un altro lungo
istante prima di chinarsi a sfiorarne le labbra, sostò a
pochi centimetri dal
suo viso, un'ultima carezza sul viso di porcellana. Scostò
quel ciuffo
sbarazzino dalla fronte ma si sentiva già lontano un oceano
da lui.
“Addio Kurt”.
Aveva cercato il posto contraddistinto dal suo biglietto per l'imbarco
e si era
lasciato cadere con un sospiro. Ancora un vago sorriso sulle labbra al
ricordo
delle parole di congedo di Lily e come sembrassero realmente
dispiaciuti della
sua imminente partenza. Come, poi, cercasse di nascondere che una parte
di sé
fosse nettamente sollevata perché il suo cognome non sarebbe
più stato
associato a quello che era stato conosciuto dai media come SebastiHard.
Aveva saputo fin dall'inizio
che non sarebbe mai
appartenuto all'Upper East Side ma, fin quando aveva visto quegli occhi
di
zaffiro, era stata una piacevole illusione.
Constatò con uno
sbuffo che gli era toccato il lato
corridoio ma si era seduto, ben intenzionato a ignorare qualsivoglia
presenza.
Neppure si accorse che il suo
vicino aveva appena
abbassato il giornale, un sorriso sbarazzino sul volto.
“Non ho mai visto la Francia ma
la settimana della
moda deve essere incredibile. Te l'ho detto che parlo un ottimo
francese,
vero?”.
Era trasalito e con un gemito
di sorpresa aveva
sondato in quel sorriso compiaciuto e sbarazzino in quel moto
d’allegria con
cui si era dondolato con il busto.
“Kurt”.
“Perché
così sorpreso? Fai un bel sorriso, questa la
mandiamo a Gossip Girl”.
Aveva sorriso, puntando
l'iPhone di fronte a loro e
avvicinando il volto a quello del giovane prima di scattare la
fotografia.
“Un ottimo francese, hai detto.
Niente ripetizioni
di lingua, quindi?” aveva domandato, sporgendosi al suo
orecchio, quella
scintilla di suadente divertimento-.
Ma nella carezza con cui gli
sfiorò il viso e nello
scintillio dello sguardo, vi era tutta la dolcezza, il sollievo e la
gioia di
quell'istante.
Lo aveva visto sollevare gli
occhi al cielo ma vi
era un sorriso vezzoso sulle labbra mentre si sporgeva a sfiorare le
sue per un
breve istante.
“Peut-être[12]”.
“Oh sì, decisamente
sì”.
Lo confesso, questa partenza
mi rattrista ma
dopotutto non sarebbe la prima volta che la vostra intrepida amica,
riesca a
varcare gli oceani. Non ho mai avuto una particolare predilezione per
questi
finali da commediola romantica ma per una volta, e soltanto per questa,
potrei
fare un'eccezione.
A quanto pare il nostro
SebastiHard tornerà in
Francia e non sarà soltanto una valigia quella che
porterà con sé: preparatevi
perché la Kurtbastian Oktober Fest si
è appena conclusa ma non si può
mai sapere!
Sapete di amarmi,
Bisous Bisous,[13]
Gossip Girl
Credo che non mi resti che
aggregarmi al saluto di Gossip Girl, quando mai potrebbe ricapitarmi
l’occasione?
Al solito, i commenti sono
benvenuti e sarei curiosa di sapere quale dei sette racconti sia stato
il più
gradito o se avete una classifica personale al riguardo.
Ringrazio nuovamente tutti
coloro che hanno seguito l’intera settimana,
chissà che non torni con qualche
altro progetto Kurtbastian, ma per questo mese posso dirmi sinceramente
soddisfatta di aver contribuito umilmente e dato un piccolo pegno della
mia
passione per questa coppia, che diventi canon o meno.
Per questo mese
è tutto, buon Halloween!
Kiki87
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