Felice.. a tutti i costi!

di SoleStelle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Matrimonio? ***
Capitolo 3: *** Una luna di miele all’insegna dei ricordi (parte 1). ***
Capitolo 4: *** Una luna di miele all’insegna dei ricordi (parte 2). ***
Capitolo 5: *** I primi dubbi.. ***
Capitolo 6: *** Niente più incertezze.. ***
Capitolo 7: *** Il ritorno. ***
Capitolo 8: *** Una ristrutturazione difficile (parte 1). ***
Capitolo 9: *** Una ristrutturazione difficile (parte 2). ***
Capitolo 10: *** Bambini? ***
Capitolo 11: *** Grazie perché.. ***
Capitolo 12: *** Ci sono anch’io! ***
Capitolo 13: *** È finita. ***
Capitolo 14: *** Cambio di idee. ***
Capitolo 15: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


La porto via, fuggendo da quel posto.. non le avrei mai fatto vivere quello che ho vissuto io.. nemmeno per sogno!
Salgo in macchina e metto, immediatamente, la sicura.
Lei non aveva colpa.. non aveva fatto nulla di male..
Eppure era colpa mia se piangeva, io l’avevo portata li.. sapevo che era una pessima idea, eppure avevo voluto tentare..
Avevo commesso l’errore peggiore: crede che fosse cambiata.
Ma lei non sarebbe mai cambiata!
Metto in moto la macchina e parto.
Una cosa era certa: in quella casa lei non ci sarebbe più entrata!
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
Il primo capitolo è, nuovamente, in formato ristretto..
Ma vi ho già postato il capitolo successivo, come sempre..
Spero che vi piacerà anche questa storia..

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Capitolo 2
*** Matrimonio? ***


*Riccardo*

 
La guardai dormire, accoccolata su di me.
Lo avevo solo sognato o era successo davvero?
Mi passai una mano sulla fronte e sentii il contrasto freddo dell’oro.. guardai la mia mano.. la fede era lì.. non mi ero sognato niente.
Guardai Sara e la vidi con i capelli ancora, perfettamente, raccolti e fissati da piccole forcine impreziosite da diamanti.
Mi ricordai del giorno in cui aveva deciso di usare i diamanti e non le perle..
 
La vidi tornare in studio alterata.. parecchio alterata.
Si chiuse nel suo ufficio, sbattendo la porta, e mi ritrovai con gli occhi della segretaria puntati addosso.
Mi alzai e la raggiunsi nel suo ufficio. Entrai e mi chiusi la porta alle spalle.
“amore va tutto bene?” chiesi. Mi guardò male.
“ti sembra che se andasse tutto bene sarei così?!” rispose, acida, mentre incrociò le braccia al petto sbuffando.
“cos’è successo?” chiesi avvicinandomi.
“è successo che mia madre mi ha imposto di usare delle forcine con le perle blu” disse.
“perle blu?” chiesi. Io non ero certamente molto pratico di matrimoni, ma una sposa con delle perle blu nei capelli con l’avevo mai vista.
“si.. blu.. la sposa deve avere qualcosa di blu, di vecchio, di nuovo, di prestato e di regalato.. è l’usanza.” rispose. “io di blu avevo comprato la giarrettiera, tua madre mi avrebbe prestato il velo con l’attaccatura in diamanti e di conseguenza mi ero orientata sui diamanti per tutto il resto.. ci sono i diamanti sia sui guanti che sulle scarpe.. solo che se devo usare le perle dovrò riorganizzare tutto e ho troppo poco tempo.. ci sposiamo tra meno di un mese e non riuscirò mai a trovare un velo con perle blu, dei guanti e le scarpe en pendant solo perché lei vuole che abbia delle perle blu nei capelli.. quello era il suo matrimonio”. Mi ricordai, solo in quel momento, del grande quadro nel salone di casa sua.. era il ritratto del matrimonio dei suoi genitori e sua madre aveva delle perle blu nei capelli..
“amore calma” dissi, prendendole le mani. “se non vuoi le perle non avrai le perle”.
“certo.. glielo dici tu a lei?!” disse.
“va bene.. stasera diremo che le perle blu non mi piacciono” dissi. “aggiungiamo che sul fazzoletto che metterò nel taschino ci sono i diamanti e non potrà dire nulla”. La vidi guardarmi incredula.
“ma tu non hai il fazzoletto.. abbiamo fatto fare la rosa singola come il mio bouquet” disse.
“in realtà abbiamo entrambe le opzioni.. nel vestito c’era il fazzoletto.” dissi. La vidi illuminarsi e ancora prima che potessi rendermene conto mi ritrovai con lei in braccio intenta a baciarmi, contenta.

 
La strinsi più forte.. era, semplicemente, stupenda..
La sentii muoversi e subito dopo la vidi guardarmi.
“buon giorno” disse, ancora assonnata.
“buon giorno” risposi. Si passò una mano sul viso, mugugnando.
“mi gira la testa” disse, biascicando. Si alzò, mettendosi seduta, ma si risdraiò subito.. “no.. così mi gira ancora di più”. Risi.
“solo perché hai bevuto qualche bicchierino di troppo ieri sera” dissi.
“oltre ai bicchierini di troppo ricordati che ero a stomaco vuoto” rispose.
Su questo non potevo darle torto..
Ci eravamo sposati e avremmo dovuto festeggiare, ma si sa.. gli sposi non riescono mai a toccare cibo, solo champagne.
Avevamo fatto così tanti brindisi, chiamati da un tavolo all’altro, che non mi ricordavo nemmeno quante bottigliere fossero partite.. avevo perso il conto a 30, ancora prima che arrivassero agli antipasti..
Si rialzò e scese dal letto, andando verso la porta.
“dove vai?” chiesi.
“a preparare la colazione amore.. aspettami qui” disse. Obbedii e la guardai sparire in casa nostra.
Nostra.. quella parola non poteva essere più appropriata. Anche se abitavamo lì dentro da meno di ventiquattro ore tutto mi ricordava noi.
I suoi genitori non vollero farci convivere prima del matrimonio, ignari del fatto che io dormivo nella dépendance con lei ogni sera, ma non avevano potuto impedirle di progettarla.
Avevamo lavorato al progetto di casa nostra insieme, curando ogni più piccolo dettaglio..
Sarei riuscito a dire, esattamente, ogni angolo che avevamo modificato: tutti!
Avevamo comprato quella proprietà che era completamente da rifare e, invece di ristrutturarla, avevamo fatto abbattere e ricostruire tutto da capo..
Era tutto perfetto, tutto curato nei dettagli. Era una casa elegante ma moderna, lussuosa ma funzionale..
Nonostante fosse costata un patrimonio non c’era pericolo di fare danni..
Il suo piano cottura era costato quanto un intero mini appartamento.. ma non era certamente inutilizzabile..
Lo aveva voluto perfetto, all’avanguardia e tecnologico.. ma anche pratico e facile da pulire..
Quello era un po’ la linea guida di tutta la casa: vivibilità..
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
ecco a voi il primo capitolo vero e proprio..
Finalmente Sara e Riccardo si sono sposati.. dopo tutto quello che vi ho fatto passare nelle precedenti “stagioni” ve lo meritavate..

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Capitolo 3
*** Una luna di miele all’insegna dei ricordi (parte 1). ***


La vidi rientrare, dopo poco, con un vassoio in mano.
“e anche la cucina è stata inaugurata” disse.
Mi si avvicinò e mi si sedette vicino. Mi spostai verso l’interno per farle più spazio e mi seguì. Mi appoggiò il vassoio sulle gambe e si accoccolò in cerca di un abbraccio. L’accontentai. La strinsi con un braccio mentre con l’altro inzuppai un biscotto nel cappuccino che avevo davanti. Glielo allungai, ma invece di imboccarla le sporcai, volontariamente, la punta del naso con la schiuma poi la baciai, pulendola.
“così è più buono” dissi, prendendola in giro..
Questa era la cosa che amavo più di tutte di lei: non era schizzinosa o musona.. si poteva scherzare senza il rischio di incorrere in ‘inviti turistici’ o schiaffi.
Il suo sorriso era la cosa che mi aveva fatto innamorare di lei: spontaneo, sincero, gioioso ma prezioso.. non l’avevo mai vista regalare sorrisi a chi non lo meritava.
Avevo avuto il ‘piacere’ di presenziare ad alcune cene con parenti dopo l’annuncio del nostro fidanzamento e ogni sorriso che regalava in quelle occasioni era finto. Si leggeva lontano un chilometro che fosse un sorriso di circostanza e non un sorriso sentito..
Le labbra erano inarcate con gli angoli all’insù.. ma gli occhi erano spenti..
“a cosa pensi?” chiese, fissandomi.
“che il tuo sorriso con me è sincero” dissi, peccando di presunzione.
“pavoneggiamoci un po’” disse, prendendomi in giro. La guardai, sfidandola.
“dì di no.” dissi. “di che il sorriso che riservi a me è identico a quello delle cene con i tuoi”. Mi fece la linguaccia.
“ovvio che quello che faccio a te è sincero” disse..
“vedi che non sono io a pavoneggiarmi.” dissi. La tirai più addosso a me. “dico solo che amo il tuo sorriso.. quando sei con me” specificai.
Mi diede un bacio e addentò il biscotto che tenevo in mano.
Ci rimasi leggermente male.. quello era il mio biscotto.. e quella che era mia moglie da meno di dodici ore me lo aveva appena rubato..
Iniziavamo bene..
 

*Sara*

 
Chiusi la porta di casa a chiave e corsi da Riccardo.
Lo trovai intento a caricare l’ultima valigia. Aspettai che chiudesse il baule, poi mi lasciai abbracciare.
“partiamo?” chiese. Annuii, estasiata.. non vedevo l’ora..
Il viaggio di nozze era l’unica cosa che aveva organizzato lui.. ma come lui non aveva messo becco nel matrimonio io non avevo messo becco in quello.. anche se le cose erano ben diverse: lui mi aveva volutamente tenuta all’oscuro di tutto, io cercavo di coinvolgerlo ma a lui non interessava e mi liquidava con un semplice ‘potremmo sposarci anche in comune che non mi cambierebbe.. a me interessa il risultato finale non il mezzo’.
Per molte donne quella frase avrebbe significato sciogliersi in brodo di giuggiole, io la odiavo.. mi ero dovuta sorbire madre e suocera da sola.. perennemente in contrasto tra di loro mi avevano reso l’organizzazione del mio matrimonio impossibile..
Più mia madre in realtà..
“posso sapere dove mi porti?” chiesi, allacciandomi la cintura. Negò e in risposta sbuffai. “tanto tra poco lo scopro, cosa ti cambia?”. Si sporse e mi diede un bacio leggero, poi mise in moto.
“appunto, tra poco lo scopri... hai aspettato tanto, qualche ora non farà differenza” disse uscendo dal cancello.
Aspettò che si richiudesse poi partì.
 
Mi guardai intorno esterrefatta.. era stupendo quello che avevo davanti agli occhi.. una lacrima mi sfuggì e lui la spazzò via ridendo..
“non ridere” borbottai, commossa.
Ero già stata su quella spiaggia.. esattamente sette anni prima.. con lui.. lo abbracciai e lo sentii stringermi, protettivo.
“ti amo” disse. Lo stinsi più forte e mi alzai, in punta di piedi, in cerca di un bacio. Mi accontentò. “andiamo in camera?” chiese. Annuii, avendo capito il motivo. Mi prese la mano e si incamminò, veloce. Lo seguii fin davanti alla camera. Rimasi incredula..
“era la mia stanza” dissi. Annuì aprendo la porta e io entrai guardandomi intorno..
Avevano rifatto completamente l’arredamento ma la disposizione dei mobili era rimasta identica.. andai in balcone e passai con la mano sul cornicione.. era rimasto identico.. mi raggiunse e lo sentii abbracciarmi da dietro, dondolandosi appena.
“dobbiamo fare ancora una battaglia o arriviamo al dunque prima?” chiese, baciandomi il collo. Mi voltai e gli legai le braccia al collo baciandolo. Mi sollevò e gli legai le gambe in vita. Tornò dentro e chiuse la finestra. Mi appoggiò sul letto e si stese su di me mentre io iniziai a togliergli la camicia.
Tutto era iniziato in quella camera, proprio in quel modo.. perché non fare in modo che continuasse nello stesso modo?
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
chi non ha letto la prima parte della storia “Fine dell’incubo.. inizio della favola..” non può saperlo ma sono a Palma di Maiorca. Ci erano andati con la classe come ‘viaggio della maturità’ è in quell’occasione che tutto iniziò tra loro....

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Capitolo 4
*** Una luna di miele all’insegna dei ricordi (parte 2). ***


Mi lasciai coccolare rimanendo immobile e ripensai a sette anni prima.. quante cose erano cambiate in quel periodo..
Feci un resoconto mentale.. avevo 26 anni ed ero sposata con l’uomo che amavo.. la stessa persona che ora mi coccolava e che sette anni prima aveva fatto altrettanto in quella stessa stanza.
Quella non era la tipica luna di miele dove i due sposini fanno la crociera o vanno in un nuovo paradiso terrestre.. non era una luna di miele con la suite ma era una luna di miele mille volte meglio..
Nella sua semplicità era migliore di molte altre.. eravamo in un posto che per noi significava l’inizio della nostra storia e sancire, ora, un passo così importante nello stesso posto era un’emozione indescrivibile.
“a cosa pensi?” chiese. Alzai il viso per guardarlo e sorrisi.
“a nulla.. e a tutto” risposi. Mi guardò confuso.
“cercare di capire te è come chiedere a un bambino di tre mesi di capire la meccanica razionale1” disse.
“ti amo anche io amore.”. Mi finsi offesa e lui ci fece girare portandosi sopra di me e iniziando a farmi il solletico.
“io ti amo.. ma amo, anche, prenderti in giro” disse.
Iniziai a ridere, chiedendo pietà ma non smise di farmi il solletico fino a quando arrivai a star male dalle risate.
Si fermò e io iniziai a respirare per riprendermi.
“amore siamo sposati da meno di 24 ore e mi vuoi già morta?!” chiesi, prendendolo in giro. Mi prese in braccio coccolandomi e lo lasciai fare.
“ovvio che no.” disse.
Rimanemmo fermi così fino all’ora di cena, poi ci preparammo e scendemmo nella sala ristorante.
Purtroppo quella era una cosa che sarebbe cambiata: il posto del nostro tavolo..
Ora eravamo solo noi due, l’altra volta eravamo una classe intera..
Camminai per tutto il corridoio di entrata abbracciata a lui.. notai molti sguardi su di noi, ma forse era dovuto alla nostra età.. lo seguii fino al centro della sala..
Non poteva essere..
Mi fermai davanti al nostro tavolo e fissai l’enorme mazzo di rose blu che era appoggiato sopra. Lo presi in mano e lessi il bigliettino..
Tre semplici parole..
‘grazie.. ti amo’
Lo guardai emozionata e lo vidi sorridermi. Mi spostò la sedia e mi fece sedere, poi si sedette di fronte a me. Mi guardai intorno e gli presi la mano.
“è tutto semplicemente perfetto” dissi. “sono io a dover ringraziare te”.
Nessun altro uomo avrebbe fatto quello che lui aveva fatto per me..
Mi sorrise e rimasi incantata.
Dio se era bello!
Aveva tagliato i folti capelli neri ma era rimasto ugualmente stupendo.. il fisico era rimasto scultoreo nonostante fossero alcuni mesi che non andava in palestra.. gli occhi verdi erano, se possibile, ancora più luminosi e il colore smeraldo era ancora più risaltato.. il colore bronzeo della sua pelle era più marcato..
E io ero, follemente, innamorata di lui.
Più passava il tempo più mi sentivo attratta da lui.. che si trattasse del suo aspetto fisico o del suo carattere.. tutto di lui era perfetto.. il modo in cui mi parlava, guardava, coccolava. Ero follemente innamorata del modo in cui sorrideva, del modo in cui gestiva i clienti, della passione che aveva messo per progettare casa nostra, del suo volermi proteggere. Tutto di lui mi aveva fatta innamorare e continuava a farlo!
Mangiammo tranquilli, poi volle andare a fare un giro sulla spiaggia.
Inizia a camminare, davanti a lui, e lo vidi seguirmi. Non obbiettò, capendo che avevo già intuito dove voleva portarmi.
 
Per tutta la nostra luna di miele rivisitammo i posti che avevano sancito il nostro viaggio della maturità..
Fu una luna di miele all’insegna dei ricordi e non potevo assolutamente chiedere di meglio..
Fu la vacanza più bella che feci con lui.. e non solo per i ricordi.. tutte le attenzioni che mi riservò furono il meglio che una donna potesse desiderare.
Avevo passato gli ultimi sei mesi dell’organizzazione del matrimonio a vederlo sporadicamente.. si fece perdonare in quella settimana..
Ci ritrovammo sull’aereo del ritorno, diretti a casa, più contenti di quando eravamo partiti.
Mi addormentai appoggiata a lui, nella pace dei sensi.
 
Lo sentii svegliarmi, dolcemente, e mugugnai appena.
“dobbiamo cambiare aereo” disse.
“eh?” dissi.
“dobbiamo scendere amore” disse. Lo guardai dubbiosa.
“prima hai detto cambiare” dissi.
“no amore, ho detto scendere, avrai capito male” disse. Mi tirò appena, alzandomi, e mi abbracciò per sorreggermi.
<< eppure sono sicura di aver sentito un ‘cambiare’ aereo.. >>.
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
1- meccanica razionale: Sara e Riccardo sono laureati in architettura e questa è una delle materie più difficili che sono presenti nella facoltà di “scienze dell’architettura”.
Nella precedente parte di storia “La mia realtà” era stato detto che Riccardo aveva scelto la triennale per poi fare il passaggio alla specializzazione e avevo già utilizzato nomi di materie di questa facoltà.. ho voluto essere coerente e continuare su quella strada..

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Capitolo 5
*** I primi dubbi.. ***


Uscimmo con lui che mi abbracciava per sorreggermi.
Mi passai una mano sul viso e mi staccai da lui.
“ok, sono sveglia” dissi, abbracciandolo normalmente.
“bene, andiamo allora” disse, continuando a camminare.
Lo seguii fino al carrello delle valigie, poi lasciai che tirasse giù le nostre.
Cominciò a camminare ma non lo seguii.
“amore l’uscita è dall’altro lato” dissi, indicando il lato opposto a dove andava lui. Si fermò.
“devo andare in bagno” disse, riprendendo a camminare.
“è da questo lato comunque” risposi. Si voltò e mi guardò male.
“ti dispiace fidarti di me e seguirmi?” chiese, leggermente burbero.
Lo raggiunsi in silenzio e si incamminò, controllando che lo seguissi.
“posso sapere almeno dove andiamo?” chiesi, quasi intimorita.
“diciamo che il nostro viaggio di nozze non è finito” disse, fermandosi davanti ad un nuovo gate.
Posò le valigie sul carrello ed estrasse due biglietti, avvicinandosi all’hostess. Mi prese la mano e mi portò accanto a lui mentre l’hostess gli restituiva i biglietti e ci fece passare.
“dove andiamo?” chiesi, curiosa.
“lo scoprirai quando arriveremo.. questa volta, però, potrai guardare” disse.
Salimmo sull’aereo, dopo aver passato tutti i controlli, e notai subito la differenza..
Per portarmi a Palma di Maiorca aveva scelto la stessa classe turistica che avevamo usato per andarci con la nostra classe.. prima classe.. mentre ora aveva fatto le cose diversamente.. classe luxury.. ancora migliore della prima..
Mi sedetti in una delle grandi poltrone e lo guardai affiancarmi..
Capii perché era ancora migliore della prima classe appena ci sedemmo: le poltroncine erano molto più grandi e potevano diventare dei lettini  allungando i poggiapiedi e regolando lo schienale o divanetti eliminando il poggia gomito interno, tra una fila e quella davanti non c’era lo stesso spazio ma molto di più, davanti a noi avevamo un tavolino con appoggiata sopra una bottiglia di champagne ancora sigillata e due bicchieri avvolti in un tovagliolo, per ogni fila c’erano solo quattro seggiolini, due per lato, e non c’era un’unica hostess ma ogni fila aveva la sua.
Mi prese la mano e la fece intrecciare alla sua. Lo guardai contenta.
“non avrai esagerato?” chiesi. Mi guardò quasi male.
“secondo te se fosse stato esagerato ti ci porterei?” chiese.
“ok, non parlo più” dissi, abbassando la sponda che divideva le nostre poltroncine.
“brava” disse, scherzando. Mi accoccolai su di lui e iniziai a fargli dei grattini sul braccio mentre lui iniziò a coccolarmi.
“ti amo” sussurrai.
“questo puoi dirlo” disse, ridendo. Lo guardai e lo vidi chinarsi su di me. Mi baciò leggermente poi mi fece riaccoccolare su di lui.
Mi addormentai nuovamente, ancora prima di partire..
 
Lo sentii chiamarmi e mi ritrovai completamente sveglia. Scesi dall’aereo, seguendolo. Mi guardai intorno, senza riuscire a capire dove fossimo.
Le scritte di indicazione in varie lingue non mi aiutavano affatto. Capivo, solo, di essere fuori dall’Italia.
Prese le nostre valigie e mi prese la mano.
“amore dove siamo?” chiesi spaesata.
“fidati, vieni” disse. Mi tirò e lo seguii fuori dall’aereoporto. All’uscita trovai una miriade di macchine con autisti e lo vidi avvicinarsi a colpo sicuro ad uno di loro.
Rimasi alle spalle di Riccardo e lasciai che parlasse lui.
“Are you Mr. and Mrs. Avesani, am I right?” disse l’autista.
“yes, we are. Good morning” rispose Riccardo. Lo guardai incantata. Amavo quando parlava inglese. Era estremamente bravo.. “she’s my wife, Sara. Do you remember about her?” continuò, portandomi leggermente in avanti e mostrandomi al signore.
“nice to meet you” dissi porgendo la mano al signore.
“it's my pleasure. Your husband had spoken so much about you, when he phoned me” rispose afferrandomi la mano e stingendola. “if you give me your luggage, I’ll load them” continuò, riferendosi a Riccardo.
“yes, there are over there” rispose indicandoli. L’autista ci aprì la portiera e Riccardo mi fece salire, poi mi seguì. Aspettai che la richiudesse.
“non è molto cordiale” dissi. Mi guardò dubbioso.
“cos’ha fatto che non va?” chiese.
“non si è presentato” constatai. Rise sommesso.
“si chiama Noah” disse. Mugugnai.
“e perché mi ha chiamata signora Avesani?” chiesi. “sbaglio o abbiamo solo aggiunto il tuo cognome al mio?”.
“qui solitamente si usa solo quello del marito, lo avrà dato per scontato amore” disse, giustificandosi.
“suona male” borbottai. Rise.
“mi appurerò che utilizzi anche Righetti” disse, prendendomi in giro. Gli feci la linguaccia.
Sapeva perfettamente che avevo voluto mantenere anche il mio cognome per differenziarmi, ulteriormente, da mia madre che, dopo il matrimonio, aveva adottato solo quello di mio padre.. era un piccolo atto di protesta e lui me lo voleva negare già dal viaggio di nozze..
Siamo sicuri che questo matrimonio non fosse stato un errore?
 
                                                               
 
 
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Note dell’Autrice:
E dopo tanto abbiamo scoperto anche i cognomi dei protagonisti.
Riccardo Avesani e Sara Righetti.. tipici cognomi veronesi.. mi sono documentata anche su questo..
Sarò brava?!
Pecca, però, che sorgano già i primi dubbi sul loro matrimonio.. avranno fatto bene a sposarsi o finiranno col divorziare dopo menola luna di miele?
Per chi fosse negato in inglese: di seguito troverete la traduzione delle frasi in italiano.

 
“Are you Mr. and Mrs. Avesani, am I right?”     “siete il signore e la signora Avesani, giusto?” 
  “yes, we are. Good morning”   “si, siamo noi. Buon giorno” 
“she’s my wife, Sara. Do you remember about her?”   “lei è mia moglie Sara, si ricorda di lei?”
“nice to meet you”   “piacere”
 “it's my pleasure. Your husband had spoken so much about you, when he phoned me”  “piacere mio. Suo marito mi ha parlato molto di lei quando mi ha telefonato”
“if you give me your luggage, I’ll load them”  “se mi date i vostri bagagli provvederò a caricarli”
“yes, there are over there”  “certo, sono laggiù”
 

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Capitolo 6
*** Niente più incertezze.. ***


Mi guardai intorno mentre Noah guidava, ma non riuscii a capire dove fossimo, vidi solo strade e campi..
Percepii la macchina rallentare drasticamente e, guardando fuori dal finestrino, vidi il paesaggio cambiare radicalmente. Passammo dalle strade, parzialmente asfaltate, affiancate dai campi aridi ad una distesa di sabbia bianchissima.
Dovunque guardassi vedevo sabbia bianca. Aguzzai la vista in cerca di un particolare e sentii Riccardo ridere. Mi sporsi in avanti per avere una visuale ancora migliore che quella che avevo dal finestrino posteriore ma mi sentii tirare indietro.
“buona” disse, abbracciandomi. Mi liberai e mi risporsi in avanti mentre lui continuò a ridere. Vidi che rideva anche l’autista e guardai male Riccardo. “si, sa che non deve dirti dove siamo” rispose, capendo cosa significasse la mia occhiataccia. Mi imbronciai.
“non vale” dissi mentre mi riappoggiai al sedile.
“capirai quando vedrai le case” disse. Mi accucciai nel suo abbraccio e lasciai che mi coccolasse fino a quando non sentii la macchina spegnersi. Scattai seduta e scesi dalla macchina senza aspettare che nessuno mi aprisse la portiera.
Vidi l’autista guardarmi dubbioso e subito dopo sentii Riccardo ridere alle mie spalle.
Lo sentii abbracciarmi e lo lasciai fare, incapace di distogliere lo sguardo da quel panorama incredibile..
Sabbia bianchissima e mare cristallino. Sembrava quasi l’acqua della piscina di casa mia tanto era limpida!
Mi guardai intorno e notai una passerella che collegava delle capanne moderne. Vidi l’autista scaricare i nostri bagagli e portarli dentro ad una delle capanne.
Le contai.. ce n’erano cinque e noi saremmo stati nella terza.
Mi tolsi i sandali e, senza curarmi di raccoglierli corsi in quella casa-capanna.
Si entrava direttamente nella cucina. Voltando a destra si entrava nella camera da letto e, sempre sulla destra, si accedeva al bagno.
Il bagno aveva una piccola finestra dal vetro oscurato e la camera aveva una grande finestra. Entrambe le tende erano fatte di paglia intrecciata e dalla fitta trama non entrava nemmeno un raggio si sole. Dovetti scostare la tenda per notare che la finestra della camera affacciava direttamente sul mare.
Tornai in cucina. Tre piccole finestre erano posizionate vicino ai fornelli, scostai le tende e ammirai il mare.
Andai poi dalla piccola porta, che chiudeva la serie di finestre, e l’aprii. Trovai un piccolo balconcino con un tavolino in legno, più piccolo di quello che si trovava in cucina ma lavorato e decorato nello stesso modo. Alla sinistra del balconcino, vicino alla porta, c’era una scaletta che finiva direttamente in acqua. Vidi, con la coda dell’occhio, Riccardo appoggiare la mia borsa e i miei sandali sul tavolino.
Poi, in un attimo, sentii le sue mani sui miei fianchi e subito dopo mi ritrovai in acqua.
Riemersi e lo trovai appoggiato alla ringhiera del balconcino mentre rideva.
“davvero simpatico amore” dissi risalendo lungo la scaletta.
“non puoi certamente dire che sia fredda” disse, seguendomi con lo sguardo. Gli arrivai di fronte e fui affiancata da Noah.
“so, I’ve finished here, if you haven't nothing else to do, I’ll go” disse.
“you can go Noah, it's not a problem” rispose Riccardo.
“ok, see you in two weeks” disse Noah, per poi andarsene.
“two weeks” ripetei.
“guarda che puoi parlare anche in italiano” disse, prendendomi in giro. Lo guardai male.
“amore” sussurrai avvicinandomi, il più sensualmente possibile. Gli saltai in braccio e strizzai capelli e vestiti addosso a lui, che mi rimise subito giù.
“certo che sei bastarda quando ti ci metti” disse togliendosi la maglietta bagnata di dosso. Lo ammirai..
Due settimane..
Non sarebbero bastate.. non se faceva certe cose..
Lo guardai appoggiare la maglietta ad una sedia e lo affiancai facendo altrettanto  con i miei vestiti. Entrai in casa e sganciai il reggiseno. Mi affacciai con solo la testa fuori e glielo lanciai addosso mentre tornai a camminare verso la camera da letto.
Due secondi.
Bastarono due secondi per sentire la sua mano che afferrava il mio braccio. Mi voltai, assecondandolo e gli legai le braccia al collo mentre mi sollevò. Gli legai le gambe alla vita e lo baciai fino a quando non lo sentii appoggiarmi sul letto. Lo liberai e mi spostai verso l’interno del letto. Gli afferrai il braccio e me lo tirai dietro.
Si appoggiò sopra di me, stando attento a non pesarmi e riprese a baciarmi..
Tutti dicevano che il nostro matrimonio era stato un errore e, devo ammetterlo, a furia di sentirmelo dire avevo iniziato a pensarlo anche io.. ma era in momenti come quello in cui capivo che avevano pienamente torto e il nostro matrimonio non poteva essere più giusto!
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
vi ho spaventate per caso?
Eppure dovreste conoscermi oramai..
anche questa volta, per chi non se la cavasse con l’inglese, posterò la traduzione:

 
“so, I’ve finished here, if you haven't nothing else to do, I’ll go” “io qui avrei finito, se non avete altro, andrei”
“you can go Noah, it's not a problem” “può andare Noah, non si preoccupi”
“ok, see you in two weeks” “ok, ci vediamo tra due settimane”
“two weeks” “due settimane”

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Capitolo 7
*** Il ritorno. ***


Mi appoggiai a lui, sudata e stanca, e lo strinsi più forte che potei.
Mi sistemai meglio sul suo petto e ascoltai il battito, accelerato, del suo cuore mentre mi coccolava.
Gli lasciai dei bacetti sulla spalla, dopo essermi spostata, e mi puntai sul gomito per guardarlo bene in viso. Sorrisi.
“ti amo” dissi, chinandomi a baciarlo.
“ti amo anch’io” rispose, sorridendo. “andiamo a fare un bagno?” chiese. Annuii contenta e lo vidi alzarsi dal letto. Aspettai che prendesse entrambi i nostri costumi, da una delle tre valigie, poi mi impadronii del mio. Lo infilai in pochi secondi, poi gli saltai sulla schiena. Mi afferrò senza problemi.
“andiamo?” chiesi col viso appoggiato alla sua spalla.
“andiamo” disse incamminandosi.
Lasciai che andasse sul balconcino poi allentai la presa per poter scendere, ma non mi mise giù.
Scese tutti i gradini e sull’ultimo si tuffò. Rafforzai la presa, leggermente intimorita, e lo lasciai libero quando mi accorsi di essere in acqua. Diedi un paio di spinte con i piedi per tornare in superficie e mi riavvicinai a lui.
L’acqua non era affatto bassa, tant’è che ci si poteva tuffare dal balconcino senza rischiare di farsi male, ma non era nemmeno profondissima, infatti con un paio di spinte si poteva tornare a galla senza problemi..
Era tutto bellissimo..
Eravamo passati da una prima luna di miele semplice, ma fantastica, ad una seconda mille volte più incredibile.
Nonostante ci fosse la cucina non toccai i fornelli per due settimane intere, non mi fece mai cucinare. Per lui quello era il nostro viaggio di nozze ed era giusto che anche io non lavorassi, motivo per cui mi portò sempre fuori, colazione, pranzo e cena.
Passammo una luna di miele fantastica.
Kuoni era una meta turistica che avrei, sicuramente, riproposto per le nostre future vacanze!
Mi divertii tantissimo e, se possibile, mi innamorai ancora di più di Riccardo.
 
Chiusi la porta e consegnai le chiavi a Noah, malinconica e leggermente triste..
Stavo male al sol pensiero di dover abbandonare quel posto per tornare immersa in progetti di case varie.
Salii in macchina e mi sedetti composta.
Il tempo che impiegammo per arrivare in aereoporto fu notevolmente inferiore di quello che, due settimane prima, avevamo impiegato per fare il percorso inverso.
Scesi dall’auto e rimasi a fissare l’aereoporto..
Era, ufficialmente, finita la nostra luna di miele..
Che tristezza..
Salii sull’aereo e mi accucciai sulla mia poltroncina.
Lo sentii appoggiare una mano sulla mia gamba e mi voltai a guardarlo. Lo vidi fissarmi preoccupato.
“cosa c’è?” chiesi.
“lo vorrei sapere da te. Non hai sentito nulla di quello che ti ho detto” disse. “non mi hai risposto.. mi hai completamente ignorato” continuò. Abbassai il viso, colpevole.
“scusa” dissi.
“amore non voglio che mi chiedi scusa, voglio che mi dici cos’hai” disse, preoccupato. Feci un mezzo sorriso.
“nulla” mentii. “solo che.. è già finito” continuai, malinconica. Sorrise.
“siamo due liberi professionisti, possiamo chiudere lo studio e andare via quando vogliamo” disse.
“non sarà mai il nostro viaggio di nozze però” risposi.
“ci saremo comunque noi.. non saremo in Polinesia, certo, ma possiamo andare dove vogliamo e quando vogliamo”. Si alzò e lo guardai dubbiosa. Mi voltai a guardare fuori dal finestrino.. non mi ero nemmeno accorta che eravamo già atterrati a Verona. Mi alzai e lo seguii fuori.
 
 
Entrai in studio e salutai la segretaria, poi mi chiusi nel mio ufficio.
Notai dei fogli sparsi sulla mia scrivania e li guardai curiosa..
<< sono più che sicura di aver lasciato tutto in ordine quando siamo partiti >>.
Sentii bussare alla porta e mi voltai.
“avanti” dissi.
“è passata sua madre la settimana scorsa” disse Giulia. “non ho potuto trattenerla, mi dispiace.”.
<< ecco spiegato tutto il casino sulla scrivania >>.
“non si preoccupi, nessuno riuscirebbe a fermarla” dissi, consapevole che se ci avesse provato avrebbe fatto una brutta fine.
“ha lasciato dei fogli e ha chiesto di richiamarla” disse.
“grazie” dissi. Uscì e io mi sedetti sulla poltrona. Presi il telefono e digitai, veloce, il numero di casa dei miei.
“era ora” rispose, subito, secca.
“sono tornata in studio solo oggi, mi ha detto la segretaria che sei passata” dissi.
“dovresti avere dei fogli sulla scrivania.. è il progetto della dépendance. Lavoraci in modo da trasformarla in una specie di appartamento per i nonni” disse, riattaccando subito..
Era uno scherzo vero?
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
capitolo 7 concluso. Siamo a metà dell’opera, quasi..
Cosa ne pensate? Sara riuscirà mai a liberarsi della madre?

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Capitolo 8
*** Una ristrutturazione difficile (parte 1). ***


Raggruppai i fogli e andai nell’ufficio di Riccardo. Entrai senza bussare e lo vidi guardarmi curioso.
“ho bisogno del tuo aiuto” dissi.
“dimmi” disse, spostando i progetti che aveva sotto al naso. Mi avvicinai e gli aprii i fogli sopra.
Li guardò curioso.
“si tratta di una riprogettazione completa” dissi. “andrebbe ampliata aggiungendo almeno un altro livello”.
“si, ma con questi fogli si capisce poco e niente, sappiamo solo dove sono i muri, le finestre e le porte.. niente attacchi luce, gas e acqua” disse..
“sappiamo dove sono, invece” dissi. Mi guardò curioso. “è la dépendance dei miei”.
“la tua dépendance?” chiese incredulo. Annuii.
“mia madre vuole che la riprogetti completamente per creare un mini appartamento per i miei nonni” dissi, sedendomi in braccio a lui. “solo che non so da dove partire.. si farebbe prima a tirar giù tutto e ricostruire”.
“effettivamente non ha scelto la via più semplice.”. Prese i fogli e li studiò meglio.
Lo vidi grattarsi la testa, pensieroso.
“a cos’hai pensato?” chiesi.
“nulla perché?” chiese guardandomi.
“quando ti gratti la testa vuol dire che hai avuto un’idea.. il più delle volte geniale, quindi: sputa il rospo.”.
“beh, stavo pensando.. la dépendance ha il tetto piano, quindi.. magari potremmo costruirci direttamente sopra usandolo come appoggio.. ci sarebbe più isolamento”.
“non abbiamo muri portanti, non riusciremo a suddividerla decentemente.” protestai.
“e non dividiamola.. eliminiamo la camera da letto giù e la uniamo con la piccola sala. In quel modo manterremo divise le zone notte e giorno.”
“vai avanti” dissi, iniziando già ad immaginare nella mia testa il progetto finito.
“eliminiamo la camera da letto, stringiamo la cucina e creiamo un unico ambiente giorno: la sala, su creiamo un bagno adiacente a quello giù, una camera adiacente alla sala e nella parte della cucina creiamo una cabina armadio.. inspessiamo di qualche centimetro le pareti giù e le proseguiamo fin su, dove verranno inspessite creando un muro normale.. non sarà come avere un muro portante ma sarà altrettanto sicuro” disse.
Effettivamente non aveva tutti i torti..
“semplicemente geniale.” constatai.
Veloce, pratico e perfetto..
Presi i fogli e uscii ringraziandolo.
Mi chiusi nel mio studio e lavorai a quel progetto fino a sera..
Era quasi ultimato.. mi serviva solo un sopralluogo per verificare dove si trovassero eventuali punti con cavi passanti e le misure esatte di distanza dei vari attacchi..
Il tutto sarebbe, ovviamente, stato eseguito a titolo gratuito..
Salii in macchina in contemporanea a Riccardo.
“direi che come primo giorno non c’è male.. si è andati sul leggero, bisogna solo lavorare a quella che era casa tua” disse, ironico.
“già.. dici che se presento una parcella a mia madre si offenderà?” chiesi, stando al suo scherzo.
“no.. dico che diventerei vedovo a meno di un mese dal matrimonio” rispose, facendo manovra e uscendo dal parcheggio.
Arrivammo in pochi minuti a casa dei miei genitori e, senza suonare, entrammo nel cortile. Parcheggiò e scendemmo. Andammo davanti alla porta e suonammo.
Aprirono la porta e ci trovammo Theodor davanti.
Ci fece entrare, salutandoci e lo seguimmo nel grande salone.
Aspettammo di essere annunciati poi entrammo, sotto lo sguardo freddo di mia madre. La vidi guardare male Riccardo e, subito dopo, le nostre mani intrecciate. Sospirai.
“avremmo bisogno di andare nella dépendance per controllare alcune cose” dissi.
“Theodor vi darà le chiavi” rispose mio padre, sorridendomi.
“grazie” dissi. Uscimmo e, dopo aver recuperato le chiavi, andammo nella dépendance.
Mi guardai intorno malinconica.. era assurdo che io, che avevo sempre odiato quel posto, mi ritrovassi a sentirne la mancanza.. eppure era proprio così.
Mi sentii abbracciare da dietro e mi appoggiai al suo petto.
“malinconia?” chiese. Annuii.
“sembrerà strano.. eppure questo posto mi manca.” dissi. Mi diede un bacio sulla testa poi si staccò.
“siediti sul divano, prendo io le misure” disse andando subito a controllare dove fossero le varie prese.
Già, dovevamo prendere le misure noi perché il progetto completo era andato perso..
Ero l’unica a pensare che non fosse un caso. Per Riccardo era solo una coincidenza sfortunata e non credeva che mia madre avrebbe avuto interesse a non mostrarmi il progetto integrale..
Non la conosceva ancora bene!
Non mi sedetti, come mi aveva detto, ma girai per la casa, rivivendo i momenti che ci avevo passato dentro. Lo vidi tornare in sala e lo raggiunsi, abbandonando la cucina.
“prese?” chiesi. Annuì.
“dovrei aver preso tutto” disse, mostrandomi un foglio con gli appunti sopra.
“bene, allora andiamo” dissi.
Rimanere sotto lo stesso tetto di mia madre mi dava i brividi.. anche se, tecnicamente, noi eravamo sotto un tetto a parte..
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
a Sara vengono i brividi a rimanere sotto lo stesso tetto della madre.. a me vengono al pensiero di incontrare una persona del genere..
Madre a parte per Sara quel posto evoca, comunque, dei bei ricordi..
Curiosi di conoscerli?
andate al capitolo 9 allora..visto che ieri non avevo postato ve ne ho messi due oggi :)
buona lettura!

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Capitolo 9
*** Una ristrutturazione difficile (parte 2). ***


Ritornammo nel grande salone e consegnammo le chiavi a Theodor, intento a servire la cena ai miei genitori.
“noi qui abbiamo finito, torneremo con gli impiegati edili per un sopralluogo” dissi.
“temo che dovrete rimanere” disse mio padre. Ci voltammo a guardarlo, curiosi. “il cancello ha un guasto”.
“siamo appena entrati e funzionava” dissi.
“quando sono entrato io si è bloccato”. Riconobbi la voce di Matteo alle mie spalle. Mi voltai a guardarlo.
“che coincidenza” risposi, acida. Scattò, veloce, in mia direzione e Riccardo mi tirò dietro di lui. Si bloccò.
“dormirete nella dépendance, se per voi non è un problema” disse mio padre, tergiversando.
“non è un problema, non si preoccupi” rispose Riccardo, gentile come sempre.
“anche perché dovreste avere un cambio pulito entrambi” disse mia madre, acida.
“forse anche più di uno” ribattei, bastarda. Avvampò. “qualcuno dovrebbe essere relativo anche al periodo delle superiori” continuai.
Si alzò, poggiando violentemente le posate sul tavolo, e io mi voltai. Tirai Riccardo per il braccio e mi diressi in cucina, presi una borsina e ci infilai quella che sarebbe diventata la nostra cena. Ripresi le chiavi da Theodor e, riafferrandolo per il braccio, trascinai Riccardo nella dépendance.
Chiusi la porta alle nostre spalle e mi diressi in cucina, iniziando a cucinare.
Lo vidi, con la coda dell’occhio, appoggiarsi allo stipite della porta. Mi voltai e lo guardai mentre iniziai tirar via il centro tavola e pulire il tavolo. Incrociò le braccia al petto ed alzò un sopracciglio.
Lo guardai, imitandolo.
“spiegami la piazzata di prima” disse.
“non ho fatto nessuna piazzata” dissi.
“strano.. non mi è sembrato” rispose. Borbottai e scoppiò a ridere. Si avvicinò e mi abbracciò. Mi alzai sulle punte dei piedi, in cerca di un bacio, e mi accontentò.
“non li sopporto” mugugnai. “e non credo minimamente che sia una coincidenza” continuai.
“sul cancello ho i miei dubbi anche io” disse.
“però c’è un lato positivo” dissi, guardandomi intorno. “ti ricordi quello che abbiamo combinato in questa casa?!”.
“si.. mancava anche a me questo posto” disse, capendo dove volevo andare a parare.
Ogni angolo era prezioso in quella casa:
la sala, dove lo torturavo perennemente cercando di non fargli guardare la televisione.
La piscina, dove avevo passato ore ad ammirarlo nuotare.
La cucina.. avevo iniziato ad usarla frequentemente da quando lui mangiava a casa mia.. prima era solo da pulire, mi sarebbe bastatati un frigorifero e un micronde.
Il bagno, dove più di una volta si era dovuto nascondere quando veniva mia madre a parlarmi.
Il divano, dove mi metteva per medicarmi dopo le visite di mia madre.
Quello stesso divano dove mi coccolava per farmi calmare.
Il letto dove..
Avvampai.
“torno a cucinare” balbettai. Tornai ai fornelli e ripresi da dove mi ero interrotta.
“tutto bene?” chiese, abbracciandomi. Feci appoggiare la mia schiena al suo petto e annuii. “facciamo che faccio finta di crederti”. Mi prese in giro e lo sentii trattenere una risata.
“ci vai da solo o ti ci mando amore?!” dissi, ironica.
“ok, ok.. mi calmo” disse.
“ammasso di muscoli.. aiuta tua moglie e apparecchia, senza fare danni!”. Lo ammonii.
Sbuffò, poi prese la tovaglia e mi obbedì.
Misi i piatti piani in tavola e mi tenni i fondi vicino mentre lui mise tovaglioli, bicchieri e posate.
Mangiammo tranquilli poi controllai i cambi che erano rimasti.
Tornai in sala e mi lanciai, letteralmente, su di lui, sdraiato sul divano.
Mi prese al volo, pronto come sempre.
“come siamo messi?” chiese.
“male” dissi. “domani prima di andare in ufficio bisogna passare da casa a cambiarsi, ci sono due tue maglie e un tuo jeans, più una mia tuta.. oltre all’intimo” continuai. Sicuramente erano tutti residui dell’ultima lavatrice che avevo fatto, ma che non avevo avuto il tempo di stendere..
“non siamo messi così male” disse. “pensavo anche di peggio”.
Mi spostai da sopra di lui e tornai a guardarmi intorno.
“a pensare di dover stravolgere tutta la dépendance mi vien male” dissi.
“effettivamente poteva almeno affidarsi ad un altro studio invece che a noi” rispose.
Quella non sarebbe stata affatto una ristrutturazione facile per me.. e mia madre lo sapeva perfettamente.. ma quando si trattava di infierire su di me era sempre in prima linea..
D’altronde le avevo mandato a monte tutti i piani quando avevo annunciato che avrei sposato Riccardo..
Lei, che mi aveva già data per sposata con il figlio di uno dei soci più importanti di mio padre, senza che io lo conoscessi, si era ritrovata con un ‘comune mortale’ in casa.. come se il denaro fosse l’unica cosa importante al mondo..
Lei si era sposata per interesse e, per quel che la riguardava, io avrei dovuto fare altrettanto.. peccato, solo, per l’inconveniente Riccardo..
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
capitolo 9 concluso..
Siamo alla terza parte della serie e continuate, ancora, a scoprire cose sui nostri protagonisti..
Chissà cosa scoprirete nel prossimo capitolo..

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Capitolo 10
*** Bambini? ***


Lo sentii prendermi in braccio e mi svegliai. Lo vidi andare verso la camera da letto e biascicai un ‘grazie’ assonnato. Mi appoggiò sul letto e, mentre andò dal suo lato, mi spogliai. Afferrai la sua maglia, che avevo già preparato sul letto, e me la infilai.
Mi infilai sotto le coperte mentre lo vidi prendere i miei vestiti e andare in bagno. Tornò, dopo poco, con solo i boxer addosso. Si infilò sotto le coperte e mi fiondai vicino a lui.
Mi accucciai sul suo petto e lo sentii protestare, leggermente contrariato.
“sei gelata” sussurrò, spostando la mia mano dal suo petto e stringendola nella sua.
“sto gelando” confessai. Mi strinse di più a se, riscaldandomi..
Stavamo insieme da sette anni e ancora non mi spiegavo come faceva ad essere così caldo.. era una stufa personale.. solo più attraente..
Dormire a casa dei miei genitori non era tra le cose più belle da fare.. ma dovevamo farcelo andare bene comunque..
 
Il mattino seguente fummo costretti a svegliarci prima del solito.
Ci infilammo in doccia a turno e ci preparammo, per quanto ci fosse possibile.
Uscimmo dalla dépendance e riconsegnai le chiavi a Theodor.
Sentii delle urla dal salone e mi voltai a guardare curiosa.. a casa mia si era sempre stati mattinieri ma non mi spiegavo le urla dei bambini.
“ci sono i suoi cugini” disse Theodor, rispondendo a quello che non avevo chiesto apertamente. Lo ringraziai dell’informazione e andai nel salone, seguita da Riccardo. Salutammo tutti poi mi impadronii di Andrea. Quella piccola peste, in braccio a mia madre, strillava come un matto per richiamare l’attenzione di qualcuno che lo togliesse da lei.
Lo presi in braccio, facendolo smettere di piangere, poi lo portai in giro per il salone e gli mostrai tutto quello su cui puntava gli occhi.
Dall’altro dei suoi otto mesi era già come il padre: un curioso di prima categoria.. ma ammettiamolo: essendo un Righetti non poteva essere altrimenti!
“dallo a me” disse mia madre, strappandomelo dalle mani. Ci rimasi male.. malissimo.
Mi sentii baciare la guancia e mi voltai, trovando mio cugino.
“la prossima sei tu.. non vorrai mica farti batte da quello la” sussurrò, indicando Matteo, vicino a mia madre. Scossi la testa.
“non succederà, lo sai” dissi. Mi voltai e raggiunsi Riccardo. “andiamo?” chiesi. Annuì e lo spinsi fuori, senza nemmeno salutare.
“non sei come lei!” urlò mio cugino Stefano. Scossi, nuovamente la testa e spinsi Riccardo più forte.
“amore siamo già arrivati” disse. Mi accorsi di essere già dalla macchina solo in quel momento.
Mi fermai.
“scusa” sussurrai. Mi abbracciò.
“cos’è successo?” chiese.
“nulla.. ma se non ci diamo una mossa arriveremo in ritardo in ufficio” dissi, salendo in macchina.
Salì anche lui e mise in moto.
“non ci avevo mai fatto caso ma sei brava con i bambini” disse. Spostai lo sguardo altrove.
“solo quando sono degli altri” risposi, troncando il discorso su cui stava andando a parare..
Lo avevamo già affrontato quando organizzavamo il matrimonio. Quando lo avevamo detto ad alcuni dei nostri amici la prima domanda che fecero fu se io fossi incinta, sentendosi rispondere, prontamente e categoricamente, che non lo ero.
Inutile dire che Riccardo si era accorto del modo in cui lo avevo detto e aveva voluto sapere il motivo di quella mia reazione.
“era una semplice constatazione su quello che ho visto, non stavo andando a parare li” disse, calmo, continuando a guidare.
“bene” dissi.
“perché devi reagire così ogni volta che si gira intorno all’argomento.. non si parlava di noi” disse.
“sai come la penso! Non voglio avere dei bambini, se non ti va bene sei liberissimo di chiedere il divorzio e farti una famiglia” sbottai. Approfittai del fatto che fossimo arrivati e scesi dalla macchina, troncando la discussione prima che si inoltrasse.
Entrai in casa veloce e corsi in bagno a truccami.
Uscii e lo trovai davanti al suo ‘armadio’ intento a vestirsi.
Andai davanti al mio e tirai fuori un vestito con le maniche al gomito.
Misi dei leggins, poi infilai il vestito. Tornai nella cabina armadio e infilai un decolté nero.
Tornai in camera e andai affianco a lui. Presi il mio profumo e me lo spruzzai, ignorandolo. Lo riappoggiai e mi voltai a prendere la borsa sulla poltrona accanto. Mi bloccò, afferrandomi il braccio, e mi fece voltare.
“non chiederò il divorzio per questo.. sapevo che non volevi avere figli ma ti ho sposata ugualmente. Ho deciso di costruire la mia famiglia con te e non ho bisogno di bambini per dimostrarlo.. sei mia moglie mi basta questo, ma se tua madre è una stronza non significa che anche tu non sarai una brava madre.. te l’ha detto anche Stefano prima” disse, calmo come se stesse parlando di uno progetto qualsiasi. Mi morsi il labbro, consapevole di aver reagito male, e spostai il mio sguardo lontano dei suo occhi. Aiutandosi con il braccio che mi stringeva mi attirò verso di se e mi abbracciò. “ora però calmati” aggiunse sussurrando, al mio orecchio. Mi lasciai abbracciai e agguantai la sua camicia, quasi fosse un anti-stress. “andiamo, su”. Mi spinse verso la porta, tenendomi abbracciata, pronto per andare in ufficio.
Ero in torto marcio.. avrei dovuto farmi perdonare..
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
beh, con una madre del genere chi non avrebbe gli stessi dubbi che ha la nostra Sara?!
Peccato perché io Riccardo ce lo vedevo a crescere un mini se.. immaginatevi un little Ricky quanto sarebbe stato carino.. *-*

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Capitolo 11
*** Grazie perché.. ***


Arrivammo in studio in pochi minuti poi mi chiusi nel mio ufficio.
Contattai immediatamente gli impiegati edili e fissai un appuntamento con loro: prima finivo di ristrutturare casa dei miei genitori prima sarei uscita da quell’incubo.
Per tutto il giorno non uscii da quella stanza, né lavorai ad altri progetti.
Volevo assolutamente finire quel progetto e anche fermarmi a pranzare sarebbe stata una perdita di tempo.
Mi eclissai completamente su quei 'fogli', perdendo la cognizione del tempo. Mi accorsi dell’orario solo quando vidi Riccardo entrare nel mio ufficio con un cartone per la pizza in mano.
Fissai l’orologio sul computer e vidi che erano già le 21.00.
Mi massaggiai il collo, improvvisamente dolorante, mentre lo fissai avvicinarsi.
“posso avere anche io le attenzioni di mia moglie?” chiese, ridendo.
“devi” risposi.
Mi appoggiò il cartone davanti e si chinò a baciarmi.
“ciao” disse.
“hai mangiato?” chiesi, ammirandolo.
“si, mi ha fatto compagnia Giulia” disse. Feci una smorfia.. quella segretaria ultimamente gli girava troppo intorno per i miei gusti..
“già, ultimamente ha questa capacità” dissi, acida. Rise.
“siamo gelose?”. Mi prese in giro. Lo guardai male, poi decisi di non dargliela vinta e presi il cartone della pizza, senza rispondergli. Staccai una fetta e l’addentai tornando a guardare il progetto della dépendance ma mi rubò il mouse di mano.
Lo vidi salvare il progetto e spegnere il computer.
“stavo lavorando” dissi.
“appunto: stavi.. ora sei mia” disse spostandomi con tutta la sedia. Mi prese per le braccia e mi fece alzare, si sedette e mi prese in braccio.
“ti perdono solo perché sei tu” dissi.
“io sono io.. mia moglie ha scoperto l’acqua calda” disse, ridendo. Gli diedi uno schiaffo sul braccio.
“scemo”.
“grazie, ti amo anch’io”.
Gli feci la linguaccia, poi lo baciai.
Mi staccai e mi accoccolai meglio su di lui.
“grazie” sussurrai.
“qualcosa mi fa pensare che non ti riferisci alla pizza” disse, dolce. Annuii.
“la pizza non c’entra.. ma grazie anche per quella” dissi.
“non devi ringraziarmi.. non ho fatto nulla” disse.
“mi ami” risposi.. “mi sopporti quando sclero.. mi coccoli.. mi consoli.. mi ascolti.. mi aiuti.. mi sopporti quando ti faccio alzare durante la notte per rifare il letto”.
“ecco questo potresti evitarlo”. Gli tappai la bocca.
“non mi fai pesare quando sbaglio né quando ti chiedo aiuto per un progetto, nonostante tu sia sommerso da mille altri.. grazie per essere venuto a quel concerto e per essere entrato nella mia vita.. non so come avrei fatto senza di te”. Mi diede un bacio.
“non devi ringraziarmi non ho fatto nulla” disse.
“chiunque altro sarebbe scappato, intenzionato a non aver niente a che fare con una casa del genere.. tu sei rimasto e mi hai aiutata” dissi.
“ero intenzionato a rimanerne fuori.. e lo sai.. ma sai anche che dopo aver sentito Theodor dirmi di non fare nulla o sarebbe finita ancora peggio ho capito molti tuoi comportamenti” disse.
“grazie per non aver reagito” dissi. “grazie per avermi difeso solo quando eri sicuro che dopo non avrebbero reagito contro di me”. Mi diede un altro bacio.
“sono sette anni che mi ringrazi per le stesse cose amore.. basta, non ce n’è bisogno. Non scappo se smetti di farlo, sono qui e ti proteggerò sempre.. non ringraziarmi in continuazione. Se mi pesasse farlo non lo farei”. Mi abbracciò più forte e mi lasciai coccolare..
Inutile.. dopo sette anni per lui ero un libro aperto.. con le pagine completamente spalancate..
“mangi con me?” chiesi, indicando la pizza. Prese uno spicchio e me lo passò, poi ne prese uno per se.
Mi fece compagnia fino a quando finii poi mi fece alzare e tornò nel suo ufficio per mettersi la giacca.
Uscii dal mio ufficio, pronta per andare a casa e lo trovai intento a inserire il codice dell’allarme. Lo raggiunsi ed uscii, infilando le mie chiavi nella toppa.
Schiacciò il tasto ok ed uscì veloce, chiudendosi la porta alle spalle. Diede le mandate e sfilò le chiavi, passandomele.
“cinque secondi di tempo sono troppo pochi, dovremmo chiamare il tecnico e far aumentare il tempo fino a dieci secondi, almeno non si rischia di far scattare l’allarme.. comunque in dieci secondi se entra qualcuno non ha il tempo di raggiungere la cassaforte”
“cinque secondi non sono pochi amore, non è mai scattato” disse.
“questo perché solitamente apri e chiudi tu.. se dovessi farlo io vedi come cambi idea” dissi.
“ecco perché se ci sono da fare dei giri solitamente mandi me in ufficio andando tu a fare i sopralluoghi” rispose, prendendomi in giro. “domani chiamerò il tecnico”. Mi abbracciò e andammo verso la macchina.
Non vedevo l’ora di arrivare a casa..
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
Riccardo è sempre più dolce..
Peccato che uomini così nella realtà non esistano: bello, intelligente, dolce e gentile..
innamorato e fedele (?)

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Capitolo 12
*** Ci sono anch’io! ***


Ci volle un mese intero ma, alla fine, riuscii a concludere la ristrutturazione della dépendance.
Entrai nel grande salone, seguita da Riccardo, e guardai mia madre, fiera di me stessa.
“soddisfatta?” chiesi, consapevole che non sarebbe mai riuscita a trovare un difetto nel progetto.
Non rispose.. sconfitta.
Sorrisi, soddisfatta. Mi ci erano voluti ventisei anni ma ero riuscita a metterla zitta!
“i nonni staranno, sicuramente, comodi” disse mio padre.
“era questo quello che doveva fare, ci sarebbe mancato che non ci fosse riuscita dopo tutti i soldi che abbiamo speso per mandarla a scuola” rispose mia madre.
“soldi sprecati, direi.” rispose Matteo. Mi voltai verso mio cugino.
“disse colui che comprò la laurea in ingegneria.. chiediti perché nessun’azienda ti assume” dissi, bastarda.
“sono io che me ne vado, punto al meglio” disse, cattivo.
“strano perché io pensavo che il meglio fossero le aziende di mio padre.. eppure lui non ti vuole” risposi. Avvampò.
“non osare parlare così a tuo cugino”. Mia madre si intromise. La guardai.
“non spreco il mio tempo, tranquilla” dissi.
“siamo noi a sprecare il nostro tempo” rispose Matteo. Lo guardai provando, per la prima volta, pena per lui.
“Matteo tu nella vita non hai realizzato nulla mentre io ho tutto: una laurea, un lavoro e un marito che amo e mi ama.. ho ventisei anni e ho raggiunto tutto quello che una persona possa desiderare”. Lo guardai. “tu cos’hai?” chiesi. “nulla.” risposi, al posto suo.
Mi voltai verso Riccardo e lo vidi sorridente.
Lo avevo reso fiero di me.. ne ero consapevole..
Avevo fatto esattamente quello che lui mi diceva di fare da sempre..
Avevo detto la mia opinione e lo avevo fatto imponendomi. Mi ero fatta sentire ed ero stata ascoltata, non supportata.. quello sarebbe stato impossibile, ma non mi ero fatta mettere i piedi in testa.
Avevo dimostrato di essere migliore di loro.
Avevo dimostrato di valere.
Mi sentivo soddisfatta.
“stasera si festeggia” disse, Riccardo, salendo in macchina. Lo guardai curiosa.
“perché?” chiesi. Mise in moto ed uscì dal cancello senza rispondere. Si fermò ad aspettare che si chiudesse e notò che lo stavo ancora fissando.
“hai detto la tua.. ti sei fatta valere.. non potrei essere più contento” disse. Sorrisi.
“non c’è bisogno di festeggiare” dissi. Non avevo fatto nulla di particolare.
Nonostante le mie proteste, tuttavia, non si arrese e mi portò fuori a cena. Non si accontentò nemmeno della pizza.
 
Camminai affianco a lui, sazia.. fin troppo.
“hai mangiato bene?” chiese.
“benissimo” dissi. Come potevo non aver mangiato bene nel ristorante dove avevamo fatto la cena di nozze.
Risi.
“perché ridi?” chiese. Scossi la testa.
“mi è rivenuta in mente l’espressione di mia madre quando ha scoperto che ci saremmo sposati di sera” dissi. Rise.
“è stata una scena indimenticabile.. ho creduto che le sarebbe venuto un infarto nel giro di pochi secondi” disse.
“tutti i Righetti si sono sposati nella stessa chiesa e allo stesso orario, celebrando il ricevimento nello stesso ristorante” dissi, imitando la voce autoritaria di mia madre quando aveva tentato, inutilmente, di opporsi.
“poi è nata mia moglie.. l’unica Righetti donna.”. Mi prese in giro.
“non ridere.. io sembro l’unica pecora nera.. anche Stefano ha avuto un maschio” dissi, disperandomi. Mi abbracciò e mi baciò.
“sembrerà scontato ma io sono contento così” disse. Risi.
“chissà perché lo immaginavo” dissi.
Camminammo per un po’ soli poi incontrammo alcuno nostri ex compagni delle superiori.
Fummo costretti ad interrompere i nostri festeggiamenti.
“a quanto pare state ancora insieme” disse Nicolò.
“a quanto pare.” disse Riccardo.
“sapete che anche l’Elena si è fidanzata.” disse Fabrizio.
“buon per lei” dissi.
“voi quant’ che siete fidanzati oramai?” chiese Nicolò.
“siamo sposati veramente” dissi, sorridendo contrariata.
“ah, auguri” disse Nicolò. “non lo sapevamo”.
Parlammo per qualche minuto poi li salutammo.
Riprendemmo a festeggiare e decidemmo di prolungare i festeggiamenti anche a casa nostra.
Una cosa era certa: se essere l’unica donna mi aveva portata a lui io non mi sarei mai lamentata..
Alla faccia di tutti quelli che avevano cercato di intralciarci..
 
 
 
 
--- --- ---
Note dell’Autrice:
ma quanto sono dolci i nostri due protagonisti?!
Quasi troppo.. non credete?

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Capitolo 13
*** È finita. ***


Stavamo insieme da sette anni e le volte in cui avevamo litigato si potevano contare sulle dita di una mano: quattro.
Eppure non tutto durava per sempre ed anche il nostro equilibrio venne intaccato drasticamente.
Dopo i nostri festeggiamenti filò tutto liscio per un mese poi qualcosa cambiò.
 
Uscii dal bagno quasi in trance.. non poteva succedere davvero, non a noi.
“amore ma sei ancora in pigiama? Faremo tardi in studio!” disse. Lo guardai male.. malissimo. Sorrise. “ok, vado da solo, mi raggiungi in studio quando sei pronta”. Si avvicinò e si chinò per baciarmi.
Gli tirai uno schiaffo.
Si allontanò, incredulo, portandosi una mano sulla guancia.
“bastardo” dissi, cattiva.
“ma che ti prende?” chiese.
Lo spinsi, poi gli tirai un altro schiaffo.
“sei uno stronzo” urlai.
Ripresi a spingerlo e a picchiarlo mentre cercava di evitare i miei colpi.
Lo insultai, urlandogli contro tutto quello che mi passava per la testa, fino a quando non fu fuori casa. Gli sbattei la porta in faccia poi mi lasciai cadere sul pavimento, in lacrime.
Mi trascinai fino al tavolino vicino al muro e presi il cellulare dalla mia borsa.
Chiamai immediatamente mio cugino Stefano ma non riuscii a parlare, singhiozzai e basta.
Riattaccò il telefono.
Mi rannicchiai e continuai a piangere per ore. Ignorai le chiamate sul telefono di casa e respinsi quelle estranee  sul mio cellulare. Respinsi, anche, quelle di Riccardo, dello studio e dei clienti.
Non feci nulla, oltre a piangere, fino a quando non sentii il citofono suonare.
Guardai nel video e vidi mio cugino. Gli aprii.
Mi spostai da dietro la porta e mi appoggiai al muro di fronte.
Ci aveva messo tre ore ma era venuto..
Tre ore.. significava che era partito appena aveva riattaccato.
Lo vidi entrare e fiondarsi, preoccupato, verso di me.
“cos’è successo?” chiese, abbracciandomi. Cercai di rispondere ma non ci riuscii. Mi prese in braccio e mi portò in sala, posandomi sul divano.
Rimase zitto, a consolarmi, fino a quando non mi calmai.. poi parlai.
“sono.. incinta” dissi, facendo una pausa. Sorrise.
“ma è bellissimo.” esultò.
“non lo voglio” dissi. Si pietrificò. “non l’ho cercato, non lo voglio e non lo terrò”.
“è una sciocchezza” disse, dolce.
“no.. lui è un errore” dissi, indicandomi la pancia.
“Riccardo cosa dice?” chiese.
“non lo sa.. e non lo deve sapere. Non abita più in questa casa” dissi, categorica. Lo vidi guardarsi intorno e lo imitai.
Le cose di Ricky erano ovunque. Le chiavi e la giacca addirittura a pochi centimetri da noi.
“non abita qui.. ok” disse titubante.
“non lo voglio in questa casa” dissi.
“non tocca a me giudicare” disse. “ma mi hai chiamato quindi esprimo la mia opinione.. per lo meno in parte.. e sai che stai sbagliando, o non mi avresti chiamato”.
“no, non sto sbagliando” dissi. “se ti ho chiamato è perché ho bisogno del tuo aiuto”.
“dimmi” disse.
“tua moglie lavora in ospedale” dissi. Annuì. “ho bisogno che mi fissi un appuntamento al più presto. Prima di libero di questa cosa e meglio è”.
“Sara.. non è una cosa” disse, quasi schifato. Lo guardai male e sospirò. “ma vedrò di farti fissare un appuntamento il prima possibile” aggiunse.
“grazie” dissi mentre lui prese le sue cose e uscì.
Per tutta la settimana sentii mio cugino telefonicamente. Non vidi, né sentii Riccardo. Non andai in studio né dai miei. Non uscii di casa.. ma feci cambiare la serratura.
Tramite la moglie di mio cugino riuscii ad avere un appuntamento nella settimana.. l’unico intoppo era che sarei dovuta andare nella loro struttura, a Bologna.
Mi feci venire a prendere da Stefano.. terrorizzata.
“ci siamo noi, calma. Stefania è già in ospedale che ti aspetta” disse. Lo guardai e lo vidi contrariato.
Voleva tranquillizzarmi, ma non gli andava giù l’idea di quello che stavo per fare. Tuttavia lo nascondeva.
Arrivammo in ospedale e prima dell’intervento mi fecero fare un’ultima visita medica.
Mi sedetti in sala d’aspetto nel reparto di maternità, pronta per essere chiamata e sentirmi dire che potevano procedere, affiancata da mio cugino.
Mi guardai intorno e notai che tutti mi fissavano male.
Chi era li doveva abortire, era il reparto appositamente separato.. ma io ero l’unica maggiorenne. Tutte erano accompagnate da uno o entrambi i genitori.. mentre io ero consenziente..
Mio cugino rimase in sala d’aspetto con me per tutto il tempo, e di tanto in tanto venne anche la moglie per vedere come stavo.
Ci vollero ore prima che la fila davanti a me si dimezzò.
Vidi Stefano alzarsi, per l’ennesima volta. Non lo guardai nemmeno, sapendo che si sarebbe sgranchito le gambe facendo avanti e indietro nel corridoio.
Mi voltai solo dopo qualche minuto, quando vidi che non mi passava davanti. Il corridoio era corto e lui ci stava mettendo troppo a tornare indietro.
Capii che non sarebbe tornato indietro quando mi voltai.. lui non c’era.
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
in quanti si aspettavano un finale del genere?
In quanti credevano che Sara si rifiutasse, categoricamente, di avere dei bambini?

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Capitolo 14
*** Cambio di idee. ***


Stefano non c’era, ma c’era Riccardo.
Lo vidi avvicinarsi e mi voltai dall’altro lato. Sentii che si sedette accanto a me.
“perché non me lo hai detto?” chiese, piano.
“cosa vuoi?” sussurrai, cattiva.
“parlarti” disse. Lo guardai, neutra.
“ho altre tre ore prima di poter entrare e non ho nulla da fare quindi parla” dissi.
“veramente devi ancora rispondere: perché non me lo hai detto?”.
“non sono affari tuoi” dissi secca.
“sei mia moglie, direi che sono anche affari miei” disse. Notai che tutti ci stavano fissando. “andiamo dove ci sono meno persone?” chiese. Mi alzai e mi allontanai, seguita da lui.
Ci allontanammo di qualche metro, andando alla fine del corridoio, ma questo bastò per farli smettere di guardare e origliare.
“quant’è che lo sai?” chiesi.
“mi ha chiamato subito” ammise. “e mi chiamava aggiornandomi di volta in volta” aggiunse.
“bene” dissi acida.
“non voglio litigare” disse dolce.
“e allora dimmi quel che mi volevi dire” dissi. Si massaggiò le tempie, sospirando.
“non so chi tu sia ma non sei la persona di cui mi sono innamorato.. lei non ha questo carattere quindi mettiamo subito le cose in chiaro: non volere questo bambino non significa non volere me. Chiarisciti le idee perché mi sono fatto tre ore di viaggio per mia moglie.. non per te” disse. Abbassai lo sguardo, colpevole, e vidi la sua mano tendersi verso di me. “sono qui, ci sono io. Affronteremo tutto insieme.”.
“non c’è niente da affrontare” dissi, guardandolo.
“invece si, non fare la stronza, questa non sei tu” disse.
“ho già deciso, quindi non c’è niente da affrontare” risposi.
“per quanto semplice è comunque un intervento.” disse. Lo guardai e lasciai sfuggire una lacrima.
Mi tirò a se abbracciandomi.
“ho paura” ammisi, stringendolo.
“ci sono io, sarò qui quando ti sveglierai dall’anestesia” disse.
“grazie” dissi. Mi asciugò le lacrime e tornammo a sederci. Mi prese la mano e la fece intrecciare alla sua, accarezzandola.
“non credevo ma se ti arrabbi di forza ne hai” sussurrò. Lo guardai e feci un mezzo sorriso. Gli alzai la mano e gliela baciai.
“dove sei stato?” chiesi.
“dai miei” disse.
“tua madre mi odierà a morte” sussurrai.
“no, gli ho detto che eri via per lavoro” rispose.
Rimase accanto a me per tutto il tempo rimanente e mi aspettò quando mi chiamarono per la visita.
Uscii terrorizzata, al pensiero di non trovarlo, ma lui era ancora li. Gli andai incontro e si alzò.
“è tutto a posto” dissi. Annuì e cambiammo reparto, tornando in quella che era la ‘mia’ camera.
I controlli venivano effettuati in piani differenti da quelli della maternità ma il reparto di ricovero era uno unico.
Venne un’infermiera e controllò la mia cartella, ripetendo quello che già mille volte mi ero sentita dire, poi uscì.
Mi sdraiai sul letto e Riccardo si sedette accanto a me.
“non aver paura” disse.
“l’hai detto tu: è comunque un intervento” dissi.
“non mi riferivo a quello”. Prese la mia mano nella sua e mi sorrise dolce. “ci sono io, non aver paura” disse.
Tolsi la mia mano dalla sue e voltai il viso dall’altro lato.
“Ricky ne abbiamo già parlato.. no” dissi.
“amore guardami”. Mi prese il viso e me lo voltò in sua direzione. “non sei come tua madre, sei diversa. Tu sei buona, dolce, gentile e sensibile, lei è una stronza. Tu non sei come lei e non rifarai i suoi stessi errori.” disse. “tuo padre era sempre via per lavoro ma con te ci sono io, non ti farò fare i suoi stessi errori, non ti permetterò di diventare come lei”.
“Ricky sono sua figlia. Sono identica a lei.. no.” dissi.
“no, tu sei uguale a lei solo esteticamente, ma caratterialmente non le assomigli” disse.
“non puoi saperlo” dissi, cattiva.
“stiamo insieme da sette anni.. so come sei fatta. Hai paura di non essere una brava mamma, ma non ti comporterai come lei, ci sarò io ad impedirtelo.. ma sai che non ce ne sarà bisogno.. guarda solo Andrea: è bastato che lo prendessi in braccio tu perché smettesse di piangere.. ripensaci.” disse. Negai con la testa.
“non costringermi, per favore.. non sono pronta.” dissi. “non ora” aggiunsi.
“non ora è meglio che mai” disse, chinandosi a baciarmi.
Rimanemmo soli qualche minuto poi ci comunicarono che sarei stata il primo intervento dopo la pausa pranzo dei medici.. quindi mancavano ancora quaranta minuti..
Quaranta minuti che combaciarono con il momento della visita dei parenti.
Mi ritrovai con quattro persone accalcate vicino al lettino accanto al mio, intente ad elogiare il nipote nato qualche giorno prima.
Chiesi a Riccardo si tirare il separé e mi voltai dall’altro lato. Tirò la tendina poi tornò da me.
“grazie” dissi.
“nulla”. Si sedette accanto a me e rimase zitto per mezz’ora, poi l’orario delle visite finì e tolse la tenda.
Rimanemmo in silenzio ancora un po’ poi il bambino iniziò a piangere.
Pianse ininterrottamente per cinque minuti buoni, senza che i genitori riuscissero a farlo smettere.
Mi alzai e presi la mia borsa.
“tra un po’ vengono a prendermi, mi vado a cambiare” dissi.
“ok.”.
Fui costretta a passare davanti a loro per uscire dalla stanza e capii perché piangeva. Mi fermai davanti alla porta e guardai la signora.
“deve alzargli la testa per farlo smettere” dissi. Mi guardò curiosa, e alterata. “è piccolo, non scemo.. se lei lo mette ad altezza seno lui pretende di mangiare quindi o lo allatta o gli alza la testa ma se lo tiene così non smetterà di piangere” spiegai. Gli alzò leggermente la testa e subito smise di piangere.
“ha smesso”. Riconobbi la voce di Riccardo alle mie spalle e mi voltai a guardarlo. Era incredulo.
Tornai indietro e infilai la poca roba che avevo sul mobile nel borsone.
“andiamo a casa” dissi.
“come?” chiese.
“ho cambiato idea.. portami a casa” ripetei, tranquilla. Mi sorrise e mi abbracciò.
“torniamo a casa” disse, contento..
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
questo capitolo è un po’ più lungo degli altri.. me ne rendo conto, ma credo che non mi ucciderete per questo..a
nche perchè il prossimo capitolo sarà cortissimo (oltre che l'ultimo).

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Capitolo 15
*** Epilogo. ***


Scendo dalla macchina prendendola in braccio e vado a passo svelto verso lo studio.
Entro e subito lo vedo venirmi incontro preoccupato.
“amore va tutto bene?” chiede. Nego con la testa stringendo Chiara più forte. Me la prende dalle braccia e lo vedo guardargli gli occhi dubbioso.
“ha appena smesso di piangere” spiego. “non è andata molto bene.”. Chino il capo ma lo sento comunque respirare profondamente.
“questo è troppo” dice, cattivo. Lo guardo.
“io non ce la porto più.. non senza di te.. non lascerò che mia madre tratti mia figlia così” dico.
“no, tu non ce la porti più.. punto. Con o senza di me tua madre mia figlia non la vede più!” risponde, categorico. Annuisco e mi avvicino in cerca di un abbraccio. “tu come stai?”.
“potrei stare meglio” ammetto. Mi abbraccia e mi lascia un leggero bacio sulla fronte.
“portala a casa, io chiudo qui e arrivo”. Mi ripassa Chiara e io la riprendo.
“ci vediamo dopo”. Esco e ritorno in macchina. La metto nel suo seggiolino e mi fermo a fissarla. Le accarezzo la guancia. << è così bella.. >>. Sorrido.
Lei era stata l’ennesimo errore che avevo commesso per mia madre.
Tutti i Righetti erano maschi, io ero la pecora nera.. avrei potuto riscattarmi se avessi avuto un figlio.. ma era nata una bimba: l’ennesimo errore.
Eppure questa volta sbagliavano loro.. mia figlia non era una Righetti ma un’Avesani..
Questo, però, non avrebbe cambiato le cose per mia madre.. dovevo tenere Chiara lontana da quella casa.. lontana da quell’incubo.. avrei dovuto renderla felice.. a tutti i costi!
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
E con questo si conclude la trilogia.
Questa volta non avrete un ‘ritorno’.. da oggi mi dedicherò a nuove storie..

 
 
 
 
Per le traduzioni presenti nei capitoli 5 e 6 si ringrazia  SweetPepi  per aver, pazientemente, corretto il mio pessimo inglese..
per non parlare di tutti gli altri errori di battitura presenti in tutti i capitoli..
 
Grazie a tutti i lettori e grazie a chi ha recensito, seguito, preferito e ricordato questa storia…
 
coronabis
Minelli
Miss Finny
elelove98
VaLe1D
karol97

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