Wanna, Terre lontane

di IceEyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vidas ***
Capitolo 2: *** Verso Amlanto ***
Capitolo 3: *** Abbandono. ***



Capitolo 1
*** Vidas ***


Wanna ora è divisa in tre parti. Da un lato ci sono i Mietiti, gli elfi che popolano i boschi; dall'altro lato risplendono i Tariti, elfi della luce e adoranti della Dea del Sole; in mezzo, poi, c'è Amlanto, sede del re Uhas e città che dona pace a tutte le terre. Vi sono diversi canali per viaggiare, chiamati comunemente tubi, e sono il miglior modo per recarsi da una terra all'altra. Amlanto è difesa da una grossa sfera di cristallo di elfo oscuro, ormai estinto come materiale. Abbiamo vagato molto per le strade: non esistono umani con il permesso di farsi vedere in pubblico, e ormai la loro razza sembra destinata a morire. ”

- A guerra terminata, consiglio della Dea, Amlanto.


A Wanna faceva freddissimo, ma ogni schiavo era costretto a stare davanti ad un secchio pieno di piatti. Erano coperti solamente da un lenzuolo sottilissimo, tutti dello stesso rosso vistoso. In questo modo nessuno di loro avrebbe potuto scappare senza passare inosservato a meno che non si togliesse il mantello, ed in qualunque modo sarebbero stati avvistati dalle guardie situate in ogni singolo angolo dello stanzone senza tetto. Gli schiavi non superavano la trentina, ed ognuno aveva dinanzi a sé un numero elevato di piatti e posate provenienti dal palazzo reale. Se qualunque di loro fosse svenuto prima di finire il proprio lavoro, sarebbe finito nella cella buia senza cibo per tre giorni. Succedeva spesso, però, che qualcuno crollasse proprio all'ultimo piatto: in fondo gli umani non hanno la pelle resistente come quella degli elfi, ed il freddo era davvero esagerato. Vidas ne vide un paio cadere, già esauste, e strinse il piatto che aveva tra le mani, come a darsi forza per superare quella dura serata. Maledisse gli dei che proteggevano gli Elfi e diede una lavata cauta all'ultima posata rimasta dentro al secchio, dopodiché si alzò e fece per avvicinarsi ad una delle guardie. « Ho finito, signore. » Disse, chinando il capo e mai guardandola negli occhi. La guardia controllò il secchio di Vidas e subito dopo annuì e la portò alle stanze degli schiavi per un braccio. Appena fu sola nella sua stanza, Vidas andò direttamente verso lo specchio. Avrebbe voluto gettarsi in mezzo al materasso e dormire una trentina di ore, ma a breve sarebbe iniziato il suo turno di pulizie nei corridoi. Almeno avrebbe potuto lavorare al chiuso, ed il mantello rosso aiutava molto più di quanto non sembrasse.

Invece di sdraiarsi comodamente sul letto come avrebbe voluto, quindi, Vidas si spogliò davanti allo specchio, mentre il freddo scagliava un brivido contro la sua schiena. Una volta aveva un bel fisico: era sempre stata piuttosto in carne, ed il seno era uno dei suoi vanti un tempo. Ma la schiavitù non segnò solamente un suo occhio – cieco – ma anche il suo corpo, ora magro e consumato, pallido e ruvido per i troppi lavori. I capelli troppo lunghi e castani non erano più lisci e non tardò a perdere la speranza che qualche elfo la trovasse attraente e se la sposasse. Un occhio aveva perso vita ed era diventato bianco, l'altro era di un color miele per niente speciale e fin troppo banale. Il seno era sempre prosperoso, ma col suo improvviso dimagrimento si era un po' intenerito, e nessuno avrebbe potuto desiderarla nemmeno carnalmente. Arricciò il naso e andò verso un baule, all'interno del quale aveva poggiato tutti i suoi cambi di vestiti. Prese una delle tuniche assegnate a chi doveva ripulire il pavimento dei corridoi. Era bianca, con una semplice cinta in pelle per trattenere tutta la stoffa e per permettere agli schiavi di non essere ostacolati durante le pulizie. Se la infilò dalla testa e raccolse i capelli in una treccia con la velocità con la quale mangerebbe qualunque schiavo davanti ad un piatto pieno di cibo e poi si diresse nuovamente verso la porta, dalla quale era entrata scortata dalla guardia. Era buio, per i corridoi, e poteva scorgere solo ogni tanto occhi illuminati di elfi che viaggiavano per i sotterranei. Era lì che si trovavano le stanze degli schiavi, ed essi potevano vagare per il palazzo solo dalla notte fino all'alba, per non “contaminare” il cammino dei nobili. Era stata invitata ad imparare a memoria la strada, e così fece: sapeva muoversi meglio delle guardie stesse lì dentro, e conosceva ogni mattone come se avesse costruito tutto lei. Si mosse silenziosa e ad ogni svolta pregava di non incontrare alcun intoppo. Qualunque sbaglio valeva la vita.

Una morsa allo stomaco fermò il re a piegarsi in due, mentre una delle due guardie accorse ad aiutarlo. « Sire, state bene? » Ma il re sembrava semplicemente assorto in un qualche pensiero, mentre una mano stringeva la tunica. La sua fronte era perlata di sudore, ed il suo viso era contorto e terrificante in una smorfia di dolore esteso che presto gli avrebbe preso la vita. Ariah, la principessa, osservò la scena immobile davanti alla porta ed il sorriso che aveva precedentemente sulle sue labbra, le morì in un istante. « Cosa succede? » Domandò, aggrottando le sopracciglia ma non osando muoversi dall'uscio. Una via di scampo: la deve sempre avere, qualunque sia la situazione. Alla guardia tremava un braccio, quando si accorse che per un momento il corpo del re si fece rigido. Senza preavviso Uhas morì. Le tenebre erano scese da una parte del regno ed il sole sorgeva dove una volta gli umani erano felici. Ariah era terrorizzata: che sarebbe successo, ora? Arrivò dietro di lei Cehar e subito dopo anche Sebastier, entrambi sorridenti. Neppure loro tardarono a perdere il sorriso, però, e smisero di giocare appena vide la guardia inginocchiata davanti al corpo di sua maestà, loro padre. La paura dominò sopratutto Sebastier, che sarebbe dovuto diventare re: aveva vent'anni ed era il maggiore. « E' morto? »

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Capitolo 2
*** Verso Amlanto ***


 

"Dopo tanti anni senza una precisa meta, ora mi ritrovo a camminare verso Amlanto. Naio è diventata pericolosa: qualcuno ci segue da qualche giorno. Ho paura per Iara, che vuole seguirmi verso morte certa. Ma se la lasciassi lì  la ucciderei comunque. La conosco. Non c'è niente al mondo che la distruggerebbe di più: vedermi andare via e voltarle le spalle. Lei si finge spavalda e sicura di sé, come fa quando ci alleniamo con la spada. Eppure riesco a sentire ogni suo battito di terrore. Sono giorni che sta leggendo il libro che le ho dato, e la sua espressione non muta mai durante quella breve ora in cui riesce a rimanere sulla poltrona con il tomo tra le gambe. E' ancora una ragazzina: non dovrebbe leggere 'Manuale di Guerra'. Ma deve crescere in fretta: Amlanto è sempre più pericolosa e non riuscirei a proteggerla se non impara a cavarsela da sola. " 

- Diario di Saio il fabbro, pagina IX, ottavolo volume

Se ad Amlanto faceva freddo, a Naio era tutto il contrario. Il piccolo villaggio si estendeva per tutta la collina – quella in assoluto più alta fra tutte – e ad un tratto costeggiava il fiume. Le casette erano sparse, in legno coi tetti di paglia, e davanti ad ogni porta c'era inciso il nome della famiglia alla quale si apparteneva. L'ombra notò che dalla porta della casetta, si potevano sentire ancora i forti rumori del martello che batteva, nonostante fosse giunta la luna già da un po'. Le voci che provenivano dall'interno della casetta non erano chiare, ma sembravano quelle di una bambina, e quelle di un uomo, e riempivano il silenzio che regnava tutta la piazza. Molti dormivano, ma Saio e Iara dovevano rimanere svegli ancora un po' a terminare del lavoro e a chiacchierare come al solito. Sbirciando dalla finestra, l'ombra poté arrivare a definire i tratti di entrambi: Saio era robusto e molto alto, seduto su uno sgabello apparentemente troppo piccolo per la sua stazza esagerata, mentre Iara era piccolina, minuta ma non del tutto una bambina – tanto che avrà avuto dodici anni al massimo – e a distinguerla da tutti gli altri era il suo aspetto da umana e le sue orecchie a punta da elfo. Un miscuglio un po' insolito, osservò l'ombra. Il suo mantello nero strusciò un po' contro la porta ma il rumore del martello coprì qualsiasi altro suono in quel momento. E lui stesso faticò a sentire che cosa dicessero. Dovette premere bene l'orecchio contro il legno, o addirittura sussurrare delle formule di qualche incantesimo minore per diminuire lo spessore della porta.

Iara era abituata a fare le ore piccole. Con Saio era sempre stato così, e avrebbe continuato a dormire molto tardi anche in futuro visti i lavori che dovevano affrontare. Non serviva molto, a dire il vero, ma le parole del suo vecchio la affascinavano tantissimo e così si divertiva a passargli il materiale. Passava la maggior parte della serata su una sedia che pescava dal tavolo in salotto, e si perdeva nelle storie di pace che Saio raccontava con un luccichio strano negli occhi. Sulla fronte del vecchio c'erano delle gocce di sudore enormi e le punte delle sue dita erano diventate rosse per l'irritazione, e così Iara dovette fermarlo. « Basta così, per oggi. » A quelle parole, Saio smise di battere col martello e lo poggiò accanto alla nuova spada che avrebbe creato a breve. Non confessò che fosse per lei: era una sorpresa. E così dovette mentirle e dirle che era per un ragazzino di un villaggio intorno a Naio, che gli aveva mandato un servo. Iara era troppo ingenua per riuscire a svelare una sorpresa così ben nascosta. « Sì, direi che è proprio ora di smettere. Sei pronta per partire, domani? Andremo molto presto, Iara... » Ricominciava a cercare di convincerla che seguirlo nel suo viaggio verso Amlanto non era una buona idea. Le aveva raccontato del freddo eterno e del sole che sorgeva una volta ogni tre mesi, ma Iara non ha voluto sentire storie e aveva già infagottato quello di cui avevano bisogno. Per questo vide la ragazzina guardarlo in un modo terribile, e sorrise. « Ho capito. Ricorda: non devi parlare con nessuno di quello che stiamo per fare. Né di che strada faremo. Ora vai a raccogliere qualche bacca. » Prima che la ragazzina potesse rispondergli, Saio era già andato verso la camera da letto, ed era pronto per dormire qualche ora. Avevano fatto veramente tardi.

Iara fece proprio come le aveva consigliato Saio: prese qualche bacca tra i cespugli dietro la loro casetta e se ne tornò dentro. Il caldo era asfissiante, e non riusciva a camminare per troppo tempo senza sentirsi poco bene. Anzi, quel viaggio ad Amlanto era proprio capitato nel momento giusto: Naio arrivava all'apice dell'aridità in quel periodo dell'anno, e lei si sentiva male sempre più spesso.

Rientrò a casa che erano passati solo una ventina di minuti, e poteva già sentire Saio che russava dalla stanza con la porta semichiusa. Adocchiò l'ammucchio di paglia sul quale avrebbe dormito, chiuse a chiave la porta sul retro dalla quale era uscita prima, e guardò per un attimo fuori alla finestra. Come sempre, Naio era deserta durante la notte. Era troppo piccola per i banditi o ladri, e non succedeva mai niente, o almeno secondo lei. Che in realtà fosse uno dei villaggi più pericolosi, lei non ne era al corrente. Ogni tanto arrivavano i pirati sulla costa del fiume, ma per il resto era tutto di una tranquillità disumana. Iara non aveva sonno, però. L'idea di muoversi dal villaggio in cui era nata e cresciuta un po' la intimoriva, e aveva idee un po' vaghe su come era fatta Amlanto: sapeva del suo freddo e del grande palazzo reale, conosceva le gesta eroiche del re e dei suoi più grandi cavalieri. Si sedette su una delle tante poltrone del salotto, e aprì il libro che Saio le aveva consigliato di leggere. Mancavano poche pagine alla fine, e la notte era lunga.  

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Capitolo 3
*** Abbandono. ***


 

Quando Iara ebbe finito di leggere e rivedere il libro, il filo azzurrino dell'alba sfiorava le finestre dell'umile casetta. Saio aveva smesso di russare da qualche minuto, e lei intuì che si sarebbe svegliato da lì a pochissimo. Non era riuscita a dormire, e probabilmente non si sarebbe potuta muovere tanto. Ma conosceva Saio: sarebbe stato gentile con lei e l'avrebbe lasciata riposare quanto volesse. Non aveva senso sfinirla all'inizio del viaggio. Era fatto così e solo con lei si permetteva di essere dolce e gentile. Era una delle caratteristiche di Saio che lei non riusciva a capire. Però si appoggiava alla sua spalla quando rischiava di cadere, e questo le bastava. 

« Sapevo che non avresti dormito. » Saio uscì dalla stanza con addosso solo dei pantaloni leggeri, marroni e un po' malandati. Il petto nudo lasciava intravedere qualche pelo arricciato alla luce dell'alba. Era robusto, alto, di un biondo spento piuttosto particolare. Un umano. Un qualunque umano. Sarebbe dovuto diventare schiavo, ma era riuscito a sgattaiolare da quel tipo di mondo con dei lavoretti sporchi per i nobili. Iara l'ha conosciuto come fabbro e non aveva mai afferrato il fatto che era un mercenario. La guardò e sorrise ancora.

« Dormi. Prendo le cose e preparo i cavalli. Ti sveglierò fra un po'. » Ma Iara lo ascoltava appena: si limitava a guardarlo con sguardo assente ed annuire. Non aveva sonno, e neanche voglia di sdraiarsi. Ma verso il primo pomeriggio avrebbe fatto qualunque cosa per dormire anche solo un'ora. Si alzò dalla poltrona sulla quale era rimasta intanata per ore ed ore e sorrise al suo maestro. « Saio? » Richiamò la sua attenzione, sbattendo le ciglia. Una ragazzina, era solo una ragazzina. « Sì, Iara? » Incrociò le braccia al petto e si poggiò al bordo della porta. « Non mi lasciare qui. » Rispose, gelida e lontana, poco prima di andare verso la stanza. Saio non le rispose, ma era sicura che avesse capito perfettamente. E così Iara si sdraiò sul letto del suo maestro e ne gustò il calore impregnato sul materasso. Rimase con gli occhi aperti a fissare la spada accanto alla porta aperta, e poi cadde negli abissi dei sogni.  


Iara ebbe la sensazione di aver dormito troppo, ed aprì gli occhi quando era nuovamente sera. Sbatté le ciglia e si sentì decisamente riposata. Si alzò lentamente. « Saio? È già sera... » Il silenzio di tomba le fece scorrere un lungo brivido lungo la schiena. « Saio? » Sbadigliò e scese dal letto: il contatto dei piedi caldi contro il pavimento freddo la scosse un po'. C'era buio totale in salone quando uscì dalla stanza da letto. Il tavolo in mezzo scricchiolava sinistramente e rendeva l'atmosfera ancora più pesante. Iara afferrò il mantello abbandonato su una cassa e lo appoggiò sulle proprie spalle. « Saio, che razza di scherzi... » Percorse metà del salotto, prima di accorgersi del pezzo di pergamena lasciato sul tavolo. Le vennero in un attimo le lacrime agli occhi. Non aveva idea di cosa le avesse scritto. Eppure il cuore le batteva e già iniziava ad emozionarsi. Fece un paio di passi indietro, quel poco per riuscire ad affiancare il tavolo. Deglutì e prese tra le mani il pezzo di pergamena. Un vero uomo non piange.

 

“Iara,

Ti sembrerà difficile da capire, e mi sono accorto negli anni che in effetti lo è. L'abbandono è qualcosa che non si augura a nessuno, e nemmeno io l'avrei mai augurato a te. Non capirai, quindi. Mi hai chiesto di non lasciarti lì, ed è stato allora che ho deciso che invece ti avrei salvata dalla vita che conduco. Sono un mercenario, Iara: mi pagano per uccidere. E seguirmi avrebbe significato morire, per te. Arrivi ad essere praticamente mia figlia. Non potevo portarti con me.
C'è qualcuno che ti segue. Sta' attenta, usa la spada che ti ho fatto se ce ne sarà bisogno. Non deludermi, Iara. Non venirmi a cercare: non sono più diretto ad Amlanto. Ti prego. Ti prego, per favore.

Qualunque cosa succeda, Iara, io fra un mese sarò morto.

Saio. ”

Iara rimase a guardare il pezzo di pergamena con le lacrime agli occhi, ma si sforzava per farsi forza, per non cadere a terra e piangere. Lasciò cadere la lettera di Saio e per diversi minuti rimase immobile a fissare la porta di casa, rigorosamente chiusa. Il suo maestro non sarebbe più tornato? E con chi avrebbe trascorso le sue notti a chiacchierare? A chi avrebbe passato il martello? La voglia di piangere vinse quella di rimanere cosciente. Le lacrime cominciarono a scorrere sulle sue guance e le labbra iniziarono a tremarle. Con un po' di sforzo andò a coprire il volto con le mani, e si accasciò a terra. Fu in quell'istante. L'ombra entrò spalancando la porta, e sorrise da sotto al cappuccio. Davanti a lui c'era l'Askin. Il fabbro l'aveva chiamata Iara.  
La ragazza alzò gli occhi e rimase a guardare la persona dinanzi a sé. La sua figura era offuscata dalle lacrime, e non riusciva a riconoscerne il volto. « Chi sei? » Domandò. Ma la figura non rispose. Tutto ciò che fece fu inginocchiarsi davanti a lei e continuare a guardarla, cercando di comprendere qualcosa che forse non avrebbe mai compreso. Gli avevano dato un compito da portare a termine. « Vieni con me. So dov'è Saio. »

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