Una vita diversa

di Strega_Mogana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questo é il prologo di una Fic. che sto scrivendo da poco.
Siamo ai tempi dei malandrini, e spiego com'é nata l'amicizia tra Severus Piton e Alice. Alice é una protagonista femminile già presente in un'altra mia FF: Le due maschere.
Buona lettura.
Commentate in tanti!
Elena



PROLOGO


Non è facile vivere la mia vita.
Soprattutto se fin dal giorno della tua nascita sei continuamente paragonata al fratello che tutti ritengono perfetto.
Non è facile portare questo nome quando tuo padre ti crede solo il frutto di una pozione contraccettiva distillata male.
All’inizio volevo esser come lui.
Come il fartello che tutti amiravano, come il figlio più amato dai nostri genitori.
Mostrarmi agli occhi della gente che ero meritevole del nome che portavo.
All’età di dieci anni capii che era inutile continuare con quella falsa.
Non ero come lui, non lo ero mai stata ed era inutile fingere per qualche mezza carezza da una padre che non mi aveva mai considerato.
Non è facile portare questo nome…
Non è facile vivere all’ombra di un fratello che può fare tutto senza troppe ripercussioni.
Non è facile esser diversa da lui e fingere che la cosa vada bene per tutti quando, è chiaro, che ai tuoi genitori non piaci, quando vedi la triste luce nei loro occhi quando si posano su ti te, quando senti tuo padre dirti:
- Cos’ho fatto di male per avere una figlia del genere?
Quando sai che non ti hanno voluto ma che ti tengono solo perché sei arrivata all’improvviso.
Non c’è da stupirsi se la mia vita ha preso una piega opposta a quella di mio fratello.
Non c’è da stupirsi se ho fatto determinate scelte.
Se ho portato dolore, tristezza.
Non è facile portare il mio nome.
Io sono Alice Joanna Potter.
E questa è la mia storia.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***



Il primo viaggio sull’espresso di Hogwarts ancora me lo ricordo bene.
Nostra madre aveva costretto James a tenermi sotto controllo, io avrei solo voluto mettermi in un angolo qualsiasi e statemene buona fino all’arrivo a scuola, starmene lì, ferma a farmi i fatti miei e, soprattutto, lontana da James.
Invece quell’idiota di mio fratello mi ha costretto a stare in quel vagone pieno di gente come lui. Boriosi arroganti Grifondoro che si raccontavano le loro avventure estive, che discutevano su quante ragazze avevano visto al mare, discorsi così futili che, dopo due ore, avevo già la nausea.
Il mio primo viaggio su quel treno si prospettava molto lungo.
- James tua sorella credo che si stia annoiando,- disse il ragazzo scarno che mi sedeva accanto, Lupin qualcosa, l’amico che mio fratello chiamava Moony per qualche strana ragione che non mi interessava sapere.
James sorrise, anzi ghignò meschino, sapeva perfettamente che non volevo farmi tutto il viaggio con lui e i suoi stupidi amici che poco sopportavo, sapeva che Sirius mi stava antipatico fin dal primo giorno che aveva messo piede a casa nostra per le vacanze estive, sapeva che odiavo stargli vicino più del necessario eppure faceva di tutto per non farmi muovere.
- Non ti preoccupare,- disse tornando a concentrarsi sulla partita a carte che stava facendo con Black – Alice non si sta annoiando.
- Vero Jo?- mi domandò Sirius con un sorriso falso.
Entrambi non mi sopportavano, quando eravamo soli in casa mi facevano un sacco di scherzi e provavano su di me incantesimi e fatture che dovevano poi testare su un certo Mocciosus.
Ascoltavo ben poco i discorsi deliranti di superiorità di mio fratello, io sapevo che si pavoneggiava solo perché doveva far colpo sulle ragazze. A tredici anni era già un farfallone, stupido, borioso, superbo e arrogante.. eppure tutte le ragazze già gli morivano dietro. In estate riceveva tante di quelle lettere da giovani sconosciute che era impossibile contarle.
Che schifo…
E chi sopportavo ancora meno di mio fratello era Sirius Black, altro risultato del modello Grifondoro perfetto.
Uguale a James, stessa pasta, stesso carattere, stessi atteggiamenti.
Quell’estate mi ero convita che il vero fratello di James fosse Sirius e che io fossi stata adottata per errore.
E se c’era una cosa che amava fare Sirius era stuzzicarmi con quello stupido nomignolo.
- Non… chiamarmi… Jo…- sibilai a denti stretti lanciandogli un’occhiataccia delle mie, una delle occhiate che James definiva “sguardi da serpe”, non ero ancora abile con quella tecnica ma sia Sirius che James si ammutolivano quando li guardavo in quel modo. Infatti il giovane rampollo di casa Black ripudiato dalla famiglia e trasferito in pianta stabile nella nostra, si era azzittito all’istante e aveva ripreso a giocare.
Odiavo il nome Joanna, l’aveva scelto James quando ancora non ero nata, il giorno in cui i miei gli dissero che avrebbe avuto una sorellina. Lui scelse quel nome e mia madre Alice perché diceva che si era resa conto di esser incinta mentre leggeva Alice nel paese delle Meraviglie.
Il modo più stupido per rendersi conto di esser incinte.
Non mi considerarono per le due ore successive, passai il mio tempo seduta sulla poltrona di velluto rosso a fissare fuori dal finestrino con quel mago smorto davanti che leggeva e l’altro, un certo Minus, che esultava come una scolaretta ogni volta che Sirius vinceva.
La svolta decisiva è arrivata dopo cinque lunghe, estenuanti, noiose ore.
James si è alzato all’improvviso dal sedile, ha aperto la porta del vagone ed è uscito nel corridoio.
- Evans! – urlò come un deficiente – Evans!
Alzai gli occhi al cielo, aveva parlato di questa Lily Evans per tutta l’estate, non faceva che parlare di lei, dei suoi capelli rossi, dei suoi occhi, delle sue capacità e, soprattutto, del fatto che stesse per cadere ai suoi piedi come le altre.
- Evans aspettami!- nel frattempo mio fratello era uscito dal vagone inseguendo la sua fiamma e, da quel che avevo capito, senza ricevere la ben che minima risposta.
Già questa Evans mi stava simpatica.
Sirius si era alzato, si era stiracchiato e si era dato una gratta nelle sue parti basse credendosi un uomo tutto d’un pezzo.
Io stavo per vomitare anche l’anima.
- Beh… io devo andare a salutare qualche amica. Peter tu vieni?
- Certo!- squittì quel ragazzo ridicolo come un topo e a quel tempo non sapevo neppure quanto fossi vicina alla realtà.
- Moony?
- Voi andate pure. – rispose quel ragazzo senza alzare gli occhi dal libro – Prima voglio finire il capitolo, poi vi raggiungo.
- Come desideri. – rispose allontanandosi dallo scomparto con dietro Minus come un cagnolino ben addomesticato.
Finalmente un po’ di libertà, mi rilassai sulla poltrona e sospirai chiudendo gli occhi.
- Non deve esser facile esser la sorella di James. – disse Remus dopo qualche secondo.
Aprii gli occhi, lui continuava a leggere, non alzava neppure lo sguardo da quel maledetto libro.
Lo trovavo irritante come Sirius.
- E a te cosa importa? – gli risposi sgarbatamente.
Sorrise alzando, finalmente, lo sguardo, i suoi occhi avevano una sfumatura di marrone che non avevo mai visto, così chiari da sembrare ramati, le labbra sottili, il mento lievemente appuntito, la pelle chiara così a contrasto con i capelli color nocciola.
A differenza di mio fratello e del suo pomposo amico, lui aveva un’aria quasi gentile.
- Volevo solo fare conversazione. – mi disse forse deluso per il mio comportamento sulla difensiva.
Mi alzai, volevo andarmene da quel posto, volevo scappare, se avessi potuto mi sarei gettata giù dal finestrino. Mi avviai alla porta ma Remus mi fermò.
- Dove vuoi andare?
- Non sono affari tuoi ficcanaso.
Era gentile, non aveva colpe, si preoccupava, ma io non volevo più esser circondata da gente che voleva mettere il naso nella mia vita. James era fin troppo soffocante… non volevo altri finti fratelli intorno.
- James si preoccuperà se non ti vede qui al suo ritorno.
- Non ti preoccupare Remus, James si preoccupa solo dei suoi stupidi capelli e della sua scopa. Ci vediamo in Sala Grande.
- Alice non puoi…
- Avanti fermami se ci riesci.
Sapevo che non avrebbe mai usato la magia con un’undicenne, non mi avrebbe mai colpito alle spalle, il suo orgoglio di grifone non glielo permetteva.
Stupidi Grifondoro.
Percorsi il lungo corridoio per parecchi minuti, il treno sembrava non finire più. Attorno a me ragazzini che urlavano e ridevano ricordando le vacanze estive, altri che si rimpinzavano di dolci, chi dormiva e un paio si stavano rincorrendo per il corridoio.
Arrivai alla fine del treno, cercavo un posto tranquillo, senza starnazzi, urla assordanti e ragazzi isterici. Volevo sedermi e pensare al mio primo anno a Hogwrtas. Ero nervosa, titubante e inorridita all’idea di stare a stretto contatto con mio fratello per tutti quei mesi.
La nostra famiglia era Grifondoro da generazioni, il mio smistamento era già stato deciso ancor prima che nascessi.
Odiavo con tutta me stessa il rosso e l’oro.
E, ancor di più, odiavo quello stupido leone cucito sulla divisa del mio fratello perfetto.
Trovai lo scompartimento che cercavo, apparentemente era vuoto, c’era solo un baule di seconda mano marrone sul porta bagagli, nient’altro. Entrai titubante, un libro era stato posato aperto e capovolto sulla poltroncina vicino al finestrino lievemente abbassato, un libro di pozioni da quello che riuscivo a capire dal titolo, sembrava scritto in latino.
Il vagone era tranquillo, silenzioso, il baccano che c’era fuori sembrava non arrivare dentro, mi rannicchiai su una poltroncina e mi addormentai all’istante, le frasi inutili di James e Sirius mi avevano devastato psicologicamente e avevo bisogno di dormire.
Il mio sonno fu privo di sogni sul quel treno, fui svegliata da una voce tagliente e da una mano che mi scuoteva.
- Ehi ragazzina sveglia!
Aprii gli occhi assonnata, davanti a me c’era un ragazzo più grande, se Remus era scarno e dalla pelle chiara questo era pelle e ossa e pallido come un fantasma. Indossava la divisa di Hogwarts, il serpente verde cucito sul taschino, lo fissai per qualche istante disorientata, quasi spaventata.
Per quanto non dessi retta alle voci di mio fratello le sue storie sui Serpeverde mi terrorizzavano spesso.
Il ragazzo doveva avere l’età di James, i capelli lunghi neri gli arrivavano alle spalle ossute e spigolose, il naso adunco sembrava troppo grosso rispetto alla faccia magra ma gli occhi era bellissimi. Neri, profondi come un oceano color dell’ossidiana, non capivo se era infastidito della mia presenza o solo curioso di sapere chi diavolo fossi.
Improvvisamente tornai padrona del mio corpo e mi liberai con uno strattone.
- Che diavolo vuoi?- gli chiesi sgarbata lanciandogli un’occhiata velenosa.
Ma il giovane non sembrava intimorito dalle mie occhiatacce, stortò la bocca nel più strano ghigno che avessi mai visto e riprese in mano il suo libro sedendosi davanti a me.
- Siamo quasi arrivati ragazzina. – mi disse con un filo di voce tornando alla sua lettura – Ti conviene prepararti.
Dovevo aver dormito parecchio poiché fuori era già buio.
Effettivamente dovevamo esserci quasi.
Ringraziai e uscì di corsa da quello compartimento, i ragazzi si erano già cambiati, entrai nello scompartimento di James rendendomi conto che se n’erano andati lasciandomi solo un bigliettino:
“Se puoi vagare per il treno da sola, puoi anche arrivare a Hogwarts da sola. Ci vediamo in dormitorio. Dobbiamo parlare. James”
Accartocciai la pergamena e buttai fiori il foglietto dal finestrino, non avevo nessuna intenzione di sentire una predica dal ragazzo con il numero più alto di punizioni.
Mi sistemai la divisa e aspettai sola che il treno di fermasse a Hgsmeade.
Mi godetti il panorama dalle barche sul lago nero, la vista di quell’imponente castello avrebbe tolto il fiato a tutti. Illuminato solo dalla luna crescente, con le piccole finestre illuminate solo da delle candele, rendeva il paesaggio molto fiabesco ed emozionante. Salimmo le scale, un brando di ragazzini undicenni impreparati su quello che doveva accadere di li a poco.
Iniziò a mancarmi l’aria.
Il mio unico pensiero era che avrei vissuto con mio fratello, avrei diviso il mio spazio con lui, avrei dovuto esser comparata ai suoi voti per tutto il mio ciclo scolastico.
Non potevo sopportarlo.
Minerva Mcgranitt indossava un lungo vestito nero dai bordi color roso cupo, alcuni ricami richiamavano il colore dei risvolti, i capelli, da cui si iniziava a vedere qualche capello lievemente più grigio degli altri, erano legati in uno stretto chignon, stringeva nella mano destra un rotolo di pergamena. Il rotolo dove erano scritti i nostri nomi.
Ascoltai appena quello che disse, continuavo a immaginarmi in quella torre, con tutti quei Grifondoro e l’aria mi veniva sempre meno.
Finalmente ci aprirono le porte che conducevano alla Sala Grande, gli altri studenti più anziani ci aspettavano seduti ai loro tavoli ben in ordine e in silenzio, i miei coetanei si guardavo attorno meravigliati ed increduli.
Io avevo troppa pura per pensare.
Il cappello parlante fu portato sullo sgabello, recitò al sua stupida canzoncina e iniziò lo smistamento.
Il nome Potter era uno degli ultimi, avrei avuto tutto il tempo di guardarmi attorno, di osservare i miei compagni, invece passai quegli interminabili minuti a fissare il marmo decorato sotto le mie scarpe nere, restai ferma, immobile, come se questo bastasse per farmi scomparire dalla faccia della terra.
- Alice Joanna Potter.
Improvvisamente fu come se tutto attorno a me si immobilizzò.
Non volevo muovermi.
- Alice Joanna Potter?
Mi sentivo il viso andare a fuoco, qualcuno iniziò a parlare sotto voce e io ancora non mi muovevo
- Alice Joanna Potter?
Al terzo richiamo mi mossi, un passo pesante dopo l’altro, ormai respiravo a fatica, vedevo un enorme stemma color rosso e oro soffocarmi.
Mi misi a sedere sullo sgabello, mille occhi puntati addosso, quelli di mio fratello promettevano solo un futuro di derisione ed imbarazzo.
Il capello mi fu calato sulla testa, scivolò sui miei ricci capelli castani e mi coprì gli occhi.
Lo sentii contorcersi su di me e poi una vocina esile, consumata dagli anni si insinuò nel mio orecchio.
- Potter!- disse quasi ridendo – Ma che bella testolina! Non sarà facile smistarti!
- Tanto saprai già dove devo andare! – sbuffai contrariata muovendomi su quello scomodo sgabello.
- Invece non ne sono sicuro.
Lo smistamento più lungo del mio anno, rimasi su quello sgabello per tre minuti mentre quello stupido cappello si contorceva sulla sua mia testa e mi diceva frasi senza senso.
- Potresti avere un futuro brillante in qualsiasi Casa. – mi disse – Ogni Casa potrebbe aiutarti ad approfondire una parte di te stessa. Eppure devo trovare quella giusta.
- Muoviti! Non posso stare tutto il tempo qui!
- Per queste cose non ci vuole fretta!
Sbuffai infastidita, quell’orribile coso voleva vedermi ancora più imbarazzata di quello che già ero.
Immaginai le battute stupide di mio fratello al tavolo dei Grifondoro, sicuramente stava ridendo di me con Sirius.
In quel momento lo odiai con tutta me stessa.
- SERPEVERDE!
Fu un urlo improvviso che mi fece fare un salto sulla sedia, il silenzio attorno a me divenne più pesante.
Tornai a vederci, la McGranitt aveva sollevato il capello ma io non mi ero ancora ripresa.
Serpeverde… ero una Serpeverde.
- Avanti cara… - mi incoraggiò la McGranitt – vai al tavolo.
Annuii e mi alzai, il tavolo dei Serpeverde scoppiò in un applauso mentre alcuni lanciavano occhiate divertite verso mio fratello, invece i Grifondoro iniziarono a discutere tra di loro. Spostai il mio sguardo su James. Mi fissava con odio se non con disgusto, già vedevo Rodolfus, il nostro gufo, volare verso casa nostra a dare la pessima notizia a mamma e papà.
Già sentivo le urla di mio padre e i pianti di mamma.
Alice Joanna Potter era stata smistata tra i Serpeverde.
Alice Joanna Potter era finalmente libera.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***



Quella fu la mia prima cena da ragazza libera.
Dopo essermi seduta al tavolo della mia nuova Casa, ripresi a respirare normalmente.
Molti erano scettici, mi guardavano con diffidenza ma sapevo che avrebbero imparato presto a conoscermi anche se non ero certa delle mie capacità magiche.
Certo ero sempre stata molto più riflessiva e studiosa di James, lui sapeva solo usare l’impulsività ignorando le conseguenze delle sue azioni. Io, invece, valutavo ogni sfaccettatura, ogni possibile conseguenza, a volte suscitando le ire di mio padre che diceva sempre che ci mettevo troppo per lanciare un incantesimo. Ma capitava raramente che sbagliassi un colpo ma questo non significava esser più forte di mio fratello.
Sentivo gli sguardi dei ragazzi più grandi su di me, per loro potevo sembrare una curiosa novità; capitava che da una famiglia di Serpeverde nascesse un Grifondoro, Black era l’esempio lampante che papà usava in continuazione, ma mai era successo il contrario.
Secondo i coraggiosi Grifondoro i loro ideali erano nobili, quelli giusti, gli unici da seguire, quelli impossibili da odiare.
Bene... ero l’eccezione alla loro puerile regola.
E tutto ciò non faceva che aumentare il mio orgoglio di Serpeverde.
Mangiai di tutto, la mia vita in quel castello non sarebbe stata facile già lo sapevo, ma avevo intenzione di esser me stessa e non l’ombra di James Potter.
- Sei Serpeverde da un’ora e già tutti parlano di te.
Voltai il capo a destra, accanto a me c’era una ragazza della mia età, era stata smistata dopo tre undicenni finiti a Tassorosso. Aveva un corto castello biondo e due occhi grigi come i cieli d’autunno. Il viso era affilato, i tratti molto più femminili rispetto ai miei che ricordavano ancora una bambina spaurita, il naso era sottile, lievemente all’insù, le sopracciglia fini erano così chiare che sparivano con la sua pelle candida.
Ero certa che avrebbe fatto strage di cuori dal terzo anno in poi e, forse, anche prima.
- E tu chi saresti?
- Brenda. – mi disse allungando la mano destra, le dita affusolate e lunghe mi ricordavano l’artiglio bianco di un rapace – Brenda Howard.
- Il mio nome è stato chiamato tre volte dalla McGranitt… non credo che debba ripeterlo. – le risposi stringendo la sua mano incredibilmente fredda.
Mi sorrise, le sue labbra erano rosse come le fragole mature, il lucidalabbra risplendeva sotto la fioca luci delle mille candele che illuminavano la stanza da sopra le nostre teste.
- Ti guadano tutti qui… sei il fenomeno dell’anno.
- Tempo un paio d’ore e vedrai che non sarò più nessuno. – minimizzai con un cenno della mano prendendo il mio calice con il succo di bolle.
Parlammo tutta la serata, era una ragazza simpatica, molto alla mano anche se dava l’aria di un tipetto piuttosto snob, con un po’ tutti gli altri ragazzi della casa di Salazar.
Magiai tre volte il dolce, ero sempre stata molto golosa e quella sera diedi il meglio di me su quella tavola.
- Come fa a starci tutta quella roba?- mi domandò Brenda mentre mi servivo per la terza volta di torta al cioccolato con glassa di zucca.
- Da domani inizierà la lotta con mio fratello, devo essere in forze!- scherzai mentre tagliavo la torta con la pesante forchetta in acciaio opaco.
- Ti sei accorta che tuo fratello non ha mai smesso di fissarti, vero?
Sì, me n’ero accorta. Lo sguardo di James mi stava trafiggendo come una spada nello stomaco, sentivo che mi stava fissando. Potevo immaginarlo benissimo mentre mi fissava con disgusto, con rabbia, mentre mi chiamava traditrice, viscida serpe, mentre i suoi occhi marroni nascosti dalle spesse lenti rotonde mandavano lampi.
Sì, lo immaginavo bene… e mi divertiva tutto ciò.
Finita la mia fetta di torta, soddisfatta della mia abbuffata di cioccolato presi il calice con il succo di bolle e, finalmente, alzai lo sguardo verso di lui.
Era proprio come me l’ero immaginato, fermo al suo posto, il cibo nel piatto appena toccato, i suoi amici, o meglio Sirius perché gli altri due mi davano la schiena, parlottavano tra di loro, gli sorrisi, un sorriso di sghembo, minaccioso, sollevai il calice verso di lui in un brindisi veloce e silenzioso.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
James scattò in piedi buttando sul tavolo il tovagliolo di tessuto giallo.
Gli altri lo fissarono stupiti da quell’improvvisa reazione, poi fissarono me mentre bevevo tranquillamente la mia bevanda.
Con grandi falcate il nobile Grifondoro, uscì dalla sala comune seguito dal suo fedele amico e tutta la combriccola.
Già sapevo che, molto presto, Thomas Rumeus Potter, sarebbe arrivato in quella scuola urlando come un Ippogrifo impazzito.
Improvvisamente sentii un prurito alla base del collo, era come se qualcuno mi stesse osservando così intensamente da farmi accapponare la pelle.
Mi voltai disorientata, immaginando James mentre continuava a spiarmi, ma non era lui, la sensazione era simile ma anche diversa.
Voltai il capo a destra e sinistra fino a quando uno sguardo mi incatenò.
Era il ragazzo del treno.
Quegl’occhi erano impossibili da dimenticare.
Furono pochi, intensi, infiniti secondi. Mi stava studiando così attentamente che mi sembrava di esser quasi nuda sotto i suoi occhi.
Quando distolse lo sguardo diedi una piccola gomitata a Brenda che mi lanciò un’occhiata truce.
- Sai chi è? – le domandai indicandolo impacciata.
La mia nuova amica lo osservò velocemente e poi scrollò le spalle.
- No, non lo conosco. Certo che mette i brividi…
- Già…- feci tornando a guardarlo mentre si versava del succo di zucca nel calice d’argento che aveva davanti – mette i brividi…
Finimmo la cena verso le dieci di sera, James non era più rientrato in sala grande ma non mi importava. Seguimmo i prefetti nei sotterranei, cercai di ricordare ogni svolta che facevamo ma era un cunicolo di corridoio tutti uguali e, ne ero certa, mi sarei persa più di una volta. Arrivammo al grande arazzo che copriva tutta la parete davanti a noi, i ricami in argento sul tessuto verde smeraldo, richiamavano una foresta irlandese, con piccoli animali e un sole morente che stava tramontando dietro le cime di quegli alti alberi.
- Radice di asfodelo. – disse il ragazzo del quinto anno.
L’arazzo si mosse come se una brezza improvvisa lo volesse strappare dalla parete, si arrotolò sulla stecca di legno a cui era appeso, mostrando l’entrata di pietra della sala comune di Serpeverde.
Era uno spettacolo sbalorditivo, ho sempre adorato la penombra, la luce tremolante di una candela, e quel posto era completamente illuminato da un centinaio, e anche di più, di candele, tutte che volteggiavano a mezz’aria, la loro luce era debole lasciando piacevoli angoli nella penombra; il camino era acceso, le lingue di fuoco lanciavano ombre suggestive al tappeto verde che copriva il pavimento di pietra grigia, le pareti senza finestre erano tappezzate di quadri dai colori scuri, arazzi e stendardi della Casa di Salazar, le poltrone erano di velluto verdi con cuscini color argento. Ero sbalordita… ed ero certa che mi sarei trovata bene in quel posto.
Scoprii molto presto che Brenda era la mia compagna di classe assieme ad altre due ragazze.
Una si chiamava Briscilla Lokrat, una ragazzina spaurita e timida che aveva ben poco di Serpeverde, i suoi capelli rossi erano in netto contrasto con la pelle olivastra, il viso era allungato simile al muso di un cavallo, le labbra carnose e rosse mentre gli occhi verdi spiccavano da due cespugliose sopracciglia rosse.
- E tu cosa ci fai qui?- le domandò Brenda sollevando i sottili sopraccigli biondi.
- Non… non lo so… mia… mia madre era una Tassorosso… io.. io volevo stare nella sua Casa.
- Bene…- mormorò Brenda acida – la nostra prima compagna di stanza è un’imbranata di Tassorosso smistata male. E tu?- chiese alla seconda ragazza.
- Mi chiamo Madlene Aileer. – biascicò la ragazzina masticando della gomma da masticare, il sapore dolciastro del lampone si sentiva a mezzo metro di distanza, era disgustoso.
Madlene aveva dei lunghi capelli neri con qualche striatura violetto, gli occhi erano blu scuri, protetti da degli occhiali dalle lenti ovali con la montatura rossa. Il suo corpo tradiva la sua età, sembrava ancora una ragazzina che non si era sviluppata, di tutte e quattro Brenda sembrava l’unica più grande rispetto agli anni che aveva.
Invece la mia nuova amica sembrava soddisfatta delle due compagne di stanza.
- Saranno le nostre narionette…- ghignò divertita quando le altre due scesero per fare conoscenza con qualcun altro – ci divertiremo.
Le sorrisi e annui, si prospettava davanti a me un anno molto divertente.

***
La mattina dopo tutta la sala grande era in fermento, i responsabili delle Case passavano tra i tavoli per dare gli orari scolastici agli studenti.
Lumacorno era già grasso e viscido, affamato di giovani maghi con conoscenza altolocate. Se gli aprivo il cranio potevo vedere le sue stupide rotelline muoversi alla ricerca del ragazzo più manipolabile da usare per i suoi scopi egoistici e spesso meschini.
Si diceva che fosse un buon professore ma solo con gli studenti che gli andavano a genio.
Lo vidi consegnare i foglietti con gli orari ai miei compagni più grandi, fari stupidi sorriseti ad un ragazzo biondo del quarto anno e allo stesso ragazzo dagli occhi scuri che avevo visto in treno. Quest’ultimo aveva preso il foglietto senza neppure guadarlo in faccia, aveva annuito un paio di volte e poi si era alzato lasciando la sua colazione a metà.
Quando arrivò a me mi diede un’occhiata superficiale.
- Potter eh?- disse con un sibilo viscido i suoi baffi ondeggiavano ogni volta che diceva una parola, mi sembravano un piccolo scopettone sotto il suo naso – Questo è l’orario per il è primo anno. Prima di andare a trasfigurazione devi passare dal Preside.
- Dal Preside? – domandai confusa – E’ successo qualcosa professore?
- Che io sappia no… ma devi andarci comunque. Non posso sapere tutto quello che succede qui dentro.
Appena mi diede le spalle alzai gli occhi al cielo, potevo benissimo immaginare il motivo di questa convocazione.
Al dire il vero me l’aspettavo, solo non così presto.
Mangiai pochissimo, Brenda continuava ad insistere ma mandai giù solo mezzo toast e un po’ di succo di zucca poi mi recai dal Preside.
La professoressa McGranitt mi aspettava accanto al gargoyle gigante che costituiva l’inizio della scalinata che portava all’ufficio circolare. Sapevo tutti questi dettagli grazie a mio fratello che aveva, più di una volta, visitato quell’ufficio per via di tutte le sue punizioni.
- Amaretto dolce! – disse la donna facendo muovere la statua – Il Preside ti aspetta.
- Professoressa McGranitt…- dissi senza staccare gli occhi dalla scala a chiocciola in movimento – devo aspettarmi una brutta notizia?
- Te lo dirà il Preside.
Tutto quel mistero non faceva che mettermi in agitazione, annuii e mi misi sul primo scalino.
La voce boriosa e profonda di un uomo che conoscevo mi arrivò alle orecchie quando ero a metà strada. Se da una parte ero sollevata, poiché non era morto nessuno, dall’altra sapevo che il peggio doveva ancora arrivare.
Arrivai alla porta, feci un bel respiro e bussai.
La porta massiccia di legno scuro si aprì da sola, e la voce imperiosa di mio padre mi riempì le orecchie.
- Ci deve essere un errore! Non può accadere questo nella nostra famiglia.
- Thomas non è la fine del mondo. – questa era mia madre, Kira Hamley, guaritrice del San Murgo specializzata nella malattie mentali indotte da pozioni usate nel modo sbagliato e da maledizioni pericolose.
Non sempre lei mi difendeva, credeva che dovevo impegnarmi di più per non far arrabbiare mio padre.
Non capiva che ero stanca di fingere di compiacerlo.
- Tua moglie ha ragione Thomas… - Silente parlava con voce bassa, un piccolo tentativo psicologico per far abbassare il tono a mio padre – in fondo non è successo nulla di male.
- Non è successo nulla di male? – la sua voce era salita di almeno mezzo tono contrariamente all’esperimento di Silente – Una Serpeverde! In otto generazioni nessuno era mai stato smistato a Serpeverde! E non posso tollerare che mia figlia stia in quella Casa.
Nessuno si era accorto della mia entrata.
Nessuno si era mai accorto di Alice Joanna Potter.
Mio padre stava in piedi davanti alla scrivania del Preside, gambe divaricare e mani sul piano di legno chiaro del tavolo, il suo sguardo era minaccioso anche dietro gli occhiali dalle lenti rotonde come quelle di James. Dal suo metro e ottanta osservava Silente dall’alto verso il basso, era sempre stato un uomo imponete ed incuteva sempre un certo timore quando era furioso. Silente, invece, sembrava non preoccuparsi della cosa, stava seduto con gli occhi celesti puntati sui suoi marroni, gli stessi occhi che entrambi i figli avevano ereditato. Per fortuna io non ho gli occhiali, anche il colore dei capelli è lo stesso solo che se quelli di James sono sempre in disordine come quelli di papà i miei sono ricci come quelli di mamma.
Mia madre è seduta su una poltrona di velluto rosso, stringe un fazzoletto nella mano destra. Non so mai se piange perché è delusa di me o solo perché sono nata.
James è seduto sull’altra poltrona, fissa papà e annuisce aggiungendo un “E’ vero!”, “Non possiamo accettarlo!” qua e là.
Finalmente Silente si accorge della mia presenza, vedo il suo sguardo incupidirsi un attimo, Thomas Rumeus Potter si volta e mi vede.
- Ah…- esclama scocciato – sei qui.
Stringo i pugni digrignando i denti, non sopportavo tutto quel distacco.
- Ora potrai dire al Preside che c’è stato un errore nel tuo smistamento.
- Thomas… - la voce esasperata di mia madre mi fa calmare qualche istante.
- Lasciala parlare mamma. – fa James fissandomi con lo stesso sguardo di fuoco di papà.
- Cosa vuoi sapere? – domando fingendomi disinteressata alla cosa.
- Tu hai detto al cappello parlante di smistarti in quella Casa! – mi accusò papà – Solo per darci l’ennesima delusione!
- Quello che tuo padre sta cercando di dirti Alice. – si intromise calmo Silente lanciando solo un’occhiata pungente a mio padre – E’ che forse c’è stato un disguido nel tuo smistamento. Sarebbe il primo errore del cappello parlante ma non si può mai sapere.
Fissai il Preside e poi mio padre, stavo tremando. Quell’uomo mi metteva paura, ma non potevo dimostrarmi debole o lui avrebbe vinto.
- Dimmi cara,- continuò il Preside – hai detto al capello parlante in quale casa volevi esser smistata?
Fissai mio padre negl’occhi e risposi decisa.
- No.
- Gli hai detto qualcosa che possa averlo indotto a smistarti a Serpeverde?
- No.
- Hai fatto un incantesimo che possa aver mutato la scelta del capello parlante?
- No.
- Benissimo cara. – annuì Silente – Ora dimmi, credi che la scelta del capello sia sbagliata?
Una domanda che poteva costarmi la vita.
Restai in silenzio, fissando sempre mio padre, le rughe sulla frante erano lievemente più marcate, chiaro segno che stava attendendo una risposta, sicuramente si aspettava che mi mettessi a piangere e che supplicassi Silente di mettermi tra i Grifondoro.
- Alice…- mi incoraggiò mia madre – rispondi al Preside.
- No, professor Silente.
Gli occhi di mio padre di ingrandirono leggermente mentre la ruga sulla fronte divenne più profonda, strinse i pugni e digrignò i denti.
- Piccola insolente.- sibilò a denti stretti.
Mi raggiunse con due ampie falcate alzando il braccio destro, chiaro segno che stavo per ricevere uno dei suoi potenti ceffoni e, di sicuro, non era il primo che ricevevo. Chiusi gli occhi preparandomi al dolore che mi avrebbe accompagnato per il resto della giornata, alla famigliare sensazione di bruciore alla guancia e alla strana impressione che l’occhio mi sarebbe schizzato fuori dall’orbita da un momento all’altro.
Invece non sentii nulla.
Aprii un occhio e mi accorsi che mio padre si era bloccato poco prima di colpirmi. Era come qualcuno l’avesse bloccato, invece si era fermato da solo.
- Non meriti neppure una punizione per questo…- disse abbassando il braccio – sei solo una continua delusione.
Mi superò uscendo dall’ufficio circolare sbattendosi la porta alle spalle, James lo seguì di corsa lanciandomi solo un’occhiata piena di rancore e disgusto, mamma sospirò e si alzò.
- Dagli del tempo Alice. – mi disse sistemando il fazzoletto nella borsetta nera – Sono certa che prima o poi accetterà la cosa.
Uscì anche lei senza darmi un abbraccio, senza parole di conforto degne di una madre, mi lasciò lì, in quello stupido studio con un vecchio. Troppo orgogliosa per piangere davanti a lui, troppo arrabbiata e umiliata per dire qualcosa.
- Alice…- iniziò Silente alzandosi dalla poltrona – se vuoi…
- Posso andare ora professore? – domandai con voce ferma guardandolo dritto negl’occhi – Sono già molto in ritardo per la mia prima lezione.
Silente annuì solamente, lo sguardo grave su di me, l’espressione preoccupata sul volto.
Uscii dallo studio del Preside e corsi giù per le scale, attraversai i corridoio perdendomi un paio di volte. Prima di entrare nell’aula di trasfigurazioei mi asciugai le lacrime che erano scese senza che me ne accorgessi, feci un bel respiro ed entrai.
Da quel giorno decretai guerra alla famiglia Potter.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Essere la figlia di Auror di fama internazionale poteva portare i suoi vantaggi, ma questo non accade se vieni smistata a tra le gente che tuo padre spedisce ad Akzaban.
A parte Brenda e qualche altra ragazza del primo anno gli altri mi scansavano come un’appestata. Molti dei Serpeverde credevano che fossi solo una Grifondoro mancata, che il capello mi aveva smistato tra di loro solo per fare un dispetto alla mia famiglia.
Gli altri… beh… gli altri mi snobbavano perché avevano paura di perdere l’amicizia di James, o di ricevere qualche punizione da tutta la banda dei Malandrini al completo.
Sapevo quello che gente pensava e diceva di me, non lo davo a vedere ma dentro ci stavo male.
Non ho mai preteso la popolarità di James ma, almeno, avrei voluto che la mia casa mi fosse più vicina.
Ma sapevo che le cose sarebbero cambiate con il tempo.
La scuola era iniziata da qualche mese, lo studio portava via quasi tutti i Sabati pomeriggio e parte delle Domeniche, il tempo libero era veramente poco e, quel poco, lo sfruttavo evitando mio fratello; per questo motivo ero quasi sempre in biblioteca.
Mi mettevo nell’ultimo tavolo nel reparto di cura delle creature magiche e stavo li delle ore a leggere i libri di incantesimi.
La biblioteca era il mio nascondiglio preferito, era silenziosa, aiutava a concentrarti sullo studio, c’era poca luce e, soprattutto, quello era l’ultimo posto dove avrei trovato James.
A volte mi capitava di incontrare ragazzi del mio anno ma in pochi mi rivolgevano la parola, spesso, invece, notavo quello strano ragazzo dai capelli neri seduto sempre allo stesso tavolo, con una lampada accanto che illuminava il libro che leggeva, una penna d’oca nera che si muoveva veloce sulla pergamena e altri libri voluminosi che ingombravano tutto il resto del tavolo.
Anche lui se ne stava sempre solo, non diceva una parola, studiava e basta, spesso erano libri presi dalla sezione proibita.
Un pomeriggio di Sabato decisi che passeggiare in cortile era molto meglio che stare china sui tomi polverosi della biblioteca, così presi il mantello pesante e mi diressi verso i girdini.
L’aria era gelida e tagliente come le lame di un rasoio, ma non c’era quasi nessuno e mi serviva per schiarirmi le idee e per rilassarmi qualche ora. Camminai lungo le serre, percorsi il sentiero fino ai confini della Foresta Proibita e poi tornai indietro osservando Hagrid mentre puliva della zucche particolarmente grandi.
Mentre osservavo i miei piedi riflettei sulla mia situazione: le vacanze di Natale si avvicinavano in fretta, dovevo decidere se tornare a casa o meno.
Tornare a casa voleva dire starsene con James e Sirius tutto il giorno, con mio padre che mi avrebbe lanciato occhiate disgustate. Starsene a scuola poteva significare isolarsi completamente dalla famiglia, e aumentare quella fastidiosa sensazione di solitudine che avevo in fondo al cuore.
Non sapevo proprio che fare.
I miei pensieri furono interrotti quando sentii qualcuno afferrarmi per un braccio e trascinarmi dietro un albero. Mi ritrovai con la schiena contro il tronco rugoso della pianta e una bacchetta puntata alla gola.
Forse avrei dovuto esser sorpresa ma sapevo che James e Sirius, prima o poi, avrebbero dato il meglio di loro.
La bacchetta che avevo alla gola era quella di James, mentre Black mi bloccava contro l’albero, Minus stava dietro di loro, con gli occhi piccoli e malvagi che luccicavano e quello che sembrava un foglio di pergamena in mano.
Mi trovai a chiedermi se doveva prendere appunti su quello che stava vedendo.
- Sei uscita dal castello finalmente…- sussurrò mio fratello con un sorriso di sghembo – sono settimane che aspetto che abbassi la guardia.
Sorrisi e lanciai un’occhiata a tutti e tre.
- Tre quindicenni contro un’undicenne…- mormorai sarcastica premendo sempre di più la testa contro il tronco – un comportamento da vero uomo James.
- Zitta! – premette di più la bacchetta sulla mia gola, ma non avevo intenzione di dargliela vinta in quel modo disonesto.
- Non puoi affrontare la tua sorellina senza i tuoi compagnucci? Sei patetico.
Lo vidi socchiudere gli occhi.
- Peter, Sirius… andatevene… ci penso io.
Colpito nel suo stupido orgoglio di Grifondoro, era sempre stato così dannatamente prevedibile.
- Ma… James…
- Vai Sirius! – disse con più decisione allentando appena la pressione sul mio collo – So badare a me stesso.
Black mi lasciò e si allontanò velocemente, seguito da Peter talmente deluso che non mi sarei sorpresa di sentirlo guaire come un cane pestato.
- Che cosa vuoi? – domandai a mio fratello con un sibilo minaccioso.
- Attenta al tono che usi Alice…- mi minacciò lui con fare superiore – io non sono come papà… non mi fermo solo perché sei una delusione per tutta la famiglia.
James era concentrato sulle parole che doveva dirmi, voleva impaurirmi, farmi capire che lui era il migliore. Era così concentrato sulla sua stupida finta superiorità che non si era accorto della mia bacchetta puntata contro il suo torace.
- Non hai nulla da dire Alice?
- Expelliarmus!
Volò di un paio di metri prima di finire col sedere sul suolo ghiacciato, fece una lieve smorfia ma si rialzò subito.
- Stupeficium!
- Protego!
- Sei finita Alice!
- Che paura James… sto tremando tutta…
- Tra poco tremerai sul serio. Petrificus Totalus!
Mi scansai di lato giusto in tempo per non finire pietrificata.
- Impedimenta! – il braccio di mio fratello fu colpito rendendo meno fluidi i suoi movimenti.
- Tarantallegra!
Le mie gambe iniziarono a muoversi da sole con un ritmo veloce e incostante.
- Ah! – rise James cercando di muovere meglio il braccio – La vuoi una lezione di magia?
- Sta zitto James! Languelingua!
James sgranò gli occhi dietro quegli orribili occhiali tondi, si portò le mani alla gola iniziando ad emettere suoni incomprensibili.
- Quando la fai lunga…- sbuffai cercando di fermare le mie gambe – la lingua ti si è solo attaccata al palato.
- Mmmmmh… - dall’espressione che aveva potevo solo immaginare quello che voleva dirmi, certamente non erano parole di stima.
- Cosa sta succedendo qui? – urlò una voce femminile.
James mi lanciò un’occhiata vittoriosa, mentre la McGranitt arrivava con passo svelto e l’espressione truce sul volto affusolato. La professoressa lanciò prima un’occhiata alle mie gambe che continuavano a muoversi e poi a mio fratello che mugugnava indicandosi la bocca. Con un veloce gesto di bacchetta le gambe si fermarono e la lingua di James si staccò dal palato.
- Peccato...- mormorai cadendo a terra stremata - avevo, finalmente, trovato il modo di farlo stare zitto.
- Non aggravi la sua situazione signorina Potter. – disse minacciosa la strega sistemandosi gli occhiali sul naso – Entrambi nel mio ufficio.
La seguimmo senza fare obbiezioni, io con la testa china, un po’ mi vergognavo di quello che era successo, non la lite ma del fatto che mi ero fatta beccare. Dovevo solo affinare meglio la tecnica.
James, invece, camminava a testa alta e spavaldo come al solito, certo che non avrebbe ricevuto nessun tipo di punizione.
Era la prima volta che vedevo l’ufficio della McGranitt, era molto elegante, sobrio con alcuni quadri paesaggistici alle pareti, una libreria stracolma di libri, un trespolo dove dormiva un barbagianni marrone e bianco e la scrivania di legno dalle venature rossicce dove stavano impilate decine di rotoli di pergamena. Restammo fermi in piedi di fronte a lei mentre si sedeva dall’altra parte della scrivania.
- Non sopporto, ripeto, non sopporto, che gli studenti vadano in giro per la scuola ad azzuffarsi come un branco di cani randagi. –iniziò la donna con voce tonante e, devo ammetterlo, Minerva McGranitt fa veramente paura quando é arrabbiata dai suoi occhi potrebbe partire una scintilla infuocata capace di renderti un mucchietto di cenere in pochi attimi – Ma sopporto ancora di meno...- continuò guardando prima me mortificata e poi James che stava sfoggiando la più falsa espressione di pentimento che avessi mai visto in vita mia –quando sono due fratelli ad azzuffarsi in questo modo. James tu sei più grande... dovresti dare il buon esempio, e tu, signorina, dovresti portare rispetto per gli studenti più grandi di te.
- Cosa?- urlai sconvolta – E’ stato lui ad iniziare!
- Non mi interessa... in questa scuola serve disciplina e rispetto verso tutti gli altri studenti, una lezione che nessuno dei due ha ancora imparato.
Lanciai un’occhiata truce a mio fratello e tornai a fissare il pavimento di pietra chiara.
- Vi verranno tolti venti punti.
- Come?- questa volta fu James che urlò sgranando gli occhi – Ma professoressa...
- Non provi neppure a fiatare signor Potter. Venti punti in meno a testa, comunicherò l’accaduto ai vostri genitori e al professor Lumacorno in modo che possa darle la punizione che riterrà più adatta.
- Sì, professoressa. – risposi a capo chino.
- In quanto a lei signor Potter sarà sospeso per le prossime tre partite di Quidditch e avrà una settimana di punizione con Gazza.
- Professoressa... – piagnucolò mio fratello come un bambino che, troppo tardi, si era reso conto in che guai si era cacciato - c’é la partita contro Serpeverde Sabato prossimo.
- Lo so benissimo Potter ma la disciplina e l’educazione vengono prima di qualsiasi partita. Sono stata abbastanza chiara?
- Sì, professoressa.
- Bene, potete andare.
Era la mia prima punizione e non avrei dovuto andarne fiera ma James era stato punito molto più di me, i punti si potevano riguadagnare e non avevo paura di quello che avrebbero detto i nostri genitori.
- Hai visto cos’hai fatto?- sibilò crudelmente lui con le mani in tasca.
- Veramente hai fatto tutto da solo... io mi sono solo difesa.
- Papà sarà furioso.
- Non mi interessa, - gli risposi con un’alzata di spalle – non mi fa più paura.
- Ti farà passare un Natale d’inferno.
- No, invece.
- E come fai a dirlo?
Lo fissai e sorrisi diabolica:
- Semplicemente perché non torno a casa per Natale.
James, il fratello che tutti ritenevano perfetto, spalancò la bocca stupito.
- Ma... ma... la famiglia...
- Hai una bella faccia tosta a parlarmi di famiglia James. – gli dissi voltandomi e incamminandomi verso al Sala Comune.
- A mamma non piacerà! Sai che vuole tutta la famiglia riunita! – urlò alle mie spalle.
- Per lei non faccio più parte della famiglia... – chiusi gli occhi e sospirai tristemente – Sirius ha preso il mio posto da molti anni.
Rientrai nella Sala Comune stanca e sfiduciata, non era la prima lite che avevo con lui ma non eravamo mai arrivati ad utilizzare la magia per farci del male.
Entrai nella stanza che dividevo con le altre mie compagne, Brenda stava leggendo l’ultimo numero di Top Witch, il giornale per giovani streghe, Briscilla stava scrivendo sul suo diario, diario che, puntualmente, Brenda leggeva per farsi due risate prima di dormire e Madlene stava facendo volteggiare delle farfalle sopra la sua testa mente continuava a masticare quelle sue disgustose cicche alla mora.
- Dove sei stata?- mi domandò la mia amica bionda senza neppure alzare gli occhi dalla rivista.
- A fare una passeggiata. –le risposi atona buttandomi sul letto.
- Hai i pantaloni stracciati. – mi fece notare Madlene facendo scoppiare un palloncino rosa in bocca.
- E due bottoni della camicetta sono saltati. – finì Briscilla che aveva smesso per un secondo di scrivere.
- Lasciatela in pace! – sbottò Brenda lasciando perdere la rivista e venendo a sedersi sul mio letto – Cos’é successo Alice?
- Mi sono azzuffata con mio fratello.
- Gli hai fatto vedere i gufi verdi?
Ci riflettei un attimo e poi sorrisi.
- Sì, credo.. credo di sì. La McGranitt l’ha sospeso dal Quidditch per tre partite.
- Quindi vuol dire che non giocherà alla prossima partita contro Serpeverde.
- No, sarà in tribuna come gli altri.
- Ma questa é una notizia fantastica!
- Ma ho fatto perdere venti punti alla casa.
- Questo non é importate.
Improvvisamente si sentì un gran frastuono nella Sala Comune.
- Oh tu, Alice Joanna Potter. Vieni fuori e mostra a tutti il tuo volto!
Io e Brenda ci lanciammo un’occhiata divertita per poi metterci a correre. In Sala Comune c’erano diversi ragazzi più grandi, ne conoscevo alcuni solo di fama, come il giovane Malfoy e Regulus Black.
Un ragazzo del terzo anno dai capelli ricci mori e dallo sguardo furbo si gettò ai miei piedi quando mi vide arrivare.
- Oh grande Alice... non punirci con i tuoi incantesimi...
- Ma cosa...?
- Evan smettila di fare il buffone! – lo apostrofò Lucius con uno sguardo glaciale – Abbiamo saputo che ti sei scontrata con tuo fratello e che la McGranitt l’ha punito sospendendolo dal Quidditch.
Annuii piano, quasi timidamente, i ragazzi più grandi non socializzavano mai con le matricole imbranate come me, al massimo ci ordinavano in modo sgarbato di levarci dai piedi.
- Garzie... garzie...- continuò Evan Rosier inchinandosi davanti a me.
- Rosier mi sembri un Grifondoro in questo momento! – sbuffò seccato il fratello di Black a differenza di Sirius, Regulus aveva i capelli molto più corti, sempre neri con due occhi di un verde intenso, penetrante e molto seducente secondo Brenda.
Evan scattò in piedi spazzolandosi il vestito:
- Mi ritengo offeso dopo questo paragone.
- E comunque... – continuò Black andando a sedersi sul divano davanti al fuoco acceso – non avevamo bisogno di lei per far fuori Potter per la partita. Potevamo sconfiggerlo benissimo da soli.
- Mmmmh non credo. – fece Lucius – E’ difficile ammetterlo ma il quattr’occhi é un osso duro, con lui fuori dai piedi la vittoria é sicuramente nostra.
Solo allora mi resi conto che Regulus si era seduto accanto al ragazzo moro che incontravo sempre in biblioteca, il ragazzo che metteva i brividi.
- E tu che ne dici Severus?- gli domandò il giovane Black strappandogli il libro che stava leggendo – La sorellina di quttr’occhi ha fatto un buon lavoro?
Il ragazzo di nome Severus alzò gli occhi, il suo sguardo avrebbe messo paura perfino ad un demone, mi fissò per qualche istante e poi riprese il suo libro dalle mani del compagno.
- Solo se gli ha anche rotto una gamba. – sibilò maligno aprendo il libro alla pagina che stava leggendo così avidamente.
Quello fu il mio primo vero incontro con Severus Piton e potevo solo immaginare quanto quell’incontro poteva influenzare la mia vita nel corso degli anni.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Avviso tutti i lettori che da questo capitolo in poi potranno esserci degli spoiler sull'ultimo libro della saga di Harry Potter. Mi scuso con tutti quelli che stanno aspettando l'aggiornamento ma, dopo aver letto il libro, non potevo omettere alcuni particolare in questa storia. Quindi siete avvisati: POTREBBERO ESSERCI SPOILER SU HD. Per tutti i lettori che non continueranno più a leggere spero di aver un vostro commento dopo l'uscita del libro in Italia. A tutti gli altri buona lettura.



attenzione ai possibili spoiler

Il giorno della partenza mi sentivo come una che stava per esser spedita ad Azkaban. A parte quel piccolo scambio di opinioni avuto con James prima di Natale, non ci furono altre litigate… non così forti almeno. Ci insultavamo ogni volta che un professore voltava le spalle ma non abbiamo più usato la magia. Non durante quell’anno scolastico.
Chiusi il mio baule con gesto tragico e mi guardai attorno per assicurarmi di non aver dimenticato nulla. Sperando in fondo al cuore di aver dimenticato qualcosa di così grande da costringermi a rifare tutto il baule e di rimandare il più possibile la partenza.
- Hai una faccia…- mormorò Brenda seduta a gambe incrociate sul letto – sembra che tu abbia appena bevuto una pozione lassativa.
- Credimi, - le dissi chiudendo con un incantesimo i lucchetti – preferirei una pozione lassativa in questo momento.
- Stai solo tornando a casa.
- Appunto. – sospirai uscendo dal dormitorio e dirigendomi verso la Sala Comune.
I ragazzi più grandi stavano seduti accanto al camino spento. Lucius stava accarezzando distrattamente i capelli biondi di Narcissa. Ho sempre pensato che quei due fossero una coppia perfetta. Ricchi, belli, biondi. Fin dal primo giorno che li vidi assieme ero certo che avrebbero avuto un figlio come loro. Bello, ricco, biondo.
Regulus si voltò verso di me, Piton stava giovando a scacchi con Rosier. Anzi era meglio dire che Severus stava stracciando a scacchi Evan.
- Che faccia…- mi disse quando scesi anche l’ultimo scalino.
- E’ arrabbiata. – sibilò Brenda alle mie spalle.
- Regulus… lasciami in pace.
- Hai una bella faccia tosta matricola. – fece Lucius minaccioso, ovvero usando il suo solito tono, smettendo per un attimo di accarezzare la testa della sua fidanzata – Dovresti comportati meglio con quelli più grandi di te.
- Vorrei vedere te Malfoy se fossi costretto a stare nella stessa casa con mio fratello per tre lunghissimi mesi. E, come se non bastasse, Sirius verrà da noi per tutto il mese d’Agosto come fa ogni anno.
- Dalle tregua Lucius. – echeggiò Piton senza alzare gli occhi dalla scacchiera – Non vedi che passerà un’estate d’inferno?
- Non mi sei d’aiuto così.
Severus fece un mezzo sorriso, o meglio alzò l’angolo destro della bocca creando una sorta di un mezzo sorriso.
- Ma io non volevo esser d’aiuto.
- Lascialo perdere. – mi dice Regulus – Ogni volta che torna a casa è di buon umore… fa quasi schifo vederlo sorridere.
- Regulus… tu potresti non arrivarci neppure a casa quest’estate. – lo minacciò con un timbro di voce che avrebbe congelato anche le fiamme dell’infermo.
- E tu potresti non passare tre mesi con una certa rossa di Grifondoro. – gli rinfacciò l’altro.
Non avevo bisogno di chiedere chi fosse la ragazza in questione per due semplici motivi: primo, non e lo avrebbero mai detto; secondo, avevo constatato durante l’anno scolastico che Severus e la giovane Lily Evans erano amici, probabilmente di vecchia data.
- Cos’è Regulus. – disse Rosier con un sorriso di sghembo – Sei geloso di Severus?
Narcissa fece una risatina acuta coprendosi le labbra perfette con la mano perfetta, perfino Severus si lasciò sfuggire un sorriso.
Il giovane rampollo di casa Black tagliò il discorso con un cenno della mano, poi tornò a fissarmi.
- Vieni con me Potter, ti devo parlare.
Regulus mi prese un braccio e mi trascinò fuori dalla sala grande. Riuscii a sentire Evan che gridava perché aveva sbagliato la mossa, poi più nulla.
- Non potevi dirmelo davanti agli altri?- gli chiesi mentre mi trascinava verso uno sgabuzzino delle scope.
- No, volevo dirtelo in privato.
- Perché?- domandai confusa liberando con uno strattone il mio braccio dalla sua mano.
- Perché solitamente non parlo con le matricole, ma tu fai un’eccezione.
- Perché? – mi sentivo un po’ stupida a ripetere la stessa domanda ma proprio non riuscivo a capire.
- Sirius viene da te per il mese d’Agosto giusto? – annuii con uno sbuffo ancora più confusa per il cambio improvviso del discorso – Voglio solo darti qualche dritta per non farti passare un’estate orribile.
Sgranai gli occhi sorpresa. Regulus aveva un anno in più di me e uno in meno rispetto al fratello. Non capivo cosa volesse dirmi o che dritte poteva darmi. L’unico consiglio che mi veniva in mente era di barricarmi in camera mia per tre mesi ma, per quello, non c’era bisogno che me lo dicesse il fratello di Sirius.
- Che genere di dritte?
Regulus si avvicinò di più a me, potevo sentire il profumo di muschio della sua pelle e quello dello shampoo che usava per i capelli. Ero molto nervosa perché un ragazzo non si era mai avvicinato così tanto a me. Beh… un ragazzo diverso da James e Sirius quanto meno.
- Per prima cosa. – sussurrò al mio orecchio – Sirius è allergico alle noccioline.
- Quanto allergico?- domandai ancora prima che la mia mente registrasse appieno la frase. In quei mesi avevo imparato a far funzionare il cervello come ogni Serpeverde, appena assimilavo una notizia cercavo il modo migliore per sfruttarla a mio vantaggio. A volte aiutava. Spesso ti cacciava solo nei guai.
- Abbastanza da fargli uscire orribili bolle e macchie anche solo se ne mangia una, ma non così tanto da mandarlo al San Murgo. E seconda cosa: non sopporta le cavallette.
Scoppiai quasi a ridere.
- Devi sapere che da piccolo Sirius giocava con la bacchetta di nostra madre, fingeva di fare incantesimi ma le parole erano così mal dette che non accadeva quasi nulla. Io ero piccolo e la storia me l’’ha raccontata nostro padre, un pomeriggio era in cortile, fingeva di lanciare incantesimi agli insetti quando ha pronunciato correttamente l’incantesimo per ingrandire e si è ritrovato davanti una cavalletta lunga due metri e alta uno. Era così spaventato che non ha toccato più una bacchetta fino a quando non ha ricevuto la lettera per Hogwarts. Ancora oggi le cavallette lo terrorizzano.
Mi mordicchiai un labbro per non ridere in faccia a Regulus, ma l’immagine di Sirius che tremava di fronte ad una cavalletta innocua era troppo comica, così ridacchiai appena cercando di contenermi il più possibile.
Per qualche strana ragione mi stava dando una mano, queste due informazioni potevano essermi molto utili durante l’estate. Era poco ma, almeno, potevo rispondere ai loro scherzi.
Ma la prima lezione che impari quando vieni smistata nella Casa di Salazar è che nessuno fa niente senza ricevere un proprio tornaconto.
- Perché mi dici queste cose? Tu cosa ci guadagni?
- Assolutamente nulla.
- Avrò anche solo undici anni Regulus,- gli risposi incrociando le braccia al petto – ma non mi bevo tutte le tue cazzate.
- Conosco Sirius e, dopo quest’anno, non ti renderà la vita facile soprattutto se continua a seguire James come un cagnolino ben addestrato. Nessuno più di me vuole vederlo umiliato, soprattutto da una ragazzina più piccola.
Alzai le sopracciglia scettica, sentivo che quei consigli mi sarebbero costati cari, magari l’anno prossimo dovevo fare tutti i compiti per lui, magari voleva solo aiutarmi, magari voleva vedermi morta.
- Fidati Potter!- mi disse dandomi una lieve spinta come se fossi uno dei suoi compagni – Non voglio prendermi gioco di te e non ho bisogno nulla… almeno per ora.
Alzai gli occhi al cielo sospirando, sapevo che prima o poi me l’avrebbe fatta pagare. - - Sto scherzando! – ride aprendo la porta dello sgabuzzino – Senti Potter puoi fare quello che vuoi, di certo non voglio vedere mio fratello morto ma non voglio neppure che lui tartassi una delle mie compagne. Hai dimostrato di esser in gamba in questi mesi quindi accetta i miei consigli e goditi questo mio momento di gentilezza perché non so se ricapiterà ancora.
Ecco che Black tornava ad indossare la maschera di Serpeverde made in Hogwarts. Regulus si faceva trascinare dai ragazzi più carismatici di lui, se non stava con il gruppo era uno dei più simpatici e buoni. A volte mi chiedevo come avesse fatto il capello parlante a metterlo tra di noi. A volte mi chiedevo se non fosse stato direttamente lui a dire al cappello parlante dove volesse esser smistato giusto per non deludere il padre.
Scesi le scale che portavano alla Sala Grande, mi misi a sedere al grande tavolo, molti dei miei compagni non erano ancora arrivati. Iniziai a mangiare sperando di finire tutto il prima possibile così da non dover vedere mio fratello fino alla partenza del treno. Porgevo le spalle al tavolo dei Grifoni, quell’anno avevano vinto la Coppa delle Case e noi quella del Quidditch, era inutile dire quanto i miei compagni fossero arrabbiati per non averle vinte entrambe.
Sospirai punzecchiando la mia bistecca con la forchetta luccicante, ero ansiosa e molto nervosa. Era la mia prima estate dopo lo smistamento, non ero tornata a casa per le festività natalizie e neppure per pasqua. Mia madre mi scriveva quando non sentiva mie notizie per parecchie settimane ma tutto finiva con due frasi senza mai nominare la mia Casa, James o papà.
Non sapevo cosa aspettarmi e questo mi terrorizzava.
Lasciai perdere la carne e mi concentrai sulle patate dolci, Brenda prese il posto accanto al mio.
- Devi mangiare… il viaggio sarà lungo.
- Sarà sempre troppo breve. – sospirai rassegnata.
- Smettila di fare la melodrammatica!- mi sgridò la mia amica – Siamo o non siamo della casa di Salazar? Questo atteggiamento negativo e autodistruttivo lascialo ai Corvonero!
Ridacchiai e mi voltai verso di lei.
- Hai ragione…- le risposi – non devo rassegnarmi ma arrivare a casa a testa alta. Se torno come un cane bastonato darei solo ragione a mio padre. Devo fargli vedere che sono fiera di quello che sono!
- Ben detto sorella! – sorrise Brenda dandomi una pacca sulle spalle – E se quei due non ti lasciano stare puoi sempre mandarmi un gufo e io verrò a salvarti!
- Grazie Brenda, sei una vera amica.
- Lo so. – mi rispose con fare civettuolo.
Scoppiammo tutte e due a ridere e poi ripresi a mangiare; improvvisamente avevo una gran fame.

***
Come avevo immaginato il viaggio di ritorno si presentò più breve dell’andata. In poche ore ero di nuovo a Londra, di nuovo davanti a quella barriera che mi avrebbe portato in quella casa che iniziavo ad odiare.
Un Serpeverde non ha mai vissuto a Godric’s Hollow.
Un Serpeverde che si rispetti odia Godric’s Hollow.
Ma dovevo tenere duro, portare alto il nome della mia Casa. Si prospettavano tre mesi d’inferno ma ero disposta a tutto per non piegarmi di fronte a mio padre e mio fratello.
James mi oltrepassò lanciandomi solo un’occhiata maligna, Sirius mi chiamò piccola vipera velenosa suscitando la risata infantile e odiosa di Minus, Remus rallentò la sua camminata, mi fissò un attimo solo, fece un sospiro carico di pietà e riprese a camminare verso i suoi amici.
- Non ho bisogno della tua pietà Lupin!- urlai contro la sua schiena.
Se mi sentì non lo diede a vedere, continuò per la sua strada senza ribattere in nessun modo. A volte avrei voluto che mi gridasse contro qualcosa giusto per farmi capire che era un essere umano come gli altri, la sua calma mi faceva ancora più infuriare dell’arroganza di James e Sirius.
Osservai il mio baule, pesante oltre ogni immaginazione, non avevo aggiunto nulla rispetto al primo giorno che avevo messo piede a Hogwarts eppure era più pesante del solito. Mi guardai attorno alla ricerca di un carrello babbano per trasportare i bagagli o qualcuno disposto ad aiutarmi. Intorno a me un mucchio di ragazzi che salutavano i propri genitori, amici che si salutavano abbracciandosi e scambiandosi gli indirizzi per i gufi estivi, genitori che aiutavano i figli del primo anno felici di tornare con i propri cari, fratelli che sorridevano alle sorelle.
Improvvisamente mi sentii incredibilmente sola.
Mio fratello mi evitava come se avessi qualche malattia contagiosa, i miei genitori mi avrebbero aspettato fuori dalla stazione e potevo già immaginare mio padre che sbuffava perché non mi ero ancora fatta vedere, Brenda mi aveva già salutato ed era corsa dai suoi radiosa dopo avermi abbracciato forte e promettendomi che mi avrebbe scritto presto.
E io ero rimasta sola con il mio serpente cucito sul taschino.
Ma neppure lui ora poteva aiutarmi.
Afferrai il baule per una maniglia e iniziai a trascinarlo verso la barriera che ci divideva dalla King’s Cross babbana. Dopo dieci metri mi arresi: era troppo pesante.
- Vaffanculo! – urlai infuriata tirando un calcio al baule e facendomi male al piede- Ahi!
- Vedi cosa ottieni a dire troppe parolacce?- mi disse una voce profonda alle spalle.
Mi voltai di scatto furiosa e pronta a litigare con chiunque, anche con Silene in persona. Invece era solo Piton. Mi fissava con il suo solito sorrisino di sghembo sulle labbra, il baule scolorito sul carrello, accanto a lui c’era la rossa Evans che sorrideva comprensiva. Nello stato in cui ero odiavo anche quella falsa comprensione.
- Vattene Piton. – gli disse in malo modo voltandomi di nuovo verso il baule – Non vedi che ho da fare?
- Vedo. – rispose lui freddo come una statua di ghiaccio.
- Avanti Severus…- disse dolcemente Lily – non vedi che non riesce a portalo da sola? Aiutala.
- Ma se mi ha appena detto che non mi vuole? – ribatté lui, potevo sentire i suoi occhi neri puntati sulla schiena – E non sono il suo facchino. E neppure il tuo elfo domestico a cui dare ordini.
Chiusi gli occhi, non potevo sopportare anche questa oggi, cercai di non piangere ma ero distrutta. Sapevo che sarebbe stata dura ma non credevo così tanto. Avrei dato qualsiasi cosa per tornare nella calma e silenziosa Hogwarts.
- Sei uno scimmione. – lo ammonì la Grifondoro spingendo il carrello fuori dalla barriera per poi tornare dopo qualche minuto con il carrello vuoto.
Si avvicinò a me e me lo porse.
- Tieni…- fece con un sorriso – a me non serve più.
Misi una mano sulla maniglia e feci un lieve sorriso, o almeno mi sembrò di farle un sorriso.
Lily sorrise per poi alzare lo sguardo verso Severus.
- Ci vediamo presto Severus.
- Ciao Lily. – rispose semplicemente lui sempre alle mie spalle.
La rossa fu inglobata dalla parete della barriera e non tornò più indietro, io presi il baule e cercai di sistemarlo sul carrello. Impresa quasi impossibile visto che avevo la vista appannata e mi mancavano le forze. Piton mi venne in aiuto, con la bacchetta alzò il mio bagaglio e lo adagiò dolcemente sul carrello di metallo. Alzai lo sguardo e lo fissai dritto negli occhi, era la prima volta che lo facevo. Il ghigno sparì per qualche secondo, forse i miei occhi pieni di lacrime l’avevano spiazziato.
- Grazie. – dissi con un filo di voce visto che la gola mi faceva male per il pianto trattenuto.
- Andiamo… siamo gli ultimi.
Annuì e iniziai a spingere il mio carrello verso l’uscita, attraversata la barriera mi ritrovai nel fiume umano di gente. Molti erano babbani, altri erano maghi mal travestiti che spuntavano subito all’occhio. Io e Severus sembravano comuni ragazzi con strani bauli sul carrello. Percorremmo a passo spedito la stazione, superammo la biglietteria e ci trovammo fuori da King’s Cross. La maggior parte della gente scendeva nella metropolitana babbana, inglobata nel terreno come vermi che si nascondono quando esce troppo sole. Altri aspettavano i taxi fermi ai bordi dei marciapiedi.
Quella che doveva essere la mia famiglia mi aspettava vicino ad una cabina telefonica, mia madre si guardava attorno apparentemente preoccupata per il mio ritardo, mio padre stava parlando con James e Sirius. Nessuno di loro si era accorto della mia presenza. Sospirai sconsolata e mi voltai verso Severus.
- Credo che le nostre strade di dividano qui Piton.
Lui ricambiò il mio sguardo ma non disse nulla.
- Alice!- mia madre mi aveva visto e si stava sbracciando cercando di richiamare la mia attenzione.
James si voltò appena, tornò a guardare mio padre, che non aveva neppure fatto il minimo sforzo di alzare la testa per controllare se stavo bene o se ero ancora viva, e poi si voltò di nuovo verso di me con uno scatto così veloce che gli occhiali gli si stornarono sul naso. Con una mano strattonò la maglia di Sirius che fu costretto a voltarsi anche lui. Finalmente Thomas Rumeus Potter si degnò di guardami.
Rabbrividii ma cercai di non darlo a vedere, i suoi occhi erano di ghiaccio, mi guardavano con disgusto, mi squadrò dalla testa ai piedi come se cercasse qualcosa di strano. Forse credeva che avrei iniziato a fare magia oscura fin dal mio primo anno.
- Ci vediamo a Settembre Potter. – mi fece Severus alzando il baule con entrambe le mani – Nessuno mi aspetta alla stazione e devo andare o perderò l’autobus. – lanciò un’occhiata alla mia famiglia e poi tornò a guardarmi – Mi dispiace che tu abbia un fratello come lui.
Severus Piton era sempre stato enigmatico ai miei occhi, ci misi anni per capire quando era serio o sarcastico.
Si allontanò da me con il baule in mano sicuramente reso più leggero da un incantesimo che io non conoscevo ancora. Lo vidi allontanarsi per qualche metro. Poi fu inglobato nella folla frenetica londinese nascondendosi alla mia vita, tornai a concentrami sui miei genitori. James e Sirius parlottavano tra di loro, mio padre aveva socchiuso gli occhi e assunto un’espressione che preannunciava solo guai, mi madre, invece, si stava dirigendo verso di me e, stranamente, stava sorridendo.
- Bentornata!- mi disse con le lacrime agli occhi – Ero così in pensiero, non ti vedevo arrivare. Pensavo… pensavo…
- Pensavi che ero scappata? – le domandai gelida – Credimi ci ho pensato.
Lei restò zitta per qualche secondo poi mi fece una lieve carezza.
- Alice…
- Non importa. – tagliai corto – Non importa più, ormai il danno è fatto.
- Finalmente sei arrivata. – fece mio padre arrivando alle spalle di mamma, indossava un paio di pantaloni neri e una camicia giallo canarino che stonava in modo ripugnante con i suoi capelli. Mia madre, invece, indossava un grazioso completo color pesca, agli occhi degli altri era una comune mamma che aspettava i suoi figli tornare da una prestigiosa scuola privata.
- Ti eri persa? – mi prese in giro James.
- Mi sono fermata a parlare con degli amici. – risposi a testa alta.
- E da quando Mocciosus è un tuo amico?
- Fin dal primo giorno. – mentii, orgogliosa del mio posto nella scuola.
- Chi era quel ragazzo?- domandò mio padre con un cipiglio minaccioso.
- Un idiota. – rispose James.
- Un bambino piagnucolone. – echeggiò Sirius.
- Siete voi i bambini. – sibilai minacciosa verso i due.
- Attenta signorina…- mi sgridò papà – ti terrò d’occhio in questi mesi. Certi trucchetti da Serpeverdere non funzionano in casa mia.
- Thomas…- sospirò mia madre – ti prego.
Lui si volto dirigendosi a passo svelto vero la passaporta che ci avrebbe condotti a casa, James salutò Sirius, che avrebbe raggiungo Grimmauld Place a piedi visto che era molto vicino alla stazione, e corse dietro di lui, il suo bagaglio già inviato a casa. Mia madre mi mise una mano sulla spalla. Non disse una sola parola, mi aiutò a trasportare il baule, quando eravamo lontane da occhi indiscreti lo fece sparire con un colpo di bacchetta.
In quel preciso momento invidiai molto il mio baule.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Grigi nubi all’orizzonte.
Era questo che vedevo nel mio prossimo futuro.
Le prime settimane furono un incubo, ero già pronta a prendere le mie cose e passare il resto delle vacanze sotto il primo ponte che trovavo.
Le mie giornate passavano lente, miseramente lente. Passavo tutto il giorno in camera mia. Uscivo quando mio padre andava al Ministero e James lo seguiva per vedere come lavorava un grande Auror.
A me non interessava minimamente del suo lavoro, al contrario trovavo gli Auror un branco di maghi che avevano ricevuto troppe botte in testa.
In dodici anni di vita avevo constatato che gli amici di mio padre erano boriosi palloni gonfiati che si credevano migliori solo perché passavano le giornate al Ministero della Magia a elaborare piani per scoprire maghi oscuri che ancora non erano nati.
Mia madre passava quasi tutta la giornata al San Murgo e spesso mi ritrovavo sola con i due perfetti Grifondoro che non facevano altro che sparlare alle mie spalle.
Quei rari momenti in cui anche James seguiva papà al lavoro uscivo dalla mia camera e andavo in giardino per godermi un po’ di sole.
Per il resto passavo le mie giornate in camera a studiare o fare i compiti.
Arrivata a metà Luglio mi resi conto che non c’era mai fine al peggio.
Era una Domenica mattina particolarmente afosa, la mia camera era completamente inondata dai raggi del sole creando l’atmosfera irrespirabile così non potei fare altro che scendere in giardino dove mio padre e James stavano provando degli incantesimi.
James iniziava il quarto anno e doveva iniziare prepararsi per gli esami dei G.U.F.O. del quinto anno, mio padre voleva che prendesse il masso dei voti in Difesa Contro le Arti Oscure così da avere un erede Auror in famiglia.
Mi misi seduta sugli scalini davanti alla porta d’ingresso, sentivo la bacchetta premere nella tasca posteriore dei miei pantaloncini neri. Il secondo giorno di vacanze mi ero ritrovata a penzolare a testa in giù come se una mano invisibile mi tenesse per una caviglia. Così, da quella volta, avevo imparato a portare con me la bacchetta pure in bagno per evitare spiacevoli inconvenienti. Quel pomeriggio non faceva eccezione.
Fissavo i due uomini di casa Potter vagamente interessata ai loro incantesimi, erano di primo livello, così semplici che li sapevo fare pure io. Stavano facendo un ripasso generale del programma, mio padre avrebbe venduto anche un braccio per vedere il suo perfetto figlio combattere contro i maghi oscuri.
- Bene. – fece papà soddisfatto per la preparazione del suo unico figlio– Ora devi fare un po’ di pratica.
Alzai la testa come se già sapessi quello che stava per dire.
Mi fissò per qualche secondo, poi ghignò sadico.
- Vieni qui Alice. – mi ordinò con tono brusco – Aiuta tuo fratello.
- Non ci penso nemmeno. – risposi a tono restando al mio posto.
Lo vidi serrare la mascella irritato dal mio comportamento superiore, con due enormi falcate arrivò dritto davanti a me. La sua ombra imponente mi oscurò completamente; aveva le gambe divaricate, i pugni sui fianchi, non mi sarei stupita di vedergli il fumo che usciva dalle narici.
- Tu fai quello che dico io. – mi disse con fare minaccioso scandendo ogni parola.
- Non sono ai tuoi ordini. – gli risposi scattando in piedi come un soldatino ben addestrato – Non sono uno di quelli che lavorano nel tuo dipartimento!
- Qui sono io il tuo capo e non quel molliccio di Lumacorno. Qui vige la mia legge, quella dei giusti e dei validi…
- Quella degli stolti vorrai dire. – la mia bocca andò da sola.
A dodici anni il mio livello di sopportazione era già arrivato ai limiti dell’umana decenza. Avevo sopportato mesi di battute ironiche da James e Sirius, avevo passato la mia infanzia cercando di dimostrare di essere come mio fratello, avevo sopportato l’indifferenza del mio stesso padre per anni ma non potevo sopportare di esser trattata come il fantoccio su cui James doveva fare pratica. Non mi importava se mi trattava come una figlia, ma, almeno, doveva trattarmi come essere umano.
Non so dove trovai il coraggio di rispondergli in quel modo, dove trovai la forza per dirgli che ritenevo lui, mio fratello e tutti i Grifondoro un branco di stupidi arroganti.
Lo feci e basta.
Il ceffone che ricevetti fu ancora più doloroso della puntura di una pianta spinosa del sud della Grecia, pianta che avevo studiato in Erbologia quell’anno procurandomi svariate ferite alla mano.
Non era un dolore fisico ma psicologico.
Mi portai una mano sulla guancia infuocata, avevo ferito l’orgoglio del nobile Grifondoro, avevo appena insultato tutti i miei antenati e tutti i Grifondoro esistenti nel mondo magico.
In altre parole avevo appena sputato in faccia alla mia vita. O quella che mio padre riteneva vita.
Avrei dovuto piangere per lo schiaffo ricevuto, avrei dovuto chiedere scusa, implorare il suo perdono e fare il fantoccio per gli incantesimi di mio fratello. Forse avrei dovuto farlo. Invece mi limitai a sorridere continuando a fissare il volto furioso dell’uomo che mi aveva donato la vita.
- Lo desideravi fare dal giorno del mio smistamento vero?- domandai ironica – Non sei migliore della gente che dici di disprezzare. – mormorai cattiva, molto più cattiva di quanto avessi mai immaginato – Ti odio…- sibilai proprio come un serpente – hai capito papà? Io ti odio!
Mi voltai e corsi in camera mia chiudendomi la porta alle spalle e bloccandola con un incantesimo. Mi accasciai a terra e scoppiai a piangere, ferita nell’orgoglio e nell’animo perché sapevo di aver perso per sempre quel poco di affetto paterno che nutriva nei miei confronti.
Non scesi a cena quella sera, restai sveglia quasi tutta notte a ripensare a quanto la mia vita fosse diversa da quella di James. A quanto la mia vita fosse ingiusta e miserabile in confronto anche a quella di una mosca.
Mia madre tornò tardi dal turno all’ospedale, quando non mi vide a cena intuì subito cosa fosse successo. Costrinse James a dirsi tutto e trascorse il resto della serata a gridare contro mio padre per il suo comportamento infantile senza ricevere nessun tipo di reazione da parte di quell’uomo.
Verso le tre di mattina qualcuno bussò alla mia porta, ero sveglia ed ero certa che, chiunque fosse dall’altra parte, aveva visto la luce della candela filtrare da sotto la porta.
A dire il vero non c’era bisogno che mi domandassi chi fosse, mio padre e mio fratello non avrebbero messo piede nella mia stanza neppure se fossi marcita là dentro.
- Tesoro..- mormorò a bassa voce mia madre – tesoro sei sveglia?
Restai in silenzio, seduta a terra con le braccia attorno alle ginocchia rannicchiate al petto, con addosso ancora i vestiti del pomeriggio, le guance bagnate e gli occhi gonfi dalle lacrime che non ero stata in grado di trattenere.
Avevo solo dodici anni in fin dei conti.
- Alice. Ti prego.
Mi pregava spesso mia madre, mi ha sempre pregato fino all’ultimo.
Continuai a restare in silenzio, sperando che se ne andasse, invece mamma annullò l’incantesimo e aprì la porta. Indossava la sua vestaglia di cotone azzurra, i capelli erano legati in uno stretto chignon, alcune ciocche ribelli erano scappate dalle forcine però non le davano un’aria sciatta o assonnata. Mia madre era bellissima anche quando si alzava la mattina. Quando ero piccola speravo di assomigliarle anche solo un po’.
Entrò in stanza, dietro di lei un vassoio volteggiava all’altezza della testa, si guardò attorno e poi si avvicinò a me.
- Alice…- mi chiamò con un filo di voce.
- Vattene. – risposi scorbutica appoggiando la fronte alle ginocchia.
Lei non mi ascoltò, come faceva di continuo, a volte credevo di aver ricevuto la cocciutaggine da mio padre, molti sostenevano che ero identica a mia madre. Si sedette accanto a me mentre il vassoio si appoggiava delicatamente sulla scrivania.
- Non è un uomo cattivo. – iniziò fingendo comprensione.
- No, - risposi io continuando a fissare il pavimento tra le mie gambe – è solo un pessimo padre.
- Bambina mia…
- E’ così che funziona vero?- continuai senza ascoltarla, con le lacrime che ripresero a spingere dietro le mie palpebre abbassate per non vedere il mondo dove’ero costretta a vivere – Quando qualcosa o qualcuno è diverso dalle vostre aspettative si finge che non esiste. Non l’avevo capito veramente fino ad oggi.
La sento sospirare accanto a me.
- Ne riparleremo quando sarai meno arrabbiata. – disse alzandosi e avviandosi alla porta – Mangia qualcosa e riposa. Da domani andrà meglio.
Sentii la porta chiudersi di nuovo, mi sfuggì un sospiro e una lacrima scese dai miei occhi stanchi di piangere.
- Vorrei tanto crederti mamma… lo vorrei tanto.

***
Da quel giorno le cose non peggiorarono ma neppure migliorarono. Uscivo dalla mia camera solo per mangiare, cosa che facevo in assoluto silenzio e velocemente. Il resto della giornata la trascorrevo in camera mia a leggere o semplicemente a guardare fuori dalla finestra immaginando di vivere in una famiglia come quella di Brenda o di Regulus dove tutti i membri erano dei Serpeverde come me.
Neppure l’arrivo di Sirius fu così catastrofico come avevo immaginato. Anzi il suo arrivo distoglieva lo sguardo critico di mio padre da me, ora aveva i suoi due pupilli Grifondoro e io potevo tornare alla mia inutile esistenza in quella casa.
Ovviamente Sirius fu subito aggiornato sui recenti sviluppi.
- Sai Jo,- mi disse un giorno appoggiato allo stipite della porta della mia camera, con quell’espressione da ragazzo sexy che mi metteva faceva vomitare – tuo padre vuole solo il meglio per te. E tu continui a dargli questi dispiaceri.
Mi avvicinai alla porta con fare innocente.
- Non parlo di mio padre con uno che definisce la propria famiglia un rifiuto della società civile magica. – risposi a tono – Anzi non parlo di nulla con te Black. – finii col chiudergli al porta in faccia.
Furono le ultime settimane più lunghe di tutta l’estate, molto ragazzi contano con rammarico i giorni restanti di vacanza. Io non vedevo l’ora di andarmene da lì. Ogni giorno era un’agonia e iniziavo ad odiare la mia stanza.
Il giorno in cui credetti di non farcela mi venne in aiuto un angelo dai capelli scuri.
Mancavano due settimane al primo Settembre, quella data sembrava non arrivare mai, come ogni mattina scesi per fare una veloce colazione. Ero sulle scale quando sentii Sirius imprecare a denti stretti.
- Maledetto uccello! Mi ha quasi staccato un dito!
Risi sotto i baffi, perfino gli uccelli si rendevano conto di quanto fosse idiota Sirius Black. Entrai nella cucina e il pennuto su cui stava infierendo Sirius spiccò il volo planando sulla mia spalla sinistra.
Mi sentii osservata da mille occhi.
- Tra simili ci si intende. – sbuffò il più grande dei fratelli Black prendendo un toast.
Osservai il barbagianni sulla mia spalla, l’avevo già visto altre volte, il suo nome era Artemis, uno dei tanti uccelli della famiglia Black, la prima volta che entrò in casa nostra aveva legata alle zampe una strilettera per Sirius. La voce profonda e infuriata del padre era esplosa in tutta la casa gridando quanto fosse deluso per la fuga notturna del figlio. Ora non c’erano strilettere ma solo un piccolo pacco con una busta. E il nome sulla busta era proprio il mio.
- Grazie. – dissi al pennuto sedendomi al mio posto, l’animale scese dalla mia spalla continuando a fissarmi con i suoi enormi occhi gialli – presi il pacco con la busta e poi sbriciolai un po’ di pane tostato per farlo mangiare.
Aprii la busta e ne tirai fuori solo un piccolo cartoncino, scritto con una grafia quasi illeggibile, minuscola e tutta storta c’era solo una frase:
“Per mettere in pratica i miei suggerimenti. Regulus”
Con tutto quello che era successo in quelle settimane avevo completamente dimenticato Regulus e i suoi consigli. Non aprii il pacchetto immaginando quello che poteva contenere, sorrisi e mi misi in grembo busta e pacchetto per non rischiare che Sirius o James li prendesse all’improvviso. Mangiai ancora più in fretta del solito, presi le mie cose e andai in camera mia seguita dal barbagianni. Mi chiusi la porta alle spalle e aprii il pacchetto, conteneva una confezione di noccioline tostate e una scatola più piccola con qualche forellino fatto con una matita appuntita. Allungai la mano verso l’altra scatola quando questa si mosse facendomi venire un colpo.
Regulus mi aveva inviato alcune cavallette.
Scrissi velocemente i miei ringraziamenti e li consegnai ad Artemis che spiccò subito il volo uscendo dalla finestra della mia camera.
Per attuare il mio piano ci vollero quasi quattro giorni di preparativi, improvvisamente il tempo mi sfuggiva dalle mani come se fosse acqua. Mi sembrava che i giorni passassero troppo velocemente rispetto a qualche settimana prima.
La sera del quinto giorno andai a letto con un sorriso sulle labbra, Sirius e James andavano a letto sempre vero mezzanotte. Restai nel mio letto a lungo, sdraiata con le braccia sotto la nuca in attesa di un piccolo rumore.
Mi addormentai qualche ora più tardi con un sorriso sulle labbra e la voce di Sirius, che urlava a James di togliere quelle cavallette dal letto, ancora nelle orecchie.

***
Nei sette anni in cui frequentai Hogwarts credo di esser stata una delle poche studentesse che accoglieva il primo giorno di scuola con il sorriso sulle labbra e un grande senso di liberazione nel cuore.
Quella mattina il mio baule fu il primo a esser pronto, anzi a dire il vero il mio bagaglio era già pronto da due giorni, arriva alla stazione radiosa.
King’s Cross era, come sempre, popolata di gente, riconoscevo a prima vita i maghi e gabbani ma non lo diedi a vedere.
Mia madre mi salutò con un forte abbraccio, le promisi che avrei scritto ma sia lei che io sapevamo che non l’avei fatto. Mi voltai verso mio padre, non che mi aspettassi un saluto o qualcosa del genere ma volevo solo che mi vedesse allontanarmi a testa alta senza ripensamenti di su quanto detto durante l’estate.
Ma mio padre era troppo occupato a salutare Sirius come se fosse suo figlio che guardare me, così lasciai perdere e andai verso la barriera con il mio carrello dei bagagli.
Trovai subito Brenda ad aspettarmi e ci abbracciamo con le lacrime agli occhi, iniziammo subito a parlare raccontandoci quello che avevamo fatto. Beh io restai per la maggior parte in silenzio ascoltando le sue vacanze passate in Europa assieme ad una sorella di sua madre.
Trovammo quasi subito un vagone, ci sedemmo e sistemammo i nostri bagagli.
- Mi dispiace che la tua estate sia stata così disastrosa.- mi disse Brenda dopo che le raccontai alcuni particolari di quei mesi dov’ero reclusa nella mia stessa camera.
- Ora non voglio pensarci. – le risposi mettendomi comoda sulla poltroncina di velluto rosso – Le mie vacanze iniziano ora.
Appena il treno partì la porta del nostro scompartimento fu aperta con un colpo deciso.
- Regulus…- mormorai stupita – cosa vuoi?
Il giovane Black aprì bocca ma quello che gli uscì fu solo una piccola risata.
- Avevo… avevo visto mio fratello…- farfugliò sedendosi davanti a me – quando sono arrivato… avevo visto che era strano perché si stava coprendo il viso con la sciarpa e fa troppo caldo per la sciarpa. Così mi sono messo a spiarlo e mi sono… mi sono…- scoppiò a ridere tenendosi la pancia con entrambe le mani – mi sono accorto che ha la faccia piena di bolle! Ma quante noccioline gli hai fatto magiare?
Mi rilassai sullo schienale della poltrona, sorrisi e incrociai le braccia al petto.
- Gli ho fatto mangiare tutto il pacchetto. – risposi con una luce maligna negli occhi.
Regulus sgranò gli occhi poi scoppiò di nuovo a ridere.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Solitamente una ragazza torna a casa l’ultimo giorno di scuola che è un brutto anatroccolo e ritorna tre mesi dopo completamente diversa: una piccola donna in uniforme scolastica.
E’ questo quello che mi è successo il terzo anno di scuola.
Durante l’anno successivo non era accaduto nulla di molto significante, per tutto il periodo scolastico io e James ci evitavamo volutamente. Cambiavamo direzione anche solo se ci intravedevamo nei corridoi, durante l’estate io ero stata invitata da Brenda nella sua casa al mare e avevo trascorso un mese di assoluto relax lontano da occhi e orecchie indiscrete. Mia madre non era molto d’accordo, per lei ero ancora piccola per questo genere di vacanze ma aveva capito che, per me, vivere in quella casa era un incubo costante.
Il mio terzo anno segnò la nascita di una nuova Alice Potter. Avevo quattordici anni e sapevo di esser diversa dalla Alice che era tornata a casa a Giugno.
Non ero mai stata molto popolare tra i ragazzi, un po’ per il mio comportamento indisponente e suscettibile e un po’ per le voci che James e Sirius facevano girare sul mio conto. Una volta venni a sapere da un mio coetaneo di Tassorosso che non mi toccava perché mio fratello gli aveva detto che la mia pelle era corrosiva.
Mi ferivano volutamente e sempre con maggior cattiveria.
Ma quell’anno la musica era diversa.
Il mio seno inesistente si era tramutato in pochi mesi in una seconda più che abbondate e non accennava a volersi fermare, il cespuglio di capelli che avevo in testa aveva preso una forma più morbida e i riccioli sembravano boccoli setosi, il viso rotondo, ancora da bambina, si era fatto più allungato, i lineamenti più da donna che da ragazzina. Senza contare che mi ero alzata di dieci centimetri e la gonna della divisa mi arrivava giusto giusto al ginocchio. Certo non potevo competere con Brenda o Narcissa Malfoy ma, a volte, mi sentivo gli occhi di qualche ragazzo addosso. Era una bella sensazione. All’inizio mi aveva spaesato, ero così confusa che credevo di aver un cartello buffo attaccato sulla schiena.
Iniziai a rendermi conto che c’era qualcosa di strano qualche settimana dopo il rientro dalle vacanze estive. Avevo ancora qualche accenno di abbronzatura e i miei capelli si erano schiariti con il sole e la salsedine del mare.
Durante la colazione mi sentivo osservata, troppo per i miei gusti. Ormai avevo fatto il callo alle occhiate interrogatrici della gente e alle occhiate che mi mettevano i brividi di Piton ma questa sensazione era nuova.
Mi sentivo quasi nuda.
Mi guardai attorno con sguardo minaccioso quando trovai un ragazzo della Casa di Corvonero che mi fissava. Non sapevo neppure come si chiamava, appena capì che l’avevo scoperto era arrossito e aveva abbassato lo sguardo.
Ero furiosa, più che altro perché ero convinta che James e Sirius avessero fatto girare altre stupide voci sul mio conto.
Mi voltai verso Brenda, agitavo la forchetta come se fosse stata la mia bacchetta.
- Perché quello sgorbio continua a guardarmi? – le domandai irritata.
La mia amica alzò lo sguardo dal suo piatto di arrosto con patate dolci e si voltò verso di me.
- Chi sarebbe lo sgorbio? – fece con calma dopo aver mandato giù il boccone che aveva in bocca.
Brenda era una vera e propria vipera ma, a differenza di me, la sua cattiveria era più razionale e lucida. Io mi infuocavo come paglia accanto ad uno Schiopodo Sparacoda.
- E’ quello al tavolo dei Corvonero: un muso da lombrico, capelli color marmotta morta e vestito come un orfanello Babbano.
Brenda si mordicchiò un labbro truccato con il rossetto rosa chiaro che aveva rubato alla sorella maggiore e si voltò per qualche istante.
- Si chiama Dean. – fece senza preoccuparsi di esser vista o meno da lui – Dean qualcosa… è un secchione. Passa tutto il tempo in libreria nella sezione di Storia della Magia, credo che il suo futuro sarà simile a Ruf.
- Non mi interessa chi é. – risposi voltandomi a mia volta – Voglio solo che la smetta di fissarmi.
Lentamente Brenda si voltò verso di me, aveva uno sguardo incredulo.
- Davvero non ci arrivi?
- Ho un pezzo di patata sul volto?- domandai allarmata portandomi il tovagliolo al viso cercando di pulirmi.
Brenda sospirò, mise in bocca l’ultimo boccone di carne, prese la bacchetta e lanciò un Gratta e Netta sul piatto per farlo brillare come un specchio. Lo prese e lo voltò verso di me.
- Guardati.
Quello che vedevo era solo una ragazza di quattordici anni infuriata.
- Senti lo so che in bellezza perfino Pix mi supera ma non c’è bisogno che…
- La smetti?- mi interruppe infastidita – Non ti sopporto quando fai la modesta.
- Io non faccio la modesta!
- Quello… - continuò ignorandomi tornando a fissare il tavolo dei Corvonero.
- Dean?
- Sì, quel coso lì. – annuì lei – Ti guarda perché sei carina.
Feci una smorfia e tornai a fissare il mio piatto.
- Non prendermi in giro.
- Non ti sto prendendo in giro! Ma ti sei vista allo specchio negli ultimi mesi?
- Non amo gli horror.
- Alice se non te ne sei accorta sei cambiata in poco tempo. Sei molto carina… diventerai bellissima. E’ normale che i ragazzi ti guardino.
Non le risposi e tornai a tormentare il mio pasto con la forchetta. Quando presi l’ultimo boccone di carne osservai per qualche attimo la mia immagine riflessa nel piatto sporco di sugo. Io non mi vedevo bella, io vedo solo una ragazzina con i capelli troppo lunghi, gli occhi troppo vicino al naso, la bocca piccola e gli zigomi troppo all’infuori. Per me quel ragazzino mi guardava perché ero ributtante e non bellissima come sosteneva la mia amica.
Finimmo di mangiare e andammo verso i sotterranei dove ci aspettavano due ore di Pozioni con i Tassorosso.
Odiavo Pozioni e soprattutto odiavo Lumacorno.
Perfino il direttore della mia Casa mi guardava come se fossi stata un vermicolo da sminuzzare e versare in qualche liquido puzzolente. Stravedeva per mio fratello ovviamente, dicendogli in continuazione che sarebbe diventato un grande campione di Quidditch alimentando la sua vanità. Io non ero neppure degna di lustrargli le scarpe. Fin dal primo giorno di scuola Lumacorno aveva capito che non poteva sfruttarmi a suo vantaggio, privandomi così dell’opportunità di partecipare alle famose riunioni del Lumaclub. Cosa che lui trovava scandalosa. Personalmente non poteva farmi favore più grande.
Dopo la prima ora la mia pozione, che doveva assumere un tenue color rosa pastello tendente al lilla, era di un verde marcio tendente al verde rancido. Non avevo speranze.
- Come hai fatto a far uscire quella porcheria?- mi aveva sussurrato Brenda mentre tagliuzzava una manciata di lombrichi di palude.
- E io che ne so?- risposi indispettita cercando di seguire le istruzioni alla lavagna – Oh no…- mormorai trovando l’errore – non ho aggiunto gli occhi di rana!
Presi gli occhi di rana dal barattolo che avevo sul tavolo e ne misi cinque come scritto nelle istruzioni.
Capii subito di aver fatto qualcosa di molto grave.
Gli occhi di rospo andavano immersi nella pozione tra il passaggio cinque e sei e io ero già al punto otto. La pozione iniziò a ribollire con violenza, alcune gocce uscirono dal calderone posandosi sul pavimento di pietra che iniziò immediatamente a sfrigolare. Un denso fumo nauseabondo grigio uscì dalla pentola mentre i miei compagni iniziavano a tossire portandosi una mano davanti alla bocca.
- Tutti fuori! – urlò il professore aprendo la porta dell’aula – Presto tutti fuori!
Uscimmo tutti, gli occhi e la gola bruciavano per il fumo. Cercavamo di riprendere aria appoggiati al muro freddo del corridoio.
- Di chi era quella pozione? - tuonò rosso in faccia, sembrava un bombolone di zucca ripieno di marmellata ai mirtilli, sui suoi baffi enormi, che raccoglievano sempre un sacco di briciole a pranzo e cena, c'era qualche macchiolina nera per il fumo uscito dalla pozione errata, si stava spazzolando il panciotto di velluto verde bottiglia con i bottoni d'oro che brillavano anche se in quel posto non c'era mai luce - Allora?- gridò ancora più forte senza ricevere alcuna risposta.
Ancora malconcia e tossicchiante alzai la mano.
Lumacorno mi fulminò all'istante con i suoi piccoli occhi da roditrice e si avvicinò a me con il suo passo ciondolante.
- Potter! Dovevo immaginarlo. Nessuno é meno portato di te in Pozioni in questa classe.
In quel momento le parola del professore mi sfioravano appena, fissavo in continuazione il tessuto tirato sulla sua pancia gonfia di vino e cibo. Deglutii temendo che uno di quegli orribili bottoni dorati potesse staccarsi all'improvviso e finirmi in un occhio.
- Scommetto che stavi pensando ad altro mentre cercavi di preparare una pozione semplicissima.
- Veramente Signore...
- Silenzio! - tutti sgranarono gli occhi sorpresi, Lumacorno aveva tanti difetti ma raramente alzava la voce con gli studenti, soprattutto se erano della sua Casa - L'unica cosa che sai fare é far perdere punti alla tua Casa e litigare con tuo fratello. Non farai mai strada così, dovresti imparare da James.
Alzai un sopracciglio scettica.
Lumacorno sospirò indeciso su cosa fare, si accarezzò un baffo un paio di volte e scosse la testa.
- Punizione Potter. - disse infine voltandosi verso l'aula - Alle otto nel mio ufficio.
- Sì, Signore.
- Ora restate qui... vado a togliere quel fumo.
Quando il professore entrò in aula con un fazzoletto davanti alla bocca Brenda si voltò verso di me.
- Almeno non ti ha tolto dei punti. - valutò, forse per trovare un punto di vista positivo.
- Vuole vincere la Coppa delle Case. - risposi annusandomi i vestiti - La McGranitt gli rinfaccia in continuazione che sono cinque anni consecutivi che Grifondoro vince. - feci una smorfia disgustata.
- Cosa c'é ora?
- I miei vestiti puzzano di vomito.

***
Alle otto ero davanti alla porta dell'ufficio di Lumacorno ma di lui neppure l'ombra.
Per qualche minuto restai appoggiata al muro fissando il pavimento e immaginandomi come un piccolissimo insetto, uno di quelli così piccoli che non si possono vedere ad occhio nudo. Poi il mio sguardo andò sulle pareti e iniziai ad immaginare la mia vita in un quadro, una ragazzina acida che correva da una stanza all'altra di Hogwarts facendo imbestialire tutti.
Era meglio della vita da insetto.
Guardai l'orologio che avevo al polso: le otto e mezza.
Sbuffai appoggiando la testa alla parete di pietra.
- Se tra cinque minuti non é qui giuro che me ne vado.
Appena finita la frase sentii dei passi arrivare proprio nella mia direzione. Mi staccai dalla parete e lisciai le pieghe della divisa. Non volevo apparire sciatta o...
- E tu che ci fai qui? - dissi di botto interrompendo il filo logico dei miei pensieri.
- Ciao. Anch'io sono contento di rivederti. - rispose lui con il solito sorriso dolce sulle labbra.
Tornai ad appoggiarmi al muro con fare annoiato.
- Non hai risposto alla mia domanda.
- Vado da Lumancorno.
- Non c'é.
- Allora é ancora dal Preside.
- E tu come lo sai?
- Perché ero da lui fino a poco fa.
Si appoggia sul muro accanto a me, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni neri della divisa.
- Remus Lupin dal Preside? - domandai alquanto incredula.
- Anch'io ho le mie giornate no. - mi rispose voltandosi verso di me.
- Non ti credo. - dissi semplicemente tornando a fissare il pavimento.
Restammo in silenzio per alcuni minuti, sentivo i suoi occhi ambrati su di me. Mi infastidivano ma in un modo diverso dal solito.
- Smettila. - feci risoluta senza alzare lo sguardo.
- Di fare cosa? - domandò lui ridacchiando.
- Di fissarmi!
- Non abbiamo mai parlato noi due. - disse cambiando argomento all’improvviso fissando anche lui il pavimento, forse voleva solo capire cosa ci trovavo di così interessante.
- E di cosa dovremmo parlare?
- Non lo so... tu di cosa vorresti parlare?
Mi voltai lentamente vero di lui, scossi il capo e tornai a fissare le pietre del pavimento.
- Stai cercando di farmi dire qualcosa così poi potrai riferirlo a James?
- No, - sospirò rassegnato - dico sempre a James che deve smetterla di trattarti in quel modo.
- Nobile Grifondoro fino in fondo. - sibilai maligna con un sorriso obliquo - Non ho bisogno che mi proteggi, Lupin. So cavarmela da sola.
- Questo l'ho notato. - annuì prima di voltarsi verso il corridoio da dove provenivano altri passi veloci.
Riuscii a fissarlo per alcuni momenti, aveva il viso magro, la pelle più pallida del solito. Le occhiaie scure sotto gli occhi facevano risaltare di più il loro colore così atipico. La divisa era vecchia, probabilmente di seconda mano eppure la indossava con dignità e serietà, il distintivo dei Prefetti brillava accanto al taschino con cucito il leone d’oro. I capelli erano lievemente più lunghi di quelli di Sirius, castano chiaro con qualche riflesso biondo quando la luce rifletteva nel modo giusto.
Lumacorno arrivò con passo svelto, quando mi vide restò un attimo disorientato come se non ricordasse la mia punizione. Fu solo un attimo, si avvicinò alla porta e la fece aprire agitando la bacchetta.
- Lupin vieni con me. Lei, Signorina Potter, resti lì ancora un attimo.
Non risposi, ero molto curiosa riguardo a quello che Lupin e Lumacorno dovevano dirsi in privato. Avrei potuto origliare ma ero stanca e non vedevo l'ora di finire in fretta quella punizione.
L'amico più pacato e silenzioso di mio fratello uscì quasi subito dall'ufficio del professore di Pozioni. Chiuse la porta e mi lanciò un'occhiata che non ho mai saputo definire con certezza.
- Ora puoi andare.
Mi staccai dal muro e mi avvicinai alla porta.
- Alice, - mi chiamò prima che entrassi - sei diventata molto carina.
Non riuscii a rispondere a tono, volevo dirgli di non prendermi in giro, di starsene con i suoi amici e di lasciarmi in pace. Invece non dissi nulla, lo guardai allontanarsi fino a quando il buio del corridoio non lo inghiottì del tutto.
Mi sentii avvampare: quello era il primo complimento che un ragazzo mi faceva.
Entrai nell'ufficio di Lumacorno confusa e smarrita.
Era stato un Grifondoro a farmi quel complimento, dovevo provare disgusto, dovevo denigralo e riderci sopra.
Invece non potevo far a meno di sorridere.

***

Quello fu uno degli anni più burrascosi della mia vita.
Era un susseguirsi di eventi incontrollabile e io mi sentivo come una fragile foglia trasportata dal vento. Non sapevo oppormi, non potevo decidere io la direzione da seguire, potevo solo stare ferma e lasciarmi trascinare.
Dopo settimane mi ero convinta che Remus avesse detto quella frase solo perché aveva perso una scommessa con James o Sirius. Non era possibile che un ragazzo del quinto anno, Grifondoro, trovasse carina una ragazza del terzo anno, Serpeverde per giunta.
Faceva molto favola Babbana a lieto fine. Una di quelle dove la bellissima ragazza maltratta dalla matrigna, o dalle sorellastre, incontra il bellissimo principe azzurro e scappa con lui. Favole. Solo favole.
E io non avevo mai amato le favole Babbane a lieto fine.
Decisi che non ci avrei più pensato. Era dannatamente stupido perdersi in pensieri melensi e zuccherosi quando era ovvio che l'altra persona mi aveva fatto quel complimento solo per far ridere i suoi amici scemi.
Ma, improvvisamente, era come se vedessi Remus ovunque; era come se lui fosse sempre stato lì ma io non l'avessi mai visto realmente. Appena entravo in Sala Grande il mio sguardo andava al tavolo dei Grifondoro per vedere se era seduto al suo posto, se camminavo per andare ad una lezione rallentavo quando mi avvicinavo alla porta dell’aula dove aveva lezione, nella vaga speranza che uscisse o che fosse in ritardo. Nelle partite di Quidditch, che io seguivo poco, usavo il binocolo di Brenda per vederlo sugli spalti.
Ero patetica.
Il primo week end a Hogsmeade decisi di divertirmi lontano dai suoi occhi ambrati. Occhi che iniziavo a trovare irresistibili.
Per un’ora io e Brenda girammo per le piccole stradine del villaggio, era un giornata grigia. Non c’era un sole caldo, faceva freddo e l’umidità saliva dal terreno entrando nelle ossa. Ma era piacevole passeggiare senza meta.
Mentre guardavamo gli articoli di Zonko, Brenda si scontrò con Matthew Pope, il ragazzo del sesto anno che le piaceva da quando aveva iniziato la scuola.
- Scusa…- mormorò con fare civettuolo – non ti ho visto.
Matthew aveva uno sguardo glaciale, gli occhi erano grigi, sembravano due lame di un pugnale, le labbra sottili, i capelli marroni scuro, la carnagione olivastra che faceva spendere ancora di più i suoi occhi. Il fisico tonico reso tale dai continui allenamenti sul capo di Quidditch. Non era brutto era solo un po’ scemo. Aveva preso troppi bolidi in testa.
- Ti sei fatta male? – le domandò con la sua voce profonda che già sottolineava l’uomo che sarebbe diventato.
- Oh, no.- cinguettò con fare innocente attorcigliando una ciocca di capelli bionda con un dito.
Alzai gli occhi al cielo.
- Senti… - iniziò Matthew passandosi sensualmente una mano tra i capelli – ti va una burrobirra?
Osservai il volto della mia amica, gli occhi di Brenda si illuminarono ma si voltò subito vero di me.
- Alice…
- Vai pure. – le dico con fingendomi annoiata – Questo posto mi ha stufato.
Si lancia verso di me abbracciandomi con tutte le sue forze.
- Grazie, grazie, grazie, grazie!
- Mi devi un’enorme favore. – le sussurrai all’orecchio ricambiando il suo abbraccio.
Uscirono chiacchierando come se si conoscevano da una vita. Io comprai qualche Caccabomba indecisa se usarle su James o Sirius.
Con il mio sacchetto in mano mi diressi verso Hogwarts, non avevo voglia di girare per il paese da sola.
- Sei da sola?- fece una voce alle mie spalle.
Mi bloccai ma non mi voltai, strinsi ancora di più il sacchetto mordicchiandomi il labbro inferiore.
Sentii i suoi passi avvicinarsi, la sua ombra si proiettò ai miei piedi, avvertii il suo profumo di talco mischiato a quello di dopobarba scadente, forse troppo forte per lui, probabilmente lo aveva preso da uno dei suoi amici.
Mi venne davanti per osservarmi in faccia. Voltai il viso dall’altra parte.
- Perché non mi vuoi guardare?
Non risposi, mi limitai a chiudere gli occhi.
- Alice?
- Cosa vuoi?- risposi acida aprendo solo gli occhi ma rifiutandomi ancora di guardarlo.
- Sei arrabbiata con me?
- No.
- Ti ho fatto qualcosa di male?
- Oltre a prenderti gioco di me? No.
- Prendermi gioco di te?
Presi il coraggio con entrambe le mani e mi voltai verso di lui.
- E cosa mi dici di quella sera davanti all’ufficio di Lumacorno, Lupin?
Aprì la bocca sbalordito.
- Io ero serio!
- Non ti credo! – ribattei subito – Ti volevi prendere gioco di me… o forse sei stato obbligato da James e Sirius.
Lo superai con passo svelto cercando di celare il rossore sulle mie guance.
- Alice aspetta! – urlò Remus correndomi dietro – Non volevo prenderti in giro.
- Sì, certo. – minimizzai svolazzando il sacchetto di Zonko – Non sono scema Remus.
- Dai come posso fatelo capire? – continuò correndomi dietro.
- Non lo so…- risposi aumentando l’andatura – stupiscimi.
Feci solo un passo quando Remus mi afferrò per un braccio, mi voltai spaventata e indispettita per quel gesto.
- Lupin ma cos…
Non mi finii mai la frase.
Remus J. Lupin mi stava baciando.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


RICORDO CHE POTREBBERO ESSERCI SPOILER SU HD


Ogni ragazza ricorda il suo primo bacio. E sebbene non fosse romantico o esattamente come me lo aspettavo; quell’attimo, in cui Remus poggiò le sue labbra sulle mie, fu il mio ricordo più bello per diverso tempo.
Mi lasciai andare solo dopo aver capito quello che realmente stava accadendo, lui era dolce, delicato e io sentivo il cuore in gola da quanto batteva forte.
Era una strana sensazione.
Lasciai cadere il sacchetto di Zonko e circondai il suo collo con le mie braccia. Fu la mossa giusta perché Remus mise le sue mani sui miei fianchi stringendomi di più al suo corpo. La punta della sua lingua mi accarezzava il labbro inferiore; sapevo come si baciava un ragazzo; Brenda faceva le prove allo specchio tutte le sere perché voleva essere perfetta per il suo primo bacio. Io ogni tanto la guardavo disgustata mentre leccava la sua immagine come se fosse un gelato. Ricordando quello che faceva la mia amica allo specchio, mi lasciai andare ancora di più, permisi a Remus di approfondire il bacio lasciandolo entrare nella mia bocca.
Un attimo di disgusto per la sua lingua che cercava la mia. Poi arrivò una scarica di adrenalina che trasformò il disgusto in piacere mentre le nostre lingue giocavano insieme.
Mi staccai da lui quando non avevo più fiato nei polmoni. Non avrei mai immaginato che il mio primo bacio potesse diventare qualcosa di così eccitante. Mi sentivo le labbra rosse, in bocca avevo ancora il suo sapore e dovevo esser arrossita parecchio perché Remus sorrideva accarezzandomi la gota con un dito. Io tenevo la testa china, fissavo un punto indefinito della sua giacca perché non osavo guardarlo negl’occhi. Mi vergognavo troppo e così preferivo osservare quello che sembrava un pelo di cane nero incastrato in uno dei suoi bottoni.
- Non mi guardi?- la sua voce era dolcissima, non potevo resistere a quel tono così sensuale.
Mi limitai a scuotere il capo mordicchiandomi un labbro, le mie guance erano color porpora. Sentii le sue labbra sfiorarmi la fronte. Probabilmente arrossii ancora di più perché lui ridacchio piano.
- Hai intenzione di fissare la mia giacca per il resto del pomeriggio?
Aprii la bocca per rispondere ma ero troppo nervosa ed imbarazzata, così l’unico rumore che uscì dalla mia gola fu un rantolo incomprensibile.
- Bere qualcosa ci farà bene.
Finalmente trovai il coraggio di alzare lo sguardo, i miei occhi risalirono lungo la giacca marrone, sul collo magro fino ad arrivare al mento lievemente appuntito, le labbra che avevo appena assaporato, le guance un po’ incavate dove si vedeva qualche pelo biondo, il naso piccolo perfetto, ed, infine, incontrai i suoi occhi ambrati. Luminosi, caldi, avvolgenti come un abbraccio.
Avevo il cuore che batteva così forte che mi stavo chiedendo quanto ci avrebbe messo per schizzarmi via dal petto.
- Va bene. – riposi accennando un sorriso, senza capire se mi era uscito o meno.
- Benissimo… vuoi andare da Madama Piediburro?
Arricciai il naso, conoscevo quel posto perché tra le ragazze non si parlava d’altro verso San Valentino. Non mi andava di rinchiudermi in un locale pieno di cuoricini rosa.
- Meglio di no… - dissi iniziando a prendere il controllo delle mie emozioni – non voglio che tutta quell’atmosfera melensa mi renda troppo dolce.
Rise, una risata vera, cristallina. Il mio cuore rideva con lui.
- Va bene. – fece prendendomi la mano – Andiamo ai Tre Manici di Scopa.
Quel poco di autocontrollo che avevo riacquistato finì nelle ortiche nello stesso momento in cui mi sfiorò la mano. Camminavamo tra le strade del villaggio ma la mia mente era anni luce lontano da lì. Non credevo possibile che Remus potesse trovarmi anche solo vagamente attraente, non credevo possibile che mi avesse baciato così all’improvviso. Più di una volta mi ero guardata attorno terrorizzata dall’idea di vedere Sirius o James dietro un albero a ridere. Invece di loro non c’era traccia, cosa che, di solito, mi avrebbe insospettito ma ero così felice e così confusa che non ci feci caso.
Remus si bloccò davanti alla porta del locale e imprecò a denti stretti.
Io sgranai gli occhi sorpresa, non credevo che Remus potesse imprecare. Credevo che fosse un’esclusiva di Sirius Black.
- Cosa c’è?- domandai guardando dentro attraverso la piccola finestrella a forma di rombo che c’era sulla porta.
Li vidi subito, seduti in un angolo con le loro bottiglie di Burrobirra in mano e due ragazze di cui non conoscevo neppure il nome: c’erano James e Sirius. Ridevano mentre le due ragazze sembravano due oche prese da qualche rivista di moda.
- Avevano detto che non venivano oggi al villaggio. – mormorò Lupin forse più a se stesso che a me, si voltò e mi guardò con sguardo rammaricato – Dovremmo andare da un’altra parte. Non voglio litigare con James.
A me non importava nulla di James o Sirius ma sapevo che se avessimo messe piede in quel posto avremmo finito il pomeriggio con le bacchette in mano.
- Conosco un altro posto. – mi disse trascinandomi per le strade affollate di Hogsmeade – Non è proprio il posto ideale per portare una ragazza ma è tranquillo e riservato.
Era certamente un posto tranquillo e riservato, anche perché non c’era nessuno in quella che sembrava la cantina ammuffita di mia nonna. Il pub La Testa di Porco era deserto quel pomeriggio, solitamente si animava la sera quando le luci si accendevano dietro le finestre delle case e quando gli studenti non vedevano gli ubriachi andare in giro per le strade a cantare canzoni stonate storpiando le parole con altre dal dubbio significato.
Mi guardavo attorno con fare falsamente interessato, conoscevo di fama quel posto e, soprattutto, sapevo che il proprietario era il fratello di Silente. Aberforth Silente stava dietro il banco cercando di pulirlo con uno straccio che aveva visto giorni migliori. Alzò appena lo sguardo quando sentì la porta aprirsi, ci lanciò un’occhiata semistupefatta e fermò la mano che stava pulendo lo stesso punto da quando avevamo messo piede in quel posto.
- Ci sono anche i tuoi amici a creare problemi?- domandò il vecchio mago con cipiglio scocciato.
Mi voltai verso Remus, sembrava imbarazzato. Ne aveva fatte molte di figuracce grazie a quelli che lui definiva “amici”.
- No, Signore. – rispose allentando il colletto della camicia – Vogliamo solo due Burrobirre e stare un po’ tranquilli.
Ci scoccò un’occhiata torva, lasciò lo straccio sudicio e si incamminò verso una porta che, molto probabilmente, dava sul retro.
- Possiamo sederci. – sussurrò Remus indicando un tavolo nell’angolo.
- Sei conosciuto qui eh?- sorrisi prendendo la sedia meno malconcia che c’era in giro.
- Beh…- fece imbarazzato – Sirius e James sono… diciamo… famosi in questo posto.
- Non credo che vengano qui per il servizio. – mormorai osservando un ragno che penzolava giù da un’enorme ragnatela.
- No… non vengono qui per quello.
Il fratello di Silente ci portò le due bottiglie, osservai con una strana smorfia lo spesso strato di polvere che copriva il vetro.
- Ma si possono bere? – domandi toccando la bottiglia con un mignolo.
- Tranquilla…- mi rassicurò lui – la Burrobirra qui è buona. Non ne vende molta per questo le bottiglie sono un po’ polverose. Gli studenti non vengono spesso qui.
Iniziammo a parlare un poco, più che altro il discorso era iniziato con le materie di scuola e i professori più severi. Remus aveva tentato di parlare di James cercando di fare da paciere ma avevo chiarito subito che non volevo neppure sentire parlare di lui. - Dov’è Minus?- domandai prima di buttare giù un lungo sorso della bevanda.
- Si starà riempiendo di dolci. – sospirò scuotendo il capo mestamente - Come al solito.
Immaginare Peter Minus che si abbuffava di Galatine, Cioccorane e Api Frizzolose fu semplice, scoppiai a ridere senza controllo e Remus mi seguì subito.
La porta del pub fu aperta e mi bloccai immediatamente. Sebbene la porta d’ingesso fosse alle mie spalle avevo capito subito chi era entrato.
Sentivo i suoi occhi alla base del collo, un brivido mi percorse la schiena mentre la testa pulsava. Sentivo due laser neri puntati su di me, mi sentivo vulnerabile, scoperta. Remus deve essersene accorto perché mi fissava con aria preoccupata.
- Alice tutto bene?
- Remus?
Lupin alzò lo sguardo, sembrava sorpreso di vederli in quel posto, io avrei dovuto prevederlo.
- Lily…- disse con un filo di voce poi spostò lo sguardo sulla persona che le stava accanto – Severus.
- Che strano trovarti qui Lupin…- sibilò Piton sospettoso – e in compagnia di una mia compagna.
- Severus! – sospirò Lily esasperata – Possiamo sederci con voi?- domandò poi rivolta all’amico.
Lui non disse nulla, si limitò solo a spostare le sedie per far posto ai due nuovi arrivati.
Severus mi stava lanciando occhiate di fuoco. Io continuavo a fissare la bottiglia semivuota davanti ai miei occhi. Mi sentivo imbarazzata e furiosa, Piton faceva di tutto per mettere a disagio il povero Remus.
- Non vi dispiace, vero?- domandò la Evans con un sorriso.
- No,- rispose finalmente Remus – io e Alice stavamo… parlando un po’.
- Già. – mormorai evitando accuratamente lo sguardo di Piton.
- Parlando eh?- ripeté lui con sguardo torvo – E perché siete qui? Potevate andare ai Tre Manici.
- Piantala Sev! – lo ammonì Lily – Qui non sarà bellissimo ma è il posto migliore per stare tranquilli. Vai a prendere un paio di Burrobirre anche per noi?
Sbuffando Severus si alzò dal tavolo e si recò verso Aberforth che non gli aveva tolto gli occhi di dosso per tutto il tempo, molto probabilmente la sua maggiore paura era che il suo locale diventasse in ritrovo per chiassosi mocciosi. Borbottando quelli che sembravano insulti tornò al tavolo con le due bottiglie, ma bastò un’occhiata dolce di Lily per far finire i suoi borbottii. Mise le bottiglie sul tavolo e tornò a sedersi accanto a me.
Io volevo solo sprofondare sotto le travi sporche del pavimento.
- Allora…- iniziò lui con voce beffarda – vi siete incontrati per strada o siete venuti assieme?
Alzai lo sguardo giusto in tempo per vedere Lily diventare rossa di rabbia o di vergogna, non l’ho mai capito bene.
- Non sono affari tuoi. – gli risposi infastidita da quel sorrisino di sfida che aveva sul volto.
- Volevo solo sapere se Lupin si vergogna di te per portarti in questa topaia. – sussultò un attimo e poi fissò torvo la sua amica – Quella era la mia gamba Lily!
- Ritieniti fortunato se non ho preso qualcos’altro! – ribatté la Grifondoro arrabbiata.
Spostai lo sguardo da loro due a Remus, aveva la testa china e fissava il fondo di Burrobirra rimasta nella bottiglia impolverata. Era chiaramente a disagio.
- Meglio andare Remus. – feci alzandomi.
Remus pagò le due Burrobirre, salutai Lily evitando accuratamente di guardare Severus, poi uscimmo dal pub. Prima di chiudere la porta sentii chiaramente la voce di Severus che diceva alla giovane Evans che non si fidava per niente Lupin.
Mentre tornavamo al castello nessuno di noi osava aprire bocca. Remus fissava il terreno che calpestava perso in chissà quali pensieri, io non sapevo cosa pensare. Forse si era pentito di quello che era successo nel pomeriggio e stava solo cercando il coraggio per dirmelo.
Sospirai rassegnata, tutto era finito ancora prima di iniziare.
- Severus a volte è proprio un’idiota. – mormorai cercando di fare qualcosa.
Mi voltai vero di lui, non alzò lo sguardo dal terreno, annuì solamente calciando un sassolino.
Misi le mani in tasca e chinai il capo: non sapevo che fare.
- Vorrei sapere… - fece lui esitante – vorrei sapere… in che rapporti siete tu e Piton.
Trovai strana la domanda ma, visto quello che era successo, mi sembrava giusto rispondere. Ci riflettei su un po’, in effetti tra me e Severus non c’era un’amicizia vera e propria.
- Ci sopportiamo. – optai per una risposta vaga anche perché non sapevo proprio cosa rispondere.
Annuì di nuovo, calciando un altro sassolino.
Arrivammo al castello e ci guardammo per la prima volta da quando eravamo usciti dalla Testa di Porco. Ormai avevo capito che il mio sogno era finito, mi ripromisi di parlare con Severus il prima possibile.
- Grazie per il pomeriggio. – feci con un lieve sorriso – Ci vediamo in giro Lupin. – tornai ad essere la ragazza fredda e scostante anche perché mi sembrava inutile mostrare ancora le mie debolezze a lui.
Prima che potessi allontanarmi, Remus mi prese una mano e mi avvicinò al suo corpo. Mi accarezzò una guancia prima di poggiare le sue labbra sulle mie. Questo bacio fu molto più delicato del primo che c’eravamo scambiati. Quando ci separammo Remus stava sorridendo.
- Ci vediamo più tardi, Alice. – mi corresse prima di salire le scale che portavano alla Torre di Grifondoro.
L’osservai allontanarsi, quando svoltò l’angolo, sparendo dalla mia vita, mi portai una mano alle labbra e sorrisi.

***
Erano passati cinque giorni dal quel pomeriggio a Hogsmeade. Io e Remus, ormai, ci vedevamo quasi ogni sera, alla stessa ora e nello stesso posto.
Un pomeriggio particolarmente uggioso stavo in biblioteca a ripassare per il compito di Pozioni che avrei svolto il giorno dopo, era un compito particolarmente importante e ci stavo lavorando da una settimana.
Stavo per girare pagina quando una mano dalle sottili dita si mise sul libro impedendomelo. Alzai lo sguardo e incontrai le iridi nere di Severus.
- Noi due dobbiamo parlare. – mi disse duramente.
- Se è per il libro di Pozioni. – dissi cercando di togliere la sua mano dal tomo che stavo studiando – Mi serve fino a domani, poi potrai ritiralo dalla biblioteca.
- Sai benissimo di cosa dobbiamo parlare. – continuò – La tua relazione con Lupin.
- Non ho una relazione con Lupin. – precisai anche se il rossore che sentivo sulle guance diceva il contrario – E, nel caso io avessi una relazione con Remus, non sarebbero affari tuoi Piton. Te l’ho già detto mi pare.
- Tu non sai cosa stai facendo!
- Lo so benissimo invece. – risposi alzando la voce – Sto cercando di studiare Pozioni!
La bibliotecaria ci lanciò un’occhiata severa, intimandoci con un gesto di fare silenzio.
Sbuffai e sistemai le mie cose nella borsa in malo modo.
Sistemai la borsa sulle spalle e guardai Severus.
- Lasciami stare!
Uscii dalla biblioteca, Piton mi seguì insistente.
- Stai facendo una sciocchezza! – continuò seguendomi – Una Serpeverde non può uscire con un Grifondoro.
Feci una debole risata.
- Me lo dici tu? Tu che sei insieme alla Evans?
- Io e Lily non stiamo insieme! – si affrettò a sottolineare – Siamo solo amici.
- E, se non sbaglio, tu sei un Serpeverde e lei una Grifondoro.
- E’ diverso.
Mi bloccai per fissarlo meglio.
- Perché è diverso?
- Noi ci conosciamo da quando eravamo piccoli.
- Beh Remus frequenta casa mia dal primo hanno di Hogwarts, possiamo dire che pure io lo conosco da quando ero piccola. – ripresi a camminare decisa a lasciar perdere la questione.
Ma Severus era del parere contrario.
- Hai mai pensato che potrebbe essere una trappola?
Mi bloccai di nuovo.
- Lui è diverso. – dissi decisa stringendo la borsa al petto.
- Come fai a saperlo? – insinuò alle mie spalle – In fondo è uno dei migliori amici di James e Sirius.
- Non è come loro.
- Dici? Io non credo.
- No.
- Remus tiene più all’amicizia di James che al tuo affetto.
Mi mordicchiai un labbro, avevo quasi le lacrime agli occhi.
- Perché mi dici questo, Severus? Perché sei così crudele?
- Devi capire, Alice. – mi rispose lui e la sua voce, per un attimo, mi sembrò affettuosa – Lui ti farà soffrire… nasconde qualcosa. Non mi fido di lui.
- Non ti credo.
Ripresi a camminare, questa volta lui non mi seguì.
- Arriverà il giorno in cui Remus dovrà scegliere tra te e l’amicizia di James. – urlò lui alle mie spalle – E non sperare che lui scelga te.
Allungai il passo allontanandomi il più possibile da Severus. Ma le sue parole continuavano a suonarmi nelle orecchie.
In fondo al cuore, sapevo che aveva ragione.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


- Questo mi fa un sedere enorme!
- Prova quest’altro.
Indossai il vestito che Brenda mi porgeva, era color ruggine con sottili spalline di strass, a tubino che mi arrivava appena sotto il ginocchio, senza ricami o disegni particolari, le spalle erano coperte da una stola di lino nera.
- Non ho le gambe come le tue. – commentai facendo una smorfia mentre mi guardavo allo specchio.
- Alice non ho più vestiti!- sbottò indignata la mia amica osservandomi seduta a gambe incrociate sul letto – Ti sei provata tutto il guardaroba! Possibile che non ci sia neppure un vestito che ti piaccia per il ballo di Capodanno?
Sospirai togliendomi l’ultimo indumento che avevo provato, restando solo in biancheria intima. Mi guardai di nuovo allo specchio con sguardo analizzatore e molto serio.
- Ma chi voglio prendere in giro. – sospirai rassegnata fissando lo sguardo sul mio sedere troppo grande, le gambe magre, il seno sproporzionato al resto del corpo e le spalle larghe come quelle di uno scaricatore – Sono un mostro. Ancora mi chiedo cosa abbia visto Remus in me.
- Smettila, - mi rimproverò Brenda mentre iniziava a riordinare l’armadio – Non sei un mostro. Vedi difetti che non ci sono. Io non so cosa darei per avere il tuo seno invece di queste prugne secche, - disse osservando il suo piccolo seno, a mio avviso, perfetto - sono stufa dei reggiseni imbottiti e sono certa che Lupin la pensa come me.
Erano passati tre mesi da quel famoso pomeriggio a Hogsmeade. Io e Remus facevamo coppia fissa ma solo in pochi sapevano di noi. Anzi forse solo Brenda e Severus.
Si avvicinava il ballo di Capodanno e non sapevo cosa indossare.
Un incubo per un’adolescente quattordicenne in piena crisi.
Gli anni passati non facevo molto caso al mio abbigliamento, indossavo il primo vestito elegante che mi capitava sotto mano e passavo il resto della serata a fare tappezzeria seduta ai tavoli della Sala Grande addobbata a festa, mentre gli altri si divertivano.
Per me non c’erano balli, non c’erano inviti ma solo un piatto pieno di stuzzichini e un calice di succo di bolle.
Ma quell’anno avevo un accompagnatore e volevo esser bellissima.
Continuavo a fissarmi allo specchio cercando di immaginare il vestito perfetto, quello che avrebbe messo in risalto le mie poche qualità e nascosto i numerosi difetti del mio corpo. Spostai lo sguardo su Brenda che stava sistemando i vestiti; lei non aveva problemi del genere. Stava bene con qualsiasi cosa, aveva passato il pomeriggio precedente a provare tutti gli abiti e gli accostamenti che le venivano in mente ed era sempre bellissima. Ma i suoi vestiti erano troppo vistosi per i miei gusti e, decisamente, troppo attillati. Guardai le altre mie compagne e scartai immediatamente l’idea di chiedere consiglio a loro. Non volevo andare al ballo vestita come una contadinella.
- Sai che c’è un’unica soluzione, vero?- mi domandò la mia amica continuando a sistemare il guardaroba, infilando i vestiti uno dopo l’altro secondo la gradazione del colore.
- Sai che non voglio nemmeno discuterne, vero?
- Alice…
- No.
- Ma…
- No.
- Come…
- Ho detto di no!
Sospirò girandosi verso di me, i pugni sui fianchi cercando di sfidarmi.
- Allora andrai a quel ballo nuda!
Socchiusi gli occhi per sembrare minacciosa ma sapevo che con lei il trucchetto non avrebbe avuto successo. Quando mi stufai presi un paio di jeans e un maglioncino a dolcevita verde smeraldo. Sistemai il mantello pesante sulle spalle e mi imbacuccai con sciarpa, guanti e capello. Ovviamente tutto rigorosamente coi colori della mia Casa.
- Dove vai? – fece Brenda fermandosi un attimo dal suo compito così importante.
- Ti odio quando hai ragione. – borbottai prima di uscire dal dormitorio.
Anche se non la vidi potei benissimo immaginare il sorriso vittorioso sul suo viso di porcellana.
Mi fermai un attimo in Sala Comune, mi feci prestare inchiostro e un foglio di pergamena; scrissi velocemente un messaggio e arrotolai il biglietto prima di farlo scivolare nella tasca dei jeans.
Uscii dalla Sala Comune e mi recai alla guferia.
Le vacanze di Natale erano vicine, presto la scuola si sarebbe svuotata di quell’ammasso di petulanti ragazzini fastidiosi. I corridoi sarebbero stati deserti e il silenzio avrebbe regnato sovrano per alcuni giorni.
Adoravo quel periodo. Non certo per il banchetto che Silente organizzava tutti gli anni, e neppure per il vischio o gli altri stupidi addobbi che c’erano in giro per Hogwarts, non era neppure per i regali da scartare o per quell’atmosfera di finto buonismo che si respirava.
Adoravo la calma. La quiete dei corridoi. Il silenzio. La staticità dell’aria. Sembrava perfino che il tempo si fermasse.
Potevo camminare per i corridoi senza il terrore di incontrare James o Sirius, senza contare che Remus passava le vacanze al castello così potevano starcene un po’ per conto nostro senza intrusioni indesiderate. Arrivai nei pressi della guferia quando sentii qualcuno urlare.
- Devi smetterla!
- Non sei mia madre!
- Sono la tua migliore amica! E’ mio dovere dirti quando sbagli!
Socchiusi gli occhi prestando maggiore attenzione a quelle parole, avevo capito perfettamente a chi appartenessero le voci, ed ero proprio curiosa di sapere cosa scalfisse quell’amicizia all’apparenza indistruttibile. Anche se quei toni duri mi stupirono e non poco.
- Sono solo libri!
- No, -lo corresse l’altra – sono libri proibiti! Non dovresti neppure sapere della loro esistenza!
- Quanto la fai lunga Lily.
- Per te è tutto un gioco vero Severus? Sai quei libri su che strada possono portarti?
- Mi credi così stupido?
- Non lo so più…- disse più a bassa voce la Evans ma, comunque, abbastanza alta perché io potessi sentirla – non lo so più da quando frequenti… quelli…
- Quelli…- precisò Severus, la voce inclinata dalla rabbia – non mi chiamano Mocciosus come i tuoi compagni. Loro mi rispettano.
- Fate un gioco pericoloso e non starò accanto a un ragazzo che si diverte a torturare quelli più indifesi.
- Perché Potter che cosa fa?
- Infatti in questo momento sei proprio come lui!- gridò furiosa la Grifondoro.
La vidi sbucare da dietro la guferia, camminava talmente veloce e con un passo così rabbioso che non mi salutò, ma credo che non mi abbia neppure visto.
Osservai la sua schiena per qualche istante poi mi voltai di nuovo verso la torre che ospitava i gufi della scuola e quelli degli studenti. Percorsi il perimetro rotondo della costruzione di roccia fino a quando non trovai Severus. Stava appoggiato alla parete di pietra, la testa china, i capelli neri gli coprivano parte del volto ma non avevo bisogno di vederlo in faccia per capire che era arrabbiato. Borbottava qualcosa mentre con la punta della scarpa marrone faceva un buco nel terreno reso duro dal gelo invernale.
- Mi ha paragonato a Potter!- sibilò indignato – Sono migliore di lui!
- Posso confermarlo. – dissi senza timore, anche se sapevo che era meglio lasciarlo stare quando era di quell’umore.
Alzò la testa di scatto, i suoi occhi neri brillavano di rabbia, le guance erano rosse, mi vide e socchiuse gli occhi in due minuscole fessure.
- Da quanto sei lì?
- Abbastanza per capire che la tua ragazza ti comanda… e senza l’uso della bacchetta.
- Non è la mia ragazza. – mormorò con un filo di voce stringendo le mani in due stretti pugni.
- Quindi non gli hai ancora detto che ti piace?
Questa volta gli occhi li sgranò sorpreso dalla mia sfacciataggine. Giurai di vedere le sue guance imporporarsi ancora di più ma non seppi mai dire se per l’imbarazzo o la collera.
- Non mi piace Lily.
Non avevo paura di Severus, non perché non lo reputassi un mago dalla qualità incredibili era solo che sapevo che non mi avrebbe mai fatto del male. Non volutamente almeno.
- Sì, - risposi facendo un passo verso di lui – continua a ripetertelo, magari prima o poi ti convinci che è vero.
- Non devi andarti a nascondere con Lupin in qualche aula vuota? – insinuò crudele.
Arrossii ma non abbassai lo sguardo.
- Sai,- continuò senza staccarsi dal muro, come se la torre dovesse esser appoggiata a qualcuno per non crollare – ti ho sempre ritenuto una persona intelligente. O, comunque, più intelligente di tuo fratello. Invece mi deludi andandoti ad imboscare con quello schifoso animale di Lupin.
- Smettila! – sibilai con le mani che tremavano dalla rabbia – Sei solo invidioso perché io ho trovato qualcuno che mi vuole bene.
Scoppiò a ridere.
- Volerti bene? Lupin? Lo stesso Remus Lupin che gira per i corridoi con aria mortificata ogni volta che ti vede? Lo stesso Remus Lupin che non vuole dire al suo migliore amico che sta assieme alla sorella solo perché sa che James potrebbe odiarlo? Scendi dal mondo dei sogni Potter! E’ ora che tu apra gli occhi.
- Vai al diavolo. – mormorai voltandomi e tornado sui miei passi.
Me l’ero cercata, non dovevo stuzzicarlo in quel modo stupido.
Salii gli scalini due alla volta mormorando insulti contro la persona di Severus. Entrai nella grande sala senza pareti dove centinaia di gufi, civette e barbagianni stavano sui loro trespoli a sonnecchiare. L’odore pungente di sterco e cibo marcio era quasi nauseante, non ci andavo spesso in quel posto e non mi ero mai abituata a quell’odore. Arricciai il naso e mi diressi verso Rodolfus che masticava un ratto preso da qualche parte. Quando mi vide alzò la testolina coperta da piume grigie e marroni, i suoi occhi gialli mi guardavano con astio. Non ero mai andata d’accordo con i pennuti.
- Ciao stupido uccello. – gli feci prendendo la lettera dalla mia tasca – Devi consegnare questa lettera.
Quando avvicinai la mano alla sua zampa tentò di mordermi un dito, riuscii a levare la mano prima che il suo becco appuntito mi staccasse via una falange e picchiettai il rotolo di pergamena sulla sua testa.
- Ascoltami copia pennuta di mio padre, - dissi furiosa osservandolo in quegli occhi inespressivi – ora consegni questa lettera o prometto che ti lancio un incantesimo per farti arrosto.
Non so se aveva capito la mia minaccia o meno, so solo che si fece allacciare la pergamena alla zampa. Volò via non prima di vermi osservato con astio e fatto un bisognino sulle scarpe.
Alzai gli occhi al cielo.
Perfino quel gufo maledetto era alleato con i Grifondoro.

***
L’ultimo giorno prima della vacanze natalizie fui convocata dal Preside.
Ero molto nervosa visto che, l’unica volta che fui convocata da Silente, c’era mio padre idroforo nel suo ufficio.
Invece lui non c’era questa volta, c’era solo mia madre.
Indossava la sua tunica preferita, rossa che sfumava dall’arancione al giallo opaco man a mano che si avvicinava agli orli. Il mantello pesante che aveva sulle spalle copriva la sua esile figura. La osservai bene perché mi sembrava dimagrita molto negli ultimi mesi.
- Sai bene? – le domandai apprensiva quando la vidi seduta alla scrivania del Preside mentre posava le labbra sulla tazza di porcellana ricolma di the.
In fondo era pur sempre mia madre e mi amava in un modo tutto suo.
Non avrei mai fatto una domanda del genere a mio padre, neppure per tutti i G.U.F.O. o M.A.G.O. del mondo.
- Certo tesoro. – rispose con un sorriso tirato, o forse era solo stanco.
Posò la tazza sul piattino coordinato, il rossetto che aveva messo quella mattina non copriva le sue labbra un po’ più livide del solito.
- Ho ricevuto il tuo messaggio. – continuò fingendo di non notare il mio sguardo analizzatore.
- Ti avevo solo chiesto se avevi un vestito da prestarmi per il Ballo, mamma. Non ti ho detto di venire qui.
- Beh… pensavo che potresti venire a casa per queste festività. Torneresti prima del Capodanno, così possiamo provare il vestito a casa in tutta tranquillità.
Sorrisi ma non era un sorriso felice, solo un sorriso amaro. Non si era ancora rassegnata all’idea che non volevo tornare a casa più del necessario.
- Credo che sia meglio che io resti qui, mamma. – le dissi sbuffando – Tre mesi a casa con quell’uomo sono più che sufficienti per la mia pazienza.
Silente si lasciò scappare un sospiro rassegnato, non aveva aperto bocca da quando ero arrivata. Mi voltai per guardarlo, mi stava osservano dal di sopra di quelle sue stupide lenti a mezzaluna. Mi sentivo a disagio perché era come se mi stesse leggendo l’anima, così non potei far altro che tornare a fissare la tazzina di porcellana che mia madre aveva ripreso in mano.
- Alice pensaci bene. – fece Silente a voce bassa – Passare il Natale con la propria famiglia può essere…
Non lo feci finire, mi voltai lentamente verso di lui per fissarlo con aria scettica.
Silente chiuse la bocca e tornò a guardare mia madre.
- Forse è il caso che resti qui. – disse appoggiando la vecchia schiena sullo schienale della poltrona in velluto rossa – Non vorrai farla litigare il giorno di Natale.
Mia madre sospirò annuendo piano, posò la tazza sulla scrivania e si alzò in piedi. Sembrava molto stanca.
- Allora dammi una mezz’ora di tempo. Torno a casa a prendere quello che ci serve così posso provarti il vestito nella tua stanza. Sempre se i professor Silente non ha nulla da ridire.
- Per me va bene. – fece il vecchio mago con un lieve sorriso sotto la barba cespugliosa candida come la neve – Anche se avrei preferito una soluzione diversa. Vai pure Kira, io e Alice parleremo un po’ mentre ti aspettiamo.
Rabbrividii appena, sembrava quasi una minaccia.
Mia madre annuì prima di esser risucchiata dalle fiamme verdi della metropolvere lasciandoci soli.
Non avevo la minima idea di cosa volesse Silente da me.
- Voleva dirmi qualcosa di particolare, Signore?- domandai titubate, forse voleva sgridarmi per la mia occhiata poco benevola di prima.
Silente appoggiò i gomiti appuntiti sulla scrivania, incrociò le dita sotto il mento e mi fissò. Attorno a noi i Presidi precedenti a Silente sonnecchiavano tranquilli, il loro ritmico russare era come il fastidioso ronzio di una zanzara in un’afosa notte di Agosto. La vecchia Fanny fece un debole fischio accanto a Silente, segno che stava per arrivare alla fine dei suoi giorni.
- So che tuo padre non è un uomo facile. – disse dopo quella che mi parve un’eternità – Ma sono certo che è molto orgoglioso di quello che sei.
- Io non credo. – risposi forse con un po’ di arroganza – Lui vede solo James e Sirius. Io sono il disonore della famiglia.
Non volevo intavolare un discorso sulla famiglia con Albus Silente.
Immaginavo la sua vita felice, un uomo che inneggiava all’amore in ogni circostanza non poteva che aveva una famiglia felice. Vedevo tutti i suoi parenti: uguali a lui. Felici, gioioso, schifosamente melensi e appiccicosi.
- Devi dargli una possibilità.
- No. – risoluta, secca, veloce nel rispondere. Forse troppo veloce. Forse troppo astiosa.
Tornò il silenzio tra di noi. Nessuno disse più nulla. Fanny osservava il suo padrone con occhi stanchi, quasi del tutto bianchi.
Le fiamme verdi si alzarono di nuovo dal camino e mia madre uscì dalla cenere proprio come le fenici.
Ci guardò un attimo stringendo al petto una scatola.
- Tutto bene?
- Assolutamente Kira,- ripose Silente con un sorriso allungando una mano verso la testa spelacchiata del suo animale – vi lascio libere per le vostre faccende da donna. Io non sarei d’aiuto in questo campo.
Borbottai quelli che sembravano saluti e ringraziamenti avvicinandomi alla porta, ma rallentai il passo quando sentii gli occhi celesti di Silente puntati su di me.

***

- Per tutte le caccole di Troll lasciate al sole! Sei bellissima! – sbottò incredula Brenda quando entrò nel dormitorio.
- Perché, di solito, assomiglio a Gazza?- chiesi infastidita portando i pugni ai fianchi, sfoggiando lo sguardo più ostile che mi riusciva.
Stavo davanti al lungo specchio che avevamo in camera, l’abito che mamma mi aveva portato era color grigio perla. Il corpetto era ricamato con fili neri luminosi, la gonna era formata da vari strati di velo rendendola soffice come una nuvola di fumo. Dall’orlo irregolare della gonna partiva un ricamo che arrivava fino alla vita, le spalline erano sottili, avevo il terrore di romperle, di sporcarlo, di strapparlo in qualche punto. Avevo anche solo il terrore di respirare. Le spalle le avrei coperte con una stola di cotone nera mentre nei capelli, sciolti e lisciati con una pozione, mamma aveva infilato delle piccole Gocce di Rugiada, cristalli piccolissimi che riflettevano la luce delle candele. L’ultima novità in fatto di moda magica adolescenziale.
- Non ho mai detto che sei come Gazza!- rispose Branda accigliandosi.
Il nostro piccolo battibecco fu fermato dalla risata di mia madre, cercava di frenarsi coprendosi la bocca con la mano col risultato di rendere le sue risate soffocate ancora più rumorose.
- Si usa ancora dire: per tutte le caccole di Troll? Credevo che, ormai, fosse fuori moda. Ciao Brenda.
- Buonasera Signora Potter. – salutò la mia amica molto educatamente prima di guardami di nuovo attraverso lo specchio – Dove l’hai preso quel vestito?
- E’ mio. – rispose mamma – L’ho indossato al ballo del diploma, Alice ha forme molto più generose delle mie. Sono sempre stata un manico di scopa con un po’ di pelle addosso… alla vostra età indossavo ancora divisa del primo anno. Alice ne ha già cambiate due.
- Detto in parole povere. – la interruppi lisciando le pieghe della gonna- Sono grassa.
- Oh tesoro, - ridacchiò di nuovo mamma alzandosi e inginocchiandosi accanto a me- non volevo dire questo. Preferisco un corpo come il tuo che uno spigoloso e piatto come il mio. – prese l’orlo e l’ago – Qui dobbiamo sistemare un piccolo strappo.
Mentre l’ago lavorava da solo mamma mi fissò nello specchio.
- Brenda ha ragione. – mormorò con un filo di voce – Sei bellissima.
- Vi lascio in questioni madre e figlia. – echeggiò Brenda alle mie spalle – Io vado a dire due parole al mio cavaliere, se ora solo guardati alla festa mi arrabbierò molto.
Sorrisi mentre immaginavo me e Remus ballare in mezzo alla sala sotto lo sguardo stranito di tutti i presenti.
- Allora…- continuò mamma risvegliandomi dal mio sogno di Cenerentola – è la prima volta che mi chiedi un vestito per un ballo. Gli altri anni non ti facevi questi problemi. Posso chiederti come mai?
Mi sentii arrossire ma azzardai lo stesso a raccontarle una bugia.
- Gli altri vestiti mi stavano stretti. – feci senza guardala in faccia.
Sapevo che faceva quel sorrisino. Quell’espressione odiosa che voleva dire: non sono stupida Alice, sono tua madre. So quando hai qualcosa.
Anche se la maggior parte delle volte non capiva mai cos’avessi, quella volta fece centro al primo colpo.
- C’entra un ragazzo? – mi chiese sempre con quel sorriso amichevole, che voleva invitarmi ad aprirmi con lei.
- Non ne voglio parlare. – tagliai corto – L’ago ha finito. – dissi poi osservando l’orlo e l’ago fermo a mezz’aria in attesa di istruzioni.
Non mi chiese più nulla, fece sparire la cucitura con un colpo di bacchetta e si alzò in piedi. Barcollò un attimo appoggiandosi alla mia spalla.
- Mamma tutto bene?- le domandai preoccupata, improvvisamente mi resi conto che aveva una cera molto pallida.
- Si, tesoro. – mi rassicurò – Solo stanchezza. In ospedale abbiamo una piccola epidemia di influenza. Devo averla presa.
- Vuoi andare da Madama Chips? Lei avrà una cura.
- Non preoccuparti, ho la pozione a casa. Un bella dormita e sarò come nuova.
Non diedi peso alla situazione. Non era la prima volta che mamma tornava a casa dal lavoro influenzata.
Annuii e tornai a fissare la mia immagine nello specchio.
- Grazie mamma. – le dissi veramente grata per quel gesto da madre, forse il primo vero gesto da madre dopo tanti anni.
Lei sorrise, mi baciò una guancia e uscì dicendo che voleva andare da James prima di tornare a casa.

***

Passeggiavamo tranquilli quel terzo giorno di vacanze natalizie.
La maggior parte degli studenti era tornata dai genitori. Perfino Brenda aveva optato per il rientro a casa solo per preparare le ultime cose per il ballo.
Tra i Serpeverde c’eravamo solo io, Severus e un paio di mocciosi del primo anno. La Sala Comune era deserta la sera e, quando io e Severus ci incontravamo, cava un gelo insopportabile.
Non ci eravamo più rivolti la parola da quel pomeriggio vicino alla guferia.
Ma c’era Remus a risollevarmi il morale, gli avevo parlato dei miei screzi con Piton ma si era limitato a dirmi che Severus aveva un carattere particolare e che lui non era la persona più adatta per darmi consigli in quel campo.
L’avevo trovata una scusa un po’ stupida ma no ci feci caso.
In fondo non erano affari suoi.
Il lago era semi ghiacciato, quell’inverno era stato meno pungente degli altri anni. Solitamente si poteva pattinare sulla superficie ghiacciata, quell’anno il ghiaccio era così sottile che si rompeva solo con un’occhiata.
Eravamo appoggiati al tronco di un grande albero spoglio, imbacuccati nei nostri mantelli pesanti, con le sciarpe che ci coprivano la maggior parte del viso, l’alito che si condensava in nuvolette davanti al naso eppure era bello stare lì con lui. Tutto era bello, purché lui fosse con me.
Per un momento avevo dimenticato tutti i miei casini.
Remus fece scivolare una mano dal guanto e prese la mia, la strinse e mi sorrise. Dolcissimo come sempre.
- Mia mamma mi ha portato un vestito per il ballo. – gli dissi dopo qualche minuto – Vedrai com’è bello.
- Non vedo l’ora. –mormorò voltandosi a guardare il lago – Sarai la più bella.
Arrossii, Remus mi riempiva sempre di complimenti.
- Dove ci incontriamo?
Lo vidi corrugare la fronte, si voltò verso di me. Aveva uno sguardo confuso.
- Incontrare?
- Per il ballo…- spiegai non capendo – dove ci incontriamo prima di scendere in Sala Grande.
Mi lasciò la mano e sospirò.
Non mi piaceva quando sospirava… voleva dire solo guai.
Iniziai a mordicchiarmi il labbro inferiore.
- Alice…- mormorò con voce triste – non possiamo andare insieme.
Sgranai gli occhi incredula.
- Cosa? Remus… io sono la tua ragazza!
- E sei anche la sorella di James. – precisò.
- Questo cosa c’entra? Esser la sorella di James mi vieta di andare al ballo con il mio ragazzo?
Si passò una mano tra i capelli.
- E’ complicato Alice, lo sai.
- No, invece!- stavo urlando – Non lo so! Sei tu che vuoi complicare tutto. Vuoi andarci da solo?
- Veramente…- abbassò il capo e iniziò a fissare le sue scarpe nere – vado con una ragazza di Grifondoro. Siamo compagni di banco nel corso di Trasfigurazione.
Fu come se qualcuno mi avesse scaricato addosso un cesto pieno di massi giganti. Sentivo il mio cuore battere all’impazzata, il respiro iniziava a mancare nei polmoni mentre le lacrime spingevano testarde agli angoli dei miei occhi, ma ero troppo orgogliosa per farle cadere davanti a lui.
- Quando avevi intenzione di dirmelo?- mormorai con voce ferma, più ferma di quanto immaginassi – Quando avevi intenzione di dirmelo?- urlai più forte quando non mi rispose.
- Pensavo che l’avevi immaginato… insomma… James…
- Basta! Basta! Sono stufa di sentir parlare di James! Pensa a me Remus! Cosa vuoi che faccia ora?
- Mi dispiace Alice…- disse avvicinandosi a me – non volevo farti soffrire.
Mi allontanai dalla sua carezza.
- Non puoi farmi questo…- gli dissi con voce debole, prossima a lasciar prendere il sopravvento alle lacrime – non puoi Remus… James non deve condizionare la tua vita.
- E’ il mio migliore amico. – spiegò con una punta di tristezza nella voce – Non è colpa mia se tu non lo sopporti.
- Sarebbe colpa mia adesso?
Scosse il capo.
- No, ma non farmi scegliere tra te e James.
Mi vennero in mente le parole di Severus e il mondo mi crollò sulle spalle.
- No…- gli dissi abbassando la voce – non ti farei mai scegliere. Anche perché so già che non sceglieresti mai me.
Corsi via senza voltarmi. Udii appena la sua voce che mi chiamava ma lasciai perdere.
Era finita.
Dentro di me sapevo che non poteva durare. Remus era troppo legato a James per fargli un affronto del genere.
Forse, se i nostri rapporti fossero stati normali, se non ci fosse stata quella competizione e quell’odio istigato da mio padre, tutto poteva esser differente.
Comunque a me non importava più nulla.
Mi sentivo stupida, usata, umiliata, ferita e in altri mille modi che non riuscivo a capire del tutto.
Ero arrabbiata con me stessa, con Remus, con James, con mio padre e con Severus. Tutti che cercavano in qualche modo di complicarmi la vita, tutti che pensavano solo a loro stessi senza guardare mai i miei sentimenti.
Non ne potevo più.
Mi scontrai contro qualcuno appena voltai l’angolo.
- Stai più attenta Potter!
Alzai gli occhi gonfi di lacrime, ero intenzionata a non scoppiare nei corridoi ma solo nel mio letto.
Sola a piangere.
Come era sempre stato.
Tra il velo annebbiato che mi impediva di vedere chiaro, intravidi la sagoma di Severus. Sentii una sua mano sulla spalla, i suoi occhi che mi leggevano l’anima.
- Stai bene Alice?
Toccai l’apice della mia sofferenza con quella precisa domanda.
Scoppiai a piangere.
Senza controllo, senza ritegno, senza curarmi della sua reazione.
Scoppiai solo a piangere.
Inizialmente Severus non fece nulla. Forse sorpreso dalla mia reazione, forse incapace di consolare una ragazza in lacrime. Rimase fermo, con la sua mano fredda sulla mia spalla. Le sue mani raramente erano calde.
Poi accadde qualcosa. Qualcosa di inaspettato.
Sentii le sue braccia circondarmi, avvolgermi in un abbraccio che profumava di spezie e fumi di pozioni.
Piansi più forte.
Mi sentii spingere, lentamente, con gli occhi serrati e il viso premuto sul suo maglione grigio con gli orli verdi, mi feci trascinare verso quella che scoprii dopo esser un’aula vecchia quanto il castello stesso. Quella che Lumacorno usava per fare le sue ridicole feste.
Mi fece sedere su uno dei divanetti che il professore aveva messo per far accomodare i suoi ospiti. Lui si sedette accanto a me continuando a stringermi al suo torace. Non mi chiese cosa fosse successo, probabilmente aspettava quel giorno da tempo.
- Perché…- iniziai a singhiozzare sul suo petto – perché voi ragazzi siete così… così… stronzi?
- Non lo so. – disse solamente accarezzandomi la schiena.
- Doveva esser la mia serata speciale. – continuai tristemente – Doveva… doveva esser l’inizio di un nuovo anno… invece… - tirai su con il naso sfregandomi gli occhi con le mani – invece non cambierà nulla. Anzi… andrà sempre peggio.
- Questo non puoi saperlo.
- Invece lo so eccome. – feci un profondo respiro staccandomi da lui – Io lo so…- ripetei a bassa voce chinando il capo.
Restammo a lungo in silenzio. Io fissavo il pavimento. Lui fissava me.
- Grazie, Severus. – dissi alla fine quando mi calmai leggermente.
Annuì solamente senza dire una singola parola, ma continuando a fissarmi.
Tirai su ancora con il naso, il mio corpo scosso dai singhiozzi ma, ormai, più rilassato. Sentivo il braccio di Severus sulle spalle. Se ricordavo a me stessa che poco prima era Remus ad abbracciarmi in quel modo sarei scoppiata di nuovo. Cercai di non pensarci e appoggiai la testa sulla sua spalla. Non so perché lo feci. Lo feci e basta.
- Vuoi venire al ballo con me?
Me lo chiese all’improvviso. Senza prepararsi un discorso. Senza aspettare il momento più propizio. Senza esser carino o dolce. Me lo chiese così, sputando quella frase come se fosse un veleno.
- Me lo chiedi solo perché hai litigato con Lily e lei non ci vuole andare con te. – non era una domanda ma un dato di fatto. Tutti sapevano che il rapporto tra Severus e Lily si stava rapidamente degradando.
- E anche se fosse? – rispose lui – Tu non verresti al ballo con me solo per far ingelosire Remus e per fargli capire che puoi benissimo andare avanti senza di lui?
Ammisi con me stessa che ci avevo pensato. Poteva esser una bella soddisfazione andare al ballo con qualcuno che Remus non sopportava.
- Allora? – mi spronò – Vieni al ballo con me?
- Sì.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Mi guardavo allo specchio da dieci minuti.
Ero pronta.
Convenni con me stessa che quel vestito mi stava veramente bene.
Potevo quasi passare per una ragazza come le altre.
- Siamo in ritardo! – la voce di Severus echeggiava rabbiosa per la Sala Comune: eravamo gli ultimi.
- Ho quasi finito! – gridai a mia volta con un sorriso sistemando le pieghe della gonna – Dammi solo un minuto!
- E’ la stessa cosa che mi hai detto un quarto d’ora fa!
Ridacchiai e presi la stola piegata sullo schienale della sedia ai piedi del mio letto. Mi coprii le spalle e uscii dal dormitorio.
Severus mi aspettava seduto sul divanetto davanti al camino. Una mano tra i capelli e lo sguardo perso tra le fiamme. Le ombre che venivano proiettate sul suo viso rendevano i suoi lineamenti ancora più affilati e spigolosi. Aveva legato i capelli in un corto codino e indossava un completo nero molto elegante.
- Eccomi. – dissi – Scusa il ritardo.
- Era ora. – sbuffò alzandosi continuando a fissare le lingue arancioni del fuoco – Stavo iniziando a marci… - la frase gli morì in gola quando mi vide.
Sorrisi imbarazzata, arrossii mentre sentivo il suo sguardo posato sulla mia pelle. Era come non avere vestiti addosso. Rabbrividii e mi strinsi di più lo scialle sulle spalle.
- Sei bellissima. – mormorò con un filo di voce avvicinandosi a me.
Balbettai quelli che mi sembrarono ringraziamenti e presi il braccio che mi porgeva.
La musica si sentiva già dai sotterranei, musica da ballo, lenta, armoniosa. Una musica non adatta ad una Serpeverde. Severus fece una smorfia.
- Odio questa musica.
Sorrisi stringendo la mano attorno al braccio non molto muscoloso del mio accompagnatore.
- Anch’io. – ammisi.
- Non vorrai ballare vero? – domandò all’improvviso, quasi timoroso ad avere una mia risposta.
- Non ti chiederei così tanto. – ed era vero, quella serata era solo una farsa. Un modo molto stupido di far ingelosire persone a cui non importava nulla di noi. Severus voleva dimostrare a Lily che non aveva bisogno della sua melensa amicizia. Io volevo sbattere in faccia a Remus quanto fosse stato uno stronzo e che non avevo bisogno di lui per andare ad uno stupido ballo.
Uscimmo dai sotterranei incontrando solo qualche ultimo ritardatario e qualche coppietta che si era nascosta per amoreggiare.
Ormai tutti erano in Sala Grande per festeggiare, io e Severus ci fermammo un attimo poco prima della porta.
- Pronta?- mi disse Severus.
Feci un profondo respiro, avevo evitato accuratamente Remus in quei giorni. Non volevo vederlo anche se, più di una volta, mi aveva cercato, aveva anche iniziato ad urlare davanti all’entrata della Sala Comune. Ma non avevo ceduto. Aiutata da Severus non mi feci intimorire e non gli diedi retta.
Mi prese una mano e me la strinse. La tacita conferma che lui sarebbe restato accanto a me tutta la sera. Gli fui molto grata per quello stava facendo.
Entrammo nella Sala addobbata a festa.
Era molto elegante con drappi bianchi e d’argento che abbellivano il soffitto, alberi di natale abbelliti con decorazioni in cristallo, un palco in fondo alla stanza, dove solitamente c’era il tavolo dei professori, dove un’orchestra composta da una decina di musicisti suonava la melodia che aveva fatto arricciare il naso a me e Severus. Tutto bellissimo come gli anni passati.
Ci guardammo attorno alla ricerca dei nostri compagni.
Stavano per la maggior parte in un angolo a parlare tra di loro. Lucius alzò lo sguardo dal bicchiere che teneva con la mano guantata di nero, posò i suoi occhi glaciali su di noi e ci fece un lieve cenno con il capo. Ci avvicinammo.
- Siete in ritardo. – ci apostrofò il giovane Malfoy – Cosa avete fatto tutto questo tempo? – nella sua voce non c’era malizia ma solo una strascicata noia.
- E’ colpa mia. – spiegai imbarazzata – Non trovavo il rossetto giusto.
Non gli importava nulla del mio rossetto, mi squadrò dalla testa ai piedi con lo sguardo tipico dei Malfory poi tornò a concentrasi sulla discussione di Evan e Regulus.
Mentre predavamo posto accanto ai nostri compagni iniziai a guardami attorno. Lo stavo cercando. Volevo vedere come si comportava, con chi era, se si stava divertendo.
Lo trovai dopo una decina di minuti, stava ballando con quella che sembrava la copia più giovane della McGranitt, sembrava sereno o così faceva immaginare. James e Sirius stavano seduti a qualche tavolo più in là con le loro ochette bionde, il cui cervello non più grande dell’unghia del mignolo della mia mano. Peter era fermo al buffet.
Ma io non toglievo gli occhi da Remus.
- Smettila. – mi rimproverò Severus all’orecchio, la voce lievemente più vellutata del solito mi fece rabbrividire qualche secondo – Ti stai solo facendo del male da sola.
Con delicatezza mi prese il mento con due dita sottili e mi voltò verso di lui.
- Non pensarci. Lascia che sia lui a cercarti e non il contrario.
Sorrisi annuendo piano, Severus quella sera sembrava quasi un altro mago.
Inizialmente non prestavo molta attenzione a quello che dicevano gli altri. Cercavo in tutti i modi di non cedere alla tentazione di voltarmi verso Remus. Restavo ferma, con il capo rivolto prima verso uno dei miei compagni, poi verso l’altro. Ma era palese il mio disinteresse per la serata.
- Perfino Mirtilla Malcontenta, - iniziò Severus prendendo due calici di succo di zucca dal vassoio in argento che volteggiava accanto al nostro tavolo – avrebbe parlato più di te a questa festa, Alice.
Mi mordicchiai un labbro mortificata.
- Hai ragione Severus. – mi scusai a voce bassa – è che… - sospirai e presi il bicchiere che mi stava porgendo – scusami. Tu non sei curioso di sapere con chi è venuta Lily?
Sul suo volto passò un’ombra scura.
- Io so con chi è venuta. – mi rispose osservando intensamente l’interno nel suo bicchiere – Con quel tonto di Bastian Smith.
Bastian Smith non era certo conosciuto per le sue qualità magiche. Ogni Casa aveva il suo adone, così bello e così sexy da far innamorare tutte le ragazze. Bastian era l’adone di Corvonero. Pelle ambrata tutto l’anno, fluenti capelli color cioccolato, occhi verdi, un sorriso perlaceo, mascella squadrata e un fisico scolpito messo sempre in evidenza dalla divida della scuola e da quella di Quidditch.
Peccato che il suo cervello fosse inversamente proporzionale alla sua bellezza statuaria.
Detto in parole povere: era già tanto se sapeva tenere in mano la bacchetta.
Molti ragazzi, decisamente i più invidiosi, spesso si chiedevano come avesse fatto a finire in una scuola come Hogwarts.
- E a te la cosa non interessa?- gli chiesi titubante, non sapevo mai come comportarmi quando veniva messa in mezzo Lily Evans.
Severus sbuffò alzando le spalle.
- Può fare quello che vuole… se preferisce i muscoli all’intelligenza sono fatti suoi.
Rimasi zitta, non volevo alimentare il fuoco della gelosia che bruciava in Severus. Sapevo che voleva bene a Lily ma non avevo mai capito quando. A volte sembrava amore, altre solo affetto, quasi come se lei fosse sua sorella.
Severus era proprio enigmatico.
Lo osservai mentre finiva il succo di zucca in un sorso solo, appoggiava il bicchiere sul vassoio e si voltava per lanciarmi un’occhiata penetrante.
- Balliamo?
Non feci tempo a rispondere, troppo sorpresa per la domanda così diretta. Quel ragazzo non conosceva mezze misure. Appoggiai appena in tempo il bicchiere sul tavolino davanti a me, fui presa per mano dal mio accompagnatore e trascinata nella pista.
- Ma avevi detto che non... che non volevi ballare…
Non rispose, si limitò ad afferrarmi la mano mentre l’altra si apriva sulla mia schiena nuda. Un brivido mi percorse la spina dorsale, nessun ragazzo mi aveva mai toccato la pelle, era la prima volta ed era una sensazione strana. Bella e spaventosa nello stesso tempo. Iniziammo a volteggiare sulle note di quella musica che a nessuno dei due piaceva, non avevo idea di cosa fosse successo a Severus. Prima mi diceva che non voleva ballare, poi mi trascinava in pista. Lui conduceva deciso, con passo elegante, a tempo come se non facesse altro che ballare dalla mattina alla sera. Io, ogni tanto, abbassavo lo sguardo per assicurarmi di non fargli male con i miei tacchi.
- Dove hai imparato il valzer?- gli domandai curiosa e stupita da quel modo così naturale che aveva di condurre le danze.
- Mia madre. – rispose senza staccare i suoi occhi dai miei – Quando ero piccolo metteva un disco e mi insegnava a ballare. Diceva che mi sarebbe servito quando avrei iniziato la scuola.
Stavo per rispondere quando una voce mi gelò il sangue nelle vene.
- Alice…
Mi voltai, accanto a noi c’era Remus, nel suo abito blu scuro che lo faceva sembrare più grande. Ballava lentamente con la sua compagna stretta in un abbraccio. Severus mi spinse un po’ più vicino al suo corpo, la mano che aveva appoggiato sulla mia schiena scese di poco seguendo la spina dorsale per un breve tratto.
Un altro brivido attraversò il mio corpo ma cercai di non farlo vedere a nessuno.
- Alice…- ripeté di nuovo incredulo di vedermi ballare con Severus – noi due… noi due dobbiamo parlare.
Non volevo parlare con lui, mi aveva ferito, mi aveva umiliato, mi aveva fatto sentire stupida. E c’erano già James e Sirius a farlo in modo magistrale. Mi volta di nuovo verso Severus stringendomi di più a lui.
- A quanto sembra. – rispose Severus al posto mio – Alice non ha nulla da dirti Lupin.
Mi sentivo enormemente in imbarazzo. Da una parte avevo gli occhi ambrati di Remus puntati addosso, dall’altra quelli neri di Severus. Deglutii a vuoto cercando il modo migliore per andarmene.
- Hai preso il motto “Basta che respiri e abbia un buco” alla lettera vero, Mocciusus? – domandò all’improvviso una voce irritante, una voce che non avrei voluto più sentire – Solo Jo poteva venire al ballo con te.
- Non.. chiamarmi…- sibilai furiosa voltandomi verso Black – Jo.
Sirius mi squadrò un attimo poi tornò a fissare Piton.
- Mi fai quasi pena, Mocciosus. Devi proprio esser disperato se vuoi perdere la verginità con lei. Non sai che gli insetti come lei mangiano il compagno dopo l’accoppiamento?
- Smettila!
Mi voltai di nuovo, questa volta a parlare non ero stata io e neppure Severus. Era stato Remus. Stava dritto in mezzo alla pista, la ragazza che aveva accompagnato l’aveva lasciato solo, probabilmente infastidita dalla piega che aveva preso la serata.
- Non dirmi che ti metti a fare il Prefetto anche questa sera? - lo derise Black fermandosi a sua volta.
- Devi lasciarla stare. – continuò Remus fissando in modo torvo l’amico.
- Andiamo, Alice. – mi fece Severus prendendomi per mano – Lasciamo litigare i due fidanzatini.
Mi feci portare via senza dire una sola parola. Sentii appena la voce di Black che chiedeva a Remus spiegazioni sul suo comportamento.
Volevo andarmene da lì, era umiliante e mille altri aggettivi che non mi venivano in mente in quel preciso momento.
Tornammo dove i nostri compagni si erano riuniti. Ma non c’era più nessuno. Severus non se ne preoccupò, prese il mio scialle me lo porse.
- Andiamo. – fece lanciando occhiate veloci alla sala, precisamente dove Remus e Sirius stavano tenendo una vivace conversazione – Questa festa è noiosa come ogni maledettissimo anno.
- Dove andiamo?- domandai stringendomi lo scialle al petto.
Severus sorrise prendomi per mano.
- Ti faccio vedere come si festeggia l’anno nuovo.

***
Tutti i professori sapevano che gli studenti continuavano i festeggiamenti nelle rispettive Sale Comuni, a volte fino alla mattina successiva. I Serpeverde passavano la notte di Capodanno in una vecchia sala in disuso, grande quando quella Comune, senza però tutti i mobili. Veniva disposto un tavolo lungo quanto tutta la parete di destra, qualche ornamento sul soffitto, cibo di ogni genere e alcool a volontà. Ovviamente questa festa non era per tutti, solo gli studenti autorizzati dai più grandi potevano parteciparvi.
Severus mi aveva appena autorizzato a partecipare con lui.
Per ogni ragazza è un sogno poter mettervi piede.
La nuova canzone dei Troll di Montagna, un gruppo molto in voga in quel periodo, era a tutto volume assordando gran parte dei presenti. Sul tavolo del buffett c’era di tutto, dai cibi raffinati come le tartine al salmone che adorava Malfoy alle patatine al formaggio che mangiava solo Regulus.
- Alice! – il fratello di Sirius mi abbracciò cercando di non far rovesciare i due bicchieri che teneva in mano – Sono felice di vederti qui! Era ora che qualcuno ti invitasse formalmente.
Buttai il mi scialle sul divanetto dalla stoffa consumata che c’era in un angolo, Severus si slacciò la giacca e il cravattino gettandoli anche lui sul divanetto e restando solo con la camicia bianca e i pantaloni neri.
Regulus diede un bicchiere a me e uno al mio cavaliere.
- Ecco qua. – ci disse con un sorriso - Miscela speciale di Evan Rosier.
Portai il bicchiere alle labbra e le bagnai appena.
- Ma è alcool puro!- dissi allontanando il bicchiere dalla bocca.
Severus mandò giù la bevanda in un sorso solo, fece un leggera smorfia e posò il bicchiere sul tavolo accanto al piatto delle tartine dolci al lampone.
- Tu dici? Eppure ha provato a fare di peggio… certe miscele di Evan le usiamo per scrostare i calderoni.
Fissai il mio bicchiere indecisa.
- Avanti…- mi spronò Severus – brucia solo per qualche secondo.
Lo buttai giù in un sorso solo. Mossa alquanto azzardata per una ragazza che non aveva mai bevuto nulla di più alcolico di una burrobirra. Tossii per qualche istante mentre sentivo la gola e lo stomaco andare a fuoco. Severus rideva dandomi lievi pacche sulla schiena. Il fastidioso bruciore passò dopo alcuni secondi lasciandomi la testa leggera.
- Questa roba mi ucciderà. – dissi poggiando il bicchiere accanto a quello di Severus.
- Prima o poi tutti dobbiamo morire. – mi fece notare Regulus leggermente brillo.
Si allontanò con passo incerto verso una ragazza del settimo anno che non lo degnava neppure di uno sguardo.
Io e Severus scoppiammo a ridere per l’inconsueta perla di saggezza del giovane Black, afferrai un altro bicchiere e mi voltai verso di lui.
- Alle persone che non ci vogliono. – brindai prima di buttare giù il secondo bicchiere in pochi minuti.
Severus afferrò il secondo bicchiere, fece un piccolo brindisi nella mia direzione e buttò giù la bevanda con un sorso. Fece una smorfia e mi trascinò in pista dove la musica suonava forte.
Dopo il terzo bicchiere di quella brodaglia che Regulus Black definiva la miscela speciale , il mondo fu avvolto da una fitta nebbiolina azzurra. Ballavo, cantavo, ridevo e parlavo ma non ero io quella che si stava divertendo. Spesso avevo dei momenti di buio completo dove, molto probabilmente, ero troppo ubriaca per poter anche solo muovere un muscolo o, comunque, per ricordarmi qualcosa.
Mi svegliai la mattina dopo a letto, aprii gli occhi imprecando a bassa voce per non svegliare le mie compagne, mi sentivo la bocca pastosa come se avessi mangiato un pezzo della tenda di velluto che copriva il letto. Le testa pulsava in modo inquietante e lo stomaco stava facendo un paio di capriole nel mio corpo.
Stavo uno schifo.
E ricordavo ben poco delle sera precedente.
- Che male… - mormorai a voce bassissima per non sentire ancora di più male alla testa – la mia testa…
Mi mossi tra le lenzuola rendendomi conto solo in quel momento che indossavo solo la biancheria intima.
- Fantastico…- dissi con una smorfia – spero di non aver vomitato sul vestito ieri sera.
Scesi dal letto, il contatto con il pavimento freddo mi fece rabbrividire. Chiusi gli occhi infastidita quando la luce dei lampadari appesi al soffitto mi colpirono in pieno viso. Aprii gli occhi lentamente abituandoli gradatamente alla luce. Quando riuscii a mettere a fuoco la stanza mi resi subito conto che qualcosa non quadrava.
Era una stanza che non avevo mai visto. La stufa era sempre al centro della camera, i quattro letti stavano in cerchio uno accanto all’altro, sentivo un lento russare, come un ronzio di sottofondo, non c’era l’armadio enorme di Brenda, il baule sempre aperto di Briscilla e le riviste di Madlene a terra. C’era solo un poster appesa all’anta di un piccolo armadio. Sei ragazzi mi fissavano dal poster visibilmente interessati al mio abbigliamento. Erano i Troll di Montagna, il gruppo rock che mi aveva fatto scoppiare la testa la sera precedente.
- Questa non è la mia camera. – conclusi guardandomi attorno.
Sgranai gli occhi improvvisamente consapevole della situazione. Mi ero ubriacata alla festa di Capodanno e mi ero addormentata mezza nuda in un letto che non era mio. Mi voltai lentamente, il cuore che batteva a mille nel petto. Mugugnai qualcosa quando mi accorsi che non avevo dormito da sola in quel letto.
Sdraiato sul lato destro, con addosso solo i pantaloni, c’era Severus.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


- Non può essere…- mormorai muovendo solo le labbra, avevo la gola talmente secca che non sarei riuscita a riprodurre nessun suono – No, no, no, no, no, no…
Mi mossi in circolo cercando il mio vestito. Lo trovai ammucchiato a terra accanto ai vestiti che Severus non indossava.
- Maledizione! – imprecai con un filo di voce prendendo l’abito e avvolgendomelo attorno al corpo per coprirmi come meglio potevo – Maledizione!
Guardai Severus dormire, sembrava tranquillo e sereno.
Io ero nervosa e irritata.
Mi mordicchiai l’interno della guancia indecisa sul da farsi.
Mentre con una mano tenevo fermo il vestito sul mio seno, l’altra si avvicinava alla spalla nuda di Piton. La toccai appena e ritrassi subito la mano come se la sua pelle scottasse.
Severus non si mosse.
Avvicinai di nuovo la mano, lo scossi appena cercando di svegliarlo.
- Severus… Severus…
Mugugnò qualcosa spostando la schiena.
- Severus… ti prego…
Si voltò dalla mia parte aprendo appena gli occhi.
- Regulus…- biasciò ancora addormentato – vai a rompere da qualche altra parte.
- Severus! – dissi più forte guardandomi subito attorno sperando di non aver svegliato nessuno.
Ero già abbastanza a disagio, non volevo un branco di ragazzi che iniziavo con le loro stupide frasi canzonatorie.
Severus aprì appena gli occhi ma li richiuse subito accecato dalla luce.
- Alice… - mormorò dandomi la schiena – é presto… sei già sveglia?
Rimasi zitta stringendomi il vestito attorno al corpo mezzo nudo, non capiva la gravità della situazione.
Improvvisamente si voltò verso di me, gli occhi sgranati e la bocca lievemente aperta.
Ora l’aveva capita.
Mi fissò spostando il suo sguardo sul mio corpo ben poco coperto.
Quella fu la prima e l’unica volta che vidi Severus Piton arrossire. O meglio, assumere un tono rosa pallido in volto.
Mosse appena la bocca, probabilmente tentando di non far uscire un’imprecazione molto colorita che non voleva che sentissi.
- Ti prego… - mormorai disperata – dimmi che non l’abbiamo fatto.
Scattò giù dal letto, prese la coperta che aveva Regulus ai piedi del letto e me la mise sulle spalle.
Senza dire una parola mi indicò la porta e uscimmo il più silenziosamente possibile.
- Severus. – non aveva detto una sola parola da quando si era svegliato e mi stavo preoccupando.
Non volevo che la mia prima volta fosse da ubriaca e con una ragazzo che non amavo. Ero troppo giovane per perdere la verginità e Severus non era il ragazzo che avevo immaginato.
- Cosa ricordi di ieri sera?- mi domandò appoggiandosi allo schienale di una poltrona.
Socchiusi gli occhi portandomi una mano alla testa, mi faceva un gran male e lo sforzo di ricordare non migliorava le cose.
Ricordavo l’alcool, la musica assordante, i balli scatenati di una branco di ragazzi che restavano alzati fino all’alba, alcune frasi, Evans che ballava sul tavolo con la cravatta legata in testa come una benda e quello che mi sembrava un discorso, iniziato da Severus, sui lupi mannari. Ma non ricordavo com’ero tornata in Sala Comune e, cosa più importante, com’ero finita nel suo letto. Gli dissi tutto quello che mi veniva in mente, lui annuiva probabilmente stava cercando di riordinarsi le idee.
- Tu ricordi come siamo tornati indietro? – domandai con un filo di voce stringendo ancora di più la coperta attorno al corpo infreddolito.
- Eravamo ubriachi. - mi disse con un sospiro – Ricordo che non riuscivamo a camminare da soli, ci reggevamo a vicenda. Mentre tornavamo in Sala Comune ti sei messa a piangere per Remus.
Ebbi un flash, era vero, mentre tornavamo indietro, ubriachi e storditi, la nostra discussione senza senso era finita su Remus e io ero scoppiata a piangere. Mi aveva consolato, come aveva sempre fatto anche se con modi un po’ bruschi.
- Non abbiamo fatto nulla questa notte. – disse poi Severus serio in volto, se aveva il mio stesso mal di testa o la nausea non lo diede a vedere.
Alzai la testa di scatto, alcune lacrime spingevano agli angoli degli occhi.
- Come fai a dirlo?
- Ho ancora addosso i pantaloni. – spiegò.
- Magari il hai indossati… dopo…
Scosse piano il capo.
- Impossibile.
- Perché?
- Dormo nudo.
Fu il mio turno di arrossire, abbassai lo sguardo.
- Probabilmente… - rifletté ad alta voce – probabilmente ci siamo addormentati mentre ci spogliavamo… eravamo così ubriachi che non avremmo potuto fare molto.
Sorrisi e poi ridacchiai pentendomene subito visto la fitta dolorosa che mi aveva trapassato il cranio nel momento in cui mi misi a ridere.
- E’ buffo. – dissi alzando di nuovo lo sguardo – Due adolescenti in piena crisi ormonale che non finiscono neppure di spogliarsi perché troppo ubriachi.
Ridacchiai di nuovo, ma la risata fu subito seguita da una smorfia di dolore per l’ennesima fitta.
- Vai a farti una doccia calda. – mi consigliò Severus – Ho qualcosa per il mal di testa e la nausea.
- Immagino il motivo.
Lui scosse il capo, di nuovo.
- Non mi ubriaco spesso, solitamente le tengo per Evan e Regulus. Quei due sono peggio di un giocatore di Quiddicth dopo aver visto il campionato mondiale. Ogni scusa è buona per brindare. Se non tengo quelle pozioni riempirebbero il dormitorio di vomito.
Feci una smorfia disgustata.
- Ci vediamo qui tra un’ora. – gli dissi incamminandomi verso il dormitorio femminile.
Entrai nella mia stanza in punta di piedi. Non volevo svegliare nessuno e non volevo iniziare l’interrogatorio di Brenda prima di aver preso la pozione. Ero certa che lei avesse notato la mia assenza, senza dubbio mi aveva aspettato fino a quando il sonno non aveva preso il sopravvento. Appoggiai il vestito e la coperta sul mio letto, presi dei vestiti di ricambio e mi diressi al bagno.
L’acqua calda scivolava sul mio corpo portandosi via parte del mio malessere, aprii la bocca verso il rubinetto togliendomi quel saporaccio con cui mi ero svegliata. Strofinai bene la pelle per togliermi l’odore dell’alcool e uscii rilassata. Mi avvolsi nell’asciugamano di spugna verde e tolsi con una mano bagnata la condensa che si era formata sullo specchio. I capelli bagnati aderivano al viso, gli occhi erano ancora gonfi e pesti, la testa mi doleva ancora, ma molto meno, e lo stomaco fortunatamente aveva smesso di fare le capriole.
Ripromisi a me stessa di non bere più così tanto.
Il mio sguardo fu catturato da un segno rosso sul collo, piccolo ma, pur sempre, evidente. Lo sfiorai con due dita e poi risalii sulle labbra. Saverus mi aveva baciato, mi aveva accarezzato e sfiorato come mai nessun ragazzo aveva fatto. E io non lo ricordavo.
Lo trovavo scoraggiante.
Sospirai e mi vestii coprendo il succhiotto con il maglione dal collo alto. Severus mi aspettava in Sala Comune, aveva indossati i suoi consueti abiti neri, i capelli gli incorniciavano un viso un po’ più pallido del solito. Davanti a lui un bicchiere fumante.
- Bevi. – mi disse quando mi sedetti accanto a lui – Ti farà sentire meglio.
Presi il bicchiere e annusai il contenuto. Aveva un odore acido, sgradevole che irritava il naso e la gola.
Mi voltai verso di lui:
- Devo proprio?
Alzò solo un sopracciglio senza aggiungere altro.
Sbuffai contrariata e appoggiai le labbra al bordo del bicchiere. Già l’odore mi faceva venire la nausea. Con la mano libera mi tappai il naso e buttai giù quell’intruglio maledetto un in sorso solo.
- E’ disgustoso!- feci con una smorfia posando il bicchiere – Non puoi fare delle pozioni con un sapore più gradevole?
- E dove sarebbe il divertimento?- mi domandò compiaciuto dalle mie smorfie.
Gli feci una giocosa linguaccia; con un muto accordo avevamo appena stabilito che non avremmo mai più parlato di quello che sarebbe potuto succedere.
- Credo di aver lasciato la stola in quella sala. – feci alzandomi dal divano – Vado a riprenderla o mamma mi uccide.
Lui non rispose e io non dissi più nulla. Sentivo i suoi occhi neri puntati sulla schiena ma continuai a camminare fino a quando non uscii dall’entrata della Sala Comune.
Anche dopo la lunga doccia sentivo il profumo di Severus sulla pelle e sapevo che non l’avrei mai scordato.

***

La primavera arrivò all’improvviso. Dopo settimane di pioggia e vento umido era arrivato il sole. Caldo e rassicurante, aveva asciugato i giardini della scuola permettendo a noi studenti di riposare sotto gli alberi.
Odiavo le giornate di sole.
Io adoravo restare in biblioteca mentre la pioggia picchettava contro le finestre creando una dolce melodia che mi aiutava a concentrarmi. Mi piacevano i cieli grigi, scuri, non le nubi bianche che sembravano panna montata, non i cieli sereni e limpidi. Amavo la neve e il suo modo di rendere magica qualsiasi cosa su cui si posasse, amavo i temporali; odiavo il sole e quelle noiose giornate allegre.
Ma, quando la scuola sta per finire, sei sempre felice di passare qualche ora di svago con i tuoi amici. Anche se c’era quel fastidioso sole.
L’ultimo mese l’avevamo passato osservando i ragazzi del quinto anno preparasi per gli esami dei G.U.F.O. Molti restavano a studiare fino a notte inoltrata, altri si addormentavano, con la testa ancora tra i libri, nella Sala Comune; molti, Severus in testa, non uscivano dalla biblioteca se non per mangiare e dormire. Altri, come Evan, escogitavano ogni stratagemma possibile per copiare durante gli esami.
L’ansia che trasmettevano era spaventosa, le ragazze erano isteriche e i ragazzi irascibili, rendendo l’atmosfera pesante.
Per questo passavamo quel periodo il più lontano possibile dai ragazzi del quinto anno.
Quel pomeriggio non era diverso dagli altri, avevamo assistito all’ennesima lite tra due ragazze isteriche, Lumacorno aveva dato loro una pozione calmante e le aveva mandate in infermeria a curarsi i graffi che si erano fatte con le unghie perfette, ci eravamo rifugiate in cortile dove il sole primaverile salutava gli studenti con il suo tepore.
Si avvicinavano gli esami e con loro l’ultimo giorno di scuola.
Ogni anno era la stessa storia, tornare a casa era un incubo; una punizione per qualcosa di cui non avevo colpa.
I rapporti con mio padre erano destinati a peggiorare di anno in anno, il carattere tipico dei Serpeverde era radicato in me, ero tutto ciò che papà e James odiavano e non mancavano a rinfacciarmelo ogni istante della mia vita. Le cose peggiorarono ancora di più quando iniziarono a circolare strane voci su un potente mago che reclutava giovani talentuosi per portarli sulla strada della magia oscura. Quelle voci di corridoio narravano di magie potenti e proibite, di comunità di maghi che davano la loro vita pur di appoggiare quest’uomo, il cui nome non veniva mai pronunciato per oscure ragioni, elogiando un mondo migliore senza Babbani e sangue misto. Io non badavo a questi pettegolezzi, ma molti della mia Casa sì, per loro erano discorsi giusti, corretti.
Io volevo solo vivere la mia vita in pace; non avevo bisogno di altri problemi.
Avevo provato sulla mia pelle che il pettegolezzo raccontava solo una misera parte della verità, quindi non davo troppo peso a quello che leggevo sulla Gazzetta, per me era solo un mago un po’ fanatico che presto avrebbe avuto grane con il Ministero. Ma mio padre, da buon Auror ficcanaso e diffidente, credeva molto in quelle voci e sapevo che non mi avrebbe reso la vita facile.
Che le dicerie fossero vere o meno, secondo lui io ero il perfetto candidato per entrare in quel gruppo che si faceva chiamare Mangiamorte. Per lui ero già colpevole.
Quell’anno sapevo che dovevo assolutamente trovare un altro posto dove passare le vacanze.
Stavo riflettendo su questa situazione quel pomeriggio di Maggio, sotto l’ombra di un albero. Sedevo sull’erba con un libro aperto sulle gambe. Non avevo trovato la concentrazione giusta e avevo lasciato perdere la lettura da circa un’ora. I miei pensieri erano dirottati sull’imminente ritorno a casa Potter.
Brenda parlava accanto a me, ma io non l’ascoltavo, ero troppo presa dalle mie preoccupazioni.
Fu un piccolo coro di risate a farmi tornare con i piedi per terra. I ragazzi che ridevano erano poco distanti da noi, sulle sponde del Lago Nero.
- Tuo fratello ha colpito ancora. – mi disse Brenda volgendo lo sguardo verso un gruppo di ragazzi che stava correndo in direzione delle risate.
- La cosa non mi tocca minimamente. – le risposi riprendendo il libro.
Si sentirono altre risate poi udii distinta la voce di James.
- Evans! Aspetta… Evans!
Lily Evans camminava con passo svelto verso l’entrata della scuola, aveva sul volto un’espressione furiosa che le avevo visto solo una volta.
Capii immediatamente che la sua rabbia non era rivolta a quel decerebrato di mio fratello.
- Mi ha chiamato Sanguemarcio! – borbottava gesticolando furiosa – Lui che mi ha sempre detto che non ci sono distinzioni tra i maghi… - entrò nell’atrio di Hogwarts e le sue urla si persero tra i muri secolari del castello.
- Va a chiamare Regulus - dissi a Brenda alzandomi – e Malfoy e chiunque trovi nei sotterranei.
- Perché? – domandò lei alzandosi e pulendosi il vestito con la mano.
- Tu vai e basta!
Sbuffò contrariata, ma corse verso il castello.
Io mi diressi verso il gruppo di ragazzi che rideva.
Avevo un brutto presentimento, non avrei voluto immischiarmi ma se Lily era così furiosa voleva dire che c’entrava Severus e dove c’era Severus…
- Allora… chi vuole vedermi togliere le mutande a Mocciosus? [1]
Mi misi a correre.
I ragazzi stavano attorno a Severus appeso a testa in giù per una caviglia. La tunica gli era ricaduta sul viso lasciandolo letteralmente in mutande davanti a metà corpo studentesco.
Mi feci largo tra i ragazzi più grandi e più piccoli. Nessuno avrebbe aiutato Severus, nessuno si sarebbe messo contro i Malandrini.
Vidi James avvicinarsi a Piton, la bacchetta in mano puntata su di lui. Sirius dietro le sue spalle, sogghignava divertito, Peter si strofinava le mani, gli occhi piccoli luccicavano pieni di malsana ammirazione. Minus era quello che mi piaceva meno di tutti. Viscido e subdolo, aveva l’aria di uno capace di vendere l’anima al diavolo per un po’ di ammirazione e potere.
Remus, diplomatico come sempre, se ne restava sotto l’albero, il libro cocciutamente aperto davanti al viso. Voleva restarne fuori quanto me.
- Avanti James! – urlò Sirius esaltato da tutta la folla che li circondava – Si mormora che il pisello di Mocciosus sia come quello di un bambino di cinque anni. Voglio vedere se è vero.
Alcuni risero indicando Severus che si dimenava a mezz’aria per prendere la bacchetta finita a terra. Ovviamente non c’erano Serpeverde tra i ragazzi. Tranne me.
Mi mossi velocemente. Troppo velocemente. Rastrellai gli incantesimi nella mia mente ed afferrai la bacchetta lanciando il primo che trovai adeguato.
James si bloccò all’istante, dal suo sedere spuntò una lunga coda di cavallo marrone, i capelli spettinati si allungarono formando una criniera, le mani tremarono e le dita di contrassero fino a quando degli zoccoli neri presero il posto delle mani. La bacchetta gli cadde a terra e così anche Severus che si affrettò ad abbassare la divisa. Intanto James era a carponi a terra, cercava di parlare ma dalla gola uscivano solo nitriti.
Sorrisi maligna mentre mio fratello nitriva e si dimenava impazzito.
- Peccato… - dissi dispiaciuta – volevo che diventasse un asino e non un cavallo… non sono molto brava nella trasfigurazione.
- Sei una vipera velenosa. – gridò Black.
- Sempre le stesse cose… dovresti metterci più fantasia nei tuoi insulti Sirius. Sei noioso.
Con un moto di stizza Sirius mosse la bacchetta, vidi il lampo rosso ma non feci in tempo a difendermi, cercai di ripararmi il viso con le braccia, fortunatamente l’incantesimo non mi colpì. Si infranse a qualche centimetro dal mio corpo, come se ci fosse stata una barriera invisibile a proteggermi.
- Cosa…
- Lasciala stare!
Severus era scattato in piedi, aveva la bacchetta in mano, una scintilla d’odio faceva brillare gli occhi neri.
Sirius ghignò soddisfatto.
- Cos’è Mocciosus? Jo è la tua fidanzata?
- Questi non sono affari tuoi Black. – rispose Severus facendo un passo verso di me, la bacchetta sempre stretta in mano.
Sirius lanciò un’occhiata a Peter che si mise subito accanto a lui con pronto per duellare. Nel frattempo James tirava calci all’aria come un mulo fuori controllo.
- Smettetela! – urlò Remus – Dovete smetterla di litigare!
- Guarda cos’ha fatto a James!- urlò Sirius indicando l’amico – Secondo te dovrei stare fermo a guardare?
- James se l’é cercata!- ribatté prontamente Lupin – Deve crescere e smetterla di fare il bambino prepotente.
- Stanne fuori, Remus. – gridai indispettita – Non ho bisogno della tua falsa indulgenza, so cavarmela da sola.
Remus si voltò verso di me, non ci eravamo più scambiati una sola parola dal ballo di Capodanno.
- Alice…- mormorò cercando di fare da paciere – devi esser più comprensiva.
- Io? – urlai furiosa, la bacchetta tremava nelle mie mani – Stupeficium!
Remus fu scagliato vicino al lago privo di sensi. Troppo sorpreso dalla mia reazione per pensare di difendersi in qualche modo.
Sirius si voltò verso l’amico poi verso di me.
- Me la pagherai! Incarceramus!
Né io né Severus fummo abbastanza veloci da lanciare un incantesimo scudo. Il mio corpo fu avvolto da decine di funi trasparenti che mi immobilizzarono. La bacchetta mi cadde di mano.
- Mocciusus! – fece Sirius con una smorfia vittoriosa – Fa tornare James come prima. - con un altro colpo di bacchetta fui sollevata dal terreno di qualche centimetro e lentamente fui trasportata fino alle rive del lago - Se non lo fai Jo farà un bel bagno.
- Non chiamarmi Jo. – sibilai a denti stretti dimenandomi per far allentare la presa delle funi invisibili.
Severus mi lanciò un’occhiata poi si avvicinò a James. Mormorò qualcosa e l’incantesimo si spezzò facendolo tornare normale.
Le funi che mi legavano si strinsero ancora di più.
- Lasciala!
La folla ce si era radunata attorno a noi si aprì, parte della Casa dei Serpeverde stava venendo nella nostra direzione decisamente pronti per un duello.
L’incantesimo che mi teneva sollevata a mezz’aria svanì facendomi cadere a terra.
- Non fai più lo sbruffone vero?- urlai rialzandomi – Ora siete in minoranza numerica. Come la mettiamo Black?
Regulus si avvicinò a me.
- Stai bene?
Annuii e presi la bacchetta che mi porgeva.
- Dovrò dirlo alla McGranitt. – dichiarò Lucius con un’espressione glaciale sul volto.
A differenza di molti di noi, impulsivi di natura, lui preferiva usare il suo potere di Caposcuola che la bacchetta. Subdolo e meschino, Lucius Malfoy non faceva mai nulla se non ne ricavava qualcosa.
- La tua compagna - rispose Black indicandomi – ha trasformato James in un cavallo!
Regulus trattenne una risata accanto a me, Evan, molto meno diplomatico, scoppiò a ridere senza nessun ritegno.
Malfoy, invece, si voltò verso di me.
- E’ vero?
- Stavano prendendo in giro Severus. - spiegai.
Omisi il tipo di scherzo che stava subendo, sentì una sua occhiata, ma non mi voltai verso di lui.
Nel frattempo James si era avvicinato a Remus e l’aveva fatto rinvenire. Lo osservai mentre si metteva a sedere sull’erba per poi voltarsi a fissarmi incredulo. Ci guardammo a lungo poi tornai a guardare i miei compagni.
Intanto la folla attorno a noi era aumentata. Forse attratti dalla possibilità di uno scontro tra Case.
- Ha schiantato Remus senza motivo! – continuò Sirius.
- E allora? - fu la risposta sarcastica di Lucius.
Severus si avvicinò all’amico e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Il giovane rampollo di casa Malfoy socchiuse gli occhi glaciali, annuì e si voltò verso di me.
- Ti voleva buttare nel Lago Nero?
Annuii solamente.
Lucius si voltò verso il grifone.
- Sei nei guai Black... in guai molto grossi.
Sirius scattò verso di noi, ma fu subito fermato da Remus che, nel frattempo, si era ripreso e si era alzato. Gli disse qualcosa sottovoce, Black sgranò gli occhi e ci indicò, sembrava indignato. Remus sostenne lo sguardo accusatorio dell’amico, lo afferrò per un braccio e lo trascinò via seguito a ruota da Minus.
L’unico rimasto era James.
Dritto in piedi mi fissava con odio.
- Non finisce qui, Alice. – mi minacciò – Ti farò passare un’estate indimenticabile. – si voltò per seguire i compagni.
Rimasi in silenzio mentre osservavo la schiena di mio fratello allontanarsi, voltai lo sguardo quando sentii una mano sulla spalla. Brenda mi fissava preoccupata.
Feci un profondo respiro e chiusi gli occhi.
- Non posso tornare a casa.

***
Il treno rosso sfrecciava veloce tra i campi inglesi.
Troppo veloce.
Stavo per tornare a casa e già sapevo che mi aspettava mio padre indignato per lo scontro avuto con James. Il mio scherzetto non era passato inosservato, Lumacorno aveva dovuto mandare una comunicazione ai miei genitori dove sottolineava la mia completa mancanza di rispetto verso la famiglia e i compagni più grandi. La strilettera che mi era arrivata il giorno dopo da mio padre si era fatta sentire per tutto il castello.
Non volevo rivedere quell’uomo.
Picchiettavo il piede sul pavimento della carrozza da quando il treno era partito da Hogsmeade. Quattro ore prima.
- Se non la smetti, quel piede te lo taglio. – mi minacciò Brenda alzando la testa dal suo diario.
- Scusa. – mormorai mortificata – Sono nervosa.
- Verrai da me per tutto il mese di Agosto… stai tranquilla. – cercò di consolarmi con un sorriso.
- Due mesi con James… e Sirius verrà da noi a Luglio. Non arriverò mai ad Agosto.
Sconsolata mi alzai e uscii sul corridoio, sentivo le risate degli altri e le chicchere inutili che si facevano prima delle vacanze. Fissavo il mio riflesso nel vetro del finestrino. Avrei solo voluto scappare. Se fossi solo riuscita ad aprirlo quel maledetto finestrino.
- Scappare dal treno in corsa non risolve il problema.
Sorrisi alla mia immagine riflessa nel vetro, fuori i campi erano solo indistinte macchie di verde e giallo.
Un’ombra nera si avvicinò a me.
- Sei preoccupata. – non era una domanda ma solo una constatazione.
- Dovrei non esserlo?
- Forse.
Mi voltai incontrando subito i suoi occhi.
- Hai parlato con Lily?- gli domandai cercando di cambiare argomento.
Lui sbuffò appoggiandosi con la schiena al vetro.
- Non vuole ascoltare.
- Le hai chiesto scusa?
- E’ la prima cosa che ho fatto. – mi rispose lanciandomi un’occhiata penetrante.
- Hai seguito il mio suggerimento?
- Quello di minacciare di dormire fuori dalla Sala Comune di Grifondoro fino a quando non mi avrebbe rivolto la parola?
Annuii.
- Sì, l’ho fatto. E mi ha detto che era troppo tardi, che io avevo scelto la mia strada e lei la sua.
- Mi dispiace Severus.
- Anche a me.
- So che tenevi molto alla vostra amicizia.
- Forse ha ragione. Siamo sempre stati molti diversi. Quando si è piccoli queste differenze non contano ma crescendo…
- Proverai a fare pace con lei di nuovo?
- No. – sospirò incrociando le braccia al petto, i suoi occhi erano colmi di tristezza – Credo che inizi a piacerle tuo fratello.
- Allora non è così intelligente come sembrava. – dichiarai poco gentilmente.
Mi lanciò occhiata truce.
Fummo interrotti da un ragazzino del primo anno che correva per il lungo e stretto corridoio, non ci guardò neppure e si intrufolò dentro lo scompartimento occupato da Severus, Regulus, Evan e Malfoy con fidanzata. Regulus uscì poco dopo, ci vide subito e ci fece segno d’entrare.
- E’ successo qualcosa?- domandò Severus sedendosi al suo posto.
Regulus non gli rispose e guardò me.
- Ho due notizie da darti… una buona e una cattiva… quale vuoi sentire?
- La cattiva… - riposi immediatamente senza esitazione – il mio umore non può peggiorare.
- Mio fratello non tornerà più a Grimmauld Place. Ha deciso di trasferirsi in pianta stabile a casa tua e so già che i tuoi genitori sono d’accordo.
Sentii il terreno sprofondare sotto i piedi. L’ennesima pugnalata alle spalle da parte della mia famiglia. Certe decisioni si prendevano insieme e io non ero neppure stata informata. Non che avessi potuto dire la mia, ma, almeno, potevano dirmi qualcosa.
- Tu come fai a saperlo?
- Mi ha mandato una lettera mia madre, voleva che glielo confermassi, ma io non sapevo nulla. Così ho mandato uno del primo anno a spiarli, quando ha sentito parlare di trasferimento è corso subito a confermarmelo.
- Non mi basteranno solo le cavallette e le noccioline per difendermi. – mormorai sconsolata dall’idea di passare due mesi in continua vigilanza.
- Qui viene la buona notizia. – sorrise Regulus prendendomi una mano – Mia madre aspettava l’occasione giusta per bruciare il nome di Sirius dall’arazzo della famiglia. Ho parlato di te e loro sono ben felici di accoglierti in casa nostra.
- Cosa?- domandai incredula.
- Papà ha sempre detto che c’è posto per un Serpeverde a casa.
- Io… non so…
- Preferisci tornare a casa tua?
No, non lo preferivo.
Avrei fatto qualsiasi cosa pur di non tornare a Godric’s Hollow.
In quel momento Sirius e James passarono proprio davanti allo scompartimento diretti al carrello dei dolci poco più avanti. Non si lasciarono scappare l’occasione di lanciarmi occhiate cariche di astio e desiderio di vendetta.
Presi una delle decisioni più importanti della mia vita in quel treno, mentre James e Sirius mi fissavano.
Esibii il sorriso più glaciale che riuscivo a fare e con eleganza mostrai ai due Grifoni il mio dito medio.


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[1] Vorrei precisare che questa frase è presa direttamente dal Harry Potter e l’Ordine della Fenice. Capitolo 28 pag. 607

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Ero avvolta nel bianco.
Accecante, penetrante, fastidioso e nauseabondo bianco.
Odiavo il bianco, quasi quanto odiavo il rosso e l’oro.
Era tutto attorno a me: le pareti, il soffitto, le sedie, i letti, perfino i mobili di ogni singola stanza e i pazienti erano di quel bianco accecante che mi faceva venire un gran mal di testa.
Ero circondata da quel bianco, china sulla sedia in un corridoio del San Mungo. Avevo ancora addosso la divisa della scuola. Un puntino nero in quell’oceano di bianco.
Ho sempre odiato gli ospedali. Credo che nessuno abbia mai amato gli ospedali, neppure i dottori.
Ero seduta su quella sedia da ore.
Oppure erano minuti.
Non seppi mai dirlo con certezza, troppo lento passava il tempo. Ogni minuto mi sembrava lungo ore e ogni ora lunga come un giorno intero.
Troppo tempo rimasi seduta in quel corridoio ripensando a tutto quello che mi aveva detto Silente. Troppo tempo rimasi lì seduta a ripensare a quella giornata.
Dopo anni avevo passato un’estate felice e serena.
La più bella di tutta la mia vita. La famiglia Black mi aveva accolta in casa come la figlia che non avevano mai avuto. Il padre di Regulus era un uomo massiccio come il mio, alto dai cespugliosi capelli neri, occhi scuri e penetranti capace di perforare il marmo solo con un’occhiata. La madre era una donna bassa e rubiconda ma dall’aspetto aristocratico. Indossava vestiti costosi, vistosi gioielli, mi aveva comprato degli abiti nuovi. Per me era come la famiglia che non avevo mai avuto e che sapevo che non avrei mai potuto avere. Era un ambiente ricco di storia quella casa, ogni angolo parlava di un antenato della famiglia Black. A tavola si parlava spesso di politica e dei tempi tumultuosi che stavano turbando la quiete di quegli anni. Si parlava di questo mago, lo chiamavano il Signore Oscuro. Parlavano di lui con grande rispetto e devota ammirazione. I loro discorsi erano molto interessanti, non mi preoccupavo del sangue puro o meno. Non mi interessava la natura dei maghi o delle streghe. Quello che mi colpivano erano le parole sul potere. Sul dimostrare agli altri chi era superiore. Un discorso interessante che non faceva che stuzzicare la mia sete di conoscenza e di potere, solo per dimostrare a James e a mio padre chi era veramente il più forte della famiglia Potter.
Il giorno prima di tornare a Hogwarts mi sentivo male. Per la prima volta in quattro anni di scuola non volevo tornarci, mi ero affezionata a quella famiglia che mi trattava come una figlia.
Spesso mi ero ritrovata a chiedermi come avesse fatto Sirius a lasciare i suoi genitori. Forse lui si chiedeva la stessa cosa di me.
Arrivai sul treno rinata, felice come non lo ero mai stata, non avevo neppure pensato a James in quei mesi. Il viaggio fu veloce, molto più di quanto mi ricordassi, James non si era fatto vedere, nessuno dei Malandrini si era fatto vedere quel giorno e già lì avrei dovuto sospettare qualcosa. Ma ero troppo ubriaca di felicità per pormi qualche dubbio.
Iniziai veramente a preoccuparmi a Hogsmeade, quando il tremo si fermò alla banchina.
C’era Silente vicino ad Hagrid.
Silente non aveva mai accolto gli studenti appena scesi dal treno. Molti lo guardarono sospettosi. Quando i suoi occhi celesti incontrarono i miei ebbi l’assoluta certezza che Albus Silente stava aspettando me.
E così fu.
Si avvicinò a me con passo svelto. Eravamo, ormai, vicino alle carrozze. Il mio cuore batteva all’impazzata.
- Alice…- mi disse con la voce ferma ma preoccupata – devi tornare a Londra, con me.
Ero perplessa, mille ipotesi mi frullarono nella mente nei pochi secondi che impiegai per capire la frase del Preside.
- Perché, Signore?
Silente si voltò verso le mie compagne.
- Voi andate pure al castello, vi spiegherò tutto al mio rientro.
Mio rientro…
Questo voleva dire che non avrei dormito nel mio letto per quella notte.
Iniziai a preoccuparmi seriamente. Mentre osservavo la carrozza allontanarsi sollevando un polverone marrone, sentii la mano nodosa di Silente sulla spalla.
- Dobbiamo andare.
Mi voltai verso di lui, i suoi occhi erano cristallini, ricolmi di compassione e amore. Trovavo quello sguardo irritante.
- Dove Signore?- domandai seguendolo fuori dalla stazione.
Silente si fermò davanti alla locanda di Madama Rosmeta e si voltò a guardami.
- Tua madre è stata ricoverata al San Mungo la settimana scorsa.
Aprii la bocca per parlare ma non riuscivo ad emettere nessun suono.
Non capivo… mamma… non stava male… non… improvvisamente mi tornò in mente il Ballo di Capodanno, mia madre che veniva a Hogwarts per il vestito e quel suo pallore in volto che mi non mi aveva preoccupato più di tanto.
- Non era influenza…- mormorai più a me stessa che a Silente.
- No. –mi rispose lui continuando a fissarmi con quello sguardo colmo di compassione – Vaiolo del Drago.
Mi sentii venire meno, il Vaiolo del Drago era una malattia ben nota al mondo magico. Aveva fatto il suo più alto numero di vittime dieci anni prima, la cura che avevano gli ospedali era efficace solo se presa in tempo. E dentro di me sapevo che mia madre non era stata tanto fortunata.
- Sta morendo?
- Sì.
Mi sentii le gambe tremare, come se fossero fatte di gelatina, respirare mi faceva male, perfino tenere gli occhi aperti era difficoltoso.
Stavo per svenire.
Mi appoggiai al muro del bar respirando piano, cercando di non perdere i sensi, chiusi gli occhi. Attorno a me il buio, per qualche secondo anche il silenzio.
Pregai che fu solo un incubo.
- Alice… devi essere forte… tua madre vuole vederti.
Aprii gli occhi, erano colmi di lacrime, ma fui abbastanza forte da non farle cadere. Sapevo che il tempo per piangere sarebbe arrivato. Annuii rimettendomi dritta, cercando di ritrovare le forze.
- Ci smaterializzeremo. – mi spiegò il Preside – Mettimi una mano sul braccio.
Eseguii l’ordine e chiusi gli occhi.
La sensazione che provai dopo fu terribile. Era la prima volta che mi smaterializzavo, era come esser schiacciati, compressi con forza in un minuscolo tubo. Sentivo che stavo per vomitare anche l’anima, quando dubitai di arrivare viva dall’altra parte la sensazione opprimente finì, non mi sentivo più schiacciata e la nausea stava velocemente passando. Il tutto era durato pochi secondi.
Speravo di non doverlo rifare tanto presto.
Entrammo dalla parte dei famigliari, dalla vetrina sporca di un vecchio negozio di abiti. L’ospedale era silenzioso, calmo, le infermiere camminavano lente nel corridoio, senza fare rumore con le loro ciabatte bianche.
- Non mi chiedi perché lo sai solo ora?- mi domandò Silente mentre salivamo le scale fino al secondo piano.
- No, Signore. – risposi calma, anche se non lo ero – Posso benissimo immaginare il motivo.
Non ero stupida, mentre salivamo le scale mi ero fatta quella domanda ma non c’era bisogno di chiedere spiegazioni a Silente.
Per Thomas Rumeus Potter io non facevo più parte della famiglia da diverso tempo.
Lo sentii sospirare accanto a me e non disse più nulla. Entrammo nel corridoio del secondo piano, quello per le malattie infettive.
Da quel poco che sapevo, il Vaiolo del Drago non era più infettivo in fase terminale.
Ci avvicinammo alla stanza di mia madre: la numero 615.
Silente aprì la porta e mi fece entrare.
Io avrei solo voluto scappare.
Mia madre era sempre stata una bellissima donna e vederla in quel letto, pallida, magra, con profonde occhiaie viola e le labbra livide metteva i brividi.
Aveva un esile braccio sopra il candido lenzuolo, la pelle era ricoperta da piaghe gialle e viola da cui, ormai, non usciva più neppure il pus. Sembrava affogare in quel mare di lenzuola candide. Mio padre era in piedi vicino alla finestra, fissava il vetro aspettando l’inevitabile. Mio fratello era seduto su uno sgabello appoggiato alla parete ai piedi del letto. Lui fissava nostra madre mordendosi un labbro.
Si voltarono entrambi guardarmi quando entrai con Silente.
Io fissavo solo mia madre.
Sapevo che loro due mi stavano guardando con astio, sapevo che papà avrebbe parlato con Silente.
Ma non me ne importava.
Volevo solo stare con lei.
Mi avvicinai piano al letto. Sentivo le lacrime spingere prepotenti ma avevo ancora il mio orgoglio a farmi da scudo. Non avrei mai pianto di fronte a loro. Mi avvicinai a lei, sapevo che non correvo nessun pericolo di infezione. E, anche fosse stata infettiva, non me ne importava nulla.
- So che non è il momento, – disse Silente alle mie spalle – ma dovrei parlarti Thomas.
Lui annuì continuando a fissare il vetro, la sua espressione indecifrabile. Uscirono dalla piccola stanza dove mia madre affrontava sola la malattia che la stava uccidendo.
Restammo solo io e James.
Senza curarmi di mio fratello, senza neppure salutarlo, presi una sedia e mi misi vicino alla mamma, le presi una mano e la strinsi.
- Mamma… - mormorai con la voce strozzata – mamma… sono Alice.
- E’ inutile. – echeggiò la voce risentita di James – E’ incosciente da giorni.
- Non importa. – gli rispondo stringendole di più la mano.
- Alla fine Silente ti ha trascinato qui.
- Non so di cosa tu stia parlando. – dissi apatica continuando a fissare il viso pallido della donna che mi ha donato la vita.
- Papà mi ha detto cosa gli hai risposto quando ti ha detto che mamma era stata ricoverata.
Socchiusi gli occhi, nessuno mi aveva avvisato di quello che stava succedendo, papà non mi aveva mai mandato nulla.
- Gli hai detto che non te importava nulla… che tu non fai più parte della nostra famiglia.
Mi voltai lentamente verso di lui, il suo viso era nascosto nell’ombra ma non mi serviva vedere il suo viso, potevo benissimo immaginare la sua espressione.
- Sei proprio un bambino idiota James, - mormorai sconsolata – se fosse veramente così perché sarei qui ora? Non capisci che papà ti manipola come vuole lui?
- Non è vero.
- Perché credi che Silente voglia parlare con lui adesso? Io non sapevo nulla, papà non mi aveva avvisato. L’ho saputo solo ora che mamma stava così male. – tornai a fissare il viso di mia madre, volevo solo stare con lei, a James ci avrei pensato in un altro momento – Io non sapevo nulla. – ripetei a bassa voce portando il palmo della mano di mamma alle labbra.
La sua pelle scottava, era come se stesse andando a fuoco.
Nel frattempo James si era alzato ed era uscito dalla stanza.
Io rimasi dov’ero, seduta su quella sedia a fissare mia madre mentre moriva.
Borbottava frasi senza senso, a volte si dimenava nel letto come se qualcuno le stesse facendo del male. Feci comparire una bacinella con dell’acqua fresca e un panno. Iniziai a rinfrescarle il volto cercando di darle un lieve conforto.
- Ali… ce…
Mi bloccai con la pezza bagnata appena sopra le sue labbra.
- Alice…- mormorò di nuovo febbricitante.
- Sono qui mamma..- le riposi sedendomi sul bordo del letto – sono qui.
Con le poche forze che le restavano aprì gli occhi. Mi venne un groppo in gola quando vidi quello sguardo appannato, un tempo vi brillava luce e vita. Quella donna non era più mia madre, ma solo una carcassa malridotta che stava morendo.
- Bambina… mia… - alzò una mano cercando di accarezzarmi una guancia, gliela presi e la portai al mio viso.
Aveva le mani bollenti e sudate ma nessun tocco mi sembrò più dolce di quello.
- Mi… dispiace…- mormorò con quel poco fiato che le era rimasto in corpo. Iniziai a piangere, silenziosamente. Sapevo che non mi avrebbe visto, i suoi occhi erano offuscati da quel velo bianco che rendevo il suo sguardo vuoto e inespressivo. Lo sguardo della morte.
- Non parlare…- le dissi riprendendo a bagnarle il volto con l’acqua fresca – non affaticarti… devi riposare se vuoi guarire.
Sapevamo che non sarebbe guarita, lo sapeva pure lei. Fece un lieve sorriso.
- Devi… devi perdonarmi se sono stata una pessima madre. – sibilò tornando a chiudere gli occhi troppo stanca per guardarmi e parlare insieme.
Mi mordicchiai un labbro cercano di non singhiozzare.
- Non sei una pessima madre. – la rincuorai stringendole la mano.
- Riconosco… i miei errori…
Non dissi nulla, ero troppo occupata a non scoppiare davanti a lei. Volevo che mi vedesse forte come lo ero sempre stata. In realtà avrei solo voluto farmi cullare come quando ero ancora troppo piccola per essere odiata.
- Vorrei… - iniziò a dire con voce sempre più bassa – vorrei… che la mia morte… vi unisse… come una vera famiglia.- repirò piano, l'aria sibilava tra le sue labbra dischuise - Ma so che non sarà così.
Ricacciai indietro un gemito e strinsi di più la mano di mamma.
- Non morire…- la supplicai – non… non lasciarmi sola…
Non mi rispose, la febbre si era alzata di nuovo all’improvviso facendola sprofondare in un incubo delirante. Piangendo silenziosamente ripresi a bagnarle il volto con l’acqua e con le mie lacrime.
Passai tutta la notte a vegliare su di lei.
Papà e James tornarono in stanza dopo un’ora, James aveva una strana espressione. Mio padre sembrava adirato. Non mi dissero nulla e io ne fui felice, volevo solo stare con mamma. Si misero a sedere su due sedie e restammo lì seduti, mentre Kira Potter si spegneva lentamente.
Quello fu l’unico momento in cui tutta la famiglia fu riunita senza liti o urla.
La mattina dopo fui svegliata dall’infermiera, mi ero addormentata sul letto, la pezza, ormai asciutta, ancora in mano. Il collo e la schiena protestarono duramente per la posizione innaturale in cui mi ero assopita, ma non mi interessava.
L’infermiera doveva cambiare le bende alla mamma, uscimmo tutti e ci sedemmo sulle sedie in corridoio.
Fu lì che capii che odiavo il bianco accecante che mi circondava.
Fissavo il pavimento, pensavo a quello che sarebbe successo dopo la morte di mamma. Pensavo a quello che papà avrebbe fatto dopo la sua morte.
Si udirono dei passi in corridoio, dal bianco nauseate uscirono tre figure. Gli amici di James. Gli avevano portato degli abiti di ricambio e il loro supporto. Osservavo Sirius e James mentre si abbracciavano come due fratelli, come avremmo dovuto fare io e lui quando ero entrata in quella stanza. Nessuno mi disse nulla, nessuno mi degnò di uno sguardo, fu come se quel bianco mi avesse fagocitato nascondendomi al resto del mondo. Ma io ero lì, io soffrivo, io piangevo… e mi sentivo sola.
Mi alzai e senza dire una parola mi diressi il più lontano possibile da loro. Entrai nel primo bagno che trovai, mi sciacquai il viso con dell’acqua gelata e mi guardai allo specchio.
Ero un mostro con addosso la divisa di scuola.
Ed ero sola.
Uscii da bagno ma mi bloccai immediatamente.
Appoggiato al muro c’era Sirius.
- Dove sono i tuoi cari compagni?- insinuò mellifluo osservandomi dall’altro in basso.
Non risposi ma ricambiai il suo sguardo.
- Ti credi tanto superiore, ma sono in momenti come questi che si vedono i veri amici. E dove sono i tuoi di amici Jo?
- Se non ci sono ci sarà un motivo. – sembrava una scusa patetica anche alle mie orecchie.
- Balle, loro non ci sono perché non gliene frega niente di te. - era meschino, era crudele; odiavo Sirius Black con tutte le mie forze - Forse questo è il momento di aprire gli occhi, - continuò – di capire lo sbaglio che stavi facendo imboccando un certo tipo di strada.
- Alice! – mi voltai giusto in tempo, prima di esser stritolata da Brenda in un abbraccio che sapeva di amicizia e conforto – Scusaci per il ritardo! – mi disse continuando a stringermi – Lumacorno non voleva dirci dov’eri… diceva che dovevi stare con la tua famiglia.
- Come avete fatto ad arrivare fin qui?- domandò Black staccandosi dal muro, gli occhi sgranati dalla sorpresa.
- Silente è stato così cortese da avvertirci della situazione. – rispose Regulus arrivando alle spalle di Sirius.
- A differenza di qualcun altro. – sibilò Severus accanto all’amico lanciandogli un’occhiata penetrante.
- Quando abbiamo saputo quello che stava succedendo abbiamo fatto di tutto per raggiungerti. – spiegò Brenda liberandomi e porgendomi una borsa – Un cambio d’abiti.
Avevo le lacrime agli occhi, non solo avevo appena dimostrato a Sirius quanto si sbagliasse sul conto dei miei compagni e amici; ma non mi sentivo più abbandonata in balia degli eventi.
Restarono con me tutto il giorno, sostenendomi in silenzio, Brenda mi teneva la mano, Severus e Regulus sedevano in fondo alla stanza per non disturbare. Neppure mio padre ebbe il coraggio di cacciarli via.
Tornarono al Castello la sera, quando Silente e la McGranitt tornarono a riprenderli. Io restai ferma al mio posto, accanto alla mamma, continuando a pregare un qualunque Dio di non portarmela via.
La mattina del quarto giorno ero distrutta, avevo dormito poco e mangiato ancora meno. La febbre non aveva accennato a diminuire, le pozioni non facevano più affetto, molte piaghe perdevano sangue e liquido giallastro macchiando le bende e le lenzuola.
Mi svegliai con l’ormai conosciuto dolore alla schiena per la posizione scomoda in cui mi ero addormentata. L'odore delle pozioni e delle ferite non mi dava più fastidio, perfino la fame e la sete erano diventate soportabili.Stavo diventando l'ombra di me stessa. Mi stiracchiai con una smorfia di dolore e osservai mia madre, dormiva ancora, dopo una nottata movimentata si era addormentata quasi in modo sereno. Aveva lieve sorriso che le incurvava le labbra bianche, avvicinai la mano alla sua fronte per sentirle la temperatura.
Era ghiacciata.
Il mio cuore mancò un colpo.
Trattenni il respiro mentre avvicinavo il mio viso al suo.
- Mamma…
Nessuna risposta, neppure un cenno o un movimento.
- Mamma…
Iniziai a scuoterla leggermente mentre gli occhi si appannavano.
- Mamma…
La chiamai per oltre dieci minuti, in lacrime ma non ci fu nulla da fare.
Kira Potter era morta.

***
Dopo il funerale tornammo a Godric’s Hollow.
Papà non parlava. Restava seduto in salotto a fissare la parete tinteggiata di celeste. James stava seduto sulle scale che portavano al piano di sopra, io restavano in camera mia. O quella che, un tempo, fu camera mia. Dopo la morte di mamma venni a scoprire che lei sapeva da molto tempo di esser malata ma che aveva nascosto a tutti la cosa. Almeno fino a quando non erano iniziate a comparire le prime piaghe, poi non ha più potuto nascondere la verità. Aveva iniziato a curarsi troppo tardi e le pozioni avevano solo rallentato la malattia, rendendo la sua morte ancora più dolorosa.
Verso le cinque del pomeriggio Silente entrò in casa, era venuto al funerale e aveva fatto le condoglianze a nome di tutta Hogwarts. Anche i miei amici e quelli di James erano venuti per starci vicino. Poi erano dovuti tornare e scuola lasciandomi di nuovo sola. Ma non ne facevo a loro una colpa.
Quando Silente mi chiamò fui stupita di vederlo, sapevo di dover tornare a scuola, ma non pensavo che venisse lui a prendermi personalmente.
Fece sedere me e James in soggiorno, mio padre continuava a fissare la parete. Non sembrava neppure lui. Per un attimo, un istante solo, mi fece quasi pena.
- Thomas…- iniziò il Preside con voce calma e bassa – la morte di Kira ha colpito tutti ma hai due figli di cui occuparti non...
- Uno. – lo corresse lui chiudendo le palpebre per un attimo.
- Come? – domandò Silente sorpreso.
- Io ho un solo figlio.
Feci un sorriso amaro e mi alzai dal divano. In fondo al cuore avevo sperato che la morte di mamma potesse farlo ragionare, che accantonasse l'odio che covava nei miei confronti e che iniziasse a volermi bene come una figlia. Mi ero illusa. Ma sarebbe stata l'ultima volta. Ero stanca di quella situazione.
Osservai mio padre, Silente e James.
- Me ne vado. – dissi risoluta – Non voglio litigare anche oggi.
- L’hai mandata tu nella tomba. – continuò papà girandosi per guardarmi meglio.
- Cosa? – urlai incredula.
- E’ peggiorata dopo che ha saputo che non saresti più tornata a casa.
- Papà non ti sembra di esagerare?
Mi voltai incredula verso James.
- Non ho bisogno di te. – gli dissi sgarbata – So benissimo difendermi da sola da lui.
- Tuo fratello ha ragione. – prese parola Silente – Thomas…- continuò voltandosi verso mio padre – credo che ora tu stia esagerando.
- Sono questioni che non la riguardano Silente. – rispose papà – Si è già intromesso troppo in questa famiglia.
- Papà! – gridò indignato James scattando in piedi.
Si voltò verso di me, aveva l’espressione più cupa che gli avessi mai visto in volto.
- Prendi tutta la tua roba e vattene. – mi disse sgarbato - Hai passato tre mesi con i servi dell’Oscuro, saranno felici di averti con loro per sempre.
- Thomas tu non sai quello che dici!
- Lo so benissimo invece, Silente. Lei vuole esser diversa? Bene, lo farà fuori da casa mia.
Strinsi i pugni, volevo urlare, volevo piangere, volevo prendere la mia bacchetta. Ma non feci nulla di tutto ciò, salii le scale di corsa e sbattei la porta alle mie spalle.
Ero appena stata sbattuta fuori di casa.
Mi guardai attorno, in camera mia era rimasto ben poco, la maggior parte delle cose erano a scuola, feci apparire uno scatolone e iniziai a buttarci dentro tutto quello che trovavo. Quando ripulii la mia stanza da tutte le cianfrusaglie rimaste chiusi la scatola, con un incantesimo di lievitazione la sollevai da terra e scesi al piano di sotto. James era tornato in camera sua, Silente cercava di far ragionare mio padre ma lui era irremovibile. Quando mi vide sospirò e prese la bacchetta, fece scomparire la mia scatola e mi mise una mano sulla spalla.
- Vuoi tornare a Hogwarts?
- Non c’è più niente che mi lega qui. – risposi con voce calma, stupendo perfino me stessa.
Silente mi guardò al di sopra delle lenti e poi si voltò verso mio padre. Lui non disse nulla, era tornato a fissare la parete, l’orologio a pendolo segnava i secondi che passavano.
Quella fu l’ultima volta che vidi Thomas Rumeus Potter.

***
Ci smaterializzammo a Hogsmeade e continuammo a piedi fino al castello.
Silente aveva provato a parlarmi ma non gli avevo risposto. Speravo che mi lasciasse in pace.
In sala Comune non c’era nessuno. Ormai era notte. Presi il mio pigiama e mi diressi ai bagni.
Aprii l’acqua e attesi che arrivasse alla temperatura giusta.
La pelle bruciò all’inizio sotto l’acqua bollente ma ben presto si abituò alla temperatura elevata. Appoggiai le mani alle piastrelle bianche e abbassai il capo permettendo all’acqua di bagnarmi la testa.
Ripensai a mia madre.
Mi tornarono in mente le sue ultime parole.
Poi pensai a mio padre.
Ripercorsi gli ultimi giorni e scoppiai a piangere.
Mentre l’acqua nascondeva le mie lacrime e lo scroscio copriva i singhiozzi. Buttai fiori tutto il mio dolore sotto quella doccia. Scivolai fino a terra, mi rannicchiai in un angolo e singhiozzai più forte, premendo la bocca sulle ginocchia.
Piansi a lungo.
Piansi da sola.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Nelle settimane che seguirono mi buttai a capofitto nello studio. Studiavo in continuazione per cercare di non pensare a quello che era successo. Passavo le giornate in biblioteca, con il naso tra i libri. Ero diventata silenziosa, scorbutica, più irascibile del solito. Gli altri cercavano di sopportarmi come meglio potevano.
Più mi concentravo sui libri più dimenticavo la mia famiglia o quello che ne era rimasta. Mi distaccavo dalla realtà solo perché la mia di realtà faceva schifo. Solo per non ammettere neppure con me stessa che mia madre, in un modo o nell’altro, mi mancava.
Cercavo di evitare accuratamente mio fratello e Silente. E se il primo era facile da schivare il secondo molto meno. Mi sentivo gli occhi del Preside addosso, perfino quando non eravamo nella stessa stanza. In Sala Grande fissavo il mio piatto parlando appena con Brenda. Mangiavo in fretta e poi correvo via, il più delle volte correvo verso il bagno dove vomitavo perché avevo mangiato troppo velocemente.
Se mi fermavo ero perduta, cercavo di tenere la mente più lontano possibile da quello schifo di esistenza che si ostinavano a chiamare vita.
Ma la notte, quando smettevo di studiare, quando anche il cervello si rifiutava si assimilare nuove nozioni, restavo sola con i miei pensieri. Rivedevo mia madre in quel letto, completamente ricoperta di piaghe purulente, rivedevo mio padre e la sua cieca follia.
Restavo seduta sul divanetto della Sala Comune a rimuginare sulla mia esistenza, spesso mi chiedevo cosa sarebbe successo se io non fossi mai nata. Fissavo le fiamme del fuoco nel camino, immaginavo il mio corpo lambito dal fuoco, immaginavo il dolore, l’odore della carne bruciata. Mi chiedevo come fosse morire.
A volte Severus si sedeva accanto a me. Anche lui era turbato la notte e sapevo che non ero io il motivo. Tu-Sai-Chi era sulla bocca di tutti in quei mesi, ovunque si leggevano notizie di gente che veniva reclutata per fini malvagi, nessuno, però, sapeva chi fosse in realtà questo mago. Avevo il forte sospetto che Severus volesse unirsi ai Mangiamorte, sempre se non si fosse già unito a loro.
A volte trovavo la cosa affascinante, altre ero totalmente persa nel mio dolore e nei miei pensieri suicidi che non ci facevo neppure caso.
Una sera stavo fissando le fiamme nel camino. Nulla di nuovo, nulla di diverso dalle precedenti notti. Il dolore si faceva sentire come ogni sera, forte e dirompente; mi strappava l’anima e il cuore in mille pezzi lasciandomi solo con un vuoto incolmabile dentro. Sapevo che in qualche modo dovevo uscire da quel mare di sofferenza, sapevo che dovevo combattere e non lasciarmi trascinare alla deriva, ma non riuscivo a trovare la fine di quel dolore. Ma quella sera qualcosa mi aveva svegliato su quel divano, mentre i miei occhi si perdevano tra i rossi e gli arancioni del fuoco, un vassoio con del cibo fu messo sul tavolino davanti a me destandomi dai miei cupi pensieri di morte.
Fissai la carne con le verdure grigliate, il calice di succo di zucca e la fetta di torta al cioccolato con glassa alle ciliegie. Sollevai lo sguardo dal vassoio convinta di trovarmi due occhi neri a fissarmi.
Invece gli occhi erano di ghiaccio, limpidi e spietati come i Mari del Nord.
- Lumacorno mi ha ordinato di tenerti sott’occhio. – mi disse con il suo solito tono glaciale – Non ho tempo da perdere, Potter. Ho il mio futuro a cui pensare. Non posso perdere le mie giornate a pedinare una ragazzina del quarto anno che non è capace di affrontare la morte della madre. Mangia e cerca di non vomitare questa volta.
Tornai a fissare il vassoio, il mio stomaco si fece sentire con un borbottio rumoroso.
- Grazie Malfoy. – mormorai posando il piatto di carne sulle gambe.
Credevo che se ne sarebbe andato lasciandomi sola con il mio pasto, invece si mise a sedere su una poltrona con il suo fare elegante e aristocratico, incrociò le braccia la petto e mi fissò, forse voleva assicurarsi che mangiassi tutto.
La carne era morbida e si scioglieva in bocca come burro, il succo di zucca dolce ma non troppo, proprio come piaceva a me.
- Il Vaiolo del Drago si è preso mio padre. – mi disse quando iniziai a tagliare con la forchetta la torta.
Sollevai la testa fissandolo intensamente, un alone grigio oscurò lo sguardo glaciale che lo caratterizzava. Non sapevo che il padre di Malfoy fosse morto.
- Mi dispiace. – dissi solamente.
- Avevo nove anni. – precisò ignorando la mia compassione – L’ultimo ricordo che ho di lui è il suo corpo in un letto di ospedale, coperto di piaghe, la febbre alta e delirante.
Mi mordicchiai un labbro, la forchetta ancora infilzata nella torta.
- So cosa stai passando. – disse infine, il suo tono non era cambiato, era sempre glaciale, ma i suoi occhi, a volte, tradivano il dolore per la perdita – Ma quello che stai facendo è sbagliato. Il dolore non può distruggerti in questo modo. Sei una Serpeverde e devi reagire come tale.
Deglutii tornando a fissare il mio piatto.
Sentii Malfoy alzarsi dalla poltrona e dirigersi verso i dormitori.
- Passerà vero?- domandai all’improvviso alzando il capo.
Si voltò appena verso di me.
- Il dolore intendo…- specificai – passerà con il tempo, giusto?
- Non lo so…- mi rispose con sincerità – ma alla fine impari a conviverci.
Sparì oltre la porta che portava alle stanze dei ragazzi lasciandomi sola con la mia fetta di torta.
Tornai a fissare il dolce rimuginando sulle parole di Lucius. Il dolore non avrebbe mai avuto fine, scappare dalla realtà, non era la soluzione adatta. Quello che mi era successo non poteva esser la fine ma solo un nuovo inizio. Anche con mia madre viva la mia vita non era molto diversa da com’era in quel momento. Ero sempre sola, senza famiglia.
Dovevo reagire.
Finii la torta pochi attimi, lasciai il vassoio sul tavolo e tornai a letto.

***
Funzionò.
Tornai quella di sempre, continuai a studiare ma non più in modo ossessivo di prima. Il mio unico problema era solo uno: James.
Ovunque andassi me lo ritrovavo tra i piedi.
Cercava solo una banale scusa per parlarmi.
Io non volevo sentirlo, non volevo neppure vederlo, figuriamoci parlargli.
Dalla morte di mamma avevo iniziato una cura precauzionale contro il Vaiolo del Drago. Dovevamo berlo tutti in famiglia per evitare un contagio a scoppio ritardato. Così andavo ogni Sabato mattina in infermeria a bere quella disgustosa pozione che aveva l’odore di pipì di topo.
Quel Sabato aspettavo Madama Chips seduta su uno sgabello alto; solitamente aveva già la pozione pronta, bevevo con una smorfia disgustata e schizzavo via prima che James potesse anche solo portarsi il bicchiere alle labbra.
Quella mattina, stranamente, la pozione non era ancora pronta.
Mi trovai a sospettare di Silente. Sapevo che voleva ricongiungere me e mio fratello, quello che non sapevo era che fu James stesso a chiederglielo. Quello lo scoprii anni più tardi.
- Dobbiamo parlare. – mi disse dopo avermi osservato in silenzio.
- E di cosa?
- Di quello che è successo dopo la morte di mamma.
- Per quale motivo? – non avevo mai smesso di fissare il campo da Quidditch dalla finestra dell’infermeria.
- Alice…
- Ecco la pozione! – esordì Madama Chips portando i due bicchieri ed interrompendo il discorsetto preconfezionato di James – Questa sarà l’ultima volta che dovrete prenderla. Ormai siete fuori da ogni pericolo.
- Perfetto. – dissi freddamente prendendo il mio bicchiere.
Buttai giù la pozione in un sorso solo, un gesto veramente disperato visto che faceva più schifo del solito. Ma, pur di allontanarmi da James, avrei ingoiato anche un tentacolo della Piovra gigante del Lago Nero. Quando svuotai il bicchiere schizzai via il più velocemente possibile.
- Alice!
Alzai gli occhi al cielo e iniziai a camminare più veloce.
- Alice aspettami!
- No, James! – urlai continuando a camminare – Non ti aspetto, non ho intenzione di aspettare nessuno!
- Cinque minuti…
- Devo studiare per i G.U.F.O.! – ormai stavo quasi correndo, cercavo di liquidarlo il più velocemente e gentilmente possibile, anche se non meritava nessun tipo di gentilezza.
- Ma hai gli esami l’anno prossimo! – replicò lui correndo alle mie spalle.
- Non voglio perdere tempo!
- Alice…- camminava accanto a me, io continuavo a fissare il pavimento che scorreva sotto i miei piedi – Alice! – urlò più forte cercando invano di farmi voltare – Io… io volevo solo chiederti perdono se…
Mi bloccai all’istante. Come se mi avessero pietrificato alle spalle.
James non si aspettava una simile reazione e fece qualche passo superandomi. Si fermò e si voltò verso di me confuso.
Le mie mani tremavano dalla rabbia.
- Tu vuoi il mio perdono? – sibilai con voce tremante.
- Alice…
- Tu pretendi il mio perdono? – urlai, non riuscii a trattenermi – Per undici anni ho cercato di compiacere a papà e mamma come meglio potevo. Ho provato ad essere come te, come il figlio perfetto. E le uniche cose che ho ricevuto sono state umiliazioni e sofferenze.
James abbassò appena lo sguardo, era la prima volta che abbassava lo sguardo davanti a me.
- Lo so ma…
- NO! – non importava quando lui si scusasse – NON SAI UN ACCIDENTI JAMES POTTER!
Sobbalzò, fissandomi stupito.
Tremavo… letteralmente, avevo la tentazione di prendere la bacchetta e lanciarlo sul tetto della scuola.
- Tu…- ripresi cercando di respirare normalmente – non puoi chiedere il mio perdono.
- Siamo fratello e sorella. – cercò di convincermi utilizzando le sue espressioni mortificate che funzionavano con i professori, ma non con me.
Alzai lo sguardo, avevo gli occhi lucidi per le lacrime di rabbia trattenute:
- Non lo siamo più da anni, James. Forse non lo siamo mai stati realmente.
Rimase immobile, pietrificato dalla durezza delle mie parole. Avrei dovuto provare pena per lui, invece non provavo nulla, se non una recondita rabbia in fondo al cuore.
Lo superai senza guardarlo.
- Non saremo mai più una famiglia, vero?
Mi fermai, voltandomi appena. James mi dava ancora le spalle a capo chino.
- Non ho mai fatto parte della famiglia. – risposi tristemente – Lo sai anche tu James. Ora è troppo tardi.
Ripresi a camminare senza aspettare una sua risposta.
Uscii in giardino, il vento ululava forte tra le torrette del castello, l’aria fredda d’autunno iniziava a far gelare la rugiada sui fili d’erba. Avevo bisogno d’aria quindi ignorai il freddo che mi penetrava le ossa e iniziai a camminare cercando di schiarirmi le idee. Mi fermai nei pressi del lago dove qualche mese prima avevo trasformato mio fratello in un cavallo. La superficie del Lago era increspata dal vento, le acque scure nascondevano alla vista degli studenti curiosi tutte le creature che vivevano laggiù. Avevo sempre desiderato saper respirare sott’acqua solo per poter vedere le sirene almeno una volta.
Mi appoggiai al tronco di un albero e alzai la testa, la chioma folta di stava seccando, le foglie verdi diventavano gialle e marroni, il vento strappava quelle più deboli trasportandole lontano.
Desiderai essere una di quelle foglie. Scappare lontano senza mai fare più ritorno.
Una foglia mi cadde tra i capelli, la presi e osservai le venature marroni, l’unico verde rimasto era una piccola parte della punta, il resto era tutto secco. La rigirai tra le dita, tenendola per il sottile gambo rinsecchito poi l’appoggiai sul palmo della mano. Rimasi a guardala a lungo, mi ritrovai a pensare che il rapporto tra me e James era come quella foglia.
Secco e morto.
Strinsi la mano a pugno, sentii la foglia sgretolarsi nella mia mano. L’aprii e quello che era rimasto fu soffiato via dal vento.
Rimasi a guardare quei pezzettini marroni che ballavano sospesi a mezz’aria. Io e James eravamo quella foglia, ormai in briciole, trasportati senza volontà dal vento della vita.
Ormai nessuno poteva più risaldare il nostro rapporto.

***
Passarono i giorni. Le settimane. I mesi. Natale passò veloce, Capodanno fu un giorno come un altro.
Restai per tutto il tempo a scuola. Amavo i corridoio deserti e la famiglia Black era stata fin troppo buona con me, non volevo approfittare della loro generosità.
E poi era bella la scuola sotto il manto di neve.
Verso fine Gennaio la neve non aveva ancora smesso di imbiancare i tetti e il parco, le cime innevate della Foresta Proibita non sembravano così minacciose come negli altri mesi dell’anno.
Le gite a Hogsmeade erano una scusa per bere un sorso di burrobirra calda e fare battaglie a palla di neve lontano dai professori che poco amavano quel passatempo.
Io avevo iniziato ad odiare quel villaggio. Lo trovavo noioso e fastidiosamente ripetitivo, specialmente durante le feste.
Così passavo i giorni in biblioteca, spesso fino a notte fonda, nascosta da una pili di libri e così silenziosa che nessuno ci accorgeva della mia presenza, neppure la bibliotecaria. L’ultimo week-end di Gennaio era caratterizzato da una violenta nevicata, sembrava che il tempo avesse deciso di restare freddo ancora per molto. Le ragazze già fantasticavano su un San Valentino sotto la neve. Io ero una delle poche a ritenere quella festa un’insulsa falsa. Dopo Remus avevo solo avuto una tremenda cotta per un ragazzo del settimo anno, cotta tenuta segretamente nascosta anche a Brenda. Ma dopo il suo diploma non l’avevo più visto e la mia cotta era passata così com’era venuta.
Trovavo San Valentino una festa stupida e priva di significato.
Ogni Serpeverde che si rispetti dovrebbe odiare quella festa melensa.
Il Sabato di quel week-end particolarmente freddo mi trovavo in biblioteca, i miei libri illuminati solo dalla fioca luce di una candela. Avevo l’autorizzazione di Lumacorno per restare fino a tardi e, per una volta, potevo non nascondermi. C’era un particolare incantesimo di Trasfigurazione che non mi usciva e volevo assolutamente imparare a gestirlo al meglio. Ero molto testarda quando mi impuntavo su qualcosa.
Dopo più di un’ora decisi di lasciar perdere, almeno per qualche minuto, mi alzai per fare quattro passi tra gli scaffali ricolmi di vecchi libri. Avrei chiesto l’autorizzazione per la Sezione Proibita l’anno prossimo, a volte restavo ore a fissare quegli scompartimenti pieni di magie potenti, invidiando chi poteva oltrepassare quel cancello di metallo. Arrivai alla sezione Incantesimi e presi un libro di livello superiore, così solo per distrarmi un po’. L’unica cosa che mio padre mi aveva insegnato era lanciare incantesimi e osservare lui e James ad allenarsi aveva dato i suoi frutti a scuola. La materia di Vitius era una delle poche in cui primeggiavo senza studiare troppo. Presi il grosso tomo rilegato in pelle rossa e mi diressi al mio posto. Passai accanto alla bacheca del trofei e mi fermai a contemplarli. I più vecchi erano impolverati, Gazza non aspettava altro che degli studenti in punizione per lucidarli senza l’uso della magia. Altri erano, invece, ancora brillanti. C’erano centinaia, nomi su nomi, azioni eroiche ed imprese degne di nota narravano quelle targhe e quei trofei. Il nome di James Potter brillava su due targhe, una come miglior capitano di Quiccitch e l’altra per aver salvato Severus l’anno prima. Nessuno sapeva cosa fosse successo realmente, nessuno si immaginava il motivo che aveva spinto Piton ad avvicinarsi al Platano Picchiatore. Severus non ne faceva parola e se si osava anche solo sfiorare l’argomento diventava intrattabile per tutto il giorno, a volte per tutta la settimana.
Spostai lo sguardo sugli anni passati, perfino mio padre aveva una coppa con il suo nome e mia madre aveva ricevuto un encomio particolare per lo straordinario progetto di fine anno che aveva elaborato per il diploma.
Poggiai una mano sul vetro.
- Non ci sarà mai una targa con il mio nome qua dentro.
- Desideri la gloria?
Sussultai spaventata, voltandomi di scatto. Quella voce vagamente stridula, sibilante, mi aveva spaventato a morte. Dietro di me c’era un uomo sulla cinquantina, i capelli neri erano radi sulla testa, le guance scavate, alto e molto magro. Indossava un vestito nero e un mantello dello stesso colore, se non fosse stato per quella pelle così pallida poteva benissimo nascondersi nella notte.
- Non volevo spaventarti. – mi disse l’uomo con un sorriso appena accennato.
- Non… non l’ho sentita entrare…- balbettai con il cuore che mi schizzava ancora in petto.
- Ho un passo molto leggero. – si scusò venendomi accanto e fissando i trofei – Sono aumentati dall’ultima volta che ho visto questa bacheca.
- Lei ha studiato qui?
- Molti anni fa…- rispose senza togliere lo sguardo dalle coppe e targhe – quasi un’altra vita potrei dire.
Sorrisi, quell’uomo aveva un’aurea inquietante eppure mi attirava in qualche modo. Osservai le sue lunghe dita sfiorare il vetro e ritrarle subito come se scottasse.
- La biblioteca è sempre un buon luogo per pensare. – continuò ma ebbi la netta impressione che non stesse parlando con me – Soprattutto nelle serate come questa.
- E’ vero.- risposi cordialmente tornado a fissare le coppe.
- Il professor Lumacorno insegna ancora?
- Sì.
- Se non ricordo male, organizza sempre delle feste durante il week-end.
Sbuffai appena facendo una lieve smorfia.
- Non piaccio al professor Lumacorno. – spiegai, mi sembrava di parlare ad un vecchio amico – Non mi ritiene abbastanza abile per i suoi fini.
- Lumacorno è un approfittatore, – concesse – ma riesce a capire quando un mago è predestinato a grandi cose.
- Non sempre.
- Tu credi di esser predestinata a grandi cose?
Mi voltai vero di lui. Quell’uomo continuava a non guardarmi, fissava la bacheca come incantato. Mi chiesi se stesse parlando a me o a quei pezzi di metallo.
- Io lo spero,- risposi pacata – forse devo solo trovare la strada giusta da seguire.
- Forse. – annuì – Posso conoscere il tuo nome?
- Potter… Alice Potter, signore.
I suoi occhi blu saettarono sui trofei, veloci come quelli di un serpente.
- Vedo due Potter qui…- valutò – ma nessuna Alice.
- No,- feci sconsolata – non ho mai fatto nulla di così lodevole. Non merito una targa in questa bacheca.
- Perché no?
Riflettei qualche istante.
- Forse perché sono una persona… cattiva?
Fu allora che si voltò verso di me. Notai immediatamente il naso sottile, le narici lievemente allungate invece che rotonde, la pelle bianca e lucida, gli occhi iniettati di sangue e le labbra sottili.
- Non esistono persone buone o cattive, Alice. – mi spiegò a voce bassa – Esiste solo la magia. Ci sono persone che posso usare il potere della magia e persone che possono solo sottomettersi a questo potere.
La sua voce era ipnotica, le sue parole mi entrarono dentro, per un attimo tutto ebbe un senso, una logica.
Sorrisi.
- E’ un concetto interessante…- ammisi – molto interessante. Lei è un insegnante?
- Una specie.
- Insegnerà qui ad Hogwarts?
- Purtroppo no.
- Mi dispiace. – ed ero maledettamente sincera, quell’uomo mi aveva stregato, solo con poche parole, solo con uno sguardo.
Il suo carisma era invidiabile.
- Forse un giorno sarò ugualmente un tuo insegnante.
- Lo spero.
- E’ stato un piacere, Alice Potter. Sono certo che ci rivedremo presto.
Quella frase mi sembrò quasi una profezia.
- E’ stato un piacere anche per me. – dissi mentre si allontanava.
Tornai ad osservare le targhe commemorative, sul vetro c’era l’impronta che quell’uomo aveva lasciato quando aveva sfiorato la teca. Era proprio davanti ad una vecchia targa coperta dalla polvere. Mi avvicinai di più, curiosa di sapere cosa attirasse quell’uomo a quel preciso trofeo.
Socchiusi gli occhi cercando di leggere il nome dietro lo spesso strato di polvere.
Ero certa che stesse guardando proprio quella targa precisa.
- Riddle… - lessi a bassa voce riconoscendo le lettere – Tom Orvoloson Riddle.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Non fui la ragazza con i G.U.F.O. più alti della mia classe ma, di certo, non fui neppure tra quelli più bassi. Mi amalgamavo in mezzo agli altri, ero una delle tante e nulla di più. La mia media di voti prevedeva: cinque O ( Trasfigurazione, Storia della Magia, Erbologia, Difesa Contro le Arti Oscure e Astronomia), una sola A (ovviamente Pozioni) e tre E (Incantesimi, Antiche Rune e Artimanzia). La mia media di voti mi assicurava un impiego nell’ufficio più schifoso e dimenticato del Ministero o in qualche negozio a fare la commessa.
Un bel futuro di merda.
Non avevo la ben che minima idea della strada che avrei intrapreso appena fuori da Hogwarts. Quasi tutti i miei compagni, se non tutti i miei compagni, avevano già le idee chiare su cosa volevano fare.
Io no.
Brenda adorava scrivere, voleva iniziare la sua carriera alla Gazzetta del Profeta e, nel frattempo, dedicarsi alla scrittura di un libro che aveva iniziato a scrivere già dal primo anno.
Quando feci il colloquio con Lumacorno riguardo il mio futuro ci fu una maezz’ora di silenzio imbarazzante. Avevo letto una dozzina di opuscoli e, in nessuno di quelli, avevo trovato la mia strada.
Anzi mi avevano confuso ancora di più le idee.
- E’ chiaro che non puoi seguire le orme di tua madre. – mi aveva detto con fare saccente lisciandosi il panciotto di un orribile color marrone con ricami gialli canarino – I tuoi voti in Pozioni non sono abbastanza alti per intraprendere una carriera come guaritrice.
Non feci una piega, ero certa che, per Lumacorno, l’unica carriera avrei potuto intraprendere fosse quella di assistente di Gazza; o del gatto di Gazza.
- Tuo fratello inizierà gli addestramenti per gli Auror l’anno prossimo. – alzai gli occhi al cielo infastidita – Magari ti interessa seguire le orme di tuo padre.
- Dio me ne scampi… - risposi sarcastica.
Il professore mi lanciò un’occhiata pungente.
- Insomma!- sbottò – Ci sarà qualcosa che ti piace fare! Una materia che ti interessa più di altre.
- L’unica,- risposi poco interessata osservando le unghie della mia mano destra - è Incantesimi. Le altre sono nella media. – lo sentii sospirare rassegnato per il mio menefreghismo – Senta,- continuai poggiando le mani sulla scrivania, sfoggiai l’espressione più seria che avevo nel mio repertorio – non possiamo stare sul vago? Non c’è un programma di studio che mi dia le conoscenze di base per la maggior parte dei lavori?
- Sì…- rispose riluttante – ma sarebbe meglio seguire un piano di studi più mirato…
- Entrambi sappiamo che, molto probabilmente, finirò in uno squallido ufficio a riempire scartoffie. Mi dia quel foglio e finiamola con questa pagliacciata. Sono certa che i miei compagni sapranno darle più soddisfazioni.
Ebbi il mio piano di studi. Era molto pesante perché prendeva la maggior parte delle lezioni principali e delle materie più impegnative della scuola. Quell’anno studiai come mai prima d’allora. Lo studio riuscì a distrarmi dal pensiero fisso che, per Severus, quello sarebbe stato il suo ultimo anno. La nostra amicizia si solidificava anno dopo anno. Il tutto era ancora più enfatizzato dalla relazione tra James e Lily. I due facevano, ormai, coppia fissa da qualche mese. Avevo scoperto Severus fissarli un paio di volte, trovava inconcepibile che una ragazza come la Evans, che aveva sempre disprezzato mio fratello, potesse baciare quelle labbra che aveva più volte insultato.
Il quinto anno era passato così, tra esami e spionaggi vari.
Quando il barbagianni della scuola mi consegnò la busta con i risultati dei miei esami ci fu una piccola festicciola. I Black mi consideravano la figlia minore ormai, dormivo in una vecchia stanza in disuso ma che la madre di Regulus restaurò solo per me. Invitarono perfino Brenda e Severus per la festa in mio onore.
Fu la prima volta che mi sentii appartenente ad una qualche famiglia. Era bello esser apprezzati.
Anche se l’atmosfera familiare si respirava in rare occasioni a Grimmauld Place. Le voci di una guerra prossima e devastante erano sempre più frequenti. Iniziarono ad esserci sparizioni misteriose e il Ministero non sembrava riuscire a trovare una spiegazione logica. Il clima era teso, spesso in casa Black arrivava gente che non avevo mai visto. Perfino Regulus spariva per giorni senza dirmi cosa stesse combinando. Io facevo di tutto per restarne fuori. I discorsi sul sangue puro e sul potere, argomento che usciva spesso a tavola, mi incuriosiva; il ricordo di quell’uomo in biblioteca non mi aveva abbandonato per tutto l’anno scolastico. Ma il mio unico desiderio era prendere il diploma; fare le valigie e allontanarmi il più lontano possibile dall’Inghilterra. Prendere le mie cose e cercare una strada lontana dagli Auror, James, Hogwarts, Silente e tutto il resto.
L’unica cosa che mi dispiaceva era lasciare i pochi amici che avevo.
La mattina del quattro Luglio di quell’afosa estate, il più grosso gufo reale che abbia mai visto planò con grazia sul balcone del numero dodici di Grimmauld Place. Kreaker, già malconcio e vecchio allora, camminò fino alla finestra, prese un piccolo sgabello, vi ci salì in piedi e poi salì sul lavandino aprendo la finestra. L’uccello spiccò un piccolo volo atterrando sul tavolo dove io e Walburga Black stavamo facendo una silenziosa colazione. Mentre l’elfo domestico preparava il cibo e l’acqua per il gufo la donna prese i due rotoli di pergamena legati alla zampa destra del volatile.
- Uno è per te cara. – mi disse con un tono molto gentile passandomi il rotolo dove c’era scritto il mio nome.
Conoscevo il gufo di Brenda e l’allocco di Severus. Quell’uccello, invece, non sapevo proprio a chi potesse appartenere. Osservai la ceralacca che sigillava la pergamena, era uno stemma rosso raffigurante un cerchio e una M elegante nel centro. Ruppi il sigillo e srotolai la pergamena. Il messaggio era scritto con una calligrafia elegante, con un inchiostro dorato. In cima c’era lo stemma della Casata Malfoy: due pavoni appoggiati sul bordo esterno di un cerchio con all’interno due serpenti che si attorcigliavano su loro stessi creando una M.
- Finalmente hanno fissato la data. – mormorò soddisfatta Walburga.
Narcissa Black e Lucius Malfoy mi avevano invitato alla loro festa di fidanzamento.

***
Se, anche per un solo istante, avevo sperato che Lucius e Narcissa mi avessero invitato per amicizia mi dovetti ricredere non appena varcata la soglia del maniero dei Malfoy.
Avevano invitato mezzo mondo magico.
Iniziai a credere che il mio nome fosse finito nella lista solo perché vivevo con i Black.
Era il castello più grande che abbia mai visto, elegante e raffinato. Marmi, argenteria pregiata, elfi domestici che correvano in ogni direzione; era impossibile non restare abbagliati dalla ricchezza, fin troppo ostentata, della famiglia più prestigiosa del momento.
Anche se il mio sangue era puro mi sentivo spaesata e alquanto inadatta per quel mondo. Dentro il mio vestito blu notte cercai di mettermi in un angolo in attesa che qualcuno mi dicesse che ero libera di andarmene.
- Anche tu trascinata qui?
Mi voltai appena in tempo per vedere una chioma castana investirmi come un ciclone.
- Evan! E tu cosa ci fai in una festa super lussuosa?
- Me lo sto chiedendo anch’io da quando sono arrivato. – mi rispose lui con il suo solito tono scherzoso.
- E da quanto sei qui?
- Sono arrivato ora.
Ridacchiai prendendo una tartina dal vassoio d’argento che un elfo portava sulla testa passando tra gli invitati.
- Sei sicuro di non essere sotto Imperius?
- Sicurissimo…- rispose lui con una smorfia – sono sotto l’incantesimo di mia madre. – continuò indicando una donna molto alta e magra che parlava con quella che mi sembrava la madre di Narcissa – Io non ci volevo venire, Lucius non poteva che esserne felice. E’ da quando ho messo piede in questo castello che mi lancia occhiate raggelanti.
- Credo che tema uno dei tuoi scherzi.
Evan fece una smorfia.
- Ha una considerazione troppo bassa di me.
- Tu dici?
- Aspetto il matrimonio per quelli!
Alzai gli occhi al cielo scuotendo il capo rassegnata, Evan Rosier non si smentiva mai.
Intanto il mio compagno si stava guardando attorno.
- Oooh,- mormorò inchiodando lo sguardo nella parte opposta della sala – ho appena trovato la futura signora Rosier.
La ragazza in questione era una biondissima strega, dai lineamenti aggraziati e dal vestito elegante che indossava doveva esser una qualche partente di Lucius.
- Ne sei sicuro? – domandò una voce alle sue spalle – Quella è Isabelle Malfoy, la cugina di primo grado di Lucius. Ti rivolge la parola solo se hai in mano un blocchetto degli assegni.
- Vedremo Severus. – rispose l’altro bevendo in un solo sorso il resto del vino, si allentò la cravatta per darsi un aspetto di trasandato ma elegante, appoggiò il bicchiere su un tavolo e si avviò verso la ragazza.
Io e Severus restammo soli.
Lui indossava un completo nero, una camicia color grigio fumo e una cravatta che richiamava il colore del completo. Se non avesse avuto addosso il mantello lo si poteva scambiare per un babbano qualsiasi.
- Dovresti smetterla di vestirti così. – gli dissi dopo aver ingoiato l’ultimo boccone di tartina – Sembri un pipistrello.
- Anche tu dovresti smetterla di vestirti così,- mi rimbeccò lui con un mezzo sorriso sadico – qualcuno inizierà a pensare seriamente che tu sia una vera donna! – gli feci una smorfia e presi un’altra tartina – Come mai eri stupita di vedere Evan ma non me?
- Tu sei amico di Lucius.
- I Malfoy non hanno amici. – mi rispose serio – Solo un gran numero di conoscenti.
- Sarà…- risposi vaga – ma, visto il numero di invitati, non mi stupirei neppure se incontrassi mio padre a questa festa.
Si udì quasi improvvisamente una risata acuta, quasi come quella di un bambino, provenire dal centro della sala.
Mi voltai cercandone la fonte e cercando di ricordare se avevo visto dei bambini quando ero arrivata.
Ma chi aveva prodotto quel suono non era un bambino ma una ragazza più grande di Narcissa. Aveva lunghi capelli neri ricci, un fisico snello e prosperoso messo ben in risalto del vestito rosso che indossava.
- Bellatrix Black.- fece Severus accanto a me – E’ la sorella maggiore di Narcissa. E’ sposata con Rodolphus Lastrange da un paio d’anni. Si è diplomata a Drumstrang.
- Non ad Hogwarts?
- Ha dimostrato di esser più idonea per quella scuola.
Capii al volo quello che Severus voleva dirmi: stai alla larga da Bellatrix Lastrange. Gli studenti di Drumstrang erano conosciuti per la loro capacità di utilizzare incantesimi oscuri anche per le cose più semplici, con un quoziente intellettivo notevole e un brutto carattere. Imprevedibili come la dinamite.
Osservai Lucius mentre baciava la mano della sorella di Narcissa. Scorsi un lampo malizioso nei suoi occhi celesti mentre le sue labbra sfioravano appena la pelle della sua mano.
- Cosa stai fissando?- mi domandò Severus curioso.
- Nulla…- risposi senza però togliere gli occhi dai due – nulla di particolare.
Verso la fine della serata era quasi certa che tra Lucius e Bellatrix ci fosse qualcosa di più che semplice rapporto di prossima parentela. Era palese, era visibile, forse lo vedeva perfino Narcissa.
Provai molta pena per lei.
Ma, avevo imparato molto tempo prima, che non bisogna mai giudicare qualcuno dalle apparenze. E i Malfoy sono esperti nell’arte dell’esteriorità.
- Ho bisogno d’aria. – feci a Severus poggiando la mano sul suo braccio – Vado sul terrazzo. Tu prendi qualcosa da bere?
Mi avviai fuori, sull’enorme terrazzo che si affacciava sul parco. Alcuni pavoni bianchi dormivano sotto un albero dagli sgargianti fiori arancioni. La luna era solo un sottile spicchio giallo nel cielo scuro privo di nuvole, le stelle brillavano come se stessero danzando sulle note di una musica che solo loro potevano udire.
Mentre i miei occhi seguivano quella danza silenziosa, Severus mi mise davanti agl’occhi un calice di cristallo. Lo presi ringraziandolo con un sorriso e osservai il liquido rosso rubino all’interno.
- Nessuna miscela speciale?
- Semplice vino rosso. – spiegò con un sorriso.
Da quel famoso Capodanno ci eravamo ridimensionati nel bere, almeno quando eravamo insieme.
Sorseggiai la bevanda, aveva un retrogusto di frutti rossi e un aroma molto speziato. Era il più buon vino rosso che avessi mai bevuto.
Mi ero appoggiata con la schiena al cornicione di pietra che delimitava il terrazzo, fissavo Severus mentre beveva. I suoi occhi neri sembravano persi oltre la mia spalla.
- Posso chiederti a cosa pensi? – gli domandai con un piccolo sussurro.
Abbassò lo sguardo sul mio viso, arrossii sentendo quello sguardo di fuoco su di me ma non abbassai lo sguardo.
- Non potresti capire. – mi disse quasi malinconico.
- Provaci.
- Lascia perdere.
Misi il broncio abbassando gli occhi verso il calice di vino.
- Non sono una bambina. – lo rimproverai con un tono che assomigliava molto a quello di una bambina. Bevvi il resto del vino e appoggiai il bicchiere vuoto sulla ringhiera.
Appoggiò il bicchiere vicino al mio e mi mise un dito sotto il mento costringendomi con delicatezza a guardalo. Fece un mezzo sorriso mentre lo stesso dito di spostava all’angolo della mia bocca dove una goccia di vino era rimasta intrappolata. La raccolse con il polpastrello e me la portò alle labbra.
Ero incantata da quegli occhi neri, erano splendenti anche più delle stelle in cielo. Mi sorpresi di non essermene mai accorta prima. Sfiorai quel dito con le labbra, raccogliendo quella perla rossa, senza mai staccare gli occhi dai suoi. Alzai una mano verso il suo viso. Sembrava stanco nell’ultimo periodo. Da quando aveva preso il diploma lo sentivo distante, non voleva dirmi nulla di quello che faceva per vivere e questo mi preoccupava. Accarezzai la sua guancia dove un accenno di barba mi fece il solletico; attorcigliai con due dita una ciocca dei suoi capelli neri mentre sentivo l’altra sua mano accarezzarmi un fianco.
Si avvicinò al mio viso.
Sapevo cosa stava per fare e, stranamente, la cosa non mi disturbava.
- Ehi non ci starai provando con la mia sorellina, vero?
L’incantesimo si era rotto, Severus si rizzò immediatamente facendo scivolare la mano dal mio viso, io seguii il suo esempio voltami verso il parco.
- E da quando è tua sorella Regulus?
- Ormai è una di famiglia. – rispose, dal tono che aveva potevo immaginare il sorriso di sghembo sulla sua faccia da schiaffi.
Mi mise un braccio attorno al collo stringendomi a lui.
- Prima di provarci con lei devi chiedere il mio permesso! – continuò con fare protettivo.
- Per tua informazione,- rispose Severus mettendosi le mani in tasca – non ci stavo provando! - cercai di parlare ma Regulus stava provando a soffocarmi con quel braccio – Le stavo togliendo una ciglia. Sei sempre il solito Regulus.
- Sì e io sono il preferito di…
- Regulus! – lo ammonì con fare improvvisamente serio Severus.
C’era qualcosa di strano tra di loro, a volte mi sembrava che usassero un linguaggio segreto.
Il rampollo della famiglia Black mi spinse verso il salone.
- Vieni Potter.- fece ridendo – Mi devi un ballo, Severus puoi sempre baciarlo dopo.
Mi sentii avvampare ma gli tirai lo stesso una gomitata.
- Scemo! – risi mentre mi liberavo dalla sua stretta – Non mi stava per baciare!
- Farò finta di non avervi visto oggi,- continuò lui – ora però balliamo.
Non vidi più Severus per quella sera. Era come sparito. Lo cercai ovunque ma se n’era andato. Nessuno sapeva dirmi dove e perché.
Cercai di non pensare più a quello che sarebbe potuto succedere se Regulus non avesse fatto il suo tempestivo, quanto indesiderato, intervento.
Più cercavo di non pensarci più continuavo ad immaginarmi quelle labbra vicine alle mie.

***
Il primo di Settembre uscii dal numero dodici di Grimmauld Place trascinando il mio baule.
Mi bloccai appena scesi i tre gradini che mi dividevano alla caotica Londra.
Severus era appoggiato ad un palo della luce. In bocca aveva quella che sembrava una comunissima sigaretta babbana. Appena mi vide si staccò dal palo di metallo e sputò la cicca per terra schiacciandola poi con il tacco della scarpa.
- Cosa ci fai qui?- domandai poco gentilmente, era passato più di un mese da quella sera e lui non si era più fatto vivo. Mi ero sentita sciocca e umiliata. E non mi era mai piaciuto sentirmi così.
- Volevo scusarmi. – mi disse – Non avrei dovuto andarmene così e avrei dovuto scriverti ma… ho avuto delle difficoltà tecniche.
Non sapevo se credergli o meno, camminavo decisa verso la stazione. Ovviamente ero in ritardo e rischiavo di non arrivare in tempo.
- Che genere di difficoltà?
- Non posso dirtelo.
Sbuffai infastidita. Odiavo che lui avesse dei segreti con me.
Quando faceva così era insopportabile.
- C’entra quel nuovo lavoro segretissimo di cui non vuoi parlarmi?
- Anche.
Camminammo un po’ in silenzio. Non sapevo come comportarmi con lui, mi lanciava messaggi contradditori e io non capivo se il mio affetto era mutato in qualcosa di più grosso. Non lo capivo. O, forse, non volevo ancora capirlo.
- Credevo che tra di noi non ci fossero segreti, Severus.
- Questo è un segreto che non posso condividere con nessuno.
Avevo le lacrime agli occhi.
- Ma non voglio che rovini la nostra amicizia. – continuò.
Annuii senza dire una sola parola. Sapevo che quell’anno sarebbe stato duro. Era il primo senza di lui.
- Puoi scrivermi se vuoi.
- Sul serio?
- Certo.
- Non ho il tuo indirizzo.
- Vivo a Spinner’s End.
Rimasi sorpresa da quelle parole. Sapevo che la madre di Severus era morta quando lui era molto piccolo e che con suo padre non aveva un rapporto idilliaco.
- E tuo padre?
- E’ morto a Giugno.
Mi bloccai in mezzo al marciapiede. Qualche passante imprecò contro di me per la brusca, ed improvvisa, frenata. Severus si voltò a guardami. Era come se non si capacitasse della mia sorpresa.
- Perché non me lo hai detto?
- Non era importante.
- Severus…
- Sto bene, Alice. – tagliò corto lui con un’alzata di spalle – Quel babbano ha avuto la fine che si meritava.
Capii in quel preciso istante che Severus Piton stava cambiando in qualcosa che, probabilmente, non mi sarebbe piaciuto.
Avevo sentito ogni genere di offesa contro suo padre ma non l’aveva mai definito quel babbano.
Per quelli come noi era l’insulto più grande che potesse esistere.
- Sei sicuro di stare bene? – gli domandai confusa.
- Non ti preoccupare. – tentò di tranquillizzarmi – Ora muoviti o perderai il treno.
Arrivammo quasi di corsa, salii sulla prima carrozza e mi affacciai al finestrino.
- Fai la brava…- mi ammonì come se fossi sua figlia.
- Ti ho già detto che non sono una bambina.
Sospirò facendo un mezzo sorriso:
- Lo so.
Il treno fischiò segnando al partenza. Lo salutai mentre mi allontanavo.
Anche in mezzo a mille puntini lontani, potevo ancora sentire i suoi occhi su di me.

***
- Avete visto le ultime novità dalla Gazzetta?- mormorò una ragazza del quarto anno di Grifondoro davanti a me – Sembra che Voi – Sapete – Chi abbia colpito di nuovo…
Le superai velocemente dirigendomi alla Sala Grande per il pranzo. La mia borsa dei libri era pesantissima per questo ero sollevata ogni volta che riuscivo a posarla a terra.
Brenda mi raggiunse dopo poco, era immersa in un libro di Pozioni.
Io avevo smesso di frequentare quel corso, con gioia mia e di Lumacorno.
- Quest’anno Pozioni è molto interessante. – fece la mia amica chiudendo il libro e riponendolo davanti al piatto – Stiamo studiando la pozione della fortuna.
- Sul serio?- non ero per nulla interessata, capire Pozioni restava una chimera per me.
- A te com’è andata con Antiche Rune?
- Noioso…- risposi prendendo una coscia di pollo – ci hanno dato un brano da tradurre ma era talmente semplice che ho passato metà del tempo a sbadigliare.
Il tipico rumore dei gufi che portavano la posta ci interruppe. Alzammo gli occhi al soffitto in tempo per vedere un centinaio di uccelli entrare nella sala e lasciare le buste e i pacchetti ai rispettivi destinatari.
Aspettavo una lettera da Severus da una settimana, stavo iniziando a perdere ogni speranza. Abbassai lo sguardo e tornai al mio pasto quando nella sala scoppiò un brusio indistinto. Alzai di nuovo gli occhi giusto in tempo per vedere un gufo totalmente nero. Sorvolò sulle nostre teste per qualche secondo, poi si avvicinò al tavolo dei Serpeverde.
Tutti trattennero il respiro.
Un gufo nero voleva dire solo una cosa: la morte di qualcuno.
La pergamena che stringeva tra gli artigli era nera come il suo piumaggio. Ne erano già arrivate due in soli tre mesi. Quando l’animale lasciò cadere il rotolo davanti ai miei occhi non feci una piega.
In sala regnava il silenzio.
Mentre continuavo a mangiare, ignorando i pochi bisbigli alle mie spalle e le occhiate che mi lanciavano, aprii la busta e lessi velocemente il messaggio. Quando ebbi finito allungai il braccio verso una delle candele che fluttuava tra i piatti e bruciai la lettera.
Il brusio alle mie spalle aumentò.
Ripresi a mangiare come se nulla fosse. Poco dopo gli altri seguirono il mio esempio.
- Alice…- fece Brenda accanto a me, sembrava preoccupata – era una lettera del Ministero?
- Sì.
- Cosa diceva?
- Nulla di importante…- spiegai con la bocca piena e un’alzata di spalle – è solo morto mio padre.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Tic… tac…
Tic… tac…
Il tempo era scandito dal fastidioso ticchettio di un orologio a pendolo appoggiato al muro accanto alla libreria.
Tic… tac…
Tic… tac…
Fissavo la mia immagine riflessa in quello che sembrava un comune specchio.
Tic… tac…
Tic… tac…
Ma sapevo bene che nulla in quell’ufficio era comune.
A cominciare dai muri.
Tic… tac…
Tic… tac…
Osservavo il mio viso maturato in quegli anni.
Somigliavo sempre di più a mia madre. E ne ero felice, se avessi iniziato a somigliare a mio padre non l’avrei mai sopportato. Avevo lasciato crescere i capelli, più che altro per pigrizia e non per vanità femminile. Arrivavano a metà schiena, di un morbido castano, mossi. Non troppo per esser definiti ricci, era un mosso dolce, nulla a che vedere con i capelli spettinati di mio fratello. Per la McGranitt erano, comunque, sempre troppo lunghi, dovevo legarli con un nastro ma io non lo facevo quasi mai. Sempre per pigrizia.
Tic… tac…
Tic… tac…
Odiavo quell’orologio.
I miei occhi stavano fissando un punto imprecisato della superficie riflettente.
Tic… tac…
Tic… tac…
Sapevo il motivo della mia convocazione.
Tic… tac…
Tic… tac…
E la trovavo inutile.
Come se Silente si aspettasse qualcosa di diverso da me.
Tic… tac…
Tic… tac…
Ero in quella stanza da quasi un’ora. Silente mi aveva accolto seduto dietro la sua scrivania, sembrava perplesso. Mi aveva invitato ad accomodarmi ma avevo preferito stare in piedi. Prima finivamo, prima tornavo ai miei libri di Incantesimi e lui alle sue occupazioni certamente urgenti. Credevo che parlasse per primo. Invece restò fermo, silenzioso e con quello sguardo colmo di commiserazione che mi dava la nausea.
Io non avevo bisogno della pietà di nessuno. E, soprattutto, non volevo quella di un vecchio.
Tic… tac…
Tic… tac…
Spostai lo sguardo sull’oggetto accanto allo specchio. Une clessidra. Sembrava in ottone. La sabbia scendeva silenziosa. Granello dopo granello segnava, anche quella, il lento scorrere del tempo in quella stanza che iniziava a sembrarmi troppo piccola.
Tic… tac…
Tic… tac…
Mi fissava. Sentivo i suoi occhi sulla mia schiena. Pungenti, penetranti anche più di quelli di Severus. Probabilmente mi stava leggendo l’anima, il cuore e la mente.
Che vedesse tutto quel vecchio!
Che scoprisse quanto corrotta e marcia potevo essere dentro. Non mi importava, volevo solo andarmene da li.
Tic… tac…
Tic… tac…
Sbuffai.
Stufa, esasperata da quella guerra psicologica.
Una guerra che non avevo intenzione di perdere.
Forse si aspettava che scoppiassi a piangere da un momento all’altro.
Ma io non avevo più lacrime. Non per lui almeno.
- Se ha finito di analizzarmi, - dissi continuando a fissare la sabbia grigia che scendeva – vorrei tornare ai miei studi.
- Non abbiamo ancora parlato. – mi rispose fastidiosamente pacato.
- Lei mi ha convocato qui, Signore.- replicai – Di cosa voleva parlarmi?
- Non sei andata al funerale di tuo padre. - lui c’era andato, me lo aspettavo. Mi chiesi solo perché non mi disse nulla prima della funzione.
- Lo so.
- Gradirei che mi si guardasse negl’occhi quando mi si parla, Alice.
Mi voltai lentamente. Incatenò immediatamente il mio sguardo. Mi tremarono le gambe per un breve attimo.
- Meglio. – fece appoggiando e mani sulla scrivania lucida – Perché non sei andata a salutare tuo padre?
- Lui non mi avrebbe voluto lì.
Sospirò indicandomi la sedia davanti a lui.
Mi sedetti senza mai staccare gli occhi dal suo viso rugoso.
- Io non credo.
- Lei vuole vedere qualcosa che non è mai esistito, Signore. Mio padre mi ha ripudiato ricorda? C’era anche lei quel giorno.
- Sì, lo ricordo molto bene. E, credimi, ho fatto di tutto per far cambiare idea a Thomas.
Vecchio impiccione…
- Tuo padre era accecato dai suoi ideali e dal dolore per la perdita di Kira. Sono certo che non voleva veramente ferirti in quel modo. Posso capire la tua rabbia, Alice. Ma è inutile provare rancore per un morto.
Mi mordicchiai un labbro. Sapevo dove Silente voleva andare a parere.
- Posso dire quello che penso, Signore?
- Certamente.
- Posso esser totalmente sincera?
Lo vidi sorridere sotto la barba da Babbo Natale. Forse sperava in una mia struggente ammissione di affetto verso l’uomo che avrei dovuto chiamare papà.
- Mio padre era uno stronzo. – dissi tutto d’un fiato sorprendendo perfino il Preside – E non uno qualunque, uno di quelli che non augureresti neppure al tuo peggior nemico. Lui mi odiava, fin da quando ho emesso il primo vagito. E gli ideali, come li chiama lei Signore, non erano poi tanto differenti da quelli che avevano i suoi assassini. Mio padre non mi voleva, non mi ha mai voluto e tutto è peggiorato quando sono venuta qui. Non lo odio. Non più ormai. Anzi non provo più niente.
Ansimavo.
Avevo detto tutte quelle cose senza mai fermarmi. Senza riprendere fiato per paure di esser interrotta.
Silente mi fissava senza emozioni, i suoi occhi scintillavano quasi quanto le sue stupide lenti a mezzaluna.
Abbassai lo sguardo, mi pentii immediatamente delle mie parole.
- Mi dispiace, Signore. – dissi timidamente – Non volevo mancarle di rispetto ma sono stanca di scusarmi per il mio atteggiamento nei riguardi di quell’uomo. Tutti si sono sempre aspettati che io chiedessi scusa a mio padre per come sono fatta. Nessuno ha mai pensato che forse era lui a dovermi chiedere perdono per come mi tratta. Anzi…- mi corressi subito – mi trattava.
Tic… tac…
Tic… tac…
Volevo che mi dicesse qualcosa, oppure che si mettesse ad urlare, che il suo stupido uccello si mettesse a fare versi strani, o che qualcosa si rompesse. Insomma volevo che un qualsiasi rumore spezzasse quel silenzio opprimente.
- Hai ragione. – disse dopo lunghi, infiniti minuti – Io non avrei usato un linguaggio così colorito ma hai correttamente espresso l’essenza di quello che era Thomas Potter.
Non sapevo se sentirmi soddisfatta, sollevata o stupita da quella insolita dichiarazione.
- Tuo padre ha fatto di tutto per renderti la vita impossibile, non dovrei più stupirmi se provi questo rancore.
- Allora perché sono qui?- chiesi continuando a fissare la punta delle mie scarpe.
- Voglio spiegarti una cosa. Una cosa che non sapeva neppure tua madre.
Restai in silenzio aspettando quella che, secondo Silente, doveva esser una sconvolgente verità.
- Cosa sai del tuo nonno paterno, Alice?
Alzai lo sguardo.
- So che non parlava con mio padre da molti anni, forse da quando è entrato nel programma di addestramento degli Auror.
- Ancora prima. – specificò il Preside – Tuo padre e tuo nonno non si parlavano da quando Thomas entrò in questa scuola. Tu sai perché?
Tic… tac…
Tic… tac…
Tic… tac…
Tic… tac…
- So che era un Serpeverde. – dissi a voce bassa.
- Hai fatto ricerche sulla tua famiglia, Alice? – tal tono di voce sembrava stupito.
Annui. L’avevo fatto durate il secondo anno, volevo sapere se anche la famiglia perfetta Potter avesse avuto degli scheletri nell’armadio.
- Cos’hai scoperto? – continuò Silente interessato.
- Ho scoperto che mio padre è stato il primo Grifondoro dopo una lunga stirpe di Serpeverde. – riferii cercando di ricordare le informazioni che avevo raccolto – Ho scoperto che mio nonno amava la caccia al Babbano, ho trovato anche una sua foto. – sorrisi ricordando quell’uomo alto e magro che mi salutava - Ho i suoi occhi.
Quando mi resi conto che avevo ereditato gli occhi dal nonno paterno, capii il motivo che spingeva mio padre a non fissarmi mai in faccia.
Vigliacco fino alla fine.
- Lui non odiava te. –cercò di spiegare il Preside – Odiava il ricordo che aveva del padre. Diciamo che il rapporto che avevi con lui era lo stesso che Thomas aveva con tuo nonno.
- Io non sono mio nonno.
- Certo che no. – annuì l’altro.
- E il suo comportamento non è giustificabile in nessun caso, Signore.
- Anche questo è vero.
- Posso chiederle dove deve portare questa conversazione?- domandai spazientita – Se crede che io possa andare al cimitero a posare un fiore sulla tomba di mio padre…
- No, - mi interruppe – non pretendo tanto. Ma non vorrei che tu scegliessi delle strade sbagliate solo per fare un dispetto ad un uomo morto. Il rancore porta a fare cose folli Alice.
- Come ripudiare la propria figlia? – domandai sarcastica.
- Sì. – rispose semplicemente lui.
Ora ero io che non parlavo più. Non sapevo cosa dire, trovavo tutta la conversazione una perdita di tempo e restai zitta in attesa che misi dicesse di andarmene.
- Puoi andare ora. – la sua voce mi sembrava lontana anni luce.
Mi alzai dalla sedia e mi diressi alla porta.
- Hai sempre un fratello, Alice.
- Io non credo. – risposi dopo aver chiuso la spessa porta alle mie spalle ma con la certezza che Silente mi avesse sentito comunque.

***

Un giorno felice fu quello della consegna del diploma.
Uno dei pochi che ricordo con il sorriso sulle labbra.
Avevo studiato mesi per raggiungere un livello soddisfacente di M.A.G.O. e, finalmente, potevo dire di esserci riuscita.
La cerimonia si svolgeva nel giardino del castello. Gli studenti del settimo anno sedevano su delle sedie, i parenti dietro di loro in attesa della consegna di quel rotolo di pergamena che avrebbe segnato la fine degli studi in quella scuola. Noi tutti indossavamo la divisa della nostra casa, ansiosi di salire su quella pedana.
Io arricciavo in modo ossessivo un angolo del mio mantello nero. Quel giorno segnava la fine e un nuovo inizio.
La mattina dopo saperi partita.
Istambul come prima tappa.
Volevo allontanarmi da tutta quella ipocrisia che mi circondava in quelle vecchie mura. Volevo osservare un’ultima volta Silente e poi dirgli quanto lo trovavo stupido.
Da quella conversazione nel suo studio non fui più convocata da lui.
Lui era troppo occupato con la guerra per prestarmi attenzione. Io ero troppo occupata a ipotizzare la mia vita futura per badare a quella guerra.
Volevo anche scappare da Grimmauld Place.
I Black stavano facendo pressioni. Avevano già parlato di matrimonio come se io fossi stata figlia loro. E poi sapevo che volevano inserirmi tra le file dell’Oscuro Signore. Avevano già convinto Regulus ed ora volevano fare la stessa cosa con me.
Solo che io non volevo intromettermi. Non volevo neppure sentir parlare di guerra o marchi strani. Figuriamoci di matrimonio. Che, a mio parere, era anche peggio che diventare Mangiamorte.
Mentre camminavo per ricevere quel tanto agognato pezzo di carta, avevo il cuore che batteva come un tamburo nel petto. Avevo camminato con la mano sul torace per paure che schizzasse via. Silente mi consegnò la pergamena e mi strinse la mano. Non mi disse nulla se non un congratulazioni, frettoloso e freddo.
Non mi aspettavo altro.
Quando la cerimonia finì i ragazzi andarono verso i loro parenti e amici. Io ero sola, sapevo che James non sarebbe mai venuto e la cosa non mi interessava.
Ero appoggiata al tronco di un albero, davanti a me il Lago Nero in tutto il suo splendore.
L’ultimo sguardo.
Dentro si stava consumando l’ultima cena in Sala Grande.
Sentivo un po’ di malinconia.
- La cosa più importate…- fece una voce alle mie spalle – è andarsene da qui senza nessun tipo di rimpianto.
Sorrisi continuando però a fissare l’acqua increspata della superficie.
- Sei venuto.
- Potevo non venire?
- Credevo che fossi impegnato.
- Mi sono liberato.
Mi voltai con un sorriso.
- Grazie, Severus.
Sorrise anche lui avvicinandosi a me.
Appoggiai la testa al suo torace, il sole stava tramontando sul Lago.
- Domani parti? – mi domandò.
- Sì.
- E dove andrai?
- Istanbul e poi chissà. Nulla mi lega qui.
- Nulla?
Sollevai la testa e lo osservai.
- Cosa dovrebbe trattenermi? – nel mio cuore una vaga speranza si stava facendo strada già da qualche tempo.
Io e Severus eravamo vicini e lontani nello stesso momento. A volte era con me, altre in un mondo dove io non potevo entrare. E questo mi faceva paura. E più avevo paura più volevo addentrarmi in quel mondo. Solo per stare accanto a lui. Vedendo che lui non rispondeva sospirai e tornai a fissare l’acqua scura.
- Nulla mi trattenete qui. – ripetei convinta.
Restammo in silenzio mentre alcuni uccellini cercavano rifugio sulle piante attorno a noi.
Il crepuscolo avanzava.
- Ho un solo rimpianto. – dissi all’improvviso rompendo il silenzio – Uno solo.
- Quale?
Arrossii, inevitabile per il pensiero che stavo formulando.
- Vorrei solo ricordarmi quella notte di Capodanno. Non i particolari… anche solo un bacio.
Lui non disse nulla.
Mi fissava. Lo sentivo respirare piano e fissarmi.
- Ti ho messo in imbarazzo…- dissi dopo un tempo che mi parve infinito – scusami.
- Non mi hai messo in imbarazzo. – mi rispose.
- Ma non rispondi. – obbiettai.
- Vuoi una risposta?
Mi voltai, di nuovo, verso di lui.
- Sì.
Fece qualcosa d’imprevisto.
Mi accarezzò il labbro inferiore con un dito e sfiorò le mie labbra con le sue.
Solo un bacio delicato. Leggero. Veloce. Impalpabile.
Si staccò da me così in fretta che non mi diede il tempo di chiudere gli occhi per assaporare meglio quella sensazione. Neppure il mio cuore aveva avuto il tempo necessario per sussultare.
- Questo cosa sarebbe?
Lui alzò un sopracciglio fine.
- Il ricordo che hai chiesto.
Mi staccai da lui come se mi avesse preso a sberle. Feci in passo indietro scandalizzata.
- Ti faccio pena Severus? – ira nella mia voce, nient’altro che ira.
- Ma sei impazzita?- mi domandò stupito dalla mia brusca reazione.
- Se sei venuto qui solo per prenderti gioco di me…
- Ho voluto solo accontentare un tuo desiderio!
- E sai io cosa me ne faccio della tua pietà? – urlai infuriata – Non voglio un tuo bacio solo per farmi contenta!
- Non l’ho fatto per farti contenta! – gridò lui.
- Allora perché l’hai fatto?
- Perché dovrei dirtelo? Tanto tu domani parti, o hai cambiato idea in questa mezz’ora?
Feci un altro un passo indietro.
- No… io… domani… parto…
- Allora lasciamo perdere.
- Bene! – gridai furiosa.
- Bene! – rispose lui altrettanto arrabbiato o forse solo infastidito dal mio atteggiamento.
Mi avviai con passo veloce al castello. Lo stomaco mi si era chiuso ma potevo sempre chiudermi un’ultima volta in dormitorio e maledire Severus e il giorno in cui mi ero addormentata in quel vagone sette anni prima.
Arrivai al portone quando lui mi afferrò per il braccio. La sua mano fredda mi fece salire un brivido sulla schiena. Lo stomaco fece una capriola.
- Mi sono innamorato di te.
Delicato come un Troll di montagna. Non era mai stato bravo con le parole, non quando doveva parlare ad una donna almeno.
Tutte le volte che doveva dirmi qualcosa di carino sembrava quasi un insulto.
- Se ti baciavo come avrei voluto, domani non sarei stato in grado di vederti partire. – continuai a dargli le spalle, respiravo lentamente - Così invece… abbiamo entrambi un bel ricordo.
Alla fine mi voltai; avevo le lacrime agli occhi.
- Perché non l’hai detto prima?
- Non lo so.
- Sai da quanto ho aspettato questo giorno?- dichiarai con un lieve sorriso.
Severus mi raggiunse, mi strinse a se e unì le nostre labbra per un bacio che non aveva nulla di leggero e impalpabile.
Sembrava quasi che volesse divorarmi.
Appoggiò la fronte sulle mia ansimando piano per il bacio passionale che ci eravamo appena scambiati. Io sorridevo, gli occhi chiusi, le mani intrecciate dietro la sua nuca, sentivo il suo respiro sul viso, il profumo di pozioni, il suo calore.
- Partirai domani?
Sorrisi di più e scossi il capo:
- Ora ho un motivo per restare.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***



La musica usciva dal grammofono ad un livello assordante.
Sotto la doccia cantavo fuori tempo e stonata come una campana rotta.
Spinner’s End era un quartiere ormai isolato e quasi del tutto abbandonato, i pochi vicini che avevamo erano vecchi maghi moribondi, mezzi sordi e ciechi.
Non si lamentavano per la musica.
Anzi non si lamentavano proprio mai.
Quando misi piede nella casa di Severus per la prima volta mi resi conto che aveva un disperato bisogno di una donna. La casa era un disastro, i vestiti erano ammucchiati sul pavimento della sala e della camera, la cucina era un ammasso di piatti sporchi ed era meglio stendere un velo pietoso sullo stato del bagno.
- Severus… tu non hai bisogno di una donna. – esclamai mentre mi aggiravo per la stanza in punta di piedi per non schiacciare qualche indumento che, sicuramente, aveva visto giorni migliori – Tu hai bisogno di un elfo domestico!
- Hai ragione…- ammise imbarazzato – ma ti avevo avvisato che potevi trovare un po’ di disordine.
- Io questo non lo chiamo disordine. La chiamo assoluta anarchia! Tu sei sempre così preciso…
- Non ho tempo per pensare alla casa.
- E’ per questo che mi hai chiesto di venire a vivere con te? – domandai divertita mentre cercavo il punto meno polveroso del divano.
- No. – rispose sedendosi accanto a me, ignorando la camicia una volta bianca sulla quale si era seduto – Ti ho chiesto di vivere con me semplicemente perché ti amo.
Mi sentii avvampare, sorrisi fissando la punta dei miei stivaletti. Era strano sentirgli dire quelle cose dolci. Mi faceva piacere, ma non ero ancora abituata a pensare a me e Severus come una coppia.
Da quel primo giorno erano passati sei mesi.
La casa brillava sotto il tocco della mia bacchetta, ero diventata una perfetta donna di casa senza però smettere di cercare un piccolo lavoretto. Nulla di troppo impegnativo, qualcosa per incrementare le entrate. Di quello che Severus faceva non volevo saperne nulla, io vivevo nel mio mondo. Nella mia sfera di cristallo lontana dalla guerra e dall’Oscuro Signore.
Ero felice nella mia ignoranza.
Severus invece non lo era.
Lo vedevo, ma facevo finta di niente. Ogni sera lui tornava a casa sempre più stanco, sempre più pallido e triste.
In certi momenti era così lontano da me da farmi paura.
Lui diceva che quella casa era diventata la sua oasi di tranquillità, che si sentiva sereno ogni volta che varcava la soglia.
E io cercavo di non fargli mai mancare quella serenità.
Non sapevo cosa faceva in quelle ore, non volevo saperlo.
Quel pomeriggio faceva freddo, c’erano nubi grigi all’orizzonte che preannunciavano neve e freddo. Il mio tempo preferito. La casa era stata pulita da cima a fondo, la cena cuoceva nel forno babbano e io stavo sotto la doccia a cantare a squarciagola come se fossi stata una cantate rock.
Spensi l’acqua e uscii lasciandomi alle spalle le orme bagnate, il mio corpo fumava per l’acqua calda, il bagno era invaso dal vapore acqueo uscito dalla doccia, mi avvolsi in un caldo asciugamano blu e frugai in un cassetto alla ricerca della biancheria intima.
Il disco girava senza interruzioni nel giradischi posto nel piccolo salottino, la musica arrivava a tutte le stanze grazie ad un incantesimo che avevo imparato ad usare a dieci anni. Il disco era di un complesso rock molto in voga in quegli anni. Era un gruppo americano. Un gruppo di giovani musicisti che urlavano le loro canzoni, erano parole graffianti, arrabbiate, i loro testi andavano contro il mondo, contro tutto quello che c’era di marcio nella società ai quei tempi. I giovani li adoravano come degli dei; io ascoltavo ogni genere di musica, l’importante era che fosse a tutto volume.
Urlavo le poche parole che conoscevo del testo, muovendo la testa ancora bagnata e schizzando acqua ovunque. Biascicavo le frasi che ricordavo cercando di imitare l’accento americano per me irriconoscibile. Scesi le scale. Indossavo solo un maglione nero di Severus e un paio di calzini bianchi.
Continuavo a cantare usando la spazzola come microfono e muovendomi come se mi avesse mordo una tarantola gigante.
Non ero certo una ballerina.
La mia danza assomigliava molto ad un rituale africano per scacciare i demoni maligni. Sembravo un’invasata, muovevo il corpo cercando di seguire il ritmo, urlavo parole senza senso e in una lingua sconosciuta nel mondo umano. Ma stavo bene, soprattutto con me stessa. Lasciavo che la musica mi entrasse dentro, che mi riempisse ogni angolo della mia anima. Perdevo il controllo del mio corpo, andavo dove voleva lui, faceva quello che voleva lui.
Mi sentivo libera.
In quei momenti potevo anche esser rapita da un branco di centauri infuriati che non me ne sarei mai accorta.
Alzai le braccia al cielo con la bocca spalancata nel goffo tentativo di emulare la cantante e il suo poderoso acuto. Le maniche del maglione caddero all’indietro, era grande almeno due taglie in più. Ma mi era sempre piaciuto indossare qualche vestito di Severus; era un modo, forse un po’ infantile, per tenerlo sempre accanto a me. Quando lui era fuori per il lavoro io indossavo una sua camicia o un suo maglione, per sentirne meno al mancanza.
Mi misi a girare su me stessa mentre la batteria e la chitarra elettrica facevano un duetto da mozzare il fiato. Saltellavo su un piede solo suonando una chitarra fatta d’aria.
Mi bloccai solo quando scorsi due occhi scuri che mi guardavano curiosi e beffardi dalla finestra che dava sulla strada. Mi fermai con il fiato corto, la bocca ancora semi spalancata e la spazzola in mano. Presi la bacchetta che avevo lasciato accanto ai giradischi e spensi la musica.
Sentii, solo allora, che qualcuno stava bussando alla porta.
Sbuffai infastidita e andai ad aprire.
- Devo dire che sei proprio uno spettacolo interessante Jo. – disse immediatamente una voce fastidiosa.
Rimasi ferma sulla soglia, il freddo aveva congelato rapidamente le mie gambe nude. Avevo i capelli ancora bagnati e tenevo in mano una spazzola.
- Fottiti Black. – sibilai maligna spostando immediatamente lo sguardo sulla persona che aveva accompagnato.
Di tutta la gente che poteva venirmi a trovare lei era l’ultimo nome della mia lista. Indossava un lungo cappotto rosso con i bordi bianchi, il solito sorriso gentile incurvava le sue labbra.
Semplicemente da prendere a pugni.
- Posso entrare o mi lasci qui fuori?
La osservai ancora qualche istante poi mi feci di lato permettendole di entrare in casa. Sirius tentò di seguirla ma gli bloccai la strada.
- Tu qui non entri. – gli dissi prima di chiudere la porta alle spalle.
Sicuramente mi aveva insultato, ma appena chiusi la porta non sentii più nulla. Sospirai alla porta chiusa, agitata da quella presenza in casa mia.
Mi voltai. Lei fissava il salotto interessata.
- L’ultima volta che ho visto questa casa cadeva quasi a pezzi. E’ incredibile il lavoro che hai fatto.
- Grazie. – risposi restando comunque sulla difensiva – Posso offrirti qualcosa?
- Un bicchier d’acqua, grazie.
Le indicai la cucina, mi seguiva con passo svelto, guardandosi attorno.
- Quando mi hanno detto che ti eri trasferita qui non potevo crederci. – mi disse sedendosi su una sedia della cucina aprendo il cappotto rosso – Non credevo che tra te e Severus potesse nascere qualcosa. Per Sirius era inevitabile, invece.
- Sirius delizia il mondo con molte cazzate. – risposi in modo ironico versando l’acqua in un bicchiere trasparente e passandoglielo – Perché sei qui Evans?
Lily prese il bicchiere, bevve un sorso e lo posò sul tavolo.
- Puoi chiamarmi Lily.
- Ripeto. Perché sei qui Evans?
Per un attimo rividi lo sguardo deciso che l’aveva caratterizzata a scuola.
- Sono Potter, ora. – precisò socchiudendo gli occhi nel tentativo di esser minacciosa.
Quello sguardo poteva funzionare sui decerebrati che le sbavavano dietro a scuola, ma, ci certo, non potevano funzionare su un ex-Serpeverde ripudiata dalla sua famiglia e cresciuta in casa Black.
- Come preferisci… - risposi semplicemente appoggiandomi al lavandino ed incrociando le braccia.
Lily sospirò mutando immediatamente lo sguardo.
- Non sei venuta al matrimonio.
- Credevi sul serio che sarei venuta? Magari indossando uno stupido vestito e facendoti da damigella?
- James c’è rimasto male.
- Balle. – risposi prendo il bicchiere e sistemandolo nel lavabo dando le spalle alla neo signora Potter – Perché è venuto Sirius con te e non lui?
- Avreste litigato… ho pensato che era meglio affrontare il discorso da donna a donna. Sirius mi ha solo accompagnato… i tempi richiedono cautela... - restai in silenzio osservando una goccia d’acqua ingrossarsi sul bordo del rubinetto di metallo opaco – James è preoccupato per te, Alice.
- Chi è preoccupato per me?– dissi poco prima che la goccia cadesse proprio nel bicchiere che aveva posato prima. - Silente o James?
- Beh… entrambi lo sono. Silente ha riferito a James che frequenti dei Mangiamorte e così…
Feci un mezzo ghigno.
- In parole povere James è preoccupato per me solo perché Silente glielo dice. Vedo che ha sostituito la figura di nostro padre con quello di Albus Silente. Quel ragazzo non avrà mai una personalità sua.
- Non è così. – mi rispose dura l’altra – James sa che frequenti gente poco raccomandabile.
- Come Severus?
Lei non rispose, mi voltai per guardarla meglio, per farle capire che io non avevo bisogno di loro, della loro falsità e, soprattutto, della loro pietà.
- Severus è cambiato molto…
- Stronzate. – risposi arrabbiata – Sei tu che non l’hai mai capito fino in fondo.
- Alice…
- Evans… - la interruppi bruscamente dimenticandomi di chiamarla con il mio stesso cognome – James potrà anche avere avuto una crisi mistica dopo la morte di nostra madre ma la cosa non mi riguarda. Non voglio avere nulla a che fare con lui o con la sua vita.
- Lui ti vuole bene.
- Non mi interessa.
La giovane Potter si alzò dalla sedia, aveva uno sguardo triste, rassegnato.
- Arriverà il giorno che dovrai scegliere da cha parte stare, Alice.- mi disse seriamente mentre si avvicinava alla porta – Non potrai più stare in questa situazione di stallo. Non potrai più fingere che non sta succedendo nulla.
- Io non abbandonerò Severus. Non farò il tuo stesso errore.
Serrò la mascella senza ribattere e uscì, sentii Sirius borbottare qualcosa quando la porta era ancora aperta. Nel momento in cui si richiuse, ogni rumore esterno fu isolato.
Agitai la bacchetta quasi con rabbia, la musica invase la casa.
Chiusi gli occhi e mi lasciai andare.

***
Da un giorno all’altro le cose peggiorarono.
Severus restava fuori per giorni, tornava sempre più emaciato e terribilmente scosso.
Non mi diceva mai nulla, più chiedevo spiegazioni, più gli dicevo di sfogarsi, più mi diceva che erano argomenti che non dovevo sentire.
Cercava di proteggermi, anche dal suo stesso animo nero, come lo definiva lui.
Io non ne potevo più.
Stavo male per lui, per quello sguardo vuoto che aveva quando tornava a casa e per i suoi silenzi.
Il buio della camera da letto mi avvolgeva come una coperta confortante e calda. Severus dormiva accanto a me, non faceva sogni, era un sonno tranquillo.
Una vera rarità.
Ero stesa su un lato, il suo braccio mi avvolgeva in modo protettivo e mi stringeva al suo corpo nudo. Osservavo il serpente che strisciava sulla sua pelle, quel Marchio che io avevo sempre considerato solo un tatuaggio di pessimo gusto, anche se avevo sempre saputo cosa significava.
Mi sentivo egoista. E molto stupida.
Mi addormentai all’alba, decisa a fare qualcosa per lui. Ad aiutarlo ad alleviare le sue sofferenze.
Era un Mercoledì, il sole era tiepido e non scaldava già da qualche settimana; da quell’incontro con Lily erano passati solo dieci giorni. Avevo aspettato che Severus uscisse come un qualsiasi marito che si reca al lavoro, mi ero vestita e avevo preso il sacchetto di Metropolvere che usavo per i casi d’emergenza.
Mi ritrovai al Ministero in pochi attimi.
Mi registrai all’ufficio interno, lasciai che esaminassero la mia bacchetta, mi feci dare il cartellino con l’orrenda scritta Ospite e mi diressi vero i piani alti.
Girai per quasi un’ora cercando l’ufficio giusto. Quando lo trovai mi accolse una segretaria molto giovane, dai capelli castani chiari legati in uno stretto chignon.
- Lucius Malfoy è in ufficio?
La ragazza alzò gli occhi dal foglio che stava leggendo.
- Il signor Malfoy riceve solo su appuntamento…- mi disse con fare fin troppo arrogante per i miei gusti – e in questo momento è in riunione con il Ministro. Lei è?
- Alice Potter. – rispose per me una voce suadente provenire dall’entrata dell’ufficio.
Mi voltai sorridendo alla persona che era apparsa sulla soglia.
- Signor Malfoy.
- Va tutto bene Anya. – fece Lucius guardando la sua segretaria – Alice è una vecchia amica.
Lanciai uno sguardo vittorioso alla ragazza che, in fin dei conti, stava solo facendo il suo lavoro ed entrai nell’ufficio di Malfoy.
- Perdona la mia assistente. – mi disse lui chiudendo la porta alle sue spalle – Le ho dato ordine di non disturbarmi e di dire che sono in riunione con Caramell, così nessuno mi interrompe.
L’ufficio era sobrio, elegante.
- Perfino nel tuo ufficio dimostri a tutti quanto sei ricco, Malfoy. – dissi sedendomi sulla poltrona davanti alla scrivania.
- Lo prendo come un complimento. – sorrise lui – Gradisci qualcosa da bere?
- No, grazie. E’ solo una visita veloce.
Sorrise divertito versandosi del liquore nero in un calice di cristallo:
- Ora mi dirai che stavi passando per caso da queste parti?
- No, - sorrisi – sono venuta per vedere te.
- E cosa posso fare per un’ex compagna di scuola?
Feci un bel respiro, il sorriso sparì dalle mie labbra.
- Voglio che mi presenti.
Un sopracciglio biondo di Lucius si incurvò verso l’alto.
- A chi dovrei presentarti?
- Hai capito perfettamente a chi. – risposi calma come se gli avessi appena chiesto di indicarmi il bagno più vicino.
Il sorriso beffardo sparì immediatamente, assunse un’aria seria, quasi minacciosa, bevve un sorso e si sedette alla sua scrivania.
- Hai una bella faccia tosta a venirlo a dire qui. – disse con un filo di voce.
- Non vedo perché… tu qui ci lavori. O, almeno, fingi di lavorarci.
- Perché vorresti essere una di noi?
- Questa è una risposta che darò solo ad una persona. – risposi toccando appena un fermacarte che aveva la forma di una mano di scimmia.
Lucius rimase in silenzio per alcuni minuti osservandomi attentamente, al mano destra girava distrattamente il liquore nel bicchiere.
- Non credo che tu vada bene per il nostro club.
- Non sta a te deciderlo.
- Perché non lo chiedi a Regulus?
- Regulus non é nella posizione ideale per questo genere di cose.
- E perché credi che io lo sia?
- Perché tu sei un Malfoy. – sembravo molto tranquilla, come se quella fosse la risposta a tutte le domande del mondo.
- Potrebbe presentarti Severus.
- Severus non lo farebbe mai.
- E perché io dovrei?
- Perché tu hai qualcosa da perdere.
Appoggiò il calice alla scrivania, in un gesto molto raffinato:
- Illuminami… - disse suadente con un sorriso falso.
- Ricordo molto bene il modo in cui tu e Bellatrix vi guardavate alla tua festa di fidanzamento.
Il sorriso scivolò dalla sua faccia mentre si rizzava sulla sedia.
- Narcissa fingerà di non vedere perché ti ama, ma io miro a ben altro.
- Tu non…
- Io posso invece! Se non sbaglio mi è giunta voce che stai per diventare padre… - continuai fingendomi pensierosa – come potrebbe prendere la notizia la futura mammina?
- Non oserai…
- Oh si invece. – ribattei convinta.
Mi alzai decida ad andare fino in fondo. Era rischioso minacciare un Malfoy, lo sapevo fin troppo bene, ma dovevo farlo per Severus.
- Non hai prove. – fece Lucius alzandosi dalla sedia.
- Non mi servono. – risposi sicura di me – A noi donne basta solo il sospetto. E conosci bene tua moglie, sai come potrebbe reagire a questa insinuazione. Dicono che le donne incinte siano anche più aggressive… sai…- continuai divertita – per via degli ormoni…
Lo vidi socchiudere gli occhi minaccioso.
- Attenta Potter… - disse con lo stesso tono che usava a scuola – non mi piace quando qualcuno mi minaccia.
- E a me non piace quando non ho quello che voglio. – ribattei pronta – Fammi questo favore, Lucius e ti prometto che non mi ricorderò neppure che tua moglie ha una sorella.
- Potrei fermarti in questo momento. – mi minacciò prendendo la bacchetta.
- Sì, potresti…- risposi andando alla porta – ma non lo farai.
- Ne sei certa?
- Tu hai paura di Severus.
Lui non rispose, dando una muta conferma alle mie parole, sorrisi vittoriosa. Mi avvicinai la porta, avevo paura a dargli le spalle ma non potevo permettermi nessuna mossa sbagliata. Misi la mano sul pomello della porta e l’aprii leggermente.
- Aspetto presto tue notizie, Malfoy.
Non aspettai la sua risposta e uscii dall’ufficio, salutai con aria superiore quell’insulsa segretaria e mi avviai all’uscita del Ministero.
Arrivata a casa ricominciai a respirare normalmente.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Avevo ormai perso ogni speranza.
Iniziai seriamente a pensare che Lucius non mi avrebbe mai aiutato ad entrare nei Mangiamorte. Ogni volta che un gufo o un uccello qualsiasi volava vicino a casa nostra sobbalzavo nella speranza di riconoscere il messaggero di Casa Malfoy.
Nulla.
Forse aveva parlato con Severus e lui gli aveva intimato di non parlare di me al Signore Oscuro.
Ero demoralizzata. Credevo che il mio finto autocontrollo e la mia finta sicurezza bastavano per far capire a Lucius che facevo sul serio. Ma, probabilmente, non era bastato.
Nel frattempo Severus era sempre fuori casa, sempre più scosso da qualcosa che non voleva, o non poteva, raccontarmi.
Sempre più infelice.
Vederlo soffrire così, solo e in silenzio, escludendomi da quel mondo, mi faceva morire dentro. Pezzo dopo pezzo, minuto dopo minuto. Un dolore così radicato nelle profondità del mio animo che non potevo ignorare.
Piangevo di notte, quando ero sola in camera, spesso mi addormentavo con il viso ancora rigato dalle lacrime che non ero capace di controllare.
Una lugubre sera di pioggia fredda e battente Severus rientrò più presto del solito. Per un attimo fui spaventata dallo sguardo truce che mi lanciò prima di dirigersi silenzioso al bagno, ma poi tornai alle mie faccende immaginando che non ce l’avesse con me in particolare.
Mentre finivo di cucire un bottone sulla sua giacca nera lui entrò in cucina, indossava solo i pantaloni grigi del pigiama e si stava asciugando i capelli con una salvietta verde.
- Come mai così presto?. – chiesi tagliando il filo in eccesso con un colpo di bacchetta.
- Perché non lo fai con la magia?- ribatté ignorando completamente la mia domanda.
- Una volta qualcuno mi disse che è maleducazione rispondere ad una domanda con un’altra.
Rimase in silenzio osservando la mia mano che stava riordinando il materiale per il cucito.
- Non c’era più bisogno di me. – disse infine.
- Mi piace fare qualcosa alla Babbana ogni tanto. – sorrisi, rispondendo alla domanda come lui aveva fatto con la mia, sistemai la giacca sulla sedia vicina e mi alzai.
Mi sistemai davanti a lui cingendogli il collo con le braccia.
- Lucius ci ha invitati in ad una festa in maschera per la settimana prossima. - il mio stomaco fece una capriola, mi irrigidii qualche istante tra le sue braccia ma Severus non disse nulla - Non lo aveva mai fatto. – continuò sospettoso.
- Vorrà dire che sarà la nostra prima uscita ufficiale.
Tentavo di metterla su ridere, di non mostrare la mia angoscia ma Severus era bravo a distinguere ogni mio misero cambiamento.
Lui mi fissò senza dire una sola parola, la sua mano destra indugiava sul mio fianco mentre l’altra mi accarezzava distrattamente una ciocca di capelli.
- Non posso perderti. – sussurrò debole.
Chiusi gli occhi, sentivo che stavo per piangere: aveva capito i miei piani e sapevo che non mi avrebbe fermato.
- Non mi perderai. – risposi cercando di sorridere.
Sospirò chiudendo gli occhi, appoggiando la sua fronte ancora bagnata con la mia calda.
- Sì, invece.

***
Come al solito la sala per la festa era riccamente addobbata.
Eleganza e sobrietà: erano questi gli aggettivi che utilizzava spesso Narcissa Malfoy durante le conversazioni con in mano un calice pieno di succo di zucca: l’unica cosa che non le dava la nausea. Mostrava fiera la piccola pancia che si intravedeva sotto l’abito bianco con ricami d’oro, dicendo a tutti che aveva già scelto il nome per l’erede del marito.
Trovavo il nome Draco ridicolo e, alquanto, pomposo.
Io e Severus indossavamo due costumi simili e opposti nello stesso tempo; quando uscivo con Remus, lui mi prestava spesso qualche libro. Era appassionato di mitologia e storia antica, mi aveva prestato un tomo con varie leggende e storie d’amore tra Dei pagani e non. Una mi aveva colpito in modo particolare.
Parlava della Dea della Luna e del Dio Sole.
Due amanti uniti solo nei fugaci minuti in cui la luce e le tenebre si fondevano.
Avevo trovato quella storia commuovente ed estremamente romantica ma gli avvenimenti accaduti, dopo la mia rottura con Lupin, avevano sotterrato quella leggenda in un angolo remoto della mia memoria. Era riaffiorata quando avevo visto i costumi nella vetrina di un negozio a Diagon Alley. Erano perfetti per noi, avevo speso un patrimonio ma sapevo che ne sarebbe valsa la pena.
Severus era la mia luce e non avevo paura di urlarlo al mondo magico e babbano.
Entrammo nella sala addobbata a festa verso metà serata. Severus non amava le entrate trionfali e io non ci tenevo a passare tutta la serata con le mogli e le amanti dei miei ex compagni di classe.
Mi sentivo a disagio, un pesce fuor d’acqua ma tenevo duro.
Per lui.
Per Severus.
- Possiamo andarcene quando vuoi. – mi sussurrò al portone d’ingresso, poco prima di entrare – Anche ora… a Lucius posso tranquillamente mentire.
- Non a tutti puoi mentire. – gli risposi con voce calma anche se dentro tremavo come una foglia secca d’autunno.
- Nessuno ti costringe a farlo.
- Lo so.
Ero appartata con lui in un angolo dell’immensa sala, al centro alcune coppie ballavano sulle note di un gruppo musicale sconosciuto per la maggior parte degli inviatati.
Mentre bevevo il terzo bicchiere di vino elfico l’elegante padrone di casa si avvicinò a noi due. Indossava un vestito simile a quello della moglie, bianco, con ricami in oro, osservandolo bene ero giunta alla conclusione che i costumi richiamassero i pavoni bianchi che i Malfoy avevano nel parco.
- Sono felice che siate venuti. – ci accolse Lucius, i suoi occhi color ghiaccio brillavano dietro la mascherina dorata – Posso rubarti la tua compagna per un ballo, Severus?
Non spostai lo sguardo da Lucius, ma sentii chiaramente gli occhi di Severus posarsi su di me.
- Un ballo solo però… - rispose con ironia nella voce profonda – non uno di più.. potrei esser geloso, Lucius.
Malfoy ghignò come un leone che si lecca i baffi prima di fare l’agguato alla preda. Presi la mano che mi porgeva e mi lasciai condurre fino al centro della sala dove mi mise una mano sul fianco iniziando a muoversi lentamente.
Io lo seguivo senza mai staccare gli occhi di suoi.
- Quando avremo finito. – mi disse con un sibilo – Vai in biblioteca.
Annuii solamente e spostai lo sguardo oltre la sua spalla alla ricerca di Severus. Non si era mosso, alcune persone mascherate che non riconoscevo gli erano andati vicino e stavano parlando pacatamente. Lui cercava di seguire il discorso ma ogni pausa era una scusa per lanciare un’occhiata a me mentre ballavo con Lucius.
Il ballo fu più breve del previsto, o forse ero così agitata che non mi ero resa conto del tempo che passava.
Lucius mi condusse fino alla biblioteca, aprì la porta e mi fece entrare. La richiuse alle mie spalle lasciandomi sola in quella vasta sala. Mi guardai attorno per quanto la luce fioca delle candele me lo permettesse, le librerie erano alte, cariche di libri, non riuscivo a vederne la cima, l’oscurità le inghiottiva verso la metà. Al centro c’era un lungo tavolo di legno lucido, molto probabilmente antico e prezioso, tre candelabri a sei braccia erano posizionati lungo il mobile così da illuminare parte del legno. C’era un camino spento sovrastato da un grande specchio, i bordi in argento erano stati lavorati in modo tale da formare due serpenti intrecciati. Per molti sarebbe stato un oggetto d’arredamento inquietante ma per una ragazza che aveva passato svariati anni in casa Black era solo uno specchio come tanti.
Le finestre erano in fondo alla biblioteca, le spesse tende rosse erano state legate ai lati permettendo alla luce della luna di filtrare e illuminare un poco il pavimento di pietra. Mi tolsi la maschera appoggiandola sul tavolo e mi avviai verso la prima libreria, non sapevo cosa sarebbe successo, forse era solo uno scherzo di pessimo gusto. Il cuore mi batteva all’impazzata ma cercavo in tutti i modi di tenere un contegno dignitoso e di non sembrare nervosa. Sfiorai le copertine rigide di pelle con un dito mentre sussurravo i titoli come una lenta litania.
Presi un libro a caso, non sapevo quanto dovevo restare in quella stanza e volevo sembrare il più tranquilla ed indifferente possibile.
Nel silenzio sentivo il mio cuore rimbombare in petto e nella testa.
Aprii il tomo ad una pagina qualsiasi, non vedevo le parole ma solo segni. La mia mente si rifiutava di assimilare qualunque tipo di notizia e i miei sensi erano tesi, all’erta.
C’era qualcuno o qualcosa in quella stanza. Potevo percepirlo ma non riuscivo a vederlo, questo mi rendeva inquieta anche se facevo di tutto per non darlo a vedere. Mentre fingevo di leggere quelle che mi sembravano rune, uno spiffero gelido mi sfiorò la schiena. Mi voltai di scatto verso le finestre, uno dei vetri era aperto, la tenda era stata tolta dal suo nastro e svolazzava sotto il vento freddo. Stringendo il libro al petto, come se potesse farmi da scudo, mi avvicinai alla finestra. Osservai il parco attorno al castello; non c’era nessuno, vedevo la luce della sala di sotto filtrare dai vetri colorati, la musica giungeva bassa alle mie orecchie. Ma non c’era nessuno.
- Sono paranoica…- mormorai cercando di convincermene – non c’è nessuno. Deve esser stato il vento a farla aprire…
Con una mano tenni il libro mentre con l’altra chiusi la finestra, quando alzai lo sguardo sul vetro il libro mi scivolò di mano, cadendo a terra e producendo un suono secco che rimbombò per la biblioteca deserta.
Due fessure rosse mi fissavano alle mie spalle.
Sentivo il mio corpo tremare.
Era Lui.
La luce della luna rendeva la sua pelle ancora più bianca, i suoi occhi ancora più rossi.
Deglutii cercando di darmi forza, cercando di non scappare via urlando, cercando di non pensare a nulla.
Ne avevo sentito parlare a lungo, lo avevano descritto ma non l’avevo mai visto così da vicino.
Chiusi la finestra e mi voltai lentamente, incrociai per pochi attimi i suoi occhi, abbassai lo sguardo e chinai il capo in segno di rispetto e ubbidienza.
La sua tonaca nera, come la notte che mi circondava, sfiorava il pavimento grigio. Il suo respiro era basso, regolare, mi scrutava dall’alto, sentivo i suoi occhi su di me. Era come esser nuda, mi leggeva l’anima e io ringraziai Severus per avermi insegnato le basi dell’Occlumanzia. Non avevo molto da nascondere a dire il vero, ma avrei preferito che certi pensieri restassero solo miei.
- Lucius mi ha informato che volevi vedermi. – la sua voce era un sibilo raccapricciante.
Era come il metallo che strideva. Un brivido mi percorse la schiena. Annuì solamente senza osare alzare lo sguardo.
- Puoi parlare…- continuò lui mettendomi due dita bianche sotto il mento e alzando il mio viso.
Senza dire una sola parola feci quello che mi ordinava solo con un gesto, osservai il suo viso mentre lui analizzava il mio. Il suo volto era come quello di un morto, mia madre aveva la stessa espressione prima di morire, gli occhi fiammeggiavano, le pupille erano verticali, il naso quasi del tutto piatto. Non c’era nulla di umano in lui.
- Ci incontriamo sempre in una biblioteca, Alice Potter. – sibilò togliendo le dita da sotto il mio mento.
Aprii appena la bocca stupita, quell’uomo in biblioteca era così diverso dall’essere che avevo davanti agli occhi in quel momento. Del bel mago che mi aveva spaventato quella sera a Hogwarts non era rimasto nulla.
- E come sempre io non la sento arrivare.
Non so dove trovai il coraggio di rispondere, ma lo feci. Molto probabilmente in un attimo di follia. Mi mordicchiai un labbro ma non abbassai lo sguardo, i suoi occhi rossi erano rimasti, comunque, magnetici e penetranti.
- Ti avevo già spiegato che ho il passo leggero.
Annuì solamente.
- Hai trovato la tua strada in questi anni? – sembrava annoiato dalla domanda, forse era solo un modo per allungare quella tortura psicologica.
Scossi li capo.
- Speravo di trovarla qui…- risposi – con Voi.
- Molti sperano di trovare la propria strada con me. – mi rispose allontanandosi e voltandosi verso gli scaffali – Ma non tutti sono pronti o sono le persone… giuste. – l’ultima parola la disse in modo minaccioso.
- So quali sono i requisiti che desiderate… Mio Signore. Io li possiedo tutti.
- Non è il tuo sangue che mi crea qualche problema… - fece Lui senza guardami continuando ad osservare i libri ma non vedendoli veramente – ma il tuo cognome.
Mi aspettavo qualcosa del genere.
- Il mio cognome è solo un fardello che porto da quando sono nata. Avere lo stesso nome di mio padre e di mio fratello non fa di me un’alleata di Silente o di quello che lui definisce Ordine della Fenice.
La risposta era pronta sulle labbra, in fondo non era così difficile da dire. Anche dopo anni il mio pensiero su Silente e la mia famiglia era rimasto lo stesso.
- Questo non può che farmi piacere, Alice. – il mio nome sulle sua labbra sembrava quasi un insulto – Ma non posso fidarmi solo sulla tua parola… i traditori sono ovunque.
Feci un passo verso di lui.
- Farò quello che volete, Padrone. Ordinate… e io eseguirò.
Si voltò di nuovo verso di me. Indietreggiai spaventata da quel gesto così repentino ed inaspettato, prese la sua bacchetta dall’interno di una delle maniche del mantello e io resistetti all’impulso di prendere la mia.
La mosse velocemente e una torcia si accese in un angolo.
Se credevo che la presenza che sentivo era causata dall’Oscuro dovetti ricredermi quando vidi quello che c’era in quell’angolo.
Un uomo, emaciato, sudicio, la tunica dorata era strappata in più punti, logora, sporca di sangue e altre sostanze che non desideravo conoscere. Era legato da funi invisibili, apparentemente privo di sensi.
- E’ un Auror… - mormorai più a me stessa che a Lui.
- Avvicinati. – ordinò.
Feci come mi era stato ordinato senza mai staccare gli occhi da quel mucchio si stracci che stava in quell’angolo.
Mi chiesi da quanto Malfoy lo teneva prigioniero.
Un altro colpo di bacchetta del mago e il prigioniero aprì gli occhi di scatto, si mosse cercando di liberarsi, quando vide Lord Voldemort iniziò a tremare, una macchia scura si ingrandì all’altezza dell’inguine, qualcosa di bagnato inzuppò le sue scarpe. Sentii il mago accanto a me sogghignare soddisfatto.
- Non ci sono più i maghi di una volta. – disse ma ero certa che non stesse parlando a me – Ti presento Jonny Davies, uno dei nuovi Auror del Ministero. Il signor Davies ha portato in salvo diverse famiglie di babbani nell’ultimo periodo. Proteggendoli come se fossero persone come noi. Suo padre è un babbano e ci stiamo chiedendo come abbiano fatto al Ministero ad accettare un Sanguemarcio tra i protettori dei maghi.
- Cosa devo farne di lui?- domandai con la gola arsa.
Aspettai la risposta come un condannato che aspetta di sentire la data dell’esecuzione.
- Uccidilo.
Un sibilo solo.
Presi la bacchetta che avevo appuntato in una taschina laterale della gonna. Il giovane mago mi guardava solo con un occhio, l’altro era gonfio e tumefatto, completamente chiuso. Ma quell’unico occhio spalancato era lucido, piangeva e cercava di supplicare ma un incantesimo aveva bloccato la sua voce rendendolo muto. Mi ripetevo che lo facevo per Severus, per stargli accanto, per aiutarlo a superare l’orrore che vedeva, il dolore che provava.
Lo stesso orrore che vedevo io in quel momento.
Lo stesso dolore che provavo.
Puntai la bacchetta.
Il mio cuore batteva all’impazzata, sentivo la mano sudare e la gola ardere secca. Averi voluto piangere per lui. Ma resistetti, rimasi ferma nella mia posizione, apparentemente priva di qualsiasi sentimento.
L’unica cosa che potevo fare era dargli una dipartita veloce e indolore.
L’unica cosa che potevo fare.
- Avada Kedava!
Il lampo verde illuminò la stanza per un breve e lunghissimo attimo.
L’Auror si accasciò a terra, l’occhio sano, ormai vuoto e spento, fissava la torcia sopra la sua testa. Le fiamme creavano giochi di luce inquietanti sul suo viso scavato e pallido.
Rimisi la bacchetta al suo posto e mi voltai verso di Lui.
Dentro tremavo, fuori sembravo fatta di pietra.
L’Oscuro mi fissava, sembrava compiaciuto.
- Speravo che ti divertissi un po’ con lui.
- Alla prossima occasione…- promisi disgustandomi da sola.
- Questo ti rende una persona… cattiva…- continuò ricordando il discorso di diversi anni prima.
- Una sera, - risposi sicura – un mago mi disse che non esistono persone buone o cattive. Ma esiste solo la magia e le persone che posso usare il potere della magia. Le altre devono solo sottomettersi a questo potere.
Gli angoli della sua bocca serpentina si incurvarono verso l’alto in quello che doveva essere il massimo del suo sorriso.
- Dammi il braccio, Alice.
Feci come mi era stato ordinato e allungai il braccio sinistro. Con una mano mi alzò la manica del costume, il contatto con la sua pelle fredda e liscia mi fece girare la testa disgustata ma resistetti e chiusi occhi come se fossi stata grata per il grande dono che stavo per ricevere.
Sentii la punta della sua bacchetta sul mio avambraccio e immediatamente un bruciore sulla pelle. Era come se qualcuno mi avesse messo un tizzone ardente sul braccio, mugugnai appena mentre aprivo gli occhi. Il teschio stava prendendo forma sulla mia pelle marchiandola per il resto della vita. Poi il teschio aprì la bocca e vomitò il serpente. Il bruciore fu sostituito da un gelo insopportabile. Non era solo superficiale ma entrava nella carne, nelle ossa, era come se il mio intero corpo e la mia anima fossero state avvolte dalle spire di quel serpente.
Volevo urlare.
Poi tutto finì.
Sollevò la punta della bacchetta.
Io fissai ancora il mio braccio per sempre Marchiato, poi alzai lo sguardo su di Lui.
- Grazie Padrone.
- Ora vai…- disse sbrigativo, annoiato quasi – i tuoi fratelli e le tue sorelle ti aspettano. Vorranno festeggiare.
- Sì…- risposi ubbidiente chinando il capo – Mio Signore.
- Attenta Alice…- mi richiamò prima che io uscissi dalla biblioteca – il Signore Oscuro è generoso per con i suoi fedeli servitori, ma crudele con chi lo vuole tradire.
Non risposi, mi mancava l’aria nei polmoni e non avevo le forze per dire qualcosa, mi limitai ad annuire.
Mi dileguai in fretta. Non volevo restare in quel posto, appena chiusi la porta alle mie spalle mi appoggiai al muro stringendo il braccio dolorante al petto. I miei occhi si inumidirono nell’istante in cui il mio cervello ricordò quello che avevo appena fatto.
Avevo appena ucciso un uomo la cui unica colpa era quella di esser stato caritatevole verso i babbani e di esser nato da uno di loro.
- Sarai contento papà…- sibilai acida, faticavo a parlare per via del groppo in gola che avevo – ora sono proprio quello che tu hai sempre odiato.
Chiusi gli occhi ma il raggio verde che era uscito dalla bacchetta mi lampeggiò dietro le palpebre serrate, le orecchie sentirono di nuovo il tonfo sordo che quel mago aveva fatto quando aveva toccato il pavimento morto per mano mio.
Cercai di soffocare un conato con la mano ma vomitai parte del vino elfico che avevo bevuto.
Caddi in ginocchio, con la mano sporca ancora premuta sulla bocca.
- Alice! – Severus stava correndo verso di me – Alice…- si inginocchiò, mi mise le mani sulle spalle – stai male?
Appoggiai entrambe le mani sul tappeto che ricopriva il pavimento del corridoio e chiusi gli occhi, due grosse lacrime scesero dai miei occhi.
- Ho appena ucciso un uomo… - mormorai con la voce rotta dai singhiozzi.
Non disse una sola parola, sentii la sua presa stringersi sulle mie spalle, si issò aiutandomi poi ad alzarmi.
- Non puoi stare qui. – aprì la prima porta aperta che trovò: era una delle tante stanze degli ospiti del castello.
Prese il lavamano di ceramica posto accanto al mobile da toilette e mi fece sedere sul letto mettendomi il lavabo in mano.
Vomitai tutto quello che avevo mangiato in quella giornata.
Lui rimase accanto a me, mi sorreggeva i capelli.
- Andrà tutto bene…- tentò di tranquillizzarmi ma sapevo che era una bugia.
Mentre continuavo a vomitare i miei pensieri andavano all’Auror che avevo ucciso.
Jonny Davies la mia prima vittima.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***



Fissavo il muro tappezzato di ritagli di giornale.
La stanza non era molto grande, dall’unica finestra penetravano i raggi del sole caldo di Giugno facendo brillare i tendaggi smeraldo e argento sparsi per tutta la camera.
Ero sdraiata sul fianco, le braccia sotto il cuscino, gli occhi gonfi e arrossati fissi sull’unica fotografia tra gli articoli che parlavano solo dell’Oscuro Signore.
Regulus era sparito da settimane.
Tutti sapevamo che era morto, tra le file dei Mangiamorte si vociferava che volesse andarsene, che era stufo dei crimini in nome di una guerra che iniziava a non avere un senso.
Un affronto che il Signore Oscuro non aveva perdonato.
Fu Severus a darmi la notizia. Ero distrutta. Era il mio migliore amico. Mi aveva accolto in casa sua, mi aveva aiutato a superare gli anni ad Hogwarts. Mi aveva fatto ridere quando nulla attorno a me era divertente.
Anche se non lo vedevo da diversi mesi, lo sentivo sempre vicino. Sapevo che, se avessi avuto dei problemi, lui sarebbe corso a risolverli insieme a me.
Brenda era scappata dopo il diploma. Lei non voleva partecipare alla guerra, aveva fatto i bagagli ed era partita con la sua famiglia senza dire nulla a nessuno.
Avevo pianto molto per quella perdita. L’ennesima perdita.
Ormai non distinguevo più le mie mani sotto il sangue che le ricopriva. Avevo ucciso ancora, più di una volta. Molti erano solo volti indistinti nei miei incubi, di alcuni non conoscevo neppure il loro nome.
Cercavo di dargli una morte veloce, soprattutto se, prima di me, erano passati Bellatrix e suo marito. A volte Lui assisteva, divertendosi, godendo alla vista del sangue indegno che bagnava il pavimento delle segrete del castello di Lucius. In quei casi non potevo fare nulla.
Avevo torturato.
Avevo pugnalato.
Avevo riso delle suppliche.
Avevo mischiato le lacrime dei prigionieri con i miei sputi.
Non dormivo più. Mangiavo appena, avevo continue nausee, gli specchi nella nostra casa erano stati tutti infranti un pomeriggio durante un mio attacco isterico. Mi disgustava la mia immagine. Mi disgustava quello che facevo. Quello che vedevo. Quello che ero diventata.
Per quanti mi ripetessi che lo facevo solo per lui, non riuscivo a darmi pace. Ed ogni omicidio era una macigno sul mio cuore e su quello di Severus.
Lui non stava meglio di me. Ci aiutavamo a vicenda, ci sostenevamo l’un l’altra. Era l’unica persona che volevo accanto.
Ma quel pomeriggio avrei voluto anche Regulus accanto a me.
Osservavo da minuti, ma potevano essere benissimo ore, la foto di scuola che aveva appeso al muro. Lui era nel mezzo, indossava la divisa dei Cercatori, aveva i capelli spettinati, il viso sorridente. Era il suo terzo anno. Mi salutava con la mano.
- Sei uno stupido Regulus…- mormorai con la voce rotta alla foto – non dovevi farlo… non dovevi correre questo rischio.
La signora Black piangeva nella sua stanza, si sentivano i lamenti dall’altra parte del lungo corridoio del secondo piano. Il marito restava in soggiorno, seduto sulla poltrona a fissare il vuoto.
Quando lo vidi mi sentii male: per qualche istante rividi mio padre in quella stessa situazione.
Non mi rivolsero la parola, volevo stare vicino alle persone che più si avvicinavano a dei genitori nella mia vita. Ma il dolore era troppo grande e non potevo sostituire la figura del figlio perduto. Probabilmente non mi avevano neppure visto aggirarmi per la casa.
Così mi rinchiusi nella camera di Regulus. Mi sdraiai sul letto, i primi tempi che passai a casa Black lo facevo spesso. Sgattaiolavo di notte nella sua camera e mi infilavo sotto le coperte con lui. Non c’era malizia in quel gesto, lo amavo come se fosse stato mio fratello. Anzi lo amavo più che mio fratello.
Regulus fu la mia ancora di salvezza per diverso tempo.
Cercai di dormire, volevo immaginare di nuovo il suo corpo lì con me, volevo sentire le sue braccia stringermi mentre mi diceva che andava tutto bene, mentre mi consolava quando mia madre era morta.
Non presi sonno. I fantasmi del passato e del presente mi inquietavano in ogni istante.
Quando il sole iniziò a calare sentii la porta aprirsi e dei passi attutiti dalla moquette. Il materasso si abbassò un poco: qualcuno si era seduto accanto a me.
Io continuavo a fissare la foto di quello che per me era un fratello.
Una mano fredda si posò sulla mia spalla.
- Perché?- sibilai chiudendo gli occhi, le lacrime erano finite da un pezzo.
- Non lo so.
Restammo in silenzio.
Regulus spostò la scopa sull’altra spalla.
- Alice… ho scoperto qualcosa…
- Riguardo Regulus? – una flebile speranza, una luce in quel lungo tunnel nero.
- No. – mi accarezzò la nuca dolcemente, le tenebre erano calate di nuovo avvolgendo il mio animo turbato – Ho sentito un discorso strano… credo che fosse una profezia.
Continuai a restare in silenzio.
- Sospetto che riguardi tuo nipote.
Ero zia da qualche mese.
James e Lily avevano avuto la brillante idea di avere un figlio durante una guerra. Per me era sembrata una cosa stupida e molto pericolosa.
Harry James Potter era venuto alla luce in un mondo che grondava sangue.
Quel povero bambino non solo aveva la disgrazia d’avere mio fratello come padre, ma portava perfino il suo stesso nome.
- Quello non è mio nipote. – risposi acida movendomi appena, ma non voltandomi – Te l’ho già detto.
Sospirò infastidito, ma non mi rimproverò come faceva ogni volta che affrontavamo il discorso.
- Alice… io… io credo che voglia uccidere il bambino… forse anche tuo fratello e Lily.
Chiusi gli occhi, ero stufa di quel dolore.
Ero stufa di quella vita.
- Cosa vuoi fare?
- Voglio dirlo a Silente.
Non c’era incertezza nella sua voce.
- Vuoi tradire? – il mio tono non era cambiato, apatico e piatto.
Rimase in silenzio qualche momento, la mano che mi accarezzava i capelli tremò qualche istante.
- Sì.
Aprii gli occhi, Regulus sorrideva, aveva lasciato la scopa a terra, annuiva.
Osservai ancora Regulus nella foto e poi mi voltai.
Kreaker passò nel corridoio, piagnucolava qualcosa di incomprensibile, in mano teneva un martello. Io ero troppo presa dai miei pensieri per chiedermi cosa ci facesse quel relitto di elfo con un martello in mano.
Tradire Silente… andare contro l’Oscuro.
Alzai lo sguardo e mi persi in quel mare di pece.
- Va bene, Severus.

***
La casa era semidistrutta.
Mi aggiravo tra quelli che dovevano essere i resti della camera del bambino.
Eravamo arrivati tardi.
James.
Lily.
Morti.
Il bambino era sopravvissuto e nessuno riusciva a capire come un bambino di un anno potesse distruggere un mago potente come il Signore Oscuro il cui solo nome poteva incutere terrore.
Scavalcai un pezzo di muro, si vedevano dei brandelli di carta da parati azzurra con quello che doveva essere il disegno di una scopa da corsa.
Schiacciai con gli stivali un pupazzetto di peluche che si mise a suonare.
Arrivai alle scale.
Il corpo era stato portato via da poco.
Io non l’avevo visto, non avevo voluto.
Come non avevo voluto vedere il bambino.
Mio nipote.
Fissavo gli scalini dove, fino a poche ore prima, era disteso il corpo esanime di James Potter. Non avevo bisogno di vedere il suo corpo, potevo immaginare benissimo la sua espressione. Il volto pallido, gli occhi vitrei e spalancati sul soffitto, la bocca ancora semiaperta, il nome della moglie sulle labbra, gli occhiali storti sul naso, i capelli sempre maledettamente spettinati.
Lo vedevo molto bene.
Non avevo lacrime per lui. Non avevo lacrime neppure per sua moglie o per quel bambino che non aveva più i genitori.
Ma ero triste.
Non avevo più nessuno. Ero rimasta sola. Severus si era sentito in colpa per la profezia che aveva riferito all’Oscuro. Era come se li avesse condannati lui a morte. Lily. La sua Lily.
Mi sentivo la ruota di scorta.
Quella venuta dopo.
Lo scarto.
L’ultima spiaggia.
La rabbia si impadronì di me.
Era colpa Sua se tutto questo era successo.
Se io ero cresciuta nell’odio della mia famiglia.
Se avevo perso tutto.
Se mi ero dannata.
Se ero un mostro.
Se l’uomo che amavo non riusciva neppure a guardarmi in faccia senza che il rimorso si impadronisse di lui.
Era colpa Sua.
Strinsi i pugni e gridai nella notte. Gridai tutta la mia rabbia, tutto il mio odio, tutta la mia tristezza e il mio dolore.
Urlai fino a quando la gola non mi fece male.
Fino a quando non mi restò neppure un filo d’aria nei polmoni.
Fino a quando la testa non iniziò a girarmi per la mancanza d’ossigeno.
Mi sedetti su quello che restava della scala che portava al piano superiore. Misi la testa tra le mani e chiusi gli occhi.
- Non doveva ancora così… - mormorai alla casa vuota – non doveva succedere questo.
Un crac mi fece scattare in piedi con la bacchetta in mano. Pronta per combattere. Pronta anche per morire.
La figura avanzò veloce verso di me. Quando vidi il suo volto, abbassai il braccio.
- Non dovresti essere qui. – mi rimproverò duro – Gli Auror potrebbero arrivare, devono porre degli incantesimi alla casa. Un Mangiamorte non credo che sia ben visto.
- Dove vuole che vada, Silente? – gli domandai ironica – A casa mia? Con Severus che piange per la morte di Lily?
Ero arrabbiata con il mondo.
Il vecchio mago si avvicinò a me, sembrava che avesse perso gli ultimi dieci anni di vita solo in quella lunga notte.
- Dobbiamo parlare. – fece sbrigativo frugando in un tasca della sua tunica color verde marcio – Prendi, ti porterà in un posto sicuro. Aspetta lì il mio arrivo e poi potremmo discutere.
Mi porse una lattina ammaccata e arrugginita.
La presi e fui catapultata in un luogo che io conoscevo molto bene.
Un posto che avevo visto diverse volte.
Sempre contro la mia volontà.
Mi aggirai un po’ per la stanza circolare. I rumori erano sempre quelli, ticchettii, sbuffi, il monotono russare dei presidi precedenti, Fanny che beccava un osso di seppia dal suo trespolo d’oro.
C’era solo un oggetto che non riconobbi all’istante. Un oggetto che non doveva esser lì, in quello studio.
Era un mantello, appoggiato sulla sedia davanti alla scrivania del Preside. Mi avvicinai, come se mi avesse chiamando.
- Lo riconosci?
Non mi spaventai quella volta. Dopo aver visto gente morire, dopo aver ucciso, nulla mi spaventava più.
- Era di mio padre. – risposi facendo scorrere la stoffa perfetta tra le dita – Perché ce l’ha lei?
- Avevo chiesto a James di prestarmelo… - rispose – credo che ora sia tuo.
Scossi il capo e lo rimisi dove l’avevo trovato.
- Lo tenga pure. Lo dia al ragazzo quando crescerà.
Per me era solo il ragazzo, non Harry.
Andai alla finestra. Il parco di Hogwarts non era mutato. Nulla mutava in quella scuola. Una fitta di malinconia mi colpì alla bocca dello stomaco. Poteva sembrare assurdo, ma quelli erano stati gli anni più felici della mia vita.
- Potresti darglielo tu… - mi suggerì Albus - i Babbani con cui lo abbiamo lasciato non saranno buoni con lui. Tu sei la sua famiglia.
- No, invece. – ribattei appoggiando la fronte al vetro – Un giorno quel bambino saprà che aveva una zia. Una zia Mangiamorte, una zia che uccideva e torturava, una zia che si è macchiata le mani di sangue. – sospirai appannando il vetro - Io non vorrei mai una zia così. Non sarò mai parte della sua famiglia Silente… ed è giusto così. – con un dito pulii la finestra dalla condensa che si era formata - Sirius?
Ci fu un attimo di silenzio, poi vidi l’immagine del Preside alle mie spalle.
- Crediamo che sia stato lui a tradire James e Lily. – mi rispose con voce grave.
Mi voltai di scatto, gli occhi sgranati.
- No… non è possibile…
- James mi ha detto che era il loro Custode Segreto. L’unico che poteva dire a Voldemort…
- NON DICA QUEL NOME! – gridai tappandomi le orecchie.
Una Mangiamorte… lo ero sul serio… sentire quel nome era come sentire lo stridio delle unghie sulla lavagna.
Silente alzò una mano cercando di scusarsi.
- E’ stato catturato…- continuò – questa notte… ha ucciso Peter.
Aggrottai la fronte dubbiosa.
Sirius… così fiero di appartenere alla Casa di Godric aveva tradito il suo migliore amico. Un degno comportamento da Serpeverde.
- Non ci credo… - dissi – Sirius non farebbe mai una cosa del genere.
- Pare che abbia confessato, Alice… - sospirò Silente deluso – poco dopo aver colpito Peter.
- Allora il ragazzo resterà dov’è. Forse crescere lontano da questo mondo marcio gli farà bene.
- Ma questo è il suo posto.
- Forse… ma, di sicuro, non è accanto a me.
Tornai a voltarmi verso la finestra, in cielo si vedeva qualche stella solitaria.
- Lei lo sa che non è morto vero? - domandai all’improvviso – L’Oscuro non è morto…
- Sì, lo so.
- Cosa intende fare?
- Nulla al momento. Se è ancora vivo è troppo debole per poter affrontare di nuovo una guerra. Noi, nel frattempo, possiamo rafforzare le difese. Anche se sarà difficile convincere il Ministro che la guerra non è finita ma solo temporaneamente sospesa.
Non risposi. Fissai la mia immagine allo specchio.
Sembravo un Infero.
- Severus resterà a scuola. – mi riferì Silente – Insegnerà Pozioni.
Feci un mezzo sorriso.
- Credevo che le avrebbe chiesto la cattedra di Difesa Contro le Arto Oscure.
- L’ha fatto. - confermò – Ma credo che, per il momento, Pozioni sia l’ideale per lui. –osservò il mio viso riflesso sul vetro - Anche tu puoi restare.
- No, grazie. – risposi immediatamente.
- Credevo che volessi restargli accanto.
Con due dita mi sfiorai l’avambraccio sinistro.
- Dobbiamo separarci… almeno per un po’…
- Vuoi andare a salutarlo?
- No.
- Che cos’hai intenzione di fare?

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Capitolo 19
*** Epilogo ***


Epilogo

- Che cos’hai intenzione di fare? – la voce arrivava alle sue spalle.
La donna non gli diede retta e continuò a versare quello che sembrava liquido azzurro dentro una bocchetta. Alzò gli occhi dalla boccetta osservando quello stupido ufficio circolare.
L’aveva odiato in diverse occasioni.
Si sentiva ancora quella ragazzina undicenne che aveva osservato il padre furioso mentre gli vomitava addosso tutte quelle cattiverie. Oppure la ragazza arrabbiata che non era andata al funerale del padre. O la donna triste che voleva solo andarsene dalla guerra e dal sangue che aveva versato.
C’erano mille se stesse in quel maledetto studio circolare.
Guardò di nuovo la fiala. Chiusa tra quella pareti di vetro c’è la sua vita, la sua intera vita.
L’aveva rivista tutta in quegli attimi… mentre il filamento argenteo usciva dalla tempia.
- Alice… cosa stai facendo?
- Zitto! – sibilò la donna crudele – Zitto… zitto… vecchio… stai zitto una buona volta!
Dal parco arrivavano delle voci.
- Non puoi farlo!
Con un moto di stizza Alice si voltò.
- Non posso? Non posso? – quasi gridò – Sono stufa di prendere ordini da te, Albus! Sono stufa!
Gli occhi azzurri del dipinto la fissarono duri.
- Severus ha la sua missione.
- No, - rispose puntando la bacchetta contro il quadro – Severus scapperà con me… verrà via con me… Non può farlo! Non può! Gli hai rovinato la vita, per anni si è distrutto l’anima con i tuoi ordini e le tue missioni. Tu non sai cosa sta vivendo.
- Scappare non è la soluzione, lo sai.
- Non resterò qui di nuovo. – rispose la donna – Non combatterò questa guerra. Né come Mangiamorte, né come tua spia o qualsiasi altra cosa volevi farmi fare. Non questa volta Silente! Io e Severus ne siamo fuori!
- No, invece.
La risposta non era arrivata dal quadro del Preside, ma da qualcuno che aveva appena varcato la soglia.
- Neppure tu mi fermerai. – lo minacciò la donna – Qui ci sono i miei ricordi. – disse prendendo la fiala – La lascerò qui… tutti la vedranno… sapranno la verità.
- No. – rispose Severus facendo un passo avanti.
- Perché?- domandò Alice con le lacrime agli occhi – Perché la fai? Per Harry? Per redimerti? – lo fissò duramente e poi gli urlò quella domanda che si era posta da troppi anni - O per Lily? Lo fai per lei? Per il tuo grande amore perduto?
La raggiunse con due falcate, le sue mani le accarezzarono le guance.
Per una volta il suo tocco non è freddo.
- Lo faccio per noi due…- le disse tenero, le rughe sulla sua fronte sembravano più marcate – se non andiamo avanti con il piano di Albus non saremo mai liberi, Alice.
La donna scosse un poco il capo.
- Sono stanca di esser quella diversa. Sono stanca di lottare per qualcosa in cui non ho mai creduto… sono così stanca Severus.
- Lo so.
Alice strinse la giacca del mago vestito di nero.
- Scappiamo via… io e te… soli… possiamo ancora ricominciare.
- E’ tardi.
Lo sapeva anche lei, lo aveva sempre saputo, ma aveva sperato di non arrivare mai a quel punto.
- Non ne usciremo vivi… - sussurrò mentre le lacrime scendevano dai suoi occhi.
Il mago le prese le mani baciandole piano la punta delle dita.
- Ha importanza morire se siamo insieme? - Lei chiuse gli occhi mentre le labbra del suo uomo si appoggiavano veloci sulle sue. - Ha importanza, Alice? – ripeté.
- No… - rispose la strega con un filo di voce accarezzando il viso dell’uomo – no… basta stare insieme… nella vita o nella morte.
- Severus… - li interruppe Silente alle loro spalle – il mio funerale è quasi finito.
Il mago annuì e prese la boccetta con i ricordi della donna, infilandosela nella tasca della tunica.
- Ci vedremo presto Severus.
- Certo Albus.
I due uscirono dall’ufficio e si diressero verso uno dei passaggi segreti che portavano ad Hogsamede.
Il villaggio era deserto. Tutti stavano rendendo omaggio a Silente.
Si voltarono a guardare il profilo del castello in lontananza, il sole splendeva rosso dietro il maniero facendo brillare la pietra con cui era costruito.
Lei gli prese la mano.
- Sempre insieme, Severus?
Lui gliela strinse un poco.
- Sempre.
Si allontanarono nel crepuscolo.
Dietro di loro, il sole formava delle lunghe ombre di sangue.

Fine


Piccole note dell'autrice...
Ho postato altre due one shot che parlano di Alice e Severus.
Una si intitola “Le due maschere”
L’altra “Morte”
Grazie per aver letto fino a qui, per aver commentato e per avermi sostenuto!
Grazie veramente di cuore!
Elena

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