Atsui

di KayaBKJR_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Mi chiamo Atsui. ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - occhi rossi ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - Non sono più nulla. ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Mi chiamo Atsui. ***


CAPITOLO I - MI CHIAMO ATSUI


Quando arrivò la neve, come al solito mi catapultai fuori, senza mettermi nemmeno qualcosa di più pesante addosso.
Il mio respiro affannato si trasformò subito in condensa, appena aprii la porta di casa, creando una simpatica nuvoletta bianca.
-Atsui! Mettiti qualcosa addosso, o ti prenderai un malanno serio!- urlò mia madre, tendendomi un maglione e un giubbotto pesante. Infilai al volo il maglione sopra quello che già avevo, ma rifiutai il giubbotto.
-grazie, sto bene così!- dissi correndo verso il giardino ed infilandomi al volo le galoscie di gomma vista la parecchia neve, alta e senz’altro morbida.
Non c’era niente di più bello della neve.
Quel bianco inebriante, che risplendeva purezza da ogni centimetro esposto al sole, quel profumo di pulito, che risultava freddo anche alle narici, e quella morbidezza. Paragonabile a null’altro.
E poi con la neve era tutto più dannatamente silenzioso. Dannatamente più bello.
 
Mi chiamo Atsui, e il mio nome significa “caldo”, ma non ha nulla a che vedere con me.
Io amo il freddo e la solitudine.
Mi piace osservare la natura e il corso degli eventi senza interferire... distaccato. Freddo come la neve.
Mi rapporto faticosamente con la gente, anzi, sarebbe più corretto dire che non mi rapporto e basta.
Diciamo pure, tanto per infierire, che non ne ero capace, e che invidiavo parecchio quelli che non facevano in tempo ad entrare in qualche posto che già erano subito amici di tutti.
A dire il vero, anche se può sembrare deplorevole, invidiavo anche quelli presi di mira dai bulli.
Almeno erano considerati, in un modo o nell’altro.
Io ero il nulla. La gente non perdeva tempo con me nemmeno per prendermi per il culo, figurati per altro, cose come una chiacchierata o due passi.
Ammetto di aver provato qualche volta ad avvicinarmi per primo, ma ottenevo sempre risposte secche e scocciate, come se la mia presenza infastidisse.
Dopo tre o quattro tentativi avevo deciso di lasciar perdere.
La solitudine non deludeva mai, sempre pronta ad avvolgerti tra le sue gelide braccia. Così come la neve, che puntuale ogni anno veniva a bussare alla porta, così bella che se avessi dovuto morire, lo avrei fatto volentieri in quella sostanza candida.
 
Fu facendo questi pensieri che non mi accorsi di essermi allontanato parecchio da casa, e per lo più stava ricominciando a nevicare e se non mi fossi sbrigato, non avrei più trovato i miei passi per tornare indietro.
 
* * *
 
Guardò le sue compagne divertirsi, facendo giochi idioti. Si saltavano addosso, si levavano i kimoni dispettose, si tiravano palle di neve e ridevano tra loro.
Era stufa di questa vita. Aspetta, si poteva definire vita? Le venne da ridere.
Lei la sua vita l’aveva già avuta, chissà dove, chissà quando... e chissà con chi?
In un certo senso ringraziò di non essere più tra quegli umani. Li odiava.
Erano esseri stupidi.
Si facevano abbindolare dalla promessa di un bel corpo e ti seguivano, cercando di metterti le mani addosso. Non provava pietà quando li uccideva con le sue stesse mani.
I suoi occhi rossi non si fermavano più di tanto sui loro colmi di paura.
Erano esseri stupidi.
Finché non arrivò lui...






Angolo autrice:
Voglio veramente ringraziare  MitsukinoKaze per il suo aiuto u_u
Mi ha aiutata a sviluppare il personaggio femminile, alcuni sviluppi importantissimi e soprattutto mi ha trovato i nomi *^*
Grazie, grazie davvero.

Se volete lasciate una recensione, questo capitolo è abbastanza corto perchè parla soprattutto di riflessioni, ma dal prossimo le cose si movimenteranno (?)!
Spero solo di poter aggiornare presto!
Bye :3

Kaya Bookman Jr_

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Capitolo 2
*** Capitolo II - occhi rossi ***


CAPITOLO II- OCCHI ROSSI


Mi sedetti su un masso dopo averlo inutilmente spolverato con cura. Calai il cappuccio sugli occhi e mi raggomitolai su me stesso per trattenere il calore corporeo.
Ero un completo idiota.
Non avrei dovuto allontanarmi così tanto!
Sapevo che la mia salute me l’avrebbe fatta pagare, e anche cara!
Merda, non avevo la più pallida idea di come tornare indietro. Aveva smesso di nevicare, ma intorno a me c’era solo un deserto bianco.
Ammisi a me stesso che sarebbe stato faticoso e difficile ritrovare la via di casa, ma cercai di confidare nel mio senso dell’orientamento, nonostante il paesaggio sembrasse essersi mascherato.
Chiusi gli occhi e cercai di osservarlo con altri sensi.
Sentii il silenzio, intervallato dal frusciare delle foglie sospinte dal vento e da qualche caduta di neve dai rami.
L’odore delle cortecce degli alberi, della resina e del muschio mi entrò nelle narici. E poi un odore caldo, dolce... accogliente.
Era un odore casto e puro, quasi inumano. Nessuna creatura “normale” sarebbe riuscita ad ottenere quella fragranza nemmeno mescolando i più buoni profumi delle migliori marche.
Era come se mi chiamasse, mi prendesse il volto con le mani astratte e, seducente, m’invitasse a seguirlo.
Mi alzai curioso e cercai di capire da dove potesse venirne la fonte, neanche fossi un cane da tartufi. Oltretutto il mio olfatto stava peggiorando in vista del mio imminente raffreddore. Avrei dovuto sbrigarmi.
Stabilii una direzione e cominciai a camminare senza meta, per quelle che saranno state ore, guidato solo dal sesto senso, starnutendo sempre più spesso e sentendomi le gambe sempre più molli, il viso accaldato.

Quando mi resi conto che probabilmente non avrei trovato né la fonte dell’odore né la strada di casa mi sconfortai, ma continuai a trascinarmi avanti, conscio del fatto che se avessi smesso sarei probabilmente morto di freddo.
 
Improvvisamente sentii una voce cristallina ridere soffocatamente e un’altra zittirla, nell’oscurità di un accenno di bosco.
- C-c’è qualcuno? – chiesi. Mi rispose il silenzio.
- Lui è mio – sì sentì poco dopo. Dall’oscurità uscì una figura.
Quando si avvicinò riuscii a distinguerla per bene. La prima cosa che notai fu il corpo sinuoso, avvolto da un leggero kimono decorato, bianco come la neve e come i suoi capelli, lisci e lunghi, candidi come quelli di una donna anziana ma folti e morbidi.
Poi il mio sguardo si posò sul volto. Altro che anziana.
I lineamenti del volto erano perfetti, la pelle pallidissima sembrava liscia e fresca. Ma rispecchiandomi negli occhi di quella creatura ebbi un sussulto.
Il suo sorriso era amichevole e abbagliante, ma gli occhi rossi parevano iniettati di sangue e liquidi di desiderio. Ebbi paura e facendo un passo indietro inciampai e caddi a terra.
La creatura sembrò rimanere sorpresa del mio gesto, come se si aspettasse che mi precipitassi tra le sue braccia. Il mio sguardo volse accidentalmente nella penombra, dove si scorgevano altre ragazze come quella che avevo davanti a me.
Che cosa avevano quelle donne di sbagliato?
Cosa le rendeva così strane, oltre l’aspetto?
- Come ti chiami? – chiese quella che mi stava davanti. Io restai in silenzio, lei si schiarì la gola e mi tese una mano dalle lunghe e sottili dita che non afferrai.
- Su, non essere timido – disse lei sfoggiando un enorme sorriso,
- Non sono timido – dissi battendo i denti e rammentando che ero semisdraiato nella neve – ho paura – ammisi.
Lei si accigliò, perplessa ed evidentemente non preparata a quella risposta. Cercò di buttarla sul comico (evidentemente), visto che scoppiò a ridere fragorosamente. Poi si avvicinò.
Trasalii.
- Su andiamo, piantala. Sappiamo bene entrambi cosa vuoi no? Sei giunto fino a qui, sarebbe un peccato sprecare un così bel corpicino... – mi passò una mano tra i capelli, scrollandoli dalla neve rimasta e avvicinandosi sempre di più.
- L-lasciami! – dissi debolmente. Ma lei continuava a starmi accanto, respirandomi addosso, con l’alito gelido e sensuale. Riuscivo a sentire il suo odore anche con il naso otturato dal raffreddore e capii che era lo stesso profumo che mi aveva attirato a vagare.
- LASCIAMI, TI HO DETTO! – urlai, staccandomi da lei con forza e tirandomi più indietro che potevo. Cercai di alzarmi ma le mie gambe non ne volevano sapere di reggere il mio peso.
Lei si tirò in piedi e mi osservo con rabbia e disprezzo. Improvvisamente un altra figura, un altra di loro, comparve accanto a lei e le mise una mano sulla spalla.
- Basta, sorella – disse, con voce ferma, guardandola negli occhi. Era forse meno bella della prima, ma aveva dei lineamenti più delicati.
- Cosa vuoi? – disse la prima, acida, scrollandosi la sua mano di dosso e guardandola con cattiveria. La seconda sembrò accusare il colpo
- Lascialo andare – disse, ora leggermente intimorita, ma comunque convinta.
- Cos...? – quella rimase stupita e un mormorio si diffuse nell’oscurità.
- Non ha fatto nulla, ed ha paura... – cercò di giustificarsi, mantenendo la calma. La prima sembrò mordersi la lingua per non urlare
- Ti stai mettendo dalla parte di un umano, mocciosa? Ti fa pena? – chiese indicandomi. La seconda mi guardò.
- È... È diverso. – disse lei senza distogliere il suo sguardo dal mio. Ma cosa dicevo?
Meno bella?
Era bellissima.
- Sei sicura di quello che dici? – sibilò la prima, mentre la sua rabbia si diffondeva pericolosamente nell’aria
- Si – sussurrò solamente quella tornando a guardare la sorella.
- Vattene di qui prima che ti faccia a pezzi – sputò fra i denti la donna. La seconda la guardò stupita, ma poi assentì con un leggero cenno del capo e si diresse verso di me.
Con mio stupore mi prese tra le braccia come se fossi un bambino e si mise a correre abilmente, allontanandosi velocemente dalle sue compagne.
Mi ritrovai con il volto accanto al suo collo e quel profumo dolce mi riavvolse ancora. Avrei voluto addormentarmi lì, stavo talmente bene. Non avevo paura di quella ragazza, sapevo che potevo fidarmi, e la sua pelle era così morbida...
- Dove abiti? – mi chiese dopo un pò. Ma oramai capivo a malapena ciò che percepivo.
- Sai, ahah – dissi ridendo – in fondo, ho sempre avuto un pessimo senso dell’orientamento –.
Poi non vidi né sentii più nulla svenni.




Angolo Autrice:
Bene, da questo capitolo comiciamo ad entrare nella soria vera e propria :3
Ho notato che nelle mie storie c'è quasi sempre una donna "cattiva" che cerca di affascinare, se così possiamo dire (xD) il poveraccio di turno T^T
Coooomunque, visto che questo capitolo non mi convinceva particolarmente (non chiedetemi il perchè) ve ne prego, lasciatemi una piccola recensione!
Arigatou :')

Pace e Amore a tutti, ora che la salvatrice di Atsui è giunta! (?) <3

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Capitolo 3
*** Capitolo III - Non sono più nulla. ***


CAPITOLO III - Non sono più nulla

 
Quando mi svegliai capii di essere in un luogo chiuso, al riparo dal freddo.
Mi girai sul lato e rimasi ancora un poco accucciato, immobile sotto le coperte.
Poi d’improvviso spalancai gli occhi e balzai seduto, guardandomi intorno, mentre il silenzio della stanza si diffondeva.
Mi portai le mani alle spalle, al petto, al collo e ancora alla bocca, come per controllare che fossi ancora integro. Un incubo?
Mi alzai e camminai lentamente verso la finestra. Un manto candido ricopriva a vista d’occhio tutto ciò che aveva una superficie ma c’era il sole, in cielo, che sembrava voglioso di augurare a tutti una buona giornata.
Un brivido di freddo mi percosse la schiena, e mi diressi verso l’armadio in cerca di qualcosa di pesante. Osservai i maglioni in cerca di quello più adatto.
Troppo verosimile per essermi sognato tutto... sentivo ancora il freddo sin dentro al midollo, di quello che decide di possederti e non ti molla più. Inspirai lentamente, cercando di fare mente locale, ma mi sembrò solo di risentire un dolce profumo, inebriante.
Chiusi gli occhi, ma davanti a me comparirono due macchie rosse, rosso sangue.
Rosse come gli occhi di quella donna. Rabbrividii, ricordando immediatamente il suo alito gelido.
Paura, smarrimento.
Poteva davvero essere stato un incubo?
Se chiudevo gli occhi potevo ancora sentirla respirare come se fosse a qualche centimetro da me.
Un incubo ti lascia tutte queste sensazioni addosso? Dall’ultima volta che avevo avuto un incubo erano passati davvero anni, quindi non sapevo rispondermi.
Mi infilai il maglione e mi sedetti sul letto, continuando a strofinarmi le braccia per procurarmi un po’ di calore in più. Poi improvvisamente immaginai un tocco delicato su quelle stesse braccia che stavo strofinando con la grazia di un rinoceronte.
 
Un tocco gentile... freddo ma confortevole.
 
Spalancai gli occhi, raggomitolandomi ancora di più su me stesso e guardandomi febbrilmente intorno, per controllare che fosse tutto okay.
Era tutto al suo posto.
 
Non poteva essere stato un sogno. Quel tocco, quel profumo, li sentivo ancora su di me.
E allora come facevo a trovarmi in camera mia?
... troppi dubbi mi attanagliavano la mente.
Mi alzai e uscii dalla stanza, cominciando a scendere le scale.
 
- mamma? – chiamai.
Entrai nel salone deserto. Feci scorrere la porta della cucina, ma il risultato non fu migliore.
- mamma! – riprovai, stavolta un poco più forte. Sembrava effettivamente non esserci nessuno.
Mi gettai sul divano in attesa di qualcosa. Cosa di preciso non lo sapevo nemmeno io.
Quanto era bello il fare nulla. Il cervello si libera, la mente vaga, pensando a cose inutili e affatto preoccupanti.
Mi vennero in mente gli alberi nella primavera, i fiori rosa e bianchi che dai rami si staccano e volteggiano mille volte prima di poter trovare riposo al suolo, sospinti dal vento che avvisa tiepido che il clima sta cambiando.
E poi il dolce profumo dei fiori, esilarante.
Immediatamente, prima che potessi fermarla, la mia mente lo collegò a quello delle creature.
E ai loro occhi rossi.
Spalancai gli occhi di colpo e trovai il volto di mia madre a pochi centimetri dal mio.
- Atsui! – disse lei allegra. Io urlai per lo spavento.
- ma che diav—MAMMA! – la rimproverai.
- come sei carino mentre dormi – disse lei posando le buste della spesa sul tavolo,
- non sono carino mamma! È imbarazzante! – dissi, arrossendo – e poi non dormivo! – aggiunsi.
Lei annuì, assecondandomi
- mi aspettavi da parecchio? Perdonami, sono dovuta uscire... –
- tranquilla – risposi semplicemente alzandomi per andare ad aiutarla. Cominciai a sistemare i barattoli nella credenza, tutti in fila, come un piccolo e simpatico esercito di fagioli, pomodorini e condimenti vari.
- non mi hai neanche salutata ieri quando sei rientrato... sei filato subito a dormire. Dovevi essere sfinito, non ti ho nemmeno sentito rientrare. –
Ed ecco raggiunto il punto fatale. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare nulla di come fossi tornato a casa.
Era stata forse la “ragazza” che mi aveva portato via? Ma come mi aveva riportato in camera?
Mi aveva ricoperto lei? Il solo pensiero mi avvampò le guance.
Cercai di distogliere i miei pensieri guardando mia madre. Era giovane, e bella.
Glielo dicevo sempre, ma lei mi rispondeva dicendo di tacere, scherzosa. Ma mia madre era davvero bella, e non solo fuori. Era socievole, sorridente, premurosa e affidabile.
Mio padre non so che fine avesse fatto.
- vai in camera, tranquillo. Ti chiamo per il pranzo – disse lei, chinandosi a sistemare il riso. Annuii e mi diressi verso le scale.
 
Dopo qualche passo mi bloccai, gli occhi spalancati.
 
Cosa diavolo ci facevano loro lì? L’odore che era arrivato al mio olfatto era inconfondibile.
Erano venute per me? Mi avevano seguito?
Lanciai un occhiata a mia madre in cucina, ancora intenta a sistemare. Deglutii.
Era meglio chiarire subito la faccenda.
Uscii fuori, chiudendomi piano la porta dietro. Non volevo immischiare assolutamente mia madre in questa faccenda.
Ingoiai ancora saliva amara come la paura.
- chi c’è? – chiesi. Ora che ero fuori non avevo più il minimo dubbio. Non era stato un incubo, e il fatto che ora fossero qui lo provava.
- c’è qualcuno? – riprovai. – cosa volete da me? –
Ma attorno vedevo solo neve a non finire.
Poi il mio sguardo si posò sull’albero di casa, e dei sottili capelli bianchi che si scorgevano da dietro, sospinti dal vento. Una consapevolezza mi avvolse. Mi avvicinai furtivamente girando contemporaneamente intorno all’albero.
Piano piano mi comparsero alla vista il kimono delicato e la figura sottile nascosta dietro, cosciente di essere stata scoperta.
La ragazza aveva le mani poggiate sol tronco dell’albero e cercava di nasconderci inutilmente il viso dentro.
Non erano loro, era lei.
- ehi... – sussurrai, vedendola quasi spaventata alla mia vista. Il suo sguardo emetteva decisione. Sì, era decisamente arrabbiata.
- non ti avvicinare, umano – sputò fuori lei, acida.
Rimasi sorpreso dal suo atteggiamento. Non avevo dubbi che fosse la ragazza che ieri sera mi aveva salvato, portandomi via da quella donna. Le osservai i piccoli polsi, che spuntavano fuori dalle lunghe maniche del kimono.
Sembrava fragile, ma non avrei voluto sfidarla. Se davvero lei mi aveva riportato indietro, lo aveva fatto prendendomi in braccio, e dunque doveva essere più forte di quello che sembrasse esternamente.
La guardai.
Eppure sembrava davvero piccola e indifesa, mentre mi lanciava quegli sguardi accusatori. “che tenera.” Pensai, sarcastico.
- ho fatto qualcosa? – chiesi automaticamente, cominciando a sentirmi un po’ in colpa.
- è tutta colpa tua! – si lamentò lei. I suoi occhi si riempirono di lacrime, che ricacciò indietro con orgoglio. A quella visione mi sciolsi totalmente. – sono stata cacciata dal mio clan! – oh...
- posso fare qualcosa...? – chiesi
- si. Sparisci! – disse lei.
- ... tecnicamente sei nel mio giardino. – replicai. Lei si guardò intorno.
- bhe, non ho un posto dove andare. – disse, sull’orlo della depressione. La guardai. Sembrava uscita da un manga. Qualcosa mi diede a pensare che fosse anche un pochino lunatica.
- è così grave essere cacciati dal proprio clan? – azzardai.
Lei mi guardò come se avessi, in ordine: sei corna, cinque braccia e quattro occhi.
- è gravissimo! – esclamò, lasciando il suo nascondiglio e dirigendosi verso di me – non posso più considerarmi una della mia razza! Non sono più nulla! –
- non sei umana... – dissi, facendola sembrare come un affermazione.
Lei mi fissò di nuovo. Ecco, ora avevo anche una decina di gambe e due bocche.
- mi pareva ovvio. – disse, ironica.
- non era una domanda la mia – dissi, a mia difesa. Ora che la avevo vicino riuscii ad osservarla bene.
Era più bassa di me e mi osservava con uno sguardo capace di ghiacciare ogni cosa, le mani sui fianchi.
- cosa intendi fare? – disse lei. La guardai confuso – hai intenzione di aiutarmi? – aggiunse sfacciata.
- c-cosa...? –
- io ti ho salvato, ora tu aiuti me! – disse.
La guardai bene. Era come una bambina. In realtà aveva paura.
Incontrò il mio sguardo e sembrò cogliere appieno i miei pensieri. Abbandonò al volo la maschera impertinente per rigettarsi nello sconforto totale. Lo avevo detto io, che era lunatica. Ero sempre più sicuro di averci preso in pieno.
- non sono più nulla, ragazzo. – disse, piano.
- mi chiamo Atsui –
- non sono più una delle mie, e non sono nemmeno un umana. Dove vado? – mi ignorò. Sospirai.
 
* * *
 
- per ora puoi sistemarti qui, perlomeno fino a quando non chiarirai le cose con il tuo clan – dissi, indicandole l’armadio. – lì dentro troverai il necessario per dormire, sempre che tu dorma. –
- non dormo. – rispose lei.
- ...appunto. – sospirai. – bhe, un problema di meno. – l’avevo portata dentro casa, stando attento a mia madre. Sarei riuscito a nasconderla facilmente, non essendo umana non aveva tutti i bisogni che i comuni mortali hanno.
- perlomeno non quanto voi, ogni tanto devo riposarmi anche io... – aggiunse.
- mangi? Bevi?– chiesi.
- sangue umano. – rispose lei. Mi girai a guardarla, spalancando gli occhi.
Lei sostenne sfrontata il mio sguardo, come se fosse tutto normale. Poi scoppiò a ridere, fino a lacrimare.
 
- idiota. – disse solo, asciugandosi le lacrime dagli occhi.
Mi girai shockato, continuando a sistemare i miei vestiti per la camera. Dopo un po’ tornai a guardarla
- scherzavi prima? –
- quando? –
- per il fatto del sangue. –
- forse. – sorrise.
- come ti chiami? –
- non ho un nome. –
- cosa sei? – silenzio. Lei si girò e mi guardò fissa.
- non sono più nulla. – ripeté per la terza volta, da quando avevamo cominciato a dialogare.
La osservai mentre si dirigeva verso la scrivania e cominciava ad osservare tutto ciò che c’era sopra. Prese tra le mani vari fogli, girandoli e rigirandoli.
- sai leggere? – chiesi.
- una volta si, credo. Ora non ne ho bisogno. – annuii. Mi sentivo a disagio. Sapevo che se lei fosse rimasta sempre nella mia camera e non si sarebbe mossa mia madre non avrebbe mai scoperto nulla. Inoltre i miei orari non combaciavano con i suoi.
Mia madre la vedevo praticamente solo il sabato e la domenica, per via della scuola.
Ma quella ragazza doveva sbrigarsi a risolvere i suoi problemi. Non avrei potuto ospitarla per sempre.
- non puoi girare vestita in quel modo, o desterai non pochi sospetti. –
- perchè dove dovrei andare, scusa? Devo solo aspettare che si calmino le acque al clan. Poi mi ripresenterò chiedendo di poter rientrare. –
- e intendi rimanere tutto il tempo in camera mia? – chiesi, scettico. Lei mi guardò, aggrottando le sopracciglia. Le passai dei vestiti che ero andato a cercare in camera di mia madre, selezionati apposta perchè non si accorgesse che mancavano. Lei mi guardò male.
Poi li accettò riluttante, e tornò ad ispezionare la scrivania.

Con un caratteraccio come il suo, sarebbe stata più difficile di quanto si potesse pensare.

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