Nemesis

di MrEvilside
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (I don't think I) deserve selflessness ***
Capitolo 2: *** I don't wanna be (your enemy) ***



Capitolo 1
*** (I don't think I) deserve selflessness ***


Nemesis
 
(I don’t think I) deserve selflessness
 
What would it take
For things to be quiet, quiet like the snow?
I know this isn’t much, but I know I could, I could be better.
-Louder Than Thunder, The Devil Wears Prada
 
La spiaggia era un deserto di conchiglie e scogli lacerato dai flutti bianchicci di schiuma. Tony passeggiava sul bagnasciuga, contemplando le onde, che talvolta giungevano a sfiorargli i piedi e poi si ritiravano in un ciclo infinito e armonioso, e il sole a picco sul mare, in procinto di tramontare e svanire inghiottito da quella superficie spumeggiante.
Guardava il mare e il cielo e il sole, e si chiedeva quando era stata l’ultima volta che li aveva visti davvero e non attraverso gli occhi del Mercante di Morte.
Se non fosse stato per Yinsen, non avrebbe mai più avuto occasione di ammirare un simile panorama. Adesso doveva farlo anche per lui, che invece non poteva più, doveva fare sì che il suo sacrificio fosse servito a qualcosa e non soltanto perché al mondo fosse restituito il suo più irresponsabile commerciante di distruzione.
Non sprecare la tua vita.
Era così assorto nei propri pensieri che non si rese conto della presenza di qualcun altro finché non rischiò di inciampare sulle sue gambe – gambe lunghe, lunghe come ne aveva viste ben poche, prese nota un angolo della sua mente, e Tony Stark poteva vantarsi di averne viste un numero notevole.
Imprecò, barcollando in avanti, ma riuscì a non cadere e, riguadagnato l’equilibrio, abbassò lo sguardo sull’inaspettato ostacolo, che lo fissava con le sopracciglia inarcate e la bocca tirata in una linea irritata, se non persino moderatamente furiosa.
«Ehi». Non lo aveva mai incontrato prima: era un uomo giovane, non poteva avere più di una trentina d’anni, aveva i capelli neri, allisciati all’indietro con cura, e due sorprendenti occhi verdi che sembravano in grado di penetrare fin nell’anima – e non soltanto a un livello metaforico che non prevedesse il dolore fisico, in quella precisa circostanza. Tony si schiarì la gola e si sforzò di non farsi mettere in soggezione da quel verde e quella collera. «Scusa, amico, non avevo fatto caso a te. Bella serata, eh?»
Lo sconosciuto lo fulminò con lo sguardo prima di spostare la propria attenzione sul mare, senza accennare a voler replicare. Tony si era quasi arreso al fatto che non gli avrebbe rivolto la parola, quando lo udì mormorare: «Lasciami in pace».
Non si voltò di nuovo verso di lui né aggiunse altro, nemmeno nel momento in cui, anziché obbedire, Tony lo studiò con calma, osservando le occhiaie e la rigidità della sua espressione.
Probabilmente l’altro aveva deciso di ignorarlo nella speranza che prima o dopo si allontanasse di propria spontanea volontà. Forse con altri avrebbe funzionato; non con lui.
Tony si lasciò cadere sulla sabbia a poca distanza da lui con un pesante sospiro. «Perché quella faccia?» domandò in tono discorsivo. «Sei venuto qui a suicidarti?»
Quella domanda parve fare breccia nella maschera d’indifferenza dello sconosciuto, che batté più volte le palpebre, perplesso. «No, non ho alcuna intenzione di togliermi la vita. Avevo bisogno di riflettere».
«Wow» fischiò Tony. «Cos’era questo, Shakespeare?»
L’altro sembrò ancora più confuso. «Che cosa?»
«Ma sì, la citazione. Non ho alcuna intenzione di togliermi la vita. È Amleto
Lo sconosciuto corrugò la fronte e gli rifilò un’occhiata seccata. «Preferirei essere lasciato solo» osservò, brusco. «Non sono interessato a intrattenere una conversazione con te».
«Dai, non ti scaldare». Tony lo blandì con uno dei suoi sorrisi affascinanti alla Tony Stark, che però doveva essere un tantino difettoso, perché il suo interlocutore non parve affatto affascinato. Infastidito, piuttosto. «Mi domandavo solo chi fossi. Voglio dire, è una spiaggia per gente famosa, questa, e non ti ho mai visto in giro. Sei uno nuovo? Magari un ereditiere? Oppure un imprenditore che ha fatto bingo? O solo un giocatore di poker molto fortunato?»
L’altro lo squadrò dall’alto in basso come nessun altro osava fare con lui – come ne fosse in grado quando erano entrambi seduti, era un mistero. «Non credo che la mia vita ti riguardi in qualche modo».
Tony aveva lo sconcertante sospetto che quell’uomo non avesse idea di chi lui fosse. Lui, che appariva più spesso in pubblico e sulle riviste di quanto non facesse ai consigli di amministrazione: la sua faccia era ovunque, il suo nome osannato o maledetto in tutti gli Stati Uniti. Persino negli altri universi era possibile che avessero sentito parlare di lui, eppure quello sconosciuto lo scrutava rabbuiato non perché era Tony Stark e produceva armi, ma solo perché stava minando il suo spazio personale e la sua pazienza.
Per la prima volta nella sua vita, Tony era considerato un uomo qualsiasi, non il figlio di Howard Stark, non l’erede geniale delle Stark Industries, non il Da Vinci contemporaneo. Solo Tony, una persona alquanto invadente che aveva l’inquietante passatempo di tormentare sconosciuti sulla spiaggia.
«Okay, niente domande, sono fatti tuoi» scrollò le spalle, sconfitto dall’ermetismo del suo interlocutore. Tentò un sorriso d’incoraggiamento. «Come ti chiami?»
L’altro lo considerò con un’occhiata esasperata, poi sospirò e lo assecondò, lapidario: «Luke».
«Bene, Luke» disse Tony, allungandogli una mano. «Io sono Tony Stark».
Nessuno l’aveva mai guardato con tanta mancanza d’interesse dopo che aveva pronunciato quel nome. Luke fissò il suo braccio teso, poi il suo volto e alla fine gli prese la mano e la strinse come se gli stesse facendo una magnanima concessione.
La lasciò andare quasi subito, lanciò un’occhiata nostalgica al mare e sbuffò: «Suppongo tu non abbia intenzione di lasciarmi in pace».
Tony non aveva alcun motivo di importunarlo, se non che era divertente vederlo esasperato, ma non voleva andarsene. Era il primo a riservargli un trattamento simile: dopo l’Afghanistan, dopo quello che era successo a Yinsen, dopo la prima armatura e la scia di morte che si era lasciato dietro, aveva bisogno di quella sensazione d’anonimato come un drogato in astinenza ha bisogno della cocaina.
«Beh, voglio essere sicuro che non ti suicidi» obiettò con una scrollata di spalle. «E poi sembri uno che non parla con la gente da secoli. Sei acido. Magari hai bisogno di sfogarti. La tua ragazza ti ha lasciato?»
Luke inarcò le sopracciglia e non rispose.
«Ehi, dai, non ricominciare. Scusa, non volevo insinuare che qualcuno avesse osato mollarti» si affrettò a rettificare Tony, alzando gli occhi al cielo. «Facciamo così: se non vuoi rispondere a una domanda, mandami a ‘fanculo, okay? Però non stare zitto, è controproducente e mi sento un idiota a parlare da solo».
L’altro socchiuse gli occhi e lo valutò con uno sguardo indagatore, sospettoso. «Perché sei così interessato alla mia vita, Stark?»
C’era qualcosa di pericoloso, in quella voce, qualcosa che gli diede i brividi, qualcosa che gli ricordò in maniera fin troppo vivida il capo dei Dieci Anelli che minacciava Yinsen di fargli inghiottire un carbone ardente.
«Non è che abbia niente di meglio da fare. Magari sono io che ho bisogno di parlare con qualcuno».
Fece una pausa e realizzò ciò che aveva appena confessato: era stato così veloce nell’elaborare quell’ipotesi che il filtro tra bocca e cervello non era riuscito a stargli dietro. Si maledisse tra sé, ma ormai non aveva alcun senso ritrarre la propria affermazione. «Voglio dire, mi avrai visto in TV. Mi sono successe parecchie cose, ultimamente. Tutti pensano che io sia pazzo, quando per una volta ho l’impressione di aver avuto una buona idea. Persino i miei amici mi guardano come se fossi folle, ora, non voglio dire che sia del tutto sbagliato, in fondo tutte le menti geniali sono un tantino fuori fase, però…»
«Taci» sibilò Luke, una mano sollevata a sorreggere il capo, quasi che le chiacchiere di Tony pesassero sul suo cervello. Distolse gli occhi da lui e li affisse sulla distesa azzurra di fronte a loro.
Tony quasi sussultò quando lo udì riprendere la parola, convinto com’era che la conversazione sarebbe morta se non fosse stato lui a ravvivarla.
«Non sei l’unico. Anche la mia famiglia pensa che io sia un visionario». Digrignò i denti, esalò un sospiro, perso in immagini che Tony non aveva la possibilità di vedere, in ricordi che non gli appartenevano. «Voglio solo rimettere a posto le cose, ma nessuno di loro lo capisce».
«Figurati, mio padre è morto senza nemmeno fare lo sforzo» commentò Tony in tono amareggiato.
Provava una certa solidarietà nei confronti di Luke, simpatizzava fin troppo con i suoi sentimenti e seppe che anche il suo interlocutore riusciva a immedesimarsi in lui quando si volse a osservarlo con un’intensità nuova, diversa, non come si guarda un estraneo irritante, ma nemmeno come si guarda un amico.
Di colpo, Luke scattò in piedi, si lisciò le pieghe degli abiti e abbassò lo sguardo su di lui, il volto inespressivo. «Devo andare».
Il cambiamento era stato così repentino che Tony batté diverse volte le palpebre, inebetito, prima di replicare: «Uh, okay… Allora vado anch’io. Se…»
Senza darsi la pena di ascoltarlo, l’altro si stava già allontanando a grandi passi e Tony fu costretto a un’andatura affrettata per tenergli dietro. Maledette gambe infinite. «Ehi!» sbottò, offeso, quando riuscì ad affiancarlo. «Volevo solo dire che, se torni, ci possiamo rivedere. Non sei male, a volte potresti quasi passare per simpatico».
Luke infilò le mani in tasca e sbuffò sonoramente. «Ti rendi conto che per la gran parte del tempo sei tu a parlare, vero?»
«Forse è quello di cui ho bisogno. Qualcuno che ascolti. Sai, mi dicono sempre che parlo molto, quindi non ho necessariamente bisogno che lo faccia qualcun altro, ma starmi a sentire da solo è un po’ triste, e magari mi fa bene essere ascoltato. Anche perché non è che mi sembri proprio logorroico».
«Vali per tre, Stark, posso concedermi di non essere logorroico» obiettò Luke, ironico. «Pensi di seguirmi fino a casa oppure ho finalmente il piacere di salutarti?»
«Ah, giusto… Oh, l’ultima domanda: perché quei vestiti?» Occhieggiò con eloquenza il completo elegante. «Non li definirei i più adatti a una giornata al mare».
L’altro inarcò entrambe le sopracciglia. «Così parlò colui che indossava i pantaloni di Hermès».
Tecnicamente Tony aveva solo pantaloni firmati oppure jeans sfrangiati e bucati che utilizzava in laboratorio, ma non lo disse; sollevò invece le mani in segno di resa e annunciò: «Okay, okay, mi dichiaro sconfitto e ti lascio in pace. Ci vediamo».
Luke parve esitare, lo soppesò con uno sguardo penetrante, poi si strinse nelle spalle. «Sì».
Il giorno successivo, Tony lo ritrovò nello stesso punto in cui l’aveva visto la prima volta – o almeno ebbe questa impressione quando lo avvistò, seduto sulla sabbia con indosso un paio di jeans e una camicia bianca. Sorrise appena, divertito, nel far scorrere brevemente lo sguardo sui propri vestiti, anch’essi più sobri di quelli del giorno precedente, vecchi jeans sgualciti e macchiati d’olio e una canotta nera che gli fasciava il petto e copriva il lucore del reattore arc.
«Niente smoking?» si informò, divertito, nello stravaccarsi pesantemente accanto a lui.
Luke gli scoccò un’occhiata d’avvertimento. «Bada, Stark, non ho alcuna intenzione di farmi prendere in giro da te».
Tony scrollò le spalle. «Troppo tardi. Come va? Ancora manie suicide?»
L’altro non reagì, ma Tony ebbe l’impressione che, fosse stato più emotivo, avrebbe esalato un sospiro sconfortato. Luke invece scrutava il mare, mormorando: «Mi vedo costretto a ripeterti che non ho mai pensato di uccidermi. Ho bisogno di pensare e il panorama mi aiuta a schiarirmi la mente».
Tony annuì, in fondo era la stessa ragione per cui anche lui stava passeggiando sulla spiaggia, la sera prima. «Che problemi hai?» volle sapere in tono discorsivo, quasi stesse introducendo un argomento di poco conto.
Nonostante i suoi sforzi, Luke s’irrigidì come una statua di marmo e per lungo tempo tacque.
Quando infine decise di rivolgergli di nuovo la parola, la sua voce era bassa, tesa. «Credevo fossi tu ad aver bisogno di sfogarti».
«Non puoi aspettarti che non sia curioso» si difese Tony, ragionevole. «E poi, scusa se te lo faccio notare, ma sei così complessato che è impossibile non chiedersi perché. Forse aprirti ti farà anche sentire meglio».
«Non credo» sibilò Luke tra i denti e Tony intuì che sarebbe stato irremovibile, perciò alzò le spalle per lasciar cadere il discorso.
«Come vuoi. Allora comincio io. Oggi è stata un’altra giornata terribile, i giornalisti non mi lasciano in pace un secondo, mi tocca seppellirmi in laboratorio per trovare un po’ di pace…»
Luke non lo interruppe mai né distolse l’attenzione dal mare, ma Tony era certo che non si perdesse una sola parola del suo monologo, fosse anche solo perché aveva una voce particolarmente difficile da ignorare.
A poco a poco, la tensione che serrava Tony in una morsa di ferro si allentò, mentre tutta la rabbia, tutto il sospetto e tutta la solitudine che lo attanagliavano lo abbandonavano insieme alle parole che fluivano senza freni dalla sua bocca.
Non andò oltre le preoccupazioni circa quello che stava succedendo alle Stark Industries in quel periodo, ma, se anche era curioso, Luke non gli fece alcuna pressione, non una sola domanda.
Alla fine, Tony esalò un sospiro, prosciugato della propria logorrea forse per la prima volta nella vita. Era la prima volta per molte cose, di recente. «Beh, è stato… liberatorio. Grazie».
Era strano parlare di fatti che chiunque in possesso di una televisione o anche soltanto di un giornale avrebbe potuto citargli a memoria con qualcuno che pareva non avere idea di che cosa stesse raccontando. Luke assorbiva ogni aneddoto come una spugna, ma Tony non riusciva a immaginare che cosa gli passasse per la testa mentre incamerava tutte quelle informazioni.
Anche adesso, non avrebbe saputo ipotizzare cosa vi fosse dietro l’intensità pungente con cui lo stava fissando, a meno che il suo interlocutore non avesse voluto renderglielo noto. Finalmente scelse di farlo e disse: «Parlami ancora della tua tecnologia. Hai smesso di costruire armi: che cosa progetti ora?»
Era la domanda più banale che avrebbe potuto porgli – bastava seguire i suoi ragionamenti neo-filantropici per poche frasi per arrivare a quel dubbio – ma anche l’unica cui non poteva dare risposta.
Non l’aveva detto neppure a Pepper e, sebbene si sentisse in debito con Luke, in un certo senso, per avergli prestato l’attenzione di cui aveva bisogno e che nessun altro sembrava volergli dare, ultimamente, in fondo lo conosceva solo dal giorno prima. Non era ancora diventato così stupido.
«Scusa, amico, ma questo è riservato».
Le sopracciglia di Luke scattarono all’insù. «Riservato?»
«Già». Tony scrollò le spalle con fare di scusa. «Sai com’è, i paparazzi, la stampa… Vorrei avere un po’ di respiro. Ti conosco appena, come faccio a sapere che non sei un reporter sfigato impaziente di mettere i miei segreti online per attirare l’attenzione, non so, del Daily Bugle?»
Luke non sorrise. Non che lo facesse spesso, ma in quel caso particolare era molto irritato. Non solo: guardando nei suoi occhi verdi, Tony intravvide qualcosa di selvaggio che gli fece venire i brividi e che non sapeva perché avesse collegato a un innocuo giovane uomo in jeans e camicia seduto sulla spiaggia con lui.
Quella sera fece delle ricerche su internet, ma non conosceva il suo cognome né possedeva un indirizzo che potesse offrirgli un punto di partenza.
Non aveva niente, nessuna testimonianza dei suoi incontri con Luke se non il ricordo del suo sguardo penetrante, della voce affilata. Era uno spettro.
Com’era prevedibile, non scoprì nulla, dopo un’ora infruttuosa lasciò perdere e si dedicò ai repulsori della nuova armatura.
Annotò mentalmente che, quando il giorno dopo avesse visto Luke, avrebbe dovuto impegnarsi per strappargli almeno un cognome, un dato qualsiasi che fungesse da base su cui costruire la sua identità.
La sera successiva, però, lui non era sulla spiaggia al solito orario.
Tony lo aspettò per un’ora, poi fece ritorno alla villa. Lo trovò seduto sul sofà in soggiorno, i gomiti sullo schienale e le gambe accavallate con grazia.
Stupefatto, Tony farfugliò un poco intelligibile: «Ehi, ma come…? Come hai fatto a…? Jarvis?»
«Non so cosa dirle, signore. Nessun ingresso è stato forzato e nessuna telecamera manomessa. Sembra che il signore sia sempre stato qui».
Luke aspettò che il breve scambio con l’AI si concludesse per intervenire: «Ho riflettuto su ciò che mi hai detto. Comprendo che tu non possa ancora fidarti di me, dal momento che non ti ho rivelato nulla sul mio conto. Ho pensato a uno scambio equo: informazioni per informazioni».
Tony non si mosse, guardingo.
Quell’uomo era più pericoloso di quanto avesse sospettato: era persino riuscito a sabotare il sistema operativo di Jarvis per celare il proprio arrivo. Com’era possibile che non ne avesse mai sentito parlare? Un uomo capace di violare il firewall dell’AI avrebbe senza dubbio attirato l’attenzione dei media. Poteva immaginare con facilità il titolo di prima pagina: Tony Stark incontra la sua nemesi.
Chi era quell’uomo?
Poiché si trovava in una posizione di netto svantaggio, decise di reggere il gioco. «Okay. Quindi è il tuo turno, visto che ieri ho parlato per tutto il tempo…» fece notare con cautela, avvicinandosi di qualche passo.
Luke annuì. Ogni suo gesto era solenne, regale; Tony conosceva persone raffinate, ma nessuna dava l’impressione di essere un sovrano come quell’uomo.
«È giusto» acconsentì questi. «Permettimi allora di correggermi, anzitutto. Non mi chiamo Luke. Sono conosciuto in molti modi, ma il mio nome di battesimo è Loki».
Beh, pensò Tony, che Luke non fosse il suo vero nome era ovvio, a questo punto.
Il problema era che si chiamava Loki. Loki. Come uno degli dei norvegesi di cui leggeva da bambino nei libri di fiabe. Non ne aveva mai posseduti molti, aveva sempre preferito la meccanica, ma anche lui aveva un minimo di cultura base su Thor, Loki e compagnia nordica. Davvero si aspettava che credesse a una cosa del genere?
Forse era instabile. Forse Luke o Loki o chiunque fosse soffriva di un qualche disturbo che lo spingeva a convincersi di essere qualcun altro, tipo un dio delle favole. Aveva sentito dire che cercare di farlo ragionare avrebbe peggiorato le cose e che era molto meglio assecondarlo e non minare il suo equilibrio, già di per sé precario.
«Okay» fece, in mancanza di qualcosa di meglio da replicare, nel rendersi conto che Loki si aspettava una risposta. «Piacere di conoscerti?»
Il presunto dio esalò uno sbuffo sonoro. «Non guardarmi come se fossi pazzo, Stark. Come avrei potuto entrare nella dimora meglio protetta dei vostri Stati Uniti, se non con la magia?»
È anche convinto di essere magico. Tony non sapeva se scoppiare in una risata isterica o provare a stendere il suo interlocutore. La risata gli avrebbe reso poco onore. Magnifico.
Dal momento che era stato Loki a introdurre l’argomento, giudicò che fosse abbastanza prudente non tergiversare e tentò di persuaderlo con la razionalità: «Jarvis non è perfetto. Un hacker davvero bravo potrebbe sperare di riuscirci. Devi essere una specie di genio… Magari è per questo che sei anche un po’ sbroccato».
Non era il modo migliore di far rinsavire qualcuno, riconobbe Tony, ma come al solito il filtro tra bocca e cervello stava lì per bellezza. Era paradossale che le sue invenzioni funzionassero così bene, quando lui era tanto difettoso.
Loki sospirò, Tony batté le palpebre. Loki scomparve.
Ripresosi dal fissare a occhi sgranati il punto in cui fino a un attimo prima si era trovato il presunto dio, Tony si mise in cerca di un qualche dispositivo olografico che avrebbe spiegato il motivo per cui Loki non aveva dovuto forzare la serratura: perché, fin dall’inizio, non era mai stato davvero lì.
Per quanto frugasse, però, non c’era nulla.
Doveva trattarsi di una tecnologia straordinaria, considerò Tony, meravigliato quanto entusiasta di aver trovato qualcuno che davvero potesse porsi al suo livello.
«Non perdere tempo» risuonò la voce di Loki dietro di lui.
Tony si voltò di scatto e lo vide a pochi passi di distanza, in piedi, le braccia conserte al petto e l’espressione annoiata. L’entusiasmo si convertì in qualcosa di molto simile alla paura, quando dentro di lui si annidò il sospetto che non fosse un ologramma. «Come diavolo…?»
«Sono un mago» lo interruppe il dio. «Posso fare questo e altro».
Mosse un passo avanti e Tony quasi inciampò nel sofà nel tentativo di indietreggiare, preso alla sprovvista. «Jarvis…» iniziò, ma Loki corrugò la fronte in un’espressione minacciosa e chiuse la mano a pugno.
La fine della frase gli morì in gola, come se un serpente gli si fosse attorcigliato attorno al collo. Aveva l’impressione di soffocare, eppure non c’era niente a serrargli la gola. Era orribile, più di qualsiasi cosa gli avessero fatto in Afghanistan: la consapevolezza di non avere alcun controllo su quella tortura, che sarebbe morto senza neppure sapere come, era schiacciante.
Finì all’improvviso, lasciandolo senza fiato. Il volto di Loki era una maschera glaciale mentre Tony inspirava quanta più aria possibile e passava una mano sul petto, sul reattore arc, come per sincerarsi che fosse ancora tutto laddove doveva essere.
«Non ho alcun interesse nel farti del male» osservò il suo ospite in tono neutro. «Se però hai intenzione di chiamare qualcuno, sarò costretto. Sto cercando di essere onesto con te, Stark, come tu lo sei stato con me fin dal principio. Non abusare della mia gentilezza».
Tony dovette mordersi un labbro per trattenere la risatina isterica che poco prima aveva bocciato come idea ridicola. «Gentilezza, sicuro» sputò, velenoso. «Tutti i miei amici mentono e provano a strangolarmi con la magia, grazie tante».
«Volevo solo impedirti di commettere un errore». C’era una sottile, subdola nota di divertimento nella sua voce. «Forse ho sbagliato a dosare la potenza dell’incantesimo. A ogni modo, io non sono tuo amico».
Divertimento, ma non crudeltà, considerò Tony. Con quello che gli aveva appena visto fare, non dubitava che Loki avrebbe potuto distruggerlo come si appallottola un foglio di carta.
Se non l’aveva già fatto, il minimo che poteva offrirgli in cambio era una possibilità.
«E le bugie?»
Questa volta Loki fece una lunga pausa prima di rispondere e Tony temette che avrebbe finito col rifiutarsi, ma poi il dio replicò: «Per proteggere me stesso. Solo da poco mi sono reso conto che tu non mi conosci e che non ho nulla da temere». Tony si domandò se dovesse ritenerlo un complimento o un insulto, ma non lo interruppe. I lineamenti del dio si contrassero, come se quanto stava per aggiungere lo infastidisse profondamente. «Ti chiedo scusa».
Tony era diviso tra il desiderio di scoppiare a ridere, adesso di cuore, per l’espressione di Loki, quasi che scusarsi gli provocasse dei conati di vomito, ed esercitare la sua vena sarcastica. Scelse la seconda.
«Peccato che non siamo amici, ho sempre voluto un dio come BFF. Gli altri miliardari che si credono geni morirebbero d’invidia» sogghignò, suscitando un sorriso complice da parte di Loki. Il dio. Come avrebbe fatto ad abituarsi a chiamarlo così? «Comunque, magia, eh? Figo. Però non capisco perché tu mi abbia detto la verità. È per quella storia del mio progetto? Potresti scoprire di che si tratta schioccando le dita, no?»
«Sarebbe semplice, è vero» ammise Loki.
La sua affermazione punse Tony nell’orgoglio: capiva la magia e tutto, ma un minimo di considerazione per il suo ego sarebbe stata apprezzata. Non lo chiamavano il miglior sistema d’allarme del secolo per bellezza.
Il dio però non si soffermò sulla sua espressione ferita: sembrava assorto, preda di un qualche ragionamento che Tony non poteva afferrare. Aveva avuto quello sguardo perso altre volte, mentre Tony raccontava, era andato in posti che a lui invece rimanevano preclusi.
Alla fine si riscosse e riprese: «Tuttavia, come ti ho detto, tu non sai nulla di me, non mi giudichi, proprio perché non mi conosci. Non sei come gli altri. Ho ponderato ciò che hai detto circa la necessità che qualcuno ti ascolti. Sono arrivato alla conclusione che forse anche io ne ho bisogno, e voglio che sia tu. Per questo ti ho detto la verità: desideravo che tu ti fidassi di me, che parlassi e in cambio mi lasciassi parlare. Avrei potuto costruire per “Luke” una storia molto simile alla mia, è vero, ma non sarebbe stato lo stesso».
Il dio non lo stava guardando direttamente, né Tony lo forzò a farlo. Non si sarebbe mai aspettato che uno come lui fosse disposto a fidarsi a tal punto, non riusciva a immaginare una ragione così immensa che avrebbe potuto fargli bramare di confidarsi con qualcuno. Non che fosse esperto di psicologia divina, a ogni modo.
Non l’avrebbe ammesso, ma una parte di quanto Loki aveva affermato lo metteva a disagio: era chiaro che il dio era convinto che altri – in possesso di conoscenze che a lui mancavano – l’avrebbero considerato indegno d’essere anche solo ascoltato. Tony si chiedeva di cosa si trattasse e se anche lui si sarebbe trovato d’accordo con questi altri, qualora fosse entrato in possesso di simili informazioni.
Eppure Loki si era scoperto per lui, non aveva mentito né gli aveva fatto del male. Non poteva voltargli le spalle sulla base di supposizioni, così come non avrebbe abbandonato un progetto perché statisticamente aveva poche possibilità di avere successo.
«Okay». Si sedette sul divano e batté con la mano sul posto accanto al proprio, per esortarlo a imitarlo. «Vuoi qualcosa da bere?»
Loki si accomodò a una certa distanza da lui, come faceva sempre. «No» ribatté.
Solo no, non no, grazie, come chi sia abituato a farsi servire. Tony cominciava finalmente a collegare le informazioni, dal suo atteggiamento algido ed elegante al suo modo di parlare. Considerato che Loki era un principe, se non ricordava male, ogni cosa assumeva un senso.
Attese che fosse il dio a prendere la parola, ma lui non aggiunse altro. Scrutava il vuoto, accigliato, ancora incerto se aprirsi o meno anche dopo che gli aveva rivelato la propria identità.
Non doveva essere preoccupato che lui lo raccontasse a terzi – d’altra parte non poteva biasimarlo, aveva visto di cosa era capace e gente così non aveva bisogno di preoccuparsi di nessuno.
Stava per schiarirsi la gola e incoraggiarlo in qualche maniera, quando la voce profonda di Loki troncò il gesto – che in ogni caso non avrebbe avuto un buon esito, dal momento che incoraggiare non era proprio ciò che gli riusciva meglio – sul nascere: «Sono divenuto re. Odino è ora vittima dell’Odinsleep e, in assenza di Thor, sono stato incoronato come reggente. Tuttavia non so che farmene del mio trono». Si passò una mano sul volto, e per un secondo Tony intravvide un viso rugoso, devastato dalla spossatezza di milioni di anni di vita, al posto del suo bel volto giovanile. Poi Loki raddrizzò le spalle e sollevò il mento, orgoglioso. «Non era così che doveva andare. Odino ha rovinato tutto ciò che avevo così accuratamente pianificato».
Tony si sentiva positivamente confuso e aveva la sgradevole impressione di aver perso qualche passaggio. «Sì, ecco, sarebbe carino se mi raccontassi un minimo di antefatto. Sai, per capire una sillaba di quello che dici».
Gli occhi del dio bruciavano quando si posarono di nuovo su di lui, Tony rabbrividì sotto quello sguardo così intenso. «Credevo che Odino fosse mio padre, volevo che lui mi ritenesse degno, come riteneva degno Thor. Poi ho scoperto che in realtà sono la progenie mostruosa di un re decaduto, uno sgravio che non ha nulla a che fare con il mondo glorioso in cui sono stato allevato. Non so più chi sono». Sembrava così stanco. «Non so che cosa devo fare, Tony Stark».
Tony non era mai stato bravo a confortare le persone. A voler essere precisi, non era mai stato bravo con le persone in generale.
Sfogarsi era molto più facile che ascoltare un altro, perché quello si aspettava parole di consolazione che lui non era in grado di offrire. Non era neppure molto abile nell’immedesimarsi in qualcun altro.
Quella volta, invece, capiva senza difficoltà ciò che Loki provava.
Però era così grande, così tanto che non trovava alcuna frase abbastanza appropriata per aiutarlo o anche solo fargli capire che lui capiva.
Ripensò a quando era in Afghanistan, a Yinsen che gli chiedeva se avesse una famiglia. All’epoca, rigirare la domanda e ascoltare il racconto di quello sconosciuto, che per lui non significava niente, ma che, come lui, aveva perso tutto ed era sull’orlo del baratro, l’aveva colmato di sollievo.
«Io costruisco armi» cominciò in tono incerto. Quella storia del conforto era complicata. «Ero convinto di fare affari solo con l’esercito americano, di aiutare la mia patria a difendersi. Sai, quelle stronzate che ci si dice per autoconvincersi di fare la cosa giusta. In realtà c’è qualcuno che vende le mie armi ai terroristi. Sono stato in una delle loro basi per tre mesi, perché volevano che costruissi per loro uno dei miei missili. Per liberarmi, ho ideato un’armatura di cui attualmente sto sviluppando un nuovo modello. Voglio chiudere il reparto bellico delle Stark Industries. Finalmente voglio prendermi le mie responsabilità, fare qualcosa di buono, qualcosa di cui non debba autoconvincermi…» Scosse il capo, incredulo. «… e nessuno vuole ascoltare».
Tacque, stupito.
Non aveva mai confidato a nessuno i propri dubbi più profondi: non a Pep, non a Rhodey, nemmeno a Obie. Una settimana prima non avrebbe mai sospettato che si sarebbe ritrovato a farlo con un dio norvegese adottato.
Loki diede segno di aver seguito il suo discorso con un cenno del capo.
Non appariva più sereno, ma d’altra parte il più delle volte era impenetrabile, Tony non se ne sorprese.
Non dissero nulla. Il silenzio aveva un sapore amaro, Tony si stancò presto di quel gusto agrodolce.
«Perché sei venuto a raccontarlo proprio a me? Voglio dire, sulla Terra ci sono sei miliardi di persone che ti conoscono solo tramite le leggende e mi era parso di intuire che non ti stavo troppo simpatico. Perché io?»
Loki lo scrutò con uno sguardo indefinibile, ponderando con cura la propria risposta. «Tu sei stato il primo a guardarmi non come il figlio di Odino, oppure di Laufey. Non ti importava che io fossi degno o meno».
Così come lui non aveva pensato che Tony fosse il Mercante di Morte.
«Forse…» Indugiò, le labbra contratte e la fronte aggrottata. «Potrei essere tuo amico».
Lui stesso non suonava sicuro di quanto aveva appena proposto – se poi era una proposta – ma non aggiunse altro, né ritrattò.
Rasentava il ridicolo: Tony Stark, il più grande inventore del suo tempo, che aveva un mago alieno per amico. Pepper si sarebbe licenziata per esaurimento nervoso, se fosse venuta a saperlo. Riusciva persino a immaginare la sua arringa. Posso tollerare che lei vada a letto con una donna diversa ogni notte, ma non questo, Tony.
Quella fantasia generò un sorriso. «Ehi, ero serio quando ho detto che sarebbe stata una figata avere un dio come BFF». Gli rifilò un’occhiata divertita cui Loki replicò con un cipiglio confuso, palesemente perplesso circa il significato di “BFF”. «Miglior amico per sempre, voglio dire. Posso invitarti al prossimo noioso convegno per inventori?»



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*Shakespeare è il drammaturgo preferito di Tom Hiddleston, attore che interpreta Loki nei film
**Il Daily Bugle è il quotidiano per cui lavora Peter Parker, alias Spider-Man
***"Odinsleep" è il termine inglese con cui viene indicato il sonno in cui sprofonda Odino ogni anno (nel fumetto) e ogni x tempo indeterminato (nel film)


Long-fiction in due capitoli (oppure due capitoli più un breve epilogo) che conto di terminare nel giro di due o tre settimane, mentre lavoro al secondo capitolo de Burn it to the ground. La settimana scorsa hanno mandato Iron Man su Italia 1 e, rivedendolo dopo tanto tempo, sono stata ispirata per scrivere questa cosa (?), che combina (spero in maniera efficace) gli eventi di Iron Man, Thor e anche di Journey Into Mystery, più precisamente dell'arco che tratta di kid!Loki (però quest'ultimo riferimento sarà presente solo alla fine del secondo capitolo o dell'eventuale epilogo e non è assolutamente necessario essere avidi lettori del fumetto per capire il resto della trama). Per farla breve, i miei soliti cross-over volti al solo scopo di scrivere dell'IronFrost (slash o pre-slash che sia) di cui tutti farebbero volentieri a meno.

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Capitolo 2
*** I don't wanna be (your enemy) ***


I don’t wanna be (your enemy)
 
And I know I’ve got a feel from you it’s bitterness and cold
I’m hearing what you say but now believing what I’m told
-Enemy, Simon Curtis
 
Loki era tornato a trovarlo ogni giorno da allora. Era senza dubbio il più strano rapporto di amicizia che Tony avesse mai sperimentato: il dio si presentava a casa sua, chiacchieravano – o meglio, lui parlava e l’altro ascoltava –, talvolta bevevano qualcosa, poi Loki spariva e non si faceva vedere fino al giorno successivo.
Era strano, ma non spiacevole.
Non si facevano più domande del necessario, ognuno rispettava gli altrui spazi e godevano l’uno dell’acume dell’altro. Tony non doveva abbattere alcun muro, Loki non tentava di aprire brecce nei suoi, eppure al tempo stesso Tony aveva l’impressione che, se avesse avuto bisogno di lui, il dio ci sarebbe stato.
Poi, una sera, non si presentò.
Tony lo aspettò, battendo il perimetro del soggiorno per ammazzare il tempo, ma Loki non si fece vedere, mentre di norma era molto preciso.
Alla fine giunse l’orario d’inizio della cerimonia di beneficenza e Tony decise di lasciar perdere.
Quando tornò, solo e scosso, il dio era seduto sul divano in soggiorno, avvolto dall’oscurità, e fissava il pavimento con aria assente. Si riscosse nel sentirlo arrivare, sollevò la testa e lo fissò, sul punto di parlare, ma qualcosa nella sua espressione lo mise a tacere.
Tony aveva bevuto qualche bicchiere di troppo dopo che Stane l’aveva lasciato sulla scalinata come un idiota. Era l’unico modo per proteggerti. Dopo che aveva quasi baciato Pepper e si era trattenuto, non sapeva bene perché, forse per Loki, ma non riusciva a spiegarsene il motivo – e poi non era proprio il caso di interrogarsi a riguardo, nelle sue condizioni. Doveva esserle apparso come un codardo. Vado a prenderle da bere.
Faticava a mettere a fuoco e, anche una volta accese le luci, Loki rimase una figura dai contorni indistinti. «E-ehilà» mugolò, quasi fosse incerto di come si parlasse. «Cosa… Cosa fai qui a quest’ora? Questo non è… non è mica un albergo… sai?»
Il dio ridusse gli occhi a due fessure, si alzò in piedi e gli si avvicinò di qualche passo. «Quanto hai bevuto, Stark? Non ti reggi in piedi».
«Sì che, uh, mi reggo…»
Cadde, e solo il braccio teso di Loki gli impedì di rovinare ben poco gloriosamente sul pavimento.
«Noto» sbuffò il dio, mentre dalle sue dita strette sull’avambraccio di Tony si propagava un calore tiepido che a poco a poco ripulì la sua mente dalla nebbia dell’alcool, restituendogli le piene facoltà mentali.
Era la prima volta che usava la magia su di lui e anche la prima dopo quella sera in cui gli aveva dato una dimostrazione del teletrasporto; o, meglio, era la prima a cui lui assisteva direttamente. La magia lo metteva a disagio, ne era incuriosito ma al tempo stesso respingeva l’idea che ciò in cui eccelleva non servisse a nulla al cospetto del potere di Loki.
Ritrasse il braccio dal tocco del dio e fece una smorfia, entusiasmato ma anche infastidito da quello che era appena accaduto.
«Se uno si ubriaca di solito è perché vuole rimanere ubriaco» fece notare, sarcastico.
Loki incrociò le braccia al petto e lo fissò con cipiglio severo. «Che cosa ti è successo, Stark? Non ti avevo mai visto in quello stato».
«Stane» sibilò Tony a denti stretti. «Quel bastardo…» Rivoleva l’alcool, non aveva alcuna intenzione di ricordare così bene quella serata, ma sfortunatamente dubitava che il dio gli avrebbe permesso di ubriacarsi di nuovo. «Faceva il doppio gioco alle mie spalle fin dall’inizio. Era lui a vendere le mie armi ai terroristi».
Qualsiasi cosa si aspettasse come reazione, non era quello.
Gli occhi del dio si assottigliarono in due spaccature sottili, le labbra si arricciarono, rughe comparvero sulla fronte, un lucore minaccioso nelle profondità delle iridi verdi. Era più incollerito di quanto Tony l’avesse mai visto, e faceva paura.
Non si vergognava di ammettere che un brivido gelido gli accarezzò la schiena nel vederlo; negare sarebbe stato ridicolo: nessuno sarebbe potuto rimanere stoico al cospetto di una creatura che emanava un tale potere.
«Ehi» tentò di placarlo, preoccupato di ciò che avrebbe potuto fare in quelle condizioni. Non poteva essere solo la sua scoperta ad aver provocato tanta ira e forse il motivo aveva a che fare con il suo ritardo di quella sera. L’unico dubbio era se Loki avrebbe risposto alle sue domande oppure se gli avrebbe piuttosto staccato la testa dal collo. «Cos’è successo? Stasera, dico. Non sei normale… Cioè, per quanto possa essere normale un alieno. Asgardiano, quello che è. Voglio dire, mi sembri piuttosto incazzato, e sei arrivato molto più tardi del solito, perciò mi domandavo se per caso non fosse accaduto qualcosa di grave…»
Se non altro la sua parlantina sortì l’effetto di calmarlo, forse non per le sue proprietà terapeutiche, quanto più per le sue capacità irritanti, da non sottovalutare.
«Stark, ti prego, taci».
Per una volta, Tony tacque. Non gli sembrava il caso di discutere con un alieno magico potenzialmente furioso.
Il dio misurava la stanza a grandi passi, le mani intrecciate dietro la schiena, e l’intera scena faceva tanto cattivo che pianifica i suoi piani per la conquista del mondo, ma Tony non lo disse. Affezionato alla vita, rimase in silenzio.
«Sarò tradito» annunciò Loki, fermandosi un istante, ma le sue dita si muovevano a scatti veloci e febbrili, come se non riuscisse a trovare pace. «Il mio regno, sorto da così poco tempo, corre già il rischio di soccombere a causa delle azioni sconsiderate di quattro folli dissidenti». Scosse il capo e sbuffò a denti stretti: «I Tre Guerrieri e lady Sif. I migliori amici di Thor, in linea teorica anche migliori amici miei. Chiaramente no. È sufficiente che Thor si assenti per pochi giorni per rendere palese quanta fiducia ripongano in me».
Altri problemi che risalivano all’infanzia – che doveva essere stata qualche milione di anni prima, più o meno. Il dio si ostinava a non volergli rivelare la propria età autentica. Secondo il conteggio midgardiano, ho ventotto anni, era stato il massimo che fosse riuscito a estorcergli.
Avevano otto anni di differenza, quindi tecnicamente non era pedofilia, era stato il suo primo, fugace pensiero, subito seguito da Ma che cazzo…?
Non c’era bisogno di porre ulteriori domande per avere un’idea di come si sentisse Loki. Tony non aveva mai avuto molti amici, ma sapeva bene che cosa significasse non avere neppure la fiducia di chi avrebbe dovuto amarti – o, se non altro, di chi diceva di amarti.
Guardandolo, all’improvviso realizzò che, senza Pepper e Rhodey, lui sarebbe diventato come il dio: selvaggio, furioso, con accenni di follia che sconfinavano pericolosamente nella crudeltà. Loki aveva bisogno di essere salvato, prima che oltrepassasse il limite. Aveva bisogno che qualcuno gli tendesse una mano.
Tony aveva l’impressione che sarebbe stato più che mai felice se fosse stato Thor a farlo – lo menzionava così spesso e con tanta amarezza che era fuor di dubbio quanto fossero legati – ma sfortunatamente lui era solo se stesso, perciò il dio si sarebbe dovuto attaccare.
«Non c’è niente che possa fare?» Loki si voltò verso di lui con una tale rapidità serpentina che Tony temette si sarebbe slogato il collo. Ma no, perché lui era Loki il Dio Snodabile. «Per aiutarti. Qualsiasi cosa. Sai, sono piuttosto bravo a costruire cose…»
Era impossibile distinguere se il dio fosse irritato, felice, dubbioso o se considerasse la sua proposta una barzelletta divertente; di conseguenza, Tony non sapeva come reagire dinanzi l’espressione indecifrabile che gli si disegnò in volto e optò per non fare nulla, che gli parve la strada più indicata per non finire fisicamente debilitato.
Dopo una manciata di secondi di immobilità e silenzio, Loki gli si avvicinò con quell’incedere fluido che dava l’impressione che stesse danzando, oppure fluttuando.
In quelle occasioni, Tony provava a immaginarlo in tenuta da battaglia, al fianco del biondo, alto e possente fratellastro, durante una delle innumerevoli guerre che avevano combattuto insieme. Era difficile conciliare Loki seduto sulla spiaggia con Loki potente guerriero; molto più semplice era, invece, farlo con quel Loki irato eppure sempre elegante e silenzioso.
Con gli occhi della mente lo vedeva affrontare il campo di battaglia con la gloriosa magnificenza di un re e si chiedeva come mai chi l’aveva davvero visto combattere non fosse in grado di riconoscere il suo valore.
«No, Tony Stark, non c’è niente che un midgardiano come te possa fare in favore della causa di un sovrano». Loki parlò in un tono definitivo che non ammetteva repliche, la voce calma ma risoluta. Tony era sul punto di ribattere, quando il dio premette un lungo indice affusolato sulle sue labbra. Non aveva mai notato che aveva le unghie tinte di nero. «Tuttavia, sarebbe inappropriato da parte mia non riconoscere la nobiltà della tua offerta. C’è qualcos’altro che puoi fare per me, in cambio del quale sarò io a concederti il mio aiuto, in quanto tuo debitore, qualora ti occorresse».
«Cosa posso fare?» chiese allora Tony, sollevato di potersi rendere utile in qualche modo. L’impotenza gli era intollerabile, anche se fosse stato vero che un mortale dalla vita limitata non poteva paragonarsi a un dio senza tempo.
Loki era stranamente divertito.
Allontanò il dito dalla sua bocca, accostò il volto al suo, socchiuse le palpebre.
Tony era già stato baciato un’incalcolabile quantità di volte, sia donne che da uomini, ma senza dubbio mai da un dio.
Le labbra di Loki non avevano una consistenza diversa da quella umana, ma, nell’abilità con cui le muoveva, la lingua trovava la gemella e i denti strusciavano sulla carne senza mai ferirla davvero, c’era l’eco di un’esperienza infinita, così come nel suo sapore c’erano tracce di un’esoticità che non apparteneva a quel mondo.
«… Wow» ansimò Tony quando il dio si ritrasse da lui. «È, wow, è questo che vuoi che faccia?»
Si sentiva di nuovo ubriaco, ma adesso la sbornia non era quella triste di mezz’ora prima, era una sbornia esaltante che gli dava la sensazione di essere— un eroe, o forse solo uno che aveva cercato di salvare un amico ed era finito con l’essere salvato.
Loki sorrideva, ma non era un sorriso pericoloso; era solo un sorriso venato di malizia suadente. «Trovo che sia molto più alla tua portata e che possa rivelarsi utile per entrambi. Mi sbaglio?»
Dinanzi a quel sorriso – il sorriso di un dio – non aver baciato Pepper non sembrava più un errore; non averlo fatto per Loki assumeva ora tutt’altro significato.
Non sapeva cosa il dio avesse in mente per saldare il debito, ma non aveva davvero importanza. Non adesso. Non mentre Loki lo baciava di nuovo e gli sbottonava la camicia.
La sera dopo, fu Tony a non essere puntuale.
Loki mi ucciderà per questo…
L’ironia: era probabile che sarebbe morto molto prima che il dio avesse il tempo di trovarlo e ammazzarlo con le proprie mani.
Non udiva le parole di Stane, solo il martellare del suo cuore, ogni istante più vicino alle schegge mortali, senza il reattore arc. Vedeva però la sua faccia, la faccia viscida che aveva considerato amica, trasfigurata da una smorfia che doveva essere un ghigno trionfante.
Dovresti farti un lifting o come minimo una rinoplastica…
Era un peccato che non potesse dirlo ad alta voce, così come non poteva consigliargli di andare in palestra, come faceva lui, per ovviare a quella sgradevole rotondità che la camicia bianca non contribuiva affatto a celare. Così come non poteva sputargli addosso quanto gli facesse schifo e con quale piacere l’avrebbe ucciso, se ne avesse avuta l’opportunità.
Pensò che era una sfiga assurda morire davanti a un volto così odiato. Avrebbe di gran lunga preferito avere Pepper come ultima immagine impressa nella retina prima di finire all’Inferno. Oppure Rhodey. O Loki. Sempre che quest’ultimo non avesse voluto ucciderlo, perché allora sarebbe stato un tantino spiacevole.
Sembrava che Stane ne avesse ancora per molto con i suoi deliri, ma Tony aveva sempre meno tempo. La vita fluiva via da lui a ogni battito del cuore che lo portava un passo più vicino a essere trafitto.
Poi Stane si strappò.
Senza alcun preavviso, al centro della sua fronte si aprì un taglio che divenne una voragine e alla fine separò una metà del suo corpo dall’altra con la facilità con cui si strappa un foglio di carta.
Stane morì così, con il sorriso meschino incollato alla faccia, spezzato in due come la smorfia tragicomica di una maschera teatrale. Senza neppure rendersene conto. Vulnerabile, insignificante essere umano.
Il reattore arc rotolò a terra con un tonfo, le due parti del cadavere di Stane si afflosciarono come lenzuola, imbrattando di sangue rosso il pavimento, il divano e i vestiti di Tony. E Loki, in piedi alle spalle di ciò che era stato Obadiah Stane, con le mani ancora sollevate nell’atto di lacerarlo in due.
Il dio lo esaminò, prese nota del pozzo di metallo che si spalancava al centro del suo petto e si chinò a raccogliere il reattore.
Nonostante il sangue gli sporcasse il volto bianco e le mani aggraziate, non appariva turbato, solo infastidito, mentre faceva perno sul sofà con un ginocchio per piegarsi su di lui e incastonare il reattore arc al suo posto.
Tony sussultò quando il magnete entrò in funzione e gli salvò la vita, ma non poteva ancora muoversi. Loki premette un palmo contro la sua tempia e gli infuse una scarica di energia curatrice.
In attesa che facesse effetto, Tony si rese conto che l’abbigliamento del dio era diverso: portava una veste in pelle nera e finimenti d’oro che doveva essere la sua uniforme militare. Era pronto a combattere.
Perché era venuto da lui?
«Come ti senti?» volle sapere Loki quando il viso dell’uomo smise di dare l’impressione che potesse morire nello sforzo di aprire bocca.
«Non sono in forma per le Olimpiadi» biascicò Tony, inspirando profondamente ed esalando l’aria con cautela, per timore di provare dolore. Ma non accadde nulla, nessuna costrizione al petto, nessun accenno di sofferenza. Stava bene, e Loki aveva appena salvato lui e il mondo. «Cosa ci fai qui vestito in quel modo? Cosa sta succedendo?»
La tensione del dio era come un diamante, tagliente e indistruttibile. «Non posso rimanere a lungo. Ero venuto per dirtelo».
«Dirmi cosa?» insistette Tony, raddrizzandosi a sedere e sforzandosi di non abbassare lo sguardo sui resti di Stane.
Dopo avrebbe urlato, vomitato, forse anche pianto, perché, anche se gli era stata salvata la vita, era stato testimone di un orrore troppo grande da sopportare. Dopo.
«Che non potrò farti visita per qualche tempo».
Perché il suo regno stava cadendo a pezzi e Loki doveva essere là a proteggerlo oppure ad affondare con esso. Non era solo un arrivederci; se qualcosa fosse andato storto, sarebbe stato un addio.
Se ne stava andando.
«Mi stai chiedendo di aspettare» tradusse Tony, incredulo. «Come una principessa delle favole. Dio, non ci posso credere».
Il dio corrugò la fronte, chiaramente non a proprio agio con il concetto di favola, ma quella volta non aveva tempo per chiedere spiegazioni o rimproverare il suo infantilismo. Non avevano tempo, anche se il reattore arc aveva ripreso a funzionare.
«Ho pagato il mio debito con te prima di quanto credessi, Tony Stark. Adesso devo andare».
Tony tentò di alzarsi in piedi, ma, sebbene fosse stato curato, era ancora debole. Rischiò di cadere e si arrese a rimanere seduto. «Okay». Rilasciò quella sola parola insieme a un sospiro.
Loki non gli diede il bacio d’addio, conservavano entrambi una certa dignità.
Si limitò a scrutarlo per un lungo secondo di silenzio.
C’era qualcosa di strano, considerò Tony, ma non riusciva ad afferrare cosa fosse. Avrebbe voluto chiederlo, ma il dio svanì, lasciandosi dietro solo il ricordo di occhi verdi dalle profondità d’ombra. Quegli occhi avevano qualcosa di sbagliato, di terribilmente sbagliato.
Loki non tornò mai.
Tony giunse alla conclusione che dovesse essere caduto insieme al proprio regno.
Per un mese si rifiutò di apparire in pubblico; per la verità, anche di apparire fuori dal laboratorio. Dopo centotredici chiamate perse di Pepper, Tony si decise a risponderle. Lei gli chiese se fosse per Stane, lui non rispose.
Sì e no.
Sono in lutto, ammise, poiché la donna insisteva.
Per Stane?, si stupì lei.
Sì e no.
Qualche mese più tardi rischiò ancora la vita, questa volta a causa di Vanko, Hammer e dell’avvelenamento da palladio, ma Loki non lo salvò. Tony non aveva più alcuna ragione per sperare che fosse ancora vivo.
Fino a quel giorno, a quella telefonata, a quel fascicolo che l’agente Coulson gli porse – o meglio, che fu Pepper a porgergli in sua vece.
Fino all’apparizione del viso di Loki sugli schermi olografici.
Phil non lo conosceva bene e attribuì il suo impallidire alla paura, molto umana, anche considerato che Tony non era una spia addestrata all’eventualità di poter morire; Pepper, invece, forse non aveva modo di sapere come conoscesse Loki, ma non mancò di notare con quale stupefazione guardava le fotografie del dio che lo S.H.I.E.L.D. aveva scattato durante il suo attacco.
Loki, con gli occhi di uno sconosciuto azzurro mare colmi di potere e tenebre.
Loki, che aveva attaccato delle persone innocenti.
Loki, che non era mai tornato.
Pepper tentò di affrontare l’argomento, ma Tony la liquidò con una scusa lapidaria. Alla fine lei si arrese, annunciò che sarebbe partita per New York quella sera stessa e lo baciò su una guancia.
Rimasto solo, Tony guardò più volte il video che mostrava come il dio fosse comparso, avesse ucciso alcuni agenti, piegato al proprio volere altri con la magia e fosse scappato con quel congegno sconosciuto, il Tesseract. Come non si fosse affatto curato di informarlo del fatto che era sopravvissuto, dopo che per un anno Tony l’aveva creduto morto.
Allungò una mano e si rigirò tra le dita la copia olografica del Tesseract. Strinse, la guardò dissolversi.
Ho pagato il mio debito con te prima di quanto credessi.
Non erano più legati da nulla, era questo che Loki voleva fargli capire? Che non c’era più alcun regno per cui lottare, alcun legame per cui tornare ogni sera sulla spiaggia di Malibu?
Sì e no.
Mi stai chiedendo di aspettare. Come una principessa delle favole.
Le cose erano cambiate.
 
 
«BFF?» Leah gli lanciò un’occhiata dubbiosa, incerta se fosse un insulto o un complimento. «Che cosa significa?»
«Cercalo su Internet» ridacchiò Loki, divertito e in parte compiaciuto di essere un passo avanti a lei, per una volta.
La ragazza incrociò le braccia sotto il seno ancora acerbo e arricciò la bocca in un broncio indispettito. «E chi sarebbe stato a istruirti su tale concetto? Per quel che ne so, potresti averlo inventato».
A quella domanda il ragazzino si accigliò. Non aveva alcun ricordo di chi fosse stato a insegnargli quel termine, che conosceva da prima di scoprire monumenti alla sapienza quali tumblr o Twitter, ma una sensazione di turbamento gli suggeriva che avrebbe dovuto serbarne memoria.
«Non saprei» ammise dopo un momento di riflessione. Si sentiva anche un po’ triste, chissà perché. «Qualcuno d’importante, credo».

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