00:00 di Mamey (/viewuser.php?uid=1743)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00:00 ***
Capitolo 2: *** 01:00 - Ballerine d'Argento - ***
Capitolo 3: *** 02:05 - Famiglia - ***
Capitolo 4: *** 10:00 - Autunno ***
Capitolo 1 *** 00:00 ***
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La lattina di birra colpì la
scritta most wanted impressa sul muro in giallo fosforescente. Notevole,
calcolando che il suo proprietario non aveva preso alcuna mira. Una seconda
lattina raggiunse in fretta la parete, accasciandosi per terra con un ultimo
rivolo strozzato di bibita. Sicuramente una terza avrebbe seguito le altre a
breve.
"Agitato stasera,
Capo?"
La parabola disegnata dal
terzo pezzo di latta si bloccò a metà nell'aria, sussultando appena, prima di
cadere di schianto a pochi passi dal muretto. Pochi secondi e il suo corpulento
proprietario calpestò con forza lo sventurato barattolo, trasformandolo in una
lastra di alluminio.
"Sto benissimo Gordon, non si
nota?"
Afferrò con gesto stizzito
un'altra birra, aprì la linguetta con uno scatto secco, staccandola di netto
per gettarla alle sue spalle. Il primo sorso gli bruciò la gola quasi fosse
veleno.
"Perché mai dovrei essere
agitato?"
La nota innervosita che aveva la
sua voce dovette essere un monito per Gordon, perché cercò subito di rimediare alla
sua intraprendenza con le solite frasi di circostanza, già collaudate quando
era capitato in situazioni analoghe, e assai utili per sfuggire alla collera del
suo Capo e al pestaggio di massa che ad essa sarebbe seguito.
"Niente Capo, dicevo così
per dire..."
Una seconda sorsata di birra gli
raschiò la gola, bloccando l'insulto che stava per schizzarli dal petto. Un
buon leader non dice mai quello che pensa dei suoi sottoposti. Soprattutto non
ai sottoposti stessi. In special modo se la più alta opinione che si ha di essi è
rottinculo di merda. Bastò l'occhiata raggelante che lanciò allo
scheletrico ragazzo tanto indisponente, a zittire i brusii eccitati che si
andavano diffondendo nella piazzetta. Una terza sorsata gorgogliante e lo sbuffo
deluso di qualche ragazzo annunciarono lo scampato rischio di rissa.
Una ragazza dai lunghi capelli
corvini appoggiò una mano sul braccio del ragazzo robusto, si sollevò sulle
punte dei piedi per raggiungere il suo orecchio, situato ad una altezza di
centonovantuno centimetri, per poi sussurrargli: "Facciamo qualcosa di
divertente Big D?". Cenni di assenso e sguardi supplicanti riempirono lo
spiazzo davanti ai giardinetti pubblici di Magnolia Road.
"Potremmo sfasciare le
panchine del parco." propose Dennis.
"Le abbiamo già distrutte
settimana scorsa..." sbuffò in risposta Dudley.
"Potremo rompere le finestre a
quella rincoglionita del numero 12 di Wisteria Walk" azzardò Malcolm
"No, non mi piace. A me fate
sempre fare il palo e io non mi diverto!" si intromise Polkiss
Gordon, per ridare lustro alla sua
immagine incrinata in precedenza con quel commento poco opportuno, lo schernì
immediatamente "E cosa proponi di fare, ratto?"
"Potremmo picchiare tuo cugino
Harry, Big D."
Il silenzio scese nella piazzetta.
Nessuno aveva capito perché, ma l'argomento cugino Harry era diventato
tabù da qualche anno a quella parte. Il solo nominare quel teppista, che
peraltro era un pericoloso criminale che frequentava il San Bruto, rendeva Big D
di malumore e molto propenso a muovere le mani. Un divertimento assicurato per
chi assisteva alla scena, un po' meno per chi veniva usato come valvola di
sfogo. Dudley guardò raggelante Piers, lasciando cadere la lattina di birra a
terra per accendere la sigaretta che la ragazza mora gli porgeva.
Dudley Dursley aveva occhi da lupo e come i lupi era cresciuto
in fretta, male e da solo. I suoi genitori, opprimenti e
talmente dolci da risultare diabetici, lo avevano stancato già all’età di
tredici anni. I suoi amici avevano rispetto dei suoi pugni e della sua mole
imponente, più che della sua persona. C’era stato un tempo in cui lui e Piers
Polkiss erano stati amici, ma amici veramente, cioè quando potevano parlare di
tutto fiduciosi di essere ascoltati e si raccontavano segreti che nessuno
avrebbe mai scoperto. Ma quel tempo era finito insieme alle scuole medie quando
Smeltings, l’aumento di potere di Big D e della sua mole, le lotte fra bande e le fasi più
critiche dell’adolescenza li avevano allontanati. Ora lui era il capo, e
Polkiss il sottoposto. In una banda, fra il leader e i membri non c’è
spazio per l’amicizia.
"Polkiss." la sola parola servì a gelare sul posto lo
sventurato ragazzo. Piers si ritrasse di un passo, torturandosi preoccupato le
mani. "Cosa ti fa credere che io abbia voglia di perdere tempo con quello
sfigato di mio cugino?". Big D si ergeva in tutta la sua pienezza, dalla
punta dei capelli biondi e strabordanti di gel fino alle scarpe firmate: gli
avambracci schizzavano agitati nelle maniche della maglietta ed i pugni erano
chiusi e pronti all'attacco. Nessuno si accorse del tremolio che i suoi vacui
occhi azzurri cercavano di nascondere. Big D poteva affrontare tutto: le dispute
con le bande dei più grandi, le risse con i compagni di scuola, gli allenamenti
più pesanti di Boxe. Perfino le stucchevoli attenzioni dei genitori. Riusciva a
non fiatare, a passare per un genio, quando lui stesso sapeva di avere in dote
ben pochi neuroni, ad ottenere il rispetto di chiunque gli sbarrasse la strada.
L'unica cosa che Dudley Dursley non era in grado di affrontare era la magia.
Ringraziando il cielo che suo cugino Harry passasse nove mesi rinchiuso in un
lontano castello, Dudley cercava di dimenticarsi di lui rimuovendolo il più
possibile dai suoi pensieri. Le regole di base erano semplici:
- Harry Potter non esisteva, era un parto della sua mente: sua
madre era sempre stata figlia unica
- La strana coda spuntatagli all'età di undici anni era una
rara malformazione ossea
- Nessuna Ford Anglia aveva sorvolato Privet Drive con a bordo
il suo inesistente cugino e i suoi inesistenti amici dai capelli rossi (due dei
quali identici fino all'ultima lentiggine) quando lui non era che un pupattolo
di dodici anni, erano soltanto le riprese per il nuovo Mission Impossible IV
- Durante l'estate dei suoi tredici anni, zia Marge si era
gonfiata per una strana malattia ancora in fase di studio presso l'università
di Londra. In aggiunta nessuno strano individuo dotato di cappello a punta e
mantello si era aggirato in casa sua: la crisi mnemonica della zia era dovuta
allo shock
- Suo padre non aveva utilizzato l'intero servizio di porcellana
cinese come arma da lancio contro una cenciosa persona uscita dal camino del
loro salotto, marchiando indelebilmente i suoi quattordici anni. Si era trattato
di un malaugurato incidente che aveva visto Mr Dursley inciampare nel tappeto
persiano del salotto, aggrapparsi alla mensola del caminetto rovesciandola
nell'impatto e facendo rovinare a terra il prezioso servizio dell'epoca Ping.
- Nessun essere immondo aveva tentato di strappargli l'anima
nella scorciatoia tra Wisteria
Walk e Magnolia Crescent. In realtà era solo una ragazza del suo fanclub
di boxe che aveva tentato di baciarlo come
regalo per i suoi quindici anni
- L'inquietante vecchietto apparso a casa sua l'estate
prima era solo un simpatico agente del fisco venuto a controllare alcuni conti
della ditta in cui lavorava suo padre. Era arrivato ad un'ora molto tarda e per scusarsi
aveva offerto loro un liquore piuttosto particolare che aveva provocato a
tutti un forte mal di testa
- La magia non esisteva, era solo una fantasia da malati mentali
Con questi dogmi trascritti su un pezzo di carta che teneva
sempre nel portafoglio, a portata di mano per qualunque evenienza del caso, Big
D era convinto di potere rivoltare il mondo. Aspirò l'ennesima boccata di fumo,
lasciando cadere a terra la sigaretta mezza consumata per infilare le mani nelle
tasche dei pantaloni, prima di avanzare verso Polkiss.Un ghigno si disegnò
sulle labbra di molti dei ragazzi del gruppo. "Dagliele Dud!" esclamò
Gordon. "Vediamo se impara a stare in mezzo ai grandi, quel piccolo
sorcio." sibilò Dennis fregandosi le mani.
Il primo pugno fu così veloce che a stento Malcolm, quasi al
fianco di Piers, lo vide. Colpì il macilento ragazzino allo stomaco, facendolo
piegare in avanti. Il secondo colpo lo centrò in pieno viso, spaccandogli un
labbro che si ricoprì velocemente di sangue. Polkiss piegò le ginocchia
cadendo sull'asfalto con un gemito sofferente. Grida eccitate e risate
soddisfatte riempirono lo spiazzo; "Ne hai abbastanza Piers, o ne vuoi
un'altra razione?" disse divertito Dudley. "Corri a casa dalla mamma,
piccolo sorcio!" riuscì a gridare fra le risate la ragazza mora. Nessuno
badò più a Piers, che si risollevò a fatica e si diresse velocemente verso
l'altro lato della strada, tutti gli sguardi erano concentrati su Big D. I
complimenti e le pacche sulle spalle non tardarono ad arrivare.
"Sono le undici, Dud." sbuffò improvvisamente la
ragazzina spegnendo contro il muretto la sigaretta consumata. "Devo andare
o i miei mi ammazzano". Gli altri ragazzi bisbigliarono annoiati,
accertandosi che fosse realmente scattato l'orario del coprifuoco, e ci vollero
dei minuti prima che Dudley si decidesse a decretare la fine della serata.
Mentre camminavano per Magnolia Road, salutando gli amici che imboccavano le
strade laterali, Dennis prese la parola: "Domani sera si va da me, Dud? I
miei sono fuori e mio fratello ha affittato quell'horror che ti dicevo."
Dudley fece un cenno d'assenso con la testa. "Bene ragazzi, a domani
sera." esclamò Gordon prima di svoltare insieme ai due amici in una strada
laterale.
Big D e la ragazzina camminavano affiancati e in silenzio lungo
Magnolia Crescent. Arrivati all'imbocco della scorciatoia per Wisteria Walk,
Dudley si fermò. "Allora ci si vede domani sera." disse prima di
voltarsi verso il vicolo.
"Una sera o l'altra potremo andare al cinema insieme, Dud."
esclamò la mora voltandogli le spalle.
"Sta bene, dirò a Malcolm di organizzare
tutto." rispose quello muovendo qualche passo verso la stradina.
"Intendevo dire noi, Dudley. Tu ed io e basta."
Quando si voltò, Big D si ritrovò la ragazzina a pochi
centimetri di distanza. Quando si era avvicinata così tanto? Non aveva sentito
i suoi passi sull'asfalto. "Carmen, ne abbiamo già parlato..."
"Si, lo so. Ma lei ti odia, Dud. A me invece piaci."
Chiunque conoscesse anche solo un minimo Big D, sapeva che quella sua
espressione a labbra imbronciate e occhi al cielo poteva solo significare datemi-la-pazienza-di-sopportare-questa-mocciosa-lagna.
"Sai quello che me ne sbatte, Carmen, di quello che vuoi tu. Torna a casa,
ci vediamo domani sera." Si voltò velocemente ed iniziò ad attraversare
il vicolo. Mentre si guardava intorno con circospezione, per evitare spiacevoli
incontri che in realtà non erano mai avvenuti, sentì la ragazza
urlare alle sue spalle: "Mi stancherò di aspettarti, Dud. Quando ti
accorgerai dell'errore che stai commettendo verrai strisciando da me, ma ti
sbagli se credi che ti perdonerò." Ignorando i deliri insensati della mora
affrettò il passo e quando raggiunse Wisteria Walk rilasciò il fiato,
emettendo un sospiro di sollievo. Si accese un'ultima sigaretta percorrendo
quello che rimaneva della strada fermandosi all'incrocio con Privet Drive, per
gettare la sigaretta in un tombino. Poi svoltò e si diresse con passo deciso
verso il numero quattro.
Aprì la porta entrando nella perfetta Hall della sua casa
natia. Abbandonò la felpa firmata sul mobiletto all'ingresso e si diresse a
passo deciso verso la cucina. Sua madre era piegata sul lavello, con il
grembiule a fiori allacciato in vita ed i guanti di gomma bagnati di detersivo
per piatti. Suo padre era seduto sulla sua sedia preferita, davanti alla porta
finestra che dava sul giardino interno, rilassandosi leggendo il
giornale. Nessuna traccia del suo inesistente cugino. Perfetto.
Accese il televisore e si ritrovò a guardare una replica
del The Great Humberto, quel programma che tanto amava a undici anni,
quando la cosa-da-non-nominare-MAI-pena-urticaria non era ancora prepotentemente
entrata nella sua vita.
Dudley Dursley aveva occhi da lupo e come i lupi era
abituato a risolvere i suoi problemi utilizzando i pugni e la forza bruta. Ma
Dudley Dursley non era un lupo: era un semplice essere umano e come tutti
gli uomini a volte si scontrava contro qualcosa ben più potente di qualsiasi
pugno e crollava a terra, senza essere in grado di rialzarsi da solo.
Fino a quel giorno non era capitato che quelle poche volte
in cui era incappato in qualche diavoleria prodotta da quello sciagurato di suo
cugino Harry e dalla sua cricchia di strambi seguaci del
Sostantivo-che-non-doveva-essere-detto-senza-fare-gli-scongiuri-del-caso, alias
la Magia. Dudley, nonostante tutti pensassero che fosse un ragazzo dissennato
stretto in un’uniforme troppo piccola per la sua mole, possedeva una discreta
dose di neuroni ed era abituato ad usarli con parsimonia. Ne usufruiva quando la
sua banda si ritrovava incastrata in situazioni di pericolo, ma sembravano
destinati ad andare in letargo ogni qual volta qualcosa di irragionevole e
assolutamente impossibile gli tagliava la strada: la cricchia di Harry sembrava
archiviata in quella categoria.
Neanche quella
volta fece eccezione.
Big D aveva iniziato ad accartocciarsi come una foglia
secca quando il vetro della cucina era esploso in mille pezzi; il suo stomaco si
era ripiegato su se stesso non appena quattro uomini ammantati di nero erano
entrati sghignazzando, calpestando i resti di quella che era stata la sua stanza
preferita al numero quattro di Privet Drive. Il primo ginocchio aveva ceduto nel
momento in cui un lampo rosso lo aveva sfiorato, scagliando contro una parete il
corpulento Mr Vernon Dursley. Il corpo di suo padre era scivolato lungo il muro
ed era rimasto sul pavimento come una marionetta dai fili recisi. Il secondo
ginocchio lo aveva lasciato a terra quando uno dei quattro farabutti si era
avventato su sua madre in lacrime, allontanandola dal corpo del marito a cui si
era aggrappata con sguardo sgomento. Poi tutto si era fatto confuso. Il nome di
suo cugino gridato con rabbia, la porta della cucina che saltava in aria per
lasciare entrare un gruppo di strani individui, innumerevoli lampi di luce
multicolori che sfrecciavano per tutta la stanza…vide accasciarsi al suolo
troppe persone per essere contate, alcune che si contorcevano ancora, altre
talmente immobili e dagli occhi così vitrei da non potere essere che morte.
Quando la quiete scese sul campo di battaglia, del numero
quattro di Privet Drive non erano rimasti che due pareti grondanti intonaco,
molti vetri sparsi in quelle che fino a pochi attimi prima erano state delle
aiuole insignite del premio per il miglior prato suburbano e corpi ancora caldi
confusi nella polvere. Un urlo straziante quanto lo stridere di un corvo si levò
dal fragile petto di Mrs Petunia Dursley, accovacciata contro il corpo ormai
gelido del marito. Harry Potter, il Prescelto, era addossato ai resti della
cucina, tenendosi una spalla pesta e lacera. Al suo fianco l’ex professore
Lupin lo sorreggeva, sussurrandoli parole di incoraggiamento che non sembravano
sortire alcun effetto. Fra le macerie si aggiravano uomini dai lunghi mantelli e
dai cappelli più improbabili che, come un branco di avvoltoi, stavano contando
le vittime e cercando i feriti da soccorrere.
Dudley Dursley era il leader della banda più pericolosa di
Little Whinging e conosceva il prezzo della paura. Non si stupì quando si piegò
in avanti e appoggiò le mani sul vermiglio pavimento squarciato.
“Le voglio bianche, Vernon caro. La mia cucina deve
splendere come se fosse fatta di luce.” Aveva detto sua madre, tanti anni
prima, davanti al piastrellista ormai esasperato. Suo padre aveva sbuffato, si
era lisciato i baffi con fare stizzito, ma poi non era riuscito che a sorridere
davanti al volto gioioso della moglie. Gliele aveva prese quelle piastrelle che
tanto voleva, e la cucina adamantina e i lampadari ottocenteschi e il servizio
di piatti firmato. Addirittura il televisore per evitare la fatica di percorrere
il tragitto fino al salotto, quando il suo piccolo Didino voleva farsi uno
spuntino davanti alla tele.
Guardò le piastrelle divelte, rosse di sangue già
rappreso, e sentì strisciare sotto le dita l’acqua che scaturiva giocosa
dalle tubature infrante, ignara del disastro che la circondava e incapace di
lavare quelle lordure. Improvvisamente un rivolo di sangue ancora fresco lo
raggiunse con rantolii disperati. Si voltò alla sua sinistra: Mrs Dursley, colei
che da ragazza si era chiamata Petunia Evans, era accasciata sul corpo privo di
vita di Mr Dursley. Dal suo fianco, lacerato da un incantesimo, scendevano
copiosamente rivoli purpurei mentre ansiti le raschiavano la gola, facendosi
sempre più flebili. Quando si spensero del tutto Dudley Dursley piegò il capo
verso il pavimento, vomitando anche l’anima.
Erano passati
pochi minuti dalla mezzanotte del 31 luglio.
Harry James Potter,
il Prescelto, aveva compiuto 17 anni.
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Capitolo 2 *** 01:00 - Ballerine d'Argento - ***
01:00 - Ballerine d'argento -
"Ci sono state perdite?"
Alastor Moody avanzò trascinando la gamba di legno ormai spezzata.
L'ex professor Lupin era ancora chino su Harry, stretto anche
nell'abbraccio di una Ninfadora Tonks dai capelli color topo.
"Ci sono state perdite?!" ringhiò Moody, poggiando la mano sulla
spalla dell'uomo.
Prima che qualcuno potesse rispondergli, un gemito si alzò da un gruppo
confuso di corpi, vicino ai resti della cucina. "Porc..." sibilò il
vecchio Auror, mentre in pochi secondi un manipolo di componenti dell'Ordine
cercava di districare George Weasley dall'abbraccio mortale di due Mangiamorte e
di Mundungus Fletcher. "Sto bene.." riuscì ad ansimare il ragazzo in
risposta allo sguardo preoccupato del gemello, uno fra i tanti del gruppo.
Alastor si affiancò al giovane mago e con l'aiuto di Kingsley lo sollevò. Lo
tastò in varie parti del corpo per assicurarsi delle sue condizioni "Hey
Malocchio, non palpeggiarmi! Non sono mica una ragazza!" esclamò
indignato il rosso. "Un paio di costole incrinate, un labbro tumefatto, un
ginocchio pesto... da come sbraiti si capisce che stai benissimo ragazzo."
concluse l'anziano Auror, porgendo a George la bacchetta che aveva appena
raccolto da terra. Quando l'altro fece per infilarsela nella tasca posteriore
dei pantaloni l'urlo di Moody lo fece trasalire: "Quante volte devo dirtelo
che la bacchetta non si infila nei pantaloni, vuoi perdere una chiappa?
Possibile che nessuno segua le elementari norme di sicurezza per
bacchette?!". Fred gli fece il verso, rivolgendo al fratello uno sguardo
severo: "Vigilanza costante!" per poi scoppiare a ridere, ma
George rispose al suo richiamo con un sorriso amaro, troppo intento a guardare
il corpo scomposto di Mundungus che fino a pochi istanti prima lo affiancava.
"Lo abbiamo perso?" chiese piano Kingsley, appoggiando un braccio sotto
le spalle del giovane per sorreggerlo. Il ragazzo annuì.
"Altri cadaveri dei nostri in giro?" urlò Alastor zoppicando verso
Bill Weasley, appoggiato a quello che restava della parete divisoria del
salotto. Tonks, che
stingeva ancora Harry nel tentativo di calmare i suoi tremiti incontrollati, sbottò
indignata: "Malocchio! Ma ti sembra il modo?!"
"Vicino alle scale c'è Dedalus" singhiozzò Hermione Granger
entrando nella stanza seguita da Ronald Weasley. "In veranda, o
perlomeno in quello che ne resta, c'è Elphias Doge" aggiunse il rosso. Dai piani superiori
il signor Weasley si unì al macabro conteggio "Qui ci sono Emmeline e
Hestia."
Ginny Weasley entrò in silenzio, inginocchiandosi vicino a Harry e
prendendo ad accarezzarli i capelli, sussurrando sottovoce mentre Remus e Ninfadora si
alzavano per unirsi al resto del gruppo.
"Quanti Mangiamorte sono scapp..." prima che Alastor potesse finire
la frase, le scale che portavano ai piani superiori cedettero, troppo provate per
sopportare anche solo l'esiguo peso del signor Weasley. "Arthur!"
gridò Lupin correndo verso il salotto seguito da tutti i membri dell'Ordine
ancora in grado di muoversi sulle proprie gambe. Il mago di colore aiutò George a sedersi
vicino al fratello maggiore, ancora appoggiato alla parete, prima di raggiungere
gli altri.
Dopo minuti interminabili in cui l'unico rumore udibile era la sfilza di imprecazioni di
Fred, che giungevano
ovattate dal salotto, Bill sospirò.
"Gli zii di Harry?"
Harry Potter, il Prescelto, emise un singhiozzo strozzato prima di rifugiarsi
fra le esili braccia di Ginny Weasley e scoppiare a piangere.
Dudley era immobile, seduto nello stesso punto in cui i suoi piedi
avevano ceduto al peso della paura, con il volto rivolto al soffitto
scoperchiato mentre cercava la forza necessaria per fermare il ricordo dei lampi
di luce abbaglianti, che ancora lo scuoteva. Gli occhi blandamente azzurri erano
chiusi ed i capelli madidi di sudore e di gel rappreso si appiccicavano
malignamente alla sua fronte bassa. Sentiva la gola bruciare e raschiare sotto
singhiozzi che insistentemente gli partivano dal cervello ed inutilmente cercavano
di fuoriuscire attraverso i suoi denti serrati. I rumori giungevano
attutiti e remoti ai suoi sensi, troppo stanchi e spaventati per reagire agli
stimoli esterni.
Quando Harry Potter scoppiò a piangere dilaniò l'apatia illusoria in cui Big D
si era rifugiato: i suoi occhi si spalancarono
sotto il peso di una consapevolezza gelida. Con violenza si impose di guardare
i corpi dei suoi genitori, pochi metri alla sua sinistra: le labbra si piegarono
sotto lo sforzo di bloccare le lacrime.
Quando Big D stava per cedere, un fruscio lo costrinse
a voltarsi verso destra. Una esile, quasi eterea, ragazzina dai lunghi capelli vermigli lo osservava.
I suoi occhi erano lucidi, le labbra tremanti. Gli bastò soffermarsi sui
suoi abiti; grigio perla e sullo strano oggetto di legno che portava
allacciato alla cinta per capire che fosse una di quei matti.
Se
nella situazione in cui si trovava Dudley Dursley pensava di aver raggiunto l'acme
dell'angoscia, scoprì che il suddetto limite era molto, molto più
lontano di quello che mai avrebbe potuto immaginare.
Come accecato riportò il
volto nuovamente al soffitto, serrando palpebre e labbra nel tentativo di
allontanare l'orrenda visione. Fu con paura che accolse un nuovo brusio ed il
tocco freddo di una mano appoggiata sulla sua fronte.
Il suo respiro si interruppe, ricordando il vizio che sua madre possedeva
sin da quando era bambino: gli adagiava la mano gracile sulla fronte
in una carezza protettiva, cercando di rassicurarlo convinta in qualche sua
inesistente paura. Petunia Dursley non sapeva, sciocca, che come tutti i lupi
della peggior specie Dudley aveva la stoltezza di non aver timore di niente,
all'infuori della sua irrimediabile allergia per
Colei-che-non-doveva-essere-nominata.
Per pochi attimi Dudley Dursley si rivide
bimbo di undici anni, con un'appendice che nulla aveva a che vedere con la sua
natura umana, rintanato tremante ed in lacrime sul suo letto. Sentì il fruscio
della porta ben oliata della sua camera ed i passi attenuati sulla moquette blu. Avvertì l'aria scostarsi dalla sua fronte quando qualcosa di caldo e
rassicurante vi prese il posto.
Certo di trovare due occhi scuri e
opachi a rincuorarlo per l'ennesima volta, Big D aprì gli occhi.
Quando realizzò che il gelido arto apparteneva alla ragazzina si
ritrasse di scatto con un urlo disgustato e, instabile, costrinse le gambe
a risollevarsi aiutate dalle mani ancora più tremanti. Il risultato fu una
specie di capriola storta, con annesse imprecazioni del caso, che sicuramente in
un'altra situazione sarebbe stata conclusa con un elegante scuotere di spalle,
una fine bestemmia ed il giuramento di ammazzare chiunque lo avesse visto. In
quale caso lo vide invece indietreggiare di qualche passo strisciando come un
verme, pallido in volto.
"Vattene via!" sibilò scuotendo la testa con veemenza.
La
ragazzina dai capelli di fuoco lo osservò con lo stesso sguardo etereo e
traballante che gli aveva riservato pochi istanti prima.
"Vattene via..." la supplicò di nuovo il ragazzo biondo,
spaventato da quello sguardo tremante.
Fu questione di pochi attimi. L'unica cosa che capirono Mattew Werring e
Catrine Frensh, due giovani Auror alle prime armi, furono le dure parole del
loro capitano che iniziarono con "Imbecilli" e finirono con
"degradati!". Come riportarono poi i due giovani Auror ora meno che
alle prime armi sul loro Rapporto, il ragazzino era uscito dalla casa correndo
ad una velocità che la sua stazza, secondo le leggi della fisica, non poteva
permettergli; aveva poi attraversato la barriera di protezione, il cui scopo era
nascondere i resti di Privet Drive numero quattro dagli sguardi indiscreti ed
indagatori degli altri abitanti di Little Whinging; si era fermato, spaventato
dal contatto con la fredda magia protettiva e si era voltato ad osservare
incredulo la riproduzione, ovviamente magica, della casa così come era stata
fino ad un'ora prima. Con un verso che poco aveva di umano, ma ricordava tanto
del suino come precisò il quasi/Auror Frensh, il ragazzino biondo si era
diretto di corsa
verso il limitare della via, svoltando poi all'angolo fino a sparire dalla
vista. Il tutto si era svolto così inaspettatamente e velocemente che i due
erano rimasti basiti, senza poter fare nulla.
L'altalena su cui Big D era abbarbicato cigolava impietosa, risuonando cupa
per buona parte del parco e sicuramente anche in Magnolia Road che a quell'ora
di notte, come si confà ad una via abitata da gente civile, era deserta.
Nell'irrealtà della situazione Dudley si chiese come gli abitanti di Little
Whinging potessero ancora dormire: sicuramente una casa implosa su se stessa
doveva causare un qualsivoglia rumore. Ma l'unico alito di vita, oltre al
suo respiro affannato, era il sinistro scricchiolio del metallo a cui era
attaccato quasi avesse paura di cadere nel più profondo baratro una volta
lasciata la presa.
Sicuramente quell'innaturale silenzio era opera di qualche diavoleria di quei malati esattamente
come la riproduzione della sua casa, uguale fino all'ultimo particolare a quella
originale che era andata perduta. Si chiese se lo avrebbero cercato, o per lo
meno quanto il suo scarso nascondiglio avrebbe resistito. Sorrise amaramente,
comprendendo che alla fine non gli importava un benemerito di nessuna di quelle
cose: con quelli in circolazione nulla sembrava avere un senso.
Qualsiasi sorte gli sarebbe toccata non poteva che accettarla o, nel migliore
dei casi, lasciarsi trascinare via da
chiunque fosse arrivato a prenderlo.
I suoi genitori erano morti. I suoi stucchevoli, diabetici ed odiosi genitori
erano morti e lui non desiderava altro che tutti quegli schifosi fossero morti
insieme a loro. Che la vita sregolata del teppista lo avesse reso cinico ed
indifferente?
Improvvisamente un lieve picchiettio di tacchi si diffuse nel parchetto.
Probabilmente qualcuno stava tornando a prenderlo, si disse, o magari a farlo
fuori. Arrivato a quel punto non gli importava neanche il perché
di quel caos assurdo. La sua mano corse
inconsciamente alla tasca dei pantaloni imbiancati di intonaco, stingendo il
pezzo di carta a cui aveva affidato parte della sua sanità mentale. Si sorprese
di trovarlo ancora intatto.
Quando stava per estrarlo e leggerlo, giusto per darsi almeno la forza di
credere fino alla fine che un mondo senza orride-cose-da-dimenticare esistesse,
il ticchettio si interruppe ed un paio di ballerine argentate, che
rilucevano alla fioca luce dei lampioni, si fermarono ai piedi dell’altalena.
La voce strascicata arrivò come una stilettata alle orecchie del
ragazzo: "Dovevo immaginare che fossi tu la causa di tutto questo caos,
Dursley."Dudley sollevò il volto di scatto, colpito da un pugno
invisibile, ma non per questo meno doloroso. I brillantini argentati davano vita
ad una strana danza sul selciato dei giardinetti e, intento com'era ad osservare quelle strane ombre, gli ci
volle qualche secondo per riprendersi. Lo spreco di tempo gli costò lo sguardo
severo che la ragazza gli rivolse.
Sorrise, di un sorriso così amaro che non gli apparteneva, prima di
sussurrare: "Le brave ragazze non dovrebbero essere in giro a
quest’ora, Farchet."
"Io vado dove voglio e quando voglio, Dursley. Devo usare il mio Bastone
per ricordartelo?"
"No, se dopo non vuoi che inizi ad usare il mio."
"Sei il solito animale, Dursley. Che ci fai qui a quest'ora? Ancora a
creare disordini, tu e la tua banda di svitati?"
Il sorriso palesemente falso del biondo si ridusse di qualche centimetro.
"Questa notte non sono l'unico svitato in circolazione."
"Se era un tentativo di offesa ti informo che non ha avuto
effetto." sibilò la ragazza, riducendo tuttavia gli occhi castani a due fessure.
"Non ci crederai, Farchet, ma non era rivolto a te."
"Per essere un teppista di terza classe sei un pessimo bugiardo."
Big D avvertì distintamente lo scricchiolio dei suoi nervi che andavano in
frantumi, ma non fece niente per fermare la sua collera. Si alzò dall'altalena
e strinse i pugni, drizzando la schiena in tutta la sua mole imponente.
"Che cavolo vuoi, Farchet. Sei venuta qui a rompermi le scatole senza un
motivo, dandomi del teppista, dello svitato, del casinista... e adesso mi dai
pure del bugiardo" il suo tono era due ottave più alto del normale e le
sue pupille, spalancate all'inverosimile, gli conferivano un aspetto ancora più
spaventoso del solito, tanto che la ragazzina dai capelli castani indietreggiò
di un passo. "Sai qual'è la novità, piccola odiosa rompiscatole?! Tu non
sei il centro dei miei pensieri. E ora sparisci, prima che mi convinca a darti
una lezione una volta per tutte."
Il silenzio scese sul parchetto accompagnato dai respiri affannati di Dudley,
spossato dalla paura e dalla stanchezza. Ogni secondo che passava rendeva
evidente il fatto che sarebbe potuto arrivare davvero a metterle le mani
addosso. "Vattene." sibilò infine, risedendosi sull'altalena e
appoggiando i gomiti alle ginocchia, troppo esausto per rimanere in piedi anche
solo un altro secondo.
La ragazza, spostando il peso da un piede all'altro indecisa sul da farsi,
invece di andarsene come il buon senso le suggeriva si avvicinò all'altra
altalena. "Posso?" chiese in poco più di un sussurro, tanto che Big D
pensò di esserselo immaginato. Così si limitò ad annuire. Iniziò a
dondolarsi, le ballerine che rilucevano ad ogni movimento delle gambe ed il
volto chino, coperto dalla coltre di capelli opachi.
Big D, con i nervi ancora a fior di pelle, proiettò sopra di lei la sua
rabbia, inveendo mentalmente contro quella odiosa ragazzina tanto arrogante.
Fece scroccare dita e nocche immaginando di piantargliele dritte nello stomaco.
Stava quasi per attuare le sue fantasie, che già assaporava come liberatorie,
quando quella si fermò di colpo piantando i tacchetti striminziti delle scarpe
contro il terreno.
"Scusami"
Di nuovo un sussurro spaurito, questa volta però Dudley non annuì, colto
alla sprovvista e strappato ai suoi dolci propositi di sfogo.
"Non lo pensavo davvero... tutte le cose che ti dico, tutte le volte che
ci incontriamo, non le penso mai davvero."
Se non fosse stato troppo incazzato per l'irrealtà della situazione Dudley
Dursley sarebbe scoppiato a ridere. Tuttavia non diede segno di aver sentito.
"Anche se sei un imbecille ed un teppista con un solo neurone, io non ti
odio veramente." concluse lei ignorando la sua indifferenza.
Dudley si ostinò nel non rispondere.
"Tanto lo so che anche se fai l'indifferente mi stai ascoltando, Dursley.
Smettila di ignorarmi."
Big D sospirò per l'ennesima volta chiedendosi quanto ancora avrebbe retto.
"Non essere patetica, Farchet. E' ovvio che non mi odi: per odiare una
persona bisogna conoscerla, e tu a mala pena sai il mio nome."
La ragazzina alzò il volto di scatto, punta sul vivo dall'insulto. "Io
cerco di essere gentile e tu mi insulti, sei proprio un demente Dursley!"
"Dirmi che sono un imbecille ed un teppista senza neuroni è un
complimento?" il sopracciglio del ragazzo si sollevò pericolosamente,
incerto fra l'essere scettico o seriamente colpito. "Hai uno strano modo di
fare i complimenti alle persone."
"Prima di tutto era mononeurone, non senza neuroni. Secondo, sì: era un
complimento. Se no mica ti dicevo che non ti odiavo..."
"Tu sei tutta complessata, per non dire fuori come una biglia. Ma da
dove cavolo le tiri fuori certe vaccate?" sbottò, risentendo i muscoli
contrarsi per il fastidio.
"Adesso stai zitto, ciccione ingellato! Non hai già fatto troppo
casino, per stasera?" sbottò lei in risposta, incrociando le braccia sul
petto ed imitando il movimento delle sue sopracciglia, tanto per irritarlo
ancora di più.
Dudley ammutolì. Per qualche attimo, qualche stupendo, insperato e
spaventoso attimo si era dimenticato di tutto: della gente che affollava la sua
casa, ormai distrutta, dei cadaveri dei suoi genitori, del suo inesistente
cugino Harry. I ricordi gli caddero addosso, pesanti come cascate sulle rocce ed
altrettanto dolorosi.
"Di che casino parli?" si sentì sussurrare Big D,
chiedendosi se quella voce tremolante fosse realmente la sua.
"Del botto dei lampioni sulla tua via, Dursley. Non hai sentito prima
che frastuono? Era talmente forte da raggiungere anche casa mia in Magnolia
Crescent. E' arrivato addirittura un poliziotto a rassicurare il vicinato, ha
bussato a tutte le porte. Sinceramente non capisco perché non abbia suonato al
campanello, al posto di bussare come un ossesso, ma comunque... Lo avrai sentito
sicuramente."
L'espressione sul volto del ragazzo gelò: i muscoli della mascella si
contrassero sui denti facendoli scricchiolare, le pupille azzurrognole si
ridussero a due schegge e le labbra si indurirono sotto una smorfia di
disgusto."Si. L'ho sentito." Ma prima che potesse aggiungere altro due
uomini ingolfati in abiti stravaganti apparvero davanti a loro.
Il più alto dei due, con lunghi capelli legati in una coda alta ed un orecchino
d'oro al lobo, vestiva completamente di rosso: dai pantaloni tagliati al
ginocchio alla maglia piena di strappi. Il secondo indossava una vecchia divisa
della polizia, scolorita e con i polsini lisi.
"Buonasera signor poliziotto. Ha scoperto poi qualcosa riguardo ai
lampioni?" chiese la ragazzina, riconoscendo l'uomo a cui aveva aperto la
porta poche ore prima. Lui però la ignorò completamente, incentrando lo
sguardo sul ragazzo biondo che sedeva sull'altra altalena.
"Dudley Dursley? Devi venire con noi." a parlare fu quello vestito
di carminio. Entrambi gli uomini estrassero dalle tasche uno strano pezzo di
legno e lo puntarono verso i due ragazzi.
"Mi scusi, ma che sta facendo con quel bastoncino?" chiese
perplessa la ragazza castana voltandosi verso il biondo in cerca di sostegno.
Ciò che vide la fece impallidire: Dudley Dursley, il famigerato teppista di
Little Whinging, colui che da solo, seppur dotato di un solo neurone, riusciva a
tenere testa alle bande dei ragazzi più grandi, stava tremando. E non poco.
Delilah Farchet si accorse che qualcosa non andava quando la mano paffuta del
ragazzo raggiunse tremando la tasca dei suoi pantaloni, estraendone un foglietto
stropicciato che strinse fino a che le nocche non gli diventarono bianche.
Quando l'uomo vestito di rosso, che le puntava lo strano legno verso il viso,
iniziò a pronunciare ancor più strane parole in una lingua che non conosceva,
sentì un torpore innaturale invaderle il corpo. La sua mente era incentrata sui
ricordi delle ultime ore e si accorse che, anche se tentava di pensare ad altro,
riaffacciavano prepotenti. Avvertì una vocina, poco dietro il suo orecchio,
domandarle suadente se volesse liberarsi di quei fastidiosi pensieri tanto
invadenti. Annuì, lasciando poi ciondolare la testa sul collo, mentre il
ricordo del sonoro botto che l'aveva svegliata ed il viso del poliziotto a cui
aveva aperto la porta iniziavano a farsi meno nitidi. Quando rivide se stessa
raggiungere Dursley all'altalena e sedersi vicino a lui ebbe un attimo di
esitazione. "Dudley..." sussurrò, cercando di mettere a fuoco il
ricordo che si andava perdendo.
Quando Big D aveva visto l'uomo vestito da poliziotto estrarre quella cosa
e puntargliela contro il naso, aveva iniziato a tremare. Sarebbe anche
indietreggiato, se il suo voluminoso fondoschiena non si fosse incastrato
nell'altalena formato bambino su cui era seduto da diversi minuti. La mano corse
subito al foglietto, stritolandolo per l'ennesima volta in quella infinita sera
di terrore: si chiese quanto si fosse ancora salvato della sua sanità mentale,
mentre con crescente inquietudine accolse i bisbigli inumani dello strano tizio
vestito di rosso, prima di accorgersi con sollievo che a essere colpita era
stata la Farchet. I due esseri immondi lo guardavano, invitandolo ad alzarsi,
cosa che fece con enorme riluttanza ed enorme fatica visto lo stato delle sue
membra. Tanto per esserne certo controllò se non gli fosse spuntata qualche
stana appendice, così, giusto per sicurezza. Stava già per alzare le mani in
segno di resa, pronto ad abbandonare il foglietto dei suoi Credo e gli ultimi
brandelli di dignità, quando la ragazzina, che pareva addormentata, sussurrò
il suo nome.
Così come una strana forza lo aveva preso quando nei resti della sua casa
natia la pazza coi capelli di fuoco aveva cercato di toccarlo,
permettendogli di correre lontano da quel posto di morte senza essere fermato da
nessuna di quelli esseri stravaganti, così una strana sensazione lo
indusse ad afferrare il polso della Farchet, allontanando la sua fronte dalla schifezza
che uno dei due uomini gli premeva ancora contro, e a travolgere con la sua mole
i due dirigendosi di corsa verso l'uscita del parco, ignorando le grida
scomposte del finto poliziotto ed i spaventosi schiocchi colorati che
fendevano l'aria cercando di raggiungerlo. Varcato il cancello dei giardini,
procedendo in maniera scomposta nel tentativo di evitare i fasci di luce che lo
inseguivano, si diresse verso l'estremità opposta di Magnolia Road, cercando di
lasciarsi alle spalle Magnolia Crescent e, soprattutto, Privet Drive.
Aggrappata alla sua mano, con gli occhi offuscati come se si fosse
svegliata da un lungo sonno, la Farchet ebbe ancora la forza di rompere le
scatole
"Visto Dursley? Lo sapevo che tu avevi a che fare con tutta
questa storia."
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Capitolo 3 *** 02:05 - Famiglia - ***
02:05 - famiglia -
Ho bisogno di una sigaretta.
Questo pensiero assillante martellava nella testa di Big D da parecchi
minuti. Per la precisione da quando, arrivato davanti alla casa bianca in una
piccola traversa di Magnolia Road, posta nella strada che era il continuo di
Magnolia Crescent, era entrato con foga, rischiando di scardinare la porta, per
trovarsi davanti un esterrefatto Gordon in pigiama e con una tazza di latte in
mano, in procinto di farsi uno spuntino di mezzanottata.
Mentre percorreva in corsa la fine di Magnolia Road, in un brevissimo momento
di lucidità, non più di qualche millesimo di secondo, la mente di Big D si era
messa in funzione: metà del suo organo celebrale era concentrato nel dare
ordini al corpo - la velocità a cui le gambe dovevano correre, la forza che il
braccio doveva impiegare per trascinare il lento peso della Farchet, la moderata
pressione delle sue dita sul polso della ragazza, per evitare di spezzarglielo -
l'altro emisfero celebrale si era attivato ricomponendo i ricordi delle ultime
ore, tentando di individuare un nascondiglio sicuro. Fu una fortuna che Gordon,
quella stessa sera, si era vantato di avere casa completamente libera, perché i
suoi genitori erano in vacanza. La decisione era stata simultanea e, tempo altri
millesimi di secondo per spostare le informazioni da un emisfero all'altro, le
gambe di Dudley scartarono a sinistra, nell'ennesima stradina collegata a
Magnolia Road, e poi di nuovo a sinistra, giù per la lunga strada parallela,
fino alla traversa in cui abitava Gordon.
Finalmente poteva riposare le gambe, stanche per la lunga corsa, seduto sulla
poltrona blu notte della camera del compagno di risse, abbinata al piccolo letto
e ai mobili che riempivano il locale. Di fronte a lui, la Farchet si massaggiava
i polsi indolenziti, strusciando nervosamente la punta di una delle scarpette
sul tappeto.
"Bene Capo." Gordon era appoggiato allo stipite della porta
"se quella" ed indicò con un cenno del mento la ragazzina "rompe
le scatole, nell'armadio lì in fondo c'è il mio bastone. Usalo pure."
Dudley non rispose, limitandosi a guardare la mora che continuava a riempire il
tappeto di polvere argentata. Il bastone di Smeltings, parte della divisa usata
per rinforzare il carattere degli studenti, era una cosa strettamente
personale. Nessuno avrebbe mai prestato il proprio ad un altra persona. I
componenti della banda di Big D, invece, mettevano a disposizione del loro capo
i loro bastoni, in segno di rispetto e sottomissione. Oppure di paura,
opzione che a Dudley sembrava più probabile. Spostò lo sguardo dalle scarpe
della Farchet al viso di Gordon e al suo naso storto, risultato di una rissa
clamorosa contro i ragazzi più grandi. "Ho fame." Il viso di Gordon
si illuminò di comprensione: ecco il motivo per cui il suo Capo, sempre così
ciarliero e divertente, era improvvisamente taciturno. "Mettiti comodo
mentre vado a preparare qualche cosa da mangiare." "Gordon..." la
voce ruvida di Big D bloccò i movimenti del ragazzo, già voltato verso il
corridoio e pronto a scendere in cucina. "Si, Big D?" "Solo i
poppanti bevono il latte, per farsi uno spuntino di mezzanotte. Preparami
qualcosa di decente.". Il ragazzo arrossì, annuendo quasi a fatica,
incamminandosi verso le scale che portavano al piano inferiore, e quindi alla
cucina. Quando fu sicuro di essere lontano dalla vista accelerò il passo,
scendendo i gradini a due a due.
Nella camera, Big D sorrideva alla porta aperta e vuota. Poi si voltò verso
la ragazza, che aveva smesso di tormentare il tappeto, ma che accarezzava ancora
i lividi rossi sui polsi. "Sei un animale Dursley. Mi hai quasi spezzato un
polso. Questo è sequestro di persona, sai?E sei pure un ricercato, quel
poliziotto ti voleva sicuramente arrestare. Ti sei messo nei guai questa volta,
in guai grossi!" sorrise vittoriosa lei. "Sarà," sibilò Dudley,
sostenendo il suo sguardo "ma resta il fatto che tu sei qui, mentre il
poliziotto ha perso le nostre tracce.". Il sorriso della mora diminuì di
qualche centimetro.
"Dammi una sigaretta, Farchet." sbottò Big D, all'improvviso.
"Non fumo Dursley, fa male alla salute."
"Non mi interessa la storia della tua vita, ragazzina. Ho bisogno di una
sigaretta."
"Potevi prenderle prima di uscire da casa"
Dovevo procurarmele prima che mio padre si accartocciasse contro il muro o
dopo che mia madre ci ha lasciato le penne per dissanguamento? si chiese
mentalmente Big D, maledicendo l'ottusità della ragazza.
"Vammele a comprare, allora."
La Farchet si diresse a grandi passi verso un armadio in legno scuro, poco
distante dal letto, e ne estrasse il Bastone in dotazione alla divisa di
Smeltings. Voltandosi di scatto sbottò: "Hai due possibilità Dursley: o
la pianti di sbraitare inutilmente, o ti pianto questo bastone sulla
testa."
Dursley non sembrò per niente impressionato. "Tu ne hai solo una,
Farchet: andare a comprarmi le sigarette."
La ragazza sollevò il bastone con movimenti sicuri, tenendolo sopra la testa. "Ti dò un'ultima
chance, Dursley,"
"Io invece ho esaurito la pazienza." il ragazzo robusto si
alzò dalla poltrona imbottita su cui era seduto ed avanzò con passo fermo verso la
mora che indietreggiò cercando
di mantenere la presa ben salda sul legno. "Non credere che mi faccia
scrupoli a picchiarti solo perché sei una ragazza." sibilò fermandosi a
poca distanza da lei. "Usare i pugni è l'unico modo che conosci per
risolvere i problemi, Dursley?" ma nel dirlo indietreggiò ancora un poco,
finendo con le spalle contro l'armadio.
In trappola.
"No, non è l'unico.
Ma sicuramente è il più efficace. Muoviti." e per dare forza al suo
ordine appoggiò l'enorme pugno contro il mobile, a lato della testa della
ragazza.
Digrignando tra i denti parole incomprensibili, ma certamente non
lusinghiere, la mora sgusciò sotto le braccia tozze di Big D lasciando cadere a
terra il bastone ed uscì dalla
camera, sbattendosi la porta alle spalle. Quando il ragazzo sentì chiudersi con un tonfo
sordo anche la porta d'entrata, si lasciò scivolare sul pavimento.
Big D rivide mentalmente suo padre accasciato contro il muro e sua madre
che gemeva rumorosamente a ritmo
coi fiotti di sangue che le uscivano dal fianco. Visualizzò il pacchetto di sigarette,
rimasto nella tasca del giubbotto, all'entrata. Poi cercò in quella distorta
visione il momento più adatto per afferrarlo. Infine rise, constatando gli
allucinanti effetti che poteva provocare l'astinenza da fumo in situazioni
devastanti come quella in cui si trovava.
"Non avrai iniziato a fumare, Didino, vero?" Petunia Dursley
sorrise all'indirizzo del figlio, sventolando un consunto pacchetto di sigarette
mezzo vuoto. "Ho trovato questo nella tasca del tuo giubbotto... non sono
tue vero Duddy?" Dudley mostrò la sua doppia fila di denti candidi,
aprendosi in un sorriso falso quanto efficace. "No, mamma. Quelle sono di
Piers. Le tengo io perché se sua madre le scopre..." fece un gesto
noncurante con la mano, come se il resto fosse ovvio. "Certo caro,
come sei gentile con i tuoi amici! Devi volere molto bene a Piers, per fare una
cosa simile." Dudley scoprì maggiormente la doppia fila candida di denti,
i cui canini scintillarono pericolosamente -come quelli di un lupo, avrebbe
detto chiunque; come quelli di un bambino in salute, sosteneva Mrs Dursley- ed
annuì, mentre nell'opaco e pericoloso azzurro dei suoi occhi, a cui il sorriso
non arrivava più ormai da parecchi anni, si poteva scorgere la lacera e pesta
figura di Piers dopo che quello stesso pomeriggio gli aveva requisito il
pacchetto di sigarette.
Nuovamente, nell'arco di quella notte che sembrava infinita, Big D riesumò
dalle sue stanche membra ricordi passati. Si sorprese di come cose stupide ed
insignificanti, almeno fino a poche ore prima, acquistavano calore ed
importanza.
Quando aveva a che fare con la magia - e lo pensò sussurrando-
il ricordo della quotidianità faceva male.
Realizzò che era ancora a terra, con il pugno appoggiato al
mobile, scivolato dietro al peso del suo corpo. Si sollevò sulle gambe ancora
doloranti per la lunga corsa e si sedette sul piccolo letto, che scomparve sotto la
sua possente mole, chiudendo gli occhi. Solo cinque minuti si disse il
tempo che quella rompiscatole torna... cinque minuti. E si addormentò,
scivolando in un sonno miracolosamente privo di sogni.
Gordon rientrò nella stanza poco dopo, chiudendosi la porta
alle spalle, con un piatto fumante di uova e pancetta. Trovò il suo Capo
addormentato, con un braccio che penzolava dal letto. Ragazzi, pensò questa
è da raccontare agli altri. "Dove ho messo quella maledetta macchina
fotografica?" sussurrò a mezza voce, appoggiando il piatto sulla poltrona.
La finestra si spalancò all'improvviso, lasciando entrate la calura estiva;
Gordon scosse la testa, avvicinandosi per chiuderla.
La porta alle sue spalle si spalancò con un boato assordante.
Il ragazzo fece appena in tempo a voltarsi, incontrando due occhi neri e
profondi, prima di cadere a terra, schiantato. Un secondo getto rosso, partito
dalla bacchetta della figura che avanzava zoppicando, colpì in pieno Dudley
Dursley.
Dal corridoio, una voce si informò dell'accaduto: "Il
ragazzo?"
"Schiantato." rispose qualcuno da dentro la stanza.
Harry Potter entrò nella camera, con la bacchetta stretta in
mano ed un braccio legato al collo, a penzolare tristemente nel vuoto. Rotto.
"Mio cugino?" la sua voce si ridusse ad un sussurro.
"Schiantato pure lui, per sicurezza." Kingsley
sollevò il piatto, sedendosi sulla poltrona. "Uova e pancetta. Harry ne
vuoi un poco?"
Alastor Moody lo raggiunse, strappandogli il piatto di mano e
assaggiando un pezzo minuscolo di bacon ed uno altrettanto piccolo di uova.
Masticò bene bene e poi mise nuovamente il piatto nelle mani dell'uomo di
colore. "Non solo avvelenate" affermò con sicurezza "puoi
mangiarle ragazzo!" Kingsley sbuffò, trattenendo un commento stizzito,
mentre il giovane si limitò ad un cenno di diniego della testa, continuando a
fissare il cugino.
L'auror più anziano scavalcò il giovane schiantato e steso a
terra, avvicinandosi al letto. Tastò il polso del biondo corpulento e guardò
Harry. "Polso regolare. Sta meglio di me e te, ragazzo." "Gli
hanno appena ucciso la famiglia, Alastor. Come credi possa stare?" Kingsley
alzò il volto sopra il piatto, ormai quasi vuoto, scoccando un occhiata di
rimprovero all'altro auror.
"Esatto. Tutta la famiglia. Uccisi dai Mangiamorte. Rimane
solo lui. Lo lascerai andare, ragazzo?" l'uomo era ancora voltato verso il
biondo, ma Harry sapeva benissimo che l'occhio di vetro era rivolto verso di lui.
"Non c'è altra maniera?" chiese, un groppo che gli stringeva la gola.
Lo sguardo del mago di coloro, frattanto, vagava dal giovane al collega,
interrogativo.
"Se vuoi salvare almeno lui devi lasciarlo andare,
ragazzo." Malocchio Moody sembrava più serio che mai, in quella notte di
fine estate, in quella camera da letto babbana in cui Kingsley stringeva
un piatto vuoto con gli occhi accesi dalla comprensione, seduto su una poltrona
blu notte, e Harry Potter, il ragazzo sopravvissuto, che adesso teneva il viso
rivolto al tappeto scuro.
Fu così che li trovò Ginny, entrando nella stanza per
annunciare il riuscito schiantesimo della ragazzina al suo rientro nella casa,
pochi attimi prima.
"Cosa hai intenzione di fare, ragazzo?" Alastor
Moody finalmente si voltò, dando le spalle al letto. Ginny riuscì a vedere il
corpo del biondo sdraiato dietro di lui, lo raggiunse con pochi passi,
raccogliendo da terra una coperta stropicciata, e coprì l'enorme corpo del
ragazzo, scostandogli i capelli impiastricciati dal volto.
Harry si mise la bacchetta in tasca, sospirando, per poi alzare il volto. Il
nodo in gola si era ingrandito, strozzando le parole che avrebbe voluto dire;
così si limitò ad annuire.
Alastor annuì a sua volta, facendo un cenno all'altro auror:
"Procediamo col piano."
La ragazza dai capelli rossi raggiunse il bambino sopravvissuto, scuotendo
la testa con tanta forza da far rilucere di amaranto gli scintillii argentei sul
tappeto. "Harry…è l’unico parente che ti rimane. Fa parte della tua
famiglia!" mosse un passo in avanti, aggrappandosi alla manica del suo
maglione di tre taglie più grande "E’ tutto ciò che ti resta."
Harry Potter, il Prescelto, si tolse gli occhiali
passandosi una mano sugli occhi. Era stanco, Harry, e demotivato. La ragazza dai
capelli rossi strinse con forza il tessuto logoro, mordendosi il labbro prima di
sussurrare in modo che lui solo potesse sentirla: "Voi vi volete bene, non
puoi lasciarlo andare." Sussultò nel sentire la mano di lui appoggiarsi
sulla sua, scostandola con gentile fermezza, tenendo tuttavia gli occhi ben
saldi al terreno.
"Non è vero, Ginny." La sua sicurezza la colpì
come una stilettata. "Noi non ci vogliamo bene. Abbiamo passato diciassette
anni a insultarci, a litigare… a odiarci. Tutto il dolore che ho provato prima
di scoprire di essere un mago, tutte le deprimenti estati degli ultimi sei
anni…" la ragazza gli afferrò con forza un braccio, costringendolo a
distogliere lo sguardo dal pavimento per fissarla negli occhi, incredulo. "Dimmelo
guardandomi negli occhi, Harry. Se hai il coraggio di cui ti vanti tanto,
dimmelo guardandomi negli occhi, e io ti crederò." Harry Potter, il
ragazzo sopravvissuto a immense prove di coraggio, si trovò a vacillare davanti
alla minuta Ginny Weasley dai capelli di fiamma e dagli occhi altrettanto
brucianti. Strinse i pugni e serrò i denti, nascosti dalle fini e pallide
labbra, spostando lo sguardo sulla corpulenta sagoma del cugino, ancora sdraiato
sul letto come addormentato. Dudley si mosse impercettibilmente, il respiro
appena intuibile dal movimento del suo petto sotto la coperta con cui Ginny,
premurosa e materna come sempre, lo aveva coperto.
Se vuoi salvare
almeno lui devi lasciarlo andare, ragazzo.
C’era Alastor, vecchio e matto, che non si faceva
scrupoli a ricordare verità scomode.
Ma poi c’era Ginny, con i suoi capelli
di fiamma ed i suoi occhi profondi, che cercava il buono in ogni cosa.
Riportò lo sguardo sulla rossa e la fisso dritta negli
occhi, abbandonando qualsiasi tremore.
"Dursley ed io non ci siamo mai voluti
bene, Ginny."
Senza proferire parola, la ragazza voltò le spalle alla
stanza ed ai suoi occupanti, allontanandosi con il suo passo leggero.
Solo quando la sua figura sparì oltre lo stipite in
legno della porta, Il Prescelto si rivolse agli astanti: "Procedete".
Poi anche lui volse le spalle alla camera incamminandosi verso l’uscio della
casa Babbana. Spalancò il portone lasciando entrare il caldo vento di fine
estate e l’odore della pioggia che iniziava a scurire i marciapiedi. Harry
Potter, il Ragazzo Sopravvissuto a cui era destinato il compito di fermare
Colui-che-non-deve-essere-nominato, avanzò
lungo la piccola traversa senza badare alla luce che fuoriusciva da una finestra
del secondo piano, dirigendosi verso Magnolia Crescent, fino a che il suo
profilo fu inghiottito dalle ombre della notte.
Nella camera da letto dove il religioso silenzio della
notte era interrotto dal borbottare di Alastor Moody, Kingsley appoggiò la
bacchetta alle tempie del Babbano chiamato Dudley Dursley, così come gli aveva
chiesto Harry Potter.
"Oblivion"
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Ehm...mi sono presa un poco di vacanze... Però il prossimo cap.
è già pronto. Sarà l'ultimo, l'epilogo. Credo che aggiornerò entro domenica,
al massimo lunedì sera -spero -
Non è che il tono è troppo drammatico? A volte mi capita di
scrivere pezzi interi e poi cancellarli, perché mi sembrano soffocanti. Prima o
poi riuscirò a scrivere qualche cosa di divertente!
Grazie mille per le bellissime recensioni, mi fa piacere che si
possa rivalutare Dudley - povero, è un personaggio così piatto - per inciso,
la voce che gli hanno dato nel 5° film è scandalosa, sembra un ritardato! Non
che normalmente sia un genio, eh..
al prox cap! *Mamey*
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Capitolo 4 *** 10:00 - Autunno ***
10:00 – Autunno
Francia, cinque anni più tardi
"Bernard!"
L’uomo urlò a gran voce, per la decima volta in quella
mattina, il nome del figlioccio. "Bernard! Ma porca miseria, ti vuoi sbrigare?
La vecchia Betsy s’è scassata di nuovo."
Il giovane uomo sdraiato sotto la Vite, quasi pronta per la
vendemmia, sorrise. L’unica cosa che si poteva scorgere non coperta
dall’enorme cappello di paglia, appoggiato sul viso per ripararsi dal pallido
solo di fine estate, era il filo d’erba mezzo masticato ben saldo fra le
labbra del giovane corpulento. Al nuovo grido del vecchio contadino, che
invocava il suo aiuto per riparare un ancor più vecchio trattore, il ragazzo
sogghignò, rivelando famelici canini candidi ed affilati. Denti da lupo. Si
sollevò a sedere con lentezza, lasciando cadere il cappello a terra per potersi
passare una mano nei pallidi capelli scompigliati. Un graffio fresco, che presto
si sarebbe trasformato in cicatrice, scintillava sulla sua guancia.
Il crepitio del cemento logoro lo fece voltare incuriosito
verso sinistra. In piedi nel centro della Provinciale polverosa, un ragazzo era
appoggiato ad una vecchia moto nera. Indossava un giubbotto di pelle squamosa,
di un animale non bene identificato, ed un paio di stivali dello stesso tipo.
Sotto la giacca facevano bella mostra di sé un paio di jeans color
porpora e oro.
Bernard pensò che fosse un abbigliamento raccapricciante.
Doveva essersi fermato mentre lui dormiva, perché non
aveva sentito il rumore del motore, né l’avvicinarsi della moto. Il giovane,
con arruffati capelli neri e occhiali spessi, a nascondere gli occhi verdi, lo
fissava con insistenza. Scocciato da quella strana e fastidiosa presenza,
Bernard gli si rivolse con tono di scherno e, immaginando che fosse un turista,
si espresse in inglese, lingua che stranamente gli riusciva semplice. Come se,
invece di essere nato in Francia, fosse originario della Gran Bretagna. Rabbrividì al solo
pensiero, il solo pronunciare quello stato gli metteva addosso inquietudine.
"Di un po’, ti sei perso? Scommetto che sei un turista!
Americano?" il ragazzo dagli occhi verdi scosse la testa "Inglese."
"Giusto!" esclamò il giovane corpulento schiaffandosi una mano sulla fronte
"dovevo immaginarlo che solo un Inglese poteva avere un così pessimo gusto
nel vestire."
Il moro sorrise: il suo carattere non sarebbe mai cambiato del
tutto.
Il ragazzo biondo non parve accorgersi della reazione dell’altro, ed
indicò con un cenno del mento la Provinciale. "La città più vicina è
Charville: segui questa strada, sempre dritto e ci arriverai più o meno in
mezz’oretta. Sempre se non ti perdi di nuovo." L’urlo del vecchio
contadino risuonò nuovamente nel vigneto, più forte del precedente. "Devo
proprio andare, o il vecchiaccio mi ammazza. Pensa che devo fare un sacco di ore
di lavoro prima di potermi godere la televisione in santa pace! Meno male che da
queste parti ci sono altre fonti di svago…" il taglio sullo zigomo sembrò
farsi più nitido, mentre i candidi canini del giovane spuntavano con un ghigno.
Poi, il corpulento biondo gli voltò le spalle, alzando la mano in un cenno di
saluto "Allora addio, turista Inglese, e buona fortuna.". Con passo sicuro
si diresse verso la fila di vite più vicina, svoltando l’angolo e sparendo
alla vista.
Una brezza gelida, anticipo agrodolce dell'autunno imminente, trascinò
oltre l'asfalto il cappello ormai dimenticato.
"No, Dudley." sussurrò Harry Potter,
quel mattino di settembre, ai filari di vite solitari "questo è un
arrivederci."
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Entrò lunedì...ghghgh.... oopsss...
A presto - è una minaccia - *Mamey*
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