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di Mamey
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00:00 ***
Capitolo 2: *** 01:00 - Ballerine d'Argento - ***
Capitolo 3: *** 02:05 - Famiglia - ***
Capitolo 4: *** 10:00 - Autunno ***



Capitolo 1
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La lattina di birra colpì la scritta most wanted impressa sul muro in giallo fosforescente. Notevole, calcolando che il suo proprietario non aveva preso alcuna mira. Una seconda lattina raggiunse in fretta la parete, accasciandosi per terra con un ultimo rivolo strozzato di bibita. Sicuramente una terza avrebbe seguito le altre a breve.

"Agitato stasera, Capo?"

La parabola disegnata dal terzo pezzo di latta si bloccò a metà nell'aria, sussultando appena, prima di cadere di schianto a pochi passi dal muretto. Pochi secondi e il suo corpulento proprietario calpestò con forza lo sventurato barattolo, trasformandolo in una lastra di alluminio.

"Sto benissimo Gordon, non si nota?"

Afferrò con gesto stizzito un'altra birra, aprì la linguetta con uno scatto secco, staccandola di netto per gettarla alle sue spalle. Il primo sorso gli bruciò la gola quasi fosse veleno.

"Perché mai dovrei essere agitato?"

La nota innervosita che aveva la sua voce dovette essere un monito per Gordon, perché cercò subito di rimediare alla sua intraprendenza con le solite frasi di circostanza, già collaudate quando era capitato in situazioni analoghe, e assai utili per sfuggire alla collera del suo Capo e al pestaggio di massa che ad essa sarebbe seguito.

"Niente Capo, dicevo così per dire..."

Una seconda sorsata di birra gli raschiò la gola, bloccando l'insulto che stava per schizzarli dal petto. Un buon leader non dice mai quello che pensa dei suoi sottoposti. Soprattutto non ai sottoposti stessi. In special modo se la più alta opinione che si ha di essi è rottinculo di merda. Bastò l'occhiata raggelante che lanciò allo scheletrico ragazzo tanto indisponente, a zittire i brusii eccitati che si andavano diffondendo nella piazzetta. Una terza sorsata gorgogliante e lo sbuffo deluso di qualche ragazzo annunciarono lo scampato rischio di rissa.

Una ragazza dai lunghi capelli corvini appoggiò una mano sul braccio del ragazzo robusto, si sollevò sulle punte dei piedi per raggiungere il suo orecchio, situato ad una altezza di centonovantuno centimetri, per poi sussurrargli: "Facciamo qualcosa di divertente Big D?". Cenni di assenso e sguardi supplicanti riempirono lo spiazzo davanti ai giardinetti pubblici di Magnolia Road.

"Potremmo sfasciare le panchine del parco." propose Dennis.

"Le abbiamo già distrutte settimana scorsa..." sbuffò in risposta Dudley.

"Potremo rompere le finestre a quella rincoglionita del numero 12 di Wisteria Walk" azzardò Malcolm

"No, non mi piace. A me fate sempre fare il palo e io non mi diverto!" si intromise Polkiss

Gordon, per ridare lustro alla sua immagine incrinata in precedenza con quel commento poco opportuno, lo schernì immediatamente "E cosa proponi di fare, ratto?"

"Potremmo picchiare tuo cugino Harry, Big D."

Il silenzio scese nella piazzetta. Nessuno aveva capito perché, ma l'argomento cugino Harry era diventato tabù da qualche anno a quella parte. Il solo nominare quel teppista, che peraltro era un pericoloso criminale che frequentava il San Bruto, rendeva Big D di malumore e molto propenso a muovere le mani. Un divertimento assicurato per chi assisteva alla scena, un po' meno per chi veniva usato come valvola di sfogo. Dudley guardò raggelante Piers, lasciando cadere la lattina di birra a terra per accendere la sigaretta che la ragazza mora gli porgeva.

Dudley Dursley aveva occhi da lupo e come i lupi era cresciuto in fretta, male e da solo. I suoi genitori, opprimenti e talmente dolci da risultare diabetici, lo avevano stancato già all’età di tredici anni. I suoi amici avevano rispetto dei suoi pugni e della sua mole imponente, più che della sua persona. C’era stato un tempo in cui lui e Piers Polkiss erano stati amici, ma amici veramente, cioè quando potevano parlare di tutto fiduciosi di essere ascoltati e si raccontavano segreti che nessuno avrebbe mai scoperto. Ma quel tempo era finito insieme alle scuole medie quando Smeltings, l’aumento di potere di Big D e della sua mole, le lotte fra bande e le fasi più critiche dell’adolescenza li avevano allontanati. Ora lui era il capo, e Polkiss il sottoposto. In una banda, fra il leader e i membri non c’è spazio per l’amicizia.

"Polkiss." la sola parola servì a gelare sul posto lo sventurato ragazzo. Piers si ritrasse di un passo, torturandosi preoccupato le mani. "Cosa ti fa credere che io abbia voglia di perdere tempo con quello sfigato di mio cugino?". Big D si ergeva in tutta la sua pienezza, dalla punta dei capelli biondi e strabordanti di gel fino alle scarpe firmate: gli avambracci schizzavano agitati nelle maniche della maglietta ed i pugni erano chiusi e pronti all'attacco. Nessuno si accorse del tremolio che i suoi vacui occhi azzurri cercavano di nascondere. Big D poteva affrontare tutto: le dispute con le bande dei più grandi, le risse con i compagni di scuola, gli allenamenti più pesanti di Boxe. Perfino le stucchevoli attenzioni dei genitori. Riusciva a non fiatare, a passare per un genio, quando lui stesso sapeva di avere in dote ben pochi neuroni, ad ottenere il rispetto di chiunque gli sbarrasse la strada.

L'unica cosa che Dudley Dursley non era in grado di affrontare era la magia.

Ringraziando il cielo che suo cugino Harry passasse nove mesi rinchiuso in un lontano castello, Dudley cercava di dimenticarsi di lui rimuovendolo il più possibile dai suoi pensieri. Le regole di base erano semplici:

- Harry Potter non esisteva, era un parto della sua mente: sua madre era sempre stata figlia unica

- La strana coda spuntatagli all'età di undici anni era una rara malformazione ossea

- Nessuna Ford Anglia aveva sorvolato Privet Drive con a bordo il suo inesistente cugino e i suoi inesistenti amici dai capelli rossi (due dei quali identici fino all'ultima lentiggine) quando lui non era che un pupattolo di dodici anni, erano soltanto le riprese per il nuovo Mission Impossible IV

- Durante l'estate dei suoi tredici anni, zia Marge si era gonfiata per una strana malattia ancora in fase di studio presso l'università di Londra. In aggiunta nessuno strano individuo dotato di cappello a punta e mantello si era aggirato in casa sua: la crisi mnemonica della zia era dovuta allo shock

- Suo padre non aveva utilizzato l'intero servizio di porcellana cinese come arma da lancio contro una cenciosa persona uscita dal camino del loro salotto, marchiando indelebilmente i suoi quattordici anni. Si era trattato di un malaugurato incidente che aveva visto Mr Dursley inciampare nel tappeto persiano del salotto, aggrapparsi alla mensola del caminetto rovesciandola nell'impatto e facendo rovinare a terra il prezioso servizio dell'epoca Ping.

- Nessun essere immondo aveva tentato di strappargli l'anima nella scorciatoia tra Wisteria Walk e Magnolia Crescent. In realtà era solo una ragazza del suo fanclub di boxe che aveva tentato di baciarlo come regalo per i suoi quindici anni

- L'inquietante vecchietto apparso a casa sua l'estate prima era solo un simpatico agente del fisco venuto a controllare alcuni conti della ditta in cui lavorava suo padre. Era arrivato ad un'ora molto tarda e per scusarsi aveva offerto loro un liquore piuttosto particolare che aveva provocato a tutti un forte mal di testa

- La magia non esisteva, era solo una fantasia da malati mentali

Con questi dogmi trascritti su un pezzo di carta che teneva sempre nel portafoglio, a portata di mano per qualunque evenienza del caso, Big D era convinto di potere rivoltare il mondo. Aspirò l'ennesima boccata di fumo, lasciando cadere a terra la sigaretta mezza consumata per infilare le mani nelle tasche dei pantaloni, prima di avanzare verso Polkiss.Un ghigno si disegnò sulle labbra di molti dei ragazzi del gruppo. "Dagliele Dud!" esclamò Gordon. "Vediamo se impara a stare in mezzo ai grandi, quel piccolo sorcio." sibilò Dennis fregandosi le mani.

Il primo pugno fu così veloce che a stento Malcolm, quasi al fianco di Piers, lo vide. Colpì il macilento ragazzino allo stomaco, facendolo piegare in avanti. Il secondo colpo lo centrò in pieno viso, spaccandogli un labbro che si ricoprì velocemente di sangue. Polkiss piegò le ginocchia cadendo sull'asfalto con un gemito sofferente. Grida eccitate e risate soddisfatte riempirono lo spiazzo; "Ne hai abbastanza Piers, o ne vuoi un'altra razione?" disse divertito Dudley. "Corri a casa dalla mamma, piccolo sorcio!" riuscì a gridare fra le risate la ragazza mora. Nessuno badò più a Piers, che si risollevò a fatica e si diresse velocemente verso l'altro lato della strada, tutti gli sguardi erano concentrati su Big D. I complimenti e le pacche sulle spalle non tardarono ad arrivare.

"Sono le undici, Dud." sbuffò improvvisamente la ragazzina spegnendo contro il muretto la sigaretta consumata. "Devo andare o i miei mi ammazzano". Gli altri ragazzi bisbigliarono annoiati, accertandosi che fosse realmente scattato l'orario del coprifuoco, e ci vollero dei minuti prima che Dudley si decidesse a decretare la fine della serata. Mentre camminavano per Magnolia Road, salutando gli amici che imboccavano le strade laterali, Dennis prese la parola: "Domani sera si va da me, Dud? I miei sono fuori e mio fratello ha affittato quell'horror che ti dicevo." Dudley fece un cenno d'assenso con la testa. "Bene ragazzi, a domani sera." esclamò Gordon prima di svoltare insieme ai due amici in una strada laterale.

Big D e la ragazzina camminavano affiancati e in silenzio lungo Magnolia Crescent. Arrivati all'imbocco della scorciatoia per Wisteria Walk, Dudley si fermò. "Allora ci si vede domani sera." disse prima di voltarsi verso il vicolo.

"Una sera o l'altra potremo andare al cinema insieme, Dud." esclamò la mora voltandogli le spalle.

"Sta bene, dirò a Malcolm di organizzare tutto." rispose quello muovendo qualche passo verso la stradina.

"Intendevo dire noi, Dudley. Tu ed io e basta."

Quando si voltò, Big D si ritrovò la ragazzina a pochi centimetri di distanza. Quando si era avvicinata così tanto? Non aveva sentito i suoi passi sull'asfalto. "Carmen, ne abbiamo già parlato..."

"Si, lo so. Ma lei ti odia, Dud. A me invece piaci." Chiunque conoscesse anche solo un minimo Big D, sapeva che quella sua espressione a labbra imbronciate e occhi al cielo poteva solo significare datemi-la-pazienza-di-sopportare-questa-mocciosa-lagna. "Sai quello che me ne sbatte, Carmen, di quello che vuoi tu. Torna a casa, ci vediamo domani sera." Si voltò velocemente ed iniziò ad attraversare il vicolo. Mentre si guardava intorno con circospezione, per evitare spiacevoli incontri che in realtà non erano mai avvenuti, sentì la ragazza urlare alle sue spalle: "Mi stancherò di aspettarti, Dud. Quando ti accorgerai dell'errore che stai commettendo verrai strisciando da me, ma ti sbagli se credi che ti perdonerò." Ignorando i deliri insensati della mora affrettò il passo e quando raggiunse Wisteria Walk rilasciò il fiato, emettendo un sospiro di sollievo. Si accese un'ultima sigaretta percorrendo quello che rimaneva della strada fermandosi all'incrocio con Privet Drive, per gettare la sigaretta in un tombino. Poi svoltò e si diresse con passo deciso verso il numero quattro.

Aprì la porta entrando nella perfetta Hall della sua casa natia. Abbandonò la felpa firmata sul mobiletto all'ingresso e si diresse a passo deciso verso la cucina. Sua madre era piegata sul lavello, con il grembiule a fiori allacciato in vita ed i guanti di gomma bagnati di detersivo per piatti. Suo padre era seduto sulla sua sedia preferita, davanti alla porta finestra che dava sul giardino interno, rilassandosi leggendo il giornale. Nessuna traccia del suo inesistente cugino. Perfetto.

Accese il televisore e si ritrovò a guardare una replica del The Great Humberto, quel programma che tanto amava a undici anni, quando la cosa-da-non-nominare-MAI-pena-urticaria non era ancora prepotentemente entrata nella sua vita.

Dudley Dursley aveva occhi da lupo e come i lupi era abituato a risolvere i suoi problemi utilizzando i pugni e la forza bruta. Ma Dudley Dursley non era un lupo: era un semplice essere umano e come tutti gli uomini a volte si scontrava contro qualcosa ben più potente di qualsiasi pugno e crollava a terra, senza essere in grado di rialzarsi da solo.

Fino a quel giorno non era capitato che quelle poche volte in cui era incappato in qualche diavoleria prodotta da quello sciagurato di suo cugino Harry e dalla sua cricchia di strambi seguaci del Sostantivo-che-non-doveva-essere-detto-senza-fare-gli-scongiuri-del-caso, alias la Magia. Dudley, nonostante tutti pensassero che fosse un ragazzo dissennato stretto in un’uniforme troppo piccola per la sua mole, possedeva una discreta dose di neuroni ed era abituato ad usarli con parsimonia. Ne usufruiva quando la sua banda si ritrovava incastrata in situazioni di pericolo, ma sembravano destinati ad andare in letargo ogni qual volta qualcosa di irragionevole e assolutamente impossibile gli tagliava la strada: la cricchia di Harry sembrava archiviata in quella categoria.

Neanche quella volta fece eccezione.

Big D aveva iniziato ad accartocciarsi come una foglia secca quando il vetro della cucina era esploso in mille pezzi; il suo stomaco si era ripiegato su se stesso non appena quattro uomini ammantati di nero erano entrati sghignazzando, calpestando i resti di quella che era stata la sua stanza preferita al numero quattro di Privet Drive. Il primo ginocchio aveva ceduto nel momento in cui un lampo rosso lo aveva sfiorato, scagliando contro una parete il corpulento Mr Vernon Dursley. Il corpo di suo padre era scivolato lungo il muro ed era rimasto sul pavimento come una marionetta dai fili recisi. Il secondo ginocchio lo aveva lasciato a terra quando uno dei quattro farabutti si era avventato su sua madre in lacrime, allontanandola dal corpo del marito a cui si era aggrappata con sguardo sgomento. Poi tutto si era fatto confuso. Il nome di suo cugino gridato con rabbia, la porta della cucina che saltava in aria per lasciare entrare un gruppo di strani individui, innumerevoli lampi di luce multicolori che sfrecciavano per tutta la stanza…vide accasciarsi al suolo troppe persone per essere contate, alcune che si contorcevano ancora, altre talmente immobili e dagli occhi così vitrei da non potere essere che morte.

Quando la quiete scese sul campo di battaglia, del numero quattro di Privet Drive non erano rimasti che due pareti grondanti intonaco, molti vetri sparsi in quelle che fino a pochi attimi prima erano state delle aiuole insignite del premio per il miglior prato suburbano e corpi ancora caldi confusi nella polvere. Un urlo straziante quanto lo stridere di un corvo si levò dal fragile petto di Mrs Petunia Dursley, accovacciata contro il corpo ormai gelido del marito. Harry Potter, il Prescelto, era addossato ai resti della cucina, tenendosi una spalla pesta e lacera. Al suo fianco l’ex professore Lupin lo sorreggeva, sussurrandoli parole di incoraggiamento che non sembravano sortire alcun effetto. Fra le macerie si aggiravano uomini dai lunghi mantelli e dai cappelli più improbabili che, come un branco di avvoltoi, stavano contando le vittime e cercando i feriti da soccorrere.

Dudley Dursley era il leader della banda più pericolosa di Little Whinging e conosceva il prezzo della paura. Non si stupì quando si piegò in avanti e appoggiò le mani sul vermiglio pavimento squarciato.

“Le voglio bianche, Vernon caro. La mia cucina deve splendere come se fosse fatta di luce.” Aveva detto sua madre, tanti anni prima, davanti al piastrellista ormai esasperato. Suo padre aveva sbuffato, si era lisciato i baffi con fare stizzito, ma poi non era riuscito che a sorridere davanti al volto gioioso della moglie. Gliele aveva prese quelle piastrelle che tanto voleva, e la cucina adamantina e i lampadari ottocenteschi e il servizio di piatti firmato. Addirittura il televisore per evitare la fatica di percorrere il tragitto fino al salotto, quando il suo piccolo Didino voleva farsi uno spuntino davanti alla tele.

Guardò le piastrelle divelte, rosse di sangue già rappreso, e sentì strisciare sotto le dita l’acqua che scaturiva giocosa dalle tubature infrante, ignara del disastro che la circondava e incapace di lavare quelle lordure. Improvvisamente un rivolo di sangue ancora fresco lo raggiunse con rantolii disperati. Si voltò alla sua sinistra: Mrs Dursley, colei che da ragazza si era chiamata Petunia Evans, era accasciata sul corpo privo di vita di Mr Dursley. Dal suo fianco, lacerato da un incantesimo, scendevano copiosamente rivoli purpurei mentre ansiti le raschiavano la gola, facendosi sempre più flebili. Quando si spensero del tutto Dudley Dursley piegò il capo verso il pavimento, vomitando anche l’anima.

Erano passati pochi minuti dalla mezzanotte del 31 luglio.

Harry James Potter, il Prescelto, aveva compiuto 17 anni.

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Capitolo 2
*** 01:00 - Ballerine d'Argento - ***


01:00 - Ballerine d'argento -


"Ci sono state perdite?"

Alastor Moody avanzò trascinando la gamba di legno ormai spezzata.

L'ex professor Lupin era ancora chino su Harry, stretto anche nell'abbraccio di una Ninfadora Tonks dai capelli color topo.

"Ci sono state perdite?!" ringhiò Moody, poggiando la mano sulla spalla dell'uomo.

Prima che qualcuno potesse rispondergli, un gemito si alzò da un gruppo confuso di corpi, vicino ai resti della cucina. "Porc..." sibilò il vecchio Auror, mentre in pochi secondi un manipolo di componenti dell'Ordine cercava di districare George Weasley dall'abbraccio mortale di due Mangiamorte e di Mundungus Fletcher. "Sto bene.." riuscì ad ansimare il ragazzo in risposta allo sguardo preoccupato del gemello, uno fra i tanti del gruppo. Alastor si affiancò al giovane mago e con l'aiuto di Kingsley lo sollevò. Lo tastò in varie parti del corpo per assicurarsi delle sue condizioni "Hey Malocchio, non palpeggiarmi! Non sono mica una ragazza!" esclamò indignato il rosso. "Un paio di costole incrinate, un labbro tumefatto, un ginocchio pesto... da come sbraiti si capisce che stai benissimo ragazzo." concluse l'anziano Auror, porgendo a George la bacchetta che aveva appena raccolto da terra. Quando l'altro fece per infilarsela nella tasca posteriore dei pantaloni l'urlo di Moody lo fece trasalire: "Quante volte devo dirtelo che la bacchetta non si infila nei pantaloni, vuoi perdere una chiappa? Possibile che nessuno segua le elementari norme di sicurezza per bacchette?!". Fred gli fece il verso, rivolgendo al fratello uno sguardo severo: "Vigilanza costante!" per poi scoppiare a ridere, ma George rispose al suo richiamo con un sorriso amaro, troppo intento a guardare il corpo scomposto di Mundungus che fino a pochi istanti prima lo affiancava.

"Lo abbiamo perso?" chiese piano Kingsley, appoggiando un braccio sotto le spalle del giovane per sorreggerlo. Il ragazzo annuì.

"Altri cadaveri dei nostri in giro?" urlò Alastor zoppicando verso Bill Weasley, appoggiato a quello che restava della parete divisoria del salotto. Tonks, che stingeva ancora Harry nel tentativo di calmare i suoi tremiti incontrollati, sbottò indignata: "Malocchio! Ma ti sembra il modo?!"

"Vicino alle scale c'è Dedalus" singhiozzò Hermione Granger entrando nella stanza seguita da Ronald Weasley. "In veranda, o perlomeno in quello che ne resta, c'è Elphias Doge" aggiunse il rosso. Dai piani superiori il signor Weasley si unì al macabro conteggio "Qui ci sono Emmeline e Hestia."

Ginny Weasley entrò in silenzio, inginocchiandosi vicino a Harry e prendendo ad accarezzarli i capelli, sussurrando sottovoce mentre Remus e Ninfadora si alzavano per unirsi al resto del gruppo.

"Quanti Mangiamorte sono scapp..." prima che Alastor potesse finire la frase, le scale che portavano ai piani superiori cedettero, troppo provate per sopportare anche solo l'esiguo peso del signor Weasley. "Arthur!" gridò Lupin correndo verso il salotto seguito da tutti i membri dell'Ordine ancora in grado di muoversi sulle proprie gambe. Il mago di colore aiutò George a sedersi vicino al fratello maggiore, ancora appoggiato alla parete, prima di raggiungere gli altri.

Dopo minuti interminabili in cui l'unico rumore udibile era la sfilza di imprecazioni di Fred, che giungevano ovattate dal salotto, Bill sospirò.

"Gli zii di Harry?"

Harry Potter, il Prescelto, emise un singhiozzo strozzato prima di rifugiarsi fra le esili braccia di Ginny Weasley e scoppiare a piangere.



Dudley era immobile, seduto nello stesso punto in cui i suoi piedi avevano ceduto al peso della paura, con il volto rivolto al soffitto scoperchiato mentre cercava la forza necessaria per fermare il ricordo dei lampi di luce abbaglianti, che ancora lo scuoteva. Gli occhi blandamente azzurri erano chiusi ed i capelli madidi di sudore e di gel rappreso si appiccicavano malignamente alla sua fronte bassa. Sentiva la gola bruciare e raschiare sotto singhiozzi che insistentemente gli partivano dal cervello ed inutilmente cercavano di fuoriuscire attraverso i suoi denti serrati. I rumori giungevano attutiti e remoti ai suoi sensi, troppo stanchi e spaventati per reagire agli stimoli esterni.

Quando Harry Potter scoppiò a piangere dilaniò l'apatia illusoria in cui Big D si era rifugiato: i suoi occhi si spalancarono sotto il peso di una consapevolezza gelida. Con violenza si impose di guardare i corpi dei suoi genitori, pochi metri alla sua sinistra: le labbra si piegarono sotto lo sforzo di bloccare le lacrime.

Quando Big D stava per cedere, un fruscio lo costrinse a voltarsi verso destra. Una esile, quasi eterea, ragazzina dai lunghi capelli vermigli lo osservava. I suoi occhi erano lucidi, le labbra tremanti. Gli bastò soffermarsi sui suoi abiti; grigio perla e sullo strano oggetto di legno che portava allacciato alla cinta per capire che fosse una di quei matti.

Se nella situazione in cui si trovava Dudley Dursley pensava di aver raggiunto l'acme dell'angoscia, scoprì che il suddetto limite era molto, molto più lontano di quello che mai avrebbe potuto immaginare.

Come accecato riportò il volto nuovamente al soffitto, serrando palpebre e labbra nel tentativo di allontanare l'orrenda visione. Fu con paura che accolse un nuovo brusio ed il tocco freddo di una mano appoggiata sulla sua fronte.

Il suo respiro si interruppe, ricordando il vizio che sua madre possedeva sin da quando era bambino: gli adagiava la mano gracile sulla fronte in una carezza protettiva, cercando di rassicurarlo convinta in qualche sua inesistente paura. Petunia Dursley non sapeva, sciocca, che come tutti i lupi della peggior specie Dudley aveva la stoltezza di non aver timore di niente, all'infuori della sua irrimediabile allergia per Colei-che-non-doveva-essere-nominata.

Per pochi attimi Dudley Dursley si rivide bimbo di undici anni, con un'appendice che nulla aveva a che vedere con la sua natura umana, rintanato tremante ed in lacrime sul suo letto. Sentì il fruscio della porta ben oliata della sua camera ed i passi attenuati sulla moquette blu. Avvertì l'aria scostarsi dalla sua fronte quando qualcosa di caldo e rassicurante vi prese il posto.

Certo di trovare due occhi scuri e opachi a rincuorarlo per l'ennesima volta, Big D aprì gli occhi.

Quando realizzò che il gelido arto apparteneva alla ragazzina si ritrasse di scatto con un urlo disgustato e, instabile, costrinse le gambe a risollevarsi aiutate dalle mani ancora più tremanti. Il risultato fu una specie di capriola storta, con annesse imprecazioni del caso, che sicuramente in un'altra situazione sarebbe stata conclusa con un elegante scuotere di spalle, una fine bestemmia ed il giuramento di ammazzare chiunque lo avesse visto. In quale caso lo vide invece indietreggiare di qualche passo strisciando come un verme, pallido in volto.

"Vattene via!" sibilò scuotendo la testa con veemenza.

La ragazzina dai capelli di fuoco lo osservò con lo stesso sguardo etereo e traballante che gli aveva riservato pochi istanti prima.

"Vattene via..." la supplicò di nuovo il ragazzo biondo, spaventato da quello sguardo tremante.



Fu questione di pochi attimi. L'unica cosa che capirono Mattew Werring e Catrine Frensh, due giovani Auror alle prime armi, furono le dure parole del loro capitano che iniziarono con "Imbecilli" e finirono con "degradati!". Come riportarono poi i due giovani Auror ora meno che alle prime armi sul loro Rapporto, il ragazzino era uscito dalla casa correndo ad una velocità che la sua stazza, secondo le leggi della fisica, non poteva permettergli; aveva poi attraversato la barriera di protezione, il cui scopo era nascondere i resti di Privet Drive numero quattro dagli sguardi indiscreti ed indagatori degli altri abitanti di Little Whinging; si era fermato, spaventato dal contatto con la fredda magia protettiva e si era voltato ad osservare incredulo la riproduzione, ovviamente magica, della casa così come era stata fino ad un'ora prima. Con un verso che poco aveva di umano, ma ricordava tanto del suino come precisò il quasi/Auror Frensh, il ragazzino biondo si era diretto di corsa verso il limitare della via, svoltando poi all'angolo fino a sparire dalla vista. Il tutto si era svolto così inaspettatamente e velocemente che i due erano rimasti basiti, senza poter fare nulla.



L'altalena su cui Big D era abbarbicato cigolava impietosa, risuonando cupa per buona parte del parco e sicuramente anche in Magnolia Road che a quell'ora di notte, come si confà ad una via abitata da gente civile, era deserta. Nell'irrealtà della situazione Dudley si chiese come gli abitanti di Little Whinging potessero ancora dormire: sicuramente una casa implosa su se stessa doveva causare un qualsivoglia rumore. Ma l'unico alito di vita, oltre al suo respiro affannato, era il sinistro scricchiolio del metallo a cui era attaccato quasi avesse paura di cadere nel più profondo baratro una volta lasciata la presa.

Sicuramente quell'innaturale silenzio era opera di qualche diavoleria di quei malati esattamente come la riproduzione della sua casa, uguale fino all'ultimo particolare a quella originale che era andata perduta. Si chiese se lo avrebbero cercato, o per lo meno quanto il suo scarso nascondiglio avrebbe resistito. Sorrise amaramente, comprendendo che alla fine non gli importava un benemerito di nessuna di quelle cose: con quelli in circolazione nulla sembrava avere un senso. Qualsiasi sorte gli sarebbe toccata non poteva che accettarla o, nel migliore dei casi, lasciarsi trascinare via da chiunque fosse arrivato a prenderlo.

I suoi genitori erano morti. I suoi stucchevoli, diabetici ed odiosi genitori erano morti e lui non desiderava altro che tutti quegli schifosi fossero morti insieme a loro. Che la vita sregolata del teppista lo avesse reso cinico ed indifferente?

Improvvisamente un lieve picchiettio di tacchi si diffuse nel parchetto.

Probabilmente qualcuno stava tornando a prenderlo, si disse, o magari a farlo fuori. Arrivato a quel punto non gli importava neanche il perché di quel caos assurdo. La sua mano corse inconsciamente alla tasca dei pantaloni imbiancati di intonaco, stingendo il pezzo di carta a cui aveva affidato parte della sua sanità mentale. Si sorprese di trovarlo ancora intatto.

Quando stava per estrarlo e leggerlo, giusto per darsi almeno la forza di credere fino alla fine che un mondo senza orride-cose-da-dimenticare esistesse, il ticchettio si interruppe ed un paio di ballerine argentate, che rilucevano alla fioca luce dei lampioni, si fermarono ai piedi dell’altalena.

La voce strascicata arrivò come una stilettata alle orecchie del ragazzo: "Dovevo immaginare che fossi tu la causa di tutto questo caos, Dursley."

Dudley sollevò il volto di scatto, colpito da un pugno invisibile, ma non per questo meno doloroso. I brillantini argentati davano vita ad una strana danza sul selciato dei giardinetti e, intento com'era ad osservare quelle strane ombre, gli ci volle qualche secondo per riprendersi. Lo spreco di tempo gli costò lo sguardo severo che la ragazza gli rivolse.

Sorrise, di un sorriso così amaro che non gli apparteneva, prima di sussurrare: "Le brave ragazze non dovrebbero essere in giro a quest’ora, Farchet."

"Io vado dove voglio e quando voglio, Dursley. Devo usare il mio Bastone per ricordartelo?"

"No, se dopo non vuoi che inizi ad usare il mio."

"Sei il solito animale, Dursley. Che ci fai qui a quest'ora? Ancora a creare disordini, tu e la tua banda di svitati?"

Il sorriso palesemente falso del biondo si ridusse di qualche centimetro. "Questa notte non sono l'unico svitato in circolazione."

"Se era un tentativo di offesa ti informo che non ha avuto effetto." sibilò la ragazza, riducendo tuttavia gli occhi castani a due fessure.

"Non ci crederai, Farchet, ma non era rivolto a te."

"Per essere un teppista di terza classe sei un pessimo bugiardo."

Big D avvertì distintamente lo scricchiolio dei suoi nervi che andavano in frantumi, ma non fece niente per fermare la sua collera. Si alzò dall'altalena e strinse i pugni, drizzando la schiena in tutta la sua mole imponente.

"Che cavolo vuoi, Farchet. Sei venuta qui a rompermi le scatole senza un motivo, dandomi del teppista, dello svitato, del casinista... e adesso mi dai pure del bugiardo" il suo tono era due ottave più alto del normale e le sue pupille, spalancate all'inverosimile, gli conferivano un aspetto ancora più spaventoso del solito, tanto che la ragazzina dai capelli castani indietreggiò di un passo. "Sai qual'è la novità, piccola odiosa rompiscatole?! Tu non sei il centro dei miei pensieri. E ora sparisci, prima che mi convinca a darti una lezione una volta per tutte."

Il silenzio scese sul parchetto accompagnato dai respiri affannati di Dudley, spossato dalla paura e dalla stanchezza. Ogni secondo che passava rendeva evidente il fatto che sarebbe potuto arrivare davvero a metterle le mani addosso. "Vattene." sibilò infine, risedendosi sull'altalena e appoggiando i gomiti alle ginocchia, troppo esausto per rimanere in piedi anche solo un altro secondo.

La ragazza, spostando il peso da un piede all'altro indecisa sul da farsi, invece di andarsene come il buon senso le suggeriva si avvicinò all'altra altalena. "Posso?" chiese in poco più di un sussurro, tanto che Big D pensò di esserselo immaginato. Così si limitò ad annuire. Iniziò a dondolarsi, le ballerine che rilucevano ad ogni movimento delle gambe ed il volto chino, coperto dalla coltre di capelli opachi.

Big D, con i nervi ancora a fior di pelle, proiettò sopra di lei la sua rabbia, inveendo mentalmente contro quella odiosa ragazzina tanto arrogante. Fece scroccare dita e nocche immaginando di piantargliele dritte nello stomaco. Stava quasi per attuare le sue fantasie, che già assaporava come liberatorie, quando quella si fermò di colpo piantando i tacchetti striminziti delle scarpe contro il terreno.

"Scusami"

Di nuovo un sussurro spaurito, questa volta però Dudley non annuì, colto alla sprovvista e strappato ai suoi dolci propositi di sfogo.

"Non lo pensavo davvero... tutte le cose che ti dico, tutte le volte che ci incontriamo, non le penso mai davvero."

Se non fosse stato troppo incazzato per l'irrealtà della situazione Dudley Dursley sarebbe scoppiato a ridere. Tuttavia non diede segno di aver sentito.

"Anche se sei un imbecille ed un teppista con un solo neurone, io non ti odio veramente." concluse lei ignorando la sua indifferenza.

Dudley si ostinò nel non rispondere.

"Tanto lo so che anche se fai l'indifferente mi stai ascoltando, Dursley. Smettila di ignorarmi."

Big D sospirò per l'ennesima volta chiedendosi quanto ancora avrebbe retto. "Non essere patetica, Farchet. E' ovvio che non mi odi: per odiare una persona bisogna conoscerla, e tu a mala pena sai il mio nome."

La ragazzina alzò il volto di scatto, punta sul vivo dall'insulto. "Io cerco di essere gentile e tu mi insulti, sei proprio un demente Dursley!"

"Dirmi che sono un imbecille ed un teppista senza neuroni è un complimento?" il sopracciglio del ragazzo si sollevò pericolosamente, incerto fra l'essere scettico o seriamente colpito. "Hai uno strano modo di fare i complimenti alle persone."

"Prima di tutto era mononeurone, non senza neuroni. Secondo, sì: era un complimento. Se no mica ti dicevo che non ti odiavo..."

"Tu sei tutta complessata, per non dire fuori come una biglia. Ma da dove cavolo le tiri fuori certe vaccate?" sbottò, risentendo i muscoli contrarsi per il fastidio.

"Adesso stai zitto, ciccione ingellato! Non hai già fatto troppo casino, per stasera?" sbottò lei in risposta, incrociando le braccia sul petto ed imitando il movimento delle sue sopracciglia, tanto per irritarlo ancora di più.

Dudley ammutolì. Per qualche attimo, qualche stupendo, insperato e spaventoso attimo si era dimenticato di tutto: della gente che affollava la sua casa, ormai distrutta, dei cadaveri dei suoi genitori, del suo inesistente cugino Harry. I ricordi gli caddero addosso, pesanti come cascate sulle rocce ed altrettanto dolorosi.

"Di che casino parli?" si sentì sussurrare Big D, chiedendosi se quella voce tremolante fosse realmente la sua.

"Del botto dei lampioni sulla tua via, Dursley. Non hai sentito prima che frastuono? Era talmente forte da raggiungere anche casa mia in Magnolia Crescent. E' arrivato addirittura un poliziotto a rassicurare il vicinato, ha bussato a tutte le porte. Sinceramente non capisco perché non abbia suonato al campanello, al posto di bussare come un ossesso, ma comunque... Lo avrai sentito sicuramente."

L'espressione sul volto del ragazzo gelò: i muscoli della mascella si contrassero sui denti facendoli scricchiolare, le pupille azzurrognole si ridussero a due schegge e le labbra si indurirono sotto una smorfia di disgusto."Si. L'ho sentito." Ma prima che potesse aggiungere altro due uomini ingolfati in abiti stravaganti apparvero davanti a loro.



Il più alto dei due, con lunghi capelli legati in una coda alta ed un orecchino d'oro al lobo, vestiva completamente di rosso: dai pantaloni tagliati al ginocchio alla maglia piena di strappi. Il secondo indossava una vecchia divisa della polizia, scolorita e con i polsini lisi.

"Buonasera signor poliziotto. Ha scoperto poi qualcosa riguardo ai lampioni?" chiese la ragazzina, riconoscendo l'uomo a cui aveva aperto la porta poche ore prima. Lui però la ignorò completamente, incentrando lo sguardo sul ragazzo biondo che sedeva sull'altra altalena.

"Dudley Dursley? Devi venire con noi." a parlare fu quello vestito di carminio. Entrambi gli uomini estrassero dalle tasche uno strano pezzo di legno e lo puntarono verso i due ragazzi.

"Mi scusi, ma che sta facendo con quel bastoncino?" chiese perplessa la ragazza castana voltandosi verso il biondo in cerca di sostegno. Ciò che vide la fece impallidire: Dudley Dursley, il famigerato teppista di Little Whinging, colui che da solo, seppur dotato di un solo neurone, riusciva a tenere testa alle bande dei ragazzi più grandi, stava tremando. E non poco. Delilah Farchet si accorse che qualcosa non andava quando la mano paffuta del ragazzo raggiunse tremando la tasca dei suoi pantaloni, estraendone un foglietto stropicciato che strinse fino a che le nocche non gli diventarono bianche. Quando l'uomo vestito di rosso, che le puntava lo strano legno verso il viso, iniziò a pronunciare ancor più strane parole in una lingua che non conosceva, sentì un torpore innaturale invaderle il corpo. La sua mente era incentrata sui ricordi delle ultime ore e si accorse che, anche se tentava di pensare ad altro, riaffacciavano prepotenti. Avvertì una vocina, poco dietro il suo orecchio, domandarle suadente se volesse liberarsi di quei fastidiosi pensieri tanto invadenti. Annuì, lasciando poi ciondolare la testa sul collo, mentre il ricordo del sonoro botto che l'aveva svegliata ed il viso del poliziotto a cui aveva aperto la porta iniziavano a farsi meno nitidi. Quando rivide se stessa raggiungere Dursley all'altalena e sedersi vicino a lui ebbe un attimo di esitazione. "Dudley..." sussurrò, cercando di mettere a fuoco il ricordo che si andava perdendo.



Quando Big D aveva visto l'uomo vestito da poliziotto estrarre quella cosa e puntargliela contro il naso, aveva iniziato a tremare. Sarebbe anche indietreggiato, se il suo voluminoso fondoschiena non si fosse incastrato nell'altalena formato bambino su cui era seduto da diversi minuti. La mano corse subito al foglietto, stritolandolo per l'ennesima volta in quella infinita sera di terrore: si chiese quanto si fosse ancora salvato della sua sanità mentale, mentre con crescente inquietudine accolse i bisbigli inumani dello strano tizio vestito di rosso, prima di accorgersi con sollievo che a essere colpita era stata la Farchet. I due esseri immondi lo guardavano, invitandolo ad alzarsi, cosa che fece con enorme riluttanza ed enorme fatica visto lo stato delle sue membra. Tanto per esserne certo controllò se non gli fosse spuntata qualche stana appendice, così, giusto per sicurezza. Stava già per alzare le mani in segno di resa, pronto ad abbandonare il foglietto dei suoi Credo e gli ultimi brandelli di dignità, quando la ragazzina, che pareva addormentata, sussurrò il suo nome.

Così come una strana forza lo aveva preso quando nei resti della sua casa natia la pazza coi capelli di fuoco aveva cercato di toccarlo, permettendogli di correre lontano da quel posto di morte senza essere fermato da nessuna di quelli esseri stravaganti, così una strana sensazione lo indusse ad afferrare il polso della Farchet, allontanando la sua fronte dalla schifezza che uno dei due uomini gli premeva ancora contro, e a travolgere con la sua mole i due dirigendosi di corsa verso l'uscita del parco, ignorando le grida scomposte del finto poliziotto ed i spaventosi schiocchi colorati che fendevano l'aria cercando di raggiungerlo. Varcato il cancello dei giardini, procedendo in maniera scomposta nel tentativo di evitare i fasci di luce che lo inseguivano, si diresse verso l'estremità opposta di Magnolia Road, cercando di lasciarsi alle spalle Magnolia Crescent e, soprattutto, Privet Drive.

Aggrappata alla sua mano, con gli occhi offuscati come se si fosse svegliata da un lungo sonno, la Farchet ebbe ancora la forza di rompere le scatole

"Visto Dursley? Lo sapevo che tu avevi a che fare con tutta questa storia."



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Capitolo 3
*** 02:05 - Famiglia - ***


02:05 - famiglia -

Ho bisogno di una sigaretta.

Questo pensiero assillante martellava nella testa di Big D da parecchi minuti. Per la precisione da quando, arrivato davanti alla casa bianca in una piccola traversa di Magnolia Road, posta nella strada che era il continuo di Magnolia Crescent, era entrato con foga, rischiando di scardinare la porta, per trovarsi davanti un esterrefatto Gordon in pigiama e con una tazza di latte in mano, in procinto di farsi uno spuntino di mezzanottata.

Mentre percorreva in corsa la fine di Magnolia Road, in un brevissimo momento di lucidità, non più di qualche millesimo di secondo, la mente di Big D si era messa in funzione: metà del suo organo celebrale era concentrato nel dare ordini al corpo - la velocità a cui le gambe dovevano correre, la forza che il braccio doveva impiegare per trascinare il lento peso della Farchet, la moderata pressione delle sue dita sul polso della ragazza, per evitare di spezzarglielo - l'altro emisfero celebrale si era attivato ricomponendo i ricordi delle ultime ore, tentando di individuare un nascondiglio sicuro. Fu una fortuna che Gordon, quella stessa sera, si era vantato di avere casa completamente libera, perché i suoi genitori erano in vacanza. La decisione era stata simultanea e, tempo altri millesimi di secondo per spostare le informazioni da un emisfero all'altro, le gambe di Dudley scartarono a sinistra, nell'ennesima stradina collegata a Magnolia Road, e poi di nuovo a sinistra, giù per la lunga strada parallela, fino alla traversa in cui abitava Gordon.

Finalmente poteva riposare le gambe, stanche per la lunga corsa, seduto sulla poltrona blu notte della camera del compagno di risse, abbinata al piccolo letto e ai mobili che riempivano il locale. Di fronte a lui, la Farchet si massaggiava i polsi indolenziti, strusciando nervosamente la punta di una delle scarpette sul tappeto.

"Bene Capo." Gordon era appoggiato allo stipite della porta "se quella" ed indicò con un cenno del mento la ragazzina "rompe le scatole, nell'armadio lì in fondo c'è il mio bastone. Usalo pure." Dudley non rispose, limitandosi a guardare la mora che continuava a riempire il tappeto di polvere argentata. Il bastone di Smeltings, parte della divisa usata per rinforzare il carattere degli studenti, era una cosa strettamente personale. Nessuno avrebbe mai prestato il proprio ad un altra persona. I componenti della banda di Big D, invece, mettevano a disposizione del loro capo i loro bastoni, in segno di rispetto e sottomissione. Oppure di paura, opzione che a Dudley sembrava più probabile. Spostò lo sguardo dalle scarpe della Farchet al viso di Gordon e al suo naso storto, risultato di una rissa clamorosa contro i ragazzi più grandi. "Ho fame." Il viso di Gordon si illuminò di comprensione: ecco il motivo per cui il suo Capo, sempre così ciarliero e divertente, era improvvisamente taciturno. "Mettiti comodo mentre vado a preparare qualche cosa da mangiare." "Gordon..." la voce ruvida di Big D bloccò i movimenti del ragazzo, già voltato verso il corridoio e pronto a scendere in cucina. "Si, Big D?" "Solo i poppanti bevono il latte, per farsi uno spuntino di mezzanotte. Preparami qualcosa di decente.". Il ragazzo arrossì, annuendo quasi a fatica, incamminandosi verso le scale che portavano al piano inferiore, e quindi alla cucina. Quando fu sicuro di essere lontano dalla vista accelerò il passo, scendendo i gradini a due a due.

Nella camera, Big D sorrideva alla porta aperta e vuota. Poi si voltò verso la ragazza, che aveva smesso di tormentare il tappeto, ma che accarezzava ancora i lividi rossi sui polsi. "Sei un animale Dursley. Mi hai quasi spezzato un polso. Questo è sequestro di persona, sai?E sei pure un ricercato, quel poliziotto ti voleva sicuramente arrestare. Ti sei messo nei guai questa volta, in guai grossi!" sorrise vittoriosa lei. "Sarà," sibilò Dudley, sostenendo il suo sguardo "ma resta il fatto che tu sei qui, mentre il poliziotto ha perso le nostre tracce.". Il sorriso della mora diminuì di qualche centimetro.

"Dammi una sigaretta, Farchet." sbottò Big D, all'improvviso.

"Non fumo Dursley, fa male alla salute."

"Non mi interessa la storia della tua vita, ragazzina. Ho bisogno di una sigaretta."

"Potevi prenderle prima di uscire da casa"

Dovevo procurarmele prima che mio padre si accartocciasse contro il muro o dopo che mia madre ci ha lasciato le penne per dissanguamento? si chiese mentalmente Big D, maledicendo l'ottusità della ragazza.

"Vammele a comprare, allora."

La Farchet si diresse a grandi passi verso un armadio in legno scuro, poco distante dal letto, e ne estrasse il Bastone in dotazione alla divisa di Smeltings. Voltandosi di scatto sbottò: "Hai due possibilità Dursley: o la pianti di sbraitare inutilmente, o ti pianto questo bastone sulla testa."

Dursley non sembrò per niente impressionato. "Tu ne hai solo una, Farchet: andare a comprarmi le sigarette."

La ragazza sollevò il bastone con movimenti sicuri, tenendolo sopra la testa. "Ti dò un'ultima chance, Dursley,"

"Io invece ho esaurito la pazienza." il ragazzo robusto si alzò dalla poltrona imbottita su cui era seduto ed avanzò con passo fermo verso la mora che indietreggiò cercando di mantenere la presa ben salda sul legno. "Non credere che mi faccia scrupoli a picchiarti solo perché sei una ragazza." sibilò fermandosi a poca distanza da lei. "Usare i pugni è l'unico modo che conosci per risolvere i problemi, Dursley?" ma nel dirlo indietreggiò ancora un poco, finendo con le spalle contro l'armadio.

In trappola.

"No, non è l'unico. Ma sicuramente è il più efficace. Muoviti." e per dare forza al suo ordine appoggiò l'enorme pugno contro il mobile, a lato della testa della ragazza.

Digrignando tra i denti parole incomprensibili, ma certamente non lusinghiere, la mora sgusciò sotto le braccia tozze di Big D lasciando cadere a terra il bastone ed uscì dalla camera, sbattendosi la porta alle spalle. Quando il ragazzo sentì chiudersi con un tonfo sordo anche la porta d'entrata, si lasciò scivolare sul pavimento.

Big D rivide mentalmente suo padre accasciato contro il muro e sua madre che gemeva rumorosamente a ritmo coi fiotti di sangue che le uscivano dal fianco. Visualizzò il pacchetto di sigarette, rimasto nella tasca del giubbotto, all'entrata. Poi cercò in quella distorta visione il momento più adatto per afferrarlo. Infine rise, constatando gli allucinanti effetti che poteva provocare l'astinenza da fumo in situazioni devastanti come quella in cui si trovava.

"Non avrai iniziato a fumare, Didino, vero?" Petunia Dursley sorrise all'indirizzo del figlio, sventolando un consunto pacchetto di sigarette mezzo vuoto. "Ho trovato questo nella tasca del tuo giubbotto... non sono tue vero Duddy?" Dudley mostrò la sua doppia fila di denti candidi, aprendosi in un sorriso falso quanto efficace. "No, mamma. Quelle sono di Piers. Le tengo io perché se sua madre le scopre..." fece un gesto noncurante con la mano, come se il resto fosse ovvio. "Certo caro, come sei gentile con i tuoi amici! Devi volere molto bene a Piers, per fare una cosa simile." Dudley scoprì maggiormente la doppia fila candida di denti, i cui canini scintillarono pericolosamente -come quelli di un lupo, avrebbe detto chiunque; come quelli di un bambino in salute, sosteneva Mrs Dursley- ed annuì, mentre nell'opaco e pericoloso azzurro dei suoi occhi, a cui il sorriso non arrivava più ormai da parecchi anni, si poteva scorgere la lacera e pesta figura di Piers dopo che quello stesso pomeriggio gli aveva requisito il pacchetto di sigarette.

Nuovamente, nell'arco di quella notte che sembrava infinita, Big D riesumò dalle sue stanche membra ricordi passati. Si sorprese di come cose stupide ed insignificanti, almeno fino a poche ore prima, acquistavano calore ed importanza.

Quando aveva a che fare con la magia - e lo pensò sussurrando- il ricordo della quotidianità faceva male.

Realizzò che era ancora a terra, con il pugno appoggiato al mobile, scivolato dietro al peso del suo corpo. Si sollevò sulle gambe ancora doloranti per la lunga corsa e si sedette sul piccolo letto, che scomparve sotto la sua possente mole, chiudendo gli occhi. Solo cinque minuti si disse il tempo che quella rompiscatole torna... cinque minuti. E si addormentò, scivolando in un sonno miracolosamente privo di sogni.

Gordon rientrò nella stanza poco dopo, chiudendosi la porta alle spalle, con un piatto fumante di uova e pancetta. Trovò il suo Capo addormentato, con un braccio che penzolava dal letto. Ragazzi, pensò questa è da raccontare agli altri. "Dove ho messo quella maledetta macchina fotografica?" sussurrò a mezza voce, appoggiando il piatto sulla poltrona. La finestra si spalancò all'improvviso, lasciando entrate la calura estiva; Gordon scosse la testa, avvicinandosi per chiuderla.

La porta alle sue spalle si spalancò con un boato assordante. Il ragazzo fece appena in tempo a voltarsi, incontrando due occhi neri e profondi, prima di cadere a terra, schiantato. Un secondo getto rosso, partito dalla bacchetta della figura che avanzava zoppicando, colpì in pieno Dudley Dursley.

Dal corridoio, una voce si informò dell'accaduto: "Il ragazzo?"

"Schiantato." rispose qualcuno da dentro la stanza.

Harry Potter entrò nella camera, con la bacchetta stretta in mano ed un braccio legato al collo, a penzolare tristemente nel vuoto. Rotto. "Mio cugino?" la sua voce si ridusse ad un sussurro.

"Schiantato pure lui, per sicurezza." Kingsley sollevò il piatto, sedendosi sulla poltrona. "Uova e pancetta. Harry ne vuoi un poco?"

Alastor Moody lo raggiunse, strappandogli il piatto di mano e assaggiando un pezzo minuscolo di bacon ed uno altrettanto piccolo di uova. Masticò bene bene e poi mise nuovamente il piatto nelle mani dell'uomo di colore. "Non solo avvelenate" affermò con sicurezza "puoi mangiarle ragazzo!" Kingsley sbuffò, trattenendo un commento stizzito, mentre il giovane si limitò ad un cenno di diniego della testa, continuando a fissare il cugino.

L'auror più anziano scavalcò il giovane schiantato e steso a terra, avvicinandosi al letto. Tastò il polso del biondo corpulento e guardò Harry. "Polso regolare. Sta meglio di me e te, ragazzo." "Gli hanno appena ucciso la famiglia, Alastor. Come credi possa stare?" Kingsley alzò il volto sopra il piatto, ormai quasi vuoto, scoccando un occhiata di rimprovero all'altro auror.

"Esatto. Tutta la famiglia. Uccisi dai Mangiamorte. Rimane solo lui. Lo lascerai andare, ragazzo?" l'uomo era ancora voltato verso il biondo, ma Harry sapeva benissimo che l'occhio di vetro era rivolto verso di lui. "Non c'è altra maniera?" chiese, un groppo che gli stringeva la gola. Lo sguardo del mago di coloro, frattanto, vagava dal giovane al collega, interrogativo.

"Se vuoi salvare almeno lui devi lasciarlo andare, ragazzo." Malocchio Moody sembrava più serio che mai, in quella notte di fine estate, in quella camera da letto babbana in cui Kingsley stringeva un piatto vuoto con gli occhi accesi dalla comprensione, seduto su una poltrona blu notte, e Harry Potter, il ragazzo sopravvissuto, che adesso teneva il viso rivolto al tappeto scuro.

Fu così che li trovò Ginny, entrando nella stanza per annunciare il riuscito schiantesimo della ragazzina al suo rientro nella casa, pochi attimi prima.

"Cosa hai intenzione di fare, ragazzo?" Alastor Moody finalmente si voltò, dando le spalle al letto. Ginny riuscì a vedere il corpo del biondo sdraiato dietro di lui, lo raggiunse con pochi passi, raccogliendo da terra una coperta stropicciata, e coprì l'enorme corpo del ragazzo, scostandogli i capelli impiastricciati dal volto.

Harry si mise la bacchetta in tasca, sospirando, per poi alzare il volto. Il nodo in gola si era ingrandito, strozzando le parole che avrebbe voluto dire; così si limitò ad annuire.

Alastor annuì a sua volta, facendo un cenno all'altro auror: "Procediamo col piano."

La ragazza dai capelli rossi raggiunse il bambino sopravvissuto, scuotendo la testa con tanta forza da far rilucere di amaranto gli scintillii argentei sul tappeto. "Harry…è l’unico parente che ti rimane. Fa parte della tua famiglia!" mosse un passo in avanti, aggrappandosi alla manica del suo maglione di tre taglie più grande "E’ tutto ciò che ti resta."

Harry Potter, il Prescelto, si tolse gli occhiali passandosi una mano sugli occhi. Era stanco, Harry, e demotivato. La ragazza dai capelli rossi strinse con forza il tessuto logoro, mordendosi il labbro prima di sussurrare in modo che lui solo potesse sentirla: "Voi vi volete bene, non puoi lasciarlo andare." Sussultò nel sentire la mano di lui appoggiarsi sulla sua, scostandola con gentile fermezza, tenendo tuttavia gli occhi ben saldi al terreno.

"Non è vero, Ginny." La sua sicurezza la colpì come una stilettata. "Noi non ci vogliamo bene. Abbiamo passato diciassette anni a insultarci, a litigare… a odiarci. Tutto il dolore che ho provato prima di scoprire di essere un mago, tutte le deprimenti estati degli ultimi sei anni…" la ragazza gli afferrò con forza un braccio, costringendolo a distogliere lo sguardo dal pavimento per fissarla negli occhi, incredulo. "Dimmelo guardandomi negli occhi, Harry. Se hai il coraggio di cui ti vanti tanto, dimmelo guardandomi negli occhi, e io ti crederò." Harry Potter, il ragazzo sopravvissuto a immense prove di coraggio, si trovò a vacillare davanti alla minuta Ginny Weasley dai capelli di fiamma e dagli occhi altrettanto brucianti. Strinse i pugni e serrò i denti, nascosti dalle fini e pallide labbra, spostando lo sguardo sulla corpulenta sagoma del cugino, ancora sdraiato sul letto come addormentato. Dudley si mosse impercettibilmente, il respiro appena intuibile dal movimento del suo petto sotto la coperta con cui Ginny, premurosa e materna come sempre, lo aveva coperto.


Se vuoi salvare almeno lui devi lasciarlo andare, ragazzo.


C’era Alastor, vecchio e matto, che non si faceva scrupoli a ricordare verità scomode.

Ma poi c’era Ginny, con i suoi capelli di fiamma ed i suoi occhi profondi, che cercava il buono in ogni cosa.

Riportò lo sguardo sulla rossa e la fisso dritta negli occhi, abbandonando qualsiasi tremore.

"Dursley ed io non ci siamo mai voluti bene, Ginny."

Senza proferire parola, la ragazza voltò le spalle alla stanza ed ai suoi occupanti, allontanandosi con il suo passo leggero.

Solo quando la sua figura sparì oltre lo stipite in legno della porta, Il Prescelto si rivolse agli astanti: "Procedete". Poi anche lui volse le spalle alla camera incamminandosi verso l’uscio della casa Babbana. Spalancò il portone lasciando entrare il caldo vento di fine estate e l’odore della pioggia che iniziava a scurire i marciapiedi. Harry Potter, il Ragazzo Sopravvissuto a cui era destinato il compito di fermare Colui-che-non-deve-essere-nominato, avanzò lungo la piccola traversa senza badare alla luce che fuoriusciva da una finestra del secondo piano, dirigendosi verso Magnolia Crescent, fino a che il suo profilo fu inghiottito dalle ombre della notte.

Nella camera da letto dove il religioso silenzio della notte era interrotto dal borbottare di Alastor Moody, Kingsley appoggiò la bacchetta alle tempie del Babbano chiamato Dudley Dursley, così come gli aveva chiesto Harry Potter.

"Oblivion"

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Ehm...mi sono presa un poco di vacanze... Però il prossimo cap. è già pronto. Sarà l'ultimo, l'epilogo. Credo che aggiornerò entro domenica, al massimo lunedì sera -spero -

Non è che il tono è troppo drammatico? A volte mi capita di scrivere pezzi interi e poi cancellarli, perché mi sembrano soffocanti. Prima o poi riuscirò a scrivere qualche cosa di divertente!

Grazie mille per le bellissime recensioni, mi fa piacere che si possa rivalutare Dudley - povero, è un personaggio così piatto - per inciso, la voce che gli hanno dato nel 5° film è scandalosa, sembra un ritardato! Non che normalmente sia un genio, eh..

al prox cap! *Mamey*

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Capitolo 4
*** 10:00 - Autunno ***


10:00 – Autunno

Francia, cinque anni più tardi

"Bernard!"

L’uomo urlò a gran voce, per la decima volta in quella mattina, il nome del figlioccio. "Bernard! Ma porca miseria, ti vuoi sbrigare? La vecchia Betsy s’è scassata di nuovo."

Il giovane uomo sdraiato sotto la Vite, quasi pronta per la vendemmia, sorrise. L’unica cosa che si poteva scorgere non coperta dall’enorme cappello di paglia, appoggiato sul viso per ripararsi dal pallido solo di fine estate, era il filo d’erba mezzo masticato ben saldo fra le labbra del giovane corpulento. Al nuovo grido del vecchio contadino, che invocava il suo aiuto per riparare un ancor più vecchio trattore, il ragazzo sogghignò, rivelando famelici canini candidi ed affilati. Denti da lupo. Si sollevò a sedere con lentezza, lasciando cadere il cappello a terra per potersi passare una mano nei pallidi capelli scompigliati. Un graffio fresco, che presto si sarebbe trasformato in cicatrice, scintillava sulla sua guancia.

Il crepitio del cemento logoro lo fece voltare incuriosito verso sinistra. In piedi nel centro della Provinciale polverosa, un ragazzo era appoggiato ad una vecchia moto nera. Indossava un giubbotto di pelle squamosa, di un animale non bene identificato, ed un paio di stivali dello stesso tipo. Sotto la giacca facevano bella mostra di sé un paio di jeans color porpora e oro.

Bernard pensò che fosse un abbigliamento raccapricciante.

Doveva essersi fermato mentre lui dormiva, perché non aveva sentito il rumore del motore, né l’avvicinarsi della moto. Il giovane, con arruffati capelli neri e occhiali spessi, a nascondere gli occhi verdi, lo fissava con insistenza. Scocciato da quella strana e fastidiosa presenza, Bernard gli si rivolse con tono di scherno e, immaginando che fosse un turista, si espresse in inglese, lingua che stranamente gli riusciva semplice. Come se, invece di essere nato in Francia, fosse originario della Gran Bretagna. Rabbrividì al solo pensiero, il solo pronunciare quello stato gli metteva addosso inquietudine.

"Di un po’, ti sei perso? Scommetto che sei un turista! Americano?" il ragazzo dagli occhi verdi scosse la testa "Inglese." "Giusto!" esclamò il giovane corpulento schiaffandosi una mano sulla fronte "dovevo immaginarlo che solo un Inglese poteva avere un così pessimo gusto nel vestire."

Il moro sorrise: il suo carattere non sarebbe mai cambiato del tutto.

Il ragazzo biondo non parve accorgersi della reazione dell’altro, ed indicò con un cenno del mento la Provinciale. "La città più vicina è Charville: segui questa strada, sempre dritto e ci arriverai più o meno in mezz’oretta. Sempre se non ti perdi di nuovo." L’urlo del vecchio contadino risuonò nuovamente nel vigneto, più forte del precedente. "Devo proprio andare, o il vecchiaccio mi ammazza. Pensa che devo fare un sacco di ore di lavoro prima di potermi godere la televisione in santa pace! Meno male che da queste parti ci sono altre fonti di svago…" il taglio sullo zigomo sembrò farsi più nitido, mentre i candidi canini del giovane spuntavano con un ghigno. Poi, il corpulento biondo gli voltò le spalle, alzando la mano in un cenno di saluto "Allora addio, turista Inglese, e buona fortuna.". Con passo sicuro si diresse verso la fila di vite più vicina, svoltando l’angolo e sparendo alla vista.

Una brezza gelida, anticipo agrodolce dell'autunno imminente, trascinò oltre l'asfalto il cappello ormai dimenticato.

"No, Dudley." sussurrò Harry Potter, quel mattino di settembre, ai filari di vite solitari "questo è un arrivederci."

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Entrò lunedì...ghghgh.... oopsss...

A presto - è una minaccia - *Mamey*

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