Possibilità di Il_Genio_del_Male (/viewuser.php?uid=81001)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Possibilità ***
Capitolo 2: *** Partenza ***
Capitolo 3: *** Suocera - parte 1 ***
Capitolo 4: *** Suocera - parte 2 ***
Capitolo 5: *** Preludio ***
Capitolo 6: *** Auguri! ***
Capitolo 7: *** Quindici anni dopo ***
Capitolo 1 *** Possibilità ***
RATING:
Giallo.
GENERE:
Commedia,
Romantico (?).
PAIRING:
Sherlock/John.
AVVERTIMENTI:
Fluff
(giusto un
pizzico), Slash, What if?
DISCLAIMER:
I
personaggi non mi
appartengono, né i diritti della serie (ahimè)
che vanno tutti alla BBC. Non
guadagno niente dalla mia attività di fangirlamento
compulsivo.
DEDICA: A Moffat e Gatiss,
perché sono degli slashers in
incognito e ci hanno regalato un telefilm meravigliosamente brillante e
ambiguo; a Martin Freeman, che è un John Watson perfetto; a
Benedict Cumberbatch,
perché è un attore straordinario
-nonché figo da paura.
NOTE: Ehm, buonsalve a tutti! *scuote la
chioma
senza un perché*
Avete capito bene: sono
tornata, e con me pure la famiglia Watson-Holmes al completo, zia
Harry, il duo
di architetti d’interni Greg & Myc, Mrs. Hudson e
chissà quali altri
personaggi, già noti o frutto della mia fantasia malata.
Premetto che, a parte
qualche obiettivo che mi sono posta, non ho la minima idea della
direzione che
questa seconda long prenderà, né da quanti
capitoli sarà composta. Naturalmente
sono sempre curiosa di ascoltare i vostri pareri, sicché se
avete suggerimenti,
spunti e osservazioni da fare siete i benvenuti.
Ai nuovi lettori: come
avrete capito dall’introduzione, questo vuole essere il
seguito di un’altra mia
storia (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=937909&i=1)
che è necessario leggere -se non altro per capirci qualcosa.
Ah, prima che me ne
dimentichi: vi lascio il link (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1045093&i=1)
di una OS che fa da prequel/spin-off all’intera saga,
chiamiamola così.
Buon divertimento (si spera)!
Mancavano poco meno di
due mesi al matrimonio (che, a causa della supervisione da parte della
strana
coppia Harriet e Mycroft, si preannunciava pericolosamente faraonico)
quando un
sera, messi a nanna i bambini, John decise di affrontare una questione
alquanto
delicata con il futuro marito.
“Sherlock”,
esordì, “c’è
una ragione specifica per cui non ho ancora conosciuto i tuoi
genitori?”
L’interpellato si
liberò
della vestaglia, sotto cui non indossava nient’altro, e la
lasciò cadere ai
piedi del letto. Poi si infilò sotto le coperte senza
proferire verbo.
“Tu e la tua pessima
abitudine di dormire completamente nudo con questo freddo”
borbottò il dottore,
tremando impercettibilmente quando un piede gelido dell’altro
gli sfiorò il
polpaccio.
“Pessima, dici? Eppure
sembri apprezzarla ogni notte di più” si decise
finalmente a parlare Sherlock,
con l’imperturbabilità di chi si limita a
constatare un dato di fatto.
“Veramente sei tu
l’attivo prepotente e incontenibile che mi salta addosso non
appena abbasso la guardia”
tentò di protestare in modo molto
poco assertivo.
Una mano pallida del
detective scivolò in basso, verso la zona sudombelicale di
John.
“Ah-ah”
sedò sul nascere
quel tentativo di amoroso assalto. “Vedi che ho ragione? Sei
sleale”.
“Perché? Sto
solo
cercando di sedurti” si voltò a guardarlo.
“Evitando di rispondere
alla mia domanda, Sherlock” precisò amabilmente
l’altro. “Ti conosco”.
Il detective si prese
alcuni secondi per ponderare le parole del compagno.
“No” disse poi.
“No cosa?”
“No, non
c’è un motivo in
particolare per cui non ti ho presentato a coloro che mi hanno messo al
mondo… Se
si esclude il fatto che mio padre è morto precocemente
più di dieci anni fa”.
“Oh. Non ne ero al
corrente, scusami” balbettò, imbarazzato per la
gaffe commessa.
“Non agitarti, sono cose
che capitano e tu ne sai qualcosa” mormorò
Sherlock tranquillamente.
“E tua madre,
invece?” John
si affrettò a domandare. Non amava discutere di genitori
defunti anzitempo,
proprio perché c’era passato anche lui.
“E’
più instabile del
mercurio” ribatté seccamente il detective.
“Intendi dire che ha dei
problemi mentali?” si informò con quanta
più delicatezza possibile.
“No, o meglio: non
proprio. Certamente una qualche anomalia deve avercela, visto che
Mycroft ed io
abbiamo ereditato metà del suo patrimonio genetico e non
siamo del tutto a
posto”.
“Le somigliate
molto?”
“Fisicamente
sì, per
quanto mi riguarda; sembro la sua copia carbone di trent’anni
più giovane e con
un’appendice tra le gambe. Mycroft invece ha preso la
corporatura pesante e la predisposizione
alla calvizie del ramo paterno” s’interruppe,
lasciandosi sfuggire un ghigno
derisorio.
John assentì col capo,
invitandolo a riprendere il filo del discorso.
“In realtà,
ciò che
nostra madre ha trasmesso ad entrambi è
l’intelligenza sconfinata” asserì senza
falsa modestia. “Prendi il mio cervello e quello del mio
fratellone, aggiungici
il famigerato intuito femminile, rivesti il tutto con tailleur
immacolati e
collier di perle grandi come biglie ed ottieni Caroline Margareth
Victoria Spencer,
vedova Holmes”.
“Spencer? Come la
principessa
Diana?”
“Lontana parente, pace
all’anima sua” confermò noncurante
Sherlock.
“Wow”
esclamò il dottore,
sollevando le sopracciglia. “Deve essere una donna
straordinaria. Ma c’era da
aspettarselo, in fondo sei suo figlio” sorrise in direzione
del compagno,
sperando che cogliesse l’allusione.
Inutilmente.
“John, forse non mi sono
spiegato bene. Mia madre non è una
donna straordinaria. Mia madre, sotto l’aspetto di una ex
mannequin di sangue
blu, nasconde una tempra d’acciaio e una forza di
volontà seconde solo alla
Regina –e non mi riferisco a Mycroft. E’ pericolosa
quanto una bomba termonucleare.
Credimi: tu non vuoi veramente conoscerla”. Il suo tono di
voce era venato
di panico, le pupille dilatate, il respiro lievemente irregolare. Non
bisognava
essere degli acuti osservatori per capire che si trattavano di
inequivocabili
manifestazioni di paura.
Sicché Sherlock Holmes,
l’indomito e sregolato investigatore più famoso
del Regno Unito che non
guardava in faccia a nessuno, nutriva un timore reverenziale nei
confronti di
sua madre. Interessante.
“Sarà come
dici tu, ma si
tratta pur sempre dell’unica nonna che i nostri figli
potranno mai vantare,
nonché la mia futura suocera. E’ mio dovere
incontrarla”.
Il
prossimo capitolo cercherò di postarlo a breve, diciamo tra
una settimana,
dieci giorni circa. Fatemi sapere cosa ve n’è parso, eh!
Anche le critiche sono
ben accette. Ringrazio già da ora chi commenterà,
seguirà, preferirà e
ricorderà la storia.
Questa,
se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per
seguire in diretta i
miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
A
risentirci, un bacio!
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Capitolo 2 *** Partenza ***
NOTE: Rieccomi, con qualche giorno di
ritardo ma
con il prossimo capitolo già abbozzato (son soddisfazioni!).
Non ho molto altro
da dire, se non un grazie immenso a chi ha recensito il primo capitolo.
Buona lettura!
Tanto John insistette,
pietì e mise il broncio che riuscì nel suo
intento. Sherlock si vide costretto
a cedere e mandò un sms a Mycroft, chiedendogli di avvisare
in vece sua la cara
mammina della loro imminente visita.
‘E’
così toccante da parte tua, Sherly. Nostra
madre ne sarà felice.’ fu la
replica immediata del fratello.
‘E’
proprio ciò che temo.’
‘Adesso
non esagerare. Sei suo figlio, è
normale che voglia riabbracciarti e conoscere John e i
bambini.’
‘Come
se non sapessimo entrambi che le hai
mandato un dossier aggiornato completo di foto su loro quattro,
Myc.’
‘Mea
culpa: deformazione professionale. Era
l’unico modo per tenerla informata sulla tua vita. Le
manchi.’
‘Il
sentimento non è reciproco, spiacente. Ho
acconsentito a questa pagliacciata solamente perché John ha
minacciato di fare
sciopero sessuale.’
‘Oh
oh, il mio fratellino schiavo degli ormoni.
Chi l’avrebbe mai detto!’
‘Fa’
poco lo spiritoso e ricordati di mandare
un’auto a prenderci martedì mattina alle
8.’
‘Potreste
andare in treno, Brighton non è
lontana da Londra.’
‘Potremmo,
ma così ti giocheresti la
possibilità di ricevere gratis la mia consulenza riguardo a
quella faccenda con tuo
marito.’
‘Per
‘gratis’ intendi farti scarrozzare quando
più ti aggrada da un’auto ministeriale con tanto
di autista?’
‘Ti
rimborseremo le spese della benzina. Non
sia mai che i soldi dei contribuenti vengano sprecati per scopi
così futili!’
‘Quanto
senso civico… Scommetto che è un’idea
di John.’
‘Lo
scoprirai solo vivendo. Mi raccomando, puntuale
alle 8. Salutami Sua Maestà.’ chiuse la conversazione.
“A quale misteriosa
faccenda alludevi, prima, con Mycroft?” domandò
John, che aveva assistito allo
scambio di sms seduto in braccio al compagno e che, effettivamente,
aveva
proposto di contribuire all’acquisto del carburante
perché si sentiva in colpa
ad approfittare impunemente della generosità del governo
britannico.
“Oh, quella”
ghignò il
detective. “E’ una sorpresa. A tempo debito saprai
tutto”.
Arrivato che fu martedì
mattina, trovarono una limousine ad aspettarli sotto casa. Harriet, che
di lì a
qualche minuto avrebbe preso la metropolitana per recarsi al lavoro,
aiutò il
fratello ed il cognato a sistemare i seggiolini dei piccoli sui sedili.
“Bbella tia. Tia
bbella”
la omaggiò Boswell, protendendo le manine paffute verso di
lei.
“Ciao, cucciolo.
Fa’ il
bravo e saluta la nonna da parte mia”
gli sorrise.
“Vabbene. Tonniamo petto,
non peoccupatti” affermò il bimbo, serissimo.
“Non mi preoccupo,
tesoro, anche se mi mancherete molto” disse, accarezzandogli
delicatamente i
riccioli scuri e soffici come piume.
I gemelli, imbrigliati
nelle cinture, gorgogliavano pacificamente. Irene agitava un sonaglio a
forma
di papera, deliziata dal suono tintinnante che esso produceva. Hamish,
col
ciuccio in bocca, cercava di toccarsi la punta delle babbucce con le
dita.
“Buon viaggio, piccolini
della zia” li salutò, ricevendo in risposta
squittii di conferma e dei gran
sorrisi sdentati. Ad Hamish cadde di bocca il ciuccio, afferrato al
volo dalla
sorella.
“Brava ragazza, hai gli
stessi riflessi pronti di tuo papà”
commentò Harriet orgogliosa.
Intanto, John era
impegnato a trafficare con i bagagli, assistito dall’autista.
“Sherlock, dove
hai messo il borsone dei bambini?”
“Da nessuna parte.
Non l’ho proprio preparato, a dire il vero” lo
disilluse il detective, la
custodia del violino in una mano e quella del laptop
nell’altra.
“Tu cosa?”
“Non ci
servirà, John.
Mia madre ha fatto imbiancare la nursery e l’ha stipata di
culle, fasciatoi,
lettini, box ed una quantità di tutine e vestitini,
pannolini, omogeneizzati e
latte in polvere che farebbero la gioia di un qualsiasi
neogenitore” si
affrettò a spiegare con un moto di fastidio.
“E tu come fai a saperlo,
di grazia?”
“Mycroft, ovviamente. Sul
cellulare ho le foto che mi ha mandato via mail, se vuoi verificare con
i tuoi
occhi”.
“No, mi fido”
mormorò
John, basito. “Ma che motivo aveva tua madre di scomodarsi a
tal modo? Non ce
n’era bisogno, ci fermeremo a Brighton solo qualche
ora.”
“E’
schifosamente ricca,
annoiata e con manie di grandezza. Ti avevo messo in guardia su di
lei” gli
rivolse uno sguardo colmo di rimprovero. “Voleva assumere una
puericultrice
diplomata in Svizzera perché badasse ai bambini, e ha
desistito solo quando
Mycroft le ha fatto notare che saremmo ripartiti in giornata”.
“Ah. Bene” il
dottore
batté le palpebre, frastornato. Cominciava a capire
perché Sherlock temesse
colei che lo aveva partorito.
Una mano posata sulla
spalla lo riscosse dallo stato di semi trance in cui era caduto.
“Harriet” disse
ancor prima di voltarsi. Ne aveva riconosciuto il tocco gentile ed
energico.
“Johnny, devo scappare in
ufficio. Vi aspetto per cena, ok?”
“Ah sì, certo.
Grazie,
Harry, sei un tesoro” sorrise.
“Figurati. Mandami un
messaggio quando arrivate e divertitevi!”
La donna baciò sulle
guance il fratello, abbracciò Sherlock e assicurò
a Mrs. Hudson, affacciatasi
dalla porta di casa, che avrebbe fatto un salto durante la pausa pranzo
per
tenerle compagnia. “Ciao!” urlò
un’ultima volta prima di incamminarsi verso la
fermata della Tube più vicina.
“In carrozza,
signori” li
esortò cerimoniosamente Alfred, l’autista, mentre
aiutava Mrs. Hudson a
infilare nel portabagagli un cestino da picnic ricolmo di cibarie e
thermos di
té “per rifocillarvi durante il viaggio, miei
cari”.
L’affittuaria si commosse
un poco, mentre sventagliava un fazzoletto ricamato in direzione
dell’automobile che s’immetteva nel traffico.
Partiti.
Come
ho già anticipato nelle note iniziali, il terzo capitolo
è stato scritto. Tuttavia,
poiché domenica parto per Roma e conto di rimanerci almeno
cinque o sei giorni,
potrebbe verificarsi un ritardo nell’aggiornamento. Portate
pazienza!
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se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per
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Alla
prossima e un abbraccio a tutti voi!
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Capitolo 3 *** Suocera - parte 1 ***
NOTE: Sono in vergognoso ritardo, mea
culpa! *si
cosparge il capo di ceneri* Tra l’inizio della sessione
estiva e un attacco di
pigrizia/inedia acuta ho evitato il computer come la peste, ma adesso
è ora di
dire no al colesterolo e sì a Valsoia (WTF?), anche
perché ‘sto capitolo ce l’avevo
pronto da settimane. Ehm. Mi scuso ancora per l’attesa:
parola di Lupetto, farò
in modo che non si ripeta più.
Buona lettura!
“Chissà
perché, ma questa
stanza mi è familiare” sussurrò John
sottilmente ironico, alludendo al divano
Chippendale su cui erano stati invitati ad accomodarsi da un solerte
maggiordomo, al caminetto di marmo, ai tappeti e alle stampe che
abbellivano il
salotto di Villa Holmes. Gli ricordavano in maniera
impressionante…
“Buckingham
Palace” annuì
Sherlock, leggendogli nel pensiero. “A metà dei
favolosi anni ‘90 la nostra
amata regina si è fatta dare da mia madre
l’indirizzo di Moffat & Gatiss,
il migliore studio di interior design su piazza, non prima di averle
cortesemente chiesto il permesso di copiare pari pari
l’arredamento di casa
nostra”.
“Non mi avevi detto che
la tua famiglia era così intima dei reali
d’Inghilterra” borbottò il dottore,
un filino piccato.
“L’ho ritenuta
un’informazione inutile e di scarso interesse” fu
la risposta secca dell’altro.
Boswell, fino a quel
momento rimasto in contemplazione della collezione di animaletti di
vetro
soffiato esposta su un tavolino di epoca vittoriana, si
dichiarò soddisfatto e
reclamò l’attenzione dei genitori.
“Papà” chiamò, sgambettando
verso John. “Dov’è
la nonna? Ilene e Amiss si annoiano” e indicò la
carrozzina alla sue spalle.
Sherlock si sporse per
dare un’occhiata e dovette dare ragione al figlio: le
boccucce dei gemelli
erano corrucciate, gli occhi assottigliati, le manine erano strette a
pugno.
Minacciavano di scoppiare a piangere da un momento all’altro.
“John, passami la
rivoltella. Pericolo neonati urlanti e paonazzi a ore dodici”
ordinò.
“Col cavolo! Non ti
permetterò di brutalizzare della carta da parati il cui
costo a metro quadro è
pari ad un mio mese di stipendio” si oppose il compagno.
“E va bene”
sbuffò il
detective. “Vorrà dire che ripiegherò
sul violino”.
Non ce ne fu bisogno,
giacché il maggiordomo in livrea che poco prima li aveva
fatti entrare comparve
sulla soglia. “Lady Caroline Margareth Victoria Spencer,
vedova Holmes”
annunciò con un inchino rispettoso e si scostò
per lasciar passare la donna.
John per poco non rimase
secco dallo stupore. La versione femminile e attempata di Sherlock, con
indosso
uno splendido tailleur vintage che ne esaltava la silhouette, eleganti
tacchi a
spillo e i riccioli scuri venati di grigio perfettamente acconciati
fece il suo
altero ingresso nella sala. Sentendosi puntati addosso quei glaciali ed
imperscrutabili occhi azzurri tanto simili a quelli del suo uomo, il
dottore si
affrettò ad alzarsi in piedi, trattenendosi dal rivolgerle
il saluto militare. Sherlock
lo imitò con un certo disagio, con Boswell in braccio.
“John -posso chiamarla
per nome, vero?- carissimo, che piacere fare la sua
conoscenza” trillò la
nobildonna con un gran sorriso stampato in volto, e gli tese la mano.
L’improvvisa (in
realtà
temuta e prevista dal detective) affabilità della suocera
sconcertò non poco il
buon John, che si era aspettato di avere a che fare con una virago
spocchiosa.
Tuttavia, memore delle lezioni di galateo impostegli dalla madre
buonanima quando
era ancora in vita, riacquistò la piena padronanza di
sé e prese la mano che
gli veniva offerta per sfiorarla con un bacio leggerissimo.
“Onorato, Lady Caroline.
Mi chiami come più le aggrada” mormorò.
“Oh oh oh, lei
sì che sa
come lusingare una signora” si sdilinquì.
“Ma la prego, niente titoli
nobiliari: siamo in famiglia! Mi chiami semplicemente
Caroline”.
Il suo sguardo si posò
sulla figura del figlio e gli occhi le si accesero di una luce calda,
liquida.
Commossa. “Sherly, tesoro!” esclamò,
muovendo qualche passo verso di lui. Gli
circondò il volto con le mani -erano quasi alla stessa
altezza- e gli scoccò un
bacio in fronte. “Quanto mi sei mancato,
bricconcello!”
Bricconcello.
John
soffocò giusto in tempo una risata
incredula.
“Mamma, per
favore”.
“Per favore cosa, eh?
Sono dieci anni che ti vedo solo in fotografia, che non ricevo una tua
telefonata, che non ti sottopongo ad un terzo gra- cioè, che
non chiacchieriamo
come si deve e tu fai i capricci perché non sopporti le
smancerie di tua
madre?” si adombrò lei, dandogli dei buffetti
sulle guance. “Ti perdono solo perché
hai un compagno adorabile e tre frugoletti che muoio dalla voglia di
conoscere,
mascalzoncello che non sei altro”.
Il dottore, a quel punto,
tossicchiò discretamente, evitando d’incrociare lo
sguardo di Sherlock.
Caroline
liberò (smise di martoriare) il viso del figliol profigo per
concentrarsi sul
bimbo che gli stava aggrappato addosso come un cucciolo di koala.
“E chi è
questo bellissimo micino?” tubò, chinandosi verso
di lui.
“Bossuell,
nonna” rispose lui, compito. “Acche tu sei
bbella!” cinguettò, incantato dalla
somiglianza tra lei e il babbo.
“Awww,
che
amore! E come si esprime bene” osservò lei, con
gli occhi a cuoricino. “E’
identico a te, Sherly, ma ha ereditato la tua dolcezza, John caro,
nonché un
certo savoir-faire con le donne” ammiccò.
“Dimmi, Bosie, vuoi venire in braccio
alla nonna?” si rivolse al nipote.
Visto
l’entusiasmo con cui il bambino accettò la
proposta, Sherlock lo accontentò.
“Buonno
il
tuo poffumo, nonna” affermò il piccolo,
strofinando il nasino contro il collo
sottile della donna.
“Mi
stupirebbe il contrario, tesoruccio: è Amouage, la fragranza
più preziosa al
mondo, creata dal Sultano Qabus dell’Oman come regalo di
nozze per la sua
incantevole e amatissima sposa”.
“Niente
di
meno” commentò Sherlock a mezza voce.
John e la
madre gli rivolsero occhiate di rimprovero, e Boswell se ne accorse.
“Babbo,
fai il bbavo” pigolò con la franchezza dei suoi
quasi diciassette mesi di vita.
“Sagge
parole, figliolo” approvò il dottore.
“Ascolta nostro figlio, tesoro, non fare
l’antipatico”.
“Uffa”
protestò lui.
“Sai,
John
caro, si comportava così anche da bambino”
ridacchiò Caroline. Si avvicinò alla
carrozzina. “Posso vedere i gemelli?” chiese, quasi
timorosa. “Non vorrei
svegliarli”.
“Come
no” le
venne in aiuto il genero, scostando la copertina per prendere in
braccio Irene.
“Principessa di papà, di’ ciao alla
nonna”.
“Oh”
si illuminò
la donna mentre cullava al contempo Boswell. “Che bella
testolina bionda
abbiamo qui”.
La nipotina
diede mostra di aver gradito il complimento sbavando tutta contenta
sulla sua
tutina.
“Sherlock,
mi dai una mano con-” non fece in tempo a chiedere John che
il compagno era già
accanto a lui, intento a tirare fuori dalla carrozzina Hamish, che si
ciucciava
il pollice di gran lena.
“Ti
somiglia
tantissimo, John caro” esclamò Caroline.
“La stessa bocca, il colore dei
capelli, persino le orecchie! Ma ha il naso e gli occhi di Sherly, come
Irene”.
“E io
che
volevo un mini John in tutto e per tutto” mugugnò
il detective.
“A me
non
dispiace affatto, anzi. Tu e tua madre avete degli occhi
così belli, di un
taglio e di un colore talmente particolari; sarebbe stato un peccato se
i
bambini non li avessero ereditati” sorrise il dottore,
orgoglioso.
Sherlock
arrossì, e un pochino anche Caroline.
Nota
di alcuna rilevanza, ma siccome sono pignola inside vi tocca
sopportare; io di
cavolate ne invento davvero tante, però la storia di Amouage
è vera. Esiste,
guardate qui! (http://it.wikipedia.org/wiki/Amouage)
Certo, come noterete ho mischiato un pochino le informazioni e la
storia del
regalo di nozze è farina del mio sacco, ma un tocco di real
life ci sta sempre
bene. Tra l’altro un’amica di famiglia ne
è un’affezionata cliente, e lo usa
sempre: ha un profumo magnifico, ve lo garantisco.
Questa,
se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per
seguire in diretta i
miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Buon
weekend a tutti, miei cari! Un bacio.
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Capitolo 4 *** Suocera - parte 2 ***
NOTE: Promessa mantenuta, stavolta ho
aggiornato
puntualmente (che poi, quella dell’essere in ritardo
è un’ansia esclusivamente
mia; so benissimo che per voi un giorno o due non fa alcuna differenza,
quindi annuite
e fingete di assecondarmi).
John e Sherlock alle
prese con Lady Caroline, seconda parte. Che altro succederà?
Buona lettura e a
risentirci alla fine!
Ora di pranzo.
“Allora, come sta andando
l’incontro con la temibile suocera? Pensi di riuscire a
sopravvivervi?” lo
raggiunse la voce, venata di preoccupazione, di Harriet.
“Ti dirò, ero
preparato
al peggio”, rispose John tamburellando con le dita sul
cellulare, “e invece non
avrei potuto sperare in una signora più affabile e
cordiale”.
“No, giura!”
“Croce sul cuore.
Davvero, Harry, è completamente diversa dalla squilibrata
descritta da
Sherlock. E’ un filino eccentrica, non lo nego, ma tutti
abbiamo le nostre
piccole stranezze. I suoi figli sono molto più difficili da
gestire, a mio
parere” sospirò il dottore, lanciando
un’occhiata all’acquaforte (un Goya originale,
se non andava errato) che faceva bella mostra di sé appesa
alla parete di
fronte a lui.
“Beh, meglio
così, no?”
commentò la sorella, incoraggiante. “Ai bambini
sta simpatica?”
“La adorando almeno
quanto adorano te”.
“Un successo su tutti i
fronti, insomma” esclamò lei, per niente gelosa.
“Ti confesso che muoio dalla
voglia di conoscerla, questa superdonna”.
“La incontrerai al
matrimonio, se riesco a distrarre Sherlock il tempo sufficiente per
consegnarle
l’invito. Però ti impedisco sin da ora di flirtare
con lei” la ammonì John.
“Oh, ti prego”
protestò.
“Avrà almeno una sessantina d’anni,
giusto? Troppo matura per i miei gusti, se
ti può tranquillizzare. Mi piace la carne fresca”.
“Potresti anche cambiare
idea” la canzonò. “Sai quanto
l’ago della mia bussola sia orientato su
Sherlock, eppure non ho potuto astenermi dal fare il cascamorto con
Caroline”.
“Ah, Caroline? Vi date
già del tu? Entro la fine della vostra visita sarete
diventate ottime amiche”
Harriet scoppiò in una risata argentina.
“Scema”
ridacchiò di
rimando lui. “A proposito, c’è un cambio
di programma. Siamo stati invitati a
fermarci per il tè e ho faticato non poco per costringere
Sherlock ad
accettare, sicché non riusciremo a tornare in tempo per
cena”.
“Ok, non
c’è problema.
Tra mezzora stacco e faccio un salto a casa per pranzo;
avviserò Mrs. Hudson
del vostro ritardo”.
“Grazie, Harry, e
scusaci. Mi dispiace che tu debba trascorrere la serata da sola a Baker
Street”
mormorò, contrito.
“Va tutto bene, Johnny
Boy” lo rassicurò lei. “Anzi, mi sa che
ne approfitterò per prendermi la serata
libera. Molly ha promesso di farmi provare la cucina thailandese,
conosce un
ristorantino che-”
“Molly?” la
interruppe il
fratello un po’ bruscamente.
“Molly Hooper,
sì.
Qualcosa non va?” il tono di voce di Harry si fece perplesso.
“Molly Hooper, la
patologa nonché ginecologa che lavora al St
Bart’s?” incalzò.
“Precisamente. Quante
Molly Hooper pensi che esistano a Londra, Johnny Boy?”
“E come l’hai
conosciuta,
se mi è lecito saperlo?”
“Quando ho preso
appuntamento per il Pap test, circa un mesetto fa. Lei stava
concludendo il
tirocinio e faceva da assistente al primario del reparto di
ginecologia. Mi ha
riconosciuta -a quanto pare Sherlock le aveva parlato di me,
va’ a capire
perché- e abbiamo cominciato a chiacchierare”
spiegò disinvoltamente, noncurante.
Anche troppo.
“Harriet.
C’è niente che
devi dirmi al riguardo?” si insospettì John.
“Affatto, fratellino.
Saresti il primo a saperlo, se ci fosse qualcosa da
annunciare” si affrettò a
replicare.
“Uhm”
mugugnò. “Per
stavolta fingerò di non aver mangiato la foglia. Ti chiedo
solo di trattarla
bene, intesi? Vacci piano. Molly è una ragazza dolcissima e
con il cuore
spezzato da un genio del crimine e da quel sociopatico del mio uomo,
perciò… cautela”
si raccomandò.
“Fidati di me, Johnny. Mi
prenderò cura di lei” promise Harriet.
“Bene”,
tossicchiò un
filino a disagio lui, “è ora che riattacchi. Ho
lasciato abbastanza a lungo
Sherlock nelle amorevoli grinfie della madre e aspettano me per servire
il
dessert. Ti mando un sms quando abbiamo finito qui”.
“D’accordo.
Salutami la
famigliola e da’ un bacio ai cuccioli da parte mia”.
“Sarà fatto.
Divertiti
con Molly” le augurò John prima di chiudere la
telefonata.
Uscito che fu dalla
stanza si ritrovò nel lunghissimo corridoio del piano terra
della villa,
ripassò mentalmente il percorso fatto all’andata e
infine si diresse a colpo
sicuro verso la sesta porta a sinistra. La prodigiosa memoria visiva di
Sherlock -pensò distrattamente- doveva essergli stata
fondamentale per imparare
ad orientarsi in una casa (magione) con venticinque camere da letto,
una decina
di bagni e addirittura una sala del telefono, dove per
l’appunto Caroline aveva
gentilmente invitato John ad appartarsi quando gli era squillato a
tradimento
il cellulare tra una portata e l’altra.
Bussò, poi
abbassò la
maniglia. “Perdonate l’attesa, mia sorella aveva
urgenza di parlarmi” esordì,
constatando con sollievo di aver scelto la porta giusta.
“Niente di grave, mi
auguro” si accigliò Caroline, porgendo il dito
indice ad Hamish perché lo
succhiasse.
“Fortunatamente no. Le
manda i suoi saluti, comunque, e un bacio ai nipotini”.
Così dicendo John si
chinò a baciare sul capo Boswell, accomodato sul seggiolone,
ed i gemelli,
rispettivamente in braccio alla nonna e al babbo.
“Che zia
affettuosa”
chiocciò Caroline in segno di approvazione. “Se ti
somiglia anche solo la metà
di quanto immagino, deve essere una donna deliziosa”.
“Lo è. Le
voglio molto
bene” ammise il dottore, stringendosi nelle spalle.
“Spero di conoscerla
presto” continuò la nobildonna, alzatasi per
riporre un assonnato Hamish nella
carrozzina.
“E’ proprio
questo lo
scopo della nostra visita, Caroline” la assecondò
allegramente.
“Oh. Ed io che mi
illudevo
che non vedessi l’ora di conoscermi, John caro”
scherzò a sua volta.
“Anche”
ridacchiò lui,
guardando di sottecchi Sherlock.
Il detective, intuite le
intenzioni dell’altro, si affrettò ad adagiare
delicatamente Irene nella
carrozzina e gli si affiancò. “John”
mormorò, posandogli una mano sulla spalla.
“Andiamo, Sherlock.
Comunica a tua madre la lieta novella” lo esortò
in risposta l’altro con il suo
sorriso più smagliante.
“Quale novella? Mycroft
non mi ha anticipato nulla” cascò dalle nuvole
Lady Spencer.
“Perché
l’avevo pregato
di tenere la bocca cucita” borbottò Sherlock,
incupitosi. “Almeno lui sembra
aver rispettato il mio desiderio” fissò truce il
compagno.
“Su, non fare il
bambino”
fu la risposta divertita dell’altro.
“Non ho con me
l’invito,
John” mormorò a denti stretti.
“L’ho dimenticato”.
“Per tua fortuna, tesoro,
avevo previsto che te ne saresti casualmente scordato, così
ci ho pensato io!
Sono o non sono la tua ancora di salvezza?”
esclamò gioviale, sventolando una
busta di pesante carta color crema. “Considerala una piccola
vendetta per non
avermi detto nulla dei tuoi sordidi traffici per far mettere insieme
mia
sorella e Molly; so che ci sei tu dietro” sibilò
senza vero rancore.
“Ragazzi, non vi
seguo”
disse Caroline, confusa da quello scambio di battute.
“Per lei” John
le porse
la busta.
Le mani di lei tremarono
un poco nell’aprirla. “Non
sarà…” si
interruppe, per leggere le poche righe vergate sul cartoncino.
Trattenne il
fiato. Posò lo sguardo sui due uomini di fronte a lei. Un
braccio di Sherlock
era possessivamente allacciato alla vita di John, che dal canto suo
aveva
appoggiato la testa sulla sua spalla in un gesto di fiducia e abbandono
totale.
Entrambi erano radiosi.
“Mamma” il
figlio non
riuscì a trattenersi dal sorriderle. “Mamma, John
ed io ci sposiamo” disse.
“Oh, mio Dio”
singhiozzò
Caroline mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
“Ragazzi, non avreste
potuto farmi una sorpresa più gradita. Venite qui,
lasciatevi abbracciare!”
trillò e, senza permettere ai promessi sposi di reagire in
alcun modo, andò
loro incontro e li strinse in un abbraccio energico.
John ricambiò con
altrettanto entusiasmo, seppure leggermente imbarazzato dal fatto che
anche la
suocera fosse più alta di lui. Sherlock, apparentemente
più distaccato, dovette
riconoscere che non era poi così male cedere alle effusioni
di sua madre.
“Cari, cari
ragazzi”
ripeté la donna, commossa. “Sono così
orgogliosa di voi. La fortuna mi ha
arriso. Non solo ho messo al mondo due figli intelligenti, tsundere e pieni di fascino, ma ho fatto in
tempo a vederli gay ed accasati –e addirittura con prole, nel
caso di Sherly!
Certo, se anche Mycroft ed il suo amabilissimo marito riuscissero a
figliare la
mia felicità di fangirl e di madre sarebbe
completa” sospirò sognante.
Fangirl?
John
cominciò ad inquietarsi. Ma poi, per quieto
vivere, decise che preferiva non approfondire.
“Quanto a questo, mamma,
credo
che verrai presto accontentata” ghignò Sherlock,
sibillino.
Note
dell’autrice: il Pap test esiste davvero (http://it.wikipedia.org/wiki/Test_di_Papanicolaou) ed è un esame di
routine per le donne che hanno almeno venticinque anni.
La
definizione di tsundere, nel caso
vi
stiate chiedendo cosa significhi, la trovate qui (http://it.wikipedia.org/wiki/Tsundere).
Questa,
se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per
seguire in diretta i
miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Buon
finesettimana e a risentirci presto. Un bacione a tutti!
|
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Capitolo 5 *** Preludio ***
NOTE: Chiedo umilmente perdono!
Dall’ultimo
aggiornamento è passato un bel po’ di tempo, ma
tra i vari appelli,
l’improvvisa ondata di caldo afoso che mi ha privata della
voglia di fare
alcunché per diversi giorni e la stesura di una one-shot per
un contest estivo
avevo bisogno di prendermi una pausa prima di dedicarmi a questo
capitolo.
Comunicazione di
servizio: da oggi mi dichiaro ufficialmente in ferie, almeno per quanto
riguarda il fandom di Sherlock (BBC). Non intendo però
chiudere i battenti e
farmi risentire a settembre; continuerò a scrivere e ad
aggiornare, solo con
pause più lunghe del solito tra un capitolo e
l’altro. Non vi lascio soli,
don’t worry.
Buona lettura!
John non era stupido.
L’ambigua
affermazione con cui Sherlock aveva salutato la madre sommata al
criptico
scambio di sms tra lui e Mycroft portavano ad un’unica
conclusione: qualcosa
bolliva in pentola.
Così, una volta tornati
a
Londra, il dottore aveva tentato di farsi rivelare da Sherlock cosa
stessero macchinando
lui e suo fratello. Non ottenendo altro che dei poco convincenti
“Te lo
spiegherò a tempo debito” in risposta, si era
infine confidato con Harriet. La
quale, piena di senso pratico, gli aveva suggerito di discuterne
direttamente
con il secondo componente del machiavellico duo.
“Come se fosse
facile”
aveva brontolato John. “E’ un agente segreto al
servizio di Sua Maestà, nonché
colonna portante del governo britannico. Di certo non ha tempo da
dedicare ai
miei futili interrogativi”.
“Oh, non esserne
così
sicuro”aveva replicato lei, strizzandogli l’occhio.
“Potrebbe risultare molto
più semplice di quel che pensi”.
La mattina dopo, non
appena Sherlock fu uscito di casa diretto al commissariato sollecitato
da una telefonata
da parte di Lestrade, Harriet chiese al fratello di accompagnarla a
fare delle
commissioni. “Ho già contattato la babysitter,
dovrebbe arrivare a momenti” si
premurò di informarlo.
“Che tipo di
commissioni?” sbadigliò lui, spalmando un generoso
strato di marmellata di
arance su una fetta biscottata.
“Si tratterebbe di fare
una puntatina dal sarto per prendere le misure del tuo abito, ma prima
passerei
in pasticceria: il proprietario ha promesso di aprire il laboratorio in
anticipo appositamente per noi”.
“In
pasticceria?” si inquietò.
“Dobbiamo scegliere la
torta nuziale, Johnny” Harriet distolse lo sguardo dallo
specchietto di cui si
stava servendo per truccarsi e lo puntò sul fratello.
“Non intenderai uno di
quegli orrori a cinque piani di pan di spagna, glassa dolciastra e
decorazioni
di dubbio gusto, vero?”
“Mi dispiace deluderti,
ma è esattamente ciò che intendo convincerti a
commissionare” tracciò il
contorno delle labbra con il rossetto. “Che razza di
matrimonio sarebbe senza
una pacchianissima, indigesta e assurdamente costosa torta
nuziale?”
“Non è
giusto” borbottò
John. “Mycroft e Greg non l’hanno ordinata quando
si sono sposati”.
“Poche storie e sbrigati
a finire la colazione” Harriet chiuse lo specchietto con uno
scatto. “Sarà una
giornata proficua, me lo sento!”
“…Questa qui,
invece, è
la mia preferita. E’ farcita con una delicatissima salsa di
frutti di bosco e
uno strato di frutta secca fatta appassire nel brandy:
me-ra-vi-glio-sa!” stava
spiegando Alex, il capo pasticcere, schioccando le labbra con orgoglio.
“Ne sono certa”
lo
assecondò gentilmente Harriet. “Che te ne pare,
Johnny? Credi che a Sherlock
potrebbe piacere?”
“Conoscendolo, dubito che
sarà in grado di mangiare alcunché il giorno del
nostro matrimonio” sorrise.
“Però Boswell adora i frutti di bosco, e nemmeno a
me dispiacciono”.
In quel momento si udì
una nota voce maschile scusarsi per il ritardo. I due fratelli si
voltarono. Uno
stranamente affannoso e scomposto Mycroft si fece strada nella cucina,
dribblando abilmente una serie di giovani apprendisti che correvano da
una
parte all’altra della sala trasportando ciotole colme di
crema e sacchi di
farina.
“Sono
mortificato”,
sfiatò quando ebbe raggiunto i Watson, “quello che
sembrava un piccolo
contrattempo si è rivelato essere più serio del
previsto”.
“Niente di grave,
spero”
insinuò Harriet.
“No, no” la
rassicurò,
rosso in volto in modo sospetto. “John, qual buon vento ti ha
spinto ad unirti
a noi?” si rivolse poi al dottore.
“Ehm”
replicò
brillantemente lui. Si era completamente dimenticato del ruolo di wedding planner ufficiale ricoperto da
Mycroft.
“Sarà
meglio
che mi occupi della torta; voi ragazzi restate pure qui a
chiacchierare”
chiocciò la donna, mostrando i pollici in su al fratello.
“Mi scusi, Alex”,
prese a braccetto il capo pasticcere, “non avete nulla con le
arance? Sa, il
matrimonio verrà celebrato a dicembre e l’inverno
è la stagione migliore per
gli agrumi…”
Rimasti
soli, i futuri cognati si presero qualche secondo per fissare con
interesse le
punte delle loro scarpe.
“Avanti,
John, sputa il rospo”.
“Eh?
C-Cosa?”
“Mi
ritengo
una persona discretamente intuitiva. Mi è parso di capire
che muori dalla
voglia di chiedermi delucidazioni riguardo ad una questione che ti
impensierisce
non poco, o sbaglio?”
“Oh,
beh. In
effetti sì, qualcosa di cui volevo parlarti
c’è, però non vorrei risultare
indelicato”.
“Più
di mio
fratello? Impossibile” sorrise furbescamente.
“Avanti, di che si tratta?”
Il dottore
lo rese partecipe dei suoi sospetti. “E come se non bastasse,
Sherlock ogni
volta fa il vago” concluse. “Sicché, mi
stavo chiedendo, non è che-”
“Non
è che
Greg ed io stiamo cercando di avere un bambino: è questo
ciò che intendi?” lo
interruppe Mycroft.
L’altro
annuì.
“Complimenti,
John. Deduzione corretta”.
Nessuna
sorpresa: che i Mystrade stessero pianificando di scodellare un pupo
era chiaro
a tutti voi lettori, ho idea. Non per niente il titolo di questo
capitolo è
Preludio; il meglio, signori miei, deve ancora arrivare!
Questa, se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook,
per seguire in
diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Che
altro dire? Buon inizio d’estate e in bocca al lupo ai
maturandi (se ce ne
sono) e agli universitari alle prese con gli esami.
A
risentirci, un bacio! <3
|
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Capitolo 6 *** Auguri! ***
NOTE: …Sono una donna
spregevole e senza cuore (?),
nonché culopesa al massimo grado. Avevo promesso di rifarmi
viva di tanto in
tanto durante l’estate e invece mi sono praticamente
eclissata. Solite
motivazioni: sessione estiva, troppo caldo, totale mancanza
d’ispirazione e una
full immersion nel fantastico mondo del k-pop (grazie, Cloud <3)
che mi ha
fatta delirare e fangirlare non poco. Detto questo, mi dispiace
tantissimo di
aver mancato di parola. Di solito non sono così cialtrona,
giuro!
Per quanto riguarda la
storia, è arrivato il momento di decidere se continuarla o
meno. Mi spiego:
quello che state per leggere potrebbe tranquillamente essere
l’ultimo capitolo,
perché i finali aperti mi garbano abbastanza e
perché non sono decisamente
tagliata per le longfiction di più di dieci capitoli (lo so
che siamo solo al
sesto, ssst). Però, se a qualcuno di voi dovesse interessare
leggere qualche
altro aneddoto sulla famiglia Watson-Holmes, magari ambientato
dieci/quindici
anni dopo, potrei farmi violenza da sola e costringermi a scribacchiare
ancora
per un po’. Sta a voi, lettori carissimi ed affezionati,
decidere le sorti di
questa storiella.
Buona lettura, ci si
risente a fine capitolo!
Il grande giorno arrivò,
alla fine.
Contrariamente alla
tradizione (quando mai erano stati una coppia convenzionale?, pensava
John) i
promessi sposi trascorsero la notte prima delle nozze insieme,
consentendo a
Boswell di dormire nel lettone con loro e con la camera dei gemelli a
portata
di baby ricetrasmittente.
Il mattino seguente vennero
svegliati all’alba -le sette e mezza- da Harriet, eccitata
come una ragazzina
durante il primo giorno di saldi. “Giù dalle
brande, piccioncini!” esclamò
gioviale, lottando nel frattempo con la chiusura del collier di perle
che aveva
deciso di abbinare ad un elegante tailleur Vivienne Westwood di lana
cotta sui
toni dell’écru.
“Doccia veloce, colazione e poi dritti a farvi belli. Animo,
animo!” e spalancò
la finestra, inspirando a pieni polmoni l’aria frizzante di
quella giornata
dicembrina.
“Yawn” fu
l’inintelligibile replica di John, mentre affondava il viso
nel cuscino nel
vano tentativo di riaddormentarsi.
Sherlock, al contrario, si
dimostrò subito reattivo. Sceso dal letto
s’infilò la vestaglia, afferrò un
asciugamano pulito dalla pila di panni stirati che Mrs. Hudson aveva
lasciato
sul comò della loro camera il giorno prima e rivolse uno
sguardo divertito al
compagno. “Sicuro che, tra voi due, non sia stata Harriet ad
arruolarsi
nell’esercito?” insinuò a bassa voce.
“Ti ho sentito”
la donna
si allontanò dalla finestra, rabbrividendo. “Lo
prendo come un complimento”
sorrise.
“Lo è,
infatti” stette al
gioco lui, atteggiando le labbra ad una smorfia seducente.
“Ehi, voi due. Piantatela
di flirtare sotto i miei occhi o il matrimonio non si
farà” borbottò John
mentre si tirava pigramente a sedere.
“Non ti
azzardare”
ribatté la sorella scherzando solo in parte. “Con
tutte le energie, il tempo e
le risorse finanziarie che sono state impiegate -per non parlare del
contributo
mio e di Mycroft- questo matrimonio s’ha da fare
eccome!”
In quel mentre si sentì
un pianto sommesso provenire dalla stanza accanto. Irene ed Hamish si
erano
svegliati, e quindi per empatia fraterna anche Boswell pensò
bene di ridestarsi
dal sonno. “Papà?” pigolò,
stropicciandosi gli occhi con le manine.
“Sono qui,
pulcino” John
gli allungò una carezza sui riccioli morbidi come piume.
“Dormito bene?”
“Tì
tì” rispose, per poi
bloccarsi come colpito da un’idea. “Fa ppoco tu e
babbo vi pposate, giutto?
Dobbiamo sbicacci o aiveemo in itaddo!” si agitò.
“Sagge parole, nipotino
mio” approvò Harriet. “Sherlock, fila a
lavarti; tu, Johnny, cerca di
trascinarti fuori dal letto in tempi ragionevoli. Ai bambini pensiamo
Mrs. Hudson
ed io” tese le braccia verso il fratello per farsi affidare
Boswell.
“Apetta, tia”
cinguettò
lui circondandole il collo. “Ti aiuto a chiudee la
colana” e in pochi secondi
le sue dita paffute ebbero la meglio sul fermaglio capriccioso del
gioiello.
Non si sa come,
riuscirono ad arrivare in orario alla cerimonia. Buona parte del merito
(persino Sherlock dovette riconoscerlo) fu della limousine che Mycroft
aveva
mandato a prelevarli sotto casa e che li lasciò tutti e
sette davanti a
Westminser. Il maggiore dei fratelli Holmes ed Harriet non avevano
badato a
spese: i migliori arredatori -compresi i famigerati Moffat &
Gatiss- e florists
avevano decorato la navata
centrale dell’abbazia con largo uso di organza bianca, peonie
profumatissime e
candele all’essenza di neroli per creare
un’atmosfera suggestiva e romantica.
Marks & Spencer aveva accettato di occuparsi del catering e del
rinfresco
che si sarebbe tenuto niente meno che alla SWISS
Re Tower, in via del tutto
eccezionale.
“Solo
il meglio, per la coppia più chiacchierata di
Londra” li accolse sulla soglia
il governo britannico in carne ed ossa con uno dei suoi sorrisi
più sardonici e
raggiante in volto. “I miei uomini sono a stento riusciti a
tenere a bada i
paparazzi. A quanto pare ogni emittente e testata del Regno Unito ha
ritenuto
opportuno inviare un reporter a seguire il matrimonio del secolo. Non
è
divertente? Pensa a tutta la pubblicità gratis per la tua
attività, fratellino”
ghignò.
“Ciao,
Mycroft. Sbaglio o hai messo su peso, ultimamente?”
replicò Sherlock, amabile
come suo solito, senza fare una piega.
L’altro
arrossì impercettibilmente, ma fu sufficiente
perché gli sposi mangiassero la
foglia.
“Oh,
che bella notizia!” si congratulò John.
“Non vediamo l’ora di diventare zii, vero
tesoro?” diede di gomito al detective.
“Certamente”
rise sotto i baffi. “Avvisaci quando Lestrade avrà
le prime nausee mattutine,
saremo ben lieti di dargli qualche consiglio al riguardo”.
John
gli rivolse un’occhiata in tralice, Mycroft
avvampò vistosamente.
“Sì,
beh- sarà meglio che mi avvii, Greg mi aspetta. Ho fatto
accomodare Mrs. Huson,
Harriet ed i bambini accanto alla mamma, c’è anche
la dottoressa Hooper”
farfugliò. “Tra due minuti l’organista
attaccherà a suonare, fatevi trovare
pronti per l’entrata in chiesa” e si
dileguò oltre il portone.
“Greg?
Perché lui?” John guardava Sherlock con tanto
d’occhi.
“Credevi
forse che fosse Mycroft quello incinto?” ribatté
non senza una certa dose
d’ilarità nella voce.
“Ne
sono certo. Potrei metterci la mano sul fuoco. Ha preso almeno tre
chili
dall’ultima volta che l’ho visto, senza contare che
tiene i piedi a papera e le
lombari inarcate; persino la sua carnagione risplende. E’
radioso come non mai.”
“Ma
dalle
analisi che ho preso in prestito”, l’altro
tossicchiò discretamente, “dallo
studio di Molly risulta
che è il nostro
commissario preferito ad essere incinto. E’ scritto nero su
bianco” Sherlock si
accigliò.
Si
scambiarono un’occhiata. Compresero quel che c’era
da comprendere. E
scoppiarono a ridere.
“Due
in un colpo, eh?”
“Hai
capito, il mio fratellone… Ed io che pensavo fosse
ingrassato per solidarietà
con Lestrade. Evidentemente ha voluto fare le cose in grande”
“Scemo”
John gli rifilò un’altra gomitata, non riuscendo a
trattenere un sorriso.
Proprio
in quel momento le prime note della marcia nuziale iniziarono a
risuonare per
tutta la chiesa.
“E’ora”
Sherlock raddrizzò la schiena, improvvisamente solenne.
“Andiamo?” offrì il
braccio al compagno.
“Andiamo.”
Una
nuova avventura li attendeva.
Sì,
lo so che probabilmente vi aspettavate qualcosa di più
eclatante (?), ma di
fastosi matrimoni in chiesa ho scritto anche troppo -in altre storie,
perlomeno- e non ci tenevo più di tanto a ripetere
l’esperienza… Chiedo scusa.
Allora, che ve ne pare? Chiudo qui e tanti saluti oppure volete leggere
altro?
Fatemi sapere. In ogni caso, grazie a chi mi ha seguita fin qui, a chi
ha
commentato, letto e partecipato attivamente alla stesura di questa
storiella
regalandomi tantissimi spunti e idee divertenti: vi lovvo tutti!
Questa, se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook,
per seguire in
diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Un
bacio e a risentirci (forse).
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Capitolo 7 *** Quindici anni dopo ***
NOTE: Pensavate di esservi liberati di
me,
ammettetelo. Mi spiace deludervi, miei cari: sono tornata ancora una
volta,
l’ultima. Alcuni di voi me l’hanno chiesto ed io ho
voluto accontentarli,
sicché eccovi servito il settimo capitolo
–ambientato, come recita il titolo,
quindici anni dopo.
Buona lettura, ci si
risente a fine capitolo per i ringraziamenti!
“Papàààààà!”
L’urlo belluino, a stento
definibile umano, venne udito fino a Buckingham Palace e dintorni. La
porta del
bagno venne aperta dall’interno e poi sbattuta con una tale
violenza da far
tremare le pareti dell’intero appartamento; ne emerse
un’adolescente bionda e
visibilmente fuori di sé.
“Papà!”
sbraitò
nuovamente, e raggiunse a grandi passi la cucina adibita a laboratorio
dove
Sherlock era intento ad esaminare vetrini.
“Sì,
Irene?” replicò
impassibile senza distogliere lo sguardo dal microscopio.
“Non trovo più
l’eyeliner, nel mio beautycase non
c’è” spiegò bruscamente.
“Non è che l’hai di
nuovo preso in prestito a mia insaputa per analizzarne la composizione
chimica?”
Il padre si decise a
voltarsi verso di lei con un’espressione di innocente
sorpresa dipinta in
volto. “Mi dichiaro non colpevole, Vostro Onore”
alzò le mani in segno di resa.
“Prova a chiedere a tuo fratello, potrebbe rivelarsi un
testimone chiave”.
Irene rifletté qualche
istante sull’affermazione del detective. Poi, con rinnovata
ferocia, fece
dietrofront e si diresse verso la camera che condividevano i suoi due
fratelli.
“Boswell!” ululò.
Sherlock si rimise al
lavoro, non riuscendo a trattenere un ghigno compiaciuto. In quel
mentre John
varcò la soglia della cucina, il cardigan abbottonato mezzo
storto e gli occhi
ancora gonfi di sonno.
“Che ha da urlare nostra
figlia alle sette e mezza del mattino?” sbadigliò.
“Non trova il suo
eyeliner”.
“Oh- aspetta, non
è che
glielo hai sgraffignato tu?” si mise sull’attenti.
“Incredibile come Irene
ti assomigli” constatò, divertito.
John preferì ignorarlo.
“Dio non voglia che
l’abbia preso Boswell, allora”.
Silenzio.
“Ce l’ho io,
l’eyeliner
di nostra figlia” confessò (prevedibilmente) lui,
estraendo dalla tasca della
vestaglia il corpo del reato. “Avrà il mio
permesso di truccarsi per andare a
scuola quando avrà compiuto diciotto anni, non
prima” disse in tono definitivo.
“Ci avrei
scommesso”
sospirò l’altro. “Lei lo sa?”
“Fossi scemo. Le ho
suggerito di chiedere a Boswell”.
“Ma perché, se
è
innocente? Ti sei dimenticato che l’ultima volta che si sono
accapigliati a
pagarne le conseguenze è stato il servizio da tè
regalatoci da Mycroft per il
matrimonio?” si mise le mani nei capelli.
“Fidati John, Boswell si
sa difendere benissimo. Lo conosco, siamo due gocce
d’acqua”.
“Ah beh, adesso
sì che mi sento
rassicurato”.
I tre fratelli
Watson-Holmes entrarono nel vagone della metropolitana, che a
quell’ora era
stipata di lavoratori e studenti come loro. Gli altri passeggeri si
fecero da
parte per lasciarli passare, abbagliati dalla bellezza tipicamente
anglosassone
e al tempo stesso quasi esotica dei ragazzi.
Boswell era sicuramente
quello che attirava più sguardi, con la sua altezza
esagerata, gli occhi così
azzurri e penetranti, la massa di riccioli scuri e la pelle chiarissima
esaltati
dalla stoffa blu marine del blazer della divisa. Era la copia vivente
di
Sherlock e ne aveva ereditato anche la mente analitica. Irene era
altrettanto
avvenente: lunghi capelli biondi e delicatamente ricci, gli stessi
enormi occhi
blu cupo di Harriet e una bocca sensuale, con l’arco di
Cupido prominente.
Sembrava una novella Isotta, ma non bisognava farsi ingannare dalle
apparenze;
tanto aggraziata era la sua figura, tanto lei era d’indole
agguerrita e
volitiva. Hamish si considerava il meno appariscente dei tre. Lui e
John si
somigliavano parecchio. Erano entrambi non troppo alti, di ossatura
robusta,
chioma liscia e color del grano, labbra sottili. Gli occhi ed il naso,
però,
erano indubbiamente quelli di Sherlock ed Hamish ringraziava le leggi
della
genetica per quell’eredità. Inoltre, particolare
non irrilevante, a differenza
dei suoi fratelli lui poteva vantare un carattere ragionevolmente
equilibrato e
una certa dose di sanità mentale che loro decisamente non
possedevano.
Tanto per cambiare, erano
impegnati a portare avanti una sterile polemica come ogni mattina da
quando,
cinque anni prima, avevano cominciato a prendere la metropolitana tutti
insieme
per recarsi alla stessa scuola privata.
“Bosie”, Irene
pronunciò
ad alta voce il diminutivo sapendo quanto l’altro lo
detestasse, “sono stufa di
ripetertelo: l’eyeliner è mio e non si
tocca”.
“Ancora con questa
storia? Non c’entro nulla, sorellina; scommetto cinquanta
sterline che l’ha
requisito papà. Non gli garba che sua figlia vada in giro
con gli occhi
truccati come quelli di un procione”.
“Come osi?”
tuonò lei. “Sei
solo invidioso perché io posso metterlo e tu no!”
“Invidioso, io? Ma se mi
sta mille volte meglio che a te” scoppiò a ridere.
La gente pigiata addosso
a loro iniziava ad osservarli come fossero animali dello zoo, o
più
probabilmente fenomeni da baraccone, pensò Hamish in preda
allo sconforto.
Decise di intervenire prima che la discussione degenerasse.
“Ragazzi, per favore,
datevi una calmata. Irene, modera il tono di voce e non lanciare accuse
senza
alcuna prova concreta. Bos, non stuzzicare nostra sorella; e in ogni
caso, che
tu le abbia fregato l’eyeliner o meno, ricorda che non
è igienico utilizzare
cosmetici già usati da altre persone, quindi se proprio non
puoi farne a meno
compratene uno nuovo tutto per te”.
I fratelli fecero tanto
d’occhi ma non fiatarono, accettando la ramanzina con aria
contrita. Hamish
tirò un sospiro di sollievo. Sapeva farsi ubbidire, lui. Che
avesse preso da
zia Harriet?
Arrivati a scuola
trovarono ad aspettarli davanti al portone d’ingresso le loro
cugine, Caroline
e Margaret.
Erano nate un anno dopo i
gemelli, sicché sin da piccoli i rispettivi genitori avevano
preso l’abitudine
di farli giocare tutti e cinque insieme. Ben presto Boswell aveva
disertato i
loro divertimenti puerili per appassionarsi al mestiere del
papà detective, ma
ciò non aveva intaccato l’amicizia ed il legame di
parentela che li univa. Entrambe
le sorelle avevano ereditato i lineamenti delicati di Lestrade ed i
capelli
rossi, fini e leggerissimi di Mycroft. Possedevano un fascino
tipicamente
inglese, cui andavano aggiunte una grande espansività, una
risata argentina e
una deliziosa spruzzata di lentiggini su naso e gote che le rendevano
istintivamente simpatiche.
“Ciao ragazzi”
li accolse
Margaret.
“Bos, niente eyeliner
oggi? Nemmeno un po’ di matita? Male: hai degli occhi
meravigliosi, dovresti
truccarli più spesso” Caroline
apostrofò il cugino.
“Che ti dicevo,
sorellina?”
sibilò lui.
“Taci, pallone
gonfiato”
mormorò a denti stretti Irene.
“Ma non si stancano mai
di battibeccare?” Margaret sorrise complice ad Hamish.
“Pensa a me che li devo
sopportare anche a casa” si finse esasperato.
“Credo sia il loro modo di
volersi bene, un po’ come babbo e zia Harriet. Il problema
è che a volte, più
che un fratello, mi sembra di essere la loro balia”.
“E’ quello che
dice papà
quando lavora ad un caso con zio Sherlock e zio John”
ridacchiò la ragazzina.
“Ma chi, zio Mycroft o
zio Greg?”
“Tutti e due, adesso che
ci penso”.
“Harry, amore”.
Il cellulare di Molly
aveva preso a squillare proprio mentre lei stava illustrando a Lestrade
quanto
fossero state fatali le ventotto coltellate inferte al cadavere steso
sul
tavolo autoptico.
“Sì, in
effetti dovrei
averne ancora per due ore abbondanti. Dopo devo fare un salto a
ginecologia ché
ho due ecografie in programma… Certo che sarò a
casa per il tè. Passi tu in
lavanderia a ritirare il mio giubbotto? Quello blu imbottito, esatto.
Grazie,
sei un tesoro. No, la spesa la facciamo domani, in frigo
c’è cibo sufficiente
per stasera. A-ah. Ok. Devo riattaccare, Greg ha bisogno dei dati di
un’autopsia; te lo saluto, contaci. A più tardi,
Harry. Ti amo anch’io. Ciao.
Ciao”.
Rivolse all’ispettore uno
sguardo imbarazzato. “Scusami, mi dimentico sempre di
impostare la modalità
silenziosa quando lavoro”.
“Non preoccuparti, non ho
fretta” la rassicurò lui. “Come sta la
mogliettina, a proposito?”
Molly ed Harriet erano
sposate da ormai dieci anni, ma si comportavano come se vivessero in
un’eterna
luna di miele. Litigavano molto raramente, si colmavano di premure, si
davano
appuntamento durante le rispettive pause pranzo e in generale andavano
d’amore
e d’accordo. Poco prima che Irene ed Hamish compissero il
primo anno di età
erano andate si erano trasferite in una casa a schiera non troppo
lontana dal
221B di Baker Street perché
Harriet ci teneva a vedere il
più possibile i suoi nipotini.
“Smania per andare in
pensione e dedicarsi a tempo pieno al giardinaggio e a
Gladstone” sorrise
Molly, riferendosi al cucciolo di bulldog che lei e sua moglie avevano
adottato
di recente.
“Deve trattarsi di una
sindrome che colpisce gli ultracinquantenni, sai? Mi sembra di sentire
Mycroft.
Persino lui continua a ripetere che ne ha abbastanza delle beghe e dei
complotti di corte e che preferisce stare a casa a sfornare biscotti
con Meg e
Carol”.
“Dobbiamo stare in
campana,
tra qualche anno la crisi di mezz’età
toccherà anche a noi”.
“Poveri i nostri ragazzi
che ci dovranno sopportare”.
Scoppiarono a ridere.
“Bos?”
“Uhm?”
“Scusami per stamattina.
Papà ha confessato”.
“Lo sospettavo. Mi devi
cinquanta sterline”.
“Bos”.
“Che
c’è?”
“Ti voglio
bene”.
“Anche io, stupidotta.
Fatti abbracciare”.
Non si può dire addio ad
una storia senza ringraziare per bene le persone che ti hanno
sostenuto. Un
bacio grandissimo alle 15 persone che hanno recensito (Sabry93,
Padmini,
NomenOmen, bbbgster, Naco, Grinpow, SofiaAmundsen, Taila, irelin,
Sevvina,
Meramadia94, Deeryl, Selenina, kiba91, BlackCobra ) e alle 8
che hanno
inserito ‘Possibilità’ tra le Preferite (Gemini_no_Aki,
Glass Heart,
isteria, NomenOmen, Sabry93, SofiaAmundsen, SweetBalckDream98, Taila).
Un
abbraccio stritolante a Court che
ha
voluto Ricordarla ed infine ai miei 27 lettori (Black Knight,
BlackCobra, BritishBooks,
dalsia, Deeryl, fliflai, Frida Rush, gimbox, HexRose, irelin, Isidar23,
Kei
Sagano, Madame Plague, Miku Mercury, Naco, NomenOmen, punk92, rora17,
Rumy,
Sabry93, Selvy, senny, Sevvina, Shinku Rozen Maiden, TAKeRu_ECHY,
violet79,
_LadySlytherin_).
Grazie di cuore a tutti.
Ci rivedremo, forse, con un’altra storia…
Bye bye!
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