Alfred e la mirabolante Macchina dell'Ucronia!

di TonyCocchi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: la mirabolante Macchina dell'Ucronia! ***
Capitolo 2: *** E se Italia avesse deciso di sposare Sacro Romano Impero? ***
Capitolo 3: *** E se la Guerra dei Cent'anni non fosse mai avvenuta? ***
Capitolo 4: *** E se Italia non si fosse mai alleato con Germania? ***
Capitolo 5: *** E se Giovanna d'Arco non fosse stata catturata? ***
Capitolo 6: *** E se Svizzera fosse un po' meno neutrale...? ***
Capitolo 7: *** E se Austria non avesse sposato solo Ungheria? ***
Capitolo 8: *** E se Turchia avesse conquistato Vienna e fosse avanzato in Europa? - PRIMA PARTE ***
Capitolo 9: *** E se Turchia avesse conquistato Vienna e fosse avanzato in Europa? - SECONDA PARTE ***
Capitolo 10: *** E se Russia avesse prevalso nella guerra fredda... e sposato Bielorussia? ***
Capitolo 11: *** E se i nordici avessero colonizzato l'America per primi? - PRIMA PARTE ***
Capitolo 12: *** E se i nordici avessero colonizzato l'America per primi? - SECONDA PARTE ***
Capitolo 13: *** E se America avesse vinto la guerra in Vietnam? ***
Capitolo 14: *** E se Giappone non fosse uscito dal suo isolamento? ***
Capitolo 15: *** E se Russia non fosse mai diventato così grande? - PRIMA PARTE ***
Capitolo 16: *** E se Russia non fosse mai diventato così grande? - SECONDA PARTE ***
Capitolo 17: *** Addio Russia? ***
Capitolo 18: *** Epilogo: l'ultima ucronia! ***



Capitolo 1
*** Prologo: la mirabolante Macchina dell'Ucronia! ***


Hetalia - Ucronie

Ciao a tutti cari lettori!

Stavolta ho deciso di tornare a scrivere una fic a più capitoli, che l’ispirazione e la forza di volontà mi assistano!

Sarà essenzialmente una fic comica, ma che potrebbe diventare più seria in alcuni momenti: in altre parole, ce ne sarà per tutti i gusti!

Vi lascio subito alla lettura, e ci risentiamo alla fine!

Buon divertimento!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

 

 

 

“Ammirate… il telo!”

Con un ampio gesto e con ostentata fierezza, Alfred presentò, alle altre nazioni riunite, una coperta bianca che nascondeva qualcosa, un oggetto pressappoco della forma e delle dimensioni di un televisore.

“… Il telo?” –domandò qualcuno tra i tanti che fissavano curiosi l’ancora nascosta sorpresa che Alfred aveva promesso loro di mostrargli.

“Il telo bianco che copre la mia ultima fantasmagorica infezione! Il fantastico telo che cela agli occhi l’ancor più fantastico congegno inventato dal super-fantastico sottoscritto! Qui sotto c’è qualcosa di talmente fantastico che al confronto Prussia è uno qualunque!”
“Ehi!” –protestò il diretto interessato!

“E vi dirò di più!” –continuò a sclerare a ruota libera, alzando il dito al cielo- “La mia creazione è così mirabolante e così eccezionale, che quasi quasi non lo tolgo nemmeno il suo mitico telo di copertura, così tutti voi ve ne starete disperati a chiedervi “Oh, ma chissà cosa sarà mai!”, “Ti prego America, mostracelo!”; e io: “Ah ah ah, vi piacerebbe!”...”

Solo Inghilterra poteva impedirgli di andare avanti, e per fortuna si decise finalmente ad intervenire.

“Desolato di darti un dispiacere interrompendo il tuo sproloquio, visto che so quanto adori sparare coacervi senza fine di idiozie… Ma ti spiacerebbe dirci…”
“Che cosa c’è qui sotto?”
“No! Perché continui a perdere tempo ad elaborare proposte assurde e a costruire cretinate anziché lavorare seriamente come noi tutti facciamo!”
Francia applaudì doverosamente: “Touché!”

“Tsk!” –fece l’offeso il geniale inventore (definizione nuova per lui ma che già credeva di meritare)- “Sei solo invidioso di non essere in grado come il sottoscritto di progettare e creare cose così interessanti! Sai che ti dico? Puoi anche andartene, tanto qui c’è un sacco di gente curiosa pronta a fare “Oooohhh!” non appena alzerò il telo! Non è vero, ragazzi?”

“………”

Aveva sperato in un po’ più di partecipazione, ma forse l’introduzione era stata troppo lunga, o troppo contorta… Tutti tacevano e si guardavano intorno anziché supplicarlo di fargli vedere cosa aveva portato: male!

“Ah!” –fece contento Arthur- “Sono felice di vedere che c’è ancora molta gente seria in giro.”

“Ma come?! Come potete resistere al fascino di un telo così… bianco?!”

Seychelle alzò la manina.

“Eh?”
“Ecco… Io un po’ curiosa lo sono.”

Alfred saltò sul tavolo con tanto di capriola: “AH AH AH! LO SAPEVO! Avanti, non siate timidi! Chi altro qui è curioso? Alzate le manine, forza!”

La tremolante mano di Lettonia rispose all’appello. Quella di Canada era alzata anche da prima, ma siccome era all’ultima fila, dietro tutte le altre nazioni, Alfred non la notava minimamente.

“Wow, è una selva di mani alzate questa! Visto?”
“Non direi…”
“Beh, basta con gli indugi! Scopriamo il superbo telo, sicché vi sia mostrata l’invenzione che mi farà vincere l’Oscar!”
“Il Nobel semmai…” –lo corresse Inghilterra.

“No…” –fece in risposta il glaciale Svezia: non avrebbe mai dato uno dei suoi prestigiosi premi a un simile pagliaccio!

“Che cosa pensi che sarà, Inghilterra?” –gli chiese Francis a bassa voce.

“Chissà… America è bravissimo con la tecnologia, ha i mezzi per creare tutte le meraviglie possibili e immaginabili… ED È PROPRIO QUESTO CHE MI PREOCCUPA!”

“Signore e signori, è con trepidazione che vi presento la mia brevettata… MACCHINA DELL’UCRONIA!”

 

“Ooooohhh!” –fecero le nazioni.

America, nella sua testa, era in paradiso: << Siiiii! Era proprio questo il suono che mi aspettavo di sentire! >>

 

Alla fine l’oggetto effettivamente somigliava ad un televisore: colorato di verde, aveva uno schermo rettangolare, un grosso tasto rosso d’avviamento sulla superficie superiore, una specie di tubo che partiva da un lato e terminava con una specie di ampio boccaglio, mentre dall’altro lato, semplice decorazione, spuntava una bandierina americana con nel rettangolo blu, al posto delle stelle, la faccina disegnata di Alfred che faceva l’occhiolino e mostrava il pollice in su.

“Questa è la parte migliore!” –spiegò Alfred indicando proprio la bandierina!

“Beh… Sembra carina…” –fu il commento di Lily, che però trovava carine moltissime cose.

Gli altri invece erano in parte scandalizzati dalla bandierina e in parte indecisi se dire << Sembra un banalissimo televisore >>, ovviamente per paura della reazione del fin troppo gasato America!

“Allora? Non è una meraviglia?”

Francia, maestro di design, storse la bocca: “Diamogli un bel 6, 6 e mezzo…”

Ludwig si avvicinò: “Hai detto macchina dell’Ucronia?”
“Esatto Germania!”

“Ma che roba è poi?” –chiese Danimarca.

“Ve! Si mangia?” –commentò fuori luogo Italia.

“Ucronia sta per “storia alternativa”, Italia! Ovvio che non si mangia!”

 

(NDA: Ecco di che si sta parlando ^__^: http://it.wikipedia.org/wiki/Ucronia )

 

“Naturalmente! Però se hai fame, Italia, ho un cheesebuger avanzato qui da qualche parte…”
“Ve! Mai e poi mai!”

America allora si tirò fuori l’untuoso panino da fast-food da una tasta e ne fece un sol boccone!

“Allora…” –inghiottì- “Avete presente la “Macchina del Se Fossi”, no? Quella di Futurama…”

Tutti scossero la testa.

“Ma come non la conoscete?!” –gridò allora allo scandalo- “Non li vedete i cartoni animati? Questa è cultura, gente! Cielo, in che mondo viviamo! Dove andremo a finire di questo passo!”
Inghilterra alzò il livello di sarcasmo al massimo: “Oh, si, poveri noi che preferiamo leggere di Shakespeare, Wordsworth e Conan Doyle piuttosto che starcene incollati a uno schermo, giusto?”
“Ad ogni modo, il principio è lo stesso: grazie a questa macchina, potremo vedere delle alternative al nostro mondo! Vi siete mai chiesti come sarebbe stata la vostra vita o quella di qualcun altro se le cose fossero andate in modo diverso? Ora potete scoprirlo! Basta parlare in questo tubo e porre la vostra domanda, e sullo schermo comparirà il corso della storia così come avrebbe potuto svilupparsi!”
A quel punto gli altri lanciarono un secondo “Ooohh!”, che fece palpitare nuovamente il cuore di America: momenti in cui è bello essere un genio!

“E quale sarebbe l’utilità?” –domandò scettico Inghilterra.

“Nessuna! È per divertirsi!”
La risposta gli fece cascare la testa: “Ci avrei giurato…”

America guardò compiaciuto il parlottare che si era sollevato e rincarò la dose.

“Pensateci gente! Avete l’occasione di scoprire come sarebbe stato se aveste fatto scelte diverse, o se certe cose brutte non vi fossero mai successe: non siete curiosi?”

La curiosità. Quello su cui aveva puntato dall’inizio, la preziosa alleata a cui aveva affidato il successo della sua invenzione: finalmente stava iniziando a lavorare dalla sua parte!
Corea del Sud fu il primo a manifestare il suo interesse: “Fammi capire… Potrei ad esempio chiedere come sarebbe se non avessi mai inventato il Gangnam Style? Pazzesco!”
“Te lo dico io come sarebbe!” –sbucò sua sorella Corea del Nord- “Non avrei queste occhiaie per colpa tua che fai quello stupido ballo fino a notte fonda, brutto…”

E mentre le Coree iniziavano per l’ennesima volta a litigare di brutto, la fantasia degli altri si sbizzarriva.

Persino Giappone sembrava in trepidazione: “Io potrei finalmente sapere come sarebbe andata se mi fossi deciso a frequentare quel corso di danza classica!”

La cosa attirò su di lui gli sguardi scioccati di molti.

Polonia era ancora più elettrizzato: “Fantastico, tipo! Tipo, potrei chiedere come sarebbe oggi il mondo se il mese scorso avessi deciso di tinteggiare la mia casa di malva anziché di rosa! Questo dilemma mi tiene ancora sveglio la notte!”

Più loro si eccitavano, più ad America si slogava la mascella per la disperazione.
“Ma che razza di domande sono?! Avete l’occasione di riscrivere interi secoli di storia, cambiare le sorti dell’umana stirpe, e voi ve ne uscite con queste sciocchezze?!”

“Non sono sciocchezze, tipo! La mia è stata una decisione soffertissima!”

America si asciugò il gocciolone con un fazzolettino: “Coraggio, non abbiate paura di osare! Ci sono bivi infiniti e infinite possibilità qui a vostra disposizione! Avanti, chi vuole provare per primo?”

Afferrò il tubo dell’apparecchio e lo rivolse verso l’ormai rapito pubblico. Ma tra questo ancora non si erano spente del tutto riserve ed obiezioni. Infatti alla fine a farsi avanti fu il serioso Germania, e non certo per domandare.

“Io non sono sicuro sia una così bella idea. Certo può essere divertente, ma sono le nostre scelte a renderci noi stessi. Non sapete cosa potrà mostrarvi questo coso: potrebbe non piacervi, potreste vedere voi stessi o altri completamente stravolti.”

La sua gettata d’acqua sembrò riuscire a ridurre tutta quell’ansia di sapere: in effetti, se sarebbe potuta andare peggio non sarebbe stato un bel vedere, e se sarebbe potuta andare meglio, sarebbero sicuramente sorti dei rimpianti. 

“Ormai è andata come è andata, è inutile interrogarsi sul passato. Bisognerebbe piuttosto imparare da esso per fare meglio in futuro, non credete?”
“Io sono d’accordo con Germania!” –annuì Inghilterra mettendosi al suo fianco.

Non sapeva se condividesse le sue idee, ma di certo almeno in parte lo faceva solo per andare contro ad America!

“America, non voglio darti una delusione.” –proseguì l’impeccabile tedesco- “Ma la tua invenzione, anche se interessante, potrebbe farci scoprire cose che non vorremmo sapere e…”
“Devo parlare qui?”
“Si, Italia! Fai pure la tua domanda!”
“ITALIAAAAAAAAAAAAAAA!!!” –sfondò i timpani di tutti l’imbufalito Ludwig!

“ALMENO HAI ASCOLTATO, BLOODY IDIOT CHE NON SEI ALTRO?!” –si aggiunse Arthur!

Veneziano però rispose loro con una risatina: “Dai Ludwig, che male può fare?”
“Ma… Ma… Potresti…”
“Solo per gioco! Dai, Germania!”
Sospirò: “Già, lo so che a te piace divertirti…”

“Ve! Non ti preoccupare, se non ti va non fa niente, la faccio io una domandina!”

Germania incrociò stizzito le braccia: Italia lo faceva sempre passare per il guastafeste di turno. Avendoci a che fare, non sapeva se era quello a prendere le cose troppo alla leggera, o lui stesso a farsi troppi problemi… Ma almeno in questo caso si trattava di una specie di tv: non c’erano pericoli reali.

“E va bene, fai pure.”

“Così vedremo come funziona e decideremo se fare anche noi delle domande.” –approvò il suo fratellone Francia.

“Yeah!” –saltò America, contento di poter dare il via alle danze- “Coraggio, parla!”
Italia prese il boccaglio e si schiarì la voce: “Allora, vorrei una pizza margherita, un piatto di tagliatelle, e per secondo…”
“NON È UN MICROFONO PER LE ORDINAZIONI!!!”

Se lo fosse stato, lui avrebbe già ordinato un triplo hamburger con un litro di ketchup, insomma!

“Eh eh eh, scusate… Allora…”

Feli ci pensò su: come al solito aveva agito senza pensare troppo e non aveva una domanda pronta. Ma quando gli saltò in mente, tutti si stupirono nel vederlo diventare rosso in viso: questo servì a far avvicinare tutti ancora di più.

“Ecco… Una domandina ci sarebbe…”

<< Kawaii… >> -pensò Giappone vedendolo in quello stato.

“Tanto tempo fa, una certa persona molto speciale mi fece una certa proposta…”

Ungheria si portò le mani sulle guance: “Kyaaa! Penso di aver capito!”

“Io gli dissi di no allora, quindi… Vorrei sapere… come sarebbe stato se invece gli avessi detto “si”…”

America gli diede una pacca sulla spalla, e reagì come si fosse appena svegliato: “Non fantasticare troppo, piccolo amico: ora ci penserà la mia macchina a farlo per te!”

Premette il bottone rosso, accendendo lo schermo: “Forza, mio congegno delle meraviglie! Mostraci come sarebbe stato se Italia avesse detto “si”!”

Italia, affascinato dai tanti colori in movimento sullo schermo si avvicinò col viso: “Veeee…”

I colori divennero poi una girandola…

E lo schermo a un certo punto si protese ed inglobò la testa del giovanotto!

“?!?!?!?”

 

“VEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!”
Poi, col rumore di un aspirapolvere a tutta potenza, la Macchina dell’Ucronia risucchiò dentro l’intero Feliciano!

“AAAAAAARGH! ITALIAAAAAAAAA!”

Quando i suoi capelli si riabbassarono, Germania agguantò America e cominciò a scuoterlo come un sonaglio!

“RAZZA DI SVITATO!!! CHE COSA HAI FATTO AD ITALIA???”

Ancora una volta Inghilterra fu pronto a spalleggiarlo, cominciando a strozzare Alfred da dietro!

“DOVE BLOODY LO HAI MANDATO???”

“Ehi! Rilassatevi, non è successo nulla, è proprio così che funziona!”

Epocale fu il sollievo che passò nelle menti di tutti: meno male che non erano stati loro a chiedere per primi!

“Come sarebbe a dire?” –sbraitò il biondo, preoccupatissimo- “Secondo te è normale che una macchina succhi una persona in quel modo?!”

“Si! È normale se è una macchina che offre il meglio del meglio in fatto di coinvolgimento e interazione con la realtà virtuale! Perché accontentarsi a vedere su uno schermo quando si può vivere in prima persona l’ucronia desiderata? Lo sapete che io sono al top in fatto di tecnologia ed offro sempre il meglio ai miei clienti!”

Inghilterra e Germania si lanciarono un’occhiata e si calmarono: tanto con lui era una causa persa.
“Quindi… Italia sta bene?”
“Oh, sta più che bene! Possiamo tenerlo d’occhio da qui sullo schermo e comunicare con lui quando vogliamo grazie al boccaglio!”

Germania non se lo fece ripetere ed afferrò il tubo-comunicatore: “Italia? Riesci a sentirmi?

“VEEEEEEEE! AIUTAMI, GERMANIA! AIUTOOOOOOOOOO!” –rispose quella demoniaca imitazione di una tv scuotendosi tutta!

“Sta bene.”

“Non si è scomposto minimamente alle sue urla di terrore…”

“Tranquillo, Italia!” –fece la voce entusiasta di America- “Tra pochi secondi arriverai sano e salvo nel tuo mondo alternativo: noi intanto possiamo metterci comodi!”

“Forza mes amis! A questo punto perché perdercela? Ah ah ah!”

Si raccolsero tutte le sedie in sala e le si allinearono davanti lo schermo, altri ancora seguivano da dietro in punta di piedi.

Germania, in prima fila, teneva le dita incrociate.
“Eh eh eh, magnifico! Ora inizia! Ora inizia!”
Corea del Sud si sedette vicino ad America: “Ed ecco il pop-corn!”
“Grande! Ehi, ma chi te l’ha fatto quell’occhio nero?”

Qualcuno gli mollò un buffetto sul collo: “Ssssh! Inizia!”

 

 

 

E scommetto che anche voi siete sulle sedie davanti il vostro computer tutti in trepidazione come le vostre nazioni, vero? XD
L’idea di scrivere qualche ucronia (ora, specie se avete letto su wikipedia, conoscete meglio il termine ^__^) su Hetalia, mi ronza in testa da tempo, e alla fine gli episodi di Futurama trasmessi in questo periodo mi hanno fornito l’input!

Ah, America, tu e le tue idee bislacche…

Spero mi seguirete, ma vi chiedo anche un favore: idee!

 

C’è qualche ucronia che vi piacerebbe vedere? Un “E se invece” che vi ronza in testa e di cui vi piacerebbe leggere? Fatemi sapere vi prego!

 

Alla prossima!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 2
*** E se Italia avesse deciso di sposare Sacro Romano Impero? ***


Hetalia - Ucronia

Ciao a tutti, rieccomi qui! Adoro quando riesco ad interessare e coinvolgere i lettori col primo capitolo di una storia: ho già ricevuto moltissimi suggerimenti per le ucronie che vi piacerebbe leggere ^__^

Alcuni si intersecano un po’ visto quello che ho in mente, quindi si può dire che sarete accontentati, anche senza capitoli tutti dedicati alla vostra idea; poi vedrete, e spero mi farete sapere in tanti quel che ne pensate.

Intanto partiamo con la nostra prima storia alternativa! Andiamo a vedere cosa accadrà ad Italia, risucchiato dal mirabolante aggeggio di Alfred, in un mondo in cui ha detto di “si” al suo primo vero amore!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

 

 

 

Ma perché non aveva dato retta a Germania?

Lui era sempre in gamba, ragionava attentamente e trovava sempre il modo in cui scampare i pericoli. Invece si era lasciato abbindolare da America solo perché aveva detto che sarebbe stato divertente…
Non era divertente affatto!

A lui piaceva mangiare, non essere mangiato!

“VEEEEEEEEEEE!!!”

Italia non riusciva a distinguere niente, solo tanti colori che giravano tutti insieme, mentre lui non si sentiva più la terra sotto i piedi. Era come essere in caduta libera, e alla fine di una caduta ci si fa sempre male!

Si coprì spaventato gli occhi con le mani, aspettando lo schianto alla fine di quello strapiombo virtuale in cui era stato risucchiato.

 

<< Italia! >>
“Ve! America? Sei tu?”
<< Si, tranquillo, sono io! Ti sto parlando tramite il comunicatore del mio apparecchio. A proposito, scusami un secondo, torno subito… >>

America si voltò verso la platea e prese fiato per gridare: “FUNZIONA! SI PUÒ FAREEEEEEEEEE!!!”

E rumore di tuoni e fulmini partì prontamente dal registratore che aveva in mano per rendere la cosa ancora più epica!

“Tu guardi troppi film…” –lo bacchettò Inghilterra, rimasto impassibile da bravo inglese, mentre Lily spaventata si stringeva al suo fratellone.

“Un momento!” –lo rimbeccò poi Germania- “Vorresti dire che hai portato qui quella macchina senza nemmeno sapere se funzionava?!”

“Non essere sciocco, certo che funzionava: l’ho costruita io! Mi serviva solo un test sui consumatori!”

La voce triste e sconsolata di Italia, proveniente dalla Macchina dell’Ucronia, impedì a Germania di dirgli chiaro e tondo quel pensava di lui e della sua invenzione: “VEEEE! AMERICA! TORNA QUI! HO TANTA PAURA!”

Alfred si riavvicinò: sullo schermo era possibile vedere Italia, quindi nessuno aveva alcun dubbio che stesse bene, era solo un po’ spaventato, cosa comprensibile, ma incolume.

<< Tranquillo sono qui, non posso mica lasciare il mio test… cioè, il primo fruitore della mia straordinaria macchina solo a sé stesso, no? Ora ascolta: grazie a questo altoparlante, io e gli altri possiamo comunicare con te, e solo tu potrai sentirci. Se invece tu vorrai parlare con noi non c’è problema: sentiamo tutto ciò che dici e vediamo tutto ciò che fai. >>

Italia singhiozzò: “Ve! Posso parlare con Germania?”

America lasciò il posto a Ludwig: << Italia? >>
“VEEEE! MI DISPIACE!”
<< Non urlarmi nelle orecchie! >>

“Avrei dovuto fare come dicevi tu! È una macchina pericolosa!”
<< Non esagerare Feli, direi che al massimo è un po’ poco ortodossa, ma almeno sei sano e salvo. >>

“Ma ho paura! Questa macchina è cattiva e spaventevole: qui è tutto buio e sono tutto solo!”

<< Ehm, quello è perché hai ancora le mani sugli occhi. >>
“…… Oh! Eh eh! Mi ero dimenticato di toglierle!”

Francia, Spagna e Prussia, sedutisi vicini, scoppiarono a ridere: “Con Italia la comicità di questa storia alternativa è assicurata!”

Prussia si asciugò una lacrimuccia: “Beh, questo spiega anche perché non si sia nemmeno accorto di come è vestito! Ah ah ah!”

“Eh? Perché, come sono vestito?”
Ludwig arrossì: << Beh… >>
Italia tolse le mani dagli occhi.


“Ve!”

Non indossava più la sua divisa. Al suo posto c’era un abito principesco, di un tessuto pregiato color verde chiaro con inserti, pizzi e svolazzi rossi e bianchi, che finiva a terra in un’ampia e vaporosa gonna; al collo c’era una collana d’oro e di perle, e sulla testa un diadema scintillante.

“Wow! Ma che vestiti magnifici!”

<< Ehm, Italia, quelli sono vestiti da donna… >> –disse dal cielo la voce costipata di Germania…

“Sono così carino! Guardate! Ho pure la corona!”

Per nulla spaventato, ma anzi contento come una bimba il giorno del compleanno, Italia girò su sé stesso, una volta e un’altra ancora, divertendosi a veder girare la gonna come una trottola, per poi prenderne un po’, abbracciarla e strofinarla vicino la guancia.

“Eh eh eh! Forse questa macchina non è poi così cattiva.” –disse aggiustandosi la coroncina.

Intanto tra gli spettatori serpeggiavano ragionevoli dubbi sulla sua sanità mentale, o magari sui suoi “orientamenti”; certi dubbi invece non prendevano affatto Ungheria, che, per motivi di “gusti personali”, pensava solo a mangiarsi con gli occhi quello spettacolo radioso di Italia-principessa. Germania, rossissimo d’imbarazzo per l’amico e alleato, preferì non guardare le occhiate che gli altri rivolgevano allo schermo e cercò di dargli una svegliata: << Ehm, Italia, perché non ti guardi un po’ intorno ora? >>

Feli stavolta obbedì subito alla voce di fuori campo di Germania: smise di gongolare e capì di trovarsi in un corridoio, un corridoio di marmo splendente, con bianche colonne su di un lato e grandi finestroni che davano su di un giardino con fontane di cui non si vedeva la fine, e che inondavano l’ambiente di una splendida luce mattutina.
Doveva trattarsi di un qualche palazzo signorile, o addirittura una reggia settecentesca.

“Oohh…”

Procedendo a piccoli passi, sulle sue scarpette, femminili anch’esse come tutto il suo vestiario, cominciò ad esplorare, spostando lo sguardo ovunque, trattenendolo un po’ sugli affreschi che ornavano i soffitti.

Riportò giù il naso e sobbalzò di spavento vedendo una guardia sull’attenti vicino la finestra, ma mentre Feli si ritraeva, questi fece rispettosamente un saluto.

“Ehm… Ciao!”
“Salve.”

“Può dirmi dove sono?”
Il soldato portò il petto in fuori: “Siete nella vostra residenza estiva, mia signora Italia.”

“Wow, non sapevo di avere una villa così grande!”

“Ne avete molte in tutto l’impero.”
“Eh? Impero? Quale impero?”
Preceduta da un rumore di stivali a cui non aveva prestato attenzione, gli rispose una voce: “Il nostro impero. Cos’hai, mia cara Italia, oggi sembri spaesata.”
“?!”

Italia si voltò lentamente…

 

“Ci siamo!” –sobbalzò America prendendo una mega-manciata di pop-corn- “Questa è la scena clou! GNAM!”

 

“Sa… Sa…” –balbettò, con la gola impastata e gli occhi che pizzicavano.

Le mani sui fianchi, il petto forte e il mento fieramente dritto facevano di lui una figura imponente. Tutto vestito di nero, allora come adesso, dagli stivali al mantello, dalla giacca coi bottoni dorati al capello tricorno, ornato di un ciuffo di piume bianche; in tutto quel nero spiccavano le sue bionde sopracciglia, i suoi occhi azzurri, e sotto di essi l’amorevole sorriso che gli rivolgeva.

“SACRO ROMANO IMPERO!”

Nella commozione del pubblico da casa (Belgio e Ucraina avevano già iniziato a consumare fazzolettini), Italia si lanciò tra le braccia aperte del suo amore di gioventù, come una colomba nel nido.

In realtà all’ultimo passo era inciampato nella gonna, ma il potente impero era stato pronto ad acchiapparla.

“Veeee… Sniff! Sniff!” –piagnucolò sul suo petto.

“Suvvia, sei così contenta di rivedermi?”

“Si!”

Era ancora più bello di come se lo ricordava, forse perché era un bel po’ più cresciutello… Nemmeno nei suoi sogni era stato così felice!

“Perdonami, moglie mia, c’è sempre del lavoro da sbrigare.”

“… Mo-mo-mo… MOGLIE?!”

Feli sgusciò via dall’abbraccio e si strinse la faccia tutta rossa tra le mani, sentendola calda come un forno!

“A-allora… la macchina ha funzionato! Questo è come sarebbe stato se quel giorno io avessi accettato di sposare Sacro Romano Impero!”

Sacro Romano Impero, anche se confuso da quelle parole, le afferrò galantemente la mano, regalandole occhi da innamorato in grado di scioglierlo come un cioccolatino: “Rammentare quel giorno riempie di gioia indicibile anche me: il giorno in cui mi dicesti di “si”, e da allora tutto andò per il verso giusto a tutti e due, come se mai il cielo ci avesse amato di più.”

Gli carezzò i capelli: “Grazie a te e al tuo si, mi hai concesso di far risorgere l’impero di tuo nonno, e al tuo fianco, sono diventato il più potente d’Europa.”

“I-il più potente? E quindi io…”
“Tu sei la mia splendida regina che tutto il mondo mi invidia!”
“… Oh, Sacro Romano Impero…”

 

Intanto, davanti lo schermo della Macchina dell’Ucronia…

“Però! Da grande Sacro Romano Impero sarebbe diventato davvero un bell’uomo.” –commentò Austria.

“… Ehm, ma quel tipo ha qualche problema di vista?” –chiese Spagna.

“Che intendi?”
“Come fa a non accorgersi che Italia è un… Cioè…”

“Beh, anche Svezia mi chiama “moglie”…” –intervenne Finlandia.

“Si, ma lo dice così convinto…”
“Non è che lui è un po’…”

“Chissà…”

 

Intanto Feliciano, ancora un po’ frastornato, cominciava a capire che, inizi traumatizzanti a parte, quel viaggio lì in quella storia alternativa era per lui una grande occasione.

“Ehm, Sacro Romano Impero…”
“Non mi dicesti che è un po’ lungo? Come mai oggi non mi chiami per il mio altro nome?”

“Ah, scusa… Ehm…”

Qual’era? Non lo aveva mai saputo in effetti…

“Comunque, cosa volevi dirmi?”
“Ecco, possiamo… passare un po’ di tempo insieme? Io e te? È da tanto tempo che…”

“Ma certo! Vieni, ordinerò di preparare una carrozza.”

Gli porse il braccio e Italia accettò, seguendolo lungo il corridoio, con la testa poggiata sulla spalla di una possibilità che aveva rifiutato, non senza valide ragioni vero, ma che ora il destino, in qualche modo, gli restituiva.

 

America nel frattempo si grattava la testa, strizzando tutto assorto gli occhi verso lo schermo.

“Russia?”
“Si, America.”
“Guarda bene quel bellimbusto, non trovi che somigli a qualcuno?”

“… Da, ora che guardo meglio.”
“Anche la voce è simile…”

Ed entrambi guardarono una certa persona tra i presenti.

 

La carrozza attraversò, in quella bella mattina di inizio estate di un anno di un tempo mai esistito, magnifici paesaggi campestri, che Italia riconobbe come quelli di casa sua: oltre i villaggi agricoli vedeva sorgere in lontananza grandi città dall’aria fiorente.

“Ho altri affari da sbrigare su al nord, ma stavolta ti porterò con me, contenta?”
“Si!”

<< Pssst! Italia? >>
“America?”
“Cosa?”

<< Sssh! Parla piano! La voce fuori campo puoi sentirla solo tu! >>
“Ve! Scusa…”
<< Volevo solo augurarti un buon giretto! >>
“Grazie!”

“Parli da sola, mia cara?”
<< E ricorda che quando hai visto abbastanza o ti sei scocciato o qualunque altra cosa, per tornare qui da noi, ti basterà solo dire << Voglio tornare a casa >>, e in quattro e  quattr’otto sarai di nuovo qui da noi. Ora, per non farti notare, fai “Ve!” se hai capito. >>

“Ve!”
“Adoro quando fai quel verso!” –gongolò Sacro Romano Impero facendogli il baciamano.

“Eh eh eh!”

 

Niente comuni in lotta tra loro, niente staterelli in attesa della potenza straniera di turno che venisse a comandare, i vari ducati e principati si erano decisi infine ad essere un unico paese, e lo stesso era successo in Germania: l’Impero era rinato per davvero, unito e solido, non certo enorme come un tempo, ma capace di mettere insieme almeno i popoli tedeschi e italiani.

E non solo loro: durante il tragitto Italia strabuzzò gli occhi quando, passando per un paese, vide Svizzera e Lily inchinarsi per salutarli al passaggio della carrozza.

<< Nessuno si è mai inginocchiato davanti a me… Tranne per allacciarmi le scarpe quando ero bambino, certo… >>

“Siamo arrivati!”

Italia scese e gli si mozzò il fiato! La reggia che aveva davanti era ancora più enorme di quella in cui era precipitato! Davanti ad essa, su di un pennone, sventolava il vessillo del Sacro Romano Impero, l’aquila nera a due teste su campo dorato.

“Wow… Noi… abitiamo qui?”

“Non ti piace come ho ristrutturato? Forse la volevi un po’ più grande?”
“No, no! È bellissima anche così!”

Salirono affiancati la scalinata e due maggiordomi spalancarono il portone. Incredibile: gli ricordavano quegli ambienti così grandi e sfarzosi che si era ritrovato a spazzare e lucidare per i suoi vari padroni quando era un semplice domestico (domestica?), e ora ci camminava da “regina” di un impero.

Per l’abitudine, vista una macchia su un candelabro, si inumidì il dito per pulirlo.

“Italia…”

Era la voce di Austria, uno di quelli per cui aveva appunto pulito tanti candelabri in passato.

“Aaah! M-mi scusi, stavo giusto pulendo!”
“Ah ah ah, com’è spiritosa! Chiamerò subito un domestico! Intanto è un piacere avervi qui.” –disse inchinandosi prima a lui e poi all’illustre marito.

“Austria, il mio uomo più fidato! Come vanno le cose?”

“Ottimamente signore.” –con aria da segretario, prese a leggere dei fogli che teneva in mano- “Inghilterra vi manda i saluti dal nuovo mondo dove trascorrerà l’estate, Francia vi manda a dire che tanto il migliore è sempre lui, l’incidente diplomatico con Russia riguardo le cannonate nel suo giardino di girasoli è stato appianato, e Polonia e Lituania dicono che verranno al ricevimento che state organizzando con una nuova carrozza trainata da soli pony. Inoltre ho riparato il pianoforte, ma questa è una buona notizia più per me che per altri.”

Sacro Romano Impero rise, mentre Italia, pur nelle condizioni di poter parlare alla pari, se non di più, con Austria nel suo periodo migliore, non riusciva ad aprire bocca tanto non gli sembrava vero.

Cosa dire ora che erano così in confidenza e non doveva litigare con lui per riavere le sue regioni vitali?”

“Signor Austria… Ehm… Come… Come sta…”
“Mia moglie?”
“Siete sposato?!”

“Certo!” –ridacchiò Ungheria sbucando fuori ed abbracciandolo!

“Ungheria! Sei ancora sposata con Austria, e… anche tu fai parte dell’Impero?”

Si appoggiò tutta radiosa alla spalla di Austria: “Ovvio, no? L’Impero è la nostra casetta accogliente, come lo è per te e tuo marito!”

Italia arrossì di nuovo: “Ce-certo, che sciocco…”

“Oggi Italia è un po’ svampita, eh eh! Perdonatela!” –la abbracciò il marito.

Non era svampito, era distratto. Pensava a tutto quello che aveva visto fino a quel momento in quell’ucronia.

L’impero di nonno Roma rinato, lui sposato col suo primo amore, il prestigio dell’Italia alle stelle, buoni rapporti con più o meno tutti i vicini, l’unione di Polonia e Lituania ancora in piedi, Austria ed Ungheria ancora felicemente sposati…

<< Sembra che qui siano tutti contenti… >>

Un solo matrimonio, un unico si, aveva cambiato la vita di così tante persone: la storia è davvero delicata, pensò, se bastava cambiare un dettaglio per stravolgere tutto.

 

“Che piccioncini che siete! Come coppia bucate lo schermo!” –scherzava Belgio, ridendo delle facce arrossate di Ungheria e Austria che cercavano di non guardarsi e intanto non facevano altro di nascosto.

Più critico il commento di Russia: “Bah… Per me è una barba: troppo zucchero. E poi se mi avessero cannoneggiato anche solo per sbaglio i girasoli, li avrei invasi senza pensarci.”

America gli diede un’amichevole gomitata: “Beh, si vede che lì in quel mondo devi tenerteli buoni, amico! Chissà quanto sono forti quei due insieme e tutti i loro alleati!”
“Tsk!”

“Neanche a me piace.” –borbottò allora Germania a braccia conserte.

“Uffa! Ma perché nessuno loda il mio genio piuttosto che notare dei difettucci?”

“America, guarda dove hai spedito Italia! In un mondo che per lui è praticamente un sogno: unito, rispettato, amato…”
“Non vedo l’ora che mi ringrazi quando tornerà!”
“Potrebbe decidere di non tornare più, brutto idiota!”
Colpito il punto, più di una nazione si accigliò.

“Il tuo stupido congegno funziona che uno torna a casa quando decide lui, giusto? Ma Italia, sempliciotto com’è, potrebbe decidere di restare!”
“Beh, visto il modo in cui lo trattiamo qui…” –si passò una mano sul collo Francia.

“E allora lo avremo perso in un questa specie di scatoletta!”
“Ehi! Non ti alterare mister-somiglio-tanto-a-quel-tipo-ma-nessuno-sembra-notarlo… Continuiamo a vedere, non deve essere per forza come dici tu!”

“……”

Tutti incollarono di nuovo gli occhi allo schermo.

 

Italia, in una delle tante stanze arredate con mobili in legni pregiati, trovò su di una parete, oltre a un dipinto del suo matrimonio con Vaticano come prete, un grande arazzo con la cartina dell’Impero: Austria ed Ungheria non erano così estesi come quando erano stati un impero nella sua realtà, ma le loro regioni vitali rientravano negli ampi confini di Sacro Romano, così come anche Svizzera, Lily e Ceca.

“Che emozione! Io comando così tante persone?”

Non era mai stato abituato a comandare: gli era capitato, ma non era mai stato una delle sue attività preferite. Con gli altri preferiva andare d’accordo in altri modi. Però sembrava che tutti gli volessero bene anche così. Mentre divagava, si ricordò di un’altra persona da cui desiderava essere amato, e che ancora non si era fatta vedere.

“Sacro Romano Impero?”

Entrò nella stanza: “Si, mia cara?”

“Mio fratello è anche lui in qualche residenza estiva? Mi piacerebbe salutarlo.”
“Ehm, ne dubito fortemente…”

“Che intendi?”
“Non posso sapere dov’è tuo fratello: lui non è parte dell’Impero.”

“C-cosa?!”

Si guardò il vestito, dei colori della sua bandiera, sentendosi colpevole: Romano non ne portava dunque uno uguale? (Chissà quanto gli sarebbe piaciuto…)

“E poi non credo che Spagna dia le sue residenze estive ai proprio sottoposti.”
“So-sottoposti? Lui… è ancora un sottoposto di Spagna.”

“Che c’è di strano? Lo è sempre stato. Non ho mai avuto diritti sulla parte sud della penisola, quindi non potevo certo rivendicarla.”

“……”

Italia guardò l’arazzo. Che stupido a non notarlo prima: il confine dell’Impero tagliava in due la sua bella penisola, il solco che a lungo lo aveva diviso dalla sua metà era ancora lì. Oltre si stendeva lo stato di Vaticano, ancora in piedi, e più a sud le terre di suo fratello, colorate dello stesso colore di quelle di Antonio.

“Io sono un impero… E mio fratello… è un servo?”

Ma soprattutto, ed era quello che faceva più spavento, l’Italia era ancora una nozione geografica, una “penisola”, con un nord e un sud: più che star visitando un mondo alternativo, gli sembrava di aver fatto un passo indietro nel tempo.

Notandone il tremore, il premuroso Sacro Romano si avvicinò per calmarlo con le sue carezze: “Cosa ti succede?”
“Io… Voglio vedere mio fratello! Voglio andare da lui!”

“Se è questo che desideri va bene: i capi di Spagna sono ancora un po’ imparentati coi nostri per fortuna.”

Italia già non riusciva più ad ascoltare la sua voce che tanto gli era mancata. Ora pensava solo al suo bisogno disperato di rivedere il fratellone.

 

La carrozza si rimise in moto, stavolta per un viaggio ben più lungo. Si fermò in un campo, facendo scendere Italia tra migliaia di spighe di grano.

Senza paura di strapparsi il vestito, corse verso un puntino chino a raccogliere le spighe appena falciate.

“Romano.” –lo chiamò.

Quello, che indossava una camicia bianca da fatica, e un fazzoletto legato sulla testa per proteggersi dal sole, girò il capo quanto bastava: “Oh, sei tu…”

Riprese a falciare e raccogliere, e Feli credette stesse aspettando che dicesse qualcos’altro.

“Che… Che bello rivederti… Stai… bene?”
“Che cavolo di domande fai? Non vedi che mucchio di lavoro da fare ho qui? Ma tanto a te che ti importa: tu vivi nel lusso, lì con quel tedesco, nei palazzi tutti belli e puliti…”
“Io…”

“Mentre io, tuo fratello, la parte sfigata dell’Italia, se ne resta qui a farsi comandare da un marcantonio straniero, a lavorare dal mattino alla sera.”

Finalmente capì di doversi annodare la gola.

Romano si alzò, massaggiandosi la schiena dolente, e lo fissò torvo.

“Te ne sei andato con lui a fare la bella vita dimenticandoti di me; adesso non me ne frega niente dei tuoi scrupoli di coscienza: ho altro a cui pensare.” –finito di parlare gli diede le spalle.

“… Se vuoi… ti do una mano.”

Romano rimase immobile, come con quelle ultime parole fosse riuscito a colpirlo. Strinse altre spighe nel pugno, e si preparò a falciarle: “Vai…” –pronunciò in tono a un tratto più gentile, per poi schiarirsi la voce, e tornare arrabbiato- “Vattene e non ti preoccupare per me, come hai sempre fatto!”

Vai a goderti la bella vita, almeno tu che puoi.

Italia tornò sulla carrozza, e lo lasciò lavorare: senza interruzioni, avrebbe finito prima, e prima sarebbe andato a riposare; col pensiero che il suo fratellino, anche in tutto il successo che aveva avuto, sarebbe stato pronto a spezzarsi la schiena insieme a lui, se avesse potuto.

 

La carrozza si fermò davanti il sontuoso palazzo, così ammirato prima, così triste da rivedere adesso.

Camminò a testa bassa per i corridoi e i saloni. La sua gloria aveva avuto per prezzo l’abbandono di suo fratello. “La parte sfigata dell’Italia”…

L’Italia era una. Ed era sfigata tutta.

Era così che doveva essere, e così infatti era stato nel suo mondo. Ma non lì. Lui era riuscito a scampare ai suoi guai, affidandosi alla potenza di un ambizioso bambino, anziché condividerli tutti con Romano, per poi infine superarli insieme, lottando aspramente, solo per averne degli altri, ed affrontarli ancora.

“Veee…”
“Amore mio…”

Sacro Romano Impero, da buon marito qual’era, non era rimasto impassibile dinanzi la tristezza che sua moglie aveva sfoggiato per casa da quando era tornata dalla visita al fratello.

“Cosa ti turba?”
“Sacro Romano Impero…”

Si fece forza, per quello che doveva assolutamente dirgli.

“Non ti dimenticherò mai. Ma questo è solo il mondo più felice in cui io possa vivere, non è anche il mondo che voglio. Preferisco essere piccolo, debole e pieno di guai, ma almeno esserlo con il mio fratellone.”

“Italia!”

Sconcertato e affranto, lo vide far scivolare via la mano dalle sue.

Un’Italia unita a metà, non è un Italia unita. Ma soprattutto, anche se all’interno dell’impero più maestoso, non è comunque un paese vero, un paese libero; ed esserlo era qualcosa che aveva desiderato ardentemente ancora prima che sposarsi col suo vero amore.

“Mi spiace, io… Voglio tornare a casa.”

E come l’ucronia avesse capito, ripresosi dallo sconcerto, sorrise ed annuì.

Un bagliore apparve sotto i piedi di Italia, che colse quegli ultimi istanti per avvicinarsi a lui, in un’ultima stretta.

“Ti amo, Italia, e sempre ti amerò, in qualunque realtà.”
“Sacro Romano Impero…”

Feli non cercò un ultimo bacio, semmai, c’era qualcosa che doveva chiedergli.

“Qual è il tuo altro nome?”
Sorrise.

Rispose, ma già non poteva più sentirlo. Non gli restò altro che un’impressione, la sensazione che le prime lettere di quel nome, pronunciate da quelle labbra mute, fossero proprio quelle di…

 

FLASH!

 

“Ve?”

Italia si guardò: aveva di nuovo la sua divisa! Che sollievo essere a casa, ma anche che peccato: quel vestito era così bello!

Il pubblico, o perlomeno la sua fetta più sensibile, era in piedi ad agitare fazzolettini e ad applaudire.

“BUAAAAH!”
“SIGH!”

“SNIFF! CHE STORIA TRISTE!”
“BRAVO!”

Feli rintanò la testa nelle spalle, arrossendo.

“Grandioso! La mia Macchina dell’Ucronia ha funzionato alla perfezione, e alla fine Feli è tornato sano e salvo! Non c’era nulla da preoccuparsi, visto? … Germania? Dove sei?”
Mentre Ungheria abbracciava e coccolava Italia, come bisognoso di tutta la consolazione del mondo, la porta della stanza venne aperta con un calcio.
“Per la miseria! Ma che è tutto questo casino?!” –sbraitò Romano- “Uno prova ad essere educato bussando alla porta e nessuno gli risponde? Che cavolo state facendo si può sapere?”

“………”
“… Ehi… Perché mi guardate tutti?”
“VEEEEEE! FRATELLONEEEEEEEE!”
“AAAAARGH!”

Per scollarglielo da dosso non sarebbero bastati tutti i piedi di porco del mondo!

“Veee! Sono così contento che ora sei con me e non lavori più per Spagna!”

Antonio si era rintanato in un angolino in cupa depressione…

“Ma che stai dicendo?!”
“Ti voglio tanto beneeeee!”

“……” –a Romano uscirono gli occhioni lucidi- “Non dire idiozie, fratellino idiota! Mollami!”
“No! Ti voglio troppo bene! Io e te siamo una nazione sola!”
“Mollami! Mi stai facendo commuovere davanti a tutti! Ti ammazzo! Sniff!”

Francia diede una pacca alla strabiliante macchina: “Però… Non male alla fine questo scatolone.”

“Già, adesso ci sarà un sacco di gente che mi chiederà la sua ucronia, e noi ce le godremo tutte con tanto di sedie comode, bibite e pop-corn! Evvai!”

Inghilterra si sbatté una mano in faccia: poveri loro!

Notò poi una cosa: “Ehi, ma Germania che fine ha fatto?”

“Non lo so…”

 

Nel ripostiglio chiuso a chiave, Ludwig, abbracciatosi alle sue gambe, era impegnato in inevitabili riflessioni esistenziali…

“Ero lui… O non ero lui? Ma se ero lui… Allora io e Italia abbiamo… Io e Italia… No, è impossibile… Però… Certo che gli somiglio proprio a quello lì…”

 

 

 

È lui, o non è lui? Germania è Sacro Romano Impero?
Ad ognuno la propria idea ^__^

A me non piace tanto dare risposte nette, penso sia sempre meglio dare la libertà al lettore… Dal canto mio, in confidenza, ve lo dico: per me è lui! XD

La prima ucronia si chiude qui: forse un po’ troppo idilliaca, specie per la nostra amata patria, ma alla fine ha rivelato l’altra faccia della medaglia, e Feli non ha avuto dubbi sul da farsi.
Forte Romano che arriva all’ultimo, vero? XD

Mi auguro vi sia piaciuta ^__^ Intanto, rifletterò sulla prossima storia alternativa da regalarvi! Non perdetevela, e continuate a descrivermi le vostre idee!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 3
*** E se la Guerra dei Cent'anni non fosse mai avvenuta? ***


Ehilà a tutti, e siete proprio tanti a giudicare dai commenti! Non mi aspettavo un simile successone davvero, non ho mai contato tanti commenti in un solo giorno, grazie davvero! ^__^

Mi avete anche dato parecchi suggerimenti interessanti, alcuni già da me presi in considerazione prima che me li scriveste. Me li sono messi da parte per valutarli un po’: non prometto nulla a nessuno, ma credo che diversi di voi potranno comunque essere accontentati, e già a partire da questo nuovo capitolo!

È tutto incentrato sul nostro amato scetticone Arthur, e vi anticipo che la sua ucronia finirà col rispondere non ad una ma ben due domande!

Scusate il capitolo lunghissimo (credo però farà felice molti fan di un paio di coppie)…

Buona lettura a tutti!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

PPS: Link “culturale” XD >>> http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_dei_cent%27anni

 

 

 

Grazie alla bislacca ma interessante trovata di America, per quel giorno le nazioni si sarebbero dimenticate per un po’ di problemi, battibecchi e grandi decisioni, per godersi le meraviglie della storia alternativa!

La risata fragorosa e sovraeccitata di America coprì il parlottare che si era venuto a creare al termine della prima puntata di quello che sembrava uno show promettente: “Allora, gente! Quanti di voi ora si sono convinti a riserbare il giusto rispetto alla mia grandiosa invenzione?”

“Bah!” –sbottò Inghilterra- “Ma lo sai cosa vuol dire “umilità”?”

“Forza allora, chi vuole essere il prossimo? Chi di voi vuole interrogare la macchina e vedere una realtà differente?” –gli mancavano solo il bastone e il cappellino e sarebbe stato un perfetto giostraio!- “Lei forse? O lei, signore? Chi di voi sarà il fortunato?”

Polonia, sbracciando, arrivò fino a lui:  “Io! Io! Devo assolutamente sapere se ho deciso di dipingere casa col colore giusto, tipo!”
L’entusiasmo di Alfred crollo repentinamente: “Polonia… per la seconda volta: non disturbare la mia mitica macchina con domande di questo tipo.”

L’interesse era certamente alto, ma non tutti avevano abbastanza convinzione per farsi avanti, e soprattutto per farsi mangiare come era successo ad Italia! Era stato uno spettacolo a dir poco scioccante dopotutto.
“Forza, ho già detto a Corea di mettere su altro pop-corn!”

Quest’ultimo aveva inoltre coinvolto anche Cina che si sarebbe occupato delle bibite, e infatti il suo panda stava già passando tra i piedi degli spettatori con un secchiello sulla schiena pieno di bottigliette e lattine (sulle quali i nomi delle più famose bevande erano “stranamente” tutti scritti male…).

“America, non ti è bastato aver verificato che la tua macchina funziona senza che nessuno si sia fatto male? A parte Germania che, non so perché, si è chiuso in quello sgabuzzino e non accenna ad uscire…” –disse Inghilterra.

“Sarà rimasto sconvolto dalla qualità dello schermo HD che ho installato, eh eh! E comunque è ovvio che non basta, non fare il solito guastafeste, hai visto quanto ci siamo tutti appassionati, no? Mhmm…”

America si era improvvisamente avvicinato a un palmo dal suo naso…

“Che bloody vuoi ora?!”
“Sono curioso di sapere che domanda vorrai fare tu alla Macchina dell’Ucronia!”

“E chi ti dice che io abbia pensato a una domanda?”
“Perché è impossibile resistere alla curiosità! Nessuno ci riuscirebbe, nemmeno uno tutto perfettino e serioso come te!”

Arthur restò zitto e inarcò un sopracciglio.

“…… Dai! Tiprego-tiprego-tiprego-tiprego-tiprego!” –supplicò veloccissimissimamente!

Francia si appoggiò allo schienale della sedia di Inghilterra: “Oh, Inghilterra vuol fare una domanda? E cosa vuoi chiedere? Come saresti senza il tuo brutto carattere? Sicuramente più simpatico, e anche più appetibile come partito, uh uh uh!”
“Io non ho un brutto carattere!” –asserì Arthur, sbuffando dalle orecchie nuvolette nere come il carbone!- “E soprattutto non ho nessuna domanda da fare al tuo stupido televisore scassato!”
“Argh! Come osi chiamarlo così? Chiedigli subito scusa!”
“Ho trovato un’altra domanda che puoi fare Inghilterra!” –continuò a punzecchiarlo Francis- “Come sarebbe il mondo se non avessi mai inventato gli scones o nessun altra pietanza della tua orribile cucina? Risposta: un posto migliore!”

“Tu, brutto…”

Fece per lanciarsi sul collo di Francia, ma America lo tirò via per la giacca, sicché Francia poté scappar via gongolando da vincitore!
“Dai, Inghilterra, fallo per me, mi piacerebbe la usassi almeno una volta! Almeno un segno di apprezzamento visto tutto l’impegno che ci ho messo a costruirla.”
“America, lo sai che non sopporto quando perdi il tuo tempo in stupidaggini!”
“Uffa, e io non sopporto quando sei così burbero: la mia macchina non fa male a nessuno!”

Si voltò: “Meno male che non sono venuto su come te!”
“Tsk! Se tu invece fossi venuto su un po’ più come me…”
“Ne ho un’altra! Se chiedessi…”

Stavolta non ci fu nessun Alfred ad impedire lo strangolamento!

Era infatti troppo abbattuto: “Uff…”

Prese il tubo per le domande e lo rivolse verso Inghilterra: “Dai, solo una domandina, poi ti lascio in pace, lo prometto. Però mi raccomando, facci uscire una bella storiella, così noi che guardiamo ci divertiamo.”

Arthur, essendo riuscito a sfogarsi facendo diventare la faccia di Francia dei tre colori della sua bandiera l’uno dopo l’altro, si ricompose, aggiustandosi cravatta e capelli e tornando fresco e posato, da bravo britannico.

“Bene allora, farò la mia domanda.”
“Evviva!”

Gli tolse di mano il tubo: “Oh, e sarà anche una bella domanda! Ih ih ih! Così in un solo colpo mi leverò te dai piedi e mi farò due risate su quella ranocchia asfittica lì per terra!”
Su richiesta di America, si aspettò qualche istante per consentire a Francia di riprendersi: Svizzera, attivatosi in modalità crocerossa, provvide a restituirgli l’ossigeno necessario.

“Allora…” -si schiarì la voce- “La mia domanda riguarda la Guerra dei Cent’anni!”

“Ci avrei giurato!” –annuì Spagna.

“Già: tanto tempo fa, il mio capo divenne legittimo re di questo cerebroleso di Francia, ma lui e i suoi nobili ebbero da ridire e avemmo una… spiacevolmente lunga discussione, si può dire.”

Olanda, che se li era sorbiti giusto vicino casa propria, si portò una mano in fronte al ripensarci: “Oh, me ne ricordo bene! Sembravate non volerla finire più!”

“Umpf, e alla fine io mi feci splendidamente valere e ricacciai questo buzzurro sulla sua isola, ah ah ah!”
Inghilterra rise perfidamente: “Ah, si? Ti piace tanto ricordare quella storia, eh? Vediamo un po’ che ci dice la macchina se invece ci fossimo risparmiati una simile seccatura! E se la Guerra dei Cent’anni non fosse mai avvenuta?”

“Questa sarà interessante! Bravo, Inghilterra, bella domanda!” –esultò America mollandogli una mega-pacca che per poco non lo schiantò a terra.

“Grrr! Dai, togliamoci il pensiero!”

“Prima di andare però, prendi questo.”
“Un telecomando?” –era piccolo, color blu elettrico, coi tasti bianchi e un piccolo schermo.

“Prima non ho avuto il tempo di darlo anche ad Italia: è come il telecomando del dvd, ti permette di andare avanti alla scena successiva, così potrai esplorare più epoche nella tua storia alternativa; è dotato di calendario e anche di sveglia e ricetrasmittente per parlare con gli alieni.”
“Non esistono gli alieni!”

“Tony la pensa diversamente.”
Arthur alzò gli occhi al cielo: “America, sei la persona più tonta e casinara che esista! Bah, dai, andiamo a vedere questa storia alternativa, così almeno mi faccio quattro risate.”
“Sigh! Goditi pure la tua ucronia, tanto per davvero ho vinto io!” –piagnucolò Francia sedendosi al suo posto.

“Allora si balla! Pronti? Partenza… Via!”
Alfred spinse il pulsante rosso sulla Macchina dell’Ucronia e, dopo alcuni secondi di colori indistinti sullo schermo, ricomparve il vortice, dal quale l’elegante Arthur Kirkland non si lasciò certo risucchiare comicamente come era successo ad Italia: fu lui a saltarvi dentro con un indomito gesto atletico.

 

Arthur riaprì gli occhi e per prima cosa si guardò i vestiti. Erano abiti chiaramente medioevali, della foggia tipica sua cara vecchia Inghilterra dei secoli XV o XVI: giacca rossa con inserti dorati e argentati, cappello nero con piuma bianca, collare... Gli venivano a menti i tempi della cara Elisabetta I… E infatti eccola lì, in avvicinamento!

A differenza di Italia, ben più sempliciotto, Inghilterra aveva mantenuto il suo contegno, ma, anche se sapeva fosse solo una realtà virtuale, non avrebbe mai e poi mai potuto mancare di rispetto a una sua graziosa maestà britannica, figuriamoci a una delle più grandi che la storia ricordasse!

Si tolse il cappello e si inchinò come da etichetta: “Vostra maestà.”
“Salute a te, Arthur. Ancora qui? La cerimonia sta per iniziare.”

“Quale cerimonia, di grazia, vostra maestà?”
Sorrise: “Quella del compleanno del regno: la folla attende voi due alla loggia, come sempre.”

“Noi due?”
“Già! Io e te!”
“AAAAAAAARGH!”

Pur davanti alla sua regina, non ce la fece a non urlare quando Francis, arrivatogli dietro in punta di piedi, gli aveva cinto il collo con un braccio.

“FRANCIA?! MALEDETTA RANA! Non ti riesce facile smetterla di tormentarmi, eh?”
Francia, che non era quello vero, rimasto davanti lo schermo, ma quello ucronico, scoppiò a ridere: “Stai imitando i vecchi tempi, vecchio mio? Ci riesci benissimo! Ah ah ah!”

“V-v-vecchio mio?!”
Francia che lo chiamava “Vecchio mio”? Che gli sorrideva e faceva tutto il gentile? In realtà lo faceva anche normalmente, ma stavolta sembrava sincero, non pareva stare per prenderlo in giro o molestarlo...

“Su, andiamo, mio grande amico, è il nostro compleanno e i festeggiamenti ci attendono!” –lo spintonò amichevolmente, per poi girarsi verso la sua regina- “Con permesso, vostra maestà.”

Elisabetta annuì e li lasciò andare.

Inghilterra camminò al fianco di Francia, in silenzio finché non si riprese da quelle sorprese: “Lei… è anche tua regina?”
“Ovvio, è la nostra regina! La regina del Regno Unito di Inghilterra e Francia.”

“Ah, certo…… LA REGINA DI CHEEEEEEE?!?!? Io… Io e te…”

“Che distratto che sei… Ma d’altro canto, capita di scordarsi delle ricorrenze con tutto quello che si ha da fare: oggi è l’anniversario di quando hai deciso di risolvere la questione dell’eredità del mio trono unendo i nostri regni. All’inizio non la presi bene quando i miei nobili accettarono di dare la corona al tuo re senza protestare…”

Arthur passò vicino un dipinto che ritraeva appunto quel momento: dei nobili da un lato e dall’altro Francis con una faccia da “Urlo di Munch” che si strappava i capelli…

“Ma alla fine sei riuscito a farmi appianare le nostre divergenze, ed ora siamo un’unica potente nazione!”

“I-io?”

Lo tirò per un braccio su di una balconata, e dal piazzale gremito sotto di loro si levarono forti urla di giubilo che fecero balzare il cuore di Arthur.

Strabuzzò gli occhi vedendo, ai due lati della loggia, le bandiere che sventolavano: in una metà, in campo blu, i gigli d’oro di Francia, nell’altra metà, la sua croce rossa di San Giorgio in campo bianco.

Ancora intontito, cominciò a fare “ciao” alla folla. Francia invece, più spigliato come al solito, sembrava un attore tanto lanciava bacetti e occhiolini a destra e a manca.

Inghilterra guardò giù; in prima fila riconobbe Spagna e il piccolo Sacro Romano Impero che, mentre tutti applaudivano, guardavano storto verso di loro.

“Che hanno quei due?”
“Smack!” –finì di lanciar baci Francia- “Non farci caso, è tutta invidia: dopotutto siamo noi la prima potenza commerciale e militare dell’Europa.”

Arthur a quella notizia gongolò: << Eh eh eh, beccati questo Francia: alla fine il migliore di tutti sono sempre io! Inoltre, questo è il Regno Unito di Inghilterra e Francia! INGHILTERRA prima e Francia poi! Ah ah ah! Sono sempre davanti a te! >>

A quel punto gli venne più spontaneo salutare e lasciarsi andare.

“Uh uh uh uh uh!”

Finito il bagno di grida e applausi, Arthur invitò quello strano Francia suo migliore amico a fare due passi, in modo da avere altre informazioni.

“Quindi… Sia Parigi che Londra sono capitali?”
“Una delle geniali proposte con cui sei riuscito a farmi cadere ai tuoi piedi.”

Inghilterra lo immaginò “ai suoi piedi” e sghignazzò!

 

Intanto, dall’altra parte dello schermo…

“Unire i nostri regni, lasciare Parigi capitale, solo per me… Ah, l’ho sempre saputo che in fondo quel buzzurro mi voleva bene! Ah, il mio cuore sta battendo così forte!”

Mentre Francia saltellava estasiato, i commenti fioccavano.

“Questa non me l’aspettavo!”

“Francia e Inghilterra… amiconi?!”

“Sicuro che non sia la Macchina del Sottosopra?” –domandò Germania, tornato finalmente tra loro.

“Le possibilità della storia sono infinite!” –America non staccava gli occhi dallo schermo, anche lui molto preso- “Certo, se avesse chiesto << Se avessi vinto la Guerra dei Cent’anni >>, forse li avremmo visti in tutt’altri rapporti.”

Si udì il mega-sospiro di Francia: “Aaahh… Poteva chiederlo ma non lo ha chiesto! Sarà anche questo un segnale dei suoi sentimenti nascosti?”
“Ehm, Francia…”
“Continuiamo a vedere, continuiamo a vedere!” –sculettò Francia tutto cotto- “Mi piace troppo questa storia alternativa!”

“O-ok…”

 

Inghilterra sembrava proprio del suo stesso parere.

“Umpf, non è per nulla male quest’ucronia! Sono sempre potente, anzi, lo sono ancora di più visto che mi appartengono anche tutte le terre di Francia, ho potuto rivedere la mia straordinaria regina e forse dopo vado anche a trovare Shakespeare… E soprattutto, io e Francia non litighiamo! Anzi, mi vuole bene!”

I rapporti erano sempre stati burrascosi tra i due, i loro litigi erano famosi: era un cambiamento così radicale quello… Fu sorpreso di scoprire che un po’ gli dispiaceva: in fondo, erano divertenti i loro continui confronti, e alla fine si era affezionato a Francis anche grazie ad essi.

<< Però… Anche averlo così… Devo dire che non è male… Un momento… MA CHE PENSIERI STO FACENDO?! >>

Si mollò uno schiaffo!

“A che pensavi?”
“Niente!”

“Uh uh uh, oggi sei strano… Stai ancora pensando all’ultima volta?”
“Quale ultima volta?”
“L’ultima volta che ci siamo coccolati, no? È stato particolarmente soddisfacente, uh uh uh! Se vuoi stasera…”
“……… Io… e te… ci… “coccoliamo”…”

Francis afferrò lascivo una rosa da un vaso e, annusatala, si avvicinò al suo orecchio e sussurrò: “Il nostro è un regno… “molto” unito! Uh uh uh!”

“……… Puoi scusarmi un attimo?”

Arthur si allontanò fino a trovare un altro balcone da cui sporsi per prendere l’aria necessaria per gridare.

 

“NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!””

 

Francia, uditolo, annusò di nuovo la rosa con aria sognante: “Ahhh, si, facesti così anche la prima volta!”

 

Gli spettatori erano tutti arrossiti.

“Non ci credo…”
“Direi che il rating si è un po’ alzato…”

“UH UH UH UH UH UH UH! MUAHAH AH AH!
Ovviamente non poterono non girarsi preoccupati verso Francia! Fumava dalle narici ed aveva il suo sguardo da maniaco, quello da cui devi metterti in salvo se non gradisci che lui approfondisca di molto la vostra conoscenza!

“Uh uh uh! Magnifico! Mi piace questa ucronia! America, ce l’abbiamo un telecomando per passare alla scena di quando ci siamo coccolati?”

“Francia!”
Si scosse e gli tornò la sua faccia normale: “Tranquillo, scherzo: ci sono occhi troppo puri qui.”

Indicò alle sue spalle la piccola Lily, il piccolo Sealand e il grandicello Feliciano (come non includerlo?).

Francia fece segno ad Alfred di avvicinargli per parlargli nell’orecchio: “Però… è tecnicamente possibile vedere quella scena?”

“…… Se gioco un po’ coi contatti, forse si può…”

Francia prese a sfregarsi le mani: “SPLENDIDO! Allora se ci riesci registrami quella parte che poi me la rivedo! Uh uh uh uh!”

“Ehm, andiamo avanti che è meglio…”

 

Arthur, pallidissimo, tornò dentro. Ti pareva, era tutto troppo bello per essere vero!

D’altronde, si era voluto “unire” con Francia… CHE SBAGLIO IMPERDONABILE! Il fatto poi che fosse stato proprio lui a farsi avanti con una simile idea gli faceva venire orribili dubbi su sé stesso!

“Sigh! Stupida macchina! Maledetto Alfred, e io che stavo iniziando a pensare che non fosse tanto male la sua invenzione.”
Però c’era da rifletterci. “Coccole” con Francia a parte, si stupiva della gloria che aveva raggiunto in quel mondo in cui l’oltremanica aveva deciso spontaneamente di consegnarglisi. Era una potenza completa ora, sia per mare che per terra… Che dormiva nello stesso letto a baldacchino con quel rospo annusa-rose.

Tirò fuori il telecomando: “Beh, in fondo non sto poi così male. Però, per curiosità, vediamo come si evolveranno le cose.”

Premette il tasto “avanti”, e sullo schermetto comparve la dicitura “XVII” secolo.

 

FLASH!

 

“Uh?”
Stavolta non si guardò i vestiti per dedurre l’epoca visto che la conosceva, ma si guardò intorno. Era la cucina di una casa patronale: arredi lucidi, posate d’argento, tavolo apparecchiato per quattro.

“Abbiamo ospiti?”

Attese composto sulla sua sedia, fissando il vaso di porcellana cinese, finché…

“PAPÀ!” –gridò una vocina!

“PAP?!?!?” –la parola gli era morta in gola!

<< Oh, no! Non ditemi che abbiamo avuto dei figli?! >>

Si girò e qualcosa gli saltò addosso. Si irrigidì tutto come una statua, prima di capire che quello era un abbraccio, e chi glielo stava dando era Alfred, tornato piccino e caruccio come all’epoca in cui lo aveva cresciuto.

“Ih ih ih! Che bello! Ora si mangia!”
“Ed eccoci qui!” –entrò allora Francia, che teneva per una manina il piccolo Canada, dall’aria perennemente timida.

“Io mi siedo vicino a papà!” –fece America, in piedi sulla sua sedia.

“Papà…”

Evidentemente, essendoci anche un Francia così in buoni rapporti, anziché avere un solo “fratellone” i due gemelli avevano avuto una famiglia vera. Almeno non era “mamma”…

Dei domestici servirono ai quattro un brodo caldo per stuzzicare l’appetito. Arthur fisso Francia mettere la bavetta a Canada e carezzargli la testa, una visione sorprendentemente tenera, bellissima. Per non parlare degli occhietti di Alfred sempre puntati su di lui: chiaramente doveva essere il suo genitore preferito.

 

Nel frattempo, quella dolce famigliola lì nello schermo non aveva suscitato solo tanta tenerezza tra il pubblico…

Francia, incapace di resistere a tanto amore, era corso a prendere la cornetta del telefono…

“Oui! Vorrei ordinare un anello di fidanzamento, il più bello che avete!” –concluse sospirando cuoricini la romanticissima nazione.

Spagna e Prussia si appropinquarono silenziosi alle sue spalle.

“Bene Spagna, io e te eravamo gli altri membri del Bad Touch Trio, quindi sta a noi fermarlo prima che la cosa vada troppo oltre.”
“Certamente!”
“Bene… Adesso!”

E al segnale di Gilbert, Antonio lo aiutò ad acchiappare Francis e a trascinarlo via…

“Lasciatemi andare, in nome dell’amour!”

Una bella caraffa in testa di d’acqua ghiacciata (toccata da Russia per 10 secondi), e si poté ricominciare a guardare.

 

Appetito non ne aveva: quel quadretto così surreale che lo circondava bastava a scaldargli il cuore più di quanto avrebbe potuto fare qualunque brodo fumante.

Con la mano tremante carezzò America, e quello lo lasciò fare, tutto contento.

Da quanto non lo faceva?

“Alfred, non fare rumore mentre mangi!” –lo bacchettò Francia- “Prendi esempio di Mathieu!”

Alla fine mangiò, per evitare che la nostalgia lo facesse commuovere troppo.

<< Quindi abbiamo conquistato ugualmente le nostre rispettive colonie nel nuovo mondo, anche se siamo molto più uniti. Incredibile, sto mangiando a tavola con America tornato piccolino! Chi si poteva immaginare che da grande sarebbe diventato un simile fanfarone? È così carino ora… Umpf, ora stravede per me, ma tra qualche anno… >>

Come fulminato, aggrottò le ciglia. In quella storia aveva conosciuto lo stesso il suo fratellino, ma sarebbe andata esattamente allo stesso modo anche quando sarebbe cresciuto?

Tirò fuori il telecomando. Premendo “avanti”, uscì scritto << Quel giorno di pioggia >>…

Deglutì: “Andiamo a vedere.”

 

Riaprì gli occhi con i capelli e la divisa fradicia. Il campo di battaglia desolato di quel giorno, un posto che non avrebbe affatto voluto rivedere, un giorno che non avrebbe mai voluto rivivere.

“Uff! Bene, direi che è fatta.” –disse la voce di Francis.

Si girò. Anche lui era in divisa, e per terra, poco più in là, c’era Alfred, una macchia blu dai capelli biondi in mezzo al fango. La sua bandiera a stelle e strisce giaceva sporca accanto a lui, mentre in lontananza le sue giubbe rosse mettevano in fuga gli ultimi ribelli volenterosi.

<< Già… >> -rabbrividì Arthur, fissando tremante Alfred tossire e ansimare- << Durante la sua guerra contro di me, Alfred ricevette aiuti da Francis, che era mio nemico e non perdeva occasioni per darmi fastidi. Ma qui Francis non solo non lo ha aiutato, ma essendo un solo regno con me, ha combattuto contro di lui, per tenere a sé la sua colonia… Non ha avuto speranze. >>

Inghilterra si avvicinò come in trance, mentre Francia aveva già presto a rimproverare il figliol prodigo riportato a casa a suon di moschetti e cannoni.

“Accidenti, Alfred! Perché non puoi essere obbediente come tuo fratello? Sei sempre stato tu il problematico della nostra famiglia.”

Si accorse solo in quel momento che c’era anche Canada lì accanto, nella sua stessa divisa, sull’attenti, sull’orlo del pianto per il rimorso.

“Io… Non sono Canada!” –strinse i denti, provando a rialzarsi- “Io sono io, e sono grande abbastanza da decidere il mio destino!”

Francia sospirò: “Parlaci tu, forse a te da retta.”

Arthur non se la sarebbe immaginata così. Se gli avessero offerto l’occasione di ritornare a quel giorno, con le loro posizione invertite, pensava si sarebbe sentito tutto fuorché in colpa. Aveva vinto, il momento più brutto della sua vita era stato capovolto, Alfred sarebbe rimasto con lui… Ma allora perché tanto peso nel petto?

“Io sono cresciuto ormai, perché non lo capisci?” –lo guardò lì da terra- “Fammi essere libero! Fammi seguire la mia strada!”
“Zitto!” –ribatté gridando- “A seguire la tua strada finirai a ingoiare hamburger da mattina a sera e a inventare televisori idioti!”

“???”

Francia si avvicinò al suo orecchio: “Ehm, questa non l’ho capita…”

“Zitto pure tu!”
“Tres bien…”

Strinse i pugni: “Questo… è per il tuo bene! Ti credi maturo, ma non lo sei! Sei solo un ragazzino arrogante e presuntuoso! Devi diventare qualcosa di meglio…” –prese fiato- “Lo meriti, Alfred.”

Alfred guardò suo padre, non capendo. Come poteva l’uomo che più ammirava trattarlo in quel modo, come una sua proprietà?

Fece avvicinare due giubbe rosse: “Portatelo via.”
Lo sollevarono di peso.

Non avrebbe mai capito.

“TI ODIO! TI ODIO, INGHILTERRA! TI ODIO!”

Esaurite le ultime forze, quell’aquila che mai avrebbe volato, volse il viso esausto al terreno, e si lasciò portar via.

“Stai bene?” –si guardò Francia preoccupato dal suo aspetto.

“… Che cosa ho fatto?”

Aveva reagito di semplice istinto, ecco cosa, senza pensare alle conseguenze: il momento più brutto della sua vita, per causa sua e della sua cocciutaggine, era rimasto tale.

Premette di nuovo “avanti”.

 

Almeno ora era asciutto.

“E ora dove diavolo sono? In che epoca sono?”

A giudicare dal carro armato sotto di sé, sicuramente nello scorso secolo.

Un altro tank si parcheggiò accanto al suo, e dalla cupola ne uscì un soddisfattissimo Francia: “Ah ah ah! Il Regno Unito è ancora il migliore! Bastiamo noi a rimettere a posto i marrani!”

“Cosa?”

Si sporse oltre il carro e vide Italie e Germania per terra, ricoperti di cerotti!

“Veeee! Basta! Ci arrendiamo!” –disse il prima con l’immancabile bandiera bianca.
“Urgh!” –fece il biondo- “Purtroppo questa volta sono d’accordo con lui.”

Ad Arthur scese un gocciolone: “La Seconda Guerra Mondiale?”

“Appena finita! Magnifique! Quel capo di Germania e le sue richieste, stava andando troppo oltre! Meno male che ti ho dato retta: abbiamo reagito prontamente.

Risolvere da solo un conflitto mondiale: il sé stesso di quell’ucronia lo sorprendeva sempre di più. Però a quel conflitto aveva partecipato anche America…

“Francia! America? Lui dov’è?”

“Ehm, non appena ha visto che potevamo cavarcela da soli a finire il nemico, ha reimbarcato tutte le sue truppe ed è tornato a casa sua.”

“Oh… Ehm… Avrei voluto tanto salutarlo…”
Francia si incupì, guardandolo con compassione: “Si, è un grande trionfo, ma dubito ti avrebbe parlato neanche stavolta.”

“… Non… mi parla?”

“Non ti parla da quel giorno di pioggia. Tranne che per gli impegni ufficiali di nazione, certo.”

Arthur si accasciò sul carro armato. America che gli aveva tolto la parola? Per secoli interi? Aveva desiderato che riflettesse prima di aprire bocca, ma mai che non l’aprisse affatto! Tutto ma non questo!

Basta! Stava diventando sempre più insopportabile!
“Prendo un aereo! Vado da lui! Bada tu alle formalità!”

“Va-va bene… Se aspetti un po’ vengo con te.”

Italia bussò sul suo carro armato: “Veee… Servirete la pasta a noi prigionieri?

 

Washington non esisteva. La città non aveva motivo di chiamarsi come un tizio che era stato presidente di niente. Alfred abitava a King George Town.

Noleggiata un’auto, Arthur lasciò guidare Francis, facendosi altro male guardando fuori dai finestrini.

L’America della sua ucronia non era l’America: non era maestosa, non era caotica, non era vivace, non era una terra di sogni impossibili che si realizzano e di riscatto per tutti, niente era più grande che in altre nazioni, non c’era quell’aria di disordine, che è libertà, che avvertiva ogni volta passava a trovarlo. Sembrava una succursale della sua Inghilterra: siepi potate, marciapiedi puliti, taxi neri, cabine del telefono rosse, poliziotti impeccabili come i suoi abitanti.

Aveva la nausea: era tutto così tranquillo ed uguale a sé.

Ecco cos’era diventato America, come lo aveva ridotto vincendo quel giorno: una copia di sé stesso. Perché non era stato libero di esprimere sé stesso, non glielo aveva concesso, perdendo e facendosi da parte, come un’altra storia ben più saggia di quella di quel mondo aveva deciso.

L’auto si fermò davanti a una casa di mattoni col prato potato alla maniera di casa sua.

Trovò la porta aperta e tutto in ordine: niente poster dell’NBA, bandiere a stelle e strisce che sbucano dai barattoli dello zucchero o cartoni vuoti di bibite. Mobili e soprammobili senza un filo di polvere, e un silenzio che fa echeggiare i tuoi passi come in una galleria d’arte delle più snob.

Lo trovò in biblioteca, su una poltrona, intento a leggere un grande classico, con addosso un completo giacca e cravatta anche in casa, fuso in quell’ambiente tanto rigoroso quanto spento che la finestra non riusciva a far splendere; senza un accenno di reazione alla sua presenza.

Arthur, nel vederlo, si fece scappare un sorriso ironico: “Leggi, eh? Ho sempre desiderato diventassi un tipo acculturato.”

Invece di essere uno che perde il suo tempo davanti i cartoni animati, traendone strane idee.

Alfred girò pagina, continuando ad ignorarlo.

Arthur fece due passi nella stanza, osservando i titoli nella sua libreria.

“Credevo di fare il tuo bene, dandoti una via sicura da seguire: per come sei tu, ti saresti di sicuro gettato in chissà che pazze avventure, vantandoti ai quattro venti per ogni trionfo o sciocchezza, saresti diventato il più grande rompiscatole della storia.”

Gettò via il sorriso di circostanza, e lasciò che il magone piegasse la sua solida voce.

“Ma ora mi rendo conto di quanto ho sbagliato. Dovevi vivere come più ti piaceva. E al diavolo se saresti diventato un idiota, uno spaccone, un tizio pieno di cretinate in testa.”

Lo guardò e si morse le labbra: sarebbe stato infinitamente meglio di questo che aveva davanti gli occhi.

Alfred si inumidì il dito e voltò ancora.

“Perdonami Alfred. Ho sbagliato tutto. Non avevo capito, perché sei sempre stato di un carattere diverso da me… Avrei dovuto capire che non potevi, non dovevi diventare come me…”

Arthur si avvicinò alla poltrona: “Io… In questo mondo mi è andato tutto per il verso giusto: terre, rispetto, fama, la mia lingua e la mia cultura predominano, salvo persino il mondo quasi da solo… Ma darei via tutto se solo potessi riaggiustare le cose con…”

Provò a toccarlo, ma lui, col minimo movimento, si scostò, impedendo alla sua mano di raggiungerlo e proseguendo a leggere.

“Non mi parlerai neanche stavolta, vero?”

“……”

“Ho capito. Vado.”

Si rimise il cappello in testa. Sulla soglia si girò: “Ti voglio bene, America.”

Non bastò.

Uscì dalla casa, smorto come un cencio; aperta la portiera dell’auto, si lasciò cadere senza forze sul sedile.

Francia guardò nello specchietto retrovisore i segni delle lacrime su quel volto, improvvisamente invecchiato: “Non è andata bene, vero?”

“Portami solo a casa…”

Ora sapeva come si era sentito Scrooge nel racconto di Dickens appena imparata la lezioncina. Si appoggiò allo schienale: “Voglio tornare a casa.”
Francia annuì e mise in moto. Pochi metri dopo, tutto si illuminò e sparì.

 

 

Arthur si ritrovò addosso i suoi vestiti e intorno a sé la sua realtà, mai così amata.

Come per Italia, gli altri dovevano aver pianto parecchio, anche più di prima: persino Prussia aveva fatto appena in tempo a nascondersi in tasca il fazzolettino.

Francia, lasciato perdere l’anello, gli poggiò una mano sulla spalla: “Stai bene?”
Decisamente meglio: perché averlo amico sempre quando può esserlo davvero proprio nel momento giusto?
“Si, non preoccuparti. America?”

Gli altri si guardarono intorno, fino a che Estonia non indicò Alfred mentre dava le spalle a tutti, seduto con la braccia appoggiate sul tavolo. Anche uno stupido come lui aveva la sua sensibilità dopotutto, pensò Inghilterra.

Sorridendo, gli si avvicino senza timori: gli aveva detto ciò che pensava sul serio in quell’irrealtà, figurarsi se non glielo ripeteva adesso che se ne stava in disparte per non mostrare la sua commozione.

“Senti, America, io…… EH?!”

Si accorse non che stava a testa bassa sul tavolo perché stava riflettendo: stava scrivendo qualcosa su di un tacquino.

“Magnifico! Fantastico! Comicità, un pizzico di sexy, tanta drammaticità e profondità di temi, un messaggio educativo! Magnifico! Stupendo! Fantastico! C’è così tanto materiale!”

Stava prendendo appunti per un film!

Si alzò in piedi: “GRANDIOSO! Inghilterra, la tua ucronia è stata strafiga! Sono certo che ad Hollywood piacerà un casino!”

“……” –fece Inghilterra mentre America gli sventolava i fogli tutti scritti sotto il naso…

“Ora scoppia…” –fece Russia, che di sguardi omicidi ne sapeva qualcosa.

“Faremo un sacco di soldi! Qua la mano Inghilterra! Sei sempre un grande!”
“TI FILMO IO, BRUTTO BAGA-MERICA! IO TI STANG…”
“Ah ah ah!” –rideva a crepapelle lo strangolato- “Imiti il mio cartone animato preferito? Allora li conosci bene i miei gusti! Ah ah ah!”

E fu così che una delle scene più commoventi possibili sfumò in un vortice di idiozia pura e tremenda violenza, tra lo stupore generale.

“Ah, sono proprio una bella famigliola, vero?” –fece Francia.

Ungheria alzò la mano: “Ehm, perché non ci togliamo da questa situazione… imbarazzante… “ –per non dire patetica…- “… facendo un’altra domanda alla Macchina dell’Ucronia?”

“Buona idea!” –approvarono tutti!

 

Intanto, su una sedia dell’ultima fila…

“Che bello! In questa ucronia sono comparso anch’io!”

“Tu chi?” –gli chiese l’orsetto seduto accanto a sorseggiare una bibita.

“Canada!”

 

 

 

Fiuuu, è stata proprio un’ucronia bella lunga!
Come ho anticipato infatti, ho risposto in un colpo a due domande: un mondo senza Guerra dei Cent’anni e un mondo con un America rimasta inglese, impossibilitata ad esprimersi come quella che conosciamo. In realtà nei commenti mi era stato chiesto “Se Alfred non avesse mai chiesto l’indipendenza”, quindi forse volevate qualcosina di diverso… ^__^” Spero però vi sia piaciuta! Sprofonda un po’ dal comico al tragico, ma lo sapete che a me piace la commistione… E poi nel finale si recupera, dai! XD

Scommetto che ho fatto felici molti fan della FrUk e della UsUk, eh? XD
Ora vado a pensare alla prossima ucronia!
Ditemi che ne pensate nei commenti, e se avete altre idee o dettagli per idee già espresse, dite pure! Alla prossima!

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 4
*** E se Italia non si fosse mai alleato con Germania? ***


Ehilà a tutti! Questa fic sta avendo un successone tra voi lettori, i commenti fioccano e le idee pure! Grazie quindi per il vostro seguirmi (in particolare ai miei lettori abituali, vi adoro gente!), e per il vostro contributo: pensate che avevo pochissima ispirazione dopo la prima ucronia, mi avete salvato! ^__^

Torniamo quindi a buttarci in un nuovo scenario alternativo, che anche stavolta riguarda il nostro paese! Si può dire che partecipare alla Seconda Guerra Mondiale ci abbia procurato un bel po’ di danni, ma alla fine ne siamo usciti come un paese libero da una brutta dittatura e pronto a rimettersi in sesto. Ma se invece ci fossimo fatti i fatti nostri? Come sarebbe potuta andare?

Ecco che i nostri hetaliani ci mostrano un possibile scenario! Buon divertimento!

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

 

PPS: Saranno inseriti alcuni miei OC che di cui avrei voluto raccontare in un’altra fic che ho da lungo tempo in programma di scrivere, magari dopo questa…

 

 

 

Mentre America tesseva ancora una volta le lodi della sua invenzione, non ascoltato praticamente da nessuno, si era aperto tra le nazioni, come dopo un film, un dibattito sull’ucronia appena vista.

“Regno Unito di Francia e Inghilterra, eh?” –meditò Francis- “Direi che suona proprio bene!”

Inghilterra gli perforò lo sterno con l’indice tanto era arrabbiato: “Suona proprio male invece! Era il Regno Unito di INGHILTERRA e Francia!”

“Umpf, sono solo dettagli!”
“No! Dovute precisazioni!”

“Parbleu! C’è stato sicuramente un errore! Dovrebbe essere FRANCIA e Inghilterra!”
“Ah, si?”
“Si!” –insistette il fascinoso biondo mettendogli una mano al collo- “La “F” viene prima della “I” nell’alfabeto, più logico di così!”

“Sta al tuo posto, mangia-lumache!”

All’infuori dei due diretti interessati, per fortuna, il dibattito si svolgeva molto più pacatamente.

“Davvero credete che quei cretini lì avrebbero potuto formare un unico potente regno?” –chiese Romano, guardandoli dall’alto in basso.

“Perché no?” –rispose Belgio- “Erano riusciti ad andare d’accordo alla fine, ecco perché ce l’hanno fatta.”

D’altra parte, il pensiero di andare d’accordo non sfiorava minimamente i due che avevano davanti, e le tirate di orecchie e naso e i pizzicotti che volavano a destra e manca tra i due lo dimostravano ampiamente.

“Bah! Io sono scettico” –incrociò le braccia il Sud Italia- “Non è che quella macchina del cavolo si è già rotta?”

Belgio rise: “Non farti sentire da Alfred! Ih ih ih! Dai, Romano, era comunque una bella storia.”

“Vero!” –arrivò Spagna alle loro spalle, per la qual cosa Romano subito si ritrasse leggermente!- “Questa macchina  poi in fondo è bella proprio perché ci può mostrare possibilità che nemmeno immaginavamo.”

“Io invece un po’ gli do ragione…” –fece Prussia, recuperando da terra la manica della giacca di Arthur, strappata a morsi: la contesa era fin troppo violenta considerato fosse su come dovesse essere tra “Inghilterra e Francia” o “Francia e Inghilterra” per un regno unito che non esisteva e che quei due non avrebbero voluto far esistere nemmeno morti… Forse dopo essersi visti così amiconi nell’ucronia sentivano il bisogno di recuperare!

“A proposito…” –riprese Belgio- “Anche tuo fratello e quello strano tipo che somigliava tanto a Germania avevano formato un bellissimo paese tutti e due insieme!”

Germania prese a guardare furtivamente a destra e a sinistra: “… Si… io… gli somiglio…”

Ungheria sospirò: “Quello si che era un impero nato con amore!”

Italia a quel punto abbracciò da dietro Germania, come era solito fare, e questi reagì irrigidendosi tutto, come era solito fare!

“Ve! Germania, come pensi che sarebbe se io e te formassimo una nazione sola?”
Ludwig arrossì: “Ehm… Non saprei proprio dire…”

Italia si accoccolò con la testa sulla sua spalla: “Veee… Pensi che verrebbe fuori una nazione così bella e felice come quella della mia ucronia?”
Ludwig rischiò l’infarto: “Eeeeeehm…”

A trarlo d’impiccio fu, strano a dirsi, Romano: “Che cosa?! Tu e lui una nazione sola? Col cavolo!”

Afferrò il fratellino dal cervello bacato e lo buttò a terra!

“Ahia!”

Poi si rivolse a Germania: “Stagli lontano!”

“Ha fatto tutto lui!”

“Si, come no! Sei un maledetto infido mangia-patate! Se il mio fratellino si fa venire certe idee idiote è solo per colpa tua!”

“Ve, Romano, come pensi che sarebbe se invece fossimo io e Giappone a formare un regno unito?”

Giappone andò in fibrillazione: “U-u-una proposta?!”

“No, Giappone, calmati…” –lo fermò l’alleato dell’ex-asse più ragionevole, prima che provasse di nuovo a costringere Italia a “prendersi le sue responsabilità”…

“Tu non devi diventare un regno unito con nessuno, scemo! Ma meno che tutti, CON LUI!” –concluse sbattendogli l’indice sotto il naso!

Italia fece una faccina triste: “Peccato…”
“MA QUALE PECCATO?!?! Grrr! Maledetto Germania! Sei la causa di tutti i nostri mali!”
“Ora esageri!”
“Invece si! Da quando tu e lui siete diventati amici, hai reso mio fratello ancora più scemo! Se soltanto lui non…”

Accessaglisi la lampadina, Romano prese a guardare America che succhiava nella cannuccia di una bibita col gomito poggiato sulla macchina star di quel giorno.

“Uh? Cosa c’è?”

<< Ma come? Sei stato tutto il tempo a costringerci a chiedere alla tua macchina e ora che qualcuno ha una domanda da fare… >> -pensò Spagna con un gocciolone.

“Ehi, tu! Fammela usare a me la macchina!”
Gli occhiali di Alfred brillarono! Subito gettò a terra la bibita: “Oh oh! Attenzione signore e signori! Un’altra Italia, stavolta quella scazzata, si avvicina alla prodigiosa Macchina dell’Ucronia! Vorrà proporci la sua richiesta di storia alternativa?”

“Certo che voglio!”

Al che Inghilterra e Francia smisero di litigare (tanto ormai già non erano più al centro dell’attenzione), per sedersi buoni ed ascoltare anche loro.

“Come sapete, mio fratello ebbe la brillante idea di allearsi con quello scemo lì tutto muscoli e niente cervello, trascinando pure me, che me ne volevo stare tranquillo a casa a farmi la pennichella, in una stupida guerra mondiale!”

Quando mai poi una guerra mondiale, o una guerra in genere, non è stupida?

“Per colpa sua le abbiamo prese di brutto!”

“Colpa sua? Veramente eravate voi ad essere un po’ scarsini…” –ribatté Egitto…

“Ve, e Germania è stato un bravo alleato, sempre pronto a darmi una mano quando ero nei guai…”

“E smettila di difenderlo!” –la dolce Belgio dovette trattenerlo, e già che c’era provò a calmarlo con qualche carezza sulla testolina.

Certo era che, anche con la sconfitta, la guerra era servita loro a ridiventare democratici: a volte dalle cose brutte possono anche nascerne delle belle!

“Adesso farò vedere a tutti che ho ragione! Voglio vedere un mondo dove lui non si è mai alleato con Germania! Così si convincerà a lasciarlo stare, perché è sempre colpa sua se ci capitano le cose brutte: guerre mondiali, austerità per uscire dalla crisi, la pasta si scuoce… TUTTO!”

“Mhm… Un asse di sole due nazioni? Interessante! Qua la mano, Italia scazzato!”

“Non chiamarmi così! E fai partire questa tua stupida macchina!”

“Anche subito!”

America premette il bottone ed ecco comparire il vortice!

Belgio gli prese la mano: “Romano! Ti prego, fa attenzione!”
“Ma anche no…” –fece invece Olanda sbuffando un po’ di fumo.

“Umpf! Tranquilla! Avanti, stupida macchina! Che c’è? Mi vuoi risucchiare? Avanti, fatti sotto se hai coraggio!”

Il vortice gli mangiò la testa, proprio come con il fratello!

“MHMMM!”

Prussia scoppiò a ridere: “Ben gli sta!”

Spagna impallidì: “Romano! Tranquillo, vengo io a tirarti fuori!”
“MHM!!!”

Romano afferrò il vortice e se lo spinse giù fino ai piedi pur di non essere salvato da Spagna!

 

L’Italia del sud cadde all’in piedi maledicendo vortici e televisori... MA SOPRATTUTO SPAGNA!

Riconobbe l’ambiente come familiare: era casa sua, solo “invecchiata” un pochino. La carta da parati l’avevano cambiata da un pezzo, e c’era ancora quel busto del duce ormai finito nella spazzatura. Notò, sulla parete opposta, un calendario, e ci si avvicinò.

“Settembre 1940… A questo punto eravamo già entrati in guerra, ma qui non deve essere successo.”

Feli, sentitolo parlare da solo, arrivò nella stanza indossando un grembiule da cucina rosa: “Ve? Fratellone? Tutto a posto?”

“Si, a postissimo. Aspetta un secondo! Stai per dirmi che io e te formiamo la nazione più potente d’Europa, non è vero?” –chiese speranzoso.

“No, per niente.”

Romano strinse i denti: << Ti pareva! Sempre a me le fregature: perché a lui e Inghilerra si e a me no? Che rabbia! Dannato America e la sua macchina! >>

Sbuffò e passò avanti: “E dimmi… Come va la guerra?”

Il fratello abbassò la testa: “Che brutta cosa, tutti che litigano…”
“Tutti tranne noi! Ih ih ih! Magnifico! Meno male che noi invece ce ne stiamo tranquilli tranquilli a casina nostra!”

“Si, meglio così… È quasi pronto, vieni?”
“Oh! Una buona notizia dopo l’altra!”
Sfregandosi le mani, Romano prese posto in cucina e si legò un fazzoletto intorno al collo per non macchiarsi: come volevasi dimostrare, l’ucronia senza Germania era partita alla grande! 

“Sigh, non ho molto appetito…”

Romano, per la sorpresa, morse la forchetta facendosi un male cane! Come era possibile? Il mondo in guerra, loro lì al sicuro e lui non sprizzava di gioia? Anzi, era addirittura triste…

“Ehi… Che ti succede, fratellino?”

Sospirò di nuovo: “Mi sento un pochino solo…”
“Solo?”

“T-tu sei grande fratellone, è bello stare con te, però… Mi piacerebbe avere qualche amico in più…”

A Romano si chiuse lo stomaco vedendolo guardare le altre sedie vuote al loro tavolo, come desiderasse vederle occupate, ma non fosse così da parecchio tempo.

“Ma… Che vuoi dire? Non abbiamo amici io e te?”

Scosse il capo: “Inghilterra e Francia si sono arrabbiati con noi per la faccenda di Etiopia, e hanno detto agli altri della Società delle Nazioni che non siamo dei bravi ragazzi e di evitarci. Mi sarebbe piaciuto diventare amico di Germania, sembra tanto simpatico e affidabile… Ma quando ci ha proposto di allearci con lui e un certo Giappone, il nostro capo mi ha detto di chiudergli la porta in faccia: dice che il suo capo è uno “psicopastico” o qualcosa del genere, e non vuole averci nulla a che fare… E così siamo rimasti soli, ignorati da tutti…”

Romano, sprizzando il sudore di chi ha la coda di paglia, si allargò il colletto della giubba: “Ehm… Dai, potremo farci degli amici più tardi, magari quando la guerra sarà finita!”

<< Tic tic tic! >>

Sentendo battere sulla finestra, si girò per vedere Spagna che li salutava da dietro il vetro.

“Posso essere io vostro amico!”

Romano si alzò e tirò la cordicella per chiudere le veneziane, facendolo sparire.

 

Nella realtà, Antonio si diresse prontamente all’angolino della depressione…

“Sigh!”

 

“Dai, Feli, stiamo bene anche così! Certi alleati è meglio perderli che trovarli, credimi!”

“Si, però…”

<< Uffa, Feli, non essere il solito smidollato! Hai me, no? E poi ora che non siamo in guerra, possiamo far girare bene l’economia, goderci il campionato di calcio… Ora che ci penso, se non partecipiamo alla guerra e non la perdiamo, significa che avremo ancora le nostre colonie, giusto? >>

TOC TOC!

Stavolta i colpi provenivano dalla porta, da dietro la quale si udì una voce femminile: “Permesso? Posso entrare?”

Lupus in fabula!

Una ragazza di colore, coi lunghi capelli neri che finivano in una treccia, braccialetti dorati al polsi ed orecchini a cerchio ai lobi, entrò con un sacchetto di iuta tra le mani.

“Ciao!”

Feli subito si sbracciò: “Ve! Etiopia!”
Quanto a Romano, la sua reazione più spontanea fu balbettare il suo nome ed arrossire: “E-Etiopia!”

 

“Accidenti, lo vedete anche voi?”

“Sembra proprio di si!”

“Romano aveva una cotta!”

Il ruggito di Belgio zittì subito tutti: “CHE COSA?!”

Nessuno l’aveva vista tanto arrabbiata dai tempi dei furti di waffle! Subito si lanciò sull’apparecchio, afferrandolo come tra degli artigli.

“Che cos’è questa storia?! Non mi hai mai detto che gli erano piaciute altre ragazze oltre a me! Grrrr! Vuol dire che mi ha preso in giro? Chi altro lo sapeva?”

Feli mise subito le mani avanti: “I-io non ne sapevo nulla!”

“Nemmeno io!” –si discolpò la nazione africana, improvvisamente sotto gli occhi del mondo intero!

“L-lo giuro, Belgio, non mi sono mai accorto che Romano provasse qualcosa per Etiopia!”

“M-ma, ma…”

Spagna si rialzò dal suo angolino: “A me invece non sorprende visto che tipo è Romano. Fa il duro, ma in fondo è timido e riservato, non è certo uno di quelli che tendono a confidarsi con qualcuno, anzi, è di quelli che cercano di far finta di nulla.”

Belgio si morse le labbra: “È vero…”
Spagna assunse una posa drammatica: “Eh, si… Lui non mostra facilmente i propri sentimenti, li tiene dentro, per dischiuderli solo con la persona che davvero ama, io ne so qualcosa…”

La voce di Romano, venendo fuori dalla macchina, spezzò barbaramente il suo pensiero romantico: “MA CHE SAI TU?! Io non ti mostro un bel niente perché per te non provo niente, cretino!”

Spagna tornò nell’angolino…

America si grattò la nuca: “Ops! Eh eh eh! Scusa, Spagna! Per sbaglio ho azionato il tubo comunicatore e ha sentito quello che hai detto!”

“Dammi quel tubo! Voglio parlargli!” –gli saltò addosso Belgio!

“Urgh! Buona! Dobbiamo proseguire con la storia!”

Belgio ebbe uno shock: “Argh! E se non mi avesse mai detto niente perché… prova ancora dei sentimenti per lei?! Nooo!”

E Belgio raggiunse Spagna nell’angolino…

“Possiamo prima vedere come va avanti prima di saltare alle conclusioni?”

 

Romano si alzò per andarle incontro: “Etiopia! Che piacevole sor…”

Lo sorpassò…

“… presa…”

“Ho appena finito di macinare il caffè e sono venuta a portarvelo!”

“Ve! Sei gentilissima!”

Romano era rimasto lì impalato con un tic nervoso all’occhio e al ricciolo: << Già… Lei ha sempre avuto occhi solo per Feli… >>

La colonia era di tutti e due, ma non aveva mai ottenuto la stessa considerazione di Veneziano. Sarà che lui era quello che di solito tutti chiamavano “Italia”, come se lui poi non lo fosse; lui era poi quello gentile, quello sempre sorridente… Al contrario, dovendo descriverlo, chissà quanti avrebbero trovato il soprannome datogli da America, “Italia scazzato”, adatto allo scopo.

“Il tuo caffè è il più buono del mondo, Etiopia!”
“Dai, così arrossisco!”

“Dico sul serio!”

Mostrò i suoi denti bianchissimi, che entrambi i fratelli si incantavano a guardare quando sorrideva: “Ih ih ih, grazie!”

Romano strinse i pugni, proprio mentre Etiopia si accorgeva di lui.

“Oh, ciao anche a te Romano! Ehm… Spero che il mio caffè piaccia anche a te!”

Ovvio che gli piaceva: era un risaputo estimatore del caffè! Ma era troppo arrabbiato per rispondere in maniera gentile: “Si, passabile! Ora se volete scusarmi tutti e due, restate pure a fare “Ih ih ih” e “Ve ve ve!”, io me ne vado!”
“Dove vai?” –gli chiese Feli, senza immaginare di essere la causa della sua rabbia.

“Vado… Vado da Libia! Da Libia, si! Lui si che è uno in gamba! Mi diverto sempre un mondo con lui! Umpf! Ciao a tutti e due!”

 

Libia, un’altra delle loro ex-colonie, era un ragazzo dalla carnagione bruno-chiara, che si distingueva per la kefiah verde che portava sopra i capelli ricci che aveva in testa.

“……”

“……”

Non aveva un carattere particolarmente introverso, né particolarmente allegro, né particolarmente alcunché… In altre parole…

<< Dimenticavo che Libia è una vera barba! >>

I due stavano seduti sulla stessa panchina, senza far nulla se non guardare davanti. L’unico sussulto ci fu quando Libia prese da terra uno scatolone pieno di sabbia.

“Giochiamo?”
“GRRR! Ma perché Feli si becca Etiopia e io questo qui?” –si domandò lui, che di certo non era stato invitato ad andarsene…

“Uffa… Ci deve pure essere qualcosa da fare qui… Un momento! In Libia dopo la guerra è stato scoperto il petrolio! A quest’epoca però non sapevamo che ci fosse!”

Gli occhi tornarono a brillargli: “Ci sono! Lo troverò prima del tempo! Così l’Italia diventerà più ricca grazie a me, e sottolineo a me! Ti faccio vedere io, fratellino: resterai a bocca aperta! Tutti resteranno a bocca aperta!”

“Che c’è?” –chiese il mezzo addormentato Libia.
“Prendi la pala! Si va a scavare! Stiamo per diventare ricchi!”
“… Va bene.”

 

Naturalmente non basta scavare a caso in mezzo al deserto, per giunta solo con delle pale, per trovare il tanto agognato oro nero…

“Uuuf! Che caldo! Com’è possibile che non lo abbiamo già trovato?”
“Mi piace la sabbia…” –fece il compagno di scavi che aveva già creato una nuova duna dietro di sé… Perlomeno Libia si divertiva!
“Stupida ucronia! Perché non esce questo petrolio del cavolo?!”

Gettò la pala e si tolse il berretto da fatica dalla testa: “Basta! Mi sono scocciato, me ne torno a casa…” –un chilo di spaghetti gli avrebbero tirato su il morale- “Tu però continua a scavare Libia, non si sa mai.”

“Va bene.” –rispose lui, partendo con la quattordicesima buca a vuoto…

Sconsolato e con le braccia cascanti per la stanchezza, Romano continuò a lagnarsi nella sua testa per tutte le ingiustizie che stava rivivendo e le nuove che gli stavano capitando. Era troppo chiedere un po’ di gloria anche per il tipo che aveva tenuto l’Italia al sicuro dall’alleanza con Germania (in un certo senso)? Si ricordò allora del telecomando per cambiare scena: perché non vedere se il futuro sarebbe stato un po’ più roseo?

“Va bene, vediam… CHE?!”

La scritta sul display affossò invece ancora di più il suo morale…

<< L’Italia entra in guerra >>

“Ma…”

Premette.

 

FLASH!

 

Si risvegliò battendo le palpebre nello studio del duce. Era sull’attenti accanto a suo fratello: il loro capo era scuro in volto, ma in generale ogni cosa era scura, dal cielo nuvoloso ad ogni oggetto nella stanza, al presagire di un annuncio tanto grave.

“Non possiamo più permetterci di restare neutrali. Questa guerra cambierà le sorti del mondo, e l’Italia deve giocare un ruolo, o il suo isolamento diplomatico peggiorerà.”

Romano chiuse gli occhi, sperando di chiudersi in tal modo anche le orecchie.

“Dobbiamo entrare in guerra. Abbiamo raggiunto un accordo con gli alleati: il nostro nemico sarà Germania.”

“Ve… E dire che volevo diventare suo amico…”

Romano si sentì peggio che amareggiato, si sentì preso in giro; ma dopotutto America non gli aveva promesso una macchina della felicità, ma una delle storie alternative.

Aveva chiesto un’ucronia che tenesse Germania fuori dai suoi piedi e da quelli di suo fratello, e alla fine non solo dovevano comunque scendere in guerra, ma addirittura contro di lui. E quello era un tipo tosto…

Con una mano fece il saluto fascista, con l’altra nascose il telecomando dietro la schiena e premette avanti.

 

“Ahi!”

Riaprì gli occhi con la testa che gli faceva male: non a caso l’aveva fasciata! Però non era in un ospedale, e riusciva a reggersi in piedi: sarebbe stato peggio se gliel’avessero appena fatta. Si trovava in un prato, a una decina di metri da un’abitazione.

“Casa nostra?”

Guardò in alto…

“CASA NOSTRA CON LA BANDIERA DI GERMANIA SOPRA?!”

Si acquattò per terra, nel timore di farsi beccare da chissà chi, e strisciò furtivamente fino alla finestra.

“Se casa nostra ha la bandiera di Germania… Vuol dire… Che ci ha sconfitti? Oh, beh… Non è poi così difficile da credere… Maledetto, mangia-patate!”

Si sollevò finché, da dietro la finestra, apparve prima il suo ciuffetto, a mò di antenna, e poi tutta la testa. All’interno vide suo fratello impegnato ai fornelli, ma non aveva una bella cera: aveva le occhiaie, i capelli in disordine, e sembrava ansante dalla stanchezza. Inoltre, l’odore di ciò che stava cucinando era ancora più terribile delle sue condizioni: wurstel con crauti! Sbirciando un altro po’, Romano riuscì pure a vedere Germania, che, mentre suo fratello sgobbava come uno schiavo, se ne stava seduto alla loro tavola a leggere il giornale, come un pascià in attesa di essere servito.

“Ve… Germania, ecco a te! Spero ti piacciano!”

Germania tagliò un pezzettino di wurstel col bordo della forchetta, e anziché mangiarlo prese a guardarlo come un giudice a una fiera.
“Non è ancora cotto per bene. Rifallo.”
Ve! Ma-ma è già la terza volta…”
“Devi imparare a cucinare i wurstel come si deve, Italia!”

“Pe-perché non ti fai preparare un po’ di pasta? Sono bravo con la pasta.”

“Io mangio solo la sana cucina tedesca! Mettiti al lavoro!”

“Sigh…”
“Prima ti sei dichiarato neutrale, e poi all’improvviso hai deciso di attaccarmi così di punto in bianco! Il minimo che puoi fare, ora che ho occupato le tue regioni vitali, è trattarmi con il giusto riguardo!”
“Si… Scusami…”

Germania riprese a leggere il giornale, mentre Feli si avviava a testa bassa nuovamente verso i fornelli.

<< Brutto bastardo! Come puoi trattare così mio fratello? In un’altra realtà tu e lui sareste pappa e ciccia! Adesso vengo lì e… >>

E cosa? Se aveva trattato a quel modo Feli, che era il più adorabile dei due, figuriamoci che gli combinava a lui! Purtroppo la verità era quella: faceva lo spaccone, ma Germania era più grosso e più forte, e la benda che aveva in testa non deponeva certo a suo favore.
<< Stupida ucronia! Sigh! >>

Ma la cosa più irritante era che in un’ucronia in cui suo fratello sarebbe dovuto rimanere alla larga da Germania, proprio lui era venuto a conquistarlo e schiavizzarlo in quel modo ignobile!

Le gambe gli tremavano: << Devo salvare mio fratello… Ma come? Cosa faccio? >>

Un’idea ce l’aveva: prendere finalmente il controllo di quella che era la sua ucronia, ma dove gli era andato tutto storto.

<< … Perché devo salvarlo? In fondo, a lui Germania è sempre piaciuto! >>

Strisciò via dalla finestra, fino a un sicuro cespuglio.

<< Che diamine, non voglio mica fare la stessa fine! E poi… Ci sono dei vantaggi! Feli è sempre quello che tutti vogliono bene, quello più bravo e più gentile, che piace a tutti… Beh, sai che c’è di nuovo? È arrivata la rivincita di Romano! >>

Si alzò, con foglie e rametti che gli si erano attaccati dappertutto: “Si! In fondo, la mia parte è ancora libera! Chi se ne importa se non ho il nord? Tanto lì fa freddo e mangiano quella polenta schifosa! Mi spiace per Feli, però chissà, forse succede come nel nostro mondo e la resistenza lo libera! Finalmente sarò io quello che tutti chiamano “Italia”, quello più importante! Quello che fa subito colpo sulle ragazze!”

Era così convinto che, nel fuggire via, si guardò dietro soltanto una volta…

E la prima cosa che fece Romano, nel suo momento di più spregevole codardia, fu procurarsi un vestito nuovo e un mazzolino di fiori… Di ragazze infatti ne aveva giusto in mente una!

Più che mai determinato ad essere egoista fino in fondo, l’Italia del sud comprò poi un biglietto per l’Africa orientale e si imbarcò verso casa di lei.

“All’inizio non ero molto convinto…” –si aggiustò il papillon- “Ma adesso si! Sono sempre passato per l’Italia di serie B, ma ora che sono l’unica Italia che c’è, la mia stella inizierà a splendere! Per prima cosa mi dichiarerò ad Etiopia! E poi andrò a vedere se Libia ha scoperto il mio petrolio! Ah ah ah! Sarò io quello importante, ricco e felice!”

Se un’ucronia non va per il verso giusto, tocca a te rimboccarti le maniche e girare la frittata (e poi dicevano gli italiani erano pigri…); chi ne aveva più diritto di lui, così tanto bistrattato dalla storia?

<< Preparati Etiopia, Romano, l’unica e sola Italia, sta venendo da te! >>

Arrivato nei pressi di casa sua, si acquattò (rendendo quindi del tutto vano l’essersi comprato un vestito nuovo…) e strisciò sui gomiti fino alla finestrella della capanna in cui viveva: preferiva farle una sorpresa… E poi era risaputamente un timidone!

“Cavolo, mi sento la faccia tutta strana! Devo essere diventato un pomodoro vivente!”
Meglio sbrigarsi prima di squagliarsi in sugo allora! Si alzò in piedi e sbirciò.

Vide le sue spalle, la sua lunga chioma crespa e la coda.

E sentì il suo singhiozzare.

Alzò gli occhi al cielo: “Che altro c’è ora? Possibile che non ci sia una sola persona che stia bene in questa storia alternativa?”

Si alzò in punta di piedi per capire, e vide su cosa andavano a finire le sue lacrime, una specie di foglietto. Era una foto.

“Sniff… Italia…”

Uno foto vecchia, sgualcita, dei primi tempi in cui si erano conosciuti: lei che rompeva una ramazza sulla testa di suo fratello dopo aver scoperto che aveva cercato di fregarla e trasformarla in una sua colonia facendole firmare un contratto truccato (non che lui sapesse, era stata una genialata dei loro superiori…).

Singhiozzò, ripetutamente.

Per la rabbia che aveva in corpo, il suo ammiratore segreto era sul punto di sfondare la porta.

<< Ti prego smettila… Smettila di singhiozzare per lui, accidenti! >>

“Spero che almeno Romano stia bene!”

“……”

“Sono sicuro… che ti salverà, Feli! Sigh!”

“……”

Che schifo di ucronia. Geloso, traditore e ora verme.

Tutto quello che aveva desiderato, era di essere considerato di più dagli altri. Ma se ormai nemmeno tu pensi di essere qualcuno che vale, come pensi che possa convincersi qualcun altro?

 

“Hai visto Italia nella sua ucronia? Rinunciare a tutto quello che ha sempre desiderato per restare insieme al fratello: ammirevole.”

“Che tenero, e che coraggioso!”

“Non sapevo fossero tanto uniti.”

“Romano è davvero fortunato ad avere un fratello come lui.”

 

“………”

Lasciò i fiori a una bambina che passava di lì, e pensò a suo fratello da lì fino alla nave.

<< Ma a chi voglio darla a bere? Io non posso lasciare mio fratello, tantomeno nelle mani di quel crucco… >>

Etiopia poteva amare più Feli, poteva arrivare ad accettarlo, ma gli altri si erano messi in testa un errore imperdonabile: era sempre stato Feliciano ad essere fortunato ad avere lui come fratello, non viceversa!

Tornato a casa, nel suo momento di maggiore determinazione e coraggio, la prima cosa che fece fu rindossare la divisa e riabbracciare il fucile.

“Bene… Andiamo a prendere a calci qualche crucco!”

Quell’ucronia era sua e l’avrebbe risolta lui: ma nel modo giusto!

Guardò fiero e battagliero verso il cielo… e poi si afflosciò!

“Ohi ohi… Speriamo almeno che America e gli altri mi diano almeno una manina!”

Tirò fuori il telecomando e pigiò “avanti”.

 

Tutto è bene quel che finisce bene! La guerra era conclusa: alla fine era stato un pareggio si poteva dire, con gli alleati che avevano convinto Germania a tornare sui suoi passi. Suo fratello tornò libero e sulla loro casa si rialzò l’amato tricolore!

“Pastaaaaaaa!”

Romano sorrise: da quando era tornato libero di cucinare ciò che voleva, era talmente euforico che ogni volta che era pronto da mangiare doveva urlare il nome del loro piatto preferito, come per impedire a quei wurstel da incubo di tornargli in mente.

“Ve!” –esclamò Feli, con le labbra tutte macchiate di rosso- “Grazie per avermi aiutato, fratellone!”
“Di nulla…” –fece lui, che doveva mangiare con la sinistra pur non essendo abituato visto il gesso alla destra…

“Sono contento che tutti abbiano fatto pace, anche se siamo ancora soli. Però se è stare solo con te, può andare benino!”

<< Oh, beh… Non ho ancora capito se è stato un bene o un male che si sia alleato con Germania, ma in ogni caso, finché resta con me, non ha nulla da temere. >>

Tirò le somme su quel finale: avevano conservato le loro colonie (e pure la loro dittatura purtroppo…); quanto agli amici, di sicuro sarebbero riusciti a trovarne qualcuno, specie in un’atmosfera rilassata come quella della pace.

“Vuoi un caffè?” –gli chiese Feliciano quando ebbero riempito la pancia- “Etiopia non manca mai di rifornirci la dispensa.”

“Ottimo!”
TOC TOC!
“Oh, e ora chi sarà?”

Mentre Feli andava ad aprire, Romano annusò il piacevole aroma dei chicchi di Etiopia…

“HOLA!”

“?!?!?”

Purtroppo però a bussare alla loro porta non era stata lei, ma Spagna!

“Ve! Ciao! Che cosa ci fai qui?”
“Sono venuto a vedere come stavate dopo averla scampata! Vi ho portato una pianta di pomodori come regalo!”
“Che bello! Non è un pensiero gentile, Romano?”
“Ge-gentilissimo…”
“Ti vuoi accomodare? Stavamo giusto per fare un caffè!”

“Volentieri!”
“Ehi, no! Io non voglio che si accomodi!”
“Toh! Guarda un po’ che c’è nella mia tasca! Un trattato di alleanza! Vi va di firmarlo?”
“Siii!”
“NOOO! Tutti ma non lui!”

Invece si, dato che già in passato il loro capo aveva dato una mano al suo: era una conseguenza abbastanza ragionevole.

Antonio corse a prendergli le mani: “Mi querido Romano, che gioia! Ora siamo alleati!”

Suo fratello già saltellava di gioia: “Che bello, abbiamo un amico! Ora potremo invitarlo a pranzo da noi!”
“Oh, mi farebbe molto piacere! Ora che siamo alleati, mi vedrete più spesso… Parecchio spesso…” –sussurrò nell’orecchio di Romano.

“Non è possibile… Scampare a Germania per finire nelle grinfie di questo qui! Non me ne va bene una! Adesso basta, chiudiamola qui!”

Spagna restò allibito quando sentì la sua stessa voce provenire da chissà dove: << No, ti prego! Proprio ora che questa ucronia sta diventando interessante! >>

“FATEMI SUBITO USCIRE DI QUIIIIIIII!!!”

 

 

“Bentornato tra noi!”

Romano rispose con uno sguardo torvo al sorriso ebete di Alfred: “Sappi che ho un bel po’ di reclami da fare sul tuo prodotto!”

“Niente rimborsi!”

L’italiano si rimboccò le maniche: “Se vuoi scusarmi, ho tre cose importantissime da fare!”

Alzò il dito al cielo: “Numero uno!”

Cercare Belgio per trovarla con le guancie tutte rosse e gonfie di rabbia e gli occhioni pucciosi pieni di lacrime: “Che vuoi tu? Perché non te ne vai a flirtare con quell’Etiopia? Tu con me hai chiu…”

La zittì baciandola. E lui era un baciatore pieno di trasporto!

Fu Francia a parlare per tutti gli attoniti lì intorno: “Magnifique! Così si fa con una donna!”

“Che uomo…” –si complimentò America.

Lasciata Belgio sul posto in trance con gli occhi a cuoricino, e ignorato deliberatamente Olanda che si sgranchiva le nocche, procedette spedito e deciso alla numero due!

“Etiopia!”

Le afferrò la mano e fece un’espressione da film drammatico: “Non poteva funzionare tra noi, dolcezza.”

“Ehm… Che peccato!” –fece lei un po’ imbarazzata.

“Numero tre!” –gridò, e si diresse al fratello.

“Ro-Romano?”

“……”

“……”
“TI VOGLIO BENE, FELI! BUAAAAAHHH!”
“VEEEEE!” –scoppiò a piangere l’altro a sua volta, abbracciandolo- “ANCHE IO! BUAAAAHH!”

“Scusami se sono stato un bastardo lì nello scatolone!”
“Fa niente, fratellone!”
Germania, prima sgomento, non poté non sciogliersi vedendo il loro affetto così salda: “Eh eh, sono felice che siate più uniti che mai!”

“Ah, già! Numero quattro!”
“Eh?”

Il tempo per Germania di riaprire gli occhi e c’era Romano che artigliava l’aria a un palmo dal suo naso, mentre Feliciano cercava con tutte le forze di impedirgli di commettere qualche pazzia bloccandolo alla vita!

“Io ti odio, brutto maledetto puzzone! È sempre colpa tua di tutto, che tu ci sia o no! È colpa tua anche quando non è colpa tua! Io ti distruggo! Ti prendo a morsi! Ti riduco in farina e ci faccio la pizza! Vieni qui! Ti sistemo io! Grrrrr!”

Germania sospirò e se ne andò: purtroppo, fintanto avrebbe avuto a che fare con Feli, avrebbe sempre dovuto fare i conti col suo caro fratellone!

 

 

 

Cavoli, sto diventando sempre più lungo con questi capitoli! Scusatemi tanto ^_^”

Come al solito mi vengono un sacco di idee, non riesco a tagliarle e mi dilungo troppo XP

Spero però l’abbiate apprezzato, dall’inizio alla fine ^__^ Il povero Romano, a differenza degli altri, sembra aver sofferto un po’ di più questo cambio del corso storico, ma proprio perché la sua è stata una storia più difficile ha dovuto dimostrare tutta la forza che possiede! E poi dai, gli ho anche dato il bacio a Belgio X3

Che non me ne vogliano i fan SpaMano, ma io sarò sempre per loro due!

Spero vi siano piaciuti anche i miei OC! Se volete sapere com’è fatta Etiopia, ecco il link dell’autrice di deviantart da cui l’ho ripresa (leggete il suo doujin ItaEtio, è stupendo!) >>> http://plenier.deviantart.com/gallery/#/d4tgt2i

Chissà, forse se non fossimo entrati in guerra ci sarebbe andata anche peggio, anziché meglio, chissà… Ad ogni modo, speriamo che a noi italiani non ce ne capitino più di prove così ardue, ma che in ogni caso saremo sempre pronti a superarle tutti uniti!

Alla prossima ucronia!

 

PS: ROMANO X BELGIO ORA E SEMPRE!

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Capitolo 5
*** E se Giovanna d'Arco non fosse stata catturata? ***


Ehilà! Come ve la passate? Eccoci ad un nuovo aggiornamento! Temo che d’ora in avanti saranno un po’ meno frequenti visto che ho le lezioni in ospedale ora… Ma non guastiamoci il morale con questa comunicazione di servizio, dai! ^__^
Andiamo a vedere chi si farà avanti per una nuova domanda! E andiamo pure a vedere se riuscirò a farlo un po’ meno lungo degli ultimi due… XD

Non sarà un’ucronia molto “storica” stavolta, diciamo che è più incentrata sul personaggio che l’ha richiesta.
Questo capitolo lo dedico alla lettrice che mi ha suggerito l’idea, che è anche una di quelle che mi seguono più assiduamente qui nel fandom di Hetalia, e che per rispetto della privacy chiamerò semplicemente “Ceci” ^__^

Spero di riuscire a soddisfare la tua curiosità!

Buona lettura a tutti!

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

PPS: Altri OC in arrivo! Li troverete tra poche righe, e provengono dal doujin di Deviantart “Maaf”. Se non lo conoscete vi consiglio di correre a leggerlo (potete raggiungerlo attraverso i link qui sotto), perché è veramente il doujin su Hetalia più ben fatto che abbia mai letto!

Ecco qui intanto l’aspetto, con sotto la descrizione in inglese, di questi nuovi personaggi:

>>> http://dinosaurusgede.deviantart.com/gallery/31716477?offset=24#/d4cdrdk

>>> http://dinosaurusgede.deviantart.com/gallery/31716477?offset=24#/d41ww39

 

 

 

Dopo aver visto l’ucronia proposta da Romano, tutti erano stati più o meno concordi nel considerarla abbastanza “sfortunata” rispetto a quelle vissute dagli altri, non che queste fossero state tutte sorprese piacevoli per i protagonisti.

Fortunatamente, Belgio era della stessa idea, quindi (essendo stato pure bravo Romano a riconquistarla con quel bacio da latin-lover) si era subito prodigata per ripagarlo a dovere.

“A me piace Belgio.”
Bacino.

“A me piace solo Belgio.”
Bacino.

“Belgio è la più bella del mondo.”
Ancora bacino! Sulle labbra, sulle guance, sulla fronte, sul nasino… Non c’era quasi punto che si fosse dimenticata!

“Per quanto ancora devo continuare?” –chiese Romano, che l’aveva fatta sedere sulle proprie ginocchia.

“Oh, dipende da te: tante volte quanti sono i bacini che vuoi da me.”

“Allora saranno tantissime! Più di tutti i pomodori del mondo!”

Doppio bacino!

Intanto, a qualche passo, gli altri li guardavano e inorridivano per la troppa dolcezza.
“Che fortunato bastardo!” –esclamò Francia.

“Ma trovatevi una stanza!” –esclamò Prussia.

“Se solo ne dicesse una su di me…” –si depresse Spagna.

“E piantala tu!” –lo rimbeccò Gilbert- “Sul serio! Queste ucronie fanno anche spanzare ogni tanto, ma possibile che in tutte debba starci questo cavolo di romanticismo?”

“Purché si tratti di romanticismo yaoi… a me va bene!” –ghignò perfida Ungheria alle sue spalle, che segretamente aveva già incaricato Giappone di disegnarle un doujin sul regno “molto unito” di Francia e Inghilterra.

Gilbert, scosso da brividi di terrore, si allontanò!

Ma non tutti erano in disaccordo con tutti quei sentimentalismi che la macchina stava mostrando loro. Anzi, proprio quei momenti così commoventi avevano attirato fino alla prima fila alcune nazioni particolarmente appassionate del genere!

“Ah, fantastico!” –congiunse le mani Indonesia, vibrante di eccitazione- “Queste storie alternative sono una più bella dell’altra!”

“Verissimo!” –fece sua sorella Filippine, seduta alla sua destra- “Ho apprezzato particolarmente la dolcezza di Italia, e come ha rinunciato a tutto per la sua famiglia!”

“Anch’io: lo sapete che per essere un uomo sono un gran sentimentale.” –commentò India, seduto invece alla destra della ragazza col codino- “Personalmente ho adorato di più il complicato rapporto quasi padre-figlio che unisce America e Inghilterra. A proposito America, colgo l’occasione di questa pausa per farti i complimenti per questi capolavori con cui la tua macchina ci sta deliziando.”

“Bravissimo!”, “Grande, America!” fecero una dopo l’altro le due sorelle.

“Brunei, vammi a prendere un altro hot-dog.” –ordinò la loro altra sorella Malesia, che si era occupata da sola due sedie per appoggiare i piedi e spaparanzarsi.

“Eh eh eh, troppo buoni! Se devo dire la verità io sono più il tipo da esplosioni, ma… si, non è male, dopotutto è qualcosa venuto da me.”

India annuì: “Storie degne di Bollywood!”
America rise: “Hollywood vorrai dire.”
L’asiatico gli rise in faccia: “Come no, ma se hai appena finito di dire che la tua è solo roba di esplosioni! Esplosioni e banalità aggiungerei. Bollywood ormai vi supera largamente a voi americani!”

L’atmosfera si fece tesa: “Non sono d’accordo, è meglio Hollywood…”

“Bollywood…” –ribatté la nazione col puntino rosso sulla fronte.

“Hollywood.”

“Bollywood.”
“Hollywood!”
“Bollywood!” –gridarono Indonesia e Filippine!

“Non vale! Ti sei portato la tifoseria! E poi che razza di film sarebbero i tuoi? Alla fine tutti i personaggi si mettono a ballare!”

“Il lieto fine va degnamente festeggiato!”

Indonesia sospirò: “Ah, speriamo di vedere altre belle storie d’amore!”

Qualcun altro venne ad affacciarsi alla prima fila: “A me non dispiacerebbe un po’ d’azione invece.”

Era un ragazzone bello alto, con un cerotto sul naso e un koala sulla spalla: “Australia!”

“Ciao Indy!” –ricambiò l’entusiasmo di lei, col suo sorriso smagliante da  avventuriero- “Queste ucronie sono una vera figata, mi chiedevo se ci fosse posto da queste parti per guardarle meglio!”

“Oh, sicuro, dammi un secondo!” –rispose lei malgrado i posti occupati sia a destra che a manca.

“Signor India” –lo chiamò con gentilezza- “Ho dimenticato il mio ventaglio sul tavolo delle riunioni, potrebbe per favore andarmelo a prendere?”
“Ma certamente, vado e torno!”

E due secondi dopo che si fu alzato, Indonesia indicò il posto appena svuotatosi al nuovo arrivato.

“Oh, India… Sempre così gentile, così affabile, così manipolabile! Ih ih ih!” –mormorò con un’aura piccolina quanto lei, ma ugualmente raccapricciante!

“Sai, è una fortuna averti per amica…” –commentò vedendola in quel modo…

Mai sottovalutare gli asiatici, specie se sono donne!

“Forza, forza!” –alzò la voce America- “Continuiamo! Chi di voi vuole essere il prossimo a fare una domanda?”

Notò il buon vecchio Russia, seduto un po’ in disparte, anche un pochino di spalle.

“Ehi, Russia, vecchio mio! Vuoi provare tu?”
“No, grazie. Non sono interessato.” –rispose lui seccamente.
“Uh, che freddo, qualcuno accenda il riscaldamento! Come fai a rimanere così insensibile? Su, chi vuole provare?”

“Tres bien!” –si alzò Francis- “Allora stavolta tocca a me.”

“Oh oh, ecco che arriva Francia! Sento nell’aria odore di domandona!”
“Umpf!” –sbuffò Inghilterra- “Io sento odore di banalità.” –disse mentre Francia gli passava accanto, per la qual cosa gli menò un’occhiataccia interrogativa.

“Prego!” –fece Alfred, passandogli il testimone, ovvero il tubo per le domande.

“Banalità in arrivo…”

“La mia domanda riguarda la Guerra dei Cent’anni.”

“Ah! Eccola! Ci avrei giurato! Quanto sei banale!”
“Ma si può sapere che diavolo vorresti dire?”
“Che era sicuro come il tè delle cinque che avresti fatto una domanda su quell’episodio! Scommetto che sarà tutta incentrata per vendicarti della mia domanda e mettermi in imbarazzo: sei banalissimo!”
“Innanzitutto nella tua ucronia ti sei messo in imbarazzo da solo…” –lo colpì dritto al bersaglio con uno sguardo da seduttore…

“Urgh!”

“In secondo luogo, anche se so che ti dispiace, devo dirti che non sei sempre al centro dei miei pensieri, sai?”
“Come sarebbe a dire? Ehm, no! È una cosa buona che non lo sono! Non ci devo essere mai, rana pervertita!”

“Ehm, questa domanda?”–tagliò corto America.

Fu allora che su Francia si accese un riflettore e gli comparve una rosa in mano.

“?!?!?”

“La mia domanda è su una donna. Una pulzella. Una soave e innocente quanto ardita ragazza di appena diciannove anni che nel mio momento più buio, mi prese per mano per ricondurmi alla luce, e io mai amai altra come amai lei.”

Filippine e Indonesia emisero un lungo sospiro.

“Ma poi!” –urlò per aggiungere drammaticità, spaventando tutti!- “Codesto bieco sopracciglione qui…”

Indicò ovviamente Inghilterra, il quale, sgomento, si toccò quelle specie di trattini che aveva sopra gli occhi chiedendosi cosa avessero di male.

“Avutala tra le mani, solo perché sua nemica, solo per fare un torto a me, gettò discredito sulla sua purezza, condannandola ad atroce morte! Senza colpa, quel candido fiore finì tra le fiamme, divenendo cenere, e io con lui.”

“Attore nato!” –applaudì Giappone!

Stufo, Romano tirò una scarpa sul riflettore, frantumandolo ed interrompendo il suo monologo.

“Avete capito di chi stiamo parlando, vero?”

“Si, l’abbiamo capito che si tratta di Giovanna d’Arco…”

“Oui! Ebbene, e mi scuso con voialtri perché questa domanda, in un certo senso, è tutta per me: vorrei sapere cosa sarebbe successo se il mio angelo salvatore non fosse mai stata catturata quel triste giorno lì a Compiègne nel 1430. Vorrei tanto sapere che futuro avrebbe avuto se non fosse stata condannata, ma avesse potuto continuare a vivere e a combattere.”

“Uffa, altro romanticismo!” –si abbatté Australia.

“Alla faccia tua, piromane!”
Inghilterra montò un broncio e si girò dall’altra parte.

“Bene Francia, eccoti il telecomando! Pronti, partenza…”
<< Jeanne… Sto tornando da te! >>

“Via!”

“Pour l’amour!” –gridò il biondo, gettandosi in tuffo dentro il vortice della mirabolante Macchina dell’Ucronia!

 

 

Guardò l’anno indicato sul telecomando: 1438. Sette anni dopo la morte di Giovanna, che però non era avvenuta.

Si diede un’occhiata e sorrise soddisfatto: “Uhm… Non male: armatura da parata con usbergo blu a gigli dorati. Tres chic! Mi mancava vedermela addosso!”

Toccò il pomello della spada al fianco: che emozione essere tornato un cavaliere, un galante uomo d’arme dei vecchi tempi in cui dire il suo nome era dire il fior fiore della nobiltà d’Europa. Per fortuna non gli era comparso anche l’elmo: i pennacchi bianchi e colorati erano belli da vedere, ma non gli era mai piaciuto il modo in cui gli schiacciava i meravigliosi capelli, facendoli uscire tutti appiccicaticci. Che orrore e che fatica poi risistemarseli.

Fece due passi guardandosi intorno, producendo un gran rumore di ferraglia, che gli fece provare altra nostalgia; ma una nostalgia allegra, senza un eccesso di rimpianto che gli potesse guastare quel viaggio straordinario in un epoca che mai fu e mai sarebbe potuta essere. Tutto ciò che vedeva, ogni istante da quel momento in poi, era un’occasione unica ed irripetibile!

Quanto al luogo, aveva subito riconosciuto il vecchio palazzo dei suoi monarchi, a Parigi, ed aveva fatto caso alle coccarde, ai fiori, alle decorazioni per ogni dove, e agli indaffarati servi e alle trepidanti ancelle che come formiche industriose giravano per lì intorno.

“Si sta preparando qualche grande evento. Mi chiedo di cosa si tratti.”

Un grido femminile gli scombussolò i pensieri per un istante.

La sua voce!

“Jeanne!”

Tornava a sentirla dopo secoli ed era un verso di dolore: aveva abbassato troppo la guardia. Seguendo la direzione della voce incontrò una porta semiaperta, e si preparò stringendo il manico della spada nella mano destra.

“Jean! Che succe…”

Lo stupore di rivederla, viva, vegeta e più stupenda di quanto ricordava, fu superato dal quello prodotto dagli sguardi sgomenti e imbarazzati che lei e le altre quattro dame, indaffarate tra stoffe, metri e spilloni, gli rivolgevano.

Una di loro gridò: “Messere, cosa fate?”

“Non potete entrare così mentre una donzella sta vestendosi!”
“I-io, l’avevo sentita gridare e…”

La sua risata, come un soave balsamo, lavò via ogni sua ansia.

“Tranquillo, Francia, mi hanno solo punta con un ago… Per la quinta volta…”
“Chiedo perdono…” –fece inchinandosi la più giovane delle sarte di corte.

“Mio signore, non potete restare qui!” –fece la più anziana, frapponendosi tra lui e il piedistallo su cui era assisa Jeanne, a subire, tutto sommato, una tortura ben più lieve di quella che aveva patito nel suo mondo- “È sconveniente!”

“Suvvia, può rimanere. Non sono mica ignuda.”

Vero, senza contare che la biancheria intima di quel periodo era decisamente più sobria e non si rischiava mai di vedere granché… Proprio per questo aveva acquisito la passione di fare da sé con l’immaginazione!

Francia si fermò ad attendere, composto con le braccia incrociate, ad uno degli angoli della stanza; pensieri impropri per un cavaliere a parte, notò, a conferma delle sue ipotesi, che Jeanne si avviava ad indossare un abito meraviglioso e degno di una grande occasione.

“E poi, lui non è un cavaliere come gli altri.” –continuò il suo angelo, regalandole un altro fugace sorriso, solo per lui.

“Siete sicura?”
“So che della sua onestà e della sua purezza mi posso fidare ciecamente.” –annuì, cogliendo ogni occasione buona per guardarlo negli occhi blu a lei più cari di quanto mai quelle donne potessero immaginare.
“Umpf!”

Al che Francia dovette subire la necessaria reazione del pubblico, che approfittò del fatto di poter farsi sentire da lui solo per fargli giungere alle orecchie la sua altisonante e corale ridarella!

“FRANCIA PURO?!?!?” –urlò Prussia a corto di fiato.

“AH AH AH! TENETEMI!” –soffocò Spagna.

“MA BA------LO!” –disse con tutto il cuore Romano in puro romanesco, finendo poi a rotolarsi a terra!

“Bella considerazione che ha di te, Francia…” –sghignazzò Inghilterra- “Mi chiedo solo se non sia un tantino distorta, ih ih!”
“Solo un tantino? Ah ah ah!”

“Quels idiots… Je vais vous tuer!” –pronunciò con la voce più nera (e più bassa) possibile…

“Ahi!”

Francia reagì alzando subito il capo.

“Tranquillo!”

Si rilassò e rise insieme a lei.

“Non essere così nervoso. Che dovrei dire io che il gran giorno è arrivato?”

Francia sbarrò gli occhi e li puntò sul velo, appeso a un manichino nell’altro angolo, da lui non notato finora, troppo perso nel tornare dopo tanto tempo su ogni suo stupendo dettaglio. Dunque si sposava.

“E che dice il fortunato?”

Fece spallucce: “Che vuoi che dica? Potevano benissimo fargli aspettare qualche altro annetto visto che è solo un ragazzino. Penso che Louis preferisca continuare a giocare con i suoi amici e godersi la sua vita piuttosto che pensare a sua moglie.”

Fece qualche conto con gli anni: << Si, forse sono riuscito a capire. >>

Giovanna era sopravvissuta al rogo, in quanto mai catturata dai borgognoni per essere ceduta agli inglesi. Di conseguenza la sua stella aveva continuato a brillare, e il corso della storia era rimasto inalterato, se non era diventato ancora migliore per i francesi: gli inglesi erano stati cacciati oltre la Manica, e una volta compiuta la sua missione, che farne ora dell’eroina amata da tutti? Quale modo migliore che assicurare la stabilità del regno e il favore nei confronti della dinastia, che darla in sposa al delfino, il primogenito, l’erede al trono.

Giovanna d’Arco, la contadinella mandata da Dio per salvarlo, stava per diventare la moglie del futuro Luigi XI, re di Francia.

“Umpf!”
“Perché ridi?”

“Nulla… Pensavo solo a quanta strada hai fatto. Contadina, lunatica, generale, eroina... e ora moglie di un futuro sovrano.”

“Ti dirò…” –chinò con modestia il capo- “Avrei tanto voluto rimanere “pulzella” per sempre…”

Aveva espresso voto innanzi a Dio per essere colei che avrebbe risollevato le sorti delle sue genti, pura nel cuore e nel corpo aveva affrontato mille perigli, senza distrazioni, poiché “sposata” unicamente al suo paese.

“Ma ormai la Francia è salva, il suo popolo è unito e il nemico lontano. E io sento che questo è il modo, anche se inaspettato, in cui potrò continuare ad essere utile alla sua causa. Se la provvidenza vuole così…”

Iniziò ad avvicinarsi: “Prima sei umile, poi tanto orgogliosa.”
“Non me ne faccio nulla di una corona o di un illustre marito. Posso mostrare orgoglio unicamente per il bene che compio e che potrò compiere per la Francia.”

A un passo da lei, iniziarono a fissarsi. Si ricordò dei suoi capelli corti, maschili, quando era diciannovenne, ed ora, ventiseienne, maturata nella fede in Dio e nella foga della guerra, ormai fuori da quella vita perigliosa che tanta gloria le aveva dato, poteva finalmente lasciarseli crescere.

Lunghi, di un castano chiarissimo, incorniciavano il suo volto ancora giovane, e come onde fluenti cadevano giù; un ruscello limpido nelle cui correnti Francia si sarebbe abbandonato ogni istante della sua vita.

Guardandola, sapeva per certo, senza ombra di dubbi, di essere la più fortunata delle nazioni.

Perché nessun’altra, anche in millenni di storia, aveva mai avuto qualcuno che tanto l’amasse dal profondo del cuore, fino a votare la propria anima a lei.

“Sei diventata una donna meravigliosa. Non storcere il naso davanti a tutto ciò: meriti tutto questo.” –disse, sfiorandole una mano con lo sguardo, non potendo di più dinanzi le indiscrete damigelle.

“Io ti devo tutto.”

“No, Francia: sarei morta da tempo se non fosse stato per te.” –disse, carezzandogli il viso con l’abbassare gli occhi un po’ lucidi- “Quel giorno in cui venisti a salvarmi mi hai permesso di arrivare a questo punto. Io devo tutto a te.”

“… Beh, sarebbe stata una scortesia immane da parte mia non salvare la mia salvatrice!”

“Ih ih ih!”

Di cosa parlava, si chiese?

<< UH?! Che succede?! Perché tutto sta diventando sfocato e distorto?! >>

Udì dall’alto la voce di America: << Tranquillo, amico, è tutto ok! Sta solo partendo un flashback! >>

<< Ah, capisco, come in tv… Che flashback? >>

<< Tu e lei siete grandiosi, ma non ricordi che il pubblico voleva anche un po’ d’azione? Diamogli quello che vuole! >>

<< Va bene, vediamo… >>

La banda di uomini armati procedeva svelta per allontanarsi il più presto possibile da Compiègne. Al centro della colonna, tenuta bene in vista dagli ultimi, la pulzella di Orléans veniva costretta a procedere, malgrado la stanchezza per lo scontro appena finito, trascinata per la corda che le stringeva i polsi; dietro di lei, alcuni uomini del suo seguito, fattisi catturare insieme con lei.

Malgrado la donna malefica che tanto aveva dato da penare loro e ai loro alleati fosse ora inoffensiva e saldamente nelle loro mani, negli occhi dei suoi guardiani persisteva un certo timore: era così giovane, eppure era stata capace da sola da rovesciare una guerra che non sembrava più in discussione, e la calma e la concentrazione con cui pregava procuravano ulteriori brividi di reverenza ai borgognoni che sarebbero passati alla storia per aver catturato la più temibile delle donne di quell’epoca.

“Cosa pensi che le faranno?”
“Il nostro signore probabilmente la venderà agli inglesi e se la sbrigheranno loro.”

L’importante era la ricompensa che sarebbe spettata loro, e il sollievo del togliersi definitivamente da torno un simile fastidio: sembrava di dover proseguire con una boccia di fragile vetro sulla testa, tanto era importante la loro cattura.

Tra i borgognoni c’erano solo due cavalieri, uno dei quali procedeva alcuni metri più avanti, per tenere sgombero il passaggio. A poca distanza da un ponte su di un fiumiciattolo, questi si accorse di un albero caduto proprio davanti il sentiero. Le orme ancora fresche intorno ad esso confermarono i suoi sospetti, facendogli lanciare l’allarme: “Imboscata!”

L’istante dopo, un dardo di balestra lo trapassò, abbattendolo dalla cavalcatura. Avvisati in tempo, i borgognoni approntarono le armi, ma non erano certo preparati a veder sbucare dalla macchia di cespugli alla loro destra un possente omaccione, dalla barba ispida e gli occhi iniettati, che correva contro di loro gridando e brandendo un enorme spadone a due mani.

“Evvai! Ora si che si ragiona!” –alzò i pugni Australia, entusiasmandosi alla vista di quel bestione che mulinando la pesante arma si faceva largo da solo tra i nemici come niente, prima ancora che gli altri soldati francesi potessero arrivare dalle sue spalle.

Altri ancora piombarono loro addosso dalle dietro, dopo essersi lasciati superare qualche centinaio di metri prima. Alla guida di questo secondo gruppo vi era un cavaliere senz’elmo, su di un cavallo bardato d’azzurro.

Travolse due nemici, incrociò le armi con un terzo, disarmandolo e abbattendolo; giunto al centro dello scompaginato schieramento avversario, smontò per liberare la prigioniera dalle corde ai polsi: “Stai bene, Jeanne?”

“Francia! Grazie a Dio…”

Una decina di borgognoni riuscì a fuggire, altri invece si lasciarono prendere prigionieri. Tornata la quiete al prezzo di un po’ di sangue, i francesi si girarono tutti verso di loro, ebbri di gioia.

“Vive Jeanne d’Arc!” –gridò uno di essi!

“Vive! Vive! Vive!” –risuonò tra gli altri!

L’omaccione barbuto intanto si era comodamente seduto sul corpo di un cadavere nemico e stava pulendosi lo spadone con un panno.

“Ottimo lavoro, monsier La Hire: un’azione impeccabile.” –si complimentò Francia.

“Vi ringrazio infinitamente, monsier La Hire.” –chinò il capo Jean.

“Tsk! È merito di Francis: ha fatto bene a sospettare di quel bastardo di Guglielmo di Flavy! Quando abbiamo saputo che aveva fatto chiudere le porte della città prima che tu e le altre truppe rientraste, non abbiamo avuto più dubbi e siamo riusciti ad intervenire in tempo. Ringrazia lui quindi!”

 

(NDA: Questo La Hire è un personaggio realmente esistito che combatté al fianco di Giovanna >>> http://it.wikipedia.org/wiki/La_Hire )

 

Jeanne si lasciò quindi andare ad un veloce abbraccio con il suo amato (tanto il rude guerriero non faceva caso a simili “sconvenienze” tra uomo e donna non sposati).

<< Umpf, un flash-back in cui faccio una gran figura da eroe! >>

Che finì quando tutto tornò a sfocarsi, riportandolo nel “presente” della sua storia.

 

Francis colorò il proprio sorriso di una nota più scura, quando si rammentò di come era andata realmente: aveva tentato per ben due volte di salvarla mentre la spostavano da una prigione all’altra, fallendo miseramente entrambe le volte…

“Cosa c’è?” –chiese, troppo brava ad accorgersi di ogni singolo mutamento nel suo animo.

“Pensavo a cosa sarebbe successo se avessi fallito.”

“Qualunque cosa sarebbe stata, il Signore mi avrebbe protetto, fino alla fine.”
“Si, hai ragione… Mi congedo, mia signora: lasciamo che le brave donne qui presenti facciano il loro lavoro.”

Queste dal canto loro parvero davvero entusiaste.

“Ti vedrò alla cerimonia, vero?”
Sull’uscio le fece un occhiolino: “Non me la perderei per nulla al mondo.”

 

Giovanna d’Arco, la salvatrice, si sposò nella cattedrale di Notre-Dame de Paris in un bel mattino di sole, entrando nella famiglia reale come consorte del delfino, Louis. Francia occupò un posto tra i primi banchi, da cui la vide contrarre il sacro vincolo e poi sedersi accanto al giovanissimo marito ciascuno su un proprio trono di legno, per lasciarsi ammirare ed acclamare dai grandi del regno.

La visionaria Jeanne, la maschiaccia Jeanne, era ora una donna a tutti gli effetti: così terminava la leggenda della guerriera, così iniziava quella della principessa. I genitori di lei, facenti parte del volgo, non erano presenti, ma lei non era triste, dato che i suoi profondi occhi blu erano lì, a fissarla tanto fieri e a lei bastava.

 

Dopo la messa e la consacrazione, tornarono tutti a palazzo per il ricevimento. Dinanzi i finestroni era stata imbastita una tavola che copriva tutta la lunghezza della sala: al centro stava ovviamente il suo re, Carlo VII, con la moglie accanto, e dall’altro lato l’erede con la novella sposa, e lui, naturalmente, prese il posto all’altro suo fianco.

Bel colpo quello di Carlo: con la figura di Jeanne sempre più importante e ingombrante, tanto da offuscare lui e tutta la corte, aveva fatto in modo che vi rientrasse dandola in sposa al figlio. Così il cielo stesso giustificava il suo regno e quello della sua famiglia; e qualche anno di lei lontana dai campi da battaglia e già avrebbe ripreso il posto e il peso che gli spettavano.

Francia osservò curioso gli invitati deliziarsi di cervi, fagiani e tutte le prelibatezze che loro soli meritavano in virtù del loro sangue… Godetevi tutto ciò voi che potete: i vostri lontani discendenti pagheranno duramente il vostro ingozzarvi alle spalle del popolo… Non gli andava però di fare riflessioni su ciò che sarebbe avvenuto, in fondo era una festa, e di quelle che non vedeva da un sacco di tempo.

Grandi bracieri accesi, la complessa araldica sui drappi svolazzanti da ogni dove, giocolieri e saltimbanchi che dilettavano gli illustri lì convenuti insieme con i liutai e i suonatori di ghironda e di flauto: che tempi ricchi di fascino (quanto di brutalità e ignoranza, ma vabbé…)!

Si brindò, più e più volte, poi venne il momento di danzare, e cavalieri e dame poterono esibirsi e corteggiarsi nell’ampio spazio dinanzi la tavolata. Oh, si, quanto sarebbero pesate quelle danze spensierate tra qualche secolo…

Francis si alzò: “Mio signore” –disse rivolto al ragazzino due posti più in là- “Volete concedermi il grande onore di danzare con la vostra fresca consorte?”

Sapeva che glielo avrebbero concesso: lui era un tipo importante, era il paese stesso! Né Jeanne si mostrò ovviamente recalcitrante a lasciare il fianco dello sposo per il bel biondo dall’incolto pizzetto.

I balli di quell’epoca ad ogni modo non erano poi questo granché in confronto a quelli moderni, tutt’al più ci si limitava a girarsi intorno lentamente, sfiorandosi al massimo mano con mano; Spagna avrebbe detto non erano minimamente calienti. Avevano comunque il loro modo di trasmettere passioni: girare, come una luna intorno al proprio pianeta, tenendosi in contatto con gli occhi, specchio dell’anima, raggiungendosi appena con le punte delle dita, poteva essere deliziosamente poetico, e pure romantico.

“Sei meravigliosa.”

Potevano essere complimenti o qualunque altra parola, ma il suo tono di voce quando sussurrava l’avrebbe sempre fatta arrossire, e sempre sarebbe comparso quell’appena accennato sorriso sotto uno sguardo forte e deciso a farlo palpitare.

Per questo non si era crucciato alla notizia del suo matrimonio. Per questo non era stato geloso di lei nemmeno per un istante. Come avrebbe potuto? Qualcun altro poteva sposarla, ma non avrebbe mai avuto il suo cuore. Mettere in dubbio l’amore di Jeanne, sarebbe stato come mettere in dubbio che il sole sorge al mattino.

Era lui la più fortunata delle nazioni, e sempre lo sarebbe stato.

“Sono sicuro che con te al mio fianco, il mio futuro sarà radioso.”

“Farò di tutto perché sia così.” –giurò, volando con lui, più che ballando, sul vento di quelle note d’amore.

“Non vedo l’ora di vederti diventare la mia regina.”

Quel desiderio risvegliò in lei l’umilità: “Non è detto che sarò mai regina.”
“Perché non dovresti?”

“Louis è ancora molto giovane, ci vorrà tempo, e nemmeno il re è poi così anziano.”

“Allora aspetterò quel momento per tutto il tempo che sarà necessario come fosse la più alta delle benedizioni che mai mi toccheranno.”

Continuò, come a un bambino che si eccita troppo: “Sperando che non sia troppo tale tempo. In fondo, non ci sarò mica per sempre.”

“……”
Non ci sarò mica per sempre. Non ci sarò per sempre. Non per sempre.

Un eco dentro di sé, che allontanò un poco la sua mano, giunta a quella di lei fino a un secondo prima.

La sua infinitamente radiosa Jeanne gli domandava intanto, con un ignaro sorriso, cosa avesse.

Si finse ancora allegro e le porse una mano: “Venite, vi riaccompagno dal vostro sposo.”

Accettò la sua mano e si lasciò condurre, da una guida azzoppata e contusa, con la mano tremante, e un’ombra scura sul capo. Non appena si fu riseduto e lei fu tornata a guardare gli invitati continuare a danzare in suo onore, Francia tirò fuori, di nascosto sotto il tavolo, il telecomando che aveva celato dentro la corazza.

Viaggiò col tasto avanti, fino a quando non comparve, laconica, la scritta che temeva.

<< 1482: Giovanna d’Arco, regina di Francia, muore. >>

“……”
Premilo, si disse. Premi avanti.

Non tentennare. Premilo. Devi.

Premilo.

 

E così fu. Andò avanti negli anni, tanti anni, malgrado sapesse ciò che l’aspettava.

Era stato presente a quel fatale momento nel suo mondo, lo sarebbe stato di nuovo, paura o non paura.

Ecco dunque la vera risposta alla sua domanda. Aveva voluto rivederla, e chiedere che ne sarebbe stato di loro, se avessero potuto avere un futuro, se lei non fosse morta.

Ed ecco il responso: sarebbe morta comunque. La fine, ineluttabile, del loro legame di nazione e persona reale, in qualunque mondo si fosse sviluppata.

Con la testa piena d’ovatta, e le budella torte come mai aveva sperimentato nella sua lunga vita, Francia si ritrovò per corridoi e stanze buie, dove tante candele di cera emanavano sinistre luci, fioche, rossicce, una macabra danza che faceva parere tutto un cimitero. Seguì i pianti, fino alla sua stanza.

Arrivò che il prete aveva appena terminato l’estrema unzione. Francia si fece avanti, fino ai piedi del grande letto a baldacchino su cui giaceva.

Orrore!

Si coprì la bocca per il raccapriccio.

Non riusciva a riconoscerla.

L’orrore… La sua giovanile bellezza, e la sua energia infinita, svanite; il suo volto era pallido e solcato dalle grinze del tempo, le labbra secche, gli occhi infossati, i suoi capelli ridotti a sottili e fragili fili grigi e bianchi, le sue mani morbide erano ossute e sembravano rami secchi.

La sua Jeanne, la sua amata pulzella, il suo fiore… era appassito.

Ecco cosa il rogo gli aveva impedito di vedere, ed era una visione insopportabile, che lo spezzava, squassava il suo spirito, gli faceva venire voglia di gridare.

Il suo respiro affannoso risvegliò la moribonda, che anche con gli occhi velati dalla vecchiaia, lo riconobbe subito.

“Francia…” –lo chiamò, con la voce da coro di angeli fattasi crepitio.

Alzò faticosamente la mano, verso di lui.

E lì il terrore di Francia aumentò; lì si sarebbe vista la vera natura del suo amore, il suo supremo banco di prova.

Quella mano, grinzita e irriconoscibile, che non riusciva neppure a guardare, desiderava una sua stretta. Se non ce l’avesse fatta, allora quello che aveva sempre considerato il più grande amore della sua vita sarebbe divenuto una spregevole e sopravvalutata illusione, legata solo all’involucro di quella donna straordinaria che gli aveva dato tutto, non pura ed incantevole fiaba. La paura era tanta, perché quella prova era la più dura di tutte, e fallirla voleva dire la morte di ogni suo motivo di stima verso sé stesso, e di fede nell’amore che ogni cosa può e ogni cosa abbellisce.

Ma grazie a Dio, vinse.

Strinse la sua mano, e mentre la sentiva scambiare con lui quel poco calore che le era rimasto in corpo, Francia capì di non essersi sbagliato, e che la forza di ciò che Jean rappresentava per lui era e sarebbe sempre stata tale da fargli superare qualunque ostacolo. Persino vederla così ridotta, nello scempio della vecchiaia.

“Vado dal Signore. Se me lo concederà, continuerò per sempre ad amarti e a proteggerti, ovunque sarò.”

“Io so che sarà così.” -<< Santa Giovanna d’Arco, patrona di Francia >>, terminò nella sua mente.

“Ti auguro… ogni… bene…”

Chiuse gli occhi alla sua salvatrice, e le baciò le fredde e dure labbra.

“Ti amerò in eterno, Jeanne.”

“Sua maestà è morta.” –annunciò il ciambellano, che diede ordine affinché le campane di Parigi e del regno suonassero a lutto.

Francia uscì dalla stanza. Che sarebbe stato ora?
La storia avrebbe seguito il suo stesso corso nei secoli futuri? O forse per lui le cose sarebbero andate anche meglio grazie a quegli anni in cui era stato sotto il suo divino  comando? Poteva fare un altro salto avanti, e vedere, ma dopotutto, non gli interessava.

Il suo egoistico viaggio, dettato solo dal desiderio di riabbracciarla, gli aveva fatto vedere cose che avrebbe voluto risparmiarsi, ma da cui usciva rafforzato, e con un’importante lezione che spegneva per sempre i suoi rimpianti, e che, tra l’altro, gli aveva messo su una gran voglia di perdonare quel maledetto Inghilterra.

Si scusò se la sua ucronia era stata così poco storica, ma il sipario si chiudeva lì.

 

 

Non appena uscì fuori dalla macchina, venne accolto dagli applausi dell’East-Asian family (incluso India, lasciato per terra…) seduta in prima fila.

“Magnifico!” –si soffiò il naso Filippine- “Una delle più belle storie d’amore di tutti i tempi!”

Indonesia era pure lei in lacrime: “Che storia stupenda! Non trovi anche tu, Australia?”
“Zzz… Zzz…” –non era molto recettivo al genere…

Dopo che Francia ebbe finito di inchinarsi con fare teatrale, Inghilterra gli si avvicinò, con la testa un po’ bassa.

Gli poggiò una mano sulla spalla: “Ehm… Stai bene, amico?”
“Non preoccuparti per me, sto bene, grazie.”

“Mi spiace che alla fine… sia dovuta finire comunque.”
“Oh, avrei dovuto saperlo da solo, sono stato cieco. Comunque apprezzo la tua solidarietà, visto che so che mi capisci…”

“Eh?”

Francia gli si avvicinò con la sua solita aria da furbetto-pervertito: “So bene che anche tu e la tua Elisabetta I eravate, diciamo, un po’ più che amici, uh uh uh!”
“SSSSSSH!” –si sbracciò Arthur arrossendo- “Abbassa la voce! Non devono mica saperlo tutti!”

Francia per tutta risposta rise ancora più forte: “Suvvia, non c’è nulla da vergognarsene, e poi sai come si dice: << Chi è senza peccato, scagli la prima pietra >>, ah ah ah! Dopotutto… C’è qualcuno qui che può dire non aver mai avuto un “flirt” con un personaggio storico?”

A quel punto, sotto gli occhi dell’allibito Inghilterra, si verificò una successione di sospiri e sguardi sognanti per aria!

“Ahhh…” –fece Spagna- “Isabella di Castiglia…”

“Ahhh…” –fece Russia- “Zarina Caterina II…”

“Ahhh…” –fece America- “Amelia Earhart…”

“Ahhh…” –fece Austria- “Sissi…”

“Ahhh…” –fece Unghieria- “Sissi…” (cui seguì principio d’infarto per Austria!)

“Veee… Maria Montessori…”

“……”

Romano lo guardò con gli occhi da fuori.

“Cioè… TU E… MA GUARDA QUESTO… ORA CAPISCO COME CI È FINITA SULLE BANCONOTE DA MILLE LIRE!”
“Ve! Non è vero, ci è finita perché era una donna straordinaria!”

“Si, e io sono uscito con Anna Magnani!”
“Ma fratellone, tu sei uscito con Anna Magna…”
Romano, tutto rosso, gli pinzò velocemente le labbra con due dita!

<< Chiudi il becco, idiota! Già ho dovuto farmi perdonare da Belgio per quella storia di Etiopia! >>

“Ahio…”

Chi è senza peccato…

 

 

 

Wow, certo che le nostre nazioni hanno proprio avuto un sacco di storie interessanti con personaggi interessanti! Ci sarebbe da scriverci qualche fanfiction su questi amori nazione-persona vera famosa XD Non chiedete a me però, che sono già abbastanza oberato di questi tempi… XP
A quanto pare non ci sono riuscito: anche stavolta la fic è lunghissima! Perdono… T__T
Almeno il commiato lo faccio corto dai! XD
Spero vi sia piaciuta, soprattutto a te, Ceci! ^__^

Alla prossima!

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 6
*** E se Svizzera fosse un po' meno neutrale...? ***


Ehilà a tutti da TonyCocchi! ^__^

Grazie infinite per i tantissimi commenti che mi stanno arrivando ad ogni capitolo, spero sia così anche ad ogni altro capitolo futuro: più sarò gasato, più in fretta aggiornerò, giusto? Almeno si spera, dai.

Stavolta metto un po’ da parte i vostri suggerimenti per sviluppare una mia idea, e, altra differenza dai capitoli precedenti, diciamo che stavolta i toni si alleggeriranno alquanto. Per questa volta, voglio regalarvi una specie di break, con un ucronia che credo troverete molto più simile a una puntata dell’anime ^__^

Vediamo un po’ se sarà una scelta azzeccata! XD

Buona lettura!

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

 

 

 

“Sissi?” –chiese Austria ancora mezzo stordito.

“Niente di che… Solo un bacetto, una volta…” –rispose Ungheria dondolando innocentemente sulla sedia- “Perché, vuoi dire che tu…”
“Oh, no, no! Solo un bacettino… Massimo due…”

Il discorso del “Chi è senza peccato” venuto su al termine della precedente ucronia aveva avuto degli strascichi, non particolarmente importanti comunque, ma, in un caso, particolarmente molesti.

“Allooooora…” –fece Francia col fastidioso sorriso di chi vuole indagare sui segretucci altrui- “Vorresti dirmi che tu e Shevchenko non avete mai fatto due “palleggi” in compagnia?”

“……”

Francia infatti, stuzzicato dalle rivelazioni scaturite, aveva preso ad indagare anche sugli altri, per non dire su tutti! Ed ora a farne le spese era la povera e innocente Ucraina, messa sotto torchio dalla nazione più pervertita che esista.

“Insomma, non solo è famoso e fa tanti gol, ma è pure belloccio, non ci sarebbe assolutamente nulla di male… E poi, sinceramente, non conosco altri ucraini famosi, quindi…”

Ad ogni suo insistere la reazione di Ucraina restava la stessa: farsi più rossa e provare a girarsi dall’altro lato, sperando che si stancasse presto, se non prestissimo!

“Suvvia, ho scommesso con Inghilterra che ognuno di noi qui ha avuto almeno una storiellina con qualche personaggio famoso, e finora sto stravincendo, sono riuscito persino a far sputare il rospo ad Australia riguardo Hugh Jackman!”

Indonesia lo guardò a bocca aperta!
Australia si fece piccolo piccolo: “Ero… molto ubriaco… Particolarmente ubriaco…”

“Andiamo, Ucraina, non lo dirò a nessuno! Con che personaggio storico hai…” -occhiolino- “Eh?”

“……”
“Uh uh! Dai, ti prego, dai! Uh uh uh! Dillo al buon Francia, qui! Dai…”

Alla fine aveva tirato troppo la corda e il tubo di Russia e il coltello di Bielorussia facevano ora capolino da ciascuna delle spalle della candida tettona slava.

“…… Oui, niente dunque? Peccato.”

Non appena fu abbastanza distante da potersi considerare salva, Ucraina scoppiò in lacrime: “Uaaah! Russia, Bielorussia, meno male che siete arrivati a salvarmi! Sniff! È stato terribile, mi si appiccicava e ammiccava tutto! Buaaaah!”

Il peso delle occhiatacce di quei due suggerì a Francia di girare i tacchi senza voltarsi. Nell’andar via passò accanto a Liechtenstein che ricambiò, innocentemente curiosa, la sua occhiata.

“Oh, beh, non credo avrei comunque vinto.” –disse, nello stesso istante in cui il fratellone di lei arrivava a scacciarlo nuovamente con un’occhiataccia!
“Fratellone, che cosa voleva il signor Francia?”

Vash si piazzò in modo da oscurare l’immondo rospo alla sua vista: “Nulla Lily, tranquilla, nessuno metterà in dubbio la tua innocenza senza subirne le conseguenze.”

“Ehm… D’accordo.”

Quando Francia rallentò il passo, trovò ad attenderlo altri sguardi di rimprovero, stavolta da parte di Inghilterra.

“Insomma, pervertito che non sei altro, la pianti di importunare?”
America si unì a lui: “Si! Piantala di importunare! Dobbiamo passare al prossimo episodio!”

Inghilterra strinse i denti: << Ah, è per quello che deve finirla, eh?! Bastardo! >>

<< Episodio? >> -pensò Francia- << Cos’è una serie tv? >>

“Allora, chi ha il prossimo numerino?” –scherzò Alfred- “Chi vuole farsi avanti?”

Indonesia alzò la mano.

“Possibilmente senza una domanda da cui ci si aspetti qualche altra bella storia d’amore agro-dolce?”

La abbassò delusa… Lo stesso fece Bielorussia, con gran sollievo di un certo fratellone…

“Non prendetela a male, signorine…” –si spiegò l’inventore- “È che finora ne abbiamo avute abbastanza di ucronie con romanticismo e “nazioni molto unite”, e adesso direi ce ne vorrebbe almeno una senza. Che so, qualcuna dove possiamo vedere un po’ di battaglie, esplosioni, colpi di scena, risate a crepapelle… Cose così.”

Una mano si alzò.

“Si, Polonia?”
“Ci sarebbe quella domanda sui muri di casa mi…”
“Scartata!” –lo liquidò prima che finisse di parlare!

“Ma tipo, che scortesia!”

Lituania cercò di tirarlo via: “Ehm, Polonia, forse ha ragione, la tua non è esattamente una domanda… adatta in questo caso.”
“Ma vuoi scherzare, tipo? È adattissima invece, la domanda più importante di questo mondo, ecco! Mi stupisco che nessuno l’abbia ancora proposta al posto mio! Ehi, proponila tu!”

Perché continuava a credere che un giorno Polonia avrebbe ragionato, si domandò Toris, sentendosi mancare le forze…

“Fratellone, perché non chiedi quella cosa?”

“Io… Non lo so…”

Era stato un dialogo breve e a voce bassa, ma quando si trattava di cose che lo riguardavano, America, che sotto questo senso era simile a Polonia, aveva orecchie migliori di un radar!

“Come come?” –chiese fiondandosi su Svizzera- “Ho sentito bene, vorresti fare una domanda?”
“No! Io…”
“Dai, fratellone, una volta avevi detto di essere curioso di saperlo.”

“Oh oh! Ora sono curioso anch’io!”
Vash, impassibile, lo spinse via lontano dalla sua faccia.

“Tsk, si, c’è una domanda che farei, però… Insomma…”
Svizzera si girò e vide Lily che lo guardava coi suoi occhioni di smeraldo, e America che cercava di imitarla con un orrendo sguardo pregante.

“Te lo dico se la smetti!”
“Ok!”

Il biondo si fece forza per parlare, evitando il contatto visivo: “Io… Mi vergogno a farmi risucchiare da una macchina! Non voglio fare la figura del fesso come quegli altri!”

“EHI!” –lo rimbeccarono subito gli “altri”!

In effetti, a Feliciano e Romano era stata succhiata la testa, e vederli dibattersi in quel modo aveva fatto alzare grosse risate… E per lui, che di senso dell’umorismo non era certo campione, era un ostacolo arduo da superare. Senza contare la sensazione di caduta nel vuoto all’avvio…

“La farei pure la domanda, ma l’idea di venire mangiato da una scatola… Non mi piace per niente!”

America gli diede una spintarella (che naturalmente lui non apprezzò): “Oh, si tratta solo di questo? Non ti preoccupare allora, basterà usare la Modalità Spettatore!”

“……”

Inghilterra, Francia e i fratelli Italia si girarono tutti.

“Si attiva premendo questo pulsante sul telecomando dopo aver fatto la domanda, e puoi restare a vedere la tua ucronia da questo lato dello schermo, senza risucchi imbarazzanti!”

“……” –se solo avesse visto le facce con cui lo guardavano i quattro alle sue spalle…

“Lo si può anche premere una volta risucchiato dentro, se vuoi muoverti più liberamente e non ti fa effetto vedere te stesso da fuori mentre vive la storia alternativa, ma se hai detto che di risucchi non ne vuoi proprio sapere fa niente.”

“Che ne dici ora, fratellone?” –la spintarella di Lily aveva certamente molto più effetto su di lui!

“Beh… Se è così va bene.”

“Ah ah ah, grandioso!”

“GRANDIOSO?!?!? CHE COS’È QUESTA NOVITÀ?!?!” –esplosero i quattro precedenti utilizzatori, barbaramente succhiati!

“Perché non ci hai detto che potevamo guardare le ucronie comodamente seduti da qui?” –digrignò le zanne Inghilterra.
“Anziché farci mangiare dalla tua scatola idiota, idiota!” –fu ancora più duro Romano.

“Ve! Io ho avuto tanta paura!”

“A me è piaciuto viverla in prima persona, ma mi unisco ugualmente al reclamo!”

“Andiamo!” –fece America col tono di chi sente di avere ragione dinanzi a un mucchio di proteste assolutamente incomprensibili- “Pensavo che fosse assodato che voleste il meglio! Chi preferisce stare a guardare uno schermo quando puoi vivere tutte le emozioni dell’ucronia in prima persona? Questo è il futuro dell’intrattenimento, anzi, è fantascienza che si realizza! Ma se mi dite così ora mi viene da pensare che siate gente ben poco figa, sapete?”

<< È un idiota! È un bloody maledetissimo idiota! >>

E come Lituania, puntualmente, davanti alla fin troppo radicata idiozia di Polonia, alzava bandiera bianca, così i quattro, demoralizzati, tornarono a sedersi.

“Beh, Inghilterra, almeno ora ne sappiamo di più su come funziona la Macchina dell’Ucronia.” –cercò di cambiare discorso Giappone.

“Sai che bella roba… Dannato America! Se quella macchina facesse cadere tutti i capelli a chi la utilizza te lo verrebbe a dire quando il danno è fatto!”

Nel frattempo, con gran sorpresa di molti, sarebbe stato Svizzera, di solito sempre distaccato, a porre la nuova domanda.
“Come sapete, io sono un tipo a cui piace stare tranquillo, ma purtroppo, la mia pur ben conosciuta neutralità è stata, e viene tuttora messa a dura prova da gentaglia di ogni tipo che mostra una predisposizione naturale nel rompermi le scatole. Che diamine, è troppo per una nazione chiedere di essere lasciata in pace, senza che degli scemi vengano a correre nudi nel proprio giardino?”

“Ve! Non ero nudo!”

“O che una scalmanata non attraversi il suddetto giardino rincorrendo due tizi, pure loro in mutande, intimando loro di girare un film porno?”
Ungheria arrossì: “Mi avevano tratta in inganno.”

Cina e Austria risposero all’unisono: “Non rinvangare!”

 

(NDA: Ci si riferisce ad un’altra mia fanfic! Se l’avete lette avrete colto la gag, altrimenti… Ecco il link! >>> http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=935837&i=1 )

 

“Malgrado tutto quello che ho subito nella mia vita però, invasioni, effrazioni, atti osceni e molto altro, ho sempre mantenuto una certa calma…”
“Insomma…”

Non era forse conosciuto come il tipo dal grilletto facile?

“Non cerco mai di tirare troppo per le lunghe una discussione perchè in fondo tutto quello che voglio è il rispetto della mia privacy, e prima me ne torno alle mie belle montagne meglio è… Però…”
“Però?”

“Ultimamente mi sono chiesto come sarebbe andata se in tutte le occasioni in cui mi avete rotto le scatole negli ultimi secoli io avessi reagito un po’ meno “neutralmente”. Si, ecco, tutta questa neutralità, fa parte della mia natura, ma mi chiedo come sarebbe senza, se anziché mantenere sempre la mia calma…”

<< QUALE CALMA??? >>

“Io mi comportassi in maniera più impulsiva con quelli che si meritano una bella impiombata.”

America, prima ammutolito, si sbloccò con un sorriso di circostanza: “Beh… Che dire? Di sicuro qui non vedremo smancerie… Allora, o mirabolante macchina, mostraci come sarebbe se Svizzera fosse un po’ meno neutrale!”

Il vortice prese a formarsi al centro dello schermo…

<< Bip! >>

Ma Svizzera, velocissimo, premette il tasto che attivava la Modalità Spettatore: sarebbe rimasto sulla sua sedia accanto alla sorellina a vedere la sua ucronia.

La macchina allora emise un mesto suono elettronico, come fosse dispiaciuta…

“Su su…” –la carezzò America- “Sono solo degli ignoranti, incapaci di apprezzare le meraviglie delle tecnologia! Umpf!”

<< Parla con la macchina??? >>

“Ecco che inizia!”

E Svizzera, che non doveva faticare in prima persona, colse tale vantaggio iniziando a sgranocchiare cioccolata fondente.

Sullo schermo, accompagnata da una colonna sonora di musica classica, una voce narrante dava le dovute spiegazioni.

 

 

Narratore (corsivo):

Questo giovanotto che vedete è Svizzera.

Può sembrare un qualunque montanaro intento a riparare il suo orologio a cucù fatto a mano al calduccio della sua baita, ma non lasciatevi ingannare dal suo aspetto pacifico. Potreste rimanere molto sorpresi…

 

Nella sua caratteristica abitazione tutta di legno, profumata di pino e fiori selvatici, Svizzera era tutto preso da viti, rondelle e ingranaggi, perché aveva promesso al finto pettirosso intagliato di ridargli al più presto, più bella di prima, la sua  bella casetta da cui uscire a fare cucù ogni ora. Subito però gli salì il fastidio quando sentì bussare alla porta.

Lasciati a malincuore cacciavite e lente di ingrandimento, andò ad aprire al suo vicino di casa, il pomposo aristocratico Austria.

“Buondì Svizzera. Sono secoli ormai che non ti decidi a farti annettere, e, potrai capirmi, essendo un impero è un po’ imbarazzante per me avere un piccolo paese indipendente alle porte e non fare nulla per conquistarlo. Fare la guerra però mi annoia e credo sia lo stesso per te, quindi, non ti andrebbe di venire con me spontaneamente così risolviamo tutto da bravi vicini?”

Non era la prima volta che Austria attentava alla sua libertà con argomenti tanto fiacchi.

Ma stavolta, il tranquillo e neutrale Svizzera si era definitivamente rotto le scatole.

“Che cosa ne dici? Accetti non è vero?”

“……”

 

Poco dopo…

“Ungheria? Sono tornato.”

Elizaveta smise di togliere la polvere dai mobili per venirgli incontro.

“Bentornato, caro! Com’è andat…?!?!?”

O la testa di Austria si era trasformata in un orologio a cucù, o più verosimilmente qualcuno gliene aveva spaccato uno sulla zucca!

“Non molto bene purtroppo…” –fece sconsolata la sua voce da dentro la casetta. Anche il suo bell’abito blu era tutto strappato, come fosse stato assalito da una belva feroce.

“Svizzera non si è lasciato annettere?”
“No, e, a questo proposito, credo dovremmo anche regalargli una o due regioncine, così, per rimediare…”
“C-COOOOSA?!?!?”

 

La Svizzera uscì dal Sacro Romano Impero e dall’orbita dell’Austria nel 1648, ma quest’ultima aveva provato a far proprio lo staterello montano sin dal medioevo, e non cessò mai di rivendicare le terre del vicino come proprie. L’Austria inoltre, un impero autoritario e aristocratico, non poteva accettare l’esistenza di un paese liberale e democratico ai suoi confini, un pessimo esempio per i suoi cittadini insomma!

 

Uno dei compiti più faticosi nella vita in montagna era tenere il proprio giardino sgombero dalla neve. Ne era caduta parecchia, e il vialetto quasi non si vedeva, ma lui era un tipo industrioso: un po’ di olio di gomito, e si sarebbe presto premiato con una bella cioccolata calda.

Ma ecco lo sgradito rumore di uno slittino avvicinarsi sempre di più!

“Veeee!”

La scivolata di Italia finì proprio davanti i suoi piedi, buttandogli un po’ di neve sul giaccone.

“Ciao Svizzera!” –lo salutò tutto raggiante rialzandosi- “Sono passato a trovarti perché il mio capo sostiene che tu non dovresti esistere e che sei un errore della storia, quindi secondo lui dovresti unirti a me. Non trovi sia una bella idea? Potrei aiutarti con la neve e poi tu mi offriresti la tua cioccolata, che ne dici?”

“……”

 

“VEEEE! AIUTO! MI VUOLE SEPPELLIRE VIVO!”

Immobilizzati lui e il suo stramaledetto slittino, Svizzera, con perfetta naturalezza, si era rimesso all’opera, badando che tutta la neve spalata gli finisse addosso: ormai se ne era formato un mucchio enorme, dalla cui cima sbucava (per il momento…) solo la sua testolina bacata.

A quel punto fece una pausa per bersi la sua cioccolata calda… sotto il suo naso e senza dargliene nemmeno un po’ ovviamente!

“Bene.. Pausa finita…”

E riprese a spalare e costruirgli la tomba!

“Nooooo! Aiuto!” –gridò disperato mentre già si beccava i primi gelidi fiocchi in bocca- “Ti prego, Svizzera, lasciami andare! Ti do il Trentino! Il Tirolo! L’Alto Adige! Quello che vuoi, ma ti prego non mi seppellire! Aiutooooooo!”

 

Malgrado prima dell’unificazione la Svizzera avesse dato asilo a tantissimi rifugiati politici italiani, Mussolini, divenuto capo dell’Italia, ebbe a dire che la Svizzera era un “errore storico”, una nazione che non avrebbe dovuto neanche esistere insomma.

Lui e il suo alleato Hitler progettarono di spartirsi la Svizzera tra l’Italia e la Germania, e i suoi abitanti sarebbero dovuti essere “italianizzati” a dovere.

 

Nella vita di un montanaro non c’è solo il lavoro: se non c’è altro da sbrigare, perché non tenersi in esercizio con una bella escursione? Di montagne e bei posti dopotutto lui abbondava! E poi è bellissimo, quando la stanchezza per la salita inizia a prenderti, voltarti indietro, ammirare il paesaggio e respirare una grande boccata dell’aria più pura del mondo.

La pace venne allora interrotta da un fruscio tra i cespugli, da cui uscì Germania, che si era rovinato la bella divisa con foglie e rametti attaccati dappertutto!

“Accidenti, alla fine sono riuscito a trovarti: è stata una faticaccia.”

“Forse non avresti dovuto metterti la divisa.”

“Non potevo, sono qui per lavoro. Il mio capo dice che tu e il tuo popolo vi siete scordati di essere tedeschi e che quindi è nostro dovere ricordarvelo. Dopotutto anche tu sei biondo e parli tedesco, quindi spero che tu sia ragionevole e ti unisca a me: vedrai che con un po’ di impegno riuscirai ad alzare un po’ il tuo livello di germanicità a livelli accettabili.”

“……”

 

“AAAAAAAH!!! MA CHE FAI?! SEI PAZZO?!”

Essendo appeso a testa in giù per una corda su uno strapiombo del Monte Rosa, il più alto della Svizzera, il suo grido si sentì a centinaia di chilometri di distanza!

“Urgh! Ma sei uno psicopatico? Avanti, fammi tornare su!”

Cercò di guardare verso l’alto, ma non vide nulla di bello: Svizzera, fischiettando, stava controllando l’affilatura del suo coltellino multiuso prima di usarlo per tagliare la corda!

“N-non lo farai vero?”

Avvicinò il coltello e prese a seghettare…
“FERMO! D’accordo! Non proverò mai più ad annetterti, va bene?”
Svizzera seghettò più forte!

“ARGH! VA BENE! VA BENE! Ti cedo la Baviera! Anche qualcos’altro se vuoi, ma ti prego non farmi cadere! NOOOOOO!”

 

Hitler aveva l’obiettivo di riunire tutti i popoli di stirpe tedesca (i cosiddetti “ariani”) in un’unica grande Germania, quindi anche gli svizzeri sarebbero dovuti rientrare nel piano. Come gli abitanti germanofoni abitanti in Italia, considerava gli svizzeri come dei tedeschi a tutti gli effetti, ma che col tempo avevano dimenticato di esserlo, e dovevano quindi tornare nella Germania.

 

La camminata in montagna l’aveva spossato alquanto, così per riprendersi aveva deciso di trascorrere il resto della serata in una locanda, a tirarsi su con salsicce, fondue e un po’ di birra. Quando arrivò l’ordinazione, pregò il cielo che il presentimento che aveva che anche quella volta qualche idiota sarebbe giunto a importunarlo fosse sbagliato… Ma purtroppo, non lo era!
Francia si sedette al suo stesso tavolo.

“Uh uh uh, ho saputo che sei un tipo che sa farsi valere Svizzera, complimenti! Non a caso sei anche un po’ francese, no?”

Gli si avvicinò ancora di più, oltrepassando decisamente il limite a cui era garantita la sua incolumità…

“Sai, mi piacciono gli uomini piccoletti che sanno fare i duri, uh uh uh!”

“……”

Addio incolumità…

 

“PARBLEU! NON OSARE, MOSTRO!”

E lui allora, che aveva osato impunemente provarci con lui davanti a tutti, proprio mentre la sua fondue lo attendeva? Ma pur a malincuore avrebbe lasciato raffreddare quella soave apoteosi di formaggi, se c’era da dare a quel maniaco la meritata lezione!

Francis venne dunque incatenato e costretto ad assistere ad uno spettacolo per lui raccapricciante!

“Non puoi… Non puoi essere così crudele!”

La forchetta che aveva in mano brillò sinistramente! Alzò la tavoletta copri-water…

“La tua è una reazione crudele e spropositata! Solo per un innocente flirt piccolo piccolo? Mi sarei accontentato di una palpatina…”

Aprì la scatoletta!

“No! Brutto bastardo… Lascia stare il foie gras! Non ha idea di quanto mi costi ogni porzione!”

Vash si fermò, come per dargli l’illusione che potesse cambiare idea.

Ma non ebbe pietà, e con la forchetta cacciò tutto il suo prezioso fegato d’oca giù nel gabinetto!
“NOOOOOOOOOO!” –urlò Francia, per poi urlare ancora più forte quando tirò lo sciacquone.

Prese un’altra scatoletta, ma ormai aveva ceduto.

“Basta, basta, non posso sopportarlo! Ti cedo la Savoia, la Franca-Contea, quello che vuoi, ma lascia in pace le mie prelibatezze! Ti pregooooooooo! Buaaaahhh! Sigh!”

“Umpf!”

 

Francia è un vero maniaco! – si limitò a dire in questo caso la voce narrante.

 

Lo schermo allora mostrò una scritta bianca in campo nero: LA SECONDA GUERRA MONDIALE!

 

Ed ecco apparire, su una notturna e desolata spiaggia, mogi attorno ad un fuocherello, le tre potenze dell’asse. Sembravano tutti e tre molto tesi, e nessuno parlava all’altro, ma per fortuna c’era tra di loro qualcuno che avesse a cuore il loro morale.

“Ehm… Guardate!” –fece Italia- “Ho una sferetta di vetro con dentro il colosseo e la neve! Bella, vero?”

Non gli risposero. Mogio, sbuffò e ricominciò a guardare le fiamme e ascoltare il rumore delle onde. Non capì però come facevano ogni volta Germania e Giappone a girarsi con quell’aria pronta e quegli sguardi fighi da battaglia senza che lui si accorgesse mai di niente.

“Stanno arrivando!”

“Si!”

Sensitivi forse?

Sulla collinetta boscosa alle loro spalle c’era America, che svelò la sua posizione e quella degli Alleati con la sua fragorosa risata!
“Ecco il nemico! Sotto, ragazzi!”

America, Inghilterra, Francia, Russia e Cina  corsero giù sulla spiaggia, disponendosi per lo scontro!

Germania estrasse la pistola: “Giappone, Italia, siete pronti?”

“Hai!” –disse il primo, e la sua katana brillò alla luce del falò e della luna!

“Fa-fa-farò del mio meglio!” –balbettò il secondo, brandendo la bandiera bianca come un bastone!

“Siete in tre contro sette, fareste meglio ad arrendervi subito!”
“Ma che dici, America? Noi siamo cinque.”
“Io sono l’eroe! Valgo il triplo!”

Inghilterra fece sentire il suo humor britannico: “Si, con un cervello ridotto a un terzo?”

“All’attacco!”
“Addosso!”

Spade e padelle, bandiere bianche e tubi di metallo, pistole e rose: gli ingredienti per uno scontro epocale!

I contendenti erano vicinissimi, quando…

“Ragazzi…”
“?!?!?!?!?”

Le nazioni battaglianti tirarono subito il freno e, malferme per la paura, videro Svizzera in pigiama arrivare verso di loro.

“Vogliamo finirla con tutto questo chiasso a quest’ora? Sapete, io e Lily staremmo cercando di dormire.” –disse con moltissima, spaventosissima calma

America si sforzò di apparire naturale: “Oh… Eh eh, scusa se ti abbiamo svegliato Svizzera, però è stato Germania a cominciare, prenditela con lui!”

“Non mi interessa chi ha cominciato: finitela.”

“……”

Uno sguardo reciproco e furono tutti d’accordo!

“Senz’altro!”
“A me manco andava…”
“Ve, ho la pasta sul fuoco!”

“Eh eh eh, scusaci ancora!”
“Sempre in gamba, eh Svizzera?”

Tutti sorridenti come nulla fosse, l’uno dopo l’altro si dileguarono, finché rimase solo Russia.

“……”
“……”

“… Ti stimo!” –disse uno che in quanto a terrorizzare il prossimo era un’autorità!- “E poi non voglio guai. Buonanotte!”

E se ne andò anche lui.

“Umpf…”

 

E fu così che la Seconda Guerra Mondiale terminò poco dopo cominciata…

 

E veniamo così ai giorni nostri!

 

 

Una Svizzera con un territorio quattro volte più grande, super-potente e guardiana della pace del mondo si godeva su una sdraio il sole primaverile, con una camicia a mezze maniche e un paio di occhiali da sole stilosi. La sua piccola baita di legno ora era grande come una villa a tre piani e aveva immensi balconi come quello da cui poteva godersi le bellezze della sua natura e la freschezza della sua aria.

Stavolta super-sicuro che nessun rompiscatole si sarebbe presentato.

Austria, in tenuta nera e bianca da cameriere, arrivò ed adagiò da un vassoio un long-drink con ghiaccio, cannuccia e ombrellino sul tavolino accanto la sdraio.

“Desidera altro, signore?”

Svizzera fece segno che poteva ritirarsi.

“Molto bene, signore.” –mise il vassoio sottobraccio e tornò nella magione.

Svizzera diede una succhiata e poi si stiracchiò, finendo con le mani dietro la testa.

Poteva dire solamente una cosa.

“Adesso si.”

E si rilassò col cinguettio degli uccellini.

 

FINE!

 

 

Nella sala si era fatto il vuoto intorno alla sedia di Svizzera. Lily era ovviamente rimasta al suo fianco, ma tutti gli altri si erano spostati da lui entro un raggio di sicurezza di alcuni metri.

Le nazioni più piccole e insicure, atterrite, erano corse, tremanti, a cercare riparo dietro quelle più forti, queste ultime rivolte verso quel… pazzoide con attenzione, come pronte a qualunque evenienza.

Così, Finlandia si era nascosto dietro Svezia, Sealand dietro Inghilterra, Italia dietro Germania, Canada dietro Cuba, Indonesia dietro Australia, Belgio dietro Olanda, Romano dietro Belgio, e Spagna davanti a Belgio per essere davanti a Romano, Ucraina dietro Russia, e la stessa cosa fece Bielorussia fiutando la scusa per appiccicarsi al fratellone, il quale, a sua volta spaventato da lei, si riparò dietro Lettonia!

Tutti aspettavano che il neutrale desse il proprio parere.

“Mhmm… Si, direi che è plausibile.” –disse, senza tradire alcuna emozione di troppo.

Le nazioni piccole si rintanarono ancora di più! Quelle grandi invece lo fissavano scandalizzate!

<< È un mostro! A bloody monster! >>

<< Che razza di bestia! >>

<< Il diavolo in persona! >>

<< Altro che Freddy Kruger! >>

<< Al confronto Russia è un santo! >>

<< Questo qui mi fa concorrenza! >>

<< Grazie al cielo è neutrale! >>

Se però Svizzera era rimasto almeno in apparenza soddisfatto (la sua espressione non diceva molto), a Lily invece l’ucronia sembrava non essere affatto piaciuta.

“Fratellone, tu non ti comporteresti mai così, non è vero?”

La strinse a sé con un braccio, rassicurandola con delle carezzine: “Ma certo Lily, non preoccuparti, era solo una simulazione. Il tuo fratellone è un bravo ragazzo, lo sai.”

<< Ma chi ci crede?! >>

“Ih ih, lo so! Sei solo un po’ permaloso, ecco tutto.”
E mentre Lily abbracciava il fratellone, suscitando in lui un sincero sorriso, il resto del mondo continuava a ritrarsi e a restare con la guardia alzata!

“Io dico che d’ora in poi nessuno avrà più il fegato di chiedergli nemmeno gli spiccioli per il caffè.”

“Poco ma sicuro…”

Svizzera, resosi conto della situazione, la trovò altrettanto irritante che avere tutti intorno a rompere le scatole. Non ci teneva a vedere da lì in avanti sorrisi tirati e gente che scappava; così pensò di dimostrare nuovamente la propria umanità offrendo a tutti la cioccolata che aveva nella giacca.

“Ragazzi…”
“STA ESTRENDO UN’ARMA!” –gridò America come uno swat delle sue serie tv!

Il secondo dopo, Svizzera si ritrovò circondato con puntati addosso il mitra di America, la bacchetta magica di Arthur, il tubo di Russia, il frustino di Francia, il pugno di Germania, il panda di Cina, l’uccellino di Prussia, la katana di Giappone, il pomodoro di Spagna e il cucchiaio di Veneziano!

Era necessario agire con molta cautela: “…… Lily?”

“Si, fratellone?” –domandò confusa la ragazzina.

“Fammi un favore, prendimi la cioccolata dalla tasca e offrigliela da parte mia, sennò questa faccenda mi farà veramente saltare i nervi… Tsk!”

 

 

 

Non sottovalutate la Svizzera… Potreste pentirvene!

Lo so, di storia qui ce n’è pochissima, è solo gag, ma vediamo come una pausa, per me e per voi, dopo tutta quella pesantezza di prima, dai. Io mi sono divertito un mondo a scriverla, e spero abbia conquistato anche voi! Quindi, ringraziamo il cielo che il permalosone di Vash sia neutrale, e che sempre lo resti! XD

Vabbé, c’è pur sempre Lily pronta a calmarlo… X3

Le informazioni sulla storia svizzera provengono da questi due fumetti, leggeteli, sono spassosi!

http://cadaska.deviantart.com/art/APH-Austria-and-Switzerland-2-261035479

http://cadaska.deviantart.com/gallery/?q=italy+switzerland#/d4fxn66

 

Ci vediamo alla prossima ucronia allora, in cui si farà vedere un nuovo personaggio, un altro OC, che coloro che hanno letto le mie precedenti storie su Hetalia ha già incontrato in passato!

Ciao a tutti! ^__^

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 7
*** E se Austria non avesse sposato solo Ungheria? ***


Ciao a tutti! Spero vi giri bene ^__^ O che le mie fic possano riuscire, come spero, a darvi sempre un po’ di buon umore, che se ne ha sempre bisogno!

Stavolta ho pochino da dire, se non che forse dovrei studiare un pochino di più e scrivere un pochino di meno, ma non sono mai stato bravo ad impiegare il mio tempo libero in maniera proficua… XP
Scherzi a parte, eccovi la nuova ucronia!

Purtroppo sento che il titolo del capitolo avrà già “spoilerato” quelli che di voi hanno già letto alcune altre mie fanfiction… Cavolo! XD

Buona lettura!

PS: GERMANIA X ITALIA ORA SEMPRE!

 

PPS: Capitolo lunghissimo, scusate ^_^”

 

 

 

Quando Feliciano ebbe finito di sgranocchiare, tra l’altro anche rumorosamente (per Giappone era un modo di far capire che hai apprezzato), con una faccia beata si rivolse al fratello maggiore.

“Dai, Romano, assaggia anche tu questa cioccolata, è buonissima!”

“Giammai! Come hai fatto ad accettare la cioccolata di Svizzera?”

“Perché? Svizzera è un bravo ragazzo.”
“Cosa hai appena visto?” –domandò uno dei tanti traumatizzati dalla precedente storia alternativa, un’apocalisse elvetica in piena regola!

“È vero, anche se non sembra: alla fine quando c’è una crisi o qualcuno che ha bisogno di riparo accoglie sempre tutti in casa sua e li protegge… e ora ci ha dato un po’ della sua ottima cioccolata.”

“Il mio fratellone è una persona buonissima!” –si mostrò d’accordo Lily, abbracciando Vash mentre si godeva una terza barretta (essendo assuefatto aveva una soglia molto alta prima dei mal di pancia…)

“Ora però non fingerti rifugiato politico solo per essere mio ospite, eh?” –lo avvisò masticando il generosissimo Svizzera.

“Solo un morsetto, così ti togli dai piedi! Gnam…”

L’italiano non aveva calcolato che per buongustai come loro, bastava e avanzava.

“Rooo…” –fece con gli occhi luccicanti- “Svizzera è una persona buonissima!”

“Veee?”

“Quindi non è solo l’Italia a fare quell’effetto…” –notò Giappone…

Spagna, alla vista di Puccio-Romano sanguinava dal naso due metri più in là…

Nel frattempo, in un brusio di “Tu cosa chiederesti?” e “Dai, sembra interessante!”, si aspettava la prossima richiesta, e una nuova ucronia pronta a stupire ed emozionare tutti i presenti. A partecipare al brusio c’erano anche, seduti su sedie vicine, Austria ed Ungheria.

“Sai, Austria, vedere l’ucronia di Italia all’inizio mi ha fatto venire in mente una domanda…” –disse lei un po’ schiva.

“Davvero? E come mai non ti sei ancora fatta avanti?”

“Ecco… Sono molto curiosa, ma è anche un po’ personale… Però a te posso dirla!”

“Prego!” -rise lui, anche se, visto il rossore che la colorava, doveva trattarsi di qualcosa che avrebbe certamente imporporato anche il suo di viso.
“Ecco… Dopo aver visto Italia sposato con Sacro Romano Impero, e dopo ancora me e te come marito e moglie, non ho potuto fare a meno di pensare a come sarebbe… se fossimo ancora sposati!”

Gli occhiali gli si appannarono!

“Oh… Ehm… Ah, si?”

I due ora guardavano in due direzioni diverse, lei ridendo, e lui con gli occhi al cielo.

“In effetti si, è… un po’ personale…”
“Non ti piacerebbe però scoprirlo?”

Austria si schiarì la voce: “Sposato o no… quel che provo per te rimarrà sempre lo sai, Ungheria.”
“Ih ih ih!”
“Però, adesso che me lo hai detto…”
“Non riesci a togliertelo dalla testa neanche tu, vero?”
“Ehm…”

Più di cinquant’anni di matrimonio, un periodo bello lungo e bello pieno di tutte quelle cose, felici e tristi, che fanno indimenticabile una storia d’amore. Non era andata sempre bene, tra la cavallerizza dal cuore gentile e la padella facile e l’aristocratico e vanesio impero, ed era finita anche peggio… Ma quel periodo sarebbe rimasto sempre speciale nei loro ricordi, anche se si erano amati da prima ed avevano continuato ad amarsi anche dopo il divorzio, anche se da quel momento non avevano più condiviso la stessa casa e lo stesso destino; stare ognuno per conto proprio dopo secoli ad incontrarsi ogni giorno tra sale e corridoi familiari era stata dura, ma aveva anche permesso a ciascuno di trovare la propria vera strada!

“Ti prego, Austria, chiediamolo!”
“Non lo so, Ungheria, America ha detto di voler dare un taglio alle storie romantiche, e poi sarebbe come essere i protagonisti di un film, un film che guarderanno tutti… Incluso Francia…”

Lo guardò e lui, ignaro, lo salutò amichevolmente.

<< Chissà che sconcerie ha in mente! >>

<< Chissà perché mi fissano in quel modo? Devo essere più bello del solito oggi! >>

“Se la cosa ti crea imbarazzo fa niente…”

Ci pensò un po’: “Sai che ti dico, in fondo no. E anche se me ne desse, se proprio ci tieni a vedere cosa ci avrebbe riservato il futuro fai pure. Però… Forse non ci piacerà quello che potremo vedere…” –disse per farle riportare a mente i finali non proprio rosei delle precedenti ucronie.

“Non importa, tanto anche nella realtà non c’è stato il lieto fine… Più o meno…”

Gli sfiorò la guancia con le labbra; poi, ricevuto un altro sguardo di assenso, si alzò ed avanzò tra le sedie con la mano alzata per farsi vedere.

“America! Scusa, vorrei…”

“Vorrei fare una domanda!”

Concluse una voce non sua!

“?!?!?!?”

Si girò.

“Si, avete capito bene!”

Finirono di voltarsi anche tutti gli altri, mentre Ungheria stringeva forte i denti!

“TU!”

 

Capelli castani corti scompigliati alla fine, maglioncino blu, ciondolo con leone bianco della Boemia in campo rosso, sorrisetto cattivo!

La ragazza sovrastò tutti con la sua potente risata!
“REPUBBLICA CECA È TORNATA! AH AH AH AH!”

“…… E dov’eri andata?” –domandò Polonia, sempre fuori luogo.

“Da nessuna parte! Si dice così quando si fa un’entrata in scena, no?”

 

(NDA: Ecco l’OC promesso, che potete trovare in altre mi storie! ^__^
Per chi non conoscesse il suo design, è quello dell’artista di deviantart Cadaska, eccolo qui! >>>
http://img195.imageshack.us/img195/3215/striaandczechiabycadask.jpg ; http://cadaska.deviantart.com/gallery/?q=czech#/d4ml5jb )

 

“Grrrr! Repubblica Ceca!” –fece stridere i denti Elizaveta alla vista dell’altra nazione, come fosse la sua nemica giurata (o almeno non le stesse decisamente simpatica…).

“Allora, panzone, me la fai fare questa domanda?”

“Non sono un panzone!” –fece uscire America da una bocca in cui non sarebbe entrato nulla tanto era piena di cheeseburger; si sciacquò la bocca con un po’ di frullato via cannuccia prima di parlare- “Ad ogni modo, accomodati!” –tornò poi sorridente, visto che aveva pur sempre una domanda per la sua adorata macchina!

“Ehi, no! Fermi tutti!”
“Che c’è Ungheria?”
“Come << che c’è >>? C’ero prima io! Non mi hai visto con la mano alzata?”
“Beh, si, ti ho visto, ma è pure vero che è stata Ceca a dire per prima di voler fare una domanda, quindi tecnicamente è lei ad averne diretto.”
“Umpf! Fregata! La prossima volta sii più pronta, Ungheria cara! Ora fatti da parte!”

“Nemmeno per sogno! La mia domanda non attenderà oltre!”

Austria si passò una mano sulla faccia: “Oh, no…”

Dinanzi a quelle due che sembravano nubi in tempesta che si scontravano, quelli che invece non erano come Roderich al corrente del rapporto che le legava, si chiedevano stupiti come mai tanta violenza. Francia no, lui semplicemente incrociava le dita sperando di assistere a un bel sexy “catfight”!

“Ungheria sembra non sopportarla affatto.” – scoprì l’acqua calda Estonia.

“E sembra una cosa reciproca.” – fece altrettanto Lituania.

“Che paura! Sembrano tutte e due delle pericolose scalmanate!” – tremò Lettonia.

Austria arrivò sospirando: “Purtroppo è così, quelle due sono rivali… per causa mia.”

“Causa tua?!” – fecero in coro i baltici.

Prussia scoppiò a ridere: “Due ragazze che si contendo un damerino come Austria? Ma va là, non ci crederò mai, schiappa come sei, ah ah ah!”

Austria ingoiò signorilmente il rospo e proseguì: “Vedete, io conosco Ceca da molto prima di Ungheria in realtà.”

“Rivelazioni sconvolgenti!” –fece plateale Corea del Sud.

“Non so se posso dire ci sia mai stato qualcosa tra me e lei… Certo abbiamo avuto i nostri bei e brutti momenti, ma…”

“Uh uh uh, ma che mi fai sentire, Austria?” –lo punzecchiò Francia- “Se è così avresti dovuto sposare Ceca anziché Ungheria.”
“Sarebbe potuto succedere…”

“EEEEH?!”

“Ah! Bravo Austria, rivela a tutti della nostra travagliata storia d’amore nell’ombra!” –esultò Ceca, ma Ungheria le si gettò addosso subito dopo!

“AMORE?! TU ED AUSTRIA?! MERITI LA MORTE PER QUESTO!!!”

“Brutta monopolizzatrice! Lui dovrebbe essere mio di diritto!”
“Non te lo cederò mai!”

“Sangue, sangue!” – le incitò Russia.
“Vestiti strappati! Vestiti strappati!” –le incitò a modo suo anche Francis.

“Dicevi, Austria?”
“Si, Germania, dunque… Come stavo dicendo, alla fine ho sposato Ungheria e non Ceca, non che anche lei non fosse una gran brava ragazza.”

Strano che la “gran brava ragazza” stesse provando a strangolare Ungheria con la sua lunga chioma come cappio, tra l’altro scambiandosi con lei parole non molto gentili ma, fortunatamente per i bambini presenti, nelle loro lingue madri.

“SZUKA!”
“FENA!”

“Come mai non Ceca allora?” –chiese Lettonia.
Austria si irrigidì: “Perché le sue passabili doti culinarie non compensano per la sua orribile personalità.”

“Quanto orribile?”

“Giudica tu.” –fece Austria indicando Ceca che si svincolava un attimo dallo scontro per sgattaiolare di nascosto dietro a Liechtenstein, tranquillamente seduta, e darle una schicchera dietro l’orecchio.

“Ahi! Finiscila Ceca o mi arrabbio!”

“LILY CHE SI ARRABBIA?!?!?”

A Grecia cascò la mandibola: faceva anche nuvolette di rabbia più grandi delle sue!

Ceca scappò ridacchiando soddisfatta, e Lily si rimise a sedere con un “Uffi!”.

“Capite ora?”
Per farsi detestare da Lily… Davvero non c’era altro da aggiungere!

 

(NDA: La Repubblica Ceca e il Liechtenstein hanno avuto rapporti tesi e non si sono riconosciuti reciprocamente come nazioni fino al 2009! Anche Lily quindi ha qualcuno che le sta antipatico!)

 

Ceca tornò a fronteggiare Ungheria a petto in fuori: “Dove eravamo?”
“Al levati dai piedi e lasciami fare la mia domanda!”
“Oh, puoi stare tranquilla, se è per quello, anche la mia domanda riguarda Austria, come presumo la tua!”
“Che cosa?! Un’ucronia che riguarda te ed Austria? Ma che hai intenzione di chie… Oh, no… Non mi dirai che…?!”

“Uh uh uh, si!”

“Uh, no! Niente affatto! Dovrai passare sulla mia padella prima di vedere un simile orribile sviluppo storico!”
“Di cosa parla?”

“Vi ricordate che vi ho detto che sono stato vicino allo sposare Ceca? Si riferisce a quell’episodio. È successo mentre ero già sposato con Ungheria però.”

“Da qui in poi spiego io!” –fece Pavla Stojespal saltando su una sedia- “Dovete sapere che dopo la formazione dell’Austria-Ungheria, sarebbe potuto nascere un impero di tre nazioni anziché due! Appoggiata dal mio popolo, chiesi al capo di Austria di formare l’Austria-Ungheria-Boemia!”

“Ma… Non sarebbe stata bigamia?”

“Umpf, almeno una delle due donne sarebbe stata decente.”

Ungheria diede un calcio alla sedia, facendola cadere faccia a terra.

“Brutta…”

Ungheria la stoppò: “Vorresti chiedere alla Macchina dell’Ucronia cosa sarebbe successo se quel malsano progetto fosse andato in porto, eh?”

Fu Prussia allora a farsi sentire: “Austria sposato con due donne? Ma andiamo! Più che un’ucronia sarebbe un fantasy! Ah ah ah! Bella questa! Muoio dal ridere!”

“No, sarebbe il modo in cui le cose sarebbero dovute andare!” –sotto gli occhi di tutti Ceca si trasformò, cambiò voce, inumidì gli occhi e arrossò le guance- “Ungheria ha sempre avuto Austria tutto per sé e io, povera infelice, restavo in disparte ad ammirarlo da lontano… Sniff!”

Feli prese a piangere sulla giacca di Germania: “Buaaah! Che storia commovente!” 

Ceca tornò normale in un istante: “Quindi voglio la mia rivincita e il mio sacrosanto matrimonio con Austria! Qui e subito!”

“Sentita la signora? Come negarglielo?”

“America! Non oserai…”
“Oso eccome! Questa storia di Austria sposato a due tipe che se lo contendono sarà esilarante, me lo sento! Devo proprio vederla questa ucronia.”

“Sigh, dobbiamo proprio?” –chiese il pianista.

“Forza, mia macchina fantasmagorica! Mostraci che sarebbe successo se alla fine dell’ottocento si fosse formata l’Austria-Ungheria-Boemia!”

“Finalmente!”
“Con risucchio?” –chiese alla richiedente.

“Senza!” –sbraitò in risposta!

“Sigh! Ora che sanno della modalità spettatore nessuno vuole più farsi risucchiare! Uffa! E va bene… Ecco che inizia…”
“Io mi siedo vicino Austria!” –cercarono tutte e due di anticiparsi…
“Ragazze…” –provò a pacificarle mentre si contendevano una sedia tirando di qua e di là- “Guardate che ho due fianchi…”

“Ho già le lacrime agli occhi! Chissà quante gliene faranno passare a quello scemo di un pianista!” –sghignazzò Prussia, mentre Gilbird si rotolava dalle risate tra i suoi capelli.

L’ucronia cominciò con la comparsa sullo schermo di una scritta a grandi caratteri, come se fosse il titolo.

<< Il mio grosso, doppio matrimonio austriaco >>

“Macchinina mia, tu vedi troppi film!”

“LEI?!?!” –gli gridò nelle orecchie Inghilterra.

<< E questo continua a parlare con la macchina… >>

 

 

Vienna, seconda metà dell’Ottocento.

Roderich, signore dell’intera Europa centro-orientale era nel suo studio, un’ampia stanza quadrata del bianco palazzo imperiale, e non era solo. Seduto alla sua scrivania di legno pregiato, leggeva e rileggeva il foglio con la proposta fattagli da una delle parti più antiche e problematiche del suo impero!

“… Stai… scherzando, non è vero?”

“Umpf! No, niente affatto!”

Sollevò gli occhi sopra gli occhiali per ammirarla sorridere beffardamente, tutta fiera di aver osato fargli una proposta che poteva fare la storia.

“Sarebbe più che logico, no? Hai messo Ungheria sul tuo stesso piano, quindi perché non anche me, visto che sono importante quanto lei in questo impero?”

Austria tacque. Poi si tolse gli occhiali, massaggiandosi in mezzo agli occhi e anche la fronte, nel mentre che cercava di tranquillizzarsi e mantenere la giusta razionalità (visto che lei in quello non eccelleva!)

“Ceca… Io… Ti stimo molto, sono sincero… Ma non ti sposerò.”

La donna batté il tacco in segno di protesta: “Come sarebbe a dire?”

<< Ben detto ragazza! Legalo e trascinatelo di peso se necessario! >> - gridò Ceca a sé stessa da fuori lo schermo

<< Shhh! >>
“Sarebbe a dire che, a parte il fatto che sono già felicemente sposato, e spero di rimanerlo il più a lungo possibile, questo progetto creerebbe solo complicazioni, e poi Austria-Ungheria-Boemia è troppo lungo come nome, suvvia.”
“Dillo chiaramente, è per il mio carattere!”
“Si, è per il brutto carattere.”

Arrossì: non si aspettava di sentirsi rispondere con tale schiettezza!

“I-io non ho un brutto carattere!”
“Ricordi quando hai buttato i miei ambasciatori fuori dalla finestra? Ne è venuta fuori una guerra europea lunga trent’anni, Ceca!”
“Ehi! Mi piacerai pure, ma nessuno può venire a dirmi se devo protestare o cattolizzare, prendo le mie decisioni da sola! Umpf!”

<< Beh, ora sono atea e ho tolto di mezzo il problema. >>

<< Buuuu! >> -fece America mostrandole una moneta da un dollaro con la scritta “In God we trust”

<< Ma fatti i fatti tuoi, bigotto che non sei altro! >>

“Ceca, il matrimonio è una cosa problematica e tu sei problematica già di tuo, figurati se ti sposassi! E poi io amo già Ungheria.”
“Ecco che ci risiamo, Ungheria di qua, Ungheria di là… Perché non te la sposi se ti piace tanto?”

“L’ho fatto.”

“Ecco, l’hai fatto, ora che ti costa farlo di nuovo?”
“Sigh!”
“Pensa ai vantaggi! Sarai ammirato non soltanto come impero, ma anche come marito non di una, ma di ben due splendide donne, e chi starà meglio di te? E poi… due mogli significa il doppio delle coccole…” –ammiccò suadentemente.

Austria mantenne il contegno da aristocratico e tornò a fingere di leggere le importanti carte sulla sua scrivania: “L’uomo non vive di sole coccole…”

Ceca diede uno sbuffo tale che gli scompigliò il ciuffo.

Stufa, si piegò in avanti e poggiò le mani sulla scrivania, squadrandolo a un palmo dal suo naso: “Austria! A me gli occhi!”

Glieli diede, ma contenevano uno sguardo di chi non voleva essere costretto ad usare la propria autorità per sbatterla fuori, ma che lo avrebbe fatto di quel passo.

“Ci conosciamo fin da piccoli, mi hai preso con te quando i miei re sono spariti, ti ho visto diventare grande ed usare la mano pesante su di me come da bravo bastardo col potere in mano fai a chi si ribella a te, eppure sono ancora qui a chiederti di rendermi la donna più felice del mondo.”

“……”
“Austria, ora voglio che mi guardi negli occhi e mi dica se veramente non provi alcunché, fosse pure qualcosa di piccolissimo, nei miei confronti.”

“… Ceca…”
Avvicinò il viso ancora un po’…

“Io…”

“Austriaaaaa?” –si sentì cantare da oltre la porta!
Roderich perse un battito: “URGH!”

“Accidenti, ecco quella maledetta…”

Sua moglie!

“Austria, tesoro? Ti ho portato un po’ di tè! Posso entrare?”
Roderich balzò in piedi e nascose in un cassetto la proposta di matrimonio, accartocciandola tutta per la fretta: “Oh, santo cielo! Se ti scopre qui da sola con me sarà un guaio!”

“Oh, scema e pure gelosa la tipa! Aspetta che entri e l’aggiusto io! Gliene dico quattro!” –si sgranchì i pugni, mentre Ungheria bussava ancora.

“No! Tu ora te ne vai da qui! All’istante!”

Pavla gli rise in faccia: “E come dovrei fare scusa? Non posso mica passare dalla porta.”
Certo che no; doveva essere per quello che Austria aveva preso a fissare la finestra.
“……”

“Tesoro? Ci sei? Posso entrare?”
<< CRASH! >>

“AAAAAAAAHHH!”

“???”

“Ungheria, amore mio, entra pure!”

Girò il pomello e lo vide seduto alla scrivania con la piuma d’oca alla mano; piuttosto sorridente per avere una delle finestre dello prezioso studio in frantumi, pensò lei.

Mentre la risata del pubblico riecheggiava in sala, nello schermo la testa di Ceca riemergeva da un pagliaio provvidenzialmente piazzato proprio sotto la finestra…

“Grrr!” –fece lei, una volta finito di togliersi dalla bocca gli steli, che ancora aveva sparsi tra i capelli!- “Complimenti per l’ironia, Austria! Io defenestrata! Sarebbe quasi divertente se ora scoppiassero altri trent’anni di guerra!”

Uscì dal pagliaio e guardò, tutt’altro che arresa, la finestra rotta, ribollendo al pensiero del sorriso di Austria nel ringraziare quella smorfiosa per il tè.

“Non finisce qui, stanne certo! Parola di Ceca!”

 

Così, alcuni giorni dopo, Roderich si recò a colloquio dal suo capo.

“Voleva vedermi, maestà?”
“Prego, accomodati. Volevo parlare con te di questo tuo nuovo progetto.”
“Progetto? Temo di non capire.”

Gli mostrò un foglio che gli parve orrendamente familiare…
“Ma come? Parlo della tua proposta di prendere in moglie anche la Boemia!”

“M-m-mia proposta?”

“Mi ha molto sorpreso, visto pure che ti sei appena sposato con Ungheria.”

“C-come ha avuto quel foglio?” –domanda inutile, pensò. Ceca poi doveva averlo anche modificato in modo da far passare lui come favorevole al matrimonio!

“Certo, grazie al tuo matrimonio hai riportato la stabilità nell’impero, e forse così anche i cechi saranno più favorevoli al dominio austriaco, una buona idea.”

“G-g-grazie, signore, però…”

“Mhmm, mi chiedo se anche loro saranno d’accordo.”

Si metteva proprio male! Doveva uscirne subito, senza mettere nei guai Ceca e soprattutto senza indispettire il suo capo che ci stava pensando sul serio.

“V-vede, maestà, in realtà quello che ha tra le mani è un progetto molto vecchio, in realtà oggi io…”

Venne interrotto da dei colpetti sulla porta.

“Avanti!” –concesse la potente voce del suo capo.
“Austria! Sei qui!”

“?!?!?”

Prima che potesse reagire, Ceca era già avvinghiata al suo collo!

“Ah, con la tua proposta mi hai reso la donna più felice del mondo!”

L’imperatore si lisciò i baffi, ridendo di sottecchi: “Oh oh, Austria, in realtà oggi sei già passato all’azione, eh? Volevi dirmi questo!”

“N-n-no! I-io…”

“Dimmi, Ceca, e i tuoi nobili sono d’accordo?”
“D’accordissimo!”

“Allora sono d’accordo anch’io! Austria, se vorrai portare fino in fondo questa tua curiosa ma intrigante idea e sposare Ceca avrai tutto il mio benestare!”

“I-i-io… Io…”
“Certo, così il nome dell’impero forse diventerebbe un po’ troppo lungo… Ma pazienza!”

Approfittando della sua paralisi, Ceca continuò a strusciarglisi addosso: “Ah, Austria, che gioia! Che grande gioia!”

“Oh oh oh, vi lascio soli!”

E non appena l’imperatore fu fuori dalla stanza, il sorriso innamorato di Ceca si sformò in un riso demoniaco!

“… Hai una personalità veramente orrenda.”
“Uh uh uh, è per quello che ti piaccio!”
“No! È per quello che non ti ho sposato!”

“A me sembra sia l’esatto contrario!”
“…… Già! SIGH!”

Ora non poteva certo rimangiarsi tutto dopo che sua maestà si era tanto infervorato…

Avrebbe fatto bene a procurarsi un po’ di ovatta per le sue orecchie, perché di lì a poco ne avrebbero dovute sopportare di urla… Urla femminili!

 

“CHE COOOOOOOOOSA?!”

Le finestre (appena riparate) del suo studio, si spalancarono per l’onda d’aria!

“T-tesoro, calmati…”

Ungheria, nel suo abito verde, sembrava un qualche mostro idrofobo pronto a sventrarli!

“Ceca, mollami, o questa ci ammazza…”

Ceca smise di appoggiarsi al suo braccio: “Uff!”

“Austria… Come ti è venuto in mente? COME HAI POTUTO?”

“Ho-ho solo pensato che l’unione fa la forza, e non c’è due senza tre e l’imperatore…”

“GRRRRRR!”

Austria si rimpicciolì: “Ti prego… Calma… Mi spaventi…”

“Umpf, ma come fai a stare con lei? E poi sono io quella col brutto carattere?”

“Dopo penso anche a te…” –tuonò mostrando le zanne! Ceca ribattè efficacemente con una linguaccia…

“U-Ungheria cerca di capire, lo faccio per l’impero! Anche lei ne fa parte da tanto tempo ormai!”
“Tu hai già un moglie!” –ribadì decisa, sfondandogli i timpani.
Tirò fuori un fazzoletto e si tolse qualche litro dalla fronte: “Ungheria, tu sei speciale per me lo sai, Ceca è diversa… Non pensare a lei come a un’altra moglie, pensa a lei come… Ehm… Come…”
“Si? Sto aspettando!”

“Come a una cameriera che non paghiamo e con la quale possiamo fare sesso.”

“PORTATEMI UNA PADELLA! SUBITO!

“Anche tu potresti fa…”
“PADELLA HO DETTO!”

<< Sigh! No! Padella no! >> -pianse amaramente il futuro-bigamo!

“Eh, ma quanto siamo possessive! Ma tranquillo Austria, io sarò la moglie brava e gentile!” –lo rassicurò appendendosi al suo braccio.

Ungheria si aggrappò all’altro: “Io sono la moglie brava e gentile! Tu sei solo una rovinafamiglie patentata!”

Roderich allora capì, pur non essendoselo mai chiesto, come si sentiva una coperta troppo corta su un letto occupato da due persone… Si, un immagine calzante per quello che l’aspettava!

“Vedrai Austria, sarà magnifico!”

“MA QUESTA PADELLA ARRIVA O NO?”

“Che Dio me la mandi buona…”

 

FINE PRIMO TEMPO!

 

Prussia ormai rischiava seriamente di non passare la giornata tanto non riusciva a respirare per il ridere: “Ah ah ah! << Una cameriera non pagata con cui possiamo fare sesso >>! Austria, se fossi stato tua moglie ti avrei ammazzato anch’io! Ah ah ah!”

“Quel dialogo è avvenuto realmente…” –disse Austria.

“Si, me lo ricordo…” –confermò Ungheria, paonazza per il nervoso.

“Eh eh eh!” –rise fiero America- “La mia macchina ha un grande realismo, vero?”

In quel caso però l’inganno di Ceca non c’era stato e Ungheria e i suoi nobili avevano protestato sonoramente, quindi alla fine non se ne era fatto più nulla.

Naturalmente Pavla era felice come al suo compleanno: “Ah, quanto adoro quest’ucronia! È esattamente così che doveva andare!”

Piccola bugia. In realtà aveva sempre sognato potesse essere Austria a prendere per primo l’iniziativa con lei, ma non si può avere tutto…

Ma non volle lasciarsi abbattere: “Su, panzone, andiamo alla scena del matrimonio, non vedo l’ora!”

“Agli ordini signora!”

 

SECONDO TEMPO!

 

E così Austria celebrò a Vienna il suo secondo matrimonio, che lo mise immediatamente al centro dei pettegolezzi di tutta l’Europa della Belle Époque! Naturalmente Ungheria non avrebbe mai sopportato di vederlo all’altare con Ceca dalle prime file, quindi aveva insistito per accompagnarlo all’altare e farsi risposare, in modo da tenere ben chiare le cose. Quindi fu anche il suo terzo matrimonio, e, si disse, assolutamente l’ultimo!

Grandi furono anche le difficoltà per il fotografo, che all’inizio pensò di vederci doppio!
“Ehm, ma siete sicuri?”
“Sigh… Pensi solo a fotografare la prego…” –disse lo sposo tra le due in abito bianco che si lanciavano occhiate al veleno.

“Contento voi…”

FLASH!

Naturalmente, per una cerimonia tanto importante, erano state invitate tutte le nazioni più importanti!

“Ve! Congratulazioni signor Austria! Ora mi ridà le regioni che mi appartengono? Me le ridà? Me le ridà?”

“Sai Austria, non ti facevo il tipo da << ménage à trois >>! Uh uh uh! Se vuoi farlo diventare << à quatre >> fammi un fischio!”

“Condoglianze.”

“Grazie Germania, tu si che mi capisci…”

“Ah ah ah! Sei fregato! Fregato!” –gli saltellava intorno Prussia- “Due mogli una peggio dell’altra! Ora dovrai stare a sopportare gli sbraiti di entrambe, comprare regali a entrambe, perdere il tuo tempo appresso a tutte e due… Si, ti prosciugheranno il portafoglio e la salute! Ah ah ah, sfigato!”

“Se ne vuoi una te la cedo.” –mormorò lui abbattuto.
Stranamente a quella frase l’albino si innervosì e se ne andò: “P-p-perché dovrei prendermi Ungheria? I-io non ti ho chiesto proprio nulla, figuriamoci quella lì! Tsk! Che razza di proposte!”

<< Ma io non ho nominato Ungheria… >>

“Ci sarà un lancio del bouquet oppure due a questo punto?”

“Nessuno Francia: ciascuna ha fatto a pezzi il bouquet dell’altra per impedire di lanciarglielo…”

Ragionavano in maniera molto simile quelle due: probabilmente sarebbero state grandi amiche se non si fossero innamorate dello stesso uomo.

 

“Come hai potuto?”
Austria si infilò anche lui sotto le coperte del loro matrimoniale: “Ti prego, Ungheria, non tenermi il broncio.”

“Umpf!”

“Cerca di capire! L’ho fatto per il bene del nostro impero: più uniti siamo, più saremo potenti.”

“Ma io non voglio dividerti con quella!”

Ripose gli occhiali sul comodino: “Possiamo parlarne domani? Una tregua, solo questo ti chiedo: questa faccenda ha stressato molto anche me.”

Ungheria si rimangiò la lingua: “Va bene allora... Forse ho fatto un po’ troppa tragedia …”

Gli diede un bacio della buona notte sulla guancia: “Buonanotte, amore.”
“Buonanotte.”

Ungheria soffiò nel lume spegnendo la fiammella e provò a dormire, sperando fosse tutto un incubo.

Un secondo dopo però si sentì un fruscio…

“Ungheria? Sei tu?”

“No.”

Riaccese il lumino e si girò… C’era Ceca che disegnava cerchietti col dito sul petto di Austria.

“AAAAAAAAAAHHH!” –urlarono i due!

“Che c’è? Sono anch’io la moglie di Austria, quindi ho il diritto di dormire nel suo stesso letto!”

“Che sfacciata! Austria, dille qualcosa!”

“… Temo che la sua sia una logica inoppugnabile.”
“QUESTO È TROPPO! Io vado a dormire in un’altra stanza!”
“Uh uh uh, si brava, Ungheria, vai vai! Così mi lasci Austria tutto per me!”
“Ti piacerebbe!”

Ungheria si rifiondò sotto le coltri e iniziò con Ceca una nuova a sfida: a chi riuscisse ad appiccicarsi il più stretto possibile ad Austria.

“Ragazze… Mi state stritolando…”
“GRRR!”
“GRRR!”

<< Vorrei piangere… >>

 

Iniziarono così quasi cinquant’anni di convivenza tripla per le tre nazioni: come per ogni matrimonio, il segreto stava nel compromesso e nello stabilire regole precise!

 

Austria, ispirato dal tramonto che si ammirava dal balcone, fece girare Ungheria per poterle dare un passionale bacio.

Ma, una volta distaccatosi dalle sue labbra, sentitosi picchiettare sulla spalla, si girò e la sua bocca fu immediatamente catturata da un attacco a sorpresa di Ceca!

“Mmm…”

“Umpf! Non te ne sfugge uno, eh? Dannata!”

“Tsk! Lo so bene che tu cerchi ogni occasione buona per aggirare la regola << Tanti baci a me quanti ne dai a lei >>, ma io vi tengo d’occhio! Non avrai neppure un bacino in più rispetto a me, è questione di giustizia, non è vero Austria?”

“Ho lasciato il pianoforte sul fuoco, scusatemi…”

 

La rivalità tra le due per risultare la moglie migliore non conosceva limiti…

<< Toc Toc! >>

“Avanti.”
Sospese il lavoro e ripose la penna nel calamaio, notando Ungheria e Ceca che cercavano di passare tutte e due in contemporanea per la porta, troppo stretta per entrambe! Quando furono dentro, si avvicinarono ciascuna con un vassoio.

“Austria, mio caro, ti ho portato il tè!” –sorrise Ungheria.
“E io ti ho portato il caffè!” –sorrise Ceca.

“Ehm…”

I sorrisi da luminosi erano diventati inquietanti, tirati e malvagi!
“Quale preferisci?” –domandò Ceca.

“Si! Dicci Austria, quale preferisci?” –incalzò Ungheria.

“………”

Solo un’idea geniale poteva salvarlo. Prese entrambe le tazze, e le mischiò insieme, per poi sgolarsi il contenuto; le due non se l’erano aspettato!

“… Com’è?”

“… Molto buono.” –disse l’Austria verde.

 

Naturalmente, trovandosi tra due fuochi, l’istinto di conservazione di Austria gli chiedeva a gran voce di trovare un modo per riconciliarle; magari invitando entrambe a delle passeggiate in campagna.

Austria fermò il cavallo: “Ceca, che fine ha fatto Ungheria? Non era dietro di noi?”

Pavla si lustrò l’aureola: “Chissà, forse è andata a galoppare da qualche altra parte.”

Forse in fondo a un fosso, rise nella sua testa pensando al cartello spostato a metà percorso.
“Dai, non pensarci, facciamoci una corsetta solo noi due, caro mio!”

“Avrò la mia vendetta!” –giurò Elizaveta uscendo tutta sporca di fango e foglie dalla buca in cui era finita col suo cavallo!

 

Ma ad Austria non restò che farsi il callo a quella situazione a dir poco insostenibile; riuscire a giostrarsi tra quelle due, donare loro la stessa quantità di attenzione in modo da ridurre al minimo reclami e strilla era l’unico modo che aveva per sopravvivere. Ed era anche dannatamente difficile.

“Sono a casa…” –annunciò con voce già stufa aprendo la porta di casa.

“Lasciami andare! Io non voglio stare con te!” –sbraitava il ragazzino che si trascinava dietro per la giacchetta.

“Bosnia, calmati: mai sentito parlare di “imperialismo”? È la moda più seguita al momento tra noi grandi nazioni.”

“Bentornato!”

Si limitò a fare un cenno a Ceca e a posare a terra il piccolo balcanico.

“Oh, che bello! Per me? Mi hai regalato lo schiavetto che volevo, grazie Austria!”

“Schiavetto? Ma no, lui è la nuova parte dell’impero: l’ho appena annesso senza chiedergli il permesso e fa un sacco di storie.”

Afferrò Bosnia, sollevandolo da terra come niente: “Uh uh, come sei carino! Tranquillo, ti tratterò con cura!”

“Mettimi giù!”

“Ceca, hai sentito una sola parola di quello che…”

Se lo stava già portando via!

“Sai fare i massaggi alla schiena vero? Vieni: appena esco dal bagno ti voglio pronto in camera mia!”

Austria cercò allora di raggiungere la poltrona, ma fu intercettato dalla sua altra croce!

“Come mai Ceca può avere uno schiavetto e a me niente? Me lo hai mai chiesto se volessi uno schiavetto?”

Si tolse gli occhiali solo per potersi sbattere le mani in faccia: “Sigh! Ungheria, per favore, non ti ci mettere anche tu! Russia me ne ha dette quattro per questa storia di Bosnia, e ci sono tafferugli dappertutto nell’impero e sono pieno di pensieri, quindi, vista la situazione, gradirei se tu e Ceca poteste andare d’accordo almeno per cinque minuti!”

“KYAAAAAHH! Chi ha messo un chilo di cubetti di ghiaccio nella mia vasca da bagno?! Maledetta Ungheria, mi vendicherò!”

Elizaveta fece spallucce.

“… Ci rinuncio…”


Purtroppo i foschi pensieri di Austria avevano motivo di esserci, visto che di lì a poco, la polveriera Europa di quegli anni sarebbe scoppiata! L’Austria-Ungheria-Boemia avrebbe acceso miccia e dato inizio ad un conflitto dei più grandi: la Prima Guerra Mondiale!

Ceca ed Ungheria osservavano da fuori la porta Roderich alle prese con il telefono che era come impazzito.

“Come? Russia ci ha dichiarato guerra per l’aggressione a Serbia? Beh, era prevedibile…” –riattaccò… << DRIIIN! >>- “Come? Francia darà una mano a Russia? Accidentaccio!” –riattaccò… << DRIIIN! >>- “Come? Germania ha detto che ci darà una mano? Fantastico!” –riattaccò… << DRIIIN! >>- “Come? Inghilterra vuole rompere le scatole anche lui? Beh, ci faremo trovare pronti!” –riattaccò… << DRIIIN! >>- “Come? Italia rivuole le sue regioni? Che vada a quel paese!” –riattaccò… << DRIIIN! >>- “… No, ha sbagliato numero… Si figuri, la sua è l’unica buona notizia di oggi…”

Per essere sicuro staccò il telefono, poi chiamò a sé le sue adorabili mogliettine!

“Tesori, siamo in guerra! Io andrò ad est ad affrontare Russia, e vorrei che nel frattempo voi vi occupaste di Italia. Credete di poterlo fare?”
“Ma naturalmente!” –risposero all’unisono le due.

<< Beh, vedo che almeno in una situazione di emergenza sono in grado di unire le forze. >>

In realtà non poteva vedere che dietro si stavano prendendo a pizzicotti sulla schiena!

 

Un po’ di tempo dopo…

“Sono a casa…” –disse stanchissimo, togliendosi cappello e divisa- “Meno male che Russia si è ammalato di rivoluzione e ha deciso di uscire dai giochi. Questo ci darà un po’ di fiato… Ungheria? Ceca?”

Girò un po’ per casa, cercandole: “Com’è andata con Ita…???”

Avevano tutte e due le divise strappate, lividi sulle braccia e cerotti! Ceca pure una stampella!

“Eh eh eh… Un po’ malino…”
“… Vi siete ridotte così per causa di Italia… o tra di voi?”
“Un po’ l’una e un po’ l’altra!”
“NE HO ABBASTANZA! Non posso lasciarvi sole cinque minuti!”

Credendo di perdere capelli per lo stress ad ogni passo, agguantò il telefono: “Ora basta! Non dovevo fidarmi di voi! Ora chiamo Germania, mi faccio dare una mano da lui: ci daremo appuntamento a Caporetto e daremo una lezione ad Italia!”

Le due non poterono che chinare il capo, fino a che la ramanzina raggiunse il suo culmine.

“Voi due sarete la mia rovina!”

A volte quando si è feriti da qualcuno a cui si tiene, ci sembra impossibile che sia colpa nostra, che tanto lo amiamo. Deve essere sicuramente colpa di qualcun altro.

Ungheria, accecata, schiaffeggiò l’altra: “Questa è solo colpa tua!”

“Che diavolo ti prende?! Non solo vi ho aiutati a combattere per il nostro impero!”
“Come parte dell’impero ci avresti aiutato comunque! Invece sposandolo hai solo creato scompiglio e guarda in che situazione siamo!”
“Ma la senti questa Austria? La senti che scemenze va dicendo?”
“CECA, STAI UN PÒ ZITTA!”

L’urlo mise a tacere sia lei che Ungheria, traumatizzata dal vedere un Roderich tanto violento verbalmente.

“… Due contro uno, eh? Sapete che vi dico, spero la perdiate questa vostra cavolo di guerra!” –andò via zoppicando, perché per la rabbia aveva tirato la stampella contro il muro. Ungheria la seguì con lo sguardo, chiedendosi perché ora provasse un po’ di dispiacere. Ma altro di più preoccupante trovò posto in lei: la mano di Austria tremava, impedendogli di comporre il numero, ed ansimava come esausto.

“Austria!” –corse lei a tenerlo per un braccio.

“Io… Sono sempre più debole… Temo che, comunque vada, questa sarà la mia fine…”

Roderich, piegato in avanti, si teneva al tavolino, e né lei né nessun’altra, indipendentemente dalle colpe, potevano ormai fare più nulla…

Nel frattempo, nella sala riunioni, Ungheria e Ceca avevano già da un po’ smesso di commentare o anche solo aprir bocca, concentrati unicamente su ciò che vedevano, e lo stesso aveva fatto Austria. Qualche secondo dopo, i tre si rividero nello schermo, a guerra finita, a rendere conto ai vincitori.

 

Inghilterra era seduto dietro una scrivania, Francia era in piedi al suo fianco; dinanzi a loro, come alunni discoli, uno sfattissimo Austria, ridotto a un’ombra di sé, e dietro ancora le sue due mogli. Ormai, per non sprofondare, non restava loro che credere che non fossero le vere colpevoli, coi loro interminabili battibecchi; convincersi che, in ogni caso, il potere del loro illustre uomo, era giunto alla sua naturale fine con il risvegliarsi delle coscienze di tutte le nazioni che aveva conquistato e talvolta oppresso. Austria era andato letteralmente in pezzi: Italia si era ripreso le sue regioni, i fratelli balcani si erano staccati da lui, e lo avevano anche costretto a restituire a Polonia le parti di cui si era appropriato in passato, in modo che Feliks potesse risorgere come nazione. E non era ancora finita.

Inghilterra iniziò a parlare: “Austria, tu e Germania siete stati i principali responsabili di questa guerra…”

Si, come no, cari i miei “Pilato”, gli sarebbe venuto da dire.

“Ormai la tua potenza è sparita, non puoi più restare un impero.”

Chinò il capo, mentre li ascoltava suonare il suo requiem, commiato per la sua gloria andata.

“Potrai tenere le regioni che ti appartengono di diritto, ma dovrai ulteriormente ridurre i tuoi confini. Mi dispiace, ma ti sarà concesso di tenere solo una delle tue due mogli.”

“!!!”

Francia si spiegò meglio: “Potrai continuare ad abitare con una loro in un unico stato, ma l’altra dovrà diventare indipendente. Però potrai essere tu a scegliere. Ci spiace.”

Austria si rimpicciolì ancora di più, ammesso fosse possibile. Si voltò ridotto a un fascio di nervi, convinto di aspettarsi pianti, urla e altre sfuriate, ma non trovò nulla di tutto questo; solo una sommessa, piccolissima, risata senza alcuna speranza.

“Austria che deve scegliere tra me ed Ungheria? Umpf…”

Figurarsi.
Fece un passo avanti: “Questa non è neppure una scelta.”

Meglio risparmiarsi l’umiliazione, e risparmiare la fatica ad Austria a quel punto…

“E va bene, ho già capito. Sarò io a divorziare da Austria. Molla la penna, Francia.”

Sorpreso dalla sua mancanza di resistenza, Francis tirò fuori la penna dal taschino, mentre Inghilterra le mostrava il certificato da firmare insieme con Roderich.
“Ma… Ceca…”

“Umpf, tranquillo Austria; non so così scema da pensare tu possa scegliere me. Vorrà dire me ne andrò per la mia strada: diventerò una repubblica… Repubblica Ceca, si, mi chiamerò così.”

Si girò poi verso la sua frastornata rivale: “Umpf, senza rancore!”

Francia porse la penna a Roderich, e qualche goccia dopo, il loro legame era spezzato.

 

“Beh…” –ritrovò la lingua Repubblica Ceca- “A quanto pare non era proprio il mio destino stare con Austria. Pazienza.” –disse, stringendo le dita sulla gamba.

Per lo meno, i suoi cinque minuti di gloria li aveva avuti… in una finzione…

In tutto ciò, Austria ed Ungheria ora la guardavano con compassione.

<< Sono patetica… >>

 

“Beh, se abbiamo concluso…” –diede una pacca ad Austria- “Buona fortuna, a tutti e due.”

E fu così che il terzo incomodo uscì di scena, e chi di dovere poté vivere per sempre felice e contento: così Pavla scrisse come finale, richiudendo lentamente la porta.

“Bene, Austria: tu ed Ungheria potete continuare ad essere una cosa sola.”

Elizaveta di primo istinto lo abbracciò: Austria era rigido come un pezzo di legno, con gli occhi fissi sulla scrivania. La consolazione che la stretta dell’amata poteva dargli veniva spazzata via da un rimorso che non faticava affatto a capire.

Si risveglio da quell’ipnosi per fare ciò che andava fatto: “No.”

“Come?” –fece Inghilterra, sul punto di alzarsi un attimo prima.

Uscì dal suo abbraccio: “Divorzierò anche da Ungheria: d’ora in poi sarò Austria e basta.”
Non si curò minimamente degli sguardi allibiti dei due, con un Ungheria già da prima sull’orlo dei singhiozzi e che ora lo sentiva dire simili cose di sua volontà.

“Ma… Ma…”

Le prese le mani: “Ungheria, io ti amo, e sarà così per sempre, ma io tengo troppo a Ceca perché finisca così male per lei. Ha avuto una vita difficile, sempre a guardarti da lontano come uno scoglio insormontabile tra me e lei, sempre a cercare disperatamente di farmi ricambiare ciò che prova… Ma non è una cattiva ragazza.”

Certo che lei stesse ascoltando da oltre la porta, proseguì: “E non è giusto che ora io e te ci godiamo il lieto fine alle sue spalle. Io le voglio bene, e voglio che, per una volta nella sua vita, finisca un po’ meglio per lei, per quanto possibile. Mi dispiace.”

Trascorso qualche attimo di silenzio, lo ricambiò in modo altrettanto sorprendente.

“Sei un brav’uomo Austria.” –disse, sforzandosi di non piangere- “Stare al tuo fianco è stato bellissimo.”
Poi si girò con aria decisa verso Francia: “Voglio il divorzio. D’ora in poi, sarò una nazione a sé stante.”

Roderich chinò il capo: “Buona fortuna ad entrambi allora.”

Inghilterra non ebbe altra scelta se non quella di tirar fuori un secondo attestato di divorzio, che Austria firmò per primo; poi uscì dalla stanza.

 

“Lo sapevo che eri ancora qui fuori!”
E sapeva esattamente come l’avrebbe trovata una volta uscito: dannatamente arrabbiata e dispiaciuta allo stesso tempo.

“Sei un’idiota… Vai subito dentro a risposarti!”

“No, Ceca, va bene anche così. Piuttosto, perché non ammetti che un po’ ti fa piacere averla scampata su Ungheria per una volta?”

Ovvio che era contenta! Ma non voleva entusiasmarsi per una vittoria regalata anziché conquistata; dopo cinquant’anni di matrimonio certe cose ti entrano in testa e sai che non potranno mai cambiare.
“Tu non proverai mai per me quello che provo per te.” –singhiozzò lei a denti stretti.

“No. Ma, rispondendo a quella tua domanda di tanto tempo fa, direi che c’è almeno… “qualcosina”… Può bastare?”
“… Forse.”

Austria pensò a quanto fosse carina e femminile in quell’istante. Avvicinò il suo viso, deciso a farle ancora un altro regalo: un bacio, un contentino forse, ma che dopo quante ne avevano passate insieme aveva decisamente meritato, e che sapeva l’avrebbe resa immensamente felice, almeno un attimo, prima dei saluti.

Incredula, Ceca ingoiò e chiuse gli occhi, avvicinandosi sempre di più…

 

 

ZAP!

Un “NOOOO!” dispiaciuto riempì la sala quando lo schermo si spense! Proprio nel momento clou!

Alfred, sentendosi morire, era balzato in piedi per soccorrere la sua macchina, guardandola da ogni angolazione, temendo si fosse rotta! Ma si calmò quando vide che era stata semplicemente staccata la spina…

Da Ungheria, a giudicare dal cavo che aveva in mano…

“Ecco… Beh, tanto ormai l’avevamo capito come andava a finire, no?”

“UNGHERIAAAAAAAAAA!”

Come prima con Svizzera, si formò il vuoto intorno a lei!

“Hai spento proprio nel momento in cui stavo per essere baciata da Austria! Questa volta l’hai fatta grossa! Russia! Prestami il tuo tubo!”

“Solo se mi prometti che sarai violenta.”

“Oh, sarò MOLTO violenta”
Il gigante esaudì entusiasta la sua richiesta: “Eh eh eh! Sangue! Sangue!”

Ungheria si armò anche lei di padella: “Andiamo, Ceca, e la solidarietà che una volta tanto ti ho mostrato prima?”

“MA ERA UN BACIO CON AUSTRIA!”

E violenza fu!

Intanto America, contento che non fosse capitato un accidente al suo apparecchio, se lo stava sbaciucchiando tutto, ma si accorse che non era ancora al sicuro con quelle due a combattere lì a due passi! Immediatamente coprì la macchina come uno scudo umano: “ARGH! NO! Sciò! Andate via! Combattete da un’altra parte! Così rischiate di romperla! Sciò!”

Nel frattempo, Italia era andato a dare una pacca dietro le spalle ad Austria.

“Ve, non te la prendere se non sei più un grande impero Austria, sei più simpatico così: prima eri molto più vanitoso e antipatico.”
“Davvero? Sono più simpatico adesso?” –chiese speranzoso.

Italia aveva uno sguardo sadico: “Siii, sei molto più simpatico senza le mie regioni! Uh uh uh! Mie!”

“Siii!” –arrivò Polonia con lo stesso ghigno perfido: “Mooolto più simpatico, uh uh uh!”
“……”

SBRANG!

Ceca si era appena schiantata giusto davanti la sua sedia, con Ungheria in piedi sopra di lei con la padella alzata sopra la testa.

“Tregua! Tregua! Mi arrendo, hai vinto tu.”

“Uff… Umpf, così impari a volermi rubare Austr… !?!?”

Aveva chiuso gli occhi un attimo e lei subito ne aveva approfittato per alzarsi e schioccare un bacio a tradimento sulle labbra del conteso!

“CECAAAAAAAAAAAAA!”

“MUAHAHAHAHAHAH! SONO IO LA MIGLIORE!”

Elizaveta rincorse Pavla fin fuori l’edificio, e le nazioni continuarono ad assistere all’inseguimento al riparo da dietro le finestre!

Austria invece era rimasto dov’era, visibilmente provato.

Un momento perfetto perché Prussia entrasse in scena!

“Sai, Austria…” –iniziò cingendogli le spalle come fosse un amicone di lunga data- “Sono indeciso se il fatto che due ragazze belle quanto rompiscatole si siano innamorate tutte e due di te ti renda l’uomo più fortunato del mondo o il più sfigato. Tu che ne dici?”

Lui non si mosse di un millimetro, ma il suo ricciolo si tese.

“…… Prussia, una sola altra parola e non sarò più responsabile delle mie azioni.”

“……”

Non ce ne furono: cinquant’anni di matrimonio con una sola o tutte e due che fosse dovevano essere belli stressanti, e Gilbert pensò non fosse il caso di tirare “il ricciolo” ulteriormente…

 

 

 

Bravo Gilbert, saggia decisione: magari ti saresti ritrovato a correre per evitare di essere pestato con un pianoforte a coda! XD
Mi scuso per il capitolo stra-lungo, è solo che l’ho semplicemente adorato: curiosità storiche, comicità, romanticismo, il dramma finale, e Prussia che non la smetteva più rompere al già distrutto Roderich! XD Senza contare Italia e Polonia che si sono tolti un po’ di sassolini dalla scarpa… XD D’altronde, parla di ben tre nazioni, quindi tanto breve non poteva essere.

Finisce così la storia dell’Austria-Ungheria-Boemia, che spero vi abbia fatto appassionare come me a questo simpaticissimo OC che è Repubblica Ceca ^__^

Alla prossima!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 8
*** E se Turchia avesse conquistato Vienna e fosse avanzato in Europa? - PRIMA PARTE ***


Ciao a tutti, rieccomi qui, cari viaggiatori di storie alternative! Mi ha fatto molto piacere ricevere molti commenti sul precedente capitolo visto quanto tengo a quell’impicciona di Repubblica Ceca ^__^ Se qualcuno di voi scrivesse mai qualcosa su di lei me lo faccia sapere, leggerei di sicuro! XD
Ma ora andiamo avanti! Dopo Austria, oggi rivedremo un altro ex-impero alla ribalta!

Che scenario risponderà alla sua domanda? Quali sorprese faranno da rovescio della medaglia? La storia non è mai banale, e anche piccoli cambiamenti possono dare grandi stravolgimenti!

Buona lettura, e grazie a colui/colei che mi ha suggerito l’idea (purtroppo non ricordo chi: segno i commenti a parte ma non il nome di chi li fa, scusami ^__^”)!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

 

 

 

Avendo capito che, quando si trattava di un litigio con l’altra, Ungheria e Repubblica Ceca tiravano fuori una tenacia e un’instancabilità oltremodo sorprendenti, gli altri si decisero ad agire, altrimenti chissà quando l’avrebbero piantata e addio ad altre domande. Bloccate le due (ci vollero quattro persone per ciascuna…), le avevano incatenate a delle sedie e messe in due punti opposti della sala; anche a quella distanza però, le due continuavano a lanciarsi occhiate al vetriolo, a mostrare linguacce schifate e sbuffare “Umpf!” altezzosi.

In tutto ciò c’era il povero Austria, coperto d’imbarazzo al pensiero che quelle fossero due delle sue più care conoscenze! Si era seduto un po’ in disparte, non vedendo l’ora di sparire dal centro dell’attenzione e non dover più subire, oltre alla vergogna, gli avvicinamenti di Prussia prima e di Francia poi.

“E quindi non ho capito, ti darebbe fastidio o no se ci provassi con Ceca? Sai, sembra una tipa eccitante…”
Si coprì la faccia: “Francia, ti prego!”

Gli lasciò sulle gambe il suo biglietto da visita: “Nel caso cambiassi idea sul “menage à quatre”. Chiamami!”

“Sigh…” –figurarsi se non gli ripeteva la proposta anche nella realtà!
“Ehi, lasciate in pace Austria, va bene?”
Austria alzò gli occhi: “Turchia?”

La porta tra occidente e oriente, con l’immancabile felpa verde e il seducente pizzetto, trascinò una sedia accanto a lui e si sedette, ostentando un atteggiamento solidale, con tanto di mano sulla spalla.

“Dai, lascia stare, io ti capisco: sono stato anch’io un impero dopotutto, e conosco i guai che hai dovuto passare. Nazioni che fanno i capricci, altre che litigano tra loro, altre che non ti amano…”
Grecia, in risposta al suo sguardo, gli mostrò stizzito le spalle!

“E dopo tutto il tempo e la fatica che ci metti a tirarlo su questo benedetto impero non fa che darti preoccupazioni, fino a quando non lo vedi crollare come un castello di carte così da un giorno all’altro e tanti saluti autostima… Beh, io il mio l’ho visto sfarsi lentamente giorno per giorno, quindi forse è stata più dura per me che per te… O forse significa pure che me lo sono tenuto meglio.”
“Vedo che non fai fatica a trovare modi per reinnalzarti l’autostima.”

Turchia rise: “Scherzavo! Sono sincero quando dico che ti sono solidale: ti hanno fatto rivedere la tua caduta poco fa, davanti a così tanti spettatori, non sarà stato facile, poi ci si mettono i soliti cretini… Non ci ho pensato su un momento a venire dalla tua parte.”

“Ti ringrazio molto Turchia, ma, alla luce dei rapporti in fin dei conti non così stretti che ci sono tra noi due, se da un lato mi fa piacere il tuo interesse per me, dall’altro ciò mi spinge a chiederti perché lo fai.”

Le labbra del moro si arricciarono: “Beh, diciamo che è per farmi perdonare perché la domanda che farò io tra poco riguarda te un’altra volta!”

“Bah!” –sbottò subito lui come davanti a un pianista che stona malamente (e lui non sopportava i musicisti che stonano!)- “In altre parole hai solo la coscienza sporca!”

“Pensavo sul serio ad ogni parola prima, lo giuro!” –continuò a ridacchiare- “Ma che ci vuoi fare, dopo aver visto te e gli altri è tornata anche a me la voglia di prendermi una rivincita sulla storia! Però ti chiedo scusa in anticipo se la cosa non ti farà piacere, va bene?”
Austria fece segno di lasciar perdere, era libero di fare quello che voleva, e almeno lui non l’aveva preso in giro per la bigamia o gli aveva fatto proposte indecenti.

“Una domanda che riguarda te e che non mi farà piacere… Oh, no, ho capito! Vuoi chiedere di rovesciare l’esito della Battaglia di Vienna, giusto?”

“Ehi! Parlate della Battaglia di Vienna?”

Polonia arrivò alle loro spalle, smuovendosi vanitosamente le ciocche paglierine: “Oh, lo ricordo come se fosse ieri! Anno 1683, tu stavi assediando Vienna e l’intera Europa tremava al pensiero che gli Ottomani stessero per sconfiggere una delle sue nazioni più potenti. Ma ecco allora che arrivo io, sul mio destriero rosa, a spezzare l’assedio e salvare Austria dall’ormai certa sconfitta! Ah, che momento eroico per me!”
“Tutto corretto Polonia, tranne per il fatto che non avevi un cavallo rosa…”
“E lasciami sognare, Austria!”

Come si fosse offeso, Feliks li abbandonò… Mai togliere ad un uomo il suo cavallo rosa…

“In altre parole…” –proseguì Austria, passando sopra all’improvvisata del biondo- “Vuoi chiedere che sarebbe successo se Feliks non fosse giunto a salvarmi “le chiappe” come diresti tu, vero?”
“Quasi, mio caro rivale di un tempo! Non è stata quella l’unica volta che sono stato sul punto di buttarti a terra, lo sai! Uh uh uh!”
America diede due forti colpi di tosse, richiamando l’attenzione dei due.

“Se avete una domanda, anziché confabularla, perché non la esponete prima che la macchina si raffreddi?” –fece come seccato: più domande più divertimento, perché perdere tempo in chiacchiere?
Turchia allora si alzò: “Molto bene!”

<< POFF! >>

Venne avvolto da un nuvolone di fumo viola; quando si fu diradato, non solo Turchia non era più lì, ma aveva anche cambiato abbigliamento!
“Ammirate… L’IMPERO OTTOMANO!”

“Buuu…” –fece Grecia, ma con la sua voce sempre bassa e sonnolenta non lo sentì quasi nessuno.

Sadik era salito sul tavolo con la veste bianca e rossa dei suoi bei tempi andati; sulla testa aveva un turbante degli stessi colori ornato da folte piume, il suo viso era celato in basso da un velo di calzamaglia nera e sugli occhi da una mascherina bianca, dandogli un aspetto misterioso ed esotico, evocando antichi e potenti regni, minareti e mezzelune, odore di spezie, e di quelle meraviglie che il magico oriente aveva per secoli offerto ad un occidente così sicuro di sé da credere di non potersi più stupire per nulla!

“Sono stato il terrore dell’Europa intera per secoli: i più potenti regni della terra sono rimasti a lungo sulla graticola, aspettando il momento, ahimé mai giunto, in cui avrei bussato alle loro porte. Che ricordi, eh Grecia?”

Grecia rispose sbuffando una nuvoletta.

“Purtroppo, Austria alla fine fu per me un bastione troppo arduo da sormontare; ma ora ho dalla mia questa straordinaria macchina, quindi, diamo una passata di gomma a quel che è stato e intingiamo la penna in un calamaio del tutto nuovo!”

“Solo se scendi da lì e la pianti di tirartela tanto.”

“Giusto.” –approvò Herakles.

“Chissà perché sei tanto d’accordo tu, eh? Va bene…”

Turchia scese, usò un altro fumogeno per rimettersi i suoi abiti moderni e si spiegò meglio: “Dunque… Nel 1529 avevo da poco sconfitto pesantemente Ungheria, conquistando quasi tutti i suoi territori.”

L’incatenata chinò tristemente il capo: “Già… Fu dopo quella brutta faccenda che andai a vivere con Austria.”

“Mi diressi verso Vienna, ma fui sfortunato, fallii, e il mio sultano Solimano dovette fermare la sua espansione.”

A differenza di lui, Austria era rimasto tutto il tempo seduto ostentando superiorità: “Umpf, non mi sarei mai lasciato sconfiggere da uno della tua risma! E infatti alla fine non sei mai riuscito a superarmi neanche dopo, caro Turchia!”
Sadik strinse i denti: “Ah, si? Quello era il mio periodo migliore, e se non fosse stato per te sarei andato sicuramente lontanissimo! Vediamo allora come sarebbe andata se invece avessi vinto!”

Roderich incrociò le braccia, schernendolo: “E se avessi conquistato l’Europa magari!”

“Vediamo allora!” –gridò America- “Sentito vero macchinina mia? Mostraci una nuova storia anche stavolta!”

Adulata la sua creazione, come se anche lei, al pari del suo creatore, avesse un ego sproporzionato da soddisfare, pigiò il pulsante rosso e il video si accese.

“Ehi, un attimo! Dov’è il telecomando? Voglio la modalità spettatore.”

“Io non lo vedo…”
“Che si sia perso prima mentre Ungheria e Ceca litigavano?”

“Non scherzate, ritrova…”

Vide il vortice iniziare ad uscire dallo schermo e ingrandirsi mentre veniva verso di lui!

“Tro-trovatelo, presto!”

Germania, risaputamente un bravo organizzatore, si mise subito in moto: “Cerchiamolo, avanti! Voi da quella parte, io e Italia da questa!”

“Presto!”

Ma ormai Turchia era già stato acchiappato… E non solo lui!

“EHI!” –gridò Austria afferrandosi ai piedi della sedia!- “Perché sta succhiando anche me?!”
“Mhmm…” –mormorò America- “Si direbbe che la macchina abbia inteso il tuo sarcasmo come parte della domanda e quindi voglia prendere anche te. Che sorpresa, non sapevo si potesse viaggiare nelle ucronie in due!”
“MA QUALE SORPRESA?! FERMALAAAAA!”

Austria e la sedia volarono addosso a Turchia, spingendolo ancora più dentro lo schermo!
Ungheria, terrorizzata, cercò di liberarsi dalle catene: “AUSTRIA!”

“Tro-trovato!” –fece Lettonia alzando da terra il telecomando. Svezia glielo strappò via senza una parola e lo tirò al volo: venne agguantato da una delle loro mani giusto un attimo prima di sparire.

“Austria, non ti preoccupare, ti salvo io!”

Ungheria, anche se incatenata, corse a tutta birra verso quella malefica scatoletta-mangia-Austria, lanciandosi a volo d’angelo per impedire che l’amato venisse risucchiato, ma ormai era troppo tardi. America allora afferrò la sua tv e la spostò quanto bastava perché Ungheria la mancasse e sbattesse con la piena faccia contro la parete… Inutile dire che in tutto questo Prussia e Ceca si stavano sbellicando dalle risate.

“Beh, almeno siamo riusciti a fargli avere il telecomando…” –disse America, senza commentare la faccia di Ungheria che cadeva a terra strisciando lungo la parete (lasciandovi una stria di sangue…)- “Però tu, Svezia, fai attenzione, non si lanciano così i telecomandi! Potevi romperlo!”

“……” –si scusò Berwald.

Ecco però arrivare quell’immancabile criticone di Arthur Kirkland: “Tu pensi al telecomando? Austria è stato risucchiato che non centrava nulla, e Ungheria si è spalmata sul muro come marmellata su una fetta biscottata!”

“Oh, ci penserà Svizzera a lei, è un croce rossa, no? E poi non è un dramma, se vogliono possono attivare la modalità spettatore anche mentre sono nella realtà alternativa.”

“Direi che non ci resta che sederci e guardare.” –fece filosoficamente Giappone, aprendosi un bento- “Povero Turchia.”
Germania sospirò: “Povero Austria…”
“E povera sedia!” –scherzò lo strafottente Gilbert.

 

Turchia, Austria, e la sedia di quest’ultimo arrivarono naturalmente tutti e tre sani e salvi all’interno dell’ucronia.

“Questa me la paghi!”
“Sei stato tu a far equivocare il trabiccolo, non prendertela con me!”

“……” –fece la sedia, più indifferente per l’essere stata trascinata lì.

“Ma guarda un po’, venire trascinato in un’ucronia, un’ucronia per giunta dove a te va alla grande alle mie spalle, che diamine!”

“Se mi scuso la pianti? Stai diventando noioso, tutto per una caduta nel vuoto fuori programma…”
“Tsk, America dovrebbe rivedere l’ingresso in questa sua…”

“Oh…”

Presi dal battibeccare, i due avevano iniziato a camminare senza rendersene conto, attraversando, col passo scosso per via lo shock subito, un corridoio in penombra, fermandosi però quando questo era sbucato in uno spazio esterno dal colpo d’occhio invidiabile. Un grande giardino rettangolare, racchiuso in un porticato di colonne scolpite; verde, rigoglioso, con file di fontane, aiuole, e tra queste dei piccoli sentieri tra cui poter passeggiare; gabbiette con uccelli dagli sgargianti colori erano poste agli incroci tra questi sentieri, e riempivano tutto lo spazio con un continuo canto che, insieme agli scrosci delle fontane, dava sollievo e pace ai sensi.

“Stupendo, sembra di essere nelle Mille e una notte.”
Sadik ridacchiò: “Quasi! Siamo ad Istanbul! Nella mia vecchia casa!”

“Ah, si? Il gusto c’è, ma non è un po’ troppo appariscente?”
“Eh eh eh, sono sempre stato un tipo lezioso, quindi lo prendo come un compliment... WHOA!”

La mano che aveva usato per dargli una pacca era sprofondata completamente nel corpo del compagno di viaggio. Austria prese il suo di spavento quando la sua mano sparì nello stesso modo dentro una colonna!
<< Calmi, ragazzi, non vi siete trasformati in fantasmi! >>

I due alzarono gli occhi: “America?”

<< Andiamo, chi altro può essere se in un’ucronia sentite una voce dal cielo? Bel trucchetto però, eh? Ad ogni modo, tranquillizzatevi, siete in modalità spettatore, ricordate? Solo che è dall’interno. >> -l’avevano attivata durante la caduta, premendo il tasto apposito subito dopo essere stati risucchiati- << Potete viaggiare liberamente nella vostra ucronia, ma nessuno può vedervi o sentirvi, inoltre non potete toccare oggetti o toccarvi tra di voi. Tutto qui. Per il resto, fate un saluto alla telecamera per il pubblico! >>

I due agitarono le manine al cielo azzurro, adesso pronti ad iniziare ad esplorare.

“Forza Austria, andiamo a << cercarmi >>! Eh eh!”
“Aspettami! Come fai ad avviarti con così tanta sicurezza?”
“Te l’ho detto, è casa mia, so come muovermi! Di qua.”

Austria, ancora non abituato, si spaventò quando lo vide schiantarsi contro una parete; in realtà l’aveva attraversata, e un attimo dopo uscì solo il suo braccio che gli faceva segno di seguirlo.

“Andiamo!”
Austria rabbrividì: “Arrivo…”

Sadik, eccitato, passava velocemente di stanza in stanza, seguito dal più cauto compagno: “Mhmm, le sale sono più grandi e ancora più ricche di quello che mi ricordavo… Non vedo l’ora di vedere quanto meglio mi è andata!”

Molte pareti dopo, Sadik si affacciò con la testa nel posto giusto: “Eccomi qui! Vieni Austria!”

I due attraversarono la parete: la stanza era quadrata, con le pareti tinte di verde acqua e turchese e dal tetto molto alto, il pavimento completamente ricoperto da tappeti e cuscini; qui è là da dei piccoli bracieri fumanti appesi alle pareti si levavano fiocchi di fumi insaporiti dei più pregiati e rari aromi. Il Turchia, o meglio l’Impero Ottomano dell’ucronia era disteso, senza cappello, su un grosso mucchio di cuscini dall’aspetto morbidissimo, intento a godersi l’ozio che la sua illustre condizione poteva permettergli. Di tanto in tanto portava alle labbra il boccaglio del suo narghilè, aspirava lentamente e poi soffiava piano, mugolando un verso d’approvazione, lasciando che nel contempo la testa sprofondasse ancora di più sui cuscini.

“Ah, il fumo! Esiste vizio migliore?”
“Tsk, ma guardati… Più che un conquistatore sembri un fannullone!”
“Andiamo Austria, sei stato impero anche tu, di sicuro anche tu ti sarai messo in panciolle a pensare a quanto stai meglio degli altri.”

Austria arrossì: “Io sono un serio lavoratore: nel mio tempo libero studio musica, altro che guanciali e fumo.”

“Umpf, io si che sapevo godermi la vita!” –se avesse potuto, si sarebbe buttato su quel mucchio tanto morbido in un attimo.

Ottomano alzò il capo e schioccò le dita, facendo subito venire da un porticina un paio di guardie: “Portatemi qui il mio harem!”

Turchia si strofinò le mani: “Si! L’harem!”

“Harem?”

Ci volle poco: la grande porta in legno chiaro alle loro spalle si spalancò, e i due invisibili intrusi videro comparire sulla soglia…

Austria divenne bianco (vestiti inclusi): “U-U-U…”

 

“UNGHERIA E UCRAINA?!?!?” –urlarono gli spettatori!

“Kolkolkolkolkol…” –rise istericamente uno spettatore, spezzando una sedia con la forza delle mani!

 

Le due erano vestite da odalische: veli colorati ma trasparenti coprivano il viso dal naso in giù, e trasparenti erano anche alcune parti del vestito, lasciando all’ammirazione di tutti (senza esagerare) la stupenda pelle e le curve sinuose delle due meravigliose ragazze.

Ucraina si mostrò gentile come sempre: “S-Salve, mio signore, spero sia una buona giornata!”

Ungheria invece era palesemente seccata dal trovarsi lì: “Ehilà… Mio signore…”

“Ah, gioie dei miei occhi! Venite un po’ a stendervi vicino a me!”

Austria cercò istintivamente di impedire ad Ungheria di arrivare a lui, ma questa lo attraversò. Mentre Elizaveta e Katyusha giungevano a portata delle lussuriose braccia del Sadik ucronico, Roderich aveva preso a fissare il suo Sadik con una vena esplosa sul collo.

“Che c’è?”

“Harem, eh? Razza di pervertito stile etnico, come hai potuto? Come hai potuto fare entrare Ungheria e persino Ucraina nel tuo harem! Altro che Francia, lui almeno non ha delle concubi…”

“ALT!”

Sorpreso dal vigore con cui l’aveva fermato, Austria si ritrasse un po’: sembrava proprio arrabbiato.

“Mettiamo in chiaro le cose, in modo da non perpetrare certi stereotipi su noi mussulmani!”

Si schiarì la voce e guardò verso gli “spettatori”, parlando come fosse stato in un documentario: “Harem, ovvero “Luogo inviolabile”, è il gineceo, la parte della casa in cui risiedono le donne. Qui si trovavano le stanze della madre, della sorella, delle mogli, e con loro c’erano anche tutti i figli piccoli dell’uomo di casa. Tuttavia, per gettare discredito sul nemico ottomano, in occidente vennero sparse voci ben diverse… In altre parole, l’harem non è la stanza piena di bei pezzi di carne con cui il sultano può fare sesso a suo piacimento, ma è piuttosto il luogo in cui risiedono e, in cui possono essere visitati qualora lui lo desideri, gli affetti più cari del padrone di casa.”

Austria incassò il colpo e fece ammenda: “Non lo sapevo. Scusami, non volevo offendere…”

“E naturalmente, se vuole il padrone può fare sesso a suo piacimento con le donne presenti nell’harem, chi glielo vieta?”

“TU BRUTTO…”

Si bloccò: lui era Austria, era un tipo di classe! Ma era dura non rovinare la propria immagine se era costretto a vedere la sua Ungheria costretta a subire l’abbraccio di uno spaparanzato Ottomano, mentre Ucraina, servizievolmente, gli faceva aria con un ventaglio.

“Quindi in questo mondo ho conquistato stabilmente sia Ungheria che Ucraina: praticamente ho tutto il Mar Nero a mia disposizione! Uh uh uh, devo dire che sono così sexy vestite così… Ah, se solo fossi riuscito ad acchiappare Elizaveta a suo tempo…”

Ancora una volta l’immagine dell’aristocratico e beneducato Austria fu salvata quando, prima che aprisse bocca, Ottomano, dato un altro sbuffo di fumo, tornò a parlare: “E dov’è il resto dell’harem? Su, non fatevi attendere, lo sapete che non vedo l’ora di stare in vostra compagnia.”
“Resto dell’harem?”

Si girarono di nuovo…

Ora, vestiti da odalisca, c’erano anche Grecia e… Austria stesso!

 

L’Ungheria fuori dallo schermo schizzò un fiotto di sangue dal naso sulla nuca di Giappone: “Scu-scusami…”

Grecia prese a fumare come un vulcano (anche senza dire comunque una sola parola!)!

 

“Ehm, Austria…”
Turchia era atterrito: non vedeva più gli occhi di Austria, i suoi occhiali erano completamente imbiancati da un sinistro bagliore!

“Come me lo spighi questo, Turchia?” –fece con voce bassa e spaventosa.

“Vedi… A quell’epoca ero un tantino edonista, e… pensavo che se il piacere è una così bella cosa potevo donarla e riceverla da chiunque…”

Da fuori intanto, Francia era parecchio contento, e non solo per lo spettacolo sexy in generale: qualcuno che lo capiva finalmente!

Ottomano intanto, lì sul suo mucchio, continuava a sguazzare nei vantaggi suo potere: “Grecia, mio diletto! Su, distenditi accanto a me, il tuo celestiale e compassionevole padrone!”

“No, grazie.” –rispose il lapidario Herakles, che aveva ancora l’aspetto di un adolescente.

“Sigh, ma perché? Sei così efebico… Cioè, così carino, voglio ammirarti da vicino…”

Sospirando, Grecia si avviò da lui a testa e braccia basse; Ottomano, avutolo tra le mani prese a carezzarlo sulla testa come fosse un bel gattino.

“Mi piace quando sei ritroso! Anche se mi infastidisce pure…” –fece lui, indurendo un attimo il tono di voce- “E tu Austria, ti va di unirti a me in questo giaciglio di pace e amore?”

“Ma quale pace e amore? Prima mi costringe a vestirmi così, con addosso solo gilet e pantaloni e un velo in faccia, e poi mi viene a chiedere di avvicinarmi con quella voce e in quel modo così equivoco?” –si lagnò Austria- “Non posso semplicemente ammirarla e lasciarmi ammirare da qui?”

Al che però l’augusto Impero Ottomano si accigliò: “Oh, Austria, Austria, io sono un padrone così buono, che tiene alla felicità dei tuoi sudditi, ma se mi costringi a rammentarti che il capo sono io…”
Austria deglutì…

“Sei parte del mio impero, devi obbedire a me, e lo sai di cosa sono capace... Sei parte del mio harem ora, se solo volessi potrei costringerti a darmi piacere…”

Austria rabbrividì…

“Facendoti…”

Austria sbiancò!

“FARE IL GIOCOLIERE!” –urlò tirando fuori da sotto i cuscini delle palline colorate!

E così l’Austria-odalisca venne costretto ad esibirsi dinanzi al resto dell’harem in un disastroso stacchetto, in cui gli caddero ripetutamente le palline in testa!

“Ah ah ah! Devi esercitarti di più, così non va!”
“Sigh!”
“Oh, su! Credevi sul serio che io stessi per ordinarti di fare qualcosa di sconcio per me? Lo sai che sono un giocherellone! Ah ah ah!”
“Lei non può prendersi gioco del signor Austria in quel modo!”
“Come hai detto?”

Ungheria prese altro coraggio: “Lui è un uomo elegante e un bravo pianista, e l’ha combattuta con ardore per difendere l’Europa, dovrebbe portargli più rispetto!

Dietro la maschera balenò un lampo che fece indietreggiare l’impudente concubina: “Oh, Ungheria, ora ti ribelli anche tu? Io ti ho sempre rispettata, ma tu devi rispettare me che ti sono superiore… E visto che mi devi obbedire, posso farti fare cose che non ti piacerebbero per il mio puro e semplice diletto!” –tuonò freddamente- “Tipo, potrei costringerti…”

Ungheria deglutì…

“A prendere con la tua bocca…”

Ungheria rabbrividì…

“Il mio…”

Ungheria sbiancò!

“NARGHILÉ!” –gridò porgendogli la sua pipa a bottiglia!

Ungheria non ebbe altra scelta se non provare ad aspirare da quella specie di tubo con boccaglio, ma non lo aveva mai fatto prima e prese subito a tossire.

“Oh, povera Elizaveta… Dai, che era un altro scherzo, insomma, non sono un mostro, non mi approfitterei mai di una donna costringendola a fare per me certe sconcezze.”

Ucraina lasciò uscire un triste mugolio.
“Tranquilla, Ucraina, so che per te non è una costrizione!”
L’odalisca bionda gli diede un bacio sulla guancia.

 

A quel punto, America dovette ricorrere ad ogni suo muscolo per sbarrare la strada a Russia: “Lasciami andare, America, ora distruggo questa tua macchina sporcacciona!”
“Mai! Non te lo permetterò!”

Intanto gli occhi vuoti e strabuzzati di tutti erano ovviamente sulla rossissima Ucraina…

“…… Abbiamo avuto solo una storiellina tantissimi anni fa! Smettetela di fissarmi! Buaaah!”

 

“Tieni Grecia, falle vedere come si fa.”

Herakles non ebbe alcun problema ad usare la strana pipa, masticare un po’ il saporito fumo tra le guance e poi soffiarlo via.

“Ah, tu si che mi dai soddisfazioni, mio prediletto… Ehi! Lo sai che quello potremmo considerarlo come bacio indiretto?”

Grecia iniziò subito a sputacchiare!

Ottomano schioccò le dita: “Cuoco?”

Nella sala entrò, anche lui in abiti orientaleggianti, nientemeno che Italia Romano!

“Che cavolo vuoi… Mio signore? Urgh! Mi viene da vomitare ogni volta mi costringe a dirlo!”
“Preparaci cinque kebab, di cui uno formato imperiale per me, alla svelta!”

“Si… Mio signore… BLEAH! Maledetto moro!”

Ottomano si spaparanzò con le mani dietro la schiena: “Ah, già mi pregusto quell’ottima carne, e la salsina… Aaah, che bella vita, non è vero?”

“Si…” –fece l’harem in un coro molto poco estasiato.

“Grandi palazzi, kebab, belle ragazze e bei ragazzi intorno a sé, che si può volere di più?”

Anche il suo sosia invisibile sembrava d’accordo: “Ah, che tempi!”

“Io me ne vado, sono troppo disgustato…”
“Tsk, invidioso vorrai dire…”

 

“Eri insopportabile!”
“Ma dai, non ho mai fatto entrare nel mio harem gente a cui non volessi bene.”

“Oh, si è visto quanto gli volevi bene… A proposito… E IO?”

“Beh, forse ho voluto ricompensarti per il valore come avversario condividendo con te il mio lusso sfrenato… Eh, la mia generosità è cosa risaputa!”

Sadik aveva raggiunto Roderich e i due avevano proseguito alla rinfusa per il grande palazzo di Istanbul, come in una gita turistica: che effetto passare sotto il naso di giannizzeri e visir come nulla fosse!

“Ho anche messo le mani sul sud Italia! Devo essere il padrone dell’intero Mediterraneo.”
“Già, buon per te… Se sei abbastanza appagato, che ne dici di tornare a casa?”

“Ma andiamo, il giro è appena iniziato! Voglio sapere come vanno le cose, quanto più in là mi sono esteso… Ci pensi, e se avessi davvero messo le mani sull’Europa intera? Sarei come Roma! Solo senza alcolici e con qualche ramadan in più!”

Austria scosse il capo.

“E poi è inutile che fai il moralista, sei stato impero anche tu, e impero vuol dire una nazione che ne prende tante altre sotto di sé. Anche tu hai conquistato e portato in casa tua gente che aveva altri piani.”

Come Italia, pensò l’europeo: chi poteva immaginare che quella bimba così dolce, che sembrava fatto apposta per essere la sua fida e allegra domestica si sarebbe rivelata un ragazzo che l’aveva a lungo odiato per aver sempre ostacolato le sue vere aspirazioni? Alla fine anche lui l’aveva costretto in un ruolo che non era il suo solo perché più grande e più forte.

“Certo, è triste per i conquistati, ma ci sono i vantaggi: il prestigio di far parte di qualcosa di più grande, la protezione del tuo padrone, le carezzine sulla testa… Come hai visto volevo che anche loro fossero felici anziché soltanto io, quindi che c’è di male?”

Attraversarono un muro ritrovandosi in uno sgabuzzino con dentro attrezzi, sacchi di granaglie, ed Ungheria ed Austria che si sbaciucchiavano e si carezzavano dappertutto.

“MA CHE?!?”

“Wow… Guardo me stesso amoreggiare con Ungheria, che esperienza inebriante…”

Il sé stesso ucronico staccò le labbra: “Mi dispiace… Se solo lo avessi fermato non saremmo qui e Sacro Romano Impero sarebbe ancora…”

Ungheria gli mise una mano sulle labbra: “Lascia stare: potrà anche comandarci, ma non decide da che parte sta il nostro cuore!

Ora dei due invisibili era Turchia quello allibito (e cornuto…) e Austria quello col sorrisetto soddisfatto sulle labbra: “Umpf, a quanto pare il destino segue sempre il suo corso in un modo o nell’altro, mi fa molto piacere!”

Ungheria lo baciò ancora e poi continuò: “Ottomano è un povero scemo: non sa di me e te, rifiuta di credere che Grecia non lo sopporta, e figurati se si renderà conto che il suo preferito non aspetta che un occasione per tradirlo con il primo che gli dichiarerà guerra!” –la sua risata suonò così cattiva da frastornare Sadik come fosse stato un pugno- “Presto gli altri verranno a liberarci da quell’indisponente!”

Austria si voltò verso Sadik già con una battutina pronta, ma quello, come aveva fatto lui prima nella sala dei cuscini, se ne era praticamente scappato.

Lo seguì e lo ritrovò a guardare il potente sé stesso col turbante e la mascherina origliare alla porta dietro cui quei due sconfiggevano il suo sconfinato potere col loro amore sincero. Ma, al guardarlo non sembrava sorpreso.

“Già lo sa…” –disse di sé stesso Turchia- “Ottomano sa già cosa succede dietro le sue spalle… E ora mi domando se non sia successo tutto il tempo anche a me… Cioè, a me nella mia realtà…”
“Questa cosa di vedere sé stessi ingarbuglia alquanto, vero?” –disse Austria, che, impietosito, sperava di risollevarlo un po’ sviando il discorso.

“Sigh…”

Aveva tanto rimpianto il suo periodo da impero, ma in effetti non era poi tutto rose e fiori: il potere rende anche soli, e Austria, oltre ai sottomessi da cui farsi odiare, almeno aveva avuto Ungheria. Lui al massimo…

“Signor Ottomano!”

I due videro una bambina, sui dieci anni circa, coi capelli legati dietro e delle lunghe ciocche ricce che cadevano davanti le orecchie, correre verso di loro: aveva la carnagione olivastra e un irresistibile sorriso da piccola monella.

“Chi è?”

Turchia si protese in avanti con le braccia aperte: “Albania!”

Lo attraversò…

“Ops! Eh eh, dimenticavo!”

Per un secondo gli era parso di essere tornato indietro nel tempo, e per l’appunto ecco che la piccola arrivava tra le braccia di Ottomano, che la sollevò come una piuma.

“Ah, ecco la mia balcanica preferita!”

“Ih ih ih!”

<< Poff! >>

Usando uno dei suoi trucchetti da prestigiatore, fece comparire un profumato tulipano dalla manica, regalandolo alla piccola nazione.

“Che mi dici di bello?”
“Ho insegnato a uno dei pappagallini a dire il tuo nome! Vieni a vedere?”

“Ma certo! Dai, fammi strada!”
La poggiò per terra e lasciò che quelle dita minute avvolgessero il suo dito e lo trascinassero via.

Anche Turchia aveva ritrovato il sorriso: “Io e Albania siamo sempre andati molto d’accordo, anche se l’ho conquistata. È sempre andata pazza per me, si è persino convertita alla mia fede! Ancora oggi che è cresciuta io e lei siamo in ottimi rapporti!”

Ad Austria fece piacere vederlo tornare il solito sé; non l’aveva sopportato dopo averlo visto con una tale spocchia, ma c’era passato anche lui, e anche lui in quanto a spocchia… Adesso però che riusciva a vedere quanto erano simili loro due, apprezzava già di più la sua compagnia.

L’aver rivisto la piccola Albania aveva fatto tornare in Sadik la voglia di restare lì un altro po’: “Sai, in fondo dovevo aspettarmelo, ma almeno qualcuno che mi da soddisfazione sul serio c’è. E chissà, magari se vado un po’ avanti riuscirò a far cambiare un po’ idea su di me anche agli altri. O almeno spero di riuscirci con Grecia… Che ne dici? Premo avanti?”

“Va bene, ma solo un’altra scena però.”
“Spero di non pentirmene.”

 

FLASH!

 

Austria guardò il marmo sotto i suoi piedi e le volte istoriate sopra di sé: “Siamo ancora a palazzo, direi.”

“E direi che quello è Egitto tutto sanguinante…”

Aveva una guancia livida e per sorreggersi era costretto a farsi aiutare da due guardie.

“Nota: mai più premere il tasto avanti…”

“Che sarà successo?”
Lo avrebbero presto scoperto: quella era la sala del trono, sul quale Ottomano attendeva appunto di essere messo al corrente.

“Sadik, alla fine è successo. I cristiani si sono uniti contro di noi. Hanno dichiarato una nuova crociata!”

“Chi ti ha attaccato?”

“Spagna, lo aiutano gli italiani guidati dal papa che si è rifugiato a Venezia dopo che hai preso anche Roma. Non l’hanno presa molto bene.”

“Bah, che diamine! Ho solo messo la mezzaluna al posto della croce in cima a San Pietro, una sola chiesa in una città che ne è piena, e che sarà mai! Ho sempre concesso libertà di culto a tutti i miei sudditi (anche se con un sacco di favoritismi agli islamici), ora davvero hanno perso le staffe per una simile bazzecola?”

Egitto storse il naso: “Stavolta hai esagerato… La flotta di Spagna ha preso il delta del Nilo e presto arriverà qui.”

“Umpf… Che vengano pure.”

“Anche Polonia ha risposto all’appello! Sarai attaccato anche da nord!”

“Egitto, amico mio, pensa solo a riprenderti: dovresti saperlo che con le crociate i cristiani non hanno mai avuto fortuna, ah ah ah!”

I due invisibili lo seguirono su di un balcone, poggiato alla cui balaustra ammirò la sua Istanbul e il suo grande porto.

“Il mio immenso esercito si occuperà a nord di Polonia, e la mia immensa flotta spazzerà via quella di Spagna! Ci ho conquistato più di mezzo mediterraneo, figurati se non posso fidarmi delle mie barchette! Il mio impero non cadrà certo per così poco!”

Al suo placido amico non restò che prendere atto e ringraziare dell’aiuto e dell’ospitalità.

“Visto?” –fece Turchia,, anche lui (guardacaso) con le mani in tasca come fosse stata roba da nulla- “Come io invadevo te, ora altri invadono me. Gli imperi fanno sempre questo effetto, ti fanno venire voglia di arrestarne l’espansione, eh eh eh!”

“Più che giusto visto che altrimenti finisci inglobato anche tu…” –annuì Roderich- “Non sei troppo tranquillo? Hai di fronte a te avversari di tutto rispetto.”

“Suvvia, anche io sono di tutto rispetto, modestamente!”

“Ah, si? Perché allora non andiamo ancora avanti?”
“Avevamo detto di non farlo più, ma pur di dimostrarti che ho ragione… Su, andiamo a vedere Ottomano in azione!

 

FLASH!

 

I loro passi riecheggiarono sulle tavole di legno del ponte di una nave a vela. Il vento era caldo, ma tra le nubi tetre riuscivano a farsi largo solo alcuni sprazzi di sole.

Si affacciarono al bordo della nave e…

“AAAAAAAAAARGH!!!”

Stavolta fu Turchia a diventare completamente bianco!

Austria profuse in un emblematico: “Oh oh…”

La distesa d’acqua davanti a loro era riempita da remi spezzati, alberi rotti, vele squarciate, assi, prue e poppe che finivano di colare a picco… E spostando lo sguardo più in qua, praticamente sotto i loro occhi, galleggiava smorta la bandiera con le tre mezzelune!

“Eh eh eh, quando si dice le ultime parole famose!”
“LA-LA-LA-LA MIA FLOTTAAAAAAAA! LA MIA MAGNIFICA FLOTTA!”

Non vedeva un simile casino da quella volta a Lepanto, il che era tutto dire! Anzi, stavolta era pure peggio: riconosceva quel paesaggio, e quelle due rime di terra che si avvicinavano tra loro creando uno stretto. Era il Bosforo; quello era il Mar di Marmara, e la città laggiù era Istanbul.

La sua flotta gli era stata annientata praticamente sotto casa sua, che ora era in pericolo.

“Non è possibile! Guarda come hanno ridotto le mie navi!”
“Quello non è il tuo cappello?”

Turchia raccolse dal ponte un cencio tutto spiegazzato: “Ma si! È il mio cappello! Maledetti, ci tengo un sacco a questo cappello! Chi diavolo è stato?! Chi ha osato fare questo al mio cappello… e alla mia flotta?!”

“Non ci crederai mai…”

Perché ora Austria aveva quello sguardo da pesce lesso. Cosa aveva mai appena visto?

Si girò, e vide Ottomano in terra, senza cappello, cercare miseramente di rialzarsi facendo leva sui gomiti, dolorante per una gamba sanguinante.

Poco più in là, dinanzi a lui, un paio di stivali, da cui Sadik alzò lo sguardo fino a farsi venire la stessa espressione di Austria.

Colui che lo aveva sconfitto, e che ora a testa alta rivolgeva contro di lui, umiliato, la punta della sua spada, aveva un’armatura con il pettorale che recava forgiato su di sé il simbolo del leone alato di San Marco, i capelli castani, e da essi si alzava un ricciolo sulla sinistra.

Era Italia Veneziano!

“Sei finito… infedele!” –sibilò minacciosamente.

 

“…… Oh, mio Dio/Allah!” –esclamarono i due!

 

 

FINE PRIMO TEMPO!

 

 

Ehilà! Come vi è parsa finora?
Dura essere un impero… Specie se cominci tra cuscini e fumatine e poi finisci a combattere con un Italia così agguerrito!

La storia ha preso decisamente una brutta piega ora per il nostro Sadik!

Certo che lui e Austria non sono male come compagni di viaggio, ho notato sono una coppia ben assortita, non credete? XD

Cercherò di postare appena posso la seconda parte! ^__^
Questa sarà la prima ucronia a due capitoli di questa fanfiction, ci sta bene dopotutto visto che, malauguratamente per Austria, la domanda è stata fatta in due! XD

A prestissimo!


PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 9
*** E se Turchia avesse conquistato Vienna e fosse avanzato in Europa? - SECONDA PARTE ***


E rieccomi qui! Che dire, mi ero ripromesso che, per quanto potessi dilungarmi nei capitoli, non ne avrei mai spezzato uno in due parti, ma alla fine è successo… Devo fare ammenda ed esercitarmi un po’ a rispettare dei punti fissi forse, ma guardiamo ai lati positivi: tutt’uno sarebbe stato decisamente troppo lungo, e inoltre così ho potuto mettere la scena di Veneziano super-tosto a fine capitolo, e ci stava troppo bene come chiusura! XD

Basteranno due ex-imperi contro una simile, temibile meraviglia?

Ma adesso basta tenervi col fiato sospeso, e preparatevi ad un capitolo condito anche con un po’ d’azione! Si, ormai in questa fic ci sono proprio tutti i generi possibili! XD

Buona lettura!

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

 

PPS: Dedico questo capitolo, e il precedente con ritardo, alla lettrice che mi ha dato lo spunto per questa ucronia, Sweet Witch! Grazie mille! ^__^

 

 

 

L’ucronia in corso confermava insomma di avere il potere di trasformare i presenti in calamite per gli sguardi altrui. Prima era toccato ad Ungheria, poi ad Ucraina, ed ora a Feli: le nazioni, con smorfie molto turbate, non facevano che spostare gli occhi dallo schermo a lui e da lui allo schermo, cercando di connettere in qualche modo il prode ammiraglio dal pettorale argentato con il piccoletto impossibile da turbare o quasi che avevano di fronte.

“Ve! Come sono bello! E sembro anche forte!”
“Direi!” –esclamò Germania- “Hai ridotto ai tuoi piedi l’impero più potente del mondo, fai un po’ tu…”

Polonia, che più di ogni altra cosa adorava che gli si prestasse attenzione, si risentì: “Ehi, non esageriamo, io e Spagna gli abbiamo dato una mano, eh? Per cui merito una fetta di complimenti, eh si!”

“Non dovresti dire “meritiamo”?” –chiese Spagna con un gocciolone.

“Le crociate però non sono una cosa bella.” –rumoreggiò Egitto, in modo si ricordassero cosa volesse dire una guerra di religione.

“Certo che no.” –calmò gli animi Germania- “Ma era inevitabile visto quanto aggressivo era diventato Ottomano: se è riuscito a trasformare Italia in QUELLO la situazione doveva essere proprio insopportabile. Stiamo a vedere.”

Intanto Italia di nascosto se la rideva tutto contento!

 

“Questo non può accadere davvero…” –sbraitava Turchia, davanti quel bruttissimo spettacolo- “Sono l’impero più potente del mondo, non posso essere sconfitto!”

“Tutti gli imperi lo credono.” –fece Austria con tono da psicologo, il quale, a braccia incrociate, seguiva la scena con maggiore distacco.

La nave recava i segni di una dura battaglia: le vele erano butterate dai fori di archibugio, e l’albero di poppa si adagiava spezzato, come un osso rotto. A parte loro non c’era nessuno, forse i marinai, vista la malaparata, si erano gettati in mare prima di farsi colare a picco.

Ottomano artigliò le assi con le dita, riuscendo a sollevare il capo fino ad incontrare il suo viso e rivolgergli il ringhio di una bestia ferita ma non ancora defunta.

“Io sarei finito? Non credere che basti così poco con me!”

Crudelmente, Veneziano diede un calcetto al braccio su cui si era issato, riportandolo con la testa per terra.

“Umpf! Dimmi, Grecia ti ha mai parlato di qualcosina chiamata << hybris >>?”

Si, l’aveva fatto, per questo strinse i denti, accusando il colpo.

“La tracotanza. Il volersi porre al di sopra di ogni altra cosa, credendosi supremo, e che scatena inevitabilmente il castigo del cielo. La tua arroganza ha raggiunto da tempo il limite, Ottomano, credevi sul serio ti avremmo lasciato fare altre conquiste?”

La sua ingordigia di nuovi territori e potere aveva fatto infuriare tutti. Aveva conquistato Austria ed Ungheria, abbattuto il Sacro Romano Impero e vassallizato i suoi staterelli, preso il Mar Nero tutto per sé arrivando a minacciare persino Mosca, aveva strappato a Spagna le Baleari da sotto il suo naso, e poi Malta, il sud Italia e le sue isole… Il vaso era già traboccato prima di quell’ultima goccia.

“Come hai osato allungare le tue mani su Roma?”

Non si lasciò intimidire: “Voi non prendeste Gerusalemme a suo tempo?”

“Adesso basta però! Io e gli altri ti rimetteremo a posto.”

Anche nelle sue condizioni, scoppiò in una fragorosa risata, come accecato dalla propria onnipotenza: “Voi? Io vi schiaccio ad uno ad uno! Non montarti troppo per un incidente di percorso!”

“Ancora non riesci a capire, vero?” –rise di lui Veneziano- “Sei solo contro molti, e questi molti hanno una gran voglia di vederti a brandelli!”

Una nave si accostò alla loro, suonando, al posto del clacson, la campana di bordo per attirare l’attenzione.

Veneziano ricambiò il saluto che gli faceva Spagna, sul ponte dell’altra imbarcazione.

“Italia! Ottime notizie! Mentre tu vincevi qui il mio esercito ha liberato Roma, e anche Romano!” –aggiunse, chiaramente più contento per quest’ultimo che per la città eterna!

“Eccolo qui, sano e salvo!” –abbassò una mano e tirò su suo fratello, effettivamente in buone condizioni, ed avvolto anche da buone corde…

“CHE DIAVOLO! Si può sapere se sei venuto a liberarmi perché mi hai legato, bastardo?”
“Per la tua sicurezza, mi querido!”

“Col cavolo! Aiutami fratello mio, questo qui chissà che ha intenzione di fare con me!”
“Ve!” –fece l’altro coi luccichini intorno agli occhi- “Fratellone! Che bello, finalmente sei salvo! Spagna, per favore, portalo in salvo, io finisco qui e vi raggiungo!”

Un gocciolone apparve dietro la testa dei due invisibili: << Ma… è ritornato normale? >>

“Bene, allora col tuo permesso vado a riprendermi il resto del mediterraneo! A più tardi!”
“E slegami ho detto!”

Il suo fratellino nel frattempo finiva di agitare la manina con un grosso sorriso… per poi ritornare di nuovo con lo sguardo da duro combattente

Secondo gocciolone per Austria e Turchia: << Si è trasformato ancora… >>

“Ti schiaccerò, mi riprenderò le mie isole… E il mio cuoco! È bravissimo coi kebab!”
“Sfido, è italiano. Ma scommetto che Grecia non ti ha detto che quando trovava uno scarafaggio nella cucina lo metteva dentro al tuo kebab, vero?”

Ottomano sputò la lingua: “CHEEEE?! BLEAH! U-un attimo, perché Grecia avrebbe parlato con te?”
“Sveglia, impero dei miei stivali!” –lo schernì, roteando per gioco la spada sotto il suo mento- “Ti ha tradito! Si è ribellato, e lo hanno fatto anche Bulgaria e Serbia: ora il tuo impero non solo è attaccato ma stanno anche scoppiando ribellioni dappertutto: ci diamo una mano a vicenda insomma! E mentre parliamo, Polonia e i suoi cavalieri si riprendono l’Europa centrale; e tu te ne stai qui a sputare minacce e a sentire il sapore di scarafaggio in bocca! Ah ah ah!”

Quell’Italia duro non aveva neppure un briciolo della simpatia dell’originale… Riempiva le orecchie di Ottomano con la sua risata, mentre la testa già gli scoppiava al pensiero di tutto ciò che stava accadendo.

“Tutti questi nemici potentissimi alle porte, le ribellioni, e Grecia…”

Sentì una fitta, come una pugnalata alle spalle: eppure lo aveva sempre considerato la parte più importante, dopo di sé, del suo impero.

“Io… Io sono ancora potente, e grande! Immenso! Mi risolleverò!”
“Fai pure, metti insieme un’altra flotta o altri eserciti, se ci riesci: non ci fermeremo fino a quando non sarai più una minaccia!”

Turchia ovviamente percepiva quelle parole come rivolte a sé direttamente, e gli era saltata la mosca alla barbetta!

“Ora basta! Vado lì…”
“E gli passerai attraverso…” –gli spiegò Roderich con tutta calma.

A Sadik cascarono le braccia: ecco dunque dove lo avrebbe condotto vincere quel giorno, il potere avrebbe finito col dargli la testa fino al punto di non ritorno.

“Sigh! Che potrebbe esserci di peggio di questo?”

Sentì una specie di colpetto provenire dalla fiancata sinistra; anche l’altro sé e Italia l’avevano sentito e si erano subito voltati. Anticipata da alcuni rumori e versetti di sforzo, ecco sbucare ed appendersi una manina. Chiunque fosse doveva essere piccolo a giudicare della difficoltà che ci stava mettendo per tirarsi su salire a bordo!

Sadik si morse la lingua: “Ma perché parlo?”

Ottomano trovò improvvisamente altra forza per sollevarsi: “Albania?! Che fai qui?!”

La bambina riprese un attimo fiato (che faticaccia!) e poi alzò minacciosamente sulla propria testa il remo della barchetta con cui era arrivata lì, ovviamente guardando storto Italia.

“Cattivone, lascia stare subito il signor Ottomano!”

“No! Sciò! Qui me la cavo benissimo da solo!”
“Caricaaaaaaa!”

Italia le strappò di mano il remo e prese a fissarla. Albania, dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio, cercò di cavarsela facendo un visetto carino. Turchia incrociò le dita: se questo Italia era ancora recettivo al puccioso, avevano qualche speranza!

“……”

Albania venne raccolta per il retro del colletto e si ritrovò ad agitare braccine e gambe per aria: “Mettimi giùùùùù!”

“Lasciala! Va bene, hai vinto questa battaglia, sei soddisfatto? Lasciala immediatamente ho detto!”

Albania tempestò di colpetti il braccio che la teneva su, ma smise, spaventata dalla luce che ardeva adesso negli occhi di Veneziano.

“No… Sai che ti dico, la prendo con me!”

“!!!”

“Mai! Non verrò con te, voglio stare con il signor Ottomano!”

“Tu… Tu non puoi farlo!” –gridò Ottomano, incredulo.

“Non posso? E chi me lo impedisce? Nelle condizioni in cui sei ora non certo tu!”

Tutti erano increduli. Non credevano che anche il volto e gli occhi di Italia potessero essere così, che potessero guardare un’altra nazione in quel modo, come si guarda una indifesa monetina da mettere in tasca.

“Tu sei agli sgoccioli, io invece in ascesa! Perché limitarmi a darti una lezione? Prenderò qualcosina di tuo per me!”
“Lasciami stare!” –gridò Albania- “Mi aiuti, signor Ottomano!”

La zittì di nuovo con quel riso sadico: “Si, sarà solo il primo passo! Finalmente sarò potente anch’io! E un giorno mi riprenderò anche mio fratello da Spagna! Ma per ora, mi accontento di questa piccolina, un’altra sponda sull’Adriatico può sempre far comodo, tu non credi? Eh eh eh!”

“No… Aspetta…”

Albania aveva ormai perso la combattività. Volevo solo tornare coi piedi per terra, e voleva trovare un signor Ottomano ad accoglierla tra le braccia, e dirle che andava tutto bene, distraendola con uno dei suoi strepitosi trucchetti.

Ma il suo adorato “padrone” aveva incassato troppi colpi tutti in una volta, e non sembrava capace di rialzare la testa, sprofondata in basso, nel terrore di non riuscire nemmeno a difendere il suo più piccolo e prezioso tesoro in quelle condizioni.

“Signor Ottomano!” –gridò piangendo- “Mi aiuti, la prego!”

“Buona, non ti tratterò male, ti piacerà stare con me!”
“Non voglio stare con te! Signor Ottomano! Aiuto! Sniff!”

 

“Muoviti…” –bisbigliò Turchia, più in un incubo che in una realtà alternativa.

Albania strappata a forza da lui, piangente tra le braccia di un nuovo padrone, e lui, che con tanta viltà non faceva più nemmeno lo sforzo di drizzare il collo e prometterle che tutto sarebbe andato bene, che sarebbe tornato a riprenderla; anziché infondergli ira e forza, l’eco della sua voce straziata sembrava schiacciarlo a terra sempre di più.

“Che stai aspettando?”

Era imbambolato, come davanti a un film dell’orrore che vorresti smettere di guardare ma non ci riesci.

“Alzati…”

Ogni lacrima che vedeva scorrere su quelle guance arrossate era peggio di mille flotte annientate, come faceva a non reagire?

“Alzati, avanti! Alzati!”

Ordinò sé stesso, disperato.

Italia ripose la spada nel fodero e gli mostrò le spalle.

“Signor Ottomano! La prego!”

“Come ho potuto… diventare così?”

Quello non poteva essere lui. Era un impostore! Un rammollito! Un arrogante capace solo di prendere per sé nuove cose senza nemmeno saper badare e farsi amare da ciò che ha già. Uno che si era abituato a tal punto al potere e alle vittorie da non saper più tirar fuori il carattere! Era lui Ottomano, lui che guardava non visto e ascoltava stringendo i pugni, quello che Albania stava chiamando.

“AMERICAAAAA!” –gridò al cielo.

<< Eccomi, cosa c’è? >> -rispose subito.

“Dimmi, si può uscire dalla modalità spettatore?”

<< Hai per caso intenzione di passare all’ucronia in prima persona in modo da salvare quella bambina? >>

“Qualcosa in contrario?”

<< Ma che hai capito? È una figata pazzesca! Io adoro troppo queste cose! L’eroe che finalmente si incazza e non ce n’è per nessuno! >>

Si, proprio da America un discorso del genere.

<< Certo che è possibile uscire dalla modalità spettatore e tornare protagonista: devi solo pigiare nuovamente il pulsante con cui hai attivato la modalità e questa si interromperà in un attimo! >>

Turchia rise, tutto gasato: “Ottimo! Facile e veloce!”

<< Aspetta un attimo, Sadik… >> -lo bloccò da lassù il creatore (della macchina…)- << Non vorrei allarmarti, ma quell’Italia lì sembra proprio un osso duro; onestamente, non sono sicuro che tu da solo potresti farcela contro di lui. >>

Quanto era strano parlare di Italia in quel modo, ma doveva ammettere che aveva ragione. Sono i tipi tranquilli che non vanno sottovalutati, figurarsi quando sono traviati tanto da un’ucronia scellerata come quella! Non aveva nemmeno un graffio sui pantaloni, né una scalfitura sull’armatura… Vero, dei suoi alleati uno era lontano e l’altro se ne era appena andato, ma lui su chi poteva fare affidamento che non lo guardasse con la faccia con cui lo stava guardando Austria in quel momento di bisogno?

“… Perché ora mi fissi?”

Pur dandosi dello stupido nel tentare, Turchia gli porse la mano e il telecomando: “Austria, dammi una mano.”

Come previsto l’altro non manifestò il minimo entusiasmo: “Ascolta Sadik, in questa situazione ti ci sei messo pur sempre tu dopotutto, o mi sbaglio?”
Turchia si specchiò in quello sconfitto lì ad alcuni passi e gli uscì una smorfia, un po’ arrabbiata un po’ colpevole.

“Appunto. Questa è la tua ucronia e non dovrei nemmeno trovarmici dentro: è un tuo problema se ora ti sta succedendo questo, non mio.” –senza contare poi il vestito da odalisca che gli aveva fatto mettere, che di certo non aveva dimenticato…

Ispirò profondamente e fece un passo verso di lui, senza indecisioni: “Austria, immagina che ti stiano portando via Ungheria sotto i tuoi occhi. Non una qualsiasi altra parte del tuo impero, Ungheria! Te ne staresti fermo o combatteresti fino allo stremo per provare a salvarla?”

“……”
“Austria, ti prego, tu puoi capirmi. E non centra nulla l’essere stato un impero stavolta.”

Non male Sadik, hai premuto dei bei tasti al tuo piano, pensò Roderich abbassando il capo, riflettendo attentamente.

<< Eddai, Austria, dagli una manina, su! >> -lo pregò il grande scemo lì in alto.

“E va bene.” –disse alla fine di un lungo sospiro.

“… Eh eh!”

Lo ringraziò con un’occhiata e premette il tasto insieme a lui!

 

<< POFF! >>

 

Veneziano stava caricando la sua indifesa e fresca conquista su di una scialuppa quando quel suono richiamò il suo sguardo. Una nube di fumo si diradò e Ottomano non era più a terra, ma in piedi un po’ più in là, e senza più ferite.

“Tsk! Un altro dei tuoi trucchetti?”

Sadik guardò le proprie mani e il proprio corpo, come per cercare di riconoscersi. Il suo cappello era sano, salvo e gagliardo col suo pennacchio sopra la testa, il suo abito bianco e rosso svolazzava con la brezza che ripuliva gli ultimi sbuffi del fumo da cui era riapparso, i suoi occhi scuri e profondi di nuovo celati dietro la perlacea maschera.

Portò la mano al fianco per sentire sotto le proprie dita il pomo e il manico della sua fedele scimitarra, racchiusa nel fodero decorato di un piccolo smeraldo.

“Signor Ottomano! Lo sapevo!”

Rise: ora si che era tornato!

Austria si mise al suo fianco che stava dandosi una sistematina ai guanti neri del suo nuovo abito da alto ufficiale di fine seicento color rosso scuro, coperto da un’armatura come quella di Veneziano: limitata a pettorale, bracciali e spallacci per lasciare maggiore libertà di movimento; su questi ultimi recava a sbalzo il suo vecchio simbolo dell’aquila bifronte.

“Non male.” –si auto-complimentò.

“Già, anche tu sembri un tipo a posto così!” –scherzò Turchia. Certo, meglio averlo con sé in armatura che in gilet e babucce!

Veneziano deglutì: credeva di avere già vinto ed ora ecco non uno ma ben due avversari minacciosi.

“Austria, come puoi schierarti con il nemico? E noi che avevamo intenzione di liberarti da lui!”

Roderich si tirò indietro i capelli: “Oh, in effetti non dovrei avere nulla da eccepire  in merito, ma vedi Italia…” –indurì sguardo e voce- “Vederti in questo stato mi ha messo dentro una gran voglia di rimetterti al tuo posto come facevo nei bei vecchi tempi.”

“Ma di che diavolo stai parlando?” –sbottò infastidito- “Quando mai lo avresti fatto?”

Evidentemente in quel mondo Austria, essendo stato sconfitto, non aveva mai sottomesso Italia; vista la piega che aveva preso il ragazzo, era ora di porre rimedio alla cosa.

“Lo sappiamo noi di che stiamo parlando.” –si fece avanti Turchia- “Non mi importa se ti riprendi tuo fratello o se crollo oggi o domani, ma tu lasci andare Albania adesso in questo istante, altrimenti saranno guai seri.”

Veneziano accolse la sfida con un sorriso: “Bene allora. Solo un attimo per favore…”

Con Albania sempre sollevata da terra come un cagnolino, trovò un barile e ce la mise dentro, richiudendo poi il coperchio e mettendoci su una palla di cannone in modo che non potesse uscire.

“Signor Ottomano!” –si sgolò il barile con la vocetta- “Lo faccia nero! Forza!”

Liberatesi le mani per lo scontro, Italia alzò la spada all’altezza degli occhi, puntata sui due: “Fatevi avanti.”

L’uno in maniera rapidissima, l’altro con lentezza ed eleganza, sguainarono le proprie armi.

 

“Grandioso! Mitico! Un duello a tre sul ponte di un vascello! Questa scena sarà fantastica!”

America, col cuore a mille per quanto gli stava piacendo quello spettacolo, prese ad armeggiare frenetico con alcuni pulsanti vicini allo schermo.

“Che cosa stai facendo?” –chiese Giappone.

“Ci aggiungo la colonna sonora! Così sarà davvero perfetta!”

Appena schiacciò “play” la riconobbero in molti.

“Ma questa non è la colonna sonora di…”
Alfred si gettò al volo sulla sedia per non perdersi un secondo: “Ah ah ah!”

“Tipico di America…” –commentarono gli altri.

 

Mentre i tre contendenti si scrutavano tra loro, torvi e senza paura, le prime note rimbombarono nell’aria, e sembravano davvero fatte apposta per il momento: erano come il rombo di una tempesta in avvicinamento, pronta a scatenarsi.

 

 

http://www.youtube.com/watch?v=mUnrWo6z9WY&feature=related

 

E si scatenò! I suoi tuoni i passi veloci sulle assi, i suoi lampi le scintillanti spade.

Il limpido suono delle lame che cozzavano era spezzato solo da brevi soste, narrazione trascinante di un duello condotto con rapidità e maestria da tutti i suoi partecipanti.

Turchia ed Austria si erano lanciati insieme su Italia cercando di coordinare al meglio i propri attacchi. Lo stile questi ultimi due era una scherma più classica, quello di Turchia invece era più originale ed imprevedibile, si affidava a movimenti fluidi, ampi, che uniti allo svolazzo dei lembi delle sue vesti cercavano di disorientare l’avversario; Veneziano però riusciva a tenere testa ed entrambi, e non solo, approfittava di ogni spiraglio per rispondere, parata e contrattacco, mettendoli in difficoltà anche se in superiorità numerica. Austria provò un affondo e Italia lo mandò a vuoto; se la sarebbe vista brutta se Sadik non fosse intervenuto per allontanarlo con un fendente.

Vedendolo sbilanciato allora l’ammiraglio trionfatore provò ad affondare a sua volta su di lui, ma Sadik si allontanò con una capovolta all’indietro. Di nuovo in piedi, attaccò roteando su sé stesso come un derviscio, cercando di aprire uno spiraglio per Austria, ma anche questi fallì dato che non era lui il solo dotato di buoni riflessi.

Con un saltello, Veneziano evitò di farsi ferire alla gamba e si allontano correndo in equilibrio sul parapetto del ponte; ovviamente non vi restò a lungo data la precarietà dell’appoggio. Tornò giù, evitando inoltre in tal modo il nuovo attacco di Austria ai suoi piedi, e poi pronto riprese ad incrociare le lame con entrambi.

Stava andando bene, ma come diceva sempre suo nonno “Divide et impera”, se vuoi vincere.

Feli, si girò, corse per darsi il giusto slancio, usò un cannone a mò di trampolino, e si afferrò nel salto ad una delle cime dell’albero maestro, compiendo un giro coi piedi in aria tutto intorno ad esso. Austria si mise sulla sua via ma era proprio dove lo voleva: grazie alla spinta del giro, Italia lo spinse via con un calcio nello stomaco.

Abbassatosi per evitare l’attacco di Sadik, incalzò nuovamente Roderich, sapendo che non c’era momento migliore per colpirlo: coi riflessi offuscati dal dolore, Austria finì col sentire il duro acciaio nella carne del braccio destro. Ancora una volta Sadik attaccò ferocemente per allontanarlo dal compagno, ma ormai la sua spada era a terra e non sarebbe più riuscita a brandirla. Stava solo a lui ora.

“Urgh! E chi lo sapeva che gli italiani erano così bravi con la spada?”

 

Feli e Romano, sogghignando, si guardarono pensando la stessa cosa: << Avrebbe dovuto seguire un po’ di più le ultime olimpiadi! >>

 

Sadik tentò un’altra finta, cercando girargli intorno, ma l’avversario lesse bene le sue intenzioni; un lungo fendente portato dal basso verso l’alto lo raggiunse, facendogli volare via il cappello.

Sadik indietreggiò, coprendosi il viso con un mano; un sibilo tra i denti uscì per il dolore, ma la ferita non era profonda. Inoltre aveva ancora la scimitarra stretta nel pugno, ed essendo lui un guerriero esperto sapeva che era questo tutto ciò che contava. Ma certe volte se le ferite che subisci non ti fanno il minimo effetto, è qualcos’altro a scuoterti dentro.

Il taglio correva dal mento verso l’alto, passava sul naso e lambiva la fronte, evitando grazie al cielo gli occhi, ma non aveva risparmiato la sua maschera, la cui metà rimastagli sull’occhio destro cadde rumorosamente sul legno come solo scostò la mano e chinò appena un po’ il capo in avanti.
Fissò quella metà cadutagli dinanzi i piedi. Tutti ormai avevano imparato ad associare quell’affascinante accessorio a lui: ogni volta ne indossava una si sentiva contagiare dai tanti ricordi intrisi in essa, era un simbolo di ciò che era stato e che per il momento era tornato ad essere. E ancora una volta, era spezzata a metà, e non riusciva a fare a meno che sentirsi spezzato lui stesso, mentre tamponava il sangue con la manica.

“Rassegnati.”

Raccolse almeno il cappello, pulendolo con dei colpetti.

“È arrivato il momento di cadere dal piedistallo, Ottomano.”

“Prima o poi arriva per tutti.”

“Non vuoi ancora arrenderti? Perché perdi tempo qui anziché cercare di salvare il salvabile?”

“Perché non mi arrenderò se non riavrò Albania. Ma soprattutto, non posso andarmene per te.”

“Per me?” –esclamò lui.

“Già. Devo essere sicuro che sulla tua faccia non compaia mai più un’espressione come quella di prima. Io ho più esperienza di te in queste cose, anzi, al momento l’Ottomano che hai di fronte ne ha ancora di più di quanta dovrebbe avere, pensa un po’.”

L’ignaro ucronico pensò piuttosto se la ferita non gli avesse leso il cervello…

“Di che espressione parli?”

“Oh, lo so io che espressione, umpf! E che occhi.” –gli occhi di quelli come lui, o Austria, o Francia, o Inghilterra, o Russia…- “Prima mi hai parlato di ingordigia, è un brutto vizio, vuoi cascarci anche tu? Tu non sei così, dovresti essere molto più generoso, dovresti essere in grado di comprendere la sofferenza di una nazione sottomessa con la forza.”

“……”

“Per questo devo impartirti la lezioncina prima che sia troppo tardi.”

Austria, seduto a tenersi il braccio sospirò: sensi di colpa, un’altra qualità in più di loro ex-imperi.

Sadik drizzò schiena, testa e spada, e si lanciò all’attacco contemporaneamente al proprio avversario. Il dolore non era un problema, le gocce di sangue che colavano sull’occhio lo erano: non poteva permettersi una visione difettosa contro un simile maestro di scherma. Non si era gettato allo sbaraglio però, era riuscito a cavar fuori un buon piano mentre prima parlava.

Richiamò a sé tutte le forze, ripensando al pianto di Albania per darsi la giusta motivazione, colpendo più forte che poteva, anche al rischio di subire qualche altro graffio, in modo da tenerlo sempre ben concentrato e farlo indietreggiare. Appena fu vicino all’albero maestro prese a tagliare ogni cima che fosse a portata di lama. Veneziano cercò di riprendere l’iniziativa, e lui continuò a tagliare anche indietreggiando, senza risparmiare neanche una corda.

Preoccupato, Italia guardò verso l’alto: una delle vele gli stava finendo addosso!

“Urgh! Maledetto codardo!”

Italia che dava a qualcun altro del codardo? Quell’ucronia era più originale ogni secondo che passava!

“Grrr!”

Infuriato, smise di provare a togliersela di dosso contorcendosi, ed infilzò con la spada il pesante drappo bianco, creandosi uno strappo da cui uscire.

“DOVE SEI?”
“Qui!”

Il suo tempismo fu eccellente: nell’attimo in cui era sbucato fuori con gli occhi iniettati di collera, pronto a farlo a pezzi, il suo pugno ben caricato si era abbattuto sulla sua faccia. Lo scaltro mussulmano aveva poi badato bene di spingerlo dal lato più vicino al bordo: con la testa che risuonava come una campana, barcollò all’indietro come ubriaco, finendo per inciampare a cadere fuori bordo.

Austria, strettosi intanto un brandello di tessuto sulla ferita, si rialzò e si affacciò accanto a lui sull’acqua grigia, ad aspettare che il loro incredibile nemico venisse fuori da quel coretto di bollicine.

<< SPLASH! >>

“VEEEE! AIUTO! L’ACQUA è FREDDA! POLONIA, SPAGNA, QUALCUNO MI AIUTI! UOMO IN MARE!”

“Questo è l’Italia che mi piace vedere!” –scoppiò a ridere Austria.

 

In sala però l’Italia vero si era indispettito e aveva messo su un broncio con guance gonfie da manuale.

“Su, Italia, non prendertela, sei stato comunque grandioso. E poi, credimi, secondo me sei anche tu un po’ contento che abbiano vinto loro e non QUEL tu, giusto?”

Italia arrossì: “… Eh eh!”

 

Turchia e Austria passarono ad occuparsi di Albania. Quanto a Italia, grazie alla battaglia da poco finita aveva un sacco di legni galleggianti con cui mettersi in salvo, altrimenti con la corazza addosso se la sarebbe vista davvero brutta…

“SIGNOR OTTOMANO!”

Non aveva avuto nemmeno il tempo di guardare dentro il barile che appena tolto il coperchio Albania gli si era lanciata addosso abbracciandolo al collo, alla stregua di un pupazzo a molla!

“Lo sapevo che il fortissimo signor Ottomano mi avrebbe salvata!”
La carezzo sulla schiena: “Ma certo che ti avrei salvata, credevi sul serio mi sarei fatto mettere i piedi in testa? Ah ah!”

Se però poco prima si era fatto portatore di umiltà, un’aggiunta era doverosa…

“Ehm, comunque, il signor Austria mi ha dato un grande aiuto, quindi è giusto che ringrazi anche lui.”

“Grazie, signor Austria!”

Roderich si sciolse davanti il suo bel musetto, ma fece finta di nulla sistemandosi gli occhiali: “Di nulla…”

“Signor Ottomano, che cosa farà adesso?”
“Prima di tutto ti riporto a casa e ti metto al sicuro, mia coraggiosa ricciolina, poi penserò agli altri che ci hanno invaso: venderò cara la pelle, anzi, non la venderò affatto! Li ricaccerò indietro com’è vero che fumo come un turco!”

Albania batté le mani: “Si!”

Austria pensò fosse davvero un peccato dover interrompere quel bel quadretto, visto anche quanto Sadik se l’era meritato.

“Turchia… Cioè, voglio dire, signor Ottomano, potrei parlare un secondo?”

Poggiò a terra la bambina e con la sua magia tirò fuori un trottola da sotto il cappello con cui tenerla impegnata nell’attesa. 

“Cosa c’è?” –gli chiese continuando a tenere d’occhio Albania.

“Turchia, io credo che dovresti lasciarla andare.”

“Che vuoi dire?”
“Liberarla. Farla uscire dalla tua casa e dargliene una tutta per sé.”

Sembrava a tal punto uno scherzo che gli veniva da ridere: “Fai sul serio?”

“Se hai compreso davvero ciò che l’ucronia voleva insegnarti, è giusto che tu lo faccia.”

“L’ho appena salvata da Italia, per tenerla con me tu ti sei pure ferito, ed ora mi vieni a dire che dovrei lasciarla andare?!”

“Si, Turchia, credo che tu possa capire il perché. Sei un impero, dopotutto.” –disse rubandogli la sua battuta.

“Io…”

“Sai bene come vanno queste cose. Noi imperi ci lasciamo guidare dalle nostre ambizioni, ma prima o poi tutto finisce, e sei costretto a renderti conto che tutti ti abbandonano con piacere, anche quelli a cui hai voluto più bene. Ora è piccola, e ti adora. Ma sai bene che crescerà, e verrà il momento che ti chiederà di essere una nazione sul serio, e a quel punto starà a te decidere se mettere da parte l’orgoglio e indebolirti spontaneamente, o farti odiare perché ti rifiuti di accettare il destino.”

“Albania non mi si è mai ribellata… Lei se n’è andata quando…”
“Quando eri diventato troppo debole per tenerla con te, no? In questo caso però puoi scegliere: vuoi renderla libera ora, per premiarla per aver provato a salvarti, fintanto che puoi di tua iniziativa e ti vede come un vincitore, o perché stai finendo in pezzi e lei è uno di quelli?”

Strinse i denti. Prima Austria aveva detto che l’ucronia voleva insegnargli qualcosa. In effetti anche guardando le storie alternative degli altri avevano avuto quella strana impressione, come ne venissero fuori tutti un tantino più saggi, come al termine di una prova superata. Ma un semplice duello forse non era una prova abbastanza ardua per imparare qualcosa sul serio, qualcosa poi che, a giudicare dai bei discorsi datti a Veneziano poco prima, in realtà aveva già imparato.

Non si scampa all’essere un impero, purtroppo. Ma quando ormai non lo sei più, non hai più scuse.

“Si metterebbe a piangere un’altra volta… Sei sicuro di quello che pensi?”
Austria aspettò qualche momento prima di proseguire: “So che sembrerà un cliché questa cosa che sto per dire, ma spesso, quanto più tieni a una cosa e fai di tutto per averla vicino…”

“Più la allontani da te…” –finì lui, pensando ovviamente a Grecia.

“Bah! Grazie per avermi guastato la festa, Austria.”
“Figurati.”

In fondo, neppure un mondo alternativo ha senso se ripeti sempre le stesse scelte; e poi così magari Herakles, guardandolo da fuori, sarebbe rimasto colpito anche lui e lo avrebbe detestato un pochino meno.

Si inginocchiò e poggiò le mani sulle sue piccole spalle, piccoli gesti diventati molto faticosi: “Albania, ascolta, ho preso una decisione. Quando questa guerra sarà finita, tu diventerai una nazione per conto tuo.
“Che cosa?! Mi-mi vuole cacciare?”
“No, che diamine, io ti voglio bene, lo sai! Anche se mi hai fatto prendere un bello spavento quindi voglio farti un regalo: non vuoi una casa tutta tua?”

Come previsto si portò una mano sugli occhietti che bruciavano: “Ma io voglio restare a casa tua! Insieme a te!”

“Ehi, tranquilla! Potremo venirci a trovare tutte le volte che vorremo, chi ce lo impedisce? Ma vedi, tu sei ancora molto piccola, e devi crescere: devi essere padrona di te stessa, scegliere chi vuoi essere, chi vuoi come amici, proteggere la tua cultura e te stessa dai nemici.”

“Devo proprio?”
“Ma certo, farò anche agli altri un discorsetto del genere più tardi. E poi non devi avere paura: tu hai un bel caratterino, sono sicuro te la caverai alla grande. O mi sbaglio?”
“N-no! Io me la caverò alla grande, sissignore!”

“Brava, sono sicuro che mi renderai fiero!”

“Certo!”

Sadik batté due volte le mani e le nascose in un << PUFF! >> di fumo. Albania spalancò le orbite chiedendosi che meraviglia sarebbe comparsa; invece c’era solo la mano del suo grande amico, con un mignolo alzato che aspettava di essere stretto!

“Qui il dito!”
“Ih ih ih!”

“Umpf!” –sospirò finalmente Austria, suggellando il lieto fine.

O quasi lieto. Mentre Albania, recuperato il remo si era avviata ad aspettarli sulla sua barchetta, Turchia faceva del proprio meglio per nascondere la propria malinconia anche senza una mascherina.

Gli poggiò una mano sulla spalla: “Tutto bene?”
“Si, più o meno… Insomma, ho vinto, sembra, ma arrivati a questo punto, mi domando cosa mi resti: ho perso la flotta, il mio impero, il mio cuoco italiano, Grecia mi detesta anche qui se non peggio, la mia maschera si è rotta, il mio cappello si è sgualcito, non faccio in tempo a riabbracciare Albania che la perdo…  Che mi rimane?”

“Beh, intanto hai dato una gran prova di maturità, abbiamo fatto tante belle riflessioni su noi nazioni grandi e piccole, e per il resto… Adesso vedremo.” –concluse mostrandogli il telecomando.

“Umpf, si, ci siamo divertiti abbastanza.”
“Eh, già!”
Almeno era finita con un sorriso per entrambi.

 

 

“Hop!”

Con un saltello furono di nuovo nella sala riunioni, e in men che non si dica ecco gli altri iniziare ad avvicinarsi come si fa con due star!

Il più chiassoso di tutti era ovviamente America: “Who-hooo! Mitici! Ragazzi, siete stati fighissimi: voi due formate una gran bella coppia (non quel “tipo di coppia”, eh?)!”

Ungheria non era però meno entusiasta: “Austria!” –corse ad abbracciarlo- “Il suo braccio sta bene?”
“Tranquilla, era una realtà virtuale. Però in effetti mi è andata malino…”

“Non dire così, sei stato grandioso! Ed eri bellissimo con l’armatura!”

Lo baciò facendolo arrossire fino ai capelli!

Anche Ceca intanto, per motivi per diversi, era arrossita fino ai capelli: “EHI! Perché avete liberato lei e non me?! Sono ancora incatenata alla sedia! Ehi! Qualcuno si degna di prestarmi attenzione?”

<< Anche se te la prestassero ho nascosto la chiave! Uh uh uh! >>

Ungheria non fu però la sola a fargli le feste: arrivò anche Italia, porgendogli sportivamente la mano senza rancore, e Francia gli fece i complimenti per come bucava lo schermo.

Anche Turchia aveva il suo bel gruppetto di fans ad attorniarlo.

“Vedo che ci sai ancora fare con la scimitarra, amico mio!” –lo tempestò di complimenti Egitto, ma il suo amico del deserto sparì quando si avvicinò addirittura, anche se con un po’ di ritrosia, il suo amante di gatti preferito!

“Turchia, penso che tu sia stato molto… bravo… Ecco…” –ammise e, conoscendo il tipo, per Turchia quelle poche parole trovate a stento e quegli occhi un po’ bassi lo resero contento a tal punto che prese a tirargli una guancia in segno di affetto!

“Signor Turchia!”

Smise solo quando dovette prendere al volo una certa signorina… Albania non sarebbe mai stata troppo cresciuta per saltargli in braccio, né avrebbe smesso di baciargli le guance ispide solo perché ora portava gli orecchini!

“Siete stato grandioso! Avete combattuto apposta per me! Siete sempre il migliore!”

“Eh eh eh!”

I due eroi si scambiarono un’occhiata d’intesa.

“Beh, come vedi qui qualcosa l’abbiamo guadagnata, Turchia.”

E se la sarebbero tenuta ben stretta, anche senza essere degli antipatici prepotenti, questo era certo.

Era stata dura, tra scioccanti sorprese sexy, lussuria sfrenata e duelli di spada, ma adesso ricevevano i giusti cinque minuti di gloria, e le ricompense sono fatte anche per essere sbattute sotto il naso dei tuoi rivali.

Per questo Roderich, vedendo Prussia osservarli a distanza tutto zitto, non poté fare a meno di stuzzicarlo: “Non ridi più tu, non è vero?”
L’albino, indifferente con le gambe accavallate sulla sedia, scrollò le spalle: “Si, devo riconoscere che tu e il barbetta avete fatto la vostra “magnifica” figura stavolta. Ma non vi siete dimenticati di qualcosa?”

Turchia ed Austria si guardarono e chiesero insieme: “Che cosa?”
“La sedia.”

 

<< CRASH! >>

 

Ancora in funzione, la macchina sputò letteralmente la sedia addosso a loro, mandando questa in frantumi e quelli a terra ko con dei grossi bernoccoli sulla nuca.

“……”

Naturalmente, i presenti iniziarono a guardare Gilbert come il vincitore del premio Magnifico Bastardo dell’Anno.

“… Non potevi dirlo prima?”

Certo che no, altrimenti non ci sarebbe stata occasione di terminare tutto con la sua galattica risata malvagia!

“EH EH EH EH EH!”

 

 

 

Prussia, sei un grande… Ma non diciamo cosa, va! XD

Quelli che di voi si aspettava un po’ di Grecia in più saranno rimasti delusi… Spiacente, ma mi sono concentrato di più sul personaggio di Sadik, ma spero di aver appagato un pochino il vostro lato sentimentale mostrando il suo rapporto con Albania (i due paesi sono realmente molto amici) ^__^

Termina qui questa ucronia di imperi, di glorie perdute e ritrovate, sguardi da duri e colonne sonore super-fighe, in cui abbiamo scoperto che Turchia ed Austria come duo riescono bene, l’unico tracotante e passionale, l’altro flemmatico e razionale, e tutti e due con un grande ego e un grande passato. Che ne pensate? ^__^

E mi raccomando, non dimentichiamoci di dare il giusto riconoscimento anche a super-Veneziano… e alla sedia! XD

Alla prossima ucronia! Commentate!


PS: ITALIA X GERMANIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 10
*** E se Russia avesse prevalso nella guerra fredda... e sposato Bielorussia? ***


Ciao a tutti! Dopo i successi delle ultime puntate sono stato un bel po’ indeciso su come continuare, e temevo un calo d’ispirazione, ma alla fine sembra me ne sia uscito: oltre a questo capitolo ne ho un altro pronto nella mia testa, quindi per almeno altri due capitoli sarete ancora contenti, cari lettori! XD

Forse la frequenza di aggiornamento si abbasserà comunque tuttavia, visto l’esame sempre più vicino…

Andiamo però a goderci questa nuova ucronia, basata su un’idea che più di una persona ha voluto suggerirmi, non a caso si tratta di una domanda molto importante, e stavolta gli stravolgimenti storici saranno belli grossi credo! Buona lettura, e continuate a commentare (vi adoro, ricevo un sacco di recensioni ad ogni aggiornamento ^__^)!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

 

 

 

“Ohi ohi ohi…”
Meno male che c’era Ungheria con la sua borsa del ghiaccio e le carezzine sotto il mento ad aiutarlo a riprendersi dalla botta: quella sedia, pace all’anima sua, era stata costruita con un legno davvero solido e di buona qualità…

“Povero Austria…”

Ceca arrivò di corsa: “Austria! Stai bene? Quella si che era botta!”

“Sta già passando, tranquilla…”
“Sarei venuta prima, ma “chissà perché” le chiavi delle mie catene erano sparite e ci è voluto del tempo…”

L’espressione soddisfatta di Elizaveta la tradì subito: “Perché guardi me?”

“Grrr! Dì un po’ Ungheria, perché non vai da Turchia a farti assumere nel suo harem, eh?”

“Vacci tu, lo sanno tutti che sei una pervertita!”
“Produco altrettanto porno gay quanto te, ipocrita!”

<< La conversazione è degenerata molto presto… >> -pensò Austria, facendo come non fosse lì. A proposito di Turchia poi, chissà se anche lui aveva qualcuno a mettergli il ghiaccio sulla nuca…
“Kolkolkolkol…”

“Eeehm…”

In effetti Russia era risaputo per essere una nazione freddina, quindi il povero Sadik in un certo senso aveva tutto il ghiaccio di cui aveva bisogno… con quell’iceberg ambulante che lo fissava minaccioso da dietro la pesante sciarpa.
“E così… avresti inserito la mia preziosa sorellona nel tuo harem, eh?

“Buono, Russia… Come ho cercato di spiegare prima, l’harem non era un circolo di serve sessuali a mia disposizione, era la parte del palazzo in cui albergavano le donne più importanti e amate…”

“Si, l’ho sentita la spiegazione, e non mi è piaciuta nemmeno quella!”

“Ti prego, fratello! Non fare male a Turchia!” –piangeva Ucraina un po’ più in là- “Abbiamo avuto solo una storiellina, lo giuro!”

“Solo una storiellina?” –sembrava poter piegare il tubo con l’ira funesta contenuta in quelle mani smaniose di vendetta- “Sarebbe quella che si dice “una botta e via”? Sarebbe a dire che ti ci sei divertito e l’hai scaricata?”

“N-n-no-no! Io l’ho trattata bene e con rispetto, lo giuro!” –annaspò Sadik, sperando di poter indietreggiare ancora a lungo!
“Vero! Mi sono divertita anch’io!”
I tentativi di Ucraina di aiutarlo stavano avendo decisamente l’effetto opposto! Adesso Russia aveva preso pure a punzecchiarlo con la punta del rubinetto!

“Ora mi diverto un po’ anch’io allora, qualcosa in contrario?”

“P-parliamone…”

“Kolko… ?!?!?”

Non capì come, ma certo non si lamentò quando l’aura malvagia intorno a Russia si spense e l’iceberg prese a sudare a torrenti come un pupazzo di neve al sole!

Turchia poté così mettersi in salvo, mentre Russia finì a sua volta in una situazione raccapricciante: qualcuno, con un paio di mani piccole e gelide gli aveva afferrato il polso, trattenendolo con forza inaudita. E c’era una sola persona al mondo capace di bloccarlo in quel modo!

“Fratellone…” –sussurrò Bielorussia ad un Ivan incapace di voltarsi per il terrore- “Posso essere io a farti divertire se vuoi…”

“Ecco che ci risiamo…” –sospirò Lituania.

“Però devo dire che è rassicurante vedere certe scene: ti fanno pensare che anche Russia è umano come tutti gli altri.” –ebbe a dire Germania vedendolo battere i denti tanto forte da imitare una macchina da scrivere!

Recitava un detto: “Nella Russia Sovietica, lo stato serve te”, anziché essere tu a servire lo stato. Ma valeva anche: “Nella Russia, Sovietica o meno, le sorelline piccole piccole molestano il fratellone grosso e cattivo”…

“T-t-ti prego, Bielorussia, lasciami! Mi fai paura!”
“Non temere, non voglio farti del male, fratello mio…” –fece strusciando il viso contro la sua schiena- “Voglio darti tanta felicità, per il resto dei tuoi giorni e anche oltre, legando la mia anima alla tua nel sacro vincolo del matrimonio… Per sempre!”

Il suo bisbigliare ricordava in tutto e per tutto quello di un serial-killer da film horror che sta avvicinandosi sempre di più al tuo nascondiglio, ansioso di prenderti e farti a tocchetti!

“Vieni con me, fratello mio… SPOSIAMOCI!”

Natalia strinse a sé quel corpo, beandosi del suo calore e del suono della sua spina dorsale che veniva strizzata… Non ci mise molto ad accorgersi che qualcosa non andava: le vertebre di suo fratello non crepitavano già a quell’ammontare di forza nel suo abbraccio!

“PERCHÉ STO ABBRACCIANDO SVEZIA?!?!?”

Perché Ivan, nel momento esatto in cui gli aveva mollato il polso per abbracciarlo, aveva agito con riflessi felini, afferrando la persona con la corporatura più simile alla sua a portata di mano e scambiandosi con lui per poter fuggire!

“………”

Berwald era esperto nel parlare senza aprire bocca, e mai la sua faccia espresse così chiaramente l’idea di disperato bisogno di soccorso!

“Povero Svezia…”

Fortunatamente Bielorussia non aveva nessun interesse a stritolare lui anziché il fratello, quindi lo mollò immediatamente: “Perché non ti decidi ad accettare i miei sentimenti, Russia? Dici sempre che vuoi che la gente sia tutt’uno con te e da me che voglio esserlo te ne scappi? Non lo sopporto più!”

Lituania si avvicinò: “Calmati, Bielorussia…”
“GRRRRR!”

“Calmati possibilmente senza spezzarmi le dita…” –la pregò Toris quando per l’abitudine gli aveva afferrato la mano come si fa con un anti-stress!

Russia intanto riprendeva fiato e colore, ma si era avvicinato troppo alla Macchina dell’Ucronia, chiamandosi addosso di conseguenza il grande idiota divora-hamburger.

“Oh, Russia! Non dirmi che finalmente ti sei deciso a fare una domanda!”
“No. Te l’ho detto, non ho alcun interesse in questo tuo trabiccolo.”

“Eh eh eh! Lo so che sei un timidone e non vuoi ammetterlo che ti interessa!”
“Non mi interessa affatto invece.” –fece per andarsene, ma America gli bloccò il passo.

“Senti, se è perché hai dovuto vedere tua sorella in abiti trasparenti ti chiedo scusa, amico, ma ora non farti idee sbagliate sulla mia macchina, non è affatto una sporcacciona!”

“Non è per quello che io…”

“Se lui non vuole domandare…”

America ebbe appena il tempo di girarsi che Russia era già sparito dietro di lui cercando di nascondersi: peccato che grosso com’era sbucasse quasi tutto!

Bielorussia si avvicinò a suon di tacchi alti con la solita espressione accigliata: “Allora domanderò io per lui.”

“Vuoi domandare per lui?”

“Esatto, se mio fratello ha timore di rivolgersi alla Macchina allora sarò io a sacrificare la mia domanda per lui, chiedendo ciò che vuole chiedere.”

“N-non voglio chiedere nulla!”

Ad America di tutto ciò importava soltanto che ci fosse un'altra domanda con cui riscuotere altri successi: “Ah ah, brava la nostra sorellina! Facci sentire allora, cos’è che questo timidone del tuo fratellone vorrebbe chiedere ma si vergogna a farlo?”

“Non è ovvio? Vuole vedere come sarebbe se fosse sposato con me.”

Russia, per terra, si raggomitolò e si coprì gli occhi!

“Ma… Bielorussia, questa non è una macchina dei desideri, non posso mica chiederle di farti sposare con tuo fratello!”

Se Bielorussia fosse stata due metri più in là, Ivan si sarebbe alzato per abbracciare America!
“E perché no? A tutti gli altri fa sempre avere quello che vogliono, chi si sposa di qui, chi si innamora di là, tutti felici e contenti, e ora salta fuori che con me non vale? La tua Macchina vuole essere accoltellata forse?”

“Ah ah ah, non mi sono espresso bene, vedi… È una macchina dell’ucronia, quindi devi proporre una storia alternativa in cui sei sposata con lui, sennò non vale.”

Se Bielorussia fosse stata due metri più in là, Ivan si sarebbe alzato per rompere la mascella di America con un diretto alla Ivan Drago contro Rocky!

“Oh, se è solo per questo allora non c’è problema. Aprite bene le orecchie, tutti quanti!”

Bielorussia assunse una posa celebrante, con gli occhi chiusi, il mento alzato e le mani giunte: “Mio fratello Russia merita tutto il mio amore. Lui è il più grande di tutti, il più bello di tutti, il più potente di tutti, e dovrebbe essere il capo di tutti, il padrone del mondo!”

“Ih ih ih!” –rise Prussia- “Non ti stai confondendo con la mia descrizione?”

Un coltello si piantò nel muro a cinque centimetri esatti dal suo naso.

“N-n-no, non ti stai confondendo… Prego, vai avanti…” –disse tremante come un budino e bianco come i suoi capelli.

Anche America come lui non vedeva l’ora di sentire il seguito: “Si, avanti, voglio vedere finalmente anche questo nasone sdegnoso della mia invenzione dentro una ucronia! Non farmi stare sulle spine, ah ah ah!”

“Mio fratello deve occupare la posizione che gli spetta di diritto, quindi adesso mi farai vedere, e farai vedere a tutti, come sarebbe se avesse prevalso lui e non tu.”

“……… Lui? Quando?”
“Nella Guerra Fredda, no?”

“……… Quale Guerra Fredda?”
“Quante Guerre Fredde conosci?”

Il sorriso ebete di America ormai si teneva su per miracolo: “……… Tre?”

“Muoviti!”
“Ah ah ah, ma dai! Una storia alternativa simile non interessa a nessuno! Vero, ragazzi?”

“Eh, no, America!” –ghignò Inghilterra alzandosi e prendendo ad istigare la folla- “Noi invece la vogliamo proprio vedere, non vero?”

“UCRONIA! UCRONIA! UCRONIA! UCRONIA!”

“Bielorussia ti ha fatto la sua domanda.” –proseguì Arthur, mentre Alfred continuava a rivolgergli nella sua mente parole poco educate- “Perché a tutti si e a lei no? Avanti, metti in funzione la macchina!”

“Sigh… E va bene, maledetti! Ma vi siete resi conto che avete appena chiesto un’ucronia in cui Russia, sottolineo RUSSIA, è padrone del mondo, vero?”

Tutte le nazioni che aveva urlato fino a un secondo prima solo per fargli dispetto si zittirono con gli occhi sbarrati!

“Ah ah!” –li derise America- “Ora avete cambiato idea? E invece la vediamo! Contenti? … Sigh!”

Che domanda crudele da fare: un mondo in cui non è lui la star!

“Bielorussia, vuoi la modalità in prima persona o spettatore?” –chiese mentre finiva di impostare la macchina.
“Spettatore, grazie.”

America si girò: Natalia aveva agguantato Ivan e l’aveva messo sulla sedia accanto la propria, rigido come un ghiacciolo mentre si teneva al suo braccio, come un’innamorata al cinema col proprio fidanzatino.

“Io e il fratellone vedremo da qui, proprio qui, seduti vicini, a guardare il trionfo del nostro amore… E quando Russia si sarà accorto come è bello il mondo con me come moglie, mi supplicherà di sposarlo, uh uh uh uh! Si! Mi sposerà! Uh uh uh uh!”

Russia sembrava sul punto di piangere, ma era terrorizzato dalle sue carezze e dalle sue risate lugubri e non riusciva nemmeno a muoversi per scappare!

Alfred scosse la testa: “Poveraccio… E va bene, se proprio dobbiamo, vediamo un mondo in cui Russia ha trionfato e la sorella pure…”

La platea, ad eccezione dei due piccioncini in prima fila, era in piena crisi di rimorso.

“Che cosa abbiamo fatto?” –disse Polonia con le mani tra i capelli- “Come abbiamo potuto chiedere di vedere una simile ucronia?”

“S-s-sarà una cosa orribile! Non oso guardare!” –si coprì la faccia Lettonia!

 

 

Essere la nazione più grande e più importante del mondo impone un sacco di responsabilità, come quella di presentarsi con la divisa sempre lustra e impeccabile ad ogni riunione; purtroppo, per quanto quel giorno i bottoni e le sue medaglie brillassero come e più del solito, non poteva fare a meno di sentirsi mutilato non essendo riuscito a trovare il cappello d’ordinanza. Fortunatamente aveva dalla sua quel tesoro di sua moglie!

“Russia!”

Si girò, e lei stava appunto correndo verso di lui, come il suo personale angioletto che sistemava sempre ogni cosa: “Tieni, ho trovato il tuo cappello.”

“Ah, Bielorussia, come farei senza di te?” –la ringraziò con un bacio sulla guancia, e delle sue labbra si schiuse una risata cristallina, come quella di una scolaretta.

“Ih ih ih!”

 

“Mhmm, questa ucronia è partita proprio bene!” –fece Bielorussia accollandosi al fratellone, il quale era invece sul punto di perdere i sensi… solo sul punto però, purtroppo, quindi avrebbe continuato a vedere!

“Uh uh uh uh uh!”

<< Qui ha tutta un’altra risata… >> -pensarono gli altri intorno!

 

Natalia si strinse al fratello e marito, che contraccambiò, e parve poter star lì, a carezzarle i morbidi capelli platino, anche per ore.

“Posso accompagnarti sul palco?”

“Anche se dicessi di no sono sicuro non ti fermerei! Andiamo, dai!”

Accettò la sua mano e si avviarono insieme, con la sua testa poggiata sulla spalla di lui, sua imponente colonna: “Russia, ti ricordi prima che ci sposassimo? Quando scappavi solo se mi avvicinavo?”
“Ah ah ah, che tempi! Ero così ridicolo allora a non volerti sposare solo perché mia sorella: hai persino il mio nome nel tuo, era chiaro come il sole che dovessimo stare insieme!”
“Già! Ih ih ih!” –al punto che col loro matrimonio aveva fuso i suoi territori con quelli di lui per essere definitivamente inseparabili.

Dietro le quinte, trovarono ad attenderli Ucraina, anche lei con indosso la propria uniforme verde scura e il basco; non appena li vide si mise sull’attenti, salutandoli col solito suono delle sue tette che rimbalzavano.

“È tutto pronto, Russia!”

“Perfetto, allora possiamo iniziare!”

La sua mogliettina non era dello stesso avviso e, mentre Katyusha si mostrava in sala, cominciò a dargli gli ultimi ritocchi, rimboccandogli la sciarpa, raddrizzandogli il cappello, togliendogli fili fuori posto dalla giubba; il tutto su un Russia che non era affatto rigido né tremante, anzi, contento di avere due sorelle così amorevoli e fiere di lui.

Natalia tossicchiò e gli diede un’ultima occhiata: “Sei magnifico!”

Specialmente lei, che alla fine aveva accettato come tutt’una cosa con lui, e da allora era stata la persona a lui più vicina, artefice e spettatrice in prima fila di tutti i suoi innumerevoli successi.

Katyusha intanto annunciò a gran voce: “Compagne e compagni! Ad aprire questo nuovo congresso mondiale delle nazioni comuniste, ecco a noi il capo di questa nostra grande casa che è l’Unione Sovietica!  Russia!”
La baciò ancora sui capelli e si avviò, mentre Bielorussia restava lì a contribuire al clamore di applausi che si levava dalle sedie della sala, dove tutti si erano alzati in piedi. Ivan, sorridendo e salutando, arrivò al centro del palco dove stava il podietto con microfono da cui avrebbe parlato: sulla parete alle sue spalle, campeggiava gigantesco un simbolo tutto color rosso e oro, che rappresentava il mondo sovrastato dalla falce e dal martello incrociati, e sopra ancora la stella a cinque punte, il tutto circondato da una corona di spighe; un apoteosi del lavoro e dei suoi preziosi frutti.

(NDA: http://www.thefrontpage.it/wp-content/uploads/2010/06/URSS.jpg)

Bielorussia ovviamente continuò ad applaudire più di tutti: “Bravo! Bravo! Coff! Coff!”

Russia guardò sua moglie, poi l’altra sorella che gli rivolse uno sguardo d’incoraggiamento, e avvicinò l’ampio sorriso al microfono: “Salve a tutti, compagni!”
“Salve, Russia…” –rispose mosciamente un coro di voci…

Sospirò. Come al solito: non fosse stato che nessuno sa resistere al cartello luminoso con su scritto “applausi” anche quelli sarebbero stati pochi e stufi.

“Ragazzi, insomma, un po’ di entusiasmo in più. Sembra quasi che non siate contenti di essere qui.”

“Ma no?” –fecero Polonia, Ceca e Ungheria, memori di vecchi lividi…

Una voce più enfatica si distaccò tuttavia dal coro: “Señor Russia! Ehi! Señor!”

“Uh?”

Vide Cuba sventolare la mano per farsi notare: “Siete pronti?”

Cina, Vietnam e Corea del Nord al suo segnale si alzarono in piedi, e tutti e quattro srotolarono un striscione con su scritto (ovviamente col cirillico): “Мы Россию!

“E per el señor Russia, hip hip... URRÀ!” –finì in coro il suo fan-club!- “Hasta siempre, señor Russia!”

“Ai-ya! Viva il comunismo!” –sventolò le lunghe maniche Cina.

Corea del Nord diede un pizzico al fratello riunificato: “Ahi! Ehm… Urrà…”

“Oh oh oh! Ragazzi, grazie! Anche io vi … Sapete sempre tirarmi su il morale! Mi fate sentire questo bel teporino al cuore… che sembra che a momenti possa uscirmi dal petto per ringraziarvi!”
Vietnam alzò la mano: “Ehm, signore, meglio che non lo faccia: l’ultima volta che il cuore le è uscito dal pezzo un po’ di gente è svenuta…”
“Si, giusto, dobbiamo iniziare la riunione! Siete pronti?”

“Si…” –rispose svogliatamente il resto delle nazioni.

“Bene! Allora diamo inizio ai lavori di questo congresso delle nazioni comuniste augurandoci che sempre più nazioni saranno presto qui tra noi a seguire la retta e rossa via, e ovviamente cantando tutti insieme l’inno della nostra grande e amata casa, questa nostra rossa e accogliente famiglia che è la nostra unione di nazioni libere, libere di essere comuniste e farsi comandare da me col pugno di ferro, ovviamente!”

Ucraina prese il vinile e cercò di avviare il giradischi, ma visto che tutte le tecnologie eccetto quella militare e aereo-spaziale facevano pena, ci volle un po’…

“Ehm, scusate… Un attimino…” –provò con una botta- “Ecco!”

Russia si mise una mano sul cuore, sentendosi pervadere dall’orgoglio, inebriato da quelle note come fossero un rivolo di squisita vodka tra le sue labbra. Con lui presero a cantare con voce profonda le sue sorelle e tutte le altre nazioni lì presenti, volenti o nolenti…

 

Sojùz nerušìmyj respùblik svobòdnych

Splotìla navéki velìkaja Rus';

Da zdràvstvuet sòzdannyj vòlej naròdov

Edìnyj, mogùčij Sovétskij Sojùz!

 

Che meraviglia. Che sensazione sapere di aver plasmato ormai quasi tutto il mondo a propria immagine. Che brividi. Ed ora arrivava pure il ritornello!

 

Slàv'sja, otéčestvo, nàše svobòdnoe,

Drùžby naròdov nadëžnyj oplòt!

Pàrtija Lénina, sila naròdn-

 

“FERMI TUTTI!”

La sua voce era così aspra che il giradischi si fermò da solo.

“Qualcuno di voi ha stonato!”

Le nazioni comuniste inorridirono! L’ultima volta che qualcuno aveva osato stonare l’inno, il colpevole, Romania, era finito appeso a testa in giù dalla Torre Spasskaja!

“Chi è stato?”

Gli occhi di tutti finirono sui fratelli Italia: stavano freneticamente ripassando sui loro vocabolari Italiano-Russo/Russo-Italiano quando si accorsero di essere stati beccati.

“Porcaccia! Maledetta lingua slava!” –imprecò Romano!

“Compagni Italia…” –disse lentamente Ivan con la voce da grosso, russo e cattivo- “Avete qualcosa da dire prima che lasci che Bielorussia si occupi di voi?”

Sua sorella salì sul palco e, guardando fissi i due poveretti, leccò lentamente il filo della lama del loro coltellaccio: nessuno stona il ritornello al suo marito-fratellone!

Feliciano e Romano si guardarono e si intesero subito: era il momento di usare il piano anti-Russia numero nove-bis! Si alzarono in piedi, misero le braccia attorno le spalle dell’altro e presero a saltellare e cantare a gran voce:

Fischia il vento, infuria la bufera!

Scarpe rotte, eppur bisogna andar!

A conquistare la rossa primavera!

Dove sorge il sol dell’avvenir! HE!”

(Nda: Si tratta di “Fischia il vento”, nota canzone dei partigiani comunisti basata sulla canzone popolare russa “Katyusha”! XD)

Russia si asciugò una lacrimuccia: “Oh oh oh! È impossibile avercela con voi italiani! Siete troppo simpatici e sapete sempre farvi perdonare! Va bene, lasciamoci allo spalle questo incidentuccio e cominciamo la nostra riunione! Ora il compagno Cina salirà sul palco per comunicarci le ultime importanti novità che vi riguardano e che non potete in nessun modo contestare. Prego, Cina!”

Cina arrivò al podietto, poggiò il panda a terra e tirò fuori una risma di fogli: “Ai-ya! Buongiorno a tutti, compagni comunisti! Le seguenti cose sono d’ora in poi bandite perché troppo borghesi e troppo poco proletarie: le vasche da bagno, i collant, i blue-jeans, al loro posto ci saranno red-jeans, il tè delle cinque, il bagno in fondo << a destra >>, e da oggi il computer di casa non si chiamerà più “personal”-computer, chiaro rimando all’egoismo possessivo della cultura capitalista, ma “collettiv-computer, quindi non più PC ma CC! Grazie dell’attenzione!”
Un lungo verso di disperazione riempì immediatamente la sala!

Russia gongolò: “Contenti? Abbiamo compiuto altri significativi passi avanti per un mondo migliore!”

Prussia, alias Est, rosso di vergogna, cercava di evitare le occhiate del fratello, intento ad esprimere il proprio dissenso con faccia marmorea: “Vieni anche tu dalla parte vincente, Ovest… Saremo di nuovo riuniti, Ovest… Ricordami di aggiornare l’antivirus al << CC >> quando torniamo a casa, eh?”

“Ehm… Beh, almeno niente più muri…”

Ludwig esplose: “Sicuro? Ora dobbiamo far venire gli operai a casa per rimettere il bagno dal lato giusto del corridoio! Dovremo abbattere la parete!”
“Urgh! Sigh…”

 

Qualche giorno dopo, nel silenzio ovattato del suo studio, Ivan sfogliava la Pravda, il quotidiano più letto del mondo, e di tanto in tanto buttava un’occhiatina alla Piazza Rossa dalla finestra. Era una bella giornata, il cielo era di un gradevole grigio chiaro con qualche sprazzo di sole qui e là, e da lì aveva una bella vista delle guardie rosse che marciavano e di Giappone che scattava foto a destra e manca della più bella e importante città del mondo, Mosca.

Si alzò e si avvicinò alla finestra per una boccata d’aria. Guardò il cielo, e pensò alla luna, che lui aveva conquistato per primo. Prima o poi sarebbe riuscito a convincere quei guastafeste dei suoi scienziati ad approvare il suo progetto di ridipingerla completamente di rosso con una bella stella gialla al centro, così tutti i porci capitalisti rimasti al mondo, guardandola di notte, si sarebbero ricordati chi è che comandava!

“Kolkolkolkol!” –gioì al pensiero!

La porta si aprì, e gioì ancora di più vedendo il fiocchetto bianco della sua mogliettina: “Russia, mio caro, vuoi che ti prepari un bel caffè alla Karl Marx?”

“Potresti farne due se non ti è di disturbo? Tra poco verrà a trovarmi America.”

“Disturbo? Lo sai che è sempre una gioia servire il mio maritino, ih ih ih! Ma come mai viene a trovarti?”
“Oh, probabilmente vuole chiedermi un altro prestito o qualcosa del genere. Staremo qui nel mio studio quando saranno pronti, va bene?”

“D’accor… Coff! Coff!”

“Ancora con quella tosse? Perché non prendi un po’ di sciroppo?”

“Coff! Non è nulla, ma se ti può far star tranquillo lo prenderò appena dopo avervi preparato il caffè, va bene?”

“Riguardati, amore mio: pensi sempre tanto a me e così poco a te.”

“Perché ti amo, no?” –gli mandò un bacetto a distanza e chiuse la porta.

“Ah, che brava moglie… Ma come ho fatto ad aspettare tanto per sposarla?”

“Russia?” –chiamò Ucraina, aprendo la porta- “America è arrivato.”
“Oh, bene, fallo pure entrare!”

 

“Bloccatelo! Sta cercando di staccare la spina!”

Avvisati in tempo da Natalia della manovra furtiva di Alfred, Cuba e Vietnam lo placcarono impedendogli di ripetere lo scherzo di pessimo gusto di Ungheria!

“Non è vero! Stavo solo controllando non ci fossero fili esposti!”
Cuba non volle sentir ragioni e lo incollò di forza a una sedia, tenendolo sempre d’occhio da lì in poi: “Chiudi quella bocca, maldido gringo!”

“Tsk! Maledetti! Sigh! Non voglio vedermi!”

 

La paura di Alfred non era infondata. Russia nella realtà aveva perduto il glaciale confronto del novecento, ma non gli sembrava fosse così malconcio come lui nell’ucronia. Il leggendario eroe e leader adesso aveva la barba ispida, i vestiti sprimacciati e sembrava anche un po’ dimagrito!

“Ehilà, Russia, ti trovo bene.”
“Io no.” –fece col suo insensibile sorriso il gigante sovietico- “Forse i tuoi blu-jeans non vendono abbastanza negli ultimi tempi?”
“Grrr! Mi hai già impedito di esportare la coca-cola nei paesi della tua orbita, non puoi togliermi anche i miei pantaloni più fighi, come faccio a campare se non esporto abbastanza?”

“Oh, ora che sei qui…” –lo cassò sedendosi alla scrivania- “Mi sono ricordato che devo dirti che ho chiesto a Cuba di installare qualche altro bel missile balistico alle porte di casa tua. A te non dispiace, non è vero?” –domandò con una vocetta innocente.

America strinse pugni e denti e cercò di trattenere le imprecazioni e sforzarsi di sorridere e dire con un tono da orlo di crisi di nervi: “Ce… Ce… Certo che no!”

“Perfetto!”

<< Maledetto odioso bastardo! Un giorno mi risolleverò, la saga del grande eroe America non può finire così! Sigh! >>

“Prego, America, siediti e discutiamo: tra poco arriverà anche un caffè, un caffè robusto e amante della patria, mica come quella ciofeca che bevi a casa tua.”
“Bah… Uh?”

Alzando gli occhi, si era ritrovato addosso un’espressione trasognata, come se Russia se lo stesse immaginando con la divisa verde e la spilla della falce e martello.

“Ah, America, mio caro vecchio rivale battuto… Quando ti deciderai ad aborrire la tua futile corsa all’accumulo e ti metterai a lavorare duramente in fabbrica per il bene comune?”
“Mai!”

“Pensa che bello: potresti chiamarti USSA: Unione degli Stati Socialisti d’America!”

A quell’affronto lo caricò come un bisonte: “Non dirlo mai più o…”
“Mi spedisci sulla luna a calci?”
In depressione cupa, spiattellò la testa sulla scrivania: “Sigh! La luna… Sigh! Sigh!”

Si rialzò e provò a darsi una scrollata e apparire più saldo, malgrado la toppa vistosa che il giorno prima aveva dovuto applicare al suo giubbotto: “Non mi avrai mai, Russia! Sono ancora forte e ho ancora qualche alleato, e prima o poi la fortuna tornerà a girare dalla mia parte! E poi piantala con questa storia che il tuo metodo è il più giusto e migliore di tutti perché è una gran cavolata!”
“Cavolata? Ma se ho creato un sistema che garantisce l’uguaglianza assoluta dei cittadini!”
“Cavolata al cubo! Parli di uguaglianza e per strada vedo file di poveracci a prendere freddo in coda ai magazzini di stato mentre tu e gli altri pezzi grossi del partito cenate con aragosta e vodka ogni sera!”

Russia non si scompose: “Nel comunismo tutti sono uguali… Ma alcuni più uguali degli altri, eh eh eh!”

“Che gran bastardo che sei…”

“Vogliamo parlare del tuo sistema amico? Potremmo andare avanti fino a sera.”
“Bah, lascia stare… Parliamo di affari…”

 

Attirata dal gorgoglio della macchinetta, Natalia lasciò la sua rivista e zuccherò il caldo e saporito liquido nero. Era di buon umore e faceva tutto canticchiando, fermandosi solo quando le veniva da tossire.

“Ecco qui!”

Poggiò tutto su un vassoio e si avviò verso lo studio, incrociando la sorella lungo il tragitto.

“America è arriva… Coff!... arrivato?”

“Si, è qui… Ancora con quella tosse, sorellina?”
Sorrise: “Non ti preoccupa… Coff! Scusami, Russia aspetta il caffè.”

Ucraina si avviò verso le sue faccende da sbrigare, ma il tossire di Bielorussia era sempre più forte e la tirò indietro come una calamita.

“Bielorussia, sicura di stare…”
Le tazzine si frantumarono cadendo. Ad ogni respiro, Natalia sibilava come non riuscisse a prendere abbastanza aria: si accasciò a pochi passi dalla porta dello studio, e svenne udendo le grida di aiuto della spaventata Katyusha.

 

Ucraina poggiò piano la pezzolina bagnata sulla fronte della sorella, carezzandole il volto. Russia e America la tenevano d’occhio dall’uscio della stanzetta.

“Come sta?” –domandò Alfred.

“Ha avuto una specie di collasso.” –rispose l’altro a voce bassa- “Ha tossito sempre più forte fino a svenire, poi le si è alzata un po’ la febbre: adesso la temperatura è già un po’ scesa, ma è stanca.”

Il capitalista si grattò la testa: “Che diamine: così di punto in bianco?”

“Non ho idea di cosa abbia, ma combatterò questo male senza pietà; ho già chiamato il miglior medico di nazioni sulla piazza. Dovrebbe essere qui a momenti.”

“Sono già qui, signor Russia.”
I due abbassarono lo sguardo: il medico era un ragazzo bassino, dai capelli neri mossi e la mosca sotto il labbro, venuto lì già col camice e lo stetoscopio al collo.

Si presentò: “Malta, ex sede dell’Ordine dei Cavalieri Ospedalieri di San Giovanni. Non perdiamoci in chiacchiere, dov’è la malata?”

“Non riesce a trovarla da solo?” –risposo in maniera brusca Russia per via dei nervi tesi.

Malta gli perdonò la sgarbataggine e, rassicurata la più emotiva Ucraina, iniziò subito il suo esame: misurò di nuovo la febbre, ascoltò il respiro sulla leggera camicetta da notte che le avevano messo addosso, le guardò le tonsille, controllò i riflessi. Era chiaramente molto esperto a giudicare da come si muoveva, eppure ad ogni nuovo esame il suo viso era sempre più perplesso.

“Ha detto che negli ultimi tempi tossiva spesso?”

“Si, prima però era una tosse occasionale: negli ultimi giorni si è fatta più frequente.”

“Inoltre si è sentita male fuori la porta del vostro studio… Dite, ha sofferto di questa tosse anche prima che vi sposaste?”

“Non mi pare…” –rispose la paziente.

Russia si accigliò: “Che centra il nostro matrimonio?”
Malta rimise il fonendoscopio al collo e richiuse la borsa: “Il suo fisico non ha nessun motivo organico per stare male, e se non è una malattia del corpo, allora è una malattia della nazione.”

Malta aiutò Bielorussia a mettersi seduta sul letto, poi chiese uno sgabello per sedersi e farle qualche domanda.

“Senta, può dirmi come si dice “Benvenuti a casa mia” in bielorusso?”
Bielorussia, colta alla sprovvista, batté le palpebre: “Certo, si dice “Dobro pozhalovat’ v moy dom”…”

“No.” –ribattè subito il dottore- “Così lo si dice in russo: il Bielorusso è un po’ diverso se ricordo bene.”

Corrugò la fronte: “Si, è diverso, si dice… Ehm… Strano, non ricordo.”

Un medico non è altro che un investigatore. Una volta inquadrato il sospetto, non deve fare altro che pedinarlo, avvicinarsi a lui pian piano, traendo conferma via via da dettagli piccoli e grandi; e Malta era sempre più sicuro della propria intuizione.

“Bene, allora può dirmi cosa raffigura lo stemma della nazione bielorussa?”
“……”
“L’aiuto: è un cavaliere di colore rosso in campo bianco, giusto?”
“Si!”

“No, è bianco in campo rosso.”

“……”
Russia allora poggiò l’enorme mano sulla spalla del medico, stringendogliela di proposito: “Si può sapere che razza di domande sono? Lei deve scoprire cos’ha, non giocare agli indovinelli!”

“Ho finito.” –rispose il piccolino, reggendo il suo sguardo; poi sorrise alla paziente, per la prima volta da quando arrivato- “Prego, si riposi un altro pochino, la vedo stanca. Signor Russia, vorrei parlare con lei in privato.”

“Obbedisci al dottore, da bravo…” –scherzò America vedendo la faccia da stoccafisso del signore del mondo.

Ucraina rimase a vegliare sul sonno di Bielorussa, mentre Russia, con il curioso America, raggiunse nel corridoio Malta con la diagnosi.

“Russia, tua sorella ha un brutto male. Rischia la vita.”

Bastarono quelle poche parole a far vacillare i piedi del gigante: “Co-cosa? Come… Ma com’è possibile, qual è il problema?”

“Sei tu.”

“?!?!?”

“Si, tu e il vostro matrimonio: la stanno lentamente uccidendo.”

America temette per l’incolumità di quel saccente piccoletto quando Russia iniziò a respirare rumorosamente: “Cosa sta dicendo? Il nostro matrimonio è stato il momento più felice della sua vita, ha gioito fino alle lacrime! Da allora è divenuta tutt’uno con me e siamo stati inseparabili!”
“Sveglia, Russia!” –gli sbottò in faccia mandando al diavolo educazione e titoli onorifici- “Lo sai anche tu nel profondo che per una nazione diventare tutt’uno con un’altra significa morire!”

Russia si ritrasse, come quell’isoletta l’avesse spinto via con la forza di mille tori. Subito dopo però, gli tornò l’espressione mite da bue al pascolo: “Non lo stai facendo di proposito, lo so che la ami, ma la realtà è questa. Fondersi con te, così potente, così desideroso di importi sugli altri, sta distruggendo la sua identità di nazione, e senza di essa ciascuno di noi è destinato a sparire. Lo hai visto, no? Ha già iniziato a dimenticare la propria lingua, non ricorda i simboli che erano suoi in passato, diventerà sempre più russa col passare degli anni, e la tosse peggiorerà, sarà sempre più debole… fino a sparire.”

Russia si sentì mancare l’aria, e non trovò di meglio che prendersela nuovamente con lui che così sinceramente stava preoccupandosi per sua sorella: “Tu menti! Tu vuoi farmi venire i complessi, diventare pazzo! Sai cosa faceva Stalin a quelli come te?”

“Calmati imbecille!”

America non aveva più osato alzare la voce con lui quando lui e Germania Est avevano convinto Ovest a unirsi a loro, abbattendo il muro e mettendo fine alla sua influenza sull’Europa, una brutta batosta. E se lo faceva ora, c’era un buon motivo.

“Lo sai che ha ragione.”

Sentì la mano di Alfred sulla spalla, e seppe che era sincero. Allora aprì gli occhi e chiuse i pugni: “… Continui, dottore…”

“Russia, la tua presenza è a dir poco ingombrante, specie sui tuoi vicini: domini le idee altrui, imponi la tua lingua come la principale, e la tua cultura sopra ogni altra, nella tua ossessione di rendere gli altri un’unica cosa con te.” –probabilmente per la solitudine che provi avrebbe potuto aggiungere, ma non gli interessava scendere nello psicologico e tacque- “Di questo passo non ci vorrà molto perché anche Ucraina cominci ad avere gli stessi sintomi e si ammali.”

“Che cosa devo fare?”
“Divorzia da Bielorussia: restaura la Repubblica Socialista Sovietica Bielorussia, allenta la presa che hai su di lei, falle passare questo complesso nei tuoi confronti e tutto si aggiusterà. Lei ti segue di tua spontanea volontà, ti adora e ti idolatra, e non si accorge che è proprio questo che la sta avvelenando: se altri non si sono ammalati è perché non ti amavano a tal punto, e la voglia di ribellione, di contraddirti, li ha tenuti sani.”

“Dottore, come posso… come posso andare da lei e lasciarla? Dopo tanti secoli in cui l’ho respinta, finalmente l’ho resa felice e lei ha reso felice me e ora…”
“Mi dispiace Russia: se non vuoi perderla, non hai altra scelta.”

America ripensò a quante volte lo aveva preso in giro dandogli dello schizzoide per aver sposato la propria sorella ancora di più schizzoide, a quante volte aveva ribadito fosse una roba disgustosa, contro natura… E ora che ne aveva avuto la conferma, davanti quel volto di ghiaccio sciolto, si morse la lingua, e si pentì di tutto.

Malta andò via, e America lo accompagnò all’uscita. Russia allora tornò nella stanzetta e, seduto sullo sgabello, attese al suo capezzale che si svegliasse.

Lo fece con un sorriso, poiché lo vide lì per lei.

“Russia… Credo di stare già un po’ meglio…” –mentì ignorando il bruciore alla gola.

Ivan cominciò a sorriderle, il più a lungo possibile si disse, perché subito dopo ci sarebbe stata solo tanta amarezza.

“Che cosa ha detto il dottore?”
“Oh, non era nulla di che, un po’ di riposo e sciroppo e passerà tutto.”

Non le avrebbe rivelato la verità: si sarebbe lasciata volentieri morire per stare al suo fianco. Quello di cui aveva bisogno davvero ora, era odiarlo.
“Fantastico! E come mai quella faccia? Non sei contento?”

Aveva osato mettere piede dove nessun umano era mai stato prima, e nemmeno quella era un’impresa più ardua che guardarla in quegli occhi di zaffiro pieni d’amore e cominciare a parlare.

Si alzò: “Bielorussia, mentre dormivi ho preso una decisione.”
“Che cosa c’è?”
“Dobbiamo lasciarci. Divorzieremo domani stesso.”

Erano parole così orribili che non poté neppure pensare fosse uno scherzo del più cattivo gusto, passò direttamente allo shock.

“Ma che… Che stai dicendo?” –disse con voce sottilissima, sollevandosi dal cuscino.

“Mi hai capito bene.” –disse ruvido come granito- “Questo mondo guarda a me come leader, c’è ancora molto da fare per il comunismo, e io non posso fermarmi perché la mia cagionevole mogliettina con la salute malferma collassa e devo starle accanto. Tornerai ad essere una repubblica dell’unione, senza alcun trattamento speciale: se dobbiamo essere tutti uguali è più che giusto, no?”

Bielorussia si sollevò, le labbra erano scosse da un vero e proprio terremoto tante erano le cose che voleva dire, gridare, sputargli in faccia, così tante che non riusciva a farne uscire nemmeno una.

“Sbrigati a riprenderti, è tutto. Torno a lavoro.”

“Tu non dici sul serio! Sono malata e non faccio in tempo a svegliarmi che dici di non volermi più? Non puoi uscirtene così di punto in bianco!

Russia la guardò: aveva ripreso colore, e senza accorgersene si era persino alzata dal letto.

“Invece posso: il capo sono io, e anche se non sarò più tuo marito sarò sempre tuo fratello maggiore, e tu come sorella minore mi devi obbedire, non giocare alla ragazzina innamorata. Trovati qualcun altro.”

E in quel momento, dopo tanto tempo, ebbe nuovamente paura di lei, perché tradita e mortificata proprio in un momento di debolezza e sofferenza, non si capacitava di che razza di uomo potesse in realtà essere Russia, che razza spregevole ed egoista fosse; non voleva crederci, ma se era quella la realtà, la sua ira era incontenibile, demoniaca, e Russia, fingendo fosse niente per lui, in realtà voleva uscire immediatamente da quella stanza.

“TU SEI PAZZO! SEI COMPLETAMENTE IMPAZZITO!”

Gridò ancora, strappandosi i capelli come a volerglieli tirare contro, e lui, per quanto desiderasse essere fatto a brandelli, chiuse la porta.

Alzò gli occhi e vide Ucraina, che aveva sentito ogni cosa lì di nascosto, ed ora lo guardava con quei grandi occhi sbarrati, non capacitandosi, chiedendogli perché.

“E tu che hai da guardare?”

“M-ma… Perché…”

Russia, arrivò a lei sbattendo gli stivali, inchiodandola contro il muro con la sua grossa stazza: “Lasciami indovinare, ora vuoi metterti a piangere, vero? Non fai altro dalla mattina alla sera! Santo, cielo!” –le urlò in faccia- “Vuoi deciderti a tirarlo fuori anche tu un po’ di nerbo? Cosa sei, l’erede dei prodi cosacchi o una frignona di otto anni?”

Si rassettò la sciarpa, che nel girare le diede come uno schiaffetto, e la lasciò lì dov’era, singhiozzante.

“Ma… Ma… Russia…”

Tante lacrime scorsero, ma a piangere di più, quel giorno dal bel cielo grigio chiaro sulla Mosca innevata, fu colui che di lacrime non ne versò neanche una.

 

Russia uscì dal Cremlino e si accorse che America l’aveva aspettato lì tutto il tempo, con un’espressione comprensiva, come fosse stato più che sicuro di vederlo uscire di lì a testa bassa con la faccia scura nascosta nell’ombra della visiera del cappello.

Gli passò accanto e questi prese a camminare al suo fianco, nella vuota Piazza Rossa.

Fu lui ad aprire bocca, qualche muto passo più tardi: “<< Se tu la ami, devi lasciarla andare >>… Bah, questa cosa è figa solo nei film. Nella realtà non dovrebbe mai accadere secondo me.”

“Sto pensando a tutte le volte che in segreto la gente ha pensato a me come a una specie di mostro. Questa è la prima volta che mi viene da pensare che avessero ragione.”

“Senti, tu ami le tue sorelle, e se non hai esagerato lì dentro, si aggiusterà tutto.”

“Forse ho esagerato…”

America scrollò le spalle: “Beh, almeno adesso sei di nuovo single, amico mio. Puoi darti alla pazza gioia… Quando ti sarai ripreso.”

Russia emise un suono: forse un sospiro, uno sbuffo annoiato, o solo un respiro più forte degli altri; dal viso era indecifrabile a cosa stesse pensando.

Alfred tolse la mano dal calduccio delle tasche e portò il braccio attorno quelle altissime spalle: “Dai, che ne dici se per un po’ ti dimentichi di questa brutta storia facendoti offrire un bel piatto di questi pirozkhi di cui vai tanto ghiotto? Così magari li assaggio anch’io.”

“Solo se ci aggiungi anche un paio di bottiglie di vodka.”

“Quello era scontato, amico mio.”

E sulla panoramica della piazza, con loro due allontanarsi e farsi sempre più piccoli, sullo schermo della Macchina dell’Ucronia comparve, in svolazzanti caratteri corsivi come nei bei film di una volta, la scritta “FINE”.

 

Stavolta il cartello luminoso fu superfluo, e l’applauso spontaneo.

“Sai, America.” –gli si avvicinò Giappone- “Da questa ucronia sembra quasi che tu e Russia in realtà abbiate un rapporto ben più saldo e profondo di quanto appaia. Mi sbaglio forse?”
“Io e quel nasone? Ma per favore! Era il nemico del grande eroe e come tale l’ho aggiustato come meritava, ecco tutto………” –alla fine non resistette alla commozione- “Oh, ma a chi voglio darla a bere? Dopo tanti anni da avversari come si fa a non volergli bene a quell’orsacchiottone? Dai, Russia, amicone mio, vieni qui! SUPER-ABBRACCIOOOOO!”

Si gettò a volo d’angelo su di lui per ricevere il super-abbraccio!

Russia restò calmo, lo afferrò al volo e lanciò sulla parete. Una volta tanto riusciva a stare vicino a Bielorussia senza averne timore, ma non se la sentiva affatto di gioire a vederla in quello stato. Alcuni pensano che le ragazze tristi abbiano una qualche intrinseca adorabilità, che siano carine, ma quell’espressione così poco da lei, così affranta e nascosto, per lui era solo insopportabile, da cancellare subito.

La strinse a sé: “Sorellina mia, mi spiace tu sia rimasta delusa. Io ti voglio tanto bene, te ne ho sempre voluto; ma non possiamo proprio essere una sola cosa io e te, ora penso tu riesca a capirlo.”

“Si…”

Estonia scosse la testa: “Incredibile, che l’eterna caccia al fratellone sia davvero finita?”

Ivan sorrise sicuro: finalmente l’aveva capita.

Riaprì bocca… E perse il fiato vedendo la sua espressione tornata indemoniata!

“Fratellone… SPOSIAMOCI!”
“CHEEEE??? Ma-ma-ma hai appena detto che hai capito! Pensavo che…”

“Oh, vuole semplicemente dire che non diventerò mai tutt’uno con te, ma posso comunque sposarti e basta, no? Uh uh uh! Si, soltanto sposati, a me va benissimo anche così! A te no?”

“Non è possibile! QUEST’INCUBO NON FINIRÀ MAI???”

Bielorussia si avvinghiò alla sua vita, e Russia, ormai andato, aveva preso a ridere come un malato di mente… Ma in quella follia ebbe un barlume che gli permise di avere un’idea!

“Lituania!”

Tutti si scansarono, rivelando l’innocente Toris seduto sulla sua sedia: “Eh?”

“Siii…” –prese ad avvicinarsi Russia più pazzo che mai- “Tu! Tu mi potrai salvare! Hai sempre avuto un debole per mia sorella, no? Te la sposerai tu, e io sarò finalmente libero! Eh eh eh! Libero!”

“……”

Lituania alzò la testa fino al cielo: tutto fin lassù era occupato dalla figura incombente di un mostro a due teste! Una, più piccolina, con un fiocchetto bianco che spuntava dalla schiena del corpo principale, e un’altra più grossa e più alta, che condivideva la stessa espressione assatanata!

“Sposami! Sposami! Sposami! Sposami!” –cantilenava la prima testa.

“Sposala!” –ripeteva la seconda- “Sposala! Sposala! Sposala! Sposala! Sposala! SPOSALA!”
“ANDATE VIA! ANDATE VIA! ANDATE VIA! ANDATE VIAAAAAAAAA! SIGH!”

 

 

 

Povero Toris, mi sa che ora la sua sedia è un tantinello bagnata… Un mostro a due teste come quello è una cosa rara, che disgrazia sia capitato a lui, con quell’aria da ragazzotto così onesto… XD

Speriamo se la cavi, e intanto ce la caviamo anche noi che per un attimo abbiamo rischiato grosso: che Hetalia sarebbe senza l’insistente, incestuosa Natalia al continuo assalto del ritroso fratellone? Meno male che tutto è rimasto così com’è (anche se Russia potrebbe dissentire…)! ^__^

Mi raccomando, fatemi contento con molti commenti, questo capitolo è molto ben riuscito e Russia è pur sempre il mio personaggio preferito! ^__^ Spero siate generosi!

Ciao ciao!

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 11
*** E se i nordici avessero colonizzato l'America per primi? - PRIMA PARTE ***


E rieccoci qui, cari lettori!

Nell’ultimo capitolo abbiamo rivisto, come nei primi episodi, un’ucronia partita per il meglio per poi rivelarsi una cocente delusione: non sempre è tutto oro il mondo alternativo che luccica. Ma di certo è un mondo insolito, interessante, nuovo… E per l’appunto, in questo capitolo si parlerà di un nuovo mondo, e di uno sviluppo storico che non credo molti di voi si siano mai azzardati a sognare, e che non vedo l’ora di proporvi! E se questo non bastasse a indurvi a leggere (e commentare facendomi tanto contento ^__^) questo nuovo capitolo, non so se avete notato chi saranno i protagonisti… A quanto ne so sono parecchio amati nel fandom!

Questa piccola e colorita banda, chissà perché, non ha mai avuto molto spazio nelle mie storie; vediamo quindi di rimediare! Buona lettura a tutti!

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!  

 

PPS: Mi ritaglio uno spazietto per ringraziare Sokew86, che in una sua recensione mi suggerì l’idea di usare come medico delle nazioni, e difatti lo avete incontrato nel capitolo precedente ^__^

Sebbene il mio Malta sia un po’ diverso dal suo, per chi vuole inserisco qui i link della sua versione…

(http://i46.tinypic.com/dgsnm.jpg)

E della pagina di forum su cui trovate la sua descrizione.  (http://hetalianoneforum.blogfree.net/?t=3680623&st=4)

 

 

 

Per poter tornare a quello che era lo spassoso e affascinante passatempo della giornata, Bielorussia, almeno finché non si fosse calmata un pochino, dovette essere trattenuta con una doppia razione di catene. Quanto a Russia, mettergliele addosso sarebbe stata un’impresa difficile, e visto il tipo probabilmente anche inutile… Che fortuna quindi che Lituania avesse un amico come Polonia, che se ne uscì con la soluzione giusta per salvarlo dalla superpotenza: o lui smetteva di dargli fastidio, o loro aprivano i lucchetti a Natalia… Convinto in un batter d’occhio!

America, procuratosi chissà come un bastone da giostraio, iniziò a farlo girare velocemente, imitando il rumore del rullo di tamburi per maggiore scena!

“Bam! E rieccoci qui, gente! La più sensazionale invenzione dai tempi dei supereroi dei comics e dei drive-in nei fast-food è di nuovo libera per altre domande! Dunque vi chiedo, chi di voi vuole essere il prossimo curiosone?” –chiese disegnando col bastone un cerchio intorno alle altre nazioni- “Sarà Seychelle? Australia? Thailandia? Questo tizio che mi sembra vagamente familiare?”

“Sono Canada!” –ribatté il tizio.

“Ops! Eh eh!”

Quando avevano iniziato, tra dubbi e timidezze, America le domande aveva dovuto sudarsele, ma chissà perché da quando si era scoperto che ci si poteva risparmiare il trauma dell’essere mangiati dalla macchina queste venivano fuori più facilmente! Proprio per questo Danimarca si disse di dover essere veloce per non farsi fregare il posto!

“Largo! Fate largo!” –arrivò spingendo e travolgendo- “Adesso tocca a noi!”

“Noi? Veramente ci sei solo tu.”

Il nordico si voltò e vide che il resto della sua famigliola era rimasto dov’era.

“Andiamo, ragazzi!” –li incitò sbracciandosi- “Finalmente facciamo il nostro ingresso in scena, dobbiamo stare tutti insieme!”

“Ma quale scena?” –fece il sempre calmissimo Norvegia- “L’unico che fa scene qui sei tu, giusto fratellino?”

Islanda lo rimbeccò subito: “Non è detto che sono il tuo fratellino…”

“Non vorrete che sia io da solo a fare la nostra domanda, ora che finalmente ne abbiamo trovato una che piace a tutti! Dai, facciamo una fighissima entrata in scena come quella di Ceca!”

Finlandia, il più comprensivo dei cinque, sospirò: “Danimarca è fatto così, perché non lo accontentiamo?”

La reazione di Norvegia era prevedibile: “Non vorrai davvero stare al gioco di quel cerebroleso? Ma nemmeno per…”

Avrebbe riconosciuto l’ombra di Svezia su di sé tra mille…

“Mia moglie vuole accontentarlo. Non ci costa nulla.”

“………”

Non c’era molta scelta…

“Fate largo! Adesso tocca a noi!” –si ripeté Danimarca per farla come si doveva, e lui e gli altri quattro si misero in posa di gruppo (con lui al centro essendo il più importante, naturalmente!).

“È IL MOMENTO DI NOI NORDICI!”

America approvò a tutta forza: “Wow, tu si che sai dirigere gli ingressi in scena, amico!”

“Contento Danimarca? Hai trovato qualcuno a cui piacciono le tue idiozie.”
“Ah ah ah, già Norvegia, è un intenditore!”
“Ma tu continui a non intendere il mio sarcasmo…”

“Dite la verità…” –domandò Inghilterra ai nordici dall’aspetto più serio- “Vuole fare una domanda tutta incentrata su di lui, non è così?”
“In realtà no.” –spiegò gentilmente Finlandia- “O meglio, all’inizio si… Adesso però abbiamo trovato qualcosa che possa riguardare tutti noi insieme.”

“E non solo noi!” –fece Den iniziando a punzecchiare la ciccia di Alfred- “Anche tu ci sarai dentro fino al collo!”

“Oh, no! Già ho dovuto vedermi ridotto a numero due dietro Russia, che cosa c’è ora?” –le stelle della sua bandiera non potevano che brillare se non al massimo secondo lui, e vedersi così sbiadito aveva lasciato un brutto segno nel cuore dell’eroe!

“Rilassati, non è nulla di male, solo un’innocente curiosità.” –intervenne Nor.

Danimarca alzò il livello di orgoglio a mille: “Come sapete tutti, in realtà siamo stati noi per primi a scoprire il nuovo mondo e a trovare America; altro che Colombo di qua e Colombo di là!”

Feliciano e Romano sbuffarono all’unisono delle nuvolette dalle orecchie.

“Umpf, intanto è così: anche voi siete bravini, ma noi vichinghi siamo i migliori navigatori del mondo, non c’è continente o scoglio troppo lontano per noi!”

Germania alzò la mano: “Si, sappiamo che siete arrivati primi, ma non avete condiviso la vostra scoperta con il resto di noi europei, quindi rimanemmo a lungo all’oscuro.”

Norvegia annuì: “Già, allora eravamo molto isolati noialtri, lì nel freddo nord. Inoltre “qualcuno” aveva il brutto vizio di farsi conoscere più per le sue razzie da barbaro che per le sue scoperte geografiche…”

“Umpf, che vergogna!” –espresse il proprio disappunto Danimarca, specchiandosi vanitosamente nell’enorme ascia bipenne.
Norvegia lo ignorò e andò avanti: “Inoltre, anche conoscendo quelle nuove terre, non abbiamo mai pensato di esplorarle per bene e magari trasferirci lì.”

L’abbraccio di Den lo interruppe e lo infastidì alquanto- “Eh eh eh, ed ecco che entra in gioco il tuo apparecchio, America! Che sarebbe successo se invece che qualche isoletta avessimo colonizzato tutto quel ben di Dio di là dell’Atlantico?”

Subito le nazioni partirono ad immaginare la storia con quella svolta, ma qualcuno ne restò preoccupato: “Ehi, un attimo!” –era Spagna- “Anche io ho colonizzato parecchio nel nuovo mondo! Senza le mie conquiste che ne sarà del mio Siglo de Oro?”

Il ganzo Danimarca aveva la risposa sempre pronta: “Tranquillo, amico dei pomodori! Noi al massimo ci siamo affacciati sul nord America, tu stavi molto più a sud, vero? Non dovrebbero esserci problemi.”
“Oh, meno male, per un attimo ho temuto non sarei stato pieno di oro e pomodori da far invidia a tutti! Sei contento Romano?”

Quale modo migliore per l’italiano di dimostrargli che non aveva idea di cosa stesse parlando e che comunque non gliene sarebbe fregato nulla se non continuare a fare ciò che stava facendo: rigirarsi l’indice nell’orecchio e poi soffiar via lo sporco.

“Anch’io sono del nord del nuovo mondo: potrebbe riguardare anche me!” –disse un biondo con gli occhiali e un orsetto tra le mani.

Vedendosi fissare da Danimarca, anticipò la sua domanda: “Sono Canada…”

“Eh?! Ma scusa, tu non vivevi dalle parti della Patagonia o giù di lì?”

“SIGH!”

Norvegia gli mostrò un po’ di solidarietà, ma più che altro per far vergognare Danimarca sulla sua ignoranza in geografia.

Finlandia sorrise: “America era così piccolo quando lo trovammo laggiù; ma se fosse andata in modo diverso, forse non ci saremmo limitati a trovarlo…”

Inghilterra allora ebbe un sussulto: “Ehi, un momento! Vorreste dire che avreste potuto… adottare il mio fratellino?”

Tino alzò le mani per tranquillizzarlo: “È solo un’ipotesi!”

“Mh.” –annuì Svezia.

“Io ed America senza nessun legame…” –pensò ad alta voce Inghilterra, facendo volare la mente di Alfred. Sembrava fosse qualcosa di davvero difficile da pensare per il buon vecchio Arthur non averlo avuto tra i piedi quando era un bambino, non averlo cresciuto con i suoi valori, la sua lingua e il suo stile. Anche a lui faceva strano, vedersi come un nordico anziché come una Gran Bretagna potenziata, ma forse la reazione di colui che era stato suo fratello maggiore stava a significare quanto si sentisse ancora legato a lui, da un legame imprescindibile anche malgrado tutto ciò che era successo!

“Eh eh eh! Sarei stato meno potente, ma almeno non lo avrei avuto tra i piedi!” –si toccò il mento Inghilterra- “Si, sono curiosissimo! Vediamo!”

Ad Alfred esplose una vena sulla testa e rispose cercando di fargli dispetto: “Grrr… Ah, si? Beh, anch’io mi sono sempre chiesto come starei con un elmo con le corna!”
“Noi nordici non abbiamo portato elmi con le corna!” –sbuffarono quelli, sfatando un altro classico stereotipo.

Ancora mezzo arrabbiato, Alfred aggiunse: “Se qualcuno ha qualcosa da dire perché questa ucronia non debba essere guardata, parli ora o taccia per sempre!”

“……”
“Ben detto Svezia!” –esultò dando una pacca sul petto all’impassibile spilungone- “Prendete tutti posto e vediamo come sarebbe andata se l’America (il continente e pure io) fosse stata colonizzata dai nordici!”

Incrociò le dita, per sicurezza…

<< Che mi succederà? Mangerò fishburger anziché hamburger? Anziché aver paura dei fantasmi avrò la paura dei troll? >>

Non si può sapere che sconvolgimenti può creare un cambio totale di storia, cultura e tradizioni!

Ovviamente i cinque del nord presero posto in prima fila.

Durante la visione Danimarca avrebbe retto il cilindro di pop-corn e rotto le scatole a tutti: “Ah ah ah! Vogliamo l’ucronia! Vogliamo l’ucronia! Grande, ragazzi, ora mi vedrò… cioè, ci vedremo come i grandi conquistatori del nuovo continente! Sarà mitico, già lo so! Una birra, per favore!”

Norvegia e Islanda, con Mr. Puffy sulla spalla, avrebbero seguito con le braccia incrociate e la stessa identica espressione: “………”

Finlandia avrebbe dato qualche carezza ad Hanatamago: “Eh eh eh, vieni, saltami in braccio, così vedi anche tu!”

E Svezia qualche carezza a Finlandia…

 

 

Il drakkar. La nave più veloce e impavida che il mondo abbia mai conosciuto.
La sua alta prua termina nella figura di un feroce drago, i suoi lunghi remi squarciano le onde più impetuose, la sua vela si fa viva respirando i gelidi venti del nord, e la conduce verso orizzonti sconosciuti.

Mentre il resto dell’Europa è al calduccio del proprio camino, impaurita dalla superstizione e dall’ignoto, le navi-drago degli uomini del nord affrontano il grande oceano: non li spaventano i tuoni di Thor, i fulmini di Odino o i profondi flutti di Aegir, ma si lasciano accompagnare da essi, verso l’avventura, verso la scoperta, verso un nuovo futuro. Mentre il resto dell’Europa è ancora nel buio del medioevo, i “rozzi” uomini del nord oltrepassando piogge, ghiacciai e scogliere, venirono infine accolti sotto uno sfavillante sole da una nuova riva...

<< STOMP! >>

Su cui la barca si incagliò di botto, scaraventando coi piedi all’aria i marinai…

Tutti tranne il vanaglorioso capitano, che rimase in piedi (forse perché si era mantenuto alla prua…) e poté a gran voce esclamare: “Terra!”

“Ma davvero?” –si rialzò dolente il marinaio più basso e più caustico- “Io l’avevo vista da un paio di miglia, quindi credevo l’avessi notata anche tu, a meno che non fossi stato così contento da volerci sbattere contro: ma non saresti mai potuto essere così infantile e stupido, vero?”

L’altro marinaio, più alto e più taciturno, grugnì qualcosa anche lui.

Ma il capitano non li stava neppure ascoltando: “Ah ah ah! Forza ragazzi, scendiamo a riva!”

“Svezia, prima o poi capiremo come facciamo ad avere lui come capo…”

Berwald sbuffò solidale.

Mentre lui e Nor saltavano giù sulla sabbia paglierina, Den stava già rifacendosi gli occhi col cielo limpido e le narici col profumo così vivo dell’aria. Corse verso degli abeti che si innalzavano sopra la spiaggia e arrivato in cima gridò subito agli altri due di raggiungerlo.

Danimarca, Norvegia e Svezia avevano dinanzi a sé la pianura più sconfinata che avessero mai visto, un mare d’erba e fiori punteggiato da foreste e mandrie di animali, e fiumi immensi a percorrerla fin dalle montagne più lontane.

Il rumoroso capitano era ora zittito, e persino gli altri due, solitamente più difficili ad emozionarsi erano a bocca aperta.

“Questa terra è la più grande che abbiamo mai scoperto… Direi che è anche molto più grande di casa nostra!”

“E sembra anche molto ricca.” –aggiunse Svezia.

“Ed è tutta nostra! YA-HOOO! Amici, vi rendete conto?” –iniziò a correre, lanciando per aria il mantello di pelliccia e saltando qui e là tra l’erba alta e i cespugli- “I nordici sono sempre i migliori, ah ah ah! Battezzo ufficialmente questa terra tanto magnifica Danimarca 2!”

“Fa schifo.” –il giudizio senza appello di Norvegia.

Danimarca lo guardò storto: “Come sarebbe a dire? Allora che ne dici di… Dannorvezia, in onore dei suoi scopritori (il mio nome ovviamente viene per primo)!”

“Non mi convince.” –il giudizio di poche parole di Svezia.

“Perché non la chiamiamo semplicemente Nuova Scandinavia?” –suggerì Nor.

“Perché sarebbe terribilmente banale, andiamo! Oh! Ci sono! Superland, perché è una terra veramente super-fantastica!”

“Un po’ troppo tronfio come nome…”

Danimarca fece un ampio gesto con le mani e prese a camminare, coi due che lo seguivano a ruota: “Bah, non siete mai contenti voi due! In ogni caso, ci penseremo: su, andiamo a guardarci un po’ intorno, scommetto c’è ancora un sacco da vedere! Guardatemi: tremo come una foglia! Sono il più grande!”
“Si, però sta buono…”

I tre si fermarono un attimo vedendosi fissare da una donna di colore rossiccio intenta a colorare delle pelli appena conciate vicino una strana tenda a forma di cono.

“Buongiorno signora!” –sorrise ammiccante il capitano per poi proseguire.

“Salve.” –salutò più piattamente il primo marinaio.

Il terzo le rivolse appena un cenno della testa.

La squaw tornò al lavoro senza pensarci su: “Umpf, turisti…”

 

“Per certi versi ricorda la Scandinavia ma per altri è molto meglio: il clima è un po’ più mite, un sacco di animali da cacciare o allevare, i vicini rossi con cui fare il falò la sera…”

Danimarca non riusciva a smettere di tessere le lodi di quel nuovo mondo: finora, spingendosi ad occidente avevano incontrato solo isole, ora invece gli dei avevano regalato loro una terraferma incontaminata tutta per loro.

“E se ci trasferissimo qui?”

“Beh, in effetti è bello, ma il tragitto per mare non è molto facile.”

“Andiamo, Nor! Le nostre navi sono robuste, e con tutta questa terra potremmo non dover più razziare per sopravvivere. E poi guardate! Guardate quanto spazio, dico!”

Norvegia si pentì di avergli dato appena un po’ di corda: tanto era bastato perché l’eccitazione gli salisse oltre ogni limite e iniziasse a fantasticare e indicare punti a casaccio lì intorno.

“Già me lo vedo! Qui sorgerà una pescheria! Qui i campi d’orzo per la fabbrica di birra più grande del mondo che sarà proprio lì! E qui il club degli amici delle asce, con sconti sulle fasciature per i soci!”

“Sigh, Svezia, e chi lo ferma più questo? Però tu che ne pensi? E se colonizzassimo anche qui?”

“Mhmm…” –si riempì di pensieri la testa il grosso nordico: Finlandia avrebbe avuto un sacco di spazio per far giocare il suo cagnolino laggiù...

“E sapete la cosa più mitica, ragazzi? Ho trovato finalmente un buon nome per questa nostra nuova terra: Scandinuova, così sottolineiamo che appartiene alla Scandinavia ed è nuova!

“Sono senza parole…” –e per dirlo Svezia…

“Oh, che diamine! Mi avete scocciato, ragazzi! Vedi tu se devo perdere il mio entusiasmo per questa scoperta mozzafiato perché non vi sta bene nulla! Chiamiamola semplicemente Nuova Scandinavia e finiamola qui!”
“Veramente si chiama America.”

“?” –fecero i tre.

Abbassarono gli occhi e, in mezzo all’erba, videro un bambino con una camicetta bianca che stringeva a sé un coniglietto: aveva dei gran begli occhi azzurri, i capelli castani e dall’espressione sembrava un bel tipino socievole.

“Guarda un bambino!” –urlò Den.
“Ma no?” –ebbe appena il tempo di ribattere Nor prima che il suo capitano si abbassasse a fare amicizia.

“Ciao, piccolo! Che ci fai qui?”
“Io sono qui. Sono America!”

“Capisco! Io invece sono Danimarca, e sono il navigatore più in gamba che ci sia al mondo, oltre che il più bello, e il più bravo a combattere!”

Gli occhi del piccolo divennero stelline!

“Wow! Davvero sei così fantastico?”
“Io sono fantasticissimo! Ah ah ah!”

Norvegia e Svezia intanto osservavano scuotendo il capo quel deficiente che si approfittava dell’ingenuità di un povero bambino; ma chi mai diavolo trova un bambino sconosciuto in mezzo all’erba e la prima cosa che fa è tirarsela?

“Davvero hai un drago sulla tua nave? Posso vederlo?”
“Ho una nave-drago in realtà, ma non è certo meno fantastica! Non hai idea di quante imprese eroiche ho compiuto su di essa!”
“Imprese eroiche?” –si alzò subito in piedi il piccolo America- “Quindi sei un eroe!”

Danimarca arrossì: “Modestamente! Però anche tu sembri un tipo in gamba, piccolo!”

<< È in gamba perché crede a tutte le scemenze che dici? >> -pensarono alle sue spalle i compagni di impresa.

Gli carezzò la testa: “Dimmi, a te starebbe bene se ci stabilissimo qui? Ti mostreremo le nostre usanze e potrai imparare anche tu a navigare come noi! Che ne dici, vuoi diventare il nostro fratellino?”

“Ehi, ma che sta dicendo?! Non puoi adottare qualcuno così di punto in bianco!”

Ma il tenero e ingenuo America era di tutt’altro avviso: “Ho sempre sognato di avere un fratellone così figo!”
Danimarca lo prese in braccio: “Ah ah ah, allora è fatta! Da ora in poi sarai uno di noi: benvenuto tra i nordici, America!”
Norvegia intanto continuava ad annaspare: “La smetti di fare sempre di testa tua accidenti?!”

“Ma che di testa mia, lui è contento di essere adottato da noi, non vero?”

“Si!”

“Scusi signore... Potrei essere adottato anche io?”

“A proposito America, questo tipo che vedi qui è il tuo altro fratellone, Norvegia! Vai d’accordo anche con lui, anche se non è figo come me.”
“Oh, si vede!”

<< In meno di tre minuti questo bambino mi è già antipatico quasi quanto Den! >>

“Abbiamo un fratellino, Nor! Un nuovo nordico! Non è grandioso?”

Nascostamente gli faceva piacere scoprire che Danimarca aveva anche un lato tanto aperto e socievole coi bambini, ma era già sicuro che anche lui, che gli piacesse o no, avrebbe dovuto accettare di avere adesso un nuovo fratellino e prendersi cura di lui… Perché a lasciarlo solo a Danimarca, avrebbe finito con averne due di idioti in famiglia!

“Dai, fai come me, imitiamolo! << Questo nome è troppo tronfio >>, << Quest’altro non va bene >>… << Umpf! >>”

Il piccolo Alfred fece un faccia piatta e sdegnosa: “<< Ma no? >>

“Ah ah ah, è già identico a suo fratello maggiore!”

“Ih ih ih!”

Intanto, Svezia si teneva in disparte, poco o nulla interessato alla nuova colonia che si univa alla famiglia. Un po’ perché era fatto così, non era mai stato un tenerone, e finora gli era sempre andato bene essere freddino come la loro terra; inoltre, da quel poco che aveva visto, non c’era molta consonanza di carattere tra lui e quel bimbetto.

<< A me non piacciono i bambini chiassosi e irriverenti… >>

“Mi scusi, signore…”

La vocina, temendo di essere ignorata un’altra volta come poco prima, gli scosse un po’ i pantaloni. Si affacciò sui suoi piedi, e vide un altro bambino.

Questo aveva un aria meno appariscente e molto meno esuberante dell’altro, e fissava quegli occhi così lontani e minacciosi con tanta timidezza e un caldo rossore sulle guance.

Svezia restò sgomento!

Anche la sua vocina era diversa, piccola e insicura come quella di un pulcino: “Potrei avere un fratellone anche io, per favore, signore?”

L’enorme Berwald tremò al cospetto di quel povero batuffolino sperduto! Con gli occhi strabuzzati incominciò ad emettere dalla bocca spalancata dei versi sconnessi, incapace di esprimersi, di trovare una parola per descrivere quell’apparizione!

 

Giappone, dall’altro lato del schermo, anche lui con dei luccichini tutto intorno, riuscì al suo posto a sintetizzare il concetto: “Ka… Kawaii!!!”

 

<< Que-que-questo bambino… >>

Era assolutamente adorabile! Tranquillo, coccoloso, coi riccetti di un angelo, parlava a voce bassa e soprattutto BENEDUCATO! Non come l’altro, che aveva “piccola peste” scritto in fronte e che subito si era unito a Danimarca per prendere in giro Norvegia!

Rimase lì incantato a fissare quel bimbo tanto a lungo che questi, non ricevendo risposta, lo chiamò ancora: “Signore? Si sente bene?”
Anche premuroso! A momenti il cuore gli scoppiava! Era assolutamente irresistibile!

Si diede una scrollata, deglutendo per calmarsi un po’. Poi iniziò ad abbassarsi un pochino, storcendo le labbra nei modi più strani, cercando di ricordarsi come si faceva a sorridere in modo affettuoso.

“C-c-ciao, piccolo!” –disse con la bocca impastata- “V-vuoi un biscottino?”

Ma non aveva fatto i conti col suo brutto vizio di risultare spaventoso anche quando non voleva! Coi suoi occhi piccoli, i movimenti rigidi e la smorfia sulle labbra, il piccino stava morendo di paura.

“AAAAAAH! AIUTOOO!”

“N-no! Aspetta…”

Malgrado il suo urlo, gli altri non si accorsero di niente finché, nel suo tentativo di fuga, non arrivò ad afferrarsi alla gamba di Norvegia: “Aiutatemi, vi prego! C’è un signore grosso e cattivo che mi vuole mangiare!”
“Oh? E questo chi è?” –chiese Nor alzando la gamba, a cui però restò saldamente appiccicato!

“Lui è il mio fratellino! Si chiama Canada! Guarda, Canada, ora ho due fratelloni! Non sono fighissimo?”

Canada aveva gli occhi lucidi: perché ad America ben due fratelloni e a lui quel mostro?

“Svezia, che hai cercato di fare a questo bambino?”

Berwald, colto col biscotto in mano, cercò di discolparsi: “Niente! Volevo solo fare amicizia con lui…” –arrossì- “Come… Come voi avete fatto amicizia con America…”

I due si guardarono increduli! Quella era davvero l’ultima cosa che si sarebbero potuti aspettare da Svezia; ad ogni modo, era una sorpresa di quelle belle.

“Oh, che bello, la nostra famiglia si sta allargando così in fretta!” –rise Den- “Allora… Ehm…”
“Canada…” –pigolò Matthew ancora incollato alla gamba di Norvegia.

“Canada, dicci, vuoi diventare anche tu un nordico? Magari come fratellino di Svezia?”

Canada guardò Svezia che riprovò a sorridere.

“No!” –pianse girandosi- “Non mi piace lui! Sembra cattivo!”

“M-ma no, dai! È solo un po’ inquietante di costituzione, ma non è cattivo!”

“Invece si! Mi mangerà! Non lo voglio come fratellone!”

“AAAAAAAARGH!”

Lanciato lo spettacolare urlo di disperazione (con l’effetto di terrorizzare Canada ancora di più…), Svezia crollò a terra in ginocchio, trasformato in pietra.

“Povero Svezia, che brutto colpo…”

“Già, una volta tanto che voleva apparire gentile con qualcuno. Ehi, tutto bene?”

“Non mi vuole come suo fratellone…” –disse con voce lugubre con la testa di roccia schiacciata a terra- “Sono spaventoso…”
“Finalmente te ne sei accorto.”
“Norvegia, un po’ di tatto!”
“Senti chi parla… Però Canada è il fratellino di America: non sarebbe bello separarli.”

“Perché non vuoi quel grosso signore come fratellone? Non vuoi un gigante come fratellone?”
“Ho troppa paura! Però non voglio restare senza fratelloni! Sigh!”

“Che si fa?”
“Ci si fa venire un’idea!” –schioccò le dita Norvegia!- “Alzati Svezia, forse hai una possibilità!”
“Mh?”

 

I tre nordici, lasciato qualche regalino ai due bambini tornarono a casa promettendo di tornare presto. E fu così: il tempo di tornare, radunare un po’ di gente per fondare qualche prima colonia, e i tre buffi visitatori tornarono dai due bimbi, trovandoli ad attenderli sulla spiaggia insieme con qualche curioso pellerossa.

“Evviva, il mio fratellone è tornato!”

Matthew si sentì molto triste vedendo America saltare in braccio a Danimarca, che gli aveva anche portato un bell’elmetto come regalino. Invece lui niente, nessuno gli prestava mai attenzione a parte gli svedesi con gli occhi paurosi.

“Sigh…”
“Ciao piccolino!”

Vide chinarsi su di sé un altro nordico, biondo e con gli occhi chiari come tutti gli altri, ma questo qui non faceva paura: indossava anche lui vestiti di pelle e pelliccia e un mantello celeste.

“Ho saputo che cerchi un fratellone!”

Canada arrossì: “S-si… Ma tu chi sei?”
“Io mi chiamo Finlandia! Vengo anch’io di là dal mare e sono…”
Si interruppe quando una manona gli si poggiò sulla spalla e lo tirò su: “… Lui è mia moglie.” –lo presentò al suo posto Svezia!

“AAAAAH! IL MOSTRO CATTIVO!”

“URGH!”

Svezia si pietrificò ancora; Finlandia però si diede subito da fare per impedire a Canada di scappare, prendendolo appena in tempo per una manina: “No, dai, lui non è un mostro cattivo, garantisco io. Vuole solo essere il tuo fratellone.”
“Mi fa tanta paura!”

<< È così tenero, un bambino d’oro… Non starà mai con me… >>

Berwald si buttava giù, ma dimenticava di avere dalla sua la sconfinata gentilezza di Tino adesso!

“Sai perché è così spaventoso? Per far paura ai cattivi! Lui è buono, e protegge le persone e i bambini buoni, ma per farlo deve essere grande e forte, sennò non lo prenderanno sul serio, capisci? Vuole diventare il tuo fratellone, così ti proteggerà e nessun malintenzionato oserà avvicinarsi a te!”

“D-davvero, signore?”

“Certo! Vero, Svezia?”

“Ehm…”
Norvegia gli diede una spintarella: “Forza Svezia, hai fatto un sacco di pratica mentre venivamo qui: puoi farcela!”

Svezia respirò profondamente, e con tutto il suo impegno riuscì a sorridere senza fare facce strane!

“Che ne dici allora?”

“Va-va bene…”

Danimarca batté in cinque con Norvegia, che, incredibilmente, fu felice di darglielo!

Svezia si avvicinò e, ancora tremante, scompigliò un po’ i capelli al piccolo Canada tra le braccia di Finlandia.

“Però… Se tu sei sua moglie, se mi adottate… non dovrei essere vostro figlio?”

“?!?!?”

Stavolta fu Tino a bloccarsi con la bocca aperta ed emettere versi sconnessi.

Canada rise: “Che bello! Ho una mamma e un papà!”

“COOOOOSA?!” –urlò Norvegia.

“Uffa!” –borbottò il piccolo America non più contento col suo elmetto scintillante- “Io i fratelloni e lui una mamma e un papà, com’è fortunato Canada!”

Matthew si accoccolò sul petto di Finlandia, ancora frastornato da ciò che aveva trovato ad aspettarlo in quel nuovo nord. Guardò Svezia che dapprima scostò lo sguardo, ma poi, deciso, gli sorrise.

“Sei mia moglie, quindi lui è nostro figlio.”

Tino tremolò tutto: “Oh, povero me!”

Danimarca ruppe la commozione del momento con le sue solite grida esagitate: “Ehi, non battete la fiacca!” –afferrò America e se lo issò sulle spalle; poi indicò con l’indice verso la terra infinita che avevano davanti- “Abbiamo un sacco da esplorare e tanto da costruire! Diamoci dentro con le colonie!”
“Si! Gli eroi del nord alla riscossa!” –fece America indicando anche lui!

 

E fu così che le genti del nord iniziarono a stabilirsi sulle coste del nord America, scoprendo un mondo sereno dove vivere non più solo di pesca e saccheggio, ma anche di agricoltura. Anzi, di saccheggio lì non ce ne era bisogno, quegli indigeni rossi, se li si sapeva trattare, erano parecchio cordiali. Per Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia avere delle colonie a cui badare significò fare la spola tra una sponda e l’altra dell’Atlantico: non potevano certo trascurare i loro paesi d’origine, ma c’era da controllare che i loro fratellini crescessero bene e crescessero forti, quindi decisero di andare a turni da loro, e qualche volta tutti insieme. Alfred e Matthew furono contentissimi di fare parte di una famiglia così numerosa! Anche zio Islanda, sebbene un po’ isolato, si dimostrò gentile con loro, e visto che abitava molto vicino, era sempre lui a correre per primo se uno dei gemellini prendeva la febbre o si sbucciava un ginocchio o si buttava un remo sui piedi perché ormai era un “grande e forte vichingo”, pronto a prendere il mare!

Un occasione in cui tutta la famiglia era presente insieme, era naturalmente il compleanno dei due, l’anniversario del giorno in cui li avevano scoperti!

“Vieni, Islanda, manchi solo tu!”

I nordici avevano costruito, per i fratellini una nuova grande casa di pietra, legno e paglia nei pressi del villaggio di Nj Yorkborg, con un caminetto sempre acceso, un recinto per gli animali e una gabbietta per folletti appesa fuori la porta, perché Alfred diceva di riuscire a vederli e voleva catturarne uno: Danimarca ovviamente incolpò Norvegia per la brutta influenza sul piccolo, e altrettanto ovviamente Norvegia presentò il proprio troll ad America…

 

(NDA: http://tonycocchi.deviantart.com/favourites/?offset=48#/d4noud5 )

 

“Scusate se ci ho messo molto, stavo finendo il regalo: ho cucito due pigiamini col cappuccio a forma di pulcinella di mare, come il mio Mr Puffy. Con questi addosso quei due saranno ancora più teneri!”

Finlandia lo guardò comprensivo: “Ehm, Islanda, da quand’è che non passi a trovarli?”

“Da qualche mese, perché?”

“Perché devi sapere che da quando sempre più nordici vogliono trasferirsi qui quei due stanno crescendo… sempre più in fretta!”

Aprì la porta e Islanda vide due ragazzini sugli undici o dodici anni che si combattevano con delle spade di legno!

“Ti ho battuto, Canada! Sono un eroe come il mio fratellone!”
“Sigh…” –si massaggiò la botta in testa lo sconfitto.

Islanda guardò i propri pigiamini… Chissà se a Mr Puffy sarebbero andati bene…

 

E così, la famiglia nordica, se in Europa era ancora un po’ un mistero, nel nuovo mondo invece aveva trovato una seconda accogliente casa, che aveva arricchito il loro cuore di due altri preziosi spazietti!

“Ho la nausea!” –America, color dell’erba, si sporse dalla barchettina a remi che Danimarca stava conducendo lungo un fiume.

“Forza! Non puoi sfidare il mare tempestoso se un fiumiciattolo ti fa questo effetto! Coraggio fratellino, tu l’acqua ce l’hai nel sangue!”
“E tu nel cervello.” –commentò Norvegia dalla riva.

“Tirati su, sei o non sei un nordico?”
“Io… Sono un nordico!”

Gli strappò di mano i remi e iniziò a vogare a tutta forza!
“Ah ah ah! Bravo, così si fa! Stai venendo su bene come il tuo fratellone!
<< STOMP! >>

Aveva mandato a sbattere la barca contro la riva e i due era volati per aria, atterrando sulla sabbia morbida, ma proprio per questo ci finirono con la testa infilata dentro!
“Oh, si.” –batté le mani Norvegia- “Sta venendo su proprio come te.”

 

“Ecco, è pronto! Un bel piatto di salmone arrostito con patatine!”

Finlandia poggiò il piattino fumante davanti a Canada che si appannò gli occhiali col vapore.

“Ma non mi va il salmone, l’abbiamo mangiato l’altro ieri.”

Svezia si avvicinò: “Non fare i capricci, la mamma l’ha cucinato apposta per te, ti sembra giusto?”

A Finlandia non importava, ma su certe cose Svezia era inamovibile.

“Hai ragione, scusa papà… Grazie mamma, cucini sempre benissimo.”
“Eh eh eh, grazie!”

Farsi chiamare “moglie” era un conto, ma “mamma” era tutta un’altra cosa, eppure Berwald invece si era subito calato in quel ruolo di padre: lo ammirava, sapeva sfoderare una “durezza gentile” perfetta per educare un bambino.

Passò dall’arrossire per l’ammirazione verso il marito al gocciolone dietro la testa vedendo che Svezia stava mangiando e piangendo lacrimoni insieme!

<< Che bravo bambino educato! Sono un padre fortunato! >>

A volte Tino si domandava se non l’avesse presa anche troppo sul serio…

 

Quanto al tenere in riga l’altro piccolo nordico, l’altro lato della famiglia aveva un punto debole chiamato Danimarca…

“Fratellone, a me non vanno le verdure!”

“Dai, fai il bravo, non puoi mangiare solo carne di bisonte: e se ne mangi tanti fino ad estinguerli?”

“Non è possibile! Altrimenti voi che mangiate sempre sempre pesce li avreste fatti estinguere anche voi!”

Danimarca sbottò e nascose l’aringa in salamoia sotto il tavolo: “Noi non mangiamo sempre pesce!”

“Umpf!”
“Su, fai il bravo e ti prometto che se mangi le verdure il tuo mitico fratellone ti farà usare la sua ascia!”
“Davvero? Figo! Allora mangio subito!”

Fortunatamente c’era anche un punto forte chiamato Norvegia, che intervenne ficcando un paiolo in testa a Den e battendoci sopra col mestolo per dargli la giusta punizione.

“Non userai un’ascia fino a quando sarai più grande, sono pericolose, chiaro? E mangerai lo stesso le tue verdure, altrimenti chiamo uno Jotun e ti faccio mangiare da lui, intesi?”
“N-no, lo jotun no! Sigh, e va bene, mangio!”

“Umpf!”
Che non si dicesse che Danimarca fosse l’unico a tenere al loro tanto vispo fratellino America!

 

Svezia a casa sua aveva sempre parecchio da fare, specie con Russia che voleva anche lui comandare i baltici, ma quando veniva nel nuovo mondo non pensava mai al lavoro: si rilassava, abbatteva qualche albero, e si dedicava al suo hobby di costruire mobili, rilassandosi a suon di martellate.
“Papà? Posso darti una mano?”
“Canada, che ci fai qui? Non dovevi andare a caccia di rospi con America e Danimarca?”
“Quei due si sono dimenticati di me e si sono avviati senza aspettarmi…”

Prima o poi avrebbe fatto agli altri un discorsetto sul loro strano vizio di dimenticarsi di Canada: vero, a volte nemmeno lui e la madre lo sentivano quando li chiamava perché parlava a voce bassa, ma un giovanotto così disponibile e con la testa a posto avrebbe meritato un po’ più di considerazione.

“Va bene, vieni qui, ti insegnerò a costruire col legno.”

Vedeva però quell’attività più vicina ai gusti di America che ai suoi… Per fargli smettere di essere triste perché nessuno si accorgeva di lui non serviva tanto distrarlo un po’: bastava mostrargli che altri invece di lui si accorgevano e lo conoscevano bene.

“Sai, credo che la mamma abbia un po’ di libri di là: abbiamo molti poemi e leggende molto belle noi nordici, perché non andiamo a leggerli un po’ insieme con lei?” -gli strizzò un po’ l’occhio- “Credo a te piacerebbe di più che picchiare sui chiodi, vero?”

E in un attimo Canada tornò a splendere: “Si! Mi piacerebbe molto!”

Sapere di starsela cavando egregiamente come papà fece molto bene a Svezia, visto che servì a mitigare la rabbia che gli montò quando, al ritorno nel suo laboratorio, scoprì che l’iperattivo cuginetto Alfred aveva inchiodato praticamente tutto, attrezzi inclusi, alle pareti…

 

Quella vita divisa tra Scandinavia e nuovo mondo si adattava perfettamente a loro, navigatori provetti, e già non vedevano l’ora che i ragazzi crescessero un altro po’, e potessero essere loro a venirli a trovare in Europa.

Ma l’Europa intanto si era risvegliata, la foschia oltre le colonne d’Ercole era ormai stata rimossa, e con le voci che giungevano delle ricchezze scoperte dai normanni oltre oceano, era inevitabile che anche altri tentassero la grande avventura coloniale.

I nordici erano venuti a sapere di Spagna che aveva preso per sé immensi territori a sud, e di Inghilterra e Francia che provavano a ritagliarsi un po’ di spazio anche per loro, ma, vivendo da sempre isolati, non erano abituati a prestare troppa attenzione a ciò che non accadeva all’interno della loro famiglia.

Finché non furono gli altri ad accorgersi di loro…

 

“Umpf!” –sbottò il capitano Arthur Kirkland guardando col proprio cannocchiale il continente da un’isola faticosamente conquistata, che ad ogni occhiata gli sembrava farsi insopportabilmente stretta!

“Bonjour, amico mio!”

“Amico? Tsk! Che ci fai qui, ranocchia?”

Francia si scostò pomposamente le piume dal cappello: come al solito indossava un bell’abito dall’appariscente verde acqua pieno di merletti, inadatto al mare o alla guerra, ma per lui meglio la morte che fuori moda!

“Una visita di cortesia. Vedo che anche tu lo trovi ingiusto.”
“Che cosa?”

“Spagna si è preso quasi tutto qui intorno, e noi siamo costretti a battibeccare con lui e fra di noi, e per che cosa? Isolette e fazzoletti di terra qui e là. E nel frattempo, laggiù sul continente quei nordici con l’alito di baccalà si godono l’esclusiva per essere arrivati per primi.”

“Umpf, quel maledetto ha avuto mano libera: ha incontrato soltanto indios primitivi e facili da conquistare.”

“Oh oh oh!” –la sua risata gli faceva accapponare la pelle- “Però anche quei barbari sono dei rozzi e dei primitivi, non a caso discendono dai vichinghi: pensa che si chiudono in stanze piene di vapore tutti nudi, che oscenità.”
“Ma a te piacerebbe essere nudo in una stanza piena di vapore con altri uomini, no?”
“Ehm, comunque…” –scacciò la mosca il colpevole Francis- “Quello che sto cercando di dirti, è che quei nordici potrebbero essere facili da conquistare come o quasi quanto gli indios; non dico che sia un’impresa facile, ma magari in due lo diventerebbe.”

Finalmente Inghilterra iniziò a prestare attenzione a quello che stava dicendo: “Mi stai proponendo un affare, Francia?”

Ostentò nonchalance camminandogli intorno: “Un aiutino reciproco, tutto qui. Anche tu, come me, vuoi delle colonie, e le meritiamo, accidenti! Diamoci una mano e rubiamo le loro, così non avremo più nulla da invidiare a Spagna.”

Inghilterra guardò il continente: di fatto era proprio di fronte casa sua, era un peccato non gli appartenesse… Tra l’altro aveva sentito che c’era un bambino che gli somigliava un po’; e se fosse stato il suo fratellino senza saperlo?

“Umpf, e va bene Francia: qua la mano!”

Le due grandi potenze nemiche ancora una volta appianarono le loro divergenze per un obiettivo comune. Ma i dispetti cominciarono mentre era ancora in corso la stretta di mano…”
“Tu ti prendi Canada!” –disse sveltissimo Arthur!

“Tu ti prend… SACREBLEU! Mi hai fregato!” –batté i piedi a terra deluso!

“Ih ih ih ih!”

 

E purtroppo, quel furbone ci aveva visto giusto.

Perché per quanto stabiliti lì da tempo, i nordici non erano ancora del tutto al passo con gli altri europei in quanto ad armi e tattica, e quando due ossi duri come Inghilterra e Francia bussano alla tua porta, a volte non basta essere in superiorità numerica.

“Lasciami andareeeeeee!”
“Urgh, ma quanto strilli! Si vede proprio che ti hanno educato i barbari!”

Inghilterra teneva America sollevato per il collo del vestito: il piccoletto cercava di scuotersi il più possibile per far raggiungere ai propri pugni il viso di quel sopracciglione così antipatico.

“Ma che cavolo vuoi?”
“Voglio che diventi la mia colonia! Tranquillo, sono una brava persona: potrai considerarmi come il tuo fratellone!”

Il suo sorriso avido non riscosse alcun successo: “Io ho già due fratelloni, e uno è l’eroe più forte e coraggioso del mondo, ti ridurrà in polpette!”

Inghilterra ricorse alle maniere forti: girandolo.

“Ti riferisci a quello lì?”

America smise di dibattersi. Norvegia, sanguinante, stringeva i denti con la schiena contro un abete, mentre Danimarca era lì nell’erba alta che provava a rialzarti, intralciato dal peso della corazza.

“Fra-fratellone!”

Il leone dei mari riuscì a rimettersi in piedi: quisquilie per lui!

“Fratellone, salvami! Non lasciare che mi prenda!”

“Prenderti?” –chiese lui togliendosi il sangue dal labbro col pollice- “Andiamo, io sono Danimarca, figurati se gli lascio fare una cosa del genere!”
“Rassegnati nordico: hai avuto questa terra così bella tutta per te così tanto tempo, lasciane un po’ anche agli altri.”

“Io non lascio un bel niente! Ho ancora questa!” –urlò sollevando la pesante bipenne.

“Si! Sminuzzalo fratellone!”

Den lo caricò con tutta l’energia che aveva, finché non sentì il manico farsi più leggero. Non credette ai suoi occhi vedendo che della sua arma per l’appunto era rimasto solo il manico: la grossa lama era stata tagliata via ed era caduta per terra.

Dietro di lui ridacchiava un uomo dal grande cappello piumato intento a rifoderare una spada: “Le armi grandi e pesanti non vanno più di moda sai? Le usano solo per scena ormai!”

“No… Il mio fratellone non…”
Inghilterra lo girò verso di sé senza paura di fargli versare qualche lacrima con quello che aveva da dire: “Il tuo fratellone è tutta scena, non hai sentito, piccolo?”

Francia ributtò a terra Den con un calcio e cominciò a guardarsi intorno: “Bene, il nemico è battuto! Ora, dov’è la mia colonia? Eppure dovrebbe essere da queste parti.”

“Ehm, io sono qui.”

“Eh? Oh, scusa, eh eh! Non ti avevo visto!”
“Si figuri…”

Francia lo acchiappò come aveva fatto Inghilterra con America, e solo allora Canada cominciò ad urlare! - “Aiutooooooo!”

Ma la sua mamma era occupata a soccorrere suo padre, ridotto in ginocchio col fiato corto solo un po’ più in là.

“Mamma! Papà!”

“Lasciateci stare!”

Inghilterra si tappò un orecchio con la mano libera e si avvicinò a quello che si reputava fosse il capo di quella combriccola di teste di paglia: “Avete perso, così è la vita. Ora se non vi spiace, perché non ve ne tornate a casa vostra?”

“Fratellone, alzati!”

Non poteva farlo, non per farsi umiliare di nuovo sotto i suoi occhi. Paralizzato, restò dov’era, muto.

“Fratellone!” –lo chiamò mentre veniva portato via.

“Sciò, sciò!” –fece Francia andando dietro a Inghilterra, ma poi fermandosi- “Ops! Quasi mi scordavo la mia nuova colonia, che sciocco! Eh eh eh! Sei davvero poco appariscente, ragazzo.”
“Sigh!”

E i quattro nordici rimasero soli, sotto un tramonto fattosi grigio per il fumo che si alzava dai loro villaggi messi a ferro a fuoco dagli inglesi e dai francesi. Lontano, il loro orgoglio, le loro navi, giacevano sulle acque scure come truccioli di legno.

Ma che vuoi che sia l’orgoglio quando ti portano via la famiglia, pensò Norvegia, alzandosi finalmente, anche se costretto a tenersi il fianco.

Vide Danimarca alzarsi e gli si avvicinò.

“… Dobbiamo andare via.” –disse questi.

Stavolta non aveva nessuna voglia di ribattere.

L’umiliato re del nord si avvicinò agli altri due, ma quando fu a un passo, il granitico Svezia si mosse, scuotendosi di dosso Finlandia in lacrime.

Il suo re si era arreso, la sua seconda casa dove sempre aveva trovato pace era rasa al suolo, sua moglie, sporca di erba e fango piangeva per il loro figliolo, appena portato via da un presuntuoso che prima lo conquistava e poi a malapena si ricordava di lui.

L’enorme Berwald, ergendosi sulle ginocchia, urlò contro il cielo con quanto fiato aveva: terribile, più forte dei cannoni lontani.

Norvegia e Finlandia rabbrividirono, ma Danimarca non si scompose: la sostanza non cambiava.

“Dobbiamo andare via.”

 

Si ritrovarono attorno a una tavola a Copenhagen, soli, bendati in superficie e feriti dentro. Chi stava peggio di tutti sembrava Finlandia, smunto come neve sporca, ma non sempre la sofferenza la si può misurare da come si esterna. A volte è l’apatia, la totale assenza di qualunque reazione il segno più manifesto di un brutto colpo subito, specie in una persona dalla lingua inarrestabile e dallo sconfinato orgoglio.

 

<< Il tuo fratellone è tutta scena, non hai sentito, piccolo? >>

 

“……”

Al punto che Norvegia ruppe il silenzio rivolgendosi direttamente a lui: “Che cosa facciamo adesso?”

“Niente.” –rispose Den continuando a fissare accigliato il nulla- “Siamo stati sconfitti e abbiamo perso le nostre colonie. Sono cose che capitano, la vita di una nazione è fatta anche di questo.”

Tino emise un roco sospiro; Nor invece chiuse forte il pugno: “Tu vuoi proprio farmi arrabbiare!”

Dato il cattivo umore, Den non ebbe riguardi dal riservargli un occhiataccia a dirgli di non temere litigi: perché mai si scaldava tanto?

“Sei sempre il primo ad andare avanti a testa bassa come uno scemo, a trascinarci dietro di te nelle imprese più idiote e proprio ora hai intenzione di rimanere seduto? Sei insopportabile! Ti prenderei a pugni!”

Svezia si alzò, fermandoli prima che un Norvegia fuori di sé completasse quel già desolante quadro scatenando una rissa tra loro.

Soppesò le parole un attimo, e poi iniziò: “Quello che Norvegia sta cercando di dirti, e credo anche a nome mio e di Finlandia, è che finora sei sempre stato pronto a guidarci, anche dove non volevamo. È stato grazie alla tua intraprendenza che siamo arrivati nel tuo nuovo mondo, ed è stato grazie ai tuoi sogni che abbiamo iniziato a sognare anche noi. Ciò che abbiamo trovato laggiù è diventato troppo importante per rinunciarci così presto. Ti prego, non abbandonarci proprio adesso: continua ad ispirarci col tuo coraggio incedibile, come hai sempre fatto, finché non potremo riabbracciare America e Canada.”

“……”
Lasciatosi dapprima sorprendere che Svezia avesse fatto un discorso tanto lungo, Danimarca si alzò: su una parete della sala erano appese tutte le loro bandiere, più una. La raccolse e la srotolò sul tavolo, affinché tutti loro potessero ammirarla: lo sfondo era giallo, la croce nordica su di esso scarlatta.

“Questa è la bandiera della Scandinavia: rappresenta tutti noi riuniti. Se dobbiamo combattere, combattiamo sotto di essa, non sotto la mia di bandiera.”

Li guardò uno per uno, stavolta senza nessuna pretesa di superiorità: “Siamo una sola famiglia, un solo cuore, e non lasceremo che anche il più piccolo pezzetto di questo cuore ci sia portato via!”

Finlandia si asciugò le lacrime, e Norvegia lottò per non versarle: una volta tanto l’idiota si comportava come un capo decente!

“Qui la mano, nordici!”

Poggiò la sua sulla bandiera e sopra di essa vi si aggiunsero le altre tre… E poi una quarta!

“Qui la mano!” –fece loro coraggio il ritardatario.

“Islanda...”

“Scusatemi se non sono intervenuto ad aiutarvi nella guerra, anche se dubito che col mio aiuto sarebbe potuto cambiare qualcosa.”

“Non ti preoccupare…” –abbassò gli occhi Den.

“Non sono rimasto con le mani in mano però. Non appena ho visto le flotte di Francia e Inghilterra passare a largo di casa mia, ho capito che non ce l’avremmo potuta fare senza un aiuto. E infatti ve l’ho portato.”

“Un aiuto? Di che genere?” –chiese Tino.

Il sorriso di Islanda brillò; di solito era così pacato ma ora sembrava infervorato come la lava dei suoi vulcani: “Un amico, qualcuno che ci darà una mano a riprenderci America e Canada!” –si rivolse alla porta- “Entra pure!”

Gli altri quattro sussultarono di stupore vedendo comparire e farsi avanti un volto conosciuto, incorniciato da indomiti capelli rossi; gli occhi di un verde profondo sotto spesse sopracciglia, in bocca una lunga pipa fumante, addosso una giubba blu scuro e più giù quell’assolutamente inconfondibile gonnellino di kilt!

“Scozia!”

“Allora, amici miei… -si portò la pipa all’angolo apposto della bocca- “Andiamo a prendere a calci qualche inglese come ai vecchi tempi? Ah ah ah ah!”

Una risata che metteva il fuoco dentro!

 

 

 

Se qualcuno di voi ha visto come finisce il secondo film della saga di “Pirati dei Caraibi”, quest’ultima scena con ingresso a sorpresa vi sarà parsa un po’ familiare XD (e a questo punto vi partirà pure la colonna sonora XD)

La regola è quindi confermata: quando l’ucronia riguarda più personaggi anziché una solo viene lunga e bisogna dividerla in due capitoli! Quindi se vi ha intrigato finora vedere America e Canada accolti nella Nordic Family, e se anche voi siete rimasti dispiaciuti che Inghilterra e Francia se li siano ripresi, non perdetevi il seguito!

Riuscirà questo OC dall’aria tanto battagliera a riaggiustare la situazione?

Il suo design è più o meno questo: http://dinosaurusgede.deviantart.com/gallery/?q=scotland#/d4o3djy

Commentate numerosi! ^__^

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 12
*** E se i nordici avessero colonizzato l'America per primi? - SECONDA PARTE ***


Ehilà a tutti! Eccoci qui con la seconda parte di questa ucronia dell’America scandinava!

Sapevo che la Nordic Family era popolare, ma non fino a questo punto… I commenti sono proprio fioccati! XD E una di voi ha persino ipotizzato, grazie a questa mia storia, una nuova accoppiata… L’AmeriDan! Chi l’avrebbe detto che quei due fossero tanto compatibili, eh?

Ma al momento la situazione è volta al peggio per i nordici, a cui fratellini più piccoli sono stati crudelmente strappati, guardacaso dai due che li hanno cresciuti nella realtà. Adesso però che si è aggiunto qualcuno del calibro di Scozia, la speranza si infiamma di nuovo! Vi ha entusiasmato parecchio la sua comparsa ho notato, e dire che ancora non ha fatto nulla! XD Senza ulteriori indugi, torniamo alla storia! Buona lettura!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

PPS: Un “brava” a Historygirl93 che ha colto la citazione del finale dello scorso capitolo ^_^

 

 

 

La sicurezza che traspariva in ogni gesto, parola o risata di Scozia fu subito in grado di risollevare il morale degli scandinavi. Si alzarono dalle loro sedie per salutare col giusto entusiasmo il loro vecchio amico. I nordici e Scozia si conoscevano da tantissimo tempo, condividevano con lui parecchia storia e cultura, e soprattutto, nei bei tempi andati, la passione per le “visitine non propriamente amichevoli” a casa di quel piccolo intrattabile di Inghilterra!

Prima che questi diventasse abbastanza forte da tenerli alla larga e mettere fine al loro hobby…

Ad ogni modo, se c’era da andare contro di lui, il suo “caro” fratellone Andrew Kirkland era decisamente la persona più adatta a cui rivolgersi!

I presenti si risedettero, lasciando al loro inaspettato aiuto il posto a capotavola.

“Allora, Islanda mi ha già detto tutto: mi spiace molto per le vostre colonie, e farò tutto il possibile per aiutarvi.”

Li guardò un per uno, usando il suo sguardo comprensivo e solidale quanto determinato come cura per i timori di ognuno.

“Ditemi, avete già in mente una prossima mossa?”

Danimarca si alzò in piedi: “Abbiamo rinsaldato la nostra unione, e siamo più che mai decisi a riprenderci i nostri piccoli fratellini! Marceremo tutti insieme contro di loro, combattendo con tutto il nostro coraggio e…”
“E finirete di nuovo col farvi molto male…” –concluse Scozia, sicché il tronfio biondino, da rosso fuoco, divenne blu pallido prima di tornare col sedere sulla sedia.

“Danimarca, è vero che uniti si vince, ma occorre anche un po’ di cervello, sennò si va semplicemente allo sbaraglio.”

Norvegia era talmente colpito dalla bravura in cui aveva rimesso al suo posto quel cretino di Den che si fece scappare un’esagerazione: “Credo di amarti, Scozia…”

“……” –gli riservò una blanda occhiata, poi rigirò di nuovo la pipa tra le labbra e riprese- “Dunque…”

<< Che uomo, non si è scomposto per niente! >> -pensarono gli altri!

“Francia e Inghilterra insieme sono parecchio forti, anche se siete in cinque si è già visto come è andata; l’ideale dovrebbe essere attaccarli separatamente.”

“Non ti vedo molto convinto però.” –disse Islanda.

“Come dicevo, l’unione fa la forza, e, al contrario di voi, Francia e Inghilterra non si sopportano, ma difenderanno coi denti i loro interessi. Vi spiego: se attaccate uno dei due per riprendervi indietro le vostre colonie, l’altro non potrà che pensare << Il prossimo sarò io >>, e quindi interverrà certamente al fianco dell’attaccato, in modo da tenersi tranquille le proprie conquiste. Non possiamo fare affidamento sul loro essere divisi, perché per il loro interesse si unirebbero con chiunque: sono dei bastardi intelligenti, si.”

Lo spirito di Danimarca scemò nuovamente: “Attaccarli insieme non va bene, attaccarli uno per uno non va bene…”

“Calma, Den!” –lo rassicurò togliendosi di bocca la pipa e poggiandola sul tavolo- “Ho iniziato a rifletterci non appena messo al corrente della situazione, così ora posso presentarmi a voi con un bel piano già pronto!”

Gli scenari che aveva esposto finora infatti non contemplavano la sua presenza: con quell’addendo in più c’era una possibilità che il risultato cambiasse.

“Ascoltatemi, dobbiamo attaccarli si uno alla volta, ma nell’ordine giusto, e facendo in modo che l’altro non intervenga, in modo da poterlo affrontare successivamente e da solo.”

“Allora… Chi attacchiamo per primo?”
La voce si fece quella di un diavolo: “Inghilterra!”

<< Ci avrei giurato! >> -pensarono i nordici in coro!

“Mentre voi attaccherete Inghilterra nel nuovo mondo, io organizzerò una ribellione contro di lui per reclamare la mia indipendenza: in questo modo sarà costretto a dividere la sua forza su due fronti, e per voi sarà più facile affrontarlo e riconquistare quanto vi ha sottratto.”

I volti Danimarca e Norvegia tradivano il loro entusiasmo: il loro fratellino America era il primo della lista!

“Ma…” –fece incerto il premuroso Finlandia- “Scozia, non sarà pericoloso per te?”

“Oh, sciocchezze! Sono talmente abituato a ribellarmi contro Inghilterra, eh eh! Che alla fine io ritorni libero o le prenda di brutto non è un problema se posso aiutarvi a riunire la vostra famiglia, non preoccupatevi!”

<< Sembra che pestarsi con Inghilterra sia il suo pane quotidiano… >>

Questo era Scozia! Assumilo per un lavoretto e ti farà scucire fino all’ultima monetina pattuita, ma se si tratta di dar fastidio ad Inghilterra l’avrebbe fatto di corsa e anche gratis!

“Mhmm…” –borbottò Svezia.

“In effetti…” –fece Finlandia.

“Lo hai capito?!” –fecero gli altri tre nordici! Dopotutto, pensarono, dopo del tempo insieme una moglie riesce a conoscere a fondo il marito e capirlo al volo!

“Scozia, perché in questo modo Francia non dovrebbe aiutare Inghilterra anche vedendo le sue… colonie…” –si interruppe un attimo- “… in potenziale pericolo?”

“Per il fatto che detesta Inghilterra e invece io e lui siamo grandi amici!”

Scozia ovviamente era grande amico di chiunque ce l’avesse col suo fratellino: lui e Francia, fieri della loro “Auld Alliance”, avevano così tante volte tramato alle sue spalle da aver perso il conto!

“Quando io mi ribellerò, chiederò a Francia di non intervenire da voi, in modo da indebolire Inghilterra che, attaccato nel nuovo e nel vecchio mondo, rischierebbe di soccombere da entrambe le parti! Resterà troppo allettato da questa prospettiva, fidatevi. So come ragiona Francia: una volta che i nordici avranno battuto il suo rivale, se veramente volevano attaccare anche lui sin dall’inizio, si farà trovare pronto e riposato, se invece volevano accontentarsi solo di America, non intervenendo vincerà comunque, perché il suo impero coloniale rimarrà il più forte. Avete capito?”
“Geniale!”

“Umpf!”

“E per Canada?” –domandò allora Svezia.

“Chi?” –chiese Scozia.

Le vibrazioni negative di Berwald furono tali da far tremare le loro sedie (tranne quella di Tino ovviamente)! E lì Andrew apparì un bel po’ meno sicuro del sicuro…

“Ah, già, il tuo figlioccio, eh eh! Come ho fatto a dimenti…”
“Scozia, prima di dire altro di sbagliato…” –lo fermò Norvegia- “Vai avanti col piano prego.”

“Ehm, si, dunque… Ascoltatemi bene ragazzi: una volta che vi avrò aiutati con Inghilterra, io mi tirerò fuori. Francia è comunque mio amico, anche se ora si è comportato un po’ male, e non voglio combattere contro di lui o rovinare in alcun modo la nostra amicizia. Dopo aver riconquistato America, sarete soli. Però avrò bisogno di una giustificazione nel caso Francia mi chieda aiuto dopo essere stato attaccato, e visto che non voglio combattere nemmeno contro di voi, dovrete affondarmi la flotta, così il mio ruolo sarà concluso e starà a voi vedervela contro Francia.”

Rimise la pipa tra le labbra e la riaccese.

“Badate bene…” –li squadrò torvo- “Questo è un buon piano, ma la certezza che riesca non c’è. Ricordate che alla fine dovrete affrontare un Francia solo, ma illeso, quindi state molto attenti.”

“Non ti preoccupare!” –si rialzò Danimarca, stavolta senza dire spropositi- “E non preoccupatevi nemmeno voi due.” –disse rivolgendosi a Svezia e Finlandia- “Per quanto stanchi saremo dopo aver affrontato Inghilterra, combatteremo per riprenderci il vostro Canada con la stessa energia di quella con cui avremo ripreso America, vero?”

“Vero!” –risposero insieme Norvegia e Islanda.

Marito e moglie li ringraziarono in silenzio, dal profondo del cuore. Non c’erano distinzioni tra i nordici, e tra colonie di chi e di chi altro: o si vinceva insieme o si perdeva insieme!

La fragorosa risata di Scozia riesplose nella sala: “Bene, ragazzi! Prepariamo le armi: non appena vi sarete ripresi daremo il via al piano, e io non vedo l’ora di fare la mia parte!”

“SI!” –urlarono quelli, sollevando, ciascuno per un lembo la bandiera gialla e rossa della Scandinavia!

 

Iniziò così quella che venne detta “La grande guerra del Nord”, combattuta dagli uni per preservare il potere e le ricchezze faticosamente conquistate, e dagli altri per ricomporre i pezzi che mancavano al proprio cuore. Fu Scozia a dare il via alle danze: in questo modo, agli occhi dell’orgoglioso Francis sarebbe sembrato che fossero stati i nordici ad approfittare della ribellione degli scozzesi per tentare di riprendersi il nuovo mondo, e non viceversa, puntando i suoi occhi sul suo compagno della “Auld Alliace” impegnato a far venire i sorci verdi al rivale, piuttosto che sui suoi territori appena conquistati, che comunque rimanevano, nel frattempo, risparmiati dagli attacchi.

Uno stressatissimo Arthur si presentò dunque oltre Atlantico con la testa in parte sulla riva appena lasciata dove quel duro a capire chi comanda del suo fratello maggiore aveva ripreso a fare casini! Lì ricevette la cortese lettera di Francis riguardo la crisi in atto.

 

<< Non è affar mio, adieu! >>

 

“Maledetta ranocchia! Non si può mai contare su di lui! Non lo capisce che dopo di me i nordici verranno da lui? Che idiota!”

“Inghilterra!”

I cinque nordici al gran completo, con le loro robuste armature e lustre divise, armati chi di moschetto, chi di alabarda e chi di una scintillante ascia bipenne nuova di zecca, gli si pararono davanti.

“Restituiscici America!”
“Umpf, non crediate di spaventarmi solo perché siete di più! Ho portato anche io i miei rinforzi!”

Norvegia, intimorito, abbassò l’arma: “Rinforzi? Questo non era previsto dal piano.”

Danimarca strinse con più forza l’ascia, mentre quello, ridacchiando, passava a presentare i due in giubba rossa in arrivo dietro di lui, anche loro con le classiche sopracciglia spesse di famiglia!

“Ecco a voi Irlanda e Galles! Ora ve la vedrete con loro!”

Norvegia per tutta risposta al suo sguinzagliare loro contro il resto della Gran Bretagna, rialzò il moschetto e lo caricò.

Il primo era un pel di carota lentigginoso dall’aria ostile, ma pure barcollante, il cui sguardo battagliero a momenti spariva sotto delle palpebre pesanti; l’altro era un piccoletto coi capelli neri, una mantellina di lana sulle spalle che aveva l’aria triste di chi è stato buttato lì controvoglia.

“Beh, che aspettate?” –urlò Inghilterra, già meno convinto del proprio bluff- “Attaccateli!”

Irlanda puntò subito Danimarca, ma anziché sguainare la spada, iniziò ad agitargli i pugni sotto il naso: “Fa-fa-fatti sotto! T-ti riduco in irish stew!”

“Sei ubriaco?” –venne da domandargli, vista l’andatura e la voce incrinata.

Si indispettì: “S-solo perché ho bevuto dodici birre prima di partire non vuol dire che io sia ubri –HIC!- aco!”

Nessuno lì poteva saperlo, ma c’era lo zampino di Scozia se il fratellino isolano si era ridotto così prima di una battaglia tanto importante! Riuscito a parlargli prima di partire, aveva insinuato che la fama degli irlandesi come bevitori era immeritata perché le loro birre non erano robuste come quelle scozzesi. Irlanda, punto nell’onore, lo mise duramente a tacere ingurgitando pinte e pinte di rossa doppio malto, ma Scozia non si mostrò molto deluso dall’aver perso…

“Bec –HIC!- cati questo!”

Danimarca non si scansò nemmeno, lasciando che il suo pugno andasse a vuoto. Poi, vedendolo lì a terra dormire come un angioletto, intenerito, gli mise un po’ di erba sotto la testa come cuscino e gli diede una carezza della buona notte: anche lui era un amante della buona birra!

Nel frattempo Norvegia stava fronteggiando il tristissimo Galles.

“Sigh! Io neanche ci volevo venire qui a combattere sai? Mi ha trascinato Inghilterra! È sempre così! Mi fa fare un sacco di cose che non voglio fare solo perché è il capo!”
“Ti capisco troppo bene…” –disse il nordico, rivolgendo un’occhiata che la diceva lunga verso il suo di capo; spalancò le braccia- “Vieni qui…”
“Sigh!”

Galles venne così neutralizzato in un lungo abbraccio di solidarietà.

Arthur deglutì: “Stupido Andrew! L’unico fratellone duro che ho guardacaso mi sta contro!”

Intanto Danimarca, Islanda, Finlandia e Svezia l’avevano circondato.

“Accidenti…” –borbottò sguainando la spada, senza riporvici troppe speranze…

 

“FRATELLONE!”

“AMERICA!”
“FRATELLONE!”

“AMERICA!”

Danimarca ebbe una brutta sorpresa quando, dopo essere corsi l’uno verso l’altro su uno sfondo rosa colmo di luccichini, il suo amato fratellino anziché abbracciarlo aveva abbassato la testa come un toro, stendendolo con una testata nello stomaco!

Norvegia provò a impedirsi di sorridere… senza riuscirci!

Den, una volta ripreso a respirare, alzò gli occhi e vide America sopra di sé che non contento lo prendeva a pugni sul pettorale!

“Come hai potuto farti battere da quel brutto ceffo? Non hai idea di quello che mi ha cucinato! È stato orribile! Orribile!”

Svezia e Finlandia custodi dello sconfitto, corde ai polsi, lo guardarono con biasimo…

“Ehi! Siete voi che avete distorto il suo palato con la vostra cucina strana!” –protestò in cerca di discolpa l’inventore degli scones!

“Eh eh eh, scusami, fratellino! Ti preparerò un bel piatto di Kødboller non appena…”

“No!” –gli urlò contro il ragazzino, spazzandogli la frangia dalla fronte.

Come sempre avveniva ogni volta che piangeva, il sempre solare re dei mari perse ogni voglia di scherzare.

“Io mi fidavo di te… Sniff! E invece ti sei fatto battere da quello lì! Sigh! Io ti credevo il migliore e hai lasciato che mi portasse via! Sniff! Eri il mio fratellone ma non mi hai salvato…”

Lo lasciò singhiozzare qualche altra volta prima di cingerlo con le braccia e stringerlo al petto.

“So che ti ho deluso. Purtroppo non sono imbattibile. Ma ho combattuto per riabbracciarti contro un nemico potentissimo e alla fine ci sono riuscito.”

Ringraziò con un occhiolino Norvegia e gli altri: senza di loro non ce l’avrebbe mai fatta.

“Rialzarsi e sfidare i cattivi anche dopo essere stati sconfitti per salvare chi è in pericolo: non è questo che deve fare un eroe?”

Lo lasciò rialzarsi e asciugare qualche lacrimuccia: “S-si!”

Rise.
“Quindi fallo sempre, fratellone!”

“Ah ah ah! Va bene! Ora però che non sia una scusa per farti rapire ogni volta!”

Si rialzò, felice di averlo riconquistato, in tutti i sensi… O così credeva!

“Uffa… Però prima eri così figo… Sei ancora il mio eroe, ma adesso che so che anche tu puoi perdere mi sembri… un po’ meno figo!”
“U-u-un po’ meno?! N-non dire così!”

Incrociò le braccia: “Umpf, mi spiace, ma è stata una brutta batosta quella, ti ho visto, sai? Non so se ti sei rifatto del tutto, ecco.”

“America… Fratellino… Io sono il più figo di tutto il mondo, non ricordi?”

“Non ne sono più così sicuro.” –incrociò le braccia si girò dandogli le spalle- “Forse tra poco diventerò io il più figo, fratellone.”

Si graffiò le guance disperato! Non poteva perdere così in fretta l’immagine che il suo fratellino aveva costruito! Non ancor prima diventasse un adolescente ribelle più rompiscatole di lui! Urgevano azioni fighe immediate!

“America? … Ti faccio guidare il drakkar!”

“FRATELLONE!” –urlò saltandogli al collo!

L’altro fratellone, quello serio e responsabile, subito desiderò spaccargli il fucile in testa (o spaccarlo su tutte e due le loro teste folli); furono Svezia e Islanda a trattenerlo; dopotutto, data la brutta esperienza passata, ci poteva anche stare!

“Ah ah ah! Il mio fratellone è il più figo del mondo! Un fratellone super!” –gioiva America facendo guancia e guancia con lui- “Mi farà guidare la sua nave tutto da solo, non è così?”
“Eh eh eh, certo! Tutto da solo… Sigh…”

Non vedeva l’ora di vedere la faccia verde di invidia del suo fratellino. Ma prima bisognava che anche il piccolo Matthew tornasse tra le braccia dei suoi preoccupati genitori… I quali nel frattempo si accontentavano di sapere che il loro tesoro non avrebbe subito le stesse terribili torture di America: Francia almeno sapeva cucinare!

 

Islanda emerse dalle acque salmastre del porto, immerso nel buio della notte, con sprezzo del pericolo e dei raffreddori: grazie al cielo infatti aveva tutti quei vulcani, sennò arrivare fin lì a nuoto senza la sua fornace interna a scaldarlo erano raffreddori e polmoniti assicurate!

Riuscito a salire su un molo si strizzò i vestiti e, con passo felpato, acquattato tra le ombre, cercò il punto indicato da Scozia. Passò davanti una guardia, ma questa si girò dall’altra parte… Almeno le apparenze però andavano salvate, quindi il nordico dai capelli nivei continuò a saltellare in punta di piedi fino a trovarle: le navi da guerra scozzesi.

Seguendo alla lettera le istruzioni dell’amico, si guardò intorno per controllare e poi tirò fuori il coltellino!

<< Che esperienza eccitante! Mi sembra di essere un agente segreto! >>

Una volta segata la cima diede un’altra occhiatina… e poi mollò un calcio alla poppa della grande nave da guerra che, non più assicurata al molo, prese ad allontanarsi sempre di più.

“Umpf!”
Sotto con le altre, si disse!

 

Il giorno dopo, su quello stesso molo…

“La mia flotta! Oh, la mia povera flotta! Completamente sparita! Maledetti nordici! Oh, la mia flotta!” –si disperò con una mano in fronte e l’altra al cuore Andrew, alla vista del molo deserto.

“Sacrebleu! Mi spiace amico mio…” –fece Francia dispiaciuto e colpito dal realismo e dalla passionalità della recita di Scozia!

“Accidentaccio, Francia, purtroppo è così! Mi spiace molto, mi sarebbe piaciuto tanto aiutarti con i nordici che hanno invaso le tue colonie, ma sono rimasto a piedi, come puoi vedere.”

“Già, vedo purtroppo…”
“Eh eh eh, già, inoltre poi io sarei anche un tantino stanchino: Inghilterra alla fine è tornato dall’America sconfitto e parecchio incazzato, quindi il mio onesto, sottolineo onesto, tentativo di ribellarmi a lui non è andato benissimo…” –fece lui, mostrandogli i lividi sulle braccia e il dente scheggiato…”

Il modaiolo gli mise una mano sulla spalla: “Oh, tranquillo, non c’è bisogno di scusarti, vecchio mio! Me la caverò da solo: come sai sono discretamente forte, umpf! Diciamo pure che sono l’impero più affascinante che ci sia!”
<< Che centra essere affascinante con la forza? >>

Francia si aprì un ridicolo ombrellino da sole e si aggiustò i guanti: “Darò io una lezione a quei bruti, tranquillo. E già che ci sono, sconfiggendoli, mi prenderò anche America, come avrei dovuto fare dall’inizio, così Inghilterra si roderà il fegato, ah ah ah!”

Il rosso dal logoro kilt lo vide andar via tutto sicuro di sé; si avviava alle sue navi, dirette verso il nuovo mondo, dove andava per respingere l’assalto di Danimarca e dei suoi. Sapeva che Francia non solo aveva la potenza necessaria non solo a non farsi strappar via Canada, ma aveva dalla sua anche la stanchezza dei suoi amici dopo la prima battaglia.

Non gli dispiaceva per i suoi lividi in fin dei conti subiti per nulla, tanto se li era fatti contro Inghilterra, quindi erano comunque un successo. Il suo pensiero ora andava unicamente a una famiglia al suo banco di prova: o il lieto ritrovarsi tutto insieme, o l’andare in pezzi come un cristallo, stavolta probabilmente per sempre. E in quel caso, i suoi lividi sarebbero stati veramente un sacrificio inutile da rimpiangere.

“Forza ragazzi…” –mormorò, raccomandandoli a un po’ di santi che conosceva.

 

La battaglia infuriava intorno la roccaforte di Montreborg: malgrado la popolazione, di origine nordica, non vedesse l’ora di veder entrare in città l’esercito assediante, i francesi resistevano saldamente, e i colpi dei cannoni dell’alleanza scandinava si sprecavano in un nulla di fatto.

Per quanto amasse riempirsi la bocca di chiacchiere, Francis era anche arrosto oltre che fumo, e per dimostrarlo non mancò di fronteggiare, come Inghilterra prima di lui, tutta la Nordic Family al gran completo, incluso il piccolo America, armato di fucile a tappo, che non aveva voluto saperne di venire escluso dai giochi.

“Bene, bene, bene! Cosa abbiamo qui? Un circo di vichinghi arrabbiati: dove avete lasciato gli elmi con le corna?” –chiese, rendendoli un tantino più arrabbiati.
“NON LI ABBIAMO MAI PORTATI!”

“Umpf!” –non se ne curò il biondo, lisciandosi la tesa del cappello piumato da moschettiere.

“Mi sembri un po’ troppo sicuro di te Francia.” –lo schernì Norvegia- “Dopo averci visto battere Inghilterra, forse dovresti preoccuparti un po’ di più nella situazione in cui ti trovi, non credi?”
“Sono troppo egocentrico per preoccuparmi.”

<< Che idiota… >>

“E se vuoi saperlo, riguardo Inghilterra, vi ringrazio di cuore: lo avete messo fuori gioco per me, e ora mi prenderò anche America così avrò l’esclusiva di questo bel continente!” –finì battendo lo stivale per terra.

America strinse la presa al suo terribile fucile giocattolo: “Non ci contare, il mio fratellone te la farà vedere! Giusto fratellone?”

“Certo! Però forse combatterò senza l’ascia, sai, è nuova, appena comprata, è un peccato se si rovina, eh eh eh…”
“……”

Le esperienze traumatiche non si cancellano così facilmente!

Francia iniziò una disgustosa parata di sguardi seducenti verso il più piccolo di loro: “Vieni qui, America, dai! Saresti dovuto essere mio fin dall’inizio sai?”

Alfred si nascose dietro il fratellone (che cercava un posto per nascondere l’ascia, memore del precedente scontro con quel sexy pizzetto europeo!).

“Non ti piacerebbe essere francese? Pensa al vino, al successo con le donne, alle lumache!”

Si fece allora avanti Finlandia: “Tu non avrai America, chiaro? E restituisci anche il nostro Canada!”
Francia restò spiazzato: “Chi?”

“Io, signore…” –fece Canada appena lì accanto a lui- “Canada, si ricorda?”

“Ma tu eri qui tutto il tempo? Sei praticamente invisibile, ragazzino!”

Le labbra di Svezia si schiusero in un ruggito, e Den prontamente allungò un braccio davanti il suo petto per trattenerlo.

“Canada!” –urlò la sua mamma- “Stai bene?”

“Sto bene, solo che il signor Francia mi fa indossare questi vestiti un po’… strani…”

Uno dei primi atti ufficiali di Francia come suo nuovo padrone era stato ovviamente sistemarlo un po’, il che alla francese voleva dire mettergli addosso un vestito da principino con svolazzi alle maniche, parrucchino e cappellino con piuma!

“Ih ih ih! Ma come sei conciato?” –rise il fratellino, dimostrandosi ancora una volta un ottimo candidato al titolo di insopportabile scemo della famiglia- “Ah ah ah!”

“Sigh! Mamma, aiutami, mi vergogno tanto!”

“Resisti, Canada!” –lo incoraggiò lei, orripilata da quella barbarie.

“La pagherai per il vestitino!” –fece voce possente Den, mettendosi in posa plastica (cogliendo l’occasione per far venire i luccichini agli occhi ad America!).

“Tranquillo fratellino! Ci pensiamo noi a te, pronti?”
Norvegia, resosi conto i giochi per lui erano finiti, incurante di lasciarlo deluso lo spinse indietro: “Vieni via tu, è una cosa seria!”

“Ma…”

Altri colpi di cannone esplosero da lontano nelle sue orecchie, ricordandogli che la guerra non deve entusiasmare, semmai spaventare, figurarsi se sei ancora solo un bambino, anche il più coraggioso e incauto del mondo.

Sospirando, Den si rassegnò a rischiare anche la nuova ascia; si mise in posizione, e lo stesso fecero gli altri quattro. Ma Francia continuava a fare il Francia, sguainando la sua spada quasi sbadigliando.
“Avanti, vediamo che sapete fare! Vi ributterò a mare uno dopo l’altro e prenderò tutte le colonie per me! Ah ah ah!”

I contendenti stavano per iniziare, quando, con un velocissimo sibilo, una freccia arrestò il passo avanti di Francia infilzandosi nel terreno a un centimetro dal suo ditone!
“EEEK!” –gridò Francia retraendo il piede, un po’ fa una signora da una pozzanghera troppo fredda- “Ma che cosa…?”

I nordici non credettero ai propri occhi vedendo comparire fuori dalla foresta alla loro sinistra una squaw dall’aspetto familiare…

“Eccolo è lui!” –urlò indicando Francia a un folto gruppo di guerrieri indigeni armati di archi, lance e accette- “Ha detto che le pelli che stavo colorando e che ci mettiamo addosso sono fuori moda!”

Le facce rosse degli indigeni divennero nere!

“Ma è vero! Siete così primitivi nel vestire, volevo solo darvi un consiglio!”

“Chi ti credi di essere?” –lo zittì la squaw.

Il capo indiano carezzò l’ascia di guerra: “E magari non ti piace nemmeno il bel maglioncino che mi ha fatto quel gentile testa-di-sole laggiù!”

Finlandia arrossì: tenendo ai rapporti di buon vicinato, Tino aveva voluto regalare a tutta la tribù berretti e maglioncini di lana fatti in casa a maglia; il gran capo aveva particolarmente apprezzato le renne sul suo!

“No, non mi piace!” –sbraitò l’arbitro assoluto dell’eleganza- “Se vestite così male non meravigliatevi che la gente voglia conquistarvi per mettervi addosso qualcosa di decente!”

Gli tirarono un'altra freccia d’avvertimento davanti ai piedi!

“Ingrati! Anziché approfittare del mio giudizio per migliorarsi!”

Den guardò i suoi: “Addosso!”

“Urgh!”

Francia fece finalmente il passo indietro di chi ha smesso di sopravvalutarsi: da una parte, i nordici, e dietro di loro il piccolo America, avvicinarsi ridacchiando, dall’altra una tribù di indiani molto offesi, di cui aveva sentito piacesse rasare le teste altrui per decorarci le proprie capanne!

<< Non possono scalpare la mia magnifica chioma dorata! >>

L’istinto di conservazione gli disse di lasciare andare la spada e di ammaccarsi il cappello sulla testa! Erano sempre più vicini! E lui era solo!

Farsi sbranare dai barbari o dai selvaggi? Questo è il dilemma, avrebbe detto Arthur!

Non appena i loro passi verso di lui si fecero più svelti…
“Fermi!”

Fucili, veri e finti, asce e spade si abbassarono. Francia sfoggiò loro un sorriso di circostanza.
“Eh eh… Va bene! Mi arrendo! Non c’è bisogno di farci del male per una terra così inutile come… Ehm… Com’è che ti chiamavi?”
“Canada.” –fece il bambino ormai abituato.

“Esatto! Insomma, fosse stato America forse, ma… Andiamo, perché mai dovrei rischiare di sporcarmi il mio bel vestito per lui, suvvia!”
“Ehi! Vacci piano!” –lo rimbeccò infastidito Den.

Ma Francia equivocò e rincarò la dose, pensando sul serio di salvarsi con la tattica della volpe con l’uva: “Dico davvero! Riprendetevelo e torniamo tutti a casa felici e contenti, che ne dite? Canada è così freddo, coperto di neve, niente di bello a parte gli orsi, e poi nessuno si accorge mai di lui… Perché dovrei volerlo come mia colonia? Umpf!”

Sembra essersi dimenticato che anche Canada aveva orecchie per sentire: “Ma…”

Gli mollò una spintarella: “Che ti prende ora, marmocchio, non sei contento di tornare dai tuoi? Avanti, sbrigati prima che questi cambino idea!”

Matthew si avviò verso le braccia di sua madre e degli altri che gli volevano bene, ma il suo sollievo era nascosto dagli occhi lucidi di lacrime. Cattiveria a parte, il discorso del signor Francia non era pieno di grosse bugie: era vero che lui aveva più freddo e meno risorse di suo fratello, e che America era desiderato da tutti, mentre di lui ci si dimenticava quasi che esistesse.

Arrivò tra le braccia aperte di Finlandia che non sapeva più per cosa stesse piangendo: per la gioia, o per non l’essere altro che una terra poco appariscente e che nessuno vuole. E Tino avvertì subito come quelle lacrime che cadevano sui suoi vestiti avessero due pesi diversi, e di sicuro non centravano il cappello e il parrucchino, che subito gli aveva tolto per carezzargli i riccetti biondi.

Francia si asciugò il sudore dalla fronte: c’era mancato poco!

Tra i suoi tanti errori quel giorno, confondere gli sguardi accigliati puntati su di sé come quelli che normalmente si rivolgono al proprio nemico battuto.

“Bene! Direi che è tutto risolto, cari i miei nordici, giusto? Ora me ne andrei per la mia strada, ho un sacco di affari da sbrigare essendo io una nazione importante.” –si rivolse alla squaw alzandosi il cappello- “Signora…”

“Umpf!”
Era pur sempre un galantuomo lui, non poteva mica andarsene così.

Che non potesse farlo lo aveva pensato anche qualcun altro…

“Uh?”

Stavolta per i nordici non c’era stato verso di intervenire quando, rialzati gli occhi da Canada, si erano accorti che suo padre, senza neanche salutarlo, aveva raggiunto Francis e l’aveva fermato trattenendolo per la spalla.

Non era proprio una cosa da tipo schivo come era Berwald riaprire una discussione ormai chiusa, specie facendolo per rancore. Ma ci sono cose, come vedere il proprio figlio insultato fino alle lacrime da uno che non si è nemmeno sforzato a conoscerlo, che un padre non può tollerare.

Francia si lasciò scrutare da quegli occhi stretti, non sapendo che fare.

Finché non agì lui, sferrandogli un montante allo stomaco che lo fece piegare in avanti boccheggiando.

Poi, il colosso biondo gli assestò un sinistro al mento facendogli saltar via cappello e forse altro di bocca, e infine un violento gancio di destro che lo stese al tappetto, sgualcendogli il bell’abbigliamento che aveva cercato così disperatamente di salvare.

“Cavolo, Svezia…” –boccheggiò Den nel lungo silenzio che aveva creato.

Come sempre, fu di poche parole: “Non parlare mai più in quel modo di mio figlio, chiaro?”

Gli indiani, deliziati dallo spettacolo, lanciarono le loro grida di giubilo! La squaw ne approfittò per rovesciare addosso al francese ko una ciotola di colori per macchiarlo lì dove era stato risparmiato dall’erba e dal fango!

Gli altri erano immobili come statue. Solo Canada si era mosso, staccandosi da sua madre per ammirarlo mentre, a passo lento, tornava verso di loro, in tutta la sua possanza, aprendo e chiudendo le mani per sgranchirsi le nocche.

Se lui era senza fiato, America invece non riuscì a tacere di fronte a quello spettacolo: “Wow… Canada, forse è il tuo papà in realtà quello più figo!”

Il fratellino si schiarì la gola: “F-forse…”

Danimarca corse subito ai ripari: “Ti compro un drakkar tutto tuo!”
Alfred gli saltò addosso di nuovo: “IL PIÙ FIGO È SEMPRE IL MIO FRATELLONE! YEAH!”

<< Te lo scordi! >> -pensò Nor con una vena esplosa!

Svezia si fermò davanti Canada, respirando rumorosamente. Dinanzi a lui, Canada si rese conto che l’unica opinione di sé a cui realmente doveva e voleva credere, era quella che da sempre aveva avuto di lui quel gigante buono. Nessuno faceva a caso a lui, mentre a Svezia facevano caso tutti, per averne paura; lui stesso, la prima volta, lo aveva additato per cattivo senza ancora conoscerlo. Ognuno dei due aveva il suo problema, ma alla fine sono le azioni che qualificano qualcuno, a metterlo al centro dell’attenzione per ciò che realmente è, e ciò a cui realmente tiene.

Quanto a Berwald, non era un bell’esempio ricorrere alla violenza, lo sapeva, ma una parte di lui gli aveva detto che era ciò di cui Canada aveva proprio bisogno.

“Papà…”
“Mh?”
“Credi che grande potrò diventare come te?”

Si inginocchiò: “Una nazione grandiosa come te potrà essere di tutto, Canada.”

Partì il loro abbraccio, e più o meno in contemporanea gli applausi dei pellerossa, che subito dopo sgomberarono il campo, lasciando da sola la famigliola finalmente riunita.

Ma Svezia e Canada ebbero ugualmente il loro bel momento guastato, dal solito sproposito di Danimarca!

“Ah ah ah! Forza ragazzi, abbraccio di gruppo!”

E fu di gruppo in effetti, ma in realtà il cuore di quella stretta furono i due fratellini, che tutti cercavano di toccare, in quel vortice di risate e spinte. Ora il mondo avrebbe avuto chiaro il concetto: America e Canada erano due nordici a tutti gli effetti, e lo sarebbero rimasti! Erano così contenti che non riuscivano a ricordarsi di dover ringraziare un certo qualcuno…

 

Scozia soffiò un po’ di fumo: si reggeva su quattro zampe, con Arthur in poltrona che lo usava come poggiapiedi mentre leggeva.

“Fino a quando dovrò star qui, fratellino?”
“Fin quando non mi passa la rabbia che per colpa tua ho perso la mia colonia, fratellone bastardo! Non te lo toglierai mai questo brutto vizio di rovinarmi l’esistenza?”

“Mai!”

Arthur gli mollò una tallonata sulla schiena e voltò pagina, bofonchiando tanti “bloody” tra una parola e l’altra…

“Ne valeva la pena!” –strinse i denti per la botta!

 

 

Subito dopo, la macchina compì un grande salto, fino ad arrivare ai giorni nostri. Le nazioni si videro quindi tutte lì nello schermo, riunite nella loro cara sala riunioni in cui si trovavano anche in quel momento, non vicino una mirabolante macchina ucronica, ma intente come al solito alle loro interminabili e spesso inconcludenti discussioni.

Una scena già vista, che risultò ancora più familiare quando videro che, ad avere la parola, c’era America: un America che anziché il giubbotto da pilota indossava un bel maglione caldo a stelle e croci scandinave, e mentre parlava tutto trafelato anziché ingozzarsi di hamburger si ficcava in bocca un dolcetto danese al burro dopo l’altro!

“Chomp! E quindi… Gnam!... Dovremo fare così!... Gnom!... E poi così!... Gnam!... E poi secondo me… Gnamgnam!.. Sono il migliore… Gnomgnom!... Ho deciso che… Chomp!... La decisione di… Gnom!”

Cina alzò la mano: “America, puoi smetterla di mangiare mentre parli? Non si capisce nulla!”

Qualche posto vicino, l’unica persona non imbarazzata da quell’incomprensibile discorso, rideva e applaudiva: “Ah ah ah! Quello è il mio fratellino! L’avreste detto che avrebbe fatta tanta strada? Ovviamente è per merito mio se è il più in gamba del mondo! Sono così fiero di lui! Vai così, fratellino!”

Norvegia, accanto a lui, aveva i nervi a fior di pelle: “Tu sei la causa di ogni singola cosa che non va in lui!”

Nel frattempo America, per farsi capire meglio dalla platea, aveva smesso di ingurgitare danesi per passare a trangugiare sciroppo di mirtillo a tutta forza dalla cannuccia!
“Sluuuurp!... Stavo dicendo… Sluuurp!... In questo modo… Sluuurp!... Fate così e… Sluuuurp!... Sono il più grande… Sluuurp!...”

Norvegia sospirò e si voltò altrove per l’imbarazzo: “Se non altro ora so di avere almeno un fratellino decente, Islanda.”

“Non è detto che sono il tuo fratellino!”
La porta si aprì, facendo comparire un ritardatario.

“Scusate tanto, tipo: stavo comprando un vestito incantevole e, tipo, non mi sono reso conto dell’orario!”

Polonia trovò un posto per sedersi: “Allora, di che si sta discutendo?”
“Vallo a sapere…”

“Sluuurp! … Ecco perché… Gnam!... Una mossa sicura… Sluurp! … E non si discute… Gnom!”

Sciroppo e dolcetti insieme!

“Oh oh oh, allora, tipo, mi metterò a fare le mie parole crociate!”

“Ehm…” –fece una voce dietro di lui- “Scusa…”

Si accorse che la sedia su cui si era seduto in realtà era già occupata da qualcuno, qualcuno che di solito passa talmente inosservato che la gente ci si siede sopra!

“Ti spiacerebbe rialzarti, per favore?”
“Scusami Canada, ah ah! Tipo, non ti ho visto!”

“……”
“Uh?!”

Polonia si spaventò più di quella volta che Russia, di malumore, disse di volerlo prendere per i piedi ed usarlo come scopa per spazzare a terra! Il viso di Canada era cambiato da un momento all’altro, con un’ombra inquietante calata giù sugli occhi e un’inspiegabile aura oscura che pulsava tutto intorno a lui!

Usò poche parole: “Non farlo mai più.”

“EEEEEEEK! Aiuto Lituania! Questo qui fa una paura matta, tipo… Tipo Svezia! Prendimi in braccio, Toris!”

Il sorriso soddisfatto di Canada venne ricambiato da quello dei suoi genitori, seduti abbastanza vicini da assistere alla scena.

Svezia in particolare, dietro gli occhiali spendenti, anche se con la solita faccia impassibile, stava versando lacrimoni come una fontana.

<< Sono fiero di te, figlio mio! >>

 

 

Fuori dallo schermo, America lanciò un fischio: “Wow, questo mondo è molto simile al nostro, solo che io indosso un maglione e Canada è diventato uno Svezia 2! Però, sa come farsi valere!”

Il vero Canada, durante l’ucronia, aveva trascinato la propria sedia vicino a Svezia e Finlandia, e già da allora i due nordici avevano cercato di far finta di niente; ma adesso Canada aveva preso a fissarli, ed era molto imbarazzante.

“Mhmm…” –si stringeva nelle spalle Svezia.

“Eeehm…” –si sforzava a sorridere Finlandia.

“Se volete ancora adottarmi, io non avrei niente in contrario!” –disse con tono di supplica!

Tino arrossì: “Ecco… Ci fa piacere, Canada! Ma vedi noi…”
“Abbiamo già…” –continuò Berwald abbassando la testa.

“Adottato me! Ih ih ih!” –fece tutto contento Sealand, saltando in braccio all’occhialuto bestione!

Per l’esattezza Berwald lo aveva acquistato su eBay, ma il concetto era quello…

“AAAAAARGH!” –Canada imitò la stessa espressione dello Svezia ucronico rifiutato, trasformandosi anche lui in pietra!

“Capisco…”

“Poverino…” –fece Sealand toccandogli il naso pietrificato. Anche Finlandia diede qualche carezzina a quel pezzo di roccia.

“Su, non fare così, se vuoi quest’anno puoi venire a passare il Natale da noi, che ne dici?”
“Sigh, grazie!”

Danimarca, rimasto in tutto e per tutto soddisfatto dalla risposta alla loro domanda, cercò subito di circuire America: “Allora, dicci, a te è piaciuta questa storia alternativa?”

“Beh, i danesi li ho assaggiati e sono buoni, però mi fa strano pensarmi un nordico… Anche se quel maglione sembra così bello caldo… Però gli hamburger… Non so…”

“Dai, hai visto anche tu che te la saresti cavata alla grande come uno di noi, ah ah ah! Se vuoi ti diamo una tessera di membro onorario della nostra famiglia!”

“Non esiste nulla del genere…” –lo troncò Norvegia.

Il bello era che America invece stava seriamente pensarci: “Io un nordico onorario? Wow, a me piace quando la gente mi considera! Non so davvero cosa dire…”
“Ehi, voi due, guardate che l’ucronia non è mica finita.” –li richiamò Inghilterra.

Den e Alfred si girarono.

 

“America, insomma!” –a protestare ora fu Germania- “Smettila di parlare con la bocca piena! Lo vuoi capire o no che ci stai facendo solo perdere tempo così? Che cosa stai cercando di dirci?”

America fece un ruttino e sorrise: “Va bene, se volete ripeto! Dunque, ritengo che tutti voi dovreste adattarvi allo stile nordico! Secondo me tutti noi dovremmo offrire alla nostra gente un sistema sanitario gratuito per tutti, investire nel welfare e nelle fonti di energia rinnovabili per piantarla una volta di tutte col petrolio e l’inquinamento, ridurre le emissioni di gas serra, permettere il matrimonio tra persone dello stesso sesso e, perché no, anche l’adozione di figli, fare ricerca sulle cellule staminali, e vietare le bibite gassate e i cibi grassi che non fanno bene alla salute!”

 

“OH, NO! TE LO SCORDI!”

Agguantò il telecomando e premette il tasto per spegnere la Macchina tanto forte da ridurlo una sottiletta!

ZAP!

“Umpf, accidenti! Stava diventando davvero stramba adesso come ucronia!”

Si girò.

I cinque nordici lo stavano guardando con la stessa piatta espressione di disappunto.

Islanda scosse anche la testa.
“Ehi, non cercate di cambiarmi!”

E per chiarire ancora di più le cose, corse a fare qualcosa che non credeva di poter fare subito dopo quell’ucronia appena vista: abbracciare Inghilterra!

“Ah, il mio vero fratellone! Voglio solo te!”

“Ma che bloody… E lasciami… Mi fai arrossire…” –si spense lui pian piano, in fondo contentissimo!

“Ragazzi…” –fece Danimarca- “Vi ricordate quella squaw?”
“Si, abbiamo capito.”

Presero un bel respiro e, all’unisono…

“Tsk… Americani!”

 

 

 

Accidenti, America! Perché non sei un po’ più aperto mentalmente come questi simpaticoni biondini del nord? Perché non lo siamo anche qui in Italia?!

Sono così avanti loro… Sarebbe un mondo migliore se anche lui, a cui tutti danno retta (senza offesa per Canada…), promuovesse un po’ di più qualcuna di quelle belle idee, vero? XD
Però dai, non si cambia così in fretta: mettendoci nei suoi panni, possiamo immaginare che shock sia stato per lui, tale testona dura, vedersi nel dire certe cose!

Si chiude qui questa bella storia di famiglie, con un tutti più o meno felici e più o meno contenti, anche Canada, che si è procurato un bell’invito per Natale, anche per Scozia, che se l’avete adorato con la sua sola entrata in scena, scommetto dopo aver letto le sue gesta ora vogliate fargli un monumento! XD Adoro la Scozia…

Bene gente, allora alla prossima, e intanto, scrivendo e ridendo sono già arrivate le feste!

Vediamo di godercele, mi raccomando! ^__°
Ciao a tutti!


PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 13
*** E se America avesse vinto la guerra in Vietnam? ***


Ciao a tutti, carissimi lettori! Questa fic è andata oltre le 100 recensioni col capitolo precedente, il mio risultato migliore qui su EFP! Vi ringrazio tutti di cuore, e spero continuerete a seguirmi e darete, per chi non l’ha fatto ancora, un’occhiata alle mie tantissime altre storie postate nella mia gallery, non solo su Hetalia! ^____^

A parte questo, sono contento perché sono finalmente arrivate le feste natalizie! Le luci, l’allegria… Il freddo cane T__T Brrr…
Ora ci vorrebbe proprio un’ucronia sul deserto, eh? XD Però dai, non importuniamo il povero Egitto solo per un po’ di calduccio… Di chi tratterà allora questa ucronia? Vorrei poter dire “leggete e scoprite”, ma i titoli dei capitoli di questa fic la dicono già tutta! XD
Buona lettura, e buone feste!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!”

 

 

 

“Per me è stata davvero un’ucronia bella ed interessante!” –disse Finlandia- “Un vero peccato che il vero America non sia così ricettivo allo stile nordico.”

“U-S-A! U-S-A!” –esultava Alfred facendo il segno della vittoria con le dita, contentissimo di essere sempre il solito sé stesso, che inquina, mangia calorico, si fa pagare per guarirti, e che nessuno al mondo anche volendo può ignorare perché fa più chiasso di una banda al completo.

“Sicuri che sarebbe stato un ottimo nordico?” –si domandò Norvegia, a un tratto più dubbioso sul giudizio della macchina, che, tra parentesi aveva inventato proprio lui e che per quanto ne sapeva aveva programmato per fargli fare sempre bella figura o qualcosa del genere.
Tino invece ancora rimpiangeva quell’America così aperto e simile a loro: “A giudicare dall’ucronia sembrava di si. O forse non ha passato abbastanza tempo con Danimarca.”

Chiamato il diavolo, eccolo spuntare, anche se con le corna afflosciate per lo sconforto: “Sigh, e ora che ci faccio con questa tessera di nordico onorario che avevo ritagliato col cartoncino apposta per America?”
Nor roteò gli occhi in aria: “E che l’avevi ritagliata a fare innanzitutto?”

Si erano riconfermati come una famiglia molto unita ed era una cosa che faceva piacere a ciascuno di loro, però da lì al bisogno di allargarla ancora rendendo nordici anche altre persone…

“Per fortuna non ci ho scritto ancora il nome.” –proseguì lui, sventolando quell’improbabile tesserino sotto i loro nasi, a ribadire la sua ferma intenzione di non volerlo sprecare!- “Chi vogliamo far diventare nordico onorario?”

Norvegia si sbatté la mano in faccia, Finlandia invece provò a stare al gioco: “Non lo so… Qualcuno che viva abbastanza a nord e che abbia un bel clima “freschetto” direi, eh eh eh!”

“Perché non Russia?” –chiese Svezia.

“Vacci piano, Berwald!” –ribatté Den- “Insomma, i requisiti li ha tutti, non si discute, ma il posto di pauroso del gruppo c’è già.”

“……”

“Sto parlando di te, amico.”

“E comunque, non mi sembra il caso di disturbare Russia per una scemenza del genere.” -indicò con un cenno veloce Ivan Braginski, assorto a guardare fuori da una finestra coi gomiti sul davanzale, mostrando le spalle a tutti, come volesse essere lasciato tranquillo lì dov’era, e Norvegia, dovendo subire Danimarca da secoli interi e in ogni realtà vera o fittizia, non lo avrebbe certo ostacolato.

D’altro canto, Russia aveva già dall’inizio dato segno di non curarsi minimamente di quella macchina che tanto aveva fatto impazzire le altre nazioni quel giorno; bastava pensare poi che la domanda che l’aveva visto protagonista l’aveva fatta sua sorella.

“Allora, vogliamo andare avanti?” –esordì Alfred, una volta ritenuto di aver inneggiato abbastanza alla sua imbattibile patria- “Chi dite che sarà il prossimo?”
“Io! Io! Io!” –saltellò Sealand per farsi notare.

E per riuscirci ancora meglio, chiese al suo papà fin troppo cresciuto di sollevarlo sulle spalle! - “Voglio un’ucronia come quella del signor Svizzera!”
Vash, che schiacciava un pisolino, svegliato di soprassalto dal suono del suo nome, provò a impugnare la pistola ma acchiappò invece la cioccolata; resosi conto che non c’era pericolo, tornò a dormire… con la barretta in bocca per fare sogni belli dolci.

“Voglio un’ucronia dove io divento la nazione più grande e forte del mondo, così tutti mi riconosceranno! Si!”

“Eh eh eh, non per spegnere il tuo entusiasmo piccolino…” –gli fece segno di scendere Alfred- “Ma come ho detto anche a Bielorussia…”

Natalia, reagendo a mò di Svizzera anche se sveglia, sguainò il coltello, facendo venire un colpo a tutti!

“La mia macchina risponde a domande su ipotesi di storia alternative, non a richieste del tipo << fammi diventare il più bello, il più tosto, il più così o il più cosà >>, mi spiace. Inoltre, non credo proprio che, per quanto possano essere alternative, ci sarebbe modo per una piattaforma sperduta in mezzo al mare di diventare padrona del mondo, eh eh eh!”

“Sniff… Buaaaaahhh!”

Finlandia consolava il povero Sealand con un mano e con l’altra lo minacciava a distanza con un ferro da cucito; anche se era Svezia a preoccuparlo di più…

“Eh eh eh… Buono Svezia, ho già visto che sai tirare dei bei cazzottoni, non serve che me lo dimostri di nuovo!”

Francia sbuffò.

“Oh, su, scusami tantissimo, piccolino: certo che puoi diventare una nazione grande e riconosciuta!” –chiese venia America facendogli “pat pat” sul cappellino- “Tieni, per farmi perdonare ti offro questo lecca-lecca formato iper-maxi! E iper-maxi è meglio di maxi, sai?”

Sealand per fortuna smise di piangere per concentrarsi sul “dolcetto” e America poté battere in ritirata sana e salvo, sotto gli occhi di chi si chiedeva come avesse fatto a far entrare nel giubbotto un lecca-lecca del diametro di un pallone da basket! Non che qualcuno si sarebbe stupito a scoprire che magari le sue tasche erano piene zeppe di squisitissimi caria-denti…  Ah, questi americani, così esagerati, così prevedibili…

“Quello che in realtà stavo cercando di dire, è che il prossimo che porrà una domanda alla mia invenzione c’è già!”
“Che cosa?” –fece Inghilterra- “E chi è, ma soprattutto, quand’è stato deciso?”

“Ora ve lo mostro! Luci!”

Malgrado fosse pieno giorno divenne tutto buio, salvo il cono di un riflettore vicino a lui. Indicò la luce, mettendo un sacco di enfasi nella voce: “Il prossimo che domanderà un’ucronia saràààààà...”

Fece un saltello…

“IO!” –urlò a braccia aperte sotto la luce!

Un forte “BUUUUUU!” si levò subito, spegnendo il riflettore e reilluminando la sala!

“Ehi! Ma perché?!”

Non c’era dubbio che sarebbe stato un incavolato Inghilterra a spiegarglielo!

“Se vuoi fare una domanda accomodati, la macchina è pure tua, ma almeno non fare tutte queste scene come tuo solito! Poi non meravigliarti se con questo tuo atteggiamento finisci per risultare insopportabile!”

La cosa gli suscitò sonore risate: “Insopportabile? Io? Ma andiamo! Ah ah ah! Forse ti confondi con qualcun altro, io sono l’eroe: quello che salva sempre tutti, che risolve i guai, di cui nessuno può fare a meno, che tutti amano, come posso essere insopportabile? Non è così, gente?”

“………”

Quel silenzio tanto prolungato ebbe l’effetto di uno spillone sul palloncino troppo gonfio della sua immagine di sé!

Per la verità non era un silenzio totale, solo che la voce di Canada era un po’ troppo bassa per le sue orecchie foderate di autostima: “Forse se ti vantassi un pochino di meno…”

America si poggiò allo schienale della sedia a testa basse: “E va bene, lo ammetto…”

Inghilterra sentì un brivido. Possibile che per una volta Alfred Jones potesse lasciarsi andare a una sana autocritica?
“Qualche volta l’eroe non ce l’ha fatta ad aggiustare le cose, lo so! Perdonatemi!”

Ma che perdono? Arthur lo avrebbe preso a calci da lì al polo, e poi al polo apposto!

“Non è per quello! E comunque di che diavolo stai parlando?”

America proseguì con quell’aria da tragedia: “Credetemi, su di me si può sempre contare, ma anche io ho i miei limiti, anche se sembra difficile da credere!”

“Oh, ma per favore!” –sbottò Inghilterra, maledicendo che Iraq non fosse presente alla riunione per potergli rispondere a tono!

“In un certo senso ha ragione-aru.” –fece Cina- “Nel senso che si immischia sempre in tutto di tutti, quindi devi contare su di lui che ti piaccia o no.”

“Gli farebbe bene un po’ più di compostezza, si.” –annuì Giappone, che quasi a pubblicizzare la sua discrezione ed eleganza, si era messo a sorseggiare un po’ di tè seduto sulle ginocchia su di un tappetino.

“Insomma, qualche volta anche io, pur mettendoci tutto il mio eroico impegno ho fallito, ma adesso grazie alla mia macchinina aggiusteremo una di queste brutte macchioline sul mio curriculum! Ehi, Russia, ora beccati questa perché credo non ti farà piacere, eh eh eh! Macchina mia, è il tuo fighissimo padrone che ti parla! Voglio sape…”

“ALTOLÀ!”

Evidentemente, oltre a Russia, doveva esserci qualcun altro lì a cui la sua ucronia non avrebbe fatto piacere.

Lei, per vecchia abitudine, prestava sempre attenzione a quello che diceva America, perché così sapeva sempre quand’era il momento di spaccargli un bel remo in testa; e non credeva affatto di sbagliarsi, uno di quei momenti era giunto!

“Vietnam! Che bello averti qui! Questa non puoi proprio perdertela!”

“Grrrr!”

La ragazza col lunghissimo codino gli mise la punta del remo molto minacciosamente sotto il naso!

“Ti avverto, se osi chiedere come sarebbe stato se tu avessi vinto a casa mia…”
Ma America, più veloce del pistolero buono di un bel western, afferrò il tubo per le domande e ripartì da dove si era interrotto: “... Sapere come sarebbe andata se avessi vinto in Vietnam!”

Si risparmiò la sua ira solo perché era stato così sfacciato nell’ignorarla da bloccarla in stato di shock!

“Riportando in tal modo questa bellissima pupa dalla parte vincente!” –si indicò col pollice ed ammiccò- “La mia! Eh eh eh!”

“Maledetto! Cancella la domanda, subito! Non tollererò che tu mostri una simile cosa su di me!”

“Ehi, buona! Capisco che certe domande possano causare imbarazzi, ma non è giusto negare a qualcuno di soddisfare la propria curiosità: prima nell’ucronia di Bielorussia ero ridotto uno schifo, ma mica ho fatto storie!”
“Si, le hai fatte.” –precisò Inghilterra.

“E che dovrebbe dire allora Austria: non si è mica lamentato se tutti qui l’hanno visto come concubino di Turchia!”
“Si, l’ho fatto.” –precisò Austria.

“E Francia, che si è coccolato con Inghilterra?”
“E perché avrei dovuto lamentarmi? Uh uh uh!”

“Sii democratica quindi, l’ucronia è un diritto di tutti! Ma forse troppo comunismo nella dieta ti ha un po’ inacidita, eh?” –scherzò lui, ridendo però da solo.

“Tsk! Sei il solito prepotente! È un diritto anche non essere ridicolizzati!”
“Ma che ridicolizzati, su!” –disse provando a darle una pacca sulla spalla, ma venendo respinto con la mano- “Mica lo faccio perché ce l’ho con te e voglio prenderti in giro. Ti stimo, per non dire che mi attizzi in quanto unica ragazza che è stata capace di tenermi testa, uh uh uh!”

Vietnam arrossì: “Umpf, e non dimenticarlo mai però, eh? Io ti ho battuto!”

“No che non lo dimentico, per questo ora chiedo! Così ti faccio vedere come staresti stata meglio a lasciarti salvare dall’eroe anziché fare la ritrosa…” –disse lanciandole un occhiata un po’ cattivella (anche lui se l’era vista brutta, non solo lei)- “Magari scoprirai che non sarebbe stato poi così male, e così forse scoprirò se il mio sospetto che è vero.”

“Che sospetto?”

America mosse su e giù le sopracciglia con fare ammiccante: “Che in realtà tu provi dei sentimenti nascosti per me ma non lo ammetti! Eh eh eh!”

CRASH!
“MA QUALI SENTIMENTI?!?!?”

America non arrivò a sentire l’urlo, perché il suo remo si era infine spaccato sul suo cranio appena un secondo prima!

 

 

“Ohi ohi ohi…”

Una banconota svolazzò sul suo petto. Datosi una scrollata, si rese conto che se ne stava sdraiato al bordo di una strada e che qualcuno, scambiandolo per un barbone, gli aveva fatto l’elemosina!

“Ah, deve tenersi ben allenata con quel remo per tirare certe sventole… Dove mi trovo?”

Era sera, ma la città era illuminata a giorno: lampioni e insegne al neon creavano un arcobaleno di colori che gli ricordò la sua Las Vegas, solo con un po’ più di occhi a mandorla in giro. Guardò i simboli sulla banconota che aveva in mano e quelli sulle pubblicità e i maxi-schermi, ricordandosi subito di loro avendoli già visti in passato: alfabeto vietnamita!

Ma come ci era arrivato lì, e com’era possibile una Vegas nel povero sud-est asiatico?

“Ma certo!” –chiuse vittorioso il pugno Alfred- “Dopo la botta la macchina deve avermi risucchiato e quindi eccomi nell’ucronia in cui ho vinto e ho reso Vietnam un posto fighissimo!”

Ora che il mal di testa svaniva e riusciva ad articolare meglio i propri pensieri, era in grado anche di riconoscere il posto: quella era Saigon, la città che, secondo lui, sarebbe dovuta essere la vera capitale di Vietnam! Un orologio con data alla pensilina dei mezzi pubblici diceva che era il 1980: la guerra era finita da qualche anno, ma il paese si era ripreso benino a giudicare dai vestiti dei passanti e dalle tante rombanti macchine (che per lui ora erano delle vere anticaglie…) che ravvivano quelle strade, condivise coi più caratteristici carretti, risciò e biciclette.

<< Eh eh eh, conoscendo Vietnam adesso starà rosicchiando quel resta del suo remo davanti lo schermo: alla fine ho avuto la mia ucronia e non potrà certo negare che dopo la mia vittoria qui si viva più che benino! >>

Non voleva però rivolgersi al cielo e farla arrabbiare ancora di più, rinfacciandole da lì di aver avuto ragione (anche per non mettersi in conto altre remate al suo rientro); meglio essere meno bastardo e lasciarla guardare e convincersi da sé, andando piuttosto in cerca della Vietnam ucronica.

<< Eh eh eh, chissà perché sono convintissimo che sarà felicissima di rivedere il suo eroe! Dunque, vediamo un po’ se riesco a trovare casa sua… >>

 

Le aveva comprato quella casa con vista fiume per quando avrebbe finalmente capito che il buono era lui, altro che Russia. Ma alla fine era rimasta sempre vuota, e lei era andata a vivere ad Hanoi, la capitale che si era scelta da sé (su suggerimento di quel brutto nasone…).

(NDA: Saigon era la capitale del Vietnam del Sud, filoamericano, mentre Hanoi era la capitale del Vietnam del nord, filosovietico, ed è la capitale del Vietnam odierno)

Adesso però, scavalcato il muretto di cinta e raggiunto il giardino, poteva vedere le luci accese all’interno: era felicissimo che in quella bella villetta Vietnam si stesse godendo tutti i vantaggi di un sistema economico consumista e corrotto anziché l’austerità di un sistema socialista e corrotto uguale.

“Mhmm! Che bel profumino d’incenso!” –assaporò arrivato alla porta-finestra, prima di scostare le tendine di lino.

Fece due passi sul pavimento di legno, poi sentì la sua voce.

“C’è qualcuno?”
America si riaggiustò il giubbotto e si controllò l’alito; un’aggiustatina a i capelli ed era pronto a lasciarsi accogliere come l’ospite che più di riguardo non si può: “Non aver paura, Vietnam, sono io, America! Sono passato a trovarti!”

“Oh, davvero? Che bello!”
<< Lo sapevo, eh eh eh! >>
CRASH!

Resti di porcellana in frantumi caddero a meno di un passo da lui, dopo avergli sfiorato l’orecchio e beccato la parete.

“Vieni qui, maledetto!” –arrivò dalla cucina con ambo le mani occupate da un pregiato servizio da tè dipinto a mano a fare da arsenale!

“Vietnam! Ti trovo un incanto!”
CRASH!  - schivò per miracolo la teiera.

“Hai una bellissima casa sai? Te l’ho mai…” –CRASH- “… detto? Scusa un secondo, cerco un nascondiglio dietro cui…” -CRASH!- “… ripararmi…” –CRASH! CRASH!- “Urgh!”

“Grrrr!”

Scappò in un'altra stanza, ma ci trovò un paio di remi appesi a una parete e morì di paura (riflesso post-traumatico!). Lo riportò alla realtà un altro “CRASH!” vicino l’orecchio e riprese quindi a fuggire; inseguito dall’infuriata asiatica per tutta casa, ritornò al punto di partenza.

<< Ma che sta succedendo? Ho vinto la guerra e l’ho resa un paese moderno, perché anche qui vuole uccidermi? >>

La sua corsa finì in un inciampo su una piega del tappeto. Si rimise in piedi, ma lei era già lì, pronta a fare fuoco con gli ultimi due piattini.

“Tregua! Tregua! Dai, Vietnam, fai la brava!”

“Te la farò pagare, maledetto porco capitalista!”

“Ma… Ma non capisco! Cioè… Non dovresti essere capitalista anche tu?”
“Infatti, e per colpa di chi?” –chiese a denti stretti.

Lasciò cadere i piattini sul pavimento, lo afferrò e lo baciò.

America, dopo qualche secondo di pausa inconcludente ai fini di dare una spiegazione a tutto ciò, non trovò di meglio che baciarla si nuovo.

La abbracciò e lei lo stritolò. Le loro lingue affondavano ciascuna nella bocca dell’altro più a fondo che potevano, finché, bacio dopo bacio dopo bacio, arrivarono fino in camera da letto, e la fresca notte primaverile di Saigon divenne piuttosto calda…

 

L’ultimo bastoncino profumato sulla specchiera si spense in una minuscola nevicata grigio chiaro nel posacenere. America, mezzo coperto dal lenzuolo, fissava il soffitto, rischiarato dalla lanterna di carta: aveva sempre voluto una di quelle per la sua stanza, davano una bella luce giallina.

“…… Miiiiiitico…” –gli riuscì da dire, facendo il verso al suo cartone animato preferito.

Ovviamente la prossima mossa era girarsi, con la testa poggiata sul gomito, badando a far risaltare i pettorali, e rivolgerle un bello sguardo un po’ socchiuso e una delle innumerevoli frasi da uomo rude garantite dai suoi film per far impazzire le donne.

“Ehi…”

Gli tirò il cuscino in faccia, scompigliandogli gli occhiali!

“Inizia con la vecchia storia dell’uomo rude e ti butto fuori a calci!”

Quella donna si che lo conosceva: “Sai, non è che mi vadano proprio a genio questi tuoi strani e improvvisi cambi d’umore, anche se forse non dovrei lamentarmi se poi finiamo col fare i fuochi d’artificio su un materasso così comodo…”

“Umpf, è quello che ti meriti per avermi fatta innamorare di te, bastardo!”

“Andiamo, che fine ha fatto la gattina di due minuti prima? Falla uscire fuori che la coccolò un altro po’!” –fece il gattone provando a farla girare.

“Dormi, sennò ti graffio!”

Sbuffò. Prima le teiere, poi baci appassionati e carezze, poi di nuovo intrattabile: sapeva che la donna è mobile, come dicono gli italiani, ma qui sembrava piuttosto schizofrenia!

<< Oh, beh, però ha anche detto che è innamorata di me! Forse le ci vorrà un altro po’ di tempo o roba del genere… Intanto io ho cancellato dalla storia la mia più grossa figuraccia e mi sento ancora più mitico del solito! >>

Le augurò buonanotte con un bacio sulla spalla; la prima cosa che avrebbe fatto il giorno dopo sarebbe stata andare alla riunione delle nazioni per informarsi un po’ di più su com’era la situazione nel resto del mondo. Chissà quanto era diventata alta la sua popolarità!

 

“Salve a tutti!” –fece prendendo la parola non appena arrivato, scavalcando maleducatamente Germania Ovest- “Fate conto che io venga da una realtà alternativa e che non sappia nulla di come si è svolta la storia in questo mondo: mi fareste un riassunto di come vanno le cose?”
A rispondere per primo fu Cina: “Ti odiamo-aru!”

“Da!” –sorrise Russia, tenendogli la mano.

“Che co… ?! Ma voi due non dovreste aver litigato da tempo?” –chiese all’altra maggiore potenza comunista del globo.
“In effetti certe cose di Russia non mi stavano bene, ma vedi, il tuo ficcanasare così vicino a casa mia mi ha fatto venire voglia di essere ancora più pappa e ciccia con lui e ancora più ritroso nei tuoi confronti-aru!” –fece Yao col viso accigliato, lasciandosi abbracciare e carezzare in testa da un felicissimo Ivan.

Si morse la lingua: vedendolo trionfare in quella che doveva essere un’area di sua influenza, Cina non l’aveva presa per nulla bene, e così ecco rafforzato quel popolosissimo e potentissimo asse contro di lui!

“Che vuoi che ti dica, Cina, nella vita si vince e si perde, e quando sei un eroe vinci spesso, eh eh eh! … EEEEH?! Afghanistan! Finlandia!”

I due, arrossiti, si strinsero nelle spalle, ma non potevano far nulla per nascondere le loro spillette con la falce e martello in bella mostra sul petto.

“Come avete potuto?!”

Fu Russia a rispondere al loro posto: “Non potevo certo starmene con le mani in mano: ho solo risposto colpo su colpo, schiacciando i guerriglieri anti-comunisti di Afghanistan…”

“Come hai potuto?! Volevo così tanto bene a quei terroristi!”

In quell’epoca almeno, ovvero prima che gli buttassero giù due certi palazzi…

Ivan continuò: “E “convincendo” il piccolo Finlandia a tornare da me!”

“Sigh, mi spiace Svezia…”

“Su, non essere triste: Svezia lo sa che se vuole la tua compagnia è il benvenuto dalla nostra parte!”
“Urgh…”

Un secondo morso: Russia avrebbe rischiato di perdere la faccia dopo una così brillante vittoria del capitalismo, quindi, in quel mondo, si era sbrigato a portare Afghanistan dalla sua parte e poi aveva puntato gli occhi sul suo innocente vicino per pareggiare i conti e riaffermare ancora di più la sua alternativa allo strapotere americano.

“Beh… Tieniti pure le tue piccole vittorie, intanto in Vietnam te l’ho fatto a strisce… Anzi, a stelle e strisce! Ah ah ah! Bella, vero?”
Russia rispose incrociando stizzito le braccia.

“Umpf, tanto non mi batterai mai, Russia, diciamo pure che ho la sfera magica che prevede il futuro! Io sono il vero eroe: quello che raddrizza i torti, che porta libertà, democrazia, i supermarket aperti 24 ore e i fast-food a tutte le nazioni buone e anche a quelle cattive dopo avergli insegnato la lezioncina, quello a cui tutti guardano per essere salvati dal cattivone comunista e quindi che tutti amano! Non è così, gente?”

“………”
“DI NUOVO?! MA PERCHÉ?!”

Inghilterra si alzò: “Forse se tu fossi un po’ meno…”
“Si si, meno scemenze, più umiltà, bla bla bla… Lo so!”
Arthur, brutalmente zittito, restò immobile a bocca aperta, a meditare di ucciderlo una buona volta!

“Si può sapere che problema avete tutti quanti?”

Russia rise: “Chissà perché sono convinto che non dovrò nemmeno aprire bocca!”

Per primo si alzò Canada: “Forse… Saresti più simpatico se non guardassi tutti dall’alto in basso…”

Sassolino dopo sassolino, le scarpe presero a svuotarsi: per primo si alzò Germania Ovest: “Pensi sempre di avere ragione! Che il tuo punto di vista sia l’unico sensato!”

Si alzò Romano: “Ti impicci sempre degli affari altrui che non ti riguardano!”

Si alzò Spagna: “Vero! E solo per tuo tornaconto: se qualcuno prende una decisione che non ti sta bene dici che sta sbagliando e fai di tutto perché venga dalla tua parte!”

“N-non è vero!”
“Ah, si?” –fece per le rime Antonio- “Cile non vede l’ora di ringraziarti per averlo affidato a quello “stinco di santo” del tuo amico Pinochet!”

America si girò verso la nazione sudamericana. Questi gli mostrò un bambolotto con le sue sembianze, e poi lo fece a pezzi con un coltello.

America si allentò il colletto: “Il socialismo è una bruttissima cosa, Cile! Un giorno mi ringrazierai!”

Cile piantò il coltello nel tavolo: “Siamo grandi abbastanza da fare da noi le nostre scelte, o forse la libertà di cui tanto parli per gli altri non vale?”

Cuba si accese un sigaro e riassunse il tutto: “Cabrón!”

“Sei egoista!”

“Sei un prepotente!”
“Un tiranno, quasi come Russia!”

Alfred prese un bel respiro, stringendo le dita sul podio, diventato per lui una berlina.

Non capiva se in quel mondo, senza la batosta di Vietnam a calmarlo un po’, era stato cento volte più pallone gonfiato, al punto di far perdere le staffe a tutti, o se i suoi amici lì fossero semplicemente più sinceri. Perché a un tratto la differenza tra quel mondo e quello da cui veniva sembrava limitarsi a quello, e quelle facce scure e quelle critiche facevano un male cane, perché le sentiva adatte ad entrambi.

Ma lui era pur sempre un egocentrico: sulle critiche non ci si ragiona, si ribattono come palle al volo.

“Bene…” –si schiarì la voce- “Le cose stanno così, eh? Io ho sempre combattuto per voi, razza di ingrati! Per impedire che finiste tra le grinfie di Russia! O forse a voi piaceva di più fare gli straccioni con gli stipendi tutti uguali, ubriachi di chiacchiere su fratellanza, comunione di beni eccetera? Allora?”

Gli si gonfiò il petto vedendo alcuni di quelli che avevano parlato prima rimettersi a sedere.

“Sapete che vi dico? Al diavolo! Continuerò ad essere l’eroe che sono che vi piaccia o no… E tanto io ho Vietnam! Umpf!”

Rovinò tutto con una bambinesca linguaccia e se ne andò…


Tornò a Saigon di malumore, e quando era di malumore camminava con le mani ben ficcate nelle tasche del bomber e la testa al terreno; la rialzò solo una volta arrivato, afferrato per le narici da un profumino invitante!

Saltellando in punta di piedi arrivò in cucina, cogliendo alle spalle Viet mentre faceva fare gli ultimi saltelli alle verdure dentro il wok.

“Yum! Ciao, bambola! Mi fai favorire?” -ma quella, senza voltarsi, lo mise a posto con un colpetto del cucchiaio di legno sulle dita!

“Ahio… Sigh… Ho capito, non sono invitato per pranzo…”

“Bah! Mettiti a tavola, panzone!”

“YEAH! Ti adoro, Viet!”

Oltre alle verdure saltate, la ragazza mise in tavola dei tom kho, gamberetti in salsa di caramello, e una zuppa di pesce piccante. Si misero ciascuno a un capo del tavolo: America aveva dimestichezza con le bacchette, trovandole molto fighe, e quindi non ebbe alcun problema… ad abbuffarsi! Vietnam mangiò con calma ed educazione anche per lui…

“Gnom! Gnom! Gnom! Fantastico! Sei bravissima in cucina!”

“G-grazie…”

I complimenti erano un’arma infallibile: non si sarebbe tolto dalla testa la carinissima immagine del suo sorriso e del suo rossore per un bel po’!

“Non avevo proprio idea che la tua cucina fosse così buona… Gnam! Che sorpresa, e chi lo sapeva?”

“Già…” –aprì bocca smettendo di mangiare- “Non lo sapevi. Sai ben poco di me.”
Tirò il freno alle mandibole: “Gnom… Scusa?”

“Hai sempre detto che ti piaccio, che mi adori, che sei innamorato… Ma quando si è trattato di conoscermi davvero, o di sapere io come la pensavo, o cosa desideravo, passava sempre in secondo piano rispetto a te.”

“……” –qualche secondo dopo, America mandò giù il boccone. Poi lei si alzò da tavola.

“Viet, aspetta!”

La fermò per le braccia e la fece girare: “Va bene che ultimamente sei agrodolce come la cucina di voi asiatici, ma almeno non mettere in dubbio quello che provo per te. Mi sono comportato male con te in passato, ma poi ho fatto di tutto per farmi perdonare, no? Non vedi quanto ho fatto per te? Non significa niente?”

A sue parole quella sua aria battagliera le scivolò via, rendendo la sua voce un sincero bisbiglio dritto dal cuore: “Certo che significa molto. Hai fatto molto per me, anche più del dovuto: quello che abbiamo io e il mio popolo, se ora stiamo così bene, lo dobbiamo solo a te, e non ti ringrazierò mai abbastanza, America.”

Sorrise e cercò di baciarla. Ma le sue labbra si arricciarono e poi fuggirono via.

“Certe volte mi chiedo se solo ce l’avessi fatta a batterti… Se fossi riuscita a scacciarti da casa mia non mi sarei mai permessa di innamorarmi di te! Il mio nemico, l’uomo mi ha causato così tanta sofferenza!” –proseguì con disgusto, non si capiva se verso di lui o verso sé stessa.

“Ma si può sapere che hai? Avevi appena finito di ringraziarmi! Mi dici che sei innamorata e poi fai così! Sigh! Non ti capisco proprio! Ce l’hai con me o non ce l’hai con me?”

“Ovvio che ce l’ho con te! Sono diventata una bella nazione moderna, ho un invidiabile “diciamo così” fidanzato, ma ho perso il mio orgoglio!”

“Ma se hai appena finito di dire che non sei mai stata meglio in vita tua e che sei pure innamorata allora che vuoi che sia?!”

“IL MIO ORGOGLIO ERA MOLTO IMPORTANTE PER ME!”

Tanto chiaro che fu costretto a sturarsi le orecchie! Strano: trattandosi di orgoglio avrebbe dovuto capire di cosa stesse parlando, eppure non ci riusciva. Che spiegazione poteva mai avere un simile atteggiamento, e che centrava l’orgoglio? Quasi quasi era meglio quando lo prendeva a remate e basta.

“Donne…” –mormorò guardandola andar via.

Sapeva che erano un mistero, ma questo era molto peggio: era schioppata forte! Ma non era solo quel suo cambiare carattere da un momento all’altro a preoccuparlo. Se c’era qualcosa che aveva sempre dato per scontato, fosse solo per riprendersi dal pensiero del suo fallimento, era che Vietnam sarebbe stata di certo molto più felice con lui che con Russia; era andato avanti con quella convinzione ben radicata dentro di sé, ed aveva fatto quella domanda proprio per mostrarle che era così. Adesso invece non sapeva più a cosa credere, se al suo odio o a quegli sprazzi di dolcezza che di tanto in tanto gli rivolgeva, e che non sembravano proprio finti.

Non gli restava che grattarsi la testa e riflettere. Doveva cercare aiuto, rivolgersi a qualcuno, qualcuno che di donne ne capiva benissimo, e che potesse districare la sua contorta mente femminile!

 

Più che districare alcunché, Giappone sembrò subito a corto d’aria: “E-e-ecco, io… N-non so che dire… Non sono poi così… esperto…”

“Ma come no?!” –si disperò America- “Sei la mia sola speranza, Giappone! Non puoi mollarmi così! Uno come te, così beneducato, così affidabile, così noioso, deve per forza saperla lunga in fatto di donne: a loro piacciono i tipi timidi e coccolosi!”

“N-non sono poi così coccoloso…”

Afflitto, Alfred si lasciò andare con la testa sul tatami, troppo deluso per bere la tazza di tè che Giappone gli aveva preparato.

“Che cosa posso fare allora, amico? Non riesco proprio a capire come ragiona quella sua testolina: non posso andare avanti schivando porcellane di giorno e facendo sesso la sera!”

Alla parola “sesso” Giappone divenne più bollente del proprio tè, che prese ad evaporare a contatto con le sue labbra!

“Ehm… Forse potresti rivolgerti a qualcun altro?” –cercò di aiutarlo in qualche modo, anche per togliersi da quella conversazione imbarazzante- “Magari a una ragazza? Insomma, forse una ragazza saprà capirne meglio un’altra…”

America riprese vitalità: “Ma… è geniale! Perché non è venuta a me quest’idea? Giappone, sei ufficialmente un grande!”

“Lieto di esserti stato d’aiuto…”

“So già a chi chiedere per darmi una mano... Uh uh uh!”

 

Una tattica davvero infallibile: Vietnam, in quanto ragazza, non avrebbe resistito alla tentazione di una chiacchierata tra sole donne, con Taiwan poi, con cui era così amica. C’era ovviamente da convincere Mei a fare il lavoro sporco per suo conto, ma per quello era bastato prometterle di che le avrebbe organizzato un appuntamento con Giappone (chissà come sarebbe stato contento!).

Tutto quello che doveva fare era passare a trovare Viet con una qualunque scusa, e spingerla a parlare di lui e scoprire in tal modo cosa le passasse davvero per la testa, per poi riferirglielo. Quello che non le aveva detto però, era che in realtà lui sarebbe stato nei paraggi della casa e avrebbe cercato di sentire tutto in presa diretta!

“Ih ih ih! Altro che il tuo 007, Inghilterra! Questo è essere spia!”
Arrivato in punta di piedi fino alla porta della camera da letto, dove si trovavano le due, sfoderò il suo infallibile attrezzo del mestiere: uno stetoscopio da appoggiare alla porta!

<< Benone! Sono in posizione! Allora… Vediamo un po’ cosa pensi sul serio di me, Viet! >>

Sentì per prima la voce di Taiwan: “Non ti capisco proprio…”

<< Nemmeno lei?! Ma com’è possibile?! >>

“Insomma… Prima parti lamentandoti di America, di quanto sia chiassoso, vanitoso, insopportabile, grasso…”

<< Non sono grasso, sono capiente! >>

“Poi mi dici che gli sei grata, che ti piace quando fa di tutto per fare colpo su di te o ti fa dei complimenti; e l’attimo dopo sei di nuovo arrabbiata per aver perso contro di lui… Insomma, noi donne possiamo essere un po’ complicate a volte, però forse tu lo sei un po’ troppo!”

“Lo so, Taiwan, lo so…” –sbottò a mò di scuse- “Ora capisci perché sono tanto imbestialita? Ecco cosa non sopporto di questa faccenda di me e lui! Dannato America!”
“Quindi… lo odi?”
“SI! Più di chiunque altro! Grrr!”

“Sigh… Ma poco fa mi hai detto che lo ami…”

“Infatti.”

“Non capisco…”
“Puro è così, questo è il problema!”

Taiwan gettò un sospiro e la spugna: “Sigh, sei un caso unico…”

“Non lo sopporto…”

“Si, l’hai già detto…”
“Intendevo…”

“Si?”

<< Si? >> -aguzzò i sensi America presentendo una svolta.

“…… Se vuoi piangere fallo, non ti preoccupare.”

<< … Piangere? >>

Lo stetoscopio era veramente un attrezzo eccezionale per origliare: sentiva persino lo scorrere delle sue lacrime, o forse era solo la sua fervida immaginazione se gli sembrava di essere lì in quella stanza, e di vederla, singhiozzante con la testa appoggiata sulle ginocchia dell’amica.

“Io… Non sopporto più tutto questo! Non ce la faccio più!”

La gola di America si era fatta di colpo secca.

“Ma… Viet… Vorrei aiutarti, ma devi spiegarti meglio… Qual è il problema?” –chiese Taiwan.

<< Qual è il problema? >> -la supplicò di dirglielo.

“Io lo amo, o almeno credo; e lui mi tratta bene, vuole rendermi felice, e vorrei esserlo, ma… stare con lui invece mi fa stare tanto male! Non immagini quanto mi fa stare male!”

Si interruppe per tirar su, e darsi tempo, per chiarire finalmente le cose anche a sé stessa.

“Io ho letto Marx, e ammiro un sacco Russia, se solo avessi potuto decidere da me ora starei dalla sua parte… Era questo che volevo! Eppure, con America tutto è andato a meraviglia, e io non ci capisco più niente! Mi sembra di aver tradito me stessa, le mie idee, la nazione che volevo essere… Forse sarei stata peggio, ma almeno sarei stata veramente io!”

“Viet…”

“Invece… Ora non so neppure più chi sono… E cosa voglio!”

Taiwan le diede un’altra carezza: se ne era accorta. E anche America nascosto lì fuori.

Com’è possibile, si chiese, sentendosi mancare persino la forza di tenere appoggiato lo stetoscopio alla porta. Com’era possibile che una nazione preferisca essere peggiore piuttosto che felice? Com’era possibile che qualcuno non sia felice nemmeno se ama ed è amato?

Viet emise un lungo gemito, cercando di vincere i singhiozzi e continuare.

“Io vorrei tanto non essermi mai innamorata di lui! O smettere di esserlo… ma non ce la faccio… Non ce la faccio più… Se solo non mi fossi mai innamorata di lui!”

Credeva di trovare delle risposte facendola parlare, ma pure non ci capiva niente, perché non era lei quella che doveva capire, ma lui.

Lui, quella becera superpotenza che ama così male qualcuno da costringerlo a fare scelte giuste che mai avrebbero fatto; ed era un errore imperdonabile.

Gettò il fonendoscopio su una poltrona del salotto, in modo non facesse rumore, per poter uscire dalla casa senza essere notato.

Qualche minuto dopo, Alfred Jones si ritrovò a camminare in mezzo a una strada, abbracciato dalle allegre luci di Saigon che ringraziavano solo lui se brillavano così forte. Davanti agli occhi gli passavano gli sbagli di una vita; imprese sofferte ma vittoriose che avrebbe rifatto potendo tornare indietro, e brutti colpi da cui con fatico si era ripreso e che aveva desiderato cancellare, da bravo stupido, senza capire quanto l’avessero fatto crescere in realtà. La amava perché era l’unica ad avergli dato una lezione, e anziché farne tesoro, ci aveva passato sopra una spugna, e ora lei era più che mai infelice in quella felicità non richiesta che le aveva donato.

Si era innamorato di una tigre indomita, e tanto aveva imprecato e sbattuto i pugni perché non era stata sua allora, né mai in seguito; ma se lo fosse stata, se fosse entrata nella sua gabbia dorata, lei non poteva essere che un gattino addomesticato, senza più fascino, senza più fiducia in sé.

Il suo passo si fece più lungo, come fuggisse, da un sé stesso che era finalmente riuscito a vedere dopo essersi a lungo rifiutato: così pieno di sé, così prepotente, così odioso.

Mancava solo una bella pioggia pesante a completare il quadro della sua sera più brutta, ci sarebbe stata d’incanto quel punto; e infatti, come l’avesse chiamata, eccola scendere giù a picchiargli sui capelli e appannargli gli occhiali, ma anche a fargli un grosso favore: nascondere le lacrime dell’eroe che, come la sua bella, non ce la fa proprio più.

“Basta!” –gridò al cielo.

Respirò tra i denti stretti: “Io non voglio aver vinto la guerra! Doveva decidere lei! Era lei l’eroina, lei doveva vincere!”

Singhiozzò: “Non voglio che pianga più per colpa di questo idiota! Voglio tornare a casa!”

Spalancò le braccia, aspettando che la macchina si decidesse a rispedirlo indietro.

“Voglio uscire da questa stupida ucronia!”

“MUUUUUUH!”

“?”

L’ultima cosa che vide, prima di svenire, fu il capoccione del bufalo d’acqua che trainava il carretto che stava per investirlo!

America, privo di sensi, affondò in una pozzanghera: non puoi metterti in mezzo a una strada in una capitale trafficata come se niente fosse.

 

 

“America?”

“Bufalo… Ohi ohi…”

Gli si snebbiò la vista e vide un cerchio di teste e facce preoccupate sopra di sé.

“Oh, meno male… Sono uscito dall’ucronia…”
Inghilterra gli porse una mano: “Credo tu sia un po’ intontito; di che ucronia parli?”

“Ma… La mia ucronia, no?”
“Veramente non c’è stata nessuna ucronia.” –spiegò Giappone- “Vietnam ti ha rotto in testa il remo e sei svenuto: sei rimasto qui a terra per un bel po’ di tempo.”

Quindi quella non era la sua macchina: stava solo sognando!

“A questo proposito, credo che Vietnam qui voglia dirti qualcosa… Vero?”

“Umpf!” –sbuffò lei, poi qualcuno le diede una spintarella- “Ti chiedo scusa se ti ho colpito così forte: non ci ho visto più ed ho esagerato, va bene?”

Sgranò gli occhi su di lei: quindi non aveva visto nulla di ciò che aveva visto lui!
Sorrise pensando a cosa sapesse adesso: ci aveva visto giusto, lei nutriva realmente dei sentimenti verso di lui, un bel po’, nascosti, ma c’erano! Aveva sempre avuto ragione, doveva dirglielo!

Si rialzò di botto, spaventandoli un po’: “Ragazzi! Anche tu Vietnam… Non avete idea di cosa ho visto! Cioè, di cosa ho visto nel sogno, mentre ero incosciente!”

Vietnam incrociò le braccia: “Sentiamo, che cosa?”

“......”

Lo notò. Quel suo lento cambio d’espressione, il modo in cui il respiro corto andasse via via calmandosi, e la luce in quegli occhi eccitati che non vedono l’ora di dirti qualcosa si spegnesse, lasciando il posto a un velo di tristezza dissimulato da un piccolo dolce sorriso; e non sapeva come mai, visto che era di America che si trattava, ma quella tristezza iniziò a pervadere anche lei, dandole l’impressione di essere il motivo di quella gioia che per un istante l’aveva animato, e il motivo per cui non sarebbe mai venuta a galla.

“Oh, niente… Cose che eccitano più che altro me, tipo… Un formato di patatine alte come la statua della libertà e… insomma, cose del genere…”
“Cose da America…” –riassunse Inghilterra con una punta di bruciante humor.

“Eh eh eh, già…”

Si fissarono, mentre gli altri, passato lo spaventano tornavano ai fatti propri.

Alfred poteva giurare che avesse avvertito qualcosa di strano. Ma in questo mondo lei non aveva motivo per permettersi di innamorarsi di lui: senza pensarci oltre, la sua espressione si irrigidì nuovamente, e poi gli diede le spalle.

America infilò le mani nelle tasche del giubbotto, seguendo con gli occhi lo svolazzare del codino di quella fantastica ragazza che, anche se povera, arretrata e sotto pessimi capi, aveva il passo fiero e la testa ben dritta di chi ha detto l’ultima parola, e sa chi è che cosa vuole. Non aveva bisogno di sapere cos’altro non credeva di volere, nel suo profondo, col rischio che le sconquassasse il cervello.

Si girò anche lui: quella guerra sarebbe per sempre rimasta la sua vergogna, a ricordargli di farsi un bell’esame di coscienza quando ce n’era bisogno; come era finalmente riuscito a fare una volta tanto nel suo sogno… Se solo Arthur l’avesse saputo, sarebbe stato così contento.

Così, un po’ triste e un po’ sorridente, America tornò accanto alla sua macchina, pronto a chiedere, con la sua solita energia, chi di loro sarebbe stato il prossimo, sicché il divertimento potesse riprendere.

E nel frattempo, da consumato cinefilo, pensava a una bella frase, un po’ sentimentale e un po’ scontata, per chiuderla lì.

<< Sai che due si amano davvero quando uno dei due non rinuncia anche se non funziona e l’altro lo fa per lo stesso motivo. >>

 

 

 

Ed eccoci qui… Agrodolce fino alla fine questo capitolo, vero?
Spero tanto vi sia piaciuto; all’inizio non mi aveva convinto molto quando l’ho pensato, specie considerando che il punto di partenza per l’ispirazione è stato il finale di un certo film con Jim Carrey (una pacca sulla spalla a chi ha capito e me lo scrive nel commento! XD), ma poi scrivendola sono riuscito ad affezionarmici di più e alla fine ecco che ve l’ho presentata. A voi la sentenza! ^__^

Un grazie a chi ha dato il suggerimento per l’ucronia, e che mi perdoni se ancora una volta non ricordo chi è! XD Senti questo capitolo anche come tuo ^__°

Alla prossima, e buone feste da TonyCocchi!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 14
*** E se Giappone non fosse uscito dal suo isolamento? ***


Di nuovo un saluto a tutti da TonyCocchi! Rieccoci ad un altro appuntamento con questa serie di ucronie che vi sta parecchio deliziando e che mi ha dato parecchie soddisfazioni! Ora che la stagione fredda è finalmente arrivata, non c’è nulla di meglio che starsene al calduccio di casa propria, io a scrivere e voi a leggere, vero? ^__^

Non credo che anche quest’anno scriverò anche qualche fic a tema natalizio (ce ne sono già un paio nella mia gallery, anche se non su Hetalia, chi è curioso magari dia un’occhiata ^__°), ma spero comunque che i miei capitoli stiano contribuendo, insieme con alberello e riscaldamento, a darvi il giusto buonumore e la giusta spensieratezza in questo tempo di festa!

Quindi, ancora una volta, buona lettura!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

 

PPS: Un ringraziamento a Darkshin, alias Rob, per il contributo all’ideazione di questo capitolo! ^__^

 

 

“Ve, meno male che America sta bene: quella botta è stata veramente forte.” –disse Italia, seduto tra le altre due ex-potenze dell’asse.

“Ha la testa dura quello lì.” –ostentò tranquillità Germania; la minore premura mostrata rispetto all’amico derivava certo dal diverso carattere, e dalla convinzione che tutti i cretini alla fine ce l’hanno la testa dura…

“Mh.” –fece Giappone, senza sbilanciarsi troppo nel discorso, come sempre.

“Mi chiedo chi farà la prossima domanda!”

Ludwig guardò l’orologio: “Io mi chiedo se non ne abbiamo già fatte abbastanza.”

“Germania, perché non provi tu? Potrebbe essere divertente!”

Il biondo storse il naso e guardò altrove: “No, io… Non ho nemmeno una domanda da fare, ecco.”

“Posso suggerirtela io!” –alzò la mano lui, come un alunno volenteroso che non vede l’ora di farsi interrogare dal “maestro”- “Perché non chiedi come sarebbe stato se tu, io e Giappone avessimo vinto la Seconda Guerra Mondiale?”

“NEIN!” –quel suggerimento gli provocò diversi effetti collaterali, tra cui shock, brividi, sguardo sfuggente per evitare contatto visivo, espressione inorridita, e ovviamente lo sbraito in lingua madre.

Purtroppo Feli sembrava sottovalutare la categoricità di un “Nein!” urlato come si deve: “Ve, ma perché? Non sarebbe bello se una volta tanto vincessimo? Se sei timido glielo dico io ad Ame…”

Nessuno mette in dubbio un “Nein!”, pena lo sguardo spaventoso e la forte mano di Ludwig che ti preme sulla testa minacciando di ridurti in maccheroni quel tuo cervello da sempliciotto: “Ho detto “Nein”, Italia… Non farmelo ripetere…”

Quando un tedesco dice “Nein!” è “Nein!”…
“Veeeeee! Non ti arrabbiare!” –riuscì a malapena ad esclamare tanto tremava!

“Umpf!”

Peccato che a Germania non interessasse, pensò carezzandosi i capelli schiacciati: finora aveva visto che sarebbe successo se fosse rimasto fuori da quel conflitto, vincerlo invece gli mancava. Magari sarebbe bastato che avesse imparato un po’ prima a lanciare bene le granate e sarebbe andato tutto bene: un po’ di colpa se alla fine il suo amico non ce l’aveva fatta era anche sua… Però, visto che era inutile insistere, si tornava alla domanda di partenza: chi poteva chiedere un’ucronia adesso?

<< Non guardare da questa parte… Non guardare da questa parte… Non guardare da questa… >>

“Giappone!”

<< … Sigh! No, ti prego! Sono riuscito a starne fuori fino ad adesso! >>

“Giappone, perché non vai tu? Non hai qualche curiosità da chiedere?”

“Ecco…”
Purtroppo, mentre ancora escogitava un piano per salvarsi dall’impiccione italiano, arrivò America, che casualmente li aveva sentiti: “Giusto, Giappone! Avevo giusto la sensazione che mancasse qualcuno di importante! Tu devi assolutamente chiedere qualcosa alla mia macchina, non fare complimenti!”

“M-ma a me piace fare complimenti!”

Quanti complimenti avrebbe elargito, pur di non essere lì, con Italia da un lato ad alternare “Ve!” e “Dai!” nel suo orecchio e America dall’altro ad stringerlo con un braccio e incoraggiarlo a sua volta.

“Ah ah ah! Giappone, conto su di te! Sei uno dei più popolari qui intorno, non puoi non rendere onore alla mia meraviglia!”
“G-g-grazie, America, sono onorato, ma… Non dovevamo vedere la tua ucronia su Vietnam?”

“Ti cedo il posto, tranquillo!” –lo sentì rispondere iper-sbrigativo, ancora prima che Vietnam cercasse con lo sguardo il suo remo (ricomposto nel frattempo con un po’ di nastro adesivo!), anche se c’erano altri motivi in realtà…

“Il pubblico non vuole me, Giappone, vuole te!”

Che vergogna, di certo lo stavano fissando tutti! Eppure America doveva saperlo che non gli piaceva essere messo in mezzo. Ma la via della fuga era sempre più stretta, e l’unico modo per toglierselo di torno era diventato, ormai, accontentarlo.

“Va bene, se insisti chiederò…”

“Si?”

Non gli veniva in mente nulla, e quel ritardo nel formulare la domanda gli stava procurando ancora più imbarazzo!

Italia provò a spronarlo un pochino: “Ve, Giappone, se sei troppo timido puoi dirlo a me e poi io lo dico ad America.”

“Timido…” –ripeté Giappone- “E-e-ecco! Ce l’ho!” –fece un inchino verso Alfred- “Perdona la mia impreparatezza nel rispondere!” –poi si inchinò verso tutti gli altri… a ripetizione- “Scusate… E scusate in anticipo se la mia ucronia non dovesse piacervi.”

America si asciugò un gocciolone e lo fermò prima che a furia di inchini gli venisse il mal di schiena: “Questa domanda?”

“S-si! Allora… Come tutti sapete, io sono sempre stato un tipo calmo e riservato, silenzioso, in una parola molto introverso… C’è stato un periodo della mia vita in cui mi sono addirittura chiuso al resto del mondo, pensando solo alla quiete di casa mia e non accettando visite da nessuno, salvo poche eccezioni…”

“Io ero una di queste.” –chiarì Olanda- “Commerciava unicamente con me, ma se volevo passare a trovarlo dovevo avvisarlo con almeno una settimana d’anticipo per permettergli di prepararsi psicologicamente all’incontro.”

Prussia rise: “Ah ah ah, ma fai sul serio? Questo non è molto magnifico da far sapere in giro, sai?”

“Beh, non è completamente da biasimare se non si fidasse di voi occidentali.” –si levò a difenderlo Cina, che l’aveva cresciuto sin da piccolo- “A quel tempo il vostro passatempo preferito era spartirmi tra di voi! Naturale che avesse un po’ di paura, è sempre stato un bambino sensibile lui.”

Giappone arrossì e nascose il viso: col senno di poi riusciva ad ammettere di essersi un po’ lasciato andare alle sue paranoie in quel periodo!

Uno schiocco di dita lo riportò alla realtà.

“Ci sono!” –fece America- “Ho capito dove vuoi arrivare! Vuoi chiedere come sarebbe stata la tua storia se fossi stato un tipo diverso, più aperto, più frizzante, più amichevole e genuino… Più come me insomma!”

Nella nuvoletta che si formò sopra la sua testa, Giappone assistette ad uno spettacolo raccapricciante: vide sé stesso, col bomber di America e i capelli in gelatinati all’insù che parlava all’assemblea delle nazioni strafogandosi di un onigiri dopo l’altro, farfugliando e facendo strani (ed equivoci) gesti con l’altra mano!

“Ai-ya! È diventato più bianco di Shinatty-chan!” –si spaventò Cina, e non solo lui!

“NO! NONONONONONO! Non è questo che voglio chiedere!” –dovettero poi aspettare un minuto che riprendesse fiato, prima che potesse continuare!- “Non è che a me dispiaccia essermi aperto, anzi, ringrazio America per l’aiuto che mi ha dato all’epoca.”

America accolse i ringraziamenti ribadendo quanto era mitico: “Esatto, è stato l’eroico sottoscritto a sottrarre Giappone dall’isolamento in cui si era rinchiuso! Umpf!”
“Davvero? E come hai fatto?” –chiese Italia.

“Semplice! Sono passato da lui diverse volte per invitarlo ad un bel barbecue in amicizia e convincerlo così a fare la conoscenza anche di Inghilterra e degli altri, ma per quanto ci provassi ha sempre rifiutato il mio invito… Finché un bel giorno non mi sono presentato sotto casa sua con delle navi da guerra minacciando di fare un pandemonio se non veniva fuori a farsi quello stramaledettissimo barbecue!”

“……”
“E così l’ho convinto!”

“Da lì presi la decisione di modernizzarmi e divenni una grande potenza, e adesso sono contento di avere molti amici. Però vorrei sapere che fine avrei fatto se America non fosse intervenuto; voglio dire, sarei riuscito ad uscire con le mie sole forze da quella solitudine? Sarei riuscito comunque a farmi degli amici senza quella “spintarella”? Era questo che volevo chiedere.”

“Ve, io sono sicuro di si! Cucini bene, quindi tutti avrebbero voluto essere tuoi amici!”

“Un po’ riduttivo, Italia, non penso basti il cucinare bene…” –disse America- “Però è vero, tu piaci alla gente! Cosa sarebbe il mondo senza Godzilla?”

“O lo yaoi!” –aggiunse Ungheria.

“Bene, facciamo partire la domanda allora! Però, Giappone, posso chiederti un piccolo favore?”
“Che cosa, America?”

Alfred congiunse le mani e pensò ad un hot-dog senza ketchup per farsi venire gli occhioni tristi: “Ti prego, almeno tu che sei un amico vai nell’ucronia in prima persona! Da quando tutti sanno della modalità spettatore nessuno più ha voluto farsi risucchiare (almeno volontariamente), ed è un grande spreco! Tu adori la tecnologia e la realtà virtuale come me, quindi puoi capirmi!”

“M-ma io volevo restare qui veramente! Mi vedranno tutti sullo schermo! E-e poi con la mia domanda voglio sapere se ce l’avrei fatta a diventare un po’ più socievole con le mie sole forze, se ci vado da me che l’ho chiesto che senso ha?”

“Ti preeeeeeeeego!” –lo supplicò pensando ad un cowboy a cui hanno rubato tutti i vitellini.

“Ecco… Va bene, se è così importante per te…”

<< Giappone è troppo ben educato per scontentarlo… >> -pensò Italia…

<< America è troppo stupido per capirlo… >> -pensò Germania.

Così, a patto che il risucchio avvenisse in modo decoroso (tutto in una volta, senza teste mangiate comicamente), Giappone andò a sperimentare sulla propria pelle gli effetti che avrebbe avuto su di lui un più lungo distacco dal mondo esterno; sarebbe  stato ugualmente bene per conto suo, dimostrandosi ancora una volta un tipo solitario, e che si può bastare a sé stessi, o avrebbe trovato conferma che è meglio abbracciare il mondo anziché snobbarlo?  

 

Grazie alla sua pratica nelle arti marziali, cadde nella sua storia alternativa con agilità, piegandosi su un ginocchio. Si sollevò e aprì gli occhi. Fu una vista piacevole, constatò con sollievo.

“Stupendo!” –esclamò, vinto dall’emozione- “Questo è… Il vecchio Giappone di una volta!”

Era al centro di una via, tra due file di edifici di legno bassi e dai tetti spioventi tipici di casa sua e di Cina; c’erano mercanti che contrattavano fuori dalle loro botteghe, manovali che si sforzavano sotto il peso delle merci, bambini che giocavano, donne di casa e geisha che svolgevano le loro commissioni, e tutti, proprio tutti, vestiti dei suoi abiti tradizionali: kimono per gli uomini, yukata per le signore, e i sandali di legno geta ai piedi dei passanti erano un concerto che lo riempiva di una ridente nostalgia.

Lo superò un gruppetto di tre uomini dai capelli rasati davanti e raccolti in crocchie dietro; indossavano lo jinbaori e il portamento fiero si spiegava con ciò che portavano al fianco. Fodere lucide e laccate che risplendevano alla luce non meno delle eccezionali katane che contenevano: samurai, samurai autentici. Da quanto tempo non ne vedeva.

“Ah, i vecchi tempi, prima che l’occidente irrompesse da noi... Questo Giappone qui è rimasto così giapponese… Uh?”

Si accorse che anche i suoi vestiti si erano adeguati all’ambiente: indossava un kimono blu, coperto da un haori chiaro, sotto il quale c’era un hakama, la gonna-pantalone dai bordi pieghettati, di colore scuro. La sua fida katana era ovviamente lì, assicurata alla cintura dal sageo annodato alla perfezione; ma in fondo, spadone a parte, ai festival continuava ad indossare vestiti del genere, quindi la sorpresa maggiore parevano essere piuttosto i capelli.

Li portava lunghi, raccolti dietro in un cilindro da cui spuntavano e scendevano giù sulla schiena come una selvaggio crine nero come la notte.

“Mhm…”

Non era da lui farsi dei complimenti da solo, e non se ne lasciò scappare ad alta voce… Ma dentro gli piaceva davvero molto non portare più la solida scodella in testa! Come se una macchina creata da America gli avesse fatto il favore di donargli un look più tosto!

Iniziò a camminare e a sorridere inconsciamente, rispondendo ad ogni inchino di saluto con cui veniva onorato strada facendo. Come Inghilterra, anche lui era ritornato indietro fino a tempi d’oro: i suoi erano i tempi dei grandi guerrieri e dei daimyo, dei fascinosi e oscuri ninja e delle graziose suonatrici di koto nelle osterie, dei kami e dei kappa nel laghetto sotto casa, che tempi!

<< Fantastico, mi sembra un sogno! E io che avevo troppa paura per chiedere un’ucronia, ma devo dire che non è così male! >>

I suoi occhi brillarono vedendo i templi shintoisti nel loro antico splendere e i grandi castelli di roccia bianca ancora solidissimi sulle loro radici di pietra.

Col fiato mozzo, si portò le mani davanti al petto per afferrare… il vuoto!

<< Oh, già! Eh eh, niente macchine fotografiche… >>

Forse era tornato troppo indietro? Probabilmente no, anzi, forse molto poco. Se l’isolamento era proseguito di più in quel mondo, probabilmente erano già state inventate, solo che lì non erano mai pervenute, o se c’erano erano rare e le portava Olanda quei pochi giorni in cui era disponibile ad avere contatti con l’esterno.

<< Peccato, ma non si può avere tutto. >> -la prese con filosofia- << Voglio andare un po’ a casa mia adesso. >>

 

Casa sua era sempre stata un posto quieto, ma aveva dimenticato quanto potesse esserlo senza il rumorio lontano della vita moderna oltre i muretti di pietra che contornavano il giardino. Anche il tè, che Kiku si gustò inginocchiato sul patio con vista sul laghetto di koi, gli sembrava più buono e rasserenante del solito, merito anche dell’aria che respirava, non inquinata dall’industria.

D’altra parte, aveva anche dovuto fare i conti con l’assenza di qualunque tipo di elettrodomestico o apparecchio tecnologico, chiaramente l’altra faccia della medaglia. Anche la consapevolezza che quella soave pausa non sarebbe stata interrotta da nessun visitatore troppo affettuoso, con occhiali, riccioletti o altro, che gli faceva piacere oltre ogni immaginazione, aveva il suo risvolto in uno strano, lontano senso di vuoto al centro del petto.

Solitudine, si disse, anche i tipi che stanno bene da sé non ne sono immuni, specie se hanno sperimentato il significato di avere intorno persone tanto diverse (e molto meno rigide) con cui confrontarti.

Giappone in ogni caso era famoso per mantenere il raziocinio in ogni situazione: a differenza degli altri nelle loro ucronie, non si sarebbe lasciato illudere e irretire dai vantaggi che l’alternativa sembrava avergli portato, spesso rivelatisi fallaci, né si sarebbe lasciato abbattere da ciò che invece gli aveva tolto, ben sapendo che altrimenti non avrebbe avuto senso in primo luogo chiedere un cambiamento, e comunque di poter ritrovare ogni cosa com’era, una volta uscito da quel mondo altrettanto fasullo. L’importante era mantenere il giusto equilibrio, analizzando la sua vita attuale al confronto con quella alternativa con la dovuta accortezza.

Si rialzò e si sgranchì le ginocchia: “Quello che ci vuole dopo un bel tè è una bella lettura all’aperto. Mi ci vuole un manga!”

Le persone rigorose sono anche abitudinarie di solito, e infatti Giappone aveva bisogno della sua lettura di mezzo pomeriggio. Se non fosse per un dettaglio che aveva trascurato…

“……”
Sulla sua libreria non c’era neppure un libro, al massimo rotoli di pergamena con ideogrammi ed esercizi di calligrafia, e di certo nemmeno un solo volumetto a fumetti!

“I miei manga… La mia magnifica collezione!”

Frugò un po’, ma il massimo che poté trovare fu qualche illustrazione, molto artistica e di gran valore culturale certo, ma di grandi occhi lucenti, linee cinetiche, capigliature improponibili, battaglie mozzafiato e commedie scolastiche neppure l’ombra! Dopotutto i manga erano esplosi solo dopo il suo sviluppo economico e tecnologico, ed era poi stato il successone riscosso dalla sua cultura all’estero a renderli tanto evoluti per la gioia di milioni di lettori nel mondo: peccato che qui i giapponesi non avessero alcuna intenzione di far conoscere la propria cultura a genti che sembravano loro così distanti e infide.

“Tutti i miei manga… Spariti… Che dolore indicibile che sento…”

E non era mica finita: perché i suoi manga non erano mica tutti lì!
Appena se lo ricordò, corse al lato opposto della stanza, scostò un tatami e frugò in uno scomparto segreto, accorgendosi che non c’era proprio nulla da frugare!

“No! La mia collezione di hentai! È sparita anche que… !!!”

Il pensiero che decine di occhi lo stavano guardando in quel preciso istante su uno schermo gli fermò la lingua: non abbastanza in fretta perché non comparisse, a seconda dei casi, un rossore o un sorrisetto sul viso di tutte le nazioni che conoscevano il significato della parola “hentai”…

<< Hai capito il nostro Giappone! >>

“V-vo-volevo dire…” -sbatté con forza inaudita il tatami al suo posto- “Nel caso qualcuno mi stesse ascoltando, che non ho detto collezione di hentai, ho detto collezione… di pagliai! Si, proprio così, colleziono pagliai, si…”

<< Come no, e li tieni lì sotto? >> -fecero gli altri, fissando il lago di sudore formatisi intorno a lui!

“F-forse posso rilassarmi con qualche videogame…”

Nell’angolo c’era una scacchiera da go, ma la grafica era così obsoleta… Per non dire assente!

“Forse potrei progettare qualche nuovo robot…”

Con quali materiali, quali chip e quali computer?

Come in crisi da astinenza, iniziò a strizzarsi i capelli del codino: “Tutti i miei hobby moderni non esistono! Tutti i miei robot non esistono, e le mie invenzioni, i miei action-figures, i karaoke, le idol…”

Gli era sempre mancato il caro vecchio Giappone, ma in effetti il Giappone “corrotto” dal nuovo, e a sua volta portatore di novità per il mondo intero, non era poi così male a ripensarci.
Praticò qualche esercizio di respirazione: “D-d-devo calmarmi… Io non mi scompongo mai, al massimo davanti a Godzilla… Dopotutto, non è detto che tutte queste cose non verranno inventate lo stesso in seguito: mi basterebbe schiacciare avanti sul telecomando e controllare!”

Lo pescò dalla tasca interna del kimono, ma il suo indice si ritrovò a indugiare sul tasto per via del tremore che lo scuoteva: “E… E se invece non le inventano? Se fosse così sarebbe un colpo ancora più terribile! N-non so se ho il coraggio di vedere un mondo senza manga, e senza fanfiction, e senza cosplayer, e senza il Natale che io festeggio come festa degli innamorati, e senza baseball, e senza pagliai…”

<< Ancora con questi pagliai? >>

Deglutì… Avrebbe osato premere?

“Giappone-sama!”

“Uh?”

Corse fuori sul patio, vedendo venirgli incontro due uomini altrettanto di fretta con le armi strette in pugno: “Giappone-sama, i demoni stranieri ci stanno invadendo! La loro flotta ha bloccato il porto!”

Ovviamente la sua volubile nostalgia venne subito accantonata dinanzi la serietà della situazione: “Chi sono?”

“Sono venuti da nord, non sappiamo a che clan di stranieri appartengano.” –rispose lui; chiaramente non poteva avere nessuna conoscenza di quelli di là fuori- “Stanno per sbarcare a terra!”

“Tutti a raccolta e prepariamoci alla battaglia, non c’è un minuto da perdere; quanti cannoni abbiamo a disposizione?”
“Cannoni?”

“Noi non usiamo quel genere di disonorevoli armi!”

“… Ah, no?” –chiese, col suo spirito battagliero a cui erano d’un tratto cascate le braccia per la sorpresa.

“Le armi da fuoco non sono armi da samurai! Con quelle qualunque vile può uccidere un valoroso che tanto si è addestrato nell’arte della spada! Difatti sono i cani occidentali senza onore ad utilizzarle.” –fece disgustato il primo guerriero.

“Noi ci affidiamo solo al nostro valore e alla nostra abilità, per proteggere il nostro signore e il nostro paese fino alla morte! Siamo fedeli alla spada e ai principi del bushido, la via del guerriero!” –levò alta la lancia il secondo.

“Solo armi bianche… Fa… Fantastico…”

Non era una triste battuta la sua: Giappone aveva adorato quel discorso, e in un altro contesto si sarebbe persino commosso. Purtroppo, sebbene idealmente desse loro ragione su tutto, sapeva anche prevedere le conseguenze pratiche del rifiuto del suo incredibile popolo ad abbassarsi ad usare armi che altri non disprezzavano affatto…

 

Indossata l’armatura, giunse al porto alla testa del suo esercito di samurai, variopinto per armature, armamentario e bandiere, e vi trovò ad accoglierlo delle gigantesche e corazzate navi da guerra con gli enormi pezzi d’artiglieria puntati su di loro; le sue giunche al confronto sembravano barchette giocattolo. Inoltre, se i suoi non avevano idea di chi li stesse attaccando, lui era in grado di riconoscere la bandiera che sventolava su quei pennoni…

“Oh, poveri noi… Russia…”

I soldati nemici, tutti in uniforme e col fucile carico al petto si erano schierati su una lunga fila, sull’attenti, mentre il loro comandante scendeva lungo il ponticello dalla corazzata al molo, canticchiando come avesse già vinto.

“Ciao, Giappone!” –lo salutò appena lo vide- “Alla fine anche se sei tanto scortese con tutti sono passato comunque a trovarti! Non sono una brava persona?”

“Russia, lasciaci in pace: viviamo isolati, vogliamo essere lasciati in pace e lasciamo in pace gli altri, non vi abbiamo di certo fatto nulla per giustificare quest’aggressione, no?”
“Perché, le aggressioni si giustificano?” –rise lui- “Avevo solo voglia di espandere un po’ i miei domini, tutto qui!”

Kiku strinse i pugni, ma non era nelle condizioni di intimorirlo, e i suoi uomini sembravano sottovalutare quei guerrieri che troppo a lungo avevano ignorato oltre i loro confini, così infimi e di poco valore.

“Via gli stranieri dalle nostre isole!” –gridò qualcuno, e i samurai sollevarono le naginata e sguainarono le spade, urlando tutti insieme contro i russi e quei loro fucili che così poco rispetto avevano delle loro lealtà, onore, rispetto per l’avversario, e delle loro armature…

Russia si sgranchì le nocche: “Oh, che bello, mi piace schiacciare avversari battaglieri! Allora, Giappone, diamo il via alle danze?”

Kiku era tutto una smorfia di preoccupazione: non c’era modo di resistere a Russia e ai suoi con le loro armi. Sarebbe stato un massacro! Non era nel suo carattere arrendersi senza combattere, ma se accettava lo scontro, generazioni di eroici guerrieri sarebbero state umiliate.

Russia sguainò la sciabola per ordinare la carica e Giappone sguainò… il suo dito indice!

“S-solo un momento!”
“Si?”

“Ecco… Io… Vorrei evitare lo scontro se possibile…”

“EEEEEEH?!?!?” –fecero i samurai mentre le loro mandibole cascavano a terra.

“Hai… qualche richiesta che vorresti farci per evitare che qualcuno si faccia male?”

Russia ne fu parecchio rattristato: “Sicuro? A me piace quando qualcuno si fa male… Sigh…” –poi rialzò la testa con un maxi-sorriso- “Oh, beh, ho vinto comunque! Quindi voglio che mi dai un sacco di soldi, che firmi un mucchio di contratti commerciali vantaggiosi solo per me, e che togli Corea dalla tua sfera d’influenza perché mi interessa farlo mio… Ah, e stai alla larga anche dalla Kamchatka: io adoro la Kamchatka, la prendo sempre quando gioco a risiko!”

Giappone finse un sorriso e si costrinse all’inchino: “Bene! Sono richieste accettabili! Vero, gente?”

“……” –un mare di facce incavolate nere come la pece!

Un samurai si avvicinò con la mano aperta (e battendo il piede a terra con fare di rimprovero)… Kiku, sospirando, gli consegnò katana e wakizashi: avrebbe dovuto faticare per esserne di nuovo degno! Se non altro Russia era stato soddisfatto…

“Bene, allora noi andiamo! Ci rivediamo alla prossima, caro il mio primitivo vicino!”

Per il momento…

“Sigh!”

 

Nella sala, Polonia mollò una gomitata al vicino Lituania: “Ti pareva, chi poteva essere tipo il cattivo della storia se non lui?”
“Ssssh! Polonia!”

“Russia è sempre il solito bullo anche nelle ucronie, vero Lituania? Per non parlare in quella dove era padrone del mondo, ma tanto era solo una finzione, giusto? Ah ah ah!”

“Abbassa la voce, Russia potrebbe sentirti!”
Il biondino deglutì: “Tipo, questo non mi piacerebbe!”
I due si guardarono attorno, come se il mostro dovesse arrivare da un secondo all’altro…
“Fiuuu! Meno male, Liet, quel bestione non mi ha sentito! Ah ah! Però è vero, è il solito bullo, in qualunque realtà!”

“Abbassa la voce, Polonia…” –lo rimbeccò di nuovo, pensando che Ivan non fosse seduto poi molto lontano per non sentire quel discorso…

 

Non puoi permetterti di restare indietro, per giunta volontariamente, nel duro mondo delle nazioni. America lo aveva costretto ad accettare di far parte del mondo con la forza, ma almeno quando la minaccia di Russia si era presentata anni dopo, aveva saputo farvi fronte. Ora invece era stato lasciato in pace, ma arretrato e incapace di competere era finito dritto nel piatto di quell’insaziabile; come biasimarlo poi, un paese come il suo doveva apparire un facile bocconcino non solo per lui, ma per chiunque volesse approfittarsene: di quel passo sarebbero arrivati altri a contenderselo come un bocconcino, come era successo con Cina, che come lui, dall’alto dei suoi tanti secoli di prosperità e superiorità, aveva scioccamente sottovalutato i barbarici occidentali e la loro sconfinata avidità, passando così uno dei periodi più brutti della sua vita.

“La storia deve seguire il suo corso a quanto pare…” –si disse specchiandosi nella sua armatura e tagliandosi via coda, tornando (anche se non senza un po’ di dispiacere) alla sua piatta e a prima vista innocua scodella. In realtà nei suoi occhi già ardeva un irresistibile voglia di rivalsa.

“Anche in questo mondo devo procurarmi i mezzi per resistere e non fare la stessa fine di Cina, e io so esattamente dove trovarli… PURTROPPO! SIGH!”

 

AMERICA!

La terra dei liberi e la patria dei valorosi, dicevano… Uno assordante inferno, pensava invece lui: i clacson, i rombi dei motori, l’aria inquinata, la musica jazz ad alto volume, i mitra dei gangster, le urla dei venditori di hot-dog e il dolore ai timpani gli stavano già facendo cambiare nuovamente idea!
“GIAPPONE!”

Se non gli fosse arrivato alle spalle avrebbe avuto il tempo di atterrarlo con una tecnica di judo, invece Alfred era riuscito a mettergli le mani addosso e ad abbracciarlo!
“T-ti prego, America! Io non sono pratico di “effusioni”! Lasciami prima che ti chieda di sposarmi!”

Lo lasciò, ma solo per dargli una super-pacca sulla schiena: “Quando mi hai scritto dicendo di voler diventare mio amico e di volere il mio aiuto per modernizzarti non riuscivo a crederci per la contentezza!”

“A-anch’io sono contento di diventare tuo amico… credo… Ho avuto dei problemi con Russia, e ho pensato che tu magari avresti potuto essere così gentile da…”

“Ma certo!” –gli urlò nell’orecchio, per poi, tenendolo ben stretto per un braccio, trascinarlo via con sé a passi lunghi- “Io sono gentile e sono qualunque aggettivo positivo che potrai mai pensare! Vieni con me, ti mostrerò tutte le meraviglie che il paese più avanzato del mondo possa offrire ai campagnoli come te!”
“Campagnoli?”

Durante il giro per le esposizioni, Kiku aveva dovuto cercare di non ridere quando gli aveva mostrato, vantandosene a non finire, gli ultimi modelli di lavapanni, aspirapolvere e frigoriferi, i nuovi elettrodomestici che facevano gioire le casalinghe e che per lui erano invece datatissimi e somigliavano a cassonetti rumorosi e scassati.

Ordinò comunque un prodotto di ogni tipo, e, dopo un assaggio di torta di mele preparata dallo stesso Alfred, poté tornare al porto ad imbarcare sulla propria obsoleta nave di legno tutti i nuovi acquisti e le nuove tecnologie che avrebbero aiutato il suo paese a migliorare la propria pur fascinosa vita semi-medioevale.

“E qui ci sono le istruzioni per la ferrovia! Con due chilometri di binari omaggio che ho già fatto caricare a bordo!”

America poggiò anche quel volume sulla pila di libri che ormai superava la testa di Giappone: diventare moderno voleva dire studiare parecchio!

“È stato un piacere fare affari con te, Giappone! Appena riesci ad installare il telefono chiamami e dimmi come ti trovi con le mie meraviglie! Ah, e ricordati che ora devi concedermi di sfruttarti economicamente almeno un pochino come pegno d’amicizia, eh?”

“Certo, America, grazie di tutto.” –si inchinò- “Però… Come ti dicevo, devo badare che Russia non mi reputi così tanto indifeso, quindi non è che potresti…”

Il sorriso di America divenne più “cattivello” e negli occhiali si accese un lampo bianco: “Oh, capisco che vuoi dire… Tieni questa!”

Gli mise tra le mani un revolver, anche questo con l’omaggio di sette proiettili. Giappone si finse contento, ma provò lo stesso senso di vergogna e di rinnegamento di sé avvertiti quel giorno lontano in cui gli avevano mostrato le armi da fuoco, decidendo presto di non usarle mai più. Così come in seguito era poi tornato sui suoi passi, relegando la fedele lama a cerimonie e parate, nemmeno in quel mondo era riuscito a salvarsi dalla lotta per la sopravvivenza.

Ma anche in quel mondo era riuscito a decidere di trovare un amico.

“Ti ringrazio ancora.” –e stavolta voleva farlo all’occidentale, porgendogli la mano per una stretta, che lo sorprese e rese di nuovo innocente il suo sorriso.

 

Qualche miglioramento c’era stato, pensò dopo aver premuto il tasto avanti per vedere il risultato della sua pur ritardata apertura al mondo.

Ancora niente videogiochi o anime strepitosi, ma in fondo erano solo gli anni cinquanta: se non altro adesso poteva sorseggiare il suo tè ascoltando un concerto per shamisen alla radio, e si disegnava da sé i manga che poi leggeva la sera.

Era soddisfatto, ma anche dubbioso. Vero, si era aperto per sua scelta stavolta, ma pur sempre una scelta dettata dalla necessità: è dunque qui la tanto decantata amicizia e il bisogno di altri oltre che di sé stessi? Lui, non essendo il vero Giappone ucronico, ma interpretandolo soltanto, conosceva già da tempo America e il suo carattere: l’altro si sarebbe ugualmente rivolto a lui, o chiunque altro, dopo la batosta contro Russia? Inoltre, in quell’ucronia in cui solamente più tardi si era aperto a quel così amichevole mondo esterno, lui e il suo popolo si erano risparmiati un conflitto mondiale essendo troppo deboli per parteciparvi, e di conseguenza due angosciose giornate di agosto…

Stava forse a significare che era un bene essere almeno il più isolato possibile? Anche se, incredibile a dirsi, a volte era stato contento degli abbracci di Italia?

Posò pennello e tazzina e chiuse gli occhi, deciso a meditare su quell’argomento tanto arduo.

Ma la sua concentrazione venne presto rotta da dei colpi sulla sua porta.

“Oh? Cina. Che sorpresa.”

“Ehm, si, ciao Giappone, è parecchio che non passo a trovarti, vero?”

“Beh, ero un recluso per scelta fino a qualche decennio fa, non lo metto in dubbio.” -disse, notando però un imbarazzo forse eccessivo in Cina, di solito più composto davanti a qualcuno come lui, che aveva praticamente allevato da sé.

“Posso… entrare?”
“Qualcosa non va?”
“Purtroppo si…”

“Priviet!” –fece il testone di Russia comparendo dietro di lui.

“AAAARGH! RUSSIA?! Che-che ci fai tu qui?” –arretrò Giappone, dando modo ai due di entrare.

“Oh, niente di speciale! Sai, io e America stiamo discutendo su chi sia la migliore superpotenza e stavo pensando a un modo per dimostrare la mia forza: così, visto che Cina è un mio satellite (lo comando a bacchetta insomma) ed abita tanto vicino a te, ho pensato bene di “convincerlo” ad invaderti!”

Cina, sebbene ancora indipendente, era passato sotto il suo dominio: non avendo trovato un Kiku potentissimo e in ascesa a sbarrargli la strada, come nella storia del suo mondo, l’ambizioso Ivan aveva avuto potuto allungare il suo braccio più a fondo nell’Asia.

“Sigh, mi spiace Giappone! Purtroppo devo fare quello che mi dice: è lui il mio capo…”

“Urgh!” –Giappone guardò verso la porta che conduceva alla stanza dove c’era la sua armatura, ma Ivan svelto sbarrò la strada con la sua finta espressione rassicurante e il suo tubo che di rassicurante non aveva alcunché.

“Tranquillo Giappone, starai bene sotto il mio controllo, e grazie a te potrò impedire che America faccia troppo il gradasso qui in Asia e nel pacifico.”

Davanti a lui intanto Cina aveva messo mano al wok: cercava di trasmettere tutto il rammarico possibile, ma non cambiava il fatto che l’avrebbe attaccato da un momento all’altro.

<< Germania e Italia non verranno ad aiutarmi, non ho nessun vero alleato… Dovevo lasciarmi aprire con la forza e rinunciare a me stesso per sopravvivere, o restare un emarginato per diventare lo schiavo di Russia? Sembra che entrambe le scelte siano sbagliate. >>

E forse sbagliato era anche stare a pensare così tanto mentre rischiava di grosso in fondo. Eccoli che arrivavano!

STRAAAAAAP!

“?!?!?”

“Ta-daaa! L’eroe arriva sempre all’ultimo momento!”
E lo fa sfondando come un vandalo le pareti di carta della mia bellissima abitazione, aggiunse Kiku nella sua mente!

“Umpf! Giappone, non permetterò a Russia di farti alcun male: sei pur sempre mio amico.”

“America…”
Un punto per l’amicizia!

“E poi devo mettergli i bastoni fra le ruote ogni volta che posso per conservare il mio predominio anche da queste parti, ah ah ah!”

“……”

Un punto per l’emarginazione!

Russia, accigliatosi per un attimo, fronteggiò America in tutta sicurezza: “Che cosa vorresti fare, America? Se mi tocchi scatenerai la Terza Guerra Mondiale, e non sarà una cosa bella, lo sai…”

“Oh, infatti non ho la minima intenzione di torcerti un capello, mio caro bastardo!” –sghignazzò lui- “Vedi, io farò soltanto così… YAAAAAAA!”

“AI-YA!”

Urlando come un forsennato si gettò su Cina placcandolo a terra in stile football americano (appunto…) e tenendolo fermo col proprio peso!

“E se Cina finirà in mezzo sarà soltanto colpa sua!”

“Mhmm… Bella mossa…”
“Urgh! Giappone, ora non devi più preoccuparti per me!” –gioì Cina, preoccupato ora piuttosto che il suo fisico un po’ esile reggesse il blocco di quel panzone di Alfred!

“Si, ma io ho giocato le mie carte…” –fece questi diventando serio- “Sta a te ora!”

La situazione non era migliorata molto però: lui, bassino di costituzione, praticamente scompariva davanti quel Golia biondo. Però disarmato non era…

Estrasse la pistola di America: “Stai indietro!”

“Oh! Vedo che ti sei civilizzato, che bravo.”

Civilizzato? Solo per essersi dotato di un più efficace strumento per infliggere morte e sofferenza? E che ne era delle sue poesie, della sua arte e della sua musica, delle sue lunghe riflessioni guardando i ciliegi perdere i petali, e degli ideali di sacrificio e abnegazione a cui si vota ogni uomo degno? La mano che stringeva quell’arma gli prudeva come stesse impugnando ortica.

Non centrava civilizzato o meno, ben armato o meno.

Meglio morire da orientale che combattere e magari vincere come un occidentale. Gettò la pistola.

“Che fai?!” –sbiancò America.

“Umpf! Ti arrendi di nuovo?”

Non aveva più una katana vera da quando aveva perduto il suo onore, ma aveva ancora il bokken, la spada di legno, per riconquistarlo: veloce, corse a prenderla dal suo sostegno e si posizionò nella guardia da kendo. Russia lo puntò col suo tubo d’acciaio.

“Giappone! Non fare cavolate!” –si strappò i capelli il pesante eroe alla riscossa.

“Aru! Mettiti a dieta!”

L’aria si riempi di tensione, nella stanza e in tutta la casa, mentre Russia e Giappone si fronteggiavano, respirando così piano da sembrare statue, aspettandosi l’un l’altro, fino al momento decisivo. L’acqua del laghetto koi si smosse, agitata anch’essa da quello scontro imminente.

Alla fine scattarono entrambi nello stesso istante.

“KIAI!”

America sbatté le palpebre provando a capire: era bastato un lampo e ora Giappone e Russia si erano scambiati di posto, dandosi le spalle come si fa al nemico ormai battuto. Ma chi era stato battuto?

Giappone ripose il bokken nell’obi che aveva alla vita come una katana nel fodero.

Russia sorrise: “Però… Bravo il nostro asiatico.”

Il tubo cadde a terra con timbro metallico, seguito dalle sue ginocchia e dal resto del corpo.

Kiku espirò e rilassò finalmente ogni muscolo.

“GRANDE!”
Peccato che subito dopo arrivò America a stritolarlo e si fece di pietra!

“Giappone, amico mio, è stata la figata più pazzesca che abbia mai visto! Voi giapponesi siete un popolo mitico!”

Sorrise: l’opinione che era riuscito a dargli di sé in fondo era la stessa che aveva pure l’America reale.

Cina poté finalmente rialzarsi, indolenzito, ma contento: “Congratulazioni Giappone, ti sei fatto valere-aru!”
“Grazie Cina, un giorno ci riuscirai anche tu.”

“Aru!”

“Sarà, ma nel frattempo resta con me.” –disse Russia mentre si spazzava via la polvere dal cappotto come se nulla fosse successo!

<< QUESTO QUI È UN MOSTRO! >>

“Questa battaglia l’hai vinta tu America; ma ci saranno altre sfide e mi riscatterò con gli interessi.”

“Quando vuoi!”

Fatto tanto di cappello a Giappone, Russia si ritirò insieme a Cina, lasciando America libero di smanacciare l’austero padrone di casa quanto volesse.

“Magnifico! Stupendo! La tensione palpabile, poi l’attacco, la suspance, e lui che dopo un po’ si accascia… Era tutto così… strafigo! Vorrei conoscerti un po’ meglio! Anzi, tutti dovrebbero conoscerti: sei un tipo interessante, con un sacco di fegato e belle idee!”

Probabilmente l’ultima si riferiva ai progetti di automobili che gli aveva spedito una volta via posta…

“Stai con me amico, e ti farò diventare una potenza moderna e rispettata da tutti in quattro e quattr’otto! Che ne dici?”

Giappone disse grazie con le dita al bokken con cui era riuscito a sconfiggere Russia, anche se con il grande aiuto di America. Alla fine il vecchio e il nuovo l’avevano aiutato in quella brutta situazione, e non era poi nulla di diverso da come era in realtà.

Ogni cosa aveva seguito il suo corso; ora era chiaro.

Rispose con un rispettoso inchino: “Grazie del tuo aiuto, America, ma mi basta così.”

Kiku restò divertito dal modo curioso in cui Alfred osservò il telecomando, senza sospettare che l’aggeggio a cui apparteneva l’aveva inventato lui stesso. Finché sfumò nel bianco, insieme a tutto il resto.

 

“Eccomi qui.” –salutò tutti con un ennesimo inchino uscendo dalla macchina.

Si era lasciato alle spalle un America, ed eccone un altro arrivare col suo carico di eccessivo entusiasmo: “Mi piacciono un sacco questi duelli con la spada, sono belli come i miei duelli da far-west! O quasi… Sapevo che dovevo assolutamente farti chiedere un’ucronia, il botteghino avrà di sicuro buone notizie!”

Grazie al cielo arrivò anche Inghilterra con dei discorsi più sensati: “Allora Giappone, che cosa ne pensi? Com’è stata questa avventura?”

“Un’esperienza decisamente nuova, e io non ne faccio molte, quindi…” –scherzò lui, con tono di ammissione.
“Eh eh, già! Ma l’importante è che ti sia piaciuta.”

“Si infatti…” –si toccò la nuca Giappone, forse nostalgico della sua precedente acconciatura- “Devo dire di averla trovata molto edificante come esperienza.”

“E anche gratificante, dico bene?” –lo punzecchiò America- “Hai potuto fare un figurone contro Russia davanti a tutti! Yeah!”

“E lascialo parlare, America!”

Nel frattempo, qualche fila dietro di loro, Polonia e Lituania perdevano un battito all’udire una voce ben conosciuta dietro le loro spalle.
“Allora, voi due…”

“R-Russia!” –fecero i due, rischiando di cascare dalle sedie.

Un vero maestro nelle entrate spaventose…

“Alla fine il solito cattivone Russia ha avuto quello che meritava, non è così? Immagino siate contenti adesso voialtri.”

“V-veramente noi, tipo… Quello che volevo dire prima era…”

Qualunque cosa avesse voluto dire, Russia se ne era già andato.

“Fiuuuu! L’abbiamo scampata bella! Forse oggi non è in vena, tipo…”

Lituania sulle prime aveva reagito al suo stesso modo, ma al contrario dell’amico non riusciva a lasciarsi andare al sollievo e basta, senza rifletterci su. Conoscendolo un po’ meglio di Polonia, quel comportamento era strano, così poco da Russia; gli aveva trasmesso una vaga, annoiata indifferenza mentre osservava la loro reazione, come non gli interessasse sul serio minacciarli né far prendere loro un bello spavento tanto per gioco.

“Perché pensi sia stata molto educativa?” –domandò Arthur.

“Vedete, ho fatto la mia domanda per cercare di conoscere meglio me stesso e il senso dei rapporti con gli altri, se possono essere autentici o solo dettati dall’interesse, se ne ho bisogno anch’io o se resto pur sempre un solitario fiero dei suoi spazi: forse potevo capirlo appunto approfittando della straordinaria macchina di America per un confronto. Ma alla fine la mia risposta è stata che non avevo bisogno di alcuna domanda.”

La risposta non era una sola, ma tutte e due le sue facce, quella che voleva restare sola a godersi il tè in silenzi e quella che nel profondo adorava il carattere degli altri malgrado i modi, gli usi e le tante altre cose che invece lo sconvolgevano. Lui era e poteva essere entrambe: dopotutto non era forse lui il paese in cui il nuovo e la tradizione andavano a braccetto? Perché scegliere nuovamente se era e poteva essere entrambe le cose?

“Non ha senso chiedere se sarebbe andata diversamente, se fossi stato diverso da ciò che sono, perché qualunque cosa mi sia capitata o mi capiterà, in qualunque modo vada la storia, alla fine dei conti io resterò sempre me stesso…”

E sempre avrebbe scelto una katana, anche di legno, dinanzi una pistola, in qualunque mondo si fosse trovato a vivere.

“Ho deciso che non fa alcuna differenza se sarei stato meglio con un carattere più aperto o con uno più chiuso. Io sono così come sono, e non desidero essere in alcun altro modo.”

“Ben detto! Assolutamente ben detto!” –approvò Arthur, affascinato come sempre dalla saggezza che erano in grado di sfoderare gli asiatici.

“Miiitico…” –fu la reazione di Alfred, a volume basso per la meraviglia- “Tiri fuori certi discorsi da saggio! Hai ragione, sai? Uno dovrebbe essere fiero di sé stesso per così com’è, in ciò che hai di buono e ciò che hai che non va, senza guardarsi indietro e rimpiangere quel che poteva essere!”

Subito dopo Kiku passò dalla fierezza all’arrossire: “Ci terrei poi a dirvi ancora una volta che, per quanto possa essere un tipo un po’ difficile da prendere, un’altra cosa che non mi fa rimpiangere l’isolamento è per stare insieme a tutti voi…”

America sprizzò cuoricini e fece per gettarglisi addosso a braccia aperte: “Oh, ma sentilo quanto è carino!”

SBAM!

Senza farsi cogliere impreparato stavolta, l’asiatico gli aveva afferrato per la manica e lo aveva sbattuto al tappeto: “… malgrado l’eccesso di effusioni.” –finì il discorso rilassato e impeccabile come gli si addiceva!

America, con la schiena a pezzi, supplicò una mano per rialzarsi ad Arthur, il quale lo accontentò al prezzo di una risata da “ben ti sta!”…

“Ah si, Inghilterra? Ti faccio notare che la mia ucronia è stata definita dal qui presente Giappone “molto educativa”! Che hai da dire ora, mister “America inventa solo cretinate”?”

Inghilterra affilò la lingua: “Eh eh eh, si ma ha detto anche che fare domande alla tua invenzione in fin dei conti è inutile, e lo hai confermato tu stesso anche prima se ci ripensi!”

“Quando mai?! Io…”

“Cito: << senza guardarsi indietro e rimpiangere quel che poteva essere >>.”

“…… AAAAAARGH! È VERO!”

<< Muahahahahahah! >> -Inghilterra soffocò nella sua testa la potente risata: vincitore ancora una volta!

America si accasciò a piangere sul tavolo: “Sigh! Giappone! Come hai potuto? Hai dato una cattiva pubblicità alla mia invenzione davanti a tutti! Buaaaah!”

“Urgh! Non fare così America… Que-quella era solo la conclusione a cui sono giunto, solo la mia opinione…”

“Sigh! Allora vuol dire che non ti è piaciuta la mia invenzione?”

“Mi-mi è piaciuta! Cioè, è comunque straordinaria e fa cose incredibile, dovresti andarne fiero in ogni caso!”

Si rialzò velocemente come avesse fatto solo finta di deprimersi: “Ih ih ih, magari potresti provare a farti perdonare, Giappone! Ad esempio… Ora che so che la tua collezione di hentai è sotto il terzo tatami a destra della tua stanza, magari potresti lasciarmela sfogliare un po’! Uh uh uh!”

“Sono per la maggior parte yaoi, America…”

Alfred divenne verde: “Urgh! Lasciamo perdere, dai…”
Giappone si girò in modo da nascondere l’espressione felina e sorniona di vittoria!

<< Te l’ho fatta… Gli yaoi saranno solo un terzo o poco più! >>

 

 

 

Giappone ha difeso la sua collezione di fumetti con le unghie e come i denti come un vero samurai, non è vero? XD

La sua è stata una storia ricca di pensieri profondi e analisi interiore ed esteriore, un capitolo in tutto e per tutto degno di lui quindi: spero che anche voi la pensiate così ^___^

La macchina di America ne esce un po’ ridimensionata adesso, ma è comunque grazie a lei se le nazioni (e i lettori) potranno imparare un’importante lezione.

Piaciuta? O magari volevate vedere il Giappo-America divorare onigiri e fare il tamarro con tutti? XD A voi la parola con i commenti!

Al prossimo aggiornamento, e ancora una volta buone feste a tutti voi!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 15
*** E se Russia non fosse mai diventato così grande? - PRIMA PARTE ***


E rieccoci qui, cari lettori! ^__^
Spero abbiate fatto un buon Natale, e che abbiate “ricevuto” la mia fanfiction d’auguri (se ve la siete persa si intitola “Merry Hetalia Christmas”).

È tempo che mi rimetta a lavoro dopo tanto torrone e panettoni, ma ho da darvi un notizia che credo non vi farà molto piacere: quella che sta per iniziare sarà infatti l’ultima ucronia, quella con cui avevo deciso di chiudere il ciclo sin dai primi capitoli.

Vi ringrazio molto per i tanti suggerimenti che mi avete inviato, senza i quali questa fic non avrebbe alcuni dei suoi pezzi migliori, e mi spiace per quelli di voi che resteranno delusi perché le loro idee non sono state realizzate, sappiate comunque che ho apprezzato anche quelle; grazie davvero, e scusate se le vostre speranze di leggerle purtroppo terminano qui (a meno che non siate voi a scriverle, in tal caso le leggerò con piacere ^__^).

Andiamo quindi a vedere chi sarà l’ultima nazione a chiedere un’ucronia a questa mirabolante macchina che fin qui ci ha tanto fatto divertire ed emozionare!

Buona lettura!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

 

 

 

“Ma come mai non hai più voluto la tua ucronia con Vietnam, America?” –gli domandò Giappone.
“Lascia stare, dai…” –si svincolò scuotendo la mano.

Inghilterra si intromise tra i due: “Certo America che la tua invenzione è un tantino ripetitiva per essere un macchina delle “alternative”.”

“In che senso?” –storse lui il naso: come solo si diceva qualcosa anche solo in apparenza di negativo sulla sua macchina, eccolo scattare come una molla!

“Mi è sembrato che più o meno tutte le ucronie seguissero lo stesso schema: uno ci arriva, vede che va tutto alla grande, poi scopre che in realtà c’è qualcosa che non và, si rende conto che realtà in cui vive è sempre la migliore e così decide di tornare a casa, e vissero tutti felici e contenti.”

“E che male c’è in questo?” –domandò la sua vena pulsante sulla fronte- “Non ti piace il lieto fine, caro il mio musone? Io lo adoro invece, è il mio tipo di finale preferito! E scommetto piace un sacco anche a Giappone, non è così?” –sorrise verso Kiku, totalmente certo del suo sostegno.

Ecco perché restò senza fiato quando questi trovò il coraggio di parlare: “E-ecco… Se devo essere sincero fino in fondo, America…”
“No! Giappone, anche tu no! Sigh!”
“Non è una critica, solo un’impressione! In effetti oltre che mostrare delle alternative, sembra voglia convincerci di quanto stiamo bene così come siamo; magari adattando un pochino la storia di conseguenza… un pochino…”

“Beh… Non mi sembra poi così…”
“Prova a pensarci.” –proseguì Inghilterra- “Italia si sarebbe sposato con l’amore della sua vita, ma al prezzo della libertà di suo fratello; Francia avrebbe visto Jeanne salire al trono, ma anche il suo viso distrutto dalla vecchiaia; Austria e Turchia non sarebbero comunque sfuggiti al loro destino di imperi, soffrendo entrambi ciascuno per i suoi problemi; se Russia avesse trionfato avrebbe rischiato involontariamente di uccidere le sue preziose sorelle…”
“Svizzera avrebbe annientato il mondo intero…” –si intrufolò un secondo Germania, facendo rabbrividire quei tre: quell’episodio era stato il più terribile della serie!

“Alla fine nessuna ucronia è risultata in un poi così grande miglioramento nella vita di chi l’ha chiesta e del mondo in generale… A parte forse quella dei nordici…” –finì Inghilterra con una frecciatina per Alfred.
“Questo lo dici tu!” –borbottò lui, sentendosi salire in bocca uno sgradevole sapore di pesce affumicato!

“Vedi? Anche tu dopo aver visto tutta l’ucronia preferisci essere così come sei, malgrado all’inizio il vedere la tua vita allevato da Danimarca e gli altri ti fosse piaciuto, dico bene?”
“Io… Io…”

Arriva sempre il momento, nella vita di un inventore, in cui esso abbassa la cresta e svela i punti deboli della sua creazione.

“Sigh, devo confessarvi che in effetti io stesso non so alla perfezione come funziona la mia macchina: come sapete, ero venuto qui apposta per testarla.”

<< Non farmici ripensare che ci hai usato come cavie, bloody bastard! >>

“È in gamba ad elaborare le varianti della storia, ma non so il modo esatto, né con quali criteri le scelga per poi mostrarle; quindi può anche darsi che (magari inconsciamente…) io l’abbia programmata nel modo che dite voi…”

Diede una pacca a quel suo buffo televisore, ribadendo di volergli bene comunque, anche se forse era vero come diceva Giappone, che distorceva un po’ i suoi racconti apposta per chi gli si rivolgeva.

“Non volevo imbrogliarvi, volevo davvero che vi sbalordiste vedendovi diversi, o magari anche assurdi; invece avete ragione, ha finito col mostrare tante cose brutte a tutti…”

Era stato così preso dall’aver raggiunto il suo intento di far fare due risate a tutti, turno per turno, che solo adesso si accorgeva delle lacrime che pure aveva fatto versare (persino a Inghilterra), e per le quali ora si sentiva doverosamente in colpa.

“Scusate…”

“… Umpf, ora non esagerare, America!” –sorrise Arthur- “Come hai detto tu prima, che c’è di male in questo? Penso anche io che la tua macchina sia utile ed educativa.”
“Tu? Si, come no…”
“Sul serio: ci ha fatto capire che non serve stare a piangere su occasioni perdute o recriminare per sfortune ormai passate, ma che anzi dobbiamo ringraziare per la vita che abbiamo, anche con tutte le cose che non vanno, e amarla così com’è, senza chiederne altre diverse.”

“L’uomo quasi mai sa ciò che desidera.” -sentenziò il saggio Giappone. I desideri sono pericolosi dopotutto, bastava vedere quanti guai aveva (avrebbe…) causato il loro esaudirsi a chi pensava che sarebbe stato più felice in un altro modo.

“Quindi America, come vedi puoi essere fiero lo stesso della tua macchina: ha spiegato a Bielorussia perché Russia non può sposarlo, ha aperto gli occhi a Romano su quanto conti per lui suo fratello, e ha… persino convinto me che stai benissimo così come sei, umpf!”

“……”

Sarebbe stato bello se il tanto tenero imbarazzo di America a quelle parole fosse durato più a lungo. Ma in un lampo tornò appunto al suo solito sé, rifilando una super-pacca di ringraziamento alla spalla di Inghilterra!

“Ah ah ah, sai che ti dico? Hai ragionissima! La mia macchina è fantastica! Non avrei dovuto dubitare di lei neanche un attimo! Solo io potevo creare qualcosa di doppiamente grandioso senza neanche volerlo, eh eh eh!”
“Ti pareva!” –ringhiò Arthur, lottando contro il desiderio di mettergli le mani al collo- “Non ti si può concedere un dito di merito che ti prendi tutto il braccio!”

Giappone li osservò con un gocciolone, neutrale come al solito.  

Aprì bocca solo quando il loro litigio rischiò sul serio di degenerare: “Ehm, perché non ci gustiamo un’altra ucronia?”
“Un’altra?” –fece Germania- “Saranno belle e tutto, ma ci hanno portato via praticamente tutta la mattinata.”

“In effetti è tardi.” –confermò Inghilterra guardando l’orologio da taschino.

“Mhmm, avete ragione… Quindi ce ne vedremo solo un’altra e basta! Eh eh eh!” –rise America, conquistandosi come al solito l’ultima parola!

L’annuncio che la prossima sarebbe stata l’ultima domanda allertò subito Lettonia, seduto al centro tra i suoi fratelli baltici.

“Se è l’ultima occasione allora voglio provarci!”

“Che hai in mente, Ravis?” –gli chiese Estonia.
La voce di Lettonia era colma d’eccitazione: “Voglio domandare come sarei se fossi più alto! Anche solo una decina di centimetri mi basterebbero, quindici sarebbero un sogno!”

Lituania rise: “Si, sappiamo che hai sempre desiderato essere un po’ più grandicello: questa può essere davvero la tua buona occasione!”

Meglio certo di quella volta che aveva messo un quadruplo rialzo sotto le scarpe…

“A-a-allora vado! Finalmente è arrivato anche il momento di Lettonia!”

“Non ho mai visto Ravis così deciso: deve tenerci davvero parecchio.”
“Hai ragione, Estonia: trema anche molto meno del solito!”

“Scusa, America!” –sventolò in alto la mano il piccoletto dal vestito rosso- “Io vorrei…”
“Faccio io l’ultima domanda.”

Lettonia si girò e cadde a terra per lo spavento!

“RU-RU-RUSSIA?!?!?”

Allo stesso modo gli occhiali di America sussultarono per la sorpresa: “Russia?”

Ivan Braginski schiarì il vocione e ordinò di nuovo: “Fammi fare una domanda alla tua macchina, America.”

“M-ma non vale!” –sentì squittire molto in basso- “S-stavo per chiedere la mia domanda! Finalmente avrei saputo se senza il suo bullismo sarei diventato un bel ragazzo di successo anziché un tappo nervosetto, e ora vuole anche passarmi avanti?! Io devo sapere!”

Russia si abbassò su di lui, che si sentì perdere qualche altro millimetro: “Lasciami fare la domanda, Lettonia… Per favore…”

“Ce-ce-ce-certo…”

<< Sconfitto su tutta la linea… >> -lo compatirono gli altri due baltici vedendolo praticamente liquefarsi dinanzi quell’occhiataccia.

<< Sigh! Ma lui ha avuto anche l’ucronia di sua sorella tutta per sé! Non è giusto! Sigh! Sigh! Sigh! >>

E dire che fino a quel momento il gigante del gelo non si era minimamente interessato alle possibilità della macchina, respingendo quasi con rabbia le insistenze di America perché la provasse: forse, sfortunatamente per Lettonia, proprio alla fine gli era venuta in mente una domanda altrettanto irresistibile quanto quella di Ravis sull’altezza…

Intanto naturalmente Alfred gongolava a tutto spiano!

“Yeah! Persino il grande Russia non resiste alla curiosità e si inchina alla strepitosa offerta di un giro gratis nella mia educativissima invenzione, ah ah ah! Grande! Vieni qui, Russia, non sai quanto ho atteso questo momento!”

“Potresti lasciar perdere i convenevoli?”
“Uh, ma come siamo frettolosi tutto a un tratto! Forse dovresti consultare qualcuno per questi tuoi repentini cambi d’umore… Oh, beh, quello che importa e che userai la mia macchina!” –scrollò lui le spalle, non pensando di doversi chiedere anche come mai avesse cambiato idea, bastava l’avesse fatto!- “Userai la mia macchina! Userai la mia macchina! Ih ih ih!”

Russia sbuffò: “Posso?”

“Certo!” –fece America quando Russia aveva ormai già afferrato il tubo comunicatore.

Nel frattempo intorno si bisbigliava (e nel caso di Lettonia si piagnucolava), chiedendosi che tipo di domanda avesse mai potuto vincere le resistenze e l’indifferenza di Ivan.

“Sarà sicuramente qualcosa di orribile, tipo Svizzera, o tipo peggio.” –fece Polonia.

“Peggio di quella dove conquistava il mondo? Cosa ci può essere?” –si chiese Ungheria.

“Ma come siamo preoccupati lì dietro…” –li fece arrossire il biondo- “State a vedere, conoscendovi vi piacerà.”

“Che vorrà dire?” –si chiese Ucraina, mentre l’altra sorella incrociava le dita sperando volesse dare una seconda chance al loro matrimonio!

“Avanti, sono tutto orecchie!” –scherzò America tirandosele come fossero paraboliche da indirizzare.

“Voglio chiedere… se non fossi mai divenuto così grande.”

Una domanda così originale che anche Ravis smise di disperarsi per prestare attenzione.

“Se non fossi mai stato così grande come sono, né così potente. Ho avuto molta “fortuna” dal destino… Mi piacerebbe restituirgliela per un attimo.”

<< Curioso… >> -pensò Inghilterra- << Finora tutti hanno chiesto semmai di diventare più potenti e prosperi: vincere guerre, conquistare nuove terre, ottenere l’amore di qualcuno… E invece Russia, che in arroganza è al pari di America, fa una domanda del genere? >>

America si grattò i capelli: “Sicuro che non preferiresti qualcos’altro? Che so… Come saresti se ti fossi rifatto il naso?”

“Ehi, il mio naso mi piace! Ehm… Senti, America, la mia domanda è questa, me la fai vedere o no?”

“Solo se mi fai contento entrandoci dentro, eh eh!”
“Bah!” –acconsentì l’altro, strappandogli bruscamente di mano il telecomando.

“Eh eh eh, questi russi! Gente, non so voi, ma questa domanda è strepitosa! Vediamo un po’ come sarebbe la vita con un Russia un po’ più piccolo!”

“Speriamo molto più piccolo! Microscopico! Umpf!” –aggiunse Lettonia!

Ucraina cercò in tutti i modi di incrociare lo sguardo di suo fratello, ma questi restava di spalle, ad aspettare a braccia conserte con lo sguardo fisso, assorto, come si trovasse già dall’altra parte.

America premette il pulsante d’avvio, e il vortice (con un po’ di fatica vista la stazza…) lo ingoiò.

 

E poi qualcuno gli chiedeva perché portasse sempre il cappotto pesante e la sciarpa: non si può mai sapere quando ti ritroverai all’aperto su di un letto di neve fresca, che imbianca le cime di ogni abete lì intorno, a respirare dell’aria così limpida quanto pungente; non che fosse un problema per lui, così abituato al freddo, accostato ad esso solo al sentire il suo nome.

Russia, come tutti prima di lui, iniziò a guardarsi intorno, impassibile da sembrare annoiato, quando sentì dall’alto la voce altisonante di Alfred: << Eh eh eh, figurati se non mi aspettavo tutta questa neve nella tua ucronia! >>

Ed ecco finalmente apparire altro oltre al bianco. Un ragazzo che per proteggersi dal gelo ha una sciarpa ma per il resto solo stracci, logori e sporchi, come i suoi stivali infangati; cammina curvo verso le prime case del villaggio di lì a poco lungo il sentiero, rallentato dalla cascina di legna che porta sulle spalle legata a due bretelle; ansima, ma dalla sua faccia smunta traspare più di una semplice fatica. C’è un tocco di rabbia, ma è poca: in lui domina la delusione, la frustrazione, che gli fa accettare il fardello che ha addosso come una punizione meritata.

<< … Questa me l’aspettavo un po’ meno… >> -fa la voce dall’alto, già meno incline allo scherzo.

Russia però non si era scomposto affatto alla vista di sé stesso da giovanissimo, anche in quello stato, che non era certo molto diverso da ciò che in effetti fu.

Ma nel momento in cui comparve una seconda persona su quel sentiero, allora i suoi occhi indifferenti si spalancarono, e un soffio di vapore uscì dalla sua bocca in un sospiro sgomento.

Una donna, alta e rotondetta, per non dire robusta, con metà testa e un occhio ricoperti da bende, che gli corre incontro e cerca di togliergli di dosso quel pesante carico.

“Mamma…” –sussurra Ivan, rivedendola.

 

America aveva la sua stessa faccia: “Russia… Ha una mamma?! E chi la sapeva questa!”

Lituania, tanto per cominciare: “Quella donna è Moscovia, il principato che si è preso cura di Russia dopo la morte di suo padre, Kiev.”

“Quindi… Lei è vostra madre?” –domandò Alfred alle due sorelle.

Ucraina scosse la testa: “No, Kiev è nostro padre, ma Moscovia è stata “mamma” solo per Russia.”

“Mi sembra un po’ complicato… Torniamo guardare dai…”

(NDA: Per chi ha letto la mia fic “Historia Russiae”, io considero quel contesto leggermente diverso da quello canon di Hetalia, ecco spiegate le apparenti discrepanze)

 

“Dai a me…”

“No! Faccio io!” –si ritrasse il giovane.

Abbandonò allora ogni premura, alzando forte la voce: “Dai a me!”

La donna, dai lunghi capelli mossi di un castano rossiccio, non doveva essere forte solo nel fisico, ma anche nel carattere per usare un simile tono, capace di vincere in un lampo le resistenze di un seppur ancora giovane Russia. Fu allora che l’Ivan spettatore, e tutti gli altri di là dallo schermo riuscirono a vedere i lunghi strappi e le striature rosse sulla schiena del ragazzo, segni di violente frustate, sui quali stava impunemente trasportando quei ruvidi rami secchi.

Il principato di Moscovia caricò la legna al suo posto, dando anche lei per un attimo una smorfia di dolore: “Tranquillo… Ce la faccio.”

Un vergognoso rossore lo colorò: “Sono io l’uomo…”

“Sono io che mi prendo cura di te, non viceversa.” –rispose pronta.

A quel punto le emozioni lo sopraffarono, e da lì divenne una lotta con sé stesso per non lasciar uscire alcuna lacrima: “Tu… Non dovresti… La colpa è stata mia, sono stato sconfitto io!”
“Ho combattuto con te…”

“Credevo che ce l’avrei fatta, che l’avrei scacciato… Invece mi ha di nuovo umiliato, e ha umiliato te… Mi dispiace!”

Moscovia toccò la benda che le copriva l’occhio perduto, poi si inginocchiò e l’abbraccio, sentendolo tremare per trattenersi ancora, anche sulla sua spalla.

<< Russia, potresti spiegarci cosa sta accadendo? >> -domandò America, non credendo di doversi aspettare un ucronia così amara; alquanto stupido, perché Russia non sarebbe mai diventato ciò che era senza una delle storie più travagliate che una nazione possa avere.

“Si…”

Guardò di nuovo intorno a sé, per poi fissare lo sguardo su quei due, e iniziare a parlare, prendendo per sé il ruolo di narratore.

“Kulikovo. La battaglia di Kulikovo, in cui io riuscii a sconfiggere Orda d’Oro, che allora dominava me e le mie sorelle. Qui è andata diversamente.” –spiegò, come uno spettro che non può essere udito dai due protagonisti appena lì davanti a sé- “Mi ero ribellato altre volte, ma per la prima volta arrivai a batterlo, e fu quello l’inizio della mia riscossa: mia madre divenne sempre più forte da allora, e io con lei, finché, quando fui abbastanza grande da badare a me stesso… lei se ne andò…”
Ucraina si asciugò una lacrima. Anche Bielorussia sembrava un po’ commossa al ricordo di quella donna, che tanto si era fatta ammirare, anche come avversaria, da Toris.

“Qui ho perso… E ne abbiamo pagato le conseguenze.”

Moscovia si rimise in piedi, puntellando le gambe, stringendo i denti senza darlo a vedere: “Russia, non preoccuparti per me, un giorno riuscirai ad essere libero da Orda d’Oro.”

“E se non ci riuscissi?”
“Sarei ugualmente fiera di te, Russia, nella grandezza come nella miseria.”

Lo “spettro” sentì annodarsi lo stomaco. Rivedere la donna che l’aveva cresciuto gli aveva fatto un brutto effetto. Da quanto non se lo domandava più?
Da quanto aveva smesso di chiedersi se lei, vedendo come era diventato dopo secoli e secoli di grandezza oltre ogni previsione, sarebbe stata ugualmente fiera di lui?

“Su, vai a cercare le tue sorelle, saranno in pensiero per te.”
Senza aggiungere altro che un sorriso, la donna portò la legna fino a un’isba lì vicino.

Il piccolo Ivan allora proseguì a ritroso sulle sue orme nelle neve, seguito dal gigantesco sé stesso che invece orme non ne lasciava; la testa china, come se di legna sulla schiena dolorante ora ne avesse il doppio.

L’altro ricominciò a narrare: “Quello fu il mio primo vero passo per la grandezza, in cui capì che potevo essere forte, così forte da sconfiggere il mio enorme e crudele padrone. Ma ora, nella mente del giovane me c’è solo sconforto…”

“Russia!”

I due alzarono gli occhi.

Ucraina e Bielorussia: l’una un’adolescente un po’ più grande di lui, l’altra ancora una bambina dalle morbide guance arrossate, venivano di corsa verso di lui.

“Sono così contenta che tu stia bene!” -la maggiore abbracciò il fratellino senza risparmiare le lacrime, mentre la minore cercò uno spiraglio per stringerlo a sua volta con le braccine.

“Fratellone, eravamo tanto preoccupate!” –pigolò Biel affondando nel suo fianco.

<< Oh, meno male, qualcosa di buono! Questa ucronia stava diventando una depressione! >>

<< Zitto, America! >> -venne aggiustato dalla platea il guastafeste!

“Sorellona… Ho fallito, mi dispiace.”

“Non serve che ti scusi!” –fece lei, che era tutto un rimboccargli la sciarpa e carezzargli guance e capelli.
“Io… Credevo di poter essere io l’erede di Kiev, e guidare tutti gli slavi… ma mi sbagliavo!” –singhiozzò- “Perdonami, sorella, solo tu puoi esserlo!”

Russia adulto sorrise: come si era arreso in fretta quel piccoletto. D’altronde quell’ennesimo tonfo era stato sicuramente più forte visto quanto in alto era volato con le speranze e l’orgoglio.

“Russia…” –dopo un po’ di silenzio, Katyusha lo baciò in fronte- “Si, ho detto di voler far risorgere la grandezza di papà, ma ora che ci penso, non mi interessa essere l’erede di alcunché.”

“Eh?”
“In questo momento so solo… Che l’unica cosa che conta davvero, è che tu sia salvo. Se so che stai bene, posso restare schiava di Orda d’Oro anche tutta la vita.”

Era un’eventualità a dir poco orribile, ma il piccolo Ivan aveva in mente solo il battito del suo cuore, fattosi così forte dopo quelle parole. Così forte, che anche l’Ivan grande arrivò a percepirlo, e si toccò il proprio petto, per constatare quanto tragica fosse la differenza.

“Anche per me è lo stesso!” –ammise sorridendo.

“Fratellone.” –lo tirò per il pantalone l’altra sorellina, mostrandogli un mazzolino di steli verdi tra le mani- “Ho delle erbette che si mettono sulle ferite per non farle bruciare. Andiamo a casa e te le metto sulle bue.”

Russia le carezzò i capelli: “Oh, tranquilla, Biel, le frustate non mi fanno già più tanto male, davvero!”

“Fratellone…”

“?!”

La sorellina tanto carina aveva già allora imparato a fare lo sguardo spiritato: “Fatti mettere le erbette sulle bue!”

“S-s-s-si! P-però non fare più quella faccia, fai tanta paura, Biel!”

Ad Ucraina e al Russia adulto scesero due grossi goccioloni…

 

Bielorussia sorrise: “Non ero proprio una bimba adorabile?”
<< Si, come no… >> -le si allontanarono tutti gli altri!

 

Russia adulto seguì i tre al calduccio di un’isba, dove, davanti un caminetto, si vide medicare con le strane erbette di Bielorussia, mentre Ucraina un po’ sorrideva e scherzava e un po’ si asciugava qualche ultima lacrima. Osservò i tre fratellini a lungo, incantato, provando anche a toccarli (senza ovviamente riuscirvi), prima di ricordarsi i suoi doveri di narratore.

“In questo mondo non sono riuscito a sottrarmi al pugno di ferro di Orda d’Oro, né ho potuto tentare di sottrarvi le mie sorelle: le mie ambizioni hanno subito un duro colpo, e mi sono presto allontanato dalla via per la grandezza che di questi tempi avevo già intrapreso…”

<< Ma quindi cosa accadrà? Resterai schiavo del tuo padrone per sempre? >>

“No, non credo proprio.” –disse tirando fuori il telecomando- “Era potente, ma anche lui prima o poi avrebbe iniziato a perdere colpi, ed altre nazioni si sarebbero fatte avanti per tentare di occuparne il posto. Ecco perché credo di sapere cosa ne verrà fuori da tutto ciò. Non è vero, Lituania?”

Le nazioni in sala si girarono ovviamente tutte Toris, il quale non spostò dallo schermo lo sguardo serio col quale si accingeva a guardare il seguito.

 

Passato alla scena successiva, Russia si ritrovò in una fosca penombra, per via delle imposte sbarrate alle finestre; si avvicinò a un sé stesso qualche anno più grande, rannicchiato con la schiena contro la parete, coi pugni stretti intorno all’asta di un forcone. Sempre col solito distacco, seguì i suoi occhi e vide che erano puntati verso la porta di casa, così si mise ad aspettare insieme a lui.

“Vattene via!” –gridò quando qualcuno iniziò a spalancare con cautela l’uscio.

“Il tuo nome è Russia, giusto?”

Un Ivan allungò minacciosamente le punte del forcone contro Lituania, l’altro Ivan sorrise appena al rivederlo nei suoi anni migliori, coperto dall’armatura splendente, con un mantello verde sulle spalle, e coi capelli raccolti dietro in una coda.

“Io sono…”
“Lo so chi sei!” –ruggì, agitando l’attrezzo- “Orda d’Oro si è ammalato e tu hai cominciato a prenderti le sue terre una dopo l’altra, e ora vorresti prendere anche me!”

Il cavaliere tenne le mani alte, senza alcun accenno a voler mettere mano alla spada al fianco: “Non sei contento? Quel barbaro ora non può più farti nulla, sei libero!”
“Libero? Come lo sono le mie sorelle che hai già conquistato?”

“Tu non capisci, le ho trattate bene, lo giuro, e tratterò bene anche te se…”
“Zitto! Sei solo un altro che pretende di essere il mio padrone! No, grazie, non me ne servono altri!”

L’Ivan invisibile intanto, per gioco, “infilzava” la propria mano sulle punte della sua arma.

“… Si, diciamo le cose come stanno: Orda d’Oro ha perso il potere che un tempo aveva e io ne ho approfittato per batterlo e diventare più forte.” –disse in maniera abbastanza pacata perché gli consentisse di fare un passo e mezzo verso di lui- “È vero che voglio che tu passi dalla mia parte, ma con me potresti essere al sicuro, protetto dalla mia forza, e potresti stare insieme alle tue sorelle in un regno prospero, senza dover più lottare così duramente per sopravvivere, né tu, né loro... Pensaci.”

I respiri tra i denti del giovane Russia iniziarono a rallentare: “… Chi… Chi mi assicura che sarai un padrone migliore di quel mostro di Orda d’Oro?”

Lituania, tenendo sempre le mani lontane dalla spada, si avvicinò ancora: “Russia… So che deve essere difficile, per uno come te, che ha sempre vissuto in terre così ostili e selvagge, aprirsi a qualcuno, lo capisco… Ma ti prego, fidati di me. Potrei diventare… tuo amico, se me lo permettessi…”

Allungò la sua mano, malgrado fosse ormai alla portata di quelle punte acuminate.

Russia si guardò riflettere, perdere la propria rabbia, guardare quella mano con seppur piccola speranza: speranza di non essere più solo, sperduto in mezzo alla neve.

“Lituania…” –sorrise la voce invisibile- “Sei stato quello che più ho stimato dal primo momento che ti ho visto.”

E in quel mondo in cui non era abbastanza forte per tenergli testa, né abbastanza illuso da sogni di gloria su fantomatiche “terze Rome”, avrebbe accettato la sua mano, che lui invece, a suo tempo, aveva morso senza pietà.

 

“Sorprendente.” –sbalordì Austria- “Lituania, non sapevo tu fossi così figo da giovane.”

“Cert… EHI! Un momento, vuol dire che adesso figo non lo sono più?!”

“Beh…” –fecero i suoi fratelli.

“EHI! Ma da che parte state?!”

America tirò loro addosso dei pop-corn: “Ssssshhh! Vediamo come finisce!”

 

La scena si era spostata in un castello, e lì era arrivato anche Ivan, viaggiatore nascosto in quella realtà. Visibile solo dall’esterno, poté seguire tranquillamente Lituania e l’altro sé stesso per i corridoi e poi infine ad una porta.

Toris la aprì, e il giovane Ivan restò a bocca aperta. Sedute su delle sedie intorno a un tavolo c’erano le sue due sorelle, e il loro aspetto era a dir poco stupendo; niente più scarpe rotte, guanti bucati e vestiti rattoppati, le due erano state rivestite con abiti colorati, puliti, a dir poco principeschi, decorate con braccialetti e diademi tra i capelli; i loro volti avevano il bel colore rosso di chi può godersi un bel camino sempre acceso e tanto cibo cotto su di esso.

Per contro, Ivan guardò le proprie vesti da contadinotto, macchiate qui e là, mentre Toris rideva sotto i baffi. Non gli aveva detto nessuna bugia: nel suo regno, le aveva davvero tenute al sicuro e nella prosperità (era più facile senza un certo sospettoso e forzuto moscovita col nasone, che in quel mondo non era mai cresciuto…). Chiese scusa al cavaliere con un’occhiata, per poi correre verso di loro e stringerle forte.

“Russia…” –si commosse subito Ucraina, come prevedibile.

Al termine dell’abbraccio, Bielorussia prese a girargli sotto il naso: “Guarda che bel fiocco mi ha regalato Lituania, non sono bellissima fratellone? Non sembro già abbastanza grande da sposarmi?”

“Ehm…”

Il giovane Ivan lasciò la domanda senza risposta: si voltò, attraversò l’altro Ivan che lì non esisteva e si inchinò: “Lituania… Se proteggerete me e le mie sorelle, sarò felice di essere parte del vostro regno, signore.”

<< Russia che dice “signore” a Lituania?!?!? >> -si sentì trasalire Estonia.

<< L’avevo detto che ero figo! >> -ribadì il Toris di fuori!

“Dammi del tu! Sarà un piacere averti con me Russia: con un ragazzo in gamba come te, capace di sfidare da solo Orda d’Oro potremo andare tutti molti lontano!”

“Umpf!”
Il Russia ucronico aveva decisamente meno problemi a fidarsi degli altri, ma il suo corrispettivo reale gli avrebbe potuto confermare di aver fatto una scelta più saggia che ingenua: a quel tempo Lituania non solo era ricco, potente e tollerante, ma anche più in contatto con quell’occidente da cui a lungo si era nascosto. Poteva quindi a buon ragione star lì a sorridere, con la testa fra le nubi, a chiedersi quante novità avrebbe potuto aspettarsi dalla sua vita da quel momento, per sé e la sua famiglia.

Una era appunto in arrivo.

“Buondì!” –salutò una testolina bionda affacciandosi alla porta della stanza.

“Polonia!”

“Uh?”

“Lituania, sono tipo passato a trovarti! Non mi presenti ai tuoi nuovi amici?” –fece quel tipo con gli occhi verdi e gli abiti pomposi da gran nobile (incluso cappellino piumato e striscia di pelliccia che agitava sinuosamente quando camminava…), avvicinandosi a saltelli senza nemmeno chiedere permesso.

Il Russia ucronico sentì Bielorussia nascondersi dietro di lui, mentre Toris si occupava dei convenevoli: “Ehm, Ucraina, Bielorussia, Russia, vi presento il mio vicino di casa, nonché grande amico, Polonia!”

“Oh, ma che piacere conoscervi! Voi due donzelle siete un incanto… Tu invece sei un po’ un disastro…” –gli venne da dire fermandosi davanti il maschio e notando la discrepanza dei suoi vestiti con quelli delle sorelle.

Questo tipo sembra un po’ effemminato, pensò il Russia che lo vedeva per la prima volta e già lo trovava un tantinello irritante... Il solito effemminato, pensò il Russia che lo conosceva già bene.

La piccola Biel, seminascosta dietro il fratellone, gli rivolse un versetto minaccioso per scacciarlo da lui; Lituania allora la spinse dolcemente fuori dal suo riparo: “Dai, piccola, non avere paura, è un tipo a posto, garantisco io!”

“Ciao tesorino! E ciao anche a te, amico malvestito, è un piacere conoscerti.”

Russia decise di essere gentile con lui solo per non dispiacere quella brava persona che era il suo nuovo capo: “Piacere… mio… Polonia, giusto? … Uh?”

Si era distratto un attimo e gli era sparito sotto il naso! E dove poté ritrovarlo se non dinanzi sua sorella maggiore, intento a un profuso baciamano?

“Voi siete splendida, madamigella Ucraina! Mi piacerebbe fare la conoscenza di una donna così ricca di…” –rialzò gli occhi, cascati in basso…- “Femminilità!”

“Kyaaaah!” –gridò la candida erede di Kiev, scappando via di due passi per l’imbarazzo con la faccia rossa come il fuoco!

Anche Russia era dello stesso colore, e la rabbia gli faceva stringere i denti ed emettere strani versi: “Urgh… Grrr… K… K… KOL!”

“Oh, che sorpresa, anche qui faccio kol!” –rise l’invisibile, mentre a suon di “Kol” l’altro sé faceva da scudo umano tra sua sorella e quel cascamorto!

 

Lituania aveva il volto coperto per l’imbarazzo di essere il miglior amico di un simile indelicato: “Polonia… Sei riuscito a far fare “kol” anche ad un Russia così a modo come quello! Ti rendi conto?!”

“Ehi, era veramente malvestito, e secondo me aveva pure bisogno di un bagno!”

“Kyah! Che imbarazzo…”

“È solo un’ucronia, sorellona… Beh, in effetti ci ha provato con te nello stesso modo anche nella realtà…”

Lituania sospirò: “Ah, i tempi in cui io, Feliks, Biel e Ucraina eravamo un'unica nazione unita! Sarebbe stato bello se vi fosse rientrato anche Russia.”

Invece erano stati nemici giurati, e Toris si era sempre un po’ dispiaciuto per non aver “convinto” anche Russia a far parte di quel grande stato di più popoli. Ora però aveva occasione di scoprire come sarebbe stato essere lui il suo capo anziché viceversa, e senza neppure aver dovuto domandare nulla!

 

Nella scena successiva, che si svolgeva già diversi anni dopo, si videro ancora i due Russia camminare vicini, di ritorno alla casa di Lituania: uno con un cappotto imbottito, e l’altro con un’armatura, cavaliere al fedele servizio del signore dell’est.

“Signor Lituania, ho fatto due chiacchiere con quel tipo con gli occhi rossi che ha fatto casino ai nostri confini: non ci darà più fastidio!”

<< Perché guardate me?! Gli occhi rossi sono molto comuni! >> -si udì dalla sala, prima che l’occhi rossi in questione venisse zittito a pizzicotti!

“Oh, molto bene Russia! Puoi venire un po’ con me? Vorrei presentarti qualcuno.”

Ivan incrociò le dita, sperando andasse meglio dell’altra volta.

“Si tratta di un mio fratello che da oggi viene ad abitare con me: Lettonia!”

Tremolante e dall’aria insicura, ma aveva una faccia pulita che ispirava fiducia e tenerezza: gli stava già simpatico.

“Piacere, il mio nome è Russia!”

“S-s-s-salve…”
“Ehi, non essere così nervoso, dai!” –rise lui- “Cerchiamo di andare d’accordo, va bene? Se qualcuno o qualcosa ti da fastidio, basta che tu me lo dica e ti proteggerò io, che ne dici?”

“Gra… Grazie! Sembri un tipo a posto!”

“Eh eh eh!”

 

“Non ci credo!” –Estonia si pulì gli occhiali- “Lettonia, hai visto? Sei diventato amico di Russia! Tu e Russia!”
“E non sono bassissimo! Questo… Questo è un paradiso! Ah ah, è stupendo!”

“Sigh, ancora con questa storia dell’altezza?”
Il loro terzo fratello notò altro: “Lettonia, forse non sei tu ad essere un po’ più alto, ma Russia ad essere un po’ più basso.”

“Come?”

“Guardalo, anche in confronto a me non è altissimo, anzi, siamo quasi uguali. Evidentemente qui, non diventando un impero ma una nazione sottomessa, è cresciuto un po’ meno.”

Malgrado l’acutezza dell’osservazione, ebbe l’effetto indesiderato di sprofondare in una cappa di sofferenza il suo più piccolo congiunto: “In altre parole… vuoi dire che sono sempre un tappo microscopico? Sigh! Sigh! Sigh!”

“E basta…”

Russia, il loro Russia, sentendo quei discorsi, fece dei confronti d’altezza con le mani, trovandosi effettivamente ristretto…

 

Nella scena seguente il tempo era andato ancora un po’ avanti: senza uno dei suoi più ostili nemici ad est, la Lituania viveva abbastanza al sicuro, e dove c’è la tranquillità, c’è la libertà per pensare all’amore.

“Ti andrebbe di sentire questi versi di un poeta italiano, mia diletta?”

“Va-va bene…”
E mentre Polonia con passione declamava, e Ucraina, seduta sulla panchina del giardino ascoltava ed arrossiva, pur non capendo una parola, nei cespugli fioriti dietro di loro, Lituania e gli altri due slavi ficcavano poco educatamente il naso.

<< Grrr! Smettila di circuire la mia sorellona, spocchioso ruffiano! >>

<< Forse dovrei provare anch’io se a Biel piace la poesia… >>

<< Perché non le chiede di sposarlo e basta? >>

L’altro Russia invece poteva spiare senza nemmeno nascondersi: “Dovete sapere…” –cominciò a chiarire agli spettatori- “Che Polonia ebbe sempre un certo debole per mia sorella, anche se qui lo vedo un po’ più corrisposto… E NON MI PIACE!”

<< A me si, tipo! >> -lo canzonò Feliks (sapendo di non poter essere preso a tubate perché al sicuro fuori di lì!).

Russia allora schiacciò il pulsante avanti e pregò che non succedesse ciò che temeva...

Riaprì gli occhi e…

“TU E MIA SORELLA COSA?!?!?”

“Eh eh eh, saremo cognati! Sei rimasto senza parole, vero?”

Una ce l’aveva: “KOL!”

“So che forse avresti preferito ti liberassi di Biel (fa tanta paura, tipo!), ma non potevo giocare un simile brutto tiro al mio caro amico Liet.”
“In che senso non… Oh, che importa?! Tu non avrai la sua mano!”

“Lei è più grande di te, non devo mica chiederti la sua mano. E poi, tecnicamente, ora che io e Liet siamo un'unica nazione, anch’io ora sono un tuo capo, quindi non si discute! Eh eh eh!”

“Quando Polonia e Lituania nel cinquecento divennero un unico stato…” –spiegò il narratore- “… l’accordo prevedeva che Ucraina passasse da Lituania a Polonia, e i due furono per un po’ sposati, anche se lei non ne fu sempre contenta. Dopo qualche tempo si ribellò più e più volte fino a liberarsi di lui.”

 

America seguiva sempre più appassionato: “Voi due eravate sposati! Che roba, ah ah ah! Non ti facevo tipo da matrimonio, Polonia (chissà perché, eh?)…”

“Mi spiace Polonia, non eravamo fatti l’uno per l’altra.”

“Fa nulla, Ucraina…”

Dal video arrivò la voce di suo fratello con una aggiunta: << E poi c’ero io che la istigavo continuamente a lasciarlo per diventare tutt’uno con me. >>

“ECCO! Precisiamolo, tipo! Umpf!”

 

“Qui però io sono già tutt’uno con qualcun altro; quindi magari potrebbe andare un pochino meglio tra loro due.”

C’era ugualmente il difficile ostacolo del fratellino, più piccolo ma sempre molto agguerrito: “GRRRR! KOL!”
“Dai, non essere geloso, tua sorella mi piace davvero. Vedrai, sarà bello avermi nella tua famiglia: guarda qui, ti ho anche portato un regalino per rinsaldare la nostra amicizia!”

“Una bottiglia?”

“È un liquore molto buono originario delle mie parti, si chiama vodka! A me non piace, ma forse a te si.”
“Mi regali qualcosa che non ti piace?!”

“Assaggia!”

Da lì era prevedibile… Ivan si fece ben quattro giri!

Poi un quinto e poi mise la mano sulla spalla di Polonia: “Quanto ne hai… cognato?”
“Tutto quello che vuoi, tipo! Eh eh eh!”

Certo che questo Russia sembrava essere in grado di andare d’accordo proprio con tutti…

Ancora una volta volle premere avanti, e vedere quanto in là si sarebbe spinta quella strana ma solida unione di cinque nazioni, di cui non aveva mai voluto piegarsi a far parte, finché non era crollata, un po’ da sé un po’ proprio per colpa sua… In essa però, un Russia più modesto, che non estendesse le sue grinfia da un capo all’altro del mondo aveva saputo trovare un posto accogliente, e tutti insieme si ritrovarono a combattere, fianco a fianco, alle porte di Vienna, quando fu il momento di salvare l’Europa dalla minaccia di Ottomano!

Polonia, raggiunta la cima della collina da cui si dominava il campo di battaglia impennò il bianco cavallo: “Resisti Austria, il tuo radioso salvatore è arrivato!”

“Taglia corto, Polonia! Turchia qui mi ha messo alle strette se non lo noti!” –gli gridò di rimando Austria, costretto a tirare caffettiere, quadri e il servizio buono addosso ai giannizzeri che tentavano di scalare le mura (Ungheria resisteva al suo fianco con la valorosa padella ovviamente).

“Umpf, quanta fretta tipo, prima assicuriamoci di essere in ordine per la nostra entrata trionfale…”

Sua moglie, Lituania, Russia, Bielorussia, nonché i loro rispettivi cavalli, emisero un sospiro rassegnato mentre si pettinava davanti uno specchietto.

“Mi spiace, Toris.” –fece Ivan- “Da quando vi siete uniti è diventato di fatto lui il nostro capo, e anche il tuo…”
Fece spallucce: “Non importa, Russia, non si può restare sempre in cima.”

Il sorriso di questo Ivan era molto più caldo e sincero: “Per me resterai comunque una spanna sopra Polonia, sappilo. Sei una brava persona, e un bravo amico!”

Deglutì: “Grazie… Se hai questa considerazione di me spero potrai accettare che io…”
“Accettare cosa?” –domandò vedendogli rivolgere uno sguardo verso qualcun altro.
“Vedi, io voglio…”
“Bene!” –fece Feliks, emettendo un lampo che accecò momentaneamente gli altri quattro- “Ora che sono a posto tipo, lanciamoci in un epica carica contro il nemico! Mi raccomando però, io in prima fila!”

“Ma vi muovete o no?!”

Fortunatamente per Austria, la calata dei cavalieri orientali riuscì a rovesciare le sorti della battaglia e a mettere in fuga Sadiq e i suoi, così come era avvenuto anche nella realtà d’altro canto.

Non trovando la sua partecipazione a quella battaglia particolarmente interessante, fu tentato di premere di nuovo avanti, ma una vocina invece gli disse di aspettare.

Alla fine della battaglia lo spettatore invisibile, vide da un lato Polonia che,  udendo profusi ringraziamenti al posto delle proteste per il ritardo, si faceva bello davanti Austria ed Ungheria, con Ucraina che si scusava al suo posto; dall’altro, nel frattempo, lui e l’altra sua sorella seduti su un cannone abbandonato che pulivano le loro sciabole.

“Sei stata bravissima Bielorussia: hai messo in fuga almeno dieci nemici con una sola occhiataccia.”

“Venti.” –ribatté lei, specchiando il sorriso sadico sul filo della lama.

Russia rabbrividì: “Non ti preoccupi dell’immagine che puoi dare di te?”

“Uh uh uh, mi importa dell’immagine che tu hai di me, fratellone…” –disse con voce bassa avvicinandoglisi lentamente…

“E-ecco, a questo proposito…”
“Biel!”

Emise un sospiro di sollievo all’arrivo di Lituania, che gli permise di squagliarsela.

“Sei stupenda.”

“Si, sono piccola e letale, me lo dicono in tanti.” –ribatté lei con indifferenza.

“No, io dico… in generale! È magnifico avere una donna così coraggiosa accanto in battaglia, ma io ti ammiro tanto che voglio averti accanto sempre, in ogni momento!”
“Eh?! Perché te ne esci così all’improvviso? Ti ha dato di volta il cervello?”

“F-forse, ecco perché ora farò questo!”

I due Russia si avvicinarono, sentendo di non potersela perdere.

Il suo ex-padrone le si inginocchiò innanzi e le prese la bianca mano: “Bielorussia, vuoi sposarmi?”

“TIPO?!?!?” –si sgolò Polonia, voltandosi di botto.

Ecco cosa voleva dire prima dello scontro, capirono gli Ivan!

Toris continuò a carezzare quella mano, pietrificata come tutto il resto, sperando tornasse presto viva e le desse una risposta, qualunque essa fosse.

“Io sposare te? Io sposare Lituania? I-io?!”

Con la testa che le girava, guardò suo fratello: lei era innamorata di lui, giusto? La verità, tanto amara per Toris, era sempre stata questa.

Ma non in quel mondo. In quel mondo, il suo fratellone non era quella presenza tanto importante, tanto magnifica, tanto fatale per lei, come era stata qualche ucronia prima; ecco perché non era riuscito a mettere del tutto in ombra quel bravo ragazzo castano, a cui mai il potere aveva dato alla testa, e che sempre di nascosto l’aveva ammirata.

Né aveva impedito, a quel poco che covava per lui nel profondo del cuore, di svilupparsi in quei secoli vissuti vicini, e magari infine sbocciare, davanti a quella improvvisa, dolce confessione.

Le catene del suo sogno irrealizzabile, quel fratellone che ora le sorrideva felice per lei, non erano in realtà chiuse da alcun lucchetto: doveva solo avere il coraggio di liberarsene, ed accettare quella inaspettata occasione di felicità.

Gli diede uno schiaffo!

“?!?!?”

“Questo è per averlo fatto in pubblico! Maledizione, sono imbarazzata da morire!”

“Povero Lituania…” –mormorò Ucraina.

“Già, povero lui, fai bene a dirlo, sorellona, perché ora gli spetterò io come moglie, e non sarà facile, chiaro?”

“C-chiarissimo!” –rispose a tono Toris, agguantandola finalmente tra le proprie braccia.

Polonia e Ucraina si avvicinarono mano nella mano: “Tipo, fantastico! Due migliori amici che si sposano con due sorelle, che si può chiedere di più?” –si chiese baciando la guancia della sua sorridente sposa.

“N-non provare a baciarmi o ti spezzo le dita…”

“So che lo faresti, ecco perché non l’ho fatto ancora!”

Il rossore di Biel peggiorò e si nascose contro il suo petto: Liet la conosceva proprio bene, abbastanza per essere un ottimo marito, anche se saltato fuori dalla direzione opposta a quella in cui aveva sempre guardato.

 

Come risultato di quella toccante scena, in sala riunioni Lituania e Bielorussia si evitavano in ogni modo con lo sguardo, ignorando occhiatine e frecciatine!

“Non ti arrendere, Toris!”
“Dai, Biel, dagli una possibilità, eh eh!”

“I-io amo solo il mio fratellone, umpf!”

“C-come dice lei…”

Si incrociarono con gli occhi un attimo e subito scapparono via, nella tenerezza generale.

 

Anche Austria ed Ungheria erano accorsi a fare le loro congratulazioni ai futuri coniugi. Il fratellone invece aveva preferito restare in disparte, e godersi al meglio lo spettacolo di quelle due coppie felici: certo, non c’erano dubbi su quale dei due cognati preferisse, ma entrambe le sue sorelle si erano accasate con due delle nazioni più forti del mondo, e lui, che non era possessivo quanto il suo enorme sosia alle sue spalle, sapeva esserne contento.

“Beh…” –gli sentì scherzarci su il suo alter ego- “Almeno ci sono ancora Lettonia ed Estonia, quindi non sono l’unico scapolo di casa, eh eh!”

Quanto doveva essere diversa invece la sua espressione, si domandò l’altro.

Cosa esattamente plasmava il suo viso mentre osservava quel futuro mancato per le sue sorelle: sollievo, o magari un pizzico di gelosia, per una Bielorussia che si era infine decisa a snobbarlo dopo averlo ammirato più del sole, blanda indifferenza per lo sdolcinato spettacolino, o puro e semplice senso di colpa per ciò che poteva, ma non fu mai?

 

 

 

Fine prima parte!
Se siete ci rimasti male per aver saputo che questa sarà l’ultima ucronia di questa bella serie, potete almeno essere contenti del fatto che sarà una di quelle lunghe ^__^

Purché vi stia piacendo, certo… Spero tanto che sia così: per chi non ne fosse ancora al corrente, è proprio Russia il mio personaggio preferito nella serie. Quindi, mi raccomando, non mancate di farmi sapere al riguardo nei commenti, vi prego! ^__^

A presto con la seconda parte! Buone feste a tutti!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 16
*** E se Russia non fosse mai diventato così grande? - SECONDA PARTE ***


BUON 2013 A TUTTI! Benritrovati nell’anno nuovo, cari lettori! ^__^

 

Alla faccia dei maya, un anno nuovo inizia, e questa fic invece prosegue con i suoi ultimi capitoli. Vi siete rattristati un pochino, vero? Però sono comunque contento che questa ucronia finale abbia ricevuto molti commenti positivi (alcuni di voi l’hanno inserita ai primi posti delle ucronie preferite, e ne sono molto contento ^__^); non posso che assicurarvi che sarà davvero un gran finale, vedrete!

Passiamo quindi alla seconda parte, e vediamo che fine avrebbe fatto un Russia radicalmente diverso da come lo conosciamo: più piccolo, meno importante, molto meno prepotente, avvolto non da una spaventosa aura, ma soltanto dai suoi affetti più cari.

Buona lettura!

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

 

 

 

Riassestatesi un po’ le cose, la vita riprese a scorrere tranquilla per la numerosa famiglia dell’est, che col suo territorio gigantesco suscitava il rispetto e le dovute invidie delle altre nazioni.

“Ammira, mia diletta! Cosa te ne pare?”

Polonia sventolò davanti a Ucraina un lungo vestito rosa, con fiocchi, deliziosi orli merlettati alle maniche e inserti di perle qui e là.

“È… È davvero meraviglioso!” –lo ringraziò Katyusha, incapace di staccare gli occhi di dosso a quella meraviglia.
“Sapevo che ti sarebbe piaciuto! Ecco perché ne ho preso uno anche per te!”

“Eh?”

Il tempo di notare Estonia avvicinarsi con un abito identico e, girandosi, ritrovò suo marito davanti lo specchio che si carezzava sognante l’abito tra le mani.
“Ah, non vedo l’ora di indossarlo!”

“……”

Ucraina, persa un po’ la voglia di indossare alcunché, cercò l’eloquentissimo sguardo di Estonia.

Doveva aspettarselo, le diceva con compatimento la faccia del baltico!

 

Notato Lettonia preso da qualcosa, Russia interruppe la sua passeggiata per casa e si avvicinò: “Qualche problema?”
“Si, Russia, dovrei rimettere a posto questo quadro lì sulla parete, ma è troppo in alto e la scala ha dei piedi rotti.”
Ivan calcolò un po’ l’altezza e sorrise, afferrando Ravis alla vita: “Nessun problema!”

Per un secondo gli spettatori avevano temuto volesse lanciarlo, o magari “stiracchiarlo” per renderlo un po’ più lungo (cosa già avvenuta in passato), ma questo Russia “buono” si limitò invece a sollevarlo sulle proprie spalle, in modo che potesse raggiungere il chiodo.

“Fatto! Meno male che ci sei tu che sei forte e alto!”
“Dai, non lo sono poi così tanto!”

Lo poggiò a terra e batté il cinque avviandosi con lui: “Bel lavoro!”

“Fermi voi due!”
“!!!”

Saltarono l’uno in braccio all’altro: non sei mai troppo alto o forte per tenere testa a Bielorussia arrabbiata!

“Non vedete che è storto? Salite subito e rimettetelo a posto, cialtroni!”
“S-SI, SUBITO!”

Tanto riuscì a smuoverli lo spavento che stavolta fu Lettonia a trovare la forza di sollevare Russia intero sulle le proprie spalle (si poteva dire che Biel sapeva come tirar fuori il meglio da tutti)!

“Umpf!”

“Tesoro…” –fece Lituania alle sue spalle vedendo quella buffa colonna tremolante venutasi a creare nel loro corridoio- “Non è necessario che usi la tua aura per cose del genere…”

Sembrava il padrone di qualche feroce orso ammaestrato (ammaestrato, ma sempre con un brutto carattere…)

 

Il pubblico dalla realtà nel frattempo, per la gioia del “produttore” dello show, stava proprio apprezzando quella versione della storia.

“Che bello! A me piacciono molto le famiglie unite!” –disse Finlandia, intenerito al punto da carezzare continuamente Hanatamago.

“E a me piace molto quel vestito!” –gongolò Polonia, scuotendosi come davanti una vetrina coi saldi- “Credete potrei farmene fare uno uguale?”

“Ih ih ih, e voi due che mi dite?” –fece Prussia tra i denti stretti, appoggiandosi alle spalliere delle sedie di Liet e Biel, che provavano con tutte le forze a far finta di nulla- “Dico a te, cara la mia schizzoide incestuosa, gliela diamo una possibilità a questo sciancato? Ih ih ih! Avanti, non vedi quanto ti adora?”

Mimò un bacino e Bielorussia mulinò alla cieca il coltello cercando di scacciare quell’uccellaccio fastidioso: “P-piantala o ti scuoio, dannazione!”

“P-piantala o ti scuoia, dannazione!” –reagì allo stesso modo Lituania, anziché cercare di disarmarla: l’imbarazzo era davvero troppo se persino Bielorussia era arrivata a balbettare!

Se però, più o meno, tutti alzavano il pollice in su, ad essere un po’ meno convinto era proprio il produttore, America.
“Questo Russia è così… poco interessante…” –dov’era finito il duro bestione della tundra, suo acerrimo rivale, che adorava sfidare a braccio di ferro? Con una mammoletta del genere non ci sarebbe stato alcun gusto…- “E poi non sta andando tutto troppo bene? Insomma, non avevamo appena finito di dire che si comincia bene e poi piano piano si scopre la fregatura? Io qui non la vedo mica.”

Ungheria gli si levò contro: “Uffa, perché quando salta fuori una storia in cui tutti sono felici e contenti tu vorresti che andasse a rotoli? Ma non eri un fan del lieto fine?”

Inghilterra si inserì diplomaticamente tra i due: “Malgrado adori andare contro America (e questa storia mi stia piacendo anche così com’è), c’è da dire Ungheria che in effetti finora è sempre successo così: a un tratto tutto comincia andare storto.”

“Sono d’accordo.” –li aveva interrotti dallo schermo la voce del protagonista nascosto, facendoli girare.

 

La sua risposta a quei discorsi era arrivata pronta, ma un po’ rimpianta; proprio nel momento in cui, abbagliato da ciò che vedeva intorno a sé, aveva iniziato a brillare sulle sue labbra un sorriso già un po’ più simile a quello che aveva l’altro Russia. Invece, quel bagliore appena acceso si era spento nel soffio del lagnoso America, seccante quanto vero.

“Niente resta com’è per sempre; non può andarti bene in eterno.” –quelle parole, pronunciate in maniera così inespressiva, furono per gli altri come una tonnellata poggiata addosso, che schiaccia qualsiasi tenerezza provata finora e speranza che saresti in grado di provare- “Io ero un grande nemico di questa famiglia, ma non ero il solo, né erano i nemici esterni i suoi unici problemi: forse, senza di me, sarà stata più solida e sarà durata più a lungo, ma avrà incontrato comunque la sua fine.”

Certo di ciò, premette avanti, verso una scena che ancor prima di apparire faceva rimpiangere tutti che Ivan non si fosse accontentato di vedere fino a quel punto; ma dopotutto, anche le altre ucronie avevano avuto le loro note di amaro, perché questa avrebbe dovuto fare eccezione?

La scena seguente lo catapultò in una sala; una sala rettangolare dagli ampi finestroni, lucidi marmi in terra, ricchi lampadari dorati in alto, sfarzosa, di quelle dove sta la gente che conta, e dove si scrive la storia. A patto che tu sia un vincitore.

Gli sconfitti, e in primis Polonia, coi bei vestiti di cui andava così fiero sgualciti e senza lo smalto di un tempo come il loro proprietario, due passi avanti alla sua schiera di amici e parenti, restavano in silenzio a guardargliela scrivere. C’erano proprio tutti a guardare quelle spalle un po’ piegate, da sua moglie al suo migliore amico e ai fratelli di questi, tutti colmi d’ansia, mentre Austria e Prussia, trafficavano seduti, in disparte, sopra una cartina geografica.

“Io penso che così vada bene.” –fece il primo, disegnandoci sopra con una penna, e concludendo con un elegante svolazzo.

Prussia si passò una mano sul mento: “Secondo me va meglio così!”
Sguainò la spada e con dei colpi veloci tagliò in due parti la cartina, porgendo poi ad Austria, col piatto della lama, la sua metà.

“Ih ih ih!”

Questi osservò il risultato e annuì soddisfatto, pur non risparmiando un’occhiataccia boriosa all’albino in contestazione del metodo troppo appariscente: il solito buffone.

Russia provvide come sempre a una spiegazione: “Prima di vedere l’inizio dell’ottocento, la confederazione polacca, sempre più in crisi, con capi deboli, incapaci di governarla e proteggerla, venne spartita tra le tre potenze ai suoi confini, Austria, Prussia e… Russia…”

In quel caso però ovviamente lui mancava all’appello, ed era lì in quella sala come uno degli sconfitti in attesa di sapere del suo destino.

“Ih ih ih, allora è deciso, Polonia! Tu ora appartieni a me, il magnifico Prussia! Finalmente ho trovato un baby-sitter per quel noiosetto del mio fratellino minore, così potrò pensare di più alle mie guerre e meno a badare a lui (e nei weekend potrò fare tardi quanto voglio!)!”

La reazione di Polonia fu contenuta ma pungente: “Oh, beh, sempre meglio noiosetto che egocentrico, umpf!”
“Senti chi parla di egocentrismo!”

Austria si schiarì la voce per rubare la scena al duo di primedonne: “Quanto ad Ucraina, lei verrà con me: è brava coi lavori manuali e agricoli, potrà occuparsi degli animali mentre Ungheria pensa alla casa.” –così lei avrebbe avuto anche meno lavoro e più tempo libero da trascorrere col suo bel capo…

Katyusha forse aveva smesso di sentire a “verrà con me”, perché non aveva accennato a un minimo di reazione alle parole di Roderich, rivolgendo invece i suoi occhi di cielo al marito. Questi, trasformato dal momento, smise di essere il solito sé, affrontando con serietà e maturità quello sguardo angosciato; si, le disse in silenzio, significa che ci separiamo. Non saremo più marito e moglie.
Compreso lo stesso ciò che non avrebbe voluto udire, esplose finalmente in un unico piccolo singhiozzo, prima di stringere i denti, e provare ad avere la stessa dignità nella sconfitta del suo ex-sposo, per quanto fosse difficile.

“Non ti preoccupare!” –le rivolse un sorriso, mentre Gilbert, sghignazzando già lo afferrava per la manica per portarlo in regalo al piccolo Ludwig- “Io ci so fare coi bambini, tipo! Starò bene, te lo assicuro! Stammi bene anche tu!”

“Signorina, se vuole gentilmente precedermi.” –fece educatamente ma perentorio Austria alla sua nuova conquista, che a testa bassa obbedì.

Bielorussia si staccò dal gruppetto rimasto a pugni stretti: “Ehi! E noi?”

“Voi?” –si girò Prussia- “Ah, giusto…”

Russia si schierò accanto la sorellina, usando lo stesso tono aggressivo: “Che ne sarà di noi? Anche noi eravamo parte della confederazione! Non avete deciso nulla?”

L’altro Russia scosse il capo: l’avevano scampata, perché essere tanto sciocchi? Erano davvero arrivati a desiderare di condividere la stessa triste sorte degli altri due? Così pateticamente uniti… da fargli invidia…

Austria e Prussia si guardarono tra loro come messi di fronte a una domanda troppo complicata.

“Che ne facciamo? Li prendi tu?” –chiese Austria.

“Non lo so…”
“Sono troppo distanti da casa mia, sai che fatica poi ogni volta andare laggiù a controllarli.” –ribatté Roderich- “E poi da loro fa pure un freddo insopportabile, non se ne parla…”

“Umpf, e io non potrei dirti le stesse cose? Al massimo lei, anche se non so quanto mi convenga…” –borbottò ricordandosi della sua fama di coltellaccio facile…

I due fratelli strinsero i denti a sentirsi riferire come a degli scarti.
“E gli altri tre?” –insistette l’aristocratico- “Non sono tanto lontani per te, potresti occupartene tu anche di quelli…”
“Magari un’altra volta: ora in carrozza ho spazio solo per questo qui.”

“E a me piace viaggiare largo, tipo, ti avviso, umpf!” –quello si che avrebbe reso la vita difficile al suo antipatico conquistatore…

“Senti, chiudiamola qui e spartiamoceli con calma qualche altra volta, no?” –sbuffò l’albino- “Tanto non scappano e sono dei villici, che vuoi che sia riconquistarli?”
“Ehi! Ma come vi permettete?”

Austria sbuffò: “Sentite, fate un po’ come volete, d’accordo? Quando avremo motivi per interessarci a voi ripasseremo. Su, andiamo.”

“Fate i bravi! Mettete sempre i vestiti pesanti!” –si raccomandò la sorella maggiore, continuando a salutarli fino alla porta sul lato opposto della sala.

I cinque rimasti soli sprofondarono in un silenzio di umiliazione, un silenzio completamente vuoto, come si sentivano senza i loro affetti sottratti.

La prima a reagire fu Bielorussia, che riuscì a non piangere sfogandosi sul proprio ora debole marito, schiaffeggiandolo forte.

“Ci giurasti che saremmo stati tutti al sicuro! Ci giurasti che non avresti permesso mai a nessuno di separarci! Quando venimmo con te ce lo giurasti!”
“……”
“Dov’è mia sorella? Tu la vedi qui? Eh? Dov’è?” –gridò ancora, schiaffeggiandolo ancora, prima che Russia le afferrasse il polso (visto pure che Toris non mostrava alcuna intenzione di reagire).

“Smettila!” –le ringhiò, riuscendo a calmarla.

Natalia però non aveva tirato fuori a sufficienza. Si girò nuovamente verso Toris, pronto a subire, con la stessa amorevole indifferenza, qualunque cosa per sua la dolce Biel col cuore ora spezzato, anche se non per colpa sua.

“Io… Non ti voglio più vedere! Sarò uno stato da me! Almeno fin quando Prussia o qualche altro imbecille non verrà a prendermi!”

Se sua sorella maggiore, così dolce e meritevole di felicità non poteva restare sposata, allora nemmeno lei la sorella piccola e antipatica lo sarebbe stata: convinta di ciò, uscì di scena sbattendo la porta.

Russia fu il primo a dare una pacca sulla spalla all’immobile Toris: “Scusala, è sconvolta. Non è colpa tua quello che è successo. Vedrai che quando si calmerà tornerà da te.”
“No, Russia… Penso anche io che il tempo della nostra unione sia finito. La storia ha espresso il suo giudizio.”

Ivan, ferito da quelle parole, si morse la lingua e ne cercò altre con cui ribattere, ma non ne trovò, né certo gliene avrebbero date Estonia o Lettonia, ben più timidi e remissivi di lui.

Toris ricambiò la pacca: “Grazie a me e Polonia siamo stati insieme per un sacco di tempo, ma adesso la nostra potenza è storia passata; e credo sia finalmente giunto il momento di provare a cavarcela ognuno per conto proprio, ed è quello che voglio fare. Credo farebbe bene anche a te, Russia… E anche a voi due, certo!” –sorrise verso i suoi fratelli, il minore dei quali si asciugò anche lui una lacrima.

Aveva ragione dopotutto, si disse Ivan, non era mai stato una nazione per conto suo prima d’ora, ma adesso era cresciuto abbastanza per esserlo; ma non avrebbe significato affatto che con quell’unione tanto gloriosa di cui aveva fatto parte, sarebbe sparita anche la sua famiglia.
“Allora è deciso, le nostre strade si separano. Però, Lituania, sappi che continuerò ad essere amico tuo e dei tuoi fratelli: nessuno può impedirci di continuare ad andare d’accordo da bravi vicini, giusto?”
“Giusto!”

Porse la mano al suo migliore amico in una solida stretta, cui seguirono quella volenterosa di Estonia e quella più debole e commossa di Lettonia; dopodiché, i quattro uscirono insieme, mai ormai separati, dal salone.

 

“Ih ih ih, poveri sfigati!”

Come Prussia aveva additato lo schermo ridendo malvagiamente, allo stesso modo fu additato lui da tutti con un forte coro di “BUUUU!”

“Argh! Gilbird, tappati le orecchie, stanno osando fare “Buuuu!” al magnifico me!”

“Tipo, ben ti sta, spaccone!”

Finlandia e Hanatamago avevano le orecchie tutte abbassate: “Sigh, poverini, una famiglia così bella…”

“Veeee! Che tristezza!”
“Dovreste vergognarvi!” –fece Danimarca rivolto verso Austria, anche lui ricoperto da occhiatacce di dissenso.
Arrossito, Roderich cercò nervosamente di difendersi: “Ehi! Voi non eravate nei miei panni! Non avete idea di cosa vuol dire essere un impero: hai tante nazioni ai tuoi ordini, ma ne vuoi di più, di più, sempre di più! È come una droga! Una droga vi dico! Sigh! Io non sono cattivo ve lo giuro! Era una droga!”

Ungheria gli prese la testolina e se la poggiò sulle gambe, carezzandogliela: “Su su, Austria, lo sappiamo che oggi sei cambiato.”

“Sigh! Ungheria… Volevo nazioni, sempre nazioni… Sigh!”

<< Austria è partito… >>

Che buffo, pensò America: forse si stavano dimenticando che anche Russia in quanto a fame di altre nazioni da sottomettere era tutt’oggi un esperto…

Si tornò a guardare verso lo schermo, dove nel frattempo lui era rimasto immerso nei suoi pensieri.

“Non c’è molto da compatirli, in realtà.” –osservò Ivan, razionale e distaccato come sempre- “Gli imperi vanno e vengono, nulla dura per sempre. Magari Prussia tornerà e prenderà Biel e i baltici, forse anche me, ma non durerà. Comunque vada la storia, con o senza un Russia gigantesco, Prussia ed Austria, per quanto potenti saranno potuti diventare, prima o poi cederanno, come è destino di ogni impero.” –lo avevano insegnato già le ucronie di Turchia e di Austria per l’appunto.

“Arriverà anche qui una guerra mondiale che darà loro il colpo di grazia, e i vincitori, Inghilterra, Francia e America, come al solito si divertiranno a disegnare il mondo come più gli piace… Cioè, “come è giusto che sia”… per loro…”

Anche stavolta ci aveva visto giusto. Il grande Russia si ritrovò di nuovo accanto al piccolo Russia e ai suoi amici baltici, seduti ad aspettare che i trattati di pace venissero sanciti. La porta del palazzo in cui erano riuniti i vincitori si aprì, e con gioia di tutti, Polonia ed Ucraina ne erano usciti di nuovo mano nella mano.

Ancora una volta il narratore ebbe a notare quanto paradossale fosse quel mondo rispetto al suo: << E pensare che nella realtà questi due usciti da lì si sono dichiarati guerra… >>

Guerra di cui poi lui aveva approfittato per annettere la sorellona, ricordò, provandone vergogna; non gli era mai capitato prima… che quell’ucronia stesse facendo presa su di lui dopotutto?

Tra gli applausi e le esultanze dei quattro che li avevano fiduciosamente aspettati, Feliks strinse la timida Katyusha a sé ed esultò, spavaldo come al solito, come a dire: nulla per una fenice come me! Lituania però non si precipitò dall’amico come gli altri: di soppiatto, era arrivata anche Natalia.

Mentre una coppia riceveva complimenti e distraeva ogni occhio indiscreto, l’altra coppia poté così in quell’ignorato silenzio ritrovarsi, e notare, al dito di lei, l’anello di fidanzamento che non si era tolta neppure dopo quei ceffoni di più di un secolo prima.

Le rialzò il volto, abbassato come per scusarsi, e, in barba ad ogni regola, la baciò in pubblico. Le offrì subito una guancia per il ceffone, ma lei, abbracciandolo, gli fece capire che, solo per quella volta, avrebbe chiuso in occhio…


<< CIAFF! >>

D’istinto invece, la Bielorussia reale aveva subito schiaffeggiato il Toris al suo fianco, prima che in sala partissero fischi e occhiolini.

“Sigh!”

“……”

Sullo schermo le sei nazioni ridevano, scherzavano e si ripromettevano di rimanere sempre in stretto contatto, anche da indipendenti; America vedendoli ridacchiò un attimo, e poi tornò pensieroso: “Quindi… questa storia avrà un lieto fine dopotutto.”
“Siiiii!” –alzò le braccia Ungheria.

“Non credo.” –gliele fece abbassare Russia dallo schermo.

<< Che altro c’è? Accidenti, Russia! >> -sbuffò Elizaveta- << Perché devi guastarti da solo la festa? Pensavo fossi sadico, non masochista! >>

“Anche voi dovreste arrivarci: io non sono un veggente, intuisco ciò che accadrà perché l’ho già vissuto. Questo spezzone è bello, ma poco interessante ad essere sincero; mi piacerebbe di più vedere cosa avverrà dopo…”

Stava per premere, quando gli venne un sorriso molto… da lui…

“Tu sai di cosa sto parlando…” –buttò di lato un occhio verso fuori- “Germania…”

“Ve?”

Italia vide la faccia del suo amico scurirsi; sembrava arrabbiato, ma non avrebbe mai saputo dire con chi.

“Oh, no…” –lo sentì dire a fior di labbra.

Preoccupato, tornò a guardare.

 

Avevano combattuto insieme ed erano caduti insieme, uno dopo l’altro: non certo per il poco valore, semplicemente non era un avversario alla loro portata; Polonia, Lituania, Russia, Estonia, Bielorussia, Ucraina, e anche Lettonia aveva fatto del suo meglio con gli altri, ma a spuntarla era stato Germania.

Ludwig si asciugò il sudore dalla fronte, contemplando l’est Europa da lui appena abbattuto, che con versi di sforzo cercava di rimettersi in piedi: “Beh… è stato comunque meno impegnativo di quanto mi aspettassi.”

“Possiamo… ancora…” –disse Russia tra una fitta e l’altra.

“Lascia perdere…” –sospirò Lituania, aiutato a sollevarsi dalle due sorelle- “Ormai ci ha sconfitto, andare avanti è inutile.”

“Tipo, temo di si…”

Lo spettro intanto gironzolava di lì, scrutandoli uno per uno nella loro rabbia e delusione, fermandosi davanti il suo alter ego, che sbatté forte il pugno a terra in segno di resa.

“Più che naturale.” –gli disse- “Senza essersi espanso fino al pacifico, senza delle retrovie immense su cui fare affidamento (e magari un bel governo totalitario a spronarlo), Russia non è quel paese invincibile davanti a cui persino il Germania più forte di sempre ha dovuto chinare il capo.”

Guardò l’altro sé con sdegno: “Non ha potuto fare nulla per trattenerlo. Nel tentativo di salvare Polonia quando è stato attaccato, lui e gli altri hanno decretato la loro disfatta.”

Germania, ripresosi anche lui dal combattimento, passò a sbrigare velocemente la pratica: “Bene, allora… Voi slavi ora siete sotto il mio controllo: mi darete una mano nelle fabbriche per sostenere me i miei alleati in guerra.”

“Abbiamo, tipo, altra scelta?” –ghignò tristemente Polonia.

“Bene, ora che qui ad est è tutto risolto, posso andare a concentrarmi su Inghilterra (sperando che Italia non ne combini un’altra delle sue…)!”
E senza ulteriori indugi, Ludwig lasciò gli sconfitti a leccarsi le ferite, e corse via il più veloce possibile verso l’altro fronte.

Il grande Russia osservò quella schiena allontanarsi sempre di più, diretta senza inciampi verso un futuro che la vedeva potente da essere irraggiungibile.

Ricominciò a parlare, grave, come un monito severo di disgrazie a venire: “Senza di me ad est, il grande nemico comunista a tenerlo a bada per anni senza cedere, a fargli consumare immense risorse e perire milioni di soldati nella gelida morsa del mio miglior generale, Germania ha potuto concentrarsi completamente ad occidente, su quell’altro nemico che con le unghie e con i denti era riuscito a resistergli. Ma ora che non gli è rimasto nessun altro, non ce la farà.”

Germania immerse le mani tra i capelli e poi nascose il viso dietro di esse.
“Oh, no…” –mormorò di nuovo, sbirciando da una fessura tra le dita il volto impallidito di America apparso sullo schermo.

 

“… Sono arrivato troppo tardi.”

Alla fine il leone era stato abbattuto. Inghilterra, l’ultima nazione libera d’Europa a resistere all’Asse era riverso a terra.

Germania ansimava e fissava quel corpo. Aveva faticato di più che con gli orientali, ma quel fiatone sembrava più quello di una persona sconvolta: i suoi occhi erano sbarrati, increduli, le sue dita tremavano come foglie mosse dal vento di una vittoria che mai era stata tanto schiacciante.

E quel vento pian piano trasfigurò Germania, e mutò la sua incredulità in una risata, prima appena accennata, poi a denti sgranati.

“Ce l’ho fatta… Ho vinto! Da solo ho sottomesso l’intera Europa (cioè, con un piccolo aiutino di Italia, certo…)!”

“Non ti lascerò mettere le tue grinfie anche su Inghilterra!”
“Umpf, tienitelo pure! A me basta… tutto il resto!”

America aiutò Inghilterra a rialzarsi, tenendo d’occhio Germania con uno sguardo battagliero; ad ogni modo, non c’erano le condizioni per affrontarlo subito (anche perché Giappone sembrava avercela con lui per qualche motivo ed era meglio tenerlo d’occhio...).

“Non la passerai liscia, Germania! A costo di iniziare una guerra fredda che duri cinquant’anni e pure di più, io ti combatterò, e riporterò la libertà e la giusta via (la mia) a tutte le nazioni di cui ti sei appropriato indebitamente. Mi acclameranno come loro eroe non appena ti avrò preso a calci, aspetta e vedrai!” –gli lanciò la sfida Alfred, caricandosi Inghilterra in spalla (stavolta voleva vedere se non tornava a fare coppia con lui!).

“Umpf, ecco, vai pure, lasciami tornare a casa dal mio Reich! Ah, e già che ci sei, portati dietro anche questo qui!” –gli disse tirandogli davanti un ragazzino moro dall’aspetto un po’ malridotto.
“Israele! Santo cielo, ma che ti ha combinato?”

Ovvio che avesse uno sguardo tanto triste: quel mostro di Germania gli aveva messo addosso una maglietta con su scritto << Sono ebreo, prendetemi a calci >>, e pure di un colore orribile.

“Il mio capo non lo sopporta, e dice che non ho di che farmene nel mio nuovo Reich europeo: lo macchierebbe soltanto. Portatelo a casa tua se ti sta tanto simpatico.”

“Stai pur certo che lo farò! Radunerò tutte le nazioni rimaste per farti il sedere a stelle e strise!”

“Sempre che non le conquisti io prima…”
“Non provocare!” –gli agitò contro il pugno. Poi, con Inghilterra sulle spalle, e Israele nella mano, ripartì, lasciando purtroppo l’Europa sotto il dominio di Ludwig e di quello stramboide baffuto del suo capo.

“Uh uh… Uh uh uh! Sono il signore di tutta l’Europa! Ma che dico, sono il più forte del mondo! Ah ah ah! Mi sono proprio meritato un bel piatto di wurst e una pinta, eh si!”

Si spazzò l’uniforme e si avviò tutto contento a casa.

E nel sorriso di quel Germania ucronico, le nazioni che guardavano da fuori, ammutolite, cominciavano a capire quanta gratitudine dovevano in realtà a quel sorriso sadico all’ombra di quella lunga sciarpa che tante volte li aveva spaventati.

Ma sul Russia che osservava invisibile, non c’era traccia di sorridi di alcun genere in quel momento.

 

Il mondo intorno sfumò, e Russia ritrovò i suoi piedi sul tappeto dello studio di Ludwig.

Seduto alla scrivania, compilava carte alla tenue luce di una lampada, il resto della stanza avvolto nell’oscurità, con ombre minacciose disegnate sui simboli delle aquile messi un po’ qui e un po’ là; lo guardò, sembrava stanco, ma anche di più. Sembrava malato, di una malattia provocatagli da tutte quelle folli idee con cui lo avevano rimpinzato per anni, e da cui che nessuna lavata di capo da parte sua e degli alleati aveva potuto liberarlo. I suoi occhi non erano della solita tonalità; l’azzurro sembrava impallidire, ingrigire a vista d’occhio.

Il suo fido alleato bussò alla porta: “Ve! Posso entrare?”
“Oh, salve Italia.” –lo salutò lui, con un sorriso breve- “Vuoi invitarmi a mangiare scommetto. Aspetta che finisca qui…”
“Ve, tranquillo… In realtà, più che invitarti a mangiare, volevo chiederti… se ti senti bene.”

“……”

Posò la penna e incrociò le dita nelle mani inguantate di nero, come la divisa che indossava: “No. Non sto affatto bene.”

Proprio la risposta che si aspettava se vai da un amico apposta per parlargli; ritrovarsi da un giorno all’altro con un impero su cui non cala mai il sole non doveva essere facile.

“E… perché?” –cercò di tirargli fuori col suo amichevole e ancora abbastanza innocente sorriso il fascista- “Insomma… Hai vinto. Sei il più forte e il più rispettato, hai tutto, grazie a te sono diventato un pochino più forte anche io… Credevo che quando avessimo vinto la guerra, sarebbe stato grandioso, che si sarebbe mangiato un sacco tutti felici.”

Storse la bocca e lo trafisse con lo sguardo: da quando aveva vinto aveva smesso di impegnarsi a non mostrare il proprio sprezzo per l’ingenuità infantile dell’alleato.

Fu solo un attimo però, si massaggiò gli occhi e sembrò tornare in sé: “Io… Non ho nulla di che essere felice, Italia. Diventando il più potente ho perso i rapporti che avevo con praticamente tutti tranne te e Giappone; le nazioni che ora comando mi odiano, odiano le mie idee, il mio modo di vedere le cose, il modo in cui li sfrutto… E non mi sento di negargli alcuna ragione per farlo. Immagina quanti mi odino da fuori, America e i suoi.”

Italia si grattò la testa: “Beh, è una cosa normale che ci sia un po’ di invidia per il vincitore… Forse col tempo gli piacerai di più.”

“Io non mi piaccio più Italia.” –scosse il capo, parlando però con voce più stufa che triste- “Io… Credo di aver fatto un errore a stare a sentire i miei capi e abbracciare le loro idee. Sto diventato arrogante, insensibile, irascibile, penso che tutti siano feccia tranne me… Mi stanno trasformando in una specie di… mostro…”

“No!” –ribattè subito.

Italia provò a vincere il suo muro con tutta la sincerità che aveva in corpo: “Tu non sei un mostro, Germania. Non sarei capace di essere amico di un mostro, eh eh eh!”

Povero dolce, amabile Italia, paese di sole e pasta che come lui aveva dato retta al primo che passava per migliorare un po’ la propria autostima, pensò Russia. Non la spunterai.

Germania aprì un cassetto della scrivania, prese un fascicolo e glielo porse.

“Che cos’è?”
“Un progetto segreto ideato dai miei superiori. Nel mio Reich non ci sarebbe stato posto per Israele e il suo popolo, quindi, prima di sbolognarlo ad America, avevamo provato a cercare altre… soluzioni.”

Italia sbirciò, sfogliò, lesse, interrompendosi a metà delle frasi, come se proseguire anche di una sola lettera avesse potuto stringergli quella morsa nel petto che gli mozzava il respiro. Una goccia di sudore freddo cadde su un foglio, prima che le sue mani tremanti richiudessero la cartellina.

I suoi occhi lucidi fissarono un distratto Ludwig nell’atto di accendersi una sigaretta.
“Germania… Tu… Non avresti fatto nulla di tutto questo… Non è vero?”

In fondo lo rispettava, e aveva già ammesso il suo problema, quindi perché mentirgli?

Soffiò un po’ di fumo, e rispose, senza guardargli in faccia: “Non lo so…”

“…… C-ciao… Germania…”
Italia si alzò, e solo l’invisibile Ivan ebbe il privilegio di gustarsi il suo impagabile scoppiare in lacrime, un attimo prima di richiudere la porta dietro di sé, maledicendo il giorno in cui avevano vinto e l’aiuto che gli aveva dato.

“Ognuno ha le proprie idee, ma bisogna trattarle con cura. A volte da esse ne nascono cose alquanto brutte.” –disse lui, che pure ne aveva abbracciate alcune, nella sua storia recente, a tratti discutibili.

 

“Ora capisci, Italia?”
Italia si girò verso l’amico: la testa piegata sul collo dalla vergogna, e nell’ombra che gli velava il viso, un mesto sorriso.

“Capisci perché non volevo assolutamente vedere l’ucronia in cui avessimo vinto?”

C’erano volte in cui pure Italia arrivava finalmente a darsi dello stupido, per non aver capito prima cose tanto ovvie.

Vide la mano di Ludwig poggiata sulla gamba, tremare, chiusa ben stretta, in un pugno che avrebbe voluto rivolgere contro sé stesso. Ma come l’Italia dell’ucronia, sapeva che non era un mostro, e sapeva di essere suo amico.

Poggiò la mano sul suo pugno chiuso, e non la lasciò fino a quando non si dischiuse. Era stato sconfitto, grazie al cielo, ed era guarito; basta tormentarsi.

Ludwig tornò a respirare normalmente, e lasciò che Feli poggiasse la testa sulla sua spalla, in segno di ringraziamento.

 

Ed ecco dunque cosa ne era dell’Europa con la vittoria dell’Asse: un mondo grigio, traviato, in cui un popolo dominava su tutti gli altri e insegnava loro quanto fossero al di sotto rispetto a loro; un mondo in cui finanche ai bambini i governi insegnavano l’orgoglio smisurato, l’odio immotivato per il diverso, la violenza cieca contro razze inferiori e nemici, oppositori e traditori.

Tutti subivano quell’oppressione, da Norvegia a Francia, da Ungheria a Grecia…

E che ne era del protagonista della storia? Quel debole Russia, incolpevole per come era finita?

Il destino gli aveva riservato un destino per certi versi a lui adatto, visto quanto il suo corrispettivo, dal suo periodo “rosso”, amava parlare di industriosità e lavoro sodo.

Eccolo lì dunque, come tantissimi altri slavi, a sgobbare nelle fabbriche di Germania, perché la sua ricchezza e la sua potenza incontrastabile non sfiorissero mai: sudato, stanco, con la faccia sporca e coi suoi aguzzini a ripetergli che quello era il posto per quelli come lui, Ivan trascorreva le sue giornate in enormi capannoni dall’aria soffocante a una catena di montaggio, che non portava alcun beneficio al suo popolo, né lo ricompensava di granché di cui sfamarsi.

Il tutto sotto gli occhi del suo invisibile amico, perennemente alle sue spalle, a contemplare ogni suo sospiro, ogni suo stringere i denti e non rallentare il ritmo. Quella che si soleva dire una brutta fine. Giusto?

 

Tramortiti da quel triste spettacolo, gli altri non sapevano cosa dire.

Fu America a risolvere quel silenzio: “Beh, come volevasi dimostrare…”

La regola che l’ucronia parte bene e poi esce la fregatura non sbagliava quasi mai!

Francia si scosse: “Si, direi che è molto meglio se ci teniamo il nostro solito Russia…”

“Ovvio che è meglio se ci teniamo il nostro solito Russia!” –esclamò Alfred- “Perché dovremmo volerne un altro?”
“Beh, si, dopotutto ha dato una mano enorme a noi alleati.” –disse Inghilterra.

“Ha resistito a lungo e coraggiosamente contro di me malgrado la situazione fosse disperata, arrivando a suonarmele di santa ragione.” –commentò Germania senza rimpianti.

“Si, e poi in effetti è stato lui a liberarci.” –disse Ceca- “Anche se poi si è autoinvitato a casa nostra per un po’…”

Lettonia sospirò: “Anche se non mi piace essere così nanetto vi do ragione: sarà… strano… ma a suo modo, ha salvato molti di noi da un gran brutto destino.”

Cina cavalcò l’onda: “E ancora oggi è importante avere Russia: facciamo ottimi affari insieme, e nessuno rompe le scatole ad America come noi due, eh eh eh!”

Cuba rincarò la dose: “Claro! C’è bisogno di un grande señor Russia a questo mondo! Altrimenti questo maldido gringo qui si monterebbe troppo la testa: qualcuno deve pur tenerlo in riga!”

“Ih ih ih, assolutamente si!” –lo sbeffeggiò Vietnam.

America arrossì: “Si, beh, vedo che siamo tutti d’accordo, quindi chiudiamola qui…”

Anche perché si poteva dire che Russia avesse visto abbastanza da ritenere soddisfatta la sua domanda.

 

Ripresero a guardare, aspettandosi che da un momento all’altro decidesse di far ritorno a casa. Suonò la sirena che annunciava la fine della giornata di lavoro; quando ormai il sole era già sceso da un pezzo…

L’Ivan operaio radunò le sue cose, indossò il cappotto ed uscì, strano come ne avesse ancora la forza. L’altro rimase fermo. Poteva bastare in effetti, ma aveva una strana sensazione, come una vocina che gli diceva di seguirlo ancora, solo un altro po’.

Il suo fantasma custode lo raggiunse nuovamente, restandogli incollato per la via di casa. Intorno il paesaggio era di un mesto squallore, parecchi palazzi erano in rovina, il cielo era annerito dai fumi delle fabbriche e la neve che ricopriva i bordi delle strade aveva essa stessa un aspetto malsano. A proposito di neve, anche a giudicare dalla temperatura, dovevano essere in inverno.

Ebbe altri indizi sul periodo dell’anno quando finalmente l’altro Russia imboccò il vialetto di una scrostata casetta di mattoni, al cui esterno un alberello era stato infiocchettato e avvolto di sparute luminarie.

Bussò, e venne ad aprirgli Katyusha, che subito gli si lanciò al collo: “Russia! Ce l’hai fatta!”

“Nessun lavoro forzato poteva impedirmi di esserci!”

Malgrado dal canto suo non lasciasse impronte, si pulì anche lui le scarpe prima di entrare, ed essere avvolto da un calore di camino e di festa.

Prima che l’altro si togliesse di dosso la pesante sacca da lavoro e il cappotto, Polonia gli venne incontro a braccia aperte: “Russia, tipo! Buon Natale!”
“Buon Natale, Polonia! Buon Natale a tutti!”

Lituania era nel soggiorno ad apparecchiare la tavola, mentre Bielorussia teneva occupato il coltello… in cucina ovviamente!

“Manca qualcuno?” –chiese Russia mettendosi comodo su una poltrona.

“Solo i miei fratelli.” –rispose Lituania un attimo prima che si sentisse nuovamente bussare.

Come ricaricato, rinvigorito dalla presenza dei suoi affetti lì intorno, il Russia appena tornato distrutto dalla fabbrica si alzò e andò ad aprire.

“Eccovi qui!” –salutò esultante- “Estonia, vedo che hai portato il dolce! Ottimo!”
“Auguri!” –entrò Eduard.

“Lettonia, vecchio mio!” –lo agguantò in un abbraccio.

“Eh eh eh! Auguri anche a te, Russia!”
“Ce la facciamo una partita a scacchi prima di metterci a tavola?”
“Ma tu sei più forte di me!” –disse accettando lo stesso.

“Dai, qualche volta mi hai battuto anche tu! Eh eh eh!”

La partita non vide la conclusione perché era già tutto pronto per il cenone; l’Ivan in più avrebbe assistito appoggiato al caminetto.

Si vide seduto a capotavola, con Lettonia ed Estonia ai due lati, mentre ovviamente gli altri si sedevano vicini a due a due, Ucraina con Polonia, Bielorussia con Lituania. A tavola non c’era poi questa gran abbondanza di cibarie, le forchette avevano i denti storti, le assi del pavimento erano un po’ rovinate e c’era bisogno di qualche riparazione qui e là: non erano certamente dei facoltosi. Ma a quanto ricordava, non bisognava essere per forza per fare un bel Natale.

Li vide chiudere gli occhi e pregare tutti insieme.

Lui di preghiere non ne ricordava più. Aveva rinunciato ad esse, come anche al Natale, quando era diventato rosso ed ateo, e da allora il 25 dicembre era divenuto un giorno come un altro per lui. Non che gli fosse dispiaciuto o ne avesse sentito la mancanza, almeno fino a quel momento…

Finita la preghiera, Russia si alzò col boccale pieno di vino, le sue sorelle si preparavano ad ascoltarle, sorridenti, avvolte intorno il braccio del rispettivo marito.

“Germania potrà anche essere padrone nostro e di mezzo mondo, ma non ci potrà mai portare via il bene che ci vogliamo. Si tenga pure la gloria, il potere e la grandezza, per me l’importante è avere voi, le mie sorelline e i miei migliori amici… E anche Estonia, che passa un po’ inosservato ma gli voglio bene comunque!”
“Ehi!”
“Ah ah ah, sto scherzando!”

Finita la risata generale, alzò il boccale ancora di più: “Questo è davvero tutto ciò che una nazione può desiderare… Auguri!”
“Auguri!”

“……”

Sentendosi improvvisamente fuori posto, avvertì una gran voglia di uscire, e lasciarli festeggiare in pace il meritato Natale. Non volle far finta di aver bisogno della porta: semplicemente passò attraverso la parete.

Ma non appena fu fuori, al freddo, a sentire i fiocchi di nevi atterrargli tra i capelli, così come si era sentito spingere via, così ora provava una forza irrestibile a tornare, o quantomeno a voltarsi.

Si appoggiò al vetro appannato della finestra: le punte delle sue dita lo attraversarono un attimo, e lui le tirò fuori. Silenzioso, li fissò ridere della loro miseria, mangiare, scherzare, baciarsi.

E si disse che forse la risposta che cercava, non era nel trionfo di Germania e nello sprofondare del mondo nella sua cupa ombra.

Se non fosse mai diventato così grande? La risposta era tutta lì, nell’umiltà di quel momento. Umiltà, quella cosa che tanti disprezzavano, nella quale quel Russia era invece cresciuto, e che lo aveva salvato dalla pazzia che aveva ormai rovinato la sua mente, l’usurante pazzia dell’essere il più immenso di tutti. Quella stessa pazzia che aveva deformato il suo sorriso in una maschera da cui tutti fuggivano diffidenti. Lui non aveva addosso nessuna maschera; ogni suo gesto ed espressione era sincero. Inclusa la sua felicità.

Intanto, lui, il vero Russia, guardava da fuori, attraverso la finestra, emettendo nuvolette di vapore col suo lento respiro.

 

“Russia?”
Gli disse una voce. Alle sue spalle non c’era nessuno, quindi alzò lo sguardo.

America, credutolo ipnotizzato non vedendolo muoversi per un pezzo, proseguì, con lo stesso tono gentile: “Certo, è uno spettacolo bellissimo, ma… è ora di tornare a casa.”
Non rispose. Si girò, tornando a guardare dalla finestra.
Sorrise: “Su, dai, sei lì già da un po’. E qui c’è gente che non vede l’ora di riaverti da questa parte dello schermo.” –disse facendo l’occhiolino alle sue sorelle.

 

C’era davvero?

C’era davvero anche dall’altra parte un Lettonia che non avesse alcuna paura ad avvicinarsi a lui?
C’era davvero un Lituania, persona così a modo, che non avesse sfruttato e umiliato, o un Polonia che non lo guardasse con l’identico sprezzo di tanti altri?

C’erano anche lì delle sorelle a cui non aveva rovinato la vita, felici accanto agli uomini che amavano?

C’era anche lì un Russia che non avesse gettato via tutto ciò?

Carezzò di nuovo quel vetro impalpabile.

 

 

“No.”

 

 

“…… No?” –non capì Alfred.

Ucraina invece, lentamente, si alzò dalla sedia. Ora comprendeva cos’era quella strana sensazione che aveva provato quando suo fratello aveva fatto quella domanda, e che silenziosa e lontana l’aveva accompagnata per tutta la durata di quel viaggio: è quel misto di attesa e paura che ti ronza quando hai un brutto, orribile presentimento.

“Che vuoi dire con << no >>?” –chiese l’inventore.

Allora Russia guardò il suo pubblico nello schermo e sorrise: “Io non voglio tornare. Preferisco restare qui.”

Il cuore di Ucraina ebbe un tonfo: “Russia!”

“Fratellone!” –si alzò anche l’altra sorella.

Germania, a pugni stretti, fece lo stesso: “America, fallo subito uscire di lì!”

“Ehi, ehi! Stiamo calmi! Ora ci pensa l’eroe!”

Si incollò col viso allo schermo: “Eh eh eh, Russia, non farci scherzi di cattivo gusto, dai… Adesso fai il bravo e dì << Voglio tornare a casa >>, così sarai qui in un battibaleno, che ne dici?”
“No.” –gli rise in faccia dall’altro lato dello schermo.

“Ehi, non farmi arrabbiare ora, eh? Guarda che tanto posso benissimo riportarti indietro da me, usando il dispositivo di emergenza dentro il telecomando, umpf!”

Ivan ovviamente non ci mise nulla a tirarlo fuori… e spaccarlo a metà a mani nude!”
“ARGH! Barbaro! Non hai idea di quanto tempo ci abbia messo a costruirlo!”

“Russia!” –provò a chiamarlo la sorella maggiore.

“Tranquilli.” –si addolcì lui- “Starò bene! E anche voi starete bene senza di me, non vi preoccupate.”

Stufo che quel brutto gioco stesse durando tanto, America incollò ancora di più la faccia allo schermo, stringendo tra le dita gli angoli del suo apparecchio: “Adesso basta, Russia…” –gli disse minaccioso- “Ti ricordo che questa è la mia macchina, e sottolineo mia, la mia mirabolante Macchina delle Ucronia…” –a cui stava facendo davvero una brutta pubblicità…- “Credi davvero che non ne abbia il pieno controllo? Credi sul serio che non possa farti uscire da lì in un niente?”

Russia, ignorandolo, alzò una mano come si fa quando si parte.

“Da svidaniya!” –disse.


Poi lo schermo si spense.

 

“……”

America premette il pulsante d’accensione, poi, più nervosamente, una seconda e una terza volta. Esasperato, osò arrivare ad un metodo che non credeva di poter usare sulla sua amatissima macchina (per quanto di comprovato funzionamento): le botte al televisore!

Ma lo schermò restò impietosamente nero.

Ucraina e Bielorussia, in lacrime, si cercarono in un abbraccio, mentre le altre nazioni, non meno sconvolte, cercavano di assimilare quanto accaduto.

“L-lo avete visto?”

“Non posso crederci…”
Anche Polonia, malgrado i non rosei precedenti con Ivan, boccheggiava: “Tipo… Era come se… Come se tipo per lui quel mondo così terribile fosse comunque meglio del suo.”

“Avete visto che faccia che aveva?” –fece Canada.

“Sembrava così depresso…” –fece Lettonia.

“M-ma andiamo! Non è possibile!” –si sbracciava Ceca camminando alla rinfusa- “Insomma… Lui è Russia! Russia dico! Lui è…”

“Già, lui è Russia…” –entrò nel discorso Germania, zittendoli in un attimo- “Lui è enorme e cattivo, freddo e insensibile… Perciò come potrebbe preferire un mondo dove nessuno lo odia o lo considera un mostro a questo qui, giusto?”

Sotto il suo sguardo, tutte le altre nazioni abbassarono gli occhi, richiamate a un esame di coscienza.

Come mondo non erano stati una grande alternativa a quel mondo alternativo…

E ora era successo l’incredibile: il gigante folle e “cattivo” se ne era andato.

Qualcuno di loro aveva preferito la dolce illusione dell’ucronia alla realtà, e a loro, che erano quella realtà, cosa restava se non vergognarsi? Quanta disperazione era sfuggita a tutti i loro occhi perché si giungesse a quello?

America strinse forte le dita sugli angoli del suo apparecchio, con le orecchie tormentate dai singhiozzi di Ucraina e di Biel.

Guardò Inghilterra, aspettandosi una faccia del tipo << te l’avevo detto di non inventare cose tanto idiote >>, ma questi si limitò a fissarlo a sua volta senza scomporsi: la situazione era troppo grave, anche per rimproverarlo. Diceva solo << risolvi >>, e diamine se l’avrebbe fatto a qualunque costo.

Alfred si specchiò nello schermo nero.

“… Dannazione!”
E diede un altro colpo.

 

 

 

COLPO DI SCENA!
Scommetto questo non ve lo aspettavate, vero?
Questa fic che si presentava come a un passo della conclusione ha un improvviso sussulto finale! È tutt’altro che finita, restate “sintonizzati”! ^__°

Povero Russia… Spero di aver colto la complessità del personaggio (che troppi lettori, non solo nazioni, ritengono un senza cuore…), e di avervelo fatto comprendere e amare un pochino di più…

Concludendo, non sapete che soddisfazione quando, scrivendo una fic lunga, completi finalmente il pezzo con la scena che hai pensato quasi sin dall’inizio e che non vedi l’ora di realizzare: è magnifico! XD

Al prossimo capitolo, con America alla riscossa: c’è un russo da recuperare!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 17
*** Addio Russia? ***


Ciao a tutti! Ero già estasiato dal successo che ha raggiunto questa fic, ma i commenti ricevuti con lo scorso capitolo sono stati tutti a dir poco grandiosi: non solo l’ucronia sul mio personaggio preferito è piaciuta in sé, anche se con qualche dose di tragicità in più rispetto alle altre, ma il finale vi ha dir poco rapito! XD

A qualcuno è piaciuto così tanto da suggerirmi di renderlo il finale dell’intera fic… ^__°

Però non sarebbe mica bene, non possiamo lasciare che il povero Ivan si esili dentro la macchina: la sua sofferenza è finalmente venuta a galla, ed è un appello che non può restare inascoltato! E poi… come potrei trattenere America dal lanciarsi alla riscossa, me lo dite voi? XD
Già che ci sono, vi anticipo che questo NON È L’ULTIMO CAPITOLO, ce ne sarà ancora un altro, per tranquillizzare tutti voi che mi avete fatto presente quanto siate tristi che siamo ormai alla conclusione… Andiamo dunque a vederla!

Buona lettura, e grazie mille del sostegno! ^__^

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

 

 

 

Non avrebbe permesso a Russia di rendere la sua geniale, spassosa, e non dimentichiamoci educativa macchina in un perfido congegno irretisci-e-rapisci nazioni.

Certo sarebbe stato difficile per chiunque prevedere una cosa del genere, ma in generale lui era un tipo che le cose le notava sempre dopo: l’indifferenza troppo ostentata durante le ucronie degli altri, e l’ostilità aperta nei confronti della sua invenzione che a momenti superavano persino il livello di Inghilterra avrebbero dovuto risultargli un po’ sospette. Mentre gli altri chiedevano, ammiravano e ci ridevano su, Russia per la maggior parte del tempo era rimasto sulle sue, isolato, a riflettere vicino la finestra; evidentemente, non era rimasto affatto immune alle possibilità della macchina come aveva voluto far credere.

Anzi, l’esatto contrario, pensò Alfred, dando un altro giro al cacciavite: anche se probabilmente non aveva premeditato quella “fuga”, Russia aveva già capito cosa gli sarebbe stato mostrato in risposta all’unica domanda che gli interessasse davvero, ed era rimasto indeciso fino all’ultimo se averne la conferma o meno, perché sapeva. Sapeva. Alla fine, il confronto tra quel Russia ucronico, quel sé stesso che avrebbe potuto diventare e ciò che invece era si era rivelato un a dir poco un baratro, e lui, con angoscia, si era convinto di star guardando dal basso anziché dall’alto.

Non aveva creato la Macchina dell’Ucronia perché il suo rivale si facesse ancora più complessi di quanti non ne avesse già al punto da indurlo a preferire l’illusione alla realtà, sbottò nella sua mente, facendosi coraggio, mentre chiudeva il coperchio alla batteria.

Lo avrebbe riportato indietro costi quel che costi: era pur sempre in gioco l’onore della sua invenzione.

Saltò sopra una sedia: “Ascoltatemi tutti, e niente panico! Ho finito di modificare il telecomando di riserva: con questo sarò in grado di riprendere il controllo dell’apparecchio, entrarvi, e recuperare quel bamboccione di Ivan. Quindi, signore e signori, rilassatevi, il vostro eroe penserà a tutto.”

Il commento di Cina fu a dir poco drammatico: “Ai-ya… Se è così allora non lo rivedremo mai più…”

Cuba si abbracciò con Vietnam: “Adios, señor Russia! Sigh!”

“È spacciato, sigh!”

“Piantatela voialtri menagrami! E ringraziatemi piuttosto!”

Era già saltato giù dalla sedia quando sentì dei passi concitati dietro di lui.

Era Ucraina: “Fammi venire con te, America!”

“Negativo!” –alzò lui le braccia- “Non sappiamo cosa troveremo dall’altra parte. Potrebbe essere pericoloso.” –declamò con tono basso da uomo d’azione.

“C’è mio fratello dall’altra parte! E ha bisogno di aiuto!”

Le mise una mano sulla spalla con fare da macho: “Non ti preoccupare, te lo riporterò sano e salvo!”

“Ma potrei esserti utile a convincerlo a tornare indietro! Per favore…”

“Se qualcosa va storto con la macchina altri potrebbero rimanere intrappolati nella realtà alternativa, ed è un rischio che nessuno qui deve correre: solo l’eroe può farlo!”

Strinse la labbra e insistette ancora, come non era solita fare: “Io non ho paura! Lui è il mio fratellino! Ho il diritto di venire anche io!”

“Spiacente, Ucraina, ma come ho già detto questa potrebbe rivelarsi una missione pericolosa, niente roba per donne e bambini, perciò…”

Il pensiero di essere stato appena afferrato per il bomber e sbattuto con violenza contro il muro riuscì a tappargli quella sua bocca larga.

“STAMMI BENE A SENTIRE, STUPIDO PALLONE GONFIATO!”

“……”
Quando senti certe cose uscire dalla bocca di ragazze come Ucraina, non ti resta altra scelta che sturarti le orecchie e stare a sentire (non riusciresti a reagire neppure volendo per via dello shock!)…

“Non prendermi per una ragazzina piagnucolona solo perché lo sembro e a volte mi comporto anche come tale! Io sono Ucraina, sono la nazione dei cosacchi, e noi cosacchi non scherziamo! Ho combattuto e preso a calci nel sedere Polonia e Turchia nei loro tempi migliori se non lo sai!”

“Confermiamo…” –fecero Feliks e Sadiq, toccandosi i fondoschiena come ancora doloranti…

“Quindi se hai finito di montarti la testa, egomane maschilista che non sei altro, tu ora mi fai venire con te in quella tua stramaledetta macchina a salvare quel problematico del mio fratellino, oppure, giuro sul mio forcone, che ti spezzo le ossa in tre! Mi hai capito?”

Si concesse qualche secondo per riprendersi, e adottò la tattica del sorridi e fai finta di nulla: “…… Benvenuta a bordo allora!”

“Umpf!” –sbuffò concedendogli il permesso di staccarsi dalla parete.

Polonia e Turchia corsero a sedersi: semplice precauzione su suggerimento delle loro chiappe…

America stava ancora cercando di capire se la scena in cui era rimasto coinvolto fosse realmente accaduta quando notò che Bielorussia lo stava fissando; lo fissava, e saggiava col polpastrello dell’indice l’affilatura della punta del suo coltellaccio.

“… Beh, direi che vieni anche tu.”

Se la sorella maggiore era stata capace di tanto, alzare bandiera bianca con l’altra era più che un obbligo, era istinto di sopravvivenza!

Alfred, borbottando e comprendendo finalmente come facesse Ucraina ad essere sorella di Russia, si guardò intorno, sperando di non veder sbucare qualche altro pazzoide desideroso di unirsi alla spedizione di salvataggio. Grazie al cielo non ce ne fu nessuno, e avrebbe dovuto condividere i suoi meriti di eroe solo con le due ragazze.

“Bene, se qualcuno è a conoscenza di un motivo per cui non dovremmo andare a salvare Russia, parli ora e tacerà per sempre… Perché non credo che queste due gliela faranno passare liscia.”

Ucraina e Biel rivolsero un’occhiata sottecchi ai presenti: nessuna obiezione!

<< Ma guarda un po’ che roba… >> -si passò una mano tra i capelli Alfred- << E io che volevo essere gentile a non esporla a rischi… Secondo me sono i rischi che dovrebbero avere paura di loro due. >>

Passato lo spavento però gli venne da sorridere: se pensava che facevano tutto ciò preoccupate per il loro fratellone psicodisturbato, non erano affatto spaventose, anzi, erano stupende in un certe senso. Avrebbe voluto anche lui delle sorelle tanto affettuose e pronte a fare di tutto per lui… Poi si ricordò di aver Canada e subito gli chiese scusa, senza che questi capisse…

“Pronte?”
“S-si!”
“Fratellone, ti faremo tornare!”

America pigiò un tasto al telecomando e lo schermo si riattivò, facendo ricomparire il vortice; aveva riassunto il controllo della sua invenzione, almeno in apparenza, quindi meglio procedere comunque con cautela.

“Tutte dentro!”
“Fate attenzione!” –si premurò Inghilterra.
“Coraggio!” –urlò Cina.

“Se non torti posso avere la tua mazza da baseball?” –domandò Canada.

“Va bene, ma non toccare i miei comics! Aspetta che valgano qualcosa e poi vendili per costruirmi un monumento alla memoria alto almeno cinque metri, non di meno!”
Stufo, Arthur gli mollò una pedata nel sedere che lo ficcò dritto nel vortice: “Piantala di dire cretinate e vai a salvare Russia!”

“L’EROE ALLA RISCOSSAAAAAAA…” –urlò con l’effetto risucchio…
Le altre due si gettarono nel vortice un attimo dopo. Gli altri fissarono nervosamente lo schermo ansiosi di vederli ricomparire e sentirli dire di essere arrivati sani e salvi, ma così non fu.

Italia si spaventò: “Staranno bene?”
Germania aggrottò la fronte e fissò nello schermo le forme indistinte in cui si era trasformato il vortice già da qualche minuto: “La macchina è ancora accesa se non altro: possiamo solo sperare di vederli ricomparire tutti sani e salvi.”

“Speriamo di non dover attendere troppo…” –sbottò Arthur, che già camminava su e giù per la stanza, trovando insopportabile quel loro dover restare allo scuro.

“E se Russia decidesse di non tornare?” –fece Italia abbattuto.

Inghilterra si aspettò qualche commento del tipo << Forse non sarebbe poi malissimo… >>, invece non vi fu nessuna malignità del genere: anche lui era preoccupato soprattutto per America, era una cosa naturale; ma Russia era ugualmente uno di loro, le cui sofferenze, sebbene non giustificassero i suoi mille errori, erano adesso riuscite a far sì che tutti potessero comprenderlo un po’ meglio, capire che il suo essere ciò che era aveva i suoi perché, come per chiunque altro di loro dopotutto.

Ecco perché nessuno avrebbe mai potuto gioire nel non vederlo tornare.

Guardò il mondo riflettere in tal modo, pieno di speranza, lo rassicurò: “America e le sue sorelle non torneranno senza di lui, e considerato quanto America ci tenga a riabilitare la sua macchina, sono certo li rivedremo tutti dal primo all’ultimo! Umpf!”

Fatto coraggio soprattutto a sé stesso, riprese a camminare.

 

 

Che ironia, pensò, continuando a fissarsi in quello specchio su di un futuro mai nato.

Grazie a quella stessa grandezza che l’altro non aveva mai avuto, e prima, brindando, aveva addirittura rifiutato, poteva continuare a guardarli attraverso la finestra anche standosene comodamente seduto sul freddo tappeto di neve, che nel frattempo aveva smesso di cadere. Era proprio alto, non c’era dubbio, finì così il proprio pensiero.

E ne iniziarono altri, in quel silenzio di ghiaccio che non si scioglieva, ai confini di un tepore che aveva sempre desiderato, ma da cui si era allontanato con le sue stesse stolte gambe.

Dentro la casetta l’altro Russia, le sue sorelle e gli amici baltici continuavano a festeggiare: parlavano tra di loro sempre sorridendosi, rievocavano momenti belli e divertenti passati, brindavano facendosi scudo l’uno con l’altro dalla cattiveria del mondo.

Lì fuori aveva smesso di nevicare; Ivan osservava, con un velo dinanzi le iridi viola, il viso rischiarato dalla luce calda proveniente dall’interno, mentre sulle sue spalle battevano le più tenui e distanti luci della città.

In quel suo ammaliato osservare lo attraversavano ovviamente anche pensieri del tipo: che ne sarebbe stato di lui? E del mondo che si era lasciato dietro?

Rifletteva e finiva sempre col dirsi di aver fatto bene ad “esiliarsi” in quella scatola dei sogni irrealizzati, trasformato per sempre in uno spettro che non può più far soffrire a nessuno: se niente poteva sentirlo e toccarlo, nemmeno il dolore poteva.

Basta guerre, rivoluzioni, repressioni nel sangue. Basta sangue, davanti gli occhi e sulle mani. Basta sorridere per i motivi più sbagliati e abbietti. Basta una volta per tutte col gelo, fuori e dentro, meglio non fare o sentire più nulla.

Se quella prigionia volontaria avrebbe significato liberarsi da tutto ciò, non gli importava affatto restare lì, a quella finestra, a guardarsi felice una volta tanto.

Vedersi piccolo, e innocuo, una persona inoffensiva, insignificante, che pur non sorridendo spesso avvicina tutti a sé, di cui nessuno ha paura o motivi per detestarla.

Basta sensi di colpa, basta incubi, basta essere il mostro.

Guardare da una finestra, seduto, invisibile, nella storia che aveva distrutto, per sempre: la punizione più giusta per i suoi peccati, e allo stesso tempo la medicina migliore per qualcuno che, ormai, non ce la faceva davvero più.

Non ce la faceva più. Poteva sul serio accontentarsi dell’apatia più totale, ai margini di quel dolce camino dove lui, le sue sorelle e i suoi amici danzavano come fiamme vive anche nell’orrendo mondo di Germania trionfatore.

Poteva davvero accontentarsene.

 

Certo i conti da fare non finivano certo lì: se lui poteva, altri forse no. A riferirglielo fu il calpestio sulla neve fresca di passi, veloci nel loro avvicinarsi alle sue spalle.

“Russia!”

America rallentò e riprese fiato: “Ed eccolo qui…”

“Fratellone, stai bene?” –domandò Bielorussia preoccupata.

Di fuori si, rispose loro una sua occhiata pressoché inespressiva, prima che si girasse di nuovo, e riprendesse a fissare.

Quell’accoglienza così desolante fu un boccone amaro per le sue sorelle. Ad America ricordò piuttosto uno di quei classici falliti da telefilm, che con lo sguardo vacuo perdono davanti un televisore il tempo che potrebbero dedicare a riaggiustare la propria vita.

“Ma guarda un po’ che paura ci hai fatto prendere!” –si lamentò lui con la sua brevettata strafottenza da duro- “Su, ormai ti sarai stancato di questo programma: alza il sederone e torna a casa con noi, da bravo.”

Russia lasciò andare un respiro più rumoroso, prima di aprir bocca: “Io non voglio venire.”

“Apri bene le orecchie…” –gli ribatté Alfred, già spazientito- “Hai idea della figuraccia che hai già fatto fare a me e alla mia meravigliosa macchina? Non ne farò certo una seconda non riportandoti indietro solo perché ti sei fatto venire una crisi esistenziale o roba del genere!”

Ucraina alzò gli occhi al cielo e superò America di un passo, senza colmare però del tutto la distanza tra lei e il suo fratellino seduto lì per terra.

“Russia… Ti prego, torna a casa!”

“Fratellone, se servisse a farti tornare, sono pronta a giurarti che non chiederò mai più di sposarti! Per favore!”

America si strofinò le mani: “Uh, cosa sentono le mie orecchie! L’hai detto, ti sono testimone! Eh eh eh! È un buon patto, eh Russia?”

Il suo smagliante sorriso scese giù lentamente, man mano passava il tempo senza che rispondesse.

“Vi prego, lasciatemi perdere.” –ribadì Ivan, senza girarsi- “Preferisco davvero starmene qui, sul serio. Qui dove non do fastidio a nessuno…”

Bielorussia strinse i pugni: “Che importa se a qualcuno non vai a genio? Posso pensarci io a pestarli tutti!”

“Dove non corro il rischio di uccidere involontariamente mia sorella perché l’ho ossessionata al punto che ora vuole annullare la propria identità in me…”

Bielorussia, spentasi come un fiammifero, tornò indietro di un passo.

“O dove non devo pensare che l’altra mia sorella così gentile nel profondo mi odia per tutto il male che le ho inferto da fratello ingrato qual sono…”
America, sorpreso, osservò il silenzio di Katyusha, e l’arricciarsi nervoso delle sue labbra, come se, anche se ne fosse uscito qualcosa, non sarebbe stato all’altezza di ciò che davvero, nascosto molto bene in lei, non avrebbe mai avuto il permesso di uscire fuori. Non riconobbe la piagnona a cui era abituato, già sparita prima di venire lì, in quell’espressione accigliata e in quel petto in fuori.

“Si. Diciamo le cose come stanno: il fatto che tu sia andato in giro per secoli a dire che l’erede di Kiev eri tu, a riscrivere la storia in modo da far apparire che mi sia volontariamente sottomessa a te, il genocidio dei miei contadini e il fatto che ancora oggi che sono indipendente provi ad impicciarti degli affari miei come se fossimo ancora “uguali” nel comunismo mi da… un po’ di fastidio, fratellino.”

Russia le sorrise sornione, come quando hai ricevuto una battuta che ti meritavi e non puoi che stare al gioco; un sorriso anche un po’ fiero di lei, che finalmente si decideva a sbattergli in faccia cosa sentiva sul serio…

Ma poi, quel guscio di rancore si sciolse, e tornò la solita, incorreggibile sorellona premurosa, con gli occhi sempre a un passo dalle lacrime: “Ma anche il fatto che tu sia arrivato a… a questo… mi da molto fastidio, sai? Moltissimo…”

Desiderando di non uscire più dalla macchina non aveva solo snobbato la sua di vita, ma anche quelle di tutti gli altri, inclusi i suoi amici, e soprattutto incluse loro, le sue sorelle che diceva così importanti. Quello bruciava più di ogni altra cosa, e insieme le dava un’idea di quanto grave fossero le condizioni di Russia in quel momento.

Un singhiozzo la interruppe, mentre sua sorella le carezzava una spalla.

“Ad essere sincera, non so se di punto in bianco potrei smettere di desiderare di sposarti…” –ammise Bielorussia- “Ma se per farti tornare vuoi che pianga anch’io posso farlo, anche davanti ad America, non me ne importa! I-io… che ci posso fare se sono ossessionata? Niente, come non puoi farci niente se ormai sei diventato così! Non è… colpa nostra… Torna, ti prego…” –disse lei, trattenendosi per miracolo fino all’ultimo dal diventare una copia altrettanto disperata della sorella maggiore.

America aspettò di vedere se gli occhi lucidi delle due potessero, se non risolvere tutto, almeno sortire un effetto “ammorbidente” su quello scolorito blocco di ghiaccio che aveva di fronte, prima di tornare all’attacco.

“Russia, davvero preferisci stare in un illusione? Qui è tutto finto, lo vuoi capire o no?”
“Lo so bene…”
“Non esiste nessun Russia piccoletto e felice, né le tue sorelle felicemente sposate! E non esisteranno neppure se resti qui!”
“Lo so…”

“E poi dai, questo mondo non è mica il massimo, via! Ti ricordo che Germania ha vinto, e con lui la violenza e l’odio, e tu sei un misero operaio, anzi, uno schiavo costretto a lavorare dal mattino alla sera in fabbrica! Credi davvero che saresti stato felice qui? E tutti gli altri sottomessi da Germania? Non scordiamoceli! Non lo capisci che il mondo senza di te, il vero te, è finito in uno sfacelo?”

Russia strinse le ginocchia al petto. Stavolta gli uscì qualcosa a metà tra un riso isterico e un singhiozzo.

Ivan strinse i denti e scosse il capo: “Eh… Eh eh eh! Ci avete fatto caso, eh?”
“Uh?”

“Perché… Perché sembra che la condizione per cui il mondo sia felice sia la mia infelicità?”
America si sbatté una mano in faccia: “Senti, se ora mi vuoi diventare una sorta di emo depresso ti prendo a pugni e ti trascino via con la forza, come farò in ogni caso, quindi come la mettiamo, eh?”

“……”

Si sarebbe aspettato una risposta per le righe a quel punto, sapendo quanto Russia non sopportasse essere provocato. Il fatto che invece l’avesse guardato con quello sguardo stanco gli faceva afferrare la gravità della situazione: in quello stato, Russia si sarebbe lasciato pestare più che volentieri senza batter ciglio, tanto era stomacato.

America abbassò il pugno e lasciò che si spiegasse.

“Quando abbiamo visto l’ucronia in cui ti ho battuto avevo realizzato ogni mio desiderio, raggiunto l’apice, e il mondo anziché essere contento per avergli portato l’uguaglianza mi guardava come un despota, senza contare la faccenda di Biel… Nel mondo reale ho perduto contro di te, io mi sono fatto un gran sangue amaro mentre tutti giovano e ancora gioiscono al pensiero di cosa hanno scampato… E in questa ucronia… In questa ucronia il mondo soffre sottomesso alla barbarie di Germania, e io sono uno schiavo, piccolo, debole, ma felice col poco che ha… Tu che ne deduci?”

Rise di nuovo a singhiozzo: “Quindi è per questo che io sto così uno schifo? Dovevo diventare un gigante violento e detestato da tutti perché loro potessero stare bene? È assurdo! È totalmente assurdo, vero? Ah ah ah!”

Coprendosi il volto come stava facendo, nessuno poteva capire se stesse ridendo o gemendo.

Seguì un silenzio, in cui America, non sapendo ancora cosa fare o dire, guardò anche lui dalla finestra.

“Io non voglio tornare… Non ce la faccio più…”

America si passò una mano tra i capelli, non ancora deciso a dargliela vinta.

“Quindi… a sentire te il nostro bel mondo reale starebbe bene, e lo è perché sei infelice, vero?”

Ivan sbuffò.
“Ma tu credi davvero alle idiozie che spari? Eh eh eh! Il mondo sta bene? Ma andiamo! Guerre, stragi, dittature, carestie, ingiustizie, discrimazioni… Lo chiami stare bene? Credi di essere tu la causa di tutti i problemi di questo schifo di mondo? Tutte noi nazioni stiamo portando avanti questa solfa da secoli, non facciamo altro che pestarci tra di noi, farci dispetti, far soffrire i nostri stessi popoli, e renderci infelici con le nostre mani. Siamo fatte così, ancora non lo hai capito? Siamo fatte… di umani! E gli umani sbagliano, caro mio, è questo che fanno, e noi con loro.”

“……”
“Quindi per favore… Smettila di dire scemenze, e alzati… Imbecille!”

“Beh, allora forse è la volta buona che una nazione che ha sbagliato tanto si faccia un bell’esame di coscienza…”

“Tu? Ma andiamo…”
“Si, io. Anche tu sei una nazione, anche tu hai sbagliato e sbagli, la differenza tra me e te è che io non ho la tua stessa faccia tosta di fingermi migliore di ciò che sono anche con me stesso: ecco perché io me ne sto qui a soffrire come un cane e tu che puoi fregartene stai lì in piedi a cercare di convincermi, bastardo.”

“……”
A quel punto fu Ucraina a non riconoscere più il solito America, il cavaliere dall’armatura lucente sempre in bella mostra. Ora, sotto i suoi occhi, la rimuoveva, e ne usciva fuori un altro tipo di sorriso, decisamente più antipatico, sfacciato, da bullo, di quando nei film il cattivo getta la maschera e ride alla faccia di quelli che ha gabbato.

“Eh eh eh, tu si che mi capisci bene! Beh, dopotutto non sarei qui se non ci fosse tutta questa sintonia, tra me e te.” –imitò quel suo ghigno tanto conosciuto e temuto, come si fosse trasformato proprio in lui che doveva essere la sua esatta antitesi- “Si, ben detto Russia! Io ci provo pure a fare l’eroe e a compiere le miei buone azioni da bravo boy-scout, ma in fondo sono un bastardo, un prepotente e un avido, di fama, ricchezza, potere e tante altre cose non esattamente eroiche, e per procurarmele, devo rubare e spargere sangue di tanto in tanto, così è la vita.”

Gli ci voleva proprio, si disse gustandosi quel momento: si sentiva più leggero.

“Anche io ho le mie colpe, e i miei sensi di colpa. Ma non mi sono mai lasciato sopraffare come stai facendo tu. E ora non te ne uscire che tipo il tuo dolore è più grande del mio che il dolore non si pesa.”

Una mezza balla. Di certo non osava pensare di aver avuto una storia travagliata quanto quella di Russia, senza contare che lui era anche più vecchi di lui: di tempo per vedere tanto dolore e sangue fino a diventare assuefatto ne aveva avuto in abbondanza.

“Sono responsabile anch’io se il mondo fa schifo, come lo sei tu, come lo è Cina, come lo sono tutti. Tutti, dal primo all’ultimo, e nessuno di loro quindi può permettersi il privilegio di punirsi come vuoi fare tu. Non quando ci si è anche comportati bene, e ci si è fatti volere bene dagli altri, non importa quanti pochi siano.”

I due fissarono, a lungo; quando Russia tornò a guardare dinanzi a sé, lo fece più lentamente, con le ciglia aggrottate a far ombra a mille pensieri. Buon segno, pensò Alfred.

“Se siamo tutti così sullo stesso piano come dici, come mai allora io sono l’unico a cui la tua macchina ha mostrato quello che vedo adesso?” –la sua voce era bassa, quasi un fruscio, triste, come rami spogli al vento- “Perché agli altri ha mostrato quanto bene stessero nel modo in cui sono, e a me invece ha rimproverato di non essere diventato diverso? Almeno è l’idea che mi sono fatto…”

Russia si girò, speranzoso in una risposta. America abbassò gli occhi, e allora si girò nuovamente, pensando di essersi illuso.

“La mia macchina…” –disse Alfred calciando un po’ di neve.

Si lasciò rincuorare il proprio lato eroico (realmente eroico) dagli sguardi delle sorelle, a cui voleva a tutti i costi restituire lo sciocco e malinconico fratellone: nemmeno lui voleva perdere il suo amico. Pur di non lasciarlo andare, sarebbe stato pure disposto a sminuire la sua invenzione, causa di tutto.

“Sai, in realtà questa mia tanto decantata macchina non è poi questo granché.”

Questo si che era un parlare interessante dalla bocca di America, pensò Ivan, incrociando il suo sorriso tinto di umiltà; dote che fra l’altro tanto aveva apprezzato in quell’altro sé.

“Semplicemente non fa che ragionare su ipotesi, provare a svilupparle, ne sceglie una e te la fa vedere; e qualche volta combina anche grossi guai.” –gli fece l’occhiolino- “Non è detto che ciò che ti mostra sia davvero come sarebbe andata, non è detto che non possano esserci altri infiniti scenari, anche più realistici, che non ti mostrerà mai. Magari quel Russia lì dentro sarebbe esistito davvero se nel corso dei secoli qualcosa sarebbe andato in modo differente, o forse non sarebbe esistito affatto, forse sarebbe stata una vita di mezzo tra lui e te, o qualcuno ancora più indemoniato di te, o più depresso in questo caso, eh eh eh!”

L’altro Russia, dentro la casupola, rideva ad una battuta di Polonia, dandogli una pacca sulla spalla; sullo sfondo, Bielorussia e Lituania si coccolavano in piedi in un angolino.

“Ma se c’è una cosa che sa fare davvero come si deve, è farti capire che stai bene esattamente come sei. Non vuole affatto mostrarti se saresti stato meglio o peggio, come hai detto tu. Tutto quello che fa, è dirti che… Tu sei tu. Le vite che mostra non sono né migliori né peggiori, sono solo altre vite, e basta: non hanno alcun peso ormai, né devi darglielo tu, perché non esistono né esisteranno mai. Ma le tue avventure e disavventure, e le scelte che hai fatto, sono reali invece, e ti hanno reso ciò che sei, ed è troppo tardi per ripensarci o lamentarti. È un qualcosa che tutti devono accettare… per accettarsi.”

“Dovrei accettarmi per come sono?”

Guardò le proprie mani inguantate, come potesse vedervi riflessa la propria faccia, a volte candida, a volte intrisa di sangue, a volte piatta come una landa senza un albero. Una landa fredda, e soprattutto sola.

“Vale anche per quelli come me? Vale anche se hanno qualcuno di davvero importante a cui hanno condizionato la vita?”

“Se parli delle tue sorelle è normale che le loro vite siano in qualche modo condizionate dal loro fratello, sei pur sempre la loro famiglia.”
“Ma con un fratello diverso, magari avrebbero vita più facile…”

Le proprie sorelle si videro allora fissare, per la prima volta da quando erano arrivate. Questo le rincuorò un poco, ma lo sconforto in quegli occhi era tanto, e le parole che per un attimo sperarono di sentirsi rivolgere non arrivarono.

Non subito almeno, si girò prima, protendendo un po’ più il viso assorto verso il vetro.

“Io… Non so se potrò mai essere… un po’ più come lui…”

Come aveva appena detto America, lui era lui, e lo era per i suoi motivi, doveva accettarlo, e accettare che non si cambia da un giorno all’altro, anche con tutte le buone intenzioni del mondo, visto che “l’altra parte” di ciascuno di noi deve sempre mettersi in mezzo… Con una parte come la sua, non conveniva che quelle due non ce lo avessero affatto un fratello così?

Allora Biel si decise a rompere quel recinto invisibile da dietro cui si erano costrette a osservare. Raggiunse Russia, gli si inginocchiò accanto e gli strinse il braccio, poggiando la fronte contro la sua spalla.
“Noi non siamo di certo venute per vedere quel Russia…”

America incrociò le braccia: “Anche se chiunque direbbe sia un fratellone di certo più desiderabile di te, umpf!”

Ucraina si poggiò all’altra sua spalla.

“Siamo venute per te, per questo Russia qui… Anche se è così…”
“Fuori di testa?” –la aiutò Alfred.

Osservò il suo amico fissare negli occhi le sue sorelle, e gli sembrò timido il modo in cui poi volgeva il viso dai loro sorrisi commossi.

Alfred sospirò, e parlò interpretando il ruolo della sua coscienza, facendo suonare le sue parole come una  gentile spinta dietro la sua schiena: “Sono venute per te, anche se sei così, anche se forse non ti sei comportato proprio bene. Sono venute per te... E non ti preferirebbero in nessun altro modo. Sorelle come queste non meritano di essere abbandonate.”

“……”

Tu sei così come sei, né potrai essere migliore o peggiore. Non certo cambiando il passato almeno, che è bello che andato, e neppure restando lì, e abbandonare un mondo vero, con le sue possibilità, sembrò continuare nella sua mente.

Ivan ripensò alle parole che aveva ripetuto durante l’ucronia. Nulla dura per sempre, prima o poi tutto finisce. Prima o poi sarebbe finito anche lui, o, con un po’ di fortuna, solo quel Russia che ora era, e magari allora ne sarebbe arrivato un altro che rassomigliasse di più a quello lì. Solo supposizioni, come quelle che faceva la macchina, ma restandone all’interno, non ci sarebbe stata alcuna occasione di farle avverare.

Ucraina e Bielorussia si scostarono, sentendolo muoversi.

Si erse in piedi, mugugnando per le gambe un po’ anchilosate, e riuscì a guardare negli occhi, di nuovo a testa alta, silenziose, supplicanti di sentirgli dire che era tutto passato, anche se non era vero.

“… Scusatemi, vi ho fatto preoccupare.”

Un’ennesima aggiunta alla lista delle sue malefatte, ma nemmeno a quella Katyusha e Natalia gli rifiutarono un abbraccio.

“Lascia stare!”
“Fratellone!”

America, non volendo rischiare di cantar vittoria troppo presto, aspettò un po’ prima di rilassarsi, e stiracchiarsi come si fa dopo un lavoro ben fatto! Ma soprattutto, era stato un vero lavoro da eroe stavolta, di quelli che ti fanno sentire fiero che non hai bisogno di ringraziamenti ed elogi, di quelli che non senti il bisogno di metterti in mostra; di quelli insomma, che gli consentivano di indossare di nuovo la sua brillante armatura, che desiderava davvero ma che più di una volta aveva dimostrato di non meritare più di altri.

Ce l’aveva fatta anche senza ricorrere alla sua arma segreta, si disse aumentandosi ancora il proprio punteggio; peccato, se l’era studiata davvero bene quella parte e gli sarebbe piaciuto metterla in scena. Ma si! Perché non farlo lo stesso? Sarebbe stato un crimine altrimenti per uno esibizionista come lui!

“Ehi, Russia.” –lo chiamò- “Pensavo che magari il giudizio che ti sei dato è un po’ troppo severo. Magari sei più simile a quel Russia di quanto tu creda.”

Lui e le sue sorelle si girarono: “Che intendi?” –gli chiese, fissandolo mentre premeva alcuni tasti sul telecomando.

“Che c’è qualcosa che hai dimenticato, un desiderio. Un desiderio che hai avuto prima ancora di diventare quello che ora sei, e che continui ad avere, e che avrebbe dovuto farti capire subito come stavano realmente le cose anziché trascinarci qui, cretino!”

Russia storse il naso, non riuscendo a capire cosa intendesse dire, con quel tono come se lo conoscesse da una vita, neanche fosse il suo migliore amico.

“Non è il dominio, non è il sopraffare gli altri, non è il comunismo né altre banalità simili. Ecco…” –disse Alfred, finendo di armeggiare su quei tasti- “Questo è quello che desideri davvero.”

Che senso ha progettare una macchina della realtà virtuale se non puoi controllarla per far apparire quello che vuoi a tuo piacimento?
Ecco dunque che la notte scura divenne un giorno azzurro; la casa e i suoi abitanti sparirono insieme a tutta la città e i secoli alle loro spalle. Si ritrovarono in un periodo qualsiasi in un paese qualsiasi, all’aperto, in una distesa pullulante di vita e carezzata dal vento, immerso tra quegli alti fiori che conosceva benissimo: corone appuntite gialle come l’oro, e un volto scuro che fissa il sole che gli da tutto ciò di cui ha bisogno.

Davanti a quel cambio improvviso e tanto drastico di paesaggio, Ucraina e Bielorussia si guardarono intorno colpite, ma Russia lo era al punto che invece non si muoveva di un millimetro. La sua bocca era rimasta spalancata, e forse non per la bellezza di quel posto, finto quanto quello di prima, ma per cosa volesse significare, ossia, che America aveva proprio ragione.

“Un…” –fece la sua voce sottilissima- “Un posto caldo…”
“Circondato dai girasoli.” –finì lui, a bassa voce e con un sorriso, presentandogli un regalo così bello che non sembrava possibile essere stato pensato da quella testaccia dura dell’americano. Ivan richiuse la bocca.

 

Ora si che era identico all’altro, pensarono i tre.

O meglio ora si che si capiva che erano esattamente la stessa persona.

E doveva averlo capirlo anche lui, visto che il sorriso continuava ad allargarsi sempre di più, al punto che le lacrime, scendendo, arrivarono a bagnargli di angoli della bocca.

 

Si inginocchiò, carezzando un fiore un po’ più piccolo degli altri come fosse un cucciolo, con le sue sorelline inginocchiate accanto a lui, che non gli si staccavano di un millimetro.

La macchina non aveva bisogno di simulare alcun calore, perché con loro al suo fianco, Ivan ne aveva più che in abbondanza; e lui non aveva bisogno di nessuna colpa a stringergli il cuore, perché in quel sogno tanto piccolo e immortale dentro di sé, il mostro ritrovava la sua umiltà e la sua innocenza andate perdute.

 

America, forte della sua cultura in film, sapeva come comportarsi in quel momento: “Beh, ragazzi, siete proprio belli, non c’è che dire…” –disse voltandosi- “Vi concedo un paio di minuti, sarò buono, però dopo tutti a casa, eh? Umpf!”

E si allontanò di qualche passo, dando il cinque a un girasole strada facendo.

 

 

Quando sullo schermo riapparve il vortice, tutti si alzarono in piedi, e Inghilterra smise di consumare il pavimento facendo avanti e indietro.

I quattro saltarono fuori, e l’ansia di tutti si liberò in un’esultanza che fece tremare i vetri! Russia ovviamente divenne il centro di tutto, ma ad America non dispiacque. Semmai era contento che, come da fuori non avessero visto quanto era stato figo nel convincere Russia, non avessero neppure potuto vedere il suo “momento liberatorio”…

Mentre tirava un sospiro di sollievo, il vecchio Arthur gli diede una fortissima pacca sulla schiena che gli mozzò il respiro: per un attimo aveva avuto la tentazione di abbracciarlo, quindi in qualche modo aveva dovuto rifarsi!

Ricevuta la calorosa accoglienza di tutti, da Cina e Cuba come persino da Ceca e Polonia, Russia pensò bene di dover fare ammenda.

“Vorrei chiedere scusa a tutti voi per avervi fatto stare in pensiero: mi sono lasciato prendere troppo dall’ucronia e non avrei dovuto.” –disse con una mano dietro la testa- “Però ora che sono tornato ci tengo a ribadire che questo mondo è comunque l’unico che ho, e mi va bene così com’è.”

“Umpf, contento di sentirtelo dire.” –fece Lituania, scambiando con Russia un’occhiata densa di ricordi e complicità.

“Infine, voglio che sappiate che d’ora in avanti cercherò di essere meno… inquietante, ecco. Farò del mio meglio!”

Quell’ultima frase venne accolta naturalmente molto bene, anche se con qualche punta di scetticismo; e in un caso persino con un po’ di preoccupazione.

“Che ti prende, America?” –domandò Inghilterra.
“Russia che vuole provare ad essere buono?” –finì a bocca aperta.

“Non ha detto proprio così, però penso che finalmente abbia deciso di migliorarsi un po’. Dopo quello che è appena successo ti meraviglia tanto?”
“In un certo senso…” –gli dava i brividi!- “Ma la lezione non era che tutti siamo così come siamo e basta? Se ora lui vuole cambiare…”
“Saranno fatti suoi…” –lo troncò l’altro con acidità, non capendo che ci trovasse nel male a voler fare uno sforzo per cambiare in meglio.

America si schiaffeggiò le guance: “Ma se cambierà troppo? Se diventerà tutto buono e gentile e smielato con tutti? Non avremo più comunque il nostro Russia! Oh, cielo, non riesco ad immaginarmelo! Non può accadere davvero, sarebbe così assurdo!”
“Ma si può sapere che problemi ti fai?!”

Nel frattempo, Russia aveva pensato bene di cominciare col proposito, partendo da qualcuno che a causa sua ne aveva passate davvero tante: chi se non Lettonia?
Raggiunse Ravis, che ebbe la sua solita tremolante reazione.
“Lettonia, voglio dirti che mi dispiace se a causa del mio bullismo sei rimasto un minuscolo tappo.” –disse pur potendo essere un po’ più delicato…- “Mi rincresce molto.”

Lettonia era diffidente, ma quell’ammissione sembrava sincera; forse era il caso di concedergli un tentativo per rimettere a posto le cose.

“Ecco… Beh, non importa… Lasciamoci questa storia alle spalle, Russia.”

Ivan sorrise: “Oh, molto bene! E a proposito di spalle, da adesso in poi non ti verrò più dietro di nascosto per farti paura solo per vederti sobbalzare e gridare in modo buffo.”
“D-davvero? Grazie!”

America iniziò a strapparsi i capelli: “Lo vedi Inghilterra? Il mondo sta diventando sottosopra! Argh! Il mio cervello!”

“Tsk, che idiota…”
Russia proseguì: “Inoltre cercherò di rifarmi dei fastidi che ti ho dato diventando più gentile; ad esempio aiutandoti a diventare più alto!”
Toccato quel tasto, le corde di Lettonia vibrarono cristalline: “Sul serio?” –fece lui con gli occhi stellati- “Saresti davvero in grado di fare una cosa del genere? E come……”

“… Eh eh eh!”

“…… Oh, no! Oh, no! Ti prego, non dirmi che intendi…”

Per gli altri due baltici si trattava di una scena familiare, gli altri invece rimasero pietrificati quando Russia afferrò Lettonia e gridò: “STREEEEEEEETCH!”
“AAAAAAAAAAAAAAAARGH!”

Tenendolo alle due estremità, Russia prese a stirare la piccola nazione, allungandola e accorciandola come un elastico, fino effettivamente a stirarlo anche di molto.

“Allora, Lettonia, non sei contento? Non ti senti già più lungo di qualche centimetro? STREEEEETCH!”
“NOOOO! AAARGH! LO SAPEVO CHE NON MI DOVEVO FIDARE! AIUTOOOOO!”

Lituania ed Estonia indietreggiarono di un passo insieme ai loro goccioloni.

“Ma… Non aveva detto di voler essere più buono, tipo?”

Lituania provò a dire la sua: “Beh, credo a suo modo lo stia facendo: lo fa davvero perché vuole aiutare Lettonia, stavolta…”
Cuba, ridacchiando, li abbracciò da dietro le spalle: “Eh eh eh, perché siete così sorpresi, amigos: in realtà il señor Russia è sempre stato buono; ora lo è ancora di più!”

“Tu… dici?”

Bielorussia congiunse le mani e sprizzò cuoricini: “Ahhh… Il mio fratellone è una persona ancora più meravigliosa… Ahhh…”
Anche Ucraina batteva le mani contenta davanti quella inusuale tortura in buona fede: “Ah, Russia, fratellino, che pensiero gentile!”

Come si vedeva che erano della stessa famiglia!

“……Sai, Inghilterra…” –fece America- “Forse avevi ragione: mi stavo facendo problemi inesistenti.”

“Temo di si…” –annuì tenebrosamente l’altro.

 

Russia sorrise ancora di più, ormai preso dall’entusiasmo: “Dai! Ancora una volta: STREEEEEETCH! Eh eh eh!”

 

 

 

Mi sa proprio che il nostro Russia resterà sempre un po’ pazzerello, purtroppo per Lettonia! XD

Con l’augurio che la gente del suo paese possa trovare presto libertà e democrazia dopo tanto travagliare, si chiude così la sua ucronia; nel corso di essa, Ivan ha dovuto sostenere un importante confronto con sé stesso e la propria vita, il che è qualcosa che anche tutti noi ogni tanto dobbiamo fare… Forse non avrà trovato una risposta definitiva, né sarà in grado di cambiare da un giorno all’altro, ma l’accettare sé stessi e i propri problemi è dopotutto un importante primo passo; capire che cosa davvero vogliamo, e che a volte dimentichiamo, ne è un altro, grazie al quale sarà sempre in grado di scampare all’oscurità, al freddo e alla sofferenza della solitudine.

Ho dispensato anche troppa saggezza per un solo capitolo credo, quindi la chiudo qui, sperando di avervi ispirato tante interessanti riflessioni ^__^

 

Ed ora arrivederci all’epilogo cari, lettori, con cui si chiuderà ufficialmente questa fantastica storia di storie alternative ^__°

A presto!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

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Capitolo 18
*** Epilogo: l'ultima ucronia! ***


Già con quel poco di malinconia che si ha quando la festa si avvia alla conclusione, America recuperò il telo. Il telo bianco sotto cui aveva tenuto nascosta fino all’ultimo la sua invenzione, fino a raggiungere il giusto livello di suspance in modo svelarla in grande stile.

Decise naturalmente di tributargli un’uscita altrettanto scenica; con un ampio gesto distese quel candido pezzo di stoffa, e calò così lentamente il sipario sulla mirabolante Macchina dell’Ucronia; un riposo meritato al termine di una bella prova, niente affatto priva di sobbalzi e forti emozioni, e, grazie al cielo, terminata con un lieto fine per un istante non sperato, proprio come piaceva a lui.

“Ed eccoci qua, lo show purtroppo è terminato, ragazzi. Non me ce lo meritiamo un applauso?”

Gliene accordarono uno, ma piccolino, ben sapendo con che facilità si montasse la testa, ed America rispose con un paio di educati inchini (e fece inchinare anche la sua macchina piegandola un po’ in avanti sul tavolo).

Germania sospirò, contento che fosse finita: avevano perso un’intera mattinata di lavoro davanti quell’affare, e per un tedesco rigoroso e zelante ciò non era affatto tollerabile, senza contare che non era neppure stato un passatempo sempre piacevole… Ma lui, che un po’ di fama di guastafeste l’aveva già, decise che non avrebbe detto nulla: Italia e gli altri invece si erano divertiti molto, e poi sarebbe stato ipocrita da parte sua visto quanto aveva trovato a tratti davvero interessanti gli sviluppi alternativi della storia… o quanto aveva riso nel vedere Austria vestito da concubino!

“Ve! È stato bellissimo! Mi sarebbe piaciuto vederne ancora altre di ucronie!” –esternò invece Italia, che da bravo scansafatiche alzava sempre il pollice quando si trattava di bigiare gli impegni dell’assemblea!- “Anche se l’ucronia di Svizzera era tanto paurosa…”

“Tsk, e tu allora vestito da principessina?” –lo rimbeccò Vash.

“Eh, Italia, lo so che tutti qui avrebbero voluto continuare, ma a volte bisogna anche dire di no alle preghiere dei fans.” –gongolò America tirandosela.

“Ma per favore…” –gli mollò un buffetto in testa Inghilterra.

“Si potrebbe organizzare qualche altro show più avanti, per quelli che non hanno avuto occasione di chiedere, che ne dite?”
“Ecco…” –fece per l’appunto Arthur- “Sarebbe il caso di fare molto più avanti, Spagna: ne abbiamo viste parecchie oggi, non vorremo mica fare indigestione, giusto?” –tirò poi una piccola gomitata all’inventore.

Questi, strano a dirsi, si trovava d’accordo: almeno per un po’ voleva evitare di dover correre al salvataggio di qualcuno lasciatosi “mangiare” dalla sua ucronia.

Giappone si alzò dalla sedia, imitando molti lì intorno: “Direi che oggi ci siamo piacevolmente distratti.” –fece con voce serena- “Ed abbiamo anche imparato molte importanti lezioni.”

“Come che bisogna stare attenti a ciò che si chiede.” –annuì Inghilterra.

“Che a volte ti è andata male perché ti andasse bene dopo.” –ridacchiò Romano carezzando la testa al fratellino.

“Che anche se non ce ne accorgiamo siamo felici con ciò che abbiamo.” –fece quest’ultimo arrossendo.

“E che a volte non è il successo ciò di cui abbiamo realmente bisogno.” –aggiunse Turchia strizzando l’occhio ad Austria.

“E che non bisogna sposare più di una donna alla volta.” –scherzò questi facendo ridere tutti, meno che Ungheria e Ceca, le quali si scagliarono un’ennesima occhiata al vetriolo.

E molto altro ancora, ma stava al cuore e alla mente di ciascuno ripensare a tutto quello che avevano visto in quella giornata e decidere cosa valesse la pena di portare ben impresso nel cuore e nella mente, e cosa invece ricordare nei momenti di leggerezza per una risatina che fa sempre bene.

America però voleva dire anche lui la sua ed alzò il dito come un saggio maestrino: “E che non possiamo essere altro che noi stessi, e quindi dobbiamo accettare come siamo fatti.”

Arthur indicò Russia e Lettonia: “Beh, entro certi limiti…”

Il primo era intento a controllare un metro da sarto: “Guarda Lettonia! Ha funzionato! Hai guadagnato alcuni millimetri! Non sei contento?”

“………” –gli atroci dolori articolari gli avevano momentaneamente tolto la parola.

“Da! Sei davvero molto contento!”

America rise nervosamente, massaggiandosi il collo.

Poi Russia si rivolse proprio a lui: “Grazie America: quell’ucronia mi è servita molto.”

Alfred arrossì: “Sciocchezze… vecchio amicone!”

Russia sorrise senza correggerlo.

Sentendosi ora in imbarazzo, America diede un colpo di tosse e alzò il pugno al cielo: “Bene! Ed ora che ne dite di andarcene tutti insieme a mangiare?”

Pronta gli arrivò sulla spalla la pacca di Inghilterra: “Ed offri tu, ovviamente!”

“CHE COSA?!”
“VEEEE! SI MANGIA!”

“Oh, molto gentile da parte tua America!” –ringraziò Russia, avviandosi per primo, seguito da tutti gli altri.

“Viva America! Ah ah ah!” –lo prese in giro Vietnam, sognando un ragnetto salutarlo dal suo portafoglio.

“Ehi, no, fermi! Non ho detto che…”

“Ve, dai Germania, andiamo!”
“Italia, non mi tirare la giacca!”

“Feli!” –sbraitò Romano- “Non tirargli la giacca a quel crucco del cavolo!”

“Ai-ya! E se andassimo a un ristorante cinese?”

America si girò verso Inghilterra, il quale però trovò il suo sguardo indemoniato francamente molto divertente!

“Tu…”
“Umpf, piccola punizioncina. Per il casino di Russia e per la giornata persa.”

“Hai idea di quante siamo noi nazioni al mondo?”

“Mhmm… Sulle duecento se non sbaglio…”

“ESATTO! SIGH!” –grazie al cielo c’era qualche assente, ma era comunque un numero bello consistente, anche per un eroe così bello, buono, bravo, coraggioso e generoso qual’era!

Lo cinse con un braccio intorno le spalle: “Ah ah ah, su America, facciamo che paghi solo metà conto, va bene?”

“Sigh!” –pianse Alfred, avviandosi insieme a lui- “Se so che ogni volta finisce così ci penserò due volte prima di mostrare le mie meraviglie a riunione!”

<< Obiettivo centrato! Muahahahaha! >>

“L’ultimo chiuda la porta, eh?” –si raccomandò Francia uscendo.

 

Qualcuno, per l’appunto, aveva reso i suoi passi cortissimi proprio per essere l’ultimo ad uscire dalla stanza: voleva averla un attimo solo per sé. La macchina ovviamente!

“Eh eh eh, tipo!”

Polonia controllò che tutti fossero usciti (guardò anche sotto il tavolo nel caso Sealand stesse giocando lì sotto come era solito fare), serbò un’occhiata furtiva al corridoio fuori la porta e poi la socchiuse.

A passetti lunghi e saltellanti rimosse il telo, e la macchina, per un riflesso della luce sullo schermo, sembrò fargli un occhiolino, contenta di avere un’occasione per un ultimo acuto!

“Finalmente, tipo! Quel barbaro di America ha osato negarmi l’ucronia, per giunta dicendo che non era importante, ma dico! Ma adesso, tipo, gliela faccio vedere io… Anzi, che sto dicendo? Me la vedo solo io! Eh eh eh!”

La riaccese, afferrò il tubo e si schiarì la voce come stesse per declamare davanti a un pubblico: aveva capito che l’apparecchio aveva lo stesso carattere vanitoso del suo inventore, ed essendo vanitoso a sua volta, sapeva come trattare con lei!

“Oh, bella macchinina dell’ucronia, risolvi questo mio dubbio atroce e restituiscimi sonni sereni!”

Elettrizzato, si fermò un attimo per godersi il momento: “Voglio sapere, tipo, cosa sarebbe successo se il mese scorso avessi deciso di tinteggiare i muri di casa mia color malva anziché rosa!”

Lo schermo gli offrì subito il suo vortice, in cui Polonia si tuffò curiosissimo.

La stanza rimase nel silenzio per due o tre minuti, dopodiché saltò di nuovo fuori.

Polonia era madido di sudore: “Orribile! Terribile! Assolutamente spaventoso, tipo! Sapevo che sarebbe stata una decisione di gran peso per la storia!”

Si appoggiò a una sedia ad aspettare che il cuore gli rallentasse.

 

Guardando verso l’alto esclamò: “Solo il cielo sa che cosa noi, tutti noi, abbiamo miracolosamente scampato!”

La sala intorno tacque, sconvolta da quella scoperta.

 

Feliks allora si lasciò andare a un sorriso: “Umpf! Però non è successo! Ancora una volta il sottoscritto ha fatto la scelta giusta, tipo! Ah, Polonia, sei sempre il migliore, si si!”

Rimise il telo a posto e si incamminò, contento che il mondo lì fuori fosse quello giusto: coi muri di casa del colore perfetto.

“E ora andiamo a mangiare!”

Chiuse la porta, salutando la mirabolante macchina col suo cigolio.

 

 

 

Cosa avrà mai visto nella sua ucronia, Polonia? Mistero!

A voi dico solo di scegliere con molta attenzione quando decidete di ritinteggiare casa; davvero molta attenzione! XD

 

Scherzi a parte, forse il destino del mondo non dipenderà da noi, ma il nostro destino si: una volta scelto, non si torna indietro, una volta andata è andata, e il massimo che si potrà fare sarà guardare ipotesi in una pur straordinaria macchina. Ecco perché dobbiamo prestare sempre attenzione alla nostra vita, e viverla in modo da diventare ciò che vogliamo realmente essere, ed avere ciò che realmente vogliamo avere.

Questo è uno dei tanti messaggi e spunti di riflessione che ho voluto spargere qui e là per tutta la fanfic; come autore, credo che il nostro compito, qualunque sia il genere di storia che si scrive, debba sempre essere quello di insegnare qualcosa, come un regalo da lasciare al lettore, affinché poi sia lui a decidere cosa farne, e come interpretarlo.

Mi auguro che per voi sia stato così ^___^

 

Salutiamo quindi questa bellissima storia di alternative, e diamo il via ai saluti di rito!

Questa è stata in assoluto la mia fic con più commenti qui su EFP, e inizio col ringraziare proprio lei, perché mi ha dato l’occasione, vista la sua struttura a insieme di singole storie, di tirar fuori dalla mia testa parecchie idee e spunti su Hetalia che avrei voluto scrivere o di cui già in passato ho scritto (il triangolo Austria-Ungheria-Ceca, l’approfondimento del carattere di Russia ecc…), quindi è stata come un’unica fava con la quale ho potuto sfogare numerose ispirazioni ^__^
Ed ora, i ringraziamenti a voi, mie care lettrici e miei cari lettori!

Siete davvero parecchi stavolta: un grazie a Cosmopolita (che stimo molto sia come recensore che come autrice ^__^), a Historygirl93 (mia fedelissima nel fandom hetaliano), e a Rico da fe, Sweet Witch, Italian Empire, jei90, Lyu chan, martichan97, adrienne riordan, shaya21, Sery_Vargas, darkshin, Selena Fernandez_Carriedo.

Un grazie poi a tutti quelli che hanno lasciato una o più recensioni e che non ho incluso nella lista, né dimentico tutti voialtri che leggete senza commentare: so che ci siete e voglio bene anche a voi! ^__^


Contentissimo di avervi fatto divertire ed emozionare anche stavolta, grazie di cuore.

 

Alla prossima storia! ^__^

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

 


FINE!

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