Guardarti e sorridere

di _Kiiko Kyah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nuova amica ***
Capitolo 2: *** Confusa, o solo permalosa? ***
Capitolo 3: *** Siamo in guerra? ***
Capitolo 4: *** Fiducia ***
Capitolo 5: *** Un ricordo e una lacrima ***
Capitolo 6: *** Un discorso (non molto) incoraggiante ***
Capitolo 7: *** Tutti i nodi vengono al pettine ***
Capitolo 8: *** Forse mi mancherai ***
Capitolo 9: *** Odiava l'Hokkaido ***
Capitolo 10: *** Il lupo e il sole ***
Capitolo 11: *** Un fiume di ricordi ***
Capitolo 12: *** Guance rosse di dolore ***
Capitolo 13: *** Un desiderio sprecato ***
Capitolo 14: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 15: *** Che il fantastico FFI abbia inizio! ***
Capitolo 16: *** Fire Dragon [1] Era anche ora. ***
Capitolo 17: *** Fire Dragon [2] Tanti problemi ***
Capitolo 18: *** Nuova vita, nuovo look... ***
Capitolo 19: *** Benvenuti sull'Isola di Liocott! I Cavalieri della Regina ***
Capitolo 20: *** Indistruttibile non è proprio l'aggettivo per te, Plus. ***
Capitolo 21: *** Il ritorno di Dark ***
Capitolo 22: *** Visita dall'America: Daniel e Matthew Karver ***
Capitolo 23: *** L'Unicorno [1] Niente è per sempre... ***
Capitolo 24: *** L'Unicorno [2] ...tranne gli amici! ***
Capitolo 25: *** L’Unicorno [3] Una partita senza coordinatrice ***
Capitolo 26: *** Quando piove con il sole ***
Capitolo 27: *** L'Orfeo [1] C'è chi riflette e chi teme ***
Capitolo 28: *** L'Orfeo [2] La piccola Lucy ***



Capitolo 1
*** Una nuova amica ***


((Introduzione: prima di tutto voglio dirvi che questa mia fiction è la terza che faccio. E intanto le prime due sono ancora in corso. Ma non prendetemi per pazza per questo, perché al contrario delle altre due questa fiction ce l’ho in testa da mesi, quasi un anno, da prima ancora di iscrivermi a questo sito. Quindi … abbiate pietà se trovate qualcosa di sbagliato oppure se qualche capitolo -come questo- è corto, è già tanto che l’ho postato, questo capitolo. Secondo poi, vi dico subito che avrei tanto preferito utilizzare i nomi giapponesi dei personaggi, ma dati i motivi sopra descritti per facilità ho usato quelli italiani.
Come detto nell’introduzione della storia in generale, questa non è una fiction “continua”, bensì una raccolta di “salti nel tempo” fra episodi totalmente creati da me o frammenti “mancanti” di episodi originali, perciò se non avete visto l’anime nel suo completo –anche se dubito che sia così- non si capirete quasi niente.
Basta, non vi voglio annoiare più, quindi … buona lettura! :3))

 
 
Raimon Junior High, campo di calcio, pochi giorni dopo l’entrata del signor. Illman come Mister della squadra
 
Il pallone continuava a rotolare velocemente sotto i piedi del quasi nuovo capo cannoniere della squadra, Axel, che correva veloce come il vento in direzione della porta.
– Preparati Mark! – gridò rivoltò al suo amico in porta per poi sferrargli un potente tiro che il portiere in tuta gialla parò prontamente buttandosi a destra.
Quel giorno i ragazzi erano davvero in ottima forma, e si stavano allenando con entusiasmo sotto gli occhi allegri delle loro manager Silvia e Celia, mentre la presidentessa della squadra, Nelly Raimon, li osservava da suo ufficio lassù, nell’edificio più alto di quelli che componevano la scuola, con un binocolo di quelli che si usano per osservare l’opera nei teatri.
Davanti alla sua scrivania, stava un’altra figura.
Indossava degli jeans molto aderenti che terminavano poco sotto il ginocchio e  una camicia con maniche corte a sbuffo. Sopra la camicia, portava un gilet da “cowboy” perfettamente in tono con i suoi stivaletti da cavallerizza. In testa portava un classico cappello texano che la faceva sembrare un personaggio di un film western.
La ragazza, alta e bellissima, si passò delicatamente una mano decorata con un bel bracciale dorato lungo la sua chioma scura come la pece e sorrise.
– Prima di accettare la tua proposta, Nelly, vorrei prima conoscere … i giocatori. – La rossa sorrise capendo che “i giocatori” non era esattamente quello che la sua amica intendeva, ma acconsentì e depositò il suo binocolino dorato per uscire dall’ufficio, seguita a ruota dalla misteriosa ragazza bruna.
 
Gli stivaletti color legno tonfarono sullo sterrato del campo, come era giusto che facessero essendo stivali pensati per camminare sul terreno più consono alla cavalcata, ovvero quello su cui si trovavano adesso.
La ragazza dai lunghi capelli rossi si avvicinò al mister della squadra che si stava allenando in quel momento e gli disse qualche cosa all’orecchio.
L’uomo attirò l’attenzione dei suoi giocatori che smisero immediatamente di correre e si diressero, chi frettoloso chi meno, ad attorniarlo.
– Ragazzi – esordì l’uomo vestito di blu – la nostra Nelly mi ha portato una buona notizia: è appena arrivata la persona che aspettavamo, il nostro “coordinatore” … – fece una leggera pausa osservando le reazioni dei ragazzi
– Ma non è esattamente come potreste aspettarvelo … – loro si zittirono guardandolo perplessi.
– E perché, Mister? – chiese con il suo solito entusiasmo il giovane capitano nonché portiere della Raimon.
– Beh, per caso te lo aspetti della tua età, vestita da cowgirl e soprattutto che sia una ragazza? – disse una voce sarcastica proveniente da chissà dove, e da dietro l’allenatore sbucò la sua proprietaria, una bellissima ragazza dall’espressione schernitrice.
Lui non rispose. Semplicemente, come tutti i suoi compagni, arrossì alla vista di una ragazza così bella. Avrebbe potuto fare la modella; persino i suoi abiti non molto “eleganti” le stavano d’incanto. L’unico che sembrava immune a questa sua bellezza era Axel, che la guardava serio.
– Fammi capire, il tanto atteso coordinatore … saresti tu?
– Non mi dire, caro il mio signor Blaze, ti spiace per caso? – rispose quella in tono retorico, lasciando tutti attoniti. Nessuno, ma proprio nessuno, aveva mai usato quel tono sornione con il ragazzo dagli occhi neri prima.
Lui la fissò un attimo, e Silvia poté leggere chiaramente sul suo volto la frase “No, per niente!”. Ma questo non fu esattamente quello che il cannoniere disse …
– Beh, certo mi aspettavo qualcuno di più esperto, non una ragazza che sembra non saperne nulla … – non l’avesse mai detto. La corvina sembrò volerlo uccidere sul colpo, anche se cercò di non darlo a vedere; fece spallucce e iniziò a fissarlo come a voler dare vita ad una sorta di guerra fredda che, come tutti temevano, sarebbe durata molto, molto tempo.
– Ma io so tutto, Axel Blaze! – esclamò, poi iniziò a recitare a memoria senza perdere il contatto con gli occhi di lui – Axel Blaze, fino ad un anno fa giocavi nel club di calcio della Kirkwood Junior High e stavate quasi per vincere il famoso Football Frontier, ma proprio il giorno prima della finale contro la Royal Academy il qui presente giocatore più importante della squadra ha abbondato il torneo per ehm … motivi che mi ha doluto venire a sapere – disse questo con un tono sinceramente dispiaciuto, che sparì però in un lampo continuando a parlare – e recentemente ti sei trasferito qui alla Raimon dove, durante una partita con la Royal Academy, quando questa stava per vincere 20-0, hai deciso di abbandonare i tuoi propositi per aiutare il tuo nuovo amico Mark e hai segnato il gol del 20-1. Poi, la mia amica Nelly ti ha convinto ad entrare in squadra, e adesso ti stai lamentando di avere la sottoscritta Bianca Plus come coordinatrice. Tutto corretto, caro il mio signor Blaze? – chiese ancora sarcastica facendogli un malizioso occhiolino.
Questa volta, seppur conservando il suo sguardo serio di sempre, il ragazzo arrossì leggermente e annuì, sconfitto. Ovviamente, tutti gli altri erano rimasti a bocca aperta, soprattutto nel vedere che Bianca si era divertita davvero un mondo a stuzzicare quello che di solito era il più rispettato di tutti nel gruppo.
L’allenatore decise di far fare loro una partita di allenamento per far vedere alla nuova coordinatrice come i giocatori sapevano muoversi in campo, anche se lei aveva continuato a ripetere che era inutile, perché aveva già abbastanza dati su di loro. Ma lui non volle sentire ragioni e diede la formazione delle due piccole squadre.
Data la mancanza di un secondo portiere, si decise di utilizzare una sola porta e un solo portiere, Mark.
 
La partita quindi iniziò, e tutti furono piuttosto stupiti nel vedere lo sguardo seccato della corvina dalla lunga chioma ondulata. Sembrava completamente assente, ma in realtà stava registrando ogni piccola mossa dei ragazzi e i movimenti del pallone nel suo database mentale formato dalla sua memoria fotografica e dalla sua alta conoscenza delle tecniche calcistiche e di tutti gli schemi possibili e immaginabili.
 
--Axel—
 
Che fastidio.
Quell’antipatica lo aveva zittito in meno di un minuto.
Era riuscita a spiazzarlo con un solo sguardo, e poi anche a farlo sentire in imbarazzo davanti a tutta la squadra.
Che ragazza odiosa!
Palla al piede, il ragazzo stava superando tutti i suoi improvvisati avversari senza fatica. Sentiva lo sguardo attento e critico di Bianca stargli addosso, e iniziò ad avvertire uno strano senso di disagio.
Perché? Perché quel disagio improvviso? Non era naturale, diamine, non lo era per niente! Ma più capiva che quella stupida lo stava fissando intensamente, più i suoi piedi sembravano voler spiccare il volo da un momento all’altro portandolo chissà dove.
 
Il Mister Illman aveva detto di mostrare le proprie capacità alla nuova coordinatrice, eh? Bene. Era quello che aveva intenzione di fare.
Si avvicinò pericolosamente alla porta e guardò Mark.
– Forza, tira! – lo sfidò quello capendo al volo i suoi pensieri.
Senza pensarci su due volte, Axel spiccò un salto e le sue gambe vennero avvolte dalle solite lingue di fuoco. Mentre piroettava in aria, vide la corvina alzarsi di scatto e poté cogliere con chiarezza il luccichio che era apparso nei suoi occhi.
– TORNADO DI FUOCO! – gridò dando un vigoroso calcio al pallone, che piombò dritto fra le mani di Mark.
– MANO DI LUCE! – urlò il portiere in risposta evocando la sua grande e luminosa mano grazie alla quale riuscì a deviare il potente tiro di Axel. Andò a recuperare il pallone, e poi mostrò un enorme sorriso dei suoi al suo amico – Grande Axel, questo è stato quasi più potente di tutti gli altri! – esultò estasiato.
Ma la sua voce arrivò come un grido lontano alle orecchie del ragazzo. In quel momento, lui era troppo impegnato ad osservare il viso splendente di Bianca. Sembrava quasi che qualcuno ci avesse versato sopra vasetti e vasetti di brillantini luminosi.
 
Era
… veramente
… bellissima.
 
--Bianca—
 
Non poté fare a meno di alzarsi in piedi quando il ragazzo sfoggiò la sua tecnica speciale.
Era davvero spettacolare vista da così vicino. Le era salita la pelle d’oca fin sulla testa, e non riusciva più a trovare un contegno.
Stava sorridendo come una stupida idiota.
Cos’era quella strana sensazione che stava prendendo possesso del suo stomaco, ormai in fermento?
Niente. Non era niente. Non doveva essere niente.
– Va bene, credo che possa bastare. – disse il signor Illman, e tutti i giocatori si fermarono di botto iniziando subito poi a correre verso la panchina per bere qualcosa e qualcuno anche per asciugarsi il sudore con un asciugamano. Uno di questi ultimi era Axel, che le sembrò stranamente nervoso.
Senza neanche accorgersene, Bianca afferrò un bottiglia da quelle che le due manager appena conosciute avevano depositato in un paio di cassette di legno ai piedi della trave di legno sulla quale erano sedute e gli si avvicinò.
– Tieni. – gli disse porgendogliela e cercando di ostentare un tono scostante; sotto il suo sguardo sorpreso, le ci volle una fatica immensa per non scoppiare in mille complimenti da ragazzina priva di ritegno su quanto fosse stato fantastico il suo Tornado di Fuoco.
– Non guardarmi con quell’aria ebete, devi reidratarti o potresti sentirti male! – fu l’unica cosa seria che la ragazza riuscì a pensare e a dire.
– Grazie … credo, almeno. – rispose lui afferrando la bottiglia, e per un miserabile e al contempo interminabile istante le loro mani si sfiorarono, provocando in Bianca un altro fermento nel suo stomaco, come un frullo di migliaia di ali.
 
--KyawaiiChu Narratore esterno Punto di vista generale? Non so come chiamarlo uffa--
 
Erano rimasti così, in silenzio, l’uno davanti all’altra, lui che beveva e lei che cercava di guardare in un’altra direzione che non comportasse osservare il ragazzo che aveva di fronte.
Tentativo vano, perché la sua presenza era come quella di una valle davanti ad una montagna: era l’unica cosa che potesse vedere.
Alla fine, decise di reagire, ma lui fu più veloce.
– Niente da dire riguardo al mio allenamento, cara la mia signorina Plus? – le chiese facendole una perfetta imitazione. Farle il verso fu sicuramente per lui una sensazione appagabile, anche perché subito lei si sentì avvampare sotto il suo sguardo borioso.
– O-okay, devo ammetterlo, hai un talento davvero formidabile ... – disse. La sua tattica era questa: prima il complimento, poi l’insulto. Difatti, aggiunse – ma per il carattere ci sono ancora parecchie cose da migliorare!
– Cosa vorresti dire?– le chiese ancora prendendo una faccia quasi offesa.
– Che sei un irritante, ecco cosa!– rispose lei voltandosi e prendendo un’aria strafottente.
- Meglio irritante che perfettina! – ribatté lui eseguendo quasi esattamente gli stessi movimenti della corvina.
- Perfettina a chi!? – si rigirarono di scatto per guardarsi in faccia, e i loro sguardi si stavano rapidamente trasformando in stilettate taglienti e appuntite.
Chi avesse assistito alla discussione dall’esterno, avrebbe sicuramente giurato di aver visto partire dagli occhi azzurri di Bianca e da quelli neri di Axel due scariche elettrice che si incontravano a metà della distanza fra i due, ognuna cercando di sovrastare l’altra per arrivare ad incenerire il proprio avversario.
 
Tutti i presenti reagirono in modi differenti a questa prima battaglia della loro guerra fredda:
C’era chi sospirava, chi rideva nervosamente, chi faceva segno con le mani di stare calmi, qualcuno stava ancora osservando la bellezza di Bianca e qualcuno si era quasi messo a pregare perché quell’agghiacciante sfida a chi fissava peggio l’altro finisse al più presto.
Inutile dire che i due diretti interessati non si interessarono minimamente agli altri; era come se in quel momento per entrambi non esistessero altro che gli occhi dell’altro.
Fu questo pensiero che indusse una persona nella massa di ragazzi che stavano osservando i due “litiganti” a sorridere divertita.
 
--Axel--
 
Finalmente giunse l’ora di tornare a casa, e Axel si incamminò da solo lungo il viale che conduceva alla sua dimora. Nei suoi pensieri, gli occhi azzurri di Bianca regnavano indiscussi.  
– Axel! – si sentì chiamare e, girandosi, vide Mark, Silvia e il loro compagno dai capelli azzurri Nathan correre verso di lui.
– Ti spiace se facciamo un pezzo di strada con te? – chiese il castano non appena ebbero raggiunto il loro amico.
– No, figurati. – rispose lui sorridente.
Così, i quattro iniziarono a camminare insieme e a chiacchierare degli allenamenti e della squadra. Inevitabilmente, il discorso cadde sulla nuova coordinatrice.
– Forse è un po’ strana, però mi sembra brava. – sentenziò Mark alzando lo sguardo in modo riflessivo. Axel roteò gli occhi.
– A me sembra molto simpatica. – aggiunse Nathan con aria sorridente.
Simpatica? Quella?
– È una perfettina – borbottò senza accorgersene – e anche un po’ matta. – mentre diceva così, però, iniziò a sorridere al pensiero dello sguardo sognante che la corvina aveva assunto davanti al Tornado di Fuoco.
– Tu dici? Io invece ho avvertito un certo feeling … – commentò la ragazza dai capelli verdi restando sul vago, ma lasciando comunque intendere cosa intendeva. Nathan si mise a ridere e rispose divertito:
– Hai ragione, un feeling di tuoni e fulmini!
Axel sospirò. Ma come le era venuta un’idea del genere? Era più probabile che fosse Nathan ad avere ragione. Altro che feeling, era chiaro come il sole che non sarebbe mai riuscito ad andare d’accordo con quell’antipatica.
Non che gli dispiacesse.
Anzi, nei suoi pensieri si era già formulata l’idea che, perfettina o no, si sarebbe divertito un mondo a stuzzicarla in tutti i modi possibili e immaginabili, e si pose questo preciso e delicato compito di essere il più “irritante” possibile.
 
 
Angolino:3
Konnichiwa!
Vi è piaciuto il capitolo? Scommetto di no
Cooooomunque, mi ci sono messa d’impegno quindi spero che qualcuno abbia apprezzato.
Ho già detto quasi tutto all’inizio, quindi non mi dilungherò.
Vi saluto dicendo: se leggete questo capitolo, re-cen-si-te-lo vi prego!
Ovviamente accetto anche critiche!
Kiss :D
KyawaiiChu

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Capitolo 2
*** Confusa, o solo permalosa? ***


Raimon Junior High, campo di calcio, giorno dopo l’arrivo di Bianca Plus
 
Molti erano rimasti stupiti quando, arrivando come al solito tutti insieme al campo di allenamento, avevano trovato la loro nuova coordinatrice già lì ad aspettarli.
La cosa veramente particolare era che, nell’attesa, Bianca si era posizionata in mezzo al campo, e al loro arrivo stava palleggiando il pallone con un’agilità che a tutti sembrò insolita per una coordinatrice, che avrebbe dovuto essere un’esperta nella teoria e non nella pratica.
 
– Ma guarda un po’ la perfettina! – esclamò in tono schernitore Axel non appena fu arrivato a qualche metro da lei. Colta di sorpresa, istintivamente la ragazza colpì vigorosamente il pallone calciandolo in direzione del ragazzo che lo fermò di petto e senza alcuna difficoltà.
– Oh! Blaze l’irritante … - lo “salutò” con aria delusa. Poi aggiunse sorridente e rivolta agli altri
– Ciao ragazzi, come va? – ancora una volta, molti di loro arrossirono al suo sorriso.
 
--Axel--
 
“Blaze l’irritante”, lo aveva chiamato.
Roba da sbellicarsi dal ridere. Ma la perfettina continuava a definirlo irritante, e quindi il piano del ragazzo di assecondare questa sua idea andava sicuramente messo in atto.
– Beh, dovremmo allenarci … quindi che ne dici di sloggiare dal campo, perfettina? – le pose questa domanda retorica con un immenso tono a dir poco provocatorio, tanto che dovette trattenere a stento le risa.
La corvina lo fissò un attimo come se avesse voluto trafiggerlo a coltellate, ma subito dopo lo scrutò con fare superiore.
– Certo, caro il mio signor Blaze, ma tu faresti bene a non sprecare il fiato anziché provocarmi, oppure non riuscirai ad eseguire la tua tecnica speciale nemmeno una volta, oggi … - detto questo avanzò e lo oltrepassò senza neanche guardarlo, diretta alla panchina dove Silvia, Celia e Nelly stavano sedendosi proprio in quel momento.
Axel la fermò: - Ti credi tanto importante, perfettina?
Quella si voltò e gli sfoderò un’attraente e luminosa espressione che fece arrossire tutti (proprio tutti) i presenti:
- No, Axel. Io sono importante.
 
Fantastico. Adesso non riusciva più a toglierle gli occhi di dosso.
Con la coda dell’occhio continuava a fissarla anche durante l’allenamento, e più la osservava più si sentiva in dovere di dare il massimo. Così, senza un motivo apparente, il terrore di sbagliare qualche cosa davanti a lei lo attanagliava.
Probabilmente perché ciò Bianca aveva affermato era vero. Lei era importante. In quanto loro coordinatrice, quella ragazza rappresentava effettivamente qualche cosa di rilevante per tutta la squadra.  
E intanto, il cannoniere pregava perché l’antipatica perfettina non si accorgesse del suo sguardo costantemente fisso su di lei. Non lo avrebbe sopportato.
 
--Bianca--
 
Irritante.
Era l’unica cosa che le venisse in mente pensando ad Axel.
Ogni suo atteggiamento, ogni suo singolo movimento, ogni calcio che assestava a quel pallone, ogni cross, ogni dribbling e ogni intervento, persino ogni suo sguardo la conduceva ad un solo ed unico concetto: Axel Blaze era l’essere più irritante che Bianca avesse conosciuto.
 
Ma allora perché … perché mentre osservava i membri della squadra della Raimon muoversi in campo, le sembrava quasi di vedere solo lui?
Era veramente il colmo. O no? Magari era anche questa una delle caratteristiche di quel fenomenale, bellissimo, odioso calciatore: una volta conosciuto, toglierselo della testa era del tutto impossibile, soprattutto per una ragazza.
Okay, adesso basta. Bianca, concentrati! Tu non sei una ragazza qualsiasi!” pensò colpendosi il viso con entrambe sperando che nessuno la vedesse.
Sospirò.
– E quello per cos’era? – le chiese la voce allegra della manager dai capelli a caschetto blu. Lei trasalì mentre quella le si avvicinò di più per poter capire bene dove gli occhi azzurri della coordinatrice fossero diretti.
– Stavi guardando Axel? – Sotto lo sguardo perplesso della sua interlocutrice Bianca si sentì ad arrossire.
– Mi … mi sembra ovvio! È il capo cannoniere della Raimon, è quello su cui devo basarmi per capire l’effettiva forza d’attacco della squadra! – qualcosa sul viso di Celia le fece intendere che non era troppo convinta da questa sua risposta.
Orrore …” pensò sconsolata e imbarazzata alla sola idea.
 
--ed ecco a voi il punto di vista generale! XD--
 
Silvia osservava sorridendo gentilmente l’espressione imbarazzata di Bianca.
Intanto Nelly pensava che la sua amica era proprio buffa. Era la prima volta che vedeva la corvina con quello sguardo, non le era mai capitato di vederla scomporsi in quel modo.
 
– Okay ragazzi, basta così! – ordinò il mister Hillman quando ormai era abbastanza tardi, e i ragazzi si fermarono. Molti di loro avevano il fiatone, e furono felici di trovare le solite bottiglie e asciugamani in quantità ad aspettarli accanto alle quattro ragazze sedute sulla panchina di legno.
– Quanti giorni mancano alla partita contro la Royal Academy? – chiese trepidante il capitano a Celia.
– Solo un paio, Mark … - fu la sommessa risposta, e Bianca ebbe la sensazione che la ragazza, di un anno più giovane di lei, temesse qualcosa. In effetti, ora che ci pensava, le sembrava di averla già vista da qualche parte … I suoi pensieri furono bruscamente interrotti dalla mano di Axel che le rubò il capello e lo lanciò in aria facendolo volteggiare.
– Oggi niente da ridire, perfettina? – chiese sornione, e un ringhio secco partì dalla gola di lei, facendolo sussultare impercettibilmente.
– Adesso sì, irritante dei miei stivali! – rispose dandogli un pugno sul braccio e afferrando al volo il suo copricapo marrone che il colpo aveva fatto scivolare dalla mano del ragazzo.
– Permalosetta, eh? – commentò lui chinandosi su di lei.
– Ringrazia che io non lo sia, altrimenti il pugno te lo avrei tirato sul naso! – sbuffò, ricomponendosi.
– E ora se permetti è tardi, devo tornare a casa! – detto questo, la corvina girò i tacchi e se ne andò a passo spedito senza salutare nessuno, con il volto rosso dalla rabbia che faceva presagire un’esplosione immediata non appena fosse scomparsa dal loro campo visivo. Inutile dire che Axel anziché preoccuparsi si mise a ridere ripensando alle guance scarlatte e agli occhi frementi di Bianca nel momento in cui le aveva sottratto il cappello.
 
Che fosse un po’ permalosa era ormai nei pensieri di tutti, persino di Jack, che di solito non pensava mai male di nessuno. Il gigantesco difensore la osservava leggermente intimorito mentre la sua figura diventava sempre più minuta, fino a scomparire dietro al cancello della Raimon Junior High, diretta a casa, probabilmente.
– Non pensi di aver esagerato un po’? – la domanda di Nelly non stupì minimamente l’attaccante, che fece spallucce.
– Naaaah, non è così arrabbiata per me, era nervosa già da prima … - e su questo la rossa dovette dargli ragione. Era da quando l’avevano presentata alla squadra che la sua amica si comportava in modo strano anche al telefono.
– Per sicurezza credo che la chiamerò – disse infatti, e si allontanò anche lei diretta al suo ufficio mentre iniziava a digitare il numero di Bianca sul suo cellulare rosa.
 
--Bianca--
 
Odioso. ODIOSO!
Dover ammettere di essere permalosa le provocava però solo un altro ringhio, pensando che era esattamente in questo modo che Axel l’aveva chiamata.
Permalosa.
Ma lei cosa poteva farci se quell’aggettivo la descriveva perfettamente?
Sospirò. Era già la quinta volta che lo faceva in meno di dieci minuti; proprio un vero schifo.
 
Senza neanche accorgersene, aveva imboccato la strada opposta a quella per casa sua, e adesso stava camminando senza meta a grandi falcate, mentre la sua rabbia si stava lentamente mitigando, e i ringhi sordi provenienti dalle sue corde vocali si erano già ammutoliti trasformandosi in grandi e quasi asmatici respiri. Adesso che si era calmata, tutte le persone a cui passava accanto si giravano a guardarla, come sempre d’altra parte, per ammirarla un secondo e subito dopo ricominciare ad ignorarla.
Sempre così, ovunque andasse, e non le era piaciuto per niente che anche per gli studenti della Raimon Junior High fosse stato lo stesso. Il suo dannatissimo bell’aspetto la faceva apparire come la classica ragazza bella e civettuola, per questo si trovava meglio con le ragazze, che non si preoccupavano del suo aspetto e cercavano di conoscerla per quello che realmente era.
 
Si fermò solo quando fu arrivata alla torre della città, un enorme pilone di metallo con un altrettanto gigantesca folgore dorata e bellissima seppur rovinata. Notò sorpresa che appeso ad un albero si trovava un copertone di una ruota proveniente da qualche cosa di enorme, e che più in là se ne trovavano altre tre o quattro.
Che fosse quello il posto di cui Nelly le aveva parlato? Mentre ci rifletteva su, ormai del tutto serena, il suo cellulare iniziò a squillare, facendola sobbalzare. Ironia della sorte, era proprio Nelly.
Avrebbe tanto voluto chiuderle il telefono in faccia per non dover più pensare, ma non voleva di certo far preoccupare la sua amica per mantenere saldo il suo stupido orgoglio con il suo inutile egoismo.  
 
Ehi B, tutto bene? – le chiese la voce della rossa non appena Bianca ebbe risposto alla chiamata.
– Vuoi la verità? – rispose in tono parecchio eloquente sulla risposta che un “” di Nelly avrebbe ricevuto.
Non è da te prendertela per così poco … e poi ti assicuro che di solito Axel è una persona molto razionale e tranquilla … sarà nervoso per la partita … - purtroppo per lei, Bianca non era tipo da farsi convincere da quella giustificazione detta anche con aria poco convinta.
– E non è da te non capire che non sono andata via solo per quello! – l’altra rimase un attimo in silenzio, come se stesse valutando attentamente le parole che avrebbe dovuto inserire nel riscontro da fare.
Comunque sia, dovresti cercare di andarci d’accordo, perché come hai detto tu è uno dei giocatori più importanti, e in quanto coordinatrice dovrai passarci più tempo di quello che speri! – replicò infine in un fastidioso tono petulante.
Già, come se non lo sapesse da sola; Nelly si era già scordata che non era la prima volta che faceva da coordinatrice ad una squadra di calcio? Non sapeva neanche perché aveva accettato, il pomeriggio prima, di ricoprire questa carica nella Raimon. Ma ormai era tardi per tirarsi indietro, e inoltre Bianca Plus non conosceva la parola arrendersi, anche se adesso la sola idea di dover passare tutto quel tempo con Axel le faceva venire l’orticaria.
O almeno sperava che fosse orticaria …
– Io ci proverò, ma non ti posso assicurare niente per quell’irritante. – concluse la chiamata con un sommesso “a domani” e quasi buttò il cellulare nella tasca sinistra dei suoi jeans.
Esitò davanti alle scale che conducevano all’interno della torre, poi prese coraggio e iniziò a correre per arrivare lassù in alto il prima possibile. Non appena mise piedi su quella grande specie di terrazza, rimase senza fiato alla vista di quello spettacolo che era la sua città; non l’aveva mai vista da un punto così alto, e le venne quasi da piangere da quanto le sembrava meravigliosa ed estesa. Al confronto con quella grandezza, ogni sua piccola preoccupazione era un fuscello insignificante, e quindi di riflesso anche quell’antipatico di un cannoniere lo era.
A quel pensiero, non nascose un voluminoso sorriso e si sentì stranamente meglio. Molto meglio.
Il vento continuava imperterrito a scompigliarle i capelli sul viso, così per evitare di perderlo decise di togliersi il cappello.
– Perché ti ostini a volerlo tenere sempre, se senza sei ancora più bella? – sussultò e, girandosi, lo vide lì, in piedi, dietro di lei, come in attesa di una risposta più che eloquente a questo suo elogio.
 
--Jude Sharp--
 
Vide la corvina sussultare e le sorrise con fare maligno.
– J-J-Jude! Co-cosa ci fai tu qui? – balbettò lei stringendo sempre più forte il bordo di cuoio del cappello texano.
– Niente di particolare, volevo sapere come stavi … - il volto di lei si colorò leggermente di scarlatto, e lui quasi quasi non resse più con il suo fare antipatico. Quasi.
– È stato Lui a mandarti? Se è così puoi tornare da lui e dirgli che ormai ho deciso di coordinare la Raimon. – il sorriso del ragazzo si smorzò leggermente, ma cercò in tutti i modi di non darlo a vedere.
– Oh, ma davvero? Spero che tu sappia che la tua nuova squadra fallirà miseramente durante la partita. – fece una pausa ad effetto – E probabilmente allora Lui non sarà più così determinato ad averti con noi … - si aspettò una risposta sfacciata o quantomeno un ringhio infastidito, ma inaspettatamente la corvina prese un’espressione malinconica.
– Io non ho mai capito le tue motivazioni, Jude, ma davvero pensi che i fini possano giustificare i mezzi? – non attese risposta e, incalcandosi il cappello in testa avanzò per oltrepassare il riccio. Non appena però arrivò alla sua altezza si fermò, e mormorò in tono secco
– Tu non sei malvagio, Jude. Ma sto cominciando a chiedermi se tu non sia uno stupido. – Jude colse una tremenda freddezza in quelle parole che lo fece rabbrividire. Lei ignorò quel palese fastidio di lui e iniziò a scendere lentamente dalla torre, lasciandolo solo e attonito, lassù, davanti allo spettacolo impressionante della città vista da quel punto panoramico.
 
--Axel—
 
Sfrush.
 
La porta scorrevole della camera d’ospedale si aprì velocemente tirata dal ragazzo che entrò e subito la richiuse dietro di sé.
– Ciao Julia. – disse rivolgendosi alla sua sorellina sul letto, dormiente con un’espressione triste in volto. La bambina non diede segni di vita eccetto che il suono del monitor che segnalava i battiti del suo cuore; come al solito, d’altra parte.
– Hai presente Bianca, la ragazza di cui ti ho parlato ieri? – esordì il fratello maggiore di Julia, sedendosi su una sedia vicino al letto bianco.
– Oggi ho scoperto che oltre ad essere perfettina è anche permalosa. – sorrise gravemente udendo solo i respiri profondi della sua sorellina. Le accarezzò la guancia e si alzò, salutandola, per poi uscire dalla camera e in seguito dall’ospedale.
 
Diretto a casa, Axel ripensava alle parole di Nelly.
- Non pensi di aver esagerato un po’?
– Naaaah, non è così arrabbiata per me, era nervosa già da prima …
Aveva detto così, ma era comunque consapevole di essere stato la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Una goccia di pioggia lo colpì sulla guancia. Si fermò, e alzò lo sguardo.
Parli del diavolo e ne spuntano le corna, eh?
Pensò divertito il giocatore, e ricominciò a camminare per non bagnarsi eccessivamente. Infatti la pioggia aveva cominciato a scendere e a momenti sarebbe sicuramente aumentata.
Però, qualcosa bloccò automaticamente le gambe del cannoniere in divisa scolastica: davanti a lui ergeva la figura di quella che, anche bagnata, era sempre la bellissima coordinatrice abbigliata da film americano.
Axel si aspettava un’altra lavata di capo, o magari che stessero solo facendo strade che si incrociavano e che lei avrebbe voluto evitarlo. Ma lui non riusciva a muoversi. Era come pietrificato davanti alla ragazza, che aveva una strana espressione in volto. Gli si avvicinò tranquillamente, e stava per dire qualcosa. Il ragazzo si stava preparando al peggio, ma …
 
– Scusa. – mormorò Bianca con lo sguardo rivolto al terreno. I muscoli di Axel si rilassarono, anche se la sua ragione sembrava cercare più soluzioni possibili a quell’arcano che rappresentava quella parola. Il totale di risposte trovate allo sbigottimento del ragazzo fu: 0.
– Non dovevo arrabbiarmi tanto con te. In fondo, tu non mi hai fatto proprio niente. – sembrò esitare un attimo – Vedi – riprese – la verità è che sono un po’ nervosa e anche leggermente confusa per un problema avuto con la squadra che coordinavo l’anno scorso. – il ragazzo dagli occhi neri si tranquillizzò, e si chinò leggermente su di lei costringendola ad alzare lo sguardo nel suo.
– Non per essere indiscreto, ma di che problema parli?
– L’allenatore non ha preso bene il fatto che ho preferito accettare la proposta di Nelly e coordinare la Raimon. – le guance della corvina si stavano rapidamente tingendo di rosso, e il suo essere bagnata fradicia dalla pioggia la faceva sembrare piccola e indifesa. Quasi fosse bisognosa di essere coccolata proprio come un cucciolo maltrattato.
 
Perché d’improvviso gli sembrava così … tenera? L’acqua fresca che cadeva dal cielo non impedì al suo volto di scaldarsi e lui capì di essere arrossito a sua volta.
 
– E ti stupisci? – pregò con tutto sé stesso di avere abbastanza buon senso per fermare quell’impulso terribile di terminare la frase. Ma ormai era troppo tardi, per cui non gli fu concessa altra azione se non quella di continuare a parlare.
– Chi vorrebbe rinunciare ad una coordinatrice bella e tosta come te?
Vide chiaramente i suoi occhi azzurri spalancarsi, e senza neanche accorgersene fu punto dal dolce profumo della ragazza.
Perché prima non lo aveva sentito mentre adesso gli appariva così forte e inebriante da stordirlo?
Visibilmente imbarazzata dopo quella frase, Bianca cercò in tutti i modi di apparire più distaccata possibile. Fece un passo indietro evitando accuratamente di guardarlo negli occhi e scosse la mano dall’alto verso in basso con aria di sufficienza.
– B-beh, comunque, dì a qualcuno che sono stata gentile … - chiuse la mano alzata in un pugno - … e allora sì che potrai vedere se sono tosta o no!
Detto questo, si diede una scossa e si incamminò più velocemente possibile. Non appena si fu distanziata di qualche metro, cacciò uno starnuto.
Axel si girò a guardarla. Certo che era proprio strano, quel pulcino bagnato.
 
 
Angolino:3
Giuro che non l’ho fatto apposta …
Ma avete notato che i pensieri reciproci di Axel e di Bianca sono quasi uguali?
Proprio io, che li volevo fare agli antipodi,
cioè l’uno l’opposto dell’altra ecco che me ne esco
con riflessioni quasi uguali!
Vabbè che dovevano “non sopportarsi” allo stesso modo, ma farli così uguali …
(Axel: comecomecome? Ma davvero pensi di avermi fatto uguale a QUELLA?
Bianca: cosa vorrebbe significare? Guarda che io ho un nome!
Io: ZITTI!, io qui starei commentando il capitolo! E poi, sono io la scrittrice quindi decido io!
A&B: okay … -si guardano male-)
Beh? A voi è piaciuto? L’ho fatto un po’ più lungo del primo, e ne sono tanto contenta!! –anche se non è poi così più lungo …-
Nel prossimo capitolo: primi spezzoni infilati in episodi esistenti. Ce la farò? Lo spero tantooooooo

PS. Dopo due giorni rileggo questo capitolo ... O////O ma come mi è venuta in mente una cosa del genere? O///O secondo me così finirò per suicidarmi dall'imbarazzo (si fa per dire).
Kiss :D
KyawaiiChu

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Capitolo 3
*** Siamo in guerra? ***


°_° Aiuto. No, dico sul serio, AIUTO!
Questo è il primo capitolo veramente difficile da realizzare, e quindi vi prego, tutti coloro che lo leggeranno, recensitelo, perché anche se apprezzo quelli che mettono la mia storia fra le preferite/seguite io davvero vorrei che recensiste ç_ç T.T #tristezzaesupplicheeassurditàinfinita
Vi sembro esagerata? Non pensate male, sono solo molto nervosa.
Ma perché sarà difficile? Risposta semplice: questo capitolo sarà uno di quelli che sarà composto di pensieri e avvenimenti puramente inventati e infilati negli episodi esistenti dell’anime, cioè un episodio che voi conoscete si ritroverà ad essere “ambientazione” di qualche capitolo della mia fiction.  
Le vostre recensioni a me servono davvero, per capire se sbaglio e quindi potermi correggere e migliorare. Per cui, se leggete, recensite e dite addio alla clemenza, per i capitoli di questo genere voglio i veri pensieri del lettore.
Perché non so se sono capace a fare queste cose; cioè, pensarle di sicuro, ma metterle per esteso è cento volte più complicato. Probabilmente qualsiasi altro scrittore ha avuto di questi “dilemmi”, quindi vi chiedo per favore di aiutarmi.
 
 
((Ambientazione: episodi 12-13: finale regionale del Football Frontier))
Stadio della Royal Academy, “qualcosa” è da poco caduto “dal cielo” …
 
--Axel--
 
Non riusciva più a rallentare il suo battito cardiaco.
Quelle lastre di metallo erano cadute a pochi metri da lui, e se non fosse stato per il tempestivo avvertimento di Jude sarebbero piombate dritto in testa a lui e ai suoi compagni. Vedeva chiaramente che tutti i ragazzi sul campo insieme a lui stavano ancora tremando dallo spavento, mentre negli occhi dei giocatori della Royal Academy si intravedeva solo rabbia.
Così come nello sguardo del mister Hillman, delle tre manager e di Bianca.
A quale mente malata sarebbe mai potuto venire in mente di tirare un colpo basso come quello, che sarebbe potuto costar loro un prezzo enorme?
Preoccupato, Axel lanciò un’occhiata alla panchina, e si sentì molto fortunato. Perché, osservando l’espressione furiosa delle quattro ragazze, a rimetterci un occhio sarebbe stato sicuramente l’allenatore della squadra di casa se non la polizia non avesse provveduto a portarlo via.
 
L’allenatore. Ray Dark.
Come sarebbe stato giocare contro la Royal Academy adesso che per loro era tutto così diverso?
 
PRIMO GOAL DELLA ROYAL ACADEMY: PINGUINO IMPERATORE N°2 BATTE LA MANO DI LUCE – RISULTATO 1-0*
 
Mark aveva un’espressione totalmente assente. Cosa diavolo gli era successo per fargli perdere la concentrazione? Non era stato proprio il castano a ripetergli milioni di volte di voler vincere ad ogni costo, di voler diventare il numero uno della nazione vincendo il Football Frontier?
Il ragazzo dagli occhi neri sentiva la frustrazione salirgli alle stelle.
- Sto bene, non ti preoccupare.”,
gli aveva detto. Stupido bugiardo. Ma non era il momento di pensare al capitano. Adesso dovevano darsi una svegliata, lui e tutti gli altri giocatori della Raimon.
 
Squadrò con attenzione il portiere della Royal Academy.
La Barriera di Forza aveva parato i tentativi di tiro. Ma ogni tecnica possedeva un punto debole, e il suo compito di attaccante era capire quale fosse quello di quella barriera.
Scattò in avanti seguito a ruota da Kevin. Avrebbe capito come segnare. Lo avrebbe capito eccome.
 
PRIMO GOAL DELLA RAIMON: DRAGON CRASH (CON L’AIUTO DI AXEL) BATTE LA BARRIERA DI FORZA) – RISULTATO 1-1*
Intervallo
 
Segnare il primo goal era stata un’impresa, ma ci erano riusciti. Però passare in vantaggio sarebbe stato ancora più complicato data la potenza della nuova tecnica del portiere Joe, la Super Barriera di Forza, non che fosse poi troppo diversa dalla precedente. Sarebbero riusciti a superare anche quella?
 
Intanto, Mark era ancora sulle nuvole. Anche per lui doveva arrivare il momento di scendere dal suo stato di semi trance e di iniziare ad impegnarsi. Se quella partita avesse visto la Royal Academy vincitrice, Axel non avrebbe mai perdonato il suo amico. Mai.
Fu per questo che lasciò che fosse il suo istinto a comandare, e lasciò solo che i piedi facessero ciò che più li aggradava. Fu un attimo, il pallone schizzò in direzione del ragazzo in tuta gialla e il cannoniere vide Mark accasciarsi a terra tenendosi lo stomaco mentre tutt’intorno gli altri erano rimasti di sasso.
Ma lui li ignorò completamente. I suoi occhi neri erano posati sul castano che stava alzando lo sguardo verso di lui. Vederlo così perplesso gli fece pena, ma non abbastanza per far diminuire la sua rabbia.
Ed era come se gli stesse parlando con lo sguardo più duro ed eloquente che avesse mai immaginato di poter assumere. Non sapeva quale fosse il pensiero che stava tormentando Mark da quando la partita era iniziata. Ma era stato il capitano a decidere di non prendere la vittoria a tavolino e di giocare contro la Royal, quindi perché adesso non giocava seriamente?!
Adesso la mente di Axel era totalmente rapita dalla consapevolezza di non poter capire il suo amico; questo però non significava di certo che si sarebbe arreso o che peggio avrebbe permesso a qualcun altro di arrendersi. Ogni fibra del suo corpo urlava
ALZATI, ALZATI E MOSTRAMI LA VERA FORZA DI MARK EVANS!
E la sua gioia fu immensa quando queste parole sembrarono colpire il suo amico dritto al cuore. Mark sorrise e si mise in piedi.
– Grazie. – esclamò il castano, e lui gli sorrise. Non era il momento dei ringraziamenti: quello era il momento di vincere!
 
SECONDO GOAL DELLA RAIMON: DOPPIO TRAMPOLINO INAZUMA BATTE LA SUPER BARRIERA DI FORZA – RISULTATO 2-1: VITTORIA DELLA RAIMON*
 
--Bianca—
 
Guardava estasiata il tabellone. 2-1. La Raimon aveva battuto la Royal Academy. Avevano davvero guadagnato il diritto per partecipare alla fase nazione del torneo!!
Era così contenta che quasi si mise a piangere.
Osservò divertita Celia e Silvia che saltellavano come due matte e i ragazzi che si congratulavano l’un l’altro. Di colpo, sentì qualcuno infilare il braccio nel suo e si colpo si ritrovò a braccetto con la sua amica rossa, che scrutava sorridente i neo-campioni regionali.
– Abbiamo vinto, B! – le disse guardandola negli occhi. La corvina sentì un grande calore salirle in corpo, come se un peso le fosse stato tolto di colpo; aveva capito perfettamente che era stata la Raimon a vincere quella partita, ma sentirlo dire da qualcun altro la fece sentire infinitamente meglio.
– Già …  – lanciò un’altra occhiata ai giocatori, e vide Axel e Mark complimentarsi tra loro.
Era vero, il cannoniere era stato parecchio severo con il capitano durante l’intervallo, ma gran parte del merito per quella vittoria andava a lui, che aveva capito il funzionamento della Barriera di Forza ed era riuscito a risvegliare Mark dall’incanto in cui si era rinchiuso da solo. Come aveva fatto non le era dato saperlo.
Di colpo, udì Nelly ridere sotto i baffi e, al suo sguardo interrogativo, la rossa rispose in tono parecchio ironico e beffardo:
– Ricordami un po’ quanto Axel sia irritante, per favore. – Bianca trasalì, ma sembrò riprendere rapidamente il controllo.
– Fin troppo, per i miei gusti! Parliamo di Mark, piuttosto! – e qui vide chiaramente la sua amica scuotersi e arrossire, visibilmente indispettita.
– P-perché dovremmo, io non ho proprio niente da dire! – rispose cercando di rimanere sulle sue.
Dopo un attimo di silenzio, le due scoppiarono a ridere, sempre l’una sottobraccio all’altra, attirando gli sguardi interrogativi delle due manager che avevano da poco finito di esultare.
 
((Usciamo dall’ambientazione e torniamo nella storia totalmente “Made in KyawaiiChu”)): Per strada, poco dopo la partita con la Royal Academy
 
Bianca e Nelly camminavano tranquillamente fianco a fianco sulla via che conduceva alla casa della bruna.
– Sei sicura che non ti spiace accompagnarmi? – stava chiedendo quest’ultima alla sua amica.
– Ma no, è un piacere per me. – rispose lei gentile, ma poi prese uno sguardo meno serio – E poi mi devi raccontare come ti sei riconciliata con Axel l’altro giorno.
Bianca arrossì. In effetti, non aveva le aveva detto niente di più di un semplice
Ho fatto pace con l’irritante, contenta?
Sicuramente non si era scordata del piccolo colloquio che aveva avuto con il ragazzo, e al cento per cento non lo avrebbe mai raccontato a nessuno. Neanche un singolo essere vivente doveva sapere che quell’irritante era riuscita a farla arrossire, nessuno. Però, il fatto stava che davvero lei si era stranamente sentita fragile mentre si perdeva negli occhi di lui.
- Chi vorrebbe rinunciare ad una coordinatrice bella e tosta come te?
Quella frase … così assurdamente …
… ipocrita e ambigua, detta in un tono così falso e da playboy da farle venire il volta stomaco!!  Era anche così vicino in quel momento che poteva sentire il suo respiro addosso! Una vera tortura!!
– Beh, comincia, son tutta orecchi! – la voce della rossa interruppe i suoi pensieri e colta alla sprovvista la corvina arrossì ancora di più.
Non poteva certo dire a Nelly quanto Axel le fosse stato vicino in quel momento, si era ripromessa che nessuno lo avrebbe saputo e quindi di dirglielo non se ne parlava proprio.
– Da persona matura e superiore quale sono gli ho chiesto scusa per il mio comportamento, tanto se aspettavo lui stavo fresca, sono sicura che di scusarsi con me per essere stato così irritante non gli era nemmeno passato per la mente!
Come ci si aspettava da quella degna figlia di suo padre, l’altra rise di gusto, facendo inviperire ancora di più la sua amica che rallentò il passo senza neanche accorgersene, fino a fermarsi.
– Smettila di ridere, Nelly. Non capisco cosa ci trovi di divertente nel sentirmi parlar male di quell’antipatico di un capo cannoniere!
– Scusa, non prendertela. – si scusò la rossa asciugandosi una lacrima che le era uscita dall’occhio a causa delle tante risa. – Il fatto è che secondo me è sbagliato il modo in cui parli di lui, considerato che poi quando gioca non fai altro che fissarlo!
Bianca stava per rispondere per le rime a questa frase, le stava per dire che, anche se ogni volta che lo vedeva in campo non poteva fare a meno di osservarlo attentamente, era tutto puramente a fine lavorativo e coordinatore, era suo preciso compito quello di studiare la potenza d’attacco della squadra, e dato che alla difesa ci stava già pensando proprio Nelly, che non disdegnava di fissare il portiere durante ogni partita perdendosi il vero succo del gioco, ma qualche cosa la interruppe. Ciò che stava guardando le impedì di proferir parola.
 
--Axel--
 
Era appena uscito dall’ospedale, e di certo non si aspettava di essere travolto come da un treno da Mark, che sembrava non aspettare altro che lui.
– Axeeeeel! Devo chiederti una cosaaaa! –
– Va-va bene, ma levati di doooss-oo – rispose lui spostando il suo amico che gli stava letteralmente impedendo di respirare. – Allora, cosa c’è? – chiese non appena il castano si fu staccato da lui.
– Ti devo chiedere un favore a nome della squadra. – l’aria indecisa e decisamente sospetta del ragazzo mise Axel in leggera agitazione.
– Mi devo preoccupare? – l’espressione e la risata imbarazzata dell’altro gli fece dedurre che la risposta non poteva essere altro che un vigoroso “No”, ma che dietro si nascondeva un monumentale e pesante “Sì”.
– Assolutamente no! – come volevasi dimostrare. Il ragazzo sospirò.
– ...... –
– Vedi, volevamo chiederti se per casoooo – pregò con tutto sé stesso se quel “per caso” così allungato non nascondesse una fregatura peggiore di quanto si aspettasse. – Volevamo chiederti se potevi portare tu alla coordinatrice il resoconto della fase regionale del torneo!
– EEEEEEH?! Siete matti?! Perché proprio io?! Non è compito di Celia e Silvia? – Ovviamente Mark si era certamente accorto di quanto fosse seccante per lui dover fare una cosa del genere, ma cercava di mantenere un comportamento quanto più indifferente possibile.
– Beh sì, ma il mister Hillman ha chiesto loro di aiutarlo e quindi toccherebbe a me, ma mia madre mi vuole a casa presto e stasera non posso proprio mettermi a cercare Bianca … - fece una pausa di riflessione – Quindi il giocatore secondo per importanza è il capo cannoniere, cioè tu, e quindi Silvia mi ha consigliato di venire a chiederlo a te!
 
O Silvia ce l’aveva con lui per qualche motivo, oppure era il destino a volerlo punire.
Però ormai era fatta, doveva far rapporto alla perfettina e non poteva impedirlo. Maledì la manager dai capelli verdi per aver avuto la brillante idea di rivolgersi proprio a lui, l’unica persona che Bianca non poteva nemmeno vedere senza perdere il controllo, e soprattutto Nelly per averle chiesto di unirsi alla squadra quando la fase regionale stava per giungere al termine. Comunque, il risultato era lo stesso: la coordinatrice non conosceva i dettagli delle partite a cui la Raimon aveva partecipato fino a quel momento meglio di uno spettatore qualsiasi, quindi era “suo” compito andare a spiegarle tutto. Che nervi!
 
Ed ecco perché girando l’angolo fu abbastanza contento di vedere Bianca insieme a Nelly, almeno la tortura non sarebbe stata totale se c’era qualcuno a farli compagnia, soprattutto un’amica che impedisse all’orgoglio della corvina a prendere il sopravvento.
Ciò che lo colpì non poco furono le parole che fu in grado di sentire della discussione fra le due amiche.
 
–  Senti, senti … Questo sì che è interessante! – disse portandosi una mano sotto il volto con fare provocante, stupendosi da solo.
Perché, perché aveva cominciato l’inevitabile discussione con un tono così … irritante, come sicuramente avrebbe detto di lì a poco la corvina?
Ma quella si limitò a trasalire e a voltarsi di lato per non guardarlo con aria noncurante che non riuscì a nascondere un’ombra di imbarazzo.
– Dovrò pur studiare bene il giocatore più importante per l’offensiva della squadra che coordino, no? Che io lo sopporti o meno! – la rossa tirò un sospiro di sollievo. Probabilmente anche lei aveva temuto il peggio.
Lui si mise a ridere.
– Smettila di ridere di me, irritante! – gli gridò contro Bianca. – Aaaaaargh! Non ti sopporto proprio, Axel!
 
*OwO Che davvero pensavate di venire qui a leggere la dettagliata descrizione delle partite viste nell’anime? Questa è una fan fiction (e pure romantica, oserei dire) non un resoconto sportivo >_<
Quindi accontentatevi dei dettagli importanti: i gol, le pallonate di Axel ai suoi poveri compagni in crisi (tanto per citare un esempio di particolare importante …), ecc.
Angolino:3
Muah-ah-ah, che finale orribile per un capitolo postato con due (o tre?) giorni di ritardo rispetto a quando avevo deciso di aggiornare.
I’m hopeless …
Comunque, spero sia piaciuto e anche se è corto il prossimo sarà più lungo.
Kiss :D
KyawaiiChu

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Capitolo 4
*** Fiducia ***


Weeeeeeeeeee ciao, come va? Chuchu :3
Sapete che c’è? Oggi ho intenzione di dedicare il capitolo a tutte le persone che hanno recensito il capitolo scorso … e in particolare a Raven Cullen, perché l’altro giorno ero tremendamente giù di morale e leggendo la sua recensione mi sono sentita molto meglio … arigatougozaimasu (= ti ringrazio tanto)!
Bene, ora ecco a voi un capitolo non-sense *molto motivata* (ci si vede al mio angolino, Kiss!)
 
Casa Plus
 
--Axel—
 
La bellezza di quell’enorme casa era impensabile per appartenere ad una ragazzina come Bianca, ma sulla cassetta delle lettere era scritto in caratteri chiari e precisi:
Bianca Plus.
Solitamente non c’erano nomi sulle cassette postali, solo il cognome di famiglia. Fu probabilmente per questo che Axel si sentì leggermente messo in soggezione. E intanto si stava ancora chiedendo perché Nelly avesse voluto declinare l’offerta della sua amica di venire con loro, gli dava davvero sui nervi il fatto che avesse voluto abbandonarlo solo con quella matta di una perfettina e senza un minimo sostegno morale per la probabilissima discussione che sarebbe avvenuta prima o poi.
 
– Ti spiace chiudere la porta? – la voce di Bianca lo raggiunse svegliandolo dai suoi pensieri, ed entrando nell’imponente casa obbedì e richiuse la porta dietro di sé. Vide la corvina dare uno sguardo all’orologio.
– Ormai è ora di cena. – mormorò, e si girò verso di lui con aria tranquilla dicendogli, con una calma degna di una vera padrona di casa – Se vuoi, puoi anche fermarti qui, tanto io sono sempre sola. –
Lui assentì leggermente sorpreso, e decise di chiamare casa per avvertire che quella sera non sarebbe tornato per cena. Dopodiché fu indirizzato dalla ragazza in un soggiorno molto ben arredato, dove si sedette accanto ad un tavolo.
Lei scomparve in cucina. Passati cinque minuti, Axel non resistette e si affacciò nella stanza dove trovò una Bianca perfettamente a suo agio ai fornelli, esattamente il contrario di ciò che il suo bell’aspetto e la sua apparente mancanza di pazienza prospettavano. Inoltre, era perfettamente cosciente di essere osservata, ma manteneva comunque un atteggiamento noncurante e continuava a preparare quello che sembrava essere sushi.
– Invece di fissarmi come se io fossi un fantasma, mi dai una mano a pulire il pesce? – ancora senza parole, il ragazzo annuì e iniziò ad aiutare la sua ospitante; al contrario di qualsiasi altra persona, Bianca non sembrava provare alcuna agitazione nell’essere osservata in cucina. Persino a lui dava fastidio essere fissato come adesso stava guardando lei, ma quella non dava segno di interessarsi a nient’altro che non fosse il piatto che stava preparando.
Era proprio una perfettina. Senza ombra di dubbio.
 
Adesso erano seduti l’uno davanti all’altra.
Erano in silenzio, e stavano mangiando ciò che la corvina aveva appena preferito di preparare con la partecipazione del cannoniere: anche se gli seccava ammetterlo, era davvero ottimo.
La cosa che lo sconvolgeva era il comportamento così calmo e in qualche modo rassicurante della ragazza. Anzi, più che sconvolgerlo lo irritava abbastanza. Aveva appena scoperto un lato completamente nuovo della coordinatrice che a quanto pare si manifestava solo dentro la sua casa.
– Com’è possibile che tu viva sola in una casa così grande? – le domandò d’un tratto, facendola sobbalzare. Ma di nuovo, la padrona di casa riprese quell’espressione serena e neutra e senza alzare lo sguardo dal suo piatto rispose tranquilla:
– Questa casa è un regalo di mio padre. Prima, ci viveva con mi madre.
– E adesso?– sapeva di aver fatto una domanda indiscreta. Però lei non sembrò troppo turbata.
– Andati.
– Cos …
– Sono morti. – Lo interruppe. Finalmente alzò lo sguardo sul ragazzo dagli occhi neri, che in quel momento vide chiaramente come un’esplosione avvenire nelle iridi azzurre di lei, anche se il suo tono e la sua postura apparivano ancora al massimo della tranquillità. – Io sono orfana.
– Scusa.
– So che sai cosa si prova. – stavolta fu lui a sussultare. Sì, eccome se lo sapeva. Ma almeno non era orfano di entrambi i genitori. – E poi, io sto bene – aggiunse lei.
Axel riusciva a toccare quella menzogna con mano. Chiunque nella sua stessa situazione avrebbe detto la stessa cosa, e questo suo accomunarsi con gli altri lo fece stranamente sentire nervoso.
– Mi mantengo con il mio lavoro, e uno zio americano mi manda una volta al mese un acconto per aiutarmi con il sostentamento della casa. So cavarmela da sola, sono dovuta crescere in fretta. – continuò ancora. Stavolta il calciatore capì perfettamente il vero intento di Bianca: stava cercando di tranquillizzarlo. Aveva subito notato quanto lui si fosse preoccupato.
Inoltre gli dava parecchio sui nervi il fatto che lei sapesse praticamente tutto di lui, come era necessario per una buona riuscita del suo lavoro di coordinatrice, mentre lui ignorava completamente tutto della ragazza che aveva davanti. 
– Non è solo al mantenimento economico che dovresti stare attenta.
– Lo so. Per questo sono diventata la coordinatrice della Raimon. – la sua espressione era cambiata, era diventata un po’ grave e al contempo gentile. Axel la guardò negli occhi, poco convinto.
 
--Bianca--
 
Ma perché le aveva fatto una domanda del genere? Fino a quel momento era riuscita a mantenere un atteggiamento sereno e tranquillo, com’era giusto che fosse essendo lei la padrona di casa. Invece, adesso, sentiva che sarebbe anche potuta scoppiare e cacciarlo fuori a calci se avesse continuato a toccare quel tasto così dolente per lei.
– Comunque, non sono venuto qui per immischiarmi della tua vita privata. – disse lui cambiando argomento.
Bianca sorrise e tornò serena.
Axel appariva davvero turbato da quella conversazione. Che tipo strano, anche quando si preoccupava sfiorava lo status di irritante; almeno si era accorto di essersi interessato eccessivamente agli affari personali della sua interlocutrice, quindi non le sembrò necessario ribadire quel concetto.
– Mark mi ha detto di venire a farti il riepilogo della fase regionale del torneo. – spiegò il cannoniere, e la corvina iniziò a ridere sommessamente, stupendolo non poco.
– Va bene, ti ascolto.
 
Passarono quasi un’ora a parlare della fase regionale del torneo; Axel descriveva ogni partita con grande meticolosità, e così tutti i dettagli degli allenamenti che potevano sembrargli importanti.
Sì, era proprio un ottimo oratore, senza alcun dubbio.
 
Driiiiiiiiiiin.
 
Stavano quasi per terminare di esaminare il resoconto del cannoniere quando il telefono di casa iniziò a trillare forte e insistente, e Bianca scattò subito in piedi correndo alla cornetta che si trovava dall’altra parte della camera.
Hello, Bianca. – salutò una voce virile e velata dall’altro capo del telefono.
– Oh, è lei ... – mormorò poco convinta la corvina, parecchio infastidita dal fasullo e pessimo accento inglese che la persona con cui stava parlando aveva preso unicamente con lo scopo di darle sui nervi.
– Voglio sperare che tu non risponda così a tutti ... – la rimproverò quello con tono sarcastico. – Oppure mi devo preoccupare anche delle tue buone maniere?
– Vada al diavolo. – rispose lei secca senza alcuna esitazione, e vide Axel avvicinarsi. Doveva essersi accorto del fastidio che quella chiamata le stava recando. – Piuttosto, lei non si trovava ...
– Questo non mi può impedire di telefonare quando mi pare e piace. – lei strinse la presa intorno alla cornetta.
– Cosa vuole?! – chiese, iniziando palesemente a perdere la pazienza, mentre il ragazzo dagli occhi neri era rimasto accanto a lei con aria mista fra il curioso e il timoroso.
– Che razza di modi ... – ribadì l’uomo, e iniziò a sogghignare, poi aggiunse con tono a dir poco minaccioso – Volevo solo ricordarti che se io voglio una cosa la ottengo sempre. – detto questo le chiuse il telefono in faccia come se fosse stata lei ad importunarlo. Cosa buffa a pensarci, dato che era l’esatto contrario. La corvina esitò un attimo e abbassò la cornetta del telefono, per poi mettersi velocemente a sedere a gambe incrociate esattamente nel punto in cui si trovava lasciando di stucco l’altro in piedi vicino a lei.
– Che ti succede? – udire la voce di Axel le fece un effetto strano.
– Te l’avevo detto che l’allenatore della mia precedente squadra non accetta il fatto che ora io coordini la Raimon. – sorrise. – Allora, vogliamo terminare questo resoconto?
 
Raimon Junior High, campo di calcio, giorno dopo
 
I giocatori erano tutti in ottima forma quella mattina. Sicuramente il più iperattivo era come al solito Mark, che durante le lezioni si era annoiato a morte e che non vedeva l’ora di iniziare ad allenarsi.
Erano comunque tutti molto allegri e motivati: avevano guadagnato l’accesso alla fase nazionale del Football Frontier e per questo erano letteralmente al settimo cielo.
Silvia e Celia era già sedute ai loro quotidiani posti, la prima osservando attenta i ragazzi che si riscaldavano e la seconda alla folle ricerca tramite internet di informazioni sulle prime partite del torneo nazionale. Intanto Nelly era in piedi accanto all’allenatore e di quando in quando scrutava alle sue spalle cercando di intravedere la sua amica corvina che quel giorno era in ritardo.
Finalmente, Bianca arrivò, meno tranquilla (sempre che sia mai veramente tranquilla çAç N.d.A.) del solito.
– Scusate il ritardo! – si scusò con il signor Hillman, e si sedette vicino a Celia tirando un sospiro esausto e passandosi una mano sulla fronte.
Nelly la guardò stranita. Cosa aveva combinato per essere così stanca a quell’ora del pomeriggio? Le venne la curiosità di sapere cosa la sua amica facesse quando loro erano in classe a seguire le lezioni dei professori; si era rifiutata categoricamente di iscriversi alla Raimon, con la scusa di non poter sprecare soldi per pagare la retta scolastica, ma in ogni caso questo suo comportamento noncurante verso lo studio era sospetto, e stancarsi tanto al mattino era veramente assurdo, anche per una coordinatrice così attiva come lo era Bianca.
Per di più era l’unica di tutti i presenti a non sembrare nemmeno un po’ eccitata per la vittoria del giorno prima.
– Prima Axel, e adesso anche tu mi fissi con quell’aria da ebete? – chiese la ragazza vestita da film western dando un’occhiata divertita alla rossa. Quella si limitò a distogliere lo sguardo ancora con la mente in pieno stato riflessivo, come se l’altra non avesse nemmeno parlato.
 
--Bianca--
 
Rimase molto perplessa nel vedere Nelly così concentrata e priva di buona educazione, quel giorno. A cosa pensava? Forse al suo ritardo? Possibile, la sua amica era sempre stata un po’ sospettosa nei suoi confronti, e come biasimarla, in fondo?
Fidarsi ciecamente di Bianca Plus poteva risultare difficile a causa dei misteri che creava evitando di parlare troppo degli affari suoi e di scendere nei dettagli. Sin dal loro primo incontro Nelly non le aveva dato la sua completa fiducia, nonostante adesso fossero molto legate, molto più di quanto ci si potesse aspettare da uno “spirito libero” e strafottente come Bianca e da una persona matura e a suo modo introversa come Nelly.
Però quel giorno la rossa non avrebbe dovuto avere alcun timore sull’attendibilità della corvina, nessun dubbio riguardante quel ritardo, non ce n’era assolutamente motivo. A dirla tutta, aveva passato una mattinata di inferno, ma lo aveva fatto appunto per poter essere più affidabile e poter aiutare meglio la Raimon.
 
– Ehi, Bianca – la “risvegliò” Silvia – sembri distratta oggi. C’è qualcosa che non va?
– No, Silvia. – le sorrise – Va tutto alla grande. – ed era sincera mentre diceva questo.
Sì, da quel giorno sarebbe andato tutto alla stragrande, non si sarebbe più dovuta preoccupare di niente, solo di impegnarsi e dare il massimo nel suo lavoro di coordinatrice.
Ma il pensiero della chiamata che aveva ricevuto il giorno prima  le stava ancora pulsando in testa. Non era di certo la prima telefonata che riceveva da Lui, soprattutto da quando si era unita alla Raimon e aveva incontrato Jude sulla torre della città, tuttavia non riusciva proprio a scordarsela. Forse il fatto della presenza di Axel, il timore che anche lui potesse aver sentito e riconosciuto la voce di quell’uomo, forse era questo il motivo di tanta preoccupazione.
Intanto, lo sguardo di Nelly si era fatto leggermente meno teso e adesso gli occhi rossi della ragazza stavano guardando quelli azzurri della coordinatrice.
– B, ti devo parlare. – un brivido scese lungo la schiena della corvina, che ciò nonostante si alzò prontamente in piedi e si avviò con la sua amica verso l’ufficio di quest’ultima mentre il mister Hillman dava ai ragazzi il permesso di fermare gli allenamenti.
 
L’aria che si respirava nell’ufficio era malsana, e la luce molto fioca a quell’ora del giorno, perciò Nelly aprì la grande finestra permettendo al vento di pulire i polmoni della ragazza che a momenti stava per soffocare con quell’orribile odore di chiuso. 
– Sei stata informata del tradimento del primo allenatore della Raimon, durante la fase regionale del torneo, vero? – esordì la rossa, e l’altra annuì. – Sai che a ordirlo fu Ray Dark, l’ormai ex allenatore della Royal Academy. E che nel frattempo aveva inserito una spia, Bobby, nella squadra, vero? – Bianca annuì di nuovo. Sapeva dove voleva arrivare.
– Quindi capirai il mio timore, giusto? – chiese ancora posando entrambe le mani sulla scrivania e guardandola fisso negli occhi; lei annuì di nuovo a questa nuova domanda, e pregò perché Nelly arrivasse subito al sodo. – Devo essere sicura di potermi fidare, mi capisci? – la corvina non smise di assentire in silenzio. Lo sguardo duro della presidentessa della squadra non la metteva in soggezione nemmeno un po’, ma alla fine non resse più alla pressione e parlò:
– Se ti riferisci al ritardo di questa mattina, chiama in commissariato e avrai la conferma che sono andata a testimoniare. – esitò un momento – Contro Ray Dark. – gli occhi rossi della ragazza dietro la scrivania si spalancarono e la loro proprietaria iniziò a tremare.
– Cosa ...? Te-testimoniare ... per il processo? – era piuttosto colpita. Ancora una volta, Bianca non si sentì di biasimarla per quello stupore. In fondo, non le aveva mai rivelato in che rapporti fosse con quel pazzo, e soprattutto con la Royal Academy.
– Già.
– Pe-perché? Solo i giocatori della Royal con il loro staff sono stati chiamati a deporre contro di lui! – la corvina continuò a guardarla negli occhi. E intanto si chiedeva se era davvero questo quello che voleva fare: dirle la verità.
No, non era quello che voleva. Non lo voleva affatto!
Ma la fiducia di Nelly non poteva essere tradita. Per adesso, si limitò ad abbassare lo sguardo e a sorridere.
– Te lo ricordi il nostro primo incontro, signorina Raimon? – le chiese, lasciandola un momento di sasso.
 
Era una giornata piovosa, ma faceva molto caldo, e le strade erano piene di gente dirette a casa dal lavoro o dalla scuola.
Nel grande ufficio di suo padre, una ragazza del primo anno di scuola media camminava avanti e indietro davanti alla scrivania, in attesa di qualcosa.
Di colpo, la porta si aprì, e nel grande ufficio entrò il preside della scuola, il signor Raimon, che si soprese un po’ nel vedere sua figlia lì ad aspettarlo. La ragazzina si fermò e lo guardò per un secondo.
– Nelly, che ci fai qui?
– Oggi hai un incontro importante, giusto? Vorrei assistere. Dovrò pur imparare a gestire un colloquio di questo tipo, no? – l’uomo sorrise alla maturità della figlia e le consentì di rimanere.
Di lì a poco, bussarono alla porta, e nella stanza entrò un uomo molto alto e dai capelli bianchi, il maggiordomo della famiglia Raimon.
Con grande sorpresa sia di Nelly che di suo padre, da dietro di lui non sbucò la persona aspettata, bensì una ragazzina dell’età di Nelly, che indossava abiti in stile americano, e che guardava con occhi svegli e attenti la scrivania dietro alla quale si trovava il preside della Raimon Junior High.
– Signor Raimon, Signorina Raimon, - esordì il maggiordomo – il vostro ospite.
I due si guardarono fra loro, attoniti e confusi, e poi posarono i loro occhi sulla corvina che si era piazzata con un portamento davvero signorile davanti alla scrivania.
– Buongiorno, signor Raimon. Lasciate che mi presenti, io sono Bianca Plus, coordinatrice calcistica. – poi diede uno sguardo all’orologio appeso sulla parete sinistra dell’ufficio per poi rivolgersi di nuovo verso i Raimon – Purtroppo non potrò fermarmi a lungo, mi stanno aspettando. – loro esitarono, ma poi il signor Raimon si decise a rompere il silenzio.
– Beh, piacere di conoscerla ... signorina Plus, ma a dirla tutta quando ho sentito parlare del coordinatore Plus io mi aspettavo ...
– Un uomo? – concluse lei, prendendo un’espressione divertita – Sì, succede sempre. Ma sono costretta a non specificare, se scrivessi il mio sesso e la mia età nessuno mi valuterebbe per le mie capacità. – strinse gli occhi in due fessure – E voi? A che categoria appartenete? Forse, a quella che impedisce ai ragazzi di essere al pari degli adulti? Se così fosse, vi pregherei di non farmi perdere tempo e di dirmelo, così che possa andarmene. –
Nelly fremeva. Nessuno aveva mai utilizzato quel tono sfrontato con suo padre, nessuno che avesse una così giovane età, perlomeno! Ma come si permetteva quella stupida corvina mascherata da film western di fare così la superiore?!
– Certo che no, signorina Plus. – rispose l’uomo alzandosi in piedi. – Anzi, io credo che sia veramente ammirevole il fatto che una ragazza così giovane sia diventata così abile in un mestiere difficile come quello del coordinatore! – lo sguardo di Bianca si addolcì.
– Bene. Mi fa piacere sentirvi dire questo. – inaspettatamente, la giovane coordinatrice direzionò il suo sguardo verso Nelly e sfoderò un sorriso degno di una modella – E vedo che non sono la sola ad essere cresciuta in fretta. O sbaglio, signorina Raimon? – la rossa si sentì messa in soggezione, ma osservando attentamente lo sguardo rassicurante della sua coetanea capì di non dover temere nulla, e rispose tranquilla:
– Non sbaglia, signorina Plus.
– Siamo coetanee, giusto? – quella annuì, sempre più sorpresa – Allora ti prego, non usiamo tutte queste formalità. Io sono Bianca. – poi si rivolse di nuovo al signor Raimon – Ovviamente, vorrei che anche mi chiamaste per nome. Il termine “signorina” non mi si addice.
 
Era così che era iniziata la loro amicizia, per un semplice incontro di lavoro. Poi, con il passare del tempo, erano diventate molto legate, anche se Bianca evitava sempre di parlare del suo impiego con la sua amica.
E adesso, finalmente, quest’ultima sembrava aver capito di cosa si trattasse; quel segreto che la corvina non aveva mai rivelato e che adesso la spaventava non poco.
– Tu ... Prima della Raimon ...
– Coordinavo la Royal Academy, sì (tanto si era capito, no? N.d.A.). Per questo ho dovuto testimoniare questa mattina, e per questo ero nervosa i giorni prima della partita. – le sorrise beffarda – Non te lo aspettavi, eh?
– Sai che se qualcosa andrà storto, Dark te la farà pagare per la tua testimonianza, vero?! – esclamò Nelly, senza far scomporre nemmeno un po’ la sua interlocutrice.
– Andrà tutto bene, invece. – disse lei – Dark è in prigione, e la Royal è di nuovo una squadra onesta. Non preoccuparti, Nelly.
– Ma ... come faccio a non preoccuparmi per te, B?! – ribatté lei. Bianca girò i tacchi diretta alla porta e, un secondo prima di uscire, si girò verso la rossa.
– Fidati di me, N. E soprattutto, non dire niente a Mark e agli altri.
Detto questo, richiuse la porta dietro di sé.
 
Angolino:3
L’avevo detto o no che era un capitolo non-sense?
Comunque è importante, perché è il primo capitolo totalmente “Made in KyawaiiChu” (cioè senza infiltrazioni della storia originale) in cui il legame tra Axel e Bianca è solo sfiorato all’inizio.
Sì perché anche se la f.f. parla di loro, mica ci dobbiamo rincitrullire, no?
Va bene, spero sia piaciuto, e ora mi dileguo X3
Kiss :D
KyawaiiChu

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Capitolo 5
*** Un ricordo e una lacrima ***


Royal Academy, un anno prima
 
--Jude--
 
Stava camminando per il corridoio ormai da qualche minuto, con il mantello che sventolava ad ogni suo passo.
Il signor Dark gli aveva chiesto di andare a cercare la nuova arrivata, colei che sarebbe diventata la coordinatrice della Royal Academy; purtroppo, Jude non l’aveva mai vista e di lei conosceva solo il nome. Quindi, come fare a riconoscerla?
 
Ogni dubbio riguardo al suo aspetto si dissipò non appena notò, alla fine del corridoio bianco, appoggiata stancamente al muro ed intenta a leggere un libro dalla copertina blu spento, una ragazza vestita come un’attrice di un particolare film western.
Non indossava la divisa della scuola, quindi doveva essere lei per forza. Gli avevano detto che non avrebbe frequentato l’istituto, tuttavia lui non ci aveva dato troppo peso.
Avvicinandosi ancora si accorse che si stava mordendo un labbro, forse a causa della concentrazione che stava dedicando alla sua lettura, e che i suoi occhi erano di un cristallino azzurro cielo. Sotto a quel bizzarro cappello americano aveva dei mossi e lucidi capelli neri come le piume di un corvo; in sostanza, nonostante fosse adagiata così scomodamente sulla parete, appariva tremendamente tranquilla, oltre che bellissima.
Il ragazzo dai capelli rasta si schiarì la voce, e ne ricevette in risposta uno sguardo fugace che però non durò meno di un secondo. Indispettito, Jude riprovò di nuovo, stavolta con più determinazione, e fu felice di ottenere un risultato migliore.
La corvina chiuse di scatto il libro, sospirando, e si staccò dal muro per raddrizzarsi. Dopodiché, puntò i suoi grandi occhi indifferenti sul ragazzo e inarcò un sopracciglio.
– I tuoi occhiali mi impediscono di vedere i tuoi occhi. – disse solo, in un tono talmente secco da far raggelare il sangue nelle vene.
Ma lui non era il tipo da farsi impressionare per una frase detta con così poco interesse.
– Questi sono affari tuoi. – rispose infatti – Io non sono qui per fare conoscenza.
– Già, tu sei qui per portarmi da quell’odioso del tuo allenatore, giusto? – mormorò lei come se non volesse farsi sentire troppo bene; inutile dire che il rasta capì alla perfezione e socchiuse gli occhi, leggermente cupo.
– Se lo reputi odioso, perché hai deciso di lavorare per lui? – domandò in tono acido squadrandola dall’alto in basso.
– Ho bisogno di soldi, e il signor Dark potrà aiutarmi in questo. È dura essere soli al mondo, dico bene, Jude Sharp?
Questa volta, il capitano della Royal non si sentì abbastanza sicuro per rispondere. Soli al mondo ... che la ragazza conoscesse la sua situazione? Gli sembrò del tutto plausibile, certo, anche se il fatto di non essere per niente un mistero per quella sfrontata gli dava un senso di fragilità mai provato prima.
– Capito. Ti porto da Lui. – commentò con un fil di voce.
 
La condusse per tutti quei corridoi così uguali e spenti, che lui conosceva a memoria, che inoltre formavano un intricato labirinto.
Percorsero in silenzio le scale per arrivare all’ultimo piano, lui davanti e lei alle sue spalle, pochi passi più indietro. Finalmente arrivarono davanti alla porta nera dell’ufficio personale dell’allenatore alla quale Jude fu felice di bussare per potersi scollare di dosso gli occhi perennemente critici della nuova coordinatrice.
 
--Bianca--
 
– Prego, entrate. – li accolse la voce roca e bassa dell’uomo. La prima ad oltrepassare la soglia di quella stanza scura fu Bianca, che avvertì un brivido freddo percorrerle tutta la schiena dall’alto verso il basso.
Cos’era quella, paura? Stava veramente provando timore entrando in un luogo così poco illuminato? Beh, probabilmente era vero e proprio turbamento. Gli spazi scuri non le erano mai piaciuti, neanche un po’.
– Buongiorno, signorina Plus. – la salutò ancora quella voce. Il suo proprietario era semi nascosto nell’ombra e di lui si potevano intravedere chiaramente solo due piccoli occhiali da sole sotto ai quali c’erano due occhi che sicuramente la stavano fissando vispi.
– Mi chiami Bianca. Non voglio troppe formalità nei miei confronti, signor Dark.
– Come preferisci, Bianca. – rispose quello. Di nuovo, la corvina udì la voce del suo istinto dirle di correre via, scappare da quell’istituto e non tornarvi finché non si fossero decisi ad installare un circuito ben funzionante di luce elettrica, o magari delle belle finestra spalancate sul mondo di fuori.
Ancora paura.
– Se sei qui, significa che hai deciso di accettare la mia proposta di coordinare la mia squadra, la Royal Academy – riprese Dark alzandosi in piedi da dietro quella sua scrivania semi visibile, esattamente come lui – e devo confessarti che mi fa molto piacere. – fece una piccola pausa – Probabilmente anche tuo padre ne sarebbe felice.
Qui Bianca iniziò a sentire qualcos’altro oltre al timore. Un fuoco le si era acceso d’un tratto all’interno del suo stomaco. Ebbe in quel momento la conferma dei suoi sospetti su quanto fosse odioso e bugiardo quell’uomo.
Suo padre non sarebbe stato felice proprio per nulla, e lei lo sapeva benissimo. In ogni caso, la necessità di denaro la costringeva a fingere di credere a quella menzogna così falsamente smielata. Un vero schifo.
 
Dopo aver discusso con il suo nuovo datore di lavoro sulle attività della squadra si era incamminata fuori dall’edificio a passo fermo e deciso, ma con una prorompente amarezza nel suo essere, mischiata al fuoco della rabbia.
Come era finita a doversi sottomettere a quell’uomo? Se avesse potuto scegliere diversamente, avrebbe cambiato squadra in meno del tempo necessario per un semplice battito di ciglia.
Già. Se avesse potuto scegliere. Purtroppo, per adesso le era impossibile.
 
Tempo dopo, ospedale
 
--Bianca--
 
Quella mattina faceva insolitamente un freddo terribile. Tirava un forte vento gelido, e ogni respiro si trasformava in una nuvoletta di vapore che in un qualsiasi altro momento le sarebbe sembrata così carina.
La Royal Academy aveva vinto la finale del Football Frontier. Di nuovo. Ormai nessuno in quella scuola aveva più tutta questa voglia di festeggiare, dato che era il trentanovesimo anno di fila che la vittoria spettava alla squadra dalla divisa marrone e verde. Se avessero vinto anche l’anno successivo, sarebbe stato il quarantesimo anniversario dell’interminabile, estenuante collezione di espressioni triste da parte degli sconfitti, che andavano a finire dritte nella mente di Jude e degli altri suoi compagni, inorgogliendoli ancora di più.
Quest’anno però aveva qualcosa di molto differente per la corvina. Da spettatrice esterna, aveva sempre pensato che la serie di vittorie gloriose della Royal fossero la prova della loro forza tecnica e della loro abilità, del loro modo di superare in campo gli avversari; anche se era dura, doveva ammettere che fino a quel momento aveva davvero provato un po’ di ammirazione per quei giocatori così esperti. Invece, da coordinatrice della squadra e braccio destro dell’allenatore quale era diventata, aveva potuto confutare senza alcun dubbio che erano tutte scuse per coprire ciò che quel branco di idioti era in realtà: una stupida massa di burattini nelle mani di un subdolo ingannatore dalla mente folle, peggio di quella di un dittatore sanguinario.
Raggiri, solo imbrogli privi di senso morale. Era questa l’arma segreta di Ray Dark che permetteva alla Royal Academy di vincere qualsiasi partita: una slealtà dopo l’altra, una successione infinita di inganni e malefatte. Ogni volta che ci ripensava, la ragazza aveva i conati e sentiva il vomito quasi affiorarle alla bocca.
 
Ed ecco perché, quella mattina, si stava aggirando fra quelle mura bianche come la morte, a molte delle quali erano attaccate delle seggiole da sala d’aspetto che servivano ai poveri parenti e agli amici dei disgraziati che finivano fra le sale dell’ospedale.
Per non dare nell’occhio, aveva eliminato il suo abbigliamento western; indossava dei jeans lunghi fino ai piedi e una maglietta a maniche lunghe coperta da un bel cappotto invernale. I suoi piedi erano infilati in due scarpe da ginnastica che le risultavano anche molto fastidiose, abituata com’era agli stivaletti di cuoio, mentre le sue mani erano ben coperte da due bei guanti rossi. Per finire, si era anche messa un sciarpa e aveva lasciato, seppur a malincuore, il suo cappello a casa.
Stava camminando da un po’ quando finalmente giunse davanti alla porta che cercava. Sulla targhetta identificativa appesa alla porta blu c’era scritto:
Julia Blaze.
Rimase qualche minuto ad osservare malinconicamente quei caratteri neri e fini che delineavano il cognome di quella povera bambina. Risvegliandosi da quella specie di ipnosi, si spostò leggermente sulla finestra di vetro insonorizzato che dava sulla stanza e che qualcuno si era scordato di coprire bene con la serranda; infatti fu per lei molto semplice intravedere le due treccioline castane della dormiente Julia della quale si intravedeva solo la testa, adagiata pesantemente sul cuscino candido.
Bianca sussultò quando si accorse che lì, seduto accanto al letto, c’era qualcuno. Un ragazzo in felpa arancione, con dei capelli quasi color panna e dalla pettinatura forse un po’ aggressiva stava davanti alla bambina. E piangeva. Era di spalle, ciò nonostante si capiva perfettamente che era scosso dalle lacrime e forse stava anche mormorando qualcosa alla sua sorellina.
Sì, quello era Axel Blaze, il fratello maggiore di Julia, il formidabile cannoniere di cui aveva così tanto sentito parlare.
 
Non aveva mai visto un ragazzo piangere; fu per lei una visione fin troppo dura, soprattutto a causa della consapevolezza che portava nel cuore. Quell’enorme, mastodontico peso che ad ogni lacrima di Axel aumentava sempre di più.
Era stata colpa di Dark. Di Ray Dark, il suo datore di lavoro. Tutta colpa di quell’uomo spregevole, quell’essere così oscuro dal quale, nonostante i suoi molti sospetti iniziali su quanto potesse essere malvagio, non si sarebbe comunque mai aspettata qualcosa di tanto terribile.
Quella bambina era finita sotto un camion. E non era stato un incidente.
Solo lei, solo Bianca sapeva di quel complotto, anche se il signor Dark aveva fatto di tutto per non farlo scoprire a nessuno. E in quel momento così strappalacrime la corvina desiderò di non averlo mai capito; pregò di poter tornare indietro e non avere mai avuto la malaugurata idea di andare a sbirciare in quel fascicolo che portava il nome Blaze scritto sopra.
 
Però non cambiava niente. La corvina sapeva, sapeva tutto fin da prima dell’avvenimento e non era riuscita ad impedire che quel dannato veicolo finisse addosso a quella sventurata creaturina di cinque anni che ora giaceva inerme su un letto di ospedale, in un coma che sarebbe potuto essere anche perenne.
Eccola, una goccia lucente scendere dal suo occhio sinistro per catapultarsi sul suo cappotto. E poi un’altra, e un’altra ancora, fiumi di lucciconi iniziarono a investirle il viso senza minima pietà.
Si sentiva in colpa, ecco la verità. Era consapevole di quanto, seppur in parte, la colpa fosse anche sua e della sua incapacità; e il suo cuore non poteva sopportare un tale fardello.
Scoppiò in singhiozzi senza il lievissimo ritegno, proprio lì, in mezzo al corridoio. Non era abituata a piangere così violentemente; quand’era l’ultima volta che si era sciolta in pianto? Forse, l’anno prima, quando i suoi genitori morirono? Forse. O forse no.
Senza nemmeno accorgersene, Bianca si abbandonò, ancora in lacrime, su una delle sedie a muro e affondò il suo volto nelle sue minute mani guantate.
Aveva una fortissima fitta proprio al centro del petto. Il sangue ribolliva feroce, e il suo cuore iniziò a battere più rapidamente. Avvertiva anche di aver iniziato a tremare a causa del rivoltamento del suo stomaco che stava a significare che probabilmente avrebbe vomitato sul serio, stavolta.
 
Il fruscio della porta scorrevole la distolse leggermente dal dolore. Senza alzare lo sguardo, con la coda dell’occhio vide che il ragazzo era uscito dalla stanza di sua sorella minore e che i suoi occhi neri possedevano ancora le tracce del pianto. Non ci volle molto ad Axel per accorgersi di quella figura rannicchiata sulla sedia accanto alla porta che piangeva tumultuosamente.
Lentamente si sedette accanto a lei, il che la fece sentire anche peggio.
Sparisci!” pensò “Sparisci, prima che finisca col dare di stomaco!
Ma era come dire al vento di smettere di soffiare imperterrito.
Lui rimase lì, un attimo in silenzio, probabilmente pensando a cosa potesse dirle, forse per consolarla anche se non conosceva il motivo di quella disperazione.
– Ha bisogno di una spalla su cui piangere, pulcino nero? – le chiese gentilmente e sfoderando un sorriso talmente sforzato da sembrare evidente come fosse finto. Tuttavia, lei non lo biasimò per questo. Era impossibile sorridere dopo aver pianto a lungo e questo era assolutamente ovvio e normale. Si chiese da dove avesse tirato fuori quel soprannome e sperò che fosse per il colore dei suoi capelli.
Si asciugò lentamente gli occhi con la pelle scarlatta dei guanti e alzò delicatamente lo sguardo. Posandolo su Axel, si sentì avvampare: era veramente bello, oltre che a pochi centimetri da lei. Anche se fortunatamente lui non poteva essersene accorto dato che il suo volto le era affondato così tanto nello sciarpone che di lei si potevano intravedere solo le iridi larghe e umide e i capelli che non erano infilati nella stoffa color caramello. Pensò che probabilmente se si fossero rivisti un giorno, lui di certo non avrebbe mai potuto riconoscerla. Ma adesso non era importante.
Lo guardò con aria distrutta, senza però scomporsi di nuovo, e gli rispose, in un mormorio sottile e appena percettibile, con il fiato spezzato dai singhiozzi:
– E tu?
Lui sobbalzò e lei interpretò quella sorpresa come una risposta affermativa. Fece uno scarso tentativo di sorridere.
Almeno, adesso sapeva cosa voleva fare.
Voleva abbandonare la Royal Academy per il resto della sua vita. Qualsiasi cosa fosse successa, non avrebbe mai più messo piede in quella scuola. Da quel giorno, avrebbe cambiato vita, forse per la terza, ma definitiva volta.
 
 
Angolino:3
I ricordi di Jude/Bianca *yeeeeeeeeee*
Volevo aggiungere un altro ricordo di Bianca, ma ho da fare.
Spero sia piaciuto e chiedo scusa per il rovinoso ritardo.
Ciao!
Kiss :D
KyawaiiChu

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Capitolo 6
*** Un discorso (non molto) incoraggiante ***


Era una giornata tranquilla, il sole splendeva nel cielo e un leggero soffio di un vento caldo scompigliava le chiome, corte o lunghe, selvagge o ordinate che fossero, di quel gruppo di studenti che non aveva attività scolastiche o sportive previste per il pomeriggio e che stavano tornando a casa per disfarsi finalmente della loro divisa.
L’unica a camminare nel senso opposto era una ragazza bellissima dagli sbarazzini occhi del colore del cielo e dai capelli mossi e neri come il carbone.
Mentre passava, la componente maschile degli alunni della Raimon Junior High diretto alle proprie case si giravano interessati al fisico da modella della corvina, mentre la componente femminile la osservava un po’ fra l’ammirazione, l’invidia e il leggero scherno dovuto all’abbigliamento così originale e per niente convenzionale che la ragazza sfoggiava.
Inutile dire che lei non si stava interessando minimamente a quegli occhi che le stavano incollati peggio delle mosche sul miele, tanto era presa dai suoi pensieri.
Infatti, Bianca stava attraversando per lungo la strada che da casa sua alla Raimon per assistere come al solito agli allenamenti della squadra evitando accuratamente di ricambiare gli sguardi curiosi e le frecciatine a lei diretti; passeggiava tranquilla col naso per aria, riflettendo sugli ultimi avvenimenti rilevanti nei quali i suoi amici e lei stessa erano stati coinvolti.
 
Il primo era sicuramente la cocente sconfitta subita dalla Royal Academy, i campioni in carica del Football Frontier da ben quaranta anni, alla prima partita del torneo. Erano stati battuti per dieci goal a zero da una squadra totalmente nuova su quel campo nazionale, tale Zeus Junior High. Dopo quell’episodio, molti giocatori della Royal erano finiti addirittura in ospedale e, anche se per fortuna Jude ne era uscito totalmente indenne fisicamente, non si poteva certo dire lo stesso della parte psicologica del suo essere.
Sembrava che si fosse arreso per decidere di lasciar perdere tutto, tuttavia a quanto le era dato sapere era stata quell’apparenza ad ingannare tutti. Eccetto Axel forse, quell’irritante non era sembrato poi tanto sorpreso dalla piega che quella vicenda aveva preso successivamente. Infatti, quel matto di un rasta era tornato più forte di prima e sotto richiesta del Mister Hillman era entrato a far parte della Raimon con il ruolo di centrocampista e regista; questo era il secondo fatto importante per la squadra al quale Bianca aveva potuto assistere e soprattutto partecipare in prima persona.
Nonostante avesse parecchio temuto la possibilità che Jude potesse rivelare ai suoi nuovi compagni qualche cosa di indiscreto su di lei, il regista le aveva assicurato in mille e più modi che non avrebbe mai potuto farle una cosa del genere, e che sarebbe stato felice di lasciarle il tempo di trovare il momento giusto ed essere lei a parlare del suo passato con la squadra.
Inoltre, non appena fu sicura di aver scampato il pericolo, Bianca dovette ammettere a sé stessa di essere felice di riavere Jude dalla sua parte; era sempre stato un buon amico per lei, anche se l’influenza di quel folle di Dark sull’ormai ex capitano della squadra “giubbe verdi” aveva reso difficilmente visibile lo sviluppo della loro amicizia.
Poco tempo dopo anche quel ragazzo castano, il giovane e talentuoso Eric Eagle si era unito alla squadra. Da quanto le era stato possibile capire, non solo Eric rappresentava un grande esempio di versatilità in campo e di capacità di controllo di palla, ma era anche un grandissimo amico della manager Silvia e di Bobby; le venne da sogghignare al pensiero che quei due lo credevano morto, il loro caro amichetto d’infanzia, e invece era semplicemente ricoverato in America. Furbo a lasciare così in pensiero per tanti anni i suoi migliori amici, il caro signor Eagle.
Proprio con quest’ultimo, Bobby e Mark erano riusciti ad eseguire una tecnica portentosa, apparente motivo per il quale alla fine il “campioncino” aveva deciso di rimanere alla Raimon e aiutare i suoi nuovi amici ad arrivare sulla vetta del torneo nazionale.
Bianca era rimasta abbastanza indifferente su questo punto: aveva semplicemente cercato di raccogliere più informazioni possibili sul nuovo arrivato, parlandone anche con il diretto interessato, esattamente come il suo lavoro esigeva. Però in fondo qualche lato positivo c’era anche per lei; già, almeno adesso aveva qualcuno con cui tenere in esercizio il proprio inglese e impedire così di fare figuracce con suo zio al telefono.
 
Insomma, non erano successe poi così tante cose sconvolgenti, comunque lei era la coordinatrice e per lei qualsiasi situazione che potesse comportare qualche cambiamento all’interno della squadra doveva avere un certo grado di importanza.
Ad ogni modo, era adesso che si stava presentando alla sua porta il vero problema.
Il giorno prima, quando Mark aveva da poco finito di annunciare l’entrata in squadra da parte di Eric, Celia era arrivata di corsa da chissà dove irrompendo sul campo come una furia. Aveva il fiatone e uno sguardo non poco preoccupato regnava sul suo bel visino infantile.
 
"– Ragazzi! Sono appena arrivate le combinazioni per la semifinale del Football Frontier!
– Beh, che aspetti a dircele?
– Sì ... allora, la squadra che dovremo affrontare nella semifinale del torneo sarà ... Sarà la Kirkwood Junior High!"
 
Quel dialogo fra la manager e il capitano aveva lasciato tutti di sasso. Ovviamente, chiunque si trovasse lì in quel momento si era voltato di scatto verso Axel, sul cui volto si stava rapidamente dipingendo una vera e propria espressione di sconvolgimento totale.
Tutti eccetto Bianca.
Lei sapeva perfettamente cosa avrebbe significato giocare contro quella squadra. Oh, se lo sapeva.
La Kirkwood era la formazione nella quale Axel giocava un anno prima, proprio quando lei era diventata coordinatrice della Royal Academy, che oltretutto partecipava anche al Football Frontier. Proprio quando la finale fra la Kirkwood e la Royal stava per avvenire, un certo camion era finito addosso ad una certa bambina di soli cinque anni.
Questo condusse un certo cannoniere, fratello maggiore della povera ragazzina che era persino finita in coma, a fare un patto con sé stesso: non avrebbe mai più giocato a calcio.
Molte lacrime erano state versate e Bianca aveva potuto vederle con i suoi occhi, cosa che di certo non l’aveva lasciata indifferente: quell’ “incidente” aveva segnato per lei l’abbandono della Royal, un cambio di vita, un enorme senso di colpa da portare sempre e comunque all’interno del suo cuore.
Per di più, anche se Axel era stato quello più ferito da quell’avvenimento, i suoi vecchi compagni di squadra non lo avevano ancora perdonato per averli abbandonati aiutando così gli avversari nella loro vittoria.
Quindi, la conclusione era una: giocare contro di loro sarebbe stato un tuffo nel passato per Axel, si sarebbe sentito male, avrebbe ripensato alla tristezza di quei momenti ... e di riflesso anche la corvina si sarebbe dovuta ricordare del suo fardello. Il senso di colpa sarebbe salito a galla.
Come avrebbe affrontato quel duello a sangue con questa sua consapevolezza quando se la sarebbe ritrovato davanti?
 
Sovrappensiero, si accorse a malapena di essere finalmente arrivata davanti alle tre manager sedute sulla a questo punto di loro proprietà panchina; accanto a loro, come sempre, il Mister Hillman osservava con attenzione i suoi giocatori che nelle loro divise blu e gialle stavano dando il massimo durante quell’allentamento.
Erano uno spettacolo davvero rassicurante, sotto un certo punto di vista; si vedeva lontano un miglio quanto fossero contagiosi il loro entusiasmo e la loro determinazione a fare sempre meglio. Come se non bastasse Eric e Jude stavano dando proprio in quel momento una fantastica dimostrazione della loro abilità, rendendo felici tutt’intorno i coetanei orgogliosi di averli con loro.
Sfortunatamente gli occhi azzurri della coordinatrice andarono delicatamente a depositarsi sulla figura più abile fra tutte, ma al contempo meno serena e incoraggiante, del capo cannoniere.
Il ragazzo dagli occhi neri si impossessò rapido del pallone, eppure il suo nervosismo era palpabile, era chiaro come il sole per tutti che la sua solita, tranquillizzante e, per quanto riguardava la ragazza dalla capigliatura bruna, alquanto irritante calma era andata completamente a farsi benedire.
Difatti, probabilmente sovrappensiero, l’attaccante si fece sottrarre facilmente la palla da Nathan, che si fermò sul posto subito dopo essersi allontanato di appena un paio di metri dal suo amico. La serenità dell’intera squadra si incrinò violentemente; per un minuscolo, impercettibile, interminabile momento nessuno proferì parola. Infine, Mark ebbe il coraggio di spezzare quel fastidioso silenzio sotto le diverse espressioni delle quattro ragazze.
Silvia e Celia stavano osservando la scena con aria leggermente turbata, mentre Nelly dedicava ai ragazzi un occhio misto fra il critico e il preoccupato. Bianca si morse il labbro inferiore e le sue iridi turchesi iniziarono a tremare leggermente, con la loro proprietaria miracolosamente ancora in piedi; capì che stava rischiando di cascare in terra, ma non si mosse né tentò di sedersi sulla panchina a fianco della sua amica rossa. Fece un rapido calcolo mentale: era quasi un anno che non sentiva più quel peso, che era diventato, col passare dei mesi, pesante come e più di un blocco di cemento da un paio di quintali.
Accidenti, non di nuovo!
Mark aprì bocca e disse qualcosa ad Axel, tuttavia lei non riuscì a percepire una parola. Vide solamente la testa del ragazzo dai capelli tendenti al color panna annuire, le sue labbra sottili delineare una frase che sarebbe potuta di essere di scuse e le sue gambe iniziare a correre sempre più nervosamente portandolo fuori dallo sterrato, verso il Mister.
Ancora una volta la corvina era troppo presa dalla strana sensazione di lotta con la sua coscienza per capire cosa si stessero dicendo, solo il suo apparato visivo appariva ancora in funzione.
 
Passati un paio di minuti da quando Axel era scomparso di corsa dietro al cancello che separava la Raimon Junior High, Bianca riuscì finalmente ad abbandonarsi sul legno della panchina; si appoggiò leggermente a Nelly che la guardò un po’ perplessa. Ciò nonostante, non chiese spiegazioni. Strano, era parecchio non le chiedeva più niente ...
– Bianca. – la chiamò una voce virile e decisa proveniente dalla sua destra. Alzando gli occhi, la ragazza scrutò con attenzione l’allenatore con riconoscenza per averle fatto capire che il suo udito era ancora lì intatto come lo era sempre stato.
– Sì, Mister? – mentre parlava, si alzò pigramente in piedi. Che fastidio, aveva appena ottenuto il risultato di farcela a sedersi ed ecco che il suono del suo nome le imponeva di mettersi ancora in posizione verticale.
– Vorrei che andassi a cercare Axel. – rispose quello con aria seria, anche se a dirla tutta sotto quei suoi baffi bianchi e sotto alla barba si vedeva chiaramente che stava quasi sorridendo.
– Cosa?! Perché mai dovrei?! – sbottò la giovane. Ovviamente, si pentì subito di quella domanda così stupida; era assolutamente evidente come anche questo fosse un compito dettato dal suo essere la coordinatrice della Raimon. Ma davvero lei non se la sentiva di andare da lui in momento simile.
– Sono preoccupato per lui. Siamo tutti preoccupati, anche tu. – replicò quello senza scomporsi e mantenendo la più tranquilla espressione della storia. In ogni caso, con la sua grandissima abilità nel leggere nel pensiero delle persone sviluppata in qualsiasi momento in cui la povera corvina non lo stesse osservando, Hillman aggiunse: – Se non vuoi farlo per lui, fallo per la squadra. Un numero dieci distratto non potrà essere che di ostacolo, giusto?
Bianca assentì, poco convinta, e si incamminò sospirando verso la direzione che Axel aveva preso.
Nel frattempo, un grosso interrogativo le attanagliava la mente: sarebbe riuscita a non scoppiare in lacrime davanti al cannoniere proprio come al loro primo incontro?
 
--Axel--
 
Accidenti a lui e ai suoi stramaledetti piedi, che lo portavano automaticamente dove loro preferivano.
Diamine, aveva per caso una mente propria?
Sospirò sonoramente capendo che stava quasi iniziando a parlare da solo. Come se non avesse già abbastanza problemi per conto suo, poi.
In ogni caso era già troppo tardi per arrabbiarsi con le sue povere gambe, tanto ormai era arrivato alla torre della città e non se la sentiva proprio di camminare ancora.
Si lasciò cadere per terra, né troppo vicino né troppo lontano dallo pneumatico del capitano. Osservò con attenzione quell’enorme copertone nero e polveroso e di colpo capì che invidiava il suo essere un oggetto inanimato. Almeno non provava sentimenti, “lui”.
Sospirò di nuovo.
Come era finito in quella situazione assurda? Si stava paragonando ad uno pneumatico, all’unico scopo di non pensare alla partita imminente contro la sua vecchia squadra, contro i suoi vecchi amici ...
Inutile dire che si sentiva in colpa nei loro confronti. Perché era vero, li aveva abbandonati proprio quando loro avevano più bisogno di lui, e poi come nulla fosse l’anno dopo aveva ripreso a giocare a calcio andando contro alla promessa che aveva fatto alla sua sorellina.
Cos’era stato, poi, a fargli tornare il desiderio di giocare?
L’entusiasmo di Mark. Forse. O forse il suo amico castano non gli aveva davvero ridonato l’amore per quello sport; forse, semplicemente, lui non l’aveva mai perduto, quella passione si era solo addormentata.
Un terzo sospiro.
Tutto questo non centrava un accidente però con il problema principale, la semifinale. Ciò nonostante, la sua mente non riusciva a visualizzarlo bene. E il motivo era semplice: più che il senso di colpa, Axel stava cercando in tutti i modi di non dover rivivere il dolore causato dall’incidente di Julia.
Già, era proprio questo il motivo.
Sospirò ancora. Il totalizzatore di sospiri ne segnava quattro.
Aspetta ... totalizzatore? Cavoli, doveva essere davvero disperato per pensare una cosa del genere. Sempre meglio dell’alternativa, comunque.
 

– Sei buffo, visto così.

 
Disse una voce femminile, prendendolo così di sorpresa che balzò letteralmente all’indietro, perdendo l’equilibrio e cadendo. Adesso, era sdraiato sulla schiena sul prato senza nemmeno essere riuscito a capire di chi fosse quella voce.
Fu presto detto. Infatti, gli occhi sbarazzini di Bianca gli apparirono in tutto il loro splendore, e lui non poté fare altro che perdersi in quell’oceano.
Diavolo. Axel, non arrossire, diavolo!” gridò a sé stesso nella sua mente mordendosi il labbro. Decise di evitare l’eventualità di prendere colore accigliandosi leggermente.
– Come hai detto, scusa?
– Sei buffo, visto così. – ripeté lei, accennando un sorriso divertito. Lui non aspettò più di un secondo e si rimise seduto dandole le spalle, mantenendo un’espressione seria.
Era quasi riuscito a darle una testata, ma i riflessi della corvina erano troppo pronti e aveva fatto in tempo a spostarsi. Peccato, una bella capocciata magari l’avrebbe resa meno perfettina e soprattutto meno sfrontata.
– Poi la permalosa sono io ... – si limitò a mormorare quella, poi con nonchalance si avvicinò e si sedette proprio ad un paio di centimetri da lui, stringendo le sue gambe al petto.
Dove aveva già visto una scena del genere?
– Cosa vuoi? – domandò scocciato e chiudendo delicatamente gli occhi.
– Stare qui. Con te, in questo momento. – gli occhi neri di lui si riaprirono così di scatto che lei dovette accorgersene per forza. Stavolta il cannoniere arrossì davvero, e non poté fare nulla per impedirlo.
– C-come? – chiese ostentando una finta tranquillità. E quella si mise a ridere.
– Cos’è quell’aria scioccata? – replicò Bianca, continuando a mandare risolini; poi però arrossì leggermente anche lei e sbottò, dandogli una leggera spinta con la mano: – Ma cosa hai capito?! Non intendevo in quel senso, scemo! – non smise tuttavia di ridere e non era piacevole proprio per niente sentirsi schernire in questo modo e dalla signorina perfettina, per giunta. Per un momento Axel avvertì una strana punta di amarezza nel suo stomaco, provocata sicuramente da quella risata, tuttavia subito si sciolse in un sospiro di sollievo.
– Grazie al cielo ... – si lasciò scappare, anche se non riuscì a capire se fosse stato più difficile dirlo o tentare inutilmente di trattenerlo.
– Con questo cosa vorresti dire, mister Irritante?!
– Non so, che sono felice che non pensi a me in quel senso, miss Perfettina?
– Ti odio. Ma proprio da morire! – Axel fu quasi colto dall’idea che stesse dicendo sul serio e di nuovo percepì quella sensazione spiacevole. Però sogghignò.
– Allora sappi che il sentimento è reciproco. – rispose senza fare troppo caso alle gote della sua interlocutrice, che si erano rapidamente gonfiate come quelle di un bambino a cui si rubano le caramelle.
Però, anche con quell’espressione così infantile, rimaneva sempre particolarmente attraente.
Aspetta. Cosa diavolo andava a pensare?!
Bianca sbuffò.
– Posso almeno sapere perché sei qui? – la interrogò di nuovo.
– Te l’ho già detto. – sussurrò lei – Voglio stare con te.
– Non hai appena detto che mi odi?
– Già, e tu ci credi ... – disse con un tono di voce così impercettibile che il cannoniere lo avvertì a malapena. E per la seconda volta si sentì leggermente arrossire – Il Mister Hillman mi ha detto di venire. – aggiunse sbuffando.
– Non eri costretta a farlo. Potevi chiedere a qualcun’altro di venire. Qualcuno che non mi consideri irritante, ad esempio ...
– Può darsi. Ma io voglio stare qui vicino a te. – ribadì la coordinatrice.
Axel la maledì mentalmente. Cosa stava facendo quella matta, lo stava forse prendendo in giro?
– Dammi una sola ragione per cui dovresti desiderare di stare qui, seduta per terra accanto a me, un essere che irrita il tuo irritabile sistema nervoso. – lei esitò. Il ragazzo vide chiaramente che c’era qualche cosa che lui non sapeva. Però, non riusciva proprio a capire cosa.
– Non c’è un motivo particolare. – mormorò la voce assurdamente gentile della corvina – Forse, semplicemente non voglio che tu soffra ancora.
Fra i due cadde un silenzio tombale. Bianca spostò il suo sguardo da Axel al tramonto; il sole stava proprio in quel momento andando a nascondersi dietro all’orizzonte, segnato dal contorno dei palazzi della città.
– Sarebbe anche romantico, se fossi con qualcuno di meno irritante. – commentò la ragazza. Era tornata di botto quella di sempre? Il ragazzo dagli occhi neri non riusciva a interpretare quella frase.
 
"– Forse, semplicemente non voglio che tu soffra ancora."
 
Cosa. Cosa non vedeva? Cosa nascondevano quegli occhi così luminosi? Non si riusciva a capire niente dei pensieri di lei guardando nel turchese del suo sguardo. Nemmeno i suoi gesti così particolari e quel suo modo di muovere sinuosamente e attraentemente le sue labbra permettevano in alcuna maniera di carpire i segreti della sua mente.
– Beh, sarebbe romantico se quel qualcuno pensasse a te in quel senso. – aggiunse lui, senza badare troppo all’insulto che aveva ricevuto. Lei con una mano si portò una ciocca di capelli dietro le orecchie e il vento le fece cadere il cappello sulle gambe. Stranamente, non se lo rimise.
– Andiamo Axel, guardami. – si voltò di nuovo verso di lui – Secondo te, quanti sono i ragazzi che non pensano a me in quel senso?
Touché. Adesso non sapeva come rispondere; dalle sue labbra uscì l’unica cosa che la sua mente riusciva a formulare:
– Se tu fossi meno antipatica, forse fra “quei ragazzi” ci sarei anche io. –
Oddio, aveva davvero pronunciato una cosa del genere? Oddio, se quella matta ci avesse creduto sul serio? Cavoli. Oh-santissimi-cavoli.
– Eh ...? – le sue guance divennero parecchio cremisi. Molto, forse troppo. – Andiamo, non scherzare. – il giovane riprese a respirare.
Di nuovo il silenzio. I due si guardarono fissi negli occhi ancora per un po’, finché decisero di rivolgere il loro sguardo agli ultimi attimi di sole.
Axel non si sentiva più molto in sé. Prima di tutto, aveva più volte pensato che la ragazza seduta a pochi centimetri da lui fosse bellissima, e questo era anche vero, ma non si poteva assolutamente permettere di riflettere su una cosa del genere sulla perfettina. E poi, le aveva praticamente confessato che se fosse riuscita a migliorare il suo carattere, probabilmente si sarebbe innamorato di lei. Grazie al cielo lei aveva pensato che fosse uno scherzo, ma il guaio era che ...
Lui lo pensava davvero! Aveva genuinamente dato sfogo al sentimento che gli stava tormentando lo stomaco. Quindi, doveva per forza essere un’affermazione vera.
– Posso farti una domanda, Bianca?
– Vuoi ancora chiedermi perché sono qui, Axel?
– No. – sorrise leggermente imbarazzato.
– E allora spara.
– Ti piace il calcio?
– Uh? Ma che razza di domanda è?
– Tu rispondimi e basta.
– Beh, credo di sì. – abbassò lo sguardo e iniziò a giocherellare con il suo cappello. – Mio padre ... mio padre era fissato con questo sport. E mia madre era stata allenatrice per una squadra di Okinawa. Sai, era lì che vivevamo prima di trasferirci qui. Cioè, prima che loro ... – si bloccò un attimo – Beh, insomma, hai capito, no?
– Non ci posso credere.
– Di che parli?
– Mi hai detto che non vuoi che io soffra. Però, è già la seconda volta che io faccio soffrire te facendoti ricordare i tuoi genitori. Mi dispiace.
Lei non rispose. Si calcò il cappello in testa e si girò di nuovo verso il ragazzo che la stava in quel momento guardando un po’ stupito. Ignorando quello sguardo, la bruna posò delicatamente le sue mani minute sulle gambe di Axel e diminuì esageratamente la distanza fra i loro volti.
– C-che combini? – balbettò lui in un misto di emozioni che non fu in grado di identificare.
– Siamo qui insieme da quanto? Dieci minuti? – gli chiese lei senza nemmeno rispondere alla sua domanda.
– Credo di sì, ma ...
– A cosa hai pensato, in questi dieci minuti? – dopo quell’interrogativo, il cannoniere si costrinse a non pensare che quella pazza stesse cercando di provocarlo facendolo imbarazzare. A cosa aveva pensato? ...
– Devo proprio dirtelo?
– Se vuoi che ti perdoni il fatto che mi hai fatto ricordare i miei genitori ...
– Okay, ho capito. – sbuffò ed ebbe l’impulso di distogliere lo sguardo, tuttavia non lo fece. – Vedi io ... ho pensato più volte ... che ...
– Andiamo, non mi dirai che ti vergogni?
– Ho pensato che sei bellissima, Bianca. Ti va bene, come risposta? – lei non batté ciglio. Le sue guance, invece, ripresero di nuovo il colorito vivace segno di imbarazzo.
– E nel frattempo hai pensato anche a Julia e al tuo senso di colpa?
Cavolo. Ma perché le frasi di quel discorso sembravano tutte mirate a colpirlo come frecce?
– No. No, ho pensato ... ho pensato solo a te per tutto il tempo.
– Bene. Allora, durante gli allenamenti, e soprattutto durante la semifinale, se puoi cerca di pensare a me il più possibile. – ordinò decisa e alzandosi in piedi, lasciandolo completamente di sasso.
– Cosa ...
– So come sono i sensi di colpa. Per distrarsi del tutto bisogna trovare qualcosa di molto più incisivo. – il suo volto divenne sempre più scarlatto – Finché non troverai qualche cosa di meglio, se l’unica cosa che ti impedisce di pensare ai sensi di colpa sono io allora pensami più intensamente possibile quando sarai sul campo, sono stata chiara?
Cosa c’era che non andava con quel suo tono, adesso era anche arrabbiata?
– Ah, e un’ultima cosa. – aggiunse, poi lo guardò dolcemente, come se stesse parlando ad un bambino. – Metticela tutta, Axel!
 
Angolino:3
Aaaaaaaaaaaaaaaah molto tenera la mia Bianca, vero?
…………………………………. No u.u
Uhuh.
Non si può immaginare che gioia poi quando la gente mi dice che è venuta bene. Oddio non si può proprio capireeeeeeeeeeee!
La mia parte preferita del capitolo? Quella del “Oh-santissimi-cavoli”. Bellissimo, rileggendolo mi sono messa a ridere^^
Temo di essere andata un po’ OOC con Axel, vero? Oddio, ditemi di no çAç
Vabbuò. Ho sonno (il capitolo l’ho scritto dalle 20:30 alle 22:25 di sera, anche se lo sto postando prima …) e quindi vado a letto.
Mi raccomando commentate questo dialogo molto lovvoso (?) e un po’ fluffoso (?) fra la mia creazione e il mio amore personaggio preferito ^^”
Kiss :D
KyawaiiChu

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Capitolo 7
*** Tutti i nodi vengono al pettine ***


Casa Plus, poco prima della “tanto sospirata” finale del Football Frontier
 
--Bianca--
 
Non riusciva a concentrarsi.
Stava studiando e organizzando quel qualche centinaio di scartoffie che Nelly le aveva affidato, per i motivi più svariati, il giorno prima. Ognuno di quei moduli e pratiche andava sistemato, catalogato e accuratamente controllato.
Però lei non riusciva davvero a raccogliere la sua attenzione sui fogli, e questo la mandava in bestia; ma più si arrabbiava con sé stessa, più aveva la sensazione di star perdendo ancora più tempo prezioso anziché lavorare.
Squadrò sconsolata il lungo testo scritto in nero che doveva iniziare a leggere e, presa da un insolita fame che poteva facilmente essere chiamata nessuna voglia di fare ciò che doveva, si alzò e si diresse in cucina alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
Afferrò il pane e ne tagliò una fetta per mangiarla così, semplice, senza niente ad accompagnarlo, solo per placare un po’ il suo apparente bisogno di cibo. Tornando nel salone, dopo essersi seduta di nuovo davanti al tavolino colmo di documenti venne colta di nuovo dalla mancanza di concentrazione.
No, davvero non si spiegava perché quel giorno il suo lavoro quotidiano le apparisse così più noioso del solito, per lei era proprio un mistero irrisolvibile. Si sdraiò all’indietro sul pavimento verde oliva e guardò il soffitto socchiudendo i suoi occhi azzurri.
Chissà cosa stavano facendo, in quel momento, i suoi amici a scuola. Rinunciando ai suoi buoni propositi di lavorare seriamente, decise di dedicare la sua mente ad altre cose. Già, ma cosa?
 
Da quando la Raimon era riuscita a vincere contro la Kirkwood e si era guadagnata l’accesso alla finale, il cervello di Bianca sembrava sempre più assente del solito. Anzi, forse anche da prima della sfida con la Kirkwood. In quei giorni Nelly, Silvia, oppure Celia e persino qualcuno dei ragazzi le avevano fatto notare che spesso ai loro occhi lei appariva totalmente con la testa fra le nuvole.
Il terribile era che lei era sul serio persa nel suo piccolo mondo personale ...
Tutto senza il minimo o quantomeno evidente motivo. Che umiliazione, per una lavoratrice seria e orgogliosa come lei! Inoltre, come se non bastasse questo a darle un fastidio al limite dell’assurdo, ci si era messo anche quello stramaledetto timore che con la Zeus Junior High, la squadra che sarebbe stata loro avversaria in finale, centrasse qualcosa anche quel pazzo di Ray Dark.
Al solo pensiero che quel sospetto potesse essere fondato le venne la pelle d’oca; incominciò a cercare qualcos’altro a cui pensare, non era proprio in vena di struggersi ancora a causa di quell’uomo. Dovevano per forza essere solo supposizioni, non era possibile che dopo essere stato sconfitto fosse ancora davvero così tenace e determinato da mettersi al comando di un’altra squadra che non fosse la Royal Academy, anche se quest’ultima di lui non voleva proprio più saperne ...
Serrò le palpebre e rallentò i suoi respiri, cercando di rilassarsi quanto più possibile. Voleva fare spazio fra i suoi pensieri e trovare qualcosa che la distogliesse da Dark e da tutta la sua mostruosa e subdola follia.
 
Il tramonto. Un grande copertone nero appeso ad un albero a mo’ di altalena ... La sua chioma corvina si trovava coperta dal suo cappello alla texana, come al solito, e il suo sguardo era molto serio. Niente di troppo nuovo, insomma. O forse no?
Si risvegliò d’improvviso, accorgendosi finalmente della posizione in cui si trovava: appoggiata saldamente con i palmi delle mani a dei pantaloni beige, stava fissando due profondi e caldi occhi neri, un po’ a mandorla, e leggermente confusi. Si sentì morire quando si rese conto a chi appartenevano quelle iridi scure.
Si trattava degli occhi di Axel, seduto esattamente sotto di lei. La scena diventò più nitida, gli occhi azzurri della ragazza riuscirono finalmente a vedere tutto con più chiarezza: il cannoniere aveva le guance parecchio rosse e la distanza fra i loro volti era talmente sottile che Bianca sembrava essere in grado di percepire il respiro leggermente ansioso di lui.
Come diamine erano finiti così vicini? Senza smuovere il suo sguardo da quello del ragazzo, Bianca cercò di riflettere e fortunatamente riuscì a stabilire nella sua mente che quello era un ricordo risalente ad un paio di giorni prima della semifinale con la Kirkwood Junior High. A giudicare dalla strana sensazione che stava provando, c’era da credere che lo stesse quasi rivivendo in sogno, oppure non si sarebbe mai sentita così realmente presente nella sua memoria; grandioso, questo vuol dire che si era addormentata anziché dedicarsi alle scartoffie. A sorpresa, le labbra di Axel iniziarono a muoversi lentamente.
– Ho pensato che sei bellissima, Bianca. Ti va bene, come risposta?
Frullo d’ali nello stomaco, calore improvviso, occhi lievemente frementi. Era arrossita, lo si leggeva negli occhi del suo interlocutore. Ovviamente fece finta di fregarsene altamente e gli chiese qualcosa che non riuscì comunque ad identificare, ma suppose che si trattasse della domanda riguardante Julia e i sensi di colpa provocati dall’abbandono della Kirkwood.
– No. No, ho pensato ... ho pensato solo a te per tutto il tempo. – rispose quello, provocandole un’altra reazione terribilmente identica alla prima.
Sentì un suono sordo, come una musica in sottofondo, e tutto scomparve: Axel, lo pneumatico, la torre, il sole che si stava nascondendo all’orizzonte. Il ricordo si interruppe, come spazzato via dal vento; o meglio, in questo caso dalla musica della quale ancora Bianca non riuscì ad interpretare la provenienza.
Nella sua mente solo le parole del biondo. E soprattutto, quello stupido gesto che lei stessa non riusciva a spiegarsi. Si era praticamente depositata addosso a lui e aveva ridotto senza esitazione la distanza fra loro facendola risultare di qualche centimetro.
Davvero aveva fatto una cosa così imbarazzante? Che orrore, che disastro, che comportamento terribile! Il peggio era che se ne era addirittura quasi dimenticata!! Certo, questo avrebbe spiegato perché quell’irritante di un calciatore nei giorni successivi era stato da lei beccato a fissarla stranito.
Non poté fare a meno di avvampare riflettendo su questo. Axel ... non era stata quella la prima volta che la definiva bella, però ... si ritrovò a dover ammettere a sé stessa questa volta non solo le era sembrato molto meno strafottente e più sincero, anzi, ma anche che quel “sei bellissima” le aveva fatto un dannato piacere; cavoli, si era sentita quasi felice quando quello stupido le aveva fatto quella confessione! Quella confessione così stupida ed innocente che l’aveva resa inspiegabilmente allegra!
“Che vergogna!” provò a gridare sempre più turbata, tuttavia dalla sua bocca non uscì il più impercettibile suono, probabilmente a causa del suo stare sognando. Di nuovo i suoi timpani furono colpiti da quella melodia misteriosa e al contempo molto familiare. Come fare a non arrabbiarsi?
 
 
Spalancò gli occhi con un tale scatto da farsi male; scrutò il soffitto della sua casa come si guarda un asino in grado di volare, come se non si sarebbe mai aspettata di trovarlo lì ad aspettare il suo risveglio.
– Mi sento patetica. – commentò acidamente.
Cercò di mettersi ritta, ma avvertì come un gran dolore alla testa, e più precisamente alle tempie. Era stata per troppo tempo sdraiata per terra e aveva tentato di alzarsi troppo in fretta, accidenti!
Sbuffò, appena prima di accorgersi che il suo cellulare suonava come non aveva suonato mai precedentemente ad allora. Solo allora la giovane capì che la musica sentita durante il sonno era proprio la suoneria dell’apparecchio telefonico, impaziente di essere inforcato dalle mani sinuose della giovane coordinatrice che fu lieta di esaudire questo desiderio, inquietata al pensiero che forse lo aveva fatto squillare troppo più del dovuto.
BIANCA!! Cavoli, stavo iniziando a preoccuparmi! – la voce isterica della sua migliore amica le perforò tanto i timpani da costringerla a scostare un attimo l’orecchio dal microfono del telefonino.
– Scusami ... mi sono addormentata mentre stavo lavorando ... – si scusò quasi con un filo sottilissimo di voce mentre recuperava l’udito dell’orecchio offeso dalle grida di Nelly.
Questo non sarebbe da te. Hai dormito poco ultimamente?
– Già. – falsità. Dalla sua bocca era appena uscita una menzogna, ancora un’altra. Non si stava forse abituando troppo a mentire con tutta questa facilità? – Comunque, non credo che tu mi abbia chiamata solo per chiedermi questo.
Infatti, ti ho chiamata per sapere dov’eri! E giusto perché tu lo sappia, gli allenamenti sono già finiti da un pezzo, cara signorina! – la corvina guardò attonita l’orologio a muro della stanza: oh santissimo, erano già le sei di sera!! Ecco perché Nelly non l’aveva chiamata a casa bensì sul cellulare.
– Ehm ... scusa?
Sei veramente impossibile. – la schernì di rimando la rossa, ridacchiando un po’ – Facciamo che ti perdono, ma solo per questa volta. – fece una pausa. Stava sicuramente per dirle qualcos’altro, e a giudicare dal respiro della ragazza si trattava sicuramente di qualcosa di non esattamente piacevole.
– N, cos’è questo tono ansioso? – chiese allarmandosi non poco.
Beh ... – mormorò lei come nell’intento di svicolare e di non tener fede al suo compito di dirle ciò che andava detto.
– Dimmelo, o faccio una telefonatina a Mark. Ti lascio immaginare a dirgli cosa, signorina Raimon. – tagliò corto la bruna con voce minacciosa.
Nelly iniziò a balbettare spezzoni di frasi sconnesse e dopo qualche secondo cacciò un lungo e per niente rassicurante sospiro.
Eravamo al ristorante del Mister Hillman, e il detective Smith ci ha raggiunti. – iniziò.
– Non vedo per quale motivo dovrebbe interessarmi.
Se mi facessi parlare! Dicevo, ci ha raggiunti e ha iniziato a parlarci di Ray Dark. – come una spada di ghiaccio, un brivido orrendamente gelido attraversò da parte a parte il corpo di Bianca. – Ci ha detto che ... che quell’uomo potrebbe essere la causa dell’incidente di Julia Blaze. – se qualcuno le avesse gettato in testa un camion di cinque tonnellate probabilmente avrebbe reagito meglio al colpo.
– A-Axel era con voi, vero? – non le fu necessario attendere una risposta per capire che sarebbe stata sicuramente affermativa. Le sue gambe cedettero facendola cadere ginocchia in terra e il peso che era da poco riuscita a sotterrare di nuovo iniziò a scavare una nuova via d’uscita attraverso la sua coscienza per venire a romperle le scatole.
Ho visto Jude parlare con lui, poco dopo. Temo che vista la situazione abbia preferito dirglielo. In fondo, aveva il diritto di sapere ... no?
– Certo, ma avre— – non riuscì a terminare neanche quella parola; “avrei preferito parlargliene io”, era questo quello che la sua mente voleva dire, che però le sue labbra non ne volevano sapere di fare uscire.
B, devo farti una domanda. – e secondo la rossa, Bianca non lo sapeva già da sé quale interrogativo si stava ponendo come una matta? – Tu ne eri al corrente?
– Ci si vede, N. – sussurrò l’altra in tutta risposta, e concluse la chiamata chiudendo il suo telefono con estrema falsa calma. Si trattenne infatti a stento dal lanciarlo con furia contro la parete per fracassarlo, distruggerlo in mille frantumi come aveva appena fatto con la sua stupida testa che adesso ribolliva di emozioni confuse.
 
Passati a malapena cinque minuti in quella posizione udì il trillo sordo del campanello di casa che fu per lei come una fucilata.
Cavolo, eccolo lì quell’idiota, era ora che arrivasse, si stava davvero chiedendo quanto tempo ci avrebbe messo a reagire e a venirla a cercare.
Si alzò a fatica mestamente sorpresa di come le sue gambe avessero insolitamente riacquisito la loro funzione principale ovvero quella di tenerla in piedi. Camminò lentamente, tanto che costrinse il campanello a suonare ancora, facendola sentire anche peggio.
– Fammi entrare, Bianca! – le ordinò la voce di Axel. Non era più tranquillo ed irritante come le altre volte, né tantomeno spaesato come in quei momenti alla torre della città; stava utilizzando un tono talmente carico di collera che la corvina si bloccò sulla maniglia, quasi spaventata.
– Scordatelo. Se mi devi parlare, fallo da lì fuori.
Che stupida. Così era evidente che non aveva alcuna intenzione di parlargli, era chiaro come il sole che si sentiva colpevole e che quindi il cannoniere non avrebbe neanche dovuto farle troppe domande per capire.
– Dico, sei fuori?! Non è questo il momento di alzare pretese così idiote! Apri questa porta! – intimò ancora lui.
– Dovrei aprire e permetterti di vedermi piangere? – urlò lei con la voce spezzata. Cosa diavolo stava dicendo?! Ma tanto era inutile lamentarsi, ormai l’aveva detto e quello non era il suo problema principale. Lei stava piangendo sul serio, ed era impossibile non accorgersene; si girò dando le spalle alla porta, alla quale si appoggiò scivolando verso il basso. Si sedette per terra e chiuse gli occhi lasciando che i sensi di colpa e anche un po’ il timore le divorassero lo stomaco.
 
--Axel--
 
– Nelly ti ha chiamata e ti ha detto tutto, vero? – chiese secco e anche parecchio infastidito. Era dannatamente ovvio che l’avesse fatto, in fondo quelle due erano migliori amiche. L’unica cosa che gli dava effettivamente una sorpresa terribilmente sgradevole era che Bianca stava palesemente piangendo sul serio, non lo aveva detto solo per farlo andare via; ma se piangeva, voleva dire che l’ipotesi un po’ campata per aria di Jude era corretta! Un mugolio equivalente ad un “” si udì delicato dall’interno della casa.
– Va bene, allora non dovrò raccontarti nulla. – commentò sempre duro – Mi basterà ricordarti che mi devi una spiegazione, miss perfettina!
– Hai ragione. – fu la mormorata risposta, che lo raggiunse dopo qualche attimo.
Il biondo ci rimase di sasso. Quel tono sottomesso, quella frase di consenso, non sembravano affatto provenire dalla stessa perfettina che aveva visto l’ultima volta il giorno prima. Tuttavia, sebbene fosse particolarmente sgradevole vederla, o meglio sentirla, in questo stato, lui proprio non riusciva a non essere furioso con lei; troppo, per poter passare sopra al torto subito come niente fosse.
– Potresti tanto per cominciare dare una conferma al mio dubbio.
– Di che parli?
– Lo sai.
– No, non lo so. – Axel sospirò rumorosamente e, probabilmente nel tentativo di spiegarsi, la corvina aggiunse: – Sono più di una, le cose che non ti ho detto. E non venirmi a raccontare che non ti sei fatto più di una domanda, perché tanto non ti credo.
– I problemi di cui mi hai parlato quella volta ... sotto la pioggia ... poco prima della finale regionale del torneo ... – iniziò lui senza poter evitare di ricordarsi che quella era stata la prima volta che era stato in grado di percepire il profumo della coordinatrice.
– Parlavo di Ray Dark. A questo non ci eri già arrivato da solo? – lo interruppe lei senza batter ciglio. Almeno, questo era ciò che la sua intonazione più serena suggeriva, però era ancora palpabile la tensione e l’asfissiante ansia di quella stupida.
– Cerca di non fare la strafottente adesso, non dimenticare in che posizione ti trovi, scema! – tirò un forte pugno al legno dell’uscio e digrignò i denti. L’unico sentimento che provava era una tremenda rabbia.
– È da quasi un anno che cerco di dimenticarmelo.
– Un anno, hai detto? – non sarebbe dovuta essere una scoperta così sorprendente, affatto; perché quindi il ragazzo dagli occhi neri si stava sentendo così malamente tradito come se lo avesse capito solo in quel momento?
– Poco più, o poco meno.
– Vuol dire che sai già quale domanda sto per farti, vero? – altro mugolio non troppo allegro. Anzi, questo gli ricordava vagamente un lamento di un cane bastonato, ma non era ancora abbastanza per intenerirlo.
– Lo sapevi? – passarono all’incirca cinque minuti così, in silenzio, e Bianca non emise un fiato. Né si degnò di rispondere al suo interrogativo, ovviamente. – LO SAPEVI? – urlò allora Axel tirando un altro pugno alla porta, questa volta avvertendo chiaramente di aver coinvolto nell’impatto anche la schiena della ragazza. – Rispondimi.
A raggiungere il suo apparato uditivo stavolta fu un indecifrabile suono soffocato e leggero come il respiro di un neonato. Sembrava quasi che dall’altra parte qualcuno fosse sul punto di morire, anche se più probabilmente si trattava di lacrime.
– Lo sapevi. – si rispose da solo ricevendone di rimando un altro gemito di assenso.
Ma che brava. Ad ogni lamento che quella stupida emetteva, come una morsa si stringeva intorno allo stomaco del giovane calciatore facendolo sentire come in un miscuglio indissolubile di emozioni contrastanti; da una parte la ragazza gli faceva pena, dall’altra provava solo un immenso desiderio di sfondare la porta a calci.
– Quando mi hai detto che conosci i sensi di colpa ti riferivi a Julia, vero? Anche i tuoi sensi di colpa erano collegati a quello stramaledetto giorno, Bianca?
– Non solo. – corresse la ragazza dalla chioma color carbone, sempre nascosta all’interno della sua casetta nella quale si era chiusa quasi all’unico chiaro scopo di proteggersi da lui.
– Che vuol dire “Non solo”? 
– Mi sono sentita molto male quando non sono riuscita ad impedire che quel camion si schiantasse contro tua sorella. – spiegò con voce tremante e spezzata, provocando in Axel il terrificante ricordo di quel giorno, il quale lo fece quasi vomitare. – Ma il peso maggiore è arrivato solo quando ... quando io ...
– Quando ...? – la incitò a proseguire, parecchio curioso di capire a cosa si stesse riferendo, magari forse solo per impedirsi di pensare all’ormai chiaramente falso incidente.
– Quando ti ho visto piangere.
– Quando hai visto me fare cosa?!
Colpito e affondato.
Lei lo aveva visto piangere? Era forse la prima persona all’infuori della sua famiglia a riferirgli una cosa del genere. Bianca era stata di conseguenza l’unico individuo ad aver avuto la possibilità di osservare la sua fragilità.
Come era stato possibile? L’ipotesi meglio fondata che gli venne in mente fu pensare che la corvina lo avesse visto in ospedale; ma allora, se lo aveva davvero potuto osservare con i suoi occhi, cosa l’aveva spinta a farlo? In fondo, a quanto gli aveva appena detto, quella visione aveva provocato in lei solo altri sensi di colpa, non aveva perciò alcun senso che se li fosse procurata da sola. O no?
Si prese la testa fra le mani, cercando inutilmente di calmarsi. Quella discussione non aveva fatto altro che vanificare ogni suo tentativo di non mostrare eccessivamente la sua ira, tale che si era capito benissimo quanto non potesse sopportare oltre.
Colpì la porta così forte che dall’altra parte si sentì come un tonfo: l’aveva spinta in avanti facendola cadere?
– Ti rendi conto delle cose che mi hai appena detto?! Mi hai praticamente confessato di aver saputo da prima cosa sarebbe avvenuto, di non essere nemmeno riuscita ad impedirlo e anche di avermi spiato mentre stavo piangendo per mia sorella! Avresti dovuto dirmelo subito, stupida, mi sarebbe bastato! Come speri che possa perdonarti il modo in cui mi hai tenuto nascosto tutto questo?!
– Non lo spero. – rispose la voce della coordinatrice, più calma di prima, ma sicuramente ancora parecchio provata. Il chiavistello schioccò sordo; stava per aprire la porta. – Non spero affatto nel tuo perdono, stupido. Non me lo merito. So di non meritarmelo, per cui perché ... perché dovrei volerlo?
L’uscio iniziò ad aprirsi delicatamente, e finalmente Axel fu in grado di vedere con chiarezza una lacrima scendere dagli occhi azzurri di Bianca percorrendo i suoi lineamenti perfetti fino a finire sul suo gilet marrone.
– Inoltre, venire perdonata non mi farebbe sentire meglio. – aggiunse ancora facendo cambiare direzione al suo sguardo. Si morse un labbro con molta forza, tanto che il sangue defluì un po’ dal punto stretto dai denti facendolo divenire più pallido del resto del volto.
– Meglio così, perché non credo che sarai mai perdonata.
– Non mi aspetto di esserlo. – ripeté lei – Solo una cosa vorrei chiederti.
– Cosa? – domandò il biondo roteando gli occhi.
– Se adesso ti ritrovassi davanti ad una ragazza in lacrime, seduta su una seggiola di ospedale, che indossa guanti rossi e una sciarpa marrone, pur sapendo che non si merita nulla, cosa faresti?
– Mi stai prendendo in giro?
– Sono serissima. Se adesso avessi di nuovo davanti un pulcino nero di quel tipo, come reagiresti?
– N-non riesco a capire di che parli, scema! – ribadì con lo stomaco in subbuglio. Che fosse ancora la rabbia? Oppure c’era anche qualcos’altro che stava cercando disperatamente di venir fuori?
Non smise di guardare il volto bagnato della bruna che lo stava letteralmente fissando con la curiosità di un bambino alla ricerca di caramelle.
– Bah, anche se sapessi di cosa parli, non ti risponderei, non penso che te lo meriti. – sviò fingendosi disinteressato nonostante in realtà non desiderasse altro che capire che cosa centrava lui con quel discorso assurdo appena intrapreso dalla ragazza.
– Che delusione, non ti ricordi proprio niente ... – detto questo, Bianca richiuse la porta dietro di sé.
Ma cosa stava succedendo, adesso era lei quella arrabbiata?!
– Sei impossibile ...
– E tu sei irritante! Comunque, non hai risposto alla mia domanda.
– Ti ho detto che non so ...
– Sì, sì, ho capito, non c’è bisogno di sapere niente per rispondermi!
– Può darsi, ma non ti meriti una risposta, mi sembrava di avertelo detto.
– Irritante. – lo criticò ancora lei con quel suo tono superiore. – A proposito di irritazione, dato che non sarò perdonata, non diventeremo mai neanche amici, giusto? – aggiunse poi riflessivamente.
– Oh, andiamo, ma davvero una persona orribile come te sarebbe voluta diventare proprio una mia amica?
– Come mai sento una punta di sarcasmo nella tua voce? – chiese socchiudendo la porta di legno e squadrandolo, ironica a sua volta. Poi sospirò e si limitò ad inclinare la testa da un lato con aria da innocente. – No, diventare tua amica è l’ultima cosa che desidero. – ammise – Però sai, quando non vuoi fare una cosa, è comunque un sollievo sapere che un giorno, se magari cambiassi idea, avresti sempre la possibilità di farla. Invece, oggi io ho perso anche quella.
Doveva ammettere che come ragionamento, in fondo non faceva proprio una piega. La osservò un attimo, e dovette riconoscere che dopo averla vista versare quella lacrima la rabbia aveva cominciato a scomparire. E quel sorrisino innocente non gli permetteva di provare niente di definito.
Si indignò con sé stesso con questa sua debolezza e cercò in tutti i modi di trattenersi dal sorridere.
– Peccato. – commentò ancora Bianca, per poi spalancare la porta con il piede.
Ora erano davvero faccia a faccia, e si stavano fissando entrambi un po’ imbarazzati. Axel sbuffò provocando nel volto di lei una strana perturbazione; possibile che fosse davvero così carina e brava a fare quel visetto innocente da mitigare tutta la sua rabbia? Davvero non se lo spiegava.
 
Ma sì ... alla fin fine, prima o poi l’avrebbe perdonata. Prima o poi.
 
Angolino:3
NON MI PIACE. Questo capitolo mi piace meno di tutti gli altri.
Ci ho messo di più a scriverlo, perché non avevo molta ispirazione.
E poi, con tutti i compiti che mi hanno affibbiato, fra il ripasso per i compiti di greco, matematica e latino, eccetera eccetera io ho fatto quel che ho potuto.
Vediamo cosa ne pensate voi, dopo tutto uno scrittore non può mai apprezzare fino in fondo le sue cose subito dopo averle fatte, bisogna aspettare un po’.
Chissà, magari fra una settimana questo sarà il mio capitolo preferito!
Avvisatemi per eventuali errori, mi raccomando!
 
Kiss :D
KyawaiiChu

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Capitolo 8
*** Forse mi mancherai ***


Allora ... come si suol dire, abbiate pietà di me se faccio un salto del genere.
Perché faccio un saltone enorme, dritto all’esclusione di Axel dalla squadra. Chiedo enormemente scusa, ma ho serie difficoltà a ricordarmi cosa succede nel mezzo, guardando nella mia memoria vedo solo cose che non mi interessano oppure troppo generalizzate, delle partite con la Gemini Storm mi ricordo sempre meno e la trama che trovo su internet non mi basta per scrivere una cosa decente.
Quindi faccio un salto diretto a dove mi ricordo, anzi, alle cose importanti che mi ricordo.
Che comunque è un punto molto importante. Pietà!! Ç.Ç
 
 
--Bianca--
 
– Axel, da questo momento non fai più parte della squadra.
 
Quella frase, pronunciata con tanta serietà e freddezza, aveva spiazzato tutti, proprio tutti i presenti. Tranne lei: non era spiazzata, era sconvolta.
Gli occhi blu scuro della signorina Schiller erano puntati su di lui come due spade, duri e privi di emozioni, e lo fissavano con aria superiore. Inoltre, al contrario di tutti gli altri, non era affatto colpita da quella mancanza di proteste da parte del biondo, il quale non sembrava avere intenzione di protestare in alcun modo.
– Bene. – sentì la sua voce pronunciare, e lo vide voltarsi per andarsene.
Non appena le gambe di Axel mossero un passo, fu tentata di correre davanti a lui e fermarlo prima che fosse troppo tardi, prima che sparisse dalla loro vista, prima che se ne andasse senza provare nemmeno a lottare per rimanere con loro.
Non lo fece.
Innanzitutto, non si sentiva in grado di fare una cosa del genere, senza contare che non aveva la minima idea di come fosse possibile per lei, Bianca Plus, la persona a cui meno sarebbe dovuta interessare la dipartita del cannoniere, sentire quello stupido impulso di impedirgli di lasciarli. Secondo poi, per non reagire a quel modo, era probabile che il ragazzo dagli occhi neri avesse un motivo più che valido, una motivazione che rendeva plausibile tutta quella accondiscendenza che non si addiceva per niente a lui. Sperò vivamente che fosse davvero così.  
 
Il suo istinto era stato represso e nascosto per la prima volta dalla sua scarsa fiducia, non le era infatti mai capitato di sentirsi così insicura da lasciare che il buon senso impedisse al suo cuore di fare tutto ciò che più desiderava; già, solitamente era l’orgoglio a fare questo lavoro, la sua mente si manifestava solo quando arrivava il momento di lavorare o di fare qualche cosa di simile.
Si strinse la testa fra le mani, trovarsi in una situazione di quel tipo era una nuova esperienza per la corvina, che non sapeva come fare per darsi una calmata; fece una smorfia schifata quando si accorse di stare pensando come una stupida ragazzina da soap opera, tuttavia non riusciva a smettere di avere quei pensieri liberi per la testa, quelle astrusità continuavano a regnare indiscusse nella sua mente.
Guardò fuori dal finestrino. Era entrata nel pullman da sola, non voleva avere gente intorno mentre era in quello stato, non lo avrebbe permesso, soprattutto perché non sarebbe mai stata in grado di esprimere correttamente i suoi sentimenti a chicchessia.
I suoi sentimenti ... dopotutto, neanche lei riusciva a comprenderli.
Chiudendo gli occhi, le venivano in mente, senza nessuna spiegazione logica, le sensazioni che aveva provato tempo addietro, l’ultima volta che si era ritrovata a parlare seriamente con il ragazzo dagli occhi neri.
Si trovavano a casa sua, questo se lo ricordava bene; lei si era chiusa dentro, ed era in lacrime seduta appoggiata alla porta, mentre lui le sbraitava qualcosa da fuori. Non riusciva a mettere insieme le cose che si erano detti, tutto ciò che le tornava erano tutte le lacrime che aveva versato, sia per paura che per vera tristezza, udendo la voce di Axel assumere quella sfumatura così furiosa proprio nei suoi confronti.
Alla fine erano riusciti entrambi a calmarsi, ciò nonostante da quel momento avevano praticamente smesso di parlarsi e comunicare, erano diventati completamente estranei l’uno all’altra, non senza che l’angoscia che nel cuore di Bianca era stata creata dal senso di colpa diventasse sempre maggiore a causa di quella lontananza terribilmente asfissiante.
Inoltre, come se non fosse stato già abbastanza, Nelly e anche tutti gli altri non avevano fatto altro che chiederle cosa fosse successo, il perché di quella frattura, il presupposto che impediva loro di continuare con quel loro solito modo di litigare che li aveva resi inconsapevolmente uniti.
E la ragazza rispondeva sempre che non si era spezzato un bel niente, dato che fra lei e l’ormai ex capo cannoniere non c’era mai stata altro che freddezza, per cui non c’era da stupirsi se quel loro rapporto già incrinato sul nascere avesse finito per cadere e cessare di esistere.
Però oramai non era più tanto certa di essere ancora di quell’opinione. Tutti i sorrisi forzati, tutti gli sforzi immani per impedirsi di apparire ferita da quel perenne silenzio, tutta la sua forza gettata al vento ... che noia, non le era proprio possibile pensare a qualcosa di meno doloroso?!
Abbracciò le sue gambe e avvicinò le ginocchia al petto, appoggiandosi di peso al finestrino di quello stupido autobus blu e giallo, totalmente vuoto, che ospitava solo lei e la sua assurda malinconia.
Di sfuggita vide il capitano, il quale aveva appena terminato di parlare con Axel, il suo migliore amico, e anche se aveva un sorriso stampato sul volto si vedeva lontano un miglio quanto stesse male; percepì una lieve sensazione di sollievo rendendosi conto di non essere l’unica ad essere notevolmente intristita per gli ultimi avvenimenti, anche se non era del tutto confortata, dato che comunque Mark ce l’aveva un motivo valido per essere così giù. Lei no: a quanto le era dato sapere, non era mai stata amica del biondo, ed era probabile che mai lo sarebbe stata, in futuro.
In meno di un attimo, ripensò al loro primo incontro, e le venne da ridere.
– Irritante ... – mormorò appena quando tornò finalmente seria.
– Mi hai chiamato? – la raggiunse una voce, trapassandola da parte a parte come una lama. Due mani le coprirono gli occhi; erano congelate, tuttavia Bianca fu pervasa come da un fuoco caldo che le riscaldò ogni punto del suo corpo minuto.
Quando le mani si sollevarono permettendole di nuovo di visualizzare ciò che la circondava, la corvina fu in grado di vedere negli ultimi sprazzi di luce solare, unica illuminazione del camper, in controluce, appoggiato davanti a lei, un ragazzo con una pettinatura bionda come la crema, aggressiva e ribelle, accompagnata da due taglienti occhi neri, un po’ a mandorla e meravigliosamente espressivi.
Aspetta ... meravigliosamente?!
– Era parecchio tempo che non mi chiamavi a quel modo, perfettina. – constatò quest’ultimo come niente fosse, senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
– Irri— – si interrupe facendo finta di tossire – Volevo dire, Axel, da quanto tempo sei qui? – domandò preoccupata.
– Giusto il tempo necessario per osservare il tuo bel visino scosso dalla tristezza ... – si chinò su di lei per osservarla dritta negli occhi, poi le mise un dito appena sotto le ciglia inferiori dell’occhio sinistro, e lo strofinò con delicatezza come per asciugare qualche cosa, provocandole di nuovo quel senso di calore, misto ad un terribile frullo d’ali nello stomaco che continuava ad aumentare fin tanto che si perdeva nello sguardo concentrato di lui – e da queste lacrime. – concluse mostrandole il dito bagnato, scioccandola.
Si era messa a piangere! Peggio, si era messa a piangere davanti a lui, il quale, conoscendolo, avrebbe sicuramente interpretato male il motivo di quelle lacrime!
Si aspettò il peggio, invece lui non disse niente. Solo, si toccò le labbra con il dito bagnato dalle scintille che erano da poco scese dagli occhi cristallini di Bianca e arricciò le labbra in una smorfia disgustata, anche se dopo un secondo si sciolse in un sorriso compiaciuto.
– Sono salate. Lacrime vere, quindi.
Dire che si sentì avvampare era dire poco: era diventata vermiglia fino alla punta dei capelli, sentiva un tale calore che sarebbe potuta persino svenire, e come al solito non capiva minimamente da dove provenisse quell’emozione così sconosciuta.
– Non starai piangendo perché me ne vado, spero. – la schernì sorridendo ancora, stavolta molto più sornione che in precedenza.
– C-certo che no, non mi interessa affatto ciò che fai tu!
Come per magia, il suo orgoglio si era fatto di nuovo strada in mezzo all’ovattato mondo di sensazioni in cui si era andato a nascondere, impedendo alla corvina anche solo di dimostrare la sua allegria all’idea che almeno stava facendo una conversazione normale con lui, prima che se ne andasse.
Perché lei era felice per quel che stava accadendo, e aveva effettivamente pianto per l’angoscia di non vederlo più, senza capirne la vera regione, ma sapeva che era quello il problema che l’affliggeva. Ora che lo aveva ammesso a sé stessa poteva permettere alla sua arroganza di fare il resto, poteva accadere qualsiasi cosa, tanto a lei non interessava. Almeno, così credeva.
Quello stupido ridusse ancora un po’ la distanza fra i loro volti, facendo quasi sfiorare i nasi fra loro, e si morse un labbro.
– Come sei stupida. – sussurrò con un fil di voce, e indietreggiò di colpo, mettendosi a sedere sul pavimento del pullman.
– Stupido sarai tu! – ribatté la ragazza – Si può sapere cosa vuoi da me?
Il bomber non rispose. Rimase nel più tombale silenzio, come se fosse in attesa di qualcosa; passarono cinque buoni minuti così, in silenzio, lui con lo sguardo a terra e lei con i suoi grandi occhi del colore del mare fissi sul ragazzo che, seppur in maniera assurda, la stava facendo preoccupare.
– Gradirei una risposta, sai. – incalzò con una punta di mestizia nella voce, ciò nonostante non ottenne il minimo risultato. Stando così le cose, stava incominciando a sentirsi peggio di prima, per quanto riguardava il peso sul cuore, e per evitare di raggiungere il punto di non ritorno decise di andarsene.
Si alzò in piedi, si stirò gilet e camicia con le mani per scuotere via la possibile polvere ed eliminare le pieghe sgualcite ricavate dallo stare troppo seduta e mosse un passo, per poi bloccarsi immediatamente.
La sua camicia si era impigliata in qualcosa, forse nel finestrino, o nel divanetto su cui era seduta ... quando si girò per eliminare l’impiccio, però, perse letteralmente uno, o forse due, battiti. A tirarla non era uno spuntone del sedile, non un ferro sporgente del finestrino, bensì la gentile mano di Axel, che era scattato in piedi non appena l’aveva vista di spalle.
– A-Axel ... – lo chiamò sorpresa, intanto che le sue guance prendevano una sfumatura purpurea.
Scusa. Questo, ti dovevo dire.
Una parola, un enigma.
Si trovava nella circostanza più imbarazzante che avesse avuto la sventura di incontrare, tanto più che non aveva idea di cosa si stesse effettivamente scusando.
– Eh? Sei sicuro di star bene? – chiese voltandosi verso di lui. Si portò un mano sulla fronte, poi scattò in avanti e fece lo stesso con il giovane, che assunse un’espressione corrucciata e infastidita. – Non mi sembra che tu abbia la febbre. – commentò comparando i loro calori corporei.
Axel le afferrò il polso per divincolarsi da quel tocco e la guardò severo.
– Che discorsi! Questa ti sembra la faccia di uno che sta delirando?! – la rimproverò cupo facendola sobbalzare.
I suoi profondi occhi neri divennero nell’immediato seguito socchiusi e stanchi, come ad esprimere la spossatezza che quella conversazione stava provocando al biondo.
– Sicuro di volerlo sapere? – rispose quella liberando il suo braccio e iniziando a sfiorare con delicatezza i lineamenti di lui con le dita, agendo completamente sotto il controllo del suo istinto, senza nemmeno rendersi realmente conto di quello che stava facendo.
Stavolta fu lui a diventare rosso, il che la fece sorridere. Smise di accarezzare quel volto stupito e si scostò dagli occhi una ciocca della sua ribelle chioma bruna come il carbone.
 
--Axel--
 
Quello era il momento meno adatto per perdersi nello sguardo divertito di quella stupida perfettina, ma non poté fare a meno di obbedire a quell’impulso che gli imponeva di stare zitto, in silenzio ad osservarla.
Non c’era niente da fare, era necessario ammettere che la corvina era un vero esempio di antipatia, ma anche di bellezza allucinante; quel sorrisino rallegrato era come una dichiarazione di guerra alla sua capacità di resistenza, e come spesso gli era successo il dolce e pungente profumo che da lei proveniva colpì all’improvviso il suo olfatto.
Si morse di nuovo il labbro inferiore, davvero non riusciva a comprendere cosa stesse accadendo.
Era lì per parlarle, non per farsi prendere in giro dal suo stesso stomaco!
– Allora, di cosa dovresti scusarti, di grazia? – ringraziò lo sbuffo di Bianca, il quale lo aveva appena risvegliato, e si voltò in un’altra direzione all’unico scopo di non cadere di nuovo in quello stato di semi trance.
– Te la ricordi, l’ultima nostra conversazione, vero? – le chiese, e percepì come quella domanda non l’aveva resa affatto più allegra, anzi, temette di averla colpita un po’ troppo violentemente. Non era però riuscito ad utilizzare più tatto, cosa che lo lasciò lievemente basito.
– Mh-mh. – fu l’inarticolata risposta, più mugugnata che altro, che provenne dalla coordinatrice.
– Bene, è di quello che mi devo scusare. – spiegò.
Avvertì un delicatissimo peso sul braccio, e si accorse che si trattava dell’affusolata mano della ragazza in completo americano, che aveva seriamente iniziato a fissarlo stranita.
– Cosa?!
– B-beh, sì, insomma ... Credo di essere stato troppo duro. Dopotutto, tu non mi hai fatto niente di grave ... Hai solo avuto paura, no? È una cosa normale, ho fatto un terribile errore a prendermela con te a quel modo. – grandioso. E lui che voleva cavarsela con un semplice “scusa” e finalmente andarsene per scrollarsi di dosso quel peso.
Era stato un povero illuso, se aveva davvero creduto che quella perfettina lo avrebbe lasciato fare.
Difatti, l’espressione di Bianca divenne debolmente sorridente, ma non del tutto convinta, evidentemente.
– Questo non è vero ... tu eri arrabbiato, hai scoperto che tua sorella è in quello stato a causa del mio vecchio datore di lavoro, e in più io lo sapevo! Avevi bisogno di sfogarti, è stato giusto!
– No, non lo è stato! – sbottò divincolandosi ed allontanandosi da lei, in preda ad una bizzarra sensazione. – Non dovevo sfogarmi su di te!
– Ma non potevi andare a fare una sfuriata a Dark, né tantomeno a qualcun altro! Davvero, non dovresti sentirti in colpa per questo!
– Non puoi dirmi questo dopo tanto tempo passato ad ignorarmi, non credi?
Oh, no.
Non l’aveva detto sul serio, vero?
Sì invece, l’aveva detto. Perché quella stupida riusciva sempre a fargli dire cose che non voleva, o meglio non doveva, nemmeno pensare?
Ci fu un attimo di silenzio, l’ennesimo, e la corvina arrossì ancora.
Diveniva rossa maledettamente per ogni cosa; era di sicuro una congiura contro di lui, come poteva pretendere di resistere ancora senza abbracciarla, per quanto appariva tenera quando era imbarazzata?
– A-Axel ... – un lungo brivido percorse la schiena del cannoniere quando la ragazza pronunciò di nuovo il suo nome con quell’incertezza nella voce. Non sarebbe resistito tanto, presto avrebbe dovuto reagire in qualche modo per impedire l’impossibile. – È per questo motivo che sei venuto a chiedermi scusa? Perché non ci siamo più parlati da allora? Tu ... se volevi parlarmi, non ti bastava farlo? – troppi interrogativi a cui lui non sapeva rispondere.
– Stupida, non è questo il motivo. – disse girandosi di nuovo nella sua direzione, giusto in tempo per vedere un sopracciglio della corvina inarcarsi scettico.
– Ah no? E che altra motivazione dovresti avere?
– Sto andando via, e non volevo le tue stupide lacrime sulla coscienza, tutto qui. – sentenziò, mentendo alla stragrande.
– Ah, quindi ora le mie lacrime sono diventate stupide?! – esclamò quella, divenendo rapidamente furente.
Per punizione, il biondo subì uno schiaffo sul braccio, e anche parecchio forte.
– Fai attenzione, se resti così violenta nessuno si innamorerà di te! – la schernì con aria sfrontata, senza neanche riuscire a capire da dove arrivasse tutta quella tranquillità. Forse, dal fatto che quel colpo gli permetteva di non approfondire il discorso “sentimenti” ancora per un po’. Praticamente, stava prendendo tempo ...
– E tu che ne sai?! – proruppe la coordinatrice, poi si slanciò i capelli di lato con nonchalance. – Forse, sono un po’ vivace ... – vivace? “Violenta” era molto più corretto. O magari anche “permalosa”, quello sì che era l’aggettivo perfetto per descriverla. – Ma ci sono ragazzi che certe cose le capiscono, non ci sono mica solo irritanti come te sul pianeta!
– Praticamente, stai dicendo che ti farebbe piacere essere amata solo per il tuo aspetto? – la interrogò con ironia.
– Affatto, è proprio l’ultima cosa che desidero.
– Bene.
– Cosa intendi con “bene”?
– L’altra volta mi hai detto che l’ultimo tuo desiderio era diventare mia amica ... adesso hai ammesso che stavi mentendo. – la quindicenne divenne di nuovo vermiglia; si stupì da solo di quando era bravo a farla arrossire, era un vero professionista, ormai.
– G-guarda che è solo un modo di dire, scemo! – provò a difendersi, ma con scarsi risultati.
– E allora perché piangevi, prima? – sapeva di aver centrato il punto giusto per spaccare di netto quel muro d’orgoglio che divideva i veri pensieri di Bianca dal resto del mondo. Con effetti un po’ fuori dal comune, però ci era riuscito.
– Perché mi mancherai, pezzo d’un idiota! Ma non significa che voglia diventare tua amica solo per questo!
Axel non disse nulla, non tentò di rispondere. Osservò solo la mano di lei slittare sulla sua bocca, pentitasi immediatamente di ciò che aveva detto, anche se ormai era troppo tardi per ritirare tutto.
L’oramai ex capo cannoniere della squadra di calcio della Raimon Junior High mosse i suoi passi verso la porta dell’autobus, e stava per scendere, quando si voltò un’ultima volta verso la ragazza dai capelli del colore della pece.
– Un’ultima cosa: se mi ritrovassi in quella situazione ...
– Quale situazione?
– Quella del pulcino nero, non è quello che mi avevi chiesto? – lesse la sorpresa nell’infinità azzurra dello sguardo della sua interlocutrice. – Se mi trovassi in una situazione del genere, se dovessi tornare indietro e riaverla davanti ... – fece una pausa per sorriderle sornione – Ti chiederei perché le tue guance erano così rosse, quando mi hai guardato!
La vide paralizzarsi di scatto, e si lasciò sfuggire una risata sommessa di puro divertimento.
– T-te ne eri accorto?! – gli urlò contro lei quando ormai era già fuori dal pullman; in tutta risposta, lui si girò ancora, con un sopracciglio inarcato ed un sorriso stampato sul volto, misto fra il serio e il gentile, rivolgendole uno sguardo pieno di tranquillità, quella stessa serenità che lei definiva “irritante”.
– Forse anche tu mi mancherai, scema.
 
 
Angolo di quella Pazza che scrive questa Roba!
Togliamo il forse, le mancherà!! Yay, peace and love and don’t kill me please!
Brevino il capitolo, nh?
A parte questo, non so come possa essere venuto questo capitolo, non sapevo come introdurre la seconda parte della serie.
Però ho provato a fare del mio meglio, spero che questo mi abbia aiutato un po’ :)
Ci ho messo fatica, quindi non vorrei aver fatto un casino.
Ho fatto un casino?
Tanti saluti alla vaniglia e alla fragola.

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Capitolo 9
*** Odiava l'Hokkaido ***


La testa non le faceva più male come prima, ma continuava a girarle. Sarà stato il freddo del vetro al quale la sua nuca corvina era poggiata, o magari non era abituata al clima affatto temperato del luogo, oppure era tutta colpa gli spifferi gelidi che entravano dal finestrino semi aperto di quel folle senza cervello di Mark, che guardava il panorama in movimento con un enorme sorriso a trentadue denti dipinto sul volto.
Beh, anche lei lo stava vedendo, quel mondo innevato al di fuori del pullman blu e giallo, tuttavia non lo stava propriamente osservando: i suoi occhi azzurri si posavano sulla neve con pura passività.
Perché? Tanto per cominciare, lei non ci sarebbe mai andata di sua spontanea volontà, il quel posto che sembrava fatto apposta per far rattrappire i muscoli, raggelare il sangue nelle vene, indolenzire le ossa e mutare il rosa delle sue labbra in un violaceo infreddolito.
Aveva già cominciato a pentirsi di indossare pantaloni così leggeri e una camicia a maniche corte, anche perché fino all’età di tredici anni aveva vissuto nella calda Okinawa, dove il sole spaccava le pietre quando faceva fresco.
Socchiuse gli occhi.
Perché il freddo era solo una scusa, dopotutto.
Certo le dava parecchio fastidio sentire le ossa doloranti per via dello sbalzo da fuori da dentro l’autobus e viceversa, però non era quello il motivo del suo lento e inesorabile cammino verso il detestare quel posto.
L’Hokkaido.
Si trovavano in Hokkaido. E cosa sarebbe successo in Hokkaido? Facile, la Schiller avrebbe ingaggiato un giocatore. E non sarebbe stato un semplice giocatore; sarebbe stato il dannatissimo sostituto del suo irritante e talentuoso amico dall’aggressiva chioma bionda. Come lo aveva chiamato Celia? Frost? Sì, Shawn Frost. A quanto pare era un famoso giocatore proveniente da una scuola media del luogo, l’Hakuren, e la ragazza si ricordava perfettamente di averne sentito parlare, quando lavorava ancora per la Royal Academy. Il lupo dei ghiacci avrebbe sostituito il bomber di fuoco.
Come poteva non essere turbata dalla cosa?
Afferrò il bordo del cappello e se lo calcò meglio sul capo in modo da coprirsi debolmente gli occhi. Odiava il freddo, e odiava l’Hokkaido.
 
– Guardate!
– Ehi, è una persona!
– Sta congelando!
– Dobbiamo dargli una mano!
Il signor Veteran accostò vicino al ragazzo che stava sul ciglio della strada, immobile, abbracciato ad un pallone da calcio, tremante come una foglia; e non c’era da biasimarlo per questo, rivoli di brina scendevano lungo i suoi capelli argentati con aria minacciosa, così come la vera e propria neve sulla sua nuca. Sì, stava letteralmente brinando, il povero ghiacciolo.
Gli aprirono la portiera e uscirono (in quattro, forse?) per prenderlo dentro il pullman il più rapidamente possibile e avvolgerlo in una coperta calda il modo che il freddo scomparisse. Cosa che avvenne, dato che dopo poco il nuovo arrivato tirò un sospiro sollevato, che tranquillizzò tutti quelli che si erano messi vicino a lui. Appurato che stava bene, tutti tornarono a sedersi; tutti meno Bianca, che neanche si era alzata. Per forza, si era addormentata! Ma ovviamente ci pensò il sobbalzo che la vettura fece mentre ripartiva, a svegliarla. Sussultò dalla sorpresa, e il cappello marrone le cadde dalla testa scivolando verso l’albino avvolto nella lana che gli era stava offerta.
– Un cappello texano? – disse quello prendendo un’aria perplessa. La corvina gli fece cenno di restituirglielo e lui obbedì, passandolo a Celia che a sua volta lo riconsegnò nelle mani della legittima proprietaria. – Non è normale vedere una persona abbigliata a quel modo, qui in Hokkaido. – commentò ancora il ragazzo.
– Non è normale da nessuna parte, è lei che è così. – replicò senza troppo interesse William, quel subdolo idiota con gli occhiali. L’accusata lasciò correre, la mente offuscata dal dolore alla testa che continuava ad aumentare.
Ottenuta quella risposta, il giovane appena salvato dal freddo congelante del suo paese natale incominciò a parlare tranquillamente con i ragazzi; sentendo senza ascoltare, Bianca notò che nessuno dei suoi amici ebbe l’idea geniale di domandargli il suo nome e accennò un sorriso misto fra lo schernitore e il nervoso.
– Che faccia strana. – la richiamò la voce della sua migliore amica, seduta nel posto davanti al suo, che si girò verso di lei e la scrutò preoccupata. – B, sicura di stare bene? – la classica domanda posta mille e mille volte da quando erano partiti.
– Sono solo nervosa per il freddo. – mentì rivolgendole il sorriso più sincero che le era possibile fare. Poi sospirò e tornò a fissare il paesaggio. – Odio questo posto. – bisbigliò con convinzione nella voce.
– Ce ne andremo non appena avremo incontrato questo Shawn Frost. – rimbeccò piccato il ragazzo seduto alla sua sinistra, guardandola con i suoi occhi del colore del thè. Nathan le sorrise per mostrarsi incoraggiante, senza ottenere ovviamente il minimo risultato.
– Io sono d’accordo con la brunetta. – asserì seria una voce, proveniente da due file più indietro e per giunta dal lato opposto del pullman.
– Nessuno ha chiesto il tuo parere, Kevin. – aggiunse Nelly inarcando un sopracciglio molto, molto sarcasticamente. In tutta risposta, il rosa sbuffò e finse di addormentarsi. La rossa tornò a concentrarsi sulla sua amica in abbigliamento western. – E dai B, non fare la bambina. Vedrai che saremo via da qui prima che tu te ne accorga. – la risposta semi borbottata non fu udibile per nessuno fuorché per la stessa mora, ma tutti erano sicuri che fosse un’imprecazione.
– Già che siamo in tema, Bianca, tu sai qualcosa di questo Shawn? – chiese Celia voltandosi a sua volta come la presidentessa della squadra. I suoi occhiali rossi, che di solito le incorniciavano la fronte, erano sul suo naso e il suo computer portatile rosa era acceso sulle sue cosce. Stava ancora esplorando internet alla ricerca di informazioni sul lupo dei ghiacci, quindi.
– Non molto più di quello che hai letto prima ad alta voce. – la sua stessa voce le risuonò strana nella testa; probabilmente a causa della stanchezza e del mal di testa, era lievemente roca. Sospirò, come per trovare la forza di continuare, poi aggiunse: – So solo che dalle sue parti è come un mito vivente. Lo hai detto tu, che ha persino messo in fuga un orso. Dicono che sia un giocatore dalla straordinaria abilità e di grande talento, e che pratichi molti altri sport, tutti con l’unica tematica della neve. Spero solo che tutta questa fama non l’abbia reso un pallone gonfiato come temo. – terminò acida per poi schiarirsi la voce per farla tornare come prima. Ora nel bus c’era solo silenzio, tutti i componenti della squadra e dello staff, fuorché Kevin, tenevano gli occhi puntati sulla corvina che aveva appena concluso il suo discorso. Quest’ultima roteò il suo sguardo marino e riprese ad osservare la strada semi ghiacciata, stavolta con un astruso interesse. Dopo pochi secondi, il chiacchiericcio tornò padrone del mezzo di trasporto; Bianca tirò un secondo sospiro e rivolse il suo sguardo verso Nathan. Alzò debolmente gli occhi per spostarli sull’albino seduto nella prima fila del lato opposto del pullman.
Prima, mentre parlava, aveva sentito la sua attenzione starle addosso. Ed era riuscita a scorgere i suoi occhi.
Erano magnificamente blu.


– Stiamo scherzando, vero?! – la voce dell’attaccante dai rasati capelli rosa risuonò in tutta l’Hakuren.
I pensieri di Bianca conversero tutti nella stessa direzione.
Il ragazzo che avevano davanti era Shawn Frost. Aveva una pettinatura liscia e leggermente spettinata del colore dell’argento, e i suoi grandi occhi gentili erano di uno spento blu scuro, esprimevano una grande sensazione di pace e serenità a chiunque fosse così sfortunato da osservarli bene: era fin troppo facile perdercisi dentro.
Era il ragazzo del pullman. Cavolo, era il ragazzo del pullman!
Le venne in mente quel momento, quando la ruota dell’autobus si era incastrata in una buca, e qualcosa di simile ad un orso aveva cominciato ad avvicinarsi, terrorizzando tutti quanti all’interno della vettura; ma non l’ospite che era stato salvato dal gelo. Lui era sceso con tranquillità e, tempo mezzo minuto, l’orso era fuggito e la ruota era di nuovo sull’asfalto piano della strada.
Un ragazzo dell’Hokkaido con la capacità di mettere in fuga un orso. Si rese conto che in quell’istante, quando era rientrato sorridente nel bus con una tranquillità disarmante, aveva realizzato come fosse anomalo e assurdo quel giovane albino, ciò nonostante non aveva intuito chi in realtà fosse.
Come diavolo aveva fatto a non capire che si trattava di lui?!
Vide Kevin uscire dalla stanza e la manager dai capelli verdi lo seguì frettolosa. Evidentemente si era persa qualche passaggio, ma capiva perfettamente cosa passasse nella mente del ragazzo appena corso fuori. Probabilmente era lo stesso pensiero che attanagliava tutti, non solo lei.
Già. Si sentì confortata. Non era l’unica a non sopportare l’idea di avere una nuova punta d’attacco nella squadra della Raimon.
 
Essere la coordinatrice dei ragazzi in divisa blu e gialla, lentamente, era diventato sempre più piacevole. I suoi amici, sin da quando era entrata a far parte dello staff, si erano subito rivelati dei ragazzi fantastici e, lo avrebbe potuto ripetere fino alla morte, aveva progressivamente iniziato ad adorarli. Primo fra tutti, Jude. Difatti, a completa sorpresa, una volta divenuto regista della Raimon, il rasta si era dimostrato un vero amico, in ogni situazione, anche quando aveva rivelato a quello che all’epoca era il capo cannoniere della squadra il legame fra Bianca e la Royal; praticamente, adesso era noto a tutti come Jude fosse letteralmente il migliore amico della corvina.
Anche con Nathan la coordinatrice dal cappello americano sempre calcato in testa aveva un ottimo rapporto. Stranamente, si erano accorti di essere d’accordo quasi su tutto, esattamente come con Nelly, che rimaneva comunque ed indiscussamente l’amica più cara che Bianca avesse.
Passava anche molto tempo con Silvia e Celia, tuttavia con queste due ultime non era completamente “amica”. Non che non si stessero simpatiche a vicenda, ovvio, ma l’amicizia era una cosa diversa. Quelle tre erano più che altro come colleghe unite dallo stretto rapporto lavorativo e dal divertimento e l’allegria nel vedere i ragazzi divertirsi sul campo.
Bianca dovette ammettere a sé stessa che più e più volte era finita a parlare, molto spesso in inglese, con Eric. Il castano non sembrava certo il tipo da discutere proprio con una ragazza esigente e orgogliosa come lei, e invece chiacchierare con lui era quasi rilassante. Senza un motivo preciso, però, parlavano tranquillamente solo quando erano soli.
Insomma, la bruna era felice di averli conosciuti, più o meno tutti. Beh, a dirla tutta, c’era qualcuno che non le andava molto a genio.
Kevin Dragonfly, per esempio. Aveva un carattere troppo aggressivo. Senza mettere in discussione il suo buon cuore, che lo accumunava con praticamente tutti, Bianca non amava le persone come lui.
O, perché no, William Glass, detto “Willy”. Quello sì, che era un vero idiota, orgoglioso della sua vita passata a leggere fumetti, guardare cartoni e giocare a videogiochi. Non che questo hobby fosse da criticare, ma ... fare qualcos’altro nella vita, no? A calcio non sapeva nemmeno giocare, a essere sinceri, non meglio di un ragazzino di quinta elementare, e vantava di essere chissà quale genio di quello sport. Vanesio e borioso senza che qualcosa gliene desse un vero motivo.
Alla lista, adesso, c’era da aggiungere un terzo nome: Shawn Frost.
C’era da ammettere che l’albino era, sinceramente, uno dei ragazzi più belli che avesse mai visto. I suoi occhi elargivano solo sguardi gentili e il suo sorriso era sempre dolce e sincero, e al contempo nascondeva un’ombra di malinconia che dava un tocco di mistero ai suoi lineamenti; inoltre aveva una carnagione molto candida, sembrava fatto di una porcellana fragile e vellutata.
Quindi, l’aspetto era assolutamente un argomento indiscutibile: Shawn era bellissimo.
Il carattere. Quello sì, che non le piaceva per niente.
Non era, questo no, il pallone gonfiato che effettivamente la giovane dagli occhi del colore del cielo si aspettava; eppure, c’era qualcosa di indefinibile, in quella sua costante tranquillità, che la faceva impazzire. Era troppo calmo, tanto da raggelare il sangue nelle vene delle persone.
Quel tipo di serenità era diversa da quella sarcastica, silenziosa e irritante di Axel. Perché i sorrisi del lupo dei ghiacci non le facevano venire farfalle e voglia di rompere qualcosa nello stomaco. Solo un vuoto che non poteva essere riempito. La gentilezza di Shawn era impagabile, era di sicuro l’essere più gentile, educato e calmo del mondo e questo non era di certo un male; ma a Bianca Plus i pezzi di pane senza un briciolo di carattere provocavano solo incontenibile rabbia. Peggio di quanto facesse l’irritante modo di essere di un certo cannoniere dai taglienti e profondi occhi neri.
Mentre Bianca rifletteva su tutto questo, erano successe parecchie cose a cui lei non aveva dato peso. Si erano tutti (lei compresa, naturalmente) diretti verso il campo dell’Hakuren. Sorpresa delle sorprese? Era mezzo ghiacciato. Molto originale, già.
Sulle scale, Celia era scivolata e a salvarla ci aveva pensato il ragazzo dalla chioma argentea, facendola arrossire. In quel momento, la coordinatrice della Raimon si era chiesta cosa stesse pensando Jude ... non era geloso della sua sorellina? 
Accadde anche qualcosa che incuriosì non poco tutti i presenti, o quantomeno quelli provenienti da Tokyo: al minimo cadere di trucioli di neve giù per le scale, il coraggioso cacciatore di orsi si era rannicchiato su sé stesso e sembrava in procinto di svenire; si era messo a dondolarsi avanti e indietro come un bambino impaurito da una storia dell’orrore.
Il sopracciglio di Bianca si inarcò da solo.
– Avrei preferito Axel. – si lasciò sfuggire in un sussurro, per poi sussultare e guardarsi intorno cauta per assicurarsi che nessuno l’avesse sentita. Fortunatamente, sembrava che fosse così.
E alla fine la partita di prova iniziò, con Shawn nella difesa della squadra con la divisa bianca. La corvina si morse il labbro inferiore guardandolo gravemente. Quanto avrebbe desiderato poter conoscere qualcosa in più su di lui prima di vederlo giocare! Però, neanche lei era riuscita a sapere niente di Frost. E invece niente.
Ebbe un brivido. Nonostante il giaccone che le era stato dato da Nelly, aveva ancora molto freddo.
Decise di concentrare tutte le sue attenzioni sulla partita, giusto per distrarsi un po’. Con sua grande sorpresa, se ne pentì, seppur poco.
In meno di un attimo, il pallone finì dritto fra i piedi di Shawn, e chiuse gli occhi per un secondo, sfiorando quasi accidentalmente la sua sciarpa bianca con la mano; il vento fece svolazzare la stoffa di quest’ultima, e quando gli occhi del ragazzo si riaprirono era come un’altra persona.
E i suoi occhi erano come due grandi e luminosi dischi dorati, colmi di energia e di voglia di muoversi. Un ghigno divertito apparì in sostituzione del sorriso gentile che fino a quel momento aveva suscitato solo, per così dire, inimicizia da parte della ragazza che indossava quel cappello così estraneo alla cultura giapponese. E lei si sentì obbligata a sbattere più volte le palpebre per riuscire a credere che quello fosse lo stesso Shawn che aveva visto prima.
Senza attendere oltre, l’albino, con quella nuova espressione dipinta sul volto, scatto in avanti, rivolgendo un sorriso divertito al resto dell’Hakuren che era rimasta indietro: tutti i suoi compagni lo guardavano felici e sorridenti.
– Lasciate fare a me! – gridò lui, rivolto ai suoi amici. Anche nella sua voce era scomparsa ogni traccia del ragazzo che era stato soccorso perché era congelato lì, sul ciglio della strada. – Adesso segnerò un goal come quelli che faccio sempre! – assicurò con convinzione.
Bianca sospirò. Allora Shawn era davvero un pallone gonfiato, alla fin fine!
Nel frattempo, anche i ragazzi della Raimon erano rimasti lievemente sconvolti da quell’improvviso cambiamento di atteggiamento e soprattutto di posizione in campo, tuttavia presto si risvegliarono. Il primo fu Dragonfly, che gli si parò davanti.
– Non credo proprio! – gli rispose, come se l’altro avesse parlato a lui. Shawn ghignò ancora e, senza dire niente, lo superò con una grazia terribilmente assurda, lasciando attonito ogni singolo membro della squadra gialloblu e dello staff di quest’ultima. Il rosa tornò all’attacco, ma ogni sforzo fu vano. La palla nera e bianca rimaneva sui piedi dell’albino.
Li scavalcò e sorpassò tutti senza la minima difficoltà, arrivando faccia a faccia con Mark con estrema facilità. Fu in quel momento, quando nessuno era lì a proteggere la porta fuorché il portiere dai capelli castani e con la fascia arancione che gli attorniava il capo, che tutti iniziarono a scrutarli con il fiato sospeso.
Shawn balzò, portandosi dietro il pallone, ormai inglobato in una specie di ghiaccio apparso dal nulla, e un vento gelido avvolse il giocatore che piroettò nell’aria. Gli occhi turchesi di Bianca si sgranarono con enorme sorpresa e interesse. Il piede dell’albino colpì il pallone, che sfrecciò verso il capitano della Raimon.
– Tormenta Glaciale! – esclamò denominando la sua tecnica e fissando l’avversario con un sorriso beffardo che non sembrava appartenere ai tratti dolci del suo viso.
– Mano del colosso! – replicò l’altro, e il gigantesco demone della Mano del Colosso apparve dietro di lui, colpendo il pallone con il palmo.
E il tiro non si fermò nella mano aperta di Mark, bensì deviò verso l’alto e tutti alzarono gli occhi per vedere la reazione del tirante che, non appena posò di nuovo i suoi piedi per terra, mostrò un’occhiata stupita verso il ragazzo davanti alla rete.
Poi rivelò ancora i suoi denti bianchissimi nel sogghigno di prima.
– Bravo! Nessuno era mai riuscito a deviare la Tormenta Glaciale, prima d’ora. – si complimentò.
– Ho capito! – esultò quell’altro raccogliendo a sua volta le espressioni curiose di tutti quanti – Tu non sei né un difensore, né un attaccante!
Il sorrisetto sprezzante dell’interpellato si ripresentò, e la bruna dovette appellarsi a tutto il suo controllo per non andare lì nel campo per prenderlo a ceffoni.
– Io sono Shawn Frost! – gridò in risposta – E sono il centrocampista più forte di tutti i tempi!
Già. Il peggior arrogante della Storia dell’umanità, altro che miglior centrocampista!


– Alla fine sei un pallone gonfiato. – l’albino si voltò verso la ragazza che gli aveva parlato; era seduta accanto a lui, nella quarta fila del lato destro del pullman. Sin dalla prima parola che si erano scambiati, anzi, dalla prima cosa che le aveva sentito dire, aveva capito che la coordinatrice della Raimon sarebbe stata un osso duro con cui trattare.
Non per questo di certo si sarebbe arreso, in special modo ora che indossava la divisa gialla e blu della squadra. Però, sostenere lo sguardo per niente rassicurante della corvina che lo stava fissando non troppo felicemente con due grandi ed espressivi occhi azzurro mare era qualche cosa di abbastanza faticoso.
– Ecco, io ... – fece per giustificarsi, ma le parole gli morirono fra le labbra chiare, ora leggermente dischiuse. Non poteva certo spiegarle che non era lui, ad essere un pallone gonfiato, ma quel pazzo di Hayden!
– Lascia perdere. – mormorò quella sospirando. Gli occhi blu di Shawn andarono a cercare sull’espressione di Bianca quel qualcosa che si era perso, quel passaggio che aveva apparentemente cancellato l’ostilità, mutandola in mestizia.
– Eh?
– Il tuo carattere non mi piace affatto, – cominciò lei prettamente schietta – nessuno dei due. – aggiunse facendo cambiare direzione al suo sguardo – Ma sei bravo a giocare. Quindi, – mostrò un accenno di sorriso, molto facile fu capire come fosse forzato – ti ringrazio in anticipo dell’aiuto che ci darai contro gli alieni. Ma – assottigliò gli occhi, mentre l’albino la osservava e ascoltava un po’ attonito – se ce la fai, cerca di starmi alla larga. Per favore. – concluse.
Shawn serrò e riaprì gli occhi con rapidità per un paio di volte, poi si sciolse in un sorriso. Aveva già capito cosa l’orgoglio stesse impedendo alla sua interlocutrice di fare. Le impediva di confessare che non era il carattere, a renderglielo antipatico; esattamente come l’attaccante, Kevin, che subito si era mostrato contro la sua entrata in squadra, anche la coordinatrice non lo vedeva di buon occhio per la mancanza di qualcosa.
Lui non era Axel, non era quello che alla corvina serviva per sorridere.
 
 
♥Angolo spastico.
 
Ciao.
È più breve del solito, il capitolo? Boh, non lo so. Su Word dice che sono 9 pagine, e gli ultimi tre li ho fatti di 12 ... ma non lo so.
E sì, quando dice che Kevin e William non le vanno a genio, praticamente è Anna che parla. Io odio questi due personaggi con tutta me stessa.
Già che siamo in tema, stavo pensando di iniziare a usare i nomi giapponesi dei personaggi. Non tanto perché quelli italiani non mi piacciono più di tanto -anche se è così- ma per poter aggiungere alla storia il dettaglio della cortesia giapponese: chiamare per cognome o per nome e cose varie, per intenderci.
Però voglio prima il vostro parere, perché mica sono molto sicura ... che ne dite? Alla fine, sì o no, per me è uguale.
Ci si vede. ♥

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Capitolo 10
*** Il lupo e il sole ***


– No.
Quella parola, così secca e acida, ripetuta così tante volte, tanto che adesso la voce della corvina era roca e sembrava destinata a non dire mai più nient’altro, risuonò come estranea alle quattro ragazze che la stavano attorniando.
In particolare, quella a fissarla più insistentemente era la ragazza incontrata prima del viaggio in Hokkaido, la figlia del primo ministro, Victoria.
– Che male c’è ad ammetterlo? – domandò quest’ultima, anche lei piuttosto ripetitiva. Praticamente, quella questione era stata posta dalle quattro almeno una cinquantina di volte.
Avvolta nel suo sacco a pelo verde, Bianca lanciò l’ennesima occhiataccia alla rossa, che di rimando le rivolse uno sguardo curioso con i suoi grandi occhi blu notte.
– Victoria ha ragione, non dovresti vergognarti. – intervenne Silvia con il suo solito sorriso gentile. Anche lei, ovviamente, ricevette lo stesso trattamento della ragazza dal berretto blu, e le restanti due sospirarono esasperate.
No, la coordinatrice non avrebbe mai dato loro la soddisfazione di ammettere quello che volevano sentire, nonostante corrispondesse alla pura verità; mai e poi mai, avrebbe confessato di avercela con Shawn per quel motivo!
Ringraziò il cielo che i ragazzi dormivano sul pullman e le ragazze nella tenda al di fuori del mezzo di trasporto della squadra, altrimenti si sarebbe trovata in imbarazzo non davanti a quattro sue amiche, bensì davanti ad un branco di maschi che in quanto a sensibilità su quel genere di argomenti non erano superiori al pallone che calciavano come degli esaltati tutto il giorno. 
– Certo che sei strana. – commentò ancora la Vanguard – Io non avrei alcun problema nell’ammettere di sentire la mancanza di una persona.
– Ma io non sento la mancanza di nessuno! – sbottò, sempre più indispettita da quella continua insinuazione, l’accusata.
Sempre così, da quando erano ripartiti dall’Hokkaido. Tutto un “Bianca, stai bene?” “Perché non vuoi dare una chance a Shawn?” “Sei nostalgica?” “Ma sì, è così!” e via dicendo. Risultato? Una ragazza dai mossi capelli corvini con la voce roca per tutte le volte che aveva risposto con quei secchi monosillabi e con un perenne diavolo per capello.
E lei che pensava di essere partita per fermare quei pazzi dell’Alius Academy, si era ritrovata sommersa da quattro voci insistenti e da quattro paia d’occhi che l’osservavano ogni due secondi. Era stanca di quella situazione. Insomma, non era stata già abbastanza turbata dal disastro del ritorno di Ray Dark con quella dannata idea dell’Absolute Royal Academy e delle tecniche proibite*?
– A questo punto, era meglio la compagnia di Nathan. – borbottò ostentando convinzione nella voce. Effettivamente, anche il turchese, che le era stato seduto vicino durante quel primo tratto di percorso alla volta di Osaka, non aveva fatto altro che chiederle cosa le stesse succedendo, e anche lui aveva capito la vera motivazione del suo comportamento stanco. Anzi, a dirla proprio tutta l’avevano capito praticamente tutti. Comunque, sempre meglio che quattro ragazze che la tartassavano di domande come dei lupi affamati, no?
– Guarda che potrei offendermi, sai? – intervenne allora Nelly affiancandosi alla sua migliore amica.
– Oh, allora mi scusi, signorina Raimon. – mormorò sarcastica sorridendole maliziosa e punzecchiandole un fianco con un dito.
– E invece non la perdono, signorina Plus. – ribatté lei – Almeno finché non ammetti di sentire la mancanza di Axel. – e fu così che il bel viso della rossa fu colpito dal cappello della bruna. – Ahia! – si lamentò ridendo.
– Peccato, vorrà dire che non sarò mai perdonata. – constatò piccata per poi sdraiarsi e girarsi in modo da dare le spalle a tutte e quattro le sue ‘inquiline’. – Buonanotte ... galline! – le schernì, provocando una tale ilarità che qualcuno, nel pullman, fu svegliato, e si stropicciò gli occhi con fare esausto.
Si tirò a sedere sul posto, facendo cadere per terra la testa di Eric, che si era appisolato sulla sua spalla; fortunatamente, sembrava che il castano avesse il sonno pesante.
Shawn posò i suoi semi addormentati occhi blu sul finestrino della vettura, e vide la tenda rosa delle ragazze, capendo finalmente da dove provenissero quel chiacchiericcio e poi la risata che lo avevano svegliato. Sospirò. Era membro della Raimon da molto poco ancora, e già stava perdendo il sonno ... però non era colpa dei ragazzi con cui viaggiava. Era colpa di quel pazzo di un portiere della Epsilon, ecco di chi.
Da quando Dvalin era riuscito a parare la Tormenta Glaciale, adesso lo spirito furioso di Hayden impediva all’albino di chiudere occhio. Strinse la mano intorno ad un lembo della sua sciarpa bianca e, come di solito gli succedeva, riuscì a percepire lo smuoversi dell’animo del suo gemello non del tutto sopito nel suo corpo.
– Stai calmo ... – sussurrò appena.
 


 
Era in quel Luna Park da soli cinque minuti e già voleva andarsene. Che poi, se tutti stessero effettivamente cercando la base segreta degli alieni, non sarebbe stato un problema. E invece, non ce n’era uno, neanche uno solo, di quella massa di suoi coetanei che non stesse facendo altro che divertirsi.
Vide di sfuggita Nelly salire sulla grande ruota panoramica insieme a Silvia, Victoria e, tu guarda il caso, il “suo” Mark. Si chiese come fosse possibile che le sue amiche fossero così sfacciate: prima le rinfacciavano il sentimento, tra l’altro inesistente, che secondo loro legava la corvina ad Axel, e poi erano loro per prime a mostrarsi innamorate perse del capitano! Cosa ci trovassero, poi ...
Comunque, non le interessava. Avrebbe sicuramente trovato il modo di far capire a quelle tre che era sinceramente stufa, e che loro non erano nelle condizioni adatte per farle la predica.
– Bianca! – la coordinatrice si voltò, seppur per niente sicura di voler guardare in faccia il proprietario di quella voce tremendamente troppo serena. Come faceva a essere così tranquillo e gentile in ogni situazione?
– Frost. – lo accolse atono fulminando le due oche che gli ridevano, entrambe appese ad una delle sue braccia.
– Trovato niente? – domandò sereno il numero nove della squadra, scrutandola con i suoi grandi occhi turchese profondo. No, non si doveva perdere in quei dettagli, accidenti!
– No, – fece cambiare di nuovo direzione al suo sguardo – e a meno che tu non abbia avuto più fortuna, vorrei che mi lasciassi in pace. – si lasciò sfuggire fra i denti, anche se una lieve fitta allo stomaco le fece intendere che in realtà non voleva rimanere di nuovo sola in mezzo a tutta quella folla.
– Che maleducata! – mormorò una delle due oche, e lei la fulminò con le sue iridi celesti, ormai ridotte a due fessure sottilissime che somigliavano molto a delle lame.
– Ma no, è solo un po’ stanca, non dovresti dire così. – la difese sorridente l’albino, e quella di rimando arrossì e annuì. Brutta oca ipocrita e stupida!
Shawn parve accorgersi del suo turbamento, perché sorrise radioso anche alla cowgirl, che non poté trattenersi dall’arrossire impercettibilmente. Diamine, va bene che non aveva un briciolo di carattere, però era troppo magnetico.
– Ti va se cerchiamo insieme? – propose il ragazzo, fra le lamentele indispettite delle due oche. Stava forse approfittando della sua esitazione?!
– No. – ribatté a fatica – Piuttosto che passare insieme a te il pomeriggio, preferisco mangiare una delle rane di Scott. – palesò ostentando convinzione, per poi girare i tacchi dando le spalle ai tre e andarsene. Di nuovo sentì la disapprovazione di una delle ragazze che affiancavano Frost, e di nuovo percepì come lui la stesse difendendo. Perché? Perché quel folle cercava di ingraziarsela anche se era ovvio come lei non lo potesse vedere?
Sollevando lo sguardo, intravide una ragazza dalla carnagione scura, le labbra carnose e una liscia capigliatura celestina simile a quella di Nathan che si trascinava dietro ... Eric?!
 
Suzette spinse con delicatezza il parapetto dell’attrazione del parco, e un meccanismo si sbloccò, trasformando quel posto in un vero e proprio ascensore, lasciando tutti di sale.
Hai capito le ragazzine.
E loro, che pensavano di essere in un semplice parco divertimenti della provincia di Osaka!
E invece, con quel semplice gesto il capitano di quella squadra composta unicamente da ragazze trasportò la Raimon e tutto il suo staff in un’enorme, anzi, mastodontica base di allenamento speciale.
– In ... credibile ... – mormorò colpita la coordinatrice, mentre Suzette e le sue compagne di squadra scortavano i ragazzi e le tre manager a visualizzare attentamente, e chiaramente anche utilizzare, tutte quell’attrezzatura da alto livello agonistico.
Alla corvina non sembrava affatto possibile che quelle ragazze che avevano un’età che corrispondeva più o meno alla sua potessero averla costruita o anche solo commissionata a qualcuno. C’era qualcosa che non afferrava.
Inoltre, quel posto le incuteva timore, ansia, forse anche un po’ di soggezione e insicurezza. Era così scuro e tetro, e il rumore dei macchinari in movimento era abbastanza sinistro. Per non parlare dei gridi che ogni tanto i membri della squadra che coordinava, le mettevano quasi la pelle d’oca.
 
Mentre segnava su un taccuino offertole da Silvia tutti gli esercizi imposti da quei grandi macchinari di allenamento e in particolare i progressi che i ragazzi ottenevano utilizzandoli, le parve di sentire un urlo, soffocato dalle mura che dividevano la grande sala da quella riservata all’allenamento per i tiri in porta. Quella dove si stava torturando Shawn.
Tentò di reprimere violentemente l’impulso di inquietudine che sembrava volerla spingere ad andare a controllare, ciò nonostante sembrò che il corpo si muovesse da solo. Si alzò delicatamente in piedi, e lentamente si avvicinò a quella porta, per poi bloccarsi con il cuore in gola, insicura se procedere o meno.
– Ehi? – sussultò, ma subito tirò un sospiro di sollievo. Era Jude, ad aver richiamato la sua attenzione. – Come mai sei così in allerta? – ghignò il rasta, mentre una luce curiosa rifletteva le lenti scure dei suoi occhiali.
– Signor Sharp, io sono sempre allerta. – riscontrò alzando il mento con fare superiore; dopodiché, esitò un momento e sospirò, in palese imbarazzo. – Non sarà troppo duro, questo allenamento? – sussurrò appena guardando con preoccupazione la porta che le si ergeva davanti agli occhi.
– Non preoccuparti per Shawn.
– Io non sono ...! – inutile ribattere, il regista si era già incamminato all’interno per chiamare l’attaccante ad allenarsi un po’ sulla difesa. Bianca fremette. Accidenti, come era possibile che Jude fosse così ... così Jude, ecco!? Si accorse solo dopo di aver formulato un pensiero assurdo. Stava forse impazzendo?
I due si diressero verso il macchinario di allenamento per la difesa. Non rimanere immobili ad osservare il ragazzo con il collo coperto dalla sua sciarpa bianca era impossibile. Era troppo bravo, troppo. Difatti, si stancò dopo appena cinque, al massimo dieci minuti, e il carattere aggressivo, che per la cronaca si manifestava solo quando aveva un pallone ai piedi, prese il sopravvento.
– Stare qui è inutile! – sbottò contrariato e corse di nuovo nel punto in cui si trovava prima, in quella sala isolata, davanti alla porta e al portiere robot contro il quale si avventò con violenza, tanto che sembrava di volerlo distruggere a forza di pallonate.
Jude le aveva detto di non preoccuparsi per lui ... per quanto le seccasse ammetterlo, non riusciva a seguire questo consiglio. Più sentiva le grida esasperate e anche agghiaccianti di rabbia dell’albino provenire da quella stanza, una lama di ghiaccio le percorreva lo stomaco.
Le faceva pena.
Vederlo, anzi, sentirlo che si sforzava così tanto la faceva sentire in ansia. Eppure, pensava di odiarlo.
Non era di certo la stessa sensazione che provava con tutti gli altri, non era preoccupazione. Né somigliava minimamente all’opprimente calore della presenza di Axel nei suoi pensieri. Quello era il freddo, il freddo di un’astrusa e singolare empatia che la faceva stare male.
Senza che lei se ne accorgesse, tutti i membri della Raimon, le manager e le ragazze della CCC si erano soffermati a fissare la grande porta blu e rosa e ascoltare con il fiato sospeso la voce furiosa del Frost.
– Meglio lasciarlo solo, vedrete che si calmerà. – cercò di riportare la serenità la voce del regista della squadra dalla divisa gialla e blu, ma era perfettamente evidente come anche lui si stesse impensierendo. Lentamente, tutti tornarono alle loro postazioni e ai loro esercizi agonistici. Tutti tranne Bianca.
Quando finalmente fu sola e nessuno sembrò più badare a lei, non seppe resistere; prese con sé tutto il suo coraggio e accantonò l’orgoglio per lasciar spazio a quell’angosciante sensazione che la spingeva a voler vedere con i suoi occhi come il lupo dei ghiacci stesse effettivamente.
Entrò, e quello che vide le fece impressione.
Shawn, che aveva appena calciato il pallone, con le gambe e il busto piegati stava guardando il pavimento, respirando affannosamente. Il sudore gli stava scendendo sul viso, e i capelli argentei erano anch’essi un po’ bagnati e appiccicati alla fronte.
Sentendosi osservato, il giocatore alzò i suoi frementi occhi dorati sulla nuova venuta, rivolgendole lo sguardo che si rivolge ad un assassino, o più correttamente come quello che un pazzo omicida rivolge alla sua vittima. E la coordinatrice ebbe paura di quelle iridi dal colore innaturale, ebbe quasi terrore di quello che, teoricamente, si era sempre dimostrato il più morbido dei pezzi di pane. Fece un passo indietro e abbassò gli occhi. Non poteva reggere oltre quello sguardo.
– B-Bianca, cosa ...? – la sua voce era quella di sempre. L’interpellata strinse la presa intorno alla bottiglietta gialla che era posta nelle sue mani chiare. Non si era resa conto di aver cominciato a tremare.
Ecco, ora aveva paura di Shawn, dannazione!
– B-Beh ... – cominciò cautamente, misurando ogni parola prima di pronunciarla – sei qui da molto, e ... stai lavorando sodo ... ma ... ho pensato che, sì, insomma ... ti ho portato dell’acqua. – terminò sbrigativa. – Se non ti reidrati, rischi di sentirti male ... e non potresti giocare! Uno dei miei doveri è prevenire la mancanza di un giocatore nelle squadra, no? – si affrettò ad aggiungere, come a puntualizzare il fatto che stava solo facendo il suo lavoro.
Ricevette un lieve sorriso. I grandi occhi di lui erano tornati azzurri e sereni, l’aggressività era scomparsa, sorrideva. Però lei sentiva di non poter essere ancora tranquilla.
Si avvicinò appena per porgergli la borraccia e, quando la pallida mano del ragazzo sfiorò la sua nell’atto di accettare quella gentilezza, Bianca si sentì come ghiacciata sul colpo. E si ricordò che, la prima volta che aveva compiuto quel gesto di offrire dell’acqua a qualcuno, la sensazione provata era totalmente l’opposto. Se Shawn le provocava un assideramento completo, esisteva qualcuno che invece l’aveva fatta sentire come in una pentola a pressione. Sì, in quel momento, se fosse stata con Axel ... forse avrebbe davvero rischiato di sciogliersi come ghiaccio al sole.
 



Tempo dopo.
 
Era già da un po’ che la ragazza dagli occhi color del cielo parlava con Shawn sempre di più, soprattutto da quando il segreto del ragazzo era venuto a galla. Certo, venire a conoscenza di un fatto così terribile sarebbe stato meno doloroso se ad accompagnare questa scoperta non ci fosse stata la disfatta contro la Genesis, e poi l’abbandono di Nathan e Tod. Il turchese le mancava, era sempre stato così gentile con lei, ed erano bizzarramente in sintonia.
Recentemente, però, questo legame stava nascendo anche con Shawn; Bianca provava sempre timore per quella parte sopita nel corpo dell’albino, quell’animo, la seconda personalità nata dal ricordo e dal desiderio di riavere il fratello accanto, tuttavia riusciva a superare la paura. Sì, perché alla fin fine il carattere docile di Frost non era così male, e poi stavano andando ad Okinawa, la sua amatissima Okinawa! Da quanto non visitava il posto in cui era nata e cresciuta? Moltissimo, e non vedeva l’ora di tornarci, anche perché, d’altra parte ... c’era un certo sole che stava aspettando essere ritrovato in mezzo alle nuvole nere della nostalgia.  
No, aspetta, cosa stava pensando!? Stava paragonando proprio Lui ad un sole!? No, non doveva pensare cose del genere, no, no! Però, più visualizzava l’idea del Bomber di Fuoco e più non trovava epiteto migliore per quello che tutti speravano fosse davvero l’attaccante dagli occhi neri.
E la corvina non poteva mentire, non a sé stessa, non più.
Per quanto irritante fosse, lei desiderava riavere Axel vicino.
 
Mentre la squadra viaggiava verso Okinawa, capitò di incontrare un surfista che, per ironia della sorte, salvò la vita a Willy. Lo stolto stava per affogare, che pesce lesso.
Kane, Hurley Kane. Nome singolare. Era un diciassettenne, più grande di loro, bravissimo surfista e anche pescatore, considerato che alla sera portò nel capannone nel quale si erano andati a sistemare per la notte un pesce che era grande il doppio di lui, eccentrica capigliatura rosa compresa.
E, ovviamente, Mark l’aveva invitato a restare con loro per fare due chiacchere. Non che a Bianca interessasse; fatto sta che parlò più con Shawn che con chiunque altro, quella sera, anche se l’albino, dal giorno dell’incidente, era sempre meno loquace e sorrideva sempre meno.
– Hurley, tu abiti qui? – chiese d’un tratto il capitano al maggiore.
– No, io vengo qui solo per fare surf, però sono di Okinawa. – fu la risposta data con il sorriso sulle labbra.
Okinawa. Al solo sentir pronunciare quel nome Bianca si irrigidì.
– Nostalgia di casa? – colse al volo Nelly, e la ragazza diede un cenno di assenso con la sua nuca ricoperta dalla sua chioma color carbone, e dal cappello texano, come sempre.
– Non mi dire, una compaesana? – si intromise il rosa avvicinandosi.
– Sì. È un po’ che non torno a casa, ma sì. – replicò rivolgendogli un riso delicato. Il diciassettenne si sedette a gambe incrociate davanti a lei e ridusse la distanza fra loro, guardandola incuriosito. – Che c’è?
– Non è cosa normale vedere una ragazza di Okinawa vestita da cowgirl ... – si spiegò, e lei si innervosì di colpo. Perché ovunque andasse qualcuno aveva sempre da fare quel genere di commenti!? Assottigliò gli occhi e li puntò spettrale in quelli di lui.
– Qualcosa da ridire sul mio abbigliamento, signor Kane? – mormorò teatralmente. Kane trasalì a indietreggiò apparentemente terrorizzato.
– M-Ma no, figurati, e-era solo un’osservazione! – si difese.
– Bene. – dopo aver sfoderato un luminoso sorriso, la Plus si cacciò un altro pezzo di pesce in bocca e riprese ad ignorare il mondo che la circondava, lasciandosi cullare dai ricordi della sua vita ad Okinawa.
E di riflesso, della sua vita con i suoi genitori.
 
 

* So che avrei dovuto inserire questa parte, dato che trattandosi di Ray Dark anche la mia OC centrava abbastanza, ma non ho tempo proprio di allungare ulteriormente la mia idea per questa fic.
 
♥Angolo spastico.
 
Allora ... cosa c’è in questo capitolo? C’è: il legame fra Bianca e Shawn, il modo in cui Bianca sente la nostalgia di Axel, il modo in cui Bianca inizia a capire che Axel è il suo sole (ma come sono poeticaaa), c’è Kane e un pizzico di nostalgia di casa e dei genitori. Ahah, vedrete poi il prossimo capitolo.
Tutti: perché?
Come perché!? Ma perché torna il mio amatissimo Bomber di Fuoco, ecco perché!
Ciao.
 
Ci si vede. ♥

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Capitolo 11
*** Un fiume di ricordi ***


Avvertenza:un po’ lacrimevole, il capitolo. Almeno, ho fatto di tutto per renderlo il più lacrimevole possibile ...spero che un po’ lo sia.  
 
Okinawa.
Casa.
Mentre guardava il paesaggio attraverso il finestrino del pullman, per un miserabile secondo su certa di aver intravisto l’azzurro del mare, quello che spesso aveva collegato con il ceruleo splendore degli occhi di suo padre.
Erano passati quasi più di due anni dall’ultima volta che il suo sguardo si era posato sulle onde sbarazzine e spumose dell’oceano Pacifico. Sentì qualcosa pungerle le palpebre inferiori degli occhi, e strinse le palpebre per impedire alle lacrime di scenderle lungo il viso.
Cosa fosse, poi, non era nemmeno sicura di saperlo. Commozione per essere tornata nella sua “terra” d’origine, dove tutto sembrava gridarle i nomi dei suoi genitori? Oppure amarezza a causa della consapevolezza che i bei momenti passati su quelle coste sarebbero rimasti per sempre solo ricordi di un’orfana solitaria?
Eccola, la prima goccia di luce le scese lungo la guancia. Fortunatamente, e anche molto assurdamente, fu l’unica, e lei si affrettò ad asciugarla svelta per impedire a qualcuno di vederla.
– Ma quindi Bianca viene sul serio da Okinawa? – il tono estasiato di Suzette non prometteva affatto bene. Voltandosi, la corvina poté constatare che anche l’espressione dipinta sul volto scuro della turchese non era più rassicurante. Ed ecco il gesto di assenso quasi simultaneo di Nelly e Mark, accompagnato dal terrore crescente nella mente della coordinatrice.
A pronunciare la frase tanto temuta fu Scott, con quel suo solito sorriso di chi la sa lunga, forse troppo.
– Quindi, potrebbe farci da guida turistica? – la cowgirl realizzò quasi subito la verità: lo aveva detto apposta! Il risolino da vero e proprio teppistello che seguì alla proposta del ragazzino dalla pettinatura assurda confermò quest’idea.
– Sarebbe fantastico! Non è vero tesorino? – commentò l’attaccante di Osaka appiccicandosi al braccio del povero Eric. Ma Bianca era troppo inquietata al pensiero di dover diventare una guida per preoccuparsi del sospiro disperato del castano.
E in men che non si dica l’autobus fu un coro di approvazioni; insomma, tutti volevano davvero che lei facesse visitare loro Okinawa come fossero stati una scolaresca in gita scolastica? Andava bene svagarsi un po’ durante quello stressante viaggio, però così erano i suoi poveri nervi, già fragili di loro, a rimetterci!
Gli unici che non sembravano volerla torturare a quel modo, o che magari semplicemente non desideravano ardentemente fare i turisti in vacanza, erano, manco a dirlo, la sua migliore amica, che le posò una mano sulla spalla come simbolo di solidarietà, e Shawn, il quale era totalmente perso nei suoi pensieri.
E tanto ormai era inutile lamentarsi, giacché era già stato deciso che la bruna avrebbe fatto ciò che quel branco di scalmanati voleva, checché lei ne dicesse o lamentasse. Avrebbe detto addio ai suoi propositi di godersi la sua amata Okinawa a causa di forza maggiore, anche detta Raimon.
 



I piedi le facevano male, il che era assurdo. Lei, che era da tempo immemore abituata a camminare con quegli stretti stivali con un paio o forse più centimetri di tacco, proprio lei, i cui piedi non avevano mai sofferto, ardeva dalla brama di potersi sedere per far riposare le gambe che da un bel po’ ormai mandavano disperati messaggi di aiuto.
– Si chiama shiza. – si sentì obbligata ad informare Darren quando lo vide indicare con curiosità una statuetta a forma di animale, simile ad un cane demoniaco, sul tetto di una casa e chiedere cosa fosse, secondo lui, a Mark. E prontamente il capitano si era messo a balbettare baggianate. – È la creatura leggendaria di Okinawa, o così viene chiamata. Si dice che se si mette una shiza su un tetto o un cancello, lei fa la guardia contro il male e porta fortuna. – aggiunse senza sapere che ora tutti la stavano ascoltando seri, come fosse stata una vera professoressa, se non più silenziosamente.
– Praticamente, è il simbolo della felicità. – constatò Shawn affianco la corvina e rivolgendo un sorriso gentile alla statua.
– Sai, non l’avevo mai vista così ... – confessò la coordinatrice sbattendo le palpebre con perplessità – ma dopotutto hai ragione. – concesse socchiudendo gli occhi dolcemente e sorridendo.
Unì le mani dietro la schiena e sospirò rilassata gettando la nuca indietro per guardare gli sprazzi candidi di zucchero filato che svolazzavano nel cielo limpido di quel posto.
Si ricordò di quella volta che, all’età di sette anni, si era messa a scorrazzare con alcuni amici per tutto il paese, e aveva finito con il cadere e sbucciarsi un ginocchio. All’epoca era solo una bambina, ed era scoppiata in lacrime, mentre i suoi amici cercavano di consolarla. L’unica che era riuscita a calmarla era stata sua madre, che l’aveva distratta dal dolore raccontandole una bizzarra favola su una principessa della Luna, o qualcosa di simile. Quella storia le era piaciuta talmente! Rammentava di essersi addormentata con la testa color pece poggiata sul petto della donna, che l’aveva cullata come solo una mamma sarebbe stata in grado di fare.
La mamma. Quella donna alta e bellissima, con i lunghissimi capelli neri raccolti sempre e solo in una lunghissima treccia morbida e massiccia che le arrivava fin sotto il fondoschiena. La donna che, persino prima di morire, le aveva sempre riservato solo sguardi dolci con i suoi grandi ed espressivi occhi rosso fuoco; non erano di certo la caratteristica più bella del suo essere, ma erano quelle iridi lampeggianti a rendere sua madre speciale, quantomeno per lei.
Si diede della stupida. Perché stava pensando a quelle cose? Perché stava continuando a ferirsi da sola?
Abbassò il viso per guardare il terreno, e subito su quest’ultimo cominciarono ad apparire macchioline scure e repentine. Lacrime. Cavolo, si era pure messa a piangere?!
– Sbrigati B, che ti lasciamo indietro! – la richiamò la voce di Nelly. Bianca osservò persa i suoi amici, che erano andati avanti, e ringraziò il cielo che nessuno di loro sembrava essersi accorto di come la sua maschera di serenità si fosse, anche se per poco, frantumata in migliaia di pezzi.
Si sbrigò a ricostruirla e corse per raggiungere l’allegra combriccola.
– Bianca. – sussultò, pregando tutti gli shiza dell’isola che a chiamarla non fosse stato uno dei suoi coetanei; le tracce del lieve pianto ancora non erano scomparse, e non voleva essere scoperta. Tuttavia, questo problema non si presentò, poiché a pronunciare il suo nome era stata l’allenatrice Schiller.
– Mi dica.
– Cerca di stare calma. – consigliò la donna nel vano tentativo di apparire atona e disinteressata, freddandola sul colpo. Era stata vista perdere il controllo dall’allenatrice della squadra, quel cuore di piombo della Schiller. Grande.
 



Non avrebbe mai smesso di ringraziare Hurley per averla tolta dal guaio del dover guidare i suoi amici per la città. Anche se questo ringraziamento si era limitato ad un’occhiata, che lui aveva miracolosamente colto, perché dimostrarsi rasserenata all’idea di poter smettere di star dietro ai ragazzi sarebbe stato un comportamento parecchio scortese da parte sua. Per quanto sincero, s’intende.
Ciò nonostante, a costo di sembrare maleducata o disinteressata, aveva declinato (o categoricamente rifiutato, a seconda dei punti di vista) l’offerta di assistere alla partita amichevole che Hurley aveva organizzato fra la sua squadra, la Mary Times Memorial, e la Raimon.
E così, mentre loro giocavano, la corvina in vesti texane si era concessa un po’ di libertà e soprattutto di tranquillità. Si era allontanata, anche se non troppo, da quel campo improvvisato e aveva raggiunto la spiaggia.
Perciò ora, seduta sulla sabbia senza nemmeno la protezione di un telo o un asciugamano sotto i jeans, con il cappello marrone che volteggiava e rigirava fra le sue mani, osservava le onde che si infrangevano con violenza contro la riva, bagnando e facendo irrigidire la sabbia che da chiara diveniva quasi ambrata.
In quel tempo trascorso lì, solitaria come un faro, gli occhi rivolti verso quella massa d’acqua dal colore così simile, le passò letteralmente tutta la vita davanti, nessun dettaglio mancava a quella ricostruzione che la sua meticolosa memoria fotografica stava facendo.
Rivedeva come fosse ancora materiale quell’enorme torta che sua madre avevano preparato, tra un disastro e l’altro, quasi distruggendo tutta la cucina a causa dei più esplosivi e pericolanti tentativi, per il suo quinto compleanno. Quel dolce al cioccolato tutto bruciacchiato e informe, farcito di quella che teoricamente avrebbe dovuto somigliare ad una marmellata di pesche. A dire il vero il sapore di quell’obbrobrio era oramai disperso nei suoi ricordi e non sarebbe mai potuto tornare a galla, ma non era quello che aveva reso quello il compleanno più divertente di tutti. Quel compito era stato portato a termine da suo padre, quel folle che, coprendosi gli occhi celesti con una bandana, era stato cavia, o più correttamente vittima, dell’abilità pasticcera di sua moglie.
E alla fine, se gliela avevano fatto mangiare, se anche il sapore fosse stato terribile, tutto l’amore che la donna ci aveva infilato era servito a rendere quella torta al pari di un dolce da primo premio. A rigor di logica, doveva essere così.
E, se sua madre era una pessima cuoca, forse anche peggio della cara signorina Raimon, suo padre era un pessimo, anzi terribile giocatore di calcio! Adorava di certo quello sport, e la mamma aveva fatto di tutto per insegnargli a giocare quantomeno decentemente, senza ottenere il più minimo risultato.
Sin da quando aveva compiuto gli otto anni, Bianca si era dimostrata di molto superiore al papà come atleta, così come tutti i membri della squadra che la signora Plus allenava. Se li ricordava, i giocatori di sua madre. Erano tutti più grandi di lei di almeno sei anni; alcuni erano bassi, altri alti, ma tutti era sempre pronti a dispensare sorrisi alla piccola figlia dell’allenatrice. Che, tra parentesi, anche se come madre era un angelo, in panchina tirava fuori tutta la sua determinazione e la sua severità! La prima volta che l’aveva vista lavorare seriamente, aveva avuto difficoltà a parlare per circa una settimana.
Beh, d’altra parte doveva ancora imparare che ciò che non uccide rende più forti ...
Una fitta dura e prolungata, quasi fosse una vera spada ad attraversarla, la colpì al centro del petto. Contemporaneamente, i suoi sensi si bloccarono e ogni singolo muscolo del suo corpo si irrigidì, mentre all’interno del suo stomaco stava avvenendo tutto e niente.
Bianca Plus era sempre stata una persona spensierata.
Non aveva mai conosciuto il vero significato della parola sofferenza, era sempre stata una bambina, e in seguito ragazzina, come tutte le altre, con gli stessi interessi di tutti, l’affanno della scuola, la passione per lo sport, la naturale propensione all’ammirare i ragazzi più grandi e al godere di telefilm e light novel, leggere di storie d’amore e svagarsi come una qualsiasi ragazza.
Aveva sempre avuto motivo di sorridere, anche quando si sentiva triste, possedeva quella ragione che la spingeva a consolarsi e sorridere.
Quel qualcosa di così speciale erano due persone.
La sua amatissima mamma e il suo carissimo papà.
E poi, era successo. Mentre l’assideramento continuava a divorarla lentamente, Bianca rivide chiaramente il giorno in cui si erano trasferito a Tokyo a causa del lavoro di suo padre. Era stata un po’ triste di lasciare Okinawa e di abbandonare al suo destino la shiza di famiglia, l’aveva sempre adorata, ma aveva accettato il cambiamento con serenità.
La nuova casa le era piaciuta da subito, ci si era abituata rapidamente. E poi, l’incidente.
Si ritrovò di colpo immersa nel vivido ricordo di quel semplice transito in macchina, tutti e tre insieme, il papà al volante che guardava la strada con attenzione ma che al contempo rideva e parlava con le sue donne, la più grande delle quali stava appoggiata con la schiena al sedile con le palpebre serrate. Sembrava dormisse, in verità stava solo riposando gli occhi.
Riposava, rideva anche lei, e nel frattempo accarezzava dolcemente il suo ventre. C’era una cosa che dovevano dirle, alla loro figlioletta di tredici anni. Dovevano dirle qualcosa che lei in principio non capì. Qualcosa di importante, legato al ventre piatto di sua madre. Qualcosa che non le fu possibile udire dalle voci allegre dei suoi amati genitori.
Un pirata della strada. Il violento colpo che aveva mandato la ragazzina a sbattere contro il finestrino dell’auto. Quel mancamento che non solo le aveva impedito di guardare in faccia la realtà e capire cosa fosse successo, ma anche quello che le impedì di guardare in faccia suo padre per l’ultima volta prima che la sua vita si spegnesse.
Al risveglio, si trovava in un ospedale. C’erano degli adulti, dottori, probabilmente, che parlavano di miracolo. Sì, stava capendo bene: lei era viva, era sveglia, e lo era per miracolo. Le altre informazioni che le arrivarono furono queste. L’uomo non ce l’aveva fatta, la donna era in fin di vita, e il feto che portava in grembo era andato perduto per sempre. In seguito, sul dizionario, lesse cosa “feto” volesse dire, e a momenti non desiderò di non averlo mai saputo. Inoltre, le parole di incoraggiamento che sua madre le rivolse, nonché le ultime, continuarono a rimbombarle in testa ogni secondo, fino a diventare il suo credo: “Un Plus non conosce il significato della parola arrendersi”.
Il fratello minore di sua madre aveva ottenuto l’affidamento della sua nipotina, che aveva tanto detto e fatto che le fu concesso di rimanere in Giappone e mantenersi da sé. Grazie agli insegnamenti della madre allenatrice e del padre manager fu in grado di costruirsi da sola la carriera di coordinatrice calcistica. In seguito, finì a lavorare per Ray Dark a causa di problemi finanziari. E infine, aveva visto un camion schiantarsi su una povera creaturina di soli cinque anni, che era la sorellina indifesa di Axel Blaze, suo coetaneo che conosceva di fama.
 
Lacrime. Sul volto di Bianca ora scendevano solo lacrime. Lacrime amare, ricordi che scivolavano gelidi sul suo volto rosso di tristezza. Essere soli al mondo era dura. Se tornare a casa significava ricordarsi tutto questo, forse sarebbe dovuta rimanere a Tokyo.
– Non sarei dovuta venire ad Okinawa. – pensò ad alta voce.
– E allora dì’: perché sei qui? – fu la risposta proveniente da chissà dove. Scattò in piedi per guardarsi intorno, senza badare al fatto che le lacrime continuavano a scendere senza ritegno, andando a bagnarle anche il collo. Si voltò del tutto e vide una persona, che apparentemente non si ricordava di avere mai visto.
Indossava dei pantaloni beige e una giacchetta arancione il cui cappuccio largo gli copriva fino sotto gli occhi, impedendole così di poter distinguere i lineamenti del suo viso. L’unica cosa certa era che si trattava di un ragazzo, e che le aveva appena parlato con un tono stranamente ...amichevole.
– Chi sei? – la domanda aleggiò per qualche secondo nell’aria ricca di salsedine, mentre la ragazza attendeva una risposta. Poco importava che le sue labbra si stessero bagnando di acqua fredda e salata. Dopo qualche attimo, lui si decise a degnarla di una risposta.
– Chi sono io ha poca importanza. – disse, e uno degli angoli della sua bocca si sollevò in un accenno di sorriso. – Perché piangi? – chiese a bruciapelo, manco fosse sicuro di ricevere una risposta.
Sorprendendo la loro proprietaria, gli occhi turchesi non cambiarono espressione, né le sue mani andarono ad asciugare le gote arrossate. Niente. Non era affatto vitale apparire seria e tranquilla, cosa che di solito invece era la sua massima priorità. Tutto ciò che le passava per la testa era che quel dannato cappuccio le impediva di guardare negli occhi quel ragazzo. E lei detestava non poter osservare lo sguardo di chi le parlava.
– Non sono affari tuoi.
– Ma tu non ti fai mai vedere in lacrime. – continuò imperterrito. – Nessuno dei tuoi amici ti ha mai visto in lacrime, no?
Bianca si chiese come fosse possibile che quello sconosciuto potesse innanzitutto sapere una cosa del genere, e in particolare come si permettesse di parlarle in tono così saccente e confidenziale. Inoltre, sembrava che la conoscesse bene, mentre lei ...
– Nessuno dei miei amici. – confermò. Non sapeva neanche perché aveva risposto a quella domanda. Non erano affari suoi. Affatto! Lei poteva piangere quanto voleva, quando voleva e soprattutto davanti a chi voleva! A lui cosa poteva interessare? – ...qualcuno sì. – esalò lasciando da parte il buon senso e fidandosi solo del suo istinto. – Tre volte.
Pregò il suo orgoglio di andare a pungerle la gola, di impedirle di dire cose di cui si sarebbe potuta pentire. Eppure, ciò non accadde. Che era successo, le lacrime e i ricordi avevano assopito la sua solitamente sovrana arroganza per far spazio alla tristezza e ora non permettevano che si svegliasse?
– Tre volte ...uhm. – rifletté quell’altro – Non mi sembri il tipo da piangere davanti a qualcuno.
– È quello che sto facendo. – replicò solo, sentendo che le lucciole del suo pianto ancora vibravano e svolazzavano sul suo viso. Maledì quell’emotività uscita da chissà dove. – E, tanto per la cronaca, piangevo anche per colpa sua. – si sentì obbligata ad aggiungere, esibendosi in una smorfia e in un’occhiata seria, per quanto le iridi lucide glielo concedessero.  
– Per colpa sua? – ripeté scettico.
– La prima volta ...per le sue lacrime. – confessò, sentendosi a metà fra l’imbarazzo e il desiderio di imprecare contro sé stessa – La seconda, per la sua rabbia, e la terza ...la terza ... – esitò un secondo – la terza perché ...perché è un cretino, ecco. Quindi, in tutti i casi è stata colpa sua. – terminò, per poi deglutire a vuoto. Tanto, ricordi tristi per ricordi tristi, il suo umore non stava di certo peggiorando.
– Sbagliato. – commentò l’altro, avvicinandosi di qualche passo. Quando si fermò, Bianca poté constatare di essere più bassa di lui. Aveva già visto qualcuno con quell’altezza, ma dove? – Io so che tu hai pianto rispettivamente per sensi di colpa, paura e ...perché se ne stava andando.
La corvina si paralizzò e scrutò, per quanto possibile, il suo interlocutore in faccia. L’unica cosa che le fu possibile notare era che la sua carnagione aveva il colore del caffellatte. Il ragazzo mise la mani in tasca, e così facendo scoprì la maglia blu scura.
– Smettila. – sussurrò nervosa. – Di parlare come se mi conoscessi benissimo. ...Mi dà sui nervi, considerato che io di te non so nulla. – spiegò ostentando disinteresse.
 



Lui sorrise, un sorriso che, nonostante fosse al limite del malinconico, non poteva nascondere quella malizia che scaturiva dall’essere un anonimo. Si era quasi scordato che la corvina non sapeva chi fosse, anzi, era un po’ sorpreso dal fatto che la tristezza avesse impedito alla ragazza di riconoscerlo.
– Questa è la sensazione che tu trasmetti agli altri, Bianca. – mormorò muovendo ancora un paio di passi verso di lei. Stupendolo, per la terza (o quarta?) volta in una manciata di minuti, la coordinatrice non si mosse, continuò a fissarlo con i due grandi occhi spalancati e fradici. Non riusciva davvero a smettere di piangere? Tentò di non sospirare. Con questa, facevano quattro. Quattro volte in cui aveva visto il volto di Miss Perfettina sconvolto dalle lacrime. Anche se della prima ricordava solo le sue guance rosse.
– Io almeno guardo negli occhi le persone con cui parlo. – riscontrò quella. Il suo braccio ebbe un fremito, e la mano affusolata fece per sollevarsi e allungarsi verso di lui; quando sfiorò l’orlo del cappuccio, il ragazzo le afferrò saldamente il polso.
– Io non sono te. – giustificò lasciando andare la presa. La cowgirl si mostrò interdetta, ma poi, come lui aveva previsto, abbandonò il braccio lungo i fianchi. I suoi occhi azzurri si piantarono di nuovo sulle onde, mentre le celate iridi color cioccolato fondente di lui seguivano ogni suo movimento.
– Cosa vuoi? – lo interpellò la bruna dopo qualche altro momento di silenzio interrotto solo dallo scrosciare delle onde.
– Perché sei venuta qui? – Bianca tornò con l’attenzione nella direzione dello “sconosciuto” e lo fissò interrogativa. – Hai detto che non saresti dovuta venire. Perché non sei rimasta a casa?
– Una questione di irritazione. – la repentinità della replica lo sorprese, molto.
– Che vuol dire?
– Ultimamente, sono sempre triste. Venendo qui ...speravo di potermi irritare un po’. – in quel momento, il biondo si accorse di due cose. La prima, era che, nonostante avesse ancora le guance bagnate, Bianca aveva smesso di piangere; la seconda, che ora il suo cuore stava battendo più rapidamente.
Senza accorgersi delle sue azioni, portò una mano sulla gota sinistra della ragazza e cominciò delicatamente ad asciugare la pelle chiara dall’acqua che i suoi occhi avevano sgorgato. Ignorò completamente l’espressione colpita di lei, semplicemente eliminò ogni traccia del pianto.
– Lascia che ti aiuti. – bisbigliò appena portando il pollice sul labbro inferiore di lei, notando quanto fosse soffice e delicato, per poi avvicinarsi pericolosamente. Smise di avanzare solo quando le labbra scure furono posate giusto sull’orlo dell’occhio destro di Bianca, la quale aveva fatto appena in tempo a chiuderlo. Rimase un paio di secondi così, baciando la palpebra della ragazza e beandosi del tepore salato che quel contatto gli trasmetteva.
Finché il tacco di uno stivale non gli piombò sul piede, ovvio.
Scattò all’indietro trattenendo un imprecazione, e non seppe come sentirsi quando vide il rossore d’imbarazzo che la giovane presentava.
– Mi hai distrutto un piede! – si lamentò facendo una smorfia di dolore.
– Tu mi hai baciata! – gridò lei in risposta. Se un bacio sull’occhio meritava una tale reazione, il ragazzo si chiese cosa gli sarebbe mai potuto succedere se avesse osato baciare la bocca rosata di quella matta.
Aspetta ...l’aveva baciata? Cosa cavolo gli era saltato in mente? Non fece in tempo a dire altro, che quella arricciò le labbra con fare indignato e, calcandosi il cappello sulla nuca, corse via.
Come fare a non seguire quell’esempio?
 



– Axel? – la voce del ragazzone che lo stava ospitando raggiunse l’interpellato come un grido lontano, mentre i fratellini di colui che aveva parlato scorrazzavano di qua e di là.
Il biondo aveva lo stomaco molto, molto in subbuglio, e stava trattenendo a stento uno, o forse più, conati di vomito.
– Terra chiama Axel?
– Cosa c’è, Thor? – disse con voce roca.
– Che hai? Sembri un pesce lesso.
– Solo un po’ di nausea. – palesò abbassando il cappuccio e rivelando la sua aggressiva pettinatura chiara.
– Alla fine ci hai parlato, con quella ...uhm, come si chiama? Bianca? – sentire pronunciare quel nome non fece affatto bene al cannoniere, che portò una mano allo stomaco per assicurarsi di trattenere il vomito.
– Sì. – rispose amaramente.
– È andata così male?
– Peggio. – aspettò un attimo, poi lo sguardo interrogativo dell’amico lo costrinse a specificare: – L’ho baciata.
– Hai fatto cosa?
– Non lo so perché. Ne ho sentito il bisogno. – Thor prese un’aria pensierosa e portò una mano sotto il mento in modo riflessivo.
– Il bisogno ...solo questo? – domandò come farebbe un dottore con un paziente.
– No. – sospirò. Non che parlare con Thor fosse spiacevole, con lui era facile parlare di qualsiasi cosa, ma non era comunque sicuro di potersi sentire libero.
– Fammi indovinare: i battiti acceleravano, sentivi caldo e non riuscivi a pensare? – chiese ancora il ragazzone, mentre uno dei fratellini gli si fiondava sulle spalle. Il biondo annuì a fatica, sentiva i conati salirgli fino alla gola.
– E allora? – incalzò arrossendo pesantemente. Conosceva già la risposta.
– Amico mio ...ti sei innamorato.
E fu così che il Bomber di Fuoco diede di stomaco in mezzo al prato.
 
 
♥Angolo spastico.
 
Perdonate questo orrore –però ho aggiornato presto!
Tipo, io che mi informo su Okinawa per tutto il pomeriggio per fare la parte in cui Bianca fa da guida turistica? Sono esausta, internet mi ha presa di peso, ieri.
Comunque.
Ditemi voi se questo capitolo è triste oppure no. Io mi sono intristita molto, scrivendolo, beh eccetto l’ultima parte.
Spero sia piaciuto, comunque.
 
Ci si vede. ♥

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Capitolo 12
*** Guance rosse di dolore ***


La partita stava prendendo una svolta molto, molto particolare.
Proprio nel momento in cui tutto sembrava essere finito, quando la partita con la Epsilon Plus aveva praticamente distrutto anche le ultime forze dei ragazzi della Raimon, prossimi al collasso per lo stremo, sul campo era piombato qualcuno che Bianca era certa di aver già visto. Anzi, al cento per cento sapeva di poter affermare con sicurezza di conoscerlo.
Quello era il ragazzo della spiaggia.
Sì, era il ragazzo incappucciato che aveva incontrato durante la partita contro la Mary Times Memorial.
Quello a cui lei aveva quasi spaccato un piede in un attimo di rabbia dovuta più che altro all’imbarazzo, dato che quel tipo l’aveva pure baciata, oltre ad averle parlato in modo piuttosto strano.
Effettivamente, era da quando era tornata dagli altri che non ci rifletteva; sul momento, la tristezza che stava provando non le aveva concesso di riflettere a mente fredda, il che le aveva impedito anche di collegare tutto quello che stava succedendo. Però, a ragionarci attentamente, aveva avuto una conversazione più che bizzarra con lui.
La corvina assottigliò gli occhi mentre lo fissava, lì in piedi. Le sfuggiva ancora qualcosa, ma cosa?
 
Come?
Come diamine aveva fatto a non capirlo prima?
Va bene che i sentimenti le avevano, probabilmente, appannato un po’ le idee, ciò nonostante doveva essere proprio impazzita per non riconoscere la sua voce, il suo modo di parlare, il suo modo di comportarsi come uno sfrontato e un arrogante, con lei.
Io lo ammazzo.
Era l’unico pensiero che potesse formarsi nella mente della ragazza quando realizzò che ad essersi appena abbassato il cappuccio, per farsi riconoscere, davanti a tutti era l’irritante signor Blaze.
Vedere tutti quanti sorridere felici, tra chi esclamava contento il suo nome e chi si accontentava di dargli il bentornato rivolgendogli un’occhiata mista fra la riconoscenza e la gioia del rivederlo, le faceva bruciare lo stomaco ancora di più.
E la coordinatrice provava anch’ella quelle due sensazioni, ovviamente, non poteva certo mentirsi pensando di non essere felice, ma ...se il ragazzo del giorno prima era il cannoniere dagli occhi neri, allora, anche le calde e morbide labbra che le si erano posate sul volto erano le sue.
A quel pensiero, non s’impedì di diventare vermiglia fino alla punta dei capelli. Era lei, o faceva improvvisamente caldo, lì? Beh, più del solito, comunque.
Le iridi turchesi di Bianca non riuscivano più a cambiare sguardo, però: non glacialità, di certo non felicità, né tantomeno riconoscenza, e a dirla tutta neanche rabbia, a conti fatti. Solo l’opprimente e agghiacciante consapevolezza di essere stata ferita nell’orgoglio che era finalmente tornato dalla sua vacanza.
– Bianca, stai bene? – il tono di Silvia, che voleva sembrar preoccupato, non ebbe l’effetto sperato. Anche la manager dalla chioma verde era contenta, tutti lo erano, nessuno escluso.
Giusto per questo, la bruna strinse i pugni e forzò un sorriso come meglio poteva.
– Certo, sto alla grande. – assicurò mentre sentiva una vena pulsarle accanto alle nocche per la forza eccessiva che stava utilizzando nel ridurre la distanza già inesistente fra le unghie e il palmo chiaro, come se ce ne fosse bisogno. A dire tutta la verità, forse, poteva pazientare prima di uccidere Axel. Ora il Bomber di Fuoco era necessario sul campo.
Difatti l’abilità del biondo si fece ben presto sentire. Non solo grazie il Tornado di Fuoco –la cui visione tanto per la cronaca fece letteralmente triplicare le farfalle in volo che da tanto tempo non si infiltravano nell’apparato digerente della cowgirl. Quella fu l’occasione per dimostrare che, nonostante la lontananza dalla squadra, il vero e unico numero dieci della Raimon non aveva mai smesso di pensare al suo, per così chiamarlo, dovere di punta. La nuova tecnica che sfoggiò poco dopo ne fu la più che sufficiente prova. Non senza un’altra migrazione di insetti alati, naturalmente. Tanto che alla coordinatrice venne quasi mal di stomaco, mentre Celia e Silvia cercavano di capire cosa la smorfia formatasi sulle labbra strette di Bianca significassero, con una Nelly che rideva sommessamente e una Suzette che sorrideva con l’aria di chi la sa lunga.
Nella lista delle cose da fare, dirgliene quattro alla turchese era al secondo e al quarto posto, e il terzo posto era tutto dedicato alla rossa, che si meritava una sonora lezione. Non maggiore di quella che il capo cannoniere avrebbe ricevuto il prima possibile, quello sì che era un punto veramente importante da perseguire, il più urgente, il numero uno.
...
Anche se, forse, qualcos’altro c’era.

Ringraziò Thor per l’aiuto che gli aveva garantito durante il suo soggiorno ad Okinawa, e lo osservò un attimo mentre se ne andava, verso la sua casa e il branco di fratellini che lo attendevano impazienti.
Era veramente soddisfatto e soprattutto felice di essere tornato fra i suoi amici della Raimon. Il ricatto che aveva subito fino a quel momento era stato eliminato, Julia era finalmente al sicuro, e lui poteva dirsi tranquillo.
Cioè, avrebbe potuto dirlo, quantomeno finché una certa ragazza dalla mossa capigliatura corvina coperta da quel bizzarro cappello texano non gli si parò davanti rivolgendogli un’occhiata torva e parecchio colma di rabbia.
Con le labbra rosate arricciate in una smorfia affatto serena e i pugni sui fianchi, Bianca lo stava fissando come si fissa qualcuno che ti ha distrutto un piede. A pensarci, la scena avrebbe dovuto svolgersi con un’inversione di ruoli, dato che era stato il biondo a quasi perdere l’uso del piede sinistro, tuttavia farlo notare alla coordinatrice sarebbe stato un atto schifosamente masochistico, una vera richiesta di omicidio.
– Perché mi guardi con quella faccia? – domandò tentando di apparire il più tranquillo e stupito possibile. Quando le sue iridi nere e sottili incrociarono la traiettoria di quelle insolitamente taglienti e limpide di lei, realizzò di non esserci riuscito per niente.
– Adesso tu vieni con me, ho giusto un paio di cosette da dirti! – sbottò quella in risposta, allungando una mano per stringerla con determinazione intorno al polso di Axel, che rabbrividì a quel contatto, un po’ per timore un po’ per altro.
Sotto gli occhi divertiti di quasi tutti i loro coetanei, fra cui spiccava una ragazza dalla chioma turchese che se la stava ridendo come una bambina davanti ad un film comico, la coordinatrice trascinò l’attaccante per cinque minuti buoni, fino ad arrivare in uno spiazzo, non troppo lontano dal pullman, ma neanche troppo vicino ai loro compagni.
Era come una specie di minuscolo parchetto, con tanto di panchina in legno, albero smunto e lampione, quest’ultimo si stava appena accendendo, giacché il tramonto si stava già esibendo in quel gioco di colori caldi che trasmettevano quel qualcosa di autunnale e sereno.
 
– Cosa vuoi? – chiese irrigidendosi per fermare i suoi passi e divincolandosi dalla presa della bruna, che ciò nonostante rimase ferma, dandogli le spalle.
– Ma tu ti diverti? – lo colpì il tono serio e fremente della Plus.
– ...di che parli? – replicò non capendo.
– Ti diverti, a prendermi in giro? – il modo in cui tremavano i pugni stretti della originaria di Okinawa non prometteva niente di buono.
– Prenderti in giro? – ripeté con un fil di voce.
Sapeva a cosa di riferiva. Certo, ovvio che lo sapeva.
E gli faceva anche male, pensare che quella stupida perfettina pensasse sempre che il suo unico scopo fosse quello di prendersi gioco di lei. Perché non era così, non era affatto così!
Peccato che non conosceva il modo più adatto per essere sincero senza darle l’idea di star letteralmente inventando ogni singola parola o pensiero.
...
Probabile era che il vero e unico problema fosse che, per quanto forte, Axel non possedeva il coraggio di fare una cosa del genere.
Cavolo, lui aveva paura. Lui.
– Ti diverti? – insistette inacidendo ancora la sua tonalità di voce la coetanea, senza ancora degnarlo di uno sguardo.
Il cannoniere udì una voce incrinata e mesta rispondere a quella domanda. E una fitta di rabbia contro sé stesso gli perforò lo stomaco quando si rese conto che era la sua.
– L’idea che ti do è quella di uno che si diverte? – mormorò appena.
Il ragazzo dall’aggressiva pettinatura biondo crema deglutì lievemente preoccupato quando la vide aprire la mano e stendere le dita il più possibile.
Cosa stava facendo? Passarono qualche secondo in silenzio, poi lui decise di smuovere la situazione, che tra l’altro lo stava innervosendo.
– Ehi, vuoi degnarti di rispond—...! – non fece in tempo a terminare la frase, che il contorno a stampo rossastro di un palmo e di cinque dita si formò sulla carnagione ambrata del suo viso, il quale era stato leggermente voltato dal colpo subito.
Gli aveva dato uno schiaffo.Anzi, un sonoro, vero e proprio ceffone. E anche forte, molto forte.
Sollevando i suoi occhi a mandorla, vide lo sguardo pesante della ragazza su di sé, mentre la mano chiara e affusolata che l’aveva malamente schiaffeggiato era sollevata vicino agli occhi, un sopracciglio rialzato nel cipiglio nervoso.
Era completamente ammattita?!
Con la gota purpurea di dolore, Blaze osservava sconcertato quella mano sollevata davanti ai suoi occhi. L’aveva colpito così in fretta che se ne era a malapena accorto, almeno visivamente, dato che il punto offeso gli pulsava di sofferenza; nel frattempo, una vena iniziò a pulsargli sulla fronte.
– Ma sei matta, tu— – provò a controbattere.
– Questo era per il bacio. – lo informò quella in un sibilo quasi metallico di voce, digrignando appena i denti e interrompendolo di nuovo.
Si chiese come fosse possibile che in meno di trenta secondi quella ragazzina riuscisse a far impazzire i suoi neuroni, che presto avrebbero ricevuto la compagnia dei nervi esasperati e del suo così solitamente perfetto autocontrollo.
Non gli passò nemmeno per la testa l’idea di inventarsi una scusa per quel contatto che c’era stato fra il volto di lei e le sue labbra, cosa che, se fatta rapidamente per poi andarsene, gli avrebbe evitato altri problemi.
Infatti, corrugò la fronte e strinse la bocca per non farsi scappare un’imprecazione fine quanto quelle di uno scaricatore di porto.
– Se non sbaglio, per quello mi hai già distrutto un pied—...! – e, per la terza, logorante, meschina volta consecutiva, non gli fu concesso di terminare la sua frase.
Quest’altro, invece ... – fu il sussurro appena percettibile che arrivò alle sue orecchie prima che il dorso della mano sollevata ripetesse la stessa azione del palmo, solo sull’altra guancia. Essendo accompagnato da quattro ossute nocche, il ceffone, e il dolore che ne conseguì, fu sicuramente più forte.
Stava per raddrizzare il viso per dirgliene quattro, a quella folle coordinatrice che non era capace di ascoltare prima di agire, checché avesse detto o fatto, però fu preceduto dalla conclusione della frase cominciata prima del secondo schiaffo.
– ...è per avermi fatto preoccupare così tanto.
Colpito e affondato.
Adesso, lo sguardo di Bianca era rivolto verso la punta degli stivali in cuoio color guscio di nocciola, le braccia e le mani sottili stese lungo i fianchi, a stringere il termine della camicia bianca che ricopriva la parte superiore del corpo della corvina.
Sembrava più melanconica, che furiosa come prima, in quel momento.
L’aveva fatta preoccupare. E per questo, era stato preso a ceffoni. Ah.
...
Come mai adesso il nervosismo accumulato da quella -letterale- aggressione era totalmente e irrimediabilmente sbollito?
Sarà stato che con i suoi denti bianchi la bruna stava mordendo il suo labbro inferiore, rosato come un fiore di ciliegio, il che gli faceva ricordare che, sotto la lieve pressione del suo pollice, quel labbro si era rilevato terribilmente vellutato e soffice al tatto.
O che i ciuffi spettinati di Bianca, mossi dal vento, le incorniciavano il viso facendola somigliare ad un quadro vivo.
Insomma, il punto era uno.
Se quando era arrabbiata di lei si intravedevano solo il prorompente e iroso orgoglio e la follia che lo accompagnava a braccetto, quando manifestava qualsiasi altra emozione la coordinatrice non sembrava niente altro che bella. Senza contare che, in quei momenti, il profumo che comunemente era quasi impossibile sentire arrivava fin troppo facilmente alle narici del numero dieci.
E il tutto, ovviamente, aveva un pessimo effetto sul ragazzo, che finiva con l’iniziare a perdere il lume della razionalità e tutto perdeva senso, rendendo inutile ogni tentativo di ribellarsi a quella sensazione e tornare in sé.
Fortuna che era quasi sempre arrabbiata con lui.
– Che vuol dire? – riuscì a formulare, pur rimanendo su quel tono poco ragionante che temeva di tirar fuori. Appunto.
Quella arrossì. E ti pareva. Lui si trattenne dallo sbuffare. Tanto lo sapeva, che non avrebbe ricevuto presto una risposta totalmente sincera a quella domanda, non fino a che l’orgoglio della giovane fosse stato ancora intatto. E quindi mai.
– Quello che ho detto. – come volevasi dimostrare, ormai la conosceva bene.
Non che poi alla fin fine quello fosse un punto a suo favore.
– Ripetilo. – ordinò avvicinando il proprio volto al suo. Al diavolo l’orgoglio, voleva sentirsi ripetere quella frase; con un tono meno aggressivo, anche, se fosse stato possibile.
– C-Cosa ...? – stavolta fu il suo turno di essere interrotta.
– Avanti, dimmi perché mi hai preso a schiaffi. – inclinò la testa da un lato, incominciando a sorridere. Tanto valeva divertirsi un pochino a vederla imbarazzarsi, giacché le gote gli formicolavano ancora, no?
– Perché sei uno stupido! – si affrettò a giustificarsi.
– E perché sarei uno stupido, sentiamo? – Bianca fece vagare il suo sguardo in un’altra direzione.
La vendetta aveva un buon sapore.
– Te l’ho già detto.
– Non ho capito bene. – ribatté senza perdere il sorrisetto sornione che gli si era dipinto in volto.
La corvina esitò, iniziando a torturarsi le mani. Stava già cedendo? Che delusione, sperava di potersi divertire un altro po’.
E poi, avvenne qualcosa che mandò completamente fuori uso ogni suo senso e ogni capacità di provare sensazioni fisiche e psicologiche almeno per una mezzoretta.
 
L’abbracciò.
Bianca Plus gli si fiondò al petto e ci si accostò forte, stringendo la felpa blu e gialla con le mani. E addio ultimo neurone sano.
Il ragazzo ringraziò il cielo che il suo volto fosse già arrossato per gli schiaffi subiti, perché se così non fosse stato sarebbe stato palese il suo imbarazzo. Fin troppo palese.
– Ero preoccupata per te. – bisbigliò impercettibilmente la ragazza, mettendosi leggermente in punta di piedi, per quanto i tacchetti degli stivali glielo concedessero, per posare il mento sulla spalla di Axel. – È normale, fra amici, no?
Il biondo non sapeva cosa rispondere, né tantomeno era sicuro di saper cosa fare, aveva una voglia matta di ricambiare quell’abbraccio, ma aveva quasi timore di farlo.
Però lei rimase attaccata a lui, così, ancora per un po’, mentre il sole diceva definitivamente addio alla giornata e nel cielo cominciavano ad apparire le prime stelle. Il vento scosse delicatamente i due ragazzi, poi la coordinatrice si decise a staccarsi. Era purpurea in volto, ma perché si era inflitta da sola l’imbarazzo di quel gesto?
– Meglio se andiamo, gli altri si staranno chiedendo dove siamo finiti. – dichiarò, per poi iniziare ad avviarsi verso l’autobus azzurro e giallo.
Lui non disse nulla, e la seguì.

Sdraiata nella tenda rosa, avvolta nel suo sacco a pelo verde erba, Bianca non riusciva a prendere sonno.
Nelly e le altre erano belle c’addormentate già da un pezzo, evidentemente loro erano parecchio stanche dopo gli ultimi eventi. Non che lei non lo fosse, comunque, ciò nonostante c’era un piccolo dettaglio che le aveva fatto perdere il sonno.
“– Mamma, come si fa a capire di essere innamorati? – si ricordò di aver chiesto una volta, quando aveva tredici anni, a sua madre.
Perché lo chiedi? – aveva ridacchiato quella, facendola arrossire.
Un mio compagno di classe mi ha dato una lettera. – aveva mormorato lei in risposta, sicura che la mamma avrebbe capito. Difatti, l’altra corvina sorrise.
Beh, quando si è innamorati ...vengono le farfalle nello stomaco. – aveva detto con semplicità.
Non voglio la definizione di attrazione o cotta, mamma. – ricordava di aver arricciato le labbra infastidita, scatenando un’altra risata sommessa. Odiava quando sua madre la trattava da bambina.
L’amore è una cosa complicata, piccola mia.
Prova a spiegarmela. – aveva insistito.
Il cuore batte più velocemente. Molto, più velocemente. E nel petto si forma un calore indescrivibile, ma piacevole. – qui il suo sorriso si era notevolmente ampliato, mentre portava un pugno chiuso sul petto – È una specie di magia che fa scomparire le farfalle, lasciando il posto ad un sole che riempie tutto, senza più dolori di stomaco, solo amore. – le aveva toccato delicatamente il naso con l’indice – Pensa, quando ho capito di amare tuo padre, è stato per l’abbraccio che mi ha dato quando mi ha chiesto di sposarlo. Sentire il proprio cuore battere a ritmo quello della persona amata è il miglior modo per capire.
Rammentava di essersi incantata ascoltando quelle parole. Aveva adorato sua madre per averglielo spiegato in quel modo. Ma ora, avrebbe tanto voluto non averglielo mai chiesto, oppure che lei non fosse stata abbastanza capace da insegnarglielo.
Perché era capitato proprio a lei?
...
Perché era capitato proprio a lei, di provare quelle sensazioni mentre abbracciava Axel?!
 
 
E quando gli asini cinguetteranno, gli usignoli sbocceranno e le mele spiccheranno il volo, la pigra follia di Anna si farà sentire (wtf)
 
Eccomi quaaaa :’3
Chi mi aspettava? –nessuno, nessuno.
Sì, tutti gli angolini d’ora in poi inizieranno con una frase di quel tipo :’’3
Perché lo dico io #likeaboss
Tipo, Rev-chan è testimone di quanto la nostra cara Bianca stesse aspettando quel magico momento dei ceffoni.
A dirla tutta anche io.
Un Axel con le guance rosse di dolore è stato bello da immaginare, soprattutto considerato che non accadrà mai di poterne vedere un esempio!
Comunque.
Alla fine anche la cowgirl ha realizzato.
MENO MALE, ERA ORA. – n. d. tutti.
Adesso non vi farò attendere tanto.
Quel poco che basta per finire la parte ambientata nella seconda stagione dell’anime, e poi finalmente questa situazione da fessa soap opera del cavolo (??) si sistemerà, tipo.
Si spera.
Perché, su, diciamocelo, questa fic è una soap opera. Peggio di Beautiful (okay, non esageriamo, non faccio così pena çwç)
E niente, non ho nient’altro da dirvi. Solo:
 
Sorridete, sorridete, che presto arriverà un asino cinguettante a farvi piangere (?). You’ve been warned.
E recensite. I’m watching you, little fireflies of mine.
Bye-bee :’3

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Capitolo 13
*** Un desiderio sprecato ***


Le stelle splendevano nel cielo, tanto belle che era impossibile non avere voglia di sollevare il viso per osservare quelle lucciole splendenti e giocherellone, che sembravano tanto vicine da poterle toccare con un dito.
Le iridi azzurre della ragazza erano però ben fisse al terreno e alle sue gambe, che dondolavano quasi involontariamente.
Seduta sulla ringhiera del ponte che dava sul fiume di Inazuma-cho, la giovane stringeva con forza la balaustrata di ferro fra le dita, con le labbra strette e lo sguardo vuoto, riflettendo. Ripensava a tutto quello che aveva passato da quando si era unita allo staff della Raimon.
Innanzitutto, perché aveva accettato di diventare la coordinatrice di quella squadra? Per trovare la tranquillità, e sentirsi in pace con sé stessa. Perdonarsi quel peccato che in effetti, a ragionarci attentamente, non le apparteneva poi tanto.
Certo era che la scomparsa dei sensi di colpa era avvenuta, anche perché, d’altra parte, la piccola Julia Blaze era sveglia, ora, e stava riprendendo la sua vita.
Ciò nonostante, la tranquillità tanto necessaria ancora non era arrivata, anzi, Bianca dubitava seriamente che presto o tardi sarebbe riuscita a raggiungerla.
Prima di tutto, l’affrontare Ray Dark nel Football Frontier era stata un’impresa, considerato che quel folle sembrava disposto a tutto, persino giocare i suoi trucchetti migliori, o meglio peggiori, pur di vincere contro la Raimon. Ancora non riusciva a capire perché ce l’avesse tanto con quella squadra; conosceva sì il suo passato doloroso, ma non le era mai sembrato tanto grave da dover ferire nel profondo così tante persone!
Secondo poi, l’arrivo dell’Alius Academy aveva segnato l’inizio di un’indistricabile rete di eventi, sfortunati o meno, principalmente meno, che avevano tolto sonno e fiato a tutti i ragazzi che viaggiavano su quel pullman guidato dal signor Veteran, e non solo a loro, anche a quelli che erano rimasti “indietro”. Un susseguirsi di problemi.
E quello che stavano affrontando adesso era forse il maggiore.
La Schiller.
La Schiller era la sorella maggiore del capitano della migliore squadra dell’Alius Academy.
Se non andava errato, il ragazzo si chiamava Xavier o, come aveva sentito i suoi compagni di squadra chiamarlo, Xene. L’aveva visto giocare, quando la Raimon aveva affrontato la sua squadra, la Genesis. Era stata una delle esperienze peggiori della sua vita. Vedere i suoi amici distrutti da quelli che non si potevano nemmeno definire ragazzi era stata una vera tortura; era consapevole di non poter far niente, comunque, data la sua appartenenza allo staff, e non alla squadra in sé. Però… se avesse potuto aiutare in qualche modo, ne sarebbe stata felice, o quantomeno sollevata.
E adesso, la storia dell’allenatrice.
La corvina non aveva veramente un grande interrogativo da porsi. Era assolutamente escluso che rifiutasse di raggiungere il monte Fuji insieme alla donna, anche se per farlo avrebbe rischiato di andare contro qualcuno dei suoi amici. La Schiller non le piaceva, no. Era una persona schiva, apparentemente vuota di sentimenti, senza la minima preoccupazione per gli altri. Anche ad Okinawa, quando la ragazza aveva perso il controllo e si era abbandonata alle lacrime… un qualsiasi essere umano con un cuore funzionante avrebbe fatto qualcosa, qualsiasi cosa, per distrarla, se non consolarla. Come aveva fatto quell’idiota di Axel.
Invece, la Schiller le aveva ordinato di calmarsi, glacialmente calma come sempre.
Eppure, nonostante tutto, Bianca non aveva dubbi: sarebbe salita su quell’autobus, non appena il sole sarebbe spuntato, e avrebbe raggiunto il monte Fuji. Si poteva benissimo definire come un senso del dovere. Lei era la coordinatrice del club di calcio della Raimon Jr. High, e ne era responsabile. Che gli altri volessero seguire l’allenatrice o meno poco importava. Lei lo avrebbe fatto, punto.
Strinse la presa intorno al metallo del parapetto.
Non era importante, ma sperava con tutta sé stessa di non trovarsi sola, davanti a quella donna di ghiaccio, al mattino.
– B. – l’iniziale del suo nome aleggiò nell’aria, pronunciata dalla voce seria di una certa presidentessa dalla folta chioma rossa.
– Ciao, N. – salutò rilassando i muscoli delle mani.
– Hai intenzione di andare, vero? – domandò a bruciapelo la rossa. Bianca aveva sempre apprezzato la sua capacità di essere diretta quando serviva, però in quel momento non era molto sicura di voler sentirsi parlare così senza preamboli.
– Già. – confermò alzando lo sguardo verso il nero della notte e adocchiando una stella meno luminosa fra quei lumi rilucenti. – Tu?
– Mark ci va. – che equivaleva ad un ovvissimo “”. Cielo se era prevedibile quella ragazza. – Sono quasi certa che anche Axel lo seguirà.
La giovane dalla capigliatura color pece esitò un attimo, poi puntò gli occhi sulla sua migliore amica, con un’espressione piatta dipinta sul viso.
– Cosa ti fa pensare che mi interessi saperlo? – disse con ostentata sicurezza.
– Il fatto che in un modo o nell’altro è sempre nei tuoi pensieri. – com’era possibile che fosse diventata così arguta, la signorina Raimon?
La cowgirl non rispose. Si era ripromessa di mentire il meno possibile, soprattutto alle persone care come Nelly, e quindi non poteva parlare, perché avrebbe finito con il negare quella corretta affermazione.

Sì, diamine, il capo cannoniere della squadra era sempre presente, nella sua mente.
Il che le faceva venir voglia di mandare il suo cuore al diavolo.
Lo aveva fatto talmente tante volte che aveva esaurito la lista delle imprecazioni da tirar fuori contro sé stessa.
– Ho colto nel segno, nh? – ridacchiò la sua migliore amica, che presto sarebbe deceduta se non avesse immediatamente smesso di stuzzicarla in quella maniera.
– Parlami della tua mostruosa cotta per il capitano. – guardò passivamente le unghie chiare della sua mano con fare noncurante, mentre in realtà dentro di sé ghignava soddisfatta dal pesante tocco di vermiglio che era apparso sulle gote di Nelly. – Ho colto nel segno, nh? – le fece il verso.
Si rese conto di non essere mai arrivata a provocarla così direttamente, ma sotto sotto la invidiava; la rossa aveva una cotta agghiacciante per Evans, questo era vero. Però, la corvina era  perdutamente innamorata  di Blaze. Fra le due era impossibile sbagliare: la peggio messa era Bianca.
Alla fine, anche la corvina era alquanto prevedibile. Sbuffò, infastidita da quella realtà, e la sua amica si sedette accanto a lei, indirizzando gli occhi verso l’alto.
– Verrà a piovere. – sentenziò dopo qualche attimo di completo silenzio, interrotto solo dallo scrociare dell’acqua nel fiume.
– Dici? Il cielo è così limpido… – osservò scettica l’altra, nascondendo una ciocca ribelle dei suoi lunghi capelli neri dietro all’orecchio. La coetanea soffiò debolmente.
– Procurati un ombrello, finché sei in tempo.
 
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Shawn lo stava chiamando, con un tono a dir poco disperato, il braccio allungato nella sua direzione, gli occhi socchiusi in un’ombra malinconica di sorpresa mestizia. Un po’ gli dispiaceva lasciarlo lì da solo, sotto il ponte, con quell’espressione demoralizzata stampata sul volto; ma davvero, rimanendo lì con lui avrebbe finito solo con l’innervosirsi ancora di più.
– Se vuoi diventare perfetto, devi allenarti da solo. – gli disse mentre si allontanava, anche se gli parve di star cercando di convincere più sé stesso che l’albino.
Con la pioggia che gli sbatteva violentemente sulla testa, sulle spalle e sulle gambe, Axel affrettò il passo, per allontanarsi il più in fretta possibile da quel campo accanto al quale il suo amico sembrava sull’orlo di una vera crisi isterica. Non che il forte rumore dei tuoni lo aiutasse, in ogni caso, a sentirsi meglio.
 
Oramai i suoi piedi erano zuppi fin dentro le ossa, e così presto sarebbe stato tutto il corpo se non avesse trovato immediatamente riparo. Non ci pensava molto a dirla tutta, camminare, anche con il rischio di inzupparsi nelle pozzanghere, era di sicuro un buon modo per riflettere a mente lucida.
Shawn era un ragazzo fantastico. Gentile, sempre disponibile, con quel sorriso stampato sul viso. Però, era anche l’essere vivente più triste che il biondo avesse mai incontrato. Mai, in tutta la sua vita, aveva avuto l’occasione di cogliere una tale depressione e paura di tutto nelle iridi di qualcuno. Era una pessima sensazione.
Notò che la scarpa era slacciata, e si chinò per sistemare il laccio e impedirsi di cadere, anche se così facendo le gocce d’acqua incominciarono a cadere violentemente sulla sua schiena.
Almeno, così fu finché la pioggia cessò di colpo, intorno a lui. Sollevando lo sguardo color cioccolato fondente sulla strada, fu in grado di vedere e percepire il rumore del temporale che si sfogava su Inazuma-cho. Sul ragazzo, invece, l’acqua aveva miracolosamente smesso di cadere.
Mistero che fu presto risolto quando il cannoniere voltò il volto; dietro di lui, con un grande ombrello azzurro pastello in mano e con un sorriso divertito sulle labbra, stava Bianca, che appariva allegra. Ah, già, e lo stava anche riparando dalla pioggia.
Alzandosi in piedi, Axel si ritrovò presto faccia a faccia con quegli occhi limpidi, e non si poté trattenere dal sorridere a sua volta.
– Che fai sotto la pioggia, Blaze, hai intenzione di farti venire un accidente? – domandò sorniona la ragazza, sporgendosi in avanti per fare in modo di proteggere bene entrambi con la copertura del parapioggia.
– Se così fosse, ti interesserebbe? – replicò allargando il suo sorriso – Tu piuttosto, sei uscita anche con il diluvio alle porte? – aggiunse, sinceramente curioso.
Quella fece spallucce.
– Avevo voglia di passeggiare. – mormorò vaga, per niente convincente. Forse anche lei, dopotutto, aveva di che riflettere. – Dai, andiamo. – disse d’un tratto, dopo essere rimasti a fissarsi per un po’.
– Eh?
– Vuoi rimanere qui fermo in piedi finché non spiove? – spiegò la bruna inarcando un sopracciglio, e lui scosse la testa in segno di dissenso.
Il biondo ricominciò a camminare come prima, l’unica differenza era che lo spazio libero della sua mente, precedentemente occupato dai pensieri su Shawn, agevolati dalla solitudine, ora era completamente vuoto. L’unico dettaglio che il numero dieci notava era il trovarsi sotto l’ombrello accanto a Bianca, e poi niente.
Che schifezza.
La cosa veramente fastidiosa era che il passo della coordinatrice era più rapido del previsto, e quindi per starle bene dietro senza uscire dalla protezione dalla pioggia, era costretto a tenere il manico dell’ombrello in mano anche lui, insieme a lei. Il che permetteva alle loro mani di star l’una sopra l’altra.
Che razza di situazione… a questo punto forse era davvero meglio prendersi un più tranquillo accidente. Notò che lo sguardo della sua coetanea era come perso nel vuoto, fisso sul terreno grigiastro, ancora più scuro a causa della pioggia.
– Ci andrai? – udì la sua voce mormorare, e sussultò.
– Di che parli? – si sentì di chiederle a sua volta, per assicurarsi di aver capito.
– Ci andrai al monte Fuji? – specificò, apparentemente seccata dal dove ripetere.
– Sì. – esalò in un sospiro – Non me la sento di deludere Mark.
– Capisco.
Sotto i loro piedi in movimento, il terreno era scivoloso, e la coordinatrice, per evitare di rovinare a terra a causa della misera stabilità dei suoi stivali dovuta alla presenza di quegli stupidi tacchi, era obbligata ad aggrapparsi come meglio poteva all’ombrello e al ragazzo che con lei lo reggeva in alto sulle loro testa.
Inutile dire che Axel nel frattempo faceva di tutto per evitare di perdere completamente le funzioni celebrali della sua testa, anche se gli appariva come un’impresa quasi impossibile.
Camminare praticamente incollato a Bianca era una strana esperienza. Senza contare il timore di sentire di nuovo un tacco su din un piede. Comunque, le labbra arricciate e sigillate di lei lo incuriosivano parecchio. Che aveva?
Forse era solo stanca e confusa, come praticamente tutti i membri della Raimon e dello staff a seguito. Però era seccante.
– Posso sapere perché eri sotto la pioggia? – l’interpellò la corvina, flebile, facendogli venire un groppo in gola per la troppa spontaneità.
Le labbra scure di Axel si strinsero.
– Ho parlato con Shawn… – rispose vago.
– Ah, avete parlato del suo “problema”? – chiese ancora facendo segno di virgolette con le affusolate e chiare dita della mano libera.
– Già. – confermò – Se tentava di innervosirmi ci è riuscito. – si lasciò sfuggire senza rendersene veramente conto. E, subito, udì una risatina sommessa provenire dalla sua coetanea. Inclinò la testa nella sua direzione, facendo attenzione a non sbattere contro la visiera circolare del cappello texano, incuriosito da quella reazione. – Che c’è da ridere?
Quella prese un profondo respiro per smettere di ridacchiare.
– Niente, solo che… all’inizio anche a me sembrava fastidioso, il suo carattere. – gli spiegò sorridendo. Blaze dischiuse le labbra per rispondere qualcosa, se non fosse stato per una frase che risuonò nell’aria proveniente da qualche metro dietro di loro, precedendolo.
– Come sono carini! –
La voce che l’aveva pronunciata apparteneva ad una ragazza alta, dalla folta chioma viola come l’uva, che guardava nella loro direzione. Voltandosi impercettibilmente, i due furono in grado di vedere, con la coda dell’occhio, accanto a quella un’altra, probabilmente sua amica, dai lunghi boccoli lilla, che si trovò in visibile accordo.
– Hai ragione Hana, sembrano proprio una bella coppia. – commentò infatti.
I diretti interessati divennero rapidamente più scarlatti degli occhi di Jude. Era appena stati scambiati… per una coppietta di fidanzati? Effettivamente, erano stretti l’una all’altro sotto lo stesso ombrello ed erano terribilmente vicini, però…
Le ragazze, accorgendosi di essere state scoperte, cominciarono a camminare via sotto la copertura dei loro ombrelli color pastello. Il cannoniere ebbe a malapena il tempo di realizzare quello che era successo, che vide due iridi turchesi come il mare piantarsi nelle sue scure come il caffè, mentre la cowgirl non aveva ancora perso quella tonalità vermiglia.
– Noi non siamo una coppia, vero!? – quasi gridò, fermandosi di colpo. Gli occhi fremevano, sembrava più preoccupata che imbarazzata.
– Non dire scemenze, come ti viene in mente!! – si ritrovò a rispondere con la stessa altezza di tono.
Non era poi tanto sicuro di aver dato la risposta che più volere dare… e ne ebbe la conferma quando non solo non la vide sospirare di sollievo come si aspettava, bensì anche quando quell’ombra tremante in quei laghi abissali che le fungevano da occhi non scomparve, anzi, parve quasi accentuarsi.
Fu quando notò questo particolare, che, miracolosamente, la pioggia cessò di cadere. Le nuvole si diradarono lentamente e pesantemente, lasciando il posto alle stelle, lucciole candide e risplendente alle quali il numero dieci della Raimon fu lieto di dedicare tutta la sua attenzione.
Le mani dei due ragazzi si staccarono l’una dall’altra, e Bianca richiuse l’ombrello con uno scatto, concedendosi anche lei uno sguardo agli astri del cielo. Senza che nessuno dei due se ne spiegasse il motivo, non riuscirono in alcun modo a vedere il disco argenteo della luna, nella volta oscura di quella notte.
Il biondo abbassò di nuovo gli occhi sulla sua amica, e nell’immediato seguito sul posto nel quale si trovavano. Era il fiume di Inazuma-cho, tuttavia erano lontano dal ponte, segno che avevano camminato a lungo, insieme. Chissà quante altre persone li aveva scambiati per la classica “coppietta felice”. Un brivido gelido gli percorse la schiena al solo pensiero.
Vide la corvina muoversi verso l’erba che anticipava l’acqua, ormai mezza straripata, che stava tornando a riempire con precisione il letto del fiume, e d’istinto la seguì. Con riluttanza, più per il fastidio di bagnarsi che altro, si sedette accanto a lei sul verde dell’erba e gettò il capo all’indietro per scrutare ancora il cielo.
Com’era quieto, eppure aveva diluviato fino a pochi attimi prima…
– Mi è preso uno spavento. – Axel si voltò verso la ragazza, sorpreso da quell’improvvisa affermazione.
– Di cosa parli?
Lei si voltò verso di lui, con le gote ancora purpuree. Un po’, il ragazzo dovette ammettere che gli dava fastidio la facilità con cui la sua interlocutrice arrossisse in sua presenza, anche se sotto sotto ne andava fiero, e ne era contento.
– Quando quella ragazza ha detto… quella cosa. – serrò le palpebre come ad accentuare il suo sorriso, e il calciatore approfittò di quel miserabile momento di cecità per storcere la bocca una smorfia. E addio serenità.
– Mai stato più d’accordo. – mai stato più bugiardo, semmai. Frenò con la forza uno sbuffo esasperato.
Seguì una manciata di secondi in silenzio; sì, una manciata, che però sembrava agghiacciante e glacialmente eterna. Seduti sul fresco dei fili d’erba impregnati di pioggia, i due coetanei contemplavano la luminescenza dei lumi. Come aveva già fatto parecchie volte in almeno dieci minuti, e cioè all’improvviso facendolo sobbalzare, Bianca puntò l’indice destro verso l’alto, indicando qualcosa.
– Bianca, cosa—…?
– La vedi, quella? – sussurrò appena, socchiudendo le palpebre dolcemente, con un tocco di mestizia nella voce.
– Come faccio a distinguere una stella dall’altra? – le fece notare, accostandosi meglio a lei per poter riconoscere il punto stabilito. La ragazza afferrò la sua mano e la puntò verso l’alto, per fargli capire bene di quale astro stesse parlando. Come fece a non arrossire, non lo sapeva neanche lui. Forse, la buona capacità di mimetizzazione dei sentimenti tramite la sua piatta espressione seria?
– Quella! – anche il giovane dagli occhi neri assottigliò lo sguardo per capire bene, e alla fine fu quasi certo di aver visto ciò che la corvina gli stava mostrando. Un punto bianco, ma meno luminoso degli altri, nascosto in una cerchia di stelle.
– Come hai fatto a notarla dietro a tutta quella luce? – domandò, curioso, inarcando un sopracciglio e divincolando la sua mano color caffellatte dalla presa di quella chiara della cowgirl.
– È piccola e debole. Presa da sola, è totalmente inutile, è così lontana che la sua luce non riesce ad arrivare a pari grado con quella delle altre. È come se si stesse nascondendo, come se stesse cercando di impedirci di godere della sua luce. – mormorò la sua interlocutrice in risposta, senza smettere di osservare quella specie di lucciola eterna – Però, messa in mezzo alle sue simili più vicini e legate fra loro… così, facendo attenzione, la si può vedere. Senza le altre non vale nulla. Con le altre stelle, invece… ha la possibilità di risplendere.
– Bianca, tu…
– Non pensi che mi somigli? – domandò stupendolo, rivolgendogli nuovamente quel sorriso a palpebre serrate, anche se questa volta era sicuramente più malinconico.
Una stella poco luminosa… immersa nella luce di altre stelle, senza le quali non può essere nient’altro che piccola, debole e inutile.
Era così che la coordinatrice vedeva sé stessa? Non poteva avere davvero senso, no, magari lo stava solo prendendo in giro. Lei, quella che si sosteneva totalmente da sola, quella che non dipendeva da nessuno, quella che era cresciuta talmente in fretta da sembrare fin troppo adulta e perfettina… lei, pensava di essere come quella stella?
– È sempre una stella. – la guardò serio.
– Cosa? – spalancò le iridi azzurre, colpita da quella frase.
– Forse hai ragione, non brilla molto. Ma questa è solo una percezione di noi che siamo lontani, no? – continuò, noncurante di quello sguardo meravigliato che percepiva su di sé – Basterebbe avvicinarsi, per capire che, dopotutto… quella è pur sempre una stella. E magari, potremmo scoprire che, vista da più vicino, è anche la più splendente di tutte. – si interruppe per un momento, poi afferrò la visiera marrone del cappello texano e glielo tolse dalla testa, iniziando a farlo roteare fra le mani. – Quindi sì. Ti somiglia.
La cowgirl abbassò lo sguardo arrossendo pesantemente, con gli occhi sgranati al limite del possibile. Axel si morse la lingua. Se quello non era un buon momento per mandare al diavolo la sua maledetta boccaccia, quale altro momento lo era!?
Il silenzio che calò era veramente tombale. Ad interromperlo, il lieve vento che scompigliava loro i capelli, il rumore del cappello che roteava fra le dita del ragazzo. Che razza di situazione… ebbe la tentazione di alzarsi e andarsene, magari per farle dimenticare quel discorso e farla rilassare un po’. La tensione si poteva tagliare con il coltello. Non le aveva mai fatto un complimento, prima d’ora. E si sentiva come un film romantico di quelli deprimenti. Che schifo.
Sentì cinque dita minute afferrargli una spalla e tirarlo all’indietro; si ritrovò sdraiato sull’erba, tra l’altro ancora bagnata fradicia, e fece per rimettersi dritto, indispettito, quando il peso della testa corvina di Bianca si posò con delicatezza sul suo petto.
Non salutò neanche i suoi neuroni: tanto quelli funzionanti gli avevano detto addio da un bel pezzo.
– Si può sapere che combini!? – sbottò, ringraziando che per lei fosse impossibile accorgersi dell’impercettibile rossore del suo viso – L’erba è bagnata!
– E secondo te perché mi sono appoggiata a te, scemo? – lo raggiunse la sorniona replica – Non vorrai certo far bagnare una ragazza, vero?
– Egoista.
– Si fa quel che si può! – ribatté ancora, pronta.
Come. Come cavolo aveva fatto ad innamorarsi di una tipa del genere. I misteri del suo dannatissimo, stupido, privo di senso cuore, che tanto per la cronaca stava cominciando a battere ad una velocità fastidiosamente anomala. Che andasse al diavolo, lui insieme con quello stupido calore proveniente dal respiro della ragazza.
– Comunque è una brava persona.
– Chi? – domandò sospirando.
– Shawn. Hai detto che ti ha fatto innervosire, no?
– Il suo unico scopo nella vita è raggiungere la perfezione. In testa non ha altro che quello.
– Dici?
– È stato lui a dirmelo.
– Tu sei troppo duro con le persone.
– Disse quella che per uno stupido bacio sull’occhio mi ha quasi fracassato un piede.
– Ancora con questa storia? – si lamentò – Dai, non cambiare argomento.
– Perché non dovrei, non ho voglia di parlare di Shawn.
– Tutto ciò che fa lo fa per suo fratello. Non lo hai pensato, questo?
– Sì, ma non trovo che perdere completamente la voglia di vivere sia qualcosa che suo fratello apprezzerebbe da lui.
– Tu per Julia ci sei andato vicino, ricordi? – Blaze ebbe un tremito. Vero… Bianca sapeva cose di lui che nessuno sapeva, se ne era quasi dimenticato.
– Perché ti sta così a cuore difenderlo? – sentì la mano chiara stringere forte la stoffa blu e gialla della sua felpa. Fortuna che il cuore si trovava dall’altra parte del corpo.
– Da quando Nathan se ne è andato, è l’unico con cui riesco a parlare, persino con Nelly a volte ho difficoltà. Mi spiace vederlo così in difficoltà senza poter fare niente.
– Da come parli, sembra quasi che ti piaccia. – deglutì a vuoto per impedirsi di masticare troppo quelle parole, che non volevano saperne di uscire, ma che alla fine furono sputate fuori con stanchezza.
La bruna si sollevò rapidamente, stizzita, e lui la seguì a ruota, raddrizzandosi.
– Prima di tutto, non sono affari tuoi. – ordinò piccata – E poi, non è Shawn a piacermi, stanne certo.
– Ah no? E chi? – la coetanea si irrigidì imbarazzata, probabilmente accorgendosi dell’errore che aveva appena commesso.
– E io dovrei a dirlo proprio a te? – strinse i denti, visibilmente nervosa.
– Oh, perché? – cercava di ostentare un tono schernitore, ma stava letteralmente morendo dal desiderio di sapere a chi la ragazza si stesse riferendo. Anche se la fredda morsa che stava prendendo possesso del suo stomaco diceva il contrario.
Probabilmente in aiuto di entrambi, arrivò una scia luminosa nel cielo notturno.
– Una stella cadente! – esclamò la corvina.
– Cosa dici? Non c’è niente.
– Non l’hai vista? Teoricamente, possiamo esprimere un desiderio.
– Ti dico che non ho visto nessuna stella cadente.
– Va bene, vorrà dire che esprimerò un desiderio anche per te. – sorrise e batté le mani unendole in preghiera, per poi esclamare, con un tono di voce abbastanza alto da poter essere scambiato per un grido: – Vorrei che Axel fosse meno irritante!
– Ehi, aspetta, ma che razza di desiderio è?!
– Il grande sogno della mia vita, che domande. – rispose sarcastica, mostrando subito dopo la lingua in segno di scherno.
– Quando si dice sprecare un desiderio…
 
 
Nel mezzo del cammin di nostra vita, anche questa particina è finita!
 
Io sono incorreggibile.
Alla fine ce l’ho infilata anche qui, la mia carissima Hana, a fare un microscopico cammeo e a far imbarazzare il nostro caro irritante e la perfettina dall’orgoglio insormontabile –o quasi. L’altra è Hikari, quella apparsa ne “Il migliore dei miei peggiori Natali”, avete presente? Probabile di no, ma io specifico v.v
BOOBOOBOO  >w<
CHUCHU  ^//^
Okay, basta, torniamo seri –aspettate, lo siamo mai stati?  
Tipo, sono andata in fissa con un AMV di Gouenji che Rev-chan mi ha mostrato… la canzone è stupenda e poi Shuuya è bellissimo l’ho visto cinque volte solo oggi pomeriggio. Mi piace, e mi sento una grandissima idiota –perché lo sono magari *canticchia Your Love Is My Drug* <-- che tra parentesi è la canzone dell’AMV… ormai la so a memoria.
COUGH.
Dicevamo?
Ah, sì, ho tirato in ballo quest’informazione dell’AMV perché i principali episodi usati per farlo sono quelli della finale con la Corea, e che la antecedono… quando il nostro numero dieci è combattuto perché suo padre è un grandissimo bastardo vuole obbligarlo a fare il medico… e stavo pensando che quando arriverò a quel punto, con la mia fic, dovrò descrivere le emozioni di Shuuya.
Non penso di poterlo fare. Dovrei esprimere tutto il disprezzo che prova per suo padre in quei momenti, e poi quanto gli è grato quando il “caaaaro” signor Gouenji gli concede di rimanere nell’Inazuma Japan. Meno male che conosco un sito per potermi rivedere bene gli episodi in streaming :’3
COUGH.
E in questo capitolo Axel è OOC. Il caso è chiuso.
 
La donzelletta vien dalla campagna…e si mangia un piatto di lasagna.
So che le mie recensitrici care recensiranno da brave luccioline (?) quali sono, ma mi piacerebbe vedere anche gli altri, ogni tanto.
I’m watching you, little fireflies of mine (sì, sono fissata con le lucciole, problem?).
Bye-bee :’3

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Capitolo 14
*** Ritorno a casa ***


Tokyo sembrava meravigliosa, vista dal finestrino del pullman della Raimon, dopo la tremenda giornata che i giocatori e lo staff avevano passato.
Eh già, il viaggio al monte Fuji era stata una sorpresa continua, prima lo scoprire che il capo dell’Alius Academy era il padre della Schiller, e poi venire a sapere che tutti quei ragazzi erano comuni esseri umani le cui prestazioni fisiche, e anche mentali, erano state modificate da quella maledetta pietra di Alius... il progetto Genesis era subito stata catalogata nelle menti di tutti come la più folle e malata egoistica idea esistente sulla faccia della Terra, paragonabile solo alle numerose nefandezze di Ray Dark, anche se almeno, questa volta, nessuno ci aveva rimesso vita e salute, a quanto pareva e a quanto tutti speravano.
I giocatori delle squadra dell’Alius si trovavano tuttora in un ospedale, come Bianca aveva appreso dalla stessa allenatrice Schiller, e la squadra di Inazuma aveva avuto il permesso di tornare a casa, finalmente, per riprendere una consueta vita da adolescenti. Sarebbe stata anche ora, effettivamente.
Una voce improvvisa mise un punto fermo ai pensieri della coordinatrice.
– Mh, come sembri pensosa.
La ragazza si voltò nella direzione di Shawn, il quale, seduto accanto a lei, le stava sorridendo radioso. La corvina sbatté le palpebre, poi ricambiò quel sorriso; era proprio diverso da prima, e non solo per la mancanza della sciarpa bianco latte, o per il fatto che i suoi capelli sembravano più spettinati di prima. Qualcosa nello sguardo grigiazzurro era cambiato, non vi si poteva più leggere quella tristezza attanagliante che sfociava quasi in follia. Ora, il numero nove non era nient’altro che un ragazzo, carino, gentile e sorridente, una persona qualsiasi. Con un grande e rinnovato talento per il calcio, comunque.
– Ho qualcosa sulla faccia? – la riportò nuovamente alla realtà il tono candido dell’albino, che, seppur sorridendo, inarcò un sopracciglio quasi sarcasticamente, accorgendosi dello sguardo insistente e riflessivo dell’amica. Quest’ultima arrossì un po’, e ridacchiò nervosamente.
– No, non è questo… stavo solo riflettendo, scusa. – tornò a guardare fisso davanti a sé, stringendo una mano nell’altra. Sentì il mento di Shawn posarsi sulla propria spalla.
– Tranquilla, non ho detto che mi dispiaceva. – mormorò pensieroso – Piuttosto, sai che a breve tornerò in Hokkaido? Anzi, forse già domani. – Bianca si irrigidì un secondo.
Vero, lui non era di Tokyo, e sarebbe dovuto tornare a casa sua. Esattamente come tanti altri, ad esempio Darren, Hurley, Victoria, Scott... e anche Suzette, ma non vederla più per un po’ in fondo non era un gran problema, senza la turchese ci sarebbero state meno risate da sopportare ogni qualvolta la bruna si distraesse pensando a Axel, il che ultimamente succedeva troppo spesso.
– Oh. – emise come trasognata, poi sorrise sorniona – Peccato, ma non sperare che venga a trovarti, sia chiaro! – rise, osservando lo sguardo stupito e interrogativo del ragazzo –  Io odio il tuo paese, signor lupo dei ghiacci, ricordalo sempre! –  spiegò sospingendo il viso niveo del giovane con il dito indice della mano.
Lui sbatté per un paio di volte le palpebre dei suoi grandi occhi azzurro-grigiastri e sorrise divertito.
– Non è un problema – fece spallucce –  vorrà dire che sarò io a venire da te, contenta? – quella rimase interdetta. Assolutamente, era totalmente un’altra persona, sia rispetto al ragazzo salvato dal congelamento sul ciglio della strada sia rispetto a quella specie di demone che l’aveva tanto terrorizzata. C’era da solo da pregare che non cambiasse ancora, altrimenti sarebbe stato un grande problema per la coordinatrice non svenire per la confusione!
– Come una pasqua. – rise nuovamente, lasciando perdere i suoi pensieri e appoggiandosi di peso sulla spalla del suo amico, senza accorgersi di essere osservata...

~

Le labbra scure del capo cannoniere della Raimon si arricciarono, per poi rischiudersi in uno sbuffo infastidito. Per quanto cercasse di impedirselo, i suoi occhi color cioccolato andavano inevitabilmente e continuamente a posarsi sulla ragazza dalla chioma corvina che da qualche tempo non gli faceva un effetto esattamente normale.
Ammetterlo, in particolar modo a sé stesso, era fuori discussione, ma la conversazione che aveva avuto con lei, sotto il cielo stellato post acquazzone di Tokyo, prima di partire per il monte Fuji ed affrontare la Genesis, non faceva altro che rimbombargli in testa, parola per parola. E vedere quella stupida ridere di gusto insieme a quello che era stato l’oggetto di parte della loro chiacchierata era come sentire il proprio stomaco annodarsi senza motivo. E bruciava anche un po’, quasi come un comunissimo mal di stomaco... l’unica differenza era che era veramente insopportabile, ed era certo che una semplice camomilla non avrebbe affatto risolto il problema.
– Guarda che se la fissi così si scioglie... – sobbalzò, tanto che quasi cadde dal sedile, all’udire quelle parole. Si voltò letteralmente scandalizzato nella direzione di colui che aveva parlato; come niente fosse, Jude aveva ripreso a guardare fuori dal finestrino, anche se Axel poté giurare a sé stesso di aver intravisto due iridi rosso sangue roteare verso il cielo, al di sotto di quelle lenti scure da aviatore.
– Cosa. – voleva essere una domanda, eppure il tono di voce del biondo risultò così calmo, serio e quasi statico da far paura. Il che era azzeccato, dato che lui si era preso uno spavento colossale.
– Bianca. – mormorò il regista, girandosi di nuovo verso il numero dieci – Se la fissi a quella maniera la consumi. – anche il rasta appariva calmo, anche se un pochino era evidente che fosse seccato.
– Io non fisso nessuno. – emise senza accorgersene l’altro – Ero solo sovrappensiero. –  si sentì obbligato ad aggiungere, come ad attutire la falsità che aveva formulato. In effetti, lui era davvero sovrappensiero.
– Sarà. – si chiuse nelle spalle, come arrendevole. Axel si diede dell’illuso subito dopo aver pensato che uno come Sharp potesse essere in qualche modo corrispondente all’aggettivo “arrendevole”... – Comunque non dovresti farti tanti problemi. A Bianca non piace Shawn, giusto perché tu lo sappia. – appunto.
L’attaccante sbuffò ancora, abbandonandosi sullo schienale del sedile. Quel tipo era troppo arguto, diamine. Ebbe la tentazione di risponderli con un secco “Sì, lo so”, ma così avrebbe dato prova di essersi interessato di quell’argomento e addio a quel briciolo di copertura che gli era rimasta. Jude era troppo intelligente. E poi c’era da chiedersi anche da quando in qua Jude Sharp  si intendeva di questioni di cuore.
– E a chi interessa chi piace a quella. – A te, rispose una petulante voce nella sua mente al posto del tono tranquillo del rasta. Dannato subconscio del cavolo che faceva quello che voleva quando meno doveva.
– Ma allora è vero che sai essere irritante, quando vuoi! – esclamò con un sorrisetto soddisfatto il ragazzo alla sua sinistra, per poi riprendere la sua visione del paesaggio.
Il biondo serrò le palpebre.
Chiamarlo come lo chiamava lei. Ah. Ottimo modo per fargliela passare dalla testa, certo.

~

La fitta coltra di nebbia che aveva avvolto fino a quel momento il grande edificio della Raimon Jr. High si era dissolta da qualche minuto appena, e già Bianca avrebbe voluto seppellirsi. In particolar modo quando il membro che appariva il più importante di quella squadra imbacuccata in quei mantelli neri si abbassò il cappuccio sulle spalle, facendole perdere come minimo sette, o forse otto, preziosi battiti del cuore.
Sentì il proprio corpo appesantirsi di botto quando riconobbe i lineamenti gentili e quasi femminei del ragazzo con il quale meglio si fosse mai sentita in sintonia. Le labbra chiaro-scure tirate in un’espressione mista fra il serio e il completamente assente, le lunghe ciocche di capelli turchesi svolazzanti, come sollevate dal potere del ciondolo viola che portava al collo; lo sguardo serio, le grandi iridi del colore delle foglie autunnali esprimevano solamente vuoto. Non erano le stesse, quelli non erano gli stessi occhi del loro amico, eppure era lui, senza ombra di dubbio. Così come tutti gli altri membri di quella squadra erano gli ex membri della Raimon.
Cosa diavolo era successo mentre loro erano in viaggio!?
– Nathan Swift, si può sapere cosa hai intenzione di fare?! – sbottò con le iridi cerulei perse in un fremito incontrollato di nervosismo. E l’ex difensore la ignorò bellamente, concentrandosi invece sul capitano, che non era mai parso sconvolto come in quel momento. E sconvolgere Mark Evans era una cosa dura, durissima, quasi impossibile da fare.
Sentì qualcuno posarle le mani sulle spalle, e girandosi vide l’espressione egualmente stupita, negativamente stupita, della sua migliore amica, la quale le apparve tuttavia in un tentativo di rassicurarla. Non che stesse realmente funzionando, ciò nonostante la cowgirl annuì in silenzio e lasciò fare a Mark, pur sapendo che ogni sforzo sarebbe stato vano: la pietra di Alius alterava la mente delle persone, e quel branco di idioti erano stati degli ingenui ad avvicinarcisi. Pur contando che la colpa era tutta di quel mostro, quello che avrebbe dovuto essere il “tanto fedele” assistente di Armstrong Schiller.
Godrick Wiles.
Che andasse all’inferno per aver fatto prendere un accidente tale a tutti quanti e aver anche solo osato fare il lavaggio del cervello ai loro amici. Dannato.

~
Mai più che in quel momento ebbe desiderio di spaccare la testa a qualcuno. E non qualcuno qualsiasi, no. Quello a cui la testa andava letteralmente fracassata, talmente era duro il coccio di cui era fatta, era quello stupido di Nathan. E con lui tutti i loro ex compagni di squadra. Nella loro divisa nera, i Dark Emperors stavano radendo al suolo la nuova squadra della Raimon, riempiendo di lividi e graffi tutti quei loro amici con i quali avevano affrontato tanti guai, e anche quei ragazzi che stavano facendo di tutto per salvarli, così come avevano sopportato ogni sorta di problemi per proteggere le scuole e la Terra in generale dalla follia di quella maledettissima pietra, che fra l’altro pensavano anche di aver distrutto.
Axel sentiva la forza nelle gambe cominciare a sparire, i piedi gli pulsavano di dolore, e le ferite che il solo tentare di fermare quei ragazzi impazziti gli aveva procurato gridavano aiuto in tutte le lingue conosciute o meno. Il respiro mancava, non solo al biondo, bensì a tutti. Shawn sembrava sull’orlo di una crisi isterica (che sarebbe stata comunque l’ennesima, ad essere sinceri, e per una volta Hayden non sarebbe c’entrato proprio nulla), e Mark era ancora pieno di tutta l’energia che solo il moro poteva tirare fuori. Con tutta la buona volontà, gli altri erano distrutti, e fare resistenza contro Nathan e compagnia era diventata una vera impresa!
Lanciando ogni tanto un’occhiata alla panchina, il capo cannoniere poteva vedere una disperazione incontrollabile sui volti delle tre manager e della coordinatrice, mentre il mister Hillman sembrava assorto ed era comunque visibilmente preoccupato. Come fare?
Il pallone schizzò con disumana violenza contro la mano del giovane Darren, e da abbandonato sul terreno qual’era (era ormai veramente impossibile mettersi in piedi) il biondo vide Evans correre a soccorrerlo. E soprattutto, non mancò di notare come il solo presagio di avere il capitano come avversario in porta avesse stimolato in Nathan una reazione quasi folle. Faceva paura, anzi, incuteva quasi terrore, con quel sorriso da squilibrato dipinto sul viso, la luce della pietra che lo illuminava dal basso rendendolo simile ad un film dell’orrore. Non restava che pregare che Mark avesse la meglio.
E invece...
Non passò molto tempo, che anche il moro stramazzò a terra. Non che non fosse resistito a lungo, anzi. Ma la violenza e la determinazione di quei neo folli era aumentata ogni secondo di più, e persino il capitano, la colonna portante di quella squadra, non resse più.
La voce del cronista sembrava riecheggiare nel campo quasi con disperazione. Eppure, le uniche parole che Axel, così come molti altri, poterono udire, furono le ultime.
Forse la Raimon ha raggiunto il proprio limite.
Da quella frase sarebbe stato meglio, molto meglio, eliminare quell’inutile e lacerante “forse”.

~

Da accanto alla corvina, la presidentessa Nelly scattò in piedi, tremante come non mai.
– Forza, rialzatevi! – gridò con voce incrinata, quasi spezzata – Tutti quanti, coraggio! – se volevano essere un grido di incoraggiamento, quelle parole aleggiarono come parole al vento, senza alcun significato. La coordinatrice fissò la sua migliore amica, sentendosi così più vicina a lei che in qualsiasi altro momento della loro vita.
Stavano pensando la stessa cosa. Forse, era finita...

For-za Raimon! For-za Raimon!

La voce di Silvia irruppe nell’opprimente silenzio che aveva assalito ferocemente il campo, la tensione parve confluire tutta nel suo tono. Anche lei aveva la voce incrinata, le iridi verdi dilatate dalla preoccupazione. Ciò nonostante, le mani a coppa intorno alla bocca, la manager dalla pettinata chioma verde attirò l’attenzione di tutti, e come per magia, partendo da lei, come infuse da nuovo coraggio, altre voci si unirono a quel canto, disperato eppure rassicurante. Forse era un po’ inutile. Però, dopotutto...
Il sorriso sulle labbra di Celia, l’espressione seria disegnata sui visi di Willy, Suzette, e tutti gli altri. Ovunque Bianca posasse i propri occhi azzurri, quelle espressioni colme di speranza le toccavano l’anima. Come fare a non condividere quel coraggio così contagioso? D’istinto, si affiancò alla sua migliore amica.
– For-za Raimon! For-za Raimon! For-za Raimon!
Potevano farcela. No, dovevano  farcela. La Raimon avrebbe vinto quella partita. Era così, se lo sentiva. Tutti lo sentivano.

Davanti ai loro televisori, decine e decine di ragazzi stringevano i pugni, chiudevano le mani a coppa intorno ai loro visi, cantavano a ritmo. La loro fiducia era totalmente riposta nella sola forza di quei ragazzi, quei prodigiosi ragazzi che componevano la Raimon, coloro che avevano aiutato ognuno di loro, quegli stessi che avevano affrontato ogni sorta di male senza mai perdersi d’animo. La Raimon, la squadra di calcio della Raimon, avrebbe vinto quella partita. Perché la fiducia di tutti quelle persone era trasmessa loro da quelle voci che, seppur lontane, erano udibili, e infondevano coraggio e forza nei cuori di quegli undici ragazzi stramazzati sul freddo sterrato del campo.
Quel campo che era stato l’inizio della loro grande avventura verso la leggenda.
Ogni singolo avvenimento veramente importante era avvenuto lì, e così sarebbe stato anche quella volta. La Raimon avrebbe vinto, perché era la Raimon, e tutti quanti contavano su di loro. Se per un attimo il dubbio della sconfitta aveva assalito le menti di quegli spettatori, adesso il loro unico pensiero era far capire a quei ragazzi che avevano persone le quali credevano in loro. Quindi... avrebbero vinto, sicuramente!


Gli occhi di Nathan e dei ragazzi in tuta nera sgranarono, basiti e spaventati da quello che poterono vedere. I ragazzi della Raimon posarono saldamente le piante dei piedi per terra, le braccia a dare la spinta decisiva per sollevarsi faticosamente in piedi. Pieni di lividi e graffi, come risorti dalle proprie ceneri, i giocatori in divisa gialloblu erano in piedi.
E, ignorando palesemente la sorpresa dei Dark Emperors, si voltarono all’unisono verso la colonna granitica che li aveva sempre sostenuti, e che ora aveva bisogno del loro aiuto.
– Mark!
– Capitano!
– Alzati, coraggio!
La mano del capitano si posò lentamente sul pallone.
Il palmo dell’altro arto superiore spinse contro il terreno scuro, a fare leva.
Le gambe si mossero appena, poi più rapidamente, fino a stendersi correttamente e ad alzarsi, diritte.
– Non è... ancora finita. – mormorò – Non ci arrenderemo! – quasi cadde lanciando il pallone nella direzione del turchese, che gridò di frustrazione.
Invano il pallone, accompagnato dalla Fenice Oscura dei ragazzi, volteggiò come una saetta verso il moro. La sua grande Mano di Luce raccolse quell’energia, e fu come vedere una trasformazione di oscurità in luce.
Non passò neanche un attimo, che le schegge ormai prive di valore della pietra di Alius giacevano a terra, prive di qualsiasi potere, senza poter più gravar danno a nessuno.
Bianca si portò una mano sul petto, e respirò profondamente, mentre i ragazzi attorniavano un Mark svenuto per il troppo sforzo.
Adesso sì, che la loro vita sarebbe tornata quella di sempre...


~

– Ehi, Axel! – il biondo si voltò nella direzione di colei che l’aveva chiamato.
Vedersi correre incontro la coordinatrice della Raimon lo fece sorridere; era carina, con il volto arrossato per la corsa.
– Ehilà. – rise guardandola mentre riprendeva fiato, arrivata accanto lui – A cosa devo quest’inseguimento?
Le mani in tasca, il cannoniere era infilato nei suoi pantaloni beige e nella sua felpa arancione, diretto alla torre di Inazuma. Lì aveva appuntamento con Mark e Shawn, ed era già in ritardo... di parecchio, ad essere totalmente sinceri.
– Non ti stavo... inseguendo... – sussurrò stizzita la corvina, fra un ansimo e l’altro.
– Chissà come ho fatto a pensare una cosa simile. – ridacchiò ancora con scherno, sollevando un sopracciglio, ma sorridendo.
– Irritante. – sibilò mettendosi ritta e stirandosi la maglietta con le mani.
– Cosa c’è? Ho fretta. – non nascose, facendo spallucce.
– Anche io. – palesò allora Bianca – Per questo ti ho chiamato.
– Dimmi. – esalò in un sospiro, arrendendosi. Non aveva tempo di mettersi a discutere.
– Devo andare alla polizia con il detective Smith, sai che il mio lavoro consiste anche in questo genere di cose. – iniziò a spiegare la ragazza, visibilmente seccata di quell’inconveniente che essere una coordinatrice pagata e non una manager le procurava.
– E quindi? – incalzò Axel, incuriosito.
– Starò lì tutto il giorno, e non avrò tempo di salutare Shawn, che torna in Hokkaido. – le iridi color cioccolato del ragazzo sgranarono debolmente, per poi roteare involontariamente. – Gli altri li ho visti tutti prima, ma lui non l’ho trovato. E ora sono di fretta... Nelly mi ha detto che si trova con Mark alla torre.
– E...?
– Vorrei che lo salutassi anche da parte mia, ecco. – si sistemò il cappello con entrambe le mani, guardando in un’altra direzione, con lacerata tranquillità.
Il biondo sbatté le palpebre, poi sbuffò ancora.
– Bene. – si girò per continuare a camminare, noncurante.
– Grazie, ti devo un favore! – gli disse quella da dietro, per poi voltarsi ed accingersi a raggiungere il detective Smith, se non fosse che la voce del giovane amico la fermò.
– Un favore? – masticò quella parola con interesse – Bene, e allora rispondi a quella domanda. – la guardò nuovamente, e vedendola sussultare si ritrovò bizzarramente a capire di non essere per niente soddisfatto.
– Q-Quale domanda?
– Hai detto che non è Shawn a piacerti... e allora chi? – nel tremito che la bruna ebbe notò tutto il suo disappunto e anche una leggera preoccupazione.
– Scusa, ma cosa c’entra con il favore che ti devo!? – sbottò infastidita, girandosi e puntandogli contro le sue liquide iridi azzurro cielo.
– Dai, che vuoi che sia dirmelo?
– Non posso dirlo a te!
– Perché, agli altri lo diresti?
– Beh... le mie amiche lo hanno capito da sole. – si lasciò sfuggire anche lei un sorriso – Puoi capirlo anche tu, no?
Era brava a rigirare le frittate, nh.
E’ bella quando sorride, constatò una voce nella sua testa.
Cosa dici? Lei è sempre bella, fu la risposta che senza saperlo l’inconscio del calciatore formulò.
– Il primo che mi viene in mente, eccetto Shawn, è Nathan. – rifletté ad alta voce svuotando i propri pensieri da qualsiasi argomento che non fosse quello. E si sentì stranamente sollevato quando Bianca rise, anche se stava ridendo di lui.
– Acqua! – esclamò fra le risate.
– Sicura? – si morse la lingua quando si rese conto di ciò che aveva detto.
– Axel... Sai qual è la prima cosa che ho pensato di te?
– Che sono irritante?
– Ahia, acqua profonda! – ammiccò divertita – Pensaci su, e appena indovinerai magari te lo dirò, a chi appartiene questo cuore così “perfettino” come lo chiami tu, eh? Ora devo andare, ho del lavoro da fare, io!
 
Mentre l’osservava correre via, il Bomber di Fuoco sentiva di essere arrossito un po’.
E frattanto i suoi neuroni erano di nuovo andati a farsi una bella vacanza...
Che almeno gli mandassero una cartolina dal Polo Nord, stavolta!





Pumparaqua ~

Tipo, terzo cambio di font. Si suppone (e spera) che sia anche l’ultimo, generalmente il Tahoma mi ispira parecchio. Okay, lasciamo stare. E il titolo non c'azzecca un fico secco!!
Dicevamo...
L’ho fatto :3
Ci sono riuscita =3=
Sono fiera di me stessa, anche se non è granché.
L’ho scritto, cancellato e riscritto una decina di volte, però, quindi ve lo tenete così.
E’ molto, molto melenso, troppo. Mamma mia, terribile, vero?
Quella pappardella in corsivo è stato un parto. L’ho fatta pesante, bah.
Però a parte quello vado abbastanza fiera di questo scambio rapido di punti di vista situati in punti diversi della storia.
Ho riguardato l’ultimo episodio della seconda stagione, comunque.
Non me la ricordavo così angosciante.
E Kazemaru è bellissimo proprio con quella divisa <3
E io impazzisco per quella pettinatura ribelle <3
MA. Nel mio cuore c’è sempre Gouenji, oh.
Beh, pronti per l’FFI? Io mica tanto.
Ciaaaaaaaaao, ci vediamo. Bacioni,
Anna

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Capitolo 15
*** Che il fantastico FFI abbia inizio! ***


I ragazzi erano raccolti intorno al mister Hillman, anche se qualcuno era ancora un po’ scosso per la comparsa di Janus –no, Jordan Greenway, e di quel teppista di Caleb.
Erano tutti piuttosto contenti di essersi rincontrati dopo tanto tempo, e soprattutto erano curiosissimi di sapere cosa ci fosse in serbo per loro...

~

Bianca fremeva, aprendo e chiudendo le mani involontariamente, in una reazione nervosa.
Cosa che non si spiegava, non era certo la prima volta che cambiava squadra da coordinare, senza contare che con tutta probabilità i membri erano persone che conosceva, almeno la maggior parte. Eppure, era così piena di adrenalina da poter scoppiare.
Sarà stato il fatto di non aver mai coordinato una squadra veramente importante per il Giappone?
E inoltre, anche se il suo datore di lavoro rimaneva Hillman, così non era riguardo all’allenatore: il mister della futura Inazuma Japan era totalmente diverso dal portiere della leggendaria Inazuma Eleven e, a dirla tutta, anche se le incuteva un po’ di suggestione, sotto sotto le stava quasi simpatico. E poi aveva una figlia semplicemente adorabile, non aveva mai incontrato una ragazza così gentile in tutta la sua vita!
– Bianca, dobbiamo andare. – la raggiunse la voce dell’oggetto dei suoi pensieri, Camelia, apparendole con il suo dolce sorriso accompagnato da uno sguardo ceruleo.
– Certo Camelia, eccomi. – sorrise la coordinatrice.
Si avviarono insieme, fianco a fianco, iniziando a discorrere con tranquillità, anche se la corvina sentiva ancora quell’inquietudine di poco prima invaderle lo stomaco.
– Come sono i ragazzi? A quanto mi ha detto mio padre, la maggior parte sono persone che conosci, vero? – si interessò flebile la ragazza dalla chioma violacea, provocando un altro sorriso nella sua interlocutrice.
– Mh-hm – fu l’inarticolato assenso – Vedrai che ti piaceranno. – ammiccò, sollevando l’indice in un segno d’intesa che l’altra accolse con contentezza.

~

Non ci posso credere.
Il tono serio di Axel aleggiò nell’aria abbastanza pesantuccia che si era venuta a creare, mentre gli altri ragazzi, chi più chi meno, cercavano di non mostrare alcuna reazione quando videro che, accanto al nuovo allenatore, era apparsa anche una certa ragazza vestita da personaggio di un film western, che molti di loro conoscevano.
– Eh? – inclinò invece la testa Austin, senza capire perché il biondo avesse un’espressione così innaturale dipinta negli occhi neri.
Il ragazzo sembrava sul punto di dire qualcosa, ma Nathan lo precedette.
– Bianca, ci sei anche tu! – sorrise raggiante, ricevendo in risposta un cenno con la mano e un riso delicato della bruna, che tuttavia non spiccicò ancora parola.
– Ehilà, compaesana! – lo seguì Hurley serrando una palpebra e alzando il pugno all’altezza del viso con allegria. – Ancora vestita da cowgirl? – non mancò di notare poi.
E lei si portò le mani sui fianchi, inarcando un sopracciglio, ma sorridendo in un misto fra il divertito e il minaccioso.
– Ancora incapace di star zitto quando necessario, Kane? – l’interpellato trasalì, iniziando a grattarsi nervosamente dietro la testa, al che lei si mise a ridere. Infine si voltò nella direzione di Shawn, senza però smettere di ridacchiare – E tu che fai lupetto, non saluti?
– Solo se smetti di chiamarmi così, Bianca. – replicò sarcastico l’albino – Sono contento di vederti. – aggiunse comunque.
– Anch’io, lupetto.
– Ehi! – tentò di protestare, sebbene la coetanea non stesse più facendo caso a lui, né a nessun altro. La coda dei suoi occhi limpidamente celesti era posata su Blaze, che a sua volta si stupì di accorgersene. Tuttavia tacque, notando il sorriso che, senza ombra di dubbio, la coordinatrice aveva appena rivolto a lui. E per una volta furono d’accordo sul fatto che non c’era affatto bisogno di parlare, dopotutto non era molto che non si vedevano... certo che lei aveva sospeso il suo lavoro alla Raimon per un paio di settimane per prepararsi a collaborare con il mister Trevis, eh.
– Dai, che avete una partita da giocare! – batté le mani per un paio di volte in modo incitativo, dopodiché lanciò un’occhiata all’allenatore, che annuì tranquillamente. La ragazza lo seguì alla loro postazione e tirò fuori block-notes e penna nera, per prendere appunti, in special modo sui volti nuovi fra i ragazzi convocati.
Non che ne avesse un personale o particolare bisogno, la sua memoria fotografica non le avrebbe comunque concesso di dimenticarsi qualcosa, però erano stati ordini di Trevis. Lui non poteva concentrarsi sui particolari in quella partita e per questo, come se ce fosse stata necessità per uno come lui, che dopo appena qualche giorno possedeva già tutta la stima di Bianca per quanto riguardava il loro campo lavorativo, aveva ordinato alla ragazza di prendere al posto suo nota anche delle minime cose, in modo che potessero tornare utili. Bah.
Già dopo poco, comunque, si poteva notare che tutti quei ragazzi in campo avevano stili abbastanza diversi, nonostante le affinità e somiglianze, nessuno era uguale all’altro. Quindi forse il lavoro che Bianca stava facendo aveva un senso...
Sembravano molto carichi, tutti quanti. Beh, forse eccetto il difensore dalla bizzarra, quasi assurda, pettinatura viola melanzana... Archer Hawkins, se non sbagliava. Sì, si chiamava così. Era più grande degli altri, proprio come Hurley aveva diciassette anni, e Hillman le aveva parlato di lui, anzi gli aveva parlato più o meno di tutti coloro aveva scelto.
Perciò non si stupì notando che sembrava quasi disorientato, nonostante cercasse di non darlo a vedere, continuando a pettinarsi con quello stupido pettine giallo, gesto che dava lievemente sui nervi.
Il gemello di Glass tanto diceva, e non stava facendo proprio niente. Alla fine non era tanto diverso dal fratello, eh? Anche quell’idiota della Kirkwood non sembrava forte come le era apparso durante la semifinale del Football Frontier. Evidentemente, senza i fratelli non era tutto questo granché, almeno rispetto agli altri...
Jordan e Xavier invece apparivano perfettamente, per così dire, a loro agio. Però c’era da aspettarselo, quei due erano proprio bravi, alla faccia di chi pensava che la loro abilità fosse stata totalmente merito della pietra di Alius.
Hobbs anche non era male. Anzi, era proprio bravo. La corvina morse il retro della penna, nervosamente riflessiva; Austin era bravo, sì, però... era fin troppo evidente che si stava trattenendo. Si capiva che non giocava al massimo. Che tipo strano. Vero era che conosceva il motivo di quel limite autoimposto, proprio come sapeva quasi tutto di tutti gli altri. Ma c’era ancora tanto da scoprire.
Stonewall diede prova del suo particolare stile di gioco. Era davvero diverso dai compagni, e nonostante fosse un regista proprio come Jude quei due erano proprio ai poli opposti. Infatti l’unica vera azione alla quale Caleb partecipò esaltò immediatamente il suo modo di recitare la parte del Game Maker. Il modo ingannevole di un teppista, esattamente. Tentò di rimanere imparziale sulle note che scrisse riguardo al punk, ma evitare di aggiungere insulti in tutte le lingue le fu terribilmente complicato. Non le piaceva per niente, quel tipo. Anche se era decisamente bravo.
Il pallone fu raccolto dai piedi di Axel, e la presa della labbra rosate contro la plastica grigio chiaro della penna a sfera si rafforzò, mentre la ragazza si irrigidiva. Doveva scrivere, doveva scrivere. Però non riusciva a staccare quella stupida plastica dalla bocca; l’unico pensiero che le si formava in testa era che con la nuova divisa Axel stava benissimo, anche se senza il colletto rialzato che l’aveva caratterizzato nell’uniforme della Raimon appariva meno... meno Axel, ecco. Che orrore, ma cosa stava pensando?!
La verità, fu ciò che sentì in risposta. Da quando il suo subconscio era in grado di parlare così chiaramente? Stava forse impazzendo?
Nel frattempo, il biondo si era soffermato davanti a Mark. 
– Tornado di Fuoco! Evoluzione uno!
Fra i denti di Bianca, la penna rischiò seriamente di spezzarsi di netto in due. 
Dannazione. Il Tornado di Fuoco no, per tutti i numi del cielo. Fra tutte le tecniche che aveva, proprio quella doveva usare? Lo stomaco cominciò a fremere peggio di prima, riscaldandosi fin troppo; ancora un po’ e avrebbe anche potuto arrostirci qualcosa, lì dentro. Niente farfalle, esattamente come aveva previsto, ma a confronto le rimpiangeva così tanto! Perché l’avevano abbandonata?
Con loro almeno poteva sperare di non essersi veramente innamorata...
– Bianca. – la voce del mister Trevis la riportò alla realtà. L’uomo stava ancora guardando il campo, concentrato al massimo, eppure stava parlando con lei.
– Ditemi, mister. –  incalzò facendogli intendere di essere presente psicologicamente.
– C’è un motivo per cui sei stata scelta per questo incarico, quindi non permettere a niente di distrarti quando non devi.
La corvina assentì con il capo, imbarazzata. Se ne era accorto anche lui...?
– Sì, mister.

~

Il mister Trevis aveva appena terminato di leggere i nominativi della sua selezione, e Bianca era stata da subito d’accordo con ogni sua decisione, a discapito di chi fra quei ragazzi presentava una smorfia contrariata per non essere stati nominati.
Però erano stati scelti Mark, Shawn, Jordan e Xavier, Jude, Hurley e Darren, Jack, Thor... e, fra i restanti, c’era anche Axel. Perfetto.
– Congratulazioni ragazzi, da adesso rappresentate il Giappone! – esclamò felice frattanto che un posato sorriso le si disegnò automaticamente sul viso roseo, dalle gote lievemente arrossate per la contentezza.
– Proprio così! – aggiunse Silvia, affiancandosi a lei. Le due si voltarono l’una verso l’altra e si rivolsero un sorriso misto fra il soddisfatto e il divertito.
– Sarà molto divertente. – si intromise Celia, infilando il suo riso sbarazzino nello spazio fra l’altra manager e la coordinatrice, procurando una risata ad entrambe. La minore fece una smorfia, scostò la frangia blu falla fronte e si aggiunse a quella risata.
Il cappello di Bianca cadde per terra e, precedendo la ragazza, la mano rosata di Camelia l’afferrò con dolcezza, per poi porgerlo alla nuova amica sorridendo appena. La corvina ricambiò e la ringraziò con lo sguardo, ricalcandosi il cappello in testa.
– Posso farti una domanda, Bianca? – richiamò la sua attenzione Austin, sollevando la mano come a chiedere il permesso di parlare. Permesso che ricevette con un gesto di assenso del capo e un’espressione curiosa della maggiore. – Non è un po’ strano che una ragazza giapponese somigli tanto ad un’americana? – espose timidamente. L’interlocutrice sentì di colpo il peso del proprio corpo aumentare voluminosamente.
Ed ecco che Austin Hobbs era stato inquadrato.
– Perché fai quella faccia, – intervenne allora il tono schernitore di Caleb – dopotutto ha ragione, signorina Plus. – il fulmine che partì dalle iridi cerulee di lei non sembrò sfiorarlo neanche. Antipatico.
L’unico membro maschile dello staff si sistemò gli occhiali sottili sul naso con un gesto tranquillo di due dita.
– In effett—
– Non ti ci mettere anche tu, Glass! – sbottò, interrompendo il castano e guardandolo decisamente in cagnesco, facendolo trasalire tanto che quasi gli caddero gli occhiali.
– P-Però è davvero strano a pensarci… – esalò nonostante ciò.
Frattanto, Hobbs si stava guardando intorno un po’ spaesato, resosi conto di aver tirato in gioco un argomento che probabilmente avrebbe fatto meglio a non toccare.
– Possibile che io non possa avere un attimo di pace, che qualcuno abbia da ridire sul mio abbigliamento? – sbuffò contrariata, emettendo un verso di disapprovazione.
L’allenatore comunque sembrava perso nei suoi pensieri, a leggere gli appunti che Bianca gli aveva consegnato: stava veramente aspettando che il discorso concludesse, per dare le prime disposizioni ai ragazzi?! La bruna inspirò ed espirò profondamente. Non doveva arrabbiarsi, quella era una splendida giornata, non la poteva rovinare solo perché il suo amato completo americano suscitava tanto scalpore... tutti lo definivano strano, tuttavia...
– Io non penso sia strano. – tutti quanti si girarono verso colui che aveva detto quella frase.
Il nuovo capo cannoniere della rappresentativa giapponese, serio, scrutava attentamente con i suoi taglienti occhi neri quei visi increduli che lo stavano fissando insistentemente. E la coordinatrice era arrossita, capirai che novità.
– Andiamo, una ragazza giapponese che veste da cowgirl non sarebbe strano? – replicò Stonewall, inarcando un sopracciglio con sorpresa. Erano visibilmente tutti d’accordo.
– Certo. – convenne, facendo spallucce, e stupendo tutti di nuovo. Jude in particolare parve parecchio seccato da quella contraddizione.
– Se hai appena detto che non è strano, come puoi ora—
– Ho detto che non è strano il fatto che Bianca si vesta così. – lo interruppe con ovvietà nella tonalità di voce – Non una ragazza giapponese.
L’inclinamento di massa che ebbero le teste dei suoi compagni, manager comprese, non lo infastidì per niente, anzi.
– Ci prendi in giro? – sbuffò Nathan – Axel, Bianca è giapponese.
Il biondo portò il suo sguardo sulla coordinatrice, le cui gote imporporarono ancora di più.
– Non ci credo, non l’hai detto nemmeno al tuo migliore amico?
L’altra si grattò con nervosismo la guancia con l’indice, imbarazzata, e deglutì a vuoto.
– N-No, penso che tu sia l’unico a saperlo, a parte Nelly... – confessò.
– Cosa? – fu il coro di voci che, curiose, si erano fatte sentire all’unisono, mentre i volti dei loro proprietari si giravano ancora verso la cowgirl. A rispondere, però, fu ancora Blaze.
– Ragazzi, da parte paterna Bianca è giapponese, – cominciò – ma da parte materna è americana. – concluse incrociando le braccia al petto.
Per un attimo cadde il silenzio, nessuno disse niente.
Un soffio di vento scompigliò le chiome dei ragazzi, fece rotolare ancora il copricapo color legno della ragazza giù dalla sua capigliatura scura, fino ai piedi di Shawn, che lo raccolse istintivamente, senza quasi rendersene veramente conto.
Poi, una nuova esclamazione corale fece vibrare l’aria che avvolgeva i presenti.
– Cosa?!

~

Tempo dopo.
Le giornate trascorrevano tranquille. Beh, tranquille per modo di dire, con quel branco di pazzi nessun momento poteva dirsi veramente sereno. Era un continuo schiamazzare, senza contare che oltre le sue stupide scartoffie e la coordinazione in collaborazione con Trevis, per Bianca non c’era un attimo di pace, fra il casino dei ragazzi che si allenavano, problemi piccoli o grandi di qualsiasi sorta e aiuti da dare in cucina oppure anche negli allenamenti. Ora che Nelly non c’era più, Silvia le aveva esplicitamente chiesto di dare alle tre manager una mano, cosa che la corvina non riusciva a capacitarsi, dato che Camelia era così brava... e poi non ci poteva pensare quello stupido di Willy, anziché perdere tempo?
Bah.
Fatto sta che la coordinatrice faticava il doppio di quando coordinava la Raimon. E anche il mister non aiutava a sentirsi meno spossati. Fu proprio la voce di quest’ultimo a ridestarla dai suoi pensieri.
– Bianca, sono venti minuti che guardi fuori da quella finestra. – sobbalzò nell’udire quelle parole, e si morse un labbro girandosi nuovamente nella direzione dell’uomo dai capelli viola.
– Scusatemi. – rispose prontamente con tono serio, posando il palmo aperto sul tavolo.
– Comunque abbiamo finito. Puoi andare. – la cowgirl esitò.
Non era possibile che avessero davvero finito. Sì che aveva praticamente dormito ad occhi aperti, però non era così stupida da perdersi i passaggi del lavoro che stava svolgendo.
– Siete sicuro? – inarcò un sopracciglio, cauta – Perché a me non sembra che—...
– Non è una possibilità, è un ordine. – la interruppe secco l’adulto, sorprendendola – Vai a riposarti. – quello la stupì ancora di più. Quell’uomo era incredibile.
Punto primo, si era accorto che cascava dal sonno.
Punto secondo, le stava ordinando di lasciare il lavoro a metà.
Punto terzo, invece di chiederle se era stanca con un tono preoccupato o quantomeno umano, le aveva categoricamente imposto di andare a riposare.
Che tipo strano...
– Ma... – provò a contestare.
– Niente ma. Se non vai a riposarti, rischi di affaticarti troppo. – si alzò in piedi, all’unico scopo di prenderla per le spalle e tirarla su.
– M-Mister! – esclamò interdetta mentre la spingeva letteralmente fuori dalla porta, ancora con quell’espressione seriosa ed innaturale dipinta sui lineamenti autorevoli.
– Torna a casa e fatti una dormita, a giorni ci sarà la finale del girone asiatico e una coordinatrice stanca sarebbe solo un peso. – detto ciò, le chiuse l’uscio in faccia, con tanta cortesia e tanta pazienza. Che uomo assurdo...
Comunque aveva ragione.
Una coordinatrice troppo assonnata per ragionare non avrebbe avuto alcun utilità.
E mancava poco tempo alla tanto attesa ultima partita del girone asiatico.
Pensare che ancora non si conosceva il nome dell’avversario...
Si colpì le guance con le mani. Non era quello il momento di pensarci.
Doveva obbedire ai, per quanti bizzarri le fossero sembrati, ordini del suo capo.
E poi, ad essere totalmente sinceri, la cosa che più bramava al mondo era il suo letto, in quel momento... sbadigliò, per poi stiracchiarsi.
Si avviò verso l’uscita, e si appoggiò un secondo sullo stipite della grande entrata per osservare, da lontano, i ragazzi che si allenavano in campo. Sembravano tutti molto carichi... il che era naturale, dopotutto stavano veramente scalando, passo dopo passo, la vetta del mondo. E presto sarebbero arrivati in cima. Con uno come Mark a fare da capitano, chi non ci sarebbe riuscito?

Faceva stranamente freddo, e le nuvole avevano cominciato ad accumularsi nel cielo, coprendo il sole e colorando l’atmosfera di una triste tonalità grigiastra, quella stessa tonalità che riusciva a ricordare i mesti quadri di famosi pittori, spesso raffiguranti pioggia. Questo pensiero spinse la corvina ad accelerare il passo, aveva lasciato l’ombrello a casa e non ci teneva proprio a prendere un acquazzone. Meglio stanca che malata, eh.
Toccò con le dita il legno scuro della porta di casa proprio nel momento in cui la lieve pioggerellina che si era venuta a formare era diventato un vero e proprio temporale. Probabilmente i ragazzi stavano accingendosi a smettere di allenarsi...
– Bianca! – o magari avevano già finito da un po’.
Voltandosi, l’interpellata vide un Nathan bagnato fradicio. Povero, era rimasto sotto la pioggia che era scesa così, tutta d’un tratto. A quanto si poteva notare, non aveva nemmeno un ombrello con sé.
– Nath? –  sorrise divertita quando lo vide e sentì starnutire. – Ti serve qualcosa?
– Un ombrello magari. – ribatté sarcastico lui, stringendosi le spalle fra le mani, visibilmente infreddolito. La ragazza sbatté le palpebre dei suoi grandi occhi azzurri, osservando come le ciocche dei morbidi capelli turchesi del difensore si stessero appiccicando, umide, sul viso del suo amico, andando ad incorniciare lo sguardo del colore del caramello. Sorrise di nuovo.
– Puoi anche scordarti che ti lasci solo in mezzo al diluvio. – fece spallucce – Forza, entra.
Detto fatto, il turchese entrò con vero piacere nella casa della sua amica. Era inoltre la prima volta che entrava lì dentro, per cui, sebbene contenendo un proprio contegno e facendo intendere di non voler disturbare, osservava tutto con sommo interesse.
La coordinatrice lo abbandonò sulla soglia per un secondo, per poi tornare e posargli un asciugamano in testa, cominciando ad asciugarlo come fosse stato un bambino.
– Certo che casa tua è proprio grande per una ragazza sola. – considerò lui quando la giovane si fu staccata per dirigersi in cucina e preparare un thè caldo, un po’ per rilassarsi e riposarsi come le era stato ordinato, un po’ per riscaldare il suo amico.
Era pensata per tre persone, fu tentata di spiegare, ciò nonostante strinse le labbra e non disse nulla. Emise solo un verso inarticolato di assenso, senza guardare il proprio interlocutore. Non era quella la conversazione da affrontare per farla rilassare.
– Capito, cambiamo argomento. – sbuffò con un sorriso comprensivo il ceruleo, appoggiandosi con la schiena allo stipite della porta della cucina. – Come va con il tuo amore "segreto" per Axel? – domandò a bruciapelo facendo segno di virgolette con le mani intorno alla parola segreto.
Di male in peggio.
– Nath, tu non li sai proprio scegliere gli argomenti. – grugnì ironica – E tanto per la cronaca, non c’è nessun amore, e lo sai. – si affrettò ad aggiungere, abbassando la densità della fiamma sotto la teiera. Si tolse il cappello e con un fermaglio di fortuna si legò la chioma color carbone in una coda alta sulla nuca, voltandosi poi verso l’amico.
– E tu quando si tratta di Axel perdi completamente la tua straordinaria abilità nel mentire. – canzonò beffardo l’altro – Eh, proprio vero che l’amore fa certi effetti.
– Oh, andiamo. – roteò le sue limpide iridi marine verso il cielo – Siamo solo amici.
– Okay, forse questa è la verità. – convenne il turchese – Ma a te non sta tanto bene così, e lo sai. – le fece il verso, accentuando il suo tono schernitore posandosi delicatamente i pugni sui fianchi. La teiera fischiò all’unisono con il cuore della ragazza, che si imporporò lievemente.
– E dai Nath, cambiamo argomento. – sibilò arricciando la bocca rosea, posando una mano così vicino al fornello che quasi si scottò.
L’interlocutore fece spallucce.
– Almeno sei brava a dare soprannomi. – considerò, meritandosi uno schiaffetto sul braccio.




Pumparaqua ~

Ci credete che ho aggiornato così presto? Io no :3
Sono così fiera di me stessa che potrei piangere.
Però non lo farò, no.
Che ne pensate? Secondo me non è granché.
Sarà che non mi interessa poi molto, di questo capitolo, perché è una "piattaforma di lancio". Per cosa? Beh...
A parole mie. [cit.]
Il prossimo capitolo le attese saranno ripagate.
La me che spoilera vi dice: qualcuno si darà una bella svegliata.
E basta. Badate bene: non sarà certo l’ultimo. Oh, no.
Sarebbe troppo facile.
# I wanna scream, and shout, and let it all out...
And wanna scream, and shout, and let it out...
We say ohi-oh-ih-ohi-oh... #
Vi saluto. Ciao.
Un bacio,
Anna ~

P.S. Ah, non c’entra molto ma...
Durante la lezione di latino, io, anziché ascoltare (avevo sonno, non giudicatemi) mi sono cimentata nella bozza di un disegno...
A casa l’ho rifinito – anche se il volto è inesistente perché non lo so fare.
Però, non appena terminato, mi sono accorta di aver disegnato la divisa della Raimon Eleven. E tipo non me ne ero accorta prima... IE mi ha plagiata, aaaah!
Però, c’è da dire che effettivamente la silhouette mi ricorda l’abbozzo di idea che avevo per la mia Bianca/Nana.
Infatti all’inizio l’abbigliamento non era il completo western, anzi, il mio pensiero originario – di tipo... quasi un anno e mezzo fa? – era quello di una giocatrice. Poi ho pensato che avrei modificato troppo la trama a quel modo, e così...
Insomma, io ve la posto, sperando che si veda.
Spero vi piaccia, e comunque ricordatevi di commentare il capitolo, I’m watching you v.v
Here is it

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Capitolo 16
*** Fire Dragon [1] Era anche ora. ***


Il giorno della finale del girone continentale del FFI si avvicinava sempre di più, e il lavoro di Bianca si stava facendo progressivamente più intenso. Per agevolarla, seppur con scarsa flessibilità come al solito, il mister Trevis aveva categoricamente ordinato alle manager di non chiederle troppo aiuto, in quanto la corvina aveva già molti compiti da svolgere.
La squadra che avrebbe affrontato l’Inazuma Japan nella partita decisiva per decidere chi avrebbe sfidato il mondo al di fuori dell’Asia sarebbe stata la rappresentativa nazionale della Corea. Con suo grande disappunto, Bianca non fu autorizzata a confidare ai suoi amici la presenza di membri noti all’interno dei Fire Dragon –così si chiamava la squadra coreana. Eppure, i tre attaccanti non erano certi volti sconosciuti per gli occhi della maggior parte dei giocatori rappresentanti del Giappone. Difatti, uno di loro era Byron Love, che aveva inizialmente contrastato e poi aiutato la Raimon, mentre gli altri due si potevano osservare sotto una luce meno positiva. Si trattava di Claude Beacons, meglio conosciuto fra i ragazzi con il nomignolo “alieno” di Torch, e Bryce Whitingale, precedentemente denominato Gazelle; era stato un po’ uno shock vedere quei tre insieme persino per la coordinatrice, all’inizio, ciò nonostante le sarebbe piaciuto poter comunicare questa notizia agli altri.

– Bianca, ci sei? – il palmo aperto di Celia che si muoveva freneticamente davanti al suo viso fece sussultare la bruna, che tornò rapidamente alla realtà.
– Scusa... hai detto qualcosa? – domandò arrossendo imbarazzata e grattandosi il retro della nuca con nervosismo. Ormai le capitava sempre più spesso di perdersi nei suoi pensieri, in particolar modo riguardanti il suo lavoro, e questo non andava affatto bene.
La blu fece una smorfia.
– Ti ho chiesto se per caso sai cosa sta succedendo ad Axel. Ultimamente ha un comportamento abbastanza strano, non trovi anche tu? – ripeté, per poi voltarsi e indicare con un cenno del mento il capo cannoniere della squadra, che stava in quel momento bevendo per reintegrare i liquidi persi nell’allenamento che aveva appena terminato di svolgere, insieme agli altri ragazzi.
La cowgirl sbatté le palpebre dei suoi limpidi occhi azzurri, e li fece saettare sul biondo. Effettivamente, sembrava diverso dal solito, in quel periodo... eppure lei non l’aveva mai veramente notato. Aveva dato per scontato che quel cambiamento fosse momentaneamente dovuto al nervosismo dovuto all’essere giunti alla finale asiatica, ma se una ragazza ottimista e sempre serena come Celia arrivava a preoccuparsi, allora c’era davvero qualcosa che non andava.
Si diede della stupida mentre scuoteva la testa a labbra strette.
– Sinceramente non ne ho idea. – confessò facendo spallucce, e la giovane manager sospirò, alzandosi in piedi per raggiungere Silvia, la quale stava aiutando Camelia nella distribuzione di asciugamani e bottiglie d’acqua.
La coordinatrice si alzò a sua volta, unendo le mani dietro la schiena e spostando il peso del proprio corpo sulla gamba destra, inclinando il capo in maniera riflessiva.
Era molto strano... Blaze era davvero così diverso dal solito? Non poteva invece essere una percezione della manager dalla chioma blu? Oppure era proprio la corvina ad essere troppo concentrata sul lavoro da non accorgersi di niente?
Beh, un modo per scoprirlo c’era.
...
Anche se sarebbe stato doloroso, in un modo o nell’altro poteva riuscirci. Forse.

Tutto in quel posto la metteva in grande soggezione. La pavimentazione del corridoi, i muri bianchi, il sinistro rumore metallico della porta automatica dell’ascensore. Mentre premeva il tasto che l’avrebbe condotta, secondo le informazioni ricevute dal portiere del palazzo, al piano che la interessava, la bruna cercava in tutti i modi di convincersi a non fare dietro-front. Ormai era lì, quindi tanto valeva vedere come sarebbe andata, no?
Peccato che il suo stomaco non fosse affatto d’accordo; il così troppo familiare bruciore cominciò a divorarla dentro, le palpebre sbatterono più volte e le dita presero a torturarsi fra loro per distrarre la loro proprietaria dalla fastidiosa tortura che il proprio organismo le stava infliggendo senza darle la più minima tregua. Che orrore.
Frattanto l’ascensore arrivò a destinazione, e pur con riluttanza le gambe di Bianca si mossero, fermandosi poco dopo davanti ad una porta alta, marrone legno, scura, insomma abbastanza normale. Assomigliava leggermente a quella di casa sua, e questo le fece emettere un profondo respiro. Difficile dire se sollevato o con l’unico scopo di cercare un punto di serenità nell’affollamento dei suo pensieri, però.
Portò l’indice affusolato sul campanello e, dopo qualche attimo di esitazione, si decise a suonare, proprio nel momento in cui il suo stomaco aveva preso a mandare colorite maledizioni e richieste d’aiuto in tutte le lingue del mondo, conosciute o meno. Ad aprire fu una signora di mezz’età, bassina per una donna matura, dal viso rotondo e paffutello, una sottile montatura d’occhiali appoggiata sul naso. A giudicare dall’abbigliamento, doveva essere necessariamente la governante, cosa che non sorprese neanche lontanamente la coordinatrice: sapeva tutto degli abitanti di quel luogo, era parte integrante del suo lavoro e, anche non essendoci mai materialmente stata, era sicura di poter conoscere quelle persone come il palmo della sua mano.
No, casa Blaze non era affatto un mistero per lei.
– Oh, salve – si stupì la donna, scrutando incuriosita la nuova venuta, nonostante questa potesse giurare, mano sul fuoco, che piuttosto la signora si stesse concentrando sull’abbigliamento.
– Buonasera, signora. – mormorò tuttavia con un sorriso, togliendosi il cappello, che agli occhi degli altri appariva così bizzarro, dalla chioma scura. – Io sono... – si presentò, o almeno ci provò, sennonché fu interrotta. Il sorriso della governante si allargò.
– La coordinatrice della squadra di Axel, suppongo. – le iridi celesti della ragazza sgranarono con interdizione.
– E voi come...?
– Mi ha parlato più volte di te. Dalla descrizione non potevi essere che tu. – spiegò quella, senza alcuna esitazione, guardandola dolcemente.
Quelle parole fecero imporporare le gote della corvina, all’idea che il suo nome fosse aleggiato in quella casa, e non una volta sola.
– A-Ah... – riuscì solo ad emettere un verso inarticolato di stupore, mentre la donna le faceva spazio per entrare.
Ricomponendosi presto, rimase in silenzio per una manciata di minuti, ad osservare con moderato interesse l’interno di quell’appartamento pressappoco enorme. Era davvero grande, e anche abbastanza lussuoso a dire la verità. Ma del resto non c’era molto da stupirsi, dopotutto il signor Blaze era un brillante medico dalla carriera più che soddisfacente, era normale che fossero anche ricchi, loro. Certo era che il numero dieci dell’Inazuma, anche con quel suo carattere irritante, non smentiva affatto quest’ipotesi, anzi, era ben visibile che la sua educazione era da sempre stata abbastanza ferrea, per così dire. Insomma, ancora niente sorprese.
– Chi è arrivato? – oh dannazione.
Un’agghiacciante sensazione di bruciore attanagliò nuovamente l’intestino della nuova venuta al solo udire quella voce.
Quel suono delicato e gentile, colmo di tipica innocenza infantile.
La voce di una bambina.
La voce di una bambina per la quale Bianca aveva penato un anno e passa.
Quella era proprio la voce di Julia, la sorellina di Axel.
Voltandosi di scatto, la ragazza si ritrovò faccia a faccia con quella che aveva visto solo un paio di volte, e per di più ad occhi chiusi.
Era quello, il problema. Nell’andare in quel posto, la Plus aveva avuto il terrore di farlo, e questo per l’unico pensiero della presenza di quello scricciolo sorridente, che ora la stava fissando con sguardo molto curioso.
Era anche carina, come bambina. La carnagione nivea, totalmente l’opposto del fratello, creava un accosto delicato con le trecce castane, la frangetta scarmigliata che le incorniciava il visetto come fosse stato un quadro, quella specie di corno di capelli mori che stagliava sul capo. Sì, anche la sua capigliatura era completamente contraria a quella aggressiva e biondo crema del ragazzo con cui la coordinatrice aveva a che fare tutti i giorni. Non si somigliavano quasi per niente. Quasi.
Sul volto di Julia, regnavano due grandi occhi, le cui iridi erano nere come due pozze di petrolio, taglienti seppur dolci, e profonde tanto da poterci facilmente annegare; fra tutte le cose che la bambina poteva avere in comune con Axel, madre natura aveva scelto proprio quegli occhi che, in fondo, Bianca non solo amava, ma anche temeva. Forse per questo si sentì di trasalire, quando la vide lì, sorridente e vispa.
L’oggetto delle sue riflessioni inclinò la testa da un lato, scuotendo le massicce trecce.
– Sei Bianca? – chiese portandosi l’indice sotto il labbro inferiore in maniera riflessiva.
Le palpebre dell’interpellata sbatterono in un istinto incondizionato; in un sospiro, cercò di tranquillizzarsi, sebbene fosse un po’ confusa su come sentirsi, capendo che il cannoniere aveva parlato di lei anche alla piccola, oltre che alla governante. E probabilmente anche al padre. Oh mamma.
Mise un punto di arresto a questi pensieri e sorrise gentilmente, abbassandosi quanto bastava per guardare meglio Julia in volto.
– Proprio così. Tu invece devi essere Julia, giusto? – si sforzò di non perdere il sorriso nel pronunciare quel nome. E meno male che i sensi di colpa si erano temperati molto, eh!
– Sì! – annuì con vigore, per poi lisciarsi il vestitino rosa con una mano. – Perché sei qui? – domandò nell’immediato seguito, visibilmente curiosa.
– Effettivamente fra poco sarà ora di cena, – convenne la donna che l’aveva così gentilmente accolta – cosa ti porta qui?
Anche se cercò di darlo a vedere il meno possibile, la cowgirl fu tremendamente felice di spostare l’attenzione su quell’argomento, quello che l’aveva spinta a superare il timore dei sensi di colpa.
– A dirla tutta, signora, – esordì smorzando il suo sorriso – anche se non da me direttamente, sono stati notati in Axel alcuni comportamenti... beh, non da lui. – si sollevò ritta, poggiando il palmo sul primo mobile che le capitò a tiro, come a sostegno – Vede, effettivamente è molto distratto ultimamente e io... insomma... il mio lavoro consiste anche nel fare in modo che i giocatori diano sempre il massimo. – strinse la presa intorno al bordo di cuoio del cappello, mentre un ciocca color carbone andava a ricadere su di uno dei suoi limpidi occhi – Cosa che Axel non sembra star facendo. Quindi, sono venuta qui per sapere se voi foste al corrente di qualcosa che potrebbe essere stato causa di quest— – si interruppe bruscamente quando si rese conto che la donna aveva abbassato lo sguardo con vera e propria mestizia.
– Julia, puoi lasciarci sole un momento? – pregò con un forzato sorriso dolce e rassicurante, che convinse la mora ad annuire e a schizzare via, probabilmente in cucina, o in camera sua.
– Signora..? – esalò la ragazza nippo-americana non appena furono rimaste solo due, tuttavia si ammutolì quando ricevette una significativa occhiata dalla governante.
– Anche io ho notato questo problema... – iniziò torturandosi le mani – E forse sono anche perché sta succedendo. – ammise sospirando sconsolata.
Calò silenzio. La ragazza valutava attentamente cosa dire, cosa pensare, e magari anche su cosa fosse necessario portare le proprie riflessioni. E in ogni caso le conclusioni non sarebbero state difficili da raggiungere, sennonché lo scatto della serratura fece quasi svenire dallo spavento entrambe le presenti; più Bianca che la donna, anche perché la minore aveva sicuramente il timore di essere beccata dal suo amico a parlare di lui con la governante. Poteva benissimo essere lui, l’allenamento era finito già da un pezzo...
Ad entrare dall’uscio di casa fu però un uomo alto, dalla carnagione color caffélatte. Portava degli occhiali neri, abbastanza spessi e rettangolari, e dei baffi grigio-blu spento come i suoi capelli, questi ultimi attraversati da qualche ciocca bianco latte. I suoi occhi era gli stessi di Julia, li stessi di Axel. Solo che i suoi, al contrario di quelli dei suoi figli, non presentavano quella profondità intensa e tagliente, bensì un’ombra di penetrante liquidità e viscosità.
Il signor Blaze metteva la soggezione che invece incuteva mister Trevis, ma elevata alla quarta, il che era tutto dire. Ed era quella la prima volta che la Plus lo vedeva, il che le lasciava da pensare che più ci avrebbe avuto a che fare, e più avrebbe capito che per una volta le apparenze non l’avrebbero ingannata.
– Buonasera signore. – salutò la governante, senza riprendere il sorriso, lasciando così la quindicenne parecchio sorpresa.
– Buonasera. – rispose quello, atono. – Noto che abbiamo visite. – aggiunse spostando lo sguardo sulla sconosciuta, la quale trasalì nel suo intimo, facendo comunque di tutto per non darlo a vedere.
– Salve... – fu però a malapena in grado di borbogliare con scarsa convinzione.
– Non ti sembra un’ora un po’ tarda per farci visita, signorina Plus? – disse, ancora atono, eppure così severo da farle salire la pelle d’oca fin sopra la testa.
– Oh... Axel ha parlato di me anche a lei? – azzardò, incerta sul come rispondere o meno all’interrogativo che le era stato rivolto.
L’uomo parve accigliarsi debolmente, sempre che prima non fosse già accigliato.
– No, non mi ha mai parlato di te. – dissentì togliendosi le scarpe e posandole accanto agli stivali della ragazza, accuratamente poggiati accanto alla porta. – Mi sono informato da solo.
– Ah. – fu l’inarticolato commento. La ragazza iniziò a torturarsi le mani dietro la schiena, messa in soggezione dallo sguardo dell’uomo, che era rimasto fermo sulla porta a fissarla serio.
Che poi era anche difficile capire se fosse serietà, severità o qualcos’altro, ciò che gli occhi a mandorla del medico le stavano trasmettendo.
Poi, all’improvviso, senza proferir parola, l’uomo cominciò a camminare nella sua direzione, spaventandola; ma quando si vide superata, Bianca tirò un sospiro di sollievo, percezione che scemò comunque immediatamente quando l’opprimente tono di lui tornò a riempirle le orecchie.
– Puoi seguirmi nel mio studio, per favore?
Deglutendo a vuoto e prendendo un profondo respiro, Bianca eseguì.

Lo studio era grande, ciò nondimeno era buio e appariva angusto all’occhio vispo della giovane. Non sapeva perché fosse stata richiamata lì, malgrado ciò sentiva che non le sarebbe piaciuto per niente rimanere ancora troppo tempo a sentire il signor Blaze parlarle, tanto più che quell’uomo già non le piaceva per niente.
– Signorina Plus... – incominciò quello.
– Bianca, signore. – si permise di interromperlo – La prego di chiamarmi per nome. Non amo sentirmi chiamare signorina. – si affrettò a spiegare, preoccupata per lo sguardo che le fu rivolto.
– A discapito dell’età, signorina, non credo di avere abbastanza confidenza con te per poterti chiamare per nome. – non appena ebbe detto così, Blaze accese il computer.
La corvina rimase interdetta, e il timore non le impedì di inarcare un sopracciglio e di pensare che, se fino a quel momento aveva pensato di non aver mai conosciuto qualcuno dal carattere più irritante e fastidioso di quello del capo cannoniere della rappresentativa giapponese, in quel preciso istante aveva capito di essersi sbagliata di grosso.
– Capisco. – soffiò a denti stretti, come a concedergli di riprendere la frase che aveva pressappoco iniziato a enunciare.
– Dicevo, signorina Plus... – riprese allora l’adulto – non ti sembra di essere un po’ troppo giovane per lavorare e mantenerti da sola? – come una grande lama attraversò lo stomaco di lei. Non poteva averlo detto sul serio! – Nell’informarmi, ho sentito dire cose molto positive su di te e sulla tua efficienza, – proseguì imperterrito – tuttavia non reputo possibile che una ragazza della tua età possa definirsi una lavoratrice degna di questo nome.
Lo sguardo di Bianca si assottigliò in sottili lame di ghiaccio. La paura era totalmente scomparsa, per lasciare posto alla rabbia. Nessuno poteva permettersi di parlare in quel modo, nessuno, chiunque esso fosse! Andava bene non essere d’accordo sul fatto che lavorava anziché andare a scuola e via dicendo, ma il rispetto non glielo aveva insegnato mai nessuno?!
– Signore, non sono stata io a dire che lavoro meglio di alcuni adulti. – sibilò indignata – E, se mi permette, reputo anzi molto chiusa la mentalità di chi non apprezza la fatica e l’impegno che metto in tutto ciò che faccio, signore. – si prese i gomiti nelle mani e strinse la stoffa della camicia.
Era, adesso, un po’ preoccupata della reazione che si sarebbe dovuta aspettare, eppure non si stava affatto pentendo di aver espresso i suoi pensieri. Odiava la gente come lui.
– Non era mia intenzione mancarti di rispetto. – commentò atono, come se non fosse veramente interessato.
– E’ quello che ha fatto, sa. – replicò acida, sprezzante. – E se voleva dirmi solo questo, mi congederei molto volentieri. – aggiunse stringendo ancora di più i propri gomiti.
– Non credo. – si voltò finalmente verso di lei, la quale lo fissò interdetta – C’è un’altra cosa che voglio chiederti.
Bianca inclinò la testa, senza capire.

~

Axel aprì la porta di casa, e trovò davanti ai suoi occhi la governante che gli rivolse uno sguardo preoccupato. Dischiuse le labbra scure per chiederle cosa la stesse turbando, però la voce allegra di Julia lo distolse da quel pensiero.
– Fratellone! – gridò la bambina, raggiungendolo sulla porta.
– Ciao, Julia. – la salutò accarezzandole la testa, togliendosi le scarpe e posandole accanto a... due stivali?
Cosa diavolo ci facevano due stivali lì, all’entrata di casa sua?
E non erano neanche stivali troppo comuni: erano color legno, rifiniti, con un tacco quadrato che era sicuro di conoscere, e soprattutto erano da donna.
Non... era... possibile...
– Axel, che hai? – la voce della sorellina gli giunse ovattata.
I muscoli del viso del biondo si tirarono in una smorfia più che stupefatta, e i suoi occhi sgranarono quando, sollevandoli verso la governante, trovò un silenzioso assenso al dubbio che gli si era insinuato nella mente. Oh Santo Cielo, non era possibile!
– Dov’è? – domandò ignorando lo sguardo confuso della mora seienne.
– Nello studio con tuo padre. – rispose la donna, unendo le mani con preoccupazione.
Senza rendersene veramente conto, il cannoniere si incamminò verso la porta dello studio di suo padre, inquieto più di prima. Chissà di cosa poteva parlare, suo padre, con Bianca? Il solo pensiero gli metteva nervosismo, il fastidio che stava provando era incredibile.
Non appena arrivò davanti all’entrata della stanza, bloccò il pugno alzato per bussare a mezz’aria, quando udì la voce della cowgirl.
– Cosa, signore? – stava finendo di dire proprio in quel momento.
– Sono curioso di sapere – sentì la voce dell’uomo esordire – in che rapporti sei con mio figlio.
Axel stesso sobbalzò dalla sorpresa, a sentire quella domanda. E potette essere sicuro che anche la bruna avesse avuto una reazione gemella alla sua. Che razza di interrogativo era da porre, quello?! Era forse impazzito, suo padre?!
– Perché le interessa? – chiese, cauta seppur decisa, la ragazza.
– Mentre parlava di te con Julia, ho sentito che ti reputa brava nel tuo lavoro, e ti ammira per come te la cavi, essendo tu giovane quanto lui. – spiegò quell’altro senza scomporsi minimamente, e il figlio lo maledisse in silenzio.
Certo, come no, che andasse anche a raccontare ciò che teoricamente né lui né lei avrebbero mai dovuto sapere, tanto a rimetterci era solo il ragazzo, giusto?
Inoltre, era praticamente certo al duecento percento che la coordinatrice era arrossita, a quella frase. C’era da metterci una mano sul fuoco.
– B-Beh... – balbettò infatti lei – Sinceramente, credo di non avere un rapporto troppo particolare con suo figlio, signore. – mormorò, lieve e a malapena percettibile. Non la vedeva, eppure percepiva che aveva messo su un sereno sorriso. – Anzi, posso affermare che il nostro rapporto sfiora a malapena la vera amicizia. – aggiunse con sicurezza.
Il calciatore serrò le palpebre dei suoi sottili occhi neri, e si girò per appoggiarsi con la schiena al muro, accanto allo stipite della porta, come a riprendere fiato. Non era affatto soddisfatto di quello che aveva sentito, senza contare che per una volta Bianca gli era parsa veramente sincera. Non che questo lo stupisse, anzi, era terribilmente e pesantemente prevedibile che avrebbe risposto a quella maniera, dopotutto... loro due non facevano altro che discutere, in un modo o nell’altro. Però...
– Però – lo raggiunse ancora la voce della giovane, colpendo i suoi timpani come una bomba atomica – credo di volergli fin troppo bene. – il ragazzo sbarrò gli occhi.
Lo aveva detto sul serio?
Aveva detto... di volergli bene?
No, doveva esserselo sognato.
Non era scientificamente possibile.
No... non lo era.
O sì?
– Non trovi di essere contraddittoria? – osservò petulante suo padre – Mi sembrava avessi detto che non siete neanche amici. – seguitò duramente.
– E infatti è così, signore. – convenne lei. – Ma vede, c’è modo e modo di porre una domanda, e le risposte variano a seconda di come la si pone. – non mancò di precisare.
E poi si lamentava quando veniva chiamata perfettina... non esisteva aggettivo che la rappresentasse meglio!
– Ah sì? – il tono di suo padre gli parve quasi di sfida.
– Lei mi ha chiesto in che rapporti sono con Axel, non cosa provo per lui.
– Sei molto intelligente, vedo.  
Ora il biondo dagli occhi a mandorla era davvero sorpreso.
Suo padre, il severo, l’impassibile, l’insopportabile signor Blaze, aveva fatto un complimento ad una ragazza che in quanto ad età avrebbe potuto benissimo era sua figlia. Oh mamma.
– Se non le spiace, adesso, me ne vado. Ho da fare, sa, io lavoro. – udì la cowgirl sibilare, e dalla sua tonalità di voce dedusse che la loro conversazione non era stata molto piacevole per lei. Uhm.
Colse i suoi passi avvicinarsi e, proprio quando la maniglia si abbassò sotto il peso della mano della ragazza, la quale si stava accingendo ad aprire l’uscio e uscire, parve ricordarsi qualcosa, perché la discesa della maniglia si bloccò e la voce cristallina e maliziosa di Bianca riempì nuovamente le sue orecchie.
– Sa, signor Blaze, in tutto questo tempo, mi sono sempre chiesta come fosse possibile che uno come Axel fosse così irritante... – esordì – ma ora ho capito che è tutto suo padre!
...
Dio se amava quella ragazza.
Non fece in tempo a capire la risposta del padre, forse perché effettivamente non arrivò, che il viso chiaro di Bianca apparve davanti ai suoi occhi, e istintivamente si schiarì la voce quando si accorse che era necessario far rumore per farsi notare nel buio del corridoio.
Nonostante la luce fioca la vide trasalire e imporporarsi violentemente, come se avesse subito intuito che, come infatti era, il ragazzo aveva ascoltato gran parte della discussione che aveva avuto con suo padre.
– A-Axel! – esclamò interdetta, chiudendo la porta per non farsi sentire dall’uomo, il quale peraltro si era rimesso a lavorare sul computer, seppur un po’ turbato da quello che aveva sentito.
– Ehilà perfettina. – salutò non trattenendo un sorriso divertito – Potevi anche avvertire che saresti venuta, mi sarei trattenuto fuori casa per più tempo. – fece una smorfia ironica.
La bruna arricciò le labbra, sistemandosi bene il cappello in testa.
– E ti pareva. – considerò, crucciata.
– Cosa? – si incuriosì lui.
– Ultimamente hai un comportamento assurdo con tutti, eppure con me sei sempre il solito irritante, vero? Accidenti, quanto sei—
Il ragazzo le posò un dito sulle labbra per farle fare silenzio, colpito da quelle parole.
Socchiuse gli occhi mestamente, e vide le iridi della ragazza sgranare. E quindi, se ne era accorta anche lei...?
– Perché sei venuta qui, Bianca? – domandò inclinando la testa, quasi timoroso di ricevere la risposta che era sicuro come la morte di essere prossimo ad ascoltare, sollevando il dito.
– Perché era mio dovere. – ribatté semplicemente, facendo spallucce.
– Ovviamente. – sospirò lui, sorridendo senza allegria – Qualsiasi cosa riguardi me, riguarda sempre anche il tuo lavoro. Lineare. – ridacchiò sommessamente, nuovamente senza gioia. Si voltò – Beh, tolgo il disturbo. – disse, e fece per avviarsi in camera sua, quando le affusolate dita della coordinatrice gli afferrarono una spalla e lo costrinsero a girarsi verso di lei.
Guardando il pavimento, la corvina si lasciò sfuggire un mormorio.
– Non c’entra niente, il lavoro. Non è mai c’entrato. – strinse la presa intorno alla stoffa blu della felpa dell’Inazuma Japan – Io faccio il... il mio dovere di amica. E basta.
Axel non seppe perché lo fece. Non seppe cosa lo spinse a farlo, e non lo capì nemmeno dopo mesi. Però strinse la mano intorno a quella di lei, e la trascinò frettolosamente, infilandosi in una stanza a caso, che fra l’altro era proprio la propria, ignorando totalmente l’espressione interdetta e stupita che era stata assunto da quel viso.
– A-Axel, che..
– Voglio farti vedere una cosa. – disse spingendola dentro la camera e chiudendo la porta, a sguardo basso; dopodiché si avvicinò alla propria libreria e, mettendosi in punta di piedi, afferrò un mappamondo. Era abbastanza piccolo, un vecchio giocattolo, non lo prendeva in mano da tempo.
– Cosa...
Il dito ambrato del cannoniere puntò un arcipelago all’estremo oriente dell’Asia.  
– Questo è il Giappone, lo vedi? – esalò scrutando la ragazza, la quale era palesemente più confusa che altro. Trascurò nuovamente questo particolare, e ruotò il globo fino ad arrivare faccia a faccia con l’Europa, per poi puntare lo stesso dito proprio nel centro del continente. – Questa, invece, è la Germania. E’ quasi dall’altra parte del mondo. – aggiunse posando totalmente il palmo sul globo di plastica.
– Conosco la geografia, stupido. – soffiò quella, in un misto fra l’ironia e l’acidità, come solo lei sapeva fare, posando un pugno su un fianco, inarcando un sopracciglio e sbattendo le palpebre senza capire. – La Germania è lontanissima da qui, lo so benissimo. E allora?
Nell’immediato seguito non fu possibile udire nulla che non fosse il ronzare di una mosca nella stanza. L’evidente confuso fastidio e nervosismo di Bianca era palpabile e riempiva l’aria. Mentre sentiva una vena pulsargli sulla fronte, Axel serrò gli occhi esausto, quasi arrendevole. Era fin troppo stanco di quella situazione. Aveva da poco quasi litigato con Mark per quella ragione, e tutto voleva fuorché discuterne anche con lei. E allora perché le aveva mostrato quel mappamondo?
Il globo di plastica cadde per terra, risuonando sinistro, e le parti metalliche tintinnando cristalline.
– Sei pazzo?! Vuoi farmi venire un colpo?! – sbottò la cowgirl, sussultando per il rumore improvviso. Per la terza, o forse quarta volta, il biondo la non prese in considerazione quella reazione.
– Bianca... – sussurrò appena, avvicinandosi – Se io... se io in questo momento ti baciassi, tu cosa faresti? – la ragazza indietreggiò fino a toccare il legno della porta con la schiena.
Il cappello cadde per terra, e le gote vermiglie dell’interpellata contrastarono con le iridi azzurro cielo, dilatate al limite dell’impossibile. Distolse lo sguardo mentre il viso di Axel si avvicinava sempre di più, finché i loro respiri iniziarono ad intrecciarsi.
– Ti darei uno schiaffo. – replicò però, pur esitando un attimo. Deglutì a vuoto quando le dita del ragazzo le sfiorarono la guancia.
– Ah sì? E perché? – si interessò lui, accarezzandole il viso con la mano e fissando con sguardo perso le profondità dei liquidi laghi cerulei che lei aveva al posto degli occhi.
– Perché saresti un cretino a fare una cosa del genere... solo per vedere la mia reazione. – parve per lei tremendamente difficile terminare quella frase, e il numero dieci sperò ardentemente che fosse così.
– E... se ti dicessi che voglio farlo perché sono innamorato di te, invece?
Come per magia, il rossore sulle gote di Bianca scomparve rapido come era arrivato. Le iridi di entrambi incominciarono a fremere inumidite non appena si incontrarono più attentamente.
– Mi stai prendendo in giro. – il tono glacialmente calmo ma prossimo all’esplosione della giovane dai capelli neri come piume di corvo era più alto di almeno due ottave. Dallo stupore, o da qualcos’altro?
– Non sono mai stato così serio in vita mia.
Lei esitò ancora.
– Se così fosse... – esordì con voce incrinata, mentre gli angoli della sua bocca si sollevavano in un sorriso – Penso chela prima a baciare te sarei io.
Detto fatto.
Questa volta furono le profonde iridi color cioccolata fondente del ragazzo a sgranare incredibilmente, quando le labbra di Bianca si posarono sulle sue con rapidità tale che se ne rese conto solo dopo. Non appena realizzò, chiuse le palpebre e si beò della morbidezza di quelle labbra che, proprio come immaginava, erano soffici e vellutate come nient’altro.
E, sorprendentemente, anche se chiunque se le sarebbe potute immaginare dolcissime, erano invece aspre come la più acre delle arance. Ma piacevoli, e perfette per uno che, come Axel, le aveva aspettate per tanto, troppo tempo.
Il casto bacio che si erano scambiati terminò fin troppo rapidamente, tanto che il ragazzo fece una smorfia di disapprovazione, per poi però sciogliersi in un sorriso malizioso.
– Hai un dannato sapore di aspro, lo sai? – inarcò un sopracciglio, senza perdere il sorriso.
Lei sorrise a sua volta.
– Tu invece sai di cioccolata. – ribatté socchiudendo dolcemente lo sguardo – Ma molto più buona. – concluse stringendo con la mano la stoffa della felpa che copriva il petto del biondo.
– Sì, temo proprio ti amarti alla follia. – mormorò lui.
– Allora, siamo in due ad essere folli. – fu la risposta, che fu soffocata dal bacio che stavolta fu lui ad iniziare.




Angolino della Kya_
CE L’HO FATTA!!
Ora mi merito una statua, scusate, eh.
Al sedicesimo capitolo, ce l’ho fatta.
Dopo sedici estenuanti capitoli, si sono dichiarati ed ERA ANCHE ORA.
~~
Sono fiera di me?? Certo che lo sono.
Penso che potevo farlo molto meglio, il capitolo, ma insomma nu > <
Così è e così ve lo tenete.
Ciao.
Mi dileguo.
Adieu, my lovely fireflies of mine. 

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Capitolo 17
*** Fire Dragon [2] Tanti problemi ***


Non poteva ancora credere a quello che era successo. E non poteva credere di essere rimasta così tanto tempo in casa Blaze, era entrata che il sole non aveva smesso di splendere, seppur basso sull’orizzonte, e ne era uscita che ormai la luna regnava sovrana nella volta celeste già da un bel po’. Che cosa strana... il tempo era proprio volato.
Beh, non era proprio una cosa così assurda. D’altra parte, quella era letteralmente una delle sere più belle della vita della giovane coordinatrice, se non la più bella in assoluto. Sentiva ancora il cuore battere ad una velocità fuori dal normale, nonostante stesse camminando già da un po’, e di colpo sentiva come un peso magicamente scomparso dalle proprie spalle, una sensazione magnifica. Sentiva l’impossibile e improbabile bisogno di parlarne con qualcuno il prima possibile, nonostante l’imbarazzo che le avrebbe causato, altrimenti non se ne sarebbe mai resa davvero conto. Axel... Axel l’aveva baciata e aveva confessato di amarla. Non era mai stata più felice come in quel momento, tanto che il pensare di star pensando come una ragazzina da telenovela non le dispiaceva più di tanto, il che era grave, a pensarci, e la corvina continuava a camminare a sguardo basso, sorridente. Finché non andò a sbattere con qualcuno e cadde, ovviamente.
– Ahi, ahi... – mormorò massaggiandosi la schiena, rialzandosi e allungando una mano per riprendere il cappello, che era caduto sulla testa del ragazzo con il quale si era scontrata.
– Ti sei fatto male... capitano?! – sbottò inclinando la testa quando, tolto il cappello, si accorse che ad andare a sbattere contro di lei era stato Mark. Che cosa ci faceva in giro a quell’ora?
– Ah, Bianca, ciao. – salutò atono quello pulendosi la tuta marchiata Inazuma Japan, lasciandola ancora più perplessa.
Da quando Mark Evans salutava in quella maniera? E dove era finito il suo solito e immancabile sorriso? Era scomparso nel nulla? No, qualcosa non andava. Dischiuse le labbra per chiedere delucidazioni, tuttavia il portiere fu più rapido di lei.
– Cosa ci fai qui fuori a quest’ora? – domandò facendole cenno con la testa di camminare insieme nella direzione che la ragazza stava prendendo prima di scontrarsi con lui.
La coordinatrice ignorò il fatto che il capitano, teoricamente, sarebbe dovuto andare nella direzione opposta, cosa che probabilmente lui si era scordato di notare, e si incamminò insieme a lui torturandosi un attimo le mani.
– Sono stata a casa Blaze fino a poco fa. – decise per la nuda e cruda verità, alzando le spalle e sospirando debolmente. Il moro parve incupirsi ancora di più.
– Axel ne ha parlato anche con te? – domandò a bruciapelo, al che lei trasalì, sorpresa.
Di che cosa, avrebbe dovuto parlare anche con lei? Che fosse qualcosa che effettivamente le aveva detto era escluso. Altrimenti, l’espressione quasi depressa di Evans non si spiegava... giusto?
– B-Beh, mi ha detto qualcosa... – ammise grattandosi nervosamente la gota con l’indice – Ma non credo che tu ti stia riferendo a quell—
– Probabilmente sì. – la interruppe quell’altro. La corvina sbatté le palpebre come stesse lentamente recependo l’informazione, poi arrossì, facendo cambiare direzione al suo sguardo.
– B-Bah, può essere... – sperava di no, a dirla tutta, però se Mark era così sicuro tanto meglio lasciarlo in pace e basta.
Anche perché era raro vederlo così affranto... no, probabilmente, anzi sicuramente non stavano parlando dello stesso argomento. Cosa cavolo gli aveva detto Axel, per ridurlo in quello stato?
– Ti vedo un po’ giù di morale. – azzardò senza pensarci su più di tanto, stringendo le mani dietro la schiena, in un misto fra la curiosità, la preoccupazione e una punta di scetticismo.
Lui si fermò un attimo e la fissò con perplessità, poi abbassò di nuovo gli occhi.
– Come dovrei sentirmi ora che so che partirà per la Germania, probabilmente per non tornare?
Il tacco di Bianca piombò con tale forza nel terreno che lo costrinse a zittirsi di botto, alzando repentinamente lo sguardo con sconcerto. L’espressione della corvina era bloccata su una smorfia sorpresa, o più che altro scioccata, e la mano sospesa in aria tremava leggermente, finché non la chiuse saldamente in un pugno.
– Lui andrà dove?! – quasi gridò sbloccando il suo viso, e Mark sembrò più stupito di lei.
– Come, non avevate parlato...?
– Non di questo! – si portò una mano sul bordo del cappello – Lo sapevo, lo sapevo che non ci stavamo riferendo allo stesso discorso... – mormorò con tono incrinato, impercettibilmente.
Come mai adesso nel suo stomaco, dove fino a poco prima il calore sembrava sovrano, avvertiva solo una morsa stretta talmente che era difficile per la ragazza anche solo respirare correttamente? Rabbia non era. Non era rabbia, no, per niente. Tristezza neanche, era presto per sentirsi presto, prima di tutto doveva recepire bene l’informazione, e per registrare un dato del genere un qualche paio d’ore era necessario. Cosa... delusione? Era forse delusa? Forse. Sì, lo era.
– Scusa ma... – esalò il castano, distogliendola dai suoi pensieri – Se non avete parlato di questo, che cosa ti ha detto? – domandò inclinando la testa, visibilmente curioso, se non confuso.
La Plus sbatté le palpebre, poi arrossì fino alla punta dei capelli, tutto d’un botto.
– D-Di niente, assolutamente n-niente... niente di importante! – balbettò imbarazzata al solo pensiero di ciò che era successo.
Perché sì, almeno un’informazione l’aveva appena recepita con successo, eccome. Serrò per un secondo i suoi grandi occhi azzurri e ignorò il capitano dell’Inazuma Japan, per poi sospirare e sbattere nuovamente il piede per terra, ancora vermiglia in volto.
– Mark, casa tua è dall’altra parte. – prese a camminare velocemente nella direzione di casa sua, ma dopo pochi metri si voltò nuovamente verso l’amico, che la guardava ancora stralunato – Scusa, ho fretta! Ci vediamo domani, eh? Va’ a dormire!
Riprese la sua camminata, che presto si trasformò in una corsa, fissando l’asfalto in cemento grigiastro che stava calpestando, mentre il suo petto iniziava a bruciarle. E non per la fatica, magari fosse stato per quello.

Era buio. Non solo fuori per strada, anche all’interno della casa, e in particolar modo all’interno della sua testa. Buio completo. Non uno spiraglio di luce, neanche una minuscola e insignificante scintilla. Niente. Le finestre chiuse, imposte praticamente sigillate, il salone non era mai sembrato così... inesistente. Sdraiata supina sul morbido divano, infilata nel suo pigiama grigio, la padrona di casa fissava quello che, teoricamente, avrebbe dovuto essere il suo soffitto. Forse non lo era, chi poteva dirlo, il buio le impediva di vedere qualsiasi cosa.
Ciò nonostante, non le dispiaceva, si sentiva stranamente tranquilla, così immersa nell’oscurità. Ovunque posasse le sue limpide iridi cerulee, vedeva nero. Nero come le piume di un corvo, nero come il carbone, nero come i quadrati disegnati sui palloni di cuoio, nero come la pece, nero come il petrolio, nero come i propri capelli. Nero, solamente quello, quel colore che assorbiva tutti gli altri, li assaliva senza farsi notare, partendo da una flebile ombra, per poi divorarli con ferocia, inondando tutto ciò che poteva esistere, le cose più grandi e anche quelle più piccole.
Questo era quello che stava accadendo nella grande casa, ma non solo. Anche nei pensieri, nella mente della giovane coordinatrice, nel suo stomaco e nel grande peso che le stava nascendo sul petto, anche lì l’oscurità stava rapidamente eliminando tutto. I battiti del suo cuore, frattanto, avevano cominciato a scandirsi progressivamente più in fretta, quasi li stessero rincorrendo. Maledisse quell’organo vitale, quel muscolo involontario che sentiva di dover sputare.
Non voleva arrivare al punto di non ritorno, desiderava tutto fuorché arrivare a quel punto in cui l’implosione sarebbe stata inevitabile, e il buio avrebbe smesso di divorarla. Voleva un punto di stallo, ne aveva bisogno. Sospirò, affranta.
Allungò una mano fino a tastare con il palmo il tavolino accanto al divano, e con le dita andò a tentoni per cercare il cellulare. Per qualche manciata di secondi trovò solo carte e un bicchiere, poi finalmente riuscì ad afferrare la figura quasi di parallelepipedo dell’apparecchio telefonico. Se lo portò rapidamente davanti al viso e lo aprì con un movimento di dita.
Senza pensarci due volte scorse rapida la rubrica, fino a trovare il nome che cercava, mentre il braccio le iniziava a far male per essere sollevato in quel modo così innaturale. Il suo pollice slittò sul pulsante verde di chiamata e lei si sollevò seduta con uno scatto quando gli squilli dall’altra parte incominciarono a rimbombarle nel timpano. Il suono di qualcuno che rispondeva fece sobbalzare la corvina, che strinse la presa intorno al telefono quando un mugugno impastato di sonno raggiunse il suo orecchio.
Stupida, hai idea di che ore sono? – la rimproverò la voce roca del capo cannoniere della rappresentativa nazionale giapponese, con manifesto disappunto per essere stato svegliato bruscamente dalla suoneria del cellulare.
– No. – palesò alzando istintivamente le spalle.
Te lo dico io, sono le tre e... trentacinque del mattino. – sbuffò il biondo. – Cosa c’è? – aggiunse addolcendosi debolmente, pur rimanendo evidentemente infastidito.
Bianca si morse un labbro, e cercò di non provare pena per lui. L’aveva svegliato nel bel mezzo della notte, sì, però non aveva alcun intenzione di pentirsene.
– Axel? –  spirò dopo qualche manciata di secondi di puro silenzio.
Cosa? – sbadigliò quell’altro. Sì, era molto tardi e lui era assonnato.
– Prima, ho... ho saputo... – si morse appositamente la lingua – ho saputo qualcosa che mi ha tolto il sonno. – sussurrò flebile, stanca morta. Però il suo non era sonno.
...Ah. – il tono e l’esitazione suggerivano che forse ci era arrivato, all’argomento che lei stava per proporre, seppur a malincuore. Forse, possibile, ciò nondimeno probabilmente no, non ancora. – Prova con una camomilla, funziona. Senti, io ho molto sonno invece, ne riparliamo domani? – propose infatti lui, come volevasi dimostrare.
Bianca sbuffò, stringendo le dita intorno alla stoffa della ricopertura del divano.
– Sono insonne.. – ripeté come un disco rotto – E sono al telefono con quel cretino del responsabile. – serrò le labbra per poi dischiuderle appena in un accenno di digrigno, mentre negli occhi chiari si formava un’ombra di inquietudine.
Bianca, di cosa... – non ci stava arrivando ancora. Bene, allora sarebbe stata la bruna a fargli capire dove voleva andare a parare.
– Avevi ragione, sai? – esordì sarcastica – La Germania è tremendamente lontana, troppo lontana. – chiuse gli occhi – E tu sei un cretino. Cavolo, sono innamorata di un cretino, roba da matti. Devo essere io la scema, sì. Non c’è altra spiegazione, davvero. – si buttò all’indietro senza più neanche il fiato necessario ad uno sbuffo esasperato, godendosi l’agghiacciante silenzio piombato dall’altra parte.
Ed eccolo, la fioca luce nero pece che riprendeva il suo cammino, riprendendo a scottarle con violenza le pareti dello stomaco, dell’intestino, dei polmoni e della gola. Il cuore era vicino all’implosione, tale che la presa intorno al telefono si strinse sempre di più.
– Di’ qualcosa o urlo. – lo avvertì, sentendo gli occhi inumidirsi.

~Ϟ~

Il biondo strinse pollice e indice fra gli occhi, sull’orlo di lanciare il cellulare contro il muro. E meno male che la conversazione era partita bene, anzi benissimo; dal modo in cui stava andando a finire, e cioè con una minaccia di grido da parte della corvina, sembrava che avessero iniziato a discutere da subito. Che poi non stava propriamente discutendo, fino a quel momento Axel, complice il sonno, si era lasciata trasportare dalla conversazione, tanto che non aveva saputo impedire ciò a cui ora si trovava davanti.
Tutto quello che capiva era che Bianca sapeva che sarebbe dovuto partire per l’Europa e non ne era affatto contenta. Non che ci fosse da biasimarla comunque. E forse sì, avrebbe fatto meglio a dirglielo prima, anzi meglio avrebbe preferito essere lui stesso a dirglielo, però... però non l’aveva fatto. Dannazione.
– Okay, mantieni la calma. – fu tutto ciò che riuscì a dire. – Per favore. – aggiunse.
Perché non me lo hai detto? – domandò lei, ignorando completamente la sua richiesta – Aspetta, non rispondere, lo so. Cambio domanda. – emise un profondo respiro – Perché hai avuto paura di dirmelo? Non mi sarei arrabbiata, e lo sai. – concluse con voce incrinata.
Al primogenito della famiglia Blaze non rimase che riflettere su quell’interrogativo. Ne aveva parlato con il suo migliore amico, e allora perché aveva avuto timore di parlarne con la ragazza che amava? Effettivamente sì, era consapevole che se fosse stato lui a metterla al corrente di quella decisione di suo padre non si sarebbe affatto arrabbiata. Probabilmente non sarebbe stata d’accordo, cosa che infatti era, ma l’inquietudine non sarebbe sfociata in rabbia.
E probabilmente era proprio quello il problema, il pensiero che l’aveva indotto a non proferir parola, a fermarsi per impedirsi di liberarsi di quel peso anche con lei.
– Non volevo vederti soffrire. – liberò i suoi pensieri, mettendosi seduto sul letto.
Perché te ne vai? – l’interpellò ancora l’altra, prontamente, quasi non avesse davvero afferrato la replica ricevuto giusto un secondo prima.
– Mio padre vuole che vada in Germania per studiare medicina. – socchiuse i suoi sottili occhi nero cioccolata fondente, passandosi il palmo libero sulla fronte con stanchezza.
Sarebbe uno spreco inutile di talento! – squittì allora Bianca, facendolo sobbalzare. – Axel, ho visto almeno un centinaio di calciatori della nostra età in vita mia, e posso giurarti che nessuno ha mai saputo impressionarmi quanto te. E lo penso davvero.
Il biondo sentì un’improvvisa vampata di calore, e le sue gote si imporporarono leggermente.
Vuoi partire davvero? – incalzò preoccupata.
– ...E’ già stato tutto deciso, non dipende da me. 
...
..
Finché sei felice, a me sta bene. Se invece parti sapendo che sarai infelice, sappi che non te lo perdonerò mai, per il resto dei miei giorni. Solo perché tu lo sappia. 
Il cuore di Axel smise di battere per una lunga, inesauribile, estenuante, miserabile, glaciale e agghiacciante manciata di secondi, perché il modo in cui quelle parole furono pronunciate suggerirono un misto di realtà e menzogna, sorriso e orlo di pianto isterico, che ebbe come risultato il chiudergli lo stomaco in una morsa assassina.
– Ca... pisco. – sussurrò appena, prima di sentire il suono di come Bianca gli aveva appena sbattuto il telefono in faccia.




La partita contro i Fire Dragon stava procedendo male. Molto, molto male. Con Mark in panchina, poi, non tutti si sentivano esattamente a loro agio. La Corea, al momento, conduceva il gioco per 2 a 1, ed era terribilmente evidente che l’unico goal segnato dall’Inazuma Japan grazie a Shawn e Thor era stato purtroppo quasi “calcolato” dai membri dei Fire Dragon, che oltretutto era molto migliori del previsto.
E non solo Byron, Claude e Bryce avevano superato tutte le aspettative dei rappresentanti del Giappone, anzi. Dimostrando vera l’idea di Willy, il regista nonché capitano della squadra coreana era facilmente definibile con il termine agghiacciante. Stava letteralmente tenendo in mano il gioco, e questo stava solamente preoccupando terribilmente i ragazzi. E il problema principale era quell’odioso Pressing Perfetto. Con quello in vigore, era quasi impossibile giocare...

~Ϟ~

Seduta accanto a Mark, Bianca sentiva la tensione invaderla dall’esterno e dall’interno, tanto fitta e densa da poter essere tagliata con la lama di un coltello. Il capitano era in piena crisi riflessiva, concentrato al massimo su ciò che vedeva per intendere cosa il mister Trevis volesse che lui capisse. A dirla tutta, neanche la coordinatrice ci era davvero, quantomeno non completamente, arrivata. E la colpa non era solamente sua, bensì del disastro che stava avvenendo in campo.
C’era una speranza per l’Inazuma? Certo, non era distrutti come altre volte era successo, e quei ragazzi avevano affrontato problemi e sfide di ogni sorta, probabilmente nessuno nell’intera nazione era mai stato così provato, in particolare per quanto riguardava quello sport. Ma sarebbe bastato? La Corea stava letteralmente dominando il gioco, fra Darren che non riusciva più a contrastare i tiri in porta e un capo cannoniere con la testa fra le nuvole...
La corvina si trattenne dal non urlare, come tra parentesi aveva fatto qualche giorno prima quando, per non farsi sentire da Axel, gli aveva sbattuto il telefono in faccia.
Però era prossima a scoppiare adesso. Doveva concentrarsi, doveva concentrarsi...
Se stava faticando lei, figurarsi quei poveri undici ragazzi che si stavano facendo in quattro sul campo.

~Ϟ~

L’intervallo arrivò, per fortuna, e Bianca scattò in piedi.
I ragazzi attorniarono l’allenatore, il quale diede le disposizioni per il secondo tempo.
Jordan, palesemente affaticato, si era evidentemente portato oltre i propri limiti, e per questo fu “punito” con la panchina; anche Jude, che si era in qualche modo infortunato, ricevette la stessa disposizione. Al posto loro, Trevis decise di far entrare un solo e unico giocatore: Caleb Stonewall.
Fra la sorpresa e l’interdizione di tutti per l’entrata del moro, che non aveva mai veramente giocato una partita durante tutte le eliminatorie asiatiche, e il disappunto e lo sconforto per la mancata entrata di Evans, la squadra si poteva dire per niente pronta al secondo tempo.
Eppure, doveva esserlo.
Ma bastarono pochi minuti del secondo tempo per capire che erano messi molto, molto male.

~Ϟ~

L’aveva visto.
Adesso non c’era più, probabilmente aveva deciso di andarsene, e come biasimarlo poi, con il disastro che l’Inazuma stava combinando, era molto meglio smettere di guardare.
Ne era consapevole.
Ciò nonostante l’aveva visto.
Suo padre.
Lì, sugli spalti, che lo guardava severamente come sempre.
E adesso non c’era più.
Questo pensava, il numero dieci della rappresentativa giapponese, mentre con Austin tentava per l’ennesima volta di mettere a segno quella dannatissimo tecnica. Come se fosse stato facile. Il corvino era veramente concentrato e pieno di forza di volontà, e il suo tiro era sempre ben mirato e potente. Il problema era Axel, e quest’ultimo ne era fortemente consapevole.
Non riusciva... non riusciva in alcun modo a essere tranquillo, non ci riusciva! E questo suo bloccarsi era solo un ulteriore problema fra lo... stupido? modo di giocare di Caleb e il modo in cui Archer non si stava rendendo affatto utile, nonostante ci stesse provando.
La tecnica scemò. Di nuovo. E la delusione mista a confusione riprese a divorare il  sistema nervoso del biondo. Di nuovo.
Non capiva, non capiva. Non capiva cosa gli stesse succedendo. Perché, perché stava succedendo a lui? Come poteva essere possibile che il solo pensiero di suo padre lo frenasse così tanto da fargli sbagliare un tiro altrimenti perfetto? No, non aveva senso. E il suo obiettivo? Il traguardo che si era posto, il desiderio di mandare i suoi amici a sfidare il resto del mondo? Dal modo in cui lui stesso si stupiva di star giocando, probabilmente non sarebbe riuscito a perseguire quello scopo. Era inutile girarci intorno, qualcosa non andava, in quel preciso momento lui stesso non andava.
Perché... perché?!
I fischi e i versi di disappunto dei tifosi sugli spalti stava perforando i timpani di tutti. I giocatori del Giappone si guardavano sconsolati, senza sapere che fare, completamente nel panico.

~Ϟ~

E così Caleb sapeva fare lavoro di squadra. E Archer era davvero un ottimo difensore.
E lui...?

– Che fine ha fatto il nostro capocannoniere!?
– Questo non è l’Axel Blaze che ho sempre ammirato!!
Scusa Mark. Scusa Austin.
Migliaia di paia d’occhi puntati su di lui, fra i tanti il biondo ne scorse due grandi, limpidi e azzurri.
Con i tuoi occhi non mi scuso, Bianca.
– Avete ragione ragazzi.

~Ϟ~

L’Inazuma aveva vinto. Miracolo? Bah, probabilmente. I Fire Dragon, per quanto delusi di sé stessi e arrabbiati per la sconfitta, non apparivano troppo sorpresi; o quantomeno non Byron. Dopotutto, lui aveva avvertito più volte i suoi compagni. Mai abbassare la guardia con Mark Evans. E anche se il Grande Chaos era stato fastidiosamente inutile per vincere, alla fin fine, era contento che ad averli battuti fosse stato proprio il team capitanato da Mark. Contro di lui, ormai, non doveva sforzarsi di accettare la sconfitta: era già la seconda...
La coordinatrice della rappresentativa giapponese stringeva le mani l’una nell’altra, ben nascosta.
– E quindi adesso andrai ai mondiali? – udì la voce di Yuuka chiedere, radiosa, dall’alto degli spalti, al fratello. E il biondo, metri più in basso, sul campo, fece una smorfia affranta, anche se fece evidentemente il possibile per non farlo notare alla sorellina.
Invece la governante la colse subito. Frattanto l’attenzione di tutti e tre fu attirata dalla visione del signor Blaze che camminava nella loro direzione, e il fiato di Axel si mozzò non appena lo vide.
Per di più, non gli fu possibile tenere alto lo sguardo quando suo padre gli si avvicinò, e Bianca se ne accorse, emettendo un verso soffocato di disapprovazione. Non aveva mai visto Axel abbassare lo sguardo, mai! E come visione era agghiacciante.
La corvina aveva fatto in tempo ad avvicinarsi, ignorando come la sua coscienza le stesse ricordando che origliare le conversazione altrui era sbagliato, per sentire ciò che si stavano dicendo. Il suo cervello le stava imponendo severo di andare via, tornare da Camelia prima di essere scoperta e rimproverata. Ma il suo stomaco e soprattutto il suo cuore la stavano pregando in tutte le lingue del mondo di rimanere e placare il terribile bruciore che guardare qualsiasi membro della famiglia Blaze provocava loro da un paio di giorni.
E, per quanto quei due ingrati dei suoi organi vitali le rendessero la vita impossibile con quella storia dell’amore, per quanto li avesse maledetti migliaia se non milioni di volte, lei necessitata ascoltare. Ne andava della sanità del suo dannatissimo sistema nervoso, ecco. Non era la curiosità a spingerla, bensì necessità. Punto.
– Papà. – “salutò” il numero dieci dell’Inazuma Japan.
– Oggi... – cominciò quello senza il benché minimo convenevole – hai portato i tuoi amici alla vittoria.
– Sì. – convenne il ragazzo dopo aver esitato un po’. La bruna non riusciva a vedere i suoi occhi, eppure percepì chiaramente che erano tremanti.
Quindi anche uno come Axel aveva paura di qualcosa.
Aveva paura di suo padre.
– Ma questi ragazzi hanno ancora bisogno del tuo talento, Axel.
L’interpellato sollevò il volto con sconcerto, occhi sgranati al limite del possibile.
No, non poteva essere. Aveva sentito male, per forza.
Suo padre... aveva detto... lo aveva detto sul serio?
Dal canto suo anche la coordinatrice sentì il proprio cuore accelerare i battiti, un sorriso idiota dipingersi sulle labbra chiare. Liquide lucciole allegre nascere nelle sue iridi e premere per scendere sulle gote nivee. Di colpo disprezzava meno il caro signor Blaze.
Si nascose meglio per impedire all’uomo, il quale si stava allontanando, di vederla.
– Grazie, papà. – mormorò il capocannoniere al vento, con gli occhi lucidi.

~Ϟ~

Bianca afferrò il telefono per controllare il messaggio che le era appena arrivato, e si irrigidì quando vide che il mittente era Axel. Però appena lesse il messaggio non trattenne una risatina.
“Signorina Plus, sarebbe pregata di venire alla Raimon, che c’è un certo spasimante che l’aspetta.”
– Che stupido! – esclamò chiudendo il cellulare e iniziando a correre verso la Raimon Jr. High, salutando con un sorriso Camelia, Silvia e Celia, con le quali si era intrattenuta dopo la partita.

La cowgirl avvistò il biondo e gli fece un cenno, per poi avvicinarsi rapidamente.
– Un giorno poi mi spiegherai come fai a correre con i tacchi, eh. – commentò il ragazzo, spingendo debolmente la fronte di lei con l’indice.
– Tutta una questione di pratica, carino. – replicò la bruna divertita, dondolandosi un attimo in avanti. – Beh? Di cosa ha bisogno il certo spasimante? – chiese sarcastica.
– Mh... di un bacio. – fece finta di riflettere lui, togliendole il cappello dalla testa.
La ragazza strinse le dita intorno alla sua felpa bianca e blu ed eseguì la richiesta di Axel, poggiandosi delicatamente su quelle labbra scure al sapore di cioccolato, per poi, dopo qualche secondo, staccarsi e socchiudere le palpebre, indugiando con lo sguardo sulle proprie dita.
– E quindi resti. – mormorò aumentando la presa intorno alla stoffa che ricopriva il petto del ragazzo. Quest’ultimo le prese il viso da sotto il mento e la costrinse a far scontrare le loro iridi colorate.
– Pare di sì. – sorrise sornione – Scusa se ti ho fatto preoccupare. – aggiunse bisbigliandole a fior di labbra, prima di stamparle un altro bacio.
Bianca si divincolò dalla sua presa e incrociò le braccia.
– Io non ero preoccupata. – sbottò puntandogli l’indice sul petto, e quell’altro ridacchiò sommessamente.
– E allora perché hai origliato mentre parlavo con mio padre?
– Eh? Eh?! – gridò – Oh, insomma, possibile che qualsiasi cosa di sbagliato faccia tu te ne accorga? – sbuffò arricciando le labbra.
– E’ perché mi piace vedere il tuo bel visino arrabbiato, carina.
– ...Sai, una volta mi è stato detto che tu sei un tipo tranquillo e razionale. – ricordò inarcando un sopracciglio – Perché con me non lo sei? – sorrise poi, e l’interlocutore si strinse nelle spalle.
– Perché così ti sei innamorata di me. E’ un buon motivo?
La coordinatrice arrossì leggermente e sospirò, come esasperata. Poi, abbracciò di nuovo il suo amato capocannoniere dall’aggressiva pettinatura biondo crema e il carattere più irritante del pianeta. Rimasero così, abbracciati per qualche momento, mentre lui le accarezzava i capelli, ancora con il cappello texano in mano.
– Credo che cambierò abbigliamento. – affermò di punto in bianco la ragazza.
– Uh? – fu l’inarticolata risposta – Perché?
Stavolta fu lei a stringersi nelle spalle.
– Il cappello mi darebbe fastidio se mai volessi abbracciarti. – considerò quella – E poi mi scambiano sempre per un’attrice di qualche film americano... – borbottò – Urge un rimedio.
Axel sorrise, incerto su come rispondere, pur sollevando divertito un sopracciglio.

“Te la sei andata a scegliere complicata, la ragazza.”
“Subconscio, per una volta puoi farti gli affari tuoi?”


– Oh, prima che mi scordi! – gridò quasi la corvina, staccandosi di nuovo dal biondo, sebbene stesse ancora stringendo le sue mani color caffellatte nelle proprie, più affusolate e nivee. – Mi sono accorta che non ti ho ancora risposto! – esclamò.
– Risposto a cosa? – domandò il calciatore, senza capire. Anche se quando la vide imporporarsi abbastanza violentemente sentì di essere vicino ad indovinare.
– B-Beh... s-sai, quanto tu... hai detto c-che... – tentò di ribattere, voltando le proprie iridi in un’altra direzione, facendolo sospirare dalle risate.
– Se è di quello che ti preoccupi, le tue labbra sulle mie sono state una risposta più che sufficiente. – la rassicurò, ottenendo però l’unico risultato di farla scomparire nel proprio rossore – E poi, sapevo a prescindere che l’orgoglio da perfettina che ti ritrovi non ti avrebbe mai concesso di rispondermi a parole in ogni caso, – come un pungolo di indignazione si formò rapido nello stomaco di Bianca a quelle parole. – e quindi... – provò a continuare il biondo, ma fu interrotto.
– Ti amo. – confessò decisa, scrutandolo negli occhi, e sentendo l’anima andare in fiamme quando le iridi del ragazzo sgranare sotto il peso del suo sguardo fremente.
– Brava, ora non respiro. – si lamentò lui, accostandosi nuovamente al suo viso appena si fu “tranquillizzato”.
– Oh, fidati, è una cosa che a me succede sempre. – replicò sarcastica – Quando sono con te. – aggiunse dolcemente.
– Scusa. – alzò le spalle Axel – Comunque dimmi, è quasi due mesi che ci penso...
– Cosa?
– Qual è stata la prima cosa che hai pensato di me?
Bianca rise divertita.
– Solo se prima mi dici TU qual è stata la tua prima impressione su di me.
– Che una come te non poteva davvero essere un coordinatore calcistico. – disse il coetaneo prontamente, sorridendo.
– Quello non è stato il tuo primo pensiero su di me, Axel. – lo corresse – Ricordi? Non è stata quella la prima volta che ci siamo incontrati.
Il biondo parve riflettere, poi capì. Socchiude dolcemente gli occhi e arrotolò una ciocca scura del capelli di Bianca fra le sue dita.
– La prima cosa che ho pensato di te... – esalò sottile – E’ che sembravi tanto un pulcino caduto dal nido. Un pulcino corvino... – spostò le dita dai capelli alla guancia della ragazza – Un pulcino nero, sì. – concluse avvicinandosi tanto che i loro nasi si sfiorarono. – Tocca a te. – scherzò.
Lei arrossì ancora. Sai che novità, eh.
– La prima volta che ti ho guardato negli occhi... sì, in quel momento, io... – tentò di spirare anche lei – Credo di aver pensato che... che nella mia vita non avevo mai visto uno sguardo come il tuo.
Anche Axel arrossì. Un classico da orribile romanzetto rosa da quattro soldi.
Sennonché...
Gocce d’acqua cominciarono a sbattere sui visi dei due, prima debolmente, e subito dopo in uno scroscio degno del diluvio universale.
– Come rovinare bei momenti. – commentò il biondo mentre si toglieva la giacca della tuta per coprire sé stesso e la corvina quel poco che bastava a raggiungere l’ingresso della Raimon e rintanarsi all’interno.
– Tanto se non ci avesse pensato la pioggia avrei sicuramente fatto una battuta da due soldi per distrarti dall’enorme ed imbarazzante confessione che ti ho fatto.
– Ah beh, allora...


Angolo della Kyah
Ho fretta ho fretta ho fretta.
E quindi e quindi e quindi vi saluto subito.
Che ne che ne che ne pensate?
Del capitolo, intendo.
Sono stanca di lettori così silenziosi, sinceramente, io tengo molto ai vostri pareri.
Quindi fatemeli sapere > <
Vado via, ciao ^^

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Capitolo 18
*** Nuova vita, nuovo look... ***


Pioveva sotto un cielo terso in ogni angolo della grande città. L’atmosfera era grigia e anche abbastanza pesante, non si vedevano passanti in giro fatta eccezione per qualche malcapitato che si era trovato sotto il temporale. Non era neanche estate piena, e pioveva come fosse stato il solito diluvio di agosto.
La grande Raimon Jr. High sorgeva sulla strada, il grande cancello chiuso... no, appena accostato. I lunghi corridoi, le aule, i vari edifici dei club erano completamente vuoti. No, quasi completamente. In una classe, le luci erano accese, e due ragazzi osservavano stancamente la pioggia dalla quale si erano riparati entrando nell’istituto. Beh, il ragazzo, seduto sulla cattedra, mento pesantemente appoggiato sul palmo della mano, guardava lo scrosciare dell’acqua sul vetro della finestra, invece la ragazza scrutava ogni minuscolo dettaglio di quel luogo, non senza interesse.

Far finta di interessarsi alla pioggia e studiare in silenzio la corvina esplorare con lo sguardo l’interno dell’aula gli metteva una strana sensazione addosso. Forse tenerezza, visto e considerato che solo un bambino si sarebbe interessato così tanto ad una semplice classe, tanto da quasi obbligare qualcun altro ad accompagnarlo; ma in fondo, anche una ragazza cresciuta in fretta come lei era ancora un po’ bambina, giusto?
– Scommetto che questo è il banco del capitano. – mormorò ad un tratto Bianca, sorridendo come divertita e risvegliando il biondo dai propri pensieri.
– Sì, come hai fatto ad indovinare? – domandò incuriosito quest’ultimo, scendendo dalla scrivania e accostandosi alla coordinatrice, la quale ridacchiò un po’, per poi indicare il legno del banco.
– C’è scritto “calcio” in tre lingue diverse, – rispose fra una risatina e l’altra – e qualcuno ci ha disegnato un pallone... – aggiunse scostandosi una ciocca scura dalla fronte – Senza contare che questa macchia – posò delicatamente l’indice su una chiazza più scura, delineandola come sovrappensiero – non può essere altro se non la prova che Evans sbava nel sonno.
L’ultimo commento fece ridere sommessamente anche Axel.
– Ottime osservazioni, signorina Plus. – si complimentò sarcastico – E vediamo, sapresti indovinare qual è il mio? – la sfidò poi, sorridendo sornione.
La cowgirl si strinse nelle spalle, ricambiando il sorriso. Fece segno di aspettare sollevando l’affusolato indice chiaro e sbatté le palpebre con aria riflessiva, camminando lentamente fra le file di banchi singoli, sotto l’occhio divertito del cannoniere. Lei sembrò ignorare il palese divertimento di lui e passò delicatamente le dita sui banchi che incontrava per la sua strada. Dopo al massimo due minuti posò il palmo aperto su un banco accanto alla finestra, e sorrise soddisfatta. Usando le braccia come slancio ci si sedette sopra, e si godette la smorfia contrariata dell’attaccante.
– Ho indovinato, caro? – chiese schernitrice, spingendosi all’indietro per appoggiarsi con la schiena al muro, contenta di non indossare una gonna che le impedisse di mettersi così comoda.
– Mh. – fu l’inarticolato assenso, accompagnato da un cenno del capo.
L’aula fu irradiata dalla risatina rallegrata della bruna, che afferrò il proprio cappello e fece come per inchinarsi, beffarda, con un sorriso che sapeva tanto di presa per i fondelli.
– Sai cosa? – sbottò lui incrociando le braccia – Non ci credo neanche un po’ che non sei mai entrata in questa classe. – inarcò un sopracciglio, accennando un sorriso.
Quell’altra fece spallucce e raddrizzò meglio la schiena con aria superiore.
– E invece ti assicuro che è così! – ammiccò deliziata – Sono entrata solo nella classe di Nelly e Nathan, e nella presidenza. – lo informò.
– Oh, andiamo. – roteò le sue taglienti iridi color cioccolato, avvicinandosi abbastanza alla coordinatrice per darle un buffetto sulla caviglia.
– Non ti fidi? – ridacchiò ancora lei.
– Rassegnati, io non mi fiderò mai completamente di te. – replicò il biondo con fare ovvio, appoggiandosi a sua volta alla finestra e inclinando lievemente la testa per toccare il capo della coetanea.
Questa gonfiò le gote, arrossendo debolmente, come offesa, anche se in realtà non lo era, come raramente succedeva.
– Okay, forse hai ragione. – convenne guardando la punta degli stivali – Però questa è la prima volta che vedo la tua classe. Anzi, me la sarei immaginata più grande.
– Quella di Nelly e Nathan è più grande?
– Bah, sarà che contiene più studenti... – ipotizzò Bianca portando gli occhi azzurri a fissare il soffitto – Non lo so, forse sono io che non me la ricordo.
– Se non se la ricorda miss-perfettina-dalla-memoria-fotografica, allora... – considerò alzando le spalle il numero dieci dell’Inazuma Japan, meritandosi un’occhiataccia. – Comunque, vuoi spiegarmi come hai fatto ad indovinare che questo è il mio banco? – cambiò argomento bussando con le nocche sul legno del proprio posto.
La corvina arrossì un po’ e lisciò la stoffa degli jeans, tossendo imbarazzata.
– N-Non c’è una ragione particolare. – esalò appena, indossando di nuovo il cappello.
– Quando si parla di me perdi la capacità di mentire? – serrò le palpebre il ragazzo, portando il viso in direzione della parete opposta della classe, facendo sussultare la corvina.
– L’ha detto anche Nathan. – sorrise imbarazzata, incrociando le gambe sul banco.
– Le signorine per bene non siedono in quella maniera. – la rimproverò ironico.
– I signorini di buona famiglia non fanno notare gli errori degli altri. – rimbeccò allora la coordinatrice, chiudendo ancora una palpebra e mostrando la lingua in segno di scherno.
– Chiamami ancora signorino e giuro che ti tiro un tavolo...
– Poi la violenta sono io, vero?
– Tu la violenza la meriti, io no.
– Seh, come no.
Calò, per una manciata di momenti, un silenzio diverso dal solito.
Non era opprimente come ci si poteva aspettare, e tantomeno imbarazzato. Era solo silenzio. I ragazzi pensavano che non era mai capitato, fra loro, di ritrovarsi in silenzio senza un incipit di... qualcosa nella loro conversazione. Era strano. Però piacevole.
Fu il Blaze a rompere nuovamente la quiete formatasi nell’aria circostante.
– Seriamente, come hai fatto a capirlo? – domandò infatti, voltandosi nuovamente verso la cowgirl.
L’altra arricciò una ciocca di capelli color carbone intorno alle dita della mano, sospirando.
– I ragazzi pieni di pensieri si siedono accanto alla finestra. – borbottò sollevando appena le spalle – E i tipi irritanti non si siedono troppo avanti, né troppo indietro rispetto al professore. – fece passeggiare indice e medio sul bordo del tavolo quadrato.
– E’ una supposizione ancora abbastanza vaga. – rifletté pensoso.
Bianca prese un profondo respiro e sorrise, scendendo con un piccolo salto dal tavolo.
– Siediti. – ordinò allontanandosi un pochino dal banco.
Il ragazzo dalla carnagione color caffellatte inclinò il capo, senza capire.
– Eh?
Lei gli rivolse uno sguardo indecifrabile, incurvando maggiormente le proprie labbra all’unico scopo di accentuare il proprio sorriso.
– Siediti al banco e fingi di essere a lezione.
Il biondo dovette attendere qualche momento per recepire l’informazione.
– Che cosa hai in mente? – chiese titubante, ma eseguendo la bizzarra richiesta della corvina, la quale unì le mani in preghiera e le inclinò accanto al viso.
– Se te lo dicessi non funzionerebbe. – delucidò semplicemente – Ti prego, fingi che io ora non ci sia. Pensa a qualsiasi cosa che ti faccia comportare come quando sei a lezione.
Le palpebre degli occhi neri del calciatore sbatterono con grande perplessità. Poi, pur senza capire, cercò un pensiero che sovente lo colpiva durante le lezioni; anche se a dire il vero lui in classe prestava attenzione agli insegnanti, non era tipo da distrarsi con facilità...
Sollevò lo sguardo nella direzione del cielo, meno piovoso di prima, e sul vetro vide scivolare delle gocce le quali, in un modo o nell’altro, finivano con l’incontrarsi e precipitare insieme sul davanzale della finestra. A pensarci, si “comportavano” in modo veramente particolare. Prima si distanziavano, prendevano percorsi totalmente diversi, e poi si fondevano senza la minima esitazione. Quel pensiero gli ricordò tanto un certo paio di persone... sussultò quando si accorse delle due iridi cerulee che lo fissavano insistentemente. E la loro proprietaria era palesemente scarlatta in volto.
– Bianca, cos’è quella faccia? – inarcò dubbioso un sopracciglio chiaro.
L’interpellata trasalì.
– N-Non è niente, s-solo che... – si portò una mano dietro la nuca, ridacchiando impacciata – Ho appena fatto un regalo alla mia memoria fotografica, e-ecco tutto.
Dire che Axel era arrossito a sua volta era dire poco, molto poco.
– Bianca...?
– E-Eh, cosa?
– ...Noi due stiamo insieme?
Ed eccolo, il silenzio imbarazzante, che si prolungò sicuramente più del necessario.
La ragazza percepì di avere la gola più secca che mai, e il cuore prese, come spesso accadeva, una strada completamente diversa da quella programmata.
– C-Che razza di domande fai? – si sentì più vermiglia di un pomodoro maturo mentre prendeva il fiato necessario ad esclamare, sorridente: – Certo che sì!

{~}

– Bene ragazzi. – esordì Travis, incrociando le braccia dietro la schiena – Stiamo organizzando la partenza per l’isola di Liocott. – serrò le palpebre – Partiremo fra due giorni. Domani vi occuperete di fare le valigie, per oggi... – fece un grande respiro – Avete la giornata libera.
La coordinatrice, accanto a lui, incrociò le dita.
Non si poteva mai sapere come questo giorno libero sarebbe stato affrontato dai ragazzi.

La risata di Suzette era un duro affronto al sistema nervoso di Bianca.
Frattanto che la corvina cercava di reprimere i suoi istinti omicidi più reconditi che scalpitavano per venire fuori, Victoria osservava affranta la sua migliore amica.
– Hai fatto benissimo a venire da me, Bianca! – esclamò fiera la ragazza di Osaka.
– Io non sono affatto venuta da te. – corresse l’interpellata – Stavo parlando al telefono con Nelly e tu ti sei intromessa, costringendomi inoltre ad interrompere la telefonata! – sbottò incrociando le braccia, infastidita al ricordo, distante di appena due minuti, della risatina della ramata quando era venuta a contatto con il suono della voce della turchese.
– Comunque sia! – ignorò quel particolare quest’ultima – Se è un cambio di look che cerchi io sono la persona più indicata per aiutarti!
La Vanguard lanciò un’occhiata alla bruna, la quale interpretò quello sguardo come un eloquente incito alla fuga, che l’altra decise di seguire.
– Suzette, mi duole dirti che a me bastano un jeans e una camicia. Grazie lo stesso, eh. – fece per alzarsi dalla sedia sulla quale era stata costretta a sedersi, senonché la giovane dalla carnagione color cioccolata le impose di fermarsi.
Contrariata, Bianca accavallò le gambe. Sarebbe stata una giornata molto lunga...
– Scherzi?! – sbottò quell’altra – Quando si decide di cambiare look non bisogna essere così minimisti!
– Non penso che Bianca abbia bisogno di un cambiamento troppo drastico... – si intromise allora la rossa dal berretto blu, sollevando l’indice come a chiedere il permesso di esprimersi.
Se non fosse stata proprio lei la vittima di quella specie di messinscena, la coordinatrice avrebbe potuto dire di star assistendo ad una scena quasi divertente.
La fan numero uno di Eric Eagle si portò la mano sotto il mento in maniera riflessiva.
– Effettivamente sei carina, non serviranno salti mortali per far risaltare questa tua caratteristica senza l’aiuto dell’abbigliamento assurdo da cowgirl. – mormorò più a sé stessa che alle altre due.
– Ehi!! – scattò in piedi Bianca – Il mio abbigliamento non è affatto assurdo, sono stata chiara?! – si accorse di come il suo tono fosse due ottave più alto del normale solo quando vide le iridi di entrambe le amiche sgranarsi, e Victoria trasalire.
Si risedette esalando un sospiro esasperato.
La figlia del primo ministro la scrutò per un momento.
– Bianca, perché te la prendi tanto? Sono solo... vestiti. – le fece notare perplessa.
– Questi no. – sussurrò la cowgirl – Questi non lo sono affatto.
– Uh? E perché no? – domandò curiosa e indiscreta come sempre la turchese.
La coordinatrice sorrise un po’ mestamente.
– Beh, – spirò – erano di mia madre. – confessò socchiudendo le palpebre dei suoi liquidi occhi azzurro cielo – Non li indosso... non li indosso solo per “risaltare quella mia qualità”, come dici tu. – alzò le spalle.
– Ah... – Suzette sembrava davvero mortificata. – Scusa.
– Figurati, non potevi saperlo. – ribatté sorridendo ancora la bruna, che fra l’altro era sicurissima che quell’imbarazzo non sarebbe durato molto.
...
– Non pensiamoci più, andiamo a fare shopping! Ho una missione da compiere!
Come volevasi dimostrare.

Nathan quasi cadde quando qualcuno lo travolse. Voltandosi di scatto verso quel qualcuno, si accorse che si trattava di Suzette, inseguita quasi con disperazione da Victoria; in più, l’azzurra teneva, o meglio trascinava per mano un’esasperatamente in ricerca di aiuto Bianca, la quale lanciò uno sguardo di S.O.S. al suo migliore amico.
– A. I. U. T. O. – sillabò infatti senza emettere suono.
E il difensore fu veramente combattuto se preoccuparsi per lei o scoppiare in una fragorosa risata davanti alle gote rosse di terrore dell’amica, probabilmente all’idea di affidarsi, per forza di cose, totalmente a Suzette.
Il capitano della Tripla C si andò ad infilare nella prima boutique che ebbe superato il suo “esame visivo”, per poi abbandonare Bianca e Victoria pressappoco all’ingresso e andare a parlare con la prima commessa che ebbe trovato sul proprio cammino. La corvina si sentì morire quando l’amica l’additò per far comprendere alla commessa di chi si stesse effettivamente parlando.
– SUZETTE HEARTLAND, PUOI ANCHE SCORDARTI CHE IO MI VESTA DI ROSA!! – gridò con tutto il fiato che aveva quando vide la donna indicare all’interpellata una schiera di stampelle al quale erano appesi abiti tutti di quel colore.
– Guastafeste. – commentò la blu facendo una smorfia infantile e rivolgendo la sua attenzione ad un’altra schiera di vestiti.

{~}

– Niente di nuovo ragazzi? – domandò Nathan, portandosi alla bocca la cannuccia della bibita.
Gli altri cinque si strinsero quasi contemporaneamente nelle spalle.
Seduti intorno al tavolo esterno di un bar, Mark, Axel, Jude, Shawn, Xavier e Nathan avevano appena ricevuto le loro ordinazioni, e la loro conversazione sui possibili partite e nuovi incontri che avrebbero affrontato sull’isola di Liocott era rovinosamente scemata.
E così, il turchese aveva ben pensato di tirar fuori un argomento generale.
– Niente... munch... di che... – borbottò il Evans masticando la ciambella che stava tenendo in mano.
– Mangia a bocca chiusa. – rimbrottò Jude, colpendolo in testa con il bicchiere di carta, ben sigillato, del caffè freddo che stava bevendo.
– Come fai a bere quella roba? – notò Xavier, riferendosi appunto alla bevanda ordinata dal regista – Io la trovo insopportabile!
– E’ perché tu sei molto più delicato di lui! – ridacchiò allora Nathan staccandosi dalla cannuccia a righe bianche e rosse.
– Penso che mi offenderò. – sorrise divertito il rasta, spostando lievemente il capo, in modo che il riflesso del sole mutò lo scintillio delle sue lenti scure.
– Perché, ho ragione! – rimbeccò il turchese contagiando anche gli altri nella sua piccola risata, il rosso per primo.
– Nathan, ti vedo un po’ pensieroso. – disse il Frost una volta che il divertimento fu sopito.
Il difensore assimilò rumorosamente un sorso di bibita e alzò le spalle.
– Pensavo a Bianca. – ammise senza troppi giri di parole.
Ad Axel andò di traverso l’acqua, provocandogli un violento colpo di tosse. Xavier gli diede un paio di pacche sulla schiena per prevenire che si strozzasse, e il biondo si limitò a sillabare un tacito – Grazie –. 
– Bianca? Perché? – si incuriosì allora il capitano, inghiottendo svelto un altro boccone della propria merenda.
L’altro sbatté le palpebre dei suoi grandi occhi del colore del thè.
– Ho visto Suzette che la trascinava chissà dove, e lei sembrava veramente disperata. – spiegò non trattenendo un sorriso divertito.
– In mano a lei chiunque sarebbe disperato. – si lasciò sfuggire Sharp, inarcando un sopracciglio – Una con una scarsa pazienza come Bianca avrà come minimo una crisi isterica entro stasera.
Il sospiro proveniente dagli altri fu la conferma del loro concordo.
– Non ti sembra di esagerare? – azzardò invece il rosso, il quale difatti della Heartland conosceva a malapena il nome. E in effetti ci aveva a malapena giocato contro una volta al massimo, e per di più in quel periodo era ancora sotto l’effetto della pietra di Alius.
Gli altri cinque si voltarono all’unisono verso di lui.
– No. – esalarono in coro.
– Okay... – mormorò incerto, seppur fidandosi del giudizio dei suoi amici.
– Mi domando come sia venuto in mente a Bianca di farsi trascinare in quella maniera da Suzette. – rifletté ad alta voce Frost, girando con delicatezza la cannuccia nella propria granita alla menta.
Il capocannoniere ticchettò con le dita sul tavolino grigio-biancastro.
– Sarà che voleva cambiare abbigliamento... – borbogliò con un fil di voce, passandosi una mano sulla chioma bionda, forse in un vano tentativo di appianare la discussione.
– Comecomecome? – Shawn e Swift, all’unisono, si sporsero in avanti per sentire meglio.
– E a te quando l’avrebbe detto? – si incuriosì Jude, sorridendo maliziosamente, tanto che il biondo desiderò che la terra inghiottisse lui e i suoi occhiali.
– Non ricordo. – mentì – Probabilmente l’ho solo sentit—
– Lo devo chiedere a lei? – propose quasi in tono intimidatorio il turchese, facendolo trasalire.
Se Nathan fosse andato a parlarne direttamente con la coordinatrice, quest’ultima avrebbe come minimo ucciso Axel per aver parlato dei fatti suoi con qualcun altro. Era anche vero che con il numero due della rappresentativa giapponese avrebbe parlato in ogni caso, con tutta probabilità, però...
– Ieri, dopo la partita. – sbuffò – Me l’ha detto ieri.
– Scusa la domanda, perché mai vi sareste dovuti vedere dopo la partita? – si intromise Xavier, con l’aria di chi ha capito tutto e ha voglia di rompere le scatole.
Non che sui visi degli altri fosse dipinta un’espressione diversa.
Blaze sbuffò ancora.
– La proposta di chiederlo a lei è sempre valida, eh. – gli rammentò l’albino, prendendo un cucchiaio per mangiare meglio la granita senza rischiare di lasciare ghiaccio nel bicchiere.
– ...Non penso ci sia bisogno di dirlo.
– E tu dillo!
– Poi è Suzette quella esasperante... – borbottò ironico – Con la fortuna che ho tanto entro domani lo saprà l’intera Tokyo, vero?
Quattro su cinque incrociarono le dita sotto il tavolo, e Mark sorrise radioso nella sua innocenza.
– Stai scherzando? Certo che no! – esclamarono tutti all’unisono.
L’occhio scettico del ragazzo dall’eccentrica chioma biondo crema inarcò un sopracciglio, visibilmente sicuro di aver appena ascoltato una grossissima balla. Beh, non per quanto riguardava il capitano, ovviamente.
Sì, stiamo insieme. Contenti? – la visione di Xavier e Shawn che si davano il cinque fu la risposta affermativa che era sicuro di star per ottenere.
– Beh, era anche ora. – notò il rasta.
Evans incrociò le braccia dietro la testa, sorridendo a trentadue denti – Perché fai quella faccia, è una bella cosa, no? – osservò.
– Falla soffrire e te la farò pagare, chiaro? – minacciò divertito Nathan, riuscendo a strappare un sorriso al cannoniere.

{~}

Il silenzio tombale che si era formato sui visi dei ragazzi quando Bianca entrò nella sala da pranzo metteva davvero una grandissima ansia addosso. Scarlatta in viso, la coordinatrice fece vagare il suo sguardo ceruleo sui visi pressappoco sconvolti dei suoi amici, arrivando infine su quello del proprio ragazzo.
Vederlo arrossito le provocò una strana sensazione nello stomaco, che però decise di non perder tempo ad analizzare, anche perché si era sentita altrettanto sorpresa quando Suzette l’aveva tirata fuori dal camerino, piantandola davanti ad uno specchio nel negozio.
Era stata costretta, infatti, ad indossare una maglia blu a maniche lunghe e una gonna corta dello stesso colore; sopra, una maglietta con corte maniche a sbuffo beige, senza contare la giacca di pelle nera e lana bianca intorno a polsi e collo. Infine, lunghissime calze francesine nere e un nuovo paio di stivali, con un tacco lievemente meno pronunciato di quelli precedenti. E il cappello era scomparso; al suo posto, un cerchietto blu come prima maglietta e gonna.
La “stilista” del nuovo look di Bianca e la figlia del primo ministro apparvero da dietro di lei, la prima con sorriso fiero e la seconda un po’ preoccupata.
– Che ve ne pare? – domandò, sinceramente orgogliosa del proprio lavoro, la giovane dalla carnagione scura. La migliore amica dal colorito olivastro le consigliò taciturnamente di non farlo, ma la Heartland non colse quella specie di preghiera.
– Suzette, non sono un’opera da mettere in mostra! – sbottò acida la coordinatrice, slacciandosi la cintura della giacca e posandola con scarsa eleganza su una sedia, per poi sedersi con un sospiro.
– Quando si è carine come te questa frase non ha il minimo senso! – sventolò evasivamente la mano davanti agli occhi torvi della corvina, che trattenne un ringhio infastidito.
– Stai benissimo, Bianca. – sciolse la tensione il sorriso di Shawn, e la ragazza incurvò debolmente le labbra, sforzandosi di sorridere.
– Ti ringrazio. – fremette appena, arrossendo.
– E il completo da cowgirl? – s’informò Hurley, il quale a causa di quel completo da film western aveva rischiato più volte di essere linciato con lo sguardo dalla compaesana.
– Al sicuro a casa mia. – palesò l’interpellata, facendo spallucce.
Il rosa dischiuse la bocca, forse per aggiungere qualcosa, tuttavia l’aprirsi della porta della grande sala glielo impedì. Celia entrò allegra, salutando distrattamente. Poi, si voltò anche lei nella direzione dell’amica maggiore d’un anno...
E senza proferir parola si mise come in trance a scattare foto con la macchinetta fotografica che, tu guarda il caso, aveva con sé.
– C-Celia, ehi! – tentò di fermarla il soggetto delle fotografie, balzando in piedi per avvicinarsi e provare ad impedirle di continuare.
Nel frattempo, Suzette si era incamminata soddisfatta nella direzione di Axel senza farsi notare da nessuno, fatta eccezione per la punta dell’Inazuma Japan.
– Suzette...
– Non perdere tempo a ringraziarmi, piuttosto chiudi la bocca, che entrano le mosche!

{~}

L’aveva davvero esibita come un grande capolavoro. Strano, perché a Bianca era sempre parso di essere un essere umano, non un quadro, un disegno o una statua; e adesso era un fascio di nervi, ecco! I ragazzi si erano ritirati nello loro camere, per essere pronti il giorno dopo a tornare a casa per fare le valigie. Anche la corvina sarebbe dovuta tornare alla propria abitazione, eppure era troppo presa dai propri pensieri per accorgersene. Tanto per la cronaca, odiava la gonna che le era stata imposta. Cioè, era carina, e conveniva sul fatto che le stesse bene, ed era anche più comoda senza il problema del cavallo dei pantaloni, però... però non era da lei, ecco.
– Per amor di precisione, saresti fantastica anche con vestiti diversi. – la raggiunse una voce, facendola sussultare. Lo stupore scomparve quando Axel l’abbracciò da dietro, avvinghiandole le braccia intorno al torace.
– Per amor di precisione, quando arrossisci fai ridere.
– Sarà che non ci sono abituato. – fece spallucce – Giusto perché Nathan o Shawn non vengano a dirtelo per primi...
– ...Gli hai detto di noi due, lo so.
– Come fanno ad essere così rapidi? – mugugnò contrariato affondando il viso nella morbida capigliatura della ragazza, godendosi il suo profumo.
– Tu sei un bravo rigorista e Nathan è un velocista, non mi sembra strano.
– Infatti non è strano, è assurdo. Cosa c’entra il calcio?
...
– Le prime farfalle nello stomaco mi sono arrivate quando ti ho visto giocare, quindi c’entra. – ricordò arrossendo lievemente.
– Così presto?
– Già. – ridacchiò – A te?
– ...La prima volta che mi hai sorriso.
– Mi stai prendendo in giro?! – si stupì terribilmente lei, voltandosi verso di lui.
– Curioso. – alzò le spalle – E’ la stessa domanda che ho fatto al mio stomaco per i tre-quattro mesi successivi.




§ Angolino §

*canticchia* Kokoro no shin
kese wa shinai
Honoo...
*si accorge dei lettori*
Oh, ciao! Vi informo ufficialmente che sono follemente innamorata del seiyuu di Shuuya.
Lo amo, lo amo lo amo lo amo e non so neanche che faccia ha!!
Ma canta troppo bene. Troppo, ok? Troppo. E poi mi sono praticamente riguardata metà della seconda serie in giapponese e sono collassata. Lo amo, capito? Lo amo v.v
Cooomunque, ricominciamo.

Come va?
Vi piace questo capitolo?
E’ un intermezzo, per introdurre l’isola di Liocott. E poi scopriamo perché Bianca è una cowgirl, yay♥!
Ed è anche per farmi perdonare dell’angoscia dello scorso capitolo... ^^;;
Ho praticamente azzerato le descrizioni dei luoghi, non va bene. E poi sono tutti dannatissimi dialoghi, non succede praticamente niente! No, fa schifo questo capitolo.
La prossima volta rimedierò.
Ho scoperto che mi scappa da scrivere i nomi giapponesi v.v
Lo scorso capitolo ho scritto Yuuka anziché Julia, mannaggia a me.
Devo prendere un profondo respiro... uff.
Comunque fatemi sapere che ve ne pare del capitolo. Ciao!
Anna, meglio denominata Kyah♥

P.S. Ecco il nuovo abbigliamento di Bianca! [click me]

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Capitolo 19
*** Benvenuti sull'Isola di Liocott! I Cavalieri della Regina ***


– Odio gli arei. – fu la prima frase che Bianca Plus proferì una volta posato il tacco dei suoi nuovi stivali sul suolo dell’aeroporto dell’isola di Liocott.
– Di’ solo che hai paura di volare. – propose sarcastico Jude, passandole la valigia.
La ragazza fece una smorfia infastidita. – Io non ho affatto paura di volare!
Molte paia d’occhi che roteavano verso il cielo furono la conferma che stava mentendo.
La corvina incrociò le braccia, interdetta. – Ah-Ha, molto divertente.

L’albergo nel quale furono sistemati i giapponesi era davvero bello. Molte finestre davano sul mare, e inoltre il campo da calcio era veramente grande e ben curato, al contrario di quello su cui si erano allenati da sempre i giocatori della Raimon.
La cosa che meno aveva sorpreso la coordinatrice? Il fatto che i ragazzi, subito dopo aver sentito da Silvia le regole e le disposizioni della fase mondiale del FFI ed essersi sistemati a dovere nelle rispettive camere, avevano deciso, o meglio insistito per iniziare ad allenarsi immediatamente, forse per poter avere il permesso di staccare prima e riposarsi tranquillamente dopo. Probabile.
Mentre si dirigeva anche lei al campo da calcio per assistere agli allenamenti e sostanzialmente prendere altri appunti per Travis, cosa che a parer suo stava facendo troppo spesso ultimamente, venne letteralmente travolta da qualcuno, probabilmente un troppo esuberante Hurley o qualcuno del suo genere, tanto che quasi cadde. Ad impedirla la caduta furono due paia di salde braccia: quelle di Jude e di David.
– Siamo appena agli inizi e già non ti reggi in piedi? – scherzò quest’ultimo, dando un buffetto sulla testa della sua amica.
La corvina fece finta di offendersi. – Idiota. – borbottò infatti, e il ragazzo con la benda nera su uno degli occhi ridacchiò divertito.
– In tutto questo tempo non sei cambiata proprio per niente. – osservò, incamminandosi con lei e il suo amico nella direzione del campo.
– Spero che non sia lo stesso per te. – alzò le spalle quell’altra, provocando le risate del rasta, il quale non perse tempo per impedire al nuovo compagno di squadra di ribattere per le rime.
– Noto che non ti spiace che David abbia preso il posto di Jordan. – cambiò infatti argomento, sistemandosi gli occhialoni con un gesto rapido della mano.
La corvina fece nuovamente spallucce. – David lo conosco da più tempo. – rifletté sollevando il viso verso il cielo limpido e azzurro come le sue larghe iridi accese – A costo di sembrare cinica, per me sarà più facile lavorare. – si appoggiò alla rete metallica bianca che separava il campo da calcio dal resto del mondo.
I suoi occhi caddero poi sui ragazzi che i due ex giocatori della Royal Academy si accinsero a raggiungere dopo averla salutata fra le loro risate divertite e i loro commenti sarcastici, e la corvina avvistò Mark e Axel parlare con Kevin.
Quello sì, che le dispiaceva. Le dava davvero dispiacere il fatto che Shawn si fosse fatto male ad una gamba, le dispiaceva che a prendere il posto di uno dei suoi migliori amici era stato Kevin; sì, conosceva il rosa da più tempo, e quindi forse sarebbe dovuto valere lo stesso discorso di Jordan e David, eppure era sempre meglio avere a che fare con gente amica che con gente meno simpatica, anche se quest’ultima fosse la meglio conosciuta.
Però ormai così era, e poi la parola dell’allenatore era legge.
Che fatica essere una lavoratrice seria ed obiettiva...

~



– Nelly Raimon, prova a dirmi che sei venuta qui e che te ne sei andata senza neanche venire a fare un saluto alla tua migliore amica e ti faccio nera! – esclamò contrariata la coordinatrice dell’Inazuma Japan una volta che, dall’altro capo del telefono, la rossa si decise a comunicarle di starla ascoltando.
In risposta, ottenne una risatina. – Scusami B, andavo di fretta! – provò a giustificarsi, e quell’altra accentuò solamente la sua smorfia.
– Per il capitano hai tempo, però! – si lamentò ancora, incrociando le braccia, con tono misto fra l’offeso e il mesto.
Lei aveva tanto sentito la mancanza di Nelly, perché la cara signorina Raimon le aveva fatto questo brutto scherzo di arrivare a Liocott e poi andarsene così, senza nemmeno un “ciao” per la povera Bianca?
Scusami ~! – esortò ancora quell’altra – E fallo anche in fretta che sto per salire sull’aereo. – aggiunse piccata, strappando un sorriso all’amica.
– Pentiti!
Mi pento! – ribadì l’ex presidentessa della Raimon in tono teatralmente ironico.
La bruna rise. – E giurami che se torni qui poi mi vieni a trovare! – continuò.
Lo giuro! Contenta?
– Molto, N. – fu il falsamente serio commento, seguito da un altro riso.
L’interlocutrice di Bianca emise un verso allegro. – Devo andare, ti chiamo quando arrivo.
– Per caso hai la decenza di dirmi dove  arrivi?
No! – sbottò la coetanea – Ciao B, e salutami tanto il tuo ragazzo, eh!
– Non chiamarlo così, stupida! – si lamentò lei – Ciao... – mormorò poi, prima di sentire i rapidi squilli che stavano a significare che Nelly Raimon le aveva appena chiuso il telefono.

~


Serata di gala.
Certo che gli inglesi erano proprio tipi strani. Per conoscersi meglio era strettamente necessario organizzare una festa in cui i ragazzi erano costretti a infilarsi in quegli stupidi completi da sera? Tanto per la cronaca, Axel odiava quello smoking nero in cui era stato messo a forza. Non era tipo da abiti così formali, lui...! La maggior parte dei giocatori della nazionale giapponese non lo era.
Mark, Scott, Jack, Hurley, Austin, Caleb... e via dicendo. Non erano abituati!
Mentre i ragazzi finivano di sistemarsi nella hall (con un Mark disperso da qualche parte, nessuno aveva idea di dove fosse quel ragazzo perditempo e dalla scarsa capacità di ricordarsi quando non era il momento di sparire nel nulla), tre su quattro ragazze che avevano accompagnato i giocatori in quel viaggio verso i mondiali iniziarono a scendere le scale che portavano dalle loro camere al grandissimo atrio, attirando l’attenzione di tutti.
Fermandosi sul ciglio delle scale, Camelia, Silvia e Celia furono puntate dagli occhi dell’intera Inazuma, il che provocò in tutte e tre una reazione di arrossamento immediata, accompagnata dai versi di stupore dei ragazzi, con annessi complimenti stupiti. Sì, sembravano tre principesse, tutte così agghindate in quei vestito colorati!
A parlare per prima fu la minore delle tre, ridacchiando nervosamente. – Basta! La volete smettere di fissarci in quella maniera? – sorrise imbarazzata la blu.
– Però! – osservò allora Hurley – State molto meglio di quello che credevo!
Il tentativo di fermarlo di Xavier fu del tutto inutile: le tre manager si voltarono verso il rosa all’unisono, mentre i ragazzi si trattenevano dal gridargli quanto fosse idiota.
Le ragazze fecero una smorfia. – Che vuoi dire?
– M-Mi dispiace, stavo solo pensando ad alta voce! – provò a rimediare il surfista resosi conto dell’errore.
– Così peggiori solo le cose. – mormorò Jude, sicuramente più saggio di lui.
Ma ormai il danno era fatto...

– Sai Kane, tu di donne non capisci proprio niente. –


Tutti sollevarono lo sguardo sulla scalinata, videro Bianca la quale, a braccia conserte, inarcava un sopracciglio con i grandi occhi azzurri puntati sull’amico. Peccato che sia quest’ultimo che gli altri si scordarono in fretta degli avvenimenti degli ultimi cinque minuti osservando la coordinatrice dell’Inazuma con indosso un lungo vestito rosso sangue, decorato in vita con un grande fiore di stoffa color crema, esattamente come il cerchietto posato sulla chioma corvina.
Accorgendosi immediatamente di come si fossero tutti incantati, la ragazza si limitò ad arrossire a tossire un poco, scuotendo leggermente la gonna con palese fastidio.
– Per vostra informazione mi hanno costretta ad infilarmi in questa meringa rossa, okay? – dichiarò cominciando lentamente a scendere le scale – Io odio questo genere di abiti. – aggiunse in un borbottio che fu possibile udire solo per le tre manager.
Camelia le sorrise incoraggiante e ricevette in risposta una smorfia mista fra il nervosismo e il misero tentativo di essere gentile. Hurley provò ad aprire bocca per dire qualcosa, ciò nonostante l’occhiata fulminante della “compaesana” lo indusse al silenzio più totale.
Nathan invece non si fece intimorire. – Perché dici così, ti sta veramente bene. – sorrise gentilmente, e a quanto pare la bruna non ebbe la forza di fulminare anche lui, anche perché quattordici teste annuirono incondizionatamente come a dire di essere d’accordo.
Bianca sbuffò. – Almeno finitela con quello sguardo da pesce lessi, non mi sta così  bene. – li scrutò con attenzione arrivando finalmente alla fine delle scale.
Ci fu un attimo di silenzio, interrotto da Silvia che, guardandosi intorno, aveva notato l’assenza di qualcuno.
– Ehi... e Mark dov’è?
A rispondere fu Xavier. – Adesso che mi ci fai pensare non si è visto.
La manager dalla chioma verde parve riflettere un secondo, poi sussultò. – Vuoi vedere che...

Mentre Silvia si occupava di andare a recuperare il capitano, il resto della squadra e lo staff si diressero nella zona dell’isola dedicata all’Inghilterra, dove la rappresentativa inglese li stava aspettando per la festa. Appena arrivati, i giapponesi dovettero ammettere di sentirsi un po’ in soggezione; nessuno di loro aveva mai veramente partecipato ad una serata del genere e inoltre i componenti de I Cavalieri della Regina sembravano tutti abbastanza... snob era il termine corretto? Guardandoli si sarebbe potuto dire solo questo. Nessuno di loro appariva come un ragazzo di quindici anni o poco più, anzi. Dai loro gesti e modi di parlare, quei ragazzi sembravano adulti in tutto e per tutto.
Come facile immaginare, qualcuno fu subito attirato dal buffet, mentre l’occhio di Bianca fu prima di tutto attirato dal capitano degli inglesi, il quale se la sua memoria non sbagliava, cosa stupida da pensare per un caso di memoria fotografica come la sua, portava il nome di Edgar Valtinas. Notando come il giovane dalla lunghissima chioma azzurro pastello stesse spudoratamente flirtando con Camelia dopo appena dieci minuti, però, la coordinatrice si convinse che era meglio lasciar perdere quel tipo e dedicarsi a controllare che i suoi amici non combinassero qualche guaio come loro solito; iniziò quindi a guardarsi intorno con attenzione. Sempre meglio non farsi riconoscere, dopotutt—
– Un pianoforte! – saltò su, notando un grande strumento nero non troppo lontano da lei. Al contrario di tutti gli altri strumenti nel grande spiazzo in cui la festa si stava svolgendo, nessuno lo stava suonando. Strano... senza pensieri vi si avvicinò.
– Le piace il pianoforte, signorina? – la raggiunse una voce sconosciuta, cogliendola di sorpresa.
Lei si voltò e i suoi occhi incontrarono quelli grigiazzurri di un ragazzo con una particolare pettinatura violetto chiara, quasi rasata ma con un grande ciuffo proprio nel mezzo, che copriva lievemente il viso. La giapponese inarcò un sopracciglio, però sorrise.
– Sì, mi piace molto. – aggiunse allargando l’incurvatura del sorriso – E mi incuriosisce il fatto che sia l’unico strumento privo di musicista questa sera, signor Links.
L’interpellato parve stupirsi per un istante, tuttavia si ricompose in un secondo. – Vedo che mi conosce già, signorina.
Bianca ridacchiò e socchiuse le palpebre. – Conoscere gli avversari è il mio lavoro.
– Capisco. – convenne allora quello con fare superiore – Peccato che io non conosca voi, signorina...?
– Plus. Bianca Plus. – si presentò tranquillamente lei, accarezzando con delicatezza lo strumento nero e lucido, mentre un piccolo luccichio faceva capolino nel suo sguardo al solo pensiero dei tasti bianchi nascosti sotto la custodia della tastiera.
– Toglietemi una curiosità signorina, voi per caso siete in grado di suonarlo?
La corvina si sforzò di sorridere a quella domanda e sistemò la gonna del vestito con un gesto frivolo della mano – Sì, più o meno. – mormorò aggiustandosi nervosamente un ciuffo spettinato della sua frangetta scarmigliata di capelli nero pece – E’ tanto che non suono, comunque. – si sentì in dovere di aggiungere, alzando le spalle.
Il violetto parve incuriosirsi a quell’evidente fastidio; accennò un sorriso. – Oh, allora mi sento proprio di invidiarla, signorina. – assottigliò lo sguardo – Io non ne sono capace.
La sua interlocutrice emise un verso inarticolato quasi impossibile da decifrare e sospirò.
– Non è un gran perdita. – commentò staccando i polpastrelli del pianoforte.
Il ragazzo stava per rispondere qualcosa, quando un grido di una voce molto familiare alla corvina, e in generale a tutti i giapponesi, interruppe l’atmosfera serena della serata. La coordinatrice non ebbe neanche bisogno di girarsi per saperlo... Mark Evans aveva appena eseguito la sua clamorosa e provinciale entrata ad effetto. Sempre in ritardo, il capitano.

~


Un gran mal di testa. Tutto quello che Bianca aveva ricavato dalla serata passata con gli inglesi era stato un mastodontico mal di testa. Il che non si spiegava, dato che l’unica persona che avrebbe potuto avere una buona giustificazione per un’emicrania era lo stesso Mark, che dopo il suo ingresso sulla scena aveva dovuto subire prima la terribile e spudorata superbia di Edgar -cosa che fra l’altro aveva fatto infuriare tutti, nessuno escluso, i componenti dell’Inazuma Japan e del rispettivo staff- e in seguito anche il potente tiro speciale del centrocampista, Excalibur, che aveva spazzato via senza la minima fatica il Pugno di Giustizia. Se non era un buon motivo quello, per prendersi un’aspirina...
Comunque con tutta probabilità il dolore alla testa della corvina era dovuto solo ad un’eccessiva stanchezza, niente di che preoccuparsi. Solo, Travis le aveva come al solito ordinato di riposarsi con quel suo tono serio e indifferente, come se anziché raccomandarle riposo e pronta guarigione le avesse chiesto di eseguire a mente un calcolo logico-matematico. Quell’uomo era sempre di più un mistero. Non lo capiva. Per niente.
Seduta all’ombra di uno degli alberi che si trovavano non troppo lontano dal campo di allenamento dell’Inazuma, Bianca respirava a fondo l’aria pulita di quel piccolo tratto di insolita boscaglia, godendosi l’ombra delle foglie e il profumo di linfa delle piante. Le seccava un po’ dover tener bene le gambe senza potersi rilassare solamente perché indossava un gonna abbastanza corta, ciò nonostante le piaceva stare lì. C’era una leggera brezza fresca, e non molto lontano si sentivano arrivare le voci dei ragazzi che si allenavano. Un po’ si gridavano contro anche, ma era normale routine ormai.
Si chiese cosa potessero star facendo in particolare. Probabilmente Mark stava riflettendo su come aumentare la propria forza in vista della partita, mentre forse gli altri si stavano semplicemente allenando come al loro solito. La giovane sbatté lentamente le palpebre e incominciò a giocherellare con i propri capelli, intrecciando alcune ciocche alle dita affusolate della sua mano sinistra, quelle sottili dita da pianista. E non tanto per dire.

E’ da tanto che non suono, comunque.

Era da tanto tempo che non metteva mano sulla tastiera bianca di un pianoforte. Più precisamente da quando si era messa a lavorare come coordinatrice. Però... però un po’ le mancava, suonare. Sì. Forse più di un po’.
 
 
~Angolo della _Kiiko

Ciao! Come va? Io bene, io bene. Tale che sono riuscita a finire il capitolo, yay! E ho cancellato i capitoli d’avviso, che se no rischio la contravvenzione, chuchu.
Comunque.
Questo♫ è il vestito di Bianca.
Lui è Gary Links. E’ un personaggio totalmente marginale ma volevo far interagire Bianca anche con personaggi non giapponesi e lui è quello che mi è piaciuto di più fra gli inglesi.
Oh, mi stava venendo in mente una cosa in questi giorni... la pronuncia del cognome di Bianca è “Plas”. So che non è affatto importante, ma se non lo scrivevo mi rimaneva questo pensiero per tutto il tempo e mi dava fastidio, scusate x’3
Ora vado via, e ricordatevi di non preoccuparvi per me, minna v.v
Ciao!

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Capitolo 20
*** Indistruttibile non è proprio l'aggettivo per te, Plus. ***


Bianca Plus non era notoriamente conosciuta come una persona ben armata di pazienza, per niente. Lei era anzi una bomba ad orologeria in costante pericolo di saltare in aria, sempre sull’attenti in qualsiasi situazione. Irritabile, permalosa e spinosa, ecco come era lei. Non che le persone non potessero vedere le sue qualità, come la sua capacità di essere gentile quando voleva, la sua intelligenza, il suo sesto senso amabilmente troppo simile a quello di un gatto, tuttavia l’unica persona a cui mai, mai, davvero mai  aveva dato fastidio quella sua non molto lieve mancanza di pazienza, era Nathan. E tutti  sapevano che il turchese era dotato di una pazienza infinita.
Comunque, Bianca riusciva spesso a mantenere il suo alquanto precario autocontrollo, in special modo da quando si era fidanzata con Axel. Il suo cambiamento era stato minimo, certo, eppure chiunque avrebbe potuto dire che forse non stava arrivando perfettamente a gestire i propri sentimenti negativi, ma quantomeno ci stava provando. Conoscendola, era già un enorme passo avanti. Perché la corvina ci provava davvero, consapevole di quel pessimo lato del suo carattere.
Sopportava la sottile e velata rivalità che si era venuta a creare con Jude su chi fosse il più intelligente— sfida abbastanza complessa, dato che non vinceva mai nessuno dei due.
Sopportava Hurley e i suoi commenti schietti e sinceri, ma poco saggi.
Sopportava il modo in cui Jack tentennava spaventato ogni volta che le doveva parlare.
Sopportava il fastidioso tono assente di Archer.
Sopportava l’eccessivo entusiasmo di Austin riguardo al suo ragazzo. Nonostante la simpatia del bruno, sentirlo andare in adorazione ogni volta le dava noia.
Sopportava le frecciatine amichevoli di Jude e David, e quelle maliziose di Nelly al telefono.
Sopportava il fatto che Shawn ultimamente la guardava e le parlava sempre come se stesse cercando di reprimere qualcosa, dandole sui nervi.
Sopportava le risatine gentili ma maliziose di Silvia e Celia quando ogni tanto si incantava ad osservare il capocannoniere dell’Inazuma durante gli allenamenti— lei lo amava dannazione, e allora?! Cosa ci trovavano di così divertente da ridere?!
Sopportava ogni gesto irritante di Axel. Certo non lo lasciava trasparire, offendendosi un po’, però si tratteneva. Meno che con gli altri, ma si tratteneva.
Insomma, anche se a fatica stava riuscendo a sopportare più o meno tutto. Ciò nondimeno quello era troppo.
Rimanere chiusa in ascensore con Caleb Stonewall era davvero troppo!

Era andata più o meno così: a seguito degli allenamenti e dopo il pranzo, essendo che era leggermente stanca, cosa che le accadeva troppo spesso ultimamente, Bianca aveva deciso di salire in camera sua, che si trovava due piani superiormente rispetto alla sala da pranzo dell’albergo, accanto a quella di Travis. Con lei era salito anche Caleb, il quale come al suo solito aveva voglia di dormire, che comunque si sarebbe dovuto fermare al piano inferiore a quello della corvina. E proprio quando stavano per raggiungere il piano scelto da Caleb, quel bel macchinario chiamato ascensore era rimasto bloccato a metà percorso.
Come fare a non arrabbiarsi?
– Orrore. – mugolò la ragazza, appoggiando la fronte alla porta argentea e metallica dell’ascensore.
Il numero otto invece si appoggiò con tranquillità alla parete opposta dell’abitacolo, fra l’altro abbastanza ampio, facendo spallucce e intrecciando le dita con le ciocche castano scuro del suo ciuffo da punk. – E rilassati, Plus.
– Rilassarmi?! – si voltò di scatto, puntando un furente sguardo azzurro su di lui, badando bene a non incontrare quelle iridi color ghiaccio secco. Non l’avrebbe mai ammesso, però non avrebbe mai voluto guardarlo negli occhi. Temeva di trovarvi solamente disperazione, ed era già abbastanza cupa di suo.
Quello alzò le spalle. – Non c’è un tasto d’allarme in questo bidone?
Bi...done? Credeva di star parlando di un’automobile, forse? Comunque era un’idea corretta. La corvina scrutò attentamente la placca dei tasti dell’ascensore e trovò quello d’allarme. Provò a schiacciarlo: niente. Non succedeva niente.
– Deve essere andata via la corrente. – ipotizzò. Infilò una mano nella tasca superiore della sua giaccia di pelle e ne tirò fuori il suo cellulare – Solo una tacca di campo. – arricciò le labbra in una smorfia, sfiorando i tasti dell’apparecchio nero lucido – Speriamo non se ne vada. – cercò nella rubrica il primo nome che le venne in mente. Jude, manco a dirlo.
Lasciami indovinare, troppo stanca per uscire dalla stanza?  – fu il primo commento sarcastico che la voce del rasta pronunciò. E ti pareva.
La bruna emise un ringhio. – Errore – lo deluse – Bloccata in ascensore con Stonewall. – il silenzio che ne seguì suggerì che Sharp avesse deciso di smettere di giocare.
Stai calma, chiamo qualcuno. Potrei metterci un po’, quindi raccomanda a Caleb di rigare dritto, oppure... – inutile, la coordinatrice non lo sentiva più. Anzi, attaccò senza neanche farlo finire, esalando un “Sbrigati” alquanto infastidito.
Proprio adesso che stava facendo buoni progressi con la gestione della rabbia doveva capitarle una cosa del genere... si appoggiò alla parete che faceva angolo retto con la porta metallica e si portò le mani ad afferrare la testa. Si lasciò scivolare fino a rimanere seduta sul pavimento, viso affondato fra le ginocchia strette al petto. Chissenefrega se là con lei c’era anche quel punk da strapazzo a vederla così debole.
Quest’ultimo rimase ad osservarla per qualche secondo, come perplesso, con lo sguardo di chi sta studiando qualcosa di molto, molto difficile da capire. Poi ghignò e si sedette esattamente davanti a lei, appoggiato alla parete opposta, inarcando le sopracciglia. Esitò qualche attimo in riflessione, dopodiché sbuffò e stese una gamba per piegare l’altra a sostenere il braccio sinistro; accentuò il suo ghigno e con la coda dell’occhio Bianca notò uno sguardo totalmente indecifrabile.
– Plus, io chiuderei meglio quelle gambe se fossi in te. – sogghignò ad un certo punto, sollevando meglio gli occhi su di lei – Quando si indossano minigonne da paura come la tua sarebbe meglio non mostrare le tue mutandine bianche al teppista della situazione.
La coetanea arrossì fino alla radice dei capelli, cambiando di scatto posizione. Chiuse le ginocchia verso il centro e sollevando il viso, posando istintivamente le mani sulle gambe come a tenerle bene chiuse.
– T-Ti sembrano cose da dire con questo tono da adulto maturo e pervertito?!  
– E rilassati, Plus. – ripeté il ragazzo, rivolgendole un’occhiata più che divertita, quasi sadica. – Ritieniti fortunata ad essere fidanzata, invece.
Le iridi chiare di lei vibrarono di indignazione. – Mi fai schifo. – fu solo in grado di esalare con voce venata di rabbia, pur calma e decisa. Non era arrabbiata davvero, no.
– Solo? Pensavo volessi mandarmi direttamente al diavolo. – considerò quell’altro, facendo spallucce e mostrandole di nuovo quel ghigno sornione.
Bianca odiava sul serio quel teppista della malora. Non quella sensazione di repulsione che aveva provato nei confronti delle persone che poi aveva imparato ad apprezzare davvero e, nel caso di Axel, ad amare; e neanche quella sensazione di antipatia nei confronti di Kevin, o Willy, ai quali non riusciva quasi a parlare. Il suo era odio vero. Quel sentimento che pur concedendole di interagire con una persona e di ammettere i suoi, per quanto rari, pregi, non consentiva di provare altro. Solo odio. Odio profondo verso quel ragazzo dalla testa praticamente calva fatta eccezione per quel ciuffo color cacao screziato di bianco.
Nei confronti di nessuno aveva mai provato un tale sentimento. Neanche per Dark. Quell’uomo era un folle e la spaventava, certo, più volte aveva dichiarato di odiarlo, ma in verità provava una matassa di sentimenti che aveva sempre preferito non sbrogliare. Per Caleb invece, provava odio vero. Odio nei confronti del suo modo di interpretare la propria disperazione, la propria rabbia; una maniera così diversa, per quanto potesse sembrare identica, da quella di Ray Dark. Quest’ultimo faceva soffrire gli altri per vendicare la propria sofferenza. Il ragazzo che in quel momento sorgeva davanti alla Plus, invece, era diventato un guscio vuoto a forza di riversare tutti i suoi sentimenti negativi all’interno del suo stesso animo, arrivando a corrodere sin dal primo istante ogni sentimento positivo.
Il che equivaleva ad arrendersi. Stonewall aveva smesso di combattere per ciò che riteneva giusto e si era messo a fare il teppista strafottente e bramoso di potere fin dalla tenera età. Da sempre, Caleb si era arreso senza lottare, e sembrava quasi andare fiero di ciò che aveva ottenuto. Certo, forse riconosceva gli errori del passato e ne affrontava le conseguenze a viso aperto. Tuttavia aveva perso in partenza.
Fingersi indistruttibile non è sempre la soluzione, e Bianca lo sapeva bene. Ecco perché lo odiava. Lo odiava perché erano così simili ma così diversi, loro due.
– Mentre aspettiamo che vengano a soccorrerci, – la ragazza abbandonò i propri pensieri e scrutò incuriosita il suo compagno di sventure – ti va di fare una specie gioco?
Lei inarcò un sopracciglio. – Che gioco? – si premunì di chiedere.
– Io faccio una domanda a te, tu una me, ad alternanza. – spiegò sbrigativamente.
Il suo ghigno si trasferì sul volto della coordinatrice. – E’ un velato modo per dirmi che vorresti sapere qualcosa di me? – domandò ironica.  
– E’ un velato modo di dimenticare l’immagine delle tue mutandine, piuttosto. – replicò senza la minima esitazione, graffiante del suo feroce e sleale sarcasmo, facendo avvampare di nuovo la sua interlocutrice.
La corvina decise di non ribattere. In quel campo avrebbe perso. – E se non si volesse rispondere a qualche domanda? – si informò meglio, incrociando le braccia.
– Non esiste il passo, solo verità.
– Metti il caso che io o tu non rispondessimo sinceramente.
Il moro roteò le sue grandi iridi grigio nube di pioggia. – Due bravi bugiardi come noi secondo te non saprebbero riconoscere una menzogna?
– Touché. – concesse in un sospiro – Bene allora. Comincia pure. – l’autorizzò rilassando ogni muscolo del suo corpo.
Tanto non aveva di meglio da fare se non sperare che i loro soccorritori arrivassero presto.
– Posso farti una domanda che non ti piacerà per niente? – fu il primo interrogativo che le fu posto, il che la lasciò colpita. Lui che le chiedeva il permesso per turbarla?
Ci mise un po’ per ricomporsi dalla sorpresa e balbettare un secco – B-Beh, se proprio devi. – e aggiungere – Ma prima tocca a me. – rifletté per qualche secondo – Perché ce l’hai tanto con Jude?
Quell’altro non parve stupirsi affatto. – Lo trovo stupido ad odiarmi così tanto, tutto qui. Comunque chissenefrega, se mi odia io non posso farci niente.
– Non ti odia, è che non si fida di te. Non che tu gli dia motivi per farlo.
– Non ho bisogno della sua fiducia.  
Bianca alzò gli occhi al cielo. – Ovvio. – borbottò – Spara questa domanda, dai.
– Perché ti sei unita a Dark? – domandò lui a bruciapelo, tanto che la giovane lavoratrice dovette sforzarsi molto per impedirsi di pensare che il ragazzo aveva deciso di proporle quel gioco solamente allo scopo di sentirsi rispondere a quell’interrogativo.
Sbatté le palpebre e si morse il labbro inferiore. – Perché lo vuoi sapere?
– Una domanda per uno, ricordi?
– Bene, allora rispondi prima tu e poi rispondo io. – spostò qualche ciocca scarmigliata della sua chioma scura dal viso, poi afferrò un elastico che teneva intorno al polso e sbuffando si fece una coda alta, per impedire ai capelli di finirle ancora in viso.
– Mi sembra strano che una intelligente e indipendente come te, perfettamente in grado di distinguere giusto e sbagliato, sia finita nelle grinfie di quel decerebrato. – ribatté allora il numero otto, soffiando arrendevole. Non aveva voglia di litigare, evidentemente.
Bianca trattenne con la forza un sorriso. – Mi sono unita a Dark perché aveva lavorato con mio padre, in passato. – cominciò senza preamboli – A dire il vero, penso sia merito suo se i miei genitori si sono incontrati. Mia madre lo aveva conosciuto durante una partita dell’Inazuma Eleven – spiegò – e Dark fece da intermediario al loro primo incontro. – ebbe un brivido a quel pensiero. Sollevò una mano in un riflesso incondizionato mentre spiegava quella situazione che la faceva sentire peggio che mai – Senza di lui io non sarei mai nata. – ridacchiò appena, stancamente – E’ come dire che sono figlia della sua mente malata. Traumatico da assimilare per una ragazzina, non trovi? – aggiunse disegnando cerchi concentrici sul pavimento. – Non l’avevo... non l’avevo mai detto a nessuno. – confessò ancora – I miei genitori sono stati recidivi a parlarmene comunque, perché all’epoca Dark era già un folle senza limiti. – sospirò prima di arrivare alla fine del suo discorso, il quale aveva lasciato Caleb totalmente allibito, glielo si leggeva in faccia – E così quando sono rimasta sola, nonostante tutto sono andata da lui. Sapevo che era un poco di buono, però non pensavo fino al punto da provocare il coma della sorellina di Axel. Penso tu sappia che è stato allora che me ne sono andata. – fissò attentamente il proprio interlocutore, per poi mormorare appena – Non dirlo a nessuno. Ne morirei. – fu costretta ad abbattere il proprio orgoglio con una randellata per pronunciare anche un flebile – Per favore.
Stranamente, Stonewall si limitò ad annuire e a direzionare il viso verso la porta dell’ascensore. L’orgoglio pungente di Bianca le impedì di dar voce al suo tacito “Grazie”, che fu portato alla luce solo da un sorriso. Anzi, non solo da quello. Ignorando quella parte di sé che la stava spingendo in tutti i modi a rimanere immobile, la ragazza si spostò un po’ facendo leva con le braccia, fino a trovarsi non troppo lontana da Caleb. Lei lo odiava, e probabilmente l’odio era anche abbastanza reciproco. Non aveva intenzione certo di diventare amica di quel punk, però era anche vero che nessun odio poteva il loro non essere poi troppo diversi dava al ragazzo qualcosa che probabilmente non aveva ancora ricevuto da nessuno. Fiducia. Non aveva la fiducia di Sharp, ma quella della Plus sì.
Si diede della pazza al solo pensiero.
– Penso tocchi a te. – gli ricordò dandogli un leggero colpo con la punta dello stivale sulla gamba e facendolo sussultare.
Le somigliava troppo, anche lui sembrava davvero essersi perso nei pensieri.
– Non so – ponderò ghignando – Axel è stato il tuo primo ragazzo?
A malincuore, la coordinatrice dovette trattenere una risata. – Noto un leggero ed esagerato cambio improvviso di tematica.
– Non sapevo cosa chiederti. – ammise senza perdere quel sorriso che sapeva tanto di sadismo.
Il sospiro dell’interlocutrice invase l’aria stantia di quell’abitacolo. L’aria stava finendo. – Veramente no. – tentò di ricordare portandosi un dito accanto alla bocca in tono riflessivo – La prima volta che mi sono fidanzata avevo undici anni, andavo alle elementari [1]. Niente di serio ovviamente, quindi non guardarmi con quella faccia da maniaco. – specificò allungando un altro calcetto sulla caviglia del rivale numero uno dell’ex capitano della Royal Academy.
– Io non ho una faccia da maniaco.
– Naaaaaaah, davvero l’ho detto? – replicò sarcastica. – In ogni caso ho io una bella domanda per te.
Stonewall aguzzò le orecchie e ghignò con interesse. – Ah sì?
Lei si sollevò in piedi e si posizionò bene davanti a lui. Piegò le gambe per accovacciarsi e rimanere in equilibrio sulle punte dei piedi e sorrise godendosi l’aria perplessa e incuriosita di quell’altro. Gli posò la mano affusolata sulla testa, o meglio su ciuffo castano, che al tatto era insolitamente morbido. Sembrava che stesse pattando la testa di un cucciolo.
– Ti sei pentito di tutto quello che hai combinato? – chiese con un soffio.
Il moro tirò ancora di più il suo sogghigno, scoprendo i denti bianchi. – Sei una gattina interessante, Plus. – fu l’unica frase sorniona che l’interpellata ottenne in risposta. Tanto per dimostrare gli efficaci effetti del suo lavoro nella gestione della rabbia, la ragazza strinse la presa intorno al ciuffo e d’improvviso lo tirò tanto da abbassare la testa del ragazzo. – Ouch! Mi fai male!
– Bene. – gongolò quell’altra.
Finché il suono delle porte dell’ascensore che si aprivano la fece sobbalzare. Voltandosi, i due ragazzi videro davanti a loro il mister Travis, Jude, un tecnico dell’ascensore e Axel. Non si erano neanche accorti che l’ascensore di fosse messo in moto per tornare al piano inferiore, dove erano attesi.
– Posso sapere che sta succedendo? – domandò il biondo, inarcando un sopracciglio austero.
Bianca fece una smorfia preoccupata e si alzò di scatto, uscendo rapida dall’ascensore, accostandosi al suo ragazzo. – Ma niente, ho solo scoperto che Caleb sa essere più convincente e cretino di te, quando vuole. – l’espressione basita del suo fidanzato e del suo amico rasta le rinfrancarono lo spirito.

Almeno finché incominciò a sentire improvvisamente caldo. E poi al calore si unì un improvviso giramento di testa e l’offuscamento della vista, nonché un paio di voci che chiamavano il suo nome; erano in qualche modo preoccupati, ma il buio che avvolse la mente della ragazza non le concesse di sentire altro che suoni ovattati e neutri.

~

Okay, finire chiusa in un ascensore con quel teppista di Caleb era una cosa. Era stato un po’ strano sentire Jude dare quella notizia, o meglio era stato abbastanza preoccupante, però alla fine non era niente di grave.
Stancarsi fino a prendersi un febbrone tale da svenire fra le sue braccia era una cosa completamente da idiota, nonché totalmente alla Bianca Plus. Si credeva forse indistruttibile, quella stupida? O semplicemente si divertiva a farlo preoccupare?
Lanciò uno sguardo alla sua ragazza addormentata sul letto, sotto le coperte rosso mattone, i capelli ancora legati. Per fortuna Silvia e Celia erano ancora in giro e Travis aveva potuto chiedere loro di cambiare Bianca, non potevano certo lasciarla dormire con i vestiti che aveva indossato mentre era seduta per terra nell’ascensore. E fortunatamente il capocannoniere della rappresentativa giapponese aveva ricevuto il permesso di rimanere con la sua ragazza, non pensava che Travis glielo avrebbe concesso davvero.
E invece... solo quando Bianca emise un mugolio mise un punto fermo ai propri pensieri. Seduto accanto a lei sul materasso, le sfiorò delicatamente la guancia con le dita. Era bollente, altro che indistruttibile. Che scema... perché si era affaticata tanto?
Proprio non la capiva.
– A...xel...? – ad essere sinceri non c’era bisogno di capirla per intenerirsi a quel mugolio esausto e allo sguardo confuso che gli occhi appena socchiuso della corvina gli rivolsero.
– Ben svegliata. – ridacchiò spostando la mano fra i suoi morbidi capelli neri. Non era la prima volta che ci passava la dita, sciogliendo man mano i piccoli nodi che trovava, eppure sembrava davvero che non lo avesse mai fatto. Cosa strana.
– Che... è successo...? – pigolò ancora quella, stringendo la stoffa della federa del cuscino.
– E’ successo che sei una cretina. – non si risparmiò di rimproverarla nonostante gli facesse troppa tenerezza – Ti sei sobbarcata di lavoro e trentanove di febbre è il risultato.
La bruna tentò di sgranare le palpebre, tuttavia erano troppo stanche per aprirsi tanto facilmente, pertanto si limitò a spostare pesantemente la mano fino a toccare quella più scura, più grande e più fredda del suo ragazzo, stringendone due dita e facendo arrossare lievemente le sue gote.
– Sei carino a preoccuparti per me. – mormorò chiudendo nuovamente gli occhi – Anche se nel tuo modo di fare somigli troppo a mio padre. – ridacchiò divertita.
Il biondo inarcò un sopracciglio, incerto su come sentirsi. – A tuo padre?
La ragazza annuì appena, strusciando la guancia contro il cuscino. – Quando mia madre si ammalava, mio padre le diceva esattamente la stessa cosa che tu hai detto a me. – Axel la scrutò con i suoi occhi neri, capendo che anche lei non poteva vederlo percepiva bene la sua perplessità. – Le dice che era una cretina e che non doveva sempre stancarsi tanto da ammalarsi. – continuò la ragazza – Lei scoppiava a ridere e lo baciava, per fargli dispetto e farlo ammalare a sua volta. Per vendicarsi di essere stata insultata. Non aveva una gran pazienza, proprio come me, e aveva i suoi metodi per farsi giustizia.
– Beh, ma da qui a farlo ammalare di proposito... – non trattenne un accenno di risata.
– Io sono come lei, e lo farei senza pensarci due volte. – fu invece il commento di Bianca, che lo fece trasalire – Ma se tu ti ammalassi, poi come farebbe la squadra senza di te? – strinse ancora di più le dita del ragazzo, il quale ricambiò quella presa gentile.
Quella ragazza era una continua sorpresa. Riusciva a farlo sentire in modi così diversi nel medesimo istante, ogni volta lo stomaco del numero dieci era come in subbuglio, e lui non riusciva più a capire quello che doveva pensare e come si doveva sentire. Si sentiva un pesce fuor d’acqua alle volte, invece in altre occasioni finiva per divertirsi anche lui a farla arrossire. Cosa avrebbe dovuto provare adesso che lei l’aveva paragonato a suo padre e anzi, aveva paragonato loro due ai suoi genitori (coppia sposata e defunta)?
Decise di lasciar perdere quei pensieri e accarezzò ancora il viso e la testa della sua amata coordinatrice dal carattere impossibile. – Un’influenza da te me la prenderei volentieri. – scherzò fermando il movimento della sua mano, aprendo bene il palmo sulla testa della Plus – Però dovresti riposarti e rimetterti in sesto, e soprattutto smetterla di lavorare troppo. – le raccomandò serio – E poi dovresti bere molto. E poi da quanto tempo non mangi come il cielo comanda? Voglio dire, ultimamente ti vedo mangiare poco, ti sembra normale? Non sei indistruttibile, per quanto tu ami crederlo...
L’interpellata non smise di sorridere, accoccolandosi meglio sul letto sul procinto di addormentarsi. – Questo invece lo diceva mia madre a mio padre.
Blaze non si stupì nemmeno più. – E lui cosa faceva?
– Veniva da me e mi diceva che la mamma lo trattava come un bambino.
I due risero. Il padre di Bianca doveva essere un tipo davvero divertente, pensò il biondo, e poi era felice che per una volta la coetanea stesse pensando ai suoi genitori senza rattristarsi. Era carina anche da malata, questa poi.
– Julia è fortunata ad avere uno come te a prendersi cura di lei. – mormorò dopo qualche momento, flebile e semi addormentata, quando ormai il ragazzo non si aspettava che parlasse. – E sono fortunata anche io... che tu ti sia innamorato di una cretina come me.

Quella frase non ottenne alcuna risposta.
Un po’ perché colei che l’aveva pronunciata era appena sprofondata fra le braccia di Morfeo.
Un po’ perché Axel non sarebbe stato capace di dire altro.
Il biondo dall’acconciatura eccentrica si sporse leggermente per stampare un bacio sulla guancia della sua ragazza.
Era una tipa troppo, troppo strana.




[1] In Giappone si va alle elementari fino agli 11/12 anni, si entra alle medie fra i 12 e i 13 anni, si entra al liceo fra i 15 e i 16 e ci si diploma fra i 17 e i 18.

Angolo della Kyah
Lo so, lo so, ho parlato più di Caleb che di Axel.
Sono stata influenzata da Hana, perdonatemi!
Hana: Non darmi sempre la colpa!
Me: E’ colpa tua, zitta v.v

Però Bianca gli vuole tanto bene ad Axel, tanto, tanto, tantissimo! Lo ama almeno il doppio di quanto lo amo io. Il che è tutto dire.
Perdonatemi ma è tardi e devo andare. Che orario indecente! 

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Capitolo 21
*** Il ritorno di Dark ***


Il ritorno di Dark


Era una bella mattinata. Il sole era sorto già da un bel po', precisamente da un paio d'ore, e nell'albergo della zona giapponese dell'isola di Liocott i membri di squadra e staff dell'Inazuma Japan erano tutti bel svegli e "a lavoro". Beh, quasi tutti. 
Infatti, una certa ragazza di quindici anni dalla chioma corvina come la pece ancora raccolta in una coda alta sulla nuca, e la cui temperatura corporea era ancora intorno ai trentotto gradi centigradi, era ancora beatemente persa nel mondo dei sogni, anche se il modo in cui le sue dita erano strette intorno alla stoffa del cuscino suggerivano che preso anche lei avrebbe aperto gli occhi. 
A rifletterci bene era un fatto abbastanza singolare che proprio lei avesse dormito così tanto, tuttavia aveva un buon alibi: d'altra parte era ancora un po' malata, quindi non le si poteva certo fare una colpa per aver dormito eccessivamente a lungo. 
Però nel frattempo i raggi del sole stavano bagnando le sue palpebre serrate, e la coperta che la copriva stava cominciando a darle fastidio al viso, sicuramente perché stava cominciando ad essere troppo calda per lei, facendola sudare e pizzicandola non poco. Per questo non passò molto che i suoi occhi si strinsero per bagnarsi meglio prima di squidersi pesantamente, permettendo che le sue esauste iridi cerulee iniziassero a riprendere conoscenza del mondo intorno e facendo in modo che la sua vista diventasse lentamente più nitida. 
Poco ci volle che le venne un infarto non appena si accorse che, ad appena un paio di centimetri dal suo viso, c'era quello color caffellatta di Axel. Esattamente, il suo fidanzato era sdraiato accanto a lei, nel suo letto ad una piazza e mezzo, di sopra la coperta. E la mano affusolata di Bianca era stretta in quella più scura di lui.
Quella situazione, oltre a farle sentire ancora più caldo e ad averla fatta diventare di un colorito rosso acceso, la fece innervosire molto. Al diavolo i progressi con la gestione della rabbia. 

Era quasi ora di allenarsi, e i ragazzi si stavano preparando. 
- E quindi è svenuta. - stava dicendo proprio in quel momento David, parlando con Jude della loro amica. 
- Già, subito dopo essere uscita da quell'ascensore... - confermò il rasta, lanciando poi un'occhiataccia a Caleb, che distava poco da loro due. 
- Non vorrai dare la colpa a lui, adesso. - ridacchiò l'azzurrino inarcando un sopracciglio. Il suo amico era decisamentre troppo negativo. 
L'altro sbuffò infastidito. - Certo che no, ma sono preoccupato comunque. 
- Guarda che vi sento! - esclamò con noncuranza il punk, finendo di infilarsi la maglia dove svettava il numero otto e chiudendo il proprio armadietto, prima di andarsene. 
Come al solito, la sua uscita di scena fu accompagnata da più di un paio di occhiate torve, che non sollevarono in lui il benché minimo scalpore. Niente di nuovo, insomma. 
Anche Nathan aveva appena finito di prepararsi, però deciso di rimanere ad aspettare che anche i suoi amici fossero pronti all'allenamento. 
- Secondo voi Bianca starà meglio oggi? - domandò ad un certo punto, sollevando lo sguardo in maniera riflessiva. 
Mark alzò le spalle, indossando il secondo guanto da portiere. - Boh, forse... - rifletté a sua volta. 
Nuovamente, fu Jude ad intervenire. - Trentanove di febbre non è facile da smaltire in una notte sola, devo dir--

- Io ti ammazzo!! - 

Il grido che interruppe la sua considerazione era fin troppo acuto per non appartenere ad una ragazza, e tutti in quello spogliatoio sapevano perfettamente che fra le ragazze che alloggiavano lì con loro, né Silvia, né Celia né tantomeno Camelia sarebbero state in grado di gridare così forte e con tono così collerico. 
- A quanto pare per lei è stato facilissimo. - commentò divertito Scott, dando il via a una serie di risate sommesse da parte di tutti i suoi amici. 
Risate che si placarono poco dopo quando si misero a riflettere su a chi potesse rivolto quel grido inquieto... poi si accorsero che un certo capocannoniere era assente all'appello. E dopo qualche secondo di silenzio le risate ripresero; niente di nuovo, insomma... 

Mai risveglio fu peggiore per il biondo numero dieci della rappresentativa giapponese. Non solo era caduto dal letto, ma adesso era anche costretto a scansare in fretta gli oggetti che la sua ragazza gli stava lanciando addosso. Qualsiasi cosa che in quella stanza le capitasse a tiro veniva tirata senza rifletterci molto su, e il primogenito della famiglia Blaze avrebbe tanto voluto trovare un modo per farla smettere. 
E va bene, sì, si era addormentato esattamente a due centimetri da lei, e allora? Prima di tutto non l'aveva neanche fatto di proposito, si era solamente fatto cogliere dal sonno mentre era ancora accanto a lei la sera prima, non era certo colpa sua! Secondo poi, non aveva fatto assolutamente niente di male, e la corvina non gli era mai parsa tanto pudica da prendersela tanto per una cosa del genere. 
- Bianca, almeno ti rendi conto delle cose che mi stai lanciand-- - si interruppe quando dovette abbassarsi di botto per schivare una lampada da comodino. 
No, non se ne stava rendendo conto proprio per niente. Quantomeno era quello che sicurametne c'era da sperare, perché arrabbiarsi okay, ma esagerare no. 
- Insomma smettila! - sbottò ad un certo punto, afferrando al volo una scarpa. - Stai calma, capisco che ti possa essere spaventata, comunque stai calma. - aggiunse notando come lei stesse effettivamente cercando di fare dei respiri profondi per riprendere il controllo di sé stessa. 
- ...scusa. - mormorò infatti, riavvicinandosi al letto e sedendosi a gambe incrociate vicino al cuscino. 
Lui sbuffò stancamente prima di seguire il suo esempio e sedersi a sua volta. - Dovresti fare più attenzione alla tua impusività... 
- Lo so, hai ragione, scusa. - ripeté la bruna, cingendosi le ginocchia con le braccia - E' che non mi aspettavo di trovarti così vicino, è stato... - si imporporò violentemente senza concludere la frase. 
- Imbarazzante? - provò di terminare il ragazzo al posto suo, ridacchiando divertito. 
Sì, era un'impulsiva con scarso autocontrollo della rabbia, e molte persone dopo quell'avvenimento si sarebbero arrese, ciò nonostante lui non era propriamente sconvolto dall'accaduto. E arrendersi con lei sarebbe stato praticamente impossibile, in ogni caso. 
La coordinatrice non proferì parola, pur concedendo un lieve cenno d'assenso con il capo mentre un soffio stanco usciva dalle sue labbra rosate. 
Passarono qualche minuto in silenzio; a contemplare la lampada rotta contro il muro, a riflettere su quante persone si fossero chieste a cosa fosse dovuto tutto quel rumore, ad ascoltare il brontolio comune nei loro stomaci il quale probabilmente suggeriva che era ora di mettere qualcosa sotto i denti, a chiedersi se prima o poi il loro rapporto si sarebbe potuto definire "normale". Con tutta probabilità la risposta era no. 
- Gli allenamenti saranno già iniziati. - saltò su ad un certo punto Bianca, interrompendo il bel silenzio rilassante che stava accompagnando una probabile futura seconda dormiveglia da parte di entrambi. 
A quella prospettiva, Axel trasalì. - Oh cielo hai ragione, Travis mi uccide! - esclamò preoccupato, per poi alzarsi di scatto e arrivare in un lampo alla porta. 
- Quello sarebbe compito mio, a dire il vero. - gli ricordò ridacchiando la ragazza. 
Lui si voltò un attimo prima di uscire e inarcò un sopracciglio, senza nascondere il sorriso divertito che gli era stato appena strappato. 
- Ci vediamo dopo, cara signorina Plus. - salutò con un cenno della mano e uscì svelto dalla stanza. 
E mentre un sussurrato - Ciao - abbandonava le sue corde vocali, l'orfana si lasciò cadere all'indietro sul letto, riconoscendo a malincuore di essere ancora abbastanza calda. 

~

Jude sapeva perfettamente di essere sembrato strano, quella mattina, agli occhi dei suoi amici, ciò nondimeno non riusciva a preoccuparsene. Sapeva anche che David era molto in ansia per lui, però anche questo fatto non riusciva a colpirlo davvero. L'unica cosa che gli interessava in quel momento, mentre saliva insieme all'amico su quella navetta dell'isola, era che il signor Dark era tornato. 
In qualche modo che lui non sapeva, eppure era lì, sull'isola di Liocott, pronto a scombinare con i suoi assurdi giochetti il Football Frontier International. Avrebbe mentito se avesse affermato di non essersi aspettato di trovare anche Stonewall, lì sulla navetta, diretto a cercare il loro comune ex-comandante. Che guaio. 
La cosa sorprendente fu l'arrivo repentino e inaspettato di Mark. 
- Insomma Jude, cosa sta succedendo? - aveva appena finito di chiedere il portiere nonché capitano dell'Inazuma, costringendo finalmente Jude a togliersi quel peso dal petto. 
- Il signor Dark è sull'isola. 
Ci fu una buona manciata di secondi fra quell'affermazione decisa del rasta, accompagnata dalle espressioni rispettivamente preoccupata e apparentemente menefreghista di David e Caleb, e il sobbalzo che i quattro ragazzi fecero quando qualcuno seduto poco lontano da loro si alzò di scatto, avvicinandosi rapidamente. 
- Lo sapevo! - sbottò la voce femminile dell'individuo, la quale si sfilò velocemente il berretto da baseball dalla testa, lasciando ricadere la sua mossa chioma corvina a corprirle collo e spalle. 
Nella sua giacca di pelle nera, Bianca Plus sbatté il tacco dello stivale sul pavimento del bus ed eliminò anche l'impiccio degli occhiali da sole che aveva indossato per coprire il proprio sguardo e non farsi riconoscere dai suoi amici. 
- Bianca, cosa ci fai tu qui?! - sbottò sorpreso il regista dal mantello rosso, trattenendosi dal fare un balzo all'indietro; comunque non si disdegnò dallo stringere i pugni. 
- Chiamalo pure "intuito femminile", se ti piace. - fu l'aspra replica dell'interpellata, che incrociò le bracca - Sapevo che il vostro comportamento sospetto c'entrava qualcosa con Dark, me lo sentivo! - aggiunse poi - Perché non me lo hai detto? 
Quell'altro si limitò ad incurvare le labbra in una smorfia. - Non volevo dare falsi allarmi. E poi non volevo rischiare di metterti nei guai. - dovette ammettere anche, assottigliando gli occhi (anche se nessuno se ne accorse a causa delle sue lenti scure). 
- Jude, quel tipo c'entra con te quanto c'entra con me, non te lo dimenticare! - sbottò allora la giovane, ponendosi i pugni sui fianchi. 
- Anche di più, probabilmente... - bisbisgliò appena Caleb, meritandosi un'occhiataccia che lo indusse a non rispondere all'occhiata interrogativa di Mark e David, i quali al contrario di Sharp erano riusciti a sentirlo. 
- Fatto sta che tu sei appena uscita da uno stato non esattamente di salute, o sbaglio? - insistette il fratello di Celia, affatto pentito di aver occultato quel problema anche a lei. 
Lo sguardo azzurro di lei lo fulminò furente. - Mi sono ripresa perfettamente - sibilò appena - E tanto ormai non puoi impedirmi d venire con voi. - gli fece anche notare - Fidati, potrei finire col tornarti utile, magari. 
Se qualcuno avesse potuto vederli (ancora a causa degli occhialoni da aviatore, quest'azione risultava impossibile per chiunque) si sarebbe potuto dire che gli occhi di Jude non esprimevano un "vai al diavolo", però quasi. 

~

Bianca era fiera di come Mark e gli altri avessero deciso di aiutare Paolo in quella situazione complicata contro il loro nuovo e totalmente inaffidabile allenatore, ciò nonostante si sentì abbastanza inutile mentre li guardava riscaldarsi e parlare con i rappresentanti dell'Italia. Prendendosi il braccio destro nella mano sinistra dietro la schiena, la corvina inclinò la testa, riflettendo sulle circostanze che stavano per affrontare. 
Alla fine, i sospetti degli ex giocatori della Royal Academy erano corretti: Ray Dark era sull'isola, e non solo, anzi. Era in qualche modo riuscito a diventare l'allenatore dell'Orfeo, ferendone abbastanza membri da mandarla in crisi, in quanto i giocatori erano necessari alla partita che avrebbe deciso le sorti dell'intera squadra; similmente alla partita fra l'Inazuma Japan e la Neo Japan della signorina Schiller, Dark aveva proposto una sfida fra la squadra ufficiale e il suo personale team, capitanato da una brutta copia di Jude, tale Giulio Acuto. 
La coordinatrice nippo-americana fece una smorfia disgustata. Quell'uomo era patetico e assolutamente imprevedibile, quanto privo di senso. "Team D". Che razza di nome era "Team D"? Anche lo pseudonimo che il neo-biondo uomo dalla mente folle si era voluto dare le pareva assolutamente ridicolo e, diciamocelo, affatto originale. "Mr. D". Orrore. 
Tuttavia, la stupidità del nome non rendeva differente la situazione, né tantomeno rendeva meno pericoloso quell'essere odioso che un tempo la quindicenne aveva chiamato capo. Al solo pesiero un brivido le percorse lo stomaco. Era passato tanto tempo dall'ultima volta che l'aveva visto, e tuttora ne era spaventata e al contempo orrificata. Come non le era stato difficile appurare, il suo sentimento nei confronti di Dark non era odio, eppure ci si avvicinava molto, in un misto fra repulsione e terrore che le faceva venire la pelle d'oca. 
Pur cercando di mantenersi calma, la giovane non poteva certamente negare che avere "Mr. D" a pochi metri di distanza dopo tanto tempo la faceva sentire malissimo. 
- Guarda guarda, la signorina Plus. - anche la voce di Dark non le era mancata per niente. - Non credevo che Jude avrebbe coinvolto anche te. - osservò l'uomo, godendosi palesemente il modo in cui la ragazza digrignò i denti. 
- Non l'ha fatto infatti. - si voltò in un'altra direzione, tentando di apparire il più superiore e meno spaventata possibile - Mi sono coinvolta da sola, Mr. D. - accentuò il suo tono acido sul nuovo nome del suo interlocutore, stringendo la presa delle proprie unghie intorno alle braccia. 
- Non avevo dubbi. - sibilò, come divertito, quell'altro, provocandole un brivido gelido e inquieto. 
Ignorando il modo in cui i suoi occhi cominciarono a fremerle, si costrinse a non rispondere in alcun modo a quella provocazione e lasciò correre. Almeno i suoi sforzi sulla pazienza stavano dando i suoi frutti. Ad essere sincera, non l'avrebbe mai creduto possibile. 

La partita non era iniziata benissimo per l'Orfeo, e anche i primi sviluppi si riservarono poco gradevoli. Oltre a notare il fatto che Giulio, oltre ad essere una copia di Jude, possedeva proprio il marchio di fabbrica della Royal Academy, ovvero una tecnica speciale a tema pinguini. Ci mancava poco che Bianca gridasse di esasperazione, la monotonia era proprio il punto forte di Dark e i suoi allievi, a quanto pareva... senza ovvamente intenzione di offendere i suoi amici, eh. Era solo un dato di fatto, ecco. 
Qualcosa che portò soffisfazione all'ex braccio destro di quello schifoso manipolatore e calcolatore ci fu. Ovvero, la rivelazione che le sue aspettative su Caleb erano più che esatte: vero era che era un ragazzo odioso e insopportabile, ma in qualche modo assolutamente degno di fiducia, forse anche più di qualche altro giocatore della rappresentativa giapponese. 
Ovviamente il suo sorriso compiaciuto di Bianca alla vista di come a risollevare la situazione (nonché il morale di Jude) fosse stato proprio il ragazzo dal ciuffo moro screziato di bianco non sfuggì al rasta, e probabilmente neanche al diretto interessato e, perché no, a Dark, il quale seppur continuando ad ostentare quel suo sorrisetto sinistro era evidentemente sorpreso dall'apparente cambiamento, o era meglio chiamarla maturazione, del punk. 
E con l'apparire di una nuova, anche se di nuovo affatto originale, tecnica micidiale, il PInguino Imperatore N° 3, si poteva benissimo dire che Stonewall avesse fatto qualche passo verso la fiducia di Sharp, nonostante la strada da percorrere fosse evidentemente ancora abbastanza lunga. 

~

Anticipata. La partita contro l'Argentina era stata anticipata. Com'era possibile che lei non fosse stata informata?! Bianca sentì le mani pizzicare per l'indignazione. In quanto coordinatrice, dovrebbe essere stata la prima a venirlo a sapere, o quantomeno in concomitanza con l'allenatore. 
Ma, conoscendo chi era Ray Dark e che cosa era in grado di fare per raggiungere i propri scopi, era probabile che neanche Travis, né tantomeno Hillman, fossero a conoscenza di quella situazione spinosa. E probabilmente non sapevano neanche che il capitano, il regista e altri due importanti giocatori, nonch la coordinatrice stessa, non sarebbero stati in grado di essere presenti se non per miracolo!
Mancava pochissimo tempo all'inizio della partita, quindi dovevano sbrigarsi a raggiungere il traghetto che li avrebbe portati allo stadio; fu questo l'unico fattore che permise alla corvina di strozzare Mr. D e la convinse a seguire i suoi amici. Che disastro. 

Sull'autobus dell'Orfeo rimase in piedi, un po' perché non c'era spazio e un po' perché non riusciva a rimanere ferma e seduta, appesa ai sedili sui quali erano seduti David e Jude. A causa della velocità le stava anche venendo un po' di mal d'auto, tuttavia non ci fece troppo caso. La sgradevole prospettiva di vomitare non era la cosa peggiore in quel momento... stava o no mancando fede al suo lavoro? 
Questo era incredibilmente imperdonabile. Non le era mai successo in tutta la sua vita di mancare in questo modo, lei non era il tipo da non essere presente quando era necessaria... anche se da quanto aveva avuto modo di capire persino Travis e Hillman erano stati allonantati alla partita, sempre a causa di Dark com'era facile immaginare. 
Bianca si sentì davvero contrariata da quegli ultimi accadimenti. Non quanto si sentì contrariata quando il pullman degli italiani si ritrovò imbottigliato nel traffico. Si abbandonò ad uno sbuffò esasperato, e accolse di malavoglia il suggerimento dei suoi amici di correre per la strada per tentare la disperata impresa di raggiungere il traghetto prima che partisse. 
- La prossima volta che vi inseguo da qualche parte devo ricordarmi di non mettere gli stivali con il tacco. - considerò nervosamente la coordinatrice durante la sua corsa, resa incredibilmente più difficile dalle sue calzature affatto adatte ad attività del genere. 
Non erano di sicuro i suoi stivali da cavallerizza, i cui erano praticamente fatti apposta per l'attività fisica; perché aveva lasciato che Suzette la convincesse a cambiare anche lo stile dei suoi stivali? Così era mille volte più complicato...
- Zitta e corri. - si limitò a replicare Caleb, accanto a lei. 
C'era da dire che in ogni caso, nonostane l'impiccio dei tacchi, la ragazza era abbastanza veloce. Magari non al livello di atleti allenati come loro, però non era tanto peggio. 
- E secondo te cosa sto facendo?! - sbottò corruggiando le sopracciglia e stringendo le labbra in una smorfia. 
Prima che il moro potesse intervenire ancora, ci pensò il portiere in divisa gialla. - Risparmiate le vostre discussioni per dopo, dobbiamo sbrigarci! 
I due si guardarono abbastanza male, però annuirono in silenzio e in tale rimasero per il resto della corsa. Corsa che terminò con un mini-infarto e una delusione, in quanto il traghetto, al loro arrivo, era appena partito. Oh, cavolo. 

~

Nathan sembrava sicuramente meno nervosi di quanto realmente fosse. Era evidente che la fascia di capitano intorno al braccio gli dava ansia, non tanto per il peso della responsabilità, tanto quello della mancanza del vero capitano, del regista, di Caleb, di David e di buona parte fondamentale dello staff della squadra, quali allenatore e coordinatrice. 
Senza contare che i giocatori dell'Impero, invece, sembravano perfettamente ben organizzati e a loro agio, nonostante l'anticipazione improvvisa della partita. 
Axel lanciò un'occhiata ai suoi compagni di squadra, poi portò i suoi occhi neri nella direzione del grande orologio che segnava il tempo. Mancavano meno di cinque minuti all'inizio della partita, e dei suoi amici nemmeno l'ombra. Chissà se sarebbero riusciti a dare il meglio anche senza di loro? La presenza di Mark era sempre stata fondamentale sia per lui che per i suoi compagni, e nonostante fosse naturale che anche i giocatori che adesso si trovavano in campo avessero le carte perfettamente in regola per farcela, sarebbe stato sicuramente molto difficile andare bene in quella partita. 

~

Bianca non sapeva davvero se sentirsi in colpa o meno per quello che stava accadendo, e sicuramente anche i ragazzi seduti insieme a lei davanti a quella televisione a guardare la partita del Giappone contro l'Argentina si stavano ponendo quell'interrogativo. 
Da una parte, erano tutti contenti di essere stati d'aiuto da Paolo e alla sua squadra, di aver dimostrato al signor Dark si essere superiori a lui e al suo stupido gioco, erano davvero fieri di ciò che avevano fatto; dall'altra parte, invece, sentivano di aver abbandondato la propria squadra nel momento del bisogno, anche se effettivamente loro non avevano la minima idea che la partita si sarebbe svolta un giorno prima del dovuto. 
Senza contare che la colpa di tutto quel tran tran era totalmente da addebitare a Dark, e che il loro nemico comune non si sarebbe certo fermato a quello. D'altra parte, era ancora l'allenatore della rappresentativa italiana, e solo il cielo era in grado di sapere quanti guai avrebbe ancora potuto causare all'Inazuma Japan. 
Ciò nonostante il senso di colpa poteva dirsi stimolato dal casino che i ragazzi laggiù in campo stavano combinando; senza la guida di qualcuno che riuscisse a farli collaborare e coordinatrice tra loro, i giapponesi stavano dando una performance alquanto scadente e affatto consona ai loro solidi standard. 
La bruna non riusciva a concepire come la sola assenza di un regista abile come Jude in campo provocasse tanti problemi, sicuramente consolidati dalla mancanza della vera colonna portante di tutta la squadra, ovvero Mark, e di altri due prezioso giocatori, David e il secondo regista Caleb. Fatto sta che la squadra che coordinava stava davvero minando questa sua riflessione. 
Fortunatamente a dare una mano ai compagni arrivò Xavier, il quale in qualche modo, come notò anche il rasta, era riuscito a capire il problema che causava lo scarso successo dei suoi amici e stava tentando di sopprimere la mancanza di qualcuno che li coordinasse. 
Tuttavia, anche quando ci fu un'occasione, la potentissima tecnica di difesa di Tiago Torres, il capitano nonché abilissimo difensore dell'Impero, impedì la messa a punto di un gol. Occasione sprecata. E guai appena cominciati. 

~

Nonostante l'acquisizione da parte di Darren della sua Mano di Forza, e quella da parte di Axel, Austin e Xavier della potente Fiammata Tripla che aveva concesso all'Inazuma Japan di segnare il primo gol che l'Argentina avesse mai subito durante il torneo, la rappresentativa giapponese aveva perso 2-1. 
- Dai, Bianca, non fare quella faccia! - esortò il capocannoniere giapponese, dando un buffetto sulla guancia rosea della sua ragazza. 
Anche lui certo era deluso da quella sconfitta, eppure non poteva fare a meno di cercare di far sparire quell'espressione indecifrabile dal viso della Plus. Quest'ultima si limitò a gonfiare le gote come una bambina e a sbuffare, per poi riarricciare le labbra in un broncio infastidito. 
- E' tutta colpa di quel mostro... - mormorò ponendo il proprio viso fra le ginocchia strette al petto e allacciate fra le braccia della ragazza. 
- Questo pensiero ti viene a proposito, perché mi dovresti ancora spiegare chi ti ha dato il permesso di seguire Jude e gli altri! - colse la palla al balzo quell'altro, sedendosi sul materasso davanti a lei e abbassandosi un pochino per fare in modo che i loro volti fossero paralleli e a pochi centimetri di distanza. 
- Perché, dovevo chiedere il permesso a qualcuno? - borbottò lei appiattendo la sua espressione e il suo sguardo - Guarda che io faccio quello che mi pare. 
- Io non penso, non se questo arrischia la tua salute, carina. - la corresse, dandole un lieve colpo di nocche sul capo, proprio sopra la fronte. 
In qualche modo, quella frase le rincuorò l'umore meglio di quei "non preoccuparti" di prima. Vederlo preoccuparsi per lei era davvero piacevole, la faceva sentire bene. 
- E a te cosa importa della mia salute? - lo stuzzicò sollevando il mento con fare superiore, non potendo però trattenere un sorriso estremamente divertito. 
- Eh no cara, non puoi provocare chi ti ha insegnato a farlo, vieni qui! - fece finta di offendersi il biondo, lasciandosi scappare una risata sommessa. 
Allungando le mani iniziò a solleticare lo stomaco della fidanzata, provocando le sue risate. Oh, a quanto pare lo soffriva davvero, il solletico... non l'avrebbe mai detto. 
- Sme...ttila, Axel! - ordinò fra una risata e l'altra, dando un colpo di gomito sul suo braccio. 
- Perché, mi sto divertendo così tanto! - replicò l'interpellato, senza accennare ad aver intenzione d'obbedire. 
La corvina avrebbe voluto arrabbiarsi, davvero, avrebbe tanto voluto arrabbiarsi. Però si stava divertendo anche lei. Probabilmente i progressi nella gestione della rabbia erano stati troppo efficaci.... oppure era solo amore? 
- Chiedo troppo se chiedo un attimo di serenità? - sbottò allora, ancora vittima del solletico. 
- Fammici pensare... sì. 



Angolo della Kyah
Hola minna.
Eccolo qui questo capitolo... 
Allora, essendo io partita e stando io scrivendo con l'iPad e l'apposita tastiera, non ho più il conteggio pagine e parole, quindi non ho la minima idea se questo capitolo sia troppo lungo rispetto agli altri. Perdonatemi se vi sembra troppo lungo, davvero. 
La mia idea era di dividerlo a metà, ma ancora a causa della mancanza di conteggio pagine non sapevo se e con che criterio dividerlo. 
Quindi basta, ecco qua il ventunesimo capitolo. 
Ditemi cosa ne pensate!
Baci,
Anna 

 

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Capitolo 22
*** Visita dall'America: Daniel e Matthew Karver ***


Visite dall'America: Daniel e Matthew Karver

Quella, d'improvviso, era diventata una bella giornata. Proprio una bella giornata, per la giovane coordinatrice dell'Inazuma Japan. Il motivo era semplice: Shawn era tornato. Era lì, proprio davanti agli occhi di tutti, gamba perfettamente guarita, con la tuta della squadra indosso, che sorrideva gentile ai suoi amici. Certo che Travis avrebbe anche potuto avvertirla, però non se la sentiva di essere indispettita, perché primo l'uomo sembrava sempre più con la testa fra le nuvole, probabilmente preoccupato per sua figlia, e seconda cosa lei era contenta!
-Shawn!- chiamò Bianca allegramente, sorridendo con le labbra e con gli occhi. 
L''albino le sorrise, e un certo ragazzo dalla chioma biondo crema decise saggiamente di puntare l'indice della mano sulla fronte chiara della corvina, la quale lo guardò interrogativa. 
-Frena l''entusiasmo, Plus.- la richiamò serio, lasciandola un attimo interdetta. 
Ma, dopo aver sbattuto un paio di volte le palpebre con perplessità, la ragazza mise su un'espressione alquanto divertita. -Non ti pare di essere eccessivamente geloso, Blaze?- domandò sorniona. 
-Non dovrei esserlo?- fece quell'altro, dandole una schicchera sulla nuca, facendole emettere un lieve verso di lamento. 
-No, non dovresti- borbottò massaggiandosi il capo -E poi scusa, devo anche chiederti il permesso per essere felice di rivedere uno dei miei amici più cari?- 
Axel sospirò stancamente. -Ottima supposizione.- replicò sinceramente, alzando le spalle con calma. 
-Sei sempre più irritante.- fu il commento della sua interlocutrice. 
-Ahh, ma sai, non esserlo alla lunga diventa troppo noioso.- le fece notare allora lui, modulando la voce per esibire un falso e sarcastico tono dispiaciuto. 
-Muori.
-Ah-ha, sì, lo farò, Miss Ottusità.
Lei lo guardò senza capire il nesso con l'ottusità, in quel momento. E, come era facile immaginare, entrambi si persero una buona fetta degli avvenimenti che seguirono, finché l'allenatore non annunciò che Tod sarebbe dovuto tornare a casa, in Giappone. 

A Bianca spiaceva per Tod, davvero; era sempre stato entusiasta e si era sempre impegnato al massimo, forse più di altri. Per questo non se la sentiva di dirsi "al settimo cielo". Tuttavia, avrebbe mentito maggiormente se avesse detto di non essere felice. Insomma, era veramente contenta del ritorno di Shawn in squadra, checché se ne potesse dire. Era contenta, punto. 
-Avresti anche potuto avvertire.- stava proprio in quel momento rimproverando al suo amico dalla pettinatura argentea, con il quale stava camminando per il corridoio. 
-E' stata una cosa improvvisa, la chiamata del Mister.- si giustificò quell'altro, sorridente -E poi pensavo ci avesse pensato lui, a dire quantomeno a te del mio arrivo.- 
-Scherzi?- ribatté lei, portandosi un dito sotto il mento con aria riflessiva -Travis è proprio sconnesso questi ultimi tempi. E poi si lamenta quando mi distraggo...- inarcò un sopracciglio, notando che in effetti stava portando un comportamento leggermente ipocrita. 
Che lui fosse un suo superiore non le interessava, dopotutto le regole erano le stesse per tutti, no? Probabilmente anche per questo stava cominciando a preoccuparsi anche lei: che cosa rendeva l'allenatore così nervoso? 
-Il tuo ragazzo mi ha guardato male già due volte, oggi.- interruppe i suoi pensieri l'albino -Dovresti dirgli che deve stare tranquillo.- 
Bianca ridacchiò un po'. -Diglielo tu, a me non dà retta.- rispose senza guardarlo, bensì indirizzando i suoi occhi azzurri nella direzione del soffitto -E poi, se devo essere totalmente sincera, sono abbastanza contenta che sia così geloso, alla fin fine significa che a me ci tiene, no?- si voltò verso di lui, giusto in tempo per vedere le labbra di Shawn stringersi e poi aprirsi rapidamente in un sorriso. 
La corvina sbatté le palpebre, confusa. Rilassati B, provò a persuaderla il suo subconscio, non è niente



-Mister Travis!- chiamò Bianca, camminando molto rapidamente per i corridoi dell'albergo alla ricerca dell'allenatore. 
Non era molto ortodosso quel metodo di ricerca, probabilmente, tuttavia non lo stava davvero trovando da nessuna parte. Nessuna nessuna... E mentre si guardava intorno con la testa da un'altra parte, si accorse di chi le era davanti solo dopo esserci andata e sbattere ed essere caduta seduta per terra. Sollevando lo sguardo nella direzione di chi era andata a sbattere contro, si ritrovò davanti Silvia, la quale si era appena voltata verso di lei; dall'espressione preoccupata che la verde stava esibendo, doveva per forza essere successo qualcosa. 
-Oh, Bianca, sei tu.- mormorò lieve, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi. 
La bruna accettò l'aiuto delle dita affusolate della sua amica manager e la guardò appena stranita. 
-Silvia...- inclinò la testa perplessa -E' successo qualcosa? Hai una faccia...- domandò, crucciandosi in una smorfia preoccupata. La verde strinse le labbra. 
-Ah, a te non l'hanno detto?- l'occhiata interrogativa dell'altra le fu probabilmente una conferma a quel dubbio. Le lasciò la mano, sospirando. -Cammy... ieri sera è svenuta, e...- cominciò con aria sconsolata -E adesso si trova in ospedale. Non si è ancora svegliata.- aggiunse sollevando gli occhi verdi sulla sua interlocutrice. 
-Cosa?!- sbottò sorpresa e al contempo nervosa l'altra -Che cosa le è successo? E Travis, che dice?- come era possibile che lei non ne sapesse nulla? Non era forse nessuno, lei? Perché era venuto a saperlo per ultima?! 
La Woods alzò delicatamente le spalle. -Mark non mi ha raccontato molto. Mi ha solo detto che Travis aveva deciso di raccontargli cosa le fosse successo, ma non ho ancora ricevuto notizie.- terminò sospirando ancora. 
La corvina sentì lo sguardo farsi pesante. Cosa poteva essere successo alla timida e gentile Camelia? Non poteva credere che fosse addirittura finita in ospedale. Faceva bene, allora, l'allenatore Travis a preoccuparsi? Faceva bene, ad essere palesemente molto protettivo nei confronti della viola? Si sentì male, in qualche modo. Le spiaceva davvero molto per quella ragazza, era l'essere più dolce che avesse mai conosciuto! Non meritava di stare male. 
-Mi chiedo cosa le sia capitato.- sussurrò stringendo il pugno sulle labbra, riflettendo preoccupata. 
Davvero, cosa poteva essere-- -Bianca!- la voce di Celia che la chiamava interruppe il flusso nervoso dei suoi pensieri. La Plus voltò e vide la minore, appena arrivata da dietro di lei, che aveva il fiatone e un telefono in mano. La blu prese un grosso respiro e alzò il viso nella direzione della coordinatrice, porgendole il suddetto telefono. 
-C'è una chiamata... puff... per te...- le comunicò sventolandosi con una mano per prendere freschi. 
L'interpellata mise su un'espressione strana. Una chiamata? Per lei? Proveniente da un telefono che con tutta probabilità apparteneva all'albergo nel quale alloggiavano lei e la squadra? Che cosa...? Prese il cordless e l'osservò attentamente per qualche secondo, poi controllò il numero del chiamante. La sua memoria fotografica le suggerì sin da subito a chi appartenesse quel numero di cellulare. 
-Hello?- interloquì infatti, portandosi la cornetta grigio perla all'orecchio. 
-Bibì, my dear!- come volevasi dimostrare. Lo zio Daniel. -I couldn't call you on your mobile phone, and I'm sorry to bother you, but I've to ask you something, Bibì!- alla seconda volta che lo zio pronunciava quell'odioso nomignolo, Bianca ebbe un brivido di nervi. 
-What?- chiese inacidita, e il verso inarticolato che ricevette in risposta suggerì che il fratello di sua sorella se ne era accorto. 
-Mi spiace darti fastidio,- esordì nel suo rustico giapponese buffamente mischiato al suo accento americano (non si era mai interessato davvero alla lingua di suo cognato, non era molto pratico di quella lingua orientale) -ma sono da poco arrivato to this Liocott Island e non so dove andar-- 
-TU SEI A LIOCOTT?!- non si disdegnò dal gridare la nipote, sconcertata da quella notizia. 
Suo zio. Suo zio Daniel Karver, il fratello minore di sua madre, l'adulto "responsabile" di lei, praticamente il suo padre adottivo, il trentenne meno responsabile della Storia americana... era lì. A Liocott. Sull'isola del Football Frontier International. Lui, proprio lui. 
-Y-Yes, I'm here...- confermò abbassando lievemente il tono, evidentemente preoccupato per la reazione di Bianca -Oh, and Matthew's here too!- a seguito di quell'ultima affermazione, l'espressione facciale della ragazza non diceva niente se non "terra, inghiottimi adesso". 
-Why? Perché siete venuti?- domandò con un sospiro, cercando di rimanere calma. 
Andava tutto bene, si disse. Non era niente di grave, provò a convincersi. Già, non era poi così disastroso il fatto che il componente più imbarazzante e infantile della sua famiglia e suo figlio fossero arrivati a Liocott, dove lei viveva momentaneamente per i mondiali con i suoi amici e, cosa non di poco conto, il suo sornione e irritante fidanzato. Sì, andava proprio tutto alla grande. 
-Beh, ecco, a breve ci sarà la partita fra Giappone e America, so we caught the moment and we came to visit our sweet Bibì!- spiegò con il suo solito tono allegro ed entusiasta l'adulto, -Ma non abbiamo idea di dove andare.- aggiunse ridacchiando imbarazzato -Matt non è di aiuto, sai che ha preso da me il pessimo orientamento, eh eh, eh... help us, Bibì-hii!- la bruna digrignò i denti, per poi accorgersi dei visi interrogativi e perplessi delle due ragazze che le stavano accanto. 
-Senti zio, qui sono già piena di pensieri, non ho tempo per venire lì a prendervi!- quell'altro emise un lamento da bambino piccolo che non la stupì per niente. Era proprio lui, senza ombra di dubbio. 
-Tuo zio è qui?- si accertò Silvia, con aria preoccupata. Sorrise gentile quando l'altra annuì -Puoi andare, dopotutto sono i tuoi parenti.- le disse amichevolmente. 
La nippo-americana posò una mano sul microfono per impedire allo zio di sentire ciò che avrebbe detto. 
-Non se ne parla, sono preoccupata per Camelia!- non nascose allargando gli occhi -Mio zio è un adulto grande e vaccinato, non sarà poi così urgente la mia presenza, e poi..- 
-Non preoccuparti Bianca!- esclamò Celia, intromettendosi nel discorso -Se ci saranno novità su Camelia mentre sei fuori ti chiameremo e ti terremo ben aggiornata! Sono una giornalista, io, è il mio lavoro no?- il suo sorriso contagiò anche l'interpellata, che incurvò debolmente le labbra in uno storto accenno di sorriso. 
Tolse la mano dal telefono. -Fine, uncle, I'm coming.- sospirò stancamente. Proprio ciò che non voleva fare. Il mugolio quasi di gioia troppo simile al gridolio di un bambino di sei anni che ricevette in replica le spezzò uno dei pochi nervi ancora saldi al loro posto -Rimanete lì dove siete e non perdere di vista Matthew! E fai l'adulto per una volta!- aggiunse duramente, come fosse stata una madre che rimproverava un figlio. 
-Uh, Bianca.- richiamò nuovamente la sua attenzione Silvia -Ora come ora, sarebbe meglio che tu non andassi in giro da sola. L'aeroporto si trova nella zona neutrale dell'isola, è lontano da qui.- le fece notare, e per qualche motivo, probabilmente la necessità di conservare le energie per tenere a bada lo zio, la corvina non fu contraria a farsi accompagnare da qualcuno. 


Perché. Era l'unica parola che le veniva in mente mentre camminava accanto alla persona a cui Silvia aveva chiesto di accompagnarla. Come facile indovinare data la sua sfortuna cronica di quel periodo, era Axel. Proprio lui. Proprio quello che Bianca avrebbe preferito tenere il più possibile alla larga da quel bambino di suo zio. Probabilmente, se glielo avesse detto, il biondo avrebbe insistito ancora di più per accompagnarla, giusto per vedere se era vero che suo zio era la persona più imbarazzante che la ragazza avesse mai conosciuto. 
-Non sembri troppo entusiasta di vedere tuo zio e tuo cugino.- ridacchiò il capocannoniere, posandole il palmo sul capo per scompigliarle un po' i capelli ben ordinati, non che il cerchietto blu fosse d'aiuto ma sicuramente meglio del precedente cappello color foglia autunnale. 
La ragazza mugugnò infastidita. -Come, non vedi che faccio i salti di gioia?- borbottò ironica, voltandosi dalla parte opposta al suo accompagnatore, le mani aveva già da molto trovato la loro casa nelle tasche della sua giacca di pelle nera. 
Blaze rise divertito da quella risposta, anche se probabilmente si stava domandando il perché di quello stato d'animo non troppo felice. Beh, considerato che stavano proprio in quel momento varcando l'entrata ovest dell'aeroporto, non avrebbe dovuto aspettare più di tanto. C'era un sacco di gente, cosa che non mancò di stupire i due giapponesi; il FFI era nel pieno del fermento, appariva strano che ci fosse tanta gente ancora in viaggio per venire o anche per andarsene. 
E invece c'erano più persone che stelle nel cielo, e il forte rumore degli aerei in partenza, accompagnato dai vari rumori tipici di un luogo come quello (i segnali, il rullo delle valige, i suoni dei check-in, i messaggi degli altoparlanti, eccetera) non contribuiva alla crescita della calma nelle giovane coordinatrice calcistica. Anzi, per meglio dire la stavano innervosendo ancora di più, peggio di prima. Forse non avrebbe potuto raggiungere un maggiore livello di nervosismo, quella mattina... 
-My little sweetie Bibì!!- ecco, come non detto. 
Al contrario del numero dieci della rappresentativa giapponese ai mondiali di calcio giovanili, Bianca non si spaventò né stupì minimamente quando fu travolta da un abbraccio di un uomo che sembrava essere apparso dal nulla alla loro sinistra; l'uomo in questione era un giovane adulto, sulla trentina, dai lineamenti quasi femminei e una sbarazzina chioma castana come cioccolata al latte, accompagnata da due pronunciati occhi sottili e delicati di un acceso e splendente verde bottiglia. Sembrava un bambino. 
Indossava dei lunghi jeans scuri, ma scoloriti su ginocchia e cosce, e ai piedi delle converse rosso sangue; una t-shirt giallo canarino, un gilet quasi da film western (ricordava quello di qualcuno...) sul quale era stampata una appositamente rovinata figura della bandiera americana e un borsone appeso alla spalle completavano l'opera, assieme a dei grandi occhiali da sole accuratamente posati sui capelli. 
-Bibì?- domandò divertito Axel, ripresosi dallo spavento. 
"Bibì" lo guardò storto, però non ribatté; incurvò le labbra e le sopracciglia in una smorfia sinceramente e terribilmente infastidita e con le mani fece leva su suo zio per scollarselo di dosso. 
-Ti avevo detto di fare l'adulto, zio.- lo rimproverò non appena riuscì nel suo intento. 
L'interpellato la scrutò attentamente non uno sguardo misto fra il supplichevole e l'allegro. -But, Bibì, sei diventata così carina dall'ultima volta che ti ho vista, sei anche diventata più alta e sembri una splendida donna anziché una ragazza di quindici anni, e infatti all'inizio non ti avevo riconosciuta..- ammise incrociando le braccia con fare sempre più infantile -Anche perché non pensavo che ti saresti presentata con un ragazzo, little Bibì!- terminò senza tanti complimenti. 
Sentendosi chiamato in causa, il biondo salutò con un cenno della mano, leggermente messo in soggezione. Quello era lo zio di Bianca? Non... sembravano affatto parenti. Non solo fisicamente, ma anche caratterialmente, erano evidentemente l'uno l'opposto dell'altra! Com'era possibile che fossero imparentati? Si lasciò sfuggire una risatina quando notò l'espressione irritata della ragazza: in qualche modo lo faceva ridere, quando non era diretta a lui. Ora sapeva come si sentivano i suoi compagni di squadra... 
-Quante volte ti avrò detto di non chiamarmi "Bibì"?- fu l'unica osservazione acida che poté sputare fuori, la ragazza, prendendosi i fianchi fra le mani. 
-Settecentoquarantacinque, Bibì.- okay, avevano in comune la buona memoria, quanto meno. 
-Non chiamarmi a quel modo, zio!- sbottò l'altra. 
-Seven houndreds and fourty-six.- sollevò l'indice il trentenne, sorridendo come niente fosse, allegro e spensierato. 
In qualche modo, il bomber di fuoco sentì di ammirare abbastanza quel tipo che ad impronta di poteva dire infatile e sconclusionato. Perché? Beh, tanto per cominciare non temeva minimamente l'ira di sua nipote, e faceva quel che caspiterina voleva senza il minimo timore. 
-Lasciamo stare.- borbottò Bianca, voltandosi da un'altra parte. 
Daniel unì le mani e la guardò con una bizzarra luce negli occhi, abbassandosi un po' per arrivare alla sua altezza. -Ahh, little Bibì! You're sooo cuuute!- esclamò felicemente, per poi abbracciare di nuovo la quindicenne. 
-Zio!- sbottò lei, arrossendo come un pomodoro, visibilmente imbarazzata dall'espansività del suo parente. 
Guardandoli, era facile immaginare che la ragazza avesse deciso di rimanere in Giappone da sola per qualche altro motivo, oltre al desiderio di indipendenza e alla necessità di badare a sé stessa... 
-Ora che ci penso Bibì, è lui il fidanzato che mi hai accennato tempo fa?- saltò su di punto in bianco Daniel, voltandosi verso Axel, pur non lasciando minimamente la presa su sua nipote. 
Quest'ultima annuì appena, invermigliandosi sempre di più; il ragazzo inarcò un sopracciglio, accennando tuttavia un sorriso divertito. 
-Piacere di conoscerla signore, io sono...
-Axel Blaze, il capocannoniere dell'Inazuma Japan.- concluse una voce fuori campo, proveniente da poco dietro di loro -Wow cuginetta, ti sei proprio data da fare allora.- al contrario di quello del padre, il giapponese di Matthew era assolutamente impeccabile. 
Voltandosi, i tre presenti videro un ragazzo alto, dal fisico atletico; i lineamenti del viso decisi, eleganti e raffinati, somigliavano a quelli di un personaggio di un quadro e i suoi sottili e luminosi occhi dalle iridi verde acido acceso erano quasi innaturali, mettevano in soggezione. I suoi capelli invece, probabilmente lunghissimi e di un caldo color caramella mou, erano raccolti sotto la nuca in un disordinato quanto abbastanza enorme chignon.
Bianca si divincolò da suo zio e corse ad abbracciare suo cugino, che in quanto ad abbigliamento, di diverso da suo padre aveva solo una larga felpa rossa dal lungo cappuccio che ricadeva sulle spalle al posto del gilet e un borsone di cuoio nero a tracolla, con vari adesivi di tutti i tipi attaccati, nonché un colore più arancione di scarpe. 
-Matt, sono contenta di rivederti.- salutò la ragazza staccandosi. -Te lo devo proprio dire, dallo zio me la aspettavo una sorpresa del genere, ma da te... perché sei venuto anche tu?- non si trattenne dal chiedere, mentre Daniel si lamentava per essere sempre considerato un bambino dalla sua "little sweet Bibì". 
Matthew mise su un'espressione sarcasticamente melodrammatica. -Perché sentivo tanto la mancanza della mia cugina adorata!- sbottò modulando il tono. La risata che ne seguì fu generale, tuttavia il ragazzo si ricompose subito. -No, seriamente, sono venuto per tenere d'occhio mio padre.- non si fece scrupoli ad ammettere, ignorando le lamentele del suddetto genitore -Sai com'è fatto lui, no? 
-Insomma Matt, you're so mean!- lo accusò il moro, avvicinandosi. 
Axel dovette ammettere di sentirsi totalmente fuori contesto, in mezzo a quei due familiari di Bianca... 
-Axel,- l'interpellò a sorpresa proprio quest'ultima -Lui è mio cugino Matthew Karver, detto Matt.- mise una mano sulla spalla al suddetto, poi indicò lo zio con il pollice -E lui, come avrai capito, è mio zio Daniel Karver.- 
-Mi piacerebbe che mi dessi del tu, però, Axel.- si intromise quest'ultimo, sorridendo nuovamente allegro. 
Matt fece una smorfia. -Veramente, io preferirei che tu mi chiamassi Matthew.- mugugnò acido. 
Ecco, lui somigliava maggiormente alla cugina. -Bene, allora ti chiamerò così. Non morirò, dopotutto mi pare di averti appena conosciuto.- ribatté senza la minima esitazione il calciatore. 
L'altro fece una smorfia. -Che ragazzo... 
-...irritante?- propose lui -Sì, ci farai l'abitudine, chiedilo a tua cugina.- quest'ultima gli si avvicinò per dargli una piccola pacca sulla spalla. 
-Axel, cerca di non farti odiare dai miei parenti, per favore.- ridacchiò divertita, per poi sfociare in una vera e propria risata, che contagiò in fretta sia il ragazzo che Daniel. 
Matthew, invece, assottigliò contrariato lo sguardo a discapito del cannoniere, anche se nessuno parve accorgersene. 




Angolo della Kyah
Capitolo corto o lungo? normale? boh, non lo so, non ho il conteggio pagine/parole c: 
Voglio una bella settantunesima recensione minna(?)
la batteria dell'iPad si sta scaricando, mi devo sbrigare.
Baci,
Anna






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Capitolo 23
*** L'Unicorno [1] Niente è per sempre... ***


-cough cough-, salve. 
allora... in questo capitolo vedrete la mia "idea originale" per Matthew, che altri non sarebbe che Koji, quello della fic ad oc. 
vi spiego: la mia idea originale era con questo carattere, nella storia ad oc l'ho modificato per motivi di trama(così come il grado di parentela fra lui e Bianca/Nana, uh, anche se in questo caso è in questa fic ad essere diverso dall'idea originale)
ho una richiesta da farvi. 
anche se vi sarà difficile, non odiate il povero seehh come no Matthew/Koji per le carognate che farà e dirà, perché a scanso di equivoci io lo amo~
non è cattivo, è che lo disegnano lo faccio io così. 
e inoltre, perdonatemi lo scorso capitolo perché quello sì che è una schifezza, soprattutto i guai che questo iPad del piffero mi ha causato con il font~
detto questo, buona lettura~ sempre che questa cosa possa definirsi una buona lettura~


L'Unicorno [1] Niente è per sempre...  

Bianca chiuse con uno scatto il proprio cellulare nero lucido, sospirando con stanchezza.
Come promesso, Celia e Silvia l'avevano chiamata non appena avevano avuto notizie su cosa fosse realmente successo a Camelia; alla corvina spiaceva davvero per quella ragazza. Non si meritava tutti i guai che le erano capitati, davvero, e avrebbe voluto poter tornare all'albergo, e poi magari andarla a trovare in ospedale. Però, in quel momento, era un tantino bloccata... 
-Ehi, Bibì, questo posto è davvero enorme!- le gridò spensieratamente proprio la fonte del suo impedimento a tornare. 
La ragazza fulminò suo zio, mentre Axel rideva sinceramente divertito. La coordinatrice sospirò, arrendevole: era meglio lasciare Cammy nelle mani di Mark, probabilmente lui sarebbe stato ben più capace di lei di darle una mano, e concentrarsi sull'impedire allo zio Daniel di farsi riconoscere in tutta l'isola di Liocott. 
Per qualche ragione che non aveva minimamente pensato di poter comprendere, l'uomo aveva deciso di non andare subito nella zona americana dell'isola. No, da bravo bambino di cinque anni qual era aveva pregato insistentemente la sua nipotina e il suo ragazzo di portare lui e Matthew in giro a visitare un po' il posto. Il biondo si era rivelato abbastanza accomodante, ma lei... 
Suo cugino le circondò le spalle con il braccio, poggiandole la testa sul capo, frattanto che camminavano dietro al trentenne e al giapponese che cercava abbastanza in vano di contenerlo; nonostante avesse una sorellina di appunto sei anni, il Blaze non poteva dirsi certo pronto a controllare un infantilità del calibro di quella di Daniel Karver. 
-Oh, Matt.- lo "accolse" lei, sollevando il suo sguardo nella sua direzione. 
-Non mi sembri molto allegra.- osservò il ragazzo, sorridendole gentilmente. 
Bianca si sforzò di incurvare appena le labbra in un accenno di sorriso storto, tuttavia non durò meno di un secondo. Subito infatti sospirò ancora, portando gli occhi nella direzione del telefono che teneva ancora in mano. 
-Una mia amica non sta molto bene. Sono preoccupata per lei, e...- si interruppe vaga, socchiudendo le palpebre. 
-...E mio padre ti sta praticamente costringendo a rimanere con noi piuttosto che andare a vedere come sta.- concluse l'americano al posto suo, concedendosi di inarcare un sopracciglio, senza perdere il sorriso. 
La corvina lo scrutò attentamente. -Un po'.- ammise sbattendo le palpebre. -Ma voi siete la mia famiglia.- aggiunse spostando lo sguardo sul proprio zio -Non vi vedo da.. tantissimo tempo. Non che siate cambiati molto, forse tu un pochino. Sul serio, da quando porti felpe del genere?- inquisì curiosa, puntellando il fianco di Matthew con l'indice. 
-Senti chi parla!- sbottò compiaciuto lui -L'ultima volta che ti ho vista vestivi come un personaggio da film western e dicevi di non avere nessun interesse per i ragazzi, e invece adesso, arrivo e chi mi trovo? Una ragazza vestita normalmente e anche fidanzata.- le fece notare sollevando il mento. 
Touché. La coordinatrice doveva ammettere che sì, suo cugino aveva proprio ragione. Era cambiata abbastanza, dall'ultima volta che aveva avuto la possibilità di vederlo di persona, eppure la cosa non le spiaceva affatto: lei era felice di quei cambiamenti. Perché tutti i cambi che aveva fatto li aveva fatti in meglio, grazie a tutti i membri della Raimon, non solo Axel. 
-Bibì, Matt, I'm hungry!- richiamò la loro attenzione "l'adulto" della situazione. 
Il biondo accanto a lui emise un sospiro, frattanto che si avvicinavano ai due cugini. -Non per dire niente Bianca, ma tuo zio è davvero un'impresa.- le mormorò all'orecchio, facendola annuire comprensiva. 
-Lo so, lo so.- convenne la ragazza, per poi dare una schicchera sulla fronte dello zio sollevando la mano fin sopra il suo viso. 
-Ehi!- sbottò lui, portando una mano sul punto offeso -You're so mean.- bofonchiò gonfiando le gote -Isn't she, Ax?- l'interpellato assentì con convinzione, ignorando completamente sia quel soprannome sia il fatto che la sua ragazza gli stava tirando un leggero pugno sulla schiena, chiamandolo come sempre "Irritante della malora" e cose simili. 
Matthew spalancò le palpebre per qualche momento, dopodiché ridusse gli occhi a due fessure. Ax? Ax?! Suo padre aveva sì l'abitudine di affibbiare soprannomi e nomignoli vari alle persone a cui voleva bene, specialmente le persone di famiglia... ma non era quello il caso. Cioè, non si era per caso incontrati tipo... mezzora prima? 
Che fosse il ragazzo di Bianca poco contava. Quel fatto del soprannome che per chiunque altro sarebbe sembrato così semplice e futile, al ragazzo dalla chioma color caramello dava sui nervi, perché lui conosceva perfettamente suo padre, più di qualsiasi altra persona sul pianeta. Nervosismo, nel suo stomaco c'era soltanto inquieto e indispettito nervosismo. 
-C'è un fast food su quest'isola?- saltò su, innocentemente, il moro, sistemandosi gli occhiali scuri sulla testa. 
-Che domande fai?- replicò sua nipote, roteando gli occhi al cielo -Certo che c'è un fast food, in tutto il mondo ci sono fast food, figurarsi se non c'erano qui! Ma sentilo. Sul serio, sicuro di avere trent'anni?- domandò stancamente. 
-Trentacinque, Bibì, trentacinque.- corresse senza la benché minima intenzione di ribattere al surrogato di insulto. -Se avessi trent'anni, avrei dovuto diventare padre di Matt a quindici anni. Non sono un irresponsabile, cosa credi? Vi prego state zitti.- prevenne che suo figlio e sua nipote obiettassero ancora prima che potessero aprir bocca, cosa che comunque si stavano apprestando a fare praticamente all'unisono. 
Il capocannoniere dell'Inazuma Japan non poté trattenersi dal ridere sommessamente davanti all'espressione eloquente dei due quindicenni e lo sguardo ostentatamente serio dell'adulto. No, per quanto coraggioso con quei due, non era assolutamente in grado di farsi rispettare, o almeno quando si parlava di argomenti simili. 
-Quanto resterete?- domandò di punto in bianco la ragazza, stropicciandosi l'occhio sinistro con le dita.
-Partiremo dopo la partita fra Giappone e America.- dichiarò il più giovane dei due americani. 
Lei sussultò. -Così poco?- non si premunì di nascondere un velato dispiacere che non mancò di essere notato da tutti i presenti. 
Matthew forzò un sorriso, e stava quasi per rispondere quando ci pensò bene suo padre ad intervenire. -Don't you worry, torneremo a farti visita molto presto, maybe in Japan!- propose allegro, appoggiandosi sulla spalla del figlio con la mano e sollevando allegramente il pugno, strizzando l'occhio alla nipote. -E poi esistono i cellulari apposta, no?- aggiunse, poi ghignò soddisfatto -E tanto lo sai, siamo tutti sotto lo stesso cielo, che differenza fa quanti siamo lontani?- 
I tre adolescenti non poterono trattenere un sorriso. Quello sconclusionato tipo che era Daniel sapeva infondere uno strano senso di serenità. Forse era per questo che nonostante l'immaturità era sempre riuscito a cavarsela nelle situazioni sentimentali e familiari, nella vita... per qualche motivo, a Blaze venne in mente Mark. Scartò quasi subito però quel paragone: per quanto simili, Evans non aveva quella prontezza... e poi fra allegria e serenità la differenza c'era, sicuramente. In ogni caso, se il capitano possedeva un innocente e coinvolgente temperamento, lo zio di Bianca appariva del tutto consapevole di ciò che diceva e dei conseguenti effetti alle sue parole e azioni. 
-Comunque io ho ancora fame, guys!- squittì subito dopo, spezzando come niente fosse l'aria quasi seria che aveva tirato fuori lui stesso -Ho voglia di patatine, mhh!- specificò stiracchiandosi con un'espressione tipica di un bambino affamato. 
Il biondo non si accorse del movimento quasi spastico del suo sopracciglio, perplesso già dei suoi ragionamenti. La domanda ora era una sola... quel tipo c'era o ci faceva? Molto, molto difficile a dirsi. Tant'è che i suoi due coetanei non sembravano affatto sorpresi, e mentre lui calcolava in quanto tempo i suoi nervi sarebbero saltati, rifletteva su come facesse Matthew a vivere con il trentacinquenne che a momenti sembrava pronto a mettersi a trotterellare in giro, manco fosse lui il minorenne fra i quattro. 
Nel frattempo, Bianca era molto indecisa fra il sentirsi imbarazzata per il temperamento di suo zio o se scoppiare a ridere per l'espressione in continuo cambiamento del suo fidanzato. Non lo biasimava, questo no, d'altra parte che senso avrebbe avuto, lei sapeva perfettamente che al primo incontro chiunque avrebbe reagito a quel modo; ciò nonostante, negare che fosse tremendamente divertente sarebbe stato praticamente impossibile e alquanto irrazionale. 

Matthew si morse la lingua. Sinceramente?, se la stava mordendo da quando era atterrato a Liocott. E il fatto che suo padre continuare a chiamare "Ax" quel quasi sconosciuto dalla strana chioma a forma di aculei da porcospino non aiutava, esattamente come non aiutava il fatto che il suddetto porcospino era irritante. Sì, mille volte sì, era un irritante di prima categoria. 
Il peggio era che lui lo sapeva. Anzi, ne sembrava addirittura compiaciuto e divertito. C'era quindi da chiedersi se non lo facesse apposta, senza contare che Bianca arrossiva ogni tre per due a quasi ogni suo commento ai discorsi su di lei che Daniel aveva tanto insistito per mandare avanti. Il giovane in felpa rossa continuò a puntellare il proprio panino con la patatina fritta da fast food che stava tenendo fra le sue dita affusolate da tipo cinque o sei minuti. 
E più lo guardava, più non capiva. Non capiva cosa ci potesse aver trovato, sua cugina, in quel porcospino. Sì, era carino. Secondo canoni umani, beh, non gli si poteva dire niente su questo punto. Magari, un po' meno gel per capelli non avrebbe guastato, ma alla fin fine quel dettaglio era irrilevante e un ragazzo dalla chioma ben più che femminile non era in diritto di criticare le pettinature altrui, ne era consapevole. 
Era anche un bravo giocatore, tutte le partite che suo padre gli aveva fatto sorbire gliene avevano dato la conferma, anche se seguirle con interesse non era proprio ciò che aveva fatto. A lui del calcio non poteva fregar di meno, e aveva omesso di dirlo al padre con l'unisco scopo di non farlo lamentare. Comunque, tornando a Blaze. Non poteva credere che una persona permalosa e scarsamente paziente come Bianca non si fosse accorta del suo carattere irritante. Praticamente, aveva scritto quella parola a caratteri luminescenti e cubitali sulla fronte. 
Non capiva. Non ca-pi-va. Non che la corvina avesse mai stilato uno stereotipo del ragazzo ideale, però il biondo non poteva davvero corrispondere a quel genere di definizione. Insomma. Uno come lui, insieme a Bianca Plus? Sì, sai quando? Mai. Never and ever. Si accorse di aver distrutto la patatina solo dopo averne fatto uscire del purè. Che orrore. Si impossessò stancamente di un fazzoletto e decise di seguire l'esempio di suo padre e mangiare, doveva ammettere di avere fame. 
-Toglietemi una curiosità, da quanto state insieme?- interloquì prima di addentare il panino, senza nemmeno guardare i diretti interessati e interrompendo stancamente il lungo monologo di Daniel riguardo a quanto Bianca somigliasse a sua madre. 
Matthew non poteva sapere se quegli sproloqui fossero veritieri, non aveva mai avuto molti rapporti con zia Melanie, di lei ricordava solo lo sguardo gentile degli occhi rossi e il calore della sua mano quando stropicciava i capelli color caramello del nipote. 
Fu Bianca a rispondergli. -Da prima della finale continentale asiatica del Football Frontier International. Se non vado errato.- chiese implicita conferma con gli occhi, e Axel si ritrovò ad annuire. 
-Ho visto quella partita, contro la Corea mi pare- borbottò Matthew -Avete vinto per miracolo. E tu caro non sei stato molto d'aiuto.- sussurrò appena percettibile, pur rimanendo secco e acido, e niente del suo malcelato insulto sfuggì ai tre interlocutori. 
Persino sua cugina parve sorprendersi un po', e al contrario del capocannoniere non fu tanto propensa ad incassare il colpo in silenzio per non provocare danni. -E io che ricordavo che il punto della vittoria l'avessero segnato lui e Austin.- si accigliò appena, a metà fra il sarcasmo e il velato nervosismo -E ci sono stati problemi personali.- non si disdegnò da aggiungere. 
L'oggetto di quella discussione appena cominciata apprezzò la sua professionale decisione di non scendere nei dettagli. 
-Non sei sempre tu che dici che non si dovrebbe frapporre la vita privata al lavoro?- fu l'aspra protesta.
-E' qui che viene il bello, per Axel e gli altri questo non è un lavoro.- continuò imperterrita la Plus -Si tratta di un gioco, Matthew. Non per niente si dice "giocare a calcio".- posò sul tavolo il bicchiere della bibita che stava bevendo. 
-Quanto la prendi sul personale- roteò gli occhi quell'altro, ridacchiando appena con un tono tanto atono che parve quasi metallico -Ho solo fatto un'osservazione obiettiva, non volevo certo offenderti, cuginetta.- sorrise. Non era lo stesso sorriso di prima. In quello screzio di denti scoperti, nel modo in cui erano tirate le labbra rosate, nell'espressione delle sue iridi color acido solforico, c'era qualcosa di diverso. 
Quello, era un sorriso da vampiro. Sarebbe stato più spettrale se fisicamente il ragazzo fosse somigliato di più a Bianca, tuttavia era impossibile sbagliarsi. Matthew Karver possedeva quel qualcosa di spaventoso che Axel non aveva mai visto in nessuno, neanche la sua ragazza, neanche suo padre. Solo, forse, Ray Dark possedeva quel ghignò sinistro. Forse. 

-

-Piacere di conoscerla signore, il mio nome è Silvia Woods. E loro sono Celia Hills, il nostro capitano Mark Evans, e Camelia Travis. Ehi, ragazzi, ma non c'era anche Nelly?- 
-Se n'è andata poco fa.- squittì allegramente Mark, stringendosi nelle spalle. Era troppo contento di quanto accaduto poco prima in ospedale per poter badare al fatto che la rossa era partita salutando praticamente solo lui, cosa che invece la coordinatrice nonostante i suoi mille pensieri non ebbe paura di analizzare. 
-Nice to meet you too guys, I'm Daniel Karver!- si presentò felicemente il moro, per poi sollevare lo sguardo nella direzione dell'uomo dalla chioma viola che si trovava in fondo al corridoio. -Quello dev'essere Mr. Travis, isn't he?- chiese, e ci fu un tacito coro di assensi e di cenni con il capo. 
-Lascialo stare, ha avuto una giornata pesante.- gli consigliò Bianca, rivolgendo un'occhiata gentile a Camelia, la quale sorrise felicemente e annuì per conferma. 
L'americano lo scrutò da lontano, poi sorrise comprensivo. -Andiamo, voglio conoscere tutto il resto della squadra!- esclamò poi, strappando una risatina a tutti gli adolescenti presenti. 
La coordinatrice arrossì imbarazzata dal suo comportamento, nonostante ciò doveva ammettere che suo zio era proprio un tipo speciale. Sì, non c'era aggettivo migliore. E le sue idee non cambiarono quando anche gli altri ragazzi, dopo averlo conosciuto, le sembrarono decisamente allegri e divertiti, in particolar modo Hurley che, come assolutamente prevedibile, si era trovato subito in sintonia con lo zio della corvina. Ed eccetto la rana che Scott gli infilò in un bicchiere d'acqua, anche Daniel si stava divertendo.
L'unico a non farsi sfiorare dalla comicità dell'uomo era Matthew, il quale non appena presentatosi si era chiuso in un mutismo che né a suo padre né a sua cugina parve insolito. Chissà, pensarono molti dei giovani giapponesi, magari era una cosa normale per lui essere così silenzioso, anche se le labbra arricciate e le sopracciglia corrucciate non apparivano tanto consuete. 
-Ehi, Matthew.- lo chiamò Axel, discostandosi dal gruppo che si era venuto a formare intorno al moro, il quale si stava divertendo più di tutti -Qualcosa non va?- domandò sedendosi accanto a lui. 
Il quindicenne con i capelli color caramello strinse i denti. Non ricordava di aver mai ricevuto gentilezze da parte di qualcuno che aveva precedentemente sbeffeggiato come suo solito, cosa che a quanto pare stava avvenendo proprio in quel momento. E in qualche maniera, la cosa gli dava altamente sui nervi, fin troppo forse. A Matthew Karver non piaceva essere perdonato tanto facilmente da qualcuno che sopportava a malapena-- no, non era importante il fatto che si fossero conosciuti giusto quella mattina. 
-Niente.- forzò un sorriso. 
Il biondo si voltò da un'altra parte, sospirando. -Ho come l'impressione che l'unico sorriso sincero che tu sappia fare sia quella compiaciuta espressione vampiresca, sai?- lo informò disegnando ghirigori con il dito sul tavolo, puntando lo sguardo nella direzione della sua ragazza, la quale stava cercando vanamente di contenere l'esuberanza di suo zio. 
Quel genere di osservazione. La facevano spesso quelli che decidevano di chiudere ogni rapporto con lui. Eppure qualcosa nel sorriso divertito che il numero dieci mise su lo fece desistere dal pensare a quell'evenienza. Dannazione. 
-Come fai ad essere così accomodante?- lo fulminò torvo, e l'interpellato alzò le spalle, per niente stupito da quell'interrogativo. 
-Ho imparato ad essere paziente stando con Bianca.- ammise sorridendo ancora -E poi, non vorrei farmi odiare da te già al nostro primo incontro, so che a Bianca spiacerebbe.- Troppo tardi carino, ribatté mentalmente l'altro, mordendosi la lingua. 
Salvo poi rendersi conto che... con quel tipo era completamente inutile trattenere i propri pensieri, anche lui dopotutto sembrava ben mezzo in quanto a commenti pungenti e sincerità. Era raro che si mettesse a dire ciò che realmente pensava di una persona che non apprezzava, ma... quella questione era molto importante per lui. Matt squadrò il suo interlocutore, poi guardò suo padre, sua cugina e gli amici di quest'ultima e strinse le labbra, prendendo una decisione. 
-Vieni con me.- ordinò atono al porcospino, alzandosi in piedi e incamminandosi fuori dalla porta. 
Non ebbe alcun misero dubbio che Blaze lo stesse seguendo, e infatti quando si richiuse l'uscio alle spalle, nel corridoio, non fu colpito da ritrovarselo davanti, una smorfia incuriosita quanto confusa disegnata sul viso. 
-Cosa c'è di così particolare da non potermi dire a meno che non ci sia nessuno a portata d'orecchio?- si insospettì immediatamente il ragazzo, inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia. 
In risposta, ottenne quel sorriso da vampiro, subito seguito da un piccolo impulso di sbuffò stanco mischiato ad una risatina più nervosamente malefica che divertita. Sì, malefica. Era quello il primo denominativo che venne in mente al capocannoniere; non era affatto difficile fiutare un pessimo risvolto di quella conversazione, neanche a distanza di chilometri.
-Ho detto a B di essere venuto per tenere d'occhio mio padre.- ricordò, poggiato con le mani dietro la schiena alla porta, l'americano. -Sapevo che ci avrebbe creduto.- le iridi nero fondente di Axel sgranarono. 
-Perché avresti dovuto mentirle?- inquisì scettico, scrociando le braccia e fissandolo attentamente. Qualcuna delle ciocche color caramella mou gli impedivano di vedere gli occhi verdi del ragazzo che aveva davanti. 
Quello emise un ghigno. -B è una ragazza speciale.- mormorò fra i denti -Però è anche molto cocciuta. Non mi avrebbe dato retta, non subito.- strinse la presa delle proprie dita intorno all'altro polso -E poi...- alzò lo sguardo sul giapponese -C'eri tu.- sibilò con aria consapevole. 
L'interpellato, invece, a parte la sensazione di soggezione e di accusa che si ritrovò addosso, non comprendeva molto su cosa l'americano stesse cercando di andare a parare. -Io?- ripeté socchiudendo sospettosamente gli occhi. 
-Sì, tu.- confermò quello staccandosi dalla porta. -Sei un problema che non avevo minimamente calcolato. Anche i migliori di tanto in tanto perdono di vista qualche particolare. Questo è il caso.- concluse.
Il primogenito della famiglia Blaze aveva spento l'udito a "Sei un problema non calcolato". Che voleva dire? Niente di buono. 
-Senti, dacci un taglio e parla chiaro.- strinse le labbra scure, il che non ebbe il benché minimo effetto su Matthew. 
Quest'ultimo frappose la lingua fra i denti, poi sorrise ancora, sempre meno rassicurante. -Voglio chiedere a Bianca di venire in America con noi.- espose inclinando come allegro la testa, sorridendo con tanta falsa innocenza da far venire un conato -Per rimanerci in pianta stabile. 

Il bomber di fuoco non perse tempo a contare per quanti secondi il suo cuore avesse quasi smesso di battere.
Bianca. In America. Bianca, andare in America...? Okay, se inizialmente il biondo pensava che era meglio andare d'accordo con il cugino della sua ragazza, adesso rifletteva che era di fondamentale importanza concentrarsi sull'impedire a sé stesso di tirargli un pugno. Sì, perché era questo che il suo impulso stava cercando di convincerlo a fare in quel preciso istante. 
-Non accetterebbe.- sussurrò stringendo i pugni -Non lo farebbe. Il Giappone è casa sua.- per entrambi era praticamente impossibile non accorgersi che quell'affermazione non era affatto convinta come sarebbe voluta essere. 
-Mio padre si è lasciato convincere da queste stesse parole. Dette in prima persona, in quella circostanza, ma poco cambia.- osservò l'altro, mantenendo la solida espressione di chi è sicuro di avere la ragione (o la vittoria, a seconda dei punti di vista) nelle proprie tasche. 
-Fammi indovinare: tu no.- fu l'acido commento. 
Il castano ridacchiò. Ancora sinistro. -Quanto siamo perspicaci, Blaze.- si congratulò beffardamente -E' sola, in Giappone. La sua famiglia si trova dall'altra parte del globo.- masticò quelle parole quasi con rabbia -Anche suo padre era orfano, nonché figlio unico. Sua madre, invece, aveva due fratelli, e l'affidamento di Bianca è sotto la tutela di mio padre.- continuò imperterrito, senza lasciar campo a qualche protesta -E quello stupido cosa fa? Le permette di rimanere sola, a Tokyo. Siamo tanti, là. Siamo la sua famiglia.- si passò una mano fra i capelli, per quanto reso possibile dallo chignon nel quale erano racchiusi. 
-Se avesse voluto andarsene l'avrebbe fatto già da un pezzo.- considerò allora il biondo, sempre meno ben disposto nei confronti di quel ragazzo. Chi si credeva di essere? 
-Davvero?- rimbeccò piccato l'altro -Pensi davvero che lo avrebbe fatto? No.- si rispose da solo -Bianca Plus non è il tipo di persona da prendere decisioni su due piedi, ha dei solidi principi da rispettare ed è tutto fuorché irresponsabile.- le braccia conserte intorno al petto, Matt prese un'espressione più che seria -Dopo aver tanto discusso con mio padre per rimanere in Giappone, anche se si fosse resa conto di aver fatto un errore e di sentire la mancanza di quel calore chiamato famiglia, non sarebbe tornata indietro. Perché lei non è un ipocrita.
-Al contrario di te- non mancò di puntualizzare il capocannoniere, per distrarsi dal fatto che il ragionamento del ragazzo filava, era sensato, se non anche giusto. Aveva ragione? C'era davvero la possibilità che avesse ragione? 
Ci fu un falso sospiro rammaricato. -Nessuno è perfetto.- recitò teatrale l'accusato, portandosi le dita aperte sul petto con fare melodrammatico, le pupille rivolte verso il soffitto. -Sì, lo so, sono un bravo attore. Grazie, grazie, niente applausi.- sbottò sarcasticamente mimando qualche inchino, sempre meno realistico. 
-Fai il serio, se ti riesce.
-Ma io sono serissimo, Blaze, ho anche fatto le prove davanti allo specchio.- ancora falsi melodrammi nei quali era facile riscoprire ripieni infiniti di sarcasmo -Non mi pare giusto che biasimi così il mio naturale talento artistico, no?
-Stavamo parlando della mia ragazza, non di te.- fu subito pronto a non fargli dimenticare il suo interlocutore, facendolo tornare serio. 
-Come potrei dimenticarmelo. Ora viene la parte che mi piace di più della nostra conversazione.- era palpabile il sarcasmo, di nuovo, anche perché la smorfia delle labbra di Karver era tutto fuorché compiaciuta, in quel preciso istante, al contrario di tutto il precedente sproloquio da lui messo in atto. 
-Illuminami.- concesse il goleador, non molto convinto a dire il vero ad ascoltare ciò che stava per sentire. 
-Per me sarebbe stato facile, convincerla a venire con noi.- crucciò lo sguardo, inquieto -Se non fosse che c'è qualcosa che la tiene forzatamente ancorata al Giappone.- Axel spalancò gli occhi. Ora stava cominciando a capire. -E quel qualcosa sei tu.- confermò i suoi pensieri il giovane cugino di Bianca. 
-Che cosa--...- come facile immaginare, non gli fu accordato molto tempo per ribattere. 
Infatti, Matthew aveva appena iniziato e interromperlo non gli fu di peso. -Il fatto che ignori quanto tu sia irritante deve voler dire che è sinceramente innamorata di te. Il che offuscherebbe di certo la sua visione delle cose.- continuò infatti -Finché starà con te, non riuscirà mai a capire che con noi, in America, sarebbe più felice. 
Il biondo non ci mise molto a connettere i pezzi di quel puzzle nel suo cervello. -Non romperò mai con Bianca.- comunicò stringendo i pugni -Non per le tue smanie egoistiche di averla con te negli Stati Uniti, puoi anche scordartelo.- aggiunse francamente. 
L'altro non si scompose minimamente, anzi, sogghignò ancora. -Io voglio solo che sia felice.- si giustificò per niente intimidito. 
-Come fai a dire che in America sarebbe felice?
-Come fai a dire che lo sia in Giappone con te? Abbiamo già appurato che non è impossibile che non lo sia. 
Il calciatore riuscì per qualche secondo a sentire i battiti del proprio cuore, come rimbombi di fuochi d'artificio nella notte. 
-Non guardarmi in quella maniera, Blaze. Niente di personale.- gli si avvicinò, quasi superandolo, e quando fu alla sua altezza gli posò una mano sulla spalla per poi sussurrare malignamente: -E come fai a dire che l'egoista fra noi due sia io?- rimase qualche secondo nel silenzio più totale, mentre dall'interno della sala si sentiva un certo silenzio. Si erano accorti della loro assenza.
-Tu..--
-Niente è per sempre, Blaze. Non te lo dimenticare mai. 

- 

Quattro parole: "niente è per sempre". 
In qualche modo, Axel non si sentiva molto bene. Aveva lo stomaco chiuso, nonché sottosopra come un calzino, e aveva anche mal di testa. Il suo sguardo vacillava spesso fra Bianca, la quale stava allegramente parlando con Nathan e Daniel, e Matthew, o meglio, il vampiro, che stava sorridendo gentilmente a Mark, anche se era evidente che non lo stava ascoltando minimamente. 
Sì, era un ottimo attore. Persino i suoi parenti probabilmente non si erano affatto accorti di quanto fosse vipera in realtà. 
Non riusciva a capire perché stava riflettendo così ardentemente sulla conversazione che aveva avuto con quel ragazzo un paio d'ore prima. Oh, aspetta, forse invece lo capiva. Era tanto stupido che stava davvero prendendo in considerazione l'idea che avesse ragione. Cosa... cosa doveva fare? Cosa era meglio fare? 
Se avesse seguito il surrogato di consiglio/ordine ricevuto, avrebbe dovuto lasciare Bianca. Il solo pensiero fece gorgogliare il suo intestino, e una fitta gli bloccò il centro esatto del petto per una manciata interminabile di attimi. Se invece avesse deciso di ignorare il tutto... come avrebbe fatto a comprendere se fosse l'iniziativa giusta o quella sbagliata? Come poteva realmente sapere se Matthew avesse ragione o semplicemente stesse parlando a vanvera per confondergli le idee? 
La domanda principale, però, probabilmente era un'altra. Era così egoistico pensare che con Bianca dall'altra parte del mondo non poteva resistere, che non sarebbe stato più lo stesso di prima?



Angolo della Kyah
Chi mi vuole sopprimere? Sotto a chi tocca. 
Ehh, lo so, sono perfida. Sono molto, molto perfida. 
Tre su due(?) recensioni diranno "Anna tu mi vuoi morta". 
Sco-met-tia-mo? 
Però davvero, preparatevi al peggio. Il prossimo capitolo è tutto nella mia adorata testolina. 
E so anche come farmi perdonare. 
Davvero, devo solo decidere se farmi perdonare nel prossimo o nel prossimo ancora capitolo.
Ho fretta, devo andare al mare -ho voglia di farmi un bagno!!- 
Ciao gente. 
Baci,
                 Anna∞


Dato che sono buona. 
Anteprima del prossimo capitolo, "L'Unicorno [ seconda parte ] ∞ ...tranne gli amici!": 
-Che fine ha fatto il tuo motto? Che fine ha fatto la Bianca Plus che non si arrende mai?!
-Sta dormendo, se riesci a svegliarla fammi un fischio. 
[...]
-Sei il migliore amico e la migliore amica che abbia mai avuto messi insieme. Ti voglio bene, Nathan. 






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Capitolo 24
*** L'Unicorno [2] ...tranne gli amici! ***


L’Unicorno [2] ...tranne gli amici!

Gaaahh, how annoying! – Daniel si allungò sul tavolo della mensa, un’espressione infastidita sul viso, simile a quella di un bambino a cui è stato negato un giocattolo.
Silvia e Camelia si concessero una risatina, mentre Matthew soffiava su una ciocca di capelli per levarsela dal campo visivo con aria irritata; non che si potesse dire che odiasse suo padre, ciò nonostante probabilmente odiava quel lato del suo carattere.
– Bianca deve lavorare, prima di ogni partita ha sempre molto da fare insieme a papà. – spiegò gentilmente la ragazza dalla chioma color lavanda, posando un bicchiere d’acqua davanti al trentacinquenne, che in tutta risposta la squadrò con uno sguardo quasi affranto davvero ed esageratamente eccessivo.
– Sì, però--
– Papà, B non vorrebbe lasciarci soli, ma lo fa per guadagnarsi da vivere. – lo riprese suo figlio, roteando gli occhi al cielo e provocando in Silvia una seconda risatina.
Non per molto comunque, sorrise a quel pensiero Matt, giocando con i propri capelli.
A smontare quel sorriso arrivò la manager dalla chioma verde. – Non solo, Bianca ama davvero molto il suo lavoro. Soprattutto da quando si è messa con Axel, vero? – chiese conferma alla Travis, che annuì sorridente.
Il ragazzo dalla chioma color caramello si costrinse a sorridere. Ma sì, tanto valeva mostrarsi allegro, tanto a lui cosa importava? Meno le persone avrebbero notato che in realtà fremeva per eliminare il capocannoniere dall’esistenza di sua cugina meglio era e poi, tanto lo sapeva già che quel moralista si stava tormentando di dubbi. Alla fine, tutto avrebbe preso la piega che era più congeniale a Matthew, come sempre del resto.
Certo sapeva che c’erano almeno un milione di motivi per odiarlo. Eccome se lo sapeva. Il punto era che né se ne dispiaceva, né se ne compiaceva. A lui non interessava un fico secco del giudizio degli altri. Lui era fatto così e così voleva restare e, a conti fatti, fingersi carino e gentile era sempre stata una pratica naturale e incondizionata. Osservare poi tutte quelle persone cadere nelle trame delle sue ragnatele era tanto soddisfacente che forse, forse gli veniva in mente che essere un menefreghista voltafaccia privo di amici fosse esattamente la sua essenza e anche se avesse potuto, non avrebbe fatto niente per cambiare.
– A breve l’allenatore dovrebbe congedarla, dopodiché cominceranno gli allenamenti mattutini. Che ne dite di assistere? Magari potreste anche fermarvi a pranzo. – Daniel accettò immediatamente la proposta della Woods, che sorrise allegramente.

La bruna controllò un’ultima volta le note appuntate sul suo blocco prima di posarle sul tavolo e passarle all’allenatore con un piccolo sospiro.
– Che c’è che non va? – domandò l’uomo afferrando il quaderno, senza neanche guardarla; oramai la coordinatrice non si stupiva neanche più, si era definitivamente abituata alla continua ed inesorabile freddezza dell’uomo.
Fece un’alzata di spalle. – Solo un brutto presentimento. – mormorò appoggiando il gomito sul tavolo e il mento sul palmo della mano, lasciando vagare il suo sguardo ceruleo fuori dalla finestra. C’era un bel sole, lassù nel cielo azzurro.
– Ma? – incalzò l’adulto, dimostrando di prestare attenzione al tono di voce e ai gesti della ragazza, la quale sorrise appena all’idea. Essere ignorata dai colleghi, specialmente adulti, le faceva sempre salire la bile su per l’esofago.  
Si morse il labbro inferiore. – Penserà che sia stupido, però il mio sesto senso non mi ha mai ingannata, e... sono preoccupata, ecco. – confessò contornando con un altro sbuffo.
– Il tuo sesto senso si riferisce a qualcosa riguardante la partita? – si informò ancora Percyval, e la Plus si dovette sforzare per non guardarlo di traverso. Ovvio.
– No... non credo, almeno.
– Bene, – commentò il suo interlocutore, indietreggiando con la sedia per alzarsi in piedi, il blocco di appunti di Bianca stretto sotto il braccio. – allora non pensarci. Andiamo, l’allenamento non può iniziare senza di noi. – le ricordò ignorando totalmente l’alzata al cielo che le iridi della ragazza ebbero, probabilmente in un riflesso incondizionato.

Axel scrutò le figure dell’allenatore Travis e della coordinatrice della squadra avvicinarsi al campo d’allenamento, mentre la sua mente era divisa a metà fra il seguire distrattamente la conversazione che stava tecnicamente avendo con Austin e Kevin e il riflettere. Erano quasi due giorni che non faceva altro che pensare, pensare e ancora pensare, tanto che la testa gli stava scoppiando.
E le sue riflessioni avevano un solo ed unico comune denominatore: Matthew Karver, chi altri?
Quando fu abbastanza vicina, Bianca sollevò la mano per fare un saluto generale ai giocatori, e il biondo avvertì una fitta allo stomaco osservando quel sorriso inconsapevole. Non l’aveva mai vista così innocente, mai. Certo, perché per una volta a recitare la parte di chi nascondeva i proprio pensieri era lui, e probabilmente (no, sicuramente) anche il vampiro, che tra parentesi stava arrivando al seguito di suo padre. Anche il solo vederlo gli fece venire una rabbia...
– Ottima espressione da mettere su all’arrivo della tua fidanzata. – considerò una voce alla sua sinistra, e trasalendo il capocannoniere incontrò gli occhi divertiti di Nathan e quelli perplessi di Austin e Kevin, i quali non si erano evidentemente accorti di niente.
Il biondo si voltò in un’altra direzione. – Ero sovrappensiero. – non mentì in effetti, ma il difensore socchiuse le palpebre continuando a squadrarlo sospettoso per qualche attimo. Axel sentì di star cominciando a sudare freddo. Perché la sua ragazza aveva tanti amici con un ottimo e spropositato spirito intuitivo in campi che vastavano l’intera conoscenza umana? Sfuggendone ad uno, ne beccava un altro di sicuro...
– Allora signori rappresentati del Giappone, il momento di fare gli stoccafissi è finito, è il momento degli allenamenti! – li fece sussultare tutti la voce squillante di Celia, appena arrivata.
Frattanto che qualcuno si chiedeva come fosse possibile che quella ragazza tutto pepe e giovialità fosse sorella del cupo, riservato e posato Jude Sharp, il resto dei giocatori decise di seguire quell’ordine e di correre in campo, mentre le manager sistemavano ciò che dovevano sistemare.
L’allenamento volò via così rapidamente che Blaze quasi non se ne accorse minimamente. La cosa di cui il numero dieci si capacitava di meno era che, nonostante il cocente nervosismo che gli attanagliava lo stomaco, riusciva a giocare esattamente come al solito; c’erano stati momenti in cui non era riuscito a concentrarsi, in passato, a causa di qualche problema personale. E adesso, invece... cosa stava a significare? Che si stesse preoccupando troppo mentre il suo subconscio aveva già capito che non c’era nessun motivo di angustiarsi? Inverosimile.
Stava cominciando a fargli male la testa... il freddo di una delle solite bottiglie arancioni sulla sua guancia lo scosse dai proprio pensieri, e voltandosi trovò il sorriso divertito di una certa corvina. Ebbe la tentazione di gridare per la frustrazione. Il suo guardarlo con quegli occhi luminosi ed essere sempre così carina non aiutava granché a riordinare le idee... anzi, tutto il contrario!
– Bevi un po’, se non vuoi morire disidratato! Stupido! – lo rimproverò lei, quasi come una mamma, abbandonando la bottiglia fra le sue mani per puntargli l’indice contro. – Giuro che se ti ammali ti faccio secco, hai capito? – aggiunse assumendo un’espressione mista fra il severo e il sinceramente buffo. Quella... non era normale.
Il ragazzo le si avvicinò appena. – Trovo adorabile il tuo modo di preoccuparti per me, lo sai? – sussurrò appena, prima di stamparle un bacio sulle labbra che la fece, come al solito, avvampare, specialmente perché erano in mezzo a tutti. Dal canto suo, Axel sentì il nervosismo di Matthew salire alle stelle anche se erano distanti di qualche metro e sì, fu una sensazione fantastica.
Anche Scott pensò bene di divertirsi un po’. – Prendetevi una stanza, voi due! –  gli urlò dietro.
Imprudente, pensarono tutti i presenti, persino Hurley che per una volta si era accorto dell’idiozia che il ragazzino aveva dimostrato con quella semplice frase.
I due fidanzati si staccarono. – Io vado e l’ammazzo. – sibilò assassina la bruna.
– Fai pure. – fece spallucce quell’altro, voltandosi e allontanandosi da lei, la quale stava cominciando a sviluppare intorno a sé un’aura negativa non troppo rassicurante.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte e presto, mentre gli altri decidevano se fissarli alla “Te l’avevo detto” o ridacchiare imbarazzati oppure esasperati, il più basso della rappresentativa giapponese correva in giro per il campo come un cervo braccato, tra l’altro da una ragazza meno agile di lui e con i tacchi ai piedi, ma che comunque gli stava dando filo da torcere. Che per una volta non era la Hills, che comunque di tacchi non ne portava...
Matthew era però occupato a mandare maledizioni alla punta della squadra, che si era fermato proprio accanto a lui; nonostante il sorrisetto sornione, tuttavia, Blaze era visibilmente turbato.
– L’hai fatto apposta per farmi venire il nervoso, vero? – bisbigliò l’americano flebile, in modo che nessuno, neanche le persone più vicine, potesse sentirlo e con un tono così carico d’odio da fare spavento.
Il biondo non lo guardò nemmeno (sinceramente lo fece per non perdere sicurezza una volta incrociato quelle iridi innaturali!). – Io amo baciare Bianca. – gli comunicò allo stesso volume di voce – Dare fastidio a te è prendere due piccioni con una fava.
– Smettila di fare queste batture irritanti. – intimò quell’altro portando lo sguardo verso sua cugina.
– Anche lei me lo diceva sempre, eppure alla fine si è innamorata di me. – chiuse le palpebre, un’espressione di scherno dipinta sul volto. – Spero vivamente che tu non finisca allo stesso modo.
– Idiota. Ti odio ogni minuto di più, porcospino platinato.
– Il sentimento è completamente reciproco, vampiro caramellato.

Bianca sedette nervosa davanti al pranzo che le manager avevano preparato per i ragazzi mentre lei, ehm, si dilettava nel cercare di raggiungere Scott per squartarlo vivo. Non che avesse intenzione di farlo davvero, ma già faticava molto a sopportare le effusioni del suo fidanzato in pubblico, e come se non bastasse ci si metteva quel maniaco dei dispetti?! Per sua fortuna, Shawn l’aveva fermata in tempo, prima che potesse dargli una sonora lezione.
E facendo finta di ascoltare il modo in cui il numero nove le consigliava di cercare di ignorare in tutti i modi le provocazioni che riceveva, la corvina stava attualmente contando fino ad un numero indeterminato sperando che quelle scemenze sul fatto di contare fino a dieci per recuperare la calma fossero veritiere; beh, lei era arrivata a centosette e ancora aveva un diavolo per capello.
Bibì, do you mind if we go to visit the American zone this afternoon? – le chiese suo zio, protendendosi verso di lei.
La bruna depositò il mento sulle mani e lo scrutò assente. – Fate pure, io dovrei comunque lavorare... devo anche cercare qualche altra informazione sull’allenatore dell’Unicorno. – prese stancamente le bacchette con la mano e cominciò a torturare la carne che stava sul suo piatto.
– Peccato però, – considerò apparentemente spontaneo Matt, – ci vediamo così raramente, e anche quando siamo nello stesso posto finiamo per non vederci quasi per niente. – nessuno si accorse che mentre le sue labbra si piegavano in una smorfia dispiaciuta, i suoi occhi puntavano su Axel, il quale fu l’unico a cogliere quell’implicita e maligna sfida.
La Plus addentò un pezzo del suo pranzo, abbassando il viso verso quest’ultimo. – Hai ragione. – borbottò con un sospiro. – Mi spiace dover lavorare e non poter stare con voi.
Mai frase più innocente provocò così tanti cambiamenti improvvisi nella mente di Axel Blaze.
Il ragazzo dalla lunga chioma color caramello (quel giorno raccolta in una sinuosa treccia, sembrava proprio una femmina) ghignò, perfettamente cosciente di come tutto stesse accadendo a pari passo con i suoi piani. E una volta caduti nella ragnatela di Matthew Karver, uscirne era molto complesso. Era arrivato ad un punto al quale non provava quasi più un vero gusto nel vincere ogni volta... no, invece era meraviglioso sempre e comunque. Specialmente quella volta.
Quel sorriso da vampiro, semi nascosto dalla sua ottima abilità recitativa, rimase lì anche quando i due americani salutarono gentilmente tutti i loro nuovi amici per andare a fare un giro nella zona americana, dove Daniel aveva deciso che doveva fare chissà cosa che nessuno aveva capito.

– Pensi mai ai tuoi parenti in America? – la voce del ragazzo risvegliò la mente della coordinatrice la quale, sdraiata sul proprio materasso e con la testa bionda di lui appoggiata sullo stomaco, stava cadendo in una fase di dormiveglia per la stanchezza. Avevano ancora un paio d’ore prima dell’inizio dell’allenamento, e loro come gli altri aveva deciso di prendersi un po’ di meritato riposo. Il motivo per il quale erano finiti entrambi nella stanza della ragazza non lo sapevano.
Lei sbatté le palpebre, perplessa. – Perché mi fai questa domanda? – replicò incuriosita.
– Tu rispondimi e basta. – tagliò corto il ragazzo, stringendo la presa intorno alla mano più chiara e affusolata della propria che si trovava a qualche centimetro dal suo viso.
A guardare le loro dita intrecciate era carino notare il contrasto di colore, sembravano piccoli petali di rosa sospinti sulla superficie di un tè, a galleggiare come biscotti nel latte. Bianca sorrise delicata a quel pensiero.
– ...Continuamente. – ammise socchiudendo dolcemente le palpebre – Qualsiasi cosa faccia, c’è sempre un lato di me che pensa continuamente alla mia famiglia. – strinse anche lei, sempre maggiormente. – A quella laggiù in America e... a quella lassù in cielo. Non è normale?
Anche Axel assottigliò lo sguardo, ma con un’ombra decisamente più melanconica a coprire le iridi di un profondo caffè nero. – Sì, è... normalissimo. – esalò a fatica, masticando quell’ultima parola con un efferato senso di rammarico per ciò che stava pensando.
Stava pensando che se Matthew non era nessuno per decidere, non lo era di certo neanche lui. L’unica persona che avrebbe potuto decidere cosa sarebbe stato meglio fare non poteva essere nessuno se non la diretta interessata, che per ironia della sorte non aveva la minima idea di cosa scuoteva l’animo del suo ragazzo e di suo cugino da già un paio di giorni.
Il punto era che... in parte l’odioso vampiro aveva ragione. Finché Bianca si fosse sentita così vincolata a lui, probabilmente non sarebbe mai riuscita a prendere una decisione a mente lucida; era pur vero che fare i comodi di Matthew e rompere con lei avrebbe comportato un vantaggio a favore dell’idea di andarsene in America, e ancora non avrebbe scelto razionalmente.
O almeno, una ragazza normale avrebbe fatto così... però... cosa avrebbe dovuto fare? Ormai il tempo era poco. Se voleva essere sicuro che la corvina avrebbe condotto la sua vita senza il benché minimo rimpianto, avrebbe dovuto trovare una soluzione prima della partita! Assolutamente! Il cuore mancò un battito; inequivocabile segno che, a parere del suo subconscio, l’idea meno pessima era... dare ascolto al vampiro, anche se solo per metà. Il punto era che non sapeva se avrebbe resistito, ecco! E se alla fine avesse avuto ragione Matthew su tutti i fronti? Cosa avrebbe fatto lui?
Se tempo prima, quando lei era diventata la coordinatrice della Raimon, gli avessero preventivato che avrebbe sofferto così tanto alla sempre più verosimile. idea di vederla sparire per sempre dall’altra parte del pianeta rispetto al Giappone, probabilmente avrebbe tentato con più volontà a non innamorarsi di lei. Si rese conto solo in quel momento che probabilmente, quella volta, durante la partita con i Fire Dragon... lei si fosse sentita allo stesso modo. E lui l’aveva anche presa in giro, dopo! Era stato ed era ancora un grandissimo idiota.
E, a maggior ragione, – Bianca, ti devo parlare. – scattò rapidamente seduto, lasciando la mano della sua ragazza e stringendo i pugni intorno alla stoffa del lenzuolo che ricopriva il materasso. – Di una cosa importante.
L’interpellata fece una mezza smorfia e buttò lì un principio di risata nervosa, sollevandosi a sua volta. Il suo sesto senso non le aveva mai mentito. – C-Cosa c’è? – inquisì afferrandosi una ciocca di capelli e iniziando ad accarezzarla morbosamente, nervosa.
– Ecco... – cominciò senza degnarsi di voltare lo sguardo verso di lei. Pessimo segno. – E’ probabile che domani mi prenda a calci per aver anche solo pensato ciò che sto per dirti. – proferì esaminando con ostentata calma le proprie scarpe. Il sussulto di Bianca gli fece riconsiderare l’idea di essere sano di mente, mh.
– Aspe—no... – spirò istintivamente la sua interlocutrice – Ti prego, dimmi che non è quel “Ti devo parlare”! – fece per mettergli una mano sulla spalla, ma non lo fece. 
– Okay, non te lo dico. – qualcosa nel suo stomaco bloccò la mano a qualche millimetro dal corpo di Axel, prima di ritrarla e farle toccare con debolezza le labbra della propria detentrice.
Quest’ultima percepì come un blocco di cemento precipitarle direttamente al centro del petto; faceva improvvisamente freddo, lì dentro. Molto freddo. Tanto che le venne quasi l’istinto di rimettersi la giaccia di pelle, momentaneamente appoggiata non molto lontano da lei sul letto. Sapeva che prima o poi sarebbe successo. Lo sapeva. Con una come lei, nessuno sarebbe resisto molto. E allora perché lei si sentiva così male? Perché sentiva di essere così impreparata ad una cosa così prevedibile? Sapeva che sarebbe accaduto. Però aveva sempre sperato il contrario.
– Mi stai lasciando. – dichiarò a tono incrinato, osservandosi le dita, quelle stesse dita che fino a poco prima erano intrecciate a quelle del ragazzo che amava, a iridi sgranate e frementi, le palpebre cominciavano già a pizzicare. Qualcosa si era spezzato. E anche dolorosamente.
Dal canto suo, il biondo spalancò gli occhi e si morse le labbra scure, stringendole fra loro. Perfetto, lui che aveva desiderato con tutte le sue forze di non dover mai pronunciare quel verbo era stato anticipato. Non si aspettava che avrebbe fatto così male anche a lui, sentirlo dire da lei.
– Capisco. – ecco, questo era peggio. La voce della bruna si era affievolita di botto, il suo viso era così rivolto verso il basso che anche guardandola, il cannoniere non avrebbe potuto vedere i suoi occhi azzurri; meglio così, considerato che si stavano offuscando di laceranti lacrime. – Mi sembra di essermi svegliata da un sogno. – mormorò ancora impercettibile – E’ così, vero? Fino ad adesso ho sognato. Ho solo fatto un lungo e... bellissimo... stupido sogno.
– La vuoi smettere di rendere tutto più difficile?! – esclamò d’istinto il ragazzo, afferrando le proprie ginocchia con le mani. – Pensi che sia una decisione presa a cuor leggero?! – aggiunse.
– Non lo penserei se, per esempio, sua signoria si abbassasse a darmene una ragione! – rimbeccò quell’altra, frattanto che qualche lacrima, pioggerella prima della tempesta, rivolasse giù per le sue gote nivee, arrossate da tanti sentimenti contrastanti. – Me ne basta uno! Un motivo!
Una ragione. Un nome, sette lettere. M. a. t. t. h. e. w.  Probabilmente dirglielo sarebbe stato un altro fattore che avrebbe reso meno lucida la visione di Bianca della situazione. Sarebbe stato lecito dirle che non era colpa sua se suo cugino ci sapeva fare con le parole e i piccoli inganni, ciò nondimeno... il suo odioso stomaco e il suo odiosissimo cuore gli impedirono di parlare.
Rimasero così, in un silenzio tombale, per qualche manciata interminabile di secondi lenti e ricolmi di sentimenti tanto negativi da spezzare il fiato, far venire mal di testa. Finché la coordinatrice decise di infiammare quella situazione odiosa con una squarciante esclamazione ricolma di risentimento; insomma, cosa aveva quell’idiota, la lasciava senza il benché minimo motivo?!
– Sai cosa?! – gridò fuori di sé – Sei un grandissimo stupido! Vai a farti ibernare! – si alzò di scatto dal letto, dimentica di trovarsi nella propria stanza, e corse fuori, sbattendo la porta, lasciando il primogenito della famiglia Blaze a decidere se fosse stupido o no piangere pure lui.
Al di fuori, la giovane Plus si appoggiò con la schiena al legno della porta e lasciò che un singhiozzo le lasciasse le labbra, seguito subito da un altro, e un altro paio. Aveva tanta voglia di correre, andare via, sparire, sfogarsi in qualche modo. Perché non farlo?, propose una voce nella sua testa e senza farselo ripetere due volte, le gambe della ragazza partirono per la loro strada.

Camminando per i corridoi, l’ex membro del club di atletica della Raimon Junior High tutto si aspettava tranne di essere travolto dalla sua migliore amica che correva tanto veloce da non averlo nemmeno visto; la cosa più incredibile era che, spostata dal vento provocato da quella rapida corsa, una lacrima gli piombò sul viso. Oh santo cielo. Il turchese ebbe un secondo per riflettere e mettersi a correrle dietro.
– Bianca! Ehi! – la chiamò e, sebbene lei avesse sicuramente sentito, la risposta non arrivò.
L’unica possibilità del difensore di capire perché la sua amica stesse piangendo a quel modo era seguirla finché non l’avesse raggiunta o finché lei non si fosse fermata. Assurdo era come riusciva a correre, quella ragazza, pur portando tacchi. Non era pericoloso? Non rischiava di slogarsi una caviglia o qualcosa del genere? Nathan davvero non capiva. O meglio, capiva, ma preferiva evitare di pensare a ciò che stava pensando, quantomeno fino a che non fosse stato necessario.
Quel surrogato di inseguimento percorse quasi tutto l’albergo, per poi risituarsi all’aperto; solo quando la ragazza fu arrivata alla rete che separava il campo d’allenamento dal resto del mondo fu costretta a fermarsi, anche se era evidente che si sarebbe arrestata comunque, siccome le sue gambe cedettero per il troppo sforzo, facendola cadere in ginocchio. Appendendosi alla rete metallica, incurante del fatto che potesse vederla qualcuno, Bianca lasciò liberi i singhiozzi di fare quello che più aggradava loro, ovvero risuonare nell’aria circostante.
Il numero due si bloccò a pochi centimetri da lei, sconcertato. Non l’aveva mai vista piangere. Mai.
– B. – la chiamò accovacciandosi accanto alla quindicenne, scuotendola per la spalla. – B, mi sto preoccupando. Dimmi che stai bene. – si spostò appena la grande ciocca che gli copriva l’occhio.
L’interpellata si voltò a fatica verso di lui, il viso completamente irrorato d’acqua. – Perché dovrei mentirti, Nath. – saltò su, ovvia, il labbro tremante.
Agendo totalmente in balia del suo impulso, la corvina afferrò la stoffa della felpa del suo migliore amico e lo tirò a sé, appoggiandosi con il viso al suo petto, in una sorta di goffo abbraccio. Dopo qualche attimo di esitazione e stupore, l’azzurro socchiuse gentilmente le palpebre e le cinse la schiena con un braccio, lasciando che gli piangesse letteralmente addosso.
– Nath! – emise roca a causa del pianto – Io lo sapevo, sapevo che sarebbe successo, me lo sono sempre immaginato!... – si sfogò, dando per scontato che, andando avanti con il discorso, il ragazzo avrebbe capito. Anche lui dava per ovvio questo fattore. – Eppure, perché... perché sto così male, Nath? Perché non riesco a smettere di piangere? Perché mi sento così vuota, Nathan!? – alternando così i singhiozzi alle parole liberate dal suo flusso di pensieri, stava lentamente raggiungendo un punto nel quale sarebbe riuscita a ricomporsi. Un po’. – Non ha voluto darmi neanche una ragione, ti rendi conto?! Perché non mi ha voluto dire niente?! Quell’idiota... irritante della malora... così, di punto in bianco...!! – respirò profondamente, permettendo a Swift di riordinare le informazioni e metabolizzare che il capocannoniere dell’Inazuma Japan era un idiota. Colossale, anche.
– Ti ha lasciata. – sussurrò sovrappensiero, misto fra la sorpresa e l’autentica rabbia. Quello scemo era innamoratissimo di Bianca! E cosa si inventava? Rompeva con lei?! Non aveva senso!
La sua amica annuì. – Probabilmente... – iniziò fievole – chiunque l’avrebbe fatto. Io sono insostenibile. Non esiste qualcuno che possa stare con me a lungo termine... era troppo bello per essere vero. Forse dovrei arrendermi per un po’. L’illusione della felicità non fa per me. – si sospinse via dal turchese e si sedette, gambe al petto e testa fra le ginocchia, appoggiata alla rete.
Ci fu un momento, uno solo, di calma. E poi. – EH?! – inarticolò Nathan, mettendosi sulle ginocchia e protendendosi verso di lei – Arrenderti!? Tu?! – la giovane dai capelli color carbone lo osservò con la punta dell’occhio. – Che fine ha fatto il tuo motto? – continuò il ragazzo, indignato. – Che fine ha fatto la Bianca Plus che non si arrende mai?!
– Sta dormendo, se riesci a svegliarla fammi un fischio. – tornò a dedicarsi al buio fra le sue gambe.
Il coetaneo boccheggiò. Era anche capace di fare battute su una cosa del genere, ah.

Si appoggiò a sua volta al metallo e raccolse le gambe con il braccio; e poi si appoggiò con la testa sulla spalla della sua amica del cuore. Che ragazza stupida che era. Percepì sotto la propria guancia la confusione della coordinatrice, tuttavia la ignorò completamente e andò a cercare la mano chiara della ragazza per intrecciarla alla sua, sul terreno.
– Nath... – quel soprannome svolazzò in mezzo a loro sospinto da un refolo di vento.
Lui sbatté le palpebre e sorrise. – Voglio svelarti un segreto. – ridacchiò sommessamente, incuriosendola ancora di più. – Ci sono persone che riescono a fare tutto al primo colpo. – enunciò con aria seria – E persone che dopo aver provato un po’, si arrendono. – avvinghiò meglio le dita a quelle di Bianca. – E poi, ci sono persone testarde... che non mollano mai... e sono disposte a provare e riprovare all’infinito... finché non vincono. – sollevò la testa per guardarla – Come te, e Mark, ad esempio!
– Mark... e io? – ripeté l’altra, prendendo un cipiglio insicuro.
Il difensore annuì con la testa, lo sguardo e le palpebre. – Forse è per questo che siete voi due i miei amici più cari. – considerò sospirando sorridente – Penso che sia per compensare le mie insicurezze... io sono sempre stato quel tipo di persona che una volta sentitosi davvero inadeguato, finisce per arrendersi. – un velo di tristi ricordi si abbatté sulle sue iridi castano nocciola.
– Stavi bene con i capelli sciolti.
– Non dirlo neanche per scherzo! – arrossì indispettito.
– ...Ti avrei preso volentieri a schiaffi, quel giorno.
– Ah, ecco. Ora sì che ti riconosco. – dopo due secondi. Scoppiarono a ridere come due stupidi. 

 
Bianca non avrebbe mai capito il perché, malgrado ciò sentiva un grande sollievo. Anche se il dolore continuava a proliferare gelido fra i suoi pensieri e le sue emozioni, più stringeva la mano di Swift e più provava tranquillità, pace. Non avrebbe mai potuto credere, anche solo un anno prima, di potersi sentire così a proprio agio con un ragazzo, così tanto da dirgli qualsiasi cosa.
Fidarsi ciecamente di una persona e ricevere la stessa fiducia... uno scambio inscindibile di affetto che sembrava voler crescere di giorno in giorno per il resto della vita... era questo che significava, essere amici sul serio? Condividere un qualcosa che non si poteva condividere neanche con la persona amata? Sentirsi sollevati anche dopo una botta violenta, solo stando vicini?...
– Che meraviglia. – stavolta toccò a lei poggiarsi sul suo amico, il quale sorrise dolcemente.
– Cosa? – le scostò un paio di ciocche scure dalla fronte con la mano libera.
– Avere incontrato te, nel corridoio, e non qualcun altro. – spiegò – Si sta così bene, qui con te.
Il turchese respirò profondamente, posando la gota sul capo dell’amica del cuore. – E’ perché siamo amici.
– Non ho mai avuto un amico come te. E sai perché?
– No, perché? – doveva ammetterlo, era davvero curioso.
Bianca si morse il labbro inferiore, dopodiché rise delicatamente. – Nella mia vita, anche prima dell’incidente... – cominciò abbracciando il braccio del difensore (e sbilanciandosi, si sarebbe sporcata tutta di sicuro) – Non sono mai stata una ragazza perfetta. Permalosa, pignola, orgogliosa, a volte persino antipatica, impaziente e scontrosa... – l’azzurro si segnò mentalmente di dover contrassegnare quel giorno sul calendario: Bianca Plus che elencava e ammetteva i suoi difetti? Cos’era, il giorno dei miracoli? – E tutti – riprese la ragazza – Tutti mi hanno sempre detto, almeno una volta, che avrei dovuto fare qualcosa per il mio carattere. Sempre, ovunque mi voltassi, c’era qualcuno che mi diceva “Sii più paziente”, “Controlla la tua rabbia”, “Dovresti cambiare!”, e via dicendo. – chiuse gli occhi, come infastidita dal ricordo. – C’è solo una persona che non mi ha mai chiesto di cambiare, neanche scherzando. E che, anche quando avrei potuto essere migliore e non lo sono stata, è sempre stata con me, sostenendomi con pazienza. Nath... questa persona sei tu.

 
– Smettila di tessere le mie lodi, – disse arrossendo imbarazzato – mi imbarazzi.
– Lo so, ti conosco, ma... – lo abbracciò ancora – Sei il migliore amico e la migliore amica che abbia mai avuto messi insieme. Ti voglio bene, Nathan.
– E Nathan vuole bene a te... ma cosa significa che sono anche la migliore amica?!



N/A
Allora... partiamo dicendo che in due settimane non ho saputo fare di meglio.
Nella mia testa la scena della rottura era ben definita, ma scriverla è stato talmente pesante per la vostra povera condizionabile Anna, e quindi ecco il risultato. Biasimatemi pure.
La parte con Nathan invece mi è venuta tutta di getto. So di essere pessima, ma mi farò perdonare! State sicuri! Non dovrei metterci molto, a scrivere il prossimo capitolo... è tutto nella mia testa— e stavolta dico sul serio ;u;
Beh, devo andare. Ormai ho deciso di darvi sempre una piccola anteprima, sicché sono tanto lenta… così almeno non mi linciate—credo—neh? c:
 


Anteprima del prossimo capitolo, “L’Unicorno [ terza parte ] ∞ Una partita senza coordinatrice
“– Ascoltami bene, Matt, te lo dirò una volta sola... sei uno scemo!
[...]
– Adorabile.
– Io sono perfettina, ricordi? Non ho bisogno di essere adorabile.
[...]
Sorry, è che... in questo momento... mi ricordi così tanto... la mia adorata sorellona... Scusatemi. – con gli occhi coperti dalla propria mano, Daniel spostò il viso in un’altra direzione. Matthew strinse le labbra, stupito; non aveva mai visto suo padre piangere per la zia Melanie.

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Capitolo 25
*** L’Unicorno [3] Una partita senza coordinatrice ***


L’Unicorno [3] Una partita senza coordinatrice
//Ecco a voi un capitolo lungo d://


Bianca strinse a sé il suo block notes, sospirando; appoggiata con la schiena alla carrozzeria blu del caravan della squadra, scrutava i propri piedi, quasi preoccupata. A distanza di massimo un’ora si sarebbe svolta la partita tra l’Unicorno e l’Inazuma Japan, e lei si sentiva tremendamente in colpa nei confronti dei suoi amici. Si sentiva in colpa perché non gliene importava un fico secco.
Anche perché quando tentava di pensare alla squadra e la torneo, beh... gli veniva in mente una certa persona. Che cosa brutta, il mal d’amore. Tanto lei lo aveva sempre saputo che non si sarebbe mai dovuta neanche lontanamente interessare ad Axel, e ora che stava così male sperava solo che ne valesse almeno la pena per far capire al suo stupido cuore di lasciarle vivere l’adolescenza in pace!
Mano a mano, anche gli altri arrivarono. La maggior parte dei ragazzi si stupì un po’ di vederla già lì, solitamente arrivava per ultima insieme all’allenatore, dato che generalmente sistemavano insieme gli ultimi dettagli. Pensandoci bene, la Plus era l’unica che poteva dire di conoscere Travis.
Dal canto suo, la corvina si limitò a qualche cenno con la mano e ad un’occhiata melanconica all’indirizzo del capocannoniere, il quale ovviamente se ne accorse. Come da manuale. La ragazza si voltò di scatto e giocherellò per qualche secondo con i propri capelli, sospirando ancora.
Non mancò di notare inoltre che anche Silvia sembrava molto nervosa: che c’entrasse il fatto che fra gli avversari di quella partita c’erano i suoi amici d’infanzia? Era ben più che probabile. La verde le forzò un sorriso, sicuramente inconsapevole che tanto si leggeva sul suo viso che non era del solito umore positivo e allegro. Era davvero faticoso rimanere felici ventiquattrore su ventiquattro.
Finalmente arrivò anche il mister che, per prima cosa, ignorò i suoi giocatori e avanzò per arrivare davanti alla coordinatrice; quest’ultima si staccò dal pullman, pronta a prendersi un rimprovero davanti a tutti quanti per non aver rispettato la normale routine (non che ce ne fosse mai davvero il bisogno, comunque...), senonché...
– Bianca. – la chiamò, come a specificare ulteriormente a favore dei presenti che la severità nei suoi occhi scuri era diretta solo ed unicamente alla sua collega, la quale ebbe un brivido di soggezione. Quell’uomo a volte la spaventava proprio. – Oggi non assisterai alla partita.
– Che? –
Il cuore della quindicenne effuse un singulto tale che quasi non se ne accorse neanche lei.

Come prevedibile, il silenzio fu generale mentre Bianca scrutava interdetta, a palpebre spalancate, labbra schiuse per lo sconcerto e iridi sgranate, l’uomo. Travis non batté ciglio, incurante come sempre, al contrario dei giocatori che parvero decisamente sorpresi.
– Ma mister... – provò a protestare Jude, incrociando le braccia – Ne è sicuro? – il regista si ritrovò squadrato dall’interpellato, e decise di prendere quell’occhiata per un “Sì”.
La bruna abbassò le braccia lungo i fianchi e strinse i pugni. Il blocco cadde. – Perché? – emise non troppo convinta, senza alzare lo sguardo; aveva troppo timore di conoscere la risposta.
– Hai la testa da un’altra parte. – replicò pronto quello – Nel tuo stato attuale, non saresti minimamente in grado di compiere il tuo dovere. – aggiunse.
La ragazza contrasse i muscoli del viso in una smorfia mortificata. Era vero. Era completamente vero e lei lo sapeva perfettamente. Non era affatto in grado di lavorare, non in quel momento. Il suo lavoro si basava nell’intero complesso su qualcosa il cui pensiero le faceva male. Era molto meglio non essere d’impiccio all’allenatore, piuttosto che dannarsi l’anima seduta in panchina. Tanto cosa cambiava, a lei? Era ben consapevole che non avrebbe seguito la partita comunque.
Malgrado ciò, però... quella situazione le faceva una rabbia incredibile. Era in grado di percepire l’inquietudine risalire acida su per la gola, e quella si chiamava ira. Ira furiosa e funesta.
– Mister! – richiamò l’attenzione di tutti il capitano, portandosi i pugni sui fianchi – Bianca ha sempre assistito a tutto le nostre partite in qualsiasi occasione! Perché dovrebbe smettere? – i suoi compagni lo fissarono in un misto fra il totale accordo e l’esasperazione: aveva ascoltato quello che l’uomo aveva detto come tutti loro, eppure rimaneva sempre una testa dura.
L’imputata (sì, si sentiva come una condannata al patibolo) forzò un sorriso tirato solamente per evitare di farlo preoccupare. – Ha ragione l’allenatore, Mark. – ridacchiò nervosa. Si capiva perfettamente che si stava malamente sforzando per apparire serena. – Non... sono nelle condizioni adatte per lavorare. Scusatemi. – si accovacciò un attimo per afferrare il blocco di appunti, sotto lo sguardo malinconico e stupito dei suoi amici. – Non fate quelle facce, ho solo bisogno di riposarmi. – mentì spudoratamente. Tutti se ne accorsero, persino l’ottusissimo portiere. – Sì, mi rilasserò un pochino... fa male lavorare troppo, d’altra parte. – frattanto che il suo tono si affievoliva era palese il fatto che stesse cercando di convincere più sé stessa che gli altri. Sospirò evitando di incontrare il viso di chiunque. – Allora me ne vado. In bocca al lupo ragazzi, metteteci l’impegno, eh?
Fece per incamminarsi, ma Travis la fermò ancora. – Un’ultima cosa. Non solo non dovrai venire allo stadio, non devi guardare la partita in nessun caso.  
Non ci furono proteste, solo un sussulto involontario e un labbro inferiore morsicato per il nervosismo. Sempre di più, la rabbia le cresceva sempre di più nello stomaco. Non proferì parola e cominciò a camminare veloce, a grandi falcate, per allontanarsi il più possibile dal caravan mentre i suoi coetanei vi salirono sopra; dopo l’allenatore, mancava solo Axel.
– Ehi, Bianca! – la interpellò titubante, osservandola tristemente allontanarsi.
Lei si voltò di scatto, furente, e lo squadrò di traverso. – Se sono distratta è colpa tua! Non voglio avere a che fare con la tua faccia per un po’, okay?! – gli gridò contro prima di girarsi di nuovo e accelerare per sparire più in fretta possibile.
Il biondo rimase lì fermo per una manciata di secondi, poi salì rapido quando Celia lo chiamò. L’aveva vista. Mentre gridava, Bianca aveva inavvertitamente lasciato andare una piccola lacrima lungo la guancia, unica e solitaria lucciola fredda che lui aveva visto bene nonostante la distanza.

Il viaggio fino allo stadio fu tremendo dall’inizio alla fine, per il numero dieci. Perché? Oh beh, molto semplice. Tutta la squadra fremeva perché per prima cosa, avevano sentito quel che la ragazza gli aveva urlato poco prima che l’autobus partisse, e per seconda cosa Nathan aveva ben pensato di rispondere al suo posto alle domande degli altri. Che fastidio, anche lui era capace di dire agli altri che aveva lasciato Bianca, no?!... no, non lo era per niente. Chi voleva prendere in giro?
Shawn, accanto a lui, si schiarì la gola per attirare la sua attenzione. Forse, Blaze avrebbe preferito non rivolgergli lo sguardo perché, ovviamente, l’occhiata dell’albino era fin troppo eloquente.
– Sei un idiota. – sussurrò solo con decisione il numero nove quando fu sicuro di essere ascoltato, anche se a un volume di voce abbastanza basso. Il biondo si trattenne dall’annuire. Certo che lo era.
– Ah sì? – fu in grado di esalare, prendendo a guardare con aria un po’ malinconica il tetto del bus.
Frost sospirò nervoso. Nervoso, lui. Evidentemente il bomber l’aveva combinata proprio grossa. – Fai poco l’ironico, Axel. – risposta affermativa, mh. – Cosa ti dice il cervello?
– Mah, che sei in qualche modo scontento del fatto che la ragazza che ami adesso non è più fidanzata, ad esempio. – replicò senza pensarci, incrociando le braccia dietro la testa, facendo sobbalzare così tanto il ragazzo di Hokkaido che quasi lo notarono anche Jude e Hurley, seduti dietro di loro. – Credevi sul serio che non me ne fossi accorto? – aggiunse voltandosi nuovamente verso l’amico, socchiudendo appena le palpebre dei suoi profondi occhi nero fondente con fastidio.
Shawn sbatté le palpebre un paio di volte, perplesso; e non ne aveva forse ragione? Dopotutto, che senso aveva innervosirsi a quel pensiero, per il capocannoniere, se era stato lui a troncare con Bianca? Beh, forse troppo poco affinché la perplessità fosse sostituita da un’iniziale imbarazzo e un successivo sospiro più rassegnato di quello di prima, cosa che contribuì parecchio al circolo più rapido sangue di Axel.
– Direi che sperarci era inutile, sei molto bravo a notare le cose. – non si fece problemi a considerare l’altro – E giusto per puntualizzare, non sono felice semplicemente perché lei per il momento sta soffrendo. Per colpa tua che sei un idiota. – ripeté con tono di chi sta dicendo cose più che ovvie.
– Non giudicare dalle apparenze. – dichiarò in propria difesa il numero dieci, lasciando calare un bizzarro silenzio nervoso che durò all’incirca un minuto, forse poco più. Rimasero così a fissarsi negli occhi, per quella lunga manciata di secondi e infine il lupo dei ghiacci, per niente convinto, decise di lasciar perdere quel dettaglio e di non indagare, non erano affari suoi.
Lì per lì l’amico non l’avrebbe mai ammesso, tuttavia apprezzò davvero molto la sua discrezione.
– Comunque, – riprese Shawn voltandosi in un’altra direzione, scrutando in avanti. Erano quasi arrivati. – si vede lontano un miglio che sei innamorato di lei. Per questo sei un idiota. – strinse le dita intorno alla borsa dove teneva la divisa dell’Inazuma Japan. – Axel, ascoltami attentamente... – prese un lieve sospiro – Non potrei mai approfittare della confusione di Bianca in questo momento, ma se questo tuo brancolare nell’idiozia durerà tanto a lungo da farla sentire meglio, non penso che mi farò molti scrupoli. – il caravan si fermò nel parcheggio e l’albino fu uno dei primi ad alzarsi in piedi. Sorrise al cannoniere, che era rimasto paralizzato da quella aspettativa. – Se non vuoi che la tua gelosia diventi motivata, ti conviene svegliarti, perché sono un avversario tenace. Neh?
 
Divertitevi alla partita♡”, lesse Matthew sullo schermo del proprio cellulare, pensando che quel cuore era proprio fuori luogo, considerando che il mittente era Bianca, ma poco importava. Aveva saputo, ovviamente, i recenti sviluppi da sua cugina e anche se era stato veramente bravo nel fingere di star male, era quasi al settimo cielo; certo, non era contento che B stesse così giù, tuttavia sapeva perfettamente che il prossimo passo necessitava la completa mancanza di sensi di colpa. Non che lui avesse mai davvero capito che cosa significasse provarne, di rimorso.
La vibrazione del telefono segnalò l’arrivo di un secondo messaggio. “Io non ci sarò, fate il tifo anche un po’ per me”, aveva scritto la Plus. Un piccolo ghigno sollevò le labbra dell’americano, che si diede una botta in testa. Non avrebbe potuto chiedere un’occasione di migliore.
Hey, Matt. – chiamò la voce arzilla di suo padre, appena sbucato dalla porta della camera d’albergo nella quale i due alloggiavano – Are you ready? We gotta go. – comunicò afferrando gli occhiali da sole e infilandoli, coprendo il suo sguardo smeraldino.
Il figlio, voltandosi e chiudendo di scatto il telefono, gli sorrise gentile. – Sorry dad, I’m not coming. There’s something I need to do. – prima che Daniel potesse protestare, aggiunse sbrigativo un – I’ll try to come before the match is over, okay? – detto ciò si impadronì al volo del proprio berretto e, calcandosi la visiera sugli occhi per coprire lo sguardo divertito, corse fuori dalla porta, lasciando suo padre con un palmo di naso.
[You think you know me, but you don’t know me...
You think you own me, but you can’t control me.
You look at me and there’s just one thing that you see,
so listen to me... listen to me!]

Bianca sospirò. Camminando per le strade quasi deserte di Liocott, osservava il cielo, riparando lo sguardo dal sole con una mano. Faceva caldo, e c’erano sì e no una decina di persone per la grande strada in cui si trovava al momento; e non ne era stupita, dopotutto le partite della fase finale del torneo erano l’unico vero motivo per cui tanta gente aveva deciso di fare un po’ di vacanza su quell’isola, per quale ragione avrebbero dovuto perdersi la partita fra Giappone e America?...
Tornò a guardare il marciapiede davanti a sé. Anche lei non avrebbe dovuto motivi di saltare quell’evento, e invece eccola lì, la testa piena di pensieri contrastanti, lontana dallo stadio e da qualsiasi mezzo televisivo che potesse farla sentire meno esclusa. Non capiva il perché di questo ordine di Travis, cioè quello di non guardare la partita neanche in TV, eppure sentiva che era giusto.
Il trillo improvviso del suo cellulare la fece saltare sul posto. Fermandosi, la ragazza tirò fuori l’apparecchio nero dalla tasca. Le era arrivato un messaggio. Di Matthew.
Ehi, non mi va di lasciarti sola, saranno tutti alla partita tranne te! Ti va un gelato?” la corvina sorrise. Tutte le scuse erano buone per non andare allo stadio, eh? Sapeva perfettamente che il castano non amava particolarmente il calcio. Comunque era carino, su. Inviò una risposta affermativa nella quale specificava la sua posizione e si concesse di sospirare, senza perdere l’espressione in qualche modo serena.
I suoi occhi cerulei ricaddero su un negozio, una boutique d’abiti per la precisione. Ripose il telefono al suo posto e si diede il permesso di entrare; varcando la soglia, pensò che in fondo aveva tante cose da cui distrarsi, e fra la zona americana e quella giapponese, nella quale si trovava, c’era abbastanza distanza da permetterle di rilassarsi un po’ prima di incontrare Matthew.

La navetta si fermò proprio nel mezzo della zona giapponese, e a scendere fu solamente un quindicenne dalla carnagione chiara e una lunga coda alta sulla nuca che raccoglieva la maggior parte dei suoi capelli color caramello, che fuoriusciva dal buco posteriore del suo berretto bianco dalla visiera blu notte. Coperto da una t-shirt verde mela recante l’emblema della squadra americana, l’Unicorno, e da un paio di jeans neri, i piedi infilati nelle sue converse rosse, il giovane Karver cominciò a guardarsi intorno, rileggendo il messaggio di sua cugina.
Si incamminò in direzione del parco, e dopo poco scorse non troppo lontano la figura snella e minuta della ragazza bruna appoggiata alla corteccia di un albero, a braccia incrociate dietro la schiena e gambe elegantemente conserte. Il ragazzo, prima di chiamarla, rimase un secondo solo ad osservarla bene. Rispetto all’ultima volta che l’aveva vista, era un po’ diversa. Indossava una camicia di stoffa bordeaux chiaro, coperta da un sottile e fresco gilet giallo crema, rifinito di un tenue verde erba, come il fiocchetto che lo teneva chiuso alla sommità. Sotto, una larga gonna azzurro neve, merlettata alla fine con delle leggere balze paglierine. I lunghi capelli neri erano legati in due trecce, chiuse all’estremità da fiocchi verde acido decorati da fiorellini di stoffa azzurra. Con ai piedi gli stessi stivali neri del giorno prima, teneva fra le dita una busta recante il marchio di un negozio d’abiti.
– B! – si decise a farsi notare il ragazzo, e lei si girò di scatto verso di lui, sbattendo le palpebre dei suoi grandi occhi celesti con aria tranquilla. Peccato che le sue iridi fossero lucide.
– Ehi. – sorrise l’interpellata, salutando con un cenno della mano. Mettendosi ritta, andò incontro al suo parente americano e accentuò il suo riso, lasciando Matt un attimo perplesso. Era più carina del solito, eppure era come se quella sua bellezza fosse accresciuta da una malinconia che la rendeva simile ad un quadro, un disegno che cercava di esprimere emozioni che non possedeva.
Conosceva sua cugina, e quella non era decisamente la stessa di prima.
-Sensi di colpa?- sussurrò una voce nascosta negli affranti più reconditi della sua mente, e lui la scacciò immediatamente. No. Matthew Karver non conosceva l’espressione “sensi di colpa”. Era sempre fermamente convinto di quello che faceva, e neanche quel sorriso melanconico avrebbe cambiato quella realtà: dopotutto, lo stava facendo per il bene della stessa Bianca. ...sì, per quello.
-Da quando menti anche a te stesso?- aggiunse la voce, puntigliosa e gelida, secca.
– Sei carina. – si complimentò il quindicenne, ignorando ancora quello stupido tono accusatore. Già, un qualcosina che gli era stato insegnato chiamarsi... ah, sì, coscienza. Ma perché appariva adesso, così, dal nulla? Aveva sempre architettato tanti piccoli complotti del genere, perché solo in quell’occasione stava cominciando a sentirsi... sbagliato? Era quella la parola?.. no, non importava!
– Ti ringrazio. – replicò gentile la Plus, per poi abbracciare di scatto il braccio di suo cugino come un invito a darsi una mossa, evidentemente ignorando l’espressione mista fra lo stupito e il confuso che il ragazzo stava assumendo in corrispondenza alle proprie riflessioni. – Andiamo, ti mostro quanto possono essere buoni i dolci giapponesi. – propose, ammiccando, per poi trascinare letteralmente un sorpreso Matthew in giro per i bar praticamente deserti della zona giapponese, che di solito erano occupati da quegli spettatori che ora non si stava affatto perdendo la partita, probabilmente appena cominciata, al contrario dei due coetanei parenti.
Era una fortuna che i negozi vari fossero ancora aperti, e la coordinatrice si divertì non poco nel vedere la faccia quasi scioccata del castano quando gli disse che il taiyaki[1] che stava mangiando conteneva una crema a base di fagioli, oppure quando l’americano si stupì tanto del fatto che quei biscotti apparentemente insignificanti e forse un po’ bizzarri data la presenza negli ingredienti di vero e proprio strutto, i chinsuko[2], avessero un sapore così delicato e dolce. Gli parve curioso anche, al ragazzo, che sua cugina considerasse quei biscotti il suo dolce preferito; non erano niente di speciale, ma a Bianca ricordavano tanto la sua infanzia.
Un dolce molto simile ai taiyaki come sapore fu l’anpan[3], in quanto ripieno della stessa farcitura, anche se la corvina gli fece assaggiare anche l’anmitsu[4], una gelatina di alghe servita insieme alla medesima crema e varia frutta in un piatto, come fosse stato un vero dessert. Dopo quello, il Karver chiese quasi pietà, e il tour di assaggi terminò, anche se Bianca sembrava ancora perfettamente in grado di continuare ad elogiare la cucina dolce del suo paese natale.
– Ahh, per non parlare del daifuku[5], quello sì che è veramente delizioso! – esclamò infatti come a terminare il suo discorso, piegando le gambe per accovacciarsi sulla sabbia senza sedersi; camminando per allontanarsi dai negozi e chioschi vari, erano arrivati alla spiaggia.
– Sempre fagioli? – domandò scettico Matthew, nascondendo abilmente che in verità quella crema denominata “anko” gli era piaciuta molto.
La quindicenne ridacchiò alla smorfia del praticamente amico. – Sì, ancora fagioli. Sempre meglio di quel continuo ketchup e mostarda di voi americani, eh. – gli fece notare, e il ragazzo si sedette a gambe incrociate insieme a lei la quale, evidentemente cominciando a sentire che le gambe si stavano addormentando, prese dalla busta la sua giacca di pelle e la utilizzò come copertura per non sporcarsi la gonna di sabbia. Buona scelta, considerato che la pelle non assorbiva i granelli.
Il suo interlocutore sbatté le palpebre, un’espressione indecifrabile nello sguardo verde. – Sembri molto più spensierata di qualche tempo fa. – mormorò lieve, spostandole una ciocca di capelli scuri dalla fronte. Le iridi azzurre ebbero un singulto, e la loro padrona assunse una smorfia, a labbra strette. – Sembri felice, B. ...Lo sei?
-Perché gliel’hai chiesto?- sibilò retorica la voce -Non dirmi che hai paura di sbagliare tutto, Matt.- aggiunse sarcastica, divertita. “Non dire scemenze”, pensò forte il ragazzo. -Non dico scemenze,- rimbeccò falsamente innocente la voce -Dico cose che direbbe una coscienza.- “Io non ho affatto bisogno di una coscienza!” -A meno che non si tratti dell’unica persona che rispetti davvero. Cioè la ragazza che hai di fronte.- “Ti ho detto di...”—
Un sospiro lo distolse da quel litigio interno. – Impedisco ai miei problemi di interferire con i miei momenti felici, tutto qua. – lo informò delicatamente il tono tranquillo della bruna, frattanto che le sue dita tracciavano dei segni sulla sabbia. – E’... è una cosa che mi hanno insegnato i giorni passati insieme alla Raimon. – confidò con un tremito di labbra – Insieme ai miei amici. E ad Axel. – fermò il movimento della propria mano e la strinse, prendendo un pugno di sabbia. Senza accorgersene aveva scritto “Tornado”. Strinse i denti e fulminò quella scritta con lo sguardo. – Ma non posso dire di essere felice. Non sono mai stata felice. – rasserenò i muscoli facciali. – Ho ancora tanta strada da fare prima di fermarmi senza rimpianti. – dedicò un sorriso a Matthew.
Quest’ultimo abbassò gli occhi al terreno. – Bianca, a questo proposito, io... – si maledisse per quel tentennamento – Io... forse non è il momento adatto, però... è da quando sono qui a Liocott che volevo farti una proposta.  

Axel ricadde a terra, in perfetto equilibrio, dopo l’esecuzione del suo Avvitamento Esplosivo che, per fortuna o più propriamente per bravura, era proprio l’ultimo goal che l’Inazuma Japan aspettava per vincere la partita. Non aveva ben capito, il biondo, cosa fosse esattamente successo fra Mark e Eric durante il match, nonostante questo era abbastanza contento di sentire il triplo fischio dell’arbitro. Doveva andarsene di corsa. Per il semplice motivo che mentre si cambiava negli spogliatoi prima dell’inizio il cellulare aveva vibrato e da un numero sconosciuto era arrivato il seguente messaggio, che gli aveva fatto salire la bile alle stelle: “Vado da Bianca, augurami buona fortuna, istrice –Il vampiro”. Dannazione, che odio!
Adesso aveva una fretta tale di andarsene che fu il primo a salire sul caravan e il primo a scendere, dedicando solo qualche saluto veloce ai suoi compagni, i quali lo guardarono un po’ perplessi. Tranne Shawn, che probabilmente aveva capito che c’entrava una certa coordinatrice con tutta quell’urgenza, e Jude, perché Jude doveva per forza capire sempre tutto quello che gli passava per la testa, dandogli così tanto sui nervi come neanche suo padre sapeva fare.
Il tempo che ci volle per arrivare nella zona giapponese gli parve infinito, tuttavia quel fastidio non fu niente in confronto a quello provato durante la ricerca di Bianca. Non poteva credere di starla cercando così intensamente, e non poteva credere di non avere neanche un briciolo di fame dopo aver corso così tanto dietro al pallone da calcio, quel giorno! Erano circa le sette e mezzo di sera quando, il cielo già striato d’arancione, come artigliato da una zampa felina, fermandosi davanti alla vetrina di un ristorante, Blaze la vide.
Seduta dietro un pianoforte in quel locale, vestita diversamente dall’ultima volta che l’aveva vista, bella come un fiore nel suo sorriso storto, che suonava un’allegra melodia dai toni jazz che ritmava anche il mondo all’esterno di quel luogo, dondolando la testa a destra e a sinistra. Socchiudendo le palpebre, il capocannoniere si rese conto che effettivamente aveva timore di aprire la porta. Di andare da lei e parlarle. Notò subito che Matthew non era presente, ma... ma aveva comunque troppo timore di sentirsi dire dalla ragazza che amava che aveva accettato di andarsene.

“Non saresti più felice in America? Potresti studiare musica e lasciare questo lavoro che ti causa tanti problemi. Staresti meglio, no?” aveva detto, quell’idiota. Lo aveva sentito bene.
Una folata di vento smosse ferocemente le trecce scure di Bianca, mentre le ciocche sul viso coprivano la parte superiore del viso. Le labbra di schiusero mostrando uno screzio di denti stretti, e quell’attimo di tetro silenzio fu interrotto dal verso di sconcerto del Karver quando la sabbia nel pugno di sua cugina fu lanciata sul suo viso. Fece appena in tempo a chiudere gli occhi.
– Ascoltami bene, Matt, te lo dirò una volta sola... sei uno scemo! – scattò in piedi la coordinatrice, stringendo i pugni, e abbassando il viso per guardare l’interpellato, che si sollevò debolmente ritto, titubante. Lo stomaco fremente, la ragazza sentiva un sapore acido e vomitevole in bocca. Sapore di vera, forte, autentica frustrazione. Perché era la cosa più semplice, fare due più due.
– Bianca... – tentò di borbogliare lui, ciò nonostante gli fu impedito.
– Io non verrò mai in America, scordatelo! – gridò con tutto il fiato che aveva, la bruna. Rabbia, rabbia, e ancora rabbia. – Pensi davvero di poter decidere se e come io sarei felice?!
[You think you got me but you don’t get me...
You think you want me but you don’t know what you’re gettin into!
There’s so much more of me than what you think you see,
so listen to me... just listen to me!]

Istintivamente, il castano fece un passo indietro. La nippoamericana ebbe un tremito. – Lo voglio sapere. – sputò fuori. Masticò quelle parole furiosa e affranta, glaciale e delusa. – Voglio sapere se è colpa tua oppure no. Se sto così male per colpa tua oppure no. Se ho fatto bene i conti oppure no. Se mi hai presa in giro oppure no! – il suo tono così categorico non ammetteva negazioni.
Tanto lo sapeva, la Plus. Non avrebbe mai ricevuto una risposta sincera. Come avrebbe potuto sperare il contrario; aveva sempre sospettato che suo cugino fosse abbastanza meno innocente di quanto mostrasse, però non pensava che fosse addirittura subdolo. Sperava di sbagliarsi. Sperava che la risposta sincera e pura fosse un “no”. Non che le sue speranze si avverassero spesso.
– Pensavo che fossi infelice, da sola in Giappone. In America ci siamo noi, che siamo la tua famiglia, insieme a noi saresti felice. – non mentì il cugino, portandosi il pugno sul petto.
Non mentiva. No. Non andava nemmeno bene, però. – La mia felicità... – ringhiò, stringendo sempre di più i pugni – Da quando sono morti i miei genitori... da quando ho visto quella bambina su quel letto d’ospedale... da quando quelle immagini sono stampate indelebili nella mia memoria, ho deciso di non arrendermi mai. Di portare fede all’ultima richiesta di mia madre. Costruirò io stessa la mia felicità, passo dopo passo, e non importa quanto ci vorrà, so che ci riuscirò. La mia vita è in Giappone, e non ho intenzione di cambiare idea, mai, perché se io cercassi rifugio in America, se io ora ti accontentassi e venissi con te, sarebbe come rinunciare a questo proposito! Non lo farò mai, mai! – si puntò il pollice contro il petto, seria, spalancando gli occhi.
Matthew non fu in grado di replicare. E mentre la osservava correre via, si passò una mano dietro la nuca e sorrise rassegnato, quasi imbarazzato. Aveva appena subito la sua prima sconfitta, neh?

Bianca non fermò lo scorrere delle dita sui tasti bianchi del pianoforte di legno quando il tintinnio delle campanelle appese sulla porta del ristorante segnalò l’arrivo di qualcuno, così come nessuno dei presenti mosse muscolo per distogliere lo sguardo incantato dalla musicista. Il cuore però le scoppiò in una scintilla quando incuriosita spostò per un nanosecondo gli occhi e vide, sulla soglia, il numero dieci dell’Inazuma Japan. Sapeva che la partita era finita, dato che l’isola era tornata vitale come prima. Tutto ciò che sperava era non dover vedere proprio lui dopo i sospetti che le erano sorti in mente a seguito della conversazione con Matt. Era arrabbiata anche con lui, ovvio.
Tirò un sospiro quando dovette per forza bloccarsi dato che la canzone era finita. Non voleva riflettere su come sentirsi all’idea di aver suonato per la prima volta davanti ad Axel. Si prese il meritato applauso e scosse evasivamente la mano quando uno dei camerieri si complimentò per la bravura, scansandolo con la pura verità, cioè che avrebbe potuto fare di meglio se solo non avesse smesso di allenarsi per tanto tempo e che se ci era riuscita era merito del vero e semplice amore che provava per la musica, nient’altro. E poi si incamminò verso l’uscita: non appena fu arrivata sull’uscio, afferrò rapida l’orecchio di Blaze e lo trascinò fuori con lei, ignorando le sue proteste e i mugolii di dolore per la presa troppo stretta, anzi, se ne uscì anche che se lo meritava ampiamente.
– Mi cercavi? – inquisì aspra incrociando le braccia una volta che furono abbastanza lontani dal ristorante, almeno secondo i suoi parametri.
Il biondo la guardò di traverso. – Ma come siamo felici di vedermi, Plus. – commentò sarcastico massaggiandosi la parte contusa, spostando il volto in un’altra direzione.
– Posso sapere cosa vuoi e basta? – insistette la ragazza, evitando accuratamente di rispondergli per le rime, cosa che lo fece sentire anche peggio di come stava prima. Era proprio seccata, non era nervosamente infantile come al solito, la sua aggressività ora era solo asprezza.
Axel schioccò la lingua al palato. Aveva una voglia matta di chiederle cosa avesse risposto alla proposta di Matthew, perché era sicuro che il vampiro aveva fatto quello che voleva fare, malgrado ciò era terrorizzato all’idea di farle intendere che sapeva tutto. – Hai visto la partita? – borbottò invece, poco convinto.
– Travis mi ha ordinato di non vederla. E io rispetto gli ordini. – si limitò a comunicare quella.
– Perfettina. – fu il mugugno che ottenne in replica;
Lei, dal canto suo, emise un ringhio palesemente arrabbiato. – Non chiamarmi così.
– Non è colpa mia se lo sei. – considerò allora l’altro, stringendosi nelle spalle veritiero.
Bianca si trattenne tanto, tanto, tanto, tantissimo dal tirargli un pugno. A volte lo odiava. E allora perché cavolo di ragione lo amava così tanto? – Abbiamo vinto. – aggiunse il ragazzo.
– Lo so.
– Se non hai visto la partita, come fai a saperlo? – indagò roteando gli occhi.
La coordinatrice alzò le spalle e le scrollò un po’. – L’Inazuma ha il capocannoniere migliore dei mondiali. E una folla di tifosi giapponesi stava festeggiando, in quel ristorante.
Non fu affatto possibile per il primogenito della famiglia Blaze trattenere un accenno di risata sommessa. – Quanto sei stupida. – ridacchiò divertito.
[You push me back, I’ll push you back
harder, harder!
You scream at me, I’ll scream at you
louder, l-l-l-l-louder!
I’m dangerous... I’m warning you!
But you’re not afraid of me, and I can’t convince you
you don’t know me!]

La Plus non si fece parte di quella ilarità. Anzi. – Sono contenta che tu sia riuscito a separare vita privata e calcio, questa volta. – sibilò infastidita, guardando da un’altra parte con stizza.
– A me non sembra. – si ritrovò a constatare il suo interlocutore, posando le mani sui fianchi.
La ragazza dalla fluente chioma carbone attorcigliò un paio di sottili ciocche scure intorno alle dita fin troppo candide. – Mentre suonavo lo ero.
– E’ un velato modo di dirmi che eri felice prima di vedermi?
– No, è un esplicito moto di precedere un’imprecazione.
Un sopracciglio biondo del calciatore di inarcò istintivamente. – Adorabile. – sospirò ironico.
– Io sono perfettina, ricordi? – controbatté sempre più acida e nervosa la sua “amica” – Non ho per niente bisogno di essere adorabile. – emise, stringendo le palpebre in un’occhiata collerica.
Sguardo che quasi cedette, insieme alla sua smorfia decisa, quando il suo cuore ebbe un flop, ovvero nel momento in cui lo stesso ragazzo che fino ad un secondo prima stava scrutando torva le mostrò un sorriso venato di mestizia, forse persino rammarico, ehi, quella era proprio un’espressione nostalgica, così come le sue profonde iridi di cioccolata, velate d’ombra.
D’un tratto, la corvina si sentì cattiva nell’aver pensato tanto male di lui, in passato come in quel preciso momento; le faceva un strano effetto, sentirsi la causa di quel sorriso sbilenco, e in qualche modo si sentiva sempre peggio, sotto il peso di quello sguardo pensato, probabilmente, per non apparire così tremendo come invece era. Finì con il mordersi il labbro inferiore e osservare un punto indeterminato per terra, voltando la testa verso sinistra e stringendo fra le dita la stoffa della gonna.
– Dal modo in cui mi parli oggi, sembra che Miss Ottusità abbia capito un paio di cose. – forzò una risatina, incrociando le braccia dietro la schiena, il biondo. – Sei tanto carina vestita così, sai? – aggiunse poi, completamente fuori tema. Beh, non era una bugia. Era la prima cosa che aveva pensato quando l’aveva vista al pianoforte, dopotutto.
– Tu... – esalò la ragazza senza guardarlo ancora – Tu... mi hai lasciata per qualcosa che ti ha detto Matthew? – tutto ciò che lui riuscì a fare fu annuire, emettendo un verso d’assenso. – ...Che stupida. Non l’ho capito prima. – abbassò tanto il viso da coprire gli occhi con i capelli. – Neanche tu mi conosci per niente, proprio come quello stupido di mio cugino! – concluse allentando la presa intorno la stoffa della gonna. Si sentiva sinceramente delusa da quella considerazione.
Le iridi scure del capocannoniere giapponese sgranarono per la sorpresa. Lui non la conosceva? – Ho solo pensato che la mia influenza potesse impedirti di ragionare chiaramente su cosa ti avrebbe fatto felice. – spiegò non troppo convinto, afferrandole il mento con la mano per costringerla a scrutarlo fisso negli occhi. – E io ti conosco meglio di quanto pensi.
– No invece! – si divincolò malamente dalla sua cattura, scuotendo la testa – Hai pensato di sapere cosa fosse giusto per me! Se mi conoscessi a fondo sapresti che io odio che qualcuno la pensi così! – allargò le braccia, per poi posarle sulle proprie guance. – Forse è vero, che conosci molte cose di me, te lo concedo, però avresti dovuto capire che non voglio che la mia felicità dipenda da qualcuno che non sia io! – si sentì sorpresa e frustrata quando le sue dita si bagnarono leggermente; stava piangendo come una stupida. – Ahh, che voglia di prenderti a ceffoni in questo istante! – mugolò contrariata, asciugandosi le guance, senza smettere di versare lacrime. Alzò, finalmente, di nuovo lo sguardo su di lui, il quale la stava fissando attentamente, serio e al contempo ancora malinconico. – Deciderò io come e quando potrò definirmi davvero felice, e voglio che tu capisca che... al momento... nel mio come... ci sei tu. – si sentì avvampare nel realizzare ciò che aveva detto, cosa che avvenne non appena anche le gote di Axel avevano assunto un colorito rosso semaforo.
– Bianca... – provò a parlare, incerto, ma non seppe che dire.
Nel frattempo che l’imbarazzo salire sempre maggiormente dentro di sé, la corvina si domandò perché era così sollevata. Era praticamente contenta. Era riuscita a esprimere a parole i veri sentimenti che provava per lui. Non poteva non essere felice. Ciò nondimeno...
– Guarda che cose imbarazzanti mi fai dire, tu stupido scemo! – urlò attirando l’attenzione di qualche passante, per poi girarsi di scatto e correre via, ignorando gli stupidi tacchi delle scarpe che per una volta nella vita rimpianse di aver indossato. Soprattutto quando si accorse che, come da manuale, il numero dieci la stava rincorrendo, lui che era decisamente più rapido e atletico di lei che, pur non cavandosela male, non poteva sperare di superarlo, mai.
A meno che un sasso inaspettato non si mettesse in mezzo. Cosa che accadde, dato che Blaze stramazzò a terra con un surrogato di gridò di sorpresa; più che questo ad attirare l’attenzione della corvina fu il tonfo del contatto fra il ragazzo e il terreno, che la convinse a fermarsi per voltarsi a controllare che andasse tutto bene. Mosse qualche passo. E poi scoppiò a ridere.
Axel avrebbe voluto imprecare però, mettendosi seduto sull’asfalto con una mano sulla testa, si accorse subito che Bianca stava ridendo, una mano sullo stomaco e l’altra sulla bocca a coprire i denti scoperti. Rimase ad osservarla interdetto per qualche istante, notando che nonostante tutto aveva ancora qualche lacrima ai lati degli occhi e che, avanzando, la ragazza stava perdendo stabilità. Sorrise, inarcando un sopracciglio.
– Scusa ma... – cominciò a stento lei fra una risata e l’altra – Tutta quella tensione sparita così, in uno schioccar di dita... e poi tu, proprio tu che commetti un errore così grossolano... – si avvicinò sempre di più, e poi cadde in ginocchio sul terreno, ridendo – Non ce la faccio a smettere!...oh. – fu quel lieve suono che fece notare al capocannoniere di averle posato una mano sulla guancia. Tuttavia non fece altro che sorriderle, intanto che lo guardava perplessa.
– Il tuo sorriso è così bello. – diminuì la distanza fra i loro visi. – Anche questo è nel mio come. – le comunicò prima di unire le loro bocche, chiudendo gli occhi. Era tanto tempo che non sentiva più il sapore acre delle morbide labbra di Bianca che, a sua volta, si sentì sciogliere. Poco importava che le persone che camminavano intorno a loro si voltavano con aria curiosa e talvolta maliziosa, andava bene lo stesso. Si separarono, e il ragazzo portò una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio della ragazza. – Sei molto brava a suonare il pianoforte.
– E-Ero molto meglio prima di smettere. – scosse la mani davanti a sé, imbarazzata.
Lui inclinò la testa. – Certo, perché ormai il tuo lavoro è la tua priorità. Vero?
– ...Forse. – ammise (più o meno) lei. – Comunque l’unica mia priorità adesso è alzarmi da terra, ho le gambe scoperte. – si lamentò posando una mano su quella del biondo, il quale si sollevò in piedi portandola con sé. Reggersi in piedi però non fu affatto facile per la corvina, che non cadde in terra solamente perché fu frenata dal petto del calciatore. 
– Che succede? – domandò preoccupato quest’ultimo, sorreggendola.
Bianca fece una smorfia. – Ho messo in fallo il tacco, mi si è storta la caviglia!
– Ti fa male?
– Fai un po’ te, non sono riuscita a mettermi in piedi!
Axel sorrise. – Hai ragione. – considerò, alzando gli occhi al cielo con aria riflessiva. – Okay, ho un’idea. – e, senza neanche lasciare il tempo alla ragazza di rendersi conto di quello che stava accadendo, si voltò senza abbandonarle le mani, per poi unirle davanti al suo petto, in modo che la coordinatrice fosse come appesa. Poi la sollevò un po’ da terra, caricandosela di peso. – In questo modo non dovrebbe darti fastidio non avere i piedi per terra, vero? – si informò memore delle vertigini che la mora aveva mostrato sull’aereo. Al suo assenso, aggiunse malizioso: – Se giuri che hai detto no a Matthew, ti porto fino all’albergo. Ci stai? – si voltò per farle un occhiolino. Lei annuì, imbarazzata e incantata allo stesso tempo. Non c’erano aggettivi per definire quel ragazzo.
[And the longer that you stay, the ice is melting...
and the pain it feels okay, it feels okay...
You push me back, I’ll push you back...
You scream at me, I’ll scream at you... louder, louder, louder, louder, louder,
louder, louder, louder, louder!]

Come per magia, appesa al giovane Blaze che camminava sostenendo il suo peso, la bruna dovette rendersi conto di sentirsi al sicuro così stretta a lui. Appoggiata alle sue spalle stava così bene che volendo avrebbe potuto anche addormentarsi, sicura che non sarebbe mai caduta. Non avrebbe mai creduto di poter sentire un vuoto così grande senza di lui, né tantomeno di essere così serena dando per scontata la sua presenza; quel ragazzo era la sua roccia. E la delusione di prima, pur non essendo scomparsa, era tanto mitigata da essere sostituita da una sensazione davvero piacevole.
Spostando il viso per appoggiarsi meglio alla schiena del ragazzo che amava, Bianca lo vide: il tramonto, dritto davanti ai suoi occhi. La sua memoria fotografica le suggerì il ricordo di un tramonto molto simile, un orizzonte composto dai tetti di Inazuma-cho.
– Ehi, Axel, fermati! – chiamò dandogli un leggero colpo con la mano.  
L’interpellato obbedì. – Che c’è? – chiese curioso.
– Guarda che bel tramonto! – esclamò sovrappensiero, staccandosi dalla presa del ragazzo e toccando terra con i piedi, per correre verso il parapetto del cavalcavia sul quale erano venuti a trovarsi. – E’ una meraviglia! – unì le mani con sguardo sognante, mentre il venticello serale faceva scontrare le scure ciocche scarmigliate che incorniciavano il suo viso con la sua carnagione nivea.
Blaze si avvicinò con le braccia conserte. – Non faceva male la caviglia, a te? – inquisì retorico, e la vide trasalire. In effetti aveva smesso di farle male da un bel pezzo.
– S-Sai come sono le storte, passano da un momento all’altro... – provò a giustificarsi, ma era impossibile. Quando si trattava di lui, l’abilità nel mentire svaniva.
– ...Stavi fingendo. – concluse il capocannoniere mostrandole un malizioso sguardo di sfida.
Un brivido salì su per la schiena della sua interlocutrice. – Che- no, assolutamente no! – protestò. In fondo non stava mentendo. Non aveva finto. All’inizio.
– Non ci si può proprio fidare di te, eh signorina Plus? – ridacchiò protendendosi verso di lei e sollevando l’indice come se stesse rimproverando un bambino. – Ahh, guarda come sei diventata rossa, questo sì che è uno spettacolo! – continuò, incurante.
La Plus non si disdegnò dal colpirlo più volte con dei pugni. – Scemo, scemo, scemo!! – ringhiò imbarazzata.
– Non essere sempre così violenta, Bibì! – fu tutto quello che lui ebbe da dire, continuando a ridere, sinceramente divertito. Irritante come al solito.
[I’m dangerous, I’m warning you!
But you’re not afraid of me, and I can’t convince you...
And I don’t have to... I think you know me...]

La corvina ormai si poteva dire arrabbiata. “Arrabbiata” alla Bianca, però. – Ma io ti disintegro!
Non che questo intimorisse Axel. – Perfettina, Bibì, signorina Plus... uh, quanti soprannomi!
– Insomma finiscila! – la ragazza gli pizzicò forte la guancia, per poi dargli un pugno sulla spalla.
– Ahi! Mi fai male! – si lamentò lui, affatto contento.
Bianca tirò fuori la lingua. – Me ne dolgo assai!
– E su, non arrabbiarti... – mormorò posando il mento sulla sua spalla. La coordinatrice arrossì, ciò nonostante lo guardò ancora peggio.
– Eh no carino, non devi stuzzicare il cane che dorme, lo sai!
Il biondo si concesse un sorrisetto rassegnato. – Lo so... – socchiuse dolcemente le palpebre – Comunque è vero. – aggiunse.
– Mph, cosa? – fece, incrociando le braccia, la mora. A dire il vero era curiosa.
– Che sei uno spettacolo migliore del tramonto, perfettina mia.
Il rossore sul viso dell’interpellata aumentò a dismisura. – A-Ah, c-capisco...
– Non è che Bibì si è imbarazzata un po’ troppo?
– Argh, ma perché sono finita ad innamorarmi di uno come te?!
– Perché sono unico, B...
– Ti sfugge la modestia, vedo.
– ...e perché sono pazzo di te.
Un tremito avvolse la ragazza. Quello stupido... – Ti stai divertendo un mondo, dico bene?
– Dici benissimo.
– A volte non ti reggo proprio.
– Ah, perché io invece ti reggo sempre e comunque?
– Dai, baciami e stai zitto una buona volta.
– Ti amo.
– E io ti ho detto di fare silenzio! – sospirò – Post scriptum, dire che anche io ti amo è un eufemismo, idiota.
– Trovo edificante il tuo modo di seguire affermazioni dolci con degli insulti...
– Basta sarcasmo. – sibilò annoiata e, vedendosi costretta, afferrò con le mani la stoffa della felpa di Axel e si allungò in modo da azzerare la distanza fra le loro labbra.



Insane Cover
La canzone citata si intitola "You don't know me" ed è cantata da Elizabeth Gillies nella serie televisiva "Victorious". Anyway, non sono sicura sia una canzone originale, ma comunque...
Era ora che aggiornassi, vero? Lo so, lo so, nell’anteprima dell’altra volta c’era un altro pezzo, ma non volevo allungare troppo il capitolo... capitemi! E perdonatemi cuc;;
Quantomeno, il prossimo capitolo avrà un titolo diverso da “L’Unicorno”. Su. Allora... che devo dire? Ho in mente questa “riconciliazione” da mezzo secolo. Avevo gli appunti per questo dialogo sul mio iPhone -ho una compagna di banco come testimone—cioè, lei fa tipo da beta reader, yo, c’è da dire che mi ha dato dei consigli su un capitolo futuro in cui farò incontrare Bianca con un quattrenne Shindou (che sarò costretta a chiamare Riccardo, groan)... STOP. No spoiler. Anna, datti una dannatissima regolata. Oggi niente anteprima. Non sono ispirata. Adieu.
In ogni caso, io non ho più niente da dirvi. Anna se ne va. Pace!

EDIT: Mi sono dimenticata di aggiungere l'immagine di Bianca con il suo nuovo outfit! Allora, vi spiego: l'immagine originale proviene da zerochan.net, più precisamente è Tarano Mei, un personaggio di una fanserie di Pretty Cure chiamata "Pretty Cure Season Touch". Io, con photoshop, ho cambiato un po' i colori e quindi abbiamo Bianca ;) Oddio non potete capire quanti recolor sto facendo! Comunque, sarebbe questa:






[1] Il taiyaki è un pesce di pastafrolla farcito con una pasta dolce a base di fagioli azuki, denominata anche “anko”, anche se a volte si può trovare farcito di cioccolata o varie marmellate. 
[2] Il chinsuko è spesso venduto come souvenir nelle isole Okinawa(ragion per cui alla nostra Bianca ricordano l’infanzia). Si tratta di un piccolo biscotto fatto in gran parte di strutto e farina.
[3] L’anpan consiste in un panino dolce arrotolato pieno di anko. L'anpan può essere preparato anche con altre farciture, come i fagioli bianchi, il sesamo e le castagne.
[4] L'anmitsu è un dessert giapponese composto da cubetti di gelatina agar, una gelatina bianca traslucida ottenuta dalle alghe rosse. L'agar si scioglie nell'acqua (o nel succo di frutta, come il succo di mela) per formare la gelatina. Viene servito in una ciotola assieme ad una marmellata dolce di anko e piselli bolliti, gyūhi e frutta mista.
[5] Daifukumochi, o daifuku in breve, significa letteralmente “grande fortuna” ed è un dolce composto da un piccolo mochi (dolce di riso glutinoso) farcito di ripieno dolce, di solito anko.

 

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Capitolo 26
*** Quando piove con il sole ***


Scusate l’atroce ed imperdonabile eternità che ci ho messo ad aggiornare! Davvero, non ci riuscivo proprio; un po’ perché non ho avuto il tempo materiale, un po’ perché sapevo cosa scrivere a balzi, insomma alcune parti le ho dovute tirare con le pinze, un po’ perché ho tantissime cose per la testa, un po’ perché sono in agonia per l’attesa di Frozen al cinema, un po’ perché quando penso a questa fic ultimamente mi vengono in mente le cose che scriverò quando arriverò ad un punto -perché ci arriverò, con un salto enorme ma ci arriverò- in cui i personaggi avranno intorno ai venti anni, ecc.
La mia vena romantica sta impazzendo e ho tante cose per la testa—l’ho già detto questo, vero?
Comunque. Capitolo di passaggio. Così, tanto per fare. Mi devo liberare di Daniel e Matthew e poi ho tempo di dedicarmi a questo povero OC qual è Daniel gods se lo amo. Indovinate cosa comincia nel prossimo capitolo- dai, sapete l’ordine dei fatti, no? Su, non deludetemi. E già che ci sono voglio subito chiarire una cosa piccina picciò: nel futuro di questa storia io non vedo assolutamente  possibili capitoli dedicati a quella storia degli Apostoli del Cielo eccetera eccetera. Solo per avvertirvi; so che non sarebbe il primo taglio, ma dato che ne sto facendo sempre di meno uno così importante mi sembrava giusto segnalarlo, just in case. Ho paura di piangere per la prossima fetta di storiadio mio kageyaaaaaamaaaaaaaa//meno male che s’era detto niente spoiler.
Beh, vi mando un bacione e mi auguro che questo intermezzo vi piaccia. wut tha
                                       ♥ Anna.
P.S., le persone che recensiranno questo capitolo entro una settimana avranno una drabble ciascuno in una oneshot/raccolta che posterò; così, ho voglia di farvi un regalo, a voi che mi rendere felice questi sette giorni. Allo scadere della settimana posto il tutto e basta c: (non che questo impedisca a qualcun altro di recensire, a me vanno bene recensioni anche a gennaio o.o)


Quando piove con il sole.


L’aeroporto brulicava di gente; come tante api in pieno fermento per la nuova giornata di impollinazione tutte le persone che arrivavano o preparavano ad andarsene dall’isola di Liocott si muovevano rapidamente per le scale mobili, le hall, i check-in e beh, eccetera eccetera. Poche erano le persone ferme, in quel gigantesco luogo pieno di tanti culture diverse, mondi diversi, che si erano uniti in un’unica isola solo grazie a dei ragazzi che giocavano a pallone. Il calcio era proprio un mezzo per unire il mondo. Certo che, detta così, sembrava molto una frase alla Mark Evans.
Fra tutti i presenti, comunque, la nostra attenzione si ferma su quattro figure, in piedi non troppo lontano dal check-in, in attesa che arrivasse la chiamata per l’aereo diretto a New York, sul quale due persone fra le quattro che stavano salutandosi allegramente sarebbero dovute salire.
Il più alto di tutti era di sicuro quello più vivace, ma sembrava anche abbastanza triste. Sua nipote sorrideva appena, cercando di contenere i piagnistei dell’uomo dovuti al fatto di doversi separare dalla sua “little sweetie Bibì”. Ecco, quest’ultima tentava più che altro di trattenersi dal gridargli contro, piuttosto invano effettivamente. Parlando degli altri due ragazzi, beh, sembravano nel bel mezzo di una gara a chi riusciva a fulminare meglio l’altro con lo sguardo.
Keep yourself together! – sbottò ad un certo punto Bianca, imponendo il silenzio al trentacinquenne, il quale la squadrò con la stessa aria che avrebbe avuto un bambino di sei anni al quale fosse stato vietato di fare qualcosa di molto divertente.
La ragazza si portò una mano sul viso, esasperata. Quella mattina non si sentiva proprio, poiché infatti non lo era per niente, nelle condizioni fisiche né tantomeno mentali adatte per sopportare oltre l’infantilità di suo zio. Per carità, lei detestava farsi salire a quel modo la pressione arrabbiandosi con Daniel, ma quell’uomo era troppo, troppo svampito. Mentre i suoi occhi chiari si scontravano con quelli più scuri del castano, quest’ultimo sbatteva le palpebre con aria persa, come se si fosse perso un passaggio di un racconto, o qualcosa di simile.
– Bibì— – il palmo aperto dell’interpellata davanti al suo viso lo zittì.
– Bi. An. Ca. – sillabò le bruna, una smonca occhiata seria. – Ti prego. Non ho cinque anni.
– Lo odiavi anche quando avevi cinque anni. – ricordò con un sorriso tenero quell’altro, sistemandosi meglio gli occhiali da sole sul capo. Stupita un po’, la coordinatrice non rispose e si limitò ad arrossire lievemente, quasi sentendosi in colpa, eppure motivo non ce n’era.
Si strinse nelle spalle, come un brivido le attraversò l’intera spina dorsale, e un sorrisetto furbo e divertito le si formò in viso, il labbro inferiore stretto fra i denti e la dita in un continuo torturarsi fra di loro. Axel pensò che gli improvvisi cambi di atteggiamento fossero una specie di marchio, per lei. Sì, Bianca Plus era di certo la più lunatica ragazza della storia, spesso ai danni degli altri. 
Non che le si volesse meno bene per quel motivo; anzi, probabilmente era proprio quella una delle cose che la rendevano così particolare, così tanto che non si poteva fare a meno di amarla e desiderare ogni attimo di abbracciarla forte, un po’ per farla stare zitta e un po’ per la genuina necessità di sentire il forte profumo emanato dai suoi capelli scuri. Se non si arrabbiava.
– Alla fin fine ti voglio bene, zio Dan. Potrei, chissà, sentire persino la tua mancanza. – aggiunse allegramente la quindicenne. Il trentacinquenne serrò e riaprì rapido come un lampo la palpebra destra in un occhiolino divertito e la abbracciò forte, facendola volteggiare un paio di volte.
Prima che lei potesse protestare per l’imbarazzo che le stava provocando, le fece riingoiare le parole, interrompendola sul nascere. – I’ll surely miss you, Bianca. – il battito delle mani di Matthew invitò suo padre a lasciare la presa sulla sua adorata nipotina, accogliendo le sarcastiche congratulazioni per essere riuscito a dire un nome senza la minima storpiatura con un’evidente leggerezza.
Il figlio ebbe la forte tentazione di fare un passo indietro quando, separatasi dall’uomo, sua cugina rivolse a lui quel suo sguardo ceruleo come acqua e severo come il nulla; proprio a lui che per chissà per quale arcano meccanismo scattato nella sua testa non pensava di poter affrontare—non voleva affrontare! Stava riscontrando adesso le conseguenze delle sue azioni. Detta proprio papale, per quel che era, semplicemente aveva voglia di tagliare la corda.
Chiamate il volo, si ritrovò a gridare dentro sé stesso, chiamate quello stramaledetto stupido volo.
Non riuscì neanche a stupirsi quando la Plus sorrise. Tentò di schiudere le labbra per dire qualcosa, come se fosse sano dire qualcosa, come se la sua gola avesse avuto davvero l’intenzione di far uscire parole articolate dalle sue corde vocali. Il tempo di realizzare che era troppo timoroso, dannazione, per dar fiato ai suoi pensieri non ci fu: il rapido movimento grazie al quale in un secondo le labbra sottili del ragazzo furono poggiate sulle dita strette a pugno di B colse tutti di sorpresa. L’americano scorse ancora quel sorriso dietro al braccio che gli copriva la visuale.
Si chiese come aveva fatto a sferrare un pugno così rapido, e fermarsi anche in tempo per non colpirlo davvero. Gli importava seriamente? Affatto. Però se lo domandò. Dopotutto forse se lo sarebbe meritato un pugno vero. No, dannazione, no! Ma in che razza di maniera aveva cominciato a ragionare?! Da quando rifletteva davvero su cose del genere?! Accidenti a lui!
– Fai buon viaggio. – gli augurò sincera Bianca, piegando leggermente il braccio per allontanare il pugno dal viso di Matt.
– Credevo che fossi arrabbiata, con me. – notò invece quest’ultimo stringendo le mani intorno alla sua borsa a tracolla. Non evitò di incrociare quegli occhi, non si nascose.
Axel pensò che fosse ammirevole. In un certo senso. – Certo che lo sono! – saltò su con ovvietà inafferrabile quella, – Perché mai non dovrei esserlo! – aggiunse inarcando un sopracciglio.
Era schiacciante il modo in cui sapeva essere schietta. Purché si trattasse di sentimenti negativi, s’intende. Altrimenti tendeva a chiudersi a riccio e non aprirsi più.
– E allora perché sua signoria è così allegra, quest’oggi? – obiettò il quindicenne dalla chioma caramello, scettico, tuttavia palesemente turbato.
La bruna sospirò e scosse la testa con aria rassegnata, portandosi le mani sui fianchi. – Fammi capire, il fatto che sono arrabbiata con te dovrebbe impedirmi di augurarmi che il viaggio vada bene? Cosa dovrei fare, liquidarti con un’occhiataccia, col rischio di non vederti per chissà quanto tempo? Preferiresti che lo facessi? Guarda che per me non c’è nessun problema.
Beh, il Karver dovette ammettere a sé stesso che messa a quel modo, lui era proprio un stupido. Non c’era niente da fare. Incassò questa verità senza emettere fiato, ingoiando a vuoto e mordendosi la lingua per impedirsi di imprecare contro Blaze che si era messo a sogghignare. Senza contare che non aveva proprio capito per quale motivo era venuto anche lui. Senso zero.
Un secondo sbuffo della nippoamericana lo distolse dai suoi pensieri, e per un’ulteriore volta si ritrovò colto da stupore. Afferrandogli di scatto la mano, Bianca se lo tirò vicino per abbracciarlo; posò il proprio mento sulla sua spalla, affondando il viso nel profumo di shampoo alla vaniglia che emanavano i capelli dell’americano, il quale rimase rigido per una buona manciata di secondi.
– Ti voglio bene, degenerato. – fu il soffio lieve che percepì a malapena, e istintivamente ricambiò l’abbraccio della sua unica amica sul pianeta, stringendola più forte che poteva.
– Mi manchi già da morire. – le mormorò nell’orecchio. Lei sorrise ancora di più e chiuse le palpebre, beandosi di quel breve attimo di pura umanità. Chi lo sa, forse anche uno dei rarissimi momenti in cui il vampiro Matthew Karver spiccicava un paio di parole sincere.
L’abbraccio si sciolse; l’unica cosa unita adesso erano le mani. – Allora vieni a trovami in Giappone. – propose serena la coordinatrice, ammiccando. – Abbiamo un tour di dolci da finire dopotutto.
– Non so se me lo merito. ...ma verrò. – Il plin plon dell’altoparlante colse la loro attenzione.
Prima chiamata per il volo numero 4529 per New York, i passeggeri sono pregati di trovarsi a bordo entro dieci minuti.
Daniel si portò le dita sulla guancia, la fede dorata che rifletteva la luce che entrava nell’aeroporto dalle grandi finestre. – Accidenti, di già? – lamentò incrociando l’altro braccio a quello piegato verso di sé. – Ahh, I don’t want to go away! – riprese a piagnucolare, come se fino a quel momento sua nipote non avesse detto una parola riguardo al suo comportamento.
Stavolta, però, Bianca non sembrava arrabbiata. Tutto ciò che fece fu afferrarlo nervosamente per un orecchio e guardarlo con attenzione, severa. – Bene allora! – gracchiò infastidita, lasciando preso la presa. – Questo significa che bisogna rivedersi presto, no? – sbottò ovvia – Verrò qualche volta a trovarvi io in America, contento?
Il moro non parve affatto convinto, anzi. – E dove li troveresti i soldi per venire?
– Lasciami fare, in qualche modo farò! E’ una promessa. – insistette quella con un sorriso determinato.
Tum. Tum.
Un flash. Uno solo. Un solo istante in cui gli occhi così celesti e luminosi di Bianca, allo sguardo dell’uomo, parvero di un rosso acceso come il rubino più prezioso. Un attimo in cui le immagini sfocate e ovattate di un ricordo si sovrapposero alla realtà. Un secondo in cui le sue labbra si schiusero per pronunciare sette lettere, un sussurrio appena udibile che uscì senza preavviso.
“Melanie” era l’ordine di quelle lettere. Forse non si accorse del lento movimento all’indietro che il suo corpo fece. Non si accorse di certo della chiamata per i sette minuti alla chiusura degli sportelli dell’aereo che doveva prendere. Non notò affatto i visi stupiti dei tre adolescenti. Tutto ciò che gli fu possibile concepire era che aveva visto sua sorella. Per la prima volta dopo due lunghi anni interi. L’espressione non di rabbia, non di gentilezza, bensì di pura determinazione che aveva sempre caratterizzato la sua amata sorellona, Melanie Karver—in seguito Plus.
Sempre.

I piagnistei di un bambino dalla chioma color cioccolato disturbavano la quiete del parco. Il vento primaverile si scontrava contro la sua bocca aperta, congelando e irritando la sua gola, dandogli ancora più fastidio—ma a quattro anni, come poteva sapere di dover chiudere la bocca per evitarlo?
– Danny! – il richiamo serio di quella voce familiare non lo distolse dal suo pianto.
La figura sottile e minuta di una ragazzina si piantò a gambe larghe e braccia conserte davanti a lui, un’espressione inflessibile dipinta sul viso. Corte codini neri e due scintillanti occhi rossi, uno sprazzo di lentiggini sul naso che con gli anni sarebbero scomparse. La fisionomia tozza di quella novenne che sarebbe presto diventata una splendida donna. Non che fosse difficile prevederlo.
– Dan-ny! – scandì, resasi conto che il fratellino non se la stava filando minimamente. Si avvicinò ancora di più e lo prese per un orecchio, visibilmente infastidita.
Daniel la guardò di traverso. – Ahia! Sei cattiva, Melanie! Mi fai male, lasciamiii! – il suo inglese ancora sbilenco poteva sembrare quasi carino. Non alla bambina.
– E tu sei fastidioso! – rimbeccò dura, ignorando i richiami della mamma, non troppo lontano da loro, che le raccomandava di non maltrattare suo fratello. – Si può sapere perché piangi così forte?! Non puoi sempre dare così tanto fastidio alla mamma! Ha da fare!
– Il mio aquilone si è impigliato in quell’albero! – si giustificò in lacrime il quattrenne, indicando l’oggetto di carta. Probabilmente bucherellato dai rami, anche se era troppo lontano per esserne certi.
Melanie sbuffò. – Mi prendi in giro? Quel coso si può buttare. Basta prenderne uno nuovo!
– No! – fu la pronta, prevedibile, infantile risposta. – Io voglio quello!
La bruna si chiese se a quattro anni anche lei fosse stata così insopportabile. Forse sì. Passarono un paio di attimi così, lei lasciò la presa all’orecchio del fratellino e si mise a pensare forte. – Bene allora! – saltò su ad un certo punto, nervosa. – Questo significa che bisogna recuperarlo, no? – si chinò su Daniel per guardarlo dritto negli occhi. – Vado a prenderlo, contento?
Lì per lì il bambino non lo poteva sapere, ciò nonostante quello sarebbe stato uno dei primi ricordi che avrebbe avuto della sua intera vita. Il viso determinato di sua sorella che tentava di nascondere come volesse recuperare quell’aquilone per farlo felice, non per farlo smettere di lamentarsi.  
– Ma Mel, è troppo alto! Non puoi farcela!
– Lasciami fare, in qualche modo farò! – sollevò due dita nel segno della vittoria. – E’ una promessa.


Non ci era riuscita, ricordava Daniel. Si era arrampicata, era caduta, e aveva rischiato di rompersi la tibia. Fortunatamente ne ricavò solo qualche graffio e una lieve contusione alla gamba. Non era un ricordo triste per lui, anche se allora piangeva disperato. Rovinato e sgualcito, come la pellicola di un vecchio film dalle immagini color seppia, quel frammento della sua vita non gli trasmetteva sensazioni malinconiche; a fornirgliele era quella consapevolezza che momenti così non ce ne sarebbero stai mai più. E adesso, invece, sotto i suoi occhi aveva qualcosa di incredibile.
Aveva sempre notato quanto Bianca somigliasse a Melanie. Un po’ per il colore degli occhi e un po’ per il poco tempo passato assieme, però, non aveva mai capito quanto fossero identiche. O quantomeno, quanto ci fosse una parte di Mel che non era morta con lei: e quella era Bianca.
– Mel. – mormorò di nuovo, e una lacrima rigò il suo viso sempre sorridente. – S-Sorry. – si coprì gli occhi con la mano. – E’-E’ che— tu sei così... come Lei... e... e... – non lo fermò, il singhiozzo che premeva per uscire. – per un attimo... mi è parsa di averla qui con me. – si chinò per stringere sua nipote fra le braccia. Lei non si ritrasse né si lamentò. Si trattenne dal piangere insieme a lui.
Le persone più tristi hanno il sorriso più luminoso. – sussurrò Axel. L’aveva letto da qualche parte e al momento non ci aveva fatto caso. Adesso, gli sembrava molto vero.
Matthew spostò i suoi occhi su di lui. – Le persone più sole sono le più socievoli. – aggiunse. Per la prima volta da quando si erano conosciuti, in quelle iridi verde acido non v’era astio. L’aveva letto da qualche parte anche lui. Il “vampiro” non aveva mai visto suo padre piangere. In tutta la sua vita. Non che ne avesse avuto occasione. Non era mai stato molto unito a suo padre. Peccato.
Perché non vogliono che qualcun altro soffra come loro. –
Plin Plon.
Si strinsero la mano, l’americano e il giapponese. La Plus era impegnata ad accogliere lo sfogo di suo zio per essere soddisfatta dell’occhiata non alla “ti faccio fuori” che si erano scambiati.
Ultima chiamata per il volo numero 4529 per New York, i passeggeri sono pregati di collocarsi nell’aereo.


* – Io e tua zia – Matt staccò gli occhi dalla cintura appena allacciata e si voltò verso il trentacinquenne; quest’ultimo guardava fuori dall’oblò, godendosi il decollo. Gli occhiali scuri abbassati sugli occhi, forse per coprire il rossore dovuto al pianto. – abbiamo litigato quando si è voluta trasferire in Giappone con il padre di Bibì. – confessò.
Una punta di interesse si accese dentro il ragazzo. Si sporse verso il padre. – Parli sul serio? – s’incuriosì. Non lo vedeva proprio, suo padre, ad opporsi ad una cosa così... come aveva fatto lui.
– Appoggiati. E’ pericoloso stare storti durante il decollo. – eh sì, era proprio un genitore in fin dei conti. Matthew obbedì. – Il primo litigio vero. Non una stupida disputa fra fratelli, di quelle ho perso il conto. – non appena il decollo terminò, appoggiò il gomito all’oblò e si posò sul dorso delle dita. Quelle dell’altra mano presero a torturarsi a vicenda. – Le dissi che non credevo sarebbe stata felice in Giappone. – si tolse gli occhiali, forse per impedire alla mano di frantumarsi in quel movimento nervoso. – La verità è che non sapevo quanto avrei resistito lontano da lei. La volevo tutta per me. Era sempre stata la mia colonna, fino ad allora. Mi sentivo perso. – ammise stancamente. – Mi sentivo nel giusto.
– Perché hai accettato che se ne andasse? – commentò confuso il suo interlocutore.
Dan sospirò. – Ricordi quando Bianca mi è stata data in affidamento? – sviò. Un perplesso gesto d’assenso fu un invito a continuare. – Eravamo tutti ancora sconvolti per l’incidente. Pensavo che tutte le cose che mi stava dicendo per convincermi a lasciarla in Giappone... fossero frutto di uno shock. O qualcosa di simile. Però poi è successo. – si abbandonò sullo schienale del sedile. – L’ho rivista. – si portò il braccio a coprire le palpebre chiuse, – L’immagine di mia sorella che mi gridava che la sua casa era il Giappone. Che la sua felicità era da qualche parte lì, pronta ad essere afferrata.
– E’ quello che ha detto Bianca.
– Sì. E’ quello che ha detto.
Okay, quello era strano. Era orribile. Matthew aveva sempre pensato che suo padre fosse stato uno sconsiderato a lasciare la corvina da sola a Tokyo. Non aveva mai dubitato del fatto che fosse stata un’idiozia. Insomma, quale adulto sano di mente lascerebbe una all’epoca dodicenne tutta sola a badare a sé stessa al polo opposto a dove la sua famiglia vive? Era pura follia. Eppure adesso si sentiva pessimo per averlo anche solo lontanamente creduto.
– Quindi zia Melanie era riuscita subito a convincerti che sarebbe stata felice in Giappone.
– Per niente. – soffiò Karver. – Affatto. Odiai tuo zio con tutto il mio cuore per mesi. Non ho smesso completamente di odiarlo prima che morisse. E mi faccio schifo per questo. – il suo tono era sempre meno greve. Era in qualche modo percepibile il fatto che non ne aveva mai parlato con nessuno. Perché, all’improvviso, aveva deciso di aprirsi così tanto? Solo per togliersi il peso?
Il quindicenne più ascoltava, meno capiva. – E allora perché- perché hai lasciato che-
– Non lo so. So solo che dopo un po’... qualche mese dopo credo... non era la prima volta che la rivedevo, però... il suo sorriso, i suoi modi di fare... era felice. Lo era davvero. Ho capito di aver preso la decisione giusta, ed è per questo che ho preso la stessa con Bibì.
– Capisco.
– No, non capisci. Pensi di aver capito. La verità è che è ancora presto perché tu ti penta davvero di tutte le cretinate che hai fatto e detto in questi due giorni. – ora che il verde bottiglia delle iridi di Daniel si mossero su di lui, Matt la vide: la cognizione di tutto ciò che era successo.
Ebbe un tremito. – Di che- – il padre gli diede un schicchera sulla fronte, per poi afferrargli una ciocca dei lunghi capelli e tirarla più forte possibile.
– Pensavi che non me ne accorgessi? Sono tuo padre, dannazione! Santo cielo, sei stato pessimo! Certo, adesso sei dispiaciuto, ma il pentimento è un’altra cosa! – non alzò la voce solo per non disturbare gli altri passeggeri. Due in un giorno solo: prima volta che si era fatto vedere in lacrime, e prima volta in cui era palesemente incavolato nero con lui! – Così in basso io non ci sono mai arrivato! Chi diavolo ti ha insegnato a comportarti così?! – l’unica cosa che il ragazzo articolò fu una supplica di lasciare andare i capelli. – Ti meriti una bella raddrizzata! Non appena arriviamo a casa ti piazzerò davanti alle registrazioni delle partite delle due passate stagioni- perché sì, lo so che per te guardare le partite di calcio per “assecondarmi” è una tortura.  
– Sei sicuro di essere lo stesso di ieri, papà?
– Oh sì, altroché. Sono solo meno propenso a catalogare tutto come “fase adolescenziale”.
– Oh Dio.
– Ah, e un’altra cosetta... – il tono giocoso e allegro di Daniel, in quel preciso istante, era ancora più preoccupante di quello collerico di poco prima. – pensa di nuovo che tuo padre sia uno stupido e vedrai che fine fai, chiaro? –  fu così che Matthew Karver scoprì che anche le persone più inimmaginabili possedevano un lato oscuro, all’occorrenza.



Celia alzò la faccia quando una goccia di pioggia le piombò sul naso. Così fecero quasi tutti, nonostante la ‘pioggia’ fossero appena due gocce. Era davvero singolare, considerato che il sole spaccapietre di due attimi prima ancora non era scomparso e le nuvole a pecorelle erano rade e bianche come latte. Silvia ridacchiò un po’. Qualcuno si sdraiò stanco sull’erba sintetica del campo di allenamento, Scott si mise a girare su sé stesso e qualcun altro si coprì la testa con un asciugamano. Fortunatamente l’allenamento era già quasi finito quando aveva cominciato a piovere.
David si sedette accanto a Jude, sull’erba. – Bianca è ancora in camera sua? – s’informò.
– Sì, da quando è tornata dall’aeroporto non è più uscita. Penso sia stanca. – confermò il rasta, alzando le spalle. – Ora che ci penso questa pioggia le somiglia.
Hurley trovò giusto intromettersi, evidentemente, perché si piegò verso di loro. – In che senso?
– Beh, perché è- – non gli fu concesso di terminare.
– -Lunatica? Strana? Bipolare? – lo interruppe infatti Caleb, meritandosi lo sguardo torvo di quelli che si erano messi ad ascoltare.
Il capocannoniere della squadra, seduta a gambe conserte, fu l’unico a non guardarlo di traverso. Inarcò invece un sopracciglio, sollevandosi lievemente. – Non prendetemi per pazzo, ma credo che Caleb non abbia del tutto sbagliato, stavolta.
Ci fu un attimo di silenzio. – ...Se lo dici tu. – sbatté incerto le palpebre Nathan.
– Siate sinceri e ditemi: neghereste il fatto che la mia ragazza è inevitabilmente lunatica, strana, e unica nel suo genere? – insistette Axel, e nessuno ebbe il coraggio di rispondere, dato che la replica sarebbe stata un no. Le risate che quella reazione provocò al biondo aleggiarono nell’aria per un tempo che a molti parve interminabile.

Sdraiata a pancia sotto sul proprio letto, le gambe che dondolavano verso l’alto e il busto sollevato sui gomiti per leggere per l’ennesima volta i propri appunti, la penna stretta tra i denti e lo sguardo perso in mille pensieri diversi, Bianca non notò la pioggia. I raggi del sole filtravano dalle tende bianche della stanza dell’albergo, e la sua mente era ben lontana dall’interessarsene.




(*) Il dialogo fra Matt e Daniel sarebbe in inglese: loro sono americani e fra di loro parlano così. Come anche ovviamente il dialogo fra Daniel e Melanie nel flashback. Naturalmente non potevo mettermi a scrivere dialoghi interi in inglese. Però, fate finta che lo abbia fatto(?)
 
 
 
 

 

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Capitolo 27
*** L'Orfeo [1] C'è chi riflette e chi teme ***


Sei mesi. Ah. Ahah. Ahahah. Uccidetemi. Eh. Sono stanca dei nomi di doppiaggio. Eh. Ci vediamo nelle note di fondo. Eh. Aspettatevi un casino di scuse. Eh. Ciao.


L'Orfeo [1] C'è chi riflette e chi teme



Bene, sì, okay, allenarsi a notte fonda non era una buona idea. Non lo era, non lo era per niente, soprattutto se al mattino Travis pretendeva che i suoi giocatori fossero freschi come rose per lavorare al meglio durante la giornata. E poi c’era anche Hillman che insisteva spesso sul fatto che allenarsi in maniera eccessiva era dannoso al fisico- e infatti Jordan ne era la dimostrazione vivente, visto che aveva finito per l’essere escluso dalla squadra.
Tuttavia, c’era una differenza fra lui e Jordan: quest’ultimo non si sentiva all’altezza della situazione e si era per questo esposto ad un sforzo esagerato, mentre l’unico motivo per cui Shawn Frost avesse sentito l’irresistibile desiderio di prendere a calci qualsiasi cosa, il che l’aveva portato a scegliere il pallone, non era voglia di migliorare nel calcio. Eh no.
L’albino diede un calcio alla palla di cuoio bianco e nero, la quale colpì con violenza la rete di cui era composta la porta. Shawn si prese la nuca in mano e sospirò, prima di andare a raccogliere il pallone per fare qualche palleggio. Meno faticoso che tirare e andare a recuperare la palla mille volte di seguito e altrettanto, beh, (in)utile a placare i propri pensieri.
C’erano tante cose che lo preoccupavano; c’erano state. Da quanto la sua famiglia era scomparsa, il lupo dei ghiacci non aveva mai smesso di farsi problemi su tutto e tutti. La paura di rimanere per sempre da solo aveva... innescato qualcosa dentro di lui, qualcosa che lo aveva trasformato così radicalmente che, ne era consapevole, era completamente impazzito.
Avere Hayden nella propria testa come altro si poteva chiamare, se non follia? A dire il vero, aveva ancora qualche dubbio sul fatto che quella fosse solo una reazione del suo inconscio malamente ferito, fatto sta che di bene non gliene aveva fatto neanche di striscio. Shawn non aveva mai davvero pensato di essere peggiore o più inutile di suo fratello, o volendo parlare come tutti erano finiti per il riferircisi, del suo “problema”. Perché, poi, problema?
Hayden non era un problema. Avere Hayden sempre accanto a sé non era un problema, anche se quella vicinanza fosse stata un sogno, una fede incondizionata. Anche adesso, sano come un pesce, il numero nove dell’Inazuma sentiva il fratello minore dentro di sé. Il problema era che prima, non tanto tempo fa, stava cominciato a confondere “Shawn” con “Hayden”. E non sapeva più per quanto tempo il primo sarebbe ancora esistito.
Ecco, questi erano i pensieri che avevano, in genere, sempre afflitto il ragazzo dai capelli argentati. Nessuno l’aveva mai notato prima della vera e propria crisi isterica, l’apice della sua sindrome di personalità multipla o giù di lì, durante la sua collaborazione con la Raimon. Ovviamente, nessuno andava biasimato per questo. Lui non aveva mai detto niente a nessuno, e fatto in modo che persona alcuna lo venisse a sapere. E poi, il fatto che ogni ragazza che si girasse verso di lui diventava automaticamente rossa da capo a piedi (e spesso e volentieri appiccicosa come una vongola ad uno scoglio) aiutava a nascondere le cose.
Beh, quasi ogni ragazza. Prima di tutto c’erano le manager della Raimon, che erano comunque state sempre molto gentili con lui, e forse qualche volta anche messe in soggezione, boh, chi lo sa. E poi c’era la coordinatrice, Bianca. Si ricordava chiaramente la prima volta che si erano parlati. Lei gli aveva chiesto di “starle alla larga”. Gli era stata subito chiara la ragione di quella richiesta, e non fu sorpreso. Però era interessante sentirselo dire per la prima volta in vita sua.
Effettivamente, lui aveva obbedito. Non voleva turbarla; magari per altruismo, semplicemente per non darle fastidio, o magari per puro e semplice egoismo, per non avere altri problemi o conflitti oltre a quelli che aveva giù in numero smisurato nella sua testa. Qualunque fosse stato il motivo, il ragazzo dagli occhi blu ghiaccio secco aveva fatto quasi finta di non conoscerla (atteggiamento ampiamente ricambiato).
Questo non gli aveva certo impedito di osservarla; di tanto in tanto, con la dovuta discrezione, il nuovo centrocampista della Raimon, votato con loro ad affrontare i membri dell’Alius Academy, finiva con il scrutare attentamente nella direzione della ragazza dalla carnagione nivea e l’abbigliamento più eccentrico che avesse mai visto. L’aveva colta in varie occasioni: mentre lavorava, discuteva con l’allenatrice Schiller, oppure quando ridacchiava con Nelly o chiacchierava con Nathan sul pullman su cui la squadra si spostava, o guardava le partite dalla panchina, seduta accanto alle manager.
E molto spesso, in questi frangenti, lei sorrideva. Nonostante quel sorriso non fosse mai rivolto a lui, mai una volta, il ragazzo non poteva fare a meno di notare che quelle labbra rosate piegate verso l’alto in un sorriso avevano un effetto meraviglioso. E ogni volta che la corvina sorrideva, i suoi occhi azzurro cielo diventavano due pozzi d’acqua cristallina, abbandonando la scia malinconica del cielo per toccare quella delicata e pura del mare. Era bella, lei. Era molto bella. Tanto che se non fosse sempre stata scostante con gli sconosciuti, avrebbe avuto una fila dietro lunga quanto quella del ragazzo dalla, all’epoca, doppia personalità.
Lentamente, Shawn aveva notato un fatto interessante. Quando, per qualsivoglia motivo, nominava Axel Blaze, Bianca aveva un brivido. Stringeva o si mordicchiava le labbra, iniziava a torturare le proprie dita intrecciandole tra loro, o posava le mani sulle labbra ad occhi chiusi, come assorta nei suoi pensieri. Il fatto? All’albino, la cosa dava sempre più sui nervi.
Però ignorava quel pungolo che gli pungeva lo stomaco e continuava a rispettare il muro invisibile che Bianca aveva posto fra loro. Anche se quel muro divenne relativamente in fretta la causa del pungolo; e bruciava, bruciava molto. Finché poi ci fu quel paio di giorni ad Osaka, nel grande parco divertimenti in cui la Raimon aveva scoperto una delle basi segrete di allenamento abbandonate dalle squadra della Alius. Quella sosta lì cambiò ogni cosa.
Per la prima volta, Shawn le parlò. La vide lì, in piedi in mezzo alla gente, con le labbra corrucciate e le braccia conserte, che fissava torva qualcosa alla propria destra. Aveva sbuffato, si ricordava il numero nove, e lui non aveva retto. Aveva fatto qualche passo verso di lei, trascinando le due ragazze che gli si erano appese alle braccia nel momento stesso in cui era entrato nel luna park, e le aveva parlato. Lei rispose in malo modo e finì con l’andarsene, ma si erano parlati. E anche se la ragazza aveva suggerito l’idea di non aver apprezzato in particolar modo quel momento, bisognava ammettere che l’albino ne era stato contento.
Non ricordava quanto successo dopo. Qualcosa era successo, durante uno degli allenamenti nella base, questo era certo. Pur avendo lasciando il completo controllo a “Hayden”, che non vedeva l’ora di sfogarsi un po’, il fratello maggiore era in grado di affermare che qualsiasi cosa la sua personalità da attaccante avesse fatto, l’atteggiamento di Bianca da allora cambiò.
Non divenne propriamente amichevole, non subito, tuttavia mutò. Quantomeno non era più così astiosa nei suoi confronti. Certo, sempre restia a parlargli, eppure in maniera diversa, quasi timorosa. All’inizio questo l’aveva fatto preoccupare, nel senso, cosa cavolo aveva fatto Hayden? Non era nemmeno sicuro di volerlo davvero sapere.
E infine, la crisi. Già... quello era stato terribile. Inutile dire “il periodo peggiore della sua vita”, perché andiamo, la sua intera vita era stata un immenso schifo, prima dell’intervento – dan, dan, dan! - di Axel. Beh, prima di questo, c’era stato un ulteriore cambiamento nella ragazza dagli occhi celesti. Piano, molto piano, erano finiti con l’avvicinarsi. Inesplicabilmente, Bianca arrivò a definirlo uno dei suoi migliori amici, cosa che continuava, apparentemente, ad essere.
Il centrocampista sollevò la palla in aria con il piede e la riafferrò di testa, palleggiando un paio di volte prima di colpirla di petto e tornare ai piedi e alle ginocchia, muovendosi ritmicamente, come se stesse ballando insieme al pallone da calcio. A quanto parte stare sveglio fino a tardi non era servito a niente, siccome era finito con il pensare ininterrottamente a Bianca per tutto il tempo. Non che fosse tanto un problema pensare a lei...
Si voltò verso la porta opposta a quella in cui era e tirò con quanta forza aveva nella gamba destra; il tiro fece una lunga strada, finché non perse gradualmente potenza e finì con il rotolare sull’erba sintetica, fino a fermarsi sotto ai piedi di – oh – del “problema”.
-E’ un po’ tardino per giocare a calcio, ti pare?- osservò la voce divertita del capocannoniere dell’Inazuma Japan. Ciò nondimeno, usò il piede per fare leva alla palla sul terreno e palleggiarla un paio di volte sul ginocchio prima di farla piombare ancora ai propri piedi e passarla a Shawn, dopo essersi avvicinato abbastanza.
Seppur stupito, Frost non era dispiaciuto dal vedere arrivare qualcun altro; significava che non era il solo a non avere sonno e in caso non sarebbe stato l’unico ad essere rimproverato.
-Problemi a dormire?- si interessò, colpendo a propria volta la palla verso l’amico.
-Qualcosa del genere.- disse solo quell’altro, ricevendo la sfera di cuoio.
-Capisco.-
Continuarono a passarsi la palla per un tempo che parve ad entrambi interminabile; si chiesero più volte che ore fossero, per quale motivo non avessero freddo nonostante stessero indossando la divisa in piena notte. Non avevano bisogno di chiedersi il perché dell’insonnia- oh, quello lo sapevano benissimo, purtroppo per loro. E, dopo svariati passaggi grazie ai quali probabilmente fecero le ore piccole, il numero nove e il numero dieci cominciarono senza neanche stabilirlo a giocare uno contro uno.
L’ultima volta che avevano fatto una cosa del genere era stata tanto, tanto tempo prima. La notte prima del giorno in cui Shawn aveva superato i cancelli della propria mente ed era diventato una persona normale. Non era finita molto bene, di sicuro essere mollato sotto la pioggia e il rumore burrascoso dei tuoni non aveva reso l’albino più felice del solito, ma beh...
-Non pensare troppo, concentrati sulla palla!- consigliò con un sorriso il biondo, prima di soffiargli con estrema facilità il pallone dai piedi e tirarlo con decisione in porta.
L’interpellato non trattenne una risata. -Non montarti la testa, tu!-

Il tonfo delle loro schiena che battevano contro l’erba sintetica del campo risuonò per un momento nell’aria silenziosa e notturna che li avvolgeva. Silenziosa era leggermente incorretto, dato che il loro respiro pesante forniva un ottimo sottofondo.
-Che ore saranno secondo te?- mugolò Blaze fra un respiro e l’altro, poggiando un braccio sulla fronte e aprendo bene gli occhi neri per osservare il cielo blu.
Il suo interlocutore sospirò. -Tardi. E ancora non ho sonno.- aggiunse a mo’ di lamentela, anche se appariva maggiormente come una constatazione obiettiva.
Il capocannoniere rise. -Come fai a non essere stanco adesso?- inquisì palesemente divertito.
-Non lo so, non lo sono e basta, credo.- si concesse un sorriso. Non era normale, lo sapeva.
Seguì un sottile silenzio, facile da spezzare di netto e così visibile da potersi tagliare con un coltello da cucina. Era un silenzio rilassante; non avrebbe dovuto esserlo in effetti. Se si fossero addormentati là fuori in mezzo al prato si sarebbero ammalati e di brutto.
...
-Bianca ti piace veramente molto, Shawn?-
-Aspetta, cos’èchemihaichiesto?-
-Non era una domanda complicata.-
-Non dovrei parlare della ragazza che mi piace con il suo ragazzo, grazie.- Senza contare tutte le cose che si erano detti l’ultima volta che avevano affrontato l’argomento. Perché adesso se ne era uscito con quel quesito, così fuori dal nulla?
Però il biondo, imperterrito... -Dov’è il problema se sono stato io a cominciare la conversazione?-
-E questo cosa c’entra?-
-Rispondimi e basta!-
L’originario di Hokkaido sospirò. -Sì, Axel, Bianca mi piace davvero, davvero, davvero parecchio.- avvertì la mano del suo interlocutore stringersi intorno al finto prato. Beh, se l’era cercata. -Perché lo volevi sapere, se mi è concesso chiedere?-
Il calciatore dagli occhi color cioccolata fondente esitò un attimo. -Beh...- esordì poi, -Io e lei abbiamo direttamente saltato la parte del “Mi piaci”. Siamo andati direttamente a parlare come due adulti.-
-Psicologicamente parlando, voi siete due adulti.- praticamente corresse l’altro.
Il bomber di fuoco emise un verso. -Non è questo il punto.- comunicò senza negare l’affermazione ricevuta. Cosa c’era da negare? -Il punto è che... nessuno ha mai spiegato a me, e probabilmente neppure a lei, cosa sia l’amore. Cioè, è così semplice affermare di amare una persona, e poi è così difficile spiegare cosa significa amarla. Quindi... è difficile stabilire quanto siano profondi i sentimenti che mi legano a Bianca e viceversa.-
-Capisco ciò che intendi, ma in tutto questo io sono contemplato perché...?-
-Perché me e non te?-
...
...
. . .
-Eh?- l’albino si sollevò, per girarsi e guardare l’amico in faccia, giusto per mostrargli la faccia sconvolta che quella domanda gli aveva provocato. -Eh?- ripeté, statico.
-Hai capito benissimo.- borbottò Axel in risposta, non troppo contento di dover ripetere. -Perché fra noi due, che probabilmente l’amiamo allo stesso modo, lei ha scelto me?- Frost sbatté le palpebre, interdetto. -So che è inutile crivellarsi in questo modo, però io so che un po’ le piaci anche tu, o quantomeno le sei piaciuto da qualche parte durante le sfide contro la Alius.- Come faceva ad esserne così sicuro? Era tentato di chiederglielo, però quello riprese a parlare. -Quindi perché alla fine è andata così?-
-Bella... bella domanda.- il centrocampista dagli occhi blu assentì col capo un paio di volte, con aria riflessiva e al contempo spiazzata. Come immaginarsi di ricevere un ragionamento del genere ad un’ore indefinita della notte? -Forse perché tu e io siamo molto, molto diversi, Axel.- ponderò, appoggiandosi meglio sullo stomaco. -I nostri caratteri sono quasi ai poli opposti.- Togliamo il quasi. -Io non sono sicuro di esserle mai piaciuto la metà di quanto lei piaccia a me, sinceramente. Comunque, anche se fosse, nel suo cuore ci sei solo tu. Tu sei... probabilmente la persona più cara che ha. Non dubito che forse siate troppo maturi per intraprendere una relazione da adolescenti.- Che era basicamente ciò che il biondo aveva detto prima, no? -Tuttavia credo che... credo che lei sia molto felice con te. E’ questo tutto ciò che conta. E anche se non ne trovi il senso, va bene lo stesso. L’amore non ha un senso.-
Axel si sollevò seduto e si girò verso l’amico. -Sei molto profondo.-
-Parlo per la mia esperienza personale.- ribatté prontamente l’altro. -Il mio primo amore è una ragazza che ha esordito la nostra conoscenza con un “stammi alla larga”, che ha aspettato che io impazzissi del tutto per concedermi un sorriso, e che tra l'altro è perdutamente innamorata di uno dei miei migliori amici il quale, tra parentesi, mi fa un po’ paura.-
-Paura?- ripeté con un sorriso sarcastico il biondo.
Shawn gli fornì uno sguardo più che chiaro, limpido. -Axel, tu non hai idea della paura e della soggezione che le tue occhiatacce mettono addosso alla gente.-
Quell’altro rise. -Sono così male?-
-Non tanto come le valanghe, ma quasi.-
Perché quell’affermazione fece ridere entrambi come degli idioti non lo seppero mai.






La Royal Academy non aveva mai avuto un aspetto molto rassicurante; nonostante avesse sempre tentato di negare l’evidenza, Bianca provava un forte senso di angoscia ogni volta che attraversava quei lunghi e pallidi corridoi, soprattutto la sera, quando la luce fioca del tramonto rendeva tutto più lugubre. Quell’istituto non rientrava fra i suoi preferiti, no di certo.
Eppure, quella volta, tutto ciò non sembrava sfiorarla neanche di striscio. Le braccia conserte, o meglio strette ognuna contro il braccio opposto, le dita affondate nella stoffa della gialla da cavallerizza e il suono incessante dei suoi tacchi che le rimbombava nelle orecchie, la giovane coordinatrice sembrava essere fuori da questo mondo. Il sole stava quasi per sparire, e per lei sarebbe già dovuto arrivare il momento di andare a casa, come ogni giorno.
Ma stavolta era diverso. Stavolta, sarebbe stato per non tornare mai più alla Royal.
Fermò il suo cammino stanco solo quando i suoi occhi tremanti non scivolarono lungo i contorni della porta grigia che aveva varcato anche troppe volte per i suoi gusti; sapeva chi avrebbe trovato dall’altra parte, dopo tutto quel tempo aveva imparato gli orari di Dark, era sicura al cento per cento che il “Comandante” fosse ancora lì. Seduto alla sua scrivania, scribacchiando scemenze, decidendo quali altre malefatte compiere.
Bianca Plus non era tipa da tirarsi indietro, no, questo mai. Ciò nonostante, doveva riconoscere di aver paura. Temeva che una volta entrata e sentita su di sé la presenza incessante dello sguardo nascosto del suo datore di lavoro avrebbe perso tutta la forza di volontà che aveva impiegato nel prendere la decisione che adesso l’aveva portata lì davanti.
Era arrivata in ritardo, quel giorno. Dark non se l’era presa, questo no, e la cosa le dava stranamente fastidio. D’altro canto, se l’avesse rimproverata, lei avrebbe dato di sicuro di matto. Lei aveva fatto tardi perché era andata in ospedale. Di nuovo. Era andata lì per la seconda volta in due giorni, solo per scrutare ancora il viso addormentato di quella bambina. L’aveva fatto più per avere un’ulteriore spinta a fare ciò che doveva che per altro.
Tirò un profondo respiro, tanto che le si raffreddarono i denti, e avvertì qualcosa di pesante atterrarle di botto sullo stomaco. La sensazione più strana che avesse mai provato, un fastidio incessante; non doloroso, questo no, tuttavia era come una tortura. Capì alquanto rapidamente che ciò che stava provando era paura, il desiderio di arrendersi, la voglia lasciar stare tutto e nascondersi dietro ai fatti. Ma Bianca Plus non era fatta così.
Sollevò la mano chiusa a pugno e la sbatté un paio di volte, più piano di quanto in realtà intendesse, sulla porta. Aspettò il paio di attimi che ci vollero a Dark di darle il permesso di entrare. Strinse con forza la maniglia bianca, stringendo gli occhi.
La porta si aprì lentamente spinta dal suo stesso braccio, emettendo uno stridulo cigolio che le fece accapponare la pelle. Non credeva che sarebbe mai potuta diventare così fragile, così spaventata ed indifesa, però probabilmente chiunque lo sarebbe stato nella sua situazione. Giusto? Sì, doveva essere così. ...Ah, chi voleva prendere in giro? Aveva paura. Era un fatto.
-‘Sera, Bianca.- la accolse la voce velata dell’uomo. -A cosa devo questa visita fuori orario?- inquisì tranquillamente, come genuinamente curioso.
La corvina cominciò a torturarsi le mani, senza abbassare lo sguardo ad osservare la punta degli stivali, cosa che avrebbe tanto preferito fare. -Al fatto che sono stata stupida.-
-Che intendi?- Ray sollevò appena il viso, e la luce, fioca come al solito, dell’ufficio scarsamente illuminato rifletté sulle lenti scure dei suoi occhiali.
La coordinatrice prese un respiro e puntò i tacchi sul pavimento per darsi sicurezza. -Sono stata molto stupida,- iniziò a spiegare, -quando ho deciso di lavorare per uno come lei.-
-Uno come me?- la Plus strinse i pugni a quella domanda di spiegazioni. Come se ce ne fosse bisogno. I palmi delle mani le prudevano per l’indignazione. Come poteva quell’uomo fingersi così innocente? Cosa c’era di sbagliato in lui?
-Qualcuno- esordì ancora, -Qualcuno senza scrupoli e senza codice morale, proprio come lei.- specificò corrucciandosi. -Ho fatto un errore, quando sono venuta qui. Ho fatto un errore quando ho dimenticato l’espressione di mio padre quando mi ha parlato di lei per la prima volta. Ho sbagliato.- separò le mani l’una dall’altra.
Il cambio di espressione sul viso di Dark non le sfuggì, come non fece la piega quasi divertita che presero le sue labbra. -Togliti il cappello. Non vedo bene i tuoi occhi.- replicò con un tono così falsamente affettato che l’interpellata sentì il desiderio di gridare.
Il cuore prese a batterle più velocemente. Non obbedì a quell’ordine. -Se io non posso guardare i suoi occhi, non le permetterò di vedere i miei.- ribatté. Era contro i suoi principi, non incrociare lo sguardo di chi le stava di fronte. Era come nascondersi. Non mostrare gli occhi alla gente era come evitare confronti, e in genere le dava fastidio.
-Oh, perché? Credo che i tuoi occhi siano più piacevoli da guardare dei miei.-
-La smetta!- sbottò l’adolescente, stringendo i denti. -Non mi interessa cosa lei pensa dei miei occhi! Preferisco cavarmeli piuttosto che ricevere complimenti da uno come lei!- desiderò tagliarsi la lingua per aver alzato tanto la voce. Non era neppure un sollievo.  
L’allenatore parve riflettere per un attimo. Ancora con quel sorriso stampato in volto, ovvio. -Bianca, hai lavorato per me per quasi più di un anno.- le rammentò, affatto colpito da ciò che lei gli aveva detto. -Che è successo?-
La ragazza non distolse lo sguardo a fatica. -Ecco, io, veramente...- si aspettava quella domanda? Ovviamente no! Quell’uomo era impossibile. Gli era bastato distrarla per un secondo da quel che era venuta a dirgli, e lei magicamente si sentiva persa nel nulla.
-Non lo sai?- la interruppe sul nascere il suo datore di lavoro, notando la sua esitazione. Beh, notarla era piuttosto semplice. -Allora forse non era così importante.- No. -Va a casa a farti una dormita.- No! -Domani starai meglio.- Assolutamente no!
-Julia Blaze.-
-Cosa?-
Già, cosa? -Julia, Blaze.- ripeté meccanica, sillabando attentamente quel nome. -Rischia la vita. Rischia di morire.- pregò sé stessa di non continuare. Non voleva mettersi a piangere, non davanti a Dark. No. In generale. Non voleva piangere ancora. -E ha solo cinque anni. Le sembra giusto, signor Dark?- domandò, secca. Era stanca. E aveva paura.
-Bianca, come fai a sapere queste cose?-
-Mi risponda! Le sembra giusto?!-
-La vita non è mai giusta.- la prontezza di quella replica non poté far altro che far salire il bruciore immenso della rabbia lungo l’esofago della coordinatrice. Stava forse venendo presa in giro? Era questo che stava succedendo?
Strinse i pugni. -La vita?- sussurrò, quasi sorpresa. -Come può un individuo come lei, che alla vita non dà valore alcuno, pronto a cancellare ogni futuro ad una povera bambina innocente solo per vincere uno stupido torneo di calcio, essere così presuntuoso da incolpare la vita stessa che lei ha così brutalmente tentato di recidere?!- era tanto tempo che Bianca non diceva ciò che pensava. E anche se una inutilissima e fastidiosa lacrima le era appena cascata lungo la guancia, non si sentiva frustrata neanche la metà di come si sentiva prima.
-Non parlare di cose che non conosci.- fu tutto ciò che l’adulto ebbe da dire, serio.
Lei non lo ascoltò affatto. Non voleva più ascoltarlo. Mai. -Non avrei mai immaginato che potesse essere in grado di arrivare a tanto. Lei è un mostro. Un mostro, mi ha sentito?! Avrei preferito non nascere, piuttosto che nascere per merito suo!!- il brutto era che lo pensava davvero. Almeno, lo pensava durante quella sfuriata. -E non lavorerò mai più per lei.-
Dark si alzò in piedi, e Bianca si accorse di avere la vista offuscata dalle lacrime che premevano per uscire. Le aveva fatto male gridare così tanto contro quell’uomo. Nonostante tutta la rabbia, le aveva provocato dolore dire ciò che pensava. Il cuore le pulsava ancora troppo rapidamente, e un’atroce malinconia prese possesso di lei. La paura tornò a farsi sentire e lei pensò di non aver mai temuto niente come temeva ora la paura stessa. Che cosa banale.
Non attese che Dark formulasse cosa risponderle. Si voltò di scatto, aprì la porta e corse via, senza richiuderla. Più lontano sarebbe arrivata, meglio sarebbe stato. Le faceva male lo stomaco.
Ray si alzò in piedi, e raggiunse l’uscio del suo ufficio, prima di chiuderlo con delicatezza. -Vedremo.-




-Signorina!- una voce completamente sconosciuta raggiunse le orecchie di Bianca, che mugolò come dolorante. -Signorina!- la voce divenne più nitida quando riuscì a svegliarla.
Le palpebre della corvina si spalancarono, i suoi occhi riuscirono finalmente a liberare le lacrime che avevano trattenuto con la forza, spinte dall’inconscio addormentato della coordinatrice. Guardandosi intorno, quest’ultima si ritrovò seduta su una panchina, in una strada alberata, spoglia di persone. Stropicciò con le mani il viso ancora intirizzito dal sonno e bagnato da quell’improvviso e gelido pianto, prima di alzarlo davanti a sé.
Il proprietario della voce che l’aveva svegliata da quell’incubo sospirò di sollievo quando riuscì a guardarla in viso. La carnagione ambrata aveva un colore molto simile a quello dei corti capelli castani che il ragazzo, probabilmente suo coetaneo, aveva in testa. Aveva due larghi e gentili occhi neri, e lei era certa di averlo già visto da qualche parte.
-Grazie al cielo stai bene. Mi stavo preoccupando.- all’occhiata interrogativa che la ragazza gli rivolse, lo sconosciuto in piedi davanti a lei le sorrise. -Ti stavi agitando nel sonno, ti tremavano tantissimo le palpebre, e infatti...- alluse all’acqua che era scorsa giù per il viso dell’interpellata. -Ci ho messo tanto a svegliarti che non era possibile non preoccuparsi!-
Bianca abbassò di scatto la testa per osservare le proprie mani. Era stato un sogno? Era stato solamente un sogno? ...No. No, non lo era stato. Quelle cose lei le aveva dette davvero. Quella scena era realmente accaduta. Furbo, il suo subconscio, a suggerirle quella memoria proprio adesso. Già. Stava cominciando a ricordare cosa era successo. La partita contro l’Orfeo, ecco cosa. Il match era alle porte, e la sola idea di trovarsi contro Dark, di nuovo, l’aveva resa estremamente nervosa. Il giorno prima non era riuscita a chiudere occhio.
Al solito, Travis l’aveva notato. E questa volta persino Jude le aveva detto di riposarsi prima dell’incontro. E quindi eccola là. Addormentatasi dopo una nervosa e semi nevrotica passeggiata per Liocott. E chi sognava? Dark! Ovvio! Perché si sentiva così male? Dark non era più un problema. Qualsiasi cosa fosse successa, si sarebbe risolta. Cosa le stava succedendo?
-Stavi avendo un incubo?- le domandò il ragazzo, sedendosi accanto a lei e destandola dai suoi pensieri.
Lei non portò le sue iridi azzurre su di lui. -Una specie.- ammise, aprendo e chiudendo le mani. -I sogni sono proprio una fregatura. Ti tormentano con il passato, manifestano le tue paure nel presente, danno false speranze o timori per il futuro. Sono una grandissima fregatura.-
Il castano inclinò la testa. -Quale dei tre è il tuo caso, signorina?- domandò, sorridendo ancora.
-Non chiamarmi signorina, per favore. Chiamami Bianca.- ignorò volutamente la domanda. Non che non ne conoscesse la risposta. Semplicemente, non aveva voglia di parlarne con un perfetto sconosciuto. Il caso di Ray Dark era per lei troppo personale.
-Con piacere, Bianca.- lui le porse la mano in segno di saluto. -Io sono...-
-Hidetoshi Nakata. Ex capitano dell’Orfeo.- completò lei al posto suo, stringendogli la mano.
Quello rimase palesemente stupito da quella veritiera affermazione. -E tu come...?-
La bruna ridacchiò. -Conoscere gli avversari è il mio lavoro.- sorrise anche lei. Hide la guardò, ancora perplesso. -Io sono Bianca Plus. Sono la coordinatrice dell’Inazuma Japan.- si presentò meglio la ragazza. -E potrei avere una memoria fotografica.- calcò sulla parola “potrei” con finta innocenza, causando una piccola risata al suo interlocutore. -Grazie per avermi svegliata.- aggiunse poi, più seria, lasciando la mano del coetaneo e giocando con i propri capelli.
-Dovere.- sminuì quell’altro, ignaro di quanto in verità lei gli fosse grata. Si alzò dalla panchina e si stiracchiò un po’, per poi voltarsi verso Bianca. -Piacere di conoscerti.-
-Piacere mio.-
Ci fu una manciata di secondi in cui l’unico suono percepibile era il leggero vento che spostava i lunghi capelli della coordinatrice. Beh, quelli che non erano ben saldi intrappolati nelle sue trecce, ovvio. Curiosamente, durante questo tempo Nakata parve come in riflessione.
-Allora.- cominciò sereno dopo poco, -Ti va di fare due passi?- l’occhiata interrogativa della ragazza non era difficile da cogliere, e l’ex capitano della nazionale italiana si lasciò scappare una piccola risata. -Per distrarti un po’. Non so cosa tu abbia sognato, ma a giudicare da come l’hai vissuto da fuori, non te ne dimenticherai facilmente.- esplicò con serenità. -Se ti va.-
La nippoamericana rimase in silenzio per un attimo, riflettendo su ciò che le era stato appena detto. Da una parte, era alquanto seccata dal fatto che anche una persona appena incontrata si fosse resa conto di quanto lei necessitasse una distrazione, una qualsiasi; dall’altra, era contenta che per una volta la distrazione non le fosse stata imposta.
Quelli che di solito le ordinavano di riposarsi e pensare ad altro lo facevano con tutte le buone intenzioni, e i toni austeri erano quasi sicuramente la prova del fatto che non erano in grado di non essere seri. Quindi, probabilmente, c’era da essere contenti per aver trovato qualcuno che, fosse per cortesia o per vera e propria personalità, le proponesse gentilmente una distrazione. Così, senza neanche conoscerla.
-Dipende.- alzò le spalle, e si sollevò in piedi, incrociando le braccia al petto e osservando la stoffa della sua camicia rossa piegarsi per quel movimento. -Tu dove mi porteresti?-

—-

Hidetoshi trattenne una risata davanti all’espressione perplessa che il suo amico Luca mise su quando si ritrovò davanti Bianca. Non c’era da stupirsi certo, questo no. Era naturale che il biondino non si aspettasse che l’amico giapponese si portasse dietro una ragazza- senza contare poi che l’aveva appena conosciuta per strada. Forse, il castano era troppo gentile persino con gli estranei. Probabilmente, nessuno avrebbe obiettato a questa affermazione.
Dal canto suo, la corvina era semplicemente concentrata nell’analizzare il ragazzo che aveva davanti. Era più o meno alto come Nakata; capelli biondo sporco, occhi grandi con iridi piccole e color castagna, un lieve sprazzo di lentiggini sul naso e un gelato in mano. Ecco, questo era l’amico che  il ragazzo dalla carnagione scura le aveva nominato mentre camminavano.
L’italiano sbatté le palpebre un paio di volte, poi si voltò verso l’amico. Quest’ultimo fece spallucce, e il biondo aspettò un attimo prima di decidere di lasciar stare e voltarsi verso la nippoamericana. -Salve.- salutò, sorridente, eppure visibilmente indeciso su quel che dire.
-Buongiorno.- rispose educatamente la coordinatrice, posando la mano sulla propria rispettiva spalla.
-Io sono Luca.- si presentò l’altro, allungando la mano libera in segno di saluto.
La ragazza lasciò che un sorriso le scorresse sulle labbra chiare e strinse la mano che le veniva posta. -E io sono Bianca.- disse a sua volta, non più troppo sicura che accettare la gentile proposta di Nakata fosse stata una buona idea. Nervosa o meno, lei doveva lavorare.
-E’ la coordinatrice dell’Inazuma Japan.- aggiunse Hidetoshi per lei, rivolgendosi a Luca.
Il ragazzo dagli occhi castani sciolse sorpreso quel tono di dubbio che aveva usato poco prima. -Davvero?- la diretta interessata annuì. -Che forza! E sei anche molto giovane!- esclamò, ammirato. -Quando in TV inquadrano la panchina però, non ti si vede mai.- notò poi.
-E tu che ne sai, abbiamo visto tutte le partite dal vivo.- ribatté scettico il calciatore, inarcando un sopracciglio. Tuttavia non nascose un sorrisetto.
Quell’altro si grattò la guancia. -Ah, ecco perché.- realizzò con innocenza.
Bianca non poté far altro che pensare che appariva infantile. Non tanto per quel breve scambio di battute fra i due ragazzi, bensì per l’impressione generale che le aveva dato. Non era un male di sicuro, anzi. Si sentì appena appena di ridere, anche se non lo fece.
Hide sospirò divertito. -Comunque,- riprese Luca -quando vi siete conosciuti?-
-Circa...- la coetanea lanciò un’occhiata all’orologio da polso. -Dieci minuti fa.- ci fu un “Oh” stupito provenire dal suo interlocutore, che tornò ad essere palesemente confuso e in tutta sincerità incuriosito da quella situazione.
Prima che potesse fare domande, il giapponese lo precedette. -L’ho vista che dormiva agitatamente su una panchina, e stava piangendo nel sonno, quindi ho pensato che distrarla un po’ non fosse una cattiva idea.- espose i fatti con semplicità.
Per qualche ragione, il modo in cui ne parlò fece sentire la Plus come se fosse stata una bambina che aveva perso di vista la madre e che quindi, spaventata, aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno che la facesse sentire meglio e la riportasse a casa. Che scemenza. Sei patetica, B, sei veramente patetica, non fece a meno di sgridarsi mentalmente.
-B-Beh, ho accettato di venire solo perché ero curiosa. Non ho... bisogno di distrarmi...- oh, ma non si era ripromessa di smettere di mentire? ...Ehm. Guardò da un’altra parte, arrossendo appena. Luca non ridacchiò probabilmente per cortesia, mentre Hidetoshi non ebbe questo garbo, facendola arrossire ancora di più. -Ehi!- sbottò infastidita.
Il castano le dedicò un sorriso dispiaciuto e stava per dire qualcosa, tuttavia il biondino non gliene lasciò il tempo. -Ma cosa sognavi di così terribile?- domandò infatti, visibilmente incuriosito.
Mentre Nakata lo guardava eloquentemente, la corvina deglutì a vuoto. -Lunga storia, cose mie.- borbottò. Un’ombra di malinconia le calò a coprire le iridi azzurre. Si chiese per quanto tempo ancora avrebbe sognato ricordi così dolorosi. Quella era già le terza volta.
L’italiano si accorse del suo disagio e, dopo essersi preso una gomitata dall’amico giapponese, le si avvicinò un po’ e le sorrise radioso. -Se ti offro un gelato, in cambio mi sorridi di nuovo?-
-Eh?- l’occhiata perplessa che ricevette in replica lo fece ridere.
-Spero tanto che tu non sia il tipo di persona che sorride poco, perché hai davvero un bel sorriso, e sarebbe un peccato. No?- spiegò come se stesse raccontando una favola ad una bambina di cinque anni. Sempre più patetica, Bianca. Da dietro, Nakata rise, una risata che, la ragazza notò solo ora, non era di scherno. Sembrava contento. Colui che stava parlando parve avere un’idea, poiché spalancò gli occhi scuri e le labbra prima di sorridere ancora. -Ehi, ho voglia di presentarti una persona!- trillò allegro, -E’ in grado di far felici tutti, sono sicuro che ti piacerà da matti!- Non che le lasciasse il tempo di scegliere... -Oh, prima il gelato!-
La coordinatrice rimase interdetta. -Non ho fame... grazie...-
Una persona in grado di far felici tutti. Le venne in mente Mark. O lo zio Daniel. Chissà se questa conoscenza di Luca apparteneva anche lui (lei?) a quella categoria...




Note di _Kiiko
Spoiler: no, non vi appartiene. Ma mi auguro che abbia capito di chi si tratta. Sennò pazienza, prossimo capitolo. Che scriverò in meno tempo! Giuro! No, perdonatemi davvero. Scusatescusatescusatescusatescusatescusatemiiiii.  Il punto è che ho... fatto un casino. A gennaio mi hanno operata all’occhio (lo stesso, di nuovo, problema diverso ma sempre lo stesso occhio), e mi hanno operata ancora a febbraio, ho passato un mese in convalescenza, il mese successivo a studiare il doppio dei miei compagni di classe per recuperare, e ho provato tante volte, tante, tante, tante a buttare giù questo capitolo e non ce l’ho mai fatta, e quindi eccomi qui, come si dice... Six months after. E nel frattempo ho avuto un sacco di idee per quando finirò la parte del FFI (e per il prossimo capitolo, giuro!), e poi ci sarà tutta quella storia di Nelly che probabilmente mi divertirò a scrivere perché devo approfondire così tanto il rapporto fra Nelly e Bianca che non mi sento all’altezza e--
Niente. E niente. Questo è quanto. Sono un po’ emotiva, quindi è meglio se vado a nanna.

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Capitolo 28
*** L'Orfeo [2] La piccola Lucy ***



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L'Orfeo [2] La piccola Lucy



Il lasso di tempo che Bianca impiegò per immagazzinare le informazioni che la sua visuale le stava offrendo fu stupefacente; fu talmente lungo che lei stessa se ne stupì profondamente.
Davanti al suo sorpreso sguardo azzurro, Luca stava tenendo fra le braccia una bambina, probabilmente della stessa età di Julia, forse poco più grande, che portava un caschetto di capelli biondi. Era minuta e carina, e la sua risata mentre il fratello la sollevava in aria apparteneva di sicuro ad una voce dolce e allegra. Alla corvina sarebbe piaciuto sapere di che colore fossero i suoi occhi, tuttavia era impossibile, al momento. Lungo tutta la circonferenza della testa, a coprire appunti i suoi occhi, la bambina portava una fascia bianca.
Non vedeva. Quella bambina non poteva vedere. Non era mai capitato, alla bruna, nella sua vita, di incontrare una persona cieca. Beh, ora Nakata e Luca l’avevano portata a fare esattamente questo, apparentemente. 
Quella bambina meritava davvero ciò che Luca aveva detto di lei? In grado di far felice chiunque. Per dir la verità, la Plus aveva i suoi dubbi a riguardo. Ovvio che un bambino sapesse far sorridere la gente, ciò nonostante la felicità era tutt’altra cosa. Guardando la piccola cieca parlare con il fratello maggiore e il suo amico, però, ebbe la sensazione di sentirsi giù più serena di quanto fosse stata fino a pochi minuti prima. Era una sensazione alquanto insolita.
Dopo una frazione di tempo che nessuno seppe definire in seguito, i due ragazzi si ricordarono della ragazza che si erano portati dietro, a quanto pare con l’intento di distrarla dai suoi brutti pensieri. Così, senza particolare motivo, una sconosciuta... chissà se era normale. Di persone così gentili era difficile trovarne- anche se c’era qualcuno che di sicuro avrebbe catalogato quella gentilezza come semplice imprudenza. Per una volta, Bianca non fu quel qualcuno.
Si sentì stranamente messa in soggezione quando Luca posò la sorellina a terra e la trascinò per la mano per farla avvicinare alla coordinatrice. -Allora Bianca,- cominciò il biondo, sempre con quel sorriso spensierato per il quale, a questo punto, la ragazza si ritrovò a provare ammirazione. -Questa è mia sorella Lucy. Lucy,- colse la corvina di sorpresa, afferrandole la mano e portandola su quella della bambina -Questa è Bianca.-
Quest’ultima non seppe cosa provare quando la piccola strinse la sua mano, ben più grande, nelle sue, piccole e morbide come quelle di un bambino dovrebbero essere. Dopo averla analizzata per qualche secondo, Lucy sorrise allegra, il viso sollevato verso l’alto, pur sapendo di non poter comunque guardare la maggiore in viso. La quindicenne percepì in sé stessa una certa tristezza al pensiero.
-Ciao, signorina Bianca!- la salutò l’altra, come se non fosse la prima volta che si incontravano.
Lo sguardo della coordinatrice si addolcì. -Ciao, Lucy.- sorrise leggermente, accovacciandosi così da poter guardare la bionda dal basso. Lei si accorse del movimento, perché spostò a sua volta la testa. -E’ un piacere conoscerti.- strinse la manina che si trovava nella propria, a suggellare meglio la presentazione.
Che perfettina. Aspetta un momento... cosa?
-Piacere mio, signorina Bianca!- fu la gioiosa replica, la quale riuscì a distrarla dai propri pensieri.
L’interpellata finì col sorridere ancora di più. -Ti va di chiamarmi solo Bianca, piccola Lucy?-
-Ma certo!-


-Te lo concedo, è davvero una bambina splendida.- Hide sollevò lo sguardo sulla sua nuova amica che, appoggiata con la mano alla stessa ringhiera a cui era appoggiato lui, stava osservando come incantata i due biondi fratelli che discorrevano di solo il cielo sa cosa, mentre giocavano insieme.
Il castano si concesse un attimo di stupore, prima di sorridere. -Sono contento che la pensi così.- ribatté gentilmente, tornando anch’egli a guardare il suo migliore amico venire completamente distrutto dal solletico che la sorellina gli stava infliggendo. Beh... non che Luca stesse facendo niente per impedirlo.
La nippoamericana spostò una ciocca di capelli nero pece dietro un orecchio, senza smettere di scrutare attentamente il tenero spettacolo che si stava svolgendo davanti a loro. Era qualcosa che effettivamente non le era mai capitato di vedere. Un fratello e una sorella, così uniti e felici di trovarsi nello stesso posto nello stesso istante, stuzzicando la capacità di trattenere le risate l’uno dell’altro. In un certo senso, era una visione che le stava rapidamente scaldando il cuore. Non era solo piacere, nemmeno spensieratezza, questo mai, era forse... commozione, sì?, poteva davvero arrivare a commuoversi per quella ragione?
Anche se si erano parlare per solo, circa, un minuto, Bianca era stata molto contenta di aver conosciuto Lucy, di aver avuto l’opportunità di parlare con lei, per quanto effimera quella conversazione fosse stata. Secondo certi punti di vista, era stata un’esperienza unica. Quantomeno, lo era stata per lei. Non aveva mai avvertito una sensazione del genere nel suo stomaco. E quello stomaco gliene aveva procurate molte, di sensazioni.
Che cosa avesse reso quel momento unico nel suo genere, o meglio, unico in generale, lei non era poi così sicura di poterlo descrivere. Non era giusto dire semplicemente che fosse stato a causa della cecità di Lucy. Perché innanzitutto, nella mentalità della bruna quella si poteva benissimo definire discriminazione. Non di tipo eccessivamente né necessariamente negativo, eppure non andava bene lo stesso. E secondo poi, non era quello il motivo, non sarebbe stato così facile e pulito capire cosa rendesse quello scricciolo così speciale.
-Com’è successo?- non poté trattenersi dal chiedere, attirando nuovamente l’attenzione del ragazzo dagli accesi occhi neri.
Questi alzò le spalle, girandosi nella sua direzione. -Cosa?- domandò, innocente. Oppure fingendosi innocente, era difficile da comprendere. Bah.
-La vista di Lucy.- specificò, vaga e precisa allo stesso tempo, l’interlocutrice.
Nakata sospirò, sorridendo. -Non lo so. Luca non ama parlarne.- le comunicò soltanto, mostrando nella sua espressione una certa ombra mesta nel pronunciare quella frase. Probabilmente gli dispiaceva un poco di non poter sapere niente riguardo quel frangente. Era anche cosa certa, per come stavano le cose, che l’italiano non gli avesse mai davvero neppure detto cosa provava nei confronti del problema della bambina.
Le iridi cerulee della coordinatrice fissarono la punta degli stivali neri da lei indossati. -Capisco.- Era normale, comunque. Alla fin fine, Bianca non faceva niente di diverso. Tenere i propri problemi per sé era una cosa che non solo lei era solita fare- tutti nascondevano almeno qualcosa. Un ricordo triste, un’azione di cui ci si poteva essere pentiti, una delusione passata, qualsiasi cosa. Era un peso che la ragazza non aveva mai visto mancare in nessuno che fosse minimamente maturo. Non erano forse i guai e i problemi del passato, a rendere maturo qualcuno? A volte pure troppo. Eh...
-Però,- aggiunse Hide, facendola quasi sussultare, -Non è più un problema.- le dedicò un sorriso saputo.
La Plus sbatté le palpebre, confusa. -Che intendi?- si incuriosì, inclinando il capo.
Il castano sollevò l’indice davanti al viso niveo della coetanea e sorrise. -Un’operazione.- rivelò.
-Operazione? ...Aspetta, Lucy sarà operata?!- saltò su, quasi scioccata, la nippoamericana.
Così giovane, e già si sarebbe trovata sotto i ferri di un chirurgo? Certo che doveva essere coraggiosa, l’italiana. Anche se da un canto la possibilità di recuperare la vista era qualcosa di meraviglioso, dall’altro lato della medaglia si trattava sempre di andare a lavorare chirurgicamente su una bambina. Non era possibile impedire alla propria mente di domandarsi quale medico avesse il coraggio di una cosa simile.
Nakata annuì tranquillo. -Veramente, è già stata operata.- corresse con un sorriso. -Anche se è uscita dall’ospedale solo ieri. Deve tenere le bende ancora per un po’ di tempo, ma dovrebbe essere in grado di vedere la partita.-
La coordinatrice sgranò gli occhi. Non se l’aspettava certo! Si voltò nuovamente verso i due italiani, che continuavano a discorrere piacevolmente, completamente inconsapevoli di ciò di cui i due giapponesi stava invece discutendo. Nonostante lo stupore, Bianca era contenta di aver ricevuto quella notizia. Forse aveva già capito cosa causasse l’unicità di Lucy. Non era più cieca oramai, eppure non era affatto dispiaciuta di doverlo essere ancora per qualche tempo a causa di quelle bende. Anzi, viveva ogni attimo con grande ed evidente gioia di vivere. Era proprio invidiabile. Quanto le sarebbe piaciuto essere come lei.
-Grazie al cielo.- l’espressione del suo viso si ammorbidì ancora, mentre le sue dita stringevano la stoffa della gonna. ...quella stoffa azzurra era letteralmente diventato il suo antistress, di recente.
-Oh, non è il cielo che dobbiamo ringraziare.- si permise di dissentire Hidetoshi, ridacchiando dalla semplice e vera allegria. La nuova amica lo squadrò con aria interrogativa. Quello sorrise per la centesima volta in una mattina, in replica a quell’occhiata stranita. -L’unico da ringraziare è colui che ha generosamente donato a Lucy i soldi per l’operazione.- le spiegò, -E’ anche venuto a trovarla in ospedale per tutta la settimana.-
Quella conversazione non avrebbe cessato facilmente di stupirla, a quanto sembrava. Che qualcuno donasse i soldi per quell’operazione ad una sconosciuta, per quanto piccola e adorabile, era un qualcosa di incredibile. Che si trattasse di un santo? Ogni tanto ne nasceva ancora qualcuno... –E... chi sarebbe?-
-In quanto coordinatrice dell’Inazuma, sono sicuro che lo conosci.- esitò un paio di secondi, volutamente creando un’atmosfera simile alla suspense. -E’ il nuovo allenatore dell’Orfeo, il Mr. D!- Cosa. -O, come ho recentemente scoperto, Ray Dark.- Cosa. -E’ giapponese anche lui, penso che tu lo sappia.- COSA?!
...
Ray Dark aveva salvato la vista di Lucy.
Ray Dark aveva salvato la vista di Lucy.
Ray Dark aveva salvato la vista di Lucy.
Ray Dark aveva salvato la vista di Lucy.
Ray Dark aveva salvato la vista di Lucy.
Ray Dark aveva salvato la vista di Lucy.
Ray, Ray Dark, il signor Dark, il “Comandante”, colui che aveva così brutalmente condannato la piccola Julia in un letto d’ospedale, aveva aiutato l’altrettanto piccola Lucy ad uscirne. Senza conoscerla. Senza motivo. Senza... tornaconti. Lui- Lui- LUI! Lui l’aveva fatto? Davvero?! No, no, diavolo... non era possibile, cioè, lui... proprio lui, che fino a poco tempo prima era stato pronto ad infortunare gravemente i giocatori dell’Orfeo pur di svantaggiare la squadra contro la propria... colui che aveva cercato ancora una volta di manipolare il povero Jude, di farlo capitolare sotto la schiacciante potenza della sua malignità...
Lui aveva salvato la vista di Lucy? Dopo tutto il male che aveva causato? Sul serio?!
-Non ci credo.- La flebilità con cui quelle tre parole furono pronunciate era schiacciante. Così come lo era la presa intorno alla ringhiera e alla gonna, strettasi al limite del possibile, così come lo erano le palpebre spalancate della coordinatrice, la quale fece fatica a non cadere in terra.
-Bianca?-
-Come può essere stato lui?!- Inutile dire che le sue gambe non ressero. Si sentì infinitamente debole quando si ritrovò in ginocchio per terra. -Per quale motivo avrebbe dovuto farlo?! Quell’uomo... Lui...- Portò i palmi delle proprie mani direttamente sotto i propri occhi cerulei, scossi e increduli.
Il moro si accovacciò accanto a lei. -Vedo che lo conosci.- Il suo tono era radicalmente cambiato. Nonostante la serietà della sua voce non ne avesse eliminato il timbro caldo e rassicurante, quel cambiamento drastico dava l’impressione che fosse un’altra persona a parlare, non lo stesso ragazzo di prima. E invece era lui.
-Io... sì, lo conosco.- ammise senza troppi giri di parole la bruna, portando due dita sotto un occhio, strofinando un poco la guancia. Percepì non lontana la voce di Lucy che domandava al fratello che cosa fosse successo, perché avesse smesso di parlare. Non se ne curò granché, anche perché Luca rispose con un semplice “Niente di particolare”, probabilmente dopo aver notato che il suo amico aveva il pieno controllo della situazione. Eh. Beato lui.
-E’ lui la causa dei tuoi incubi?- La mano della ragazza si spostò rapidamente a coprire gli occhi della proprietaria, la quale emise un verso come di dolore al solo pensiero. -Mi spiace, non avrei dovuto chiedertelo.- Hidetoshi si sedette. Forse stare accovacciato aveva cominciato a fargli male alle gambe.
-Sapevo che me lo avresti chiesto.- si limitò a mormorare la sua interlocutrice, stringendosi nelle spalle e prendendo un profondo respiro, per poi portare di nuovo le mani sulle gambe e alzare il viso verso di lui. -Sono successe tante cose.- scosse la testa, pettinando con le dita i capelli che le stavano sulla fronte.
-Devi odiarlo molto.- osservò il ragazzo, ancora serio.
-Non l’ho mai odiato.- Quella risposta fu così repentina che la Plus ebbe la tentazione di controllare se per caso non le fosse venuta di nuovo la febbre. Si trattenne, perché in fondo sapeva di essere sana come un pesce. La verità era che... quella era la verità. -Ho pensato varie volte di odiarlo. Io vorrei odiarlo. Sarebbe tutto più semplice.- sospirò pesantemente. -Però non lo odio. Non me ne ero... mai accorta.- Prese la fra le dita una ciocca di capelli al di fuori di una treccia, e cominciò a giocarci con le dita, assorta nelle proprie parole. Lei non odiava Ray Dark. Questo era molto strano. Lei voleva odiarlo. Eccome.
L’ex capitano dell’Orfeo inclinò la testa. Bianca si accorse subito dell’ombra consapevole che copriva quei grandi occhi neri, e se ne chiese il motivo. -Come puoi non accorgerti di non odiare qualcuno?- inquisì, abbastanza indelicato, il coetaneo. Sei troppo diretto, la coordinatrice non udì sé stessa dire.
-Penso che lui meriti di essere odiato.- unì le proprie mani. -Non ho mai... voluto concepire l’idea di non provare odio per lui. Dopo tutto quello che ha combinato... I crimini che ha commesso...- Dopo l’incidente di Julia, lei non aveva mai dubitato un attimo che quell’uomo meritasse tutto l’odio del mondo.
-Evidentemente non lo pensi davvero.- la interruppe sicuro il castano, lasciandola di stucco.
-Siamo sicuri che sei lo stesso Nakata di prima, sì?- inarcò un sopracciglio l’interpellata, quasi seccata.
Hide sorrise; sbatté le palpebre e scosse la testa. -Parlando seriamente.- evitò con cura quella domanda sarcastica, -Se tu pensassi davvero che lui meriti il tuo odio, lo odieresti. Sei sicura che, in realtà, tu credi semplicemente di dovere provare odio per lui?-
-Con Ray Dark non funzionano i ragionamenti comuni, Hidetoshi.- gli comunicò altrettanto seria e decisa la corvina. -Se lo conoscessi come lo conosco io... se sapessi tutto ciò che ha fatto!-
-Oh, ma io lo so.-






La partita, fin da subito combattuta con fibrillazione e grande impegno da parte di tutti i calciatori presenti in campo, aveva preso una piega del tutto inaspettata. L’Orfeo che si affidava completamente all’allenatore Dark, la messa in pratica della Barricata Impenetrabile... la coordinatrice dell’Inazuma Japan ricordava di aver letto il nome di quella tecnica di squadra da qualche parte; fu una sorpresa doversene ricordare in un frangente simile. La situazione diventava sempre più strana. Dark e la squadra italiana erano come una cosa sola, così come i giocatori della squadra stessa. Si trattava di fiducia reciproca.
C’era da chiedersi se una cosa simile fosse mai accaduta prima, ad uno come Ray. No, affatto, si poteva essere certi di questo. Forse la Royal aveva in passato posto in lui completa fiducia, tuttavia lui non era mai stato altrettanto fiducioso. E ora che lo era diventato, il risultato aveva del sorprendente. L’Italia sembrava essere diventata imbattibile. E senza dubbio, era tutto merito di Paolo, numero dieci e sostituto di Nakata come capitano della nazionale italiana.
Fortunatamente, non solo quelli in panchina (o meglio, non solo Travis e Bianca) notarono qualcosa di fondamentale. Infatti, ben presto anche i giocatori si accorsero che Paolo e Jude avevano molto in comune. Grazie alla realizzazione di questo e delle ottime azioni di Sharp, il primo tempo terminò con un pareggio, 2-2. Entrambe le squadre non si erano scoraggiate per i due goal subiti, e anzi, tutti erano pronti a dare il massimo, il meglio di sé non era abbastanza per quella fondamentale e sorprendente partita.
E per motivi che le fu in seguito molto difficile definire, vedere Hidetoshi Nakata entrare nello stadio e avvicinarsi con nonchalance alla panchina dell’Orfeo non stupì Bianca più di tanto. Piuttosto, le venne quasi da sorridere, e dovette ammettere che era quasi soddisfacente vedere tutti così scioccati. Soprattutto i giocatori giapponesi, che non avevano la più pallida idea di cosa stesse succedendo.
-Chi è quello? Bianca, tu lo conosci?- le domandò Celia a bassa voce, portandosi vicino al suo orecchio.
La coordinatrice annuì appena, però non parlò, bensì le fece segno di fare silenzio portandosi l’indice sulle labbra. Non voleva perdersi un secondo di ciò che stava per succedere- perché sorpresa no, ma ansiosa sì, da morire.
Il giapponese non perse tempo a salutare gli amici che non vedeva da molto tempo; l’unica persona con cui finì con il parlare fu Dark, il quale sembrava in un certo senso... contento di vederlo. Anche se probabilmente non si erano mai incontrati in vita loro. Mentre parlavano, la corvina percepì le proprie labbra piegarsi in una smorfia preoccupata quando vide l’adulto sollevare lo sguardo in un’altra direzione.
Anche lei si sporse dalla panchina, e li vide: due fratelli biondi che aveva conosciuto molto poco tempo prima. -Luca e Lucy...- sussurrò, -...senza bende!-
-Ma è Lucy.- la Plus si costrinse a voltarsi nuovamente verso il suo ex datore di lavoro. La cosa stava cominciando a farsi molto strana... si domandò come si sarebbe sentita se non avesse parlato con Nakata poco tempo prima. Molto probabilmente sarebbe crollata al suolo, con la testa che le esplodeva per cercare di capire. Un po’ quello che stava quasi per accadere a tutti coloro che si trovavano davanti alla panchina della nazionale giapponese, praticamente. -Per quale motivo è venuta? Nakata, che cosa significa questo gesto!? Perché hai voluto portare Lucy allo stadio!?-
Era così strano. Ray Dark che perdeva il controllo della situazione. Ray Dark che non sapeva cosa fare. Ray Dark che si preoccupava della presenza di una bambina.
Le iridi chiare di Bianca sgranarono all’idea, mentre lei si alzava finalmente in piedi per osservare meglio il tutto. Era... così strano. Non se lo sarebbe mai aspettato.

-Che vuol dire che lo sai?- Ora come ora, Bianca si sentiva più confusa che altro.
-Io so tutto. Beh, non tutto nei minimi dettagli,- concesse il ragazzo, senza smettere di guardarla con immensa serietà, -Ma ho scoperto molto su di lui. Se non ne avessi saputo niente, a quest’ora non avrei mai neanche incontrato Luca e Lucy.-
-Allora saprai che quell’uomo merita davvero l’odio che vorrei provare.-
-Quello che credo io, è che sia così coinvolta in ciò che ha fatto, che non hai mai pensato a cosa avrebbe potuto fare. O aver fatto in precedenza. Sai, parti un po’ troppo soggettiva.-
-Perdonami, Nakata, ma non ti seguo.- scosse la testa lei, sincera. E anche parecchio innervosita.
-Ci sono molte cose che non hai considerato, perché sei troppo arrabbiata con lui.-
-Cose che non ho... considerato?-


-E’ stata lei ad esprimere questo desiderio.- spiegò semplicemente Hidetoshi. La corvina non poteva vederlo in volto, però sapeva che stava sorridendo. Se lo sentiva. Tutto di quella situazione le appariva bizzarro, assurdo se vogliamo, tuttavia era come se lo conoscesse già abbastanza bene. -Qualche tempo fa mi ha detto che il giorno in cui avesse recuperato la vista sarebbe voluta venire a vedere una sua partita.-
-Non credo che portarla qui sia stata una bella idea.-
Nakata sospirò leggermente. -In fondo questa potrebbe essere la sua ultima partita.-
-Che cosa?- ringhiò Ray, sussultando a quelle parole.

-Cose che non ho... considerato?-
-Proprio così.- l’espressione seria del ragazzo dalla carnagione ambrata aveva un che di austero. Con tutta probabilità, era un buon leader. E il sesto senso di Bianca non l’aveva mai tradita.
-Ha commesso crimini indicibili, e ha raggirato la legge che avrebbe dovuto punirlo ben più di una volta.-
-Certo, questo non lo nego.-


-Potrebbe essere l’ultima volta che abbiamo la fortuna di vederla in campo. O sbaglio, Mr. D?-
-L’ultima volta?- Non troppo lontano da loro, Jude si lasciò sfuggire quelle parole perplesse. Bianca si spostò velocemente accanto a lui, e accanto a tutti coloro che stavano ascoltando, sempre più stupiti da quella conversazione. Lei, invece, aveva la testa che scoppiava, sì, ma per altri motivi.
-L’ho capito guardando il primo tempo della partita,- continuò imperterrito e severo Hide, -lei non è più l’allenatore di un tempo. Forse con oggi voleva espiare tutte le sue colpe?-

-Per pulire la sua coscienza?- borbottò fra sé la ragazza, voltandosi verso Lucy, che stava ancora giocando allegramente con il suo caro fratello maggiore. -Per questo tu credi abbia aiutato la piccola Lucy a guarire?-
-Ne sono convinto.- le ripeté con decisione il coetaneo.
-A Ray Dark non è mai interessato espiare le proprie colpe.- obiettò, con scarsa convinzione.
Il castano non frenò un altro sorriso. Quei sorrisi cominciavano a darle sui nervi però. Era come se fosse compatita. Non era così, però era la sensazione che le rimaneva nello stomaco. -Sei di fronte ad un uomo diverso da quello che infesta i tuoi incubi, Bianca.- 


Un uomo diverso... un uomo diverso. Era davvero diventato un’altra persona? Quello che Nakata era arrivato a credere così fermamente era vero? Tutto ciò che Ray Dark desiderava... era sentirsi in pace con sé stesso e fare i conti con tutte le sue colpe? No... era così surreale.
-Non le è possibile fuggire da sé stesso, e da i gravi reati di cui si è macchiato.- La confusione generale non era in grado di distogliere Nakata dal discorso che stava portando avanti. Se l’inizio del secondo tempo fosse fischiato proprio in quell’istante, il giapponese non avrebbe fatto una piega, e avrebbe continuato senza badare a niente altro. La Plus desiderò di essere coraggiosa come lo era lui. -Non è riuscito a trovare un modo per sfogare il suo odio nei confronti di questo sport. Molti giocatori se ne sono fatti carico e hanno perso le chance che avevano. Lucy si era trovata coinvolta nel suo stratagemma e ha finito col ferirsi, anche se lei non ha mai avuto niente a che fare con il calcio.- Bianca incrociò le braccia e strinse forte intorno a sé stessa, frattanto che il nuovo amico proseguiva a parlare, a dire le cose che lei sapeva già. Le cose che lui le aveva detto, e che avevano fatto ingarbugliare ancora di più il cervello. -Questa cosa era diventata un peso sul suo cuore, vero, Mr. D? E’ il motivo per cui era andato a trovare Lucy in ospedale. Quel giorno ha scoperto della sua malattia agli occhi, e delle enormi spese che l’intervento avrebbe comportato. Anche quando Lucy era guarita, ha continuato a mandarle lettere e denaro per le spese mediche.- il ragazzo prese un respiro. -Qual è la ragione di tutto questo?-
Il signor Dark, che aveva ascoltato in silenzio fino a quel momento, si voltò, dando le spalle al castano. -L’ho fatto così, non esiste una ragione.-
-Mi dispiace ma non le credo.- rimbeccò prontamente, forse troppo, il suo interlocutore. -Sono sicuro che fare qualcosa per Lucy in qualche modo la faceva sentire meno in colpa. Quella colpa che aveva fatto sprofondare il suo cuore nel mondo dell’oscurità. Lei stava solo cercando di salvare la sua anima dalle tenebre, non è così?-
-E’ per questo che sei andato via?- Pentito o non pentito, certe cose di Ray non cambiavano mai. Rispondere ad una domanda diretta come quella non era qualcosa che fosse nel suo stile. -Per scoprire cosa c’è nel mio passato?-
-No. Ne sono venuto a conoscenza per caso, durante il mio viaggio. Non era mia intenzione indagare sulla sua vita.- Nessuno sicuramente si aspettava, che ad interrompere tale momento fosse la voce di una bambina. Una bambina che portava un caschetto di capelli biondi, e che sul viso aveva due grandi occhi verdi, verdi come due splendidi smeraldi. A vederli veniva quasi da piangere. Erano così luminosi da sembrare due stelle, e Bianca si dovette forzare a non fissarla come tutti gli altri stavano facendo.
-Zio, sei proprio tu?- Dark si girò ancora, e non lontano da colui con aveva parlato finora vide il viso pensieroso della bambina che finora non l’aveva mai visto.
-Lucy...-
-Quella voce! Sì, sei davvero tu zio!- esclamò entusiasta lei, ignorando il palese sconcerto dello “zio”.
L’esitazione dell’uomo era quasi inquietante. Ray Dark che esitava davanti ad una bambina. Il mondo stava girando al contrario. -Hai... riacquistato la vista?-
La bambina annuì felicemente. -Grazie al tuo aiuto sono guarita perfettamente zio, posso vedere di nuovo!-
Bianca afferrò la mano di Jude, accanto a lei, il quale aveva la bocca così spalancata per la sorpresa che qualcuno avrebbe potuto infilarci un pugno dentro. Il regista la guardò, senza parole, e ricevette un sorriso. Strinse a sua volta la presa intorno alla mano della sua amica, tornando a guardare la scena mozzafiato che aveva come protagonisti il piccolo sprazzo di sole Lucy e l’uomo che aveva fatto di lui ciò che era adesso.
-Ne sono felice.- esalò Dark, con voce incerta, -E’ una bella notizia.-
-Te ne sono molto riconoscente!- aggiunse gioiosa la bambina, avvicinandosi all’allenatore.
Il palmo aperto di quest’ultimo le impose di fermarsi. -Lucy, non devi ringraziarmi, io non sono degno della tua gratitudine, non merito riconoscenza.- fece, grave, per giustificare quel gesto.
-Ma che cosa stai dicendo?- ribatté la bionda, avanzando un altro passo. -Grazie a tutte le lettere che mi hai mandato, ho avuto la forza e il coraggio di affrontare l’operazione, tu mi hai sostenuta!- Non era possibile vederlo per via dei perenni occhiali da sole, ciò nonostante Bianca ne era sicura: in quel momento, le palpebre di Ray erano spalancate come non lo erano mai state prima d’allora. -Zio, grazie ancora.- ripeté Lucy, -Ti prometto che imparerò a giocare a calcio. In questo modo potremo trascorrere molto tempo insieme.-
-Lucy è unica, non ti sembra?- sussurrò la coordinatrice giapponese, addolcendo il sorriso che le si era istintivamente formato sulle labbra. Jude le lasciò la mano e assentì appena col capo.
Dark aveva un’aria molto strana. Se non fosse stato impossibile, si sarebbe potuto pensare a quasi felicità. -Ora la partita riprende. Ne riparleremo più tardi.- liquidò la situazione, dato che l’occasione gli si era presentata.
-Va bene.- acconsentì allegra la bambina. -Allora a dopo. Faccio il tifo per te!-
E mentre si allontanava mano nella mano con Luca, salutando allegramente il suo amatissimo “zio”, la piccola Lucy non poteva immaginare, e molto tempo poi non avrebbe saputo, che quel “a dopo” era stato vano. Lucy non avrebbe mai più rivisto quell’uomo chiamato Ray Dark.




-Signor Dark, aspetti!-
L’interpellato obbedì a quell’ordine con aria sorpresa, così come fecero anche i poliziotti intorno a lui. Gli uomini si voltarono verso la proprietaria della voce femminile che aveva fermato il loro cammino verso l’auto che sarebbe stata utilizzata per trasportare “Mr. D” nel posto che meritava.
Quando si accorsero che a chiamare l’arrestato era stata un adolescente dai lunghi capelli color pece, la perplessità sui loro visi crebbe a dismisura; l’unico che non ne diede chiara dimostrazione fu proprio Ray, che si limitò a girarsi meglio per affrontare Bianca, che finì proprio in quel momento la corsa che aveva iniziato per raggiungerlo. La ragazza si fermò infatti a circa un metro da lui, posando le mani sulle ginocchia e recuperando il fiato perduto per via della corsa.
Non poteva credere di aver dovuto correre per quasi tutto lo stadio della zona italiana di Liocott; non sarebbe mai successo se Travis non l’avesse trattenuta per tanto tempo. Per una volta, rimpianse di essere sempre così obbediente e dedita al suo lavoro. Un rimpianto insolito, per una come lei; questo comunque era un caso molto, molto più importante del suo mestiere di coordinatrice.
-Bianca, cosa ci fai qui?- le domandò Dark, senza perdere un attimo. Ovviamente.
La ragazza si mise ritta. Prese un profondo respiro e deglutì a vuoto, nervosa. Sbatté le palpebre un paio di volte e afferrò la stoffa della gonna con le dita, chiudendo così tanto le mani che praticamente raccolse la stoffa nei propri pugni. Le ci volle molto coraggio per dire ciò che pensava.
-Io volevo chiederle di perdonarmi!- quasi gridò, chinandosi in avanti.
Se ne rese conto solo dopo, ma nella prima volta in vita sua era riuscita a lasciare Ray Dark senza parole. Pur essendo, in quanto a questo, seconda a Nakata e Lucy.
Il silenzio che ne seguì quasi la spaventò. Il suo cuore batteva rapidamente e le prudevano le mani, eppure non si sentiva male. Era una sensazione alquanto strana... non l’aveva mai provata prima. Di recente, aveva iniziato a sperimentare fin troppe emozioni che non pensava di poter sentire.
-Perdonarti?- ripeté l’uomo, mentre i poliziotti, evidentemente arresi all’idea di non poter evitare quella conversazione, incrociavano le braccia con disinteresse.
-Sì!- rispose prontamente la ragazza dai capelli color carbone, chiudendo gli occhi. -Le chiedo scusa per tutto ciò che le ho detto quando mi sono licenziata da lei, signore! Ho sbagliato a dire quelle cose!-
L’uomo dai capelli biondi piegò le labbra sottili in un sorriso. -Non avrei mai immaginato di sentirmi dire questo proprio da te.- confessò tranquillamente. Lei si rimise ritta e sollevò le iridi azzurre su di lui, fissandole bene sulle lenti scure degli occhiali. Non le importava più di non vedere quegli occhi nascosti.
-Sono una ragazza piena di sorprese.- scrollò le spalle, incrociando le mani sul petto.
Ray non smise di sorridere. -Non hai più paura di me?- si informò altrettanto sereno e sarcastico.
-Sì, forse un pochino.- strinse pollice e indice tra loro per mostrare l’infinitesimale spazio che aveva lasciato in mezzo alle due dita. -Ma non mi faccio mettere paura da un uomo con le manette.- sorrise, indicando le mani legate del suo interlocutore.
Quest’ultimo non parve molto stupito. -Perché mi chiedi perdono per quel giorno.- chiese/non chiese, curioso seppur non troppo, inarcando le sopracciglia.
La Plus spostò gli occhi da un’altra parte, grattandosi la guancia con l’indice di una mano e lisciandosi la stoffa chiara del gilet color crema con l’altra. -Perché penso sia giusto porgerle le mie scuse.- Perfettina. Per-fet-ti-na. Santo cielo, quella parola le spuntava in mente ogni volta che parlava formale, ormai. Quindi spesso. Anche quando non era affatto il momento adatto... -Ho detto... delle cose di cui mi sono pentita. E’ giusto chiedere scusa per le cose di cui ci si è pentiti.- tornò a guardarlo, non sicura di cosa altro dire.
-Non pensavo che avrei mai ricevuto il perdono di Bianca Plus.- commentò quello, come divertito.
-Oh. Ma quello non lo riceverà mai.- corresse, sorridente, la ragazza. La cosa non parve sorprenderlo molto, in ogni caso. -Io non la perdonerò mai per tutto quello che ha fatto in passato. Le macchie non si lavano via così facilmente, signor Dark, e lei lo sa molto bene.- aggiunse.
L’uomo sospirò. -Sì, lo so.- poco ci volle che ridesse.
-Da me avrà solamente quelle scuse. E,- spostò il proprio peso su una gamba sola. -Una seconda possibilità. Tutti se ne meritano una, giusto?-
Dark rimase in silenzio per qualche secondo, pensieroso. -Non io, Bianca, lo sai.-
-Non sono io a decidere.- volle ricordargli colei che non dimenticava mai niente, -E’ Lucy a farlo.-
-Io non avrò una seconda possibilità, Bianca. Nessuno può darmela.- replicò ancora una volta, con aria consapevole e rassegnata. La corvina non capì, e in futuro desiderò di esserci riuscita sul momento. -Considerati perdonata. Non ho mai dato troppo peso alle cose che mi hai detto quel giorno.-
L’adolescente scosse la testa, impedendosi di sollevare gli occhi al cielo. Che razza di bugiardo... testardo fino alla fine, eh. -Volevo comunque che sapesse che anche se ho esagerato molto e detto cose guidate dalla rabbia, c’era anche della verità in quel che ha sentito quel giorno. Non se ne dimentichi.-
-Non potrei neanche volendo.- la rassicurò. Bianca sorrise ancora, serena. Non si era mai sentita così leggera, mai, non dopo la morte dei suoi genitori. Era come se un peso tremendo fosse volato via dal suo petto. L’unica cosa che poté distoglierla da quella sensazione fu il peso della mano di Ray sulla propria testa. L’altra mano ammanettata quasi a penzoloni davanti al viso della giovane lavoratrice, l’orma ex allenatore della nazionale italiana sorrise. -Sei diventata proprio come tua madre.-
-Lei non sa quanto questo mi renda felice.-
-Signor Dark, adesso dobbiamo andare.- si decise ad interromperli uno dei poliziotti. L’uomo annuì a quell’ordine e lanciò un’altra occhiata alla figlia dei suoi due vecchi e defunti amici.
Le sorrise una terza volta. -Addio.- la salutò, per poi voltarsi e incamminarsi con gli uomini della polizia.
Quando si fu allontanato abbastanza, Bianca portò le mani a coppa accanto alla bocca. -Si comporti bene in prigione!- gli raccomandò allegra. -Cercherò di venire a trovarla!- si morse le labbra, raccogliendo gran parte del coraggio che possedeva. -Grazie per aver fatto incontrare Haru Plus e Melanie Karver! Lei è l’unico responsabile della loro felicità, signor Dark!- abbassò le mani, sicura che lui avesse sentito. -Cerchi di non dimenticarlo, Comandante...- mormorò al vento, mentre l’interpellato spariva nell’auto della polizia.






 
[Era una mattinata soleggiata, l’aria era tiepida, e c’era persino qualche uccellino che canticchiava nei dintorni; a Bianca non poteva interessare di meno, però. E così nemmeno a Jude che, in piedi accanto a lei, guardava la lapide sulla quale era scritto a grandi caratteri il nome di Ray Dark.
Erano passati due anni e ancora faceva male, guardare quella pietra fredda sulla quale era stata posta una miniatura dell’ex allenatore.
E allora c’era da chiedersi perché quei due si ostinassero a visitare il cimitero, di tanto in tanto. Spesso ognuno per conto proprio, raramente insieme; non erano due persone che amavano mostrare la tristezza sui propri visi, proprio no.
La coordinatrice del club di calcio della Raimon Junior High sembrava una statua; lì, inginocchiata davanti alla lapide, incurante dello star macchiando di terra i jeans nuovi, ad osservare la fotografia sbiadita del signor Dark.
-Da quanto siamo qui?- domandò d’un tratto, risvegliando l’amico dai propri pensieri.
-Una ventina di minuti.- replicò quello, dopo qualche secondo di esitazione.
Non che avessero fatto molto, in quei venti minuti. Era sempre così. Rimanevano là, lo sguardo fisso nel vuoto, pensando a solo loro sapevano cosa. Finché uno di loro si accorgeva dell’assurdità della situazione.
La corvina sospirò, arrotolando una ciocca di capelli intorno all’indice della mano. -Sono passati già due anni...-
-A me sembrano passate nemmeno due ore.-
-Ti capisco... Non posso credere che mi manchi così tanto.- Un altro sospiro abbandonò le sue labbra mentre si alzava in piedi e si voltava verso il rasta. -Hai visto Caleb di recente?-
-Non lo vedo da almeno un mese, perché me lo chiedi?- inarcò un sopracciglio, curioso, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni, e girandosi a sua volta verso l’amica.
Quest’ultima si strinse nelle spalle. -Mah, in fondo non lo so. E’ che mi sorprende non averlo mai beccato qui in giro.- Dubitava che il moro non fosse mai andato a visitare la tomba di Dark; era escluso.
-Sai benissimo che farebbe di tutto per non farsi vedere qui da qualcuno. Figurati da me o  da te!- osservò, roteò gli occhi al cielo. Lanciò poi uno sguardo all’orologio. -Meglio che vada. Celia mi starà aspettando.-
-E invece arriverai in anticipo come al solito.- commentò sarcastica Bianca.
Sharp le diede un lieve pugno sul braccio. -Non posso darti torto. Ci vediamo presto.- Le fece un cenno con la mano, e cominciò ad allontanarsi.
La bruna sorrise e portò nuovamente gli occhi azzurri verso la pietra che sorgeva sulla tomba dell’uomo che l’aveva, anche se indirettamente, fatta nascere.
-Glielo dico sempre, ma glielo ripeto ancora, signor Dark: spero che lei sia riuscito a rivedere i miei genitori, ovunque adesso si trovi.- sospirò. E tre. -Devo andare anch’io, ho del lavoro da sbrigare.-
]



Axel non si poté impedire di sospirare tristemente. Seduto sulla panchina del campo d’allenamento dell’albergo, osservava con attenzione Bianca che, seduta a gambe incrociate poco più avanti del bordo del campo di erba sintetica, guardava il vuoto davanti a sé.
La ragazza stava stringendo le proprie caviglie quasi convulsamente, come fossero due antistress, da almeno dieci minuti. Probabilmente ora le facevano anche male. Dava le spalle a Blaze, il quale dunque non poteva vederla in viso, ciò nonostante era naturale presumere che la sua espressione non fosse affatto allegra.
Erano passati circa quaranta minuti da quando la notizia era arrivata alle orecchie della coordinatrice; sulle prime lei aveva più stentato a crederci che ad altro. Quando poi aveva preso contatto con la realtà era semplicemente corsa fuori e si era messa a correre per quel campo, tanto che ad un certo punto era crollata per terra per lo sfinimento. E ora eccola lì.
Il numero dieci dell’Inazuma l’aveva seguita per tutto il tempo. Non aveva fatto niente fino a quel momento, era semplicemente rimasto a guardarla. Quando pensò che lo sconvolgimento che la corvina stava provando si fosse appena appena sbollito, si alzò in piedi e camminò verso di lei, fino a ritrovarsi sedutole accanto.
-Tutto bene?- le domandò piano, quasi sottovoce.
L’interpellata soffiò leggermente. L’espressione del suo viso era calma, come priva di emozioni. Un po’ inquietante, a dire il vero. -No.- mormorò semplicemente. -Niente va bene.- aggiunse sincera, senza voltarsi.
Il biondo inclinò la testa per poterla vedere meglio. -Bianca...-
-Perché è dovuto morire adesso?- l’interruppe la ragazza, ostentando freddezza, pur non potendo nascondere una pericolosa incrinatura nella voce. -Proprio adesso che stavo cominciando a capirlo.- Il capocannoniere non seppe rispondere a quella domanda. Nessuno avrebbe potuto. -E’ morto, capisci? E non so nemmeno perché mi sento così male. Dopo tutto quello che è successo.-
-La morte di Dark ha scosso tutti, Bianca.- le ricordò il ragazzo, spostandole i capelli della frangia che le coprivano le palpebre semichiuse. -E’ normale che tu ti senta così.-
La bruna non aprì bocca per una lunga manciata di secondi. Il motivo non era sicuro, eppure Axel era quasi certo che la ragione fosse l’evitare di farsi sfuggire un singhiozzo. Checché ne dicesse lei, ormai la conosceva e sapeva perfettamente che non le andava proprio giù la voglia di piangere che aveva adesso.
-Vuoi che me ne vada?- le chiese gentilmente quando il silenzio si fu prolungato abbastanza a lungo.
Forse da sola sarebbe stata più a sua agio, in una situazione del genere. Non era il tipo di ragazza che amava mostrarsi fragile, tantomeno nei momenti in cui tutti sarebbero stati fragili... -No!- sbottò, quasi gridando, l’interpellata, lasciandolo di sasso. Si voltò finalmente verso il suo ragazzo, mostrandogli le lacrime che premevano visibilmente per uscire dai suoi occhi. -No.- ripeté flebile. E poi qualche lacrima le rivolò giù per le guance arrossate.
Pur non capendo perfettamente cosa aspettarsi, Blaze si sporse verso di lei per stringerla fra le sue braccia, posando il mento sulla sua spalla. Non ci volle molto che la sentì singhiozzare.
-Non lasciarmi sola.- lo pregò Bianca fra un singhiozzo e l’altro, abbracciandolo forte, proprio come una bambina spaventata.
Il biondo le accarezzò delicatamente la testa e sorrise, a metà fra la tenerezza e la desolazione, all’idea di non poter farlo altro per lei che risponderle con un semplice: -Non lo farò.-







E mentre i titoli dei capitoli sono sempre più strani...
Note di _Kiiko
Sono io che me lo immagino, o ci ho messo un altro mese per aggiornare?
Salve, people. Com’è il capitolo? Spero vi piaccia più di quanto piaccia a me. Perché diciamocela tutta, a me non può piacere. E’ una schifezza.
Vediamo un po’... Lucy. Credo non sia difficile immaginare, visto che mi conoscete, quanto io io mi senta vicina a lei ad un livello fisico, e in un certo senso anche emozionale. Comunque. Ad un tratto mi sono spaventata, perché nel doppiaggio italiano pronunciano il suo nome “Lesi”. E io avevo scritto già tutta la parte di Lucy, ahah... poi ho controllato bene e fortunatamente il nome è corretto. Cioè, sarebbe “Lucie” ma così va bene.
La dipartita di Dark è come la versione animata della sensazione di aver appena ricevuto un pugno nello stomaco, diciamo così; riguardando l’episodio per scrivere bene le battute ho quasi pianto- quasi, perché non piango mai due volte per la stessa cosa. La parte in corsivo fra le parentesi quadre è – ma si capiva, suppongo – un flashforward di due anni.
E’ il momento di prestar fede alla mia parola sotterrarmi. Un bacio! E abbiate pietà, anche se non la merito
Anna

P.S. In teoria avrei vari messaggi a cui rispondere ma sinceramente non saprei come mandare avanti le conversazioni- sarà che la mia testa sta implodendo, ahah. E niente.

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