Take your dream, say I'm yours.

di damnvogue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Prologo

 




- Siamo appena entrati, ci stanno intervistando e tra poco lo fanno entrare. Stiamo tutti dando di matto! -

Charlotte strofinò nervosamente le mani contro la stoffa del vestito color panna, non lasciando trasparire alcuna emozione dal viso. Era da un paio di ore che aspettava impaziente quell’sms, ed ora che lo aveva ricevuto si pentì di averlo desiderato così intensamente.
Tanto non riuscirà a passare.
«Tesoro, saresti così gentile da passarmi il sale?» La ragazza alzò lo sguardo dal telefono appoggiato sopra le proprie cosce e lo posò sulla donna che le aveva appena rivolto la domanda. Doveva essere la sorella o la cugina di qualche lontana zia, abbastanza lontana da non permetterle di riconoscerne il volto.
Tesoro. Classico aggettivo che usavano i parenti nelle riunioni famigliari quando, ritrovandosi in trappola, non ricordavano il nome di un altro consanguineo.
Charlotte corrugò la fronte coperta da svariate passate di cipria e la guardò con un’espressione interrogativa, facendole intuire che non aveva capito la domanda.
«Il sale, cara.» La ragazza allungò una mano verso la saliera e gliela passò, stando attenta a non permettere al braccio di tremare per la tensione.
Non ce la farà, è praticamente impossibile.
«Ti ringrazio.» Charlotte non rispose e ritornò a guadare il vuoto al di là della tavola imbandita, pronta ad eventuali vibrazioni.
C’è troppa gente più brava di lui ai provini, non può farcela.
Riprese a guardare lo schermo del telefono speranzosa, aspettando una risposta dalla sorella del ragazzo.
«Charlotte. Il telefono a tavola, per favore.»il padre la richiamò, lasciando la forchetta ferma a mezz’aria. La ragazza annuì accavallando le gambe, in modo da poter nascondere il cellulare fra le due ginocchia, e riprese a mangiare in silenzio.
Le mancava l’aria, e non solo per il corsetto da damigella che le avevano costretto ad indossare, ma per il volto sorridente del ragazzo che non ne voleva sapere di sparire dalla sua testa. Spostò lo sguardo preoccupato verso sua nonna, seduta a capo tavola. La donna anziana ricambiò sorridendole armoniosamente, facendo incurvare le rughe intorno agli occhi nocciola verso l’alto. Era ormai il quarto matrimonio del figlio dove presenziava, ma manteneva quell’espressione serena da quando aveva varcato la soglia del municipio. La nipote era convinta che quel sorriso fosse il risultato di anni di esperienza, dovuti alle continue partecipazioni a feste dove l’abito da cerimonia era d’obbligo. Si ricordò di un pomeriggio dove aveva sfogliato gli album di foto dei tre matrimoni falliti del padre, confrontando gli scatti che raffiguravano gli invitati che avevano partecipato ad un paio o addirittura a tutte e tre gli eventi, e fra tutti spiccava la figura tranquilla dell’anziana, sempre immortalata con un’espressione di quiete dipinta in viso.
Sentì il telefono vibrare.

- Adesso comincia a cantare –

Strinse i denti, chiudendo gli occhi. L’amica seduta accanto notò il petto della ragazza alzarsi ed abbassarsi troppo velocemente, e le posò una mano sulla schiena nuda.
«Tranquilla.»
«Si sta esibendo.» La voce di Charlotte si ridusse ad un sussurro.
«Anche se passa con il sì di tre giudici, lo fanno direttamente entrare nel bootcamp insieme a tutti quelli che hanno passato i provini, e non è detto che riesca a passare anche quello..»
Per quanto le parole di Sofia cercavano di infonderle sicurezza, Charlotte iniziò a far tremare nervosamente la gamba destra senza rendersene conto. Sentiva di averlo perso ancora la sera precedente, lo sentiva dal vuoto che percepiva nel petto. Quel bacio della buonanotte, quel bacio dato troppo velocemente, aveva tutta l’impressione di essere stato l’ultimo bacio.
«X-Factor del cazzo.» Sofia sorrise, dandole una pacca sulla spalla. Charlotte riprese a mangiare, sbattendo la punta della forchetta sulla ceramica del piatto. Non era giusto, per niente. Charlotte aveva bisogno di lui, non quello stupido programma. Che cosa avrebbe concluso se fosse entrato? Sarebbe diventato un cantante di successo del calibro di Leona Lewis? Ma per favore, quelle cose succedevano una volta su un milione, e lui non era di certo quell’uno.
Il telefono tremò. La ragazza chiuse gli occhi sentendo un brivido lungo la schiena che partì proprio da quella vibrazione, arrivandogli fino all’attaccatura dei capelli. Avvertì lo stomaco contorcersi per l’agitazione, e un’immagine di due occhi color smeraldo le si parò davanti. Prese il telefono e premette tremando il tasto centrale.

-E’ PASSATO! -

Il cuore della ragazza smise di battere.








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Ok, prima di cominciare devo dire che sono completamente in panico e se c'è qualche errore mi scuso, ma qualcuno (giulia, detta giuls, delilaah su efp e looubear su twitter) mi ha convinto a postare oggi stesso, dopo averle chiesto un semplice parere sul prologo.
Quindi ammetto che postarlo è stata una scelta avventata e presa d'improvviso, ragione del fatto che il titolo di questa ff mi è stato suggerito dalla stessa persona che mi ha spronato a postare, e che ringrazio con tutto il cuore.
Detto questo, spero vi sia piaciuto e vi ringrazio se siete arrivati fino a queste righe. E se non vi è troppo di disturbo potete anche lasciarmi una piccola recensione, cosa che sarebbe mooooolto gradita, riferendomi qualsiasi cosa, dal "ehi, hai sbagliato un verbo ignorante" al "ripigliati, hai saltato una riga e hai sbagliato un femminile". seriamente, qualsiasi cosa è ben accetta, mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate a proposito.
Concludo ringraziandovi un'altra volta, non avete idea di quanto mi rendiate serena facendomi sapere che avete letto questo misero prologo, davvero. Detto questo, alla prossima!

Geo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


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Capitolo 1



So this is the end, of you and me
we had a good run, and I'm setting you free
to do as you want, to do as you please

without me..
You Me At Six - Fireworks

 

«Porca puttana Sofia, cinque minuti e sono al bar. Solo cinque minuti!» Charlotte raccattò un cardigan grigio topo ai piedi del letto e lo indossò nervosamente, attenta a non far cadere il telefono bloccato fra la spalla e l’orecchio. Sapeva di essere in ritardo, ma l’amica non aveva nessuna intenzione di fargliela scampare liscia.
«Sai che faccio la prossima volta? Se dobbiamo trovarci alle cinque, ti dico che ci troviamo alle quattro e mezza così sono sicura che arrivi puntuale!» Charlotte ringhiò, afferrando un pacchetto di fazzoletti dalla mensola sopra il letto e infilandoli in borsa. La stava soltanto provocando per puro piacere personale, ne era sicura, ma non le avrebbe dato la soddisfazione di imbestialirsi al telefono.
Sofia era una di quelle ragazze che adoravano far innervosire le persone. E bisognava ammettere che ci riusciva davvero bene considerando la dose di pazienza di cui si erano armati negli ultimi anni Charlotte e Will, il suo ragazzo dal primo anno di liceo, che avevano a che fare con lei quasi tutti i giorni. In più per Sofia ogni occasione per alzare la voce contro gli amici andava sempre colta al volo. C’era un’usanza, proveniente dal suo paese d’origine che le avevano inculcato fin da piccola, la quale sosteneva che urlare contro le persone a cui si teneva particolarmente non era altro che una dimostrazione d’affetto. Questa consuetudine, a parere di Charlotte, era soltanto l’ennesima prova della pazzia dei colombiani, o forse una scusa inventata dalla madre per giustificare l’impazienza della figlia.
«Muoviti, merda.» Finalmente Kelly concluse la chiamata, lasciando all’amica il dubbio se l’ultima parola doveva prenderla come un’imprecazione o un appellativo. Infilò il telefono nella tasca dei jeans e corse in bagno, controllando per l’ultima volta il rimmel. Un paio di ombre scure si distendevano sotto gli occhi della ragazza, ma sapeva che se avesse aggiunto più correttore avrebbe soltanto peggiorato la situazione. Quelle orribili occhiaie erano il risultato di due notti passate insonni a fissare il soffitto, e guardarle attraverso lo specchio facevano soltanto riaffiorare i pensieri che le avevano impedito di dormire.
Charlotte sospirò, uscendo dalla camera da letto e scendendo le scale, pronta per uscire di casa.
Mentre nascondeva i lacci ai lati delle scarpe seduta nell’ultimo scalino della rampa, sentì il telefono vibrare dentro i pantaloni. Preparando già una sfuriata per l’amica, lo sfilò dai jeans, ma quando lesse il nome sullo schermo tutto quel bel discorso che comprendeva un sacco di parolacce piene d’amore andò in frantumi. Premette il tasto di risposta, impaziente.
«Pronto?»
«Ehi, sono io.»
Charlotte sorrise, sentendo il cuore rallentare. La sua voce la inebriava, stordendole ogni muscolo e dandole quel senso di tranquillità interiore che riusciva a calmarla in ogni situazione. Ormai erano quattro anni che quel suono era diventato un toccasana per l’agitazione prima dei test e delle interrogazioni, le sarebbe bastato anche solo una semplice risata e sarebbe potuta andare contro la regina d’Inghilterra. Fece per rispondergli, ma come sottofondo avvertì il finimondo. Sentiva gente urlare, piangere, ridere. Si morse il labbro, percependo che qualcosa non andava.
«Non sei già partito?» Il ragazzo provò a parlare, ma Charlotte non riuscì a sentire la risposta «C’è casino, non ti sento!».
«Aspetta, ora mi sposto.» Charlotte capì a mala pena le sue parole, ma pochi secondi dopo tutta la confusione sparì, lasciando spazio al respiro affannato del ragazzo e allo scatto di una serratura.
«Dicevi?»
«Dicevo che non sono partito.» Il ragazzo rispose di getto, prendendo Charlotte in contropiede. Una marea di domande iniziarono a frullare nella testa della ragazza, mandandola in completo caos.
«E.. Quando parti?»
«Charlie, non parto.» Charlotte cominciò a tremare senza rendersene conto. Avrebbe voluto sommergerlo di domande, a partire dal perché non era ancora partito per tornare da lei al perché stava usando quel tono così spento quando fra un ora si sarebbero di nuovo riabbracciati. Un dubbio atroce le balenò in testa facendole aumentare il battito cardiaco, ma mentalmente si ripeté che doveva stare calma e tranquilla. E per lei questo era sinonimo di starsene in silenzio, di respirare senza aprire bocca. Il ragazzo dall’altro capo della cornetta capì la situazione e riprese a parlare, regolando la tonalità della voce.
«Stavo aspettando i taxi con gli altri partecipanti che avevano eliminato, ma hanno preso me e altri quattro ragazzi e ci hanno richiamato dentro.. In poche parole i giudici hanno deciso di metterci insieme, come band, e farci rientrare. Quindi sono di nuovo dentro, sono ancora in gara.»
«C-Cosa? Davvero? Ma è fantastico!» Charlotte formulò le frasi con il maggior entusiasmo possibile, ma il fiato le morì in gola, lasciandola senza scampo. Non era felice per lui, per niente. Aveva temuto quel momento da quando era venuta a conoscenza del desiderio del ragazzo di partecipare ad X-Factor, ed ora che era accaduto il peggio non aveva idea di come comportarsi a riguardo, e tanto mento cosa dire. Serrò i denti, scacciando la tentazione di immaginare il viso del ragazzo dall’altra parte del telefono. Nel cercare di calmarsi si lasciò sfuggire due lacrime salate che le rigarono le guance, lasciando una scia più chiara sopra il leggero strato di trucco. Charlotte rimase in silenzio, finché un sospiro proveniente dal ragazzo non spezzò quella rete di pensieri che si era creata. Non voleva che fosse ancora lui a riprendere in mano il discorso, quindi si fece coraggio e ricominciò a parlare.
«Che cosa facciamo?» La domanda lo spiazzò, facendolo rimanere per un paio di secondi in silenzio.
«Non lo so.» Charlotte avvertì la voce del ragazzo affievolirsi. Era stanco e demoralizzato, anche se i giudici gli avevano appena riferito che avrebbe potuto realizzare il sogno di una vita. La ragazza si portò una mano fra i capelli, lasciandosi scivolare con la spalla addosso alla parete e chiudendo gli occhi.
«Quindi.. Quindi finisce qui?» Il ragazzo fece schioccare la lingua sul palato, sospirando.
«Non volevo finisse così.» Charlotte sorrise. Era sincero, lo sapeva, ed era proprio per questo motivo che lo amava alla follia.
«Neanche io.» La voce le si ruppe neanche alla seconda sillaba, obbligandola a portarsi una mano alla bocca per evitare che qualche singhiozzo le sfuggisse.
«Charlie io..»
«Buona fortuna, Harry.» Charlotte sputò quella frase consapevole che sarebbe stata l’ultima. Sapeva che ormai la situazione era del tutto irreparabile, ed in quel momento l’unica cosa che sentiva il bisogno di fare era concludere la conversazione e piangere, da sola. Dall’altra parte del telefono si sentì un ennesimo sospiro di sconforto, seguito da un tonfo. Charlotte non seppe mai che quel suono coincideva con quello di uno stereo scaraventato a terra.
«Anche a te, Charlotte.» La ragazza premette il bottone rosso per concludere la chiamata e soffocò un grido fra le ginocchia, scoppiando a piangere. Strinse il cellulare con una mano, sperando di farlo diventare cenere e di eliminare quell’orribile chiamata. Se non avesse risposto a quella maledetta telefonata lui non l’avrebbe lasciata. Sbatté un piede sullo scalino, soffocando un altro urlo di rabbia e disperazione tra i singhiozzi. Il telefono squillò un'altra volta, vibrandole in mezzo le dita. Schiuse leggermente la stretta per poter intravedere lo schermo che lampeggiava. Sofia.
«Ma sei caduta dentro il cesso, cazzo?!» L’amica sbraitò, spazientita. Charlotte rimase a fissare il telefono fra le mani, non riuscendo nemmeno a piegare il braccio per avvicinarlo all’orecchio.
«Sofia.. Lo hanno fatto rientrare, mi ha appena chiamato. Mi ha lasciato.» Sussurrò la frase tenendo il telefono a distanza. Non riuscì ben a capire come Sofia riuscì a sentirla vista la lontananza del cellulare dalla sua bocca ma, cambiando subito tono, le rispose.

«Sto arrivando.»

 
 

I don't want to hear your voice,
I don't want to see your face,
I don't want to have no choice,
In my mind, I want no haze.
Parliament - Let me be


Charlotte inclinò la testa da un lato, socchiudendo le palpebre. Non le erano mai piaciute le anatre, con quel loro dannato becco piatto sempre pronte a morderti non appena tentavi di rifilargli qualcosa da mangiare al parco, e non le piacevano tantomeno in quel momento, quando ne aveva una sopra il tavolo della cucina. Morta, sventrata e cotta al forno dalla madre di Sofia, con un paio di fresche fette d'arancia disposte dove un tempo avrebbe dovuto esserci stata la testa, o magari la coda.
Charlotte aggrottò la fronte, iniziando a grattarsi una tempia perplessa.
«Sai che cosa voglio?» Sofia alzò la gamba sopra il bracciolo del divano e la tese a fatica, stiracchiandosi. Aveva passato l'intero pomeriggio spaparanzata davanti ad Mtv e, anche se era quasi ora di cena, non aveva la benché minima voglia di alzarsi. L'amica, stazionata in cucina, non staccò lo sguardo dalla loro potenziale cena, fissando con sfida la teglia argentata che conteneva il cadavere dell'animale.
«No, ma io voglio sapere come accidenti scaldare questo uccello. In microonde non ci entra.»
«Mettilo nel forno.»
«Non lo so usare, sinceramente.» Sofia sbuffò, dondolando la gamba a penzoloni fuori dal divano. Quell'ignoranza era plausibile, da quando si erano trasferite insieme in quell'appartamento ad Holmes Chapel nessuna di loro due aveva ancora avuto occasione di utilizzare il forno.
«Voglio le tette di Katy Perry, mi spettano di diritto.» Charlotte lasciò perdere i vaneggi della coinquilina e si concentrò sul forno, posizionato sotto i fornelli. Tirò e spinse a vuoto un paio di volte prima di riuscire a capire come aprirlo, ma dopo aver spalancato lo sportello infilò l'anatra nello scomparto centrale, togliendo la carta stagnola che era rimasta sui manici della teglia.
«Quella taglia dovrebbe essere mia non sua. Non riesco proprio a capire come posso essere nata senza il gene delle tette grosse in una famiglia di tettone. Noi colombiane dobbiamo avere curve, è nel nostro DNA!» Charlotte premette il pulsante che le sembrava il più grande sulla cornice sopra il display, supponendo fosse quello d'accensione.
«Ti ricordo che sei nata in questa città, non in Colombia. E questo fa di te un'inglese.» L'interno del forno si illuminò, facendo scintillare la polpa dell'anatra nel tegame, così come il display che attirò l'attenzione della ragazza.
«Io inglese? Tesoro, questo colore di pelle non è di certo made in England.» Sofia drizzò il busto e si sbatté il palmo della mano contro il petto fieramente. Accorgendosi che Charlie le stava dando le spalle si allungò verso la cucina, e scorse l'amica sbattere i polpastrelli nervosamente contro lo schermo a cristalli liquidi del forno.
«Cosa fai?»
«Secondo te? Sto cercando di far funzionare quest'affare.» Sofia si alzò finalmente dal suo adorato divano e andò in soccorso all'amica, impostando la temperatura di cottura con un paio di click.
«Duecento gradi? Come fai a saperlo?»
«Boh, di solito le torte si cucinano a duecento se non ricordo male.» Sofia scrollò le spalle, ritornandosene di fronte alla tv.
«Quella è un'anatra, non una torta.»
«Senti, al massimo esplode. Tu tieni d'occhio l'orologio e conta dieci minuti da adesso, dopo mi arrangio io.» Charlotte fece una smorfia, dubbiosa su quell'improvviso talento culinario dell'amica, e si sedette sopra il tavolo iniziando a fissare l'ora sul cellulare. Intanto in soggiorno, senza che Sofia se ne rendesse conto, il video della canzone di Katy Perry finì e si ritrovò un viso fin troppo famigliare sullo schermo. Si rizzò in piedi come una molla, sbarrò gli occhi e iniziò a cercare il telecomando sul divano. Prese a far volare i cuscini per tutta la stanza, mentre Charlotte appena sentì la voce di uno dei solisti iniziare a cantare si irrigidì, voltando lentamente la testa verso lo schermo della televisione.
Girl I see it in your eyes you're disappointed, cause I'm the foolish one that you anointed with your heart, I tore it apart.
Sofia masticò una parolaccia fra i denti, gettando con una manata un cumulo di riviste di moda a terra, sgombrando il tavolino da tè posizionato fra il sofà e il televisore.
.. And girl what a mess I made upon you innocence, and no woman in the world deserves this, but here I am, asking you..
Si voltò di nuovo verso il divano e, spostando la coperta in pail, vide il telecomando a terra.
.. For one more chan..
Lo schermo si spense, facendo calare il silenzio nell'appartamento. Sofia si girò verso Charlotte, e si accorse delle labbra serrate in una linea dura, con lo sguardo fisso ancora sulla televisione.
«Charlie?»
«Si, sto bene.» Charlotte si diede una scrollata di spalle e si rigirò a guardare lo sportello illuminato del forno, concentrandosi sulla pelle dorata dell'anatra.
«Senti..»
«La polpa sta diventando più scura, vieni a controllare.» Sofia annuì senza ribattere e la raggiunse alla sua destra. Quello era il loro metodo per mettere un limite al discorso, sviarlo e rimandare la discussione ad un altro momento, o anche a mai più. L'amica conosceva fin troppo bene Charlotte, il suo modo di pensare e agire, e in particolare sapeva quali erano le sue reazioni ad ogni azione. E se quell'azione si chiamava Harry Styles, la reazione era soltanto pura indifferenza.








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Ecco il primo capitolo! Un bel po' in ritardo, lo ammetto, ma ho le mie ragioni. La sottoscritta, furba come una volpe, si è beccata un bel virus sul fisso scaricando qualche album da Torrent e.. Puff, si rifiuta di accendersi. Ora riesco a connettermi grazie al MacBook di mia madre, ma devo ammettere che è scomodissimo postare con questo computer. Adesso devo solo aspettare di avere notizie del pc malato, e intanto vi lascio questo capitolo scritto in fretta e furia. Fa schifo, ma amen, dovevo per forza postare. Ringrazio tutti quelli che hanno inserito la storia nelle ricordate/preferite/seguite. Davvero, grazie. E in particolare coloro che hanno avuto il fegato di recensire! Giuro che appena ho tempo lascio la risposta ad ognuna di quelle che hanno recensito, ma per adesso.. Vi ringrazio infinitamente. Siete adorabili.


Geo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


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Capitolo 2


When I look at you,
I see forgiveness, I see the truth.
You love me for who I am, like the stars hold the moon.

When I Look At You - Miley Cyrus

 

Charlotte allungò le braccia sotto il cuscino e si sforzò ad aprire gli occhi.
Nella penombra intravide il comodino, e sbattendo meglio le palpebre, il suo reggiseno appeso sul pomello del cassetto. Tirò il collo verso il bordo del letto e osservò i suoi vestiti abbandonati sulla moquette della camera, insieme alla borsa e le scarpe. Afferrò il telefono dal comò e controllò l’ora: due e mezzo.

«Harry?» La ragazza si girò fra le lenzuola sbadigliando, e scorse un'ombra di spalle seduta alla scrivania. Prese ad osservare quell'ombra incurvata verso la luce fioca dello schermo del portatile, rimanendo con la testa appoggiata sopra il cuscino. Abituò gli occhi all'oscurità della stanza, e cominciò ad esaminare ogni dettaglio che riusciva a scorgere sulla schiena nuda a pochi passi da lei. La pelle che ricordava così morbida, gli angoli formati dalle scapole, la linea centrale che gli divideva il dorso in due parti, i fianchi generosi e quelle due leggere fossette appena visibili sopra l'elastico dei boxer. Per lei tutti quei particolari erano la perfezione, ciò che non avrebbe mai potuto permettersi, quello che le era stato vietato da sempre. E, per uno strano scherzo del destino, apparentemente erano tutti di sua proprietà.
La ragazza si alzò barcollando, ancora stordita dal sonno, e non appena spostò le lenzuola si accorse di essere totalmente nuda. Prese una polo nera del ragazzo in mezzo ad un mucchio di vestiti abbandonato sopra una sedia e se la infilò, notando tristemente che le calzava a pennello.
«Harry.» Lo chiamò avvicinandosi, di nuovo. Il ragazzo rimase in silenzio, con lo sguardo fisso sullo schermo e si passò una mano fra i ricci, scoprendo un orecchio. Charlotte sorrise, notando il filo della cuffietta bianca che gli ricadeva sul collo. Si piegò verso di lui e gli appoggiò le labbra sulla nuca, baciandolo leggermente. Harry sobbalzò, ma non si girò finché lei non si staccò dalla sua pelle.
«Ti ho svegliata?»
«No, ma dovresti essere a letto a dormire come i comuni mortali.» Il ragazzo sorrise, strappandosi entrambe le cuffiette dalle orecchie ed indietreggiò con la sedia, facendole segno di sedersi sulle sue cosce. La ragazza inclinò la testa da un lato sorridendo, si avvicinò, gli divaricò le gambe spingendo delicatamente le ginocchia verso l'esterno e si sedette sulla piccola parte di sedia che avanzava. Il ragazzo sospirò lasciandola fare, conoscendo perfettamente la ragione di quel gesto. Era terrorizzata dal fatto che potesse pesarle, sia fisicamente che mentalmente. Era una fissazione che non l'abbandonava mai, e per quanto il Harry cercasse di ricordarle ogni volta che aveva bisogno di lei quanto lei di lui, Charlie si rivelava sempre più irremovibile.
«Cercavo una canzone degna per i White Eskimo.» Harry la posizionò bene fra le sue gambe per farla stare il più comoda possibile e le infilò una mano sotto la maglietta, avvolgendole il ventre con il braccio per stringerla a sé. Lei si lasciò andare al suo tocco, rilassando la schiena contro il suo petto, e lui prese ad accarezzarle il fianco dolcemente mentre continuava a girovagare per internet con l'altra mano. 
Harry era l'unica persona che aveva il permesso di toccarle gambe, pancia e braccia. Gli erano voluti quasi quattro mesi per ottenere quella libertà, e lui la considerava una vittoria personale.
«Trovato niente?»
«Cercavo sui Sum 41, magari I'm Too Deep, ma non ne sono troppo sicuro.» La ragazza annuì ed iniziò a smanettare al posto suo, prendendo il comando del computer. Harry la lasciò fare, stringendola contro di lui con entrambe le braccia e iniziando a lasciarle una leggera scia di baci dall'orecchio fino alla clavicola.
«Che dici di questa?» Il ragazzo alzò la testa dalla sua pelle e fissò lo schermo del pc, attento alla musica che aveva improvvisamente riempito la stanza.
«Non male, davvero. Ma sinceramente il loro nome non mi dice nulla, che band è?»
«Una band che sa il fatto suo.» Detto questo, la ragazza non aspettò che iniziasse la seconda strofa della canzone che abbassò lo schermo del portatile, facendo abbuiare la stanza.
«A letto, forza.»
«Si mamma.» Charlotte scoppiò a ridere, alzandosi dalla sedia. Iniziò a cercare l’interruttore della luce tastando il muro a tentoni, ma Harry la tirò per la maglietta per farla sbilanciare verso di lui.
«Ti sei lavato i denti?» Questa volta fu il ragazzo a lasciarsi sfuggire una risata.
«Assolutamente. Devo andare a mettermi anche il pigiama?»
«Oh no, quello no»
«Ci avrei scommesso.» Harry mormorò l’ultima parola contro le sue labbra, prendendo a baciarla con foga. In un attimo le sfilò la sua maglietta, gettandola a terra, ed iniziò ad indietreggiare con lei verso il letto. Improvvisamente Charlotte sentì un tonfo, ed Harry soffiò dentro la sua bocca.
«Cazzo!»
«Che c’è?» La ragazza strinse le dita sulle sue spalle, allarmata.
«La nuova scarpiera dell’Ikea, porca puttana!» Charlotte prese a sghignazzare buttando la testa all’indietro, e si appoggiò al muro per non cadere dalle risate.
«Charlie, shh! Dai che sennò svegli Gemma!» La voce di Harry si addolcì, assumendo un tono divertito. Prese la mano della ragazza e finalmente la portò verso il letto, facendola sedere.

«Ti sei fatto male?»
«Un po’, ho sbattuto con il tallone sul spigolo.» Charlotte riprese a ridacchiare a bassa voce, lasciandosi andare contro il materasso. Non appena Harry si accorse che si era sdraiata si distese sul fianco accanto a lei, nascondendo il naso fra i suoi capelli e prendendole la mano. Rimasero così per una decina di minuti, senza che nessuno dei due fiatasse.
Harry si perse nel suo profumo, Charlotte nel cal
ore della sua mano.
«Non so te Harry, ma io avrei freddo.» Il riccio sorrise, afferrando l’orlo delle coperte e avvolgendo entrambi con il copriletto.
«Ma non possiamo andare sotto le coperte?» Charlotte alzò la testa, confusa.
«Perché devi sempre rovinare l’atmosfera?»
«Fondamentalmente perché voglio un cuscino e non voglio dormire storta.» Il ragazzo non la badò e si sistemò contro il suo fianco, stendendo il braccio sopra il suo seno nudo.
«Comodo Styles?»
«Decisamente.»

 
 
 

But when I looked at him, I thought of only you.
If only there was proof, I could use to show it's true.

You Me At Six - Crash

 
 
Charlotte lasciò scivolare fuori dalle labbra una piccola nuvola di fiato rovente, ben appoggiata con i gomiti sulla balaustra del balcone. Erano le cinque e qualcosa del mattino, e per strada non c'era anima viva. Meglio per lei, il silenzio la calmava, figurarsi goderselo insieme ad una tazza di latte bollente e ad un leggero venticello ghiacciato che le solleticava le cosce nude. Quella era la sua concezione di tranquillità, ed in quel momento ne aveva un disperato bisogno. 
Si soffermò ad osservare il fumo che si aggirava intorno al bordo circolare della tazza, per poi dissolversi nell'aria invernale di Londra, pensando per quale assurda ragione stava bevendo da quella tazza verde fango. Non le piaceva il colore, e tantomeno il padrone. Non le piacevano più perfino quei due occhi ghiacciati che l'avevano inchiodata al tavolino del bar durante il primo appuntamento, quei due pozzi azzurri che le avevano chiesto gentilmente di salire in casa, e gli stessi che infine l'avevano completamente spogliata. Sospirò, portando la tazza di fronte a sé e facendola dondolare fra le dita sottili al di là del parapetto, mescolando il poco latte rimasto sul fondo. Avrebbe voluto lasciarla cadere nel vuoto, vederla frantumarsi a terra, sentire la ceramica infrangersi nel marciapiede deserto. Eppure le piaceva, le piaceva da morire distruggere le cose, rovinarle fino all'irreparabile. Aveva visto la persona che considerava più importante di se stessa sfumarsi e sparirle da davanti senza che lei avesse il tempo di reagire, ed ora preferiva aver ben presente quando qualcosa si sgretolava di fronte a lei. Tutto doveva fare rumore, doveva addirittura frastornarla per farla accorgere di quello che stava succedendo. Le cose le erano sfuggite di mano una sola volta e ne aveva affrontato le conseguenze, di certo ora non avrebbe lasciato che succedesse di nuovo. 
«Piove?»
«No.»
«Grandioso, - Brad sbatté i talloni scalzi sul parquet della cucina, dirigendosi verso il frigo - ma adesso vieni dentro che potrebbero vederti i vicini.» Charlotte alzò le spalle, sentendo il bordo della maglietta arrivarle fino a metà vita. Era in mutande, e per quanto ne sapeva lei avrebbero potuto scambiarlo per un costume, se mai si fossero affacciati alle loro finestre. Anche se doveva ammettere che un costume ad Ottobre era davvero poco credibile.
«Ti decidi a venire dentro o vuoi prenderti una broncopolmonite?» La ragazza fece una smorfia, ma si affrettò a farla sparire prima di rientrare obbediente. Si sentiva stanca, e non considerando che stava effettivamente rischiando di ammalarsi, si accorse di non aver neppure la forza di ribattere. 
«Tutto apposto?» Brad alzò lo sguardo dal giornale e la guardò stranito, appoggiando la sua tazza di caffè sul tavolo. 
«Come?»
«Ti ho chiesto se stai bene.» Il ragazzo tirò indietro il mento e si morse il labbro inferiore perplesso. 
«Si, sto bene.» E riprese a bere il suo decaffeinato. Charlotte si perse ad osservare ogni ciuffo biondo dei suoi capelli scompigliati, gli occhi vispi che girovagavano fra gli articoli del giornale e la mascella contratta per il calore del caffè. Lo trovava dannatamente bello, ma la sua presenza iniziava a diventarle estremamente pesante. Si domandò se anche lei lo era diventata a suo tempo con Harry, così pesante e noiosa da spingerlo a liberarsene per telefono. 
«Senti, tra mezz'ora devo essere in ufficio e..» La frase di Brad rimase a mezz'aria, concludendosi con una sua scrollata di spalle. 
«Vado a vestirmi.» Charlotte annuì più a se stessa che a lui, scuotendo la testa per scacciare un vecchio ricordo troppo limpido e salì le scale, iniziando a spogliarsi già al secondo scalino. In un quarto d'ora era già con il cappotto di lana cotta addosso, con tanto di sciarpa abbinata alla borsa. 
«Vado Brad, ti auguro una buona giornata.» Il ragazzo rimase per l'ennesima volta spiazzato dall'estrema gentilezza di Charlotte, e si ritrovò a fissarla disorientato. La ragazza sorrise debolmente, inclinando la testa da un lato e avvicinandosi a lui per lasciargli un bacio casto a fior di labbra.
«Ti chiamo io appena finisco.» Charlotte mormorò un 'va bene' contro la sua bocca e gli accarezzò delicatamente il mento con l'indice e il medio, sfiorando con la punta delle unghie il leggero filo di barba. Dopo di che gli rivolse un ultimo sorriso insicuro e scomparve da quell'appartamento.


***


Charlotte sbuffò per l'ennesima volta, rovistando impazientemente nella borsa. Non potevano essere state inghiottite dal tessuto quelle maledette chiavi, dovevano essere per forza lì dentro. Appena sfiorò con le dita del pelo sotto il pacchetto di sigarette lanciò un leggero gridolino, riconoscendo il pupazzo che aveva come portachiavi da quasi un secolo. Con un rapido colpo di polso afferrò l'uccellino di peluche e fece uscire il mazzo di chiavi dalla shopping, entusiasta. Infilò la chiave nella toppa ed entrò finalmente in casa, fischiettando un motivo allegro inventato al momento.
«Si, come no. No no, non mi hai capito, ho bisogno di quei gamberetti fritti!» Charlotte riconobbe la voce di Sofia, entrando nell'appartamento. Varcata la soglia del soggiorno si ritrovò di fronte la figura dell'amica intenta a gironzolare per la sala, con il telefono all'orecchio. Charlotte le rivolse uno sguardo divertito inclinando la testa da un lato, e Sofia le sillabò la parola 'mamma'. La ragazza annuì, facendole un segno d'assenso e si diresse verso la cucina, con l'intenzione di procurarsi immediatamente qualcosa di ghiacciato per dissetarsi. 
«Ehi, una volta si salutava!» Charlotte si girò di scatto verso la voce alle sue spalle, rimanendo con il braccio teso verso la maniglia del frigorifero, e si ritrovò un paio di scintillanti occhi verdi a fissarla. Increspò le labbra facendo schioccare la lingua sul palato ed abbozzò un sorriso, lasciando ricadere la mano sul fianco.
«Se magari evitassi di imboscarti dietro al bancone, forse..» Charlotte lasciò la frase a metà, irrigidendosi mentre tentava di togliersi il cappotto di dosso. Sbarrò gli occhi e la ragazza davanti a lei soffocò una risata, intuendo il motivo del suo improvviso sgomento.
«Che cazzo, Gemma! Appena Sofia riaggancia se la vede con me.» Gemma ancora rise più forte, iniziando a giocherellare con una ciocca di capelli tinta.
«Perché, non ti piacciono? Una volta mi avevi detto che il rosa mi donava» Charlotte fece una smorfia divertita, avvicinandosi alla ragazza per valutare meglio il danno.
«E ribadisco, il rosa ti dona, non il fucsia. E comunque non mi riferivo certo ai capelli!»
«Oh andiamo, sono soltanto le punte e alcune ciocche!» Charlotte sospirò, ammettendo a se stessa che in fin dei conti non le stavano per niente male quei capelli colorati.
«Ti ha accompagnato Sofia dal parrucchiere?»
«Certo.» Charlie le schioccò un'occhiata indagatrice socchiudendo le palpebre, ma come risposta Gemma non fece altro lasciarsi sfuggire un'altra risata. Quella era la dimostrazione di uno dei tanti difetti degli Styles: ridevano per nulla. Anche per una smorfia tutt'altro che divertente, per intenderci.
«Ma dai, non posso venirli a prendere quando sono pronti? No, ok. Si ho capito. Ma allora vedi che proprio non me li vuoi dare?!» gli strilli di Sofia fecero voltare entrambe verso il soggiorno, spostando il discorso dai capelli di Gemma ad un'altra direzione. Sofia si lasciò cadere a peso morto sul divano, dondolando le gambe sopra i braccioli. Buon segno, pensò Charlotte, se si era rilassata sdraiandosi, allora la madre aveva in qualche modo ceduto alla insistenza della figlia. Il miglior talento di Sofia Mendoza? Condurre la gente all'esasperazione senza neppure mettersi d'impegno. Le veniva naturale, come respirare.
«Mi credi se ti dico che è da quasi un quarto d'ora che l'ascolto e non ho ancora capito di cosa sta parlando?» Gemma rimase con lo sguardo fisso sulla bionda, attenta ad ogni parola o imprecazione durante la telefonata.
«Sta contrabbandando cibo con sua madre.» Charlotte allungò il collo, controllando per un ultima volta l'espressione dell'amica, con la speranza di prevedere se quel mese avrebbero risparmiato sulla lista della spesa o meno. Sofia rimaneva immobile, assorta dalla chiamata e con lo sguardo fisso sulle sue unghie smaltate, quindi decise di rinunciarci.
«A parte il tuo nuovo look all'Avril Lavigne via, qual buon vento ti porta da queste parti?» Gemma le sorrise, continuando ad intrecciarsi fra le dita ciuffi di capelli, e le rivolse uno sguardo d'intesa.
«Prova ad immaginare.»
«Ah.» Charlotte annuì, appollaiandosi su uno sgabello della cucina, e rivolse lo sguardo fuori dalla finestra, attratta dalle gocce di pioggia che sbattevano contro il vetro. Dio, quanto le piaceva la pioggia. L'odore di asfalto bagnato sulle strade, il ticchettio delle gocce contro le finestre la notte, il perenne grigiore delle nuvole che coloravano il cielo di Londra. Era una delle cose che più amava in assoluto, conferivano alla città un qualcosa di misterioso e nascosto. Non che odiasse il sole, ma l'estate, il cambio della temperatura, le canottiere e gli shorts non le erano mai andate a genio. 
«Grazie dell'avvertimento, Gemma. - continuò, riprendendo a guardarla negli occhi - Dimmi la data esatta di quando arriva e riparte, così io parto e mi faccio una vacanza per un paio di settimane.» Charlotte distese le labbra in un sorriso terribilmente falso, facendosi schioccare l'osso del dito medio con un gesto veloce. Si trattava un'espressione che aveva improvvisato così tante volte che nel corso degli anni l'aveva resa perfettamente fasulla e impenetrabile. Gemma sospirò, mollando i capelli e spostando l'attenzione verso le sue dita, intrecciandole nervosamente fra loro sotto il tavolo, nascondendole.
«Vedi Charlie, c'è un problema..»
«Cioè?» Charlotte la interruppe subito, poggiando i gomiti sopra il tavolo.
«Harry si fermerà qui per due mesi e mezzo.»








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Ebbene sì, capitolo bello fresco a l'una e mezza di notte. Due cose: primo, nella canzone della seconda parte ho modificato il testo originale, al posto di -him- c'era -her-, perché si dal caso fosse dedicata ad una ragazza, ma diciamo che ho stravolto il significato della canzone. Secondo, non so com'è venuto fuori questo capitolo. Cioè, mi affido al vostro giudizio ragazze.
Per la prima volta vi do un accenno dei problemi di sicurezza e autostima di Charlotte, soprattutto nel flashback. Ora, avrò modo di spiegarvi meglio nei prossimi capitoli, ma per ora vi lascio soltanto questo assaggio.
Ringrazio chiunque abbia messo la storia fra le preferite/seguite/ricordate. Davvero, vi ringrazio di cuore. E ringrazio soprattutto quelle buone anime pie che hanno commentato sia il prologo che il primo capitolo, ovvero explosivearri, delilaah e shesfelix.
Vi. Adoro.
Detto questo, mi auguro vi sia piaciuto.


Geo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


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Capitolo 3

Stole a key,
took a car downtown where the lost boys meet,
took a car downtown and took what they offered me,
to set me free.
Charlie Brown - Coldplay
 


«Smettetela, subito! Harry dacci un taglio!» Charlotte afferrò Sofia per il colletto della maglia e la tirò verso di lei, cercando di tenerla ferma fra i sedili posteriori.
«Mi stai graffiando, stronza!»
«Ripetilo se hai il coraggio, imbécil de mierda!» Sofia si ancorò di nuovo alla stoffa della felpa di Harry, tirandolo verso di sé per colpirlo. Il ragazzo si sbilanciò troppo e finì con le braccia tra il cambio e il freno a mano, tenendo l'indelebile che aveva usato pochi minuti prima aperto nella mano destra.
«Harry, sto guidando cazzo!» Will abbaiò una bestemmia perdendo per un attimo il controllo del volante, facendo sbandare leggermente l'auto. Charlotte, seduta sulle ginocchia di Haydn, lanciò un urlo e perse l'equilibrio, sbattendo la testa contro il vetro del finestrino. Al suono del colpo Harry si girò di scatto e si allungò verso di lei, afferrandole una gamba con la mano.
«Charlie, stai bene?» Charlotte, che si era ritrovata distesa sopra le gambe di Haydn e Nick senza ben capire come, si affrettò a rialzarsi aggrappandosi al braccio del riccio e, rossa in viso per l'imbarazzo, ritornò al suo posto.
«No, - borbottò massaggiandosi la testa - cercate di stare fermi o finiamo per ammazzarci!» Harry, che da quando l'aveva aiutata a rialzarsi non le aveva lasciato la mano annuì, lanciando un'occhiataccia a Sofia. La ragazza, di rimando, si sporse in avanti e diede un'ultima spinta all'amico, che sbatté di schiena addosso al cruscotto.
«ORA BASTA!» Will inchiodò improvvisamente la macchina sul ciglio della strada, facendo sbilanciare tutti i passeggeri in avanti, lui compreso. Harry finì di nuovo addosso al pannello di plastica, ma questa volta per evitare di sbattere di faccia puntò entrambe le mani, compresa quella con cui teneva il pennarello senza tappo.
«Merda!»
«Voi due, mi avete rotto i coglioni! Non basta il fatto che sto guidando una fottut-» Harry lo interruppe, afferrandolo per una spalla.
«Will! Guarda che cazzo hai fatto!» Il riccio gli indicò l'enorme riga nera ancora fresca che tagliava metà cruscotto.
«Io?!»
«Harry!» Charlotte sbiancò, portandosi una mano sulla fronte.
«E tutto perché sei un huevon malparido!» Sofia rifilò un pugno al poggiatesta del sedile di Harry, facendolo vibrare sotto il colpo.
«Porca troia, smettila di parlare spagnolo che non capisco quanto cazzo mi devo offendere!» Harry iniziò ad urlare in direzione della ragazza, visibilmente infuriato. Will si intromise, frenando in malo modo l'amico per la felpa.
«Mi spieghi adesso come facciamo?! La macchina è rubata e hai lasciato un bel segno di gratitudine per il tuo amato suocero.»
«Che cosa?! Rubata?!» Haydn si mise in mezzo, strillando allarmato.
«Rubato cosa?» Nick, che fino a quel momento era rimasto in disparte a fissare dal finestrino le case scorrergli davanti agli occhi, sembrò svegliarsi.
«L'abbiamo presa dal mio garage, è di mio papà.» Charlotte parlò atona, senza smettere di fissare l'enorme striscio lucido sulla plastica grigia. Non che suo padre avesse fatto fatica a permettersi di cambiare il cruscotto, o magari comprare direttamente un'auto nuova, ma quella era la vecchia Mercedes della seconda moglie, ovvero uno dei pochi trofei che si era sudato durante il divorzio. Il trofeo più costoso, per l'esattezza. 
«Ma tu mi avevi detto che era di tua sorella!» Harry si girò verso Haydn e scoppiò a ridere.
«E secondo te mia madre o mia sorella possono permettersi una Mercedes?» Charlotte incontrò per un attimo gli occhi del ragazzo, percependo una nota amara nella sua voce. Più di una volta si era ritrovata Harry a farle proposte indecenti per passare la serata a casa. Passava dall'idea di una deliziosa torta farcita di Nutella, ad un'allettante notte di sesso senza sosta. In entrambi i casi, riusciva sempre a convincerla. Harry la buttava sempre sul ridere, ma Charlotte sapeva che lo faceva per difendere il suo senso di dignità e per nascondere il fatto che avesse il portafoglio vuoto.
«E allora evita di dire stronzate la prossima volta!» Haydn urlò, sbattendo un pugno contro la coscia di Nick senza accorgersene. L'amico lo guardò allibito e, prima che iniziassero tutti a prendersi a pugni, tirò la maniglia dello sportello e se la svignò scendendo dall'auto.
«Ti stavo prendendo in giro, Hay! Nessuno di noi ha la patente, secondo te come facevamo a recuperare una macchina?»
«Ma vaffanculo!» Haydn spostò malamente Charlotte dalle proprie ginocchia e uscì dall'auto, agitando le braccia per aria mandandolo in malora.
«Tu, oltre che a prendere in giro la gente non sai fare proprio altro.» Detto questo, anche Sofia scese e sbatté rabbiosamente lo sportello alle sue spalle, facendo sobbalzare l'amica.
«Harry.»
«E adesso che vuoi?» Il riccio si girò verso Will seccato.
«Sei una testa di cazzo.» Will prese il cellulare sotto il freno a mano e uscì dalla macchina, seguito a ruota da Harry che continuava ad infierirgli contro. Charlotte si ritrovò sola, mentre urla e parolacce rimbombavano dall'esterno dell'auto. Sospirò, pensando che probabilmente quella sera non sarebbero andati a quella dannata festa fuori città.



 

And I'm dying to know: is it killing you like it's killing me?
I don't know what to say since we twisted our game, when it all broke down,
and the story of us looks a lot like a tragedy now.
The Story Of Us - Taylor Swift
 


Charlotte si svegliò di soprassalto, sbarrando gli occhi contro le fessure luminose della persiana. Di riflesso, allungò il braccio dall'altra parte del letto, tastando le lenzuola gelide. Vuoto.
Si rilassò subito e sbadigliò contro la stoffa del cuscino, non sorprendendosi di trovarla ancora umida e macchiata di rimmel. Si alzò dal letto controvoglia, pensando alla chiacchierata con Gemma poche ore prima e alla sua reazione da 'struzzo', come avrebbe precisato suo padre.
Si trascinò fino alla porta e tese l'orecchio, in ascolto. Sentì la voce limpida di un telecronista riecheggiare nel corridoio, e sospirò. Dedusse che, sfortunatamente per lei, Sofia quel pomeriggio aveva deciso di rimanere a casa, mangiando a sbafo davanti al televisore. Sospirò un'altra volta, appoggiando la fronte contro la porta. Quando Gemma le aveva riferito che Harry si sarebbe fermato per quasi tre mesi, l'aveva decisamente presa in contropiede. Era rimasta in silenzio, cercando con la mente di trovare l'ennesima via di scampo e, sviando tutte le rassicurazioni e le scuse dell'amica, era sgattaiolata in camera prima che Sofia concludesse la chiamata con la madre.
Abbassò con decisione la maniglia e uscì dalla camera a passo sostenuto, decisa a passare dritta di fronte alla coinquilina e catapultarsi dietro il bancone della cucina in cerca di qualcosa di alcolico da bere. Quando però passò di fronte al divano, intravide sopra il tavolo da tè un paio di sudicie Nike verde militare; si bloccò ed indietreggiò di un paio di passi.
«Cosa ci fai qui?» Charlotte aggrottò la fronte. Will la guardò torvo, concentrandosi sugli enormi aloni neri di trucco colato che le contornavano gli occhi.
«Sofia è andata a fare la spesa, io sono rimasto a guardare la tv.»
Charlotte lo fulminò, socchiudendo le palpebre. Sofia, ci avrebbe scommesso, prevedendo un crollo emotivo da parte dell'amica, aveva ordinato a Will di rimanere a casa per tenerla d'occhio, responsabile di qualsiasi reazione isterica e incontrollabile in quanto suo migliore amico. 
La ragazza distolse lo sguardo e si incamminò verso il frigorifero, decisa ad ignorarlo completamente.
«Non hai una bella cera, Charlie.» La voce di Will sovrastò il volume del televisore, rimbombandole alle spalle. 
«Non ho nessuna intenzione di parlare di lui con te, o con Sofia o con qualcun altro.» Charlotte ringhiò, subito sulla difensiva. Afferrò con troppa energia una bottiglia di Guinness da dentro il frigo, facendola scontrare contro la plastica del ripiano.
«Io non mi riferivo a lui, ma ai tuoi inquietanti occhi da panda.» La ragazza si aprì nervosamente la birra con l'apribottiglie e ne bevve un sorso, tentando di darsi una calmata. Maledì in silenzio la sua dannata ossessione per il mascara e il pianto a cui si era lasciata andare quel pomeriggio, in camera da sola.
Sia lei che Will rimasero in silenzio, lui con lo sguardo fisso sul televisore, lei su i suoi folti capelli neri. Il ragazzo percepiva dalla cucina lo sguardo dell'amica traforargli la nuca, ma continuò ad ascoltare la voce del giornalista senza battere ciglio. Dopo pochi minuti, si girò di scatto, sorprendendo Charlotte nell'atto di fissarlo, e la guardò con occhi limpidi.
«Qualcosa non va?» La ragazza, presa in contropiede, lo guardò accigliata.
«Smettila, lo so che cosa stai pensando. Se vuoi farmi la solita ramanzina risparmiatela perché non ho nessuna intenzione di ascoltarti.»
«Immaginavo, ecco perché non ne volevo parlare, come ti ho già detto. Se sei una codarda non è colpa mia, dopotutto.»
Provocazione. Il termine balenò nella mente di Charlotte come un lampo, investendola nell'esatto modo in cui Will voleva.
«Codarda? E per quale motivo sarei una codarda?!» La ragazza colse la provocazione, sbattendo la bottiglia contro la superficie del tavolo e avvicinandosi verso il divano.
«Perché continui a scappare. Scappi da ben due anni.»
«Io non scappo! Sto soltanto evitando un'enorme scocciatura sia a me che a lui, nient'altro!»
«Ed è qui che sbagli, Charlie! Sai meglio di me che lui ci tiene ancora.»
«Si, ai suoi soldi.» Will sbuffò, passandosi una mano fra i capelli.
«Sei stupida. Perché fai finta di non sapere che ogni volta che parla con me, con Sofia o con Gemma al telefono chiede sempre di te? Di come stai, se hai trovato lavoro, di come va con tuo padre? La scocciatura di cui parli riguarda soltanto te, non lui.»
«Poteva pensarci prima di lasciarmi, Will! Ormai è finita, non vedo perché dopo due anni dovremmo riparlarci, - Charlie alzò gli occhi al cielo, innervosita - per parlare di cosa, poi!»
«Magari di come tu, dopo anni, non sei ancora riuscita a superare la cosa?» Charlotte a quel punto divenne rossa dalla rabbia, strinse i pugni, e rifilò un calcio al tavolino posto fra il divano e la televisione. Will sobbalzò leggermente, non abituato a certe reazioni da parte dell'amica.
«Non ti permettere di dirmi cosa ho superato o meno.»
«Certo, ma sta di fatto che non si sa bene perché hai ancora quel rottame segnato da Harry.»
«E questo che c'entra?! Non la cambio perché sono abituata a guidarla e mi secca comprare una macchina nuova!»
«Ok, ma tra poco rimani a piedi, sia chiaro.»
«Will, la Mercedes non c'entra un cazzo con questo discorso. Io sto benissimo, voglio solo evitare di vedere o parlare con quello stronzo.»
«Quindi lo odi, lo stronzo?»
«Non ho detto questo.» Il tono di Charlotte si fece gelido. Will incrociò le braccia al petto, riflettendo sugli occhi inespressivi della ragazza. Erano anni che ormai non gli trasmettevano più niente di confortante o tranquillo; era diventati semplicemente due buchi opachi di colore, vuoti sotto ogni aspetto.
Il ragazzo le fece segno di sedersi accanto a lui sul divano, afferrando il telecomando per cambiare canale. Charlotte espirò tutto il suo fastidio e montò a piedi scalzi sopra il sofà, lasciandosi ricadere a gambe incrociate. Will la guardò annoiato, arricciando le labbra.
«Ogni volta che fai questi versi mi sembri il gatto di Gloria.» La ragazza si lasciò sfuggire una risata, pensando al persiano cieco della zia di Sofia che andava a sbattere contro ogni mobile e muro della casa. 
«E' scesa la febbre a tua sorella?»
«Non cambiare discorso, - Will spense la tv e si girò completamente verso di lei, posizionando il braccio sopra il poggiatesta del divano sono curioso di sapere il tuo piano.»
«Non ho nessun piano.» Charlotte sbuffò e si portò le gambe al petto. 
«Ti dovrai pur inventare qualcosa.»
«Sono stanca, Will. Andrò da mio padre, non lo so.»
«Non faresti prima a chiamarlo e dirgli chiaramente che non vuoi vederlo per x e y motivi?» La ragazza lo guardò contrariata e fece una smorfia delusa.
«Non posso.»
«Perché?»
«Perché non posso, non posso e basta!»
«Non credo che oltre ad essere diventato famoso, abbia anche imparato ad uccidere attraverso una cornetta.»
«Non voglio chiamarlo.»
«E allora scappa come una ladra, mi sembra una cosa ragionevole.» Will la stava istigando, convinto che facendola arrabbiare qualche risultato lo avrebbe ottenuto. Non si aspettava granché, probabilmente Charlotte avrebbe finito per mettergli le mani addosso, ma voleva che in qualche modo si sfogasse. La conosceva da abbastanza anni per sapere che tutti quei discorsi evitati, tutte quelle battute scansate non erano altro che un muro di rabbia che si era costruita con il passare del tempo. Un muro di caos, per l'esattezza.
E in più doveva ammettere che si divertiva parecchio a provocare le persone, ovviamente soltanto quelle visibilmente inferiori a lui, di stazza e di carattere. Ad esempio, non avrebbe mai cercato di provocare la sua ragazza; se ci avesse provato, si sarebbe ritrovato con entrambi i testicoli mutilati nel migliore dei casi.
«Ma posso sapere perché dobbiamo per forza parlarne?!» Charlotte sbottò irritata.
«Perché Sofia non ti dice mai un cazzo per paura di deprimerti più di quanto tu non lo sia già, e a me questa cosa da fastidio. E tanto anche, se devo essere sincero. Lei è preoccupata per te, e tu te ne infischi altamente.»
«Sofia si preoccupa sempre per niente.»
«No Charlie, da quando Harry se n'è andato sei cambiata completamente. Ora, sicuramente non sei nelle condizioni di quando ti ha lasciato, ma non puoi dire che sei la stessa di due anni fa.» Charlotte non riuscì a trattenersi. Scoppiò a ridergli in faccia, trovando estremamente spassoso il suo tono ponderato e da soap-opera.
«Will, sei serio?»
«Non c'è un cazzo da ridere Charlie! Ti sei vista? Sei un ammasso di ossa che cammina. Capisco che sei dimagrita, ma io ti porterei più che volentieri da un dottore.»
«Ma smettila, ho solo fatto sparire tutto quel salvagente di ciccia da.. Ovunque.» La ragazza gesticolò, disgustata. Il solo pensiero di tutti quei kili che pesava pochi mesi prima le facevano venire il voltastomaco. Aveva sempre mangiato, certo, ma soltanto in presenza di qualcuno.
«Cristo, tu non stai bene.» Will tirò fuori il telefono dalla tasca dei jeans e iniziò a trafficare con le dita sopra lo schermo. Charlotte lo guardò allarmata.
«Cazzo fai?»
«Niente.» Will entrò nella cartella musica, abbassò il volume al minimo e cliccò sopra una canzone, mettendola subito in pausa. Lanciò un'occhiata a Charlotte di fronte a lui, che lo guardava con aria angosciata. Con il pollice fece scorrere in avanti la canzone, e poi cliccò il tasto play. Il soggiorno si riempì del suono lievemente distorto della voce di Harry, facendo sobbalzare la ragazza.
Charlotte guardò prima Will, poi il telefono fra le sue mani sconvolta. Le salì un groppo in gola che le sembrò colossale, impedendole di parlare o muoversi.
If we could only have this life, for one more day..
Charlotte rabbrividì. Anche dopo due anni di radio spente e televisioni bloccate solo su certi canali, era riuscita a riconoscere la sua voce, senza esitazioni. Non era cambiata di una virgola, se non per qualche tono più basso e rauco, ma era senza dubbio la stessa identica voce che ogni tanto le riecheggiava in testa. Quella che ogni tanto l'avvertiva che stava esagerando, che doveva respirare a fondo e calmarsi; quella che spesso le ricordava di mettere qualcosa sotto i denti, e che se anche usciva di casa con lo smalto sbavato, nessuno se ne sarebbe mai accorto.  
If we could only turn back time..
Appena iniziò il ritornello e alla sua voce si sovrapposero delle altre, Charlotte si svegliò dal suo stato di trance.
«Spegni! Subito!» La ragazza strillò, scagliandosi contro la figura di Will. In quel preciso momento, dall'altra parte del soggiorno si aprì la porta d'ingresso, e Sofia entrò di spalle reggendo due buste di plastica strapiene di spesa. Appena si girò per salutare e per chiedere un misero aiuto, vide Charlotte completamente aggrappata alla schiena del suo ragazzo, nell'intendo di tirargli i capelli. Rimase a guardarli allibita, non riuscendo a trovare un senso alla situazione, ma non appena Will lanciò un grido di dolore si decise ad intervenire, lasciando cadere le buste della spesa a terra.
«Ma che diavolo sta succedendo?!» Sofia si mise fra i due, staccando le unghie di Charlotte dalla carne del suo ragazzo e afferrando frettolosamente il telefono che era caduto dall'altra parte del divano, spegnendo immediatamente la musica.
«Ma posso sapere che caz..» Sofia ammutolì e Will, che stava per sputare una frenetica serie di parolacce sconnesse, si zittì subito, rimangiandole una ad una. Charlotte era lì sul divano, seduta sopra le proprie caviglie a guardarli entrambi con occhi lucidi. La cosa che lasciò più di stucco la coppia però non fu che la ragazza stesse effettivamente piangendo di fronte a loro, fatto che non accadeva da non si sa quanti mesi, ma bensì lo sguardo piatto e spento con cui li fissava. Will non riuscì a capire se fosse delusa, triste o incazzata, sembrava che avesse soltanto smesso di pensare o ragionare. Se ne stava semplicemente lì, piangendo in silenzio ed impassibile.
Inaspettatamente abbassò lo sguardo e si alzò dal divano, scomparendo nel reparto notte.
«Posso sapere che hai fatto?»
«Ma che ne so, non pensavo di farla piangere mettendole una canzone!» Will si tastò il collo e controllò se le dita fossero sporche di sangue. Altroché gli schiaffi o i pugni che si era aspettato, se Sofia fosse arrivata più tardi era convinto che Charlotte avrebbe iniziato pure a morderlo. Di una cosa era certo: non avrebbe più tentato di provocarla.
Sofia, ancora incredula, fece per raggiungere l'amica in camera, ma Charlotte le comparì di fronte prima che riuscisse a lasciare il soggiorno, con il cappotto sulle spalle e la borsa alla mano.
«Dove vai?»
«Da Brad.» Charlotte la superò, senza degnarla di uno sguardo. Si passò diverse volte gli indici sotto gli occhi, cercando di sfumare tutto quel nero che gli accentuava le occhiaie. Voglia di struccarsi lì non ne aveva, ci avrebbe pensato in macchina. Prima che Sofia o Will potessero aggiungere qualcosa, scavalcò le buste della spesa abbandonate all'entrata e afferrò le chiavi.
«Non so quando torno, potrei stare da lui anche un paio di giorni, al massimo ti so dire per sms. -  Charlotte afferrò il pomello della porta d'ingresso e si girò verso Will - E vado a comprare una macchina nuova, ciao.» Detto questo, uscì dall'appartamento.
 

***
 
«Pronto?»
«Ehi papà, sono io.» Charlotte lanciò un'occhiata allo specchietto retrovisore, immettendosi in autostrada.
«Tesoro! Come stai? Tutto bene?»
«Si si, tutto apposto. Senti, oggi pomeriggio hai da fare?» L'uomo, dall'altra parte delle cornetta, si sistemò i gemelli sui polsi e iniziò a sfogliare l'agenda.
«In teoria avrei un incontro con un politico di un certo spessore tra dieci minuti, ma dovrei liberarmi in una mezz'oretta. Come mai me lo chiedi?»
«Avrei bisogno di un piccolo favore.» La ragazza si sistemò il bluetooth sull'orecchio sinistro e spinse il piede sull'acceleratore, raggiungendo i 140 km/h sulla prima corsia.
«Dimmi tutto, tesoro.»
«Vorrei comprare un'auto nuova e dare dentro la Mercedes, ma sai che proprio non me ne intendo di macchine..»
«Oh, grazie al cielo! Finalmente hai deciso di cambiare quel catorcio. Un giorno o l'altro saresti rimasta a piedi senza capire come.»
«Si, lo so, ma non la cambiavo perché mi trovavo bene.» La ragazza lanciò un'occhiataccia alla linea ormai sbiadita sul cruscotto, serrando le labbra. Continuava a ripetersi da quando era uscita dall'appartamento che quella macchina non l'aveva di certo tenuta per quel dannato segno, più per auto-convincersi che per altro.
«Ho capito, ma dopo un tot di anni bisogna cambiarla, accidenti a te. Vieni qui così ne parliamo?»
«Sono già per strada.»
«Charlotte, mi raccomando vai piano che il motore non regge.»
«Si, vai tranquillo. Dovrei essere lì per le 4 e qualcosa, riesci a liberarti?»
«Certo tesoro! Guarda che comunque te la regalo io, non pensare.»
«Eh? No no papà, non se ne parla.»
«Oh si invece! Ora che finalmente hai deciso di liberarti di quel rottame, non ho nessuna intenzione di farti andare in giro con una misera Pegeout e lasciarti rischiare la vita ad ogni incrocio.»
«Guarda che un sacco di persone hanno fatto incidenti in Pegeout e sono ancora vive, mi pare. E comunque pensavo ad una Mini Cooper, con tanto di bandiera inglese stampata sul tetto per onorare la patria. Una BMW può andarti meglio?»
«Una BMW si, ma la Mini Cooper no. E' un giocattolo, non un'auto.» Charlotte sbuffò, visibilmente contrariata.
«Sapevo io che era meglio se mi arrangiavo..»
«So io cosa comprarti, e si dal caso che l'abbia nuova di zecca in garage, giusta arrivata l'altro ieri. Era per me, ma posso benissimo ordinarmene un'altra.»
«Papà, è inutile, lo sai che le Lamborghini non le so guidare.»
«Oh, ma non ti preoccupare tesoro, è decisamente meglio di una Lamborghini questa.»
 

***
 
«Mh. Ci hai messo il sale?»
«Giusto!» Anne strappò il mestolo dalle mani della figlia e lo rimise dentro la pentola, per poi allungarsi verso una mensola e prendere il barattolo di sale. Lasciò cadere dentro la zuppa un pizzico, due pizzichi. Si fermò al terzo giro con la mano sopra la pentola, indecisa sul da farsi.
«Era tanto insipido?»
«Direi.» Anne lasciò ricadere convinta l'ultimo pizzico di sale, richiudendo il contenitore. Stava preparando una strana zuppa ai funghi, seguendo una ricetta che aveva trovato dentro un vecchio libro rilegato di sua madre. Lei si che era sempre stata un portento con i fornelli, se lo ricordava bene. A qualsiasi festività, che sia stata Natale, Pasqua, o anche ad eventuali compleanni lasciavano sempre che cucinasse lei, con le sue mani leggermente macchiate dalla vecchiaia e con il suo naso infallibile; da segugio, come lo chiamava suo padre. In confronto, Anne non era mai stata un granché, neppure con cose semplici come torte e biscotti. Una volta per preparare il pollo aveva quasi fatto saltare per aria il forno, ragione per cui adesso si limitava a scaldare qualsiasi cosa in pentola o al massimo nel microonde, cercando di non mettere a repentaglio la vita di nessuno, esclusa la sua.
«Mamma, continua a mescolare sennò si attacca.»
«Si, mettevo via il sale!» Gemma si sedette sopra il bancone della cucina, con lo sguardo ben fisso sulla pentola al fuoco. Ogni volta che sua madre cucinava, si sentiva in dovere (della cucina) di starle sempre appresso, senza mai perderla d'occhio.
«Accidenti, scotta!»
«Non lo avrei mai detto.» Anne incenerì la figlia con lo sguardo. Gemma in quel momento sentì il telefono vibrare dentro i jeans, lo prese e rispose.
«Pronto?»
«Buongiorno principessa!»
«Buongiorno.»
«Che c'è?»
«C'è che mamma sta cucinando.»
«Cazzo.»
«Chi è?» Anne fece un cenno inquisitorio in direzione di Gemma, fermandosi di mescolare.
«Il tuo figlio disperso negli Stati Uniti. Non fermarti di mischiare ho detto!» Harry dall'altra parte della cornetta rise, continuando ad osservare Liam davanti a sé che preparava la valigia.
«Che cavolo sta cucinando questa volta?»
«Una sottospecie di minestra di funghi che ha tirato fuori dal libro di nonna..» Gemma si allontanò dalla madre, andandosi ad appoggiare con una spalla sullo stipite della porta della cucina, dandole le spalle.
«E' una zuppa!»
«Ecco, una zuppa.» Gemma sbuffò.
«Tienila d'occhio, per favore. Non voglio tornare e trovare la casa esplosa.»
«Sto facendo del mio meglio..» Gemma si girò verso la madre, controllandola. La ritrovò intenta ad osservare la copertina di una rivista che era arrivata quella mattina per posta, un magazine sulla salute che regalavano in farmacia insieme alle aspirine.
«Mamma! Cazzo, mischia!» Harry rise di nuovo, più forte, attirando l'attenzione di Liam.
«Anche io voglio ridere! Di che parlate?» Harry gli fece segno di lasciar perdere con la mano, ma lui si avvicinò mentre cercava di piegare una felpa in pile.
«Ciao Gemma!» Liam urlò in direzione dell'orecchio del riccio, sogghignando.
«Chi è? Liam? Ciao pelaticcio!»
«Che ha risposto?»
«Ti ha dato del pelato.» Harry ridacchiò, schivando con uno scatto un rotolo di carta igienica che stava per arrivargli in pieno viso.
«Maledetti voi Styles!»
«Gems, ti ho chiamato perché devo darti una bellissima notizia.» Harry si schiarì la voce, vedendo uscire da una stanza adiacente Louis con una ragazza alle spalle. Gli accennò di far silenzio con un dito e lui, mezzo barcollante per i postumi della sbronza, annuì. 
«Hai trovato qualcuno che ti sopporta? Se è un uomo va bene comunque!»
«No, arrivo tra due giorni!»
«Che cosa?! No eh.»
«Perché?»
«Cosa è successo?!» Anne si mise in mezzo alla conversazione urlando, di nuovo.
«Harry arriva dopodomani.»
«CHE COSA?! - Anne si bloccò subito dal mescolare e guardò la figlia sgomenta - Accidenti!» La donna abbandonò zuppa e mestolo e corse verso il soggiorno, sbraitando che Gemma si sarebbe ritrovata figlia unica a breve.
«Ma che ha?»
«Le hai soltanto rovinato i piani, credo.»
«Dove diavolo è il telefono di casa?! Gemma!»
«Sopra il divano!» Harry, dall'altro capo della cornetta, fece un cenno di saluto in direzione della ragazza che stava uscendo dalla camera d'hotel, e rivolse a Louis con un'occhiata disgustata. Il ragazzo sorrise sornione e gli sillabò la frase "Sette e mezzo, quasi otto".
«Louis!» Liam stizzito da quel giudizio, gli rifilò un spinta su una spalla. Non c'erano dubbi che si trattasse di una spintarella leggera, ma fu abbastanza inaspettata da far perdere l'equilibrio al ragazzo e a farlo inciampare sopra un ammasso di felpe sgualcite. Si udì un tonfo, e Louis cadde a peso morto contro la moquette del pavimento.
«Cazzo!»
«Che c'è?»
«Niente, Louis è appena caduto di faccia.» Harry si alzò dalla poltrona e si precipitò ad alzare Louis per una spalla, aiutato da Liam.
«Oi, stai bene?» Il ragazzo li guardò entrambi increduli, mentre cercava di reggersi in piedi sulle proprie gambe. Appena lo mollarono scoppiò a ridere come un pazzo, tenendosi la pancia.
«Ha bevuto?» Gemma iniziò a passeggiare per il soggiorno, inseguendo pacatamente la madre che continuava a correre da una parte all'altra della casa, parlottando affannata al telefono.
«Non solo quello, mi sa.» Harry lanciò un'occhiata di intesa a Liam, e l'amico, capendo al volo, agguantò Louis per il collo del pigiama e lo trascinò in bagno.
«Senti, ma perché arrivi prima?»
«Ehm, un servizio fotografico ed un'intervista sono saltati, non si sa bene per quale motivo. In più ci hanno cancellato un paio di incontri in settimana, quindi torniamo tutti a casa prima.»
«Ah, forte.»
«Gemma?»
«Si?» Harry rimase in silenzio, massaggiandosi quella porzione di pelle nuda dietro il collo. La sorella intuì la domanda e sbuffò.
«Si Harry, l'ho avvertita e lei non ha detto niente.»
«Come non ha detto niente?»
«Che avrebbe dovuto dire? Ha detto "Ah ok" e basta.»
«Bugiarda.»
«Eh?»
«Lei non dice mai ok. Ha sempre avuto, dal primo anno, un professore di inglese che odiava la parola 'ok', quindi voleva per forza che i suoi alunni dicessero 'va bene', 'd'accordo', ma mai ok. Perciò posso assicurarti che non può averti risposto così.» Gemma si bloccò in mezzo alla cucina, rimanendo senza parole.
«Harry, ma ti senti?»
«Voglio sapere che ti ha detto!»
«Ha detto che forse se ne va da suo padre, non lo sa!»
«Ah, - Harry si passò una mano nervosamente tra i capelli, scompigliandosi i ricci. Aveva deciso di evitarlo anche questa volta, a quanto pareva - buono a sapersi.»
«Senti Harry..»
«No, stai tranquilla, volevo soltanto saperlo per.. Saperlo. Adesso ti lascio che devo andare a dare una mano a Liam con Louis.»
«Va bene, fai buon viaggio e mandami un messaggio domani quando parti, così vedo di mandarti qualcuno all'aeroporto per venirti a prendere.»
«Agli ordini capo. Dai un bacio alla mamma e digli che mi farò perdonare.»
«Se prima non ti taglia la testa! Ci proverò, ma tu prometti di rilassarti e di non pensare a Charlotte.»
«Ciao Gems.» La ragazza non riuscì a ribattere che la chiamata si concluse, obbligandola a rimangiarsi una bella battuta sarcastica sulla testardaggine del fratello. Pochi istanti dopo, comparì in cucina Anne, trafelata.
«Lo strozzo.»
«Con chi parlavi al telefono?»
«Con il pasticcere! Ho dovuto pagarlo il triplo per spostare l'ordinazione della torta! - La madre la guardò esasperata, raccogliendosi i capelli in una cipolla disordinata - Si sa almeno a che ora torna?»
«Ehm, no.»
«Ah! La fotocopia sputata di suo padre, ecco cos'è! Appena mette piede in casa lo uccido con le mie mani, vedrai. Ed io che mi illudevo che gli fosse entrato un po' di sale in zucca! E' rimasto sempre il solito irresponsabile!» Gemma prese a ridacchiare, ma improvvisamente si accorse che alle spalle della madre la zuppa bollente stava traboccando dalla pentola, riversandosi in gran parte sul ripiano dei fornelli.
«Mamma, la zuppa!»








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Buona domenica! Sarò molto rapida ed indolore, visto che mi devo immediatamente fiondare a fare un'odiosa analisi del testo sull'Orlando Furioso: ecco qui, un capitolo bello lungo per farmi perdonare dell'assenza. Se ci sono errori mi scuso, ma ho dovuto concludere in fretta e furia sia per i compiti che adesso mi aspettano, sia per una promessa ad una cara amica.
Detto questo, spero sia stato di vostro gradimento, anche se personalmente non mi sembra di aver scritto granchè di rilevante. Ringrazio in anticipo chi perderà tempo a recensire, chi perderà tempo ad inserirla nelle preferite/ricordate/seguite, e i particolare quelli che perderanno tempo a leggere questo capitolo! E' stato un parto scriverlo, davvero.
Grazie ancora e alla prossima!


Geo.

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