Little Things

di JustAWallflower
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I know you never want to know how much you weight. ***
Capitolo 2: *** It should be forever... ***
Capitolo 3: *** This is a town called Hypocrisy. ***
Capitolo 4: *** I feel the darkness all around me. ***
Capitolo 5: *** When you're fallin' down, hitting the bottom is the easiest part ***
Capitolo 6: *** I'm emotionally stunted. ***
Capitolo 7: *** 7. Party with...him?! ***
Capitolo 8: *** 8. I've never wanted to hurt you. ***
Capitolo 9: *** 9. Now I'm afraid to lose you again. ***
Capitolo 10: *** 10. What scares you? ***
Capitolo 11: *** 11. My wounds and my scars ***
Capitolo 12: *** 12. I wanna be there for you. ***
Capitolo 13: *** 13. Disappointments. ***
Capitolo 14: *** 14. And if I show you my weak side, what would you do? ***



Capitolo 1
*** I know you never want to know how much you weight. ***


I know you never want to know how much you weight.




1.


Fisso quei numeri con orrore, quasi fossero la data della mia morte.
67,15
E’ strano come quattro numeri possano stravolgerti in modo indescrivibile.
E l’unica cosa che riesco a pensare è: perché?
Perché proprio quel numero? Perché a me? Perché perché perché?
E’ sbagliato, è impossibile, è assurdo. No, non voglio quei numeri, toglietemeli per favore.
Scendo dalla bilancia, che subito si azzera e si spegne. La spingo sotto il letto con un calcio.
Prima non avevo idea di quanto pesassi. Non volevo saperlo, preferivo vivere nell’ignoranza.
Adesso lo so. E cosa mi ha portato? Solo umiliazione verso me stessa.
Odio quel numero. Lo odio profondamente.
Sessantasettevirgolaquindici.
 
Oggi pomeriggio qualcuno mi ha chiamata grassa.
Non so chi è stato, ho sentito solo una persona dietro di me che lo diceva.
Ma lo so che parlava con me. Si, era diretto a me quell’insulto.
Ma perché l’ho fatto? E perché mi lascio condizionare da ciò che pensano gli altri?
Non dovevo, sono stata una stupida.
Sessantasettevirgolaquindici.
Mi guardo allo specchio e odio quello che ho davanti.
Odio le mie cosce.
E la mia pancia.
E i miei stupidi fianchi.
E i miei piedi piatti.
E i miei capelli.
E il viso troppo rotondo da bambina.
E quegli occhi scuri che mi stanno fissando da dietro lo specchio.
Si, quel ragazzo aveva ragione. Sono grassa, sono brutta, sono un mostro.
Mi sento morire.

 

2.

 
E’ lunedì mattina. Scendo svogliatamente le scale e entro in cucina.
La scena che mi si presenta davanti è la stessa di ogni singolo giorno.
Mio padre tiene il giornale in mano, mentre osserva la tv e discute con mia madre.
Alla fine della discussione, borbotta e nasconde il viso nel giornale.
Mia madre continua a parlare, ma mio padre ormai  non ascolta più, allora inizia ad urlare a mio fratello Nick di alzarsi.
Affiniamo le orecchie per avvertire qualsiasi rumore dal piano di sopra.
Silenzio.
Io intanto non faccio in tempo ad entrare, che trovo il passo sbarrato da una figura bianca e marroncina.
Shila, la mia cagnolina, mi fissa speranzosa con i suoi occhioni nocciola e alterna lo sguardo da me alla scatola di cereali al cioccolato sul tavolo.
-Non puoi mangiarli, ti fanno male.- rispondo io alla sua domanda non espressa.
Dicono che il primo sintomo di pazzia è parlare con oggetti/esseri che non possono risponderti.
Perfetto, sono una psicopatica.
Mi siedo sulla sedia, alla destra di mio padre. Sto per afferrare la scatola dei cereali, quando qualcosa mi blocca.
Sessantasettevirgolaquindici.
Ed ecco che mi ricordo di ieri sera. Sento la bilancia che si trova sotto il mio letto urlare:
GRASSA! SMETTILA DI MANGIARE!
Ritiro la mano come se avessi preso la scossa.
Non devo mangiare.
Dico che ho mal di pancia e salgo su a prendere lo zaino.
Odio il lunedì.

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Capitolo 2
*** It should be forever... ***


It should be forever...



 

3.
 

Cammino a passo svelto verso la fermata. Il pullman è già arrivato e mi sta aspettando.
Salgo e sento lo sguardo di tutti puntato addosso.
Mi scannerizzano.
Mi giudicano.
Mi criticano.
Tutti quanti.
Abbasso la testa e faccio finta di niente.
Cammino per lo stretto corridoio, dopodiché mi fermo e alzo lo sguardo alla ricerca di un posto vuoto. Subito un ragazzo dietro di me mi fa:
-Ehi tu, stai bloccando il passaggio.-
Leggo tra le righe e intuisco immediatamente la sua insinuazione. Mentre mi affretto a prendere posto dietro una vecchietta addormentata, sento
degli aghi incandescenti raschiarmi la gola.
Vorrei dire qualcosa, ma non ci riesco.
Rimango invisibile, fino a quando il pullman parte e mi rendo conto che manca una persona.
Come se mi avesse letto nel pensiero, l’autista si ferma e fa salire i soliti ritardatari.
Anche…
-Ah Hope, sei qui, credevo non fossi venuta!- mi saluta la mia amica Cassie, nel suo modo per dire ‘buongiorno’, prima di lasciarsi cadere mollemente
sul sedile accanto al mio.
L’amicizia tra me e Cassie è…particolare. O almeno, se la vostra considerazione di amicizia è raccontarsi ogni segreto e fare pigiama party sfrenati a
colpi di cuscino e pittandosi le unghie a vicenda, penso che dovrete fare un passo indietro.
Ci tengo a lei, mi preoccupo delle sue situazioni sentimentali che cambiano ogni settimana e ascolto i suoi problemi.
Ma se si tratta di me…preferisco non aprirmi, grazie.
Per me va bene così, io non voglio una consulente.
Infondo, detto fra noi, le interesserebbe davvero ciò che ho da dire?
-‘Giorno.- le dico semplicemente. Non le presto molte attenzioni, perché sono troppo distratta da una persona.
Niall Horan.
Uno dei ragazzi più carini della scuola.
La persona più dolce su questo pianeta.
Un angelo le cui iridi sono state colorate dall’azzurro più limpido.
Si, lui, Niall Horan.
Il mio ex migliore amico.
 
 
-Questa sera faremo un patto.- mi disse un Niall Horan di appena sette anni.
Io, con un gelato alla vaniglia in mano, appoggiai la schiena al tronco del grande albero nel suo giardino.
-Che tipo di patto?- gli chiesi io e, dato che non la smetteva di fissare il mio gelato con sguardo avido, gli consentii un piccolo morso.
-Una promessa d’amicizia!- esclamò poi lui, con gli angoli della bocca sporchi –da oggi in poi noi promettiamo che niente e nessuno ci dividerà. Saremo amici per sempre!-
Io aggrottai le sopracciglia.
-Come mai lo vuoi fare?-
Niall fece spallucce –Oggi mio fratello ha litigato con il suo migliore amico e ha detto che non gli parlerà mai più. Io non voglio che succeda questo
tra me e te, quindi se noi due facciamo una promessa dovremmo mantenerla per forza e saremo legati per sempre.- mi guardò con sfida, come a dire:
“prova a dire che il mio ragionamento non ha senso”.

Lo guardai sovrappensiero, sminuzzando la punta del cono, dopodiché gli feci un enorme sorriso.
-Va bene, James.-
Al sentire il suo secondo nome, Niall fece una smorfia. Odiava il nome James, era così comune e noioso.
-Non chiamarmi così!-
Io gli feci una linguaccia. –James James James Jaaaames!-
-Ah si, mi vuoi sfidare eh?- disse lui con sguardo omicida e mi si scagliò addosso.
-No il solletico no ti preeegoo!- iniziai a ridere in modo isterico.
-Chiedi pietà e ti lascio andare!-
-No!-
-Su dillo!-
-Mai!- dissi, con le lacrime agli occhi, e gli spiaccicai il gelato in faccia.
Quel gesto fece allontanare Niall che, sempre ridendo, tentò di leccarsi con la lingua la punta del naso sporco di crema.
-Bleah che schifo, smettila!- lo rimbeccai.
Lui fece di nuovo spallucce –Mmh, buono.-
-Fai schifo.- commentai io.
-E pensa che dovrai sopportarmi per tutta la vita.- replicò Niall ridendo.
 
 
Quel flashback si insinua nella mia mente circa per un secondo. In quel momento, i nostri sguardi si incrociano: chiaro e scuro, notte e giorno.
Niall fa finta di niente e mi supera, andando a sedersi nei sedili in fondo, insieme ai suoi nuovi amici.
Me l’aspettavo, ma questo non impedisce agli aghi di farmi così tanto male da non riuscire più a respirare.
E’ più di un anno che va avanti così. Io e Niall ormai siamo dei veri e propri estranei.
Dicono che è normale, succede a quest’età. Io ho solo quindici anni, lui sedici: non è una cosa grave, fa parte della crescita. Dicono.
Io non ci credo a queste stronzate. Non è una cosa normale. Se davvero tieni ad una persona non la lasci andare così facilmente, faresti di tutto per farlo restare al tuo fianco.
Ma forse questo riguarda le vere amicizie.
Forse Niall non mi era poi così affezionato.
Dopotutto, non sono così importante.
Sessantasettevirgolaquindici.
 
 
 
4.
 
 
La campanella trilla allegramente la fine della quarta ora. Io ho un’ora buca, posso andare in biblioteca a ripassare oppure guardare gli allenamenti
della squadra di pallavolo sugli spalti di una palestra puzzolente. Ovviamente scelgo la biblioteca.
Trovo Cassie seduta nell’angolo più lontano dall’entrata con altre tre compagne di classe: Scarlett, Agata e Felicia.
Mi fa cenno di sedermi con loro e io non me lo faccio ripetere due volte.
Iniziamo a ripassare chimica, materia incomprensibile per me, fino a quando Scarlett non emette un guaito eccitato.
Alziamo tutte lo sguardo. –Che c’è?- chiede Cassie.
Ma non c’è bisogno che Scarlett risponda, perché la risposta è davanti a noi.
Qualche metro più avanti, stravaccati sul lungo divano di pelle marrone, ci sono un gruppo di ragazzi. Avranno qualche anno più di noi, la maggior
parte non so neanche come si chiamino.
Riconosco solo David O’Brien, il bullo della scuola, e il suo branc…la sua banda di amici.
E Niall.
E’ seduto vicino a David e sembrano andare molto d’accordo.
-Ma quello è David O’Brien? Non me lo ricordavo così carino!- sussurra all’improvviso Felicia.
-Ma chi, David FacciadaPorco?- chiede di rimando Cassie.
-Si, proprio lui.-
-Noo, non ci credo! Impossibile, non può essere.- sentenzia Agata.
-E’ lui, te lo dico io.- ribatte risoluta Felicia –E’ dimagrito tantissimo in una sola estate.- osserva poi.
Loro continuano a discutere della nuova forma smagliante di David, io però mi sono persa.
Sto guardando, anzi no, incenerendo con lo sguardo una rossa che si è appena seduta sulle gambe di Niall.
E lui non sembra molto contrariato.
Io, invece, sono irritata. Parecchio.
Non riesco ad accettare questo suo comportamento da superiore, non riesco ad accettare la nuova compagnia con cui va in giro e soprattutto non riesco
ad accettare che non mi parli più.
Mentre tengo lo sguardo basso, lancio uno sguardo rapido alla ragazza.
E’ bella, è alla moda, è magra.
Già, questo è quello che conta di più. Non importa se sei un teppista che si prende gioco degli altri, o una troia senza cervello che la da al primo che
trova, l’importante è il suo peso.
Uno stupido e ridicolo numero, a cui però sembrano dare parecchia importanza.
Sessantasettevirgolaquindici.
Forse è proprio per questo che Niall non mi parla più.
Io non sono come quella ragazza.
Non mi avvicino neanche lontanamente a lei.
Se fossi più sicura di me, più schietta, più menefreghista dei giudizi degli altri…
…Più magra…
Sospiro malinconica e mi rimetto sui libri.
I “se” non hanno mai risolto niente. 

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Capitolo 3
*** This is a town called Hypocrisy. ***


This is a town called Hypocrisy.

                                                                                                                                                                               



 




5.

Martedì. Terza Ora. Ginnastica.
Io sono impalata al centro della palestra, non sapendo cosa fare e dove andare.
Odio l’ora di ginnastica. Sono fermamente convinta che il mio professore, il signor Schmitz, sia un mancato allenatore olimpico.
Con i capelli chiari che diradando ogni giorno di più, gli occhi freddi color del ghiaccio e la stazza enorme, si assicura che ognuno di noi faccia qualcosa.
Le opzioni sono tre: un percorso ad ostacoli, una serie di capriole, verticali o ruote o allenamento di hurling.
Io non sono brava in niente, un caso disperato, insomma. Mi sento ingombrante ed inutile, nonché un’impedita cronica.
Proprio per questo, ogni minuto che trascorro nella palestra è una tortura. Sento le gambe molli e le viscere strette da una morsa gelida.
Quando Herr Schmitz si accorge che non sto partecipando a nessuna attività, mi chiama stringendo a sé il suo fischietto, che tiene gelosamente appeso al collo.
Che poi, cos’è questa moda che hanno i professori di ginnastica di portare sempre un fischietto? Non lo usano mai.
-Tu! Hurling.- dichiara.
Mi lascio sfuggire un gemito di terrore.
Oltre ad essere sicura di inciampare e fare una figuraccia davanti a tutti, dovrò anche subirmi le ire della mia cosi detta “squadra”.
Non è cosa poco nota che io e lo sport apparteniamo a due mondi paralleli e irraggiungibili. Se un team vuole vincere, allora è meglio assicurarsi che io stia nel mio rispettivo posto: in panchina.
Vorrei tanto andare via e chiudermi in un bagno per i restanti quaranta minuti, ma so che il signor Schmitz mi tiene d’occhio: ho la faccia di una scansafatiche.
Perciò, arresa, mi dirigo verso il campo di gioco, nell’aria umida di settembre.
Spero che non ci sia nessuno a guardarci.
Ma il destino ha deciso di giocarmi un brutto tiro, per questo se ne frega di ciò che spero io e non appena metto piede sull’erba appena tagliata, scorgo qualche figura in lontananza, sugli spalti: David O’Brien con la sua cerchia, poiché si sente troppo superiore per fare educazione fisica.
E Niall.
Forse dovrei dire: David con la sua cerchia, tra cui anche Niall. E’ da quest’estate che sono sempre insieme, non si staccano mai.
Mentre mi avvicino alle altre, lo sento urlare: -Ora si che il circo è iniziato!- e i suoi amici ridono.
Cerco di mantenere il decoro, fregandomene di ciò che dicono quegli idioti, ma è più forte di me. Mi volto.
Voglio vedere se anche lui ha riso alla battuta di David, voglio vedere se davvero è tutto finito. Se quei due bambini che si promettevano di essere amici per sempre sono solo un vecchio ricordo sfuocato.
Ma lui non ride. Anzi, non mi guarda proprio.
Con fare disinvolto, gioca con il cellulare, ignorandomi.
 
 
 
6.
 
Uno schifo.
Ecco come mi sento.
Ho la sensazione che le altre mie compagne ridano di me, pochi metri più avanti.
L’allenamento, come predetto, si è rivelato un disastro.
Ho corso su e giù per il campo come una babbiona, ma ovviamente nessuno mi ha lanciato la palla.
E, quando succedeva, non facevo in tempo a sollevare la mazza che me ne trovavo un’altra a pochi centimetri dal viso, pronta per colpire.
Sospiro, mentre allaccio lentamente le mie Converse. L’odore di ascelle sudate nello spogliatoio è insopportabile, non vedo l’ora di stare fuori.
Sento due ragazze dietro di me che parlando. Allungo le antenne, giusto per rendermi conto se mi stanno prendendo in giro.
-…e quindi ieri sera mi ha chiesto scusa.- sta dicendo la Ragazza Numero 1, con una voce un po’ troppo nasale.
-Visto, te l’avevo detto io che avrebbe funzionato!- esclama Numero 2, ridacchiando.
-E con Niall che hai fatto? Non ci sarà rimasto male, spero!- continua poi.
Ok, la conversazione ha avuto una piega interessante.
Perdo tempo rovistando nel mio zaino.
-No no, sapeva che volevo far ingelosire Tom. E ci siamo riusciti, per questo l’ho ringraziato di vero cuore.- non so perché, ma immagino Numero 1 fare swish con i capelli, mentre scoppia in una fragorosa risata piena di sottointesi insieme alla sua amica.
Ora non ho tanta voglia di restare.
Numero 1, avevo già capito, è la rossa che ieri gli stava appiccicata al collo.
Sto per uscire, lo zaino in spalla, ma riesco comunque a sentire un ultimo commento da parte della rossa.
-Uff, guarda che pancia che ho! Sono troppo grassa, devo fare palestra…-
-Ma smettila, stai benissimo! Io allora che devo dire? Sembro un tacchino nel giorno del ringraziamento.- replica l’altra, toccandosi il ventre piatto.
Alzo gli occhi al cielo, borbottando qualche insulto, ma ormai sono già fuori e non mi hanno sentito.
Non sopporto l’ipocrisia delle ragazze magre che dicono di essere grasse, solo per farsi dire dalle amiche il contrario.
Odio il fatto che disprezzino avere la pancia inesistente, le gambe magre e le curve al posto giusto.
Loro non sanno come ci si sente.
Non sanno cosa si prova a non indossare mai maglie troppo corte, per non mostrare i fianchi che ti strabordano dai jeans.
Non sanno cosa si prova a non voler andare al mare d’estate, perché non puoi mettere il bikini e con il costume intero sembreresti ancora più grassa.
Non sanno cosa si prova quando vedi una ragazza con una maglia identica alla tua, ma su di lei sta meglio.
Non sanno cosa si prova ad essere giudicate e guardate con derisione, solo per qualche chilo in più.
Non sanno cosa si prova ad osservarsi allo specchio alla ricerca di ogni minima imperfezione, che non sono difficili da trovare. E volersi strappare via la pelle per questo.
Non sanno cosa si prova a sentirsi completamente soli e abbandonati, mentre le persone attorno a te non sembrano fare caso alla tua costante sensazione di inadeguatezza.
Loro non sanno niente.
Sono così concentrata sui miei pensieri e allo stesso tempo avvilita, che non mi rendo nemmeno conto di essere finita addosso a qualcuno.
Ci scontriamo. Barcolliamo. Sento qualcosa cadere a terra dalle mani del/la ragazzo/a.
Alzo lo sguardo e incontro i suoi occhi.
Così vicino, noto quanto è cresciuto in un anno. Ora tra me e lui c’è una spanna di differenza.
Ma soprattutto, noto quanto sia bello.
I capelli biondissimi portati all’insù con il gel, il viso magro che incornicia lo sguardo ghiaccio penetrante, il naso dritto e la bocca sinuosa, che nasconde un sorriso reso perfetto dopo anni di apparecchio.
Non l’ho mai guardato sotto questa luce e ciò mi spaventa un po’.
-Scusa, non ti avevo visto.- dico.
Lui si china a raccogliere il libro di storia. –Non importa.- mormora, inespressivo. Mi fa un cenno di saluto e se ne va.
Altro che dimenticarsi di me: per Niall io sono diventata del tutto invisibile.
 
 
7.
 
Sono tutti a pranzo.
Io no, non voglio mangiare.
In realtà, è da domenica che non tocco cibo.
Ieri sera ho detto di aver mangiato fuori e questa mattina ho ingoiato solo un biscotto ai cereali.
Mentre sono seduta sulla tazza del water, aspettando che la campanella suoni, ripenso al mio brevissimo incontro di poco fa con Niall.
E’ il primo che abbiamo avuto da più di un anno.
La sua freddezza è disarmante, perché si comporta così?
Non so niente ormai, ma so che io non lo merito.
E’ stato lui ad allontanarsi da me, così, senza un motivo preciso: la colpa è sua.
Qualcosa mi fa fremere dentro.
No, forse non è lui. Forse sono io.
Io, che sono grassa, sono brutta, sono inutile. Non andavo più bene per lui e per i suoi amici.
Ma non ti preoccupare Niall: ho capito.
Da oggi smetterò di essere così, non ce la faccio più.
Farò rimpiangere a tutti il giorno in cui mi hanno chiamata grassa.

 
 





Salveeeeeeeeee :D
La "scrittrice" si è fatta sentire!xD
Ai nuovi lettori: benvenuti!:D Ai vecchi: bentornati!:D
Spero di non deludere nessuno di voi in questa storia, visto che ci tengo parecchio.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito i capitoli precedenti e anche quelli che hanno messo la mia storia
tra le seguite/preferute/ricordate!:)
Un ultima cosa: vedete la foto sopra? (Non ho idea se si vede o no xD)
In ogni caso: è stata fatta da Harry is my hero_ (non so taggare ._.) *-* 
Ma non è bellissima?*w* Grazie mille tesoro, è stupenda, dico sul serio :') <3
Ti voglio bene :*

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Capitolo 4
*** I feel the darkness all around me. ***



I feel the darkness all around me.

 
 
 

I've seen you walk unafraid 
I've seen you in the clothes you've made 
Can you see the beauty inside of me? 
What happened to the beauty I had inside of me?
 
(City of Blinding Lights, U2)

 

 

8.
 
Osservo il soffitto sovrappensiero, mentre il mondo intorno a me è immerso nella più totale oscurità.
Sono le tre di notte, tutto il vicinato è immobile e silenzioso, cullato solo dalla brezza leggera del vento.
E io non riesco a dormire.
Perché in casa mia non sta alloggiando quell’aria di sonno e quiete che anticipa l’alba: qui è in atto una guerra.
A qualche stanza dalla mia, i miei genitori stanno litigando.
Come al solito.
Colpo dopo colpo, si sputano addosso rancori e risentimenti.
Come al solito.
Tutto è iniziato perché mio padre è appena rientrato. Ubriaco.
Come al solito.
Ormai è da tempo che va avanti così. Ci ho fatto anche l’abitudine, a dire il vero.
Mi rigiro e seppellisco il viso nel cuscino, nella speranza che smettano il prima possibile.
Quando ero bambina e la notte li sentivo urlare, mi nascondevo sotto le coperte e immaginavo che quel piccolo spazio lungo un metro e mezzo e largo a malapena cinquanta che era il mio letto, fosse il mio rifugio segreto.
Nessuno poteva entrarci e nessuno poteva farmi del male.
In quel rifugio segreto non c’erano mamma e papà che urlavano, o i compagni dispettosi, o Nick che non mi sopportava perché diceva che ero una piattola appiccicosa.
C’eravamo solo io e Niall.
 
-Ah! In guardia, orrenda bestia!- esclamò Niall, mentre sferzava l’aria e con suprema maestria praticava dei precisi affondi con una spada immaginaria.
Eravamo in camera mia. Il pavimento era ricoperto di trappole e agguati creati con i mattoni dei lego.
-Non ce la farai mai, siamo circondati!- ribattei io con enfasi e per dimostrarglielo indicai l’esercito di pupazzi che ci circondava.
-Un cavaliere valoroso si batte fino alla fine e non si fa intimidire dai suoi nemici. Combatterò anche a costo della vita!- rispose lui, abbattendo
Mr. Puzzola e Teddy l’Orsacchiotto con un colpo solo.

Io, che ero un passo dietro di lui e mi stringevo al suo braccio fingendomi terrorizzata, inclinai la testa di lato.
-Davvero?- chiesi –e allora chi mangerà i miei biscotti fatti in casa?-
Niall spalancò gli occhi. –Hai ragione, perdinci bacco! Ritirataaa!- brandì la spada e saltò sul mio letto. Lo seguii anch’io.
Sollevò le coperte. -Presto, qui sotto.- mi incitò.
-E i mostri?- replicai, mentre ci accoccolavamo sotto il calore del piumino pesante.
-Senti, io non rinuncio ai biscotti.- disse perentorio e io scoppiai a ridere.
Passammo il resto del pomeriggio lì sotto a raccontarci storie di fantasmi che infestavano i castelli e continuavano a rimanere sulla terra alla ricerca dei loro corpi vacanti succhiando le anime delle principesse. Poi, quando si pensava che la principessa stesse per morire, arrivava il suo principe che rispediva il fantasma nell’aldilà e salvava eroicamente la sua amata.
Quando mia madre ci chiamò per la cena, io non volevo uscire di lì, mi sentivo troppo bene. Era il nostro mondo magico.
-Ci puoi tornare sempre, sai.- mi disse Niall guardandomi intensamente. –Ogni volta che hai paura di qualcosa, ti basta venire qui sotto le coperte e chiudere gli occhi.- Sorrise, mostrando una finestrella nera lì dove doveva esserci un incisivo.
 
In quel momento, nei miei otto anni, gli credetti. Ero convinta che bastasse chiudere gli occhi e fare finta che ogni cosa brutta, ogni rimprovero dei miei genitori, ogni presa in giro a scuola, non fosse accaduto.
Ma adesso sono cresciuta.
Anche se strizzo gli occhi così tanto da farmi venire il mal di testa, so che i miei genitori si stanno urlando contro, che si odiano e vorrebbero che l’altro morisse;
che Niall non è più il mio migliore amico e non so perché; che odio me stessa per non avere niente di speciale, o vagamente bello o interessante che lo abbia convinto a rimanere.
So che mi sento inutile, repulsiva, vuota.
E per questo, chiudere gli occhi non basta.
 
 
 
 9.
 
E’ passata una settimana da quando ho incontrato Niall, dopo l’ora di educazione fisica.
Da allora non ci sono stati più scontri, tantomeno parole biascicate prima di andare via come se niente fosse.
Io, d’altra parte, ho deciso di comportarmi allo stesso modo. Devo ignorarlo, non rivolgergli una parola e neanche guardarlo.
Tale decisione è stata presa per una sola ragione: penso troppo a lui.
E’ diventata un’ossessione che non mi dà pace. Ogni sera mi crogiolo nei ricordi, oppure ripenso a quando l’ho visto con la rossa e le mie guancie cominciano a scottare dalla gelosia. Sono sicura che nessuna ragazza possa realmente capirlo, perché nessuna lo conosce come lo conosco io.
Chiunque sia diventato adesso, resta sempre quel bambino con cui ho passato un’intera infanzia.
Credo di essermi innamorata di lui.
E non voglio, non posso permettermelo.
Non è roba per me, l’amore: i cuori che palpitano dentro la cassa toracica, i sospiri malinconici, le farfalle nello stomaco; quella continua sensazione di ansia ed incompletezza nelle sue ore di assenza e soprattutto la convinzione che tu sia l’unica che meriti di stare con lui…ci vuole coraggio e un’estrema forza per queste
cose, e io ne sono sprovvista.
 
 
 
10.
 
Il mio piano non va affatto bene.
Non sono capace di non pensarlo.
Vaffanculo.
Non perché io manchi di forza di volontà, sia chiaro…il fatto è che non ci riesco e basta. Ovunque guardi, c’è sempre quella determinata cosa che me lo ricorda. E più io mi sforzo a non costruire nessun pensiero su di lui, più questo mi salta in mente e non risparmia neanche uno dei miei poveri neuroni. E’ una tortura.
Credo che questo è ciò che fa l’amore: ti tortura. E il cuore e il cervello non sono nemici, bensì alleati.
Il cuore ti fa provare attrazione per qualcuno, anche se sa benissimo che non potrai mai averlo, e il cervello se ne sta in silenzio, godendosi la scena, per poi tormentare le tue giornate e rincarare la dose di illusioni.
E’ un masochismo indiretto.
Inoltre, se la mia decisione di non pensarlo vacilla non appena poso lo sguardo sulla porta di casa sua -a pochi centimetri dalla mia, tra l’altro-, adesso è proprio crollata.
Questa mattina, mia mamma mi ha annunciato che questa sera stessa verranno gli Horan a casa nostra. E questo è assolutamente, totalmente inappropriato.
Cosa gli dirò? Ma soprattutto, cosa mi dirà Niall? Saremmo obbligati a parlarci, sebbene io sia troppo confusa/arrabbiata/indignata del suo comportamento e lui troppo...sinceramente non lo so, forse non vuole e basta.
E, nel caso mi parlasse, cosa dovrebbe dirmi? Ormai non so più nulla su di lui e non faccio più parte del suo mondo. Sarebbe come cercare di capire una lingua straniera.
Per di più, oggi a scuola c’è stata la foto per l’annuario.
Ero uscita di casa con una maglia nuova di zecca, i capelli ricci lucenti e in ordine e un filo di trucco.  Guardandomi allo specchio, ho pensato di poter andare bene.
Quanto mi sbagliavo.
Non appena sono salita sul pullman, non ho potuto far a meno di notare quanto si fossero messe in ghingheri le altre ragazze e di quanto fossero belle.
E ovviamente di quanto io fossi nulla in confronto a loro.
E’ una cosa stupida, mi direte, ma solo chi ha una bassa autostima di se può realmente capirmi.
Io non mi considero bella, non l’ho mai neanche lontanamente pensato. Non mi considero neanche carina, o accettabile. E ogni volta che metto piede in quella scuola non faccio altro che convincermene.
Mentre scendo dal pullman, qualcuno mi urla qualcosa. Nella mia distrazione cronica non ho sentito cosa abbia detto, ma non immagino di certo qualcosa di positivo.
-Coglione.- mormora Nick, al mio fianco. Alla sua destra, c’è Niall.
Tagliamo per il prato e raggiungiamo le nostre rispettive case. Non facciamo in tempo a mettere piede sulla veranda, che sentiamo provenire delle urla dall’interno.
Niall sobbalza, ma io e mio fratello restiamo impassibili, come se ce l’aspettassimo.
Nick sbuffa. –Che palle questi due. Io vado a farmi un giro, và.- e detto questo mi lascia lì e si allontana, forse per andare al parco o cose così.
Io rimango sull’uscio, alla ricerca delle chiavi momentaneamente scomparse, e sento gli occhi di Niall sulla fronte.
Non oso guardare la sua espressione.
Lo ignoro, continuo a cercare, scavando nelle profondità del mio zaino, fin quando non le trovo. Apro e chiudo la porta senza neanche salutarlo, tanto non servirebbe.
Sorpasso il salotto, dove i miei stanno puntualmente litigando, e mi chiudo in bagno al piano di sopra.
La bilancia, bianca e immobile nel luogo in cui l’ho riposta qualche settimana fa, mi osserva minacciosa.
Ok, è arrivato il momento della verità.
Chiudo a chiave, mi tolgo scarpe, jeans, felpa e calzini e salgo sopra quest’aggeggio infernale.
64,02 .
Sessantaquattro virgola due.
Il mio cuore aumenta i suoi battiti. Sono dimagrita.
Sono dimagrita.
Mi sento orgogliosa di me stessa. Alla fine, tutti i miei digiuni sono serviti a qualcosa.
Ancora con un sorriso stampato in volto, mi giro per vedermi allo specchio.
Ma il problema è che non vedo niente di nuovo.
Non sono cambiata neanche un po’.
Né pancia piatta, né vita sottile… Quella che mi sta restituendo uno sguardo confuso è la stessa e solita Hope.
Mi siedo sulla tazza, mordendomi il labbro inferiore.
Vorrei urlare.
E’ tutto uno schifo, tutto sbagliato.
Se prima avevo il morale a terra, ora -dopo la scuola, Niall e quei due al piano di sotto che non la smettono di gracchiare- mi sento come se mi abbiano investita con un camion.
Apro l’anta dei medicinali per prendermi qualcosa che mi faccia calmare il mal di testa che mi tortura le tempie.
Passo in rassegna i contenitori, ma per sbaglio faccio cadere il colluttorio e una busta di plastica con dentro il rasoio di mio padre. Mentre rimetto tutto a posto, mi cade l’occhio su alcune piccole lamette ancora nuove e inutilizzate.
Un pensiero mi balena nella mente, forse il più assurdo e il più irresponsabile che abbia mai fatto. Senza pensarci,  ne afferro una.
E’ davvero piccola e sottile. E affilata
Tenendola in mano tra il pollice e l’ indice, osservo i riflessi che manda la luce sulla sua superficie.
Niente va bene. In questo momento, vorrei solo trovare un modo qualsiasi per scacciare queste sensazioni dall’interno del mio corpo.
Impugno attentamente la lametta e la lascio sospesa ad un millimetro dal mio braccio.
E’ davvero la soluzione?
I sentimenti non sono fatti per essere nascosti, prima o poi escono fuori e reprimerli non serve ad altro che a peggiorare la modalità con cui essi vengono esternati. Un giorno fingi di stare bene, quello dopo ti ritrovi morta  di overdose in una squallida camera di un motel in mezzo al nulla.
Quindi, non avendo nessuno con cui parlare, credo sia meglio fare le cose gradualmente.
E’ questo che mi convince a procurarmi i primi tagli che mi sia mai fatta in vita mia.
Sono solamente due linee rosate lunghe qualche centimetro, non esce nemmeno il sangue.
Ma per me bastano, almeno per questa volta.
Forse non sarà la soluzione, ma almeno è un compromesso.
Dopotutto, non posso aspettarmi niente di più.








Salve Directioners :D
Sono tornata, finalmente! Scusate il ritardo ma la scuola (con i suoi 2014512 compiti e interrogazioni!-.-) mi impediva di scrivere :3
Che ne pensate di questo capitolo? Non c'è molto discorso diretto, anzi è praticamente assente :'D
Nel prossimo capitolo Niall andrà a cena da Hope...come si comporteranno? Volevo scriverlo oggi, ma mi sono resa conto che sarebbe
uscito troppo lungo e alla fine uno si scoccia >.< Dovete pazientare un altro po'...
Come al solito, ringrazio tutte voi lettrici e soprattutto chi ha perso tempo a recensire i miei capitoli :')
Un bacio a tutte =*

p.s. Si, ho cambiato nome da YouAreNotAlone a _Utopia_ xD

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Capitolo 5
*** When you're fallin' down, hitting the bottom is the easiest part ***


 

 
 

 When you're faling down, hitting the bottom is the easiest part.

 


11.
 
 
Credo che le lancette dell’orologio stiano complottando contro di me.
Non possono muoversi così veloci. Insomma, sono già le sei e mezzo? E’ impossibile.
Non muovetevi, non muovetevi, non muovetevi.
La lancetta più lunga si sposta verso sinistra per segnare le sei e trentuno.
Guaisco come un cane maltrattato.
Presto saranno qui.
-Hope, invece di rimanere lì a non fare niente, che ne dici di venire in cucina a darmi una mano con la tavola?!- sbotta mia madre. E’ nervosa perché papà le ha detto che sta sera deve lavorare fino a tardi.
Secondo me si andrà a rinchiudere in qualche bar. E forse anche mia madre è della stessa idea, per questo oggi stava urlando così forte.
Pazienza, uno di meno.
Vado in cucina e prendo i piatti e le posate che devo disporre nella sala da pranzo. L’odore del polpettone che riempie la stanza è un qualcosa di sublime nauseabondo.
Bene, oltre al problema Niall, dovrò preoccuparmi anche di fingere di mangiare. Questa sera mia madre sarà tranquilla abbastanza da notare che non ho toccato cibo. E, almeno per lei, la cosa sembrerebbe davvero strano. Forse mangerò qualcosina, magari l’insalata e un po’ di polpettone ben masticato.
Suonano alla porta. Shila -come tutte le volte- inizia ad abbaiare e saltare, eccitata.
Mia madre va ad aprire, mentre io do gli ultimi ritocchi alla tavola.
-Susan, ciao! Da quanto tempo, mi sei mancata.- saluta Maura, la madre di Niall, all’ingresso.
-Anche tu, Maura! Entrate, su, datemi i cappotti…mio Dio Niall, come sei cresciuto. Ma quanto tempo è che non ti vedo?- sento dire da mia madre.
-Abbastanza, direi.- risponde Niall e al suono della sua voce, vengo presa da un attacco allo stomaco –In effetti, mi sembri più bassa.- dice confidenziale.
-L’importante è che non dici che sembro più vecchia.- replica mia madre e sento i tre ridere.
Il colmo. Mia madre che fa dell’umorismo con Niall e io che ormai non riesco nemmeno a guardarlo in faccia!
Entrano in salotto e nello stesso momento arriva anche mio fratello.
-Ciao Maura, ciao Niall.- saluta e si butta sul divano.
-Nick non sederti sul divano, è pronto.- lo rimbecca mia madre, poi si volta di nuovo verso Maura. –E Bob dov’è?- chiede.
-Oh, il signor Horan ha avuto la brillante idea di andare a correre ieri con questo tempaccio e adesso si è ammalato.- dice lei, alzando gli occhi al cielo.
-Oh, mi dispiace.- mia madre sembra più desolata di lei –Potevamo rimandare, tanto era solo una cenetta…-
-Ma no, tesoro.- liquida la signora Horan con un gesto. –Meglio una serata tra amiche senza i mariti in mezzo ai piedi.-
Lei e mia madre si rinchiudono in cucina e io resto da sola. Con mio fratello. E con Niall, che mi sta fissando.
-Ehm, ciao.- dice, impacciato.
Beh, almeno ha avuto la decenza di salutarmi.
-Ciao.- rispondo, indifferente.
Questa sera non farò la figura dell’idiota. Sono all’erta, non mi faccio fregare da Niall hoicapellibionditinti Horan.
Però è così bello…
Calma Hope. Calma.
Per fortuna arriva mia madre a porre fine al mio tormento ormonale. Prendiamo posto, la televisione accesa (almeno avrò un motivo per non parlarci!).
Niall si siede di fronte a me.
Ma porca p…
-Hope, ma come ti sei fatta carina! Sei anche dimagrita!- si complimenta Maura, distraendomi per un secondo.
-Grazie.- mormoro, fingendomi imbarazzata. So che non lo intende sul serio, è solamente una frase stereotipata. Sarebbe fuori luogo dirmi “come sono ricci i tuoi capelli!” oppure “che vestito stupendo che indossi!”, quindi è meglio andare sul sicuro e puntare sul mio fisico in continuo cambiamento a causa dell’adolescenza.
Mia madre mi guarda. –Hai ragione.- mormora, stupefatta. Sembra che sia la prima volta che mi vede. E forse è anche così.
Adesso ci si mette pure lei. Ma perché non la piantano?! E’ irritante.
 Per fortuna non dicono altro. Iniziamo a mangiare, loro due che chiocciano allegramente. Niall e Nick iniziano a parlare di calcio e io gli ascolto distrattamente. Quando non mi vedono, passo la mia razione di polpettone  a Shila, sotto il tavolo.
Vorrei mangiare ogni singola briciola, insieme al piatto.Non ho molta fame, smangiucchio solo qualche piccolo, minuscolo pezzettino e pilucco l’insalata.
Per tutta la cena io e Niall non ci parliamo, anche se ogni tanto mi ha rivolto uno sguardo che non sono riuscita ad interpretare.
Scocco un’altra occhiata all’orologio, forse per la decima volta. Le otto e quarantacinque.
-Aspetti qualcuno?- mi chiede Niall, avendo notato questo mio strano tic.
-No, stavo solo controllando l’orario.- rispondo, sulla difensiva.
Mio fratello quasi cade dalla sedia. –Cavolo, sono in ritardo! Scusate ma devo andare, c’è qualcuno che mi sta aspettando…- si alza e va a prendere il cappotto.
-Con chi esci?- domanda subito mia madre.
Nick alza gli occhi al cielo. –Con il mio spacciatore. Andiamo mà, con chi posso uscire? Con i miei amici.-
-Voi ragazzi non fate altro che uscire, siete sempre fuori casa! Tornate solo per mangiare e dormire, manco fosse un albergo.- commenta la madre di Niall, lanciando anche un’occhiata a quest’ultimo. –Secondo me ti sta aspettando la ragazza, non è così?-
Nick diventa un po’ rosso e inizia a ridere nervosamente. –Ma va, che ragazza…- si affretta a richiudere la cerniera e esce fuori di casa alla velocità della luce.
Maura e mia madre ridono, complici. Con un bicchiere e una bottiglia di vino bianco, iniziano di nuovo a chiacchierare come se niente fosse.
Niall rimane seduto al suo posto.
Avanti su, dì che hai un impegno e vattene. Poni fine a questa tortura.
Ma lui non dice niente. Io sono imbarazzatissima e non so come comportarmi, ora che la prospettiva di fare conversazione è inevitabile.
-Allora- inizio, titubante -cosa vuoi fare?-
Lui alza le spalle. –Non so, tu che hai in mente?-
-Non si risponde ad una domanda con un’altra.- gli faccio notare e lui scoppia a ridere. A quel punto, mi sciolgo completamente. Sento le membra meno pesanti e per un attimo sono sicura che non dovrò sforzarmi di parlare. –Va bene, andiamo a vedere cosa possiamo fare.-
Ci alziamo da tavola e saliamo le scale. Ovviamente mia madre non è preoccupata all’idea che un ragazzo possa entrare nella mia stanza. Infondo, è solo Niall.
Ah mamma, se solo sapessi…
 
 
 
12.
 
Entriamo in camera e mi siedo sulla sedia, spostandola di qualche centimetro dalla scrivania.
Niall rimane impalato sulla soglia, come uno sconosciuto che vede per la prima volta la tua camera ed è pieno di imbarazzo perché non sa cosa dire o fare.
Ma Niall ha passato anni qui dentro, quindi questa impacciataggine mi dà sui nervi.
Si guarda intorno. –Hai ridipinto la stanza.- osserva.
-Si, un po’ di tempo fa.- Ma ovviamente tu non lo puoi sapere, perché è più di un anno che non mi parli, vorrei aggiungere, ma poi decido di omettere quest’ultimo commento.
Niall accenna un sorriso. –Si, mi ricordo che odiavi il rosa, questo azzurro è molto più bello.- La conversazione sul colore delle parenti non si prolunga, perché Niall ha posato lo sguardo su un altro oggetto.
-Da quando suoni la chitarra?- chiede, stupefatto, indicando la chitarra nera lucida, all’angolo della stanza.
Io solo allora mi accorgo di possederne una. –Oh, quella. Era di mio fratello, per un po’ aveva sognato di diventare un chitarrista professionista di una rock band, poi ha scoperto i social network e la playstation e l’ha messa in cantina. Mi piaceva e allora l’ho portata qui, ma non so neanche come si prende in mano.-  alzo le spalle, come se niente fosse.
Niall invece si è animato. –Posso?- chiede, io annuisco.
La prende, si siede sul letto e la posa sulle gambe. Con mani esperte, inizia ad accordarla muovendo i piroli e pizzicando le corde.
-Sono un po’ scordate.- mi fa notare, poi inizia a strimpellare qualche accordo, che si trasforma in una vera e propria melodia.
Osservo rapita le sue lunghe dita affusolate che scivolano sullo strumento.
-Avevo dimenticato quanto fossi bravo.- mi lascio sfuggire.
Niall solleva lo sguardo, continuando a suonare. –Me la cavicchio, si.-
Scuto la testa. –Non dire cretinate, sei bravissimo!- Vorrei imperare alla mia bocca di chiudersi e non emettere più un suono, ma ormai ha iniziato e vuole andare a ruota libera. –Ti ricordi quella volta quando mi hai dedicato una canzone? era il mio compleanno, tu avevi rotto il regalo prima di venire alla festa e allora mi hai detto di avere scritto una melodia per me.-
Lui sorride –di nuovo!- e si lascia trasportare dai ricordi. –Si, me lo ricordo. Era “you are my sunshine”.-
-Molto originale, devo ammettere.- dico, ridendo. Ok, la mia risata sembra un po’ isterica. Mi devo calmare.
E’ solo che mi sembra troppo bello. Tutto è tornato come una volta, io e Niall siamo solo dei bambini che giocano in giardino e tutta la merda dell’adolescenza è inesistente.
Vorrei tanto tanto tanto che fosse così…
Stiamo lì, a non dirci niente, in un silenzio rassicurante e familiare.
Fino a quando il telefono non squilla.
Niall smette di suonare, cerca a tastoni il cellulare nelle tasche, dopodiché risponde. Prima che premesse il tasto di risposta, ho visto il nome di David sul display.
-Che c’è?- esordisce Niall con tono rilassato.
Aspetta che dall’altra parte David finisca di parlare. –Si, me l’hanno detto. No non sono venuto, avevo una cena questa sera…-
Niall ha rinunciato a chissà qualche incontro con i suoi amici per venire a casa mia! Non riesco a trattenere il mio povero cervello in subbuglio a formulare questo pensiero. Può aver declinato l’invito per qualsiasi motivo, forse più credibile del fatto che volesse vedermi passate una piacevole serata dai vicini, ma non m’importa. Voglio illudermi, almeno per un momento, voglio bearmi di quest’emozione fittizia.
Mentre ogni nanometro del mio corpo esplode di euforia, Niall ha terminato la chiamata.
Per l’ennesima volta, mi permetto un’osservazione.
-Ho notato che passi molto tempo con David.- e non con me.
Lui mi guarda, curioso. –Si, da un po’ di tempo…-
Io annuisco. –E’ strano, non lo avrei mai immaginato.-
Aggrotta le sopracciglia. –Che vuoi dire?-
Io assumo un’espressione indignata e irritata. Come fa a non capire? O semplicemente non vuole ammetterlo.
Ma non può negare, lui sa meglio di me cosa intendo.
 
 
Era una serata di fine marzo. Il sole era ormai tramontato, i lampioni illuminavano le vie dei quartieri e un leggero soffio fresco accarezzava il viso dei passanti.
Stavo rientrando a casa, percorrendo il tragitto silenzioso. Mia madre era ancora dal dentista insieme a Nick e mio padre a lavoro, quindi avrei avuto, almeno per un po’ la casa tutta per me.
D’un tratto sentii un lamento. O meglio, dei singhiozzi.
Mi voltai per capire da dove provenisse, poi lo trovai.
-Niall?- chiamai. Era accucciato dietro un cespuglio, il viso sepolto tra le ginocchia.
A sentire il suo nome, alzò la testa e scattò subito in piedi.
-C-che ci fai qui?- chiese lui, d’istinto. Intanto cercava di asciugarsi le lacrime dalle guancie arrossate dal pianto.
Aveva tredici anni, doveva dimostrare di non essere un bambino frignone, soprattutto davanti ad una ragazza.
-Stavo andando a casa…che cosa è successo?- esaminandolo nella poca luce, notai che aveva la maglia strappata e sporca.
-N-n-niente.- cercò di dire, ma i singhiozzi rendevano la sua risposta nulla.
-E’ stato David, vero?- chiesi, iniziando a diventare blu viola nera dalla rabbia. –Ti ha picchiato insieme alla sua banda!-
Lui non disse niente, allora capii che ci avevo azzeccato in pieno.
Ma, d’altra parte, non era una cosa difficile da immaginare. Era da tempo che non facevano altro. Occhiate di scherno, frecciatine, insulti, spintoni e se andava male -come quella volta- un bel pestaggio. Il motivo della loro avversione verso Niall era del tutto sconosciuto, forse non lo sapevano neanche loro: gli piaceva e basta, fare del male ai più deboli.
Mi veniva da piangere, perciò iniziai ad elencare una serie di epiteti, ben poco piacevoli da sentir uscire fuori dalle labbra di una dodicenne.
-Io li ammazzo! Devono piantarla di trattarti in questo modo!- iniziai a fare avanti e dietro ogni cinque metri.
Niall scosse la testa. –Cosa dovrei fare, Hope? Ormai mi hanno preso di mira, non mi lasceranno più in pace…-
-E tu reagisci in qualche modo! Questa storia non può continuare.- decretai, ma lui scosse ancora la testa, rassegnato.
-Vuoi venire a pulirti a casa mia? Non c’è nessuno.- gli domandai poi. Sapevo che sia Maura che Bobby non avrebbero più tollerato che il figlio tornasse a casa conciato in quel modo e avrebbero fatto una sceneggiata per tutta la scuola.
Ci mancava solo questo e Niall avrebbe fatto meglio a sotterrarsi in una buca profonda di dieci metri.
Annuì, in silenzio.
Entrammo in casa, lui andò in bagno per sciacquarsi la faccia e io gli procurai una maglietta di mio fratello molto simile alla sua, che ormai era inutilizzabile. Gliela passai, un po’ imbarazzata, e grazie alla luce potei finalmente vedere le sue condizioni.
Le sue braccia esili e il corpo magrolino erano coperti di macchie violacee e bluastre. Sulla spalla destra ne aveva una enorme, fresca.
Non dissi niente su quei lividi, ma dentro di me desideravo di andare a casa di David, sfondare la porta della sua schifosa camera da bullo con un calcio e tempestarlo di pugni fino a non sentirmi più le mani.
Quel giorno, decisi che avrei odiato per sempre David  O’Brien.
 
E lo odio ancora.
Fisso Niall negli occhi. –Come puoi essergli amico dopo tutto quello che ti ha fatto?- chiedo.
Lui inizia a prendere la difensiva. –Non è come pensi, Dav è simpatico. Tu non puoi capire…-
Per poco non lo prendo a sberle. –Si, hai ragione. Non riesco a capire come tu possa considerare “amico” un bullo che ti ha reso gli anni delle medie un vero e proprio inferno. O forse te lo sei dimenticato?- non aspetto la sua risposta, continuo, imperterrita.
-Sei capace di perdonare una persona che ti ha fatto soffrire, ma al tempo stesso hai lasciato andare una delle poche a cui importava veramente di te.- commento, duramente.
Niall inizia a fissare intensamente il pavimento. Non ne vuole parlare, lo noto dalla posizione rigida della schiena.
Io mi alzo in piedi. Odio il suo silenzio. Odio la sua indifferenza. Odio lui. Odio il fatto che in realtà, non è così.
-Sai un’altra cosa che non riesco a capire? Perché da un giorno all’altro hai deciso di non parlarmi più e trattarmi come l’ultimo dei cani randagi dell’Irlanda!- sbotto.
Voglio risposte. Voglio risposte. Voglio risposte.
Lui tentenna. –Ma che ne so io, ci siamo allontanati e basta…-
-No Niall, tu ti sei allontanato da me.-
-Ma tu non mi hai fermato.-
Queste parole sono stalattiti ghiacciate nelle vene. Sta dicendo che non ci tenevo abbastanza? Che anche io ho contribuito a farlo andare via?
No, non è vero. Io so che è solo una scusa per sviare la mia domanda.
-Non hai proprio il coraggio di rispondermi, eh?- mormoro.
Lui mi restituisce uno sguardo inceneritore. Posa la chitarra sul letto, si alza e si mette davanti a me. Ha gli occhi di un azzurro spento. Prende un bel respiro.
-Tu non sai cosa ho passato, non ne hai la minima idea.- inizia, con voce bassa. -L’unica cosa che volevo è che la smettessero. Volevo che mi accettassero, così ho deciso di cambiare e sono diventato amico degli amici di Daniel, magari anche lui avrebbe cambiato idea su di me. Ma per farlo dovevo buttare via tutto quello che apparteneva al vecchio Niall. Quindi…-
-Dovevi buttare via anche me.- termino io al suo posto.
-Non dire così.- Niall fa per abbracciarmi, ma io lo schivo.
Non può negare l’evidenza, perché è proprio quello che ha fatto: mi ha buttata via, gettata in un mare di solitudine, senza salvagente a cui aggrapparmi.
Mi sento male. Mi sento tradita umiliata inutile fragile senza valore vuota distrutta sul punto di scoppiare a piangere.
Lui ha preferito gli altri a me. Perché io non sono importante abbastanza.
Questa consapevolezza è insostenibile. Non ce la faccio.
La mia gola diventa di ferro incandescente e inizia a bruciarmi, gli occhi si riempiono di spilli appuntiti e pizzicano, impedendomi quasi di vedere.
Il viso di Niall è preoccupato e la mia reazione lo spinge ad avvicinarsi di nuovo a me.
-Hope, ti prego non fare così…- ad un mio ennesimo rifiuto, inizia a incespicare con le parole. –Mi dispiace, dico davvero. E mi sei mancata, non puoi sapere quanto. Ma ogni volta tu mi guardavi piena di rancore e accuse e non ce la facevo a ritornare da te, perché credevo che saresti stata delusa e arrabbiata  per sempre.- si giustifica.
Se qualche ora fa avrei detto il contrario, adesso sono pienamente d’accordo con lui. Sono arrabbiata e delusa, per come si è comportato.
Reprimo l’urlo di rabbia che si fa strada nella trachea. –Quindi per te le alternative erano due: o ignorarmi e fare finta che non esistessi, oppure iniziare a parlarmi come se niente fosse, senza darmi spiegazioni. Perché, come al solito, eri troppo debole per dire la verità.- gli sputo addosso.
Lui non reagisce alla provocazione. Continuo.
-Non puoi trattarmi di merda e poi rivenire da me ed elemosinare un’amicizia, Niall.- stringo i pugni.
Una parte di me vorrebbe dirgli come mi sono sentita per tutto questo tempo, e come mi sento adesso. Vorrei dirgli anche dei tagli che mi sono procurata qualche ora fa, anche a causa sua. Il mio braccio freme, scotta sotto lo strato di stoffa.
-Mi dispiace.- dice di nuovo lui. Fa un passo avanti e per un momento credo che voglia di nuovo tentare di stringermi a sé.
Ma poi mi passa di fianco ed esce dalla stanza.







Buonasera a tutte, Directioners :*
I'm here, babeeeee 8D In ritardo come a sempre, ma finalmente ho aggiornato!
Avevo perso la penna con tutte le mie storie D: Per fortuna l'ho ritrovata, altrimenti tutto il lavoro che ho fatto per questo capitolo
(nonchè bozze di altre storie) avrebbero fatto PUUF! (?)
Fatemi sapere cosa ne pensate :) Ringrazio come al solito tutte voi lettrici e chi ha recensito il capitolo scorso :* :* :*
Ah, e ovviamente auguro a tutte voi buone vacanze!:D Spero di aggiornare più spesso, ora che ho due settimane di relax (quasi).
Buonanotte =)

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Capitolo 6
*** I'm emotionally stunted. ***


 

 

 

 

I'm emotionally stunted.




13.

Serro le mascelle così forte che mi stupisco di non ritrovarmi i denti sparsi sul pavimento e la bocca coperta di sangue.
Guardo l’ora sul display del cellulare: le 4.44.
Il mio stomaco brontola. Vorrei scendere in cucina e mangiare qualcosa, solo un po’, ma i miei stanno litigando e non vorrei disturbare.
Per fortuna domani non ho scuola. Altrimenti non sarei riuscita a stare sveglia in classe.
Chissà se si rendono conto che li sentiamo, anzi, chetutto il vicinato riesce a sentirli.
Forse un giorno organizzeranno una petizione contro di loro.  Io sarei la prima a firmare.
La porta della mia stanza si apre. Mio fratello.
-Che c’è?- sussurro.
Nick si chiude la porta alle spalle e si siede ai piedi del mio letto a gambe incrociate.
-Niente, volevo vedere come stavi.-
-E perché tanto disturbo?- domando, con un sopracciglio che quasi arriva al’attaccatura dei capelli.
Lui alza le spalle. –Oggi dev’essere stata dura. Stare con Niall, intendo.-
Il buio mi protegge, così non riesce a vedere la mia espressione. Non lo facevo così perspicace. Nick è completamente diverso da me: è magrissimo e alto, con capelli castano chiaro rasati ai lati e in mezzo sparati strategicamente in ogni direzione . L’unica cosa che abbiamo in comune è il colore degli occhi: così scuri che non si riesce a vedere nemmeno la pupilla.
Non è mai stato un buon osservatore, adesso sospetto che sa solo nasconderlo bene.
-E’ stato meno peggio di quanto mi aspettassi, almeno questa volta mi ha salutato.-  rispondo. Ometto l’ultima parte, ossia che adesso so per quale motivo aveva smesso di essermi amico.
-Non mi sembri molto convinta.- osserva.
Mio Dio, ma che gli è preso? Non l’ho mai visto così.
Emetto un breve sbuffo. –Che vuoi che ti dica, Nick? In fondo, non ci parliamo da più di un anno ormai, non vedo perché dovremmo riniziare a farlo.-
Non è vero. E’ proprio quello che mi aspettavo io.
Prima di sapere…
Mio fratello rimane in silenzio. Dal piano di sotto sentiamo mamma urlare.
-Non ho mai capito come mai. Eravate inseparabili e poi, da un giorno all’altro…-
-Ci siamo semplicemente allontanati, può capitare.- dico io, ripetendo le stesse parole di Niall.
Mi sembra che Nick stia per rispondere, ma viene interrotto da strani rumori al piano di sotto.
Urla. Una sedia che graffia le piastrelle. Vetro che si rompe. Silenzio. Un gemito. Qualcuno che si fa strada fino all’ingresso e apre la porta. La porta che sbatte.
Il cuore mi batte forte nel petto. Mi è sembrato di sentire sussultare anche Nick.
La domanda che rimane inespressa tra di noi è una sola: cosa cavolo sta succedendo?
Mia madre sta piangendo. Le sento dire qualcosa, ma i singhiozzi mi impediscono di capire cosa.
Mio fratello si alza dal letto ed esce fuori a vedere. Io rimango lì.
-Mamma, che cosa è successo?- gli sento dire.
-N-niente, Nick, vai a letto, non camminare qui che è pieno di schegge…- risponde mamma, cercando di non far notare la voce tremolante.
-Ma cos’è successo?- ripete di nuovo Nick.
-I-io ho…- la voce di mia madre si spezza. Piange piange e piange. –Gli ho tirato la bottiglia a-a-addosso, Dio mio cosa ho fatto…- Inizia a piagnucolare frasi simili.
Cosa ho fatto. Sono un mostro. Che Dio mi perdoni. Mi denuncerà.
Nick la conforta, forse la sta abbracciando; La aiuta a pulire, la conforta ancora.
Io no, rimango seduta sotto le coperte in camera mia.
Sono la figlia cattiva, quella senza cuore. Quella che se ne frega.
Niente può ferirmi, niente può ferirmi, niente può ferirmi.
 Sono sempre stata così.
 
Avevo sette anni. Era estate e tutta la famiglia si era riunita per un pranzo in giardino, a casa di mia nonna.
Stavo giocando con mio fratello e i miei cugini a nascondino. Dovevo nascondermi in fretta, altrimenti mi avrebbero trovata. Passai davanti alla porta del bagno semiaperta, dentro c’erano mia madre e mia zia che parlavano.
Mi affacciai, spinta dalla solita curiosità dei bambini. Mia madre stava piangendo e mostrava alla zia un taglio sulla spalla. Dal colore si poteva capire che era di qualche settimana.
-Mamma che hai fatto? Sei caduta?- chiesi con la voce fattasi improvvisamente piccola piccola.
Non appena mi vide, spalancò gli occhi e si mise a posto la manica.
Mi rivolse un sorriso tirato. –Si amore, ma non è niente. Vai a giocare.-
Mia zia le venne in aiuto. –Su Hope, nasconditi nel’armadio della nonna, non ti troveranno lì.-
Io annuii e chiusi la porta, dopodiché sentii il rumore della chiave girata nella toppa.
 
Fu la prima volta che vidi mia madre piangere. Non le ho mai detto che sapevo fin dall’inizio che non era semplicemente caduta.
Gli adulti sottovalutano troppo i bambini. Credono che siano innocenti, senza pensieri cattivi, che basti una bugia per farli credere a tutto.
Invece si sbagliano. I bambini vedono molto di più di quello che vogliono far credere,  percepiscono le cose più chiaramente di quanto sembra, perché
i loro sentimenti sono chiari, puliti. I sentimenti dei bambini non sono inquinati.
Prendo il mio iPod dal comodino e alzo la musica a tutto volume.
Le cuffie nelle orecchie, il concerto nella testa e tutto il resto fuori dalla porta.
Non mi disturbate, prego.
Sempre immersa nell’oscurità, cerco a tentoni nel cassetto la piccola lametta.
Me la rigiro tra le mani, illuminandola con il piccolo schermo dell’iPod in riproduzione.
Sospiro. No, non sta volta.
Fin da piccola volevo che i miei genitori si lasciassero.
Che senso ha stare con una persona che ti fa soffrire così tanto?
Mia madre non è ancora arrivata alla mia stessa conclusione.
Però la stessa cosa la sto facendo io con Niall.
So che mi ha fatto e mi sta facendo soffrire, ma in cuor mio vorrei tanto andare a casa sua, stringerlo forte a me e dirgli che l’ho perdonato
che voglio stare con lui che lo penso ogni giorno che per me è la cosa più importante del mondo.
Temo il giorno in cui gli dovrò confessare tutto.
 
 

14.
 
 
Hey amore, ti va di uscire oggi?
Cassie xoxo

 
E’ la sesta volta che rileggo il messaggio di Cassie, mentre l’aspetto seduta sulla nostra solita panchina di legno.
Quella ragazza è strana. Non si fa sentire per giorni, e poi all’improvviso ricompare.
Ma almeno lei è mia amica.
Come lo è di ogni singola persona in questa città…
Vedo la sua lunga chioma scura venire verso di me.
-Ciao Hopeee! Mi sei mancata.- Mi abbraccia forte e sorride.
La sua solita allegria mi tranquillizza. E’ questo quello che adoro di lei: riesce a infondere sicurezza a chiunque.
Anche se quando sono con lei mi sembra di essere un nano da giardino.
-Quarantadue minuti di ritardo, stai facendo progressi!- commento io.
Lei ride. –Lo sai che non mi piace farmi aspettare.- replica.
Ci incamminiamo per il parco stringendoci le sciarpe al volto.
Odio il freddo di Dicembre. Odio il freddo in generale.
-Allora, novità?- inizia Cassie con fare disinvolto, ma lo so che sta morendo dalla voglia di raccontarmi…qualsiasi cosa sia.
Quindi lascio da parte i fatti miei. –Lo sai, a me non succede mai niente. E tu, invece, che mi racconti?-
Lei sprizza scintille dagli occhi. –Oh Hope, non sai come sono felice! Mi sto sentendo con David. Non mi sarei mai immaginata che potesse essere un tipo così divertente, e anche dolce, devo farti leggere la conversazione di ieri sera, giuro che mi stavo sciogliendo…- continua a trillare contenta, ma io sono diventata un cubo di ghiaccio.
Anzi, un iceberg.
-F-ferma un attimo…intendi David O’Brien?- chiedo, cauta.
Lei mi abbaglia con un altro sorriso. –Ma certo, quanti David conosci?-
Rimango di sasso. No, non può essere. Non anche lei.
Cassie non si rende conto della mia reazione. Continua, come se niente fosse.
-Per Capodanno sta organizzando una festa, sicuramente mi inviterà…vieni anche tu, vero?- Sbatte le ciglia.
Mi fisso le scarpe. -Non credo far parte nella categoria di persone che David inviterebbe.- mormoro.
Lei fa una smorfia. –Di questo non ti devi preoccupare, ci penserò io.-
La ringrazio, ma ho l’aria tutt’altro che entusiasta.
Preferirei buttarmi nel fuoco, piuttosto che andare ad una sua stupida festa.
Probabilmente non ci andrò. No, non ci andrò punto e basta. Non ho voglia di stare con delle persone, di parlare e ridere al momento giusto; sono troppo stanca per questo, non ho le forze per fingere di stare bene.
E, soprattutto, non ho le forze per vedere Niall.
Mi dispiace Cassie, ma proprio non ce la faccio.








*Fa un' entrata trionfale, con doppio salto mortale seguito da spaccata*
Buonasera Directionerssss :D Come va, vi siete abbuffate in questi giorni di festa?
Ho messo il capitolo più presto di quanto vi aspettaste, vero?u.u Si lo so, mi sono stupita anche io!
Scusate se è più corto rispetto agli altri e non succede niente di che riguardo Hope  e Niall, ma non vi preoccupate: nel prossimo capitolo
il nostro biondino sarà onnipresente!xD
Passando a questo, cosa ne pensate? Ok, mi sono un tantino (ma poco poco eh!-.-) sputtanata nel 13 ^-^" *si nasconde*
Ma d'altronde, sono stata io a scriverlo, non mi ha obbligato nessuno a farlo e poi quel che fatto è fatto u.u
Lasciatemi una recensione, ne sarei davvero contenta :) Ah, e mi farebbe un immenso piacere se passaste nella mia nuova storia...
Si, la vostra _Utopia_ vuole continuare a rompervi le palle su efp! Sorry, guys!:P
Si chiama "Give Me Love.", ecco a voi il link: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1486410&i=1
U
n bacio a tutte =*

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Capitolo 7
*** 7. Party with...him?! ***





15.
 
“Un giorno, pensavo, mi innamorerò anch’io. Poi, alcuni anni dopo, per errore lo feci sul serio.”
(cit. Jeanette Winterson)

 
A cosa cazzo stavo pensando? Vaffanculo.
 
 
16.
 
“E' un po' incasinato non è vero? Come tutto ad un tratto, qualcuno si sveglia e decide di non parlarti mai più.
Senza ragione. Senza spiegazioni. Senza parole.
Ti lasciano come se non avessi mai contato niente per loro, e quel che ferisce di più è come lo fanno sembrare facile.” 
 

Non ho nient’altro da dire.

 
17.
 
Ho deciso: quella parola con la N non uscirà mai più dalle mie labbra.
Sono a pezzi.
Ma lo dimenticherò.
O almeno, ci proverò.
 
 
18.
 
 
Le ultime settimane di Dicembre stanno scivolando via con troppa velocità.
Le scuole chiuderanno i battenti fino alla seconda settimana di gennaio; Natale ormai è un ricordo passato in un’atmosfera tutt’altro che gioiosa e serena e la neve non cessa di scendere, ricoprendo i tetti e le strade di Mullignar sotto il suo mantello candido.
Io sto passando i giorni che mi separano dal nuovo anno rinchiusa in casa, costantemente riscaldata dal mio adorato caminetto.
Non mi scollerò dalla poltrona nemmeno se ci stessero bombardando. Tanto moriremo comunque e allora, meglio farlo al calduccio.
 
I giorni di festa sono stati una vera tortura. Mi ero ripromessa che avrei mangiato solo lo stretto necessario, ma vedere continuamente piatti strapieni e sentire l’odore di pan di zenzero, zucchero a velo, cioccolato e crema alloggiare in casa, ha messo a dura prova il mio autocontrollo.
Mentre tutta la famiglia, riunita a tavola, mangiava e chiacchierava spensierata, io cercavo di trattenermi nel saltare sulla pirofila di patate arrosto o su quella del tacchino all’arancia e iniziare a divorare tutto in un sol boccone come una bestia affamata.
Ho ingoiato tutto quello che mi mettevano nel piatto, gustandomi il sapore sublime che scoppiava sulle mie papille gustative e per pochi minuti non mi è sembrato tanto sbagliato.
Ma la notte, pensando alla sproporzionata quantità di calorie assunte durante la giornata, mi sentivo così in colpa che passavo ore immersa in un’intensa serie di addominali, flessioni, piegamenti, corsa sul posto, step e qualunque tipo di esercizio casalingo che riuscivo a inventarmi.
 
Oggi è il 27 Dicembre: devo pesarmi. In realtà non ho una data prestabilita per la pesata, dipende più che altro dal mio umore.
Salgo sulla bilancia senza aprire gli occhi. Aspetto.
Ora dovrei guardare.
Aspetto. Aspetto. Aspetto ancora.
Socchiudo un occhio. Dopodiché li spalanco entrambi per la sorpresa.
58.76 Kg.
Sono scesa sotto i 60!
Salto giù e mi cimento di un ballo della vittoria.
-Oh si, oh si, sono un mito! Chi sono io? Hope! E cosa sono? Un mito!- Canticchio agitando le mani davanti a me.
Mentre salto sul posto verso destra, mi lascio scappare un “eeeh, macarena!”.
-Che cavolo stai facendo?-  mi chiede Nick, sullo stipite della porta di camera mia.
Io mi blocco, sentendo il sangue arrivare fin sopra le guancie.
-Niente, oggi mi sento più contenta del solito.- replico.
Lui mi rivolge un’occhiata stranita. –Ma non mi dire. Come mai?-
Io scrollo le spalle. –Dev’esserci sempre un motivo preciso per voi?- Afferro la maniglia e gli chiudo la porta in faccia.
Nick rimane per qualche secondo immobile, prima di sbuffare: “le donne, chi le capisce!” e quindi scendere al piano di sotto a guardarsi la tv.
Dopo essermi assicurata che la porta e le finestre siano ben chiuse, continuo con la mia macarena.
 
19.

30 Dicembre.
In questo momento, sto muggendo infuriata contro mia madre.
A quanto pare, domani sera i miei andranno ad una festicciola con gli amici, Nick va in discoteca e io non posso restare da sola in casa per Capodanno.
Certo, perché Hope è una poppante non-abbastanza-autosufficiente per passare delle ore senza baby-sitter.
-Tra due mesi compierò sedici anni, mà! Credo di essere abbastanza responsabile per avere per qualche ora la casa libera.- sbotto.
Mia madre è irremovibile.
Continua a sbattere le uova in una ciotola trasparente. –Hope, sai come la penso. Non mi piace lasciarti sola mentre io sto lontano sei, sette ore. Può succedere di tutto.-
Io alzo gli occhi al cielo.
Può succedere di tutto. Odio questa frase.
Cosa può mai succedermi?! Credo che abbia una lista in proposito custodita sotto il cuscino.
Motivi per cui Hope non dovrebbe rimanere a casa senza la supervisione di un adulto:
-Un serial killer potrebbe intrufolarsi in casa, ucciderla con una motosega elettrica e vendere i suoi organi al mercato nero;
-Potrebbe esserci una fuga di gas, che la ucciderà lentamente nel sonno;
-Overdose da gelato;
-La caldaia potrebbe bloccarsi, condannandola a morte per ipotermia;
-Una scintilla prodotta dal fuoco nel camino potrebbe cadere per terra, bruciare il tappeto sintetico e le tende, per poi espandersi in tutte le stanze;
-Un meteorite potrebbe abbattersi sulla nostra casa, senza lasciare di lei neanche le impronte dentali per il riconoscimento;
-Un qualche mutante dalla pelle verde e viscida potrebbe fuggire dalla cella di qualche scienziato pazzo, abbattere la porta e mangiarmi il cervello;
Oppure ad abbattere la porta non sarà un mutante, bensì un gigante dalla faccia barbuta che mi confessa di essere il guardiacaccia di una scuola di magia e che io sono una strega e dovrò iniziare a frequentarla il prossimo settembre…
-Hai capito cosa ho detto?- dice mia madre, interrompendo le mie fantasie.
Io sussulto impercettibilmente. –Si, certo.- mormoro.
-Dai su, è meglio così. Non puoi passare l’ultimo dell’anno a deprimerti da sola in casa.-
Incrocio le braccia. –E cosa dovrei fare, venire con te e papà e annoiarmi tutta la sera fino alle tre di mattina?- chiedo sarcastica.
Mia madre continua a sbattere le uova con la frusta. –Certo che no. Maura mi ha detto che Niall organizzerà una festa a casa sua e ti ha invitato. Doveva andare da un suo amico, ma quello si è tirato indietro all’ultimo momento e visto che casa Horan è disponibile…- lascia cadere la frase. –Personalmente, io non lascerei mai la casa in mano a un branco di adolescenti eccitati.- aggiunge.
-Io passo, grazie.- dico, cercando di rilassare la schiena, dritta come un manico di scopa.
Mamma sta per replicare, ma il telefono suona.
Risponde. –Pronto? Maura! Stavamo giusto parlando di te…si, ce l’ho chiesto, ma non vuole venire.- Mi lancia un’occhiata spazientita. –Si, lo so…ok, te la passo.- mi avvicina la cornetta, con faccia soddisfatta.
Per tutta risposta, la fulmino con gli occhi. –Ciao Maura.- dico alla mia vicina, senza però staccare lo sguardo da mia madre.
La voce della signora Horan mi arriva forte e decisa. –Allora, cos’è questa storia?-
Inizio a fissare una crepa che si fa strada su una mattonella del pavimento. –Non me la sento di venire…-
-Oh andiamo Hope! Ci saranno tutti i tuoi amici e poi, devo pur affidare a qualcuno la casa! Tu sei una delle poche ragazze di cui mi posso fidare…ti prego, farlo per me.-
Dopo anni passati a casa sua a preparare muffin al lampone, mi sento quasi in dovere.
Dopo un attimo di silenzio, le comunico che verrò.

 





Lo spazio autrice lo metterà nel capitolo successivo ;)
A presto splendori =*

p.s. perdonate la presenza di eventuali errori, ma non avevo voglia di rileggere tutto xD

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Capitolo 8
*** 8. I've never wanted to hurt you. ***




20.
 
Schifo.
Davvero credevo di poter indossare una maglia così attillata? Questa andrebbe bene come minimo a Shila!
Sbuffo, frustrata, mentre mi sfilo la maglia dalla testa e la lancio sul letto, tutta stropicciata, insieme ad altre sue parenti che hanno ricevuto lo stesso trattamento.
Cerco di non fissarmi allo specchio senza una maglia addosso: non vorrei deprimermi prima del previsto…
Alla fine, ne scelgo una rossa con lo scollo a barca, che stringe un po’ al punto vita, ma per lo meno non è molto attillata.
Cassie una volta mi ha detto che sarebbe stato bello come vestitino, ma io non ho il fisico adatto, quindi opto per un semplice pantalone nero, – purtroppo- stretto
e un semplice paio di stivali.
Niente tacchi, niente minigonne, niente calze a rete:  io non sono così.
Mentre mi ravvivo i ricci con della spuma, mia madre entra in bagno.
Ha già il cappotto e la borsa e dall’assenza di rumori al piano di sotto credo che mio padre sia già in macchina ad aspettarla.
-Oh mio Dio Hope, come sei carina!- esclama, vedendomi.
Ecco, questo è il punto: carina. Come quando una tua amica si prova un’orrida maglia e tu, per non offenderla, dici che è carina.
Per una volta, vorrei sentirmi bellissima.
-Ma che dici- ribatto io –ho la pancia più grande di quella di Gérard Depardieu.- dico, citando uno dei suoi attori preferiti.
Mia mamma, cercando qualcosa nella sua trousse, mi scruta attraverso lo specchio.
-Sta diventando una fissazione, la tua.- commenta.
Un brivido mi attraversa la schiena. –Che vuoi dire? Io non…- non faccio in tempo a terminare la frase, poiché lei ha trovato lo specchietto che cercava.
-Ah, eccolo qui! Senti, devo andare, tuo padre mi sta aspettando…non fare tardi e fai la brava, mi raccomando…ti chiamo!- dice precipitandosi fuori dal bagno, per
poi scendere le scale velocemente e chiudere la porta.
Io sono ancora un po’ turbata. Che lei stia sospettando qualcosa?
No, lei non deve sapere. Inizierebbe una serie di discorsi pseudo-filosofici, dicendo che io sono bella così come sono, che non devo prestare ascolto a ciò che dice la gente; che non mangiare è da stupidi, poiché non farei altro che fare del male a me stessa. Mi guarderebbe con il volto pieno di serietà e compassione e questa è l’ultima cosa che voglio.
Io sto bene.
Sono quasi le dieci. Ficco la chiave di casa in tasca, prendo il telefonino e mi chiudo la porta alle spalle.
Non mi guardo neanche allo specchio.
 
 
21.
 
Sono in un angolino a fissarmi le unghie.
Osservo le persone sulla pista. Saltano, ancheggiano, girano…si stanno proprio divertendo.
Io odio le feste.
Odio ballare, so dal principio che non mi divertirò, perché a me non piacciono le stesse cose che piacciono agli altri ragazzi.
Io sono una giornata di neve passata a leggere sotto le coperte, magari con una bella tazza di thè in mano; io sono il fruscio delle pagine in una biblioteca; io sono il calore di un camino. Io non faccio rumore, ho troppa paura di disturbare.
Niall (ma non dovevo più non pronunciare il suo nome?) è a pochi metri da me, che parla con un suo amico con un bicchiere di plastica blu in mano.
Quando mi ha visto attraversare l’ingresso di casa sua, per poco non è trasalito. Mi sarei aspettata un bel saluto caloroso (nella mia immaginazione ci ho aggiunto anche un abbraccio), ma l’unica cosa che si è limitato a fare è stato rivolgermi un cenno con il mento alzato.
Io ho ricambiato come se niente fosse, ma in realtà ci sono rimasta totalmente di merda.
Tuttavia, potevo veramente aspettarmi una reazione contraria, dopo quella sera a casa mia?
Oddio, non riesco a non guardarlo.
E’ vestito con un maglione bianco con il collo alto, jeans scuri e un paio di nike nere.
Semplicemente merav…
NO! Lui ti ha ferito, ti fa stare male. Vuoi dargli anche la soddisfazione di sbavargli dietro?! Mi urla la voce della coscienza di turno.
Ah, allora ho ancora un po’ di spirito razionale all’interno della scatola cranica.
E dov’è stato tutto questo tempo?  A bere vodka con i russi? E’ un po’ troppo tardi per farmi cambiare idea.
 
 
La serata continua ed è come se non ci fossi. Gli invitati ballano, fumano, si baciano, qui, a casa di Niall, calpestando lo stesso pavimento che io ho calpestato centinaia di volte e che, adesso, sembra volersi aprire sotto il mio peso per inghiottirmi viva.
Ogni tanto qualcuno mi rivolge la parola, anche se è troppo sbronzo per iniziare un vero e proprio discorso.
Perché non balli?
Perché non voglio. Perché qualcosa mi blocca. Perché con questo dannatissimo corpo sembrerei un mammut con le convulsioni.
Perché non fumi?
Perché tutti gli altri la mattina si svegliano con l’odore del caffè o dei toast appena fatti, io invece mi sveglio con la casa impregnata dell’odore delle sigarette che mia madre ha appena finito di fumare dopo avere passato una notte insonne e ormai quell’odore mi fa schifo.
Perché non bevi?
Perché mi basta già sentire mio padre rincasare di prima mattina completamente ubriaco.
Rispondo sempre con un’alzata di spalle.
 

22.

David si avvicina a me mentre Cassie è in cucina a prendere da bere.
-E' inutile che stai qui a guardarlo, non andrai mai bene per lui.- mi sussurra con un sorriso affettato, pieno di odio.
Io tengo lo sguardo basso e fingo di non averlo sentito.
Si, lo so. Non mi stai dicendo niente che io non mi sia ripetuta già trecento volte.
 

23. 

La situazione sta diventando disgustosa. La musica continua a suonare, ma ormai non c’è rimasto quasi nessuno in pista. Una ragazza dorme sul divano, ubriaca,
due ragazzi sono praticamente svenuti nel corridoio e dalla camera da letto del fratello di Niall provengono strani rumori.
Adesso che ci penso, non vedo neanche Niall in giro.
Ci metto un secondo per formulare quel pensiero, e un ennesimo per ricordarmi che sono arrabbiata con lui e che ormai quello che fa non mi interessa più ormai.
Allora perché il mio cuore batte furioso al pensiero che lì dentro ci possa essere lui con un’altra ragazza?
Lo ammetto, sono delusa. Credevo che avrebbe cercato di parlarmi, invece è stato tutta la sera con gli amici. Perché continuo a illudermi?
Attraverso il corridoio con le mani sudate. Voglio andare in bagno, nient’altro.
Una porta che si apre mi fa bloccare all’improvviso, proprio di fronte ai due ragazzi addormentati con la schiena contro la parete.
All’inizio non vedo nessuno, poi…ecco spuntare David, che tiene per mano Cassie. Dopo essere usciti dalla stanza, le stampa un profondo e intenso bacio sulle labbra.
Vedo Cassie leggermente arrossata. Non appena si accorge della mia presenza, mi fa l’occhiolino e si lascia trascinare fuori da David.
Io non reagisco, non faccio strane facce o occhiate assassine. Il sollievo sta occupando ogni mio muscolo e cellula celebrale.
Almeno non era…
Un’altra porta si apre. Quella del bagno, infondo, proprio di fonte a me.
Ne esce una ragazza. E’ di un’altra sezione, non frequentiamo nessun corso insieme, mi sembra si chiami Hannah, o semplicemente Anna. A parte un bel culo, non ha niente di interessante da offrire, fa discorsi da prima media e quando parla mi sembra leggermente isterica.
Hannah/Anna non è sola.
Hannah/Anna è con Niall.
Hannah/Anna + Niall + bagno =……
Mi viene da vomitare.
Rimango una lastra di ghiaccio, fino a quando uno dei ragazzi non si sveglia e rigetta sui miei stivali.
Era in senso figurativo, cazzo!
-Cazzo!- urlo, scostandomi, ma ormai il danno è stato fatto.
Niall alza subito lo sguardo e finalmente mi vede. Mi sembra che abbia spalancato gli occhi.
Hannah/Anna ci supera, ma Niall si è fermato davanti a me.
-Guarda che cazzo hai fatto, coglione!- esclama, rivolto al ragazzo. Sveglia anche l’altro e li ordina di andare via. Loro, leeeentamente, si alzano e se ne vanno via, barcollando.
  Mentre Niall si guarda intorno e va al piano di sotto per controllare la situazione e mandare via le ultime persone rimaste, io caccio un pacco di fazzoletti e mi ripulisco le scarpe, cercando di trattenere i conati ed evitare di moltiplicare il danno.
E intanto cerco di non piangere.
 

24.
 
Sono in bagno, a casa mia. Niall ha cacciato via tutti e ha dovuto fare i conti con il disastro lasciatogli dai suoi amici.
Più che una casa, adesso la sua sembra una discarica.
Gli ho promesso che lo avrei aiutato a pulire, ma prima volevo cambiarmi le scarpe.
Le lacrime ribollono agli angoli degli occhi, mentre io cerco con tutte le mie forze di cacciarle indietro.
Non è successo niente, non hai visto niente. Questa serata di merda non è mai accaduta. Hai passato il Capodanno a casa spaparanzata sul divano a guardare stupidi film con Shila accanto che dormiva.
Non è successo niente…
Trafiggo le mie pupille in quelle del mio riflesso.
-Non ci provare!- mi urlo.
Vorrei fare qualunque cosa: strapparmi i capelli, ingoiarmi gli stivali a morsi, prendere a testate il muro…tutto, fuor che piangere.
Per una volta, la ragazza da parete che sono non vuole più essere debole.
Il peso che mi grava sul petto per contrastare i singhiozzi mi sta facendo male. Voglio mandarlo via;  voglio sgonfiarmi, liberarmi da queste emozioni che continuano a friggermi il cervello.
Vado di corsa in camera, frugo nel cassetto, trovo quello che stavo cercando e ritorno in bagno.
Mi siedo, appoggiandomi contro la vasca di ceramica. Sbottono i pantaloni e alzo la maglia, lasciando qualche centimetro di pelle scoperta sull’anca sinistra.
Con la mano destra ho la lametta ben salda tra le dita.
Tasto quella mia parte del corpo, sentendo l’osso sotto lo strato soffice di epidermide.
Dopo una certa esitazione, inizio a infliggere qualche taglio, dritto e preciso.
Se questo fosse il finale macabro di un libro e io dovrei impiegare questo spazio per scrivere gli ultimi ringraziamenti, lo utilizzerei piuttosto per mandare a fanculo.
Vaffanculo ai bulli.
Vaffanculo ai canoni di magrezza della società.
Vaffanculo al cibo troppo buono.
Vaffanculo ai sentimentalismi.
Vaffanculo all’ipocrisia.
Vaffanculo alla falsità degli amici.
Vaffanculo all’insicurezza.
Vaffanculo alle feste di fine anno e ai nuovi propositi che non si realizzeranno mai.
Vaffanculo ai genitori che finiscono per dimenticarsi dei propri figli.
Vaffanculo a me, che mi faccio questi cazzo di problemi.
Vaffanculo all’amore.
Vaffanculo a Niall.
Il sangue fuoriesce dalle ferite come lava infuocata, mentre la mia bocca erutta gli ultimi gas e detriti.
Rimango per un  po’ così, senza fare nulla se non fissare il vuoto, dopodiché mi alzo, cerco l’acqua ossigenata e, come se niente fosse, mi disinfetto.
L’H2O2 che brucia sui tagli mi fa sussultare e stringere i denti.
Applico un cerotto grande, poi mi risistemo e fisso di nuovo il mio riflesso.
Il ricci scendono compostamente sulle spalle e il trucco è stranamente a posto.
La ragazza che si trova di fronte a me solleva gli angoli della bocca nell’imitazione di un sorriso.
Sembra vero.
 
 
25.
 
Casa Horan si è trasformata. Sembra una di quelle scatole delle scarpe in cui riponi qualsiasi tipo di oggetto inutile ma che non vuoi buttare.
Niall ha una busta nera in mano e sta ripulendo il salotto. La postura barcollante e l’equilibrio instabile tradiscono il suo tentativo di sembrare sobrio. Ha bevuto.
E anche tanto.
Senza guardarlo negli occhi, gli sfilo la busta dalle mani.
-Vai ad allungarti, faccio io.- dico.
Lui non si lascia convincere. -No dai, devo…- non termina la frase.
Io alzo gli occhi al cielo, gli afferro un braccio e lo scorto fino ad divano. Lui si lascia cadere pesantemente e smette di obbiettare.
Mi metto al lavoro: riordino, pulisco, disinfetto, butto la spazzatura, controllo di non aver mancato nessun luogo. Ad eccezione del bagno.
Dopo un’ora e mezza, dichiaro di aver finito.
Niall giace sul divano, immobile. Il suo volto d’angelo è calmo e sereno, non tradisce nessuna emozione.
Sembra addormentato, ma quando faccio per andarmene, lui apre gli occhi.
-Hope…- mormora, con voce rauca.
-Si?-
-Rimani, per favore…-
-Non posso, devo tornare a casa.- Per fortuna è così ubriaco da non aver notato la mia esitazione a rispondere.
Lui si alza, lentamente, e sembra voler venire verso di me, ma poi si fionda in bagno senza neanche chiudere la porta.
Mi precipito anche io. -Niall! Tutto ok?-
Per tutta risposta, lui inizia a vomitare.
Io rimango sulla soglia, incapace di fare niente. Quando finalmente riesco a sbloccarmi, mi accuccio al suo fianco e gli massaggio la schiena.
Non ha senso, ma nei film fanno così…
Lascio svuotare il suo stomaco pieno di alcool, dopodiché riempio d’acqua il bicchiere di vetro sul ripiano del lavandino e gliela faccio bere. Non so nemmeno se sto facendo la cosa giusta.
Niall si lascia cadere sul tappeto verde lime, senza proferir parola.
-Niall? Vuoi che ti porti un cuscino per dormire qui? Non vorrei che vomitassi per terra…-
-No. Accompagnami a letto.- mormora.
Lo aiuto a sollevarsi, avvicinando il mio corpo al suo. Ci trasciniamo per il corridoio, quindi apro la terza porta sulla destra e cerco a tastoni l’interruttore.
La camera di Niall è proprio come la ricordavo: pareti bianche piene di poster di calciatori e gruppi musicali, il letto dalle lenzuola a strisce verdi perennemente sfatto, la scrivania piena di cianfrusaglie e la libreria immacolata, segno che i libri riposti non sono stati sfogliati neanche per sbaglio.
Con il piede sposto la custodia di Call Of Duty lasciata lì sul pavimento e lo aiuto a stendersi sotto le coperte. Sembro una mamma superapprensiva.
-Cerca di dormire, adesso.- gli dico, avvicinandomi al suo volto per assicurarmi che abbia sentito.
Niall spalanca gli occhi, puntandoli nei miei. Sono lucidi e arrossati, ma stranamente attenti.
-Resta.- ripete.
-Io non…-
-Per favore. Ho bisogno di te, ti prego.- quasi piagnucola.
Guardo il suo volto lottare contro il sonno e i suoi occhi azzurri tentare di non chiudersi.
Sospiro. –Va bene.- Faccio il giro del letto e mi allungo alla sua destra.
Lo spazio limitato ci impone di stare vicini. Ho tutto il corpo in fiamme e il cuore batte troppo velocemente.
Niall mi mette una mano sul fianco e mi tira a sé, seppellendo il viso tra i miei capelli, abbandonati sulla spalla. I tagli che mi sono procurata qualche ora fa fanno male, ma io ignoro il dolore.
-Perdonami, Hope. Non ho mai voluto farti del male…- mormora, con voce impastata.
Dopo un lungo silenzio, in cui pensavo si fosse addormentato, continua.
-Vedo continuamente la tristezza nei tuoi occhi, ma non sono mai riuscito a trovare le parole adatte per allontanare il dolore. Non ho fatto altro che ignorarlo e ti ho lasciata sola… e mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace…-
Le parole iniziano a diventare confuse, sta cedendo al sonno. Dalle labbra schiuse proviene un pesante odore di birra.
-Non fare il mio stesso errore, non cambiare mai. Sei bellissima.- sussurra e poi non emette più alcun suono.
Quando sono sicura che non si sveglierà, mi alzo delicatamente e abbandono il calore del suo abbraccio.
Credo che ormai sia troppo tardi.

 



Hola Directioners ;)
Inizio con un enorme SCUSATEEEEE!!!ç_ç 
Lo so, non aggiorno da secoli, mi dispiaceeee >.<
Ma oggi ho pubblicato ben due capitoli e anche discretamente lunghi, quindi...mi perdonate???:D
Non ho molto tempo, dovrei andare a fare i compiti, qundi dico brevemente:
Cosa ne pensate di entrambi i capitoli? Fatemelo sapere in una recensione ;)
Ringrazio tutte voi che leggete la storia e continuate a supportarmi, siete favolose e vi adoro =*
Vorrei stare qui a commentare un po' con voi gli ultimi avvenimenti, ma davvero non posso, perdonatemi (stupida scuola -.-) D:
E perdonatemi anche eventuali errori, ma non avevo voglia di rileggere tutto xD Ovviamente potete farmeli presente ;)
Ok, spero di aggiornare presto la prossima volta.
Un bacio a tutteeee =*

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Capitolo 9
*** 9. Now I'm afraid to lose you again. ***


9. Now I’m afraid to lose you again.

 


26.
 
Scendo dal pullman con la faccia scontrosa, seguendo i miei compagni verso il grande edificio di mattoni che è la nostra scuola.
Oggi sono tutti stranamente contenti. E so bene per quale motivo.
E’ il 14 febbraio.
In questo giorno, il mondo si colora di rosa e tutto è stupendo-meraviglioso-perfetto perché l’aria è così tersa di gioia che ci si può anche affogare, inebriati dal dolce profumo dell’amore.
Eh già, San Valentino.
Per me ha un altro nome:La Data Maledetta.
Oppure: Il Giorno del Giudizio, se preferite.
Odio San Valentino.
Chiunque la odierebbe, se, da single, sei costretto a rimanere rinchiuso in una scuola piena di coppiette super felici che camminano mano nella mano per il corridoio scambiandosi effusioni, come se questa festa dia loro il diritto di manifestarlo davanti a tutti.
Odio che i negozi si riempiano di cuoricini e nastrini rossi per abbindolare gli innamorati, i quali ovviamente non perdono tempo nel dimostrare il loro reciproco e sconfinato amore con cioccolatini, gioielli da quattro soldi, ma soprattutto fiori.
Si, fiori.
Fiori ovunque.
Ad ogni San Valentino, tutte le scuole si trasformano in orti botanici abbelliti esclusivamente di gigli, margherite o le immancabili rose rosse.
Anche se l’anno scorso, un ragazzo, che aveva appena saputo che la sua tipa l’aveva tradito con il suo migliore amico, aveva inviato alla sua ex un mazzo di crisantemi; lei ha ricambiato il suo regalo rigandogli la moto: un danno da circa cento sterline.
Questo sì che è amore.
 
Mi arrampico per le scale come se fosse una montagna, tanto sono pesanti i miei piedi.
Oltrepasso lentamente la soglia e quasi mi sembra di vedere la citazione “Abbandonate ogni speranza voi ch’intrate”, scritta a caratteri cubitali su uno striscione all’ingresso.
Apro l’armadietto con uno strattone, quasi mi avesse fatto un grave torto personale, dopodiché prendo il libro di inglese e di storia.
Nessun biglietto di un ammiratore segreto, ovviamente.
Il cellulare mi avvisa di un messaggio in arrivo. Lo apro:
 
Hope, sai per caso che giorno è oggi?
Massì, è il tuo compleanno!!!:D
Tanti auguri tesoro, ci vediamo sta sera
Cassie :*
 
p.s. scusa se non sono venuta a scuola a darteli di persona, ma oggi proprio non ce la faccio. Tu sai perché…
 
Sorrido, contenta che almeno una persona (ad esclusione della mia famiglia) si sia ricordata del mio compleanno.
Già, da oggi ho ufficialmente sedici anni.
Hiphipurrà!
La mia felicità in questo momento è paragonabile a quella che provo prima di andare ad un appuntamento dal dentista .
Sorpasso un ragazzo e una ragazza, praticamente spalmati sulla parete, che ci stanno dando dentro. Lei stringe tra le mani un mazzo di rose (ma non mi dire) con un biglietto pieno di glitter.
-Ti amo.- dice lei.
-Anche io, piccola.- dice lui.
E’ chiaro ormai: è questo il motivo per cui sono così intrattabile oggi.
 
 
27.
 
 Sopravvivo alle tre ore che anticipano la pausa quasi per miracolo. Dover affrontare questa giornata senza Cassie a supportarmi è davvero dura.
Di norma, avremmo passato la mattinata a prenderci gioco delle coppie, ipotizzando quanto ancora sarebbero durate, invece oggi io sono qui, da sola, mentre Cassie è a casa sotto le coperte a piangere per David.
Già, si sono lasciati.
Correggo: David l’ha lasciata. Non voleva una relazione seria, ha detto.
Cassie ne è rimasta distrutta, perché credeva che lui fosse quello giusto, ma ovviamente per David era tutto un gioco, senza impegni.
Ha pianto per ore, e non importavano le mie parole su quanto lei stesse perdendo tempo a disperarsi per un tipo come lui; volevo dirle che sapevo che
sarebbe andata a finire così, perché è l’unica cosa che David sa fare: far soffrire. Perché da lui non ci si può aspettare altro.
Mentre la abbracciavo, una sorta di soddisfazione si è impadronita di me, perché mi sono resa conto che il mio intuito non mi aveva tradito e avevo avuto ragione.
David O’Brien non era riuscito a portarmi via anche Cassie.
Subito dopo mi sono pentita di questo pensiero terribilmente egoista: quella che per me rappresentava una piccola vittoria, stava facendo soffrire la mia amica e,
allora, forse sarebbe stato meglio avere torto.
 
 
28.
 
La campanella che segna la fine della ricreazione trilla forte e chiara: è il momento di entrare di nuovo nelle celle.
Mi sto affrettando a raggiungere l’aula insieme agli altri, quando una mano mi afferra la spalla.
-Hey, Hope.-
Un Niall Horan sorridente e bellissimo è proprio qui, davanti a me.
Resto un attimo imbambolata, prima di rendermi conto che:
a)     Mi sta parlando, fatto molto strano;
b)      Mi sta parlando qui, a scuola, in un luogo pubblico, fatto ancora più strano;
c)      Mi sta sorridendo e non mostra alcun atteggiamento restio o indifferente nei miei confronti;
d)     Non ci parliamo dalla notte di Capodanno, ma dal suo tono di voce sembra che non ci vediamo da soli cinque minuti;
e)     Mi sta sorridendo!
-Ciao Niall.- mi affretto a dire, prima di fare la figura dell’idiota. Poi mi guardo intorno: non c’è più nessuno in corridoio.
Lui pare notare la stessa cosa, perché mi prende per una mano (iiih!) e mi trascina nel bagno dei ragazzi, proprio alla mia destra.
-Per quanto tu possa trovare eccitante questa cosa, devo ricordarti che se mi trovano qui dentro con te ci sospendono per minimo due giorni.- dico.
Oh mio Dio, ditemi che non l’ho detto davvero.
Niall solleva un sopracciglio, divertito, prima di mettersi a ridere.
-Ssssh, ci vuoi far scoprire?!- Lo allontano dalla porta. Se ci scoprono siamo davvero fregati. –Allora, perché mi hai portato qui?- continuo.
Lui smette di sghignazzare e mi guarda. –Beh, volevo darti gli auguri. Sedici anni non si compiono ogni giorno, o sbaglio?-
Un misto tra eccitazione e delusione inizia a farsi strada tra i canali della mia mente: forse non è una dichiarazione amorosa organizzata in onore della festa degli innamorati, ma, già il fatto che lui è qui, a darmi gli auguri per il mio compleanno, è un enorme passo avanti.
Tuttavia non riesco a capire perché…solo adesso.
La mia felicità viene subito oscurata, come succede al sole in una giornata nuvolosa.
Spero che non inizi a piovere.
-Grazie, ma potevi anche non trascinarmi qui per dirmelo. Adesso farò ritardo per il test di letteratura.- rispondo.
Niall non replica nulla, quindi io faccio per andarmene. Mi si piazza davanti.
-Andiamocene via.- dice, tutto d’uno fiato.
Lo guardo senza capire. –Che?- Forse ho sentito male.
Adesso mi guarda, convinto. –Si dai, oggi non vale proprio la pena rimanere qui dentro. Facciamo sega!-
Cerco di mascherare un sorriso. –In questa situazione, potevi utilizzare un termine più adeguato, non trovi?-
-Guarda che sono serio, comunque bella battuta.-
-Non lo so, se ci scoprono…-
-Non succederà, tranquilla. Non è la prima volta che salto la scuola.- Mi sorride, di nuovo.
Mi sorride, e io non riesco a resistergli.
Qualcosa mi dice di non farlo, qualcos’altro mi dice di buttarmi a capofitto.
Una voce sussurra che finirò di nuovo sola, con il cuore rotto, un’altra, più convinta, replica che forse questa è la volta buona per riavvicinarmi a lui.
Cuore e ragione, fiducia e scetticismo, coraggio e paura, si danno battaglia a colpi di sentenze.
-Va bene, andiamo.- dico infine, rispondendo al suo sorriso.
Non so chi dei due avrà ragione, ma, per adesso, mi affido all’istinto.
 
 
 
29.
 
 Raggiungiamo il parcheggio passando per l’uscita sul retro della palestra e, grazie a chissà quale miracolo, non troviamo nessuno.
Ci fermiamo davanti ad un’auto nera, un po’ sgangherata e non esattamente nuova- credo che abbia almeno dieci anni-, ma credo che sia funzionale.
Non appena prendo posto al sedile del passeggero, Niall parte a razzo.
-Allora, dove vuoi andare?- chiedo.
Lui mi lancia un breve sguardo, prima di tornare a concentrarsi sulla strada. –E’ una sorpresa. Sono sicuro che ti piacerà.-
Accendo la radio e mi abbandono sul poggiatesta, fissando gli ultimi resti di neve sporca abbandonati ai lati della strada. Solo in questo momento mi viene in mente una cosa di fondamentale importanza.
-Niall…- dico, cauta.
-Si?-
Faccio una pausa ad effetto, dopodiché mi rimetto dritta. -Come puoi guidare un’auto se non hai diciotto anni?!- esclamo. Come ho fatto a non rendermene conto prima?!
Lui fa una faccia colpevole. –Ecco, infattitecnicamente non potrei e, tra l’altro, la macchina non è neanche mia, me l’ha prestata un mio amico, ma mio padre mi ha dato lezioni e sono abbastanza bravo, quindi non c’è pericolo di incidenti.-
-Oh certo, logica intoccabile. Prova a spiegarlo alla polizia, quando ci fermeranno.-
-Se ci fermeranno, mia cara Hope.- e per enfatizzare le sue parole, manda ancora più giù il pedale dell’acceleratore.
 
Le strade della città vengono in poco tempo sostituite da stradine strette e piene di curve, affiancate da alberi spogli e foglie morte, seppellite sotto la neve ai loro piedi.
Niall imbocca la strada per il sentiero, prima di fermarsi.
-Non possiamo andare avanti con l’auto, c’è troppa neve.- dice, quindi scendiamo per proseguire con l’aiuto delle nostre gambe.
E’ da dieci minuti circa che stiamo camminando e ogni passo avanti che faccio mi dice che io quel posto lo conosco già, che ci sono già stata prima d’ora.
Ed ecco l’illuminazione.
-Stiamo andando alla casa sul lago?- chiedo, stupefatta.
Niall mi sorride. –Indovinato. Mio padre l’ha fatta ricostruire da poco.-
La casa sul lago. Mio Dio, sono anni che non ci metto piede. Da quando è morto il nonno di Niall, sei anni fa, per l’esattezza.
Era una casetta davvero piccola e isolata dal resto del mondo e proprio per questo ci piaceva così tanto. Ogni estate andavamo lì a pescare con suo nonno, oppure a farci raccontare qualche storia della sua gioventù. Ogni pomeriggio facevamo merenda con i biscotti al cioccolato appena fatti e, se restavamo per cena, il signor Horan senior ci preparava squisite cene con il ricavato della pesca giornaliera.
Continuo a ricordare quei momenti così spensierati ma allo stesso tempo così lontani e, in un batter d’occhio, eccoci arrivati.
Non è molto diversa da come ricordavo: la struttura completamente in legno, il tetto rosso che richiama la porta dello stesso colore e la recinzione completamente riverniciata e messa a nuovo. In realtà, tutto adesso è più nuovo e brillante, ma l’atmosfera fiabesca è ancora quella di quando avevo dieci anni e immaginavo che fosse la casa della nonna di Cappuccetto Rosso.
Entro dentro e rimango stupefatta nel trovare un arredamento sobrio e moderno, ma prevalentemente essenziale: quando qui viveva il nonno di Niall, ogni stanza era immersa in un disordine perenne, tra canne da pesca, contenitori con le esche e giornali vecchi di almeno una settimana.
Appendiamo i cappotti e le sciarpe all’appendiabiti. Fa un tantino freddo qui.
-Io accendo il fuoco, tu scegli un film, se ti va. Sono sul mobile vicino la tv.- mi dice Niall, andando verso il camino.
-Va bene, ti farò patire il film più romantico, dolce, smielato e ammorbante che possiedi.- prometto, andando verso la fila di dvd posti ordinatamente su una mensola.
Mentre perlustro con lo sguardo i film a disposizione, non posso far a meno di pensare al fatto che me ne starò qui, seduta sul divano con Niall, il giorno più romantico dell’anno.
Eppure, c’è sempre quel pensiero che mi perseguita dal preciso momento in cui l’ho visto, questa mattina.
Il pensiero che anche questa volta mi farà stare male.
Come due anni fa.
 
Il mio sguardo si posò per l’ennesima volta sulle lancette del mio orologio.
Le nove e quarantasei minuti.
Era tardi, faceva freddo, così freddo che anche respirare mi provocava una fitta di dolore allo stomaco, ed io ero seduta sul marciapiede davanti casa
a congelare in un giubbotto blu notte.

Mia madre uscì fuori sulla veranda. –Hope, vieni dentro dai…-
-No.- dissi, cocciuta. –Voglio aspettare Niall qui fuori.-
-Puoi aspettarlo anche dentro.- ribattè lei, rispondendomi a tono.
Davanti al mio silenzio, sentenziò: -Se tra cinque minuti non arriva, ti costringo a rientrare. E se prendi una bronchite, ti porto a scuola di peso.-
Detto questo, si chiuse la porta alle spalle.

Rimasi dov’ero, risoluta a non smuovermi da lì, neanche fosse arrivata una bufera.
Il buonsenso mi diceva di entrare in casa al caldo, ma io mi opponevo, stringendo saldamente le gambe e strofinandomi le mani.
Era il giorno del mio quattordicesimo compleanno e io aspettavo Niall, che non si era fatto sentire per tutto il giorno e non si era presentato neanche alla mia festa, ormai terminata da quasi un’ora.
Fatto decisamente singolare, visto che lui non si era mai perso neanche un evento che mi riguardasse, figuriamoci se ci andava di mezzo del cibo gratis.
Dei passi dietro di me mi spinsero a voltarmi. Niall stava percorrendo il vialetto, verso casa sua.
-Niall!- lo chiamai ad alta voce, alzando un braccio per farmi notare.
Lui si voltò immediatamente verso di me, chissà se mi aveva già vista…chissà se aveva voluto semplicemente ignorarmi. Mi avvicinai a lui.
-Non sei venuto, oggi.- gli feci notare, con nota polemica.
Lui si mise sulla difensiva. –Avevo degli impegni.-
-Con chi, con David? Sei sempre con lui, almeno questa sera potevi trovare un po’ di tempo per stare con me. Grazie anche per gli auguri, non ce n’era bisogno, sai.- aggiunsi poi, palesemente sarcastica.
Adesso aveva l’aria colpevole. –Io…- si interruppe.
Un rumore di ruote lo fecero voltare, per prestare attenzione a qualcuno che stava passando di lì.
Tre sagome sulle biciclette avanzavano verso di noi, schiamazzando e insultandosi a vicenda in modo volgare.
Si fermarono vicino al marciapiede, con pochi metri di ghiaia a separarci.
Riconobbi la voce inconfondibile di David. –Hey, Nialler, hai dimenticato il casco!- urlò, lanciandoglielo.
Niall lo prese al volo. –Grazie, Dav.- Voleva fare l’indifferente, ma io lo conoscevo abbastanza per capire che era nervoso.
-Ci becchiamo domani, N. E smettila di perdere tempo con quella.- disse David, riferendosi a me. I due tipi alla sua destra e alla sua sinistra sghignazzarono.
Vidi lo sguardo di Niall, illuminato dalla luce della veranda, farsi più duro e allontanarsi dal mio.
-Certo, le stavo giusto dicendo che questa sera avevo di meglio da fare che andare alla sua stupida e noiosa festa da poppanti.- disse.
David si unì alle risate dei suoi amici.
Io guardai Niall, sconvolta. –Niall, che…-
Lui sbuffò. –Smettila di rompere, Hope. Quando la finirai di starmi sempre col fiato sul collo? Non siamo fidanzati sai, e meno male…-
Mentre sentivo le risate di scherno rimbombarmi nella testa, cercavo di impedire alle lacrime di assalirmi gli occhi.
-Non puoi averlo detto sul serio, stai fingendo.- sussurrai, in modo che mi sentisse solo lui.
-Non sono mai stato più onesto di oggi.- Mi si avvicinò ad un centimetro dal volto. -Smettila. Di. Assillarmi. Sei sfiancante, non ti sopporto più.- disse, scandendo con cura le parole, come se parlasse con una ritardata.
Iniziai a sbattere violentemente le palpebre, per spazzare via l’acqua che mi annebbiava la vista. Senza dire una parola, feci dietro-front e me ne andai a casa, lasciando così per l’ultima volta il mio oramai ex migliore amico.
Mentre salivo le scale di casa, dritta in camera, mia madre urlò dal salotto: -Allora, Niall?-
Ingoiai l’urlo che si faceva strada nella gola. –Tutto okay, oggi non poteva venire. Ci siamo salutati e basta.- Forse per l’ultima volta, avrei voluto aggiungere.
Quando mi lasciai cadere di peso sul letto, mi abbandonai al pianto più silenzioso, più lungo e più devastante della mia vita.
Sentivo crescere sempre di più un dolore al petto che mi impediva di respirare. Ero stata ferita e umiliata, ma non era quella la cosa peggiore.
Il peggio era che avevo perso Niall.
Ed era stato lui ad andare via.
 
 
30.
   
Sono decisamente nervosa.
Non siamo rimasti soli dal Capodanno, e non si può dire che quella sera sia stata idillica, anzi, è stata una delle peggiori in assoluto.
Niall ricorda ancora quello che ha detto, prima di addormentarsi? Mi ha invitato qui per,in un certo senso, sdebitarsi dell’ aiuto che gli ho dato nonostante il comportamento da stronzo che ha tenuto per tutta la festa?
Ricordo ancora le sue parole: Non cambiare mai. Sei bellissima. Lo pensa davvero?
So già la risposta. No, certo che no.
All’inizio, mi sono permessa di illudermi che magari Niall provasse qualcosa per me, o che, almeno, gli importi ancora di me, ma ovviamente la realtà è ben diversa.
Quelle erano parole senza senso, parole da ubriaco.
Ma adesso che siamo di nuovo soli, che cosa succederà? Ho lo stomaco sottosopra.
Sto letteralmente fremendo quando il suddetto ragazzo, finito di armeggiare con il fuoco, mi si avvicina furtivo.
-Scelto?- mi chiede, la voce bassa e tranquilla. Anche se ci separano vari centimetri, riesco ad avvertire la sua presenza come fuoco vivo dietro di me.
Rimango un attimo stordita, dopodiché afferro una custodia a caso e gliela mostro.
-V per vendetta?- chiede, scettico. –Quando hai detto romantico, dolce e smielato pensavo a qualcosa tipo Titanic oRomeo e Giulietta. Ma non mi lamento, anzi, ottima scelta…- accende il lettore e mette dentro il cd, quindi lo fa partire.
Ci sediamo placidamente sul divano. Il film inizia.
Involontariamente, do uno sguardo furtivo a Niall.
Mi sta guardando.
Sposto di nuovo lo sguardo sullo schermo, fingendo di non averlo notato.
Ma non riesco a restare in silenzio, quindi dico: -Ci credi se ti dico che non ho mai visto questo film?- questa volta ho una scusa per voltarmi verso di lui.
Niall spalanca gli occhi, sorpreso. –Davvero? Lo danno spesso in tv…è fantastico, te l’assicuro.- Si sistema meglio sul posto e mi si avvicina, sfiorando la sua spalla con la mia.
Il mio povero cuore sta pompando sangue troppo velocemente, sento il ritmo accelerato martellarmi il petto. Come fa Niall a non sentirlo?
Il film si trascina avanti, tra commenti e osservazioni, anche se ogni tanto perdo il filo della trama. E’ difficile stare attenti, se hai Niall Horan aneanche due centimetri di distanza.
Per fortuna, ad un certo punto decide di andare verso i fornelli –proprio dietro il divano- per preparare delle cioccolate calde, così io posso rilassarmi un attimo e concentrarmi su quel che lo schermo mi sta mostrando.
-Oh mio Dio, le ha rasato a zero la testa!- esclamo, inorridita, vedendo Natalie Portman piangere disperata, mentre i suoi meravigliosi capelli cadono a terra.
Inizio davvero ad indignarmi dopo altri angoscianti minuti di visione.
-Non ci credo, era V che la teneva lì dentro! Che bastardo!-
-Ma no, voleva essere sicuro che lei fosse un tipo leale.- replica Niall.
-E serviva raparla a zero, rinchiuderla in una cella, farla quasi impazzire e poi rincuorarla con una storia scritta sulla carta igienica?!- Ok, la mia indignazione era motivata soprattutto dalla questione dei capelli.
-Però pensaci.- mi dice Niall, dietro di me, porgendomi una tazza con sopra disegnato un’orsa con un tutù rosa. –L’esperienza che ha vissuto l’ha resa più forte, l’ha resa migliore.- Sta cercando di farmi ragionare.
Io scuoto la testa, non mollo la mia opinione. –Ma i suoi capelli, erano così belli…- faccio finta di piagnucolare.
Lui ride, sinceramente divertito. –Stai banalizzando il gesto che racchiude l’intera trama del film a semplice vanità femminile!- commenta lui, fingendosi indignato.
-Dico solo che è stato crudele. Fare una cosa del genere ad una donna è come portarle via un figlio.- alzo le spalle, come se la mia logica non faccia una piega.
Continuiamo a guardare il film sorseggiando cioccolata. Quando è ormai quasi finito, mi rendo conto di quello che sto facendo.
Sto bevendo della cioccolata calda!
Sono mesi che non toccavo roba così deliziosa…e così calorica. Molto probabilmente prenderò come minimo due chili per essermi concessa questo piccolo attimo di tregua.
Il pensiero mi fa subito staccare le labbra dalla tazza, inorridita.
Sto ancora pensando alle calorie che può contenere questa bevanda, quando vedo scorrere i titoli di coda davanti ai miei occhi.
Come, già finito? Non ho visto il finale, dannazione!
-Bello, vero?- mi chiede Niall.
-Si, fantastico, davvero.- commento io sinceramente, per quel poco che ho visto…
Lui spegne la tv, mi prende la cioccolata ormai fredda dalle mani e la posa sul tavolino alla sua destra, quindi si volta di nuovo verso di me.
Mi guarda, sento i suoi occhi azzurri mandare bagliori accecanti nei miei. E’ una sensazione che non riesco a spiegare, mi sento un blocco di marmo.
-Senti, è più di un mese che voglio dirtelo, non ce la faccio più…- inizia, grattandosi nervosamente il palmo della mano.
Io non dico niente, perciò lui prende un bel respiro prima di riprendere.
Parla tutto d’un fiato. –Ti ricordi quella sera, a casa tua? Mi hai detto che sono stato troppo vigliacco, perché pretendevo che tutto ritornasse come prima, senza però darti una spiegazione. Ed è vero, io avevo paura. Una paura fottuta. Bene, adesso ti dirò tutto quanto.- Fa un sorriso nervoso, un po’ impacciato. Mi sembra quasi di vedere il vecchio Niall.
-Quando ho iniziato a frequentare la cerchia di David, mi sentivo la persona più felice al mondo. Ero la persona più felice al mondo. Mi sentivo vivo, perché ero riuscito a farmi notare da loro e mi accettavano. Non ero più una vittima, ero uno di loro.- i suoi occhi brillano, persi nei ricordi. –Ero felice, perché sapevo che non sarei più tornato a casa coperto di lividi, però…- rimane lì, in silenzio.
Termino io al suo posto. –Però David non accettava il fatto che tu fossi mio amico, me l’hai già detto.- dico, senza cercare di nascondere l’amarezza che mi riempie la bocca.
-Non faceva altro che prendermi in giro, temevo che riprendesse a picchiarmi. Poi ad un certo punto non faceva altro che dirmi di lasciarti stare, che tu mi stavi sempre dietro come un cagnolino e…- la sua voce si fa così bassa che faccio fatica a comprenderlo, nonostante la vicinanza -Diceva che se non la smettevi, prima o poi ti avrebbe dato una lezione.-
Io mi sono fatta di ghiaccio. Forse sto tremando, non lo so, so solo che sento troppo freddo per essere davvero in una stanza riscaldata da un camino.
Non parlo, non ci riesco.
Non guardo Niall in faccia, non ci riesco.
Non reagisco, non ci riesco.
-Non sapevo cosa fare, Hope. Non ce la facevo più a sentire quei discorsi e…avevo paura ad andarmene. O con lui, o contro di lui. E se fossi andando contro di lui, mi avrebbe fatto passare le pene dell’Inferno. Ci avrebbe fatto passare le pene dell’Inferno. Avevo quindici anni…-
Qualcosa nel suo tono di voce mi spinge ad alzare lo sguardo verso di lui.  Ha gli occhi lucidi, sebbene non voglia piangere.
Questa sua reazione mi spinge a smuovermi. –Niall, no…non fare così. Non è stata colpa tua, al tuo posto avrei fatto lo stesso.- le mie parole sono sincere, ma non riesco a farglielo capire.
Lo stringo a me, avvolgendo le braccia intorno al suo collo, per la prima volta dopo due anni.
Lo sento dapprima irrigidirsi, per poi rispondere lentamente al mio abbraccio.
-Sai come ci si sente a non essere abbastanza? Io mi sentivo sempre così, ogni giorno…- sussurra, la voce priva di inflessioni.
Si Niall, lo so.
Più di quanto credi.
Vorrei dirgli che è proprio questo ciò che mi logora l’anima, che mi scortica le ossa, che mi ha spinto a farmi del male, che mi ha reso ciò che sono.
Vorrei dirgli che so che la paura ci spinge a fare cose di cui non andiamo fieri, ci porta a cambiare e non sempre nel migliore dei modi.
Posso biasimarlo, se per proteggere se stesso ha dovuto ferire me?
-Mi sei mancato, lo sai?- dico, mentre siamo ancora abbracciati.
Lui solleva la testa per guardarmi. I suoi occhi sono di un azzurro così magnetico e profondo che fatico a non distogliere lo sguardo imbarazzata.
Avverto un fremito che mi attraversa il corpo, mentre sento la sua mano scendere per spostarsi sul mio fianco.
Avanti, baciami! Urlo nella mia testa.
Schiude impercettibilmente le labbra e lo sento avvicinarsi alle mie. Io non so cosa fare, non so come comportarmi. Sono totalmente impreparata.
Sono così stordita, che ci metto un attimo ad accorgermi che lui si è fermato e si è tirato indietro.
La sua voce è bassa, ma sicura. –Io invece ho sentito così tanto la tua mancanza, che adesso ho paura di perderti di nuovo.-
Mi sento così sciocca e fuorviata, che non riesco a vedere la situazione sotto una luce meno accecante.
Tuttavia, un pensiero mi assale.
E’ possibile che un attimo di assoluta felicità possa cancellare un lungo periodo di dolore?






Sciao bele bimbe 8D
Come va? Vi siete rimpinzate di cioccolata?! Io così tanto da far schifo, ma non me ne pento u.u
(La mia faccia la pensa diversamente!D:)
Anyway, in questa settimana ero combattuta tra due decisioni: fare i compiti, oppure scrivere un bel capitolo per voi.
No ok, non ero combattuta affatto. lol. Ho scelto la fanfic senza esitazione :''D
Eh beh...questo è il risultato....cosa ne pensate?:3 In questo capitolo sono stata tuttaltro che perfida, rendetemene atto u.u xD
Il prossimo capitolo mi gaserà moltissimo :'D spero di fare un lavoro soddisfacente :3
Vi prego recensite un po', l'ultima volta ho ricevuto solo 2 recensioni :/
Che sia chiaro, non le voglio per farmi sentir dire: "Mio Dio sei bravissimaaaa" o roba del genere, voglio sapere la vostra opinione sull'andamento della storia, sullo stile,
sugli errori che dovrei correggere...insomma, voglio sapere se sto scrivendo cazzate che non interessano a nessuno oppure se il mio "lavoro" viene apprezzato.
Ok, ora vado ragazze, godiamoci le ultime ore di vacanza che ci rimangono prima di ritornare in prigione .__."
Un bacio Directioners =*

 

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Capitolo 10
*** 10. What scares you? ***


31. What scares you?

 
 

L'intima natura delle cose ama nascondersi.
(Eraclito)

 

 31.

 -Comunque, per tua informazione non mi sono dimenticato affatto del regalo.- afferma Niall, dopo poco tempo che siamo rimasti senza parlare.
Io, persa a guardare un punto fisso davanti a me e a riesaminare queste poche ore che io e Niall abbiamo trascorso insieme, alzo lo sguardo su di lui.
Il regalo. Credevo che un’amicizia ritrovata fosse già il regalo più bello che potesse farmi.
-A causa di piccoli, ehm, problemi tecnici, non è stato possibile averlo pronto per oggi.- continua, -Ma non manca molto, devi soltanto pazientare ancora un pochino.- I suoi occhi brillano di una luce entusiasta e il suo sorriso coinvolge ogni tratto del viso, deve tenerci davvero molto.
Non posso far a meno di farmi contagiare, per cui anche io sorrido e dico che aspetterò volentieri.
Per riavere lui ci ho messo due anni, qualche giorno di attesa per un regalo non mi ucciderà di certo.
 Niall rimane ad osservarmi, in attesa. Io ricambio il suo sguardo, non sapendo però che fare.
Mi ci vuole un suo cenno per capire che la casa sul lago è ben lontana e adesso ci ritroviamo nel centro di Mullignar, davanti alle nostre case. Quindi mi affretto a salutarlo così che lui possa riportare la macchina (se si può chiamare tale una scatoletta che emette dei suoni striduli non appena si superano i sessanta chilometri orari) al suo amico.
Non appena lo vedo allontanarsi, mi avvio saltellando verso casa, rischiando di scivolare a quasi un metro dalla porta –Stupido ghiaccio-.
Devo calmare il bollore che mi ha assalito le guance. Faccio un bel respiro prima di mettere piede all’interno.
-Dove sei stata?!- mi accoglie la voce di mia madre, acuta e decisamente inquietante.
Un brivido mi scorre lungo la spina dorsale, facendomi sudare freddo.
Avevo dimenticato un piccolo dettaglio: oggi ho saltato la scuola.
Forse i professori hanno avvertito casa non vedendomi a lezione? Forse qualcuno ci ha visto andar via e ha spifferato tutto a Nick, che prontamente l’ha spifferato alla mamma? Forse…
-Sono le due passate, mi dici cosa hai fatto durante l’ora di pranzo?-. Sguardo minaccioso. Brrr.
Per poco non mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo. –Ho mangiato fuori con Niall.- mi giustifico, le ciglia che sbattono come se fossi una bambina innocente.
Che poi, diciamocelo, non sono mica andata a farmi di crack nel bagno della metropolitana!
Mia madre sta per dire qualcosa ma, nell’udire la mia risposta, chiude la bocca.
-Niall chi?- chiede poi.
Il mo sguardo è più che eloquente. -Quanti Niall conosci mamma?-
Lei non ribatte, ma mi esamina per circa un millesimo di secondo. Dopodiché sorride.
-Ma davvero? Mi fa molto piacere!- esclama, entusiasta. Inizia a blaterare di quanto sia contenta per noi, che l’aveva sempre detto che si trattava solo di una questione di tempo, che è capitato proprio nel momento giusto, visto che ultimamente mi trovava un po’ giù; dice anche che passo troppo tempo da sola e per una ragazza della mia età non è assolutamente salutare.
Io annuisco seduta sulla mia sedia in cucina, senza davvero ascoltarla, perché di discorsi riguardanti la mia vita sociale ne ha fatti così spesso che potrei anche decantarli a memoria.
Con la scusa dei compiti lascio mia madre alle prese con le pulizie e mi avvio in camera.
Invece di buttarmi sul letto, decido di scrivere un messaggio a Cassie; se questa mattina si rifiutava persino di venire a scuola, non oso immaginare come siano le sue condizioni. La immagino in pigiama, con i capelli spettinati e gli occhi arrossati e gonfi per il pianto, così triste e depressa...
Oh, andiamo. E’ soltanto uno stupido ragazzo! Non può starci così male: stiamo parlando di David.
 Mi risponde dopo pochi minuti, con un messaggio breve e conciso.
Sto di merda, voglio morire.
Io mi acciglio, guardando in cagnesco il cellulare, e inizio a scrivere un lungo messaggio in cui le spiego, per la millesima volta, che non deve star male per un essere spregevole come David. Ovviamente due terzi della frase è costituito da parolacce e appellativi non proprio gentili nei confronti dell’interessato.
Dopo il mio sfogo, non sapendo cosa fare, opto per terminare gli esercizi di matematica che dovrei portare per domani. Mi accanisco sui numeri e su tutte le x e le y che incontro come se, risolvendo un’equazione, possa riuscire anche a trovare il teorema giusto per far smettere di soffrire la mia amica e dare una bella lezione a quel cretino.
Dopo più di un’ora che sono sui libri, la mamma mi chiama in salotto.
Scendo e mi trovo di fronte lei e mio fratello con due sorrisini stampati in faccia.
Mio padre non c’è, ovviamente.
-Tanti Auguri!- esclamano, vedendomi dalle scale.
Nel vedere la scena rimango un po’ interdetta, poi inizio a ridere. Mentre li ringrazio vengo abbracciata da mia madre e, un po’ più riluttante, da mio fratello.
Quest’ultimo si stacca e mi porge una busta da regalo.
La prendo e scarto il pacco all’interno, le mani che strappano fervide la carta. Dal peso sostanzioso, deve essere qualcosa di pesante, qualcosa come…
Un Mac.
Inizio letteralmente a urlare, saltare e fare un balletto della vittoria contemporaneamente. Mi sento una bambina che ha appena ricevuto il pony che tanto desiderava.
Intanto mamma mi mette qualcos’altro davanti alla faccia che io, immersa nell’adorazione del mio nuovo pc, non avevo notato prima.
Un mare di glassa, sormontato da morbide nuvole di panna e la frase “Tanti Auguri” scritta con tanti ghirigori.
Una torta.
-Ho fatto la tua preferita.- dice mamma, lo sguardo che luccica.
Io sorrido e al tempo stesso trattengo un brivido. Ho paura di quello che seguirà.
Ci sediamo intorno al tavolo del salotto, già apparecchiato con tre piatti, tre forchette e tre bicchierini di plastica.
Qui finirà male.
Non voglio mangiarla non voglio mangiarla non voglio mangiarla.
Mia madre mi passa la fetta di torta, con dentro altra panna e altra cioccolata.
Qui andrà a finire decisamente male.
Quante calorie avrà, trecento, quattrocento…mille?
No, è fuori discussione.
Io non mangerò questa torta, non voglio che una singola forchettata entri dentro il mio stomaco.
Sono mesi che non tocco questa roba: se inizio di nuovo ora, non la smetterò più. Ritornerò ad essere di nuovo grassa e brutta e Niall mi abbandonerà di nuovo.
Non voglio mangiarla non voglio mangiarla non voglio mangiarla.
Mia madre mi guarda con un sorriso incoraggiante. –Avanti su, mangia.-
Io afferro la forchetta e ne prendo un pezzo bello grosso, intanto fingo di essere interessata alla scritta sul retro della scatola del computer.
Devo trovare un modo per non mangiarla. Ma come fare?
Non posso sempre dire di non aver fame, o di avere mal di stomaco. Anche se ultimamente ma madre non è molto presente (metaforicamente, si intende) a causa del suo rapporto con mio padre, si accorgerebbe che qualcosa non va.
Forse potrei, potrei…
Sposto lo sguardo su Shila che scodinzola,carica di aspettativa. Se potessi, le darei la torta intera, ma per com’è la situazione in questo momento mi scambierebbero per pazza.
In effetti, cosa mi costa? Un pezzo di torta non mi ucciderà.
Mangiala.
No, non mangiala.
Mangiala, dannazione.
Non mangiarla, Hope!
I pensieri si scontrano, si aggrovigliano, non mi lasciano spazio. Mia madre mi guarda, Shila mi guarda, tutta la casa aspetta che io faccia qualcosa.
 Presa dal panico, faccio l’ultima cosa che avrei voluto fare.
Mi infilo il pezzo in bocca e ingoio.
Stupida, sono una stupida.
 
 

32.
 
Poco più tardi mi rifugio in bagno, chiudendo la porta a chiave e lascando scorrere l’acqua per non farmi sentire.
Mi prendo la testa tra le mani, il respiro affannoso quasi come se avessi corso per chilometri e inizio quasi a singhiozzare.
Provo a  fermare l’attacco di panico cercando di regolare il battito cardiaco, ma le lacrime continuano a scendere, a scendere e a scendere e sento come una mano che mi attanaglia lo stomaco e non so cosa fare.
Sto fallendo, sto fallendo.Tutto ritornerà come prima.
E io subirò la sconfitta una seconda volta.
 


33.
 
Io mio umore è sceso a picchi in questi giorni. Cassie non si fa viva neanche più per messaggio e non so neanche se è ancora viva, a casa non riesco quasi più a dormire e per di più ho un calo di zuccheri che mi rende intrattabile e costantemente nervosa.
Questa mattina il professore di letteratura ha dovuto chiamarmi ben due volte prima che mi accorgessi che mi stava chiedendo di leggere ad alta voce il quinto atto dell’Amleto; per quanto riguarda educazione fisica ho detto di avere dei crampi allo stomaco dolorosissimi e, anche se poco convinto, il professor Schmitz mi ha fatto restare seduta a guardare tra gli spalti i miei compagni.
All’ora di pranzo, inizio a sbucciarmi una mela.
Il braccio destro mi fa un po’ male a causa dei tagli di ieri sera, quindi cerco di concentrarmi di più sul movimento del polso più che sul dolore, estraniandomi dalla conversazione di Scarlett, Agata e Felicia, sedute alla mia destra. Tuttavia, quanto qualcuno fa stridere la sedia davanti a me sul pavimento della mensa, non posso non alzare lo sguardo.
Osservo la vaschetta piena di cibo e, al di sopra, il ragazzo che lo regge in mano.
-Sai, se continui così ne rimarrà solo il torsolo.- dice Niall, con un sorriso divertito.
 Io rido, senza sapere cosa rispondergli e anche perché non mi sarei mai aspettata che venisse a mangiare al mio tavolo.
Voglio dire, davanti tutta la scuola.
-Salve ragazze.- saluta tutte, prendendo posto e battendosi le mani sulle cosce.
-Ciao.- rispondo le altre, alternando gli sguardi a me e a Niall come se non ci avessero mai visto insieme.
In realtà, credo di avere la stessa espressione stampata in faccia, quindi cerco di mascherare il mio stupore.
-Di cosa state parlando?- chiede Niall, per infilarsi nella conversazione.
Scarlett è la prima a risanare e, grazie a Dio, risponde come se nulla fosse.
-Ehm, stavamo discutendo riguardo la gestione dei fondi nella scuola.- dice, sistemandosi su gli occhiali con l’indice. –Il professor Schimtz pretende ogni anno di avere l’esclusiva: attrezzi per curling, tute, palloni nuovi…la palestra si sta trasformando in uno sgabuzzino!-
-Mentre della classe di scienze nessuno se ne infischia.- aggiunge Agata, corrugando le sopracciglia. –Insomma, abbiamo telescopi che risalgono all’Era del Paleolitico.-
-E l’aula di chimica, allora? Il soffitto minaccia di crollare da un momento all’altro!- incara la dose Felicia.
Tutte e tre hanno la stessa identica espressione indignata e lo stesso solco tra le sopracciglia. Mi chiedo come facciano a fregarsene di questa roba.
Per me, è tutto tranne che interessante.
-E cosa volete fare?- chiede invece Niall, apparentemente sincero di conoscere la risposta.
Scarlett sorride, compiaciuta. –Scrivere un bel articolo per il giornale, prima di tutto. Quindi chiedere al preside di alzare il suo culo dalla sedia e impiegare i soldi che noi sborsiamo ogni anno nel modo giusto.-
-E secondo te si lascerà convincere?- intervengo io. –E, in ogni caso, il signor Schmitz è grosso abbastanza da incutere timore a ogni singola persona in quest’Istituto.-
-Già, quell’uomo fa davvero paura.- Niall finge di rabbrividire. –Però, se coinvolgiamo tutti gli studenti, o almeno una buona parte, sarebbe un punto a nostro vantaggio…-
Iniziano a scambiarsi idee per organizzare un qualche evento, ognuno interrompendo l’altro a metà frase e finirla al suo posto; vedo Niall dare consigli e ridere come se fossero amici da una vita.
Nonostante mi senta un po’ gelosa ogni volta che loro ridono alle sue battute, non posso fare a meno di guardarlo e di sentirmi…felice.
Perché Niall ha questa rara capacità di renderti felice con la sua sola presenza e di farti sentire parte del gruppo anche quando non lo sei, proprio come mi sento io in questo momento.
Per un secondo i nostri sguardi si incontrano e lui mi sorride, facendomi provare una sensazione di leggerezza alla bocca dello stomaco.
Perché Niall è questo: un soffio vitale.


 
34.
 
Sto percorrendo il corridoio del secondo piano verso l’aula B13 di educazione artistica quando mi sento strattonare per un braccio.
Io mi volto di scatto e resto impietrita, come se tutto le mie ossa si fossero all’improvviso calcificate.
-Devo parlarti.- Enuncia David O’Brien, senza neanche un cenno di saluto.
Cerco di sciogliere il nodo che mi si sta formando in gola.
-P-perché?- chiedo, sulla difensiva. Avrei voluto che dalla mia bocca uscisse fuori puro veleno, ma con David è difficile.
Lui incute timore al primo sguardo.
Non è mai stato molto alto, diciamo nella media, ma nell’ultimo anno è diventato davvero muscoloso. E adesso, qui davanti a me, sembra così grosso.   
David guarda in cagnesco un gruppo di ragazzini del primo anno, che ci stanno fissando vicino ai loro armadietti, prima di rispondermi.
-Vorrei fare una chiacchierata con te…in privato.- Altro sguardo omicida verso i ragazzini. Questi decidono saggiamente di darsela a gambe e sparire nella loro classe.
Incrocio le mani sotto al petto. –Qualunque cosa tu voglia dirmi, devi farlo qui.-. So che non è saggio sfidarlo, però è più forte di me, considerato il motivo per cui vuole parlarmi.
Lui mi guarda un attimo, gli occhi azzurri freddi e inquietanti, poi scrolla le spalle.
Appoggia una mano sul muro spoglio, accennando un ghigno storto.
-Ho notato che da un po’ di tempo Niall ha ripreso a frequentarti. Ovviamente non posso impedirgli chi vedere, dopotutto la vita è sua, solo che mi preoccupo della sua reputazione. Insomma, a camminare con gli zoppi…- lascia cadere la frase.
Ecco, come immaginavo.
-E ho notato anche che non riesci a stare nella stessa stanza con lui senza rischiare di svenire per terra.- continua, con il sorriso che si allarga sempre di più, pronto per attaccarmi con qualche cattiveria.
Io rimango in silenzio, aspettando che mi dica quello che so che mi vuole dire.
-Quindi, che ne dici di semplificare un po’ le cose? Tu gli stai alla larga, così eviti di fare una figura patetica davanti a tutti e Niall non dovrà vergognarsi di farsi vedere in giro con te.-
Io mi lascio sfuggire una risata.
-Ah certo, sono io quella patetica adesso? Non sono io quella che si fa degli amici incutendo timore…-
-Tu non ne hai di amici, questo lo sanno tutti.-
-Preferisco essere un’asociale che si sente incompresa da tutti piuttosto che ricercare l’attenzione di chi mi disprezza.-
-E con questo cosa vuoi dire?-
-Che Niall ormai ha smesso di prendere ordini da te.-
Vedo la sua mascella irrigidirsi e un lampo furioso guizzare davanti ai suoi occhi. Lentamente, lo vedo staccarsi dalla parete e avvicinarsi.
Mi ritrovo spiaccicata tra gli armadietti e il suo corpo, le spalle strette nella sua morsa.
-Senti troietta, io non so cosa cazzo passa in quella tua mente da depressa con manie suicide e neanche mi interessa. Ma stai. Lontano. Da. Niall.-, mi sibila pronunciando ogni parola a denti stretti, dopodiché mi sbatte di nuovo contro gli armadietti e si allontana a passo svelto.
Io ho la schiena che mi fa male e le gambe che tremano, magari ho anche lo sguardo da cucciolo spaventato. Il solo pensiero di David compiaciuto per la mia reazione da bambinetta mi smuove qualcosa dentro.
Non gliela darò vinta, non questa volta.
-Questa rabbia ti renderà sempre più marcio dentro. Che cosa ti spaventa, David?- gli urlo contro, più forte di quanto dovrei, considerato che ci troviamo all’interno di una scuola.
Lui si ferma in mezzo al corridoio, rimanendo immobile come se fosse una statua. Si volta per lanciarmi un’occhiata glaciale che non riesco ad interpretare ma che mi fa rizzare i capelli dietro la nuca, poi si incammina di nuovo e svolta l’angolo.
Mentre rimango lì in attesa che il mio cuore torni a pulsare in modo regolare, continuo a rievocare l’immagine dei suoi occhi azzurri oscurarsi alla mia domanda
e di come, per la prima volta in tutta la mia vita, David O’Brien mi sia sembrato debole.
 
 
 
 

-I want you to rock me, rock me, rock me YEAH! *si ultimamente sono in fissa per questa canzone*

Hola Directionersssss, come state?:D
No, non sono morta.
No, non mi hanno rapito gli alieni.
No, la scuola non mi ha ancora fatto fuori. Anche se ci sta provando…
Mi dispiace IMMENSAMENTE per non essermi fatta sentire per ben…omg due mesi?O.O
Io non ho aggiornato per DUE MESI?!
*si prende a pesci in faccia*
Ok, avete ragione voi. Non serve neanche chiedere scusa, perché sono imperdonabile!
La scuola, gli impegni, la mancanza di ispirazione e di conseguenza la poca voglia di scrivere mi hanno fatto dimenticare di avere un profilo qui su efp :3
*Mio dio ancora non ci credo, due mesi…=S*
Maaa, visto che tra pochissimo i lunghi nove mesi di detenzio…ehm, di amatissima scuola giungeranno al termine, spero di avere maggior tempo per essere più presente ;)
Prima di andare, non posso non ringraziare TUTTE voi mie amate Directioners che leggete e commentate questa storia.
Immagino che adesso vi abbia scocciato (e vi capisco: la colpa è solo mia!) ma vi prego: abbiate un altro po’ di pazienza.
Ci tengo molto a questa storia e tengo ancora di più al vostro parere, vorrei sapere cosa ne pensate in generale e del capitolo di oggi, ditemi se non apprezzate oppure se vi piace
ciò che scrivo.
L’altra volta avevo detto che questo capitolo mi sarebbe piaciuto moltissimo..in realtà non è stato così :'D La scena che volevo tanto fare l'ho rimadata ai prossimi capitoli, ovvero l'11 o il 12…dipende da come vorrò organizzare e disporre gli eventi nella storia xD
Devo dire che qui il fatto più importante, anche se non sembra, è l'incontro con David. Tenete a mente la frase sotto al titolo e la domanda di Hope ;)
Adesso evaporo, ho scritto più qui sotto che nel capitolo :’D
Grazie di nuovo a tutte voi che mi supportate (e mi sopportate) ogni volta, siete il fandom più bello del mondo :’) *momento di sentimentalismo*
Un bacio =* <3

 
 

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Capitolo 11
*** 11. My wounds and my scars ***



11. My wounds and my scars.

 

 
35.
 
Il sabato è il giorno più bello della settimana.
Primo motivo: non devo andare a scuola.
Secondo motivo: posso poltrire quanto mi pare senza nessuno che mi dica di pulire la casa, rifare il letto, mettere in ordine la mia stanza.
Terzo motivo: nessuno, neanche una singola persona, può disturbar…
Il cellulare inizia a squillare.
Come non detto.
Mugugno con la testa sotto al cuscino, rifiutandomi di rispondere.  Voglio stare al calduccio nel mio letto e nessuno me lo impedirà.
Ma chiunque mi stia chiamando non me lo lascerà fare.
-Rispondi a quel cavolo di cellulare!- urla Nick dalla sua stanza.
Io mugugno di nuovo e, sbuffando, mi porto il telefono all’orecchio.
-Dimmi che hai un buon motivo per chiamarmi alle nove di un sabato mattina.-
-Stavi dormendo? Scusami, non lo sapevo.- dice Niall, dall’altra parte. La sua voce non è allegra come sempre, è bassa e sembra un po’ nervosa.
Questo mi sveglia all’istante. Mi metto a sedere in un attimo.
-Va tutto bene?- chiedo, cauta.
Niall fa una pausa. –Posso venire da te? Così ti dico cosa succede.- risponde poi.
-Va bene, dammi dieci minuti.-
Riattacco e mi infilo in bagno con i vestiti in una mano. Mentre mi lavo i denti lancio uno sguardo allo specchio.
Mio Dio, i miei capelli sono un disastro! Sono schiacciati sopra e sparati in tutte le direzioni! E le occhiaie…sembra che non dorma da giorni!
Mi lavo e mi vesto in fretta, dopodiché cerco di rimediare a quell’obbrobrio che ho davanti.
Quando bussano alla porta sto sistemando i miei ricci, raccolti in una coda alta, cercando di definirli e renderli più presentabili.
Mi precipito all’ingresso e apro la porta, spostando Shila che cerca di scappare fuori con un piede e facendo entrare Niall.
-‘Giorno.- lo saluto, osservando i capelli sistemati con il gel, la maglia rossa casual e i jeans strappati ad arte sopra un paio di nike.
Come fa a essere così bello e impeccabile appena mattina? Io ho un jeans vecchio di anni e una maglietta troppo aderente per indossarla in pubblico, per di più sembro uno spaventapasseri.
-Ciao.-  mi sorride lui, stampandomi un bacio sulla guancia. Io gli rispondo con un sorriso.
Sto pregando Dio, Buddha e Spongebob affinché io non abbia la faccia rossa come un pomodoro.
Il punto in cui le sua labbra mi hanno toccato va letteralmente a fuoco: da quando abbiamo rincominciato ad uscire insieme è diventato un gesto abituale, ma che mi lascia sempre con il fiato corto. Non sono molto abituata a queste manifestazioni di affetto.
-Allora, cos’è successo?-  piego un po’ la testa, lo sguardo curioso. –Sembravi nervoso prima al telefono.-
-Si, ma non riguarda me. E’ per Cassie.- replica lui, guardandomi con sguardo preoccupato.
Aggrotto le sopracciglia -Cassie?-. Associo subito il suo nome a quello di David.
Dopo quel piacevole incontro in corridoio non abbiamo più avuto modo di parlarci, ma le occhiatacce che mi perforano la nuca ogni giorno a scuola solo più eloquenti di qualsiasi discorso intimidatorio.
-Cosa ha fatto David?- i miei occhi mandano lampi.
Niall sospira. –Prendi il pc e guarda tu stessa.- 
 
I miei occhi sono fissi sullo schermo, come guidati da qualcun altro.
-Non ci posso credere.- sussurro piano, a nessuno in particolare.
-E’…terribile.- acconsente Niall, al mio fianco.
Faccio scorrere le foto che Cassie ha postato su Facebook ieri sera.
Un lungo taglio sul braccio destro. Due sul sinistro. Dei taglietti sul volto.
-Si è fatto questo per David?- la mia voce è calma, ma non riesco a celare una punta di acidità.
Niall sospira. –Sono passate settimane da quando si sono lasciati, ma lei è l’unica a starci davvero male. L’hai vista a scuola…- lascia cadere la frase.
Oh si, eccome se l’ho vista. Il giorno dopo il mio compleanno si è presentata a scuola, bella, truccata e sorridente. Rideva e camminava per i corridoio con il suo solito passo sicuro e la testa alta, come se tutto andasse alla perfezione.
Ma non era così. Io vedevo i suoi sorrisi per com’erano davvero, ossia una finzione per dimostrare agli altri che, nonostante tutto, lei aveva abbastanza forza per andare avanti.
Credevoche fosse così, ma a quanto pare mi ero sbagliata.
Il suo è un pubblico grido d’aiuto. Quelle foto, le frasi melanconiche pubblicate la sera tardi, sono come un’insegna che urla “Sto soffrendo, aiutatemi!”.
E, dai commenti dei suoi numerosi amici, l’hanno sentita eccome.
La conosco da tanti anni, dovevo aspettarmi un gesto così egocentrico da parte sua: se lei sta soffrendo, deve fare tutti partecipi alla sua Odissea interiore.
Lo sbigottimento di poco prima si trasforma in indignazione.
-E’ solo un modo patetico per attirare l’attenzione.- commento, fredda.
Niall si volta, stupito. –Hope, è tua amica e tu dovresti comprenderla…-
-Non sto dicendo che non stia soffrendo per David.- lo interrompo subito –Ma mettere foto per far vedere a tutti come ti autolesioni è…sbagliato.-
Si, sbagliato. Non mi viene una parola migliore per esprimermi.
L’autolesionismo è una punizione. E chi è forte accetta le sue punizioni in silenzio, non le sbandiera ai quattro venti come ha fatto Cassie.
Se soffri davvero, non lo dirai mai a nessuno.
Questa è la punizione maggiore.
 -A volte fingiamo di star bene per far in modo che le altre persone non si accorgano che stiamo male, ma la verità è che speriamo che queste persone si rendano conto che non stiamo come cerchiamo di apparire ai loro occhi.- Cita Niall. –Forse Cassie si è stancata di fingere e aspettare che qualcuno si accorgesse di quanto soffra.-
-Dobbiamo aiutarla.- insiste, quando vede che io non rispondo.
Mi guarda in modo serio, quasi come un papà che spiega alla propria figlia che è sbagliato prendere in giro gli altri bambini e che bisogna sempre giocare e condividere la merenda con tutti. Io invece mi fisso le unghie.
Tutto quello che ha detto è giusto e non mi sarei aspettata niente di diverso da un tipo come Niall, sempre in prima fila per aiutare gli altri, sempre così comprensivo…
 eppure questo non fa sì che io smetta di provare un ingestibile quanto inspiegabile rancore nei confronti di Cassie.
Lei, cosa ne sa del dolore? Lei, che è sempre stata così perfetta, cosa ne sa del dolore?
E’ sempre così…quando le persone soffrono credono di stare per morire. E devono dirlo a qualcuno, perché proprio non ce la fanno a tenersi tutto dentro.
E a me, chi ci ha mai pensato? Chi mi ha consolato quando mi sentivo inutile, quando guardavo gli altri e non facevo alto che sentirmi inferiore a loro? Chi mi ha mai detto di rimanere così come sono perché la me genuina era migliore di una me schiava delle apparenze?
Nessuno. Magari è questo che mi rode maggiormente: non avere nessuno al mio fianco.
“Sei bellissima, non cambiare mai.”Mi sussurra il ricordo della voce di Niall la sera di Capodanno.
Se non ci fosse Niall davanti a me scuoterei forte la testa.
No, quello è diverso. Tutti ti cercano ti vogliono ti amano quando sei magra.
Ma chi c’era, quando la bilancia segnava quel dannato sessantasette virgola quindici e le voci nella mia testa mi urlavano che era per colpa del mio peso se nessuno, neanche Niall, mi voleva?
-Le andrò a parlare.- dico infine. Non ho specificato quando, forse domani. Oggi non credo proprio.
 
 
36.
 
E’ da un po’ di tempo che mia madre si comporta in modo strano.
Non si tratta solo delle profonde occhiaie incise sotto gli occhi, infondo le discussioni in piena notte non sono una novità, ma è il suo volto a preoccuparmi maggiormente.
E’ malinconica, triste, fuma troppe sigarette e passa troppo tempo fuori casa oppure da Maura.
Ho sospettato che stesse succedendo qualcosa.
Oggi ho scoperto cosa.
Ero in camera mia, come al solito, ad ascoltare un po’ di musica per cercare di togliermi dalla mente le immagini di Cassie e dei suoi tagli, quando chiamò me e Nick al piano di sotto.
Stava piegando i panni, la tv accesa e una cesta arancione della biancheria sul tavolo.
Ci ha fatto sedere. Ci ha guardato negli occhi, prima mio fratello e poi me, e ha iniziato così:
-Sapete che ultimamente le cose tra me e vostro padre non vanno molto bene.- Il tono con cui aveva pronunciato “vostro padre” faceva presagire tutto.
–Ormai la situazione mi è sfuggita di mano, non posso più controllarlo…e non ne ho neanche voglia di farlo.-
Sospirò, prima di continuare.
-Ragazzi, sono diciassette anni che vado avanti così, non ce la faccio più. Ho chiesto la separazione.-
Continuò a dire che non ce la faceva più, che la situazione aveva preso una piega sbagliata che non poteva più risolversi e ci implorò di essere comprensivi.
Noi annuimmo, come solo i tipi comprensivi sanno fare, poi salimmo le scale e ritornammo ognuno nella propria stanza a continuare ciò che stavamo facendo, con il sottofondo del solito talk-show delle quattro emesso dalla televisione.
Il tutto è durato solo dieci minuti.

 
37.
 
Adesso sono di nuovo sul mio letto, ma ascoltare la musica mi sembra decisamente una cattiva idea, perciò rimango a guardare il soffitto azzurro della stanza.
 Detto tra noi, sapevo che questo giorno sarebbe arrivato.
Ho sempre immaginato la mia reazione alla notizia: io che piango, scalcio, lancio il servizio di piatti contro il muro, tiro giù le tende del salotto o butto la televisione fuori dalla finestra; io che urlo con tutto il fiato che ho, dicendo che non mi possono fare questo, che una famiglia deve rimanere unita, altrimenti non è più tale.
Dovrei fare tutte queste cose, anche solo piangere andrebbe bene.
Ma non ci riesco.
Quando si arriva al limite sono due le cose da fare: cercare di superare questo limite oppure mollare.
Mia madre non ce l’ha fatta. Io non la biasimo nemmeno.
So che adesso sarà tutto diverso. Mio padre se ne andrà di casa, io e mio fratello dovremmo passare i fini settimana con lui, magari fingendo di non incolparlo per quello che è successo, anche se in realtà la colpa è solo sua.
Non ci saranno più le settimane al mare, i viaggi in montagna nel periodo di Natale, le gite al centro commerciale, le cene al solito ristorante.
Inizieremo ad odiare tutte queste cose, perchè ci ricorderanno un qualcosa che non ci sarà più.
E io dovrei essere triste per questo.
Ma non ci riesco.
 

38.
 
Il fine settimana e il conseguente breve periodo di pausa che ne comporta si è allontanato da me, lasciandomi in balia di mille preoccupazioni, quali:
a)      Un’amica egocentrica con problemi di autolesionismo;
b)     Una famiglia che sta lentamente ed inesorabilmente crollando;
c)      Nottate insonni, alimentate da urla indemoniate a solo un muro di distanza;
d)     Periodi di digiuno alternati da altri di forzato nutrimento per salvare le apparenze e dimostrare che sono ancora una brava bambina;
e)     Un certo ragazzo (alias David) che non smette di incenerirmi con lo sguardo ogni qualvolta mi trovo in presenza di un’altra certa persona (alias Niall);
f)       Una reputazione che, proprio a causa del certo ragazzo sopra citato, non fa altro che scendere, intaccando così non solo il mio morale, ma anche la mia autostima già pericolosamente barcollante (per usare un eufemismo).
Mentre mi allaccio le scarpe da ginnastica ai piedi per l’ora di educazione fisica, non faccio altro che passare in rassegna tutti questi punti della mia vita che hanno decisamente bisogno di essere sistemati, anche se non sono molto fiduciosa a tal proposito.
Cerco di non pensarci, quindi finisco di sistemarmi e aspetto Cassie vicino all’ armadietto. Lei, sorridente, mi viene vicino e mi sorride.
E’ decisamente palese che si è tagliata un’altra volta, sul viso perlopiù, dove tutti lo possono vedere. Ed è altrettanto evidente che lei vuole che io lo noti: nel suo sguardo noto una luce di aspettativa.
Io la guardo, impassibile, per poi chiedere: -Allora, si va a correre?-
 
 
39.
 
I tornei regionali sono vicini, quindi ultimamente il signor Schmitz passa la maggior parte del tempo a stremare quei poveri ragazzi nei passaggi, tiri liberi, finte e tutte quelle tecniche di cui io non ho la più pallida idea.  
-Avanti ragazzi, altri dodici giri!- urla l’interessato, per poi fischiare con tutto il fiato che ha.
La prima volta che gli sento usare quel dannato fischietto!
Dopo essersi assicurato che noi povere anime stiamo sudando sette camice e non a girarci i pollici, ci volta le spalle e ritorna in palestra ad allenare la squadra di basket.
Noi poveri impediti-del-canestro dobbiamo sgobbare e farci venti giri di campo. La mia classe si trova quasi interamente qui fuori a correre, mente della classe che condivide la palestra con noi ce ne sono pochissimi, per lo più femmine.
Quasi tutti, una volta che il prof. volta le spalle, iniziano a camminare e a chiacchierare tra di loro.
Io non voglio dargli la soddisfazione di proferire a gran voce la mia mancanza di partecipazione verso la sua materia (in poche parole, la mia poca voglia di fare qualunque tipo di sport), quindi continuo a correre a piccoli passi e intenta a portare a termine il compito, come una  determinata tartarughina.
-Ti allenti per la maratona?- mi chiede una voce un po’ affannata, che mi fa sussultare.
Mi volto, senza smettere di corricchiare. –Niente posto tra gli atleti per te?- provoco.
Niall alza il mento in modo altezzoso. –No, sono troppo bravo per loro, farei sfigurare tutti.-
Io rido, condiscendente. –Tu sei più bravo nel calcio che nel basket.- dico, ricordando i pomeriggi in cui lo guardavo giocare con gli altri bambini nelle strade del nostro quartiere.
-Si, decisamente.- acconsente lui, poi si volta direttamente verso di me.
-In questi giorni sei stata strana, tutto ok?- mi chiede.
-Certo, va tutto benissimo.- rispondo prontamente, cercando di prendere più aria possibile dal naso per non mostrare di quanto poco fiato io sia dotata.
Mi sento decisamente debole, un po’ intontita e ogni tanto vedo delle macchie nere davanti a me, ma dubito che si riferisca a quello.
So per certo che sappia qualcosa riguardo ai miei genitori, perché dal suo sguardo sembra non credere alle mie parole.
Si blocca all’improvviso. -A me puoi dire tutto, lo sai?- mi dice infatti, gli occhi rassicuranti.
Io mi fermo con lui.
Quell’espressione…non la posso soffrire.
Così compassionevole.
-Non se mi guardi come se fossi un cane bastonato.- dico, stizzita.
-Scusa, non volevo. Ho sentito i tuoi litigare questa notte e ho pensato che…-
-Ah, ecco cos’era.- lo interrompo, soddisfatta di aver colto nel segno. –Non è la prima volta che urlano in quel modo, e sinceramente è l’ultimo dei miei pensieri ultimamente.- La testa mi inizia a pulsare e girare contemporaneamente. Invece che correre, inizio a camminare.
-E poi, questa scuola è piena di genitori separati, vedrai che non sarò l’unica, anzi, magari sarò accettata di più di quanto non lo fossi prima…-
-I tuoi genitori si separano?- Niall mi blocca per un braccio e mi guarda con tanto d’occhi. 
 -Perché, non lo sapevi? Ops.- Mi viene da ridere per la sua espressione, è più scioccato di quanto lo dovrei essere io.
Lui si che è un figlio perfetto, fa tutto ciò che ci si dovrebbe aspettare da lui.
Continua a guardarmi con uno sguardo ancora più compassionevole. –Ne vuoi parlare?-
Io sbuffo, infastidita. –Non credo che parlarne potrebbe risolvere qualcosa. E comunque sto bene, Niall, non mi serve uno psicol…- Inizio a sentire delle vampate di caldo, la testa vortica più forte di prima, annebbiandomi la vista con piccole chiazze nere. Ad un certo punto mi assale anche la nausea  e credo di star per vomitare e so che se avessi qualcosa nello stomaco uscirebbe fuori.
Ma l’unica cosa che faccio è svenire per terra davanti ad un Niall scioccato.







Ho aggiornato alla velocità della luce: M-I-R-A-C-O-L-O!!!
Ahahahah ciao a tutte Directioners :D
Come stanno andando le vacanze???*o* Io passo le giornate a non fare praticamente niente, oltre a leggere, stare su Internet, scrivere (quando ne ho voglia, lol) oppure semplicemente stare allungata sul divano con la vitalità di un bradipo xD.
Se alcune di voi sono impegnate con gli esami. TENETE DURO, LA TORTURA FINIRA' PRESTO!!! E soprattutto buona fortuna per tutto ;)
Rigrazio le anime pie che hanno recensito il capitolo 10...VI AMO!*-* Mi fa piacere vedere che molte di voi continuano a leggere la mia storia :'')
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo, dopodichè pubblicherò il prossimo capitolo asdfghjkl :D

Se qualcuno ne ha voglia, ho scritto una OS che si chiama "Everything Ends" mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate :)
E, visto che mi sento sola, chiedetemi l'amicizia su Facebook e seguitemi su Twitter.
Anzi, già che ci sono, se volete datemi fastidio su Ask xD
Adesso vado:3
Un bacio amori miei =*

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Capitolo 12
*** 12. I wanna be there for you. ***


12. I wanna be there for you.




“Dovremmo imparare a dire quello che sentiamo subito,
 e non aspettare in continuazione.
Che a volte aspettare e non dire niente è peggio
che dire qualcosa e beccarsi una mazzata.
Che a furia di aspettare e non dire niente,
uno le mazzate rischia di darsele da sè.
E fanno pure più male.”

Alessandra Recchimurzo
 

 
40.
 
Quando riemergo dallo stato di incoscienza, sento un brusio intorno a me. Il suono di tante voci accavallate mi trapana le tempie, e io riesco a cogliere solo una parola.
Ambulanza.
Sento il sangue affluire più velocemente nelle vene e mi sollevo d’istinto.
-No, niente ambulanza…- biascico, con la bocca secca e impastata.
Una mano si poggia delicatamente sulla mia spalla.
-Sta tranquilla, ho detto al professor Schmidt che non ce n’era bisogno.- mi rassicura la voce gentile dell’infermiera scolastica.
Mi volto verso di lei, osservando il viso tondo e il sorriso materno della donna dai capelli rosso fuoco, mentre i suoi occhi marroni ricambiano a loro volta con curiosità.
-Per quando tempo…?-
-Sei stata priva di coscienza?- intuisce la mia domanda –Neanche due minuti, ti hanno appena portata qui in infermeria. Il professore voleva chiamare un’ambulanza, ma ho detto che non ce ne sarebbe stato bisogno.- ripete -E’ un leggero calo di pressione, in questo periodo molte ragazze della tua età ne sono soggette, non c’è niente di cui preoccuparsi.- mi sorride dolcemente prima di passarmi un succo di frutta e una barretta al cioccolato presi dal distributore.
Io li prendo, accennando un ringraziamento, mentre lei mi informa che devo prendere delle pastiglie di ferro per evitare altre brutte cadute come queste, quindi inizia a scrivermi un appunto su un foglietto.
Quando se ne va, mi stendo di nuovo, la testa che mi gira leggermente. Mi basta un’occhiata veloce per notare che non siamo nell’infermeria della scuola -al secondo piano- bensì in quello della palestra, che è piccola e gremita di oggetti scolastici vecchi e inutilizzati: una lavagna, due sedie rotte, cartine geografiche più antiche di mia nonna e un armadio con all’interno altrettanta cianfrusaglia. L’unico indizio che fa trapelare l’idea di un’infermeria è il lettino su cui sono stesa.
Sospiro, chiudendo gli occhi e rilassandomi nel silenzio della stanza.
Questa volta l’ho fatta grossa. Avrei dovuto cenare ieri sera, invece che accontentarmi del misero panino che avevo messo sotto i denti per pranzo. Devo stare più attenta a queste cose d’ora in avanti, perché se accade di nuovo di svenire davanti a tutti, mia madre si insospettirà. Penserà che c’è qualcosa che non va, mi farebbe visitare e sicuramente si presenterà qualche risultato che insospettirà il dottore. Non che io sia magra e si possa pensare all’anoressia, ma se una persona passa le giornate a digiunare o a mangiare quantità ridicolamente ridotte di cibo, credo che il corpo abbia da ribellarsi.
Beh, un giorno mi ringrazierà. Penso, stizzita.
Mi sento veramente stanca: potrei addormentarmi qui, se volessi, ma non credo che sia il caso. Immagino che grasse risate si sta facendo David su di me in questo momento.
Mi rimetto di nuovo seduta, svuotando il succo in pochi sorsi e rimanendo con la barretta in mano, esitante.
Dovrei mangiarla. Devo mangiarla.
Ma non posso. Non ora, dopo tutti i sacrifici che ho fatto.
Non ora, che sono quasi arrivata al traguardo.
Soppeso il contenuto di quella carta colorata e la stingo tra le dita. Mi alzo in piedi, sentendomi stordita e con le membra pesanti, quindi esco fuori e butto la barretta nel cestino di fianco alla porta.
Alzo lo sguardo dal coperchio azzurro per dirigermi nello spogliatoio e prendere la mia roba, ma sorprendo altro azzurro a fissarmi.
Gli occhi di Niall.
 
 
41.
 
Niall mi fissa, confuso e accigliato. –Avresti dovuto mangiarlo, se hai un calo di zuccheri.- dice –Perché l’hai buttata?-
Io, nel panico, trovo la scusa più stupida e inverosimile che potessi mai trovare.
–Non mi piace il cioccolato.- e per essere almeno più convincente arriccio il naso.
Lui, ovviamente, non se la beve neanche per un secondo. Mi guarda, scettico.
-Ah no? E da quando?- Mi conosce da troppi anni, sa che è una balla grossa quanto una casa.
Io amo il cioccolato. Da piccola ho mangiato un’intera torta al cioccolato ricoperta di panna e zuccherini rosa. Da sola. E volevo vivere in un castello fatto con la cioccolata kinder.
Io amo amavo il cioccolato.
Cerco prontamente di evitare la domanda. –Per quanto tempo sono rimasta svenuta?- chiedo, anche se so già la risposta.
Lui mi studia, indagatore. –Pochi minuti. Ti ho portata subito qui.-
Lo guardo sorpresa. –Sei stato tu?- La mia espressione deve essere ridicola.  Mi hai presa in braccio?!
-Si.- dice, rispondendo a entrambe le domande –Mi sei svenuta praticamente addosso.-
Avverto il sangue affluirmi sulle guance. –S-scusa.- balbetto.
Lui mi sorride, affettuoso. –Non devi scusarti. Però mi hai fatto prendere un colpo! Stavi parlando e poi, d’un tratto…- il suo volto si scurisce.
Ripenso a cosa stavo dicendo prima di cadere e fare la figura del clown e divento paonazza.
Gli ho detto dei miei genitori. Non ci credo.
Non ci credo! A cosa cavolo stavo pensando?!
Dall’espressione di Niall, so che sta per dire qualcosa, qualcosa per consolarmi, magari. –Senti…-
-Scusa Niall, devo andare.- mi affretto a interromperlo e gli sguscio di fianco.
I suoi polpastrelli mi sfiorano il polso e io mi volto subito verso di lui.
Riabbassa la mano, lentamente. –Lo sai che prima o poi ne dovremmo parlare, vero?- il suo tono di voce è basso e grave.
-Non è necessario.- replico, dura.
-Si invece.- ribatte prontamente lui. –So che vuoi far vedere che non te ne frega niente ma che in realtà ci stai male e so che vorresti qualcuno con cui parlare.-
Spalanca leggermente le braccia, come per invitare qualcuno a tuffarcisi dentro. –Io sono qui.- mormora.
Ingoio il nodo che mi blocca la gola, mentre cerco allo stesso tempo di non urlargli conto che si sbaglia.
Ed è strano come  -quando a malapena mi guardava- avrei voluto dirgli tutto, i miei pensieri, i miei tormenti, la mia poca autostima, la voglia che avevo di stare con lui ma la dolorosa consapevolezza che lui non voleva altrettanto.
Ma poi sono arrivati i tagli e i digiuni, e gli appuntamenti settimanali con la bilancia e i sensi di colpa dopo mangiato e dopo non aver mangiato e i sentimenti verso Niall che diventavano sempre più forti.
Sento tutto questo come una debolezza, un tallone d’Achille messo in piena mostra e non voglio aprirmi, perché se inizio finirà male  e lui mi guarderà come si guarda una pazza.
Vorrei tanto dirgli tuttoNon devo dirgli niente.
Esito un attimo, poi mormoro un “grazie” e mi rintano nello spogliatoio femminile completamente deserto.
 
 
42.
 
L’ora di letteratura è una delle mie preferite, in cui non ostento indifferenza come gli altri ragazzi, anzi, sono una delle poche che ascolta la lezione con molto interesse, anche se non intervengo mai.
Oggi però mi sento stanca e il tentativo di Niall di convincermi ad aprirmi con lui come facevo una volta mi ha turbata.
Perché adesso ho capito che non è più come prima.
Adesso ho troppo da nascondere, anche a lui.
E Niall, nonostante tutto, ho come la sensazione che mi nasconda qualcosa o, quantomeno, non mi dica tutto quello che gli passa per la testa.
Non lo biasimo per questo, sarebbe come il bue che dice cornuto all’asino.
Ma questa è la prova che, per quanto ci sforziamo di comportarci come se questi due anni non siano mai trascorsi, la realtà è ben diversa e questi due anni separati si sentono eccome.
Oh, perché non possiamo tornare bambini?
Un biglietto “plana” sul mio banco. Alzo lo sguardo e vedo Cassie, seduta nel banco davanti al mio, che mi sorride al di sopra della spalla.
Apro il biglietto, una pagina a righe strappata da un quaderno:
 

 Volevo venire da te in infermeria, ma Herr Schmidt ha iniziato a sbraitare dicendo di tornare ad allenarci e minacciando altri trenta giri :(
Come stai? 

 
Cassie che si preoccupa per me? E’ il primo pensiero scettico che mi frulla nella testa.
Mi pento subito di averlo pensato, perché dopotutto noi siamo amiche e, nonostante il suo perenne egocentrismo, ci tiene a me. Scribacchio la risposta senza farmi vedere dalla prof, intenta a spiegare una strofa de “La tragica storia del Dottor Faust”.
 
Un po’ fiacca, ma sto bene ;) Era solo un calo di pressione.
 
Le passo il biglietto con noncuranza, lei lo apre, legge la risposta e mi fa l’occhiolino.
Mentre la guardo, mino con le labbra “Tu stai bene?”.
Lei abbassa lo sguardo, improvvisamente triste, e scuote la testa.
Oh Cassie, perché continui a farti del male in questo modo?
 
 
43.

Oggi, di ritorno da scuola, mamma ci ha dato la notizia.
Tra due settimane papà se ne andrà di casa.
 
 
44.
 
Dopo cena mi butto sul divano, il pigiama addosso e il telecomando stretto in mano.
Shila si stende al mio fianco e trova la posizione giusta per dormire.
Mentre faccio zapping tra i canali, mio fratello entra e si siede, poggiando il gomito sul bracciolo. Ha il labbro inferiore sporgente, come tutte le volte che è imbronciato per qualcosa, e fissa distrattamente il cellulare.
-Che hai?- chiedo, spinta dalla curiosità e dalla rarità della situazione.
Lui scuote la testa, un cenno per dire “non ne voglio parlare” e inizia ad accarezzare Shila, senza però badare a quello che fa.
Non insisto, volendo rispettare la sua privacy, ma fremo dalla voglia di sapere che cosa gli prende. Quello sguardo si ha solo quando si è tristi oppure arrabbiati per colpa di qualcuno. Come quando…
 Una lucina si accende nei meandri della mia mente.
Una ragazza.
Sento il suo cellulare vibrare e allo stesso tempo Nick sobbalzare dal divano.
Lo tira fuori velocemente e legge il messaggio. In un secondo si illumina.
Ostentando indifferenza, si alza per cercare le scarpe e, venti secondi dopo, è già sulla porta.
-Io esco! Dì alla mamma che torno prima delle undici.- si affretta a dirmi, mentre si infila la giacca.
-Va bene, buona fortuna con la tua amorosa.- sghignazzo, cambiando canale.
Non replica nulla mentre si chiude la porta, ma sono sicura che sia arrossito.
Non riesco a trattenere un sorriso affettuoso al ricordo del suo sguardo mutato così in fretta alla vista del messaggio.
E’ lo stesso che ho io ogni volta che penso a Niall?

 
45.
 
-Alt! Cos’è questo?- chiedo, non appena mi avvicino al tavolo del fast food, indicando il piatto strabordante di hamburger e patatine fritte.
Niall, sorridendomi, ingoia lentamente. –Ti ho ordinato da mangiare, non ti da fastidio vero?-
Io scuoto la testa in segno di diniego. –Ho già mangiato. Ma lo posso portare a casa, sempre se non lo vuoi tu.- mi affretto a  dire notando la sua espressione severa.
Nervosa, prendo posto davanti a lui. Il locale non è eccessivamente pieno, i tavoli intorno a noi sono vuoti e la maggior parte dei clienti preferisce sedersi vicino alla vetrina.
Iniziamo a parlare di cose leggere, come la scuola o i programmi per il resto del fine settimana. Cerco di ignorare lo sguardo che mi manda Niall, quello sguardo che sembra dire
“so che c’è qualcosa che non va”, poi assume un tono serio e inflessibile e il tentativo di mostrare indifferenza crolla miserabilmente .
-Dobbiamo parlare, lo sai?- Mi fissa, silenzioso, mentre finisce il suo panino; io intanto giocherello con il sale e il pepe, nervosa, perché so di cosa vuole parlare.
Sono quattro giorni che tento di evitarlo, o almeno di evitare il discorso, ma lui è talmente cocciuto che vuole tornarci ad ogni costo.
 -Dobbiamo proprio?- chiedo, esasperata.
-Hope.- comincia e il suo tono preoccupato mi raggiunge al cuore. –Dopo che tuo padre se ne andrà di casa, cambierà tutto. La separazione non è una cosa da prendere alla leggera…-
-Infatti io non l’ho presa alla leggera, sto dicendo che non mi va di parlarne, anche perché non c’è assolutamente niente da dire!- ribatto, controvoglia.
Niall ha colto il mio umore, ma non vuole mollare. –Immagino che veder crollare la propria famiglia sia doloroso e so che vuoi difenderti da questa esperienza, ma non c’è niente di male a chiedere aiuto.-
-Sai che esperienza dolorosa! Questo non è niente in confronto al resto…- borbotto, spostando lo sguardo sul soffitto.
-Al resto cosa?- chiede lui, fattosi attento. I suoi occhi si sono fatti preoccupati, mi studiano attenti.
Mi rendo conto di quello che stavo per dire e cerco di rimediare al danno che stavo per commettere, ai segreti che avevo rischiato di spiattellare. –Ehm, insomma…c’è di peggio che una donna e un uomo alcolizzato che si separano, no? Senti…- faccio un gesto, come per liquidare la questione. –Io. Sto. Bene. Sul serio. Credo che sarà la cosa migliore per me, per Nick, per mia madre. Staremo meglio solo noi tre.- O almeno lo spero.
Il mio tono  ha un che di definitivo, quindi Niall, dopo avermi guardato per qualche secondo per cogliere una possibile menzogna, annuisce e finisce di mangiare, in silenzio.
 
 
Dopo aver lasciato il fast food ce ne torniamo a casa, non sapendo cosa fare.
Questa è stata una delle settimane più calde di marzo e, mentre camminiamo sul marciapiede, ci facciamo superare da due ragazzi che stanno approfittando del bel tempo facendo jogging.
Se fossi meno ossessionata da quello che pensano le persone su di me, lo farei anch’io, penso distrattamente.
Davanti casa non c’è nessuna macchina, segno che i miei sono fuori. Invito Niall ad entrare e, mentre Shila gli fa le feste, chiamo mio fratello dalle scale. Nessuna risposta.
Ultimamente a nessuno della mia famiglia piace stare qui, preferiscono uscire e pensare ad altro per qualche ora prima di tornare e affrontarsi l’un l’altro.
Per di più, ultimamente Nick è sempre arrabbiato e suscettibile. Le cose devono andargli male anche con la ragazza.
Vado in bagno per prendere un elastico abbandonato sulla mensola, quindi mi sistemo i capelli in una coda alta, lasciando libero un unico boccolo.
Mentre gli altri mi solleticano la schiena, mi osservo allo specchio. Gli occhi scuri sono truccati solo con del mascara e mi restituiscono un’occhiata scettica e insieme preoccupata e, noto con orrore, la mia pelle è eccessivamente bianca in contrasto con la chioma scura.
Manca soltanto che inizi a uscire soltanto di notte e tua madre inizierà a sospettare di aver cresciuto un vampiropenso, sarcastica.
Quando rientro in salotto, Niall è seduto sul divano e tiene Shila davanti a sé, con le mani ben distese per allontanarla dalla sua faccia.
-Non puoi mangiare l’hamburger, chiaro?- le sta dicendo -Ti fa male e inoltre ti andrebbe sui fianchi, vuoi essere una cagnolina obesa? Non guardarmi così, gli occhioni dolci non servono a niente, non puoi e basta…-
Shila, scuotendo la coda, tenta di leccarlo.
-Questa tecnica è vecchia, cara. Filtrare con me non ti darà quell’hamburger.-
Io entro nella stanza, ridacchiando. –Ehi, non credevo di dovermi preoccupare anche di Shila!- dico, mettendomi le mani sui fianchi.
Niall si volta verso di me e libera il cane dalla sua presa. –Che vuoi farci, anche i cani non riescono a resistermi.-
Io rido, buttando indietro la testa. –Stai facendo una stage di cuori anche a scuola, questo è vero.-
-Macchè, è solo una tua impressione…a malapena si accorgono di me.- minimizza lui, diventando rosso alla base delle orecchie.
  Io lo guardo, incredula della sua ingenuità. –Niall, ogni ragazza della nostra scuola vorrebbe averti vicina. Ma non ti rendi conto di quanto tu sia diventato figo?!-
Alle mie parole lui alza gi occhi su di me, incredulo, mentre io cerco mentalmente di darmi una calmata. Prendo la busta del fast food che Niall ha poggiato sul tavolo in soggiorno e la porto in cucina.
 Mi siedo sul divano al suo fianco, più vicino e più rilassata di quanto non fossi il giorno del mio compleanno alla casa sul lago.
-Vieni qui.- mi dice, il tono più basso di quanto non fosse un secondo fa, invitandomi ad accoccolarmi vicino a lui.
Rimaniamo un attimo così, Niall seduto e io semidistesa al suo fianco, la testa sulla sua spalla. Sembriamo una coppia, è la prima cosa che penso prima di liquidare quell’assurdità.
-Sai, quando ero piccolo i miei stavano per lasciarsi.- mi dice tutto d’un fiato, così velocemente che all’inizio credo di aver capito male.
E invece non era una distorsione del suono, ma la verità. Una verità scomoda, che mi lascia spiazzata.
Sollevo la testa per guardarlo negli occhi. –Cosa?- mormoro.
Lui ricambia, ma non sembra turbato, esattamente come non lo ero io mezz’ora fa. –In realtà non me lo ricordo, ero troppo piccolo quando è successo. Me l’ha detto mia madre quando ho saputo dei tuoi e…ho iniziato a pensare che, se fosse successo, io ci sarei stato malissimo. E soprattutto ti avrei voluta al mio fianco a confortarmi.- mi dice, un po’ nervoso.
-Tu ci sei sempre stata e, malgrado tutto, ci sei anche adesso. Io invece non ci sono stato per te quando i tuoi genitori litigavano nella camera a pochi passi dalla tua e non ci sono stato quando gli altri ti prendevano in giro.- mi dice, piegando le labbra in un’espressione amara.
-Niall, non devi…- inizio, ma lui mi blocca.
-No Hope, è la verità. Non smetterò mai di sentirmi in colpa.- si tira su e mi guarda dritto negli occhi. –Adesso voglio esserci per te, sempre. Voglio esserci quando ti sentirai triste, quando prenderai un brutto voto a scuola, o anche solo per parlare; e voglio esserci anche nei momenti felici, infondo chi cazzo l’ha detto che le persone devono venirti incontro solo nei momenti di difficoltà?! E se ce ne sarà bisogno, se dovrò farlo per riscattarmi e dimostrarti che a te ci tengo sul serio, sono disposto anche a portarti una tazza di latte la sera prima di andare a dormire, mentre leggi il tuo libro preferito.- Il suo viso, che si era avvicinato tanto al mio, si allontana.
Niall fa un sospiro di sollievo e mi guarda soddisfatto.
-Bene, adesso che ho fatto la figura dell’idiota, vado a seppellirmi fino al diploma…- fa per alzarsi. Io ridacchio e lo afferro per la manica.
-Niall, questa è la cosa più dolce e più sincera che tu mi abbia detto da quando ci conosciamo.- Lui è troppo imbarazzato per guardarmi negli occhi, allora con una mano lo costringo a voltarsi. –Ma, insomma, perché mi dici queste cose? –
Niall mi guarda, per poi distogliere lo sguardo. Apre la bocca per parlare, per poi richiuderla. E’ nervoso e i suoi occhi vagano per la stanza, indecisi su dove guardare.
Esita.
-Perché…- sussurra, la voce è talmente bassa che anche se dicesse qualcosa non me ne accorgerei.
-Perché…- lo incito, in attesa.
Sento i suoi respiri farsi più veloci, mentre Niall si avvicina, si avvicina sempre di più al mio viso. Una mano si sofferma sul mio collo, mentre con il pollice mi sfiora dolcemente il mento e la mandibola.
E io rimango lì, immobile, perché quello che sta per succedere è assurdo e non può essere vero perché io sono quella ragazza a cui non capitano cose così belle.
Eppure, è me che Niall Horan sta baciando e, si, le sue labbra sono proprio sulle mie.
 
 
-Devo andare.- si scusa Niall, stampandomi un altro bacio e mostrandomi il telefono. Siamo sulla soglia, davanti alla porta, ma lui non ha fretta di uscire. Mentre mi afferra i fianchi, mi stuzzica il collo con una scia di piccoli baci.
-Per la cronaca, io bevo sempre il tè prima di andare a dormire.- gli dico scherzando, come promemoria.
Lui sorride, ricordando le parole dette da lui poco fa. –Okay, me ne ricorderò.- dice, avvicinandosi di nuovo verso le mie labbra.
Mi scosto leggermente. -Devi andare.- gli ricordo, allungando una mano e aprendo leggermente la porta. Sorride.
-Vero.- afferra la maniglia e fa per girarsi, ma poi cambia idea e mi guarda.
-Sai, dovresti legarti i capelli più spesso, non solo quando sei a casa. Ti scopre il viso e sembri…-
-Sembro cosa?-
Alza le spalle. –Diversa, più solare.- e mi fa l’occhiolino, mentre io lo guardo allontanarsi verso la strada.
Se non sono morta adesso, niente potrà farmi fuori.

  




-HERONICA IS REAL, BITCHES!!!
*And we danced all night to the best song ever we knew every line now I can't remember how it goes but I know that I won't forget her, cause we danced all night to the best song ever.  
I think it went oh, oh, oh
I think it went yeah, yeah, yeah
I think it goes..*


Hiiiiiii piccoli bocciuoli :D

No, non state sognando...sono tornata! HO AGGIORNATO! Incredibile, non è vero?
L'ultima volta avevo detto che avrei aggiornato più spesso...eheh, facciamo finta che non ho detto nulla, va bene?^-^"
Mi chiedo, ma come fate a soportarmi ancora? Perchè non avete tolto questa storia dal vostro account?!
Sono una baldracca che aggiorna quando le è più comodo, eppure voi siete ancora qui a recensire, VI AMO <3.
Adesso, passando al capitolo...credo sia uno di più lunghi che abbia mai scritto, se non IL più lungo! In effetti ho paura che qualcuna vedendo la lunghezza non abbia voglia di leggerlo (vi prego fate un piccolo sforzooo *occhi da cucciolo*).
E...che ne dite del finale?!*-* Alzi la mano chi non si aspettava assolutamente il bacio! Eheheh, in effetti ho deciso di metterlo all'ultimo minuto xD
Comunque non credete che tutto quello che ho scritto prima del bacio sia stato solo per allungare il brodo u.u nel prossimo capitolo verrete a conoscenza di molte cose (o quasi tutte, dipende dal livello di suspence che vuole lasciare la sottoscritta)...quindi PREPARATEVI!
Ringrazio di nuovo tutte voi che occupate alcuni minuti del vostro tempo per questa storia :'') 
Un bacio Directioners =*

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Capitolo 13
*** 13. Disappointments. ***


 

13. Disappointments.




“Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione.
Perché la delusione è un dolore che deriva
sempre da una speranza svanita,
una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita
 cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo.”
Oriana Fallaci



46.

E’ tutta la giornata che non ho notizie di Niall.
Niente chiamate, niente messaggi, adesso non è nemmeno a casa; questa mattina l’ho intravisto in mensa che parlava in modo conciato con David, come se gli stesse dicendo una cosa di fondamentale importanza. Era così concentrato che non ha badato a me, offriva tutta la sua attenzione al suo amico.
Vorrei vederlo, non perché mi manca terribilmente, ma per andare via da questa casa e dimenticarmi per qualche minuto della ma situazione: mia madre è intrattabile, Nick è intrattabile; mio padre invece è più docile del solito e quando è a casa ha una faccia da cane maltrattato, che forse è la cosa peggiore di tutte.
 Questo umore nero generale contrasta con il mio umore gioioso e su di giri, ma ho paura che mi stia contagiando.
So che Niall è con David e questo mi fa fremere dall’ansia. Nonostante tutto, lui lo considera un amico e…se David gli dicesse qualcosa, una delle sue solite cattiverie, e gli facesse cambiare idea su di me? O forse dovrei dire su di noi?
Non ho dimenticato la minaccia di David e ho paura di quello che può fare contro di me.
Infondo, c’è già riuscito una volta, cosa potrebbe impedirgli dal separarci di nuovo?
Ma no, non può farlo. Non deve farlo.
Questa volta glielo impedirò.
 
 
47.
 
Il giorno dopo ancora, Niall mi chiede di vederci. Io non ho voglia di uscire, quindi approfitto della casa vuota per stare sola con lui.
Sono seduta sul bordo della finestra della soffitta, intenta a leggere gli ultimi capitoli de “Il grande Gatsby”, quando lo sento aprire la porta due piani più giù.
Chiudo il libro infilandoci un segnalibro e me lo metto in grembo. Mentre aspetto che salga, faccio vagare lo sguardo su ciò che mi circonda: il retro della mia casa è piccolo come la casa stessa, occupata soltanto da un giardinetto ben curato; l’aria di aprile cambia continuamente, passando da un caldo mite a soffi di vento e piogge umide: adesso infatti il sole sta quasi per tramontare e le temperature stanno calando,  nonostante oggi il tempo sia stato piacevole e mi ha spinto a rifuggiarmi qui sul tetto confortata dall’aria aperta.
Quando mi accorgo che Niall ci sta mettendo troppo tempo per salire, eccolo aprire la porta, rivolgermi un sorriso fugace e farsi strada tra i vecchi oggetti di famiglia e sedersi al mio fianco.
-Ciao.- lo saluto.
-Ciao.- ricambia, tentando di sorridermi, ma noto che è nervoso.
Cerco di iniziare una conversazione, nella speranza che mi dica cosa c’è che non va senza però obbligarlo in qualche modo.
-Cosa hai fatto oggi?- chiedo.
Lui esita un attimo, prima di rispondere. –Io…sono stato con David.-
-Oh, okay.-
-Non sei gelosa vero?-
-Io?- Aggrotto le sopracciglia. No, non sono gelosa, sono semplicemente preoccupata. Non sono David, non decido per te chi devi o non devi vedere.-
Lui non mi guarda e non ribatte, sa che sto dicendo la verità. Dopo un lungo secondo di silenzio, si decide a parlare.
-Senti, riguardo all’altra sera…riguardo a…hai capito, no?- domanda a reticenze.
Non riesco a capire se è imbarazzato per quello che è successo o cosa e mi sembra strano, visto che quando se n’è andato mi ha fatto tutti quei complimenti e mi sembrava totalmente padrone di sé.
Si sarà forse pentito? Non vuole rovinare la nostra ritrovata amicizia tuffandosi a capofitto in qualcosa di cui non saprà prevedere il finale?
Mentre penso a tutte queste cose, lui inizia di nuovo a parlare.
-Prima che ti dica quello che ho da dirti, ti prego, ti scongiuro di non arrivare subito a conclusioni affrettate.- mi dice, prendendomi una mano tra le sue.
In questo periodo mi trovo in una situazione… complicata e proprio per questo mi dispiace per averti baciata, perché adesso è tutto ancora più complicato e qualunque cosa io faccia rischio di ferire qualcuno.- i suoi occhi hanno trovato i miei e vedo…rabbia. Lui è arrabbiato per qualcosa, o forse per quello che mi sta dicendo.
Rimango a fissarlo e non riesco a capire.
Arrivo alla conclusione più semplice, che ho compreso fino da subito. –Quindi tu non vuoi stare con me.-
-Non in quel senso. E non perché io non voglia, ma perché non posso. Ho bisogno di tempo, perché –nonostante io lo voglia disperatamente- non posso permettermi di essere egoista, non voglio…-
-Complicare le cose, si ho capito.- lascio la sua mano e mi alzo.
Mi sento delusa. Delusa e ferita. Perché non capisco le sue parole e, ancora una volta, mi ritrovo a dover affrontare una cosa di cui non conosco assolutamente le ragioni.
Perché lui ancora una volta non vuole dirmi la verità.
Ed è tutta colpa di David.
-So cosa stai pensando.- dice.
-Ah, davvero? Non penso proprio, perché se ne fossi capace avresti capito che sto per urlati in faccia e te ne saresti andato.- sbotto, furiosa.
Quando vedo che lui non si muove, inizio a urlare.
-Niall vattene, cazzo!- scaravento il libro contro il muro e lo guardo dritto negli occhi.
Sa che non sto scherzando. Impassibile, Niall si alza, mi supera, ripercorre tutta la stanza.
E se ne va.
 
 
48.
 
Conto i battiti del mio cuore, che piano piano si calma e ristabilisce un ritmo regolare.
Dopo centotrentasette battiti sento dei rumori al piano di sotto.
Le mie urla non sono state abbastanza chiare?! Penso, iniziando di nuovo ad accalorarmi.
Scendo, pronta a ordinare a Niall di togliersi dalle palle e andare a casa sua, credendo che sia rimasto per implorare pietà o qualcosa del genere, ma sento che sta parlando con qualcun altro. Mi fermo in cima alle scale, nascosta: sta parlando con mio fratello, non l’avevo sentito rientrare.
Nick gli sta dicendo qualcosa, ma colgo solo la frase finale.
-…risolvere questa situazione una volta per tutte.-
-E pensi che io non lo voglia?! Non sono io il problema qui e tu lo sai.- ribatte Niall, con il tono più aspro che gli abbia mai sentito dire. E il fatto che si rivolga in questo modo proprio a mio fratello mi sconvolge ancora di più.
Nick non gli risparmia lo stesso trattamento. -Ah, no? Sei tu la causa di tutto, Niall, questo è quello che so!-
-La causa di tutto?- Niall emette un suono tra uno sbuffo e una risata sarcastica. –Credi che abbia deciso io di mettermi in questa situazione, eh? E’ lui che mi ha messo in mezzo, è lui il motivo per cui siamo tutti fottutamente infelici, è lui che non ha le palle di scegliere e…-
-Smettila.- lo ammonisce Nick, minaccioso. –Credi che sia facile tutto questo, credi che il suo sia solo un capriccio? Tu non sai…-
-Io so eccome;  e lo capisco anche. Ma se adesso rischio di ferire le persone a cui tengo, non sono più disposto a comprendere e a lasciar correre.-
-Hope l’hai già abbandonata una volta.- gli fa notare mio fratello.
-E non voglio farlo più.- replica Niall.
-Ma se l’hai appena rifiutata!-
-Le ho detto che è una cosa temporanea, fino a quando non si sistemerà tutto.-
Silenzio.
Sento l’aria nella casa farsi tesa e pesante, mentre mio fratello si muove verso le scale. Mi tiro indietro all’improvviso, perché non voglio farmi scoprire ad origliare.
-Niall, questa storia non si risolverà mai.- dice, fattosi improvvisamente triste.–Forse il compito di scegliere spetta solo e soltanto a te. Fai una scelta senza preoccuparti delle conseguenze, senza mezze misure, e David farà una buona volta la sua.- Nick inizia a salire lentamente i gradini, mentre io riesco per un soffio a risalire quelle verso la soffitta, silenziosa come un ninja.
E lì, in quella stanza polverosa e con la lampadina rotta, tra scatoloni rovinati dal tempo e la carta da parati scollata agli angoli, resto ferma per dei lunghi minuti cercando di interpretare in qualunque modo quella nervosa discussione tra Niall e mio fratello.
 

*****

 
49.
 
Dopo quello che ho sentito, decido che ne so troppo poco per riuscire a capire qualcosa da sola, per questo mi rivolgo a qualcuno che potrebbe avere le risposte.
Vado da Cassie.
La trovo nella sua camera rosa e disordinata, la pagina facebook immancabilmente aperta con la chat che avverte di un messaggio ogni trenta secondi; alle cuffie ha un paio di auricolari, attaccati al pc, da cui proviene musica house. Non appena sorpasso la soglia, lei gira su se stessa sulla sedia e mi urla che Bradley Cooper ha appena fatto un film e che deve assolutamente vederlo.
Passiamo i primi minuti parlando di cose poco importanti, quando poi decido di raccontarle quello che ho sentito.
Il racconto è breve e man mano l’espressione di Cassie si fa sempre più intensa.
-Ovviamente David sta trovando un altro modo per tormentarmi.- termino, su tutte le furie. Perché ormai so che è così, è diventato il suo pane quotidiano.
Cassie non si concede neanche un secondo per pensare a quello che ho detto, anzi diventa improvvisamente irritata.
-Ma che secondo te quello ha da pensare a come renderti la vita impossibile? Okay che in passato ti ha punzecchiato ogni tanto, ma la sua vita non ruota intorno a te!- mi dice, brusca.
Io la guardo, spiazzata dalla sua reazione. Le chiedo secondo lei di cosa stavano parlando, ma lei non sa cosa pensare; tento di cavarle fuori qualcosa, ma lei rimane sul vago.
E capisco che anche lei c’entra in questa storia, ma non vuole dirmi niente.
E me la prendo anche con lei, con Cassie, la mia migliore amica; che non vuole parlare, che non si rende conto di quanto David mi abbia fatto del male; che pensa solo a se stessa e per l’unica volta in cui le chiedo di aiutarmi si rifiuta di farlo.
-Ora basta! Mi sono rotta di tutti questi misteri! Fate quello che cazzo volete, tu, Niall e Nick, ma d’ora in poi non vi azzardate a tornare da me a piagnucolare di quanto David sia un bastardo calcolatore che vi sta rovinando la vita, è chiaro?!-sbotto infine, alzandomi dal letto e andandomene a passo spedito verso l’uscita.
 

50.
 
Le cose non vanno affatto bene.
Io sono arrabbiata con Niall perché non vuole dirmi niente, Niall è arrabbiato con me perché dice che non mi fido di lui; anche Nick è arrabbiato con Niall per qualcosa di cui ovviamente non sono a conoscenza e, dopo le mie continue domande insistenti, ora è intrattabile anche con me.
-Ma secondo te io perdo tempo con quello lì?! Tu sei paranoica, va a dormire, và.- mi ha detto, quando gli ho chiesto se è diventato improvvisamente il nuovo amichetto del cuore di David.
L’unico che più che arrabbiato sembra nervoso e agitato è proprio lui. Quando lo vedo parlare con Niall sembra un topo in trappola che sa che sta per essere mangiato. E Niall lo rassicura, dandogli pacche sul braccio.
E io intanto non so che fare se non sfogare le mie frustrazioni su me stessa perché, ormai l’ho capito, non posso fidarmi più di nessuno.




BUON FERRAGOSTO A TUTTE!:D
Ma buona sera Directioners :) avete passato una bella giornata? Io sono appena tornata e ho deciso di pubblicare il capitolo.
Come avete notato, questo capitolo è incentrato soprattutto sulla delusione.
Hope si sente tradita da tutte le persone a cui vuole bene e non sa cosa sta succedendo e questo non fa altro che frustrarla ancora di più.
La storia si infittisce con un mistero...e Nick e Cassie ne sono a conoscenza!D:
E Niall...
Oh, Niall! Che cosa deve fare la povera Hope per non farti più scappare? Deve legari al letto?!
Ehi, questa è un'idea per il prossimo capitolo! *scrive l'appunto sulla pagina Word*
A parte gli scherzi, quali sono le vostre teorie? Vi prego fatemelo sapere, sono curiosa!
Spero di aggiornare per il prossimo fine settimana, anche se per alcuni giorni non potrò scrivere (quindi per questa volta sono giustificata eheheh!).
Come al solito ringrazio tutte voi che recensite e leggete la mia storia, perchè siete sempre così tenere e buone con i vostri giudizi :')
Ora vado, vi prego lasciate una recensione, mi farebbe davvero piacere :'3
Un bacio bellissime =*

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Capitolo 14
*** 14. And if I show you my weak side, what would you do? ***


14. And if I show you my weak side, what would you do? 

 
 
 
L'anima è piena di stelle cadenti. 
Victor Hugo
 
 
51.
 
Sto rincominciando.
Sto rincominciando a farmi del male.
Sto rincominciando a non mangiare.
Sto rincominciando a sentire tutti quegli insulti orribili nella mia mente.
Il numero sulla bilancia è salito.
Cinquantasei chili contro i cinquantaquattro di due settimane fa.
Da oggi quel numero salirà sempre di più e io diventerò di nuovo grassa e tornerò a quel sessantasettevirgolaquindici e io non voglio non voglio non voglio.
E’ come vedere un nastro che torna indietro ancora e ancora e non mi permetterà mai di vedere il finale.
Sta rincominciando tutto da capo.
 
 
52.
 
Oggi in mensa è successa una cosa davvero strana.
Ero seduta al solito tavolo, tenendo il posto a Cassie proprio di fronte al mio.
La vidi entrare e stavo per alzare la mano per farmi notare in quell’ammasso di tavoli. Lei ha alzato lo sguardo e mi ha vista, ma invece che venire dritta verso di me, si è fermata al tavolo di Niall e David.
Per prima cosa notai che, stranamente, non c’era nessun scagnozzo di David lì intorno, segno che non voleva che gli altri sentissero la sua conversazione con Niall.
Ma non fu quello a insospettirmi più di quanto non lo fossi prima; Cassie ha abbandonato da tempo quell’atteggiamento ferito e risentito dopo la rottura e, cosa assolutamente incredibile, in quel momento stava incenerendo David con lo sguardo.
Si sono scambiati poche battute, prima che lei girasse i tacchi e venisse verso di me. Le chiesi cosa fosse successo e lei ha alzato le spalle e ha detto: -Ora tocca a me giocare un po’ con lui.- Il ghigno che aveva stampato in faccia non prometteva niente di buono.
Non chiesi altro, non mi avrebbe detto niente in nessun caso, ma dallo sguardo intimidito e disperato di lui e quello trionfante di lei, capii una cosa importante.
I ruoli si sono ribaltati.
Ora è Cassie ad avere David tra le proprie mani.
Ora Cassie è pronta a schiacciarlo.
 
 
53.
 
Verso le quattro di pomeriggio ritorno a casa, dopo essere rimasta a scuola per terminare una relazione di biologia che dovremmo consegnare domani.
Mentre cammino lungo il marciapiede, continuo a pensare a quelle disgustose rane morte che abbiamo dovuto tagliare come il tacchino il giorno del Ringraziamento e provo un’andata di nausea che prima avevo cercato a tutti i costi di trattenere.
Inoltre non ho mangiato niente per tutta la mattina e il primo pomeriggio, quindi non so se la nausea è dovuta effettivamente alle rane morte stecchite oppure al mio stupido corpo che si ribella e si contorce dalla fame.
Sono praticamente sul primo scalino davanti casa quando mi rendo conto che qui, davanti a me, c’è David O’Brien.
Mi dà le spalle, che sembrano un pesante blocco di marmo, e sta parlando, anzi -come noto dal rossore lungo il collo-, litigando con mio fratello.
Aspetta, cosa?!
Riesco a intravedere solo un’espressione furente sul volto di Nick, quando lui si accorge di me e mi guarda come un assassino colto sul fatto.
-H-hope, che ci fai qui?- domanda, ingenuamente. Come se non fosse ovvio.
-Sai, io ci vivo.- rispondo, prima di indicare David senza guardarlo. -Lui piuttosto cosa ci fa qui.-
David alza un sopracciglio. -Potresti anche rivolgerti a me direttamente, sai.-
Io, lentamente, poso gli occhi su di lui. –Okay O’Brien, cosa cavolo ci fai qui?-
-Saranno anche cazzi miei.-
-Risposta molto matura, d'altronde da te non mi potevo aspettare altro.-
Anche se lo odio profondamente, lo devo ringraziare: se non fosse stato per lui, non sarei mai stata capace di sviluppare l’uso di un tono così sprezzante verso qualcuno.
Nick blocca David prima che mi risponda. –Non ti preoccupare, David se ne sta andando.- dice, scoccando un’occhiata più che eloquente a David.
Ma lui non capisce, oppure sceglie di ignorare il suo avvertimento. –No, io e te dobbiamo parlare. Per favore.- l’impeto iniziale si affievolisce in una supplica appena accennata, ma che mi fa sgranare gli occhi dallo stupore.
-Ah bene, adesso vuoi parlare?- domanda in tono sarcastico e vedo i suoi occhi mandare scintille.
Sento dei passi dietro di me. –Hey ragazzi, che succede?-.
 Niall, ma certo.
Né Nick né David si preoccupano di rispondere. Rimangono a guardarsi, con un’espressione avvilita.
-David se ne stava andando via.- ribatte infine mio fratello.
Sono quasi sicura che David voglia tutt’altro che andarsene, ma alla fine cede. Gli volta le spalle e mi supera bruscamente, allontanandosi velocemente dal vialetto.
Quando ormai è arrivata quasi alla fine della strada, sposto lo sguardo su Niall, che mi sta fissando. Sa cosa sto pensando, ma rimane in silenzio e non risponde alla mia domanda inespressa.
Okay Niall, ho capito.
Non ha intenzione di dirmi niente.
 
 
 54.
 
Di notte la casa è silenziosa.
Silenziosa perché tutti dormono nei loro letti o fanno finta di farlo.
Silenziosa perché non si sente più nessuno gridare.
Silenziosa perché i grilli non devono più usare i loro friniti per coprire quelle urla.
Silenziosa perché, alla fine di una battaglia, il silenzio è l’unica cosa che si sente.
 Domani mattina mio padre prenderà la sua valigia e i suoi pochi cartoni pieni di cose inutili che ora sono accatastati vicino alla porta e se ne andrà da qui.
D’ora in poi si udiranno solo echi di rabbia sfumati nel buio.
 
 
55.
 
A scuola Niall tenta di parlarmi : al cambio dell’ora lo trovo di spalle al mio armadietto, con le braccia incrociate e lo sguardo distratto. Si accorge di  me solo quando gli sono praticamente davanti.
-Ciao.- lo saluto, ma solo perché sono stata educata bene dai miei genitori.
Niall sobbalza. –Ciao.- mi fa eco e rimane lì a fissarmi.
Non mi chiede come mi sento per via del “trasloco” di mio padre.
Non mi chiede come mi sento dopo essere stata rifiutata senza una motivazione.
Non mi chiede come sto e basta.
-Ti serve qualcosa?- chiedo, con quel tono calmo che qualcuno usa per nascondere l’insofferenza.
Lui annuisce, gli occhi come due pietre dure. So che dopo giorni di silenzio sta mettendo da parte l’orgoglio e il suo disappunto per la mia reazione esagerata, per cercare di farmi ragionare una volta per tutte.
Eppure, la tensione che si è creata è sorprendente e poco rassicurante.
-Voglio parlare con te.- mi dice.
Finalmente! Penso, soddisfatta per averlo fatto cedere. Tuttavia la mia espressione non cambia. -Mi dirai tutto quello che sta succedendo?- chiedo, scettica.
Lo sguardo di Niall si oscura e lui sospira, rassegnato di fronte alla mia tenacia.
-Non posso, Hope.- Si scusa.
Provo un inaspettato impeto di rabbia. –E allora di cosa vuoi parlare?-.
-Di me e te.- Nessun noi. Solo Hope e Niall.
-Posso capire che sei arrabbiata per quello che ho detto, ma per favore, devi fidarti di me.-
La sua voce chiede pietà, comprensione, ma non mi lascio impietosire. -Come posso fidarmi se in mezzo a questo c’è David O’Brien?!- sbotto. –Sei tu a non fidarti di me, dopo tutto questo tempo!-
-Ma con te non si tratta di fiducia!-
-E allora cosa? Qual è il problema?!- insisto, testarda.
Nial si sta arrabbiando. Mi guarda, duro.
-Senti Hope, ho giurato e spergiurato che non avrei detto niente. Ma il mio silenzio non si riduce solo a questo. La cosa è più seria di quanto immagini, David sta attraversando un periodo difficile per colpa di Cassie…- nell’impeto del discorso stava per lasciarsi sfuggire qualcosa, ma poi se ne rende conto e si blocca, valutando la mia reazione.
-Ed è un problema loro, non tuo!- dico alzando la voce. Non voglio attirare l’attenzione, quindi faccio un respiro profondo, calmandomi, prima di riprendere a parlare.
-Perché vuoi a tutti i costi combattere le battaglie degli altri? Non sei Cupido, non puoi aggiustare i cuori delle persone, tantomeno se prima non fai i conti con il tuo.-  la mia voce ora è un sussurro così basso che credo non mi abbia sentito. Mi avvicino quel tanto che basterebbe alzare un braccio per toccarlo.
Ma non lo faccio.
Niall elabora le mie parole e la sua espressione spiazzata mi dice che lo hanno colpito e hanno fatto vacillare qualcosa dentro di lui, poi però riprende il controllo delle proprie emozioni e torna a guardarmi come si guarda un bambino particolarmente capriccioso.
-Mettiamola così, Hope. Se tu ti trovassi in una situazione complicata e avessi bisogno del mio aiuto, io non ci penserei un secondo e correrei ad aiutarti; se tu mi raccontassi un segreto, uno di quelli che non potrei raccontare assolutamente a nessuno, io mi cucirei le labbra con del filo spinato piuttosto che lasciarmi sfuggire anche solo una sillaba. Sono fatto così, lo sai. E adesso mi trovo in una situazione simile con David, che è mio amico, quindi scusami tanto se cerco di essere un amico leale!-
Adesso sono io che taccio, guardandolo in cagnesco. Quello che ha detto è giusto, lui non tradirebbe mai la fiducia di un amico, però la sua capacità di rigirare la frittata e dare a me dell’egoista mi fa ribollire di rabbia.
Io non sono egoista.
Io voglio solo che mi dica cosa sta succedendo, perché non voglio perderlo, non voglio più sentire le lame incandescenti lacerarmi la gola ogni volta che non mi degna di uno sguardo, non voglio più vedere il ghigno cattivo di David ogni volta che guarda nella mia direzione; non voglio più trovare consolazione in una lama affilata e nel vuoto del mio stomaco.
Non voglio più sentirmi come se fossi fatta di carta, rovinata da tutte le volte che sono stata accartocciata e buttata via, perché adesso non ce la faccio più e sento che potrei prendere fuoco con una minuscola scintilla.
No, il mio non è egoismo. E’ istinto di conservazione.
E se Niall non l’ha capito, sono pronta a mostraglielo.
Sono pronta a mostrargli che tutti i suoi tentativi sono vani e che alla fine qualcuno finisce sempre per farsi del male, proprio come ha detto mio fratello.
Intorno a noi non c’è nessuno, i ragazzi parlano tra loro, ridono, scherzano, complottano un modo per copiare durante il test della prossimo ora; non badano a noi.
E’ arrivato il momento.
Alzo la manica del braccio destro, rivelando pelle candida rovinata da cicatrici e tre tagli rossi orizzontali che corrono lungo l’avambraccio.
-Oh certo, tu sì che sai come far stare bene un amico.- sussurro, facendo correre lo sguardo verso il basso.
Lui, impegnato a rimproverarmi, all’inizio non nota niente. Poi segue il mio sguardo. E vede.
E comprende.
I secondi si susseguono uno dopo l’altro, ma lui non si muove, non parla, non grida, non respira.
Ci guardiamo senza trovare il coraggio di parlare.
E’ il gioco del silenzio, una sola parola e tutto andrà a farsi fottere.
Rimaniamo lì impalati, uno di fronte all’altro e io non oso aprir bocca perché so che inizierei ad urlare.
E’ Niall a cedere per primo.
-Dio mio Hope, che cazzo hai fatto?- mi chiede.
E’ scioccato, ha la bocca spalancata e nei suoi occhi color tempesta vedo una fievole luce di emozione, forse la prima da quasi due anni.
Ma davvero non se n’è accorto per tutto questo tempo?
Davvero non ha notato che stavo crollando pezzo per pezzo?
Davvero non è riuscito a captare i segnali che il mio stesso corpo mandava ogni singolo giorno?
No, non ci credo. Lui mi conosce troppo bene.
E questo mi fa arrabbiare ancora di più.
Abbasso la manica fin quasi alla punta delle dita, come se così facendo io possa cancellare quei segni sul mio braccio.
Trapasso i suoi occhi con i miei.
-Credo che la domanda giusta sia: che cazzo mi hai fatto tu.-
Poi tutto si muove veloce. La campanella suona, le persone sciamano intorno a noi, affrettandosi a raggiungere le proprie classi e io mi volto, lasciandomi indietro la maschera di orrore dipinta sul suo volto.  



-DOPO UN VERGOGNOSO RITARDO...FINALMENTE SONO TORNATA!
Non c'è bisogno che voi diciate niente, LO SO!
Mi dispiace tantissimo per aver aggiornato la storia dopo quasi tre mesi, voi non avete idea di quanto io sia delusa di me stessa!:(
Ho fatto un bel po' di pausa, avevo un vuoto nel cervello e me la sono presa davvero comoda e rimandvo sempre e poi ero sempre impegnata e VI PREGO DI PERDONARMI!!!>.<
Inutile dire che a un certo punto stavo quasi per cancellare tutte le ff pubblicate perchè rileggendole mi facevano schifo e pietà e non so cosa mi ha trattenuto dal non farlo...
Comunque, passiamo alla storia!
Molte di voi si saranno stufate: vi comprendo appieno! Sappiate che siamo vicini alla fine...Da un lato sono triste, perchè questa storia significa molto per me e, come tutte le scrittrici, ho messo un pezzo di me in ogni capitolo pubblicato.
Dall'altro lato mi sento sollevata, perchè finalmente potrò dedicarmi ad altre storie e altri personaggi :)
Cosa ne pensate di questo capitolo? Lo so, come mio solito ho derminato sul più bello, ma solo perchè rischiava di essere troppo lungo e allora ho deciso di dividerlo in due parti (questo vuol dire che il prosimo capitolo è già pronto e che quindi non aspetterò decenni per pubblicarlo!:'D).
Vi anticipo che nel 15 FINALMENTE scoprirete il segreto che Niall non vuole rivelare e ci sarà un "faccia a faccia" molto interessante...siete curiose?;)

Voglio ringraziare di cuore voi lettrici che continuate a seguire le mie storie e mi rallegrate la giornata con le vostre stupende recensioni! So che non ho risposto, ma le ho lette tutte con immenso piacere e non saprò mai ringraziarvi abbastanza :''')  
Vi voglio bene, Directioners <3
Un bacio =*

p.s. Prima di andare...avete visto il video di "Story of my life?" :')
OMG. E' stupendo! Credo sia il più significativo che abbiano mai fatto. Non mi vergogno a dire che ho pianto.
E, precisiamo, intendo dire proprio PIANTO. Sembravo una disperata.
Ditemi che anche voi avete avuto la mia stessa reazione, altrimenti inizierò a sentirmi davvero una cretina, LOL.

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