Il bacio

di Padmini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sherlock Holmes ***
Capitolo 2: *** Victor Trevor ***



Capitolo 1
*** Sherlock Holmes ***


Sherlock Holmes

 

 

 

 

 

 

Non ho mai preso sul serio i giudizi altrui. Be' … quasi mai.

C'è stato un periodo in cui ho sofferto, in cui ho dovuto nascondermi. Avevo così tanta paura dei miei sentimenti che non riuscivo ad affrontarli.

La mia spiccata intelligenza e il mio carattere poco socievole mi avevano già allontanato dalla folla. Tutti i miei compagni di scuola preferivano ignorarmi e, se mi rivolgevano la parola, era per insultarmi. Nonostante tutto ero molto sicuro di me. La solitudine è sempre stata la mia migliore amica.

Tutto cambiò, però, quando scoprii quell'aspetto di me che mai avrei sospettato di possedere.

Come potevo anche solo pensare di condividere questa cosa con qualcuno? Già mi odiavano perché ero più intelligente di loro. Cosa mi avrebbero fatto, come mi avrebbero trattato, se avessero scoperto che ero anche omosessuale?

Preferii accantonare l'argomento dentro di me, tanto sapevo che sarei per sempre rimasto solo.

L'avevo sempre pensato. Ne ero più che convinto.

Fino a quel giorno.

Fino a quel giorno in cui a un dannatissimo cucciolo di boxer venne la bella idea di mordermi la caviglia.

Quello fu l'inizio.

 

Mi chiedo perché certi pensieri mi vengano alla mente proprio ora. Pensieri scomodi, ingombranti. Pensieri che non possono distrarmi proprio in questo momento.

Mi giro verso John. Lui non ha notato il mio turbamento. Ormai è abituato al mio mutismo, non ci fa più caso. Sospiro e torno a guardare fuori dal finestrino.

Gente. Tanta gente che cammina. Ogni tanto mi chiedo dove vadano. Lo deduco dalla velocità dei loro passi, dai vestiti che indossano, dai fardelli che si portano appresso. Un ombrello, una ventiquattrore, la busta di plastica con la spesa, un mazzo di fiori.

Banale. Noioso. Non c'è nessuno che possa destare la mia attenzione. Eppure devo guardarli, devo cercare risposte nei loro movimenti. Il mio cervello rifiuta l'inattività e anche un semplice esercizio come questo è d'aiuto.

Noia.

La mia vita è dominata dalla noia e dal mio tentativo, a volte vano, di vincerla.

“Siamo arrivati, Sherlock”

La voce di John mi riporta al presente.

Non so nemmeno perché ho deciso di accettare questo caso. Uno stupido, banalissimo caso da sei. Al massimo sei e mezzo. Avrei potuto risolverlo standomene comodamente a casa, invece …

“Cerchiamo di sbrigarci, allora” dico.

Non ho proprio voglia di perdere tempo con degli imbecilli. Lui mi guarda storto e sospira. Mi conosce e porta pazienza. Tanta pazienza.

Scendiamo dal taxi ci avviamo verso un vecchio palazzo. Il nostro cliente ci sta aspettando lì. È un vecchio ed è immobilizzato sulla sedia a rotelle. Non poteva certo venire a Baker Street e John aveva insistito così tanto perché lo incontrassi che alla fine ho dovuto cedere.

Mi guardo attorno. Voglio essere preparato a qualsiasi evenienza. Noto tutti i particolari degni di essere presi in considerazione. Le impronte verso e da la legnaia, i passi dei visitatori, arrivati qui prima di noi, alcune strane impronte sotto una finestra.

John bussa discretamente al portone. Io sono ancora di spalle e non lo vedo subito.

“Buongiorno, voi dovete essere Sherlock Holmes e il dottor Watson, vero? Sono il segretario del Signor Grey”

Quella voce non può che appartenere a Lui. Mi giro. È Lui.

“Esatto” risponde John, tendendogli la mano “Io sono il dottor Watson. Sherlock Holmes è lui” e mi indica.

“Victor Trevor” risponde lui e gli stringe vigorosamente la mano “Entrate, prego. Il Signor Gray vi sta aspettando nel suo studio ...”

Non ho il coraggio di affrontarlo. La mia tendenza alla sociopatia mi aiuta in questo caso. Accenno un breve saluto ed entro, superandolo. Non lo guardo. Abbasso lo sguardo mentre gli passo davanti. Non riesco a vedergli il viso né mi interessa.

Ho già capito, dalla struttura esterna della casa, dove si trova lo studio. Mi dirigo lì ostentando una sicurezza che non ho. In realtà sto solo scappando. John mi segue, chiedendo scusa da parte mia. Tipico.

Apro la porta con malagrazia. Il Signor Gray, in effetti, ci sta proprio aspettando.

“Buongiorno. Lei è il signor Sherlock Holmes, vero? Si sieda, si sieda … Ora le dirò qual'è il mi problema”

Mi siedo sulla poltrona che l'uomo mi indica. Chiudo gli occhi, come faccio sempre quando voglio concentrarmi sul serio. No, oggi non funziona. Se li chiudo riesco a pensare solo a lui.

Li riapro e guardo il mio interlocutore dritto negli occhi. Due occhi scurissimi che mi scrutano con fierezza. Mi piace lo sguardo di quest'uomo. Ha tutta la mia attenzione.

“Ha mai sentito parlare del Carbonchio Azzurro?”*

 

 

Come avevo previsto è un caso da sei e mezzo. Avrei potuto risolverlo anche da casa.

Una banalissima frode assicurativa. Il rarissimo e costosissimo Carbonchio Azzurro era stato assicurato per una cifra astronomica. Il Signor Gray lo aveva venduto a dei ricettatori e poi ne aveva inscenato il furto per poter intascare il denaro della vendita e dell'assicurazione.

Mi aveva contattato per essere sicuro che nessuno potesse mettere in dubbio la sua buona fede. Per lui, se nemmeno io fossi riuscito a trovare la gemma, avrebbe avuto meno problemi con l'assicurazione e la pietra, tagliata, sarebbe finita altrove.

Naturalmente, per un caso come questo, ho dovuto chiamare Lestrade. È arrivato con la sua immancabile assistente. Sally Donovan. Lei mi odia. Invidia o sana competizione? Non ne ho idea. Non sono mai stato una cima con i sentimenti ma, sinceramente, la cosa non mi interessa più di tanto.

Loro due sono venuti qui mentre un'altra squadra si è recata nell'appartamento dei ricettatori, giusto in tempo per evitare che la pietra sparisse nel continente.

“In quanto tempo l'ha risolto, stavolta?” chiede, rivolta a John.

“Un'ora” risponde lui, guardando l'orologio.

“Sinceramente, ci avete messo più tempo ad arrivare qui da Scotland Yard. Cos'è successo? Hanno spostato l'edificio in un'altra città?”

Mi piace fare queste battute acide. Mi servono a sottolineare ancora di più la mia superiorità. Voglio schiacciarli. Che mi odino pure. Non mi importa. So solo che hanno bisogno di me. Anche loro ne sono consapevoli. Che supplichino il mio aiuto.

Donovan mi guarda male. Lestrade sospira e lascia correre. Lui sa lavorare bene con me. Mi sopporta, come John.

Siamo nello studio di Gray. Lui è sempre seduto nella sua sedia a rotelle, ammanettato. Il suo segretario è in piedi accanto a lui e ci osserva preoccupato.

“Dunque, chi altri dobbiamo arrestare?” mi domanda Lestrade.

“Qui, solo il Signor Gray” dico “All'indirizzo che vi ho dato immagino abbiano già trovato i suoi complici. Per sicurezza tratterrei anche il suo segretario. Dal momento che l'ha assunto da poco, non penso si fidasse abbastanza da voler condividere con lui una frode assicurativa, ma ...”

Lo guardo per un istante. Non posso farne a meno. I suoi occhi sono lucidi. Che abbia paura che io sospetti di lui?

No, non guardarmi così. Non piangere. Non entrare nei miei pensieri in quel modo.

Non posso lasciare che quello che provo per lui mi impedisca di lavorare. Se fosse veramente coinvolto in questa storia non me lo perdonerei mai.

Distolgo lo sguardo e la voce di Sally, che normalmente mi irriterebbe, mi rassicura.

“Non c'entra nulla” mi dice Donovan, chiudendo il cellulare “Ha chiamato proprio ora Dimmok. I ricettatori hanno confessato e hanno fatto solo il nome di Gray. Non c'erano altri complici”

Sospiro.

“Bene” dico “Signor Gray, penso che ora possa anche alzarsi”

Lui mi guarda con odio e, dopo un istante di incertezza, si alza dalla sedia a rotelle.

“Ottimo” esclama Lestrade sfregandosi le mani “Grazie, Sherlock. Andiamo Sally”

“Arrivo subito, Greg” dice lei e, mentre il suo capo si allontana, lei si attarda con noi nella stanza.

Anch'io stavo per andarmene, ma sono curioso di vedere cos'ha in mente quella oca.

“Volevo chiederle scusa per le accuse di questo psicopatico” dice, indicandomi con un cenno distratto della testa “Lui sicuramente non ammetterebbe mai di essersi sbagliato e poco fa l'ha quasi accusata di favoreggiamento”

“Non fa nulla” risponde lui, con un sorriso.

Quant'è bello quando sorride …

Mi ricompongo. Ho anch'io la mia dignità. Il caso è risolto. I colpevoli sono stati catturati. A cosa servo ora? Posso tornarmene a casa, tra i miei libri, le mie provette e il violino.

Sto per uscire, quando la mia attenzione viene attirata ancora una volta da lui. Le prende la mano e gliela bacia con discrezione. Sono troppo vicini.

“Raramente ho visto bellezze paragonabili alla sua, signorina …?”

“Donovan” risponde lei “Può chiamarmi Sally, se vuole … e mi dia del tu, la prego!”

“Allora anche tu, Sally, puoi chiamarmi Victor e darmi del tu”

Me ne vado. Non voglio assistere oltre a questa scena disgustosa.

“Sei scocciato per essere stato trascinato fuori casa per un motivo così futile, vero?”

John non sta tentando di capire cosa mi rabbuia. Vuole semplicemente rompere il ghiaccio.

“No” rispondo io “Un caso semplice ma istruttivo”

Non parlo più fino a quando arriviamo a casa. Non ne ho proprio voglia. Lui lo sa e mi lascia in pace.

 

Appena arrivati a casa ho subito indossato i miei vestiti più comodi. Pantaloni, maglietta e vestaglia. Non ho voglia di uscire. Non ho voglia di vedere nessuno. John, al contrario di me, ha bisogno di contatti umani. Non mi ha detto nulla quando è uscito, oppure non l'ho sentito. Sta di fatto che non è più in casa quando riemergo dai miei pensieri.

 

 

 

 

15 anni prima

Sherlock non era mai stato un ragazzo socievole. Evitava simpaticamente tutti i contatti umani e, anche nelle rare occasioni in cui qualcuno si degnava di rivolgergli la parola, inventava scuse assurde per potersene andare.

Non sopportava la mediocrità di chi gli stava attorno. La Solitudine era sempre stata la sua migliore amica e, dentro di lui, sapeva che sarebbe sempre stato così.

Passeggiava per i viali alberati del college, osservando ogni dettaglio. Più di qualcuno gli aveva detto che era strano. Era capace di notare una minuscola macchia di fango nei pantaloni di un passante e dedurne vita, morte e miracoli. Per questo tutti lo evitavano. Quali segreti dovevano tenere nascosti? A Sherlock non importava. L'unica cosa che gli interessava era che se ne stessero il più possibile lontani da lui. La cosa aveva sempre funzionato … fino a quel giorno.

Vattene, maledetto cagnaccio!” aveva sibilato al boxer che, forse per giocare, gli aveva morso la caviglia.

Si guardò in giro. Il proprietario della belva doveva essere nelle vicinanze. Meglio andarsene prima che gli venisse in mente di …

Scusa per Max” gli disse una voce alle sue spalle.

scusarsi. Troppo tardi.

Non fa nulla” rispose Sherlock, ostentando una sicurezza che non aveva “Non mi ha fatto male”

Non era vero. Il cane aveva affondato i canini nella pelle e il sangue aveva cominciato a scendere copioso dalla ferita.

Non dire idiozie!” gli disse lui, guardando le macchie vermiglie che si stavano allargando sulla stoffa dei calzini “Vieni con me, ti porto in infermeria”

La reazione del ragazzo lo sorprese. Nessuno lo aveva mai trattato con così tanta gentilezza.

 

L'infermiera disinfettò e medicò la ferita, che risultò meno grave del previsto. Uscirono insieme dall'infermeria e il ragazzo lo invitò a prendere un caffè.

Sei nuovo, vero?” gli chiese, incuriosito, mentre se ne stavano comodamente seduti ad un tavolino.

Sì, come fai a saperlo? Sei uno che conosce tutti, immagino”

Sbagli” rispose Sherlock con un velo di amarezza nella voce “Il fatto è che tu non conosci me, per questo ho dedotto che sei nuovo di qui”

Il ragazzo lo squadrò con gli occhi spalancati per la sorpresa.

Scusa, ma non capisco” ammise poi “Sei così famoso?”

Più che famoso … direi famigerato” rispose Sherlock con un mezzo sorriso “Se avessi sentito parlare di me, non saresti stato così gentile”

Il ragazzo rise.

Che dici? Perché non avrei dovuto?” gli chiese stupito.

Sono la tipica persona che la gente odia” rispose Sherlock, guardandosi in giro imbarazzato.

Be', 'tipica persona che la gente odia', io mi chiamo Victor. Victor Trevor. E tu?” e gli tese la mano.

Sherlock rimase stupito ad osservare la sua mano per qualche istante poi, per istinto, l'afferrò e la strinse in una vigorosa stretta.

Sherlock Holmes” disse e, nel dirlo, sorrise.

Era la prima volta che qualcuno suscitava la sua simpatia.

Quello fu l'inizio.

 

Sherlock e Victor cominciarono a passare molto tempo insieme. Più che altro era Victor che stava con Sherlock. Quest'ultimo si limitava a starsene ad ascoltarlo e a guardarlo. Da poco aveva scoperto di non essere per nulla interessato alle ragazze e Victor gli piaceva. Gli piaceva la sua voce, il profumo del suo dopobarba, il suo viso regolare, la forma delle sue labbra. Più di una volta, guardandolo parlare , si era chiesto come doveva essere provare a baciarle.

Dovresti farlo, sai?” gli disse un giorno lui, mentre se ne stavano seduti sotto un albero, giocherellando con una foglia morta.

Cosa dovrei provare a fare?” domandò Sherlock, distolto dai suoi pensieri.

Quello che pensi di fare ogni volta che mi guardi” rispose semplicemente Victor, senza smettere di fissare le venature della foglia che teneva in mano.

Io … io … io non so proprio di cosa stai parlando” rispose Sherlock, senza rendersi conto di essere arrossito.

Io invece penso proprio di sì” gli disse Victor voltandosi verso di lui “e le tue guance me lo stanno confermando proprio ora. Ti facevo più audace”

Quelle parole sapevano di delusione. Chiaramente lo stava sfidando e Sherlock decise di cogliere la sfida.

Victor tornò a girarsi e lanciò lontano la foglia, poi appoggiò la testa al tronco dell'albero e chiuse gli occhi. Non poteva sprecare un'occasione del genere.

In un attimo annullò la distanza tra di loro e posò le sue labbra su quelle del ragazzo. Erano morbide e sapevano di caffè.

Non sapeva che reazione aspettarsi. Gli bastava quello. La consistenza e il sapore delle sue labbra. Morbide e profumate. Gli piacevano.

Fece per allontanarsi, ma Victor gli afferrò la mano e lo trattenne vicino a sé, per approfondire il bacio. Bacio che, da casto, divenne sempre più approfondito e spregiudicato.

Erano soli. Victor, intuendo la timidezza e l'insicurezza di Sherlock, decise di prendere in mano la situazione. Con una singola mossa ribaltò la loro posizione e lo fece distendere a terra e continuò a baciarlo fino a quando il sole sparì all'orizzonte.

 

 

5 anni dopo

Sherlock e Victor se ne stavano placidamente distesi nel letto del loro appartamento. Erano ancora nudi, ma non avevano freddo. Un rassicurante fuocherello scoppiettava nella stanza accanto, donando calore a tutta la casa, ma non era quello che li riscaldava.

Victor ...” cominciò Sherlock, a disagio “Per quella cosa ...”

Ancora?” domandò il ragazzo, sbuffando “Ma perché ci tieni così tanto?”

È importante” rispose Sherlock arrossendo “Per me”

Non avrei mai detto che tenessi a queste cose” disse Victor, prendendo una sigaretta e l'accendino dalla giacca. Si alzò dal letto e cominciò a fumare standosene in piedi.

Il fatto è che ...” cominciò Sherlock, ma non riuscì a finire la frase.

Devo andare” lo interruppe Victor guardando l'orologio “Ci vediamo la settimana prossima”

Si vestì velocemente e uscì dalla stanza, lasciando Sherlock immerso nei suoi pensieri.

 

Passarono ben due settimane prima che i ragazzi potessero incontrarsi di nuovo. Victor era stato invitato ad una festa e aveva invitato anche Sherlock. Lui non aveva molta voglia di andarci, ma il desiderio di rivedere il suo … be', di rivederlo dopo tanto tempo era più forte del ribrezzo che provava verso le altre persone. Per lui sarebbe esistito solo Victor.

Ciao Vic!” lo accolse il padrone di casa quando entrarono “Ragazzi!” esclamò poi, rivolto ai presenti “C'è Victor … a quanto pare non è solo. Piacere” disse tendendo la mano a Sherlock “Sono Thomas”

Lui è Sherlock” lo presentò Victor “Un mio amico”

Sherlock, che per non fargli fare brutta figura aveva teso la mano a Thomas, lo guardò allibito. Il termine che aveva usato per definire il loro rapporto e il tono con cui l'aveva pronunciato non gli piacevano. Era troppo formale per i suoi gusti. Eppure Sherlock pensava che Victor avesse capito cosa voleva da lui.

Benvenuto Sherlock” gli disse Thomas facendogli spazio per entrare, ma lui restò sulla soglia.

Cosa vuol dire 'amico'?” domandò a Victor. A quel punto non gli importava più di fargli fare una figura di merda davanti ai suoi amici.

Amico … vuol dire amico, no?” rispose lui, a disagio. Li stavano guardando tutti.

Fu allora che Sherlock capì. Non si sarebbe mai esposto per lui. Non avrebbe mai ammesso che lo amava.

Ti piace scoparmi, eh? pensò digrignando i denti per la frustrazione Ti piace fare sesso con me, ma non hai voglia di compromettere la tua posizione sociale?

Ti facevo più audace” disse alla fine, guardandolo negli occhi.

Victor capì all'istante di cosa stava parlando e arrossì.

Quell'insicurezza da parte del compagno gli diede coraggio, così proseguì.

Noi non siamo amici, Victor, siamo ...”

Zitto!” sibilò lui, fulminandolo con lo sguardo “Non siamo amici, è vero. Mi chiedo cosa mi sia saltato in mente quando ti ho invitato qui. Ora vattene, per piacere”

Sherlock non se lo fece ripetere due volte. Girò su se stesso e sparì giù per le scale. Non voleva farsi vedere da lui mentre le prime lacrime cominciavano a rigargli il viso.

 

 

Mi risveglio. Come mai questi pensieri? Certo, certo … non c'è altra spiegazione. Maledetto Victor! Era rientrato nella sua vita come niente fosse. Era stato lui a inviare la mail per richiedere il suo intervento in quel caso. Sapeva che si sarebbero visti.

Perché non gli aveva detto nulla? Cosa si aspettava di ottenere? Cosa significava poi quella pagliacciata con la Donovan?

Queste e altre mille domande avevano cominciato a ronzarmi in testa da quando ero uscito da quella casa. Devo vederci chiaro.

Mi alzo di scatto dal divano, in cerca del cellulare. Non ho mai cancellato il suo numero. L'unico mio dubbio è che lui, nel frattempo, lo abbia cambiato.

Vedo il cellulare sopra il tavolo. John non c'è, perciò dovrò arrangiarmi a prenderlo. Mi alzo di malavoglia e raggiungo la cucina. Sto per afferrarlo, quando comincia a vibrare.

È Lestrade.

“Sherlock, tue e John dovreste venire qui per firmare il verbale” mi dice. Sintetico. Chiaro.

“Arrivo”

“Dove dobbiamo andare?” mi chiede John, uscendo dal bagno.

Non mi ero accorto che fosse rientrato.

“A Scotland Yard” rispondo io, telegrafico.

Lui annuisce e si prepara per uscire.

 

Non ho voglia di incontrare nessuno, in realtà, ma mi obbligo a farlo. Devo portare a termine questa cosa. Raggiungo Scotland Yard in taxi e la prima persona che vedo è anche l'ultima che avrei voluto incontrare. Sally. Mi saluta come al solito, con un grugnito. Entro nell'ufficio di Lestrade, che mi accoglie con un sorriso tirato. Mi porge i fogli da firmare, ma Sally mi distrae.

Sta cinguettando come una cretina. Fa sempre così quando un uomo le presta attenzione per più di cinque minuti. In questo caso ciò che mi da fastidio è che quell'uomo sia proprio …

“Victor!” esclama lei “Sei arrivato, finalmente”

Mi giro. È proprio lui. Anche lui qui per il verbale relativo al caso del suo datore di lavoro.

“Signorina Donovan” la saluta lui e le prende di nuovo la mano per baciarla.

Non so che faccia ho fatto, ma Victor mi guarda per un istante e abbozza un sorriso soddisfatto.

“Ma … Victor, ti avevo detto di darmi del tu, ricordi?” gli dice lei, fingendosi arrabbiata.

“Ricordo perfettamente, Sally” risponde lui, e lei arrossisce fino alla punta delle orecchie.

“Io ho finito il turno” dice lei, ridacchiando come una ragazzina “Che ne dici di andare a berci un caffè?”

Lui la guarda un istante, poi sorride ad occhi chiusi.

“Verrei volentieri” dice stringendosi nelle spalle “Ma temo che il mio fidanzato si ingelosirebbe … anche se a dire il vero la cosa non mi dispiacerebbe più di tanto. È così carino quando è geloso!”

Lo guardiamo tutti con gli occhi spalancati.

Fidanzato?!

Il mio sguardo deve essere molto esplicito. Un misto di stupore e rabbia. Stupore per il coming out così disinvolto. Rabbia perché … solo ora ha trovato il coraggio di dichiararsi? Solo ora, per giunta con un altro?

Devo essere diventato rosso. Sento il sangue avvamparmi le guance.

“Ecco, cosa ti dicevo?” dice lui, prendendomi per un braccio “Non è adorabile?”

Sbianco all'improvviso. Lo stupore ha decisamente preso il sopravvento sulla rabbia. Non faccio in tempo a ritrovare il mio colorito naturale, quando Victor mi fa arrossire di nuovo.

Mi prende per la mano e mi trascina verso di lui e … mi bacia.

Mi bacia in pubblico.

Un bacio dapprima casto, poi sempre più audace. La sua lingua si insinua pian piano tra le mie labbra e, quando si incontra con la mia, è puro piacere.

Avevo dimenticato questa sensazione, ma è come se ci fossimo lasciati solo ieri.

Maledetto Victor! Voleva farmi ingelosire e ci è riuscito. In più questa sua dichiarazione così sfacciata è il suo modo per chiedermi scusa.

Ho dovuto aspettare dieci anni, ma ne è valsa la pena.

Ricambio il bacio con trasporto. Non mi importa degli sguardi degli yarders piantati su di me. Non mi importa di nulla. Nemmeno dell'espressione di John. Non so se sia gelosia, ammirazione o imbarazzo.

Non mi importa.

Ci stacchiamo dopo un tempo che mi è sembrato infinito.

“Mi pare che qui abbiamo finito” mi dice lui, stringendomi la mano “Possiamo andare?”

Mi limito ad annuire.

Ho la gola ostruita da un grosso nodo. L'emozione, credo. Tante, troppe parole non dette in questi ultimi dieci anni, stanno facendo la fila sulle mie corde vocali e aspettano di essere pronunciate.

Ci sarà tempo, per questo.

Per ora c'è solo lui. I suoi occhi sui miei, le sue labbra sulle mie, i nostri corpi fusi insieme.

Per me, ora, esiste solo lui.

Lo prendo per un braccio mentre usciamo e mi avvicino a lui. Voglio che tutti sappiano, che tutti ci vedano insieme.

“Victor?”

“Mmh?”

“Ti amo”

Lui si gira verso di me e mi guarda con affetto. Nemmeno quando stavamo insieme, tanti anni fa, gliel'ho mai detto. Forse per questo lui non ha trovato il coraggio di dichiararsi.

“Anch'io ti amo, Sherlock”

Mi bacia di nuovo. Altri sguardi si posano sulle nostre spalle, ma non ci importa. Vorrei addirittura rischiare una denuncia per atti osceni in luogo pubblico, tanta è la voglia di privarlo immediatamente dei vestiti, ma mi trattengo.

Ci sarà tempo anche per questo.

Per ora, l'unica cosa importante siamo noi due.

Noi due e il nostro amore.

 

 

 

 

 

 

 

Mi dispiace per le amanti delle Johnlock, ma volevo proprio scrivere qualcosa tra Victor e Sherlock. Li vedo bene insieme, come coppia. Spero vi sia piaciuta. Alla prossima. Mini

 

 

 

 

 

 

 

*Da l'Avventura del Carbonchio Azzurro. Non c'entra niente. Ho solo preso in prestito il nome del diamante.

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Capitolo 2
*** Victor Trevor ***


Piccola premessa:

Questa voleva essere una storia a capitolo unico. Non volevo renderla banale continuando la narrazione.

Una bellissima recensione però mi ha dato l'ispirazione di continuarla in un modo molto particolare: esercizi di stile.

Il primo capitolo (escluso il flashback) è narrato interamente dal punto di vista di Sherlock, così ho pensato di rinarrare lo stesso episodio da punti di vista di versi. Cominciamo con Victor.

 

 

 

 

 

 

 

Victor Trevor

 

 

 

 

 

 

Nella mia vita ho commesso un'infinità di sbagli, talmente tanti che ora sarebbe inutile stare a contarli. In qualche modo, tuttavia, sono sempre riuscito a superarli.

Errori nello studio, nel lavoro … tutte cose che bene o male non hanno mai condizionato la mia vita.

Un unico errore, però, continua a tormentarmi.

Mi sveglio di notte, ripensando a quel giorno e mi vergogno e mi pento di ciò che ho fatto e mi chiedo il perché. Me lo chiedo, ma la risposta la so già.

Codardia.

Sono stato troppo codardo e l'ho fatto fuggire.

Ogni giorno, quando mi guardo allo specchio, vedo la paura nei miei occhi.

Solitamente non la faccio mai trasparire, atteggiandomi come persona forte e sicura di sé, ma quando sono solo, tutto riaffiora.

Lui era stato coraggioso. Da mesi mi chiedeva di fare il fatidico passo, ma io ero troppo orgoglioso anche solo per pensarci.

Mi chiedo perché fossi così spavaldo nei suoi confronti e invece tremassi come una foglia al solo pensiero di farmi avanti con gli altri, ma anche a questa domanda ho una risposta.

La mia era una maschera, la stessa che indossava lui e, da quanto ho potuto apprendere dai giornali e dal blog del dottor Watson, nessuno dei due l'ha abbandonata.

Entrambi la usavamo per proteggerci, per preservare la parte più debole ed esposta di noi. Sapevamo entrambi che la nostra preferenza sessuale sarebbe stata d'intralcio per i nostri rapporti sociali, seppure per motivi diversi.

Io ero lo sciupa femmine. L'ultimo arrivato e per questo ancor più carico di mistero, quello di cui tutti volevano sentire la storia, anche perché ne avevo di episodi singolari da raccontare, dal momento che avevo vissuto per molti anni in Australia con mio padre.

Lui era l'emarginato, come imparai a scoprire più tardi, quello che tutti odiavano. Si era presentato così, quando ci eravamo conosciuti nemmeno cinque anni prima di quel fatale inciampo che mi fece scivolare di mano la felicità.

Con gli altri indossava la maschera della freddezza e della sociopatia, solo con me la calava per mostrare la creatura meravigliosa che era in realtà.

Lo vedevo come una pantera nera, sfuggente e misteriosa con gli altri, che con me si trasformava in un mansueto e coccoloso micetto.

 

Ora, a distanza di dieci anni, sono costretto ad affrontare i miei demoni.

L'uomo per cui lavoro, il signor Gray, ha assoluto bisogno di un consulto dal miglior detective di tutta Londra e non solo. Non c'è bisogno di chiedere per capire a chi si riferiva.

Il nome del mio ex fidanzato è sulla bocca di tutti così, seppur recalcitrante, lo chiamo.

Per mia fortuna risponde il dottore, così ho ancora qualche ora di tempo per prepararmi psicologicamente all'incontro.

In realtà spero che si tratti di pochi minuti. In fin dei conti deve vedersi solo con il mio datore di lavoro. Cosa c'entro io?

 

 

Quando finalmente arrivano, mi affretto ad andare ad aprirgli. È John ad attendermi sulla soglia. Al suo fianco c'è lui, ma come al solito è distratto. Mi chiedo cosa osservi.

“Buongiorno, voi dovete essere Sherlock Holmes e il dottor John Watson, vero? Sono il segretario del signor Grey”

“Esatto” mi risponde il dottore, sempre molto educato “Io sono il dottor Watson. Sherlock Holmes è lui”

Indica l'uomo moro al suo fianco. Come se non lo sapessi! Non potrei scordare quei lineamenti nemmeno se mi dessero una botta in testa.

“Victor Trevor” dico e prendo la mano di John “Entrate, prego. Il signor Gray vi sta aspettando nel suo studio ...”

Spero che almeno questa volta lui mi degni di uno sguardo.

Niente.

Mi passa accanto come se facessi parte dell'arredamento e si dirige con passo sicuro verso lo studio di Gray. Deve aver capito dov'è da solo. Tipico, come il suo comportamento scontroso. Non posso dargli torto, non dopo ciò che gli ho fatto. Il suo amico lo segue e, passandomi accanto, cerca di scusarsi per il rozzo comportamento del detective.

Mentre si chiudono la porta alle spalle, mi chiedo cosa ci sia tra di loro. Amore?

Cos'è invece questa strana sensazione che provo io? Non sarò mica geloso? No, vero? Non è possibile. Non dopo tutti questi anni. D'altra parte non ne ho nemmeno il diritto.

Se Sherlock è felice così, chi sono io per dovermi lamentare?

In questi anni non si è mai fatto vivo, ma nemmeno io mi sono fatto avanti.

 

Lo vedo uscire ancora più nero di quando è entrato. Probabilmente il caso era meno complesso di quanto si aspettasse. Lo vedo chiamare qualcuno. Urla perché si sbrighino. Dietro di lui, il signor Gray sogghigna. Mi chiedo cosa abbia da ridere.

Nel frattempo vedo Sherlock mandare qualche messaggio o semplicemente sta cercando qualche informazione in rete, non saprei dirlo.

Nemmeno un'ora dopo lo vedo sorridere a mezza bocca. Ha risolto il caso.

Parlando velocemente come solo lui sa fare, ci spiega come il mio datore di lavoro ha venduto il diamante a dei ricettatori e come ha simulato il furto, il tutto dedotto da minimi particolari notati sulla stanza e sul giardino. Mi chiedo quando abbia visto il giardino, poi capisco che ha avuto tutto il tempo di osservarlo mentre aspettava che aprissi alla porta.

Chiama Scotland Yard e in un quarto d'ora arrivano l'Ispettore Lestrade e la sua assistente.

L'ispettore si avvicina a John.

“In quanto tempo l'ha risolto, stavolta?”

“Un'ora” è la risposta di John.

Non sembra sorpreso. Deve essere un'abitudine per lui. Sento una punta di gelosia. Non è possibile, invece mi ritrovo a stringere il pugno per la rabbia dietro la schiena, ma Sherlock non mi nota. È troppo impegnato a parlare con gli yarder.

“Sinceramente, ci avete messo più tempo ad arrivare qui da Scotland Yard. Cos'è successo? Hanno spostato l'edificio in un'altra città?”

Ecco che di nuovo ostenta la sua maschera di arroganza. John si copre il viso con la mano, Lestrade sospira e sembra non dare peso alla battuta mentre la donna si sfoga lanciandogli un'occhiata carica d'odio che mi fa venire un'idea.

Andiamo nuovamente nello studio di Gray. L'uomo è sempre sulla sua sedia a rotelle, ammanettato.

“Dunque, chi altri dobbiamo arrestare?” domanda Lestrade, attendendo istruzioni.

“Qui, solo il signor Gray” risponde Sherlock “All'indirizzo che vi ho dato abbiamo già trovato i suoi complici. Per sicurezza tratterrei anche il suo segretario. Dal momento che l'ha assunto da poco, non penso si fidasse abbastanza da voler condividere con lui una frode assicurativa, ma ...”

Mi guarda per un istante. Il suo sguardo è duro e freddo come un iceberg. Troppo, per come lo conosco. Sta trattenendo qualcosa, ne sono certo.

Sento gli occhi pizzicarmi. Davvero sospetta di me? Ricaccio indietro le lacrime. Non voglio la sua pietà.

Distoglie immediatamente lo sguardo perché la signorina Donovan lo richiama.

Trattengo il fiato.

“Non c'entra nulla. Ha chiamato proprio ora Dimmok. I ricettatori hanno confessato e hanno fatto solo il nome di Gray. Non c'erano altri complici”

Torno a respirare.

Per un momento ho temuto il peggio. Sono innocente, non voglio finire indiziato per qualcosa che non ho fatto.

“Bene” dice lui, sfregandosi le mani “Signor Gray, penso che ora possa anche alzarsi”

Sbatto gli occhi un paio di volte, incredulo. Sto per replicare aspramente che il signore è infermo, ma mi zittisco appena in tempo perché lui, dopo aver lanciato uno sguardo carico d'astio verso il mio amico, si alza.

“Ottimo” esclama l'ispettore “Grazie, Sherlock. Andiamo Sally”

“Arrivo subito, Greg” risponde lei e, mentre il suo capo si allontana con il mio ormai ex datore di lavoro, lei si sofferma ancora qualche istante con noi. Vedo che Sherlock sta già indossando i suoi guanti ed era pronto per uscire, ma notai che ci metteva più tempo del solito. Che volesse spiarmi? Più probabilmente voleva osservare i movimenti della brunetta.

Lei si avvicina a me con passo felpato. Sembra una tigre.

“Volevo chiederle scusa per le accuse di questo psicopatico” mi dice e lo indica con la testa.

Benissimo. Già la odio.

“Lui sicuramente non ammetterebbe mai di essersi sbagliato e poco fa l'ha quasi accusata di favoreggiamento”

“Non fa nulla” rispondo io, con un sorriso falso.

Oggi ho provato una gelosia indescrivibile vedendolo in intimità con quel biondino. Già prima, osservando il rapporto tra la donna e Sherlock, mi era balenata in testa un'idea. La devo attuare velocemente o sarà troppo tardi.

Prima che lui esca dalla stanza, prendo la mano di lei e, seppur con ribrezzo, la bacio.

“Raramente ho visto bellezze paragonabili alla sua, signorina …?” dico, mentre in realtà penso a Sherlock. Sarebbe impossibile per me pensare una frase del genere riferita a chiunque altro non sia lui. Lei arrossisce lievemente.

“Donovan. Può chiamarmi Sally, se vuole … e mi dia del tu, la prego!”

Che oca.

“Allora anche tu, Sally, puoi chiamarmi Victor e darmi del tu”

Sherlock, prevedibilmente, se ne va. Non so se scocciato dalla gelosia o dalla situazione fin troppo melensa.

“Ora devo proprio andare, Victor” mi dice lei “Spero di poterti incontrare presto … be', dovrai venire in centrale per firmare il verbale … ah!” si ferma sulla soglia “Scusa ancora da parte di Holmes”

Ride, mi fa l'occhiolino e se ne va.

Maledettissima oca.

Crede che Sherlock mi debba delle scuse per aver fatto il suo lavoro?

Lei non può sapere che Sherlock aspetta da parte mia una scusa da quasi dieci anni.

 

 

 

 

 

15 anni prima

Victor era appena arrivato a Londra, dopo una lunga permanenza in Australia con i suoi genitori. Aveva iniziato lì a frequentare il college, ma aveva deciso di seguire la famiglia quando a causa del lavoro del padre avevano deciso di fare ritorno in Inghilterra.

Era arrivato da poco e già si era fatto una cerchia di amici, ammaliati dalla suo viso affascinante e dalla sua personalità.

Stava passeggiando nel vastissimo parco del college quando Max, il suo cucciolo di boxer, gli sfuggì, facendogli perdere la presa sul guinzaglio.

Lo inseguì, ma quando lo vide il danno era già stato fatto. Sentì un ragazzo imprecare perché il cucciolo lo aveva morso sulla caviglia.

Vide la 'vittima' di Max alzarsi per cercare di andarsene, ma non poteva lasciarlo così.

Gli si avvicinò correndo.

Scusa per Max”

Il ragazzo si alzò a fatica, ma ricadde a terra.

Non fa nulla” rispose Sherlock, ostentando una sicurezza che quasi buffa “Non mi ha fatto male”

Non era vero. Il cane aveva affondato i canini nella pelle e il sangue aveva cominciato a scendere copioso dalla ferita.

Non dire idiozie!” gli disse lui, guardando le macchie vermiglie che si stavano allargando sulla stoffa dei calzini “Vieni con me, ti porto in infermeria”

Prese in mano la situazione. Non poteva permettere che quel ragazzo se ne andasse da solo con una ferita del genere.

Lo aiutò ad alzarsi da terra e lo prese sotto braccio, per accompagnarlo in infermeria.

L'infermiera disinfettò e medicò la ferita, che risultò meno grave del previsto. Uscirono insieme dall'infermeria e il ragazzo lo invitò a prendere un caffè.

Sei nuovo, vero?” gli chiese, incuriosito, mentre se ne stavano comodamente seduti ad un tavolino.

Sì, come fai a saperlo? Sei uno che conosce tutti, immagino”

Sbagli” rispose Sherlock con un velo di amarezza nella voce “Il fatto è che tu non conosci me, per questo ho dedotto che sei nuovo di qui”

Lo squadrò con gli occhi spalancati per la sorpresa.

Scusa, ma non capisco” ammise poi “Sei così famoso?”

Più che famoso … direi famigerato” rispose Sherlock con un mezzo sorriso “Se avessi sentito parlare di me, non saresti stato così gentile”

Rise.

Che dici? Perché non avrei dovuto?” gli chiese stupito.

Sono la tipica persona che la gente odia” rispose Sherlock, guardandosi in giro imbarazzato.

Be', 'tipica persona che la gente odia', io mi chiamo Victor. Victor Trevor. E tu?” e gli tese la mano.

Non si era mai preoccupato di cosa gli altri pensassero. Aveva sempre pensato con la sua testa, senza lasciarsi influenzare dal primo venuto. Sherlock gli era piaciuto dal primo momento e aveva la ferma intenzione di scoprire da solo se ciò che gli altri dicevano di lui era vero.

Sorrise vedendo lo stupore negli occhi del moro. Evidentemente non era abituato a tutta quella fiducia nel prossimo. Gli afferrò la mano e ricambiò la stretta con entusiasmo.

Sherlock Holmes” disse e, nel dirlo, sorrise.

Quello fu l'inizio.

 

 

Sherlock e Victor cominciarono a passare molto tempo insieme. Più che altro era Victor che stava con Sherlock. Quest'ultimo si limitava a starsene ad ascoltarlo e a guardarlo.

Da qualche tempo a quella parte, Victor si era reso conto che il suo nuovo amico lo osservava con attenzione. Sembrava indeciso o insicuro e questo lo ricopriva di tenerezza. Gli venne il sospetto che volesse baciarlo forse perché, in fondo, anche lui desiderava fare lo stesso.

Dovresti farlo, sai?” gli disse un giorno, mentre se ne stavano seduti sotto un albero, giocherellando con una foglia morta.

Cosa dovrei provare a fare?” domandò Sherlock, distolto dai suoi pensieri.

Quello che pensi di fare ogni volta che mi guardi” rispose semplicemente Victor, senza smettere di fissare le venature della foglia che teneva in mano.

Io … io … io non so proprio di cosa stai parlando” rispose Sherlock, senza rendersi conto di essere arrossito.

Io invece penso proprio di sì” gli disse Victor voltandosi verso di lui “e le tue guance me lo stanno confermando proprio ora. Ti facevo più audace”

Victor lo aveva volontariamente provocato e sorrideva, aspettando la reazione. Lanciò lontano la foglia che teneva in mano e si appoggiò al tronco con tutta la schiena, chiudendo gli occhi e chiedendosi se Sherlock sarebbe stato abbastanza coraggioso da baciarlo.

Lo fece. In un attimo si appropriò delle sue labbra. Quelle di Sherlock sapevano di marmellata di lamponi.

Sentì una lieve incertezza in lui e quando lui cercò di allontanarsi, lo trattenne per una mano e approfondì il bacio, facendo incontrare le loro lingue che si sfioravano e si stuzzicavano.

Non c'era nessun altro, oltre a loro, così Victor decise di approfittarne. Con una sola mossa lo afferrò per le spalle e lo fece distendere per continuare a baciarlo, fino a quando le ombre degli alberi si allungarono attorno a loro.

 

 

 

5 anni dopo

Sherlock e Victor se ne stavano placidamente distesi nel letto del loro appartamento. Erano ancora nudi, ma non avevano freddo. Un rassicurante fuocherello scoppiettava nella stanza accanto, donando calore a tutta la casa, ma non era quello che li riscaldava.

Victor ...” cominciò Sherlock, a disagio “Per quella cosa ...”

Ancora?” domandò il ragazzo, sbuffando “Ma perché ci tieni così tanto?”

È importante” rispose Sherlock arrossendo “Per me”

Non avrei mai detto che tenessi a queste cose” disse Victor, prendendo una sigaretta e l'accendino dalla giacca. Si alzò dal letto e cominciò a fumare standosene in piedi.

Il fatto è che ...” cominciò Sherlock, ma non riuscì a finire la frase.

Devo andare” lo interruppe Victor guardando l'orologio “Ci vediamo la settimana prossima”

Si vestì velocemente e uscì dalla stanza, lasciando Sherlock immerso nei suoi pensieri.

 

Passarono ben due settimane prima che i ragazzi potessero incontrarsi di nuovo. Victor era stato invitato ad una festa e aveva invitato anche Sherlock.

Negli ultimi tempi era stato occupatissimo con lo studio. Non era intelligente come Sherlock, ma gli dispiaceva dover ignorare il suo amante.

Amante.

Non riusciva a pensare a lui in altri termini.

Sapeva che Sherlock avrebbe voluto che lo chiamasse 'fidanzato' e da un po' di tempo premeva molto su quel tasto. Aveva gioito quando lui aveva accettato di andare a quella festa. Evidentemente il desiderio di rivederlo era più forte dell'antipatia che provava per le altre persone, ciò nonostante sperò che si comportasse bene, almeno quella sera.

 

 

Quando entrarono fu immediatamente accolto dal padrone di casa.

Ciao Vic! Ragazzi!” esclamò poi, rivolto ai presenti “C'è Victor … a quanto pare non è solo. Piacere” disse tendendo la mano a Sherlock “Sono Thomas”

Lui è Sherlock” lo presentò Victor “Un mio amico”

Sorrise benevolmente quando vide che Sherlock aveva deciso di comportarsi da essere umano e non da sociopatico iperattivo, ma rimase interdetto vedendo la sorpresa nei suoi occhi. Era forse scocciato perché lo aveva presentato solo come 'amico'?

Purtroppo era così e la speranza che Sherlock non gli facesse fare brutta figura svanì quando Sherlock parlò.

Benvenuto Sherlock” gli disse Thomas facendogli spazio per entrare, ma lui restò sulla soglia.

Cosa vuol dire 'amico'?” domandò a Victor. A quel punto non gli importava più di fargli fare una figura di merda davanti ai suoi amici.

Amico … vuol dire amico, no?” rispose lui, a disagio. Li stavano guardando tutti. Ecco. Figura di merda in arrivo.

Non aveva voglia di fare coming out, non quella sera. Lì erano presenti molte sue spasimanti e non voleva perderle, non tanto perché il suo amante era un uomo – era bisessuale e non si vergognava ad ammetterlo – ma perché non voleva considerarsi fidanzato.

Ti facevo più audace” disse alla fine Sherlock, guardandolo negli occhi.

Riconobbe immediatamente la frase che lui stesso aveva pronunciato cinque anni prima, quando si erano baciati per la prima volta e arrossì. Non fece in tempo a ribattere, e in tutta onestà non sapeva bene cosa dire, che Sherlock proseguì.

Noi non siamo amici, Victor, siamo ...”

Zitto!” sibilò, interrompendolo giusto in tempo e fulminandolo con lo sguardo “Non siamo amici, è vero. Mi chiedo cosa mi sia saltato in mente quando ti ho invitato qui. Ora vattene, per piacere”

Si pentì immediatamente di ciò che aveva detto, ma ormai Sherlock se n'era andato.

Si avvicinò al tavolo dove prese un bicchiere sostanzioso di birra e la scolò d'un fiato. Era troppo codardo perfino per corrergli dietro.

 

 

 

 

Faccio giusto in tempo a raccogliere le ultime cose dal mio ufficio, che sento suonare il telefono. Una parte di me … meglio, tutto il mio essere desidera che sia Sherlock.

Purtroppo vengo deluso. È un numero fisso e non ci vuole il genio del mio amico Holmes per capire che si tratta di Scotland Yard. Rispondo e sento la voce irritante di Sally.

“Salve, Victor” mi dice. Sembra un topo che squittisce. Patetica. “Devi venire in centrale per firmare il verbale... ti aspetto ...” aggiunge, cercando di mettere una certa sensualità nella voce, riuscendo solo ad apparirmi ancora più ridicola.

Mi eccito all'idea. Voglio rivedere Sherlock, voglio farlo ingelosire e … farmi perdonare. So già come.

Quando arrivo in centrale vedo che Sherlock è già arrivato in compagnia dell'immancabile dottore. Sally si comporta peggio di un'oca e vedo che anche a lui dà fastidio.

Mi avvicino e appena lei mi vede mi corre incontro.“Victor!” esclama prendendomi per mano “Sei arrivato, finalmente”

Si gira verso di me. Non è sorpreso, ma sembra irritato. L'ho ingelosito per bene. Sarà bene battere il ferro finché è caldo.

“Signorina Donovan” la saluto elegantemente e le prendo una mano per baciarla di nuovo, mentre con la coda dell'occhio guardo la reazione di Sherlock. Bene. Sorrido soddisfatto. Sta funzionando.

“Ma … Victor, ti avevo detto di darmi del tu, ricordi?” mi dice lei, fingendosi arrabbiata.

“Ricordo perfettamente, Sally” risponde io, e lei arrossisce fino alla punta delle orecchie. Che donna insulsa.

“Io ho finito il turno” mi dice, ridacchiando come una ragazzina “Che ne dici di andare a berci un caffè?”

Sorrido ad occhi chiusi.

“Verrei volentieri” dico stringendomi nelle spalle “Ma temo che il mio fidanzato si ingelosirebbe … anche se a dire il vero la cosa non mi dispiacerebbe più di tanto. È così carino quando è geloso!”

Sento tutti gli sguardi dei presenti puntati su di me.

Sì, fidanzato, e allora?

Il suo bel viso, di solito impassibile, reagisce e diventa tutto rosso. Che ingenuo. Su alcune cose Sherlock sembra rimasto un bambino.

“Ecco, cosa ti dicevo?” dico e lo afferrò per un braccio “Non è adorabile?”

Il bel colorito della gelosia lascia subito spazio al terrore che lo fa sbiancare. Ora l'ho stupito. Ho stupito Sherlock Holmes … il che è tutto dire! Posso fare di più.

Lo afferro per una mano e lo trascino verso di me per un bacio. Un intensissimo e sensuale bacio.

Questo è il mio modo di chiedergli scusa. Un bacio può cancellare l'errore di un giovane stupido?

Sembra di sì perché risponde con trasposto fregandosene, come me, degli occhi di tutti sulle nostre schiene.

Sento che il suo viso si scalda perché è di nuovo arrossito e gioisco. L'ho fatto arrossire di felicità, non c'è dubbio.

Come ho fatto a rinunciare a lui tutti questi anni? Sono trascorsi dieci anni, eppure non sembra passato nemmeno un giorno.

“Mi pare che qui abbiamo finito” gli dico, stringendogli la mano “Possiamo andare?”

Si limita ad annuire.

Mi chiedo quante cose abbia da dirmi. È insolito per lui stare zitto, ma al momento non mi interessa. Ci sarà tempo per chiarirci.

Usciamo in strada. Lui mi prende per un braccio. Vuol far vedere a tutti che siamo fidanzati? Rido, pensando a quanto è dolce senza nemmeno saperlo.

“Victor?” mi chiama sorridendo radioso.

“Mmh?” rispondo io, incuriosito.

“Ti amo”

Quella dichiarazione mi stupisce più di tutto. Mi giro per guardarlo con amore. Non me l'aveva mai detto. Mai. Ora che ha pronunciato quelle due parole, mi sento a mia volta più sicuro sul nostro rapporto.

“Anch'io ti amo, Sherlock”

Lo bacio di nuovo. Altri sguardi, quelli dei passanti, si posano su di noi, ma non mi importa.

Lo sento fremere tra le mie braccia, eccitato. Chissà cosa vorrebbe farmi, ora. Anch'io non sto nella pelle di ritrovare con lui quell'intimità da troppo tempo dimenticata.

Mi trattengo e l'abbraccio.

Per ora è sufficiente questo.

Noi due e il nostro amore.

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