Fobie.

di Its Ellie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nord Italia - Odinofobia (Paura del dolore) ***
Capitolo 2: *** Polonia - Dentofobia (Paura del dentista) ***
Capitolo 3: *** Prussia - Monofobia (Paura della solitudine) ***
Capitolo 4: *** Germania - Mnemofobia (Paura dei ricordi) ***
Capitolo 5: *** Sacro Romano Impero - Athazagorafobia (Paura di essere dimenticati e di dimenticare) ***
Capitolo 6: *** Francia - Pirofobia (Paura del fuoco) ***



Capitolo 1
*** Nord Italia - Odinofobia (Paura del dolore) ***


Nord Italia - Odinofobia (Paura del dolore)



Feliciano aveva paura del dolore, molta paura.
Trovava la sua fobia così ridicola che si vergognava anche solo di ammettere di averla.
Lui era il nipote del grande e glorioso Impero Romano, era il sangue del suo sangue.
Se lo ricordava bene suo nonno: partiva per lontani posti sconosciuti, pronto a conquistarli, e possedeva vaste terre, tutte prese con la forza.
Tornava a casa pieno di ferite e cicatrici e lui urlava terrorizzato nel vederlo in quello stato. Correva via e si metteva a piangere, perchè aveva paura dei tagli e degli ematomi presenti sulla pelle del nonno.
Si è fatto male, pensava, ha provato tanto dolore.
E allora cominciava a tremare, perchè lui non voleva farsi del male.
Quando andava in guerra era anche peggio: bombe che esplodevano da ogni parte e che avrebbero potuto farlo salare in aria da un momento all'altro, gente che sparava e si accasciava a terra, contorcendosi dal dolore.
Aveva paura che potessero colpirlo. Figurarsi che era una nazione e morire per lui era in un certo senso impossibile, solo il pensiero lo mandava nel panico.
Provare dolore era normale, un'affermazione che odiava.
Provare dolore non era normale, non doveva proprio esistere.
Guardava Germania e Giappone allenarsi duramente fino a tardi, sudici e doloranti, e non riusciva mai a reprimere il solito brivido che gli attraversava la schiena.
Lui non si allenava con loro, avrva paura di farsi male.
Perchè, infondo, a nessuno piace provare dolore.
 

 

L'angolo bar dell'autrice
Ook.
Oggi, per caso, mi è capitato di andare a finire su una pagina che parlava delle paure e dei loro significati. Così mi sono detta: e se facessi una raccolta sulle fobie?
Ovviamente le povere nazioni sono le mie cavie preferite, quindi...
Se mi lasciaste un commentino, giusto per dirmi se la trovate un'idea interessante o è la cosa più noiosa del mondo, sarebbe grandioso.
Questo capitolo è comunque una specie di prologo, i prossimi saranno più lunghi. Il prossimo capitolo andrà più sul comico. A presto!

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Capitolo 2
*** Polonia - Dentofobia (Paura del dentista) ***


Polonia - Dentofobia (Paura del dentista)

Polonia amava le caramelle, le adorava proprio.
Ne mangiava tantissime e non ingrassava, così ne inghiottiva ancora di più.
Se le infilava in bocca una dietro l'altra fino a finirsi tutta la confezione. Il bello era che non si sentiva mai sazio. Nemmeno dopo quattro pacchetti, volendo cinque.
­Lituania era preoccupato per questa sua mania e più volte aveva cercato di fermarlo, ma senza risultati.
Quest'ultimo un giorno fu svegliato dalla suoneria incessante del cellurare. Lo prese e rispose.
-Pronto?-
-E' UNA TRAGEDIA, NON PUOI CAPIRE!- strillò il suo amico al telefono, facendolo sobbalzare.
-Calmati. Cos'è successo?- chiese, ancora un po' assonnato.
-Tipo che mi fa male il dente, ma tanto tanto! Ha cominciato ieri e oggi è anche peggio! Mi dà così fastidio, non ne posso più!- si lamento Feliks.
-Non mi sorprende, con tutte quelle caramelle che mangi!- replicò l'altro con tono scettico.
-Che vuoi dire?- domandò il biondo senza capire.
-Che sicuramente hai una carie, sapevo che prima o poi sarebbe successo. Se vuoi ti accompagno dal dentista- rispose Toris.
-...- silenzio dall'altra parte. Non si sentiva niente.
-Feliks, sei ancora lì? Feliks?- niente. Ancora silenzio.
Che fosse andata via la linea? Il lituano aspettò ancora un po'.
-NOOOOO!!!-  l'urlo potente che giunse dal telefono lo stordì completamente.
Poi si sentì l'inconfondibile tu tu tu che ti comunicava che il tuo caro amico strambo aveva chiuso la chiamata.
Toris sospirò e rimise il cellulare sul comodino. Andò in cucina, ma non fece in tempo a fare niente che il campanello suonò.
Aprì la porta e si ritrovò il polacco sulla soglia di casa con un'espressione terrorizzata stampata in faccia.
-E' ORRIBILE!- sbraitò, afferrando per le spalle il castano e scuotendolo violentemente.
-Fe-Fe-Feliks, ba-ba-basta!- esclamò quello, sottraendosi alla presa.
Polonia entrò come una furia in casa sua e afferrò un foglio di carta ed una penna, cominciando a scrivere.
Lituania lo fissò interdetto, chiedendosi cosa diamine stesse scrivendo l'amico.
Quando lo vide mettere a posto la penna e guardare il foglio con aria soddisfatta si avvicinò.
Lo prese e cominciò a leggere a voce alta.
-Caro Pony, a te lascio la mia... MA CHE...?!- Toris guardò allibito il biondo.
-Già, visto che sto per morire ho deciso di scrivere tipo un testamento. Sai com'è...- spiegò quello come se fosse una cosa normalissima.
-Ma sei pazzo? E' solo una visita dal dentista, non devi mica andare alla ghigliottina!- ribattè il lituano.
-Infatti è tipo peggio!- esclamò l'alro, mettendosi le mani tra i capelli disperato.
-Senti, ci andiamo adesso e vedrai che non è niente di che preoccuparsi...- cercò di convincerlo, ma Feliks scappò in bagno e ci si chiuse dentro, minacciando di non uscirne vivo.
Il castano scosse la testa sconsolato e finì di leggere il testamento, aspettando che gli passasse.
 
Caro Pony,
a te lascio la mia collezione di smalti rosa, il mio peluche rosa, la mia copertina preferita rosa e anche la mia PREZIOSISSIMA busta di caramelle rosa, la troverai nell'ultimo cassetto.
Caro Russia,
a te lascio...  il mio NIENTE! Guadagnatelo da solo, tipo.
Caro Lituania,
a te lascio la mia casa, le mie terre e tutti i miei averi, so che ne farai buon uso.
Caro...
basta, mi sono stufato. I testamenti sono tipo così noiosi!
Polonia.
 
Il lituano sospirò di nuovo e si chiese quale problema avesse l'amico.
Intanto Polonia era uscito dal bagno, dicendo che si stava annoiando lì dentro perchè l'amico non aveva nemmeno un ombretto rosa. A Toris venne un'idea.
-Vuoi che andiamo a comprarlo?- gli chiese.
-Sì! E mi serve anche il rossetto, il fard, lo smalto...- Feliks snocciolò una lista di cosmetici da prendere.
Lituania si infilò velolecemente i vestiti e partirono subito.
-Bene bene bene, era da un po' che non facevo un salto al centro commerciale. Ho un sacco di roba da comprare, tipo- stava dicendo il polacco tutto entusiasta. Ancora per poco.
Quando si rese conto che strada avevano imboccato era ormai troppo tardi.
-Tu... tu! Mi hai mentito! Mi hai detto che saremmo andati a fare shopping!- urlò disperato.
Il lituano lo afferrò per la camicia rosa e lo strascinò dentro alla studio.
-Non puoi farmi questo! Non puoi!- protestò Feliks, ma non c'era più molto da fare.
Si obbligò a sedersi nella sala d'attesa e per distrarsi afferrò una rivista di moda.
Lesse un articolo dove c'era scritto che il colore della primavera sarebbe stato senz'altro il rosa. Lui annì convinto dell'affermazione.
-Il prossimo!- chiamò l'assistente.
-Tocca a noi- sussurrò Toris.
Di nuovo la paura invase Polonia. Non voleva vedere il dentista, gli avrebbe di sicuro fatto del male.
Si stava comportando peggio di un bambino piccolo, ma lui che ci poteva fare?
Li odiava i dentisti, gli mettevano inquietudine. Erano dei tipi spaventosi secondo lui.
Ti mettevano tutti quegli affari in bocca che non ti lasciavano respirare.
Quanto lo spaventavano quegli aggeggi. Il rumore di un trapano, quello di un aspiratore... ogni volta che li sentiva non poteva fare a meno di irrigidirsi.
Entrarono in una sala ben curata, tutta celeste e blu. Avrebbe trovato il posto carino se non avesse saputo cos'era andato a fare lì.
Il dentista entrò nella stanza e il polacco cominciò a sudare freddo.
-Cosa posso fare per voi?- domandò cortesemente.
-Niente! Assolutamente niente!- esclamò il biondo. Il tizio lo guardò interrogativo.
-Il mio amico ha una carie- spiegò Toris, dando una gomitata all'altro.
-Bene. Allora può accomodarsi...-
-No! Io non mi accomodo da nessuna parte!-
-...sulla poltroncina- il dentista finì la frase scoraggiato.
-Forza Feliks- sibilò il castano.
Polonia si sdraiò tremolante sulla poltroncina e il tipo accese una luce.
-Dunque, mi serve il...-
-No, non le serve!- il polacco interruppe la frase per l'ennesima volta.
Alla fine il dentista riuscì, anche se con qualche difficoltà, a curare il dente di Feliks.
Le urla che provenivano dalla stanza, i pazienti in sala d'attesa non se le sarebbero scordate mai.
Lituania, quando finì l'intervento, pensò che finalmente Polonia si fosse calmato, invece era solo svenuto.
Ma questa è un'altra storia...



L'angolo bar dell'autrice
Ecco a voi il secondo capitolo!
Come promesso, ho puntato più sul comico, ma diciamocelo, mi riesce meglio scrivere quando vado sul triste.
Il prossimo capitolo ritornerà sul malinconico.
Datemi un parere, così posso capire dove migliorare.
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Prussia - Monofobia (Paura della solitudine) ***


Prussia - Monofobia (Paura della solitudine)

Prussia era sempre stato egocentrico e vanitoso, soprattutto Magnifico.
Ma in realtà nessuno si era mai chiesto il perchè del suo comportamento, specie Ungheria.
Era stata capace di dargli una padellata dietro l'altra, ma non di domandarsi perchè Gilbert facesse così.
Il perchè lui lo sapeva benissimo: aveva paura di rimanere solo.
La solitudine lo terrorizzava, la sognava di notte. Vedeva tutti i suoi amici girargli le spalle ed andarsene. Lui correva, urlava, cercava di toccarli, ma loro scappavano via e gli sussurravano di stare da solo. E questo ogni notte.
Si svegliava di soprassalto nel letto, ansimando, e per qualche secondo rimaneva a fissare il soffitto spaventato, finchè non capiva che era solo un incubo. Il suo peggior incubo.
Prussia non voleva rimanere senza amici e così aveva cominciato a comportarsi come se fosse Dio sceso in terra. Così tutti l'avrebbero apprezzato e lui sarebbe sempre stato in compagnia.
Suo fratello lo faceva rabbrividire. Ludwig diceva sempre che da solo lui stava benissimo, che non aveva bisogno di tanti amici, che la solitudine non era poi così male.
Il prussiano lo guardava come se fosse pazzo, come se stesse dicendo cose completamente assurde e senza senso, perchè alla sua mente suonavano così.
Per combattere la sua fobia Gilbert si era autonominato un leader, uno che sapeva il fatto suo e che agli occhi degli altri appariva sicuro di sè e disinvolto. Ma lui non era così.
A casa, quando era da solo, si guardava intorno spaesato, quasi come se non fosse la sua dimora, ma solo un brutto posto dal quale doveva uscire al più presto.
E così andava a bere birra con gli amici, e si sentiva di nuovo bene e protetto.
Dentro di lui, però, era perfettamente conscio del fatto che la paura di essere abbandonato giacesse ancora lì, pronta a saltare fuori in qualsiasi momento.
Tutto questo attraversava la mente del prussiano lentamente, mentre sentiva le forze venirgli meno.
Si accasciò a terra e tossì, sputando un po' di sangue. Si sdraiò a terrà e osservò il cielo grigio e pieno di nuvole. Che tristezza, pensò.
Alla fine, nonostante avesse faticato tanto, si era ritrovato lo stesso da solo, e in questo non c'era proprio niente di Magnifico.
Le labbra si curvarono in una smorfia e una lacrima gli rigò il volto.
Sarebbe morto in solitudine, la cosa che più lo terrorizzava.
Rimase lì, immobile, per qualche minuto, piangendo liberamente.
Poi ritornò ad osservare il cielo. Un ricordò gli attraversò la mente.
 
Prussia girava a passi lenti intorno a Ungheria, sghignazzando.
-Kesesese, sei così rude! Davvero poco femminile- commentò divertito.
-Taci!- urlò in tutta risposta Elizabeta, dandogli una padellata in piena faccia.
-Che cavolo! Te e la tua padella! Come osi rovinare la mia Magnifica faccia?!- esclamò l'albino.
-Così impari a tenere chiusa quella tua boccaccia!- replicò quella.
-A volte vorrei rinchiuderti in una stanza tutto solo...- aggiunse tra sè e sè, ma il prussiano la sentì.
Ad un tratto la sua espressione si fece seria, per niente scherzosa.
-Beh, che hai? Ti sei stufato di prendere in giro le persone più Magnifiche di te?- gli chiese l'ungherese sarcastica, ma l'altro continuava a rimanere impassibile.
-Devo andare- biascicò, per poi allontanarsi velocemente.
Anche se sapeva che Ungheria non lo aveva detto per ferirlo, faceva male comunque.
 
In quel momento Gilbert non aveva paura, in quel momento non sentiva niente. Solo un terribile vuoto che ormai non sapeva più come colmare. 
Sentì il petto farsi più pesante e il respiro si fece sempre più flebile.
Una goccia d'acqua gli cadde sulla guancia. Stava piovendo.
Il cielo piangeva con lui, piangeva il suo fallimento e tutto ciò che non aveva mai potuto fare.
Non aveva più speranze su cui fare affidamento, o forse non ne aveva mai avute e basta. Chi lo sapeva, tanto in quel momento non aveva più importanza. Niente aveva più importanza.
Era sempre scappato via dalla sua fobia, ma lei l'aveva sempre e comunque raggiunto, in un modo o nell'altro. Fose c'era sempre stata, forse no. Fose era solo qualcosa di immaginario, forse era invece così vero da sembrare finto.
Tutta la sua vita era stata una finzione, se ne rese conto solo allora.
Aveva finto di essere vanitoso, ma non lo era.
Aveva finto di stare benissimo, ma non lo era.
Aveva finto che la sua vita fosse Magnifica, ma anche quella era una bugia.
Bugia. Bugia. Bugia. La parola si ripeteva continuamente nella sua testa.  Tutto era una bugia.
Il dolore allo stomaco si fece ancora più forte e lo costrinse a serrare la mascella e i pugni.
Tossì di nuovo. Ancora e ancora. Se ne stava andando in solitudine, senza nessuno accanto a lui.
Anche se alla fine qualcuno vicino ce l'aveva sempre avuto: la sua fobia.
Lei sì che non lo aveva mai abbandonato, lei c'era sempre stata.
Solo o non solo? Vero o falso? Fantasia o realtà? Chiuse gli occhi e tutto svanì in un attimo.
Trovare un amico era così complicato, invece rimanere soli era facilissimo...
Davvero Magnifico.



L'angolo bar dell'autrice
Bene bene.
Non potevo non associare al Magnifico Gilbert la paura della solitudine, ci stava troppo bene.
Lo so che sono andata un po' OOC, ma era necessario :O
Come al solito i consigli sono bene accetti e se avete dei suggerimenti dite pure!
Alla prossima!

 

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Capitolo 4
*** Germania - Mnemofobia (Paura dei ricordi) ***


Germania - Mnemofobia (Paura dei ricordi)


"Germania, la nazione dall'oscuro passato", così amava (e odiava) definirsi Ludwig.
Aveva un buco in testa di più di mille anni, e più di mille anni di vuoto totale non erano mica facili da riempire.
Germania aveva paura di quel grande buco, ogni volta che si sforzava di cercarci dentro qualcosa i brividi gli attraversavano la schiena.
Era come una sfida: il buco cercava di nascondergli i ricordi e lui provava a recuperarli.
Ma non vinceva mai, perchè lo terrorizzava capire che in realtà non avrebbe mai riavuto indietro i suoi ricordi, che non li aveva mai avuti.
Era come se nella sua mente regnasse il buio e non ci fosse nemmeno uno spiraglio di luce ad illuminare i suoi dubbi.
Era spaventato dai ricordi, aveva paura di perderli e non riuscire più a ritrovarli in quel pozzo immenso che era il suo passato.
Odiava non sapere come fosse nato, come era cresciuto e come era diventato potente.
Ricordava solo lui che rideva felice per la sua unificazione, in braccio a suo fratello.
Ma prima cosa c'era? Aveva mai combattuto? Si era mai innamorato? Aveva avuto amici?
Non poteva saperlo e non lo avrebbe scoperto mai, quel maledetto buco non glielo permetteva.
Guardava con invidia le altre nazioni come Inghilterra e Francia. Loro avevano una lunga storia fatta di migliaia e migliaia di anni alle spalle, e potevano raccontarla con orgoglio.
Lui cosa aveva da raccontare? Niente, solo un grande fallimento, una grande miseria ed una grande delusione. Nulla di speciale.
E non poteva sentirsi davvero grande e potente se dentro di lui non sapeva neanche come aveva fatto a diventarlo.
Se non sapeva perchè suo fratello era suo fratello.
Se non sapeva perchè era così legato ad Austria, Ungheria ed Italia.
Se non sapeva da dove veniva e che storia aveva.
Aveva paura dei suoi stessi ricordi, perchè riuscivano solo a fargli pensare che ne aveva collezionati così pochi da non ricordarsi nemmeno quelli.
C'era solo una piccola cosa che gli permetteva ancora di sperare.

Fu una notte, quando sognò un bambino. Un bambino basso e biondo, con gli occhi celesti.
Ludwig doveva ammettere che gli somigliava molto, era come un piccolo lui.


Il bambino è seduto sotto un albero. Sta piangendo.
-Non dimenticatemi, vi prego, non dimenticatemi- singhiozza, asciugandosi le lacrime.
-Non voglio dimenticare. Che male c'è? Non voglio- continua a ripetere singhiozzando.
Ludwig è lì che lo osserva. Non sa perchè, ma sente una grande malinconia.
Vorrebbe consolare quel bimbo triste, ma non sa come fare, così rimane fermo a guardarlo.
-Ita-chan? Austria? Ungheria? Non vi voglio dimenticare...- di nuovo una lacrima gli riga il volto, poi un'altra e un'altra ancora. Cominciano a scendere copiose, ma il bambino non ci fa più caso.
-Ho paura- ha anche cominciato a tremare -Ho paura, qualcuno mi aiuti!-
Adesso invece non parla più, ha cominciato a guardare un punto lontano. E' svenuto.


Si era svegliato con gli occhi sbarrati ed il fiato corto.
All'inizio si era spaventato. Quel sogno gli era sembrato così vero che pareva essere la realtà.
Poi si era chiesto se non fosse davvero così. Non sapeva collocare quel ricordo ad una data ed un luogo preciso, ma lo sentiva davvero suo.
Se era un'illusione, in quel caso si accontentava anche di illudersi.
Perchè se illudersi gli permetteva di comabattere almeno in parte la sua fobia, allora andava bene così.





L'angolo bar dell'autrice.
Mi scuso per il ritardo.
Ho dovuto cancellare il vecchio capitolo fatto su Germania, perchè non mi soddisfaceva.
Ammetto che anche questo è corto, ma almeno mi soddisfa di più.
La prossima volta vedremo HRE come protagonista.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Sacro Romano Impero - Athazagorafobia (Paura di essere dimenticati e di dimenticare) ***


Sacro Romano Impero - Athazagorafobia (Paura di essere dimenticati e di dimenticare)

A Sacro Romano Impero non faceva paura niente, tranne due cose: dimenticare ed essere dimenticati.
 
Non vi scorderete mai di me, vero?
 
Secondo lui era una cosa più che normale, a chi piaceva essere dimenticati?
A nessuno, ovvio, ma a lui la cosa non dava fastidio, lo terrorizzava.
Quante volte, parlando con Austria, lo aveva guardato in faccia e aveva pensato: e se si dimenticasse di me? Se domani andassi a parlare con lui e mi chiedesse chi sono?
La sua fobia era diventata una vera e propria ossessione. Aveva paura che tutti lo dimenticassero, in particolare Italia.
Non voleva che quella graziosa bambina golosa lo dimenticasse.
Cosa avrebbe fatto se quando le avesse portato un bel piatto di pasta fumante, lei si sarebbe girata, lo avesse guardato e...
No, non voleva neanche pensarci. Italia non poteva dimenticarlo, non era possibile.
Una volta glielo aveva anche chiesto.
 
-Italia, mi prometti che non ti dimenticherai mai di me?-
-Ma... perchè mi fai questa domanda?-
-Promettimi che non lo farai. E' importante-
-Lo prometto!-
 
Non poteva essere felice se le pesone si sarebbero dimenticate di lui.
Che senso aveva vivere se nessuno sapeva chi eri?
Era spaventoso pensare che tutti lo avrebbero dimenticato. Sarebbe stato come non esistere più. Sarebbe stato come non avere più un passato, un presente ed un futuro.
Non avrebbe avuto più ragione di andare avanti se nessuno si sarebbe ricordato di lui.
Se la dolce Ungheria che gli lavava i vestiti e gli cucinava i suoi piatti preferiti non si sarebbe più ricordata di lui.
Se il signor Austria che suonava il pianoforte tanto bene non lo avrebbe più saputo riconoscere.
Ma soprattutto, se la piccola Italia, che amava tanto, che lo aiutava a disegnare, per la quale combatteva, non avrebbe avuto più spazio per lui nella sua mente.
Come avrebbe fatto?
 
Io non voglio dimenticarvi...
 
Ma c'era qualcosa di peggio dell'essere dimenticati.
Se fosse stato lui a dimenticare loro?
Se avesse visto il bellissimo volto della sua adorata Ita-chan, per poi non ricordarselo più?
Non si sarebbe mai più ricordato tutte le volte che avevano dipinto un quandro insieme, tutte le volte che gli avrebbe portato da mangiare, tutti quei bei sogni che faceva con loro due protagonisti...
Cosa avrebbe fatto senza di loro? Erano importanti come l'ossigeno, anche di più.
Ogni mattina si svegliava con il timore di non ricordarsi più niente. Così aveva inventato un nuovo giochetto che faceva ogni volta che si svegliava
 
Mi chiamo Sacro Romano Impero, ho 1453 anni, vivo in una grande casa insieme ad Austria, Ungheria ed Italia, Italia è la bambina che amo e cha amerò per sempre.
Ho i capelli biondi e gli occhi celesti. Non sono bravo a disegnare, ma a combattere sì...
 
E continuava finchè non era sicuro di sapere tutto.
In camera aveva appeso un quadro davanti al letto. Ritraeva la sua Ita-chan mentre dormiva beata. Così avrebbe sempre saputo chi era. Perchè lui lo sapeva, i ricordi andavano tenuti stretti.
Ma non era una situazione facile da gestire. Specie quando scomparve definitivamente.
Francia lo aveva sconfitto, e lui si era portato faticosamente in cima ad una collinetta.
Si era seduto sotto un albero e aveva cominciato a piangere.
-Non dimenticatemi, vi prego, non dimenticatemi- singhiozzava, cercando di asciugarsi le lacrime.
-Non voglio dimenticare. Che male c'è? Non voglio- continuava a rietere.
-Ita-chan? Austria? Ungheria? Non vi voglio dimenticare...- di nuovo una lacrima gli aveva rigato il volto, poi un'altra e un'altra ancora. Cominciavano a scendere copiose, ma lui non ci faceva più caso.
-Ho paura- aveva anche cominciato a tremare -Ho paura, qualcuno mi aiuti!-
Poi si era zittito e aveva cominciato a guardare un punto lontano, per poi svenire.
 
Facciamo un patto: io non vi dimentico se voi non dimenticate me.


L'angolo bar dell'autice
Devo smetterla di scrivere in modo deprimente, prima o poi cambio genere.
Comunque vi anticipo che il prossimo capitolo sarà su Francia e anche qui dovrò andare sul malinconico/drammatico.
Inanto spero che abbiate gradito questo.
Come sempre se avete suggerimenti o consegli dite pure.
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Francia - Pirofobia (Paura del fuoco) ***


Francia - Pirofobia (Paura del fuoco)

Francia sedeva tranquillamente sul divano del soggiorno.
Prese il calice di vino posato sul tavolo e, dopo averlo osservato per qualche secondo, se lo portò alle labbra in modo pigro e ne bevve un sorso.
Era una di quelle serate di domenica piovose, quando non c'era niente da fare e la noia regnava su tutto.
Fuori dalla finestra la Torre Eiffel splendeva maestosa, adornata dalle luci che si illuminavano ad ogni ora.
-Ah, certo che oggi mi annoio proprio- si disse il francese, bevendo un'altro po' di vino.
-C'est la vie- aggiunse, dirigendosi verso la finestra.
Poco dopo vide passare di corsa Feliciano, inzuppato di pioggia dalla testa ai piedi, rincorso da uno Svizzera piuttosto arrabbiato.
-Quante cavolo di volte ti devo dire che non devi permetterti di passare oltre il confine? Eh?!- urlò irritato, puntando il fucile contro l'italiano, che aumentò la velocità.
-Vee, scusa scusa! Volevo solo fare più in fretta per arrivare da Germania!- si giustificò spaventato quello, schivando appena in tempo un proiettile.
Francis si lasciò sfuggire un sospiro e scosse la testa sconsolato.
Andò in cucina e aprì un pacchetto di sigarette.
Da quando fumi? gli aveva chiesto Arthur con aria scettica il giorno prima.
Doveva ammettere che le sigarette che gli aveva regalato Lovino qualche giorno fa gli erano piaciute così tanto che aveva chiesto al maggiore dei Vargas di dargli qualche altro pacchetto.
Accese la sigaretta e inspirò. Intanto davanti casa sua era tornata la calma.
Ad un tratto si sentì stanco e gli venne voglia di andare a dormire, nonstante fosse ancora presto.
Espirò, lasciò cadere la sigaretta nel portacenere e andò in camera a passi lenti.
Si buttò stancamente sul letto e si addormentò all'istante. La Torre Eiffel aveva smesso di brillare.
 
Calò il buio.
Francia si stropicciò gli occhi per vedere meglio. Udì la voce di Inghilterra.
-Forza, non ho tempo da perdere io!- odore di  bruciato. Si sparpagliava inconfondibile nell'aria.
Poi vide qualcosa luccicare in tutto quel nero. Fuoco.
D'un tratto il cuore cominciò a battergli più forte, aveva paura del fuoco.
Era terrorizzato, voleva scappare via a tutti i costi. Cominciò a correre.
Ma le sue gambe invece di condurlo in salvo lo portarono direttamente sul luogo.
Giunse al fianco dell'inglese, che se ne stava lì ad osservare le fiamme. Un falò?
No, non era un falò, era un rogo. Qualcuno stava bruciando dentro quell'inferno.
Guardò meglio. Quella donna... Jeanne! Era proprio lei!
Le tese una mano, voleva tirarla fuori di lì, ma il fuocò divampò fino a raggiungere un'altezza incredibile. Le fiamme lo circondarono.
-Jeanne! Jeanne! JEANNE!- gridava disperato. Niente da fare.
 
-Jeanne... no...- mormorò nel sonno.
Poi uno strano odore gli pizzicò il naso. Sbarrò gli occhi.
-Fumo? Ho bruciato i biscotti...?- biascicò ancora confuso.
Ma che biscotti! Io non ho cotto nessun biscotto, pensò poco dopo. Allora cos'era?
Corse in cucina. Una brutta sorpresa lo stava aspettando.
-Oh mon dieu! Brucia tutto!- cacciò un urlo disperato. Poi la vide.
Lì, tra le fiamme del tavolo di legno che prendeva fuoco lentamente, c'era la sua amata Jeanne, che ci faceva lì?
-Oh no! No no no! Qualcuno mi aiuti, aiuto!- esclamò nel panico.
La sua mente non riusciva ad elaborare un piano, e lui intanto stava sprofondando nell'abisso della sua paura, incapace di muovere un dito.
Corse via dalla cucina e si rifugiò in salotto, ma il fumo lo raggiunse.
-No! NO!- continuava a gridare.
Voleva salvare Jeanne, doveva salvarla. Ma lì c'era il fuoco, e dove c'era il fuoco lui non andava mai.
Non poteva tornare in cucina, non ce la faceva. Intanto quella continuava a bruciare indisturbata.
-Ehi, va tutto bene?- un uomo in divisa rossa aveva sfondato la porta di casa.
-Ehi lei, sta bene?- chiese di nuovo, fissando il biondo, che intanto se ne stava ancora fermo, intontito sul divano.
-Portatelo via- ordinò il tizio a due colleghi, che lo presero e lo condussero di fuori.
Lo fecero sedere sul marciapiede e tornarono dentro la casa a fare il loro lavoro.
Qualcuno si era seduto vicino a lui, era Feliciano.
-Francia! Stai bene per fortuna! Vee, ero così preoccupato per te... appena ho visto il fumo ho chiamato subito i pompieri!- gli disse.
Il francese non rispose, continuava a fissare l'asfalto in silenzio.
Li raggiunse anche Lovino, con un ghigno stampato in faccia.
-Che coglione che sei! Neanche una sigaretta sai spegnere!- esclamò divertito.
Ah, allora era stata la sigaretta il motivo di tutto quel caos.
Francis giurò a se stesso che non ne avrebbe mai più toccata una.
-Sei proprio scemo, non ci posso credere- continuava a ripetere il meridionale.
Ma a Francia non importava. Lui pensava alla sua Jeanne, che stava brucinado viva in quel casino.


L'angolo bar dell'autrice
Et voilà il capitolo su Franciccio.
Ho voluto cambiare un po' e invece di fare le solite... ehm... riflessioni? ho pensato di raccontare una scena accaduta a Francis.
Fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima!

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