It's never too late to mend

di Ziggie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** una nuova dimora ***
Capitolo 2: *** Conoscenze ***
Capitolo 3: *** Dolcetto o scherzetto? ***
Capitolo 4: *** Solo amici o qualcosa di più? ***
Capitolo 5: *** La scelta di Ziggie ***
Capitolo 6: *** La vita è un pò come un cambio di marcia ***
Capitolo 7: *** Meeting the band ***
Capitolo 8: *** Fraintendimenti, incontri e spiegazioni ***
Capitolo 9: *** Mettersi alla prova ***
Capitolo 10: *** Buon compleanno Elwood ***
Capitolo 11: *** Cambiamenti a Coal City ***
Capitolo 12: *** Lettera da Joliet ***
Capitolo 13: *** Non si dicono le parolacce alle suore ***
Capitolo 14: *** Una luce per ricomporre la banda ***
Capitolo 15: *** In missione per conto di Dio ***
Capitolo 16: *** Mister Faboulous ***
Capitolo 17: *** Think and shake your tail feather ***
Capitolo 18: *** Cento dollari in monetine ***
Capitolo 19: *** Country vs Blues ***
Capitolo 20: *** Abbiamo da fare uno show ***
Capitolo 21: *** Abbiamo da fare uno show e poi dritti a Chicago ***
Capitolo 22: *** In corsa verso Chicago ***
Capitolo 23: *** Jailhouse Rock ***
Capitolo 24: *** Ed è quasi libertà ***
Capitolo 25: *** Libera? ***
Capitolo 26: *** Giorno di visita ***
Capitolo 27: *** Semplicemente tre anni ***
Capitolo 28: *** Un giorno di inizio Marzo ***
Capitolo 29: *** Goodbye brother ***
Capitolo 30: *** Un posto riservato ad un cappello nero e a degli occhiali scuri ***



Capitolo 1
*** una nuova dimora ***


Che cos è questa fiction?! Una sfida con me stessa, direi. Si, perchè proprio l'altro giorno, riguadando le imprese dei fratellini blues, mi è venuta in mente. Sarà una long fic, perchè dalla loro infanzia arriverà fino agli inizi del secondo film (oltre non vado, perchè se c'è una cosa che non mi è piaciuta è stato proprio Blues Brothers 2000)... Di Jake alla fine si sa parecchio, che è un donnaiolo, un fissato con la banda, ma di Elwood?!?! Quel tenerone bonaccione!?!?!? Che si sa di lui?!?!? Ben poco rispetto al fratello ed ecco che entra in scena ZIggie, chissà magari tra i due nascerà qualcosa *fischietta innocente* ahahaah! Ok, basta, sto parlando troppo. A voi la lettura e spero anche le recensioni ;)  
 

It’s never too late to mend

  1. Una nuova dimora

Calumet City, Illinois. Ecco la mia nuova casa: un edificio in mattoni rossi, con ampi finestroni; una strada sterrata davanti, piena di buchi e pozzanghere, simbolo che la notte precedente ha piovuto, a presentare un orfanotrofio ai bordi della grande metropoli di Chicago.

L’edificio dal quale provenivo stava chiudendo i battenti e la direttrice ha pensato bene di spedirmi qui, in questa nuova dimora, piuttosto che cercarmi dei genitori. Avevo 11anni, ma l’idea di una famiglia era sfocata: troppe promesse non mantenute, troppi rifiuti, eppure cosa avevo di diverso dagli altri bambini?

Entrai nell’atrio,  accompagnata da una sacca più grande di me, ma non erano effetti personali, di quelli ne avevo ben pochi, erano, più che altro, documenti cartacei che attestavano il mio trasferimento; la direttrice non aveva tempo di presentarmi alla sua omonima di
quell’edificio, così mi lasciò al mio destino.

Era una stanza cupa, illuminata da una fievole luce e poi, eccola lì, una porta con scritto “DIREZIONE”. Mi incamminai e bussai. Nessuna risposta. Bene!

- Cerchi la pinguina? – chiese una voce alle mie spalle.

Mi voltai appena – la chi? –

- La pinguina, la suora, il boss – si spiegò meglio. Era un ragazzino un po’ strambo, alto per la sua età, avrà avuto, ad occhio e croce, due o tre anni più di me, capelli castani e sbarazzini e un paio di occhiali da sole in testa, a mo di cerchietto.

- Si, se si tratta di suor Mary si, sto cercando la pinguina -.

Mugugnò appena, senza darmi una risposta, senza un cenno, guardandomi – sei nuova? – mi chiese. Lo guardai male, nonostante fossi orfana, non mi piaceva essere equiparata ad un oggetto.

– Ho 11annu, non mi hanno partorito ieri – gli rinfacciai, ma le mie parole gli stuzzicarono una risata e fu allora che aprì la porta ed entrò, invitandomi a seguirlo.

- Beh! Bimba, che fai? Non vieni? –

- Venire dove? –

- Dalla pinguina, no? Ti introduco io –

Davanti a noi una caterba di scale scricchiolanti, con in cima un crocifisso rivolto ai passanti, a dirla tutta un po’ inquietante. In cima ad esser una porta, ma il mio accompagnatore non fece in tempo a bussarla, che questa si aprì di scatto, facendomi sgranare gli occhi: dov’ero finita? In una casa di fantasmi?

- Avanti! – una voce forte provenne dal centro della stanza.

- E’ tutta tua, bimba – mi disse a bassa voce il ragazzo, io lo guardai un po’ intimorita, pregandolo con lo sguardo di rimanere, dal canto suo arricciò appena il naso, ma acconsentì, dopotutto mi aveva detto che mi introduceva lui.

- Sorella Mary, abbiamo visite – mi annunciò.

- La tua presenza qui è già una visita, Elwood – ridacchiò la suora, alzandosi in piedi e aggirando la scrivania, sorridendo.

- Si, beh… E’ un puro caso -.

- Non mi presenti la tua amica? –

- Si, lei è… - ma si fermò, dopotutto il mio nome non lo sapeva.

- Ziggie – mi presentai io – sono appena arrivata dall’orfanotrofio vicino al lago, forse la direttrice l’aveva già contattata, sorella – commentai prendendo più certezza di me stessa e porgendo alla suora i documenti, mentre lei annuiva alle mie parole.

- Ti stavamo aspettando, Ziggie – mi sorrise – Elwood, perché non le fai da guida? –

- Lo farei volentieri, ma Jake mi sta aspettando -.

- Aspetterà – dettò la suora. Notai il ragazzino un po’ contrariato.

- Se Elwood ha già un impegno sorella, non importa, darò un’occhiata in giro da sola-  alla fine non volevo che rinunciasse al suo impegno per me, chi ero io? Una bambina che era capitata per caso, o forse per forza, in quella che era la sua dimora, il suo regno e, di certo, non volevo rovinare nulla. Già non avevo amici nel vecchio orfanotrofio, non mi andava di ricominciare a vivere alla stessa maniera.

La suora sembrava non aver sentito le mie parole e il ragazzino arricciò maggiormente il naso – ti mostro il dormitorio, Ziggie. Tra un’ora sarò di ritorno e cominceremo il nostro giro, aspettami lì – disse, accennando un sorriso, voltandosi poi verso la pinguina facendole una smorfia, come per dire “contenta?!?”

Annuii, ma sospirai appena, alla fine lui aveva i suoi amici, la sua vita, seppur dentro quelle mura, io ero il classico nuovo peso da portare e di certo non gli faceva piacere farmi da guida. – Arrivederci, sorella – salutai la suora, seguendo Elwood fuori.

- Arrivederci Ziggie, buona permanenza -.

Scendemmo le scale velocemente, Elwood sembrava avere parecchia fretta, ma era il doppio di me e un suo passo equivaleva ad almeno due dei miei. Uscimmo dalla direzione e ci imbucammo in una porticina a muro, in fondo al corridoio, parecchio difficile da scorgere, al di là della quale fummo accolti da una stanza accogliente, lunga, che ospitava diversi lettini dalle testate in ferro.

- Et voilà, il dormitorio – mi annunciò con fare teatrale, allargando le braccia – scegli pure dove dormire, la fila sinistra è quasi, completamente, libera -.

- D’accordo, vedrò di scegliere con cura, ma non voglio trattenerti,  a quanto ho capito, hai un impegno – gli feci notare tranquillamente.

- Eh, si! E, se non mi sbrigo, Jake mi fa a fettine – prese a correre – a più tardi, Ziggie, piacere di averti conosciuta – mi urlò da in fondo alla stanza, prima di sparire mettendosi gli occhiali.

- Piacere mio, Elwood – gli risposi di rimando.

Conosciuto, si, che grande parola! Avevamo appreso ognuno il nome dell’altro per situazioni fortuite, nulla di più, ma la disponibilità che aveva dimostrato nei miei confronti, forse poteva essere il primo seme per una nuova e futura amicizia. 

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Capitolo 2
*** Conoscenze ***


Ehylà, gente! Eccomi con il secondo capitolo e dal titolo si può ben dedurre che non ci saranno solo Elwood e Ziggie in scena, ma anche un certo Jake e un certo Curtis, ahahahah! Non vi svelo niente, dai. A voi la lettura e, spero, le recensioni :)                                
 

                       2. Conoscenze


Era passata circa un’ora e un quarto e di Elwood nemmeno l’ombra. Bah! Alla fine avevo imparato a non dare troppo peso alle parole altrui, ero sempre io a rimetterci. Avevo scelto un letto piuttosto centrale e avevo sistemato le mie cose lì attorno, prima di buttarmi sopra e aspettare, seppur invano.

- Sono proprio curioso di vedere il motivo del tuo ritardo, El – commentò una voce, facendosi sempre più vicina. Alzai lo sguardo, ma rimasi sdraiata a pancia in su, con le mani dietro la nuca, ad osservare il soffitto – E’ carina? –

- Jake, è appena arrivata! –

- E con questo? Vuoi che non metta in mostra le mie doti da buon seduttore?! –

A quanto pareva, Elwood stava per fare il suo ingresso. Però! Non lo aspettavo più! E così fu, eccolo varcare la soglia con un ragazzino più basso e più paffutello di lui: e quello doveva essere un buon seduttore?! Trattenni le risate, portandomi a sedere.

- Pronta Ziggie?! – mi chiese Elwood, posando una giacca nera sul letto di fronte al mio che, a quanto pareva, doveva essere il suo: che scelta fortuita!

- Pronta Elwood! – gli sorrisi, scattando in piedi – ma prima presentami questo gran seduttore – commentai ironica, osservando il cicciottello, che non vedeva l’ora di entrare in scena.

- Non occorre che faccia da intermediario, baby… Io sono Jake, al tuo servizio, soprattutto se si tratta di uscite, baci e carezze -.

Feci una smorfia a quelle parole: con lui?! No, grazie, troppo sfrontato. – Da quanto tempo non sei preso in considerazione da qualche ragazza? - gli domandai senza troppi problemi, diretta, mentre osservavo Elwood togliersi gli occhiali da sole, che aveva addosso, rimanendo quasi shoccato da quella mia uscita: non mi pareva di aver detto nulla di sbagliato!

Jake rimase stizzito e abbassò i suoi occhiali da sole sul naso: perché poi entrambi li portavano, era un gran punto di domanda.
- Ho tutte le ragazze che mi pare, baby. Sono molto popolare, io – scandì per bene ogni singola parola, con aria superiore. Avevo toccato un tasto piccante e dolente.

- Allora, perché non torni a provarci con loro? – chiesi retorica, mentre notai Elwood divertirsi a quella scena, incamminandomi poi verso l’uscita del dormitorio.

- Devi ammettere, fratello, che sa il fatto suo – commentò El, prima di avviarsi e raggiungermi.

- Per questo ti auguro buona fortuna -.

Primo incontro con la figura di Jake, primo battibecco di una lunga serie. Troppo simili sotto certi aspetti, troppo diversi sotto altri, ma importa qualcosa? Direi di no. Ero lì per conoscere, farmi conoscere, vivere; ogni esperienza era ben voluta e, un battibecco ogni tanto, non faceva che bene, alla fine anche quelli aiutavano a costruire un’amicizia; un’amicizia più forte e si, anche più duratura.

Non era molto grande l’orfanotrofio, ma, nonostante tutto, era accogliente. Elwood mi portò ovunque, in ogni angolo dell’edificio: dal dormitorio alla cucina, dal piccolo teatro alle stanze del povero personale, che vi abitava. Eravamo seguiti a netta distanza da Jake, ma, ogni volta che io o Elwood ci voltavamo, fischiettava innocentemente con il fare da gnorri, se non si appiattiva direttamente contro qualche muro ben nascosto. Solo quando arrivammo in cucina, si unì definitivamente a noi.

- Se volevi unirti a noi, fratello, bastava chiedere, sai? – gli fece notare Elwood, piuttosto a bassa voce, affiancandosi a lui e afferrandolo per la collottola.

Jake gli fece il verso, arricciando il naso, ma, seppur colto in flagrante, ebbe comunque la risposta pronta: - Compito tuo, guida tua: la Pinguina ha dettato legge -.

Ogni volta che pronunciavano quel soprannome, nella loro voce c’era sia una nota di rispetto, sia una nota di timore, capibile solo dopo aver visto Suor Mary negli occhi, per la prima volta: quella donna aveva un non so che di ultraterreno, anche se, forse, era solo un trucco per spaventare e tenere a bada noi ragazzi.

- E da quando ti importa ciò che dice la suora? – chiese Elwood, sicuro di sé – Dì, piuttosto, che sei un po’ risentito perché non ha preso in causa anche te e, perché hai trovato una degna avversaria in Ziggie – dettò come stavano le cose e Jake non poté far altro, che incassare il colpo.

- Al diavolo quella suora, ora sono qui e direi che la mia degna avversaria, come la chiami tu, deve conoscere ancora qualcuno -.

- Puoi dirlo forte, fratello – concordò Elwood – Curtis, vecchia volpe, ci sei? – chiamò scendendo gli ultimi scalini, che portavano al seminterrato, mentre una melodia, carica di ritmo blues, proveniva da quello che doveva essere il refettorio, una stanza poco più in là della cucina.

Sentendo quel sound, Elwood mise la mano nella tasca dei pantaloni e ne tirò fuori un piccolo strumento di metallo argentato, iniziando a suonarlo con foga, ballando e correndo verso quella musica, che si faceva sempre più forte. Jake prese a batter le mani a ritmo, prendendo a ballare a sua volta. E io, che feci? Rimasi ad osservare quella scena, che pareva facesse pare di un vero spettacolo, insomma erano davvero bravi quei due pischelli, uniti poi al sound dell’uomo di colore con gli occhiali scuri ed un cappello nero, era perfetto.

- Ragazzi! – salutò l’uomo con un sorriso – sentivate così tanto la mia mancanza, che siete venuti a trovarmi prima di cena? – scherzò, ridacchiando, passando le mani sulle spalle dei due.

- Abbiamo una nuova arrivata, Curt – gli spiegò Elwood, mentre io, sentendomi tirata in causa, feci qualche passo avanti.

- Esatto bello, ecco a te: Ziggie – mi presentò Jake, cingendomi le spalle con un braccio e portandomi dinanzi all’uomo.

Curtis mi sorrise, abbassandosi appena gli occhiali sul naso e togliendosi il cappello in segno di riverenza. – Piacere piccola, io sono Curtis, il tuttofare di questa baracca, diciamo così – ridacchiò, porgendomi la mano, che strinsi con un sorriso.

- Ha insegnato lei a … - feci per dire, ma l’uomo si accovacciò di fronte a me e mi mise un dito sulle labbra, in segno di far silenzio.

- Alt! Il lei non si addice a questa vecchia volpe – mi sorrise, mentre arrossii per l’imbarazzo – comunque si, ho insegnato io, a queste due canaglie, ad apprezzare la buona musica, il resto lo hanno imparato da sé – rispose a quella domanda, che avevo lasciato in sospeso, mentre Elwood e Jake si atteggiarono, come se fossero grandi musicisti, a quella sorta di complimento, per il loro essere autodidatti.

Ridacchiai appena, era una bella atmosfera quella in cui ero finita; di quella chiusa e ristretta del vecchio orfanotrofio, non c’era più nulla, neanche la minima presenza tra quelle mura calde e accoglienti, nonostante la brezza di solitudine che, a volte, solleticava l’ambiente o, forse, i pensieri.

La musica univa tutti là dentro, in quella che era una grande famiglia, la mia nuova casa. 
 

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Capitolo 3
*** Dolcetto o scherzetto? ***


Holà fratelli e sorelle Blues, come andiamo? Eccomi qui con un nuovo capitolo delle avventure dei nostri giovani Fratellini e di Ziggie...  Ormai Zig, si sta inserendo bene nel contesto dell'orfanotrofio e come leggerete, l'influenza dei due, non è proprio così positiva, ovviamente in senso buono, eh! Buona lettura dunque e, se volete, spero di si, recensite ;)    
 

           3.Dolcetto o scherzetto?
 

Più i giorni passavano, più ringraziavo la direttrice della mia vecchia catapecchia per  avermi spedito al Sant’Elena del Benedetto Sudario.

Più il tempo passava e più l’amicizia, che mi legava a quelle due canaglie di Jake e Elwood, accresceva.

Più il tempo passava e più imparavo, o meglio,  miglioravo, a suonare l’armonica, fatto che dovevo a due maestri come Curtis e Elwood.

Eravamo nella settimana di Ognissanti, l’indomani sarebbe stata la festa delle streghe, degli spiriti, Halloween e tutti erano impegnati  con i preparativi, nonostante la Pinguina non fosse molto propensa: okay, era festa nazionale, ma pur sempre pagana e non cristiana, ma, come ogni anno, avrebbe chiuso un occhio.

Stavamo in fila per metterci in ghingheri, toccava lavarsi e, siccome l’orfanotrofio non era così ricco per permettersi un vasto numero di vasche da bagno e noi eravamo una marea, l’unico modo per fare il bagno era lavarsi in enormi catini di plastica.

- Occhio a non sbirciare, El – lo punzecchiò Jake volutamente, ad alta voce, alludendo a me dietro di loro – altrimenti gli occhiali scuri li dovrai portare per cecità-. Arrossii fin la radice dei capelli, che diavolo!! Okay, era qualche tempo che ero lì, l’amicizia con Elwood si stava consolidando e non poco, ma insomma lui era così … disponibile, un duro dal cuore tenero, è vero! Era così palese notare che gli sbavassi dietro?!?!!??? Forse, per gli occhi di Jake,era più facile …

- Ja… - sia io che Elwood cercammo di rimproverarlo, o quantomeno avvertirlo di chi aveva alle sue spalle, ma la Pinguina fu più svelta delle nostre voci e gli diede una bacchettata in testa.

- Moderiamo i termini, giovanotto, o gli unici santi che vedrai, tra domani e dopodomani, saranno quelli della cappelletta nel sottotetto -.
Il ragazzo sbiancò a sentire nominare il luogo più cupo di tutto l’orfanotrofio, ma si poteva scorgere una patina sui suoi occhi: la voglia di combinare guai stava prendendo piede nella sua testa, così come le sue solite grandi idee.

- Due tinozze si sono liberate – comunicò la suora – Jake, Elwood, tocca a voi -.
I due entrarono nella sala da bagno come sottoscorta, ma ne uscirono quasi subito, correndo all’impazzata in mutande, petto nudo e occhiali da sole. Che non adoravano fare il bagno era risaputo, ma che tentassero una fuga a rotta di collo in quella maniera, sapendo bene della futura punizione insomma, non era proprio una cosa buona e giusta.
- Coprici la fuga, Zig – mi fece l’occhiolino Elwood, abbassandosi appena gli occhiali e, vedendomelo passare a fianco in quello stato, dopo le parole di Jake, fu una dolce visione. Ma orsù, basta! Sto delirando e, soprattutto, apparendo troppo sdolcinata!

La Pinguina uscì di corsa dalla saletta, urlando i nomi dei ragazzi e agitando in aria la propria bacchetta di legno: un’arma non troppo simpatica. Deglutii a vuoto, un po’ timorosa, ma dovevo trattenerla in qualche maniera.
- Suor Mary, suor Mary – mi aggrappai alla sua tonaca nera – Charlie si sente poco bene – comunicai, avvicinandomi alla mia vittima.
- Ma non è v… - fece per dire il ragazzo, ma, la frase gli morì in gola, dato che gli sferrai una gomitata nello stomaco piuttosto forte – Ah! Che male, che male, che male! –
- La aiuto a portarlo in infermeria – mi offrii volenterosa, con un sorriso spontaneo, il più sincero che riuscii a mostrarle.
- Sappi, Ziggie, che non occorre coprire quei due mascalzoni dei tuoi amici; una punizione, gli spetta di diritto – mi fece notare sospettosa.
- Sorella, mi sto solo prodigando per Charlie, non vedete quanto gli fa male? – continuai a recitare con sguardo convincente, mentre sorreggevo Charlie, uno dei ragazzetti che mi doveva un favore, dato che, nei primi giorni che stavo lì, mi aveva scaricato sulle spalle il suo turno di corvè serale.

Charlie venne portato in infermeria ed io saltai il bagno perché la Pinguina mi aveva messa di guardia al capezzale del ragazzo. Poco male, chiarii con lui il motivo per cui l’avevo colpito, rassicurandolo sul fatto che non avevamo più conti aperti.
La suora era appena uscita quando entrò nella sala un’altra figura nera, slanciata. Sia io che Charlie osservammo, la nuova arrivata, sospettosi.

- Ziggie, Ziggie, Ziggie! Sei nei guai, ragazza – disse una voce, ben nota, da sotto quella massa di tessuto scuro.
- Mai quanto voi, ragazzi – li presi in causa entrambi, perché sapevo benissimo che, sotto quel vestito, si nascondevano tutti e due: Jake sulle spalle di Elwood. – Che diavolo ci fate nelle, e con, le vesti della Pinguina? –
- Ma che domande! Ci facciamo Halloween! – specificò Jake – E’ un’interpretazione perfetta! –
L’interpretazione perfetta sfociò in una punizione di un mese e, trenta giorni senza musica, per i fratellini erano un vero supplizio. 

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Capitolo 4
*** Solo amici o qualcosa di più? ***


Holà compagni di blues! Sono stata molto combattuta sul titolo di questo capitolo, alla fine sono ricordi che Ziggie racconta, ma sono convinta che quello che ho scelto sia abbastanza azzeccato. Questo è una sorta di sipario sull'infanzia del trio, ma non vi fate spaventare dalle ultime battute scritte, non è finita la storia, c'è ancora così tanto da raccontare!!! Vi prometto che i prossimi capitoli sarano più copiosi :D Buona lettura, dunque ;)         

         4. Solo amici o qualcosa di più?


Nonostante l’impulsività e il carattere da leader di Jake, Elwood Blues era una persona a sé stante. Dipendeva molto dal fratello, erano inseparabili, ma, per alcuni concetti, preferiva agire in solitaria; spesso era soggetto alle prese in giro del fratello e degli altri ragazzini, soprattutto quando si parlava dell’argomento “donne” oppure quando preferiva leggersi una buona rivista di motori, piuttosto che divertirsi con gli altri, ma sembrava dare al tutto non troppo peso.

Avevamo due anni di differenza, io gli dovevo molto perché mi aveva introdotto in quel mondo, che ora chiamavo casa e, non nego che avevo una cotta spropositata per lui, ma Elwood non lo sapeva e, forse, era anche meglio così, eravamo bambini, dove volevo andare a parare?!

Un dopocena, ricordo che in tv davano la partita dei Cubs e la Pinguina aveva concesso a Curtis di trasmetterla. Sono sempre stata una fanatica del baseball e, quella sera, schizzai in dormitorio a prendere il mio cappello da tifosa: blu con la C bianca in rilievo, ma quando arrivai, trovai Elwood spaparanzato sul suo letto a sfogliare una rivista e alzai un sopracciglio, sapevo che non gli piaceva molto lo sport, ma isolarsi così!!

- Ehy, El! Che ci fai qui tutto solo? – chiesi, mentre mettevo a soqquadro le mie cose per recuperare il copricapo.

- Mi documento – mi rispose con un sorriso, facendomi segno di raggiungerlo lì, sul suo letto.

Annuì ed una volta trovato il cappello e messo in testa, lo raggiunsi – ti documenti, mmm – arricciai appena il naso, osservando la rivista, ovviamente si trattava di motori – sogni ad occhi aperti quale potrà essere la tua bimba? – chiesi ridacchiando appena. Conoscevo bene la sua passione per le auto e, forse, la temevo un po’, così come la musica, ma erano semplici paure di una ragazzina di dodici anni, che si approcciava per la prima volta al grande sentimento.

- E chi ti dice che io non l’abbia già trovata? – mi chiese in un lieve sussurro all’orecchio, dandomi poi un bacio sulla guancia.
Rimasi un po’ interdetta a quel gesto e, soprattutto, a quelle parole, così preferii buttarla sullo scherzoso. – Certo che l’hai già trovata. E’ la Caddy di Curtis! – gli diedi una piccola pacca sulla spalla – occhio a non fissarla troppo, che poi il vecchio Curt è geloso – gli sussurrai.

- Mi ritengo fortunato ad osservare un’altra bimba, allora – esclamò mantenendo quel tono allegro, ma piuttosto serio, continuando a guardarmi negli occhi e, senza occhiali da sole, faceva tutto un altro effetto!

Deglutii a vuoto, che cos’erano tutte quelle frecciatine, che colpivano dritto al cuore?!?! Che avesse la febbre?!?! Avesse preso qualche botta in testa?!?! Avesse litigato con Jake?!?! Le pensai tutte perché di certo, dopo un anno che ero là dentro, non potevo aver attirato la sua attenzione nel campo “fiamme femminili” come, ogni tanto, definiva Jake.

Sentii nell’altra sala l’inno nazionale e un Jake gasato, che mi chiamava con i suoi classici toni – Ziggie, sbrigati o ti perderai l’inizio! –
- Arrivo! – gli risposi, quasi incapace di distogliere lo sguardo da quello di Elwood, che mi sorrise, come se nulla fosse.

- Vai tifosa, gustati la partita -.

- Tu non vieni? –

- Arrivo, finisco la pagina -.

Ci sono certi casi in cui, la domanda: - chi ha creato l’amore? – viene spontanea, ma alla fine ti rendi conto che, il sentimento, è bello se  cresce con te. Questo è accaduto tra me e Elwood. Vivevamo la nostra amicizia al meglio, eravamo legati come fratello e sorella, come qualcosa di più. Ad ogni brutto sogno mi rifugiavo nel suo letto per trovare conforto; in ogni corale, pasquale o natalizia, dovevamo formare un trio con Jake, altrimenti eravamo capaci di tenere il broncio: lui mi insegnava a suonare l’armonica, io gli davo qualche dritta per scrivere qualche testo delle canzoni. Così crescemmo e giunse il momento per lui di prendere la patente, di essere già a metà liceo, i suoi sedici anni; mentre io, con i miei quattordici, lo avevo appena iniziato.

Ovviamente la scuola era quella presieduta dalle sorelle di Suor Mary, a pochi passi dall’orfanotrofio, ma, nella sua semplicità, era cento volte meglio delle comuni scuole per figli di papà metropolitani, che iniziavano a saltar fuori in quel periodo.

Nonostante, però, abitassimo sotto lo stesso tetto e andassimo a scuola insieme, Elwood e Jake, ormai, li vedevo di rado. Loro avevano messo su una Band musicale e iniziato a fare qualche serata, mentre io mi limitavo a cantare, con Curtis, nello scantinato della cucina.

Più volte il vecchio custode cercò di spingermi ad unirmi alla banda, ma io continuavo a ribadirgli che era un’idea folle, che ero troppo piccola, convinzione che rimase fino al compimento dei diciassette anni.

Quello fu un compleanno fantastico. Ricordo che Jake mi aveva cantato un happy birthday in piedi sul tavolo, ed Elwood si  era avvicinato a me con un pacchetto piuttosto grande, per una ragazzina che non era solita ricevere regali.

- Sicuro che è per me? – chiesi un po’ incerta.

- Tutto per te, bimba – mi assicurò, sorridendo.

Lo scartai e gli occhi si illuminarono alla vista di un cappello nero e di un paio di occhiali scuri, identici ai loro.

- Guarda bene – mi invitò, Jake, con un ghigno furbo.

Rigirai il cappello tra le mani e scorsi un foglietto:
“Ormai sei grande, sister, che ne diresti di entrare a far parte della banda? Firmato: Jake e Elwood”

Non ci potevo credere, era il regalo più bello che avessi mai ricevuto in tutta la mia vita. Li abbracciai forte, con le lacrime agli occhi per la gioia, dando ad ognuno un bacio sulla guancia, prima di inforcare cappello e occhiali ed indossarli.

- Quando si comincia? – chiesi vogliosa di iniziare quella nuova avventura, un vero peccato che ebbe vita breve, ma questa è un’altra storia e merita di essere raccontata successivamente. 

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Capitolo 5
*** La scelta di Ziggie ***


Ehy! chiedo venia per il madornale ritardo con qui posto, il capitolo era già rponto da un pò e a breve lo saranno anche i prossimi, datemi il tempo di riportarli a pc. Che dire, questo è un capitolo molto sentito dalla sottoscritta e da Ziggie, spero lo sarà anche per voi... Non vi rivelo nulla, vi dico solo non temere :)
Buona Lettura!
                                       

 

                       5. La scelta di Ziggie
 


La musica è un’emozione che cresce, una passione che ti è compagna di vita e il suo sound è in grado di farti tremare le ginocchia, fino a farti scendere in pista a ballare. Se c’è una cosa che ho imparato, crescendo nei sobborghi di Chicago, è che questa gente vive con la musica; il senso del ritmo lo ha dalla nascita e non si disdegna a scendere in strada a suonare per mostrare il proprio talento: l’unica cosa che gli garantisce, a volte, un pasto caldo per vivere. La povertà alloggia da queste parti, non vi è dubbio, ma i sorrisi non mancano; si tende ad essere fratelli in piccoli luoghi comuni: la musica è uno di questi.

Quante serate passate sul palco di qualche locale a ballare e a cantare; quante risate in macchina prima di arrivare ai luoghi dei concerti. Erano ormai tre anni che facevo parte della Banda e cominciavo a credere che, Curtis aveva ragione, forse quello era davvero il mio mondo.

Quella sera suonavamo in un posto su al nord, vicino al lago, nella zona in cui sorgeva il mio primo orfanotrofio, per intenderci. Non ci fu neanche bisogno di fare il soundcheck, tutto era pronto, attivo e il pubblico aspettava solo noi, una delle band più in voga del momento: i Blues Brothers.

Cantammo e suonammo fino allo sfinimento, sarà stata la una e mezza di note quando le persone iniziarono ad abbandonare il locale. Per l’ottimo incasso, il proprietario ci offrì qualche birra, che in molti bevvero come se fosse acqua, scolandosi diverse bottiglie.

Me ne stavo in un angolo del tavolo, cappello posato su quest’ultimo e occhiali da sole in testa, mentre parlavo tranquillamente con Tom Malone e Blue Lou, anche se avrei preferito scambiare quattro chiacchiere con Elwood, ma era troppo sbronzo per riuscire a spiccicare parola e, troppo impegnato con una biondina, poco più in là del bancone. Si, l’Elwood Blues che conoscevo, in quei tre anni, l’avevo perso lentamente.

Quella notte fummo praticamente ospiti del locale, in molti si addormentarono sui tavoli, io preferii andare in macchina, ma, quando stavo per varcare la soglia, qualcuno mi prese per un polso e mi portò a sé.

- Cos è, la biondina, non ti ha saziato abbastanza? – gli rinfacciai dandogli una spinta, allontanandomi da lui: sapevo che era Elwood, ci avrei scommesso i pochi soldi che avevo in tasca. Uscii dal locale, sbattendogli la porta in faccia, non ero arrabbiata, dopotutto ero io che non avevo il coraggio di rivelarmi, ero giusto frustrata.

- Ha parlato lei che si divertiva tanto con Tom e Lou – mi rinfacciò seguendomi. Scossi il capo – Erano semplici chiacchiere tra amici, Elwood. Ma, forse, eri troppo occupato per riconoscerle, no? –

- E perché con me non parli più, Zig? Siamo amici, no? –

- Vorrei parlarti, ma che fine ha fatto l’Elwood Blues che conoscevo? Sai rispondermi a questa domanda? – gli tolsi volutamente gli occhiali per guardarlo negli occhi: occhi rossi, impregnati di alcool da smaltire, i suoi; occhi seri, ma prossimi al pianto, i miei.

- Che domande, bimba!! Ce l’hai davanti! – fece ovvio.

- Davvero?! Io non lo vedo -.

Calò il silenzio e salii in macchina dal finestrino abbassato, guardando dritto avanti a me: il volante e poi lui. Non so se quella che presi fu la scelta giusta o fu azzardata, ma quello il cuore mi portò a fare. Non volevo vederlo perdersi via come facevano tante rockstar tra alcool e donne, ma se ciò aveva scelto, prego, che lo facesse lontano da me. Uscii dalla macchina con un sospiro, a capo chino e mi avvicinai a lui.

- Credo che, tu e i ragazzi dovrete stringervi, quando tornerete – lui aggrottò la fronte, osservandomi senza capire – dovrò pur tornare a Chicago in qualche modo, no? –

- Basta che torni con noi – fece ovvio, alzando appena le spalle.

Scossi il capo – è un addio, El – gli ribadii convinta, anche se una morsa mi attanagliò il cuore.

- Ehy, Zig… come sarebbe?! – lo vidi sbiancare, la sbronza sembrava essersi prosciugata – perché? –

- La fama è fantastica, così come lavorare seguendo il sogno di una vita, ma è quando una persona dimentica sé stessa e le qualità che la fanno grande, che occorre fermarsi a riflettere – tirai su col naso e gli diedi un bacio sulla guancia – in bocca al lupo con la Banda, signor Blues e salutami gli altri -.

Gli diedi le spalle e corsi alla macchina, solitamente usata dai ragazzi, vi salii e misi in moto, facendo inversione e sgommando verso la città. Dallo specchietto, a distanza, potevo vedere Elwood ancora fermo, incredulo e, l’ultimo gesto che gli vidi compiere, fu quello di sbattere a terra il proprio cappello, imprecando.

Stavo scappando, si, lo ammetto. Scappando come una codarda, troppo timida e paurosa per fare i conti con l’amore; scappando da un sogno, che da tre anni era diventato realtà; scappando dagli amici e da Lui, accompagnata da una futile constatazione dettata dal momento, forse, o dettata dal cuore. Non sempre le parole aiutano, risolvono situazioni, spesso vengono fraintese e, sicuramente, le mie non avrebbero toccato Elwood in quelle condizioni; sicuramente, dopo quell’imprecazione ci avrebbe bevuto su e, con il tempo, si sarebbe scordato di me, facendosi una vita propria sulla scia delle star musicali, così come io mi sarei fatta una vita tranquilla, lontano dal sogno e dalla fama, che lo stava cambiando, soprattutto, nel post spettacolo.

Il mio pensiero stava correndo troppo? Forse, ma, per il momento, era la scelta più giusta da fare. 

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Capitolo 6
*** La vita è un pò come un cambio di marcia ***


Più veloce della luce eccomi con il capitolo successivo :) Se riesco domani posterò anche il settimo :)Ancora buona lettura :)
 

    6. La vita è un po’ come un cambio di marcia
 

Tornata a Chicago presi come punto d’appoggio l’orfanotrofio, almeno finchè non avrei trovato un lavoretto, che mi garantisse una sistemazione affittuaria.
Il mio ritorno stupì tutti e, alla fine, anche me stessa, perché li avevo mollati? Perché non avevo preso il coraggio a due mani e rivelato ad Elwood quanto provavo da una vita? Ero una stupida, ecco cos’ero.

- Anche i migliori hanno alti e bassi, Zig – mi ribadì Curtis.

- Si, ma se questi bassi procedono da mesi, Curtis, tale persona deve essere spronata in qualche modo -.

- E tu conti di spronare Elwood con la tua mancanza? – abbassai lo sguardo, colpevole. In effetti lo credevo, ma ero in torto marcio. – La musica è la vostra vita, vi farà rincontrare – mi sorrise, come a darmi forza, posandomi una mano sulla spalla destra.

- Si e magari, quando lo rincontrerò, mi presenterà la sua nuova fiamma -.

- Chi? Elwood?! – chiese ridacchiando la vecchia volpe – Bimba, sono tre le ladies, che fanno parte della vita di quel bonaccione – alzai un sopracciglio, curiosa – La musica, le auto e una ragazzina che, da quando è arrivata qui, ha suscitato la sua attenzione -.

Feci un sorriso tirato, per quanto credessi a quelle parole – vederlo farsi diverse donne, dopo i concerti, però, non conferma il tuo ultimo punto -.

- Ti sei mai fatta avanti? – mi chiese, nonostante sapesse già la risposta.

- No, ma… - le parole mi morirono in gola e sospirai.

- Credi al vecchio Curt, Ziggie -.

Ormai erano due settimane che avevo mollato la Banda ed ero riuscita a trovare diversi lavoretti di qualche ora l’uno. Avevo appeso il cappello nero al pomello del letto e la divisa da Blues Sister all’armadio, ed ero tornata la classica Ziggie con jeans, scarpe da ginnastica e camicia bianca.

Aiutavo Ray per due ore al giorno al banco dei pegni e il resto della giornata lo passavo in un bar, palco di debutto per nuovi talenti. Qui, facevo la cameriera: servivo al bancone, ai tavoli e, ogni tanto, cantavo; avevo un buon rapporto con i clienti e, spesso, ci trovavamo a parlare di musica fino alla chiusura del locale. Quando mi avanzava tempo, aiutavo all’orfanotrofio: pulizie, intrattenimento dei bambini. Insomma, non era male quella mia nuova vita, tanto che ero anche riuscita a raccogliere un bel gruzzoletto, per permettermi un piccolo monolocale in affitto.

Diedi l’annuncio quella sera a cena, lasciando, però, la mia disponibilità in caso di bisogno, dopotutto quella era la mia casa, la mia famiglia, non potevo certo abbandonarli! Verso le otto squillò il telefono e, dato che Curtis era impegnato a lavare i piatti ed io stavo finendo di sparecchiare, rispose la Pinguina.

- Ziggie! – mi chiamò.

- Si? –

- E’ per te -.

Corrugai la fronte, chi poteva essere? Probabilmente qualcuno del bar, ma strano, era il mio giorno libero! Diedi a Curtis le ultime stoviglie e andai a rispondere.

- Pronto – feci alquanto allegra.

- Sapevo che ti avrei trovata lì – disse, una voce ben nota, dall’altro capo del telefono – come stai, Zig? –

Lanciai un’occhiataccia alla Pinguina, che mi rispose incrociando le braccia al petto, con fare superiore: no, non potevo troncare quella telefonata.

- Non c’è male, Elwood – risposi, smorzando il mio tono di voce, anche se dovevo ammettere che mi faceva piacere sentirlo – Ti è andata bene chiamare stasera, sai? Domani mi trasferisco – era la notizia della serata, perché non darla anche a lui?

Sentii il suo tono smorzarsi – oh! E… Dove vai? – si permise di chiedere, anche se con tono un po’ timoroso.

- In un piccolo monolocale in affitto – gli risposi vaga –tu e gli altri, invece? Come vanno le serate? –

- Vanno – si limitò a rispondere. – Senti, so che magari non ti va o forse sei troppo impegnata, ma, nel weekend, suoneremo in un locale del centro, se vuoi venire, sarai la benvenuta sul palco -.

- Sai che non salirò su quel palco – gli feci notare in tono ovvio, lui mugugnò.

- Prendi, almeno, in considerazione l’invito -.

- Ci penserò. Come si chiama il locale? –

- Soul’s review – sentii Jake urlare, sovrastando Elwood – Ciao Ziggie! – mi salutò.

- Ciao Jake! –

- Allora… buonanotte, Zig – mi augurò Elwood, riprendendo il controllo del telefono.

- Notte, El –

Quella notte non riuscii a prendere sonno e decisi di uscire sulle scalette d’ingresso, per prendere una boccata d’aria. Era una tiepida nottata di fine estate e, nonostante le luci della città, si potevano scorgere alcune stelle. Sorrisi e misi mano all’armonica, suonando un po’ e ripensando a quella telefonata. Sembrava di essere tornati indietro nel tempo, a quando Elwood si rammaricava per qualcosa di sbagliato compiuto, un altro sorriso: no, non era cambiato, era rimasto quel bambino che, gentilmente, mi aveva fatto da guida il primo giorno in questo stabile e, piano, piano, la personalità sovrastava la sete di fama.

Se sarei andata a sentirli? Si, mi mancava il loro sound. 

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Capitolo 7
*** Meeting the band ***


Ehy Compari Blues!!!!! Ecco a voi il settimo capitolo, non credo ne posterò altri prima di Natale, anche perchè sono un pò in crisi scrittoria, perciò godetevelo. Buona lettura e Buone Feste :) 

                                   7. Meeting the band


Traslocai, ma non ci fu bisogno di mobili: molti, il proprietario precedente, li aveva lasciati; alcuni, me li concesse la Pinguina, prendendoli dal solaio dell’orfanotrofio. Non era  granché, ma era un tetto: era qualcosa di mio.

Quella settimana mi toccarono i doppi turni. Matau, uno dei miei colleghi, era partito per il college ed io e Kensy ci alternavamo a coprire anche il suo turno, finché Lucas, il proprietario, non avesse trovato un rimpiazzo.

Sabato sera arrivò di volata ed io, alle otto, ero ancora dietro al bancone del bar a pulire bicchieri. Pregai perché quella mezzora passasse in fretta, ma le lancette scorrevano lente. Sospirai, decidendo di affrettare il mio lavoro, così facendo, magari, il tempo sarebbe passato più in fretta; non cambiò poi molto, ma alle otto e mezza  correvo fuori dal locale diretta in auto. Avrei preferito volentieri farmi una doccia, cambiarmi, ma non avevo il tempo, sicuramente avevo già perso qualche canzone, non potevo perdermi il resto: in qualche modo avevo garantito la mia presenza! Sfrecciai per le strade di Chicago, ma la mia corsa finì dopo un semaforo passato con il giallo: una volante mi fece accostare, ci mancava solo questa!

- Scusi,che cosa ho fatto? – chiesi cordialmente. Ok, andavo sparata, ma il semaforo non era rosso!

- E’ passata al semaforo con il rosso -.

Mi accigliai – la luce era gialla, signore – gli feci notare, ma, forse, meno discutevo e meglio era.

- Favorisca patente e libretto – come richiesto glieli consegnai – Tutto regolare a parte la sua spasmodica velocità, che non le evita una bella multa – convenne il poliziotto, dopo un controllo.

- Si, si, ne prendo atto agente, ma possiamo accelerare i tempi? Avrei un appuntamento – dissi con fare piuttosto sbrigativo, mostrando al poliziotto un sorriso a trentasei denti.

- Stavo dandole il via libera, signorina. La multa le verrà recapitata a casa -. Fortunatamente non era di quelli insistenti! Non mi importava della multa, l’avrei pagata in qualche modo, mi premeva arrivare al concerto e, una volta girato l’angolo e certa che i piedipiatti avessero proseguito diritto, schiacciai a tavoletta l’acceleratore fino in centro città, parcheggiando al volo e mettendo in testa il cappello nero, che avevo portato per l’occasione.

Corsi fino al locale, entrandovi, mentre un numero indefinibile di sguardi si puntava su di me, mentre la musica e la voce di Jake spaziavano nell’aria.

- Ehm… Salve – dissi a bassa voce, portandomi verso il bancone per cercare di vedere meglio il palco, non che mi volessi far scorgere dalla Band, ma volevo vedere meglio Elwood.

Attaccarono con Jailhouse rock, una canzone solitamente ballata da tutti i membri della Band, mentre Elwood saltellava in giro con l’armonica e Jack con l’asta del microfono, ma questa volta potei notare, il più piccolo dei fratellini, più flaccido: che diavolo gli prendeva?
Mi sedetti sul bancone e misi mano alla mia armonica, che avevo in tasca, come diceva Curtis: mai uscire senza! La ragione mi diceva di non agire, di lasciar perdere e godermi lo spettacolo, ma il cuore diceva tutt’altro, invitandomi a smorzare l’animo di quel’uomo, che mi mancava tanto.

Così, quando toccava a lui attaccare con l’armonica, suonai io al posto suo, sentendomi tutti gli occhi addosso – Allora, signor Elwood Blues, cos è tutta questa mosceria? – lo incalzai volutamente e il sorriso, che gli si dipinse sul volto, lo fece brillare di luce propria, quasi a dargli carica. Così la serata si mosse con un nuovo ritmo e, nonostante il mio madornale ritardo, ne fui compiaciuta.

A concerto finito ero combattuta se andarmene o rimanere, ma optai per la prima opzione: era tardi, l’indomani attaccavo presto a lavorare e, un senso di malinconia mi aveva assalito, nel rivederli tutti. Ero tra gli ultimi in fila per uscire, quando sentii qualcuno picchiettarmi le dita su una spala, ma non feci in tempo a voltarmi, che mi ritrovai stretta in un abbraccio mancato da troppo tempo.

- Non vorrai andartene senza salutare, mi auguro -.

Sorrisi appena, ricambiando la stretta, mentre mi sentivo sciogliere da quelle braccia – non mi sembra di aver mancato al saluto, dato che è quello che ti ha spronato – lo punzecchiai, staccandomi dall’abbraccio, mentre lui sorrise.

- Avevi detto che non avresti suonato -.

- Errore! Avevo detto che non sarei alita sul palco – puntualizzai – non potevo non suonare, quella canzone aveva bisogno dell’armonica -.

In un attimo fummo accerchiati dagli altri componenti della Banda; a breve sarebbero scoccate le 1001 domande a cui avrei dovuto dare una risposta abbastanza pertinente.

- Ziggie! – mi salutò Jake, venendo verso di me a braccia aperte, sovrastando il fratello.

- Ciao Jake. Ragazzi -. Salutai con un sorriso tranquillo – perdonate la mia entrata ad effetto da dietro le quinte – ci tenni a precisare, non volevo che a qualcuno potesse aver dato fastidio.

- Tranquilla baby, era più che lecita – mi fece l’occhiolino Jake, alzando appena gli occhiali, apostrofandomi apposta così, credo, dato che Elwood, gli lanciò un’occhiataccia, nonostante gli occhiali scuri. – Ma toglici una curiosità, come mai questa scelta di cambiare vita? Non eravamo più  il massimo per te? – mi chiese portandomi un braccio attorno al collo.

- Per me sarete sempre il massimo, ragazzi – spiegai – avevo bisogno però di cambiare aria, di saggiare la consistenza di una vita lontana dalla fama e poi, nonostante il mio addio, siete ancora sulla cresta dell’onda, non avete di che lamentarvi -. Dopotutto non avevo mentito, avevo detto la verità semplicemente non tirando in mezzo Elwood, che ora se ne stava con le braccia incrociate, contrariato dal braccio di Jake attorno al mio collo.

- Siamo i Blues Brothers, Zig. Con noi arde la fiamma del Rhytm’n’Blues -.

Ridacchia, era sempre il solito modesto.

- Come mai questa tua scelta di andartene senza salutare? – mi chiese Blue Lou.

- Perché se mi fossi fermata un istante di più, ora farei ancora parte della Banda. E’ stata una decisione repentina guidata da birra, cuore e ragione, perché a volte è meglio non guardare indietro -.

- La Banda è come una famiglia, però, te ne sei dimenticata? – constatò Faboulus.

- La famiglia non si dimentica – precisai – perché è qui, che alloggia – mi battei una mano sul cuore, fiera. Non avendone mai avuta una, ero ben consapevole della profondità di quella parola: l’orfanotrofio e la Banda mi avevano dato tutto, erano gli affetti più grandi che avevo. Credo che con quelle parole gli solleticai gli animi, dato che venni abbracciata da ognuno di loro, tranne che da Elwood, lui si limitò a guardarmi da dietro lo specchio dei suoi occhiali scuri, forse grato per il fatto che non lo avevo tirato in causa, forse frustrato perché, in qualche modo, me ne ero andata per causa sua, ma avremmo avuto modo di parlarne, lo sapevo.

- Ti fai una birra con noi, Zig? – mi chiese Jake, sorridendo.

- Per stavolta passo, Jake. Si è fatto piuttosto tardi e domani devo lavorare – se volevo svegliarmi, avevo bisogno di qualche ora di sonno.

- Di Domenica?! – si accigliò lui.

- I bar non si fermano, sai? – feci scherzosa – Piuttosto, venitemi a trovare qualche volta. Abbiamo anche un apposito spazio dove suonare – era una buona idea, dopotutto – Stiamo a due isolati dal negozio di Ray, a Calumet City -.

- Ci faremo un pensierino, allora – concesse.

Sorrisi e alzai una mano in segno di saluto – alla prossima ragazzi e buonanotte -.

Dopo i saluti, uscii dal locale più leggera, come se un peso mi avesse abbandonato, almeno buona parte di esso. Mi incamminai verso l’auto con le mani in tasca, ripensando alla bella serata e, purtroppo, anche alla multa presa, ma ne era valsa la pena.

- Ehy, Zig… Ziggie, aspettami! – mi chiamò Elwood, raggiungendomi di corsa.

- El, che ci fai qui? –

- Ti accompagno alla macchina, no? – fece ovvio – E’ tardi e, a quest’ora, non bazzicano persone raccomandabili -.

- Siamo a Chicago, Elwood. Ad ogni ora non bazzicano persone raccomandabili – era cosa nota, dopotutto – Apprezzo che mi vuoi accompagnare, ma non voglio farti perdere la festa con i ragazzi -.

- E, cosa dovrei festeggiare, sentiamo? –

- La buona riuscita della serata?! – feci alzando un sopracciglio, perché quella domanda?

- E perdere altre occasioni con te? No, grazie – mi fermai ad osservarlo, grata per quelle parole, che mi solleticarono la schiena e mi dipinsero di rosso le guance.

- E, che occasione staresti recuperando, ora? –

- Quella di riscaldare gli animi e il corpo di una persona speciale – si tolse la giacca e me la posò sulle spalle, io ero in giro con la sola camicia e, solo allora, mi resi conto dell’aria pungente e fredda della notte.

- G…grazie – balbettai, impacciata, come quella sera prima della partita dei Cubs.
Camminammo in silenzio fino alla mia auto, ma, quando feci per ridargli la giacca, mi fermò e scosse il capo – me la ridarai quando ci rivedremo -.

- Ma è la tua giacca, El! Ti serve, è il tuo abito da scena! –

- Se ti concedo di tenerla è perché posso farne a meno per un po’, no? –

Riflettei su quelle parole ed annuii, non aveva tutti i torti.

- Buonanotte allora, signor Blues – gli augurai dandogli un bacio sulla guancia, forse un po’ troppo vicino alla bocca, tanto che lui sorrise e lo corresse in un fugace bacio sulle labbra.

- Ci vediamo al bar e, mi raccomando, vai piano -. 

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Capitolo 8
*** Fraintendimenti, incontri e spiegazioni ***


Holà belli!!!! Come andiamo?!?!
Mi scuso per il madornale ritardo, ma causa festività, esami e poche idee, ci ho messo un pò a scrivere.  Nonostante tutto però ho riletto i capitoli precedenti e, sono sicura, manca qualcosa (li riguarderò e, magari, li amplierò) Cooooomunque.... Veniamo a parlare di questo bel capitoletto (ahahah! si mi soddisfa, avete letto bene!) Qui ho voluto rendere omaggio ad uno sketch del SNL, quello del ristorante olympus (così tradotto in italiano) dove Dan Aykroyd e John Belushi la fanno da padrone con Cheeseburger e Pepsi xD .... Se volete il link del video basta chiedere :D
Buona lettura dunque ;) e grazie a Lord Beckett per commentare sempre :)                          

               8. Fraintendimenti, incontri e spiegazioni


L’autunno era ormai agli sgoccioli anche se, alla sua dipartita, mancavano circa tre settimane. L’aria gelida colorava di rosso le gote dei passanti, infreddolendo le ossa, facendo alzare baveri e sciarpe. Chicago era prossima alla neve, i suoi abitanti lo sapevano: il manto bianco, che ogni anno scendeva a contrastare i colori del Blues, caratteristici di quella città dell’Illinois, sarebbe arrivato in anticipo anche quella volta.
Si, il cielo chiamava neve, così come io tiravo giù i santi.

- Al diavolo! 35 dollari per essere passata con il giallo, è una rapina!!! Cristo! – entrai al bar imprecando, sbattendomi la porta alle spalle e guadagnando così, alcune occhiate curiose, da parte dei pochi presenti. Non solo la sveglia non aveva suonato, facendomi fare tardi, ci mancava solo la multa recapitata di buon mattino ed ora anche la presenza di una ben nota figura vestita di nero, seduta al bancone: la giornata non poteva iniziare meglio!

- Dovresti saperlo che sono piuttosto fiscali in questa città, bimba! – disse, in falso tono canzonatorio, Elwood, accogliendomi, mentre io aggiravo il bancone iniziando a lavorare.

- Vediamo di non infierire e ringrazia il buon Dio che non ci sia il tuo nominativo su questo foglietto – gli sventolai la multa sotto al  naso e lui alzò un sopracciglio. – Sgasavo a manetta per evitare di perdermi il vostro concerto, l’altra sera – gli spiegai. Erano passati si e no, cinque giorni dall’evento. – Quindi, anche se indirettamente, tu e il tuo fratellone c’entrate come al solito – brontolai. Non che ce l’avessi con loro, ero più che altro su di giri con me stessa e mi lasciai trasportare dalla stizza del momento, forse sperando che lui mi facesse ragionare, forse perché dovevo rivalermi su qualcuno.

- Vuoi mettere il mio nominativo su quel foglio? – mi chiese poi, pacato come suo solito – bene, fallo pure, sai come si falsificano tali atti – continuò come se nulla fosse, scrollando appena le spalle – ma sappi che sarà l’ennesimo pezzo di carta non pagato e abbandonato sul cruscotto insieme a pacchetti di sigarette vuoti -.

Era incredibile il modo che ogni volta adottava, serio e per nulla toccato dagli avvenimenti esterni, almeno a vista d’occhio: lo riguardavano?! Bene, avrebbe trovato una soluzione. Sapevamo entrambi che l’arrabbiatura sarebbe scivolata alle spalle, che la multa l’avrei pagata, senza compiere falsificazioni – anche se un pensierino ce lo stavo facendo. Jake anni addietro mi aveva insegnato a come fare e poteva in qualche modo tornarmi utile la cosa – e che saremmo finiti a parlare, dopotutto doveva ancora spiegarmi il perché del bacio fugace dell’altra sera e io dovevo ancora rendergli la giacca. Sospirai appena e accartocciai il foglietto, abbandonandolo nella tasca posteriore dei jeans.

- Allora, signor Blues, come mai da queste parti? –

- Diciamo che sono in avanscoperta e che qualcuno mi deve qualcosa – sorrise appena, sistemandosi meglio sullo sgabello – potrei avere del pane bianco? –

Ricambiai il sorriso: forse, quella giornata iniziata male, poteva avere una svolta positiva.

Servii Elwood ed altri clienti che pian, piano arrivavano per la colazione. Dicevano che il nostro bar era uno dei migliori di tutta Chicago e, sotto un certo punto di vista, non gli davo torto: unire prezzi bassi agli ottimi spuntini allettava non solo Calumet City, ma anche i dintorni più in voga. La clientela iniziava ad aumentare, ma con l’aiuto di Kensy e Lucas ci dividemmo i compiti e riuscimmo a giostrarci al meglio il lavoro: lui in cucina, lei ai tavoli ed io al bancone.

Elwood mangiava tranquillo, zitto, senza fare una piega, ed io che pensavo accennasse alla giacca, al bacio, speravo male. Aveva già sottolineato che gli dovevo qualcosa, non si sarebbe dilungato ancora, ma avrebbe, semplicemente, aspettato. Sospirai, sapendo bene che toccava a me la prima mossa, ma dovevo lavorare e, quindi, tornai a pulire alcuni bicchieri, finché, una figura slanciata, non entrò nel locale e si sedette ad alcuni sgabelli di distanza da El. Sorrise, ricambiai.

- Ciao Mick, che ti servo? –

- Il solito, Zig –.

- Arriva subito -.

Il ragazzo era solito prendere del caffè nero accompagnato da pancetta e uova. Diedi l’ordinazione a Lucas e, intanto, gli servii il caffè.

- Grazie per avermi, concesso quella serata, due giorni fa – mi disse senza che quel sorriso si spegnesse. Notai Elwood farsi più attento dopo quella uscita e ridacchiai mentalmente. In effetti, da come l’aveva detto il ragazzo, sembrava che ci fossi uscita insieme, invece aveva soltanto suonato al locale con il suo gruppo. Chissà, come l’avrebbe presa Elwood, se avessi continuato su quella linea alquanto equivoca? Diabolica!? Non più di tanto. Entrambi ci dovevamo delle risposte e io, lo stavo giusto stuzzicando, in attesa di discorsi seri.

- Ma figurati, anzi, mi piacerebbe se si ripetesse -.

- Volentieri – rispose lui, dopo aver dato un sorso alla bevanda – magari con un maggior sound -.

Musicisti! Tutti uguali, alludevano alla musica come alla vita e lo notai guardando di sottecchi Elwood, aveva inteso che tra me e Mick ci fosse del tenero e quell’ultima frase era come se glielo avesse garantito. Si sistemò la cravatta lisciandosela appena e allentandosi il nodo, prima di alzarsi.

- Quant’è? – mi chiese.

Servii la colazione a Mick e poi tornai ad Elwood – Offre la casa – gli sorrisi bonaria – ma non te ne vorrai andare a mani vuote! – gli feci notare, afferrando, da un ripiano interno al bancone, un’agenda – Allora quando segno la serata maggior sound dei fratellini?! – chiesi utilizzando apposta le parole adoperate poco prima nel discorso con Mick, lanciandogli il primo indizio, ossia che tra me e quel ragazzo non c’era nulla. Dal canto suo, El, si grattò il mento e mugugnò appena – Perché non ne parliamo stasera a cena? –

- U..Una c..en..cena?! – balbettai, presa alla sprovvista – io e te, da soli?! –

- A meno che tu non voglia invitare il tuo amico … rocker, possiamo definirlo così? –

- Suona grunge, se vogliamo essere precisi – puntualizzai ridacchiando, mentre Elwood alzava le mani in segno di resa, ironico.  – Dove ti aspetto, allora, signor B? –

- A che ora stacchi? –

- Alle 8, stasera -.

- Bene, per quell’ora, ti aspetterò qui fuori -.

Annuii, cercando di nascondere l’emozione di quell’appuntamento, il primo che Elwood mi concedeva. Non che prima ce ne fosse bisogno, dato che ci si vedeva tutti i giorni; non che gliene avessi mai chiesto uno. Un brivido mi solleticò la schiena e, per un istante, fu come se fossimo soltanto io e lui e nessun’altro intorno: possibile che soltanto con quelle parole, quel ragazzo, mi mandasse in brodo di giuggiole?!

Mi riscossi soltanto quando Kensy, mi toccò dentro la spalla – Zig, è tutto a posto? – mi chiese, anche se non nascose un sorrisetto alquanto amplio.

- Eh! – scossi appena il capo, riprendendomi – Si, si tutto a posto – dissi, sentendomi le guance avvampare: che figura!!! Notai Elwood che se la rideva appena, ed arricciai il naso, facendogli una sorta di smorfia, aggirando il bancone ed uscendo un attimo dal locale. Corsi in macchina, avevo giusto parcheggiato poco distante da lì, ripresi la giacca del ragazzo, che avevo appoggiato con adeguata cura al sedile posteriore, scesi e tornai al bar. – Questa è tua, giusto per non farti andar via a mani vuote -.

- Mi hai offerto la colazione e hai accettato il mio appuntamento, sicura che me ne sarei andato a mani vuote?!? – chiese, puntualizzando il tutto, ironico. Ma voleva vedermi scoppiare!?!?!? Le mie guance chiamavano pietà!

- Credevo che la giacca fosse parte di te – gli feci notare, non sapendo bene che dire, seria, seppure impacciata.

- Si, in qualche modo lo è – mi confermò, riprendendola e indossandola – ma non è la sola. Come vedi, senza di lei ci so stare, senza qualcun altro, no – mi sussurrò all’orecchio, accarezzandomi il volto, prima di alzare gli occhiali da sole e farmi l’occhiolino – A stasera, Ziggie -.

Rimasi immobile, a fissare il punto dal quale era uscito Elwood, per diversi minuti, come minimo cinque. Kensy mi ripassò davanti e mi scosse le spalle.

- Terra chiama Ziggie – urlò a pieni polmoni nel mio orecchio, facendomi saltar via.

- Ehy!!!!! Che bisogno c’era di urlare così?! Ci sento! –

- Non ne dubito, ma le 8 non arrivano rimanendo a fissare la porta, lo sai?! – scherzò, sottolineando curiosa l’orario dell’appuntamento, guardandomi come a volerne sapere di più.

Tornai dietro al bancone, rimettendomi al lavoro, cercando di evitare di dare spiegazioni a Kensy, ma sapevo di non aver via di scampo – Che c’è? – chiesi esasperata, quello sguardo fisso e indagatore, metteva a disagio e non poco.

- Come che c’è? Un fusto si presenta qui, ti da un appuntamento, a momenti ti bacia, tu ti imbamboli per ben due volte e, ora, mi chiedi che c’è?!?! Ziggie!!!! –

- Kensy!!!! –

- Chi è?!?! –

- Un amico e una sorta di fratello – gli spiegai, cercando di tagliare corto. Alla fine, prima di essere colui al quale morivo dietro, Elwood era quello.

Alzò un sopracciglio – Ceeeerto, Zig e un fratello o amico, si comporta così vero?!?!-

- Oh! Insomma, avrà aperto gli occhi da quando ho piantato in asso la band! Che ne so! –

- Uh! Oh! Quindi è un musicista?!!? – mi toccò dentro con il gomito, con una smorfia maliziosa, di chi la sa lunga

- Più che un semplice musicista, Elwood è il Musicista, con la M maiuscola. Dovresti sentire il sound che sprigiona la Banda quando è al massimo. Se hai il morale a terra è in grado di risollevarti; se sei felice è in grado di farti toccare il cielo con un dito. Non è semplice musica. E’ emozione quella che sprigionano, voglia di muoverti, di ballare, di cantare, seguendo quelle note che narrano di amore e di vita. Dovresti sentirli Kensy, sono davvero i numeri uno – mentre parlavo, era come se una luce mi brillasse negli occhi. Si, la banda mi mancava e non poco e quelle parole me ne diedero una maggiore conferma.

- Sei cotta, Zig – sorrise, contenta la mia collega – e, soprattutto, ti manca il ritmo -.

- Lo so. Ma, a volte, alcune scelte, ti segnano la vita -.

La sera arrivò in fretta ed il mio turno finì prima grazie a Kensy, che coprì gli ultimi dieci minuti, per permettere di prepararmi. Come se avessi dei vestiti con me! Mi rinfrescai un attimo al bagno del locale e cambiai l’unica cosa che potevo: la maglietta nera del lavoro, con la mia classica camicia bianca, che sui pantaloni neri faceva sempre il suo bel figurone. Salutai tutti ed incassai l’imbocca al lupo della mia collega: si, in quel momento, ne avevo proprio bisogno! Uscii e mi appoggiai al cofano della mia auto, in attesa, strano che Elwood non fosse ancora arrivato, solitamente era abbastanza puntuale! Magari era stato trattenuto da Jake e dai ragazzi. Controllai, poi, l’orologio: no, ero io che ero in anticipo di cinque minuti. Aspettai.

Una sterzata un po’ brusca fece capitolare, parcheggiata perfettamente dietro la mia, un’altra automobile a me ben nota: la blues mobile, una vecchia Cadillac nera. Al volante, Elwood mi salutava, mentre io lo guardavo scuotendo il capo, divertita. Ogni volta mi stupiva in una maniera diversa; sapevo, per sentito dire e per propria conoscenza, che era diventato un asso del volante, ora lo notavo.

- La carrozza la attende, madamigella – provò a fare il galante, uscendo quasi completamente dal finestrino dell’auto, rimanendovi seduto, ben appoggiato al tettuccio.

Ridacchiai alla scena e mi avvicinai alla macchina, aprendo lo sportello ed entrandovi. Venni accolta da ricordi e da un misto di odori diversi: dal fumo all’odore di pane bianco tostato; dall’amarognolo della birra al dolce dei piccoli e bianchi gnocchi di lichene; ma non poteva, ovviamente, mancare l’odore di Blues, che quell’auto trasudava alla sola vista, fatto che mi portò indietro nel tempo di qualche mese.

Elwood rientrò a bordo poco dopo e si mise comodo sul sedile del conducente, osservandomi da dietro le sue lenti scure – a grado di fame, come stiamo?! – mi chiese.

Alzai un sopracciglio, pensando quasi subito male a quella domanda, ma cercai di ricompormi subito, evitando di dare a vedere quel mio fraintendimento: certo che ero messa male!!! – Lo stomaco brontola, come sempre dopo una giornata di lavoro, ma è un grado normale e sopportabile, perché?! –

- Così mi regolo sul dove portarti, no? – mi fece notare come se fosse ovvio, sorridendo, prima di mettere in moto. Lo vedevo contento, anche se immaginavo bene che l’uscita non prevedeva soltanto rimanere soli, bensì parlare anche delle mie scelte.

- Credevo sapessi che a me va bene tutto – concessi sorridendo a mia volta. Va bene, era un appuntamento, ma non mi aspettavo di certo il grand hotel. Sapevo che le sue finanze scarseggiavano, così come le mie, un semplice fast food andava più che bene.

- Mi deve essere sfuggita quella prerogativa. Aspetta, quando?! Ah, si! Una sera di esattamente tre mesi e mezzo fa – mi rinfacciò, mentre il motore della caddi rombava e lui si immetteva sulla strada.

- Credevo, di avere chiarito le mie intenzioni l’altra sera – incassai il colpo, abbassando il volto e rannicchiandomi sul sedile.

- Con la banda, forse, ma non con il sottoscritto -.

- E allora perché mi hai baciato e ti sei prodigato tanto l’altra sera?! – presi il coraggio a due mani, ognuno doveva all’altro fatti.
Non mi rispose subito, schiacciando maggiormente l’acceleratore, proseguendo dritto di filata e in quinta, sulla road sotto la monorotaia – Te l’ho detto, sono stufo di perdere occasioni -.

- Non mi pare che tu ne abbia perse signor Blues – gli feci notare, ovviamente non riferendomi alla mia persona. – Ora, possiamo passare la serata a rinfacciarci tutto con parole pesanti, ma, sinceramente, se deve andare così, gradirei mi riportassi indietro. Oppure possiamo discutere di questi, chiamiamoli, errori, davanti ad un cheeseburger e una coca, che ne dici? –

- Pepsi – rispose semplicemente.

Mi accigliai, che razza di risposta era? – Come scusa? –

- Hanno solo la Pepsi nel posto in cui ti sto portando, niente Coca – mi spiegò, allungando poi la mano a sfrizionarmi i capelli.

Proseguimmo sfrecciando sul rettilineo, in silenzio. Il suo sguardo fisso sulla strada, il mio sul paesaggio. Pensavo.
Una frenata con tanto di sterzata e parcheggio diretto, mi comunicò che eravamo arrivati. Scesi, senza dare tempo ad Elwood di dire qualcosa, e lo attesi sul marciapiede. Quando mi raggiunse, mi sorrise e portò un braccio attorno alle mie spalle.

- Bene! Ora, possiamo andare – convenne. Era incredibile! La sorta di arrabbiatura, comparsa pochi istanti prima, aveva lasciato il posto alla tranquillità e, forse, le mie parole erano state utili. Certo, probabilmente, avremmo alzato un po’ i toni, ma avremmo chiarito senza esagerare, ne ero certa.

Entrammo nel locale. Era un posto piccolo, il tipico ristorantino on the road, dove potevi scegliere se mangiare ai tavoli o al bancone. La cucina era a vista, composta, giusto, da dei fornelli e una pietra ollare, dove si cuoceva la carne; poco distante dal piano cottura, invece, vi era il piano pepsi: unica bevanda consentita.

- Ted! George! – salutò, Elwood, alzando appena una mano. A quanto pareva era solito fare tappa lì.

- Ciao Elwood! – salutarono, in coro, i due con un accento marcato, forte, straniero: chissà di dove erano originari?!

Ci sedemmo ad un tavolo vicino ad una parete perlinata in legno e, dopo pochi minuti, il più basso dei ragazzi, che ci avevano accolto, ci raggiunse.

- Che prendete? –

- Il solito, Ted – disse Elwood – Cheeseburger e pepsi -.

- Un cheeseburger e una pepsi – urlò l’ordine al bancone.

- Cheeseburger; pepsi! – venne ripetuto, ad alta voce, laggiù. Mi accigliai appena, mentre Elwood mi guardava ridacchiando: dove diavolo mi aveva portato?!?!

- Tu, signorina bella? – chiese, nuovamente, Ted.

- Lo stesso, direi – concessi, sorridendo un po’ incerta.

- Un cheeseburger, una pepsi! – urlò di nuovo.

- Cheeseburger; Pepsi! – ripeterono al bancone.

Ma che diamine!!!

Attesi che Ted si fosse allontanato e, guardai Elwood, quasi sconcertata – perché continuano a ripetere? – chiesi.

- E’ una sorta di catena di montaggio, Zig – mi spiegò divertito – Ted da le ordinazioni, loro le ripetono per non perdere il conto e le eseguono. Funziona così in Grecia – continuò ad espormi la situazione – Almeno così dice lui – aggiunse, poi, a bassa voce, indicando Ted e strappandomi un sorriso.

Le nostre ordinazioni non tardarono ad arrivare e ce le gustammo tranquillamente, ma chi avrebbe iniziato a parlare? Notavo un po’ di timore da parte di entrambi, ma fu Elwood a rompere il ghiaccio.

- Grazie per essere venuta l’altra sera -.

- Dovere – gli risposi mandando giù un boccone – mi mancava il vostro sound -.

- Potevamo fare di meglio – commentò, arricciando appena il naso.

- Capitano le serate un po’ fiacche -.

- Già, un po’ troppo spesso da quando te ne sei andata -.

- Il ritmo è sempre acceso nella Banda, El! – gli feci notare tranquillamente, pacata – non sono io ad averlo spento -.

- Se, invece, lo avessi spento in un’altra persona?! –

- In te?!? – mi stupì molto quella sua frase e miliardi di domande e supposizioni, iniziarono ad annebbiarmi la mente – Per favore, signor B, sei nato con il ritmo nel sangue e quella fiammella, lo sai anche tu, non si spegnerà tanto facilmente -.

- Perché te ne sei andata? – chiese diretto, senza troppe cerimonie, una volta incassata la mia constatazione.

- Lo sai – cercai di sviare, appena. Pensavo l’avesse capito già da quella fatidica sera.

- In questo momento, vorrei sentirlo da te – il suo tono si stava facendo sempre più deciso – le mie sono solo supposizioni -.

Sospirai appena, restando con il cheeseburger a mezz’aria per qualche istante, osservando un punto fisso e vuoto sul tavolo. Abbassai, poi, il panino e, prima di iniziare a parlare, presi un profondo respiro.

- La banda… Un sogno che mi ha accompagnato dal momento in cui ho messo piede all’orfanotrofio, dal momento in cui ho sentito, per la prima volta, il suono di un’armonica a bocca: quella di Curtis e poi la tua. Al mio diciassettesimo compleanno il tutto divenne realtà e la vostra musica mi fece conoscere un turbine di sensazioni nuove, che avevo, fino ad allora, appreso in parte con le canzoni sentite alla radio o da un giradischi. Il sogno durò tre anni, il lasso di tempo che trasformò l’emozione in fama, colei che, a volte, tende a portare via la vera essenza delle persone. Questo ha fatto con Jake e, in parte, con te. Che senso ha consumarsi dietro ad alcool e droghe?!? Dietro le gonne di una persona, che il giorno dopo non rivedrai più?!? Non mi pare che le vostre canzoni parlano di questo! La musica non è ciò. Tu non sei così e, in un certo verso, neppure Jake – gli esposi il tutto in una calma apparente, mentre in cuor mio stavo per esplodere. Sapevo che Elwood non si faceva di droga, su quella via ci era finito solo Jake, ma per il resto era tutto quanto del suo comportamento, mi aveva spinto ad abbandonare quella via che, a quei livelli, non faceva per me.

Sembrò incassare il colpo, tanto che lo vidi rabbuiarsi un secondo. Avevo toccato un tasto dolente?! Anche se fosse?! Avevo soltanto detto le mie motivazioni.

- Già, la musica non dovrebbe portare a questo – si limitò a dire, a testa bassa, finendo, il suo panino, in un solo boccone. – Non è un circolo vizioso, ma sentimento, emozione, vero?! – domandò, quasi, retorico. Annuii, in risposta. – Jake pare aver calmato i bollori con la cocaina, non che percorra una retta via, ma si sta dando una calmata. Io quella roba non l’ho mai presa e mai la prenderò. Ammetto di aver alzato il gomito, di essermela spassata con delle groupie, a volte, ma potevi aprirci gli occhi, piuttosto che andartene, no? –
Scossi il capo – E non mi avreste rinfacciato il tutto additandomi e dicendomi di farmi i cazzi miei?!? – sorrisi, appena, amara – vi conosco, El. Vi conosco fin troppo bene e, se ho fatto questa scelta, è perché era meglio per tutti -.

- E, sentiamo, cosa ti ha portato “questa scelta”? -  chiese stizzito.

- La conoscenza di una nuova vita e di una nuova esperienza – ribattei pronta – Ho un lavoro, un tetto sulla testa e, suono ancora, nonostante tutto -.

- Magari accompagnando musicisti di bassa leva, che non sanno cosa significhi la parola ritmo – fece una smorfia, bevendo tutto d’un fiato la pepsi. Sapevo che si riferiva a Mick, il ragazzo che avevo servito quella mattina al bar; scossi il capo, sospirando appena: possibile non aveva ancora capito che non c’era nulla tra me e quel ragazzo?

- Non tutti sono ai tuoi livelli, signor Blues, credevo lo sapessi – gli feci notare con un sorriso furbetto – e, credevo sapessi anche che, queste labbra, non baciano a caso, come quelle di qualcuno di mia conoscenza – avevo parlato io, ora toccava a lui esporre i suoi motivi; altro che tra me e Mick scorre del tenero, tsè!

Fu una delle rare volte che vidi Elwood Blues arrossire. Era timido, questo era risaputo, ma le sue guance non erano mai prossime all’arrossamento. Mi fece una strana impressione, ma ne fui felice: era così tenero!

- Era una sorta di bentornato – provò ad inventarsi, doveva essere più convincente, difatti lo guardai con le braccia incrociate al petto ed un sopracciglio alzato, in attesa di una risposta degna di nota, quasi come sotto interrogatorio.

- Perché hai detto di non voler perdere più occasioni con la sottoscritta?! –

- Perché è così. In questi mesi che siamo stati separati ho … insomma… era come se avessi perso qualcosa … mi sei mancata, Zig – immaginai quanto gli costassero quelle parole, ma gli fui grata per quella sincerità – per questo ora vorrei rimediare, mi sembra più che opportuno -.

Gli sorrisi e mi alzai, aggirando il tavolo e arrivando alle sue spalle, cingendogliele in un abbraccio e baciandogli una guancia – bentornato signor Blues – gli sorrisi, poi, rubandogli il cappello e mettendomelo in testa, prima di ritornare a sedermi. Lui fece per ribattere a quel gesto, ma non si mosse, stranamente, limitandosi ad un sorriso, un sorriso più sciolto.

- A quando i fratellini Blues sul palco del tuo locale? – mi chiese.

- Tra due sere, va bene? -.

- Suonerai?! –

- Probabilmente si – concessi sorridendogli, prima di ridargli il cappello.

- Bentornata, Ziggie -. 

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Capitolo 9
*** Mettersi alla prova ***


 Holà Belli! eccomi qui con il nono capitolo, la storia cresce e questi ultimi capitoli mi gasano, lo ammetto.
Che dire di più?!?!? Grazie a coloro che leggono e Liz che mi ricensisce con il Lord ;) Oggi, si, sono di poche parole, gli egizi mi aspettano -.-... Alla prossima!!!!                    

                              9. Mettersi alla prova
 


I primi fiocchi di neve dell’anno avevano iniziato a scendere e ad adagiarsi sull’asfalto nero di Chicago.
Quello era il mio giorno libero e, come tale, lo avrei dedicato a me stessa, in attesa della serata musicale con la Banda e i fratellini.
Nonostante i fiocchi che scendevano a sfiorare l’urban style, io mi trovavo in auto, diretta dall’altra parte della città: avevo bisogno di una sorta di consiglio da parte della signora della santa accelerazione.

Giunta a destinazione, parcheggiai e, una volta scesa, mi imbacuccai per bene nella sciarpa: il freddo la faceva da padrone.
Entrai in quello che era un vecchio garage con tanto di officina, ora rimesso a nuovo ed utilizzato come pista di go-kart. Ci andavo spesso, era un modo per distrarmi un po’, per stare da sola con i miei pensieri, aiutata, in quella riflessione, dalla velocità e, poi, detenevo il miglior tempo della categoria sia femminile sia maschile, seconda solo ad un vecchio pilota, un certo Elwood Blues. Si, anche El conosceva quel posto. Mi ci aveva portato lui la prima volta, un giorno dopo scuola quando aveva appena preso la patente, circa sette anni fa – dato che, ormai, sta andando per i 23 -. Lui ci veniva a correre da ragazzino. Io vengo ora e, magari, un giorno riuscirò ad eguagliare il suo miglior tempo.

-Ehy, Al! Come andiamo? – salutai il proprietario: un uomo di mezz’età paffutello e brizzolato, con i capelli lunghi fino alle spalle e dei baffoni
.
- Ziggie, bambina mia! – gli ero entrata in simpatia da subito e, mi chiamava così, perché aveva sempre desiderato un figlio, ma, quando sua moglie lo lasciò prematuramente, lui non si legò a nessun’altra. – E’ tanto tempo che non ti vedo -.

- Il lavoro e le poche finanze non aiutano, ahimè! -

Sorrise, annuendo, mentre il sottofondo dei motori sulla pista faceva il padrone del silenzio.

-Mentre ti prepari, ti sistemo il go-kart. Il numero 4 giusto? –

- Ricordi bene – gli sorrisi ed entrai in quelli che erano gli spogliatoi. Lasciai qui: giacca, sciarpa e felpa, mentre tenni scarpe, jeans e t-shirt. Occorre essere comodi per entrare nella tuta da corsa che, infilai, una volta raggiunto il box. Qui, presi il casco e i guanti e raggiunsi il kart, con il quale correvo di solito.

- Tenterai di battere QUEL record? – mi chiese Al, sapendo bene che, ogni volta che correvo, provavo ad eguagliare Elwood.

- Probabile – gli concessi – ma, oggi, sono qui per un altro motivo – attesi che Al tirasse la leva della benzina.

- Un altro motivo?! – mi chiese stupito, mentre ero prossima alla partenza.

- Riflettere – gli urlai, dando appena di acceleratore per uscire dai box, abbassando l’aletta del casco.

Ero in pista, pronta a mettere in gioco me stessa, pronta a correre e a farmi una sorta di esame di coscienza. Accelerata, derapata, rettilineo, il tutto ad una spasmodica velocità che, permetteva all’aria, nonostante fossimo al coperto, il contatto con la sottoscritta, quasi un tutt’uno.

Su cosa dovevo riflettere?!?
Le parole che, mi disse Curtis, quando tornai all’orfanotrofio stavano pian piano risalendo la corrente. Mi mancava il ritmo, il sentirmi viva nell’emozione di un assolo, la musica. Quel che avevo abbandonato, mi richiamava. Nonostante la mancanza, però, c’era pur sempre qualcosa che mi frenava: cos’era?
Avevo chiarito con Elwood, ed ero al settimo cielo per questo; avevo esposto i miei motivi alla Banda e, in qualche modo, li avevano accettati, ma, forse, ero timorosa proprio per loro.
L’altra sera avevo suonato per spronare Elwood, questa sera avrei suonato perché si trattava del locale in cui lavoravo. Era, però, una sorta di tira e molla il mio, non avevo certezza di nulla e, conoscendo bene i componenti della band, alcuni non l’avrebbero tollerato quel comportamento: o sei dentro o sei fuori. Non potevo dargli torto.
Dalla mia avevo l’amicizia che mi legava a tutti loro, ero sempre stata ben voluta, non c’erano mai stati disguidi, ma sarebbe bastato?!? Probabilmente mi stavo facendo troppi castelli per aria, creando paure e problemi che non esistevano. Probabilmente, era meglio buttarsi e accettare come sarebbe andata, in ogni caso. Si, avrei fatto così. Senza piangermi addosso, senza costruire problemi che non avevano fondamenti, avrei vissuto il momento e colto l’attimo.

Accelerai e la serie di curve che avevo davanti le compii quasi con la macchina dritta, bruciando le tappe: ora potevo cercare di eguagliare quel record.
Dieci minuti di corsa, tredici giri, compiendo il miglior tempo all’ultimo giro, percorso in 49 secondi e 535. Però, mica male! Non ho battuto il miglior tempo di El, vero, ma mi sono avvicinata alla sua migliore prestazione. Potevo ritenermi soddisfatta. Rientrai ai box e scesi dal kart, togliendomi il casco e sfrizionandomi i capelli. Al mi raggiunse sorridente, facendomi i complimenti, dandomi una pacca sulla spalla.

Ero alquanto soddisfatta di quel tempo e ne stavo giust’appunto parlando con Al, quando, nella cabina che lui usava come segreteria, squillò il telefono e andò a rispondere, mentre io, ancora in tuta da corsa e con il casco al braccio, mi andai a prendere qualcosa da bere dal piccolo frigo bar dell’officina.

-Esiste una sola Ziggie, che viene qui a correre e corrisponde alla sua descrizione, signorina – sentii, ad un certo punto, Al, che mentre diceva quello, mi faceva segno di avvicinarmi.
Ora chi diavolo era che mi cercava e rompeva le scatole proprio durante il mio giorno libero?!?! Ma, soprattutto, chi diamine sapeva che ero lì?!?!? Probabilmente Elwood, ma, a quanto pareva,a chiamare era una donna! Chi era, dunque?!? Non mi rimaneva che una scelta: rispondere.

-E’ una certa Kensy – mi passò la chiamata Al.

Kensy?!?!? Lo guardai stranita, prendendo la cornetta.

-Kensy? – chiesi in attesa di risposta, riportando lo sguardo stranito che avevo mostrato ad Al, nel tono.

- Si, Zig. Sono io – mi confermò.

- Come facevi a sapere dov’ero?!? Insomma, non ti avevo parlato di questo posto e, io stessa, ho deciso solo stamattina di venire a farci una capatina nel pomeriggio -.

- Non lo sapevo, infatti – la sentii ridacchiare appena – diciamo che qualcuno me lo ha suggerito, così come mi ha consigliato di chiamarti -.

Un qualcuno, bene! Non poteva essere altro che Elwood, ma erano solo le cinque e mezza, come poteva la banda essere già al locale, quando suonava alle otto. – E’ lo stesso bellimbusto dell’altra volta? – chiesi, sottolineando apposta la parola bellimbusto, dato che l’aveva utilizzata lei.

-No, ad averlo suggerito è stato il suo “partner di scena” così si è definito, prima di provarci con me – mi spiegò, lasciando trasparire, da quel tono, che molto probabilmente ci stava – Si sono presentati qui mezzora fa, alla tua ricerca e pian piano, stanno arrivando tutti i componenti. Jake, così mi sembra che si chiama, ha detto che sicuramente stavi a correre, ma che eri indispensabile per le prove, per questo mi ha intimato, gentilmente, di chiamare il garage del vecchio Al. A quanto pare Zig, non puoi scappare tanto da questi due -.

- Non posso scappare e non posso nascondermi – commentai, con un mezzo sospiro. Non ero indispensabile per le prove, lo sapevo, così come conoscevo il vero motivo del perché Jake mi voleva al bar: mettermi alla prova. – Dammi una mezzora di tempo e sarò lì – le concessi – Tu … non dare troppa corda a quella sorta di seduttore – dissi scherzosa. Alla fine, sapevo del debole che Kensy aveva per i musicisti e anche che, molte volte, si intratteneva con alcuni componenti di qualche band; erano problemi e bisogni suoi e, se voleva intrattenersi con Jake, beh, avrebbe fatto soltanto piacere al paffutello in questione.

Dal canto suo, ridacchiò – Non correre troppo, la neve aumenta a vista d’occhio -.

-Non ti preoccupare. Come ti ho detto, sarò lì tra mezzora -.

Nemmeno mi tolsi la tuta da corsa, ma ripresi in fretta le mie robe dallo spogliatoio e misi via il casco. Salutai Al, garantendogli che gli avrei riportato l’indumento la prossima volta che sarei andata a trovarlo ed uscii di corsa. Kensy aveva ragione, la neve era aumentata, sia a terra, sia nel suo scendere lenta: ora, era più corposa. Giunta alla macchina, la accesi e sgasai a manetta, stando comunque molto attenta a muovermi sull’asfalto in quelle condizioni. In città il traffico era in forte aumento, ogni volta che nevicava succedeva così, era un fattore normale, così, alla prima scorciatoia utile, svoltai e proseguii verso il bar, che raggiunsi, come promesso, mezzora dopo.
Vi entrai ancora vestita come un pilota da corsa e tutti si voltarono a guardarmi un po’ straniti, tra la banda si levò qualche risata, ma li freddai con lo sguardo – che vi ridete?!?! Siete voi quelli in anticipo, non io! –

-Ziggie, Ziggie, Ziggie!!! – mi venne incontro Jake a braccia aperte – Pensavo ci conoscessi, ormai! Questa sarà una serata importante e la banda non può certo presentarsi a pochi minuti dall’inizio della serata, no?! – fece un’espressione alquanto piaciona, guardando, più che altro Lucas, il proprietario. Ora capivo il perché di quel mega anticipo: voleva garantirsi una paga, mostrando le doti premurose e pacate di un buon leader. – Dobbiamo preparare tutto e fare le prove, per questo ci servivi tu -.

- Pensavo di aver dato prova di ricordarmi le canzoni l’altra sera, Jake – gli lanciai, volutamente, quella frecciatina, nel mentre in cui Elwood usciva dal bagno e, con un cenno del capo mi salutava.

- Senza dubbio, bimba – confermò lui – ma hai suonato a malapena qualche nota, stavolta si tratta di intere canzoni. Ci mettiamo all’opera?! –

Sospirai appena, annuendo – e va bene, Jake – gli concessi – ma ti ricordo che, avere fiducia, una volta tanto, fa bene – gli diedi una piccola spallata per permettermi il passaggio, diretta al bagno per cambiarmi – Elwood – salutai poi.

Mi cambiai svelta, indossando subito le vesti blues che, il giorno prima, avevo già adagiato nel mio armadietto. Misi il cappello ed infilai gli occhiali scuri nella tasca della camicia, prendendo, da essa, l’armonica. Si, ero pronta. Pronta a dimostrare a Jake che, nonostante avessi mollato, la musica era sempre con me.

-Allora, iniziamo?! – chiesi uscendo, diretta al palco, sotto gli sguardi compiaciuti di quasi tutti i componenti della band, Kensy, Lucas e, perfino, di qualche cliente fisso del bar. Era solo un’altra divisa quella, ma non era la semplice divisa, era LA divisa. Nero e bianco in contrasto l’uno con l’altro. I colori del Blues. Il classico stile sobrio ed elegante, in grado di presentare al meglio anche la più sordida canaglia, in grado di fregare le persone per bene; era un po’ questa la nostra idea e, a noi, piaceva così.

- One, two, three, four … - diede l’attacco Jake e si iniziò con “Everybodyneedssomebody” per poi passare a “Flip flop and fly”, “Going back to Miami” e tante altre, che suonai decisa con carica, ricordandole tutte per filo e per segno, dopotutto era difficile dimenticare quel sound.

- E tu che avevi dubbi – lo punzecchiò Elwood, dandogli una pacca sulla spalla, scuotendo il capo.

- Dubbi?!? – aggrottò le sopracciglia lui – nessun dubbio, fratello. Sapevo bene che questa ragazza ha un talento indescrivibile! Non credevo di certo si fosse dimenticata le nostre canzoni. No, signore – commentò, annuendo deciso, passandomi una mano attorno al collo e battendola sulla mia spalla, fiducioso.

Scossi il capo: che ruffiano!!!! Notai Elwood che, a quel gesto da parte del fratello, arricciò un po’ il naso, quasi infastidito. Svicolai, quindi, dalla presa di Jake e mi avvicinai ad El – E’ tutto a posto? – chiesi, sorridendogli.

-Si, Zig. Tutto a posto – mi confermò, ricambiando il sorriso.

- Tra qualche giorno sarà il tuo compleanno – affermai, cercando di instaurare un discorso, anche per tranquillizzarlo un po’ – farai qualcosa? –

- Sinceramente non ci pensavo – commentò, quasi sovrappensiero – magari potremmo uscire insieme -.

Gli sorrisi maggiormente – Mi farebbe molto piacere – concessi, dandogli poi un bacio sulla guancia – Beh! Tra poco la serata si accenderà, sarà meglio mettere sotto i denti qualcosa. Birra e pane bianco?! – chiesi poi, avviandomi dietro il bancone.

-Tu mi vizi – ridacchiò, sedendosi sullo sgabello dell’altro giorno, come se, ormai, fosse di sua proprietà.

Il locale iniziò a riempirsi, vi era gente di ogni sorta, di tutte le età: genitori con figli, ragazzi, fidanzati, camionisti, persone di colore e chi più né ha, più né metta. Non avevo mai visto il locale così pieno, dato le piccole dimensioni di esso, ma non era la prima volta che, ad un concerto dei fratellini, si presentavano in massa.

Ero emozionata all’idea di suonare di nuovo con loro, non era un rientro ufficiale, questo era vero, ma emozionava ugualmente. La Banda era tutta sul palco, io compresa, mancavano Jake ed Elwood, che arrivarono dal fondo del locale con il sottofondo solito di “I can’t turn youloose” saltellando. La musica sfumò e calò il silenzio per qualche istante poi attaccammo con “Soul man” un grande cavallo di battaglia dei fratellini. Era esilarante vederli un attimo prima calmi e tranquilli ed, un istante dopo, in preda alla foga della musica, scattanti in qualche ballo strano. Mi godetti quella scena pronta a suonare l’armonica, quando Elwood mi prese e mi trascinò a ballare con lui, invitandomi, poi, con lo sguardo ad accompagnarlo a suonare. Acconsentii e mi sentii nuovamente carica, avvolta in un turbine di emozioni calde e forti. La musica era tornata a scorrere nelle mie vene e il ritmo nelle mie articolazioni. Suonammo e cantammo diversi pezzi, molti famosi, altri meno da “Sweet Home Chicago” a “Expressway to yourheart”; da “Gimme some lovin” a “HeyBartender”, cantandole tutte a perdifiato. Io facevo da terza voce, una sorta di corista, ma, a volte, Jake mi invitava ad iniziare a cantare, proseguendo poi lui stesso quando io mi davo all’armonica con Elwood.

L’ultima canzone fu “everybodyneedssomebody” una delle mie preferite, perché al testo credevo davvero. Jake mi consentì di attaccare a cantare, venendomi dietro, mentre Elwood saltellava sul palco suonando l’armonica o battendo le mani. A metà canzone invitai tutti ad alzare le mani e a cantare con noi, mentre Elwood si faceva spazio tra me e Jake e mise mano al microfono, dando voce a quanto portava dentro, credo. Era la prima volta che gli sentivo pronunciare quelle parole, mi stupì, ma mi rese felice. – Se trovate qualcuno particolare, tenetevelo stretto uomo o donna che sia. Amatelo, coccolatelo, esprimete i sentimenti con baci e carezze. Perché è importante trovare il giusto qualcuno da baciare, da sognare. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno da amare – riprese poi a suonare, una volta riacquistato il fiato, tornando indietro ballando. Io e Jake continuammo a cantare e, verso gli ultimi ritornelli, Elwood mi fece sussultare dato che apparì alle mie spalle, cantando insieme a me, nel microfono che tenevo in mano, la parte che diceva – I needyou, you, you -. Si era dovuto chinare, visto che ero molto più bassa di lui e, così facendo, le nostre guance si sfregarono, facendomi arrossire. Conoscendolo, quel gesto non era stato fatto a caso, così come il bacio di quella sera e il comportamento dolce di prima dell’appuntamento. Che avesse seriamente bisogno della sottoscritta?!?! Era un pensiero che stava prendendo, seriamente, piede.

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Capitolo 10
*** Buon compleanno Elwood ***


Ehylà, che si dice!?!?!!?
Eccomi qui con un nuovo capitolo, un capitolo che mi rende alquanto fiera di quanto ho scritto. Si passa da un ricordo passato al presente e, che dire, lascio a voi la lettura come spero le recensioni :)
Un grazie particolare a Ju, che segue assiduamente il racconto; al Lord che commenta sempre e alla mia sist Fede :) che mi supporta sempre. BUONA LETTURA.
                             

 

                                    10. Buon compleanno Elwood


Dei sorrisi, delle parole dolci poi, il nulla. Un bagliore e un forte impatto, i soli ricordi di quella fatidica sera. Persi tutto e divenni sola. L’unica sopravvissuta, l’unica ad essere uscita con qualche contusione: perché?!?!

Pioveva a dirotto, il temporale si faceva sempre più vicino, stavamo tornando a casa. Si, avevo una casa e una famiglia. Avevo tre anni. Da lì, più niente.

Il mondo mi crollò addosso, lasciandomi abbandonata in un orfanotrofio freddo e cupo, schernita dagli altri, mai scelta dalle famiglie perché mi rifiutavo. Io la mia l’avevo persa, non me ne occorreva una nuova.

Di mio padre mi era rimasta una maglia dei Cubs a maniche corte, il mio pigiama, il mio portafortuna, nel quale ci stavano tre o quattro me. Di mamma mi era rimasto il sorriso, ma era da quel cupo giorno che faticavo a ridere.

Rimasi qui, fino agli undici anni, età in cui venni condotta in un altro edificio, più caldo e accogliente, nonostante fosse l’ennesimo orfanotrofio. Feci, però, i primi amici e conobbi la musica.

Come di consueto, ogni notte che, vi era un temporale, l’incubo di quanto vissuto tornava a farmi visita, così come accadde quella sera. Mi svegliai, piangendo.

Mi guardai intorno, un po’ spaesata. Ad illuminare la stanza la fievole luce dei lampioni della strada, le tapparelle erano a metà. Accanto al mio letto vi era Jake, che dormiva spaparanzato a pancia all’aria e bocca aperta: no, non l’avrei svegliato. Di fronte al mio letto: Elwood.

Era colui con cui avevo subito legato, che mi  era entrato subito in simpatia, cosa che, faticava ad accadere, di solito. Niente mi garantiva che mi avrebbe consolata o che si sarebbe svegliato, ma  non volevo la pietà di nessuno. Nessuno, da quando era accaduto il fatto, mi aveva consolata e, in questo momento, avevo soltanto bisogno di una spalla su cui piangere, il letto era troppo freddo e solitario, nonostante fosse estate.

Mi avvicinai, al suo capezzale, timida. Tirai piano le coperte. Si svegliò, ma, nonostante la voce impastata e gli occhi ancora semi socchiusi mi sorrise appena, chiedendomi cosa succedeva. Gli risposi, semplicemente, che avevo avuto un incubo, lui mi guardò perplesso, non sapendo cosa fare, alla fine non ci conoscevamo che da una settimana e mezza. Piansi, incapace di fermare le lacrime. Mi fece posto nel suo letto, impacciato e non poco. Mi abbracciò e posai la fronte sul suo petto, lasciando che le lacrime facessero il loro corso.

-E’ soltanto un incubo, Ziggie  – mi sussurrò, come a tranquillizzarmi,un pò titubante – vedrai che ora passa tutto -.

- No, è l’incubo della mia realtà, Elwood – scossi il capo, tirando su con il naso.

Elwood fu la prima e unica persona a cui rivelai di quella fatidica notte. Perché lo feci? Non lo so.

-Perché loro si e io no? Perché loro sono andati in quel posto, che tutti chiamano migliore, ed io sono ancora qui? – chiesi disperata.

- Probabilmente perché tu hai ancora qualcosa da compiere a questo mondo – mi rispose, poco meno impacciato, accarezzandomi i capelli. Era stato diretto, si, ma in quel modo mi fece aprire gli occhi.

- E che cosa? – chiesi tranquillizzandomi.

- Che cosa non lo so, ma, se la costruirai con le tue mani, sarà qualcosa di grande -.

- Inizierò con il sorridere di più, allora – concessi, asciugandomi le lacrime, gli occhi rossi, bruciavano – a mio padre piaceva quando lo facevo, così li ricorderò meglio -.
- Anche a me piace quando sorridi -.

Aveva trovato il coraggio di superare quell'impacciataggine, il coraggio di far forza ad una perfetta conosciuta, ed era riuscito a trasmettermelo.
 
Ogni tanto quel ricordo tornava a trovarmi sotto forma di sogno, ma non piangevo più, sorridevo. Avevo imparato a guardare in faccia alla realtà e, se ora mi trovavo lì c’era un motivo ben valido: dovevo costruirmi una vita, riabbracciare ciò che mi era stato tolto.

Chicago era coperta da un'ampia coltre di neve: era arrivato, finalmente, l'inverno. Guardai fuori dalla finestra, la monorotaia passò e, come ogni mattina, mi diede il buongiorno. Mi stiracchiai e mi passai una mano tra i capelli, affacciandomi e imprimendo quell'aria pungente nei polmoni e sulle gote. Era il 6 Dicembre, il compleanno di Elwood e avevo l'intera giornata per organizzargli una festa con i fiocchi.

Mi infilai i jeans e una felpona di pail, sciarpa, cappello, guanti e anche una sorta di giubbotto, dopodichè, corsi fuori. In auto si faceva fatica a circolare, perciò la lasciai parcheggiata, preferendo andare a piedi dopotutto, il posto che dovevo raggiungere, non era poi così lontano. Camminavo felice come una bambina al suo primo contatto con la neve, le gote rosse per il freddo. Percorsi a piedi una lunga via dritta e svoltai ad un angolo, poco più avanti vi era un piccolo stabile, che vendeva strumenti musicali, di ogni sorta, a buon mercato; sarei andata da Ray, ma raggiungere il suo negozio, a piedi, era pressochè impossibile, ci avrei impiegato tutta la giornata! Guardai la vetrina, prima di entrare ed un'armonica Special 20 attirò la mia attenzione. Entrai e salutai il proprietario, un anziano musicista che ora gestiva quel locale con il figlio.

- Salve - salutai cordiale - Vorrei quella special 20 che avete in vetrina, quella argentata, se possibile - specificai, dato che ce ne era anche una dorata.

- Non potevi fare scelta migliore, signorina - commentò sorridendo l'uomo, avviandosi a prendere quanto richiesto - dov è che ti ho già vista? -

Mi accigliai appena a quella domanda, ma sorrisi - Non saprei, ma se lei ha messo piede a Calumet City, potrebbe avermi visto suonare con i Blues Brothers -.

- Ecco chi era la componente femminile - commentò compiaciuto, portando al banco quanto avevo richiesto.

- Me la potrebbe impacchettare? - chiesi gentilmente, una volta che l'uomo ebbe messo l'armonica nella propria custodia. L'uomo annuì e in breve tempo impacchettò il tutto: avevo il regalo di Elwood.

Uscì dal negozio e mi rincamminai alla ricerca di una cabina telefonica, che trovai sulla strada del ritorno verso casa. Da lì chiamai la Pinguina e le chiesi il permesso, nella maniera più piaciona e leccaculo che potessi mai esibire, di organizzare una festa a sorpresa, per quella sera, ad Elwood. Un pò contrariata, la suora, mi concesse il tutto, a patto che saremmo stati solo pochi intimi, equivaleva a dire: lei, Curtis, El, Jake e io; non voleva la banda che scorrazzava a piede libero per l'orfanotrofio. Glielo promisi e in ultimo le chiesi se sapeva dove potevo trovare i due fratellini. Mi diede il numero di telefono del motel per soli uomini, dove sapeva alloggiava Elwood, mentre mi disse che avrebbe fatto in modo che Jake mi raggiungesse dove abitavo. Come l'avrebbe contattato? Un mistero divino avvolgeva quella domanda, ma lasciai tutto nelle sue mani misericordiose, sapendo che, la sua parola, era legge.

Quando quella conversazione finì, stetti diversi minuti a fissare la cornetta. Mi rimaneva in tasca un ventino, per la telefonata bastava, ma, mi chiedevo, come dovevo pormi nella telefonata con El... Bah! Al diavolo! Avrei colto come sempre il momento e avrei deciso, così, su due piedi.

Telefonai, pregando fosse ancora lì e non in giro chissà dove. Il proprietario me lo passò, sospirai di sollievo.

- Ehy Zig! Qual buon vento ti porta a chiamare questa tana di lupi solitari?! -.

Ridacchiai a quella sorta di metafora - Mi chiedevo se, nel pomeriggio, avevi da fare, tutto lì -. Si, nessun augurio, per ora. Stette in silenzio qualche istante, si aspettava un buon compleanno diretto, lo conoscevo bene.

- Beh...No, sono libero, perchè? -

- Ti aspetto alla pista di pattinaggio che c'è in centro, per le quattro, ok? - alla fine, eravamo d'accordo che saremo usciti insieme, quel giorno, no?

- D'accordo, ci sarò - acconsentì - ma non pensare che mi metterò quegli orribili arnesi -.

- Non preoccuparti, signor B. Mi ricordo che non vai molto d'accordo con gli sport -.

Quando tornai a casa, trovai un Jake infreddolito ad attendermi sul marciapiede: ancora un pò e, sarebbe diventato un cubetto di ghiaccio, da quanto aveva le gote rosse. Però! La Pinguina era stata svelta! Come si dice: le vie del Signore sono infinite.

- Cominciavo a chiedermi quando saresti arrivata - mi disse, arricciando appena il naso.

- Scusa, non pensavo che ci mettesse così poco a rintracciarti e, soprattutto, non ti credevo in zona - presi le chiavi e lo invitai a salire, anche se dovevamo parlare di due cosucce, era meglio discuterne al caldo, visto che, nononostante la temperatura sotto lo zero, gli abiti di Jake non cambiavano mai. Quella era la divisa della sua vita, sembrava che se la fosse cucita addosso.

- Mi piace come ti sei sistemata - esclamò entrando e guardandosi intorno. dopodichè andò al frigorifero e prese un pò di roba da mettere sotto i denti. Lo guardai scuotendo il capo, sorridente: come Elwood, non era cambiato di una virgola!

- La Pinguina mi ha accennato che vuoi dare una festa per El... Bene! Conosco un posto niente male - cominciò a parlare con il suo solito fare da leader, mentre si preparava un sandwich con burro d'arachidi e affettato. Lo bloccai in tronco: doveva aiutarmi, si, ma non doveva fare di testa sua.

- Ferma i bollori, Jake! La festa si fa, a sorpresa, all'orfanotrofio. Senza banda, nè donnine, nè droga. Sarà una sorta di ritorno al passato. Ci saremo noi tre, qualche pacchetto di sigarette, qualche birra, Curtis e la Pinguina - precisai e lui, un pò contrariato, fece una smorfia alquanto buffa.

Ignorò, poi, il fatto che aveva la bocca piena e mi chiese, un pò contrariato - sarà una sorta di serata in famiglia, quindi?! -. Annuii. - Non che mi vada tanto, ma è per il fratellino in questione e, quindi, potrei fare uno strappo alla regola - sorrisi ampliamente.

- Sapevo che non avresti detto di no - commentai, sicura delle mie conoscenze - Io porterò Elwood, che entrerà nel salone al buio. So che Curtis preparerà una torta e pensavo a te per fare qualche scenografia alla Blues, in sala, che ne dici?! -

- Che hai chiesto alla persona giusta, sorella - mi indicò, con un sorriso ben deciso, per poi fermarsi un attimo pensieroso, finendo il sandwich - Sai già cosa regalare ad El?! -

- Si, gliel'ho già preso, ma, mi raccomando, fino a stasera, se lo incontri, non fargli gli auguri, fa come se fosse una giornata normale -.

Annuì e si avviò alla porta - Sai, Zig, se non gli avessi già comprato il regalo, avresti potuto impersonarlo tu stessa, magari uscendo da una torta con un bell'abitino - commentò con fare da marpione, mentre le mie guance diventavano paonazze.
- JAKEEEEEE!!! -

- Che c'è?!?!? Dico solo che, ad Elwood, sarebbe piaciuto - fece spallucce con un sorriso malizioso e piacione ed uscì.

Si, ad Elwood sarebbe piaciuto, ma cosa andava blaterando?!?!? Cercai di non pensarci e posai il piccolo pacchetto sul tavolo, dopodichè andai in cucina, preparai un sandwich al volo e, lo mangiai, uscendo.

Faceva meno freddo di quella mattina, ma l'aria era in grado di tagliarti le guance, alzai la sciarpa fino al naso e affrettai il passo verso la pista. Mentre aspettavo Elwood, avrei, volentieri, pattinato un pò.

La pista stava nella piazza principale del centro città, era una delle più grandi di Chicago e, al mio arrivo, ospitava già parecchie persone. Riconobbi qualche giocatore di hockey, ma non c'erano solo gli esperti: alcuni bambini stavano imparando e, anche, alcune coppiette che andavano mano nella mano. Noleggiai un paio di schettini ed entrai in pista. Me la cavavo bene e mi sentivo più grande di quello che ero sui pattini, perchè era una delle cose che avevo imparato a fare da sola, senza l'aiuto da parte di nessuno. Sfrecciai sul ghiaccio, facendo lo slalom tra la folla, provando a fare piccole acrobazie, andando avanti e indietro, curvando, mentre il freddo mi abbracciava e mi avvolgeva tra le sue braccia. Di tanto in tanto osservavo le balaustre in legno, con la speranza di scorgere Elwood, ma non era ancora arrivato e mi diedi ad altri giri. Stavo facendo i complimenti ad un giocatore di hockey quando sentii qualcuno parlare di un tipo strambo, vestito come un impresario delle pompe funebri in pieno inverno. Scossi il capo e sorrisi: era arrivato. Salutai il mio interlocutore e raggiunsi El, che si era appostato alla balaustra sud
.
- Ben arrivato, signor B - gli sorrisi, pimpante, appoggiandomi al parapetto di fronte a lui.

- E' tanto che aspetti?! - chiese, ricambiando il sorriso, passandosi di tanto in tanto una manica a pulire le lenti che si appannavo con il suo respiro.

- Non ho badato al tempo, è una così bella giornata, non trovi? - chiesi, continuando ad evitare di fargli gli auguri, mantenendo il tono allegro.

Dal canto suo si guardò intorno, come a voler cercare una risposta a quella mia domanda. Sicuramente si stava chiedendo perchè non gli avessi fatto gli auguri, solitamente ero sempre la prima a farglieli. All'orfanotrofio lo accoglievo al risveglio con il Tanti Auguri scritto a caratteri cubitali su alcuni fogli e, anche, quando lui partì per la prima tournee con la banda, lo chiamai augurandogli buon compleanno. - Si, direi che non c'è male - acconsentì, ricambiando, appena, il sorriso.
- Beh... El, hai intenzione di stare dietro alla balustra per tutto il pomeriggio?! - gli chiesi, mentre girovagavo con gli schettini sul posto.

- Te l'ho detto al telefono e tu stessa lo sai: io e gli sport non andiamo d'accordo - ribadì con tono fermo.

- Neanche se sono io ad insegnarti come si fa?!? - chiesi con un faccino a cui non si poteva dire di no - Dai signor B, non farti pregare -.

- No, grazie, preferisco guardare - replicò, annuendo. Era piuttosto risentito, ma sapevo bene che non era per la questione del pattinaggio, bensì per il fattore auguri.

- Io però non ti ho invitato per stare dietro ad una balaustra a guardare, diventando così un cubetto di ghiaccio - mostrai un'espressione alquanto crucciata - ma, ovviamente, se non vuoi, non posso certo costringerti - feci spallucce, mostrandomi alquanto triste, come se il sorriso che avevo poco prima si fosse spento del tutto - faccio l'ultimo giro e ti raggiungo -.
Feci, si, un altro giro, ma quando uscii dalla pista non mi tolsi i pattini, anzi, noleggiai un altro paio per  El. Lo so, mi aveva detto di no, che non gli andava, che non era capace, ma avevo fiducia nelle sue capacità, avrebbe imparato almeno a stare in equilibrio. Era un'azione azzardata, si; voluta soltanto dalla sottoscritta, ma era anche un modo per prendere tempo e stare insieme. Lui mi aveva insegnato così tante cose, ora, potevo ricambiare.

Raggiunsi El con i suoi schettini in mano e, gli picchiettai una mano sulla spalla, per attirare la sua attenzione. - Quando sei pronto, direi che è ora di entrare in pista -
Il ragazzo guardò prima me, poi i pattini, un pò contrariato, facendo una smorfia - sei tremenda - sospirò, prima di sedersi ed infilarli: la fase facile del lavoro.
Lo attesi al cancelletto di ingresso e gli tesi la mano, mentre le persone che schettinavano lo guardavano con le espressioni più svariate. Notai che il problema maggiore di Elwood era l'equilibrio, si sbilanciava troppo: dovevo, dunque, iniziare a farlo stare in piedi. Lo feci appoggiare alla balaustra e gli mostrai come doveva mantenersi ritto. Provò ad imitarmi, ma si sbilanciò e cadde: primo capitombolo. Gli tesi dunque le mani e provai a trascinarlo appena con me, mentre io andavo all'indietro, piano, senza fretta; stavamo riuscendo nell'intento, ma, quando lo lasciai, dopo pochi passi, ricadde: secondo capitombolo. Il vestito nero stava via, via diventando sempre più bianco.

- Il trucco è pensare che esisti solo tu, i pattini e la sottoscritta, che ti sta aiutando. Non c'è altro intorno a te - gli dissi. Sapevo che non era facile, ma il tutto aiutava.

- Oh! Certo! Chissà perchè io pensavo a non finire con il sedere per terra, ma ci continuo cadere - brontolò, rialzandosi.

- E' perchè parti in negativo che ci continui a finire - gli spiegai, senza demordere - E' come camminare, El. E' come scivolare su un palco -

- Preferirei scivolare sul solito palco di legno piuttosto, che, su questo di ghiaccio -

Cercai di ignorare quelle parole, ma decisi di dargli un piccolo indizio, senza andare troppo nel dettaglio, ovviamente - eh... Magari, su un palco di legno, ci scivolerai più tardi - commentai con un sorriso furbetto, prima di sgusciare via e farmi un giro di pista.
Gli diedi il tempo di assimilare quella notizia e, dopo aver compiuto il mio giro, gli sbucai alle spalle, afferandogli, a tradimento, una mano. Lo trascinai con me, ovviamente il più piano possibile, stava imparando dopotutto!! Fu una buona idea, El sembrava riuscire a stare in equilibrio, tanto che riuscimmo a fare mezza pista.

- Stai facendo progressi - commentai con un sorriso.

- Io aspetterei a cantare vittoria - fece lui, serio e concentrato.

- Non vedere sempre tutto nero - lo ammonii, con fare scherzoso. Si, da un certo punto di vista alludevo anche agli occhiali. Lui fece per ribattere, ma non vi riuscì, dato che finì nuovamente con il sedere a terra a causa di un ragazzo che ci sfrecciò troppo vicino. Persi l'equilibrio anche io e, come una pera cotta, caddi a gambe all'aria, senza, però, mollare la presa della mano di Elwood.

Fu quando lo vidi brontolare che scoppiai a ridere di gusto - No, signor Blues, non me ne sono dimenticata - dissi tra le risate, divertita per quella posizione: entrambi con il sedere refrigerato a terra - aspettavo giusto il momento opportuno e credo sia arrivato. Buon compleanno Elwood - gli augurai con un amplio sorriso, dandogli un bel bacio sulla guancia: cosa che, lo tranquillizzò, notai.

- Volevo ben dire che, la mia Ziggie, si fosse scordata del compleanno del sottoscritto - fece con aria di chi la sapeva lunga - ma, toglimi una curiosità, come mai l'idea di questi cosi infernali? -

Arrossii quando disse esplicitamente "la mia Ziggie", suonava così dolce! Ma ridacchiai subito, evitando di mostrare l'impacciataggine del momento - Semplice! L'ho fatto per passare un pomeriggio diverso dalla norma - commentai con fare ovvio, facendo spallucce, furbetta: noooo, non stavo nascondendo qualcosa!
Il mio sorriso lo insospettì, d'altro canto mi conosceva bene ed era quello che volevo: cuocerlo per bene a puntino, per farlo rimanere estasiato dalla sorpresa, che lo attendeva quella sera.

- Un pomeriggio diverso dalla norma - si grattò il mento pensieroso - tu, mi nascondi troppo, Zig - mi lanciò una frecciatina, alzandosi, mentre io facevo lo stesso.

- Forse, ma, intanto, posso chiederti un favore? -

- Dimmi pure -.

- Potresti darmi uno strappo a casa? - aggrottò le sopracciglia ed annuì, probabilmente non si aspettava tale richiesta
.
Una volta riconsegnati i pattini, ci avviammo a piedi verso la Bluesmobile e vi salimmo. Dato che nevicava, dovetti, però, salire dallo sportello visto che, il finestrino che usavo come passaggio, era chiuso.  Guidai El fino a casa mia ed una volta arrivato, parcheggiò davanti alla mia auto.

- Così è qui che abiti! -

- Già. Non è il grande hotel, ma è un tetto - convenni con un sorriso - visto che, abbiamo un appuntamento, in serata, perchè non sali a mangiare qualcosa? - Non so cosa lo fece rimanere perplesso e pensieroso, forse entrambi i fatti che avevo detto, ma che dovevo fare?!?!?!? Lasciarlo in auto ad ibernare?!?!? Farlo andare via, per poi, riprenderlo dove?!?!!??

- Un appuntamento?! - fece poi accigliato - Dove? Con chi? - iniziava e non poco ad insospettirsi: insomma, prima gli avevo detto del palco, ora dell'appuntamento, mi sarei insospettita anche io al suo posto.

- Lo vedrai a tempo debito - gli risposi ferma -Sali o mi aspetti qui per più di mezzora? -

Scosse il capo - No, salgo - brontolò appena.

Arrivammo al terzo piano ed aprii la porta di casa, proprio, quando la monorotaia compiva il suo giro quotidiano - Benvenuto nella Ziggie's house - commentai ridacchiando, fiera del mio monolocale. Il divano diventava un letto per la notte, non vi era la tv, ma una vecchia radio ed un giradischi; alle pareti c'erano alcuni poster di cantanti blues, come James Brown e John Lee Hooker, dei cartelli rubati come quello "No trepassing zone" ed una foto incorniciata di tutta la Banda al completo. La parete dell'armadio fungeva da pannello fotografico e raccoglieva frammenti di vita. C'erano: una foto dei miei genitori; una dove io, troppo piccola per entrare nella Banda, faccio la linguaccia in mezzo ai fratellini vestiti di tutto punto; un'altra dove suono l'armonica, seduta con una gamba penzoloni sul davanzale di una delle finestre dell'orfanotrofio; un'altra dove Elwood cerca di riparare, sdraiato nel cofano aperto, la Caddy di Curtis; un'altra ancora ritrae Jake spaparanzato a pancia in su sul letto, con la bocca aperta, mentre dorme e, la migliore, una foto scattata poco prima di abbandonare la Banda, è quella dove io schiocco un bacio sulla guancia ad Elwood e lui fa una faccia sorpresa, alzando gli occhiali da sole e mostrando lo sguardo.
El si guardò intorno, osservando ogni minimo particolare, soffermandosi su quel pannello.

- Ehm... Io faccio una doccia veloce. Tu fa come se fossi a casa tua; in cucina c'è del pane bianco se hai fame -. Afferrai al volo gli abiti blues che avevo già preparato sul divano ed entrai in bagno con, ben impressa in mente, la reazione di El, quando dissi la parola doccia. Un'espressione bonacciona e un pò maliziosa, la stessa di quando cantava Rubber Biscuit forse, giusto, un pò più impacciata.

Feci questa doccia veloce, meditando sul fatto di quando sarei riuscita a rivelarmi, se buttarmi o no, se farlo quella sera o aspettare ancora. Scossi il capo e spensi l'acqua: avrei lasciato al caso e all'andamento della serata. Uscii dalla doccia, mi asciugai e mi vestii, non completamente dato che dovevo ancora asciugarmi i capelli e, quindi, rimasi con pantaloni camicia aperta sul reggiseno e cravatta appena infilata. Presi il phon e lo accesi, iniziando ad asciugarli, canticchiando, cercando di non pensare al fatto che Elwood era di là ad aspettarmi o, almeno, così credevo io.

Mi voltai appena e lo vidi appoggiato alla porta del bagno, che aveva appena richiuso alle sue spalle. Spensi il phon e divenni paonazza.
- El!!!! Che diavolo ci fai qui?!?? - esclamai alquanto contrariata, con un mezzo urlo di imbarazzo. Dal canto suo mi si avvicinò, posando le mani sulle mie spalle, togliendosi gli occhiali per guardarmi dritto fisso negli occhi, mi sciolsi.

- Perdona l'intrusione, Zig, ma non c'è l'ho fatta ad aspettare oltre - sussurrò serio, accarezzandomi il volto.

- A..aspettare co..cosa?! - balbettai, deglutendo, per un attimo, a vuoto.

Sorrise. Lo vedevo impacciato, ma il suo sguardo era determinato ad affrontare quell'oltre che aveva accennato - Il tuo distacco dalla Banda mi ha fatto aprire gli occhi e, nonostante questi siano costantemente coperti da lenti scure, non vedo sempre tutto nero. Era senza di te che avevo perso il mio punto di riferimento... -
- El, me ne sono andata per evitare... - feci per dire, ma mi fermò, posandomi un dito sulle labbra.

- So, perchè te ne sei andata e mi spiace non aver aperto gli occhi fin da subito. Curtis ti ha detto la verità, piccola; sono tre le ladies che interessano al sottoscritto: le auto, la musica e una certa bimba che gli è entrata nel cuore quando ha messo piede all'orfanotrofio - confermò quelle parole con un sorriso, sfregando il naso con il mio.
In quel momento ero incapace di muovere anche il più piccolo muscolo, estasiata da quei piccoli gesti, commossa per quelle parole. - Mi spiace aver frainteso il sentimento che ci legava, perchè non era solo il semplice affetto che lega due fratelli, no. Tra noi c'è sempre stato qualcosa di più -.

- Tutti abbiamo bisogno di qualcuno da amare - citai le parole di Everybody needs somebody, sorridendo con gli occhi lucidi per quanto ero contenta.

- Io ho trovato il mio qualcuno da amare - sussurrò sulle mie labbra, posandovi poi le sue, chiudendo il tutto in un bacio, il nostro primo e vero bacio, che, contraccambiai, senza esitare un istante.
                                                           
                                                                                                                                              ***

La festa a sorpresa era all'orfanotrofio, ma, di certo, non potevo bendarlo, avrebbe riconosciuto la strada ugualmente, anche ad occhi chiusi, per tutte le volte che l'aveva percorsa. Così, mi inventai la scusa che dovevamo andare a recuperare un pacchetto da Curtis, necessario per l'appuntamento, che ci attendeva.

Una volta giunti lì, entrammo. Era pià buio del solito; i bambini già dormivano e, fortunatamente, la festa si svolgeva lontano dal dormitorio. Proseguimmo a tentoni, nonostante conoscessimo quel posto come le nostre tasche, fino alle scale, che conducevano alla cucina e all'ufficio di Curtis. Ci tenemmo per mano fino a che non arrivammo davanti alla porta, dove gli sorrisi e mi sciolsi da quella stretta. Sapevo quanto era timido e riservato e spettava a lui, decidere se e quando, rivelare agli altri che stavamo insieme. Bussò. Nulla.

- Entra - lo invitai con un sorriso.

Annuì ed aprì la porta. La luce si accese e, nella sala, si  levò il grido di: - SORPRESA! - oltre ad uno striscione con scritto: Tanti Auguri Elwood. Ad attenderci: Jake, Curtis e la Pinguina; insomma, una cosa per pochi intimi, come si era assicurata la suora.

A quella sorpresa, Elwood rimase stupefatto ed un amplio sorriso gli si dipinse sul volto, mentre io andavo a posare il mio pacchetto sul tavolo con gli altri regali. Come al solito, Jake si distinse e gli regalò una scatola di medie dimensioni contenente: sigarette, accendino, preservativi e un misto di riviste d'auto e porno; cosa che gli fece buscare alcuni scapellotti dalla Pinguina, che regalò ad Elwood un rosario con la promessa sperata che evitasse di cacciarsi ancora nei guai, fatto che fece mostrare, al ragazzo, un sorriso alquanto tirato e paraculo. Curtis gli prese un libro sul Blues, che sapeva mancava alla collezione di El, poi fu la volta del mio. Quando vide l'armonica, che gli avevo preso, il sorriso che comparì sul suo volto fu pari a quello di un bambino al suo primo Natale. Ne fui compiaciuta.

- Zig! E' divina, grazie! - aveva ringraziato tutti con sorrisi, abbracci, strette di mano, era quanto mi aspettavo anche io, alla fine e, invece, seppe sorprendermi ancora. Quando feci per dargli un bacio sulla guancia, lui lo corresse, in direzione delle labbra, rendendolo alquanto passionale. Nonostante i volti increduli a quella mossa, le approvazioni non tardarono ad arrivare. Alla fine non servivano parole, giusto una spinta dettata dal cuore.

Quella notte ci amammo. Eravamo due amanti; due anime bisognose l'una dell'altro; due innamorati che avevano ritrovato la via.
 

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Capitolo 11
*** Cambiamenti a Coal City ***


 Salve gente!!!! Chiedo umilmente perdono per il madornale ritardo in cui posto il capitolo.... Difficoltà e complicazioni sono sopraggiunte, spero superate ^^""" Questo è un passo parecchio difficile, che nemmeno io so come ho reso. Si tratta di quando Jake viene ingabbiato la prima volta, forse è per questo motivo che è stato davvero very difficult scriverlo. Boh! Spero che vi piaccia, recensite se vi va, io lo spero ^^ Buona lettura :) 
 


                                        11. Cambiamenti a Coal City
 


- Guardo la città svegliarsi - così risposi ad Elwood quando mi sorprese appollaiata sulla finestra, a sfumacchiare, con la sua camicia addosso. Era passato qualche mese dalla nostra dichiarazione ed ora lui si era stabilito a casa mia, mentre Jake continuava a vivere di bordello in bordello, tornando, di rado, nella piccola stanzetta che aveva in affitto.

Da quando la Banda aveva suonato al mio locale, non avevo più fatto serate con loro, nonostante i ragazzi continuassero a far scintille per i pub dell'intera città e dintorni. Quella sera suonavamo a Coal City: dico suonavamo perchè Elwood mi aveva convinto a prendere parte all'evento, con loro, sul palco. Forse era per quello che mi ero svegliata così presto: riflettere per l'ennesima volta. Chicago si stava svegliando, la monorotaia aveva preso a circolare ogni due minuti, anzichè ogni cinque come faceva di notte; taxi e auto iniziavano a muoversi lungo la road; i night pub chiudevano, spegnendo le proprie insegne sul grigio asfalto baciato dal sole nascente.

Quella sarebbe stata la seconda volta, da quando avevo mollato, in cui mi esibivo con la Banda. Elwood aveva fatto l'annuncio qualche sera prima e tutti ne furono compiaciuti, tutti tranne Faboulous e Dunn, che storsero il naso. Non gli potevo dare torto, li conoscevo, avevo dato le dovute spiegazioni, era vero, ma secondo il loro parere, quando si lascia una cosa, la si lascia per sempre, evitando di entrare di tanto in tanto solo perchè il locale, dove la combriccola si esibisce è quello in cui lavori, o perchè ora stai insieme ad uno dei leader. Che torto potevo dargli?!?! Nessuno, ma come al solito cercai di non pensare al tutto, vivendo il momento.

La giornata passò tranquillamente tra coccole, prove e quant'altro e, verso sera, ci giunse la notizia da parte di Jake che sarebbe arrivato a Coal City da solo.

- Ne sei sicuro, fratello? - gli aveva chiesto, Elwood, un pò sconcertato sia per il tono usato dal ragazzo, sia per la notizia.

- Sicurissimo - aveva tagliato corto e riagganciato, non impedendo, però, al fratello di sentire in sottofondo due voci ben distinte, una di donna e una di un uomo.

Ma, in che cosa si era cacciato, Jake? Sapevo che aveva piantato la storia di solo sesso con Kensy perchè, poche mattine prima, lei si era presentata furibonda al lavoro e, alla mia domanda su cosa fosse successo, ricevetti una risposta fredda e diretta: - musicisti, tutti uguali! - Non trovai il bisogno di parlarne con El, entrambi conoscevamo le abitudini di quel rude boy, ma in quella telefonata c'era qualcosa che non convinse il fratellino.

Elwood rimase per tutta la durata del viaggio, verso Coal City, pensieroso e in silenzio, d'altro canto, capitava raramente, che i due si presentassero in separata sede ai concerti: a quanto pareva, questo, era uno di quei rari casi.

- Sono sicura che avrà una valida spiegazione. Vedrai, non tarderà - dissi, cercando di rassicurarlo, accarezzandogli una guancia e lasciandovi un leggero bacio, mentre lui si limitava ad annuire, parcheggiando in maniera classica e non alla Elwood come al solito, ossia con frenata e sterzata, un fattore che confermava lo stato d'animo del ragazzo: che cosa stava nascondendo il fratellone?

Stavamo facendo il soundcheck e l'atmosfera non era delle migliori: in molti erano stressati; Faboulous e Dunn stizziti dalla mia presenza e tutti preoccupati dalla mancanza di Jake. Il locale iniziava a riempirsi e noi stavamo finendo di accordare il tutto quando, dalla porta del dietro le quinte, apparve Jake, alquanto pallido in volto.

- Bene arrivato bello! Ti stavamo dando per disperso - lo accolse Elwood, con quella frecciatina, mentre si avvicinava al fratello, avendo notato che non stava affatto bene.

- Jake! E' tutto a posto? - chiesi io, non nascondendo una dose di preoccupazione. Lui agitò le mani, come a prender fiato, e tossicchiò.

- Tutto a posto, gente - esclamò rassicurandoci tutti, spaparanzandosi su una sedia - sono dovuto sfuggire dalle braccia di una fan - esclamò ridacchiando, mentre riprendeva colore.

- E che gli fai alle donne, tu! - commentò in tono scherzoso Willie.

I ragazzi sistemarono le ultime cose, ormai rassicurati dalla presenza di Jake, ma le parole del ragazzo non convinsero nè me, nè Elwood. Sapevamo dei problemi di Jake con alcool e droga, ma quella non era una reazione nè all'uno nè all'altra, probabilmente era vero che aveva corso, ma sicuramente non stava scappando da una fan.

- Ragazzi, non guardatemi così - esclamò in soggezione, dato che, nonostante gli occhiali scuri, io ed Elwood lo stavamo fissando in attesa di una spiegazione più plausibile - Avevo un appuntamento importante con una nuova fiamma e non ho notato l'ora -.

- Hai l'orologio rotto, infatti - gli feci notare, pacata
.
- Così te la sei fatta a piedi? - chiese El, sospettoso - sapevi che non mi costava darti un passaggio -.

- E' una ragazza molto riservata, fratello e non volevo disturbarti, sicuramente eri impegnato con la tua Ziggie - commentò tranquillo, con il suo solito fare da bonaccione, mentre dava una pacca amichevole sulla spalla di Elwood.

Il ragazzo scosse il capo - intanto non hai più fiato - lo rimbeccò.

- Ma se sono più arzillo di te - e bastò quello a far capicollare Elwood, chiudendo così l'argomento, visto che i due scoppiarono a ridere e si abbracciarono come se non fosse successo nulla. Li osservai, scuotendo il capo, ridacchiando appena, anche se quella donna riservata mi incuriosiva.

Nonostante i toni poco accesi della serata, il nostro pubblico scalpitava e ballava arzillo per la sala, cantando con noi. Non avevamo dato il massimo, ma il pubblico era contento e questo era gratificante.
A concerto finito rimanemmo al locale per mangiare un boccone e rinfrescarci le ugole.

- Come già ci avevi dimostrato, sei ancora una di noi, Zig - esclamò Blue Lou; con quel sassofonista avevo un rapporto di stima reciproca.

- Già - commentai un pò titubante - un vero peccato che, due di voi, non la pensino così - colsi al volo l'occasione, non volevo rinfacciare nulla a nessuno, solo dimostrare che, non contava il fatto che ora stavo con Elwood, la Banda era un'altra faccenda.

- Faboulous tende ad essere troppo testardo, lascialo perdere - ridacchiò Lou - sai che vuole fare il duro, ma, alla fine, è un agnellino -

- E Dunn tende sempre a seguire la corrente opposta - diede man forte Tom - dai retta a noi, Ziggie. Torna a suonare -.

Fui rincuorata dalle loro parole, anche perchè Dunn e Faboulous, sentendosi tirati in causa, accusarono il colpo, cercando di fare gli gnorry, fattore che un pò gli giovò, dato che erano seduti ad un tavolo di fianco al nostro.

Di lì a poco Jake ed Elwood si presentarono con qualche birra e il compenso della serata: ne avevamo fatta di grana!

El si accomodò con noi, portandomi un braccio attorno al collo, mentre Jake poco più in là. Ordinammo parecchie chicce e specialità della casa, per non parlare delle birre che ci sgolammo.

Jake fu il beniamino della serata, ma, il suo sorriso si spense, non appena vide qualcuno entrare nel locale. Sia io che El lo guardammo accigliati, era tornato pallido come quando si era presentato prima dello show! Essendo però di spalle alla porta, ci fu impossibile voltarci per osservare chi lo metteva così in soggezione, sperammo solo non si trattasse di sbirri.

Jake si eclissò sotto il tavolo, dove Elwood lo raggiunse poco dopo.

- Fratello, dobbiamo squagliarcela! - sentenziò, schietto.

- Cosa? Ma perchè? -

- E' una questione della massima urgenza - stava incominciando a sudare freddo.

- Sbirri?! - chiese Elwood, un pò stufo di tutta quella segretezza usata dal fratello.

- Se fossero loro li accoglierei a braccia aperte -.

Il più piccolo sgranò gli occhi - chi diavolo hai alle calcagna? -

- Ti spiegherò tutto, garantito, ma, ora, squagliamocela -.

Elwood arricciò il naso, ma annuì. La situazione era complicata, non ci si raccapezzava nemmeno lui e, Jake, con tutto quel mistero, non aiutava. Uscì da sotto al tavolo, come se nulla fosse e si riaccomodò per qualche istante in mezzo a noi.

- Signori, la serata è finita... Ci siamo sbafati parecchia roba senza rendercene conto quindi, direi di avviarci all'uscita, senza dare troppo nell'occhio - diede direttive in modo che solo la Banda potesse sentirlo.

- El, ma... - provai a chiedere spiegazioni, alla fine non era ancora arrivato il conto, come diavolo faceva a sapere quanto avremmo speso?! Dal canto suo non mi fece finire la frase e mi sorrise, rassicurante - Jake pare avere qualche guaio misterioso, meglio levare le tende -.

Guaio misterioso e fan misteriosa si sposavano benissimo, ma non indagai oltre. In molti si alzarono diretti al bagno, sarebbero sicuramente usciti dalla finestra; altri, tra cui noi, uscirono dalla porta principale con un pacchetto di sigarette in mano, dando l'impressione di uscire per fumare la tipica sigaretta dopo pasto; Jake, rotolando sotto ogni tavolo, che lo divideva dal palco, riuscì a raggiungere la porta del dietro le quinte dalla quale era entrato e, quando lo raggiunsimo con la Blues Mobile, si tuffò direttamente dal finestrino.

- Chi abbiamo alle calcagna, Jake? - chiesi io, stavolta.

- Difficile a dirlo, ma, a volte, anche i migliori vengono ingabbiati -.

L'avrei tempestato di troppe domande e tutte sarebbero state inutili, non avrei avuto risposta, così come non l'aveva ricevuta Elwood. Jake avrebbe deciso quando e come parlarcene; Jake si sarebbe tenuto tutto dentro per il momento, come era solito fare il più delle volte, fattore che ci accomunava.

Una volta che il locale fu abbastanza lontano, Elwood si fermò a far benzina, dato che eravamo quasi a secco. Io rimasi in auto, spaparanzata sul sedile posteriore, canticchiando una melodia, mentre Jake scese e andò in perlustrazione del piccolo negozietto annesso al distributore.

Non ci volle molto prima che combinò un macello, minacciando il proprietario, pronto a rapinare lo stabile, urlando come un pazzo.

- Che diavolo ... - esclamò Elwood, accigliandosi e non poco, mentre anche io mi destavo per tutto quel fracasso, sentendo le sirene, in lontananza, avvicinarsi. - Jake, dai bello, non fare cazzate - gli aveva urlato El, cercando di convincerlo.

- Ogni cosa a tempo debito - aveva ripetuto - monta in auto e vai! -

- Ma, fratello... - aveva provato a replicare, invano, il fratello maggiore lo sovrastò con la voce.

- VAI! - gli aveva urlato, con un tono che non ammetteva repliche. E così Elwood fece, correndo in auto e accendendo il motore, sgasando a manetta fino a casa. Un altro viaggio in compagnia del silenzio, con le menti di entrambi che pensavano all'unisono: che cazzo hai fatto, Jake? Sospirammo, cercando di darci forza l'un l'altro.

Ogni cosa a tempo debito aveva detto, dovevamo solo attendere le sue spiegazioni.
 

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Capitolo 12
*** Lettera da Joliet ***


                                                   
Holà!!!! Mamma mia da quanto non scrivo, troppo!!!!!!
Inanzitutto volevo ringraziare tutti i lettori e i recensori :) non sapete che gioia mi da leggere i vostri pareri e i vostri complimenti: GRAZIE!!!!
Questo è un capitolo di transizione, chiamiamolo così, tra quanto ho inventato io e il film. Spero che vi piaccia. Buona lettura e attendo commenti :)

                                              12. Lettera da Joliet
 


Tre anni in quel di Joliet: ecco quanto si fece Jake in gattabuia e, quel vai, che aveva urlato per spronare Elwood ad andarsene, ancora risuonava nella mia mente. Più di una volta, quando lo andava a trovare, Elwood gli aveva chiesto spiegazioni a riguardo di quella sera, ma, la risposta di Jake, era sempre la stessa: - I ragazzi non avevano tutti i soldi per pagare quanto si stavano, e ci stavamo, sbafando, qualcuno doveva pur parargli il culo -. Frase che puzzava e sapeva di una balla bella grossa: la Banda era tutto, era vero, ma Jake pensava prima a sè stesso, che agli altri, perchè, quindi, quella mancanza di coraggio nel rivelare la verità?

Con la Banda i rapporti si erano rotti dopo quella fugata senza troppi motivi e, soprattutto, senza compenso, visto che dovevamo ancora spartircelo. El aveva mantenuto i contatti per un pò, ma, senza Jake, non era più la stessa cosa.

Io continuavo il mio lavoro al bar, con la bellezza che, quando tornavo a casa, c'era Elwood ad aspettarmi, o viceversa: si, la nostra convivenza era uno dei pochi fattori positivi. La musica mi mancava. Avevo quasi riabbracciato del tutto quella grande emozione, che, nuovamente, si era dissolta, senza farmela assaporare.

"Non prendete troppi impegni canaglie! Il vecchio Jake, tra qualche giorno, uscirà. Ho fatto talmente il bravo che, gli sbirri, non sopportano più la mia faccia da duro angelico. Elwood, ti aspetto tra due giorni al cancello di Joliet. Ziggie, ciao!"

Quella lettera fu un punto luce nel grigiore di quei giorni. Il fratellone si era beccato cinque anni, sapere che usciva per buona condotta, non metteva altro che allegria.
Ma, si sa, le buone notizie giungono sempre in coppia con quelle un pò più tremende e, ricevere una chiamata da parte della Pinguina, durante la cena, mette in guardia e fa rimanere il pasto sullo stomaco. Suora malefica!

- Suor Mary, ma che piacere sentirla! Come sta? - risposi io, deglutendo a vuoto non appena sentii chi era il mio interlocutore, ma mostrandomi piaciona e tranquilla, come sapevo essere sempre nei suoi confronti; Elwood, dal canto suo, rimase con il pane bianco a mezz'aria.

- Sarò breve, Ziggie. Fra due giorni vi voglio tutti e tre all'orfanotrofio. C'è una questione di cui dobbiamo discutere - mi rispose diretta, come suo solito, anche se, nel suo tono, c'era qualcosa che non convinceva.

Ma che avevano tutti? Cos'era tutto quel mistero? Jake in un modo, suor Mary in un altro, che diamine!

- Tutti e tre?! - ripetei io, stupita che già lo sapeva - ha appreso del rilascio anticipato di Jake, quindi! - constatai, provando a prendere tempo, magari avrei appreso qualcosa di più, anche se era molto difficile.

- Si, ho saputo del rilascio di quello scellerato, ed è per questo che vi voglio qui, subito, non appena lo avrete ripreso -.

- Esce per buona condotta, non gli faccia una predica - provai a prenderne le difese.

- Non sarà una predica, Ziggie - mi confermò con un tono più tranquillo, raro per quella donna - ci vediamo tra due giorni - e riagganciò, senza darmi il tempo materiale per salutarla.

Tornai a tavola un pò allibita, con Elwood che, senza occhiali, mi osservava speranzoso di saper qualcosa di più, ma ancora colpito per quella telefonata, tanto che non finì il suo pane bianco.
- Ha detto che ci vuole tutti e tre, tra due giorni, all'orfanotrofio - sintetizzai.

- Ti ha dato un valido motivo? -

- Ha detto che c'è una questione di cui dobbiamo discutere, ma non farà prediche a Jake -.

- Un punto a suo favore - si grattò il mento, Elwood - fortuna che Jake aveva espresso, apertamente, di volerla andare a trovare, quando sarebbe uscito -.

Mi accigliai, non era da lui - Seriamente?! Quando? -

- Una volta che Curtis e la Pinguina lo andarono a trovare. La vecchia volpe mi ha riferito tutto - lo vidi sorridente e più tranquillo e mi rincuorai.

- L'unica cosa che non capisco è tutto questo alone di mistero. Suor Mary mi è parsa troppo vaga -.

Elwood mi fece segno di sedersi sulle sue ginocchia e, mi diede un dolce bacio sulle labbra, non appena arrivai - abbiamo imparato a conviverci da quella sera di tre anni fa, a breve avremo le risposte. Rilassati, Zig - mi sussurrò all'orecchio, prendendo a massaggiarmi la schiena, lievemente.

Mugugnai in risposta - Si, forse hai ragione. Dopotutto, dobbiamo soltanto aspettare due giorni -.

Il sipario calò su di noi e sulle nostre voglie amorose. Due giorni dovevamo aspettare; due giorni sarebbero arrivati in fretta e, tutti i tasselli, sarebbero tornati al loro posto.

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Capitolo 13
*** Non si dicono le parolacce alle suore ***


Ed ora iniziano le cose serie.... Si entra nel film. 
Un capitolo parecchio difficile, ma che mi soddisfa :)
Non mi resta che augurarvi buona lettura ^=^                          


                             13. Non si dicono le parolacce alle suore.

I due giorni passarono in fretta, a momenti, senza che ce ne accorgessimo; poche ore e avremmo riabbracciato Jake.

Elwood era in preda alla gioia, contenuta, perchè non era il classico tipo che esternava, facilmente, sentimenti ed emozioni, ma, agli occhi di chi lo conosceva bene, agli occhi della sottoscritta, stava per toccare il cielo con un dito.

Il fratellone usciva di prigione, la Pinguina voleva vederci, ed io? Io ero un pò timorosa riguardo a quanto sarebbe potuto accadere dopo. Insomma, come avrebbe preso, Jake, la convinvenza mia e di Elwood? Dove si sarebbe sistemato? El gli aveva detto un sacco di balle, a fin di bene, ma pur sempre balle. Certo, c'era sempre la sua stanza al motel per soli uomini, magari si poteva fare affidamento su quella e non correre troppo con le preoccupazioni, come stavo facendo. Bastava la Pinguina ad imporre un alone tenebroso con il discorso che ci aspettava, io dovevo solo godermi il ritorno a casa di quella carogna, a cui tanto volevo bene e con cui, ogni scusa era buona, per battibeccare.

El mi diede uno strappo all'orfanotrofio, prima di andare a Joliet a prendere Jake: eravamo rimasti che ci saremmo rivisti lì, magari gli abbracci avrebbero acchetato la suora. Salii fino al suo ufficio; erano passati anni, ma incuteva ancora timore, soprattutto per quel crocifisso, molto espressivo, che ti osservava mentre scalavi quel piccolo Calvario. Non feci in tempo nemmeno a bussare che, la porta, si aprì da sola.

- Prego, Ziggie, entra - fece la Pinguina, invitandomi da dietro la scrivania.

Feci un piccolo accenno con il capo ed entrai - Elwood è andato a recuperare Jake, saranno qui a breve -.

- Non ho fretta - mi rispose con un lieve sorriso, fattore che mi insospettì - per il momento -.

Alzai un sopracciglio: qui c'era qualcosa che non andava! Chiesi spiegazioni e la suora, una volta aggirata la sua scrivania, mi raggiunse e mi spiegò il tutto. Rimasi con gli occhi sgranati alla notizia. Perchè, ogni volta che le cose andavano per il verso giusto, c'era sempre qualcosa che doveva complicarle?!

- Salveremo l'orfanotrofio, sorella e, credo, che i ragazzi siano d'accordo con me. Non ci resta che aspettarli - esclamai decisa. No, non avrei visto calare a picco quella che potevo considerare la mia famiglia: no, di certo!

- Aspetteremo - annuì, posandomi una mano sulla spalla: diamine! Era davvero preoccupata!

Mentre aspettavo i ragazzi, scesi e feci un giro tra le varie sale di quella, mediocre, dimora, che tanto amavo. Parecchi bambini mi salutarono, ricambiai, ma non mi fermai, come solitamente facevo, a scambiare quattro chiacchiere, proseguii. Troppi erano i pensieri per la testa e, stavolta, più seri dei precedenti. L'orfanotrofio doveva essere salvato, quella era l'unica cosa certa. Guardai l'orologio, Jake ed Elwood dovevano essere in strada ormai: chissà come avrebbe reagito al cambio di vettura? Sorrisi. Eh si, la Caddy, o meglio, la Bluesmobile, era stata cambiata con un microfono ed El, una volta appreso dell'asta dei vecchi veicoli della polizia, non potè fare a meno di prelevarne uno. Diceva che non solo gli abiti devono dare l'impressione della canaglia, del duro, ma anche l'autovettura, perchè descrive il guidatore e, poi, vestiva esattamente come un Blues, bianco accostato al nero: era perfetta.  Un'auto della polizia, in mano ad un pericolo pubblico del traffico, era un pò un controsenso, ma, il tutto, si sposava bene.

Quando i due arrivarono, io ero nell'ufficio di Suor Mary; riconobbi i gradini scricchiolanti, forse era così che, la Pinguina, sapeva che stava per arrivare qualcuno alla sua porta, probabile. Stetti in silenzio, appoggiata al muro con le braccia conserte.

- Chi è? - fece, quando lo scricchiolio fu cessato.

- Jake ed Elwood - rispose El, senza aver bussato.

Alzai appena lo sguardo verso di loro e sorrisi, una sorta di saluto dopotutto.

- Entrate - esclamò la Pinguina - Salve figlioli. Sono contenta di rivedervi - lei forse, Jake un pò meno, dato che continuava a fissarla sospetto, attraverso le sue lenti scure. -Prego, accomodatevi - Elwood si guardò intorno ed addocchiò due banchi appoggiati al muro, li indicò al fratello e si andarono a sedere: lui spaparanzato, mentre Jake fece un pò fatica ad entrarvi, aveva messo su qualche chiletto! Io li osservavo stando in silenzio, nella mia postazione. - No, no, no, figlioli, mettetevi qui, davanti a me, andiamo. Vi voglio vedere bene in faccia - fu divertente vedere la scena di come i due, trascinandosi nei banchi, si accomodarono davanti alla scrivania della suora: sembrava di esser tornati indietro nel tempo. Una volta che i ragazzi si furono sistemati, la suora prese un profondo respiro, si tolse gli occhiali e mi annuì, alzandosi e ponendosi di fronte ai due, in piedi. - La contea, il mese scorso, ha fatto un accertamento fiscale su questa proprietà. Vogliono la bellezza di cinquemila dollari - iniziò il discorso serio.

- Ma non li dovrebbe pagare il vescovado? - chiese, ovvio, El.

- Si, dovrebbe, se fosse interessato a tenersi la proprietà. Ma non gli interessa - abbassò il capo, un altro sospiro - L'arcivescovo vuol vendere quest'edificio al Ministero della Pubblica Istruzione -.

- E lei che fine farà? - chiese, nuovamente, Elwood, mentre Jake, lo vedevo, stava meditando qualcosa.

- Verrò mandata alle missioni - spiegò, sgranai gli occhi, questo non me lo aveva detto!!! Feci per oppormi, ma Jake fu più svelto di me.

- Ma scherziamo? Cinquemila dollari, non c'è problema! Glieli portiamo domattina. Andiamo, Elwood - eccola l'idea geniale! Scossi il capo, alzando appena gli occhi al cielo.

- No! No! No! Io non li accetterò mai, i vostri sporchi soldi rubati -.

Era ovvio, che si aspettava?!?!?

- Va bene - si mise comodo dietro al banco - e allora, sono cavoli tuoi, sorella - commentò spavaldo, mentre, sia io che Elwood, lo guardavamo allibiti: le cose stavano prendendo una piega non troppo simpatica. Il gesto della Pinguina fu fulmineo, si voltò e afferrò la bacchetta, che aveva posato sulla scrivania e, svelta, colpì Jake sulle nocche della mano destra. - Ouch! -

- Scusa, figliolo, che cosa hai detto? - chiese pacata, guardandolo negli occhi, nonostante gli occhiali.

- Le ho offerto il mio aiuto... - prese fiato - lei ha rifiutato di accettare i nostri soldi... - la suora annuì, compiaciuta - e io ho detto: "E allora, sono cavoli tuoi, sorella!"- altra bacchettata. Alla quale scossi il capo.

- E, Cristo, sta attento a come parli! - intervenne Elwood che, a sua volta, venne colpito.

- Elwood! -

- Ma santo Dio..Ah! -

- Ouch! -

- Ma puttan...Ah! -

- Caz...Ah! -

- Stronz..Ah! -

- Ma vaffanculo! - scoppiò Elwood, che si beccò una bacchettata talmente forte, che l'arma della suora si ruppe sul suo capo. Era meglio squargliarsela, prima che se la prendesse anche con la sottoscritta.

Mi avviai alla porta a passo svelto, il tempo che la Pinguina prese una bacchetta più resistente. - Via, via, via - esclamò Elwood, uscendo svelto dal banco, trascinandomi per un braccio con lui giù per le scale, mentre Jake, rimasto incastrato nel banco, saltellava, con esso, verso la porta, continuando a venir colpito. - Ahy, ohy, ehyyyyyyyyy! - raggiunse i gradini e cadde, ma, almeno, trovò il modo per liberarsi dal banco. Elwood lo soccorse, poco dopo.

- Siete proprio una coppia incorreggibile. Ho pregato tanto, per voi. Mi si stringe il cuore a vedere che due giovani, che avevo cresciuto nell'obbedienza dei dieci comandamenti, mi tornino come due ladri, due sporcaccioni, che conoscono solo le parolacce. Adesso uscite e non tornate mai più, almeno fino a che non sarete contriti, pentiti e redenti -. La Pinguina aveva parlato e si ritirò nel suo rifugio, come se fosse guidata dallo Spirito Santo, o qualcosa di simile. Non mi aveva tirato in causa, poco male, ero comunque sottintesa in quelle parole. Una mano mi battè sulla spalla, mi voltai e sorrisi a Curtis, che, era appena giunto, avendo sentito tutto quel fracasso.

- Ragazzi! Quando imparerete a non dire le parolacce alle suore?! -.

I due gli corsero incontro e fu lì che, Jake, abbracciò anche me: alla fine, non ci eravamo ancora salutati. Scendemmo nello scantinato, dove, Curtis, alloggiava: io mi accomodoai su un piccolo divanetto, mentre gli altri due si sedettero al tavolo e si tolsero la giacca. La Pinguina li aveva, o meglio ci aveva, stroncati con quella notizia. 5000 dollari! Dove li avremmo recuperati?!?!? Ci voleva un miracolo!

- Ragazzi! Le cose vanno male. Venderanno tutto al Ministero della pubblica istruzione e io finisco in mezzo ad una strada. Quei soldi devono arrivare, nell'ufficio dell'Assessore, entro undici giorni - ci spiegò meglio.

- E cacceranno via anche te? - chiese Jake, un pò intristito, scolandosi il suo bicchiere di Jack.

- Certo. Che gliene frega di un vecchio nero a quelli del ministero? - Sospirai, dovevamo trovare una soluzione.

- Curtis, tu e la Pinguina siete tutta la nostra famiglia. Tu sei l'unico che sia stato buono con noi. Per noi cantavi le canzoni di Elmore James e suonavi l'armonica in cantina - disse, Elwood, con il cuore in mano, fattore che mi fece sciogliere e sorrisi, come fece Curtis.

- Eh! Sorella Mary aveva ragione. Non vi farebbe male, un pò di catechismo. Andate giù a Triple Rock e chiedete del reverendo Cleophus, ascoltate le sue prediche e mi ringrazierete -.

- Curtis...- Jake, finì l'ultimo sorso - non mi va di stare a sentire un predicatore del cavolo che mi parla dell'inferno e del paradiso - in effetti, il fratellone, non aveva poi tanto torto.

- Jake, tu devi ravvederti. Va al catechismo! - esclamò Curt, con un tono che non ammetteva repliche 

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Capitolo 14
*** Una luce per ricomporre la banda ***


Ok, cari lettori vi do una bella notizia, in questo periodo mi dedicherò molto di più a questa storia, voglio finirla u.u. Questo è un capitol a cui tengo molto, anche perchè, l'ho scritto, in seguito a degli ottimi consigli ricevuti da una persona speciale :)
Una piccola nota: i White Sox, che cita Zig, per chi non si intendesse di Baseball, sono l'altra squadra della città di Chicago, insieme ai CUBS (di cui Zig è tifosissima). Detto questo, molti dialoghi appartengono al film, tutti gli altri sono di mio pugno. Buona lettura :)
 


                                     14. Una luce per ricomporre la Banda
 


Era una bella giornata quella. Davvero, una bella giornata finchè quella brutta notizia non ci capitò tra capo e collo. 5000 dollari erano davvero tanti e, come avremo potuto trovarli, senza svaligiare qualcosa o compiere qualche solita marachella? Andare in chiesa?!?!? Certo, come no! Una manna divina guarderà giù e ci dirà cosa fare, un fattore certo, come certo è che io credo ancora a queste cose. Bazzecole!

- Magari ha ragione, Curt. Insomma, rare volte si è sbagliato nei nostri confronti - commentò Elwood, seduto sul cofano della Bluesmobile, ancora parcheggiata poco distante dall'orfanotrofio.

- Preferirei vedere una partite dei White Sox, piuttosto - commentai sedendomi a terra, irremovibile.

- Sono un mucchio di balle, El - obbiettò Jake - se vogliamo salvare questa catapecchia, ci servono 5000 dollari e ci servono entro undici giorni, non vedo come, andare a sentire, qualche assurda predica possa aiutare - brontolò - ne ho già sentite fin troppe -.

- Non credevo di dirlo, ma, Jake ha il mio appoggio, stavolta - dissi, annuendo.

- Allora tirate fuori qualche brillante idea - alzò le mani in segno di resa, El - quanto meno la vecchia volpe ci ha indirizzato verso un qualcosa -.

- Brillante idea, brillante idea... - finse di pensarci su, il galeotto - perchè Zig è ancora qui e non è al lavoro, per esempio? -

Sgranai gli occhi, non potevo credere alle mie orecchie! Jake era ancora risentito perchè avevo mollato la Banda e l'avevo ripresa facendo giusto qualche serata, come una sorta di tira e molla. Un vero peccato che le cose si chiusero male, un vero peccato che la pensasse ancora così. - Forse perchè tengo un minimo al fattore orfanotrofio?! -

- Come tenevi alla Banda? -

- Ragazzi, piantatela! Siete patetici - intervenne Elwood a smorzare i toni - siamo fratelli e come tali agiremo, non voglio discussioni inutili. Ora tirate fuori delle idee, oppure i nostri culi andranno a sedersi a Triple Rock -.

- Dobbiamo redimerci, dobbiamo ascoltare la Parola... Tutte stronzate! - entrò in macchina, sedendosi davanti e sbattendo la porta.

- Jake si è arreso, tu cosa fai bimba? - mi chiese, raggiungendomi e porgendomi una mano, per farmi alzare. Arricciai il naso, ma gli afferrai la mano, usandola come aiuto per alzarmi.

- Tu lo sai che, se vi seguo in questa impresa, è perchè ci credo seriamente, vero? - gli chiesi, ancora un pò colpita dalle parole di Jake. Colpita perchè pensavo ci avesse messo una pietra sopra - Se accetto di portare il mio culetto sulle panche di quella chiesa, cosa avrò in cambio? - lo guardai, ora, con aria più maliziosa.

- Lo sai che ho sempre creduto in te, Zig, così come sai che Jake porta sempre rancore e che ha detto quelle cose solo perchè si sentiva ingabbiato e non trovava un'idea, che gli garantisse la fuga dalle pressioni che ha subito in questi minuti - mi spiegò, cingendomi la vita e portandomi maggiormente a sè. Si alzò, poi, gli occhiali da sole e mi guardò negli occhi, nel modo in cui sapeva che mi scioglievo sempre - In cambio, vediamo... - finse di pensarci su, baciandomi sulle labbra, con un bello schiocco finale - il sottoscritto cotto a puntino, nudo e crudo, tutto per te, va bene? - domandò retorico, ridacchiando e facendomi l'occhiolino.

- Signor B, stiamo avviandoci in chiesa, suvvia, certe proposte osè se le potrebbe evitare - commentai, fingendomi allibita, ma scoppiai a ridere subito dopo - abbiamo un accordo, El! - convenni avviandomi in auto.

La chiesa di Triple Rock distava, giusto, qualche isolato. Era lontano dalla nostra periferia, ma stava all'angolo tra un rettilineo, che conduceva dritto a Calumet City, e una piccola stradina di quartiere.

- Stronzate, tutte stronzate - continuava a borbottare, Jake.

- Andiamo, forza - El, gli battè una mano sulla spalla.

Arrivati all'ingresso i due entrarono subito, io osservai la porta, un pò titubante. Insomma, va bene, cresciuta nella fede cattolica, nell'obbedienza dei dieci comandamenti e quant'altro, ma di certo la mia coscienza era più nera della veste del prete e la mia vita non era certo pura e casta. Non che quella dei fratellini fosse così diversa dalla mia. Sospirai appena, avevo un patto con El e poi non volevo più scappare. L'avevo imparato a mie spese, le situazioni vanno affrontate, mai voltare le spalle. Entrai e raggiunsi i due, che si erano sistemati poco distanti dalla porta d'ingresso, per come erano messi parevano due bodyguard. Una volta sistemata al fianco di Elwood, mi guardai intorno. Era una chiesa alquanto colorata, fattore che era reso meglio dai suoi praticanti, vestiti tutti in tinte pastello. Il sacrestano presentò il reverendo Cleophus James e questi entrò e prese posto al leggio. Non era una messa normale, non era un semplice coro gospel, era un qualcosa di più, un qualcosa che non mi capacitavo. I partecipanti presero a ballare quando il reverendo attaccò a cantare; era una bolgia di gente, che danzava e saltava tra le navate laterali e quella centrale. Jake ne uscì scombussolato da tutto quel movimento, tanto che Elwood gli dovette chiedere se era tutto a posto: sembrava stesse tremando e saltellando, appena, sul posto.

- La Banda - farfugliò ad un certo punto.

- Tu hai visto la luce! - convenne il reverendo indicandolo.

- La Banda! - confermò più forte -la Banda! -

- Tu hai visto la luce! -

Sia io che Elwood ci guardammo sbigottiti - Quale luce? -

- Lui ha visto la luce! - continuò a ripetere il reverendo. Che diamine di luccichio aveva visto?!?!?!??

- Si! Si! Gesù Cristo ha compiuto il miracolo!!! Ho visto la luce!!! - urlò a pieni polmoni il fratellone, che si gettò nella mischia, con piroette e passi di danza. L'aria divina gli stava dando al cervello, che diamine gli era preso?! Quando tornò indietro mi abbracciò tutto contento e mi diede un bacio sulla guancia, per poi spostarsi da Elwood e dettargli il suo piano - la Banda, Elwood. La Banda! - un piano di poche parole.

- La banda?!? - feci io, grattandomi il capo, Jake non avrebbe mai smesso di stupirmi.

- La banda?! - domandò El, che, dopo un'attenta riflessione di cinque secondi, capì dove il fratello voleva andare a parare - LA BANDAAA!!!! - ok, perfetto, avevo perso anche lui!

Entrambi i fratellini si gettarono nella mischia, mentre io rimasi sulla porta a rimuginare sulla Banda. Un momento, poteva essere un'idea, un'ottima idea. Le vecchie serate fruttavano diversi soldi, se riuscivamo a trovare un posto adatto e, soprattutto, a recuperare tutti, ce la potevamo fare. Era un'ottima idea! Il tizio contro il quale, spesso, imprecavo, ci stava dando una mano: grazie Dio!

El tornò indietro tutto pimpante e mi prese con sè, ripercorrendo la navata danzando su quelle note gospel, che avevano acceso gli animi di tutti. Di certo, non potevo non perdermi, anche io, in quel ritmo. Lo accompagnai nella danza, mentre venivamo raggiunti da Jake, che ci saltellò intorno e ballò con entrambi, stile giro giro tondo, prima di abbandonarsi alle sue piroette.
Avevamo in mente un piano, ora dovevamo metterlo in atto e dire a Jake che i ragazzi si erano sciolti: la parte più dura del lavoro.

                                                               
                                                                                                                                                                    ***


Girovagammo in auto per diverso tempo, dopo esser usciti dalla chiesa. Si doveva trovare il modo di dire a Jake la verità sulla Banda, occorreva trovare una sistemazione e serviva mettere qualcosa sotto i denti, fattore che, non mancammo di fare, passando ad un fast food. Solo quando il cielo si oscurò e ci avvertì che era ormai sera, Elwood prese la palla al balzo e decise che era giunto il momento di rivelare tutto, anche perchè bisognava placare i piani troppo diretti che Jake stava architettando: meglio chiarire subito le cose, piuttosto che farlo continuare a viaggiare con la mente su convinzioni troppo ovvie.

- Rimettiamo insieme la vecchia Banda, facciamo qualche serata...BANG! 5000 bigliettoni - era parecchio fiducioso il fratellone.

- La parola divina ti ha ispirato, vedo - convenni ridacchiando, mentre lui mi diede una pacca amichevole sulla testa - E piantala, Zig - rise.

- Si, ma rimettere insieme la vecchia Banda, insomma... Non è facile, Jake - intervenne Elwood.

- Ma che stai dicendo? -

- Si sono sciolti - intervenni, diretta, io.

- Ora fanno tutti lavori rispettabili - concluse El.

Jake fu alquanto sbigottito, ma non volle arrendersi - ma sapete dove stanno? El, avevi detto che ti tenevi in contatto con loro -.

- Bhè, un paio di contatti ce li ho, qualche numero di telefono... Ma poi, scusa, quanti ti hanno scritto o ti sono venuti a trovare in galera, eh!? - fece, il fratellino, risentito.

- Ma dai! Non è gente che scrive lettere, quella! Tu stavi fuori di galera, io stavo dentro, Elwood! - commentò, ovvio, Jake - dovevi tenerti tu, in contatto con la Banda. Non facevi che dirmi che, quando uscivo, ci saremmo riuniti -.

- E...e.. che avrei dovuto fare? Toglierti la speranza e poi? Come avresti fatto.. Come avresti fatto a tenere duro là dentro? - la verità, chiara e semplice verità -mi sono preso la libertà di imbrogliarti, ok? -

- Mi hai mentito! - si imbronciò, Jake. Un'espressione buffa, che mi fece sorridere; era rimasto scottato e ne era sentito, soprattutto perchè, solitamente, era lui a beffare gli altri, senza troppi problemi.

- Si. Si, erano balle, ma a fin di bene - volle concludere El.

Il viaggio proseguì in silenzio, quella serata l'avrei lasciata ai fratellini, mentre io sarei andata a dormire a casa da sola e li avrei raggiunti il mattino seguente. Elwood attraversò un incrocio con il semaforo giallo, non fece in tempo a svoltare che, dei poliziotti, gli furono alle calcagna.

- Merda - borbottai io, avendo notato le luci blu della sirena.

- Cristo! - imprecò anche Elwood.

- Che c'è? - chiese Jake

- Piedipiatti - esclamammo all'unisono.

- No - fece Jake, preoccupato.

- Si - gli confermò El, mentre accostava.

- Cristo! - borbottò, imprecando, il fratellone.

- Scusi, che cosa ho fatto? - chiese El, una volta che il poliziotto si fu affiancato al finestrino.

- E' passato all'incrocio con il rosso -

- La luce era gialla, signore -.

- Mi fa vedere la patente, per favore? -

Però, mi ricordava qualcosa quella scena, come se l'avessi già vissuta. Mi grattai il capo e... Tombola. Era capitata la stessa cosa anche a me quando sgasavo a manetta per andare a vedere il loro concerto, la sera in cui spronai Elwood a suonare. Magari si risolveva con una semplice multa, magari no, l'espressione di El, non era affatto rassicurante.

- Porca puttana - sbottò Jake, quando lo sbirro si fu allontanato.

- Ma dico io, sono sei mesi che non mi fermano - sbuffò El - scommetto che quelli hanno il CEPICS -

- CEPICS?! -

- Controllo Elettronico Patenti Infrazioni Codice Stradale -

- Però, si sono evoluti - commentai sarcastica. Il poliziotto tornò, serio in volto, ma non ridiede la patente ad El - Elwood, la sua patente è attualmente sospesa, scenda dall'auto per favore -.
Mi sporsi appena tra i due sedili anteriori, lui mi guardò e guardò Jake, mise mano alle chiavi, pareva le volesse togliere e seguire quanto gli aveva dettato la legge. Non l'avrebbe fatto, non ora: avevamo una missione da compiere. L'esitazione del ragazzo durò qualche nanosecondo, poi  girò la chiave nel quadro e sgasò a manetta, sfrecciando per le strade di quartiere.

- Prima scambi la nostra Cadillac per un microfono, poi mi dici un sacco di bugie sulla Banda e, ora, mi fai ritornare dritto, dritto in galera - borbottò Jake.

- Accelera, El. Ci stanno dietro! - lo inzigai.

- Non ci prenderanno: siamo in missione per conto di Dio -

Visto quanto dovevamo fare, per chi lo dovevamo fare e visto dove era iniziato il tutto il datore, della nostra missione, era più che appropriato. El sgasò a tavoletta, facendo un testa coda voluto, per reimmettersi nella circolazione e distanziarsi dalla polizia, che, intanto, aveva chiamato rinforzi.

- Accelera - continuai io, mi stavo divertendo come una matta.

- Non inzigarlo - mi ammonì, Jake, tenendosi stretto al sedile.

- Una volta arrivati sulla superstrada, siamo a cavallo - convenne El.

- Dio, ma quanti sono?!? Era solo una patente sospesa! - mi sporsi dal finestrino, per contare meglio le volanti, che ci erano appresso: una decina tutte.

- Tu non stai andando verso la superstrada, per me - Jake, continuò a fare le veci di fratello maggiore.

- Non mi sgridare sempre -.

- Lascialo divertire e rilassati, fratello - convenni, prendendo le difese di El.

- E che cosa dovrei fare? Darti la medaglia al valore?! - mi ignorò, ammonendolo.

- Almeno cerca di non essere così negativo. Perchè non mi incoraggi con una critica costruttiva? -

- Sei tu che ti sei venuto a cacciare in questo parcheggio - eh già! l'inseguimento si era spostato nel parcheggio di un centro commerciale, in modo da depistare le volanti maggiormente - Beh! Adesso, tiraci fuori -.

- Vuoi uscire da questo parcheggio?! Ok -.

Come se nulla fosse, El sfondò una parete del supermercato. Ok, qui in America usiamo cartongesso o compensato per costruire, ma, credetemi, non si vede tutti i giorni un'auto entrare così, come se nulla fosse, in un centro commerciale. Fu una specie di giro turistico, con la polizia sempre alle costole. Fantastico! Non solo non riuscivano a starci dietro, ma ci cascavano sempre, andando fuori pista, ad ogni minima manovra azzardata di El.

Il tour si ampliò, la Bluesmobile portò scompiglio dentro al centro commerciale ed io, mi ero messa comoda, seduta sul finestrino posteriore, per godermi meglio lo spettacolo e per approfittare di afferrare qualcosa che poteva essere utile: lo shopping è donna, si sa!

- Là fanno dei ciambelloni strepitosi - commentò Jake, prima che El ci andò dritto in mezzo, permettendomi di afferrare ben tre ciambelle, due e mezzo delle quali, si sbafò Jake.

- Ingordo! - lo additai, almeno una ciambella intera potevi lasciarmela.

- Mezza non va bene? - chiese come se nulla fosse.

Il viaggetto andò avanti così finchè ogni volante non fu più in grado di inseguirci. Quello fu il momento in cui mi ritirai, nuovamente, in auto ed El uscì dal negozio, ormai, devastato. Una bella avventura.
Raggiunsimo casa mia che era ormai mezzanotte, El mi lasciò lì e mi salutò con un bel bacio come si doveva.

- Mi mancherai - mi sussurrò.

- Ma se mi rivedrai domattina!!! - ridacchiai - Dai, che te la meriti una serata con il tuo fratellone - gli feci l'occhiolino - e poi la mia casa è un'ottimo diversivo, non verranno mai a cercarvi al motel, gli sbirri - gli diedi un altro bacio.

- Allora piccioncini, vi volete muovere? - borbottò Jake, affacciandosi dal finestrino.

- A domani, bimba -.

- Buonanotte El -.

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Capitolo 15
*** In missione per conto di Dio ***


 E rieccomi qui, cavolo, sto procedendo alla velocità della luce, wow!
Come sempre, ci sono, si, le scene del film, ma non solo, perchè c'è molto di inventato :) molti dialoghi, per esempio, oltre che a diverse scene. I crediti del resto appartengono al film :)
Buona lettura ^=^
 

                                       15. In missione per conto di Dio


Dal mio appartamento al motel per lupi solitari, dove alloggiavano i fratellini, erano, circa, venti minuti a piedi: tragitto che compii dopo aver parlato al telefono con Lucas, per chiedergli un periodo di ferie. Elwood, invece, sapevo che aveva deciso di licenziarsi, dato che stavano per ricomporre la Banda; probabilmente le mie ferie si sarebbero prolungate fino a diventare un addio al bar, ma, per il momento, andava bene così.

Erano, circa, le 9.30 quando raggiunsi l'ostello, o meglio, quanto ne restava, dato che, ora, vi erano solo cumuli di macerie.

- Dio! Ma che diavolo è successo?! - tolsi il cappello e mi passai una mano tra i capelli, preoccupata: no, non poteva finire così! NO! Perchè ogni volta che il sogno iniziava, si doveva interrompere con qualche disgrazia?! Sospirai, mordendomi a sangue le labbra, non volendo credere che il giorno prima, fosse l'ultima volta in cui avevo visto i fratellini. Dovevamo costruire un futuro insieme io ed Elwood; avevo riagganciato i rapporti con Jake.. Perchè, ora, stavano sotto delle macerie?!?!?! Cazzo!

- Ehy, Zig! Cosa sono quei musi lunghi? - chiese una voce, ben conosciuta, alle mie spalle, cingendole. Saltai sul posto, pensando di sognare, ma quando mi voltai verso tale persona, il mio cuore si alleggerì e tornò a battere tranquillo, non più troppo forte come alla vista di quel rudere.

- Jake! - gli sorrisi, contenta - ma, che diamine è successo, qui? Elwood? - chiesi tutto d'un fiato. Lui era lì, ma El, che fine aveva fatto?

- Il tuo bluesman è vivo e vegeto; è solo andato a licenziarsi con la scusa che ha ricevuto la chiamata, dal Pezzo Grosso, per farsi prete - ridacchiai, immaginandomi El nei panni del chierico - qui, non saprei dirti... Noi non c'entriamo, dormivamo! E, stavolta, lo dico sul serio, dato che ci siamo svegliati con qualche mattone al posto del materasso - esclamò, dandosi una ripulita alla divisa, che era ancora impregnata di polvere e patina arancione dei mattoni. Tirai il sospiro di sollievo più sentito della mia vita. Elwood era vivo e vegeto, con forse qualche botta in testa, data la scusa che aveva architettato. Ridacchiai, ancora, ripensandoci, ma poi, mi feci seria.

- Che strano - convenni, riflettendoci un attimo, cosa poteva esser successo? Di certo non un corto circuito! Non ci persi, d'ogni modo, troppi pensieri - l'importante, però, è che state  bene - abbracciai il fratellone, felice.

Jake, annuì, sorridente e ricambiò la stretta - Non ci resta, dunque, che mangiarci su: colazione? -

- Andata - gli concessi.

Elwood ci raggiunse al bar, mentre io e Jake stavamo facendo a gara a chi si rimpinzava di più di pancakes.

- Mi devi un ciambellone alla crema, Jake - dissi a bocca piena, riferendomi a quello che, mi aveva mangiato a metà, la sera precedente.

- Pensa a mangiare, sei indietro, non vorrai che, il sottoscritto, ti batta, no? - ridacchiò, a bocca piena, a sua volta.

- Non cantar vittoria troppo presto -.

- Non potrei, non riesco a cantare a bocca piena - ci guardammo e scoppiammo a ridere. La preoccupazione per il palazzo distrutto era svanita, stavamo giusto aspettando Elwood, divertendoci come non facevamo da un sacco di tempo, come due fratelli dovevano fare. Certo, non avevamo i soldi per pagare il conto, ma,  dopo la sera precedente, chi si preoccupava più? Avevamo seminato una decina di volanti e distrutto un centro commerciale, non pagare una colazione, era un piccolo puntino grigio su una fedina penale nera e lunga un chilometro: non era un problema.

Un pacchetto di Marlboro rosse, vuoto, planò sul tavolo, mentre le labbra, che tanto amavo, si posavano sul mio collo. Rabbrividii, ma sorrisi, subito, compiaciuta: Elwood era arrivato.

 - Un pò di grazia, El! Gettare un pacchetto di sigarette vuoto, sul tavolo, così... Insomma, chi ti ha insegnato le buone maniere? - recitò Jake, come se volesse rimproverarlo.

- Se ben ricordo, sei stato tu - commentò lui, ridendo e prendendo un piccolo pezzo del mio pancake - comunque, quello è l'ultimo indirizzo noto di Tom Malone e Blue Lou Marini -.

Jake lo afferrò e lo lesse: era una zona in periferia est.

- Sei proprio sicuro di voler prendere i voti? - feci ironica io - io e te abbiamo, ancora, un conto aperto -  lo punzecchiai. Mi aveva fatto tremendamente preoccupare e, trovarmelo lì, vivo e vegeto, mi riempiva di una gioia immensa.

- Questa faccia angelica avrebbe preso quella strada, prima o poi - fece serio, tanto che lo guardai sgranando gli occhi, incapace di dire altro. - Zig... Bimba?! - mi chiamò lui - stavo scherzando, non potrei mai prendere quella strada... Il gusto del peccato è troppo pulsante e non potrei fare a meno di te, ancora - esclamò sincero, regalandomi un bacio passionale sulle labbra.

- Ieri notte hai dormito con me, vorrei ricordartelo - si intromise Jake, con il suo classico stile carogna.

- Finisci il pancake, usurpatore di letti. Dobbiamo rimettere insieme una Banda -.

Ridacchiai e abbracciai forte El - non farmi più prendere colpi del genere! - lo rimproverai, ma in maniera scherzosa, lasciandogli un bacio sulla guancia, sorridendogli prima di rubare, l'ultimo pezzo di pancake, dal piatto di Jake e, avviarmi all'uscita del locale, come se niente fosse - ho vinto io, fratellone -.

 
Arrivammo in quel sobborgo periferico, tutti vestiti di nero in una giornata in cui il caldo spaccava le pietre: Dio!

Jake si elesse portavoce e fu lui a bussare alla porta della signora Tarantella. Elwood stava appena dietro di lui, mentre io stavo al suo fianco. Una bassa signora, in nero, venne alla porta e, al vederci, rimase un pò esterrefatta. Lo credo bene, con i nostri abiti sembravamo impresari di pompe funebri o sbirri della CIA e, forse, è in questi ultimi che Jake si immedesimo, attaccando a fare un sacco di domande alla povera disgraziata.

- La signora Tarantella? -

- No, Tarantino - corresse lei, dall'accento doveva essere italiana.

- Signora, lei aveva un Tom Malone e un Blue Lou Marini a pensione qui? - chiese nuovamente.

- No, non più. E' parecchio che si sono trasferiti. Comunque è già un pò che non prendo più nessuno a pensione - rispose la signora. Bene! E ora?!

- Possiamo entrare, signora? - chiese Elwood, dopo un sospiro. Un 'ottima idea! La signora acconsentì, un pò titubante, ma ci aprì la porta: eh! L'abito che inganna!

 Era una dimora un pò piccola per tenere gente a pensione, ma, magari, c'era un altro piano. Mi guardai intorno mentre gli altri adottavano di nuovo le sembianze del Faccio Domande Stile Sbirro: mi stavo divertendo da matti, la nostra divisa poteva esser confusa con qualcosa di più grande di noi, ed era divertente vedere per chi ci scambiava la gente.

- E' Italiana? - chiesi, poi.

- Si, Napoletana - mi rispose lei, fiera.

-  Hanno lasciato un indirizzo, un numero telefonico? - prese la palla al balzo, Jake, dopo che aprii le domande, ma ricevette una risposta negativa.

- Facevano una vita tranquilla? Che genere di abitudini avevano? - continuò El.

- Erano bravi guaglioni, ma alla sera facevano un gran casino... I signori sono della polizia? - a quella domanda, dovetti trattenere le risate.

- No, signora - riprese serissimo, Elwood - musicisti -.

Avevamo fatto un buco nell'acqua, uscimmo, dunque, di casa e tornammo in macchina, dove lascia il via libera alle risate - diavolo, siamo così seri da parer poliziotti! Voglio il distintivo! - commentai ironica, tornando seria quando vidi la signora avvicinarsi all'auto.

- Il finto distintivo potrebbe esser un'idea, l'auto, poi, già ce l'abbiamo - convenne Jake, grattandosi il mento prima di voltarsi verso la donna, prendendo il biglietto che questa gli porgeva e passandolo ad Elwood.

- Murph e i Magic Tones - lessi, quando il biglietto passò a me - suonano all'Holiday Inn. Però! Ne hanno fatta di strada! -.

- Chissà quali strane tutine indosseranno? - ridacchiò Jake, mentre El rimetteva la Bluesmobile in marcia.

- Tutine?! - feci sbigottita, di che cosa stava parlando?

- L'Holiday Inn non è famoso solo come ampia catena di locali e hotel on the road, ma anche per le bizzarre divise, che fa indossare ai propri addetti - mi spiegò, El.

- Sarà una rimpatriata divertente, allora - convenni sorridendo, immaginandomi i ragazzi, che suonavano con tutine disco stile last 70.

Arrivammo a sera all'Holiday Inn, parcheggiando, tranquillamente, davanti all'auto dei ragazzi, in divieto di sosta. Più ci avvicinavamo all'entrata e più, una melodia poco sentita, ci investiva.

- Probabilmente non è serata - esclamai, facendo spallucce.

- Non è Blues: è diverso - puntualizzò Jake, entrando. Lo seguimmo.

Il locale era pressochè vuoto, c'erano quattro gatti e tre cameriere; lo ammetto, c'era più vita, al bar dove lavoravo, nelle ore di poca affluenza! Tutti agghindati, in vestiti rosso e fucsia, sul piccolo palco in fondo, c'erano i ragazzi, con Murph che suonava le tastiere e cantava una canzone italiana, che fece aggrottare le sopracciglia ad El, accendere una sigaretta a Jake e strappare un - Oh, Signore! - a me - Ora capisco, cosa intendevi per abbigliamento strano, El -.

- Credimi, piccola, io pensavo a molto peggio -.

- Molto peggio!?!? - alzai gli occhiali, guardandolo esterrefatta - cosa c'è di molto peggio di quegli amplificatori?! - li indicai. Erano buoni eh, per carità, ma pieni di peluria rossa attorno, in tinta con i loro vestiti, ma inguardabile - sembra che hanno scuoiato un Muppet! - a quella affermazione, sia Elwood che Jake scoppiarono a ridere, non avevano una forte simpatia per quegli animaletti di peluches.

I ragazzi ci raggiunsero nel quarto d'ora di pausa, che avevano deciso di prendersi. Si sedettero al tavolo con noi, ma non tutti furono contenti di vederci tutti e tre, ci furono, anzi, facce scure, soprattutto, nei riguardi di Jake. Willie fu il primo ad attaccarlo.

- E così, Jake, sei fuori. Sei libero. Sei riabilitato. E adesso che progetti hai? Che hai intenzione di fare? Hai da pagare gli arretrati, brutto figlio di puttana - accuse poco sentite, potevo scorgere la tranquillità dietro gli occhiali scuri di Jake, che, di tutta risposta, si accese una sigaretta.

- Sentite, mettiamo subito in chiaro una cosa - con mio enorme stupore, fu Elwood a prendere la parola e le difese del fratello, capitava raramente - la ragione per cui è andato al fresco, tanto per cominciare, è stata la rapina alla stazione di servizio, per coprire voialtri -

- Stai scherzando? - fece Duck.

- Ha fatto quel colpo per pagare il conto della cena dopo la festa a Coal City, che vi eravate dimenticati di saldare -. Tutto vero, soltanto che non c'entrava solo la festa, io ed El sapevamo che c'era di mezzo qualcos'altro, peccato che, il fratellone, di questo qualcosa in più, non ne voleva parlare.

- E' vero? - chiese il colonnello.

- E' vero si - confermò Jake - perciò di arretrati non voglio più sentir parlare, chiaro? -

- Noi vogliamo rimettere insieme la vecchia Banda! - introdusse Elwood.

- Ci sarai anche tu, Ziggie? - chiese Tom, con un sorriso.

- Si, questa volta, ci sarò anche io, è definitivo - confermai decisa, strappando un sorriso a tutti. Ero la mascotte, data la mia età; ero la più piccola di tutti lì dentro e, forse, quel mio tono deciso, poteva convincerli ancora di più, dopotutto sapevano la mia storia: ero la prima che aveva mollato la Banda, ma la prima ad averla riabbracciata; potevo essere un esempio.

- Voi eravate la spina dorsale. Il sistema nervoso di una grande Rhytm'n'Blues Band. E adesso la potete far rivivere, respirare e vibrare di nuovo - intervenne Jake. Occorreva, dopotutto, la parola del leader - Murph e i Magic Tunes! Ma guardatevi! Sembrate tante scimmiette ammaestrate. Ero più elegante io con il pigiama a strisce -.

In molti erano già d'accordo, come Tom, Duck, Steve e Murph; l'unico ad essere ancora sulle sue era Willie. C'era un problema però, mancavano a raccolta tre componenti della vecchia combriccola; non c'era più Faboulous e nemmeno Matt Guitar Murphy e Blue Lou.

- Ma che fine hanno fatto gli altri? - chiesi io, stupita di non trovarli più tutti insieme; l'ultima volta che li avevamo visti, io e Elwood, li avevamo trovati tutti, faceva strano che tre di loro se ne fossero andati.
- Faboulous è capo maitre  d'hotel da Chez Paul. Si becca sei dollari a settimana - ci spiegò Tom.

- Matt Murphy nel frattempo si è sposato - aggiunse Steve.

- Ha aperto, un ristorante tavola calda, con la moglie, a Maxwell Street e, Blue Lou è andato con lui - concluse Tom, mentre Willie se la rideva, scettico, scuotendo il capo per poi, rigirare il dito nella piaga - No, non convincerete mai Matt e Faboulous a mollare delle paghe sicure e tornare con noi -.

- Ah no?  - lo sfidò Jake, accendendosi l'ennesima sigaretta - Noi e il buon Dio abbiamo fatto un patto -.

Sia io che Elwood annuimmo - Siamo in missione per conto di Dio -.
 

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Capitolo 16
*** Mister Faboulous ***


Sono davvero felice che la storia stia procedendo con questo ritmo veloce :) anche perchè mi diverto un sacco a scriverla.
Grazie per chi mi legge e per chi mi recensisce :) Ovviamente come al solito qui ci sono sia parti inventata, che parti prese dal film, come molti dialoghi.
Al prossimo capitolo, buona lettura :)
                               

 

                                        16. Mister Faboulous
 


- Zig! Dove lo tieni lo sciroppo d'acero? In frigorifero non c'è -.

Quella fu una delle tante e astruse domande, che Jake mi rifilò quella sera. Si, perchè dopo aver parlato con i ragazzi, l'unico posto, dove potevamo andare, era casa mia e, quindi, il fratellone, era mio ospite.

- Non è possibile: hai sempre fame! - esclamai, con un mezzo sospiro. Diamine, si era rimpinzato per bene all'Holiday Inn!

- Mangio per tenere la mente occupata e pronta a sviluppare idee sul reclutamento dei componenti mancanti - sentenziò, gonfiando il petto.

- Sei anche più colto quando sei affamato - convenne, Elwood, ridacchiando.

Scossi il capo - Guarda, comunque, nell'armadietto al fianco del frigorifero, di solito è lì, ma non sbafarti tutto! - lo ammonii.

Quella fu la mia ultima raccomandazione, prima di avviarmi a dormire, o meglio, avviarmi a preparare la stanza per dormire. Il mio appartamento non era, poi, così grande, ma in tre ci si stava: il divano letto lo lasciai a Jake, mentre riapprontai svelta, con alcuni vecchi materassi, nella piccola stanza vicino al bagno, un piccolo giaciglio per me ed El... Di quel passo, chissà quando avrei potuto assaggiare la mia parte di patto con il Signor B? Mah!

Stavo giusto pensandoci, mentre aggiungevo delle coperte al giaciglio, quando, Elwood, arrivò e mi cinse la vita, intraprendente, prendendo a baciarmi il punto del collo, che mi portava direttamente in estasi. Nemmeno a dirlo, finimmo aggrovigliati su quel letto appena accennato, a breve, pronti a donarci l'uno all'altra, tra risatine e mugugni vari, indifferenti della presenza di Jake, dopotutto lui non si era mai fatto problemi su questo campo, perchè dovevamo farcene noi?!?!? Ad ognuno la sua privacy: certo, come no!

Il fratellone riuscì a interromperci entrando a rotta di collo nella stanza, senza bussare, saltellando, mentre si teneva il cavallo dei pantaloni stretto tra le mani - Diamine, Zig! Non è questo il bagno! Dov'è che mi scappa da matti? -.

Sbuffai, fortuna che ero ancora in slip e camicia - è la porta qui accanto, Jake - gliela indicai, sbattendo la porta una volta che fu uscito, per poi tornare ad El.

Non passarono nemmeno cinque minuti, se ne passarono tanti, furono due, che Jake tornò all'attacco, affacciandosi appena alla porta: - Ziiiiiiiig! Non è che hai carta e penna? -

- Che diav... Nel cassetto in cucina, Jake - gli risposi esasperata. Possibile che fosse così invidioso, geloso o qualsiasi status finisse in quel modo?!? Non era da lui tale comportamento! Elwood stava dando di matto e, nudo come il culo di un macaco, si alzò dal letto e si avviò alla porta.

- Si può sapere che diavolo ti prende, fratello? - chiese, appoggiandosi allo stipite della porta con le braccia conserte.

Jake fece la sua solita espressione da paraculo, bonaccione - vuoi sapere che cosa succede?!? Mi annoio, ecco cosa succede! E i vostri mugolii di piacere non aiutano -.

- Ieri sera mi usurpi il letto e mi fai dormire su una sedia e stasera mi dici che ti annoi solo perchè sto passando un pò di tempo con la mia donna?! - il fratellino alzò appena la voce, ma, lo sapevamo tutti, era difficile che si arrabbiasse seriamente con Jake.
- Se vuoi metterla in questa maniera - fece il labbro tremulo ed El sospirò.

- Nella scatola, vicino all'armadio in salotto, ci deve essere qualche giornaletto che a te gusta tanto, divertiti con quelli ed ora fila via, devo lavorare - non gli diede nemmeno il tempo di rispondere che gli chiuse la porta in faccia, chiudendola a chiave, dall'interno.

- Perchè, diavolo, proprio stasera deve impuntarsi e rovinare tutto? - brontolai - solitamente è il primo a crollare, no? Perchè oggi no?! -

- Zig, piccola, calmati, ora pensiamo a noi, ok? -

Riuscimmo ad amarci, Jake ci concesse quella tregua e, nonostante tutti quegli intoppi, fu una nottata perfetta, tanto che mi addormentai, tra le braccia di Elwood, con il sorriso sulle labbra.

Tonfi sordi, giunsero alle nostre orecchie di prima mattina. Jake aveva scambiato, la porta della nostra camera, per una serie di percussioni e continuò a bussare, mantenendo quel ritmo, finchè El non andò ad aprire la porta - Elwoooooooooooooooood! Ziggiiiiiiiiiiiiiiiiiiiie! Ragazzi, ho fame, aprite!!!!! Mi avete già lasciato solo abbastanza! -

- Jake, sono appena le 8! - protestò El, passandosi una mano sugli occhi, tornando a letto, una volta aperta la porta.

- Dobbiamo rimettere insieme la Banda! E, a proposito di musica, ottimi assoli, quelli di questa notte, Zig! - fece il malizioso, appoggiandosi allo stipite della porta.

Ok, va bene, ero ancora nello stato dormiveglia, ma divenni paonazza a quell'uscita, imbarazzatissima. Presi un cuscino, quindi, e glielo tirai addosso - Ma vaffanculo, Jake! -

- Come siamo permalose! -

- Permalose?!?!? Sei tu che ti annoiavi e stressavi l'anima!!! Dov'è finita la tua essenza da ghiro, eh, Mister?!?! - non ero irritata, stavo giusto svicolando da quella frecciatina maliziosa che mi aveva lanciato Jake, forse, un complimento, visto dalla sua ottica, peccato non dalla mia. Arrangiai un vestito con il lenzuolo, presi i miei abiti e andai in bagno a cambiarmi, mentre Jake prese posto accanto ad El.

- Un pò te lo sei meritato, fratello - disse El, stiracchiandosi, ormai ci aveva rinunciato all'idea di poter dormire un altro pò - ma si può sapere che diavolo ti prende? -

- Niente, mi annoiavo, te l'ho detto - fece spallucce, Jake.

- Si, certo e la frecciatina nei confronti di Zig? Non va bene, sai? - lo minacciò scherzoso.

- E piantala! Erano giusto complimenti, tutto lì, non metterti in testa strane idee -.

- Tranquillo - scosse il capo divertito - ma è troppo tempo che tu mi nascondi qualcosa, bello - fece,poi, serio El. Io, intanto, avevo finito di prepararmi, aprii la porta del bagno, ma nel sentire i due parlare di cose serie, aspettai ad uscire e, si, lo ammetto, origliai.

- Nasconderti qualcosa?!?! Io?!?! Ma se sono un libro aperto! -

- Certo e io ti ho parato il culo, all'Holiday Inn, solo per rimettere insieme la vecchia banda... Perchè hai fatto quella rapina Jake? Per quale altro motivo? -.

- Avevo voglia di cambiare aria, contento? - fece stizzito, alzandosi - Così, come tu, hai potuto costruirti qualcosa di nuovo -.

- Non ho costruito nulla di nuovo, io - alzò un pò la voce - la cosa si è solo sviluppata nel migliore dei modi -.

Jake, annuì uscendo dalla stanza, mentre io lo osservavo dalla porta socchiusa del bagno... Davvero potevo essere io il problema?! Ci pensai su per un attimo, prima di uscire. No, c'era qualcosa che non tornava. Jake aveva sempre fatto il tifo per me ed Elwood; aveva sempre saputo che io ero cotta di lui, si era persino prodigato per farlo ingelosire... C'era qualcos'altro e, per quanto ero riuscita a sentire, doveva trattarsi di una donna. Ma certo! Ecco spiegata anche la rottura con Kensy! Tornai in camera e vi trovai un Elwood pensieroso, che si stava rivestendo,gli diedi un dolce bacio sulle labbra e gli sorrisi: - ha solo fatto i conti con qualcosa più grande di lui, sta solo assimilando il tutto -.

- Già, ma cosa? E' quello il punto che mi lascia perplesso -.

- Jake ha sempre fatto il tifo per te e me, magari ha trovato quel giusto qualcuno da amare, oppure ha trovato qualcuno che l'ha incastrato in quel mondo, non troppo consono a lui. Sai come è fatto il fratellone, deve assimilare il tutto, ha solo bisogno di tempo e, per il momento, è giusto pensare alla Banda e all'orfanotrofio. Ti ha sempre detto tutto, se non lo fa è perchè sta cercando ancora le parole giuste - lo rassicurai con un sorriso e una leggera carezza sul volto - un vero peccato che, non mi vada tanto a genio, la sua sorta di complimento di prima - ridacchiai avviandomi in cucina - JAKE!!!!!! Oggi gara di cookies! - lo avvisai.

- Perfetto! Stavo iniziando a chiedermi quando avremmo mangiato! -.

Si, la giornata era iniziata.
 
                                                               ***

- La maggior affluenza, da Chez Paul, è all'ora di cena - dissi, mentre Jake era deciso ad illustrarci quanto aveva architettato.

- Perfetto - si sfregò le mani - allora, sentite qua: io e te, Elwood arriveremo per primi e ci presenteremo a Faboulous volendo cenare per festeggiare il mio rilascio per buona condotta. So che ci serve la prenotazione, ma noi ne faremo a meno. Tu, Ziggie, arrivi con noi ed entri, ma non ti presenti al caro mister, anzi, ti nasconderai appena prima della Hall, in un angolo da cui puoi  ben vedere i suoi movimenti: la stanza che ospita alcuni telefoni - prese un sorso di birra e riprese - da qui chiamerai il locale, ti presenti a Fab e gestisci la cosa, come tu sai fare, poi chiedi di noi, chiedi se c'è un posto anche per te, ma non gli dai il tempo di rispondere, ti presenti qualche istante dopo, direttamente in sala -

- Una cenetta gratis, dunque - ci pensai su, annuendo, per poi sorridere - per me è andata -.

- E' un ottimo piano, bello - convenne, poi, Elwood - ottimo per giocare tutte le carte di abili canaglie. Faboulous è già dei nostri, ne sono certo -.

La sera arrivò in uno schiocco di dita e, esattamente all'ora di cena, la Bluesmobile sterzò davanti all'ingresso di Chez Paul: il classico parcheggio perfetto di Elwood. Fu divertente notare l'espressione da "E Ora Questo Che Cazzo Vuole?", che Jake riservò al damerino, usciere, portiere, insomma colui che era tenuto ad aprire le portiere delle auto elegantemente per aiutare a scendere.

Entrammo nel locale e loro andarono diretti da Faboulous, che stava in piedi dietro una sorta di leggio a prendere prenotazioni; io attesi dietro l'angolo, osservando divertita la scenetta che stava mettendo su Jake: il volto di Fab, alla sua vista, fu impagabile.

- Mio caro Faboulous, che piacere rivederti! E' incredibile: non sei invecchiato affatto - un attore nato, il fratellone.

- Ma voi non potete entrare qui -

- Oh, oh, questo lo dici tu - lo ammonì, come se decidesse lui per tutti, ed, in effetti, era così, in quel momento - mio fratello e io siamo venuti a cena per festeggiare il mio rilascio anticipato dal servizio dello Stato -.

- Aspettate, usciamo un momento. Prendiamo un caffè fuori, eh! - esclamò agitato Fab.

- Caffè? Ma quale caffè! Vogliamo fare un pasto completo, con tutti i manicaretti della casa - sentenziò deciso, mentre io mi preparavo a scattare nella stanzetta che mi aveva detto - Elwood! Appropinquiamoci al tavolo più vicino e godiamoci questa sofisticata, ma ospitale, tavola calda - i due si presero a braccetto ed entrarono, facendo i sofisticati, un'immagine da foto! Attesi che anche Faboulous li raggiunse ed entrai nella stanza telefonia. Ed io che mi aspettavo una sola postazione telefonica, stile cabina: lì dentro, c'erano circa cinque telefoni!! Feci spallucce, essendo uno dei posti più in voga di Chicago, supposi che ci poteva stare.

Iniziava l'operazione: metti in crisi Faboulous, per riaverlo nella Banda.

- Pronto qui, Chez Paul -

- Faboulous che piacere sentirti, non sapevo che lavorassi qui - iniziai a parlarci, seguendo l'onda di Jake.

- Zi..Ziggie?! - fece lui dall'altro capo: era teso quanto una corda di chitarra troppo tirata.

- Esatto, chi ti aspettavi? Il sindaco Daley dall'oltretomba? - ridacchiai.

- Tu non dovresti chiamare, qui -

- E perchè mai!? I miei fratellini mi hanno invitato a festeggiare con loro, volevo solo sapere se erano già arrivati - lui fece per rispondere, ma non gli diedi tempo - vista la tua conferma, ci vediamo tra poco -.

- Ma.. ma.. - riagganciai e, una volta che fu andato a controllare la situazione in sala da pranzo, uscii dalla stanza telefonia e ragginsi la hall, sistemandomi la giacca, ma non lo aspettai, anzi, entrai direttamente e raggiunsi il tavolo.

- Buonasera ragazzi, scusate il ritardo - schioccai un bel bacio sulle labbra ad El e sorrisi furba a Jake, prima di sedermi, spaparanzata al tavolo - Faboulous, è stato un piacere sentirti, come è un piacere vederti... Diamine! Non sei invecchiato affatto! -

- Visto? Che ti dicevo? - sorrise Jake, mentre Fab ci guardava sospetto, ma sempre teso.

- Ehy, andiamo, ragazzi! Non scherziamo. Qui la roba costa cara, per un brodino si beccano 10 dollari! Su, forza, usciamo, vi offro io un paio di cappuccini -

- Cappuccini?!!?! Da quando si festeggia con dei cappuccini? - esclamai ad alta voce, attirando l'attenzione di tutta la sala.

- Noi vogliamo rimettere insieme la vecchia Banda - dettò, diretto, Jake.

- Ma sei pazzo? Lascia perdere - rispose Faboulous.

- Siamo in missione per conto di Dio - ribadì El, mentre io iniziavo a mettere sotto i denti un pò di gamberetti.

- Aspettate, che significa? - chiese, ma un uomo, seduto al tavolo dietro di noi, lo chiamò e le spiegazioni vennero rimandate. Povero Faboulous, non sapeva cosa lo aspettava.

I camerieri continuarono a portare quanto Jake aveva ordinato e noi, tranquilli e beati, ci sbafammo il tutto, alla nostra maniera. Chissenefregava di tutta quella marmaglia di gente dabbene, che ci guardava e storceva il naso; chissenefregava del galateo; chissenefregava del sistema. Eravamo lì per un motivo: riprenderci Faboulous e non ce ne saremmo andati a mani vuote. Rimettere insieme la Banda era la cosa che contava di più, non solo per il ritmo e la musica mancante, ma anche per l'orfanotrofio, per i bambini, per la nostra casa.

Jake si stava giocando il tutto e per tutto, inscenò una sorta di ricco straniero e si voltò, iniziando a dar fastidio al tavolo dietro di noi, quello del ricco snob al quale davamo sui nervi, dato che aveva chiesto a Faboulous di farsi spostare.

- Quanto vuoi tu per bambina bionda? - gli chiese, diretto, dandogli una pacca fraterna sulla spalla - le donna, quanto vuoi tu per tutte le donna? Io compra tue donna, bambina, signorine belle, io voglio comprare tue donna - disse diretto, mentre si cibava dai piatti dei due coniugi. Ridacchiai tra me e me, ma tirai anche un coppinazzo ad Elwood, che stava dando un'occhiata alle care signorine belle in questione, ammiccando.

- Ahy! Ma che ho fatto? -

- Continua a mangiare, coda di paglia, è meglio - lo ammonii.

Faboulous fu subito chiamato a gran voce dal tizio snob, che, a momenti si alzava dal tavolo, per quanto era inorridito.

- Per favore, per favore! Il padrone farà chiamare la polizia - cercò di calmare le acque.

- Tu non mi faresti mai una cosa del genere - fece il risentito, Jake.

- E' uscito ieri dal penitenziario, è in libertà vigilata, non puoi chiamargli i piedipiatti, amico - esclamò saccente El, a bocca piena, una volta ripreso dal coppino, che gli avevo tirato.

- Allora, rimettiamo insieme la Banda, ok? - riprovò a dire Jake, sperando in una risposta positiva, il che io credevo che arrivasse.

- Ho detto di no, assolutamente no!- continuò, restio, Faboulous.

Notai l'espressione di Jake farsi dura, dietro gli occhiali da sole e si girò, nuovamente di scatto, battendo forte una mano sulla schiena dell'uomo snob - Allora, quanto vuoi tu per tua moglia? - chiese, ad alta voce, ridendo, mentre questo prese a tossire - Noi rimettiamo insieme la vecchia Banda e abbiamo bisogno di te -

- Ci serve la tua tromba, Fab - provai a dire io.

- Non posso, non posso - continuò, lui, a negare.

Jake sospirò, questa volta avrebbe colpito a segno - Se dici di no, noi verremo qui a pranzo, cena e colazione tutti i giorni della settimana - esclamò diretto, senza peli sulla lingua. Faboulous era ancora restio, ma, non appena vide Elwood prendere la quintalata di pane bianco e divorarla senza ritegno, accettò.

- Ok, avete vinto, tornerò con la Banda -.

Ci voleva tanto?! Sorrisi e gli diedi una pacca amichevole sulla spalla - Ci vediamo domani pomeriggio - detto questo, ci alzammo, come se nulla fosse e ci avviammo fuori. Il tutto era compiuto, mancavano solo Blue Lou e Matt Guitar Murphy, ma la mattina seguente già bussava alle porte, li avremmo avuti presto.

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Capitolo 17
*** Think and shake your tail feather ***


 Ehylà lettori, come andiamo?! Perdonate l'attesa, mancavo di giusta ispirazione...
Allora considero questo capitolo parecchio Blues, perchè non è ricco solo dei dialoghi del film e di aneddoti inventati da me, ma ci sono citazioni di uno dei miei libri preferiti di Kerouac "Mexico city Blues", che non potevo non inserire nella storia.
Che dire ancora, buona lettura e recensite se vi garba :)                                  
Alla prossima ^=^

                                     17. Think and Shake yout tail feather

Quella mattina, appena sveglia, trovai Elwood intento a leggere un libro. Stropicciai gli occhi e sorrisi nello scoprire di cosa si trattava: Mexico City Blues di Kerouac, uno dei miei libri preferiti, nonostante fosse una narrazione lirica, poetica, pari ad una canzone senza fine.

- Ti trovo preso dalla lettura - osservai, mentre mi preparavo per la giornata che ci aspettava.
- Molte liriche parlano di noi, come si fa a non esserlo? -

Avevo comprato quel libro, quando avevo deciso di lascire alle spalle la Banda; un errore, perchè non avrei potuto scegliere momento peggiore di quello per leggerlo, ma, più il mio sguardo correva su quelle parole, più mi ci raccapezzavo. El aveva ragione, molte strofe parlavano di noi.

- Ah si?! - feci la gnorry - e quali? -

- Questa in particolare: Quando sento quella serenata in blu - Dimmi amore che sono le stesse cose che abbiamo sempre saputo bene noi soli e sì, è quella serenata. O serenata, nel blu, nel blu. Oopli da da. Aow dee a dee e-da-da. Non hai mai avuto fortuna, il destino t'ha dato brutte carte. L'amore non è mai tornato. Interruzioni fragorose. Così sono ancora felice con te e canto tutti i miei blues assieme a te, a te -.

Aveva scelto una delle mie preferite, anche perchè, quelle righe, descrivevano molto la mia vecchia vita. "L'amore non è mai tornato" lo credevo, finchè non ricevetti, la telefonata di El che mi invitava al concerto, quella sera di ormai tre anni prima. Gli sorrisi e lo baciai dolcemente - Grazie - una semplice parola, che racchiudeva molto.

Jake arrivò puntuale alla porta della nostra camera ed iniziò a bussare, ma, non trovandola chiusa a chiave, la aprì, come se nulla fosse, ed entrò - Oh! Qui facciamo le persone colte e non si avvisa? - fece il finto preso male - muoviamoci che abbiamo da recuperare Matt e Lou. Vorrei un ingaggio entro sera -.

Nemmeno mangiammo prima d'uscire, dopotutto Tom ci aveva accennato che Matt gestiva una tavola calda con la moglie, ora: ci saremmo messi a tavolino. L'accordo con gli altri era incontrarsi in serata con la Banda al completo e ce l'avremmo fatta, oooh si!

Il nostro appuntamento era a Maxwell Street, dalla parte opposta rispetto a dove abitavo io, ma, facilmente raggiungibile, se prendevi strade poco trafficate, un vero peccato che, proprio quel giorno, trovammo un ingorgo stradale degno della Route 66, nei giorni "Parto per le vacanze e vado a L.A."

Dalla mia postazione posteriore, mi accomodai sul finestrino, cercando di capire cosa stesse succedendo - Vedi qualcosa, Ziggie? - mi chiese Jake, ma scossi il capo, non eravamo in una grande postazione per poter vedere bene - solo un macello di gente che sbraita contro dei tizi in strane uniformi, ma non vedo altro, alberi troppo fitti - dissi prima di rientrare nell'abitacolo della Bluesmobile.


-Siamo stati tutti inviati in missione a conquistare il deserto perchè il viaggiatore velato lasciasse dietro di noi nella polvere tracce che non esistono, lui, o noi, finiremo tutti all'inferno, finiremo tutti in paradiso. Di sicuro - A meno che la mia ipotesi non sia sbagliata, ci siamo dentro tutti. E la vita è il nostro tempo. La punizione: la morte. Il premio allora va al vincitore. Il vincitore è il non io -. Rimasi allibita da quella recitazione a memoria da parte di Jake, così quanto Elwood che lo guardò con occhi sgranati, tirando appena su gli occhiali da sole, per osservarlo meglio.

- Jake, non pensavo che avessi letto Kerouac - esclamai io, battendogli una mano sulla spalla.

- E' blues, Zig. E' storia vera e, letta dietro le sbarre, ha un sapore più intenso - di lì a poco passò uno sbirro, dal passo lento come quello delle macchine in coda e Jake colse l'occasione di chiedergli cosa stava accadendo - Ehy, che sta succedendo? -

- Quei figli di puttana hanno vinto il processo e ora fanno una dimostrazione - rispose questo.

- Quali figli di puttana? -

- Quegli stronzi del partito nazista -.

Ci mancava solo quella mandria di pecoroni che ancora credeva in Hitler e nel suo operato: patetici.

- I nazisti dell'Illinois - Elwood si spaparanzò sul sedile più del dovuto, annoiato e fece una pernacchia.

- E noi dobbiamo perdere tempo per quella manica di sfigati?! - feci retorica io, sapevo già quello che El aveva in mente e la cosa mi piaceva, ma stavamo aspettando il via esatto, che arrivo di lì a poco con l'uscita di Jake: - io li odio i nazisti dell'Illinois -.

Elwood tirò di gas e partì a tavoletta, superando le auto che erano, davanti a noi, ferme in coda, continuando ad accelerare. I manifestanti, al suono del clacson, si scansarono, mentre la squadriglia nazista rimase sul posto finchè Elwood, non spinse di più sull'acceleratore, intenzionato a passare e fu lì che si gettarono dal ponte nel laghetto sottostante, lasciandoci, così, libero il passaggio.

- Trovatevi un lavoro, sfigati - urlai, ridacchiando, sporgendomi dal finestrino.

Il viaggetto verso Maxwell Street riprese senza altri intoppi e, arrivammo nel quartiere nero, proprio quando mister John Lee Hooker si stava esibendo con la sua "Boom Boom". Quel sound grandioso, ricco e pieno di voglia di ballare, di cantare, calzava a pennello per quella zona. Le insegne tutte colorate facevano a gare con le musicassette delle bancarelle, su chi brillava di più. Era un mercato a cielo aperto che, di tanto in tanto, si univa ai negozi. "Soul Food Cafè" ecco la nostra meta e vi entrammo solo dopo esserci deliziati le orecchie con quel bel ritmo.

Era un locale semplice, un pò più piccolo del bar in cui lavoravo, ma gremito di gente che consumava ai tavoli, nonostante l'ora di colazione fosse passata da un pezzo e all'ora di pranzo mancava parecchio: il vecchio Matt murphy si era accasato bene!

- Desiderate ragazzi? - chiese una signora di colore, da dietro al bancone, osservandoci tutti e tre con fare alquanto circospetto: eh si, l'abito nero, fa questo effetto a molti!

- Avete del pane bianco? - fece El.

- Si -.

- Io prendo del pane bianco tostato, liscio -.

- Ci vuoi burro e marmellata sul toast, tesoro? - domandò la donna, un pò stranita dalla richiesta del ragazzo, dopotutto prendere del pane bianco liscio non era da tutti, ma Elwood Blues non era tutti.

- No, signora, liscio -.

- Avete del pollo fritto? - prese parola Jake.

- Il pollo fritto più buono dell'Illinois -

- Mi porti quattro polli fritti e una coca - secco, diretto, pareva uno sbirro della cia per tutta quella serietà. Cercai di non ridere.

- Petti di pollo o cosce di pollo? - povera signora, quelle dovevano essere le ordinazioni più strambe che avesse mai ricevuto!

- Quattro polli fritti e una coca - ribadì il fratellone.

- E del pane bianco tostato liscio - ripetè El.

- Ci vuole qualcosa da bere con il pane? -

- No, signora -

- Una coca -

- Faccia due - esclamai io, ordinando la mia parte. Non avevo fame, ma una coca me la sarei gustata molto volentieri.

- Arrivano subito -.

Seguimmo con lo sguardo la signora recarsi in cucina, non c'erano dubbi, quella doveva essere Miss Murphy, però, aveva buon gusto il vecchio Matt!

- Jake, devo ammetterlo, mi hai fatto paura per quanto eri serio - esclamai ridacchiando, battendogli una mano sulla spalla - parevi uno sbirro della Cia -.

- Mia cara Zig, la Cia mi fa un baffo! Diciamo pure che gli mancano uomini del mio calibro - gonfiò il petto, vantandosi.

- Ma se sei l'anticristo dei poliziotti! - convenne Elwood, ridacchiando a sua volta.

- Per l'appunto miro a sconvolgere anche i servizi segreti! - scoppiammo a ridere tutti e tre, ma, tornammo tutti seri, quando dalla cucina arrivò un allegro e contento di vederci Matt Guitar Murphy.

- Ciao Jake - gli strinse la mano e il fratellone, a momenti, gli si avvinghiò addosso.

- Maaaaaaaaaaatt - esclamò infatti.

- Elwood, Ziggie! - ci salutò tra strette di mano e abbracci. Elwood rispose con un sorriso e un semplice ciao, io con un - è bello rivederti -.

- Anche per me - rispose con un sorriso - allora, come si stava in galera? -

- Ah! Un cesso. Facevano un'anatra all'arancia schifosa - esclamò Jake, sospirando. Se non si trattava di Blues o di donne, sempre a parlare di cibo si finiva, ma con Matt era d'obbligo, aveva servito come cuoco in diversi penitenziari, era davvero bravo a cucinare e, molti detenuti, gli dovevano molto, dato che evitava di fargli mangiare la sbobba.

- Non poteva esser peggio della Chateubriand che fanno al carcere di Terrahut - esordì poi Matt.

- O della bechamel del penitenziario della contea di cook - intervenne El, mentre sia io, sia la signora Murphy osservavamo i tre parlare di quell'argomento come se stessero parlando di semplici raccolte di figurine.

- Le cucine federali sono in ribasso -.

- Si, ok, va bene - intervenni io, avrebbero parlato di penitenziari a vita, altrimenti - Matt, siamo qui per un altro motivo, un motivo preciso e.. -

- Si, Matt, vogliamo rimettere insieme la vecchia Banda - mi interruppe Jake, beccandosi uno sguardo torvo tra occhiale a occhiale - ci servi tu e Blue Lou - Per l'appunto, dove era Lou?!?!

- Oh, amico, non dire queste cose qui dentro, la mia vecchia mi fa secco - disse a bassa voce, facendosi piccolo, piccolo.

- Signora deve capire che questo è un affare più importante di qualunque problema familiare voi possiate avere - esordì Elwood.

Alzai gli occhiali sulla testa e lo guardai quasi perplessa - Esagerato! Signora, noi vogliamo soltanto il bene per suo marito, siamo amici di vecchio stampo e ci serve la sua chitarra per fare due serate, due soltanto, per delle esibizioni di beneficienza - feci la faccia più contrita e convincente possibile, avevo capito con chi avevo a che fare, dopotutto quello dove ci trovavamo era un quartiere molto religioso, esibizioni di beneficienza avrebbero colpito al cuore, no? Lo speravo.

- Si, signora, quanto stiamo chiedendo a suo marito è una cosa alquanto sacra -intervenne Jake e, con quella frase, prevedevo guai: dannazione, l'avevo quasi convinta!

- Siamo in missione per conto di Dio - disse fiero Elwood, ma quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. La signora Murphy sbraitò considerando l'affermazione pari ad una bestemmia e dettò legge sul marito, potevamo dirci sconfitti se Matt non interveniva a dire che le decisioni per la sua vita, nonostante il matrimonio, le prendeva ancora lui. Iniziarono a discutere e più si alzavano i toni, più la signora Murphy gliele cantava al marito e, dovevo ammettere, che aveva un buon ritmo. Accompagnato, poi, dal sax di Lou, che era uscito dal suo nascondiglio, bhè, rendeva la discussione, la migliore a cui avessi mai preso parte.

- You better Think. Think about what you're trying to do to me. Yeah, think, let your mind go let yourself be free. Let's go back, let's go back, let's go way on back when. I didn't even know you, you came to me and too much you wouldn't take. I ain't no psychiatrist, I ain't no doctor with a degree. It don't take too much high IQ's to see what you're doing to me. You better think. Think about what you're trying to do to me. Yeah, think! Let your mind go let yourself be free. [...] -

Penso che Matt fece tesoro proprio di poche parole, la moglie sperava rimanesse con quella ramanzina cantata e noi stavamo perdendo le speranze di ripartire da lì con il chitarrista e il sassofonista, ma fummo stupiti tutti. A Matt Guitar Murphy mancava strimpellare la chitarra, mancava la musica, così come era mancata a me nel mio periodo nero, così si tolse il grembiule, lo sbattè a terra, prese la chitarra e guardò dritto fisso la moglie negli occhi, dicendo, poi, una sola parola - Andiamo -.

Elwood non se lo fece ripetere due volte, si alzò dallo sgabello, sul quale era seduto, come se scottasse e si avviò svelto fuori, seguito a ruota da me e Jake e da Matt. Solo una volta in auto, quando il motore già rombava, Blue Lou ci raggiunse e solo quando chiuse la portiera potevamo dire di essere al completo. La prima parte del lavoro era stata fatta.

- Una bella trovata quella delle esibizioni per beneficienza, Zig - convenne Matt ridacchiando - potevi convincere mia moglie, senza che ci fosse bisogno di aggiungere altro - i due fratellini accusarono il colpo, mentre io esibii un sorriso tirato, da una parte le nostre esibizioni avevano quello scopo, ma non potevamo rivelare nulla del genere ai ragazzi, non ora.

- Oh! E' stata una sciocchezza, Matt - esclamai cercando un sorriso più convincente per mascherare la mia BugiaVeritàVeritàBugia, ma non mi avrebbero mai scoperto, tra me e i fratellini, era molto difficile capire quando bluffavamo.

Elwood schiacciò l'acceleratore a tavoletta fino al negozio di Ray, a Calumet City, dove avevamo appuntamento con gli altri. Erano circa le quattro di pomeriggio e non vedevo l'ora di rivedere Ray: era parecchio che non mettevo piede nel suo negozio.

Entrammo e tutti misero mano agli strumenti che c'erano in giro per provarli. Il bello di quel posto era quello: provare prima di comprare. C'era sempre un sound diverso a seconda delle Band che andavano lì e Ray era ben contento, ogni volta, di accompagnare con la tastiera o il piano, tutti i musicisti che andavano a fargli visita. A noi toccò un twist e la dimostrazione a Jake e a Murph che, la tastiera addocchiata, aveva ancora ritmo, nonostante cadesse a pezzi. Colori che ballavano, strumenti che erano in armonia tra loro, i Blues per le prime volte seconde voci di un mito del soul: era tornata la Banda in una Chicago che danzava. Una Chicago che era ritmo. Una Chicago che è, era e sarà musica. Era tornata la Banda a far ballare e cantare la Second City. La nostra missione poteva dirsi iniziata.
 

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Capitolo 18
*** Cento dollari in monetine ***


Buonasera genteeeeeeeee!!!!!!
Eccomi qui con un capitolo di transizione, una sorta di intermezzo, come se fosse la fine del primo tempo del film (in effetti è un pò così), il tutto per farvi rimanere con il fiato sospeso in attesa del prossimo, e corposo, capitolo. Ovviamente, come sempre, gli scenari sono del film Blues Brothers così come alcuni dialoghi, ma tutto il resto è farina del mio sacco :)
Colgo l'occasione di ringraziare tutti i miei recensori :) un particolare grazie a Carmaux95, a Veronica e alla mia sist :)
Alla prossima :) 
Ile
             

                                          18. Cento dollari in monetine.

Affamati e in cerca di un ingaggio: ecco come eravamo. Ci ritrovammo ad un pub ristorante: la Banda era, finalmente, riunita, così come le vecchie pressioni.

- Voi altri entrate e mangiate un boccone. Io devo fare una telefonata - esclamò Jake, non appena scese dall'auto.

- Con questa telefonata ci procurerai il primo contratto? - chiese repentino Faboulous.

Jake lo guardo sospirando - Ti ho mai mentito?! -

Ridacchiai tra me e me, ripensando a quante volte Jake aveva preso in giro Faboulous, dopodichè lasciai che fossero i fratellini a sbrigare la faccenda della telefonata, io avevo piuttosto fame e, così, entrai nel locale insieme a tutti gli altri.

Ci sedemmo e ordinammo al volo cheeseburger e patatine per tutti; parlammo un pò del più e del meno, quando mi accorsi di aver lasciato le sigarette in macchina. Uscì ed un botto assordante attirò la mia attenzione, che diavolo era successo?!?!?!? Corsi dietro il locale, dove avevo sentito quel gran boato e trovai i fratellini a terra, avvolti dai vetri e dalle piccole lamiere della cabina telefonica, straordinariamente incolumi.

- Ragazzi! State bene?!?! - chiesi preoccupata, erano incolumi, ok, ma per ritrovarsi così dovevano aver preso una bella botta - che diavolo è successo?! -

- Sappiamo volare, Zig - commentò Jake, ciondolando la testa, come se nulla fosse.

- Si, certo, così come, anche, avete imparato a distruggere palazzi - commentai negativamente sarcastica, rifacendomi a quanto avvenuto, qualche giorno prima, al motel dove alloggiavano; era chiaro che i due, o molto più probabilmente Jake, erano finiti in un mare di guai e c'era qualcuno pronto a fargli la pelle.

Jake fece per ribattere, ma El attirò la sua attenzione - Jake! Ehy, qui ci saranno un centinaio di dollari in monetine - e, neanche a farselo ripetere, vi si avventò sopra.

Lasciai i due a raccimolare soldi, alquanto irritata. Mi serviva una sigaretta e mi serviva in fretta; io mi preoccupavo e Jake, ci rideva sopra, trascinandosi dietro Elwood. Recuperai quanto cercavo dalla Bluesmobile, la accesi e mi poggiai con la schiena alla portiera, fumando e imprecando appena. Di lì a poco uscì Blue Lou con il mio cheeseburger - Zig, guarda che ti si fredda - commentò gentilmente, affiancandomi all'auto.

- Chiedi a qualcuno se lo vuole, mi è passato l'appetito - si, la fame mi aveva salutato. Che diamine! Avevamo ricomposto ogni minimo tassello, eravamo in missione per il pezzo grosso e c'erano ancora segreti!!! Di certo non pretendevo che si svelassero tutti i nostri altarini alla Banda, se gli avessimo detto il perchè ci eravamo riuniti, ci avrebbero salutato all'istante, ma, almeno, tra noi tre, tra noi fratelli, si potevano evitare i SegretiRischioLaVitaENonSoIlMotivo. Insomma, avevamo la polizia che, dopo la bravata del centro commerciale, ci teneva sicuramente d'occhio, perchè anche altri guai?!?!? Di che natura, poi?!?!

- E' tutto a posto, Zig? - chiese il ragazzo.

- Si, Lou. Solo non mi va di parlarne, ok? - Lou annuì e tornò dentro. Di tutta la Banda, oltre ai fratellini, Blue Lou era quello con cui avevo legato di più, eravamo i più piccoli della combriccola, ed El ne era un pò geloso. Di fatti, tombola, la gelosia si presentò: che serata di merda!

- Davvero un bel rapporto quello che hai con Blue Lou - commentò stizzito, rubandomi l'ultimo tiro di sigaretta.

- El, piantala di farti seghe mentali! Per la milionesima volta, siamo solo amici! - ribattei un pò aspra di tono, ero ancora risentita per poco prima - Sarò libera di dialogare con chi voglio e di scegliermi le amicizie, no? -

- Ti stai scaldando troppo, bimba -

- Mi accendo si e lo faccio perchè mi additi come se avessi fatto chissà che cosa - gli feci notare sospirando - quando ho soltanto rifiutato un cheeseburger -.

Elwood si accigliò a quella mia affermazione, non ero il tipo da evitare di mangiare, specialmente se si trattava di Cheeseburger, così mi si avvicinò e mi strinse a sè, stando per un pò in silenzio, evidentemente stava cercando le parole adatte - Perdonami Zig...è che, vederti allontanare irritata, mi ha fatto ripensare a quella sera...- ammise in un mezzo borbottio, tentennando il capo mentre mi lanciava un'occhiata di sottecchi, colpevole e sospirò un attimo prima di riprendere - Non volevo farti la predica... nè essere il solito geloso di turno - mi lasciò un bacio sul capo, dolce - scusa piccola -

- Mi spieghi cosa sta succedendo? -

- Non abbiamo trovato l'ingaggio -.

Scossi il capo - E per un ingaggio mancato siete caduti dal cielo?! El, per favore! -

- Non lo so nemmeno io, bimba. Jake deve essere finito in un gioco più grande di lui. Di tanto in tanto accadono cose pericolose, che ci dovrebbero togliere la vita, ma, dalla quale, usciamo sempre indenni. Vedi il motel, vedi poco fa. Quello smandrappato di mio fratello, non parla e sai anche tu quanto è difficile strappargli le parole di bocca -.

- Dici che c'entra con il fattore per cui è andato al fresco? - chiesi, stringendomi tra le sue braccia, ora più calma.

- Si, solo che, lui stesso, è all'oscuro di tutto -

- Finiremo morti ammazzati, ne sono sicura -

- Nah, piccola, non demoralizzarti. Siamo in missione per conto di Dio -

- Si, ma non è Dio a donarci il primo ingaggio. Sai come diventano i ragazzi quando sono irrequieti - eh si, era un gran bel problema. El annuì, consapevole - Ci occorre Jake, una buona scusa e, davvero, che Dio ce la mandi buona -.

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Capitolo 19
*** Country vs Blues ***


Holà a todos!!!!!! Chissà quanti di voi saranno già in vacanza!? Io partirò a fine mese, ma non so se riuscirò a postare altri capitoli, causa prepara esami per ottobre e divertimento a palla per 10 giorni. Cooooooooooooomunque ringrazio vivamente tutti per le recensioni, ormai l'inserimento del film nella storia è quasi finito, ma non disperate perchè dopo ci saranno altri capitoli, i più tristi (che anche se non ho ancora scritto, so che saranno così). Questo è uno di quelli che mi piace di più, non solo perchè è una delle mie scene preferite del film, ma anche perchè in una sorta di festa country ci sono finita anche io qualche mese fa, sembrava di essere davvero ad un concerto dei Good Ole Boys! ahahhaha! E le quadriglie sono un qualcosa di tremendo, a parer mio, tutti a tempo senza sbagliare un solo passo o.o
Ok dai, basta xD vi lascio alla lettura :)) Alla prossima gente, buone vacanze!
Ile :)               


                                 19. Country vs Blues
 


Non avevamo un ingaggio, ma dovevamo trovarlo. Non avevamo una meta, ma eravamo in auto dalle dieci di mattina. Non avevamo un soldo, ma quello era risaputo.
 Jake era riuscito a telefonare a Maurie Sline, l'agente teatrale che, gli aveva trovato un sacco di ingaggi in passato, in cambio delle donne che Jake gli procurava. L'unica pecca di quella chiamata era che l'appuntamento c'era, ma era l'indomani mattina e i ragazzi erano tutti un pò irrequieti. Insomma, se rimetti insieme una banda, teoricamente gli ingaggi li ottieni solo con uno schiocco di dita! Noi no! Noi dovevamo solo trovare 5000 bigliettoni in undici giorni.

Il cielo era ormai buio e noi eravamo in auto da quella mattina. Ormai avevamo raggiunto le campagne fuori Chicago e pazienza e stanchezza scarseggiavano e prevalevano. Io combattevo con il sonno, Tom, in auto con noi, dormiva appoggiato ad uno degli amplificatori muppet che avevamo con noi, mentre Faboulous brontolava.

- Dove cavolo è questo posto?!? -

- Te l'ho detto, ci voleva un pò per arrivarci - prese tempo Jake, molto tranquillo.

- Come si chiama il locale? - fatidica domanda, che lo fece tentennare, ma, l'insegna di un locale poco lontano, gli parò il culo.

- Bob's Country Bunker. Ci siamo -.

- Bob's Country Bunker?! - ripetè Elwood mezzo allibito, mentre io mi affacciai per vedere meglio di che posto si trattava. L'insegna luminosa con il cappello da cow boy, che dondolava, non prometteva nulla di buono e poi, country e blues, non si sposavano bene! L'unica speranza era che, il pezzo grosso lassù, giocasse a nostro favore, sostenendo la nostra missione in suo nome.

- Jake! Il cartello dice "solo per stasera i Good Ole Boys" - gli fece notare Faboulous, piccato e critico, una volta sceso dall'auto. Come dargli torto? Il cartello che riportava l'evento era scritto come se fosse una proiezione di qualche film importante, non passava di certo inosservato.

- I Blues Brothers! Dovrebbe dire "solo per stasera i Blues Brothers. Trionfale ritorno!" Ci deve essere un errore - fece l'offeso e assunse l'aria di quello che deve andare a dire due parole al proprietario - Voi scaricate la roba. Elwood, Ziggie, venite con me -

Entrammo nel locale, un posto parecchio grande, ma vuoto in tutto e per tutto, la poca gente che c'era giocava ai vari flipper poggiati alle pareti o beveva birra ai tavoli. Il jukebox riproduceva una vecchia canzone old west "Your Cheatin' Heart" di Kitty Wells, che mortorio! Pareti spoglie, poche luci e, soprattutto, un piccolo palco dietro ad una rete da pollaio...Ma  che diavolo di posto era? La capanna dello zio Tom? Che tristezza! Ci avvicinammo al bancone e Jake puntò una signora sulla cinquantina e poco più, la quale iniziò a parlarci come se fosse un disco a ripetizione.

- Allora, cosa vi servo, ragazzi? Avete sete, fame, o siete solo di passaggio? Ah, bevete una birra, o qualcosa di più energico? Sapete che facciamo la miglior bistecca al pepe dell'Illinois? -

- No, grazie bellezza. Magari ci faremo fuori qualche birra più tardi, grazie. Restiamo qui tutta la notte. Vedi, noi siamo la Banda -.

- Sul serio? Oddio, siete arrivati! Ehy Bob! E' arrivata la Banda! -

- Ehm... Che genere di musica fate qui? - fece El, un pò impacciato.

- Oh, ne facciamo di tutt'e due i generi. Suoniamo il country e il western - ecco perfetto, eravamo sistemati, scossi il capo e alzai gli occhi al cielo. Proprio un posto del genere dovevamo trovare sulla via?

- Jake, sei sicuro che è questo il posto? - disse a bassa voce, El.

- Si, si, certo che è questo il posto -.

- Certo, Jakey - lo apostrofai - come il Blues si sposa bene con il country - sapeva che l'avevo ingabbiato, come sapevamo entrambi che il posto non era quello e mi lasciò un'espressione del tipo "ti prego non smontare tutto", prima che il proprietario arrivasse.

- Salve! Voi siete i Good Ole Boys? - diede una pacca sulla schiena ad Elwood, facendogli andare di traverso la birra che si stava scolando, oltre che metterlo ancora più sull'allibito andante, era incredibile come, a volte, capissi più io Jake, del fratellino.

- In carne e ossa! Il resto della Banda è fuori nel parcheggio a scaricare gli strumenti - esclamò Jake in un tono da vecchio fiasco di gin, tanto che dovrei trattenere le risate.

- Ah, sono contento di avervi qui da noi! Io sono Bob e questo qui è il mio localino -.

- Bhè, è un bellissimo localino, Booob! - scossi il capo, come prendeva in giro la gente, senza che questa se ne accorgesse, era divino.

Una volta che Bob ci ebbe indicato dove andare a sistemarci, presi da parte i fratellini, scuotendo il capo, più volte mi era capitato di assistere ad alcune quadriglie country e cose del genere, ed erano fattori che mettevano i brividi. Tutti che saltellavano e ballavano all'unisono, senza sbagliare un passo, battendo le mani se queste non erano fisse sulla cintura, come se dovessero colpire qualcuno, stile Tex Willer. - Questa volta occorre evitare di pensare in Blues e tirare fuori la vena y-ah, se vogliamo uscirne - commentai prima che il resto della Banda ci raggiungesse.

- Nah! Zig, che sarà mai? Un pò di Blues fa sempre bene! - convenne, affatto preoccupato, Jake. Pazzo!

- Non quando si è in territorio country, bello, e lo sai anche tu - continuai decisa, ma le mie parole erano più vuote del locale, che, pian piano, andava a riempirsi. Jake era intenzionato a fare quella serata e l'avremmo fatta senza troppe cerimonie e problemi: perfetto, iniziavano i guai.

Bob ci consegnò una lista con le canzoni richieste, i ragazzi arrivarono e non ci fu nemmeno il tempo di fare il tanto aspettato soundcheck, dato che il locale si riempì a vista d'occhio. Le tavolate, che occupavano la spazio davanti al bancone, furono occupate, in men che non si dica, da camionisti, amanti, country ladies e gentleman, mai visto così tanta affluenza, non me la aspettavo.

Non ci restava che iniziare, peccato che, della lista richiesta, non conoscevamo un solo pezzo e Jake la gettò alle spalle sostenendo che non era affatto importante quanto richiedeva il pubblico, noi avevamo i nostri pezzi, avremmo fatto quelli. Una scelta azzardata.

Elwood presentò la Banda come i "Good Ole Blues Brothers Boys Band from Chicago" e attaccammo con Gimme Some Lovin'. Nemmeno a dirlo i fischi che seguirono l'inizio sovrastarono la musica, la luce che illuminava il palco si spense così come l'acustica, svariate bottiglie vennero lanciate contro la rete da pollaio rompendosi - ecco a cosa serviva! - occorreva trovare qualcosa che piaceva a quella gente e in fretta, prima che dagli insulti si passasse a qualche maniera forte.

Osservai Jake, che rimase imbronciato a braccia conserte davanti al microfono. Avrei voluto dirgli un "te l'avevo detto", ma lasciai correre, non era il luogo ne il momento adatto, quello, così mi voltai verso i ragazzi e, con Elwood, cercammo di unire le menti e tirare fuori qualche motivetto in salsa western.

- Il tema di Rawhide ve lo ricordate? - chiese Murph avendo il colpo di genio.

- Si, certo, Rawhide lo sappiamo tutti - confermò Blue Lou, facendosi portavoce degli altri. Dopotutto chi non conosceva quel motivetto?! La serie tv ce l'aveva fatto entrare in mente per bene.

- Allora è andata? - chiesi io.

- Va benissimo - accennò Elwood - in che chiave? -
- Va bene il sol? -

- Bene! Rawhide in Sol! -

Ad accordo trovato, iniziammo. El attaccò a cantare con la sua voce da basso, io facevo la seconda voce, dato che Jake non aveva dato segno di unirsi all'iniziativa western, ma fu presto coinvolto durante il ritornello, quando Elwood gli diede una pacca amichevole sulla spalla, invitandolo a cantare a sua volta, fattore che il fratellone fece, anche se un pò controvoglia.

"Move 'em on. Head 'em up. Head 'em up. Move 'em on. Move 'em on. head 'em up. Rawhide! Cut 'em out. Ride 'em in. Ride 'em in. Cut 'em out. Yah! Rawhide!"

Non era una canzone che durava chissà poi così tanto, ma Jake ci mise del suo, facendo una simil scenetta, mentre cantava, afferrando una frusta lì accanto e iniziando ad imitare una sorta di domatore e facendo saltar via di bocca, ad una ragazza, la sigaretta che si stava fumando.

- Era il tema della serie tv Rawhide - esclamò, poi, Elwood, una volta che la canzoncina fu finita. Bottiglie e fischi colmi di gioia, stavolta, ci arrivarono... L'avevo detto io che quella gente era un sacco strana. Come potevano sprecare la birra lanciandocela addosso?! Ok, non mi lamentavo, la doccia con quella bevanda era ben accetta, le scheggie di vetro un pò meno.

Jake sembrava essersi ridestato dal suo broncio e attaccò al microfono presentando un loro grande successo "Stand By Your Man", mi accigliai, non la conoscevo quella canzone. Mi sedetti ad ascoltarla, mentre li osservavo fare i gesti più strani per rendere al meglio l'idea. Erano davvero belle parole, profonde, su una melodia semplice. Quella canzone aveva l'aria di essere stata scritta da Elwood per quanto diceva, per quanto mi toccava. Più tardi gliel'avrei sicuramente chiesto.


"Sometimes it's hard to be a woman
Giving all your love to just one man
And if you love him
O be proud of him
'Cause after all he's just a man

Stand by your man
Give him two arms to cling to
And something warm to come to
when nights are cold and lonely
Stand by your man
And tell the world you love him
Keep givin' all the love you can
Baby, stand by your man"


La serata giunse, di lì a poco, al termine e io, dopo quella canzone, la conclusi con il sorriso dipinto sulle labbra. Smontammo il tutto, i ragazzi recuperarono gli strumenti ed uscirono, mentre i fratellini rimasero nel locale per  recuperare fili e microfoni, dopotutto avevamo anche una paga di cui parlare.

Bob si presentò facendoci i complimenti , dicendoci che di musica buona come la nostra non ne aveva mai sentita, ma, quando Jake lo interpellò sul compenso, ci fornì una bella presa in culo. Avevamo raccimolato 200 dollari, ma bevuti 300 in birra! Ma che scherziamo?!?! Ok, la consideravamo il nettare degli dei, ma non eravamo dei cammelli! El provò a tirare l'acqua al nostro mulino.

- Ah! Ma quando siamo entrati, la sua signora al banco, non ci ha fatto pagare il primo giro e credevamo... Si, insomma, che la birra era una specie di omaggio per la banda, capisce? - come teoricamente era da tutte le parti, ma Bob fu irremovibile e scosse il capo.

- Allora vado fuori a fare una colletta tra i ragazzi? - propose Jake, sospirando.

- Ecco, si, te ne sarei davvero grato -.

Cow boy taccagno! Precedetti i fratellini, tanto da poter sentire la Banda su di giri, imprecare, mentre sistemavano gli ultimi strumenti nel portabagagli e, di certo, la notizia del pagare la birra e di un'altra serata senza compenso non gli andò affatto a genio, tanto che sfrecciarono senza nemmeno salutarci.

Dov'era Dio in quella missione?!?!?!? La nostra ultima speranza era l'incontro con Maurie Sline l'indomani mattina, dovevamo centrare tutto e non potevamo più sbagliare.

Proprio quando eravamo pronti a squagliarcela, io ero addirittura già in auto, arrivò un camper di cow boy: erano arrivati i Good Ole Boys, da quanto leggevo sulla fiancata del veicolo. Jake gli si avvicinò spavaldo, presentandosi come Jacob Stein del sindacato dei musicisti: non solo avevamo preso il loro posto, ora ci stavamo bellamente prendendo gioco di loro, era fantastico! Seguii tutto il discorso dal sedile posteriore dell'auto, dato che avevo il finestrino abbassato e ridacchiai di gusto. El arrivò di lì a poco, mentre Jake, avvistato Bob gli andò incontro con la solita espressione paraculo che, a volte, riservava anche alla Pinguina.

- Bob! E' stata una gioia suonare per voi! Mio fratello ti sta preparando un assegno sull'American Express a copertura delle consumazioni -

- Ah, grazie, siete molto gentili -.

- E' meglio che vada a controllare che combina. Sai, abbiamo le firme abbinate - esclamò, avvicinandosi sempre di più alla macchina - Di solito noi saliamo in macchina e li riempiamo sul cruscotto, gli assegni - gli spiegò tutta la procedura, come se nulla fosse - la penna - ultima scusa e salì al volo, dato che poi Elwood partì subito. Avevamo appena superato l'ennesimo e divertente guaio.

La bluesmobile sfrecciava sull'asfalto di una strada provinciale, diretta in città, quando un proiettile ruppe il vetro posteriore: quei maledetti cow boy ci stavano appresso!

- Cristalli antiproiettile, eh! - brontolò Jake, abbassandosi al volo, seguito dal fratello, che tenne stretto il volante e pigiò maggiormente sull'acceleratore.

- Nostra signora della Santa Accelerazione, ti prego, non ci abbandonare ora! - invocò El.

Un dolore lancinante mi colpì alla spalla, in una frazione di secondo dopo che il vetro si frantumò. Non avevo fatto in tempo ad abbassarmi. Mi voltai appena, la testa che prese a girare: perdevo sangue! La mia camicia non era più bianca! - Oh, Cristo! - imprecai tra il preoccupato, lo spaventato e l'irritato, attirando l'attenzione di Jake.

- Che c'è? - ma non servì una risposta, gli bastò vedermi la spalla per mettersi ad urlare diretto - Elwood... Schiacciaaaaaaaaaaaaaa! -

El si voltò a guardare accigliato il fratello - che succede? - fece, ma si girò di scatto verso di me - Bimba!! -un lieve tono preoccupato, sempre con tutto sotto controllo però; nonostante si fosse girato così di scatto, l'auto procedeva dritta e senza sbandamenti.

- El, corri... Io sopporto, non è niente - esclamai, cercando di medicarmi come meglio potevo; a quanto avevo notato era solo uno striscio, fatto bene, ma solo uno striscio.

- Si, fratello. Zig ha ragione, qui vicino c'è un ospedale, vola lì - esclamò Jake, mentre mi raggiungeva dietro abbarbiccandosi in qualche modo.Elwood riprese a guardare dritto avanti a sè, mascherando la preoccupazione dietro i suoi rayban wayfarer, senza parlare, senza scomporsi, pigiò l'accelleratore e proseguì, prendendo la direzione che gli aveva detto Jake.

- E' solo uno striscio, come ti senti Zig? - mi chiese il fratellone, dopo aver dato un'occhiata alla ferita.

- Brucia - dissi con la testa posata sulle sue gambe, stringendo i denti - e non voglio andare in ospedale -

- Occorrono i punti, sorella. Non fare la testarda come il sottoscritto -

- Jake, non voglio i punti, voglio suonare! -

- Suonerai, Zig - mi concesse, prima che i miei occhi si chiusero per, poi, riaprirsi l'indomani mattina presto.

Erano le 7 da quanto notai ed ero in un lettino di ospedale, con una squallida camicia da notte bianca e con Elwood che dormiva con la testa posata a bordo letto, tenendomi stretto la mano. Jake, invece, ronfava spaparanzato su una poltroncina sotto la finestra. Sorrisi, intenerita, alla fine mi ci avevano davvero portata in ospedale! Cercai di sistemarmi facendo il più piano possibile, per non svegliare El, ma ogni mio sforzo fu inutile, il ragazzo si alzò di scatto al mio primo e minimo movimento.

- Bimba! - mi abbracciò, cauto, regalandomi poi un bel bacio sulle labbra - come stai? -

- Direi bene. Mi muovo, sento poco dolore, quindi sto bene - ammisi con un sorriso - mi spiace solo avervi fatto preoccupare -.

- A me spiace non avere cristalli antiproiettile - fece imbronciato, come se la colpa fosse stata sua.

- Era un'auto in svendita all'asta, che ti aspettavi? - la buttai sull'ironico - El, non devi preoccuparti, non ne hai colpa, capito? Che ne sapevi che quelli ci rincorrevano sparando? Dai! Sono qui, tutta intera e la nostra missione continua. Questa piccola ferita è solo un incidente di percorso - ammisi decisa, per rimetterlo in sesto.

- Ho avuto paura, Zig, lo ammetto - disse piano, abbassando lo sguardo.

- Anche io. Soprattutto quando mi si è fatto tutto scuro e mi è parso strano, perchè non avevo gli occhiali - non era prendere il tutto alla leggera, riderci sopra o quant'altro, era cercare di risollevare l'umora ad Elwood e ci riuscì.

- Ti.. ti.. ti ho  - fece un pò titubante, ma, poi, fece un gran sospiro e si riprese - ti ho mai detto che ti amo? - esordì retorico, stringendomi a sè.

- Si, ma fa sempre piacere sentirselo dire - gli sorrisi dolcemente, lasciandogli un dolce bacio sulle labbra.

I ragazzi, alle 9, andarono all'incontro con Sline, mentre io fui dimessa, a mezzogiorno, dopo gli ultimi accertamenti. La pallottola mi aveva colpito di striscio, ma piuttosto bene, da farmi perdere parecchio sangue. Ora mi ritrovavo con alcuni punti di carta nella spalla, che, avrei potuto togliere io stessa, dopo qualche giorno.

- Abbiamo l'ingaggio! Domani sera, al Palace Hotel, vicino al lago Wazapamani - mi aggiornò El, euforico, quando mi vennero a riprendere.

- E' fantastico! Siete grandi, ragazzi! - esclamai, allo stesso modo euforica, io.

- Un fattore ovvio, sorella! - fece Jake con fare egocentrico - ora dobbiamo solo mettere in atto la campagna pubblicitaria -.
 

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Capitolo 20
*** Abbiamo da fare uno show ***


 Ehyyyyyyyyyyy!!!! Rieccomi, scusate l'assenza e il madornale ritardo, ma sono sotto studio! Coooooooomunque ecco il tanto atteso capitolo! E' un pò corto, lo so, ma è un pò una sorta di intrallazzo che immette allo show!
Come al solito molte battute sono prese dal film, così come le ambientazioni, ma per il resto è tutto inventato dalla sottoscritta. Grazie a chi legge e recensisce :) è sempre un piacere sentire i vari commenti :)
Alla prossima, allora e buona lettura!
Ile                                 

 


                                          20. Abbiamo da fare uno show



 La nostra missione era iniziata in definitiva: io con la spalla che pizzicava; Jake che fumava quanto una ciminiera; Elwood che, con i ragazzi, aveva rubato un megafono enorme da una piazza periferica e l'aveva piazzato sul tettuccio dell'auto, legato come un bagaglio sul portapacchi.

Eravamo intenzionati ad invitare tutta Chicago, quella sera, e, per far ciò, chiedemmo una mano a Curtis e ai pargoli dell'orfanotrofio: loro avrebbero pensato al nord.

Dove non andammo con la Blues Mobile? Molto difficile, dato che, oltre alla semplice strada, scendemmo in spiaggia a quattro ruote e passammo attraverso un campo. Inutile anche dire quante moine ricevettero i fratellini da diverse oche in costume da bagno; così come è inutile il numero di scappellotti, che avevo riservato a El, per le sue smorfiette compiaciute. Non che la gelosia divampasse, ma che si trovassero qualcun'altro su cui metter gli occhi e non il mio uomo!

Tra sorrisetti, scapellotti, sigarette e moine avevamo fatto  un giro notevole, coprendo il lago Mcelroy e la contea Page. Non ci mancava molto, ma, poco dopo aver abbandonato la spiaggia, la Blues Mobile ci avvertì che aveva lo stomaco vuoto: ci occorreva benzina e ci occorreva alla svelta!

La macchina ci aveva abbandonato solo Cristo sapeva dove, in mezzo ai boschi, in una strada asfaltata solo in parte. ci toccò spingere, con Elwood che, per risparmiarci una piccola parte di fatica, dava di sterzo e frizione. Non c'era un benzinaio nemmeno a pagarlo oro e ci toccò raggiungere la provinciale per raggiungere una stazione di servizio.

- La vedo, ragazzi - esclamai esultando, prendendo a spingere l'auto più svelta - là! Ad ore 11, El! -

- Ma sono le 7! - scosse il capo Jake - non usare indicazioni troppo numeriche, Zig! -

- Andiamo Jake, anche io avevo l'insufficienza in matematica - ridacchiai nel ricordare Elwood, che aveva il punteggio più alto, mentre dava ripetizioni ad entrambi, uscendone, il più delle volte, esasperato.
- Non tocchiamo questo tasto, sorella - mi ammonì, cercando di fare il serio, mentre scuotevo il capo divertita - continua a spingere, che siamo arrivati -

Eravamo in maniche di camicia, quando giungemmo alla stazione di servizio; le giacche le avevamo abbandonate sui sedili posteriori, per essere più comodi e, anche perchè, il caldo che regnava in quella giornata, era micidiale.

- Ci può fare il pieno di super, per favore? - chiese Elwood al benzinaio che, in tutta calma, se ne stava sulla porta e ripeteva la frase: - siamo a secco -.

- Per l'appunto! - ripetè El - ci può fare il pieno? -

- No! L'autocisterna è in ritardo, doveva arrivare due ore fa! E' sempre in ritardo al Giovedì - spiegò l'uomo, mentre noi ci guardammo sospirando: bene!

- Bhè, allora, ci toccherà aspettare -

Ci mancava solo l'autocisterna in ritardo, che diamine! I ragazzi, come minimo, ci avrebbero fatto il culo a strisce, l'unica soluzione era confidare in Curtis e pregare che il rifornimento si affrettasse.

Avevamo passato in sosta circa un'ora buona, il buio regnava nel cielo e le stelle stavano facendo la loro apparizione, mentre io le osservavo seduta sul bagagliaio, con la schiena appoggiata al lunotto posteriore: mi piaceva osservare quell'immensità scura, dava l'idea di un infinito pentagramma con note lucenti che, sparse, seguivano la scia dell'improvvisazione.

Jake stava, invece, esattamente dalla parte opposta alla mia, appoggiato al cofano a bere vino e fumando come un turco: uno dei migliori modi, per lui, di passare il tempo, anche perchè, aveva bisogno di presentare ai ragazzi un'entrata ad effetto, visto il nostro ritardo, perchè conoscendoli non avrebbero creduto alla banale verità del "è finita la benzina" e, quindi, era meglio  meditare, bevendoci su.

Elwood era sparito, all'interno del piccolo market annesso al benzinaio, da una decina di minuti e quando stava per uscire lo vidi afferrare un paio di pezzi di ricambio per l'auto e infilarseli, come se nulla fosse, sotto la giacca, con una nonchalance tipica di un professionista.

Ridacchiai, scuotendo il capo divertita, finchè una bionda su una decapottabile fece il suo ingresso in scena, chiedendo ad El il pieno e una controllatina all'olio: ma che le sembrava, il benzinaio?

- Mi scusi, signore! Può farmi il pieno di super, per favore? E dare una controllata all'olio? -

- Ah, certo! Vuole anche che le tolga i moscerini spiaccicati sul parabrezza? -

- Oh, no! Lasci stare, avrei un pò di fretta -

E dopo una domanda così retorica, da parte di Elwood, dovette pure pensare alla risposta da dargli?!?! La guardai con un sopracciglio alzato e abbandonai la mia postazione raggiungendo la sua chevrolet.

- Serve una mano? - li raggiunsi con le mani in tasca e non chalance: stavo meditando su come divertirmi un pò.

- La signorina desidera il pieno, una controllata all'olio e non vuole che le tolga i moscerini dal parabrezza - mi spiegò, puntualizzando, Elwood.

- Come no?!?! - mi mostrai contrita, portandomi una mano sul petto - i moscerini sul parabrezza sono una nota stonata in contrasto alla bellezza di questa auto! - commentai con fare di chi la sapeva lunga, tanto che la donna mi guardò accigliata e un pò stupita, d'altro canto, incontrare una ragazza che s'intenda di motori, non era roba da tutti i giorni.

- Sarei un pò in ritardo - cercò di sviare lei.

- Ma quale ritardo! E' una questione di cinque minuti, il tempo che lui fa il pieno ed io controllo l'olio e lavo il parabrezza - non feci nemmeno in tempo a dire ciò che, afferrai, da lì vicino, la canna dell'acqua e aprii il getto dritto davanti a me, fattore che colpì sia lei che Elwood, quest'ultimo di striscio, che le si era avvicinato.

- Moscerini annacquati - sorrisi di circostanza, passando a controllare l'olio.

- La stavo giusto invitando al Palace Hotel, cosa ho fatto di male? Due dollari in più fanno sempre comodo! - esclamò, un pò imbronciato, El, avvicinandomisi.

- Non volevo colpire te, ma solo divertirmi un pò - specificai con fare da gnorry.

- Ziggie! - abbassò appena le lenti, guardandomi.

- L'autocisterna è arrivata, conviene spillare i soldi alla ragazza - gli feci una carezza sul volto e mi avviai a fare il pieno alla Bluesmobile.

Notai El arricciare il naso e raccimolare i soldi di quel lavoro momentaneo e lasciai che la benzina si immagazzinasse per bene nel serbatoio della nostra auto; per quanto avevamo aspettato, doveva, come minimo, strabordare tutto!!

Sgranai gli occhi quando vidi che ore si erano fatte - Jake! Siamo in super ritardo! - gli feci notare, scrollandolo dal cofano, dove si era acclimatato. Lui mi guardò con sguardo vacuo, io lo ricambiai come a dirgli di spicciarsi. Sembrava appena sveglio, ma, non appena notò l'ora, gettò la bottiglia vuota a terra e corse da Elwood, dandogli una forte manata sul braccio - ANDIAMO!!! -

Avevamo il serbatoio che strabordava, la pompa ancora unita alla bluesmobile, quando Elwood partì a tavoletta verso quella che era la meta della nostra probabile fortuna: il Palace Hotel.

Jake gettò la sigaretta dal finestrino e, pochi secondi dopo, si udì un botto assordante dietro di noi, ma non rallentammo, ci guardammo solo l'un l'altro con la tipica espressione del "io non ho sentito nulla", dipinta dietro gli occhiali da sole.

Non eravamo distanti dal Palace Hotel, arrivammo l' dopo circa venti minuti d'auto, ma rallentammo qualche metro prima della meta, perchè diverse volanti erano lì ad attenderci... Però, che mobilitazione! El fece una leggera svolta e girò in un viottolo, che portava ad un passaggio sotto ad un ponticello: era perfetto! Buio, di medie dimensioni e non dava nell'occhio, anche perchè, la stragrande maggioranza dei poliziotti stava sopra ad esso e avrebbe faticato a vederci!

Jake uscì dall'auto barcollando - mi fa male la testa, quel vino faceva schifo! -

- E' meglio se ti dai una mossa. Abbiamo da fare uno show e poi dobbiamo trovare il sistema di incassare tutti i soldi e portarli all'ufficio delle tasse della contea Cook appena aprono domattina - fece incalzante El.

- Coraggio, Jake! Lo show ci aspetta! Attivati! - gli battei una pacca sulla spalla, mentre ci incamminammo, piuttosto svelti, al luogo del tanto atteso spettacolo. Già mi immaginavo le reazioni dei ragazzi: su di giri per il nostro madornale ritardo; speravo solo che non ci avessero piantato in asso.
 
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** Abbiamo da fare uno show e poi dritti a Chicago ***


Chiedo venia per l'attesa, ma eccomi qui :) Capitolo 21 ben sfornato e direi che ci stiamo avvicinando alla fine dei capitoli inerenti al film... Qui non c'è tanta inventiva personale, perchè, essendo una delle mie parti preferite del film, ho preferito lasciarla così, aggiungendo qualcosa qua e là, ma la maggiorparte sono battute prese dal film :) Spero vi piaccia :)) Alla prossima e buona lettura. Recensite se vi va.
 


                       21.Abbiamo da fare uno show e poi dritti a Chicago


Superammo il blocco di volanti stando quatti quatti a terra, mentre Elwood e il suo estro scientifico e meccanico pensavano a mettere fuori uso le gomme di almeno una cinquantina d'auto. E, non contento, sistemò anche il camper dei Good Ole Boys: insomma gli dovevano i cristalli del lunotto e i punti, che avevo nella spalla! Un pò di sana vendetta, "occhio non vede, cuore non duole", era d'obbligo e così, giocando come un bimbo con la colla a presa rapida, impiastricciò di mastice il pedale del freno, uscendo con un ghigno soddisfatto.

Era fatta, ormai. Avevamo sistemato tutto e tutti ed eravamo entrati dalla finestra del bagno delle signore, che, urlarono come oche starnazzanti, non appena videro due uomini lì dentro... Chissà se sapevano che erano le star?!?! Idiote!

A detta del sound che investiva la hall e andava scemando, Curtis aveva preso tempo con uno dei suoi cavalli di battaglia: Minnie the Moocher. Dovevamo tutto a quell'uomo, non solo il fatto che ci aveva tirato su come fossimo suoi figli. Ci aveva dato la musica, insegnato a sentirla, a farla propria, a vivere per essa. Ora, come ieri, era lì con noi e, senza di lui, quello spettacolo sarebbe finito senza nemmeno cominciare: fottuta autocisterna in ritardo!

Stavamo per fare il nostro ingresso dalla tenda centrale, io con una camminata diretta poco più avanti dei due, che, una volta che ebbi messo piede in sala, mi riportarono svelta dietro le tende a causa della stanza gremita non solo di gente, ma anche di poliziotti: ci toccava fare il giro!
Fortuna che El riuscì a cogliere lo sguardo di Curt e a mimargli di dare l'attacco ai ragazzi... Oh non sarebbero stati di certo i poliziotti a darci un freno!

Fu un giro dell'oca riuscire ad arrivare nel dietro le quinte, ci mimetizzammo al meglio  per evitare di esser colti dai poliziotti. Un gioco duro, ma ci riuscimmo, giungendo sul palco un istante prima che Curtis ci presentò al pubblico.

- Carichi ragazzi - feci quella sorta d'in bocca al lupo prima di andare in scena e raggiungere Curt, lasciandogli un bacio sulla guancia, grata, per poi presentare io stessa i fratellini, invitando tutti a batter le mani quando i due fecero il loro ingresso. Nulla! Fu incredibile il gelo che si creò, dopo l'ultima nota di "I can't turn you loose". Pubblico impassibile! Mai visto niente del genere, ok, eravamo arrivati in ritardo e allora?!?!?!? Un assaggio dalla banda e da Curtis lo avevano avuto, no?!?!? Non eravamo neanche stati così esosi per il biglietto di ingresso!! Bha, al diavolo, la serata doveva continuare e anche Jake la pensava così, difatti, non ci mise nè uno nè due, a dare l'attacco per Everybody needs somebody, preparandosi a cantare dopo che El ebbe fatto le dovute presentazioni e dato il dovuto benvenuto.

- Siamo lieti di vedere stasera tanta simpatica gente. Un caldo saluto in particolare ai rappresentanti della legge di questo Stato, che hanno deciso di unirsi a noi qui, nella sala grande del Palace Hotel. Ci auguriamo che troverete lo show di vostro gradimento e, ricordatevi, gente, che chiunque siate e qualunque lavoro facciare per tirare avanti e sopravvivere, c'è sempre qualcosa che ci rende tutti simili. Voi, me, loro, tutti quanti, tutti quanti -

La strofa partì, il concerto era iniziato.

"Everybody needs somebody" la colonna sonora della mia vita, la canzone mia e di El, parole che non ti stanchi mai di seguire. Mentre i ragazzi cantavano e ballavano, io dirigevo la Banda, divertita, facendo da seconda, ad El, con l'armonica e unendomi, poi, anche nel cantare, invitando il pubblico a starci dietro e tenere il ritmo.

Eravamo così presi dalla canzone che, Elwood decise di giocare quel punto a suo favore, urlando a tutti il proprio pensiero: - Se trovate questo qualcuno particolare, tenetevelo stretto uomo o donna che sia. Amatelo, coccolatelo, stringetelo, esprimete i sentimenti con baci e carezze, perchè? Perchè è importante trovare il giusto qualcuno da baciare, da sognare. Tutti abbiamo bisogno di un qualcuno da amare! -
Nonostante avessi gli occhiali scuri, riuscì a farmi brillare gli occhi, sorrisi: non ci potevano essere parole migliori! Perfette per la canzone; perfette per tutti quanto per noi. Erano un sunto della nostra vita, dopotutto, un sunto della nostra storia, ed ero felice: si, ero felice accanto a quell'uomo mite, ma al tempo stesso canaglia, duro dal cuore tenero. Una felicità difficile da descrivere a parole.

A fine canzone Jake ringraziò Wilson Pickett per la versione a cui ci eravamo ispirati. Avevamo provato più volte anche la versione del padre della song, Solomon Burke, ma per il nostro sound era troppo lenta, così avevamo puntato su un ritmo più acceso, perfezionandola sempre di più.

Nemmeno il tempo di riprendere fiato e via con gli accordi di Sweet Home Chicago. Jake intonò, mentre El prese a ballare nella maniera più buffa possibile, saltellando sulle ginocchia in un modo che, se lo avessi fatto io, le mie gambe se ne sarebbero andate da sole! Un ballerino provetto, oltre che un buon musicista e cantante. Quando tornò indietro mi prese con sè e mi fece fare un giro di pista, ridacchiando divertito su quel ritmo, per poi tornare a prendere Jake e ballare anche con lui.

Capii in ritardo che non ci stavamo solo divertendo, ma quello era anche un modo per sviare dalla vista dei poliziotti: troppo presi dallo show, non si sarebbero accorti troppo presto che mancavamo. I ragazzi eran entrati dietro le quinte dopo il loro siparietto danzante, io li raggiunsi poco dopo, dato che ero rimasta a suonare l'armonica, dopo che ebbi concluso la mia danza con Elwood. Quando, però, varcai le tende, trovai un signorotto ben pasciuto con dei baffi, che facevano invidia ai galli del fumetto di Goscinny e Uderzo, parlare coi fratellini, i quali erano rimasti a fissarlo con espressioni incredule: cosa mi ero persa, in quei due minuti?

- Eccovi l'anticipo per la prima registrazione. Affare fatto? -

- Certo! Affare fatto! - convenne Jake, pendendo dal blocchetto che gli aveva consegnato.

- Eh, eh, si, si, certo, affare fatto - balbettò El, cavolo doveva essere proprio una bella cifra! - Ah! Senta, tutti quei piedipiatti là fuori stanno aspettando noi. Dovremmo uscire di qui senza dare nell'occhio, c'è un'uscita posteriore in questo posto? -

- Certo. Un tempo facevo il buttafuori, qui, negli anni settanta. C'è una botola, proprio accanto alla vostra batteria -.

I due annuirono ed El corse subito a prendermi sottobraccio, euforico: diamine, era raro vederlo in quelle condizioni! Mi rivelò che avevamo i soldi, il doppio del dovuto, ed una possibilità di incidere un bel disco: ecco chi era quella sorta di Obelix! Sorrisi e salutai l'uomo con un cenno del capo, grata, prima di seguire i ragazzi, quatta quatta, fuori, raggiungendo svelti il retrobatteria, dove stava Willie, per entrare nella botola.

- Noi ce la filiamo, Willie. Voi continuate a suonare, capito? - diede disposizione Jake, prima di salutare Curtis e filarcela alla svelta.

Finimmo in un tunnel delle tubature, pieno di pozze d'acqua e fango, ma almeno non c'era timore di dare nell'occhio. Era fatta! Sui nostri volti si poteva ben scorgere un sorriso soddisfatto: non avevamo raccolto solo 5000 bigliettoni, ma ben 10.000!!! E avevamo anche una possibilità di far ballare più gente con quel disco! Le occasioni iniziavano a bussare alle porte.

- Spero che questo coso porti da qualche parte - sospirò El, guardandosi intorno, continuando a camminare.

- Tranquillo, c'è sempre una luce in fondo al tunnel - feci io divertita, immaginando non mancasse molto all'uscita, ma non feci in tempo a dire quelle parole che ci dovettimo lanciare nel fango, sdraiati, a causa dell'arrivo di una donna armata di mitra - Ok, non intendevo nella peggiore delle interpretazioni - borbottai a bassa voce.. Ma che diavolo!!!!

- Ma... Chi è quella ragazza?! - chiese El, a bassa voce, avendo timore anche a respirare, prima che la pazza potesse sparare da un momento all'altro.

- Bhè, Jake, se tu sapessi che grande gioia è per me vederti strisciare nella melma come un verme! - ecco, perfetto, conosceva il fratellone, chissà perchè non me ne stupivo!

- Non c'è problema - ci tenne subito a ribadire, Jake, guardandoci.

- Ma se non ti cacci nei guai, possibile che non sei contento? - sbuffai, retorica, sperando che la situazione svoltasse a nostro favore.

- Questa volta non mi sfuggirai, Jake! - Questa volta?!?! Come sarebbe a dire?!?!? Vuoi vedere che era la fan che lo aveva brancato il giorno in cui avevano il concerto a Coal City!!! Non restava che aspettare per saperne di più, di certo doveva averla fatta incazzare e non poco! Infatti arrivò un'altra scarica di colpi, sparati a cazzo, si perchè colpi tutto: dai tubi, alla valigetta di El, ma non colpì noi. Dico io, compri un'arma, la saprai usare, no?!

- Che piacere vederti, fiorellino - decise di prendere in mano la situazione, Jake. La vedevo nera e non solo perchè avevo indosso i miei Wayfarer scuri, quel modo di andarci con i piedi di piombo, non mi piaceva.

- Sei un luridissimo porco! - Mi accigliai e guardai Elwood, che aveva, pressapoco la mia stessa espressione dipinta in volto e si era messo comodo, con una mano appoggiata alla guancia. Eh si, a quanto pareva la verità stava per saltare fuori. - Io sono rimasta casta e pura per te. Sono rimasta davanti all'altare, in trepida e verginale attesa di te, con 350 invitati tra parenti e amici. Mio zio aveva ingaggiato i migliori cuochi rumeni dell'Illinois. Per procurarsi le sette limousine per il corteo nuziale, mio padre ha versato una tangente al racket delle pompe funebri. E quindi, per me, per mia madre, per mia nonna, mio padre, mio zio e per l'onore della famiglia, ora devo uccidere te e tuo fratello - mise mano al mitra, mentre Elwood si rintanava con il volto tra le braccia. Non mi aveva menzionata, bene, avevo salva la vita e avevo anche la possibilità di dirgliene quattro,  ma vidi Jake guardarci con la coda dell'occhio e lasciai fare a lui, dopotutto erano problemi suoi.

Un matrimonio, con un macello di invitati, cuochi rumeni e persino una tangente al racket delle pompe funebri, diavoli, non si poteva sentire!!!! Doveva essere una di quelle mi invaghisco di una persona, ci esco insieme e bang, mi sposo dopo qualche giorno!!! Quanti castelli per aria si doveva essere costruita!!! Ora capivo la scelta del fratellone: meglio Joliet, che quella pazza sadica sclerotica.

Le si avvicinò cauto, mani appena alzate e sporche di fango, così come lo era il viso e tutto il resto della divisa - Aaaah! Ti prego non ucciderci!!! - la pregò, recitando per bene la parte del contrito, gettandosi a terra - ti prego, ti prego non ucciderci!!! Lo sai che ti amo, baby, non ti volevo lasciare, non è stata colpa mia!!! - dovetti faticare a trattenere le risate, ma cercai di darmi un contegno mordendomi il labbro e godendomi la scena, mentre Elwood era a metà tra l'esterrefatto e il divertito. Che gran carogna che era il fratellone!

- Che bugiardo schifoso. Pensi di riuscire a cavartela così? Dopo avermi tradito? - continuò, incalzante, lei, puntandogli addosso il mitra.

- Non ti ho tradito, dico sul serio! Ero... rimasto senza benzina, avevo una gomma a terra, non avevo i soldi per prendere il taxi, la tintoria non mi aveva portato il tite. C'era il funerale di mia madre. Era crollata la casa! C'è stato un terremoto, una tremenda inondazione, le cavallette!!! Non è stata colpa mia, lo giuro su Dio!!! - e finì quest'ultima parte fingendo di piangere abbassando il capo. Furono esilaranti quelle milleuno scuse che Jake tirò fuori a raffica e non aveva ancora finito, ma ora stava alla pazza fare la mossa. Elwood si accucciò con il viso tra le braccia, io mi nascosi dietro la valigetta, avendo visto di cosa era capace, era meglio prevenire. Silenzio, due minuti buoni di silenzio. Alzai lo sguardo e vidi Jake togliersi gli occhiali!!! Era la prima volta che lo vedevo toglierseli nei confronti di qualcuno che non eravamo noi, anche perchè era raro che lo facesse pure nei nostri confronti, per quello mi spiazzò. Si alzò poi cauto, mentre la ragazza gli sorrideva: che marpione!

- Oh, Jake! Jake, tesoro! - esclamò lei ben compiaciuta, mentre quella carogna le regalava un bel bacio sulle labbra... Davvero un bel modo per sbolognarsela del tutto!!! Le fece fare un casquet, senza staccare le labbra dalle sue, per poi lasciarla cadere a terra nel fango, rinforcare gli occhiali e dirci una semplice parola: - andiamo -.

Elwood si alzò in fretta e furia, non sapendo come uscire di scena, ma alla fine optò per un sorriso divertito, per quanto aveva fatto il fratello, ed un'alzata di spalla - eh, è fatto così! - la salutò correndo verso l'uscita. Ridacchiai e mi alzai a mia volta, era il mio turno dei saluti.

- Fossi in te mi metterei il cuore in pace ed eviterei di costruire, a caso, armi per cui non hai neanche mira e... -

- ZIGGIE!!! - mi richiamò El, divertito, sapendo che avrei continuato per le lunghe.

- Buona serata - troncai, agitando una mano e correndo fuori: ci avevo visto giusto, mancavano circa 100metri all'uscita del tunnel.

I fratellini erano un pelo avanti a me, ma li raggiunsi svelta alla Bluesmobile, salendo al volo dal finestrino dietro, che avevo lasciato abbassato, riprendendo fiato. Eravamo tutti imbrattati di fango dalla testa ai piedi, ma avevamo un'ultima fatica da compiere e ce l'avremmo fatta, oh si!

- Sono 126 miglia per Chicago. Abbiamo il serbatoio pieno, mezzo pacchetto di sigarette, è buio, e portiamo tutti e tre gli occhiali da sole - fece Elwood, infilando le chiavi nella toppa e accendendo il motore.

- Vai - gli diede il via Jake.

Eravamo pronti a sfrecciare verso Second City, pronti a seminare la polizia di tutto l'Illinois, pronti a salvare l'orfanotrofio.
 

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Capitolo 22
*** In corsa verso Chicago ***


  Buon pomeriggio belli!!!!! have you seen the light?!?!?! Io si! xD
A parte questo perdonate il madornale ritardo!!!! Come potete leggere il film da descrivere è praticamente finito, manca solo il pezzetto finale, ma ho in serbo chicche per voi e per il prossimo capitolo :) Quindi che dire, come al solito io solo fatto un'aggiunta, l'idea e i dialoghi originali sono tratti dal film, ancora in questo capitolo... Buona lettura :) e a voi le recensioni!
Ile
                                  

                                          22. In corsa verso Chicago
 


La Bluesmobile sfrecciava sul rettilineo della statale, che ci avrebbe condotto a Chicago, mentre il buio della notte ci inghiottiva con le sue luci e la polizia, con le sue sirene, ci ricordava la sua presenza dietro di noi. Jake si era addormentato; Elwood era intento alla strada; io mi divertivo a contare il numero di volanti che avevamo appresso.

- Non dovresti dormire un pò, bimba? - mi chiese gentilmente, osservandomi dallo specchietto.

- Ci sto provando, ma le pantere qui dietro non fanno lo stesso effetto delle pecore - commentai divertita, voltandomi per sorridergli - e poi, qualcuno deve farti compagnia, no? - gli sussurrai, lasciandogli una carezza sul volto, mentre lui si limitava a sorridere bonariamente.

- Non avrei mai detto che saremmo riusciti a compiere una missione in maniera, tutt'al più, onesta - tamburellò le dita sul volante, mentre io scoppiai a ridere ripensando alle vecchie marachelle e a quelle riferite a questa missione.

- Bhè, eravamo e siamo in missione per il pezzo grosso,  che ha interceduto per noi nel distruggere centri commerciali, facendoci scampare a dei Cow Boy incazzosi e agli spari di una pazza sclerata! -
Poteva essere andata bene, a grandi linee; potevamo essere sulla via della conclusione e del salvataggio ma, tutte quelle sirene lì dietro, non promettevano nulla di buono, nonostante mi stessi divertendo a contarle per far scemare la tensione: come sarebbe finita, sul serio, la nostra missione per conto di Dio?

- E' impressionante! Non mi sarei mai aspettato che Jake potesse avvicinarsi così tanto al matrimonio - fece El un pò sovrappensiero.

- Hai visto quella tizia, El! Stavolta l'iniziativa non partiva dal fratellone e, sicuramente, la pistola che ha usato per convincerlo, non era certo quella che vi tenete stretta nei pantaloni - esclamai divertita e maliziosa al tempo stesso, lasciandogli un bel bacio sulla guancia prima di spaparanzarmi sul sedile posteriore, mentre Elwood, ben divertito, ma con le guance appena arrossate, fece una deviazione di scatto, tagliando un guardrail e infilandosi su un'altra strada, eliminando la maggiorparte di volanti che aveva dietro.

- Hai mai pensato al post missione, El? A come potremmo finire se quelli che abbiamo alle calcagna riescano a prenderci? - era bene che esponessi tutti i miei pensieri, non aveva senso tenerli racchiusi.

- Sinceramente, Zig, evito di pensare al dopo e guardo al momento, dovresti saperlo - avevo toccato un argomento serio e serio era, per l'appunto, il suo tono. Annuii, appena, sospirando.

- Si, lo so - confermai le sue parole - ma ci sono piccoli momenti in cui mi chiedo se abbiamo fatto, veramente, la cosa giusta e perchè abbiamo scelto di compiere questa missione - no, non erano risentimenti, non era uno sguardo al passato, erano domande più che legittime, visto che le pantere alla caccia della preda non erano più le quattro dell'inizio, ma superavano la 'ntina di auto. Domande più che legittime quando non riesci a focalizzare un futuro. Ma no, non era un tornare indietro, era una scelta fatta per la loro grande famiglia, la scelta più giusta che potessero fare, nonostante tutti quegli interrogativi.

Elwood mi guardò dallo specchietto, restando in silenzio alcuni istanti, prima di allentarsi il nodo della cravatta, gesto che faceva quando era impacciato o doveva prepararsi ad introdurre un discorso serio: questo caso, era il secondo.

- Il Sant'Elena, un vecchio edificio su una strada dissestata di periferia. Il mio primo e vero tetto sulla testa, dove sono cresciuto e ho fatto gran parte delle mie prime esperienze. Ho trovato un fratello, ho conosciuto la musica, avevo quanto di più simile a dei genitori e, ho incontrato te. Non voglio negare tutto questo a bambini nelle nostre stesse condizioni di allora, non voglio immaginarli allo sbaraglio, come avrei potuto essere io se non mi avesse trovato l'agente Delaney. I ragazzi hanno bisogno del Sant'Elena, così come il Sant'Elena ha bisogno di noi, è il nostro punto di riferimento - un'altra allentata alla cravatta ed uno sguardo dallo specchietto, il mio sguardo fisso sul suo coperto dagli occhiali - potrei chiederti lo stesso, comunque: Perchè lo stai facendo, Zig? Ma dopo questo discorso, credo di sapere già la risposta e quindi, che si fotta il dopo, abbiamo una missione da concludere - mi sorrise, dando un'accelerata.

Ricambiai il sorriso ed annuii - ho già perso una volta la mia famiglia, senza poter far nulla. Ora che posso dare una svolta, salvare l'edificio che chiamavo casa, che mi ha accolto due volte, di certo non mi fermerò ad un passo dalla fine - dissi convinta, ben concorde con le parole di Elwood. Prima di arrivare al Sant'Elena avevo girato diversi orfanotrofi e diverse famiglie adottive, dalle quali ero sempre scappata. Non avevo amici, perchè considerata una teppistella. Gli unici miei compagni erano gli incubi. Tutto finchè non arrivai a Calumet City, nel piccolo edificio che mi cambiò la vita, dove conobbi emozioni, sentimenti, un sound tutto nuovo, fatto di blues e marachelle. Una casa che mi accolse due volte, in seguito alla mia lasciata della Banda. Una casa che non potevo lasciare in rovina.
Jake si svegliò, mentre io, pensando ai vecchi tempi tra quelle mura, sorridendo, mi assopivo.

Il rombare del motore mi conciliò il sonno,  finchè, una sterzata improvvisa, non mi fece cadere dal mio letto azzardato, che era il sedile posteriore.

- Ahy, ohy! Ehy, che succede? -

- Ben svegliata bell'addormentata! Siamo giunti in città - mi salutò, arzillo, Jake.

- Ho dormito così tanto? -

- Parecchio bimba, abbiamo appena superato la Lower Wacker Drive e creato un groviglio di volanti - specificò, soddisfatto, Elwood.

- Mi sono persa il puzzle - commentai ridacchiando, mentre mi rimettevo seduta sul sedile e mi sistemavo i capelli. Ok, averli spettinati, ma sembrare di aver preso una scossa elettrica, no!

Ormai la strada era praticamente tutta dritta ed Elwood, si sparò il rettilineo a 130, evitando semafori, impicci con ciclisti e altri automobilisti, come se nulla fosse. La nostra meta non era distante, dovevamo soltanto raggiungere il centro città, ma i guai non erano affatto finiti!!!

Dopo il groviglio descritto in maniera fiera da Elwood, non c'era più ombra di una volante alle nostre spalle, ma ci si accodò una Ford Pinto rossa, dalla quale provenivano colpi all'impazzata.

Avevo già dato una spalla, così mi accucciai svelta, cercando di vedere chi fossero come meglio mi riuscì - Oh, Cristo! I nazisti dell'Illinois - brontolai imprecando appena - portate troppo rancore, ragazzi - gli urlai, approfittando del vetro, del lunotto posteriore, ormai assente - Era solo un bagnetto!! -.

- Nazisti?!?! Ancora? Pensavo di aver già detto che li odio! - sospirò Jake voltandosi appena a guardare la macchina alle nostre calcagna - Ehy! Che cos è, la nebbia? - chiese poi, quando una nube di fumo nero apparve dal cofano e annebbiò tutto il parabrezza.

- No, è il motore. E' partito un pistone - gli spiegò, ridacchiando appena, El.

- Poi torna? -

- Direi di no, fratello - commentai ridacchiando, dandogli una pacca fraterna sulla spalla.

La corsa proseguì con Jake che uscì dal finestrino a pulire il vetro e i nazisti che non mollavano un colpo, l'unica chance che avevamo era quella di portarli fuori strada, per avere, poi, campo libero fino alla piazza. Elwood proseguì fino ad un cantiere stradale in atto e superò le transenne arrivando fino all'orlo del ponte in costruzione, la Bluesmobile in bilico.

- El non voglio finire di sotto per dei  dannati tizi in divisa! - commentai deglutendo a vuoto nel guardare di sotto: era un bel salto, non vi erano dubbi.

- Mi associo a te, sorella - convenne Jake, reggendosi saldo al sedile.

- Tranquilli - si limitò a dire il fratellino, mentre giocava con freno e acceleratore e inseriva la retro. Certo che, però,  da quella posizione  era molto difficile retrocedere, ma continuando a sgasare la Bluesmobile prese il volo, letteralmente e figurativamente, dato che librammo nel cielo in un salto carpiato. Ora capivo cosa volesse dire El quando diceva che quell'auto era magica!!! Era come se fossimo a bordo di una montagna russa, solo che eravamo un pò più, come dire, sballottati. Ma importava?!?! No, era semplicemente l'ennesima esperienza, l'ennesima manovra in quell'impresa da Dio e per Dio.

I nazisti vennero sistemati e noi arrivammo alla Daley Plaza poco dopo, entrando direttamente  in uno degli edifici della Chicago da bene in auto, sfondando la vetrina, per evitare la miriade di volanti e resto che ci attendevano. Lasciammo l'auto sul marciapiede ed uscimmo in fretta e furia, in tempo esatto prima che la Bluesmobile si ridusse in pezzi. Però, ne aveva fatte di peripezie! Elwood si tolse il cappello in segno di lutto, non aspettandosi il tutto. E chi, se lo aspettava, dopotutto? Posai una mano sulla spalla di El, appoggiando il suo lieve alone di tristezza, quella macchina era stata parte della nostra vita. Un vero peccato non aver il tempo per renderle gli onori dovuti, ma stavamo per esser accerchiati se non fosse stato per Jake.

- ANDIAMO!!!! - ci trascinò via ed entrammo, così, di corsa nell'edificio. Barricammo l'entrata e proseguimmo all'interno, fermandoci per un attimo a chiedere informazioni per il piano al quale dove dovevamo andare: carogne, si, ma non troppo maleducate!

Dopo un lungo tragitto in ascensore, che Elwood provvide,poi, a bloccare, arrivammo all'undicesimo piano e all'ufficio delle tasse della Contea Cook.

- Torno tra cinque minuti!?! Ehy! Come sarebbe? Non abbiamo tutto il giorno!!!! - lessi il biglietto appeso alla porta, mentre i ragazzi barricavano anche le due porte della sala in questione.

- Cinque minuti?! - si accigliò El.

- No, no, no abbiamo l'intero squadrone poliziesco alle calcagna! Non possiamo aspettare! - iniziò a lamentarsi,  Jake, sbuffando per cercare una soluzione, trovando giusto un piccolo passatempo, schioccando le dita.

- Desiderano? - a quanto pare i cinque minuti erano passati ed un uomo occhialuto con un sandwich in mano arrivò alla porta e la aprì. I ragazzi non gli diedereno nemmeno il tempo di altre domande e risposte che lo presero a braccetto e lo misero a sedersi sul bancone, mentre io gli coprivo le spalle, avendo sentito un gran fracasso proveniente dalla rampa delle scale: - Diamoci un mossa, ragazzi! -

- E' qui che si pagano le tasse, vero? - chiese Jake, agitando una mano in mia direzione, come a dirmi di non preoccuparmi.

- Si - confermò l'uomo che, povero cristo, non capiva più niente! E come dargli torto?!?! Avevamo dei vestiti che, se fossero stati lindi e puliti, piuttosto che sporchi di melma e fango, erano paragonabili a quelli di qualche gangster!! E poi la loro entrata, bhè, poteva considerarsi molto in stile "prendi i soldi e scappa" e, bene o male, quello era il nostro intento.

- Questi sono per le tasse di quest'anno dell'orfanotrofio Sant'Elena del Santo Sudario a Calumet City, Illinois - parlò, a macchinetta, Elwood, anche per sveltire i tempi.

- 5000 dollari, sono tutti lì amico - confermò Jake, mentre l'impiegato dava un'occhiata alla mazzetta e faceva il giro del bancone per darci la nostra ricevuta.

Non potevo crederci che era tutto finito e un sorriso mi sorse spontaneo, un vero peccato che morì subito quando colpi d'arma da fuoco si avventarono su una delle porte che avevamo bloccato.

- Ehm... Ragazzi, si sta mettendo male - tamburellai sulle spalle di ognuno - non è che potrebbe sveltirsi con questa firma? - cercai di incalzare il nostro interlocutore.

- Il blocchetto delle ricevute è finito, devo prendere l'altro, questione di un minuto -.

- Si sbrighi! -

- Dai, calma i bollori, Sorella!! - cercò di rassicurarmi, Jake - abbiamo portato a termine la nostra missione, che vuoi che ci accada? -

- Oh, nulla! Cercavo solo una via di fuga da tutti quelli che abbiamo alle calcagna! - gli feci notare incrociando le braccia al petto e aspettando, battendo il piede a terra.

Alla fine aspettare era tutto quello che dovevamo e potevamo fare, non c'era altro e, quando arrivò l'attesa ricevuta, arrivarono anche due paia di manette e dei fucili ben puntati in volto.

- Wow! Perfino le forze speciali! Non pensavo saremmo arrivati a tanto! - la buttai sull'ironico, sfoderando il sorriso migliore che riuscì a fare. Chi l'avrebbe detto? Avevano ingaggiato persino i reparti speciali per acciuffarci e tutto per un mancato stop ad un semaforo giallo. 

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Capitolo 23
*** Jailhouse Rock ***


Hidehey fratelli e sorelle in blues!!!!
Scusate l'attesa, ma sto preparando due esamoni e il tempo per scrivere si restringe sempre di più... Coooooooooooooomunque, la ff sta giungengo al termine, ma manca ancora un pò non temete.      
A voi la lettura e, se volete, le recensioni :)
                          


                                                23. Jailhouse Rock


- Attraversamento di un incrocio con il rosso; patente scaduta da sei mesi e non rinnovata; mancato stop all'invito degli agenti; superamento di diversi limiti di velocità e varie infrazione al codice stradale; distruzione di un centro commerciale; crash di diverse volanti della polizia; esplosione di una stazione di servizio e di un palazzo; mancato pagamento ad un bar... E non sto contando i vostri furti negli anni passati! - Il comandante della polizia fu ben chiaro e, dall'alto del suo naso a patata, guardava fermo e serio i due fratelli. - E tu, Jake, eri uscito per buona condotta due anni prima! Ti macava così tanto Joliet? -

- Bhè... Ci sono state delle complicazioni... - fece un sorriso tirato e bonario il fratellone.

- Eravamo in missione per conto di Dio - si intromise, El.

- Non tiriamo in ballo santi, madonne e padreterno, per favore - sospirò il poliziotto.

- Ma, sono le stesse parole che hanno ripetuto i componenti della Banda, signore - si azzardò, a far notare, un secondino.

- Dio che manda in missione degli avanzi di galera, non diciamo stronzate! - i fratellini si guardarono e si scambiarono un sorriso furbo e ben compiaciuto - e tu signorinella? Vedo che anche la tua fedina penale è parecchio sporca! Ovviamente meno di quella di questi due, ma sei sulla loro buona strada -.

- Mi sta facendo un complimento, comandante - mi azzardai a dire, reggendo il suo sguardo.

- Ziggie Miller...-

- Blues - lo corressi io, mentre i due si girarono verso di me, per nulla stupiti, con un ampio sorriso, Elwood in particolare.

- Avrei dovuto immaginarlo. Stessi vestiti, fedina penale molto simile, soprattutto in fatto di infrazioni stradali... Cos'è, Jake, hai aperto una scuola per  insegnare a diventare canaglia? - la buttò sull'ironico l'uomo, mantenendo il tono autoritario.

- Mi creda, con Zig non c'era bisogno di insegnamenti - ridacchiò lui facendo spallucce.

- Bhè ragazzi, diciotto anni qua dentro non ve li toglie nessuno! - sentenziò, sbattendo sul tavolo i nostri fascicoli - A te, signorina, quindici. I tuoi reati minori ti aiutano! -

Feci un sorriso tirato, come a dirgli grazie di quella brillante notizia, sperando che almeno i soldi all'orfanotrofio fossero arrivati senza impedimenti, perchè quello era l'importante - Spero che non abbiate fermato i soldi, che abbiamo versato come pagamento delle tasse per il Sant'Elena -.

- La transizione è andata a buon fine - mi confermò con un cenno del capo.

- Un'ultima cosa Mercy, facci suonare! - gli chiese Jake, quasi supplicante, storpiando appena il nome del comandante, come se lo conoscesse da una vita. Il comandante cicciottello ci pensò su, osservando Jake un pò dubbioso e prendendo a camminare per la sala - ci hai visto e ci hai sentito e abbiamo anche un contratto per incidere un disco. Ci devi far suonare!!! -

- Vi ho sentito, si e, ad averlo saputo on ti avrei salutato. E' incredibile come ti aggrappi a tutto pur di ottenere qualcosa! -

- Lo prenderò come un "si, potete suonare" - ridacchiò Jake.

- Ziggie non sarà dei vostri, però. Non voglio disguidi tra la componente maschile e quella femminile - ribadì con tono che non ammetteva repliche.

- Chissà perchè lo sospettavo - commentai, con un sospiro, a bassa voce.

- E, poi, la canaglia sarei io! - brontolò Jake  - almeno un cuore ce l'ho, a differenza tua - gli rinfacciò - non puoi impedire di vedersi a due innamorati! -

- Jake! Accontentati della possibilità di suonare - concesse il comandante - è tutto gente, potete andare -.

Uscimmo dalla stanza interrogatori del carcere con la sentenza e la consapevolezza di quei troppi anni sul groppone da passare lì dentro. Troppo, troppo tempo senza vederci! Dovevo inventarmi qualcosa, dovevamo inventarci qualcosa! Anche se ero grata per la prova di Jake.

Una volta fuori Elwood mi tirò a sè e mi regalò un bacio, che mi mozzò il fiato, ricco di dolcezza e di passione, mentre mi stringeva forte.

- Troverò il modo di vederti - gli sussurrai sulle labbra, accarezzandogli il volto e cercando di  non piangere. Non dovevo farlo, dovevo essere forte!

- Non metterti nei guai, bimba - mi sorrise appena, accarezzandomi la schiena in tono triste.

Un brivido, un altro bacio. Non gli alzai gli occhiali per guardarlo negli occhi, non volevo vedere uno sguardo abbattuto così, gli sorrisi a mia volta - vedremo cosa proporranno le occasioni - e, accarezzandogli il volto, mi staccai da lui, abbracciando anche il fratellone - un abile negoziatore, come sempre - mi complimentai.

- Grazie, anche se speravo di vincere anche in merito a voi -.

- Non preoccuparti, Jake! In qualche modo ci arrangeremo - lo rassicurai dandogli un bacio sulla guancia - riguardati e non fumare troppo! -

- Ho i polmoni d'acciaio, sorella -

- E il naso? -

- Oh! Lascia stare! - brontolò appena, ridacchiando, mentre gli diedi una pacca sulla spalla, prima di avviarmi con il secondino verso la mia nuova dimora.

                                                                                                             *********

Tendevo ad ambientarmi in fretta, a fare subito conoscenza e ci misi poco a farmi conoscere nell'ala femminile di Joliet. Erano giorni che pensavo a come rivedere i fratellini, a come rivedere El e, alla fine, era già passata la prima settimana ed io non avevo ancora trovato la mia soluzione.

Le due aree erano ben separate, l'unica zona accessibile ad entrambi era la mensa, ma vi si entrava a turni: prima noi e poi i maschietti.

Era un giorno freddo, ma soleggiato: domenica, il settimo giorno in quel di Joliet. Avevo appena mangiato la sbobba e, mentre passeggiavo in cortile, per l'ora d'aria dopo pranzo, pensavo al discorso tra i fratellini e Matt Guitar Murphy sulle cucine federali in ribasso, e sorrisi nell'aver riscontrato quanto poteva essere vero.

Ero vicino allo stabile della mensa, sapendo bene che, in quel momento, c'erano Jake ed Elwood lì dentro. Misi, quindi, la mano in tasca e presi l'armonica: chissà se mi avrebbero sentito, se mi fossi messa a suonare? Ma la mia domanda trovò risposta rigirandosi. Batteria, chitarra, basso, qualche battuta, qualche accordo. Armonica, quell'armonica, due note. Sorrisi. Stavano suonando!

Mi allacciai il giubbino bluastro, per nascondere le mie forme femminili, misi il cappello di lana che avevo in tasca e mi avviai alla porta della mensa, sperando che Dio me la mandasse buona.

- Zig, ma sei impazzita? Non puoi andare lì dentro! - mi fermò Gemma, la mia compagna di cella, a bassa voce.

- Vado e torno, Gem! Tu pensa a collegare gli altoparlanti con la mensa: Joliet deve ballare il rock in blues -

- Stai attenta - mi disse, mentre agitai una mano per rassicurarla ed entravo con nonchalance, appostandomi poco distante dal ragazzo che distribuiva il rancio, l'armonica stretta in mano.

"The warden threw a party in the county jail. The prisonband was there and they began to wail. The joint was jumping and the place began to swing. You should have heard those knocked out jailbirds sing. Let's rock! Everybody let's rock! Everybody on the whole cell block, they was dancig to the Jailhouse Rock"

Eccolo il momento, dimeniamoci! Salii sul tavolo con il pentolone del pranzo e mi misi a suonare con tutta la passione che avevo in corpo. Non era la prima volta che apparivo così ad un loro show, ma questa volta era completamente diverso, eravamo separati si, ma più uniti che mai! Jake mi vide e sorrise continuando a cantare. Elwood rimase fermo qualche istante ad ammirarmi, poi lo vidi sorridere e gli feci un cenno con il capo, come a salutarlo. Avrei voluto salire sul palco, salutarli, abbracciarlo e baciarlo, ma non era possibile, il tempo era poco e doveva bastarmi per quel saluto tanto azzardato, quanto sentito.

"Spider Murphy played the tenor Saxophone. Little Joe was blowin' on the slide trombone. The drummerboy from Illinois went crash boom bang, the whole rhytm section was the Purple gang, let's rock! Everybody let's rock! everybody on the whole cell block, they was dancing to the Jailhouse Rock!"

- Ehy tu! Scendi già da lì! Solo la band ha il permesso di suonare nella canteen - mi intimò una guardia, avvicinandomisi e additandomi con sguardo serio. Dal canto mio non mi feci tanti problemi, rispondendogli con un assolo di armonica, ma il tizio era più tosto del previsto e, vedendomi nei guai, i fratellini aumentarono il ritmo, così, al "Dimeniamoci" del ritornello, tutta la gente della prigione ballava il rock come se fosse una religione!

Sorrisi ritrovandomi a ballare a mia volta il rock della prigione, un vero peccato che il mio cavaliere fosse così lontano!!! Alzai lo sguardo verso di lui e un nodo alla gola mi strinse la gola, mentre il cuore batteva triste: era tempo di andare.

Feci un piccolo inchino nella loro direzione e alzai un braccio, agitando la mano in segno di saluto. Un arrivederci silenzioso, d'altro canto le parole faticavano ad uscire. Balzai svelta giù dal tavolo per sfuggire al poliziotto che era stato sommerso dalla calca di galeotti, lo aggirai e, svicolai fuori, mentre gli agenti erano troppo impegnati a redistribuire l'ordine.

Uscii a testa bassa e con le mani in tasca, una volta tolto il berretto, avviandomi verso l'ala femminile, dove Gem mi corse incontro: - Ziggie! Guarda! - mi invitò ad osservare, indicando con una mano tutte le galeotte, che stavano danzando nel cortile durante la loro ora d'aria.

- Allora ce l'hai fatta, Gem! - commentai nascondendo la tristezza con un sorriso momentaneo.

- Merito tuo. Io ho solo eseguito - mi diede una lieve pacca sulla spalla - anzi, a proposito dentro la cabina megafoni, c'è anche un microfono collegato con tutte le aree del carcere - fece la gnorry, fischiettando.

- E che dovrei fare? I secondini saranno già là dentro per spegnere gli altoparlanti! - ribattei.

- Veramente son tutti fuori a ballare - me li indicò al centro del cortile, che si stavano dimenando. Era incredibile quanto la musica dei fratellini fosse così carica e magnetica!

Lasciai che Gem andasse a sgranchirsi le gambe e sorrisi nel ripensare a quanto mi aveva suggerito. Il mio saluto ai due non poteva finire in un'uscita di scena silenziosa, dopo un'ultima suonata: no! Mi guardai attorno e mi avviai  a passo svelto verso quella cabina, occhi aperti prima che potesse arrivare qualcuno da un momento all'altro. Presi il microfono e lo guardai, pensando bene a cosa poter dire per non apparire banale.

- Musica: la dama senza la quale la mia vita sarebbe vuota. Musica: colei che mi ha fatto conoscere l'amore. Musica: colei che ha allargato la mia famiglia. Così vicini, ma così lontani, l'ironia della vita, eh! Non so se potremo ancora suonare insieme, se riusciremo a vederci date le sbarre, ma quando suonerete uno strumento, che sia l'armonica, che sia qualcos'altro; quando canterete, pensate ai momenti passati, alle  marachelle, alla missione, a poco fa. Guardate oltre a quelle lenti scure, guardate ai ricordi, guardate ai sorrisi. E' triste salutarsi così, ma ancora più triste era il silenzio stampa di un braccio alzato su un tavolo. Volevo un arrivederci un pò più movimentato e quindi eccomi qui a dirvi di sorridere nel ricordo e nell'attesa di rivederci tra qualche anno. Vi voglio bene canaglie!!! - una lacrima mi rigò il volto, ma la voce al microfono era bella che ferma. Spensi tutto ed uscì dalla cabina, mentre il cortile si era calmato e le mie compagne di cella tornavano nelle rispettive stanze dietro le sbarre. Mi accodai al loro rientro, capo chino, occhi lucidi. Mi accodai al loro rientro, canticchiando lieve e bassa il rock della prigione.

It's never too late to mend, non è mai troppo tardi per redimersi; forse quegli anni ci avrebbero dato una mano a dosare le marachelle. Forse ci avrebbero cambiati. Forse un sacco di altre cose. Forse era tutto da vedere.
 

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Capitolo 24
*** Ed è quasi libertà ***


 Ed eccomi qui!!!! Perdonate il ritardo, ma sono stata presa con gli esami in uni e con un periodo da blocco scrittorio.
Riprendiamo, comunque, a parlare dopo il film... I capitoli più difficili di tutti... Tanto che non so che dirvi a riguardo.
Ma prima di chiudere voglio ringraziare chi mi legge e chi mi recensisce :) Sono davvero contenta dei pareri ottenuti su questa fiction, sia dentro EFP sia fuori :)) Voglio augurarvi anche buone feste, dato che non so se riuscirò a postare prima di natale o nei giorni dopo...
Buona lettura, auguri e grazie ancora :))
Al prossimo capitolo
Ile
                                          


                                                 24. Ed è quasi libertà
 


Il tempo scorreva a rilento dietro alle sbarre.

Le giornate sembravano più lunghe delle solite ventiquattro ore e l'orologio pareva bloccarsi ad ogni giro di lancetta.

La monotonia si accompagnava allo sfogliare di qualche rivista, in brevi chiacchierate e leggere suonate.

Poche volte venivo allietata da una visita. La pinguina e Curtis, fino a qualche tempo fa, venivano una volta al mese, poi non si sono più presentati. Una lettera soltanto a spiegare il tutto: il vecchio guardiano si era ammalato e la suora era divenuta madre superiora presso un altro stabile.

Notizie che ti fanno sospirare: e per quanto riguarda l'orfanotrofio? A quanto pareva la nostra impresa a rotta di collo aveva fruttato ben poco, ma non si poteva giudicare solo da uno scritto.

Sola e mi chiedo come stanno i miei fratelli. Sono anni che non li vedo e siamo nello stesso stabile.

Sola, Gem mi ha lasciata dopo cinque anni che condividevamo la cella. Aveva scontato la sua pena.

Sola, nonostante avevo imparato a conoscere tutti.

Sola nel ripensare a lui, al suo sorriso, al suo essere duro, ma dannatamente tenero.... - Dio, quanto mi manchi El! -

Quindici anni da scontare, la fine della pena si stava avvicinando e non avrei più visto il cielo a scacchi da quella piccola stanzetta. Una settimana e sarò fuori. Ora devo solo raccogliere i pochi oggetti personali che ho qui dentro. Devo solo raccogliere delle lettere.

                                                                                                         ***********

Da quando sono entrata a Joliet ho speso il mio tempo per cercare una soluzione che mi permettesse di tenermi in contatto con Elwood. Tantissimi buchi nell'acqua. Eravamo troppo distanti, troppi muri e mitra a dividerci. Il tutto fino al giorno in cui un volto amico fece la sua apparizione in carcere; giorno che ricordo come se fosse oggi, momento dal quale mi sono sentita  più vicina che mai ad El, ai bros.

Lettere scritte di fretta e in determinati  lassi di tempo, ma nuove che mi tenevano aggiornata e rispondevano alle domande che si facevano la mia testa e il mio cuore.

Charlie era giunto in un giorno piovoso, mentre io stavo seduta sul letto, schiena alle sbarre, a suonare l'armonica.

- Non è meglio suonare nell'ora d'aria? - chiese una voce alle mie spalle, battendo sulle sbarre una mano.

- Ho il permesso di farlo anche ora, il direttore me lo ha concesso qualche anno fa - risposi pacata, senza voltarmi.

- Ziggie?!? - fece, la voce, alquanto sorpresa.

- Bhè si, è così che mi chiamo... - risposi un pò accigliata, ma, ora che ci pensavo e facevo più attenzione, quella voce non mi era più di tanto nuova - ehy... aspetta - mi affrettai a voltarmi - Charlie?! Che diavolo ci fai con quell'uniforme addosso?! - chiesi ridacchiando alquanto stupita, nonostante fossi contenta di vederlo.

- E' il mio lavoro - fece spallucce e mi accompagnò nella risata - tu lo sai, vero, che potrei farti la stessa domanda? Ma, trovarti qui, diciamo che non mi stupisce più di tanto -.

Lo guardai imbronciata - molto gentile da parte tua -.

- Andiamo Ziggie! Sappiamo entrambi che è così! Eri già una canaglia ai tempi dell'orfanotrofio e il mio stomaco si ricorda le gomitate che ha preso per impedirmi di fare la spia a Suor Mary -.

- Si e le mie mani si ricordano le volte che dovevo fare corvè al posto vostro perchè voi eravate i più grandi, quindi non lamentarti perchè siamo pari - gli rinfacciai, incrociando le braccia al petto.

- Tuscè - ridacchiò - nonostante ciò, mi fa piacere rivederti -.  

Accennai ad un sorriso - anche a me - gli risposi, mentre un'idea iniziava a balenarmi in mente - hai il turno solo nell'ala femminile? - chiesi.

- Oh no! Faccio a giorni alterni - mi rispose come se nulla fosse ed io gli sorrisi furbetta - allora mi devi fare un favore - dissi.

Il ragazzo corrugò la fronte, potevo vederlo un pò preoccupato, ma non gli dovevo chiedere la luna - che genere di favore? Spero che il mio stomaco non dovrà risentirne -.

Scossi il capo ridacchiando; cavoli, dovevo avergliene date davvero tante di gomitate per fargli mettere le mani avanti in quel modo!

- Tranquillo! Dovresti solo dare una lettera a Elwood -.

- Elwood?!? Perchè?! E' dentro anche lui?! - fece un pò accigliato, ma, non più di tanto, alla fine.

- Siamo dentro tutti e tre - tagliai corto sospirando - allora, accetti?! - lo vidi molto titubante, ma non abbassai il mio sguardo, Charlie era l'unica speranza che avevo per rimettermi in contatto con Elwood.

- Zig... non lo so... se mi beccano, sono fottuto! - lo fissai ancora per qualche istante, ma preferii lasciar perdere... Forse.

- Oh! Vabbè...- sospirai appena, abbassando lo sguardo - d'accordo, non importa... Sono solo tredici anni che non lo vedo - feci spallucce con tono triste - tra due, alla fine, sarò fuori... Aspetterò ancora un pò e verrò a trovarlo - un altro sospiro e, questa volta, gli diedi le spalle - che cos è l'amore senza sofferenza? - ecco la carta filosofica che lo avrebbe convinto e ne ero sicura, anzi sicurissima, anche perchè sapeva benissimo quanto provavo per quell'uomo in blues, fin dai tempi dell'orfanotrofio.

- Siete riusciti a dichiararvi alla fine - commentò a bassa voce, sorridendo appena.

- Stiamo insieme, si - gli confermai annuendo, guardandolo appena. Dal canto suo rimase in silenzio per qualche istante, battendo le mani sulle sbarre come ad aiutarsi a pensare, mentre io continuavo a guardarlo, di tanto in tanto, con occhi frustrati.

- E va bene, Zig, ti darò una mano. Scrivi quanto devi e stasera passerò a prenderlo -.

- Se non ci fossero le sbarre ti avrei già abbracciato - gli sorrisi ampliamente e, da quella sera, i miei contatti con Elwood ripresero.


                                                                                                                  ***************

Ed eccomi qui, con una sacca mezza vuota che verrà riempita al momento d'uscita ed in mano due delle lettere.

Leggo e rileggo. Accenno a un sorriso e, a volte, sospiro.

Le cose si sono complicate, aggravandosi sempre di più. Non ero ancora uscita che già avevo del lavoro da fare, specialmente nei confronti di Jake.

"Ehy bimba,

Suona ormai monotono ripetere quanto mi manchi, è un pezzo che ce lo diciamo ed entrambi sappiamo la situazione.

Le cose non vanno molto bene, diciamo che tutto sta prendendo una brutta piega.

Jake è riuscito a trovare dei contatti per la roba, piccolezze che sono andate ad ingrandirsi nel corso del tempo. Sempre stanco, sempre irritato, non più come un tempo. All'inizio erano eventi isolati, quando capitava arraffava e consumava, non un continuo, non sempre. Ora il tutto è precipitato.

Ho cercato di fargli sparire la droga durante le ore d'aria. Tornavo prima in cella per buttare quella merda nel cesso o nel lavandino, ma essendo solo in due in stanza mi beccava sempre e finivamo col prenderci a parole. Parole pesanti, tanto che alcuni secondini ci hanno intimato di piantarla negli ultimi giorni. Alla fine, è vero, si pentiva sempre, si scusava con lo sguardo basso, giurandomi che non lo avrebbe più fatto, ma una volta entrati nel giro è difficile uscirne, non bastano le parole. Il tutto fino a tre giorni fa.

Durante il pranzo hanno preso gli spacciatori e li hanno obbligati a parlare. Questi hanno fatto il nome di Jake e, verso sera, sono venuti a prenderlo.Hanno aperto la cella e lo hanno portato via di peso mentre lui cercava di discolparsi. Non me lo hanno nemmeno lasciato salutare. Me lo hanno portato via senza preavviso.

Mi dispiace bimba. Scriverti una notizia simile è l'ultima cosa che avrei mai voluto fare in questi anni di galera.

Sono da solo per adesso in cella. E' la prima volta dopo quindici anni.

Mi hanno detto che tra qualche giorno verrà un nuovo detenuto, ma di Jake non sono ancora riuscito a sapere nulla.

Un bacio piccola.

Elwood"
                                                                                                                ***********
 
"E' un pomeriggio cupo, questo, signor B.

Domani uscirò, la mia pena vedrà la fine in tarda mattinata, ma, sapere dell'aggravarsi della situazione di Jake, è come ricevere un forte pugno allo stomaco e rimanerne inermi.

Lontani dietro alle sbarre, nonostante lo stesso edificio; lontani fuori, ma ti potrò vedere finalmente. E' inutile dire quanto mi manchi, la situazione l'hai descritta tu stesso nella lettera precedente.

Cercherò di muovermi anche nei riguardi di Jake. La roba può averlo reso dipendente, fragile, ma entrambi sappiamo che il fratellone è ben lontano dall'essere così, sappiamo che è forte e, forse, l'isolamento può essere stata una scelta azzardata, ma potrebbe aiutarlo ad allontanarsi da quella merda.

Ci  parlerò El, è una promessa, così come ti prometto la mia presenza nelle ore di visita.

Sii forte, amore mio, il tempo passa. Sii forte, El.

A presto.

Ziggie"
 
 

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Capitolo 25
*** Libera? ***


Ed eccomi qui, tra lo studio e altro sono riuscita a mettermi di impegno e sfornare questo capitoletto. Un piccolo capitoletto di transizione, ma che ci sta tutto a parer mio, solo Ziggie stavolta, solo lei che abbraccia la libertà. Buona lettura :)
Ile                                          

 




                                                             25.  Libera?

Un rumore assordante ad aprire le porte della mia libertà. Joliet alle mie spalle, la strada davanti, Elwood e Jake, ancora distanti, dietro le sbarre.

Tornai a Chicago con la corriera che, da Joliet, conduceva in città. Sguardo fisso sull'asfalto troppo distante in quegli anni, sguardo che, si alzava, quando incontrava edifici sempre più moderni, cresciuti in quei quindici anni.

 Scesi in Calumet City e mi recai al Sant'Elena, ma dell'orfanotrofio in cui ero cresciuta, per il quale ci eravamo tanto sbattuti, rimaneva poco e niente. Camion dei traslochi occupavano la via mai asfaltata e piena di buche; di bambini neanche più l'ombra. Freddo, ecco cosa provai nel salire le scale per l'ufficio della Pinguina. Freddo e lo sguardo ligneo del crocifisso, in cima alla scalinata, era più accogliente.

- Suor Mary? E' permesso? - chiesi. Era la prima volta, quella, che dovetti chiedere di entrare, solitamente la porta si apriva prima che potessi bussare! La risposta arrivò dopo qualche minuto.

- Ziggie! Non ti aspettavo così presto! -

- Mi occorrevano risposte e consigli per i quali non potevo attendere - le spiegai e, per una volta, riscontrai il mio tono più superiore rispetto a quello della suora.

- Alcune risposte possono esser date senza porre domanda, bambina - sorrise aspra la monaca - l'orfanotrofio, come tu stessa hai visto, cade a pezzi e chiuderà i battenti, stavolta per sempre. Nessuna missione per conto di Dio, niente più tasse da pagare. Il Sant'Elena è troppo vecchio per reggere con la modernità, gli orfani sono sempre di meno e il buon vecchio Curtis ha raggiunto il Signore qualche mese fa - fece una pausa di silenzio, osservandomi, mentre alla notizia della morte di Curtis mi rabbuiai, abbassando tristemente lo sguardo soprattutto per la mia, o meglio nostra contando i fratellini, mancata presenza alla sua dipartita. Quante cose avevamo perso?

- E lei che fine farà? Avrà un posto di riguardo alle missioni anche stavolta? - chiesi rifacendomi al discorso che ci fece quando ci convocò quindici anni prima.

- Diventerò madre superiora presso un ospedale infantile in centro città -.

- Ha avuto una promozione degna di nota, allora - commentai esibendo un sorriso molto tirato. La piccola famiglia che avevo, che avevamo, si stava sfaldando - Ero venuta qui per un consiglio più che altro - ammisi dopo una lunga pausa di silenzio - come aiutare un fratello ad uscire, una volta per tutte, dal tunnel della polvere bianca?-.

- Se mi chiedi ciò, Jake è seriamente nei guai! Ma saprai anche che non posso fare molto, Ziggie. E' una strada facile da imboccare, ma difficile da evadere. Le possibilità di uscita sono molte, ma, a volte, oscure e non solo perchè si portano degli occhiali da sole. Serve forza di volontà da parte di Jake, da parte di chi gli sta attorno e occorre forzare la mano gradatamente -.

- Prima che uscissi da Joliet, stava in cella di isolamento - le spiegai.

- Avrà avuto modo di pensare -.

- Mi auguro a fattori positivi -.

- Torna a Joliet e parlaci, Zig... Tu e Elwood potete fare la differenza - accennò un sorriso - per qualsiasi cosa, mi troverai qui - mi diede il nuovo indirizzo con tanto di numero telefonico ed io mi alzai, nessun ringraziamento finchè non arrivai alla porta e mi voltai verso la suora, un cenno del capo, una piccola intesa, nulla di più, nulla di meno.

Avevo un fratello con cui parlare, avevo un fratello da dissuadere, da aiutare. Ne avevo un altro da rivedere e amare, abbracciare e baciare nonostante il vetro, che sapevo separava detenuti da interlocutori. E, fino a quella mattina, ero dentro anche io.

Chicago sembrava più fredda di quanto la ricordassi, nonostante fosse estate. La modernità abbracciava il passato. Gli anni 80 e 90 vedevano la chiusura sul nuovo millennio. Innovazioni che mi erano sfuggite di mano mi accerchiavano: cellulari, computer, cd. Un turbinio di novità spaziava tra il negativo e il positivo.

Scesi fino al negozio di Ray, buio e chiuso anch'esso: che fosse mancato anche lui? E proseguii fino al bar dove, un tempo, lavoravo. Entrai e mi guardai intorno: non era cambiato nulla, persino il piccolo palco era rimasto come e dov'era; sorrisi appena.

- Desider...Oh, per la miseria! Non ci credo! Sei proprio tu!!! - esclamò euforica Kensy, a voce alta, dietro il bancone, aggirandolo poi per raggiungermi e abbracciarmi - Ziggie!!! Quanto mi sei mancata, ragazza! Fatti vedere, non sei cambiata di una virgola... Mmm... Sei un pò dimagrita, questo si - commentò ridacchiando dandomi una pacca sulla spalla - vieni che ti offro qualcosa da bere -.

Sorrisi a quella reazione e a quell'elenco gettato senza fiato - è bello rivederti, Kensy! Soprattutto è bello vedere un posto amico che non è cambiato -.

- L'unica cosa che è cambiata qui dentro è il proprietario. Da quando Lucas si è sposato e si è trasferito a New York, qui comando io - disse sorridente, porgendomi una birra. Da quanto non la bevevo, chissà se mi ricordavo il sapore?

- Mi sono persa parecchie cose, eh! - commentai abbassando il capo... Avevo mancato il funerale di Curtis, forse quello di Ray, il matrimonio di Lucas e la promozione di Kensy... E chissà quant'altro c'era?

- Sono passati quindici anni, dopotutto - commentò increspando appena le labbra - hai mancato diverse cose, si, è normale, ma non hai perso te stessa e hai tenuto duro. Penso siano buone qualità da
mantenere alte, soprattutto in carcere - mi rincuorò poi - e, credimi, se avessi potuto sarei venuta a trovarti più volte e non solo raramente ogni cinque o sei mesi, restando sempre sul vago dati i pochi minuti concessi per interloquire -.

- Hai già fatto molto, grazie - le sorrisi grata. Nonostante veniva a trovarmi raramente in carcere, e non solo perchè aveva da fare al bar, ma perchè era più forte di lei dato che suo padre aveva tirato le cuoia là dentro, Kensy aveva fatto molto: si era offerta per dare una mano all'orfanotrofio ed era lei che conservava le mie chiavi di casa. Bevvi appena un sorso e strizzai gli occhi, accennando un lieve sorriso. Il sapore amarognolo salutò le mie papille gustative, che in quegli anni avevano assaporato solo acqua, come un vecchio amico tornato da un lungo viaggio.

- So che potrebbe essere una brutta domanda, ma come stanno Jake e Elwood? -

- Li attendono ancora tre anni - commentai amara, osservando la birra, bevanda che riportava troppo ai fratellini - ed io non li vedo da troppo tempo per dirti come stanno seriamente - c'erano le lettere, c'era quella notizia di Jake, ma, alla fine, la realtà dei fatti era quella che avevo esposto a Kensy... Dovevo toccare il tutto con mano.

- Nessun modo per sentirvi o vedervi là dentro, eh! - accennò ad un sorriso tirato.

- Molto limitati, già - sospirai prendendo un altro sorso, mentre lei mi lasciava davanti le mie chiavi.

- Queste sono tue, Zig. In casa non c'è una virgola fuori posto, forse un pò di polvere, che ogni tanto provvedevo ad eliminare -.

- Grazie davvero - mi limitai a rispondere.

- Ah! Un'altra cosa prima che te ne vada... Sappi che a me non interessa nulla della tua fedina penale, del fatto che sei stata a Joliet o altro, qui hai sempre un posto di lavoro che ti aspetta, se vorrai tornare. Non voglio che riprendi le redini oggi o domani, voglio solo che ci pensi e che sappia che noi ti aspettiamo -.

Le sorrisi grata, alla fine tornare a lavorare mi avrebbe fatto comodo, mi avrebbe distratto, mi avrebbe riportato in carreggiata. Annuì appena e mi avviai alla porta, agitando una mano in segno di saluto: prima avevo delle faccende da sbrigare.

- Gentile da parte tua, Kensy, davvero! Prometto che ci penserò - uscii e mi avviai verso casa.

Camminavo in una Chicago che mi era estranea, una città sedotta dalle innovazioni, sempre in crescita. Molti locali che conoscevo non esistevano più, alcuni avevano lasciato il posto a pub più moderni o a negozi più svariati. E camminavo su quelle vie che le mie vecchie suole avevano percorso a lungo.

La monorotaia mi diede il bentornata a casa, quando aprii la porta. Buio e l'odore di chiuso pervadeva l'aria. Aprii la finestra e feci luce su quanto mi era mancato, posando la mia sacca per terra. Feci un giro di ricognizione, come a voler riappacificarmi con tutto, le mie mani si soffermarono sulla polaroid impolverata, la presi e mi scattai un'istantanea: un modo più realistico dello specchio, la foto, perchè ti fa guardare oltre le apparenze. La osservai, della vecchia ragazzina non vi era più nulla. Ora c'era un volto stanco, intristito e a tratti sciupato, incline raramente al sorriso. Dov'era la vecchia Ziggie? Forse era rimasta a Joliet con i propri fratelli. Accostai la foto al pannello fotografico che avevo adibito in soggiorno... Era lontana anni luce da quegli scatti e non perchè ero invecchiata di qualche anno, in questa mancavano le note, mancava il ritmo, mancava la melodia. Ne avevo del lavoro da fare, si! Ravvivare il fuoco del blues, mantenere accesa la fiammella della speranza nei ragazzi, fargli forza. Eravamo i Blues Brothers e non ci saremmo spenti come mozziconi di sigarette in un posacenere.

E, le mie vecchie foto parlavano, riassumendo ricordi. Rimasi a fissarle a lungo, una lacrima mi rigò il volto, ma un sorriso, poco dopo, riaffiorò sulle mie labbra: era tempo di tornare in pista, era tempo di rimettersi in carreggiata e Joliet mi aspettava di nuovo, stavolta in modalità visitatrice.
 

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Capitolo 26
*** Giorno di visita ***


Scusate l'attesa, ma tra impegni vari riesco solo ora a finire questo capitolo, uno dei più duri, lunghi e difficili mai scritti. Chissà i successivi!!!! Non voglio dire molto, svelandovi il tutto, quindi mi soffermerò ad un buona lettura e, per chi è debole di cuore, preparate i fazzoletti.
Al prossimo capitolo.
Ile                                               


                                                     26.Giorno di visita

Quante volte avevo visto il retro di quelle mura.

Quante volte avevo guardato il sole splendere e battere contro le sbarre.

Quante volte ho contato i giorni che mi mancavano ad uscire.

Vedere Joliet dall'altra parte del cancello, da fuori, era tutto un altro effetto.

E il groppo alla gola cresce perchè rimembri gli istanti in cui hai perso tutto e ti sei ritrovata con poco e niente. Varcando quel cancello, sai che un pugno allo stomaco farebbe meno male, che tre anni sono lunghi a passare, come sai che sei la loro unica speranza di tenere duro. Più volte avete lavorato insieme, più volte la triade dei Blues si è fatta forza a vicenda: occorreva solo proseguire per quella strada.

- Ziggie Miller! Non credevo ti mancasse così tanto Joliet! - mi accolse un secondino.

- Ogni persona che mette piede qui dentro, una volta fuori lo rimpiange. Non lo sapevi, Frank? Eppure tu torni qui tutti i giorni! - gli lanciai la dovuta frecciatina abbassandomi appena gli occhiali da sole, voce diretta, ferma.

- Per chi sei qui? - mugugnò imbronciato.

- Elwood Blues e Joliet Jake, pensavo fosse ovvio -

- Joliet Jake Blues è in cella di isolamento -

- Ma può ricevere visite, è scritto nel regolamento, anche se in orari diversi da quelli degli altri detenuti - lo freddai subito, non me ne sarei andata senza averli visti entrambi.

- Il regolamento, tsè, non lo legge mai nessuno! Vuoi solo impressionarmi -

- E' una lettura stimolante, Frank e, se avessi voluto impressionarti, ti avrei elencato tutte e venti le regole basilari più norme aggiuntive, ma non penso che ce ne sarà bisogno, sai bene che ho ragione - il secondino brontolò qualcosa tra sè e sè, prima di ordinare ad un collega di andare a prendere Elwood; fortuna che avevo letto qualcosa sul regolamento, altrimenti quella balla azzardata non avrebbe retto!

- Hai dieci minuti con lo spilungone dopodichè ti condurrò dal cicciottello. Ed ora sparisci, la sala colloqui è poco più avanti -.

- Sei di una gentilezza squisita, Frank - lo apostrofai incamminandomi ed entrando in quella che sembrava una stanza di addestramento, divisa da un blocco unico di banchi, a loro volta divisi da un vetro. Mi sedetti nel vano che mi era stato destinato ed attesi l'arrivo di El. Così vicini, così lontani.

Il cigolio in lontananza mi annunciò l'apertura della porta e il suo imminente arrivo.

Quindici anni lontani, quindici anni senza più uno sguardo, solo parole mute intrappolate nelle lettere. Quindici anni e le sbarre sono le uniche ad averci visto crescere.

Lo attesi con lo stomaco in subbuglio da agitazione e eccitazione; lo attesi con gli occhi lucidi dietro gli occhiali da sole; lo attesi nella nostra divisa di ordinanza, nero su bianco, nessun altro colore.

- Avete dieci minuti - ricordò il secondino, facendo segno ad Elwood di accomodarsi in quel piccolo vano dietro il vetro di fronte a me, prima di farsi da parte.

Jeans, camicia dello stesso tessuto e giacchetta blu con tanto di nome sopra.

Eccolo di fronte a me il mio uomo. Uomo si, eravamo adulti ora.

Poco meno che trentenni prima, poco più di quarantenni ora. Ed i segni dell'età adulta si notavano sul corpo. Le prime rughe, corpo più flaccido, occhi stanchi, capelli leggermente sfoltiti: ecco quanto vidi in quegli attimi di silenzio. Istanti in cui ci guardammo spiazzati, alla ricerca del nostro vecchio io sotto quella nuova scorza. Istanti in cui il cambiamento aveva prevalso sulla vista, in cui il cambiamento aveva prevalso sul momento.

Avevo un uomo davanti, non più il ragazzo di sempre che avevo perduto quando avevamo messo piede lì dentro. Perduto, già, ma solo e lievemente nella forma, la sostanza era sempre la stessa. Si, perchè sotto quello sguardo stanco e non più coperto dagli occhiali da sole, sotto quelle lievi rughe e quella pancetta accennata, c'era il ragazzo a cui avevo donato il cuore, il ragazzo con il quale ero cresciuta, il mio uomo, il mio Elwood.

Una lacrima mi rigò il volto, la felicità prese il sopravvento e un sorriso si distese sul mio volto. Tolsi gli occhiali e lo guardai innamorata, come la prima volta.
Potevo immaginare cosa vedeva El, l'avevo visto io stessa nel suo volto e nello scatto che, avevo fatto del mio, la sera prima. Vedevamo entrambi le stesse cose, l'età adulta che aveva preso il sopravvento, i troppi anni lontani, la spossatezza. Ma, dietro tutto quello, dietro quegli sguardi e la nostra nuova corazza, eravamo sempre gli stessi, gli stessi ragazzini che erano cresciuti insieme in quel dell'orfanotrofio, gli stessi che si erano dichiarati e amati.

Sentimenti che prevalevano e volti che si distendevano, così come i sorrisi. Afferrai la cornetta di fianco a me e gli feci segno di afferrare la propria, prima di prendere un profondo respiro e, con voce più ferma che mi riuscì, dire: - buongiorno, signor B -.

Aveva la mano che tremava e lo sguardo fisso nel mio, afferrò la cornetta mezzo titubante, sedendosi in seguito. Sorrise al mio saluto, sorrise al mio sorriso ed io sorrisi con lui, i nostri sguardi si erano già detti tutto quello che le parole faticavano ad emettere. Mi osservò in silenzio, muovendo appena le labbra, come se stesse cercando un modo per iniziare il discorso, impacciato. Il silenzio durò ancora per qualche secondo, finchè il suo sguardo sfociò in una nota decisa.

- ... Sei... Sei bellissima, bimba - mi disse allungando una mano e appoggiandola sul vetro, simulando una carezza che arrivò dritta al mio volto. Posai io stessa la mia mano contro quella superficie fredda, che ci divideva, ed immaginai il calore trasmesso di ogni volta che ci tenevamo stretti.

Ancora qualche istante di silenzio, poi le parole scivolarono libere, ma il breve tempo a nostra disposizione non permise di andare troppo oltre e ci si fermò al semplice: come va? Una domanda che raccoglieva di più che una semplice risposta breve. Non importava non aver parlato molto, i nostri sguardi si erano già detti tutto.

Alzarmi da quello sgabello fu difficile, una stretta allo stomaco mo lo contorse, mentre il magone saliva, ma dovevo essere forte, perchè piangere se l'avrei rivisto tutti i giorni?

- Dovevo darmi una mossa - arricciò il naso Elwood.

- E non goderti il momento? - gli sorrisi, ormai in piedi, ma con la cornetta ancora stretta in mano - ne avremo da parlare, signor B! Ti verrò a trovare tutti i giorni - lo rassicurai mentre i secondini premevano il suo ritorno in cella e la mia uscita di scena.

- Ti amo, bimba - mi mimò oltre il vetro con un sorriso, prima di sparire dietro la porta. Sorrisi a mia volta, assaporandomi quelle parole mute che tanto mi mancavano. Sorrisi, ricacciando indietro le lacrime.

- Il cicciottello non lo incontrerai qui, Miller - mi accolse, Frank, quando uscii dalla stanza.

- Non mi importa dove vorrete farmelo incontrare, Frank. L'importante è vederlo, altrimenti il mio culo non si muoverà da qui - specificai molto gentilmente.

- Sempre così malinconicamente aggressivi, gli ex detenuti! -  ironizzò.

- Sempre così falsamente aggressivi i secondini! - lo ripagai con la stessa moneta ed incassò il colpo con una smorfia.

- Portatela al braccio 9, cella 226, isolamento. Dieci minuti e non un minuto di più -.

I ricordi di quindici anni là dentro prevalevano percorrendo quei corridoi, nonostante in quell'ala non ci fossi mai stata. Che cosa avrei detto a Jake? Dove lo avrei visto? Ci avrebbe diviso un vetro come con Elwood?

Corridoi diversi, più porte, colori più grigi rispetto alla mia vecchia ala. Il secondino mi fece segno di aspettare poco distante le sbarre di entrata. Un momento! L'avrei incontrato direttamente così? In quella cella strana con le sbarre solo alla porta e un muro a dividerla dalle altre? In quella cella fredda in cui lo avevano confinato?

La chiave girò nella toppa e una voce ben conosciuta mi diede la risposta alle mie domande, almeno lui lo avrei potuto riabbracciare.

- Alla buon'ora ragazzi! Il mio stomaco iniziava a brontolare -

- Hai una visita, Blues - tagliò corto il secondino.

- Una visita? - parve stupito - significa qualche manicaretto nuovo? - ci scherzò sopra, ma il secondino non gli diede risposta e mi fece segno di entrare.

- Possibile che pensi sempre a mangiare? - chiesi divertita sorridendogli, mentre mi sfilavo gli occhiali e li infilavo in tasca.

E doveva essere cambiato? Ingrassato lo era di certo, sciupato, occhi un pò più infossati e volto stanco ed ingiallito. Purtroppo trovai la conferma alle parole scritte da Elwood, ma non riuscivo a guardarlo come, ormai, facevano tutti; non riuscivo ad additarlo come drogato, non lo avevo mai fatto fuori, non avrei iniziato ora. Le parole udite erano le parole del vero Jake, della canaglia che avevo conosciuto in quel dell'orfanotrofio, del mio fratellone.

- Ziggie!? - sgranò gli occhi, rimanendo stupito nel vedermi - e il tuo pigiama a strisce? Non mi dire che sono già passati quindici anni! Non sei invecchiata di una virgola - commentò ridacchiando, seriamente stupito di vedermi in tenuta blues, piuttosto che quella del carcere.

- Ha parlato l'eterno giovane in punizione - lo canzonai, usando lo stesso suo tono divertito, andandomi poi a sedere sul suo letto.

- Ehy Joe! Guarda che io ci conto per il manicaretto tutto nuovo, eh! - puntualizzò riferito al secondino fuori di cella, prima di raggiungermi. Sapevo che stava sviando cercando un modo per distrarmi, ma quel giochetto con me non aveva mai funzionato, eravamo in due a saperlo e avevo dieci minuti per cercare di rimetterlo in riga - Elwood sa che sei fuori e che sei anche più bella del solito? -

- Sapeva che uscivo, sa che sono fuori e abbiamo notato entrambi i piccoli cambiamenti dovuti all'età adulta - gli confermai con un lieve sorriso - l'ho appena visto -.

- Oh! - abbassò appena il capo - quindi tu... - fece per dire, ma non lo feci finire.

- So già tutto si. Elwood me lo ha raccontato tramite lettera. So come sono andati i fatti, a grandi linee, così come so che non sei a conoscenza della durata del soggiorno qui dentro -

- Diciamo anche che mi trovo qui non per mio piacere personale, ma perchè, vedila come vuoi, mi hanno incastrato. Qui dentro fanno quasi tutti uso di neve, secondini in primis - ammise piano, un pò seccato.

- E come al solito tu ti sei messo in mezzo e ti sei cacciato nei guai - conclusi la frase per lui - pensavo che avessi smesso, pensavo che Joliet poteva metterti la testa a posto, in qualche modo -.

- Ho vissuto gran parte della mia vita tra Joliet e istituti minori e sono uscito più canaglia di prima, sempre! - ribadì, forte delle sue ragioni - perchè pensi che ora dovrebbe essere diverso? - alzò la voce, ma mantenni alta la guardia.

- Eravamo con te stavolta, c'era persino il contratto discografico -.

- Con me, certo! Tu in un'altra ala, la banda che pian piano scontava la pena e Elwood con cui litigavo sette giorni su sette. Davvero pensi che non fossi a conoscenza di non essere solo? Non credo che a El facesse piacere litigare, eppure per aiutarmi faceva di tutto per farmela sparire quella merda! Ma no, io ci devo ricadere sempre! Sono sempre il solito e la droga fa parte della mia fottuta vita, vero? - diede un pugno alla testata del letto, alterandosi maggiormente  - il contratto discografico, tsè! Chi credi che ascolti un disco registrato in prigione, eh! -.

- Ti ho forse mai additato in quel modo? Ti ho mai giudicato? Lo vedo come stai, Jake. Come uno a cui hanno tolto tutto, confinandolo qui, come una roccia che sta franando pian piano -.

- Ho sempre saputo cavarmela da solo e sarà così anche stavolta! - ribadì con tono fermo, secco, ma sapevo che non erano parole sentite, nonostante volessero fare male.

Stetti in silenzio per qualche istante, guardandolo, non ci credeva nemmeno lui a quanto aveva appena detto, vedevo quanto gli mancava il fratello, vedevo quanto moriva dalla voglia di darmi un abbraccio.

- Ho conosciuto un ragazzo una volta. Un leader, una persona con la battuta sempre pronta, grande cantante, grande appassionato di musica. Una vera canaglia che non andava mai troppo oltre e, se superava il limite, cercava una via d'uscita, perchè quest'ultima la trovava sempre. Entrando da quella porta credevo di aver ritrovato quel fratello che mi era tanto mancato, quella persona che, anche di fronte alle difficoltà, rideva e mi sono detta: no, non è cambiato! Purtroppo però le cose sono cambiate davvero. E, allora, mi chiedo: avrà intenzione di giocare duro ancora una volta o lasciare che tutto quanto prenda il sopravvento? - gli diede una pacca sulla spalla e, mi alzai, avendo udito il secondino battere sulle sbarre della porta, indicandomi ancora due minuti - la polvere bianca è la via più facile per tutto, ma entrambi sappiamo bene che non hai bisogno di quella per risultare una persona forte. Più di una volta ti ho chiesto di riguardarti e te lo chiedo ancora, non mi importa se mi manderai a fanculo o mi insulterai, non sei solo fratello! -.

Stette in silenzio ad ascoltarmi e accennò un lieve si col capo, aprendo e chiudendo le labbra per dire qualcosa che, a quanto pare, non era importante, ma voleva essere solo uno sfogo come i precedenti. Sapevo che non avrebbe preso alla lettera quelle parole, glielo leggevo negli occhi, ma sapevo anche che non era mancanza di volere, bensì, una volta entrati nel tunnel, era semplicemente difficile uscirne. A Joliet, tra detenuti e secondini, la polvere bianca girava ed era impossibile, nonostante l'isolamento, che questa non arrivasse a lui, ma, purtroppo, quanto potevo fare l'avevo fatto, dovevo solo sperare che quelle parole non risultassero troppo vane.

- Miller, devi uscire! -

- Arrivederci Jake - lo salutai con un lieve sorriso, ma, mentre stavo avviandomi alla porta, lui mi si parò davanti regalandomi l'abbraccio, che gli avevo visto nascondere poco prima negli occhi.

- Se proverò a riguardarmi, avrò l'onore di un'altra visita? - si azzardò a dire, temendo, forse, che le parole dette prima mi avessero ferito in qualche modo. Gli sorrisi ricambiando quella stretta, tanto mancata - parola di Blues sister - gli sussurrai all'orecchio, dandogli un bacio sulla guancia.

- Salutami Elwood - mi disse in ultimo, con un lieve sospiro. Io annuii avviandomi alla porta.

- Ah! A proposito, io so di un disco che va per la maggiore giù a Calumet City. L'ha inciso una banda di galeotti, che è stata in grado di far ballare Joliet e l'intera Chicago -.
 

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Capitolo 27
*** Semplicemente tre anni ***


Ce l'ho fatta a scrivere prima di riprendere l'uni, wow! 
Grazie a chi legge e chi mi commenta, davvero :) Sono felice che vi piaccia :) Un grazie particolare alla mia sist Sax, a Joliet e a JakeandElwood :)
Questo è un piccolo capitolo di transizione, la raccolta dei tre anni insomma che non si poteva evitare di fare. Buona lettura ;)
Ile                                


                                                   27. Semplicemente tre anni


Piatti, ecco com'erano i giorni.

Vuote, le ore in quel piccolo appartamento che, poco prima delle sbarre, avevo imparato a condividere.

Il tempo scorreva là fuori e la sopra elevata me lo ricordava di continuo  scandendo, le piccole ruote sulle rotaie, come le lancette di un orologio.

Nonostante fossi fuori, definibile donna libera, Joliet la vedevo tutti i giorni, tanto che il vetro che mi divideva da Elwood non era più così spesso, ma, forse, non lo era mai stato. Jake, invece, lo vedevo saltuariamente, il suo isolamento gli permetteva visite uno o due giorni al mese. Frank, il secondino, aveva fatto per un pò di tempo la stessa domanda ironica con cui mi accolse la prima volta, dopo due anni si era stancato della mia solita risposta glaciale e, ironicamente, pungente.

Due anni, già! Erano passati due anni ed io mi chiedevo quanto ancora Jake sarebbe dovuto restare in quel buco stretto e poco luminoso dell'isolamento. Erano passati due anni e il direttore di Joliet si era degnato, solo allora, di definire tempo e scadenza di quella lunga messinscena: Jake sarebbe stato in quel buco fino al giorno del suo rilascio.

Un colpo quando lo seppi, perchè non era mantenendolo in quel quadrato a sbarre che l'avrebbero mantenuto lontano dalla droga. Un colpo quando lo rivelai ad Elwood, ma non potevo nasconderglielo. La giustizia andava a scatafascio, Joliet non era più quella di una volta.

I giorni scorrevano lenti e monotoni, sentivo suor Mary, di tanto in tanto, solo al telefono. Il lavoro l'avevo ripreso, Kensy mi aveva dato il mio tempo e, alla fine, decisi di accettare quella possibilità e tornare al locale, conciliando i miei orari con quelli di Joliet.

Ero migliorata in cucina e, quando capitava, portavo qualche dolcetto ai fratellini. I ragazzi della banda, invece, non li sentivo da un pezzo, tanto da non saper più che lavoro facessero o dove abitassero, finchè un giorno, per le vie di Calumet City, non incontrai Lou e venni a conoscenza che la moglie di Matt Murphy aveva venduto il Soul Food Cafè aprendo una concessionaria d'auto e lui lavorava lì. Al bar, invece, avevo sentito alla radio due voci ben conosciute condurre un programma, quelle di Duck e Steve. Qualcosa avevo comunque scoperto senza muovermi troppo. Chissà gli altri? Chissà se ci saremmo rivisti?

Chicago era cresciuta in quegli anni e stava crescendo ancora: i jukebox erano spariti, i walkman erano in lotta con i nuovi lettori cd, i pub furono costretti a rimodernarsi, perchè le mode tornano, i vecchi tempi no.
Il mio calendario era un campo da battaglia, ogni giorno trascorso era un giorno barrato, un giorno in meno all'uscita di prigione.

Eravamo entrati da poco nel periodo finale, il terzo anno, il vero e proprio countdown.

Una fredda mattina di metà Febbraio, Elwood mi accolse con una lettera, al di là del vetro, ed un sorriso lieve e stanco dipinto sul volto, come a nascondere qualcosa.

- Cosa ti turba, signor B? - gli chiesi gentilmente.

- Jake mi ha scritto una lettera - abbassò appena lo sguardo gesticolando con le mani.

Mi stupii - Jake che scrive lettere? E' successo qualcosa? - era strano che il fratellone scrivesse, ma era anche piacevole udire una notizia simile, dopotutto che poteva esser successo?

- Nulla. Sono solo sorpreso e sollevato nel sentire che sta bene, ma il tutto mi appare come nota stonata e non so come spiegarmelo -.

- Avrà voluto, semplicemente, sfogarsi un pò su quel pezzo di carta, El! - gli feci notare pacata.

Ci riflettè un attimo e parve convinto, non del tutto, ma il sorriso divenne seriamente sollevato: - te la leggo perchè, pare di parlarvi faccia a faccia, per quanto si è sfogato - gli sorrisi ed annuendo lo invitai ad introdurre.

"Ehy fratello,

come va nell'altra ala? Sono mesi, probabilmente anni, che sto chiuso in questo buco e non riesco a scandire il tempo in questa fottuta cella! Pensavo di esser abituato all'aria di Joliet, non è la prima volta che faccio la conoscenza dell'isolamento, ma stavolta, cazzo, è diverso! Mi spiace averti preso a pesci in faccia, sputandoti addosso parole che nemmeno pensavo. Mi spiace saperti da solo, perchè io ho fatto il coglione. Spero che il soggiorno qui dentro finisca presto, mi manca quel sano e grezzo blues, che suonavamo di tanto in tanto. Sono contento che Ziggie passi qualche volta a trovarmi, fattelo dire El, la tua bimba è ben fiorita! Quando usciremo di qui, datti da fare, voglio un nipotino!

Ciao fratello, sempre in gamba!

Jake"

Elwood finì di leggerla quando il tempo a nostra disposizione terminò. Sorrisi alle parole scritte e ai complimenti ricevuti via inchiostro. C'era, però, una nota stonata in tutto quello: Jake non era tipo che scriveva lettere, ma, forse, lo aveva semplicemente fatto per comunicare con il fratello che non vedeva da tanto: la scrittura, dopotutto, era l'unico mezzo a sua disposizione là dentro! Perchè non usufruirne?

Mancavano poche settimane all'uscita, Jake stava bene, a parte la concezione del tempo smarrita; Elwood e io continuavamo a darci forza l'un l'altra e tutto stava per chiudersi per il meglio, ma sarebbe davvero stato così?

 

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Capitolo 28
*** Un giorno di inizio Marzo ***


 Inanzitutto vorrei scusarmi con voi per il madornale ritardo, lo so, questa volta vi ho fatto aspettare troppo!!!! Non voglio dire molto, voglio solo farvelo gustare, ma prendete le dovute precauzioni: fazzoletti!!! E lo dico perchè mentre lo scrivevo ho impregnato le maniche della felpa, il che non è bene! Detto ciò lascio a voi la lettura e se vi vanno i commenti.
Ile                               

 

28. Un giorno di inizio Marzo

Marzo ponte tra l'inverno e la primavera, unione di due stagioni che fatichi a scorgere fino alla fine del mese; freddo e caldo che si uniscono, si amalgamano e l'umidità regna in città.

Chicago non era mai stata così bella, però. Cielo azzurro, nonostante il freddo, baciato da qualche nuvola, a volte una lacrima di pioggia, eppure dicevano che la neve non aveva ancora smesso di fare le sue apparizioni silenziose. E Chicago non era mai stata così bella e nemmeno il mio sorriso, nascosto da troppo. Era la mattina del cinque del mese, due giorni e i miei fratelli sarebbero usciti. Eravamo d'accordo che sarei andata a prenderli il sette e non mi sarei fatta vedere i due giorni prima dell'uscita perchè, quando si attende un qualcosa, il tempo non passa mai, accade nella vita di tutti i giorni, figuriamoci in prigione, dove si perde la cognizione del tempo dopo un giorno che la abiti!

Avevo il turno lungo al lavoro e avrei fatto l'apertura quella mattina; ero così contenta che nulla mi avrebbe scalfito l'umore. Ero così contenta che, quando la sveglia suonò, ero già in piedi.

Non era la solita routine quotidiana, i giorni cupi stavano per vedere la fine e il mio sorriso, disperso da chissà quanto tempo, ne era la prova più bella.

Ero così contenta che nemmeno le imprecazioni metereologiche di Kensy mi toccarono più di tanto.

- Inizio Marzo, il cielo fa quel che vuole, fuori fa un freddo cane e, non appena nomini la neve, nonostante non sia ancora sceso un fiocco, gli automobilisti si impanicano!! Ti sembra normale, Zig? - brontolò entrando e in quel mentre suonò il telefono, un fatto strano perchè era da appena iniziato l'afflusso dei clienti per la colazione, un fatto strano perchè a quell'ora non chiamava mai nessuno - ci mancava solo il telefono, ora! -

- Neve è la parolina che non si dovrebbe mai dire, quel sostantivo che si dovrebbe vietare ai metereologi - commentai ridacchiando, mi trovavo d'accordo con lei, ma la prendevo sul ridere, che motivo c'era di rabbuiarsi? Il telefono continuò a squillare - dai, lascia, rispondo io, vai pure a cambiarti -.

Presi la cornetta immaginando che fosse qualche fornitore di birra smarrito nelle vie di Chicago o qualcuno che voleva prenotare il tavolo per pranzo, chi altro poteva esser altrimenti? Lanciai lo straccio, che avevo in mano, sul bancone e scivolai con un passo di swing al telefono.

- Pronto? -

- E' il Cook's County Bar? E' possibile parlare con Ziggie Miller? - mi accigliai quando fecero il mio nome e cognome, erano in pochi a saperlo e non avevo combinato nessun guaio!

- Si, ci sta già parlando, sono io -.

- E' il carcere di Joliet e volevo avvisarla che... - mi stava comunicando la voce, ma quando sentii che il mio interlocutore chiamava da Joliet, esaltata, non lo feci finire e lo interruppi - Che i miei fratelli usciranno tra due giorni, no? E' stato gentile a chiamare per ricordarmi - commentai arzilla.

La voce dall'altro capo fece una pausa e si rabbuiò - le passo il direttore - fu allora che capii che era successo qualcosa di serio.

Qualche istante e la cornetta venne ceduta, attimi di silenzio -Ziggie, per favore, se hai una sedia lì vicino, sieditici - furono le prime parole del direttore, pacato. Socchiusi gli occhi, cercando di immaginare la notizia, nessuna sedia intorno a me, dietro al bancone, non importava, non la volevo, dovevo esser forte - Ziggie... Jake è... Jake è morto, ci ha lasciato alle prime luci dell'alba -.

Afferrai il bordo del bancone per evitare di cedere, le forze mi mancarono, silenzio, una pugnalata appena presa, un pugno allo stomaco e gli occhi lucidi, increduli, ma le lacrime non scesero, non ora - Elwood lo sa? - riuscii ad articolare, il primo pensiero andò a lui, speravo non gliel'avessero detto, non avrebbe retto a quella notizia senza vederlo, come avrebbe passato quei due giorni?! Doveva saperlo, si, ma non in quel momento, non in quel modo, non parole di ghiaccio, come pugnali, dettate dall'altra parte delle sbarre, non come io l'avevo appreso da una fredda telefonata che mi aveva comunicato quanto avrei sperato di non udire mai.

- No, non ancora, pensavamo di dirgli il tutto poco prima della sua uscita - mi comunicò il direttore, mentre io cercavo di rimanere lucida ancora per qualche istante.

- Fate così - risposi concorde con la loro decisione, era impensabile, era vero, ma era per il suo bene.

- Condoglianze, Ziggie - un'altra pugnalata.

- E' stata un'overdose, non è vero?! - chiesi prima che ripotesse riagganciare, una domanda legittima, una richiesta piena di rabbia, perchè Jake avrebbe potuto smettere, ma non in quel tunnel vizioso del carcere, dove non è perchè sei dietro alle sbarre e allora la tua vita è ridotta ad un nulla.

- Si, l'ha confermato anche il medico -.

- Un grazie ai vostri secondini - replicai glaciale e riagganciai, sbattendogli la cornetta in faccia e tirando un calcio ad una scatola di cartone vuota dietro al bancone, una lacrima mi rigò il volto, in caduta libera, seguita da un'altra, cercai di ricacciarle indietro, tirando su con il naso. Kensy arrivò di lì a poco, intenta ad allacciarsi il grembiule - abbiamo già una prenotazione per pranzo, Zi... - non concluse il mio nome, nel vedermi così, non concluse il mio nome e mi raggiunse in fretta - Zig, che è successo? Chi era? - chiese portandomi un braccio attorno alle spalle, a rincuorarmi in qualche modo.

Presi un profondo respiro e ricacciai indietro le lacrime, c'era un momento per tutto e il momento per piangere non era ora, dovevo esser forte per Jake e quanto aveva subito, per Elwood e quanto avrebbe appreso. Un altro sospiro, guardai Kensy - chiamavano da Joliet - la voce seria, fredda, quella notizia era stata davvero una pugnalata nel petto, uno svuotamento d'anima - Jake è... - era difficile ammettere quanto era capitato, era difficile dire che Jake non c'era più, che era morto. Morto, si, un termine che nessuno vorrebbe mai dire o sentire e quando ti ritrovi in mezzo vieni svuotato da tutte le certezze che avevi, senza sentire più nulla se non la rabbia, senza sentire nulla se non le lacrime che prendono il sopravvento al ricordo di una delle colonne portanti della tua vita, con la quale ridevi e scherzavi fino all'altro giorno. Kensy non mi fece finire, non aveva bisogno di quella parola, di quel sostantivo, capì tutto dal mio sguardo, dalla mia voce e mi abbracciò stretta, una stretta che ricambiai, mentre le lacrime prendevano il sopravvento, senza che potessi fermarle, un pianto silenzioso, breve, lacrime che scivolavano irrequiete, distrutte, tristi; lacrime che portavano il ricordo e il dolore.

Un abbraccio fu quello a tenermi in piedi, una stretta che dava forza nonostante le mie gambe volessero cedere ed io urlare quanto poteva esser ingiusto il mondo.

E a tre anni persi i miei genitori in un incidente d'auto, unica sopravvissuta, incominciai a viaggiare, con un bagaglio di incubi, di orfanotrofio in orfanotrofio, finchè il Sant'Elena non mi aprì le porte, finchè Elwood non mi aiutò a risollevare gli animi e Jake a ritrovare il sorriso. Ora era come se fosse avvenuto un passo indietro nel tempo, ma era Jake a non esserci più.

Jake la canaglia, il musicista, l'uomo. Jake l'allegria fatta a persona, il duro, il fratello, quel fratello che tutti vorrebbero avere. Quell'esplosione di energia fatta persona come poteva essersi spenta per sempre?

- Vai da lui, Zig - mi disse Kensy, asciugandosi le lacrime per quello che era stato il suo amante anni prima - vai da Elwood -.

Alzai lo sguardo su di lei e scossi il capo - No, Kensy, non andrò da lui - ribadì ferma, mentre lacrime mi rigavano il volto, più svelte, più pesanti - avevamo un appuntamento tra due giorni e lo rispetterò, i giorni per un galeotto non passano mai, le belle notizie non li accolgono mai, unisci le due cose e non vivono più - le spiegai con tono triste, si, ma fermo, passandomi una mano sul volto cercando di fermare quella caduta libera di gocce dagli occhi. Non mi aspettavo che Kensy capisse la mia decisione di non andare da Elwood, di non andare a Joliet, chiunque sarebbe rimasto basito dalle mie parole, io stessa sarei apparsa tale se non avessi vissuto quindici anni là dentro. Parole fredde dietro alle sbarre, dietro ad un vetro tramite una cornetta non era certo così che Elwood avrebbe dovuto apprendere la dipartita di suo fratello. Troppi schiaffi, troppe pugnalate, troppe frasi taglienti lo avevano accolto nella sua vita e, soprattutto, là dentro ed io non c'ero perchè in un'altra ala, e Jake non c'era perchè in isolamento. La mia decisione alle orecchie di Kensy poteva sembrare glaciale, ma sarebbe rimasta tale, avevo un appuntamento il sette marzo fuori da quei cancelli e il sette marzo avrei pianto con lui, facendogli forza, avrei accolto un fratello e pianto un altro, saremmo state due anime dilaniate dal carcere e dalla tremenda notizia, unite nel dolore, unite dopo anni, un tuttuno in quell'abbraccio che ci avrebbe dato la forza di guardare oltre nonostante gli occhi gonfi, rossi e abbandonati alle lacrime, uniti in quella stretta e nell'ultimo saluto ad un fratello partito troppo presto, portato via da un vortice troppo intenso per riuscire ad uscirne del tutto. Immaginavo come le mie parole potessero scuotere la gente che le udiva, ma così dovevano andare i fatti e così sarebbero andati, mentre io ancora faticavo ad assimilare l'idea della dipartita di quella quercia blues che non si arrendeva mai e trovava sempre un'uscita secondaria di fronte alle difficoltà.

Staccai nel pomeriggio, dopo quella chiamata mi buttai a capofitto nel lavoro finchè coloro che si erano fermati a pranzo non uscirono dal locale per tornare alle loro commissioni o ai loro uffici. Fu allora, a locale vuoto, che mi lasciai sprofondare su una sedia vicino alla finestra e guardai il cielo, come se stessi cercando qualcosa, come se pensassi di scorgere lo sguardo di Jake tra quel grigiore. Posai la testa sul freddo vetro e il mio sguardo guardò oltre, perso, stanco, scalfito, distrutto. Mi rannicchiai, portando le ginocchia, per come meglio riuscii, sotto al mento e piansi in silenzio, guardando la strada, guardando il cielo - Vaffanculo Jake, potevi almeno salutare prima di partire - mormorai tra le lacrime, una frase alla quale lui avrebbe sicuramente riso, alla quale avrebbe risposto con una pacca fraterna sulla spalla. Tirai su con il naso e notai i primi fiocchi scendere sull'asfalto scuro, accompagnati da una brezza fredda, uscii dunque sulla soglia del bar e godetti quei fiocchi, il suo saluto e quel soffio freddo tra i capelli, la sua carezza. Alzai nuovamente gli occhi al cielo, occhi lucidi, in preda alle lacrime, ma un lieve sorriso glielo rivolsi, era quanto avrebbe voluto e voleva.

Entrai nel locale, presi al volo la mia giacca ed inforcai gli occhiali da sole, lanciando il mio grembiule verso l'appendino che mancai - Kensy, io vado, spero non ti dispiaccia se non finisco il turno, ma devo vedere una persona - le comunicai diretta, senza darle il tempo di rispondermi e uscendo, era chiusa in ufficio e sapevo che la sua risposta sarebbe stata positiva, quindi non occorreva stare ad aspettare, soprattutto quando, per la prima volta, avevo il tremendo bisogno di vedere quel determinato qualcuno. Raggiunsi casa mia, per recuperare l'auto e sgasai verso il centro della città, con la neve che ora scendeva più copiosa di prima. Un parcheggio e un ospedale davanti a me, feci manovra e scesi dall'auto. Era da quando ero uscita da Joliet che non mettevo piede là dentro, era più forte di me, ma non riuscivo a vederla dietro una veste e una scrivania che non fosse quella dell'orfanotrofio. Quel giorno dovevo farlo, dovevo varcare quella soglia e parlare con lei, certa che mi avrebbe capito, come i vecchi tempi in fondo.

 Dopo aver superato diversi corridoi, arrivai al suo ufficio e mi feci introdurre, era nelle regole del posto, niente più porte che si aprivano da sole. Prima che la suora che mi faceva da guida potesse aprire la porta, lessi il nome della suddetta persona che dovevo incontrare sulla porta e presi un profondo respiro.

- Madre Mary c'è una persona per lei -.

- Vieni avanti, Ziggie - mi invitò e non mi stupii al fatto che mi chiamò per nome - ci lasci sole, sorella - fu quando la suora uscì che la Pinguina si alzò e aggirò la sua scrivania, parandomisi di fronte e, senza che potessi dire o fare qualcosa, mi diede un forte abbraccio, quello si che mi stupì! Nemmeno all'orfanotrofio si esponeva così tanto, a volte una carezza sul capo, ma era Curtis quello degli abbracci!!! Certo, non lasciai dischiusa quella stretta, ne avevo bisogno, avevo bisogno di mani salde, amiche, che sapevano quanto avevo passato e immaginavo che sapevano quanto era appena accaduto, così mi lasciai andare, abbracciai la suora che tanto avevamo fatto tribolare negli anni passati e, non riuscendo a trattenere le lacrime, mi lasciai andare.

- Non so dirle perchè sono qui - ammisi dopo che mi allontanai da quella stretta e tornò tutto come prima, sedendomi davanti a lei e la suora dietro la scrivania - oggi non so la risposta a niente -.

- Non occorre darsi sempre risposte, Ziggie - esclamò la suora cercando di confortarmi - Non avete mai cercato il perchè nelle vostre marachelle, nelle vostre azioni. Sei qui perchè sentivi di esserci, senza troppe domande, motivi, risposte - quel giorno quella donna burbera, fredda, non apparì tale, anzi, mi rincuorò.

Non stetti molto in quell'ospedale, non avevamo molto da aggiungere alla nostra discussione, se non che del funerale si sarebbe occupata lei stessa e si sarebbe svolto di lì a due giorni, la stessa data in cui avrei ripreso Elwood, ma nel pomeriggio. Uscii che la neve era diventata un misto con la pioggia ed alzai lo sguardo coperto dalle lenti scure, nonostante fosse ormai sera, provando ad immaginarmi Jake che scendeva a patti con il pezzo grosso, sostenendo che lui aveva vissuto una missione in suo nome e che quindi gli spettava un posto d'onore: si, perchè le sue marachelle non sarebbero finite.

Tornai a casa rincuorata, ma con un ampio vuoto dentro, presi l'armonica e mi sedetti sul divano a suonare una melodia malinconica, con lievi note di allegretto, mentre le lacrime stavolta scendeva libere, danzando sul mio volto a suon di musica, al suono di quel blues triste e azzardato in ricordo dell'anima soul di Jake.

I due giorni successivi non andai al lavoro, cercai di recuperare le forze per mostrarmi tale ad Elwood, dovevo sostenerlo, lui aveva più bisogno di me di quella spinta in più. Nonostante non facessi nulla, il giorno tra la notizia e il rilascio passò senza che me ne accorgessi e il sette Marzo bussò alle porte di quella che sarebbe stata una lunghissima giornata.

In divisa mi misi in macchina, occhiali scuri calati sullo sguardo appesantito dal pianto di quei due giorni passati, cappello ben calcato in testa e toni bianchi e scuri adagiati come sempre sul resto del corpo, un tuttuno tra stoffa e pelle. Guidai fino a Joliet e attesi in auto che i cancelli si aprissero e fu quando questo avvenne che guardai dritto davanti a me e presi un profondo respiro, dovevo trattenere le lacrime, non esser debole, fargli forza con gesti e parole. Fu quando quei cancelli si aprirono che al secondo profondo respiro scesi dall'auto e guardai Elwood uscire, accompagnato da due poliziotti. Fu quando quei cancelli si aprirono che era giunto il momento di guardare in faccia alla realtà.

 

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Capitolo 29
*** Goodbye brother ***


Buongiorno!!!! E siamo giunti quasi alla fine. Un capitolo arduo, duro, difficile. Devo molto alla mia sist Sax, molto perchè senza il suo aiuto non sarei riuscita a scriverlo ed è per questo che glielo dedico. Un grazie va anche a chi mi legge sempre e commenta come Joliet e JakeandElwood, grazie per seguirmi, davvero! Non dico altro, solo preparate i fazzoletti ancora una volta. Buona lettura.
Ile

 

                                                       29. Goodbye brother

Il terreno bagnato, la neve caduta due giorni prima si stava sciogliendo ed un tiepido sole era alto nel cielo. Gli occhiali scuri a nascondere il pianto, gli occhi arrossati e lucidi; gli occhiali scuri fissi sulla figura che tanto mi era mancata e che ora proseguiva verso di me, conscia di quanto era accaduto, il direttore glielo aveva detto sicuramente. Incredibile come un momento che attendi da diciotto anni si possa trasformare in un momento cupo e triste. Sorrisi velati, quasi timorosi ad apparire, sul volto; felicità unità a dolore, un mix letale, un vuoto incolmabile.

Osservai Elwood venire verso l'auto, verso di me, immobile, incapace di andargli incontro e solo quando decisi di muovere un passo, lui era già lì, di fronte a me, volto stanco, sguardo nascosto, vestito di tutto punto. Attimi intensi in cui i nostri sguardi si sfiorarono e parlarono; lenti scure su lenti scure, non più un vetro a dividerci, nulla, uniti nel dolore, incapaci di muoverci per il forte colpo subito.

Istanti, attimi, poi il lancio da parte di Elwood della sua valigetta attraverso il finestrino aperto; in seguito l'abbraccio, una stretta forte, una stretta che entrambi avevamo aspettato da anni e che non poteva aspettare altro tempo per essere data, una stretta felice in un momento di tristezza.

- Ciao bimba - emise flebile, un sussurro strozzato. Un sorriso apparì sul mio volto, un sorriso leggero, nonostante la disgrazia. Non c'erano più barriere a dividerci, eravamo insieme, uniti nel dolore e nel ritrovamento, lui con me e io con lui, testa appoggiata sulla sua spalla, braccia attorno alla mia vita, attimi mancati, recuperati.

- Ciao signor B - lo salutai, a mia volta, con un fremito nella voce, un tono basso e alquanto roco per quanto avevo pianto in quei giorni. Un sussulto quando le sue labbra posarono sul mio collo, calore mancato in mezzo allo sconforto. Era tutto così ingiusto, provare la dolcissima e meravigliosa sensazione di riabbracciare colui che amavi e non poterlo godere fino in fondo, dopo quei lunghi anni, a causa del lutto subito e immaginavo bene come poteva sentirsi Elwood, nessun saluto al fratello che non vedeva da troppo, nessuna risata con lui, gliel'avevano strappato da dietro le sbarre e non lo aveva più visto, niente, la speranza di ritrovarsi una volta fuori si era dissolta nella comunicazione del direttore e nelle parole sprezzanti dei secondini. Uno sguardo si alzò, occhi negli occhi, nonostante gli occhiali, che entrambi non avremmo tolto, non ora; un bacio mancato da diciottanni, un bacio triste e felice al tempo stesso, profondo nella malinconia, profondo nel dolore, uniti in una stretta che cercava di fortificare entrambi. Il tempo è beffardo, così come il destino, due fattori che muovevano insieme, compagni di sorte, ma noi stretti in quell'abbraccio ed uniti in quel bacio ci sentivamo sicuri, sicuri di riuscire a superare anche questa pugnalata, sicuri  di affrontare l'addio di quel fratello che ora ci stava guardando dall'alto e nel suo solito gergo ci stava invitando a muovere i nostri culi, mentre sorrideva per la riconcilliazione avvenuta.

- Bentornato El - gli dissi con una voce più ferma, ora, seppur roca, mentre cercavo le parole giuste per dirgli del funerale e non era facile, affatto - niente più vetri, solo abbracci che diventano veri - un sorriso lieve mentre gli accarezzavo la guancia, carezza che venne accolta dal volto e dalla mano di Elwood, che si chiuse e si strinse dolce sulla mia, gesti affettuosi mancati da troppo riprendevano vita.

- Ci sarà oggi, Zig? - mi chiese piano dopo un attimo di silenzio, un attimo in cui prese la forza e il coraggio di articolare quella richiesta.

Sapevo che quella domanda sarebbe arrivata prima o poi, sapevo che andava affrontata, era dura fare i conti con la verità, dura perchè ingiusta dopo tutti quegli anni lontani, ma la stretta della mano di Elwood sulla mia, il suo lieve sorriso, mi diedero la forza per affrontare la cosa - tra circa un'ora a Triple Rock - gli risposi. Mi guardò ed annuì, posando la fronte sulla mia, prendendone atto - Mi sei mancata come l'aria, Ziggie - mi sussurrò dolcemente, lasciandomi un bacio sul capo, per il quale sorrisi e feci un lieve cenno col capo, prima di lasciargli un altro bacio sentito sulle labbra - credo di poter dire la stessa cosa di te, signor B -.

Istanti che parvero infiniti davanti a quel di Joliet, momenti recuperati per qualche attimo e tra un'ora dovevamo trovarci a Calumet City.

Era stata la Pinguina ad aver gestito il tutto, lei aveva deciso la chiesa e preso accordi con il reverendo Cleophus James, che gestiva ancora la comunità.  Feci spazio ad Elwood, toccava lui guidare, aveva bisogno di un altro punto di forza, aveva bisogno  di sentire il motore, di avere tra le mani volante e cambio, di sfrecciare per quelle vie che aveva percorso per infinite volte e che, ora, erano tanto cambiate.

Il motore rombò sul selciato e lo superò, le gomme si presentarono di nuovo all'asfalto, mentre noi ci lasciavamo Joliet alle spalle e, stavolta, per sempre. Mura che avevano accolto una nostra parte di vita e poi l'uscita, una vittoria e una sconfitta insieme, addio.

L'impatto con Chicago dopo aver visto per anni il cielo a quadretti lasciava spiazzati, increduli, il vecchio era sovrastato dal nuovo, la modernità la faceva da padrone ed era difficile per noi, figli degli anni ottanta, fare i conti con il nuovo millennio e i suoi operati. Lo sguardo di Elwood si spostava di via in via, di marciapiede in marciapiede, di struttura in struttura, spaesato - che fine ha fatto la vecchia Chicago? - mormorò appena. Mi voltai a guardarlo, lo capivo, lo capivo bene, l'avevo vissuto anche io quell'impatto tre anni prima e ancora oggi faticavo a conviverci.

- Chicago non è più quella di un tempo. Ormai la modernità avanza sempre di più: le cabine telefoniche spariscono lasciando spazio ai telefoni cellulari, vecchi pub cambiano nome o chiudono, lasciando spazio alle discoteche e alla musica rimanipolata a computer e anche la viabilità è cambiata - gli feci i primi esempi che mi vennero in mente, forse i più semplici, annuendo appena - gira in quella via, è l'unico imbocco per la contea Cook con poco traffico - gli indicai una vietta poco più avanti, un senso unico tra due palazzi, una leggera scorciatoia.

- Millennio nuovo, vita nuova - annuì Elwood seguendo le mie indicazioni. Alla fine non aveva torto, il nuovo secolo aveva portato cambiamenti, ma se si porgeva attentamente lo sguardo, dietro a tutte quelle nuove tecnologie, dietro a tutta quella modernità, si poteva ancora scorgere la vecchia Chicago, la Blues City suonava ancora.

Presa la scorciatoia arrivammo davanti a Triple Rock nel giro di una ventina di minuti. Poche auto parcheggiate, la vecchia chiesa era come diciottanni prima, nessun cambiamento, una leggera ristrutturazione. Osservai quella facciata per diverso tempo, secondi che sembravano ore, le lacrime appannarono gli occhi, ma cercai di ricacciarle indietro, dopo quella porta c'era un fratello da salutare e non era il momento di cedere ai pianti. Presi un profondo respiro e scesi dall'auto, aggirandola e raggiungendo El, dall'altro lato, aprendo la portiera e dandogli una mano - Andiamo? - chiesi a mano tesa, la voce il più ferma possibile, un sorriso lieve a dargli forza. Elwood guardò prima me, poi la mia mano, mentre tamburellava le dita sul volante e prendeva profondi respiri, dopo qualche istante annuì, condividendo la stretta ed uscendo dall'auto - Si, piccola...Andiamo -.

La chiesa presso la quale era iniziata la loro missione portava ora il saluto a quel fratello a cui aveva mostrato la luce, a quel fratello che aveva in qualche modo redento. Il passato riecheggiava da ogni dove, ma non poteva esserci luogo più adatto per salutare Jake.

La navata centrale sembrava di una lunghezza interminabile, piccoli passi su un rettilineo infinito, sguardo posato sul feretro aperto al fianco dell'altare, mentre il magone si fermava in gola e l'ennesimo pugno allo stomaco era ricevuto. Una stretta forte alla mano di Elwood, altri passi, fredda calma mista a veloce tristezza. Davanti a noi la banda, la Pinguina e la verità da toccare con mano e vedere con gli occhi. I vetri colorati delle vetrate illuminavano la stanza come i tempi che furono, le nostre suole battevano sul pavimento ed ogni passo non portava alla mente solo ricordi, ma ci proiettava verso la realtà. Notai Elwood fermarsi a circa metà navata, lo sguardo fisso sul dipinto di fronte a noi, un disegno che non avevo notato, un disegno nascosto ad occhio poco attento, un disegno che fece sorridere entrambi: un fiume che si perdeva all'orizzonte, illuminato da qualche vetrata alle nostre spalle, forse alcune finestre avevano i quadri colorati di blu, o forse era la stessa opera ad essere ricca di quella sfumatura, ma quando un dettaglio rincuora un'anima triste ha importanza? C'era un quadro blues a Triple Rock e forse non era un caso che Curtis ci avesse condotto in quella chiesa.

Toccai lieve il braccio di Elwood, osservandolo con un sorriso rincuorante, era tempo di fare i conti con il resto. La bara lì in mezzo metteva un senso di vuoto, un senso a cui poni la domanda "e ora?" perchè non sai come muoverti, non sai cosa fare, perchè è sempre difficile dire addio, soprattutto se colui che devi salutare era una colonna portante della tua vita. Avevamo il nostro tempo, nessuno ci aveva oppresso. Avevamo il nostro tempo, ma forse era meglio fare forza su quei piedi che erano come incollati al pavimento, incapaci di compiere altri passi. Presi un profondo respiro e gli accarezzai il volto, guardandolo in faccia - Se vuoi stiamo in piedi, El. Qui, non andiamo oltre, ma non so quanto Jake sarebbe d'accordo, sai bene quanto fosse permaloso - dissi seria, pacata, cercando di fare coraggio ad entrambi, nonostante quelle parole potevano apparire poco adatte, ma se c'era una cosa che avevo imparato, in quei due giorni, era accettare il tutto, provando ad immaginare il fratellone ancora vivo, che mi spronava, che mi parlava, perchè Jake ci sarebbe sempre stato e quel tentativo appena dettato dalle mie labbra segnava, si, ma fortificava. Dal canto suo Elwood annuì, stringendomi stretta in un abbraccio, prima di ricomporsi e intraprendere quei passi mancanti che ci dividevano dal feretro. Il saluto a Jake, però, non arrivò subito, la Pinguina ci invitò ad accomodarci, la celebrazione stava per avere inizio.

Fu strano vedere pacato il reverendo Cleophus, fu strano vedere quella chiesa in silenzio, ma quel giorno andava bene così, un'omelia semplice a salutare una carica di energia spenta nel feretro, ma attiva nel cielo. Pensavo di riuscire ad essere forte, a rimanere impassibile alle parole in ricordo di Jake usate dal reverendo e invece mi sbagliavo, ero combattuta tra nervosismo e tristezza, una lieve felicità mista a lacrime che volevano farla da padrone, nonostante cercassi di trattenerle.

Alla fine della celebrazione il reverendo comunicò il luogo di sepoltura e quando si ritirò, fu allora che il momento si fece critico. I ragazzi si spostarono al centro della navata, in modo da lasciarci da soli con lui, per l'ultimo saluto a quella bara che stava per chiudersi, la Pinguina rimase seduta sulla panca, in silenzio, accanto a lei il cappello e gli occhiali di Jake, si, perchè era vestito di tutto punto, ma mancavano loro. Pensavo che il saluto lo avremmo dato ognuno per proprio conto, ma mi sbagliavo, Elwood si alzò e mi porse una mano, che non esitai ad afferrare: eravamo cresciuti in tre, eravamo in tre anche in quel momento.

Ci avviammo verso il feretro ed eccolo il fratellone, sdraiato dentro quello scafandro di legno del nostro colore preferito,  il viso pallido, disteso, gli occhi chiusi e leggermente affossati, segnati da un violastro che qualche giorno prima doveva appartenere alle occhiaie. Aveva un'aria quieta, come se dormisse, con le labbra sottili che nascondevano l'ombra del suo sorriso furbetto e le sopracciglia fenomenali, pronte ad inarcarsi in quel buffo ed accentuato modo che solo lui sapeva fare.

Sorrisi appena nel notare che non era poi così cambiato, un sorriso triste. Notai Elwood aver preso coscienza e lasciarmi la mano, eccolo il momento dei saluti solitari, il momento in cui i piedi si inchiodavano maggiormente al terreno. Quante volte lo avevo visto dormire, scomposto, in ogni dove? Fu quella compostezza a rendere il tutto più reale, tristemente vero. Nuove lacrime bussarono le iridi, tirai su con il naso cercando di ricacciarle indietro, prendendo coscienza e coraggio, avvicinandomi a lui, accarezzandogli una guancia fredda, prima di posarvi un bacio su di essa. Mi alzai appena, prendendo il mezzo pacchetto di sigarette che avevo in tasca, infilandoglielo nella propria - non sia mai che, ti vengano strane voglie, lassù - dissi tristemente ironica, passandogli una mano tra i capelli - ciao fratellone - lo salutai facendo un passo indietro, lasciando spazio ad Elwood, che nel frattempo aveva recuperato gli effetti di Jake, quel cappello e quegli occhiali lo avrebbero accompagnato anche in quel nuovo viaggio.

- Ehy... Finalmente ci si rivede, mh? - lo salutò El con voce strozzata, cercando di suonare allegro, il meno provato possibile, come se lo stesse rivedendo seriamente, vivo, dopo tutti quegli anni. - Sai... lo so che sei uno a cui non piacciono i sentimentalismi - fece una pausa - e so anche che sei uno che non si attacca più di tanto a certe cose - un'altra pausa - ma penso che è meglio se questi li tieni tu - disse poi chinandosi su di lui e mettergli cappello e occhiali - siamo cresciuti così, alla fine. Ognuno deve avere i propri oggetti che lo caratterizzano... E non penso che sarebbe la stessa cosa se questi finissero ad impolverarsi su qualche scaffale o ereditati da chissà chi... - spiegò piano, con la voce che faticava ad uscire - siamo sempre i fratelli Blues, no? Non mi sembra il caso di cambiare divisa solo perchè è un'occasione diversa, giusto? - soggiunse poi, abbozzando un sorriso, stringendogli lieve una spalla - porta un pò di sano blues ai piani alti ora, ok? Tra un pò ti raggiungeremo a fare impazzire anche il Superiore - gli diede poi una lieve pacca sulla spalla come era solito fare ed annuì - ci vediamo bello... stammi bene Jake - il saluto definitivo, l'ultimo sorriso mentre silenziose lacrime sbucavano da sotto le lenti scure, guardandolo per un'ultima volta. Assistetti alle spalle di Elwood a quel saluto fraterno, il momento della presa di coscienza vero e proprio, il momento dell'addio di due fratelli, il momento in cui la felicità incontrava la disperazione, un miscuglio di sentimenti e umori che nessuno dovrebbe provare in una volta sola, non dopo diciotto anni di gattabuia. Assistetti alle spalle di Elwood e le lacrime scesero a quella scena fraterna e toccante, ma non le fermai, le avevo ricacciate indietro troppe volte. Feci il segno della croce, sfiorando la bara nera, lasciando che i due fratelli restassero soli, avviandomi verso la navata e ignorando la Pinguina e i restanti componenti della Banda, che avevano cercato di fermarmi. Tutto quello che avevo bisogno era una boccata d'aria prima della marcia fino al cimitero e di lasciare che le lacrime scivolassero da sole per un pò, mi andai, dunque, a sedere sul cofano dell'auto e qui, una volta portate le ginocchia al petto, le lasciai correre libere, piangendo.

Non rimasi sola a lungo, riconobbi i passi di Elwood, dopo qualche minuto, raggiungermi, ma non alzai lo sguardo subito, mi ero ripromessa di non piangere davanti a lui, di esser forte per entrambi, ero caduta, ma quando El si avvicinò e mi alzò il volto, guardandomi negli occhi e asciugandomi con i pollici le lacrime, prima di abbracciarmi stretto, acquistai maggior sicurezza e ricambiai quella stretta: due anime unite che si facevano coraggio a vicenda.

- Scusa se me ne sono andata, avevo bisogno di una boccata d'aria - tirai su con il naso, alzando lo sguardo verso di lui, asciugandogli a mia volta le lacrime che gli rigavano il volto. Avevamo ceduto entrambi, ma, forse, quello era il momento adatto per farlo. Non un pianto disperato, solo un pianto di un uomo e di una donna che avevano perso il fratello con il quale erano cresciuti.

- Va bene così, piccola - disse con voce spezzata lui, l'abbraccio forte si stava sciogliendo e il silenzio era riempito da leggeri singulti e ampi sospiri. Ci sarebbe voluto del tempo per accettare il tutto, ci sarebbe voluto del tempo per impedire che le lacrime scendessero alla vista di una fotografia, Jake non c'era più, era vero, ma lui viveva con la sua ironia, con il suo essere grande, che ci aveva lasciato: la canaglia era partita per il suo viaggio solo fisicamente, lasciandoci il ricordo più bello di sè.

Furono in sei a portare in spalla la bara del fratellone, Elwood davanti con Tom al fianco e al seguito Steve, Matt, Dunn e Blue Lou. Faboulus era sul sagrato ad intonare con la tromba una melodia triste, mentre Murph, Willie e la Pinguina erano al mio fianco. La marcia verso il cimitero proseguì poi in auto, la nostra fu l'aprifila, dietro di noi il carrofunebre e gli altri: silenzio su ruote, anche il motore piangeva nel rombo.

Altre lacrime bagnarono le guance in caduta libera, quando la terra prese ad avvolgere la bara, una carezza fredda, cumuli sul vuoto, su una bara nera accolta dalla madre terra. Terra bagnata dai pianti, un'armonica che suonava con una tromba, un addio ad un'anima blues che aveva scaldato i cuori, che aveva fatto rinascere quella musica nascosta nei sobborghi della vecchia Chicago. Un addio, un arrivederci alla canaglia, al musicista, al fratello, all'uomo.

 

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Capitolo 30
*** Un posto riservato ad un cappello nero e a degli occhiali scuri ***


Salve a tutti cari lettori!!!!
Perdonatemi il madornale ritarno con cui aggiorno ma,oltre all'università e ad altri impegni, questi ultimi capitoli non sono stati affatto facili da sfornare!  Eccoci comunque qui, questa storia è giunta ad una conclusione e una lacrimuccia scende, soprattutto perchè ormai sono quasi due anni che vi lavoro. Volevo ringraziare tutti coloro che mi hanno supportato, la mia sister Sax, Joliet, JakeandElwood, tutti coloro che leggono, che recensiscono, che recensiranno. Un grazie in particolare a questo cult movie che accompagna la mia vita, a Dan Aykroyd e John Belushi semplicemente per aver dato vita a questa meraviglia su pellicola, alla grande famiglia della blues brothers tribùte band che mi infonde energia ad ogni loro concerto!

 

          30. Un posto riservato ad un cappello nero e a degli occhiali scuri

Attimi, suoni cullati dal vento ed ombre posate sul muro.

Un carillon risuonava nella piccola stanza dalle pareti bianche, con una piccola culla al centro; la finestra aperta, faceva passare il vento che suonava la sua melodia con esso, mentre i raggi del sole accarezzavano la giostrina proiettandola sul muro.

Suoni che sfumarono quando la brezza di fine febbraio cessò; suoni che sfumarono, il bimbo sarebbe dovuto nascere attorno al 20 di marzo e già sembrava che Chicago lo richiamasse, già sembrava che Chicago volesse conoscere quel nuovo Blues che sarebbe arrivato in città.

Da quando Jake se ne era andato le giornate non erano più le stesse, ogni membro della vecchia banda si era rifatto una vita, quasi tutti avevano lavori rispettabilmente allegri, dico quasi perchè Faboulous, non aveva un lavoro così felice, lavorando come becchino, io avevo il mio posto fisso al bar ed Elwood lavorava come meccanico in un'autofficina di Calumet City. Ci si ritrovava a suonare ogni tanto, durante qualche weekend, suonando al mio pub o in altri locali dove la nostra fama, nonostante il tempo passato, era ancora grande. La blues brothers band era ancora viva in città.

Da quando Jake se ne era andato era passato quasi un anno, ancora faticavamo a crederlo possibile, ma quando ti ritrovavi di fronte una fredda lapide grigio scura tornavi a fare i conti con la realtà, anche se le parlavi come se davanti avessi lui in carne ed ossa.

Da quando Jake se ne era andato, la nostra visita al cimitero era un fattore quotidiano e non poteva essere altrimenti.

Da quando Jake se ne era andato, la vita era un pò meno movimentata, io ed Elwood abitavamo nel mio vecchio appartamento e gli avevamo dato una sistemata, dato il nuovo arrivo nel mio grembo. Stavamo per diventare genitori, un'emozione indescrivibile quando ne venimmo a conoscenza. Una famiglia nostra, una famiglia vera e propria, due canaglie che avevano vissuto una vita di alti e bassi, tra marachelle e galera, due orfani che ora divenivano mamma e papà. Era un arrivo inaspettato quello di quel piccolo blues, un punto di partenza per un nuovo inizio, nuovi sorrisi in quel mese di Marzo per noi così nero da quel fatidico giorno.

Famiglia, dei tre anni vissuti con i miei genitori ho sempre avuto ricordi vaghi, se non alcuni sorrisi che mi riportavano alla mente piccole cose quotidiane, piccoli ricordi lontani. Famiglia, un termine che, sia a me che ad El, ha sempre fatto riflettere. Due orfani come noi sarebbero stati in grado di affrontare l'avventura dell'essere genitori? Cosa fare, come agire, ci si riuscirà?  Riflessioni, pensieri e domande che sparirono quando la notizia ci avvolse, quando la felicità ci avvolse, quando tutto divenne reale.

Il grembo che cresceva di giorno in giorno, di mese in mese, era la risposta a tutte quelle domande che ci eravamo poste, perchè non è importante chi sei, la vita che hai fatto, il tempo passato o il tempo presente, un bambino è una nuova partenza, una nuova vita che si unisce alla tua, alla nostra, perchè tutti possono dare vita ad una famiglia e noi l'avevamo già fatto, anche se in maniera un pò diversa: eravamo famiglia quando c'era Jake, quando eravamo all'orfanotrofio, con la banda, tanti piccoli rami legati ad un tronco che ora generava una nuova strada, un nuovo ramoscello da accudire e stavolta con le nostre sole forze.

Era una giornata in cui il freddo la faceva da padrone nonostante l'inverno fosse giunto quasi al suo termine, ma nessuna condizione ambientale ci avrebbe fermato nell'andare a salutare il nostro fratellone. Era passato quasi un anno da quel giorno in cui tutto era precipitato nell'oblio ma, anche se ora aspettavo un bimbo, avevamo entrambi un lavoro ed un bell'appartamentino, le cose non erano poi così cambiate e quella divisa che era un pò come la nostra seconda pelle era ancora parte del nostro abbigliamento quotidiano, per Elwood soprattutto, perchè lui non aveva problemi di pupo in pancia, anche se aveva messo su qualche chilo.

Il silenzio del viale alberato del cimitero accompagnò i nostri passi, mano nella mano, fino al luogo di sepoltura di Jake. Una lapide grigio scura ad attenderci, un cappello nero posato sopra ad un angolo di essa, qualcuno lo aveva lasciato in ricordo. Sorrisi lievi scambiati tra noi, prima di iniziare quel dialogo quotidiano con un fratello ormai lontano, ma mai così tanto vicino.

- Un cappello nero a dimostrare la tua presenza - commentai accarezzando quell'indumento, come se fosse stato davvero il suo - un gesto da parte della tua Chicago, che dedica ogni nota di blues suonata per le strade a te -.

- Già, manchi davvero a tutti, bello! - soggiunse Elwood, passandomi le braccia attorno alla vita e accarezzando lento il grembo - Tanto che la città sembra impaziente di vedere zompettare il tuo omonimo per le sue vie - aveva sempre un tono di rammarico quando parlava con il fratello tramite quella fredda lapide, un tono che di giorno in giorno diveniva però più saldo, più sicuro.

- Non potevamo non chiamarlo come te, alla fine, scalcia che è una meraviglia e se va avanti così, credo proprio ricalcherà le orme  dello zio su un campo da football - ammisi a mia volta, accarezzando le mani di El sul mio ventre, sorridendo a quel nome inciso sulla pietra fredda.

- Jake Junior Blues, un JJB proprio come lo zio e so che ti stai chiedendo il perchè di quel junior, ma credo che tu sappia già la risposta... Di boss ce ne è uno e non si nasce Joliet Jake tutti i giorni - qualche tempo prima un'uscita come quella Elwood non l'avrebbe mai fatta, l'avrebbe dovuta meditare, avrebbe avuto bisogno dei suoi tempi ed ora, invece, eccoci qui, nero su bianco, a parlare con un fratello scomparso si, ma sempre presente; a parlare con lui come se stessimo vivendo le nostre vecchie e classiche discussioni, le nostre vecchie e classiche chiacchierate davanti ad un pranzo, ricordi che vivevano ogni giorno.

- Io qui ti saluto fratellone, tu ed Elwood avete bisogno di scambiare le vostre quotidiane chiacchiere da uomini e il pupetto ha iniziato a scalciare, fai il bravo ai piani alti, mi raccomando - feci il segno della croce e lasciai un bacio sulla mano, prima di posarla sulla lapide in segno di saluto - ti aspetto in macchina, signor B - sussurrai poi ad El, lasciandogli un leggero, ma sentito, bacio sulle labbra prima che potesse obbiettare e mi avviai verso l'uscita.

Il freddo iniziava a farsi sempre più pungente e con il bimbo che scalciava non era bene stare troppo in piedi, ma non lasciai Elwood da solo con Jake per questo, i due fratelli avevano bisogno di parlarsi da soli, in privato ed il vento mi ringraziò, accompagnandomi alla bluesmobile avvolta in un abbraccio fraterno.

                                                          ********

Guardai Ziggie incamminarsi per quel viale alberato percorso insieme poco prima e sospirai, ma aveva ragione, quello era il tempo per la chiacchierata tra soli uomini, tra fratelli e avevo una cosa importante da comunicare a Jake, un pensiero che aveva atteso troppo tempo prima di divenire decisione.

- Ancora qualche settimana e diventerò papà, ci credi? Una canaglia, un quarantenne plurirecidivo che terrà in mano un frugoletto, che diventerà genitore, un ruolo che non ha mai conosciuto durante la sua vita - presi fiato e mi appoggiai con la schiena all'albero poco dietro di me - io ancora non ci credo, è solo guardando Ziggie e il suo ventre che cresce di giorno in giorno che me ne capacito - non era facile trovare le parole adatte, era uno sfogo quello, era quanto non avrei detto a nessun'altro all'infuori di lui, erano le parole di un uomo che stava affrontando un nuovo inizio. - Sai... non ho mai creduto nel fattore famiglia, conosci meglio di me le volte che hanno tentato di addottarmi e il risultato fallimentare di queste e i vari perchè... Ciò che si avvicinava di più a quest'idea eravate tu, Curtis, la Pinguina, la Banda e Zig... Ed è in questi ricordi, in questi attimi vissuti con Ziggie da quando sono uscito di galera, nel semplice gesto di venire qui tutti i giorni, nel semplice gesto di sistemare casa, di comprare un lettino per il bimbo, che risiedono i mattoni per creare quanto non ho mai avuto e conosciuto... Lo so come la pensi, bello! E' come se la tua voce risuonasse nel dirmi che devo riflettere, che quanto sto per dirti è un vincolo che reclude la libertà, ma penso che saresti d'accordo con me nel sostenere che nulla è peggio del carcere... Nulla è peggio dello stare lontano da un fratello con il quale avevi discusso... Nulla è peggio dello stare lontano dalla tua donna per anni... E quando esci da quella realtà, il mondo ti viene incontro con tutte le mancanze... Conosci bene anche tutta la storia con Ziggie, il nostro distacco, le nostre riprese, basi che si sono saldate nel corso del tempo e che ora vorrei crescessero di più: un bimbo, una casa... Una moglie - feci una pausa di silenzio, piuttosto lunga. Avevo bisogno che quelle parole uscissero fuori, un riscontro con Jake e una presa di coscienza - Si, bello! Hai capito bene... Mi sposo! - gli comunicai con un leggero sorriso, staccandomi dal tronco dietro di me e posando su quella fredda lapide una mano, come se quella fosse la spalla, che stringevo per incoraggiarlo, un saluto giornaliero prima di voltare le spalle. Mi fermai, però, dopo pochi passi, voltandomi di nuovo verso di lui e verso quel copricapo in nero all'angolo - Dimenticavo... Il posto del testimone è riservato ad un cappello nero e a degli occhiali scuri, che tanto ci mancano, ma che non sono mai stati così vicini -.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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