Passato, presente, futuro di Mitsuki91 (/viewuser.php?uid=158486)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La decisione del preside ***
Capitolo 2: *** Richiesta ***
Capitolo 3: *** Risposta ***
Capitolo 4: *** Orfin Gaunt ***
Capitolo 5: *** Lo sapevi? ***
Capitolo 6: *** Sfogo ***
Capitolo 7: *** Primo giorno di scuola ***
Capitolo 1 *** La decisione del preside ***
L’altro giorno ho chiesto su
facebook se iniziare a scrivere subito la storia, sapendo di non poter dare
aggiornamenti regolari e, anzi, prevedendo tempi lunghi… Mi è stato risposto di
sì, perciò eccomi qua! =D
Vi presento l’ultima storia
di questa serie, seguito de ‘L’erede di Serpeverde’. Spero che l’apprezzerete
come le altre due =)
Mi raccomando, fatemi sapere
che ne pensate! =)
E scusatemi se non aggiornerò
molto spesso… Se vi farò aspettare un bel po’… Purtroppo gli esami chiamano,
non decido io le date degli appelli! >..<
Buona lettura =)
La decisione del preside
Alla
fine il preside Dippet aveva acconsentito.
Aveva
richiamato Tom ed Eva l’ultimo giorno prima delle vacanze nel suo studio, per
dare una risposta definitiva.
“Ho
contattato tua zia Emily per esporle la tua richiesta, Eva, e lei ha… Ehm,
confermato quello che avevi detto.” disse, con un attimo di esitazione. In
effetti la donna era stata parecchio sgarbata e fin troppo entusiasta di
potersi ‘liberare’ della nipote per quell’estate. “E abbiamo avvertito anche il
tuo orfanotrofio, Tom, quindi… Potete restare.”
Gli
occhi di Eva si erano illuminati.
“La
ringrazio, preside!” esclamò, felice come non mai.
Tom
le strinse piano la mano, come per darle un avvertimento.
Il
preside Dippet la fissò intensamente negli occhi.
“Naturalmente,
signorina, questo non significa che avete la piena libertà. Siete comunque dei
minorenni, e non pensiate che la vostra… Relazione… Sia passata sotto silenzio.
So che vi frequentate, ma situazioni… Indecenti…” il preside si stava trovando
in enorme difficoltà: non aveva mai dovuto trattare prima certi argomenti, men
che meno con due studenti.
Eva
avvampò fino alla punta dei capelli quando capì dove il professore volesse
andare a parare, tuttavia Tom non si scompose e mantenne il suo proverbiale
autocontrollo.
“Signore,
non si preoccupi. Siamo persone responsabili e, in ogni caso, non è mia
intenzione mancare di rispetto ad Eva, che come lei ben saprà è la mia
ragazza.”
Armando
Dippet guardò negli occhi Tom, cercando di non provare il disagio che sentiva,
e decise di dargli fiducia.
“Ebbene,
non ho altro da aggiungere. Io vivo nel castello, quindi non resterete soli, e
credo che anche qualcun altro del corpo docenti rimanga… Albus Silente, ad
esempio, lui rimane tutti gli anni... Non siete costretti a dormire nei vostri
dormitori, d’estate ovviamente non vi sono parole d’ordine e questo potrebbe
creare un po’ di confusione. Ci sono vari appartamenti sparsi nel castello, ma
confido nel vostro buonsenso.”
Eva
colse chiaramente il messaggio dietro quelle parole, e ancor di più dietro
l’occhiata che il preside lanciò loro: letti separati. Lei non sapeva che
pensare: da una parte aveva già dormito con Tom, non vedeva l’ora di rifare
l’esperienza, aveva paura del buio e quindi non poteva permettersi di stare
sola di notte… Dall’altra, però, vedeva anche le cose dal punto di vista del
preside, che giudicava sconveniente che due ragazzi dormissero insieme. Chissà
che avrebbe pensato se avesse saputo del resto. Già stava facendo un gran
favore, permettendo loro di rimanere…
Si
congedarono poco dopo e si diressero verso il parco, più precisamente verso un
salice piangente che avevano scoperto giusto il giorno prima e che avevano eletto
a loro personale rifugio.
I
lunghi rami cadevano davanti a loro, abbastanza fitti da creare ombra fresca ma
non troppo da impedire la vista sul lago, anche se in effetti erano un po’
distanti. Si sistemarono come al solito: lui dietro, la schiena appoggiata al
tronco, lei davanti, fra le sue gambe, la testa sul suo petto. Il bello
dell’ombra era la frescura: potevano starsene abbracciati per ore senza dover
colare dal caldo, sudando come matti.
“Allora.”
disse Eva “Cosa sarebbe questa storia che mi rispetti?”
Tom
abbassò la testa ed incontrò i suoi occhi azzurri.
“A
che ti riferisci?” chiese, sorpreso.
“Beh…
A quello che hai detto al preside… Sai, che siamo responsabili e che mi
rispetti…” Eva avvampò, cercando di far capire al suo ragazzo quello che aveva
in testa “Però… Noi facciamo anche certe
cose.”
Tom
fece un sorrisetto furbo.
“Oh…
Intendi forse che facendo… Certe cose…
Io ti manchi di rispetto?” le chiese “Credevo che anche tu fossi d’accordo…”
Eva
distolse lo sguardo, imbarazzata.
“Non
è che non mi dispiaccia… E’ che… E’ sconveniente… Per una ragazza, soprattutto,
prima del matrimonio…”
La
ragazza non aveva dimenticato il tono sbalordito della sua amica Annie quando
Daniel, scherzando, l’aveva accusata di fare ‘zozzerie’ con Tom. Lei
personalmente non ci vedeva nulla di male, anzi,
ma aveva paura che se Annie avesse saputo non l’avrebbe più guardata con gli
stessi occhi. Dopotutto era la sua migliore amica, e lei non voleva che si
facesse un’idea sbagliata…
Tom
prese i polsi di Eva e poi la buttò per terra, semi-sdraiandosi sopra di lei,
senza pesarle. Nei suoi occhi c’era una luce divertita e forse anche un po’
maliziosa.
“Dunque
mi stai dicendo che questo… Ti dà
fastidio?”
Eva
era arrossita come non mai, e iniziava a sentire decisamente caldo.
“No,
io… Pensavo, gli altri…”
“Gli
altri? Perché agli altri dovrebbe interessare quello che facciamo noi due, in privato?”
La
ragazza percepì un gonfiore premerle sulla gamba destra e sentì l’eccitazione
salire.
“Ma
Annie…”
“Annie
pensa male di te, solo perché abbiamo fatto certe
cose?”
“Non
gliel’ho detto.” ammise Eva.
“E
vorresti?”
“Cosa?”
“Vorresti
dirglielo?”
“E’
che… E’ la mia migliore amica.”
“Questo
non significa doverle dire tutto quello che fai con me, Eva.”
Tom
si rialzò di scatto, trascinando la ragazza con sé e abbracciandosela stretta.
“Comunque…
Se non ti accetterà, dopo che saprà quello che hai fatto… Anche se
personalmente non vedo nessun motivo per cui tu debba dirglielo… Allora vuol
dire che non era poi così amica.”
“Tom…”
sussurrò Eva, alzando lo sguardo e vedendo il ragazzo intento ad osservare il
lago.
“Chi
non ti vuole non ti merita.”
C’era
qualcosa, in quelle parole, nel tono della voce. Come una sorta di… Durezza,
quasi dolore, anche se nascosto molto abilmente.
Eva
liberò un braccio ed iniziò ad accarezzargli la guancia, facendogli abbassare
lo sguardo.
“Non
m’importa della gente. Hai ragione: Annie potrà pensare quello che vorrà, se
mai lo saprà. Non voglio smettere di fare quello che facciamo solo perché…
Perché gli altri non capiscono.”
Tom
sorrise, uno di quei rari sorrisi senza il luccichio di scherno dietro agli
occhi. Dolce, amoroso: solo per lei,
Eva.
Si
chinò a baciarla e lei sentì il desiderio afferrarla, di nuovo.
“Neanche
io voglio smettere, sai?” le disse, scendendo a baciarla lungo il collo. Eva
gemette, stringendolo di più a sé.
“Credo
però che dovremo aspettare domani, quando non ci sarà più nessuno. Non vorrai
mica dare spettacolo, vero? Le fronde del salice non riusciranno a nasconderci
del tutto.”
Lei
fece una faccia contrariata e lui ridacchiò.
“Come
sei impaziente, Eva.”
Passarono
il resto del pomeriggio abbracciati, sotto il salice, godendosi la vista del
parco e degli studenti che passavano l’ultimo giorno di scuola in riva al lago.
PS= Tenete conto dell’epoca
in cui si svolge la storia… Non sono io che sono diventata bacchettona tutto
d’un colpo XD
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Capitolo 2 *** Richiesta ***
Ce l’ho fatta!
Ho scritto questo capitolo,
yay! =D
Gli esami sono finiti sabato
u.u domenica sono stata tutto il giorno dal moroso e ieri e l’altro ieri
università da mattina a sera =..= finalmente oggi ho trovato il tempo per
scrivere… E questa storia non l’aggiornavo da troppo, così ho deciso di
buttarmi su questa u.u
Bene, siete contenti? =D
Fatemi sapere che ne pensate
;) ringrazio chi mi segue/preferisce/ricorda e chi recensisce… Siete fantastici
=)
Buona lettura! =D
Richiesta
Tom
Riddle aveva avuto un’idea, un’idea che si era fatta strada nella sua mente con
lentezza, che aveva faticato ad accettare come tale. Non sapeva che fare, se
metterla in pratica o meno… Così decise di parlarne con la sua ragazza.
“Eva.”
“Che
c’è, Tom?”
Erano
in Sala Grande, per pranzoe: gli altri studenti se ne erano andati – Eva aveva
salutato con molti abbracci le sue amiche – e rimanevano solo loro e qualche
professore al castello. Vi era uno strano silenzio, in effetti, e i due ragazzi
erano seduti al tavolo di Serpeverde, mentre Armando Dippet e Albus Silente
chiacchieravano a quello dei professori.
“Volevo
sapere… Che ne pensi di…”
Il
ragazzo avvampò, cosa molto insolita per lui. Normalmente era sempre sicuro,
freddo e distaccato, mentre adesso sembrava nervoso. Eva gli mise una mano sul
ginocchio e lo invitò a proseguire con lo sguardo.
“Vorrei
sapere se c’è qualche parente in vita di mia madre. Ecco. Aveva pensato di
chiedere a… Al professor Silente… Se mi potrebbe aiutare nella ricerca. Voglio
dire, abbiamo visto i documenti del processo di mio zio e mio nonno, e stando a
quanto c’è scritto ormai dovrebbero essere liberi, quindi…”
Eva
sorrise e gli diede un rapido bacio sulla guancia.
“E’
un’ottima idea, Tom.”
Il
ragazzo parve rassicurato un poco dall’approvazione della ragazza e si rilassò.
“Posso
chiederti una cosa? E’ una curiosità, più che altro…” chiese Eva, portandosi
alla bocca un pezzo di carne.
“Dimmi.”
“Perché
proprio il professor Silente?”
Tom
poggiò la forchetta e il coltello e strinse la mani a pugno. Passò un bel po’
di tempo prima che si decidesse a rispondere.
“…
Te l’ho mai detto che è stato il professor Silente a dirmi che ero un mago?”
Il
secondo boccone di carne rimase fermo a mezz’aria.
“No,
non me l’hai detto.”
“Il
fatto è che ero un bambino… Insomma… Non volevo credergli, poi Silente ha
incendiato il mio armadio….”
“Ha
incendiato il tuo armadio?!”
“Sì,
esatto. Ovviamente non per davvero, però… Devi capire che ero cattivo, Eva. Un
bambino cattivo. E speciale.”
“Oh,
Tom, nessun bambino è cattivo… Non intenzionalmente, almeno…”
Tom
scosse la testa e chiuse gli occhi per un momento.
“Io
lo ero, Eva. Avevo scoperto i miei poteri, avevo imparato a controllarli, e li
usavo per far del male agli altri bambini in orfanotrofio. Non volevo stare lì.
Non lo voglio tutt’ora.”
La
ragazza decise di lasciar perdere definitivamente la carne e ancora una volta
gli poggiò una mano sul ginocchio, stringendo piano. Sapeva che per Tom
rivelare quella parte di sé non era facile: voleva fargli capire che lei ci
sarebbe sempre stata, qualsiasi cosa lui avesse detto.
“Avevo
rubato delle cose. Lui me le ha fatte restituire e mi ha detto che il furto non
era tollerato a Hogwarts. Credo che mi abbia sempre tenuto d’occhio, sin dal
primo giorno… E io sono stato corretto, almeno ai suoi occhi: lontano da lui,
nel dormitorio dei Serpeverde, mi sono creato come una cerchia… Mi si sono
avvicinate delle persone che trovavano interessante il mio essere sempre il
migliore, che mi hanno messo in testa delle idee… Non ti nascondo che, prima di
conoscere te, stavo pensando al modo più profittevole di usare quelle idee e
quelle persone.”
“Oh,
Tom.” mormorò Eva.
“Comunque,
le cose sono cambiate. Ho incontrato te e… Mi sono innamorato.”
La
ragazza si sentì felice oltre ogni dire. Sapeva che Tom l’amava, ma sentirselo
dire… Lui, che misurava sempre le parole, che non si lasciava quasi mai a
confidenze di questo tipo…
Tom
si girò a guardarla negli occhi.
“Tu
sei la cosa migliore che mi sia mai capitata, Eva. Senza di te non avrei mai
visto certe cose da un’altra prospettiva e… Avrei preso una brutta strada, me
ne rendo conto adesso. Il mio stare con te mi ha migliorato come persona e…
Credevo di averlo dimostrato anche al professor Silente.”
Eva
stava per dire qualcosa, ma Tom le mise un dito sulle labbra. Fece un sorriso
triste.
“Poi
è successo quell’incidente nella Camera dei Segreti, e tu hai rischiato di
morire. In quel momento mi sono reso conto che, per la mia stupidità, per il
mio volere sempre il controllo… Ti avevo messo in pericolo, avevo rischiato di
perderti. E il professor Silente è intervenuto, e tutto ci che di buono poteva
aver visto in me è evaporato.”
“Io
non credo che…” iniziò Eva.
“Voglio
solo ottenere fiducia da lui, di nuovo.” la interruppe Tom “Voglio dimostrargli
che son cambiato veramente; che, anche se i miei modi sono sempre un po’
bruschi e distanti, la mia anima è nuova. Voglio coinvolgerlo in una cosa così
personale in modo che si renda conto che non sono più un bambino capriccioso
ferito per essere stato sgridato dopo aver commesso una malefatta… Ma sono un
uomo degno di stima, che ha riconosciuto come saggio l’atteggiamento che ebbe
Silente quel giorno.”
Eva
si era commossa. Le lacrime scendevano copiose e le rigavano le guance, ma a
lei non importava.
“Oh,
Tom.”
In
quel momento non importava neppure che il preside Dippett fosse poco distante e
che li potesse vedere: la ragazza strinse a sé il giovane e affondò il viso nel
suo petto.
“E’
davvero una bella cosa.” disse, mentre Tom sorrideva e l’abbracciava “E sono
con te, come sempre.”
***
Qualche
ora dopo Tom bussò all’ufficio del professor Silente.
“Ah,
ragazzo… Entra, entra… Tu e la signorina White avete trovato una sistemazione?”
“Sì,
signore. Abbiamo preso un appartamento nella Torre Nord.”
Lui
ed Eva avevano passato il pomeriggio esplorando il castello in lungo e in
largo, scoprendo così anche numerosi passaggi segreti. L’appartamento era ampio
e comodo: c’erano due camere matrimoniali separate – per ingannare il professor
Dippet, naturalmente, dato che loro avevano intenzione di dormire insieme –, un
bagno, un salottino e uno studio.
“Fantastico,
davvero. Quindi, che posso fare per te?”
Tom
esitò un attimo.
“Mi
chiedevo se… Ecco… Ho fatto delle ricerche per trovare i miei veri genitori…”
“Lo
so, Tom.”
Silente
non fece cenno all’incidente della Camera e il ragazzo gliene fu immensamente
grato. Il professore intrecciò le mani e vi poggiò sopra il mento, osservandolo
intensamente.
“Volevo
cercare i miei parenti. Ho scoperto di avere uno zio e un nonno, da parte di
madre, che hanno passato un certo periodo ad Azkaban. Ora sono usciti e vorrei
avere il suo permesso, e la sua guida, per poterli andare a trovare e
conoscere.”
Ci
fu un lungo minuto di silenzio in cui il professore esitò.
“Dovrei
chiedere al preside Dippet. Io non ho nulla in contrario, però… Ti farò
sapere.”
“La
ringrazio, professore.”
Tom
uscì dallo studio molto più sollevato e vide Eva che lo stava aspettando.
“Com’è
andata?” gli chiese.
“Penso
bene. Mi farà sapere. Ma ora… Andiamo a letto, madmoiselle?”
La
ragazza ridacchiò, poi si alzò sulla punta dei piedi e gli diede un lieve bacio
a stampo.
“Con
molto piacere, monsieur.”
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Capitolo 3 *** Risposta ***
Eccomi… Posto il nuovo
capitolo =)
Sono rimasta indietro con la
stesura di questa storia perché mi son ritrovata a partecipare a dei contest…
Comunque non vi preoccupate: ho già scritto i prossimi due capitoli! =) andare
avanti dopo quelli sarà un po’ un problema… Diciamo che sono anche rimasta
indietro con lo studio, perciò mi prenderò una pausa dalla scrittura almeno
fino a gennaio… O magari scriverò, ma senza pubblicare (in sostanza non
garantisco gli aggiornamenti XD).
… Bei tempi quelli in cui
aggiornavo tutti i giorni…
Comunque, bando alle ciance,
ringrazio come sempre chi mi segue/preferisce/ricorda e chi recensisce! =)
Buona lettura =)
Risposta
Eva
era molto nervosa all’idea di condividere di nuovo il letto con Tom. Certo, non
vedeva l’ora e certo, l’avevano già fatto… Ma allora non c’era quel tipo di rapporto fra loro. Lui cosa
avrebbe fatto? Avrebbe preteso da lei certe
cose tutti i giorni?
In
realtà Tom si mostrò molto dolce. Una volta che si furono messi il pigiama si
sdraiò sul letto e le scostò il lenzuolo, in modo da farle spazio. Eva si buttò
a capofitto fra le sue braccia e lui la strinse, dandole dei baci affettuosi
fra i capelli.
Passarono
una notte tranquilla e si svegliarono tutti accaldati e sudati perché avevano
dormito avvinghiati l’uno all’altro. O meglio: Tom non aveva lasciato andare
Eva per tutta la notte e anche ora, mentre la ragazza era sveglia, poggiava la
testa sul suo seno e sembrava felice e beato nonostante il caldo.
Eva
sorrise dolcemente e gli carezzò i capelli.
Questo
lato di Tom era sconosciuto ai più: la ragazza intuiva che era solo per lei e
non poteva che provare un moto d’affetto verso di lui. Il ragazzo decise di
svegliarsi proprio in quel momento e alzò il viso verso Eva, lo sguardo ancora
assonnato, puntellandosi un po’ sui gomiti per riuscire a darle un lieve bacio.
La
giovane ridacchiò e lo strinse a sé.
“Da
quanto sei sveglia?” le chiese lui.
“Non
molto, in realtà. Nemmeno cinque minuti.”
Tom
sbadigliò, poi si alzò a sedere e trascinò Eva con sé.
“Ehi!”
esclamò lei “Ma che…”
Lui
la stava baciando con ardore. La ragazza si sentì andare a fuoco e rispose al
bacio quasi con irruenza. Presto si ritrovò le mani di Tom sul suo corpo, che
l’accarezzavano e l’esploravano come già avevano fatto in passato. Con un
sospiro decise di ricambiare quel gesto e presto si ritrovò a toccare Tom
ovunque: il viso, i capelli, il petto, sotto la maglia del pigiama, scendendo…
Il suo desiderio si accese così come quello del ragazzo.
Finirono
per fare l’amore sul loro nuovo letto, di prima mattina, con ancora il sapore
del sonno in bocca.
“…
Eva…” sussurrò Tom, una volta finito, mentre la ragazza in questione era
accoccolata sul suo petto e si godeva le sua carezze.
“Che
c’è, Tom?” chiese lei, tranquilla e appagata. Erano ancora nudi e non avevano
il lenzuolo a coprirli, ma con quel caldo si stava decisamente bene.
“Vorrei
stare così con te per sempre.”
Eva
ridacchiò e nel contempo il suo stomaco brontolò rumorosamente.
“Non
si può, dobbiamo anche mangiare! Comunque non temere: per tutta l’estate
potremo vivere insieme… Non è fantastico?”
La
ragazza percepì Tom sorridere e si decise ad alzarsi.
Dopo
una mezz’oretta erano entrambi pronti e scesero in Sala Grande per la
colazione.
“Ah,
signor Riddle! La stavo per venire a cercare!”
Il
professor Silente stava uscendo dalla Sala proprio mentre loro entravano.
“Mi
dica, professore.”
Il
tono di Tom era così serio e controllato che Eva quasi si mise a ridacchiare,
pensando al contrasto con quello che aveva usato prima – dolce e sensuale –
mentre erano a letto.
“Ho
parlato con il preside Dippet. Lui comprende i tuoi sentimenti e la tua voglia
di conoscere la tua famiglia… E crede che, se me ne avessi parlato prima, certe
cose si sarebbero potute evitare.” il professore scrutò con i suoi penetranti occhi
azzurri il giovane, sottolineando le ultima parole. Contrariamente al solito,
Tom non si mostrò impassibile, anzi: il suo sguardo si fece addolorato e mormorò
un: “Lo so, professore”.
Eva
gli strinse la mano per fargli forza.
Silente
parve estremamente soddisfatto e compiaciuto dalla reazione del ragazzo.
“Per
questo motivo sono più che disposto ad accompagnarti. Se per te va bene
partiremo dopo pranzo… O, se preferisci aspettare, fammelo sapere.”
Tom
rifletté un momento, a testa bassa. Quando alzò il capo il suo sguardo era
duro.
“No,
va benissimo. Oggi pomeriggio.”
“Allora
l’aspetto alle due all’ingresso.”
“Naturalmente
verrà anche Eva… Può venire, vero, professore?”
Silente
sorrise.
“Certamente.”
Il
professore se ne andò lasciando i due giovani soli.
“…
Andiamo a mangiare?” chiese Eva, dolcemente, visto che il ragazzo sembrava
deciso a rimanere fermo sulla porta.
Tom
si riscosse.
“Ma
certo. Andiamo.”
“Tom,
sei sicuro di essere pronto?”
Il
ragazzo sorrise, mentre si accomodavano al tavolo di Corvonero.
“Ma
certo, Eva. Sarà un po’ strano, però… Non vedo l’ora. Voglio davvero capire chi
sono.”
Eva
gli strinse un poco il ginocchio, sorridendo, prima di iniziare a mangiare.
Sarebbe
stato un pomeriggio interessante.
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Capitolo 4 *** Orfin Gaunt ***
Buona sera a tutti u.u
Oggi è il mio compleanno… E
ho deciso di farvi io un regalo XD
Ecco qui il nuovo capitolo!
XD Ringraziate Luna Kira Malfoy che su facebook mi ha fatto gli auguri e mi ha
ricordato (inconsapevolmente) di pubblicare! XD
Beh, come al solito vi
ringrazio tutti =)
Buona lettura, fatemi sapere
che ne pensate! =)
(PS= ho usato le stesse frasi
del libro u.u)
Orfin Gaunt
I
due ragazzi erano fermi davanti al portone d’ingresso quando il professor
Silente li raggiunse.
“Dove
hai detto che si trovano i tuoi parenti?” chiese il professore, mentre tutti e
tre si incamminavano verso il cancello.
“Il
paese dovrebbe chiamarsi Little Hangleton. Non so esattamente dove sia la casa…
Ho l’indirizzo, però, anche se non è molto chiaro…”
Silente
si fermò e sorrise.
“Non
preoccuparti, Tom, la troveremo.”
Il
ragazzo annuì brevemente ed Eva gli strinse una mano.
Appena
uscirono dalla protezioni del castello il professore stese un braccio per poter
eseguire una materializzazione congiunta. I due ragazzi, infatti, erano ancora
troppo giovani e non avevano ancora dato l’esame di materializzazione.
Sparirono
e riapparirono poco dopo con un lieve pop ai margini di una foresta, poco
lontani dal villaggio, per non farsi vedere dai Babbani.
“Allora,
Tom… L’indirizzo?”
Il
ragazzo prese un pezzo di pergamena dalla tasca dei pantaloni e lo porse a
Silente. Il mago pronunciò uno strano incantesimo puntando la bacchetta contro
il foglio: dopo alcuni istanti la bacchetta stessa si rigirò nella mano del suo
proprietario ed indicò un piccolo viottolo.
I
tre si apprestarono a seguire la strada. Dopo circa un quarto d’ora la bacchetta
ebbe un brusco cambio di direzione e indicò il folto degli alberi: Tom guardò
Eva in modo perplesso e poi si infilò in un piccolo buco nella siepe per
entrare nel bosco.
Riconobbero
la casa solo perché la bacchetta di Silente la stava indicando. Il luogo era
sporco e umido: la costruzione era talmente logora, piena di muffa ed edera,
che sembrava reggersi in piedi solo con l’ausilio della magia.
Tom
si avvicinò alla casa, leggermente disgustato. Eva gli stette accanto,
preoccupata, tenendogli sempre la mano per infondergli forza. Silente, invece,
si era fermato parecchi passi indietro e osservava ammirato il bosco: guardava
ovunque tranne che verso la casa. Il ragazzo capì che gli stava dando la
possibilità di fare quello che voleva senza dover subire le interferenze di un
insegnate, ovvero di un autorità, e lo apprezzò molto per questo.
Trovarono
la porta a fatica: il legno era marcio e si distingueva dalla pietra anche e
soprattutto per il serpente che vi era inchiodato sopra. Con un moto di
disgusto Tom l’aprì.
“TU!”
Se
l’uomo non si fosse mosso probabilmente né Tom né Eva l’avrebbero individuato,
in mezzo a quel lerciume. Aveva capelli e barba lunghissimi e sporchi e vestiva
quelli che dovevano essere stracci.
“TU!”
ripeté, prima di scagliarsi contro il ragazzo. Aveva un pugnale e una
bacchetta.
“Fermo.”
Tom
disse la prima cosa che gli venne in mente e usò il Serpentese per coglierlo di
sorpresa: funzionò. L’uomo scivolò verso il tavolo e fece cadere delle pentole.
Rimasero in silenzio a lungo: Eva si strinse di più a Tom, decisamente
spaventata dall’uomo e dai sibili che non capiva.
“Lo parli?”
chiese infine lo sconosciuto.
“Sì, lo parlo. Sei Orvoloson?”
“No.”
“Dov’è?”
“Morto. E’ morto anni fa, no?”
“Allora tu chi sei? Orfin?”
“Ma sì…”
Ci
fu ancora un attimo di silenzio, in cui Tom strinse la mano ad Eva, come a
comunicarle che andava tutto bene. La ragazza alzò lo sguardo e vide che lui
aveva un’espressione tesa, corrucciata.
“Pensavo che eri quel Babbano. Sei uguale a
quel Babbano.”
Ora
Tom era stupito. Eva si sentì estremamente frustrata nel non riuscire a
comprendere cosa i due si stessero dicendo.
“Quale Babbano?”
“Quel Babbano che piaceva a mia sorella, quel
Babbano che vive nella grande casa lassù. Sei identico a lui. Riddle. Ma adesso
è più vecchio, eh? E’ più vecchio di te, adesso che ci penso…”
Tom
si sentì quasi mancare.
Suo
padre.
Aveva
trovato suo padre. Non nutriva particolari speranze su quel versante: essendo i
Gaunt una famiglia Purosangue con una mentalità retrograda era ovvio che lui
fosse un bastardo di qualche tipo, abbandonato in orfanotrofio perché non
degno. Nessuno dei suoi parenti si era mai degnato di cercarlo, da parte di
madre. Forse suo padre nemmeno sapeva della sua esistenza: era un’ipotesi che
gli si era appena affacciata alla mente ed appariva così meravigliosa…
“E’ tornato, sai?”
“Riddle è tornato?”
“Già, l’ha lasciata, e le sta bene, sposare
quella feccia! Ci ha derubati, sai, prima di scappare! Dov’è il medaglione, eh,
dov’è il medaglione di Serpeverde? Ci ha disonorati, quella sgualdrina! E tu
chi sei, che vieni qui a fare domande su tutto? E’ finita, no… Finita…”
Le
sue ipotesi svanirono prima che ancora che potessero concretizzarsi: i suoi
genitori erano sposati. Ma allora… Perché? Perché Riddle era tornato e aveva abbandonato
sua madre incinta e disperata, lasciandola morire?
Doveva
scoprirlo.
Con
questo pensiero in testa Tom si voltò e trascinò via Eva dalla casa, lasciando
Orfin solo con sé stesso e la sua miseria.
“Che
succede?” gli chiese la ragazza.
Tom
scosse leggermente la testa e non parlò finché non tornarono da Silente.
“Ah!
Ragazzo! Come è andata? E’ stata una rimpatriata piacevole?”
“Professore”
disse il giovane “Le scoccerebbe accompagnarci da un’altra parte?”
“Per
oggi, miei cari, sono tutto vostro. Dove dobbiamo andare? Servirà di nuovo
materializzarci?”
Tom
scosse la testa e uscì dal folto degli alberi. Eva lo seguì, perplessa e
preoccupata, e Silente rimase qualche passo dietro a loro.
Una
volta che furono di nuovo sul viottolo il ragazzo si guardò attorno e indicò
con il capo una grande villa gentilizia.
“Lì.
A quanto pare è la casa di mio padre.”
Eva
spalancò gli occhi, meravigliata e inorridita insieme, mentre Silente si mise
in marcia fischiettando un allegro motivetto.
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Capitolo 5 *** Lo sapevi? ***
Ed eccomi ui con un nuovo
aggiornamento! =)
Questo capitolo l’ho in
mente da… Beh, da quando iniziai a scrivere “Il gioco degli inafferrabili”,
fate un po’ voi XD
Ringrazio REAwhereverIgo
per la recensione dello scorso capitolo, credevo che mi aveste abbandonati
tutti! D=
In ogni caso… Beh, non
voglio rovinarvi la sorpresa, quindi buona lettura u.u
Lo sapevi?
Camminarono
per una mezzoretta buona.
Se
prima Tom non vedeva l’ora di sapere qualcosa in più su suo padre e si sentiva
fortunato anche solo per il fatto di averlo trovato, ora… Ora aveva il dubbio
su come fossero andare realmente le cose.
Già
era strano che il figlio del signorotto locale avesse sposato una che viveva –
o aveva vissuto – in una casa del genere. Certo, forse era un po’ più pulita e
ben tenuta quando vi viveva Merope, però… Non quadrava lo stesso. La famiglia
Purosangue era una famiglia misera e decisamente antibabbana, viste le condanne
ad Azkaban di Orvoloson e Orfin. Come aveva fatto sua madre anche solo a venir
notata dal padre?
Arrivarono
di fronte alla villa. Tom era nervoso, anche se cercava di non darlo a vedere.
Nonostante la sua espressione impassibile, Eva lo capì e gli si avvicinò. Alzò
la testa per dargli un bacio sulla guancia e il ragazzo la fissò stupito per un
momento prima di sorridere e carezzarle i capelli.
Era
il momento della verità.
Silente,
come poco prima, di fermò ad ammirare incantato un albero di limoni e sembrò
non prestare attenzione alcuna ai due ragazzi. Continuava a fischiettare
l’allegro motivetto che l’aveva accompagnato lungo tutta la strada e pareva
perso nel suo mondo.
Tom
bussò al grande portone di legno.
Venne
ad aprirgli quella che, a prima vista, sembrava una semplice cameriera. Gli
occhi della donna si sgranarono dalla sorpresa e questo fece capire ai ragazzi
di essere sulla strada giusta.
“Cerco
Tom Riddle senior.” disse Tom, con una voce bassa e seria.
“Su-subito.”
rispose la cameriera, sparendo oltre l’uscio e lasciando la porta spalancata.
Non aveva neppure chiesto i loro nomi: probabilmente lo shock era stato troppo
forte.
I
due ragazzi si guardarono un momento e poi annuirono: cercando di non far
rumore entrarono in casa e si misero in cerca della cameriera scomparsa.
“Natalia,
cara, ma chi è?”
Era
una voce femminile a parlare. Proveniva da una stanza posta alla destra del
corridoio: i due si avvicinarono.
“Ecco,
io… Mi son dimenticata di chiedere i loro nomi, signora…”
Si
sentì uno sbuffo di disappunto.
“Madre,
perché non cerchi una donna competente la prossima volta? E’ evidente che
questa non sa fare il suo mestiere.”
“S-signore…
Il fatto è che…”
“Con
permesso.”
Tom
entrò deciso in quello che si scoprì essere un salotto: il camino di marmo
bianco era ovviamente spento ma faceva bella mostra di sé, assieme ad alcuni
mobili di legno evidentemente pregiati. Il divano color panna era occupato da
quello che inequivocabilmente era Tom Riddle senior: la somiglianza era
impressionante, se non fosse stata perla differenza d’età si sarebbe potuto
dire che padre e figlio fossero gemelli. Un altro uomo – il nonno, ad occhio e
croce – stava seduto su una poltrona coordinata al divano e fumava una pipa,
mentre una donna – la nonna – era in piedi vicino alla porta e alla cameriera.
L’entrata
del ragazzo sconvolse tutti. Tom Riddle senior scattò in piedi così come il
nonno, e la nonna spalancò la bocca.
“E’
esattamente questo che volevo dire.” farfugliò la cameriera, per poi uscire in
fretta dal salotto.
Eva
rimase qualche passo dietro al suo ragazzo, continuando a stringergli la mano.
Capiva che per lui era una situazione difficile.
“Quindi.
Credo che sia inequivocabile. Qualcuno vuole raccontarmi la versione dei fatti vera?” chiese Tom, marcando sull’ultima
parola. L’espressione era dura.
All’improvviso
Tom senior scoppiò a ridere, buttando all’indietro la testa e tenendosi la
pancia. Tutti gli altri si erano come gelati e osservavano quello spettacolo
con espressioni metà inorridite e metà sorprese.
“Ah!”
esclamò infine l’uomo “Quella strega! Credevo di essere stato chiaro!”
Tom
sbiancò e poi arrossì. Eva gli strinse un po’ di più la mano.
“Tom…
Caro… Ma che cosa… Non ci avevi detto…” iniziò a dire la nonna, incespicando
sulle parole.
“Non
vi avevo detto! E invece sì che l’ho fatto, ma ovviamente nessuno mi ha
creduto! Quella era una sporca strega e ha usato una delle sue magie per
tenermi legato a sé.”
Il
cervello del ragazzo lavorava a pieno ritmo. Assorbiva le informazioni e le
elaborava in un battito di ciglia. Possibile che sua madre avesse davvero
stregato quest’uomo per costringerlo a stare con lui?
Gli
tornarono in mente le parole di Orfin: “Quel
Babbano che piaceva a mia sorella, quel Babbano che vive nella grande casa
lassù.” … “Già, l’ha lasciata, e le
sta bene, sposare quella feccia!” … “Ci
ha disonorati, quella sgualdrina!”
Improvvisamente
tutto divenne chiaro, ai suoi occhi. Sua madre aveva stregato quel Babbano
perché ne era innamorata. Poi, forse
pentita da quel gesto, aveva deciso di smetterla di usare incantesimi… Così Tom
aveva scoperto l’inganno…
“Andiamo,
figliolo! Non esiste la magia, non è po…”
Mancava
solo una cosa. Una domanda, una sola, quella fondamentale.
Tom
sfoderò la bacchetta e si avvicinò al padre, lasciando la mano di Eva. Gliela
puntò alla gola e non fece caso alle mani tremanti di rabbia che stringevano la
sua unica arma.
Il
nonno smise immediatamente di parlare e Tom senior sbiancò, arretrando di
qualche passo. Eva cercò di avvicinarsi per far ragionare il fidanzato.
“Tom.”
sussurrò piano, ma non venne ascoltata.
“Lo
sapevi?” chiese Tom, livido di rabbia.
Il
padre arretrò di nuovo di qualche passo e sentì le gambe andare a sbattere
contro il bordo del divano. Tremava: era spaventato come non mai. Negli occhi
di quel ragazzo leggeva la furia.
“Rispondi:
lo sapevi?!”
Il
nonno e la nonna si erano immobilizzati, stupefatti, come se non credessero ai
loro occhi.
Eva
avanzò ancora di qualche passo ma non osò toccare il fidanzato.
Tom
senior cercò di arretrare ancora e ottenne il solo risultato di cadere
malamente sul divano.
“ALLORA!
LO SAPEVI SI’ O NO?!”
Tom
senior si puntellò sui gomiti giusto il poco che serviva per tirarsi indietro,
cercando di scappare strisciando sulla schiena. La bacchetta del ragazzo era
sempre puntata alla sua gola ed era vicina, circa a due centimetri.
“Cosa…
Cosa?” chiese, terrorizzato, in un sussurro. Era ancora bianco dalla paura.
“CHE
LEI ERA INCINTA! LO SAPEVI?!”
Ci
fu ancora un istante di silenzio, in cui Eva fece un’ulteriore passo avanti.
Tom
senior sembrò valutare la domanda del ragazzo e poi i suoi occhi si fecero
spavaldi.
“Sì.”
Eva
scattò in avanti mentre Tom tirava indietro il braccio, pronto a lanciare una
maledizione.
“TOM!
NO! BASTA!”
La
ragazza agganciò il giovane alla vita e lo strattonò verso di sé, mentre con un
braccio afferrava quello piegato del ragazzo e tentava di abbassarlo.
Tom
emise un gemito strozzato e per un secondo Tom Riddle senior vide tutto il
dolore del mondo in quegli occhi scuri così simili ai suoi.
Poi
il dolore venne sostituito di nuovo dalla furia.
“LASCIAMI!
DEVE PAGARE, DEVE…!”
“TI
ESPELLERANNO! SMETTILA! E’ QUESTO CHE VUOI?! RAGIONA! FALLO PER ME!”
A
quelle ultime parole Tom si bloccò. Le sue narici erano dilatate, i suoi
muscoli erano tesi, la sua furia evidente.
Ma
Tom Orvoloson Riddle stava prestando ascolto alle parole della sua ragazza.
Diede
un ultimo sguardo di disprezzo al padre e si voltò, deciso, facendo barcollare
Eva con il suo brusco movimento. Senza nemmeno chiederle scusa il giovane la
prese per mano, marciando verso la porta.
“Ragazzo.”
disse una voce dolce alle loro spalle, quella della nonna, quando ormai i due
erano sulla porta del salotto.
Tom
si fermò senza tuttavia girarsi ed Eva lo assecondò.
“So
che per il momento è difficile. Non giudicare mio figlio solo per le sue azioni
passate: se non vuoi perdonare lui, almeno permetti a me di conoscerti. Io non
ho avuto la possibilità di scegliere… Ma la mia scelta sarebbe stata diversa.
In questa casa sei il benvenuto.”
Tom
rimase fermo e in silenzio ancora un attimo.
“Come
ti chiami, ragazzo?”
C’era
qualcosa di diverso, stavolta, nel tono. Non più solo dolcezza, anche… Era come
se la voce si fosse incrinata.
“Tom
Orvoloson Riddle.” rispose il ragazzo, per poi stringere un po’ di più la mano
ad Eva e andarsene definitivamente da quella casa.
Il
professor Silente li vide uscire e si avvicinò.
“Bene!
Pronti per tornare?”
Tom
fece un cenno del capo e il professore, con molto tatto, decise di non
chiedergli cosa non andasse. Che non andasse qualcosa, poi, era evidente dalla
postura rigida del ragazzo e dal suo colorito pallido.
Eva
gli lasciò la mano e lo strinse a sé abbracciandogli la vita. Tom, dopo un
primo momento di smarrimento, decise di ricambiare il gesto.
Silente
porse loro un braccio ed entrambi vi si attaccarono.
Nessuno
si era accorto della donna anziana che sbirciava da dietro le tende del
salotto. Aveva una mano sulla bocca e lacrime silenziose le rigavano le
guancie, mentre osservava il nipote sparire con la ragazza ed il vecchio signore.
Un
nipote.
Aveva
un nipote e suo figlio glielo aveva tenuto nascosto per anni. Nonostante le
belle parole, anche lei era tremendamente arrabbiata con l’uomo. Comprendeva
alla perfezione i sentimenti di Tom, il ragazzo.
Nessuno
l’aveva vista mentre li osservava… Ma, poco prima che lo strambo trio sparisse
nel nulla, alla donna sembrò di vedere il vecchio che le faceva l’occhiolino.
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Capitolo 6 *** Sfogo ***
Allora… Scrivere questa
storia diventa sempre più difficile, non so perché D= Ho in mente quello che
deve succedere, in linea di massima, ma non riesco ad esprimerlo. Forse è anche
a causa degli esami che mi mettono pressione… Però non ce la faccio, mannaggia
a me è.é Spero di non aver scritto troppe schifezze… Vi avviso che fino a fine
gennaio, purtroppo, sarò impegnata con gli esami, quindi, a meno che non mi
venga un’ispirazione improvvisa, non so quando potrò aggiornare. Mi scuso immensamente
>..<
Nel frattempo vi lascio
questo capitolo… Fatemi sapere che ne pensate =)
Buona lettura =)
Sfogo
Appena
arrivarono ad Hogwarts, Tom corse verso il castello. Eva si trattenne giusto il
tempo per ringraziare frettolosamente il professor Silente, poi andò a cercarlo.
L’aveva perso di vista e non capiva dove potesse essere: provò nella loro
stanza ma niente, cercò di forzare l’apertura della Sala Comune dei Serpeverde
ma niente… Poi le venne in mente. Girò i tacchi e ripercorse tutti i
sotterranei per cominciare a salire, una rampa di scala dopo l’altra.
Arrivò
al settimo piano con i polmoni che scoppiavano e si appoggiò per un attimo alla
parete che la separava da Tom, per riprendere fiato. Quando si fu ripresa
chiuse gli occhi e si concentrò: apparve una porta, che Eva aprì senza
esitazione.
Tom
era là, disteso sul letto color arcobaleno, che guardava la stoffa del
baldacchino con espressione vacua.
“Tom.”
sussurrò Eva, sdraiandosi vicino a lui “Come… Come va?”
Lui
si riscosse e si girò a guardarla: aveva un’espressione preoccupata, era rossa
in faccia per via della corsa fatta e aspettava una risposta. Senza neppure
rendersi conto di quel che faceva, le afferrò il viso e si mise a baciarla in
modo irruento, passionale.
Eva
si tranquillizzò un attimo: sapeva che era il suo modo di sfogarsi, l’aveva
adottato anche dopo l’apertura della Camera dei Segreti. Cercò di prepararsi
psicologicamente a quello che sarebbe accaduto e non si stupì quindi quando
Tom, in preda ormai alla passione, le strappò letteralmente la gonna e la
maglietta.
Fecero
l’amore così, in modo rude, quando Eva ancora non era del tutto pronta.
Pazientò perché sapeva che quello non era il vero Tom, che il dolore che stava
provando lei non era nulla in confronto a quello che il suo ragazzo si sentiva
dentro.
Una
volta che Tom fu soddisfatto si staccò da lei e si ributtò sul letto. Eva si
girò di nuovo verso di lui e gli carezzò una guancia.
“Tom.”
sussurrò, perché il ragazzo sembrava essersi di nuovo perso nella stoffa del
baldacchino.
Due
gocce apparvero negli occhi di Tom, trasformandosi in scie salate sulle sue
guancie.
“Oh,
Tom.” disse di nuovo Eva.
Lui
si girò e la strinse a sé, iniziando a singhiozzare.
“Scusa.”
sussurrò “Scusa…”
Lei
lo abbracciò e cercò di trasmettergli tutto il suo calore e il suo conforto.
“Ssssh…
Non ti preoccupare… Va tutto bene… Ssssh…”
Eva
riuscì a sciogliersi per un secondo dal suo abbraccio e lo strinse lei,
facendogli poggiare la testa sul suo petto.
“Va
tutto bene, Tom…”
Il
ragazzo continuava a singhiozzare, mentre Eva lo cullava e cercava di
rassicurarlo.
Dopo
un bel po’ di tempo Tom smise. Si asciugò il viso con una manica e alzò lo
sguardo, incrociando quello della sua ragazza.
Eva
si sentì stringere il cuore alla vista di quegli occhi arrossati. Lui l’attirò
a sé e la baciò, stavolta con dolcezza.
“Grazie.”
le disse, con la voce un po’ roca.
“Per
cosa?”
“Perché
sei con me.”
“Oh,
Tom.” Eva lo strinse di nuovo a sé, cullandolo “Ma io ci sono sempre.”
Lo
sentì sorridere, sul suo seno.
“Lo
so. E’… Una bella sensazione.”
Si
staccarono, pur continuando a toccarsi. Lui le accarezzava i capelli e lei
aveva le mani sul suo petto.
“Che
hai intenzione di fare?”
Tom
sospirò.
“Che
dovrei fare? Non posso fare assolutamente niente…”
“Tua
nonna vorrebbe conoscerti, hai sentito.”
Un
altro sospiro.
“Secondo
te dovrei scriverle?”
“La
decisione è solo tua, Tom. Comunque, in linea di massima, io direi di non far
pagare a lei colpe che sono di tuo padre.”
Tom
la lasciò andare e si mise a sedere, poggiando la schiena sui cuscini del
letto.
“Mi
chiedo…” iniziò a dire, senza terminare la frase.
Anche
Eva si alzò, e gli poggiò il capo sul petto.
“Cosa?”
“Coma
mai mia madre l’ha dovuto incantare?”
La
ragazza sospirò.
“Forse
venivano da realtà troppo diverse per potersi amare normalmente.”
“…
Da quello che ha detto Orfin, lui non la voleva.”
“Ah,
e così era Orfin? Comunque… Hai visto dove viveva. Non biasimarla… Secondo me è
solo voluta fuggire. Probabilmente la sua condizione, sommata a quella di un
amore non corrisposto… Non so, potrebbe essere stata davvero disperata.”
“Già.
Forse hai ragione.”
“Tom.”
disse improvvisamente Eva, come se le fosse venuta in mente una rivelazione.
Alzò la testa e lo fissò dritto negli occhi, con sguardo deciso “In ogni caso
ricorda sempre che non sei colpevole degli sbagli dei tuoi genitori. Lei ha
sbagliato a incantarlo, lui ha sbagliato a lasciare anche te, oltre a lei. Ma
tu non c’entri niente, lo sai vero?”
“Io…”
“Devi
saperlo. Non c’è esitazione che tenga. Tuo padre era arrabbiato, molto
arrabbiato, ma ha sbagliato. Forse perché eri ancora dentro la pancia di tua
madre, però… Non è riuscito a scinderti da lei. Anche lei ha sbagliato, vero,
ma in ogni caso sono sicura che ti abbia anche amato tantissimo, così come
amava lui. Non è colpa tua se è morta, se sei finito in un orfanotrofio, se tuo
padre non si è più fatto vivo.”
Un’altra
lacrima sfuggì al controllo di Tom, e scese solitaria sulla guancia. Eva
l’asciugò con un bacio.
“Sì…
Hai ragione…”
La
ragazza sorrise, incredibilmente sollevata. Non voleva che Tom si addossasse
responsabilità che non aveva. Lo strinse a sé.
“Va
meglio, adesso?”
Lui
l’abbracciò.
“Certo.
Va molto meglio.”
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Capitolo 7 *** Primo giorno di scuola ***
Ragazzi e ragazze, non sono
morta, sono tornata! =D
Ho scritto questo capitolo
dopo un sacco che non scrivevo più in generale, quindi non siate troppo dure
=..= in ogni caso ora ho un problema D= so cosa deve succedere al compleanno di
Tom, so forse cosa deve succedere al compleanno di Eva… Poi però le cose che
devono accadere accadono dopo! D=
Come faccio?! Che ci scrivo,
in mezzo?! D=
Lo sapevo che non dovevo
lanciarmi in questa impresa prima di aver finito di scrivere tutto è.é è che
non voglio fare troppi salti temporali, ma così… Non so, proverò >..< se
vado troppo di fretta, comunque, cercate di non linciarmi! >..<
Per concludere, ringrazio chi
segue/preferisce/ricorda e recensisce, anche se io sparisco a mesi alterni! XD
cercate di capirmi, questa storia di è rivelata più difficile del previsto…
Primo giorno di scuola
Alla
fine, Tom decise di scrivere a sua nonna. Non lo disse ad Eva, ma lei vide la
prima delle lettere di risposta, riposta con cura in un cassetto del loro
piccolo appartamento, e sorrise.
L’estate
stava finendo. Presto sarebbe iniziato un nuovo anno scolastico e Tom era più
sereno. Eva non sapeva come sentirsi: da una parte non vedeva l’ora di
abbracciare di nuovo i suoi amici, dall’altra sapeva che lei e Tom non potevano
continuare a dormire insieme, dato che sarebbero dovuti ritornare nei
rispettivi dormitori.
Mancavano
ancora due anni prima che finissero Hogwarts. Ogni tanto Eva ci pensava,
stupendosi da una parte di come il tempo fosse passato in fretta e, dall’altra,
di quanto ancora rimanesse da fare prima che la società magica la considerasse
adulta. Beh, per quello ci voleva di meno, giusto un anno. A marzo avrebbe
avuto diciassette anni, e per tutti sarebbe stata maggiorenne… Tranne che per i
Babbani. Un moto di stizza la pervase, mentre ripensava a zia Emily, alla sua
cattiveria e al suo modo di sfruttare la morte dei suoi genitori per farsi i
suoi interessi.
Tom
l’afferrò da dietro proprio in quel momento, calmandola. Lei era seduta sul
pavimento – fresco: dato che c’era un gran caldo era una soluzione ottima,
nonostante settembre fosse alle porte – e lui era appena uscito dal bagno.
“Che
succede?” chiese, affondando il viso nei suoi capelli.
“Come
accidenti fai a sapere che mi stava succedendo qualcosa, scusa?” chiese Eva,
meravigliata dalla perspicacia del ragazzo. E dire che solo un anno prima
sembrava così freddo, insensibile…
“Sei
diventata rigida. Non è mai un bene, quando t’irrigidisci.”
Eva
sorrise, rilassandosi.
“Beh,
niente. Pensavo a zia Emily…”
“Oh,
già. Non me ne hai mai parlato molto, vero?”
Lei
cercò di scrollare le spalle, per quanto fosse possibile, dato che Tom la stava
stringendo.
“Non
c’è molto da dire. E’ diventata la mia tutrice dopo la morte dei miei. Solo che
mi fa una rabbia… Non si è mai interessata di me, mi considera un peso, eppure
è decisa a sopportarmi perché così può mettere le mani sui soldi di papà. I
miei erano abbastanza ricchi, sai, e finché sarò minorenne lei può fare quello
che vuole, con la scusa che deve pensare al mio ‘bene’…”
Tom
allentò la stretta e le mise due dita sotto il mento, per farle alzare il viso
verso di lui.
“Non
andrà avanti per sempre, Eva. A marzo sarai maggiorenne, e potrai fare ciò che
vuoi.”
Prima
che lei potesse rispondere, sottolineando il fatto che ci sarebbero voluti
ancora due anni per diventare maggiorenne nel mondo dei Babbani, lui la baciò.
Eva
lo considerò un buon diversivo, così i due continuarono a coccolarsi per tutto
il resto del giorno, godendosi appieno gli ultimi istanti di vacanza che
spettavano loro.
Il
giorno dopo, infatti, sarebbe stato il primo settembre.
Fu
strano andare in stazione per aspettare il treno che doveva arrivare, fu ancora
più strano cercare gli amici fra la folla e salutarsi, così come tornare al castello
senza bagagli e animali al seguito.
Nella
carrozza di Eva c’erano ovviamente Annie, Beth, Daniel e Tom, che aveva
invitato qualche suo compagno di Casa. L’atmosfera era piuttosto tesa, ma lui
manteneva un controllo impeccabile, presentando tutti a tutti. Si vedeva che
stava cercando di appianare le divergenze di pensiero, e gli incauti Serpeverdi
che provavano anche solo a fare una smorfia di ribrezzo finivano per lo
scontrarsi con gli occhi di Tom e rabbrividire. Nonostante tutto, a loro quel
ragazzo faceva ancora paura, e non avevano intenzione di contrariarlo.
Con
il banchetto la tensione venne lasciata alle spalle e, forti della divisione
fra Case, gli amici di Eva si lanciarono in un racconto entusiasta delle loro
vacanze estive. La ragazza annuiva e sorrideva a tutti, ma non sapeva che dire
riguardo alle sue, di vacanze estive:
non aveva fatto molto, e l’unica volta che lei e Tom erano usciti dal castello
era stato per cercare i parenti ancora in vita del ragazzo… Una questione
delicata, da non condividere a cuor leggero. Per tutta la serata, comunque, si
sentì stranamente osservata, e più volte vide gli occhi di Annie scrutarla con
interesse e sospetto. Proprio non capiva che cos’avesse l’amica.
Lo
scoprì il giorno dopo. Le lezioni erano incominciate e tutti dovevano
riprendere il ritmo. Eva si era abituata a tutt’altri orari e faticò ad alzarsi
la mattina, così si trascinò in una nube di stanchezza per tutto il giorno, almeno
finché Annie non la trascinò in un’aula vuota, alla fine delle lezioni.
Era
così curiosa di scoprire finalmente cosa si celasse dietro il comportamento
dell’amica che si svegliò definitivamente.
“Eva,
io… Ecco, devo chiederti una cosa… Anzi, no, dirti…”
“Annie,
taglia corto, che succede?”
La
ragazza era nervosa, si torceva le mani e annaspava. Alle parole di Eva, arrossì
fino alla punta dei capelli.
“Ecco,
ma tu… Hai mai fatto certe cose con
Tom? Voglio dire…”
Aveva
parlato veloce, ma Eva aveva capito lo stesso. Anche lei arrossì.
“Oh.”
rispose solo, non sapendo bene che dire.
L’amica,
vedendola in quello stato, si affrettò a precisare.
“E’
che l’anno scorso ho detto delle cose, e tu sembravi a disagio, così
quest’estate ci ho pensato, e insomma, forse sbagliavo io, no? Certo per me
bisogna sempre e comunque aspettare, però non è che se lo fai prima del
matrimonio allora sei una sgualdrina, e non vorrei che tu ti fossi fatta
un’opinione sbagliata! Cioè, l’opinione che ho io di te… Non cambia per questo,
sei una brava ragazza…”
La
voce di Annie si spense in un sussurro, mentre lei continuava ad arrossire e si
guardava furiosamente i piedi.
Eva
ci mise un attimo per realizzare cos’era successo, poi sorrise e si sentì
liberata di un peso. Appoggiò una mano sulla spalla dell’amica e lei alzò il
viso.
“E’
vero.” disse, grata di potersi confidare con l’amica “Ho fatto… Ho fatto certe cose. Ma non me ne pento, né me ne
vergogno. Anche se non vado a dirlo in giro, ovviamente. Non te l’ho detto
perché… Non sapevo come la pensassi, avevo paura che tu mi giudicassi male. Mi
fa piacere sapere che mi sbagliavo.”
Annie
allargò le braccia e la strinse, come a consolidare la loro amicizia.
“Sono
contenta che tu me l’abbia detto ora. Se vuoi raccontarmi, sappi che ti
ascolto.”
Eva
ricambiò l’abbraccio e sorrise ancora di più.
L’anno
scolastico era iniziato nel migliore dei modi.
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