Un giorno vivremo lontani dalla Guerra, amore mio.

di Friedrike
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tornerò da te, per asciugare le tue lacrime. ***
Capitolo 2: *** E se potessi, non ti lascerei andare mai più. ***
Capitolo 3: *** Dimmi che non è vero. ***
Capitolo 4: *** Mi dispiace.. ***
Capitolo 5: *** Oggi, e domani. ***
Capitolo 6: *** Lettere. ***
Capitolo 7: *** Saprà cavarsela. ***
Capitolo 8: *** Il Lusso di un Pugno. ***
Capitolo 9: *** Le celle buie e fredde. ***
Capitolo 10: *** Non preoccuparti, ci penso io. ***
Capitolo 11: *** Il meglio per tutti. ***
Capitolo 12: *** Ecco, Venezia! ***
Capitolo 13: *** Non svegliare il can che dorme. ***
Capitolo 14: *** Ricordi che squarciano l'anima. ***
Capitolo 15: *** Un raggio di sole. ***
Capitolo 16: *** Bellezza e Superstizione. ***
Capitolo 17: *** Come tutto ebbe il suo inizio. ***
Capitolo 18: *** Tutto pronto? Sì, ja. ***
Capitolo 19: *** E l'amore certo non mancherà. ***
Capitolo 20: *** Quella inaspettate e belle parole. ***
Capitolo 21: *** Caos Resistente. ***
Capitolo 22: *** Parlatemi di voi. ***
Capitolo 23: *** Ritorno alla Madre Patria. ***
Capitolo 24: *** Apri gli occhi al mondo. ***
Capitolo 25: *** Gli ultimi giorni di pace. ***
Capitolo 26: *** Nuova partenza. ***
Capitolo 27: *** Nessuna novità. ***
Capitolo 28: *** Occupazione nazista. ***
Capitolo 29: *** Partigiani -Che vita! ***
Capitolo 30: *** E se finisse tutto domani? ***
Capitolo 31: *** Fine dei giochi. ***
Capitolo 32: *** E' che mi manca l'aria. ***
Capitolo 33: *** Terra di Mezzo. ***
Capitolo 34: *** Paradiso o Inferno? ***
Capitolo 35: *** Solo un altro ritorno. ***
Capitolo 36: *** Foto d'amore. ***



Capitolo 1
*** Tornerò da te, per asciugare le tue lacrime. ***


Due mesi all’inferno.
Due fottutissimi mesi nella merda più totale.
Due mesi nell’incertezza assoluta, non sapendo se sarebbe tornato o meno.
Già lo sente, lo sbuffo del treno che lo richiama all’ordine e si volta verso di esso, trattenendo a stento un piccolo sospiro.
Poi torna a guardarla, bella come sempre, lei, il corpo coperto da un bel cappottino azzurro, così come il cappellino che a sua volta è ornato da un fiocchetto nero. Accenna un sorriso nella sua direzione e le bacia le labbra, dolcemente, quello è un bacio casto. Le mani sono appoggiate alla parete di quel vicolo stretto e buio, vicino la sua testa, lontani dal resto del mondo che sta combattendo.
-Stai attento..- le sussurra lei, preoccupata, guardandolo negli occhi. Trattiene a forza le lacrime, ma ha gli occhi lucidi e non si trattiene dal buttargli le braccia al collo ed abbracciarlo, il viso contro il suo petto.
-Tornerò da te, amore mio- le dice stringendola a sé ed accarezzandole i capelli castani. –Tornerò - le ripete.
-E quando tornerai, danzeremo insieme ancora e ancora- mormora la ragazza con un sorriso, sistemando il colletto della divisa della Wehrmacht al biondo. Poi gli accarezza i capelli dolcemente, stando ben attenta a non mettere fuori posto il suo cappello.
-Sì, te lo prometto. .-
-Se solo potessi, andrei a dirgliene quattro ai tuoi superiori.. ti mandano sempre lontano da Berlino! Dovresti fare qualcosa!- mormora arrabbiata.
-Lascia che di questo si occupino gli uomini e rimani al tuo posto- le dice, serio.
Ludwig non si rende nemmeno conto di farle questo, di provare in qualche modo a 'sottometterla', non lo fa per cattiveria, ma solo perché questo è quello che gli è stato insegnato.1
Anche all’interno della sua famiglia, la madre non ha voce in capitolo riguardo le decisioni, che prende infatti il padre del ragazzo. Suo fratello, più grande di qualche anno, soldato della Luftwavffe, l’aereonautica tedesca, tuttavia non tratta male la madre, non come fa il padre almeno. E dato che è stato proprio quest’ultimo a crescerlo, il biondo non può fare altro che seguire il suo esempio.
E’ anche vero, però, che ogni tanto le manca di rispetto. Lei non può capire di politica, ma solo perché non frequenta gli ambienti del genere, eccetto alcuni balli a cui presenzia.
Felicia sa che nella sua voce non c’è cattiveria, così come ne sono prive le sue intenzioni, ma ci rimane male quando lo fa, perché si sente umiliata.
Abbassa un attimo lo sguardo; non vuole litigare prima della sua partenza, ma questa storia prima o poi andrà chiarita.
-Non sono affari che mi riguardano, è vero. Solo.. mi preoccupo per te.. Scusami- gli dice baciandogli teneramente la guancia. Dopo appoggia le mani sul suo petto, non guardandolo.
-Quando torni?- chiede, ancora.
-Se tutto va bene, starò soltanto due mesi al fronte.-
“Soltanto”? Due mesi sono un’eternità, lui stesso ne è spaventato.
Ha paura di non tornare o, cosa che forse lo terrorizza maggiormente, ha paura di tornare con qualche arto in meno. Sa cosa succede sui campi di battaglia, anche se per poco, lui c’è già stato.
Non propriamente al fronte, in realtà. Circa un anno e mezzo fa, è stato di stanza in Italia, al nord.
Lì ha conosciuto la ragazza, mentre passeggiava con il fratello Romano. Lui l’ha subito tirata a sé, nascondendola dagli sguardi dei soldati, che non gli piacciono per nulla, con il suo solito fare scocciato.
E lei ha distolto a fatica lo sguardo dai militari, specialmente da uno in particolare, alto, bello, bellissimo, con gli occhi azzurri ed i capelli dorati alla luce di un sole che nel suo paese sembra essere tramontato da un paio d’anni.
Poi si sono incrociati in un’altra occasione: un ballo.
In realtà, il tedesco non voleva partecipare ma… beh, questo lo racconteremo più in là.
Adesso la guarda negli occhi, e si china un po’ su di lei per baciarle le labbra morbide e delicate.
-Due mesi?! Non mi avevi detto che saresti rimasto via così tanto! Mi avevi det..- un altro lungo bacio, più passionale, la costringe a zittirsi, mentre le lacrime calde le rigano le guance e scendono con una specie di piroetta fino al collo.
Non riesce più a trattenersi, scoppia a piangere e si stringe a lui.
Ludwig sospira e la stringe, poi le asciuga le lacrime con le dita, annuendo impercettibilmente.
-Lo so, ma gli ordini sono ordini e possono cambiare da un momento all’altro. Non ho potere decisionale, purtroppo.- E non ci tiene troppo ad averlo, a dire la verità: sarebbero troppe responsabilità sulle sue giovani spalle, di uomo normale.
Sente il primo richiamo del treno, deve andare, c’è poco tempo. Ma prima ha una cosa da fare.
E’ abbastanza imbarazzato da questa cosa, però.. si sente quasi in dovere di farlo. Prende qualcosa dalla tasca della divisa. Proprio in quel momento, sente dei suoi camerati passare da lì.
Questi, ubriachi (difatti essi non partiranno col treno del biondo, ma con quello successivo, un paio di giorni dopo e torneranno con altrettanto ritardo), lo salutano agitando le braccia e ridendo ad alta voce. Sono così volgari, loro, così rozzi. Si approfittano delle ragazze, sfruttando il fascino della loro divisa.
Ludwig non è mai stato così. Lui non ha mai toccato una donna contro la volontà di quest’ultima, ne lo farebbe per poi pagarla.
No, lui è una ragazzo serio, pudico, educato e dolce. Non usa le donne. Ma pretende da loro rispetto, come, dopotutto, è giusto che sia. Nei limiti, ovviamente.
Quei militari alla fine del vicolo dicono qualcosa di molto volgare circa un rapporto sessuale che, a detta loro, dovrebbe svolgersi in breve tra Ludwig e Felicia. Eppure nessuno dei due ha l’intenzione di farlo, lì, soprattutto perché insieme non lo hanno ancora fatto –e per la ragazza sarebbe la prima volta.
Arrossiscono entrambi, il tedesco decide di ignorarli. Con quel piccolo cofanetto in mano, s’inginocchia con un certo imbarazzo, ci tiene a fare le cose per bene, perché quello è il loro momento.
L’italiana capisce al volo e porta entrambe le mani sul viso.
-Oh mio Dio!-
-Non te l’ho ancora chiesto!- dice il ragazzo arrossendo di più. –Fammi fare le cose con calma.. è abbastanza complicato..- le dice borbottando. Fa un respiro profondo socchiudendo per un paio di istanti gli occhi azzurri. –Amore mio, mi faresti il grande onore di diventare mia moglie? Quando tornerò dalla guerra, vorrei sposarti – le dice con un accenno di sorriso, timido ed impacciato.
Lei annuisce più volte: -Sì.. sì! Sì, sì, sì!- gli butta le braccia al collo facendolo alzare e lo stringe forte, mentre altre lacrime, stavolta di commozione, le rigano il volto.
Il biondo le mette quel bell’anello raffinato, che ha comprato con molta fatica perché non sapeva proprio che le potesse piacere, nella mano destra, perché in Germania si usa così, ma la ragazza non ci fa nemmeno caso. E’ così bella quando è felice.. lei gli prende il volto pallido, ritornato del suo colore originale, tra le mani e lo bacia dolcemente, per poi puntare gli occhi nocciola sui suoi color del mare.
-Vedi di tornare da me, soldato. O mi arrabbierò moltissimo.-
-Tornerò, e ti dichiarerò mia davanti ai nostri familiari ed amici. Ma tu aspettami, amore mio, perché dobbiamo fare ancora molte cose insieme - le bacia la fronte, poi si prepara ad andare.
La cosa che più al mondo terrorizza il ragazzo è che al suo ritorno, lei sarà con un altro.
Però adesso ha un anello al dito e.. e questo pericolo proprio non c’è, no, lei lo ama, lui lo sa.
Ha solo paura di perderla, è comprensibile. Ma sa che lo ama, sì.
Quando il treno si allontana la ragazza inizia a piangere senza riuscire a contenersi, toccando ripetutamente l’anello che ora ha al dito.



Note.

Salve.
Prima di tutto voglio precisare una cosa.
Non sono sicura che il nome di Fem!Italia sia Felicia, però è quello che mi piaceva di più tra quelli più comuni che ho trovato e non avendo certezze ho fatto di testa mia.
Io.. non ho mai scritto circa lei, di solito mi concentro più sulla usa parte 'maschile', diciamo pure così.
Spero vi sia piaciuto l'inizio di questa storia, quest'altra avventura GerIta, ma specialmente spero di non aver fatto errori di distrazioni, sapete, a volte mi faccio prendere da ciò che scrivo.
Grazie per aver letto! 

1. =  Negli anni '40, la donna non aveva troppi diritti e privilegi. Gli uomini tendevano piuttosto a servirsi di loro, sfruttandole. 
Quando una donna riusciva ad arrivare ad occupare una posizione importante, il più delle volte diventava più cattiva degli uomini.

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Capitolo 2
*** E se potessi, non ti lascerei andare mai più. ***


Quasi non respira, se chiude gli occhi.
E' brutto, stare così. Si sente soffocare, senza via di uscita. Poi li riapre e li punta al di là del finestrino. E' incredibilmente bello come un paesaggio così banale possa risultare così rilassante. Ci sono solo alberi, ma intravedere il cielo sereno, lontano dalla polvere da sparo che vaga per l'aria, dal fumo e dall'odore nauseabondo dei cadaveri in putrefazione, è davvero.. meraviglioso.
Il tedesco gli occhi non riesce né vuole provare a chiuderli, gli fa troppo male rivedere la guerra. E va bene così, dopotutto, ognuno la prende in modo diverso. Alcuni soldati sono impazziti, due si sono praticamente fatti ammazzare volontariamente. Non tutti riescono a sopportare le atrocità di un campo di battaglia, i corpi squartati, l'ansia che provoca l'aver terminato un caricatore ed il terrore nel pensare che quello possa essere l'ultimo.
Si passa una mano sul viso, scontrando appena le dita con il profondo graffio che gli sfregia adesso il viso bello, ma non più dolce. Ha un sopracciglio spaccato, il destro, e delle profonde occhiaie violacee che gli circondano gli occhi azzurri. Quegl'occhi non esprimono che dolore.
Ma Ludwig è felice, nonostante il suo corpo sia ricoperto quasi interamente di escoriazioni ed ematomi. E' felice perché è vivo, perché con sè ha tutti e quattro gli arti e perché sta finalmente tornando a casa.
L'unico pensiero che gli ha consentito di non impazzire, è stata lei.
Tutti i soldati hanno un motivo per tornare. Come dice un suo superiore, ogni soldato ha di norma due famiglie: quella che lo aspetta a casa e quella con cui aspetta di tornare a casa.
Tutti i soldati si aggrappano a qualcosa, ecco, lui ha avuto lei in quei due mesi d'inferno.
Solo così è riuscito a mantenere la calma e il sangue freddo che, ringraziando il cielo, possiede. Certe virtù sono necessarie quando si è nell'arma.
Accenna un impercettibile sorriso pensando che lei sarà lì ad aspettarlo, con il suo vestito più bello ed il suo sorriso più dolce.
Sente il proprio nome essere pronunciato da qualcuno alle sue spalle, ma prima di tornare alla realtà ci mette un bel po', così non si volta subito, e quello lo richiama un paio di volte, alzando sempre più la voce.
-Che vuoi, Erich?- gli chiede voltandosi di poco ed osservandolo. E' un ragazzo con i capelli biondo cenere e gli occhi verdi, il suo volto ricorda un po' quello di un serpente, ha anche delle lentiggini.
-Quando arriverai andrai subito da lei, vero?- domanda sedendosi di fronte con le gambe accavallate.
-Non lo so...- mormora il biondo scrollando appena le spalle e appoggiando la nuca contro il sedile. Si lascia scappare un piccolo sospiro.
In realtà spera sia lei ad andare a prenderlo alla stazione, ma non ci crede troppo. Magari ha da fare... magari, è ancora in Italia.
Infatti, in quei due mesi di assenza, lei è tornata nella terra natale, a Venezia, dove ha vissuto a lungo col nonno ed il fratello Romano.
Se la sentirà lei di abbracciarlo al suo arrivo? Di stargli vicino, di sopportare i suoi sbalzi di umore, le sue brutte risposte e le sue scuse. E lui... vorrà averla ancora vicino?
Lui la ama, sarebbe pronto a farsi giustiziare come traditore -lui, così amante della patria!- se servisse a renderla felice e libera. Però Felicia è troppo buona e non gli chiederebbe mai una cosa del genere. Piuttosto rinunciarebbe lei alla sua stessa vita.. Ed il tedescco ha paura di farla soffrire a causa propria.
Erich lo osserva con una certa curiosità, poi ridacchia lievemente.
Non è un bravo ragazzo, no. Come suo padre ed il fratello maggiore, che Ludwig stesso conosce e teme, anche se non lo dà vedere, entrerà presto nelle SS, il corpo più temuto al mondo in quel preciso momento storico. Persino i soldati della Wehrmacht, di cui il biondo fa parte, ne sono terrorizzati.
Le Schutzstaffel (nome completo del "corpo di protezione"), non hanno niente di umano. Massacri, razzie, torture, sono per la maggior parte attribuiti a loro. Davvero, nessuno ha il coraggio di sfidarle.
E' per questo che lui si tiene a distanza da chi si vanta di voler entrare a farne parte. Anche se per la verità è molto complicato. Comunque, lui, non ci tiene per nulla. Gli pesa già molto dover imbracciare un fucile, figuriamoci!
Parla un po' con lui, rispondendogli a monosillabi, è certo che non se la prenderà, sono tutti stanchi e stressati. Solo Erich è eccitato, perché poco dopo il suo arrivo metterà da parte la divisa verde militare-grigia per indossare quella nera, quella che spaventa veramente.
Lud si accorge che sono arrivati perché non vede più alberi dalla piccola finestra del treno, ma costruzioni resistenti e forti, dal colore grigio.
Prende lo zaino, pesante, forse troppo, si sistema il cappello sulla nuca, lo sguardo alto, fiero, quello che gli hanno insegnato a tenere. Non scende tra i primi, né tra gli ultimi. Circa a metà, e... e la vede.
Lei è lì da un'ora circa, è stata tutto il giorno a ripetersi: "stasera arriva, stasera arriva!" tutta eccitata, frugando nell'armadio per decidere cosa mettersi.
Ha cercato quasi con aria critica tra i vestiti, volendo essere perfetta, poi ha visto il vestito che aveva la seconda volta che si sono visti, non quando erano al ballo, la volta dopo.
E' una specie di corpetto che le fascia il corpo, che poi si lascia andare in una gonna morbida. E' rosso scuro, davvero meraviglioso e pregiato. Le scarpe e la borsa, così come il cappotto che indossa sopra, sono nere. Sui capelli lisci, puliti, castani, c'è un piccolo cappellino nero, con un dettaglio del colore del vestito.
Si è guardata allo specchio un'infinità di volte prima di uscire di casa, con un eccessivo anticipo tra l'altro, sistemando il rossetto rosso1, molto di moda al tempo, poi finalmente si è decisa a chiudersi la porta alle spalle.
La ragazza appena lo nota, non può fare a meno di sorridere e portarsi le mani sulle guance, sulle quali iniziano a scorrere delle piccole calde lacrie. Si è ripromessa di non piangere, però..
Si trattiene dal buttargli le braccia al collo, ma gli si avvicina.
-Amore mio...- sussurra guardandolo negli occhi.
Ludwig scende con molta lentezza le scale, stanco, serio, e la guarda.
Nessun soldato guarda l'altro, tra di loro c'è una strana silenziosa complicità. Non hanno bisogno di parlare, non adesso. Hanno solo bisogno delle persone che amano, chi i genitori, chi i figli, sorelle o mogli.
Lui la guarda negli occhi, non riuscendo a dire niente. Vorrebbe dirle così tante cose, le aveva preparate in un discorso mentale, ma adesso non ricorda più una singola parola.
E' lei che gli si avvicina ed appoggia le mani al suo petto, sorridendogli dolcissima.
-Sei... sei vivo. Mi sei mancato così tanto... le tue lettere... erano meravigliose... tu lo sei... ti amo- dice senza neppure pensarci. Il massimo che ottiene è un mezzo sorriso. Gli prende la mano e gliela bacia, ma lo sguardo lo tiene su di lui.
-Andiamo...- gli dice, teneramente.
Lui la segue ma non apre bocca. Felicia ha paura 'sarà così per sempre?' Si domanda. Vuole solo il suo vecchio uomo... al dito ha l'anello, tiene stretta la sua mano, e lo osserva, il sorriso non lo spegne, però abbassa un attimo lo sguardo. Lo rialza; dev'esser forte. Lui ha bisogno di lei, dopotutto.
E lei... sì, prima o poi glielo dirà.
Forse.
 

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Note.

1. = In ogni epoca, le donne possono permettersi un solo cosmetico che sia di quelli buoni, generalmente, o comunque ce n'è uno che preferiscono sempre. Oggi è il fard, negli anni '40 era il rossetto rosso. Questo perché lo sguardo si concentrava sulle labbra rosse e si allontanava dalle imperfezioni del viso.
 

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Capitolo 3
*** Dimmi che non è vero. ***


Quando arrivano a casa, è lei ad entrare per prima. 
Si stupisce della sua reazione e sorride dolcemente nel vederlo guardarsi attorno con meraviglia.  Una casa vera, un letto caldo, un buon pasto almeno due volte per giorno. 
Il tedesco entra con passo lento, portando il borsone con la mano destra perché il polso sinistro è slogato e gli fa molto male. Nell'infermeria di un campo di battaglia, le sciocchezze non si curano e questa è una sciocchezza. Ha continuato a sforzarlo ed ora è gonfio, ma per fortuna non rotto.
Si guarda attorno con un piccolo sorriso, poi la guarda, dolcemente. Avvicina le labbra alla sua guancia e lì le lascia un piccolo bacio. 
-Sei bellissima..- sussurra, poi si schiarisce la voce tirata. 
Lei arrossisce lievemente, poi lo abbraccia forte. Gli sembra così fragile, così indifeso, e non pensa neppure lontanamente che lui abbia potuto uccidere qualcuno, cosa assolutamente scontata. 
-Hai fame? Posso prepararti qualcosa di caldo- si offre prendendogli il cappello e passando una mano tra i capelli dorati. Appoggia le labbra al suo naso, mettendosi prima sulle punta per arrivarci. 
-Mi sono permessa di prenderti dei vestiti, così se vuoi puoi anche darti una rinfrescata- sorride spostandosi verso la cucina per sciacquarsi le mani. Non ha più il cappotto né il cappellino sulla nuca, ma sul vestito adesso ha indosso un grembiule. Lega i capelli in una coda per poi prendere delle patate ed iniziare a pelarle canticchiando qualcosa allegra. 
Il biondo appoggia su una sedia la borsa ed annuisce impercettibilmente. 
-Danke..- 
-Il bagno è la seconda porta a destra, i vestiti sono già lì- gli spiega guardandolo con un sorriso.
Naturalmente, non si offre di aiutarlo, non sia mai che lo veda nudo! E' una ragazza abbastanza religiosa, niente sesso prima del matrimonio. E dal canto suo, Ludwig è molto -ma molto!- pudico, perciò non le chiederebbe mai una cosa del genere. Arriva al bagno e si chiude dentro. Sospira pesantemente, appoggiando la nuca sulla porta, chiudendo gli occhi. Accenna un sorriso. "Dio, quanto mi sei mancata.." pensa tra sé, poi, con molta fatica, si spoglia, utilizzando una mano sola, la destra. 
La ragazza intanto prepara una buona cena al ragazzo, dopo apparecchia la tavola secondo le usanze italiane. Il borsone del ragazzo lo mette in un'altra stanza, quindi torna a dar retta ai fornelli, sempre con un sorriso sulle labbra. Avvicina la mano alla radio, poi scuote la testa: potrebbero parlare delle battaglie del giorno, dei loro morti, dei vincitori e dei vinti. E' meglio evitare.
Decide di non disturbarlo, anche se ci metterà molto, ha bisogno dei suoi tempi, lei vuole darglieli e non mettergli fretta. Ma quando lo vede, non può fare a meno di avvicinarsi a lui e sistemargli qualche ciocca di capelli biondi, di allontanare le sue mani dalla camicia bianca e di finire lei di abbottonarla. Finito questo piccolo lavoro, prende il suo polso tra le mani. 
-E' gonfissimo.. ti fa male?- 
Lui, che a stento trattiene una smorfia di dolore quando Felicia lo prende, scuote la testa. Però non sa mentire e lei lo conosce bene. Sospira e gli bacia le labbra, un piccolo casto bacio, poi gli carezza la guancia sana.
-Mangiamo qualcosa e poi ci penso io a te, d'accordo?- 
Non se la sente di dir di no, il tedesco. Si siede a tavola, sentendo il buon odore, sorride lievemente, ma dolcemente. Prende un pezzo di patata e la porta alle labbra. 
-Mmh, è buonissimo..- mormora quando riesce a prendere anche un po' di carne. Ci mette un po' a tagliarla, troppo, e quando vede che non riesce da solo, s'innervosisce. Sbatte il coltello sul tavolo, poi distoglie lo sguardo. 
Felì, dopo aver sussultato, guarda il proprio piatto. Ha già tagliato metà della propria fetta, finisce di tagliarla e scambia i piatti, in silenzio. 
-Scusami..- sussurra lui, riportando l'attenzione sul piatto che ha davanti, diverso dal precedente. 
-Non importa, tesoro. So che è difficile, lo capisco- sorride e riprende a mangiare, così come fa lui.
-No, non è vero.-
-Cosa..?- un po' perplessa, allontana un sostanzioso pezzo di carne dalle labbra ancora macchiate di rossetto rosso. 
-Non puoi capire, non hai visto e fatto ciò che ho visto e fatto io. Non puoi nemmeno immaginare- mormora atono, gli occhi fissi su ciò che mangia.
L'italiana non dice niente, si limita a finire il proprio pasto, perché sa che ha ragione. Appena finito, senza però perdere lo sguardo tenero, sparecchia. Ludwig fa per aiutarla, ma lei scuote la testa, appoggia una mano sul suo petto e gli da un bacio veloce.
Fatto tutto, lo prende per mano e lo trascina nella propria camera da letto. -Aspettami qui- le dice facendogli cenno di sedersi, cosa che lui fa, anche se vorrebbe un po' stendersi. 
Quando la ragazza torna, lo fa con una valigetta bianca con una croce sopra; gli si siede vicino. 
-So che non vuoi, ma.. fallo per me, d'accordo?- dice guardandolo quasi supplicante. 
Porta le mani sulla sua camicia, che sbottona lentamente, dopo la mette aperta sul letto, in modo da averlo a petto nudo davanti a sé. Gli disinfetta tutti i graffi, anche quello sul viso ma non quelli alle gambe. 
Dopo gli prende delicatamente il polso, portando una mano sulle labbra e fermandosi un attimo.
-Cosa.. cos'hai?- la vede alzarsi e correre al bagno. 
La ragazza torna un paio di minuti dopo, decisamente più pallida, avendo appena vomitato di brutto. 
-Mi ha.. mi avrà fatto male qualcosa, non preoccuparti..- si risiede e gli fascia il polso, sul quale poi lascia un piccolo bacio. 
Risistema la valigetta al posto per tornare per l'ennesima volta da lui. 
-Perché non ti riposi un po'?- gli domanda accarezzandogli la nuca. 
-Nein.. devo tornare a casa mia... che diranno se mi vedono rimanere tutta la notte qui con te? Ti prenderebbero per..- si zittisce un momento, poi riprende -è meglio che io torni a casa.-
-Tuo fratello sarà su qualche aereo, tuo padre è fuori città per un po'. Saresti da solo, rimani qui con me.-
Ma non sono sposati e se lui rimanesse, dovrebbero dormire nello stesso letto o comunque nella stessa casa (il divano della ragazza sembra molto invitante per il biondo) ma no, non vuole questo. Non vuole che le dicano qualcosa, che le diano brutti appellativi senza un motivo valido, perché lor saprebbero di non aver fatto niente, ma la gente.. 
Così si alza, sistemandosi per bene la camicia, anche con il suo aiuto e si alza. Si mette il cappello sulla nuca e prende il borsone. 
-Ci vediamo, ehm, magari domani..- 
-No, ti accompagno- dice ed insiste finché il tedesco, stanco per com'è, si trova costretto ad accettare. La ragazza rimette il giubbotto e lo prende per mani uscendo di casa.
Camminano nel buio della sera, guardano le stelle entrambi col naso all'insù.
-Che bella la Luna.. quand'ero al fronte, la guardavo e pensavo a te..- le dice a bassa voce il ragazzo, sorridendole. 
-Amore mio..- lei gli bacia la guancia. 
Circa a metà tragitto, notano due ragazze che passeggiano, chiacchierano animatamente tra di loro, ma quando li notano, abbassano la voce e li scrutano. 
Ludwig tra quelle parole sussurrate distingue bene 'Puttana'. 
Si ferma di scatto. No, non ce l'ha con quelle ragazze. Sa che la gente (s)parla troppo e troppo spesso tanto per dire. Eppure l'ha vista vomitare e per tutta la serata è stata debole. La guarda negli occhi, con sguardo freddo, di ghiaccio. 
No, quelle ragazze non parlano a caso e lui lo sente.
-Dimmi che non è vero- quasi ringhia. 
Felicia abbassa colpevole lo sguardo. 

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Note.
Beh, sì, sono pessima. 
Volevo mette questo capitolo tra un po', ma ne ho già pronti altri tre e non vedo l'ora di metterli! 
Spero vi piaccia anche questo capitolo!
Grazie tante per aver letto! 

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Capitolo 4
*** Mi dispiace.. ***


-Mi dispiace...- mormora con le lacrime agli occhi, portando le mani sul grembo. 
Il ragazzo si passa una mano sul viso, guardando un attimo altrove, la borsa adesso ai suoi piedi.  Senza pensarci, le molla uno schiaffo, lei scivola per terra e non osa guardarlo. 
Sta per aprire la bocca per dire qualcosa, ma lui la precede.
-Abbia almeno la decenza di stare zitta! 
Tu.. non hai idea di quello che ho passato! Per due fottutissimi mesi ho visto i miei compagni morire, ho visto arti amputati, Camerati squartati, soldati piangere perché volevano tornare a casa, ufficiali picchiarli per farli smettere. E ogni maledettissimo giorno, l'unica cosa che mi teneva coi piedi per terra, che mi dava un motivo per sopravvivere a quella merda, eri TU. 
E tu? Ti facevi sbattere da qualcun altro! Dovevamo sposarci, Felicia! Hai rovinato tutto!- le vomita addosso le proprie emozioni, non gli importa se la guancia che ha colpito adesso è arrossata, se il suo vestito si è sporcato o se lei sta piangendo, il suo corpo è infatti percorso da qualche singhiozzo.
La ragazza si porta una mano sul viso, cercando di parlare, ma la voce è rotta dal pianto e non glielo consente. Tende una mano verso di lui -A-aspetta, amo...-
-Non osare più chiamarmi così! Non sei più niente per me. Va a fare la puttana con qualcun altro!- si volta per andarsene. 
E' vero che il biondo non è mai volgare, ma è per otto lunghe settimane, ha sentito così tanto spesso dire parolaccie, che ora deve ri-abituarsi a parlare in maniera 'pulita' e deve inoltre cercare di calmarsi. 
Felicia respira profondamente per calmarsi, appena riesce a parlare dice qualcosa, a bassa voce. 
-Non ti avrei mai tradito, volontariamente..- sussurra mettendosi in piedi.
A quel punto, il tedesco di blocca, rivolgendole ancora le spalle e spalanca gli occhi. Collega il significato della frase solo un attimo dopo, quindi si volta e la guarda. -Was?!-
-Te lo giuro.. io ti amo..- mormora con il capo basso, ancora in lacrime.
Forse sarebbe stato meno doloroso un tradimento. 
Ludwig sente una fitta al cuore, le si avvicina, dispiaciuto davvero per tutto quello che le ha detto. Si mette davanti a lei e le prende il visto tra le mani. 
-Dimmi chi è stato.- 
Lei scuote la testa. Lui ripete la sua domanda, meno dolce, sguardo più cattivo. 
L'italiana si sta sentendo davvero debole, le gira forte la testa, la fronte è già imperlata di sudore.  Non riesce a reggere il confronto e a stare zitta. 
-Non lo so.. ho riconosciuto la divisa nera da SS, niente di più..- dice quello che sa. Vorrebbe così tanto un suo abbraccio, star tra le sue braccia, sentirsi dire che andrà tutto bene, che lui le rimarrà comunque accanto.  Però il tedesco non si avvicina più di tanto a lei. 
Annuisce appena, allontanandosi di qualche passo, l'ultima cosa di cui la ragazza ha bisogno. 
-Non ti mettere contro di loro, sono pericolose, Ludwig..-  gli dice, a voce più alta, quando lo vede andare via, senza che il ragazzo dica nulla, borsone in mano, sguardo fiero, passo lento. 
Felicia rimane con le spalle appoggiate al muro, le guance rigate dalle lacrime, gli occhi chiusi, le mani che coprono questi ed il resto del viso. 
 
 

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Capitolo 5
*** Oggi, e domani. ***


Felicia sente bussare alla porta.
La guarda un attimo perplessa, poi dice: 'un attimo!' e va ad aprire. 
Spalanca gli occhi nel ritrovarselo davanti. -Ludwig..- lo guarda, sorpresa, ma felice. Il fatto che sia lì gli da un po' speranza, almeno.
Il ragazzo, in divisa, ha lo sguardo basso, eppure, quando la vede, lo alza ed accenna un sorriso. Sono passati due giorni, dall'ultimo loro incontro. Tiene qualcosa dietro la schiena. Non è qualcosa di molto costoso, ma semplicemente un libro. E di quei tempi vale molto, inoltre non sono troppe le donne che escono a comperarne uno. Il ragazzo ha preso uno di quei romanzi fatti di storie d'amore e roba dolce, proprio come piace a lei. Però non glielo mostra ancora.
-Posso, ehm, entrare?- domanda con un po' d'imbarazzo. 
La ragazza appoggia le mani sulla porta e la apre un po' di più, lasciandolo passare. 
-Certamente..- accenna un piccolo sorriso. Menomale che è già sistemata, sebbene sia mattina presto, non ha proprio voglia di venir vista con i capelli in disordine o con la vestaglia ancora addosso. 
-Questo.. è per te..- dice porgendole quel piccolo dono. 
Lei lo prende tra le mani con un sorriso dolcissimo e lo guarda, poi si sofferma sulla copertina del libro e ne legge la trama, tutta contenta. Sì, è proprio il genere di libri che le piace e non lo ha ancora letto; ne è davvero entusiasta. 
Lo sguardo si sposta su di lui, sorride scoprendo i denti bianchissimi, dolce come sempre.
-E questo regalo che significa? Che succede?-
-Succede che ti amo- dice lui, senza neppure pensarci. Ripensando alle sue stesse parole e al discorso che ha in mente, arrossisce appena, tuttavia decide di continuare. -Succede che.. io voglio stare con te. In questi due giorni di lontananza, sono stato peggio che durante i due mesi, perché durante di essi avevo la consapevolezza che c'eri tu ad aspettarmi, che sarei tornato da te e che tu mi avresti accolto. Ma ora.. ieri, ho temuto di rimanere solo davvero. Non m'importa degli altri soldati o della mia famiglia, voglio solo stare con te.-
Le dice rigirandosi ancora distratto il capello tra le mani, lo sguardo fisso su di esso. 
Solo dopo aver pronunciato quest'ultima frase, riporta lo sguardo su di lei, gli occhi azzurri fissi su quelli nocciola. 
-Quindi.. se mi vuoi ancora, io sono qui. E sono pronto, sicuro di volermi prendere cura di te.- 
L'italiana gli porta le braccia intorno alla vita e si stringe a lui. -Grazie.. grazie, amore mio..- sussurra. Il ragazzo la culla un po', tenendola stretta al suo petto -guai a chi osa toccarla! E quelle SS la pagheranno, in un modo o nell'altro. Oh, sì, altroché! 
Si dondola di poco a destra e a sinistra, poi le bacia la fronte. 
Qualche minuto e la ragazza si sposta per guardarlo negli occhi. 
-Ludwig, io questo bambino lo voglio tenere. Non avrei il coraggio di..- di lasciarlo davanti un convento o cercare di provocarmi un aborto spontaneo. O, peggio, partorirlo per darlo in adozione ad una famiglia di ufficiali ariani che non riesce ad avere figli, facendolo crescere succube di ideali completamente folli e sbagliati.
Il tedesco annuisce con un piccolo sorriso e le toglie un ciuffetto di capelli castani per metterlo dietro l'orecchio. -Sì, lo so. Ti conosco troppo bene per pensare il contrario. Non ti chiedo di dare a qualcun altro il bambino. Voglio stare con te, lo crescerò come se fosse mio figlio. Lui non ha nessuna colpa della violenza che hai subito ed io amerò lui almeno quando amo te adesso, cioè moltissimo.-
La ragazza si mostra sorpresa e gli salta praticamente addosso felicissima, baciandolo a lungo sulle labbra, passionale, la mano tra i suoi capelli biondi. 
-Prometto che farò di tutto per essere una brava moglie.-
-Sei una donna meravigliosa, sarai un'ottima moglie ed una madre bravissima. E bella, tanto bella- prolunga il bacio, dopo appoggia per l'ennesima volta le labbra sulle sue. -Ti starò vicino in ogni momento.. mi dispiace per quello schiaffo.. non so che mi sia preso.-
Felì scuote la testa e lo accarezza ancora e ancora. -Non importa. Ti amo!- 
-Ich auch, Lieber.. ich auch..- 
Rimangono lì abbracciati per un bel po', a scambiarsi dolci gesti di affetto, sorridersi, farsi delle carezze, per tutto il giorno, insieme oggi, come lo saranno domani. 
 

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Capitolo 6
*** Lettere. ***


La ragazza quel giorno si è dedicata a riordinare la casa, giusto perché si sente un po' più in forze rispetto le altre giornate. 
Mentre lo fa, trova un piccolo baule nel quale ha conservato tutte le lettere ed i regali che Ludwig le ha fatto. Prende la prima busta, sedendosi ai piedi del letto.
Legge la prima lettera, sulla quale vi è scritto:
 
"Amore mio, 
Mi dispiace non averti scritto per un po', ma non ti dirò perché non ho potuto farlo.
Sta' tranquilla, io sto bene.
E' strano stare così lontano da te, guardare la luna e pensare che è la stessa che guardi anche tu, magari adesso, mentre mi pensi. Mi pensi mai, amore? Io ti penso sempre.
Non riesco a stare un momento senza pensare a te e ai nostri momenti felici. Eppure soffro, perché ti vorrei qui con me. Sì, forse sono un po' egoista, non vorrei davvero tu venissi qui, ma  lascerei   tornerei volentieri da te, per starti vicino.
La notte, quando si può riposare un po', chiudo gli occhi e m'immagino la nostra vita tra dieci anni. Tu ci rifletti mai sopra? Chissà, magari ci arrivassi, a quel giorno. Magari arrivassi a sposarti! No, non voglio spaventarti. Io tornerò. Te lo ricordi? Te l'ho promesso.
Continuano a dirci ogni ogni giorno che il Furher è fiero di noi e del nostro lavoro, ma io non ci credo più. Lo fanno solo per motivarci, secondo me. Ma a noi va bene. Ci da almeno un po' di speranza, ci fa sentire utili, ci dimostra che il nostro sacrificio non è vano.  Mi ricordo i giorni d'addestramento, avevo paura già all'ora eppure ripensandoci adesso non ne ho poi molta. Forse perché c'è la calma ora o forse è soltanto la mia incoscienza di ragazzo di vent'anni.
Sai, ci sono anche dei momenti piacevoli qui. Capita infatti che in un momento di relativa tranquillità -perché dobbiamo stare sempre all'erta, noi soldati- ci mettiamo tutti vicini e parliamo un po' tra noi. Finiamo persino per ridere. E per un momento, dimentichiamo la guerra. Credo sia istinto di sopravvivenza. Qui tutti abbiamo qualcuno da cui tornare, Callum ha il suo gatto, ad esempio. Ci racconta sempre di lui, sai? E' un bravo ragazzo, infondo, forse un po' imbranato, ma darebbe la vita per me, e per gli altri. Devi stare serena, perché ci sono loro a coprirmi le spalle, così come io guardo le loro. Mi piacerebbe, un giorno, raccontarti di loro, tralasciando un piccolo dettaglio: come la guerra ci ha cambiati. Spero di non esserlo troppo. Me ne rendo conto, che sono diverso, ogni volta che tengo il fucile tra le mani. Spero solo di tornare quello che sono in realtà, quando lo rimetto giù e mi tolgo l'elmetto. 
Voglio sapere cosa fai, come vanno le cose in Italia, se tuo fratello continua a proteggerti al posto mio, finché non ci sono, e se il nonno si comporta bene. Scrivi, appena puoi, ma non preoccuparti se non riceverai presto la mia risposta. Voglio sapere se stai bene, se ti manco, se qualcosa ti fa soffrire. Eh.. ma non è da me scrivere così. Ho paur 
Ti amo,
Ludwig."
 
 
Ricordando questa lettera e le altre, ma soprattutto ripensando all'angoscia che provava ogni volta che non riceveva posta per giorno e quanto pregava Dio per riceverne, Felicia si porta una mano sulle labbra e piange un po', silenziosamente. Complice del suo pianto, la gravidanza. Proprio in quel momento il soldato entra in casa, divisa addosso perché ha fatto rapporto ai suoi superiori circa una sciocchezza avvenuta in quei due mesi, ed inizia a cercarla. Quando la trova, s'inginocchia vicino a lei e le asciuga le lacrime.
-Amore mio, cos'hai?- domanda osservando poi le lettere. Riconosce la propria grafia, ha uno stile ottocentesco. Non sa disegnare, ma ha una calligrafia.
-Hei.. sono qui..-  la stringe in un tenero abbraccio e sorride lievemente.
Lei piange un po' al suo petto, dopo si scosta di poco e lo guarda negli occhi. 
-Raccontami di loro- dice, quasi seria, ma accenna anche lei un sorriso. 
-Warum?- 
-Beh, perché.. hai detto che avresti voluto parlarmene, prima o poi.-
-Allora aspetta, vado aprendere una cosa e torno, d'accordo?- le sorride dolcemente, le bacia le labbra allo stesso modo e va via.
Casa sua non  è molto lontana. 
Quando arriva, dopo aver fatto il tragitto quasi di corsa, entra in casa, fa solo un cenno alla madre che, paziente (anche perché non ha molta scelta) non dice nulla per i suoi modi piuttosto freddi, poi va al piano di sopra, in camera propria e fruga veloce in essa; dieci minuti dopo, esce di nuovo di casa con un gruppo di lettere in mano, che si affretta a nascondere dentro la divisa. Alcuni altri militari potrebbero prenderlo in giro e questa cosa non gli va proprio. 
Così torna da lei e le si siede vicino, appoggiado anche lui alla spalliera del letto. Tira fuori le lettere, l'italiana ridacchia. Il biondo le guarda, le conosce praticamente a memoria, per quante volte le ha lette e rilette, cercando in esse un minimo conforto che, con suo estremo piacere e sorpresa, trovava. Legge la risposta alla lettere che ha ancora in mano Felì.
 
"Caro Ludwig,
certo che ti penso! Non passa giorno in cui io non preghi per te e per i Camerati di cui ti vanti spesso. Sì, mi piacerebbe sentir parlare di loro, delle loro avventure e di come proteggono il mio angelo. No, no, non ti arrabbiare se ti chiamo così. E per favore  non arrabbiarti nemmeno perché prego. So che non è permesso per adesso, ma io sono italiana e non riesco ad abbandonare la mia fede. 
Sono tornata a casa da un mese ormai e le cose non sono molto cambiate. La giorntate.. semplicemente scorrono. Faccio il conto alla rovescia, per sapere quanto ci separa. Sempre troppo, a mio parere. 
L'altro giorno,  Oggi sono uscita con Romano, ogni volta che passava un soldato, sembrava quasi  voler nascondermi! Riesce ad essere un po' fastidioso alle volte, però so che lo fa per il mio bene. E così stai più sicuro, se ho qualcuno accanto, no?  Mi manchi; sì, passo da un argomento ad un altro, ma ho così tanto da dirti che non mi basterebbe un libro per dirti quello che provo e quanto immensamente io ti ami.
Mi annoio spesso, ma penso sia meglio così che vivere nel terrore di un bombardamento o di qualcosa del genere. Dopotutto, qui si sta piuttosto bene. 
Il nonno si è ubriacato di nuovo la notte scorsa, ma sai com'è: innocuo. Anche se è tornato a casa con due donne mezze nude! Avrei voluto fulminarlo con lo sguardo, ma sai come sono fatta, non riesco a stare arrabbiata con le persone. Così l'ho aiutato, adesso sta decisamente meglio. Romano ha paura che lo chiamino nell'esercito da un momento all'altro, non vuole combattere, ha paura di fare realmente male a qualcuno per quanto scontroso sia con la gente. Come dici tu.. è un bravo ragazzo, infondo. Come lo sei tu! Forse non siete poi così diversi. Se non invio la lettera tra un'ora, dovrò aspettare un paio di giorni, hanno intenzione di chiudere la struttura per un po', a non ho  ben capito perché. Allora vado via, ma non prima di averti detto la cosa più importante.
Ti amo, amore mio, e ti aspetterò sempre, per sempre; non voglio appartenere a nessun altro! Ti prego, torna presto.
Con amore, 
Felicia."
 
E rimangono perqualche ora a leggersi le lettere, a volte ridendo, qualche volta invece -anzi, piuttosto spesso, la ragazza piange, ma sempre con il sorriso sulle labbra.
Ed il tedesco gli racconta dei suo Camerati, di quello che fanno, di quello che dicono, lei ascolta avida d'informazioni, vuole sapere tutto del suo amato e dei suoi amici, anche se non tutti i suoi compagni si possono definire tali.
Le dice di quello che hanno fatto insieme, di come si sono salvati vicendevolmente le spalle, delle risse che sono finite spesso a pacche sulle spalle, per merito di terzi. 
Non si accorgono nemmeno del tempo che passa, quando ritornano alla realtà la luna è già alta nel cielo, spicca pallida su di esso.  
-Che ore saranno?- chiede lei rimettendo gelosamene le proprie lettere nel piccolo baule in legno, lui nella tasca della divisa.
-Non lo so, ma ho un po' di fame. Fammi qualcosa di buono- le dice circondandole la vita e stringendola a sé. Felì gli si siede di sopra, abbracciandolo, il viso al suo petto e socchiudendo gli occhi.
-Vuoi fare faticare una donna incinta, mh?- mormora ridacchiando, accarezzandogli dolce i capelli.
-Nein, ha ragione- sorride, le bacia la fronte e prendendola in braccio la fa distendere sul letto. -Ci penso io.-
Lei lo guarda stupita, non pensava minimamente che lui si offrisse davvero di far una cosa del genere. Un uomo degli anni '40, non si offre di fare queste cose, lui invece sta giusto mettendo in ordine la stanza, detesta il disordine. 
Si mette seduta sul letto, lei, e lo guarda. -Amore, ma dici sul serio?-
-Certo che sì. Non sarò bravissimo, ma so cucinare qualcosa- si avvicina e la bacia.
E poi va a cucinare, così che la sua amata possa provare per la prima volta qualcosa fatto da lui. 
Il tedesco gli porta la cena a letto e con fare dolce e scherzoso, le porta alle labbra un pezzo di pane, col quale ha fatto la 'scarpetta' e lei sorride, assaporando.
-E' buono! Non immaginavo!- ridacchia dolcemente e con lui passa ancora qualche ora tra baci e coccole, ma nulla più. Infine, il soldato torna a casa propria. 
 

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Capitolo 7
*** Saprà cavarsela. ***


E' buio. Fuori piove a dirotto, lei sta appena tornando a casa. C'è.. un'ombra? 
[...]
Inizia a divincolarsi, qualcosa le tiene stretti i polsi. Non ha più il cappotto sulle spalle, la maglietta sgualcita viene tirata via e strappata, il seno ormai scoperto è contro la divisa nera e fredda di un soldato. Si ritrova con le spalle al muro, i capelli sciolti e bagnati le si attaccano al viso e al collo. Il soldato abbassa un po' i pantaloni ed alza la gonna di lei. Con la punta delle dita le accarezza la pelle nei punti in cui è più delicata, non tanto per interessare la ragazza, giusto per riuscire ad eccitarsi ancora di più. Il membro eretto, è già pronto a penetrarla. Puzza di alcol. E di fumo.
 
 
Felicia apre gli occhi di scatto e si mette seduta sul letto, portandosi poi una mano tra i capelli castani lisci, sciolti. Sussulta quando un lampo irrompe abbagliante dalla finestra ed un tuono lo accompagna. Si calma molto lentamente e si rimette distesa, lasciando che la coperta la copra per metà. Gli occhi sono aperti, non riesce a chiudergli, ha ancora quelle immagini fisse nella mente. Istintivamente, porta la mano sul grembo, dove la pancia inizia a notarsi e allora piange, perchè quel bambino, non lo voleva, non adesso.
Ma dov'è Ludwig? Che aspetta a sposarsela? Che abbia dubbi? No, non è questo. Ma allora cosa? Lei non vuole più dormire da sola. Quando fa brutti sogni vuole poter aprire gli occhi, guardarlo, stringersi a lui ed avere la consapevolezza che i sogni diverranno più belli, perché è vicino al ragazzo che ama. Ma purtroppo, per stasera, come altre volte, deve riaddormentarsi da sola.
 
Al risveglio, il mattino dopo, si passa una mano tra i capelli, spostando un po' il ciuffetto per rimetterlo a posto. Ha bisogno di vederlo, sa che non dovrebbe andare a casa sua -se la vedessero i suoi! Se la vedesse suo padre! Non ha accettato quella storia, persino la madre è un po' contrariata, al fratello invece non importa molto, va bene solo se suo fratello è felice, lo è, quindi va bene.
Si sistema al meglio, con il rossetto rosso, i capelli sciolti, il vestitino largo.
Prende la borsa, chiude la porta di casa e s'incammina. Menomale che abitano vicini.. ha i piedi gonfi quel giorno, ha la nausea e non si sente per niente bene. 
Quando giunge a casa, bussa, sperando di non disturbare cosa che effettivamente fa.
Apre una donna, bionda con gli occhi scuri, un po' fredda, infatti la scruta subito, con aria interrogativa. 
L'italiana, un po' a disagio, si presenta educatamente. -Buon giorno.. sono Felicia Vargas, sto cercando Ludwig.. disturbo? E' in casa?- domanda, rimanendo sull'uscio.
La signora sospira lievemente e, suo malgrado, apre la porta. -Entra, cara, ho da parlarti.-
Entrata, si accomoda dove le viene indicato, rimanendo in silenzio attendendo che la sua interlocutrice dica qualcosa.
-Ludwig non è in casa, sfortunatamente.- 
-Oh, che peccato.. allora, è il caso che io tolga il disturbo.. mi dispiace di ave...- 
La donna la interrompe con un cenno del capo, accennando un piccolo sorriso amaro. -Non preoccuparti.. mio figlio purtroppo si è messo in un grande guaio. Ieri sera sono arrivati gli agenti della Gestapo.- 
-C-cosa? Ma come, la Gestapo? Cielo..- porta una mano sul petto, spaventata al pensiero  di cosa possa aver combinato. Poi ci pensa. Le SS.
In quel momento un altro ragazzo in divisa entra in casa, ha due occhi color vermiglio, i capelli biancastri coperti però da un paio di occhiali d'avitore. Gilbert! Il fratello maggiore di Ludwig. 
La guarda con il suo solito mezzo ghigno, ma con un filo di curiosità.
-Gilbert.. lei è Felicia. L'a.. l'amica di tuo fratello- annuisce la madre.
-La fidanzata- corregge l'albino. Si avvicina alla ragazza e le sorride lievemente. -Mio fratello s'è messo nei casini, eh? Ma non ti preoccupare, resisterà per quei pochi giorni in cella e tornerà da te, kesesese..- la sua solita cantilena.
-Gilbert! Smettila subito.-
Il figlio le rivolge un'occhiata scocciata e si siede vicino la cognata, scomposto. Però le sorride lievemente.
Felicia ricambia il sorriso dolcemente, come sempre. -Speravo di conoscervi in una situazione diversa..- 
-Ah, ma non preoccuparti, ragazza! Non è così importante- si toglie gli occhiali e ridacchiando li mette via.
-Tu non.. sei spaventato per Ludwig?-
-Nein, lo conosco molto bene, l'ho cresciuto ed educato io, so che reggerà. Piuttosto.. tu sai a chi ha pestato i piedi? In questi giorni non ha voluto parlarmene. Strano, mi dice sempre tutto..- borbotta pensieroso. La signora ordina alle cameriere che vengano serviti tè e pasticcini, mentre l'italiana abbassa leggermente il capo e porta le mani in grembo. 
-E' tutta colpa mia..- sussurra sospirando. 
-Nein, nein. Ha fatto quello che andava fatto. Sono fiero di lui, mh- si alza stiracchiandosi. -Vado a bere qualcosa con i miei Camerati, mi stanno aspettando- prende qualcosa per la quale era rientrato a casa pochi minuti prima e sorride un'ultima volta alla ragazza. -Ci vediamo presto, eh! Tieni d'occhio mio fratello per me, quando non ci sono, d'accordo?- le fa l'occhiolino e va via. 
Anche l'italiana va via poco dopo, dopo aver preso il tè, aver mangiato un paio di quei biscotti, davvero buonissimi, trattenendosi perché dal mangiarli tutto, terrorizzata però dalle sorti del suo fidanzato. Sua suocera ha promesso che gli avrebbe detto della sua visita. Per questo è un po' più sollevata, eppure.. 

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Capitolo 8
*** Il Lusso di un Pugno. ***


E' la giornata ideale per concedersi una passeggiata. 
Le vie di Berlino sono fredde, sebbene la temperatura non sia poi così bassa, quel giorno. Camminano tutti persi nei loro pensieri, Ludwig e Felicia sono mano nella mano.
Il ragazzo indossa ancora una volta la sua divisa, sembra non riuscire a staccarsene. Il cappello è ben posto sui capelli dorati, gli stivali tirati a lucido, tutto sistemato. 
Lei indossa un vestito grazioso, fermo sotto il seno, poi si apre in una gonna morbida. Per un bel po' dovrà coprire la pancia, perché si vergogna, perché non è sposata, anche se la promessa del tedesco non cambia: lui la vuole tutta per sé. Ed in segno di rispetto nei suoi confronti, non l'ha ancora, come dire?, toccata.
La ragazza avrebbe voluto aspettare il matrimonio e così faranno, sebbene non sia più vergine -nessuno dei due lo è. 
Qualche coraggioso raggio di sole bacia entrambi il viso, il biondo sistema il cappello in modo che gli copra gli occhi, che in quanto azzurri sono più delicati.
Mentre passeggiano, nota improvvisamente la loro stretta farsi più forte, il capo di lei si fa subito chino. 
-Was..?- domanda in tono vago. 
-Niente..- accenna un sorriso forzato e fa di tutto per cambiare strada, trovando scuse che non si reggono in piedi, con l'unico risultato di farli fermare. Per distrarlo, appoggia le labbra alle sue e la mano sulla su guancia sana. Il ragazzo ricambia il bacio dolce, anche se un po' confuso, appoggiando le mani sui suoi fianchi e chinandosi un po' per colmare quegl'otto centimetri d'altezza che li separano.
-Ma che fai, puttana, mi tradisci?- mormora ad alta voce un soldato poco distante, ridacchiando sprezzante. E' un SS, di grado superiore tra l'altro, Ludwig lo capisce subito. Ma non è la prima cosa a cui pensa. 
Il suo sguardo si gela subito e si mette tra lui, i suoi amici e la propria donna, in segno di protezione. Ha capito, sì, che è stato lui. E lo ha capito anche lei, sebbene avesse detto di non averlo visto. Questa è la verità, ma qualcosa, nell'SS... glielo ha fatto riconoscere.
-Che hai detto?!- sbotta il biondo.
-Ché, qual è il problema, scusa? Te l'ho tenuta in caldo, mentre non c'eri.-
-Che pretendi di fare, tu della Wehrmacht contro di noi?- dice una quarta voce. 
Enrich, il ragazzo col quale ha parlato sul treno, con la faccia da serpente. 
Quand'è tornato, ha avuto modo di parlare con il fratello, colui che ha violato Felì, e ha riso di gusto quando ha colto ciò che ha fatto.
-Anche tu stai nella Wehrmacht, ti ricordo- sussurra con tono tagliente.
-Ah, ma per poco. A breve mi verrà data la mia vera uniforme- si atteggia l'altro.
-Ludwig, amore, ti prego, andiamo..- cerca di tirarlo via, la sua ragazza, perché sa che vuol dire mettersi contro un SS e le conseguenze che questo comporta.
-Nein! Quel bast..- lo stupratore, Joakim, lo interrompe subito però.
-Stai zitta, tu, puttana! Non ti hanno insegnato a non interrompere gli uomini quando stanno parlando?! Devo essere io ad educarti?- fa un paio di passi verso l'italiana.
Notando l'amata abbassare lo sguardo, spaventata, il biondo s'innervosisce ancora di più e gli si avvicina minaccioso, ignorando le proteste di lei.
-Non osare parlarle così!- ringhia assestandogli un pugno dritto dritto sul naso, che inizia a sanguinare. E se Enrich e un loro amico non lo fermassero, lui continuerebbe di certo. Però la soddisfazione di avergli dato un pugno se l'è tolta. 
Quei due, iniziano a pestarlo. Non che sia facile, certo. Anche se è "solo" un soldato della Wehrmacht, Ludwig sa difendersi e molto bene, però tre contro uno non vale. Bella dignità che c'hanno le Schutzstaffeln, eh? "Meine Ehre heißt Treue" recita il loro motto, ovvero: "Il mio onore si chiama fedeltà." Fedeltà verso il Partito, verso la Patria, verso Hitler; non certo amicizia contro quegli 'idioti' senza Sowilo affiancate. Sowilo, ovvero i due fulmini vicini che le contraddistinguono dagli altri plotoni nazisti.
Poi, per un motivo che sembra inspiegabile al momento, se ne vanno. Forse perché hanno anche il loro che fare, forse perchè si annoiano, forse perché per adesso va bene così. 
Ludwig si rialza in piedi, tamponandosi con la manica della giacca le labbra sporche di sangue. Il capo è un po' chino, ma gli occhi fissi sulle tre figura che, ridenti, vanno via. 
Non ha avuto mai paura di loro,  ha sempre provato una grande rabbia, perch loro devono credersi migliori. Migliori? Ma figuriamoci.. fanno letteralmente schifo. 
-Ludwig!- la ragazza si avvicina a lui ed appoggia una mano, la sinsitra, sulla sua spalla. -Stai bene?!-
Il giovane si riscuote un attimo dai proprie pensieri ed annuisce guardandola. -Sì, non preoccuparti.. sto bene- chiude un paio di secondo gli occhi, poi li riapre.
-Sei.. sei un idiota! Te lo avevo detto di non metterti contro di loro, adesso te la faranno pag..- la interrompe un bacio, che ricambia, poi con la mano si asciuga qualche lacrime.
-Stai tranquilla, sto bene e non mi succederà niente. Te lo prometto- la rassicura. 
S'incamminano per la strada di casa. La cosa più brutta è che nessuno -nessuno!- è andato lì ad aiutarlo. Magari, si fosse litigato qualcun altro, un aiuto lo avrebbe ricevuto.
Accompagnata a casa, il ragazzo si lascia convincere a farsi medicare brevemente, dopo torna a casa, ma non prima di averle dato un altro lungo e dolce bacio.

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Note.
Innanzitutto, grazie di aver letto! 
Spero il capitolo vi sia piaciuto. (: se ho fatto qualche errore, ti prego di perdonarmi! >w< e se c'è qualcosa che non è chiaro, ché l'ho scritto male, chiedete! 
Grazie ancora! ^^

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Capitolo 9
*** Le celle buie e fredde. ***


Almeno, c'è un letto. 
Sporco di piscio non suo, mezzo distrutto, ma c'è. In quella piccola cella, non c'è che una piccola finestra. Sfortunatamente, con lui, tuttavia, c'è un altro uomo. Le celle sono strapiene. Giusto il tempo di fucilare un paio di detenuti e fare nuovo posto.
Quando lo hanno portato dentro, quest'uomo sulla quarantina, capelli ed occhi scuri, ma accertato ariano (o sarebbe già in qualche campo),  Ludwig aveva appoggiato un piede sul quel piccolo tavolo quadrato, ed era seduto sullo sgabello, osservando distratto quel poco che vedeva dalla finestra, le dita che tamburellavano impazienti sul tavolo.
-Hai visite- ha borbottato qualcuno con aria divertita e ha buttato dentro l'altro prigioniero che si è giustificato dicendo: -Le altre celle non mi piacevano, questa è la più bella- ridacchiando appena, sdrammatizzando.  -Il mio nome è Christoffer, piacere.-
Lud lo ha osservato a lungo, poi, più sicuro, ha stretto la sua mano, presentandosi a sua volta.
-Posso?- fa un cenno in direzione dell'altro letto, ha davvero bisogno di riposare.
-Certamente- ha decretato il biondo facendo un lento cenno del capo. Poi ha tolto il piede dal tavolo.
Ora stanno conversando giusto da un paio di minuti, l'uomo gli ha offerto una sigaretta.
-Sai, non possiamo fumare qui.-
-Non importa..- ha sussurrato il giovane, accendendola e portandola alle labbra. Da quanto non fuma? Gli è decisamente molto mancato.
-Perché sei qui, ragazzo?- domanda l'altro imitandolo in quel gesto.
-Un soldato delle SS si è fatto la mia ragazza- risponde in tono pacato, chiudendo gli occhi, giusto per gustarsi meglio la sigaretta.
-E tu lo hai pestato, esatto? Quei bastardi delle Schutzstaffeln. Quella feccia!-
-E lei? Com'è finito qui dentro?- chiede a sua volta il tedesco, puntando gli occhi azzurri sui suoi, neri, come il carbone, decisamente poco 'puri'.
-Mi hai visto, Ludwig? Non sono Ariano. Tu.. tu lo sei -oh, sì, che lo sei, ragazzo. Ach, le persone che dicono la verità non piacciono a nessuno- sbotta quasi imbronciato. -Quanto ti soffermi in questo meraviglioso hotel?-  commenta poi ironico.
-Non lo so..- mormora l'altro scuotendo appena la testa.
Si concede un sospiro, poi toglie il cappello dalla nuca, rivelando i capelli unti. Quanto vorrebbe farsi una doccia calda. Quanto vorrebbe mangiare qualcosa di buono.  Quanto vorrebbe uscire e rivedere lei! Non c'è momento in cui non pensi all'italiana. Spera solo che qualcuno le dica, che la informi di quello che sta succedendo.
-Ti sei tolto la soddisfazione di pestarlo, quel figlio di puttana?- dice l'uomo curioso, dopo un po'.
-Più o meno.-
Sulle sue labbra spontaneamente si disegna un mezzo ghigno, poi butta via la sigaretta ormai ridotta ad un mozzicone. 
-Gut, è un bene che quelle bestie ogni tanto la paghino- sostiene l'uomo.
-Ja..-
-Lei sta bene?- distende una gamba, per poi appoggiare il gomito al ginocchio che ha portato al petto e sistemarsi con due dita quei bei baffoni scuri. Sarebbe un bene che andassero via.
-Per quanto possa stare bene una ragazza non sposata incinta di un altro- risponde apatico, appoggiando la testa alla parete.
-Ah, non pensavo.. mmh, e tu l'hai lasciata?-
-E' un interrogatorio?- non gli piace che stia facendo tutte quelle domande, si sente sotto processo. 
Con le dita della mano sinistra caccia via un rivolo di sangue di una ferita che si è appena riaperta, fortunatamente non è così grave.
Quelli della Gestapo non ci vanno mai giù in modo leggero. Sfogano la loro rabbia repressa con i detenuti, forse avrebbero semplicemente bisogno di scopare un po' di più, come suggeriscono spesso, silenziosi, i detenuti stessi; ogni volta che ne hanno l'occasione, per ogni minima sciocchezza, pestano i soldati là rinchiusi, così come è capitato al tedesco. Solo perché ha fatto una battuta di troppo, ma non è riuscito a starsi zitto. Mai fare questi errori alla prima giornata di detenzione! Ti si rovina il soggiorno. Gli hanno dato pochissimo cibo, poca acqua, niente sigarette, niente libertà di parola o solo di pensiero. 
Mandano via Chris, dopo un paio di giorni, un giorno lo ricontrerà forse. Lo spera davvero.. spera soprattutto non lo giustizzino. 
Lui è costretto invece a rimanere in quella cella per altri quindici giorni, un periodo decisamente eccessivo, per un totale di tre settimane; ma diciamolo pure: si è fatto odiare là dentro. Gli ultimi giorni si è stato zitto, forse per stanchezza o forse per sopravvivenza. 
Quando esce si ritrova costretto ad appoggiare  una mano sugli occhi per proteggerli dal sole. Fa solo pochi passi, debole, quando una jeep con dei ragazzi a bordo si ferma davanti a lui. Chi diavolo...? 
Nessuno, per fortuna. Solo, suo fratello. Che salta già dalla jeep, recupera le sue cose e gli si avvicina, dopo aver imprecato contro l'idiota autista che non voleva fermarsi. 
-Bruder!- gli si avvicina e lo sorregge. -Mi dici che cazzo hai combinato per finire là dentro?-
Ed il tedesco gli racconta tutta la storia, ma soltanto dopo essere rientrati a casa. 
L'albino ha curato le sue ferite, difatti ora il minore dei due è a petto nudo davanti a lui.
Gil scuote la testa con disapprovazione. -Non devi metterti contro quelli della Gestapo: possono renderti la vita un vero inferno.-
-Chi mi fa la predica? Tu, che entri ed esci di lì, più o meno tre volte per mese?- lo guarda abbastanza scettico, trattenendo poi una smorfia di dolore.
-Hei! Io ho una reputazione da mantenere!- annuisce convinto, poi sogghigna ed ordina alle cameriere che gli diano da mangiare e da bere a sufficienza. Poi gli ordina di riposarsi su un letto vero e lui, suo malgrado, si trova costretto ad accettare perchè non riesce a dir di no al fratello. 
Quando si alza scende già in salone dove trova entrambi i genitori ed l'aviatore che ruba un paio di biscotti appena fatti, ancora caldi. -Ne vuoi, Bru'?- dice con la bocca piena. Il biondo scuote la testa. -Nein, nein.. avete visto Felicia, in questi giorni?-
-Nein. Né la vedrai tu, d'ora in avanti- afferma il padre convinto.
-Was?!-
-E' una poco di buono! Non è degna di questa famiglia. E mi delude che tu sia ancora così legato a lei.- 
-Non è stata colpa sua! L'hanno costretta a farlo!- ribatte il giovane capendo il chiaro riferimento alla gravidanza dell'amata.
-Non vedo perché tu debba prenderti questo peso, comunque- sfoglia con attenzione il giornale, commentando poi amareggiato un articolo di esso, scuotendo il capo.
-Non pensi nemmeno lontanamente che io possa amarla?- 
-Ludwig, tuo padre ha ragione, noi vogliamo solo il tuo ben..- risponde la madre, non scomponendosi minimamente.
-Stai zitta, tu! Che ne sai -che ne sapete- di ciò che voglio? Io la amo ed intendo sposarla.-
-Ludwig, adesso basta. Non ti permetto di alzare la voce in questa casa. Non costringermi ad usare le maniere forti!-
-Maniere forti? Credi davvero che io possa avere paura di.. un tuo rimprovero, dopo che sono stato al fronte e dopo tre settimane di detenzione in una cella della Gestapo? Nein, Vater. Non ho più paura di te- detto ciò, ormai vestito, esce di casa e si avvia verso quella di Feliciana. 

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Capitolo 10
*** Non preoccuparti, ci penso io. ***


E' che forse è troppo piccolo per capire.
Certo, c'ha vent'anni. Ma ha visto la guerra solo per due mesi. E' stato in una cella della Gestapo per quindici giorni. Mica come Gilbert. 
Lui è più grande, ha qualche anno in più e la guerra l'ha vissuta diversamente. E' stato uno dei primi ad arruolarsi e a diventare aviatore. Certo, non è stato facile: nessuno vuole qualcuno così 'poco puro' nella propria squadra. L'albinismo lo ha frenato e si trova così costretto a fare il doppio della fatica per salire di grado. Nessuno sottosta ad un ufficiale con qualche difetto. Il popolo tedesco dev'essere senza malattie, senza peccati, senza restrizioni.
E' per questo che lui, come d'altronde molti altri soldati, hanno iniziato a fare uso di droghe. 
Anfetamine e metadone soprattutto. E magari anche qualche canna, quando riescono a recuperarne una, è sempre un po' complicato far circolare queste cose senza essere beccati. 
Si sta giusto facendo una di questa, dato che il tedesco è andato via dopo la sfuriata con i loro genitori dall'amata. Lui non sa e non deve sapere. Che direbbe se scoprisse che il suo amato fratello, ai suoi occhi privo di difetti, si lasciasse aiutare dalla droga? Per quanto leggera possa essere.
 
Ludwig si sta recando a passo svelto verso casa di Felicia, cercando di calmarsi nel tragitto. Sospira lentamente prima di bussare alla porta. 
La ragazza si è alzata da poco, non si sentiva bene così è rimasta a letto per un po'. Non che adesso si senta meglio; suo malgrado porta una mano sulla fronte socchiudendo gli occhi e chiede con voce rauca chi stia domandando di lei all'uscio di casa.
-Sono io, Ludwig- mormora lui passandosi una mano tra i capelli.
Gli occhi di lei si illuminano. "Quand'è uscito?" si domanda subito. Apre la porta ma rimane nascosta dietro di essa, ha una aspetto orribile, o almeno così pensa, non vuole che la veda nessuno, ma se l'amato è andato a trovarla.. beh, che entri! 
Sistema velocemente la camicetta sgualcita stringendosi poi nel cardigan che ha messo sopra, dopo lo guarda dolcemente. -Amore! Entra, su.-
-Hei..- 
Il biondo entra nella casa e le bacia la fronte. -Sono uscito ieri sera.. scusa se vengo solo adesso- le spiega e si scusa. 
Felì appoggia il viso al suo petto. -Non importa..- 
-Sei calda..- mormora appoggiando il dorso della mano destra sulla sua fronte. -Da quanto stai così?- 
-Ieri sera non mi sentivo bene e così sono andata a letto presto..- 
-Hai bisogno di un medico- annuisce, le prende la mano e la porta a letto. -Stenditi, ci penso io.- 
-Non importa, è solo un po' di febbre..- ribatte lei ma seguendolo. Si stende e lascia rimboccare le coperte. 
-Sei incinta! Non sappiamo quanto possa essere grave questa cosa..- lui ovviamente non ne ha idea. E' un uomo, non sa certe cose. -Rimani qui, vado a chiamare qualcuno- le bacia la guancia ed esce. 
Eh.. ma, in quanto uomo e soldato, è bene ribadire, non sa certe cose. E chi chiama, adesso? Dà un'occhiata all'orologio. Suo padre dovrebb'essere uscito di casa da qualche minuto. E sua mamma dovrebb'essere in casa.. per quanto non voglia farlo, è l'unica persona che può aiutarla. Ripercorrendo la strada di casa, si trova costretto a fermarsi, perché incontra un vecchio 'amico'. Christoffer! Lo saluta con un cenno della mano. Menomale, non deve rivolgersi alla famiglia. 
-Ludwig! Che piacere rivederti, ragazzo.- 
-Christoffer.. non pensavo di rivederla così presto. Mi dispiace, ma non posso trattenermi; Felicia sta male- gli spiega, preoccupato.
-La tua donna? Forse so come aiutarti; mia moglie è un'ostetrica.- 
Ah, sì! Almeno cosa fa l'ostetrica, lo sa. Un piccolo sorriso si dipinge spontaneo sulle sue labbra. Annuisce e lo segue, vanno così a chiamarla.
La casa dell'uomo è piuttosto piccola, due bambini corrono per le stanze ed il corridoio, mentre una ragazzina dal fare antipatico e saccente li rimprovera con superiorità. La signora, Annemarie, sta preparando il pranzo, dato che al momento non ha da lavorare. 
Si danno un bacio veloce, col marito, lei ha i capelli biondo cenere e gli occhi scuri. Indossa un vestito blu ed ha il rossetto rosso. Le scarpe del colore delle labbra, più o meno. 
-Abbiamo bisogno di te- le spiega l'uomo e gli racconta del problema dell'italiana -in realtà, non tutto, perché aveva raccontato già alla moglie la storia dei due ragazzi, dopo essere uscito di prigione.
Così  Anne chiede ad una vicina di badare ai bambini, si toglie il grembiule e si sistema velocemente i capelli, per poi seguirli. 
Arrivano dopo una quindicina di minuti, Ludwig bussa di nuovo alla porta, stavolta però la trova aperta, così come l'aveva lasciata. -Felicia?-
-Sono qui, tesoro..- sussurra la ragazza ancora al calduccio nel letto. 
Si presentano tutti velocemente, ma dopo i due maschi si trovano costretti ad uscire, perché lei dev'essere visitata. 
La donna le mette una pezza bagnata sulla fronte in modo che la temperatura scenda e parla un po' con lei, dopo averla controllata per bene. 
-Hai fatto preoccupare tanto il tuo fidanzato, lo sai?- le sorride dolcemente.
-Sì..- annuisce guardandola. -Si preoccupa sempre, lui. Mi sento in colpa.. non dovrebbe avere tutte queste responsabilità. Il bambino.. insomma.. non è suo..- 
-Ma lo considera tale. Sai, lui e mio marito si sono conosciuti quand'erano entrambi rinchiusi nelle celle della Gestapo. Ludwig gli ha raccontato un po' di sé, ha detto perché si trovava lì. Si vede che ti ama moltissimo.-
Le guance di Felicia si colorano di rosso intenso ed i suoi occhi nocciola si spalancano. -Ha r-raccontato quello che mi hanno fatto?- 
-Soltanto a mio marito, ne sono certa. Devi stare tranquilla, e riposarti. E non dovresti stare da sola.. vuoi che ti accompagnano da un parente? Dalla tua famiglia?- domanda cambiandole lo strofinaccio. E' tornata di un colorito normale, l'italiana, sta già meglio. 
-No..- scuote appena la testa -i miei unici parenti, mio nonno e mio fratello, sono in Italia, a casa mia. Qui sono da sola. Mi sono trasferita esclusivamente per il mio tedesco- accenna un sorriso. 
Annemarie sorride con fare materno ed fa cenno d'aver capito, poi si allontana dal bordo del letto a cui era appoggiata. -Te lo chiamo - ma solo per poco! Dopo ti riposi, intesi?- 
Esce dalla stanza e si avvicina al ragazzo che intanto sta bevendo qualcosa con Chris. 
-Vedi di non farla stancare troppo- lo avverte con aria severa. Il giovane annuisce ed entra nella stanza dopo aver bussato. 
Le si avvicina e le sorride. Se la coccola per un po' e fa in modo che s'addormenti. Quando è certo che stia nel mondo dei sogni le bacia le guancia e ringrazia per bene i due adulti che si congendano. L'ostetrica promette di tornare il giorno dopo per monitorare la situazione, Ludwig giura di rimanere con lei tutta la notte, per controllarla. 
Così dopo aver richiuso la porta d'ingresso, quas si precipita  dall'amata e l'accarezza dolcemente, rimanendo a vegliarla per tutto il tempo. 

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Note.
Salve! Sono contenta che abbiate letto fino a questo capitolo, spero di star procedendo bene.
Stavolta vogli fare una dedica, a due persone importanti per me: Giulia e Buch. 
Ragazze, grazie davvero per l'affetto che mi dimostrate ogni volta che mi chiedete un nuovo capitolo uwu 
Vi voglio tanto tanto bene <3 

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Capitolo 11
*** Il meglio per tutti. ***


Per fortuna Felicia sta decisamente meglio. Il fidanzato le è rimasto vicino più che ha potuto, passando anche qualche sera con lei -tanto di loro parleranno male comunque- ma ovviamente tra loro non c‘é stato nulla, è bene chiarire.
Così anche quel giorno, forse un po' in anticipo, il ragazzo va a trovarla. Bussa alla porta e dato che lei sta abbastanza bene da alzarsi va subito ad aprire e mettendogli le mani sulle guance lo bacia dolcemente. -Sto facendo una torta! Speravo... no, cioè, avrei voluto arrivassi a torta già pronta, ma mi sa che dovrai attendere- annuisce convinta un paio di volte.
-Anch'io ho una sorpresa per te.- 
Ma prima la bacia con passione, richiudendo la porta alle spalle. Troppa passione. Forse sta esagerando, infatti l'italiana lo guarda sorpresa. Lasciandola andare, Ludwig si avvicina al tavolo. Non è un segreto che desideri fare l'amore con lei, eppure avrebbe in ogni caso aspettato il matrimonio, anche se dentro di lei non stesse nascendo una piccola vita; le ha promesso di sposarla e lo farà, per quanto difficile possa essere in una situazione del genere. Sul tavolo della cucina lascia una busta poi vi picchietta un paio di volte le dita e la guarda dolcemente.
Felicia si avvicina a lui ed abbassando lo sguardo su quel pezzo di carta lo prende tra le mani, scostando poi un ciuffo castani dal viso e sistemandolo per bene dietro l'orecchio. 
Spalanca gli occhi notando il contenuto di quel regalo. Lo sguardo passa veloce da esso al soldato e di nuovo su di esso; non riesce a crederci! 
-Due biglietti per il Nord Italia? Questo significa che..-
Il biondo annuisce. -Esattamente. Hai bisogno di stare un po' vicina alla tua famiglia e questo io lo capisco. Anch'io ho bisogno di starmene un po' tranquillo e credo che questa sia la soluzione migliore per entrambi. Cosa ne pensi?- 
-Penso che sia un'idea meravigliosa! Grazie tante del pensiero. Devo pagarti questo biglietto, ma prima mangiamo la torta.-
-Pagarmi? E' un regalo, amore- mormora avvicinandosi ed abbracciandola da dietro. Le bacia la nuca mentre la mora armeggia tra i fornelli e tira fuori la torta, staccandosi dolcemente da quella presa. Prova debolmente a ribattere, ma non ci riesce.
Taglia una fetta di crostata e gliela porta alle labbra, così insieme ne mangiano un po'.
E mentre stanno per finire le rispettive fette, qualcuno bussa alla porta.
Si guardano confusi. -Chi può essere?- domanda lui.
-Non lo so.. vai ad aprire tu? Non aspettavo nessuno..- 
Ultimamente ha sentito brutte storie in giro riguardanti un gruppo di SS, così è ben accorta a chi apre la porta. Il biondo annuisce e ripulendosi velocemente la bocca la apre.
Si stupisce di ritrovare la propria madre davanti. -Mutter?!-
-Mi hanno detto che potevo trovarti qui- spiega con un accenno di sorriso. -Posso entrare un momento?- domanda ancora. 
Il figlio guarda la padrona di casa incerta sul da farsi. -Ma certo, falla entrare- sorride alla donna guardandola negli occhi scuri. -Gradisce un po' di torta? L'ho appena fatta.-
-Nein, danke- scuote appena la testa ed entra, guardandosi attorno. 
La casa è piccola ma graziosa ed ordinata. Si accomodano al tavolo, intanto che Felì toglie il grembiule e lo ripone al suo posto.
La donna inizia un discorso: -Sono qui all'insaputa di tuo padre, Ludwig. Immagino lei sappia benissimo che lui non approva la vostra unione, e nemmeno io troppo, però.. però, ecco, non voglio perderti, come figlio. Sono certa che se hai scelto lei, c'è un motivo preciso.-
Sorride, certo il suo sorriso non è dolce, è quasi identico a quello del ragazzo, quindi Felì lo apprezza comunque. 
Istintivamente, i due ragazzi si danno la mano e si guardano con la coda dell'occhio sorridendosi. 
-Mamma.. devo dirti però una cosa. Noi abbiamo intenzione di partire. Andremo per un po' in Italia, al Nord. Non molto.. io sarò costretto a tornare alla fine della licenza, Felicia, lei non so cos'abbia intenzione di fare.-
-Io intendo tornare con te!- annuisce convinta.
Karline la osserva. -Posso chiederti.. quando partorirai?- 
-Sono entrata da poco al quarto mese.. ancora ci vuole un bel po' di tempo- istintivamente abbassa lo sguardo sulla pancia che s'è già fatta più grande.
-Ho sentito dire che non sei stata molto bene.. è così?- domanda senza far trapelare né apprensione né altro.
L'italiana annuisce ed le spiega tutto, dicendole anche quanto sia stata importante la presenza del suo innamorato. E per un bel po' continuano a parlare per circa un'ora, negli ultimi minuti di conversazione intraprendono un rapporto più stretto. 
Poi l'adulta chiede al figlio di lasciarle un momento da sole e quando lo sono le mette la mano sulla sua, avvicinandosi.
-Lo so, che è dura. Ci sono passata anch'io. Eh, tanto tanto tempo fa, ma non lo sa nessuno. Non dirlo a Ludwig, te ne prego, non voglio che si angusti. Deve preoccuparsi solo per te, va bene?- si alza e le si siede vicino con fare materno che non le si addice troppo. -Non sei sola. Se vuoi tornare in Italia e rimanere lì con la tua famiglia, rimanici fino a quando ti senti. Poi torna qui. Quando vuoi, ma non portami via mio figlio..- le dice quasi con le lacrime agli occhi. Poi, riprendendosi, sorride asciugandosi una lacrima.
-Grazie, signora Beilschmidt.. lo apprezzo molto. Mi prenderò cura di Ludwig per quanto potrò, glielo prometto- annuisce anche lei quasi seria.
-Sei una brava ragazza.. hai gli occhi gentili. Ma chiamami Karline quando siamo sole, d'accordo?- le fa l'occhiolino. Forse si sta spingendo troppo oltre. Si alza e si volta per andare via. 
-Karline! A-aspetti..- le si avvicina un po' imbarazzata. -Ehm.. posso.. abbracciarla?- chiede dolce e con fare ingenuo. -Sa.. i miei genitori sono morti quand'ero molto piccola.. sono cresciuta con mio fratello e mio nonno.. non ricordo cosa si prova ad essere abbracciata da una mamma- le spiega, sempre solare e serena. 
Kar annuisce e le si avvicina stringendola in un piccolo abbraccio veloce.
Di certo a Felì non sono mancate le attenzioni da parte dei componenti della sua piccola famiglia, baci, coccole, dolcezze, c'erano tutte, proprio tutte. Tuttavia non sa cosa vuol dire svegliarsi nel cuore della notte ed andare nel lettone dei genitori cercando conforto. C'era suo fratello, comunque, eh! 
Il soldato si sporge da un angolo e le guarda con la coda dell'occhio, sorridendo spontaneamente. Allora è così, giusto? Che bello..

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Capitolo 12
*** Ecco, Venezia! ***


Il viaggio pareva non finire mai, per entrambi.
Lei  si sporgeva dal finestrino osservando con un sorriso i nomi italiani delle stazioni a cui si avvicinavano di volta in volta, sorridendo poi quando riconosceva le scritte nella medesima lingua, e la moda dei passanti, i loro accessori, i giochi dei bambini. E pensare al cibo! Quanto le manca  quello di casa sua! Ogni tanto chiudeva gli occhi assaporando qualcosa in particolare, prima della carne, poi della pasta. Tra poco avrebbe mangiato di nuovo tutte quelle bontà.
Anche il soldato non vedeva l'ora di arrivare. Non proprio perché volesse Venezia, solo perché così poteva scendere da quel treno che già non sopporta più. Brutti ricordi. E scomodità.
Sembrano averci messo settimane, ma finalmente sono arrivati.
Con un piccolo sorriso, Ludwig porge la mano alla sua bella e l'aiuta a scendere la scaletta, prendendo infine la valigia più pesante (che è quella di lei).
Con un po' di fatica, arrivano anche alla casa del nonno, enorme villa fuori città. 
Camminando lentamente, si avvicinano. Felicia si volta un po' guardando l'amato e gli bacia la guancia. -Eccoci..- gli sussurra all'orecchio.
Romano, il fratello della ragazza, rimane ad osservare la figura del biondo con le braccia incrociate al petto. Lancia un'occhiata complice al parente posto accanto a lui. Quest'ultimo, un uomo anziano ma che porta bene i suoi anni, con i capelli scuri, con gli occhi poco più scuri di quelli della nipote ed un filo di barba ancora castana, si avvicina con le braccia aperte a lei. La stringe forte in un abbraccio, sorridendo cordiale, Felì piange.
-Ma che fai, piangi?- ridacchia lui, porgendo poi una mano al tedesco che la stringe con forza e vigore, impassibile, se non per un movimento del capo appena accennato.
-No, è che.. mi siete mancati così tanto!- mormora asciugandosi le lacrime la fanciulla. Poi si volta verso il fratello e qualche lacrima in più le ricopre le guance. Allarga le braccia verso di lui. -Non vieni ad abbracciarmi?- gli chiede dolce come sempre.
Roma le si avvicina e la stringe forte forte a sé, guardando un punto indefinito del pavimento. -Mi sei mancata anche tu..- mormora senza però addolcirsi troppo.
Fatto ciò, punta gli occhi verdi su quelli azzurri del tedesco. -Cià- saluta acido. 
-Ciao..- risponde il biondo in evidente difficoltà. Punto primo, d'italiano conosce davvero molto poco; in secondo luogo non capisce l'astio del ragazzo nei propri confronti. 
-Romano, aiutalo con le valige- mormora il nonno, circondando le spalle della nipote con un braccio. Le bacia la guancia e si avvia verso casa, iniziando a conversare con lei, ignorando le proteste dell'altro.
-Nonn...- prova a lamentarsi. Richiamato all'ordine, sbuffa ed afferra la valigia più pesante, riconoscendola, e mugugnando: -che diavolo ci hai messo qua dentro?!- 
Felicia ridacchia e tende la mano verso il fidanzato, camminando con lui che sta zitto zitto al suo posto, l'altra mano occupata a reggere la propria valigia, con gli occhi che vagano qua e là curiosi. -Das ist sehr schoen..- dice quasi in tono sognante. 
-Ha detto gli piace qui- traduce l'amata ai familiari.
-Sai quanto m'importi..- borbotta il fratello.
Entrano tutti quanti. 
La casa è arredata benissimo; le stanze sono enormi, ci sono quadri, dipinti fatti dall'unica donna della famiglia e del più maturo dei due uomini, ci sono tappeti molto belli, decorazioni in perfetta simbiosi con il resto dell'appartamento. Ci sono molte cose, ma non danno assolutamente la sensazione di oggetti inutili che servono solo a riempire uno spazio vuoto, né sembrano ridurre le dimensioni delle varie camere. Le stanze comuni sono arredate in base alle tonalità del giallo-arancione. La camera di Romano sul verde chiaro, quella del nonno sul bordeaux, quella di lei sul color pesca. Felì mostra la casa al suo innamorato, tenendolo per mano durante il giro. 
Ludwig nota subito una cosa: non c'è nessun manifesto fascista, comunista o nazista lì dentro. Sembra una casa apolitica, quella. Si stranizza, ma non dice niente. Continua a parlare in tedesco fino a quando non ri riuniscono nel salone. 
C'è del tè caldo su un tavolino e dei pasticcini fatti in casa. Si siedono tutti e per un momento si godono quella merenda, ognuno perso nei propri pensieri.
Dopo un po' il nonno chiede: -Dunque, com'è andato il viaggio?-
-Bene! Ma è stato stancante..-
-Stancante? Non devi stancarti, sei incinta! A proposito, hai più avuto mancamenti? Dovresti farti controllare dal nostro medico!- mormora con fare apprensivo il vecchio, appoggiando sul tavolo la propria tazza.
-Sto bene, nonno, non devi preoccuparti- gli sorride per rassicurarlo.
Finiscono tra chiacchiere inutili. Dopodiché, il biondo ed l'anziano -che poi non lo è mica tanto, o almeno non si sente tale- si ritrovano da soli. Menomale che entrambi sanno un po' della lingua dell'altro.
Intanto, Felì viene aiutata dal fratello a rimettere nell'armadio i vestiti. Più che altro, lui sta disteso nel suo letto e lei prende dalla valigia gli  abiti. 
-Come stai..?- chiede dopo un po' guardandola.
-Sto bene- risponde lei con un sorriso avvicinandosi all'armadio in legno.
-Dico davvero, Felicia- la guarda serio, poi si alza e le si avvicina. Appoggia una mano sulla sua pancia, osservandola. -Non pensavo sarei diventato zio in questo modo.- Rialza lo sguardo e lo punta su di lei.
-Certi giorni.. è difficile..- confessa accarezzandosi il grembo.  Dopo rialza lo sguardo stupita incrociando i suoi occhi. -Lo hai sentito?- 
-E-era lui? O lei..- accenna un sorriso. 
-Sì! E'.. è la prima che lo sento. Adesso sono sicura che sia maschio- annuisce convinta un paio di volte.
-E come fai a saperlo?- la mano di là non la toglie.
-Perché la pancia è a punta e poi i maschietti sono più precoci nei movimenti, è una cosa che sanno tutti. O meglio, tutte le donne- ridacchia. 
Cessata la risata, lo abbraccia. -Mi manchi tantissimo quando non ci sei.. soprattutto in questo periodo..-
-Almeno quel crucco li ha pestati per bene?- sospira e la tiene stretta a sé per un po'.
-Più che altro le ha prese..- ride lei.
-E' inutile! Non sa neanche pestare quattro figli di puttana!- scuote la testa con disapprovazione.
-Signor Vargas, non pensate di poter parlare in questo modo quando vostro nipote nascerà!- si mette le mani sui fianchi e lo rimprovera in modo teatrale.
Così Romano le fa il solletico ridacchiando, Felicia urla divertita. 
Il soldato della Wehrmacht, intanto, stava giusto salendo le scale in quel momento. Si preoccupa sentendo l'urlo ma poi con le risate si calma. Bussa con le nocche sulla porta. 
-Lieber..?- domanda osservando quella tenera scena. 
Scena che si interrompe subito, il ragazzo esce dalla stanza scontrandosi contro il braccio dell'altro, volontariamente. Lud sospira e le si avvicina.
-Hei..- le bacia la fronte. -Mi dispiace avervi interrotto. Non era mia intenzione- le dice in tedesco.
L'italiana gli circonda il collo con le braccia. -Non importa- e gli bacia la punta del naso.
Romano non si abituerà mai a lui, per svariati motivi. 
E, forse, non lo accetterà mai.. 

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Capitolo 13
*** Non svegliare il can che dorme. ***


Quella mattina è stranamente lei ha svegliarsi prima, in fibrillazione. Non vede l'ora si alzi anche il ragazzo, così, impaziente, decide di andare a chiamarlo. 
-Amore! Svegliati! Dobbiamo andare!- gli dice dolce avvicinandosi a lui. Apre le finestre della camera per far entrare i raggi del sole. 
Ludwig si muove un po' controvoglia nel letto, poi si mette seduto, le coperte gli scivolano sul petto nudo. L'amata notandolo arrossisce un po', ma non può fare a meno di avvicinarsi a lui e guardarlo ancora e ancora. In punta di piedi, fa dei passi verso l'amato, fino a sedersi sul bordo del letto. Gli carezza la guancia. -Buongiorno..- gli dice baciandogli la punta del naso.
La sera prima lo ha praticamente pregato in ginocchio di portarla al poligono, il biondo non voleva, forse perché lei è una donna, forse perché è incinta, o per chissà quale altro motivo, eppure alla fine ha ceduto. 
Adesso, solo poche ore dopo il risveglio, si ritrovano a camminare mano nella mano in un lungo sentiero acciottolato, sotto le fronde degli alberi le cui foglie si muovono sotto le note del vento; si guardano intorno in silenzio. Non c'è nessuno. 
-Sei sicura di voler andare?- domanda lui dopo un po', guardandola con la coda dell'occhio.
La ragazza si ferma ed appoggia le mani sui fianchi guardandolo negli occhi. -Cosa le fa pensare, Herr Beilschmidt, che non sappia usare un'arma? E che non sappia difendermi da sola?- conclude incrociando le braccia al petto.
L'amato abbassa lo sguardo dai suoi occhi alla sua pancia che, in quegl'ultimi mesi, è aumentata poco poco. -Ehm..-
-Non sei divertente, sai?- ribatte lei, riprendendo a camminare più lesta.
-Torna qua, tesoro- risponde lui avvicinandosi ed abbracciandola da dietro, mette una mano sulla sua pancia, baciandole poi le labbra con una certa passione. 
Felì appoggia una mano sul suo petto, senza guardarlo, dopo aver ricambiato il bacio. -Dai.. andiamo adesso, o facciamo tardi per davvero- gli sussurra sorridendo dolcemente.
Riprendono il cammino; in poco, arrivano al poligono. 
Quando entrambi hanno una pistola in mano e le cuffie sulle orecchie, si mettono alle postazioni pronti a colpire.
Il biondo non sbaglia un colpo, con la calma di quella relativa pace, riesce a centrare tutti i bersagli al petto o alla testa. O alle palle. 
Lei non è così brava, ma se la cava bene. Le ha insegnato a sparare suo nonno, con suo fratello si è successivamente perfezionata. 
-Non pensavo sapessi sparare- mormora il ragazzo, cambiando caricatore all'arma, con velocità.
-Se avessi potuto scegliere, sarei andata al fronte, magari come infermiera. Ma lui ha rovinato tutto- dice lei, quasi arrabbiata, per la prima volta davanti al tedesco. E quando mira, spara quasi con aggressività. Quando colpisce e centra il bersaglio, sorride soddisfatta tra sé. Non è necessario che lui chiede a chi si riferisca; è abbastanza ovvio.  Sospira appena, il tedesco, e finisce la sua serie.
Rimangono lì per un po'. Lei si interrompe solo quando sente qualcuno da dietro chiamarla a gran voce, una voce di ragazza, una voce amica.
L'italiana si toglie le cuffie dalle orecchie e subito sorride vivace. -Elisa!- esclama. Si avvicina all'altra e l'abbraccia forte. -Da quanto tempo!- 
-Che ci fai qui? Ti pensavo in Germania! Oh, com'è bello vederti!- lei le prende le mani, facendo qualche saltello sul posto. 
Elisa ha circa la sua età, un anno di meno, i capelli mossi che le ricadono in ciocche disordinate rosse, le lentiggini e gli occhi verdi. 
-Sono tornata qui, Ludwig è in licenza. Però, non possiamo stare molto, purtroppo- spiega la mora. 
-Devo raccontarti tantissime cose!- esclama l'altra. 
Si spostano, lasciando il tedesco a sparare -a stento si è accorto della presenza di quell'amica della sua fidanzata, concentrato com'è.
Camminano distrattamente per il sentiero vicino il poligono, parlando di mille e più cose, ridacchiando insieme. 
La ragazza rossa, è una vecchia amica d'infanzia di Felicia, sono praticamente cresciute insieme. Mentre passeggiano di qua e di là, lei esordisce dicendo: -Ti ricordi quando tuo nonno ci ha insegnato a sparare? E' stato un giorno così bello! Credo non lo dimenticherò mai- ed annuendo convinta, le mani dietro la schiena, la gonna che ad ogni passo si sposta, ora a destra, ora a sinistra, gli occhi vagano qua e là curiosissimi, sebbene quel posto lo conosca a memoria. Rammentano insieme quel giorno scherzando ancora insieme.
-Hei, Felicia.. guarda..- con uno sorriso molto dolce le mostra la propria mano sinistra portandola vicina al viso, sulla quale adesso porta un bell'anello.
-Non ci credo! E con chi?- domanda lei spalancando gli occhi.
-Lo sai.. con Marco!- batte le mani un paio di volte felice. -E tu? Quando vi decidete?-
Sul volto della mora appare un sorriso amaro. -Non credo qualcuno ci sposerà mai..- appoggia le mani al proprio grembo, come per far capire che quello è il motivo.  -Anche se Lud ha promesso di provarci perché vuole farmi felice.. sa quanto io voglia indossare un bell'abito bianco.-
Lisa annuisce. -Certo che sei aumentata poco di peso per essere già incinta di quasi cinque mesi.. nemmeno si vede. Perché non mangi, mh?- incrocia le braccia al petto guardandola in modo severo.
-Non.. non voglio si veda- risponde Felì sospirando, cosa che non ha mai detto a nessuno.
-Ma così starà male- sospira la prima, passandosi una mano tra i capelli tenuti sciolti. -E' difficile, lo so, però il piccolo non ha nessuna colpa. Avevi detto di volerlo tenere per questo, no?- 
-Sì.. però..- anche lei sospira. -Non credo che riuscirei mai ad accettare completamente l'idea. Volevo fare così tante cose.. ed ora non posso fare più nulla! E Ludwig.. vorrei farlo felice. Vorrei potergli dare tutto ciò che vuole- abbassa lo sguardo.
Fanno ancora qualche passo in silenzio, stringendosi nei rispettivi cappottini leggeri quando c'è una folata divento più forte. Si siedono su una panchina un po' distante dall'entrata del poligono. 
-Non l'avete ancora fatto, vero?- domanda la più giovane. 
-No.. ma so che lui lo vuole. Lo capisco, sai, da come mi guarda in certi momenti, da come mi bacia. Però non possiamo, dato che aspetto un bambino..-
-Che lo aspettate- la corregge Elisa. -Al bambino non farà male, basta solo.. stare attenti. Ne avete parlato? Lui che ti ha detto?- domanda.
-No, non ne abbiamo parlato. Ho provato a.. insomma, volevo farlo. Solo che.. quando le cose si fanno più serie, mi terrorizzo e mi allontano. E lui, paziente, non mi dice mai nulla.. è un santo, quel ragazzo. Vuole persino crescere un figlio non suo... insomma, non lo farebbe nessuno.-
-Lui ti ama..Ah, come siete carini! Sembrate usciti fuori da un qualche libro romantico- ridacchia l'amica.
-Già.. hai ragione- annuisce Felì sorridente.
 
 
Che pace che c'è adesso. E calma.
Sono distesi sull'erba fresca, sotto gli ultimi raggi della giornata. Ludwig ha le mani dietro la nuca e guarda il cielo, per quel poco che gli alberi consentono di vedere.
Socchiude appena gli occhi, canticchiando qualcosa a mezza voce, in tedesco.
L'italiana è quasi in contemplazione. E' così bello, lui. Rimane seduta ad osservarlo, pensierosa, poi gli si avvicina ed appoggia una mano al suo petto, chinandosi per posargli un lungo bacio sulle labbra.
Il biondo, anche se un po' perplesso in un primo momento, ricambia, affondando una mano tra i suoi capelli castani, avvicinandola a sé.
La ragazza gli si distende praticamente addosso, baciandolo con passione e foga. Lui la stringe accarezzandole voglioso la schiena e le bacia il collo.
Il soldato continua sempre più convinto di andare fino in fondo, quasi si dimentica del trauma di lei. La mano si sposta sui suoi fianchi, poi sulla camicetta. In un momento la sovrasta. Sentendo la mano sfiorare appena il suo seno, da sopra la stoffa, Felicia apre gli occhi che ha appena chiuso e subito si sottrae dalla sua presa.
-N-no, Ludwig, aspetta- appoggia le mani sul suo petto, cercando di allontanarlo.
Però l'amato continua, senza rendersene troppo conto. Alza gli occhi dal collo che sta baciando ai suoi e la vede spaventata.
-Hei..- sussurra il ragazzo prendendole il volto tra le mani. -Va tutto bene. Sono io, e non voglio farti nulla- la rassicura. 
-Mi dispiace.. vieni qui..- fa lei, non troppo convinta, riprendendo a baciarlo.
-Nein- la interrompe. Si mette seduto passandosi una mano tra i capelli, poi sul viso. Volta di poco lo sguardo ed il viso alla propria destra, i gomiti sulle ginocchia, seduto a terra. Gli occhi azzurri guardando qua e là, poi si fermano sulla figura dell'amata.
-Come no? Io credevo..- 
Felicia si mette seduta e lo guarda confusa, la mano sinistra al petto, l'altra affondata tra l'erba fresca. Su questa, vi è l'anello che lui le ha regalato. 
-Nein, Lieber. Non voglio costringerti; non te la senti e va bene così. Dopotutto, ho detto che ti avrei aspettata- spiega guardandola. Le si avvicina, le carezza la guancia, lei gli butta le braccia al collo. 
-Io voglio che tu sia felice..- gli sussurra chiudendo gli occhi, sedendosi su di lui ed accoccolandosi al suo petto.
-Pensi che per me la felicità sia solo fare l'amore con te? Per il momento, starti semplicemente accanto mi basta- le accarezza un poco i capelli, lasciandovi dopo un bacio sopra.
Certo, il desiderio e l'attrazione si fanno sentire, però lui sa e deve mettere tutto ciò da parte. Rimangono un po' lì senza dirsi nulla, facendosi semplici coccole.
Quando giunge la sera, l'italiana si è addormentata abbracciata a lui che è ancora sveglio.
Inizia a farsi davvero molto tardi, quindi le bacia la guancia e la sveglia. -Hei, amore, dobbiamo tornare a casa.-
Controvoglia, entrambi si alzano e dopo che la ragazza si è sistemata i vestiti ed i capelli rientrano nella dimora del nonno. Quel bosco non è molto lontano da casa, anzi, ci vogliono appena quindici minuti, infatti, da bambini, lei e Romano giocavano lì ogni giorno, anche con Elisa, sua sorella, ed altri loro amici. E quel tale, che le girava sempre intorno! Il suo fratellone un giorno diede a quel ragazzino un bel pugno sul naso, così gli passò definitivamente la voglia di dare fastidio alla sorella, che già da bambina, era bellissima e tutti se ne innamoravano facilmente.
Ricordando quell'episodio, ridacchia tra sé, coprendosi la bocca con la mano.
Il tedesco si volta un po' confuso chiedendole perché stia ridendo. 
-Nulla- risponde. -Nulla!-

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Capitolo 14
*** Ricordi che squarciano l'anima. ***


Buio. Rumore. 
Alza gli occhi al cielo illuminato dagli spari dei fucili. La puzza di carne bruciata e di sangue s'insinua nel suo naso, costringendolo a fare una smorfia. Una fitta gli attraversa la gamba. Strappa un pezzetto della sua uniforma e la stringe dove ha il taglio, per fermare l'emorragia. Non ha tempo di togliersi la cintura per farlo. 
Mira; spara. Il fucile si blocca e non emette al
cun colpo. Deciso a mantenere la calma, lo butta via e ne prende un altro. Si mette in posizione. 

Si alza nel cuore della notte spalancando gli occhi. 
Afferra i primi vestiti che trova, una camicia e dei pantaloni con delle bretelle, che però non porta sulle spalle. Recuperate anche le sigarette, esce dalla stanza. 
Si dirige fuori, voglioso di una boccata d'aria fresca. Così accetta di buon grado che il vento gli frusti il viso e faccia divenire delle ciocche bionde ribelli. Esse gli coprono il volto, impedendogli la vista, tuttavia lui non le allontana. Porta la sigaretta alle labbra dopo averla accesa. Ispira, ed espira. Dietro di sé sente dei passi, furtivi, camuffati. Eppure lui se ne accorge. Si volta di scatto e istintivamente porta la mano sulla pistola, che non c'è. Chiude gli occhi sollevato notando che è solo Romano. 

Chiuderà un occhio per stavolta; ma solo per mirare meglio.
Fa fuoco. Una figura cade a terra, esanime. 


-Sei tu...- sussurra riaprendo gli occhi e portandoli su di lui. 
-E chi doveva essere, crucco?- domanda corrugando la fronte. Avvicina a lui una mano, gli ruba una sigaretta e l'accendino, dopodiché la porta alle labbra, fumando anche lui. 
-Che ci fai qui a quest'ora, mh?- continua. 
Anche lui alza lo sguardo osservando la luna, la sua luce fioca illumina il volto di entrambi e li rende pallidi.
L'altro risponde solo dopo un minuto alla sua domanda. A quest'ora della notte, è difficile riuscire a parlare in una lingua che non è sua. 
-Non riuscivo a dormire- spiega, solamente, senza aggiungere dettagli. 
L'italiano annuisce e rimane zitto per lunghissimi minuti, quasi venti, poi esclama: -Hai intenzioni serie con lei e questo l'ho capito. E' per questo che voglio dirti com'è andata. Felicia stessa voleva dirtelo, ma ha preferito non farlo.-
Si ricorda ancora la ragazza in lacrime davanti il foglio bianco. Avrebbe voluto dirgli tutto e subito, ma ha avuto paura. Lui era in guerra, non gli è sembrato giusto distrarlo in questo modo. Sicuramente sarebbe andato su tutte le furie e... deconcentrarsi al fronte non è mai una buona cosa.
Ad ogni modo, Romano continua con il suo discorso. -Non prendertela con lei per questo. Lo ha fatto per te. 
E' successo il giorno prima che lei partisse per tornare qui, a Venezia. Per questo è arrivata due giorni dopo. Naturalmente, io e il nonno ci siamo preoccupati. Lei non voleva dircelo subito, ma...- stringe i denti nervoso. Poi scuote la testa per allontanare certi pensieri e con loro allontana anche la sigaretta dalle labbra. -Quando ha scoperto di essere incinta... non riusciva a smettere di piangere. Il suo primo pensiero è stato per te. "Cosa dirà Ludwig? Non mi vorrà più vedere" continuava a dire.-
A quel punto il biondo lo interrompe: -Non potrei mai lasciarla. Qualsiasi cosa accada, l'amerò.-
Eh, purtroppo il fratello lo sa. Benché lo detesti, sa che è serio e sincero.
-Sì, sì, l'ho capito- dice come se volesse assecondarlo, muovendo la mano con gesto secco. Vuole che stia zitto e ci riesce. 
-Lei vorrebbe un matrimonio... e sai che nessuno vorrà sposarvi. La faresti felice...- lo guarda con la coda dell'occhio. -Naturalmente, lei non ti dirà mai nulla. L'ha già presa con sé, non si aspetta che tu la sposi anche. Ma tu sei disposto a rimanere con lei, senza un matrimonio? E' uno scandalo, lo sai bene. Tu, ariano, così perfetto...- quasi lo dice deridendolo, ma continua: -andrai incontro a tutto questo?-
-Ja. Per lei, lo farò- annuisce accennando un piccolo sorriso. 
E allora il moro gli porge la mano. -Promettimi che ti prenderai sempre cura di lei, da uomo a uomo.-
Ludwig ricambia la stretta con forza e vigore. -Te lo giuro.- 
-Bene. Vedi di non farla soffrire, o ti spacco le gambe.-
Annuiscono entrambi.

Ludwig non è in casa.
Felicia è in camera di suo fratello, stanno parlando a bassa voce.
-E allora, che pensi di fare? E' pericoloso, Romano... ne sei sicuro?- domanda preoccupata, appoggiando una mano in grembo, come in segno di protezione.
-Non ho paura- le dice serio.
No, non è vero. Ha una paura fottuta. Non di morire, ma di soffrire, di non riuscire nel suo intento, di far star male il nonno e la sorella. Ha paura di moltissime cose. E sì, forse, dopotutto, anche di lasciare questa terra per via di qualche sporco nazista.
-Devo combattere. Capiscimi: devo proteggere il mio paese. Devo difendere te, mio nipote, e tutti gli altri.-
Le si inginocchia davanti, guardandola negli occhi. -Devi garantirgli un buon futuro, libero dal cancro nazista. Sono un partigiano, sorellina. Combatto, faccio Resistenza- le spiega. Accenna poi un piccolo sorriso. Anche lei sorride, è fiera di suo fratello.
-Fa attenzione- si raccomanda.
-Voglio conoscerlo- mormora in riferimento al piccolo. Mette infatti una mano sul pancione. 
Naturalmente, questa questione, è assolutamente segreta. Lo sanno i due, lo sa il nonno, lo sanno gli altri partigiani. Ed il biondo non deve assolutamente venirne a conoscenza. Romano non si fida. E' pur sempre uno dell'esercito nazista...
Il ragazzo si alza in piedi stiracchiandosi. 
Lei lo imita, poi lo precede nel scendere le scale. 
Osserva l'invito al matrimonio della sua migliore amica. 
Passa l'indice sulle lette scritte in bellissimo carattere, le si inumidiscono gli occhi.
-Che fortunata....- sussurra tra sé, non rendendosi conto di pensare ad alta voce.
Fin da piccolissima il nonno le ha promesso un bellissimo matrimonio, in stile principessa. Le ha giurato che avrebbe avuto l'abito bianco, lunghissimo e candido, con un bel velo.
Una volta, quand'era bambina piccola, avrà avuto cinque o sei anni, passeggiando con Nonno Roma, passò davanti una meravigliosa chiesa. E' sempre stata molto religiosa, le hanno insegnato così. Lo stesso insegnamento è stato dato al fratello, è vero, ma lui ha intrapreso scelte diverse ed ha perso la fede ormai da tempo.
Comunque, quella volta, davanti quella chiesa, vide una sposa. Era così felice, con il suo uomo. Avevano dei sorrisi bellissimi, ed il vestito della donna era stupendo. Si vedeva la felicità nei loro occhi ed anche la piccola era tanto gioiosa. Era una bella scena. Fu in quel momento che il nonno le disse: "Sono belli, vero? Anche tu troverai la persona giusta, un giorno. L'uomo che ti amerà per davvero e ti porterà all'altare, lì, in Chiesa. Arriverà il tuo momento e per allora avrai un vestito cento volte più bello del suo. Te lo prometto." L'aveva guardata, le aveva accarezzato i capelli e le aveva sorriso.
Oggi Felicia non riesce a creder che quel giorno non arriverà mai. Il giorno in cui Ludwig l'avrebbe aspettata di fronte tutti i loro familiari, nell'alta uniforme, magnifico come sempre. Lei non sarebbe mai stata una bella sposa in abito bianco, non sarebbe mai stata una sposa.
Pensandosi, piccole e calde lacrime le rigano il volto. Porta una mano sulla bocca, fissando ancora quel pezzo di carta tra le mani. Dunque lo poggia sul tavolino e volta lo sguardo verso destra, in basso. Trattiene i singhiozzi e rimane in silenzio, da sola, nella stanza.

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Capitolo 15
*** Un raggio di sole. ***


Il sole è coperto dalle nuvole, il cielo triste e grigio, sta per piovere.
Eppure Romano ha indosso vestiti piuttosto leggeri, l’animo rivoluzionario sembra scaldarlo sempre. Rientra in casa, passandosi una mano tra i capelli e non vede altri che il tedesco, a cui fa solo un cenno. –Mia sorella? Il nonno?- gli domanda, atono.
Lo vede fare un cenno verso le scale e gli sente dire, nel suo italiano stentato: -E’ di sopra. Si è addormentata da poco, non si sentiva tanto bene.-
Così si affretta a salire le scale, sporcandole di fango per via delle scarpe sporche, velocemente, arrivando infine davanti la porta. Vi sbatte le nocche un paio di volte, dopodiché entra, notandola seduta sul letto, appena sveglia, con una vestaglia leggera e chiara, quasi trasparente. Entra nella stanza e chiude la porta dietro di sé.
-Tutto bene?- le chiede.
Lei annuisce sorridendo dolce, stiracchiandosi un po’. Si alza e, ancora scalza, apre la finestra notando con una piccola smorfia che il cielo è cupo.
-Cos’avevi?-
-Nulla, fratellone. Solo… un po’ di malinconia. Devono essere gli sbalzi d’umore della gravidanza- dice ridacchiando e sistemando con la mano i capelli castani, lisci, sulle spalle.
Il ragazzo annuisce lentamente e le si avvicina. Appoggia una mano sul suo pancione, guardandolo. Non è molto cresciuto, ancora non si nota tantissimo. –E’ per quello che penso?-
-Eh?-
-Nulla- scuote appena la testa. Le bacia una guancia e si avvicina di nuovo alla porta, ma prima di uscire dalla stanza, soggiunge: -Vado a fare una cosa. Copriti prima di scendere da quello.-
Felicia rotea lo sguardo risiedendosi, con il volto appoggiato ad una mano, i gomiti sulle ginocchia, le schiena curva. Decide di andare dall’amato, è solo da qualche ora e vuole fargli compagnia. Rimanendo così, priva di malizia, e non si copre né indossa delle scarpe, scende le scale, canticchiando felice una qualche canzone con alcun riferimento politico.
Si avvicina a lui abbracciandolo da dietro e facendolo voltare gli butta le braccia al collo, baciandolo dolcemente e a lungo. –Hei- lo saluta.
Il soldato le cinge la vita e si china per colmare quegl’otto centimetri di differenza, ricambiando il bacio. Le accarezza i capelli e la guarda negli occhi. –Stai meglio, principessa?-
L’amata ridacchia appena per quel nuovo e buffo soprannome ed annuisce. –Sì, mio re- gli risponde, in tedesco. –Vieni, stiamo un po’ insieme.-
Gli prende la mano e sale le scale, tranquilla, mentre la vestaglietta larga ondeggia un pochetto.
Il tedesco osserva le sue forme, i capelli che ricadono sulla schiena, la schiena stessa ed il sedere. Poi, si costringe a distogliere lo sguardo, deglutendo. La segue in camera da letto e la osserva prendere il libro che le ha regalato tempo prima. Si siede vicino a lei, appoggiando alla sua spalla la guancia e con la coda dell’occhio ed osserva brevemente la sua scollatura. Lei sembra non accorgersene, ma in realtà sta solo facendo finta di nulla, perché è leggermente imbarazzata. Legge qualche riga delle prime pagine, nelle quali i protagonisti si baciano e quando la scena finisce, lei appoggia le labbra su quelle calde e morbide del fidanzato, la mano appoggiata sulla sua guancia.
-Amore…?- lo chiama, mettendosi su di lui a cavalcioni.
-Ja, Lieber?- domanda lui, accarezzandole i fianchi.
La ragazza appoggia i gomiti alle sue spalle e lo guarda negli occhi. –Vorresti fosse maschio, vero?-
Ludwig annuisce, sincero. –Ja, lo vorrei- le risponde, mantenendo il discorso nella lingua madre.
-E come ti piacerebbe chiamarlo?-
Lui ci pensa su un attimo, poi fa un piccolo elenco dei nomi che più gli piacciono: -Mmh… Kristopher, Mathias, Evann.-
Annuendo lentamente un paio di volte, la ragazza si trova d’accordo con lui. –Sono tutti bei nomi. Ma credo sarà meglio decidere il nome quando l’avremo davanti, non trovi?-
-Sì, hai ragione.-
 
Intanto, il fratello, è uscito di casa per svolgere il suo ruolo di fratello maggiore.
Senza alcuna difficoltà, ha evitato un convoglio di soldati tedeschi e si è recato in chiesa.
Avrebbe voluto prendere ciascuno di quei soldati, torturargli, costringerli a chiedere pietà e non concedergliela. Eppure, lui e gli altri partigiani, hanno un piano e non possono permettere che vada tutto in fumo.
Arrivato nell’ambiente religioso, si ritrova a fare un paio di considerazioni. Da quanto non mette piede lì dentro? Saranno cinque anni circa che ha smesso di credere. Sua sorella, invece, ogni domenica partecipa alla santa messa ed ogni giorno ringrazia Dio per quello che ha. Ma lui no, non ha nulla da dire ad un qualcosa che, a parere suo, non esiste.
Con le mani in tasca, entra nella casa del Signore e con lo sguardo cerca subito Padre Francesco. La Chiesa è quasi deserta, ci sono solo alcune vecchiette che ripetono le loro litanie a ritmo regolare.
-Romano, ragazzo! Che piacere vederti nella casa di Dio! Cosa ti porta qui, figliolo?- domanda gesticolando con il libro sacro in una mano, la destra.
-Buongiorno, padre. Non sono qua per me. Lo sapete: la chiesa non è roba mia- risponde il ragazzo, scrollando le spalle, avvicinandosi all’uomo.
Il prete è un uomo di mezz’età, sulla sessantina. Li ha visti crescere, a lui e sua sorella, li ha battezzati, ha sposato i suoi genitori e conosce da lungo tempo anche suo nonno.
Stringe un po’ le labbra, disapprovando le parole del ragazzo, ma comprendendole nel loro significato più profondo.
-E allora cosa ti porta qui?-
-Mia sorella. Avete saputo?- chiede poi, facendo vagare gli occhi qua e là tra gli affreschi.
-Ho saputo, ho saputo; mi dispiace molto. Ho anche parlato con tua sorella, dice di stare bene.-
-Dice tante cose…- risponde lui, abbassando per un attimo lo sguardo, sulla punta degli stivali. –Voi dovete aiutarmi. Lei ci sta troppo male. La sua amica, Elisa… tra poco si sposa- aggiunge lanciandogli un’occhiata eloquente.
-Non posso farlo, lo sai. Non posso sposarli. Lei è… lei aspetta un bambino, Romano. Le regole, sai…- mormora il prete con tono abbastanza vago. –Ma prego, seguimi, parliamone altrove.-
Lo conduce in una piccola stanzetta, dov’è presente il crocifisso, naturalmente, molti testi religiosi, una scrivania con due sedie. Il più anziano si siede da una parte, lui preferisce invece rimanere in piedi.
-Che significa che non potete? Qua decidete voi. Voi non volete. E ora vi tocca spiegarmi perché, perché io non lo capisco.-
Padre Francesco, con fare grave, appoggia il viso tra le mani conserte. –Non dipende da me. Le leggi del Signore, sono queste. Le spose devono essere… pure.-
-Pure! Pure!- il ragazzo si passa una mano sul viso tentando di calmarsi. –Pure!- ripete.
-Calmati, Romano, ricordati dove sei.-
-Non m’interessa! Mia sorella non ha fatto nulla di male. Se quel figlio di puttana…-
-Romano! Abbi un minimodi contegno!- lo rimprovera l’altro.
Eppure lui non vuole calmarsi. –No, padre. Voi non capite; lei non c’entra niente. Non l’ha mica deciso lei, l’hanno obbligata e lo sapete bene. Non lo voleva questo bambino, non adesso. Voleva un matrimonio, fare le cose per bene. Dovete fare qualche cosa, perché piange da giorni, anzi, settimane.-
E questa, non è proprio la verità. Ad eccezione di un paio di giorni, lei è sempre felice e spensierata. Certamente ha comunque alcuni motivi di tristezza, ma il più delle volte è tranquilla.
Roma ingigantisce un po’ la questione, buttandola sul tragico, per convincere il prete e quasi quasi ci riesce.
-Ah… piange?- domanda quello, dopo un minuti di silenzio. Vedendolo annuire, è costretto a tornare sui suoi passi. –Beh… nemmeno si vede molto, che è incinta… io l’ho vista l’altro giorno, ancora il pancione c’è poco e niente…-
-Certo che non c’è. Non mangia, sta’ depressa.- Altra piccola bugia. E’ vero che per un periodo ha mangiato regolarmente, come se non aspettasse nessun bambino, ma adesso ha iniziato a mangiare un po’ di più, viziata dai tre uomini di casa.
-Non mangia? Oh, Gesù… allora bisogna aiutarla. Non me la sento, di ignorare totalmente le tue parole. Dammi un po’ di tempo per pensarci.-
-Un po’ di tempo? E quanto, mh? Quando sarà incinta di otto mesi, prossima al parto? Facciamo pure dopo, così poi gli sposi avranno il figlio tra le braccia- asserisce con una nota acida, alzando un sopracciglio.
-Eh, figliolo…- storce le labbra, poi, dopo lunghi minuti di silenziosa riflessione che il ragazzo non si sente di interrompere, annuisce. –E va bene. Però facciamo una cosa veloce, con poca gente, e lo facciamo al più presto. Intesi?- lo guarda negli occhi.
Il partigiano spalanca gli occhi ed accenna istintivamente un mezzo sorriso. –Sì… sì, padre, vi ringrazio- gli dice, davvero grato.
-E adesso vaglielo a dire- gli risponde l’uomo con un sorriso soddisfatto sul volto.
In fretta, il giovane esce dalla stanza, poi dalla chiesa e quasi corre per arrivare a casa.
Deve dirglielo con le parole giuste. S’immagine già quanto sarà felice lei, sentendo quella meravigliosa notizia. “Sarà così felice…” pensa tra sé, sorridendo compiaciuto.
Con la sigaretta quasi ridotta ad un mozzicone tra le labbra, rientra a casa e li sente ridere. Richiude la porta alle spalle, il nonno spunta dalla cucina.
-Romano… dove sei stato?- gli chiede pulendosi le mani con uno strofinaccio.
-In chiesa, nonno.-
-In chiesa? A fare cosa?- domanda il vecchio, corrugando la fronte.
-Ho parlato con padre Francesco. Ha detto sì- gli spiega con un sorriso, raro da vedere sul suo volto.
-Sì? Sì a che cosa. Va’, Romano, spiegati meglio- gli fa un cenno svelto con la mano, curioso ed ansioso di sapere.
-Li sposa, nonno. Hai capito? Li sposa.-
Il vecchio spalanca gli occhi scuri e si mette a ridere allegro, abbracciando il nipote. –Sono fiero di te- gli dice. –Eh, che aspetti? Va’ un po’ a dirglielo!-
Romano annuisce. In salotto non ci sono, in camera di lei nemmeno. Saranno forse in camera del biondo? No. E allora dove? Sente delle voci provenire dal bagno. “Che cazzo ci fanno in bagno, quei due?! Ah, ma se le ha messo le mani addosso, l’ammazzo. Ora entro.”
Ma non v’è questo bisogno, perché i due escono, mano nella mano, ancora ridendo.
-Fratellone…- sussurra lei arrossendo leggermente. Si schiarisce la voce e inizia a giocherellare con una ciocca di capelli castani. Ludwig, invece, rimane in silenzio, con un piccolo sorriso stampato sul volto.
Il ragazzo moro sospira ed incrocia le braccia al petto. –Ho una buona notizia.-
-Mh? Quale?- chiede lei.
-Padre Francesco è disposto a sposarvi, a qualche condizione.-
I due fidanzati spalancano gli occhi e si scambiando un’occhiata d’intesa. Il biondo l’abbraccia da dietro e le bacia la guancia. –Hai sentito, amore?- sussurra lei, con un sorriso bellissimo.
Il tedesco annuisce e chiede a Romano: -Che condizioni?-
-Dovete sposarvi al più presto ed invitare poche persone. Una cerimonia per intimi, diciamo.-
-Potremmo esserci anche solo noi quattro, per quel che mi riguarda!- esclama la ragazza, entusiasta. Prende il volto dell’amato tra le mani, voltandosi un poco, e lo bacia. –Ci sposiamo… non ci credo, diventerò tua moglie!-
Il fratello, soddisfatto, annuisce. –Sì…-
-Grazie, Romano… ti voglio così tanto bene!- gli dice la sorella e l’abbraccia forte.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** Bellezza e Superstizione. ***


[ Piccolo Avviso
Ho aggiunto al primo capitolo un'immagine. Da questa mi è venuta l'idea per tutta la storia, quindi andate a vedere, per me è importante :) ]


La ragazza continua a passeggiare tenendo stretta la sua mano, di tanto in tanto qualcuno curioso le chiede informazioni circa quel pancione che ormai fatica a nascondere, cercando di scoprirne di più e così  sempre più spesso si sente domandare “Chi è il padre?” ed il tedesco non le da nemmeno il tempo di aprir bocca.  “Ich” dice, convinto. E la ragazza traduce, con un bellissimo sorriso dolce. Prima s’impiccia quell’uomo di mezz’età, grasso, bassino, con i capelli scuri che le vende il caffè, quello che s’è sposato con la sua amica d’infanzia, dalla quale non si separa mai. Tutto il tempo a spettegolare, quei due. Poi s’intromette la donna anziana che cammina china sul suo bastone, i capelli grigio-biancastri raccolti in una crocchia.
Tuttavia, loro non perdono il sorriso e la stretta delle loro mani e dei loro cuori si fa sempre più stretta.
Camminano per metà giornata tranquilli, ridacchiando complici, fino a quando un pensiero attraversa la mente di Ludwig. Da quando non vede suo fratello? Gli manca. E ancora: quanto ancora durerà la licenza? Tra poco dovrà tornare a casa, nella capitale tedesca. Occorre dunque velocizzare ogni preparativo per il matrimonio perché deve tornarci sposato, in Germania.
Ciò che gli provoca una stretta al cuore tuttavia, è l’assenza del fratello. E’ quasi certo che al matrimonio non ci sarà l’albino, sia per la lontananza, sia per i suoi impegni nella Luftwaffe. Il biondo gli ha mandato una lettera la sera stessa che Romano ha dato loro quella bella notizia, ma la posta è lenta e chissà dov’è adesso il maggiore. Sarà in missione?
No. E’ in riposo pure lui. Ogni sera trascina in un luogo appartato qualche ragazza e si diverte con lei, sfoggiando il meglio che ha: la sua divisa ed il fascino d’aviatore. Gli hanno dato anche un paio di riconoscimenti. E’ l’unica cosa che impedisce i piani alti, la Gestapo e le Schutzstaffel, di portarlo in un campo di concentramento. I suoi occhi rossi, malati, hanno sfidato troppo spesso quelli di qualcuno a lui superiore e più volte è stato trasportato in una qualche piccola cella, per un paio di giorni. Viene sgridato così tanto spesso che quasi a volte gli manca finire in quell’ufficio dell’ufficiale superiore cui presta servizio.
Una cosa che però tiene segreta, più dei furti d’aereo, che prende solo per qualche ora dopo il tramonto, quando essi dovrebbero essere già al riposo per farci una qualche bravata, l’ennesima, è la sua dipendenza dalla morfina. Durante una delle sue prime missioni, Gilbert ha riportato una grave ferita alla gamba, in seguito al dirottamento del proprio aereo che per fortuna non aveva ancora preso il volo –o sarebbe già ad un paio di metri sotto terra- e da allora ha iniziato ad assumere quella sostanza sempre più frequentemente fino a crearne una vera e propria dipendenza. Non l’ammette nemmeno a sé stesso, di conseguenza il fratellino non ne sa niente e niente deve saperne.
Ignaro di tutto, il tedesco bacia la guancia dell’amata e le sussurra qualcosa all’orecchio che la fa ridere.
-Questo pomeriggio andrai con Elisa?- le domanda dopo un po’.
Felicia annuisce con un piccolo sorriso. –Sì, l’accompagno a prendere l’abito da sposa. Lo ha già visto, ma ha voluto apportare delle modifiche, quindi oggi lo proverà di nuovo.-
Si ferma davanti una vetrina e sistema un ciuffo di capelli che spunta da sotto il cappello, concentrata.
-Vanitosa…- le dice il fidanzato all’orecchio, abbracciandola da dietro, delicato nei confronti della pancia che lei porta con grande dignità.
 
 
 
Arrivato il primo pomeriggio, l’italiana si avvia da sola verso il luogo d’incontro e non ha molto d’aspettare: la sua amica d’infanzia e la madre di questa, sono già lì. Quando la vedono, le si avvicinano ed entrambe l’abbracciano, prima la madre, poi la figlia.
-Felicia! Come stai, ragazza mia?- chiede la donna. Ha i capelli castani e gli stessi occhi verdi della figlia.
Elisa, eccitata, non riesce a smettere di sorridere. I suoi capelli rossi sono raccolti in una graziosa coda, così come lo sono quelli di Felicia, che, però, risultano più ordinati.
-Sto bene! Voi, piuttosto? Oh, che bello questo cappottino! E’ forse nuovo?- domanda affabile, prendendo a camminare vicino lei, tenendola a braccetto.
-Oh, Felicia, mia cara, ti conosco da quando eri piccola così, ho visto i tuoi denti da latte, ho curato le tue ginocchia sbucciate e ti ho preparato la merenda per anni. Credo tu possa darmi del tu- risponde la donna, col solito sorrido materno che le illumina il volto.
Arrivano al negozio, non è troppo grande, ma è il migliore che potesse permettersi la famiglia per la ragazza. Non sono molto ricchi e la guerra li ha indeboliti alquanto.
Eppure eccole lì, a comprare il vestito più bello che Elisa abbia visto. No, non è il più bello che potesse permettersi, è piuttosto semplice, così come piace a lei. Ha fatto però aggiungere un tocco personale, adesso è l’abito dei suoi sogni da bambina. Non è maturata troppo e talvolta risulta un po’ capricciosa.
Mentre lei lo prova, la ragazza del tedesco continua a guardare con occhi innamorati tutti quei vestiti bianchi. Non sa se sia il caso di indossarne candido, eppure quelli sono così belli…
Marta, la madre della sua buona amica, le si avvicina mentre la figlia si prepara.
-Perché non ne provi uno?- le domanda.
-Io non… ne sono sicura- mormora lei tenendo tra le mani la manica di un vestito con un lunghissimo strascico.
-Dovresti, invece. Stai per sposarti, no? Dai solo un’occhiata.-
Felicia annuisce e con un piccolo sorriso guarda con più attenzione gli abiti. Li studia con aria critica, analizzando la fattura, la qualità,  il colore ed i dettagli.
Rimasta da sola, perché la donna da attenzione alla figlia, com’è giusto che sia, si avvicina ad un abito che attira particolarmente la sua attenzione.
La gonna è leggermente svasata, con una coda non troppo lunga; le maniche sono a tre-quarti e hanno dettagli di pizzo che richiamano quelli sul collo, non troppo scollato. Sotto il seno ha c’è una piccola fascia di raso. E’ così bello, di quel colora bianco che non è proprio spendente, ma che comunque risulta simbolo di purezza.
Lei volta la targhetta e guarda il prezzo, poi lo osserva ancora e ancora. E’ proprio la sua misura.
Chiude un attimo gli occhi e si immagina con quello addosso, mano nella mano con Ludwig, all’altare di quella vecchia chiesa in cui immaginava di sposarsi da bambina.
Quel pensiero è interrotto dalla voce di Elisa.
-Felicia? Allora! Ti piace?- le dice avvicinandosi a lei, guardando nella sua stessa direzione.  Tiene con una mano il proprio di vestito, con la gonna retta, senza alcun utilizzo di altri materiali, quali raso o pizzo.
La mora si volta verso di lei e spalanca gli occhi. –Ma ti sta benissimo!- le dice contenta, osservandola. L’amica ridacchia annuendo.
-Sì… mi piace davvero tanto. E dunque, quand’è che vai a spogliarti per provare il tuo, di abito? Io ho già scelto, adesso aspettiamo te- le risponde dolcemente.
Le vuole molto bene, essendo cresciute insieme si conoscono a fondo.
Ricordano ancora le passeggiate fatte nel bosco, con Romano e tutti gli altri maschietti e quell’altra bambina, Giustina, che però ora non è più con loro. Con la povertà che comporta la guerra, la sua famiglia non è riuscita a pagarle le cure mediche per la sua malattia, oltretutto il padre ha  rifiutato ogni loro aiuto economico. Doveva farcela da solo ed il suo orgoglio gli ha fatto perdere una figlia. Ogni tanto la madre accettava di nascosto alcune medicine, ma le due ragazze non hanno potuto fare molto; la scorsa primavera le hanno dato l’ultimo saluto. Con lei e la comitiva che avevano da bambine, ne hanno passate e combinate tante e non è successo raramente di ritrovarsi con un ginocchio o un gomito sbucciato.
Quei ricordi rimarranno sempre vivi in loro, anche ora che stanno decidendo per il futuro.
La rossa prende il vestito notato dalla migliore amica tra le mani e lo guarda. Lei non potrebbe permettersi quella cifra, è uno dei più cari del negozio. Glielo porge. –Ancora qui stai? Fila a provarlo!- le dice seria, dopo ride.
Felì annuisce divertita e lascia su una sedia la borsa ed il soprabito, dopodiché, preso il vestito, va a provarlo dietro il paravento ornato da disegni floreali dalle tonalità pastello. Toglie il giacchetto panna ed il vestito verde chiaro appoggiandoli al paravento stesso, per poi mettere il vestito, con molta attenzione. La giovane ragazza che lavora lì, fa capolino e le sorride dolcemente. –Posso aiutarvi?-
Vedendola annuire, le si avvicina ed appoggia le mani fredde sulla sua schiena, sistemando i lacci che regolano il corpetto, spostandole prima i capelli castani su una spalla. Sistema la gonna e le maniche, con estrema cura. Facendo qualche passo indietro, punta gli occhi sulla sua figura ed annuisce, arrotolando una ciocca di capelli chiari sull’indice.
-Venite, qui c’è lo specchio.-
Lei si sporge da quel nascondiglio tenendo il vestito con entrambe le mani e si piazza davanti lo specchio.
Elisa e Marta si avvicinando dicendole quanto sia bella, con quel vestito, come le illumini il viso, valorizzi il suo bel corpo ed anche la commessa si trova d’accordo.
Ma a lei non piace.
-Si vede la pancia- dice appoggiando le mani su di essa.
Le due amiche si lanciano un’occhiata eloquente. La madre si avvicina e lei e scioglie il fiocco che regge la striscia di raso sotto il seno, mettendola da parte.
Felicia si scioglie in un sorriso commosso. –Ora è perfetto…- sussurra emozionata. Si volta per guardarsi bene allo specchio. Con l’indice pittato di smalto rosso sull’unghia, si asciuga una lacrima che minaccia di rovinarle il trucco. Alza il vestito scoprendo appena le caviglie e rivela le scarpe verdi, così ride di cuore.
-Magari con scarpe un po’ diverse, eh?- dice Elisa, le mani sui fianchi.
La commessa, una tipa bionda con labbra carnose dipinte di un rosso scuro che la fanno sembrare volgare,  si avvicina con un paio di scarpe a tacco basso, naturalmente della stessa tonalità di bianco del vestito, e gliele fa provare. Lei detesta le spose, forse perché non ha ancora qualcuno a cui dichiarare amore eterno. Con una smorfia, nota quanto siano belle e gioiose quelle due ragazze, che pagano i loro bei vestiti da spose, bianchi e puri, le scarpe, il velo.
Sistema tutto per bene, in modo professionale, in grandi scatole avvolte con un nastro bianco adornato da un merletto. Sforzandosi di essere gentile, augura con un sorriso finto una buona giornata ed un buon matrimonio.
Le tre donne, presi i loro pacchetti, escono dal negozio, felici.
 
Ritornata a casa sorridente, Felicia apre la porta di casa e sistema la scatola sul tavolo della cucina, concedendosi poi un biscotto con gocce di cioccolato, che fa sciogliere tra le labbra, gli occhi socchiusi.
Suo fratello, con la stessa sua intenzione, si avvicina a lei e dopo averle baciato la guancia, ruba il suo biscotto, finendolo.
-Romano!-
-Cos’è quello?- fa un cenno alla scatola bianca, appoggiandosi con le braccia conserte –sebbene la mano sia vicino le labbra- ad un ripiano.
-Il mio vestito da sposa.-
-Il tuo che?! E fammelo vedere, stupida!- ribatte lui, quasi affogandosi.
La ragazza ridacchia e lo prende dalle mani, dopo averle pulite per non sporcarlo, e glielo mostra, appoggiandolo al corpo e facendolo aderire più che può per dare al ragazzo una vaga idea di come le starà messo.
-Te lo voglio vedere messo.-
-Aspetterai!- dice facendogli la linguaccia. Lui rotea lo sguardo.
Un rumore. Cosa sarà? E’ il tedesco che si sta avvicinando alla cucina. Appoggia la mano sulla maniglia ed entra. Ci manca poco che la mora urli.
-LUDWIG! Vattene subito! Non devi vedere l’abito, porta male! Roma, Roma, diglielo tu!-  dice stringendo a sé il vestito e nascondendosi dietro il fratello che, sbuffando, caccia malamente il povero soldato straniero.
Quest’ultimo sospira lievemente ed assecondandola ancora una volta torna in salotto.
Si lascia sprofondare in una poltrona, il viso appoggiato al pugno chiuso.
“Ha già il vestito. Ed ora, alla luce di ciò, dovrei iniziare a pensare se sia il caso di sposarmi con l’alta uniforme o no. Ci terrei così tanto…”




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Capitolo 17
*** Come tutto ebbe il suo inizio. ***


Col volto appoggiato al suo petto, la ragazza chiude gli occhi stringendosi un po’ a lui.
-Te la ricordi, la prima volta che ci siamo visti?- sussurra sorridendo.
Il soldato le accarezza dolcemente la schiena annuendo. –Certamente. Non potrei dimenticarlo…- le risponde in tedesco. –Eri meravigliosa.- 
-Io ti avevo già visto, però- ridacchia lei. 
-Ah sì? E quando?- chiede lui, stupito.
-Con mio fratello, pochi giorni prima. Ti guardai negli occhi... e capii che eri quello giusto.- 
-Ora ricordo... e il ballo?- chiude gli occhi, iniziando a ricordare quella sera. 
 
E’ notte.
Le poche stelle brillano nel cielo scuro, illuminandolo in maniera quasi dolce.
Con un sospiro, si guarda intorno. Non gli piace quell’atmosfera. E’ troppo familiare; non fa per lui. Coppie di ragazzi e ragazzi iniziano a ballare insieme, con sguardi complici e con bei sorrisi... Lui conosce bene l’intenzioni di quei soldati. Vogliono divertirsi un po’, e dopotutto è giusto così. Hanno avuto giorni difficili, lunghi e pesanti, dedicati totalmente alla patria, ed è giusto che si prendano un po’ di riposo. 
Sono stati tutti invitati a quel ballo, non sa bene come sono andate le cose, gli sembra piuttosto strano che ricchi italiani invitino soldati tedeschi ad una cerimonia del genere. Non avrebbe voluto partecipare, fosse dipeso da lui si sarebbe riposato un po’ ed avrebbe recuperato un po’ di ore di sonno perse. Ma i suoi Kameraden hanno insistito, quindi eccolo lì, ad annoiarsi. Sospira lievemente, gli occhi azzurri vagano qua e là, infastiditi dal chiacchiericcio concitato di un gruppo di ragazze lì vicino che, adocchiati alcuni bei soldati ariani, riflettono sull’eventualità di avvicinarsi per prime.
Ludwig porta il bicchiere alle labbra, soffermandosi sul contenuto rossastro. E’ vino. Non lo regge particolarmente bene, preferisce di gran lunga la birra. Ne prende comunque un sorso, rifiutando educatamente il cameriere che, in tedesco, gli offre qualche tartina. 
“Hanno avuto una buona organizzazione” si ritrova a pensare il ragazzo. Una figura lo affianca. Dax, un altro soldato, poco più basso e bruttino, ma con un grande carisma. Anche lui, come tutti gli altri del resto, sono in alta uniforme della Wehrmacht. Ci sono poche Schutzstaffel, per fortuna. 
-Ludwig! Che dici, non è bella quella là?- gli domanda dandogli una leggera gomitata sul braccio, accennando ad una ragazza bionda. Lui scuote la testa. Non è il suo genere, la sua risata civettuola già lo infastidisce. –Carina… ma nulla di più- gli dice. 
Lo sguardo vaga distrattamente, d’un tratto si ferma su una figura femminile. 
E’ bellissima.  Gli sembra di averla già vista...
La ragazza, giovane, diciassette anni, ha degli occhi stupendi. Il tedesco, che di anni ne ha diciannove, non riesce a distogliere lo sguardo ma quando incontra il suo, si costringe a dare attenzione all’amico.
-Mi stai ascoltando?- domanda quello. Corruga la fronte. –Che guardi? O meglio… chi?-
-Nessuno- si affretta a dire il biondo. Lo sguardo cade inevitabilmente su di lei, ancora una volta.
Lei si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sorridendo con uno dei sorrisi più belli che il ragazzo avesse visto. Denti perfetti, bianchi, labbra carnose rosse. Anche il vestito che ha indosso le sta benissimo. E’ bianco, decorato con dettagli di pizzo, sotto il seno vi è una fascia marrone. La gonna non è molto ampia, le maniche sono a tre quarti. 
Il soldato si impone nuovamente di non guardarla. E’ così bella… chissà quanti ammiratori avrà ai suoi piedi. Abbassa un attimo lo sguardo pensieroso, tenendo però il capo alto.
-Guardi quella?- mormora Dax, facendo cenno proprio a quella ragazza italiana stupenda. 
-Sarà la solita ragazzina viziata- conclude l’altro, rialzando lo sguardo. 
Ha una brutta concezione di quel tipo di persone. La maggior parte di ragazzine di quella classe sociale, sono ricche bambinette viziate che non pensano ad altro se non ai propri vestiti e gioielli. Lui vuole una ragazza intelligente, invece, una che non si lascia comandare, forte e decisa.
-Lascia perdere. Ho sentito parlare di lei. Si chiama… Fe… Fequalcosa. So che ha rifiutato tantissimi ragazzi. Hai capito, la puttana? Deve fare la preziosa. Sono tutte così- giudica netto il moro ed appoggia il bicchiere sul tavolo. Poi, anche se mezzo ubriaco, ne prende un altro e si allontana. 
Ludwig riflette a lungo su quelle parole, mentre guarda il resto della sala. 
Ah, quella canzone gli piace. 
Malgrado forse non si immagini, è bravo a ballare; si è esercitato fin da piccolo alle numerose cerimonie a cui la sua famiglia partecipava. Tuttavia, non vuole danzare quel giorno, vuole starsene un po’ per conto suo.
Si distrae sentendo il discorso rumoroso di alcuni soldati che non conosce se non di vista, quando torna a cercare quella ragazza con lo sguardo, si scopre rattristato, perché non la vede più.
“Sono un idiota… Una ragazza così, ma che mi è preso?” pensa tra sé, rimproverandosi mentalmente, poi scuote appena la testa per rimuovere questo pensiero, gli occhi per un attimo socchiusi. 
Decide di fare due passi, portando con sé il bicchiere in vetro si dirige verso il balcone in marmo. 
E’ enorme, ed ha una bellissima vista. Da lì si vede tutto il giardino, la fontana, le statue in marmo bianco e sui lati ha due scale che portano proprio in quel luogo che pare incantato. 
Le lunghe dita pallide sfiorano appena la balaustra, il bicchiere di vino appoggiato lì. 
Alza lo sguardo sulla luna, la vista impedita dalla visiera del cappello. Lo toglie e lo appoggia alla propria destra, ma incontra un ostacolo. Dunque si volta e la vede.
Lei è lì, il naso all’insù fino ad un momento prima, adesso sul capello che è scivolato sul pavimento. Sorride dolcemente e si china per raccoglierlo, lui fa altrettanto, incontrando la sua mano. La lascia, prende per prima il berretto elegante e lo riprende quando glielo porge.
-Danke…- sussurra lui. 
-Bitte- risponde lei, in tedesco. Chiude gli occhi, il vento le scompiglia appena i capelli lisci. –E’ bellissimo qui…- soggiunge.
-Eppure, chiudete gli occhi- le risponde nella lingua madre. 
Lei sorride, quasi ride coprendosi la bocca con la mano, ed annuisce. Lo guarda con la coda dell’occhio, il biondo fa altrettanto. 
-Avete ragione…Oh, Felicia- si presenta, dondolandosi appena sulle scarpe col tacco, in modo un po’ infantile.
-Mh?- domanda lui, non capendo. La guarda e pensa: “E’ bellissima…”
L’italiana trattiene a stento una risatina. –Mi chiamo Felicia Vargas. E voi?-
-A-ah…- imbarazzato, distoglie lo sguardo. –Ludwig.-
-E avete anche un cognome, Ludwig?- 
Il ragazzo annuisce. –Beilschmidt.- 
-Vedrò di ricordarlo- assicura lei. –Non m’invitate a ballare?- 
-Chi vi dice che voglia farlo?- ribatte lui. Poi riflette sul suo gesto e si ritrova a darsi dello stupido da solo. “Non vorrà più vedermi, adesso…” rimugina tra sé. Trattiene una smorfia ed un sospiro, ma spalanca un po’ gli occhi stupito quando la sente sciogliersi in una risata. 
-Avete ragione. Ve lo chiedo io- lo guarda più seria, negli occhi, voltandosi verso di lui. Sentendo la musica dalla sala, aggiunge: –Questa canzone è la mia preferita!-
Lud non può fare altro se non sorridere e, dopo un primo momento di esitazione, annuisce, sistemando sui capelli biondi il cappello. –Sarei felice di avere quest’onore.- 
-Spero di essere alla vostra altezza.- 
Entrambi sorridenti e dolci, entrano ritornano nella sala da ballo. 
Molti ragazzi e ragazze li osservano e questo mette a disagio lui. Molti altri soldati sono stati rifiutati da quella stessa ragazza che adesso sta aprendo le danze. Le giovani donne, invece, sono invidiose della mora che sta così stretta a quel ragazzo straniero, alto, bello e biondo, con gli occhi color del mare.
Quando il ritmo diventa più lento, i due si avvicinano, le labbra vicinissime, le punte del naso di entrambi quasi si sfiorano. 
Si guardano per quasi tutto il tempo negli occhi, Ludwig guarda anche il suo sorriso, ma viene catturato dai suoi occhi scuri e dolci da cerbiatta. 
Finito il ballo, le bacia la mano, inchinandosi un po’. Si sforza di accennarle uno dei suoi rari sorrisi, poi si rialza. 
Felicia sta per andare via, dispiaciuta, eppure lui la trattiene. –Sapete… questa è la mia preferita.- 
-Ah sì? Che coincidenza…- dice l’altra in poco più che un sussurro.
E danzano una seconda volta ed una terza, i loro volti si ritrovano vicinissimi un paio di volte, vicinanza che li costringe ad arrossire. Dopodiché, si allontanano dalla pista da ballo, tornando all’aria aperta. Scendono lentamente le scale di marmo, silenzioso. 
La ragazza inciampa quasi su un gradino, lui la prende al volo. Entrambi abbassano lo sguardo sulle labbra dell’altro, poi lo rialzano, guardandosi negli occhi. Il tedesco, tenendola ancora stretta, continua a reggerla, allontanandosi poco dopo.
E lei si schiarisce la voce, sfregandosi poi le braccia, un po’ infreddolita. “Che stupido… avrebbe dovuto baciarmi. Perché non l’ha fatto? Io mi vergogno…” pensa guardando altrove. 
-Avete freddo?- le domanda il giovane. La vede annuire soltanto, quindi le chiede di aspettare un solo istante lì. Sparisce per un paio di minuti, quando ritorna ha il suo cappotto tra le mani. –Posso?- le domanda avvicinandosi. Lei annuisce, un po’ timida. Lui le appoggia il cappotto caldo sulle spalle, sistemandoglielo per bene, lasciando la mano sulla sua schiena, senza accorgersene. 
L’italiana arrossisce di colpo, benedicendo il buio della sera che nasconde le gote rossastre. Sente l’odore di quel ragazzo sul suo cappotto, ha un odore buonissimo… vorrebbe tanto avvicinare il bavero al naso, per sentirlo meglio.
-Ludwig…- sussurra sentendo il cuore uscirle fuori dal petto, tanto batte forte. Si rigira nervosamente tra le mani il fiore viola scuro che ha preso nell’attesa del suo ritorno. 
Il soldato, toglie quella mano dalla sua schiena mettendola delicatamente sulla sua guancia ed appoggia le labbra alle sue, chiudendo gli occhi. La bacia, con estrema dolcezza. 
Lei ricambia il bacio, chiudendo anche lei gli occhi scuri, il fiore le cade di mano mentre ricambia quel bacio lungo e dolce. 
Non riescono a pensare a nulla di concreto, solo a vivere quel momento. 
Quando riaprono gli occhi, non hanno nulla da dirsi. Lei è appoggiata alla balaustra, ancora a metà della scalinata. Lui ha appoggiato le mani sul marmo vicino ai suoi fianchi, rimasto vicino al suo viso. Sul suo volto si forma un sorriso che non si addice alla divisa da soldato. 
“Forse non avrei dovuto farlo… ripartirò presto per tornare a casa… non la vedrò più...” pensa tra sé con rammarico. 
Felicia pensa tutt’altro. Più che altro, non riesce più a formulare un pensiero concreto. “Ma… cielo. Mi ha baciata. E… e adesso?...”
Si guardano negli occhi, per altri lunghi minuti. 
Sorridendo dolcemente, si baciano di nuovo, stavolta in modo più lento, più a lungo.
S’interrompono solo quando sentono delle voci gridate in tedesco, è tempo che lui torni a casa.
-Devi… dovete andare?- domanda la giovane abbassando lo sguardo triste.
-Ja, aber… ci rivedremo. Ve lo prometto.-
E datole un ultimo piccolo bacio, riprende il cappotto che lei gli porge e fa dietrofront, tornando ai suoi alloggi.
Felicia invece rimane lì ad osservare la luna, emozionata come non mai.

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Note.
Salve! 
Un capitolo di 'pausa' dal trambusto del matrimonio, unacosa un attimino meno incasinata! 
Spero vi sia piaciuto, mie care! :) 
Grazie tante, di cuore, a tutte voi. (o tutti.)

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Capitolo 18
*** Tutto pronto? Sì, ja. ***






Il sole si nasconde timido tra le nuvole che coprono il cielo grigio. 
Eppure non fa fresco. I due ragazzi si stanno godendo un momento di pausa, dopo la trafficata mattinata. E' stato infatti il nonno, verso le nove, ad avere quella brillante idea: si può sempre usare la culletta che ha ospitato sia lei che Romano, per il nuovo o nuova arrivato/arrivata. Sarebbe un po' come portare avanti una bella tradizione. Così il vecchio ed il tedesco, hanno portato giù dalla cantina questa bella culla in legno chiaro e l'hanno ripulita. Ludwig l'ha sistemata un po' nei punti in cui il legno si è fatto più spigoloso e pericoloso ed intanto i due fratelli sono rimasti immersi in un mondo di ricordi. Lì, in soffitta, infatti, hanno trovato vecchi album di foto, loro giocattoli, una bambola di pezza, un pallone rotto, delle copertine da neonato. Prima che si perdesse tra le proprie lacrime e risate, Felicia si è alzata per andare in cucina e lavare con estrema attenzione questi lenzuolini, alcuni rosa, altri celesti, per la maggior parte bianchi. 
Purtroppo sarebbe assai scomodo portare a Berlino tutto questo, ma sarà utile quando torneranno a trovare il nonno ed il fratello di lei, in Italia. Lei pensa di farlo piuttosto presto. Sa che gli mancheranno terribilmente. 
Adesso, comunque, entrambi i giovani hanno in mente altro. Sono seduti in macchina, lei ha il viso appoggiato alla sua spalla e lui intanto ha gli occhi chiusi e le carezza dolce il braccio, poi i capelli. 
-Voglio sposarti...- le dice. -Presto. La mia licenza sta per finire...- 
-Non devi tornare in guerra, vero?- domanda timida lei, stringendosi al suo petto. 
Avrebbe dovuto chiedergli già da tempo ciò che doveva fare, ma ha avuto paura di una sua risposta, così ha lasciato perdere. "Ci sarà tempo" si è sempre detta. Ed il momento è appena arrivato, deve sapere, benché non lo voglia. Trattiene un sospiro, chiudendo gli occhi. 
-Nein- risponde lui, scuotendo appena la testa. -Ho un corso d'addestramento. Durerà circa un mese e mezzo.-
-Ma dopo dovrai ripartire...- sospira la ragazza. 
-Stai per sposare un soldato. Che ti aspetti io possa fare?- mormora Ludwig appoggiando poi le labbra sulla sua fronte. -Siamo in Guerra. E' mio compito difendere i miei Camerati.-
Perché, effettivamente, al fronte, poco importa di che nazionalità sei. Poco importano gli ideali e tutto il resto. Conta salvare la propria pelle e quella dei compagni. 
Felicia decide di non rispondere e dopo avergli dato un altro bacio, stavolta più lungo, stavolta più intenso, ma comunque casto, scende dall'auto e lo prende svelta per mano. 
Entrata nella casa del Signore, subito si ritrova a fare il segno della croce, come spinta da una forza superiore. Lo vede fare altrettanto. Ben presto con lo sguardo scorge padre Francesco, il prete che deve sposarli. Gli si avvicina con un sorriso e lo stringe in un piccolo abbraccio ed in questo si riconosce tutta la felicità per il suo aver accettato di renderli marito e moglie; gli è davvero molto grata. E' solo un po' impacciata per il pancione, sul quale porta poi una mano in segno di protezione, ignorando le occhiate brutte di alcune vecchie bigotte che ripetono le loro litanie, oramai atone. 
-Padre...- mormora lei. 
-Felicia, mia cara...- dice lui, con tono gentile. Volgendo l'attenzione verso il biondo, gli parla nella lingua madre di questo, ovvero in tedesco, con grande sorpresa di entrambi i giovani. -E tu devi essere Ludwig. Mi hanno parlato tanto di te. E me ne hanno parlato bene, devo ammettere. Prego, seguitemi. Allontaniamoci da qui.-
Tutti e tre si spostano da lì, infilandosi in un corridoio laterale, per giungere poi ad un giardinetto piccolo a pianta quadrata. Camminano tra le file di colonne, in silenzio. E' l'adulto a prendere la parola per primo.
-Avete pensato alla data?- 
Loro due sono mano nella mano, lei lascia che sia il ragazzo a rispondere. -Devo tornare a Berlino tra pochi giorni. Preferiremmo si facesse al più presto- spiega.
-Domani?- domanda il padre fermandosi .
Li coglie un po' impreparati. 
Specialmente l'italiana ha pensato di avere più tempo per organizzare il tutto, Lud era più o meno cosciente che le cose sarebbero state così accelerate. La guarda, aspettando che decida. E l'unica cosa che può fare lei, è annuire sorridente. -E' meglio non rimandare oltre.-
-Perfettamente. Avete tutto pronto?- 
I ragazzi fanno un cenno positivo del capo. 
Lei ha il suo bel vestito, lui l'alta uniforme. Sì, ha deciso di metterla, dopo un breve ed intensa chiacchierata col Nonno. E' la sua vita, lo rappresenta, vuole indossarla. E non teme che ciò possa urtare qualcuno, anche se questo renderà tesa più di una persona. E' il suo matrimonio, è lui che deve essere felice!
-Ci vediamo domani per le 09:30. Siamo intesi? Signorina, non facciamo troppo tardi, eh? Conosco voi spose. State sempre a perder tempo- si concede un accenno di risata, dopodiché si congeda. 
Quand'è lontano, Felicia abbraccia forte forte il suo fidanzato e promesso sposo. -Sono così felice! Domani... ti rendi conto? Domani! Dobbiamo dirlo al nonno, a Romano e a tutti gli altri!- 
-Ja...- sussurra lui, sorridendole lievemente e la segue, cercando di non smorzare la sua felicità. Eppure, qualcosa lo fa stare male. Non è di certo il matrimonio che si sarebbe aspettato lui. Non che gli importasse tanto di una celebrazione in grande stile, ma avrebbe voluto ci fossero stati almeno i suoi genitori e suo fratello. 
 
Posteggiata la vettura con molta cura, ne consegna le chiavi al legittimo proprietario, che se le riprende col solito sbuffo. 
Quando la mora toglie la cintura e scende, gli butta le braccia al collo. 
-Ci sposiamo domani!- lo informa. -Hai il vestito pronto?- 
-Sono pronto da giorni, stupida- borbotta sciogliendo l'abbraccio. -Devo andare, ci vediamo dopo.- Baciandole la guancia, fa un cenno al 'cognato' e se ne va. 
La sorella ci rimane decisamente male, ma è troppo euforica per rendersene conto. Va da nonno ed abbraccia anche lui, raccontandogli tutto quanto. 
-Fa freddo; volete mangiare qualcosa di caldo?- domanda loro una volta ultimato il commento a quel breve racconto.
Il militare tedesco annuisce un po' timido, si sente un completo estraneo in quella casa, non si sente ancora accettato. Principalmente, per il fratello dell'amata. Quella casa sembra incutergli rispetto e solennità. 
Mangiano un po' di zuppa calda, poi vanno a dormire nelle rispettive camere.  
Tuttavia, appena  passata la mezzanotte, il ragazzo riceve una visita. Incrociando il suo sguardo, si mette più in là e le lascia posto accanto a sé. Ma poi la guarda serio. 
-Non puoi stare qui. Lasciamo una parvenza di ordine?- ridacchia lievemente. Le accarezza la guancia. 
-Hai ragione...- si volta e fa per andare via. 
-Nein, aspetta!- la richiama lui. 
Però la ragazza è già tra le braccia del fratello, per l'ultima sera.

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Capitolo 19
*** E l'amore certo non mancherà. ***


Anche il cielo sembra felice. I raggi del sole irrompono violenti dalle finestre della casa. 
Si sono svegliati tutti molto presto, tra qualche ora dovranno essere in chiesa. 
L'atmosfera in quel momento racchiude diverse emozioni: nervosismo, gioia, invidia, rammarico. Ma, in special modo, eccitazione. 
La sposa non vede l'ora di dichiarare il suo sì più bello.
Non ha chiuso occhio e quando il fratello si è svegliato non l'ha trovata accanto a sé. Lei, infatti, si è chiusa nella sala da bagno ed è sta immersa a lungo nell'acqua calda e profumata, poi ha preparato la colazione per tutti quanti. Doveva fare qualcosa per calmarsi e per fortuna ci è più o meno riuscita, ma non ha mangiato nulla.
Romano, invece, non ci riesce. Sì, anche lui è nervosissimo. 
Chiude gli occhi ed addenta una fetta di pane e burro, con molta calma, portando poi alle labbra la tazzina di caffè ancora caldo. Non riesce ad ascoltare il chiacchiericcio concitato di Elisa, la migliore amica di Felicia, che è lì anche oggi, prima fila, per aiutarla. Lei è già pronta nel suo bel vestito blu e rosso, fantasia floreale, piuttosto semplice comunque. E' felicissima per l'amica, ma un po' invidiosa perché vorrebbe fosse il suo giorno, quello. Però dovrà aspettare davvero per poco. Non trovando riscontro nel ragazzo, sale svelta le scale e bussa alla porta della camera della ragazza, con la sua solita aria felice. 
-Posso?- domanda aprendo la porta e facendo capolino da questa. 
Felicia è davvero bellissima quel giorno. Ha qualcosa di particolare, che non sta nel sorriso, quello c'è sempre, forse sta nei suoi occhi nocciola, che brillano come poche volte negli ultimi mesi. Annuisce, osservando ancora e ancora il vestito appoggiato sul letto in modo che non si sgualcisca. Non vorrebbe che l'amica lo tocchi. Ne è improvvisamente gelosissima; si è presa cura di quell'abito quasi in modo ossessivo e adesso, la rossa, minaccia di avvicinarvisi. Si trattiene a stento dal guardarla male, ma s'impone la calma, ed il suo viso non è costretto a deformarsi in nessuna smorfia di disapprovazione. 
-Allora? Vogliamo indossarlo?- chiede l'altra, avvicinandosi a lei. La stringe in un forte abbraccio fraterno, sorridendole poi dolcemente. Così l'aiuta, con molta attenzione, a mettere tutto per bene. Sistemano il collo, le maniche, l'orlo della gonna, tutto senza fretta, impiegando davvero un'eternità ed intanto chiacchierano di quella giornata. 
Non ci saranno molti invitati. Saranno loro cinque, il fidanzato ed i genitori di Elisa, i migliori amici di Romano, pochi altri. In chiesa, almeno. 
Il nonno ed il fratello hanno organizzato una piccola sorpresa per dopo la cerimonia, ma i due sposi sono ignari di tutto. Non è nulla di ché, semplicemente,  ci saranno tutti i loro amici a festeggiarli. Ne sarà felice in special modo la ragazza. 
E Ludwig? 
Il ragazzo è seduto sul letto, in silenzio, con fare pensoso. E' così nervoso ed agitato anche lui... e non ha nessuno. Non ha mai riflettuto troppo sul matrimonio, non gli è mai particolarmente stato a cuore quel giorno, finché non ha incontrato lei,  che in poco tempo è diventata il suo tutto. Però, quelle poche volte in cui ci pensava, immaginava sempre il fratello al suo fianco. 
Appoggia il mento tra le mani congiunte, i gomiti sulle ginocchia un poco aperte. 
D'un tratto, sente bussare qualcuno alla porta. Volge stupito il suo sguardo verso di essa e spalanca gli occhi vedendo il nonno entrare nella camera. 
E' molto elegante. Ha un completo grigio scuro e la camicia bianca, con tanto di papillon.  Richiude la porta alle sue spalle e gli si avvicina. Gli fa cenno di alzarsi e l'altro ubbidisce. 
Ha indosso, lui, l'alta uniforme della Wehrmacht, la più bella che possiede, che porta con orgoglio; ci tiene davvero molto ad portarla. L'adulto avvicina le mani alla camicia e la sistema per bene, così fa con la giacca, con fare quasi paterno. 
-Sei nervoso?- gli domanda, certo che ormai capirà quella semplice frase in italiano. 
Il soldato annuisce impercettibilmente.
-Non devi esserlo, andrà tutto bene- lo rassicura, sistemandogli anche il cappello sui capelli color grano, puliti e sistemati. Anche il ragazzo, poco prima, si è concesso un bel bagno e si è dato una ripulita. Ora, l'adulto gli sorride con fare dolce e caldo. Si allontana di qualche passo per lanciargli un'occhiata. 
-Ora sei perfetto. Potresti anche sorridere, eh?- 
-Was?- domanda lui d'istinto. E' un po' tra le nuvole quella mattina, probabilmente perché non riesce a far altro che immaginare il vestito della sposa e provare a pensare quanto  bella sarà quel giorno. 
-Nulla, nulla...- commenta il primo, facendo un cenno del capo, come per dire: "Non è importante."
Sono quasi tutti pronti, eccetto Romano. Lui ha ancora la canottiera e dei pantaloni comodi ed un po' vecchiotti che ormai non mette quasi più. Non riesce ad accettare quell'unione, ecco perché è così nervoso. Eppure, si sforza di alzarsi da quella sedia, abbandonare la cucina e salire in camera propria, chiudersi dentro e sospirare. 
Apre l'armadio: il suo abito elegante, che proprio gli va stretto, perché non vuole metterlo, perché gli impedisce i movimenti, perché non è suo genere, è proprio lì ad attenderlo.  Nero, la camicia bianca, il papillon che non metterà.  Non lo regge.
Cercando di vedere i lati positivi della situazione, ma non trovandone, mette su un broncio, che si trasforma presto in un sorriso, dovuto ad un ricordo. 
 
-Romano- sussurra seduta vicino a lui, prendendogli la mano. 
-Dimmi, sorellina- le risponde il ragazzo guardandola negli occhi. 
-Io vorrei che tu mi portassi all'altare.- 
Ricambiato lo sguardo, lei gli sorride dolcemente e quasi ridacchia notandolo spalancare lo sguardo stupito e farfugliare: -I-io? Credevo... volessi il nonno- le dice lui. 
Eppure la giovane donna scuote la testa. -Adoro il nonno, ma voglio mio fratello al mio fianco.- 
Roma annuisce, intanto gli angoli delle sue labbra, si tendono all'insu. -D'accordo- le risponde. -Ti porterò all'altare. Sarà per me un onore.- 
-Ti voglio bene, fratellone.- 
-Sei la mia vita, non potrei fare altrimenti, sciocca.- 
 
Non le rivolge spesso parole così dolci, ma quel giorno, gli è venuto spontaneo. 
Non entra in chiesa per assistere ad una funzione da anni, perciò teme di dire la cosa sbagliata al momento meno opportuno. Dovrà concentrarsi per bene, perché vuole sia tutto perfetto. Quand'è pronto, va in bagno anche lui, per sistemarsi i capelli. Lui ed il nonno hanno fatto il bagno la sera prima. 
Ci manca poco che si scontri con quest'ultimo, quando esce da quella stanza. Lo vede sorridere, così prova anche lui ad accennare un sorriso, anche se ne  esce fuori una smorfia nervosa. 
-Felicia?- chiede. 
-E' appena arrivata Giustina, l'amica di Elisa, sai, la parrucchiera.- 
-E chi l'ha chiamata?- soggiunge, incredulo, infilando le mani in tasca. 
-Elisa, appunto. Romano, dov'è il tuo papillon?- domanda lui, incrociando le braccia al petto. 
-Non lo voglio, nonno- 
-Vai a vedere come sta Ludwig.-
In realtà sa che, malgrado il nervosismo, sta bene. "Quel ragazzo", si è detto prima "non lascia trasparire alcuna emozione."
Vuole, comunque, che i due abbiano un benché minimo rapporto, così esorta il nipote ad andare da lui ed ignora le sue proteste. 
Borbottando ancora qualcosa, Roma bussa alla porta di quello. -Coso?- lo chiama. Il suo nome non gli piace proprio.  E' strano. Probabilmente finirà per tradurlo in 'Ludovico.'
Il tedesco apre la porta e lo guarda sorpreso. Quasi ringhia, lui, notando la divisa, quella divisa. Chiude un attimo gli occhi, riprendendo il suo autocontrollo.
-Tutto bene?- domanda. Lo vede annuire. -Sicuro?- L'altro fa un altro cenno positivo.
-Vieni, fumiamoci una sigaretta- propone, porgendogliene una. 
Escono di casa, tutti eleganti e composti, proprio belli da vedere, stupendi, con la sigaretta tra le labbra già accesa. Ottimo rimedio per distendere i nervi. Con la scusa di fare due passi, Romano lo trascina via. Ci sono i suoi due migliori amici,  Aldo, comunista convinto, e Silvano, un ragazzo alto e moro, con aria seria e sigaretta perennemente tra le labbra. I due, aspettano appoggiati ad una macchina, silenzioso. 
Il primo istinto di Ludwig, lo mette in guardia, ma dopotutto quelli sono ragazzi normali, senza nessun orientamento politico in particolare, no? Apolitici, più essere. E invece, cosa che lui non saprà forse mai, sono proprio dei partigiani, così come lo è il cognato. Salgono tutti e quattro in macchina. Silvano, guida verso la casa di Dio, senza fiatare, guardando dritto davanti a sé. 
Fumano tutti la loro sigaretta ed attendono la sposa. 
Lei non tarda troppo ad arrivare all'altare e quando giunge, nota solo il fratello ad aspettarla vicino la scalinata, gli altri, già dentro, vengono raggiunti dal nonno, da Elisa e dal suo fidanzato Marco, appena giunto anch'egli. In più, seduti in una panchina in fondo, ci sono i genitori della migliore amica di Felicia e tre dei loro amici d'infanzia. 
Roma la guarda, la sua sorellina. E lei guarda il suo fratellone. 
E' bellissima. I capelli castani sono elegantemente raccolti in una crocchia particolare sulla nuca. Il suo passo, malgrado il tacco, è aggraziato e per nulla rozzo o volgare. Il bouquet non è molto grande ed è semplice, proprio come lo voleva lei. Sono fiori bianchi, avvolti con un nastro di raso del medesimo colore. Le labbra ancora pittate di rosso, gli occhi colorati un poco di scuro, giusto per evidenziarli, le guance leggermente arrossite per il trucco, tutto il resto perfetto. 
Qualcosa di nuovo c'è: il vestito. Qualcosa di vecchio, anche. La collana che porta al collo era della sua mamma. La giarrettiera è stata prestata. Le scarpe, regalate. E nemmeno la cosa blu manca: tra i capelli, ci sono delle piccole decorazioni, alcune bianche, altre blu scuro. 
-Sei pronta?- 
-Sì. Romano... grazie...- sussurra la ragazza, la voce rotta per l'emozione. 
Il fratello accenna un sorriso e butta via la cicca, porgendole il braccio. Si sistema svelto il vestito e fa un primo passo, lento, dopo inizia il suo lento percorso, sulla scalinata, poi lungo la navata centrale. 
Quando entrano, tutti gli sguardi sono puntati su di loro. 
Ludwig ha il primo, sciocco impulso di fare dietrofront e andare via. Perché ha paura, insomma, lei è così... è così bella. Sarà all'altezza, lui? Le sorride lievemente, incerto, rimproverandosi infine da solo per quel pensiero. L'ama troppo, non vuole scappare. Così anche il suo sorriso si fa più chiaro e deciso, mentre attende che lei lo raggiunga. 
La distanza si fa sempre maggiore, le note della marcia nuziale gli riecheggiano nella mente, eppure lui non da ad esse nessuna attenzione. Lei è così bella che rapisce la sua attenzione, nel più completo dei modi. Le donne lì presenti, già lacrimano un pochetto. 
Tutti i presenti sanno che la cerimonia sarà breve e che ci sarà poca musica, ma nessuno sembra darvi troppo peso. Dopotutto, è una cosa fatta velocemente, quasi di nascosto.
Giunto al fianco del quasi-marito, lei, si trattiene dal tendere una mano verso di lui; lui, che oggi è bello come il sole, nella sua alta divisa, così serio ma così dolce, che vorrebbe davvero avvicinare svelta le labbra alle sue e baciarlo e lasciarsi andare tra le sue braccia. Tuttavia, non fa niente di tutto questo. 
I due sposi si inginocchiano e seguono tutta l'omelia di padre Francesco, che sorride loro ed inizia il suo discorso col solito: -Fratelli e sorelle, siamo qui riuniti, quest'oggi, per unire nel sacro vincolo del matrimonio, questi due giovani, Ludwig e Felicia.- 
Ripete le parole, naturalmente in latino, della liturgia ed ogni tanto, traduce qualcosa al soldato, che annuisce con gesto appena percettibile. 
Per i partigiani, dura un'eternità. Gli sposi ed il nonno, invece, sono presi dalle parole del prete, eccetto per qualche occhiata tenera che i due si lanciano di tanto in tanto. 
Giunge il momento degli scambi degli anelli e Aldo già sbadiglia, beccandosi una brutta occhiata del fratello della sposa. 
Scambiano le promesse, Lud in modo un po' goffo le mette l'anello, nella mano destra. La ragazza ridacchia appena, sopprimendo subito la risata.
-L'altra mano- lo corregge sottovoce. 
-Mh?- 
-La sinistra- 
-Aaach...- annuisce e cerca di toglierle l'anello ma -accidenti!- nervoso per com'è, non riesce a sfilarlo. Prima che il momento raggiunga vette troppo imbarazzanti, lei ferma le sue mani e lo toglie, porgendoglielo poi con un sorriso. -Ecco fatto- dice.
Il ragazzo, guardandola con gli occhi color mare, prende delicato la sua mano sinistra e le sistema l'anello. Dopo, lei fa lo stesso, stavolta senza alcun errore. 
L'errore di Ludwig è comunque giustificabile: nella sua terra natale, infatti, la fede si mette nella mano destra e lui ora è tutt'altro che concentrato. Si rilassa però ogni volta che incontra il suo sorriso.
Padre Francesco parla del matrimonio, non devono vederlo, spiega,  come la fine della loro giovinezza, sono ragazzi e hanno tutta la vita davanti. Ha visto tanto spesso coppie divenire subito adulte e spegnersi nel giro dei primi tre anni da sposi e non vuole che succeda anche a loro lo stesso. Parla di ciò, però,  solo dopo che ha quasi finito il rito in latino, come voglia concedersi una pausa da quella lingua agli altri praticamente estranea. Il nonno la conosce bene. Ama così tanto il mondo antico, che si può dire sia vissuto nell'Antica e bella Roma. 
-Comunque,- continua in direzione dello sposo  il parroco -non significa che puoi andare in giro di notte per andare a bere con i tuoi Camerati. E niente ragazze! Altrimenti Felicia si arrabbia per davvero.- 
Sdrammatizzando in questo modo, fa ridere gli altri; solo quando traduce in tedesco riesce a fargli accennare una piccola risata dolce, che gli lascia scoprire appena i denti bianchi.
-Non lo farei- risponde, pacato, nella lingua madre. Traduce anche in italiano, ha imparato a farlo, più o meno.
-Bene- continua il prete.
Dopo non molto, conclude la cerimonia con una frase.
-Adesso, lo sposo può baciare la sposa.- 
E questo Lud lo capisce perfettamente. Si avvicina un po' a lei, che non porta il velo, perché non è casta e non sarebbe stato corretto portarlo, ed appoggia una mano sul suo fianco per stringerla poco poco a sé, poi le prende il volto con una mano e chiudendo gli occhi appoggia le labbra alle sue.
Felicia lo imita chiudendo gli occhi e sorride mentre lo bacia, quando qualcuno grida "Viva gli sposi!"  Fa due passi verso di lui, felice di poterlo toccare, dopo quel tempo che sembrava interminabile. 
-Du bist so schön, lieber...- le sussurra all'orecchio. 
A quelle parole, lei si scioglie e gli occhi le si inumidiscono. Porta l'indice su di essi e caccia via qualche lacrima che minaccia di rovinarle il trucco. 
Schiude le labbra per dire qualcosa, per rispondere al complimento, perché anche lui è bellissimo e vorrebbe dirglielo, ma non ci riesce. 
Questo è il giorno più bello della sua vita. Gli da un altro piccolo bacio a stampo, casto, intanto che una musica di sottofondo -non la solita che si ode ai matrimoni- li accompagna fuori da quel sacro luogo. 
Non c'è riso ad attenderli né petali di rose, ma una vita nuova e diversa, finalmente sono marito e moglie.


 

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Capitolo 20
*** Quella inaspettate e belle parole. ***


E mentre il mondo cade a pezzi, loro vivono la loro giornata. 
Usciti dalla chiesa, notano entrambi con un sorriso che il sole è ancora lì, che li bacia col suo calore. Sono felici, entrambi, e si tengono per mano. 
Qualcuno, un uomo giovane che nessuno dei due sembra conoscere, gli dice di mettersi in posa per una foto, così loro, un po' sorpresi, si sistemano per bene davanti la chiesa, un po' imbarazzati. Vengono fatte alcune foto, una in cui loro guardano la macchina fotografica, una in cui si baciano, una con la famiglia ed una della sposa con la migliore amica e i genitori di lei. 
I partigiani sono sempre più annoiati, ma cercando di comportarsi bene anche per evitare le occhiatacce di Romano. Quest'ultimo, appena si ritrova all'aria aperta, accende una sigaretta e la fuma con calma. Il nonno invece sta vicino i due ragazzi sorridendo con calore e gioia per quasi tutto il tempo, ma non nega di essersi commosso per un lungo momento. 
Aldo, il comunista, d'un tratto sembra aver fretta di andare via e trascina con sé Silvano. Salutano lei con affetto, più freddamente rivolgono un saluto al tedesco. Il primo da una pacca calorosa sulla spalla del fratello della sposa e gli lancia un'occhiata d'intesa, l'altro invece fa solo un cenno.
Ludwig ha gli occhi fissi sulla sua bella e non riesce a distaccare da lei lo sguardo. 
Il suo sorriso, le sue labbra, i suoi occhi, i suoi gesti. Tutto di lei lo attrae. Le si avvicina e le prende la mano, poi appoggia brevemente le labbra alle sue, sorridendo lievemente.
Rimangono stretti per un'infinità di tempo, intanto che parlano con gli altri, lui la abbraccia da dietro ed appoggia tenero, di tanto in tanto, la mano sul suo pancione. 
-Felicia! Si muove?- domanda una voce di ragazzina, la sorella di un ragazzo giovane con i capelli neri e gli occhi verdi che è stato vecchio compagni di giochi di entrambi i fratelli Vargas. Lui la rimprovera per la domanda indiscreta, appoggiando una mano sulla sua spalla. 
-Non preoccuparti, Pietro- risponde la sposa con un sorriso. -Sì, si muove ed ogni tanto scalcia e fa un po' male.- 
-Tanto?-
-No, poco.- 
-Posso vederlo quando nascerà?- chiede ancora la dodicenne, ha i capelli liscissimi castano chiaro, appuntati in alto soltanto per alcune ciocche da un fiocchettino verde.
-Certamente! Se sarà ancora qui. Presto io e Ludwig dovremo ripartire per Berlino.-
L'altra pare dispiaciuta, così Felì le carezza con fare dolce la guancia. 
Dopodiché lei ed il marito, sempre le loro mani ben strette, fanno una passeggiata. Lì vicino, infatti, c'è un piccolo parco sempre deserto ed è lì che si fermano per un po' da soli. Si siedono su una panchina quando la giovane donna è stanca di camminare ed osservando distratti le oche nuotare allegre nell'acqua. 
Il soldato la bacia dolcemente più volte, all'improvviso, quando più sente che sia opportuno togliendosi prima il cappello della divisa. Lei lo prende, con fare scherzoso e se lo mette sul capo, chiedendo poi: -Come sto?-
-Sei bellissima- risponde lui, dandole un altro bacio, più passionale. Il berretto dell'alta uniforme cade per terra, ma non importa a nessuno. Sono troppo presi dal bacio, da quel loro momento tutto loro per accorgersene. Soltanto la voce del nonno che li richiama per andare, interrompe quell'attimo magico. 
La ragazza mette su un broncio, non intenzionata ad alzarsi. 
-Mein schatz, dobbiamo andare- spiega lui, pragmatico come al solito, prendendo il cappello e pulendolo dal terriccio  con una mano, poi, quand'è di nuovo tirato a lucido, se lo rimette sulla nuca color del grano e le porge una mano. 
Felicia la prende, ma avrebbe voluto rimanere lì ancora un po'. Perché il nonno deve rovinare quel momento che è solo per loro? Non ha potuto avere il suo matrimonio in grande né avrà la sua cerimonia, allora perché non concedergli un altro minuto? 
Eppure, paziente, ritorna da lui e sale in macchina con entrambi gli uomini di casa. E' strano, ma sono andati tutti via e nessuno li ha salutati. Nonno Roma liquida la questione dicendo che avevano tutti una gran fretta ma... com'è possibile? Quindici persone? 
Con un'espressione corrucciata, si siede accanto al suo innamorato, appoggiando la guancia sulla sua spalla.  Quando nota il giro piuttosto largo che sta facendo il fratello per tornare a casa, fa qualche domanda, ma lui risponde di "dover terminare la sua sigaretta."
E' solo una mezz'oretta dopo circa, che lei capisce. Ed anche il tedesco. 
Davanti la loro villa, nel giardino circostante, ci sono almeno cinquanta persone, qualcuno di loro ha in mano una tartina, qualcun altro un bicchiere di vino bianco. 
Stavano tutti parlando tra loro, ma notando la macchina di Romano, subito hanno dato attenzione solo ad essa. Il fratello posteggia come al solito malissimo, dopodiché scende dall'auto ed apre la portiera alla sua sorellina, guardandola per un lunghissimo momento negli occhi, con l'ombra di un sorriso sul volto bello e fiero. 
-Fratellone, ma cosa...?- domanda lei non capendo. Prendendo il vestito con entrambe le mani per non rovinarlo, scende dalla vettura e li guarda piuttosto confusa, ma quando sente gridare quella voce unanime 'Viva gli sposi!' scoppia in lacrime di gioia. 
Ludwig, intanto, è anche lui sceso e l'ha affiancata. E' felice anche lui, perché vede quante persone vogliano bene alla donna più bella che ci sia al mondo per lui, la sua donna, e in quante la festeggino. Dev'essere perché lei si è sempre comportata bene con chiunque, non ha mai fatto torto a nessuno, è buona, dolce e disponibile. E bella, tanto tanto bella. 
Il ragazzo porta una mano sul suo viso e le asciuga con fare premuroso le lacrime. Intreccia ancora le dita alle sue, ma lei scioglie la presa e va ad abbracciare il fratello, forte forte, sussurrandogli delle parole gentili. -Grazie, Romano... sei il miglior fratello del mondo- gli dice sincera. Poi, lo stesso gesto, stavolta muto, lo rivolge al nonno. Ed allora sì che afferra la mano del marito e, tra lacrime e risate, si avvicina alla casa. 
Viene offerto ad entrambi subito un piatto con alcuni antipasti e loro, affamati, prendono una tartina ciascuno. Di lì vanno a salutare poi tutti gi ospiti.
Appoggiati ai tronchi di due alberi, ci sono i due partigiani, più alcuni altri. 
Roma si avvicina loro con fare riconoscente. -Grazie, ragazzi.-
-Scherzi, compagno? Sai che faremmo di tutto per te- gli dice sincero il comunista, avvicinandosi poi ad un tavolo per rubacchiare del cibo. 
Di certo non c'è l'abbondanza dei tempi di pace, ma tutti i presenti possono ringraziare il buono stato economico di quella famiglia. Il biondo è dispiaciuto perché non ha potuto partecipare economicamente, ma si rifarà. 
Non passa molto da quando iniziano le danze -la musica di quegl'anni, a loro piace così tanto! 
Il primo ballo, naturalmente, spetta ai due sposi. Tutti sono lì intorno per guardarli ed lui si sente un po' sotto pressione. Ciononostante, appoggia una mano sul fianco di lei e l'altra gliela porge, affinché lei la prenda. Ed iniziano a ballare, sciolti e decisamente più rilassati, un primo ballo, poi un secondo ed un terzo. 
E tra un passo ed un altro, la ragazza gli sussurra: -Amo ballare con te, lo sai?-
-Ah, sì? E ami soltanto questo di me?- ribatte lui.
-No- ammette lei sincera scuotendo appena la testa. -Io amo tutto di te. Il fatti che ti prendi cura di me continuamente e che mi fai sentire speciale. Mi piace che posso contare su di te in ogni momento ed il fatto che forte, bello, e coraggioso.-
Il soldato sorride compiaciuto e la stringe un po' di più a sé, intralciato in questo suo gesto dal pancione. Annuisce e lentamente appoggia la fronte alla sua e la guarda negli occhi, dopo la bacia dolcemente.  Un altro grido agli sposi da parte di un qualche amico di famiglia; loro due ridono di gusto. 
Sembrano tutti divertirsi così tanto... e dimenticare la guerra ed il brutto periodo che stanno passando.
Quando il sole sta ormai per calare, il nonno richiama l'attenzione dei presenti. 
-Scusatemi, se interrompo questo bel momento, ma vorrei dire due parole- comincia facendo un largo cenno col bicchiere, ottenuto lo sguardo di tutti.  Continua, con un piccolo sorriso. Felicia traduce parola per parola al biondo.
-Innanzitutto, vorrei ringraziarvi per essere qui. In tutti questi anni abbiamo cercato di comportarci bene con tutti voi e voi avete sempre ricambiato, ecco perché siete qui stasera. 
Onestamente... avevo preparato un discorso, ma non importa. E' passato così tanto da quando questi due erano due marmocchi che correvano per casa facendo confusione e da quando entrambi bagnavano il letto e qualcuno dava la colpa ad uno scoiattolo per non essere rimproverato- mormora lanciano un'occhiata al nipote che porta con fare sconsolato una mano sul viso per nascondersi, l'altra in tasca, e sentendo gli invitati ridere, si decide a continuare: -Non avrei mai pensato di vedere i miei pronipoti, ma il buon Dio ci ha mandato questo, perciò ne sono felice. Senza prenderci in giro, sono ormai vecchio, non vivrò ancora a lungo e vorrei dire qualcosa prima che mi venga tolta la possibilità di farlo. 
Ho cresciuto questi due ragazzi, dopo la morte dei loro genitori, come fossero i miei bambini e loro non mi hanno mai deluso. Ogni giorno mi sveglio la mattina e ringrazio Dio perché mi ha mandato questi bravi ragazzi. Non potrei essere più fiero di così, di entrambi. Sono forti e belli, i miei ragazzi, vero? Romano... mi ha dato così tante soddisfazioni! E Felicia, tesoro mio, guarda quanto sei bella quest'oggi, insieme a tuo marito. E' inutile nascondere che è successo tutto troppo in fretta e che non ci aspettavamo nessuno certi eventi, ma tu sei sempre andata avanti, con la testardaggine di tua madre.- 
La ragazza sta silenziosamente piangendo. Stretta al tedesco, non è più riuscita a tradurgli il discorso del nonno, perché l'emozione le ha impedito di parlare. 
-Non piangere, dai, fai commuovere pure me. 
Devo dire che sono stato bravo: siete venuti fuori che è una meraviglia. Ed il vostro rapporto, è qualche cosa di bellissimo. Spero che saprete trasmettere gli stessi ideali e valori- lo sguardo si posa un attimo su Romano, anche lui commosso, poi ritorna sugli altri -che io ho trasmesso a voi. 
Vorrei rubarvi altri due secondini e dire una buona parola per quel ragazzo. Felicia, ti prego ti tradurre. Ludwig è un bravissimo ragazzo. Io non lo conosco troppo bene, ma i tedeschi, non neghiamolo, non hanno esattamente una buona nomina al momento. No, no, nessuna discussione politica -che Dio mi fulmini se accenno a ciò!- ma vorrei dire che lui, malgrado la sua divisa, è una persona dolcissima ed educata. Lo stereotipo del soldato è volgare e rozzo, maleducato ed egoista. Io non l'ho mai visto mettere un dito su mia nipote senza la sua volontà. Anzi! Le è sempre stato vicino, in ogni momento, anche quelli più difficili, e non è facile, appena tornato dalla guerra ed io lo so, che non avresti voluto questo nemmeno tu. Ma dopotutto il nostro destino lo decide l'Altissimo, no?-
Lei, dopo aver annuito ed aver asciugato qualche lacrima con il dorso della mano, decisa a non rovinare il trucco, ha tradotto ogni cosa al giovane, con un sorriso dolce e quando sente parlare il nonno del fatto che Lud non l'abbia mai toccata senza consenso, il sorriso si fa più deciso e largo. Ludwig si limita ad annuire un paio di volte con fare serioso, osservando il suo interlocutore e la moglie, talvolta Romano ma non qualcun altro. 
-Perciò in questo giorno così importante, ti dico umilmente grazie- continua il vecchio facendo un leggero inchino. -Ed ora mi concedi un ballo con la mia bambina?- gli domanda ancora. Naturalmente, lui accetta. 
Nonno Roma mette via il bicchiere e si avvicina alla ragazza, porgendole la mano. Con lei, riprende le danze, intanto il tedesco beve un po' di vino, in silenzio, osservandoli con un piccolo sorriso. 
Una bambina gli tira la manica per richiamare la sua attenzione. Lui, sorpreso, abbassa lo sguardo, appoggiato sul muro e la osserva. -Mh?-
-Sei bello. Mi sposi?- domanda lei con fare da grande. 
La risata dolce di lui la indispettisce un po'. -Io dico davvero! I soldati sono belli, lo dice sempre mia sorella- continua imperterrita. 
Il ragazzo sorride scoprendo appena i denti bianchi e si abbassa per arrivare al suo livello. Le mostra la fede. -Mi sono sposato oggi- le spiega. -Con lei- indica la neo-moglie con un cenno del capo. 
La piccola sembra pensarci attentamente. Poi, fa cenno di aver capito. 
-Allora mi dai il tuo cappello?-
-Nein, non posso.-
Lei, allora, gli fa la linguaccia e scappa via a giocare con qualche altro bambino. Lui si rialza e cerca con lo sguardo l'amata. Adesso lei sta ballando con suo fratello e ride. 
Tra un ballo e l'altro, giunge la sera tarda ed arriva il momento di rimanere un po' da soli.
Sono andati tutti via, Aldo e Silvano stanno parlando in modo fitto fitto con Romano, sulla soglia d'entrata, ben attenti a non farsi sentire da nessuno. 
I novelli sposi si concedono l'ultimo minuto della giornata da soli, prima di aiutare il nonno a ripulire il salone ed il giardino. 
Il vento si sta alzando e facendo fastidioso, così lui le ha appoggiato sulle spalle la propria giacca, proprio come la prima volta che si sono incontrati, a quell'altro ballo.
-E siamo arrivati a fine giornata.... è stata bellissima- le dice lui. 
-Sì. Quando torneremo a Berlino, festeggeremo con i tuoi amici e con la tua famiglia, te lo prometto.-
-Sai bene che non accetterà nessuno il nostro matrimonio. Ma non importa. Mio fratello capirà, mi basta sapere di lui- continua guardando il cielo. Chiude gli occhi.
-Parleremo con Gilberte con tua madre. Lei ti vuole tanto bene, io lo so.-
-Ja? E come fai a saperlo?-
-Perché una donna certe cose le sente. E soprattutto, una madre vorrà sempre bene al proprio figlio. Voluto o non che sia. Sempre- appoggia la mano sul suo pancione e e le labbra sulle sue, in un altro lunghissimo e tenerissimo bacio. 

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Capitolo 21
*** Caos Resistente. ***


Caos.
Se si dovesse descrivere quella situazione con una parola, ‘caos’ sarebbe quella opportuna.
Romano non vede più i suoi compagni, dove saranno finiti? Sa che riusciranno a cavarsela, in un modo o nell’altro ci riescono sempre. E’ lui ad aver paura, ci sono così tanti soldati lì. 
Stringe al petto il suo fucile chiudendo un attimo gli occhi verdi. “Posso farlo. Sì, posso farlo –e devo” si dice. Si sporge un po’ dal muretto dietro il quale è nascosto e nota svelto un nazista di spalle. Avvicina l’occhio destro al mirino della propria arma, l’altro lo chiude. Gli tremano sempre un po’ le mani quando deve uccidere, ma sa che quello che sta facendo è giusto, ne è fermamente convinto. Dopo un momento d’esitazione, fa fuoco; il soldato tedesco cade a terra gravemente ferito, chiama i pochi compagni che gli sono rimasti, cercando aiuto, ma quelli non si muovo dai loro rifuggi.
“Figli di puttana, io farei di tutto per aiutare un mio compagno” pensa ancora il ragazzo, ritornando al coperto. Si volta notando una figura che si avvicina svelta. 
-Aldo! Sei impazzito? Stavo per spararti!- mormora con cuore che gli batte forte.
Dimostra sempre un gran coraggio, è bravo a nascondere tutto il terrore di fare determinate cose e questa è la sua salvezza.
-Facciamo la guerra ed ambiamo poi alla pace- mormora l’amico, un tipo bassino con i capelli neri e gli occhi dello stesso colore, intensi. Scuote la testa con rassegnazione, poi sgrana gli occhi e gli da una botta sulla spalla per richiamare la sua attenzione. –Romano! Guarda!- gli fa un cenno con la mano, notando una bambina con i capelli biondo cenere lunghi, che stringe al petto la sua bambola di pezza, anche se una bambola sembra lei stessa, nel suo vestitino blu a pois bianchi, con sopra il gilet beige. Ingenuamente, la piccolina, fa dei passi verso di loro, andando quasi a finire al centro di quel pezzo di rivoluzione. 
-Ferma!- grida il ragazzo con gli occhi verdi. Fa un rapido conto, poi si avvicina, ma prima che possa metterla in salvo, una SS le spara, sogghignando, prendendola sulla fronte. Cala il silenzio. 
Il partigiano rimane ad osservare il corpo esanime della piccola con gli occhi color verde muschio sgranati, fermo lì incapace di muoversi. Fa appena un passo, l’amico lo ferma.
-Roma! Dove vuoi andare? Non c’è più niente da fare; non fare nulla che possa metterci tutti in pericolo- gli dice serio.
L’altro digrigna i denti e da un pugno sul muro, nervoso, arrabbiato col mondo. –Figlio di una puttana tedesca…fottuto bastardo!- ringhia. Sente uno sparo. Si sporge un po’. Un soldato si è tolto la vita, sparandosi in bocca. Meglio morto che in mano ai partigiani. Ne rimane uno. L’assassino della bambina. 
Romano scrocchia le ossa delle mani e del collo, con un ghigno gli si avvicina minaccioso. Quello ride nervosamente. Altri partigiani si riuniscono in cerchio all’uomo, al bastardo, puntandogli contro il fucile. –Ci penso io- mormora lui. 
Fa ancora dei passi verso di lui e appoggia su delle macerie il proprio fucile, col piede allontana la pistola di fattura straniera. Con un destro ben assestato lo fa cadere per terra, dopodiché si siede quasi su di lui, continuando a picchiarlo. Le labbra dell’uomo presto si spaccano, il naso prende a sanguinare, nella zona degli occhi inizia a formarsi l’ombra di un livido. Ed il ragazzo continua, intanto quello inizia a vederci annebbiato, incapace di muoversi e difendersi. Ripensa a sua madre, a sua moglie, poi più a niente.
-Romano…- lo richiama qualcuno. 
-Romano, smettila. Non la riporterà in vita- dice la voce di un adulto che appoggia una mano sulla sua spalla, il fucile tenuto con una mano sola. Lo guarda negli occhi. E’ uno dei pochi che il ragazzo ascolta. Quest’ultimo si passa la mano sporca di sangue sul viso ed annuendo si rialza. Fa un paio di passi, poi si volta e da un forte calcio al cadavere di quel tipo.
Riprende il proprio fucile e fa dietrofront per la seconda volta.
 
Ben sette partigiani sono riuniti intorno al tavolo della villa de’ Vargas. 
C’è Romano, c’è Aldo, c'è Silvano, c’è quell’adulto, che ha circa quarant’anni e si chiama Ettore, poi ci sono Vittorio, Giuseppe, Francesco. 
Ettore con un sospiro appoggia una mano sulla spalla dell’ultimo nominato, un ragazzetto di quindici anni con gli occhi ambrati. –Guarda che se non te la senti, va bene, nessuno ti giudica.-
-Ma io voglio farlo!- ribatte quello, guardandolo negli occhi deciso.
Sulla tavola ci sono alcune mappe e pezzi di carta pieni di scritte in codice, i fucili sono scomparsi del tutto, nascosti chissà dove.
-Lo so, lo so che vuoi farlo. Ma è pericoloso. Hai visto cos’è successo oggi per l’errore di Romano- lancia un’occhiata eloquente verso colui che nomina, il quale incrocia le braccia al petto e distoglie lo sguardo. L’uomo riporta l’attenzione sul ragazzo. –E’ scoppiato un putiferio ed abbiamo dovuto affrettare tutto, il piano è andato in fumo. Stavolta ce la siamo cavata, ma la prossima volta potrebbe anche andare diversamente.-
Il ragazzino abbassa lo sguardo stringendo i pugni. Anche lui vuole fare Resistenza, cacciare i crucchi. Però la sorella maggiore e la madre hanno bisogno di lui. Scuote la testa e poi lo guarda negli occhi. –Quei porci nazisti hanno ammazzato mio padre. Devo farlo, per lui, ma anche per me stesso.-
-Beh… allora dobbiamo trovarti un degno soprannome- mormora lui scompigliandogli un poco i capelli. Non ha famiglia, se non quella partigiana. Non ha moglie né figli, né ne vuole. Perché mettere al mondo orfani? Sarebbe ingiusto, per tutti; già troppe sono le donne che hanno pianto. 
Il padrone di casa, Roma, sospira e appoggia le mani sul tavolo mugugnando sottovoce un: -Mi dispiace…- 
Aldo, suo migliore amico, appoggia una mano sulle sue spalla: -Non importa, Romà. Tutti sbagliamo.-
-Quella bambina… è morta per colpa mia. Se non avessi detto quella frase e non mi fossi fatto sentire da quei figli di puttana…- chiude gli occhi e si passa una mano sul viso.
-E’ inutile autocommiserarsi; pensa a tutte le vite che stiamo salvando- gli dice Silvano, allontanando la sigaretta dalle labbra. E’ un tipo alto e moro,  gli occhi verde smeraldo. E’ un tipo di poche parole, poche ma sagge. C’è da fidarsi, di lui, e tutti là dentro lo sanno. 
L’altro annuisce e si ricompone. 
Il più grande, il quarantenne, mette una mano sulla sua spalla. –Ogni tanto è normale crollare. Siamo umani.- 
Entrambi accendono una sigaretta, dopo ne offrono a Francesco, ma lui non sa ancora fumare. Glielo insegnano, lui si affoga e tossisce, dopo un po’ però s’abitua. 
Felicia entra nella stanza e porta una mano sul viso, tossendo e chiudendo gli occhi. 
Si avvicina alla finestra e la apre, fuori fa freddo, ma il cattivo odore di fumo deve andare via al più presto da quella stanza. Fa qualche passo verso il ragazzino e gli toglie di bocca la sigaretta, guardandolo con aria di rimprovero. –Sei troppo giovane per fumare!- gli dice, portando le mani sui fianchi. Il fratello ruba la sigaretta che lei ha tra le dita.
-Eh? Ma io sono un partigiano! Tutti i partigiani fumano!- ribatte lui, quasi imbronciandosi. –E poi dovresti pensare a tuo fratello, donna!- 
-Oh! Chi ti ha insegnato a parlare così ad un signora?- ribatte il maggiore dei due Vargas, avvicinandosi a lui e guardandolo negli occhi, abbassando il capo per riuscirci meglio data la differenza d’altezza.
-E’ stato Giuseppe!- mormora in risposta additando l’altro, un ragazzo di diciassette anni coi capelli castano-rossastri (sembrano cambiare a seconda della luce.)
-Ah sì? Pensi di poter parlare in questi termini a mia sorella, in casa mia?- lo guarda con aria di sfida.
Francesco lo guarda lievemente intimorito, poi però incrocia le braccia al petto. –Penso che tua sorella sia bellissima e che tu non sia capace di difenderla.-
Gli altri partigiani ridono di quelle parole, Giuseppe batte due volte le mani e lo indica: -Quello è il mio ragazzo!- dice in tono divertito. Silvano, quello che fuma, scuote la testa con un lieve sorriso.
Romano, colpito nella sua virilità e nel suo orgoglio, trasforma la smorfia seria in un piccolo ghigno. Un attimo dopo fa voltare il ragazzino bruscamente, portandogli dietro la schiena un braccio e spingendolo contro il muro. 
-Vedi di tenere la lingua a freno, prima che te la faccia ingoiare- sussurra al suo orecchio lasciandolo andare. 
La ragazza, divertita anche lei, si avvicina alla cucina. –Suvvia, non litigate- dice loro alzando la voce per farsi sentire. Prende delle tazzine dalla credenza e le sistema su un vassoio, dopodiché vi versa il caffè caldo, mettendo anche la zuccheriera e dei biscotti secchi accanto ad esse. Porta il vassoio di là e lo appoggia sul tavolo. Tutti gli uomini presenti mettono pochissimo zucchero nella propria tazza: conoscono la scarsezza della guerra e le rinunce che si è costretti a fare. Roma e Silvano prendono il caffè amaro, per fortuna, mentre Francesco ruba solo due biscotti che mangia lentamente, gustandoli per bene. 
In quel momento rientra in casa il tedesco, che era uscito, volendo starsene un po’ per conto proprio. 
Notando l’amata avvicinarsi, appoggia una mano sul suo fianco e le bacia dolce le labbra. Nota anche quei sette paia d’occhi tutti su di sé ma non riesce a giustificarli. Cosa sta succedendo? Chi sono quelli? Amici del cognato? Fa loro un cenno del capo. La giovane donna gli prende la mano e gli fa cenno d’andare con lei in salotto, ma nulla: Ludwig non vuole muoversi. Lei vorrebbe evitare che sappia, vorrebbe che lì dentro non scoppiasse una rissa, vorrebbe ognuno mantenesse per sé i propri ideali. Il soldato, si avvicina tuttavia  verso il tavolo ed osserva quei pezzi di carta, corrugando accigliato la fronte. C’è un chiaro simbolo antifascista che ha disegnato prima il quindicenne, in un momento di noia; sulla mappa della città ci sono disegnate delle croci nei punti in cui vi sono convogli tedeschi.
-Che significa questo?- domanda non riuscendo a staccare gli occhi dalle carte che ha tra le mani. 
I partigiani si lanciano occhiate d’intesa, uno di loro si fa avanti. Vittorio. 
-Questo cosa, tedesco? Non lo vedi? E’ una lista della spesa- appoggia le dita su un altro pezzo di carta e lo spinge verso di lui. Il biondo prende quel foglio con la mano libera. 
-Volete farmi credere che sei uomini ed un ragazzino siano riuniti su una lista della spesa?- li guarda negli occhi, uno per uno. –Romano?-
-Che ti frega, scusa?-
-M’importa, m’importa. Non posso permettere ci sono- rimane un attimo in silenzio, non trovando la parola giusta in quella lingua straniera. Dopo, continua: -…ci sono persone pericolose accanto mio moglie e mio figlio.-
-Impara l’italiano, poi mi fai la morale- ribatte quello, acido. Si appoggia al tavolo, le braccia strette al petto, lo sguardo alto e fiero. –Ti ricordo che sei un ospite.-
Lud sta per aprire la bocca, ma la ragazza lo interrompe. –Romano… smettila. E’ mio marito, ti ricordo. E tra poco ripartiremo, insieme- prende la mano del marito e la stringe, incrociando le loro dita. Mormora quelle parole come per dire: 'Ancora un po' e sarete liberi di riunirvi, abbiate pazienza.'
-Con che coraggio torni in Germania, dai nazisti? Ti vuoi alleare con quelli? Non ti basta averne sposato uno?!- sbotta, il minore presente tra loro. Subito si becca brutte occhiatacce. 
-Francesco!- lo rimprovera Vittorio, dandogli un sonoro scappellotto. 
-Nein. Continua- esclama il ‘nazista’, avvicinandosi a lui, le braccia incrociate. –Qual è il tuo problema?-
-Sei uno schifoso nazista! Come quelli che hanno ucciso mio padre! Io sono un partigiano, non posso rimanere zitto.-
-Tu sei cosa?- domanda retorico il più alto, guardandolo alquanto scettico. –Sei un ragazzino, non puoi essere un partigiano.-
-Forse non sai che qui in Italia abbiamo molto più coraggio che là, a Berlino. Sono un partigiano, sì. E ne vado fiero!-
Ettore si avvicina a lui e lo guarda severo, ma guarda ancora peggio lo straniero. 
Prende la parola. -Sì, è vero. Lui è un partigiano, e anche noi lo siamo.- 
Tutti gli altri lo fissano sorpresi, persino Silvano si distrae dalla sua sigaretta e lo guarda stupito. Quello continua il suo discorso: -E mi stupisce che tu non ti sia accorto di nulla.-
-Supponevo questo fosse una casa apolitica. Non ci sono manifesti in giro né si parla di questa guerra. Non pensavo qui si nascondessero dei partigiani.-
Romano s'intromette nel discorso e si avvicina a lui. -Noi non ci nascondiamo. Semplicemente, non potevano dire ad un nazista che siamo qui, o avresti fatto rapporto ai tuoi superiori.- 
Ludwig non da troppo peso alle parole del cognato, non al momento. Il suo sguardo saetta veloce su Felicia. -Tu lo sapevi?- lei non sembra rispondere, perciò le rifa la domanda, alzando la voce. Roma scatta e sta per rispondergli davvero molto male, magari è la volta buona che lo può buttare fuori di casa, definitivamente. Però no: una mano di adulto lo ferma. Il nonno, che è anche lui appena arrivato. -No, Romano. E' una cosa che devono risolvere da soli.-
La ragazza chiude gli occhi per un attimo, poi gli prende la mano per portarlo di là. Lui scioglie quella presa, ma la segue. 
Non vanno in salotto, perché è troppo vicino alla cucina,  si allontanano ancora di più, infilandosi nello studio di Nonno Roma, un posto pieno di libri e modellini che lui stesso ha costruito. 
-Lasciami spiegare.- 
-Hai tre minuti- risponde lui, in tedesco. 
La ragazza nervosamente passa le mani sullo schienale di una sedia, non guardandolo. -Come ha detto mio fratello... avevamo paura che tu ci denunciassi. Sei un soldato, un ottimo soldato, e non disubideresti mai agli ordini, ti conosco. Oltretutto, in un certo senso, vanno anche contro la Germania. Vogliono che Mussolini lasci l'Italia, lo vogliono morto. E vogliono rompere il Patto d'Acciaio.-
Il tedesco rimane in silenzio per un lungo minuto, annuendo lentamente. 
Lui ha sempre rispettato le regole, ogni volta, in ogni occasione. E sarebbe disposto a farlo ancora e ancora, anche perché fare il contrario sarebbe uguale a firmare la propria condanna a morte per fucilazione. Ed, eventualmente, anche per quella per la propria famiglia. 
Lui è così rispettoso della patria, che rimprovera il fratello ogni volta che fa qualcosa che non dovrebbe, come prendere l'aero dopo l'orario concesso, per andare a volare un po' per rischiarire le idee. 
-Credi davvero che vi avrei denunciato? Felicia, sei mia moglie. Te lo sei dimenticato? Tuo nonno mi ha trattato come uno di famiglia. E tu credi davvero che vi avrei messi tutti in pericolo? Non avrei mai sporto denuncia contro tuo fratello.- 
La ragazza lo osserva spalancando gli occhi. -Ludwig, ma potrebbero fucilarti o impiccarti...-
-E allora? Fucilerebbero voi tre, se parlassi. Il punto è che tu ancora non ti fidi di me e mi hai di nuovo mentito- mormora avvicinandosi a lei, lentamente, gli occhi sui suoi. 
-Hai ragione...- risponde lei chinando il capo. 
-Ja, ich weisse. Und du... non ti fidi di me. Non ci posso credere, pensavi che vi avrei messo nei guai... sono tuo marito!-  le dice alzando la voce e sbattendo entrambe le mani sul tavolo, producendo un rumore sordo. -Voglio la tua felicità, non la tua rovina! Domani dobbiamo tornare a Berlino. Voglio sapere una cosa. Mi dirai altre bugie? Perché se è così, rimarrai qui. Partirò da solo. Se prometti... Felicia, se mi giuri che non mi nasconderai mai più nulla, io...-
L'italiana lo interrompe e gli si avvicina prendendo la mano tra le sue, annuendo. -Avevo paura di dirtelo. Non volevo metterti nei guai. Adesso che lo sai... sei in pericolo anche tu. Nemmeno mio fratello e il nonno volevano dirmelo, ma poi lo hanno fatto. E l'avrei fatto anch'io. Ho sbagliato a tenertelo nascosto e mi dispiace. Ma questo è l'unico segreto. Per il resto, sai già tutto.-
Lui la guarda negli occhi, sembra sincera, ed effettivamente lo è. 
-Sei sicura? Non c'è nulla che tu voglia dirmi?-
Felicia ci riflette sopra. Deve dirgli qualcosa in particolare? Non vi è alcun mistero legato alla morte dei suoi genitori, non vi è nulla legato alla casa né a nonno e fratello. 
Qualcosa che ha fatto? Beh, forse una cosa c'è. 
-C'è una cosa, ma non è nulla di grave. Ad ogni modo, te lo dirò. Ho fatto un corso da infermiera, per loro, per curare le loro ferite. E, beh, sarei voluta andare al fronte per aiutare gli altri soldati. Avrei voluto aiutarli più attivamente; recuperare informazioni stando a contatto con i soldati. Fin da piccoli il nonno ci ha fatto crescere con i giusti ideali, ci ha messo in mano delle armi e ci ha insegnato ad usarle.  No, non c'è altro che devo dirti. Adesso sai tutto. Tutto quanto. Te lo giuro.- 
Il giovane soldato annuisce lievemente. Si sposta da lei e fa qualche passo nella stanza per calmarsi, avvicinandosi dunque alla finestra. Alza lo sguardo per osservare il cielo nuvoloso, sente i tuoni far tremare il vetro.
-Ti.. ti lascio un po' da solo- mormora lei avvicinandosi verso la porta ed appoggiando la mano alla maniglia. 
-No. Voglio parlare con loro- dice serio. Si passa una mano tra i capelli, le si avvicina e la supera, chiedendole poi a bassa voce: -Vieni con me. Avrò bisogno di qualcuno che mi traduce.- 
Mentre loro discutevano, i partigiani si sono zittiti. 
Francesco ha un po' paura che l'altro li denunci, ma sta in silenzio anche lui, perché non vuole far capire il suo timore, che comunque è condiviso da tutti gli altri. 
Sono forti, e coraggiosi, ma sono uomini, essere umani, e tutti quanti temono la morte.
Per cui si lanciano qualche occhiata,  e se devono parlare, lo fanno a bassa voce. 
Il ragazzino ha la voce rauca quando, finalmente, si decide a parlare e si rivolge a Romano. 
-Ci denuncerà tutti?-
L'altro ci pensa un attimo. Socchiudendo un poco gli occhi, scuote la testa. -Non credo gli convenga. Siamo sette, lui è da solo. Oltretutto, se lo facesse, metterebbe nei guai anche Felicia... non credo sia così bastardo da condannare la propria donna a morte certa.- 
Quelle parole non tranquillizzano troppo il quindicenne, che però annuisce e torna a guardarsi le punte delle scarpe, con fare critico, come per distrarsi e non pensare a nulla. 
Ettore si avvicina a lui, lo vede un po' come un figlio, così con un braccio lo stringe a sé. -Non preoccuparti, andrà tutto bene- gli dice osservandolo. 
Aldo sembra invece non riuscire a stare fermo. Si muove nervoso su e giù nella stanza, una mano, la sinistra (è mancino), tra i capelli. Ha sempre detto che il destino se lo creano gli uomini. Forse avrebbero dovuto fare più attenzione, si sarebbero salvati. Ma non è andata così e oramai non c'è più molto da fare. 
Quando vedono entrare lo straniero, lo guardano, tutti serissimi. 
-Voglio capire- dice lui nella lingua madre, la ragazza che traduce sottovoce -perché l'avete fatto. Voglio sapere perché non approvate ciò che mette in pratica il fascio e cos'avete intenzione di fare per far capitombolare Mussolini. Dopodiché, potrei anche aiutarvi.- 
Felicia si zittisce osservandolo stupita e quando traduce tutti, tutti quanti, lo guardano con gli occhi spalancati, con espressioni incredule. 

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Capitolo 22
*** Parlatemi di voi. ***


Lo stanno fissando abbastanza insistentemente, è vero, e questo forse lo infastidisce alquanto. Ma sono così stupiti! 
Ludwig li osserva, uno per uno, puntando gli occhi azzurri, gli occhi puri, ariani, su di loro. 
I partigiani si scambiano un'occhiata d'intesa, tutti quanti, Francesco compreso. 
Il ragazzino decide di fare silenzio, ha già fatto abbastanza e adesso occorre parlare chiaramente, per convincere quel giovane ad aiutarli. Una mano in più fa sempre comodo.
Forse sarebbe il caso che Ettore inizi quel discorso abbastanza complesso, perché è il più adulto ed il più maturo.
-Sai, Ludwig -Ludwig, vero?- domanda per conferma. Vedendolo annuire, continua. -Siamo del parere che la libertà sia la cosa più bella.
Un tempo eravamo così tranquilli per le vie della nostra città, ma adesso abbiamo dovuto imparare a tenere lo sguardo basso, stare in silenzio, per paura. Le mamme non mandano più i bambini a giocare fuori, ci stanno i tedeschi, ed hanno paura; i vecchi non vogliono stare da soli e rivivono la Grande Guerra ogni giorno; siamo controllati, a vista, momento per momento. Avevo un amico, un ottimo amico. Siamo cresciuti insieme, per anni abbiamo cenato alla stessa tavola e fumato dallo stesso pacco di sigarette. Un giorno, un mattino, lo vidi andare in giro con una stella gialla sul petto. "Amico mio" gli dissi. "Che male ti è capitato?" Lui mi sorrise e mi disse che gli avevano detto di farlo, lo avevano detto a tutti gli ebrei.Il suo bambino, Samuel, aveva appena tre anni e già aveva quell'enorme cosa sul petto. Anche sua moglie ne aveva una, e così tutti i suoi parenti.- 
Il giovane tedesco lo osserva, non capendo dove voglia arrivare. 
-Era un ebreo, è ovvio che debba portare quel segno di riconoscimento.- 
-Dovremmo portarne tutti uno. Il tuo Furher dovrebbe portarne uno con su scritto 'Inetto', per esempio- s'intromette Aldo, sfidandolo con un'occhiata. 
Allora lui scatta in avanti, si trattiene soltanto perché la moglie appoggia una mano sul suo braccio e gli sussurra di calmarsi e di non fare gesti affrettati. 
Il quarantenne, ammonisce con uno sguardo il comunista, tornando poi al biondo. -Fammi finire, per favore. Ti dicevo, questo mio amico, Bartolo, un giorno sparì. Non lo vidi più. E sai dove lo avevano portato?-
-Dov'è giusto che stia.-
Felicia lo osserva scioccata. 
Sa bene che gli hanno fatto il lavaggio del cervello e che ha certi problemi con la razza ebraica, ma... arrivare a dire questo. E' stato a tal punto soggiogato?
-Cosa sai, tu, dei campi?- domanda l'adulto. Romano intanto lo osserva, con sguardo fisso nella sua figura. Spera non faccia un altro passo falso, o stavolta lo butterà fuori di casa, una volta per tutte. Non aspetta altro. 
-Non è così male. Ci sono degli ambienti ricreativi, là dentro. Purtroppo... ci stanno gli ebrei- risponde lui, ricomponendosi svelto.
Silvano e Roma si lanciano un'occhiata e le loro labbra si tendono in un sorriso appena accennato.
-Tu- lo indica il cognato avvicinandosi a lui. -Sono solo stronzate. Un partigiano è riuscito a scappare di là. Si è sparsa subito la voce: sono posto del cazzo per gente onesta. Fanno lavorare uomini e donne per ore, si spaccano la schiena, quei poveretti; e per cosa? Un tozzo di pane, quando va bene. Molti si ammalano di quella che tra le SS viene chiamata...-
-Judenfieber, febbre ebrea. Sarebbe il tifo- interviene Ettore. 
-Sono percossi, umiliati, maltrattati, lasciati morire. Tu non hai idea di cosa i nazisti facciano loro- gli serio Romano, dopo aver annuito, parlando lentamente, perché stavolta deve capire tutte le parole, è importante. 
-Non è vero. Che ne sapete se quello non vi ha raccontato cazzate? Ci hanno spiegato, cos'avviene là dentro. Non è così male. Anzi: forse sono troppo clementi, i miei Kameraden.- 
A quelle parole, la giovane donna, che quei racconti li ha sentiti più volti, con più dettagli, esasperata gli si mette davanti e lo guarda negli occhi. -Ludwig! Per favore...- gli sussurra. Prende la sua mano tra le sue e l'appoggia sul suo ventre. -Quello che è successo a me, in confronto a quello che passano gli ebrei stipati nei campi ogni giorno, è ben poca cosa.-
Accarezza dolcemente l'arto pallido del marito, le lunghe dita affusolate e chiare, fissandolo con i suoi occhi nocciola, sinceri.
-Picchiano i bambini. E Dio solo sa cos'altro gli fanno...- lascia intendere di nuovo l'altro ragazzo, distogliendo gli occhi verdi per poi chiuderli.
Vittorio, il giovane che si è preso cura più di tutti del quindicenne, quello che aveva passato al biondo il bigliettino con la finta lista della spesa, interviene. 
-Vogliamo liberare quei bambini -liberare l'Italia. Vogliamo che le nostre donne possano camminare libere per le strade, che i bambini possano giocare. Vogliamo che quello che è accaduto a Felicia non accada mai più e vogliamo inoltre che il suo bambino, che il vostro bambino, possa vivere un'infanzia felice. Tu non lo vuoi, tipo?- gli domanda, le braccia incrociate al petto.
Ludwig ha una serie di pareri contrastanti ed inizia a sentirsi molto confuso.
Da una parte, l'amore per la sua patria. Dall'altra, per la sua donna.
Da un lato, le parole ripetutegli in una lingua che poco capisce, quella dei suoi superiori, che gli fanno vomitare la paura ogni giorno, quando gli gridano sotto la pioggia di essere un soldato, quando gli dicono d'uccidere. Gli tremano più le mani quando scrive lettere per la sua bella che quando preme il grilletto. E dal lato opposto c'è l'immagine di quei bambini, la riflessione su di essi, ché non è la prima che giunge alle sue orecchie. Già aveva sentito dire una cosa del genere, a Berlino, e quella persona poi era scomparsa. Coincidenza? Inizia a pensare che non lo sia. 
E se qui ha gli occhi sinceri della moglie e sente i piccoli e spontanei movimenti del suo bambino mentre accarezza con le mani da militare il pancione, in quell'altra città, sa che sta continuando la guerra. Gli ebrei sono Untermenschen, subumani -quante volte lui e gli altri appartenenti del Reich li hanno definiti in questa maniera? Tante; troppe. Eppure adesso si parla di libertà ed ideali. La scelta che farà adesso, seguire quelle belle parole, gli cambierà per sempre la vita e non sa se è un rischio che vuole correre.
In un momento ci pensa: e se avessero ragione? Deve fare finta di nulla e continuare ad indossare la sua bella divisa della Wehrmacht? Certo non ha avuto possibilità di scelta, ha dovuto arruolarsi e metterla tutti i giorni, tirata a lucido, insieme agli stivali e al berretto verde-grigio. La sua Nazione, il suo Führer, suo padre, gliel'hanno imposta. E lui forse non si è dispiaciuto abbastanza. 
-Ludwig, apri gli occhi. Sono già tanti gli ebrei deportati. Pensa ai bambini ed alla tua dignità. Li lascerai morire?- la voce di Roma interrompe quei suoi pensieri. E' la prima volta che lo chiama per nome. Non ha tempo per fare il bambino e prenderlo in giro. Il tedesco, senza neppure accorgersene, ha abbassato lo sguardo e ha contratto il viso in una smorfia pensosa. 
Quello, non sentendolo rispondere, continua: -Lascerai che tuo figlio cresca tra le vie di Berlino, piene degli stessi soldati, quelli con la divisa nera, che hanno violato la tua donna nonché mia sorella? E se suo padre, quello vero, si avvicinasse a lui?-
La sorella china lievemente il capo e scioglie la presa con la mano del marito. -Romano, smettila...- gli sussurra.
Non riesce ad immaginare che il suo bambino sia preso tra le braccia di qualcuno di cui non si fida affatto, qualcuno che si è approfittato di lei. Prega già oggi giorno perché non gli somigli, perché deve anche angustiarsi per quell'ipotetico incontro? Oltretutto, non è nemmeno detto che Enrich non voglia prendesi la responsabilità di padre. Sì, è vero, finora non si è mai preso la briga di avvicinarsi a lei per parlare della questione -per fortuna, perché il biondo lo avrebbe picchiato, stavolta per davvero- ma se un bel giorno arrivasse e portasse via il piccolo (o la piccola), cosa potrebbero farci loro due? 
Sarebbe un incubo. Un incubo cui nessuno ha voglia di pensare.
Il fratello si allontana dal tedesco e si zittisce, fa solo qualche passo indietro per lasciarlo riflettere. 
-Mettiamo caso che il vostro Duce non governi più. Chi mettereste al suo posto? Ci avete già pensato?- domanda lui. 
Aldo è pronto per rispondere. -Il partito comunista!- esclama con convinzione.
E Vittorio ribatte con tono vago: -Beh... si deciderà. Vogliamo una democrazia.-
-Democrazia?- domanda lo straniero e si volta verso la moglie perché lei traduca. Poi continua. -Non funzionerà. La democrazia non funziona mai.-
-Vedremo- gli concede Ettore. -Allora, sei con noi?- 
-Ho bisogno di riflettere.-
E deve farlo in fretta, perché questo è il suo ultimo giorno in Italia.
Necessita di stare un po' da solo, per schiarirsi le idee. Si congeda con un'ultima occhiata ed esce dalla stanza.
Felicia vuole dapprima lasciarlo andare, poi però lo segue svelta, infilandosi il cappotto prima di correre da lui, fuori dall'abitazione. Ha un vestito beige e sulle spalle porta un giacchettino di lana blu scuro. Fa molto freddo, ma l'agitazione le fa pensare a tutt'altro.
Lo nota di spalle, ha una mano in tasca, mentre l'altra è vicina la bocca. Non vede cosa stia facendo, tuttavia una nuvoletta di fumo grigio glielo fa intuire. 
Si stringe un poco nel cappotto elegante, piuttosto lungo, e lo affianca non standogli comunque troppo vicina. Guarda davanti a sé un punto indefinito, pensosa, intanto che sistema una ciocca di capelli scuri per bene nell'acconciatura. 
-Amore... -
Lo ha sempre chiamato così. 
Amore, amore, amore. Non aveva mai pensato di poter chiamare qualcuno in questa maniera, eppure da quando lo conosce quella parole è uscita più volte spontanea dalla sue labbra. Forse perché quello è stato un fidanzamento fatto proprio per quel sentimento prima citato e non per interesse, come invece succede a molte sue amiche. E' per questo che si ritiene molto fortunata. Il nonno ha sempre lasciato liberi sia lei che il fratello, è stato sempre fiducioso nei loro confronti ed oggi è fiero della scelta della nipote. 
Ludwig si volta appena verso di lei con uno sguardo che significa: 'Avanti, spiegami, ho voglia di capire; parlami di loro e di quello che fate.' 
E lei lo capisce come poche persone potrebbero capirlo, hanno complicità, sia nei piccoli gesti che nelle grandi cose.
-Io sono d'accordo con loro. Quello che fanno in quei campi, non è umano- gli dice volandosi ora verso di lui, le braccia strette al petto. 
-Felicia... come puoi chiedermi di rinnegare la mia Patria? E con essa la mia famiglia ed i miei compagni. Come potrò guardarli in faccia, se li tradirò a tal punto?- le domanda retorico, con un piccolo sospiro. Chiude appena gli occhi, forse perché non riesce a sostenere quegl'occhi scuri e belli.
-E come potrai guardare tuo figlio, sapendo che a quei bambini viene rubata l'infanzia e nessuno fa nulla per ridargliela?- ribatte lei, forse troppo dura nei modi, le sue sopracciglia si inarcano appena. 
E' la prima volta che lui la delude. 
Ha sempre saputo che il biondo ha l'animo buono, pure, gentile. Allora perché si comporta in modo così spregevole? Perché chiude gli occhi davanti a tante atrocità? Non riesce a crederci. 
Lud lo sente. Probabilmente quello sguardo è il primo segno di disapprovazione, come un allarme che non smette di suonare e lo assorda, la testa che gli scoppia, così come sembra fare il cuore nel suo petto. 
-Felicia...- la chiama, quasi supplicandola di aiutarlo a prendere una decisione. 
Ripensa per un momento alla sua famiglia, a suo fratello.
Quella calunnie sarebbero giunte presto anche contro il fratello. Ed è in questo momento che capisce che sì, deve aiutare i partigiani, perché nessuno può prendersela con Gilbert. 
Oltretutto, è lo stesso albino che non approva il regime dittatoriale imposto da Adolf Hitler. 
Lui vola, e vola per il Reich, è vero. Ma lui vola soprattutto per sé stesso, gli da quel senso di libertà che non ha mai trovato in altri contesti. Ha bisogno di volare, per cui benedirà chiunque gli metta a disposizione un aereo, che sia comunista, nazista, fascista, partigiano. Certo vorrebbe avere motivi più nobili, vorrebbe poter credere a quella guerra, però non ci riesce. Non gli importa. S'alzerà da terra comunque. 
-Va bene- mormora il tedesco dopo un'infinità di tempo. -Va bene, vi aiuterò.-
Non riesca a credere di aver accettato.
L'italiana, felicissima, lo abbraccia forte e lo stringe a sé accarezzandogli un poco i capelli. 
-Grazie...- si sente in dovere di dirgli. -Grazie.- 
-Non lo faccio per te. Lo faccio per me stesso. E per il mio bambino- risponde lui, accennando un sorriso.


Note.
Scuuuusate il ritardo! Ma mi è venuta l'influenza e il mio cervello è andato in pausa! >.<
Spero questo capitolo vi sia piaciuto, lo dedico a chi mi segue da sempre. E spero che abbiate colto un nuovo lato di Ludwig... anzi, due nuovi lati. 
Grazie di aver letto. :) 

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Capitolo 23
*** Ritorno alla Madre Patria. ***


Ha preso una decisione ed ora dev'essere pronto ad accettare qualsiasi conseguenza gli si ponga davanti. 
E' cosciente di aver preso sulle proprie spalle troppe responsabilità, tuttavia non se ne pente. E forse, sarà meglio mantenere il segreto, persino col fratello albino. 
Le cose ad ora in avanti andranno sempre a complicarsi e lui sarà costretto a vivere nel timore di essere scoperto, ma è un rischio che è disposto a correre se servirà un domani per far vivere in un mondo più sereno il suo bambino e la sua bella moglie.
I partigiani si sono da subito approfittati di lui: hanno bisogno di molto, di rifornimenti, di sapere quali gruppi di nazisti si spostano per raggiungere l'Italia, dove andranno di preciso, in quanti sono e che faranno; occorrono loro dei documenti ed informazioni molto più precise sui campi e sui proprio compagni di quanto abbiano in mano adesso. 
Ludwig non è stupido. Non si lascerà usare da loro. Sa, per altro, che le informazioni che pretendono loro, quei fascicoli circa i partigiani catturati, sono racchiusi negli uffici governativi del Terzo Reich, impossibili da raggiungere per un soldato semplice come lui. Fosse stato qualche grado più in alto, nella gerarchia nazionalsocialista! 
Ha molti pensieri per la menti, proprio ora che è su un treno e sta tornando nella sua bella Berlino, la città che ha sempre amato e che, adesso, gli pare un po' troppo mutata; la città che lo ha visto crescere e lo ha cresciuto a suo piacimento; la città governata ora da dilettanti assetati di soldi e potere, di gloria e ricchezze, di bellezza e purezza; la città capitale dell'impero millenario che si prepara a crescere e che inizia a muovere incerto i primi passi nel mondo reale.
Berlino non ha paragoni, Berlino è bella e lui sorride lievemente quando il mezzo di trasporto si ferma alla stazione e prende svelto le valige, per scendere. Appoggiate esse sul suolo, tende una mano verso la giovane donna per aiutarla a raggiungerlo; lei, che tra poco entrerà al sesto mese di gravidanza, prende quella mano come se fosse sempre la sua unica speranza e con un sorriso che dice tutt'altro, scende lenta le scale, appoggiando una mano sul pancione, per protezione, che oramai non si può più nascondere. Ma lei è una gran dignità ed è proprio bella da vedere, sebbene abbia i piedi un poco gonfi, così come il seno. Porta il bambino dentro sé come se quel pesante fardello non le pesasse per nulla, continua a camminare a testa alta, con eleganza.
Hanno litigato ancora, la sera prima. 
Il soldato non avrebbe voluto andare a vivere nella casa che ha ospitato lei per anni, in Germania, perché è lui che dovrebbe darle un tetto sopra la testa, lui che è un uomo, e non il contrario. Lei, però, non avrebbe accettato per nulla al mondo di vivere da sola, una volta sposata, in quell'appartamento bello ma vuoto. Così lui si è trovato costretto ad accettare, ma ad una condizione: le darà un posto dove stare diverso, più bello e più grande, appena potrà, giusto il tempo di inventarsi qualcosa. 
Giunti nell'appartamento, il ragazzo ha subito qualcosa da fare. Le da un bacio dolce, dopo però si congeda e sebbene sia stanco, fa dietrofront ed esce di nuovo. 
Ha bisogno di affrontare prima possibile una situazione delicata: deve dire a sua madre, ma soprattutto a suo padre, del suo matrimonio. Non sarà semplice. 
Ulrich è un uomo tutto d'un pezzo, rigido, severo, autoritario, fermo. Non accetta che quella donna, italiana, porti disordine e disonore alla sua famiglia. E' soldato, e lo è sia fuori casa che dentro; è il perfetto stereotipo di quegl'anni. Non spende mai una parola dolce per sua moglie che, malgrado l'età stia avanzando, è comunque molto bella. O per i suoi figli, entrambi ottimi soldati, uno dei quali, il maggiore, ha già preso diverse qualifiche e alcuni riconoscimenti come aviatore. 
Ludwig non ha più timore di lui, ammesso pure che un tempo lo abbia avuto. Se può infrangere le regole del Reich, può sostenere un momento in più lo sguardo di suo padre. 
Ed è dunque ora che si avvia verso la villetta dai toni neoclassici, disposta su due piani di elevazione,  che conta un piccolo giardino e parecchi domestici che, forse, più che domestici sono schiavi ebrei. Il capofamiglia è un soldato di alto grado, non si può permettere che questo.
Per (s)fortuna del giovane ragazzo, la casa non è troppo lontana, anzi, piuttosto vicina. In pochi minuti, forse dieci, percorsi lentamente, forse quindici, si ritrova davanti la porta di casa, tutto imbellettato nella sua uniforme più bella. Bussa alla porta. 
E' una ragazza dal viso scarno che apre, le guance infossate, la paura negli occhi scuri. I capelli legati in una crocchia castana, le coprono con due ciuffetti le tempie. Spalanca maggiormente la porta e sottomessa lo saluta con educazione, come prostrata al suo cospetto. 
Lui fa un cenno -sì, ricambia il saluto, perché lei gli fa troppa pena per ignorarla- e le consegna delicato il cappotto, perché lo sistemi.
-Mein Vater?- le domanda a bassa voce.
La domestica sussurrando gli fa capire che è in salotto, ricoprendo la frase con vari appellativi quali 'signore' o 'padrone' a cui lui fa ben poco caso. 
Si avvicina al salone, gli stivali neri, tirati a lucido per l'occasione, producono un ticchettio sordo a contatto con il parquet. Con le mani in tasca, lui continua ad avanzare fermandosi a pochi metri da lui. 
I capelli castani dell'uomo hanno qualche sfumatura ormai bianca e sono l'unica cosa che si vede dalla sedia sulla quale è seduto, tutto attento al giornale che ha tra le mani. Su di esso, un enorme manifesto della Hitlerjugend, la Gioventù Hitleriana. Un bambina con lunghe trecce bione e l'elmetto sulla testa, lo sguardo fiero, gli occhi turchesi. 
-Guten Tag, Vater- lo saluta con tono di voce pacato. 
Ulrich toglie gli occhiali dal naso e li appoggia insieme giornale appena ripiegato sul tavolino. 
-Ludwig. Cosa ci fai a Berlino? Scappare come un topo, non si confà forse più alla tua persona?- domanda con una nota acida nella voce, scrutando la figura del figlio, il quale, non si trova affatto d'accordo con le sue parole.
-Nein, Vater. Avete ragione: non si confà alla mia persona. Per cui, non l'ho mai fatto- risponde a tono, una breve pausa, poi continua. -Ho passato la mia licenza in Italia, con colei che ho dichiarato davanti voi di amare, e non vi ho dato alcuna notizia, non perché me ne vergognassi, ma perché voi avete esplicitamente chiesto che non ve ne venga data alcuna circa "quella donna", come voi stesso l'avete definita.-
Il biondo non è così. Solitamente, non risponde al padre, rimane in silenzio, incassa il colpo senza dire una parola, quasi sottomesso. E' sempre stato Gilbert quello che alzava la voce e rispondeva, quello maleducato che non si lasciava mai mettere un piede in testa. Tuttavia, e si sa, la guerra ribalta le situazioni. Per cui ora, il capofamiglia, si ritroverà ben due giovani soldati che sanno tenergli testa e questo, inutile negarlo, lo apprezza molto. Non ha mai voluto due smidollati come figli. Gli piace vedere il coraggio e l'iniziativa nei loro occhi, ha sempre premiato questi atteggiamenti. Li vuole forti, e li vuole fortificare. Motivo per cui, ora, si sente soddisfatto di quelle parole, ma si mostra ugualmente adirato. 
-Tu! Come osi parlare così a tuo padre?- gli chiede, forse retorico, alzandosi in piedi ed muovendo dei passi nella sua direzione.
-Non vi sto mancando di rispetto. Ma non posso mancarne nemmeno verso me stesso. Ho una dignità e ci tengo a preservarla. Devo fare quello che voglio, non quello che gli altri vogliono io faccia.- 
A queste parole, lui, più adulto, assottiglia lo sguardo con finta disapprovazione. Tutta una maschera, la sua. 
Il secondogenito, continua il suo discorso. -Dunque, pochi giorni fa, ho fatto di quella donna mia moglie, così come farò di quel bambino mio figlio. E se non vi sta bene, padre, io...-
-Tu?- sbraita l'altro, incitandolo a continuare.
-Io non potrò farci molto. Mi piacerebbe però che riusciate a darle una possibilità, perché lei non vi ha fatto volontariamente alcun male.- 
-E vediamo, dunque- conclude lui -come sarà questa donna. Domani sera. Sarà l'unica possibilità che vi darò, sappiatela usare bene.- 
Sulle labbra del biondo si dipinge un piccolo sorriso, che lui provvede subito a spegnere. -Vi ringrazio- sussurra, poi, va via. 
 
 
 
 
La camicia, appena tolta, lascia scoperto il petto pallido sul quale v'è ancora l'ombra di alcune delle cicatrici che la guerra gli ha imposto. Se ne andranno, ma ci vuole tempo. E' un periodo difficile, e forse la felicità non è questa ma non cambierebbe la sua vita con quella di qualcun altro, forse qualche mese fa l'avrebbe fatto, ma non adesso. 
Felicia entra in camera e gli si avvicina, tanto da appoggiare una mano sulla sua schiena ed osservarla, con qualche minuto di silenzio. Dopo si decide a parlare.
-Se ne andranno mai, i ricordi legati a queste?- chiede più a sé stessa che al marito, che si volta e prende la sua mano nella propria. 
-Non credo- sussurra scuotendo la testa. Appoggia la fronte alla sua e chiude gli occhi stanchi.
-Che ti ha detto lui?- aggiunge la ragazza, accarezzandogli teneramente una guancia.
-Domani sera metti il tuo vestito più bello, perché ci ha invitati a cena.-
L'italiana annuisce e gli bacia una guancia, adesso che lui ha riaperto gli occhi e la sta guardando. -Vestiti, la cena è quasi pronta, amore.-
Amore, amore, amore... 
Quante volte lo ha chiamato così? Quante altre lo chiamerà? 
Non riesce ad immaginare di rivolgere quella parole così dolce a qualcun altro. 
Voltatasi, ritorna in cucina, dove da attenzione alla cena che ha preparato con le poche cose che aveva in casa. 
Il soldato torna da lei dopo poco ed insieme, consumano la loro cena, silenziosi.
 
 
Il sole sembra nascondersi timido tra le nuvole quel giorno, eppure non fa fresco.
L'italiana passeggia tra le vie di Berlino con un sacchetto non troppo pesante, sta facendo un po' di compere, ha una lista mentale di roba da comprare, verdure, frutta, carne. 
Il soldato quella mattina ha aperto gli occhi prima del solito ed è uscito di casa con l'uniforme, perché finito il breve periodo di licenza, gli hanno subito affidato qualche altra cosa da fare. Il Reich non perde tempo quando si tratta di addestrare gli uomini come se fossero cani. I tedeschi non sanno stare con le mani in mano. 
Le ha lasciato dei soldi che adesso lei sta spendendo per la spesa. 
Ha un po' paura per quella cena. Non sa bene che genere di persone sono i genitori del marito, ma sa bene che persone sono i  tedeschi, quando si tratta di organizzare eventi così formali.
Sente nell'aria un'atmosfera diversa, che non capisce subito, così, incontrata una certa Josephine, chiede a lei informazioni.
-Sono tutti eccitati per l'imminente ballo che avverrà il prossimo fine settimana- le spiega lei, iniziando poi a darsi delle arie. Quell'evento è riservato solo agli ufficiali e lei, una tipa bionda con gli occhi scuri, è sposata con uno di loro e sta già facendo confezionare un vestito adatto all'occasione. 
"Ma brava, ridi, vattene al ballo. Domani, quando il vostro Furher capitombolerà, saremo noi sul carro dei vincitori" pensa tra sé sorridendo la mora, mostrandosi felice per lei. 
E' invidiosa, sì, perché vorrebbe anche lei prendere parte al ballo e danzare col marito, ma lui è un soldato semplice e sono pari a zero le possibilità che venga invitato ad una serata simile. 
Tuttavia, se gli ufficiali sono impegnati a volteggiare qua e là con le loro dame, gli uffici governativi, saranno pressoché deserti. Ottimo. 
Con questo pensiero nella mente la ragazza si congeda e torna a passeggiare per la capitale, chiedendosi cosa stia facendo l'amato.
 
Avanti, è solo un altro corpo che cade. 
Te lo ripetono in tanti. "Vai avanti!" ti incitano i tuoi compagni. E' solo un altro corpo che cade. 
 
Chiudendo un attimo gli occhi, lui rivive la guerra, proprio ora, sì, che sta acquattato in una trincea mezza distrutta, fin troppo reale per essere costruita all'interno di un campo addestramento. 
Apre gli occhi, tra poco tocca a lui. 
Ecco.
Si alza, velocemente percorre quei pochi metri che lo separano dal confine della suddetta trincea e lo portano in un angolo, sul quale è posto un muretto piuttosto basso. Con fare agile, toglie la linguetta alla granata e si alza in piedi, lanciandola ad un certa distanza, dopo scavalca l'ostacolo e passa oltre. 
-Aspetta- dice con voce ferma l'ufficiale che li supervisiona. 
Lui si ferma e si volta, mettendosi sull'attenti. -Ja, Herr Klein?- 
-Qual è il tuo nome, soldato?- 
-Beilschmidt, Herr Klein. Ludwig Beilschmidt.- 
Notandolo annuire soltanto, rompe le righe e riprende il suo allenamento, quel fucile estraneo stretto al petto, i passi veloci. E' piuttosto ingombrante, ma riesce comunque a passare sotto la rete senza perder tempo e a scavalcare dopo un alto muro, atterrando dall'altra parte senza scomporsi più di tanto.
Continua a correre, arrivando alla postazione della mitragliatrice, che però è stata appositamente distrutta (in realtà è stata portata lì una vecchia mitraglietta che per sbaglio è stata recuperata insieme ai corpi dei soldati deceduti al fronte orientale e riportata in Patria.)  Un'idea agghiacciate se si pensa che c'è ancora del sangue umano incrostato sopra. 
Ma Ludwig non se ne cura. Si mette vicino ad essa e avvicina l'occhio al mirino, chiudendo poi l'altro, fatto ciò mira ad alcuni bersagli parecchio lontani, centrandone i tre/quarti al cuore o alla testa, gli altri sugli arti. Non un solo proiettile va a vuoto.  Riprende la sua corsa. 
A metà percorso, gli danno un'altra arma, una nuova pistola, una Walther P38, che a dire il vero non è poi così nuova. E' stata fabbricata già un anno primo dello scoppio del conflitto che sta interessando l'intero mondo, ma questa è la prima volta che giunge alle sue mani. Ne spara un paio di colpi, ma poi ecco che tra le mani ha qualcos'altro. Un Gewehr, un fucile semiautomatico con dieci colpi, usato maggiormente dai cecchini. Cosa pretendono che faccia con quello? Non è il suo compito, fare il cecchino. Eppure lo prova e riesce ad usarlo discretamente. 
La prossima arma è  il Maschinenpistole 40, che viene chiamata comunemente MP40, ideata da Heinrich Vollmer. E' un buon fucile, ha un caricatore da ben 32 colpi, tuttavia, come il biondo ha modo di scoprire quasi subito,  è proprio il caricatore che tende a sporcarsi facilmente e a rovinare la precisione della mira. 
Quell'addestramento gli sembra durare ore ed effettivamente quando finisce, il sole sta già iniziando a calare. 
Restituite le armi, si passa una mano tra i capelli biondi, il viso sporco di terra così come le mani e l'uniforme, però lui non se ne turba. 
Viene trattenuto dall'ufficiale Klein, che scruta gli altri soldati con gli occhi piccoli e scuri prima di rivolgergli la parola, quando il ragazzo è ormai da lunghi secondi accanto a sé. 
-Beilschmidt, hai già avuto la tua prima esperienza sul campo?-
-Ja, Herr Kommandant. Sono stato in Francia, agli inizi di Marzo- gli spiega.
L'alto comando tedesco, infatti, proprio il 27 Febbraio di quello stesso anno, il 1940, ha approvato il piano per invadere la Francia. In pochi giorni, sono stati organizzati plotoni di soldati, che erano in realtà pronti già da tempo. 
L'uomo non si scompone più di tanto, annuisce lentamente con fare pensieroso. 
Lo ha colpito quel giovane soldato, lo ha visto più energico ed atletico di tutti gli altri, più pronto ad affrontare le novità. 
-Domani ti voglio pronto come oggi- conclude facendo dietro front ed andando via. 
-Ja, Herr Kommandant- ripete il giovane.
Si avvicina ai suoi compagni, che stanno già lavandosi nelle docce del campo.  Si spoglia anche lui ed una volta nudo apre il rubinetto. La prima cosa che fa è passarsi le mani bagnate sui capelli e sul viso, ignorando le voci convitate degli altri ragazzi che commentano quelle nuove armi. 
-Le pistole non mi piacciono- commenta uno. 
-Io le preferisco, sono più eleganti- ribatte un altro. 
Lui poco da retta a quelle opinioni, sta ancora pensando allo sguardo che aveva l'ufficiale di prima, sembra essere fiero del suo operato.
Eccoli, tutti quei soldati, tutti quei giovani di vent'anni o poco più, tutti nudi con cicatrici, graffi e tagli. Non c'è solo un corpo -uno solo!- che sia integro ed innocente.  
Stanno ridendo e scherzando a gran voce, quando passa di lì un ufficile superiore e li riprende. 
Loro si zittiscono all'istante, l'uomo se ne va borbottando.
-Non ci lasciano in pace neppure mentre facciamo la doccia- commenta un giovane di diciannove anni, con un sospiro, appena uscito dalla gruppo della Gioventù Hitleriana. 
Non ci sono molti altri commenti, nessuno che valga la pena ascoltare, così Ludwig infila di nuovo la sua uniforme e torna a casa, laddove la sua donna lo sta attendendo.
Appena entrato dalla porta, le da un bacio.
Felicia gli sorride dolce, già pronta. Ha i capelli ben sistemati, arrotolati sulle punte com'è moda di quegl'anni, l'immancabile rossetto rosso, il vestito chiaro largo, che mette in risalto la sua bella gravidanza. Ha una pancia modesta, di quelle che sono belle da vedere, mai esagerate. 
-Ha scalciato tutto il dì- informa il marito sistemandogli i capelli con gesto dolce e lui, con altrettanta delicatezza, lascia un bacio sul suo pancione, poi sulla sua guancia. 
-Com'è andata, lì, al campo?- chiede ancora la giovane donna, mentre sistema a fatica le scarpe che le infastidiscono i piedi doloranti, e deve alzare un poco la voce o il ragazzo che si sta cambiando ed indossa la sua divisa più bella, non potrà sentirla. 
Non ci vuole molto perché entrambi siano pronti, per cui si prendono per mano e s'avviano verso la casa dei genitori di Ludwig, dopo aver messo a tacere le proteste della giovane che non voleva assolutamente che lui la portasse in macchina. 
Tutt'e due sono nervosi e il biondo continua a mormorarle a bassa voce frasi come: 'sono un po' severi' o 'mi raccomando' o ancora 'per favore, non parlare di questo e di quell'altro.' 
Esausta, lei gli lo bacia a lungo, dopodiché bussa alla porta.
-Sarà un disastro- commenta lui sconsolato. 
E' un soggetto abbastanza ansioso, non gli piace trovarsi in questo genere di situazioni. 
Lei, invece, spensierata ridacchia della sua reazione. 
La risata si spegne quando si ritrova davanti la domestica ebrea che il giorno prima ha aperto la porta di casa al biondo. I capelli sono raccolti alla stessa maniera, ma la divisa è più elegante, nera e bianca, come se quella fosse un'occasione formale.
-Buonasera- li saluta timidamente, lasciandoli dopo passare.
L'italiana accenna un sorriso forzato ed entra, dopo il marito che le tiene la mano per rassicurarla. Gli rivolge un'occhiata, carica d'angoscia, ci significa: 'dimmi che non è vero.' 
Lui però può farci ben poco e ricambiando l'occhiata rimane in silenzio. 
Karline, la madre di Ludwig, anche lei tutta agghindata per l'importante cena, si avvicina a loro e li saluta con parole gentili ed un sorriso. 
Quel sorriso non esprime nessuna emozione. E' come se fosse quello di una bambola di porcellana, con gli occhi fissi in un punto ed il vestitino che non si scompone minimamente per mancanza di movimento. Lievemente turbata, Felicia, con una brutta sensazione addosso, ricambia il saluto, cercando di essere più naturale possibile. 
Altri domestici, tutti ebrei, hanno pulito la casa rendendola più brillante del solito, hanno lucidato l'argenteria, apparecchiato la tavola, preparato un lauto pasto per gli ospiti. Ed ora, la ragazza di prima, che avrà non più di diciassette anni, rimane lì in attesa che le vengano affidati i cappotti. Il giovane biondo le porge il proprio, poi la moglie fa lo stesso, entrambi per nulla sgarbati nei suoi confronti e lei non può fare a meno che apprezzare. Si allontana per sistemarli sull'attaccapanni. 
Con un momento di ritardo, giunge anche Ulrich salutando la coppie con fare piuttosto distaccato. Si accomodano dunque in salotto nell'attesa che la cena sia pronta e gli antipasti vengano serviti. 
Vi sono dei comodi divani ed una grande radio che per il momento è spenta.
La conversazione non si articola su molte parole, i due uomini commentano le ultime novità del Reich, alle donne invece è riservato il silenzio.
Il silenzio regna come sovrano mentre sono seduti in tavola. I Beilschmidt sembrano essere nel loro clima naturale, sono abituati a pasti privi di parole, ma lei no, lei è molto a disagio. A casa sua, in Italia, vicino Venezia, vi è un clima familiare ed amichevoli, con chiunque varchi la porta d'ingresso, che l'ospite sia ebreo, comunista, donna, bambino o anziano. I pasti sono raramente silenziosi, anzi; sono pieni di discorsi a cui può prendere parte anche lei, che è una donna, anche se le tematiche sono di tipo politico. 
-Gilbert?- chiede Ludwig d'un tratto, tagliando la carne che ha nel piatto, con attenzione. 
I piatti hanno un buon aspetto e un odorino invitante e la ragazza ha decisamente fame, dev'essere colpa della gravidanza. Mangia tutto ciò che le viene messo davanti, senza fare complimenti, ma con eleganza e classe. Dopotutto, anche lei è ricca ed è abituata ad ambienti di un certo livello. 
-Tuo fratello è in missione- lo informa il padre, spezzando con le mani del pane e poi addentandone un pezzo. -Suppongo gli sarebbe piaciuto prendere parte alla cena. Ma quando la Madre Patria chiama, occorre rispondere.-
-Verrà la prossima volta- commenta lui senza dar troppo peso alla questione. -La Patria non può aspettare.-
Esattamente, non si può perdere tempo. E lui lo, da poco alleato dei partigiani, lo sa. E' un buon attore, da quando sono lì si è detto disgustato degli ultimi movimenti nemici e soddisfatto degli ultimi esiti positivi per la Grande Germania.
-E tuo fratello, Felicia? So che ne hai uno- continua Ulrich.
Lei, si ferma un momento, dopo prende a concentrarsi su delle patate che taglia lentamente.
-Sì, ho un fratello, poco più grande- conferma. 
-E lotta anche lui per la causa?-
La ragazza non sa che dire. -Non... non al momento. Non è un soldato, no.- 
-Che non approvi? Ho sentito dire di persone del genere. Disturbati, per lo più. Malati mentali, ecco cosa.-
L'italiana sfodera un bel sorriso innocente. -Mio fratello è molto malato, sì. Non può tenere in mano un fucile, è debole. E' di salute cagionevole. Non sapete quanto il suo cuore vorrebbe servire l'Italia, adesso! Al fianco dei soldati tedeschi, magari. Purtroppo, tutto questo gli è stato negato.- 
Ludwig, porta alle labbra un pezzetto di carne, soddisfatto da quella risposta che riesce ad ammutolire il padre, che voleva soltanto una scusa per accusare lei e la famiglia di alto tradimento o di accanirsi contro la politica del paese. Ma niente. 
La cosa che la mette più a disagio è la presenza di due ebrei alle spalle di Ulrich, che di tanto in tanto mormora: -Vino- e subito viene servito. 
La cena è lunga e pesante, ma trascorre e finalmente si ritrovano e bere un caffè di nuovo in salotto, sulle parole gridate con enfasi da un gerarca nazista. Il padre del biondo annuisce ogni tanto a quelle parole, il biondo stesso le commenta, positivamente.
Karline rimane in silenzio per quasi tutta la serata, rivolge solo dei sorrisi finti ogni tanto e delle sgridate alle domestiche. E' compito suo, questo. 
All'improvviso, però, Felicia porta una mano sul pancione chiudendo gli occhi. Il piccolo si è svegliato e si sta facendo sentire, le fa un po' male, però non può lamentarsi ora. 
Il marito subito lo guarda preoccupato. -Stai bene?- le domanda.
-Sì, sì, stai tranquillo- prova lei a rassicurarlo. I genitori li osservano senza dire nulla, indifferenti. 
Ancora qualche momento, e possono tornare nel loro appartamento. 
La diciassettenne ebrea porge loro i cappotti, dopo si allontana per aprire la porta. 
Felì si trattiene a stento dal ringraziarla, ma di nascosto le sorride, dopodiché esce dalla villa e percorre lentamente gli scalini.
Quando sono piuttosto lontani, il soldato si volta e la bacia dolcemente, non ha potuto sfiorarla per tutta la sera e voleva darle quel bacio almeno da un paio d'ore. 
Lei ridacchia e si abbandona al suo petto stanca, così lui la prende tra le braccia a mo' di principessa, chinandosi su di lei, per baciarle la fronte.
-Ti porto a casa- le sussurra. -Grazie...-
-Non devi ringraziarmi. Ma devi portarmi a casa immediatamente, perché i miei poveri piedi reclamano pietà.-
Il tedesco annuisce ed accelera il passo. 

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Capitolo 24
*** Apri gli occhi al mondo. ***


[ Mi scuso per il ritardo, ma ho avuto dei problemi e non ho potuto scrivere. Spero vi piaccia (: ]


L'addestramento ha continuato magnificamente per tutto il mese.
I nazisti non sprecano parole e quando aprono la bocca è per un motivo ben preciso. Gli sono stati riservati alcuni complimenti ed alcune occhiate che lo hanno fatto sentire decisamente sollevato da tutte quelle fatiche, roba di poco conto che in un momento storico come quello, lo aiuta ad arrivare a fine giornata; occhiate fiere. 
Lui stesso è, in maniera del tutto eccezionale, fiero del suo operato. Di solito, continua a ripetersi di poter fare di più, ma non stavolta. Stavolta è orgoglioso di sé stesso, perché ha dato davvero il massimo in ogni momento, ogni secondo delle lunghe ore d'addestramento. 
Il tempo passato con Felicia è stato poco, purtroppo, e lui sa bene che a breve dovrà ripartire. Eppure non ha paura.
E' un fatto strano: d'abitudine i soldati che non sanno a cosa vanno incontro, partono carichi d'adrenalina ed eccitazione, col sorriso sulle labbra, e tornano depressi col naso all'ìngiù ed un'espressione molto triste sul volto. E quando devono partire per la seconda volta, hanno una fifa tremenda e certuni di nascosto piangono un po'.
Ma per lui è sempre stato diverso. 
Di certo tutti hanno avuto da padri, fratelli, amici, raccontate le esperienze di guerra, tuttavia Ludwig si è sentito toccare dal vivo dalle parole dell'albino e dalle sue condizioni psico-fisiche. Lo ha visto stare male, non sa delle anfetamine che lui continua a prendere, ma sa che è stato gravemente ammalato. 
All'inizio di tutta questa brutta storia, l'uno settembre del '39, quando la Germania invase per la prima volta la Polonia, uno degli attacchi sferrati fu quello della Luftwaffe e proprio Gilbert era su uno di quegl'aerei con la croce teutonica stampata sopra. Fece semplicemente il suo dovere, attuando insieme ai suoi Kameraden il Fall Weiss, ovvero il 'Piano Bianco.' 
Il giorno dopo, il secondo mattino di settembre, il cielo era di dominio tedesco: la Luftwaffe ne era la padrona. Con le sue forze, distrusse gli aerei polacchi e della Polonia distrusse i comandi. 
Erano giorni duri per tutti, nazisti e non nazisti, folli e non folli, cittadini e soldati. Ognuno aveva ed ha il suo dovere ed è forse il coraggio di ribellarsi che manca, la paura di una pallottola sulla fronte. E l'albino, come gli altri, attaccò la Polonia, mentre la Francia e l'Inghilterra discutevano a tavolino circa la loro scesa nel conflitto che presto avrebbe interessato il mondo e, il terzo giorno, dichiararono guerra alla Germania. 
Intanto, però, anche i tedeschi subivano -e subiscono- delle perdite. 
L'aereo di Gil fu colpito e inesorabilmente sembrava destinato a schiantarsi contro il suolo. Lui provò con tutte le sue forze a virare sulla terra ferma, tuttavia ebbe non poche difficoltà, ma almeno riuscì ad attutire la botta. Si ritrovò senza neppure accorgersene incastrato nel suo stesso mezzo, la gamba gli provocava Dio solo sa quanto dolore. Ma... la vita l'aveva ancora in corpo. 
Con un colpo di fortuna, trovò alcuni suoi connazionali che lo aiutarono e trassero in salvo e se la cavò con qualche tempo di riposo, quando finalmente riuscì a tornare in patria, lui solo sa come. 
Disse tutto al fratellino.
Sia perché sono sempre stati abituati a fare così, dalle circostanze, sia perché voleva fosse pronto per ciò che stava andando a fare. 
Quando lo rivide per la prima volta, infatti, sapeva che dopo poco  avrebbero chiamato anche lui. E' naturale: il Reich chiama a rapporto ogni singolo uomo suo abitante, che sia degno di questo nome. Non ebrei, non zingari, non evangelisti, non comunisti, non omosessuali. Loro stanno lontano dagli ariani. 
Mentre il biondo fa certe considerazioni intanto che torna a casa, dopo una lunghissima ed estenuante giornata, si ritrova a domandarsi se sia giusto, in fin dei conti, che i comunisti stiano dentro i campi. Nuocciono alla salute: sono del tutto opposti al loro regime, no? Ha sentito brutte storie, su di loro, qualcosa come un pranzo a base di bambini. Ma sarà vero? E' un tantino scettico a riguardo, Aldo, ad esempio, l'amico rosso di Romano, non sembra tipo da mangiare i bimbi. Ma, nel dubbio, quando nascerà il piccolo -o la piccola!- lo terrà lontana. Non si sa mai, che idee strane c'hanno quelli, nella loro testa. 
Sa bene che il figlio o la figlia non tarderanno ad arrivare, perché Felicia era entrata da poco nel sesto mese di gravidanza quando sono ritornati a Berlino dopo il breve soggiorno in Italia ed ora, un mese e mezzo dopo, lei è quasi all'ottavo, mancano dieci giorni perché vi entri. 
E' nervosa, ha sbalzi d'umore e lui talvolta ringrazia di poter stare ad allenarsi tutto il dì per non dover sopportare le sue lamentele. Sbuffa, rotea lo sguardo, borbotta qualcosa sui suoi piedi gonfi (ed ha ragione, povera cara, sono davvero enormi e le scarpe quasi non le entrano.) E lui si innervosisce, perché si sente impotente e non può aiutarla. 
Sono riusciti finalmente a cambiare casa, e questo non ha fatto altro che aumentare le lamentele della ragazza, che voleva rimanere nella propria, lei. Però Ludwig sentiva di doverlo fare ed ha trovato una casetta carinissima, così l'ha portata a vederla ed in quattro e quattr'otto, eccoli lì, trasferitisi. 
Ancora non hanno avuto modo di sistemarla alla perfezione: hanno soltanto sistemato i mobili e poco più. 
Sono da soli, non hanno aiuto, eccetto quello di Gilbert che, devono ammettere entrambi, è stato utilissimo. Ha portato con sé due suoi amici, due ragazzoni enormi, e con loro hanno preso il vecchio mobilio e lo hanno messo lì, aggiungendo poco a poco qualcosa, quando avevano i soldi per farlo. Non volevano pesare sulle famiglie, adesso che sono sposati, e hanno fatto tutto quanto da soli. 
Tornato proprio ora da casa, il ragazzo apre la porta e cerca Felì con lo sguardo, ma non trovandola si sofferma a guardare in giro. C'è qualcosa di nuovo lì dentro. Ah! Le tende. Sono così diverse e carine, queste. Una di quelle piccole cose che rende più accogliente l'ambiente, che di tedesco ha ben poco. C'è la familiarità italiana, l'intimità di marito e moglie sconosciuta in quella terra fredda con gli occhi azzurri ed i capelli biondi, c'è il tocco femminile ed il buon odore di torta sul davanzale della finestra della cucina. Un tappeto, un centrino, dei fiori sul tavolo, dei quadri dipinti dalla stessa padrona di casa. E' tutto così bello...
Felicia si avvicina a lui con un piccolo sorriso e gli bacia le labbra dolcemente. 
-Stanco?- gli chiede. 
Lui annuisce, passandosi una mano tra i capelli dopo aver ricambiato il bacio.
Domani sarà sabato, l'unico giorno che ha libero alla settimana, giorno di riposo,  e lo passerà ad aiutare lei a riordinare lì dentro quelle poche cose che ancora mancano. 
Non è un ambiente troppo grande, ma la disposizione del tutto non lo fa sembrare poi così stretto. La cucina, meraviglia, è spaziosa, motivo principale per cui tra tante hanno scelto quella casa. Il soggiorno è poco più grande ma ha una bella finestra che fa entrare molta luce; c'è un piccolo bagno e due camere da letto ed uno sgabuzzino. Una delle camere è stata adibita a stanzetta per il nascituro. Non sapendo ancora che sesso abbia, non si sono sbilanciati troppo con i colori. Beh, a dire la verità, ha fatto tutto quanto lei. I mobili sono in legno e ci sono già alcuni giocattoli, ma, soprattutto libri. 
Il tedesco le cinge la vita ed accarezza col pollice il pancione. -Ha fatto i capricci, oggi?- le domanda.
Lei scuote la testa. -No, ha fatto la brava.-
-"Brava"? Chi ti dice che sia una bambina? Sarà maschietto- ribatte lui facendo alcuni gesti positivi con la nuca, in modo del tutto convinto. 
Felicia rotea lo sguardo ed incrocia al petto le braccia. 
Lui, invece, lascia cadere lì il discorso e si avvicina alla camera da letto, la loro, sentendo però rumore d'acqua dal bagno. Drizza le orecchie e rimane in ascolto. Dei rumori.
Chi sarà?
-Lieber, chi c'è?-
-Romano.-
Quasi gli si ghiaccia il sangue nelle vene. La fissa un po' male forse. Non dice nulla ed entra nella stanza, andandosi a cambiare con abiti civili. 
Quando giunge invece in salotto, lo osserva e gli fa un cenno del capo, l'italiano è seduto sulla sua poltrona.  
-Romano- dice a mo' di saluto.
-Coso- ribatte lui, con lo stesso tono. Non è ancora sicuro di volergli dare un nome, figuriamoci un soprannome come viene dato a tutti i partigiani. Non vuole già dargli quest'etichetta, crede sia presto. 
-Mi è stato riferito che c'è stato un ballo, nel quale erano presenti tutti gli ufficiali. Perché non ne hai approfittato per parlare con loro ed estrapolare informazioni?- continua puntando gli occhi sui suoi. 
Ludwig assottiglia lo sguardo, quando capisce le parole del ragazzo, perché la moglie gliele traduce, è troppo stanco per applicarsi a parlare una lingua non sua. -Non so se hai notato, ma non sono ancora un ufficiale.-  
-Conti di diventarlo?- ribatte quello. 
-Lo hai detto tu stesso, no?, che potrei prendere più informazioni, se lo diventassi.- 
Il moro si alza e gli si avvicina a passi lenti, poi parla, soppesando per bene ogni parola. -Non è che sei solo uno sporco doppiogiochista?- 
Questo la giovane donna non vuole tradurlo ma al comando netto del marito, lo fa, con un piccolo sospiro. 
Lud non distoglie lo sguardo dal suo interlocutore nemmeno per un momento. -Dì un'altra stronzata del genere e ti butto fuori da casa mia- lo avverte. 
Nel momento di massima tensione, la porta d'ingresso si spalanca ed entra la figura dell'albino. Quei tre si spaventano; ma come, la porta è aperta? Merda. Qualcuno avrebbe potuto sentirli! Devono ricordarsi di stare più attenti. Sei occhi sono puntati su Gilbert, ma un paio d'occhi azzurri come il mare presto si distaccano ed il loro possessore scuote la testa con un sospiro.
-Bruder...- 
-Haaaallo!- saluta lui con un cenno della mano alla militare. Nessun saluto romano-nazista tra loro. Si avvicina alla ragazza e le sorride lievemente, poi tende una mano verso lo sconosciuto. -E tu chi sei?- chiede.
Quello sospira e mantenendo la sua posizione distaccata con le braccia al petto, se ne torna in cucina. 
-Ma che diavolo ha?- domanda l'albino con uno sbuffo, subito seguito da un ghigno. Mentre lei si affretta a chiudere per bene la porta, lui appoggia una mano sulla spalla del fratello. 
-Allora? Quando riparti?- mormora curioso non preoccupato di farsi sentire. 
-Non lo so- ammette l'altro. -Non ce lo hanno ancora comunicato. E tu?- 
-Stessa cosa. Ma non credere che loro non lo sappiano! Hanno tutto sotto controllo- gli spiega con fare deciso.
Ha indosso la sua uniforme grigio-blu, col cappello con l'aquila e la svastica sulla nuca. Si sente a casa sua lì, per cui non fa complimenti e ruba una fetta di pane poggia sul tavolo, addentandola.
-Chi è quello?- chiede  con un cenno al moro. 
-Romano, mio fratello- spiega la ragazza, entrambe le mani sul pancione. 
Sente un po' di dolore, ma suppone sia normale, ogni tanto le capita. E' il piccolo che scalcia, no? Spera davvero sia una bambina, comunque. 
-Ah, hai dato un'occhiata ai giornali ultimamente? Pensa un po':  "2 Maggio corrente anno, i giochi olimpici di Helsinki vengono annullati." Era scritto dovunque! Che peccato, accidenti, Kesese!- borbotta lui con un sospiro, poi riprende la solita sua smorfia. 
Mentre Roma lo fissa stupito per quella risata, il pilota si deprime un po' per quella notizia, mentre Ludwig prova a spiegargli che hanno cose ben più importanti a cui pensare, al momento. 
S'intromette l'italiano sbottando inacidito: -Ma certo, perdiamo tempo con quei cazzo di giochi mentre un disturbato distrugge l'Europa! Complimenti!-
L'aviatore non capisce, naturalmente, la frase in lingua straniera detta da quel tipo -per fortuna, o si sarebbere decisamente preoccupato e stupito. 
La sorella lo fissa decisamente molto male e sta per fare un passo verso di lui quando il marito interviene, nella lingua da lui usata. -Non dire queste cose davanti lui, stolto!-
-Ah, tanto non vai a raccontare tutto a lui e agli altri nazisti?- mormora quello con un ghigno. -Doppiogiochista. Non mi fido di te. Mi fa schifo il fatto che mia sorella ti abbia sposato, detesto vederla vicino ad uno come te- gli confessa ancora.
A quel punto, il soldato della Wehrmacht, innervosito, fa dei passi verso di lui e lo afferra per il colletto della camicia bianca, una bretella cade all'ingiù dalla spalla del ragazzo moro, che non si scompone più di tanto. 
-Che cosa hai detto?!- chiede retorico. 
La giovane si spaventa e tenta di richiamarlo. -Ludwig! Ma cosa fai?- gli dice avvicinandosi a loro.
Ne segue una piccola rissa: no, non si alzano le mani vicendevolmente, però il biondo lo tiene stretto e l'altro cerca di ribellarsi a lui e al suo sistema. 
S'interrompono dopo qualche minuto. 
Felicia ha portato entrambe le mani sul pancione e si è appoggiata alla parete, chiudendo forte gli occhi. Tutti e tre i ragazzi la guardano terrorizzati, non hanno idea di cos'abbia e di come aiutarla.
-L-Ludwig...- farfuglia lei, la fronte già imperlata di sudore. 
-W-was?!- 
-Credo... stia per nascere- confessa aprendo gli occhi e puntandoli sui suoi, spaventata pure lei. 
-Tu credi cosa?- 
Lui sbianca; la presa sul colletto dell'altro diventa fragile, Roma ne approfitta per dileguarsi. 
-Mi si stanno rompendo le acque, accidenti!- sbotta la ragazza, agitata. -Fa qualcosa!- 
-E cosa vuoi che faccia?- dice, poi si zittisce notando quella bruttissima occhiata da parte di lei. Deglutisce.
Gilbert, con un sospiro, decisamente meno ansioso rispetto al fratello, organizza il tutto.
-Va bene, ci servono coperte e una bacinella con dell'acqua- inizia convinto, poi riflette sulle proprie parole. -....Credo.-
-Siete completamente inutili!- sbotta lei. -Ludwig, va a chiamare Annemarie, lei ci aiuterà; Gilbert, prendi delle tovaglie dal bagno; Roma, accompagnami di là.-
Ordinato ciò, quei tre annuiscono ed ubbidiscono: il soldato con i capelli bianchi va a prendere le cose utili per il parto, l'altro esce di casa, il fratello di lei l'aiuta ad andare in cucina. 1
 
 
 
Ludwig ha i gomiti appoggiati alle ginocchia, molto pallido, il mento appoggiato alle mani congiunte. 
Gli si avvicina l'albino e gli porge una bicchiere di birra, sedendosi sul piccolo divanetto di fronte a lui.
-Se bevo ora, vomito...- lo informa il più piccolo, lui ghigna.
-Guarda che ha partorito lei, non tu. Anche perché... sarebbe parecchio strano...- mormora corrugando la fronte, poi beve un sorso della bevanda. 
Il biondo lo ignora e porge la sua attenzione su Romano, che preoccupato, sta mangiandosi le unghia fissando in direzione della cucina. 
E' lì, appunto, che sta partorendo la sorella. La sentono lamentarsi per il dolore ed ancora  neppure un vagito da parte del nascituro. 
Dopo quelle che sembrano a tutti delle ore, finalmente sentono il pianto di un bambino, così si guardano tutti e tre. Il marito vorrebbe vedere subito il figlioletto, ma non è possibile, devono ripulire sia lui che la madre, così attendono. 
Passa un'ora prima che Annemarie, la moglie di Christoffer, suo amico e compagno di cella alla Gestapo, si avvicini a loro, asciugandosi le mani dall'acqua in cui le ha pulite con uno strofinaccio.
-Ludwig, caro, puoi venire, se vuoi- gli spiega dolcemente con un sorriso.
Il ragazzo annuisce svelto e si alza. 
Si avvicina titubante alla porta della loro stanza, luogo in cui Felicia è andata per riposarsi un po' dopo lo sforzo del parto. Ha tra le braccia un piccolo fagottino.
Col cuore che gli batte forte nel petto, il soldato si avvicina a loro e si sporge un po' per vedere, silenzioso.
Lei gli mostra ciò che ha tra le braccia. 
-E'... è...- balbetta lui senza saper definire quella creatura. -M-ma state bene, vero?- gli domanda. 
La donna annuisce. -Stiamo benissimo- sorridendo appoggia alla nuca della creaturina le labbra, per baciarla. -Devo avere un aspetto orribile...- dice poi sconsolata.
-Macché... sei stupenda- ribatte lui, dandole un bacio fra i capelli. Osserva poi il bambino, perdendosi nei suoi occhi. 
Lei, con un sorriso divertito per la sua espressione stupida, scopre il piccino. -Maschietto- gli conferma. -Avevi ragione tu.- 
-E' così bello...- 
Il bambino è nato un mese prima, per cui è piccolino, ma è davvero stupendo. 
Ha la pelle tanto chiara da essere diafana, il naso della mamma, i capelli biondo cenere, gli occhi ancora chiusi, chissà che colore. 
Il neo-papà vorrebbe tanto accarezzarlo, tenerlo, ma gli sembra così fragile e ha paura, per cui si limita ad osservarlo, con fare quasi innamorato. 
Lei sorride dolce e si asciuga qualche lacrima di commozione. -E' stupendo...- gli dice, puntando ancora gli occhi sul pargolo.
Il piccolino apre gli occhi curioso, con tanta voglia di conoscere il mondo. Come tutti i bambini in fasce, pensa ancora di essere un tutt'uno con la sua mamma -non è adorabile? 
Gli occhi hanno un bel taglio, le ciglia sono lunghe e le iridi di un verde splendente, ma non troppo chiaro.
-Ha gli occhi verdi... come i suoi- dice la giovane, con un piccolo sospiro.
-Nein- la corregge il marito. -Ha gli occhi verdi come suo zio. Li ha ereditati da lui- le spiega con un piccolo sorriso, poi appoggia le labbra alla fronte del piccolino. 
L'italiana, a quelle parole, si scioglie e scoppia a piangere in un pianto liberatorio, era così preoccupata, per tutto! Ma è felice, ed intanto, ridacchia, giocherellando distratta con la manina del piccolino, che accarezza dolcemente.
-Dobbiamo trovargli un nome- avverte. 
E Lud annuisce svelto. -Italiano o tedesco?- domanda in quest'ultima lingua. 
-Uno italiano e uno tedesco. Ma il primo dev'essere della nazionalità del suo papà.-
-Mathias- mormora a colpo sicuro, osservando quegl'occhio. 
-Bruno!- 
-Ma non puoi chiamarlo così, è biondino!- ridacchia lui. 
-Mmh... Lorenzo. Michele. Andrea. Gia...- non riesce a finire di parlare che l'altro subito dice: -Andrea! Mathias Andrea.-
-Mathias Andrea Beilschmidt, benvenuto.-



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Note. 

1 = Negli anni '40, come accadeva prima ed anche un po' dopo, le donne partorivano sul tavolo della cucina, d'abitudine, sia che fossero ricche o povere. Era... semplicemente così che andava. Una volta lavate e messi i punti (rabbrividisco se penso al come!) venivano invece portate in camera da letto per farle riposare.

 

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Capitolo 25
*** Gli ultimi giorni di pace. ***


[ Scusate l'attesa... non è esattamente un bel periodo.
 Spero gradiate il capitolo, ad ogni modo! ^^ ]



C'è qualche nuvola in cielo, il sole neppure si intravede.
Eppure il clima all'interno di quella casa è del tutto sereno.
Il piccolo Mathias ha subito attirato tutte le attenzioni, con i suoi occhi belli e la tenerezza del suo sorrisetto. 
Non piange spesso, ma la notte si sveglia di sovente, per la fame o per le coliche di stomaco. 
Felicia per fortuna ha un ottimo appoggio sul quale contare, il marito la aiuta spesso. 
Lui, tuttavia... non vuole prendere in braccio il figlio.
Semplicemente perché ancora non riesce a riconoscerlo come tale.
Ha avuto sette mesi per abituarsi, più o meno, ma non forse non è così pronto come credeva di essere. 
Il piccolo è arrivato troppo presto, due mesi in anticipo, è prematuro e bisognoso di più cure rispetto un bambino normale. E ciononostante, tra poco il papà dovrà ripartire ed ancora non lo ha tenuto in braccio nemmeno una volta.
L'italiana non ha voluto costringerlo, quel bambino non è di Ludwig e lui deve avere tutto il tempo che desidera.
Lo osserva di tanto in tanto, nascosta dietro una parete, guardare il piccino ed accarezzargli la guanciotta o la manina, ma il biondo non ha ancora fatto altro se non qualche coccola.
Si avvicina a lui da dietro, quel pomeriggio, abbracciandolo e mettendosi in punta di piedi per appoggiare il viso alla sua spalla. 
-Non vuoi tenerlo nemmeno un po', prima di partire?- gli domanda con gli occhi fissi su quelli del figlio. Allunga una mano e gli tocca il nasino delicata, ridacchiando poi per la sua espressione buffa. 
Il tedesco rimane in silenzio.
Tra sette giorni esatti dovrà ripartire per andare al fronte e Mathias ha soltanto quattro giorni di vita. 
Annuisce. 
Non vuole avere il rimpianto di non averlo mai preso, se dovesse accadergli qualcosa. 
Piuttosto serio per quel pensiero, le domanda di aiutarlo, perché lui non sa come fare essendo questo il suo primo figlio. 
Felicia prende il pargoletto delicatamente avvolgendolo prima nella copertina celeste, poi lo sistema tra le braccia forti del soldato. Alza un poco la nuca appoggiandola all'avambraccio del papà, la copertina che fa da cuscino. 
Mathias deve ancora abituarsi ad essere così vicino a qualcuno che non sia la sua mamma, per cui spalanca gli occhioni verdi, così diversi da quelli dei genitori, e li punta poi sulla figura bionda che lo sta accogliendo al proprio petto. 
-Hallo...- sussurra questa con un mezzo sorriso. 
La mora sta zitta, osservando con attenzione i movimenti del marito, per intervenire in caso di bisogno. 
-Du bist sehr schoen...- continua il giovane. 
E lei sorride annuendo: -E' vero, che è bellissimo.-
Ludwig annuisce e stando ben attento a dove mette i piedi, va a sedersi sulla poltrona, per stare più comodo ed essere più sicuro col piccolo in braccio.  
-Mi dispiace doverti lasciare così presto- ammette sincero con un piccolo sospiro, parlando a bassa voce per non far sentire nulla all'amata. 
Il neonato sbadiglia chiudendo gli occhietti e mangiandosi la manina, volgendo poi lo sguardo verso il petto di suo padre, il quale, addolcito da quel gesto, si china per baciargli la guancia. 
Rientra in casa proprio in quel momento Romano, che il biondo non riesce a capire che ci faccia lì, per davvero. 
Non crede voglia solo controllare sua sorella, pensa che ci sia tutta una manovra dei partigiani dietro e ha ragione.
L'italiano chiude piano la porta, saluta Felicia, a lui fa solo un cenno, poi bacia la nuca del nipotino, per allontanarsi di nuovo. 
Lui lo ha già tenuto in braccio un paio di volte, era con la mamma mentre lei gli faceva il bagnetto e non si è scandalizzato assolutamente, cosa che invece sembra fare il tedesco in determinate occasioni.
-Devo ripartire- annuncia.
-Ripartire? Ma ti sei fermato solo pochi giorni...- risponde la ragazza con un'espressione subito triste nel volto. 
-Lo so, lo so; ma i miei compagni hanno bisogno di me...- le spiega sottovoce. -Torno  a Venezia oggi stesso. Mi dispiace.- 
Lei fa cenno d'aver capito con la nuca, abbandona un libro sul ripiano e va in camera propria, pensierosa. 
Roma si passa una mano tra i capelli scuri e si siede scomposto di fronte il biondo, osservando lui ed il pargolo.
-Dio, se è bello...- commenta distratto.
L'altro accenna un piccolo sorriso. -Ja...- risponde. Solo un 'sì', solo quello. 
Almeno non si ignorano più! 
Rimangono in silenzio per qualche momento, poi lui gli chiede: -Vuoi tenerlo? Visto che tra poco andrai via.-
Il moro, stupendosi di quella proposta, spalanca un poco gli occhi, ma ben presto si ritrova ad annuire soddisfatto. 
Si alza e si avvicina a lui, andando a prendere il piccolo. 
-Ciao, Andrea- lo saluta, ricordandosi solo il nome italiano. -Non sai quanto mi dispiaccia lasciarti, ma la Patria mi chiama ed io devo tornare a difenderla- gli spiega ancora, naturalmente nella lingua madre. 
Rimasti soli perché il padrone di casa è andato in un'altra stanza, continua a parlargli mentre lo guarda dormicchiare. -Spero che un giorno potrai essere fiero di ciò che io e gli altri stiamo facendo. E magari seguirai anche tu il nostro esempio, chi può saperlo? Una cosa è certa: non ti lascerò diventare uno di quei porci fascisti.- 
Mathias continua sognare chissà cosa, involontariamente, però, nel sonno sorride. Ed allora lo zio si sente motivato e quella da allora è la promessa che gli fa: proteggerlo dagli ideali sbagliati e dalla corruzione. 
Non sa ancora che tipo sarà, magari sarà silenzioso, secchione, educatissimo e timido. O magari somiglierà un po' più a lui, avrà carattere, saprà fare le scelte giuste, inseguire i suoi sogni, perseverare in ciò che più desidera. 
E' piuttosto curioso, ma bisogna aspettare ancora molto per scoprire che caratteristiche avrà.
 
 
E Romano se ne va via, quella sera stessa. 
Ludwig si prepara a fare altrimenti. 
E' spesso fuori casa per organizzare le ultime cose, vedersi con chi di dovere, sistemare l'equipaggiamento, capire chi saranno i suoi compagni.
Ed ogni volta che torna, la prima cosa che fa è salutare la sua donna e il suo bambino.
C'è una bella atmosfera in questi giorni, perché entrambi gli adulti allontanano il più possibile l'idea del viaggio di andata per il fronte. 
La Wehrmacht ha ora due obbiettivi principali, adesso: entro la fine di maggio devo occupare Bruxelle e Anversa, due cittadine del Belgio. Lui non sa ancora se sarà destinato nell'armata che si (pre)occuperò della prima o della seconda.
Non la vedono come un'impresa poi così difficile, sanno di potercela fare, tutti quanti i soldati.
Anche il tedesco ne è convinto, perché di cosa la sua razza è capace. 
Ha comunque continuato a non pensare cosa dovrà fare, cosa dovrà passare e far passare ai nemici. 
C'è una cosa che gli manca dell'andare in guerra: i momenti di tranquillità fra commilitoni. Quelli non sono poi così male, dopotutto, si ride, si scherza, si racconta insieme quanto manchi a tutti quanti casa, il buon cibo, le coperte calde e si finisce col passare alcuni momenti piacevoli.
Quegli stessi momenti che, una volta tornarti a casa, si vivono in modo diverso.
E' difficile che lui parli con i suoi Kameraden di quei due mesi; seduti al tavolino a gustare della birra, quello non è il loro primo pensiero.
Questa volta starà fuori molto di più: non due mesi ma almeno cinque, se non sei. 
Le date sono piuttosto approssimative: i piano potrebbero andare in fumo da un momento all'altro, quindi si potrebbe battere in ritirata, oppure prolungare la loro permanenza in quel determinato territorio.
Al momento sa solo che la sua famiglia rimarrà sola per moltissime settimana e la cosa lo fa giustamente stare in pena.
Felicia ha detto di non essere sicura di voler tornare a casa per quei mesi. 
Si è da poco ri-abituata alla capitale tedesca, prendere ora un treno sarebbe devastante sia per lei che per la creaturina. Per cui, ha intenzione di rimanere lì, dove il fratello del marito si è offerto di darle di tanto in tanto una mano. A Berlino, tra l'altro, ha alcune delle sue amicizie ed anche Annemarie potrà aiutarle se bisognosa d'aiuto.
Non si preoccupa, non al momento. 
Al nono giorno del bambino, il cordone ombelicale è caduto. 
Felicia non ha mai dato retta alla tradizione italiana secondo la quale i bambini prima di quell'importante momento non vanno lavati. Lei ha fatto il bagnetto al suo piccino, con la massima delicatezza, accorta però a non bagnargli il pancino. 
Stanno ora passeggiando per le vie della città, Mathias Andrea è tra le braccia della sua mamma, accoccolato in una coperta molto morbida, così da non irritargli la pelle diafana, tipica dei bambini in tenera età ma accentuata nel suo caso.  
Hanno un passo lento, qualcuno ogni tanto si ferma per guardare quel bambino così bello e fargli dei complimenti. Quegl'occhi sono così meravigliosi che colpiscono tutti quanti. I capelli castano chiaro chiaro del piccolo alla luce del sole sembrano ancora più biondi e gli occhi ancora più luminosi. 
Come si chiama, quanti giorni ha, se mangia, se dorme. Ecco le domande più frequenti.  
La gente di Berlino non è poi così diversa da quella italiana. 
Hanno tutti bisogno di appendersi ad ogni sciocchezza per distrarsi, per portare la mente lontana dal clima di guerra e terrore che da un po' infiamma tutto il mondo intero -o quasi. 
-Quando tornerò- esclama Ludwig d'un tratto.  -Sarà già grande... potrà mangiare molte più cose e non solo latte, vero?- 
La ragazza, interdetta per quella sua domanda, annuisce lievemente. -Avrà per lo meno sei mesi. E' nato prematuro, ma sta bene. E' un miracolo, perché altrimenti non l'avresti visto nascere- afferma con un sorriso sulle labbra pittate di rosso. 
-Penserò a voi ogni giorno, vi scriverò e tu dovrai dirmi tutto ciò che fa. Ma adesso cambiamo argomento, te ne prego; sono gli ultimi due giorni che ho con voi- la prega con un'occhiata. Lei annuisce. 
Si fermano ad un parco, seduto su una panchina, vicino, il bimbo che ancora dorme.
Osservano distratti gli altri bambini che corrono e ridono, chiedendosi quale gioco preferirà invece il loro piccolo. 
Non sanno darsi una risposta, ma fanno moltissime ipotesi, ridacchiando. 
Un convoglio di SS passa di lì con due macchine nere e lucide, proprio in mezzo ai bambini. Le mamme, spaventate da quell'irruzione violente, tirano a loro i figli. 
Una di queste macchine si ferma davanti a loro, un paio d'occhi così simili a quelli di Mathias, li osserva ed un ghigno su quelle labbra è rivolto a loro. 
Nessuno dice niente.
Un altro soldato delle SS, con gli occhi viola, l'accento austriaco ed i capelli scuri, lo riprende.
-Joakim, sarebbe gradito tu ripartissi- gli dice con tono piatto, sistemandosi su per il naso un paio d'occhiali. 
Ripartono.
Eppure quegli occhi dal colore così insolito, si specchiano per un momento in quelli del tedesco, che lo osserva accigliato, digrignando i denti, una mano sulla copertina del piccolo, in segno di protezione. 
Joakim, colui che ha violato l'italiana, chissà che pensa adesso.
Avrà capito che il bambino è suo? Naturalmente sì.
Ma non gli importa molto, anzi. 
I suoi occhi maligni e quel paio viola non sono gli unici che Ludwig ha notato. Ne ha visti altri.
Enrich, il fratello di quel tale, il ragazzo con la faccia da serpente, era con loro.
Alla fine, deve aver ottenuto la sua vera divisa, così come ambiva un tempo.
E questo non è un bene. 

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Capitolo 26
*** Nuova partenza. ***


E' curioso pensare che gli attimi più belli passino così in fretta, che sfuggano svelti dalle mani cadendo a terra come briciole e non si fa il tempo ad abbassare lo sguardo ché già qualcun altro li ha mangiati. 
Quei pochi giorni, quella manciata di felicità, è già passata.
Il cielo è terso, ma vi è un venticello non poco insinuoso. 
Il piccolo Mathias non fa altro che piangere, forse percepisce la malinconia di quel momento. 
Felicia lo tiene stretto a sé, incapace di parlare e rassicurarlo, gli occhi umidi.
Non ascolta le parole del marito e presto se ne sarebbe pentita, perché quelle potrebbero essere le ultime. Sente una donna accanto a sé urlare, si volta; è una madre. Grida perché la guerra si è portata già via i due figli ed il marito, non vuole perdere l'unico componente della famiglia che le rimane. E' un ragazzino con la pelle chiara, i capelli paglia e gli occhi nocciola, con una divisa che gli sta troppo grande e lo sguardo melanconico. Due donne si avvicinano a quella e la pregano di calmarsi.
-Non si può nemmeno piangere- commenta amara l'italiana. 
Ludwig sospira e le carezza i capelli. 
Lei vorrebbe respingerlo, fingere di odiarlo, il distacco sarebbe meno doloroso. Non sa perché si comporta così, ma d'improvviso gli sembra così egoista, lui! A combattere la sua guerra, senza curarsi della famiglia. 
Punta arrabbiata gli occhi su di lui. -Avevi detto di voler aiutare mio fratello!- gli ricorda.
Il biondo, sbiancando, appoggia una mano sul suo braccio e la guarda duramente. -Sta' zitta! Vuoi farci scoprire?!- le sussurra, lei a stento sente quelle parole. Ed il bambino piange più nervoso e spaventato, chiedendosi perché quelle due persone che fino a poche ore prima si amavano alla follia adesso litighino.
-No, non piangere, tesoro mio... va tutto bene- gli dice la sua mamma, accarezzandolo, gli occhi su di lui. 
Il soldato si passa una mano sui capelli, poi si sistema il berretto militare sulla nuca.
-Felicia, amore mio, non litighiamo adesso.-
E quello sguardo vuol dire un mondo di cose. 
Vuol dire non litigare prima di una partenza; non dirsi parole che potrebbero essere ultime in un momento di rabbia; non ferirsi prima della guerra. 
La ragazza appoggia le labbra alle sue, alcune lacrime le rigano le guance. Annuisce. -Scusami.... ti amo- gli ricorda. 
-Ich liebe dich auch- sorride lui, accarezzandole la guancia. Si china un po' sul figlio, adesso ha imparato a riconoscerlo come tale. Gli bacia la fronte. -Fai il bravo e stai attento alla mamma- suggerisce lasciando una carezza anche a lui, guardando i suoi occhi. Ha paura di dimenticarli, sei mesi sono tanti, troppi, e se... ha molti se e molti ma nella sua mente, eppure vi penserà quando sarà sul treno ormai solo. Adesso vuole solo viversi quegl'ultimi minuti.
-Torna in Italia- dice alla moglie.
Lei, testarda, scuote la testa. -Mi sono appena riabituata a stare qui...-
-Sono sei mesi, forse diventeranno di più. Hai un bambino piccolo; lì c'è la tua famiglia, le tue abitudini.-
Felicia sistema meglio il piccino tra le braccia, ma lo sguardo è su quegl'occhi color del mare. -Va bene- gli concede. Non vuole si preoccupi. E glielo ripete, per esser sicura lui capisca. -Va bene.-
Il treno sbuffa e quella nuvola grigio-biancastra si sparge ramificata nel cielo celeste.
Non c'è più tempo per le parole. 
Tutti i soldati della Wehrmacht si voltano e l'osservano, alcuni hanno già preso il loro posto negli scompartimenti stretti ed angusti, certo non paragonabili a quelli in cui sarebbero stati stipati alcuni mesi prima (o anni, basti pensare a Dachau, aperto già nel marzo del 1933) cittadini ebrei, oramai privati del nome d'umani.
-Scrivimi- lo prega la giovane donna con lo sguardo. 
-Se potrò. Non preoccuparti se le mie lettere non saranno frequenti. Ich liebe dich- le ripete ancora, da un ultimo bacio al piccolo, poi si volta e senza guardarsi indietro sale su quel maledetto treno. 
 
 
Adesso c'è il sole.
Il tedesco è ancora dentro il suo vagone, stavolta non appoggiato al finestrino come durante il primo viaggio. 
Nessuno al momento parla, eccetto per Abel, che non riesce proprio a stare zitto. E tutti annuiscono e gli dicono qualche parola, ma non c'è un soldato che abbia la voglia di discutere. Sono stanchi in partenza. 
-Il mio cane, Max, è bravissimo. Dovreste vederlo! E' un genio: ha già capito come dare la zampa, come sedersi, come stare disteso. Cioè, lo sa fare, intendevo, al comando. E ha solo due mesi! Non è fantastico? Quando tornerò, lo addestrerò al meglio. So che mi renderà molto fiero- sta dicendo con convinzione.
Il biondo lo riconosce: sua madre era quella che piangeva fino ad un'ora prima. 
Un altro militare, capelli scuri e faccia ostile, gli risponde: -E che ne sai, se torni? Magari torni, ah. Però il tuo cane si è dimenticato di te. C'ha due mesi, quando tornerai -se lo farai- ne avrà otto. Sarà quasi adulto.- 
E' come uno schiaffo per il povero Abel che, mortificato, si zittisce abbassando lo sguardo color del cioccolato. 
Lud ha le stesse identiche paranoie.  
E se il suo piccolino, il suo bambino, non volesse saperne di farsi prendere tra le braccia? E se si affezionasse magari allo zio, o soltanto alla mamma, e con lui non volesse avere alcun rapporto? Oltretutto, non sa giostrarsi bene con i bambini, per cui non saprebbe assolutamente che fare. E' quasi scontato che Mathias si dimenticherà di lui. Ha appena undici giorni, non si ricorderà del papà nei sei mesi successivi. Non è un cane: non lo riconoscerà attraverso l'odore.
Probabilmente è questa sorta d'angoscia che lo spinge a compatire quel povero ragazzotto di campagna.
-Che razza è?- gli domanda, osservandolo.
Quello, timido, ricambia lo sguardo. -Un pastore tedesco...- spiega accennando un sorriso sulle labbra un poco insanguinate per via del vizio di mordicchiarle del loro proprietario e possessore.
-Ah, bellissimo. Sono intelligenti, i pastori. Non si dimenticherà del tuo odore, non preoccuparti.-
Abel mostra il suo più grande sorriso: si è trovato un amico. Sistema il berretto  che gli copre gli occhi e lo stringe in modo che non gli cada sul viso.
Si presentano e in quelle poche parole già si costruisce un legame piuttosto solido, il cui collante è probabilmente la paura della solitudine.
-Quanti anni hai?- domanda il ragazzo di Berlino, con gli occhi azzurri. 
-Ne ho quasi diciassette- risponde fiero l'altro. 
Tutta l'attenzione dei militari si concentra su di lui, che, arrossendo lievemente, si giustifica: -Volevo servire anch'io il mio paese, così ho mentito sull'età.-
Il nervosismo li fa scoppiare a ridere. Nel vagane accanto, gli altri soldati, si lanciano occhiate perplesse, chiedendosi cos'abbia qualcuno per divertirsi così tanto.
-Ma guardalo, 'sto ragazzino che riesce a falsificare permessi- lo addita qualcuno. 
Il clima ora è di certo più rilassato. 
 
 
 
 
 
Nella capitale tedesca, intanto, lo zio albino si destreggia tra vestitini e copertine in modo piuttosto confuso. 
-Cos'è questo?- continua a chiedere curiosissimo ogni dieci secondi.  
Si avvicina poi al nipotino e gli fa le pernacchie, ridendo più del bambino stesso.
Lo tiene addirittura un po' in braccio, ma non è affatto delicato, e la mamma deve sistemare la creaturina tra le sue braccia. 
-Stai attento, Gilbert, ricordati che è piccolo!- dice ogni tanto.
Lui sbuffa e va ora a sedersi sul divano, raccontando una storia al nipotino. Una storia magnifica su un altrettanto magnifico aviatore che solca i cieli ed uccide i cattivi per poi liberare la bella principessa che, per ringraziarlo, lo bacia e...
-Gilbert! Ma per favore!- lo rimprovera Felicia prima che lui possa esagerare, scandalizzata.
Il pilota scoppia a ridere. -Non avrai mica pensato che possa spiegare una cosa del genere a questo marmocchio! Hei! Io sono responsabile! ...Cos'è quell'espressione dubbiosa?- assottiglia lo sguardo. Mathias se la ride. Lui gli solletica i piedini e gioca un po' col suo nasino. 
-Come fai a non preoccuparti per tuo fratello?- gli chiede l'italiana con un sospiro.
-Io sono terrorizzato per lui- confessa il ragazzo più serio, con uno sguardo leggermente triste rivolto al piccolo. -Ma non posso, non posso, far sì che la paura mi blocchi. L'ho fatto già una volta.-
La giovane non capisce e con l'intento di scoprire il mistero celato sotto quelle parole, gli si avvicina, sedendosi sulla poltrona nella quale solitamente si sedeva il marito. Fare ciò le provoca una stretta al cuore, alla quale però non da troppo peso, non al momento, almeno. 
-Che.. intendi?-
-Era il 2 settembre, o il 3, non ricordo bene. Anzi... è che non avevo proprio la concezione del tempo. Pensavo sarei morto sotto i resti del mio aereo. Era buio, temevo ci fossero lupi o, peggio, umani, da quelle parti. Rimasi per ore immobile, pensando che, forse, se non mi fossi mosso, ce l'avrei fatta. Mi convincevo di aver preso da solo la decisione di starmene fermo, ma la verità è che la paura mi aveva pietrificato. Arrivarono alcuni animali, lupi, come se avessero sentito la voce nella mia mente che continuava a farmeli cercare con lo sguardo. Mi attaccarono. La gamba... sentivo non avrei mai più potuto volare. Sentivo che... non avrei più camminato, riso, sorriso, vissuto. Inizia ad urlare: non mi importava chi mi avrebbe sentito, ma chiunque fosse stato avrebbe messo fine alle mie sofferenze: se mi avessero preso i miei nemici, mi avrebbero ucciso all'istante; i miei Kameraden mi avrebbero invece aiutato. Furono loro a tirarmi fuori di lì ed a allontanare i lupi. Io continuai a rimanere fermo, ma non smettevo di gridare. Non so neppure in che parte della Polonia fossi allora.- 
Scuote la testa come per scacciare dalla mente quel pensiero, quel pezzo di vita che non dimenticherà mai più. 
In seguito all'evento, la ferita gli ha provocato dolore immenso. E' un miracolo che non gliel'abbiano amputata. 
Ha ripreso a camminare più o meno bene, ma si stanca molto più facilmente di prima. Ciò, comunque, è un segreto per i suoi superiori. Ha una buona sopportazione del dolore ed una buona capacità di recitazione.
-Non dirlo a Ludwig.-
Mormora quest'ultima frase, prima di tornare a sorridere col piccolino disteso sulle sue gambe. Gioca con le sue manine come se avesse parlato del tempo, tranquillo e rilassato, baciandogliele e solleticandole. Fa qualche pernacchia nel suo pancino, poi lo ridà alla sua mamma, più attento. 
Si alza in piedi ed infila il berretto della Luftwaffe. 
Un altro miracolo è che abbia la licenza da pilota. 
Lui è albino e l'albinismo porta ad avere gli occhi malati. No, non solo per il colore bizzarro, anche per la difficoltà della vista. Ha truccato la cartella clinica, l'infermiera con qualche bacio si è lasciata convincere. Non ha mai sbagliato un colpo, finora, è come se andasse a sensazione. 
Fa dietrofront; esce dalla casa.
La ragazza rimane con la valigia in un angolo ancora aperta, il bimbetto sul divano vicino, posto da lei appena occupato, i gomiti sulle ginocchia scoperte per via della gonna leggera che indossa, il mento appoggiato alle mani congiunte.   

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Capitolo 27
*** Nessuna novità. ***


Si comportano come se la guerra fosse effettivamente scoppiata, eppure lottano per non farla scoppiare. Dopotutto, in Italia, il conflitto non è ancora giunto ufficialmente, sebbene le prime avvisagli si siano fatte sentire già due anni prima.
Se  il 30 Ottobre del 1922, il Re d'Italia Vittorio Emanuele III diede a Mussolini il compito di fondare un nuovo governo (egli infatti si presentò a Milano già nel 1919 con una nuova formazione politica denominata "Fasci Italiani di Combattimento"), già nei primi giorni del settembre 1938, le leggi razziali erano state emanate, e con esse una serie di sconvolgimenti allo Stato Albertino, che il fascio modificò poi a proprio piacimento, tutti approvate in un breve arco di tempo.
L'Italia non avrebbe dichiarato la guerra alla Francia all'Inghilterra prima di Giugno del corrente anno, tuttavia quel gruppo di partigiani tenta proprio di evitare che la guerra scoppi. Al momento, non hanno trovato troppo sostegno dagli altri italiani e quel loro "amico" scappato da quel "campo di concentramento" non era altro che un uomo ebreo che era stato allontanato per le sue origini cosiddette impure.
Dubitano, comunque, di riuscire ad impedire che il conflitto travolga il loro bel Paese e se qualche tedesco già si trova nella loro terra, chissà quanti ve ne saranno a conflitto scoppiato.
Quel giorno, seduto in un angolo di naturale paradiso a fumar le loro sigarette, parlando dicendosi grandi e bravi di aver già portato un tedesco dalla loro parte, uomo che però, per via del suo così stretto rapporto con l'italiana, era facilmente plasmabile.
Ne troveranno altri e la guerra finirà prima che Mussolini possa una sola volta lo splendore di un'Italia fascista sotto il fuoco nemico. 
Per vie delle Fascistissime, una serie di leggi emanate dal nuovo capo del Governo, sono state soppresse ogni tipo di libertà democratiche (ovverosia manifestazioni di pensiero, censura alla stampa, riunioni di uomini liberi),  ogni pluralismo politico, chiunque non fosse fascista è detto fuori legge e le camere dei deputati in favore di membri con le camice nere che approvavano leggi persino più sporche della loro coscienza. 
Aldo, comunista convinto, non può non adirarsi ogniqualvolta pensi al suo essere "al di fuori della legge", soltanto perché ha un credo politico diverso rispetto chi governa e capita spesso che si mette a strillare e gli altri, per non farsi scoprire, subito lo zittiscono. 
-Questo governo- esclama d'un tratto Silvano, quel tipo taciturno con la perenne sigaretta tra le dita. -Sono quasi vent'anni che ci uccide silenziosamente.-
E mica tanto, tra l'altro.
Dopotutto, le leggi razziali, giusto per fare un esempio, non sono poi così nascoste. 
Finita la scuola dell'obbligo, ogni ragazzino e ragazzina di fede ebraica è costretto ad allontanarsi dai licei, così come i ragazzi più grandi ed i professori dalle suddette scuole e dalle università. 
Vietati i matrimoni misti, anche. Divieti di qua e divieti di là. Continuamente divieti! 
E loro già non ce la fanno, più, quei pochi ragazzi. Romano, Aldo, Ettore, Francesco, Silvano, Giuseppe. 
Continuano a parlare e  parlano sostanzialmente del nulla, perché per un pomeriggio vogliono pensare a rilassarsi un pochetto. Gli tocca di tanto in tanto, oppure no? 
Felicia è arrivata in città il pomeriggio di due giorni fa, col piccolo Mathias tra la braccia. 
Il nonno lo ha rubato alla sua mamma e stretto a sé un pochino, ricordandosi in quel gesto tutto quei momenti dolci passati con il piccolo Roma e la piccola Felì. 
Il bebè è un tantino restio a lasciare la sua mamma, ma lei vuole che s'abitui alle braccia estranee, in questo modo farà il bravo anche quando tornerà da loro il suo papà. 
-E' davvero bellissimo- dice Nonno Roma che anche adesso sta giocando col pronipote. La ragazza intanto si sta dedicando un attimo a sé stessa, sono giorni che si trascura, ancora non ha imparato bene a conciliare la vita di madre e quella di donna. Messo uno dei suoi più bei vestiti addosso, esce di casa tenendo il figlioletto tra le braccia. 
Vuole portarlo a conoscere la zia Elisa, che tra un po' dovrà sposarsi.  
Per quanto lo voglia, non è sicura di andare a quel matrimonio.
Di certo sarà in città per allora, perché li si fermerà per ben sei mesi, purtroppo però non sa se sia il caso, dato che lei è una donna momentaneamente sola. 
Ci penserà e chiederà consiglio ai due maschietti della famiglia che invece le sono accanto.
Bussa alla porta di casa e risponde in tono allegro alla madre dell'amica, la signora Marta, che domanda chi sia dietro la suddetta porta d'ingresso. 
Quando la apre, spalanca gli occhi e chiama a gran voce la figlia, invitandola poi dentro.
-Ma quant'è bello! Ma quant'è piccolo!- continua a dire nascondendo la bocca tra le mani in una smorfia di meraviglia e stupore.
La giovane ragazza con i capelli rossi si avvicina a loro e lo accarezza sulla guanciotta, presentandosi come la zia Betta. -Mamma mia! Ma è stupendo!- esclama anche lei, con gli occhi che le brillano quasi. 
Passano una piacevole serata e come quella molte altre. 
Finché...
 
 
10 Giugno 1940.
Quel giorno sarebbe rimasto impresso nella storia dell'Italia, perché quella mattina, il conflitto mondiale ottiene finalmente risposta: dopo aver bussato insistentemente alle porte della penisola da mesi, finalmente lei ha aperto, offrendo persino caffè e pasticcini, tanto contenta di poter finalmente unirsi a lui.
Nuove rivalità nascono dunque tra l'Italia, la Francia e l'Inghilterra. Non si deve comunque troppo aspettare perché anche il Canada dichiari guerra alla culla della cultura rinascimentale. 
Sarebbero passati ancora pochi giorni e se le lettere che il bel soldato biondo ha mandato fossero arrivate, lei saprebbe che lo stanno trasferendo, da Bruxelles a Parigi, perché quella città hanno ora da occupare, come prossimo obbiettivo. 
La ragazza ha continuato ad aspettare con ansia quelle parole scritte di fretta in un pezzo di carta sporco di fango, sudore e sangue raccattato chissà da dove, ma non è mai arrivato nulla, nessuna risposta alle sue di parole che, a loro volta, sembrano essere rimaste in qualche cassetta postale italiana. Chissà se mai le riceveranno!  Chissà se si potranno mai dire completamente tranquilli! Lei non lo sa ancora, ma lui se la cava piuttosto bene, per il momento.
E' in casa Vargas che sta il problema. 
Romano si rifiuta di prestare servizio militare alla sua patria e non perché sia un codardo, perché abbia paura della morte (il che sarebbe almeno in parte vero), ma soltanto perché non vuole perdere la vita per incentivare gli attacchi di amici e nemici. E se tutti fossero così coraggiosi da dire di non voler combattere agli ordini di Mussolini, il problema nemmeno sarebbe posto. 
Perché dopotutto, qualsiasi cosa accada, il popolo è il sovrano, malgrado la monarchia, la dittatura, malgrado il sole non splenda tutti i giorni, malgrado le notti siano lunghe e non diano alcuna motivazione, malgrado non nasca fiore che artificiale in un palazzo troppo bello per essere legale, malgrado non ci sia acqua per tutti e ciascuno abbia la sua parte di torto. 
 
 



 
Diario di un pilota. 
 
 
Caro diario,
non ti scrivo ormai da tempo, tuttavia non ho avuto l'occasione di farlo.
Non ho che buone notizie da raccontarti... no, non è così.
Il Magnifico me ha magnificamente fallito.
Il Magnifico ha accanto a sé una piccola scatola quadrata, decorata egregiamente, nella quale v'è però uno dei grandi mali del nostro tempo. 
Non riesco a farne a meno, è come una droga, anzi, sì, lo ammetto, sono diventato un drogato. Mi piacerebbe poter dire che non è così, ma non riesco a smettere di farlo: ne prendo un po' e subito ne voglio ancora.
E' troppo facile abbandonarsi ai piaceri della vita e non lottare ed io, da drogato quale sono, non dovrei farlo. Perché la mia droga fa relativamente male. 
Fa male perché mi dicono che deve fare male; fa male perché mi ordinano di far sì che faccia male. Ed io non vorrei far male a nessuno. 
Ludwig, ad esempio, non si lamenterebbe troppo se lo sapesse, ne sono certo, perché dopotutto, un drogato lo è pure lui, per certi versi. 
La sua droga è la patria.
La mia droga è il volo.
Volare mi da quel senso di libertà che per anni ho cercato e mai raggiunto, volai una volta di nascosto nell'aereo di un mio buon amico e da allora mi fu impossibile disintossicarmi.
Eh, diario, credevi parlassi delle anfetamine, nevvero? Eppure non è così.
Sì, continuo a prenderle e a volte penso di esagerare, ma se voglio, io so smettere. 
...Davvero! Posso farlo! 
Invece non potrò mai smettere di volare. E' così bello, vibrare vicino gli uccelli, immaginar di essere uno di loro, sorridere a Dio che appare d'un tratto così vicino, per poi andar poco a poco più giù, virare ad occidente perché dalla parte opposta nasce il sole e vederlo da lassù, accidenti, se è un bello spettacolo. 
Mi sono di nuovo ridotto a parlare dei miei voli.
Oramai questo diario ne è pieno zeppo ed  è strano, perché avrei mille e più problemi dei quali proprio non posso far parola con altri da raccontarti, diario, ma scelgo sempre di parlarti della mia vita da pilota.
Mi chiedo in ogni momento quando finirà la bellezza di queste giornate. 
Ebbene: mi rispondo che non m'importa.
Finché mi lasceranno pilotare il mio aereo con la croce di ferro, io continuerò a farlo e se me ne dessero un altro, io piloterò quello, e se non me ne dovessero più dare, io smetterò di esistere. 
Perché solo questo sono capace di fare. 
 
Gilbert, il Magnifico. 



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Salve!
Ci tengo ad evidenziare che ho aggiunto una parte del diario segreto dell'albino. 
Penso ne metterò delle altre, mi piace un sacco! 
Questo capitolo è alquanto transitorio, sostanzialmente volevo evidenziare che l'Italia entra solo ora in guerra e che a Venezia le cose vanno più o meno bene (a parte per la leva obbligatoria...). Il prossimo capitolo, sarà incentrato completamente su Ludwig. Alla prossima! Recensite! :) 

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Capitolo 28
*** Occupazione nazista. ***


[ Capitolo dedicato a Buch, qui su EFP _bucchan.
Hai visto? Ho inserito -finalmente- per bene, il tuo personaggio preferito. (:  

Chiedo comunque scusa per il ritardo. Sono imperdonabile, ma ho studiato ogni pomeriggio sino alle sette/otto questa settimana e non ho avuto tempo materiale per scrivere. Spero che, avendoci messo tutto il mio impegno, vi sia piaciuto e mi abbiate perdonata :3 ]






Parigi è della Wehrmacht. 
E' il 14 giugno del 1940 e Parigi è stata finalmente occupata. 
Non è la prima occupazione che Ludwig mette in atto, precedentemente aveva occupato con gli stessi compagni Bruxelles. Tuttavia, stavolta gli pare molto diverso.
Gli sembra che stavolta tutto sia più... crudo.
La capitale francese è stata una difficile conquista, ma adesso la bandiera con la svastica sventola e le croci teutoniche brillano sul petto di alcuni soldati, come onorificenze. 
Ci sono dei carrarmati tedeschi e presto su degl'altri arriveranno le SS, accompagnate da quelle jeep enormi e molto belle.
A breve, il Furher stesso metterà piede nella città parigina.
I soldati della Wehrmacht sono in festa, quella conquista li riempe d'orgoglio e li fa diventare talmente egocentrici che tutto il loro ego maschile esplode, una volta rotte le righe.
Il biondo si guarda attorno, deve essere un po' pallido, perché qualcuno gli chiede se stia bene. Lui annuisce distrattamente. Ci sono così tanti cadaveri, per le strade.
Soprattutto di donne e bambini molto piccoli. Abbassa lo sguardo su un corpicino poco distante da lui. Quanto avrà avuto quel piccolo? Sei anni? Vicino a sé ha un giocattolino in legno.  Poco distante, una donna che di femminile non ha più nulla; il corpo è stato sventrato da una granata.
Si scuote da quei pensieri solo quando sente urlare una ragazzina francese, avrà avuto quindici anni al massimo. In lacrime, cerca di allontanare da sé un soldato. 
-Maman! Maman! Aidez-moi! Aidez-moi, s'il vous plait!- continua ad urlare, eppure nessuno va in suo soccorso. La sua mamma non c'è più. E' sola al mondo adesso. 
Ludwig distoglie lo sguardo, non riesce a guardare. E non può fare null'altro, perché come lei ci sono tante altre ragazze e giovani donne nelle stesse condizioni. 
Si pensa spesso che questi soldati, quelli della Wehrmacht, non siano poi così crudeli. In realtà, non hanno molto da invidiare alle Schutzstaffeln.
Anche loro stuprano, torturano, seviziano donne e bambini, divertendosi a sparare sulle folla. Certo il loro sadismo non è comune a tutti i componenti, come avviene invece per il "Corpo di Protezione." Ma è radicato nei loro cuori da perfetti nazisti. 
Non può mettersi, lui,  contro tutti e rischiare che s'insospettiscano. Eppure, quella scena lo costringe ad immaginare sua moglie, qualche mese prima, in compagnia di un SS. Fa dietrofront. 
Si allontana dagli altri, tra le rovine di una costruzione. 
Sente delle parole parlate in una lingua non sua ed istintivamente mette mano alla pistola, facendosi più cauto. Fa ancora qualche passo e si nasconde dietro un muro; si sporge un poco ed osserva per qualche momento quella scena.
Sospira sollevato nel vedere che è solo un gruppo di bambini. Con loro c'è un uomo, è giovane, avrà appena venticinque anni. Ha gli occhi azzurri ed i capelli biondi, anche lui, sul mento una leggera peluria chiara. Sorride ai piccoli, carezzando dolcemente i capelli di una bambina di quasi nove anni. 
-Frère! Tu peut m'aider?- domanda lei avvicinandosi a lui con un piccolo sorriso.
Ci sono altri sette bambini ed alcuni non gli somigliano per nulla.
Lud immagina subito che lui li abbia presi in custodia. 
Sente un rumore dietro di sé, si volta e si sussulta ritrovandosi un bimbetto di quattro anni a fissarlo. Istintivamente, gli punta contro la pistola, e quello scappa via, finendo tra le gambe dell'unico adulto del suo gruppo, indicando infine spaventato l'uomo cattivo, quello ariano. 
Lui esce allo scoperto, tenendo la pistola bassa, ma con salda impugnatura. Li osserva, osserva quei loro occhi spaventati, il loro farsi più vicino all'unico punto di riferimento che hanno, il quale, subito li protegge e nasconde dietro di sé, balzando in piedi. 
Si nota lontano chilometri, tuttavia, che il tedesco non vuole davvero fargli del male e se si osservasse meglio, si vedrebbe la sua mano tremare. Ripone la pistola nel federo, con l'intenzione di non usarla.   
-Frère, il n'est pas méchant, peut-être- sussurra qualcuno. 
Il ragazzo non capisce, quelle parole sono appena state bisbigliate in una lingua non sua. 
Il giovane francese, calma i suoi battiti ed il cuore s'alleggerisce, le sue labbra formano invece un sorrisetto compiaciuto.
"Eccone un altro" pensa, "di soldati che magari c'aiutano."
Ne hanno incontrati altri che hanno dato loro delle dritte su dove nascondersi o magari, cosa non meno importante, qualcosa da mangiare per i più piccolini. 
-Non andare via- gli dice benevolo, mentre l'altro sta giusto per fare dietrofront. 
Ed afferma ciò in tedesco, perché col tempo un poco ha imparato a conoscerlo, il suo migliore amico aveva origini prussiane e gli ha insegnato un po' quella lingua.
Il soldato della Wehrmacht, si sistema il cappello sulla chioma bionda, si volta appena per guardarlo.
-Je m'appelle Francis. Et toi?- domanda tendendo una mano verso di lui, sempre con quell'accenno di smorfia sorridente. 
L'altro, restio, esita prima di congiungere la mano alla sua. Avrebbe dovuto sparargli a vista, eppure non lo ha fatto, qualcosa glielo ha impedito. Stringe quella presa. -Ich bin Ludwig- si presenta a sua volta. 
Si ritrova subito dopo attorniato da bambini che lo osservano curiosi, sa di non doversi affezionare, perciò nemmeno li guarda. Il più piccolo ha due anni, la più grande quasi dodici. 
Viene subito a sapere che quel tale, Francis, si sta prendendo cura di quei marmocchietti da almeno due mesi con l'aiuto della sorella, che però non vede da un po'. Gli confessa di essere preoccupato, ma non si sbilancia più di tanto a parlare: dopotutto, per quello che sa, potrebbe essere una spia. 
Ma ecco che mezz'ora dopo giunge alle spalle dell'invasore una ragazza, bellissima, magra, con lunghi capelli biondo cenere raccolti in uno chignon, gli occhi chiari. 
Titubante, porge anche lei i suoi saluti al ragazzo. 
-Moi, je suis Jacquiline- gli spiega.
Si somigliano così tanto, lei e Fran, che per un momento, lui ha pensato fossero gemelli. Sono entrambi così belli, eleganti nei modi di fare, aggraziati anche per come ridono, con lineamenti quasi perfetti. 
Ludwig spera con tutto il suo cuore che nessuno dei suo Kameraden abbia infastidito la ragazza, mentre lei procacciava qualcosa per i bambini, ma dato che lei è qui sana e senza una taglio, eccetto per quello sotto l'occhio destro, dubita che qualcuno l'abbia vista. 
Rimane poco con loro, poi va via, non vuole destare alcun tipo di sospetto con gli altri militari, per cui si congeda. 
-Au revoir, Lud- esclama lei, con un sorriso gentile.
-Spero che le nostre strade, possano incrociarsi ancora in futuro- soggiunge il fratello. Anche i piccoli agitano le manine, lui risponde solo con un cenno ed un mezzo sorriso. Si chiede cosa stia facendo il figlio adesso. 
Alza lo sguardo verso il cielo, provando ad immaginarlo. Che ore saranno? Dev'essere sera, perché il sole sembra scomparso del tutto. 
Ecco cosa vede quando ritorna dagli altri: le sowilo delle SS, i due fulmini vicini bianchi su uno sfondo nero. 
Fa finta di nulla e si avvicina ai suoi commilitoni, i quali, sono seduti in cerchio a consumare il loro rancio. 
Non ha fame.
Non capisce come se ne possa avere, quando accanto a loro c'erano tantissimi cadaveri fino a qualche ora prima ed anche ora alcuni sono ancora lì. Non c'è stato tempo di trascinarli nelle fosse comuni, gli uni sugli altri. 
Abel, il ragazzo che sul treno non riusciva a star zitto e raccontava continuamente di quanto bravo fosse il suo cane, se ne sta seduto in un angolo, adesso muto, senza osar respirare. Si muove ossessivamente un poco in avanti ed un poco indietro, una volta alzatosi, con lo sguardo perso nel vuoto. Pesta qualcosa col piede, abbassa lo sguardo e si allontana diventando verde. Si appoggia ad un muro e vomita pure l'anima.
Nessuno va a consolarlo. Segretamente, quasi tutti i soldati della Wehramcht vorrebbero rigettare in un angolo le loro emozioni. Eppure non lo fanno, ci sono le Schutzstaffeln vicino e non voglio mostrarsi deboli.
All'improvviso da una camionetta nera, scende un soldato in divisa nera, gli occhiali sottili sul naso. 
Lud lo riconosce, lo aveva visto poco prima la sua partenza da Berlino, quand'era al parco con Felicia e Mathias. E' quel ragazzo moro con gli occhi di colore strano.
-Guardate chi c'è- mormora qualcuno sottovoce con un mezzo ghigno.
-Ah, con gli occhi viola. E' incredibile, che l'abbiano accettato nelle SS, con quello sguardo che si ritrova.- 
-Ho sentito dire che ha un cognome ebreo- s'intromette qualcuno. Hanno tutti lo sguardo fisso sulla sua figura, lui, sentendosi osservato, si volta incrociando gli occhi impuri su quelli degli altri. Con fare altezzoso, distoglie lo sguardo.
-E' imbarazzante, tutto questo. Ha gli occhi viola! Dovrebbe stare al pari degli ebrei- conclude il primo che ha parlato, bevendo poi con un rumore fastidioso la sua razione di zuppa. 
-Non fatevi sentire...- mugugna debolmente Abel, tornando a sedersi. Affonda il viso verdastro tra le mani. -Non vi conviene mettervi contro di loro.-
In quel poco tempo, è cambiato radicalmente, se si pensa che prima era solo un ragazzotto che si divertiva col proprio cane ed ora un uomo a tutti gli effetti che mette in guardia gli altri.
Le esperienze lo hanno fatto diventare così e maturare tutto in un colpo.
A Bruxelles, le SS gli avevano dato una lezione. Da allora ogni volta che ne sente parlare, con fare saggio, risponde agli altri. 
Il discorso viene chiuso lì. 
Non avranno modo di scoprire che, quel tipo con gli occhi viola, non è tedesco bensì austriaco, anche se in realtà l'Austria non esiste più.
Dopo l'Anschuluss del 1938, quello stato non può più essere nominato, se non sotto il nome di Ostmark. Questo perché l'Austria non faceva che parte di un piano più grande, quello della Germania Nazista, che cercò d'integrare dopo tantissimi stati confinanti, tra cui, appunto, la Francia. 
Ad ogni modo, l'austriaco, ha anche un nome: Roderich. Il problema, è il cognome. Tutti lo chiamano Herr Kommandant, per quanto ne sanno loro; nessuno di quei soldati con la divisa della Werhmacht, è così vicino a lui da conoscere qualche altro dettaglio. 
Subito dopo Roderich, si avvicina ad un comando temporaneo, un altro ragazzo, che il biondo riconosce subito. Joakim. 
Possibile debba essere sempre così... presente? 
Per il momento decide di non pensarci. 
Monta il turno di guardia, concentrandosi a non farsi sfuggire nulla nel buio della notte.
 
Le prime ore della notte passano serene, Ludwig parla e ridacchia sommessamente con l'altro ragazzo che sta di guardia. Si chiama anche lui Hans, è già il terzo soldato che conosce con questo nome. E' più bassino e con i tratti del viso dolci, sporco di terra su una gota, il berretto calato fin sopra gli occhi che gli impedisce di vederci bene, pessimo dettaglio, dato il ruolo che stanno ora ricoprendo. 
Si raccontano delle storie, qualcosa che hanno sentito dagli altri, ma nessuno dei due racconta le vicende della propria sfera privata; eppure, sono compagni. Hanno un legame così stretto, che dovrebbero fidarsi ciecamente, mettere la vita l'uno nelle mani dell'altro. Perché non riescono a farlo?
Altri ci riescono. Spiegano ogni singola cosa che appartenga alle loro vite, parlando del padre, delle madre, scherzano sulle sorelle e si arrabbiando quando qualcuno fa un commento di troppo. Poi, però, si mettono a parlare di quanto sia stato bello scoparsi quelle ragazze francesi e nessuno pensa che quelle giovani donne -o ragazzine- potrebbero essere le loro sorelline o le loro mamme. 
Hans ci pensa, Abel anche, Ludwig indubbiamente. 
Il secondo citato se ne sta lì con loro, sebbene non sia il suo turno, perché non riesce a chiudere occhio, gli altri soldati russano troppo forte e a lui fa tanto male la testa.
D'un tratto sentono un rumore di passi. In un primo momento, sebbene interrompano la conversazione, nessuno di loro vi fa caso e riprendono col loro discorso, concitati. 
Tuttavia, quei passi si fanno più veloci e anche più vicini.
-Vado a controllare- esclama il biondo, ariano puro.
Lascia la sua postazione, fucile ben saldo tra le mani, occhi vigili. 
Non trova nessuno, per almeno i primi dieci minuti di esplorazione, per cui vuole tornare alla base per vedere se lì ci sono novità.
Sente però qualcos'altro: come bisbigli e gemiti trattenuti. 
Segue quel rumore, scovando poi una divisa nera, riversa su una gonna celeste e bianca. 
Il suo primo impulso è avvicinarsi. 
Nota solo delle gambe nude, e quella figura scura e tetra avvinghiata a quel colpo, ma la visuale è limitata dal muro che ha davanti.
Il suo secondo pensiero, è invece quello di farsi i fatti suoi. 
Ha lasciato correre tante volte, perché ora dovrebb'essere diverso? Poi sente quella voce maschile e decide di intervenire. 
Non vorrebbe utilizzare il fucile, perché potrebbe fare troppo rumore e se lo scoprissero, lo impiccherebbero di certo. Ma non può aspettare di decidere. 
Con un movimento svelto, prende quella figura dalle spalle e la spinge via da quel corpicino spaventato, che riconosce anch'esso. E' la ragazzina di quasi dodici anni che stava con Francis. Le lancia un'occhiata, sembra stare bene, malgrado la paura, dopotutto Joakim ha ancora i pantaloni indosso, seppur siano sbottonati e la camicia fuori posto.
E' palesemente ubriaco e barcolla cadendo per terra, quando l'altro lo  allontana da lei. Prende la pistola, gliela punta contro, contro al marito della ragazza con la quale si è precedentemente divertito, ma non riesce a centrarlo, la vista è eccessivamente appannata. 
Con un calcio, Lud gli fa cascare la pistola dalle mani e con un altro la fa finire dall'altra parte di quel complesso in rovina. 
-Schifoso... è un bambina!- gli ringhia addosso.
Lei non capisce, sia perché la lingua è diversa dalla sua, sia per lo spavento. Si copre svelta, le lacrime le rigano il viso.
Ne segue una colluttazione.
Ludwig ha la meglio, perché del tutto sobrio e più agile. 
Joakim però recupera la pistola e per poco non lo colpisce quando fa fuoco. Lo prende, ma soltanto lo sfiora al braccio che inizia subito a sanguinare. 
La ragazzina urla; il biondo decide allora di farla finita. 
Prende il fucile e gli si mette davanti, a distanza di mezzo metro. Glielo punta contro.
Non può credere di averlo lì davanti a sé.
Quanto ha desiderato questo momento? Certo è felice che Mathias sia nato, perché è un bambino bellissimo e molto dolce, però non a questo prezzo. 
Joakim ha una reazione che non si sarebbe aspettato.
Scoppia in lacrime, come un bambino e come un bambino gli chiede perdono per la marachella combinata. 
Lui non può perdonarlo. Chissà a quante ragazze e donne ha rovinato la vita. 
Gli punta la canna del fucile contro. Sarà uno spettacolo molto brutto, quando premerà il grilletto. 
Si volta appena verso di lei e fa un cenno verso la porta. Vattene, significa. E lei ubbidisce svelta, senza avere la capacità mentale di ringraziarlo. Scappa via e si ricongiunge con Francis, tra le braccia del quale si accoccola in lacrime, quando finalmente riesce a trovarlo.
Ludwig preme il grilletto. Un unico colpo. Un unico morto. 
Osserva la vita abbandonare quel corpo ed un po' si pente, come ogniqualvolta uccide. 
Tuttavia, si è tolto un peso dal cuore. Suo figlio potrà crescere più sereno in quel mondo senza scoprire mai chi sia il suo vero padre; Felicia non dovrà più abbassare il capo quando lo vede per le vie della Germania; e lui, finalmente, ha vendicato la sua donna e con lei chissà quante altre. 
Abbassa l'arma e con essa lo sguardo.
Rimane ad fissare quel corpo per qualche secondo, poi, preoccupato che possano averlo sentito, fa dietrofront per andarsene. 
Un'altra figura.
Un altro SS. 
Che voglio, ancora, da lui?
Il suo cuore inizia a battere all'impazzata, è quasi certo che quel tale farà rapporto. 
Roderich punta gli occhi sui suoi. 
Gli converrebbe denunciarlo, si accattiverebbe il favore del governo nazista, tuttavia si limita ad sistemarsi gli occhiali sul naso.
Quel tipo non gli era mai piaciuto, non sarà una grave perdita. 
Sistema il cappello tra i capelli neri, e torna alle sue mansioni. 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 29
*** Partigiani -Che vita! ***


Un altro pomeriggio di giugno. 
Fa tanto caldo, anche il bebè se ne lamenta, disteso nella sua culletta in legno con la copertina celeste. Gli occhi verdi vagano qui e là ridenti e le manine tentano di afferrare lo zio che lo guarda da lassù con un piccolo sorriso nervoso. Gli carezza forzato la guancia. Si china su di lui e gli da un piccolo bacio sulla fronte. 
-Fai il bravo- gli sussurra. -E se mi accadesse qualcosa, proteggi la mamma, intesi?- domanda retorico. Con un piccolo sospiro, si allontana.
Sistema i suoi vestiti, il cappello sul capo, la sigaretta tra le labbra, la pistola nascosta dietro la giacca, affibbiata al cinturone.
Prima che qualcuno possa fermarlo, esce di casa richiudendosi la porta alle spalle, lì, nel cortile, Aldo che lo attende. 
-Compagno- lo saluta l'altro. Lui ricambia con un cenno del capo.
Iniziano a passeggiare ed arrivano in campagna circa un'ora e mezza dopo.
Hanno bisogno di munizioni perché Mussolini se ne vada dal loro paese, con una corda attorno al collo. Hanno brutte intenzioni nei suoi confronti, un'umiliazione pubblica scoraggerà di certo tentativi simili di golpe. 
Prima di arrivare in campagna, però, alcune camice nere li fermano. Gli fanno un paio di domande. 
-Perché non sei a servire il tuo paese?- chiede uno di questi, imbracciando per bene il suo fucile.
-Non sono in grado di farlo- risponde pacato Romano, che tuttavia si sente scoppiare dentro.
Vorrebbe dargli un pugno, atterrarlo, pestarlo a sangue. 
E ha paura, come sempre, di essere scoperto. Non ha paura della morte, ma piuttosto del dolore fisico e di tutto ciò che potrebbe perdersi nel caso lasciasse le penne durante una missione. Se lo scoprissero, lo impiccherebbero immediatamente, o si ritroverebbe una pallottola conficcata nella fronte. 
Tira fuori dalla giacca un certificato medico contraffatto. Un loro amico non se l'è sentita di fare il partigiano, aveva ed ha troppa paura, così ha continuato a studiare medicina. Sta per laurearsi; è stato lui a fare quel certificato. 
Aldo, con quelle certe sue occhiatacce, minaccia di far saltar in aria tutto il piano. Li odia così tanto, i fascisti, che se rimanesse solo qualche momento da solo con uno di loro...
Anche la sua scusa regge ed dopo lunghissimi dieci minuti possono andare via. 
Fanno appena pochi passi quando quell'uomo col quale hanno appena parlato esclama: -Romano Vargas.- 
Il ragazzo chiude gli occhi. Lentamente, si gira. 
Quello, con un sorriso beffardo, sventola il certificato per aria. -Dimentichi questo.- 
Trattenendo un sospiro di sollievo, lui va a riprenderlo, dopodiché si congedano e a passi decisamente non veloci per non destar sospetti si allontanano. Quando possono, iniziano a correre.
Giunti in campagna, nel punto di ritrovo, si appoggiano a dei tronchi d'albero per riprendere fiato, piegandosi un poco sulle ginocchia il rosso, l'altro sprofondando a sedersi, la nuca contro la corteccia.
Ettore, Silvano, Francesco e Giuseppe si avvicinano a loro. 
-In ritardo- commenta il più piccolo con uno sguardo di disapprovazione. 
Roma lo fulmina con lo sguardo e gli da uno scappellotto. 
Non vuole davvero male al ragazzino, tuttavia lo infastidisce alquanto il momento in cui quello "fa l'adulto", perché non lo è, anzi. 
Giuseppe gli porge un mano, lui l'afferra e si alza.  Dopodiché, tutti gli altri, s'infilano in un casolare abbandonato pure da Dio, in mezzo alla vegetazione incolta, pieno di topi ed insetti. Ma a loro non importa. E' un posto sicuro e di certo hanno più paura di un soldato italiano o straniero che di un ratto. 
Stanno studiando delle carte, quando Silvano sente dei rumori. Sta parlando lui, indicando qualcosa su una specie di mappa stilizzata, così si interrompe. Gli altri gli chiedono cosa ci sia che non vada, lui risponde un -Nulla- e continua il suo discorso. 
-Dunque, qui ci sono sempre due o tre soldati; montano un turno di tre ore. Se li attacchiamo alle nove, abbiamo tempo fino a mezzanotte. Ma se tardiamo, è meglio rimandare. Non avremo abbastanza tempo e se ci scoprono le altre guardie, è un casino.- 
I partigiani annuiscono svelti, ognuno elaborando un piano diverso.
Le guardie a cui si è riferito il ragazzo con i capelli neri, sono fasciste, stanno a controllare uno degli uffici che vi sono dentro la stazione. Hanno motivo di credere che lì dentro ci siano informazioni importanti, perché altrimenti non vi sarebbe tutto questo controllo. Vogliono scoprirne di più.
Sta per parlare Ettore, quando un rumore li fa sobbalzare tutti e sei. 
Afferrano svelti le loro pistole ed i loro fucili, puntando in direzione della porta, tutti attentissimi, le dita sui grilletti. Segue un lunghissimo minuto di silenzio, la tensione è palpabile. E Francesco, povero caro, ci mette un po' a recepire il messaggio e si unisce agli altri per mirare soltanto dopo svariati secondi. 
Non ha ancora recepito per bene le tecniche del gruppo. Avrà il tempo di imparare a farlo?
Eppure la minaccia non è così grave.
Dal muro spunta un piede femminile dalla carnagione molto chiara, subito dopo s'intravede la caviglia e  la gonna ed infine la vita, il seno ed il viso. 
Un viso dai tratti ancora morbidi appena uscito dall'età della fanciullezza, i capelli castano scuro ricadono sulle spalle della ragazza, le labbra rosse formano un largo sorriso ilare, gli occhi ridono. 
-...Salve- saluta lei. 
Tutti quanti i maschietti, sospirano pesantemente sollevati. 
Romano bestemmia. Abbassa l'arma e porta all'indietro la nuca, socchiudendo gli occhi. -Gesù Iddio, ti ritroverai morta per uno di questi stupidi scherzetti, un giorno o un altro- le dice. 
Lei se la ride. 
-Avete avuto paura?- domanda con tono canzonatore. -Mi avreste sparato?- 
-Te lo ficcherei in un certo posto, questo fucile- borbotta il quindicenne, riponendo il fucile che dopotutto ancora non sa usare. 
-Io le ficcherei un'altra cosa- borbotta Aldo, senza pudore. Gli altri ridono.
Simonetta si avvicina a loro, in special modo a Romano, che guarda con la coda dell'occhio maliziosa. Avvicina le labbra alle sue senza sfirarle nemmeno e per un momento al ragazzo pare voglia un bacio, ma ecco che lei gli sventola davanti l'accendino ed una sigaretta, che gli ha appena rubato.
Se l'accende e si siede sul tavolo, dondolando un poco le gambe. Prende tra le mani una delle mappe poste sulla superficie in legno, lasciando pure che le scarpe le cadino dai piedi sottili. 
La studia svelta. E' una ragazza molto intelligente, è un miracolo averla nella compagnia.
Subito capisce le intenzioni e con una mezza domanda intuisce di aver interpretato il tutto in maniera corretta. 
-Li distraggo io- mormora, allontanando la sigaretta dalle labbra. 
Danno al piano gli ultimi ritocchi, dopodiché decidono che è meglio tornare in città.
Sentono però degli altri rumori. 
-Simonetta, guarda che non è divertente- esclama ad alta voce Ettore. 
Ma lei stavolta non ha colpa.
Roma suggerisce a tutti gli altri di nascondersi svelti dietro un muro e di portare con loro quelle carte, dopodiché le toglie la sigaretta dalla bocca e la bacia, infilando una mano sotto la sua gonna, appoggiandola sulla coscia, l'altra sotto la camicetta, sulla schiena. 
Le mani di lei sono affondate tra i suoi capelli, svelta ricambia il bacio. 
Quei rumori non si avvicinano ma neppure allontanano. La ragazza, allora, gli sbottona i pantaloni ed inizia ad emettere piccoli gemiti, tirando su la gonna.
Da una finestra senza vetri né tende, spunta il volto di un vecchietto con la barba folta malcurata, che sgrana gli occhi vedendoli. Quei due continuano, e lui divenendo paonazzo si affretta ad allontanarsi. 
Francesco non riesce a staccare gli occhi dal lembo di pelle che Romano scopre quando le sfila la camicetta. Il quarantenne gli molla uno scappellotto, dopodiché escono fuori tutti quanti. 
-Fingi che è una meraviglia- esclama Aldo rivolto alla ragazza, che, sebbene sia passato il momento di pericolo, è ancora avvinghiata al giovane partigiano. -Mi chiedo se tu finga anche quando Roma ti scopa per davvero.-
L'altro, chiamato in causa, gli risponde malamente con un gestaccio, staccandosi da quelle labbra.
Silvano, si passa una mano tra i capelli scocciato ed accenna col mento alla porta. -Noi andiamo via. Voi che dovete fare?- 
-Rimaniamo un altro po'.- 
Ettore, Silvano, Giuseppe ed Aldo vanno via, trascinando con loro il più piccolo. 
Rimasti soli, Romano riprende a baciare Simonetta, su quello stesso tavolo. 
Francesco rimane in silenzio a lungo. Sentendo nuovi gemiti, si volta verso la baracca abbandonata ma incontra ben presto la mano di Giuseppe che gli impedisce la vista. 
-Lasciali un po' in pace- gli dice guardando davanti a sé.
-... Ma che stanno combinando?- chiede e si ritrova tutti gli occhi addosso, tutti sono stupiti e si sono istintivamente fermati. 
-Tu sai come...?- lascia intendere Aldo. 
Silvano scuote la testa con un sorriso divertito.
Il ragazzino diventa prima rosso in viso, poi viola. -C-certo! E' che io non ho mai...- e non conclude la frase. 
I quattro adulti si lanciano un'occhiata complice. 
Giuseppe riprende a camminare congiungendo le mani dietro la nuca. -Il casino è ancora aperto?- domanda ad alta voce. Gli altri annuiscono.
-Credo tarderemo un po', stasera.- 
 
 
Ed il casino è effettivamente aperto.
Quando giungono, al pomeriggio inoltrato, trovano alcune ragazze appoggiate alle finestre. Hanno gonne strette ed aderenti, corte fin poco sopra il ginocchio, camicette scollate, e vari gioielli: bracciali, orecchini, collane. Le calze sono rigorosamente a rete ed i tacchi abbastanza alti rispetto quelli delle altre donne. Ed il trucco è abbastanza pesante. Rossetto rosso intenso, eyeliner nero che ridisegna la forma dei loro occhi, mascara che da alle ciglia volume.
Li salutano con fin troppo calore, pronte ad accogliere le ennesime pretese di quello che è il mestiere più vecchio del mondo. 
Aldo s'intrattiene un momento con una giovane donna, scambiando con lei qualche parola, la quale chiama -Agostina!- ed un ragazza di diciassette o diciotto anni si avvicina. Ha i capelli mossi castano chiaro e gli occhi verdi, la carnagione olivastra. Prende Francesco per la mano e lo trascina in una stanzetta appartata. Lui arrossisce di nuovo. Quello che succede dopo, lo sanno soltanto loro due. 
Anche gli altri si danno da fare, hanno tutti bisogno di allentare un poco la tensione, dopotutto.
Quando il comunista esce da una saletta, si sistema la camicia per bene, decisamente soddisfatto. Ha del rossetto sul collo e sul petto, ma non si preoccupa di nasconderlo. Si volta verso Giuseppe, ché lo vede spuntar subito dopo di lui. Si fanno portare qualcosa da bere e brindano, entrambi con un'espressione idiota sul volto.
-Non è giusto, che Roma non debba mai pagare per fare l'amore- borbotta il diciassettenne.
Aldo scrolla appena le spalle. -Poco male, per lui. Ha Simonetta.- 
La giovane partigiana, sebbene ammicchi e faccia l'occhiolino a più di un ragazzo, si è concessa soltanto a Romano, nel gruppo, anche se lui non è stato il primo ed unico con cui lo ha fatto. 
Forse si è lasciata andare perché quel ragazzo lo affascina più di tutti. Ma sarebbe assurdo parlare d'amore. 
Escono tutti quanti, eccetto Silvano e Francesco. 
Quando il minore esce fuori, lo fa stando davanti l'accompagnatrice che lo aveva trascinato lì dentro, la quale, tutta spettinata, cerca disperatamente di mettersi in ordine quei pochi vestiti che ha. Il ragazzino ha un enorme sorriso.
Quando Giuseppe fa per pagarla, lei scuote la testa.
-No. E' stato troppo bravo, mi rifiuto di prendere quei soldi- e facendo l'occhiolino al giovane, con la speranza di rivederlo, si allontana. 
Gli altri partigiani si guardano tra loro stupiti, spalancando gli occhi. Li raggiunge anche Silvano. Gli raccontano la scena, lui pare sorpresissimo.
Escono da lì parlando concitati vicino al quindicenne, il quale non è intenzionato minimamente a rispodere alle loro domande. 
D'un tratto, Giuseppe, suo protettore,  si mette davanti a lui. 
-Insomma, Francé: ci vuoi dire come cazzo hai fatto?- esclama, guardandolo negli occhi. 
Gli altri annuiscono. Ettore, il più grande, si sta divertendo un mondo per quella faccenda. Il comunista si appunta di raccontare tutto a Romano, quando lo vedrà. 
-No- risponde netto Francesco. Li saluta e si addentra in una traversa, intraprendendo la strada di casa. 
I quattro si guardano, dannatamente curiosi. 
 
Simonetta si accoccola al petto del suo amante, la camicia di lui le copre le sue parti più intime. Guarda la luna, al di fuori di una finestra. Si chiede cosa ci sai lassù per loro, ad aspettarli. 
Romano ha le braccia congiunte dietro la nuca, come a far da cuscino, guarda il soffitto. 
Sono distesi per terra.
-Mi piacerebbe farlo in qualcosa di non abbandonato, la prossima volta- dichiara lei di punto in bianco, puntando lo sguardo sul suo. 
-Non sai fare altro che  lamentarti- le dice il ragazzo. Si rialza ed inizia piano piano a vestirsi. 
Abbottona i pantaloni, allaccia la cintura, rivolgendole le spalle. 
La ragazza si mette seduta osservandolo, con una mano regge la camicia bianca di lui su di sé ed osserva la sua schiena, scendendo poi con gli occhi per fermarsi al suo sedere. 
Roma si volta e tende la mano verso di lei.
Simonetta, riluttante, allontana il capo d'abbigliamento rivelando ancora una volta il suo corpo nudo. Lo guarda infilarsi la camicia, per cui fa altrettanto con la propria, dopo mette la gonna. A piedi scalzi, gli si avvicina.  Lo guarda negli occhi.
Alla loro destra, una finestra quadrata senza più nulla che le conferisca il nome per il quale è stata creata, nessun residuo di vetro o di plastica, da essa però si intravede uno squarcio di cielo e la luna; alla loro destra sinistra un insieme di mattoni che forma una parete, dei piatti rotti su una mensola, un comò vuoto ed un tavolo. Sembra la residenza lasciata da chi è fuggito in fretta. 
Romano ricambia quello sguardo. 
La sente mormorare a fior di labbra qualche parola, così lo distoglie perché non vuole rispondere. 
-Ne abbiamo già parlato- le dice. Afferra la giacca e mette il cappello sulla nuca. Non ci sono più pistole lì, le hanno fatte sparire solo loro sanno dove.  
-Lo so. Pensavo che qualcosa potesse cambiare- risponde lei portando una ciocca di capelli non troppo lunga dietro l'orecchio.
-Ci siamo fatti una promessa. Solo sesso. Nessun coinvolgimento emotivo.-
La verità è che lei si sta poco a poco innamorando di lui.
Lui, però, rinnega tutto. 
Il primo bacio se lo sono dati esattamente come quel pomeriggio, per caso, per mette in atto un'altra scenetta. Quella volta non hanno sentito nulla.
La scena si è ripetuta più volte. Alla sesta, in circostanze un po' particolari, è scattato qualcosa che nel cuore di lei stava già nascendo. 
La ragazza si passa una mano tra i capelli, allontanandolo così dal viso. Gli rivolge le spalle, singhiozzando un poco.
-Questa storia mi sta uccidendo. Non ce la faccio più.-
Si volta di scatto, stringendo i pugni. La voce è rotta, ma non ci sono lacrime sul suo viso. 
Romano l'ha vista moltissime volte in quella condizione, in tutte lei fingeva. Supponendo lo stia facendo anche adesso, rotea lo sguardo.
-I tuoi melodrammi mi annoiano- le dice.
Senza farle nessun cenno di saluto, fa dietrofront.
E forse lei scherzava davvero, perché appena lui fa qualche passo fuori dalla porta, si mette a ridacchiare, ma nervosamente.
Lo amerà per davvero o starà solo fingendo? 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 30
*** E se finisse tutto domani? ***


[ RECENSITE, mi raccomando. <3 ]
 
 
Certe volte crede davvero che tutto questo sia sbagliato. Altre, ha dei dubbi.
Vede i suoi compagni morire ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, e non è l'unico che si fa delle domande a riguardo. 
Ha visto però molto coraggio, da parte di tutti.
I soldati della Wehrmacht si spalleggiano tra di loro. Non sa cosa facciano le SS, ma è certo che un minimo d'amor tra compagni lo abbiano anche loro.
Abel ha trovato un cagnolino che gli ricorda il suo. Lo ha coccolato per un po', ma quando la battaglia si è fatta più vicina, lo ha visto morire per un proiettile vagante. Ha dato di matto, si è messo ad urlare qualcosa come un incitamento ad ucciderlo, e quasi ci sono riusciti, i soldati stranieri, se solo Callum non l'avesse salvato.
Callum è il ragazzo di cui Ludwig ha parlato nella sua prima lettera a Felicia, quello affezionatissimo al suo gatto. Capisce lo stato d'animo di Abel e per questo gli è andato in aiuto.
Sono diventati molti amici, si siedono vicini all'ora del rancio e montano il turno di guardia quasi sempre insieme. Sono gli unici a capirsi.
Tutti i soldati pensano alle mogli, alle fidanzate, ai figli. Non ad uno stupido gatto o ad un cane rabbioso. Per questo tendono ad isolarli, non capendo però che quei ragazzi sono soli al mondo.
-Callum, Callum, mi aiuti a montare questa tenda?- dice il primo.
L'altro ogni tanto domanda: -Secondo te che c'è in questa zuppa?- 
Qualcuno li prende in giro. Li etichetta come omosessuali, qualcun altro, più cattivo, minaccia di fare rapporto e farli cacciare via dell'esercito con simili accuse. 
Ma loro non si amano, sono solo ottimi compagni d'armi che non hanno nessun altro a cui rivolgersi.
Per quanto riguarda Ludwig, non importa cosa facciano i due. 
Lui è un tipo silenzioso, taciturno, solitario. Sta bene da solo, ma quand'è in compagnia scherza come gli altri. E' istinto di sopravvivenza.
Prendere Parigi non è stato poi così difficile, se l'impresa si paragona alle altre precedenti occupazioni. Tutto questo grazie a degli accordi che hanno firmato alcuni gerarchi pochi giorni prima dell'arrivo della Wehramcht nella capitale francese.
E' strano, il tedesco non ricorda quasi mai un volto. 
Eppure ne ha alcuni che non riesce a dimenticare. Si è sentito in qualche modo legato a certe persone. 
Il 14 Maggio, ha partecipato alla presa di Rotterdam, cittadina olandese. 
E' stato lì solo di passaggio, lo hanno fatto subito ripartire. A loro sembrava un piano un po' confuso, tuttavia i loro superiori hanno tutto sotto controllo.
Si ricorda di un giovane alto alto, con i capelli quasi bianchi , gli occhi altrettanto chiari ed una lunga sciarpa a righe azzurro-bianche intorno al collo. Quel tale si è distinto per la sua forza d'animo. 
Ha aiutato un ragazzetto di undici anni rimasto intrappolato dal crollo di un edificio arcio a scappare, dopo averlo liberato. Non ha esitato a sfilarsi la sciarpa e lagarla intorno al suo ginocchio per fermare l'emorragia che minacciava di avanzare.
Allora stesso modo, tre giorni dopo, Bruxelles si è colorata di una nota più dolce, in mezzo alla sinfonia delle mitragliatrici. 
Una ragazza anch'essa bionda, con una fascia che le teneva i capelli in ordine, gli occhi verde smeraldo ed il fisico snello, ha aiutato una giovane donna incinta, la quale, forse, ha perso il suo bebè, in seguito al forte spavento. Aveva il vestito macchiato di sangue e questo con alta probabilità indica un distacco della placenta. Tuttavia la giovane belga ha continuato ad aiutarla, facendo ciò che era nelle sue condizioni. 
Ludwig si era voltato qualche momento per aiutare i suoi compagni, poi però ha sentito il piano nervoso di un bambino. Era nato, ed era sano, un bel maschietto sporco di sangue e grasso, di rosso e di una patina bianca, in braccio alla sua mamma, la quale, non la smetteva di ringraziare la giovane sua salvatrice.
Uno scenario inverosimile, poco distante dalla battaglia tra soldati. Non è stato in Inghilterra, ma è come se abbia comunque avuto la possibilità di conoscere i soldati inglesi, i quali, il 4 giugno dello stesso anno, battono in ritirata 
dalla provincia francese di Dunkerque. 
Il giovane ricorda molto bene una scena. 
Hanno preso alla sprovvista un gruppo di soldati nemici, all'ora del tè. 
Quelli, scattati subito in piedi, hanno messo mano alla pistola. 
E' stato uno dei momenti più difficili della vita del biondo. 
Era così vicino ad uno di quei soldati, da sentirne il respiro e l'altro, allo stesso modo, non riusciva a puntargli contro il fucile. 
Non potevano sparare, non mentre si guardavano negli occhi. 
"Sparargli ora, e dopo un colpo, fallo ancora" diceva la coscienza di entrambi. Rimasero a guardarsi per almeno un minuto fino a quando un soldato inglese chiamò il commilitone.
-Arthur! Come on, Arthur! Please!- 
Il giovane straniero dalle folte sopracciglia scure, biondo pure lui, occhi verdi lucenti, si è voltato di scatto sentendo la mano del suo compagno sul proprio braccio. Qualcuno ha fatto fuoco ma né Arthur né Ludwig sono caduti per terra. 
Hanno fatto dietrofront, ognuno diretto per la propria strada. 
Quest'esitazione è costata una severa sgridata al povero tedesco, il quale, mortificato e confuso, ha chinato la testa ed è rimasto in silenzio. E' comunque durata poco, il conflitto a fuoco non era ancora terminato e nessuno voleva perder tempo.
La campagna in Francia ha riportato molti successi, tradotta in una sola parola: Westfeldzug.
Ad ogni modo, il paese francese è stato soggetto ad opportune modifiche.
L'aquila del Reich adesso troneggia su ogni strada, la svastica l'accompagna come fedele amica, immersa nell'oro, forse a simboleggiare il potere del Reich stesso e del suo Furher. 
Adolf Hitler non si sarebbe lasciato sottrarre la possibilità di farsi fotografare vicino la Tour Eiffel, dunque, il 23 giugno del 1940, si reca nella capitale.
Ogni rue è decorata a festa. Vicino l'Arc de Triomphe, i soldati sono disposti in perfette file, tutti con lo sguardo alto e fiero, il petto in fuori, il fucile in mano. E tutti, naturalmente, hanno certificati che attestano la loro discendenza ariana.
Il Furher arriverà tra poco, Abel è però sprofondato in un angolo, incapace di alzarsi. Alterna periodo di euforia a periodi di profonda crisi personale ed intima. Ha bisogno che qualcuno si prenda cura di lui, nella sua casetta, vicino al suo cane. Ma questo non accadrà molto presto.
Callum non sa più che dirgli. Allora è Ludwig stesso che gli si avvicina, porgendogli una mano. 
-Soldato, alzati. Il nostro Furher sta per arrivare; non possiamo deluderlo- gli dice con tono di voce deciso, guardandolo negli occhi.
Il ragazzo si convince ed afferrando la sua mano con presa ferrea si alza. 
Si sistemano al loro posto, anche loro imbracciano i propri fucili, gli elmetti sul capo.
Hitler marcia lentamente, di tanto in tanto alza a metà il braccio per rispondere ad un saluto, altre volte lo fa soltanto con un cenno del capo.
Gli da un certo senso di onnipotenza vedere tutti quegl'uomini disposti in fila per lui, che lo idolatrano e ammirano più di quanto abbiano mai fatto per loro stessi.
I suoi piccoli occhi chiari vagano qui e là curiosi, ma non si soffermano mai su una figura in particolare. Finché non incontrano un viso dai lineamenti perfetti, tipicamente tedeschi, i capelli biondi anzi dorati, gli occhi azzurri del color del mare e del cielo, lo sguardo orgoglioso, dritto davanti a sé. 
Non si ferma per osservare quel giovane, tuttavia rallenta leggermente, per poi riprende il suo cammino.
Ludwig sente lo sguardo del Cancelliere su di sé, ma non lo ricambia. Non ha il coraggio di farlo. 
E non perché sia un codardo o abbia timore di lui, no: non vuole vedere l'uomo che sta fingendo di amare come tutti gli altri negli occhi.
Lui in un certo senso lo stima: è riuscito a piegare a sé l'intero mondo, lui, che era solo un pittore austriaco fallito, fino a circa un decennio prima. 
Eppure, non riesce ad amarlo veramente. 
O non avrebbe appoggiato i partigiani e non avrebbe sposato Felicia.
Si chiede cosa stia facendo lei adesso, se stia bene, se sia felice. Non ha potuto scriverle e non ha ricevuto le sue lettere.
 
Non ha avuto la possibilità di leggerle, perché lei non ne ha scritte. 
O per lo meno, lo ha fatto, ma non le ha mai inviate. Ne ha cinque o sei appoggiata al comodino della sua camera, vicino al letto la culletta del bambino. In tutte scrive quanto gli manchi averlo al suo fianco, baciare quella labbra, sentirsi da lui protetta. Dice di stare bene, chiede come stia lui. Ma non vuole inviarle né distrarlo. Ha una brutta sensazione addosso che le vieta di imbucare quelle lettere in una delle cassette postali che ci sono nella città veneta. 
Mathias sta crescendo, ha ormai un mese e mezzo.
Sebbene sia nato prematuro, si è ripreso subito ed ora ha le fattezze di un bambino normale della sua età. 
Non piange molto, anzi sta fin troppo sveglio per essere così piccino.
Quel pomeriggio caldo, la mamma ha indossato un abito leggero. E' tutto colorato, con un leggero scollo sul seno, le maniche a tre quarti, la gonna morbida ed ampia. Il rossetto rosso è per una volta dispensato da colorare le sue labbra, rosee per natura, i capelli sistemati in un'acconciatura semplice che li tiene legati alla base della nuca. 
Seduta sul proprio letto, tiene il piccolino di fronte a sé. Gli carezza la guanciotta con un sorriso, avvicinando poi il proprio volto alle sue manine piccole e delicate per baciarle.
Sente d'un tratto bussare alla porta. E' il nonno, che le chiede il permesso per entrare, permesso che gli viene subito accordato. 
Si avvicina al bebè e lo guarda con fare addolcito, poi da un bacio sulla nuca alla nipote. 
-Sto uscendo- l'avverte. -Starò via tutto il giorno. Romano è fuori, sei da sola.-
Detto ciò, si congeda ed esce di casa.
La giovane mamma, prende tra le braccia il figlio e scende lentamente le scale. Magari può fare una passeggiata, c'è un bel sole nel cielo e sarebbe l'ideale per la salute ancora precaria di Mathias. L'aria fresca gli farà bene. Dunque mette un filo di rossetto ed vivacizza un po' lo sguardo, andando poi ad infilare le scarpe con un piccolo tacco. Riprende tra le braccia il bimbo che intanto si è svegliato e decide di sedersi un momento sul divano. 
Sentendo però la porta suonare, alza istintivamente lo sguardo in direzione di essa. Sistema il bebè nella sua copertina morbida sopra il divano e va ad aprire, supponendo di trovare alla porta il fratello. 
Per questo, esclama ancora prima di aprirla: -Roma, ti aspettavamo! Io e Andrea...- la voce poco a poco si affievolisce e le muore in gola. Tiene le mani sulla porta e osserva, anzi, guarda, perché di fissare lo sguardo su di loro non si permette, la figura di due uomini con le camicie nere ed i fucili ben stretti al petto.
Non hanno l'aria raccomandabile, ma di certo lei non si mostra spaventata.
Eppure, sta lentamente pensando alle peggiori ipotesi. Suo fratello.... i partigiani, i comunisti, il nonno, Ludwig, Mathias! Tutto così velocemente che quasi si sente svenire, ma non molla. Anzi.
Le sue labbra formano un piccolo sorriso. -Desiderate?- domanda tenendo a bada l'agitazione nel tono di voce. 
-Romano Vargas- esclama uno di questi. Apre la porta e si accomoda senza essere invitato, guardandosi attorno.
Il bambino si mette a piangere, forse gli fa male il pancino, forse vuole la sua mamma. Ad ogni modo, lei va subito da lui e lo prende tra le braccia, voltandosi poi verso i fascisti.
-Mio fratello non è in casa.- 
Torna poi a dare attenzione al figlio, cullandolo dolcemente. -Shh, non piangere- gli dice.
-Come si chiama?- chiede quel tale. 
-Andrea- risponde lei pronta. Vuole evitare di accennare al marito tedesco finché può, magari non trovando il fratello se ne andranno. 
-Andrea...- soppesa l'altro, gli occhi scuri scrutano in ogni angolo.
Il "problema" di chiamare il bambino Benito, non si è posto neppure per un attimo. 
Sa perfettamente che molte donne lo fanno, perché questo equivale a ricevere una piccola somma di danaro, ma nessuno in quella casa apprezza il lavoro del Duce e nessun nascituro avrà il suo nome.
L'altro fascista, un ragazzo di appena vent'anni, gioca col proprio fucile e forse questo gioco è già costato la vita ad un paio di persone. 
E' lui che domanda, dopo poco, quanto ci metterà Romano a rientrare.
-Non lo so- risponde lei sincera. -E' uscito mentre riposavo, non mi ha detto dov'è andato.- 
E facendo in questo modo, è certo di anticipare la seguente domande dei due. "Dove si trova?" Lei davvero non lo sa.
I due fascisti sono incerti; non sanno se aspettarlo o andar via. Sono due ragazzi che hanno indossato da pochissimo la loro prima divisa, del tutto inesperti. 
Decidono di andarsene. 
Girano i tacchi ed escono dall'abitazione.
Felicia pare sollevatissima e non più intenzionata ad uscire di casa. 
Tiene stretto a sé il bambino, non lasciandolo per nemmeno un secondo, prendendo da lui una sorta di conforto.
Quando Roma entra in casa è già sera. Lei gli si avvicina e lo abbraccia forte, preoccupata.
-Felicia... che succede?- le domanda lui, richiudendo la porta alle spalle.
-I fascisti, Romano... sono venuti a cercarti.- 
Il giovane spalanca un poco gli occhi incredulo. Che loro sappiano? E' improbabile... come hanno fatto a scoprirlo?
-Che ti hanno detto?-
Lei allora racconta il breve colloquio nel dettaglio.
Si siedono al tavolo della cena e consumano in silenzio il loro pasto.
-Domani- dice d'un tratto il partigiano quando riesce a riprendere la parola. -Domani, metteremo in atto il nostro piano.- 
-No, Romano, non farlo... può essere pericoloso... ti prego, rimanda- lo prega la sorella appoggiando una mano sulla sua. Lo guarda negli occhi. Lui ricambia quello sguardo.
-Devo farlo. Se mi accadesse qualcosa, i miei compagni mi vendicheranno. Non preoccuparti per me, perché questo è quello che voglio.

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Capitolo 31
*** Fine dei giochi. ***


[ RECENSITE. <3 ]









Altro cielo per il pilota della Luftwaffe, eppure non così lontano dal fratello. 
Squarcia le nuvole, e non gli importa.
Saint-Nazaire è sotto di lui, a chissà quanti metri di distanza. Lui è dentro il suo Junkers Ju 88, le croci teutoniche splendono al sole, gli occhiali da pilota sugli occhi vermigli, i quali, non hanno una vista poi così perfetta. 
Gli venne attribuito il merito di aver fatto esplodere un treno di civili, qualche tempo prima, ma lui non lo fece di proposito. Sbagliò mira, ecco cosa successe. Ha mantenuto il segreto, ma ha avuto a lungo i sensi di colpa per aver ucciso donne e bambini senza volerlo. 
Oggi non sbaglierà, si sente ottimista e positivo, così vira sul ponte e lascia pure che una bomba colpisca il suo obbiettivo: soldati inglesi.
La Lancastria stava portando via acqua in salvo le truppe alleate. 
E' il 18 giugno del 1940 e nell'aria c'è eccitazione. Sulla terra ferma, no. Piuttosto, lì c'è paura. 
L'acqua è coperta di sangue e di morti. Alla fine dell'operazione, i morti saranno più di 2.500. Gilbert sta tenendo il conto, per quanto la cattiva vista gli permetta di farlo. Vira sulla costa, lasciando anche lì un bomba, poi vira ancora in modo da mettersi in salvo. 
Ama l'aereo che porta. 
Ne aveva visti solcare i cieli già nella metà degli anni trenta. Adesso è usato dal suo governo, quello nazista, come bombardire, caccia notturno, zerstörer, ricognitore, bombardiere in picchiata, aereo da attacco al suolo ed aerosilurante. E'... è perfetto, riesce a fare qualsiasi cosa. E' adatto a lui in tutto e per tutto. 
-Figlio di una puttana inglese- mormora tra i denti il pilota, bestemmiando come del resto sta facendo nelle ultime ore perché non riesce a colpire bene la nave. 
La Lancastria sta già rischiando l'avaria e tra qualche momento affonderà se qualcuno non fa qualcosa. Ma cosa si può contro i piloti esperti e veloci della Luftwaffe? 
Essi fanno ciò che gli compete, poi andranno via, tornando a bere della birra fresca.
Gilbert si mette d'impegno e s'abbassa un po' con l'aereo pronto a sganciare l'ennesima bomba. Stavolta centra il suo bersaglio. Molti uomini i buttano in mare, altre tentano un'azione di salvataggio con le scialuppe.
In pochi ne escono vivi. 
Winston Churchill nelle stesse ore annuncia da Londra che la guerra continuerà ad oltranza contro l'Asse, ed i francesi intanto, vengono incitati da  Charles De Gaulle a resistere all'occupazione nazista. 
La parola Resistenza viene utilizzata per la prima volta in Francia, in Italia è già una dolce melodia da tempo.
Con un ghigno l'albino si prepara a colpire ancora.  
 



 
 
Non è ancora l'alba. 
Il cielo è nero, non si vede nulla. Nessuno parla.
E' tutto coperto da una sottile nebbiolina estiva, l'atmosfera è elettrica. Tutto li fa sussultare, tutti li spaventa. I loro cuori sobbalzano un paio di volte. 
Ma continuano ad andare avanti. 
Sono vicini ad un stazione, non ci sono molti civili nei paraggi. 
Simonetta inciampa e finisce quasi tra le braccia di Romano, che assottiglia le sguardo e le intima di stare attenta. Sospira lievemente, poi, nascondendosi dietro un muretto. Non c'è che la luce di un lampione ad illuminare il marciapiede di fronte. Quello sulle loro teste è rotto.  I due ragazzi imbracciano le armi. 
Silenzio.
Lontano da loro, Francesco, Giuseppe ed Ettore. 
Anche loro hanno dei fucili, li tengono strette al petto. I due uomini guardano il ragazzino, il diciassettenne gli sussurra: -Francesco, tu rimani qui.- 
-No!- esclama lui, forse a voce fin troppo alta. 
Ettore per questo gli molla uno scappellotto. -Stai zitto! Farai saltare il piano.- 
Si decide che il giovinotto rimanga lì e lui non ha molto da obbiettare. 
Dunque, loro due, fanno dei passi in avanti. Si ritrovano sulla strada di fronte quella di Silvano e Aldo. Vedono appena la partigiana, le fanno un cenno. 
Lei capisce, e allora il piano ha inizio.
Sono le nove e cinque, come ha modo il maggiore di tutti, il quarantenne, di capire dal suo orologio da polso.
Simonetta e Romano si scambiano un'occhiata d'intesa, nascondono il fucile lui, la pistola lei. 
Il ragazzo sistema il cappello sul capo, poi la prende per mano ed esce allo scoperto. 
Nessuno lo sa, ma quella presa si fa più stretta da parte di entrambi quando i soldati di guardia, puntano gli occhi su di loro. Roma le carezza piano la mano col pollice, per cercare di renderla più calma, sa che ha paura ed anche lui ne ha un po', ma è naturale; e comunque, presto verrà sostituita dall'adrenalina. Si scambiando un'occhiata d'intesa, la seconda. Lei accenna un sorriso, poi ridacchia, si mette davanti a lui -dando così le spalle ai fascisti- e gli prende il volto tra le mani, baciandolo dolcemente. Gli sporca le labbra di rossetto rosso, ma non se ne cura più di tanto. Scostandosi di pochi centimetri gli chiede se stiano guardando. Risposta negativa. Allora, lei si fa più provocante e lui sta al gioco. 
Le due guardie fasciste, forse un poco invidiose, si lanciano un'occhiata e si avvicinano a loro, blaterando qualcosa. 
Simonetta ha le mani appoggiate sulla schiena del partigiano, in prossimità del suo sedere, quando lui le dice -Adesso!- lei prende la pistola e la punta contro le due guardie, facendo fuoco su di una, colpendola alla spalla. Nello stesso tempo, anche Romano prende l'altra pistola e spara alla seconda guardia.
Sentendo gli spari, altre due camice nere che stavano all'interno del luogo escono alla scoperto con i fucili stretti tra le dita, le cui nocche sono diventate bianche tanto sono tenute sotto pressione. Appena mettono un piede sull'uscio, vengono fatte fuori dagli altri partigiani, i quali, subito dopo entrano per dare un'occhiata. 
La ragazza si china e tende una mano sul cappello della vittima che ha ucciso con due colpi di pistola (il secondo proiettile lo ha presto sul collo). Vuole scostarlo e vedere il volto dell'uomo o del ragazzo a cui ha tolto la vita.
Contemporaneamente però, anche il ragazzo si china. Le prende il polso, impedendole di compiere quel gesto. -Non importa sapere che faccia aveva. Era un fascista, se lo meritava- commenta, guardandola negli occhi. Lei rimane in silenzio, ma socchiudendo per un momento i propri e facendo un lievissimo gesto del capo, gli fa capire di avergli dato ragione. Lui le riprende la mano e corrono dentro, a loro si unisce il quindicenne, il quale ha evitato di guadare i cadaveri dei quattro.
All'interno di quell'ufficio, sembra non esserci nulla. 
Rovistano ovunque, nei cassetti, negli armadietti, ma nulla. Non c'è nulla che gli sembri utile, se non futili rapporti di routine.
-Non ci posso credere, che abbiamo fatto tutto questo per nulla. Per una supposizione!- commenta Giuseppe, dando un calcio ad un cassetto aperto, quello di una scrivania. Ma in questo gesto, fa sussultare il suddetto, rivelando così un doppiofondo. Si guardano tutti, poi lui stesso, il diciassettenne, tira fuori quei documenti segreti. 
-Cos'è?- iniziano a chiedere tutti gli altri. 
-Sono dei rapporti...- risponde il ragazzo, leggendo e corrugando la fronte. 
Non tutti sanno leggere, tra loro. 
Roma sa farlo, anche Giuseppe, Ettore e pure Silvano. Simonetta un pochino. Francesco e Aldo, no. Così loro due attendono impazienti, facendo mille domande, come due bambini. Anche lei è ansiosa e guarda incessantemente fuori dalle finestre e dalla porta ancora aperta, per vedere se qualcuno li ha visti. 
-Da qua! Ci stai impiegando una vita- commenta Romano, afferrando quei documenti e leggendo velocemente tra le righe. E' il più dotto tra tutti, il nonno gli ha dato una buona istruzione. Intanto i due analfabeti vedono in giro se c'è qualcosa che valga la pena portare con loro, munizioni o qualcos'altro. Il comunista torna da loro qualche minuto dopo con un panino tra le labbra, il fucile tenuto con la mano destra. 
Qualcuno lo guarda un po' male. 
-Che c'è?- dice lui. -L'ho trovato, e avevo fame!- borbotta poi. 
Sentono dei rumori, così lui afferra il ragazzino per la collottola ed escono di lì, tutti quanti, tutti partigiani, con alcuni di quei documenti dietro. 
Hanno lasciato parecchia confusione dietro di loro, fascicolo stracciati, cassetti buttati per terra, soprammobili in frantumi. 
Sono le undici e trenta, non hanno molto tempo. Così corrono ed in pochi minuti, si allontanano da lì. 
 
 
Se ne stanno a studiar quelle carte per almeno due ore, nel loro posticino nascosto dalla città e dai fascisti, dopodiché possono finalmente tornare a casa. 
Simonetta e Romano sono ancora vicini, sempre mano nella mano, benché non debbano più mettere in atto alcuna scenetta. D'un tratto lui le prende il viso con la mano sinistra, l'altra ancora stretta alla sua, e l'avvicina a sé baciandola, gli occhi socchiusi.
-Romano...- sussurra lei, concluso il bacio, puntando gli occhi sui suoi. -Romano, io credo di am...-
Lui, però, non le da il tempo di finire. Le da un altro bacio, più lungo, più dolce e più passionale insieme, stringendola poi a sé. 
Sono da soli, stretto l'uno all'altra, appoggiati al tronco di un albero al chiarore della luna.
E' strano a dirlo, ma sono due assassini. Si guardano negli occhi e si accarezzano dolcemente per tutta la sera. 
-Romano, io mi sono innamorata di te- confessa lei, stringendosi al suo petto. 
Il ragazzo lo sa. L'aveva capito da tempo, forse prima aveva dei dubbi ma la conosce da troppo e ha passato con lei momenti troppo importanti per non capire ciò che nasconde e ciò che prova. 
-Ti amo anch'io- commenta, carezzandole una guancia. Scosta un ciuffo di capelli castano scuro dal viso, osservando quegl'occhi color del cioccolato. Lei li spalanca, stupita, le sue labbra poi si schiudono appena in un sorriso. Si stringe a lui, silenziosa, felice.
 
 
 
E' da poco passata l'ora di pranzo e le loro pance sono piuttosto piene.
Il bambino è accoccolato alla sua mamma, gli occhioni verdi però sono volti all'attenzione di tutto. Lo zio è seduto vicino a lui e lo guarda, così, il piccino curioso tende una manina verso di lui. 
E' una calda giornata di metà giugno, il papà è ancora lontano, però l'italiana gli racconta spesso di lui. Mette tra le braccia del fratello il figlioletto e prende carta e penna, ha voglia di scrivere al suo uomo.
Inizia a scrivere "Caro Ludwig, amore mio" ma non ha tempo di aggiungere altro. Qualcuno suona alla porta, lei si alza per andare ad aprire, ma Roma la ferma. Ha una brutta sensazione addosso da un paio di giorni. 
Col nipote tra le braccia, apre la porta, il cuore gli rimbomba nel petto, forse glielo spaccherà tanto batte forte. 
Ma non è nulla. E' Simonetta. 
Corruga la fronte vedendola lì, tuttavia ne è segretamente felice. E' da qualche giorno che non si vedono. Nascosti dalla geometria della casa, possono baciarsi senza esser visti, dopodiché escono alla scoperto. Felicia la conosce bene, sospetta quell'amore da tempo ormai. 
La saluta con un sorriso, l'altra ricambia un po' fredda. 
Mathias guarda la nuova arrivata, poi però pensa che mangiarsi il pollice sia più divertente, così perde del tutto interesse per lei, alla quale i bambini non piacciono proprio.
La sorella si alza e va a prendere il pargoletto. -Vieni qui con la mamma- gli dice. 
Torna sul divano, tenendolo sulle proprie ginocchia. Ha un vestito celeste con delle decorazioni rosse ed un cardigan grigio sopra. Sistema il figlio nella copertina celeste, facendo finta di non riconoscere gli sguardi languidi che i due si scambiano. 
Con la scusa di aver dimenticato dell'inchiostro in camera propria, li lascia da soli, dando attenzioni soltanto al suo piccolino. 
Perciò, quando lei scompare dalla loro vista, la ragazza partigiana butta le braccia intorno al collo del fidanzato.
-O-oh! Guarda che non devono saperlo!- dice lui. 
-Perché no? Ti vergogni di me?- gli domanda. 
Il ragazzo apre la bocca per rispondere, ma ecco di nuovo qualcuno bussare alla porta.
La guarda negli occhi, quell'occhiata vuol dire molte cose.
Calibrando ogni passo, regolando il battito del suo cuore impazzito, appoggia la mano alla porta. E li vede. Due fascisti che gli puntano contro le armi.
-Romano Vargas?- chiede uno di questi. Lui annuisce debolmente. 
-Sei in arresto.-
Dieci minuti dopo, è costretto a lasciare quella casa. 

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Capitolo 32
*** E' che mi manca l'aria. ***


Diario di un pilota. 
 
Caro diario,
credi sia una cosa da femminucce scriverti? Pazienza.
I raggi del sole riflettono ancora felici sul mio Junkers Ju 88. Non è forse fantastico? Abbiamo volato insieme ancora oggi, e ieri, e il giorno prima, e quello prima ancora. Voliamo sempre insieme. Credo quell'aereo sia la mia anima gemella.
...Continuio a chiedermi perché lo considero così importante.
Forse dovrei farmi una famiglia vera, sai, come Ludwig. Quel bambino, mio nipote, è bellissimo. Ha degli occhi verdi stupendi e pare molto sveglio. Chissà...
Ma siamo realisti; chi vorrebbe mai un fidanzato malato? Si vede, ahimè!, si vede.
Ho gli occhi del demonio, la pelle troppo, troppo chiara ed i capelli quasi bianchi. 
Però non è colpa mia. Io non posso farci nulla, ti pare? Eh! Lo so che significa.
Significa che non sono un ariano puro e anche se servo il Reich con tutte le mie forze, anche se sono un magnifico pilota, finirò presto insieme agli ebrei.
E già mi vedo a piangere insieme a loro. Non avrò un aereo lì. 
Provo una fitta al cuore mentre, caro diario, te lo confesso. Sarò da solo e nessuno potrà farci nulla. Forse faranno degli esperimenti su di me. Non ho mica ben capito dove vadano quegl'ebrei, io. Si dice in campi accoglienti, e chi lo sa. 
...Diario, posso dirlo solo a te.
Ho una fottuta paura. Non voglio morire insieme a loro. Non me lo merito! Morirei per il Reich, ma non per la sua forte mano traditrice! Io sono un eroe! .. un eroe!
 
Mein Gott, sto impazzendo.
Ma cosa mi prende?..
 
Gilbert, il Magnifico. 
 
 
 
 
Disperazione. Tristezza, angoscia. 
Perché nessuno fa niente? 
Sono tutti quanti -tutti!- nel salone della villa de' Vargas. 
Felicia ha in braccio il suo bambino, che in preda alle colichette di stomaco, non fa altro che piangere. E fa così caldo, accidenti...
E' già arrivato luglio. Quello è il primo giorno del mese ed il caldo s'è impadronito di quella casa racchiudendola come in una bolla per non far scappare un sol filo d'aria.
-Mathias, ti prego, non piangere- lo supplica la madre. 
Lo stringe a sé, ha gli occhi rossi per il pianto. -Shh, va tutto bene... shh!- gli dice in tono più dolce possibile, cercando più che altro di rassicurare sé stessa.
Ma il bambino è troppo nervoso e sta ancora singhiozzando.
-Fallo stare zitto! Non lo voglio sentire! Zitto, zitto!- sbotta Simonetta.
E' seduta sul terz'ultimo gradino delle scale, il volto affondato tra le mani. Il suo corpo è anch'esso scosso dai singhiozzi e gli occhi sono gonfi. 
Non riesce a non figurarsi davanti lo sguardo di Romano, a non ricordare le sue labbra sul proprio corpo, le sue mani, il suo odore, la sua voce. 
Lo vorrebbbe lì, accanto a lei, lui sapeva sempre come calmarla, lo faceva con le buone o con le cattive, ma ci riusciva sempre. Ed ora... 
-Se tu la smettessi di urlare, lui la smetterebbe di piangere!- le risponde protettiva l'altra ragazza. 
-Ora è colpa ma se tuo figlio strilla tutto il giorno! Certo!-
Il comunista si sente d'intervenire, agitato pure lui, sbattendo la mano contro la parete. -Cazzo, state zitte tutt'e due! Siamo tutti nervosi e angosciati per Romano, ma fare così non migliorerà le cose- sospira pesantemente. -Mi sta scoppiando la testa, porca puttana.- 
Le due giovani donne si zittiscono. 
Ettore si concede una parola: -Ragazzi, è meglio se voi andate via. Non è sicuro stare insieme, non adesso. Potrebbero sospettare altro.  Bisogna far calmare le acque.- 
Felicia si alza in piedi passeggiando ansiosamente per il salone, il bambino cullato da quel ritmo regolare si calma un poco. 
Di spalle, davanti a una finestra, decide di aprirla, magari passa un po' d'aria fresca; ma no: il vento è fermo. 
-Lo lascerete morire..?- domanda in poco più di un sussurro.
Scende un silenzio inverosimile, pesante. 
Hanno tutti i partigiani in mente un pensiero diverso. 
La maggior parte di loro pensa a ciò che è più giusto fare.
Vale la pensa rischiare la vita di tutti per un solo uomo? Sì.
Aldo, il rosso, fa un passo in avanti. 
-E' un mio compagno, dannazione, io non l'abbandono!- esclama.
Il quarantenne gli risponde: -Calma lo spirito, ragazzo. Non occorre farsi ammazzare. Dobbiamo pensare con coscienza che fare.- 
-Non capisci! Io non posso stare qui a pensare mentre Roma è in mezzo a quella merda fascista!- 
Tutti volgono la loro attenzione su di lui, con occhiate poco rassicuranti. -Shh!- dicono in coro.  
Lui si zittisce, ancora scosso. 
Simonetta si alza da lì ed infila il suo giacchetto con gesto svelto ma impacciato.
-Lo stanno torturando, di certo. Lo stanno torturando. Chissà che gli stanno facendo, mio Dio!- 
Si avvicina svelta alla porta ed appoggia la mano sulla maniglia di essa.
Ha fretta di uscire, di andare da lui, vuole salvarlo. Non ha mai tenuto così tanto ad una persona, mai quanto tiene adesso al ragazzo. 
Lui è così bello, e così intelligente, uno dei pochi istruiti tra loro. E ha quei modi di fare, che la fanno impazzire. Darebbe la sua vita per toccarlo ancora una volta.  
Giuseppe, però, distrugge tutti i suoi sogni e le si para davanti; non la lascerà andare incontro a morte certa. Sebbene abbia solo diciassette anni, è abbastanza maturo da capire che devono organizzare meticolosamente tutte le loro prossime mosse. Devono farlo insieme e nessuno ha intenzione di lasciare quella casa, a meno che i padroni di essa non li buttino fuori.
 -Sì, Simo- conferma lui. -Lo stanno torturando. O forse è già morto. Ma tu da qua non esci.- 
La ragazza, in preda ad una crisi isterica, gli molla un ceffone, finendo poi a piangere al suo petto.
Felicia, anche lei in lacrime, si copre il viso con una mano.
"Ludwig... dove sei? Quando torni? Abbiamo bisogno di te..." 
 


 
Ludwig in questi ultimi giorni non ha fatto altro che pensare a lei.
Gli altri soldati lo hanno preso un po' in giro, ridendo, perché ogniqualvolta chiedessero qualcosa lui rispondeva "Come? Eh?" con la testa tra le nuvole.
Non ha mai dato molte spiegazioni.
Ad ogni modo, le lettere di lei gli mancano moltissimo. 
Così, seduto in uno di quei bar francesi oramai colonizzati dai soldati con la divisa verde militare della Wehrmacht, recuperata carta e penna, si mette a scrivere, il boccale di birra accanto al foglio, vicino uno degli angoli superiori.
 
"Amore mio, 
E' così tanto che non ho tue notizie, e credo di impazzire senza sapere che cosa sta facendo mio figlio. Come sta? Cresce? E' in forze? Vorrei sapere ogni cosa. Vorrei che tu mi raccontassi proprio tutto. Non sono molto pratico di queste cose, ma credo sia nell'età delle coliche di stomaco. Beh, non è l'unico. Il cibo dell'esercito non è mai un granché, ma almeno abbiamo qualcosa di caldo ogni giorno.
Ultimamente, a dire la verità, ci siamo fermati in Francia -non ti spiegherò ivi le delicate trattative che hanno condotto a questa sorta di accordo, di relativa pace- e dunque possiamo definirci in una situazione di "stallo." Alcuni miei Kameraden vanno al cinema stasera, credo andrò con loro. Questo è per farti capire che sto bene e che non rischio la vita. E' tutto sotto controllo. Vorrei dirti molte cose, ma la maggior parte di essere vanno dette di presenza, magari mentre ti stringo tra le braccia o ti bacio.
Mi mancano le tue labbra. 
Mi manca tutto di te. I tuoi occhi nocciola... 
Ma sono fiducioso e presto saremo di nuovo insieme. 
Ti amo tanto, lo sai?
Aspettavo le tue lettere, ma non ne è arrivata nessuna. O forse non ne hai spedite. Non importa; ti sto scrivendo io. 
Ti amo, amore mio, e amo il mio bambino.
Mi mancate tantissimo.... 
 
Tuo, 
Ludwig."
 
Ripiegata la lettera in quattro parti, la nasconde nella divisa e torna dai suoi compagni, per bere in compagnia. 
 

 
 
E' inutile fingere.
Lui sa.
Sa quello che rischia -anzi, sa che di qui ad un paio d'ore al massimo non sarà più su questa terra- e per un momento si pente di tutto.
Avrebbe solo voluto un altro mondo, più pulito, più puro. Ha sempre detto che "deve esserci qualcos'altro, sono stanco di vivere in catene." Aveva perso ogni voglia d'alzarsi la mattina, aveva perso tutto, ma i giorni da partigiano gli avevano ridato la vita. 
Ogni giorno, fiero di sé come mai, metteva in atto nuove strategie. Ogni giorno, pieno d'orgoglio, camminava per le sue strade, sognando il giorno più vicino possibile in cui queste potessero essere di nuovo libere per tutti. 
Sognava un altro pianeta, senza fascisti -e sognare che male fa? 
Aveva voluto illudersi che ci sarebbe riuscito.
Adesso, però, ha perso ogni speranza. 
L'unica cosa che lo ferma dal piangere, è la dignità che gli rimane, l'unica cosa che gli resta.
Ha visto così tante volte i suoi compagni -perché questo erano, sebbene non li conoscesse- impiccati. E le corde s'appoggiavano ovunque, per sorreggere quei corpi privi di vita. Alle volte ai lampioni delle strade, ai forti rami di un albero, alle altalene dei bambini, ai balconi di certi palazzi. Romano quando camminava tra di essi notava con stupore il viso di alcuni suoi conoscenti. Del figlio del panettiere, ad esempio. Ed ogni volta si diceva: "se avessi saputo chi era! Ah, sarei stato di certo più gentile con lui." 
Ma i partigiani hanno i loro segreti e nessuno ha da ridire su questo. Ogni partigiano sa che non deve fare domande; e perciò non chiede.
Il ragazzo non rimaneva molto a guardare quei corpi, il più delle volte volgeva lo sguardo da un'altra parte. Ha sempre avuto paura di finire in quel modo, e più li osservava, più la paura prendeva il sopravvento. L'ha nascosta nel suo cuore, e quel timore adesso è arrivato attraverso le vene, insieme al sangue, in tutte le parti del suo corpo, anche le più nascoste. 
Tremerebbe di paura, se ne avesse il coraggio. 
Ripensa a moltissime cose adesso ma nessuna di queste gli sembra importante.
Si chiede ancora come abbino fatto a scoprirlo, ma non deve attendere poi così tanto per saperlo.
Qualche momento dopo, infatti, due camicie nere, lo trascinano a forza in un luogo se possibile ancora più angusto della cella nella quale sta attualmente, col cattivo odore di chiuso che ha una stanza quando le finestre non vengono aperte da giorni ed i mobili spolverati -v'è polvere ovunque.
Ha i polsi legati e due fucili puntati alla nuca. 
Non dirà niente. 
I compagni non si tradiscono -e non si abbandonano. Ma lui non pretende gli altri verranno a salvarlo, oramai si da per morto. Immagina già le discussioni che stanno avendo ed esse nella sua mente sono molto simili alla realtà. 
E' solo un altro di quei corpi che cammina ancora un po', esanime, per poi accasciarsi in un angolo per abbandonare, poco dopo, squallidamente quel mondo. Avrebbe solo voluto... vivere un altro po'. E' soltanto un ragazzo, dopotutto. 
Ironicamente, una terza guardia, gli sussurra: -Vuoi che ti legga le tue accuse, bandito?-
Adesso il gioco sta a lui. Dichiararsi tale, dichiararsi partigiano, o continuare con la sua scenetta? Rassegnato al suo destino, a testa alta, si confessa. -Nossignore.-
E lo fa con un mezzo ghigno, il quale, i soldati vorrebbero subito cacciar via. 
Eppure non ci riusciranno così presto. 
Ma, nel tentativo, iniziano a picchiarlo. 
Gli colpiscono ripetutamente il viso, lo stomaco e la schiena; calci, pugni, colpi di fucile.
Lui non fa una piega, ma sputa per terra il sangue che s'accumula svelto sulla sua bocca. Ricoperto di quel liquido caldo e rosso, continua a sostenere il loro sguardo, ma non ascolta le loro parole.
"Papà... ti ricordi? Mi hai sempre detto di essere forte. Sempre detto di inseguire i miei sogni, le mie passioni, i miei ideali. E a cosa mi hanno portato? A questo? Avrei preferito arrivarci dopo. Avrei voluto il mio sacrificio servisse a qualcosa; vedere dove porterà. Per cosa sto morendo? Per chi? Qualcuno capirà mai a cos'è servito questo genocidio di compagni? Se ne ricorderanno mai? Sì, lo so quello che pensi; e mi manchi. I miei ricordi di te sono oramai sfocati dal tempo; ma non temere. Presto saremo di nuovo insieme."
La guardia più matura, più alta di grado, afferrato il proprio fucile, colpisce nuovamente sul viso il ragazzo, con tutta l'energia che ha in colpo.
-Mi stai ascoltando, bastardo?! Voglio sapere chi sono gli altri!- gli sta urlando contro.
Roma inizia a tossire, e tossisce sangue fresco. La vista è appannata. Non s'accorge nemmeno di essere ricoperto di sangue. 
-Sappiamo tutti, dei certificati. Un uccellino ha cantato- mormora ancora quella, mentre un ghigno gli deforma il volto già brutto.
Il certificato a cui si riferisce non è altro che la giustificazione che ha Romano, come molti altri, per non andare a servire il paese, perché "malato." L'aveva firmato l'amico, quello medico dei partigiani, che, troppo codardo per andare con loro, s'era comunque schierato da quella parte.
Ma poi li ha traditi, minacciato dai fascisti, i quali, l'hanno ammazzato con una pallottola sulla fronte una volta ottenute tutte le informazioni. 
Che strano gioco del destino...
Bestemmiando, il ragazzo digrigna i denti come meglio può, cercando di trattenere il dolore.  
Adesso i pensieri del ragazzo sono diretti ad un'altra persona.
"Sorellina... forse non te l'ho detto abbastanza, quanto tu sia importante per me. Forse avrei dovuto spiegarti più spesso che ti voglio bene, ma io non ti sarò sempre vicino, e questo lo sapevi già. Vorrei dirti a voce queste parole, ma non c'è più tempo. Avrei voluto vedere mio nipote crescere e difenderti per sempre. Chissà se quel crucco saprà farlo..."
Ha il respiro affannato.
Non ascolta le loro domande, non vale la pena, perché non vi darà una risposta. 
Non sa che farsene dei loro toni alti, intimidatori, delle loro belle uniformi, dei loro fucili -che, in altro momento, avrebbe provato a rubare.
Non sa che farsene della loro prepotenza e dei loro modi rozzi. 
"Simonetta, mia bella. 
Ci siamo capiti troppo tardi. Io mi voltavo per guardarti quando tu già te n'eri andata. Ogni volta che facevamo l'amore ti sfioravo e ti vedevo solo mia. Non è mai stato solo sesso. E lo sapevamo entrambi. Quell'unico bacio da innamorato che ci siamo dati, lo porterò con me. Ma tu, ora, sii felice anche senza di me. Te lo meriti, amore mio." 
E' davvero questa la fine? 
Non si regge più in piedi. 
E' rannicchiato contro il muro, non sa neppure come ci sia finito, eppure non se lo chiede. 
Non ci vede più. Non sa più formulare un pensiero concreto. 
Una delle guardie si china su di lui, con un'espressione beffarda. -Allora, bandito, un'ultima parola?- 
Con le poche forze che gli rimangono, il ragazzo accenna un sorriso. 
La vita sta scorrendo fuori dalle sue vene. Non vedrà un'altra alba. Il suo corpo non verrà appeso da nessuna parte, forse, ma verrà gettato in una fossa comune. 
"Forse c'è davvero un altro mondo... chi lo sa. Mamma, papà, sto arrivando." 
Chiude agli occhi. Sussurra solo tre parole.
-Morte al fascio.-
Poi, più nulla.

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Capitolo 33
*** Terra di Mezzo. ***


Ludwig non fa altro che pensare. 
Sta guardando il cielo, il sole sta tramontando. Il vento, giocherellone, gli accarezza il viso. Lui socchiude gli occhi. Ha un piccolo sorriso, tra le mani, una lettera. 
"Sei la terra di mezzo dove ho lasciato il mio cuore..." riflette, puntando ora lo sguardo su una nuvola passeggera. Si toglie il cappello dalla nuca e si passa una mano tra i capelli sporchi. Da un'occhiata ai suoi compagni. Hanno tutte facce stravolte, però adesso, tranquilli, stanno un momento godendosi il riposo. 
-Beilschmidt, komm. Non hai fame?- gli chiede qualcuno.
Lui scuote la testa. Ha lo stomaco chiuso. Felicia non gli ha detto niente, però lui ha percepito tristezza nascosta da quelle parole dolci. Abbassa lo sguardo su una piccola foto che ora ha tra le mani. La osserva ancora con un sorriso.
Un soldato di grado poco più alto del suo, si siede al suo fianco, mangiando un po' di zuppa.
Il ragazzo lo riconosce subito. E' stato addestrato da lui per un po'.  Se lo ricorda bene. Ripeteva sempre: -I compagni non s'abbandonano, potreste essere voi in fin di vita e cercare qualcuno. I compagni non si lasciano indietro.-
Quel giorno sono fortunati, c'è un sostanzioso pezzo di carne nella zuppa per ciascuno di loro. 
L'uomo fa un cenno al cuoco di turno. -Dovresti mangiare. Non si combatte a stomaco vuoto.- 
Lui non dice nulla, è troppo distratto per abbozzare una risposta concreta. 
Quel tale osserva la foto. -Chi è?- domanda curioso. Addenta una galletta, non è molto e hanno tutti ancora fame. Qualche furbo ha ottenuto con l'inganno una razione extra e si ritiene estremamente furbo. Al campo, oggi, c'è un'aria particolare. Sono arrivate delle lettere. Per come sono datate alcune, ci sarebbe da pensare che siano arrivate già da settimane e forse l'Alto Comando le ha tenute nascoste per un po'. Ad ogni modo, sono comunque contenti di averle ora tra le mani. E' solo carta, sono solo parole, ma sono belle parole; nessuno scambia un gesto affettuoso in guerra; c'è fame d'amore per tutti. 
Il biondo accenna un piccolo sorriso, accarezzando il visetto da bambino nella fotografia in bianco e nero. -E' mio figlio...- spiega. 
-Tuo figlio?- chiede il soldato. Ha i capelli neri ed il viso è privo di barba. Dev'essersi dato una sistemata quella mattina, rasato e pettinato. Sembra divertito della cosa. Scuote la testa ridacchiando. -Sei giovane. Quanti anni hai?- 
-Ventitré, signore- risponde lui. 
Nasconde la foto, forse un po' geloso, dentro la lettera e la sistema nella tasca della giacca verde militare.
-E lui?-  Ancora un po' di zuppa. 
-Tre mesi e cinque giorni...- gli spiega con un sospiro. Gli manca moltissimo. 
E' già il sette agosto ed il suo bambino chissà che sta facendo. Felicia dice che è molto vivace. Lei dice così tante cose... dice che è un bravo bambino, che il nonno di nascosto gli ha già fatto assaggiare di tutto, che lei lo ha scoperto ma ha fatto finta d nulla, che la tiene sveglia qualche volta e che però le fa molta compagnia. Lui vorrebbe solo tenerlo tra le braccia. Sentire il suo respiro. Tenerlo in braccio e proteggerlo da tutti. Gli manca terribilmente. Non l'avrebbe mai detto, ma sta male quando pensa a loro. E' di certo felice che stiano bene, però... vorrebbe così tanto stare con la sua famiglia! 
-Lo hai lasciato molto presto, dunque.-
-Ja... lui aveva poco più che una settimana. Undici giorni- continua. 
Sente terribilmente caldo. Il sole batte violento sulle loro teste. Quasi tutti i soldati hanno tolto l'elmetto. Incoscienti! 
E di nuovo, il tempo diventa uno sgorbio, lo spazio si deforma. E tutto avviene troppo in fretta e niente viene compreso. 
Un plotone inglese li ha presi di mira. 
Un rumore sordo, alcuni si coprono le orecchie, altri cercano le armi, altri ancora un riparo.
Lì, al campo, attualmente, ci sono pochi ufficiali. Sono tutti soldati semplici, ragazzi di poco più che vent'anni, altri ai venti non ci sono nemmeno arrivati.
In pochi minuti, il sangue ricopre lo spazio utilizzato dalla Wehrmacht. 
Ludwig afferra il fucila e svelto si mette al riparo. Controlla sia carico; si sporge. Uccide un soldato. Questo cade a terra. Ne colpisce un altro. E un altro ancora, in totale ne uccide sei. 
Un suo compagno ferito grida di dolore, eppure lui non può mettersi così in rischio per un corpo già morto. Dunque, sospira. Neppure lui ha nulla sulla nuca. E' scoperto; non trova neppure la sua pistola, la Walther P38. 
-Schiesse!- esclama, digrignando i denti. 
Sente il compagno lamentarsi ancora e d'un tratto lo riconosce. E' l'ufficiale col quale stava parlando poco prima. Attorno a lui non c'è nessuno. Forse... si potrebbe provare a salvarlo. Stringe un attimo gli occhi. "Devo farlo" si dice e subito si avvicina a lui. La ferita è grave, ma non è mortale. 
Chinato su di lui, strappa un pezzo della sua divisa e la stringe forte intorno alla ferita, per fermare l'emorragia. 
-Beilschmidt...- sussurra l'uomo, trattenendo un'imprecazione di dolore. -Vattene, è pericoloso, qui!- 
Afferra il polso del ragazzo e lo guarda negli occhi. Lui ricambia quello sguardo e scuote la testa. -Nein. I compagni non s'abbandonano.- 
Rafforza la presa del fucile e lo punta al cuore di un soldato inglese. Fa fuoco. Lo colpisce sulla spalla, qualcun altro completa il lavoro. 
Nota più in là un kit medico, così svelto decide di recuperarlo. 
Non può chiedere fuoco di copertura. Nessuno può aiutarlo adesso. Sono tutti nelle sue condizioni e lui, con molta fatica, quatto quatto, s'avvicina alla valigetta e con altrettanta difficoltà torna torna dall'ufficiale. Frettolosamente, tira fuori del disinfettante e ne versa un po' sulla ferita. 
-Beilschmidt!- esclama il malato, spalancando gli occhi. 
Il biondo non ha tempo per voltarsi. Qualcuno lo colpisce da dietro alla nuca e lui cade per terra stordito, ma non abbastanza per lasciarsi ammazzare; con l'occhio intercetta la pistola del suo superiore, la sfila dalla sua custodia e la punta sul suo aggressore, aprendo il fuoco prima che quello possa ricaricare l'arma. L'uomo, poco più che un ragazzo, cade in ginocchio, poi col viso sul pavimento, tra i due soldati tedeschi. 
Ludwig cerca di regolarizzare il respiro, il cuore gli batte ancora molto forte. Si rimette in piedi, dopo un momento, ed allontana con un calcio il soldato inglese. 
Cerca ancora di aiutare il suo Kamerade, ma non è un medico e non sa da che parte iniziare. 
Oltretutto, il suo animo è diviso: vorrebbe sì aiutare l'uomo, tuttavia alzando lo sguardo incontra i corpi dei suoi compagni, assai più giovani dell'ufficiale, cadere a terra esanimi. Stringe le labbra incerto. 
Lo medica, come meglio può, e sta lì a proteggerlo. 
-Beilschmidt, va da loro...- sussurra l'uomo. -Meglio salvare tre uomini giovani che proteggerne uno già adulto.- 
-Aber, Herr Kommandant, ich...- 
-Beilschmidt, è un ordine!- ringhia quello, con la poca forza che ha. 
Il ragazzo, suo malgrado, annuisce una volta soltanto. Gli mette in mano la pistola e gli sussurra: -Buona fortuna, signore...- 
L'uomo sviene posti minuti dopo e pare quasi morto. 
Ludwig, invece, s'affretta verso i suoi compagni e fa fuoco nella loro stessa direzione. 
Il fracasso è infernale; fischi e grida. E sangue ovunque. 
Qualche coraggioso inglese s'avvicina a loro un po' troppo ed i ragazzi tedeschi non fanno altro che togliergli la vita. Come biasimarli? Non c'è alcun ideale in quel momento che abbia un senso. Solo la vita, da entrambe le parti. 
Il biondo abbassa lo spazio svelto per cercare un caricatore nuovo da sostituire al proprio. Lo mette nel fucile, limitando la fretta. Non vuole che l'arma gli esploda tra le mani e deve stare calmo per inserirlo correttamente, altrimenti potrebbe andare incontro ad un malfunzionamento dell'apparecchio. Non avere le mani è come firmare la propria condanna a morte con una penna infilata in bocca. 
Rialzato lo sguardo, nota una figura familiare dare ordini ad un gruppo di soldati inglesi. Ha spesse sopracciglia ed occhi verdi. Lui istintivamente accenna un sorriso. 
"Se non l'ho ucciso l'altra volta, devo farlo adesso" si dice. E subito dopo si rimprovera: "Gott... ma che sto diventando?" 
Sospira lievemente. Non sa perché, ma sente che quel ragazzo non deve morire per mano sua. Si concentra su qualcun altro.
Arthur, a sua volta, lo guarda con la coda dell'occhio. Lo ha riconosciuto anche lui. Strano; i tedeschi gli sembravano tutti uguali. Occhi azzurri, tratti ariani. Punta anche lui il fucile altrove. Fa fuoco; due soldati tedeschi cadono. Si sposta su un'altra figura, Callum, diventato il miglior amico di Abel. Fino a poco prima parlavano del micetto del primo e del cagnolino del secondo. Sembrano quasi due bambini. Adesso uno di loro è stato colpito alla spalla. E se il tedesco non si fosse prodigato ad allontanarlo, sarebbe già morto.
Ma Arthur Kirkland, sebbene non abbia voluto farlo, ha colpito Ludwig Beilschmidt ed ora lui, sanguinante, si ritrova con le spalle appoggiate al muretto. 
Ha la mano appoggiata alla spalla e gli occhi chiusi. Sente dolore in tutto il corpo. Vuole solo che finisca.
-Callum! Ludwig!- grida Abel, avvicinandosi a loro. -State sanguinando...-
E' nel panico se non sa assolutamente cosa fare. Chiama altri soldati ma non tutti hanno la possibilità di allontanarsi dalle loro postazioni, una volta che e hanno conquistate a fatica. 
Per salvare da morte certa Callum, il ragazzo biondo si è messo istintivamente al suo posto ed ora è nelle su stesse condizioni. 
Qualcuno, però, non è contento di quella briciola di speranza di vita che hanno i due ragazzi. 
Un ufficiale inglese insieme ad altri due sottufficiali si avvicina a loro da dietro e apre il fuoco. Così vicini, mira così perfetta.
Abel spalanca gli occhi. Non recepisce subito. Il sangue è schizzato ovunque, sul muro. 
Un morto. Un ferito grave. Un ferito gravissimo. 
Un'esplosione.


 
 
Diario di un pilota.
 
Caro diario, 
oggi sono più magnifico del solito. 
Ho tagliato i capelli e c'ho messo sopra il mio berretto da aviatore. Ormai è solo questione di tempo. Devo nascondere ciò che posso. Vorrei solo non avere gli occhi del color del comunismo, ma non importa. Io non sono comunista! Né figlio del Demonio. 
Ormai giro soltanto se ho l'uniforme indosso e comunque ho tanti problemi.
Stanno arrivando. 
In cielo potrò volare finalmente libero. Ma volare senza un aereo sarà bello? 
Ho finito il pacchetto di anfetamine. Ne voglio ancora. Devo ottenerle, ne ho bisogno. 
...Sto perdendo ogni briciolo di lucidità.
Oggi c'è il sole. Ieri non c'era. Domani ci sarà? 
Le nuvole sanno di caramelle, secondo me. O forse sono buone come le anfetamine? Non voglio soffrire.
Caro diario, fa che quando mi prenderanno, mi punteranno la pistola alla fronte e faranno subito BANG! e più nulla. 
Il cielo dev'essere bello. 
Io sono bello. E quell'uccellino?..  Si sta alzando in volo. Te lo descrivo, d'accordo? E' azzurro, con uno spruzzo di blu e arancione. E' una ghiandaia marina, ne sono certo. Chissà com'è s'è creata. Insomma, Dio ha fatto davvero tutte queste specie? Ma no... ne ha fatte alcune che si sono accoppiate tra loro.
Ah, ma dimenticavo: Dio non esiste.
 
Magnificamente, 
Gilbert B.
 


 
 
Lui ha soltanto quindici anni. Avrebbe tutta la vita davanti, ma vi ha rinunciato per diventare un partigiano, uno dei più giovani. Curioso, come si possa morire per altro motivo, quando si rischia la vita ogni giorno per salvare il proprio paese. 
E' a letto da giorni. 
Non ha la forza di alzarsi, è molto pallido e ha la febbre alta. Tossisce ancora una volta e di nuovo il fazzoletto bianco si macchia di sangue.
-Mamma...- la chiama debolmente. 
La povera donna entra in casa e gli si avvicina. Si siede sul suo letto e gli carezza la fronte. -Cosa c'è, figlio mio?- gli sussurra dolcemente. 
-Mamma, ti prego, dammi un po' d'acqua, ho la gola secca...- prega lui. 
Lei avvicina un bicchiere al viso del figlio, il quale si solleva lentamente e manda giù qualche sorso, tornando poi a tossire. 
Gli occhi ambrati del ragazzino subito si rivolgono alla figura della sorella maggiore, appena entrata in camera. Lei ha diciassette anni. Si chiama Vittoria. E' timida ed impacciata. 
-C'è una persona che vuole vederti, te la senti?- domanda avvicinandosi a lui. 
Il ragazzino annuisce, nella stanza entrano presto Aldo e Silvano. 
Il comunista subito lo saluta. -Compagno! Come stai quest'oggi?- 
L'altro lo fulmina con lo sguardo, la sigaretta ancora tra le labbra. -Non chiamarlo così, deficiente.- 
Il primo però non si lascia scoraggiare. Si avvicina al quindicenne e da un'occhiata in giro. -Dovreste aprire le finestre, c'è cattivo odore qui.-
La donna annuisce e spalanca le finestre, ma il figlio trema di freddo e si rifugia sotto le coperte. Lei si volta verso Silvano. -Per piacere, metti via la sigaretta.- 
Il ragazzo annuisce e la spegne. Si avvicina poi a Francesco ed appoggia una mano sulla sua fronte. -Scotta.- 
Vittoria prende una bacinella d'acqua e vi immerge una pezza, andando poi a bagnare la fronte del fratello con cura.
-Che male affligge il mio fratellino?- domanda guardando i due partigiani più grandi. I due si scambiano un'occhiata.
Il rosso farfuglia qualcosa: -Ecco... c'è tutto quel sangue... e la tosse... ma si rimetterà!- 
L'altro sospira. -Non temere, non è mortale.- 
In realtà sanno perfettamente cosa stia accadendo al ragazzo. Tubercolosi. I sintomi sono quelli e durano da giorni. Sarà fortunato ogni giorno che vedrà una nuova alba. 
I ragazzi non vogliono essere contagiati, hanno una lotta da portare avanti, dunque dopo qualche momento si allontanano dalla casa, con la promessa di tornare il giorno dopo. 
Appena uscito, il ragazzo coi capelli neri, Silvano, fa una smorfia, riaccendendo una sigaretta: -Non arriverà a Settembre.- 
-Ehm, Silvan?- lo chiama lui, omettendo l'ultima vocale. Ogni tanto gli piace chiamarlo così. Lui da sempre soprannomi a tutti, soprannomi che dimentica nel giro di qualche ora, generalmente. -Giuseppe sta malissimo pure lui. Si è tagliato in fabbrica. Ha perso un sacco di sangue...- lo informa. 
Silvano si passa una mano sul volto. -Ma che ci sta succedendo? Uno dietro l'altro... prima Romano, ora loro. Non possiamo andare avanti così.- 
 
 
Felicia è seduta sul letto.
A ritmo regolare la sua mano accarezza i capelli biondi del bambino, canticchiandogli una ninna nanna dolcissima, con una nota melanconica nella voce.
D'un tratto gli occhioni verdi di Mathias Andrea si riempono di lacrime che presto gli rigano il visetto dolce. Dalle labbra rosee, ancora a forma di cuore com'è tipico dei bebè, esce un pianto nervoso. 
-Shh, c'è la mamma con te. Vuoi la pappa, sì?- gli sorride dolcemente.
Lei non ha vergogna del suo corpo, malgrado quello che ha passato. Così, sola in casa, abbassa la spallina del vestito e si lascia scoprire un seno, stringendo a sé il figlioletto di appena tre mesi. Lui prende avido tutto il latte e la mamma gli sorride. Si china poco poco per dargli un bacio sulla fronte. 
-Il papà e lo zio ti hanno dato una grossa responsabilità. Ti hanno detto di proteggermi. Io, però, devo proteggere te. Sono due sciocchi... non sanno che sei ancora piccolino? A papà manchi tantissimo. Vorrebbe vederti crescere, me lo ha detto. E lo zio ti vuole bene. Ha promesso che quando crescerai ti porterà...- 
Gli ha parlato con tono delicato, intenerita dai suoi occhioni verdi, così simili a quelli di Romano che parlare di lui le è venuto spontaneo. Però poi si è ricordata: suo fratello non c'è più. Non può più esserci. Non ne hanno la conferma, però lo sanno... nascondendosi il viso tra le dita, trattiene qualche lacrima. Mathias punta gli occhioni spalancati su quelli della madre, forse si chiede cos'abbia.
-Stai tranquillo, andrà tutto bene- gli spiega, tornando a stringerlo con entrambe le braccia. 
"Perché non hanno fatto niente? Avevano detto che i compagni non s'abbandonano... L'avevano detto!" pensa tra sé esasperata. 
-Sai, non vedo l'ora inizi a gattonare, a muoverti come un micetto per casa...- gli dice, con voce un po' rotta. -Spero che papà per quei giorni sia qui a guardarti. Lo zio ti sarà sempre accanto. Ti guarderà ogni momento,  sono sicura, e starà con te per non farti sbagliare. Lo zio era una brava persona... saresti fiero di lui, ne sono certa. Adesso mangia sereno, piccolo mio, e dormi tranquillo, ché quando sarai grande, forse non potrai più farlo...-
Il piccolo, quasi ubbidendo, dicendosi sazio, si stacca da capezzolo della madre e si addormenta in breve. Lei si ricopre, cullandolo a ritmo regolare, di nuovo canticchiando.
Il nonno bussa alla porta d'un tratto, le si avvicina con fare grave. Ha una lettera tra le mani. Non sa chi l'abbia spedita, ma è in tedesco.
Allora lei subito si riprende e sorride, ma corruga lo sguardo notando la scrittura: non è quella di Ludwig. Ma allora... chi la manda?
Sistemato il figlio sul materasso, dolcemente, apre la busta. Legge le prime righe. 
I suoi occhi si riempono di lacrime. 
-No!- urla. -No, no, no, no, no! Nonno... no... ti prego...- 
Si avvicina a lui ed affonda il viso al suo petto. Singhiozzando, si lascia stringere.
-Che succede, bambina mia...?- domanda il vecchio, carezzandole dolcemente i capelli.
-Ludwig...- risponde lei. -Risulta disperso.- 
 
 

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Capitolo 34
*** Paradiso o Inferno? ***


Il ragazzo stringe i denti e gli occhi, portando la nuca indietro. 
Sente male ovunque. Si ritrova a torturare con le mani la brandina malferma sulla quale è disteso, deve concentrarsi su qualcosa, se non vuole pensare troppo al dolore.
In più, l'atmosfera è tesissima all'ospedale da campo. Si sentono urla, grida, pianti, qualcuno invoca i santi dal Paradiso e dall'Inferno, per disperazione. Qualcuno ascolterà le loro preghiere? Voglio solo che tutto cessi. Magari con la morte, si sono rassegnati, quei poveri ragazzi di venti e trent'anni. Molti stanno vomitando. Il dolore arriva fino al cervello e lo fa implodere.
-Non c'è niente da fare... dobbiamo tagliarla- mormora il medico, chino su Ludwig. 
Sono entrambi sporchi del sangue del biondo, il quale, sentendo quella frase non ha alcuna reazione. Non riesce a metabolizzare nulla e pur di non sentir più male, accetterebbe qualsiasi cosa; l'emorragia alla gamba non si ferma, ed il taglio è profondo, così profondo che quasi s'intravede l'osso tra la carne lacerata. 
Il dottore sospira, sistemandosi la mascherina sul viso -che poco fa, in realtà.
-E' già il quinto oggi...- commenta tra sé. Non ha di certo strumenti adeguati ed il massimo che può fare è dargli qualcosa da mordere mentre la sega fa il resto. 
Ma Ludwig soffre così tanto che, forse, non potrebbe sentirne altro. 
Cerca di sopportare in silenzio, eppure non riesce a sopprime gemiti di dolore. Sente caldo, non c'è aria lì dentro, vuole solo respirare un po' d'aria pulita, ma come potrebbe camminare in quelle condizioni? 
Il medico, un uomo sulla trentina, coi capelli e gli occhi scuri, ma un valido certificato da Ariano, sta per avvicinare lo strumento di tortura al ragazzo, il quale inizia a concepire l'atrocità della guerra, solo in quel momento, quando essa lo ha ormai avvolto con le sue ali nere. 
Non potrà mai giocare con Mathias... corrergli dietro, prenderlo in braccio, fare il bagno con lui al mare. Non potrà andare in giro con cagnolone che ha sempre voluto ed il bambino accanto, accompagnare il piccolo a comprare un gelato, accompagnarlo a scuola... La sua vita gli passa svelta davanti. Non potrà più fare nulla, senza una gamba.
Ma ecco che qualcosa lo salva.
Lui ha gli occhi chiusi, non può sapere.
-Non ci provare. Ci serve, lui- esclama una voce maschile, d'età intorno ai quaranta, che però il biondo non riconosce. Troppi sono i pensieri nella sua mente.
Il medico scuote la testa. -C'è poco da fare, signore. Bisogna amputare.-
-Il soldato Beilschmidt è uno de migliori ch'io conosca. Se gli taglia quella cazzo di gamba, non potrà più parare il culo a molta gente. Fa qualsiasi cosa, trattalo come fosse un ufficiale, perché da questo momento lo è.- 
Ludwig è sempre stato un ottimo soldato. Non è un soldato semplice ormai da un po' di tempo. Poco a poco, potrà sperare di arrivare ad un buon grado, la fatica è tanta, ma il coraggio non gli manca. 
Adesso è Obergefretier, ovverosia caporale maggiore. 
Ricorda ancora quando gli hanno dato la promozione... fu un orgoglio immenso per lui e per la sua famiglia. Stava già con Felicia, se lo ricorda bene. 
 
 
Si avvicina lentamente a lei. L'abbraccia da dietro e le bacia il collo. 
La ragazza si spaventa, non se l'aspettava quella visita, ma è felice di averlo accanto. Appoggia una mano sulla sua guancia. -Tesoro...- sussurra.
Lui accenna uno dei suoi più bei sorrisi. -Mi hanno promosso, mein schatz- le spiega puntando gli occhi azzurri sui suoi.
Lei ha sempre ripudiato la guerra. Ma come smorzare il suo entusiasmo? Esercitandosi nel ruolo di moglie, essendo però ancora solo la sua fidanzata, spalanca gli occhi e gli circonda il collo con le braccia. -E'... fantastico!- esclama. 
-Nein, non lo pensi- risponde lui, chiudendo gli occhi. Appoggia le labbra alle sue, il sorriso non si spegne. -Ma così mi fai felice.- 
Felicia ricambia il bacio, carezzandogli i capelli biondi. 
 
Il biondo sente una fitta più dolorosa delle altre, perciò urla. Vorrebbe pregarli di fare qualcosa, ma un soldato attende in silenzio la sua ora.
L'uomo che ha parlato è un ufficiale. Lo stesso che il ragazzo aveva protetto e curato esattamente... no, non si ricorda che giorno sia. Non sa quanto abbia dormito, forse ore, forse giorni. Il suo salvatore -che non fa altro che ricambiargli la cortesia- si chiama Adriaen Krüger. Non si sa molto sul suo conto; si dice che avesse una bella moglie, dolce, affettuosa, il genere di donna che tutti i militari vorrebbero accanto a sé. Però, fragile. In seguito ad un brutto incidente nel quale perse il bambino che portava in grembo, lei si tolse la vita. Lui s'arruolò subito dopo.
Punta gli occhi verdi su quelli azzurri del giovane. 
-Te la caverai... sergente- gli dice con tono fiero, è sempre così orgoglioso quando uno degli uomini che lui stesso ha addestrato diventano ufficiali, perché quegl'uomini sono un po' come i suoi figli, adesso. Bambini da educare. Fa dietrofront, ma qualcosa gli tiene stretto il polso, troppo forte perché possa ignorarlo.
-He...Herr... Kommandant...- sussurra il biondo, col volto imperlato di sudore. -Danke.-
Adriaen Krüger accenna un sorriso. -Riprenditi, Beilschmidt. Ci servi in campo.- 
Con un ultimo cenno, s'allontana da lì, premendo la mano sul proprio stomaco. 
 




 
 
Diario di un pilota.
 
Cado Diario. 
Cioè, caro diario. Stanno arrivando. Proprio adesso. Nein, non è che arriveranno a giorni, li sento parlare con mia madre. Lei li sta distraendo, ma che uomo sarei se mi lasciassi coprire da una donna? Ti scrivo ora perché poi non potrò più farlo. 
Io non voglio morire. Ma il Reich ha ragione: i malati non servono a nessuno. Ed io accetterò le mie torture da vero uomo. Devo farglielo capire, che essere Ariani non è avere solo gli occhi azzurri ed i capelli biondi, che essere forte non dipende dai tratti somatici.
Io posso farcela, Diario! Il Magnifico Me affronterà le sue pene con onore! 
Un'ultima cosa: 
Ludwig, se mai leggerai queste mie memorie, sappi che sono orgoglioso di ciò che sei diventato, che sono fiero di avere un fratello tanto figo; sono inoltre contento della decisione che hai preso per Felicia, ti fa molto onore. Io continuerò a vegliare su di te, qualsiasi cosa accada non perdere mai la fiducia in te stesso! 
Ti voglio bene, fratellino.
Addio.
 
Magnificamente, 
Tuo fratello Gilbert.
 

 
 
L'albino si asciuga una lacrima con l'indice. 
Prende il diario e lo nasconde sotto il cuscino. Si guarda allo specchio. Sistema sulla nuca il cappello della Luftwaffe, la sua divisa ed esce dalla sua camera con sguardo alto e fiero, richiudendosi la porta alle spalle. Percorre il lungo corridoio con calma, ma con passo deciso, il ticchettio degli stivali risuona tra le pareti. 
Giunge in salone.
La donna, Karline, abbassa lo sguardo mortificata.
-Avevate detto che non era in casa, Frau Beilschmidt. Una donna di classe come voi, come può mentire alle autorità del Reich?- mormora un uomo avvicinandosi a lei, con un sorriso beffardo sul volto. Occhi verdi e capelli biondo cenere, lentiggini vicino al naso. Erich. Il fratellino di Joachim. Chissà se conosce la sorte toccata al maggiore? 
-Le ho chiesto io di farlo. Volevo avere il tempo di fare un'ultima cosa- ribatte il figlio maggiore, avvicinandosi a lui. Si frappone tra la madre ed l'SS, con sguardo severo. Mente, ma non può permettere che la madre venga umiliata ancora.
-Ora, sono pronto- conclude.
-Ma bene- concorda lui, con un cenno del capo in direzione della porta. -Gilbert Beilschmidt, deve dunque seguirci.-
Il ragazzo con gli occhi vermigli annuisce appena socchiudendoli. Si volta verso la madre. La sua occhiata è molto eloquente.
Lei non piange, ha imparato a non farlo davanti chi porta una divisa, di qualsiasi tipo. I suoi tre uomini -marito e figli- non devono vederla piangere. E neppure le domestiche devono farlo. Così lei, si ritrova sempre sola, in lacrime silenziose che sfogano un po' del suo dolore solitario.
Sospira lievemente, di certo sconfortata, e sfiora appena la mano del figlio con le dita, per dargli un po' di sicurezza. "Vai, figlio mio" pensa tra sé e gli dice con un'occhiata. 
Gilbert esce di casa, senza chinare il capo neppure per un istante. Non si guarda neppure indietro. 
 
 
 
 
Sono due notti che l'italiana non chiude gli occhi. 
Tiene il figlioletto stretto a sé, non vuole più lasciarlo tra le braccia degli altri, perché nessuno le sembra degno di tenerlo. Oltretutto, ha paura. Non vuole che le portino via anche lui. 
Quel giorno però, malgrado le occhiaie ed il viso pallido, si reca in Chiesa senza Mathias, rimasto col nonno, unico individuo degno della sua fiducia. 
Entrata nella casa di Dio, si fa svelta il segno della croce, avvicinandosi poi ad una panchina. Si inginocchia e congiunge le mani i preghiera.
"Signore Dio mio... Ho commesso peccato. Ho desiderato avvicinarmi a Te, morire, non tenendo conto della vita che ho ogni sera tra le braccia. Ho molto peccato, ma Ti prego, non punirmi ancora! Non potrei sopportarlo. Mi hai già tolto mio fratello... ed io, senza di lui, non so che cosa fare! Mi ha dato la forza così tante volte... Madonnina mia, Tu sei una donna, sai quanto sia ingiusto questo mondo, quanto male c'è. Sai che noi donne siamo così fragili... Ti prego, dammi un po' della Tua forza, ch'io da sola non riesco ad andare avanti. Non so più che fare. Tu sei Madre e puoi capire quanto si stia in pena per i propri bambini, per i propri cari. Ti supplico, riporta Ludwig da suo figlio! Ha bisogno di entrambi i suoi genitori per crescere... E io ora prego Te, Madonnanina mia, di occuparti di mio fratello Romano. E' stato testardo, così tanto in vita sua!, ma non ha mai fatto male a nessuno. E'... era un bravo ragazzo. Ha solo protetto la sua terra e la sua famiglia. Accoglilo in Paradiso! Non lasciarmi da sola ad affrontare tutto questo, Madonnina, te ne prego. 
Amen."
La ragazza si concede un piccolo sospiro e fa il segno della croce. Non apre ancora gli occhi, continuando con le sue preghiere. Recita in latino -così le è stato insegnato- il Padre Nostro, l'Ave Maria ed il Salve Regina. Lei ha un'immensa devozione per la figura della Madonna. 
Madre di tutte le madri, Maria è più vicina al mondo terreno e dunque Felicia la vede come miglior punto di riferimento. E' stata una donna che ha dovuto affrontare tante prove dolorose, tuttavia è sempre andata avanti con coraggio e forza d'animo. L'italiana l'ammira moltissimo. Vorrebbe avere un po' della Sua forza di spirito. Ha sempre pregato per Lei, si rivolgeva più spesso a Lei e più raramente a Dio. 
Con l'ultimo segno del Padre, Figlio e Spirito Santo, si alza  e si avvicina alla statua della Madonna. Bacia la propria mano e poi accarezza i piedi freddo di marmo, facendo un lievissimo inchino in segno di rispetto. 
Esce dunque dalla casa di Dio.
 
 
Ludwig guarda il cielo.
La gamba è stata fasciata da poco e gli fa ancora molto male. Ma si sta poco a poco abituando al dolore. Non riesce ancora a muoversi, però. 
Osserva una stella con aria melanconica.
"Dio... Tsk... come se Tu esistessi, dopo quello che hai lasciato che facessimo. Sei soddisfatto del Tuo operato? Sei contento di vedere come siamo ridotti? Lo so che non è colpa Tua. Ma se Ci lasci sbagliare, se Ci lasci fare questo, che diritto hai poi di giudicarci, una volta che moriamo? Vuoi averci con te? Bene, prendici ora. Non vedi come i miei compagni stanno soffrendo? Quanti stanno abbandonando questa terra? Quanti uomini abbiamo ammazzato, quante famiglie distrutto... Se il Paradiso è lì in Cielo, quaggiù c'è l'Inferno. Dev'essere questo che devo dirti quando Ti vedrò. Solo... un altro soldato a rapporto. Che ha visto l'Inferno, Satana, Morte, Distruzione, Fame, Violenza. Perché hai lasciato che quel bastardo toccasse Felicia? Lei è così pura, così dolce, così bella... Warum? Perché hai fatto in modo che quel figlio di puttana s'avvicinasse a quella bambina? Sì, sono arrivato io. Ma potevo arrivare tardi. E non credo proprio di essere arrivato per Tuo volere divino, no: io non ci credo più. Qua c'è l'Inferno peggiore di tutti. Nessuno mai potrà capirlo. Nessuno mai. Lo si vive, non si racconta. Non si raccontano i sentimenti... Dio, io ormai lo so: Tu non esisti."
Si lascia andare in un ultimo sospiro. 
Accanto a lui c'è un ragazzo coi capelli rossi, lentigginoso. Ha detto di aver ventidue anni. Hanno parlato un po' per distrarsi, solo scambiato qualche parola. Ludwig non ricorda neppure come si chiamasse. Adesso si volta. Lui è ancora lì. Ma il suo petto non si alza ed abbassa più a ritmo regolare. Non si muove. Le sue labbra sono diventate blu, il corpo ha perso ogni tonalità di colore.
"Tu non esisti" ripete tra sé il giovane. Chiude gli occhi. Non vuole vedere più niente. 
 
 
Non sapevano come catalogarlo.
Omosessuale... no. Comunista... no. Prigioniero politico... no. Asociale? Mmh.
Ed intanto lui aspetta lì la sua morte, sperando che essa giunga presto. Alza gli occhi rossi al cielo, è terso, ma c'è una spessa nuvola di fumo grigio scuro che lo sporca. Una nuvola accompagnata da un odore nauseante di bruciato.
"Non voglio volare su questo cielo. Volerò su un cielo diverso" si dice. 
Socchiude appena gli occhi. Gli manca così tanto il suo fratellino... chissà se sta bene. 
Alla fine hanno trovato una decisione. 
C'è una vasta scelta di triangoli, a dire il vero.
Il triangolo di colore rosso identifica i prigionieri politici;
Un triangolo verde identifica i criminali comuni; 
Un triangolo di colore nero identifica gli "asociali"; 
Per i Testimoni di Geova il colore è viola;
Un triangolo di colore rosa è invece attribuito agli omosessuali; 
Un triangolo di colore marrone etichetta gli "zingari."
Poi ci sono altri tipi di identificazione. 
Una lettera "E" prima del numero di matricola identifica i detenuti Erziehungshäftling, ovvero "da educare."
Una stella a sei punte di colore giallo identifica i prigionieri ebrei.
Un cerchietto di colore rosso recante la sigla IL (Im Lager, nel campo) veniva cucito sulle casacche sporche e luride dei prigionieri ritenuti pericolosi o sospetti di tentare la fuga; 
Infine, un cerchietto di colore nero per i prigionieri della "compagnia penale".
Gilbert non sa ancora cosa gli verrà dato, ma già rimpiange la sua uniforme.
Gli è stata praticamente strappata di dosso, sostituita da una divisa lercia, sporca, che gli da prurito solo a guardarla. Eppure, ha dovuto indossarla. A completare l'opera, pesanti zoccoli di legno da portare ai piedi. 
E' stato fatto accomodare sgarbatamente su uno sgabello a tre piedi ed i suo cappello da pilota è stato umiliato per terra, gettato via, perché lui -non è degno di portarlo.- 
Senza dire una parola, l'albino rimane fermo sul suo posto. Non si scompone neppur quando un uomo gli rasa i capelli. Ciocche bianche cadono per terra e sulle sue spalle, la sua nuca sanguina ed il liquido rosso è subito visibile sulla sua pelle chiara, diafana. Ma lui non apre gli occhi né ribatte. Ubbidiente, si lascia maltrattare. L'obbedienza è il primo dovere del soldato. 
Ma lui non è più un militare al servizio del Reich; adesso è solo un uomo nei campi, come molti altri. Non verrà ben visto né dagli altri internato nè dalle SS che li sorvegliano. E' una specie di ibrido: troppo impura per parlare con gli Ariani, troppo sporco per stare con gli altri prigionieri. Ha servito il Reich... fa parte della sua stessa feccia.
Segue gli altri nelle "docce", genti d'acqua prima bollente poi gelata li ripuliscono. Il Reich vuole evitare il rischio di epidemie. 
Adesso, la registrazione. "Stupidi... Registrazione, dati personali, indirizzo dei parenti più prossimi; sono ridicoli!" pensa tra sé con un piccolo sospiro.
Ma prima di compilare la scheda, il tatuaggio.
Non si ribella ancora. Ma non riuscirà a stare zitto per sempre, ne è consapevole. Deve meditare sulla situazione. 
Seduto di nuovo su una sedia, porge il braccio sinistro scoprendo l'avambraccio. Si guarda intorno. Un uomo, un ebreo, sta urlando. La sua religione vieta qualsiaasi tipo di tatuaggi. Cos'è questa, allora, se non l'ennesima forma di violenza e tortura escogitata dai nazisti? Tutto quel catalogare le persone come se non avessero nulla di umano, tutto quell'ordine, quella disciplina. 
L'albino abbassa su di sé lo sguardo. Ha un triangolo nero al petto. L'hanno etichettato come asociale. Chissà perché poi... Osserva i numeri venir stampati con marchi permanente sulla sua pelle delicata, non sussulta né ha altra razione quando l'ebreo si ritrova esanime sul pavimento, con un buco sulla fronte. Qualcuno invece urla. Lui conosce bene la morte e non la teme. 
Si alza quando il tatuaggio è stato completato. 
Si avvicina ad un altro banco e compila il modulo di registrazione. 
Gilbert Beilschmidt, nato a Berlino, il 18 Gennaio 1915. Stato civile: Celibe. Bambini: 0. 
Occhi: Rossi. Capelli: Bianchi. Altezza: 1.77 cm. Religione: Ateo.
E va avanti fino a riempire tutto il questionario. 
Un uomo in divisa lo osserva mai. -Nato allo scoppiar della Grande Guerra. A Berlino. Interessante.- 
-Fino a due giorni fa, servivo il Reich come aviatore. Volavo con uno Junkers Ju88A-14- risponde lui in tono pacato. L'avrebbe imparato presto, solo che ancora non lo sa. Lì non si risponde. 
L'altro, ringhiando, gli ordina di stare zitto, ché non ha il permesso di parlare, lui. Lo picchia violentemente sul viso, ma Gilbert non si lascia scoraggiare. Sputa, e sputa sangue, ma si rialza. E' ancora abbastanza in forze per farlo. Non si lascerà sottomettere.
Lo guarda, con odio, però in silenzio.
Avrebbe mai imparato a tener a freno lingua ed occhi?
 



 
 
  

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Capitolo 35
*** Solo un altro ritorno. ***


Vogliono guarisca. 
Vogliono ritrovarlo in battaglia in tre settimane al massimo, a dare il meglio di sé. E per guarire, ha bisogno delle giuste cure. Lo rimandano a casa, non gli sembra vero... ma zoppica ed è debolissimo; a stento si regge in piedi. Ci prova, comunque, e con qualche sforzo viene messo insieme agli altri malati su un treno e spedito a Berlino, nella capitale del Reich.
Dorme durante il viaggio, quasi comodo, come non succedeva da chissà quanto tempo. Si sveglia solamente quando i raggi del sole gli colpiscono gli occhi ed un suo Kamerade senza più una mano, la destra per altro, appoggia l'unica che gli resta sulla spalla.
-Kamerade, dobbiamo andare- gli sussurra con un mezzo sorriso. 
Chissà perché è felice. Ludwig avrebbe preferito la morte ad una vita di stenti, senza più un arto. Ma lui sorride alla vita. Quel soldato è Callum. Un soldato inutile, com'è sempre stato, incapace di combatte. Ed ora, alla luce di ciò, Abel come farà senza di lui? La sera prima li ha visti. Ha provato un certo senso di disgusto, ma non ha detto nulla. 
Erano nascosti, come si vergognassero e, beh, secondo il biondo un po' dovrebbero. Ma lui non è come tutti i nazisti ed anche se non approva, non li denuncerà a nessuno. Terrà per sé quello che ha visto.
 
 
Abel si avvicina a Callum, ancora scosso per ciò che ha visto e sporco di sangue. Si guarda attorno. Non li guarda nessuno. Gli prende la mano.
-Come... ti senti?- sussurra accennando un piccolo sorriso.
Il ragazzo ferito fa una smorfia. -Mi fa così male la mano destra... La taglieranno, la taglieranno! E mi butteranno fuori di qui.- 
-Nein, nein, non dire così. Andrà tutto bene- cerca di confortarlo lui. Si china un po' e lascia un piccolo bacio sulla mano ferita. Callum lo guarda negli occhi spaventato. -Se ci vedessero...- Ma l'altro scuote deciso la testa. Sono soli. Non c'è nessuno e potrebbero non rivedersi più. Allora gli da un bacio, uno solo, giocando un po' sulla sua lingua. Gli carezza la guancia. -Stai attento. Promettilo.-
-Te lo giuro. Torna a casa...- 
Il biondo ha visto tutta la scena. Spalancando gli occhi, nascondendosi dietro il muro, ma l'ha vista tutta. "Quei due... si faranno ammazzare" pensa tra sé. Controlla che non stia arrivando nessuno. Un'infermiera. Deve distrarla. Le chiede delle altre anfetamine. Non ha la minima intenzione di prenderle, non vuole diventare un drogato, ma non ha scelta. Alza un po' la voce. Si fa sentire. La ragazza non si spaventa più. Ne ha visti tanti di soldati diventare aggressivi e violenti. I due ragazzi si allontanano prontamente. 
 
 
Ha bisogno di aiuto per scendere dal vagone del treno nel quale è stato stipato chissà quante ore prima. Lo aiutano due ragazzi, non li conosce, però sono molto disponibili. E' che sono tutti stanchi. Vogliono solo un po' d'affetto e dunque non possono fare a meno di spalleggiarsi a vicenda. Emotivamente troppo stanchi per ridere. C'è qualche infermiera che però ci riesce, corteggiata da un militare. La storia d'amore più vecchia di sempre. Quelle occhiate complici, quei sorrisi... una ragazza con gli occhi celesti ed i capelli rosso-castani scende svelta dal mezzo pulendosi le mani sporche di sangue sul vestito bianco. E' palesemente scossa. Le è morto un giovane tra le braccia, avevano scherzato per tutto il viaggio... 
Un'altra guardandosi in giro ha riconosciuto il suo fidanzato. Erano a due vagoni di differenza. Si avvicinano e si abbracciano stretti, lui le carezza i capelli dolce. Non ha più un braccio. Ma è vivo. 
L'ennesima infermiera segue la brandina di un soldato che chiama il nome della sua giovane moglie. La ragazza si finge tale. Lui ormai delira... Continua  ripetergli "sono qui, sono qui, non sforzarti, ti amo anch'io, sì." 
E Ludwig non può fare altro che pensare alla sua bella italiana. Chissà se lo sta pensando...
Guarda il cielo di Berlino, sorreggendosi a quella specie di stampella improvvisata. E' un miracolo che sia un buon soldato. O avrebbe già una gamba in meno.
I sorrisi stanchi e forzati dei ragazzi si moltiplicano, tutti felici di tornare a casa. Lui ha la stessa gioia. Ma non c'è nessuno ad aspettarlo. Presa la sua sacca, messa in spalla, il biondo si allontana da solo. Si ferma ad una panchina poco fuori la stazione. Affonda il viso tra le mani, guardandosi poi intorno. La sua città... quant'è bella? Tantissimo, ai suoi occhi. 
"Mathias..." Accenna un sorriso solo pensando al nome del suo bambino. 
Callum è già andato via e così molti altri. Si lascia però aiutare per quasi tutta la strada da altri due soldati, giungendo alla casa dei suoi genitori. Bussa alla porta. Gli sembra così stupido, così banale!
Dentro casa vi è la madre. Sta soffrendo terribilmente. Ha perso due figli nell'arco di qualche settimana, ma non può mostrarsi debole ed il marito non fa una piega. Chissà se lui soffre oppure no...
Si sente d'un tratto chiamare dalla domestica. 
-Signora, Signora! Frau Beilschmidt, venite, presto!- 
Ludwig si lascia scappare un piccolo sorriso notando quella reazione così bella della donna. Ha i capelli scuri legati in una crocchia alla base della nuca, la solita uniforme indosso, ed un sorriso felice, cerchiato da qualche ruga, dovuta all'età e alla poca cura che ha di sé stessa. 
-Marika, vuoi smettirla di...- 
Karline avvicinatasi all'ingresso spalanca lo sguardo notando la figura del figlio minore sulla porta. Gli occhi le si riempono di lacrime. Nasconde il viso tra le mani, poi gli si avvicina e lo stringe a sé. Nessuna l'ha mai vista in un gesto d'amore così evidente. 
Marika, sorride anche lei. 
-Entrate, entrate, sarete stanco. Com'è bello vedervi!- esclama richiudendo la porta alle spalle. 
-Mutter, piano, mi fate male- dice lui, con quel piccolo sorriso.
-Ci avevano detto che eri disperso...- spiega la donna allontanandosi un poco. 
-Disperso?- chiede il ragazzo alzando un sopracciglio. -Non lo sono mai stato.- 
La padrona di casa spalanca gli occhi. -Io ho avvertito Felicia! Quella povera ragazza pensa tu sia...- Non termina la frase, scuotendo la testa con rammarico. 
Era stata proprio lei a scrivere la lettera all'italiana, che anche adesso sta distesa a letto come fa da giorni. Ludwig le scrive immediatamente una lettere, poche righe, consegnandola poi ad un'altra domestica che vola a spedirla. Abbandonato lo zaino pesante verde militare sul pavimento, si siede su una sedia. Non può stare molto tempo alzato. 
-Dov'è mio fratello?- domanda. -Devo parlargli.-
La mamma accenna un sorriso triste. Gli carezza la guancia, mordendosi le labbra per non versare una lacrima. 
-Mutter... dov'è Gilbert?- punta gli occhi azzurri sui suoi. Lei non parla. -Ti ho fatto una domanda!- sbotta ancora.
-Lo hanno preso...- sussurra la donna. -E non so dove l'abbiano portato..- 
Il soldato annuisce, calmo. Distoglie lo sguardo, una mano sul tavolo l'altra sulla stampella.
-Ludwig, sono state le SS. Tuo fratello è...- ma è costretta a zittirsi, sussulta e tace.
Il ragazzo ha buttato per terra la stampella e ha battuto con decisione e violenza il pugno chiuso sul tavolo. Con gesto nervoso, ha fatto cadere il vaso azzurro che vi era poggiato sopra. Alzatosi di scatto, si passa una mano sul viso, facendo appena un paio di passi per sedare la rabbia, ma nulla, nulla la placa. 
Le domestiche accorrono preoccupate, ma lui non farebbe mai del male a loro. Non alle donne. -Quei figli di puttana! Lui! Ha servito il Reich meglio di quanto facciano loro! Quei bastardi! Quegli schifosi!- continua a dire, con tono di voce alto. 
Ulrich rientra in casa proprio in quel momento. 
-Silenzio! Dove ti credi di essere, Soldat?- tuona. 
Il figlio si volta e lo guarda negli occhi. Poi abbassa un poco lo sguardo, stringendo la mano a pugno, finché le nocche non diventano bianche. Possibile non capisca il dolore che sta provando? Suo fratello era tutta la sua famiglia, per lui...
Inoltre, non è felice di rivederlo, tutto intero, per altro? Digrigna i denti. 
Si avvicina a lui e fa il saluto militare. 
-State parlando col Unteroffizier Beilschmidt, Leutnant- precisa con tono tagliente, portando via la mano dal viso e rompendo le righe. Riprende lo zaino e con immensa fatica sale al secondo piano, fin alla propria camera da letto, già sistemata dalla servitù.
 
 
Ha un occhio gonfio, ma poteva andargli peggio. Deve fare il possibile per non finire in Infermeria. Ha sentito brutte voci sul conto dei medici e non si fida nemmeno un po'. Preferirebbe la morte. 
Lui però lo ha sempre saputo, che quei campi non erano come venivano descritto al suo popolo, quello tedesco. Ha sorvolato i cielo per mesi e mesi e ha notato che sulla terraferma qualcosa non andava. Ha chiesto ai suoi superiori, ma nessuno gli ha detto una parola. Così, ha eclissato la discussione. Adesso lo sa, cosa succede in quei luoghi freddi, sporchi, angusti, in una sola parola: inospitali. 
E' seduto su quella specie di letto della sua baracca, con le gambe al petto, in quell'uniforme a righe logora che quasi preferirebbe esser nudo. Sfiora appena il tatuaggio con le dita pallide. Il suo numero. Tutti ne hanno uno. Devono impararlo a memoria e saperlo pronunciare in tedesco. Lui ovviamente non ha difficoltà, ma altri internati non sanno proprio da che parte iniziare. Ci sono alcuni uomini che goffamente abbozzano dei tentativi col poco tedesco che conoscono. Nessuno vuole parlare con lui. Hanno sentito che, al momento della presentazione, ha detto "ho servito il Reich." Non avrebbe dovuto farlo, ma non se ne pente. Socchiude appena gli occhi e si lascia scappare un sospiro. Senza muoversi di lì, sussurra qualcosa, ma dato che il gruppetto sembra ignorarlo -o semplicemente non ha sentito- ripete nella lingua madre, scandendo le sillabe, il numero. Quello suo è il 98506. 
Gli altri prigionieri non vogliono ascoltarlo. Ma l'istinto di sopravvivenza e il timore verso le SS hanno il sopravvento. Ripetono con lui ognuno il primo numero finché non sono sicuri di pronunciarlo correttamente. 
Gilbert chiudendo gli occhi pensa al giorno prima. Appena arrivato, uno dei Kapo,  aveva richiamato la loro attenzione, parlando dell'ovvio. Avrebbero dovuto andare presto a dormire, cinque persone a cuccetta, il mattino dopo avrebbero ricevuto la colazione e delle coperte. L'albino aveva già immaginato in che condizioni fossero. L'altro aveva aggiunto qualcosa come: -Non createci problemi. O finite dov'è giusto che stiate; all'Inferno.-
Il ragazzo non riusciva né riesce ora a capire. Il Kapo, che si era presentato col nome di Sam, non tradiva alcuna emozione e si accaniva contro chiunque osasse muovere un solo muscolo, servendosi di un bastone. Le SS gli avevano dato quest'autorità. Ma come poteva, lui, caposquadra scelto però tra i prigionieri stessi, trattarli così male? 
Passata da poco l'alba, tutte le divise a strisce vennero riunite nell'Appelplazt. Come l'albino avrebbe imparato presto, almeno due volte al giorno, sarebbe stato fatto un Appel, appello. La fissazione marchiata tedesca per l'ordine e la disciplina, per il catalogare gli uomini come fossero bestie, e loro lo avrebbero presto capito, non manca occasione per manifestarsi. 
Gilbert ha lavorato molte volte fino ad essere esausto perciò i primi giorni al campo non lo stanca particolarmente. Ma iniziando a sentirsi indebolito per via dello scarso nutrimento e delle scarse condizioni igieniche, anche le sue prestazioni crollano. 
Un paio di mattine dopo si sveglia di soprassalto sentendo qualcuno urlare. Si mette immediatamente seduto sbattendo la nuca alla cuccetta di sopra e scende con un tonfo dalla propria per capire cosa sia successo. Gli altri continuano a dormire come se la cosa non li interessasse. 
Un ragazzo di circa sedici anni è stato beccato a tentare la fuga. L'albino si avvicina presto a lui, ma non esce per il momento dalla baracca. Il ragazzino è a pochi metri da lui. Accanto, una pozzanghera di sangue con alcuni denti. Sta chiedendo pietà. Ma le SS non ne hanno e adesso lo stanno picchiando. 
Gil vorrebbe intervenire. Digrigna i denti, cercando di impedirselo, perché sa che sarebbe equivalente a firmare la propria condanna a morte per impiccagione o percosse. 
Non gli importa. Si avvicina svelto a lui e, come lui, si prende qualche mazzata. 
La vista si annebbia, è un miracolo se non lo ammazzano. Aprendo un occhio, riconosce il soldato con la divisa nera che pochi giorni prima aveva commentato il suo luogo di nascita. Che abbia riconosciuto il prigionieri e voglia dargli una possibilità? Forse. 
Ma Gilbert dovrebbe imparare ad essere egoista, ogni tanto. 
 
 
Marika bussa alla sua porta.
Lui continua a guardare il soffitto. Ha gli occhi chiusi, il volto così stanco e dimagrito, da non sembrare lui. 
-Avanti...- sussurra. 
La donna apre un poco la porta e fa capolino con la testa. -Posso?- domanda educata, sottovoce. Lui fa cenno di sì. Adesso lo sguardo è puntato in direzione della porta. Si sforza di mettersi seduto. 
Lei entra e richiude la porta alle spalle. Ha con sé una bacinella ed alcune piccole altre cose. Si avvicina ed appoggia il tutto sul comodino. -Permettete? Vorrei lavare la vostra ferita.- 
Il ragazzo annuisce con sguardo perso nel vuoto. Scopre la gamba. Quella donna lo ha visto crescere e non c'è una parte di lui che non abbia visto. 
Bagna uno strofinaccio pulito con dell'acqua tiepida. -Vi ricordate quand'eravate bambino? Ero io a farvi il bagno, a curare le vostre ferite, i vostri malumori... vostri, e di vostro fratello. Permettetemi di dire che vi ho considerati sempre miei figli; e, Ludwig, vi conosco bene. So che stare soffrendo. E sapete che con me potete sfogarvi quanto volete.-
Il ragazzo tiene il capo basso, lasciando che la donna disinfetti la ferita. Stringe gli occhi sentendo il bruciore, ma non si scompone più di tanto. Nasconde il viso in una mano, trattenendo a fatica qualche lacrima. 
Marika sospira lievemente. -Testardo. Come vostro fratello. Cuore d'oro entrambi. Stessa bontà d'animo. Mi chiedo da dove l'abbiate ereditata.- Accenna un sorriso. Con fare materno appoggia una mano sui suoi capelli biondi. -Pensate al vostro bambino. Non può vedervi così. Siate forte; e la vostra signora avrà sofferto moltissimo. Siete un così bravo ragazzo... tenete duro.- 
Si mette dunque a medicare la ferita. Lui non dice nulla. 
-Quasi dimenticavo- riprendere la donna. Tira fuori dalla tasca de grembiule un quadernetto un po' vecchio e glielo porge. -Questo era il diario di vostro fratello. Ne ha sempre scritto uno da quando ha imparato a farlo. Se volete, posso darvi gli altri. Li ho conservati.-
Ludwig accenna una specie di sorriso. -Ja... danke.- 
Prende il diario tra le mani. Mentre la domestica sistema il suo borsone militare e gli prepara un bagno caldo, inizia a sfogliarlo.
 
 
Diario di un pilota.
 
Caro diario,
non mento dicendo di essere un Magnifico pilota. Modestamente, diventerò uno dei migliori.
Oggi ho volato per la prima volta. Non avevo paura. Non riuscivo a chiedermi "e se cado? e se mi faccio male? se sbaglio manovra?" perché l'unica cosa che pensavo in quel momento era "vai, più su, più in alto!". L'adrenalina ha un buon effetto su di me. Non perdo la lucidità, sono proprio fantastico! 
Alcuni compagni mi hanno guardato storto. Non li conoscevo tutti né ho intenzioni di conoscerli. C'era un tipo simpatico, un certo.. com'è che si chiamava? Beh, abbiamo deciso di allenarci duramente e fare acrobazie insieme. La vite orizzontale, per esempio. Ci riusciremo, ne sono sicuro. Un giorno saprò pilotare così bene l'aereo che persino il Furher ammetterà pubblicamente la bravura di questo pilota albino! ...Forse.
Oggi ho visto Heide. E' una ragazza stupenda. E' dolce, divertente e proprio bella. Ride sempre alla mia battute. Ah, no: non mi piace. Solo che con lei sto bene. Vorrei farmela ma so che è impossibile. Lei è... ariana. Bionda, occhi verdi. E' perfetta per questo mondo. Io, no.
Adesso devo andare in Caserma, diario. 
Ci si sente presto.
 
Il pilota migliore del Reich mondo.
 
 
Accenna così un sorriso, il biondo, leggendo ancora qualche pagina. 
Sfiorandone la copertina blu scura con le lunghe dita sottili, ripone il diario nel primo cassetto del comodino e a fatica si chiude in bagno immergendosi nell'acqua calda. Chiude gli occhi.
"Gilbert... resisti. Finirà presto, te lo giuro..." 
Sospirando appena, prende un po' d'acqua con la mano e si bagna il viso ed i capelli. 
Quella sera, appena rientrato dall'ospedale militare nel quale si è recato nel pomeriggio, ha una nuova fasciatura, le nuove cure mediche lo fanno stare già un po' meglio. 
Prima di avvicinarsi alla sala da pranzo per consumare la cena, zoppicando un po' si dirige in camera del fratello. Richiude la porta alle proprie spalle, non gli va di essere visto. Si guarda intorno. "Com'è diversa, senza di te, Bruder..." pensa tra sé ed accenna un sorriso malinconico, sfiorando con le dita alcune fotografie del fratello con la tenuta da pilota. Apre un cassetto, non vi trova nulla di utile, ne apre un altro ed un altro ancora. Le anfetamine. Corruga la fronte rigirandosi la confezione tra le mani. "Gilbert... dimmi che non è successo" lo prego. Chiude la mano stringendo al petto il piccolo pacchetto con ancora qualche pillola. Lo nasconde nei pantaloni. Si siede con un'espressione affranta sul volto sul letto, appoggiando la nuca al cuscino. E mettendosi più comodo, trova un foglio di carta, una pagina di diario strappata. L'ultima scritta dall'albino. Con un sorriso triste la rilegge due volte. "Questo non è più un diario, ma una lettera. L'ultima che abbia scritto. E lo ha fatto per me."
Nascondendo anche questa addosso, caccia via una lacrime e sentendosi chiamare per la cena, esce di lì. Marika lo guarda. -Oh, eravate qui allora...- sussurra. Anche lei sorride lievemente. 
Lui si accomoda in sala da pranzo per cenare, silenzioso, com'era abituato a fare intorno al fuoco, con i suoi commilitoni. Non ha voluto toccar cibo in quelle poche ore nella capitale tedesca, ma adesso divora qualsiasi cosa gli venga messo davanti. Di certo, lo fa con garbo. Gli scappa una specie di sorrisetto pensando che il fratellone avrebbe fatto diversamente e subito dopo appoggia un momento il viso alla mano, abbandonando la forchetta nel piatto.
La madre lo osserva, non osando fiatare. Il padre lo guarda pure lui, disgustato. 
-Cosa fai, Soldat, piangi come una mocciosa?- lo schernisce. 
Ludwig torna ad avere lo sguardo alto e fiero che ha imparato a portar sin da quand'era un bambino e riprende a mangiare silenziosamente. Non ha voglia di rispondergli. Né di piangere. 
"Felicia... quando arrivi? Ho bisogno di te e di mio figlio."





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Note.


Sta... sta finendo tutto. Questo è il terzultimo capitolo. Ne seguiranno soltanto due. Mi sembra così strano! Mi mancheranno moltissimo, ma non lasciamoci andare coi sentimentalismi già adesso. Recensite. Grazie di aver letto. 

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Capitolo 36
*** Foto d'amore. ***


Troppe volte questa vita è stata sconvolta.
La ragazza è stanca, ma forte. Ha salutato in lacrime il nonno, i partigiani, gli amici ed i parenti come se fosse un addio, perché dopotutto non sa quando e se tornerà.
E' salita in treno con tanti sogni e pochi bagagli, una valigia con tutto ciò che le occorre in quanto donna, bei vestiti, trucchi, le lettere del suo soldato al fronte, e una più piccola che le occorre in qunato mamma, perciò contenente le cose del piccolo Mathias Andrea. 
Se lo guarda e se lo coccola anche adesso, seduta compostamente sul posto di un treno che forse ha conosciuto troppi dolori, troppe separazioni ma chissà quanti ritrovi e ricordi ha anche portato con sé.
Pensa ancora, la ragazza, alla lettera scritta da Luwig nella quale diceva: sono vivo.
Quasi non ci credeva! Ha dovuto confrontarla con le altre, per vedere se la scrittura fosse la stessa, se qualcuno la stesse ingannando, ma niente, niente bugie, basta menzogne. 
Certo avrebbe voluto tornare prima dal suo uomo, tuttavia le lettere in tempi di guerra viaggiano più lentamente ed i treni sono spesso pieni. 
Così, adesso, salita sul primo che ha trovato libero, sogna di riabbracciarlo, di baciare ancora quelle labbra sottili, così dolci, mai troppo affamate di gloria e passione.
Scendere dal treno risulta sempre un po' difficoltoso se si hanno due bagagli ed un bebé, ma per fortuna trova anche stavolta una buon'anima che le da una mano.
Con un sorriso ringrazia quell'uomo, non un soldato, un uomo semplice, mite, e di quei tempi lei sa che è difficile trovarlo, e si guarda un attimo intorno. 
Aveva detto al marito che sarebbe stata lì per quell'ora e per quel giorno, vale a dire il giovedì alle sette, l'umidità della sera è già calata ma del tedesco non v'è traccia.
Una donna che a Felicia pare conosciente si avvicina a lei. Non riesce a ricordare dove l'abbia vista. Ed ecco che quella, cordiale e rispettosa, le parla.
-Frau Beilschmidt.-
L'italiana si emoziona quasi. Non si era mai sentita chiamare così, con l'appellativo di Signora ed il cognome del suo innamorato. Stringe al petto il figlioletto che, stanco dal viaggio sebbene lo abbia praticamente passato a dormire, si lamenta un po' e rivolge all'estranea uno sguardo dal carattere interrogativo.
-Sì, sono io.. e voi siete...? Perdonatemi, non ho memoria del vostro viso.-
-Non importa, io ho memoria del vostro; seguitemi, vi condurrò a casa. Il mio nome è Marika, sono le domestica di..-
-Ah! Che sbadata, mi spiace. Ora mi ricordo di voi.-
Ma viene costretta a girarsi da un urlo. 
Istintivamente porta la mano a coprire il volto del bambino perché non veda, sebbene lui sia tutt'altro che interessato alle vicende dei grandi. 
Due ragazzi hanno appena consumato un dialogo simile, a dieci metri di distanza. 
-Chi sei?- ha chiesto lei. Poi si è spostata un po', cercando di intravedere sul treno dal quale scende un soldato dietro l'altro, l'arrivo del suo promesso sposo. 
-Sono io, amore.-
E quel ragazzo, col viso sfigurato per metà scoperto per metà bendato da una benda bianca, le si piazza davanti, parlando con voce tremante. -Sono Peter.-
E lei ha urlato. -No!-  in lacrime. 
Felicia si chiede come possa farlo. Non sa in che condizioni troverà il suo, di sposo, però è pronta a giurare che gli rimarrà accanto anche se quegl'occhi azzurri si fossero iniettati di sangue e violenza, anche se il volto pallido si fosse sfigurato per sempre da innumerevoli cicatrici, anche se il corpo, scolpito a modello greco, anzi, ariano, fosse stato mutilato. 
Stringendo le labbra, ha visto piccole lacrime colare giù da quelli che un tempo erano stati begl'occhi verdi e che ora sono un ammasso informe. Però è vivo. Ed i sentimenti sono di certi li stessi, perché è sempre lui, Peter. 
La ragazza decide di aver visto abbastanza e sale sull'auto, completa persino d'autista, e lasciandosi aiutare si mette comanda per affrontare un ultimo, piccolo viaggio. 
-Complimenti, è davvero un bellissimo bambino- dice la domestica, Marika. 
-Grazie- risponde lei, col solito sorriso. Il bimbo se la ride. 
Agita un poco le manine verso la donna, adesso di mesi ne quasi quattro e di voglia di conoscere il mondo ne ha tanta. Non ha conosciuto solo le braccia della madre, lei ha sempre voluto s'abituasse a stare con tutti, in modo tale che ora, vedendo il papà... ha una fitta al cuore. 
Si sente nervosa, ha paura che entrambi non si riconoscano.  Per tutto il tragitto si chiede cos'abbia impedito a Ludwig di andarla a prendere alla stazione e ripensa a quel certo Peter, bel ragazzo sfigurato. Eppure arriva a destinazione senza scomporsi. 
Scende dall'auto e nota subito il tedesco sulle scale di casa che l'aspetta.
Egli è appoggiato al muro dell'abitazione e lì vicino ha le stampelle. Non si è ancora totalmente ripreso, ma per fortuna il rischio di un'infezione è già stato scongiurato -o così si direbbe. 
Gli occhi azzurri del giovane soldato si specchiano in quelli della moglie e nel visetto dolce del figlio che però non vede ancora bene. 
Fa un passo avanti e si appoggia alla colonna neoclassica che con la gemella sta dinnanzi la porta. 
La giovane donna italiana sente piccole calde lacrime scorrere sulle guance leggermente truccate e gli si avvicina, abbandonando lì i bagagli, incurante di tutto. Gli si avvicina e lui le fa cenno di fare ancora dei passi e di salire le scale. 
Lei ubbidisce.
-Ludwig...- sussurra. 
Lui non sa chi guardare prima ed i suoi occhi passano veloci dalla moglie al figlio; zoppica un po' ma si avvicina a loro. Appoggia le labbra alla fronte della sua bella e fa uan carezza sulla guancia del suo bambino.
-E'... è.. cresciuto così tanto..- bisbiglia lui. 
Parlano a bassa voce, per viversi meglio. 
Leri ride, e piange, e si asciuga le lacrime. -Sì.. è diventato un ometto.-
Mathias apre la boccuccia e sbadiglia, accoccolandosi nella sua coperta morbida, celeste chiaro. 
Ludwig appoggia una mano sulla guancia della ragazze e le regala un lungo e dolce bacio. 



Una coperta leggera si posa sulle loro spalle, sistemata in questo modo dall'italiana.
Sono entrambi nel letto del soldato, vestiti, distesi lì per riposarsi qualche attimo. Mathias dorme ancora in mezzo a loro e stanno un po' stretti, ma non importa perché ne hanno bisogno. 
Adesso vivono il momento di silenzio che segue al temporale delle emozioni e dei racconti dell'orrore, quello in cui si riflette un po' sui fatti e si decide se essi siano reali o meno. Lo sono, ahiloro, questa volta. 
Romano è morto, Gilbert è stato deportato e, forse, è morto pure lui; entrambi però risparmiano all'altro troppi dettagli. Felicia non parla degli altri partigiani, anche perché quello non è il luogo adatto -non la casa di tre soldati del Reich; e Ludwig, dal suo verso, non può raccontare le atrocità della guerra ad una donna che, in quanto tale è sensibile -lei lascia pure lui lo pensi, senza arrabbiarsi troppo. E poi.. non capirebbe, probabilmente... non le dirà neanche che ha ucciso il suo aggressore. Vuole solo che dimentichi. 
Ripartirà presto, ma almeno staranno di nuovo insieme per un poco. 
-Tuo fratello starà bene...- promette lei. 
Lui non ci crede. Ma la guarda negli occhi ed annuisce una sola volta. -O morirà con onore.- 
Non crede neanche a questo. Una morte onorevole in un forno? Bruciato vivo, probabilmente nudo, ammassato con altri senza distinsione? Eppure il biondo non sa cos'avviene nei campi, non esattamente..
-Non morirà.-
-Non lo so... non voglio illudermi.-
Col viso stanco di chi ha conosciuto l'Inferno, chiude gli occhi con la speranza di chi vuole il Paradiso ma sa che non potrà mai accedervi, perché ha trattato coi diavoli e violato la purezza degli angeli; no, non lui. Non quest'ultima cosa. Ma Ludwig non crede più in niente e così appoggia la fronte sul guanciale, lasciando che la donna che ha scelto per la vita lo accarezzi dolcemente.
-Ti fa male la gamba?- chiede lei dolcemente. 
-Non me ne lamenterò. Avrebbero dovuto tagliarla.-
Lei fa solo un cenno col capo sebbene lui non possa notarlo e bacia la sua fronte. -Ti amo.-
Ma lui si è già addormentato.. 



Ringrazia di non avere uno specchio con sé.
Probabilmente, se lo trovassero addormentato profondamente, lo prenderebbero per polsi e caviglia e lo butterebbero in una fossa comune.
La pelle diafana s'è fatta più secca per mancanza di acqua. Sotto gli occhi vermigli sono nate profonde occhiaie violacee, forse enfatizzate dal contrasto con questo particolare colorito di pelle albina. I capelli, purtroppo radi, sono bianchissimi come sempre e dalla consistenza strana al tatto (ciò, tuttavia, è sempre stato nella sua persona) e sulla nuca si notano segni rossi e rosa, dovuti alla scarsa delicatezza con la quale è stato rasato. 
Non vuole vedersi. 
Non è la prima volta che si vegogna del suo aspetto, ma stavolta non sono i suoi colori a dargli fastidio, non un paio di occhi rossi lo turbano poi tanto -in fin dei conti, a quelli, s'è abituato.
Lui, un magnifico pilota, con una divisa neanche a righe, ma a brandelli. Lui, che tanto ama l'ordine, costretto ad ammucchiare e nasconde le poche cose che recupera. Quando riesce a ottenere -quelle rarissime volte- un pezzo di carne nella zuppa, conserva in tasca il pane per mangiarlo la sera. Non è detto che abbia altro fino al giorno dopo. 
Non è l'unico a fare così e qualcuno se ne approfitta. Si aggrediscono l'uno con l'altro, sono stanchi, affamati, e gli estranei sono estranei; ed i familiari, qualche volta divengono nulla. 
"Ludwig..." sospirò tra sé Gilbert guardando il cielo. "Spero tu sia al sicuro, fratellino."
Un bastone lo picchia sulle ginocchia e lui è costretto a riprende il suo lavoro pesante. Continua a spaccarsi la schiena -se solo si scoprisse da quel pigiama, quanti lividi, quanti tagli! 
Quanta inumanità in quel mondo. 



I soldati sono sempre un po' porci.
Sono sempre un po' bambini, vogliono sempre una donna; hanno il  bisogno fisico ed emotivo di avere un donna che li stia ad ascoltare e soddisfi le loro voglie. 
Felicia non ha ancora fatto questo. 
E Ludwig, beh, è pure lui un soldato ed innanzitutto un uomo. Si sveglia quella notte, fissa il soffitto tra un sospiro e l'altro gli pare più scuro del solito, come se quel bianco si fosse fatto meno splendente e più opaco. Chissà.
Si volta appena, lei si è addormentata rannicchiata in quel letto troppo piccolo per ospitare più di una persona, le carezza la guancia e le sistema una ciocca di capelli. Si sente meglio.
Forse è una questione emotiva, ma l'operazione dopotutto è andata bene. La guarda, la sua donna, il suo sguardo s'insinua sotto i vestiti, togliendoli svelto, eppure le sue mani sono ancora ferme. Nervosamente cerca di guardare altrove; non ci riesce. 
Perciò si alza, si avvicina alla culletta del piccolo Mathias e nota sorpreso quegl'occhi verdi spalancati. Si decide a prenderlo in braccio, senza ansie lo stringe a sé e gli sussurra di fare silenzio. Esce dalla camera ma non s'azzarda a scendere le scale. Eppure! Si sente così in forze! 
-Non riesci a dormire neanche tu, eh?- gli sussurra dolce. 
Da un'altra occhiata alla scalinata. Poco a poco, dovrebbe farcela.
Un passo dopo l'altro, stringendo il figlio al petto, protettivo, arriva all'ultimo gradino soddisfatto. 
-Hai visto quanto sono forti i tuoi genitori?- e s'avvicina al divano, perché è già leggermente stanco, sedendosi e appoggiando il bebè sulle sue gambe unite. Gioca con le sue manine. 
-Aaaach, Mathias. Sei diventato grande, eh? Chissà se ti ricordi di me?- chiede retorico sfiorando con le lunga dite fredde la sua guanciotta. Si china un po' e gliela bacia. Il bimbo ride.
Sono così belle, insieme... 
Mathias Andrea si agita un po', muovendo vivace i piedini, con gli occhi fissi  su quelli del padre. Si ferma di scatto e spalanca la boccuccia. -Gh...nh...-
Ludwig appoggia la schiena al divano ed incrocia al petto le braccia, guardandolo dolcemente. -Cosa c'è, che hai? Gott, quanto vorrei tu parlassi. Non ho neanche la minima idea di quando inizi a parlare un bambino...-
Alza lo sguardo vestro destra pensoso, le sue labbra s'incrociano in una smorfia. -Mmh...-
Il piccolo allunga di nuovo la mano su di lui, pare voglia afferrare qualcosa. Il soldato gli porge la mano, non capendo, e lui gli afferra l'indice, poi se la ride. Così il padre si concede un piccolo sorriso. 
Una figura esile, sottile, coperta solamente da una camicia da notte in tessuto leggero e una vestaglia poco  più pesante, scende le scale lentamente, coprendo uno sbadiglio con la mano. Si sporge un poco dal muro e li osserva silenziosa e con un bel sorriso sulle labbra.
-Quando inizierai a camminare, t'insegnerò molte cose, te lo prometto- sta dicendo il giovane biondo al suo bimbo. -Ti prometto, che t'insegnerò quello che i tuoi zii non hanno potuto insegnarti... Ti prometto che cercherò di essere un buon padre. Ma dovrai avere pazienza,  non so ancora cosa significhi avere un figlio e potrei sbagliare. Non ti prometto, però, che ti rimarrò sempre vicino, perché mentirei. Nessuno rimane per sempre.- 
Gli carezza appena i capelli scuri, osservandolo da più vicino.
Felicia si stringe nella sua camicia, con quel gesto tipico che hanno le donne, quel gesto elegante che le invita a coprire le nudità. Esce dal suo nascondiglio e si avvicina a loro due. 
-Sarai un ottimo padre, vedrai.- 
Il ragazzo alza vivamente il capo. -Mh?- 
-Siete bellissimi. Vorrei tanto farvi una foto- ridacchia ancora. Incontrando il suo sguardo, gli fa l'occhiolino, poi gli si siede accanto, la vestaglia in questo gesto si alza un po' finendo sopra il ginocchio. 
Ludwig non può fare a meno di guardare, stringere le labbra, sforzarsi di concentrarsi sul figlio. Lei si copre. Poi, furba, maliziosa, si stiracchia appena e lascia che la gonna si alzi ancora di più. Si appoggia a lui, con la guancia sulla sua spalla.
-Amore?-
-J-ja?- deglutisce quello. 
-Alzati.-
-Was...?-
Lei si alza per prima e gli porge entrambe le mani. Poi nota il suo sguardo confuso e stringe a sé il suo bambino con un braccio solo (la forza di una madre...) e con l'altra mano libera, afferra quella del tedesco.
Sale le scale, arriva in camera, isolata rispetto le altre, vicina a quella ormai vuota dell'albino, e subito sistema il bimbo nella culletta. -Tu fai la nanna- gli bisbiglia. 
Si volta, poi, e lo guarda in quel modo sensuale che solo le donne possono avere; con quella furbizia nello sguardo che è loro, mai volgare a meno che loro non lo vogliano. Quello sguardo che vuole un po' stare al centro dell'attenzione, che brilla. Sembra quasi una sfida.
Ludwig, seduto sul letto la osserva e cerca di ricacciare indietro impuri pensieri senza riuscirci.
Lei si avvicina, lentamente, calibrando passi gesti e parole. 
Appoggia le mani sul suo petto accarezzandolo con la sinistra, distrattamente. 
-Da quanto mi desideri così ardentemente...?- domanda sottovoce.
Le guance del soldato diventano rosse e lui un poco balbetta. -I-Ich... veramente...-
-Allora?-
-...Da sempre.- 
La vestaglia cade via dalle spalle dell'italiana, giungendo presto a toccare i suoi piedi. Appoggia un ginocchio sul letto. -Quindi...- 
Si china un po' su di lui, che è assai titubante. Sa che questa volta non potrà fermarsi, non ci riuscirebbe... 
Lei gli carezza i capelli ed il viso, continuando a guardarlo. E lui niente.
-Per l'amore del cielo, Ludwig!- Però lei si è stufata di attendere (lei!) e rotea lo sguardo sbuffando. 
Perciò, il militare non se lo fa ripete. In qualche istante, si alza, baciandola voglioso, le mani sul suo corpo, tra i suoi capelli, che la spogliano svelti. 
Felicia trattiene un sorrisetto. Si sente pronta; non ha più paura. 
Poco dopo si ritrova con la schiena appoggiata alle coperte bianche, morbide del letto. 
Il giorno dopo neanche il sole riuscirà a svegliarli. Ci sono solo loro, e la loro incoscienza di giovani di vent'anni. 









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