forever the name on my lips

di dearjoseph
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter One ***
Capitolo 2: *** Chapter Two ***
Capitolo 3: *** Chapter Three ***
Capitolo 4: *** Chapter Four ***
Capitolo 5: *** Chapter Five ***
Capitolo 6: *** Chapter Six ***
Capitolo 7: *** Chapter Seven ***
Capitolo 8: *** Chapter Eight ***
Capitolo 9: *** Chapter Nine ***
Capitolo 10: *** Chapter Ten ***
Capitolo 11: *** Chapter Eleven ***
Capitolo 12: *** Chapter Twelve ***
Capitolo 13: *** Chapter Thirteen ***
Capitolo 14: *** Chapter Fourteen ***
Capitolo 15: *** Chapter Fifteen ***
Capitolo 16: *** Chapter Sixteen ***
Capitolo 17: *** Chapter Seventeen ***
Capitolo 18: *** Chapter Eighteen ***
Capitolo 19: *** Chapter Nineteen ***
Capitolo 20: *** Chapter Twenty ***
Capitolo 21: *** Chapter Twenty-One ***
Capitolo 22: *** Chapter Twenty - Two ***
Capitolo 23: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Chapter One ***


Chapter One


La testa di Hanna era sul punto di scoppiare. E tutta quella musica, tutte quelle luci la facevano girare anche di più. Aveva bisogno di aria. Forse anche di un bel metodo contro la sbornia ma a quello ci avrebbe pensato l'indomani mattina la sua coinquilina, o avrebbe fatto da sola, se avesse avuto ancora la forza di alzarsi. Usci' facendosi spazio a spintoni tra la gente, beccandosi anche qualche insulto. I suoi amici erano dentro. Amici, come se si potesse chiamare cosi' un mucchio di esseri con il solo scopo di ubriacarsi, divertirsi e capaci di lasciarti nelle mani del primo sconosciuto pur di ritirarsi chissa' dove.
 E ad Hanna era successo davvero.
Strizzo' gli occhi e cerco' di ricordare dove fosse la sua auto. La individuo' e piano si incammino' verso di essa pur consapevole che non era assolutamente in grado di guidarla. Tutt'a un tratto porto' una mano sulla bocca, e si senti' scontrare contro qualcosa.
"Ehi" quella voce risuono' estremamente fastidiosa nella testa di Hanna.
"Non vorrai rimettere sulle mie scarpe" la ragazza alzo' il viso giusto per vedere a chi appartenesse il corpo contro il quale si era scontrata.
"Io.. Non era mia intenzione" balbetto' imbarazzata mentre i suoi grandi occhi verdi fissavano il volto dello sconosciuto.
"Scusami. Ora devo andare" disse poi oltrepassando il moretto in maglia nera.
Ad ogni passo maledi' il momento in cui aveva deciso di indossare quei tacchi che lei continuava a definire 'illegali', fino a quando qualcosa non la fermo'.
"Non vorrai mica prendere l'auto"
Hanna si volto' indietro corrugando la fronte quando capi' che quella frase si riferiva proprio a lei.
"Che diavolo vuoi?" Disse poi infastidita dal comportamento del giovane. Sarebbe stato normale, se solo non lo avesse incontrato neanche da un minuto.
"Non voglio avere una ragazza sulla coscienza, quindi fatti accompagnare"
Disse lui con fare affascinante ed uno sguardo che ad Hanna sembro' penetrarla fino a farle accartocciare lo stomaco. Ma forse era solamente la vodka che faceva effetto.
"Ok ok" disse lei ridendo "sappiamo cosa vuoi e no, so badare a me stessa" concluse per poi voltargli le spalle.
Fece qualche altro passo e alla fine non riusci' più a resistere. Reggendosi al muro, tolse prima una e poi l'altra scarpa per poi continuare il suo cammino scalza.
A qualche metro di distanza il giovane la guardava con addosso un sorriso malizioso. Quel sorriso che sfoggiava ogni volta che puntava la sua preda. Lei sarebbe stata sua.

Buoonasera, o buongiorno, dipende a che ora leggete (?) vabbè iniziamo bene. Allora, questo è un piccolo prologo. Poi deciderò se continuare. Ditemi che ne pensate.
bye.

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Capitolo 2
*** Chapter Two ***


Chapter Two

Il ragazzo chiuse con un piede la porta dell'appartamento, troppo impegnato con le mani a togliere la sua maglietta e il vestito della ragazza. La spinse contro il muro senza staccare le sue labbra dalla sua pelle e le mani dai fianchi.
Hanna si strinse a quel corpo palestrato mentre faceva passare quei capelli scuri tra le dita. Si morse il labbro inferiore quando lui, dal collo, arrivò fino all'orecchio, che prese a mordere provocandole un brivido alla schiena.
Le loro labbra si cercarono ancora, morbide e desiderose le une delle altre, mentre lei si mise ad accarezzare gli addominali con la punta delle dita arrivando fino al bordo dei jeans, con la quale inizio' a giocare indecisa sul da farsi.
"Esiste un letto in questa casa?" scherzò poi prendendo coraggio e il sorriso di entrambi si aprì sui loro volti. Senza che capissero come, si ritrovarono nella stanza da letto e Hanna non perse tempo a far accomodare il ragazzo per poi sedercisi sopra a cavalcioni.
Bastarono un paio di mani strette intorno ai suoi fianchi a farla uscire di testa.
Scese sul suo petto lasciando dietro di se' una scia di baci e morsi. Anche la pelle del ragazzo era bollente, quasi quanto la sua.
Ad un tratto si blocco' portandosi entrambe le mani sulla bocca.
In realtà nessuno dei due sapeva bene cosa stessero facendo, e non aveva neanche intenzione di chiederselo in quel momento.
Insomma, quante probabilità avevano di rivedersi dopo quella notte?
E anche se fosse successo, nessuno li obbligava a passare l’eternità insieme per il semplice fatto di essersi divertiti un pò.
Al contrario dei pensieri del giovane, il comportamento di Hanna non era dovuto a ciò.
No, non erano rimorsi di coscienza.
Hanna si alzo' e corse ad aprire l'unica porta presente in quella stanza che non fosse l'uscita, sperando forse in un bagno. E per sua fortuna lo era.
Il ragazzo si avvicino' perplesso e corse accanto ad Hanna quando la vide col capo chinato sul water.
"Vattene" disse lei disgustata prima di premere lo scarico e alzarsi un po' barcollando. Si sciacquo' poi il viso. Quella era la figura più brutta mai fatta con un ragazzo. Ne era certa.
"è casa mia” rispose lui divertito “Cosa ti posso portare?"
"Nulla, devi solo portare me a casa” Rispose lei ancora con le guancie arrossate.
Se avesse potuto, sarebbe scappata all’istante, ma da quanto ricordava del tragitto la sua casa era tutt’altro che vicina.
E poi, camminare da sola per le strade di New York City di notte non era mai stata una buona idea.
"Dovresti rimanere con qualcuno stanotte" si avvicinò lui spostandole una ciocca nera di capelli dietro l'orecchio.
Non lo sapeva neanche lui, ma gli era bastata una sera per sentirsi responsabile della vita di una completa sconosciuta.
"Rimani qui" continuo' poi facendo fermare per un attimo il cuore della ragazza.
In un attimo le balenò in mente il pensiero di non conoscere nulla di quel ragazzo, neanche il suo nome.
Neanche le sue intenzioni.
"Se non te ne fossi accorto, sono ubriaca e non proprio in forma per.."
"Shh" le accarezzo' una guancia posandole poi il pollice sulle labbra.
"Ti vado a prendere un bicchiere d'acqua"
Hanna annuì lievemente e guardo' quel ragazzo allontanarsi, chiedendosi chi fosse, cosa volesse e soprattutto perchè lo stesse facendo, ma cancellando completamente l’idea che volesse farle del male.
Si rese conto che in quel momento le risposte non le interessavano così tanto. Per quanto potesse essere ubriaca e fuori di testa, aveva provato una strana sensazione di tranquillità tra le braccia di quello sconosciuto. Sensazione che le mancava da tempo. Così decise di fidarsi del suo istinto.
Si diresse verso il letto e si infilo' sotto le coperte chiudendo un attimo gli occhi.
Li aprì un paio di minuti dopo sentendosi stringere improvvisamente. Si girò e si mise comoda tra le braccia del giovane, cullata solo dal suono del suo respiro regolare.
Quella era stata una sera un po' strana per tutti. Ma in fondo era solo una notte, l'indomani mattina sarebbe ritornata alla sua solita vita.
 

 
 
Premetto che se pensate che sia una FF dove i protagonisti fanno sempre bunga bunga vi siete sbagliati, non mi piace neanche scriverle quelle scene ma in questa ci voleva.
Diciamo che non so neanche io cosa mi sia venuto in mente di scrivere e se mi convince, perciò sta a voi portarmi su o lasciarmi cadere lol
A parte gli scherzi, ho bisogno di pareri perciò smanettate per una recensione se vi va.
M.

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Capitolo 3
*** Chapter Three ***


Chapter three
 

"Mmm" un mugolio è tutto cio' che uscì dalla bocca di Hanna appena cercò di aprire gli occhi. La luce accecante proveniente dalla finestra li faceva bruciare più del normale.
Si mise seduta e poggiò la spalla alla spalliera del letto, dopo pochi minuti si abituò completamente alla luce nella stanza.
Portò automaticamente una mano alla testa. Era come se si sentisse stordita e la sua testa fosse diventata tutt'a un tratto un tamburo.
Non aveva mai retto molto l'alcool, e il giorno prima aveva esagerato un po'.
Non ricordava molto, non ricordava quasi nulla in realta' e comunque quel mal di testa non la aiutava affatto.
L'unica cosa che ricordava era quel ragazzo e la sua emozionante esperienza in bagno.
 Cercò di non pensare a ciò e provò a mettersi in piedi.
Solo allora si rese conto di avere addosso una maglia da uomo che le copriva a malapena le cosce.
Tentò di ricordare dove fosse il suo vestito. Probabilmente era buttato a terra in chissà quale stanza, così decise di lasciar perdere e a passi lenti uscì da lì.
Forse aveva ancora la possibilità di andar via da lì prima che il padrone di quella casa la facesse morire dalla vergogna.
Il rumore dei suoi piedi nudi sul pavimento però non passò inosservato.
"Finalmente ti sei svegliata" Hanna quasi tirò un urlo nel sentire quella voce dietro le sue spalle.
Si voltò imediatamente rimandendo con la bocca socchiusa, senza emettere neppure un suono.
“stavi cercando questo?” chiese poi il moro offrendole il vestito rosso che indossava la sera precedente. Hanna lo afferrò ringraziandolo tacitamente con un sorriso.
“esatto” disse poi recandosi di nuovo in stanza e chiudendosi poi la porta alle spalle.
Uscì dopo poco con addosso il vestito e in mano la maglia del giovane, che porse a sua volta con gentilezza.
“avevi intenzione di sgattaiolare così?” chiese lui inarcando le sopracciglia folte.
“era questa la mia intenzione, si” rispose lei sincera.
Trascorse poi un breve periodo di silenzio durante la quale Hanna non fece altro che guardare ogni singolo oggetto presente intorno a sè, comprese le piastrelle del pavimento.
 “allora, vado a prepararti una tazza di caffè, almeno ti aiuto a riprenderti” disse lui interrompendo quell’imbarazzante silenzio.
“no no no, preferisco andare, sto benissimo” si affrettò a dire la ragazza
“se stessi benissimo avresti dovuto sapere dove avevi lasciato il tuo vestito” rispose lui ammiccando per poi recarsi in quella che doveva essere la cucina, completamente ignorando le parole di Hanna.
 
 
Si mise seduta e prese tra le mani la tazza di caffè sproporzionatamente grande che le porse il ragazzo.
“allora..” cominciò Hanna lasciando la frase in sospeso.
Come ci si comportava quando ci si risvegliava nella casa di uno sconosciuto e questo ti offriva un caffè come se ti conoscesse da sempre? Bella domanda.
“tu chi sei?” disse la prima cosa che le venne in mente, seppure dopo le sembrò parecchio stupida.
“di solito ci si presenta prima di chiederlo” le rispose lui, mentre versava un altro po’ di caffè nella sua tazza.
“parli di galanteria tu che hai abbordato una ragazza ubriaca?” lei lo guardò aspettando la sua risposta, che arrivò solo dopo qualche secondo.
“okay, hai ragione” ammise lui avvicinandosi. “Io sono Joseph. Per gli amici Joe.” Poi le porse la mano.
“piacere, Joseph” sottolineò quest’ultima parola, facendolo sorridere. “Hanna” continuò poi.
“ho un altra domanda” Joseph la guardò incuriosito e si sedette di fronte a lei.
“non abbiamo mica..” lei si fermò imbarazzata dal fatto che non ricordava nulla di ciò.
“non sono quel genere di ragazzo” rispose solamente e Hanna tirò quasi un sospiro di sollievo.
‘niente più alcool’ si ripromise tra sè e sè.
“e che genere di ragazzo sei?” chiese poi senza pensarci troppo.
Hanna appoggiò la tazza vuota sul tavolo, curiosa della risposta.
“perchè non lo scopri tu stessa”
I due si scambiarono un intenso sguardo.
Gli occhi del ragazzo, quegli occhi magnetici con la luce del mattino apparivano anche più luminosi di quanto ricordasse dalle svariate e confuse immagini della sera appena trascorsa. Ma forse era lei a vederli così, finalmente riacquistata una buona capacità di giudizio. Pose così tanta attenzione che le sembrò di poterne cogliere ogni singola sfumatura, ogni singolo punto in cui il castano chiaro e quella tonalità ambrata si mescolavano creando un colore assolutamente unico, seppur possa sembrare alquanto comune.
Hanna se ne ritrovò perfino catturata.
Era come se quegli occhi li stesse vedendo per la prima volta ma allo stesso tempo come se li conoscesse da sempre. Così familiari quanto nuovi.
Si rese conto di sentirsi un topo in trappola.
E no, non perchè si era innamorata perdutamente dei suoi occhi come succedeva solo nelle favole o nei film strappalacrime. Non era quel tipo di ragazza. Non dopo così poco tempo.
Eppure doveva ammettere che lo trovata dannatamente attraente.
E tutto a causa di uno stupido sguardo. Lo stupidissimo sguardo di uno stupidissimo sconosciuto.
Lo stesso sguardo che presumibilmente utilizzava con tutte le sue conquiste.
Al solo pensiero Hanna scosse la testa come per scacciare quella visione sotto lo sguardo compiaciuto di Joe.
“bene, credo sia ora di tornare a casa” disse ad un tratto, per poi alzarsi velocemente dalla sedia.
“scusa se ho vomitato nel tuo bagno. È stato bello conoscerti... credo” disse indecisa mentre lui continuava a guardarla divertito e, doveva ammetterlo, un pò affascinato da quella ragazza così ‘diversa’ da tutte quelle che aveva frequentato ultimamente.
Si precipitò verso la porta come se non potesse resistere un altro secondo in quella casa. Ma in realtà il problema era quel ragazzo che le aveva mandato in tilt il cervello in nemmeno dieci secondi.
“salutami il tuo ragazzo” disse lui fermo sulla porta mentre lei già stava cominciando a scendere le scale. Si fermò e le si aprì un sorriso sulle labbra. Cercò di cancellarlo prima di voltarsi verso di lui.
“se è un modo, aggiungerei ridicolo, di sapere se ho un ragazzo, no. Sono single e decisa a rimanerlo”
Lui la guardò scendere le scale pensando che fosse davvero diversa. E a lui piacevano le cose fuori dall’ordinario.
Al contrario, lei sperava di rimanere il più lontano possibile da quel ragazzo.
Non poteva di certo immaginare che quello sarebbe diventato il suo migliore amico. O, come diceva lei, il suo amico speciale.
 
 
Si, sono ancora qui a rompervi.
Cosa importante: ho caldo. Credo proprio che andrò a buttarmi in mare, si. Beh come vanno le vostre vacanze?

Ma torniamo a me LOL
Questo capitolo è un po' lungo quindi se state continuando a leggermi vi meritate una medaglia d'oro. Avevo immaginato capitoli più corti ma quando mi metto a scrivere (per vostra sfortuna) non mi ferma nessuno.
Diciamo che la grande introduzione si è conclusa. Ora sapete come si sono conosciuti i protagonisti e dalla prossima si arriva alla storia vera e propria.
Grazie a chi ha recensito, spero continui a farlo. Grazie anche a chi ha messo tra seguite-preferite e mi piacerebbe avere anche un vostro commento.
Non abbiate pieta'. Anzi sarei grata dei consigli.
Porca zuzzola quante è lungo questo spazio autrice. Vado a rintanarmi e a mangiare.
Ciao.
 

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Capitolo 4
*** Chapter Four ***


Chapter Four

TWO YEARS LATER

Hanna si rigirò un’altra volta nel letto. Distese il braccio, dimenticando per un attimo di non essere sola e urtò un po' troppo violentemente Joe, che emise un grugnito.
"Chi è" chiese con la voce impastata dal sonno
"Io imbecille" gli rispose girandosi dall'altro lato, per poi tirare la coperta dalla sua parte.
"Ehi il letto dobbiamo dividerlo in due" la rimproverò lui, prendendo la sua parte di lenzuolo.
"Ti costa tanto essere meno acida?"
Hanna si voltò verso di lui appoggiandosi ad un braccio "scusa amore" disse poi sbattendo le palpebre più del necessario come a voler imitare l’adorabile espressione di un cucciolo.
Joseph cominciò a ridere "non ti sopporto quando mi prendi in giro"
"Ma non ti stavo prendendo in giro" continuò lei, lasciandolo un alta volta senza coperta.
Il ragazzo le posò una mano sul fianco "stavolta me la paghi" disse poi prima di bloccarle le mani. Così in un attimo Hanna si ritrovò sopra di lui a combattere contro le sue braccia.
"Lasciami" disse tra una risata e l'altra.
"no"
"ora" urlò un pò più forte.
"no"
"Joseph lasciami ora" si lamentò un ultima volta, per niente rassegnata.
"Va bene" disse lui per poi lasciarle le braccia, non prima di averla tirata verso di sè.
"Se urli ancora, i tuoi genitori avranno due cose da pensare. Una è che ci stiamo ammazzando"
“I miei sono partiti, di nuovo” rispose Hanna come se fosse una cosa normale e di tutti i giorni. In realtà lo era.
‘E comunque, l'altra cosa, qual è?’ Chiese poi sottovoce.
In risposta, Joseph portò le sue mani ad accarezzarle i fianchi e Hanna si chinò su di lui sfiorandogli le labbra.
Non riuscì a trattenere un sorriso mentre le loro labbra si muovevano piano e lei continuava a farsi passare tra le dita i suoi capelli corti.
Anche le mani di Joseph si spostavano piano sulla sua schiena, sollevando di tanto in tanto la maglietta che Hanna aveva usato come pigiama.
"E' più o meno questa" disse staccandosi un attimo per poi riprendere con più passione.
 
Hanna spalancò gli occhi e presto si ritrovò seduta sul letto, in piena notte e nella sua stanza completamente buia, nella quale risplendeva solo la fastidiosa lucetta rossa del televisore.
Non poteva essere vero. Non poteva esserle successo, ancora.
Si recò in cucina spinta dall’immediato bisogno di acqua. Aprì il frigo e bevve direttamente dalla bottiglia senza neanche prendersi la briga di utilizzare un bicchiere. Con la mano asciugò una goccia di acqua scesa sul mento e posò violentemente la bottiglia sul tavolo, prima di buttarsi letteralmente sulla sedia.
Era forse la terza volta che si svegliava in piena notte scossa dallo stesso, improbabile sogno.
Con un gesto automatico puntò lo sguardo sulla parete destra dove prendeva posto un orologio. Le lancette segnavano le 3.30 precise.
Sapeva che non sarebbe più riuscita a dormire, come la sera precedente, e l’altra ancora.
E sapeva anche che avrebbe dovuto trovare presto qualcosa da fare, preferibilmente qualcosa che non facesse svegliare la sua coinquilina. Tutto pur di non rimanere sola con i suoi pensieri, e i suoi desideri più nascosti,  coloro che erano diventati la sua più grande paura.
Perchè?
Perchè da qualche giorno non riusciva più a domarli come faceva da ben due anni. Li aveva tenuti in gabbia troppo a lungo e avrebbe dovuto immaginare che prima o poi le si sarebbero rivoltati contro.
Sentì il telefono vibrare e dopo averlo trovato lesse con ansia il contenuto del messaggio.
“Niente impegni oggi. E’ la nostra giornata. Vestiti comoda.”
Non ci fu per lei neanche il bisogno di leggere l’emittente di quel messaggio enigmatico. Ma lo fece lo stesso, solo per il gusto di veder scritto il suo nome. Joseph.
Non ricordava neanche più chi dei due avesse inventato questa strana abitudine, ma a chi importava.
Ogni mese, esattamente il 22, Joe e Hanna passavano una giornata interamente dedicata a loro. Non importava come, dove, o cosa succedeva nel mondo in quel giorno. Nessuno doveva interferire durante la loro giornata.
Era diventato un rituale imprerogabile che però Hanna avrebbe saltato volentieri questa volta.
Come poteva anche solo pensare di poter passare un’intera giornata sola con il suo migliore amico, quando in quell’ultima settimana l’aveva sognato in circostanze un pò più che amichevoli, per ben tre volte?
“potresti fare un pò più di silenzio?” la voce di Ivy fece saltare Hanna dalla sedia.
“scusa tanto” disse lei vedendo l’amica, nonchè coinquilina da quasi tre anni, che si avvicinava. La ragazza strizzò gli occhi assonnati e li puntò anche lei sull’orologio.
“Le 3.45? Davvero?” disse poi rivolgendole uno sguardo agghiacciante.
“ti ho già chiesto scusa” rispose Hanna prendendosi la testa tra le mani.
“aspetta, tu hai fatto ancora quel sogno” non era una domanda.
“evitiamo”rispose solamente, senza muoversi dalla sua posizione.
Ivy cominciò a ridere rumorosamente e solo allora Hanna alzò lo sguardo su di lei.
“povera Hanna!” disse poi, esclamazione che inevitabilmente fece seguire uno sguardo accigliato da parte di Hanna.
"Lo hanno visto tutti che sei cotta di lui" continuò poi e le labbra di Hanna si aprirono in un espressione di stupore.
“cosa? Qui c’è qualcuna che non ha le idee molto chiare” disse ancora sconvolta.
“Si Hanna Faith Morgan. E sei tu”
Hanna odiava quando le si rivolgeva chiamandola col suo intero nome. Ma quello che odiava di più era il suo modo così schietto di rispondere. Schietto e sincero, per sua sfortuna.
“Ivyè il mio migliore amico” disse non tanto per convincere lei, bensì se stessa. Dirlo ad alta voce forse le sarebbe servito a convincersi dell’assurdità della situazione.
"È il tuo migliore amico solo perchè vi siete trovati nel momento sbagliato"
Quella frase fece rifrettere Hanna.
Dopo il loro primo incontro non ci avevano neanche mai provato a stare insieme, lei e Joe.
Avevano capito che in quel momento non avevano bisogno delle complicazioni di una relazione.
Avevano bisogno entrambi di qualcuno con cui parlare liberamente, che sappesse ascoltare.
Avevano bisogno di qualcuno che li salvasse dalla strada nella quale si stavano imbattendo, dagli amici sbagliati che frequentavano, da una situazione familiare difficile per entrambi.
Ed è quello che era successo, si erano salvati a vicenda.
“Una domanda. Da quanto è che non esci con un ragazzo?” Hanna alzò le spalle come risposta e Ivy continuò.
“te lo dico io. Da quasi un anno.” Ivy si avvicinò all’amica con il desiderio di volerla aiutare veramente.
“quello di cui hai bisogno tu è distrazione”
Lei la guardò consapevole che quello che diceva era completamente esatto.
Ivy aveva ragione ancora una volta.
In quegli ultimi due anni erano cambiate tante cose. E non si trattava solo dei capelli di Hanna che non erano più neri ma di un lucente castano chiaro, oppure di quelli di Joe che, ormai cresciuti di qualche centimetro, ora ricadevano su quel viso angelico in scuri riccioli ribelli facendolo sembrare un pò più ragazzino, ma andando nettamente in contrasto con quel filo di barba che sembrava affermare il contrario.
Qualcosa era cambiato in entrambi, nel loro rapporto, ormai saldato in un’amicizia piuttosto forte.
E Hanna non poteva distruggere tutto per rivivere i desideri di una ragazzina.
 
Non picchiatemi. Sono cattiva lo so. Prima che mi lanciate pomodori mi ritiro nel mio bunker segreto.
Ccciao.
M.

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Capitolo 5
*** Chapter Five ***


Chapter Five
 

“Tyler, non puoi dire che Tyler non è un gran figo”
Hanna sbuffò esasperata dal comportamento di Ivy, poggiò il cellulare sul comodino e mise il vivavoce così da poter continuare la conversazione con l’amica mentre finiva di vestirsi.
Più che una conversazione comunque, quella sembrava uno stupido modo escogitato da Ivy per farle conoscere finalmente il ragazzo giusto. Cosa che Hanna riteneva altamente impossibile.
“non farlo” allarmò l’amica attraverso il telefono e Hanna badò a mala pena a quella voce.
“non fare cosa” chiese poi distrattamente mentre cercava un paio di scarpe comode da mettere.
Avere la madre stilista poteva avere i suoi vantaggi, se solo vestitini attillati e tacchi a spillo fossero lo stile di Hanna. Ma non lo era di certo.
E poi Joseph le aveva detto di vestirsi comoda.
“ignorarmi” continuò Ivy distogliendola dalla sua scelta. Prese un paio di converse e le mise ai piedi senza neanche curarsi dell’abbinamento di colori. “E’ fondamentale” le ripeteva sempre sua madre, quando trovava il tempo di parlare con lei, ovviamente.
“Non ti sto ignorando. E comunque voglio qualcuno che mi distragga, no che voglia portarmi a letto al primo appuntamento”
“okay, forse Tyler è un pò troppo donnaiolo ma..” Ivy fece una pausa pensando al possibile prossimo contendente. Amava questo genere di cose. Insomma, dovunque il gossip si insediasse Ivy Mitchell era pronta e puntuale come un orologio svizzero.
“Allora Jason. È un ragazzo davvero simpatico. Devi assolutamente conoscerlo” riprese ad un tratto esageratamente entusiasta all’idea e Hanna non potè far altro che accettare. Con la scusa di essere in ritardo, (cosa che era realmente) chiuse la chiamata lasciando in sospeso l’incredibile descrizione fatta da Ivy. Descrizione che non stava ascoltando nemmeno.
Mise il cellulare nella borsa quando lo sentì squillare ancora.
“Ivy ti ho detto che uscirò con quel Jason, ora cos’altro vuoi?” chiese senza nemmeno guardare chi fosse. Cosa che forse avrebbe dovuto fare.
“chi è quello con cui devi uscire?” chiese una voce fin troppo conosciuta.
Hanna rimase a bocca aperta e si sentì sollevata dal pensiero che non potesse vedere il rossore che aveva preso possesso delle sue guance.
“Okay vorrà dire che me ne parlerai appena scendi” le disse Joe facendole capire che stava aspettando in macchina sotto casa sua.
“però devo dirti una cosa” si affrettò a precisare il ragazzo mentre Hanna volava giù per le scale ad una velocità inaudita.
“vorrà dire che me ne parlerai appena scendo” rispose Hanna imitando il suo tono e senza pensarci due volte buttò il cellulare nella borsa.
Infilò i grandi occhiali da sole,un vero toccasana per i suoi occhi stanchi e per le occhiaie che non era riuscita a coprire. E poi erano abbastanza grandi da nascondere, seppur in parte, lo sguardo accigliato che aveva assunto Hanna mentre si avvicinava all’auto.
“Ciao Hanna”
Con due sole parole Hanna ricordò quanto quella voce potesse essere odiosa.
“Ciao Rebekah” rispose con lo stesso tono falso prima di sedersi sul sedile posteriore di quella che doveva essere un auto, ma che in realtà si avvicinava più alla definizione di discarica.
Joseph si voltò verso di lei chiedendole scusa con lo sguardo. In cambio, Hanna tolse gli occhiali da sole e li sistemò tra i capelli. Se gli sguardi potessero uccidere, Joseph si sarebbe trovato in guai seri.
 
 
“Vogliamo parlare del tuo orribile taglio di capelli di un anno fa?” disse Hanna tra una risata e l’altra senza riuscire a fermarsi. Joseph le lanciò una patatina in segno di protesta, non preoccupandosi di nascondere un sorriso.
In fondo quella giornata non stava andando così male. Joseph l’aveva portata al Central Park.
O meglio, le aveva portate.
Hanna amava quel posto. Era stupefacende vedere come i colori si alternassero ad ogni stagione in un ciclo senza fine. Il prato verde sulla quale era seduta le metteva allegria, anche se l’estate non era di certo la sua stagione preferita. Il caldo, gli insetti, ancora il caldo. Non capiva proprio come certi potessero definirla tale.
Lei di certo amava molto di più l’inverno, quando poteva rimanere sotto le coperte calde e addormentarsi con il sottofondo meraviglioso della pioggia e dei tuoni.
Si ritrovò a pensare che forse non era il prato verde e i bambini che correvano intorno a metterle allegria, ma scartò subito il suo pensiero come se qualcuno potesse leggerle nella mente.
Si sentiva così, ogni volta che Joseph la guardava. Si sentiva inerme, senza alcuna difesa.
“ricordati che sono quello che ti ha vista piena di fango” ribattè poi Joe, facendole ricordare quel giorno.
Si trattava di circa un anno fa. Avevano litigato, chissà per quale idiozia, e Hanna era uscita da casa sua nel bel mezzo di un temporale senza neanche badare alle proteste di Joe, rientrato in casa ormai rassegnato.
È vero, amava i temporali ma no se doveva affrontarne uno di corsa per tornare a casa.
Senza guardare nemmeno dove metteva i piedi, scivolò in un vialetto e dovette superare il suo orgoglio e tornare da lui in quelle orrende condizioni. L’alternativa sarebbe stata tornare a piedi, all’altro lato della città, dato che nessun taxi si sarebbe mai fermarto a prenderla.
Joe scoppiò a ridere all’idea e Hanna fece lo stesso. Iniziò a guardarla negli occhi e lei non fece altro che abbassare lo sguardo dopo aver notato quello gelido di Rebekah nei suoi confronti.
Pochi secondi, fino a quando neanche lei riuscì più a trattenersi dal fissarlo a sua volta. Era strano quello che succedeva tra loro.
Ma la loro amicizia non si sarebbe mai potuta definire normale, e andava bene così.
Rebekah fece una risatina giusto per cercar di entrare nel discorso. In effetti, i due avevano quasi dimenticato la sua presenza così intenti a ricordare quelle buffe storie.
“io ho voglia di un sandwich” intervenne Hanna pur di interrompere quel momento.
“anch’io” non perse tempo l’altra ragazza, alzandosi in piedi accanto ad Hanna.
Con un gesto fin troppo enfatico, tirò Hanna verso di sè e la invitò a seguirla verso il punto di ristoro più vicino.
Lei lo fece, curiosa di sapere cosa volesse fare. Anche se nel profondo lo sapeva benissimo.
“sembrate molto legati, tu e Joe” inizò proprio il discorso che Hanna non voleva intraprendere, non con lei.
“esatto” si limitò a rispondere vaga sull’argomento prima di ordinare il suo solito panino.
“beh, cerca di esserlo di meno” continuò Rebekah attirando lo sguardo divertito di Hanna.
“sono amica di Joe da due anni, voi da quant’è che state insieme? Cinque mesi?” rispose con un sorriso beffardo sul volto prima di prendere in mano la sua ordinazione.
“quasi cinque mesi, si” Rebekah imitò il suo sorriso, squotendo i biondi capelli dorati che le arrivavano fino alla schiena. “sicuramente meglio di due anni passati ad aspettare che ti noti”
A quelle parole nella mente di Hanna ritornarono le immagini di quella sera. Lei rimaneva per lui quella ragazza sporca di fango alla quale aveva aperto la porta e davanti alla quale era scoppiato a ridere facendole rimpiangere di essere lì.
Non credeva che questo sarebbe mai cambiato. Magari era giusto che rimanesse così.
Magari no.



Ogni riferimento a The Vampire Diares per il nome di Rebekah è puramente casuale.
Ok non è vero, io adoro quella serie e quel personaggio, al contrario di quello in questa storia.
Comunque ditemi che ne pensate, su su.
M.

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Capitolo 6
*** Chapter Six ***


Chapter Six

Hanna si mise seduta al centro del nulla iniziando a giocare con il suo panino. Respirò profondamente cercando di calmarsi.
Cercò di distogliere la sua attenzione guardando uno dei tanti laghi artificiali in lontananza, poi alzò lo sguardo verso le chiome degli alberi dalla quale proveniva un rilassante fruscio dovuto al vento caldo che si eralevato da qualche minuto.
Niente. Di solito guardare i bambini che giocavano rincorrendosi e tutte quelle famiglie felici le faceva dimenticare per un attimo la sua vita. Loro non si preoccupavano della sua esistenza e lei poteva così godere un pò della felicità degli altri.
Ma questa volta sembrava non funzionare nulla. Hanna aveva ancora impresso il viso di colei che le aveva chiesto esplicitamente di allontanarsi da Joe. Al solo pensiero i muscoli di Hanna si irrigidirono, stringendo forse troppo forte il panino tra le mani.
Le avrebbe dato un pugno in faccia se non fosse per Joseph.
Eppure cercava di non mettersi nei suoi panni perche’, per quanto le facesse male, Rebekah aveva ragione.
La stessa Hanna non avrebbe sopportato un tale atteggiamento da parte del suo ragazzo e di una sua amica. Forse doveva davvero allontanarsi, per il bene di Joe. Doveva smetterla di vivere nelle sue fantastiche illusioni perche' tutto questo ora non le bastava più.
Ogni volta che la sfiorava per caso lei si ritrovava a desiderare che lo facesse ancora, questa volta con la consapevolezza di un sentimento ricambiato.
E proprio in quel momento sentì il braccio di Joseph stringerla dietro la schiena e, come le succedeva ogni volta, dimenticò il mondo circostante.
Il ragazzo le prese il panino dalle mani e gli diede un morso, per poi restituirglielo.
"Dov'è Rebekah?" chiese Hanna piacevolmente infastidita da quel gesto.
"Ha trovato un paio di amiche, e io non ho di certo intenzione di avvicinarmi per farmi chiedere quale tonalità di rosa sta meglio sulla loro pelle" rispose senza neanche aver finito di masticare.
Hanna sorrise come risposta. Ancora non si spiegava cosa diavolo ci facesse Joe con una così.
"Lo so che questa era la nostra giornata, ma non ho potuto fare a meno di farla venire con noi” disse lui ad un tratto e la ragazza sbuffò di rimando.
“Mi farò perdonare" si affrettò a dirle e Hanna continuò a guardare il vuoto dinanzi a sè dando segno di non voler parlare con lui.
A volte non sembrava proprio avere 20 anni.
No che Joe ne dimostrasse di più. ‘Ventitre anni buttati nella spazzatura’ gli diceva sempre Hanna.
"Hanna?" La richiamò lui preoccupato. Stava esagerando, come al solito.
Ma non si poteva certo dire che lui non l’avesse fatta grossa, quella volta.
Insomma, per quanto ridicola possa essere, quella era pur sempre una loro abitudine.
“Non fare la bambina, Morgan”
Al sentir nominare il suo cognome, la ragazza riuscì a malapena a soffocare una risata e lui le diede una leggera spinta con la spalla.
“sei uno stronzo” scherzò poi Hanna rispondendo con lo stesso gesto.
I due cominciarono a giocare come solo i bambini riescono a fare.
Con una spinta più forte, Hanna riuscì a far cadere Joseph sul prato, prima che lui la tirasse giù con sè e i due si ritrovarono entrambi a terra a ridere.
Senza neanche rendersi conto si erano avvicinati, forse troppo.
Dopo quanche secondo di disorientamento, Hanna ritornò in sè e riuscì a trovare la forza di allontanarsi al pensiero dei possibili spettatori.
L'ultima cosa che voleva era un altro scontro con Rebekah. Non poteva permetterselo. Non con la minaccia che Rebekah racconti tutto quello che aveva capito a Joseph, rischiando di intaccare la loro amicizia per sempre.
A Joseph pero' non sembrava interessare così tanto la possibilità che un paio degli occhi puntati su di loro fossero proprio quelli della sua ragazza.
In quel momento non gli importava proprio nulla. Hanna aveva su di lui questo magico potere di allontanarlo dal mondo. Per questo era diventata la sua prima amica. Era diversa da tutte quelle che si era portato a letto. Lei era molto di più.
Presto ribaltò le posizioni e le blocco' le mani contro il terreno. I ciuffi d’erba solleticavano le braccia e le gambe scoperte di Hanna, ma questa era l’ultima cosa che le interessava.
"Non metterti mai contro di me" scherzo' lui. Hanna non riuscì quasi più a respirare nel veder quelle labbra muoversi veloci e così vicine alle sue.
Sentiva il suo respiro caldo che le accarezzava il viso.
E il suo profumo. Respirò appieno quel profumo facendolo quasi diventare parte di sè.
Joe era lì, vicino come non mai, sulla sua pelle. Ma non come tanto desiderava.
In quel momento ricordò il sogno indesiderato che continuava a farle visita da qualche notte.
"Spostati" comando' lei, pensando che tutto ciò fosse incredibilmente troppo simile.
Non ce la faceva più. Doveva allontanarsi prima che potesse fare qualcosa di così stupido da compromettere il loro legame. Lui era parte integrante di tutto ciò che le rimaneva.
Il giovane non volle ascoltarla, anzi gli si formò un sorriso soddisfatto nel notare la sua agitazione.
"Cazzo Joe" urlò lei più forte, ma non sembrava scherzare affatto.
Le intenzioni di Joseph comunque non sembravano essere cambiate. Hanna allora si sporse verso di lui facendo qualcosa di completamente inaspettato.
Joseph si allontanò immediatamente emettendo un gemito e anche Hanna si rialzò.
"Mi hai appena dato un morso sul naso?" Chiese lui incredulo.
"Esatto" rispose lei per poi alzarsi in piedi. "Hai detto che ti saresti fatto perdonare giusto? Lo spero davvero" concluse poi per allontanarsi, mentre lui continuò a guardarla andar via con la netta sensazione che gli stesse nascondendo qualcosa. In fondo stavano solo giocando, no?
Hanna però aveva già deciso cosa fare.
Cosa le aveva detto la sua amica? Distrazione? Bene, e distrazione sia.
Prese il telefono dalla tasca e scorse la rubrica fino ad arrivare al nome di Ivy, per poi smanettare velocemente un messaggio.
“Dammi il numero di quel Jason. Ora.”
 
 
 

Ieri avevo voglia di postare perchè non lo facevo da tanto ma l’altro capitolo non mi piaceva per niente percìò rieccomi prima del previsto (mi sentivo in colpa ahaha)
Spero che questo vi piaccia di più.
Grazie ancora a tutti quelli che hanno messo la mia ff trai preferiti/seguite , siete troppo gentili.
E anche a chi ha recensito, ora non ho il tempo di rispondere uno ad uno ma lo farò presto.
Se state continuando a leggere tutto questo che non serve a nulla, grazie il doppio (sono in vena di sentimentalismi a quanto pare).
ps. se ci sono errori è perchè non ho riletto.
Ora mi tolgo dalle balles

Ciao bellezze.

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Capitolo 7
*** Chapter Seven ***


Chapter Seven

Suzanne si portò una mano alla tempia leggermente impregnata di sudore. Era una giornata più calda del solito, e per questo Hanna aveva in mano il suo terzo bicchiere di granita alla menta, benchè la menta non le piacesse affatto.
Suzanne era una ragazza alta un paio di centimetri in più di Hanna, con capelli ricci e scuri praticamente indomabili e una particolare tendenza al voler abbracciare chiunque le passasse accanto. Tutto il contrario di Hanna, che odiava le smancerie.
Le due non si vedevano da un pò, un pò per colpa degli studi di Suzanne, un pò perchè le loro strade si erano divise qualche tempo fa, quando Hanna aveva deciso di mollare il suo gruppo di amici scapestrati e cambiare vita. Proprio quando aveva incontrato Joseph.
“mi ero dimenticata di quanto diventassi inarrestabile durante i saldi” scherzò Hanna facendola ridere.
Avevano passato tutta la mattinata a girovagare per i negozi. Entrambe erano sfinite e Hanna ridacchiò nel confrontare l’unica busta che aveva in mano lei, con le decine dell’amica.
“scusa tanto se non ho una madre stilista che mi riempie di vestiti gratis” rispose, e l’altra non potè pensare di obbiettare.
I pantaloncini bianchi e la camicetta che indossava in quel momento le erano stati portati da sua madre qualche settimana prima direttamente dalla sua nuova collezione primavera-estate.
Se non fosse per lei, Hanna non avrebbe avuto idea di cosa indossare.
Era però sicura che non avrebbe mai comprato così tanti cappelli come aveva fatto Suzanne.
“Ti va se andiamo a casa mia? È qui vicino e io non credo di riuscire ad entrare in un altro negozio”
“Oh, certo” rispose Suzanne poco convinta lasciando Hanna perplessa. Ma non ci fece caso più di tanto.
Scrisse poi in fretta un messaggio e le due si incamminarono verso l’appartamento di Hanna che distava solo un paio di isolati da lì, così vicino che non avevano neanche bisogno di prendere un taxi.
Hanna stava per inserire la chiave argentata nella serratura quando Suzanne la interruppe.
“ho dimenticato di prendere dal negozio la borsa che ho comprato!” esclamò enfatizzando un pò troppo il gesto di portarsi la mano in testa. Cosa che fece insospettire Hanna.
“non hai comprato nessuna borsa” ribattè convinta lei.
“si, quella rosa”
“tu non compreresti mai una borsa rosa”.
C’era qualcosa che non andava.
Hanna decise comunque di aprire la porta e appena lo fece si ritrovò di fronte Suzanne intenta a bloccarla.
“non entrare” la intimò la ragazza e Hanna sollevò un sopracciglio, confusa.
“okay” disse noncurante dello strano avvertertimento ricevuto e si liberò dell’ostacolo, sgattaiolando velocemente di lato. Posò il suo unico acquisto sul divano e si diresse verso la sua stanza, seguita da una Suzanne piuttosto preoccupata.
Spinse la maniglia verso il basso e si ritrovò davanti ciò che non avrebbe mai potuto immaginare.
Suzanne la raggiuse e poco dopo sospirò soddisfatta che il suo lavoro non fosse andato sprecato. Almeno avevano concluso in tempo.
“Sorpresa!” urlò Joseph appena si rese conto della presenza della ragazza.
C’era anche Ivy, ancora con un pennello in mano, entrambi sporchi di tinta blu sul viso, una scena abbastanza ridicola.
Eppura Hanna non riusciva a ridere. Non mosse un muscolo, troppo estasiata, meravigliata e allo stesso tempo incredula davanti a ciò che avevano fatto.
Joe, Ivy e Suzanne si scambiarono uno sguardo complice chiedendosi tacitamente se tutto questo fosse stata una buona idea, ma si rassicurarono dopo aver visto il sorriso di Hanna aprirsi su quel volto ancora sconvolto.
La sua stanza era stata completamente svuotata e Hanna si meravigliò di non essersi accorta prima dei mobili che erano stati spostati nel salotto.
Le sue quattro mura bianche erano state sostituite con le immagini di un vero paradiso terrestre, erano state dipinte fino al soffitto di un blu che aveva preso centinaia di sfumature diverse dopo essere stato sovrapposto alle varie tonalità. Si mise al centro della stanza e girò lentamente assaporando per bene quel lavoro. Vedeva mare. Ovunque.
Ivy e Suzanne uscirono dalla stanza ridacchiando ma Hanna se ne accorse a mala pena, dato che aveva alzato gli occhi al cielo e si era ritrovata un soffitto blu costellato da piccoli punti luminescenti che dovevano essere le stelle.
“hai sempre detto di amare il mare la sera” disse Joe avvicinandosi a lei, che riprendeva pian piano il controllo sulla realtà.
“e poi..” si fermò per prendere dalla tasca un piccolo telecomando e premere uno dei bottoni.
Il suono della pioggia cominciò a inondare quella stanza in modo fin troppo realistico.
Hanna alzò ancora una volta lo sguardo e notò dei piccoli amplificatori ai quattro lati della stanza.
“quanto ti è costato tutto questo!” esclamò subito dopo.
Forse avrebbe dovuto ringraziarlo, ma la prima cosa che le venne in mente era la situazione ecomica già abbastanza precaria del giovane.
“un pò del mio stipendio di barista” disse alzando le spalle “ma te l’avevo detto che mi sarei fatto perdonare”.
Hanna lo guardò e gli sorrise dolcemente, notando la sua espressione soddisfatta.
Aveva fatto tutto per lei. Aveva organizzato tutto questo solo per lei.
Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere.
La ragazza si avvicinò di qualche passo mentre il suo sguardo si faceva più duro.
“Dannazione Joseph” esclamò poi, dandogli un pugno sul petto.
In realtà Joe si aspettava di tutto, ma questo non l’aveva proprio previsto.
“come faccio ad essere arrabbiata con te, ora” continuò riprendendo un’espressione più serena e Joe le strinse le muscolose braccia attorno.
Hanna assaporò quel momento di pura magia, per la prima volta consapevole che quell’abbraccio le sarebbe bastato.
Lui ci sarebbe stato nella sua vita. Non importa come, per lei era abbastanza sapere che ci sarebbe stato sempre.
“non credere che ti abbia perdonato, però” Joe sbuffò divertito da quelle parole e la lasciò andare, prima che entrambi fossero interrotti dal campanello.
“dev’essere lui” disse Hanna risvegliandosi immediatamente da quello che le sembrava un sogno, e corse verso la porta lasciandosi dietro un Joseph alquanto confuso.
Joe la raggiunse poco dopo, ritrovandosi davanti una scena alla quale non era per niente preparato.
Pian piano si avvicinò ad Hanna e lei entrò in iperventilazione quando il corpo di Joseph sfiorò il suo.
“Ah Joe” esclamò lei, fingendosi sopresa. Poi lo guardò, sembrava tranquillo.
“lui è Jason” disse Hanna sorridendo al ragazzo di fronte, che ricambiò mostrando la lunga fila di denti bianchissimi e un paio di occhi del color del mare. Proprio quello che Joseph le aveva dipinto nella sua stanza.
“un mio amico” continuò lei, per allentare la tensione, “e lui è Joe, un mio amico”.
In quel momento la giovane sperò tanto che Jason non avesse sentito il tentennamento sull'ultima parola.
Joe strinse cordialmente la mano al ragazzo.
“Ha una strana concezione del termine amico” esordì poi, assumendo un’aria divertita.
Hanna si voltò e lo fulminò con lo sguardo mentre Jason la guardava curioso di sapere il significato di quella strana frase.
“Joe è sempre stato tanto simpatico” lo giusificò Hanna fingendo un sorriso, mentre dentro sè stava già ribollendo di rabbia.




Ciao pelle pampine,
leggendo un pò di quello che ho scritto mi sono resa conto che sono fissata con lo scrivere Joseph invece di Joe.
Non so, io amo chiamarlo così fghghj
Visto che non importa a nessuno, vado avanti.
Datemi un pò di consigli se ne ho bisogno, nel senso ‘troppe descrizioni’ ‘troppe poche descrizioni’ ‘troppo noioso’ ‘troppo poco noioso’  (?)
Confido in voi AHAHAHA
-M

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Capitolo 8
*** Chapter Eight ***


Chapter Eight

Un fastidioso cigolio riecheggiava nella stanza ogni volta che Hanna si voltava dall’altra parte, in un letto fin troppo grande per una persona sola.
Non riusciva a prendere sonno, così quel noioso rituale si concluse solamente quando un altro suono prevalse sul primo, il suono della sveglia.
Questa volta il responsabile della sua insonnia non era un sogno, dato che non chiudendo occhio per tutta la notte non aveva neppure avuto il modo di importunarla come al solito.
Stavolta Hanna sentiva il bisogno insoppremibile di parlare con Joe, quindi il soggetto rimaneva lo stesso.
Uscì di casa senza neppure fare colazione, sazia ormai degli svariati spuntini fatti durante la notte.
Sarebbe passata da Suzanne prima di andare da Joseph, dato che non aveva ancora avuto modo di ringraziarla come si deve per la sorpresa architettata dal ragazzo, anche se erano già passati un paio di giorni dall’accaduto.
Aveva già percorso un buon tratto di strada quando il suo telefono iniziò a vibrare nella sua tasca.
Vieni a casa mia. Ho bisogno di te.
La ragazza sbuffò involontariamente e si voltò cominciando a camminare dalla parte opposta.
Vorrà dire che sarebbe andata più tardi da Suzanne.
 
“Joe?” chiamò Hanna appena aprì la porta della sua casa come se fosse la propria. In un certo senso lo era, dato che Joseph le aveva dato le chiavi dell’appartamento, e lo stesso aveva fatto lei con lui.
Si guardò intorno finchè non vide una figura familiare uscire dal bagno ancora con un paio di pantaloni di tuta che dovevano essere il suo pigiama.
“Nicholas, cos’è successo a tuo fratello? Mi ha mandato uno strano messaggio dicendomi di correre qui” spiegò Hanna al ragazzo riccioluto e qualche anno più piccolo di Joe, ancora mezzo addormentato.
“Non ne ho idea” uno sbadiglio lo interruppe “Joe è in cucina da stamattina “ continuò poi, dirigendosi verso la sua stanza.
“Notte stancante, Nick?” la ragazza si fece scappare una risata nel notare il viso soddisfatto del giovane.
“Non sai quanto” rispose semplicemente, corredando l’intera scena con un occhiolino mentre Hanna scuoteva la testa divertita. Poi ricordò che era lì per un altro motivo.
“Che diavolo..” si lasciò sfuggire quando aprì la porta della cucina.
Tutto ciò che vide era Joe circondato da pentole, la farina tra i capelli, e ancora pentole.
“mi hai fatta venire qui perchè ti vedessi cucinare?” disse lei sconvolta mentre si avvicinava evitando qualche macchia di impasto caduta sul pavimento.
Joseph sembrò accorgersi di lei solo in quel momento e si voltò mostrando un sorriso sgargiante.
“tra una settimana ho il colloquio con Josh Grant” disse evidentemente fuori di sè dalla gioia mentre Hanna continuò a guardarlo come se quello di fronte a lei fosse un alieno e non il suo migliore amico.
“Josh Grant, il grandioso chef Josh Grant” ripetè lui in attesa della sua reazione. Una qualsiasi. Cosa che non accadde, finchè Hanna non capì.
“Oh mio Dio!” urlò ad un tratto, coinvolta anche lei dalla raggiante felicità del ragazzo.
“Joe, ti prenderanno come cuoco nello staff di Josh Grant?” chiese e i due si trattennero dal saltellare come fanno i bambini in una gelateria.
“non so, so solo che ora ho bisogno che mi aiuti a scegliere il dolce che dovrò presentare”
“oh certo!” acconsentì lei, dimenticando per un attimo il lungo discorso che si era preparato.
Quello di fare il cuoco era il grande sogno di Joe. Aveva già fatto il giro di tutti i ristoranti di New York ma per il momento sembrava che fosse destinato al bar malandato dove lavorava tutti i giorni, a turni alterni, con uno stipendio che copriva a malapena metà dell’affitto.
Per fortuna, Joseph viveva con suo fratello più piccolo. Molto più fortunato in campo economico.
Non che questo gli piacesse, lui era stato sempre il favorito, quello con più capacità in tutto, quello che i suoi genitori ritenevano migliore in tutto. Uno dei motivi per cui Joe non andava molto d'accordo con la sua famiglia.
Hanna non poteva essere più felice nel sapere che le cose sarebbero potute cambiare.
E poi far parte del gruppo di uno chef a soli 23 anni era davvero una cosa che non si vedeva tutti i giorni.
“spero ti prendano Joe, davvero” ammise Hanna e Joseph si voltò a sorriderle dolcemente per poi continuare a lavorare quasi contemporaneamente in due ciotole differenti. Le sue mani si muovevano velocemente mentre con una mano aggiungeva scaglie di cioccolato in una ciotola contenente un composto liquido color caramello e con l’altra regolava il forno per l’altro impasto, più denso del primo, dalla quale proveniva un invitante odore di cannella.
Hanna lo guardò corrugare la fronte completamente concentrato sul suo lavoro e pensò che fosse davvero sprecato in un bar pieno di gente ubriaca dalla mattina alla sera.
“perchè non lasci perdere il bar e ti dedichi a fare colpo sullo chef?” propose speranzosa dopo un tempo indeterminato durante la quale prevalse solo il rumore di ciotole e cucchiai.
“lo sai perchè” rispose lui con amarezza “Ho bisogno di uno stipendio certo per pagare la metà dell'affitto a mio fratello"
“lo sai che potrei aiutarti con la tua metà” la frase di Hanna risultò quasi come una preghiera per il giovane di accettare il suo aiuto. Ma sapeva già la risposta. Non avrebbe mai usufruito dei soldi di Hanna, anche sapendo che non erano mai stati un problema nella sua famiglia, nella quale la madre e il padre lavoravano entrambi nel campo della moda, lui come fotografo e lei come rinomata stilista.
Uno dei motivi per la quale erano in giro 9 mesi su 12. Hanna ci era abituata. Anzi, forse ne era anche contenta da qualche anno a questa parte.
“Quelli non sono soldi tuoi. Sono dei tuoi genitori e io non ho intenzione di pesare sulle spalle della tua famiglia, quando faccio tutto questo per non pesare sulla mia”
Hanna sorrise amaramente quando vide quanto fosse prevedibile Joe. Ma questa volta era decisa a convincerlo.
“A loro non importa come li spendo. Chissà se ricordano ancora di avere una figlia dall'altra parte del mondo" disse lei ridendo, ma in realtà si sentì morire dentro. Non sapeva con certezza neppure dove fossero. Probabilmente Francia, ma le era difficile ricordare dove precisamente dato che la loro ultima telefonata risaliva a quattro giorni prima e non era durata più di tre minuti.  Tempo sprecato a parlare della nuova collezione autunno-inverno.
"Sarà geniale" le aveva detto la madre dopo un fiume di parole alla quale Hanna non aveva prestato nessuna attenzione. Poi aveva concluso chiedendole se fosse ingrassata.
La ragazza non si era accorta che presa da tutti quei pensiera era rimasta con lo sguardo fisso nel vuoto per un bel pò.
Appena alzò i grandi occhi verdi si ritrovò davanti il viso di Joseph, piuttosto preoccupato.
"Vuoi parlarne?" Disse soltanto, avendo intuito i suoi più nascosti pensieri.
"No" rispose secca lei, decisa invece di trattare un altro argomento, altrettanto fastidioso.
"Devo dirti un’altra cosa" cominciò a preparare il ragazzo, che intanto spalmava la nutella su una delle frittelle ancora calde che aveva preparato mentre i biscotti alla cannella erano a cuocere.
Di certo non si sarebbe presentato con dei pancakes dallo chef. Quelli erano per loro.
“Dimmi. Noi possiamo parlare di tutto” la incoraggiò prima che iniziasse a parlare, notando la sua agitazione, per poi addentare il dolce tra le mani.
Hanna prese un respiro profondo ma non riuscì a ricordare una parola del monologo che aveva imparato a memoria a casa. Doveva chiederglielo. Doveva chiedere il perchè di quello che aveva detto la sera dell’incontro con Jason.
“Avanti Hanna, non ricordi forse quello che ti ho detto l’altra volta?”
“Viva le caremelle? O guarda che culo quella?” lo prese in giro lei. Almeno questo allentava la pressione.
"No. Fidati di me senza riserva" la incalzò lui per poi offrirgli una frittella.
Hanna la afferrò e sentì ribollire le guancie e probabilmente il suo volto aveva preso fuoco, ma sperò vivamente di sbagliarsi.
“Aspetta!” la interruppe prima che potesse anche solo pensare di proferire parola. Hanna lo guardò curiosa e allo stesso tampo spaventata da quello che stava per dire.
"Tu vuoi vedermi nudo"
A quella affermazione scoppiò a ridere.
"No stronzo" gli disse poi, dandogli un pugno sul braccio come faceva sempre quando lui la deliziava con una delle sue squallide battute.
Risero entrambi per un po', fino a quando riuscirono a tornare seri.
Poi Hanna cominciò a parlare.
“Cosa intendevi l’altro giorno, riguardo me e.. come avevi detto? La mia strana concezione di amico” Hanna imitò la voce di Joe arrivata all’ultima frase, cercando di farlo sembrare un gioco. Invece non lo era.
Joe fece un passo in avanti, poi un altro ancora fino a quando la ragazza non sentì il suo respiro caldo sul collo.
“baci tutti i tuoi amici?” disse così in fretta che Hanna sperò che quella frase fosse solo un brutto scherzo della sua mente.
Ci volle qualche secondo perchè si rendesse conto del contrario.
“ti riferisci a...” quelle parole le uscirono incerte dalla bocca mentre le altre le si bloccarono in gola.
“si, mi riferisco a due settimane fa”
Joe la guardò intensamente e Hanna rimase rapita dal fascino di quello sguardo tanto profondo.
Poi un flashback le ritornò alla mente.
Joe quasi in lacrime per una ragazza, cosa che aveva visto raramente. Una che non lo meritava per niente, per giunta. Non riusciva a vederlo in quelle condizioni.
Poi le sue labbra, alla quale non era riuscita a resistere e che aveva combaciato alle sue per un tempo così breve da risultare una cosa da niente.
E lo sarebbe stato. Se solo quell’unico bacio non avesse portato nel sonno di Hanna quei sogni/ incubo della quale era piena fino al midollo.
“pensavo avessimo chiarito” disse, riprendendo il controllo su sè stessa e sul suo respiro irregolare.
“eri così affranto per aver litigato con Rebekah che..”
Hanna si bloccò colta di sorpresa dal gesto del ragazzo, quando Joe poggiò la fronte alla sua e poi le alzò il mento con un dito lasciando che i loro nasi si sfiorassero.
In quel momento voleva fare solo una cosa. Solo una.
Prese l’ennesimo grande respiro e con un gesto lento avvicinò la mano alla guancia di Joe, aumentando la velocità arrivata a un paio di centimetri di distanza
Non ci mise troppa forza, non era fargli male il suo intento.
Senza allontanarsi da quella posizione, Joseph iniziò a ridere quando, portandosi una mano sulla guancia appena sfiorata da Hanna, la trovò completamente sporca di nutella.
“mi hai fatto tenerezza Joe, tutto qui” continuò prima che le parole le sfuggissero ancora.
“dovevi vederti, sembrava che ti avessero investito il cane con un treno. Lo sai che ho un irrefrenabile istinto altruistico dentro me”
“Tutto qui? Sono stato uno stupido a preoccuparmi, allora?” chiese Joe mentre ripuliva la sua guancia con uno straccio.
“si, sei stato uno stupido” Hanna concluse la sua meravigliosa messa in scena con un sorriso rassicurante.
Le sembrò quasi sollevato. Chissà se lo fosse davvero.
 

 
 
Ri-ciao,
scusate per il capitolo troppo lungo ma meritava di esserlo.
La frase alla fine del capitolo precedente ha lasciato un pò perplesse tutte ùù  (scopo raggiunto muahahahah)
Ma adesso è stato svelato il mistero misterioso.
Allora, ve lo aspettavate? Eh? Eh? EH?
Ditemi di no.
Sono felice per le vostre recensioni e vorrei specificare che quando vi avverto che ho aggiornato non dovete assolutamente pensarlo come un obbligo a recensire perchè mi rendete la persona più felice di questo mondo solo se vi fa piacere farlo.
Detto questo, vorrei dedicare questo capitolo a una persona che non ha creduto in me.
Se ti senti chiamata in causa fatti avanti muahahahah.
M.

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Capitolo 9
*** Chapter Nine ***


Chapter nine

 
“Perchè mi vuoi fare questo” Hanna si lamentò all’amica, quasi sussurrandole all’orecchio in modo che gli ospiti di fronte al loro non sentissero nulla.
In realtà il suo volto annoiato la diceva lunga, ma non le interessava sforzarsi più di tanto ad essere cordiale o di intrattenere una buona conversazione con gli altri, soprattutto se per altri si intendeva la simpatica ragazza di Joe.
Jason, seduto accanto ad lei, le prese la mano e corrucciò la fronte chiedendole implicitamente se qualcosa non andasse.
Hanna accennò un sorriso per rassicurarlo, e poi puntò lo sguardo dritto di fronte a sè, dove erano seduti Joe e Rebekah.
Che idea stupida.  Una cena, tutti insieme appassionatamente, un idea di Ivy naturalmente.
Hanna cercò di ricordare a quale stupidaggine stesse pensando quando aveva accettato di sottoporsi a questa tortura, poi ricordò le parole che l’avevano convinta.
Doveva ammettere che quello di Ivy era stato un gran bel discorso di retorica, soprattutto nella parte in cui le aveva spiegato che, dopo quello che era successo, l’unico modo per dimostrare a Joseph di non essere interessata a lui era quello di mostrarsi felice e contenta con la sua nuova dolce metà.
Una missione che ad Hanna sembrava estremamente difficile, soprattutto con gli squittii di sottofondo provocati dalla continua risata della bionda di fronte a lei.
Questa volta Rebekah aveva i lunghi capelli intrecciati in una complicata acconciatura che le ricadeva di lato, una cosa ridicola se si pensa che tutto questo era solo per una cena tra amici.
Hanna si fece passare le dita tra i suoi capelli sciolti, un pò più corti dei suoi e decisamente sistemati molto più appropriatamente per la situazione.
Nei minuti che seguirono, nonostante Jason e gli altri continuassero a coinvolgerla, lei si limitò a cenni con il capo o, in rari casi, risposte monosillabo, tanto che anche Joe cominciò a guardarla in modo strano.
L’unica cosa che passò per la mente di Hanna, però, furono i piatti che si susseguirono davanti a lei.
 Ne assaggiò solo qualche boccone di ognuno, combattendo l’insistente nausea che si era impadronita del suo stomaco dall’inizio della serata.
Una scena però le fece quasi venir su quel poco che aveva ingerito, letteralmente.
Rebekah si avvicinò all’orecchio di Joe, noncurante del resto della gente, dicendogli chissà cosa.
Doveva essere davvero qualcosa di spiritoso, perchè Joseph rispose con un sorriso fin troppo conosciuto da Hanna, prima di ficcarle la mano sulla coscia lasciata scoperta da quello che Rebekah chiamava vestito ma che Hanna definiva in un modo un pò meno raffinato.
“C’è qualcosa che vibra, e spero sia il tuo cellulare”
Quello era davvero troppo.
Hanna potè giurare di aver visto Rebekah lanciare uno sguardo divertito dalla sua parte dopo aver detto quella squallida battuta, e non ne parve minimamente sopresa.
“si è il telefono” si affrettò a dire Joe, sorridendo “scusate un attimo” continuò poi, allontanadosi dal tavolo e dirigendosi verso quella che doveva essere la veranda.
Hanna probabilmente non si rese conto dello sguardo assunto per tutto il tempo, ma gli altri si.
“Hanna? Ti senti bene?” chiese Jason seriamente preoccupato.
“Si, io... ho solo bisogno di aria” balbettò lei, rifiutando ogni suo invito di accompagnarla.
Si diresse anche lei verso la veranda, senza pensare minimamente che avrebbe trovato Joe al telefono.
Cercava di allontanarsi da lui e senza rendersene conto gli finiva sempre più vicina.
Questa si chiama sfortuna.
Joseph chiuse la chiamata e si avvicinò ad Hanna quando la vide con lo sguardo fisso verso il vuoto senza che si preoccupasse minimamente della sua presenza.
“ehi” la richiamò il ragazzo ed Hanna fu costretta a girarsi.
‘Ricorda, felice e contenta’ si ripetè tra sè e sè mentre si sforzò di fingere un sorriso. Non gli uscì un granchè bene.
Joseph schiuse le labbra come volesse dire qualcosa, ma da esse non uscì alcun suono. Hanna aspettò che iniziasse lui a parlare, anche perchè lei non ce la faceva. Non più dopo aver visto quelle labbra dischiudersi lentamente e che Dio solo sapeva quanto le piacessero.
Il giovane accanto a lei portò la mano dietro la nuca, con un gesto usuale caratteristico del suo imbarazzo e le si avvicinò fino quasi a urtarla.
“sei strana” disse solamente.
“strana sta per pazza sbarra isterica?” cercò di scherzare lei,senza curarsi di ciò che realmente intendeva dire.
“strana sta per interessante” la corresse Joseph lasciandola senza parole. Hanna cominciò a massacrarsi il labbro inferiore fino a sentirlo bruciare, senza sapere che questo suo gesto non faceva altro che contribuire alla già strana situazione.
Si rese conto che avrebbe iniziato a sanguinare molto presto se non l’avesse finita di morderlo, quindi si trattenne dal farlo.
“E’ un bel modo di essere strana?” sussurrò poi con appena un filo di voce mentre la voglia di immergere le dita tra i suoi capelli diventava quasi insostenibile.
Questo era l’effetto che le faceva. Le faceva dire frasi idiote, la mandava completamente in tilt.
Ed era per questo che Hanna doveva evitarlo, maggiormente ora che stava frequentando Jason e stava cercando di accettare Rebekah, con pochi risulati, ma almeno ci stava provando.
Distolse un attimo lo sguardo da Joe e per la prima volta in vita sua fu felice di vedere la figura di Rebekah guardarsi attorno mentre si avvicinava a loro. Stava sicuramente cercando Joseph.
“Ehm... scusa lascia perdere” si affrettò a dire a Joe, che sembrava aver intenzione di risponderle.
“dobbiamo smetterla di fare così”
“così, come?” chiese Joe, senza davvero capire quella frase.
“torniamo dentro, Joe” sviò il discorso, maledicendosi per aver detto quella frase.
Così come? Era questo il punto. Joe si comportava normalmente con lei. Era Hanna a vedere ciò che non c’era.
Se solo avesse il coraggio di provarci, di tentare almeno una volta.
Se solo non le interessasse così tanto quello che avrebbe potuto perdere.
 
 
 
 
Mi sono svegliata alle 7 oggi, non sapevo cosa fare e ora ho deciso di infastidirvi un pò, anche se a pensarci era anche ora dato che è da un pò che non aggiorno.
Devo dire che questo capitolo è un pò corto, inutile e non è un capolavoro, però è solo un capitolo di ‘passaggio’ (si dice così?) in quanto nel prossimo succederà qualcosa.
Fooorse qualcuno si... ops non posso dirvi niente ùù
Vi dico solo che siete fantastiche. Per me 49 recensioni (e 8 nell’ultimo capitolo) sono più di quanto sperassi.
Se non ci foste voi, probabilmente avrei scritto lo stesso questa FF ma l’avrei tenuta al sicuro nel mio computer.
Sapere che c’è qualcuno che la legge e che addirittura piace mi riempie di gioia.
Davvero, vi adoro.
Ora basta con i sentimentalismi (non è da me lol)
Alla prossima puntata.
To be continued (?)

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Capitolo 10
*** Chapter Ten ***


Chapter ten

Era una bella serata, quella. La luna era quasi piena, mancava solo una strisciolina a completare quel grande cerchio luminoso che rendeva la notte un pò meno paurosa.
A New York le stelle non si vedevano quasi mai, forse perchè tutta la loro luce veniva risucchiata da quella degli alti palazzi, che sembravano non dormire mai, neanche la notte.
E comunque quasi nessuno avrebbe alzato gli occhi al cielo per guardare le stelle, lì a New York.
Eppure Hanna quella sera ebbe voglia di farlo. Alzò il viso verso l’altro e riuscì a scorgere qualche stella, proprio accanto alla luna. Sorrise, pensando che forse anche la luna aveva bisogno di compagnia in quella vasta distesa di nero, proprio come ne aveva bisogno lei.
Guardò il ragazzo accanto a lei, e in quel momento si sentì un pò più felice, vicina a Jason.
I due camminarono mano nella mano fino alla casa della ragazza, poi si soffermarono sulla porta.
“beh, grazie per il peluche” disse Hanna alzando il grosso panda peloso che aveva insistito a tenere il braccio tutta la sera.
“fai finta che l’abbia vinto, okay?” le rispose Jason e entrambi si misero a ridere.
In realtà Jason aveva corrotto il proprietario di una di quelle postazioni nella quale bisogna sparare alle lattine, appena fuori al ristorante nella quale avevano cenato.
Se fosse rimasto lì a sparare a vuoto avrebbe sicuramente speso tutti i soldi che erano destinati alla cena, così aveva pagato una bella somma di nascosco e il peluche era magicamente andato nelle mani di Hanna.
“è stata una delle cose più carine che mi sia mai stata fatta” ammise Hanna prima di avvicinarsi e dargli un bacio sulla guancia. Si soffermò più del dovuto davanti al viso del ragazzo, aspettando forse che fosse lui a fare la prima mossa.
“questa è la terza volta che usciamo insieme, e non ti ho ancora baciata” sussurrò Jason nel suo orecchio prima di prenderle il viso con entrambe le mani e colmare del tutto la già poca distanza che li separava.
Hanna gli mise una mano dietro alla nuca e cominciò a giocare con i suoi capelli. Per un attimo sperò di trovare i riccioli di Joseph, ma tra le dita si ritrovò invece i capelli corti e lisci di Jason.
Questo la fece esitare, solo per un pò. Fino a quando Jason non le morse il labbro inferiore e si staccò completamente facendole desiderare che lo facesse ancora.
Inutile negarlo. Le era piaciuto. E pure tanto.
“ti inviterei a bere qualcosa ma c’è Ivy, e quando ci vedrà non la finirà di fare domande e..”
“non preoccuparti” disse solamente il ragazzo, avendo intuito le vere intenzioni di Hanna.
In realtà Ivy le aveva già detto che non sarebbe tornata a casa e avrebbe dormito da un amica, quel giorno.
Hanna naturalmente aveva capito cosa c’era sotto quell’improvvisa uscita di scena, ma le veniva solo da ridere al pensiero che Ivy avesse anche solo pensato ad una cosa del genere.
Hanna era cambiata. Ed una delle poche cose di cui era convinta nella sua vita, era che non poteva essere più felice per questo.
“ci vediamo domani” concluse poi Jason, dandole un tenero bacio all’angolo della bocca.
“ci vediamo domani” ripetè Hanna, con uno strano sorriso che prese il sopravvento sul suo viso.
Entrò in casa, e si chiuse la porta alle spalle per poi appoggiarvisi sopra.
Si sentì di nuovo una ragazzina alle prese con la sua prima cotta.
Non era innamorata, naturalmente. Ma Jason era tutto quello di cui aveva bisogno.
La faceva stare bene. Solo questo.
Rimase in quella posizione per un bel pò, poi si impose di ritornare al presente e entrò in soggiorno.
Sobbalzò nel vedere un’ombra distesa sul divano, facendo quasi saltare per aria il suo grande panda.
“Joe?” urlò poi, riconoscendo quella figura nel buio, che guardava una partita di football.
“sono felice anch’io di vederti” il ragazzo si voltò verso di lei e prese a ridacchiare quando notò lo sguardo sconvolto e allo stesso tempo furioso di Hanna.
Per lei, il momento di felicità sarebbe durato poco, molto meno del previsto.
 
Hanna sentì il tintinnio del microonde e lo aprì prendendo velocemente la busta calda. Svuotò il contenuto in una grande ciotola di plastica e portò il tutto in soggiorno.
"mmm, pop corn" esclamò Joseph alla loro vista per poi strapparglieli di mano.
La ragazza si sedette sul divano a gambe incrociate e fece lo stesso con lui, mettendone in bocca un paio.
“lo sapevo che non era una buona idea darti le chiavi del mio appartamento” sbuffò lei, mentre Joe continuava a ridacchiare divertito dalla sua espressione.
"come mai Rebekah ti ha dato buca?" chiese poi, non capendo il perchè della sua intromissione in casa, proprio quella sera.
"Non mi ha dato buca” disse lui, e Hanna lo guardò incerta.
“Sono stato io, gli ho detto che volevo stare un po' con te, però non sapevo che fossi uscita con Jason"
Era davvero pessimo a mentire.
Hanna continuò a fissarlo, quasi sul punto di scoppiare a ridere per la pessima recitazione, ma cercò di trattenersi. Se lo fissava abbastanza a lungo, riusciva sempre ad ottenere la verità.
"okay, abbiamo litigato" ammise infine Joe, e ad Hanna venne quasi voglia di canzonarlo con un ‘lo sapevo, io’, ma non le sembrò proprio il caso.
"di nuovo?" chiese, non sapendo che altro dirgli. Davvero non riusciva a pensare a nulla in grado di consolarlo. Perdere quella ragazza gli avrebbe fatto solo bene, ma non era una cosa così carina da dire in quelle occasioni.
"si, di nuovo" Joseph prese il telecomando e spense la tv.
"non sembri sorpresa" continuò poi, mettendosi a fissare quegli occhi verdi che conosceva ormai da due anni, illuminati solo dalla luce che Hanna aveva dimenticato accesa in cucina.
Quel giochetto del fissarsi per avere la verità purtroppo funzionava anche con lei.
"Joe, lascia perdere" disse, pentendosene quasi subito dopo. Ma la sua voce era uscita troppo forte e chiara dalla sua bocca. Joe aveva capito che tra le due ragazze non correva buon sangue, ma era la prima volta che se lo sentiva dire esplicitamente.
"forse dovrei" disse dopo qualche secondo. Hanna spalancò la bocca, per poi richiuderla un attimo dopo sperando che fosse passata inosservata.
Dire che la sua risposta l’aveva sorpresa, era poco.
L'aveva visto tante volte star male per quella ragazza e mai avrebbe pensato che sarebbe riuscito a capire da solo l'enorme sbaglio che continuava a fare da ormai più di cinque mesi.
Lei non faceva per lui. Semplice.
"cosa vorresti fare, allora?" chiese, con la voce incrinata dallo stupore, forse. O molto più probabilmente dalla profonda felicità che le stava quasi facendo scoppiare il cuore.
Sperò di conoscere la risposta.
Ma tutto ciò che ottenne fu una scrollata di spalle da parte di Joe che, evidentemente non in grado di affrontare l’argomento, riaccese la tv lasciando che la voce del telecronista sportivo fosse l’unica a parlare.
 
 
 
 
 
 
 
PREMETTO che avevo in mente di continuare il capitolo ma mi sono resa conto che sarebbe diventato troppo lungo, quiiindi per non lasciarvi molto tempo senza nulla da leggere, vi ho lasciate a metà, scusate çç
Prometto che aggiornerò presto con qualcosa di più interessante, e se ora vorrete fare uno sciopero delle recensioni vi capisco...
ma non lo fate lo stesso AHAHAHAHAHAH
A prestissimo.

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Capitolo 11
*** Chapter Eleven ***


Chapter Eleven

Hanna era distesa sul divano e guardava il soffitto, quando ad un tratto si sentì sollevare le gambe e Joe se le risistemò sopra, porgendole un pacchetto di patatine.
Era da tanto che non passavano una serata così. Loro due soli, in compagnia solo di tv e cibo spazzatura, come due vecchi buoni amici.
Era forse troppo presto da dire, ma sembrava che le cose stessero ritornando al proprio posto finalmente.
Jason l’aveva baciata, e ad Hanna era piaciuto.
Joe sembrava essersi stancato del comportamento di Rebekah, e probabilmente l’avrebbe lasciata.
Il che avrebbe potuto portare ad un altro problema, se solo Joe non avesse chiaramente dimostrato nessun interessamento nei suoi confronti che andasse oltre quello che già c’era.
Ed ora erano tutti e due lì, a chiacchierare in piena notte delle cose più stupide, come tanto le mancava fare.
Tutto questo in una sera.
Hanna si chiese se l’indomani tutto questo sarebbe stato sconvolto un’altra volta con la stessa velocità, ma per il momento cercarono entrambi di godersi la tranquillità della notte.
Joseph non aveva più proferito parola riguardo l’argomento ‘Rebekah’, forse perchè neanche lui stesso sapeva bene cosa fare e Hanna aveva deciso di non volersi intromettere, spiegandogli che la sua era solo un opinione ma che la scelta finale toccava a lui.
Voltò il viso di lato e la prima cosa che notò fu il pupazzo bianco e nero appostato sul divano di fronte.
Quell’unica immagine ne riportò altre cento nella sua testa, prima fra tutte quella di Jason che la baciava.
E i suoi capelli.
E i capelli di Joe.
“dovresti tagliarti i capelli” Hanna interruppe il silenzio che si era creato con la prima cosa che le venne in mente. Doveva smettere di pensare a queste stupidaggini e il silenzio non l’aiutava, perciò preferiva sostenere una banale conversazione con Joe.
“ma i miei capelli ti piacciono” le rispose Joseph, passandosi una mano tra i ricci ormai troppo lunghi.
“sembri una pecora che hanno dimenticato di tosare” Hanna non stava scherzando. In effetti l’idea di tagliarli non le sembrò poi tanto male, anche se all’inizio stava solo scherzando.
“io adoro i miei capelli” la conversazione piombò di nuovo nel silenzio, prima che anche Joseph rivolgesse lo sguardo sull’oggetto ben studiato da Hanna solo qualche minuto prima.
“non mi hai ancora detto come è andata stasera”
Hanna cercò di trovare una risposta soddisfacente ma allo stesso tempo non ricca di dettagli.
“Bene” riuscì a dire solamente. Almeno non c’era il rischio di annoiare con i troppi dettagli.
“Bene? Avevi un sorriso da imbecille prima” la derise il ragazzo, coprendosi istintivamente il viso per paura di ricevere una sberla. Ma Hanna era troppo pigra anche per alzarsi e mollargli un ceffone.
“ecco, proprio questo intendevo” Joe le indicò il viso dove si era fatto spazio di nuovo quel sorriso da idiota post-bacio e Hanna ricordò che quella era una buona posizione per un calcio tra i denti e che non doveva neanche sforzarsi tanto, ma graziò il giovane anche questa volta.
“è andata molto bene, va meglio?” chiese sarcastica sperando di ricominciare a parlare di qualsiasi altra cosa.
“un aggettivo, si mi sento molto più soddisfatto ora” il tono di Joe la fece ridere per un attimo, poi si ripromise di ricomporsi.
“qui qualcuno è andato a letto con qualcun’altro” iniziò a canticchiare Joe e Hanna balzò seduta sul divano.
“non è vero”urlò così forte che se l’avesse fatto fuori casa, avrebbe svegliato metà del vicinato.
“oh, si” il ragazzo continuò la sua stupita commedia e questa volta meritò completamente il pizzicotto sul suo braccio inflittogli da Hanna. Come se l’avesse sentito, sotto quei muscoli.
“non sono andata a letto con nessuno” affermò decisa lei e Joe smise di fare il buffone, cominciando invece a guardarla come solo lui faceva e provocandole inevitabilmente quella disgustosa sensazione allo stomaco.
“e comunque a te cosa dovrebbe importare” continuò Hanna, cogliendo al balzo quel momento di serietà.
I due si guardarono per un periodo di tempo indefinito e ad Hanna sembrò perfino che il respiro di Joe fosse diventato affannato e irregolare.
Già, a Joe cosa dovrebbe importare?
Questa domanda le risuonò in testa per innumerevoli volte, diffondendosi come un eco fino quasi a sentirla pulsare direttamente nelle tempie.
“Avanti, rispondi. Tu puoi avere una ragazza e io no?” insistette lei sprezzante.
Quella domanda ferì Joseph, e presto si sentì come se qualcuno lo stesse torturando giocando con un suo nervo scoperto.
Il ragazzo cercò di non darlo a vedere e si sforzò di respirare in modo regolare. Hanna non aveva visto male, allora.
“non mi importa di chi ti porti a letto, Hanna” riuscì anche a imitare un sorriso beffardo sul volto.
“perchè dovrebbe importarmi di Jason. È solo uno dei tanti, no?”
Uno dei tanti.
Hanna, al contrario di lui, non riuscì a nascondere le sue emozioni. Non ci era mai riuscita. Il suo volto parlava ed era facile interpretare cosa le stesse girando per la testa.
Ed ora era ancora più facile del solito, perchè il suo viso trasmetteva delusione. Delusione dovuta a ciò che Joe le aveva detto.
Joseph incontrò gli occhi spenti della ragazza e la sensazione che lo invase in quel momento fu molto più atroce della precedente.
Hanna si alzò dal divano, disgustata da quel ragazzo che aveva il corpo di Joseph ma che in realtà non riusciva più a riconoscere.
“è così che mi vedi?” chiese con un filo di voce, anche se la risposta l’aveva già avuta.
E sentirla dire da Joe era stata la cosa più vicina alla delusione che avesse mai provato.
Uno dei tanti.
No riusciva a levarsi dalla testa quelle tre parole, e il modo schietto e naturale con la quale Joe le aveva dette.
Lui era una delle persone che la conosceva meglio in assoluto. Credeva che neanche la sua famiglia la conoscesse così bene, e invece si era ritrovata davanti un ragazzo che dopo due anni la vedeva ancora come la stupida che passava la notte col primo che le passava di fianco.
Aveva solo voglia di urlare, ma restò  in silenzio immobile come un burattino in attesa di una qualsiasi spiegazione.
Joe invece non rispose. Era convinto che qualsiasi parola avrebbe solo peggiorato la situazione.
 Ma forse ce n’era una in grado di salvarla. Quella era in assoluto la parola più difficile da dire.
E quella parola era scusa.
Il silenzio che si impadronì di quelle mura era tale da permettere ad entrambi di sentire perfino le lancette del bianco orologio appeso alla parete e in quel momento Hanna sentì gli occhi gonfiarsi di lacrime che non avrebbe mai permesso di far scendere.
"va bene, hai reso il concetto" la ragazza degludì a fatica, ormai convinta che non avrebbe ricevuto nessuna delle risposte desiderate, e si avviò verso la porta di uscita, aprendola e prendendo a guardarlo.
“buonanotte, Joe” disse poi, facendo esplicitamente capire che la sua presenza non era più gradita.
Joseph si avviò verso la porta. Aveva tante cose da dirle e Hanna ne voleva ascoltare altrettante, ma aprì la bocca solo per salutarla con un “buonanotte”.
Il tempo di chiudere la porta fu appena sufficiente perchè le lacrime iniziassero a fare il loro lungo e lento corso sulle guance pallide di Hanna.
Poi il sapore delle lacrime si mescolò a quello della rabbia che le salì lungo tutto il corpo.
Senza pensarci, prese il telefono e premette il tasto verde sulla più recente delle chiamate ricevute.
Prese un paio di grossi respiri e cercò di apparire il meno spossata possibile.
“ehi, scusa se ti disturbo. Mi chiedevo se.. insomma, Ivy non c’è e mi chiedevo se volessi venire a prendere qualcosa a casa mia, se non è troppo tardi” Hanna sentì di aver tentennato un pò troppo, ma non se ne preoccupò poi così tanto.
La voce di Jason risuonò chiara nel suo orecchio destro, dalla quale provenì una risposta di assenso.
Hanna sapeva benissimo quanto fosse sbagliato tutto ciò, ma l’unica giustificazione che fu in grado di darsi era che il passato non aveva intenzione di abbandonarla.
Almeno Joseph avrebbe avuto qualcosa di concreto su cui basarsi.
 
Nel frattempo, Joe era rimasto fuori in giardino a maledirsi di ciò che aveva detto e di ciò che invece avrebbe dovuto.
Si voltò verso la porta chiusa, pur avendo la netta sensazione che non sarebbe stata più aperta quella sera.
Non sapeva da dove fossero uscite quelle stupidaggini. Nè il perchè.
Sapeva però che quelle cose non le aveva mai pensate e sperò che anche Hanna lo capisse, in un modo o nell’altro.
Ma come poteva capirlo lei, se neanche lui stesso riusciva a spiegarsi se ci fosse davvero qualcosa di sbagliato nel suo comportamento.
Era geloso. Non poteva spiegare altrimenti quel suo atteggiamento.
E la gelosia nei confronti di uno sconosciuto del quale non gli sarebbe dovuto interessare assolutamente niente era inconcepibile. Lui aveva già una ragazza.
Sentì le mani stringersi a pugno con tutta la forza che aveva in corpo all’idea che gli si presentò davanti.
Allora, per la prima volta, si chiese se Hanna ricevesse più attenzioni di quanto una comune amica dovrebbe averne.
Se la pensasse più del dovuto. Addirittura se avesse voglia di sfiorarla più di quanto aveva voglia di sfiorare Rebekah.
Per la prima volta, Joe si chiese se i suoi sentimenti per lei fossero più grandi di quanto pensasse.
Per la prima volta in due anni, Joseph mise in dubbio la sua amicizia con Hanna, e si chiese seriamente se fosse innamorato di lei.
E per la prima volta, si chiese se fosse troppo tardi per pensare a questo.
 

 
 
Ora il commento di qualcuno sarà tipo: “e che cazzo...?
Bene, Joe si è svegliato, ma con lui anche la sua naturale dote da stronzo. YEEEEP.
Posso dire che Hanna non la sopporto in questo capitolo, e neanche Joe ahahah.
Personalmente non credo di essere brava a descrivere queste emozioni, quindi accontentatevi bellezze
Ho notato che a quasi tutte sta antipatico Jason AHAHAH.
Io me lo immagino come quella dolcezza di ragazzo di nome Josh Hutcherson (se non lo conoscete, andatelo a vedere), quindi non può starmi antipatico.
Ho messo in ballo i capelli di Joe Jonas dato che precedentemente ho scritto che gli aveva lasciati ricrescere, ed è successo veramente. 
Spero che segua anche questo mio consiglio e li tagli prima che i suoi capelli prendano vita e anche il controllo sulla sua testa (?) 
Ho paura ragazze, AHAHAHAAHAHHAHAHA.
Che il buon senso sia sempre con lui.

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Capitolo 12
*** Chapter Twelve ***


Mentre scrivevo questo capitolo mi sono drogata di Down di Jason Walker, se vi va ascoltatela.
Ci vediamo giù, se ci arrivate.
 
 
 

Chapter Twelve

Quella mattina Hanna si era ritrovata da sola, seduta al tavolo della cucina, per un tempo tanto prolungato da poter spaventare chiunque.
Continuava a rigirare il caffè in attesa che i cinque cucchiaini di zucchero si sciogliessero, senza molto risultato.
Si, cinque cucchiaini. Le capitava di metterne così tanti solo quando era preoccupata o, in questo caso, distrutta.
Cos'è che aveva pensato solo qualche ora prima? Ah, si.
La sua stessa voce le risuonò devastante nella sua testa.
"Forse l'indomani mattina tutta la mia vita sarebbe stata sconvolta con la stessa velocità con la quale sembrava essersi messa a posto"
Quella frase non poteva risultare più vera. Anzi, tutto ciò si era verificato prima del previsto.
Prima che il sole sorgesse, si era ritrovata senza migliore amico e senza ragazzo.
Senza Joseph e senza Jason.
Senza Joseph...
Per quanto volesse prendersi a pugni da sola, l'unica cosa che realmente le importava non era legata a Jason, con la quale aveva rotto solo qualche ora prima.
Era Joe. E questo glielo faceva odiare ancora di più. Odiare. Forse odiare no.
Insomma, odiare nel modo in cui si può odiare una persona che si ama.
Scosse la testa prendendo atto che tutto ciò non aveva senso e finalmente fece un sorso dalla tazza, ormai contenente solo un liquido troppo freddo e dolce perchè un essere umano potesse apprezzarlo.
Con un secondo lungo sorso la vuotò completamente, lasciando però sul fondo una gran quantità di miscuglio giallognolo dovuto allo zucchero depositato.
Fece per alzarsi, quando un'altra, lunga ondata di pensieri la trattennero nella posizione tenuta fino a quel momento.
“Che cosa ho fatto” sussurrò a se stessa, prima che la testa le crollasse e fosse sostenuta solo dalle sue mani. Erano successe troppe cose, troppe tutte insieme. Ma quell’ultima era stata davvero la più brutta.
 
 
QUALCHE ORA PRIMA
 
Hanna aprì la porta e si ritrovò di fronte il ragazzo del quale aveva bisogno.
Non gli lasciò nemmeno il tempo di salutare che già lo aveva tirato per il colletto della camicia bianca indossata quella sera e aveva chiuso prontamente la porta dietro le sue spalle.
“Ciao” disse poi, prima di fiondarsi su quelle labbra che aveva conosciuto così poco ma che in quel momento le sembravano l’unico rifugio al malessere che le avrebbe fatto visita se fosse stata da sola.
Quel bacio tolse il fiato ad entrambi eppure neanche il giovane sembrò avere intenzione di fermarsi.
Un sospiro uscì dalla bocca di Hanna quando lui si allontanò quel poco che gli serviva a parlare e lei cercò di recuperare una respirazione regolare.
“Ciao anche a te” rispose lui, spostando le mani sui fianchi della ragazza.
“Non ti sembra che stiamo correndo un pò troppo?” disse poi al suo orecchio, facendo ricordare ad Hanna quanto quel ragazzo fosse troppo buono, troppo perfetto troppo... semplicemente troppo per lei.
Il che rendeva il suo gioco ancora più meschino.
“Non dirmi che non vuoi” cercò di imitare un tono provocatorio ma tutto ciò che le uscì fu una voce che trasudava solamente insicurezza e un grandissimo senso di colpa. Ma a lui sembrò piacerle proprio per questo.
Come risposta le infilò una mano tra i lunghi capelli e glieli spostò di lato, lasciando un lato del collo libero di essere volutamente sfiorato dal suo respiro, prima ancora che dalle sue labbra.
“non potrei mai dirti che non voglio” finalmente le posò un bacio appena sotto l’orecchio che fece rabbrividire chi lo aveva ricevuto, poi si allontanò sorridendole “ma non così”.
Hanna sbottonò impacciata i primi tre bottoni della camicia.
“Avanti, Joe” disse poi, dal tono sembrò quasi supplicarlo e si vergognò di questo. Lo attirò mettendo una mano dietro la sua nuca, prima di essere inspiegabilmente respinta dal moro dagli occhi azzurri di fronte a lei.
“Joe?” chiese Jason mentre un sorriso di incredulità gli si formò sulle labbra.
Solo in quel momento Hanna sembrò accorgersi delle parole appena pronunciate e non seppe che altro fare oltre a stare impalata di fronte a lui senza nessuna spiegazione da potergli dare.
O forse una spiegazione c’era, ma era troppo ripugnante anche solo da pensare.
Si ritrovò con mille frasi che avrebbe potuto dire ma nessuna che servisse realmente a qualcosa, e anche in quel momento le venne in mente il litigio avuto poco prima con Joseph, quando neanche lui era riuscito a dire una parola.
Jason aprì le braccia come se cercasse le parole da rivolgerle, mantenedo però un sangue freddo che Hanna non si sarebbe mai aspettato.
“Lo avevo immaginato, da come lo guardi” disse poi in tono pacato mentre ad Hanna venne voglia di replicare ma non trovò nulla su cui obbiettare.
“E da come lui guarda te” continuò pronunciando lentamente quella frase sotto lo sguardo accigliato della ragazza.
“No Jason, ti sbagli”
“Mi sbaglio? Ho sentito male quando mi hai chiamato Joe?” la interruppe prima che potesse finire di parlare, non che avesse molto altro da dire. I fatti parlavano chiaro. Ma l’ultima cosa che aveva detto Jason era del tutto priva di senso.
Hanna scosse la testa e si preparò a sentire quelle parole che invece avrebbe dovuto dire lei prima di arrivare ad un punto così tragico.
“Hanna, tu mi piaci ma meglio troncare già da ora, se quando mi baci pensi ad un altro”
Lei annuì consapevole che tutto questo era più che meritato, che Jason meritava una ragazza migliore di lei.
Tutti meritavano una ragazza migliore di lei, anche perchè trovarne una peggiore in questo momento le sembrava estremamente difficile.
“Anche tu mi piaci, Jason” era sincera mentre pronunciava a fatica quelle parole, e sperò che almeno questo lo avesse capito “però..” si bloccò rendendosi conto che non aveva senso prolungare quella tortura ma anche perchè davvero non sapeva cosa sarebbe uscito dalla sua bocca.
“Però sei innamorata di lui, ho capito” concluse lui per lei, almeno tra i due c’era qualcuno che aveva il coraggio di dirlo ad alta voce.
Perchè lei si, si era davvero innamorata di Joseph, e non tutt’a un tratto.
Era sempre stata innamorata di lui, solo che aveva paura ad ammetterlo.
“buona fortuna, Hanna” gli disse lui prima di sbattere la porta che li avrebbe separati per sempre.
Quel rumore secco le fece ricordare cosa era.
Un mostro. Un mostro che usava le persone per dimenticarne altre. Un mostro che usava le persone per ricercare quella felicità che altri non potevano darle.
 

Il campanello la riportò velocemente nel presente e Hanna si lasciò sfuggire qualche parola di troppo mentre si alzava per dirigersi verso l’entrata, ancora con i muscoli intorpiditi dal prolungamento della posizione tenuta.
Legò i capelli in una coda alta e, appena finito, aprì la porta senza esitare, perchè di certo la giornata non poteva diventare peggiore di come era iniziata.
"Scusa"
I suoi occhi si spalancarono per qualche secondo di troppo e un groppo in gola le impedì di replicare prontamente.
Si era sbagliata, ancora una volta. La giornata poteva andare molto peggio.
 
 
 
 
 
 
Ciao bellezze, tutte voi vi aspettavate una scazzottata? Ed ecco che, proprio per questo, non succede MUAHAHAHAAH. Lo so che non è un capitolo tra i migliori quindi cercherò di aggiornare il prima possibile.
Mi dispiace per Jason, quindi faccio un appello: se Hanna non ti vuole, vieni a meee
*cercadifareunamagia* *appareunrospo*
Scusate se sclero ogni tanto. Ogni tanto alias sempre.
Ma ora sono troppo felice perchè passerò 3 meravigliose settimane in inghilterra,  quindi cercate di capirmi.
Sappiate che vi adooooooro beibies (?) per tutte le bellissime recensioni che mi lasciate!
Vi rimpicciolirei tutte e vi porterei con me nella mia borsetta se potessi, solo che come avete visto non sono brava con le magie. Un bacione
 

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Capitolo 13
*** Chapter Thirteen ***


Chapter  Thirteen

 
È così difficile rimanere da soli quando se ne ha bisogno? Perchè ad Hanna sembrò che tra tutte le persone, quella dalla quale voleva rimanere alla larga per un pò la perseguitasse.
Scusa” ripetè il giovane con un tono più calmo di quello precedente.
Dopo quel breve periodo di stupore, Hanna ritornò in sè e guardò il ragazzo in modo raggelante. Joe probabilmente l’aveva avvertito, perchè si sentì scuotere da un brivido lungo la schiena.
Gli occhi di Hanna non facevano che passare dalla testa del ragazzo ai fiori che aveva in mano e poi di nuovo sulla sua fronte, stranamente libera dei suoi riccioli neri.
Stava quasi per chiedergli cosa stesse succedendo perchè non trovava nulla di sensato in tutto ciò, ma fu interrotta dalla voce di Joseph che le chiedeva di poter entrare in casa. Sembrò quasi implorante e Hanna non potè dire di no. 
E poi, aveva un improvvisa voglia di ascoltare le sue stupide scuse escogitate durante la notte.
No. Il fatto è che forse, in fondo e nascosta da tutta quella paura nel vederlo, le faceva davvero piacere averlo accanto.
Si scostò di lato e aprì completamente la porta invitandolo ad entrare con un gesto della mano.
Il moro le consegnò il misero mazzo di fiori che era riuscito a recuperare dal fioraio che distava circa sei isolati dall’appartamento di Hanna. Lei aveva riconosciuto la provenienza dalla carta gialla a pois arancioni che utilizzava sempre, ma non era questo che faceva apparire quei tre fiori così belli.
Erano girasoli, e lei amava i girasoli. Non ricordava quando avesse confessato a Joe quel particolare ma lui, a quanto pare, lo ricordava eccome. O era stato solo un caso.
“Lo so che non ti piacciono molto i fiori, ma i girasoli sono i tuoi preferiti” spiegò Joseph ad Hanna che era intenta a fissare i petali gialli assolutamente in tinta con la carta che avvolgeva il tutto.
Lei annuì e spostò di nuovo lo sguardo sulla fronte di Joe e notò che era anche lucida per il sudore.
Avrebbe voluto chiedergli tante cose. Perchè la sera prima non avesse detto neanche una parola quando lo stava praticamente implorando, perchè se ne fosse andato senza nemmeno esitare, soprattutto se pensasse sul serio ogni parola che le aveva riferito.
Ma sarebbe stato da stupidi, quindi si ripromise di non farlo.
“perchè stai sudando come un maiale?” chiese allora la ragazza e Joe passò immediatamente il dorso della mano sulla fronte ad asciugare le goccioline che continuavano a scendergli sul viso.
“Io..” cominciò titubante ma Hanna non volle dargli fretta “mi ero dimenticato i fiori e ho dovuto correre per sei isolati, il minimo che puoi fare e dirmi grazie”
“grazie” rispose lei prima di andare alla ricerca di un vaso o un contenitore qualsiasi dove sistemarli.
Trovò una caraffa di vetro e decise di metterli lì finchè non avrebbe trovato una sistemazione più adatta.
Tornò da Joseph, che nel frattempo si era sistemato sul divano, e si mise di fronte a lui con le braccia incrociate al petto.
“e perchè hai tagliato i capelli?” continuò poi facendo sorridere Joe.
“avevi ragione sul fatto che sembro una pecora” spiegò lui e Hanna non potè credere che li avesse tagliati per lei. Cosa le voleva dimostrare, forse che i suoi pareri sono davvero importanti? Proprio per questo non avrebbe dovuto dirle quelle cose.
“stai cercando di farti perdonare?”
Joseph inumidì le labbra con la lingua, non tanto perchè volesse apparire più attraente, ma perchè davvero sentiva la sua bocca così asciutta da non poter dire un’altra sola parola.
“sto cercando di dirti che puoi uscire con Jason”
Hanna corrucciò la fronte, incredula davanti a quella frase. Si sarebbe potuto aspettare mille scuse diverse, in fondo si sta parlando di Joseph Adam Jonas, ma quella era troppo strana anche per lui. Cercò allora di capirne il senso.
“mi stai.. dando il permesso?” fece una smorfia mel pronunciare l’ultima parola e per un attimo pensò di scoppiare a ridere da un momento all’altro, poi guardò il volto di Joe che era incredibilmente serio.
“non so se queste siano le tue scuse, ma..” lasciò per un attimo la frase in sospeso, valutando se fosse giusto dirglielo, in quel momento.
“io e Jason ci siamo lasciati” disse poi tutto d’un fiato intenta a chiudere così l’argomento una volta per tutte.
“aspetta, ma se fino a ieri sera stavate allegramente..” anche Joe decise di fermare la frase a metà quando Hanna lo zittì con lo sguardo. Si lasciò sfuggire solo un “oh” che non passò affatto inosservato.
La ragazza prese posto accanto a lui sul divano e abbracciò uno dei tanti cuscini colorati posandoci sopra il mento.
“lo so che non sono riuscite per niente bene ma si, queste sarebbero dovute essere le mie scuse” esordì Joe e Hanna eriuscì anche a sorridere, come era intenzione del ragazzo.
“mi dici solo una cosa?” chiese ad un tratto lei e Joseph annuì con il capo.
“pensi davvero quello che mi hai detto?”
“no” rispose deciso e la giovane continuò, “allora perchè lo hai detto?”
In realtà il discorso di scuse di Joe era principalmente incentrato sull’evitare tale domanda, ma dato che era andato in frantumi tutto il suo lavoro, ora era costretto a risponderle.
Perchè ero geloso e non volevo ammetterlo.
Sarebbe stato semplice e chiaro detto così, proprio come chiedeva Hanna.
Ma poi come le avrebbe spiegato quest’improvvisa gelosia? E soprattutto, come se la spiegava lui stesso?
Non poteva collegare la parola amore al loro rapporto, eppure tutti avrebbero capito che non esisteva termine migliore di questo.
Perchè lei era presente già nelle prime immagini che lo aiutavano a svegliarsi la mattina.
Con i suoi capelli sciolti, come quasi sempre del resto. I boccoli castano chiaro che le ricadevano sulle spalle, e il suo gesto automatico di sistemarli dietro l’orecchio quando uno le scendeva sulla fronte.
E poi era presente anche la sera prima di addormentarsi.
Quando si ritrovava a vedere quegli occhi anche se non erano lì con lui. Il verde dei suoi occhi che tingeva ormai ogni sua giornata.
Insomma, quale altro termine avrebbe definito meglio il fatto di trovarla dietro ad ogni suo sogno, incubo, canzone, poesia, libro, persino fast food, perchè sapeva che Hanna amava tutto ciò che c’era di fritto e calorico.
 La verità era che nessuna parola era più giusta di amore.
Hanna gli diede un colpetto col gomito quando notò la sua aria assente, mentre aspettava ancora la risposta alla fatidica domanda.
A quel punto Joe si alzò di scatto dal divano, prendendo a camminare avanti e indietro per la stanza, sotto lo sguardo ora preoccupato di Hanna.
Doveva fare una cosa.
Se c’era un modo per sapere una volta per tutte se fosse davvero innamorato di lei era quello.
Probabilmente Hanna sarebbe scoppiata a ridere, o gli avrebbe tirato un pugno sul braccio e lui si sarebbe reso ridicolo.
Ma che importa, si stava già rendendo abbastanza ridicolo mentre continuava imperterrito a camminare per il soggiorno come se la missione della sua vita fosse finire la suola delle scarpe entro il tramonto.
Quindi, doveva farlo.
Si bloccò al centro della stanza e Hanna lo raggiunse con uno sguardo interrogativo.
Con due passi le si avvicinò tanto che ognuno avrebbe potuto sentire il respiro dell’altro.
Devo baciarti
Hanna indietreggiò di un passo, improvvisamente stordita da quella affermazione.
“che..” provò a dire prima che Joe avvicinasse di nuovo i loro corpi e lei perdesse di nuovo la facoltà di parlare. O respirare. O qualsiasi altra cosa che non fosse fissare le sue labbra.
“insomma, potrei baciarti, e sarebbe come baciare una sorella” Joe la fissò per catturare anche la sua più piccola reazione “No?” le chiese poi, notando in suo sguardo assolutamente neutrale. Così neutrale da sembrare finto.
“Si” ribattè lei composta, “assolutamente”.
Se fino ad allora non sapeva come fossero arrivati in quella situazione, ora le sembrò che il cuore le si fosse fermato a causa di tutte le spiegazioni che le giravano per la testa.
Sempre la solita domanda: perchè.
Perchè Joe stava facendo questo. Perchè parlava di sorelle. Perchè anche solo si era posto la domanda.
Perchè stava pensando a loro due mentre si baciavano.
Le sembrava impossibile da immaginare, eppure il suo andare avanti e indietro con aria agitata, il comportamento dell’ultima vota, tutto questo non sembravano altro che i pezzi mancanti di un puzzle.
No, questo non voleva dire che Joseph fosse...
“Sei attratto da me?” chiese direttamente, smettendo di farsi domande che non avrebbero mai avuto risposta se tenute nella sua mente.
Per un attimo sperò che non avesse sentito nulla, ma era praticamente impossibile ad una distanza così ravvicinata.
Joseph non rispose. Hanna era sul punto di ripetere la domanda quando si ritrovò impossibilitata a parlare nel modo in cui temeva e desiderava in egual modo.
Joe si era chinato a baciarle le labbra socchiuse con molta più delicatezza di quanto si sarebbe aspettata da un atteggiamento del genere.
Prima che Hanna avesse modo di elaborare il tutto, si era staccato, attento però a continuare ad aderire al suo corpo come aveva fatto sino ad allora.
“bacio da fratello?” chiese lui con la voce spezzata  dall’affanno, che di certo non era dovuto alla precendente camminata.
“esattamente” Hanna trovò un pò di fiato per rispondergli dopo essersi schiarita la voce.
“bene” replicò Joe.
“bene” ripetè lei prima di sentire di nuovo quelle labbra premute sulle sue.
Stavolta però, Joe prese a delineare il contorno di quelle di Hanna con la lingua. Gesto fottutamente calcolato perchè Hanna si sentì come privata di qualsiasi forza o sanità mentale e tutto ciò che riuscì a fare fu allacciare le braccia attorno al suo collo.
Allungò le dite alla ricerca dei suoi vecchi, lunghi capelli e se non fosse per il fatto che non riusciva a pensare a nulla, si sarebbe anche pentita di avergli proposto di tagliarli.
La mano di Joe, prima sul braccio, scivolò lentamente su fino ad arrivare alla nuca e assicurarsi così che non si allontanasse. Come se lei ne avesse mai avuta l’intenzione.
Hanna dischiuse le labbra in modo che anche le loro lingue avessero modo di rincontrarsi dopo due anni, quelli che le erano sembrati un’eternità.
Ed è quello che fecero, rincorrendosi come in una danza provata e riprovata. Come se sapessero tutto l’uno dell’altro da tutta una vita.
Indietreggiò spinta da Joseph, fino a che non sentì un ostacolo dietro la sua schiena, probabilmente il tavolo del soggiorno. Joe si fermò e Hanna sentì il suo sorriso allargarsi, senza che si fosse allontanato neanche di un millimetro.
“hai sentito niente, Hanna Faith Morgan?” chiese Joe ancora sulle sue labbra.
“vaffanculo, Joseph Adam Jonas” balbettò lei, che continuava a respirare a fatica.
“si, anche a me è piaciuto”
In quel bacio c’erano tutte le parole trattenute per due anni. Tutto ciò che avevano tenuto da parte fino ad allora, ora stava esplodendo in una moltitudine di emozioni diverse inscindibili l’una dall’altra ma tutte con il fine una sola; desiderio.
Finalmente erano consapevoli di ciò che provava l’uno nei confronti dell’altro.
Quindi entrambi si potevano dichiarare tacitamente d’accordo sul fatto che quello fosse il loro primo, vero, bacio.
 
 
Lo so che non vi aspettavate fosse Joe, ma proprio per questo lo è (?)
Non potete capire quanto avessi voglia di scrivere questo capitolo, mi ero stancata pure io a farli aspettare AHAHAHA
Che ne dite? Vi aspettavate che accadesse in questo modo? In questo momento? In questa situazione?
Spero di non avervi deluse, anche perchè questa volta, stranamente,  piace tanto anche a me.
Credo di essermi spiegata male l’altra volta, in Inghilterra ci andrò verso inizio settembre quindi fino ad allora questa FF sarà conclusa, dato che siamo già a più della metà.
PIU’ DI 80 RECENSIONI FGHJGFHJKGHJK, non so per voi ma per me sono TANTISSIME quindi un GRAZIE ENORME a chi sopporta me e quello che scrivo.
Ora sparisco, un bacione

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Capitolo 14
*** Chapter Fourteen ***


Chapter Fourteen

Joseph gettò il flusso congelato dell'acqua direttamente sul viso. Doveva levarsi quel sorrisetto dalle labbra prima di uscire dal bagno o suo fratello avrebbe fatto più domande del solito.
Era sotto la doccia da più di un ora e ormai aveva finito l’acqua calda da un pezzo, così decise che era ora di uscire.
Allacciò uno degli asciugamani intorno alla vita e passò una mano sullo specchio ombrato facendo in modo che in quell’immagine distorta intravedesse il suo viso ispido per via della barba.
 Pensò di radersi, ma poi si ricredette quando gli venne in mente l’effetto che il giorno prima la sua barba aveva fatto su Hanna, contro la pelle delicata e candida del suo collo.
Lo specchio mostrò ancora una volta il volto di Joseph adornato da un sorriso che non si mostrava da tempo. Un sorriso che lo faceva apparire anche abbastanza ridicolo.
Se questa non era la prova del suo presunto amore, allora si poteva davvero definire pazzo perchè le sue labbra erano curvate all’insù da tutta la mattina e non c’era modo di evitarlo.
Uscì dal bagno lasciando dietro di sè una nuvola di vapore, appena prima di vedere la sagoma di una ragazza uscire dal suo appartamento.
“Nick” sbuffò ad alta voce e, come previsto, lo ritrovò quasi dormiente su una delle sedie in cucina mentre rigirava tra le mani una tazza fumante.
“almeno questa volta conosci il nome della ragazza che è appena scappata?” chiese Joe, munendosene anche lui di una piena di caffè.
“credo si chiamasse Michelle, o Marie. Sono quasi sicuro che iniziasse con la M” ridacchiò il più piccolo mentre il fratello si recò quasi saltellando verso la poltrona, sulla quale poi si buttò pesantemente.
“E tu? Presumo che quel sorriso sia dovuto al fatto che oggi è il mio compleanno” scherzò Nicholas e Joe lanciò nella sua direzione uno dei cuscini, che l’altro scansò prontamente.
“certo, buon compleanno fratellino” disse, per poi alzare la tazza di caffè come segno di brindisi, sperando che in qualche modo non capisse che l’aveva completamente dimenticato.
“lo so che hai dimenticato la festa di stasera” lo ammonì Nick “perciò ti avverto che sei ancora in tempo a invitare la responsabile di quella tua espressione beata” continuò facendo una strana imitazione del suo sorriso e quello di Joe si accentuò ancora di più.
“non credo sia una buona idea, invitare Hanna” si lasciò sfuggire e per un attimo in silenzio prese il sopravvento.
“Io parlavo di Rebekah” esordì Nicholas e il maggiore si rese conto di essersi appena scavato la fossa da solo.
Rebekah, certo che parlava di lei.
Nick rimase serio per qualche istante, poi scoppiò in una fragorosa risata e incominciò a battere un pugno sul tavolo. Tutta questa situazione lo faceva sembrare un pazzo, ma Joe lasciò correre.
“Hanna? Parli di quella Hanna?” disse tra una risata e l’altra mentre Joseph si sentì invadere il corpo da uno strano calore e strinse le mani attorno alla tazza, cercando di moderare la sua reazione.
“ci siamo solo baciati” sentì il bisogno di precisare e Nick sembrò farsi serio.
“qualunque cosa ti faccia sorridere in quel modo, non può giudicarsi un bacio qualunque”
Per quanto fosse superficiale e estremamente irritante, suo fratello aveva già capito tutto.
 “Comunque, Joe” alzò la tazza vuota imitando il suo precedente gesto e prese a guardarlo con un espressione furba sul volto. “Se non la inviti tu Hanna, lo farò io”
 



Keep it sweet, 
Keep it slow
Let the future pass, 
And don't let go
But tonight i could fall to soon
Into this beautiful moonlight.
 
But you're so hypnotizing
You got me laughing while i sing
You got me smiling in my sleep
And I can see this unraveling
And your love is where I'm falling
But please don't catch me.

 
“Hanna?” la ragazza coi capelli corti e rossi la richiamò e Hanna dovette alzare il volto dal suo muffin e guardare Ivy mentre lei le poneva un silenzioso interrogatorio squadrandola con gli occhi.
“perchè canti Taylor Swift?” chiese poi e anche Suzanne si voltò a guardarla, divertita.
Hanna fece un lungo sorso del suo frappuccino al caramello e vaniglia per poi rispondere come se niente fosse “non credo sia Taylor Swift”
“qualunque cosa sia, tu non canti mai canzoni così” ribattè Ivy.
“in un bar, e dopo esserti lasciata col tuo ragazzo” continuò Suzanne, che sembrava essere già un passo avanti all’altra amica. Un passo più vicina alla derisione più assoluta di Hanna.
la castana si guardò intorno, intenta a cercare tra i tavolini gremiti di gente qualcuno di conosciuto che potesse salvarla da quella tortura, o almeno posticiparla. Non vide nessuno e uno sbuffo uscì dalle sue labbra attirando ancora di più l’attenzione delle altre due ragazze.
“dovremmo sapere il motivo della tua improvvisa felicità?”
“non sono felice” Hanna imitò un espressione annoiata ma di certo la sua scenetta non convinse nessuna delle tre.
“Oh si” riprese Ivy, intenta a strapparle dalla bocca qualcosa che le facesse capire la verità. “sei felice come se avessi vinto alla lotteria, avessi incontrato il tuo cantante preferito al bar o fossi stata baciata da Joe”
Buttò lì qualche ipotesi assurda e portò la tazza di cioccolata alle labbra aspettando una sua risposta.
Hanna però non riuscì a fare altro che guardarla terrorizzata da quell’ultima frase ipoteticamente impossibile e sentì di sottofondo la buffa risata di Suzanne.
Ivy fece un lungo sorso dalla sua tazza prima che, come se avesse avuto un’illuminazione, collegasse il silenzio dell’una e la risata dell’altra alla situazione che si aspettava meno di tutte. Ingoiò ciò che aveva in bocca così velocemente che la sua gola cominciò a bruciare e la testa a girare.
Poi mollò la tazza sul tavolino con un rumoroso tonfo e si pulì le labbra con il tovagliolino gentilmente presentatole da Suzanne, che in silenzio guardava l’esilarante scena del momento.
“porca di quella...!” si trattenne dal dire altro quando, guardandosi attorno, notò parecchi occhi indiscreti puntati sulle tre attirati forse dal tono troppo alto di Ivy.
“la canzoncina smielata, quello sguardo da ebete e i saltelli di stamattina per tutta la casa” la rossa cominciò ad elencare tutte le stranezze dell’ultimo periodo e Hanna non riuscì a nascondere una faccia sconvolta nel sentire l’ultima, della quale non si era nemmeno resa conto.
“che hai combinato, Hanna?” chiese ad un tratto Suzanne e la giovane dovette rassegnarsi e prendere coraggio.
Abbassò gli occhi sul liquido color caramello, “io e Joe ci siamo baciati” disse senza alzarli nemmeno una volta. Il solo fatto di dirlo ad alta voce le fece ricordare il sapore delle labbra di Joseph. La sensazione dei suoi addominali che le aderivano perfettamente. E l’impressione di essersi catapultata in una vita tutta nuova quando, senza neppure staccarsi del tutto, le aveva sorriso in un modo che lei avrebbe ritenuto perfetto, se solo lo avesse visto.
Trattenuta nei ricordi da tutto questo, non ebbe la possibilità di sentire l’urlo strozzato di Ivy e neanche quello più squillante ed eccitato di Suzanne, che non si vergognava di mostrare all’amica tutto il suo entusiasmo.
Hanna smise di seguire con gli occhi il movimento circolare del cucchiaino nel suo bicchiere e guardò l’una e l’altra, ancora e ancora, mettendo riflessione su quanto diverse fossero le loro reazioni.
Suzanne, beh Suzanne faceva Suzanne. E le sembrava anche più coinvolta di quanto apparisse lei stessa.
Ivy invece sembrava più scettica riguardo la situazione, ma anche lei si aprì in un sorriso dopo un pò.
Questa situazione durò per più di un minuto, poi la voce di Suzanne squillò esaltata.
“vogliamo i dettagli” e così dicendo si mise comoda sulla sedia e poggiò i gomiti sul tavolino.
“si, non te la caverai con un ‘ho baciato Joe’” annuì Ivy, che sembrava essersi ripresa dalla notizia.
“per prima cosa, è stato lui a baciare me. E poi era una specie di esperimento per vedere se ci sarebbe piaciuto o una cosa del genere” fece una strana smorfia nel pronunciare la parola esperimento e anche Suzanne, che fino ad allora l’aveva guardata con aria sognante, si era accigliata nell’ascoltare quella spiegazione.
Hanna si mise nella stessa posizione di Suzanne e poggiò il viso sulle mani.
“supponiamo che mi sia piaciuto”
“perchè a te è piaciuto” constatò la mora marcando volutamente il tono sul verbo.
“ho detto supponiamo
“ma non hai negato che ti sia piaciuto” intervenne anche Ivy. Suzanne alzò l’indice e socchiuse la bocca come sul punto di interferire di nuovo e Hanna l’anticipò convinta ormai che nulla avrebbe cambiato loro idea.
Soprattutto se questa era vera.
“Va bene. Mi è piaciuto. E anche a lui, o almeno così ha detto” ammise infine, “ma ora cosa dovrei fare?”
Quella più che una domanda apparve una richiesta di aiuto.
“aspetta” la bloccò Ivy con un gesto della mano “ne avete parlato, di questo esperimento, vero?”
Lei intese lo sguardo ora assente e pensieroso di Hanna come una chiara risposta al suo quesito.
“quando hai intenzione di farlo?”
Quella domanda sembrò risvegliare Hanna.
Che diavolo sto aspettando? Pensò, per poi cominciare a svuotare la borsa di tutti i suoi oggetti alla ricerca del cellulare. Lo trovò e, dopo averla riempita di nuovo del contenuto buttato senza troppa cura sul tavolino, mise in spalla la borsa e si alzò così bruscamente da far dondolare la sedia dietro di sè per un paio di volte.
Guardò l’orario impresso sullo schermo del telefono. Joe doveva essere al lavoro.
“devo andare” disse infine e filò verso la parte opposta dalla quale erano arrivate, salutando le ragazze solo con un cenno della mano.
Le due si guardarono e, attraversate dallo stesso pensiero, cominciarono a ridere.
Entrambe sapevano che due sole cosa potevano far correre Hanna in quel modo.
Il pullman che perdeva ogni mattina quando ancora andava a scuola. E Joseph.
 


L’odore di alcol e sudore che aleggiò nell’aria appena la ragazza aprì la porta del bar le risultò nauseante.
Si trattenne dal portarsi una mano sul naso e proseguì verso il bancone passando tra i sudici clienti. Dovette strizzare gli occhi un bel pò di volte prima di abituarsi a quell’ambiente buio e così poco accogliente, non solo a causa dello strato di polvere che ricopriva ogni cosa come un velo che nessuno aveva intenzione di togliere, delle sedie scricchiolanti o dei gorgogli dei clieni che si gettavano mezzi addormentati sul tavolino stringendo saldamente tra le mani il loro bicchiere.
Quella sgradevole sensazione proveniva dagli sguardi ben poco discreti che si sentiva addosso.
Odiava quel bar. Odiava perfino quel quartiere.
Si sentì sollevata nel vedere la figura del ragazzo, con jeans scuri e una cannottiera bianca con una chiazza di sudore sulla schiena a causa della quale la stoffa si era attaccata alla sua pelle, lasciando intravedere la sua struttura ben scolpita.
“Joe!” urlò come se lui fosse la sua unica salvezza e si chiese se non fosse sembrata troppo disperata.
Il ragazzo si girò verso di lei, con il viso colorato da diverse emozioni tutte insieme.
Sorpresa, gioia, lo stesso desiderio del giorno prima. E anche un pò di paura.
“Joe” sospirò ancora qppena i due si avvicinarono abbastanza da poter intraprendere una conversazione.
Vederlo così vicino le fece uno strano effetto. Comunque fossero andate le cose, sentì che il loro rapporto non sarebbe più ritornato come prima.
Eppure aveva capito che non era quello che voleva. Voleva lui. E basta.
“dobbiamo parlare” continuò lei e il sorriso spuntato sulle labbra di Joseph le strinse il cuore provocandole un piacevole dolore al petto.
“di quello che è successo ieri” neanche lei riuscì a trattenere il sorriso nel pronunciare quella frase, così si morse il labbro in un goffo tentativo di nasconderlo.
Joseph si sentì immediatamente attratto da quel gesto come un magnete che incontra il polo opposto.
Annuì alla ragazza e si guardò intorno, come in cerca di qualcuno.
“Ryan, coprimi per dieci minuti” urlò quando intravide un ragazzo alto e muscoloso circa il doppio.
“no Jonas, l’ho già fatto abbastanza volte per te e la biondina”
A quelle parole mille immagini vennero in mente ad Hanna, sul perchè avesse dovuto coprire Joe e Rebekah. Magari stava vaneggiando, ma il pensiero di Rebekah che lo baciava nello stesso modo in cui aveva fatto lei le sembrò cento volte più insopportabile delle frasi e dei fischi poco invitanti che le rivolgevano quegli uomini ubriachi.
“okay, lascia perdere” disse allora prima di voltarsi verso l’uscita, ma Joe l’aveva già prontamente afferrata per un braccio. Scavalcò il bancone e si mise di fronte a lei, che cercava di evitare il suo sguardo.
“Parliamone stasera. Al compleanno di Nick”
Quell’invito avrebbe dovuto far venire dei dubbi ad Hanna. Insomma, probabilmente ci sarebbe stata anche Rebekah. Per non parlare della marea di sconosciuti ubriachi quasi quanto coloro che la circondavano in quel momento. Ma accettò senza troppi giri di parole.
 
 
E se non state dormendo dopo questo lunghissimo capitolo meritate un biscotto.
Non ci credo, quasi 100 recensioni. Alla centesima che recensisce lancio un pacco intero di biscotti!
Alla prossima

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Capitolo 15
*** Chapter Fifteen ***


Chapter Fifteen

 
Con un gesto automatico Hanna stirò un’ultima volta con le mani il suo vestito, prima di varcare la soglia dell’appartamento dei due fratelli.
La musica ad alto volume si sentiva benissimo anche attraverso la porta chiusa, ma entrare la fece comunque sussultare. La casa che tanto conosceva e tanto le era familiare ora era diventata un covo di sconosciuti che facevano a spintoni per aggiudicarsi una birra.
Anche se si era ripromessa di non farlo più, non potè trattenersi dall’abbassare un’altra volta il vestitino di pizzo color crema che le sembrava fin troppo corto ma che Suzanne aveva definito perfetto.
Non ci volle molto per capire che le due avevano una concezione un pò troppo differente dell’aggettivo perfetto. E poi quella profonda scollatura sulla schiena era davvero troppo per Hanna.
Come se questo non bastasse, i piedi doloranti nelle sue scapre rosse ed estremamente alte non fecero altro che ricordarle la sua prima festa.
Lo sguardo annoiato che aveva stampato in volto diventò immediatamente più cupo.
Il vestito, i capelli, le scarpe. Quelli non erano i veri motivi per cui non si sentiva ad agio in tali circostanze.
Cercò di non pensarci ma le immagini le riaffiorarono vivide senza chiederle permesso.
Hanna aveva solamente quindici anni quando la sua migliore amica era riuscita a convincerla a dare la sua prima festa. Una festa vera, con ragazzi più grandi e tutto ciò che ne consegue.
I suoi genitori erano appena partiti per il week end e sarebbe stato da sfigati non approfittarne, o almeno questo era quello che le aveva detto la sua amica.
Fatto sta che alla fine della festa, lei si era ritrovata da sola, distesa sul letto dei suoi e con un mal di testa atroce, prima di scoprire che un certo Ben Stewart si era già vantato con tutta la scuola di quanto fosse stata fenomenale la nottata con lei.
Non si era allontanata granchè dalla porta, e andarsene senza che nessuno si fosse accorto della sua presenza era possibile e anche molto allettante, fino a quando non vide la figura del ricciolino farsi spazio tra quei ballerini improvvisati e raggiungerla con in mano due bicchieri contenenti un liquido trasparente.
“Hanna, sei venuta!” esclamò Nick per poi porgerlene uno, che Hanna rifiutò con un cenno del capo.
Nicholas fece spallucce e vuotò prima uno e poi l’altro, mentre la ragazza continuava a guardarsi attorno come un topo in gabbia e destinato alla vivisezione.
“e sei anche sexy” continuò ridacchiando e Hanna gli sorrise beffarda.
“contento che ti piaccia e felice di vedere che la vecchiaia non ti ha cambiato, Nicholas” il sorriso scomparve con la stessa velocità con il quale era arrivato.
“andiamo, ti faccio conoscere un pò di gente. O ti interessa solo mio fratello?” la prese in giro lui mentre Hanna si chiese se Joseph avesse davvero parlato di quel bacio con lui. Era possibile, in fondo lei lo aveva fatto con le sue amiche. Eppure il solo pensiero la mise in agitazione.
Nel frattempo una mora dai capelli liscissimi e gli occhi azzurri cerchiati di nero si era avvicinata a Nicholas, aggrappandosi al suo braccio. Lui l’aveva velocemente congedata con un gesto della mano che prometteva che si sarebbero visti più tardi.
“Joe è qui in giro da qualche parte. Se non lo trovi, cerca me. In verità sarei già prenotato, ma per te farei un eccezione”
“ci stai provando con me, Nick?” chiese lei e poco dopo entrambi finirono col ridere. Nicholas la lasciò probabilmente per raggiungere quella ragazza e Hanna si sentì ancora più in trappola senza l’unico amico che aveva incontrato in mezzo a tutta quella folla. In fin dei conti scherzare con Nick era una prospettiva piuttosto piacevole confronto a quella di cercare Joe e parlare. Parlare di cosa, si chiese. Perchè con tutto quel fracasso non si poteva parlare. Si poteva solo urlare e non era di certo il modo giusto di affrontare quella situazione già abbastanza imbarazzante da sè.
Ma ormai era lì. E anche Joseph era lì. E la stava salutando con un gesto della mano, alla quale lei aveva risposto immediatamente con un sorriso.
“ehi, ti stavo aspettando”  Joe fece per avvicinarsi, ma si bloccò a mezz'aria consapevole della stranezza della situazione così decise che un breve abbraccio sarebbe stato più consono alle circostanze.
“sai, non avevo nient’altro da fare” si giustificò Hanna mentendo spudoratamente.
Per quanto potessero essere ipnotizzanti gli occhi di Joseph, le venne spontaneo distogliere i suoi da quelli del ragazzo per puntarne altri due in lontananza, altrettanto belli ma molto meno apprezzati.
Rebekah non l’aveva vista, ancora, altrimenti il suo sorriso non sarebbe stato tanto allegro e la sua risata tanto spontanea.
“C’è Rebekah” disse a bassa voce senza nemmeno guardare lui. Era impossibile poter sentire quella frase, ma Joe ne capì immediatamente il senso seguendo i movimenti delle sue labbra. Hanna era troppo pensierosa per poter notare che Joe non aveva fatto altro che guardarle, perchè anche se la presenza di Rebekah era stata una delle poche certezze per la serata, aveva sperato con tutto il cuore di sbagliarsi e di non vederla.
Tra un saluto e l’altro, la bionda si avvicinò sempre più verso di loro. Così facendo avrebbe visto Hanna molto presto, se solo non fosse stata inaspettatamente trascinata da Joe all’interno della porta che era alle loro spalle.
Joseph accese l’unica lampadina presente in quello sgabuzzino senza nemmeno rendersi conto che la sua mano era ancora intrecciata a quella di Hanna. Lei si divincolò e la stretta del ragazzo divenne quasi nulla, in modo che entrambe potessero tornare libere.
Quella luce fioca e giallastra segnava debolmente i lineamenti del viso di Joe rendendolo ancora più irresistibile agli occhi di Hanna, che non riuscì neanche a chiedere spiegazioni su quel gesto.
“qui possiamo parlare” intervenne Joseph mettendosi proprio al di sotto del fascio di luce.
“C’è Rebekah” ripetè quella frase inconsapevole che lui l’avesse già sentita “e se Rebekah è qui presumo che tu non le abbia detto nulla” non era una domanda la sua.
“Perchè? Per te non significa nulla quel bacio? Vuoi tenerglielo nascosto per paura che ti lasci, o non sai cosa fare?” ora la voce di Hanna si era alzata nettamente mentre Joe aspettava che finisse di parlare.
“allora, quale tra queste è la motivazione?”
Hanna si allontanò muovendosi all’indietro e nello stesso momento Joe fece il gesto contrario, spingendosi in avanti e urtando i piedi contro uno scatolone stretto e lungo. I fogli, le matite e le penne contenuti al suo interno si riversarono sul pavimento facendogli quasi perdere l’equilibrio e costringendolo a poggiare una delle mani al muro.
“Insomma Joe, cosa è significato per te?” ad Hanna sembrò mancare l’aria quando si rese conto che lo spazio tra lei e Joseph era incredibilmente piccolo e non poteva essere altrimenti, a causa di quello stretto stanzino nella quale si erano cacciati.
"Lo sai che non sono mai stato bravo con le parole"
Quella fu l’ultima frase che sentì prima di perdere ogni collegamento col mondo esterno se non per percepire la mano di Joseph che sfiorava la sua schiena scoperta. Joe la costrinse a guardarlo alzandole il mento con due dita, poi abbassò gli occhi incrociando quelli della ragazza e socchiudendo le labbra senza che ci fosse nessun contatto con le sue. Eppure Hanna poteva giurare di sentire il solletico della sua barba contro la bocca e la guancia.
“Hai il lucidalabbra” Hanna annuì e spostò entrambe le mani sul suo petto invece di lasciarle inerti lungo il corpo.
“è alla fragola”
“io amo le fragole” sussurrò lui di rimando nel modo più sensuale che sapesse utilizzare.
“e questo cosa vuole significare” chiese Hanna mentre cominciava a tracciare il contorno delle labbra di Joseph con il dito. Lui prese una ciocca di capelli e la sistemò dietro l’orecchio, come era solito fare prima di baciare una ragazza.
Ma questa volta non lo fece. Rimase solamente a guardarla, lasciando che lei si perdesse in quella distesa di caramello che erano i suoi occhi.
“significa che quando vedo te, con quelle fossette sulle guancie quando sorridi e i tuoi grandi occhi, ho solo voglia di guardarti, e accarezzarti, e baciarti” il pensiero di quest’ultimo gesto fece fremere entrambi.
“e gli scatoloni pieni di articoli scolastici fanno una brutta fine” concluse animando quello che per lui era il suono delizioso della risata di Hanna.
La ragazza ebbe voglia di raccontare a Joe tutti i suoi sentimenti, tutto quello che invece la sua vicinanza provocava  a lei praticamente da quando lo aveva conosciuto. Quanta energia e dolore costasse trattenere tutto ciò per salvaguardare il loro rapporto. Ma il pensiero di doverlo ancora nascondere per via della situazione del ragazzo la fece trattenere ancora una volta.
“lo sai che non sarà possibile finchè non lasci Rebekah” disse solamente, e Joe annuì convinto.
Il suo sguardo rassicurante ebbe per lei l’effetto di un pugno nello stomaco.
Joe non era per niente insicuro, spaventato o disorientato da questa situazione.  Allora perchè lei doveva esserlo così tanto? Il problema era Joe e il fatto di non fidarsi della sua decisione?
O era così tanto abituata a nascondere i suoi sentimenti che portarsi allo scoperto la terrorizzava?
In cuor suo sentì che l’ultima era la sola e unica causa.
“dovremmo tornare al compleanno di Nick o penseranno che questi siano una specie di due minuti in paradiso, o dieci, o quanti diavolo sono” Hanna accompagnò il tutto con marcati movimenti della mano e Joe non riuscì a non pensare a quanto fosse adorabile quando cercava di sfuggirgli. Ma stavolta non glielo avrebbe permesso.
Portò la mano nella tasca posteriore dei jeans e fece penzolare davanti agli occhi di Hanna un mazzo di chiavi.
“Aspettami in macchina. Io mi libero di questa gente e ti raggiungo” disse prima di aprirle la mano e lasciarle cadere sul suo palmo.
“E dove dovremmo..” cercò di chiedere lei ma Joe aveva già aperto la porta, costringendo anche lei ad uscire, molto cautamente.
“Vieni con me e basta” le sussurrò all’orecchio prima di immergersi tra i ragazzi che sembravano non curarsi minimamente del loro comportamento.
Joe le stava chiedendo di fidarsi. Le stava chiedendo di buttarsi nell’ignoto.
Di dimenticare cosa è giusto, cosa non lo è.
Insomma, un pò come i pop corn dolci. Tutti quanti sono consapevoli che quelli salati sono i migliori, ma nessuno può giudicarli sbagliati.
Magari ciò che è sbagliato potrebbe essere la cosa più bella che ti sia mai accaduta. E i pop corn dolci la cosa più buona che tu abbia mai mangiato.
Joe le stava chiedendo proprio questo e, cosa ancora più difficile, le stava chiedendo di affrontare la paura di lasciarsi andare. Con lui.
In quel momento sentì un piacevole formicolio allo stomaco prendere il posto di quel peso che la torturava.
Lei lo avrebbe fatto. Oh, certo che lo avrebbe fatto.



Ma ccciao a tutti,
Nick è assolutamente diverso dalla realtà, ma non mi andava di descriverlo come il 'vero' Nick perciò ecco qui il suo sosia/stronzo.
Come sempre ringrazio chi continua a mettere tra seguite, preferite e ancora di più chi recensisce spingendomi a continuare 
Non so quando aggiornerò di nuovo, perchè in questo periodo ho una mancanza di voglia/ispirazione assurda.
Beh, alla prossima comunque e ditemi che ne pensate 

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Capitolo 16
*** Chapter Sixteen ***


Si, sono tornata, tremate ora (?)
Non aspettatevi granché però, vi ho avvertito.

 

 
Chapter Sixteen

-Incredibile quanto possa diventare interessante il colore del tuo smalto quando non si ha nient’altro da fare- pensò Hanna , mentre grattava via anche l’ultimo strato di smalto rosso sul pollice. L’orologio nell’auto-discarica di Joseph segnava che non era passato neanche un minuto da quando aveva puntato gli occhi su di esso l’ultima volta, ma erano passati pur sempre più di quindici minuti da quando aveva deciso di aspettare il ragazzo nella sua macchina.
Si chiese un’altra volta se quella fosse la cosa giusta da fare, e per l’ennesima volta la risposta fu: no, ma a chi importa?
A lei, no di certo. O almeno, le importava ma si era ripromessa di non sprecare più nessuna occasione. I due anni precedenti le erano serviti da insegnamento.
D’altronde, chi era ossessionata da sogni dal significato piuttosto palese? Lei.
E chi era che si era fatto avanti? Lui.
Questa di per sè era già la prova che era rimasta all’oscuro troppo, troppo tempo.
E poi non sarebbe successo niente di niente, dato che entrambi erano convinti che nascondere le cose non portava mai a nulla di buono, perciò qualsiasi pensiero riguardante un’ipotetico Noi tra Joseph e Hanna doveva essere rimandato, almeno per ora. Almeno fino a quando Rebekah non fosse uscita di scena.
Sembrerebbe brutto pensarla in questo modo, e infatti Hanna aveva anche avuto voglia di chiedere espicitamente al ragazzo di mollare la sua fidanzata in quel momento se davvero aveva intenzione di farlo, ma pensandoci meglio preferì mordersi la lingua e non condividere tutti i suoi pensieri con Joseph. In fondo, loro stavano insieme da più di cinque mesi. È comprensibile un pò di tatto e rispetto, soprattutto in una situazione tanto delicata.
Alzò il volto e socchiuse gli occhi fino a farli diventare appena due fessure quando una luce accecante puntò proprio verso l’auto. Poi la luce cominciò a lampeggiare ad intervalli irregolari e gli occhi di Hanna, che si erano finalmente abituati a quel bagliore, riconobbero quella figura tanto attesa in sella ad un motore.
“cambio di programma!” esclamò Joseph appena la ragazza, ormai scesa dall’auto, gli fu abbastanza vicina.
“è la moto di Nick?” chiese lei pur certa che solo Nicholas poteva possedere quel mostro, e certa anche che non l’avrebbe mai prestata a Joe, mai di sua spontanea volontà.
“l’ho presa in prestito. Sono sicuro che avesse lasciato le chiavi nella sua stanza apposta per me” scherzò lui, dando dei colpetti con la mano sulla parte di sella vuota dietro a sè. Hanna lo intese come un chiaro segno di seguirlo e salì senza pensarci troppo. Anche perchè se ci avesse pensato, probabilmente avrebbe proposto a Joe di seguirlo con la macchina, o andare a piedi, dovunque la stesse portando. Tutto pur di non salirci su.
“tieni, metti questa” Hanna si ritrovò tra le mani la giacca nera di pelle che Joe si era appena sfilato. Insistette col dire che non ne aveva bisogno, ma lui la costrinse a indossarla prima di offrirle anche il casco.
Ciò che sentì dopo fu solo il rombo assordante del veicolo. Pochi secondi dopo, senza rendersi conto di come e quando, si ritrovò con le gambe saldamente aggrovigliate al motore e le braccia strette attorno a Joe nel tentativo di non essere buttata all’indietro dall’alta velocità.
Il vento freddo e pungente che batteva contro le sue gambe scoperte le fece amare il giubbotto che proteggeva, pur non completamente, la parte superiore del suo corpo e solo allora si ritrovò ad apprezzare pienamente il gesto di Joe.
Avrebbe dovuto sentirsi bene, rannicchiata contro di lui mentre sfrecciavano tra un auto e l'altra verso una meta sconosciuta forse a entrambi, eppure sentiva che il momento in cui avrebbe riappoggiato i piedi al suolo sarebbe stato uno dei più gradevoli della sua vita.
Il viaggio durò poco più di venti minuti. Il luogo da raggiungere, da quello che Hanna era riuscita a capire, non doveva essere molto lontano, ma nonostante fosse notte inoltrata il traffico li aveva rallentanti.
Non riusciva ancora a percepire a pieno la voce di Joe dato che le sue orecchie continuavano a ronzare, anche se molto più silenziosamente di prima. Così il suono delle parole del ragazzo le arrivò ovattato e dovette aspettare che lui le ripetesse per capire.
“puoi staccarti, ora” disse di nuovo il moro in tono incredibilmente dolce. Forse perchè quella situazione era più piacevole per lui che per lei.
Solo in quel momento Hanna notò che la moto era ferma, sostenuta dai piedi stabili di Joe, in attesa che lei scendesse. Cercò di rimediare al suo ritardo il prima possibile, ritrovandosi pochi secondi dopo a terra, i piedi un pò meno stabili di quelli del ragazzo per via delle scarpe scomode e delle gambe che tremavano per il freddo.
L'inverno stava arrivando, e si era gia pesantemente fatto sentire nella fredda e glaciale New York anche senza quel viaggio in moto, che di certo non aveva contribuito in bene.
Si guardò attorno mentre Joe sistemava la moto senza troppa cura, e per un attimo rimase confusa. Erano di fronte ad un cancello. Alto e grigio, con uno stemma rosso sulla quale era inciso il nome Cruze.
Avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa del genere, quando aveva deciso di andare con Joseph.
 
 
 

 
Vi spiego subito. Questo doveva essere l’inizio del prossimo capitolo, ma dato che è passato tanto tempo dall’ultimo aggiornamento e non avevo idea di quando lo avrei finito, vi ho lasciato questo mezzo  capitoletto corto e pure scritto male. Siate clementi con gli insulti, non ho potuto fare di meglio.
Alla prossima, se ci sarete ancora.
(Spero di si)

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Capitolo 17
*** Chapter Seventeen ***


Chapter Seventeen
 

Hanna si aggrappò al cancello. “E’ un campo da golf?” chiese notando un vasto prato verde con tanto di collinette e un paio di bandierine qua e là. Questo era tutto ciò che poteva vedere con l’aiuto della luce della luna.
“Si, è un circolo di ricconi. Il proprietario è amico di mio padre”
La ragazza guardò Joseph come per chiedergli cosa ci facessero in quel circolo, sicuramente privato, sicuramente costoso, sicuramente non accessibile di notte. Per tutta risposta, Joe cacciò dalla tasca l’ennesimo mazzo di chiavi, ne scelse una decisamente più grande delle altre e spalancò il grosso cancello ben oliato senza alcuno sforzo.
“E tu perchè hai le chiavi?” Hanna esitò a seguire il giovane all’interno dell’area privata. Il proprietario era amico di suo padre, ma Joe non andava granchè d’accordo con lui. E anche se fosse, i proprietari di una roba del genere non vanno a distribuire mazzi di chiavi a destra e manca come pacchetti regalo con tanto di fiocco. “Joe, le hai prese alla festa?” chiese allora lei, e lui trattenne un sorriso.
“Sono un prestito da parte del figlio del riccone” disse poi, dopo averle allungato la mano in un cortese  gesto che la invitava a seguirlo. Hanna invece incrociò le sue al petto.
“Rimetteremo tutto a posto prima che mio fratello e Mark Cruze siano troppo sobri per rendersene conto”
Si giustificò il moro, non prima di aver roteato gli occhi davanti alla strana reazione della ragazza.
“Non è legale entrare in un circolo privato se non si è soci, di notte”. In realtà Hanna aveva tutta l’intenzione di seguire Joe, anche se questo non era legale, e forse soprattutto perchè questo non era legale. Ma volette testare i nervi del ragazzo, che aveva risposto alla sua affermazione con tanto di sbuffo. La divertiva da matti farlo infastidire.
“È illegale solo se ci scoprono” a quelle parole una risata generale risuonò nel silenzio e Hanna passò davanti a Joseph, prendendo il comando. A conti fatti, però, riuscì a mala pena a fare un paio di passi, quelli che bastarono a far sprofondare i suoi tacchi nel terriccio ghiaioso tutt’intorno a loro. Quello dalla quale si erano introdotti doveva essere uno dei cancelli secondari, perchè non vi era nessuna stradina asfaltata che coduceva all’interno dell’edificio lontano da loro un centinaio di metri. Forse l’aveva condotta qui per evitare allarmi, telecamere o qualsiasi forma di sicurezza posta all’entrata principale.
“Aspetta” le sussurrò lui dopo aver percorso il breve tratto di distanza che li separava. Si chinò verso i suoi piedi e le sfilò prima una e poi l’altra scarpa, mentre lei cercava di mantenere l’equilibrio poggiando le mani sulla sua spalla. A gioco fatto, Joseph raccolse entrambe le scarpe con una mano e, con l’altra, raggiuse l’entremità del braccio di Hanna per poi intrecciare le loro dita.
Qualche istante dopo, qualcosa di gelato cadde sulla fronte di Hanna, e poi anche su Joe perchè entrambi alzarono il viso verso il cielo in cerca di qualche segno. Come risposta, un’ondata di goccioline cominciò a scendere. Prima pian piano, poi con un ritmo sempre più incalzante che li costrinse a correre verso il riparo più vicino. Un grosso capannone che fa da parcheggio per i mezzi del circolo li stava attendendo, quindi con un ultimo stacco di velocità, cercarono di raggiungerlo. La gocce di pioggia erano così fine e leggere che puntellavano la loro pelle scoperta come fossero aghi congelati, e Hanna stava correndo a piedi nudi sull’erba appena bagnata, ma in fin dei conti era una situazione piacevole. Soprattutto perchè la mano salda e calda di Joseph aggrappata alla sua, e quell’implacabile calore che da essa le si diffondeva in tutto in corpo, come se penetrasse nella pelle, nelle sue ossa perfino, le facevano senz’altro amare quella sensazione di freschezza dovuta alla pioggia.
Entrambi si gettarono all’interno di quel grande magazzino bianco appena Joe trovò la chiave corrispondente nel mazzo preso in prestito dal figlio dei Cruze. Ridevano. Nessuno dei due sapeva il perchè, eppure continuavano a ridere come se quella fosse la cosa più divertente a cui abbiano mai assistito. E invece era solo pioggia. È incredibile quanto possa tirare a lungo un argomento come i piedi di Hanna sporchi di fango o il gel sui capelli di Joseph che, nonostante la pioggia, non li aveva fatti spostare di un centimetro. Fatto sta che alla fine dovettero sedersi a terra, col respiro ancora affannato per la corsa o, molto più probabilmente, per le troppe risate. Hanna riferì a Joe del dolore allo stomaco che tutto quel ridere le aveva procurato, e poi rimasero in silenzio per un bel pò. Con un occhiata qua e là attraverso il buio, si poteva notare che il capannone non era vuoto. Come aveva detto Joe, all’interno vi erano parcheggiati decine e decine di piccole auto e altri mezzi di manutenzione. Con una valutazione più attenta, però, constatarono che quelle non erano piccole macchine ma golf cart. Tutte verniciate di un lucido bianco perlato e con stampato davanti il numero corrispondente a caratteri blu. Hanna si distese ai piedi di uno di essi e Joe la raggiunse, sistemando il suo braccio sotto la testa di lei in modo che entrambi stessero più comodi. Il viso di Hanna era girato verso l’uscita del magazzino, così che potesse vedere il flusso d’acqua costante che si era impossessato di quel posto e chissà quando lo avrebbe lasciato, e lo strano effetto luminoso della luce della luna che rifletteva su quelle goccioline.
"Perchè siamo qui?" chiese ad un tratto al ragazzo. Hanna si voltò al lato opposto, verso Joseph, e sistemò meglio la testa nell’incavo del suo collo attendendo la risposta. Sentì poi i muscoli del giovane irrigidirsi sotto al suo corpo, stringerla più forte e lui degludire rumorosamente.
“Venivo sempre qui da piccolo, mi ci portava mio padre” Hanna restò immobilizzata in quella dolce stretta aspettando che continuasse. Stranamente, aveva intuito che questo non era un posto qualsiasi dove divertirsi trasgredendo le regole. Poi Joseph continuò. “Qui, in fondo al capanno, c’è uno stanzino, che per qualche strano motivo è collegato alla cucina del ristorante accanto. Quello era il mio posto preferito.”
“Uno stanzino il posto preferito per un bambino?” chiese Hanna curiosa.
“Si, insomma, credo di essere stato un bambino un pò strano” Joe si lasciò sfuggire una risata, poi riprese serio. “Una volta stavo cercando di imparare a giocare a golf con mio padre, lanciai la mazza in aria e questa mi piombò dritta in testa. Mio padre si avvicinò e io pensai qualcosa come: bene, ora mi dirà che la prossima volta andrà meglio. E invece mi tirò uno schiaffo al posto di consolarmi, dicendo che tutti i veri uomini devono imparare a giocare a golf.” Un sorriso amaro solcò il volto di Joe “Ma io avevo solo 7 anni. Così venni qui, attraversai questi aggeggi e mi rifugiai in quello stanzino tutto il giorno.”
“E poi? Ti ha cercato?” Hanna si appoggiò al gomito in modo da poter guardare Joe dritto negli occhi. Era la prima volta che Joe parlava della sua infanzia. Le aveva sempre detto di non andare troppo d’accordo con i suoi genitori, e per questo aveva preso in affitto l’appartamento nella quale abitava senza pretendere nulla da loro. Ma mai qualcosa riguardante la sua infanzia. In quel momento, la ragazza potè definire meglio le differenze tra le loro due famiglie. Entrambi distanti, si. Ma almeno Hanna poteva giurare che i suoi non le avevano mai fatto mancare nulla, da piccola. Anche se ora erano lontani da... quanto? Non lo ricordava quasi più.
No, forse non erano poi così diverse.
“No” disse infine Joe, e fece una nuova, lunga pausa. “No, sono tornato io da lui prima che il circolo chiudesse. Era lì a parlare con i suoi amici di mazze e partite di football”.
Hanna non sapeva cosa dire. Ogni cosa che pensava le sembrò stupida, ovvia o per niente di conforto, quindi preferì tornare alla posizione iniziale, abbracciando Joe e inspirando il suo profumo come se fosse fonte di vita. Joseph pensò che quei gesti erano l’unica cosa di cui aveva bisogno, non le parole.
“Sai, avevo intenzione di stenderci sul prato, guardare le stelle e dire che nessuna splende come i tuoi occhi, ma a quanto pare è impossibile” scherzò lui per rianimare la situazione. Hanna sorrise per il suo tentativo, poi si mise seduta accanto a lui, ancora disteso.
“Perchè non facciamo qualcosa di più divertente” propose col tono più provocante che riuscì a trovare. Insinuò una mano al di sotto della maglietta del ragazzo, accarezzando gli addominali che ora sembravano più scolpiti di quanto ricordasse. Poi la ritirò velocemente, risistemando l’indumento con cura.
"Ho la sensazione di sapere cosa vuoi fare" rispose lui, divertito dalla situazione. Hanna probabilmente arrossì, ma prima di allarmarsi ricordò che in quel locale buio i due si vedevano a mala pena. Il ragazzo la raggiunse in posizione seduta e, col dorso della mano, prese ad accarezzarle un braccio.
“È un invito ufficiale?" Joe sorrise mostrandole la lunga fila di denti perfettamente allineati.
“Credo di si.”
 
 
"Datti una mossa!" Ridacchiò Hanna, prendendo a canzonare il ragazzo. La sua voce doveva provenire da dietro, e allora perchè la sentiva così vicina? Joe allora guardò uno degli specchietti e vide il vuoto dietro a sè. Trattenne a stento un urlo di rabbia quando vide il golf cart di Hanna sfrecciare davanti al suo senza che si rendesse conto del suo imminente recupero. Hanna, al contrario di lui, non aveva intenzione di limitare i festeggiamenti per la sua probabile (ed ennesima) vittoria.
Il ragazzo le urlò qualcosa, mai il suono della voce venne del tutto attuttito da uno strano rumore che fuoriuscì dal suo golf cart. In un attimo, un ondata di fumo grigio gli oscurò la vista e la vettura si fermò di colpo. Forse quegli aggeggi non erano fatti per correre così tanto e a quella velocità.
Joe scese maledicendo quel catorcio che aveva scelto per la loro gara, poi alzò lo sguardo verso la collina di fronte a sè e la figura che saltellava attorno ad una bandierina rossa, sotto una cascata di pioggia.
Richiamò Hanna con degli ampi gesti delle braccia e quando lei si accorse di cosa era successo, quasi crollò a terra dalle risate. Joe sorrise e cercò anche di spingere il suo mezzo di trasporto fin su la collina, per non essere ritenuto del  tutto un perdente dalla giovane, ma ci rinunciò dopo che qualche misero tentativo. Hanna lo raggiunse prima che lui facesse qualche metro.
"Per precisare, è colpa del mio golf cart se hai vinto" Joe si avvicinò a lei ancora col fiatone per lo sforzo inutile mentre Hanna continuava a saltellare da una parte all'altra. Quello era il suo ballo della vittoria.
"Se ho vinto, tre volte" rispose poi, arrogante.
"Se hai vinto tre volte" ripetè lui come se niente fosse, sfoderando una delle sue solite espressioni cretine, che a lei piacevano da impazzire.Entrambi erano completamente bagnati. I capelli di lei ricadevano dietro la spalla in un aggroviglio di boccoli castani fino a coprirle la schiena lasciata scoperta dal vestito, dato aveva lasciato nel parcheggio la giacca prestatale da Joe. Inoltre, il trucco le era colato fin sopra le guance e i piedi, sotto quello strato di terra bagnata che li imbrattava, erano diventati viola per il freddo. Nonostante tutto, lei stava meravigliosamente. E, nonostante il suo aspetto trasandato, Joe la trovava magnifica. Forse anche più di prima, perchè ora aveva l’aria spontanea e libera da ogni convenzione che amava tanto di lei.
“Sei la cosa più bella che mi sia mai successa” le parole di Joe uscirono fuori dalla bocca senza chiedergli permesso e, in quel preciso momento, Hanna smise di ridere.
“Sei la cosa più bella che abbia mai avuto” ora si stava avvicinando alla ragazza immobile davanti a sè. Si chiese anche se lei stesse trattenendo il respiro, perchè neanche le spalle e il petto si muovevano. “E non importa cosa io cerchi di fare. Io non amo Rebekah. Sei tu quella che mi è entrata dentro. Sei sempre stata dentro di me, solo che non lo capivo. E non credo che ne uscirai tanto facilmente” al contrario di quello che poteva pensare Joe, Hanna stava respirando, anche se a fatica. Ogni boccata di aria nei polmoni sembrava provocarle un piacevole dolore, lo stesso dolore che aveva provato quando lui le aveva chiesto di seguirlo.
“Sono una persona migliore da quando sei diventata ogni mia speranza e ogni mia ragione. Sei la mia iniezione di vita, Hanna.”
In quel momento il mondo intorno a lei sarebbe potuto precipitare in frantumi verso il nulla, e lei non lo avrebbe comunque percepito. “Non eri quello che non era bravo con le parole?” riuscì solamente a dire, mentre cercava di inalare più aria possibile perchè una normale respirazione non le bastava più.
Joseph non seppe che rispondere, e così rimase in silenzio in attesa della sua risposta. Lo sentiva, lo percepiva dai suoi sguardi, e da come lo aveva trattato dopo quel loro bacio non programmato dopo il litigio con Rebekah, e da come le aveva sorriso nel bar e da tanti altri mille particolari. Non erano mai stati amici. Loro non erano fatti per essere solo amici, erano fatti per essere molto di più di quello. Finalmente Hanna riprese il controllo su ciò che stava succedendo e capì che quelle parole Joe le aveva dette sul serio. E lei avrebbe detto le stesse identiche cose, se solo ne fosse stata in grado. Così si avvicinò e disse l’unica cosa che avrebbe dovuto dire fin dall’inizio.
“Fingere di non amarti è stata la cosa più difficile che potessi fare” un sussurro, il suo. Ma quel sussurro le bastò ad alleviare il fardello che si portava dietro da anni, e bastò a Joseph per capire che quello che pensava non era solo una sua fantasia. Prima che qualcun’altro parlasse, Hanna lo prese e lo baciò. Era la prima a non voler continuare quella situazione con Rebekah ancora in gioco, ma non potè farne a meno. Poggiò le labbra sulle sue, di un perfetto color rosa, per poi iniziarle a muovere senza che lui facesse niente.
Forse ipnotizzato da quel gesto inaspettato o da quella ragazza che gli provocava un sentimento che da tempo cercava di spiegarsi.
Aveva resistito per due anni e sentiva di non poterlo fare più neanche per un altro secondo. E poi era sempre stato lui a prendere l'iniziativa, e aveva una disperata voglia di lanciarsi andare come lui la aveva invitata a fare portandola fin lì. Joseph rispose al bacio solo dopo poco. Quel bacio che sapeva di pioggia, di umido e aveva l’odore di erba bagnata, cose a cui nessuno dei due fece troppo caso.
 “Ti amo” sussurrò poi Hanna con un filo di voce, ma non troppo basso, affinchè il ragazzo udisse quelle parole.
Quelle parole che non aveva mai rivolto a nessuno, oltre che a suo padre quando, da piccola, raccontava a tutti che prima o poi l’avrebbe sposato. Quando ancora i suoi genitori le erano accanto.
Ti amo.
Joseph si allontanò quel poco che gli bastava per guardarla negli occhi ma nessun suono fuoriuscì dalla sua bocca semiaperta. Hanna potè giurare di sentire il suono martellante del cuore che le si dimenava nel petto, il vento che scuoteva le foglie, anche il fruscio dell’erba che le solleticava i piedi. Ma niente, nulla dalla sua bocca. Joseph continuò a guardarla per un tempo che ad Hanna sembrò infinito.
Ma gli occhi color caramello di Joseph non erano i soli a fissarla.
Una decina di di occhi rossi tutt’intorno erano puntato su di lei, e su di lui. Quelli erano gli occhi vitrei delle telecamere di sicurezza.
 
 
 
Lo so, fa schifo. Non lo dico per farmi dire "no, è bello" ma perche lo penso davvero. Allora vi chiederete perche l'ho pubblicato, e io vi dirò che non mi è uscito di meglio.
Pensavo di poter finire questa storia prima della mia partenza, ma devo dirvi che pubblicherò il prossimo capitolo tra circa tre settimane. Ho già scritto una metà, devo solo finirlo.
Beh, spero di trovare tante recensioni al mio ritorno, non vorrete mica lasciarmi triste a piangere in un angolino, vero? AHAHAHAHAH
No davvero, non lasciatemi sola. Per me sono importantissime, soprattutto quando qualcosa non mi convince, come ora.
Un bacione a tutte e “buon” inizio scolastico
 

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Capitolo 18
*** Chapter Eighteen ***


Chapter Eighteen

Il comandante Sullivan era un uomo corpulento, dai lunghi baffi grigi che gli si arricciavano sul naso grosso e le guance rosse, proprio come ci si aspetta che sia un comandante della Polizia. Era forse per questo suo aspetto stravagante e un po' troppo da film che le parole che gli uscivano dalla bocca non riuscivano a colpire particolarmente nessuno dei due ragazzi. Joe e Hanna erano lì da circa tre quarti d'ora e per tutto questo tempo non avevano fatto altro che stare seduti, fissare l'uomo di fronte a loro, e imitare un'aria dispiaciuta. Non che si sforzassero granchè. Soprattutto Hanna, ogni tanto si lasciava sfuggire qualche risatina dovuta a quei strani baffi, o a Joe che di nascosto dal comandante allungava una mano verso di lei. Mano che veniva puntualmente allontanata, schiaffeggiata, o pizzicata da un Hanna piuttosto divertita.
Come se questo spettacolo passasse inosservato, Sullivan continuava a rimbeccarli su quanto fosse sbagliato introfularsi in una proprietà atrui, come copione richiedeva.
"Le ho detto che avevo le chiavi, questa non può essere definita una violazione, sbaglio?" Il viso di Joe era calmo e controllato mentre cercava di giustificare l'intromissione sua e della ragazza all'interno del circolo privato dei Cruze, la famiglia di ricconi tanto cara ai suoi genitori.
"Esatto, ma Mark Cruze ha riferito di aver perduto le chiavi, la sera della festicciola nella sua casa, signor Jonas"
"Mark Cruze era ubriaco la sera della mia festicciola" Joseph imitò l'uomo di fronte a sè con aria spavalda.
Hanna cominciò a pensare che quel suo comportamento non avrebbe portato a nulla di buono. Colpì piano la gamba di Joe con la sua, fingendo di accavallarle. Joe si voltò lanciandole uno sguardo rassicurante che non fece altro che incrementare la sua preoccupazione.
L'unico pensiero che la consolava era che, essendo maggiorenne, i genitori di nessuno dei due sarebbero stati informati di tutto ciò. A meno che non si fosse giunti a misure estreme, cosa improbabile.
 Meglio così, anche perchè un viaggio Parigi-New York non era poi una cosa da niente.
Il grosso uomo dall'altra parte del tavolo bianco si sistemò meglio sulla poltrona mogano e cominciò a seguire con le dita della mano destra il complicato disegno intagliato sui braccioli.
Sotto quell'intrico di baffi ad Hanna parve di intravedere quello che doveva essere un sorriso.
"Ho convinto il Sign. Cruze a non fare denuncia, a nessuno dei due, per via della questione del figlio e della grande amicizia con suo padre, Sign. Jonas" l'uomo sulla cinquantina rivolse lo sguardo a Joseph, per niente sopreso del fatto. Hanna invece non potè trattenere un sospiro di sollievo nell'udire quelle parole. Se l'erano scampata quella volta. “Quindi, oltre al rimborso per il golf cart danneggiato non vi sarà fatta alcuna sanzione”
La sensazione che si impadronì di lei subito dopo era molto più piacevole e si morse il labbro per non sorridere troppo vistosamente. Trasgredire le regole con Joe era stato bello, in fin dei conti.
"E ora andate, ho cose più importanti da fare" Sullivan congedò i due con un gesto della mano e Hanna e Joe si alzarono contemporaneamente dalla sedia, impazienti di uscire da quella stanza troppo bianca e spoglia.
"Grazie, Sign. Sullivan" disse piano Hanna quando questi le aveva strinto la mano. Nello sguardo dell'uomo notò uno strano senso di comprensione. Come se la vista di quei due ragazzi tanto giovani e spensierati gli avesse riportato alla mente i bei momenti della sua giovinezza.
-Chissà, magari anche lui aveva fatto qualcosa del genere alla nostra età- si ritrovò a pensare lei.
Joe e Hanna si rivolsero la parola solo dopo essersi ritrovati sul marciapiede sulla quale si affacciava il distretto di polizia.
"Eri così sicuro che non ce la saremmo cavata" affermò Hanna, sorridendo.
Avrebbe voluto intrecciare le dita a quelle del ragazzo ma come tutte le volte dovette trattenere il suo istinto. Un conto è lasciarsi andare in un campo da golf deserto, un altro in mezzo alle strade affollate di taxi gialli e automobili.
Joe, come se avesse avvertito il suo desiderio, prese la mano di Hanna e la strinse tra le sue, portandosela alle labbra. La sua mano era bagnata, i palmi sudati e il sorriso di Joseph troppo forzato. Hanna ottenne la spiegazione prima ancora di chiederla.
"Ho deciso che è ora di parlare con Rebekah" disse, alleggerendo un po' della sua ansia. Ma non poteva essere solo questo il motivo della sua stranezza.
"È per questo che stai sudando così?" Scherzò la ragazza. Con la mano asciugò poi le goccioline sulla fronte del giovane e spostò i capelli che gli si erano appiccicati sopra.
Inutile cercare di nascondere il sollievo di quella sua decisione. Era inevitabile. Sarebbe successo, prima o poi. Ma la certezza che, la volta successiva in cui lo avrebbe rivisto, sarebbero finalmente potuti essere tutto quello che realmente volevano, l'aveva resa sicura e agitata al tempo stesso.
"No. In realtà è.. per il lavoro. Oggi è il grande giorno" Joseph cercò di dare al tutto un tono positivo e energico ma alla fine della frase la sua voce lo aveva tradito mostrando le crepe delle sue insicurezze.
"Il colloquio andrà benissimo, Joe" cercò di rassicurarlo Hanna, che ormai non pensava più a cosa era giusto o sbagliato fare in publico per due nella loro situazione.
-In quella situazione, ancora per poco.-
Avvertì l’insistente silenzio di Joseph un pò più tardi del previsto. Era troppo impegnata a rimproverasi silenziosamente per il fatto di aver completamente dimenticato quell’evento, dopo tutte le cose che erano successe.
"Sarebbero degli stupidi a lasciarsi scappare uno come te. E tu sei uno stupido a pensare che potrebbero farlo"
Continuò spostando le carezze dalla fronte alla guancia. Il pizzicore sulle dita dimostrava che la sua barba era lì da un po' più di un paio di giorni. Non che la cosa la disturbasse.
Joseph. Insicuro.
Prima d'ora non avrebbe mai potuto pensare a queste due parole nella stessa frase. Quel lavoro doveva essere molto più importante di quanto Hanna aveva immaginato.
E così, Joe aveva trovato il suo posto nella vita. O almeno, stava cercando di guadagnarselo ed Hanna era sicura che ce l'avrebbe fatta.
Ma lei? Qual era il suo posto in quella sua vita? Con Joseph? Ne era quasi sicura. Ma questa non era la risposta alla sua domanda.
Un suono prolungato proveniente dalla sua sinistra le fece distogliere il pensiero da quella domanda. Pochi istanti dopo collocò quel suono ripetitivo ad un taxi che sostava proprio accanto a loro.
Il rumore del clacson smise di persistere quel tanto da far capire alla ragazza che era stato Joseph a chiamarlo.
"Ti dispiace se torni in taxi? Sono già in ritardo"
"Oh no, certo!" Hanna ebbe giusto il tempo di salutarlo e urlargli un 'in bocca al lupo' dopo che Joe le aveva stampato un bacio sulla fronte, allontanandosi velocemente.
 
Per tutto il tempo del tragitto verso casa, Hanna non fece altro che rimuginare sul comportamento quasi distante che aveva assunto Joseph, e non riuscì a dare una spiegazione migliore di questa: forse non avrebbe dovuto dire ti amo.
Non che si pentisse di averlo fatto. Ma lui l'aveva guardata, e poi guardata ancora, senza rispondere nulla di nulla. Forse era meglio cosi. Sicuramente il silenzio era meglio di qualcosa come 'grazie', o 'lo so' o qualsiasi altra frase stupida degna di film comico.
Il fatto che gli avesse praticamente fatto una dichiarazione d'amore voleva dire che l'amava, questo era ovvio, no? Hanna si costrinse ad accettare che due parole non potevano scalfire o rafforzare un rapporto. Se lo ripetè circa dieci volte prima di scendere, ringraziare e pagare il taxista. E circa altrettante dopo essere rientrata a casa, ma questo non bastò a convincerla. Quelle due parole, quelle cinque lettere, per lei erano davvero importanti.
Per lei dirlo era stato liberatorio, ma forse non per tutti era così; quindi non poteva mettere fretta a Joseph su questo punto. Ma non poteva negare neppure di non essere al massimo della gioia per come si era sviluppata la situazione. Prima di rischiare un’emicrania a causa di tutti quei pensieri contraddittori, le venne in mente che probabilmente altri avvenimenti potevano aver influito su tutto ciò. Primo fra tutti, il colloquio di lavoro. Erano passate 3 o 4 ore da quando si era salutata con Joe, e ancora non aveva ricevuto da lui nessuna informazione (che fosse negativa o positiva) riguardo l'avvenimento più importante della giornata, se si escludeva Joe e Rebekah chiusi in una stanza a parlare del un futuro che non avrebbero avuto insieme.
"Joe, sono io. Voglio solo sapere come è andata. Richiamami"
Quello era circa il terzo messaggio telefonico che Hanna gli aveva lasciato. La ragazza continuò a guardare lo schermo del telefono per diversi minuti dopo quest'ultimo, poi decise che era meglio non pensarci. Hanna era sola a casa, Aveva rifiutato l'invito di Ivy, che era uscita con Suzanne e un paio di altri amici, tra cui (inaspettatamente) anche Jason. L'incontro con lui non aveva generato quel presunto imbarazzo che avrebbe dovuto creare, in nessuno dei due. In realtà il loro saluto era stato spontaneo e Hanna era anche riuscita a ridere dinanzi a qualche battuta del ragazzo. Indubbiamente, il fatto che i due si parlassero ancora come normali conoscenti, era dovuto al poco tempo che era durata la loro 'relazione', se si poteva definire così, e al fatto che, proprio per questo, oltre all'affinità non si era potuto creare nulla di più tra di loro. Molto meglio così dopotutto. "Meglio troncare ora, prima di andare oltre", erano state più o meno queste le parole di Jason quella notte. Parole giustissime. Il fatto che Jason non provasse alcun rancore verso di lei, però, non le aveva impedito di rifiutare quell'invito. Quello, e anche il fatto che preferiva attendere notizie da Joe o aspettare che fosse proprio lui ad andare a riferirgliele, come si aspettava.
Così, quando andò ad aprire la porta, era sicura di trovarsi d'avanti un moro sorridente che l'avrebbe salutata con un bacio. Ma non fu così.
I baci ci furono, e pure tanti. Così come gli abbracci e l'aria completamente sorpresa di Hanna.
"Mamma?" Dopo un iniziale momento di confusione, finalmente Hanna si aprì in un sorriso e riuscì a far accomodare i suoi genitori dentro casa. La madre sprizzava vitalità da tutti i pori, come sempre, e cominciò ad attaccare con i suoi monologhi che non lasciavano spazio a replica di alcun genere. Il padre invece, un uomo alto e dai capelli brizzolati che lo rendevano davvero affascinante, entrò seguito da valige e borsoni. Poi, mollati quest'ultimi a terra, aprì le braccia lasciando che Hanna ci si tuffasse dentro.
 
 
 
Ciao a tutte!
Si, sono tornata. In realtà quel viaggio mi manca già da impazzire, ma è normale. Come si dice? Chi si stanca di Londra si stanca della vita (o qualcosa di simile).
Sono stata contentissima di trovare ben 10 recensioni al capitolo scorso, e tutte positive! Voi non lo sapete ma 10 recensioni per un capitolo era un mio personale obiettivo da raggiungere, perciò grazie mille.
Come è stato il rientro a scuola? Traumatico? Quello sempre, ma ditemi un pò voi.
Un bacio

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Capitolo 19
*** Chapter Nineteen ***


Chapter Nineteen

Joseph suonò al campanello e nemmeno un minuto dopo si ritrovò dinanzi al viso sorridente della ragazza. L’unica cosa a cui riuscì a pensare era che quel sorriso non sarebbe rimasto troppo a lungo su quelle labbra carnose e accuratamente colorate di un rosa perlato, non dopo quello che le avrebbe detto, perciò rimase impassibile al suo abbraccio e, anzi, cercò di prendere le distanze da subito.
Alla bionda, d’altro canto, non passò inosservato tutto ciò, ma si limitò a mantenere il suo sorriso smagliante, come se questo bastasse ad impedire a Joe qualunque commento negativo.
In passato aveva funzionato più che bene.
“Amore, perchè quella faccia?  Non dirmi che il colloquio è stato un disastro!” con una mano Rebekah invitò il ragazzo a prendere posto accanto a lei sull’enorme divano rosso del soggiorno, proposta che Joseph rifiutò immediatamente con un cenno del capo. Rebekah, allora, incrociò le mani in grembo mentre il suo viso diventava man mano sempre più cupo. Forse la sceneggiata della fidanzata amorevole non bastava più. Questo la mise subito in agitazione ma, da brava attrice quale era, non diede alcun segno del suo stato interiore.
“Allora? Sei venuto a darmi notizie sul lavoro?” chiese seppur consapevole che non fosse nulla di tutto ciò.
Joseph cercò di rimanere calmo e lucido per far si che ricordasse qualcosa di quello che si era ripromesso di dirle, ma non era mai stato bravo con i discorsi programmati. Si passò una mano in testa, scompigliandosi i capelli, e poi decise di sedersi poco più lontano da Rebekah in modo da non essere influenzato in nessun modo.
“Bekah, credo che sia arrivato il momento di essere sinceri” La canzoncina del programma televisivo che stava andando in onda era l’unico suono oltre alla voce di Joe. Quello stupido motivetto continuava a riempire il vuoto che si era creato mentre Joseph cercava le parole adatte per dirle quello che ormai lei sapeva già.
Rebekah da un pò di tempo aveva avuto il presentimento che sarebbe arrivato il momento, eppure si ritrovò completamente impreparata al sentire quelle parole.
Aveva capito che il loro rapporto non era più come prima. Joe era distante e così legato a quella sua amica, Hanna, che il rischio di perderlo si faceva ogni giorno più reale. E poi c’era stata quella storia col fratello.
 “Sinceri, soprattutto con noi stessi” il ragazzo si limitò ad un tono pacato, e questo basto alla bionda a convincersi ad abbandonare ogni precedente dubbio.  Joe sapeva tutto.
“Joe..” la voce della ragazza fu subito bloccata dalla mano di Joe, che le chiese tacitamente di far finire il suo discorso. Rebekah però decise di ignorarlo.
“Joe, ti prego. Qualunque cosa ti abbia detto Nick, è stato solo un momento di..”
“Nick?” stavolta fu Joe ad interromperla. La voce confusa e più alterata del tono utilizzato precedentemente fece perdere il respiro a Rebekah, che strinse le sue mani l’una all’altra alla disperata ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi.
Come era possibile tutto ciò? Perchè Joe era così sorpreso? La risposta era più che evidente. Joe non sapeva nulla. Joe era venuto a lasciarla per un motivo della quale lei non era a conoscenza. E la cosa della quale lui non era a conoscenza era il bacio tra la sua ragazza e suo fratello, cosa che ora avrebbe scoperto.
“Mi dici perchè hai nominato mio fratello, Rebekah?” le mani della bionda stringevano sempre di più mentre la visione del ragazzo, ormai in piedi e ormai impaziente, le fece rimpiangere il suo inopportuno intervento. Prima che Joe glielo chiedesse di nuovo, decise di chiarire una volta per tutte. Inutile posticipare l’inevitabile, anche perchè era sicura che il ragazzo avrebbe chiesto spiegazioni a costo di rimanere in quella casa un giorno intero, se non di più.
“C’è stato un bacio, tra me e Nick” in quel preciso istante Joe si voltò e, rosso in volto, tirò un pugno contro la spalliera del divano. Meglio quella del muro alla sua destra che non difficilmente gli avrebbe provocato un paio di ossa rotte. Rebekah rimase impietrita nella sua posizione, non certo sorpresa della reazione ma pur sempre turbata. Non aveva mai visto Joe con quello sguardo vuoto, nemmeno durante i loro litigi più duri e si spiegò quella rabbia mai vista che si era impossessata del suo viso sempre allegro con il fatto che ci fosse di mezzo anche il fratello. Una persona cara che ti delude è un duro colpo, due è praticamente inaccettabile.
Si sentì sorpresa nell’udire le seguenti parole, prima ancora di capire che era stata lei stessa a pronunciarle.
“Non prendertela con tuo fratello. Nick non ha colpa”
Joe si voltò a fatica verso Rebekah, e in quel momento incrociò i grandi occhi di lei gonfi di lacrime e non potè fare altro che calmarsi e pensare che lui non era proprio quello giusto a farle la predica.
Anche se con Nick..
Cercò di dimenticare per un istante quel dettaglio tutt’altro che insignifiante e focalizzò l’attenzione sulla ragazza di fronte a sè e sul motivo per il quale era andato a trovarla. Tutta quella situazione non rendevano più piacevole confessarle ciò che lo tormentava da tempo. Soprattutto ora che quella ragazza aveva cominciato a mascherare in tutti i modi i singhiozzi che stavano prendendo il sopravvento.
“Non posso giudicarti per quello che hai fatto, perchè l’ho fatto anch’io” le parole di Joseph pesavano come macigni che Rebekah non era nello stato di sopportare, ma lei si sforzò di sembrare il meno sofferente possibile. Per il giovane di certo non era più facile, ma continuare era necessario.
“Non so perchè tu l’abbia fatto, ma so perchè l’ho fatto io. Le cose stanno così:Io la amo
Rebekah annuì amaramente, immediatamente consapevole di chi stesse parlando.
Hanna.
“L'altro giorno non ho potuto dirglielo perchè mi sentivo come se stessi facendo del male a te. E io ci tengo a te, ma non come tengo ad Hanna. Non come si dovrebbe tenere alla persona che vorresti con te per il resto del tuoi giorni”
Dopo ciò che Rebekah gli aveva confessato non avrebbe mai pensato di poterle parlare in questi toni, e neanche lei lo avrebbe mai immaginato perchè ora i singhiozzi si erano interrotti e avevano lasciato spazio solo a qualche lacrima silenziosa che si lei preoccupava di stroncare sul nascere.
“Non voglio mentirti e non voglio più mancarti di rispetto, come anche tu hai fatto con me. E l'altra persona a cui non voglio mancare di rispetto, sono io. Perchè mi ha fatto male trattenermi quella volta, e non voglio farlo più. Voglio essere libero di amare senza restrizioni”
Joseph si sentì emotivamente più coinvolto di quanto si fosse ripromesso prima di aver varcato la soglia di casa, ma con un ultimo sospiro rivolse a Rebekah la frase conclusiva di quel lungo capitolo.
“Perciò credo che se entrambi abbiamo avuto il bisogno di cercare qualcun’altro vuol dire che la nostra storia è finita da tempo, senza che noi nemmeno ce ne accorgessimo. "
E senza sapere cosa fare, o cos’altro dire, decise di salutare Rebekah e lasciare quella casa una volta per tutte.
La bionda rimase lì, ancora sul divano e ancora con le mani intrecciate, ma senza versare più una sola lacrima.
Era vero; la loro storia era finita da tempo e la colpa di certo non era di quest’ultimo avvenimento. Errori vari, incomprensioni, tutto ciò aveva fatto si che il loro rapporto si fosse spento pian piano.
Ma se tra di loro ormai tutto era andato in frantumi, non voleva dire che doveva succedere anche ai due fratelli. Per quanto Joe non andasse d’accordo con Nick, lui rimaneva pur sempre la cosa più vicina alla famiglia che avesse mai avuto; erano legati, erano fratelli. E l’ultima cosa che Rebekah aveva deciso di fare in nome dell’amore che c’era stato tra di loro e dell’affetto che ci sarebbe stato per sempre, era proprio quello di salvaguardare l’unico pezzo di famiglia che era rimasto a Joseph.
Così non gli avrebbe mai detto che era stato Nicholas a baciarla e che era stata lei ad opporsi con tutte le sue forze.
 
 
Spaghetti ai frutti di mare ancora fumanti. Pollo arrosto su un letto di patate al forno tagliate in grossi spicchi e arricchite di aromi. E per ultimi, ma non meno essenziali, cannoli ripieni di ricotta dolcissima, granella di pistacchio e scaglie di cioccolato.
Hanna non ricordava da quanto non entrasse in un ristorante italiano, ma si appuntò mentalmente di farlo più spesso. Alzò appena il suo viso dal piatto di spaghetti e tra il fumo che producevano scorse il volto di sua madre e ricordò di non essere sola. Pulì le labbra al tovagliolo che aveva sistemato in grembo e si mise a guardarla aspettando di sapere quale grandiosa novità l'aspettava. Nella famiglia Morgan anche un nuovo paio di scapre col tacco strampalato era degno di nota.
"Vedo che ti piace il cibo italiano" il padre, Micheal Morgan, sorrise al pensiero che da troppo tempo non vedeva la figlia mangiare con così buon gusto. In realtà da troppo tempo non vedeva la figlia, e basta.
Hanna annuì, anche lei sorridente, convinta per una volta che forse erano lì solo per una rimpatriata, un pranzo in famiglia, come si fa in una vera famiglia.
“Sono contenta che ti piaccia” la voce della madre era tranquillizzante, allegra. “Perchè credo che ti ci dovrai abituare”
Le sopracciglia di Hanna si incurvarono involontariamente, non avendo capito quella frase. Di sicuro lei non era più tranquilla, nè allegra. Le spiegazioni arrivarono appena poco dopo la consapevolezza di quelle parole.
“Il lavoro va molto bene ultimamente e abbiamo deciso di aprire una nuova casa della moda in Italia, a Milano” la signora Morgan sembrava parecchio eccitata mentre raccontava di quella che doveva essere la loro stupenda notizia, così eccitata da non notare la neutralità con cui Hanna stava cercando di assimilare la cosa.
“Stavolta abbiamo intenzione di traserirci lì, Hanna”
Questo cosa voleva dire? Che si sarebbero visti ancora più raramente?
“Tutti insieme, come una vera famiglia” concluse infine.
Quell’ultima frase esplose in Hanna con una serie di emozioni nettamente contrapposte, alla quale non riuscì a dare un nome nemmeno durante la lunga pausa che arrivò subito dopo.
“Ah”
L’unico suono che fuoriuscì dalla bocca della ragazza.
Cosa le stavano chiedendo? Di lasciare tutta la sua vita e rifarsene una nuova con loro? In Italia?
No, non poteva. Non poteva lasciare il suo appartamento. Non poteva lasciare Ivy da sola. Non poteva lasciare Joseph.
Eppure, aveva bisogno dei suoi genitori. Aveva bisogno di sentirli accanto come lo erano ora, aveva bisogno di qualcosa di stabile nella propria vita e sentiva che se non ne avesse approfittato ora, se ne sarebbe pentita per il resto della propria vita.
“Tu avresti un posto nell’azienda, naturalmente. Ma non vogliamo una risposta ora” la tranquillizzò il padre, notandola in uno stato confusionale che, in tutta sincerità, non si sarebbe mai aspettato. “Ora siamo qui, abbiamo deciso di prenderci tre mesi di riposo. Hai tutto il tempo per valutare la situazione, okay?”
“Okay” rispose.
Hanna si sentì un pò più tranquillizzata dal fatto che non avrebbe dovuto decidere di fare i bagagli o rimanere lì dove ha vissuto per tutto questo tempo, quella sera stessa.
Aveva il tempo di pensare, almeno questo era positivo: ciò poteva aiutarla a trovare la giusta risposta.
O poteva disorientarla totalmente; se si fosse messa a pensare a tutto ciò che avrebbe perso trasferendosi in Italia, e a ciò che avrebbe guardagnato andandoci.
Inutile negare che la notizia era stata molto più che scioccante, e inutile far finta di essere la ragazza più felice del mondo dinanzi ai suoi genitori; comunque Hanna comandò a sè stessa di ricomporsi e vietò alla sua mente di pensare a quella parola che iniziava con I e finiva con Talia, almeno fino al giorno dopo. Chissà, magari la notte le avrebbe portato consiglio e la risposta sarebbe magicamente comparsa la mattina seguente... non che ci sperasse così tanto in realtà, ma questo pensiero l’aiutò a trattenersi dallo scappare fuori dal ristorante o dal rifugiarsi in uno dei bagni fino al momento del conto.
 
 
Una macchina lunga e scura si avvicinò all’appartamento di Hanna, per poi parcheggiarvi vicino. Joe, che dopo svariati tentativi al campanello aveva capito che Hanna non era in casa, si sorprese nel vederla uscire vestita di tutto punto da quell’auto lussuosa e mai vista prima. Scese anche lui dal suo veicolo e si incamminò verso la ragazza, che lo aveva appena riconosciuto. Prima ancora di arrivare ad una distanza minima necessaria per una conversazione, notò in Hanna uno sguardo cupo. Subito dopo ne capì il motivo. Un uomo e una donna scesero dalla stessa auto e Joe li riconobbe immediatamente.
Il giovane non ebbe neanche il tempo di salutare che già la signora Morgan gli si era avvicinata, sgargiante come sempre.
“Joseph, che bel ragazzo che diventato!”
Joe sorrise a quel commento che si sentiva ripetere ogni volta che i genitori di Hanna ritornavano in città.
Come sempre, non ebbe modo di rispondere in nessun altro modo che non fosse quello di continuare a sorridere a quella donna che lo abbracciava, lo salutava calorosamente, e lo abbracciava di nuovo.
Tutto ciò fece ardentemente desiderare a Joseph di arrivare a fine giornata il prima possibile (e possibilmente tutt’intero) ma non lo diede tropo a vedere, consapevole che lì da qualche parte Hanna se la stesse ridendo alla grande, come ogni santissima volta.
Da quando era uscito dalla stanza nella quale si era svolto il suo colloquio di lavoro, egli non aveva fatto altro che pensare ad Hanna e a quanto avrebbe voluto riferirgli ogni dettaglio dell’incontro con il grande chef. Poi però si era sentito in dovere di sistemare una volta per tutte la sua situazione sentimentale quel giorno stesso, dato che non aveva alcun senso rimandare, ed ecco che si era ritrovato a casa di Rebekah.
Proprio quando sembrava che tutto fosse stato messo a posto, si ritrovava all’improvviso faccia a faccia con i genitori di Hanna.
Joseph, in quanto miglior amico della figlia, aveva già conosciuto i signori Morgan durante un paio delle loro brevi visite.
Ora però la situazione era un tantino cambiata. Joe non era più un semplice amico della loro unica figlia, ma non era neanche il suo ragazzo dato che i due non avevano ancora avuto modo di parlare in privato.
Come poteva lui presentarsi al padre di Hanna come il suo “quasi-fidanzato”?
“Mi sei sempre piaciuto, Joe. Mi dispiace che ora tu ed Hanna non vi potrete più vedere.. ma potrai comunque venire a trovarci in Italia ogni tanto!”
Non ebbe molto tempo per porsi quella domanda, che si ritrovò davanti a qualcosa di completamente inaspettato.
“Cosa, signora? Può ripetere?” Joe si rivolse alla madre di Hanna in tono educato e controllato. Non stava prestando molta attenzione al suo frenetico monologo, eppure da esso aveva colto una frase del tutto inconcepibile, ma lui era convinto di quello che aveva sentito.
Rivolse lo sguardo ad Hanna e la vista del suo volto mortificato bastò a convincerlo che una ripetizione di quella frase era inutile. Aveva sentito più che bene.
“Hai intenzione di partire?” chiese allora dritto verso Hanna, in un tono tanto freddo da far zittire anche la signora Morgan.
 
 
 
Postata speciale delle 19:30!
Buonasera ragazze, finalmente ho trovato un pò di tempo per scrivere e postare.

Che ne dite di Rebekah? Ho voluto spezzare una lancia a suo favore, in fondo è solo una ragazza troppo innamorata e gelosa di un rapporto che non avrebbe mai avuto... e voi che ne pensate?
Naturalmente l’arrivo dei genitori di Hanna doveva portare un’ondata di novità, e l’ha portata eccome! Ora la domanda è fino a che punto essa può essere positiva...
Ve l’ho mai detto che vi adoro? Certo che ve l’ho detto, però continuo a dirvelo ancora oggi. Sapere che al 19esimo capitolo c’è ancora gente che segue la storia è una gioia immensa per me, grazie
Alla prossima e Keep Calm And Wait For Jonas Brothers New Music!

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Capitolo 20
*** Chapter Twenty ***


Chapter Twenty
 

“Carina tua madre” un sorriso finto apparve sulle labbra di Joe.
“Sparare una notizia del genere per poi sparire con una scusa” il suo tono non era il solito, ogni sfumatura scherzosa e allegra aveva abbandonato la sua voce lasciando solo tanta confusione e amarezza e Hanna lo aveva notato da subito. Era rimasto appoggiato allo stipite della porta della stanza di Hanna da quando lei lo aveva invitato ad entrare in casa, come se tutt’a un tratto si fosse sentito un estraneo.
“Non capisco il tuo atteggiamento” lo rimproverò Hanna, infastidita dal suo allontanamento infondato.
“Io non ho deciso di partire. Non ancora, almeno”
“E questo dovrebbe farmi stare meglio?”
Nessuna risposta arrivò alle orecchie di Joseph, così stavolta decise di raggiungerla.
Lei, che continuava a studiare la punta delle sue scarpe appoggiata al muro di fronte, levò con un gesto nervoso i tacchi che era stata costretta a mettere per la cena dei suoi senza neppure l’aiuto delle mani. Li lanciò lontano e trovò la forza di alzare gli occhi, incontrando quelli del giovane più vicini di quanto avesse immaginato.
Odiava averlo così vicino. In altre circostanze lo avrebbe amato probabilmente, ma non quando la sua vicinanza riusciva così tanto ad influire sui suoi pensieri e le sue decisioni.
Perchè Joseph abbatteva tutte le sue certezze. Quell’ondata di color caramello riusciva a spazzarle via così facilmente, sempre.
Joe poggiò entrambe le mani al muro color del mare, proprio quello che lui le aveva pitturato qualche tempo prima. Piantò i palmi delle mani appena sopra il viso di Hanna, togliendole così ogni via di fuga e costringendola al suo sguardo.
Era una meraviglia. Ad Hanna mancavano le parole per descriverlo, era semplicemente una meraviglia. Questo era tutto quello che riusciva a pensare, oltre al fatto che non sarebbe mai e poi mai riuscita a lasciarlo da solo.
“Abbiamo tre mesi per pensarci, Joe” la sua sembrò quasi una supplica ad abbandonare l’argomento, almeno per quella sera, come si era ripromessa nel ristorante.
Joe annuì e sembrò accoglierla. Quella giornata era stata già abbastanza ricca di avvenimenti, aggiungere problemi che potevano essere affrontati in seguito era un danno per entrambi.
Questo non voleva dire che, fino alla scelta di Hanna, le cose non sarebbero state dure.
Forse più per lei che per lui.
“Ok, lasciamo stare il discorso Italia per ora. C’è qualcos’altro che devo dirti”
Hanna potè giurare di aver visto gli occhi di Joe brillare mentre le raccontava del colloquio di lavoro e di quello che era successo dopo e fu lieta di sapere per certo che lui continuava a rimanere dalla sua parte, anche dopo una notizia del genere. Ma le parole che sentì in seguito le provocarono una gioia ancora più intensa.
“Ti hanno preso?”
"Si, ma inizierò a Gennaio, credo. Devo solo aspettare che mi richiamino" la sua espressione entusiasta era quella di un ragazzino e il primo istino di Hanna fu quello di abbracciarlo. Era strano, ma si sentiva come se la realizzazione del suo sogno fosse anche un po' la sua e neanche la notizia di Rebekah le sembrò più importante di questa.
"Sei la persona che più merita tutto questo, Joe" ora Joe aveva spostato le mani sul viso della ragazza che in quella stretta trovava la sicurezza che non aveva mai avuto.
"E tu sei quella che voglio" La voce calda di Joe le provocò un brivido lungo la schiena, che il bacio successivo non fece altro che alimentare.
"Sei tu Hanna. Sei sempre stata. E se c'è un nome che sarà per sempre sulle mie labbra, è il tuo” continuò per poi lasciarle sulle labbra il sapore del bacio più tenero che potesse darle.
Poi inaspettatamente portò la coscia di Hanna a circondargli il bacino e lei, come se avesse avuto la stessa idea nello stesso preciso istante, si aggrappò alle sue spalle lasciando che impugnasse anche l'altra gamba.
Il resto accadde tutto così in fretta.
 
Il rumore dei loro sospiri era amplificato, in quella stanza che risuonava solo di loro. Così come il calore che sprigionava la loro pelle ad ogni contatto. In mezzo a tutto quel calore, però, le mani fredde e piccole di Hanna aggiungevano qualche brivido in più al ragazzo. Dopo qualche incerto movimento iniziale, in poco tempo avevano raggiunto un perfetto sincronismo, dove ogni spostamento dell'uno sembrava complementare a quello dell'altra, un po' come quando si erano baciati la prima volta dopo tutto quel tempo.
Ogni tanto, qualche ciocca di capelli che non aveva intenzione di stare al proprio posto solleticava il viso di Joseph suscitanto un po' di ilarità in entrambi. E quando succedeva, le guancie di Hanna diventavano un po' più rosse e Joseph diventava sempre più convinto che quel colore corredava meravigliosamente il viso della giovane e le facevano risaltare gli occhi verdi.
Joseph si alzò di poco poggiandosi ai gomiti prima di infilarle una mano tra i capelli. Ogni centimetro del suo corpo pretendeva che tutto quello non avesse mai fine; sentire il corpo di Hanna sul suo, e quel desiderio, quell’eccitazione, quell’amore.
La ragazza si allungò in avanti alla ricerca della sua bocca e lo stesso fece lui, facendo incontrare le loro labbra ancora una volta. Joe si impossessò anche della sua schiena, percorrendola lentamente con le dita fino ad arrivare ai fianchi, per poi capovolgere la situazione e ritrovarsi sopra di lei in un aggroviglio di lenzuola. Continuò a tenerla stetta a sè, prendendo a spingere sempre più lentamente.
Il solo sentirla ansimare mandò il ragazzo in estasi più del dovuto, per non parlare di quando Hanna soffiava il suo nome con la voce spezzata dal fiato corto e un battito cardiaco troppo irregolare.
“Joe...” sussurrò appena tra un sospiro e un bacio. Le mani di Hanna viaggiavano incessantemente sulla schiena del giovane, come stessero cercando una meta sconosciuta.
“Dovresti usare una mentina” disse poi letteralmente attaccata al suo orecchio. Joseph non riuscì a trattenere un sorriso mentre ormai i suoi movimenti avevano raggiunto un ritmo costante.
“Hai rovinato tutta la poesia del momento” le ansimò poi sul collo, non aspettandosi di certo una risposta.
“Ma poesia è anche dire la verità. Non c’è bellezza senza verità e la poesia è bellezza”
“E da quando hai questo spirito filosofico?” la prese in giro lui prima che il suono cristallino della sua risata gli inondasse la mente. Non passò molto che già alla risata si era sostituito il rumore del respiro affannato di Hanna, mescolato perfettamente a quello di Joe, come se avessero un cuore in due.
Poi, in quel momento, qualcosa scattò all’interno del ragazzo. Si fermò, mantenendosi sulle mani per non far ricadere tutto il peso su Hanna. Lei continuò a fare finta di nulla, si alzò di poco e riprese a baciargli il mento, mentre farfugliava qualcosa di incomprensibile, fino ad arrivare a prendergli il viso con entrambe le mani e baciarlo.
Stavo scherzando” disse poi, un pò allarmata da quello strano atteggiamento, ma senza mai staccarsi dalle sue labbra.
Joseph scosse la testa e sorrise.
“Te l’ho detto che sei bellissima?”
“Non nell’ultima ora” ridacchò Hanna allontanandosi un pò dal suo viso. Iniziò poi ad accarezzare i capelli corti, facendoli passare tra le dita per quanto fosse possibile.
“E che ti amo?”
la ragazza sorrise timidamente al suono di quelle parole, tanto attese e fonte di inutili preoccupazioni.
Con un gesto delicatissimo percorse la guancia del moro con l’indice.
“Anch’io” gli rispose poi dopo un momento di silenzio con la voce più dolce che Joe avesse mai sentito, “E comunque se vuoi puoi ripeterlo”
Joe allora si aggrappò con una mano alla spalliera del letto prima di ricominciare a muoversi su di lei, questa volta in modo più veloce e deciso.
“Ti amo” le ripetè di nuovo, per poi baciarle la fronte.
“Ti amo, ti amo, ti amo” erano entrambi sudati, così lei si ritrovò letteralmente aggrappata con le unghie alla schiena di Joseph, senza che lui se ne accorgesse nemmeno.
Si sentiva completamente travolta da sensazioni fino a quel momento sconosciute, accompagnate dalla voce di Joe che continuava a ripetere quelle cinque lettere che da quel momento in poi non avrebbe mai più smesso di dirle.
 “Ti amo” le ripetè lui un’ultima volta, prima di soffocare i gemiti di entrambi con un bacio più dolce di quanto si possa pensare.
 
 
 
Ta ta ta taaaaaaa (?)
Non so perchè, ma sono felice per ‘sti due AHAHAHAHAHA era ora, figlioli miei
*si rende conto che sta parlando con personaggi inventati da lei*
Ma.. dove siete tutte?
È la scuola, vero? Ditemi che è la scuola e che non è la storia che è una palla.
*attua una missione di soccorso per trovare le recensitrici scomparse*
Grazie comunque a chi continua a leggere e un grazie infinito alle tre che hanno recensito l’ultimo capitolo.
Oggi sono particolarmente sclerata (come potete notare) quindi meglio se mi ritiro.
PS: vogliamo parlare del tatuaggio del signor Joseph? Parliamone fghjfhjkjk  Quello di Nick non so se mi piace, sono ancora in fase di valutazione.
PS2: l’altra sera ho avuto voglia di scrivere e quello che è uscito è il primo capitolo di una storia che non so nemmeno se continuerò, ma intanto se vi va è qui che vi aspetta!
PS3: È la prima volta in assoluto che scrivo una scena del genere, e credo che come prima volta non sia male maaa siete voi i giudici, quindi VOTATE *musichetta da chi vuol essere milionario*

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Capitolo 21
*** Chapter Twenty-One ***






Chapter Twenty-One
 
Hanna tirò indietro i capelli bagnati dal sudore mentre qualche goggiolina continuava a scenderle lungo la schiena. Passò una mano sulla fronte di Joe, anch'essa imperlata di sudore e sulla quale era rimasta attaccata qualche ciocca di capelli neri.
Sorrise impercettibilmente e si ritrovò a pensare alla prima volta in cui lo aveva visto in quelle circostanze. Erano già passati quasi tre mesi. I giorni erano volati da quando i due avevano deciso di diventare ufficialmente una coppia e Joseph avrebbe ricevuto notizie sulla sua carriera lavorativa entro la fine del mese, ma nessuno dei due aveva intenzione di affrontare il problema in quel momento. Avevano deciso di parlarne quando le cose si sarebbero presentate davanti ai loro occhi e così anche l’imminente partenza di Hanna, che sarebbe avvenuta solo una settimana più tardi, era passata in secondo piano.
Joe portò entrambe le mani sui fianchi della ragazza, che poi cominciò ad accarezzare dolcemente. La mano di Joseph scivolò su quella piccola e candida di Hanna, la intrecciò alla sua e la portò alle sue labbra. Era incredibile come solo il contatto di quelle labbra sulla sua pelle facesse completamente uscire di testa Hanna. Ogni cosa con lui non era fine a se stessa. Ogni minima cosa era dolce ed eccitante al tempo stesso. Quel gesto le fece ricordare la sensazione della sua barba che le faceva il solletico lungo tutto il corpo e non potè fare a meno di sorridere di nuovo al pensiero di quanto le piacesse ogni sua piccola attenzione.
Hanna si sistemò poggiando la testa sul petto del ragazzo e iniziò a tracciare con l’indice cerchi immaginari su di esso. Adorava rimanere tra le sue braccia, quasi quanto amava il modo in cui le Joseph le accarezzava i capelli.
“Non sono mai stata così bene” confessò lei rompendo il silenzio che si era impadronito di quella stanza. Chiuse poi gli occhi, godendosi il momento, godendosi lui così come avrebbe voluto fare il più a lungo possibile.
“Hai ragione, non sono stato niente male” Hanna lo colpì affettuosamente provocando la bellissima risata del giovane.
“Dico davvero. Non sono mai stata bene come in questo periodo” nel pronunciare quelle parole Hanna fu colpita da un improvviso dolore allo stomaco che lei sapeva a cosa fosse dovuto.
Inoltre, la domanda che continuava ad echeggiare con insistenza non l’aiutava.
Quanto sarebbe durato ancora?
“Neanch’io piccola, neanch’io” Joseph le baciò i capelli mentre lei continuava a segnare gli addominali sfiorandoli con le dita. Dal tono utilizzato, i pensieri di Joe non dovevano essere molto differenti dai suoi.
“Joe” lo richiamò dopo una breve pausa. Si sistemò su un gomito e lui cominciò a guardarla incuriosito.
“Vieni con me in Italia” quell’affermazione lasciò il ragazzo perplesso.
“Un mese, due giorni, non importa quanto. Vieni, e appena ti chiameranno per il lavoro potresti ritornare a New York, ma almeno avremmo un pò più di tempo da passare insieme" continuò Hanna tutto d’un fiato.
“Oh” fu la sola cosa che Joe riuscì a dire, corrugando la fronte.
“Oh?” ripetè lei confusa. “Ok, lascia perdere. Dimentica tutto” si affrettò poi a dire sicura che quella fosse stata davvero un’idea stupida. “Non so neanche perchè te l’ho chiesto, non ha senso in realtà. Sarebbe solo un inutile, lungo, viaggio. E poi sicuramente riceverai la chiamata questa settimana, prima ancora che io parta. Insomma, è inutile posticipare l’inevitabi-“ Joseph bloccò quell’eterno monologo sapendo che Hanna non avrebbe mai resistito alle sue labbra morbide, e infatti fu così.
“Ci vengo” disse poi tra un bacio e l’altro.
“Ci vieni?” chiese lei titubante, allontanandosi dal suo volto il minimo indispensabile
"Ci vengo" ripetè ancora una volta Joseph, ritrovandosi immediatamente su di lei.
Sorrise e prese il viso di Hanna tra le mani.
“Ehi, non devi neanche pensarlo” disse poi, notando lo sguardo assente della ragazza. “Non devi neanche pensare che ti libererai facilmente di me. Non dimenticarti della nostra giornata speciale”
Hanna sembrò ricordare solo in quel momento la strana abitudine che li legava, il 22 di ogni mese.
“Sarà difficile poterci vedere una volta al mese”
“Sarà difficile ma non impossibile” si affrettò Joe a rassicurarla. Finalmente la ragazza sembrò avere il volto sollevato.
"Posso dire che non mi potrai più scappare, allora?"
"Ti sbagli, sei tu che non mi scapperai più" sussurrò Joe mentre Hanna dischiuse le labbra quel poco che bastava a far incontrare le loto lingue e intensificare quel bacio che ancora le faceva venire le farfalle nello stomaco.
 
"Che cosa vuoi dire, Joseph?" chiese Hanna minacciosamente.
“Nulla, ho solo detto che la colazione che ti preparo io è molto più buona” rispose Joe per poi addentare una delle frittelle contenute nel suo piatto.
“Bene, preparatela da solo la prossima volta” lei incrociò le braccia al petto stizzita e si alzò dal tavolo, diretta in bagno. In realtà sapeva benissimo che Joe aveva ragione, ma sarebbe stato troppo facile dargliela vinta così in fretta.
"Vuol dire che mi inviterai a passare di nuovo la notte con te?" il ragazzo si alzò di scatto e con due grandi passi la raggiunse e l’avvolse nelle sue braccia prima che lei avesse il tempo di divincolarsi.
"Dopo la tua affermazione non credo" disse lei ridacchiando a causa del naso di Joe contro il suo collo.
"Allora ritiro tutto" sussurrò lui prima di iniziare a mordicchiare quello stesso punto. Hanna spostò di lato la testa per lasciarlo lavorare con più facilità. "Sei la migliore a cucinare" la prese in giro lui, mentre le sue mani iniziarono a salire intente a sbottonare la camicia, la sola cosa che Hanna indossava.
"Sei un maiale, Joe!" urlò lei per poi prendergli le mani e spostarle.
"Non sto facendo niente" si giustificò Joseph con un aria fin troppo innocente "sto solo riprendendo ciò che è mio" continuò poi malizioso in riferimento alla sua camicia.
"Beh, ho messo la prima cosa che ho trovato" ribattè lei a sua volta, mendendogli spudoratamente. Anche se ci fosse stato il suo intero guardaroba a disposizione, molto probabilmente ora sarebbe stata comunque con addosso quella camicia. Adorava indossare i suoi vestiti, avere ancora il suo profumo addosso. La faceva sentire completa e forse quella sarebbe stata una delle cose che l’avrebbero aiutata a sentire meno la mancanza durante la sua vita in Italia.
“Vado a fare una doccia e te la ridò, okay? Intanto, nvece di perdere tempo, perchè non alzi il riscaldamento? Si congela” Hanna fu scossa da un brivido di freddo e si disse che una doccia calda era proprio quello che le ci voleva. Si mise sulle punte per dare al ragazzo un bacio sulla guancia prima di recarsi in bagno.
"Perchè non la facciamo insieme?" si sentì urlare dietro prima di chiudersi la porta del bagno alle spalle. Non riuscì a trattenere una risata, ma poi si ricompose e cercò di ottenere il tono più autoritario che sapesse usare.
“Fa’ quello che ti dico!” Urlò a sua volta, prima di chiudersi a chiave.
Joseph, a sua volta, sorrise pensando allo strano rapporto che lo legava a quella ragazza.
Di certo non era un rapporto perfetto, ma chi lo aveva detto che le cose perfette erano le migliori? La perfezione alla fine stancava tutti, ed era molto meno bella di quanto si potesse immaginare.
Prese il piatto suo e quello della ragazza e li appoggiò nel lavandono prima di aprire il getto d’acqua e riempire la vaschetta nella quale li aveva riposti.
Era stato lui stesso a dire ad Hanna che tutto sarebbe andato bene, che nel loro rapporto nulla sarebbe cambiato, che la distanza, seppur tanta, poteva essere facilmente annientata con la buona volontà e con l’amore puro che li legava. Ma a dir la verità, in quel momento nulla gli sembrò poi così ovvio e facile.
Soprattutto perchè ancora non sapeva come dire ad Hanna del messaggio appena ricevuto.
Come le avrebbe detto che il lavoro lo avrebbe cominciato due giorni dopo?
E soprattutto, come le avrebbe detto che il lavoro non era a New York?
Joseph chiuse gli occhi e si appoggiò contro la cucina.
Il giorno seguente sarebbe già dovuto partire per San Francisco.

 
 
Beh, siamo quasi arrivati alla fine.
Il prossimo sarà l’ultimo capitolo, poi ci sarà l’epilogo.
Non so cosa pensare... non mi va di concludere questa storia, mi ci sono affezionata (?)
Ma lasciamo le lacrime per l’ultimo capitolo.
 Intanto ditemi che ne pensate di questo, e grazie ancora a chi continua a mettere questa storia nelle preferite e seguite dfghjfghj vi adoro anche se non vi fate sentire.
Vi piace il banner? :D è il secondo di tutta la mia vita, quindi abbiate pietà.


Intanto ripeto che se volete passare da un’altra fan fiction a cui tengo TANTISSIMO cliccate QUI
 



Grazie di tutto ♥ 

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Capitolo 22
*** Chapter Twenty - Two ***







 

Chapter Twenty-Two
 
Quando Hanna fece rientro nel suo appartamento, quella mattina, si trovò davanti a qualcosa che la colse completamente di sorpresa: il salotto era in subbuglio, la casa più vuota del solito e sul pavimento giacevano un paio di grosse valigie blu scuro. Valigie che di certo non erano di sua proprietà.
Si sentì disorientata in un primo momento; l’unica che avrebbe potuto fare ciò era Ivy e la ragazza non riusciva a spiegarsi perchè l’amica sembrava pronta per partire da un momento all’altro.
La proprietaria delle valigie non si fece attendere troppo, quasi richiamata dalle domande che frullavano nella testa di Hanna.
“Sei tornata finalmente. Pensavo ti fossi stabilita per sempre a casa di Joe” il tono di Ivy era scherzoso, mentre aggiungeva un’altra valigia a quelle già sistemate vicino al divanetto “Secondo te mi fanno portare tutte queste valigie in aereo?”
Hanna corrugò la fronte d’istinto, cercando di cogliere un qualsiasi accento di rimprovero nella frase di quella che sicuramente poteva definire come la sua amica più fidata, ma non ci trovò granchè di diverso da quello che era il suo solito atteggiamento, sicuro e carismatico. Rassicurata da questo, capì che non era il suo attaccamento al ragazzo il problema, quindi decise di chiedere spiegazioni su quel che stava accadendo.
“Tu te ne vai tra una settimana, e io di certo non starò qui a rimanere senza uno scopo nella vita” questa fu la risposta di Ivy.
Ad Hanna ci volle un pò per elaborare il tutto. E dopo quel pò, non potè di certo ritenersi sicura sul fatto che tutto quello stesse accadendo davvero.
“Te ne vai?” chiese immediatamente consapevole della risposta. Si circondò lo stomaco con le braccia, mentre a stento riuscì a sostenere lo sguardo dell’amica di fronte a sè.
Tutto stava cambiando, e Hanna ancora non era certa di poter sopportare la nuova versione della sua vita.
Ma non l’avrebbe mai scoperto se non ci si fosse buttata a capofitto.
“Ho deciso di concludere gli studi universitari a Wilmington, starò un pò con i miei. Sai, non tutti hanno un’azienda famigliare in cui lavorare” fu impossibile non notare i riferimenti non del tutto casuali ad Hanna, e le due si aprirono in un grande sorriso seguito da una risata troppo lunga anche per loro. Forse quella sarebbe stata l’ultima loro risata insieme, in quell’appartamento, a New York, e forse proprio per questo cercarono di godersela nel miglior modo possibile.
“Mi lascerai casa libera per un’intera settimana? Questa si che è vita!” esclamò Hanna con la voce che tremava nonostante i suoi sforzi immani di apparire allegra e positiva.
La sua migliore amica stava partendo. Questo pensiero bastò a farle venire gli occhi lucidi, il che era assurdo dato che lei stessa sarebbe partita una settimana più tardi. Eppure la consapevolezza che tutto quello fosse reale, le faceva un effetto che lei avrebbe voluto piuttosto evitare.
In quel periodo sembrava come se tutte le sue emozioni fossero state amplificate. In realtà, si sentiva abbastanza stupida nel suo ruolo di ragazza super emotiva ma si disse che questo sarebbe passato presto. Così come la nausea che ora aveva attaccato il suo stomaco.
Solo che con questa non ebbe molta fortuna.
“Oh no” riuscì solo a dire prima di cambiare colore in viso e iniziare a correre.
 
Ivy aspettò fuori dal bagno, come Hanna le aveva imposto, fino a quando non sentì il rumore dello scarico e decise di aprire la porta.
Hanna non aveva più il colorito grigiastro che aveva assunto pochi minuti prima ma l’aspetto non era comunque dei migliori. Si ripromise di smetterla di rimettere in pubblico, ma la sua espressione preoccupata non era di certo causata da quell’episodio imbarazzante.
“L’hai detto a Joe?”
La domanda di Ivy la spiazzò e tutto ciò che riuscì a fare fu scuotere il capo.
“Non è sicuro, lo sai. Io..” tentò di giustificare il suo comportamento ma bloccò la frase a metà consapevole che tutto quello che stava dicendo non aveva senso. Colse nello sguardo dell’amica il tono di rimprovero che prima era inesistente, e in seguito anche una domanda.
“Glielo dirò appena possibile” disse intuendo bene i pensieri della rossa.
Ivy annuì e aprì le braccia invitando Hanna ad avvicinarsi. Al contrario di una qualsiasi altra situazione, la giovane non ci pensò due volte e accolse quella richiesta, un aiuto più per lei che per Ivy.
“Quando parti?” le chiese lei senza staccarsi. Quella domanda fu subito seguita dal rumore di un clacson appena fuori l’appartamento.
“Ora” rispose Ivy, e Hanna fece un passo indietro. “Devono essere arrivati Suzanne e Jason per portarmi all’aereoporto”
La castana rimase un pò colpita dall’ultimo nome e in quel momento si rese conto di quanto fosse stata distante quegli ultimi mesi, per colpa di tutta la storia di Joe e dei genitori.
“Non ti dispiace che siano loro ad accompagnarmi, vero?” Hanna negò immediatamente e fece un sorriso rassicuramente. Per un attimo si sentì in colpa per aver lasciato in secondo piano il fatto che lei non avrebbe lasciato a New York solo Joe, ma anche tutti i suoi amici, e per non aver passato abbastanza tempo con loro ma non aveva intenzione di lasciarlo intravedere più di quanto fosse già ovvio.
“Posso venire anche io, se vuoi” si offrì allora, ma Ivy sembrò preferire di no.
“E’ già abbastanza dura così”
Hanna capì immediatamente quello che intendeva Ivy, perciò l’abbraccio velocemente prima che lei uscisse per l’ultima volta dalla loro casa.
In fondo, era quello che anche lei e Joe avevano deciso; quando fosse arrivato il momento non ci sarebbero stati saluti in aereoporto, abbracci infiniti o baci strappalacrime.
Volevano che fosse veloce e indolore.
 
Hanna si era ritrovata dietro la porta color mogano dell’appartamento di Joe appena un quarto d’ora dopo la partenza di Ivy.
Quando aveva scoperto che le probabilità di essere incinta superavano il 91%, il primo suo pensiero fu lui.
Se c’era un’alternativa che non aveva mai preso in considerazione era l’aborto, per tutto il resto le idee le si presentavano abbastanza sfocate e confuse. La seconda alternativa, che lei non definiva neppure tale, era quella di non dirglielo; questo avrebbe distrutto il loro rapporto per sempre e lui non glielo avrebbe perdonato, mai.
Perciò, come Ivy le aveva suggerito, Hanna era andata fin lì per parlargli di quello che le stava succedendo. I due avrebbero trovato una soluzione insieme, come sempre.
Le sembrò quasi di essere stata ricatapultata alla sera della festa del compleanno di Nick, quando tutto quello che sembrava tanto difficile ora appariva come uno scherzo. Bussò e proprio come quella sera, fu Nicholas ad aprirle.
“Hanna!” Nick le sorrise e Hanna si sforzò di fare altrettanto “Se cerchi mio fratello è in camera. Io starei attento, comunque. In questo momento starà tentando di scalare la montagna di vestiti sul suo pavimento”
Hanna tentò di decifrare lo strano giro di parole del riccio, senza buoni risultati. Si arrese e chiese di tradurre quella frase in modo che anche lei potesse capire.
“E’ a preparare le valigie”
Nell’udire l’ultima parola il cuore di Hanna cominciò ad accellerare. “Cosa?”
“Si lo so, a pomeriggio parte e lui deve ancora prepararle. Ma lo sai, mio fratello è fatto così” Nicholas roteò gli occhi totalmente inconsapevole di quello che stava succedendo all’interno della ragazza di fronte a sè. Dopo aver visto il suo sguardo nel vuoto capì.
Nick fece spazio ad Hanna e lei entrò senza troppe cerimonie, dirigendosi a grandi passi verso la camera di Joe. La sua bocca era secca, e la nausea era ricominciata, ma nulla le avrebbe impedito di vederlo.
Quando Joe la vide entrare, fu invaso da una serie di emozioni diverse, presentate in più o meno quest’ordine: meraviglia, senso di colpa, consapevolezza che Hanna sapesse già tutto; quest’ultimo dettaglio lo aveva notato subito nello sguardo della ragazza.
Tutte quelle emozioni sfilarono sul volto di Joe, mentre in quello di Hanna emergeva solo una fondamentale domanda. “Devi partire?”
Joe annuì, “San Francisco” aggiunse poi, lasciando che Hanna si riprendesse da quell’affermazione.
“Perchè non me l’hai detto” disse, dando sfogo alle sue riflessioni.
“Te lo avrei detto” rispose lui, lasciando perdere il borsone su cui stava lavorando.
“Quando? Un ora prima di partire?”
“Sarebbe stato più facile per tutti” a lei sembrò quasi di udire le parole di Ivy “Veloce e indolore, ricordi?”
Il verde degli occhi di Hanna cominciò a luccicare, inondato dalle lacrime che stavano salendo. Con entrambe le mani si asciugò gli occhi. Poi le guardò e le ritrovò imbrattate di nero, e in quel momento fu solo in grado di maledirsi per quello stupido comportamento che non riusciva a trattenere.
“Non piangere” sospirò Joe, prima di prenderla tra le sue braccia “Mi avevi promesso che non avresti pianto”  lui la strinse più forte. Il suo profumo inondò Hanna fino a farla sentire ancora peggio.
Era lì per parlargli, e ora si ritrovava a piangere come una fontana.
Era arrivata in quella casa sicura di quello che avrebbe fatto, ma era bastata una folata di vento per mandare all’aria il suo castello di carte.
Era lì perchè avrebbe voluto prendere una decisione con lui, ma in quel momento non dirglielo le sembrò la cosa migliore da fare.
Almeno il suo sogno non sarebbe andato in frantumi come era successo a tutte le sue certezze.
Se lo avesse fatto, se solo glielo avesse detto e lei fosse partita a San Francisco con lui, Joe si sarebbe sempre chiesto se Hanna fosse andata a vivere con lui per il bambino o perchè realmente lo voleva. Per quanto lei glielo avrebbe spiegato, e per quanto lei potesse essere sincera, lui avrebbe sempre avuto quel dubbio.
In caso contrario, cosa ne sarebbe stato di Joe se fosse andato in Italia con lei?
Non avrebbe esitato un attimo a mollare il lavoro per seguirla, e Hanna non poteva fargli un torto del genere. Aspettava quel lavoro da tutta una vita, si era impegnato, lui lo meritava. Joseph doveva concentrarsi sulla sua carriera.
Per ora era giusto così.
Hanna scosse la testa e il moro le baciò la fronte.
“Dovevi dirmelo, lo sai che dovevi dirmelo” il suo non sembrò affatto un rimprovero, più che altro un’affermazione disperata. Combattè contro se stessa e riuscì a staccarsi da Joe mentre le ultime lacrime facevano il loro corso giù per la guancia.
“Scusa” sussurrò Joe, stampandole un bacio sulle labbra. Lo fece durare il più a lungo possibile, ma quando si staccò la sensazione che invase entrambi fu comunque orribile.
“No, scusami tu” rispose Hanna. Accarezzò la guancia del giovane e poi si diresse fuori dalla stanza senza voltarsi nemmeno una volta, così come avevano detto, veloce e indolore.
Indolore, almeno fin quando lei non avrebbe detto a Joe a cosa quelle scuse si riferivano.
 
Era stesa sul letto, il viso immerso nel cuscino e le coperte tirate fin sulla testa. Tempo qualche giorno e sarebbe andata via da quella casa ed essa sarebbe stata affittata a dei nuovi inquilini. La ragazza sperò solo che i futuri proprietari non la stravolgessero completamente, perchè la sentiva parte di sè, anch’essa una parte dal quale si sarebbe separata.
Qualcuno bussò alla porta, ma lei non rispose. Ancora tre o quattro colpi prima che essa si aprisse con il solito rumore stridulo che Hanna aveva sempre odiato ma che ora le sarebbe mancato come nient’altro al mondo.
“La cena è pronta, non hai sentito?” quella era la voce del padre.
Lei scosse la testa come risposta, poi ricordò di essere sotto almeno due coperte dal peso complessivo di minimo 3kg e, con un gesto che le costò una fatica di smisurate proporzioni, riuscì a scoprirsi.
“No” ripetè, poi si corresse “Cioè, ho sentito ma non ho fame” e in quel momento si rese conto del piatto fumante che il padre aveva in mano. Sbuffò ma non riuscì comunque a sopprimere un sorriso all’angolo della bocca nel constatare che quell’uomo la conosceva più di chiunque altro, nonostante non si fossero visti quanto necessario per un rapporto padre-figlia. Lo guardò, ma lui non parve aver ascoltato granchè la sua affermazione.
“Va bene, ho capito” prima che le fosse imposto, Hanna prese in mano il piatto di carne in sughetto di funghi che la madre le aveva preparato e che il padre si apprestò a porgerle con insistenza. Ne masticò con fatica un pezzetto, poi appoggiò tutto sul comodino sotto lo sguardo torvo del signor Morgan.
“Lo finisco più tardi” lo rassicurò lei, e l’uomo dai capelli brizzolati si sedette accanto sul letto.
“Vuoi parlare?” pronunciò a fatica quelle parole e lei lo notò subito. Si trattenne dallo scoppiare in una risata isterica per rispetto, ma ripensandoci capì che, per quanto le sembrasse strano, loro erano gli unici con cui poteva parlare. In assenza di un’amica, decise di accettare la proposta del padre.Socchiuse la bocca ma poi si rese conto che non sapeva cosa dire.
Perchè non c’era nulla da dire. Era stata una stupida, punto.
Senza pensarci troppo avvinghiò le braccia al collo dell’uomo, che dopo due secondi di disorientamento ricambiò quell’affettuoso abbraccio. Si distesero sul letto ancora in quella posizione, come facevano quando era bambina.
“Non devi venire con noi se non lo vuoi”  Quella frase la colpì inaspettatamente. Sembrava così sincera.
Sarebbe dovuta andare a San Francisco?
Uno stupido giorno per ogni stupido mese sarebbe bastato? O la loro sarebbe stata una delle tante storie d’amore a distanza con la solita tragica fine?
Chiuse gli occhi, e le sembrò di rivedere Ivy entrare nel veicolo e l’auto sparire al primo incrocio.
Poi immaginò quando aveva fatto lo stesso lei con Joe, lasciandolo nella sua camera e sparendo dalla sua casa. Gli riaprì non in grado di sostenere quelle immagini ma ciò non l’aiuto per niente.
Forse era troppo tardi, ma si chiese se la loro separazione fosse stata davvero necessaria.
Si chiese se partire per l’Italia fosse davvero la scelta giusta.
Soprattutto nelle sue condizioni.
Soprattutto senza aver detto nulla a Joe.
Sospirò rumorosamente, ora consapevole di aver fatto la scelta più stupida che avesse mai potuto prendere. Ma ormai lo aveva fatto.
Così chiuse di nuovo gli occhi e pregò di addormentarsi il prima possibile.
Hanna sentì le palpebre pesanti chiudersi, con addosso ancora il calore dell’abbraccio del padre e il silenzio disturbato solo dalla voce bassa della telecronista in tv, poi quella preghiera venne accolta in fretta e la ragazza si addormentò inconsapevole di cosa quelle voci stessero dicendo.
Prima di uscire dalla stanza e lasciare la figlia riposare, il padre guardò le immagini in televisione e, corrucciando la fronte, maneggiò velocemente alla ricerca del telecomando in modo che alzasse il volume, senza risultato.
Allora si sforzò di leggere i titoli in bianco che scorrevano sopra le immagini di alcuni aerei in volo. Rilesse due volte, sperando con tutto il cuore di aver letto male.
Ma le lettere rimanevano le stesse.
 
“Incidente aereo: Schianto in Ohio durante l’atterraggio di emergenza. Cause ancora da accertarsi, probabile malfunzionamento dei motori dell’aereo decollato oggi stesso da New York . Ancora non stabilito il numero di vittime.”
 
 
 
Per prima cosa, scusate. Lo so che fa schifo, ma non trovo quasi più tempo per scrivere e questo è tutto quello che esce. Inoltre, in quel poco tempo che ho vengo continuamente disturbata da quella peste della mia sorellina di 4 anni. A volte è difficile rimanere soli, ma Amore ti voglio bene lo stesso!
Lo so cosa state pensando, ma cercate di moderare i termini nelle recensioni (anche se credo che ogni vostro pensiero me lo sia meritato)
Povera Hanna piagnucolona, saranno gli ormoni? AHAHAHAHAH
Uffa, una di voi aveva già intuito tutto. Ma dico, come hai fatto? Ora me lo dici, stronza!
Naturalmente scherzo, bellissima
Beh, il prossimo coma sapete sarà l’epilogo. *tutte a festeggiare*
Cercherò di scrivere e postare l’ultimo capitolo il più presto possibile, lo prometto.
Siete meravigliose.
Al prossimo (e ultimo).

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Capitolo 23
*** Epilogue ***


Nuovo banner per l’ultimo capitolo. Si ringrazia la partecipazione di Joe Jonas e Jennifer Lawrence che si sono prestati per il servizio fotografico.
Mi intrometto qui un attimo solo per augurarvi buona lettura di questo lungo epilogo.
Ci “sentiamo sotto.



 




 
Epilogue

22 Gennaio 2013

Cedimento strutturale del propulsore.
La voce pacata e distaccata della telecronista continuava a ripetere che l’incidente aereo di cui tutto il mondo parlava da un’intera e insopportabile settimana era dovuto al cedimento strutturale del propulsore.
Hanna non sapeva nemmeno cosa volesse dire cedimento strutturale del propulsore, e non voleva saperlo.
Era seduta sul divano, tra le mani stringeva un cuscino e, come ogni giorno, guardava le notizie del telegiornale sfilare sulla televisione senza che lei dicesse una parola.
Dietro la donna elegante che presentava il programma, un pannello trasmetteva le immagini di quelli che dovevano essere i resti dell’aereo che lei non era andata neppure a veder partire. Alcuni uomini continuavano a lavorare su di esso, alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa, e tutto ciò era stupido. Non c’era più niente. Solo pannelli bianchi, quelle che erano le fiancate dell’aereo, e oggetti non identificabili qui e là.
La ragazza fissò le labbra della presentatrice. Si muovevano veloci, e lei non riusciva nemmeno a sentire cosa dicesse. O meglio, lo sentiva ma non lo capiva.
Non capiva cosa diavolo fosse un propulsore. Non capiva perchè quell’aereo non era stato controllato prima di aver ricevuto il consenso al decollo. E poco importava che i responsabili di questo erano stati buttati in carcere a vita appena accertato ciò, lei non lo capiva comunque.
Non capiva perchè stesse ancora lì seduta a far nulla.
Non capiva perchè ormai aveva perso anche la forza per piangere.
O forse aveva solo finito tutte le sue lacrime.
Come ogni giorno, Suzanne e Jason passarono da casa sua per chiederle di andare con loro. E come ogni giorno, Hanna si rifiutò di andare in quello stupido cimitero.
Che senso aveva?
Portare i fiori, baciare una foto, inginocchiarsi a pregare su una lastra grigia dove incisa c’era una frase che nessuno si curava mai di leggere. Nulla di tutto ciò serviva a portare indietro le persone. Neppure piangere, soffrire, nulla avrebbe fatto cambiare il passato, o il destino.
Perciò, che senso aveva?
I signori Morgan avevano deciso di posticipare la partenza in Italia; non se la sentivano di portare la figlia in quelle condizioni, e neppure di lasciarla sola a New York.
Gli occhi di Hanna erano spenti e cerchiati di nero. Non dormiva granchè la notte, e quando lo faceva continuava a sognare una macchina allontanarsi e prendere fuoco. Una macchina che lei conosceva.
Aveva le labbra screpolate, la bocca secca, ma non aveva voglia di alzarsi e bere un sorso d’acqua. In quella settimana si era curata giusto l’indispensabile per sopravvivere.
Si, sopravvivere, non vivere. Perchè da quando si era svegliata da quel sonno che le aveva procurato un pò di sollievo e si era ritrovata di fronte alla realtà di quell’aereo che si era schiantato al suolo senza che quasi nessuno, se non un miracolato da Dio, si fosse salvato, non riusciva a collegare il verbo “vivere” alla sua vita.
La mattina si alzava, si lavava, mangiava, guardava il telegiornale, dormiva, in un circolo vizioso che per ora nessuno era riuscito a bloccare.
C’era una persona che avrebbe potuto farlo, ma non era lì con lei. Non più.
Inaspettatamente sentì il campanello della porta suonare. Strano, i suoi erano in casa e gli unici due amici che le rimanevano avevano già ricevuto la solita risposta negativa, quindi Hanna non seppe proprio immaginare chi avrebbe trovato dietro la porta. Ma quando l’aprì, si ritrovò di fronte l’unico di cui aveva bisogno.
“Joe” sussurrò in preda ad un’inspiegabile ansia di fronte al giovane che si era ritrovato d’avanti.
Lui vide quegli occhi verdi un pò meno brillanti dell’ultima volta in cui si erano visti e non seppe cosa rispondere, così l’abbracciò convinto che era quello che Hanna aspettava da quando le avevano riferito che la sua migliore amica era morta su quel dannato aereo.
“Scusami, l’ho saputo solo due giorni fa che su quell’aereo c’era..” Joseph interruppe quella frase capendo che di tutto quello che le avrebbe potuto dire era la cosa più stupida che gli fosse uscita dalla bocca.
“Che ci fai qui” disse lei, senza però staccarsi da quell’abbraccio.
“Ho chiesto due giorni di permesso per venire a vedere come stai”
“E tu hai attraversato mezza America per due giorni di permesso?” la voce della ragazza si incrinò a metà frase, tradendo il suo intento di nascondere che averlo accanto era la cosa che più aveva desiderato.
“Sono venuto qui anche per altri due motivi, ed uno di questi è salutare Ivy” confessò Joe e Hanna si trovò impreparata di fronte alla sua affermazione.
“Io non sono mai andata al cimitero” disse, un pò in colpa per questo “Io non voglio ricordarla come una ragazza chiusa in quel posto grigio e tetro. Non me la sento di vivere con quest’ultima immagine di lei”
Joseph annuì, capendo cosa davvero ci volesse a tutti loro “Io credo di avere un’idea”.
 
Hanna aveva chiamato anche Suzanne, Nick e Jason quando Joe le esposto la sua idea. Ora si trovavano tutti e quattro nella camera di Hanna e fu impossibile per tre quarti dei presenti non pensare all’immagine di quella ragazza sorridente dai capelli a caschetto di un rosso acceso che maneggiava un pennello di tinta blu.
Forse per questo Hanna dormiva sul divano da una settimana.
Joseph si schiarì la voce, poi cominciò a spiegare al resto dei presenti cosa aveva in mente.
“Ivy era una ragazza fenomenale, davvero. Era solare e piena di energia e credo che si meriti qualcosa di più di un semplice saluto al cimitero” e così dicendo prese l’accendino e una candela. Accese quest’ultima e la ripose sul comodino accanto al letto dove, tra le tante foto, tutti riuscirono a notare solo quella di Ivy.
Un primo piano di lei sorridente, con sullo sfondo Joe che faceva una faccia buffa e Hanna che cercava di nasconderlo. Foto in cui tutti erano felici.
“Ivy merita di essere ricordata in un luogo sereno, ricco di ricordi felici e quale posto meglio di questo” Suzanne sorrise nel sentire quelle parole, e Jason le circondò la spalla con un braccio.
“Tra qualche giorno metteremo in affitto questo appartamento, ma mi sembra nostro dovere lasciare il segno qui, come Ivy lo ha lasciato a tutti noi” ora era Hanna a parlare, grata a Joe della splendita idea che aveva avuto.  In realtà si era sentita inutile, lì, sul divano ad aspettare che le cose accadessero intorno a lei, ma finalmente era contenta di poter fare qualcosa di concreto in memoria del’amica.
“Quindi..” prese una dei pennarelli neri che erano buttati sulla scrivania e si avvicinò alla parete dove risplendeva la luce della candela accesa da Joe e ci scrisse su.
 
Forever the name on my lips. Forever the name in my heart.
 
Quando Hanna si spostò per lasciar spazio agli altri di scrivere anche loro un qualsiasi pensiero per Ivy, si ritrovò faccia a faccia a Joe, che le sorrideva. Hanna ricambiò ricordando che quella era una delle frasi che Joe le aveva dedicato e lui sembrava felice che lei l’avesse utilizzata per qualcosa che le stava così a cuore.
 
 
“Come mai Jason è nei dintorni?” chiese Joseph fingendo noncuranza, quando ormai erano rimasti solo loro due in quella stanza.
“Era amico di Ivy, e poi sembra che stia bene con Suzanne. Mi piacciono insieme” rispose Hanna con lo stesso atteggiamento, poi gli si rivolse guardandolo negli occhi “Tu sei geloso?”
“Certo che no” sbuffò Joe, “Si sa che nessuno è migliore di me”
Hanna rise per la prima volta da quando tutto era successo. Si sentì per un attimo la stessa Hanna di prima, e questo pensiero la fece star male facendo ritornare presto sul suo volto un espressione cupa.
Joseph la guardò, e lei si sentì in dovere di rispondere alla sua tacita domanda.
“Mi sento come se mancassi di rispetto ad Ivy, se ridessi, o continuassi a vivere come se lei no ci fosse mai stata” disse, e Joe continuò ad ascoltarla in silenzio. “Sono stata una pessima amica” confessò Hanna, con la voce che le tremava “Ci siamo così perse di vista nell’ultimo periodo, e poi lei... e poi...” un groppo in gola non le fece concludere quella frase. Abbassò lo sguardo, imbarazzata di quello sfogo ma Joe subito le alzò il viso e la costrinse a guardarlo.
“Sei stata un’amica splendida, okay? Volevi bene ad Ivy, e lei te ne voleva bene a te e, credimi, da lassù lei vorrebbe tanto che sorridessi e vivessi la tua vita il più felicemente possibile”
Hanna guardò intensamente gli occhi del ragazzo, e ad un tratto capì quello che non era riuscita a capire fino ad allora.
Ecco che senso aveva piangere un caro che non c’era più: ti faceva sentire vivo.
Ti faceva capire che, chi guardava da lassù, non poteva esser altro che lo spettatore di una misera commedia. Ma i vivi, con i loro dolori ed emozioni e lacrime. I vivi erano i protagonisti di quella commedia.
E la cosa più giusta che potessero fare era continuare a recitare per se stessi, e per quegli spettatori che saranno pure usciti di scena, ma che in realtà continuavano ad avere un ruolo fondamentale, un pò come una voce fuori campo.
“Mi sei mancato” ammise infine, come se avesse levato un peso enorma dallo stomaco “E comunque non mi hai ancora detto qual è il terzo motivo per il quale sei venuto fin qui“ gli chiese Hanna e Joe sorrise.
“Volevo vedere come stavi” ripetè lui “e poi oggi è il 22 Gennaio”
Hanna spalancò gli occhi “Scusa, io l’avevo completamente dimenticato”
“Non importa, io te l’avevo detto che ci saremmo visti una volta al mese, come promesso, ogni 22. Il primo giorno in cui tu mi hai considerato tuo amico” disse lui tutto d’un fiato.
"Che vuoi dire" chiese Hanna confusa e Joe sembrò quasi imbarazzato all’idea di dover spiegare quella che ora sembrava una cosa abbastanza stupida.
“Voglio dire che è stato 22 giorni dopo che ci siamo conosciuti che tu mi hai chiamato Joe”
Hanna stava per chiedere al ragazzo se avesse fatto uso di stupefacenti prima di averla raggiunta, poi sembrò avere un flashback della loro prima conversazione sensata.
 
“tu chi sei?” disse la prima cosa che le venne in mente, seppure dopo le sembrò parecchio stupida.
“di solito ci si presenta prima di chiederlo” le rispose lui, mentre versava un altro po’ di caffè nella sua tazza.
“parli di galanteria tu che hai abbordato una ragazza ubriaca?” lei lo guardò aspettando la sua risposta, che arrivò solo dopo qualche secondo.
“okay, hai ragione” ammise lui avvicinandosi. “Io sono Joseph. Per gli amici Joe.” Poi le porse la mano.
“piacere, Joseph”

 
“E’ un ragionamento... contorto” rispose Hanna mentre lo guardava teneramente, ancora un pò stordita. Lei aveva sempre pensato che il 22 fosse stato un giorno scelto a caso, ma non potè negare che la confessione di Joseph le fece tanto piacere. Stava per chiedergli perchè non glielo avesse detto prima, ma si trattenne pensando che non aveva bisogno di sapere il perchè, quello che Joe le dava era più di quanto avesse mai meritato.
Perciò decise che era ora che anche lei gli desse qualcosa.
“Voglio venire con te” disse poi, e Joe pensò di aver sentito male perciò lo ripetè un’altra volta.
“Non ti ho mai dimostrato niente e questo è il momento. Voglio venire con te a San Francisco, Joe. Non ti lascio solo. Nemmeno se me lo chiedi in ginocchio”
“Ma io non ti permetterei mai di lasciarmi, neanche se me lo chiedessi in ginocchio” rise lui, prendendo a giocare con uno dei ricci che le ricadevano davanti.
“Però devo prima dirti una cosa”continuò Hanna, con un pò meno di entusiasmo di quello che aveva usato precedentemente.
Amava Joe. E Joe amava lei. Ma sarebbe bastato a far si che dopo quella notizia tutto continuasse normalmente?
“Joe io..” il respiro di Hanna si fece più affannoso all’idea del possibile rifiuto di Joe. E se l’avesse rimproverata di non averglielo detto prima? E se non fosse stato pronto ad avere un figlio a 23 anni? E se non era pronto a creare una famiglia con lei?
Istintivamente portò una mano sulla pancia dove ancora non era presente alcun cambiamento.
Eppure quel gesto bastò a Joseph per capire.
 Quello, oppure era lo sguardo preoccupato ma allo stesso tempo così dolce che aveva assunto Hanna, o le guance che le si erano colorate di rosso.
Fatto stava che gli occhi di Joe si illuminarono come se avesse fatto la scoperta più bella del mondo.
“Dovevo dirtelo prima. Non ce l’ho fatta, ma ora devo dirt-“
Joe la prese e la baciò. Hanna cominciava ad odiare il modo come lui bloccasse ogni loro tentativo di conversazione ma quando Joe si allontanò capì che quel bacio non era campato in aria come lei pensava.
Joe aveva capito. Ed era felice. Felice davvero.
“Dimmi che è vero” esclamò lui, tra le mani ancora il viso esterrefatto di Hanna.
“Dovresti essere arrabbiato. Te l’ho nascosto e-“
“Dimmi solo che è vero” ripetè lui.
Hanna sorrise, rischiando di piangere da un momento all’altro. Joe lo voleva. Joe voleva quel bambino, e anche lei lo voleva con tutte le forze.
“Si, è vero. Contento ora?” chiese abbandonandosi a quello che più si poteva avvicinare alla felicità.
Come risposta Joe la prese e la fece girare. Una, due, tre volte. Fino a quando la sua testa non ne potè più.
“è un pò presto per il nome?” chiese Joe, con un sorriso dolcissimo in volto.
“si” rise lei, “ma sai che ti dico? So già come la chiamerò se sarà una femminuccia”
Joseph la abbracciò “sono d’accordo”
 
Ivy.
 
 
 
La maggior parte degli atomi si muove confusa nello spazio, alla ricerca dell'equilibrio assoluto.
Altri hanno gia raggiunto la stabilità, ma essi non sono altro che la minima parte.
Atomi che si scontrano, e la cui collisione fa si che alcune particelle si avvicinino più di quanto siano mai state prima. E altre si allontanino, rimanendo sole.
Sole fino al momento in cui una nuova collisione non le avrebbe fatte interagire ancora.
Una sola cosa le particelle non avrebbero mai potuto fare: scomparire.
Perchè nulla viene distrutto. Tutto si trasforma.
Magari gli uomini potevano essere confrontati a quegli atomi.
Magari Ivy era quell’atomo che non poteva scomparire.
E Hanna e Joe non erano altro che due di quegli atomi perduti nel nulla, che non aspettavano altro che una collisione che li avvicinasse.
Che non aspettavano altro che il legame perfetto,  l'equilibrio assoluto  grazie al quale non avrebbero avuto più bisogno di nient'altro per completarsi.
Nient'altro da ricercare.
Magari era così.
Magari no.
Ma per ora, tutt'e due erano convinti che, per loro, non poteva esistere equilibrio più perfetto di quello.
Non ci sarebbe stato nulla più perfetto di loro tre.

 The End.

 

Eccoci qui. Finalmente questa storia è finita.
Io davvero non so da dove cominciare, quindi perdonatemi per le cose insensate che scriverò giù.
Prima cosa, sicuramente la più importante che ho da dirvi:
GRAZIE.
L’avrò già detto moltissime volte, ma secondo me ringraziare è così bello che nessuno ne dovrebbe avere mai abbastanza.
Voglio ringraziare tutte quelle che ci sono state dall’inizio, e a tutte quelle che invece sono arrivate in seguito. Voglio dire grazie anche a chi magari ha smesso di leggere questa storia a metà, a chi comunque ci ha dedicato del tempo e a chi ha letto soltanto e non ha mai espresso un giudizio.
Grazie a coloro che hanno recensito una sola volta, e a coloro che l’hanno fatto sempre. A quelle che con una sola recensione mi hanno fatta sorridere. A quelle che per il solo fatto di essere qui mi hanno fatto continuare e a tutte coloro che hanno letto i miei scleri alla fine, e che hanno sclerato con me nelle recensioni.
Grazie alle 21 che l’hanno inserita nelle seguite, alle 15 delle preferite e alle due pazze che mi hanno inserita tra gli autori preferiti che sono:

- V i o l e t
-
GothicSmile
 

Un ringraziamento speciale poi va a chi c’è stato sempre sempre:
 

-GothicSmile
-thejbarelegend
-MartaJonas
-HelloPrudence
-CiuffoJonas

 
Ho una domanda per voi: come avete fatto a sopportarmi per tutto questo tempo? AHAHAHAHAH
 
Credo che in questo modo abbia ringraziato un pò tutti.
 
Questa è stata la prima vera fan fiction che pubblico qui, e voi l’avete resa indimenticabile per me.
Proprio per questo, come avevo già scritto ad un capitolo precedente, mi dispiace tantissimo concludere questa storia ma era ora che Hanna e Joe avessero un pò di pace, no?
Naturalmente non smetterò di scrivere (no, epf non si è liberato di me!) perchè a dir la verità mi piace scrivere e postare qui quello che la mia povera mente elabora nei momenti di noia, quindi per ora il mio progetto è continuare
Better Than White, che avevo lasciato in sospeso.
Non volevo dilungarmi molto su questo spazio autrice, ma sono tutte cose che sentivo di dovervi dire.
Scusate ma non ho riletto il capitolo perchè so che fine avrei fatto.
Anzi si, lo so. Sarei andata a chiudermi nell’armadio, piangendo e dondolandomi AHAHAHAHA
Lo so che non vedevate l’ora di liberarvi di me, e per questo vi lascio una volta per tutte, sperando che vi rincontri in qualche altra storia, magari.
Aspetto un vostro ultimo commento.
Detto così sembra tanto il titolo di un film, “The Last Review” AHAHAHAHAHAH
Come potete vedere non potevo lasciarvi senza un ultima pessima battuta, insomma, “The Last Laugh”
 
Non so se l’avevo mai detto, ma se volete aggiungermi su Twitter sono
__DearJoseph, magari menzionatemi e ditemi chi siete che ci facciamo una bella chiacchierata.
 

Vi adoro tanto tanto pelle pimpe!
Siete fantastiche, tutte.
 

Martina 

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