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di bicci97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Corro più veloce che posso….

Ma la realtà è che per quanto io corra verrò sempre braccato…

- Fermi, F.B.I.!

Il mio istinto mi dice di continuare a correre, di scappare da questa situazione che sta diventando veramente ridicola, ma mi fermo, perché ho una missione da portare a termine. Del resto è questo il mio lavoro. Per essere precisi il mio nuovo lavoro. Cavolo, preferivo il primo.

Mi lascio ammanettare, come pure il mio “compare”, anche se preferirebbe eclissarsi.

Non appena l’auto dell’F.B.I. si allontana, il capo della divisione White Collar (una sezione dell’F.B.I. che si occupa di crimini finanziari) mi si avvicina con un sorriso stampato in faccia. Fa per togliermi le manette con la chiave, ma io gliele porgo con un sorriso sfacciato, che sta a significare “ancora ti dimentichi che un paio di manette non possono certo fermarmi?”.

- Ottimo lavoro Neal- mi dice lui.

- Grazie Peter.

- Ti lascio libero il pomeriggio, ti meriti una pausa. Del resto questo caso ti ha tenuto occupato per tre lunghe settimane. Mozzie sarà proprio felice di sapere che finalmente abbiamo chiuso il caso, non ne poteva più delle mie continue incursioni in casa tua.

- Non ti preoccupare, si sarà di certo consolato con qualche bottiglia del mio vino migliore, come il suo solito.


Perché prendere un taxi quando si può passeggiare per una delle città più belle del pianeta? Mi dirigo verso Central Park, più precisamente in una zona in cui sono solito dedicarmi alla lettura dei miei libri preferiti. Ma indovinate un po’? Proprio seduto alla mia panchina (dovrebbero scriverci il mio nome) c’è Mozzie, il mio migliore amico. Sono così prevedibile? Era così ovvio che per prima cosa mi sarei recato alla mia panchina? Perché non in quel bar in cui fanno il caffè migliore della città (miscela italiana, per inciso) o in quella vecchia bottega in stile vittoriano in cui vendono oggetti antichi? Mah, non capirò mai come fa Mozzie a leggermi nel pensiero, a volte mi fa davvero paura.

- Ciao Moz.- lo saluto io con un cenno della mano. Mi siedo accanto a lui, anche se mi verrebbe quasi spontaneo chiedergli di spostarsi per lasciarmi il posto.

- Pomeriggio libero?! Ma allora hai chiuso il caso! Era ora, cominciavo a credere che ti fossi affezionato all’idea di fare il banchiere corrotto in una delle società più importanti di New York. Non mi fraintendere, se fossi stato al tuo posto mi sarei crogiolato nel mio ruolo.

- Il sospettato è stato arrestato appena qualche ora fa. Al momento sono “disoccupato”.

All’inizio sembra non capire, ma appena un frazione d'attimo dopo spalanca gli occhi e mi dice:

- Davvero? Lo avete preso? Quel tizio era un mito, uno dei miei idoli! Non si è fatto beccare per ben nove anni! Poi arrivate tu e Distintivo e… puff! Anni e anni di lavoro buttati all’aria. Complimenti. Chapeaux, mio caro Neal, chapeaux.

Il mio caro amico ha proprio un’avversione per tutto quello che riguarda la legge e la giurisdizione, ma quando si tratta di ammettere la bravura dell’F.B.I. nell'acciuffare un criminale (che potrebbe essere anche un nostro collega, per quel che ci riguarda) non fa distinzioni.

- Ma non è per questo che sei qui, vero Moz? C’è qualcosa che devi dirmi?

- In realtà vorrei farti vedere una cosa. A volte mi stupisco di come tu mi legga nel pensiero (ma non era quello che pensavo io qualche minuto fa?! A quanto pare il mio amico ed io ci capiamo al volo)… Ho qui una foto che ti potrebbe interessare.

Detto questo infila una mano in una tasca interna del soprabito per tirarne fuori una fotografia dall’aspetto innocuo, ma che in realtà nasconde il nostro (suo) prossimo obiettivo.

-Lo sai che adesso lavoro per la White Collar, non mi posso permettere altri sbagli, o finisco di nuovo in prigione.

- Cosa ti costa buttarci una rapida occhiata? Ti prego, ho cercato questo quadro per mesi, e ora che lo trovo non vuoi nemmeno vederlo?! E in fotografia per giunta! Fammi un piacere Neal, per favore.

Lo guardo un attimo, sta facendo quella sua faccia che è un misto di cane bastonato e signora inacidita. Maledizione, la curiosità è troppo forte.

- Dammi qua. Fammi vedere.

La foto mostra una stanza in disordine, colma di libri e fogli sparsi un po' ovunque, ornata di mobili antichi e… un quadro. Ma non un quadro qualunque. Rimango un po’ ad osservarlo, sono davvero sbigottito.

- Ma è…- le parole mi muoiono in gola, la voce mi si incrina per l'emozione.

- Hai proprio indovinato mio caro. Si tratta di un Monet. Non ce ne sono molti ancora fuori dai musei, i direttori museali li vogliono a tutti i costi. Ma questo è sfuggito al grande occhio del Governo, alla famiglia a cui appartiene questo quadro non interessa nessuna cifra in denaro, si tengono stretto il loro bel dipinto. E fanno bene. Potrei restare a guardarlo per ore, è davvero splendido, non è vero?

In effetti è magnifico: le pennellate di Monet non hanno prezzo, la fluidità con cui dipinge è davvero magnifica. È un maestro. Il quadro ricorda la sua forse più famosa opera, “Ninfee”, anche se con dei particolari completamente diversi: il colore dell’acqua e dei fiori acquatici, l’ombreggiatura e l’increspatura delle onde. Forse lo ha dipinto prima del 1916, chissà.

- E sentiamo un po', cosa dovrei farmene di questa fotografia?

È quasi inutile chiederglielo, è ovvio che vuole rubarlo. Coinvolgendomi, ovviamente. Mi è sempre piaciuto “prendere in prestito” in modo permanente tutto quello che riguarda l'arte. E se devo essere sincero non dovrebbe essere poi così difficile rubare un quadro da un'abitazione privata. Un gioco da ragazzi, insomma.

Ma come ho già detto io ho le mani legate, non posso commettere altri crimini (anche se in realtà l'F.B.I. non è mai riuscito ad attribuirmi tutti i miei presunti reati).

-Ma Neal, è così ovvio... Dobbiamo rubarlo!

Sembra quasi che stia cercando di spiegarlo ad un bambino di cinque anni, anche se sa perfettamente che sono un esperto in questo campo.

- Non è una buona idea, Moz. Non posso, e poi anche se ci andasse bene, non riusciremmo mai a rivenderlo al mercato nero, l'F.B.I. ci braccherebbe e ci metterebbe in gattabuia, e in modo permanente per quello che mi riguarda.

- Ma sarebbe divertente, Neal! Lo sai che sei il mio partner, non voglio chiedere aiuto ad Alex o ad altri nostri “amici”, io mi fido solo di te. Fammi un favore, ti prego...

E qui rientrano in gioco gli occhi da cane bastonato.

Non guardarlo non guardarlo non guardarlo.... E va bene, mi sta fregando.

- Cosa dovrei fare? Sottolineo che questa è solo una domanda informativa, non ho accettato l'incarico.

Almeno per il momento.

- In breve tu dovrai... come posso dire... sedurre una donna.

Non mi sembra poi così difficile, ma perché fa quella faccia? Non me la racconta giusta, c'è qualcosa che non vuole specificare.

- Tutto qui? Non devo buttarmi da un grattacielo con un paracadute o scontrarmi con qualche boss della mafia? C'è qualche altro particolare di cui vuoi parlarmi?

In quel momento Mozzie sembra un bambino beccato con le mani nel sacco.

- Hai ragione, non è tutto – aggiunge allora con fare impacciato – ma ti darò tutti i dettagli questa sera, adesso ho degli impegni da sbrigare.

- Va bene, allora ci vediamo dopo. E vedi di portare tu il vino, almeno per questa volta.

Osservo Moz che si allontana, sembra incerto, dubbioso, deve proprio tenerci a questo colpo. Mah, non so se accettare, mi sembra troppo rischioso. Certo che però sarebbe bello avere un Monet appeso in soggiorno...

Mi allontano anch'io, penso che andrò a bermi un buon caffè, per riflettere.


Appena entrato nel locale mi dirigo verso il mio solito tavolo, da li posso osservare tutto. Non faccio nemmeno in tempo a sedermi che una diciassettenne che lavora li, con l'apparecchio ai denti e una faccia trasognata (sono quasi convinto che abbia una simpatia per me) mi domanda:

- Il solito?

- Si, grazie mille Mollie.

Ogni tanto capita che ci fermiamo a chiacchierare. È una ragazza simpatica tutto sommato, frequenta una prestigiosa scuola di Manhattan: i suoi genitori sono i proprietari di una nota catena che produce il mio caffè preferito.

Sto ancora facendo le mie elucubrazioni quando arriva Mollie con il mio caffè in una mano, e un succo di frutta nell'altra.

- Posso sedermi? Ho qualche minuto di pausa.

Nonostante sia la figlia del padrone sgobba ore e ore a preparare e servire caffè, l'ammiro molto, vista anche la sua giovane età.

- Certo, ma che domande.

Si vede lontano un miglio che cerca di fare colpo su di me: la camicetta leggermente sbottonata, i capelli sciolti, un filo di trucco e scarpe col tacco, che ha sostituito poco prima di venire al mio tavolo, al posto delle converse (come ho già detto posso vedere tutto da qui).

- Qual buon vento ti porta qui a bere il mio caffè? - mi domanda lei sbattendo le ciglia come farebbe un cerbiatto.

- Lo sai che non resisto un giorno senza un buon caffè. E poi questo è il migliore di New York.

- In effetti non è male. - scherza lei, appoggiandomi per un momento una mano su una spalla.

Restiamo un po' in silenzio, ad osservare la gente che va e che viene, quando mi domanda di getto:

- Senti Neal, noi ci conosciamo da un po' ormai – in effetti dovrei conoscerla da circa sei mesi, giorno più o giorno meno – quindi volevo chiederti... che ne dici se usciamo a pranzare un giorno? Potremmo parlare un po' di noi, dei nostri hobby, dei nostri interessi...

Ok, non me lo aspettavo. E adesso come faccio a declinare l'invito? Non voglio ferirla ma cavolo, abbiamo circa quindici anni di differenza, non è un scherzo.

La osservo per un momento con una faccia che sfiora l'ebetismo, non so proprio che cosa dire.

Ma proprio in quel momento entra nel caffè la mia salvezza.

Elizabeth?

Si guarda intorno per un attimo, e appena mi vede si avvicina con passo deciso.

- Ciao Neal. Sapevo che ti avrei trovato qui. I miei informatori non si sbagliano mai.- mi dice facendomi l'occhiolino. Probabilmente allude a Mozzie.

- Non perdiamo tempo. Devi venire subito con me. Ti devo parlare di una cosa. Forza, puoi finire il caffè in macchina.

Non faccio nemmeno in tempo a ribattere che mi ha già afferrato per una manica e mi trascina verso l'uscita. Mi volto verso Mollie e la saluto con una mano. Poverina, sembra davvero triste, penserà che Elizabeth sia la mia fidanzata. Invece no, lei è la moglie di Peter. A proposito, che modi bruschi! Mi sta trascinando via come se fossi in arresto. Peter le ha insegnato il mestiere, a quanto pare.

Appena saliti in macchina mette subito in moto.

- Ciao anche a te Elizabeth. Come mai tanta fretta?

- Devo parlarti di una cosa che è di vitale importanza.

Ma guarda un po', è già la seconda persona che vuole qualcosa da me. Questa giornata è sempre più strana.

- Di che si tratta?

- Fra una settimana è il compleanno di Peter, e io volevo organizzargli una festa. È il mio lavoro, lo so, ma volevo anche un tocco maschile quest'anno, e l'uomo con più buon gusto che io conosca sei tu Neal. Mi aiuteresti?

- Ma certo! E grazie mille per il complimento.

Passiamo tutto il pomeriggio ad assaggiare pietanze, scegliere tovaglie e sottobicchieri. Il regalo è ancora un'incognita, ma con l'organizzazione della festa siamo già a buon punto.

Alle diciotto in punto mi scarica davanti casa mia, ringraziandomi per l'aiuto e spiegandomi dove dovremo incontrarci dopo qualche giorno.

Elizabeth è proprio una brava persona, come Peter del resto. Sono proprio una bella coppia insieme.

Mangio qualcosa al volo, sono proprio curioso di sapere qualcosa in più sul prossimo obiettivo di Mozzie.


Eccolo che bussa alla porta.

Era ora.

Ovviamente non ha portato il vino, figuriamoci.

Entra come se fosse a casa sua, si siede e con espressione seria (quasi non lo riconosco, deve proprio essere importante per lui quel Monet) mi dice:

- Va bene Neal, è ora che ti dia i dettagli del nostro prossimo colpo.





ANGOLINO DELL'AUTRICE:

È stata dura, ma ce l'ho fatta. Ecco qui il primo capitolo, spero di avervi incuriosito! Come vi è sembrato? Avete fatto fatica a raggiungere la fine della pagina? Se ne avete voglia (mi farebbe davvero molto piacere) potete lasciarmi un commentino, anche piccolo, per farmi sapere cosa ne pensate.

Grazie mille (*inchino*)

PS: Un ringraziamento davvero speciale va alla mia amica Giulia, che mi ha sopportato con grande pazienza. Bacio :-)

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Mozzie è alla ricerca di un calice per il vino mentre inizia a spiegare. Sembra stia cercando di tergiversare, così inizio io la conversazione.

- Innanzitutto, come hai ottenuto quella foto? Ti sei introdotto nella casa dei possessori del Monet?

- Niente affatto, caro Neal. Io sono un uomo di classe, suvvia. Non mi sarei mai fatto beccare dalle telecamere mentre faccio una serie di scatti fotografici al dipinto. Ci ha pensato la donna delle pulizie, che ora è una nostra amica. Grazie a lei posso sapere tutto, orari di lavoro, argomenti da tavola, se solo lo volessi potrei anche sapere di che colore sono le mutande del padrone di casa.

- Davvero un'ottima trovata, non c'è che dire. Ma perché mi devi coinvolgere in tutto questo? Potresti fare anche da solo, lo hai fatto altre volte.

- In effetti è vero, ma tu hai una qualità che io non possiedo. - in questo momento sembra quasi imbarazzato - Tu... piaci alle donne.

- E allora?

Ed ecco che i nodi vengono al pettine.

- Prima di rubare il quadro dobbiamo avvicinarci alla famiglia, avere la loro fiducia. Ed è per questo che secondo il mio modesto parere sarebbe meglio che uno di noi (e quel qualcuno sarei io) installi un qualche tipo di relazione con un componente della famiglia.

- Aspetta un attimo, che tipo di rapporto?

- Ehm... una relazione amorosa.

Ecco, l'ha detto. Tutti questi preamboli per dirmi che devo fingere di amare una donna, carpire la sua fiducia e poi rubare il quadro proprio sotto il suo naso. La cosa non mi entusiasma, ma è fattibile. Comunque ha ragione Mozzie, anche quando avevo quindici anni ero molto intraprendente con le ragazze. Ma che ci posso fare, sono fatto così.

- Perché non ti avventuri tu in una falsa storia d'amore per rubare un quadro che ci interessa (proprio così, passo al plurale, il quadro inizia ad allettarmi parecchio)?

- Ma è così ovvio, Neal. Tu sei il classico belloccio con gli occhi azzurri e i capelli pressoché perfetti che non conosce altro capo di vestiario se non l'abito firmato, con tanto di gemelli vintage e fermacravatta. Io sono un intellettuale, non piaccio molto alle donne (e non sanno quello che si perdono) perché mi nascondo dietro questi occhiali spessi.

- Non dire così. Beh, dovresti fare almeno un tentativo... provaci tu.

- Ma mi stai a sentire quando parlo?! Dobbiamo fare colpo su una donna! Tu ci metteresti la metà del tempo che ci impiegherei io! E poi se la nostra vittima dovesse innamorarsi profondamente di me... non supererebbe più il trauma di essere lasciata.

- Che modestia!

Facciamo una pausa di riflessione, durante la quale osserviamo lo skyline di New York sorseggiando il vino (un Pinot Grigio di ottima annata, preso dalla mia cantina, tanto per essere più precisi).

Sono cambiate così tante cose negli ultimi anni: ora sono un consulente dell'F.B.I., aiuto i miei nemici a catturare quelli come me. Ancora qualche anno e sarò libero come l'aria, mi libererò da questa stupida cavigliera che mi irrita la gamba e tornerò alla mia vita da dove l'ho lasciata.

Ma sarò davvero in grado di tornare a fare il ladro e il falsario, fuggendo dalle persone a cui ora voglio bene?

Mi sto riferendo a Peter e alla White Collar ovviamente, mi sento quasi a casa quando sono in ufficio.

Cavolo, sto proprio diventando un federale. Meglio che Mozzie non lo venga a sapere, morirebbe d'infarto. Proprio lui che mi ha fatto entrare nel giro.

- Parlami della famiglia che ha il quadro.

Moz si incupisce, a quanto pare non mi piacerà quello che deve dirmi.

- No caro mio, se vuoi sapere chi dovrai sedurre devi prima accettare l'incarico!

E adesso cosa faccio? Il quadro mi interessa, è davvero splendido. Maledizione Moz, riesci sempre a fregarmi!

Sono davanti a una scelta: nuova vita (da consulente federale) o vecchia vita (da ladro che fugge dall'F.B.I.)?

Cavolo, io adoro gli inseguimenti, mi fanno sentire vivo. E poi non è detto che Peter scopra che sono stato proprio io a rubare il quadro.

Faccio una faccia combattuta, per tenere Moz sulle spine, faccio un lungo respiro (come se stessi combattendo una battaglia interiore) e dico:

- E va bene... Accetto.

- Fantastico! Ben tornato nel giro vecchio mio.

- Bada bene, sono pur sempre un consulente della White Collar, quindi evitiamo di fare casini. Mi piace vivere a New York, non voglio essere obbligato a fuggire in qualche paese insulso che non ha l'estradizione con gli Stati Uniti.

- Non lasceremo niente al caso Neal: procederemo in modo pragmatico, niente sarà trascurato, e se qualcosa va storto lasciamo perdere il Monet. Anche io ci tengo alla pellaccia.

Ecco fatto, sono fottuto. Questa cavigliera mi resterà appiccicata addosso a vita, magari coordinata con un bel completo arancione. E non un completo qualsiasi, ma la mia “tanto amata” tenuta da prigione.

Non devo essere pessimista, ce la possiamo fare.

- Adesso che ho accettato puoi anche dirmi tutto.

- Facciamo così: incontriamoci in quel bar dove fanno quel caffè che ti piace così tanto, io devo andare.

- Hai molti impegni ultimamente, non è che temporeggi per tenermi sulle spine?

- Forse si, forse no. Ci vediamo domani all'ora di pranzo, devi assolutamente venire. Non farti convincere da Peter a rimanere in ufficio, mi raccomando. Ciao.

Detto questo se ne va, abbandonando a malincuore il calice di vino ancora mezzo pieno.

Che posso dire a mia discolpa? Non resisto a una nuova sfida, e questa sembra proprio elettrizzante. Per quello che riguarda Peter...

Spero solo di non fare niente di equivoco, non deve insospettirsi.

 

Qualcuno bussa alla porta.

Non si può mai avere un po' di pace in questa casa?

Corro ad aprire, e chi mi trovo davanti? Peter!

- Ciao Neal! Posso entrare?

Rimango per un po' imbambolato a guardarlo, e quando mi accorgo che mi sta osservando in attesa di risposta borbotto:

- Ehm, certo.

Il karma, ne sono sicuro. Ho accettato l'incarico e adesso vengo punito.

- Come mai da queste parti?

- Ti ho portato il tuo gelato preferito, preparato appositamente per te (e per me) da Elizabeth. Forza, prendi due cucchiaini che muoio di fame.

Mi avvicino al pensile della cucina e intanto dico:

- Così mi viziate, lo sapete che adoro tutto quello che è al pistacchio.

Mentre ci gustiamo il gelato guardando un programma a caso alla tv penso al motivo per cui Peter è qui.

Forse vuole solo passare un po' di tempo con me al di fuori dell'ambito lavorativo...

Ma la realtà è che ho il terrore che venga a scoprire del Monet.

Pensa positivo pensa positivo pensa positivo...

- Come mai hai deciso di condividere lo squisito gelato di tua moglie con me?

In quel momento si gira e mi guarda, sembra sorpreso della domanda.

- Neal tu oltre che un collega sei un amico, ed è normale che due amici passino del tempo assieme. E poi volevo “festeggiare” il nostro successo di questa mattina.

- Ah, ok.

Peter mi considera un amico fidato, e io lo pugnalo alle spalle.

Mi si sta chiudendo lo stomaco, troppi avvenimenti per un sol giorno.

Per smettere di pensare mi concentro sulla tv. Oprah si che risolve i problemi. Magari dovrei confidarmi con lei, forse lei saprebbe cosa fare. Mah. Sto diventando paranoico.

Quando finiamo il gelato Peter si congeda con un “ci vediamo al lavoro”, un sorriso e la raccomandazione di esserci domani.

Appena chiudo la porta penso:

Stupido karma.

 

 

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE:

Ciao a tutti, rieccomi qua. Ci stiamo avvicinando al mitico incontro con la nostra sconosciuta, nonché vittima dell'affascinante Neal.

Che succederà?

Sono proprio curiosa di saperlo anch'io!

(*si gratta la testa con fare imbarazzato*)

Niente paura, ho già qualche ideuzza XD

Bye bye

bicci97

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Bip bip. Bip bip. Bip bip.

La sveglia, la mia rovina. Odio essere svegliato da rumori insistenti (siano il trapano di un cantiere sotto casa o una sveglia, appunto) ma Peter me l'ha regalata obbligandomi ad usarla, da bravo agente.

Mi alzo senza fretta, devo essere al lavoro tra un'ora, posso anche prendermela comoda. Mi vesto con uno dei miei completi preferiti (quello blu, June dice che si intona con il colore dei miei occhi), indosso il mio ormai immancabile Fedora e mi avvio verso l'ufficio.

Sono quasi tentato dal prendermi un caffè al “Little Piece of Italy” (il locale in cui lavora Mollie, per intenderci) ma ci ripenso, me ne preparerò uno arrivato da Peter.

 

Eccomi qua, pronto per un nuova giornata lavorativa. È piuttosto strano dirlo, visto che non ho mai fatto un lavoro “serio” che implicasse alzarsi presto e lavorare per un certo numero di ore.

Sono solo le 8:30, eppure c'è un gran caos: persone che parlano al telefono, altre che stampano documenti ufficiali, altre ancora che consultano dei raccoglitori. E proprio in mezzo a tutto questo c'è Peter, che mi sta aspettando.

Guai in vista a quanto pare.

- Ciao Neal.

- Buongiorno Peter. Come mai questa confusione?

Si guarda intorno per un attimo, sembra si sia accorto solo ora della mole di persone che lo circonda.

- Niente di che, sarà giorno di paga.

Sembra sarcastico, anzi, ne sono sicuro. Questo conferma ulteriormente la mia tesi: c'è qualcosa di grosso nell'aria.

- Vieni in sala riunioni fra quindici minuti.

- Certo, capo.

È appena stato promosso a direttore della White Collar Crime Unit, lo prendo in giro continuamente.

Mi preparo un caffè al volo.

Bleah, sa di ruggine. Era meglio se andavo da Mollie.

Mi fiondo in sala riunioni giusto in tempo, appena mi siedo Peter dice:

- Molto bene signori, abbiamo un altro caso fra le mani. Ieri uno dei responsabili della galleria d'arte “Marian Goodman Gallery” ci ha chiesto di autenticare un quadro. È certo che sia un falso. Il nostro compito è quindi studiarlo e, in caso di falsificazione, scovare il criminale che lo ha rubato. Tu dovresti essere esperto di queste cose, non ho forse ragione, Caffrey?

Gli rivolgo un sorriso, non mi vergogno affatto dei miei (presunti) reati.

- Diana e Jones restate qui, se scopriamo qualcosa ve lo comunichiamo subito. Tu Neal invece vieni con me, hai del lavoro da svolgere.

 

Beh, mi bastano cinque minuti di osservazione per capire che è un falso coi fiocchi.

- Allora?- mi domanda Peter.

- È un falso, ma è davvero un ottimo lavoro. Il vero dipinto, quello di Raffaello, non ha questo.

Indico con una matita un piccolo segno, quasi invisibile.

- Che cos'è? - chiede Peter mentre si avvicina con circospezione al quadro.

- Una firma. Se si osserva con attenzione si notano le lettere “S.R.M.”. A quanto pare sono così noto che cominciano a copiare la mia tecnica. La mia passione nel firmare le cose di mia creazione sta dilagando.

- E ora come procederete? - dice il responsabile.

- Beh, ci sono varie cose da fare. Interrogatori, test scientifici... tutto quello che potrebbe esserci utile, insomma. Non si preoccupi, non disturberemo i visitatori della sua galleria, i miei uomini sono molto discreti.

- Molto bene. Attendiamo ulteriori notizie, allora.

Peter deve quasi trascinarmi via, vorrei restare li ancora un po' ad osservare quella perfetta riproduzione del quadro di Raffaello “Madonna col bambino e san Giovannino”. Di norma dovrebbe trovarsi a Vienna, al Kunsthistoriches Museum, ma dopo mesi di lunghe trattative Sam, il responsabile, è riuscito a farlo esporre qui a New York per qualche mese. Peccato sia stato rubato.

Potrebbero esporre al pubblico questo, è così perfetto...

- Muoviamoci Neal, non abbiamo tempo per osservare l'operato di un tuo “rivale in affari”.

Ma che rivale, questo qui è un vero maestro, secondo soltanto a me.

 

 

Il resto della mattinata passa in modo tranquillo e monotono. Le pratiche da sbrigare prima di passare alla modalità operativa sono una vera rogna.

Ma sono sicuro che Mozzie saprà vivacizzare la mia giornata. Quando arriva il momento della pausa pranzo salgo su un taxi e vado a cercarlo al “Little Piece of Italy”.

Spero almeno che non mi rovini l'appetito.

 

 

All'entrata non c'è, e infatti appena entro noto un tizio completamente nascosto dal Times, seduto al mio tavolo.

Mi siedo immediatamente, sono sicuro che quello nascosto dal giornale sia Moz. E io non mi sbaglio mai.

- Ciao Neal.

- Ciao Moz. Ordino qualcosa da mangiare, vuoi pranzare con me?

- No grazie, ho già mangiato.

Solo quando noto avvicinarsi una Mollie molto diversa dal solito mi ricordo del casino che ho combinato con lei, ieri. È fredda e pragmatica, il suo sorriso è scomparso, i suoi occhi luccicanti sono solo un ricordo. Deve essersela presa, e parecchio.

- Cosa vi porto?

Non saluta neanche, è proprio incazzata.

- Un'insalata greca, un'acqua naturale e uno dei tuoi magnifici caffè.

Spero di strapparle un sorriso con il complimento. Tentativo fallito.

- Subito.

Resto un po' a guardarla mentre prepara caffè a raffica e parla con le amiche.

Come posso farmi perdonare? Forse potrei...

- Neal? Smettila di guardare quell'adolescente, hai altro a cui pensare. C'è un'altra a cui devi pensare.

Ha ragione lui, devo concentrarmi sul “lavoro”.

- Allora, perché mi hai portato qui? C'è un motivo in particolare oppure...

- Il motivo sta entrando proprio ora.

Mi giro immediatamente verso la porta. Sta entrando... un angelo.

Una ragazza davvero incredibile sta varcando l'entrata del “Little Piece of Italy”: capelli biondi, occhi color verde smeraldo, fisico perfetto stretto in un tubino rosso e tacchi a spillo. Ripeto. Incredibile.

Si dirige decisa verso il bancone, per parlare a... Mollie.

- Cos'è quella faccia?

Ok, probabilmente sto sbavando, con gli occhi fuori dalle orbite. Devo darmi immediatamente un contegno.

- Ehm... - ho la gola secca.

- Allora, che te ne pare? Ritieniti fortunato, la tua nuova fidanzata è davvero una donna fuori dal comune.

Mantenendo lo sguardo fisso sulla mia preda dico:

- Che cosa sai su di lei?

- Il suo nome è Edison Smash. È la figlia del proprietario di questa catena di caffè. È la sorellastra di Mollie. A proposito, potresti utilizzare la tua amica per avvicinarti a lei.

- Ehm, io non credo. Comunque vai avanti.

- Ha ventiquattro anni, sta per laurearsi in Scienze della Comunicazione, sogna di diventare una giornalista di grido, un giorno. Ha un debole per l'arte, non si perde neanche una mostra qui in città.

Mozzie mi fa paura, come fa a sapere così tante cose su Edison?

Edison... Mi piace come suona.

- Altro?

- Suona la viola in modo divino, ogni tanto si esibisce. Sa andare a cavallo, tre volte alla settimana ha la lezione di yoga... potei parlare per un'altra mezz'ora, ma queste informazioni ti dovrebbero bastare.

- La pedini? Sei così informato...

- Hey, io studio a fondo le persone che devo avvicinare. È importante essere informati.

- E come dovrei avvicinarla?

- E che ne so io? Questo è un tuo problema. E poi te l'ho già detto che io di ragazze non me ne intendo proprio.

Sono fregato. Conosce Mollie.

Mi rigiro a guardarla. Sta ridendo con la sorella, sembra vadano d'accordo nonostante abbiano una madre diversa.

Potrei farmi presentare da Mollie... Ma che sto dicendo?! Ieri ho capito che le piaccio, non ci penserebbe neanche a “cedermi” ad Edison. Devo fare da solo.

Potrei andare li e offrirle un caffè, ma probabilmente sembrerei un maniaco.

Appena finisco di pranzare mi dirigo verso la cassa per pagare, immerso nei miei pensieri. E proprio li... mi becco un caffè dritto sul completo di Prada. Il contatto bollente con il liquido mi desta dalle mie elucubrazioni.

Ma che cazzo...

- Scusa! Non ti ho proprio visto! Mi dispiace tantissimo!

Eccola qui la mia scusa: Edison, girandosi per andarsene, ha perso l'equilibrio (e ci credo, come fa a camminare sui quei tacchi vertiginosi?!) e mi è finita praticamente addosso, versandomi un cappuccino sul mio bel completo, rovinandolo in modo irreparabile.

Alzo lo sguardo e incontro quello di lei. Sfodero il mio miglior sorriso, quello che ha conquistato tutte le ragazze con cui l'ho usato. E anche stavolta funziona.

- Non ti preoccupare, ne ho molti di questi completi.

Per un momento rimane imbambolata, non riesce a fare altro che guardarmi.

Ma ha perso la lingua? I miei occhi fanno sempre il loro dovere.

- Ehm... ok... Volevo dire certo che no! Devo ripagare in qualche modo o devo comunque ripagare in qualche modo...

- Beh, - dico sorridendo in modo malizioso – potremmo prenderci un caffè qui al bar nei prossimi giorni. Che ne dici? Comunque io sono Neal.

Non sa proprio cosa dire. E se fosse fidanzata? Non avevo pensato a questa possibilità.

Ma da quel che ho capito è una persona a cui piace stare con gli altri, quindi sono abbastanza sicuro che accetti. O almeno lo spero.

Ti prego, accetta...

Ma ecco che il suo volto si schiude in un sorriso alla Julia Roberts. Splendida.

- E va bene, facciamo dopodomani a mezzogiorno?

La sua voce è davvero dolce e cristallina.

Basta con i complimenti.

- Direi che è perfetto. Allora a domani. Se non ti dispiace ora vado a cambiarmi l'abito. Ciao.

- Ciao. Ah, io sono Edison.

Mi allontano con il sorriso stampato in faccia, e mentre la porta del Little Piece of Italy si chiude sento in lontananza:

- E scusa ancora!

Per tutto questo tempo Mozzie è rimasto in disparte, per non farsi notare. Ha visto la scena, ne sono sicuro, perché è felice come un bambino.

- Allora? - mi domanda.

- Missione compiuta. La vedo domani.

- Ottimo lavoro, ero sicuro che il tuo spirito da Don Giovanni ci sarebbe servito.

 

 

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE:

Ed ecco il terzo capitolo! Pensavate fosse Mollie la ragazza da “abbordare”? E invece no XD non ce li vedevo insieme, ma non date tutto per scontato! La mia mente partorisce idee alla velocità della luce ^.^

Neal, con quegli occhi può ottenere tutto. È proprio mitico *_____*

Alla prossima allora

bicci97

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


È una splendida giornata. Magnifica. E oltretutto domani incontrerò Edison, non è fantastico?!

Sto andando a casa di Peter, oggi andiamo al lavoro insieme. Mancano solo quattro giorni al suo compleanno, e non gli ho ancora comprato un regalo.

Magari un bel quadro, o una statuetta votiva...

Mah, Peter non ama l'arte come l'amo io. La sua anima gemella è il football. Se gli regalassi un cappellino autografato probabilmente gli farei un immenso piacere.

Appena suono il campanello Elizabeth mi apre, e mi sussurra prima che arrivi Peter:

- Incontriamoci nel tardo pomeriggio. Ci sono ancora un sacco di cose da fare. Vengo a casa tua quando finisco di lavorare.

Non è una richiesta, è un'affermazione.

Annuisco senza dare nell'occhio.

- Ciao Neal. Pronto per passare una giornata alla Marian Goodman Gallery? Per la nostra disponibilità ci hanno offerto un giro gratis con una guida personale.

- L'ho già visitata qualche anno fa. - rispondo io, pentendomi subito di averlo detto.

- Non mi risulta dai tuoi spostamenti. Prima di arrestarti ti facevo sorvegliare. E pensa un po', in quel periodo è scomparso uno splendido quadro dalla galleria. Non è che per caso...

- Stiamo facendo tardi, Peter. E poi è inutile rivangare il passato.

Peter annuisce non molto convinto, saluta sua moglie con un bacio ed esce per chiamare un taxi. Prima di seguirlo lancio uno sguardo d'intesa ad Elizabeth, che mi fa l'occhiolino prima di chiudere la porta.

 

 

Appena arrivati alla galleria scopro che la guida è una ragazza sui venticinque anni, appena laureata all'Accademia delle Belle Arti di Venezia. Mi lancia immediatamente uno sguardo affascinato, ma io sorrido e le faccio capire che non sono interessato. Non posso uscire anche con lei, ho già un appuntamento. E deve assolutamente andare a buon fine.

La mattinata passa tranquilla, Nancy (è così che si chiama) è davvero una brava guida. Ci parla anche del fantomatico quadro rubato qualche anno fa, ma io non faccio nemmeno una piega, ascoltando tutte le implicite maledizioni che la ragazza lancia al ladro, mi limito a sorridere ed annuire.

Ora Peter sa anche che sono un bravo attore. Mi conosce fin troppo bene.

Finito il giro ci congediamo con gentilezza e ci avviamo verso il bureau, che ci accoglie con un mucchio di scartoffie. Il solito, insomma.

Le iniziali S.R.M. mi stanno perseguitando, voglio assolutamente capire chi c'è sotto a questa storia. Ma per oggi... niente di fatto.

 

 

Come il solito mi ritrovo a passeggiare nei pressi del “Little Piece of Italy”.

Un caffè potrebbe tirarmi su il morale. E poi potrei incontrare Edison.

Entro di slancio, mi avvio al mio solito tavolo (lo trovo sempre libero, non è fantastico?!) e aspetto che una cameriera arrivi per ordinare.

Dopo qualche minuto noto Mollie, dedita al lavoro come il suo solito, che mi guarda con uno sguardo truce e sussurra qualcosa ad una sua collega. Le sta dicendo di servire il mio tavolo, anche se qualche giorno addietro si sarebbe azzuffata con chiunque per venire qui a parlarmi.

- Cosa ti porto?

- Un espresso, grazie.

Sono sicuro che Mollie ha già intuito cosa ho ordinato, ma è troppo arrabbiata per venire da me e parlarmi.

Due minuti e il mio caffè è servito.

Sto ancora gustando l'aroma delicato della mia droga quando noto Mollie andare nel retro.

Probabilmente ha appena finito il suo turno.

È il momento perfetto. Devo andare a parlarle. Non posso lasciare le cose così. Potrebbe mettermi in cattiva luce con Edison, compromettendo il colpo.

Ingoio il caffè rimanente e con nonchalance mi infilo nella porta, con su scritto “Vietato l'accesso”, dove prima è entrata Mollie. Non è un problema, sono entrato un sacco di volte in posti in cui non sarei potuto andare, ma per quelli come me e Mozzie questo divieto non ha nessun significato, è da ignorare.

Mi avvio con circospezione lungo un corridoio imbiancato di recente che termina in due stanze, in una delle quali vedo Mollie seduta su una panca, intenta ad allacciarsi le scarpe.

Mi appoggio allo stipite della porta e aspetto che lei alzi lo sguardo.

Appena mi nota esclama:

- Neal, che cosa ci fai tu qui? Non puoi entrare!

- Ciao Mollie. Perché non posso entrare?

- Potrei essere stata nuda, e oltretutto c'è un cartello in cui c'è scritto in caratteri cubitali “Vietato l'accesso”.

- Non l'avevo notato. E comunque non mi sarei scandalizzato, se fossi stata nuda.

Le rivolgo un sorriso accattivante, ma ovviamente non riesco a contagiarla. Noto però con piacere che arrossisce lievemente.

- Sei ancora arrabbiata con me?

- Perché dovrei esserlo?! - mi risponde con fare stizzito.

Tipico delle donne... Negare l'evidenza.

- Scusami se non ho accettato il tuo invito, ma ho un sacco di impegni in questi giorni, il lavoro mi sta uccidendo.

Di solito le scuse funzionano...

Nessun miglioramento.

- Non sono affari miei, ma chi era la donna che ti ha praticamente trascinato fuori dal mio locale? La tua fidanzata, non è vero?

- Oh, no! Lei è la moglie del mio migliore amico, mi ha sequestrato tutto il pomeriggio perché voleva che l'aiutassi ad organizzare la festa di compleanno di suo marito! Io sono single Mollie, non ho la fidanzata.

- Ah, ok.

È così palese che sta riflettendo sulle mie parole: probabilmente sta pensando alla parola “fidanzata”.

Ma la mente delle donne è così complessa, non ho proprio idea di cosa stia pensando di preciso.

- A quanto pare non resterai solo ancora per molto, insomma, hai invitato mia sorella Edison a pranzo domani.

L'ho proprio offesa, ho implicitamente rifiutato il suo invito ma ne ho fatto uno ad Edison nel giro di due giorni.

Sono proprio un idiota.

- Si è già pentita di aver accettato, pensa un po'. Si è lasciata da poco con il fidanzato con cui stava da anni, tira e molla a parte. Secondo me si rimetteranno insieme, sono una coppia perfetta.

Sta rigirando il dito nella piaga, la furbetta. Cerca di scoraggiarmi, ma io ho una missione da compiere, non mi farò scoraggiare dalle sue parole.

- Ora devo andare, devo studiare.

- In cosa ti devi preparare?

È un po' stupita dalla domanda.

- Storia dell'arte. Ma a casa mia non si respira altro, non sarà un problema imparare qualche data a memoria.

- Potrei darti una mano, se vuoi. Sono un vero appassionato.

- No grazie, posso fare da sola.

Si alza e mi sorpassa con fare deciso, mi saluta con un cenno della mano e se ne va.

Ok, è ancora incazzata.

Ma troverò di sicuro un modo per farmi perdonare. Prima o poi.

 

 

Come promesso c'è Elizabeth ad attendermi a casa al mio arrivo. Sta parlando con June, probabilmente di me.

Quella donna è proprio fantastica, l'adoro.

- Eccoti qua, mi chiedevo dove ti eri cacciato!

- Ciao Elizabeth. Ciao June. Andiamo?

Ed eccoci qua, alla ricerca (di nuovo) del regalo perfetto. Entriamo praticamente ovunque. Niente di niente.

Alla fine entriamo in un negozio piccolo ed appartato, che non ha niente a che vedere con i negozi in vista da cui siamo appena usciti.

L'illuminazione finalmente mi colpisce.

Gli compro un bellissimo ombrello, uno delle migliori marche. Non sarà un cappellino firmato, ma mi è costato un patrimonio.

Appena usciti entriamo da un gioielliere, che vende ad Elizabeth un orologio in titanio dal prezzo memorabile. Ma Elizabeth non fa una piega, “questo e altro per il mio Peter”, dice prima di pagare, sorridendo.

E abbiamo risolto il problema regali. Sono già le otto di sera, Peter si starà sicuramente chiedendo chi osa passare del tempo con sua moglie. Ma quando, alla sua festa, gli riveleremo tutto, sarà certamente felice.

 

 

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE:

Eccomi qua con il quarto capitolo. Un po' in ritardo, lo ammetto, ma negli ultimi giorni sono stata impegnatissima.

Un abbraccio immenso va tutti quelli che hanno recensito questa fanfiction. Vi adoro ^.^

Ma un grazie speciale va anche ai lettori silenziosi. Adoro anche voi, non vi preoccupate XD

Al prossimo capitolo

Bacini :-*

bicci97

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Perfetto.

Il Devore che indosso è l'essenza della perfezione. Oggi devo incontrare Edison, e il mio look anni cinquanta mi sarà certamente utile.

Mi guardo allo specchio un'ultima volta.

Manca qualcosa...

Certo, il mio fedele cappello. Speriamo mi porti fortuna.

 

 

La noto appena entro: sta guardando verso l'entrata, mi sta aspettando.

I nostri occhi si incontrano immediatamente.

La saluto con un cenno e un sorriso, mi avvicino e mi siedo di fronte a lei.

- Ciao Edison.

- Ciao.

Sembra imbarazzata.

Devo metterla a proprio agio, o questa relazione finirà ancor prima di cominciare.

- Non mi sono presentato per bene l'ultima volta che ci siamo visti. Mi chiamo Neal... Neal Caffrey, ho trentadue anni e...

- Aspetta un secondo. Hai detto Caffrey? Come il famoso ladro d'arte?

Ha gli occhi sbarrati.

Forse non le vado a genio. Merda.

- Si. Sono io.

Ora spalanca anche la bocca.

Ok, missione fallita. L'ennesima persona che mi giudica solo perché mi piace l'arte e perché... la prendo in prestito permanentemente.

Probabilmente ho una faccia cupa e pensierosa, perché Edison mi dice:

- Hey, non fraintendermi, non ho niente contro di te. Se devo essere sincera gli uomini con un passato tenebroso mi sono sempre piaciuti...

Ora ha un sorriso provocante.

Vuole proprio farmi impazzire. Si nota immediatamente che ha una certa esperienza in fatto di psicologia maschile. Del resto sta per laurearsi in Scienze della Comunicazione.

- Ma dimmi un po': come ha fatto l'FBI a prenderti? Scommetto che ti sei lasciato catturare solo perché volevi prenderti una piccola pausa dal “lavoro”.

- Beh in effetti l'agente che mi ha catturato si vanta spesso delle sue prodezze nell'acciuffarmi, ma la realtà è che... con lui non mi impegno mai abbastanza.

Parliamo a lungo: lavoro, studi, amici, interessi...

Stiamo ridendo quando un tipo entra al “Little Piece of Italy”: capelli rossicci, fisico nerboruto, abiti sportivi... la mia nemesi, si potrebbe dire.

Sta cercando qualcuno, è davvero palese. Il suo sguardo scatta da un punto all'altro del locale ad una velocità incredibile.

- O mio Dio... - dice Edison passandosi una mano fra i capelli.

- Cosa c'è?

- Il tizio che è appena entrato – lo indica con un cenno del capo – è il mio ex fidanzato, Ron. Non vuole lasciarmi in pace, è da giorni che mi segue ovunque, persino sotto casa. Non so più che cosa devo fare con lui. Devo fargli capire in qualche modo che la nostra storia è finita. Definitivamente.

- Ah...

Mi giro di nuovo verso Ron.

Cosa posso fare...

Illuminazione.

Mozzie sarebbe molto fiero di me.

Rivolgo ad Edison un sorriso malizioso.

- Che cosa c'è?

- Puoi fidarti di me per un istante?
Mi rivolge uno sguardo interrogativo.

- So che non dovrei dato i tuoi precedenti, ma... ok. Che cos'hai in mente?

- Questo.

Non le lascio il tempo di rispondere.

Mi sporgo verso di lei, le prendo il volto tra le mani e la bacio. Un bacio delicato ma allo stesso tempo intenso, uno di quelli che valgono più di mille parole.

Romantico.

Ha delle labbra incredibilmente morbide.

Restiamo così per un po', poi sorrido e mi stacco da lei con lentezza.

Ha gli occhi socchiusi. E sorride.

- Bella mossa, Caffrey.

Le faccio l'occhiolino.

Il bacio al primo appuntamento è un vero e proprio cliché. Ma io amo i classici.

Ci guardiamo sorridendo per qualche istante. Solo dopo mi ricordo di Ron, che ha assistito a tutta la scena, a quanto pare. Ci sta guardando con gli occhi fuori dalle orbite, il volto e lo sguardo infuocati da una rabbia senza confini.

- Mi sa che l'abbiamo fatto arrabbiare.

- Non ti preoccupare, non è un tipo violento. Di solito.

Quel “di solito” non mi piace per niente. Non so perché, ma mi sembra di essermi appena disegnato un enorme bersaglio sulla testa.

Poco male, posso cavarmela. Ho fatto esperienze di gran lunga più pericolose.

Pianto lo sguardo dritto su Ron, che mi guarda a sua volta. Gli rivolgo un sorriso di scherno.

È questione di secondi: dopo un ultimo sguardo omicida l'ex fidanzato di Edison si avvia verso l'uscita, con la testa bassa.

Faccio schioccare la lingua soddisfatto.

E un problema l'ho risolto. Per ora.

- Se n'è andato?! Come hai fatto?

- A noi uomini basta poco per intenderci.

- È stato... Spettacolare. Il modo in cui se n'è andato mi ha davvero sorpresa.

Nient'altro da aggiungere?

- E comunque – aggiunge lei dopo un po', sorridendo – anche il bacio è stato spettacolare.

Proprio questo volevo sentire.

- Andiamo a fare una passeggiata, ti va?

- Certo.

Lascio i soldi sul tavolo. Che non si dica mai che Neal Caffrey sia un disonesto.

 

 

 

Passeggiamo a braccetto, cosa che mi rende di buon umore. Continuiamo a parlare, parlare, parlare... Siamo due torrenti in piena, abbiamo così tante cose in comune.

Mentre passeggiamo per le intricate vie di Manhattan chiedo ad Edison:

- Che mi racconti della tua famiglia?

- Mio padre è a capo della multinazionale che comprende il “Little Piece of Italy”: è un vero appassionato del caffè, e appena ne ha avuto la possibilità ne ha fatto il suo lavoro. Mia madre è morta quando avevo diciassette anni.

- Oh, mi dispiace.

- Non ti preoccupare, è passato molto tempo.

Restiamo in silenzio per un po', forse perché siamo rapiti dallo splendido paesaggio che Central Park ci offre o forse perché vogliamo restare così, vicini, e godere della reciproca compagnia.

All'improvviso squilla il mio cellulare. Moz vuole che ci incontriamo questa sera per parlare. Vorrà sapere come procede la nostra (mia) “missione punitiva”.

- Mi dispiace Edison, ma devo proprio andare ora.

- Ah, ok... - mi dice lei abbassando lo sguardo.

Vuole aggiungere qualcosa, ma io la precedo:

- Che ne dici se ci rivediamo? Mi sono trovato benissimo oggi, mi sono davvero divertito.

Ed ecco spuntare un sorriso a trentadue denti.

- Certo. Anche io mi sono divertita molto a parlare con te.

- Facciamo domani sera?

- Perfetto.

- Allora ci vediamo domani sera alle otto, all'angolo della 36esima.

- Ci sarò.

- A domani sera. Ciao Edison.

Mi volto con un sorriso stampato in faccia.

È andato tutto bene. Direi che sono un attore nato. Ho sbagliato lavoro.

Ma prima di riuscire a fare un passo mi sento tirare una manica da una stretta leggera.

Ma cosa...

Prima di riuscire a formulare un pensiero sensato mi ritrovo incollato alla bocca di Edison, per la seconda volta nell'arco di una giornata.

Ho fatto così colpo?

A quanto pare si.

Ci baciamo per qualche minuto, dimenticando le persone intorno a noi. Quando mi rendo conto che sembriamo due ragazzini al loro primo bacio mi stacco da lei con dolcezza e le dico:

- Perché lo hai fatto?

- Mi piace prendere l'iniziativa.

- Adoro le donne decise.

La saluto con un altro bacio a fior di labbra e mi avvio verso casa, per raccontare a Mozzie come procede la mia “operazione conquista”.

 

 

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE:

Tadaaaa! Rieccomi con il quinto capitolo. Spero vi sia piaciuto, io mi sono molto divertita a scriverlo. Insomma, penso che sia il sogno di tutte le ragazze (soprattutto il mio) essere baciate da Neal. Mi è bastato solamente scatenare la mia fervida immaginazione per scrivere. *______*

Se volete dirmi qualcosa che vi è o non vi è piaciuto potere scrivermi qua sotto, un commentino è come l'acqua santa per una scrittrice in erba.

Al prossimo capitolo

Bacini :-*

bicci97

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


- Allora come è andata?

- Bene. Molto bene. - rispondo a Mozzie appena varco la porta del mio appartamento.

- E comunque – dico, guardandolo con un sorrisetto divertito – dovresti smetterla di scassinare la porta di casa mia per entrare. Ti faccio una copia delle chiavi, se vuoi.

- Deformazione professionale.

Moz trova sempre le risposte adatte a qualsiasi situazione, è incredibile.

- Raccontami come è andata.

- Ci siamo incontrati come d'accordo, abbiamo parlato e... ci siamo baciati. Direi che sono già a buon punto, per averla vista una sola volta.

- Ben fatto.

- Che mi dici dell'ex fidanzato di Edison, Ron? L'ho incontrato al Little. Cercava Edison.

Mozzie corruccia un po' la fronte, per ricordare i particolari.

- Vediamo un po'... Ron conosce gli Smash da sempre, i suoi genitori sono amici di famiglia. Qualche anno fa hanno iniziato a frequentarsi seriamente, probabilmente sotto la spinta del padre di Edison, Robert, che ha una vera e propria predilezione per Ron. Devi fare attenzione, quel tipo è violento, è un boxeur professionista. Stagli alla larga se non vuoi che ti rovini quel bel faccino.

- Si si, certo...

Non sto ascoltando Moz, ho un pensiero fisso.

Se voglio piacere davvero ad Edison... Devo conquistare prima di tutto suo padre.

- Quando la rivedrai?

- Domani sera.

- Perfetto, una cena immagino. Direi che le cose stanno andando più che bene. Non vedo l'ora di mettere le mani su quel Monet.

- Non montarti la testa – aggiungo in fretta io – devo prima costruire una relazione solida, non devono sospettare di me, o sarà la fine.

- D'accordo Neal, facciamo tutto con calma.

- Esatto.

Osserviamo lo skyline di New York per un po', non sapendo più cos'altro aggiungere.

Non appena finisce il calice di vino (che si era già riempito prima che io arrivassi) Moz mi dice con voce assonnata:

- Ora vado, ci aggiorniamo fra qualche giorno.

- D'accordo.

- Ciao Neal. Buona fortuna per domani.

- Grazie. Ciao Moz.

Non appena sento chiudersi la porta mi stendo sul letto. Sono esausto, questa situazione mi sta logorando.

Ho come l'impressione che questo colpo non si concluderà in fretta come pensavo.

 

 

Sono le otto in punto quando scendo dal taxi che mi ha portato all'angolo della 36esima.

La puntualità è sempre stata una mia qualità.

Edison arriva con quindici minuti di ritardo.

Ma aspettare un po' ne vale assolutamente la pena.

Scende da una Mercedes metallizzata con tanto di autista personale: il padre la vizia con tutte le comodità possibili.

Indossa un abito attillato ricoperto completamente di paillettes dorate, accompagnate da un soprabito nero e tacchi vertiginosi.

I capelli sono sciolti, il viso è valorizzato da un trucco da femme fatale che farebbe girare la testa a qualsiasi uomo.

Cerco di darmi un contegno quando la saluto con un cenno della mano e un sorriso.

- Hey.

- Ciao. Andiamo a mangiare?

- Certo.

Le porgo il braccio, e lei lo afferra saldamente. Sembra davvero instabile su quei tacchi.

Camminiamo per qualche minuto, fino a quando arriviamo davanti ad un locale piccolo ma dall'aria ricercata.

Quando entriamo Edison attira subito l'attenzione: la maggior parte degli uomini presenti (anche quelli con la fidanzata accanto) si gira a guardarla con uno sguardo interessato, che viene subito intercettato dalle rispettive ragazze, e stroncato sul nascere.

Appena ci sediamo cominciamo a parlare, commentando il delizioso menù. Alla fine optiamo entrambi per il pesce.

La serata passa tranquilla, tra un calice di champagne e l'altro.

Come da manuale offro la cena, da vero gentleman.

Siamo un po' alticci quando usciamo dal grazioso locale: lei cerca un po' di appoggio su di me, ma neanche io sono molto cosciente e cammino in modo un po' incerto.

- Grazie per la bella serata, mi sono divertito. Anche stavolta.

- Peccato che sia già finita...

Edison abbassa lo sguardo, abbattuta. Ma poco dopo rialza lo sguardo su di me, uno sguardo languido e pieno di sottintesi.

- Che ne dici se continuiamo la festa a casa mia? Voglio passare ancora un po' di tempo con te.

Non so che dire: sono così soddisfatto di aver raggiunto il mio obiettivo, ma non voglio darle l'impressione di essere un approfittatore.

Devo buttarmi.

- Ok, per me va bene. Aspetta, chiamo un taxi.

- Non serve – dice lei tenendomi la mano – il mio autista ci sta aspettando in quella laterale.

- Oh, perfetto.

Il viaggio non dura molto anche se le strade di New York sono affollate anche a quest'ora, incredibile. Proprio per questo è soprannominata “la città che non dorme mai”. Niente di più veritiero.

Quando scendo dalla macchina resto a bocca aperta dallo stupore: la casa degli Smash è uno spettacolo, almeno dall'esterno.

Una villa in stile ottocentesco affacciata sul fiume Hudson.

Molto pomposa.

È circondata da un parco delle dimensioni di un campo da golf. Mi sembra di scorgere anche uno piccolo lago mentre cammino, ma non ne sono sicuro. Forse la vista mi sta giocando un brutto scherzo, con tutto l'alcool che ho in corpo.

Appena entro dalla soglia di casa mi rendo conto di una cosa: in famiglia si respira l'arte. Ovunque.

Vasi ming, statue marmoree, antichi ritratti di famiglia, costose riproduzioni e... no, nessuna traccia del Monet.

- Aspettami in salotto, io vado a prendere un po' di brandy.

- Non è una buona idea, credimi.

Mi guarda un po' spaesata, ma poi sembra capire.

- Forse hai ragione, abbiamo già bevuto parecchio... Beh, allora preparo del

caffè amaro, ti va?

- Perfetto.

- Non te ne andare finché sono in cucina, intesi?

Vedo di striscio il sorriso che compare sul volto di Edison prima di vederla scomparire dietro a una porta dai ricchi vetri intarsiati.

Non me ne vado da nessuna parte, può starne certa.

L'unico posto dove vorrei andare è di sopra, nello studio in cui c'è il Monet. Meglio non rischiare.

Aspetto in silenzio, osservando tutte le opere d'arte intorno a me, stimandone un prezzo. Una piccola miniera d'oro.

Dopo una decina di minuti arriva Edison, scalza, con un vassoio su cui sono appoggiate le nostre tazze di caffè. Si siede sul divano, e mi fa cenno di sedermi.

L'accontento immediatamente.

Appena mi siedo sento il suo sguardo incollato alle mie labbra: che vuole fare?!

Domanda stupida.

Sta aspettando una mia mossa, è ovvio. E anche in questo l'accontento.

Mi chino con l'evidente intenzione di baciarla, e lei non si scosta, anzi, mi viene incontro. Risponde immediatamente al mio bacio, con ardore.

Non mi rendo neppure conto che ora siamo abbracciati, che io sono steso sul divano e che lei è sopra di me.

Situazione interessante.

Le sue mani mi scompigliano i capelli e mi accarezzano il petto, facendomi fremere. Io reagisco subito. Le accarezzo la schiena, strappandole un leggero sospiro, e quando scendo a sfiorarle i fianchi la sento inarcarsi contro di me.

Non mi ferma neanche quando le sollevo l'abito cortissimo per accarezzarle la pelle nuda con delicatezza.

Ogni minuto che passa, avverto che la distanza fra intenzioni e azioni aumenta.

Con le mani mi allenta il nodo della cravatta, me la sfila e la butta sul pavimento, insieme alla giacca.

Ma mentre lei inizia a sbottonare la mia camicia mi rendo conto di una cosa: siamo ubriachi, siamo seminudi e ci stiamo baciando.

Può vuol dire una sola cosa.

- Edison – biascico con difficoltà – aspetta, fermati un attimo.

Lei si ferma, ma mantiene la presa sulla mia camicia, pronta a ricominciare a sbottonarla.

La guardo con fermezza e le dico:

- Siamo ubriachi, forse è meglio che ci fermiamo qui.

- Ho fatto qualcosa di sbagliato? - mi dice lei con voce afflitta.

- Oh no, assolutamente, - dico io abbozzando un sorriso – è solo che... voglio essere lucido quando succederà per la prima volta. È un passo importante in una relazione. Tutto qua.

- D'accordo, forse hai ragione tu.

Molla la presa dalla mia camicia, ma non si sposta di un millimetro, resta stesa comodamente stesa su di me.

- Sei davvero un bravo ragazzo, sono davvero...

Le sue palpebre si abbassano lentamente. Si è addormentata.

Sorrido, questa situazione non mi dispiace affatto.

L'ultima cosa che vedo prima di addormentarmi a mia volta sono le due tazze fumanti appoggiate sul tavolino.

 

 

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE:

Eccomi qua! Finalmente ho scritto un altro capitolo. Vi ho fatto aspettare un bel po' (e chiedo venia per questo), ma alla fine ce l'ho fatta.

Fatemi sapere che cosa ne pensate.

 

Se non aggiorno prima del 25, auguro un Buon Natale a tutti i miei lettori.

Auguroni!!

 

Al prossimo capitolo

Bacini :-*

bicci97

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Appena apro gli occhi mi accorgo di non essere nel mio appartamento.

Sono un po' scombussolato, ma dopo qualche istante ricordo quello che è successo ieri sera.

Le due tazze di caffè sono ancora sul tavolino, ed Edison dorme con la testa appoggiata sul mio petto.

Sorride.

E sorrido anche io. Probabilmente come un ebete.

Abbasso la testa quel poco che mi permette di raggiungere le labbra di Edison, le schiocco un dolce bacio sulle labbra e sussurro, accarezzandole la schiena con movimenti circolari:

- Edison... Sei sveglia?

Mugola, ed evidentemente assonnata, apre gli occhi.

Mi osserva per qualche istante prima di sussurrare con la voce impastata:

- Buongiorno Neal.

- Buongiorno anche a te.

Le schiocco un altro bacio prima di dire:

- Devo andare al lavoro.

- Ti prego resta qui con me... - dice lei abbracciandomi e allacciando le gambe all'altezza del mio bacino. Probabilmente non si rende conto di quello che sta facendo.

Non ti eccitare, tieni a freno il piccolo Caffrey.

- Posso almeno alzarmi?

- No, aspettami qui, preparo un caffè.

- D'accordo.

Si alza e si avvia verso la cucina.

Osservo il vuoto per un po', pensando alle mie prossime mosse.

Sono le sette e trenta, devo essere al bureau fra un'ora.

Posso restare ancora un po'.

Mi alzo anche io, con una certa difficoltà. Lo champagne si fa sentire.

Mi aggiro per la casa alla ricerca di un bagno, ne ho un disperato bisogno.

Lo trovo, e mi ci rinchiudo subito. Ho bisogno di una rinfrescata.

Esco qualche minuto più tardi, e mi avvio verso il salotto con una certa lentezza, fino a quando vedo un'ombra passare davanti ad una porta aperta.

Mi fermo, restando immobile e trattenendo il respiro. Non so il perché.

Sento dei passi avvicinarsi, e infatti poco dopo dalla porta sbuca un ragazzo sui venticinque anni. Alto, biondo, occhi scuri, muscoloso, pelle olivastra... Sicuramente il fratello di Edison.

All'inizio non sembra notarmi, ma appena mi vede strabuzza gli occhi e dice:

- E tu chi cazzo sei?

- Ehm, io sono... Neal.

- Neal chi? Che cosa ci fai a casa mia? Sei un ladro?

Domanda trabocchetto.

- Non esattamente, sono...

Non finisco la frase: il pugno che mi colpisce con precisione la mascella è così potente che sento mi sento mozzare il fiato. Mi ha colpito, cazzo.

Crollo in ginocchio, la parte destra della faccia pulsante e un mal di testa incredibile. L'ultima cosa che vedo prima di svenire è lo sguardo di sfida con cui quel ragazzo mi osserva.

 

 

- Stephen, sei proprio un idiota! Questa non te la perdono!

Apro gli occhi con lentezza, tutto mi sembra sfocato e deformato. A poco a poco la vista torna normale, e la prima cosa che vedo è Edison, che mi osserva preoccupata.

- Come ti senti?

- Io...

La mandibola mi fa un male atroce, spero solo di non dover andare in ospedale. Sarebbe una gran scocciatura.

Sento il ghiaccio appoggiato sul punto dolente, che mi provoca una sensazione di benessere non appena me ne accorgo.

- Hai sentito?! Mia sorella ti ha fatto una domanda.

Ed eccolo li, ora vedo anche lui, il mio assalitore. È in piedi, ha le braccia incrociate e non ha nessuna intenzione di scusarsi, a quanto pare.

- Sto bene. Ho solo bisogno di un caffè.

Edison me lo porge subito, aiutandomi a tenere la tazza mentre bevo.

Mi sento subito meglio. Il caffè degli Smash può fare qualsiasi cosa.

Restiamo qualche minuto in silenzio, che mi basta per riprendere l'uso completo del movimento. Mi alzo in piedi, barcollando, e subito sento la mano di Edison appoggiarsi sul mio fianco, per sostenermi. Le sono infinitamente grato.

Mi avvicino lentamente al cosiddetto “idiota” e dico, tendendo la mano:

- Non ci siamo presentati, il mio nome è Neal Caffrey.

Lui mi guarda sbigottito, non se l'aspettava proprio.

Sono un grande stratega.

- Io sono Stephen.

Mi stringe forte la mano, e subito dopo aver mollato la presa aggiunge:

- Potevi dirlo subito che eri il fidanzato di mia sorella.

Edison arrossisce appena sente la parola fidanzato. Probabilmente si aspetta che lo smentisca.

- A dir la verità – dico io accennando a un sorriso che mi provoca una fitta alla parte destra della faccia – non ne ho avuto il tempo.

Guardo l'orologio. Sono le otto. Devo muovermi se non voglio arrivare in ritardo.

- Devo proprio andare ora.

- Ah... ok... - Edison non vuole che me ne vada, è palese. Ma non posso restare con lei tutto il giorno. Ho del lavoro (legale) da svolgere.

Ci baciamo sulla soglia di casa, a lungo, indugiando. Mi sto ancora crogiolando nel dolce sapore delle sue labbra quando all'improvviso lei mi allontana ed esclama:

- È meglio se vai, fra poco arriva mio padre.

- Non vuoi farmi conoscere tuo padre. Forse ti vergogni di me?

Assumo uno sguardo divertito, ma in realtà sono preoccupato.

- No, è solo che... - non sa che dire – è troppo presto. Voglio conoscerti meglio.

- Non mi sembrava volessi conoscermi meglio ieri sera.

Il mio sorriso si allarga.

- Questo è vero, ma mio padre è un uomo difficile. Non è detto che tu gli piaccia... come piaci a me.

- Era forse un complimento?

- Puoi dirlo forte.

Non mi trattengo: la bacio per l'ennesima volta, ma in modo rude e possessivo. Devo farle capire che la voglio tutta per me.

 

 

Arrivo al bureau con qualche minuto di ritardo.

Spero che Peter non se ne accorga.

- Sei in ritardo, Caffrey.

Ok, se n'è accorto.

- Buongiorno Peter. Scusami per il ritardo, questa mattina ho avuto una certa difficoltà a svegliarmi.

Spero non controlli i miei ultimi spostamenti, o capirebbe immediatamente che sto mentendo spudoratamente.

- Cos'hai fatto alla faccia? Hai un livido sulla mascella.

- Niente di serio Peter. Sono caduto dal letto. - dico io in modo evasivo.

Potevo inventarmi una bugia migliore. Non mi riconosco.

Anche se non l'ho convinto, Peter non aggiunge nient'altro, ha capito che non ne voglio parlare.

Lo seguo in sala riunioni, in cui ci sono anche Diana e Jones. Deve essere successo qualcosa.

- Ci sono novità?

- È stato rilevato un capello sulla scena del crimine che non appartiene a nessun dipendente del museo. Probabilmente è del ladro.

Resto in attesa, sono curioso di saperne qualcosa in più.

- Tuttavia, nei nostri server non è stata ritrovata nessuna corrispondenza con qualche pregiudicato. Non corrisponde nemmeno Caffrey, pensate un po'.

Spiritoso.

- Quindi – aggiungo io, cambiando discorso – non essendo schedato ci sono due possibilità: è nuovo del giro o è così bravo che non si è mai fatto beccare.

Chissà perché... Mi sembra più probabile la seconda opzione.

 

 

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE:

Sono riemersa dai festeggiamenti natalizi per miracolo. E il mio regalo è un nuovo capitolo, tutto per voi.

Lo so, lo so. Ha un che di... insignificante? Mah, ditemelo voi.

Alla prossima XOXO

PS: Buon 2013 a tutti i miei lettori! :)

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


- Buon compleanno Peter.

- Grazie Neal, molto gentile da parte tua.

- Beh, direi che dobbiamo fare un brindisi – aggiungo io.

- Siamo al lavoro, Caffrey. Qui non possiamo bere.

Il solito Jones, e tutte le sue regole.

- Allora un bicchiere durante la pausa pranzo.

- Solo se paghi tu.

Io?! Ma se guadagno a malapena i soldi per pagare l'affitto a June!

Maledizione, forse hanno scoperto che l'FBI non è il mio unico datore di lavoro.

- D'accordo.

La giornata passa tranquilla, nessuno accenna alla festa a sorpresa organizzata per Peter. Non vogliamo rovinargli la sorpresa.

 

 

Appena esco dal bureau mando un messaggio ad Edison: avevamo deciso di andare a fare una passeggiata, per passare del tempo insieme.

Non appena mi presento all'incrocio sulla 36esima la vedo, sexy e bellissima come sempre.

- Hey, finalmente sei arrivato. Non ci speravo più.

- Scusami, Peter mi ha tenuto impegnato per tutto il giorno con i suoi noiosi casi di truffe finanziarie.

Mi avvicino a lei con un sorriso smagliante, dopodiché la prendo per la vita e la bacio delicatamente, quasi fosse fatta di porcellana.

- Ti ho preso un caffè. - dice lei porgendomelo con una mano dalle unghie smaltate.

- Grazie, tesoro.

Mi blocco: l'ho chiamata... tesoro?! È una cosa che si dice alle fidanzate ufficiali, in una relazione stabile. Non importa, devo farle capire che voglio stare con lei. Per lo meno fino a quando non avrò rubato il quadro.

Mi sento così... cinico.

Passeggiamo, parlando del prossimo concerto in cui si esibirà. Vuole che vada a vederla.

Mentre ridiamo mi squilla il cellulare: Elizabeth.

- Ciao Elizabeth.

- Neal?! Ma ti sei dimenticato che dovevi essere qui mezz'ora fa? Devi aiutarmi a preparare le decorazioni per la festa!

Dalla voce mi sembra in preda ad una crisi isterica.

Merda. Me ne ero dimenticato.

- Scusami, mi dispiace. Arrivo subito.

Mi volto e vedo Edison, che mi guarda smarrita.

- È solo che...

- Cosa c'è?

- Con me c'è un'amica, non posso...

- Portala con te se ti fa piacere, mi servono più aiuti possibili per preparare una festa di compleanno perfetta per il mio Peter. A fra poco.

Chiude la telefonata.

Mi ha stupito, non c'è che dire.

- Edison?

- Si?

- Ti andrebbe di venire ad una... festa?

- Certo. Quando?

- Ehm... ora?

Faccio un sorriso esitante.

Non risponde subito, ma sorride. Mi sta tenendo sulle spine, ovviamente.

- Lo sai che adoro le feste, Caffrey.

 

 

Appena El mi apre la porta mi trovo davanti allo spettacolo più caotico che abbia mai visto: scatoloni, pacchi, stelle filanti, regali...

- Muoviti Neal, e dammi una mano!

Elizabeth mi trascina in casa prendendomi saldamente per un braccio, e io afferro Edison, tenendola per mano.

Non appena El vede (o meglio, ricorda) che c'è anche lei, dice prontamente e in modo sbrigativo:

- Ciao, io sono Elizabeth. Scusa la confusione, ma stasera qui ci sarà una festa incredibile, devo solo mettere un po' in ordine.

Passiamo le due ore successive gironzolando per casa, sistemando nastri colorati e bicchieri pronti per lo champagne.

Non appena suona il primo ospite mi avvicino ad Edison, vedendo che El è distratta:

- Mi dispiace, ti faccio lavorare per una festa in onore di un mio amico, che nemmeno conosci.

- Beh, fra poco lo conoscerò. – dice lei, facendo un sorriso malizioso – E poi... sono sicura che dopo ti farai perdonare. - Dopo avermi fatto l'occhiolino si volta e va a preparare degli altri bicchieri per lo champagne.

Ho qualche idea di cosa intenda con il “dopo”. E sono sicuro che sarà un momento molto vicino nel tempo.

Sa farsi desiderare, la ragazza.

 

 

È tutto pronto. Le luci sono spente, siamo tutti accucciati per terra e sentiamo un taxi fermarsi davanti alla casa.

- Sta per entrare.

Finalmente gli agenti dell'FBI usano le loro doti da spie in qualcosa che non sia il rompermi le scatole.

La chiave gira nella serratura, la porta si apre e...

- SORPRESA!

Mi alzo in piedi velocemente, giusto in tempo per immortalare la faccia stupita ed inebetita di Peter, che ci sta fissando a bocca aperta.

Scatto la foto.

Ecco fatto. Questa mi tornerà utile.

Niente paura, niente di illegale.

Seguono baci ed abbracci, Peter è circondato da amici, parenti, colleghi...

Decido di lasciarlo un po' in pace, posso anche salutarlo dopo.

Parlo del più e del meno con Edison, ma mi blocco non appena vedo il profilo inconfondibile di Mozzie delinearsi dietro il vetro della finestra della cucina. Mi sta osservando.

Mi allontano con una scusa, vado verso la finestra e la apro.

- Che cosa ci fai qui?

- Sono stato invitato alla festa, ma non voglio entrare. Troppi federali. Come procede con il “lavoro”?

Mi volto prima di rispondere, e vedo Edison intenta a parlare con Diana.

- Direi che va bene. Molto bene. Magari nei prossimi giorni potrei anche tornare a casa sua, magari per conoscere i suoi genitori. E, ovviamente, per fare una visita di perlustrazione allo studio di suo padre.

- Ottima idea. Ma non sarei così sicuro di me se fossi in te...

Mi acciglio.

- E perché?!

- Diana. Sta... mangiando con gli occhi la tua bella Edison.

Mi giro velocemente: Moz porterà anche gli occhiali, ma su certe cose non si sbaglia. Devo subito allontanarle.

- Allora vado. E per la cronaca – aggiungo subito prima di chiudere la finestra – non è la mia Edison.

Sbatto la finestra.

Mi dipingo un sorriso sulla bocca, e nell'avvicinarmi ad Edison allungo un braccio tenendola stretta per la vita, schiacciandola contro il mio petto.

- Ciao Diana. Grazie per essere venuta.

- Ehm... - sembra interdetta. - Lo faccio per il capo. E anche perché è un amico.

Subito dopo si allontana in velocità, per sfuggire al mio sguardo indagatore. Incredibile, l'instancabile agente dell'FBI Diana Berrigan si fa intimorire da un “ladruncolo” come me.

Mi sto ancora crogiolando nella mia piccola vittoria quando vedo un'ombra, o meglio, sento la sua presenza. Il momento è arrivato. Peter è qui.

Non so il perché, ma solo ora sento che la cravatta è stretta, il vestito mi tiene fin troppo caldo e la cavigliera mi irrita la caviglia. Dannazione.

E se dovesse scoprire tutto? Avevo tenuto lontani i miei timori riguardo Peter fino ad ora, ma in questo momento mi sembra impossibile ignorarli.

Sembro un'adolescente che deve presentare la prima fidanzatina al papà e alla mamma. Sono ridicolo.

Peter si avvicina sorridendo, ma in realtà so che sta squadrando Edison, cercando un qualche collegamento con qualche pratica dell'FBI. Poco dopo il suo sorriso si allarga. Molto bene, vuol dire che gli sembra tutto a posto.

Non potrebbe sbagliarsi di più. Ma questo lo so solo io.

- Peter. Tanti auguri ancora. Che te ne pare della festa? El ci ma messo tutto il suo impegno per prepararla.

- È fantastica. El mi ha detto che l'hai aiutata con i preparativi. Grazie per averla sostenuta.

Detto questo si rivolge ad Edison, procurandomi un brivido lungo la spina dorsale e un rantolo che trattengo a stento.

- Non ci siamo ancora presentati, io sono Peter Burke, agente dell'FBI presso la sezione White Collar, crimini finanziari.

Rispondo prontamente, prima che lo faccia Edison:

- Peter, ti presento Edison Smash. Lei è la mia...

- Nuova conoscente. O amica, se preferisce.

- Molto piacere di conoscerti. E ti prego, dammi del tu.

Si stringono la mano.

- Con molto piacere. E a proposito, buon compleanno.

- Grazie.

Detto questo Peter si allontana per raggiungere sua moglie.

Pericolo scampato.

Dopo qualche minuto sento Edison che mi domanda:

- Neal, devo andare in bagno. Mi puoi accompagnare?

Calca appena l'ultima frase. Ha un doppio senso, lo so, ma non riesco a carpire i suoi pensieri.

- Certo. Vieni.

La porto al piano di sopra e la porto davanti alla porta del bagno.

- Arrivati a destinazione. Ti aspetto di sotto.

Sto per voltarmi quando lei mi tira dentro il bagno, afferrando la mia cravatta.

Che vuole fare?

Il suo sguardo malizioso non lascia alcun dubbio.

Ah. Qui?

In una frazione di secondo mi ritrovo incollato alle sue labbra, intento a baciarla e a toccarla, dappertutto, lasciando stare però le zone off-limits.

Dopo un po' lei sembra accorgersi del mio comportamento titubante, e sussurra:

- Che cosa ti prende Caffrey? Pensavo avessi un po' più di iniziativa...

Questo è troppo.

La blocco contro la porta, azzerando la poca distanza che era rimasta fra noi. La bacio sul collo, leccandole la gola. Non sembra più tanto spavalda ora: ora sente il profumo dei miei capelli, le mie mani che vagano verso la cerniera del suo vestito e... si, anche la mia erezione.

La cerniera in questo momento occupa i miei pensieri, e con un movimento fluido e veloce la abbasso, facendo scorrere le spalline del vestito costosissimo di Edison verso il basso. Indossa un reggiseno di pizzo rosso. Sexy, da morire. Appoggio una mano sulla coppa destra, stringendo appena, mentre con l'altra scendo ad accarezzarle una coscia. Lei rovescia la testa all'indietro, estasiata.

A quanto pare mi sto comportando bene.

Lei avvolge le gambe attorno ai miei fianchi, e io aumento la pressione fra i nostri bacini.

Ho il fiato corto, continuo a baciarla: sulle labbra, sul collo, appena sopra il reggiseno, sempre più giù...

Toc toc.

- C'è qualcuno?

Merda.

Mi blocco immediatamente. Restiamo immobili.

Qualcuno cerca di aprire la porta, girando la maniglia, ma senza successo. Ci siamo noi due a bloccarla.

- Un attimo – riesce a dire Edison.

In un lampo ci ricomponiamo, io le tiro su la cerniera del vestito e lei mi aggiusta la cravatta. Sembriamo proprio una vecchia coppia di amanti.

Apro la porta ed esco per primo. Poco dopo esce anche Edison.

Chi mi trovo davanti?

Diana.

Lei ci fissa, con uno sguardo a metà fra lo stupito e il divertito.

- Ehm... scusate. Non volevo...interrompervi. Tornate pure dentro, io torno al piano di sotto.

Prima di andarsene lancia una lunga occhiata ad Edison, e io seguo il suo sguardo, inconsciamente: il vestito le è salito sulle cosce, rivelando un paio di autoreggenti la cui visione mi imporpora il viso.

Quando la smetterò di considerare Diana una donna come le altre?!

 

 

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE:

Rieccomi qui per voi.

Capitolo un po' più “hot”, anche se all'acqua di rose. Se mi dovessi decidere a descrivere le scene più scabrose in modo dettagliato, sappiate che cambierò il rating della ff da giallo ad arancione.

Personalmente mi sono molto divertita a scrivere questo capitolo, spero che per voi sia stato scorrevole e divertente leggerlo.

Alla prossima

bicci97

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


- Da quanto vi conoscete?

- Eh? Di cosa stai parlando?

Peter mi sta rivolgendo una serie di domande senza senso. O meglio, non hanno un senso forse perché sono le otto di mattina, stiamo camminando nel bel mezzo del frastuono newyorkese e io non sono ancora sveglio e reattivo come dovrei essere.

- Di Edison. E di te.

- Ah. Ci conosciamo da... un mese, direi.

- Quanti anni ha? È molto più giovane di te?

- Peter – dico, bloccandomi e voltandomi verso di lui per guardarlo negli occhi – se questo è un interrogatorio, dimmelo subito.

- Oh, no! Sono solo curioso.

Se questo agente dell'FBI è solo curioso, allora io sono Cenerentola.

Non avrà dei sospetti, voglio sperare.

Sta per aprir bocca di nuovo, per ricominciare con una nuova serie di domande, ma io lo interrompo prontamente dicendo:

- Che ne dici se vado a prendere un caffè per entrambi? Tostato all'italiana, ovviamente.

Ti prego, dimmi di si. Non ce la faccio a sostenere per un altro secondo quel tuo sguardo indagatore. Sembra voglia perforarmi il cervello da parte a parte per carpire qualche informazione che mi potrebbe mettere nei guai.

- Ok. Ma non fare troppo tardi.

- Certo capo.

A quell'appellativo Peter accenna un sorrisetto ma è anche leggermente imbarazzato.

 

 

Nonostante l'ora il Little è già in fervente attività. Mollie si sta destreggiando fra le ordinazioni, preparando caffè, servendo ai tavoli e portando il conto. In questa sequenza. Aspetto pazientemente il mio turno al bancone. Quando arriva il mio turno, dopo circa un quarto d'ora, sfodero il mio sorriso più smagliante: Mollie non si è ancora accorta che sono qui, e che tocca proprio a lei prendere la mia ordinazione. Non appena posa lo sguardo su di me il suo sorriso riservato ad ogni cliente si spegne lentamente, sostituito da uno sguardo perplesso, quasi cupo.

- Neal.

- Ciao Mollie.

Spero non sia ancora arrabbiata con me. Non mi ricordo nemmeno il motivo.

- Come stai?

- Senti Neal – dice lei con tono evasivo – non ho proprio il tempo per parlare con te ora, se vuoi ordinare parla con qualcun altro.

Si guarda intorno, alla ricerca di una collega che prenda il suo posto, ma invano. Sono tutti indaffaratissimi. Si gira verso di me e, finalmente, mi guarda negli occhi.

- E va bene. Cosa vuoi?

- Voglio che tu la smetta di fare la bambina. Voglio che tutto torni come prima, quando ci sedevamo insieme a bere un caffè, parlando anche per un'ora intera, durante la tua pausa.

- Se proprio vuoi parlare – dice lei con stizza – puoi pure rivolgerti a mia sorella.

Ed ecco svelato il motivo per cui è ancora arrabbiata con me: Edison. Ce l'ha con me perché sto uscendo con sua sorella, e non con lei.

- Mollie, io...

- Abbiamo parlato abbastanza, non credi? Se non ti dispiace ho del lavoro da sbrigare. Se vuoi prendere qualcosa domanda ad un mio collega. Ciao.

Detto questo si volta e si dirige verso una macchinetta, cominciando a preparare un caffè in modo molto brusco.

Per un momento valuto l'idea di aspettare un'altra cameriera, ma poi decido di andarmene. Non gliela darò vinta, non ho fatto niente di male (per ora), non è giusto che mi tratti in questo modo.

Mi volto e faccio un passo per andarmene, ma mi blocco immediatamente: ci sono tre uomini, dall'altro lato della strada. Attraverso il vetro della vetrina li osservo attentamente: sono appoggiati al muro, indossano occhiali ed abiti scuri e hanno una valigetta ciascuno. Stanno osservando insistentemente l'entrata del negozio, non la perdono d'occhio nemmeno per un secondo. Uno dei tre osserva l'orologio, dopodiché fa un cenno agli altri due. È un segnale. Dopo essersi staccati dalla parete, aprono le loro valigette, e ne estraggono qualcosa, richiudendole subito dopo. Aguzzo lo sguardo per capire cosa nascondono. Me ne rendo conto solo quando indossano delle maschere da clown per nascondere il volto, e si incamminano velocemente nella mia direzione.

Cazzo, una rapina.

Mi muovo in pochi secondi. In un lampo mi volto verso il bancone e lo scavalco agilmente, senza curarmi degli sguardi allibiti dei clienti e di quelli scettici dei dipendenti. Mollie sta parlando con un signore di mezza età. La afferro per un braccio, e la faccio inginocchiare sul pavimento, con uno strattone. In quel momento lei si gira verso di me, lanciandomi uno sguardo che potrebbe incenerire qualsiasi cosa nel raggio di mille miglia.

- Cosa stai facendo? Sei impazzito??

- Mollie, non c'è tempo per le spiegazioni. Fidati solo di me.

- Ma di che cosa stai...

- Ascoltami, dannazione! - la mia stretta sul suo braccio aumenta di intensità.

- Devi nasconderti sotto il bancone, e non ti devi muovere, per nessun motivo. Subito.

- Neal...

- E non parlare!

Detto questo la spingo sotto al bancone, sentendo una certa resistenza da parte di lei.

E adesso che cosa mi invento? Stanno arrivando, maledizione.

Mi guardo intorno alla disperata ricerca di una soluzione. Il mio sguardo si posa sulla camicetta di Mollie: indossa una spilla con su scritto il nome della società che possiede il Little, la Smash.

Allungo una mano e gliela tolgo velocemente. Me la spillo al petto, come tutti i dipendenti. Mi tolgo giacca e cravatta, buttandole vicino a Mollie, che mi sta fissando con uno sguardo incredulo. Tiro la camicia fuori dai pantaloni e mi spettino i capelli. Prendo il cellulare e digito frettolosamente un messaggio per Peter:

Al Little c'è una rapina in corso, vieni subito. Con la SWAT.”

Invio.

Si spalanca la porta. Subito dopo delle urla spaventate.

Osservo Mollie per un'ultima volta: ora i suoi occhi sono sbarrati, e cercano i miei. Vedo la paura attraverso il suo sguardo.

Mi alzo in piedi proprio nel momento in cui uno dei rapinatori punta la pistola contro la gente impaurita.

Faccio scivolare il cellulare nella tasca dei pantaloni.

- Questa è una rapina, signore e signori! Se volete vivere, state zitti e collaborate. Riempite questa valigetta con tutto quello che avete, e non tralasciate niente.

Tutti, terrorizzati dalle armi che vengono puntate da una testa all'altra, eseguono l'ordine.

Il rapinatore con la maschera da clown più buffa e più truce allo stesso tempo si rivolge a me. Si sporge sul bancone, mi afferra per i capelli, e mi punta a canna della pistola dritta contro il petto.

- Ascoltami – dice con voce suadente, quasi sussurrando – se vuoi salva la pelle ti conviene aprire subito la cassa, e consegnarci tutto il denaro che c'è.

Nel dire questo spinge la pistola contro di me, facendomi sentire il metallo freddo attraverso la camicia.

- Non so se sia una buona idea.

- La mia non era una domanda, razza di idiota.

Mi muovo lentamente verso la cassa.

- E muovi il culo, abbiamo fretta.

Devo fargli capire che non mi fa paura, è la mia tecnica per mettere in difficoltà i ladruncoli da quattro soldi come lui, che invece di elaborare un piano preciso preferiscono fare irruzione in un luogo pubblico con le armi in pugno.

La cassa è chiusa.

Mollie striscia lentamente vicino a me, sempre celata dal bancone. Mi afferra una gamba, quasi come fosse un'ancora di salvezza. Sta tremando.

E adesso che cosa faccio?

Improvvisiamo.

- La cassa dà un sacco di problemi, ultimamente. – commento, noncurante del fatto che sto spazientendo il capo della banda. - Rimedio subito.

Con nonchalance afferro una graffetta e una penna, mi inginocchio a terra e inizio a trafficare con la serratura, cercando di aprirla. Riesco quasi a vedere lo sguardo stupito nascosto sotto la maschera dei loschi individui. Dopo una decina di secondi sento un clic rivelatore che mi dice che sono riuscito ad aprirla.

Mi rialzo, prendendo una delle valigette appoggiate sul tavolo. La apro, e inizio velocemente a riempirla di banconote.

C'è un silenzio teso, il tizio davanti a me continua a tenermi la pistola puntata contro. Continuo la mia operazione, imperterrito, fino a quando sento il rumore delle sirene in lontananza. Sorrido mentalmente, ma faccio finta di niente.

- Credo abbiate un problema. – dico con una nota di divertimento nella voce – Siete nei guai.

Le volanti si fermano davanti al Little, e una voce risuona da un altoparlante:

- Venite fuori, con le mani in vista!

- Bill, prendi quella ragazza in ostaggio e facci strada. Usciamo dal retro. Noi portiamo i soldi.

Il capo mi si avvicina velocemente, e dopo aver afferrato le valigette contenenti denaro e gioielli, mi rivolge un sorriso di scherno:

- Grazie per l'aiuto, stronzo.

Detto questo mi colpisce alla tempia con il calcio della pistola, facendomi rovinare a terra.

Ho gli occhi serrati, il dolore è lancinante. Apro parzialmente un occhio, per osservare quello che mi circonda. Mollie. È li, davanti a me, una maschera di terrore.

Non resisto.

Mi butto su di lei, abbracciandola e tenendola stretta con tutte le mie forze, tentando di nasconderla e proteggerla dal mondo intero. Anche lei mi abbraccia, e scoppia a piangere. Sento degli spari, probabilmente indirizzati ai rapinatori. Non mi muovo, sono come paralizzato.

- Mollie.

Lei alza lo sguardo su di me. Mi guarda interrogativa.

- Sei ancora arrabbiata con me?

- Stai zitto Neal. - dice lei.

Perché penso ad un'idiozia del genere proprio ora, nel bel mezzo di una sparatoria?

Assumo un'espressione accigliata. E lei sembra accorgersene.

- Oh Neal... Oggi mi hai salvato la vita e mi hai protetta. Come potrei essere ancora arrabbiata?

Detto questo si rannicchia nelle mie braccia, attendendo la fine degli spari.

Un sorriso mi si dipinge in faccia.

Sono proprio un idiota.

 

 

- Neal! Neal!

Qualcuno mi chiama. Sono vicino ad un'ambulanza, un tizio con una giacca arancione mi sta medicando l'occhio, procurandomi parecchio fastidio. Ci vorrà un po' prima che guarisca.

- Neal!

Dopo l'ennesimo richiamo vedo Peter, che mi sta venendo incontro.

- Abbiamo arrestato i rapinatori. È tutto a posto. Cos'è successo?

- Quei tizi hanno fatto irruzione al Little, e hanno minacciato tutti i clienti con delle pistole. Per fortuna siete arrivati in tempo, o sarebbero scappati senza lasciare traccia.

- Va bene, Neal. Sono contento che tu stia bene.

Mi appoggia una mano sulla spalla, in modo quasi paterno.

- Prenditi qualche giorno di riposo, ne hai bisogno.

 

 

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE:

Salve a tutti! Eccomi qua, un po' in ritardo rispetto i miei standard.

Che ve ne pare? Questo è il primo capitolo che contiene qualche scena d'azione, e vorrei sapere da voi se ne è venuto fuori qualcosa di buono, oppure no. Accetto consigli ^.^

Al prossimo aggiornamento

bicci97

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Visto che Peter mi ha concesso qualche giorno di riposo, la cosa migliore da fare sarebbe dormire, leggere quel libro abbandonato ormai da tempo immemore sul comodino e magari dipingere un po'.

E ovviamente non riesco a fare nessuna di queste cose.

Perché? Semplice: qualcuno sta bussando alla porta, e io sto ancora dormendo (sono solo le otto di mattina in fondo).

Il tepore del letto è troppo piacevole e confortante, ho deciso, non mi alzo. Chiunque sia se ne andrà prima o poi.

Il rumore cessa.

Chi era alla porta? mi domando in un breve momento di lucidità.

Ma dopo qualche minuto (o secondo, non ne ho davvero idea) lo scocciatore ricomincia a bussare, più forte e più incessantemente di prima.

Spalanco gli occhi.

Addio dormita mattutina.

Mi costringo a buttare le gambe fuori dal letto, anche se mi sembra un'impresa titanica. Mi alzo in piedi con calma e mi stiracchio, che aspetti quello fuori dalla porta. Mi avvio a piedi nudi ad aprire, stropicciandomi gli occhi nel frattempo.

Apro la porta.

- Neal! Credevo non fossi in casa!

Ma se ha continuato a bussare per più di dieci minuti?!

Ed eccolo qui l'elemento che stona con i miei piani per i prossimi giorni. Mozzie. E la valanga di problematiche che ne derivano, ovviamente.

Si fa strada nell'appartamento, camminando deciso verso il divano. Notando il letto sfatto mi domanda:

- Stavi dormendo per caso?

Domanda da un milione di dollari.

Lo osservo in malo modo.

- Scusa, domanda stupida.

Si siede sul divano accavallando le gambe.

- Ho sentito cosa è successo ieri al Little. Sono felice che tu stia bene.

Mi avvicino alla macchina del caffè, devo cercare scacciare in qualche modo il terribile senso di stanchezza che mi offusca i sensi.

Aspetta un momento...

- Come fai a saperlo?

- Ho i miei informatori. E poi quello che succede nella Grande Mela non resta nascosto a lungo, ci sono occhi e orecchie dappertutto. Inoltre ero in zona, e ho visto delle volanti che si dirigevano verso il centro di Manhattan con le sirene spiegate.

Secondo me mi stava pedinando.

- Come mai bussi alla mia porta alle otto del mattino?

- Sono preoccupato, non so se sei all'altezza del compito che ti ho affidato. E comunque sono le otto e trenta, ti saresti dovuto alzare almeno un'ora fa.

- Sentiamo, cosa sto sbagliando secondo te?

- Devi avvicinarti di più alla sua famiglia. Finora hai conosciuto solo suo fratello, e direi che non ti è andata molto bene. Devi smuovere le acque.

- Cosa vuoi che faccia, Moz?! La situazione è delicata, non posso calcare la mano, se lei mi lascia perché sono troppo insistente quel Monet non lo vedrai mai. Non è così semplice.

- Mon frère, ti capisco perfettamente. Ma questa storia mi sta logorando, non ci dormo la notte.

- Sono preoccupato.

- Per cosa, Neal?

- Se Peter dovesse scoprirci... non me lo perdonerebbe mai. Lo so che non è la prima volta, ma mentire ad uno dei miei più cari amici mi costa parecchio.

- Non ti devi preoccupare, Mr FBI non lo verrà mai a sapere, e poi...

Il mio cellulare squilla. Un messaggio.

- … chi è?

- Mai sentito parlare di privacy?

Guardo il display. È Edison. Vuole che ci incontriamo fra un'ora.

Alzo lo sguardo su Mozzie che mi sta fissando interrogativamente.

- Edison vuole vedermi, forse mi vuole parlare.

- Ricorda Neal, – mi dice solennemente – fai qualsiasi cosa per accaparrarti la ragazza.

Detto questo si alza e se ne va, come un fantasma.

Il solito Moz.

 

 

- Edison!

Edison si volta, non appena sente la mia voce. Mi corre incontro, e non appena mi arriva vicino mi abbraccia di slancio, stringendomi forte.

Che succede?

- Oh, Neal... grazie. - dice lei con le lacrime agli occhi.

- Grazie? E per cosa?

- Hai protetto mia sorella ieri durante alla rapina, sei stato così... fenomenale. Grazie, grazie mille volte.

La stringo anche io, sta piangendo. Dalla felicità spero.

- Non mi devi ringraziare, ho fatto semplicemente quello che andava fatto.

Dopo qualche minuto Edison si ricompone, e assume un'aria solenne.

- Che succede?

- Neal, ho deciso che è il momento di presentarti ai miei genitori.

Ho un sussulto, sono davvero sorpreso.

- Sono felice che tu abbia preso questa decisione. Quando li incontreremo?

- Fra un'ora, quella macchina laggiù ci sta aspettando, ci porterà a casa mia.

Mi volto ad osservare la stessa Mercedes grigio metallizzata che ha accompagnato Edison al nostro primo appuntamento.

- Non è un problema, vero? - dice lei tutto a un tratto spaesata.

- Affatto, sono davvero contento. - dico io facendo un sorriso alla “Caffrey trionfante”.

- Ma, aspetta una attimo... - dico poi facendo una faccia buffa, di falsa preoccupazione – ...non è che per caso c'è anche tuo fratello Stephen, eh? Vorrei tenermi la faccia intatta, per questa volta.

- C'è anche lui – dice lei con un sorrisetto – ma dopo quello che hai fatto per Mollie non si sognerà più di toccarti, se non per darti una pacca amichevole sulla spalla.

- Oh, meno male. - dico io prendendole la mano e incamminandomi verso la Mercedes.

 

 

Quando entro dal portone principale la casa degli Smash mi sembra ancor più monumentale della volta scorsa. Nell'atrio ci sono delle persone: Mollie, Stephen, una signora di una certa età, una donna sui trent'anni e un uomo sulla cinquantina, che mi guarda fisso. Mi avvicino a Mollie, salutandola. Lei mi sorride, e subito dopo mi abbraccia. L'abbraccio anch'io, sono davvero felice di vederla. Subito dopo tocca a Stephen, che mi saluta stringendomi la mano e mi dà una pacca sulla spalla, sorridendo. Tutto come previsto.

La signora dai capelli bianchi e la faccia simpatica mi viene vicino e mi dice:

- Salve, io sono Nellie, la nonna di Edison. Sono davvero felice di poterti finalmente conoscere, la mia nipotina parla continuamente di te.

- Davvero? - dico io voltandomi un attimo verso Edison, che arrossisce lievemente.

- Anche per me è un piacere conoscerla, io sono Neal.

- Ti prego, dammi del tu, le maniere formali mi ricordano quanto sono vecchia.

- Con piacere.

Subito dopo mi si avvicina una donna giovane e sensuale, Jackie. È la moglie di Robert, il padre di Edison.

Ma non è un po'... giovane? Ha quasi la mia stessa età!

Anche lei mi sembra simpatica, anche se non capisco perché si sia sposata con un uomo con quasi il doppio dei suoi anni. Qualche idea ce l'avrei a dir la verità.

E poi arriva lui, Robert. Comincio a sudare freddo.

Fino a qui è stato tutto in discesa, ora arriva il bello.

Mi avvicino lentamente, ma al contempo con fare deciso, accennando a un sorriso. Lui non fa una piega, resta immobile e impettito ad osservarmi, fino a quando non arrivo di fronte a lui, con la mano tesa. Solo allora alza la mano e me la stringe, facendo un sorriso che sembra falso, meccanico, per niente naturale.

- E così tu sei il nuovo fidanzato di mia figlia.

- Salve, sono Neal. Lei deve essere il padre di Edison, dico bene?

- Robert Smash. Neal cosa, mi scusi?

- Neal... Caffrey, signore.

- Quel Caffrey? Quello che ha rubato qualche anno fa le lettere d'amore che George Washington scrisse alla moglie?

Oh oh, sono nei guai.

- Lavoro per l'FBI ora, Mr Robert. E comunque... ho capito di aver sbagliato e mi sono messo a disposizione della legge.

Il mio sorriso si allarga, incurante del fatto che forse sto mandando a rotoli l'intera operazione. Anche lui mi sta osservando, sembra pensieroso.

Proprio quando sono convinto che mi prenda a calci nel sedere per buttarmi fuori da casa sua, Robert sorride e dice:

- Beh, direi che ora di andare a pranzare.

Lo seguiamo tutti nella sontuosa sala da pranzo, arredata sempre in stile ottocentesco.

Durante il pasto parliamo del più e del meno: il mio lavoro alla White Collar, i progetti della potente industria degli Smash, il prossimo concerto a cui si esibirà Edison, la festa di compleanno di Mollie, che festeggerà i suoi diciotto anni fra qualche mese. Il personale di servizio continua a servire pietanze squisite, oserei dire che ho mangiato così bene solo poche altre volte nella mia vita.

Finito il pranzo ci spostiamo tutti quanti in giardino, sotto un grande gazebo. Le donne si assentano per organizzare un brindisi. Rimaniamo così solo in tre: Robert, Stephen ed io. Stephen mi parla un po' del pugilato, che pratica da una decina d'anni, e con grandi risultati, secondo i miei recenti ricordi.

Dopo qualche minuto il suo telefono squilla, e lui si allontana velocemente per rispondere, scusandosi.

Ed eccomi qui, da solo con Robert. Mi sembra di essere al patibolo. Mi sta osservando.

- E così hai protetto mia figlia durante la rapina al Little.

Perché questa domanda, non conosce già la risposta?

- Ho fatto solo quello che ritenevo giusto in quel momento. E poi...

- Stammi a sentire, ladruncolo dei miei stivali – dice Robert, improvvisamente serio e spietato – non me ne frega niente che tu abbia salvato Mollie da quei rapinatori, e non me ne frega niente neanche che tu piaccia ad Edison. Sei solo un disonesto che sta cercando di sistemarsi a vita entrando nelle mutande di mia figlia.

Faccio per replicare, ma lui me lo impedisce, con la sola intensità del suo sguardo.

- Tuttavia non posso sbatterti fuori dalla vita di mia figlia, non so cosa tu le abbia fatto, ma lei stravede per te. Quindi mi limiterò ad aspettare, prima o poi tutto tornerà come prima, non dovrò più vedere la tua faccia ed Edison tornerà con Ronald.

Voglio dire qualcosa, devo farlo, ma non ci riesco. La verità mi colpisce come uno schiaffo in faccia: Robert non ne vuole sapere di me, sono solo un intruso.

Decido di assumere un'espressione indifferente, non devo farmi toccare dalle sue parole.

Proprio quando riesco a ricompormi arrivano le nostre donne, con una bottiglia di champagne e dei bicchieri.

Non appena arriva anche Stephen versiamo lo champagne, alziamo i calici e Jackie dice:

- Brindiamo!

- Brindiamo a cosa? - chiedo io.

- A lei, Mr Caffrey, per darle il benvenuto nella nostra famiglia e per ringraziarla, per aver protetto Mollie durante la rapina. - dice Robert, che ora mi sorride e tende il calice verso di me, in segno di rispetto.

Un attore provetto.

Edison mi si avvicina, e io la tengo stretta per la vita, mentre beviamo.

Non promette bene, Mozzie non ne sarà felice.

 

 

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE:

Ebbene si, sono finalmente tornata. Questo capitolo mi è costato più tempo del previsto, ma che ci volete fare, altri impegni mi hanno tenuta occupata per più di due settimane.

Il bello deve ancora arrivare, spero di riuscire a stupirvi tutti già dal prossimo capitolo ;)

Alla prossima

bicci97

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Che giornata splendida per fare un po' di jogging. Non appena suona la sveglia mi alzo, mi vesto di tutto punto e infilo le scarpe da corsa. Non mi rado, perché ho notato che le donne, quando ho la barba un po' incolta, si girano per osservarmi, parlando a bassa voce con l'amica e lanciandomi sguardi maliziosi. Forse la barba mi dà un'aria intrigante, e chi lo sa?

Lo ammetto, sono un po' egocentrico, ma sono fatto così. Mi piace essere notato, a meno che la persona che mi osserva non sia un agente dell'FBI che cerca di arrestarmi per qualche futile motivo.

Appena chiudo la porta del mio appartamento comincio a correre.

Corro per un bel pezzo, fermandomi solo per attraversare la strada e per evitare di essere travolto da vere e proprie mandrie di lavoratori newyorchesi. La stanchezza inizia a farsi a sentire solo dopo qualche chilometro, la fronte mi si è imperlata di sudore, ho il fiato corto.

Non c'è cosa migliore dell'esercizio fisico per allentare l'ansia e lo stress che ultimamente mi stanno logorando.

Svolto per l'ennesima volta, in una via che solitamente è deserta. La mia attenzione viene catturata da un signore davvero buffo, che sta camminando dall'altra parte della strada. Sono così concentrato su quell'uomo che non mi rendo neppure conto che all'improvviso sbatto violentemente contro qualcosa, anzi, qualcuno. Riportando tutta l'attenzione sul marciapiede vedo Mollie per terra, circondata da sacchetti che probabilmente contengono (o meglio, contenevano) cibarie di vario genere.

- Mollie!

- Ouch... - dice lei tastandosi il fondoschiena, probabilmente in cerca di danni. Appena mi vede esclama:

- Neal!

- Scusa, non ti avevo proprio vista.

Le porgo una mano e l'aiuto ad alzarsi, dopodiché mi chino ed inizio a raccogliere le cose che sono a terra. Appena mi rialzo tenendo i sacchetti in mano dico:

- Ti sei fatta male?

- No, non ti preoccupare. Accidenti Neal, devo dire però che lo scontro contro il tuo petto non è stato per niente soffice. Fai palestra?

- Devo mantenermi in forma, sono un consulente dell'FBI dopotutto, devo sempre essere pronto all'azione.

Restiamo per un attimo in silenzio, senza saper cosa dire.

- Dove stai andando? - dico finalmente io indicando con lo sguardo i sacchetti che sto saldamente tenendo in mano.

- Devo aprire il locale fra un'ora. Al sabato mattina c'è sempre un sacco di gente, servono più persone possibili al lavoro.

- Vuoi già andare al Little dopo... - le parole mi muoiono in gola, non so se è già pronta per parlarne apertamente.

- Penso alla rapina di continuo, devo tenermi occupata in qualche modo.

Abbassa lo sguardo, la mente immersa nei recenti avvenimenti.

- Che ne dici di venire con me al Little? Ti faccio un caffè prima dell'apertura.

- Volentieri.

Detto questo ci avviamo senza dire una parola verso il centro di Manhattan.

 

 

Appena entriamo oltrepassiamo il bancone. Nel giro di qualche minuto i nostri caffè sono pronti. Mollie, invece di sedersi ad un tavolo, si siede per terra, proprio dove si era nascosta qualche giorno fa, durante la rapina. Con un cenno del capo mi invita a sedermi.

Ed eccoci qui, l'uno a fianco all'altro, troppo intenti a sorseggiare il caffè per parlare.

Devo dirle qualcosa, sento che dopo la rapina c'è qualcosa che ci unisce, ma non so spiegarmi che cosa.

- Mollie... - dico, appoggiando la tazza vuota sul pavimento e sporgendomi verso di lei. Accosto le labbra al suo orecchio.

- Sono felice che non ti sia successo niente, - soffio debolmente. Non so perché sto sussurrando, non c'è nessuno nel locale a parte noi due.

- Neal, - dice lei guardando per terra – la tua prontezza è stata a dir poco incredibile. Non so che cosa avrei fatto se tu non fossi stato qui. Non ti ringrazierò mai abbastanza.

Ora siamo faccia a faccia, a pochi centimetri di distanza. Sento il suo respiro sulle labbra, e lo trovo così... inebriante.

Mi avvicino lentamente.

Che diavolo stai facendo?

Non riesco a fermarmi, sento che potrei morire, se non la bacio immediatamente.

Appena appoggio le labbra sulle sue sento che si irrigidisce. Mi allontano un momento, titubante: ha gli occhi socchiusi. Faccio per alzarmi e andarmene con una scusa, quando lei mi allaccia le mani intorno al collo e mi offre le sue labbra.

IDIOTA! Così farai saltare tutto!

Non sto ascoltando la vocina del mio buon senso, sono troppo impegnato, troppo inebriato dal sapore di Mollie per starla a sentire. Mi avvicino ancora di più a lei, appoggiandole le mani sui fianchi. Ci baciamo senza pause, facendo cozzare i denti e intrecciando le nostre lingue. Dio, è così intenso.

Non riesco a fermarmi, se Moz scopre quello che sto facendo sono un uomo morto. Ci stacchiamo un attimo per prendere fiato.

Com'è sexy. Perché non l'ho mai notato?

Rifletto un momento su quello che ho appena fatto.

Ho appena combinato un bel casino, ecco cos'è successo.

- Mollie... mi dispiace.

- No – dice lei subito – non dispiacerti.

- Io... devo andare.

Mi alzo velocemente e l'aiuto a fare lo stesso.

- Allora... ci vediamo. - Sono imbarazzatissimo.

- Ciao Neal.

Faccio per andarmene, ma la voce di Mollie mi blocca:

- Neal?

- Si Mollie?

- Possiamo dimenticare tutto? È così... complicato. Ma non fraintendermi: non me ne sono... pentita.

È chiaro che non ha idea di quello che sta dicendo, insomma, sono il ragazzo di sua sorella! Baciarla è stato un gesto meschino ed egoista.

- Certo. - dico prima di uscire dal locale a lunghe falcate.

Ricomincio a correre, più velocemente di prima.

Ho baciato Mollie, dannazione! E adesso che faccio? Sono fregato se ne parla a sua sorella.

Non so perché, ma sono quasi sicuro che non le dirà niente. Dovrei essere depresso, eppure non riesco a togliermi il sorriso dalla bocca, mi sento così... non so... felice?

 

 

Appena torno a casa mi fiondo sotto la doccia, per schiarirmi le idee. Mi spoglio mano a mano che mi avvicino al bagno, lasciando i vestiti sul pavimento. Il getto d'acqua è ristoratore, un vero toccasana.

Dopo, con solo un asciugamano addosso, mi avvio verso la cucina, e non appena raggiungo il soggiorno noto una borsa palesemente femminile appoggiata sul tavolo.

- C'è qualcuno?

La porta del terrazzo è aperta.

- Neal, vieni!

La voce proviene da fuori.

Edison?

È i piedi vicino al tavolino dove solitamente faccio colazione.

Mi si avvicina con passo felino, senza staccare gli occhi dai miei.

- Beh, - dice passando una mano sul mio petto, per poi scendere sugli addominali, sfiorando l'asciugamano - direi che mi sono persa lo spogliarello.

Deve aver notato i vestiti che ho lasciato fin davanti alla porta del bagno.

- Come sei entrata? - dico io con un sorriso divertito.

- La signora che abita qui sotto mi ha fatta salire, non appena le ho detto che sono la tua ragazza. Una piccola innocente bugia.

- Una bugia? Pensavo di piacerti.

La avvicino a me appoggiandole le mani sul fondoschiena, accostando le mie labbra alle sue.

Appena la bacio mi rendo conto che nemmeno un'ora fa ho baciato sua sorella. E devo ammettere che quel bacio mi è piaciuto molto di più.

Dannazione.

Non appena ci stacchiamo Edison nota che sono serio, pensieroso.

- Neal - sussurra, appoggiandomi una mano sul viso - stavo scherzando, non fare quella faccia.

Oh, se solo sapessi a cosa sto pensando non saresti così accomodante.

Sorrido, dopotutto mentire è il mio lavoro.

- Ho portato dell'ottimo vino, sottratto occasionalmente dalla cantina personale di mio padre. - cinguetta lei cambiando discorso.

Mi avvicino al tavolino su cui è appoggiata una bottiglia di Screaming Eagle del '94, del valore di qualche migliaio di dollari, ad occhio e croce.

- E a cosa brindiamo?

Lei mi raggiunge, abbracciandomi da dietro.

- A noi.

Mi corre un brivido lungo la schiena: ce l'ho fatta, mi ama.

- Vado a prendere il cavatappi.

- Aspetta - dice lei bloccandomi sul posto - come hai detto giustamente tu al nostro primo appuntamento, voglio essere lucida.

Le rivolgo uno sguardo divertito.

- Vuole forse portarmi a letto, signorina Smash? Non so se sono in vena...

- Signor Caffrey, come osa dire una cosa simile?

La prendo per mano, e la porto dentro. Non appena arriviamo vicino al divano la bacio con impeto, facendomi strada nella sua bocca con la lingua.

- Magari potrei cambiare idea, con il giusto incentivo.

- Sono sicura di sapere esattamente di cosa hai bisogno... – sussurra maliziosamente Edison.

La faccio sedere sul divano, dopodiché le prendo il volto tra le mani e la bacio ancora una volta. Mi siedo anche io, e la faccio sedere sulle mie gambe. Con un movimento sorprendentemente veloce lei si mette cavalcioni su di me.

D'accordo, le piace comandare. Ma non l'avrà vinta.

Le affetto saldamente le cosce, facendo aderire i nostri corpi. Ha una pelle davvero liscia.

- Penso che ti piacerà di più se ti liberi di questi vestiti. – sussurro roco tirando appena l'orlo del vestito tinta corallo.

- Ogni tuo desiderio è un ordine – dice lei - …ma solo per questa volta.

Si libera dal mio abbraccio e si mette seduta, sfilando il vestito in modo volutamente lento. Non appena noto la lingerie di pizzo non posso fare a meno di metterci le mani sopra.

Dopo un po' le metto le mani sulle natiche, e facendo forza sulle gambe mi alzo in piedi, tenendola sollevata da terra. Lei allaccia immediatamente le gambe al mio bacino. Raggiungo il letto, la adagio delicatamente, e mi stendo sopra di lei. Prima di ricominciare a baciarla sorrido, e lei fa lo stesso.

Ce l'ho fatta.

 

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE:

Lo so, non ci sono scuse. Ho postato tremendamente in ritardo, e me ne dispiaccio molto. Quando ho iniziato a scrivere questa ff non pensavo sarebbe stata così dura, ma ho preso l'impegno, e lo voglio portare avanti, anche se non riesco ad aggiornare nei tempi brevi che vorrei.

Riguardo il capitolo... mah, oggi ero ispirata X°°°°D

Era da qualche tempo che ci pensavo, ma non avevo proprio la minima idea di come descrivere la prima volta di Neal ed Edison. Poi oggi... bang! Che ne dite?

Prima di lasciarvi devo assolutamente ringraziare Giulia White, che mi sostiene capitolo dopo capitolo con i suoi commenti. Love <3 <3

Alla prossima ^.^

bicci97

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