Al di là del Vallo.

di Eriu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***



Aredhel alzò lo sguardo. Non era sicura del suono che aveva sentito. Nella Foresta degli Spiriti, i rumori erano continui, diseguali, e spesso incutevano timore molto più della creatura che li aveva provocati.
E tuttavia, la ragazza doveva essere prudente. Senza fare il minimo rumore, sganciò il piccolo perno di acciaio che bloccava la lama del suo coltello all'interno del fodero, e lentamente lo estrasse. Era una splendida arma, letale come colei che la portava. Aredhel sollevò il pugnale all'altezza delle costole, bene attenta a non mollare la presa su di esso.
Era in un punto strategico della Foresta: si trovava nascosta tra gli alberi, invisibile grazie al manto protettivo di quella notte di luna nuova, ed aveva un'ampia visuale verso una radura a pochi metri da sé; era da lì che le era giunto il suono, e pertanto poteva dirsi sicura che, qualunque cosa lo avesse provocato, avrebbe dovuto attraversare lo spazio tra gli alberi per raggiungerla. La luce non era molta, eppure era sufficiente da permetterle di scorgere un'eventuale minaccia.
Fu solo dopo alcuni minuti che il suono si ripeté nuovamente: Aredhel rifletté su cosa potesse essere. Sembrava un ramo spezzato, ma non un ramo secco e calpestato da piede inesperto, anzi. Pareva quasi che un animale ferito o confuso stesse marciando nel folto, tentando di non farsi scoprire, senza riuscire nell'intento di evitare di colpire i rami bassi degli alberi.
Aredhel aguzzò la vista, e fu allora che vide comparire nella radura un uomo. Era lui, l'uomo che stava aspettando. Da lontano riconobbe il corpo massiccio e muscoloso, lievemente curvo su se stesso. Un braccio era avvolto sul torace, e la mano stringeva la spalla. La giovane gli corse incontro, ben sapendo che non poteva essere altri che lui: anche se non poteva vedergli il viso, nessun membro del Clan delle Montagne si sarebbe mai azzardato ad avvicinarsi a quella selva, né tanto meno rischiava di incontrare i loro nemici giurati, il Clan del Lungo Fiume. Così non ebbe timore ed avanzò, riponendo il pugnale nel fodero.
«Wulfric!» esclamò, raggiungendolo. Era davvero lui: avvicinandosi, aveva riconosciuto i lineamenti duri del fratello maggiore, i suoi occhi verde chiaro e, alla scarsa luce, un riflesso dei suoi capelli biondi. Eppure, lui non la strinse a sé come al solito: parve quasi cogliere con fastidio la nota estatica del tono di voce della sorella. Aredhel non riusciva a spiegarsi come mai lui non la accogliesse con il solito calore, e solo allora lo sguardo le cadde sulla spalla del giovane uomo: laddove la mano stringeva la pelle, un fiume di sangue sgorgava da una ferita piuttosto recente.
«Wulfric, cosa ti è successo?» esclamò, mentre sentiva una crescente agitazione dentro di sé. La ferita di per sé non era grave, ma era piuttosto avvezza a vedere delle infezioni portarsi via la gente. Il loro stesso padre, Coinneach, era mancato un paio di anni prima a causa di una piccolissima ferita, un'inezia, che si era tuttavia infettata portandolo alla morte.
Il fratello di lei allungò la mano sporca di sangue nella sua direzione, ma lei non riuscì ad afferrarla, perché le gambe di Wulfric cedettero facendolo cadere tra il fogliame secco. Aredhel si inginocchiò immediatamente accanto a lui, cercando di pensare in fretta.
Cadendo, Wulfric aveva perso conoscenza, e lei non era abbastanza forte da poterselo caricare in spalla: era stata addestrata a combattere come un uomo, ma il suo fisico era quello di una donna minuta e, seppur muscolosa, lei sapeva di non essere in grado di sottoporsi ad un simile sforzo. D'altra parte, dove avrebbe potuto andare? Suo fratello era stato cacciato dal Clan delle Montagne molto tempo prima: il suo nome era stato cancellato dai registri del loro stregone, il suo disonore reso noto a tutti nelle vicinanze; era stato cancellato per sempre, nessuno doveva parlarne, nessuno poteva vederlo, a nessuno era concesso neppure ricordarlo. Non lo avrebbero mai aiutato.
Alzò lo sguardo verso il cielo: come di consueto, avevano deciso di incontrarsi in quelle ore notturne in cui la luna era ancora alta, ma era tuttavia in procinto di calare. Non avrebbe avuto ancora molti istanti di luce, pertanto avrebbe dovuto accendere un piccolo fuoco. Sapeva che non era sicuro: le sentinelle del Clan non avrebbero mai notato il filo di fumo, dato che era troppo buio, né avrebbero mai intravisto la luce delle fiamme, in quanto il punto in cui Aredhel si trovava era molto distante da lì; il pericolo era costituito dagli animali che popolavano la selva, che sarebbero stati spaventati dalle fiamme, ed allo stesso tempo attratti dal loro calore. Aredhel, poi, aveva sentito dire che un branco di lupi si era stabilito tra quegli alberi: lei non li aveva mai visti, ma la vecchia indovina del suo villaggio li aveva visti attraverso il bianco della sua cecità.
Alla fine, stabilì che un falò era l'unica soluzione. Portava sempre con sé, nella borsa di cuoio, due pietre focaie. Racimolò alcuni rami, prendendoli tra quelli caduti a terra per non disturbare il sonno degli Spiriti che abitavano gli alberi, e mise insieme un piccolo fuoco da campo improvvisato. Dopotutto, non aveva bisogno di molto tempo: gli strumenti di cui disponeva non erano sufficienti a guarire Wulfric, ma potevano concedergli forze sufficienti a tornare a casa sua e farsi vedere da un vero guaritore.
Aveva con sé una piccola borraccia con dell'acqua: la portava sempre, per quei rari convegni notturni, e con essa lavò la ferita per come poteva. Poi si guardò il braccio destro: aveva una cicatrice che correva lungo tutto l'avambraccio, dal polso fino all'incavo del gomito; se ne vergognava terribilmente, e la portava sempre coperta da una candida fascia bianca. Era pulita, perché lei voleva che fosse sempre bianchissima, e la lavava ogni sera prima di coricarsi: quel giorno, l'aveva lavata nel tardo pomeriggio. La usò per fasciare la spalla di Wulfric e bloccare l'afflusso di sangue, o quantomeno rallentarlo. Strinse bene la fasciatura, bloccandola con un po' di resina per evitare che si disfacesse. A quel punto versò l'acqua avanzata sul fuocherello, che si spense in pochi secondi, avendo cura di avanzare un po' di quel liquido per il risveglio del fratello. Con un piede pose fine alla vita delle poche scintille rimaste. A quel punto attese. A parer suo, non avrebbe dovuto attendere troppo prima di vedere suo fratello con gli occhi aperti: quella notte era molto fredda, e questo non avrebbe fatto che aiutare il suo recupero. Certo, avrebbe impiegato un paio d'ore per recuperare le forze necessarie al movimento, ma almeno avrebbe potuto spiegarle cos'era successo.
Inizialmente, aveva pensato all'attacco di un animale: Wulfric era un cacciatore, e provvedeva alla fornitura di cacciagione del castello di Caledorum, postazione romana di recente costruzione. Poi però, mentre la puliva, si era accorta che si trattava di una ferita da arma da taglio.
Non dovette attendere molto, forse mezz'ora, prima di vedere suo fratello aprire gli occhi. Sembrava affaticato. Chiese dell'acqua, e subito Aredhel gliela porse. Wulfric tentò di mettersi seduto, ma Aredhel lo costrinse a ridistendersi: lui non fece obiezioni, dopo aver sentito quanto dolore provava ad ogni movimento.
Quando Wulfric parve in grado di ragionare lucidamente, Aredhel gli pose di nuovo la stessa domanda di prima: «Cosa è successo, Wulfric? Chi ti ha attaccato?»
Lui non rispose subito. Sembrava perso nei suoi pensieri. La luna calava, e lei vedeva sempre meno gli occhi di Wulfric, così incredibilmente uguali ai suoi. Finalmente, lui sospirò e si preparò a rispondere.
«Caledorum» fece, con un filo di voce. «Caledorum è stata attaccata. Sono stati quelli del Lungo Fiume.»
Aredhel non si mostrò sorpresa: erano mesi che i Romani si erano stabiliti lì, costruendo una città militare proprio sul territorio del Clan del Lungo Fiume. Eppure, non potevano essere stati loro ad attaccarli! Quei pazzi venuti dall'Irlanda non avevano altro passatempo che quello di ingaggiare piccole scaramucce con il Clan delle Montagne: a loro non importava del loro territorio, dal momento che non si fermavano mai più di un anno in un posto. Erano nemici di lunga data del suo Clan perché, sebbene fossero nomadi, avevano sempre gravitato intorno alle loro terre, ma Aredhel era certa che non avrebbero mai rischiato delle vite per combattere un nemico a loro parere inferiore.
«Ne sei sicuro?» gli domandò, scostandogli dal volto una ciocca di capelli. «La tua è un'accusa molto grave, lo sai.»
«Ti dico che sono stati loro, sorella!» replicò Wulfric con enfasi. «Sono stati loro, con i loro tamburi e le loro frecce rosse! Hanno atteso il calar della notte, poi hanno lanciato una pioggia di frecce sul villaggio oltre le mura del forte romano. E poi sono arrivati all'assalto. Hanno ucciso gli uomini e fatto prigioniere le donne e i bambini. Ma non hanno cercato di assaltare il forte.»
«E i Romani?» domandò ancora lei. «Cosa hanno fatto i Romani per difendere il vostro villaggio?»
«Li hanno colpiti con frecce e massi lanciati con quegli arnesi infernali, le ca.. ca..»
«Catapulte?»
«Proprio quelle. Quelli del Lungo Fiume non se l'aspettavano, e se ne sono andati, ma ormai il villaggio era perduto. Io mi sono salvato perché non avevo nessuno con me, nessuno alla cui salvezza dovevo provvedere. E poi, ero già fuori dal villaggio: stavo venendo qui.»
Aredhel restò in silenzio. Perfino lei, che di politica si intendeva poco, sapeva cosa significasse una cosa simile. Il suo pensiero era lo stesso di Wulfric: fino a quel momento, i soldati dell'Impero Romano si erano comportati in maniere civile, costruendo il loro piccolo forte e collaborando con la popolazione che già abitava in quelle terre, mentre loro, i Clan della popolazione del Caledoni, avevano tollerato la loro presenza, perché poteva portare vantaggi notevoli. Senza contare che i Romani avevano fama di grandi conquistatori, e a parer suo loro erano stati molto fortunati a non aver subito le sorti di altri tra i Celti: ad esempio, sapeva che in una regione del mondo chiamata Hiberia i nativi erano stati assoggettati totalmente al giogo di Roma.
L'azione deliberata del Clan del Lungo Fiume aveva innescato una reazione che avrebbe portato alla distruzione totale della Caledonia.
Avrebbe portato alla guerra.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***



 

Aredhel era esausta, dopo quella notte, e quando sua madre Winifred la svegliò il giorno dopo aveva dei brutti segni sotto agli occhi. Impiegò qualche minuto a rendersi conto di essere in casa sua, e per poco non si fece scappare dalle labbra il nome di suo fratello non appena ebbe aperto gli occhi.

Lei e sua madre a volte parlavano di lui, ma non la pensavano allo stesso modo. Nessuno sapeva la verità su quel che era successo la notte in cui Wulfric fu cacciato dal villaggio, a parte lei, lo stesso Wulfric ed il ragazzo che lui aveva ucciso. Lei non lo conosceva, sapeva solo che il suo nome era Cainan e che era il figlio del guerriero Gunnar: un uomo influente, all'interno del consiglio di guerra, e che aveva preteso l'immediata espulsione del fratello di Aredhel.

Nessuno conosceva la verità, e lei non poteva dirla a nessuno: aveva giurato di non farlo. Ricordava che, in attesa della sentenza, Wulfric era stato tenuto sotto stretta sorveglianza nella casa del druido, le mani legate ad un palo che sosteneva il tetto di paglia e fango. Aredhel aveva avuto il permesso di fargli visita, così come i suoi genitori, ma lui non aveva voluto altri che lei ad essergli di conforto in quelle ore incerte.

Ora, se mai lei e sua madre discutevano insieme di quell'argomento, la donna era subito pronta ad accusarlo di essere un ingiustificato violento; non serviva a nulla ricordarle quante ore felici avevano passato, tutti e quattro insieme, o quanto fosse stato dolce nei confronti delle due donne di casa, o quante volte fosse andato al posto suo nel folto a prendere legna da ardere, compito che, peraltro, era in teoria esclusivamente femminile. Winifred non accettava ragioni, e Aredhel non poteva insistere troppo senza rischiare di offenderla.

Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di poter rivelare a sua madre quanto aveva saputo la notte precedente, ma se lo avesse fatto sarebbe stato chiaro che lei aveva incontri segreti con un esiliato. La pena per un simile affronto alle leggi del Clan avrebbe significato morte.

«Aredhel?» disse sua madre, riportandola alla realtà. «Che hai? Ricordati che oggi devi aiutarmi con l'orto. Sta arrivando l'inverno, e devi aiutarmi a pulirlo prima che geli.»

«Si, madre.»

Winifred non era una donna molto sensibile: inadatta a capire sua figlia, così difficile e complicata; e tuttavia era una buona madre, e come tale capì subito che Aredhel aveva dei pensieri per la testa.

«Che hai, si può sapere?» domandò sbrigativa.

«Niente.»

«Hai lo sguardo perso, ragazza. Hai conosciuto un uomo, per caso?»

Aredhel scosse il capo, per nulla sconvolta da quell'affermazione. «No, madre. Nessun uomo.»

«Se lo dici tu. Vai a prendermi quel paniere, avanti.»

Passò un mese. Un mese durante il quale Aredhel non ricevette alcuna notizia di suo fratello. Solitamente, lui le faceva arrivare qualche messaggio, anche breve, approfittando dei momenti in cui lei e sua madre andavano al mercato di Caledorum. Il mercato e la scrittura erano cose che lei, così come tutti i Caledoni, non conoscevano; tuttavia Wulfric era riuscito ad imparare a scrivere e leggere quel minimo indispensabile che gli serviva a dare notizie di sé, ed aveva insegnato a sua sorella ciò che sapeva durante alcune lezioni notturne. Lei non era mai riuscita ad imparare a scrivere, la mano le tremava al solo pensiero, ma aveva imparato a leggere quel tanto che bastava da capire gli scritti di Wulfric. Quando non capiva una parola, cercava di indovinarla dal contesto, e così erano andati avanti per quegli anni. Lei aveva tenuto ogni messaggio, ogni lettera più o meno lunga che lui le aveva mandato.

Non ricevere alcun messaggio da Wulfric la insospettiva e spaventava.

Una mattina, la giovane si alzò presto: aveva dei lavori da fare per aiutare sua madre, ed era stato organizzato un piccolo allenamento per i guerrieri del Clan. Sebbene nessuno la considerasse davvero all'altezza, non le era mai stato impedito di partecipare a quei raduni, per rispetto a suo padre Coinneach. Era stato lui ad addestrarla, sebbene a malincuore, ed ora lei era ufficialmente un guerriero del Clan delle Montagne. Tuttavia, aveva anche dei doveri verso sua madre, e così prima di tutto si adoperò per darle una mano.

Dopo un paio d'ore, Aredhel appoggiò il secchio al bordo del pozzo, lieta di poter riposare un momento le mani. Winifred voleva poter lavare i vestiti di entrambe prima che l'inverno con i suoi geli glielo impedisse, e lei aveva trasportato acqua dal pozzo alla casa fino a che la donna non era rimasta soddisfatta. Ora Aredhel aveva le guance arrossate per il freddo, così come le mani. Si ritrovò, come le era spesso accaduto durante quel periodo, a pensare a suo fratello ed agli eventi che gli avevano impedito la tranquillità; era passato un bel po' di tempo da quando il Clan del Lungo Fiume aveva distrutto il villaggio sorto intorno all'avamposto romano, ed ancora non c'era stato alcun sentore di una possibile lotta tra i Caledoni ed i Romani.

Un bambino, il piccolo Dubhan, le sfrecciò accanto, strappandole dalle mani un piccolo straccio con il quale stava per detergersi il viso.

«Hey!» gridò Aredhel. «Dubhan! Ridammelo immediatamente!»

Sorridendo, la ragazza guardò il bambino nascondere il panno dietro la propria schiena.

«Vieni a riprendertelo!» la sfidò.

Aredhel non aveva nessuna voglia di correre, così si avvicinò con cautela al ragazzino. Non voleva che lui scappasse via: in quel caso, avrebbe dovuto inseguirlo, e così avrebbe fatto tardi per il pranzo, e sua madre era già abbastanza nervosa senza che lei le procurasse altri fastidi.

«Ti prego, ora non ho tempo per giocare. Più tardi, magari, ma adesso proprio non..»

La sua voce fu soffocata da un grido, la voce di un uomo, e da una serie di esclamazioni provenienti dalle donne del villaggio. Aredhel voltò il capo nella direzione da cui era arrivata la voce, e rimase pietrificata. Wulfric, suo fratello, stava correndo verso il portone del villaggio, unico accesso attraverso la muraglia di pali di legno, che restava sempre aperto durante il giorno. Stava agitando le braccia come un pazzo, e intanto strillava qualcosa di incomprensibile a quella distanza. Aredhel era allibita.

Un guerriero, Conn, che sedeva vicino alla porta della sua casa si alzò ed afferrò un'ascia appoggiata alla parete.

«Sei venuto a morire, traditore?» gridò nella sua direzione, mentre sollevava un'ascia verso l'alto. Aredhel non era sorpresa: Conn e Gunnar erano sempre stati amici, ed avevano entrambi votato per la morte di Wulfric.

La ragazza non riusciva a smettere di fissare suo fratello. Dubhan le si avvicinò e tirò dolcemente la sua gonna, per attirare la sua attenzione.

«Aredhel, quello è tuo fratello?»

Ma lei non rispose: aveva notato in quel momento Gunnar, in piedi sulla camminata che correva lungo le mura. Era da lì che tiravano gli arcieri, ed infatti l'uomo imbracciava un enorme arco. Attraverso l'apertura del portone, Aredhel vide Wulfric arrestarsi di colpo e battere in ritirata, mentre Gunnar scoccava la prima freccia. Nessuno avrebbe potuto biasimarlo: la pena per gli esiliati che ritornavano era la morte, e Gunnar non faceva altro che seguire la legge.

Fu sorpresa di sentire le sue gambe tendersi, e di avvertire le sue mani che stringevano la gonna del vestito per sollevarlo. Prima che se ne rendesse conto completamente, aveva già iniziato a correre. Vide scorrere accanto a se Conn e la sua ascia, le mura di legno ed il portone spalancato. Chiamò suo fratello prima che potesse sparire dietro gli alberi, sapendo che Gunnar non lo avrebbe colpito se in mezzo ci fosse stata lei.

Wulfric tornò nuovamente verso il villaggio, e quando si incontrarono Aredhel gli buttò le braccia al collo. Era spaventata, non si vergognava ad ammetterlo, perché vedere Wulfric al villaggio significava che la situazione era più grave di quel che pensava.

Lentamente, i due si avvicinarono alle porte del villaggio. Aredhel sapeva benissimo che, a questo punto, il consiglio di guerra avrebbe potuto condannarli entrambi a morte; e tuttavia sperava che li avrebbero ascoltati.

Il silenzio che li avvolgeva era irreale. Aredhel non ricordava di aver mai sentito degli sguardi tanto carichi di diffidenza su di sé. Alzò lo sguardo verso Wulfric, il quale sembrava perfettamente padrone della sua mente. Lui si accorse dell'agitazione della sorella e le strinse la mano. Si fermarono esattamente al centro del grande spiazzo che dominava il villaggio, in attesa.

Gunnar, Conn e gli altri membri del consiglio si avvicinarono a loro, le lame sguainate. Gunnar, in particolare, ha lo sguardo pieno di ira e odio. Aredhel non può biasimarlo, ma al tempo stesso si porta istintivamente davanti a suo fratello, come a volerlo proteggere da quegli occhi omicidi.

«Aredhel» dice il guerriero. «Spostati. Sai cosa lo attende.»

«No.»

Gunnar resta per un attimo in silenzio. Il grande tatuaggio blu che gli riempie la fronte si contrae, quando lui aggrotta le sopracciglia. Per quanto sanguinario, Aredhel sapeva che Gunnar era anche un uomo abbastanza saggio.

«Che sei tornato a fare, Wulfric?» gli domandò, investendo il ragazzo con il suo pessimo alito. «Sai benissimo qual'è la pena per i traditori.»

Wulfric lo guardò con altrettanto astio, e Aredhel comprese che tra i due era in atto una battaglia davvero singolare: come due animali, i due guerrieri si squadravano nel tentativo di intimidirsi l'un l'altro. Quando suo fratello parlò, la giovane quasi non lo riconobbe, tanto la sua voce era roca e distorta dalla rabbia.

«Secondo te che ci faccio qui, Gunnar?» lo aggredì. «Sono venuto qua per avvisarvi. Siete tutti in pericolo, se restate qui.»

A questa frase, un coro di voci impaurite e di esclamazioni scosse il villaggio. Aredhel incontrò allora lo sguardo di sua madre, uscita di casa per capire cosa stesse succedendo. La ragazza non vide altro che delusione negli occhi di lei. Delusione non per Wulfric, ma per sua figlia.

Gunnar, stanco della confusione che il giovane aveva creato, impose il silenzio con un urlo, per poi rivolgersi nuovamente a Wulfric.

«E che ne sai, tu, di cosa ci riguarda? Non sei più uno di noi.»

Wulfric alzò il mento in segno di sfida. «Lo so, grande indovino! So benissimo di non far più parte di questo Clan, ma faccio parte della comunità di Caledorum, adesso. I Romani presto saranno qui.»

Aredhel avrebbe desiderato che suo fratello dicesse quelle parole solo al cospetto del consiglio di guerra, invece che in mezzo a donne e bambini spaventati. Eppure, lui continuò imperterrito, senza ragionare.

«È così!» gridò. «Se resterete qui, morirete tutti! Mi avete sentito? Tutti! I Romani stanno bruciando tutti i villaggi a nord del Vallo di Antonino. Avete capito? Moriremo tutti, se restiamo qui!» 

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