Prigionieri Del Silenzio

di FairySweet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dietro ad un Vetro di Ghiaccio ***
Capitolo 2: *** Pioggia ***
Capitolo 3: *** Rivoglio mia Moglie ***
Capitolo 4: *** Non ha bisogno di Te ***
Capitolo 5: *** Un Passo Ancora ***
Capitolo 6: *** Ti Riporterò Indietro ***
Capitolo 7: *** Cinque Giorni ***
Capitolo 8: *** Vai troppo Veloce ***
Capitolo 9: *** Trattenere il Fiato ***
Capitolo 10: *** Passato o Presente? ***
Capitolo 11: *** Non è Pronta ***



Capitolo 1
*** Dietro ad un Vetro di Ghiaccio ***


                                                                                      Dietro ad un vetro di Ghiaccio 









Era dietro ad un vetro, uno stupido e fottuto vetro che non la lasciava libera di respirare, di parlare, di muoversi.
Incatenata al gelo di un istante, lontana da tutto quello che ricordava di essere e così vicina al nulla da tremare, freddo, freddo e nient’altro perché in quel mondo sedato e pieno di silenzio c’era solo quello, un freddo insistente e gelido che la soffocava impedendole di ritornare a vivere.
Voleva uscire, voleva prendere la mano di suo marito, stringerla forte, così forte da fargli male eppure, ogni volta che provava ad avvicinarsi, ogni volta che provava a sfiorarla, il terrore tirava più forte le catene che la tenevano imprigionata a quel letto e calde lacrime silenziose a spaccare un cuore tutt’altro che freddo.
Lei, lei e nient’altro, lei e i battiti violenti del cuore, il suo cuore, l’unica cosa viva, l’unica cosa che urlava “Sono qui, ci sono io con te” e non riusciva a respirare, non riusciva a muovere nemmeno una mano come poteva pretendere di sorridere? Di parlare? Forse si era dimenticata le parole, forse si era dimenticata il suono che la voce poteva creare o forse, la colpa era di Lexie, del suo corpo fatto a pezzi dagli animali, così dannatamente vivido in lei da tenerla sveglia la notte.
Colpa del gelo, del silenzio, colpe che si accavallavano una sull’altra e lei, inchiodata lì sotto, costretta a reggere il peso di una vita ingiusta che non aveva scelto, che non poteva controllare e che ora, portava dentro.
Ogni passo che avrebbe fatto, ogni parola, ogni stupido sorriso, ogni lacrima,  tutto maledettamente impregnato dal ricordo di quelle notti insonni.
Forse non era poi tanto male, insomma, vivere in un mondo che nessuno poteva toccare era un vantaggio, non avrebbe sofferto perché i sedativi toglievano al dolore ogni arma, lo rendevano indifeso, una cosa piccola e senza senso, una cosa futile da rinchiudere nell’oblio dell’anima fino a quando, il cervello ormai guarito non avesse ritenuto opportuno affrontarlo, renderlo per l’ennesima volta innocuo e lontano.
Allora si sarebbe rialzata , avrebbe ripreso in mano la sua vita e lottato, contro sé stessa, contro suo marito per quel male che le aveva fatto e che ora, si univa a tutto il resto massacrandola nell’anima, costringendola a cambiare per l’ennesima volta, costringendola a mostrare una sé stessa illusoria come la realtà che stava vivendo.
Quanto aveva desiderato ritornare ad amare suo marito come prima, sentire i loro cuori battere assieme, in modo sincrono,  uniti da quel legame che aveva passato cose orribili, scelte, stress, pistole puntate alla tempia e poi un bambino figlio dell’amore che lei aveva ucciso, abbandonato a scelte non sue perché la natura, madre di ogni stupido essere umano, si era scordata di impiantare in lei il gene della compassione, del perdono, della gioia per quella piccola vita che ora non c’era più.
Quante volte avrebbe voluto chiudere gli occhi e dimenticare, spingere in fondo all’anima ogni ricordo per tornare a sorridere, a vivere, ad essere la stessa di sempre, la stessa che una volta lottava con le unghie e con i denti quando veniva ferita o presa in giro, la stessa ragazza che aveva operato da sola al secondo anno perché quel talento, il suo talento la candidava all’olimpo dei divini.
Una Dea di cardiochirurgia che brillava senza tregua  e invece, era arrivato  un tradimento, un tradimento pesante come un macigno perché figlio della rabbia, della voglia di farle del male da chi invece avrebbe dovuto solo amarla e poi l’incidente aereo, corpi stesi nel bosco, corpi massacrati dal freddo, lo stesso che ora l’avvolgeva, lo stesso che le mostrava quanto bello potesse essere abbandonarsi al nulla.
 



Solo il ticchettio dell’orologio ad accompagnare il niente di quello sguardo perso chissà dove “D’accordo, è il momento di parlare” esclamò sedendosi accanto a lei  “Cristina devi parlare perché vogliono portarti di sopra, vogliono riempirti di psicofarmaci e tu non ... devi parlare” eppure sapeva bene quanto inutile fosse parlare, tentare anche solo di convincerla a farlo “Owen sta provando in tutti i modi a farti  ... va bene, ok d’accordo” scostò la coperta sciogliendo i lacci che la tenevano inchiodata al letto “Ti aiuto io” le mani strette attorno alle sue e un dolcissimo sorriso a colorarle il volto “Ti aiuto io”  le sfilò il camice, il profumo tenue e delicato che aveva la sua pelle e il ricordo di quel profumo quando, sole e distrutte, dormivano assieme, vicine come sorelle, protette dal loro abbraccio dentro il quale, nessun amore, nessuna sofferenza, nessun uomo poteva vivere.
Le mancava la sua persona, le mancava davvero tanto perché ora, in questo momento aveva bisogno di lei, aveva bisogno di parlare con lei, di vedere i suoi occhi sorridere o scatenare l’ironia con battute gelide e pesanti, aveva bisogno di lei perché aveva perso una sorella in quell’incidente e non avrebbe permesso a Dio di prendersi anche la sua persona “Andrà tutto bene vedrai” mormorò avvicinando la sedia a rotelle “Starai bene di nuovo te lo prometto”.
Luci soffuse, sguardi strani e curiosi a spiarla mentre spingeva la carrozzella per i corridoi, sapeva bene di aver agito d’impulso ed era quasi certa che provare a fermare quella decisione sarebbe stato peggio.
I corridoi dell’ospedale, un piano, un’altro ancora con la speranza che Owen fosse lontano, distante da loro e poi il parcheggio, la consapevolezza di essere stata un’idiota e un debole sorriso a colorarle il volto mentre il rumore costante del motore invadeva l’aria “Starai bene” un sussurrò delicato, leggero, un respiro per tentare di convincere sé stessa mentre si allontanava dall’ospedale, dalla sua vita, dalla sua famiglia con l’unica certezza di non avere rimpianti perché lo stava facendo per l’unica persona che ancora la teneva inchiodata con i piedi per terra.

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Capitolo 2
*** Pioggia ***


                                                                                                                                                   Pioggia
 








Solo il rumore della pioggia e nient’altro a riempirle le orecchie, non si muoveva, non era nemmeno sicura di respirare ancora “D’accordo, ora sai cosa facciamo? Ci fermiamo in quel motel laggiù e mangiamo qualcosa” gli occhi persi sulla strada buia e vuota “Di cosa hai voglia?” un leggerissimo sorriso a colorarle il volto mentre gli occhi cercavano il suo sguardo, la sua persona che ora, sembrava solo un corpo vuoto e privo di vita “Ok, va bene, ordiniamo una pizza e ci facciamo una bella dormita”.
Non ci aveva messo molto a prendere quella folle decisione e ancora meno a capire che aveva fatto una stronzata, oh certo, una scelta piena di coraggio e di amore ma pur sempre una stronzata.
Infilòla chiave nella serratura senza staccare per un secondo la mano da Cristina “Credevo di metterci di più, insomma, hai visto il tipo alla reception? Sembrava uscito da una favola per la buonanotte dei camionisti” si chiuse la porta alle spalle abbandonando il borsone sul pavimento “Coraggio, ancora un passo ...” l’aiutò a sedere sul letto sorridendo “ ... vedrai che dopo la doccia e la pizza starai meglio” parole sussurrate al silenzio, parole che rimbalzavano addosso a quella ragazza  tornando a colpirla alla velocità della luce.
Acqua bollente sulla pelle, nuvole di vapore caldo che appannavano i vetri e loro due, sole, nel silenzio gelido che un disastro aereo aveva costruito pezzo dopo pezzo “Tornerai a parlare” mormorò Mer dipingendosi in viso un sorriso tenero e protettivo “Parlerai di nuovo e allora, potrai liberarti di tutto, della paura, della voglia di prendere a calci tuo marito ...” ridacchiò divertita a quell’immagine che lentamente prendeva forma davanti ai suoi occhi “ ... berremo ancora tequila e prenderemo per il culo gli specializzandi di primo anno ...” sfilò dalla borsa una spugna morbida e profumata “ ... porterai Zola al parco quando mammina e papino non avranno tempo, beh, ovviamente se avrai tempo perché conoscendoti credo proprio che Zola imparerà ad andarci da sola” le sfiorò il viso e poi le spalle accompagnando l’acqua, lavando via lo stress dell’ospedale, del reparto psichiatrico “Oddio Owen mi ucciderà, probabilmente lo farà Derek non appena scoprirà quello che è successo ...” si fermò qualche secondo, le mani posate sul suo viso e gli occhi incatenati a lei “ ... ti ho rapita dall’ospedale anche  se tecnicamente non può essere considerato un rapimento, non in pieno anche se alla fine, forse, Derek potrebbe vederla così”  quanto le mancava la sua persona, quella ragazza ironica e tagliente che le rispondeva senza mai indietreggiare, le mancavano i suoi sorrisi, le sue battute, la sua presenza rassicurante e protettiva “Mi uccideranno ma che potevo fare? Restare lì a vederli litigare su quale fosse il piano più adatto a te? Ti hanno riempito di sedativi e il dottor Wilson ti avrebbe portato via e per cosa? Solo perché non parli?” ma gli occhi della ragazza erano vuoti, lontano da lei e dalle sue parole “D’accordo, senti cosa facciamo ...” l’avvolse nell’asciugamano, le mani strette attorno alle sue spalle  come quella notte, come il ricordo di un matrimonio mai avvenuto “Non torniamo a casa fino a quando non ti sentirai meglio, fino a quando non parlerai di nuovo” un debole sorriso a colorarle le labbra con la speranza che, almeno quella promessa, l’avrebbe costretta a dire qualcosa e invece, solo il silenzio a riempire la stanza.
 
 

La luce tenue dell’alba a colorare quella piccola e  insulsa camera, si stiracchiò odiando con tutto il cuore il maledetto vizio di svegliarsi all’alba “Ehi” mormorò voltandosi di lato, la voce ancora impastata dal sonno e poi lei al suo fianco, osservava il soffitto, probabilmente qualcosa di incorporeo e senza senso, eppure, i suoi occhi non si staccavano un secondo dalle travi di legno “Hai dormito?” domandò preoccupata sollevandosi qualche centimetro “Che domande idiote, certo che non hai dormito” si lasciò ricadere sul letto stringendole una mano “Programma di oggi? Beh, se fossimo state a Seattle avrei appena finito di operare un ernia e avrei asportato mezzo intestino ad un’idiota che ha ingoiato tre chili quasi di ferro” scoppiò a ridere stringendo più forte la sua mano “Ancora non capisco come diavolo abbia fatto sai? Insomma, è ferro, te ne accorgi se lo ingoi no?”  il cellulare sul comodino vibrò violentemente ricacciandola nella realtà.
“Gran bel casino dottoressa Grey” mormorò prendendo tra le mani il telefono, lo schermo illuminato e sempre quel nome  ... Derek .
Era sempre quel nome e pregava Dio che suo marito smettesse di chiamarla perché le avrebbe concesso un secondo di tranquillità,  lasciandole la libertà di spegnere quel maledetto telefono e invece continuava a chiamarla ed era certa che, se avesse acceso quello di Cristina, sarebbe stata la stessa cosa.
 “Cosa faccio?”  sussurrò confusa alzandosi di scatto dal letto “Cosa faccio?” già, gran bella domanda e probabilmente, se qualcuno avesse ripreso quella scena avrebbe riso come un matto, continuava a correre avanti a indietro per la stanza rivestendosi con una mano mentre l’altra era intenta a giocare con i capelli, un gesto nervoso accompagnato dal suono del telefono “Se non gli rispondo continuerà a chiamare, se lo faccio continuerà lo stesso” sbuffò alzando gli occhi al cielo “Ok, andiamo via, rispondo mentre siamo in macchina, lontani da qui” la tirò per un polso aiutandola a vestirsi, attimi veloci e senza un briciolo di razionalità “Allaccia bene la giacca, sono le cinque di mattina del 20 novembre, c’è freddo là fuori e ...” ma trattenne il respiro quando la mano di Cristina si posò dolcemente sulla sua, lentamente, senza alcuna fretta allacciò i bottoni e poi i suoi occhi, uno sguardo che custodiva milioni di parole e che per la prima volta, sembrava cercare proprio lei  “Va bene, così va bene” mormorò sorridendole “D’accordo, andiamo” sollevò da terra il borsone e si chiuse la porta alle spalle con la consapevolezza di aver appena chiuso fuori dal sé stessa l’unica possibilità di chiedere aiuto   perché ora, qualunque cosa avesse fatto, sarebbe passata per la cattiva, il mostro che rapisce le povere bambine indifese e spaventate che hanno paura di parlare.

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Capitolo 3
*** Rivoglio mia Moglie ***


                                                                                                             Rivoglio mia Moglie






“Dov’è!” Shepard sospirò chiudendo la porta di casa “Non ne ho idea mi dispiace davvero, la sto ...” “Non me ne frega un cazzo delle tue scuse, mia moglie è sparita dal reparto, non è a casa e non è qui, dove diavolo è?” ansimava, urlava e la pioggia non aveva contribuito per niente a raffreddare quel mare di emozioni che ora l’avevano fatto esplodere “Mia moglie è sparita e non ... era sedata, come diavolo fa una ragazza sedata ad uscire dall’ospedale” si passò una mano in viso tentando di respirare “D’accordo, siediti un secondo” lo sguardo confuso dell’uomo a scatenare in lui un leggerissimo sorriso “Non è scappata, non l’hanno rapita, non proprio ma ...” “Derek!” fece un bel respiro continuando a stringere il cellulare nella mano “Meredith l’ha portata via” “Cosa?” “Non mi risponde al telefono, ha portato via qualche vestito e la sua macchina non c’è e sono abbastanza sicuro che Cristina sia con lei ma ancora non so niente quindi non chiedermi niente perché fino a quando non mi risponde ... ” si portò il cellulare all’orecchio passeggiando nervosamente avanti e indietro “Oddio” sussurrò Owen stringendosi la testa tra le mani “Ma che cavolo le è saltato in mente!” chiuse gli occhi ritrovando per qualche secondo la razionalità, la forza che in ogni ora della sua vita l’aveva sostenuto “Ho bisogno di sapere come sta”  lo sguardo di Shepard a dargli sostegno, a parlargli poi quel battito più forte degli altri, la consapevolezza di quella voce apparsa dal nulla “Porca puttana Meredith! Che ti è saltato in mente?” “Sono felice di sentirti anche io tesoro” sospirò passandosi una mano tra i capelli “Dove sei?” “Non posso dirtelo”“Non puoi? Sei impazzita per caso?” la sentì sospirare poi il rumore confuso della pioggia “Non posso dirtelo Derek”  “Meredith hai rapito una persona!” “Oh andiamo”“No? E allora come si chiama quello che hai fatto? Coraggio dimmelo perché sono proprio curioso di sapere che cavolo ti è saltato in mente!” una risata leggera a colorare il silenzio “Credevi davvero che sarei rimasta a guardare?” Owen scosse appena la testa raggiungendolo “È con lei?” annuì leggermente bloccandosi per qualche secondo “Non la lascio in balia del nulla Derek”“Oh e invece rapirla è stata un’idea migliore? Stavamo per chiamare la polizia! Se non mi fosse venuta in mente questa folle idea di chiamarti probabilmente ora saresti ricercata! L’hai portata via senza dire niente a nessuno, era sedata, confusa, indebolita dalle ore d’ospedale, poteva crollare, la pressione poteva abbassarsi di colpo, mandarla in shock, hai pensato a tutte queste cose quando ti è venuta questa bella idea?” “Mi credi davvero così idiota? Sta bene, starà bene solo, non lì, non a Seattle”“E il tuo geniale piano qual’ è ? Trascinarla di stato in stato fino a quando l’allegria non la contagerà?” ma la sentì sospirare, probabilmente una risposta silenziosa e contorta alla sua stupida domanda “Stai scherzando vero?” balbettò confuso “Meredith che cavolo ...” ma Owen sospirò allungando una mano verso di lui, sorrise passandogli il cellulare “Come sta?” “Owen?”  balbettò confusa “Meredith voglio sapere come sta!” “Sta bene” “Cazzo” trattenne il respiro cercando di calmare i battiti del cuore “Stavo per chiamare la polizia! Stavo per ... Meredith ti rendi conto di cosa ...” “Che diavolo dovevo fare! Restare lì a guardare mentre decidevi se riempirla di sedativi o meno? Ho già perso una sorella Owen, non puoi chiedermi di lasciare anche lei, non puoi!”  “Ha bisogno di tranquillità! Non puoi trascinarla da una parte all’altra come se niente fosse! Ha bisogno di ...” “Ha bisogno di stare lontano da te!”  il gelo improvviso ad avvolgerli l’anima “Ha bisogno di respirare Owen perché in quattro anni è stata strangolata, abbandonata, minacciata con una pistola, in balia delle tue indecisioni e poi tradita e come se non bastasse, quel fottuto aereo ci ha dato il colpo di grazia! No Owen! Non la riporto lì”  il suono violento del silenzio a riempirgli la testa.
Abbandonò il telefono sul tavolo cercando di trattenere le lacrime “Owen che ...” “O la riporti indietro tu o lo faccio io ma rivoglio mia moglie a casa Shepard!” freddo, diretto, una maschera violenta che proteggeva ogni emozione, quello era di nuovo il maggiore dell’esercito richiamato da una guerra che forse, in questo momento, sembrava più semplice di quella maledetta situazione.

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Capitolo 4
*** Non ha bisogno di Te ***


                                                             Non ha bisogno di Te





“Capo il signor Harris ha bisogno di una tac” “E?” “E dovrebbe approvare lei il  ...” “Kepner sei un chirurgo o una burattinaia? Portalo a fare quella dannata tac!” la ragazza trasalì scappando via “Uao, che è successo?” domandò confuso Webber posando la cartelletta sul banco “È una brutta giornata” “È tua moglie?” ma arrivò solo il silenzio e nient’altro “Hunt conosco Meredith, se l’ha fatto è solo per ...” “Per cosa!” strinse più forte la penna cercando di non scoppiare “Che diavolo di diritto aveva di portarla via?” “È spaventata” “È egoista e testarda!” ma Webber sorrise “Dovevi conoscere sua madre allora” “A me non interessa il motivo, non voglio sapere come mai o perché l’ha portata via ma voglio mia moglie a casa” le mani dell’uomo a bloccarlo di colpo “Hunt devi capire che loro ...” “Davvero?” “ ... loro sono diventate grandi assieme” lo tirò leggermente di lato chiudendo la porta della stanza di riposo.
Via, lontano dagli sguardi confusi dei medici e delle infermiere “Meredith ha bisogno della Yang e viceversa. Avranno sempre bisogno una dell’altra e questa cosa non cambierà mai. Hanno iniziato assieme, sono cresciute come due alberi annodati assieme per mancanza di spazio” ma lui non rispose, era quasi certo che lo stesse ascoltando ma continuava a camminare avanti e indietro torturandosi le mani, cercando di respirare e di calmare la rabbia “Possono anche restare separate ma sentono una il dolore dell’altra. Non so spiegarti come mai, a malapena me lo spiego io” “E questo la giustifica?” “Vedeva scomparire l’unica persona per cui darebbe la vita!” “Oh” sbottò ironico “E allora sua figlia e suo marito sono estranei?” “Cristina Yang è una sorella, una famiglia, qualcosa che si avvicina terribilmente a quello che non ha mai avuto! Ha perso Lexie e lei, è la sola persona che la tiene inchiodata con i piedi per terra!” gli occhi incatenati ai suoi “Hunt non puoi spezzare questo legame, non puoi permettere che tua moglie scompaia nel nulla” “Secondo te è questo che voglio?” cadde a sedere sul letto, la testa stretta tra le mani “Vorrei solo stringerla, tenerla al sicuro, lontano da tutto il dolore che prova ma non me lo permette” “Devi darle tempo” sospirò sedendosi accanto a lui “Ti capisco Hunt, ho provato esattamente la stessa cosa quando Adele non ricordava più niente di noi. Dai a tua moglie la possibilità di respirare” “Può farlo a casa sua Richard” “No, in questo momento non ha bisogno di te, fa male, è doloroso ma è una cosa con cui devi fare pace Hunt perché ora, adesso, ha bisogno di Meredith” Owen sospirò, un sorriso falso ad impossessarsi delle sue labbra “Questo non cambia le cose. Rivoglio mia moglie” la paura e la rabbia a colorargli lo sguardo mentre abbandonava nel silenzio quell’uomo comprensivo e pacato, un uomo  che era anche quanto di più simile ad un padre Meredith avesse mai avuto e che forse, la conosceva meglio di tante altre persone.
 
 
Rumore di macchine, risate di bambini e poi la voce allegra di Meredith a tenerle compagnia, un caffè caldo, l’aria fresca del mattino, gioie che avrebbe amato ma che faticava perfino a riconoscere.
“D’accordo allora, stasera restiamo qui ma domani mattina si riparte per il Dakota, non so bene quale dei due ma per arrivare in Minnesota dobbiamo attraversane uno no?” gli occhi a concentrarsi lentamente su di lei “È vero ci avviciniamo alla Mayo ma tanto non è quella la nostra meta no?” le sorrise passandole una ciambella “Coraggio, sono buone sai?” la vide tremare leggermente indecisa su quello che era giusto fare o meno poi la mano si mosse lentamente verso le labbra, un morso leggero a farla sorridere “Attraversiamo il Minnesota e poi giù dritti fino alla Florida. Lo so, lo so che è folle e anche un po’ sconsiderato e tremendamente lungo ma ...” si fermò qualche secondo sorseggiando il caffè “ ... ma credo sia anche l’unico modo che ho per farti stare meglio” sfilò dalla tasca il cellulare, pochi secondi per comporre il numero di telefono e poi la voce rassicurante di Alex “Ehi rapitrice”  “Sei divertente” sbottò ironica “Come sta Zola?” “Oh lei sta bene. Abbiamo appena finito di fare merenda e ora, stiamo giocando con i mattoncini colorati” sorrise concentrata sulle risate di Zola “Voi due siete proprio nei guai lo sai vero?” “No, io sono nei guai” puntualizzò sospirando “Cristina è una bambina indifesa con problemi di parole, sono io la pazza che l’ha rapita” “Come sta?”  “Come ieri e come l’altro ieri” “La pressione era davvero molto bassa Mer” “Si, si lo so però va meglio, sta mangiando una ciambella” “Lei odia le ciambelle” esclamò confuso “Lo so ma ho trovato solo quello, almeno mangia”“Se hai bisogno di aiuto io ...” “Lo so” un debolissimo sorriso a colorarle il volto “Ehi, ora ti passo Zola” la vocina allegra di sua figlia a rompere il silenzio “Ehi amore mio” “Mamma” “Mi manchi tanto piccola ma devo assolutamente fare una cosa e ho bisogno che tu stia un po’ con zio Alex” “Mamma con zio Alex e i mattoncini” si passò una mano in viso ridendo “Stai costruendo una bella cosa?” “Un castello”  “Davvero? Fallo bello grande così quando la mamma torna ci dormiamo assieme e guardiamo le stelle d’accordo?” “Si mamma” “Come dormi in un castello di lego?” “Cerca solo di non deviare mia figlia mentre sono via ok?” “Tranquilla rapitrice” “Ok allora, beh, noi andiamo” “Meredith la Florida è lontana. Fermati spesso, avete bisogno di riposare, soprattutto tu” “Sto bene” “Si ma guidare così tanto è stancante quindi fermati spesso. Se hai bisogno di qualsiasi cosa telefona e io arrivo” “Alex?” “Dimmi” “Grazie” lo sentì sospirare, probabilmente un sorriso nascosto dalla lontananza.
Doveva arrivare fino in Florida perché quella era l’unica fottuta idea che le rimbombava nella mente.
Forse era sbagliato o forse no ma doveva tentare, doveva riportarla verso un passato che forse, l’avrebbe aiutata a ripartire da capo.

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Capitolo 5
*** Un Passo Ancora ***


                                                                                                            Un Passo Ancora











Chiuse la portiera dell’auto stiracchiandosi, le braccia tese verso il cielo azzurro, l’aria fresca del mattino a colpirle il volto “Ebbene si amica mia, siamo in viaggio da tre giorni appena e siamo arrivate ad Atlanta” si chinò leggermente verso il finestrino aperto soffermandosi qualche secondo sul volto di Cristina.
Si era addormentata cinque minuti prima di arrivare lì, sotto a quel cartello che avvicinava sempre di più la loro meta.
“Coraggio Meredith, quando sarete a Miami sarà tutto più semplice, lei tornerà a parlare”mormorò tra sé e sé “Deve parlare di nuovo”.
Chiuse la macchina avviandosi lentamente verso il bar lì accanto “Cosa posso servirle?” domandò affabile la ragazza dall’altro lato del bancone “Un caffè bello forte e due colazioni” “Le apparecchio un tavolo o ...” “No, no le porto via grazie” sfilò il cellulare, ancora un messaggio ad illuminare lo schermo ... Zola sta bene, ieri abbiamo giocato al parco tutto il giorno, ero di riposo e tuo marito invece doveva fare uno stupido consulto. In ogni caso non preoccuparti, sta bene, ha chiesto della sua mamma oggi ma Callie l’ha portata a giocare con Sofia, le è passato subito ... “Ecco il suo caffè” sollevò lo sguardo dal cellulare sorridendo “Grazie” “Cinque minuti e le porto anche il resto” “Oh d’accordo, non c’è fretta” si sporse appena oltre il bancone, da lì poteva vedere l’auto “Ok, tutto bene” sussurrò massaggiandosi il collo ... Hunt continua a chiedermi se so qualcosa, io continuo a negare e ad inventarmi stupide bugie ma non penso che mi creda, penso piuttosto che una di queste mattine mi troverò un bisturi conficcato nel petto per vendetta ma va bene, posso resistere. Salutami Cristina ok? A presto ... sorseggiò il caffè sospirando “Ecco a lei” “Grazie” afferrò il sacchetto lasciando alla ragazza i soldi.
Non si era accorta di quanto potesse essere faticoso e difficile un viaggio del genere, soprattutto in quel momento, soprattutto con quella persona che a malapena riconosceva.
“Ehi, hai dormito un po’ sai?” esclamò allegra chiudendo la portiera “All’incirca venti minuti ma è pur sempre un record” sfilò dalla busta il contenitore sorridendole “Coraggio, mangia qualcosa” ma sembrava così dannatamente lontana da costringerla a ripetere la frase per due volte “Cristina” la mano a posarsi dolcemente sul suo viso “Hai fatto un brutto sogno non è vero?” fece un bel respiro cercando di sembrare il più tranquilla possibile “Già, fai sempre brutti sogni” poi quel trillo improvviso a spaccare l’aria, il cellulare si illuminò di colpo scaraventandola di nuovo nella realtà “Cavolo” sbottò alzando gli occhi al cielo “È tuo marito, è sempre tuo marito!” infilò le chiavi nel cruscotto sospirando “Continua a chiamarmi e io continuo a non rispondere. Prima o poi mi aspetto una volante della polizia e sirene e ... ” legò i capelli ridacchiando “ ... poco male, vorrà dire che faremo un po’ di inseguimento vecchio stile” si voltò verso di lei aspettandosi una risposta anche solo uno stupido sorriso  ma tutto quello che riuscì a vedere era il suo sguardo concentrato su qualcosa oltre il vetro, tra le mani il contenitore ancora pieno di cibo “Tra qualche giorno mi darai dell’idiota come in passato e tutto tornerà nella norma” ma più provava a parlare con lei e più il cervello le urlava “Fermati, non costringerla a fare qualcosa che non vuole perché la stai perdendo e se vai avanti non sarà più quella di prima” ma come poteva fermarsi? Come poteva lasciare che la sua persona si perdesse in pensieri che non le appartenevano? Già, tutto quello che poteva fare era solo schiacciare quel maledetto acceleratore e portarla il più lontano possibile da suo marito.

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Capitolo 6
*** Ti Riporterò Indietro ***


                                                                                                                Ti Riporterò Indietro











Finalmente quella dannata città e l’aria fresca del mare a donarle refrigerio.
Trovare l’ospedale non era stato poi così difficile, insomma, era così grande da oscurare tutto il resto.
“Ok, ci siamo” l’aiutò a scendere dalla macchina, il vento fresco a scompigliarle i capelli “Va bene allora, abbiamo attraversato il paese per questo quindi fai un bel respiro profondo” pochi passi fino all’entrata e poi il caos tranquillizzante dell’unico posto a cui erano abituate “D’accordo, siedi qui due minuti, vado a cercarlo e lo trascino qui” gli occhi dolcemente fusi nei suoi “Non muoverti, non muovere un solo passo altrimenti ti ci lego su questa sedia” poi quel leggerissimo sorriso a colorare la speranza, lasciò accanto a lei il borsone e senza pensarci due volte si diresse verso la reception.
In quel posto tutto sembrava due volte più grande, i corridoi, i lunghi banconi dell’entrata, perfino i medici e gli infermieri “Posso aiutarla?” si guardò attorno qualche secondo cercando di ritrovare un filo logico nei pensieri “Si, si io ...” balbettò confusa “ ... io sto cercando il dottor ...” “Grey?” il giovane dietro al bancone sorrise appena “Che diavolo è successo?” “Dottor Burke credo che la signorina stia cercando lei o almeno è quello che penso perché appena l’ha vista si è paralizzata” ma l’uomo non si scompose minimamente, la prese per mano tirandola lontano dal caos “Allora? Si può sapere cosa sta succedendo?”  mormorò confuso “Stavo per finire il turno. Domani avrei preso l’aereo per Seattle poi cinque minuti fa mi ha chiamato Karev, mi ha detto di aspettare, di bloccare tutto perché saresti venuta qui” “Si beh, a dire la verità sei l’unica persona a cui ho pensato” ma lo sguardo perso di Burke la costrinse a respirare “L’ho portata via da Seattle, a dire la verità l’ho rapita” “Cosa?” sbottò ironico “Già, sono una rapitrice di ragazze mute, apparentemente mute visto che non parla ma che diavolo potevo fare?” “Sei impazzita Grey?” “Tu che avresti fatto?” “Qui non si tratta di me o di quello che avrei fatto! Hai portato via dall’ospedale una ragazza malata” “Non è malata” sbottò gelida piantando gli occhi nei suoi “No, hai ragione non lo è” un sospiro leggero, la mano a torturare ritmicamente il mento “L’avresti fatto anche tu. L’avresti portata via impedendo che la riempissero di sedativi perché è quello che è successo sai? Era talmente piena di farmaci da riuscire a malapena a pensare o a muovere la testa” l’uomo sorrise appena annuendo “Hai ragione, l’avrei portata via anche io solo, non così, non in questo modo” “Oh e come? Con una navicella aliena? A cavallo o con una stupenda limousine? Spiegamelo perché sono proprio curiosa!” esclamò ironica stringendosi nelle spalle “Sei l’unico che può aiutarmi! È bloccata e non riesce ad uscirne, non posso perderla” ma lo sguardo del medico era già oltre le sue spalle.
Ci mise poco a realizzare cosa realmente fosse successo e ancora meno a raggiungerla “Ehi” mormorò preoccupato inginocchiandosi davanti a lei “Ciao” Meredith lo raggiunse sorridendo appena “In quella maledetta foresta era l’unica in grado di ragionare. È rimasta sveglia, era l’unica sveglia e credo che ricordi ogni cosa di quei giorni. Non dorme mai, quando lo fa gli incubi se la portano via” fece un bel respiro massaggiandosi il collo “Non riesco a riportarla indietro e ha bisogno di farlo, ha bisogno di tornare ad essere sé stessa, io non posso aiutarla ma tu si” gli occhi dell’uomo a cercare in lei qualche segno di vita mentre le mani continuavano a stringerla con forza “Perché proprio io?” domandò più a sé stesso che a lei “Perché Owen è il suo presente, suo marito, la persona che al momento le ha fatto del male e tu, tu sei il suo passato ...” si lasciò cadere sulla sedia accanto a lei sospirando “ ... sei l’uomo che le ha dato la possibilità di diventare un chirurgo da capogiro. La conosci, la conosci meglio di chiunque altro e puoi aiutarmi a tenerla qui” “Hai pensato al male che fai a suo marito allontanandola da lui?”  “E tu? Immagini cos’ha passato lei in questi quattro anni?” un bel respiro a calmare i battiti violenti del cuore “Cristina?” le sfiorò il viso cercando di sorridere “Hey ragazza” gli occhi si concentrarono su di lui, sul suo sorriso e sul ricordo che da tempo custodiva nel cuore “D’accordo, ce la caveremo vedrai” Meredith sospirò ringraziando Dio per avergli concesso quell’attimo di pace “Vado a chiamare Alex, puoi restare con lei” un debolissimo si e poi solo loro due nel caos di un’altra città.
Era diversa, persa in un oblio di pensieri che non poteva controllare “Va tutto bene” sussurrò seguendo la linea delicata del collo “Ce la caveremo vedrai. Resterai qui, potrai restare tutto il tempo di cui hai bisogno e tornerai a parlare, tornerai a sorridere di nuovo te lo prometto” le sorrise donandole un attimo di tranquillità “Probabilmente tuo marito ammazzerà la Grey ma non temere, la proteggerò io così come proteggerò te da tutto il resto. Mi hai sentito? Mi prenderò cura di te” l’avrebbe aiutata, l’avrebbe trascinata indietro di nuovo a costo di passare tutta la vita a supplicare il cielo perché quella che aveva davanti non era la stessa ragazza che custodiva nel cuore.

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Capitolo 7
*** Cinque Giorni ***


                                                                                   Cinque Giorni






Cinque giorni passati a parlare, a giocare con il suo sguardo, cinque lunghissimi giorni per tentare di capire quanto del suo ricordo era ancora vivo in lei.
Passava ogni minuto di ogni ora accanto a lei cercando di trovare un modo per avvicinarsi ai suoi pensieri, uno stupido motivo per costringerla a parlare ma lei era così maledettamente brava a mascherare i sentimenti da costringerlo continuamente a fare dietro front.
“Così ...” riprese posandole una tazza bollente davanti “ ... l’ho messo in posizione trendellemburg e la bolla è sparita. Certo credevo che i miei stupidi dottori avessero ucciso il paziente, in fondo non si muoveva no? Fortunatamente per loro, dopo pochi minuti ha aperto gli occhi” sorseggiò il caffè seguendo con lo sguardo ogni suo movimento “Ho riavuto il mio paziente e loro si sono tenuti il lavoro. Sono o non sono un capo magnanimo?” ridacchiò divertito mentre gli occhi della ragazza si piegarono in una smorfia delicata, a metà tra il sorriso e l’ironia, sapeva bene che le risposte erano da qualche parte dentro di lei ma doveva solo trovare il modo di trascinarle fuori costringendola a parlare “Oh dimenticavo” sfilò dalla tasca il cellulare posandolo a pochi centimetri dalle sue mani “Ha chiamato Meredith poco fa. Mi ha chiesto di te, le ho detto che eri troppo impegnata a piangere per tirare su un telefono” lo sguardo si colorò di rabbia mentre pregava silenziosamente che stupide parole uscissero da quelle labbra di rosa “Oh andiamo! Siamo soli da poche ore e già non ti sopporto! Non ho intenzione di passare una settimana intera con un fantasma! Apri la bocca e parla, tira fuori la voce, parole vere e non stupidi versi” la vide sorridere, piegare leggermente la testa di lato socchiudendo gli occhi “È una sfida? Vuoi vedere fino a che punto arrivo? Eppure dovresti conoscermi, sei figlia mia, certo parliamo sempre di lavoro ma sei comunque una mia creatura e non ho nessuna intenzione di vederti cadere in un baratro di follia” poi una semplicissima parola, una parola di sei lettere così semplice eppure così dannatamente dolorosa “Grazie” sorrise sfiorandole il viso “Cavolo, ero preparato ad una stoccata ironica e invece mi spiazzi con la gentilezza” “Burke tu ...” “Io sono felice di sentire di nuovo la tua voce” la mano si strinse con forza attorno alla sua cancellando in un momento tutto il terrore degli ultimi giorni “Va bene così, hai fatto un passo in avanti non sforzarti di oltrepassare il limite” “Sono un’idiota vero?” ma lui sorrise “Sei caduta con un aereo e sei qui a raccontarlo. Hai paura, è normale avere paura e dopo tutto quello che avete passato in quel bosco ne hai il diritto. Non devi raccontarmi per forza quegli incubi, quando ti sentirai pronta lo farai ma fino ad allora ...” le avvicinò la tazza senza smettere un secondo di sorridere “ ... bevi questo caffè schifosamente dolce e non fare storie” gli occhi persi nei suoi mentre le mani si stringevano con dolcezza attorno alla tazza poi di nuovo quella parola, di nuovo la dolcezza di sei lettere lasciate cadere nel vuoto con lo scopo ultimo di liberarla dai blocchi costringendola finalmente a correre verso la vita.
 


Chiuse la porta di casa guardandosi attorno, quasi come se da un momento all’altro Derek dovesse apparirle davanti con un coltello stretto nella mano destra e gli occhi da folle.
Abbandonò per terra il borsone slacciando la giacca, davanti a lei solo un divano chiaro come la neve a sorriderle invitandola a riposare, a chiudere gli occhi eliminando per qualche ora stress e paura.
Aveva quasi dimenticato quanta sicurezza potevano dare le mura della propria casa, il profumo rassicurante del divano, dei fiori, il suono regolare del pendolo in fondo alla sala e quello costante e veloce dell’orologio sul muro in cucina.
Chiuse gli occhi abbandonando la testa sul cuscino morbido poi il rumore secco della porta, un sorriso sfinito a colorarle il volto mentre la voce isterica e preoccupata di suo marito invadeva ogni più piccolo angolo del cervello “Si può sapere da dove diavolo è uscita quest’idea?” “Mi sei mancato anche tu amore mio” “Non sei divertente Meredith!” urlò lanciando sulla poltrona la valigetta di cuoio “Hai rapito una persona!” “Ho portato la mia persona al sicuro, è diverso Derek!” “Ma davvero? Perché secondo te portare via da un ospedale una ragazza sedata e incapace di prendere decisioni non equivale a rapire una persona? Owen voleva chiamare la polizia!” ma lei sorrise scuotendo appena la testa “Hai rischiato di farle più male che bene! Aveva la pressione troppo bassa e gli squilibri fisiologici non potevano ...” “Sta bene!” sbottò gelida piantando gli occhi nei suoi “Cristina sta bene!” “E questo lo sai perché te l’ha detto lei?” era arrabbiato, confuso, così spaventato da urlarle contro ogni dannata parola “Hai la minima idea di quello che abbiamo passato qui?” “Tu e Owen?” ribatté ironica raddrizzandosi sul divano “Posso immaginare quanta sofferenza abbia provato!” “Hai portato via ad un uomo sua moglie! È quasi impazzito Meredith! Continuava a ripetere che aveva bisogno di lui, che se non fosse tornata a casa avrebbe chiamato la polizia! Tu gli hai portato via la famiglia!” “E lui mi ha portato via la mia persona Derek!” “Non è la stessa cosa” ma lei scattò in piedi di colpo costringendolo ad indietreggiare “Mi ha portato via la mia persona Derek! L’ha fatto quando ha deciso che non volere figli era una colpa, l’ha fatto quando si è scopato un’altra per farle del male, per punirla! Mi ha portato via Cristina quando ha deciso che lasciarla andare lontano sarebbe stata la scelta giusta! È la mia famiglia Derek! Ho perso una sorella per colpa di quel dannato aereo e cascasse il mondo non perderò anche Cristina” le mani dell’uomo si chiusero attorno alle sue spalle costringendola a respirare “Le vuoi bene, ti capisco davvero ma non puoi ... Non hai sedici anni Meredith, il tempo delle scelte impulsive e sciocche sono finiti. Non puoi trascinare per mezzo paese una ragazza distrutta” “Smettila di ripeterlo! Non è distrutta, non sta male, non è  menomata né incapace di intendere! Che diavolo avrei dovuto fare? Restare qui a guardare mentre suo marito la mandava in psichiatria?” ma Derek scoppiò a ridere lasciando cadere le mani nel vuoto “Secondo te l’avrebbe mai fatto?” “Le ha fatto fin troppo male, non mi interessa cosa avrebbe o non avrebbe fatto. Stava per farla trasferire di sopra dove l’avrebbero pompata di sedativi e farmaci antipsicotici e per cosa? Mi dispiace ma non funziona così, non più!” il silenzio cadde gelido tra loro costringendoli a respirare “Dov’è?” mormorò Derek con un filo di voce “Al sicuro” “Meredith dove diavolo è!” gli occhi piantati nei suoi e tutta la fierezza di uno sguardo puro come l’acqua, uno sguardo che urlava al mondo: Coraggio sfidami pure, non mi piegherò, non cederò, la terrò al sicuro lontano da lui.
Minuti lunghi come ore intere, sospiri, parole rubate ai pensieri poi di nuovo la sua voce a rompere il silenzio “Andiamo sto solo ... voglio solo sapere se sta bene” “Mi hai preso per una cretina?” ma lui scosse la testa passandosi una mano tra i capelli “Se io ti dico dov’è tu e Owen andrete a riprenderla per riportarla qui e ...” “E cosa c’è di sbagliato?” domandò ironico allargando le braccia “Rivuole sua moglie, è innamorato di lei perché diavolo non riesci a capirlo” “Io capisco solo una cosa Derek: quello di cui adesso ha bisogno lei non è Owen!” “Oh certo! Perché tu sai tutto vero? Perché non riportiamo indietro Burke visto che ci siamo! Tanto che male può fare usare il suo ex per farla parlare?” ma si bloccò di colpo, gli occhi ancora inchiodati ai suoi “Oddio” sussurrò alzando il viso verso il cielo “Meredith che diavolo hai ...è  da lui vero? L’hai portata da Burke” ma lei non rispose, si limitò a sorridere tornando a sedere sul divano “Cazzo!” sibilò stringendo più forte i pugni “Hai fatto un bel casino! Come lo ...” “Non lo dici a nessuno, soprattutto a lui!” “È suo marito!” “Derek tu mi ami?”  “Sei impazzita?” ribatté confuso sedendosi di fronte a lei “Mi ami?” “Certo che ti amo ma qui non ...” “Allora se mi ami ti prego, ti prego fidati di me” sentì la mano fresca della ragazza sfiorargli il viso e un sorriso dolce come il miele ad illuminare il suo sguardo “Tornerà indietro, tornerà qui quando sarà pronta ma fino ad allora ti prego, ti scongiuro Derek non andare da lei” “Meredith” sospirò indeciso “E se non ...” “Funzionerà, tornerà quella di prima” la mano si strinse con forza attorno alla sua mentre il cuore riprendeva un ritmo più o meno normale “Spero davvero che tu abbia ragione perché se non torna indietro nessuno di noi due starà più tranquillo” la ragazza annuì appena stringendosi a lui, al caldo, al sicuro in un abbraccio che fino ad ora era rimasto imprigionato nei pensieri.

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Capitolo 8
*** Vai troppo Veloce ***


                                                                                              Vai troppo Veloce






“Non ti avevo forse detto di non correre?” “E io non ti avevo forse detto di smetterla di comportarti da genitore isterico?” “La smetterò quando tu smetterai di fare la bambina adolescente! Che diavolo ti costava dirmi: Ehi lo sai? Ho trovato un nuovo passatempo, ora alla chirurgia preferisco correre in moto e sfracellarmi contro i platani!” ma lei sorrise posando il casco sul divano “Per caso sono senza una gamba?” “No” “Sono morente o in fin di vita?” “No ma ...” “Allora sto bene” “Davvero?” sbottò ironico allentando la cravatta “E allora come mai non vieni con me in ospedale?” “Non sono un tuo medico” “Non sei nemmeno una concorrente della Race of Death eppure lo fai!” aprì il frigo cercando di controllare quei battiti violenti che ora volevano solo darle uno schiaffo.
Oh certo, adesso parlava, mangiava, rideva, faceva tutto quello che le andava e quando le andava eccetto il suo lavoro.
Aveva un dono enorme e lo sprecava correndo con quella dannata moto ad una velocità spaventosa e tutto per cosa? Per dimostrare a sé stessa di essere diventata imbattibile? Sfidava continuamente la morte e quando cadeva sorrideva e rialzandosi urlava “Sono qui! Mi vedi? Ci hai già provato e non ha funzionato e di certo non funzionerà questa volta!”.
Stava diventando qualcosa di irriconoscibile, conservava in parte quel meraviglioso carattere complicato e un po’ folle che tracciava la strada del suo successo ma tutte quelle energie in più, tutte quelle forze troppo a lungo assopite venivano incanalate in qualcosa di sbagliato e contorto “Andiamo, sei davvero arrabbiato per ...” “Sono incazzato Cristina! Sono incazzato perché fai tutto quello che ti va eccetto una cosa e questo è improponibile! Sono incazzato perché mi hai chiamato in ufficio dicendomi che avevi appena vinto quella fottuta corsa! Sono incazzato perché se ti succede qualcosa, qualsiasi cosa, non potrei mai perdonare me stesso e di certo tuo marito non ...” “Ehi!” esclamò gelida piantando gli occhi nei suoi “Non voglio parlare di mio marito, non voglio parlare di Seattle o del mio dono. Non voglio parlare del passato e non voglio sentirti parlare del passato! Sai cosa voglio? Un po’ di pace tutto qui!” “Hai avuto due mesi di pace!” urlò picchiando con forza la birra sul ripiano di marmo “Ti ho dato due mesi di pace e te ne darò finché vorrai ma smettila di comportarti come se niente al mondo potesse interessarti” la vide sorridere, inclinare leggermente la testa di lato “In questo momento non c’è proprio niente che mi interessa e non capisco perché debba essere così importante!” “No” puntualizzò ironico avvicinandosi a lei “Non c’è niente che apparentemente non ti interessa” “Ma cosa ...” “Sei bloccata! Sei bloccata tra due mondi e non sai come tornare indietro. Sei caduta con un aereo, un mese fa nemmeno parlavi ed eri così piena di sedativi da iniziare a pensare che forse non era poi così male vivere così” inspirò a fondo cercando di riordinare i pensieri.
Doveva buttare fuori tutto, doveva rimetterla sulla giusta strada per darle la possibilità di fare una scelta sensata “Sei arrabbiata con te stessa, con il mondo, con tuo marito. Va bene, ne hai il diritto e non sarò di certo io ad impedirti di urlare o di piangere però ...” la mano stretta dolcemente attorno al suo polso mentre gli occhi non la lasciavano nemmeno per un secondo “ ... quel mondo sospeso dove ti sei rinchiusa non può darti nient’altro. Stai giocando Cristina, giochi con la tua vita, con le persone che hai attorno, giochi e superi i limiti continuamente” “Non è un tuo problema” “Oh sbagli” mormorò ridacchiando “Tu sei un problema mio. Sei il mio investimento per il futuro, la mia creatura e non ho alcuna intenzione di vederti cadere a pezzi. Lo sai perché non ti fermo? Perché ho paura di incrinare quella leggerissima lama di cristallo sulla quale cammini. Hai creato qualcosa di pericoloso e non sai come uscirne ma prima o poi dovrai tornare ad occuparti di te stessa, della vita che hai lasciato e di quel marito che ti ostini a cancellare ma che resta sempre e comunque nei tuoi pensieri” “A volte serve solo un mondo sospeso” gli occhi dolcemente piegati in un sorriso e i denti che massacravano leggermente le labbra, lo stesso gesto nervoso che anni prima accompagnava ogni suo casino “Ti vedo lottare contro qualcosa e non so cosa fare per aiutarti perché tu non parli” “Sto parlando vedi?” sfilò la mano dalla sua nascondendo la vera sé stessa dietro ad una maschera di ghiaccio “Mi hai chiesto di parlare e l’ho fatto. Mi hai chiesto di reagire, di rialzarmi in piedi e non ho bisogno di sentire continuamente il ricordo di un passato che ora non voglio. Non sono pronta per quello” “Non puoi scappare in eterno” “No, ma posso comunque posticipare l’idea di tornare indietro” afferrò di nuovo il casco, un altro sorriso e poi il rumore secco della porta “Io prima o poi la uccido” sbottò stringendo più forte la bottiglia gelida.
La stava perdendo, la stava perdendo e non riusciva a riportarla indietro eppure, c’era ancora quella flebile e tenue speranza, quella fiammella di vita che l’avrebbe costretta a riflettere e che prima o poi le avrebbe dato la forza per tornare sé stessa.
Inspirò a fondo massaggiandosi il collo, di nuovo il suono del cellulare, di nuovo quel nome che illuminava violentemente lo schermo.

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Capitolo 9
*** Trattenere il Fiato ***


                                                                                             Trattenere il Fiato






Trattenere il fiato e andare avanti, doveva fare solo quello no? Concentrarsi sul lavoro, pensare alla medicina, alla chirurgia, a tutti quei pazienti che non potevano entrare in sala operatoria senza di lui.
Già, eppure, chiudere fuori sua moglie da tutto il resto era la cosa più dolorosa del mondo.
Meredith evitava accuratamente ogni suo sguardo, ogni parola, era incazzato da morire con lei perché aveva trascinato lontano sua moglie, la sua vita, l’aveva allontanata da lui e ora, ora lavorava come se niente fosse, come se tutto quello passato per tre giorni interi non fosse mai avvenuto.
Inspirò a fondo concentrandosi su quel macello davanti a sé “Spostiamo il dottor Nelson nella quattro e ...” “Non abbiamo assistenti di sala” mormorò l’infermiera alzando gli occhi dalla cartelletta “Che vuol dire?” “Che c’è troppo lavoro e poche forze tutto qui” “Tutto qui?” domandò ironico sfilandosi la cuffietta “Questo è un bel casino” “Posso provare a cercare nei laboratori” “Sicura?” la ragazza annuì appena scribacchiando qualcosa “Gli assistenti di sala sono gli stessi che insegnano agli infermieri specializzandi, posso tirare fuori qualche strutturato e sostituirlo con uno del secondo o del terzo anno” annuì appena concentrandosi sulle linee scure sul tabellone “D’accordo, si facciamo così, Nelson nella quattro e Shepard ...” “Mi hai chiamato?” esclamò allegro l’uomo apparendo d’improvviso al suo fianco “Che ci fai qui?” “Non ho interventi” “Che vuol dire?” “Semplicemente che ho rimandato il mio intervento perché la signora Nicolson ha qualche valore sballato, preferisco avere i risultati degli esami prima di fare qualsiasi altra cosa” “Bene, abbiamo risolto il problema di Nelson” asserì la ragazza lasciandoli soli “Mi fa piacere che il mio intervento abbia risolto quello di un altro” ma Owen non rispose, si limitò ad annuire allontanandosi da lui.
“Oh andiamo! Vuoi continuare per tutto il giorno?” sbottò ironico seguendolo lungo il corridoio “Per quanto ancora fingeremo che tutto sia falso?” “Fino a quando non mi dirai dove diavolo è sparita mia moglie Shepard!” “È questo il problema?” ma l’altro sorrise scuotendo leggermente la testa “È per questo che ti trasformi in un mostro mangia matricole?” “Mia moglie è sparita nel nulla!” esclamò gelido piantando gli occhi nei suoi “Non risponde al cellulare, potrei andare da lei ma non so nemmeno dove diavolo è!” “Sta bene e ...” “Non mi interessa!” il respiro leggermente accelerato e l’espressione confusa di chi ha passato l’inferno “Ho bisogno di vederla Shepard! Ho bisogno di vederla, di sapere che respira, che parla. Lo sai perché non ho chiamato la polizia?” l’altro sospirò cercando di mantenere la calma “Perché mi sono detto: sta bene, forse quello che ha fatto Meredith può aiutarla! Sono cresciute assieme e non pensavo che potesse farle  male stare con la sua persona ma questa cosa, questa distanza mi sta massacrando perché non ho scelto di perderla! Non ho scelto di mandarla lontano così come non ho scelto di sposare tua moglie assieme a Cristina!” “Non l’hai persa, non è in fin di vita sta bene! Lo so che è strano, so che stai male, ti vedo Owen, ti vedo lottare ogni dannata ora del giorno ma ...” si fermò qualche secondo riordinando i pensieri “ ... era spaventata, era sconvolta perché non l’aveva mai vista ridotta così. Non l’ha fatto per ferirti, ha sbagliato, ha sbagliato ad allontanarla da te ma in quel momento pensava a lei Owen!” “Non era un problema suo!” “Si invece!” esclamò costringendolo a respirare “Ogni cosa che fa è un problema suo così come lo è per Cristina. Te l’ho già detto Owen, quelle due ragazze strane e un po’ pazze sono legate da qualcosa che nemmeno gli alieni sarebbero in grado di spiegare. Era terrorizzata perché la vedeva scomparire giorno dopo giorno dietro a qualcosa che non le apparteneva!” “Credi davvero che l’avrei rinchiusa in psichiatria? Credi che avrei abbandonato mia moglie là dentro senza lottare per lei?” “Credo che tu sia più spaventato di quanto immagini” “Sono terrorizzato Shepard!” urlò picchiando con forza il pugno sul muro “Sono terrorizzato perché non so quando riavrò mia moglie, non so se la riavrò, non so niente! Non posso abbracciarla, non posso parlarle né toccarla perché tua moglie ha deciso per tutti e due!Un mese e mezzo Shepard! Non la vedo da un mese e mezzo!” “Owen non ...” “Non mi interessa come, non mi interessa nemmeno perché, la rivoglio qui Derek! La rivoglio a Seattle” un ultimo gelido sguardo poi solo le sue spalle per rispondere a milioni di domande che giravano nell’aria “Oh caro amico mio, tu sei terrorizzato dal poterla scoprire diversa” sfilò il cellulare dalla tasca e senza più nemmeno pensare tornò sui propri passi.

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Capitolo 10
*** Passato o Presente? ***


                                                         Passato o Presente?







Chiuse gli occhi cercando di cacciare il più lontano possibile quel suono convulso e lontano.
“Oddio” sussurrò alzandosi appena dal cuscino, la sveglia sul comodino segnava le cinque e dieci minuti “Io lo ammazzo” sbottò cercando con la mano il cellulare “Ho interrotto il tuo sonno di bellezza?”  sprofondò nel cuscino sospirando “Ti conviene avere un motivo più che valido Shepard, ho un intervento davvero importante tra circa tre ore e mezzo  e se non hai argomentazioni convincenti giuro che sbatto giù il telefono” “Come sta?”  “Oh, è questo il tuo cruccio? Mi hai chiamato alle cinque di mattina per sapere come sta?” “Abbiamo un problema amico mio. Suo marito sta diventando matto e se non la riportiamo a casa il prima possibile scatenerà l’inferno” sorrise chiudendo di nuovo gli occhi “Vuoi davvero riportarla a casa?” “Secondo te non è pronta?”  “Oh no, non è questo il nostro problema, per essere pronta lo è. Se riesci a convincerla ben venga”  “Che vuol dire?”  “Credevo di aiutarla lasciandola libera di fare le scelte che più le andavano. Evidentemente la spinta è stata un po’ troppo forte perché ora è incontrollabile” “Oh perfetto” sbottò sarcastico Shepard “Meredith era convinta di aiutarla lasciandola con te e ora ... Come diavolo risolviamo sta cosa?” alzò leggermente le spalle quasi come se quel gesto appena accennato potesse arrivare fino a Seattle “È incontrollabile nel senso vero e proprio del termine o è solo una splendida metafora?”  “Il futuro della cardiochirurgia si diverte correndo in moto, vincendo Death Race, lanciandosi da un ponte con uno stupido elastico e ballando fino a notte fonda con persone che nemmeno conosce”“E tu dov’eri quando le venivano in mente queste cose?” sbottò irritato ma lui sorrise “È solo una fase Shepard, le passerà e tornerà quella di prima, deve solo trovare un equilibrio tra la sua nuova vita e il passato” “E come può farlo se continua a comportarsi da idiota? Ho detto a suo marito che sta bene, che sta lentamente ritornando sé stessa e ora scopro che si è trasformata in una specie di zombie assetato di pericolo!” sbuffò mettendosi a sedere, l’aria fresca lo colpì in pieno viso costringendolo a tremare “Sta bene Shepard, non si droga, non si ubriaca, non torna a casa con arti mancanti o lividi strani. Te l’ho detto, ha solo bisogno di un attimo di pace. Credi davvero che le permetterei tutto questo se non fossi assolutamente certo che stesse bene?” “Ma cosa ...”  “Ogni volta che esce è seguita e controllata” esclamò divertito alzandosi in piedi “Devo solo trovare un modo per costringerla a tornare a casa” “La fai seguire? Conosci bene Cristina Yang? Quanto pensi ci metta a disfarsi dei tuoi segugi? Burke questo è un problema davvero enorme, è un problema che sta diventando casino alla velocità della luce. Owen è irrequieto e preoccupato, ha paura che sia cambiata così tanto da non riconoscere nemmeno più un briciolo di quella donna che amava e che ama alla follia, lo capisco, lo capisco davvero e per amore suo e di quella pazza che proteggi dobbiamo farla tornare a Seattle”  “Non l’avrà mai più come prima” aprì il frigo sorridendo mentre una ragazza un po’ folle si stropicciava gli occhi sedendosi di fronte a lui “Chi è?” domandò confusa sbadigliando “L’ospedale” esclamò divertito posandole davanti una tazza colma di caffè “Fai schifo a dire bugie” “A quanto pare fai schifo anche a risolvere i problemi” “Non fa ridere dottore” sussurrò giocherellando con il cucchiaino “Direi che in circa otto ore il nostro problema sarà risolto” ma la ragazza scoppiò a ridere stringendosi nelle spalle “Che c’è?” domandò confuso allontanandosi leggermente dal cellulare “Sarei io il problema?” “Ma cosa ...” “In otto ore non so cosa ti verrà in mente di fare ma qualunque cosa sia, puoi dire al dottor Stranamore che sto bene e non ho alcuna intenzione di tornare a casa” “Hai sentito?” sbottò irritato “Certo che l’ho sentita”  la vide sorridere allungando una mano verso di lui “Passamelo” alzò gli occhi al cielo tornando a concentrarsi sulla sua colazione mentre quella donna folle e diversa parlava al telefono.
“Stranamore alle cinque di mattina non è sano fare certi discorsi” “Mi fa piacere sentirti così sveglia, vuol dire che almeno qualcosa di te stessa l’hai conservato” “Sto bene sai? Non mi succede niente di brutto e gli angeli custodi che il dottor Burke ha pagato fanno bene il loro lavoro” l’uomo sollevò gli occhi inchiodando lo sguardo a lei “Pensavi davvero che non me ne sarei accorta?” “Speravo ci mettessi qualche ora in più” ma lei sorrise sorseggiando il suo caffè “D’accordo, prova ad ascoltarmi per qualche secondo ok? Ho bisogno che tu ingoi di colpo il tuo passato e torni qui subito” “No” esclamò secca ma la voce di Derek non voleva saperne di smettere “Devi tornare qui perché tuo marito sta delirando Cristina. Porterà Meredith in commissariato se non porti il culo a Seattle” “Tua moglie mi ha rapita  cosa ti aspettavi?” “Si, molto carina, le dirai questo quando le porterai le arance in cella?” lo sentì sospirare, rispondere a qualcosa, probabilmente una domanda idiota di qualche specializzando idiota “Non vorrei mai vederti soffrire, sei diventata parte della mai famiglia e amo alla follia la mia famiglia. Meredith è preoccupata  per te e vorrebbe tenerti al sicuro il più a lungo possibile ma non è questa la tua vita! Sei nata per diventare qualcosa di grande, sei nata per salvare vite non per correre come una matta con la moto. Torna qui e diventa quel cardiochirurgo o altrimenti giuro che vengo a prenderti io” lo sguardo di Burke non si staccava un secondo dal suo viso, si sentiva male, scossa improvvisamente da quelle parole, da quella voce sbucata dal nulla che ora sembrava più vicina che mai  “Non puoi continuare a fingere di non avere un passato. Torna qui e riprendi a vivere perché quello che stai facendo adesso non è sano! Stai distruggendo te stessa e assieme al tuo vero essere, stai trascinando nel baratro anche tuo marito. Sta male, non dorme, a malapena mangia e passa tutto il tempo a chiedersi come stai, cosa stai facendo, si chiude nel lavoro per cancellare ogni tuo stupido pensiero e se continui così, se lo tieni lontano lo costringerai a ... ”  chiuse di colpo il cellulare cercando di calmare i battiti violenti del cuore “Allora?” mormorò guardingo l’uomo “Torniamo a casa?” la vide tremare, sollevare gli occhi mentre quell’unica parola si perdeva nel silenzio. 

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Capitolo 11
*** Non è Pronta ***


                                                                     Non è Pronta





“Sei sicuro che vada tutto bene?” sorrise passando alla ragazza l’ennesima valigia “Perché non può semplicemente dormire con suo marito?” “Perché è un’idiota” “Uao” esclamò divertito “Beh, ci ho messo tre ore di aereo a tentare di convincerla del contrario, possiamo far si che regga per qualche mese?” “D’accordo” “Non sto scherzando Grey” “Nemmeno io” gli occhi della ragazza si colorarono di forza “Lascerò che riprenda la sua vita con i ritmi che vuole ma non gli permetterò di rovinarla di nuovo” ma Burke scoppiò a ridere “Ho idea che sarà lei a rovinare la sua” “Ma che ...” “Riaverla indietro vuol dire risvegliare ricordi che non vuole e che non accetta. Ora Scheggia l’ha fatto, è tornata quella di prima e fidati di me, nessuno di voi riuscirà più a incatenarla da qualche parte” poi una risata fresca e cristallina, due occhi scuri e un sorriso limpido e fresco “Dove vai?” “In moto vedi?” esclamò allegra sollevando il casco “Cristina non credi dovresti ...” “No” trasalì indietreggiando sotto i colpi di quelle risposte violente e calcolate “D’accordo, ci vediamo presto e ...” “Aspetta” esclamò Burke afferrandola per le spalle.
Gli occhi erano talmente fusi nei suoi da sembrare un tutt’uno con i pensieri “Niente scommesse e cerca di non perdere entrambe le mani, mi piacerebbe vederle giocherellare di nuovo con ventricoli e valvole” “Non accadrà” “Bugiarda” un sorriso leggero, una smorfia piena di ironia, la stessa che anni prima sembrava scolpita sul suo viso “Mi lasci andare o resti a dormire con me anche questa notte” “Mi chiamerai?” “Si” “No, mi chiamerai quando torneranno gli incubi?” Meredith sospirò schiacciandosi ancora di più contro il muro “Giuralo” ma lei non rispose, Burke sorrise sfiorandole il viso “D’accordo, mi hai fatto una promessa Scheggia” sorrise e senza dire una parola in più corse fuori lasciandoli soli per l’ennesima volta “Uao” “Già” esclamò divertito piegando una maglietta “Non provocarla, lasciala libera di fare quello che vuole e non costringerla a tornare in ospedale” “Dovrei ignorarla?” “Si” posò l’ennesimo vestitino nel cassetto sospirando “Lo so che è difficile, immagina quanto lo è per me. Era il mio miracolo Grey e ora fatica perfino a stare a galla però ci prova ...” si voltò verso di lei sorridendo “ ... ci prova con tutte le forze e devo dire che se la cava piuttosto bene quindi lasciala libera di fare ciò che vuole” “Non le permetterò di tornare da lui” “Non ho mai detto questo” Meredith sospirò abbandonandosi sul letto “Ne verrà fuori vero?” Burke sorrise senza staccare gli occhi dai vestiti “Ci stupirà Grey, ha solo bisogno di tempo tutto qui”.
 
“Dov’è!” Derek sospirò chiudendo la cartella clinica “Shepard mia moglie non ...” “Sta bene Owen smettila di preoccuparti” “Ho bisogno di vederla!” ma l’amico sospirò invitandolo a sedere accanto a lui “Smettila di preoccuparti per lei, smettila di incolparti per qualsiasi cosa e smettila di pensare che l’unico responsabile di questo casino sia tu” “Lo sono!” gli occhi si inchiodarono ai suoi, era stanco, sfinito e confuso e forse, parlare con un amico gli avrebbe fatto solo bene “Io l’ho messa su quell’aereo, io l’ho costretta a scappare e se ora è ridotta così è colpa  mia! Come diavolo pensi di potermi dire ...” “Sei innamorato di lei?” trasalì fissando confuso il viso di Derek “Tu la ami vero?” “Ma che ...” “Allora dalle tempo Owen! Lo so che è difficile, so che vorresti solo stringerla tra le braccia e non lasciarla andare ma in questo momento non sei quello di cui ha bisogno. È qui a Seattle, sta bene, è tornata a sorridere e a parlare ma non è ancora pronta a rivederti” “Tu non sai cosa vuol dire Shepard!” esclamò gelido alzandosi in piedi “Non sai cosa vuol dire svegliarsi la notte perché rivedi continuamente il viso di tua moglie pieno di tagli! Non sai cosa vuol dire passare ogni dannata ora pensando a lei, pregando perché non si abbandoni al niente! Ho  bisogno di vederla, ho bisogno di guardarla negli occhi e vedere  che respira, che sorride e parla perché non ...” “Non vuole vederti” secco, diretto, così dannatamente gelido da togliergli il respiro “Non vuole vederti, non ti vuole nella sua vita quindi ti prego ...” si alzò in piedi sospirando “ ...ti scongiuro Owen dalle del tempo. Lasciala libera di respirare e vedrai che sarà lei a cercarti ma non ...” riprese fiato cercando di sorridere “ ... ora non è pronta”.

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