Falsità

di AxXx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un Giorno Normale... Ma non per Tutti ***
Capitolo 3: *** Fuga ***
Capitolo 4: *** Riku ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
                               Prologo
 
 
 
Kairi entrò trafelata in quello che una volta era stato probabilmente un grande ufficio.
Scrivanie, vecchi computer e stampanti arrugginita occupavano tutto l’ambiente.
L’enorme sala rettangolare era un cumulo di detriti
‘Devo nascondermi!’ Pensò la ragazza cercando di domare il panico mentre il sudore che le colava dalla fronte le cadeva sugli occhi accecandola.
Si mise a correre evitando i detriti e facendo meno rumore possibile.
Peccato che in quell’agghiacciante silenzio anche il suo respiro sembrava un rumore fortissimo.
Trovò vicino alla vetrata, ormai mezza distrutta, che emanava la luce spettrale della luna piena, una scrivania ancora intera e si accucciò dietro di essa tappandosi la bocca tremando per il terrore.
 
 
I passi si fecero più vicini.
 
 
Chiunque fosse se la stava prendendo comoda, come se sapesse che chi stesse seguendo sarebbe comunque finito nelle sue mani.
 
Il rumore si interruppe.
 
Kairi ebbe abbastanza coraggio da sporgere parte del viso oltre la scrivania per vedere le gambe dell’inseguitore ferme davanti alla porta dalla quale era entrata anche lei.
La ragazza ebbe un sussulto e cercò di non farsi prendere dal panico.
Mosse gli occhi alla ricerca di una via di fuga mentre l’inseguitore setacciava con flemma la zona.
‘Mio dio! Ora che faccio!?’ Si chiese al limite della disperazione.
Aveva sentito di quello che i soggiogati facevano ai prigionieri e lei era convinta che, se non avesse trovato una via di fuga, avrebbe presto assaggiato sulla sua pelle torture orribili.
Forse fu proprio quel pensiero che in qualche modo la rese più attiva nel cercare una via d’uscita.
Alla fine, nonostante la poca luce, riuscì ad intravedere una porta a qualche decina di metri davanti a se, sul muro che si trovava a sinistra della porta da cui era entrata.
Era parecchio lontana, ma non aveva altra scelta.
Il rumore dei passi dell’inseguitore si fece più vicino per fermarsi a cinque metri da lei.
La paura la immobilizzò.
Non osava muoversi, pensando ch sarebbe potuta cadere in trappola appena avesse messo piede fuori dal suo nascondiglio improvvisato.
Però non aveva altra scelta.
 
Prese un respiro profondo e si preparò.
 
Un istante...
 
Ancora uno...
 
E si mise a correre.
 
In pochi secondi era riuscito con uno scatto a dimezzare la distanza tra lei e la porta.
Nella sua corsa disperata non osò voltarsi per vedere se la stessero inseguendo o meno, ma si concentrò solo sulla sua fuga.
 
Un rumore alle sue spalle...
 
Era stata vista...
 
Eppure mancava così poco alla salvezza. Solo pochi passi.
 
Pochi...
 
Pochissimi...
 
Improvvisamente si sentì travolta da qualcosa di grosso e pesante, come un immenso cuscinetto d’aria, che le fece perdere l’equilibrio.
Sarebbe caduta se qualcos’altro non l’avesse sollevata.
Ora era a mezz’aria con dei ganci invisibili che la trattenevano dalle braccia e dalle spalle, mentre osservava il suo inseguitore in faccia, o meglio il casco del suo inseguitore.
Come tutti i soggiogati indossava quella specie di casco che amplificava le abilità psichiche.
La morsa che la teneva al bersaglio si fece più forte e lei fu gettata contro la parete più vicina con violenza inaudita.
“Trovata.” Disse il suo aguzzino avvicinandosi.
Kairi cercò di rimettersi in piedi, ma una strana pressione la inchiodò al muro, stringendole anche la gola lasciandola a respirare appena.
“Sono certo che sarai collaborativa.” Disse il soggiogato mentre osservava la scena.
Lei poteva vedere il sorriso del ragazzo sotto il casco scuro. E lo odiava.
“Puoi anche scordartelo, Vanitas, ammazzami e facciamola finita!” Disse lei tra un respiro e l’altro.
L’aguzzino le si avvicinò mentre la stretta sulla gola si faceva più ferrea, costringendola solo a rantolare.
“Forse non ti è chiaro chi conduce il gioco qui.” Le sussurrò il ragazzo all’orecchio mentre i loro corpi si sfioravano.
 
Lei tremò istintivamente, mentre il sudore iniziava a scorrere sempre di più sul suo corpo.
 
“Io potrei aprirti quella tua testolina in un istante con i miei poteri.” La minacciò Vanitas. “Solo che io preferisco un po’ della sana e vecchia tortura. Non hai idea di quanto sia divertente.”
 
 
Il terrore si impadronì di Kairi ed insieme ad esso arrivò anche il disgusto.
 
Odiava quell’essere spregevole che si divertiva a vedere gli altri soffrire ed aveva il terrore di quel che poteva fargli.
 
Se i suoi poteri Psichici erano molto avanzati, avrebbe potuto anche guarire le sue ferite per rendere la tortura ancor più lunga e terribile, magari tenendola in bilico tra la vita e la morta, ma mantenendola abbastanza cosciente da permetterle di provare dolore e paura.
 
Lei cercò di dimenarsi, ma Vanitas rise dei suoi sforzi immobilizzandola del tutto.
Ora era impotente.
 
 
“Io ti ammazzerò.” Le annunciò lui con freddezza facendo accapponare la pelle alla ragazza.
“Sta a te decidere quando e come morire, se sarai collaborativa, potrei decidere di farti fuori subito senza farti soffrire troppo. Se no, temo che nemmeno l’inferno potrà escogitare punizioni più atroci e dolorose di quelle che subirai.” Concluse con una tranquillità raccapricciante.
La sua risolutezza nel portare simili minacce spaventò Kairi, ma lei non voleva arrendersi.
Aveva preso la sua decisione e non avrebbe rinunciato.
Aveva aperto gli occhi su una grande prigione a cielo aperto che era il loro stato e la loro società.
Non lo faceva per una semplice cotta giovanile.
Non più.
 
Quello che fece fu probabilmente una mossa stupida ma coraggiosa al tempo stesso.
Sapeva di non poter opporsi a Vanitas, ma doveva fare qualcosa per ribellarsi o la sua mente sarebbe stata preda del suo torturatore.
Prese fiato e sputò su Vanitas.
 
Il ragazzo rimase fermo per qualche minuto poi preso dalla rabbia lanciò un ringhio e iniziò la sua tortura.
Kairi sentì un dolore atroce che la avvolse su tutto il corpo.
Ogni parte della sua pelle fu avvolta da un fuoco invisibile che sembrava penetrare nei suoi pori arrivando alla carne rendendo il dolore ancora più acuto ed orribile.
Cercò di respirare meglio per controllare le sue sensazioni ma la stretta sulla sua gola era ancora più forte e violenta, permettendole a malapena di respirare.
La sua mente era confusa ed annebbiata dal dolore e dalla mancanza di ossigeno, lasciando posto solo alla consapevolezza della tortura che stava subendo senza la possibilità di reagire.
Non riusciva nemmeno più ad odiare il suo aguzzino, ne a provare speranza di fuga o di aiuto.
Tutto iniziava e finiva nel dolore che provava.
L’unica cosa che riusciva a pensare era per quanto ancora sarebbe andato avanti.
Solo dopo un lasso di tempo impossibile da definire per lei a causa della dilatazione dovuta al dolore fisico e psicologico accadde qualcosa.
Gli oggetti nella sala iniziarono a fluttuare ed un computer del secolo scorso volò contro Vanitas costringendolo a rotolare a terra per non essere travolto dalla fiumana di oggetti.
La pressione sul collo di Kairi sparì ed il dolore si attenuò.
Iniziò a respirare forte per riprendersi.
“Kairi, vieni qui!” Urlò un giovane dai capelli d’argento spuntato dalla porta che voleva imboccare.
Lei non se lo fece ripetere e, approfittando della confusione, si mosse rapidamente, nonostante il dolore, e varcò la porta.
“Mi dio, Kairi, dov’eri!? Mi hai fatto prendere un colpo!” Disse sua sorella minore Naminé abbracciandola.
“Non abbiamo tempo!” Le esortò l’argenteo mentre impugnava una pistola. “Sora non riuscirà a trattenere Vanitas per sempre, dobbiamo raggiungere il tetto, prima che elevino il campo di stasi!”
“Riku, mia sorella è stata appena torturata, dagli un secondo!” Protestò la bionda supplichevole.
“Non abbiamo un secondo!” Urlò lui con rabbia trascinando la rossa in malo modo seguito dall’altra che lo guardava furente.
Kairi dal canto suo, era troppo debole per protestare o lamentarsi.
Sapeva che non avevano scelta, era già abbastanza che la portassero ancora con loro.
Avrebbero potuto lasciarla lì come esca per altri soggiogati, ma la portavano con loro lo stesso pur essendo un peso.
Intanto, nell’altra stanza si sentirono dei rumori come di oggetti che si frantumavano.
I tre ragazzi tornarono nel corridoio principale che dava sulle scale che portavano ai piani superiori.
Improvvisamente un uomo alle loro spalle che indossava un giubbotto antiproiettile nero ed un’uniforme nera urlò: “Eccoli! Al quindicesimo piano!”
Riku sparò senza riflettere costringendo il soldato a ripararsi dietro lo stipite di una porta.
“Andiamo!” Urlò Riku sparando altri colpi costringendo l’avversario a rimanere al sicuro.
Le due ragazze si misero a correre su per le scale, ma quando Riku tentò di raggiungerle alcuni colpi lo ferirono alla gamba.
“Forza, Riku, Vieni!” Lo esortò la bionda.
“Ah! Diavolo, andate via!” Urlò il ragazzo sparando un altro colpo uccidendo l’agente delle forze speciali.
Di nuovo a correre, mentre attendevano pazientemente che Sora arrivasse.
Il palazzo era di venti piani e loro avevano raggiunto il diciottesimo quando le vetrate degli ultimi due furono sfondate da alcuni soldati armati di mitra ed equipaggiati con visori a raggi infrarossi.
“Merda.” Imprecò Riku riparandosi sulle scale del diciannovesimo piano mentre una salva di proiettili sfiorava i loro corpi.
Si misero a correre lungo il corridoio centrale per evitare le zone laterali dell’edificio dove si stavano radunando gli agenti speciali.
“Forza salite!” Le incitò Riku, mentre attendevano Sora che probabilmente si stava ancora confrontando con Vanitas.
Avevano raggiunto l’ultimo piano e stavano imboccando le scale metalliche che portavano al tetto quando un membro delle truppe speciali armato di mitra che sparò.
“AAAARGH!” Riku si prese il ginocchio ferito e si accovacciò dietro l’angolo sparando di nuovo.
“Andiamo, Kairi!” La esortò Naminé tirandola, mentre la rossa sentiva le gambe sempre più doloranti e pesanti.
Il tetto sembrava un miraggio, mentre le armi da fuoco sputavano priettili dalle loro bocche di fuoco.
“Allora ci muoviamo!?” Chiese l’argenteo che stava cercando di tenere a bada una decina di uomini armati di mitra con una pistola.
“È bloccata!” Strillò la bionda in preda al panico cercando di aprire a spallate la porta di metallo che bloccava l’accesso al tetto.
Intanto il rumore delle armi si sovrapponeva a quello della spalla della ragazza contro il metallo che, aiutata dalla sorella, cercava di liberare l’uscita.
“Andiamocene!” Urlò Riku mentre rinfoderava la pistola ormai scarica.
In quell’istante, dall’altra parte della porta, si sentirono dei passi e, con uno scatto metallico, quella si aprì.
“Sora!” Gridarono gli altri tre mentre si precipitavano all’esterno.
Il ragazzo dai capelli marroni chiuse subito la porta.
“Come hai fatto ad arrivare fin qua su!? Eri cinque piani sotto di noi!” Chiese Riku allibito.
“Grazie ai tuoi insegnamenti e ai miei poteri potrei raggiungere qualunque posto anche se avessi i piedi legati.” Disse il ragazzo moro sorridendo.
“E Vanitas?” Chiese Naminé  sorreggendo la sorella che ormai era a mala pena cosciente.
“Sono fuggito, non avevo altra scelta, ma l’ho bloccato.” Spiegò in fretta Sora.
In quell’istante un botto alla porta metallica li allarmò.
“Dobbiamo sbrigarci!” Li incitò la bionda preoccupata.
Tutti si misero sull’orlo dell’edificio.
“Sei sicuro di riuscirci, Sora?” Chiese Riku nervoso, mentre osservava il numero spropositato di metri che li separava dal suolo.
Sotto di loro c’era la strada dei bassifondi della città che altro non erano che le rovine della città vecchia.
Quella prima del Disastro.
“No, ma siamo con le spalle al muro.” Rispose l’amico osservando anche lui preoccupato l’altezza.
“Be’, Aqua e Terra ci aspettano tre isolati più a sud, vediamo di non deluderli.” Lo incoraggiò l’argenteo.
“Bene.” Fece Sora con un respiro profondo mentre stringeva la mano di Kairi, che, nonostante le ferite lo guardava con fiducia.
“Pronti?” Chiese mentre sentiva la porta sul punto di cedere.
“Pronti!” Dissero in coro Riku e Naminé stringendo l’uno la mano dell’altra.
“Via!” Urlò mentre la porta cedette.
Tutti e quattro si lanciarono oltre il bordo dell’edificio confidando che i poteri psichici di Sora li salvassero dalla caduta e che seminassero gli inseguitori.
Riku non osò osservare il terreno che gli si avvicinava ad una velocità paurosa, mentre per un attimo pensò a come tutta quella folle fuga fosse iniziata, chiedendosi cosa sarebbe successo se non avesse mai incontrato Sora.  
 

 
 
 
 
 
 
Allora. Questa pazzia è degna della mia mente malata.
Sì, stiamo parlando di loro; Sora, Kairi, Riku e Naminé. Ma senza keyblade o altri poteri.
Questa storia i ambienta in un mondo di cui ci saranno ragguagli nei prossimi capitoli.
Il capitolo è un po’ corto lo so, ma il prossimo arriverà a breve, spero.
Ringrazio di nuovo Reno_Dedé_Turks che mi ha dato l’ispirazione, quindi il 60% (Se non l’80%) dei complimenti li dovrete rivolgere a lei.
Grazie a chi recensirà.
AxXx

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Capitolo 2
*** Un Giorno Normale... Ma non per Tutti ***


 
        Giorno Normale ma non per tutti
 
 
 
Potremmo dire che tutto iniziò da un particolare scherzo del destino: l’incontro tra una ragazza molto particolare ed un ragazzo molto nella norma, se potremmo dire così.
 
 
Kairi era la figlia di una Dux: una guida un capo: Dux Ansem era un uomo a posto, meno invischiato negli affari sporchi della politica di Eden e molto idealista.
Sua figlia poteva godere della migliore istruzione che si potesse desiderare: una scuola per ricchi, una specie di college che la ospitava nove mesi l’anno.
Aveva sedici anni e frequentava la scuola da due.
Fu durante il primo anno che incontrò Sora.
Un ragazza allegro e spensierato della sua età.
Non era importante o povero, ma aveva perso i genitori durante una rivolta in città, quindi viveva solo e un po’ di espedienti.
Lavorava presso un artigiano che costruiva oggetti di valore: era il fabbro della scuola di Kairi che praticamente incideva le medaglie che premiavano gli studenti più in luce.
Questo dava al ragazzo una certa sicurezza economica.
Il college sorgeva nel quartiere est della città, quello che dava sulla costa e da lì si poteva godere di una vista magnifica visto che la scuola di Kairi si affacciava proprio sul mare, dato che era stata edificata sulla scogliera.
Il quartiere intorno era tutto dedicato agli studenti o agli inservienti.
Ognuno di loro aveva a disposizione un appartamento, anche se un po’ piccolo, ma fornito di ogni comodità.
Cosa che valeva anche per gli inservienti come Sora.
Inoltre il loro quartiere era circondato da un muro come ogni quartiere della città.
Questo non valeva, però per la maggior parte della città.
I bassifondi erano infatti tutti uniti in un'unica grande baraccopoli arroccata sulle rovine della città vecchia distrutta durante il cataclisma.
Erano circondate dalle mura principali della città: un impotente complesso di fortificazioni presidiato dalle truppe.
Suo padre viveva nella zona nella parte opposta della città, insieme a sua sorella più piccola di un anno: Naminé.
Lei aveva preferito un’istruzione a casa, ma si volevano comunque bene.
 
 
 
Era fine settembre, quando il clima era ancora mite, che rendeva piacevole la passeggiata.
Kairi era seduta alla fermata dell’autobus, in attesa che il veicolo passasse a prenderla.
Se aveva fatto bene i calcoli avrebbe potuto fare un salto da Sora prima che lui iniziasse il suo lavoro e lei i suoi studi.
 
 
Il mezzo blu arrivò poco dopo e lei salì.
Cercò un posto vuoto e la sua amica, Lucia la invitò a sedersi accanto a lei.
“Ciao, Ka! Come stai?” Chiese allegra.
“Bene, grazie, te invece?” Non c’è male, ho fatto qualcosa, mentre ero a casa, ma niente di eclatante.” Rispose mentre metteva la testa sui gomiti guardando fuori.
“Allora, come sta il tuo ragazzo?” Chiese dopo alcuni secondi guardandola maliziosa.
“Cosa!? Sora non è il mio ragazzo!” Disse indignata.
Be’ era vero, erano solo amici. Buoni amici a dirla tutta, ma solo quello.
“Si, sì, certo, come no.” Scherzò l’amica dandole una gomitata.
Kairi fece l’offesa e si rintanò nelle sue riflessioni mentre il veicolo continuava la sua corsa attraverso le ampie strade della città.
 
 
 
Arrivò al grande edifico bianco a forma di ‘U’  che la sua scuola, di tre piani, più il pian terreno.
Il cortile si trovava proprio tra le due ali dell’edificio che avvolgevano l’area verde come un abbraccio.
All’interno c’erano decine di studenti di tutte le età dai quindici ai vent’anni che studiavano chi per entrare in politica, chi nell’esercito e tutte le occupazioni di cui un figlio di una famiglia di alto rango di Eden voleva fregiarsi per poi passarle ai propri figli.
Kairi infatti era stata destinata alla politica in quanto figlia maggiore, mentre Naminé avrebbe potuto scegliere quello che voleva.
Forse era per questo che la rossa invidiava la sorella: almeno lei aveva una possibilità di scelta; al contrario di quanto potesse aspettarsi.
Comunque non si lamentava, c’era gente che stava peggio.
 
 
 
Lei si diresse verso la parte sinistra del cortile dove c’erano tutte le zone adibite ad ospitare i lavoratori del loro istituto.
“Buongiorno, signorina Kairi.” La salutò il signor Marius appena la vide all’entrata del suo laboratorio.
“Dov’è Sora?” Chiese notando la sua assenza.
“Mi ha chiamato poco fa. Ha detto che si sentiva male.” Rispose l’artigiano riprendendo il lavoro che aveva iniziato.
“Ah! Grazie, allora, arrivederci!” Lo salutò cordialmente lei mentre tornava al cortile principale.
 
Lei passò il resto della giornata a parlare con le sue amiche di moda, rossetti e tutte quelle cose di cui parlano le ragazze e a studiare.
Non che ci fosse qualcosa di nuovo.
Le lezioni di storia sembravano dei registratori rotti: iniziavano sempre con una lunga introduzione al Disastro avvenuto trecento anni prima che ridusse il mondo in rovina e portando gli uomini ad uno stato di guerra civile.
Solo l’avvento di Eden riuscì a calmare la difficile situazione, per portare ad una pace duratura che aveva permesso allo sviluppo della civiltà di continuare.
Il loro stato ormai si reggeva sulle stesse basi da cento anni e non cambiava di una virgola.
Vigeva un controllo capillare e strettissimo, ma a lei non dava fastidio, dopotutto se non avevi fatto niente di male non avevi nulla da temere.
 
 
Almeno così pensava.
A fine giornata rientrò nel suo appartamento.
Si trovava a mezz’ora dalla scuola, se prendevi un veicolo.
Era un alto edificio bianco a cinque piani che ospitava parte degli studenti del quartiere.
La sua stanza era al terzo piano ed era singola.
Appena salita, mise lo zaino sul letto e prese il cellulare chiamando Sora.
Il telefono squillò a vuoto e non ricevette risposta.
Lei provò altre tre volte, ma nessuno rispose.
‘Chissà cos’ha?’ Si chiese mentre chiudeva la chiamata.
Decise di chiamarlo il giorno dopo, mentre si metteva a studiare le solite cose: politica, economia ed un sacco di materie noiose ma utili.
Se non fosse stato per le chiacchierate con Sora le sarebbe sembrato tutto uguale, come se ogni giorno fosse una fotocopia di quello precedente.
Ma quella sera le cose cambiarono.
Kairi aveva appena finito di parlare con suo padre al telefono che le arrivò un messaggio sul cellulare.
‘Ciao, Ka, so che mi hai chiamato, ma non posso parlare al telefono: ho un problema gravissimo, e temo per ciò che potrebbe accadermi, se vuoi venire a trovarmi pensaci bene, io te lo sconsiglio, ma vorrei parlarne con qualcuno. Sora.’
Così recitava il messaggio: era molto criptico e lasciava spazio a molte possibilità, ma non sapeva proprio che fare, voleva sapere in che guaio si fosse cacciato il suo amico e ne era convinta.
Pese una zaino a tracollo e si diresse verso l’appartamento del giovane convinta che non stesse facendo nulla di male.
Le strade erano tutte uguali ed era facile orientarsi in quel dedalo di vie anche abbastanza larghe.
Tutte le case erano bianche, senza distinzione il che dava una monotonia spaventosa alla città.
Le strade dopo il tramonto erano sorvegliate da alcune pattuglie di un corpo di vigilanza, ma in quel quartiere c’erano anche un sacco di ragazzi che uscivano la sera, quindi per lei fu facile attraversare a piedi l’isolato per arrivare a casa di Sora.
Uguale alla sua del resto.
Lui abitava al primo piano, quindi non prese nemmeno l’ascensore e raggiunse la sua stanza e bussò.
Nessuna risposta.
Bussò di nuovo e qualcuno aprì la porta finalmente.
“Finalmente! Mi dici cos’hai!?” Chiese un po’ arrabbiato mentre entrava.
Subito, però, notò qualcosa che non andava: la stanza era quasi completamente vuota, come se fosse stato fatto un trasloco e a terra c’era uno zaino, come se Sora volesse andarsene.
“Cosa stai facendo?” Chiese mentre l’amico si sedeva sul letto ormai rifatto.
“Parto.” Disse semplicemente.
“L’avevo capito, ma dove vuoi andare? Ci vuole un permesso per uscire dalla città.” Disse Kairi incrociando le braccia.
“Senti, ma cosa c’è? sembri preoccupato.” Disse preoccupata: quella non sembrava una partenza, ma una fuga.
Sora prese un respiro profondo e le si avvicinò.
“Non ti piacerà.” Disse dopo alcuni secondi.
Il ragazzo si mise a sedere e chiuse gli occhi, mentre Kairi lo guardava impaziente.
Improvvisamente accade qualcosa di sconcertante: lo zaino di Sora, che era adagiato a terra, iniziò a fluttuare in aria mentre lui inarcava le sopracciglia in una smorfia di sforzo.
Lei rimase allibita.
 
 
‘Ok, Kairi, calmati, ci possono essere tante spiegazioni a tutto ciò.’ Si disse cercando di scartare la più terribile per lei e per Sora.
Ma più ci pensava più la certezza di quello che aveva davanti si faceva strada nella sua mente.
Sora era uno Psionico.
Sembrava inconcepibile.
Aveva letto un sacco su questo tipo di uomini: persone con la capacità di usare la mente per alterare la realtà.
Sembrava che fossero nati proprio durante il Disastro e che avevano dato loro il via alla guerra che lacerò quel mondo per anni, ma che ora erano tenuti sotto stretta sorveglianza all’Accademia: una specie di scuola per controllare gli Psionici.
“Ma Allora...” Iniziò lei preoccupata.
“Non voglio andare all’Accademia, ho sentito cose terribili su quel posto.” Rispose lui prima di far riposare l’oggetto per terra.
“Quando è successo?” Chiese Kairi.
“Tre giorni fa, all’inizio sapevo controllarli bene, ma poi hanno iniziato a sfuggire al mio controllo.” Fu la risposta.
“Quindi, che vuoi fare?” Era combattuta tra l’idea che gli psionici fossero malvagi e l’amiciza che provava verso Sora.
Difficile scegliere tra le due.
“Voglio scappare finché sono in tempo, devo andarmene prima che le forze speciali mi trovino, non voglio essere portato laggiù!” Disse lui con fermezza.
“Solo che non me la sentivo di andarmene senza dirtelo, sei un’amica, una buona amica. Fai quello che vuoi, non ti biasimerò se mi vorrai denunciare.” Disse mentre si metteva in spalla lo zaino. “Troverò un modo per uscire.”
Le aspettò un attimo.
“E se ti unissi agli assoggettati?” Chiese con un idea improvvisa.
“E come?” Fece Sora bloccandosi sulla porta.
“Sai che mio padre, Ansem, è un uomo importante, posso telefonargli. Vieni da me ed aspetta fino a domani!” Lo implorò lei cercando un modo per non farlo partire.
“Va bene.” Concesse lui dopo averci pensato.
 
 
 
 
 
Naminé si ritrovò a guardare il cellulare allibita.
Non ci poteva credere che sua sorella le avesse mandato un messaggio del genere, doveva essere uno scherzo.
‘Non può essere!’ Pensò mentre il messaggio non faceva altro che smentirla.
Il fidanzato di sua sorella era un psionico.
E lei voleva aiuto da loro padre per sottrarlo alla legge!
Era da folli, se li avessero scoperti sarebbero stati in grave pericolo.
Tuttavia non poteva non offrire aiuto a Kairi, sapeva che loro padre avrebbe detto di mandarlo all’Accademia.
Le voci che giravano su quel posto erano solo dicerie per spaventare la gente, ne era sicura.
Ma d’altra parte sua sorella era fatta così: se si metteva in testa una cosa non la smetteva più di rompere.
Chiuse il cellulare e guardò la villa da fuori della finestra di camera sua.
Era uno degli edifici più grandi del quartiere.
Aveva un solo piano, ma era ampio, molto grande e nella parte a strapiombo sul mare, l’ufficio di suo padre, quell’edificio rettangolare diventava circolare.
La sua stanza era vicina all’ufficio.
Fu quasi tentata di andarlo a dire direttamente a suo padre, per far ragionare Kairi, ma non volle disturbarlo.
Dirigere una città non era un compito facile, quindi se non stava lavorando stava riposando.
Si decise a chiudere il cellulare e a dirlo a suo padre il giorno dopo, per dargli il tempo di avere la mente lucida.
‘Kairi, non fare pazzie, ci metterai tutti in pericolo!’ Pregò la sorella mentre si coricava a letto.
 
 
 
 
 
 
 
Allora il secondo capitolo è più esplicativo e descrittivo che altro, ma dovevo scriverlo se no non si capiva niente.
Scusate se vi ho tediato, non era mia intenzione.
Comunque il prossimo capitolo sarà mooooolto più attivo, credetemi.
Scusatemi per la noia.
AxXx
PS: continuate a recensire, anche questo capitolo.

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Capitolo 3
*** Fuga ***


 
                                                                Fuga
 
 
 
Naminé si svegliò presto, ma non abbastanza da intercettare suo padre.
‘Avanti, le guardie non arriveranno così presto, puoi aspettare qualche ora, no?’ Si disse per darsi sicurezza.
Eppure era inquieta.
Sua sorella stava cacciando tutti in un bel guaio e, anche se lei non credeva che ci sarebbe finito in mezzo anche suo padre, temeva per la sorte della sorella.
Dopotutto le direttive di Eden non erano difficili da seguire, dovevi solo chinare un po’ il capo e poi potevi continuare la tua vita di sempre, senza problemi.
Si disse che poteva fare una passeggiata, così prese le sue cose e uscì.
“Buongiorno, signorina, posso fare qualcosa?” Chiese Igor, il loro robot maggiordomo.
“No, grazie, starò via per qualche ora.” Rispose lei.
Si mise a camminare fino alla fermata dell’autobus e ne prese uno per andare in centro.
La parte centrale della città era quella dove si trovavano la maggior parte degli edifici, soprattutto grattaceli vetrati alti anche cinquanta piani.
Era il luogo dove c’erano tutti i negozi ed era il centro del commercio in generale.
Ma lei non era lì per fare shopping, ma per incontrare una persona.
Scese dall’autobus e si mise a camminare sul marciapiede fermandosi occasionalmente ad osservare un vestito particolarmente bello o una collana che non avrebbe mai avuto.
Solo dopo un quarto d’ora si infilò in un vicolo.
In realtà incontrare Riku o uno dei suoi amici era una questione di fortuna, più che di ricerca.
Lui era un Jumper e come tutti quelli del suo gruppo si potevano trovare in qualche vicolo o in cima a qualche tetto, mentre trasportavano notizie.
Se suo padre l’avesse scoperta a frequentare un ragazzo del genere si sarebbe infuriato a morte.
I jumper erano uomini, donne e ragazzi di tutte le età ed etnie che fungevano da ‘fattorini’ per notizie non esattamente legali.
Su Eden non c’era libertà di stampa e non potevano circolare notizie contrarie a quelle imposte, ma alcune persone non sopportavano questa situazione e facevano girare notizie false.
Lei aveva conosciuto Riku a causa di un imprevisto.
Era in centro insieme ad alcune amiche per partecipare ad una festa, ma si era separata da loro a causa della folla.
Nella calca era stata spinta nei pressi di un vicolo e due balordi l’avevano presa e colpita.
Probabilmente erano ubriachi o drogati, ma le avrebbero fatto sicuramente del male se non fosse intervenuto Riku.
L’aveva salvata, prendendo a pugni quei due tipi ubriachi e l’aveva aiutata a raggiungere le sue amiche.
Lei era stata molto grata al ragazzo e dopo alcuni giorni lo rincontrò in centro.
Avevano iniziato a chiacchierare e in poco tempo divennero amici.
Ormai era un anno che lo conosceva e praticamente si fidava più di lui che di chiunque altro, eccetto suo padre.
Quel giorno si infilò in tre vicoli, ma non trovò niente.
Tenne i tetti sotto costante attenzione sapendo che, se avesse visto un ombra, sarebbe potuto essere lui.
“Ehi! Guarda chi c’è direttamente dai piani alti!” Fece una voce alle sue spalle.
“Faith!” Strillò lei sobbalzando.
Dietro di lei era spuntata un amica di Riku: una ragazza dai corti capelli neri, alta e snella.
“Cerchi il tuo fidanzato?” Chiese la ragazza mentre la accompagnava fuori dal vicolo in cui era entrata.
“Sì, avevo bisogno di parlargli.” Disse la bionda mentre si incamminavano ad un bar.
“Ah, mi dispiace, ma oggi non c’è. È arrivata una consegna importantissima e hanno deciso di essere in tre addirittura. Non potevamo fare a meno di uno dei migliori.” Rispose la jumper mentre si sedeva ad uno dei tanti tavoli appena fuori da un bar.
“E tu? Non eri una delle migliori?” Scherzò Naminé facendo altrettanto.
“Sì, ma avevo bisogno di riposo. Comunque posso offrirti qualcosa?” Chiese Faith accavallando le gambe.
“Ooooh! Andiamo! Dovrei essere io ad offrire qualcosa a te!” Protestò la bionda.
L’altra rise ed ordinò un caffè accettando l’offerta la sua offerta.
Si misero a chiacchierare un po’ prima di separarsi.
Naminé non aveva voluto lasciare un messaggio a Riku, ma aveva paura di ciò che sarebbe successo.
Prese l’autobus con la brutta sensazione che sarebbe successo qualcosa tra poco, ma non volle pensarci.
Solo quando arrivò a casa sua si rese conto di quanto i suoi timori fossero fondati.
Al cancello c’erano quattro volanti della vigilanza locale che stavano ferme e nel cortile c’erano alcune guardie.
‘Oh no!’ Pensò mentre osservava casa sua messa letteralmente sotto assedio.
I passanti si voltavano verso lo sbarramento e si era creata una piccola folla di curiosi.
Lei si avvicinò alla sua casa mescolandosi tra la folla, ma non osò avvicinarsi.
Quegli uomini erano armati e a lei le armi facevano davvero tanta impressione.
Una volta era svenuta per aver visto la pistola che suo padre teneva, regolarmente, in casa.
‘Mio dio, sono nei guai!’ Pensò.
Sicuramente l’avrebbero cercata, ma non c’era traccia di suo padre, così decise di andare da lui.
Si strinse nel giacchetto, come se volesse farsi ancora più piccola e tornò alla fermata.
Solo che una volta arrivata, scoprì che tutti gli autobus erano stati fermati a causa di una serie di blocchi in tutta l’area residenziale della città.
‘E ora che faccio!?’ Si chiese mettendosi le mani tra i capelli.
Doveva raggiungere il quartiere lavorativo, dove si trovavano gli uffici.
Con un po’ di fortuna suo padre sarebbe ancora stato lì.
 
 
 
 
 
Kairi aveva insistito affinché Sora venisse da lei, finché suo padre non avesse risposto al messaggio, ma lui si era rifiutato in tutti i modi.
Alla fine lei era riuscita a convincerlo dopo aver insistito parecchio.
Aveva mandato un messaggio e l’aveva portato a casa sua.
I due avevano mangiato poco e sembrava tutto normale, ma il ragazzo continuava a guardarsi intorno.
“Stai tranquillo, mio padre sistemerà tutto, vedrai!” lo rassicurò Kairi mentre Sora guardava fuori dalla finestra.
“Ti ricordo che sono uno psionico: non mi accetteranno mai prima di aver passato l’accademia.” Disse mestamente il ragazzo.
“Senti sta tranquillo, nessuno sa che sei qui da me!” Esclamò lei dopo qualche secondo.
La serata passò tranquilla, anche se Sora ebbe un’altra sfuriata che la rossa riuscì a calmare con facilità.
Il ragazzo passò la maggior parte del tempo seduto sul divano del salotto, guardando senza troppa convinzione la televisione cercando di capire se ci fosse qualcosa su di lui.
Fu abbastanza sollevato da scoprire che non era stato preso di mira, ma non lo calmò più di tanto.
Sapeva che avrebbero potuto tenere nascosta qualunque operazione.
 
 
 
Dopo cena Sora si distese sul divano e si mise a riposare.
Se tutto andava come previsto, sarebbe dovuto fuggire entro la mattinata seguente, quindi meglio fare una bella dormita.
Kairi dal canto suo, sebbene fosse preoccupata dal silenzio di suo padre, non era molto preoccupata.
Era certa che si sarebbe sistemato tutto.
Si misero a letto: lui sul divano, mentre lei si mise a letto.
Il ragazzo era molto nervoso e non riuscì a prendere sonno.
‘Se domani devo darmi alla fuga, sarà meglio essere riposati.’ Pensò mestamente rigirandosi sul divano e mettendosi a dormire.
 
 
 
Sora si svegliò la mattina dopo stranamente riposato, nonostante la nottataccia.
In casa non c’era nessuno oltre a lui, Kairi doveva già essere andata a scuola ed aveva lasciato un biglietto.
 
 
“Sora: mio padre non ha ancora risposto al messaggio, sono un po’ preoccupata, ma sono anche certa che tutto si risolverà nel migliore dei modi, rimani in casa mia e non succederà niente, non farti vedere.”
Kairi.
 
 
Così recitava il biglietto.
‘Almeno lei è ottimista.’ Pensò mestamente Sora mentre si sedeva sullo stesso divano sul quale aveva dormito osservando il cielo fuori dalla finestra.
Scuro e nuvoloso, con alcuni sprazzi di luce.
Significava che avrebbe piovuto, probabilmente.
Si mise a fare colazione dato che Kairi aveva detto di fare come a casa sua, ma cercò anche di non rovinare troppo l’ambiente, mantenendo una forte cautela in tutto ciò che faceva.
Nonostante i suoi tentativi di rilassarsi, però continuava ad avere una strana sensazione.
Era qualcosa di pungente: come un chiodo che non si liberava mai.
La sensazione no svanì, ma aumentò con il passare del tempo.
Dopo un po’ Sora capì che qualcosa stava allertando i suoi poteri.
‘C’è qualcosa di strano qui.’ Si disse guardandosi intorno.
Si sedette per terra a gambe incrociate ed iniziò a fare ciò che faceva quando voleva sollevare un oggetto: si concentrò.
Se aveva capito bene dalle poche notizie che aveva, era lo stesso principio che serviva per percepire i pensieri delle menti altrui.
Entrare nella mente era molto più difficile: scandagliare i ricordi non era facile come percepire i pensieri temporanei di una persona.
Tuttavia, nonostante la sua esperienza riuscì a sentire qualcosa.
Era come percepire una grande quantità di suoni tutti simili, ma dentro ad essi c’era una stonatura: qualcuno con sentimenti negativi, minacciosi.
Sora tornò in se capendo che non solo lui, ma anche Kairi era in pericolo.
Doveva sbrigarsi.
Afferrò lo zaino che, fortunatamente, non si era disturbato a disfare e si incamminò verso la porta.
Solo allora sentì uno strano rumore: troppi passi fuori.
Si stavano ammassando fuori e lui non aveva via di fuga.
Doveva prepararsi, avrebbero fatto irruzione a momenti e lui aveva come vantaggio il fatto che loro non si aspettavano una resistenza accanita.
Si spostò subito in cucina.
Appena in tempo dato che la porta fu sfondata da un’esplosione e cinque uomini armati entrarono.
Sora sollevò con la mente alcuni coltelli da cucina e li lanciò nella stanza adiacente contro quegli strani individui.
Uno di loro fu colpito in pieno petto.
Il sangue schizzò sul pavimento mentre l’uomo si contorceva negli ultimi spasmi di dolore, mentre i suoi compagni facevano fuoco verso il punto da cui erano arrivati i coltelli.
Sora dovette rotolare via da quella pioggia di proiettili mentre una voce gridava: “No! Prendetelo vivo!!!”
Il ragazzo si disse che affrontarli direttamente non era stata una buona idea affrontarli, ma l’unica via di fuga era bloccata da quegli uomini.
La cucina, però non era collegata ad altre stanze: d’altra parte era un appartamento con salotto cucina e camera da letto, non c’era molto spazio per fuggire.
L’unica era la finestra, ma si trovava a due piani di altezza, si sarebbe schiantato a terra.
“Fermo!!!” Urlò un soldato puntando il mitra affacciandosi oltre lo stipite della porta della cucina.
Sora sollevò un piatto e lo lanciò contro di lui costringendolo a ripararsi.
Un idea l’aveva, ma non sapeva se i suoi poteri fossero già così sviluppati da tenerlo in aria o rallentarne la caduta.
Ruppe la finestra con una gomitata, lanciò i vetri rotti contro i suoi inseguitori e si gettò in oltre il bordo da sei metri di altezza.
L’aria si compresse tra lui ed il terreno dandogli l’impressione di essere colpito da centinaia piccoli aghi ghiacciati.
Sapeva che aveva poche decine di secondi per usare i suoi poteri.
La caduta rallentò, ma non abbastanza, dato che sbatté a terra con violenza inaudita, fortunatamente senza gravi danni.
Era caduto in un vicolo laterale e vicino a lui c’era un cassonetto della spazzatura.
Nonostante il dolore si mise subito a camminare tenendosi il fianco, ma subito alcuni uomini armati sbucarono dalla strada.
‘Dannazione!’ Pensò Sora lanciando un onda d’urto costringendo i nemici a ripararsi usando cassonetti e muri come ripari e si mise a correre in un altro vicolo laterale.
Continuò a correre cambiando strada ad ogni incrocio, e, dopo un paio di svolte, riuscì a tornare sulla strada principale ad più o meno duecento metri dall’edificio che ospitava l’appartamento di Kairi.
La struttura era circondata da uomini armati e la strada bloccata da alcuni veicoli che sembravano dei furgoni corazzati neri.
Intorno si era radunata una folla di curiosi tenuti a distanza da un cordone di vigilanti.
“Sora, vieni!” Urlò una voce dietro di lui.
“Kairi! Cosa ci fai qui?” Chiese il ragazzo raggiungendola a corsa.
“La mia scuola era circondata da vigilanti. Ho capito che mi stavano cercando così sono scappata prima che mi intercettassero.”Spiegò lei trascinandolo in un altro vicolo.
“Cosa facciamo ora?” Chiese Sora mentre si voltava verso la strada principale per assicurarsi che non arrivasse nessuno.
“Dobbiamo trovare mia sorella e mio padre, dobbiamo raggiungere la parte centrale della città.” Rispose
 
 
 
 
 
 

 
 
 
Salve, sì sono sempre io AxXx, pronto a rompere i maroni a tutti.
Comunque anche questo capitolo è meno attivo di quanto avrei voluto e continuo a pensare che manchi qualcosa, ma comunque lo posto.
Spero che chi segue recensisca.
AxXx  

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Capitolo 4
*** Riku ***


 
                               Riku.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Naminé scese dall’autobus tre fermate prima del previsto.
Su tutti i canali erano apparse foto di lei, sua sorella e suo padre ed avvertivano di contattare immediatamente le autorità, se mai le vedessero.
Non osò rimanere di più in quel luogo chiuso.
Alla prima fermata uscì dal veicolo.
Non conosceva il quartiere in cui si era fermata: era una zona che non conosceva.
Avrebbe voluto cercare sua sorella, ma non sapeva dove andare.
La città era molto grande e tutti gli edifici erano uguali.
Fuori dal suo percorso abituale, si sentiva spaesata e persa.
A ciò si aggiungeva la paura di essere vista e scoperta: non voleva pensarci.
Ogni volta che urtava qualcuno, si stringeva nelle spalle, maledicendo di non avere un cappuccio e si allontanava con un veloce: “Scusi.”
Gli edifici bianchi sembravano sagome minacciose, legioni intere di palazzi bianchi che si estendevano all’infinito.
L’ansia divenne via, via sempre più opprimente.
Ad un certo punto dovette attraversare la strada e quello fu un errore.
Mentre attraversava un vigilante la scorse, o per lo meno, fu quello che capì lei quando incrociò il suo sguardo.
Naminé affrettò il passo, pregando che non l’avesse riconosciuta, ma fu subito smentita quando una inclinando la testa di lato riconobbe l’inconfondibile uniforme bianca dei vigilanti.
Stava comunicando qualcosa ad un apparecchio sulla sua spalla.
La ragazza si mise a correre tra la folla, cercando di mettere distanza tra lei e l’uomo, ma quello, accortosi dell’improvvisa fuga, la inseguì.
Sul marciapiede le persone si voltavano quando quella ragazzina le urtava, il vigilante urlava delle cose alle persone, ma quelle non reagivano abbastanza in fretta dando il tempo a Naminé di fuggire.
Lei, però, non era allenata come il suo inseguitore, le gambe cominciarono a farle male dopo poche centinaia di metri e la sua resistenza, già limitata di suo, era compromessa dal forte stress avuto in precedenza.
L’inseguimento durò pochissimi secondi, forse non più di un minuto, ma subito lei si fermò un attimo per riprendere fiato mentre i passi alle sue spalle si facevano sempre più vicini.
“Fermatela!” Gridò l’uomo alzando una specie di manganello che emanava un alone azzurrino elettrico.
Naminé si mise di nuovo a correre imboccando un vicolo laterale.
Girò l’angolo e si trovò in un vicolo cieco.
‘No! E adesso!?’ Si chiese disperata, mentre si guardava freneticamente intorno alla ricerca di una via di fuga, ma l’unica scala antincendio era sollevata.
“Stai ferma lì!” Le intimò una voce alle sue spalle.
Lei non osò muoversi.
‘È finita, chissà cosa mi faranno?’ Si chiese in preda allo sconforto.
In quell’istante un rumore attirò la sua attenzione, come di un corpo che cadeva a terra, ma non volle muoversi.
Dopo pochi secondi un paio di robuste braccia la avvolsero in un caldo abbraccio.
“Meno male che ti ho trovato in tempo, Nam!” Disse una voce familiare che le dette i brividi.
“Riku!” Disse sollevata, mentre rispondeva all’abbraccio con trasporto.
Il vigilante giaceva svenuto a terra pochi a pochi passi da loro.
La tensione che permeava il suo corpo si sciolse tutto di un colpo e le sue gambe crollarono, mentre alcune lacrime di gioia e paura iniziarono a rigarla il volto.
“Ehi, calma, tirati su, che dobbiamo andarcene!” La esortò dolcemente l’argenteo tirandola su.
“Ehi! Piccioncini! Vi sembra il momento? Avanti venite che dobbiamo andarcene!” Li chiamò la ragazza di nome Faith che abbassò la scala antincendio.
Riku la condusse, tenendola per mano, fino alla scala e salì per primo subito seguito da lei che, con un po’ di fatica arrivò alla terrazza di ferro.
“Forza, dobbiamo arrivare in cima!” Disse la mora continuando ad arrampicarsi energica.
Se lei e il ragazzo erano ben allenati ed abituati ad affrontare quelle salite, Naminé dovette sforzarsi parecchio per raggiungere la cima dell’edificio.
“Avranno già trovato il loro compagno, dobbiamo sbrigarici!” Disse Riku mentre sotto di loro, a conferma delle sue parole, si radunavano altri vigilanti.
Il gruppo superò una serie di impalcature improvvisate raggiungendo il tetto di un edificio vicino.
“Come sapevi che ero nei guai?” Chiese Naminé mentre correvano.
“me l’ha detto Faith, l’ha saputo dopo che te n’eri andata, ma non è riuscita a raggiungerti, così poco dopo che sono tornato, ci siamo messi a cercarti. È una fortuna che tu sia riuscita a fuggire.” Rispose l’argenteo.
Faith saltò con un'unica mossa un vicolo largo quattro metri e allungò una specie di instabile ponticello di ferro per permettere ai due di attraversare.
“Bene, ora raggiungiamo la strada, presto!” li esortò la ragazza mentre scendeva usando la scala antincendio del secondo edificio.
La corsa verso il basso fu rapida della salita, dato che bastava scivolare lungo il ferro scivoloso che componeva la rampa.
Al pian terreno entrarono nel vicolo, per poi uscire di nuovo sul marciapiede.
“Ecco Celes!” Disse Riku indicando una ragazza dai capelli biondi con la maglietta rossa ed i pantaloni bianchi appoggiata ad una macchina simile ad una jeep coperta.
I tre la raggiunsero.
La ragazza, raggiunta dal gruppo, salì sul veicolo, seguita dagli altri e facendola partire.
“Dove andiamo?” Chiese Naminé mentre notava che le strade venivano bloccate dai vigilanti.
“Andiamo alla base dei Runner, nei bassifondi, un altro gruppo si sta occupando di tua sorella e del suo amico.” Spiegò Riku mentre si alzava il lato destro dei pantaloni.
Solo in quel momento Naminé si accorse della ferita che aveva il giovane.
Sembrava uno sparo.
“Che ti sei fatto?” Chiese la ragazza distogliendo lo sguardo incapace di osservare mentre lui si cambiava la fasciatura.
“Diciamo che l’ultimo incarico era parecchio importante per chi ci aveva chiesto di farlo, tento che i vigilanti ci hanno sparato a vista.” Spiegò lui mentre il sangue tornava a scorrergli lento, ma inesorabile, lungo la gamba.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sora e Kairi capirono subito che l’autobus non era un luogo sicuro dove nascondersi.
Tutti gli schermi, compresi quelli pubblici, trasmettevano soventemente la loro immagine bollandoli come ricercati.
“Cosa facciamo?” Chiese Sora dopo diversi minuti di fuga.
Si erano rifugiati in un vicolo sul retro di un ristorante per sfuggire ad una pattuglia di vigilanti che stava setacciando quella zona della città.
“Dobbiamo raggiungere mio padre, lui potrebbe avere una spiegazione su tutto questo, non posso credere che ci stiano cercando solo perché sei uno Psionico, dev’esserci dell’altro.”
Senza dire una parola si incamminarono, ma si resero subito conto che non ce l’avrebbero mai fatta senza un veicolo.
La città era immensa e per girarla a piedi ci volevano almeno due giorni, senza contare i controlli al limitare di ogni quartiere.
Dovevano anche stare attenti, perché ogni passo era pericoloso, rischiavano di essere scoperti.
C’erano un sacco di pattuglie e tutti gli schermi pubblici mostravano l’immagine di loro due e di una ragazza bionda, la sorella di Kairi, ricordando che erano criminali pericolosi mettendo l’accento sul fatto che Sora fosse anche uno psionico.
‘Dobbiamo uscire da questa situazione... Potrei consegnarmi...’ Pensò Sora cercando un modo per far cessare quell’assurda caccia all’uomo.
Attraversarono tutto il quartiere a piedi, camminando a testa bassa tra la folla, cercando di attirare meno attenzione possibile, mentre le macchine sfrecciavano sulla strada.
Al tramonto, quando il cielo si tinse di rosso, raggiunsero una specie di enorme piazza.
Era uno spazio completamente circolare dove c’era la porta che separava il loro quartiere dal quartiere lavorativo, dove avrebbero dovuto trovare il padre di Kairi.
Il muro era di pietre, molto spesso ed alto almeno dieci metri con le pareti lisce, impossibili da superare.
L’unica porta era presidiata da dieci vigilanti.
Attaccato alla porta della mura, inoltre, c’era un enorme edificio alto tre piani, totalmente piatto e senza aperture, tranne una porta di metallo blindata, probabilmente una caserma.
“Non possiamo passare di qui.” Disse Kairi mentre si affrettavano ad entrare in un vicolo per non essere visti.
Il viottolo si  districava tra gli edifici più vicini alle mura.
Erano stranamente malmessi rispetto a quelli nella parte più centrale del quartiere.
“Forse potremmo riuscire a scalare le mura...” Disse Sora osservando una parte di esse che sembrava un po’ più crollata.
Stavano per raggiungerle, quando un individuo afferrò Kairi per il giacchetto.
Sora si voltò, ma qualcuno afferrò anche lui, mentre altri due uomini si avvicinarono.
Erano tutti e quattro di corporatura robusta ed indossavano ei vestiti consunti.
Uno di loro aveva una folta barba nera incolta, mentre quello che teneva il ragazzo era completamente calvo.
“Bene, bene, cosa abbiamo qui?” Chiese uno dei due uomini sopraggiunti osservandoli con sguardo avido. “Cosa ci fanno un paio di ragazzini ben vestiti come voi, qui ai margini del quartiere?”
I due non risposero ed abbassarono la testa, sperando di non essere riconosciuti.
“Abbiamo perso la lingua, vedo, bene, Joshua, Malek, perquisiteli e cercate qualcosa di utile, voi due fate i bravi e, forse non vi succederà niente.” Li minacciò il loro capo facendo un cenno ai due che li tenevano, mentre impugnava una pistola.
Sora rimase zitto evitando di attirare l’attenzione, sapendo che avrebbero potuto riconoscerlo e lascio che gli controllassero le tasche.
Passarono pochi interminabili minuti, durante i quali i due cercarono di mantenere la calma.
“Capo, questi qui non hanno niente!” Disse il ragazzo che teneva Sora.
“Ma qualcosa hanno...” Disse allusivo quest’ultimo osservando Kairi con uno sguardo che non prometteva niente di buono.
“Facciamo un patto.” Disse rivolgendosi a Sora con un sorriso di scherno. “Tu ci... presti la tua ragazza. Quando abbiamo finito ve ne andate.”
“Non ci provare nemmeno!” Urlò Sora alzando la testa infuriato c ercando di divincolarsi.
Non avrebbe mai permesso a quei bastardi di toccare Kairi.
Lei intanto  cominciò a divincolarsi urlando, cercando di non farsi toccare.
In quell’istante quello che accompagnava il capo si sporse verso di lui.
“Ma tu sei quello che stanno cercando!” Urlò improvvisamente spaventato.
Fu un attimo.
Sora evocò il potere della sua mente e sprigionò un onda d’urto che travolse tutti i presenti.
Sora fu spossato da quel semplice utilizzo di poteri, ma ne ebbe abbastanza forza da attirare la pistola verso di se.
La afferrò e la puntò contro il capo della banda, mentre si avvicinava a Kairi per vedere come stava.
“Vattene!” Intimò all’uomo che aveva alzato le mani.
Quello si voltò subito seguito dai suoi compari, fuggendo in un altro vicolo laterale.
Avanti, Ka, dobbiamo andarcene.” La esortò il ragazzo, tirandola su.
Lei ansimò un attimo, poi lo guardò e lo abbracciò
“Grazie, non voglio pensare a cosa mi avrebbero fatto.” Disse con voce rotta stringendolo.
“Ho avuto paura anche io per te, ma dobbiamo andarcene, quelli avvertiranno sicuramente i vigilanti, dobbiamo muoverci!” Disse il ragazzo staccandola gentilmente dalla sua vita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I vetri della jeep erano oscurati, quindi Naminé poté vedere il posto dove si trovavano solo quando uscirono.
Era il luogo più in rovina che avesse mai visto.
I suoi compagni le avevano detto che sarebbero andati nella parte più povera della città, ma quello era il posto più desolato che ci si potesse immaginare.
‘Com’è possibile che a così pochi passi da una città sfarzosa e ricca come la nostra, ci sia un luogo così povero e desolato.’ Pensò osservando il paesaggio circostante.
Era una grande città in rovina.
Palazzoni grigi sovrastavano la zona dall’alto dei loro cinquanta metri di altezze e anche oltre.
Il grosso della gente viveva sopra di essi in quelli che un tempo erano uffici dei più sfarzosi che si potessero immaginare.
Erano pochi, però a vivere oltre il terzo piano.
La maggior parte viveva al livello della strada ammassandosi in baracche anguste e strette che invadevano una strada già dissestata di suo.
L’unica in condizioni accettabili era la strada principale, unico collegamento tra la città centrale e quella malmessa dove si trovavano loro.
L’odore nauseabondo degli scarichi non riparati si sentiva anche da metri di distanza e la gente, a quel che si poteva capire, viveva probabilmente senza luce.
‘è un incubo: Eden dovrebbe rendere uguali le persone in qualunque situazione, perché lascia questa gente in una misera tanto opprimente?’ Si chiese Naminé.
Si trovavano su quello che un tempo era il tetto di un parcheggio a più piani della città antica.
Era per metà crollato ed era protetto da una specie di rete metallica, che era stata montata sul bordo, mentre dei ponticelli improvvisati, fatti di metallo, collegavano quel palazzo ad altri edifici vicini.
“Che c’è principessina, ti aspettavi strade asfaltate in oro qui nei bassifondi?” Le chiese Celes con tono pungente.
“Smettila, Cel, non mi sembra il caso di infierire così!” La redarguì Riku osservandola con sguardo infuocato, mentre Naminé arrossiva fino alla radice dei capelli sapendo che un po’ la ragazza aveva ragione.
L’argenteo le si avvicinò prendendola per le spalle con gentilezza.
“Non darle ascolto, vieni, il nostro capo vorrebbe parlarti.” Disse piano scrutandola con attenzione accompagnandola ad una roulotte.
In effetti il tetto era una specie di villaggetto di una decina di roulotte messe un po’ a caso che probabilmente erano le case dei jumper e con al centro una più grande.
Quella dove la stava portando Riku.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Allora, ecco l’ennesimo capitolo dove iniziamo a cadere sempre di più nei Bassifondi di queste futuristiche città.
Come potete vedere sono riuscito a descriverle un po’ meglio della parte più ricca (Almeno spero, ecco.)
Comunque so di aver fatto tardi, ma ho dovuto aggiornare un’altra fic, quindi non mi linciate.
Spero che vi piaccia.
Recensite, mi raccomando ;)
AxXx

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