Rêverie

di Jade MacGrath
(/viewuser.php?uid=2723)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** Epilogo -- Parte prima ***
Capitolo 8: *** epilogo -- parte seconda ***
Capitolo 9: *** Epilogo -- terza e ultima parte ***



Capitolo 1
*** 1. ***


New Page

La ragazza col vestito rosso.

No, non quella di Matrix. Gregory House era stato molto fiero di annunciare a Wilson che lui una volta aveva avuto la sua personale ragazza in rosso. Una vera apparizione. Capelli di un luminoso biondo miele, pelle d’alabastro, sottile come un fuscello. Portava dei tacchi a spillo che per molte sarebbero stati importabili ma su cui lei si muoveva con grazia innata, ed era fasciata in un abito rosso fuoco che lasciava ben poco all’immaginazione. Non aveva nessun gioiello a parte un braccialetto d’argento.

Wilson a quel punto aveva preso un’aria offesa, e aveva detto che se se House voleva farsi perdonare doveva dargli subito il numero di quell’accompagnatrice.

“Dolente di deluderti, Jimmy” aveva risposto con un sogghigno House “La signorina in questione non è un’accompagnatrice.”

Wilson insisteva sul contrario. Non c’era nessuna possibilità che una ragazza del genere si fosse consapevolmente accompagnata ad House, a meno che non fosse una del mestiere, e pure una di quelle care. House però non raccontava mai tutta la storia. Preferiva che tutti immaginassero quella splendida creatura con il suo vestito, i tacchi a spillo e un sorriso seducente sulle labbra, e morissero d’invidia… o gli dessero del bugiardo, cosa che quando aveva ragione lo divertiva particolarmente. Non diceva mai che quando aveva visto quella ragazza, aveva gli occhi colmi di lacrime e un’espressione di enorme e profondo dolore sul viso.

E soprattutto che lui in quel momento stava avendo un arresto cardiaco a causa delle tossine liberate nel sangue dai tessuti morti nella sua gamba.

Pur non essendo credente, quando l’aveva vista sulla soglia della sua stanza, con una mano portata alla gola, aveva pensato che gli angeli esistevano davvero. Poi analizzando la cosa, aveva concluso che nemmeno l’angelo della morte avrebbe potuto andare in giro abbigliato a quella maniera.

Forse un emissario di Satana… ma l’espressione addolorata non collimava. House decise di smettere di pensarci, bollando la cosa come un’allucinazione, e di attenersi alla prima parte della sua storia.

Questo fino a qualche giorno dopo lo sparo. Si era di nuovo trovato in un letto d’ospedale, di nuovo era stato vicino a restarci, ma questa volta era da solo. Questo rafforzò l’idea dell’allucinazione casuale. Quasi rise di sé stesso per aver addirittura pensato che gli angeli esistessero.

Il sorriso gli morì sulle labbra quando, appena alzato lo sguardo dal suo Gameboy, la ragazza in rosso – stessa donna, stesso vestito, stesso tutto – passò nel corridoio di fronte al suo ufficio. Non aveva per niente un’aria triste… anzi, gli sorrise radiosa e passò oltre. House rimase in shock per qualche instante, poi cercando di correre più velocemente che poteva andò nel corridoio e intravista un poco avanti a lui cercò di aumentare il passo.  La ragazza girò l’angolo… e scomparve.

House si guardò intorno. Niente, nessuna traccia. Anzi, quando si voltò si trovò davanti una vecchietta sdentata e con una brutta eruzione cutanea che gli sorrise ammaliante. Convincere i muscoli facciali a contrarsi e non in un’espressione completamente disgustata fu in quell’occasione veramente molto difficile.

La rivide di nuovo il giorno seguente, più volte nell’arco della giornata, e ogni momento più a lungo.

Si disse di nuovo che era un’allucinazione. Che altro poteva essere? Le cause poi potevano essere molteplici: qualcuno poteva avergli sciolto dell’acido lisergico nel caffè, per esempio. Avrebbe bastonato Foreman per quello, lui e i suoi amichetti del ghetto. Oppure era stanco. Poteva sempre essere. O poteva essere la ketamina che gli faceva qualche scherzetto, non era certo acqua, ma neanche il suo vecchio compagno Vicodin lo era.

No, meglio la prima versione. Qualsiasi scusa gli permettesse di tormentare Foreman era cosa buona, giusta e legittima.

 

Ma Foreman ovviamente non ne sapeva niente (“Con tutte le persone che ti odiano e ti vorrebbero morto vieni proprio ad accusare me?”), né Chase (“Sei sicuro di non aver esagerato con il dosaggio dei farmaci? Sai, con i tuoi precedenti…”), e tantomeno Cameron, la quale non disse niente ma esaminò per un attimo la possibilità di fargli quello scherzetto e poi fargli la paternale che lui aveva fatto a lei quell’unica volta che si era fatta di anfetamine. Poi si ricordò di essere geneticamente incapace di fare qualcosa anche solo di vagamente trasgressivo e di farla franca con House nei paraggi. (Tutti però si domandarono per tutto il pomeriggio per che cosa fosse quel sorrisetto che Cameron avesse sulle labbra. Vista l’incapacità materiale, almeno la fantasia…)

Provò a far cadere in trappola Wilson, visto che lo sapeva in grado di rispondere ai suoi scherzi idioti colpo su colpo. E aveva osato segare il suo bastone, cosa che tutti prima o poi avevano sognato di fare. No, Wilson non aveva LSD, ma se voleva poteva offrirgli una canna, visto che il suo paziente col glaucoma era tornato per un controllo.

Non potendo rifiutare un così cortese invito, ne prese due progettando di fumarsene una sul balcone e una a casa.

Poi vide la ragazza in rosso, seduta sulla sua scrivania con le gambe accavallate, e d’un tratto gli passò la voglia.

Ad essere precisi, più che la ragazza House guardò le sue lunghe gambe. E gli immancabili stiletti rosso fuoco, in abbinamento col vestito.

“Non che mi dispiaccia, ma ad ogni modo io sono un po’ più in alto.”

Questo bastò a far scattare gli occhi del dottore dalle gambe al viso della donna. Era la prima volta che la sentiva parlare.

“Se vuoi che qualcuno ti guardi in faccia, allora evita di andare in giro con quel vestito.”

“Sfortunatamente, il mio abbigliamento non è un’opzione che puoi discutere” sorrise la ragazza, dondolando leggermente il piede che non toccava il suolo. “In compenso, possiamo discutere di molte altre cose.”

“Compenso, hai detto? Beh, in tal caso il tuo abbigliamento è perfetto. E quanto prendi a notte?”

La ragazza si limitò a inclinare la testa e a sorridere di nuovo “Hai visite, Gregory.”

House si girò verso la porta, e vide Wilson venire verso di lui.

“L’offerta era per una. Ti ricordo che al mio paziente quella roba serve!”

“Non ti facevo così accanito sostenitore delle terapie alternative. Le provi le cose che prescrivi?”

Wilson scosse la testa in esasperazione, e tese la mano.

“Ah, e a proposito di esperienze, di lei che ne dici?”

Wilson lo fissò confuso “Di chi?”

“Capisco che quelle gambe possano distrarre, ma…”

House fissò la scrivania. Eccetto le sue carte e l’I-Pod, sopra non c’era nessuno.

“Era lì… appena cinque secondi prima che arrivassi tu… anzi, me lo ha fatto notare proprio lei…”

Wilson fissò l’amico con un sopracciglio alzato, e decise di andarsene. Non poteva esigere la restituzione di una canna che si era evidentemente già fumato.

House ritornò lentamente verso la scrivania e si sedette. Afferrò la sua tazza, fissandola con aria perplessa. Nel dubbio, buttò il caffè nel lavandino.

Stava iniziando a pensare che forse, nel suo stato, fumarsi quelle canne o farsi un goccio non fosse una buona idea.

Quando, una volta a casa, vide la ragazza vicino al suo pianoforte, decise che l’idea era davvero, davvero pessima. E decise anche che da quel momento in poi avrebbe ignorato la ragazza.

“Gregory, non è affatto carino quello che stai facendo.”

House continuò a ignorarla. Si mise sul divano, e iniziò a guardare una replica di General Hospital. Pur cercando di non farci caso, sentì distintamente il rumore dei tacchi a spillo muoversi sul pavimento di legno. Con la coda dell’occhio vide le mani della ragazza alla sua destra e alla sua sinistra, appoggiate allo schienale del divano.

“Non durerà” disse rivolgendosi alla coppia dello schermo “Lui è gay e lei è aliena.”

House si girò a guardarla, piuttosto seccato. La ragazza sorrise soddisfatta.

“Finalmente! La mamma non ti ha insegnato che non è carino ignorare le persone quando ti parlano?”

“Tranne quando dicono assurdità o mentono, ovvero la maggior parte delle volte. Ma non è questo il punto… tu non sei una persona. Non esisti.”

“Lo pensi davvero?” disse lei, mettendosi davanti all’uomo e nascondendo il televisore.

“Sì, davvero” disse lui, cercando di allungarsi per vedere la sua soap.

“Mi ci hai costretto tu, ricordatelo.”

“Costretto a c…?” mormorò distrattamente House, prima di spalancare gli occhi per la sorpresa.

La sua allucinazione lo stava baciando. E lo stava facendo piuttosto bene, a dirla tutta. Meglio di un’accompagnatrice, e diecimila volte meglio di Stacy, che quando lo faceva ci metteva la verve di un bradipo.

Non sapeva quando, ma le sue braccia si erano avvolte intorno alla ragazza, ora seduta sulle sue ginocchia. D’improvviso com’era iniziato, il bacio s’interruppe e lei fissò House negli occhi da molto vicino, poi chinandosi verso il suo orecchio destro.

“Ti sembro ancora un’allucinazione?” sussurrò.

House era troppo sconvolto per rispondere. La ragazza guardò la sua espressione divertita, e si alzò in piedi. Spense il televisore, e si sedette nella poltrona messa opposta al divano.

“Il mio nome è Numero Sei. Puoi chiamarmi Six.”

“Che razza di nome è Six?”

“E che razza di nome è Gregory? Ma neanche questa è una materia su cui discuteremo. Ne abbiamo molte altre, e tutte più interessanti.”

House si allungò a prendere il bicchiere e la bottiglia di whisky che stavano sul tavolino vicino al divano, e se ne versò una dose più che generosa.

“Non mi farà sparire.”

“Se devo parlare con un’allucinazione…”

“Non sono un’allucinazione” lo corresse Six.

“…o quel che è… credo che la mente non lucida sia una condizione fondamentale.”

Six lo guardò mandare giù il bicchiere colmo fino all’orlo in un colpo solo. Lo osservò strizzare gli occhi, probabilmente pregando di vedere solo una poltrona vuota quando li avrebbe riaperti. Cercò di non ridere, quando vide la sua faccia dopo aver riaperto gli occhi.

“Io ti avevo avvisato.”

House si passò una mano sulla faccia. Assurdo. Era assurdo. Cos’era, l’universo che si prendeva gioco di lui?

Fece quasi per versarsene un altro, ma Six lo interruppe, con un tono freddo che non le aveva mai sentito.

“Smettila di comportarti come un idiota” sibilò. “Io non sparirò solo perché lo vuoi tu. Sono qui per un motivo, e non me ne andrò prima di aver raggiunto il mio obiettivo.”

“E sarebbe?”

“Farti capire che stai vivendo una menzogna. Che niente di quanto vedi, o percepisci, è reale. Eccetto me.”

Al che, House le rise in faccia.

Six, riprese lo sguardo gelido di poco prima e si alzò dalla poltrona.

“Posso aiutarti e lo farò. Scegli tu come… ma ti avviso, mi stai facendo innervosire. E non è una buona cosa.”

 “Perché, sei un’allucinazione che soffre di pressione alta?”

Six strinse gli occhi e si diresse verso la porta “Non mi vuoi prendere sul serio? Benissimo. Te ne farò pentire amaramente.”

 

House passò i due giorni seguenti da solo. Sembrava che qualsiasi fenomeno avesse dato vita a Six, fosse sparito com’era iniziato. Commise l’errore di pensare che fosse finita.

Aprì la porta della sala visite Uno, e si trovò davanti Six, con un camice ospedaliero, seduta sul lettino.

“Alla buon’ora” sbottò. “Lo sa che la sto aspettando da un’ora?”

House ridacchiò “Ma guarda chi si rivede. Six. Avessi saputo che eri tu, non sarei nemmeno venuto!”

La donna lo guardò con aria perplessa “Six? Io mi chiamo Natasha!”

“Sì, certo… e di cosa avresti bisogno, Natasha?”

“Di un controllo medico per un nuovo lavoro” borbottò, contrariata dai modi scortesi del medico.

“Ovvero andrai a scocciare qualcun altro? Allora sarò felicissimo di fartelo!”

Passarono cinque minuti, dopo i quali quella donna uscì dalla sala visite e dall’ospedale.

Il mattino seguente, quando si presentò al lavoro, venne convocato d’urgenza da Cuddy. Nell’ufficio, oltre a lei, House trovò anche l’avvocato dell’ospedale.

“Io non c’ero e se c’ero dormivo” disse sedendosi.

Nessuno cambiò espressione, nemmeno Cuddy per fare una delle sue solite facce scocciate.

“Conosci una donna di nome Natasha Helfer?”

“Mai sentita prima. Abbiamo finito?”

“La signorina Helfer è venuta qui per un controllo di routine ieri. Appena uscita d qui, ha sporto denuncia contro di lei” disse l’avvocato.

“Continuo a non sapere chi sia…”

“House, quella donna ti ha accusato di molestie. Ed è stata molto precisa.”

“ E molto fantasiosa. Non so chi lei sia!”

Cuddy a quel punto tirò fuori da un fascicolo una fotografia, e la spinse sul tavolo verso di House.

“Questa è Natasha Helfer.”

House si trovò a fissare il volto angelico di Six.

“Me la ricordo, ora” sussurrò. “Ma non è successo niente. Cinque minuti ed ero fuori. Questa è pazza!”

“È la tua linea difensiva? ‘Questa è pazza?’” domandò Cuddy.

“Dottor House, per una volta, prenda la cosa sul serio. Questa denuncia può finire in tribunale.”

“Io non ho fatto niente!”

“Lo so! Puoi averla maltrattata e lei ha deciso di vendicarsi, ma va dimostrato. E al momento, c’è solo la tua parola contro la sua. E una diffida ad avvicinarla.”

“Di norma è lei che viene da me, però…” borbottò sottovoce.

Dopo aver appurato che Cuddy gli credeva e forse anche il suo cane da guardia di Yale, House se ne tornò al suo ufficio. Ma essendo il Princeton Plainsboro Teaching Hospital il covo di portinaie che era, per tutta la strada su accompagnato da un seguito di bisbigli e occhiate.

Beh, forse la voce non era ancora giunta al suo ufficio.

Sbagliava. Di nuovo.

Subito Cameron gli fu vicino, chiedendogli come si sentiva con aria apprensiva. Foreman lo guardava con aria di disapprovazione scuotendo la testa e Chase faceva semplicemente atto di presenza. Schivò Cameron che cercava di mettergli una mano sulla spalla e fulminò con lo sguardo Foreman, che come sempre era pronto a pensar male. Prese la sua palla da baseball gigante , e dopo un paio di lanci contro la parete la lanciò contro la testa di Chase, per vedere se era con loro.

“Ahia!”

Bene, era con loro.

“Non vi devo spiegazioni, ma ovviamente le voci sono false. Ovviamente.”

“Ma certo che sono false!” disse Cameron. “Non è la prima volta che una paziente si inventa certe accuse!”

“Però uno si domanda… Cristo, ma quanto male l’hai trattata per farla reagire così?”

“Ad averlo saputo, avrei fatto di peggio. Ma credevo che fosse…”

“Che fosse… cosa?” fece Cameron.

“Niente” minimizzò House. Spiegare che l’aveva trattata male perché pensava che fosse l’allucinazione che gli dava il tormento suonava nell’ordine stupido, incredibile e completamente folle perfino a lui. No, allucinazione no, pensò sarcasticamente, a Six non piace quando le do dell’allucinazione…

 

Ah, ma se credeva che sarebbe riuscita a fregarlo, quella biondina aveva proprio capito male.

E si riferiva sia a Six che Natasha.

 

***

 

Avrebbe ripensato alla sua dichiarazione d’intenti riguardo Six e la signorina Helfer. Oh, se l’avrebbe fatto.

Solo che al momento, quando uscì dall’ospedale e la vide lì, vestita in bianco angelico, che parlava con quello che sicuramente era il suo avvocato, semplicemente gli andò il sangue alla testa. Appena fu sola, andò da lei il più velocemente possibile (e ogni passo sempre più felice di aver avuto l’idea della ketamina), deciso a chiudere la faccenda.

“Ti hanno già dato l’Oscar?”

Natasha incrociò le braccia e lo guardò con aria truce “C’è una diffida emessa a suo nome, dottor House. Posso farla finire in galera.”

“Mettiti in fila, bellezza. E soprattutto, inizia a dire la verità.”

“O cosa? Lei ha una reputazione, dottor House… reputazione che non depone a suo favore, ma che di sicuro depone al mio.”

House l’afferrò per un braccio “Non provocarmi, non ti conviene.”

Poi sentì gridare verso di lui “Lasci immediatamente la mia cliente! Ho già chiamato la polizia… ha commesso un errore stupido, dottor House.”

Natasha si liberò dalla stretta del medico, fingendo che tale stretta fosse dolorosa, e interpretò di nuovo la vittima, cosa che le riusciva particolarmente. Quando gli agenti arrivarono, qualche minuto più tardi, non ascoltarono nemmeno quello che House aveva da dire. Lo ammanettarono, lo infilarono in macchina, e House per tutto il tempo continuò a urlare che non centrava, che avrebbero dovuto arrestare quella maledetta bugiarda che al momento stava singhiozzando sulla spalla del suo avvocato… alzando la testa giusto un secondo, per lanciargli un sorrisetto cattivo, e poi ricominciando.

Seduto in una cella, ancora incredulo che fosse realmente capitato a lui, House ripensò al momento in cui si era ripromesso che non si sarebbe fatto fregare.

Scosse la testa, e si diede dell’idiota integrale per essere caduto come una pera nella trappola lampante che Natasha gli aveva teso.

“Ti avevo detto di non farmi innervosire, Gregory.”

House alzò di scatto la testa. Davanti a lui, dall’altro lato delle sbarre, c’era Six.

“Non parlo se in presenza del mio avvocato.”

“Sarebbe saggio. Ma non sono Natasha.”

“Ah no?”

“Dillo.”

“Dire cosa?”

“Tu sai cosa.”

House si alzò dalla panca, e zoppicò fino a quando non fu esattamente davanti a Six.

“Dovrai fare di meglio.”

Six sorrise, poi con un gesto fulmineo fece scattare la sua mano attraverso le sbarre fino ad afferrare il suo collo, e la ritirò fino a far cozzare la testa dell’uomo contro il metallo.

“Vuoi che trovino prove? Posso farlo” gli sussurrò gelida. “Posso farti finire in galera. Posso renderti la vita un inferno. E lo farò, solo perché posso farlo. Dillo!”

Six strinse la mano, e House iniziò a trovare difficile respirare.

“Dillo!”

“Io…” boccheggiò “Io… sbagliavo… T-Tu sei… sei reale.”

Six lasciò andare di scatto la presa e si allontanò di qualche passo, soddisfatta. House si portò una mano alla gola, massaggiando la parte dove Six l’aveva afferrato, e la fissò quasi con odio. Dal minuto secondo in cui quella ‘donna’ era entrata nella sua vita, tutto aveva iniziato ad andare a rotoli…  

In quel momento si sentì una serratura scattare, e due agenti fecero la sua comparsa. Nessuno notò Six, che si era appoggiata alla parete, segno che era visibile solo a lui.

“Le accuse sono cadute, dottor House. Una cosa da non credere… la donna che l’accusava è saltata fuori essere una paziente scappata da un ospedale psichiatrico nello stato di New York. L’hanno rintracciata appena visti i movimenti sul conto corrente… dio benedica l’avidità degli avvocati.”

“Visto?” trillò Six. “Tutto a posto. Sei libero!”

“Sono libero?” ripeté House, ma rivolto agli agenti.

“Ma certo, dottore. È libero di andare. Ha bisogno di qualcuno che la riporti a casa?”

“No… “ rispose House, declinando l’offerta. Riavuto il cellulare, chiamò Wilson, e mentre l’amico sparava domande a mitraglia (e dopo aver saputo il fato della sua moto) House staccò l’audio e si addormentò.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. ***


New Page

Con tutto quello che gli era capitato, House avrebbe potuto dormire una settimana intera e anche di più.

Six però, che finalmente era riuscita nell’impresa di convincerlo, non era per niente d’accordo sul prendersela comoda… e se ne rese conto anche il dottore, quando risvegliò di soprassalto perché Six gli aveva urlato a pieni polmoni di svegliarsi all’orecchio destro.

“Così va meglio” disse come se niente fosse.

House ponderò per un istante l’omicidio, ma poi ripensò a come quell’angelo potesse trasformarsi in un demonio su tacchi a spillo, e l’idea gli passò subito.

“Che vuoi alle…” e tese una mano per afferrare la sveglia “…sette del mattino?!”

“Il tuo turno inizia alle otto e mezza.”

“Arrivo a mezzogiorno ogni giorno e non s’è mai lamentato nessuno. Beh, eccetto Cuddy, ma si lamenta sempre di tante cose… come si fa a dar retta a tutto quel che dice?”

“Ricomincio a urlare?” lo minacciò Six, sorridendo innocente.

House alzò gli occhi al cielo “Mi alzo, mi alzo…” bofonchiò. Sparito in bagno, Six ne approfittò per drappeggiarsi di traverso sul letto mezzo disfatto.

“Non capisco come un uomo tanto abile a distinguere menzogne e verità possa credere che una menzogna sia la verità.”

“Ma perché aspettavo che una bionda mozzafiato su tacchi a spillo inguainata in un abito rosso coordinato che vedo solo io venisse a dirmelo. Ovviamente.”

“Ovviamente” mormorò distratta Six, che controllava lo stato della manicure.

“E poi… se questa è una menzogna, come dici tu, perché devo seguire le regole? Potrei andare a rapinare banche, per dirne una, e non farebbe nessuna differenza nel mondo ‘reale’.”

“Tu hai creato questo mondo, tu hai creato le regole che lo regolano. Il mio compito è farti ritornare, non farti perdere nei meandri della tua psiche perché un bel giorno hai deciso di mutare l’ordinamento della tua dimensione.”

“Perché se lo facessi…?”

La stava prendendo in giro. Six scosse la testa e fece un respiro profondo.

“Continueresti a vivere in questa assurda fantasia. C’è un motivo particolare per cui hai scelto di vivere a Caprica quarant’anni nel passato?”

House uscì dal bagno, non rasato e arruffato esattamente com’era prima di entrare.

Caprica? E che diavolo è Caprica?”

Questa volta fu il turno di Six di ridere in faccia ad House. Rise quasi fino alle lacrime, mettendosi a sedere e poi alzando lo sguardo sull’espressione stranita del dottore.

“Non ci credo… il dottor Gregory House, genio della diagnostica, primario di Medicina Diagnostica all’ospedale universitario di Caprica City… non sa cosa sia Caprica! Leoben aveva proprio ragione, aver a che fare con la mente umana è proprio divertente… ma come fate ad andare avanti con quei piccoli cervelli umani che vi ritrovate?”

“Sono contento di farti ridere. Che cos’è Caprica?”

Six fece un respiro profondo per calmarsi, e con tono più serio iniziò a spiegare cosa fosse Caprica, anche se la tentazione di rimettersi a ridere era forte.

“In principio c’era Kobol. Ci sei fin qui? E le Dodici Tribù di Kobol…”

“E i sette nani, e la bella addormentata…”

Six lo ignorò e proseguì “Poi un giorno avete lasciato il pianeta, e da lì siete venuti in questo sistema. Avete trovato dodici pianeti, che sono diventate le Dodici Colonie di Kobol. Caprica è il pianeta più evoluto, sede del governo federale, e Caprica City è la sua capitale.”

“No. Questo” e indicò tutto quello intorno a sé con enfasi “Questo è il pianeta Terra! È la Terra!”

“Sì… c’è questa leggenda su una tredicesima colonia chiamata Terra, ma nessuno l’ha mai trovata… forse neanche esiste.”

“No” disse House scuotendo la testa con veemenza. “No, questo è troppo. Tutto quello che mi hai detto… va bene, vuoi che ti dica che ci credo? D’accordo, ci credo! Ma a questo no! Questo sasso in orbita si chiama Terra, non Caprica!”

Six lo fissò con l’aria a metà tra il divertito e il compassionevole di una maestra che cerca di convincere un alunno testardo che due più due fa quattro e non cinque.

“Allora perché non ti guardi meglio attorno, quando vai al lavoro?”

House la fissò furente “Puoi giurarci che lo farò.”

E lo fece. Da casa sua fino al giardino d’ingresso dell’ospedale, guardò ogni singola indicazione, ogni manifesto, tutto quello che gli capitò a tiro. Ad ogni passo, si sentiva più euforico. Non c’era niente che potesse smentire il fatto che quel pianeta non fosse la Terra, e quella città Trenton, New Jersey.

Diede un’occhiata a destra, e Six era lì, senza la minima preoccupazione su quel viso di bambola.

“Non vedo scritto Caprica o Caprica City da nessuna parte” disse piano per non farsi sentire da altri, ma comunque in tono gongolante.

Six non rispose, e si limitò a indicare l’insegna sopra l’ospedale.

Il sorriso di House svanì lentamente, mentre quello di Six si faceva più grande. Camminò fino ad essergli dietro, e poi cinse le sue spalle in un abbraccio.

“Io leggo ‘Ospedale Universitario di Caprica City.’ Dici che ho le allucinazioni?” domandò poi in tono fintamente preoccupato.

“Tu ti stai divertendo enormemente, non è così?” sibilò House tra i denti.

Six si avvicinò al suo orecchio, sempre sorridendo.

 “Mentirei se dicessi di no…e so quanto odi i bugiardi...” sussurrò.

House si sciolse dall’abbraccio e si girò a guardarla, ma Six era già sparita. In compenso, varie persone lo stavano guardando in modo curioso.

Dopo averli mandati tutti a quel paese, fece la sua entrata in ospedale. Qualcosa gli diceva che Six era già nel suo ufficio ad attenderlo…

“House!” tuonò Cuddy uscendo dal suo ufficio. “Non credere di filartela così!”

Ecco, a quel punto mancava solo lei. House affrettò il passo.

“Ma non è il punto centrale del non avere più un dolore cronico, quello di potermela filare quando mi pare?” replicò House senza fermarsi, quasi correndo verso gli ascensori.

“E non è un punto del tuo contratto quello di dover fare ore di clinica come tutti gli altri medici?”

“Sì, ma non centrale” disse, infilandosi a passo di carica in un ascensore libero e premendo il tasto del suo piano.  “Il punto centrale era la tensione sessuale repressa tra di noi. O era la Diagnostica? La ketamina forse mi ha fritto la memoria a lungo termine, non ricordo…” fece poi fingendo di pensarci intensamente. Mentre le porte si chiudevano, poté vedere Cuddy nella sua migliore espressione di disapprovazione scuotere la testa e andarsene. Ridacchiò, congratulandosi con sé stesso, e andò dai suoi pargoli.

Come aveva previsto, Six era già lì, seduta alla sua scrivania con i piedi sul tavolo appoggiati sopra una pila di cartelle.

“Capisco lei” disse indicando Cameron, seduta davanti al suo portatile “Sull’orlo dell’anoressia ma ha un suo fascino… e anche lui” proseguì, indicando Foreman che si stava versando un caffè “L’unico che ti tiene testa… ma in nome dell’unico vero dio, lui che diavolo ci sta a fare qui?”

Andando per esclusione, l’unico che rimaneva era Chase, intento a fare le parole crociate.

“Sinceramente? Non lo so…” disse a voce normale, dimenticandosi che parlava a qualcuno che non era lì realmente.

D’un tratto si trovò gli sguardi di Cameron, Chase e Foreman puntati addosso.

“Non lo so che vi pago a fare! Non certo per stare qui seduti a fare le parole crociate!” e ordinò al trio di andare in clinica a farsi le sue ore. Scuotendo la testa (Cameron), dandogli del pazzo schiavista (Foreman), o semplicemente guardandolo incredulo ad occhi sbarrati (Chase), i tre assistenti uscirono dalla sala riunioni. Six gli fece un piccolo applauso.

“Bel lavoro. Hai tramutato un errore in una frase di senso compiuto perfettamente in linea col tuo carattere. Bravo.”

“Grazie, faccio del mio meglio” disse House, facendo segno a Six di sloggiare dalla sua sedia. Six per tutta risposta si sistemò ancora meglio, e gli indicò la sedia di fronte alla sua scrivania.

“Esattamente quanto hai intenzione di trattenerti?”

“Gregory, io rimarrò fino a quando tu non deciderai di aprire gli occhi.”

“Per vedere...cosa?”

“Tu sai cosa.”

“Ma dai, così è facile! Non puoi essere un po’ più criptica?”

“Tutto ti sarà più chiaro, ma non è ancora il momento. Devi avere pazienza, Gregory.”

“D’accordo” disse House. “Avrò pazienza. Ma se mi chiami un’altra volta Gregory non rispondo di me.”

“Vedremo, Gregory, vedremo.”

Six a quel punto era certa di aver fatto breccia nella testa di House. Certa che da quel momento in poi lui le avrebbe creduto, e si sarebbe potuto iniziare a lavorare seriamente sul riportarlo alla realtà.

Ma ignorava un dettaglio: House era un manipolatore dannatamente bravo, e a breve se ne sarebbe accorta.

Dopo averlo visto al lavoro ed essersi divertita a tormentarlo e a vederlo tormentare gli altri, lo aveva seguito fino al parcheggio, dove la sua moto era ancora lì ad aspettarlo.

House si mise in sella e si infilò gli occhiali da sole.

“Vai dalla mia parte, baby?” disse nella sua migliore imitazione di un bullo anni Cinquanta.

Six lo guardò con aria annoiata, sollevando un sopracciglio.

“Sei veramente uno spasso, Six, bisogna ammetterlo. Vorrei offrirti un passaggio, ma sai com’è, non ho caschi invisibili o coordinati al tuo vestito.”

“Come se volessi salire con te. Ho cara la mia vita.”

“Mio mondo, mie regole. Non l’hai detto tu?” disse accendendo il motore e balzando in avanti con una forte accelerata. Per quando House fu all’imbocco dell’uscita, Six aveva realizzato cosa House avesse realmente intenzione di fare, e che lei era totalmente impotente.

 

Centoventi. Centotrenta.

House spinse la sua moto ancora più veloce. Amava la sensazione di libertà che la velocità gli faceva provare, quando guidava era felice… era guarito. Stacy non l’aveva mai ferito mortalmente all’anima, la sua gamba era ancora integra, la sua effettiva felicità non dipendeva da un narcotico, da una squillo o dall’alcol.

Centoottanta. Duecento.

Aveva quasi raggiunto il limite di velocità che quella moto poteva reggere, ed era stato fortunato a trovare una strada quasi completamente sgombra fino a quel momento. Non sarebbe mai stato in grado di frenare.

Il semaforo diventò rosso, ma House non frenò.

Un furgone, con il verde, riprese a muoversi, e attraversò l’incrocio.

House vide quel furgone solo quando fu a terra. Aveva solo sentito un impatto fortissimo con il mezzo, e poi l’altro, con l’asfalto. Solo una volta a terra aveva visto che si trattava di un furgone bianco, di una ditta di catering. C’era gente che si affollata intorno a lui, ma non li sentiva.

Sentiva dolore, probabilmente aveva delle ossa rotte nelle gambe e nel costato… forse anche un braccio… meno male che portava il casco…

Venne chiamata un’ambulanza, che lo riportò all’ospedale. Mentre lo portavano dentro su una lettiga, House fu certo d aver intravisto Six. Aveva le braccia incrociate sul petto, e un’aria di profonda delusione in viso. Delusione, e rabbia.

Dopo essere stato stabilizzato, lo tennero in uno dei letti del Pronto Soccorso in attesa che venisse trasferito per fare altri esami. House era pieno di antidolorifico, e pertanto era molto felice e indulgente con il prossimo. Si domandava dove fosse Six. Smise di chiederselo quando vide la donna in fondo al corridoio venire verso di lui. Aveva accanto un uomo vestito con una orrenda camicia a maniche corte, sopra una maglia a maniche lunghe. Aveva capelli biondi corti, e uso sguardo glaciale e penetrante, come Six. A differenza di lei, aveva un sorrisetto divertito in faccia.

“Hai portato un amico?”

“Non provocarmi” sussurrò Six. “Non darmi un motivo per farti del male, più di quelli che già avrei.”

“Mio mondo, mie regole” sussurrò House. “Lui chi sarebbe?” disse indicando con la testa il compagno silenzioso di Six.

“Sai, potrebbe funzionare ugualmente” sussurrò Leoben, senza staccare gli occhi da House. “Simon non ha specificato cosa avrebbe potuto fare la differenza. La psiche è qualcosa di complicato da manipolare.”

“E tu sei esperto al riguardo. Peccato abbia chiesto tardi il tuo aiuto, forse non saremmo qui. Hai suggerimenti?”

“Sì. Non intervenire. Dio è misterioso, e anche il suo disegno. Siamo solo all’inizio del viaggio.”

House intanto aveva chiuso gli occhi, trovava stancante tenere gli occhi aperti. Se così non fosse stato, li avrebbe stralunati appena sentite le parole dell’uomo che Six aveva chiamato Leoben… e che razza di nome era Leoben, comunque?

Si stava per addormentare, lo sentiva… dovevano averlo sedato più pesantemente di quello che aveva pensato all’inizio…

“Non combattere, abbandonati completamente” sussurrò Leoben all’orecchio di House. “Tra breve sarà finito tutto. Sei nelle mani di Dio.”

House sollevò leggermente le palpebre. Miseria, quant’era difficile… Guardò Six, e la rivide identica a quando l’aveva vista la prima volta… quando stava morendo…

Morendo?

L’allarme delle macchine fece entrare medici e infermiere. Leoben e Six guardavano immobili in un angolo, con un’aria indecifrabile.

Furono le ultime cose che vide.

 

Spalancò gli occhi di colpo, facendo un gran respiro.

“Sono morto” sussurrò. “Sono morto, sono morto, sono morto…”

“Magari” borbottò un vecchio medico che spense una sigaretta in una bacinella di metallo sul tavolo e si avvicinò al suo letto. “Almeno avrei un letto disponibile in più.”

Nonostante lo stato di confusione, non potè fare a meno di sentirsi lievemente urtato. D’accrordo che neanche le sue maniere erano da manuale, ma non era mai arrivato a dire una cosa del genere.

Il vecchio dottore che gli passò davanti agli occhi una luce che per poco non lo accecò disse di chiamarsi Cottle, e gli fece anche qualche domanda, a cui House però non sapeva cosa rispondere.

“Ah, le gioie del coma e della commozione cerebrale… I Cylon ci hanno quasi sterminato, le Colonie sono distrutte, lei è stato raccattato dal tenente Valerii su Caprica e ha perso conoscenza durante il tragitto, probabilmente colpa del salto iperluce e di un trauma cranico dovuto all'attacco nucleare. Ci siamo fino a questo punto?”

“E dove sono qui?”

“Non qui” disse Cottle tornando verso la sua scrivania per accendersi un’altra sigaretta. “Non è in un posto con delle coordinate.”

“E allora dove diavolo sono?” quasi urlò House.

Cottle lo guardò quasi divertito.

“Una bella botta davvero, dottor House, complimenti. Lei è a bordo della Battlestar Galactica.”

House lo guardò come se fosse impazzito, e Cottle ringraziò gli dei di essere stato previdente. Prima che potesse dare di matto, agguantò una siringa di sedativo e gliela inserì nella flebo, rispedendolo nell’incoscienza.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. ***


New Page

Quando si risvegliò, House si trovò più o meno legato al letto.

“Ehi! Che diavolo significa? Levatemi di dosso queste robe!” iniziò a urlare divincolandosi. Cottle fu subito da lui, con un’altra siringa in mano. Spense la sigaretta (suo malgrado, e per questo maledì House che avrebbe anche potuto aspettare altri due minuti prima di svegliarsi), e sollevò l’oggetto perché lui lo vedesse bene.

“Vogliamo tornare nel mondo dei sogni? Perché se non la pianta all’istante, dottor House, è dove finirà!”

“Mi liberi!”

“Non finché non sarò certo che non darà di matto e si metterà ad aggredire l’equipaggio.”

“Sono calmissimo, non lo vede, dottor… dottor…”

“Cottle” completò il vecchio medico accendendosi una nuova sigaretta.

“È in vena di offrire?” domandò House indicando la sigaretta con la testa. Cottle lo squadrò come se avesse detto una cosa assurda, ma gli avvicinò la sigaretta e gli fece fare un tiro.

“Da che ne so, non ha niente ai polmoni. Un tiro non ha mai ucciso nessuno.”

D’un tratto House trovò il medico molto simpatico. Un po’ meno la donna che aveva iniziato a strillare contro loro due da dietro una tenda.

“Per gli Dei, dottore, vuoi farci crepare tutti di cancro? Questa è ancora un’infermeria quindi spegni quella cazzo di sigaretta!”

House desiderò strozzarla, chiunque lei fosse. Per dirgliene quattro, Cottle aveva smesso di armeggiare con le cinghie di costrizione e si era diretto verso la tenda, scostandola con un gesto brusco.

“Occhio, tenente, potrei decidere che il tuo ginocchio è inguaribile e non rispedirti mai più dentro un Viper. O riempire di fumo la tua linea d’ossigeno.”

“E da chi preferiresti farti urlare dietro? Dal CAG, dal Vecchio, dalla cara vecchia Starbuck o da tutti e tre assieme?”

Per una volta a corto di parole, Cottle si limitò ad ammonire la ragazza minacciosamente con un dito e ad allontanarsi, senza però tornare da House a liberarlo. Stava per dirgliene quattro, a lei e a lui, quando, voltatosi in direzione dell’altro letto, si trovò a fissare due occhi verdi che avrebbero intimidito perfino Vogler , e una gamba infilata dentro un tutore.

“E tu che diavolo hai da guardare?”

“Niente, niente” mormorò House, tornando a fissare il vuoto davanti a sé.

“Aspetta… sarà mica lei il genio della medicina che Boomer ha riportato da Caprica?”

“Boomer?”

“Tenente Sharon Valerii” spiegò la donna. “Boomer è il suo nome in codice.”

House ricordò che Cottle gli aveva detto che un certo tenente Valerii lo aveva portato a bordo del Galactica. Doveva essere lei.

“Sì. Boomer. Mi ha trovato lei.”

“Sembra che Boomer abbia il dono di trovare scienziati utili all’umanità. O a quello che ne resta.”

“Mamma, che fortuna” mormorò sarcasticamente House, contemplando tristemente le costrizioni ancora al loro posto.

“Può dirlo, dottor House” disse un giovane dai capelli scuri e gli occhi blu, che si era avvicinato fino al letto di Kara “È stato dannatamente fortunato.”

Visto che House stava facendo del suo meglio per ignorarlo, Lee Adama si rivolse a Kara.

“Come andiamo, Starbuck?”

“Una favola, Lee. Una fottuta vacanza di piacere. Che ne dici, facciamo a cambio?”

“No, Kara, passo. Mi farebbe piacere una vacanza, ma preferisco l’abitacolo del Viper… Grazie comunque per l’offerta” disse Lee, chiaramente prendendola in giro. Kara ricambiò il sorriso, e gli fece vedere il dito medio.

“Lo spirito c’è sempre, vedo” commentò.

“Sparisci, o potrei decidere di rifilare un gancio a un superiore stronzo.”

“Questa battuta sta diventando vecchia.”

“Ma rimane sempre vera” disse Kara. Poi diede uno sguardo ad House, ancora intento a strattonare le costrizioni, e chiese a Lee di liberarlo.

“E Cottle?”

“Lo stava facendo ma si è distratto” disse House. “Qualcuno” e indicò con la testa Kara “doveva scegliere proprio quell’istante per iniziare a rompere le scatole.”

“Scusa tanto se non volevo finire intossicata!”

“Intossicata tu? E i sigari che ti fumi allora?” domandò Lee sorpreso.

“Non li fumo di certo in infermeria!”

“Ora che lo abbiamo appurato, che ne dite di liberarmi?”

“Conta di uccidere Cottle, dottor House?”

“Potrei farci un pensierino.”

“Lee, slegalo. Non mi dispiacerebbe un po’ d’intrattenimento.”

Lee scosse la testa, ma ubbidì alla richiesta dell’amica. House sospirò di sollievo, e si massaggiò i polsi.

Fatte finalmente le presentazioni ufficiali con il maggiore Lee ‘Apollo’ Adama e il tenente Kara ‘Starbuck’ Thrace, e notata l’assenza di Six, House si rilassò. Che sogno assurdo. Bella sventola, però… chissà da dove l’aveva pescata il suo subconscio.

Accettata l’amnesia retrograda come effetto della commozione, accettato il fatto che il suo pianeta si chiamasse Caprica e che la Terra fosse una leggenda a cui tutti disperatamente volevano credere da quelle parti, e soprattutto accettato che chiunque credeva di conoscere o era morto nell’olocausto nucleare o non era mai esistito, le cose iniziarono ad andare meglio. Gli servirono quei due, tre mesi di rodaggio, e da lì in poi l’infermeria del Galactica poté contare su ben due medici molto bravi e molto scorbutici. Ed essendo uno dei due un civile, era anche quello a cui vennero sbolognate tutte le visite a domicilio, eccetto quella alla Presidente delle Colonie Laura Roslin.

Non l’avrebbe mai detto, ma Six gli mancava. Insopportabile, a tratti pericolosa, ma gli mancava non vederla più in giro su quei tacchi a spillo…

Se Six era stata capace di entrare nella sua testa per cercare di farlo svegliare – e pure quel tipo strano, Leoben – e lui si trovava nella realtà, questo significava che entrambi dovevano trovarsi nella Flotta e dovevano ad un certo punto del suo coma aver interagito con lui. Ma aveva come il sospetto che parlare di quei due avrebbe solo portato problemi. Avrebbe anche dovuto spiegare come li conoscesse, e raccontare di averli incontrati in sogno non era esattamente una cosa da dire, a meno di non voler finire di nuovo legato a un letto mani e piedi. Così decise di non dire niente e di tenere gli occhi aperti.

Poi un giorno colse un brandello di conversazione che decisamente non avrebbe mai voluto sentire.

“Tu lo trovi divertente, ammettilo!”

“Gaius” disse una voce fin troppo nota “È irrilevante quello che penso io. Questa è la volontà di Dio.”

“Sembri un disco rotto.”

“Ma è la verità…” disse Six, con quel suo tono che indicava sempre che si stava divertendo un mondo. Poi diventò seria, e disse all’uomo di nome Gaius che qualcuno li stava ascoltando.

House scelse quel momento per entrare. Aprì la porta del laboratorio del dottor Gaius Baltar, si guardò intorno, e vide solo Baltar.

“Ma chi diavolo…? Oh, dottor House, a che devo il piacere della visita?”

Stava letteralmente sudando freddo.

“Avevo sentito una voce che conoscevo. Una voce di donna.”

Baltar smise di farsi venire un attacco cardiaco per un paio di secondi. Lui aveva realmente sentito Six che gli parlava, quando nessun altro ne era in grado? Chi diavolo era realmente?

Subito il suo cervello si mise al lavoro. La sua posizione era estremamente precaria, a bordo del Galactica e della Flotta. Roslin non si fidava di lui, e gli serviva una via di fuga, fino al prossimo momento in cui quella donna non avrebbe desiderato gettarlo fuori da un portellone perché lo sospettava di essere un Cylon.

“Era… era la radio. Un vecchio sceneggiato su cd che ogni tanto ascolto…Sono un sentimentale, anche se non si direbbe…”

House fece un’espressione dubbiosa “E il protagonista aveva la sua voce? Dottor Baltar, alla stupidità esiste un limite, e anche se lei sembra interessato ad oltrepassarlo in questo momento, di sicuro non lo farò io.”

In quel momento, Baltar si voltò verso il bancone dov’erano allineate le sue provette, lanciandogli un’occhiata fulminante, poi come se niente fosse tornò a rivolgersi al medico, cercando di ostentare una calma che non aveva.

“Senta, dottor House, lo vede da sé che qui non c’è nessuno. La figura dello stupido, con tutto il rispetto, la sta facendo lei.”

“E lei la figura dello schizofrenico. Se è la mia alternativa, allora sono stupido e felice di esserlo!”

“Le serviva qualcosa?” domandò freddamente Gaius, che se odiava venir tacciato di stupidità, da quando Six era nella sua vita odiava ancora di più venir tacciato d’essere folle.

“Glielo farò sapere, se mi servirà qualcosa. Dottor Baltar” disse House facendo un cenno di saluto.

Una volta scomparso dietro quella porta di metallo, Six ritornò visibile e appoggiata al bancone delle provette.

“È carino. Oh, perché Dio non ha voluto che fosse lui a custodire le chiavi della sicurezza delle Colonie?”

“Molto d’aiuto. Ultimamente lo sei stata spesso” disse sarcasticamente Baltar, ritornando al microscopio. Six camminò sorridendo dietro di lui, aspettò alzasse la tesa dal microscopio per scrivere un’annotazione, e afferratolo alla nuca gli fece sbattere con violenza la testa contro il tavolo.

“E ora stammi a sentire bene” sibilò. “Non mettere mai più in dubbio la mia utilità, se non vuoi che Shelley Godfrey o un’altra come lei faccia la sua comparsa a bordo del Galactica! Potrebbe non andarti bene come l’altra volta…”

Totalmente spaventato dalla minaccia della sua amante cylon, che includeva anche rendere noto all’opinione pubblica che il vicepresidente delle colonie si era macchiato del genocidio della sua stessa razza perché non sapeva tenersi i pantaloni addosso, si fece tutto orecchi quando Six gli suggerì come guadagnare tempo e levarsi dalle scatole il nuovo genio di bordo nello stesso momento. Non lo avrebbe ammesso, ma se prima era da lui che andavano, ora che era arrivato House la sua stella era andata offuscandosi, una cosa che il suo ego semplicemente non ammetteva.

Aveva diagnosticato delle patologie mortali quasi senza mezzi, se il ginocchio di Starbuck era ritornato perfettamente a posto era merito della sua testardaggine (gesto che gli aveva garantito la stima eterna della pilota), e anche le emicranie della signora Tigh avevano trovato una cura, dopo essere state bollate come lo sfogo di un’ipocondriaca e nevrotica. Quest’ultima ci aveva provato spudoratamente, e aveva dovuto fare davvero del suo peggio per farla sloggiare. Pertanto quando Six gli suggerì di farlo passare per un agente cylon infiltrato nella flotta, fu estremamente felice di muoversi in tal senso. Doveva solo trovare il campione di sangue del buon dottore che gli era stato senza dubbio consegnato.

Nel frattempo, House aveva smesso di pensare a quello che per spina dorsale e carattere avrebbe fatto sembrare Chase uno tosto e risoluto, per preoccuparsi di qualcosa di più grave: la sua gamba aveva ripreso a fargli male, tutt’a un tratto e molto forte. La giovane marconista, Dualla, aveva dovuto sorreggerlo per farlo arrivare in infermeria. Lì, Cottle sentenziò che qualsiasi terapia del dolore avesse fatto su Caprica, aveva smesso di funzionare.

“Terapia? Sono stato un paio di settimane in coma farmacologico indotto dalla ketamina!”

“Come ti pare, House. Ha smesso di funzionare comunque!”

“Non doveva durare tanto poco. Bene, dovrai rifarmi la somministrazione.”

“Non penso proprio.”

“Credevo ti servissi.”

“È così, ma mi servono di più i narcotici! E la quantità necessaria a mandarti ko non mi posso permettere di sprecarla. Ci sono altri antidolorifici, usa quelli.”

“Fottiti, Cottle” sibilò House, che chiaramente non si aspettava quella risposta.

“Volentieri ma non sei il mio tipo. Ora ingoiati le dannate pillole e fa il tuo lavoro!”

Mugugnando, House fece quel che Cottle gli aveva gentilmente suggerito, ma iniziò a puntare con lo sguardo l’armadietto dove Cottle teneva le armi pesanti. Doveva solo aspettare il momento in cui Cottle si fosse allontanato…

Quasi come se l’avesse chiamato, l’assistente della Roslin venne a chiamarlo di corsa dicendo che il presidente era appena svenuta nel centro di comando.

“O Dei, ci mancava anche questa… Stavolta bisognerà ricoverarla” borbottò il dottore levandosi il camice e correndo fuori con i due paramedici del suo staff. House a quel punto, veloce come un fulmine, aprì l’armadietto e altrettanto velocemente ispezionò con lo sguardo i nomi delle medicine. Trovato il suo vecchio amico Vicodin, afferrò la confezione e se ne versò metà in un portapillole, che fece sparire nella sua tasca dei pantaloni. Quando Cottle ritornò con gli altri, spingendo una lettiga con sopra Laura Roslin attaccata ad una bombola d’ossigeno, si precipitò ad aiutare anche lui, finalmente scoprendo che la first lady di ferro della flotta era malata terminale di cancro.

Ma la sorpresa più grossa arrivò quando la Roslin fu finalmente stabilizzata e per lui fu possibile staccarsi dal suo letto. Il comandante Adama lo fece condurre fuori dall’infermeria, dicendogli che aveva bisogno di lui e contemporaneamente chiedendo delle condizioni della Roslin.

Capì che con l’inganno lo aveva condotto fino alla prigione di bordo quando ormai era troppo tardi.

“Comandante” domandò con tutta la calma possibile “Che diavolo sta succedendo?”

“Niente, dottore” rispose Adama, con lo stesso tono “Solo una precauzione. I test fatti su di lei dal dottor Baltar hanno dato un esito… interessante.”

“Che test?”

“Testiamo il sangue di tutti i membri della flotta per cercare agenti cylon. Il suo non è definitivo.”

“E così mi rinchiudete? Oh no, neanche per idea…”

Tutt’intorno a lui risuonarono i click delle armi da fuoco a cui veniva tolta la sicura.

House alzò lentamente le mani, e sempre sotto tiro entrò nella sua cella.

E due. Una volta in sogno, e un’altra nella realtà.

Questa cosa era assurda… no, peggio. Perché Kara gli aveva raccontato per filo e per segno del cylon di nome Leoben che lei aveva dovuto interrogare (e aveva dovuto fare uno sforzo per non farle capire di aver già sentito quel nome. Un altro set di domande a cui non sapeva e forse non voleva rispondere). Delle sue manipolazioni, di come sembrava conoscerla. E soprattutto di come la donna attaccata al respiratore in infermeria lo avesse fatto sbattere fuori da un portellone senza battere ciglio. Se il test tornava indietro dicendo che era un cylon, era quello che lo avrebbe aspettato. Aprì il barattolo delle sue pillole, e ne mandò giù qualcuna. O più di qualcuna, non stette a guardare. Meglio essere completamente fatto, forse avrebbe attutito l’assurdità della situazione… lui era umano, per l’amor del cielo…

“Siamo nei guai, Gregory?”

Si voltò verso l’interno della sua cella. Six era seduta sulla sua sedia. Rise.

“Tu non sei davvero qui.”

“Ricominciamo? Credevo che ormai avessi capito.”

“Tu e il tuo amichetto Leoben… siete Cylon . Che diavolo centrate con me?”

Sentì un altro rumore di tacchi alle sue spalle. Voltandosi, si sentì vicino all’infarto.

Un’altra Six. Questa era diversa… oltre a essere vestita di nero, aveva un’aria diversa. Cattiva. Divertita dalle sue miserie.

“Troppo intelligente per il tuo stesso bene, dottore. Era meglio se non ti immischiavi.”

Le due Six poi si squadrarono con due sguardi che avrebbero potuto uccidere. House andava con lo sguardo da una all’altra, incapace di credere a quel che vedeva. Aveva davvero sentito la voce di Six da Baltar, allora… ma non della sua Six. Dalla conversazione irata che le due stavano conducendo, sembrava proprio che la Six in nero fosse l’ossessione privata di Baltar… Baltar era un collaboratore dei cylon, e aveva incastrato lui per distogliere l’attenzione da sé stesso! Se solo avesse avuto la possibilità, avrebbe fatto secco con le sue mani quel figlio di…

Improvvisamente, iniziò a non sentirsi bene. Tutto iniziò a girare, e si ritrovò carponi sul pavimento della cella. C’era solo Six, la sua Six, con lui. Vedeva che parlava ma non la sentiva… lesse sulle labbra di lei che le dispiaceva di averlo lasciato solo… aveva la stessa espressione di quando l’aveva vista la prima volta, durante il suo infarto…

Prima di perdere conoscenza di nuovo, vide che il suo portapillole era vuoto.

Ne aveva ingoiate molte di più che qualcuna…

“Un altro arresto cardiaco…” mormorò Simon. “Carica le piastre a duecento” disse ad una delle sue copie attorno al letto del loro paziente, e questa gli passò subito i defibrillatori una volta pronti. Il corpo sussultò sotto la scarica elettrica, ma il cuore non ripartì. Tentarono una seconda, e una terza, dopodiché rimasero in attesa. Fortunatamente non furono delusi, e il battito ritornò.

“Come sta andando?” mormorò Doral, entrando nella stanza della struttura medica cylon di Delphi, su Caprica, assieme ad una copia di D’Anna Biers.

“Lo abbiamo ripreso, ma non accenna a svegliarsi.”

“Numero Sei ha problemi a ricondurlo sul giusto sentiero” mormorò Leoben, giunto qualche istante dopo Doral, assieme a un paio di Six.

Six lanciò un’occhiataccia a Leoben, mentre l’altra sorrideva beffarda “È testardo. Passa da una realtà all’altra, ogni volta convinto che sia la sua realtà e che sia sveglio.”

“Inutile dire che ci serve” disse Simon. “I nostri studi per la creazione di un ibrido cylon/umano stanno rallentando, e finora non hanno avuto il successo che ci aspettavamo.”

“Non accetterà” replicò D’Anna. “Stiamo perdendo il nostro tempo.”

La seconda Numero Sei disse che se fosse stato per D’Anna, non lo avrebbero neanche salvato dalle macerie dell’ospedale di Caprica City in primo luogo.

“Se si sente al sicuro nelle realtà che si crea, quando si sveglierà dovremo prepararci ad assecondarlo” mormorò Leoben.

“Sono d’accordo” disse Six. “Se crederà di trovarsi tra umani, sarà più facile convincerlo a cooperare...”

“Se non lo farà neanche in quel caso” interruppe D’Anna “verrà eliminato. Credi di farcela, Numero Sei?”

Six guardò Numero Tre con il desiderio di metterle le mani addosso. Sapeva bene che considerava chiunque la pensasse diversamente da lei sugli umani degno di finire incapsulato, senza possibilità di essere trasferito mai più in un nuovo corpo. Non era un mistero che era quello che stava cercando di fare con un’altra Numero Sei, l’eroina di guerra nota come Caprica Six. Stirò le labbra in un sorriso forzato.

“Nessun problema.”

****

Bene... ora, non so quanti seguano BSG, quindi ecco qualche delucidazione sui personaggi che ho usato in questo capitolo, proprietà di Ronald Moore e David Eick.

Tenente Kara Thrace: pilota da combattimento dalla smodata passione per l'alcol, i cigari e il gioco d'azzardo. Amica di Lee ed ex fidanzata del suo fratello defunto.

Capitano Lee Adama: figlio del comandante della flotta Bill 'Old Man' Adama, Capo della squadriglia di volo (CAG), e in generale irreprensibile. Fin troppo.

Laura Roslin: era la sottosegretario all'istruzione delle colonie. Poi hanno bombardato le colonie ed è diventata presidente.

Dott. Gaius Baltar: l'essere più geniale, smidollato, egocentrico, debole e codardo che sia mai stato creato, sottomesso in pratica alla versione virtuale di Numero Sei che vede solo lui, dopo la distruzione di Caprica Six durante il bombardamento nucleare delle Colonie.

E ora i Cylon. (A parte Six, che già conoscete)

Simon: medico di colore, responsabile del programma di imbridazione tra cylon e umani.
D'Anna Biers: si finge una reporter all'interno della Flotta. (Quando aveva i capelli scuri, era nota anche come Xena, principessa guerriera.)
Aaron Doral: all'inizio era il responsabile delle pubbliche relazioni durante la cerimonia di disarmo del Galactica, poi Baltar con una botta di fortuna l'ha identificato come cylon. Modello numero cinque, vestito sempre impeccabile.
Leoben Conoy: intelligente e manipolatore, è uno dei più pericolosi. Il primo cylon a essere identificato. E mio preferito (camicie orrende a parte), soprattutto quando da la caccia a Kara ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. ***


New Page

 

 

Quando House riaprì gli occhi e si ritrovò di nuovo in un letto d’ospedale, desiderò poterli richiudere all’istante e ritornare nell’incoscienza… per sempre. Ogni volta credeva fosse la volta buona, ogni volta era puntualmente smentito. E a dirla tutta, d’accordo che tra alcol, Vicodin, la moto e una certa tendenza all’autodistruzione si poteva perfino pensare che avesse un desiderio di morte, ma fino a quel momento aveva sognato di morire già due volte ed entrambe in modo traumatico. Beh, forse non la seconda, ma era avvenuta in una cella di una nave militare, e il come c’era finito poteva essere considerato traumatico.

Mosse gambe e braccia, felice di notare di non essere legato, e cercò di ascoltare i rumori del posto dove si trovava. O meglio, la loro assenza. Avrebbe potuto giurare di essere da solo…

Un rumore di passi in avvicinamento lo portò a fissare attentamente la porta. Subito entrò un medico di colore con in mano la sua cartella. Per un istante pensò a Foreman… ancora non riusciva a credere che lui, Cameron, Cuddy e gli altri fossero stati solo un parto della sua immaginazione.

“Bentornato tra noi, dottor House.”

“Ci conosciamo?”

“Non di persona, ma ho letto le sue pubblicazioni. Sono il dottor Wilson, Simon Wilson, comunque.”

“Felice di conoscerti, Simon Wilson. Si possono avere degli antidolorifici in questo posto?”

“Farò il possibile, ma li stiamo razionando. Dopo l’attacco si sono interrotti tutti i rifornimenti, e i sopravvissuti sono…”

L’attacco. Caprica. L’olocausto nucleare a cui aveva sognato di scampare.

“Dì la verità, doc. Non ce ne sono. Dopo un bombardamento del genere… e io, come diavolo…?”

“Un caso molto fortunato. L’onda d’urto di una testata ha distrutto l’ospedale, ma lei e qualche altro che si trovava nel parcheggio vi siete salvati.”

“E i miei colleghi? E parlando di ospedali, perché qui c’è tanto silenzio?”

“Siamo due medici, e cinque maestre che fingono di essere infermiere. Nessuno del Caprica City Hospital, mi dispiace. Per il silenzio… la maggior parte dei nostri pazienti è affetto da un avvelenamento acuto da radiazioni…”

Questo mi ricorda qualcosa, pensò House, pensando al caso di Carnell e di suo padre. Anche se nel loro caso non centravano testate nucleari ma un pezzo di metallo radioattivo.

“I sintomi” continuo Simon “sono una forte stanchezza e nausea immediata. Sono seguiti da vari giorni di relativo benessere… dopodiché, la morte cellulare nel tessuto gastrico e intestinale causa forte diarrea, emorragia intestinale e perdita di liquidi. Non è bello, ma è…silenzioso.”

House annuì silenziosamente.

“Sì, ma gli antidolorifici” disse un paio di secondi più tardi. “C’è modo di averne? Perché se non l’ha visto, ho un muscolo in meno nella gamba, ed è una cosa abbastanza dolorosa.”

Simon fece una faccia come per dire ‘Ma ha sentito quel che ho appena detto?’, ma preferì tacere.

“Il Demerol non mi fa schifo, ma se ci fosse del Vicodin sarei più felice.”

“Vedrò in medicheria” rispose il dottore scrivendo qualcosa nella sua cartella e poi uscendo.

Quella frase e il tono che aveva usato Simon piacevano poco ad House. Molto poco. Ed approfittando del fatto di non essere legato, tentò subito di alzarsi in piedi ed eventualmente provvedere da solo. Con un po’ di fatica riuscì a mettersi seduto da un lato del letto, e stava riprendendo fiato quando sentì ancora rumore di passi. Impossibilitato a ritornare nella posizione precedente in tempo utile, si rassegnò a essere beccato…

Senza voltarsi, vide con la coda dell’occhio un uniforme rosso scuro – sicuramente una delle maestrine/infermiere – entrare nella stanza ma non avvicinarsi.

“E va bene, m’hai beccato. Ma gli antidolorifici li posso avere comunque?”

Sentì una risatina sommessa, e fu quello che lo spinse a voltarsi per guardare la donna.

Si trovò sorpreso a fissare gli occhi azzurro ghiaccio di Six.

“Perché non sono sorpresa di questa tua iniziativa?” disse la donna, mettendosi di fronte al dottore.

House era ancora incredulo. “Che fine hanno fatto vestito rosso e tacchi a spillo? Erano entrambi cari al mio cuore in egual misura… e ti stavano da dio, ad ogni modo.”

“Allora mi ricordi. Bene, questo semplifica le cose.”

“Semplifica cosa?”

“Quello che devo spiegarti. Molti pazienti non ricordano quando qualcuno cammina nei loro ricordi.”

“Nei miei ricordi? Tu non eri nei miei ricordi! E che diavolo intendi con ‘camminare’?”

“Ero io, nella tua testa. Cercavo di indurti a svegliarti… ma non ho fatto un’entrata molto precisa. Anche tu non hai fatto molto per aiutarmi a farti svegliare! Il tuo subconscio mi ha fatto una guerra serrata, ti portava ogni volta in un posto diverso e dovevo ricominciare da capo.”

“Dimmi che non sei una maestrina diplomata e che sapevi quel che facevi.”

“Sono un aiuto del dottore.”

House notò che non aveva risposto alla domanda, ma per il momento andava bene così. Le chiese il nome, e lei sorridendo gli disse ‘Aiuto del dottore’.

“Non hai un nome? Perché mi piacerebbe davvero saperlo.”

“Non è il momento” disse lei controllando la flebo e rimettendolo a letto. “Ma presto lo sarà.”

E non si stava solo riferendo al momento in cui gli avrebbe detto o meno il suo nome, House ne era certo.

“Sarà il momento… per cosa?”

“Per quello, e molto altro.”

 

La sua bionda infermiera non scherzava. E nemmeno il medico che gli aveva mandato la sorte. Lo rimisero in piedi in men che non si dica, ma niente bastone, andato distrutto durante il bombardamento. House malvolentieri accettò la stampella che Six gli offriva, e con quella fece il gran tour dell’ospedale assieme a lei e Simon.

“Prima dell’attacco era una struttura psichiatrica, che abbiamo riconvertito in un ospedale. Dello staff insufficiente le ho già parlato, dottor House, per questo sarei molto felice se lei ci desse una mano…”

House però lo interruppe subito con un’osservazione “Salvate solo le donne? Perché sembra discriminazione.”

“Perché dice questo, dottor House?”

“Perché, dottor Wilson, non ho visto un solo uomo a parte me e lei da quando sono uscito dalla mia stanza e abbiamo iniziato questo giro. Ed è quello lì” disse indicando l’infermiere che conosceva come Aaron Doral.

“Sono in un’altra ala, con l’altro medico di questa struttura. Lei è stato ricoverato qui perché avevamo più stanze libere, e perché così è stato possibile tenerla in isolamento. Abbiamo pochi farmaci, e quasi nessun antibiotico. Le infezioni sono i veri killer da queste parti.”

“Capisco. Proseguiamo.”

Tuttavia, non era del tutto convinto. Il sogno che aveva fatto prima di svegliarsi, l’ultimo, continuava a passargli davanti agli occhi. Dopo aver passato due mesi in balia di sogni più reali della realtà, si sentiva incline a fidarsi più del suo inconscio che di quello che stava vedendo.

Era quasi curioso di nominare la parola ‘cylon’ e vedere che succedeva.

Se poi non lo fece, è perché Simon lo mise subito al lavoro, a fare analisi su analisi. Si scusò dicendo che era una cosa provvisoria, e House accettò senza protestare. Gli serviva calma, e il laboratorio gliel’avrebbe garantita. Giustificò la grande abbondanza di campioni di tessuti e ovaie appartenenti a donne con quel che Simon gli aveva spiegato sul genocidio e sull’importanza delle donne fertili, e non si fece più domande.

Almeno fino a quando non si trovò tra le mani una provetta etichettata ‘Thrace, Kara’.

 

Rimase a fissare quel campione con sguardo allibito per un discreto ammontare di tempo.

Kara, la ragazza che aveva conosciuto nel suo sogno… era reale? Come diavolo era possibile?

Six aveva sempre detto che non apparteneva alle realtà che vedeva, ma non aveva mai avuto nessun indizio che fosse lo stesso anche per lei!

Una volta fatto un respiro profondo, decise di applicare un po’ di razionalità e il Rasoio di Occam. Cos’era più probabile, che si trattasse della stessa Kara Thrace o di un caso di omonimia?

L’omonimia era l’opzione più sensata, e decise di tenersi a questo, rimettendosi al lavoro.

 

Intanto, D’Anna stava chiedendo a Doral, Six e Simon cosa pensassero di House.

“Accetterà?”

“È presto per dirlo” disse Simon. “Al momento l’ho messo a lavorare in laboratorio. Appena sarò certo che non creerà problemi, potremo portarlo a contatto con le pazienti alla fase uno.”

“Devi avere pazienza, Numero Tre. Non è una cosa semplice” aggiunse Six.

“Per lui, noi o te?” domandò la donna, con un sorrisetto sgradevole.

Six si ritrovò gli sguardi di tutti puntati addosso, e maledì quella strega una volta di più.

“Se facciamo un passo sbagliato…”

“Muore. Eravamo d’accordo così, giusto?”

“Dio ha voluto che sopravvivesse al bombardamento della sua città. L’ha risparmiato. Vuoi saperne più di lui?”

Simon e Doral andavano con lo sguardo da Six a D’Anna, che ora si fronteggiavano silenziosamente. D’Anna fu la prima a rompere il contatto.

“Chi sono io per mettere in dubbio la volontà di Dio? Come vuoi tu, Six, avrà tutto il tempo che vuole. Ma” e si voltò a parlare con Simon “voglio che venga istruito al più presto su quello che facciamo qui… su quello che lui crederà di fare qui.”

Salutò brevemente Six, e poi se ne andò con gli altri due. Six la guardò andar via. D’Anna voleva solo una scusa in più di quelle che già aveva per liberarsi di lui, e doveva stare molto attenta a non essere proprio lei a dargliela.

 

Ignaro di quanto realmente la sua vita fosse appesa ad un filo, House concluse il suo terzo giorno di lavoro al laboratorio. Per quanto si sforzasse, l’occhio continuava a cadergli su quel referto.

Kara Thrace.

Aveva deciso che era solo un caso di omonimia, ma non riusciva a smettere di pensare che, forse, il rasoio di Occam non si poteva applicare a quello che stava sperimentando.

Due secondi dopo aver deciso di smettere di essere razionale, era fuori dal laboratorio e alla ricerca di Kara.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. ***


New Page

Non si poteva dire che House fosse religioso. Non nel senso stretto del termine, e sicuramente non come lo erano le persone intorno a lui.

Ma appena rinvenne dal colpo in testa che aveva ricevuto si mise sinceramente a pregare Dio, o chiunque ci fosse lassù, che quella realtà fosse un’altra dei suoi incubi.

Alla fine, aveva trovato Kara, per quanto incredibile poteva essere. L’aveva vista su una lettiga, priva di conoscenza, mentre veniva portata in una delle sale operatorie. Aveva sentito Simon, e un altro dottore identico a lui da poter essere il suo gemello, discutere sulla rimozione di una o di entrambe le ovaie del tenente Thrace per la ‘fase due’.

Cercando di nascondersi ai due, e ad una donna bionda che avevano chiamato Numero Tre, aveva cercato di aprire varie porte, tutte però chiuse. Quando aveva creduto di non avere più chance, la serratura della porta che stava tentando di aprire aveva ceduto, permettendogli di entrare.

Se non avesse sentito i passi dei due Simon e di D’Anna nel corridoio, sarebbe uscito da quel piccolo museo degli orrori all’istante.

Conservati in vasi di vetro c’erano tutti gli esperimenti genetici falliti condotti da Simon dall’occupazione di Caprica. House aveva osservato turbato le etichette dei vasi, che indicavano lo stadio di sviluppo del feto, cosa fosse successo, e il numero del tentativo. Il numero più alto che vide era il numero 289, abbastanza da farlo rabbrividire. La causa era sempre la stessa, aborto spontaneo, e lo stadio di sviluppo più avanzato mai raggiunto sembrava essere la dodicesima settimana. C’erano dei casi di sviluppo ulteriore, ma presentavano malformazioni.

House aveva indietreggiato di qualche passo, chiudendo gli occhi. Quella non poteva essere la sua realtà, doveva essere un incubo, doveva esserlo per forza…

Un rumore alle sue spalle lo aveva fatto voltare di scatto.

D’Anna. Numero Tre.

“Sapevo ci avresti creato solo problemi”aveva sibilato, e poi l’aveva colpito alla testa con un tubo di metallo.

Stava ancora cercando di capacitarsi di quanto era successo quando la porta della cella dove ora si trovava si aprì, facendo entrare Numero Sei.

“Non avresti dovuto vedere quella stanza. Non subito.”

“Non subito. Quindi tu sapevi.”

Six annuì.

“Siamo cylon.”

“Lo so. Lo sospettavo… anche se non so perché…”

“Hai una domanda da farmi. Falla.”

“Che diavolo state facendo?”

“Non possiamo riprodurci. Non possiamo adempiere al comandamento del nostro Dio, ‘siate prolifici’. Voi potete. Vi è tanto facile che lo date per scontato. E quindi…”

“Quindi quei feti sono ibridi cylon e umani?”

“Sono tentativi. Abbiamo ancora molto da imparare al riguardo.”

“È per questo che ci sono tante donne… vi servono gli ovuli prima, e loro dopo, come incubatrici…”

Six annuì di nuovo, ma non rese più facile ad House credere realmente a quello che aveva appena detto.

“Sei un medico estremamente abile, Gregory. Potremmo imparare molto da te.”

“Ed ecco perché sono qui e vi siete dati tanta pena per farmi svegliare… spiacente di deludervi, le mie specializzazioni non riguardano la sfera riproduttiva.”

“È il tuo cervello che ci interessa” continuò Six. “Il tuo intuito e la tua intelligenza.”

“Voi state scherzando…”

“Numero Tre ti vuole morto. Le stai dando il pretesto che cerca.”

House si fece una risata, e gli disse che facesse pure.

“Tanto mi risveglierò da qualche altra parte nella stessa situazione di partenza!”

“No, non lo farai. Non stai sognando, non più.”

“Porta qui quella psicopatica e vediamo chi ha ragione.”

Numero Sei scosse la testa, disse che lo avrebbe lasciato riflettere e sarebbe ritornata più tardi, nonostante House continuasse a urlare che non avrebbe più creduto a niente di quello che gli avrebbe detto.

 

Quando sentì la porta riaprirsi, stava per dire a Six che aveva una strana concezione del tempo da lasciare per una riflessione. Erano sì e no passati venti minuti.

Poi guardò meglio la figura vestita di bianco sulla soglia, e la riconobbe come D’Anna.

“Scusa non vorrei sbagliare. Qual è il tuo numero?”

D’Anna sorrise, piegò leggermente la testa da un lato, e sollevò la pistola che teneva in mano.

“Non credo che dove andrai ti servirà.”

House cercò di sembrare almeno un poco terrorizzato all’idea di stare per morire, ma la verità era che voleva quasi mettersi a ridere e dirle di darsi una mossa con quel grilletto. Tanto sarebbe ricominciato tutto da capo, da qualche altra parte. La sua vita sembrava un’immensa e interminabile processione di morti e risvegli…

Quando Six arrivò alle spalle di D’Anna con un estintore in mano e le fracassò il cranio, non poté fare a meno di sentirsi deluso.

“Vieni con me” disse con un tono che non ammetteva repliche, e House le andò dietro. Evitando gli altri cylon, lo condusse fuori dalla struttura e gli diede un’arma.

“L’ultima volta, sono venuti da là” disse indicando un punto. “Dovresti trovarli, se vai in quella direzione.”

“Trovare chi?”

“La resistenza umana.”

Ora House era confuso. Six non aveva cercato di convincerlo a collaborare appena trenta minuti prima?

“Perché lo stai facendo?”

“Se avessi sperimentato l’amore, non dovresti chiedermelo.”

La confusione aumentava. E doveva aver capito male, perché non poteva essere possibile che Six gli avesse appena detto che…

Il rumore pesante dei passi dei Centurion e delle voci dei cylon di forma umana interruppe i suoi pensieri.

“Dannazione, Numero Tre ha fatto presto con il download…” mormorò Six. Poi ritornò a rivolgersi ad House “Non c’è più tempo, vai!”

Non c’era davvero più tempo. House vide il piccolo drappello di robot che si avvicinava, assieme ad alcuni Doral, Simon, Six, e ad una D’Anna fresca di download in un nuovo corpo e parecchio alterata.

Non vide però i Centurion che erano stati adibiti al controllo del perimetro e che erano stati chiamati in quella zona. Quando Six sentì alle spalle il rumore inconfondibile dei loro artigli che si ritraevano per lasciar posto alle armi da fuoco, riuscì solo a fare una cosa.

Tentare di salvare la vita all’uomo che aveva smesso di essere un semplice incarico più o meno dieci secondi dopo averlo conosciuto.

House sentì la donna afflosciarsi contro di lui, e la sorresse meglio che poteva. Six posò la sua testa sulla spalla di House, sapeva che era finita, ma prima c’era ancora qualcosa che doveva dirgli…

“Cercami, House. Shelley Godfrey… ricordatelo…”

Six spirò qualche istante più tardì, e House sentì cedere le ginocchia. Si ritrovò a terra senza neanche accorgersene, sempre con il suo corpo esanime tra le braccia, e fu solo quando si chinò a guardarla notò il sangue. Tutto il sangue che macchiava gli abiti di Six e i suoi, ma che, notò, non proveniva da lei. Cadde a terra, e ancora la teneva stretta. Sentiva i passi di marcia dei Centurion, le voci ormai indistinte degli altri cylon… più si avvicinavano più li sentiva distanti…

Ma ormai non gli interessava più. Non gli interessava più niente…

 

 

Cuddy entrò nella stanza di House, come aveva fatto ogni giorno nell’ultimo mese ogni volta che poteva. Aveva fatto come House aveva voluto, lo aveva messo in coma farmacologico anche se aveva delle enormi riserve sulla sua richiesta di usare un anestetico potente come la ketamina, che avrebbe potuto distruggergli il sistema nervoso centrale. Aveva sospeso la somministrazione quella mattina, com’era d’accordo anche con Wilson, Cameron, Foreman e Chase, e da quel momento tutti erano in attesa di sapere se la cura era riuscita e se House si era svegliato.

Si avvicinò per leggere i monitor a cui era collegato, annotando i valori nella cartella, e si fermò a guardarlo sospirando, posandogli una mano sulla sua.

Stava per toglierla e andarsene, quando sentì distintamente la mano sotto la sua stringersi a pugno. Cuddy non poté evitare di sorridere, e strinse la presa.

“House? House mi senti?” disse cercando di fargli avere un’altra reazione. House mosse la testa, e Cuddy continuò controllando come rispondeva agli stimoli in base alla scala di Glasgow.

Concluso l’esame, spedì un’infermiera a tenerlo d’occhio e si precipitò dai quattro dottori che l’attendevano nella sala riunioni come aveva detto loro via cercapersone.

“Allora?” domandò Wilson, sottintendendo la domanda che tutti volevano fare, ovvero ‘Come sta?’.

Cuddy rivolse loro un espressione fintamente scocciata “Ci romperà l’anima per ancora molto tempo a venire.”

Tutti nella stanza ricambiarono il suo sorriso mentre se ne andava.

 

 

 ***

 

Ancora un paio di capitoli, e questo delirio arriva alla fine... :-)

 

La frase che Six dice ad House riguardo l'aver sperimentato o meno l'amore, in originale lo dice a Numero Tre in uno dei primi trailer della terza stagione di Battlestar Galactica.

Che centra, direte voi. Centra, centra... Vedrete...

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. ***


New Page

 Il sorriso di tutti svanì in fretta come era apparso, non appena House venne dimesso e poté tornare al lavoro. Sebbene il dolore alla gamba fosse scomparso quasi del tutto, rimaneva lo stesso odioso misantropo bastardo di sempre. La ragione? Stava cercando di capire cosa avesse scatenato quella sequenza di sogni assurdi mentre era in coma. Potevano dipendere dalla ketamina, erano abbastanza confusi e insensati per esserlo, eppure aveva l’impressione che ci fosse qualcosa che ancora non afferrava. Come non afferrava il comportamento di Cameron e Wilson.

Wilson ultimamente parlava spesso a quattr’occhi con Cameron, e se questo gli sembrava strano, quando sentì distintamente i due usare i rispettivi nomi di battesimo decise che c’era qualcosa che non andava… altrimenti detto, qualcosa che non sapeva e che voleva dannatamente sapere.

Così, un giorno, decise di chiedere loro che diavolo stesse succedendo, usando le seguenti parole: ‘Per gli dei di Kobol, si può sapere che diavolo sta succedendo?’.

Cameron e Wilson lo squadrarono con l’aria più allibita possibile, lanciandosi una rapida occhiata che sicuramente pensavano lui non avesse visto, e dopo averlo distratto con una scusa avevano girato i tacchi e se l’erano svignata di corsa. Da quel momento in poi, non era più riuscito a beccarli da soli o in coppia.

Avrebbe voluto dire che questa fosse l’unica scocciatura che aveva, ma sfortunatamente tale ruolo era ancora ricoperto in modo eccelso dalla dottoressa Cuddy, che gli aveva imposto un programma di fisioterapia piuttosto serrato e una nuova fisioterapista che a quanto aveva sentito era tanto bella quanto sadica. Sapeva anche che, come lui, era stata scelta personalmente da Cuddy, zittendo il consiglio d’amministrazione con un curriculum di tutto rispetto.

A questo punto, mancava solo che si incontrassero. Ma se dipendeva da House, non si sarebbero incontrati mai. Fortunatamente invece dipendeva da Cuddy, quindi le presentazioni avvennero nel suo ufficio il giorno dopo la comunicazione che doveva fare fisioterapia, e dopo averlo attirato lì con l’unica esca che funzionava con lui, ovvero uno sconto sugli orari di clinica.

House era combattuto: se da un lato sospettava che fosse una trappola, dall’altro sapeva a cos’era disposta Cuddy per di vederlo a fare il suo lavoro in quel circo a tre piste che era l’ambulatorio del Princeton-Plainsboro.

E in presenza di certezze, i sospetti andavano in secondo piano… decise di tenere la guardia alta, e andò verso l’ufficio di Cuddy. Che non era lì, a sentire la sua nuova segretaria, che lo spedì nella sala adibita alla fisioterapia.

Si era preparato una battuta d’entrata fulminante per mettere subito a posto la fisioterapista, ma quando la vide in faccia rimase semplicemente basito. Di fronte a lei, in carne, ossa, e impeccabile tuta nera, c’era Numero Sei. Dopo aver speso giornate a convincersi che quella era la realtà… possibile che avesse preso una cantonata del genere?

“House, stai bene?” domandò Cuddy, vedendolo nel panico.

House aprì la bocca per parlare, ma fu battuto sul tempo dalla ragazza, che con un sorriso disse a Cuddy che non era il primo uomo che la fissava così.

“O sbavano, e so che ci proveranno entro la fine della fisioterapia, o tremano, e so che hanno chiesto in giro e si sono sentiti rispondere che sono una sadica. Oltre a essere soggetti chiaramente intimoriti da una figura dominante femminile.”

“Andiamo a casa mia e ti faccio vedere quanto sono intimorito.”

“D’accordo, ma la frusta preferisco farla schioccare in palestra. Sono più tradizionalista da altre parti.”

“Oh non me lo dire… fiori, appuntamento e preliminari infiniti?”

La ragazza fece finta di pensarci un attimo “No… fiori, appuntamento e deviazione nel parcheggio del ristorante. Credevo fossi infettivologo.”

“Lo sono.”

“Allora smettila di farmi un esame radiologico.”

“Tesoro, non hai niente che non abbia già visto.”

“Non si sarebbe detto da come mi stavi fissando le tette.”

“Cos’è, preferisci il richiamo dell’antitetanica?”

“Dipende da dove posso infilarti la siringa.”

“Scusate?” disse Cuddy, che aveva fissato lo scambio di battute come una partita di tennis. I due si voltarono a guardarla.

“Salve. Vedo che la conoscenza è andata bene. Perché non ti presenti?” disse poi alla dottoressa, con cui, House dedusse, doveva esserci un rapporto precedente all’assunzione.

“No, lasciamo l’alone di mistero per ancora…dieci minuti.”

“Ti chiami Petula, Cindy Lou o qualche nome del genere? Capirei se fosse così.”

“No. Se non lo sanno già, non dico mai il mio nome di battesimo ai miei pazienti alla prima seduta, così posso evitare che lo strillino diecimila volte al secondo in varie combinazioni di insulti.”

“Visto il soggetto che ti attende ti do ragione. A presto, tesoro.”

La ragazza sorrise e salutò con la mano, poi sorrise perfida e si mise me mani sui fianchi.

“Bene, Gregory, pronto a iniziare?”

House fece una smorfia di dolore intenso nel sentirsi chiamare così “Possiamo evitare? Solo mia madre e la prostituta che chiamo il venerdì sera mi chiamano così.”

“Mio mondo, mie regole.”

E sulle regole, la bionda non scherzava. Dopo avergli detto le cose di cui avrebbe dovuto fare a meno durante il lavoro con lei, House le disse che valeva la pena ucciderlo direttamente e anche che se ne andava.

“Beh, l’esperto sei tu” bofonchiò lei appena le ebbe voltato le spalle. House si girò subito.

“E questo che vuol dire?”

“Solo che tra me e te quello che ha avuto più esperienze di quasi morte sei tu.”

“Ma c’è qualcosa che la Cuddy non ti ha detto di me?”

“No, ma non è questo il punto. L’ultima me l’ha detta lei, ma la prima l’ho vista.”

House aggrottò le sopracciglia. La prima l’aveva vista?

Poi, tutto ebbe un senso.

La ragazza in rosso, la visione che credeva di aver avuto durante l’arresto cardiaco… era lei?!

“Vestito rosso, tacchi a spillo, cinque anni fa?”

“Caspita che memoria.”

“Stavo morendo per un attacco di cuore, ricordo perfino la sfumatura della camicia di Cuddy. Che diavolo facevi lì?”

La ragazza si morse il labbro, combattuta… poi disse che se sarebbe sopravissuto alla sessione, glielo avrebbe detto.

Fregato dalla sua curiosità, House capitolò. Ma si divertì parecchio in quell’ ora a trovare insulti nuovi per la fisioterapista. Aletto, per esempio. Megera. Figlia di Satana. Tisifone. E il suo preferito, nipote di Vogler.

Scoprì che anche quella ragazza non era certo una novizia in quel campo, anche se rimaneva sul tradizionale.

“Dai sempre del brutto idiota ai tuoi pazienti?”

“No, ma di norma non ho bambini di cinque anni come pazienti. Dovevo pur trovare un terreno comune. Senza contare che quando lo racconterò a Lisa si farà delle belle risate.”

“Rapporto privilegiato dottore paziente!”

“Infatti non le parlerò della terapia… cosa che tra l’altro già sa.”

“Sto iniziando a desiderare di farti...”

“Oh no, non dirlo. Non vorrei che la prostituta del venerdì si trovasse disoccupata per colpa mia!”

Dopo uno scambio di sorrisi molto sarcastici, la sessione di fisioterapia venne dichiarata finita. House ringraziò il cielo, e pretese di sapere che ci facesse in ospedale quella sera di cinque anni prima.

“Cinque anni fa, ero fidanzata. Ragazzo perfetto sotto ogni punto di vista, idolatrato perfino da mia sorella, il che era veramente tutto dire. Usciamo a cena in un ristorante di lusso per festeggiare la fine del suo dottorato di ricerca al MIT e la fine della nostra storia d’amore da pendolari. Decidiamo che la cosa merita di essere festeggiata a dovere, quindi ordiniamo cose che mai avevamo mangiato prima. In breve, crostacei e champagne francese. Mentre aspettiamo, mandiamo giù un paio di Apple Martini, lui tira fuori un anello di fidanzamento e mi chiede di sposarlo. Sono stata gloriosamente fidanzata all’uomo perfetto per altri dieci minuti, poi sono arrivate le portate…”

“Servite dalla sua ex che non aveva mai smesso d’amare. Sono fuggiti insieme lasciandoti il conto e tu sei finita in ospedale per un crollo nervoso e un’indigestione? Capita più spesso di quello che credi.”

“Giuro che l’avrei preferito. Al primo boccone, Gabriel inizia a tossire come se si stesse strozzando, ma non si stava strozzando. Shock anafilattico. Non sapeva di essere allergico ai crostacei, non avendoli mai mangiati in vita sua. È morto appena arrivato in ospedale. Io mi sono aggirata per l’ospedale in pieno shock per delle ore… e sono finita col buttare l’occhio nella tua camera.”

Prese un respiro profondo, sorrise, e disse che ora la sessione era ufficialmente finita, e di levarsi di torno perché aveva un altro paziente e il fisiatra suo capo era un vero rompiballe.

“Mi ricorda tanto qualcuno.”

“Ma che spiritosa.”

 “Ah, a proposito” disse. “Non ti ho detto il mio nome.”

“Non sono sicuro di volerlo sapere. Megera poi ti sta così bene…”

“Come misantropo bastardo e di incredibile accidia sta bene a te, ma trovo che Gregory House come nome sia più presentabile.”

House non rispose, ormai vicino alla porta. Considerato come si sarebbe sentito una volta varcata, forse avrebbe seriamente fatto meglio a tenere la bocca chiusa, ma se c’era una cosa che non poteva tenere a freno era proprio la sua curiosità…

Dannata, dannata curiosità.

“E quale sarebbe, questo nome? Cinque secondi per dirmelo” disse già stringendo la maniglia e aprendo la porta.

“Sono Shelley. Shelley Godfrey.”

House annuì senza voltarsi e in silenzio se ne andò a casa.

L’espressione di shock passò più o meno dopo il quinto whisky.

 

Il dubbio lo tormentava. Non è che stesse ancora sognando?

Per esserne certo, il giorno dopo decise di ‘sovvertire l’ordine’, cosa che si era sempre ritorta contro di lui. Diede così un giorno libero a Cameron, evitò di fustigare Chase e diede ragione senza discutere a Foreman. Il terzetto, sconvolto, filò da Cuddy appena House girò lo sguardo, ma la donna si limitò a guardare l’orologio e a sogghignare, mandandoli poi via dicendo che doveva fare una telefonata. Passare anche da Wilson sembrò una cosa da non fare (a questo punto, avrebbe anche potuto strapparsi la camicia e mettersi a ballare scuotendo delle maracas), e così decisero di andare di nuovo da House, non contraddirlo, prendere il più velocemente possibile le cartelle dei pazienti che stavano seguendo, e sparire.

Si fermarono giusto in tempo per evitare di essere travolti dalla dottoressa Godfrey, vestita con una tuta grigia e una maglietta azzurro cielo e i capelli raccolti in una coda di cavallo, che entrò come una furia nell’ufficio di House che stava giocando con la Playstation.

“Se non fossero trent’anni di carcere ti sarei già saltata addosso!”

“So di essere affascinante, Cameron, ma addirittura questo… Ah, non sei Cameron. Ops. Offesa, Shelley?”

Godfrey, che odiava perder tempo con i pazienti indolenti solo pochissimo di più di quanto odiava essere presa in giro, strinse gli occhi in un modo che gli ricordò la sua versione immaginaria. Di norma a quel punto Six avrebbe preso un’espressione calma e poi lo avrebbe fatto cozzare col muro o col tavolo. Shelley… pure. Si avvicinò, gli si sedette sulla scrivania, fece un respiro profondo, e si scusò dicendo di aver reagito in maniera esagerata per una sessione di fisioterapia mancata, incolpando la sindrome premestruale e gli ormoni. House la guardò strano, e strinse più forte tra le mani il videogioco, come a dire che se lo voleva avrebbe dovuto strapparlo dalle gelide dita del suo cadavere. Shelley invece si lanciò in un discorso sul perché non avrebbe dovuto essere così incostante nella riabilitazione, gli ricordò la sessione successiva il giorno dopo, e se ne andò in un’aura di calma. Ma gli assistenti di House videro che la sua bocca increspata stava trattenendo a malapena una grossa risata. Si voltò a guardarli, e mostrò sporgendolo lievemente dalla tasca della felpa l’I-Pod di House, strizzando loro l’occhio e facendo leggermente segno con l’indice dell’altra mano di fare silenzio.

Non aveva fatto che qualche passo, quando House emerse dal suo ufficio sbraitando.

“GODFREY!” ruggì il dottore. “Maledetta ladra di I-Pod! Torna subito qui!”

Shelley, che non ci pensava nemmeno, si mise a correre verso gli ascensori, e s’infilò nel primo libero giusto in tempo, prima che House potesse usare il bastone per bloccare la porta.

“Domani alle diciotto, e sii puntuale. Ciao!” disse Shelley, sorridendo dolcemente e facendo un cenno di saluto muovendo le dita. Si appoggiò poi alla parete dell’ascensore, e tirato fuori l’I-Pod iniziò a guardare le sue playlist, alla ricerca di qualche arma, e pensando già a come poteva fregargli la Playstation, obbligandolo così a venirci, alle sedute di fisioterapia.

House intanto stava mazziando Chase, Cameron e Foreman per non aver placcato quella donna diabolica, e appena non visti ringraziarono il cielo per aver fatto tornare il loro capo quello di sempre. Appena spariti, guardò il posto vuoto prima occupato dal suo prezioso I-Pod, meditando vendetta. Ma scoprì di non riuscire ad avercela con la bionda dottoressa, sveglia abbastanza da fregargli il suo giocattolino da sotto il naso. Sogghignò.

Vuoi la guerra, bionda? Oh, se l’avrai…

La fisioterapia che era deciso a evitare come la peste si era appena trasformata in qualcosa di molto, ma molto più interessante…

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Epilogo -- Parte prima ***


New Page

Ok, tecnicamente la storia è finita un capitolo fa, ma mentre lo stavo scrivendo ho pensato sarebbe stato divertente aggiungere un epilogo che spiegava perché House avesse sognato Numero Sei e tutta la brigata di BSG.

Per essendo una cotton moderata, Cam non avrà trippa per gatti né da me né da House sto giro. D’altro canto, non credo si lamenterà, visto con chi andrà a finire.

 

Cameron sospirò per l’ennesima volta quella sera. Come, come, in nome del cielo, aveva fatto a essere tanto stupida?

Foreman gliel’avrebbe pagata, questo era certo. Non solo l’aveva incastrata col turno di notte, ma l’aveva incastrata proprio quella sera, che si era sempre tenuta libera per il suo seminario di turno quando non era impegnata con un caso. Era stata brava, fino a quel momento. Letteratura russa, cinema degli anni venti, arte africana… avvenimenti culturali abbastanza interessanti ma non da suscitare più di un sospiro annoiato quando ne parlava, ovviamente dando dettagli a profusione, come se tali incontri e mostre esistessero davvero in qualche posto diverso dalla sua testa.

A quanto pareva però questa sventola con cui doveva uscire doveva essere davvero una sventola da antologia, perché Foreman aveva passato al setaccio tutti i siti e le riviste dei circoli culturali di Trenton e dintorni (leggasi: dello stato del New Jersey) alla ricerca della manifestazione di turno (cultura giapponese). Quando le si era presentato davanti con quel sorrisetto, era stata ad un niente dal colpirlo con un gancio destro perfezionato durante gli allenamenti di kickboxing al college. Ma Cameron era Cameron, e facendo buon viso a cattivo gioco disse che sì, aveva mentito perché così avrebbero smesso di chiederle che faceva il venerdì sera, e lei avrebbe potuto evitare di dire che si ubriacava e finiva a letto col suo vicino di casa altrettanto disperato.

Foreman aveva preso quell’aria che aveva quando compativa qualcuno (lei in particolare) sentendosi infinitamente superiore, e dopo averla salutata se n’era andato. Cameron, una volta sola. si chiese se se la fosse bevuta, e se, quando la voce si fosse sparsa, le infermiere avrebbero smesso di fare scommesse sulla sua vita sessuale (o sulla sua mancanza). Un conto era sapere di essere sola, e abbastanza disperata da farsi Chase (ma a sua discolpa poteva dire che era talmente fatta quella sera che avrebbe potuto essere il fattorino della pizza e non avrebbe fatto differenza. Tanto aveva visto per tutto il tempo un'altra persona al suo posto, con capelli scuri e occhi blu …) un conto era sentirselo bisbigliare alle spalle, e sapere che era perfido e indubbiamente vero.

Infatti, ogni weekend cercava di smentire questa voce. Ogni venerdì sera si riprometteva di fregarsene e uscire a divertirsi, a bere qualcosa, volesse il cielo anche rimorchiare qualcuno che dopo il primo appuntamento poi non l’avrebbe più chiamata e contro cui avrebbe potuto inveire in ospedale, giusto per far migliorare la sua reputazione. Poi commetteva sempre l’errore di accendere la televisione, ascoltava rapita la sigla del suo programma preferito e si buttava sul divano con una ciotola di popcorn appena fatti al microonde e un paio di birre gelate, attenta a non perdersi neanche un dettaglio e ringraziando ancora una volta quel paziente che durante un altro turno di notte l’aveva introdotta a quel telefilm.

E chiunque avesse deciso di dare la parte di Lee ‘Apollo’ Adama a Jamie Bamber.

Il mistero era svelato: la dottoressa Allison Cameron non andava a noiose manifestazioni culturali, non aveva una relazione sessuale sadomaso col suo vicino di casa (che nella vita reale aveva un pacemaker e ottant’anni), o qualche altra sorta di doppia vita.

Era semplicemente e totalmente andata per la nuova versione di Battlestar Galactica.

E quella sera, praticamente (e incredibilmente) per la prima volta da quando guardava Galactica, se la sarebbe persa!

Certo, c’era la televisione in studio di House, e lui era ancora in coma farmacologico… ma che avrebbe fatto se l’avessero beccata? La sua dipendenza sfiorava quella di House per General Hospital, ed era altrettanto isterica quando veniva costretta a distogliere l’attenzione dal programma. Già la prendevano in giro per il suo carattere e altri motivi, non voleva dare altre munizioni ai pettegoli, che in ultimo sarebbero arrivate ad House una volta redivivo, e che le avrebbe usate da quel momento in poi  in eterno e senza pietà.

No, grazie.

Ma rimaneva il fatto che l’ora si stava avvicinando, e come al solito iniziava a sentirsi sempre di più una tossica alla ricerca di una dose. Dove diavolo poteva trovare un posto tranquillo dove non l’avrebbero disturbata?

Fissò sconsolata la scrivania di House, e fu allora che le si accese la metaforica lampadina.

Cinque minuti più tardi era davanti alla televisione con un bicchiere, un paio di lattine di coca cola e qualche pacchetto di patatine preso alle macchinette.

Nella stanza di House.

Si ricordò vagamente una sua tirata indignata sul fatto che lui andasse spesso a vedere la tv nelle stanze dei pazienti comatosi. Ringraziò ancora una volta il cielo che non potesse servirsene contro di lei, e si mise comoda (ovvero coi piedi scalzi sul letto di House) di fronte al suo show preferito.

 

Quando attaccò il giorno dopo, era dolorosamente certa che Foreman l’avesse già sputtanata con chiunque gli fosse capitato a tiro. Viste le facce delle infermiere, la risposta era sì. Almeno adesso avrebbero smesso di darle della monaca di clausura…

Poi avrebbero senza dubbio realizzato la balla, e tutto sarebbe tornato punto e a capo.

Entrata nella saletta, ci trovò, oltre a Foreman, Chase, Wilson e anche Cuddy. Guardò per un istante il pavimento, domandandosi se e come poteva sprofondarci dentro, poi decise di fare come se non fosse successo niente e non sapesse perché la stessero guardando a quel modo (e perché Chase avesse l’aria offesa, pensò la bruna dottoressa).

Un momento… l’unico a non fissarla strana era Wilson. Possibile che i pettegoli del Priceton-Plainsboro non gli avessero raccontato dei suoi dissoluti fine settimana? 

Cuddy interruppe le sue riflessioni dando come ogni giorno il bollettino medico su House e spedendo chi di dovere in clinica. Caso volle, proprio Cameron e Wilson… il quale, una volta in ascensore, scoppiò a ridere e le chiese la vera ragione per aver montato una balla così assurda.

“Perché, non potrebbe essere vero?”

“In quale universo parallelo?”

“Cioè, io sarei incapace di…?”

“Totalmente. E appena ci rifletteranno un po’ meglio, lo capiranno anche gli altri.”

“Sembravo incapace anche di prendere anfetamine.”

“E s’è visto com’è andata a finire.”

“Non sono così innocente!” protestò Cameron. Oh, ma chi voglio prendere in giro, pensò poi, e fatto un sospiro decise di confessare e farsi seppellire dalle risate. Meglio Wilson di Foreman e Chase, comunque.

“E va bene, lo sono. Contento? Non vado a eventi culturali né mi faccio il mio vicino di casa.”

“Entrambe cose buone e giuste da non fare, a meno che i vicini di casa non siano Brad Pitt e Angelina Jolie.”

“Non ho finito, la cosa patetica arriva adesso… Ogni venerdì sera attacco un cartello sulla porta di casa che intima di girare al largo da casa mia per almeno un’ora. E se non sono reperibile, stacco anche il telefono. Semplicemente, ucciderei chiunque mi venisse a rompere le scatole, intenzionalmente o no…”

Wilson non parlò. La cosa era ai limiti dell’incredibile, perché da quando viveva da solo il venerdì sera faceva esattamente la stessa cosa. E quante probabilità potevano esserci che anche lei…?

 “ …poi mi butto sul divano con una birra e qualche snack…”

“E mi godo in santa pace Battlestar Galactica” dissero entrambi i dottori all’unisono.

Quando le porte dell’ascensore si aprirono, tutti poterono vedere Cameron e Wilson fissarsi in faccia sbalorditi e a bocca aperta. Subito Wilson premette un bottone e le porte si richiusero.

“Scusa, ho capito bene?”

“Ti stavo per fare la stessa domanda!”

“Tu guardi Galactica?!” domandò Cameron, tra il divertito e l’incredulo.

“Sono più sorpreso io! Come te la sei cavata con la puntata sull’aborto?

“E quando Roslin ha nascosto Hera da sua madre e le fatto dire che era morta?”

“Quando Sharon e Helo scopriranno della bambina, dovrà seriamente raccomandarsi ai suoi dei! Che ne pensi di lei come ‘messia’?”

“Quando parte per la tangente messianica non mi piace granché, ma non si può pretendere… con tutta la chamalla che si è ciucciata per curare il cancro…”

 “D’accordo che non sono contrario ai rimedi naturali, ma speriamo che lei lasci perdere.”

“Vedremo… e vedremo anche dove andranno a parare Sharon e Numero Sei con questa storia di voler vivere in pace con gli umani.”

“Bel colpo in testa ha mollato la bionda a D’Anna, però.”

“Concordo.”

Wilson sogghignò “E ora mi dirai che non sbavi dietro all’ammiraglio Adama.”

“Ma smettila!”

“Visti i precedenti…”

“Di che precedenti stai…? Oh no. Oh no!”

“Niente di niente? Cameron, sono stupito!”

“Lee è molto meglio del Vecchio, se permetti.”

“Allora immagino ti sarai gustata quella certa scenetta con Apollo e il suo asciugamano in Final Cut…”

“Ho gli occhi anch’io” disse Cameron con tutta la dignità di cui fu capace. Decisamente non gli sarebbe andata a dire che il desktop nel suo computer passava da Stonehenge a Lee Adama seminudo appena arrivata nella sua macchina nel parcheggio dell’ospedale, e per evitare altre discussioni sbloccò le porte dell’ascensore e uscì, diretta alla sala visite uno.

“Non abbiamo ancora finito il consulto, dottoressa Cameron!”

“Se per l’ora di pranzo sarà ancora dello stesso avviso, provi a vedere alla mensa, dottor Wilson. Non le negherò le mie opinioni” aggiunse poi sorridendo, felice di aver trovato un altro fanatico suo pari. Wilson annuì ricambiando il gesto, e andò nella sala visite due.

 

Il consulto riprese all’ora di pranzo, e continuò fino a fine turno. Decisero che il finale della stagione doveva essere espressamente visto insieme, preceduto dal riassuntone di quaranta minuti della serie perché repetita juvant.

Riguardo al posto… lì c’erano problemi. A Cameron era piombata in casa sua madre, a cui piaceva pensare che la sua figliola amasse ancora follemente Titanic e Pretty Woman. Wilson era in pieno divorzio e non poteva farsi vedere mentre invitava in casa una ragazza giovane e carina, con la fama di donnaiolo che si ritrovava e che l'ex moglie assieme all'avvocato aveva ingrandito a livelli incredibili.

Così, dopo aver raccontato balle su uno straordinario da fare, Cameron portò Wilson nell’unico posto dove nessuno li avrebbe disturbati.

La camera di House.

Dopo due ore e mezza, in cui avevano discusso dello show ma anche di pettegolezzi che giravano nell’ospedale (tipo la bionda fisioterapista di nome Godfrey che Cuddy aveva tirato fuori dal cilindro qualche giorno prima) uscirono dalla stanza felici, al solito sconvolti dal cliffhanger finale, e molto ottimisti per la serie ancora da venire dopo aver visto il trailer in coda all’episodio.

Si salutarono, diretti alle rispettive case, e nessuno ci pensò più.

Almeno fino al momento in cui sentirono House, rivolgendosi a loro, usare l’intercalare ‘Per gli Dei di Kobol.’

 Sapendo a priori che House non guardava quella roba, c’era solo un’altra spiegazione possibile che giustificava anche alcuni dei comportamenti di House appena dopo il risveglio, e non ci voleva una laurea per sapere che se House avesse scoperto che quei sogni allucinanti che aveva fatto in coma erano più o meno colpa loro, gliel’avrebbe fatta pagare da lì all’eternità.

Pertanto decisero di prenderla maturamente… e di non farsi mai beccare da soli con House, con ogni mezzo possibile.

 

House stava per morire d’inedia.

Ma dov’era finito Wilson? Avrebbe dovuto finire in clinica da circa un’ora, e lui a quel punto avrebbe di norma già avuto modo di bloccarlo, impedirgli la fuga… e scroccargli il pranzo. E poi quel giorno c’era la lasagna, che andava via come il pane se non si era abbastanza svelti. Combattuto tra il desiderio di appagare la sua curiosità aspettando l’amico e quello di appagare il suo stomaco non aspettando l’amico, capitolò in favore di quest’ultimo e andò in mensa… salvo ricordare sulla soglia del suo ufficio che non aveva soldi con sé, vista la sua abilità nel farsi più o meno volontariamente offrire i pasti.

Tempo due secondi, era di nuovo in viaggio verso la mensa. Nel pugno della mano destra stringeva una banconota da venti dollari fregata dal portafoglio di Chase, con cui avrebbe insegnato all’ingenuo dottorino ad essere più cauto con i soldi…

“Ma guarda un po’ chi c’è qui.”

House alzò gli occhi al cielo. “D’accordo, Dio, chiedo scusa, non mi spaccerò mai più per te. Ma ora la fai sparire?”

Shelley sogghignò, appena uscita dall’ufficio di Cuddy “Dubito ti ascolti. Sono un castigo che ti è stato mandato da Cuddy, non dal padreterno.”

“Avevamo un appuntamento?”

“Non oggi. Domani mattina, alle otto…”

“Ma è l’alba!”

“…e vedi di esserci! O potrebbe toccare alla tua playstation.”

“Maledetta sequestratrice. Voglio la prova che il mio I-Pod è ancora in vita!”

“Ti invierò gli auricolari e una foto col quotidiano uno di questi giorni. Intanto io e la tua playlist ci stiamo divertendo così tanto insieme …”

“Bene, ho afferrato. Sei una sadica torturatrice anche di oggetti inanimati. Ora se non ti dispiace sloggiare…”

Ma Shelley sogghignò di nuovo vedendo la banconota nel pugno di House, che il dottore tentò troppo tardi di nascondere alla ragazza.

“Venti dollari sono un po’ tanti per mangiare da solo. Va bene, visto che insisti, offrimi il pranzo. Se non sbaglio oggi c’è la lasagna, io l’adoro!”

House le lanciò un’occhiata dall’alto in basso molto dubbiosa “Adori anche vomitarla, dopo?”

“Due parole: metabolismo iperrapido. E ora muoviti, su, che sennò finisce!”

 

A furia di spintoni, Shelley portò House in mensa. Poi House vide una cosa totalmente assurda, e chiese a Shelley se anche lei stava vedendo lo stesso.

“Ovvero che Cameron e Wilson stanno mangiando allo stesso tavolo? Sì. E con me tre quarti dell’ospedale. Allora?”

“È uno dei segni dell’apocalisse!”

Shelley lo guardò inarcando un sopracciglio, e House le spiegò (mentre facevano la fila per la lasagna) come il fatto che Wilson avesse mancato di farsi rapinare per l’ennesima volta da lui, e avesse scelto di offrire il pranzo a Cameron, fosse il segnale imminente della fine del mondo civilizzato e della società occidentale.

“Beh, c’è una soluzione” disse Shelley, avvicinandosi alla cassa. “ E te l’ho già detta. Offrimi il pranzo e l’equilibrio cosmico si riassesterà.”

Prima che House potesse dire una parola in protesta, Shelley disse alla cassiera che erano insieme e che avrebbe pagato lui, e si allontanò verso un tavolo deserto. House mugugnando pagò il conto, e andò al tavolo di Shelley, da cui, notò, si godeva una bella vista del tavolo di Cameron e Wilson, e a tratti anche brandelli della conversazione.

 

Tra un boccone e l’altro, Cameron e Wilson passarono al microscopio le prime due puntate della nuova stagione, che erano iniziate con l’occupazione cylon dell’appena costituita colonia umana in un remoto pianeta.

“Sai, non riesco ancora a crederci. Finalmente qualcuno con cui parlarne! Nessuno tra i miei amici segue lo show…”

“Neanche i miei lo guardano. Appena sentono fantascienza storcono il naso.”

“Beh, ci perdono loro.”

“Esatto. È probabilmente lo show più innovativo che… ”

“Scommetto che lo guardi per Tricia Helfer” buttò lì Cameron, lanciandogli un’occhiata cospiratoria.

“Sei incredibile. Quindi secondo te io non posso appassionarmi ad una serie per i suoi contenuti?”

“No, dico solo che quel paio di gambe dev’essere stato un bell’incentivo.”

Wilson tenne la faccia imbronciata per ancora qualche secondo, poi annuì “Sicuramente guardarla in quel vestito rosso non mi dispiace. Almeno quanto non dispiace a te guardare Apollo o Anders!”

Cameron scosse la testa ridendo e gli lanciò dietro una patatina. Wilson se la mangiò, poi notò quel che Cameron aveva nel piatto. Niente solita insalata, ma un hamburger che l’avrebbe candidata a un bypass, contornato da altre patatine fritte che nuotavano nell’unto.

“Lo sai che darai alito alle voci di bulimia che già girano, se mangi quella roba?”

“Lo sai che non me ne frega niente?” disse Cameron, aggiungendo poi che un paio di volte pure House aveva fatto qualche allusione.

“Ecco il motivo. House. Fame nervosa?”

“Tu dovevi fare lo psichiatra. Sì. Ogni tanto mi prende. Allora? Neanche mi ricordo l’ultima volta che ho mangiato qualcosa di diverso da un insalata.”

“Perché voi donne vi affamiate per poi abbuffarvi non lo capirò mai.”

“Com’è che siamo finiti a parlare di questo?”

“Perché non sai accettare la verità sulla tua infatuazione da adolescente.”

“Ma senti chi parla! Ah, a proposito di infatuazioni, sappi che House crede tu ti faccia la nuova assistente della Cuddy.”

“Grazie dell’avviso. Non è vero, ovviamente.”

“Ovviamente.”

“A proposito di infatuazioni…” disse Wilson con un sorrisetto, e fece cenno a Cameron di avvicinarsi. Poco dopo, stava sogghignando anche lei.

E questo fece ammattire House, che non riusciva a sentire più niente.

“Ma porca miseria!”

“Direi… Cameron ha proprio in odio il suo fegato oggi.”

“Non stavo parlando di quello! Non si sente più niente!”

“Allora… hanno parlato di qualcosa di incredibile, con un gran paio di gambe, di Apollo… qualche idea sul filo del discorso?”

“Mi interessa sapere quel che dicono adesso, non quel che dicevano mezz’ora fa!”

“Parlano di noi” disse Shelley ingoiando un boccone di lasagna.

House fece la sua miglior espressione sorpresa.

“Sei telepatica?”

“Leggo le labbra, idiota” disse la dottoressa appena ebbe la bocca libera.

“E che dicono?”

“Niente di sconvolgente” disse ritornando a dedicarsi al suo piatto.

“Ovvero?”

“Il solito… che ci fa una sventola come la sottoscritta al tuo stesso tavolo, se progetto di ucciderti nel sonno, se tu progetti di strangolarmi durante una sessione di terapia…”

“E riguardo il discorso di prima? Non fingere, sai che si sono detti!”

In quel momento, Shelley ingoiò l’ultimo boccone.

“Oh, ho finito il pranzo. E ho una sessione tra mezzora, devo andare” disse alzandosi da tavola col vassoio in mano.

“Non t’azzardare!”

Shelley salutò, e se la filò via di corsa. Dire quel che si erano detti ad House voleva dire dare al dottore una bella schiera di munizioni contro quei due, e fino a prova contraria Cameron e Wilson le stavano simpatici. Chissà che non si mettessero insieme… lei e Gabriel dopotutto avevano iniziato la loro sfortunatissima storia d’amore proprio con una discussione su ER. E considerato com’era andata a finire, al destino non era certo mancata l’ironia.

“Dottoressa Godfrey!”

Shelley guardò in direzione della voce, e vide venire verso di lei il suo paziente. Di norma seguiva le terapie a casa sua, anche se non aveva mai capito il motivo specifico. Qualcosa che aveva a che fare con sua moglie, o così lui gli aveva detto. La suddetta moglie li stava guardando in quel momento da una piccola distanza, e la faccia che le stava rivolgendo la fece quasi ridere.

Chi l’avrebbe detto che Lady Botox, altrimenti detta Stacy Warner, fosse realmente in grado di far prendere al suo viso un’espressione tanto scocciata?

Mark, una volta vicino, smise di usare le stampelle e le fece vedere che riusciva a muovere passi senza nessun aiuto e con stabilità.

“Allora?”

“Congratulazioni, Mark!” fece Shelley, abbracciando il suo prossimo ex paziente. “Devo ammetterlo, ti avrei preso a calci nel sedere fino in Canada e ritorno quando ti sei alzato dalla sedia a rotelle, ma ora tutto è posto. Sono davvero una grande.”

“Tu? Io ho fatto tutto il lavoro!”

“E chi ti ha detto che fare, eh? E poi sono il tuo medico, evita di contraddirmi o ti becchi la fisioterapia per un altro mese.”

“Per carità, un altro mese e mi distruggi!”

Shelley ridacchiò facendo la svenevole giusto un po’ più del necessario, ma adorava far venire i nervi a Stacy, che si era sentita minacciata dalla bionda dottoressa più o meno da quando le aveva stretto la mano durante le presentazioni e aveva visto quanto lei e Mark se la intendessero bene. Cuddy aveva fatto intendere che dietro il suo comportamento c’era dell’altro e che lei sapeva tutta la storia, ma non voleva dirle nemmeno una parola al riguardo. Aveva anche lasciato intendere che qualsiasi cosa fosse successa era colpa sua, pertanto Shelley si era sentita più che autorizzata a divertirsi un po’ alle spalle di Stacy.

Poi vide che Stacy non stava più fissando lei, ma qualcun altro, e che Mark si era improvvisamente zittito. Shelley si girò, e vide House uscire dalla mensa e tornarsene nel suo studio.

D’un tratto, le allusioni confuse di Cuddy iniziarono ad avere un minimo di senso.

Con un sorriso, Shelley prese sottobraccio Mark e lo condusse alla sua ultima sessione di fisioterapia.

Per la fine dell’ora, era riuscita a far cantare Mark sulla tresca di sua moglie con House durante la sua fisioterapia.

“Che bastardo!” disse Shelley mentre finiva di far fare l’ultima serie di esercizi a Mark.

“Perché credi mi sia alzato prima dalla sedia a rotelle?”

“Ti avrei preso a calci fino in Canada e ritorno anche se lo avessi saputo. Com’è che state ancora insieme?”

“Mi ha confessato tutto. E andremo a vivere dall’altro capo del paese appena la mia dottoressa mi darà il via libera, e ti prego, dammelo.”

“Te lo avrei dato anche prima se avessi usato quella parte del corpo che si chiama bocca per uno dei suoi scopi primari, ovvero parlare! Che pensi di fare?”

“Riguardo che?”

“Tua moglie ti tradisce e tu non pensi neanche ad una piccolissima vendetta?”

“Non sono il tipo.”

“Però un pensierino sul prendere House a pugni ce l’hai fatto.”

“Quel pensiero lo ha fatto chiunque sia sano di mente. Piano, non sono di gomma!”

“Smettila di frignare! Senti… la tua signora che pensa di me? La pura verità.”

“Dice che non si spiega che diavolo ci fa una come te a fare la fisioterapista, e che è sicura di averti già visto da qualche parte.”

Sicuro che mi ha già visto, pensò Shelley. Quella sera di cinque anni prima, in cui House per poco non era morto.

“Ti ha molto velatamente dato della sgualdrina” aggiunse ancora Mark. Shelley rise.

“Molto velatamente? Beh, pensavo peggio. Ma visto come ci ha trovati quella volta nel soggiorno di casa vostra…”

“Scusa, credevo sul serio di farcela.”

“E tra il divano e me hai svelto di cadere proprio su di me?”

“La sua faccia però era impagabile.”

Shelley lo guardò inclinando la testa e sorridendo maliziosa “Ma allora l’hai fatto apposta… non mi hai appena detto di non essere tipo da vendetta?”

“Quella non era una vendetta!”

“Sì, certo… “

“Lo sembrava?”

A quel punto Shelley avvicinò la bocca all’orecchio di Mark, e gli sussurrò la sua idea.

 

“Bene, Mark” disse Shelley accompagnando Mark dove sua moglie lo stava aspettando “Sei stato un paziente modello. Ne avessi di più come te!”

“Merito della mia fisioterapista” disse lui assicurandosi che Stacy fosse in vista ma ad una certa distanza. Dopo aver dato il via libera a Shelley, i due iniziarono il teatrino che avevano concordato qualche minuto prima, una tale citazione da ‘General Hospital’ che avrebbe reso orgoglioso House.

“Shelley… io ti amo!”

“Mark… non dobbiamo. Tua moglie…”

“Chi se ne frega di Stacy, mi importa solo di te! Tu mi hai ridato le mie gambe, mi hai salvato!”

“Che diavolo sta succedendo qui?”

Stacy, appena sentita la frase, non aveva perso tempo a precipitarsi da loro due.

Shelley e Mark, che stavano seriamente avendo problemi a non ridere, continuarono la pantomima, fingendo di essersi innamorati perdutamente durante la fisioterapia. House, di nascosto, stava osservando tutta la scena. E stava prendendo mentalmente nota di quanto Shelley, se adeguatamente motivata, potesse essere perfida.

Quando Mark fece fare a Shelley un casqué e finse di baciarla, Stacy lanciò uno strillo che per intensità e durata fu sentito da parecchi cani a miglia di distanza, e per poco non infranse tutti i vetri dell’ospedale.

Shelley a quel punto finì piegata in due dal ridere e Mark dovette appoggiarsi alla colonna dietro cui era nascosto House, reggendosi la pancia.

Stacy sembrava totalmente persa. Shelley la guardò e pensò che a furia di aggrottare la fronte Lady Botox sarebbe dovuta correre a farsi un paio di iniezioni appena fuori da lì.

“E con questo” disse Mark tra una risata e l’altra “il mio rapporto con General Hospital può dirsi concluso. Per sempre!”

“Ehi, non criticare la mia soap, chiaro? In certi casi è meglio di un antidepressivo! E mi pare che con te abbia servito allo scopo!”

“Sarà… Ad ogni modo, Shelley, grazie ancora di tutto, buona fortuna qui al Princeton-Plainsboro e fa attenzione ad House.”

“Gioia, House è un mio paziente.”

Mark fece un sorriso molto, molto soddisfatto, sicuramente immaginando la sua fisioterapia con la dottoressa Godfrey, e presa sottobraccio Stacy (che ancora non aveva capito niente, ma che lanciò uno sguardo velenosissimo verso Shelley) se ne andò, finalmente senza stampelle o altro a impedirgli di vivere la sua vita.

La dottoressa Godfrey fece un cenno di saluto con le dita, e si voltò per tornare nel suo reparto. Per poco non cozzò contro House, uscito nel suo nascondiglio.

“Con te non parlo” disse Shelley, riavutasi dalla sorpresa.

“Molto maturo. Quanti anni hai?”

“Un paio più di te di sicuro. Ma come hai potuto fare una cosa del genere a Mark?”

“Io e Stacy avevamo un passato.”

“Sbaglio o è quella che ti ha fatto operare contro il tuo parere? E che ti ha mollato durante la riabilitazione?”

“Cuddy non sa mai quando tenere la bocca chiusa.”

“No, la gola profonda è Wilson. Che diavolo ha quella faccia al botulino di tanto attraente, si può sapere? E poi… cristo, è un avvocato, per l’amor del cielo! Come si fa a trovare sexy un avvocato costituzionalista?”

“Come mai tanto interesse?”

“Sono stata la fisioterapista di Mark da quando per colpa tua ha avuto la brillante idea di alzarsi da quella sedia a rotelle prima del tempo. E in quella casa ci sono stata sicuramente più io che te e il tuo sorcio… pardon, Steve McQueen.”

“Caspita, quanto è ciarliero Mark! Cos’è sta storia di General Hospital?”

“È un tentativo non troppo furbo di cambiare discorso?”

“Sono curioso. Eddai… ti do la mia macchinina rossa e quella blu” disse con una vocetta infantile, nella sua migliore imitazione di un bambino petulante.

Shelley strinse gli occhi e scosse la testa, ma decise di rispondergli comunque.

“Cinque anni fa, e questo già lo sai, ho perso il mio fidanzato. Ho passato mesi a essere tutt’uno con il divano, la sua trapunta preferita e la mia scorta di fazzolettini di carta.”

“E cibo.”

“No, quello era opzionale. Dipendeva da quanto tempo era trascorso dall’ultimo amico che era passato a controllare se ero ancora viva. E guardavo solo soap. Tutto il santo giorno. Brasiliane, portoghesi, tedesche, messicane, francesi… qualsiasi, fosse su network, via cavo o satellite. Stupido come può sembrare, ma mi è servito per anestetizzare il cervello quel tanto che è bastato per farmi mettere il naso fuori di casa.”

“Dopo quanto?”

“Cinque mesi.”

“Quella non era anestesia, era lobotomia!”

“Sì, ma il mio lobo frontale è ancora dove deve essere, grazie tante. Com’è che uno tanto razionale non mi giudica una donnetta stupida per quanto ho appena ammesso di guardare?”

“Ohchetardidevoandare” disse House tutto d’un fiato, e fece dietrofront verso il suo reparto, lasciando Shelley a guardarlo con aria curiosa.

Per cinque secondi.

Sua meta successiva, decise, sarebbe stata l’ufficio di Cuddy.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** epilogo -- parte seconda ***


New Page

Perdono, perdono e ancora perdono! non aggiorno da una vita!

Mi sono persa nei meandri delle serie che sto recuperando ( e chi mai avrebbe pensato che Stargate Atlantis, Primeval e Firefly fossero così carine?), e la scrittura è finita in secondo piano anche perchè ho due esami da sbolognare e una tesi da scrivere... ad ogni modo, ecco la seconda parte dell'epilogo della mia storia, enjoy!

***

Cuddy come al solito era al telefono, ma fece cenno a Shelley di entrare e di sedersi. Da quando riuscì a capire, si stava parlando di organizzare un torneo di poker per beneficenza.
“Torneo di poker?” fece Shelley appena Cuddy fu libera.
“Ah già, tu non c’eri… Qualche mese prima che tu arrivassi abbiamo fatto un torneo di poker di beneficenza. È stato un gran successo!”
Shelley si appoggiò allo schienale della sedia imbottita “Ok, Lisa, che è successo di tanto divertente l’ultima volta?”
Cuddy fece lo stesso, col sorriso del gatto che ha mangiato il canarino “Ho battuto House per tre mani di fila.”
“E poi lui ha fatto il colpaccio e ti ha ripulito.”
Cuddy prese un’aria imbronciata “Se sapevi già la storia potevi evitare…”
“Non la sapevo, conoscendo il tipo ho tirato a indovinare. Giuro. Dai, quanto t’ha fregato?”
“Abbastanza. Ricordami di nuovo perché ti ho assunto come fisioterapista?”
“Favore riscosso dalla tua compagna di stanza al college per la sorellina minore molto geniale e molto rompiballe che conosci da una vita, nella speranza che smetta di fare la fisioterapista e inizi a fare il lavoro di fisiatra per cui ha la specializzazione, una volta che quella mummia di Dawlish se ne andrà in pensione e ci sarà una vacanza da riempire.”
“Mi pareva. Beh, questa volta sarà la mia rivincita! E tu devi esserci. Dai, viene anche Sharon…”
“Te l’ha chiesto mia sorella, vero?” rispose Shelley, improvvisamente sulla difensiva.
“Shelley, cinque anni a compiangerti sono tanti. Sei giovane, carina, i pazienti ti adorano, hai una promettente carriera… e due gambe per cui ucciderei” disse Cuddy, strappandole un sorrisetto con l’ultima affermazione.
“Già, cinque anni. E ancora mi sveglio la mattina e mi domando perché Gabriel non è accanto a me, o in cucina a preparare il caffè muovendosi come un elefante in un negozio di cristalli. Non mi sento pronta…”
“Non ti voglio costringere, ma tieni presente che Sharon non vedendoti per l’ennesima volta potrebbe venire a casa tua e trascinarti alla festa di peso.”
“Se qualcuno qui non le darà il mio indirizzo, non vedo come potrebbe farlo.”
“Se qualcuno qui tirerà fuori i tacchi e un abito da sera dalla naftalina, potrei anche decidere di non ricordarlo.”
“Correrò il rischio, allora” disse Shelley alzandosi e facendo per uscire.
Cuddy scosse la testa sconsolata. Shelley, al pari di House, era cocciuta come un mulo e altrettanto irremovibile quando si veniva alla vita privata. Sembrava quasi che qualcuno avesse pensato a come sarebbe potuto essere House come donna, e fosse arrivato a Shelley come conclusione.
Uscendo dall’ufficio, Shelley realizzò che non le aveva chiesto niente di House, e fece dietrofront.
“Lisa, un’ultima cosa. House guarda soap per caso?”
Lisa alzò gli occhi al cielo e sospirò.
“Lo interpreto come un sì. Mi dirai anche quali, o devo dedurlo dall’aggrottamento di sopracciglia stavolta?”
“È drogato di General Hospital.”
“Sì! Lo sapevo! E per drogato, intendi…”
“Maniaco. Dipendente. Va a chiedere a Ginecologia e Ostetricia.”
Lisa scherzava, ma Shelley annuì e disse che lo avrebbe fatto sicuramente. Non servì a nulla il tentativo di Cuddy di fermare la ragazza, urlandole dalla soglia del suo ufficio che non intendeva sul serio.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma andava in quel reparto più spesso di quanto fosse lecito per una del suo mestiere. Incolpava gli ormoni e l’orologio biologico, ma la verità era che le piaceva guardare i bambini nella nursery. Si era persa di nuovo nelle fantasticherie di come sarebbe potuto essere se Gabriel non fosse morto, quando con la coda dell’occhio colse l’inconfondibile zoppicare di House che si dirigeva verso la saletta dei medici. Guardò l’orologio, e vide che era ora di General Hospital. Sperò che il suo TiVo non la lasciasse a piedi com’era successo poco tempo prima (il tecnico le aveva detto qualcosa riguardo un eccessivo uso, e lei aveva fatto una faccia angelica in rimando scuotendo in segno negativo la testolina), e dopo aver contato all’indietro da cinquanta si diresse anche lei nella stessa direzione.
Quando arrivò, il dottor Lim, ostetrico, e il dottor Danes, ginecologo, stavano tentando di far sloggiare House dalla poltrona migliore, mentre il dottore faceva segno con la mano di fare silenzio.
Shelley guardò lo schermo e vide che il dottorino dagli occhi chiari era stato incastrato per la morte della paziente smemorata, quando invece era stata la sua malvagia suocera a farle fare l’iniezione letale via un’infermiera che stava ricattando perché in passato era stata una prostituta ed eccetera, eccetera ed eccetera...
“Eccone un’altra” disse Lim vedendola entrare.
“Ma come, e l’eterna gratitudine che mi avevi giurato quando ti ho rimesso in sesto la spalla?”
“Ma volete smetterla di fare casino?” sbottò House girandosi per apostrofarli. “qui c’è qualcuno che sta cercando di guardare la tv!”
Poi vide chi c’era oltre ai medici.
“Ah.”
Shelley però si mise con le mani appoggiate allo schienale della poltrona di House “Secondo me, il dottor Bauer gli crede, ma la vedo male con quella serpe di Madison. Non dimentichiamo che è figlia di Spencer Carrington!”
House le fece cenno di occupare la poltrona accanto alla sua, e Shelley lo fece subito, accettando l’offerta di patatine da parte di House.
In termini comparativi, nel cervello di House era l’equivalente dell’invito ad andare a casa sua per un drink dopocena. Gli rompeva avere intorno gente mentre guardava la sua soap preferita… ma stranamente Shelley e i suoi commenti non lo disturbavano affatto. Dopo le patatine, fu il turno di Shelley di offrire, e porse il pacchetto di arachidi.
“Michelle è finita in galera?” fece stupita la ragazza. “E io dov’ero?”
“Due puntate fa. La notte in cui Sondra è stata spinta fuoristrada.”
“Ah… Le due si odiano e niente alibi per la bionda.”
“L’alibi è Bauer, ma metterà in pericolo il suo matrimonio per la sua giovane amante?”
“Il mistero s’infittisce!”
Lim e Danes, sconsolati, se ne andarono dalla loro saletta.

“Senti, bionda” le disse poi mentre andavano agli ascensori “pensavo…”
“Potrei fare una battuta malevola, ma credo mi tratterrò.”
“Te ne sono grato. Allora…”
“No.”
“Non sai nemmeno cosa ti volevo chiedere!”
“Ha qualcosa a che vedere con me, te, un tavolo per due, e un qualsiasi locale pubblico?”
“Poteva essere, perché?”
“Sono il tuo dottore, e non se ne parla.”
“Non lo sarai in eterno, e poi mi hai incuriosito con la tua cultura di soap opera.”
“Ma perché non vai a tampinare Cameron? È lei che ha la sindrome della crocerossina, non io.”
“E chi la vede più? Sta sempre a parlare con Wilson!”
“Non ti facevo un tipo geloso. Ma non ti preoccupare, il tuo fidanzato sa chi è il suo vero grande amore.”
“Grazie per la rassicurazione, ma ero sicuro di questo.”
In quel momento, esattamente davanti a loro, Cameron fece un’espressione incredibilmente felice e si gettò tra le braccia di Wilson. Felice anche lui. Sorrise a Cameron, che lo ringraziò per qualcosa sprizzando gioia da tutti i pori, e poi se ne andarono parlottando fitto.
House a quel punto si ripromise che DOVEVA capire che diavolo stesse succedendo. Un conto era che le offrisse il pranzo, o parlassero… un altro era che si dessero a quel genere di effusioni in pubblico!
“Non dire una parola!”
“Non ho proferito verbo, House.”
“Ma l’hai pensato. Oh, se l’hai pensato.”
“Stai iniziando a pretendere un po’ troppo, ora. Fila a fare qualcosa di utile, va…” disse facendogli segno di andarsene con la mano.
Una volta certa che se ne fosse andato, fece chiamare Wilson al cercapersone.

“Fa soffrire House quanto ti pare, ma io sono un caso diverso!” disse Shelley, quasi aggredendo il dottore appena entrato nella sala visite 1.
“Credevo ti servisse un consulto!”
“Sono una fisioterapista, Wilson! Che ti chiamo a fare?”
“Ho già House che mi fa perdere le giornate, non ho bisogno che ti ci metta anche te.”
“Buffo, credevo che le giornate le perdessi comunque a sezionare con Cameron Battlestar Galactica.”
Wilson ammutolì di colpo, la fece retrocedere contro un angolo, e le domandò subito chi altro sapesse.
“Calmati, Wilson! Parliamo di uno show, non dei piani d’invasione di uno stato straniero!”
“T’immagini cosa sarebbe questa informazione in mano ad House? Già è considerato uno show da nerd, figurati se si scopre che io e Ally…”
“Ally? Interessante. Da cognome a nome a diminutivo, e tutto in tempi brevissimi… sei certo di contarla giusta? E lei ti chiama Jimmy? Dai, dimmelo!”
“Tra compagni di sventura ci si chiama per nome.”
“Questo merita una spiegazione più approfondita.”
Wilson a quel punto sputò il rospo, e Shelley fece del suo meglio per non ridergli in faccia.
Ovviamente fallì.
“Oddio non ci credo!” disse ridendo a crepapelle e appoggiandosi alla parete. Le ci vollero almeno dieci minuti prima di riuscire a formulare il resto del discorso che intendeva fare.
“Quindi quel delirio che mi ha raccontato è colpa tua e della Cameron? No, troppo assurdo!”
“Grazie…”
“Sai che ci sono anch’io?”
“E come…?”
“Lunga storia, te la dirà lui un giorno” disse Shelley, asciugandosi le lacrime e riprendendo fiato. “Ma mi sa che hai ragione, seriamente parlando. Se scopre che quel viaggetto nella fantascienza se l’è fatto a causa vostra, vi ammazza!”
“E dato che gradirei vivere, potresti evitare di parlare?”
“Potrei” disse Shelley sorridendo. “Ma solo se mi dici perché Cameron era tanto felice da abbracciarti in pubblico a quel modo.”
Wilson sospirò, e tirò fuori un foglio piegato in quattro dalla tasca. Shelley lo prese e lo aprì, leggendolo velocemente con gli occhi, e con un sorriso che si andava allargando man mano che procedeva.
“Non hai idea di cosa ho dovuto fare per far coincidere quel weekend con il nostro tempo libero. Il resto, tutta discesa.”
Il resto, era una prenotazione d’albergo e l’iscrizione pagata ad una delle più grosse convention di fantascienza del paese.
“Ho visto che viene tutto il cast, e visto quanto piacciono a me e Ally Tricia Helfer e Jamie Bamber…”
“Ok” disse Shelley, ripiegando il foglio e ridandolo a Wilson. “Hai un problema grande come una casa.”
“Avevi giurato di mantenere il silenzio!”
“House vi ha visti, idiota. La prossima volta che vuoi fare una sorpresa alla fidanzatina, accertati che non ci siano orecchie e occhi indiscreti in giro. Inizierei a lavorare su una balla da raccontargli, fossi in te.”
Wilson alzò gli occhi al cielo e si diede anche lui dell’idiota. Shelley, sorridendo, decise di lasciarlo a fustigarsi da solo.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Epilogo -- terza e ultima parte ***


New Page

Quando sia Cameron e Wilson sparirono insieme per il weekend, Shelley capì che Wilson non aveva seguito il suo consiglio. Se lo aveva fatto, la balla non aveva retto perché House era sul piede di guerra. La lavagna dove di norma elencava i sintomi era coperta di dati e informazioni che aveva raccolto in tutto l’ospedale da chiunque fosse riuscito a far cantare su Wilson e Cameron, andando dalla Cuddy (che si era limitata a sorridere, facendo capire che sapeva tutto e che non avrebbe detto niente) all’inserviente della mensa che aveva origliato dietro compenso l’ultima conversazione. Quando la conversazione aveva toccato l’argomento ‘camera d’albergo’, House era andato in paranoia.

L’ultima cosa che sapeva era che Allison Cameron moriva dietro a lui. Gregory House. Suo capo, mentore, eccetera eccetera. Sebbene non avesse intenzione di cederle, il fatto di avere una ragazza giovane, carina e moderatamente brillante che lo aveva eletto a sua fantasia erotica gratificava parecchio il suo ego. Il sapere però che la suddetta ragazza e quello che pensava essere il suo migliore amico fossero insieme in una camera d’albergo a fare Dio sa cosa gli dava fastidio. Parecchio. Soprattutto perché non l’aveva saputo con due mesi d’anticipo e non aveva potuto torturarli a dovere. Certo, poteva farlo al ritorno, ma non sarebbe stato così divertente.

Quando ritornarono, House li aspettava al varco. Prima un’accurata osservazione della coppia gli fece capire senza ombra di dubbio che quei due la camera d’albergo l’avevano divisa, e non solo quella. Poi i commenti entusiastici su quanto era stato bello il weekend fecero il resto. Doveva discuterne con qualcuno, ma visto e considerato che oramai tutti lo evitavano come la peste, andò alla ricerca di Shelley, e con la scusa di un consulto la trascinò via da un paziente.

“Ma porca miseria, House! Ho da fare, ho una vita, sai!”

“Cuccia, Godfrey. Volevo sapere se hai visto Romeo e Giulietta di ritorno dalla fuga d’amore.”

“Sono affari loro.”

“E no! Sono affari miei! Wilson è mio amico e Cameron una mia dipendente…”

“…e tutti quanti siamo dipendenti di Cuddy.”

House la guardò confuso.”

“Perché, non era una gara di ‘Puntualizza l’ovvio’? Ad ogni modo, House, continuano a non essere affari miei. Posso andare, ora?”

“Se vengono da te, poi voglio sapere tutto!”

“Ovviamente” disse Shelley, sorridendo.

“Davvero?”

“No! Vai a tormentare Cuddy sulla sua scollatura, fatti un acido, ma lasciami in pace!”

House guardò Shelley tornarsene nella sala di fisioterapia, e per cinque secondi si sentì triste, solo e bistrattato dall’universo. Poi si ricordò che era Gregory House e che era lui di norma a bistrattare l’universo, non il contrario. Se nessuno voleva cospirare con lui, benissimo… avrebbe fatto da solo. Supposizione dietro supposizione, alla fine era pressoché certo che Allison sarebbe diventata la quinta signora Wilson, e con ogni probabilità sarebbe diventato un menage à trois perché Cameron non poteva sopprimere la tempesta ormonale che il suo capo le scatenava.

Era nel bel mezzo della sua fantasia, quando si rese conto che Cameron e Wilson erano dentro uno sgabuzzino vicino a dove si trovava lui e stavano ridacchiando come due adolescenti in una situazione analoga. Si appostò affianco alla porta, pronto a origliare una situazione potenzialmente piccante e ottima per il ricatto…

“Oddio, Jamie dal vivo è anche meglio… peccato sia sposato e con tre figlie piccole, altrimenti…”

“Stessa cosa con Tricia… i meglio partiti sono sempre i primi a sparire.”

“La conferenza con il cast di Galactica è stata veramente bellissima. Non ci volevo credere quando Lucy Lawless ha risposto alla mia domanda su  Numero Tre!”

House spalancò gli occhi. Numero Tre? Che ne sapeva Cameron di Numero Tre? Facendo più attenzione, House li sentì menzionare anche altri nomi a lui familiari come Kara Thrace, Lee Adama, Laura Roslin, e su tutti Numero Sei. Poi sentì la cosa che lo fece tranquillamente decidere per una vendetta che possibilmente li avrebbe ammazzati.

“Son finito a raccontare quella storia, l’ultima sera.”

“James, ma perché? Avevamo giurato di non dirlo a nessuno!”

“Tutti stavano raccontando aneddoti… e credimi, messi a confronto, la mia storia sul fatto che House si sia sognato di Battlestar Galactica perché noi ci siamo guardati un paio di puntate nella sua stanza d’ospedale non è neanche la più assurda!”

House si allontanò. Aveva sentito abbastanza. E il suo cervello stava già lavorando sul modo di farla pagare a quei due…

 

Cuddy era fiera di sé stessa. Il secondo torneo di poker stava andando bene come il primo, e anche meglio, a giudicare dal livello delle donazioni già raggiunte.

“Allora” disse Sharon Godfrey avvicinandosi a Cuddy con due bicchieri in mano “È questo che fate qui a Trenton per divertirvi.”

“Capisco tu sia abituata a New York, ma non ci difendiamo male nemmeno noi” disse Cuddy sulla difensiva, accettando il bicchiere di champagne. Sharon la fissò perplessa per qualche secondo, poi le disse che non l’aveva detto con sarcasmo.

“Perché, sembrava?”

“Considerato che sei sarcastica ventiquattr’ore su ventiquattro e trecentosessantacinque giorni all’anno, fa sempre strano sentirti dire qualcosa che non lo sia” aggiunse Shelley, arrivando alle spalle delle sue.

“Shelley, finalmente!” esclamò sua sorella maggiore abbracciandola “Credevo non ti avrei mai più vista con qualcosa che fosse diverso da jeans e maglietta.”

“Occasionalmente indosso una tuta di cotone ma non credo tu ti stia riferendo a quello” disse la ragazza portando l’attenzione sul suo abbigliamento. I suoi capelli per una volta avevano scampato la piastra e le scendevano fino alle spalle in quei ricci che aveva rinunciato a domare al college ma che per una sera potevano darle un aspetto diverso. Aveva pure tirato fuori dalla naftalina il suo leggendario vestito rosso fuoco, che a distanza di cinque anni le stava ancora come un guanto, e per l’occasione aveva comprato dei sandali argentati dal tacco vertiginoso. Il giorno dopo avrebbe avuto un gran mal di schiena e delle fitte al ginocchio, ma chi se ne fregava, stava una favola.

Chiacchierò con le sue amiche per qualche minuto, poi adocchiò House e con una scusa andò a parlare con lui. House era rimasto sbalordito nel vederla: era identica a come l’aveva immaginata durante il coma, vestito e tutto. Era impressionate, e un filino inquietante.

“Intendi rimorchiarti metà degli uomini presenti?”

“Invidia, eh? Senti, ora inizia a spiegare. Perché volevi che venissi a tutti i costi? E soprattutto, perché questo vestito?”

“Perché è parte integrante della mia vendetta contro Wilson e Cameron!”

“Ah.”

“Mi aspettavo una reazione un po’ diversa.”

“House… prima che vai avanti, io sapevo tutta la storia di Battlestar Galactica. Me l’ha detta Wilson. E… no, non mi presterò ai tuoi propositi di vendetta. Ho un onore da difendere, una morale…”

“Ok, fa il tuo prezzo.”

“Se la metti così… La tua moto.”

“Cosa? Ma sei pazza!”

“Può darsi. Ma la voglio. E tu cosa vuoi di più, le tue due ruote o la tua vendetta?”

Dannazione, questa era una domanda difficile. House ci rifletté cinque intensissimi secondi, e poi diede la sua risposta a Shelley.

“Mi pare ovvio. La mia vendetta!”

Shelley sogghignò nel modo che ad House piaceva tanto, e strinse la mano al dottore.

 

Wilson dovette sfregarsi gli occhi varie volte durante tutta la serata.

Non poteva essere vero… Numero Sei era un personaggio della finzione, e Tricia Helfer non era un’invitata del party di beneficenza.

Quindi chi era la ragazza in rosso che pareva lei?

Pure Cameron aveva adocchiato la ragazza misteriosa, e come Wilson aveva creduto di avere le allucinazioni.

Un rapido consulto aveva chiarito la cosa: entrambi l’avevano vista, quindi non poteva essere un’allucinazione. Vero?

L’inquietudine rimaneva. Wilson lasciò Cameron un istante per andare al bagno degli uomini per sciacquarsi la faccia e ricordarsi che i personaggi fittizi erano per l’appunto fittizi.

Quando aveva rialzato la faccia, gli era preso un colpo. Alle sue spalle c’era Numero Sei che sorrideva. Aveva chiuso gli occhi, e quando li aveva riaperti la ragazza era sparita. Aveva tirato un sospiro di sollievo… poi Cameron lo aveva tirato in un angolo e gli aveva detto che anche lei aveva visto Numero Sei un momento che era da sola.

House sbirciò i due medici da dietro un angolo, e se la rise sotto i baffi. Fosse dipeso da lui ci sarebbe andato giù molto più pesante, ma non era pronto a perdere anche la sua PlayStation.

Si sentì tirare per un braccio, e sparì dietro un angolo. Shelley era appoggiata alla parete, e gli disse che entrambi i dottori sembravano piuttosto sconvolti.

“Contento?”

“Gioia, se ti fossi fatta tu il giro sulle montagne russe che mi sono fatto io per colpa loro…”

“Ok, ok… basta che non ricominci. Che ci troveranno poi nella fantascienza, non lo so proprio. Ho provato a guardare una volta questa Battlestar Galactica, ma non c’ho capito granché. Molto, molto più semplice guardare The OC e le repliche di Dawson’s Creek.”

“Perché, anche tu…”

Shelley guardò House stupita “Prima General Hospital, ora the OC e perfino Dawson’s Creek… questa domanda è fondamentale, House: che ne pensi di One Tree Hill?”

“Carina ma non indispensabile.”

“Gilmore Girls?”

“Ehi, ragazza, non ti allargare ora!”

“Scusa, dovevo chiedere. Tutta questa cultura televisiva ed è pure un medico di fama… Gregory House, dove sei stato negli ultimi cinque anni della mia vita?”

“A domandarmi perché Lady Botox mi avesse mollato. Tu?”

“Compiangere il mio defunto e perfetto fidanzato. Ma riguardo a Stacy… c’è una cosa che devo dirti, che ti risolleverà il morale…”

“Se è la pantomima tua e di Mark e il suo urlo a ultrasuoni… ce l’ho su cassetta.”

“Hai rubato il filmato di sicurezza?”

“No, certo che no… Foreman l’ha rubato. Cameron ha fatto il palo e Chase l’ha duplicato.”

“Giusto, perché fare il lavoro se puoi inguaiare i tuoi assistenti. Credo che chiederò a Cuddy se posso averne tre anch’io, appena Dawlish tira le cuoia…”

House la guardò stupito.

“…professionalmente parlando. Che avevi capito?”  

“Basta con le chiacchiere. Direi che è il momento di mettere in atto l’ultima parte del piano.”

“Quando sarà, evita di ridere, puntare il dito e dire ‘Ben vi sta!’.”

“E perché?”

“Perché rovinerebbe un piano che fino a questo punto è stato magistrale e di classe.”

“Bella, tu neanche volevi entrarci.”

“Sai, credo che dipingerò la mia nuova moto color blu notte, con delle bande floreali stilizzate color argento.”

House sentì una neanche tanto metaforica fitta al cuore.

 

Intanto, Cameron e Wilson, decidendo che con ogni probabilità erano così fan sfegatati di Galactica da vederla dovunque e che ad ogni modo l’ala psichiatrica era solo ad un ascensore di distanza, si sedettero al tavolo da poker dove Cuddy e una donna bionda sua coetanea stavano giocando con uno dei neurochirurghi. Il quale, all’ennesimo rilancio della bionda, disse che si ritirava.

“Siamo sole solette, Sharon. Come al college.”

“Se ricordo bene, Lisa, al college quando giocavamo a poker spazzavo il pavimento col tuo posteriore.”

“Se ricordo bene anch’io, un paio di volte le pulizie le ho fatte col tuo.”

“Due volte in quattro anni, gioia. Allora? Ci stai?”

“Ci sto” disse lanciando una manciata di fiches al centro del tavolo.

“Cuddy” fece Wilson “Amica tua?”

“Ah… non vi avevo visti. Dottor Wilson, Dottoressa Cameron, vi presento Sharon Godfrey. Sharon è un nuovo membro del consiglio di amministrazione e una mia vecchia amica del college. Sharon, loro sono i dottori Allison Cameron e James Wilson, che hanno la croce non indifferente di essere a stretto contatto con House.”

“Condoglianze vivissime, so cosa vuol dire. I miei primi anni di internato sono coincisi con i suoi ultimi… e per pace di spirito non aggiungerò altro. Senti bellezza” disse poi rivolgendosi a Lisa “È il momento della verità. Ora scopriremo se sei ancora la schiappa che eri a poker…”

“Ehi!”

“… o se sei migliorata. È anche vero che visto che giocavamo sempre a strip poker il tuo perdere sempre in presenza di una… certa persona… fosse una strategia, ma non indagherò oltre per il bene della tua reputazione attuale.”

“Poche ciance, Godfrey. Mostrami cos’hai.”

Sharon mostrò fiera una scala reale. La faccia di Lisa diventò triste… poi sorrise ancora di più di Sharon e le mostrò che lei aveva fatto colore.

“HA!”

“Che dire” disse Sharon guardando il suo vestito “Sono felice non sia una partita di strip poker.”

“Perché, Sharon?” disse House arrivando da solo “Sotto il vestito niente?”

“Gregory! La leggenda, il mito… sei ancora vivo?”

“Vivo solo per farti dispetto.”

“Ci avrei giurato. E come va con la mia sorellina?”

Sorellina?

House ci mise cinque secondi a realizzare che Sharon aveva davvero una sorella minore, di cui sapeva l’esistenza ma che non aveva mai visto. E facendo due più due, e aggiungendo il sarcasmo e il fattore irritante che solo le Godfrey possedevano…

“Shelley è la mia fisioterapista e la croce della mia vita, quindi immagino sarai fiera di lei.”

Sharon sorrise “Da matti. Oh, eccola che arriva.”

 

Cuddy continuava a fissare con aria confusa le facce sbiancate di Cameron e Wilson, e i sogghigni divertiti di Shelley e House. C’era qualcosa che le stava sfuggendo, ma sentiva che non era il momento adatto per fare domande.

Soprattutto perché House rise, puntò il dito verso quei due e disse “Ben vi sta!”. Shelley scosse la testa di fronte a tanta maturità, e alzò gli occhi al cielo.

Wilson fu il primo a riguadagnare la parola “Dottoressa Godfrey?”

Shelley annuì, e House, lanciandogli un’occhiata piuttosto chiara disse “Allora, Jimmy, la parola all’esperto… è o non è uguale a Numero Sei?”

Wilson sorrise a denti stretti e annuì. Cameron si limitò a sbattere gli occhi, ancora incredula del tiro che House gli aveva appena giocato.

“Benissimo” disse poi House battendo le mani “Tutti pronti per un’altra mano di poker?”

 

Alla fine, il giorno dopo anche Cuddy fu messa al corrente di tutto quello che era successo dal coma di House fino al torneo di poker, e al termine del racconto di House, Cameron e Wilson non sapeva se ridere o elargire provvedimenti punitivi a destra e manca. Le facce dei presenti erano comunque uno spettacolo: House, tronfio della sua vendetta ma in qualche modo abbacchiato dall’aver appena ceduto a le chiavi della sua moto alla dottoressa Godfrey, che dopo aver dichiarato il suo coinvolgimento solo nell'ultimo atto della storia era anche quella che se l'era filata per prima; Wilson e Cameron, invece erano a metà tra l’essere arrabbiati con House per l’infarto che si erano presi, e preoccupati per quello che Cuddy avrebbe potuto dire o fare di loro.

Cuddy aveva in faccia la sua migliore imitazione della preside delle sue scuole superiori quando doveva rimproverare qualcuno, ma stava per cedere. La storia era troppo assurda, perfino per gli standard a cui House l’aveva abituata.

Decise quindi di ridere. Fino alle lacrime.

E a giudicare dalle facce in quell’ufficio, era quello che più temevano. Sapevano gestirla quand'era arrabbiata, ma ora stavano vedendo qualcosa di nuovo e inaspettato...

Cuddy infatti, una volta calma, scoccò loro un sorriso perfido.

“Dottori... sapete che con quanto mi avete appena confessato la sottoscrtitta ha il pieno diritto di sfottervi e ridere di voi da qui all’eternità, vero?” anunciò con tono dolce.

E tutti iniziarono a tremare.

Si prospettavano tempi bui, al Princeton Plainsboro Teaching Hospital.

New Page

 

***

 

E così, siamo arrivati alla fine... e Cuddy è letteralmente l'ultima a ridere!

Un grazie a tutti quelli che hanno letto, e uno anche più grande a tutti quelli che mi hanno recensito. Se il crossover con questa serie sconosciuta a chi non ha Sky (o altri mezzi... e ci siamo capiti...) vi è piaciuto, ne ho iniziato un'altro che si chiama 'Epiphany', e riguarda Stargate e Stargate Atlantis. Se volete venire a dare un'occhiata, prego.

In ogni caso, ciao e arrivederci!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=93753