You & I: Definitely out of tim3

di buffinkaxD
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I know I'm leaving, but I'll be back another day ***
Capitolo 2: *** Where were you while I was getting high? ***
Capitolo 3: *** I need more time just to make things right.. ***
Capitolo 4: *** Why am I really here? ***



Capitolo 1
*** I know I'm leaving, but I'll be back another day ***



You & I: Definitely  out of time
 


30 Novembre 1991, Burnage.

 
La porta di casa Gallagher sbatté producendo un rumore sordo.
“Questa volta è finita!” urlò Peggy, mentre suo marito si allontanava barcollando sulla strada. Ubriaco. Un’altra volta.
Seduto sul divano di casa Noel osservava la sua chitarra appoggiata al tavolino di fronte a lui.
Nell’altra stanza sua madre singhiozzava: era la prima volta che lui la sentiva piangere in quel modo. Odiava suo padre, odiava il modo in cui, nonostante la famiglia numerosa, si sentisse solo.
Si alzò all’improvviso prendendo su la chitarra e uscì di casa, senza dire niente. Il cielo su Manchester era carico di nuvole grigie che annunciavano pioggia ma a lui non importava. Continuò a camminare con la chitarra in spalla e le mani nelle tasche dei jeans, ci pensava da quando era andato via e adesso che era tornato a casa era giunto il momento di dirlo a Liam. Suo fratello si credeva così fottutamente bello e affascinante da dargli sui nervi per la maggior parte del tempo ma gli voleva bene in fondo. Svoltò a sinistra e raggiunse il garage di Bonehead , un tipo di ventuno anni amico di Liam che, a suo avviso, era alquanto strano.
Era li che i “The Rain” si trovavano a provare, non che Liam si fosse degnato di dirglielo, ma non gli ci era voluto tanto per scoprirlo nonostante il tour in America con gli Inspiral lo avesse tenuto lontano dai tristi cieli grigi di Burnage per quasi un anno.
Quando entrò nel garage la band stava suonando una canzone, probabilmente scritta da suo fratello, l’unico tra tutti abbastanza coraggioso da osare tanto. Liam cantava al centro della stanza, la solita birra aperta per terra vicino al microfono, mentre gli altri suonavano. La melodia non era male ma il testo era veramente detestabile.
Noel restò qualche secondo a fissarli con un sorriso ironico stampato sulle labbra.
“Cosa fai qui?” gli chiese Liam a fine canzone.
“Ti salvo” rispose Noel.
Gli altri membri della band erano rimasti in silenzio i litigi tra i due Gallagher erano sempre stati all’ordine del giorno, ma da quando Noel se n’era andato le cose si erano calmate.
“Cosa cazzo dici?” sbottò Liam.
“Dico che se continuate così l’unico spettatore che avrete sarà il fottuto gatto di quella vecchia bacucca della signora Bridge, dico che avete bisogno di me”
Liam lo fissò irritato, prendendo un sorso dalla birra hai suoi piedi.
“Ce la faremo anche senza di te fratello, come abbiamo fatto fino ad ora”
“Smettila di fare lo stronzo, guarda le cose come stanno: siete ancora a suonare in un fottuto garage di merda nella periferia di Manchester” disse Noel.
Poi si voltò dando le spalle al gruppo e cominciò a ripercorrere la strada per tornare a casa. Sapeva che parlare con Liam era una perdita di tempo, ma quella volta sentiva che ne valeva davvero la pena, per entrambi.
Percorse poca strada quando Liam lo fece fermare toccandogli il braccio.
“Sei proprio un bastardo” gli disse fissandolo per la prima volta da quando era tornato a casa.
“Ma sai che ho ragione, e lo sai già da un po’ Our Kid”
Noel continuò a camminare ma ora Liam era accanto a lui con addosso quella camicia larga, il caschetto alla Beatles e quegli strani occhiali da sole, inadeguati visto il tempo.
“E se anche fosse?” chiese Liam.
“Prendi la gloria di John Lennon, il successo dei Rolling Stones, la carica dei fan dei Sex Pistols  e unisci il tutto. Ecco cosa penso, ecco cosa voglio”
Liam rimase in silenzio per qualche istante, nella sua fottuta mente da mancuniano sapeva che quello era esattamente tutto ciò che voleva anche lui.
“E come facciamo?” gli chiese all’improvviso.
Noel sorrise. Se suo fratello si degnava di continuare un discorso significava che gli importava tanto quanto a lui.
“Con la tua voce, le mie canzoni e gli altri” disse accennando al gruppo rimasto nel garage alle loro spalle.
“Risposta del cazzo”
“Ma funzionerà”
“E tu come fai a saperlo?”
“Lo so e basta”
Liam non gli rispose, continuando a camminare per poi dare un calcio a un sasso sulla strada. Noel sapeva bene che Our Kid non gli aveva ancora perdonato il fatto di essersene andato di casa per fare da supporto a una band, di averlo abbandonato come aveva fatto poco tempo prima loro padre.
“E così la mia voce e le tue canzoni?” chiese Liam all’improvviso, rompendo quel silenzio.
“Esattamente”
“E’ così fottutamente assurdo che potrebbe funzionare”
Per una volta, pensò Noel,  suo fratello aveva fatto la scelta giusta.
“Ah una cosa: il nome The Rain … scordatelo”
“Hai qualcosa di meglio?”
“Devi fare pur qualcosa anche te nonostante io sia un fottuto genio!” disse Noel.
“Beh.. sarà il nome della band più figa del mondo, all’altezza del frontman”
“Mi accontento di essere chitarra solista fratello, lascio a te il piacere di fare il bamboccio al centro del palco”
“Il bamboccio più figo del pianeta”
Sul volto di Noel si aprì un sorriso sincero, il primo, da quando era tornato a casa.
Leggere gocce di pioggia cominciarono a cadere dal cielo carico di nubi grigie, macchiando qua e la le strade e le case nel distretto di Manchester. Senza che se ne accorgessero erano arrivati davanti alla loro scuola, quella che Noel aveva finito da un po’ e quella da cui Liam era stato espulso diversi mesi prima per aver tirato sacchi di farina addosso ai professori. I loro sguardi si posarono su una ragazza dai lunghi capelli biondi e gli occhi chiari che proprio in quel momento stava uscendo da scuola con dei libri tra le mani, sorridendo ad alcune ragazze senza accorgersi di loro, dall’altra parte della strada.
Si appoggiarono al muretto sul marciapiede opposto restando ad osservarla.
“Non la lascio qui” sbottò Liam accendendosi  una Benson.
Noel restò in silenzio. Grace era esattamente come quando se ne era andato e, a quanto pareva, Our Kid era ancora innamorato di lei.
“Non puoi costringerla. Ci vediamo a casa” gli rispose The Chief, spegnendo la sua sigaretta per poi allontanarsi lungo la strada.
Liam, invece, restò immobile, con le mani nelle tasche dei jeans, i capelli scompigliati e lo sguardo che di tanto in tanto si volgeva verso il cielo. Improvvisamente gli ritornarono alla mente ricordi di qualche anno prima quando lo avevano picchiato due o tre ragazzi li nel piazzale davanti a scuola, il primo anno di superiori, a come Grace lo aveva accompagnato a casa, a come erano diventati amici, come gli era stata vicina quando non c’era nessun altro, quando anche suo fratello se ne era andato.
Il ragazzo scosse la testa nel tentativo di allontanare quei pensieri dalla sua mente, poi riprese a camminare con le gambe abbastanza divaricate e le braccia penzolanti lungo i fianchi, con quell’andatura così originale e bizzarra, lanciando un’ultima occhiata a Grace, questa volta diretto verso casa.
 

La finestra della camera di Grace vibrò impercettibilmente, quella sera di novembre, mentre un sasso vi sbatteva contro. La ragazza alzò lo sguardo dal libro di filosofia per poi avvicinarsi alla finestra.
“William! Cosa ci fai qui?”
“Devo parlarti, e sono fottutamente gelato, vieni giù!”
Grace sorrise scuotendo la testa, poi chiuse la finestra e, infilandosi il cappotto sopra la tuta, scese velocemente le scale raggiungendo l’antiporta.
“Non è l’ora di uscire Grace” le disse sua madre bloccandole la strada.
La ragazza la fissò per qualche istante soffrendo nel vedere quel viso così provato, stanco, triste e.. perso. Sua madre era così da quando lei e Grace erano rimaste sole al mondo, ogni giorno sembrava invecchiare di un anno, arrendersi al dolore e abbandonarsi al silenzio che regnava in quella casa ormai da un tempo indeterminato.
“Torno subito mamma” sussrrò Grace afferrando la maniglia della porta.
La donna scosse la testa.
“Non puoi andartene Grace! Non posso stare da sola!”
La ragazza guardò sua madre, il braccio che le aveva posato sulla spalla, poi, lottando con tutta se stessa per non pensare a come stavano realmente cose, uscì di casa chiudendosi la porta alle spalle e lasciando quel mondo, il suo mondo, chiuso tra quelle mura.
“Tu sei fuori Gallagher!” disse a Liam non appena ebbe attraversato la strada calandosi il cappuccio sulla testa mentre deboli gocce cadevano dal cielo nero.
“Si, decisamente fuori e gelato! Cazzo che merda di mese.. dai, andiamo” disse il ragazzo passandosi una mano tra i capelli e prendendole la mano per poi cominciare a correre finché non arrivarono ai bordi del campo da calcio.
“Cosa facciamo qui?” gli chiese Grace guardandolo, sorridente.
“Domani me ne vado” disse Liam tutto d’un fiato.
La ragazza restò a guardarlo, in silenzio, mentre il rumore di una macchina sulla strada alle loro spalle illuminava per un istante il campo di erba umida.
“William tu.. perché?”
“E’ il momento che io faccia qualcosa, con mio fratello, con i The Rain.. ma io voglio che tu venga con noi, con me. Non ti voglio lasciare qui”
La ragazza lo guardò con le lacrime agli occhi, e il respiro pesante, Liam Gallagher era il suo migliore amico, era l’unica cosa assolutamente irrazionale e diversa che aveva reso, soprattutto nell’ultimo periodo, la sua vita così movimentata e.. felice.
“Non posso.. Io non posso venire Liam” riuscì a biascicare guardando quegli occhi così azzurri e grandi del ragazzo.
“ Si che puoi Grace! Starai con me, io potrò darti tutto, molto presto bionda questo schifo di posto sarà solo un ricordo!”
La ragazza scosse la testa, asciugandosi il viso.
“Io non sono pronta, io.. devo stare con mia madre, è sola, devo andare all’università.. io sono la secchiona Liam, quella che passa i compiti, non sono fatta per la musica, per il successo, per essere mantenuta..”
Il ragazzo la ascoltò poi, velocemente, appoggiò le sue labbra sulle sue per la prima volta dopo quasi tre anni, assaporò il suo profumo affondando la mano nei lunghi capelli biondi della ragazza, premendo il suo esile corpo contro il suo, scaldandola in quella fredda notte inglese.
I loro respiri si fecero presto irregolari mentre le loro labbra combaciavano perfettamente e si cercavano desiderose di stare insieme mentre le mani del ragazzo si muovevano lungo la schiena di Grace.
Presto la ragazza sciolse quel bacio, quell’abbraccio, spezzando il momento che entrambi aspettavano da troppo tempo, mentre le sue mani accarezzavano il viso del ragazzo e le loro fronti si toccavano facendo sfiorare anche le labbra. I loro respiri uscivano dalle loro bocche in debole nuvolette di fumo causate dal freddo di quel rigido novembre.
“Sei un idiota, un fottuto idiota”
Un altro bacio, un altro contatto a fior di labbra che risultò incandescente sulla loro pelle, poi Grace pronunciò le due parole che avrebbero cambiato per sempre la loro vita:
“..Non posso”
Con lo sforzo più grande della sua vita Grace si staccò dal ragazzo allontanandosi velocemente lungo la strada mentre grandi lacrime le solcavano il viso e lo stomaco le si torceva per il dolore: era come se qualcuno le stesse dividendo il cuore a metà.
Our Kid la osservò andarsene verso casa, una lacrima gli scese sulla guancia dove poco prima c’erano le mani di lei; era andato con la maggior parte delle ragazze di Burnage, aveva baciato quasi tutte le ragazze di Burnage, ma nessuna era come Grace, nessuna, avrebbe mai potuto essere come Grace.
Si passò una mano sul viso camminando nella direzione opposta a quella da cui era venuto, senza mai voltarsi, mentre il calore che poco prima invadeva il suo corpo lasciava spazio al freddo pungente che invadeva le vie di Burnage quella notte. Ancora poche ore e avrebbe lasciato quel posto, quella città.. lei.
E questa fu la prima volta che decise di dirle addio.

 


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Capitolo 2
*** Where were you while I was getting high? ***


1 Dicembre 1991, Glasgow


Un raggio di luce colpì il letto di Grace quella mattina  costringendola ad aprire gli occhi coprendoseli con la mano per ripararsi dalla luce. Diede un veloce sguardo alla sveglia: le 11.30.
Era tardissimo, aveva perso la scuola. Era la prima volta che saltava la scuola, la prima volta che si svegliava così tardi; ma quella era stata una delle notti peggiori della sua vita quando, appoggiata al cuscino, aveva lasciato cadere tutte le lacrime che aveva con lo sguardo perso per la stanza si era sentita veramente vuota, e sola. Per uno strano motivo le cose sembravano aver perso di nuovo ogni colore, proprio come quando era morto suo padre.
Si sedette sul bordo del letto guardando fuori dalla finestra; poco distante scorse il campo da calcio verde e desolato e l’immagine di Liam Gallagher le tornò alla mente procurandole una fitta allo stomaco e una malinconia assurda. Tre anni, erano passati tre anni da quando si erano conosciuti e gli era piaciuto dal primo momento, dalla sua prima battuta idiota; lo aveva guardato uscire e provarci con tutte le ragazze della scuola sperando, segretamente, che prima o poi si facesse avanti anche con lei.. ma non l’aveva mai fatto. Perfino Noel, prima che partisse in tour, con i suoi modi da fare da capo, i saluti veloci e i pomeriggi a cazzeggiare per la città era sembrato più interessato a lei di Liam.
E poi la sera prima si era presentato da lei, le aveva detto che se ne andava e l’aveva baciata. Una lacrima bagnò il volto di Grace ma lei l’asciugò subito con la mano per poi slegarsi i capelli e dirigersi verso il bagno. Le cose non avrebbero mai avuto senso nella sua vita, Liam non avrebbe mai avuto un senso.. ma avrebbe pensato a lui ogni giorno ancora per molto tempo, come aveva fatto per quei tre anni.
“Grace.. la scuola” disse la signora Torn facendo capolino dalla porta della figlia.
Grace la guardò un istante poi appoggiò una mano sulla maniglia della porta dicendole:
“Mi sono addormentata.. Non succede niente mamma, adesso vado a lavarmi”
Sua madre la guardò entrare nel bagno e accendere l’acqua poi si allontanò lungo il corridoio chiedendosi che fine avesse fatto sua figlia.
Sotto l’acqua calda della doccia che le scorreva addosso abbondantemente, Grace pensò per l’ultima volta a quel bacio, alle sue labbra calde sul suo viso.
 

* * * 



"Questa sarebbe la tua soluzione?" protestò Liam quella mattina osservando il furgone cigolante e vecchio fermo davanti a casa.
"Non siamo ancora delle rockstar fratello, e questo fottuto coso ci porterà al successo.. pensalo come una limousine leggermente più stretta, alta e cigolante!" gli rispose Noel caricando il suo borsone nel baule.
Liam lo osservò salire sul mezzo cigolante e appoggiare la mano sul clacson.
"Birra, contratto e ragazze.. Glasgow stiamo arrivando!"
MacCarroll, seduto sul lato del guidatore, scoppiò a ridere e Noel si accomodò sui sedili posteriori con la sua chitarra tra le mani. Liam restò immobile qualche istante lanciando uno sguardo al campo da calcio in lontananza, al fottuto gatto della signora Bridge che continuava a fissarlo dal muretto sulla strada di fronte, e poi si voltò a guardare la sua casa così silenziosa e vuota, occupata solo da Peggy, con il suo dolore e il suo amore, e Paul, suo fratello maggiore, probabilmente spaparanzato sul divano.
"Cazzo Our Kid datti una mossa!" urlò Bonehead sporgendosi dal finestrino.
Liam tornò a fissare il furgone per poi alzare il dito medio verso l'amico e appoggiare anche lui il borsone nel baule. Seduto vicino al finestrino, con una Benson tra le labbra, osservò le stradine di Burnage scorrere sempre più velocemente sotto la guida incerta di MacCarroll, quando all'improvviso passò davanti alla SUA casa.
Lanciò uno sguardo alla finestra le cui tende erano mosse dal vento che entrava dai vetri aperti, guardò quel fottuto albero nodoso contro cui si era schiantato diverse volte nel tentativo di salire da lei senza molto successo (non aveva mai eccelso in agilità, nella ginnastica in generale) pensò a Grace, al suo profumo, alle sue labbra così dolci e decise, al suo corpo contro il suo. Quel bacio era la cosa più fottutamente perfetta che gli era successa dopo molto tempo e ora.. probabilmente non sarebbe più successo.
Presto la casa sparì dalla sua vista e, con una curva improvvisa, il furgone sbandò leggermente sballottando tutta la band.
“Fanculo!” imprecò Liam spegnendo la sigaretta vicino al cruscotto.
Dietro di lui, sul sedile anteriore,  Noel strimpellava la sua chitarra insieme a Bonehead e Guigsy mentre MacCarroll cercava di guidare decentemente.
 
“I can't tell you the way I feel
Because the way I feel is oh so ! new to me
I can't tell you the way I feel
Because the way I feel is oh so ! new to me..”

 

“Cazzo, questa andrà forte tra gli irlandesi!” disse Bonehead dando il cinque a Noel per poi scoppiare a ridere.
“E’ decisamente meglio di quella fottuta canzone senza senso che suonavate, questo è sicuro” gli rispose The Chief mettendosi in bocca una Benson.
Poi riprese a suonare, ancora la stessa melodia. Non era niente male, Liam doveva ammetterlo, ma non sopportava più l'ego di suo fratello, quel furgone, quel momento.
“Piantatela cazzo, sto cercando di riposare!” sbottò incazzato voltandosi verso il fratello e gli altri due.
Noel suonò un accordo veloce per poi guardarlo irritato.
"Sono le dieci e mezza!" sbottò Bonehead.
“Che gli prende?” s'intromise Guigsy, il bassista, alzando lo sguardo dal suo giornale di moto, rivolto a The Chief.
“Gli prende che è un fottuto damerino innamorato” disse Noel soffiando fuori dal finestrino il fumo della Benson.
Liam maledisse mentalmente quel furgone scasso su cui stavano viaggiando, la guida incerta di MacCarroll e le parole di suo fratello. Lo odiava, e odiava se stesso perché, per una volta, Noel aveva pienamente ragione e lui non riusciva ad accettarlo; non riusciva ad accettare di andarsene e lasciarla li, lasciarla in quello schifo di posto, da sola.
Passarono circa sei ore prima che gli Oasis (questo era il nuovo nome della-futura-band-più-famosa-del-mondo scelto da Liam quella notte) arrivassero a Glasgow, un posto abbastanza pieno di irlandesi e fiumi di birra.  Il King Tut's Wah Wah Hut club era decisamente il posto perfetto per tentare di avere un contratto e The Chief aveva organizzato tutto alla grande ancora prima di sapere se suo fratello avrebbe accettato il suo ingresso nella band.
“Ok, allora se vedete un tipo calvo vestito da dio con un Rolex al polso allora è McGee.. offritegli da bere e poi muovete il culo verso il palco” aveva detto Noel una volta nel locale.
Liam lo aveva ascoltato guardandosi in giro per poi allontanarsi, abbandonando gli altri, alla ricerca di qualche bella tipa con cui divertirsi prima di dare inizio allo show.
Nello stesso istante in cui le sue labbra si erano posate su quelle di una ragazza li nel locale la sua mente era tornata a Grace, alla sera prima.
“Hey che ti prende?” gli chiese la ragazza scostandosi da lui.
Il frontman scosse la testa per scacciare quei pensieri e riprese a baciarla dopo aver ingurgitato un altro sorso della sua Guinness. La tipa lo abbracciò completamente spingendolo contro il muro e avvinghiandosi a lui.
“Our Kid, cazzo staccati, dobbiamo iniziare!” Liam alzò lo sguardo su Bonehead che, con la chitarra in mano, lo osservava esasperato.
Era già ora?!
“Ci vediamo” detto questo Liam si allontanò dalla ragazza in quell’angolo del locale dimenticandosi di lei non appena cominciò a parlare con Bonehead.
“Noel sta dando di matto, ha fatto piangere una cameriera!” gli disse il chitarrista indicandogli suo fratello che stava accordando la chitarra sul palco.
“Mi dispiace.. era carina? Mi dovrò andare a scusare..” rispose Our Kid scoppiando a ridere.
Bonehead scosse la testa scoppiando a ridere, poi entrambi salirono sul palco.
“Sei un bastardo, è da mezz’ora che ti cerco” borbottò Noel fulminandolo con lo sguardo.
“Io e la mora avevamo da fare” rispose Our Kid scrollando le spalle.
“Beh vedi di fare anche qui sul palco, McGee è seduto la al bancone”
Liam alzò lo sguardo sul locale, sulla massa di gente che rideva, parlava, si baciava e beveva, fino ad arrivare al bancone in fondo alla stanza per vedere l’uomo per cui erano andati fino a Glasgow. Alan McGee aveva quell’aria da fottuto cazzone straricco esattamente come lo aveva descritto The Chief ma per uno strano motivo Liam sapeva che presto gli Oasis e quel tizio sarebbero diventati grandi amici.
La chitarra di Noel cominciò a suonare subito seguita da quella di Bonehead.
Our Kid si avvicinò al microfono con le braccia incrociate dietro la schiena e la sua Guinness ai piedi del microfono, cominciando ad intonare le parole di Columbia puntando di tanto in tanto il suo sguardo in quello di McGee che li ascoltava apparentemente impassibile.
Con lo sguardo rivolto verso il soffitto e la musica che invadeva ogni cosa Liam capì che  era tutto esattamente come sempre, quando provavano nel garage di Bonehead a Burnage, era l’inizio degli Oasis, di tutto,  solo che ora sapeva di essere completamente e definitivamente lontano da lei.
 




N.B. Grazie mille a tutti per le recensioni!! Sono felice che la storia vi piaccia,
voglio specificare che sono consapevole
che l'esibizione degli Oasis a Glasgow risale al maggio del 1991 ma per attinenza al
primo capitolo l'ho dovuta mettere al primo dicembre. Avverto che non ho le
idee chiare su questa fanfic e che potrebbe risolversi in tre o qattro capitoli oppure
svolgersi in più capitoli (non lo so!!). Adesso vi lascio alla lettura, ringraziandovi 
ancora e sperando di leggere presto cosa ne pensate!!
Cheers!! *-*

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Capitolo 3
*** I need more time just to make things right.. ***


(10 mesi dopo..)
 
20 Settembre 1992, Burnage
 
Deboli gocce di pioggia cadevano su Burnage quel pomeriggio di Settembre, quando Grace uscì dal negozio di musica “Shifter” nel quale lavorava part-time tutti i pomeriggi da quell’estate.
“Grande giornata è!” le disse Joe, il proprietario, prima che uscisse.
“Questo è decisamente il negozio di musica più figo di Burnage Joe, è naturale sia pieno di gente”
Il trentenne scoppiò a ridere.
“A domani Grace”
“Buona serata!”
 L’autunno era veramente ricominciato, Grace lo vedeva:  dalle foglie cadute dagli alberi ai margini della strada, dai profumi della città.. e lo sentiva dentro di se. Quasi un anno, era passato quasi un anno da quando i Gallagher avevano lasciato Burnage, da quando Liam aveva lasciato lei.. per tutti quei mesi aveva impegnato la sua mente in tutti i modi possibili per non pensarci; quel giorno la leggera pioggia autunnale che bagnava la città le dava un briciolo di felicità, per uno strano motivo la adorava.
Velocizzò il passo lungo la strada immersa nei suoi pensieri, con l’ombrello tra le mani e la borsa a tracolla, e così anche le superiori erano finite, quel mese avrebbe iniziato l’università nella facoltà di legge: non le sembrava quasi vero.
“Grace! Grace!!” qualcuno la chiamò alle sue spalle schizzando l’acqua delle pozzanghere da tutte le parti nel tentativo di raggiungerla.
La ragazza si voltò all’improvviso restando ad osservare il ragazzo alto e dai capelli castani che la stava raggiungendo.
“David” disse, sorridendogli, sorpresa.
Il ragazzo si fermò di fronte a lei ansimante per la corsa, poi la guardò negli occhi, intensamente.
“Vuoi uscire con me?” le chiese all’improvviso restando a fissarla.
Grace lo guardò dal suo metro e sessantacinque d’altezza, aveva conosciuto David qualche mese prima, il ragazzo alto, dai capelli castani e gli occhi scuri, si era trasferito da poco nel piovoso distretto di Manchester e si erano ritrovati in classe insieme. David era sempre stato molto gentile con lei ma non c’era mai stato niente, da tempo Grace aveva chiuso i contatti con il mondo, con le persone.
“Io.. ecco..”
“Una pizza, e un gelato. Non so, come irlandese ti proporrei anche una birra ma per andare sul sicuro..”
Grace scoppiò a ridere divertita nel vedere l’imbarazzo sul viso di David, nei suoi luminosi e felici occhi verdi.
“Vada per la birra e la pizza” gli rispose inaspettatamente restando a guardarlo curiosa.
“D’accordo. Allora.. domani sera alle 8.00, passo io”
“Mmmh.. facciamo che ci troviamo qui alle 8.00?”
Il ragazzo annuì, continuando a sorriderle poi si allontanò lungo la strada da cui era venuto, con le mani nelle tasche del cappotto nero e il bavero alzato. Grace restò a guardarlo qualche istante, da troppo tempo qualcuno non andava a casa sua per vederla, da troppo tempo quel semplice gesto non le sembrava qualcosa di troppo serio e impegnativo.. ma per uno strano motivo David era l’unico che era riuscita a farla sorridere ancora.
Riprese a camminare per la strada mentre la pioggia aumentava e le gocce cadevano sempre più dense e veloci. Una volta davanti a casa Grace aprì la porta appoggiando l’ombrello nell’antiporta,  spogliandosi, poi si affacciò in salotto dove sua madre la stava aspettando.
“Com’è andata?” le chiese con quel sorriso che cercava di ostentare una felicità inesistente, che Grace conosceva fin troppo bene.
“Alla grande, oggi c’è stata più gente del solito” le rispose la ragazza senza troppo entusiasmo sedendosi sul divano di fronte a lei e osservando il cielo uggioso e sempre più scuro, fuori dalla finestra.
Sua madre la osservò attenta e sorpresa.
“Cosa c’è?” le chiese Grace interrogativa sostenendo il suo sguardo.
“Sei felice.”
La ragazza la guardò, anch’essa sorpresa, pensandoci su qualche istante, per la prima volta quella sera non si sentiva un enorme peso sullo stomaco, una tristezza che la divorava giorno per giorno: era felice.
“Domani sera vado fuori a cena” disse a sua madre distogliendo lo sguardo dalla sua amata pioggia.
La signora Torn la guardò sorridente, anche lei per la prima volta era veramente felice per la figlia.
“E con chi esci?”
“David, è un ragazzo irlandese.. un mio ex compagno di classe. Adesso vado a farmi una doccia e poi a letto, è stata una lunga giornata”
Grace si alzò dal divano dirigendosi verso le scale quando la voce di sua madre la fece fermare.
 “Grace.. è la cosa giusta” le disse improvvisamente la donna.
La ragazza le sorrise annuendo ma.. era realmente la cosa giusta? Lasciarsi tutto alle spalle? Si poteva dimenticare tutta quella tristezza? Non ne era poi tanto sicura. Quella casa, quel silenzio, sua madre in persona, le dimostravano che erano sole, se ne era andato suo padre, poi Liam come se ogni volta fosse come ricominciare tutto da capo.
“Buonanotte mamma” sussurrò Grace salendo le scale.
Una volta in camera si chiuse la porta alle spalle affacciandosi alla finestra e guardando l’oscurità della sera che era ormai calata su Burnage senza far cessare la pioggia, poi si voltò tornando verso il letto dando un’occhiata al calendario su cui aveva segnato i giorni che mancavano all’inizio delle lezioni: 10 giorni.
Per uno strano motivo non vedeva l’ora di iniziare, di allontanarsi almeno un po’ da Burnage, un’ora di viaggio da quella città, da quelle persone, dalla sua vita.. sarebbe stato come ri-iniziare, sarebbe stato bello.
Il cellulare di Grace vibrò sul suo comodino e la ragazza lo afferrò prima che sporgesse troppo cadendo per terra; il display riportava un numero privato.
Aprì il messaggio velocemente e lesse:
“Questa sera è stranamente bella Burnage, non vedo l’ora di rivederti. Buonanotte Grace, David”
La ragazza sorrise nel leggere quella frase, così corta, così perfetta e sincera.
“Tutto merito della pioggia, sono pronta per la birra. Buonanotte David” gli scrisse ridendo.
Era assurdo- pensò-  come quella sensazione di leggerezza si stesse facendo spazio a intervalli dentro di lei e la distogliesse dalla tristezza nella quale si era rinchiusa. Ripose il cellulare nella borsa per poi coricarsi sul letto, sfinita, e  per la prima volta quella sera, pensò a un ragazzo che non era Liam Gallagher.
 
 

 
 
Dublino.



 

“Apri questa fottuta porta o la sfondiamo!” urlò MacCarroll scoppiando a ridere nel corridoio del ventesimo piano del “Haungsfeld hotel”.
“Cosa cazzo..?!” Liam non fece in tempo a finire la domanda che tutta la band si fiondò nella sua camera invadendo il suo spazio, con risate ed esclamazioni.
Our Kid li guardò lanciarsi sul letto, incazzato.
“Piccola esci, questa notte lui è già occupato” disse Bonehead seguendo MacCarroll nella stanza, alla stanga bionda seduta sul bordo del letto.
La ragazza li guardò sbuffando poi, dopo aver afferrato la sua borsa,  si avviò verso la porta  dando un ultimo appassionato bacio al cantante che si richiuse la porta alle spalle.
“Siete dei fottuti idioti, cosa cazzo ci fate qui!?” sbottò rivolto alla band.
“Ti festeggiamo” rispose Guigsy.
“Sarai anche un fottuto bastardo, ma sei il nostro Our Kid.. Vero Noel?” disse Bonehead rivolgendosi al chitarrista seduto sull’ampia poltrona della suite.
Liam lo osservò divertito, avvicinandosi a lui con la sua camminata stramba.
“Bene, bene, bene.. allora  anche tu sei qui per me..”
Noel lo fulminò con lo sguardo.
“No, sono qui per la vodka” gli rispose poi sorridendo.
Liam sorrise passandosi una mano tra i capelli arruffati per poi guardarsi velocemente nello specchio. Cinque minuti, mancavano cinque minuti al suo compleanno:  poi avrebbe avuto ventidue anni. Una rockstar, il frontman degli Oasis, era dove aveva sempre voluto essere, stava facendo l’unica cosa che avesse ancora un senso nella sua vita, questo era tutto ciò che sapeva.
“Spero non sia Gin, odio il gin” disse improvvisamente rivolto a MacCarroll che, riflesso nello specchio, stava tirando fuori diverse bottiglie.
Il batterista lo guardò sorridente e cominciò a servire il gruppo, aveva un talento naturale in fatto di alcolici, non c’era che dire.
“Siamo delle fottute rockstar.. e domani sarà un concerto con il botto! Supersonic li uccide tutti!” disse Bonehead trangugiando la sua vodka.
“Apriamo con Rock’n’roll star, non si discute” disse The Chief unendosi al brindisi.
Liam grugnì.
“Tanto basta la nostra presenza e queste bionde tedesche perdono la testa.. così come tutte le altre ragazze, ovviamente”
“Chissà perché!” intervenne Guigsy.
Tutti lo guardarono, seri, per poi scoppiare a ridere divertiti. Ecco gli Oasis, ecco cos’erano degli amici, ecco cos’era la loro band.
I ragazzi aprirono le bottiglie di vodka che MacCarroll aveva portato con se cominciando a brindare per poi cantare assurde canzoni irlandesi non appena furono abbastanza alticci. Guigsy e Bonehead crollarono diversi minuti dopo le due, sul letto, completamente disfatti e ubriachi e subito furono seguiti dal batterista.
“Oh.. sono delle fottute signorine, non reggono neanche tre, quattro.. o cinque bicchieri di vodka!” disse Noel scoppiando subito a ridere.
Poi si accese una sigaretta e cominciò ad aspirare il fumo nell’oscurità della stanza con il sottofondo musicale del sonoro russare degli altri tre.
“Potevo essere coricato vicino a una bionda da paura in quel letto e invece sono ubriaco marcio vicino a te.. perché?” sbottò Liam sbattendo contro il comò mentre prendeva anche lui una delle Benson di Noel.
“MacCarroll era in astinenza da alcolici “
“C’è il fottuto bar dell’hotel”
“Off limits. Come ogni area esterna non approvata da McGee.. e poi tra circa quattro ore dovremmo essere pronti per il sound check ..”
The Chief lanciò un’occhiata alla sveglia sul comodino: le 3.30.
“Tanti auguri rompi coglioni” disse a Liam guardandolo nell’oscurità.
Our Kid sorrise, divertito, avvicinandosi alla finestra e osservando il paesaggio: auto, luci, lo skyline di Dublino, buio. Restò in silenzio qualche istante mentre i postumi della sbornia cominciavano a farsi sentire e una tristezza assoluta gli pervadeva tutto il corpo lasciandolo senza respiro.
“Lei non c’è. Non mi cerca, fa tutto fottutamente schifo” disse all’improvviso battendo un pugno contro il muro.
Noel si voltò a guardarlo, confuso anche lui dall’alcol e da quella strana situazione, come se fosse tutto irreale.
“Grace?” gli chiese, confuso.
Liam chiuse gli occhi, combattendo con se stesso per non spaccare tutto, per non lasciarsi andare all’odio  e al dolore che sentiva scorrergli nelle vene. Da troppo tempo non sentiva il suo nome, non lo pronunciava.
“Manca solo lei, ma è come se mancasse tutto”
“Chiamala”
Liam guardò il fratello, senza sapere cosa fare, cosa rispondere, perso.. Quasi un anno che erano partiti, che avevano incontrato McGee e avevano iniziato la loro carriera e già era come se fosse passato un secolo.. Attraversò la stanza a grandi passi, barcollando, fino ad arrivare alla porta per poi uscire, sbattendola,  nel corridoio. Raggiunse la stanza di Tracy, la bionda di qualche ora prima, e sparì dal mondo, da quei pensieri, dalla verità, per qualche ora come se quella conversazione non ci fosse mai stata. Chiamarla.. per cosa? Perché? Ma come faceva ad andare avanti senza di lei?
Coricato sul letto, con addosso il corpo fastidioso e ingombrante della ragazza, si addormentò ben presto e, per la prima volta dopo diverso tempo, sognò Grace.






A.A. Ciao tutti!! Allora.. scusateMI per il capitolo
un po' lungo e i tempi (mooolto lunghi, lo so!)
capitolo di transizione, un po' palloso forse.. non so ditemi
voi vorrei sapere cosa ne pensate!
Grazie a tutti quelli che seguono e recensiscono,
vi lascio alla lettura, a presto!!! Cheers! *.*

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Capitolo 4
*** Why am I really here? ***


 
18 Dicembre 1994, Manchester.

 
Il 21 dicembre! Un esame il 21 dicembre! Insomma.. perché non mettercelo direttamente a Natale?! E io che pensavo di tornare in Italia per la vigilia.. che nervoso! Ci andrò comunque però, te lo assicuro, dovessi prendere 20 su 30!”
Grace ascoltava distrattamente Rebecca, la sua nuova compagna italiana universitaria che perseverava nel considerarla una specie di confidente personale riversando su di lei i suoi discorsi logorroici. Solitamente Grace la ascoltava anche a abbastanza volentieri, ma quel giorno i suoi pensieri erano altrove.
“Grace? Mi stai ascoltando? Insomma se hai da fare io..”
“No, scusami è che ho alcuni pensieri per la testa”
“Niente di grave spero, se posso fare qualcosa..”
Grace scosse la testa sorridendole.
“Ok.. beh, tu? Come passerai il Natale? Con David?”
“Oh beh, non so esattamente cosa farò il 25.. il Natale non è una tra le mie priorità”
“Ah capisco.. dovresti venire in Italia, tanta gente, decorazioni, dolci, cibo.. se vuoi sentire il Natale intendo”
“Sarebbe bello.. scusa ma ora dovrei andare. Ci sentiamo Becky”
“Ci puoi scommettere, ti racconterò di come Mr. Bricks non ha fatto miseramente fallire i miei festeggiamenti con il suo esame natalizio!”
Grace guardò la ragazza protestare un’ultima volta e poi si allontanò da lei diretta verso la macchina poco distante. La strada verso Burnage era breve ma, ogni volta, la portava a pensare a tante cose che ormai non riusciva più a controllare.
David.. quasi sette mesi che stavano insieme e lui era fantastico, perfetto, ma si sentiva sempre come se mancasse qualcosa e lei stessa si vergognava di questa sensazione insistente. E poi  c’era sua madre che viveva nei ricordi, nella speranza che da un giorno all’altro suo marito sarebbe tornato con loro, ma non era così, non sarebbe mai accaduto e Grace lo sapeva bene. Erano sole.
La ragazza parcheggiò la macchina nel piazzale di casa spegnendo il motore e poi restò seduta, immobile. La sua casa sembrava quasi abbandonata, solo la luce accesa della cucina dimostrava che era abitata. Burnage quell’anno, per Natale, era un ammasso di case e negozi addobbati e decorati, tutti tranne casa sua. Ci aveva sempre pensato suo padre alle luci esterne e sua madre all’albero, ma ormai le cose erano cambiate.
Qualcuno battè la mano contro il vetro appannato della macchina di Grace all’improvviso facendola trasalire.
“Cosa ci fai qui?” chiese la ragazza a David.
Il ragazzo la guardò, sorridendo, poi si accomodò sul sedile del passeggero.
“Ti sono venuto a trovare”
“Non ti avevo detto che tornavo”
“Ti conosco”
Grace sorrise, poi tornò a fissare la casa di fronte a se.
“Tutto bene?” le disse David prendendole la mano.
“Forse andrò in Italia” gli rispose Grace sorpresa lei stessa di quella affermazione, continuando ad osservare l’edificio di fronte a se, il grande albero nodoso e massiccio nel giardino, e la facciata bianca della villetta.
“Cosa stai dicendo?” le chiese David facendola voltare.
Grace lo fissò negli occhi e capì che non avrebbe mai provato per lui ciò che lui provava per lei, era qualcosa di troppo diverso, qualcosa a cui non poteva rimediare.
“Me lo ha proposto la mia compagna di università, per passare il Natale”
“Stai scappando da me?”
La ragazza scosse la testa.
“Devo andarmene da qui.. prima che non possa più farlo, prima che la posta in gioco sia troppo alta”
David la guardò confuso, e a terra. Grace si slacciò la cintura di sicurezza e scese dalla macchina chiudendola non appena fu fuori anche lui.
“Quando tornerai Grace?”
“Presto”
David si avvicinò a lei con le mani nelle tasche del cappotto, i capelli mori leggermente mossi e il suo sguardo così dolce e innamorato. Appoggiò le sue labbra su quelle della ragazza come se fossero l’ultima risorsa di ossigeno prima del vuoto, e poi la strinse a se.
“Buonanotte David” gli disse Grace abbracciandolo a sua volta, poi si allontanò da lui entrando in casa e chiudendosi la porta alle spalle.
Appoggiò la schiena alla porta, chiudendo gli occhi, cercando di lasciarsi alle spalle il rimorso e il dispiacere  per tutta la tristezza che aveva appena provocato in quel ragazzo, poi si diresse verso la cucina. Era deserta, probabilmente sua madre era già in camera sua come ogni sera davanti alla tv. Si sedette su una sedia e prese in mano il telefono componendo il numero di Becky.
“Pronto?” disse la voce squillante della ragazza dall’altra parte dell’apparecchio.
“Becky? Ciao sono Grace, ecco mi chiedevo se la tua proposta per l’Italia fosse seria, si insomma..”
“Certo che è seria!! Vieni con me?!”
“Se non è un problema mi piacerebbe” rispose Grace incerta.
“Perfetto allora avviso i miei così preparano un letto in più, vedrai sarà un bellissimo Natale!”
“Già, sicuramente. Grazie Becky buonanotte”
“Buonanotte Grace, ci sentiamo”
La ragazza spense il cellulare appoggiandolo al tavolo, poi si alzò e spense anche la luce. Al piano superiore la porta della camera di sua madre era accostata.
“Mamma..” disse Grace affacciandosi alla stanza.
La donna guardò la figlia simulando un sorriso di benvenuto che le veniva più difficile man mano che passavano i giorni.
“Sono venuta a fare le valige, non sarò a casa per Natale”
“Vai con David?”
“No, con un’amica di università, in Italia”
Sua madre la guardò, sorpresa e accigliata allo stesso tempo.
“Non hai mai parlato di nessuna ragazza”
“Non ce n’è mai stato motivo.. beh, adesso vado a letto, si sta facendo tardi”
“Grace..”
“Buonanotte mamma”
La ragazza richiuse la porta incamminandosi verso la sua stanza, una volta dentro estrasse il trolley blu da sotto al letto e cominciò a riempirlo di vestiti. Non sapeva cosa stesse facendo, l’unica cosa di cui era consapevole era che troppe cose le stavano sfuggendo di mano e non andava bene, non doveva essere così. Lui era partito, aveva preso la sua strada, adesso toccava a lei. Grace chiuse la valigia facendo un po’ di pressione e poi la rimise sotto al letto quando all’improvviso la vide, la foto, quella foto.
L’afferrò velocemente avvicinandosi alla abatjour sulla scrivania per vederla meglio e, come se quei due anni non fossero passati, come se quel bacio non ci fosse mai stato, le sembrò che tutto fosse come prima come quando erano solo amici, erano felici. In quella foto Liam stava tirando un calcio alla palla nel campo da football mentre Noel cercava di pararla senza grandi risultati. Se la ricordava bene, l’aveva scattata lei in un pomeriggio di giugno, allo stadio di Londra. Gli occhi cominciarono a bruciarle ma non si arrese, per una volta non si arrese al passato, a tutto quello che, nonostante volesse nasconderlo, ancora provava per Liam. E’ solo un ricordo.. si disse per convincersi. Poi appoggiò la foto sulla bacheca appesa sopra la scrivania, l’unico oggetto in quella stanza che era rimasto esattamente come due anni prima, con le stesse foto, gli stessi post-it, lo stesso invito per il ballo di terza.
Il cellulare nella tasca dei jeans le vibrò avvisando l’arrivo di un nuovo messaggio, Grace lo alesse velocemente:
“Avvisata la mamma, ho già i due biglietti dell’aereo; il 22 dicembre a Heathrow si parte! Buon Natale Grace! J”
La ragazza sorrise. Allora era vero, se ne stava andando. Si coricò sul letto e chiuse gli occhi.
Il futuro era solo una nube confusa di possibilità, ma sentiva che il suo cuore avrebbe sempre e costantemente pensato  a lui.
 
 



 
18 Dicembre 1994, Los Angeles


 

 
“.. Nobody’s can see him, nobody can ever here him call!” con quest’ultima frase di Liam e l’assolo del fratello, il concerto degli Oasis terminò in un insieme di applausi, esclamazioni e fan urlanti.
La band raggiunse il backstage sorseggiando una birra ghiacciata e scaricando l’adrenalina del concerto prima di dover affrontare la folla durante il ritorno in hotel.
“Cazzo che roba! Puro rock ‘n roll” disse MacCarroll cambiandosi la maglietta “e.. Liam dove l’hai tenuta quella fottuta voce fino ad ora?!”
Il frontman sorrise alzando le spalle prima di essere assalito dalla sua nuova groupie, una tipa di nome Sandy molto appiccicosa e ignorante.
“Ecco, questi sono per voi. Ottimo concerto, sold out; e sarà così anche per quelli dell’anno nuovo” disse McGee irrompendo nel camerino all’improvviso “ma ora ragazzi avete bisogno di una pausa”
Noel gli lanciò uno sguardo interrogativo poi afferrò la busta che gli stava porgendo McGee.
“Cosa sono?” gli chiese osservando i biglietti nella busta.
“Biglietti di andata e ritorno per Burnage, per il 22 dicembre, per passare il Natale a casa”
Il chitarrista lo guardò sorpreso mentre Bonehead si alzò improvvisamente dal divanetto abbracciandolo.
“Si torna a casa! Che fottuta serata da sballo..” disse continuando a sorridere.
Noel lanciò un’occhiata veloce a Liam, avvinghiato a Sandy dall’altra parte della stanza. Il ragazzo, non appena sentì le parole di Mcgee, si staccò da lei e ricambiò lo sguardo del fratello.
“Ho voglia di una sigaretta” sbottò improvvisamente avviandosi verso la porta.
“Portatela dietro!” gli disse Noel accennando alla ragazza.
Le ultime parole che Noel sentì pronunciare dal frontman furono un “fanculo” e “non ora Sandy” prima che sparisse oltre la porta, poi fu ancora casino e adrenalina pura cosa a cui erano tutti ormai abituati così come erano abituati alle uscite teatrali di Our Kid.
Seduto sul muretto del parcheggio sul retro dell’arena, Liam osservava il fumo della sua Benson spandersi nell’aria in quella calda serata americana. Era stato tutto perfetto quella sera, tutto normale per una volta e ora McGee se ne usciva con quei biglietti. Qualche mese prima avrebbe dato qualsiasi cosa pur di tornare a Burnage ma ora.. ora non aveva più certezze. L’unica insistente e fastidiosa sensazione che non lo abbandonava mai era la mancanza di qualcosa che non riusciva a spiegarsi, che forse non voleva spiegarsi.
Ma in fondo sapeva benissimo il motivo per cui McGee li stava spedendo in Inghilterra per qualche giorno: allentare la tensione tra lui e Noel. Illuso. Come se il Natale in famiglia avesse ancora un qualche significato per loro, come se avrebbero avuto un Natale felice. Probabilmente Thomas Gallagher era da qualche parte in Inghilterra a sperperare quel poco che gli era rimasto mentre loro madre era a casa con Paul. Forse loro non lo sapevano neanche cos’era un vero Natale.
L’unica cosa che gli dava un briciolo di volontà e desiderio di tornare a Burnage era la consapevolezza di rivederla, risentire il suo profumo, di parlare con lei dopo quasi due anni; tutto il resto non era nient’altro che passato.
La porta alle sue spalle si aprì all’improvviso e Bonehead si sedette di fianco a lui.
“Sandy?” chiese curioso.
“Sarà da qualche parte” grugnì Our Kid aspirando l’ultima boccata dalla Benson.
“Tieni, McGee ha detto di dartelo”
Liam osservò qualche istante il biglietto d’ aereo che il chitarrista gli stava porgendo poi lo afferrò senza dire niente.
“Si torna a casa” disse Bonehead con meno entusiasmo rispetto a poco prima “i The Rain sarebbero fieri di questo momento”
Liam si voltò verso l’amico, sorpreso. I The Rain, la sua band, quella senza Noel e senza successo, quella che aveva solo la musica e il garage di Bonehead come luogo in cui provare e Grace come pubblico. Forse era questo il motivo per cui ogni volta che saliva sul palco non aveva paura, perché aveva già dimostrato tutto quello che doveva dimostrare alla persona più importante per lui, e il resto non contava.
“Andiamo” disse all’improvviso Our Kid alzandosi.
Bonehead lo seguì, sorridente.
“Allora vieni?”
“Solo per vedere se anche a Burnage ci sono fan scatenate che mi sognano mezzo nudo a letto con loro”
Il chitarrista scoppiò a ridere dandogli una pacca sulla spalla.
“Quelle c’erano anche quando eravamo solo i The Rain” gli rispose scuotendo la testa.
“Lo so, ma voglio conoscere la nuova generazione!”
Bonehead continuò a camminare ridendo, le cose non erano cambiate da un tempo. Forse, pensò Liam, gli Oasis avevano ancora un motivo per tornare a casa; LUI aveva ancora qualcosa che lo legava a Burnage.






a.a. Ciaoooo popolo di efp! Innanzitutto scusatemi, eh si è tipo una vita e mezzo
che non aggiorno ma sn stata davvero confusa su come proseguire nella storia aggiungendo
poi gli impegni è veramente stato un casino! ma ora ecco qui un nuovo capitolo (che non so
come sia venuto). Vi ringrazio tanto x le recensioni che mi fanno davvero molto piacere e vi lascio
facendovi tanti auguri di Buon Natale e dedicandovi questo capitolo "tutto natalizio" *.* ciaoooo 
buffinkaxD

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