Il Tempo Delle Spade

di Phoebus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** D'in sulla vetta della torre antica... (Leopardi) ***
Capitolo 2: *** Solo et pensoso i più deserti campi... (Petrarca) ***
Capitolo 3: *** Odi et amo... (Catullo) ***
Capitolo 4: *** Pazzo, amante, poeta... (Shakespeare) ***
Capitolo 5: *** Devi, quindi puoi. (Kant) ***
Capitolo 6: *** Biltà di donna e di saccente core... (Cavalcanti) ***
Capitolo 7: *** Memento audere semper. (D'Annunzio) ***
Capitolo 8: *** Lenta fiocca la neve pe 'l cielo cinereo... (Carducci) ***
Capitolo 9: *** Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori. (De Andrè) ***
Capitolo 10: *** Amor, ch'a nullo amato amar perdona... (Dante) ***
Capitolo 11: *** Al meglio si perviene soltanto con grande dolore... (McCullough) ***
Capitolo 12: *** La forza più forte di tutte è un cuore innocente. (Hugo) ***
Capitolo 13: *** Ho sceso, dandoti il braccio un milione di scale... (Montale) ***
Capitolo 14: *** Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi... (Battisti) ***
Capitolo 15: *** Quello spirto guerrier c'entro mi rugge. (Foscolo) ***
Capitolo 16: *** L'uomo è nato libero, e dappertutto è in catene. (Rousseau) ***
Capitolo 17: *** L'amore chiede tutto, ed ha il diritto di farlo. (Beethoven) ***
Capitolo 18: *** Per il mio cuore basta il tuo petto, per la tua libertà bastano le mie ali. (Neruda) ***



Capitolo 1
*** D'in sulla vetta della torre antica... (Leopardi) ***


“ricordi come iniziò tra noi?”
 
“certo che lo ricordo…tu eri talmente bella che la prima volta che ti guardai mi annullai nei tuoi occhi, perdendomi…”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Stato della Chiesa, dicembre 1287.
 
 
 
 
 
La neve iniziava a far sentire il suo freddo pungente e a mostrare il suo candido colore su quei monti nei pressi di Perugia, mentre già la sera scendeva lenta; l’inverno era alle porte e nel ducato di Spoleto due giovani donne correvano incuranti del pericolo, che poteva nascondersi in ogni angolo.
 
Le ragazze correvano e correvano senza sosta, cercando di scappare da chissà cosa, o di arrivare in chissà quale posto.
 
 
 
“dai forza Anna sbrigati! Altrimenti faremo tardi! Dimentichi forse cosa ci aspetta??” – la prima giovane con i lunghi capelli ramati precedeva l’amica di qualche metro.
 
“no che non lo dimentico Lena! Non vedo l’ora di rivederlo…” – la seconda la seguiva a stento.
 
“eh a chi lo dici! Uno del genere me lo sposerei subito!” – le due scoppiarono a ridere e intanto continuavano allegramente a camminare con velocità.
 
 
 
Dopo pochi minuti giunsero nei pressi di una locanda, animata dalle risa e dal rumore di giovani e meno giovani che trascorrevano le serate tra birra e chiacchiere, gioco e compagnia.
 
Le due entrarono…musica, buonumore si contrapponevano al silenzio gelido che si percepiva fuori. Alla triste oppressione che di giorno i sudditi di quel ducato infelice dovevano sopportare.
 
 
 
Spoleto era, fin da secoli prima, territorio dello stato pontificio e come tale doveva rispettare severe regole e, mensilmente, pagare forti tributi. Gli abitanti del borgo erano stanchi e sfiniti dalle sopraffazioni che dovevano subire, dalle umiliazioni a cui erano sottoposti se anche solo osavano fiatare per ribellarsi; era impossibile anche pagare le tasse, il raccolto e l’artigianato non fruttavano poi molto.
 
Ma nessuno osava sfidare il Papa, nessuno osava contrastare i rappresentanti di sua Santità in terra umbra, i famosi Duchi di Spoleto; discendevano da terre lontane e da matrimoni ben studiati, e vantavano nell'albero genealogico cardinali e legami con alcuni vescovi di Roma. Si trattava du una nobile famiglia di origine germanica, investita del titolo ducale in seguito a dei servizi, non molto chiari, fatti per il Pontefice.
 
Non era ammesso controbattere, tutto veniva placato nel sangue; sia l’esercito vaticano che quello ducale erano famosi per questo.
 
 
 
Ma per fortuna il popolo non si arrendeva così presto, e alcuni trovavano ancora la forza e l’allegria di sorridere insieme.
 
Ragazzo: “ehi Anna!” – e appena la vide l’abbracciò subito, non resistendo proprio!
 
Anna: “Giacomo! Non sai quanto ti ho pensato!” – dovevano essere innamorati, così tanto che lasciarono per un po’ in disparte Lena, che giustamente si stava sentendo di troppo!
 
La rossa osservava tutto in disparte; i capelli morbidi le fluivano sulle spalle, e il semplice vestito che portava incorniciava bene quelle forme così sviluppata di una donna ormai vera.
 
 
 
Lena: “ehm…ragazzi scusate…” – era un po’ in imbarazzo.
 
Giacomo: “si? Che c’è?” – Anna seguì con gli occhi l’amica.
 
Lena: “no, niente…-poi guardandosi intorno, notò un’assenza…un’assenza di qualcuno che avrebbe voluto rivedere, dopo molto tempo…-…ma…Giacomo  hai…hai notizie di Ferdinand? Non…non l’ho più visto…”
 
Un velo di tristezza era sceso un attimo sugli occhi della ragazza.
 
I suoi capelli così rossi e vivi le coprirono il viso un attimo, poi sistemandosi si accorse che una lacrima ribelle voleva scendere da quei profondi occhi verde smeraldo, bellissimi ma scuri. Scuri ogni volta che provava un dolore in cuore.
 
 
 
L’amico, avvicinandosi, poggiò una mano sulla spalla della ragazza sofferente.
 
Giacomo: “Lena…sai com’è Ferdinand…perché non lo lasci perdere? Almeno per un po’…sai com’è fatto, poi sono giorni che non si fa vivo, non so proprio dove sia…”
 
Anna: “ha ragione, lui non ti merita…prova a non pensarci sempre…prova a trovare un altro amore…un giovane degno di te, della bellezza del tuo cuore…” – anche la fedele amica cercava di confortarla, anche se in cuor suo sapeva quanto fosse inutile.
 
Lena: “avete ragione amici…ci devo provare…” – e così, senza pensare troppo, passarono una serata tranquilla, bevendo e raccontandosi delle loro giornate.
 
Giacomo aveva avuto dei problemi; faceva parte dell’esercito del borgo e ultimamente le contee limitrofe non erano poi molto amichevoli; Anna e Lena avevano passato il pomeriggio a rammentare dei vecchi vestiti, sognando ad occhi aperti, magari il giorno in cui sarebbero state felici e quando la situazione si sarebbe un po’ calmata.
 
Stavano ridendo beatamente quando…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Uomo: “ vediamo un po’ chi c’è qua stasera! Ehi babbeo portami subito da bere!” – un ragazzo alto e moro, scortese e arrogante, scortato da due gendarmi era entrato nella locanda, sferzando un pesante calcio alla porta d’ingresso. Poi rivolgendosi al bancone ordinò che gli fosse portato da bere, senza obiezioni.
 
 
 
Il rumore cessò, tutti si voltarono senza batter ciglio. Tutto era silenzioso.
 
Solo un leggero bisbiglio si udiva nella sala…
 
 
 
 
 
Lena: “ accidenti, ci mancava solo il figlioccio del Duca! Victor…Che impostore…”
 
Anna: “zitta Lena! Questo non scherza mica! È capace di farci uccidere!” – nemmeno a farla apposta il nuovo entrato udii la silenziosa conversazione e senza neppure bere, si indirizzò verso le due ragazze.
 
 
 
Victor: “si può sapere cos’hai tanto da parlare puttanella?” – Anna rimase impassibile, spaventata a morte da quell’uomo che effondeva paura solo a guardarlo. Nonostante fosse così giovane e piacevole d’aspetto.
 
Giacomo non osò nemmeno controbattere, non perché fosse codardo, ma semplicemente perché sapeva che non avrebbe ottenuto nulla, avrebbero solo rischiato di fare una brutta fine e di farla fare alle sue amiche. Potevano solo sperare che quell’aristocratico si placasse da sé.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Una figura, da dietro quel giovane, si fece lentamente avanti. Pareva essere un soldato, abbigliamenti scuri e bellici, con un’ampia camicia bianca, ma sporca, che si intravedeva sotto la casacca in ferro.
 
Eppure aveva un’aria troppo superiore e sublime per essere un semplice soldato…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Victor: “sorella guarda! Magari ti ci puoi divertire tu!”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I corti capelli neri scompigliati e lucenti, due occhi oceano, marcati e capaci come quelli di un falco, e un viso di una bellezza incomparabile, maschile eppure così delicata…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Victor: “che ne dici Julia?” – era la sorella di Victor, la primogenita del Duca Volkova, contessa e comandante dell’esercito del ducato; aveva appena vent’anni eppure la sua mira e la sua crudeltà erano rinomate in tutte le terre papali.
 
Come la sua bellezza.
 
 
 
 
 
 
 
Comandante: “fammi vedere va, magari ci faccio un pensiero…” – con aria strafottente si avvicinò alla piccola Anna, che non aveva il coraggio di muovere un dito. -…però! – poggiandole una mano sul viso, si compiacque della timidezza e piacevolezza di quella ragazza, tanto che davvero intendeva prenderla -…ti farò passare una notte molto movimentata mia cara plebea…”
 
Victor: “si ma non sporcartici troppo, è gente che non vale nulla.” – il fratello stava già uscendo.
 
Comandante: “non preoccuparti, so come trattare certa gente.” – non riuscì a terminare la frase che uno sputo le arrivò dritto in viso.
 
 
 
Lena: “dovreste vergognarvi! – il comandante lasciò il viso di Anna e si pulì gli occhi, impregnati della saliva della rossa ribelle. -…voi dovreste proteggerci! E invece non siete altro che degli sporchi aristocratici senza cuore!” – Giacomo ne approfittò per portare al sicuro Anna, mentre Lena ora era in un bel pasticcio.
 
 
 
 
 
 
 
Il comandante si ricompose, seguita dal fratello che fece marcia indietro nel locale.
 
Ma Lena non abbassava lo sguardo, non poteva sopportare più quella vita, quei trattamenti riservati a chi non aveva un titolo, un nome, dei soldi.
 
 
 
 
 
Comandante: “non sapete cosa avete fatto.” – e con un semplice gesto alla guardia che aveva al seguito fece legare Lena, con le braccia dietro la schiena.
 
Lena: “potete anche uccidermi…ma rimanete sempre un essere squallido e ignobile…come tutta la vostra famiglia e tutti quelli che tanto chiamate vostri amici…” – uno schiaffo a mano aperta colpì il viso della giovane, scaraventandola a terra.
 
Comandante: “ti avviso. Un’altra parola e ti uccido davvero. – la guardava seria e cinica, feroce -…sporca sgualdrina…”
 
Lena: “che siate maled…” – non riuscì a terminare frase che un calcio le colpì l’addome, stavolta dal soldato che accompagnava i due duchi.
 
 
 
 
 
Victor: “andiamo, qui non c’è altro da vedere. A palazzo ci staranno aspettando. – il Comandante fissava sempre con la stessa spietatezza quella ragazza, l’unica che aveva osato parlare, l’unica che pur di controbatterli stava rischiando grosso e una sorta di ammirazione stava nascendo in lei…aveva comunque avuto coraggio… -…Julia andiamo!”
 
Comandante: “si…” – e scagliando a terra il primo tavolo che trovarono, uscirono, lasciando così quella gente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Anna corse da Lena, chinandosi a lei e aiutandola a rialzarsi.
 
“sto bene Anna…sta tranquilla…tu piuttosto…” – non aveva la forza di muoversi, eppure si preoccupava per l’amica.
 
“a me non hanno fatto nulla…vieni, ti aiuto…stanotte è meglio se dormi da me…se tua madre ti vedesse in questo stato le verrebbe un infarto…” –e così dicendo la fece alzare reggendola.
 
“si, direi che la farei morire di crepacuore!” – sorrideva Lena.
 
“ma possibile che hai sempre voglia di scherzare tu!!” – e dopo aver salutato Giacomo, si avviarono così verso casa, frastornate e doloranti, ma felici di potersi sostenere a vicenda.
 

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Capitolo 2
*** Solo et pensoso i più deserti campi... (Petrarca) ***


l sole era già alto quando Lena aprii gli occhi; il cielo sembrava sereno e stiracchiandosi si destò dal letto di Anna, dove aveva dormito beatamente e si incamminò, vestendosi, presso la cucina.
 
 
 
“ehi dormigliona finalmente sei sveglia!” – Anna invece, era in piedi da un bel pezzo e sistemava dei piatti nella credenza e altri utensili di cucina.
 
“già a lavorare tu! Dovrei avere un po’ della tua volontà!” – dormiva ancora in piedi, stava iniziando a capire di essere sulla Terra.
 
“tu hai molta più volontà di quanto credi Lena…- sorrise all’amica -...ieri sera hai dimostrato un coraggio grandissimo…e anche un briciolo di follia direi!”
 
“perché…cos’ho fatto di così folle?!” – prendendo un piatto lo passò ad Anna, aiutandola.
 
“stavi per fare una brutta fine con il Comandante…e sinceramente non so proprio come hai fatto a rispondergli così e a…- le scappò da ridere-…a sputargli!”
 
“beh ci vuole solo mira! Basta prendere bene gli occhi!” – ridevano infrenabili, mentre sistemavano ancora la cucina.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dopo pranzo Lena tornò a casa sua, a consolare sua madre che si era preoccupata da morire per lei, non vedendola rientrare dalla sera prima. Ma sapeva benissimo che, se non tornava a casa, era perché si fermava a stare da Anna e così non fece troppe storie.
 
“però cerca di non metterti sempre nei guai! Lena, devi stare attenta a quello che fai! So che subiamo cose ingiuste, ma non possiamo farci niente…è la nostra condizione…Sei grande adesso e…sai che siamo sole…tuo padre quando morì mi chiese solo…solo di badare a te…e di renderti felice, nonostante noi non ne abbiamo diritto perché non siamo i tuoi veri genitori…” – mamma Teresa diventava sempre triste quando parlava della loro sfortunata situazione, non avevano nulla. Solo loro stesse e l’affetto che nutrivano l’un l’altra.
 
“mamma…smettila di dire così…-abbracciò la madre con dolce tenerezza-…siete la mia famiglia, tu e papà…anche se non c’è più…e lo resterete sempre…”
 
Lena era stata abbandonata da piccola e quella coppia di paese, senza figli, trovandola sola, piccola e sperduta decise di prendersene cura, con immenso amore.
 
Ed è grazie a quelle persone semplici che crebbe sana e piena di principi e ideali, circondata da amici e guardata bene da tutti i ragazzi del paese; sarebbe diventata sicuramente una buona moglie e un’ottima madre.
 
Aveva avuto un fidanzato, ma fu una storia adolescenziale e senza particolare importanza; poi da un po’ a questa parte Ferdinand, un soldato semplice, aveva colpito i suoi occhi. Ma non era certo un tipo raccomandabile, come le dissero anche Giacomo e Anna: sempre nelle taverne a ubriacarsi e a ronzare intorno ad ogni gonnella.
 
Eppure Lena lo sentiva che da qualche parte…da qualche parte lontana o forse vicina…doveva esserci il suo grande amore…
 
L’amore che fa battere il cuore e che vince ogni ostacolo…doveva solo trovare dove si nascondeva…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il pomeriggio, dopo aver accompagnato la madre da una vicina, decise di fare due passi. Amava camminare nei sentieri di montagna, in quelle stradine isolate e così silenziose, dove se tratteneva il respiro per un attimo poteva sentire il respiro del vento.
 
La faceva sentire libera…senza complicazioni, senza il peso della quotidianità, senza l’ansia di cosa accadrà domani.
 
Erano solo lei e quel meraviglioso posto.
 
E forse non solo lei aveva quest’abitudine…
 
 
 
 
 
I raggi del sole filtravano tra i rami, senza mai riscaldare troppo, c’era ancora qualche macchia di neve qua e là; presto sarebbe nevicato di nuovo. L’aria lo preannunciava.
 
Ma la giovane ragazza non demordeva, amava quei posti, quella magia…quella sensazione di essere un tutt’uno con la natura, di appartenere a qualcosa di più grande.
 
 
 
Questo forse è l’infinito…si ripeteva Lena…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Poi il suo sguardo fu rapito da qualcosa nelle fronde, tra gli alberi…
 
 
 
Una piccola lepre sembrava quasi essersi persa in quell’immensità verde e spaventata guardava Lena, come se lei potesse mai fargli del male.
 
“piccolino…vieni qui…” – si avvicinò all’animaletto tendendogli la mano; inizialmente impaurito si tirava indietro, poi capì che non c’era nulla da temere e anche i suoi occhioni marroni sembravano più tranquilli.
 
Lena si avvicinò un altro po’, giusto per accarezzarlo sulle piccola testolina fredda.
 
“hai freddo lo so…ma cosa potrei mai darti qui…vediamo!” – e iniziò a cercare nella vegetazione qualcosa, magari un ramoscello abbastanza grande da coprire almeno un po’ il leprotto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Poi d’improvviso, senza perché, senza ragione, senza spiegazione, una freccia scintillò nel freddo gelido del bosco…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Una freccia veloce e precisa, dannatamente precisa…che si piantò nel petto del piccolo leprotto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Una freccia scoccata dall’altro lato del sentiero, venuta da lontano eppure indirizzata così precisamente da far terrore a Lena.
 
La rossa scattò in piedi e, temendo di essere stata seguita, iniziò a guardarsi morbosamente intorno.
 
E anche se così fosse…anche se qualcuno era lì per lei…che c’entrava quel piccolo animale?
 
 
 
 
 
 
 
“c’è qualcuno? Fatevi vedere! O siete così vigliacco da uccidere ogni animale incontriate sul vostro cammino, e poi fuggire via senza mostrarvi? Venite fuori!!” – Lena era arrabbiata e sapeva che qualcuno doveva pur esserci.
 
Continuava a girarsi e rigirarsi, nella ricerca di qualcuno, di quel qualcuno che aveva così freddamente ucciso la piccola lepre.
 
Quando all’improvviso il suo presentimento si rivelò realtà.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“e così ci rincontriamo…” – alla rossa venne quasi un infarto! La figura che le rispose era dietro di lei e voltandosi di scatto la riconobbe subito…come avrebbe potuto non riconoscerla…
 
 
 
 
 
 
 
“ma…che ci fate qui? Mi…mi spiavate forse?” – Lena sembrava imbambolata, davanti a lei il Comandante delle guardie del borgo la guardava con aria soddisfatta e disprezzante.
 
“se mai dovessi spiare qualcuno, quel qualcuno non sareste certo voi!” – e rise pensando a chissà cosa
 
.
 
Rise guardando le vesti di Lena, una semplice gonna fin sotto le ginocchia, un maglione sgualcito e una specie di mantello nero per coprire le spalle. Nient’altro.
 
Il Comandante indossava come sempre quella divisa pesante e austera, con una piccola medaglia all’altezza del cuore e uno stemma con un falco inciso, il segno della casata.
 
Le sue vesti nobili e ricche, intagliate con pietre preziose, contrastavano con la sua povertà d’animo, questo pensava Lena.
 
Eppure aveva qualcosa di intrigante, qualcosa che pur facendo capire la meschinità di quella giovane, attraeva magneticamente.
 
Saranno gli occhi, che nel bianco della neve risplendevano sempre di più…saranno quei capelli neri, sarà quell’aria da sfacciata a cui Lena avrebbe voluto dare proprio una bella lezione!
 
Insomma, qualcosa aveva questo gendarme! E chiunque l’avesse incontrata, finiva col chiedersi cosa fosse, rimanendone irrimediabilmente affascinato.
 
 
 
 
 
 
 
“quand’è che la smetterete di incutere timore? Ora ci mancava che vi mettevate ad uccidere animali innocenti…” – non abbassava lo sguardo la piccola paesana.
 
“con un arco secondo voi cosa dovrei fare? Corteggiare amorevolmente una fanciulla! – parlava sarcastica- In un bosco poi!” – Julia aveva un arco, che prontamente dopo aver visto Lena aveva riposto dietro la schiena; non ne aveva bisogno con lei. Sentiva, quasi istintivamente, di poter abbassare la guardia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“LENA, LENA!!!” – una voce lontana attirò l’attenzione delle ragazze.
 
Entrambe si voltarono, la mora impugnò una freccia, affilandone la piuma all’estremità portandosela alle labbra; sarebbe stata pronta a colpire nel caso ce ne fosse stato bisogno.
 
 
 
L’ombra lontana si avvicinò sempre di più…era Ferdinand, amico di Lena…
 
Aveva sentito delle voci nel bosco e, dopo aver riconosciuto quella della sua spasimante, volle raggiungerla, credendo potesse cacciarsi nei guai.
 
Lena fu felice di rivederlo e più si avvicinava, più sorrideva all’idea che fosse lui.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’uomo appena fu vicino la rossa estrasse la spada, intento a difenderla da quel soldato che aveva davanti, da quel gendarme bel conosciuto.
 
 
 
Una spada contro un arco.
 
Un Comandante contro un suo stesso soldato. Non un soldato qualsiasi, ma un traditore.
 
 
 
 
 
Comandante: “ah Ferdinand! Chi si rivede! Il vigliacco traditore! – ma il giovane non rispose, si limitò solo ad alzare la spada e a puntarla in direzione dell’avversario. Erano lontani una decina di metri, ma la prudenza verso quel nobile soldato non era mai troppa-…lascia la spada. Non avresti speranze nemmeno se io fossi a mani nude.”
 
Ferdinand: “no! Allontanatevi da Lena…o ve la vedrete con me!” – in tutta risposta ottenne solo la risata del Comandante, che con abile decisione impugnò una freccia.
 
Il giovane si parò davanti alla rossa, voleva difenderla. A tutti i costi.
 
Comandante: “ti ringrazio per avermi presentato la tua amichetta, ora puoi anche sparire. Del resto è quello che sai fare di più, abbandonare il posto di battaglia per paura. Bene, ora fallo per necessità. Perché se non abbassi quella spada te ne pentirai.”
 
La situazione stava precipitando.
 
Lena: “Ferdinand…lasciala stare, non mi ha fatto nulla…ci siamo solo incontrate per caso…non ha cattive intenzioni…” – la ragazza si mise in mezzo, cercando di far ragionare l’amico, ma a poco valse.
 
Ferdinand: “tu non sai di cosa è in grado il Comandante Volkova…ha fatto in modo di incontrarti e non è un caso…ora gli faccio vedere io chi deve avere paura!” – e ignorando l’amica, Ferdinand stava per lanciarsi sul suo ex Comandante, quando…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
In una frazione di secondo…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La sua spada cadde a terra e la sua mano fu trafitta da una freccia, che la trapassò…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il sangue iniziò a sgorgare dalla calda ferita appena aperta, tingendo di porpora le foglie che erano a terra.
 
 
 
Lena: “come…come è possibile? – rimase incredula, la velocità e la perfetta mira di quella giovane davanti a lei l’avevano sbigottita, la freccia si era conficcata nel palmo della mano; poi volgendosi alla misteriosa ragazza…-…ma perché…perché  l’avete fatto? Perché???” – le urlò contro ma a poco servì.
 
 
 
Ferdinand era accasciato a terra dolorante, Lena aiutandolo fece appena in tempo a seguire con gli occhi quel Comandante; quella ragazza così capace che aveva trafitto l’avversario in un punto tale che, pur riducendolo inerme, non lo uccise.
 
 
 
 
 
Comandante: “potete stare tranquilla, il vostro amico non morirà.” – e, salendo in sella al suo destriero, corse via, perdendosi nei sentieri ormai quasi bui del bosco.
 
 

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Capitolo 3
*** Odi et amo... (Catullo) ***


Trascorsero tre giorni da quell’incontro nel bosco; casuale o no, sta di fatto che Lena ci pensava spesso.

Ma forse non fu poi così dannoso, perché finalmente poté riavvicinarsi a Ferdinand…

La mattina andava a visitarlo regolarmente a casa per medicargli la ferita, sembrava un bambino!

“Lena piano! Fa male!!” – sempre a lamentarsi e a ritirare la mano ogni volta che la rossa si avvicinava ad essa con un panno caldo e pulito.

“lo so Ferdinand! Ma se vuoi che non ti faccia infezione dobbiamo medicarla così! Non fare tanto il bambino dai!” – le faceva venire proprio da ridere!

“se rivedo quell’essere ignobile la uccido con le mie stesse mani!! – istintivamente Lena premette un po’ di più - …AHI! LENA!!!”

“così la smetti di dire stupidaggini!” – ma forse non era solo per questo.

Ferdinand, intanto, a brutto muso decise di sottostare, anche se continuava a lagnarsi.

 

 

 

Più ci pensava e più Lena si convinceva che quella giovane…che quel “Comandante”, come lo chiamavano timorosamente tutti, avesse qualcosa di buono in fondo. Non è possibile che sia così spietato come ne parlano…

L’aveva colpita insomma, quegli occhi le avevano segnato l’anima; ora doveva capirne il perché.

 

 

“ho finito Ferdinand…tornerò domani…credo che lasciarla cicatrizzare sia la cosa migliore, poi comunque se hai bisogno basta che vieni da me o mandi tua sorella a chiamarmi…” – si alzò dalla sedia e fece per andarsene, quando il giovane prendendola per un braccio la bloccò.

“aspetta…vorrei…vorrei che restassi ancora un po’…” – non se lo aspettava; lui non era certo il tipo che pregava le donne. Ma forse davvero adesso aveva bisogno di lei.

“mi dispiace ma mia madre mi sta aspettando…tornerò presto…” – ma Ferdinand non le diede tempo di riflettere e la baciò d’impeto.

Con passione e voglia…quasi violenza; ma non c’era cattiveria in lui, era fatto così, la voleva semplicemente.

 

 

Anche lei desiderava quel bacio, ma non così, non ora; si sentiva usata e, anche se le piaceva quel ragazzo e tanto, si distaccò.

 

“no…non posso, non ora…dammi il tempo di riflettere…” – e, quasi a consolarlo, gli accarezzò il viso.

“c’è un altro? Non mi vuoi più?” – lui, dal canto suo, non riusciva a spiegarsi questa reazione, da lei che fino a poco tempo fa era innamorata quasi.

“mi sei sempre piaciuto Ferdinand…ma…devo capire se tra noi può funzionare…e poi io…devo pensare anche a mia madre…” – si avviò verso la porta, porgendo le spalle al giovane.

“ti ho chiesto se c’è un altro.” – secco e con voce quasi dura.

“a domani…” – non rispose a quella domanda, e se ne andò davvero stavolta, lasciando il bel ragazzo senza responso.

 

 

 

 

 

 

 

Quasi mezzogiorno ormai, il paese traboccava di gente che si preparava al pranzo…il panettiere felice stava per tornarsene a casa, dopo una mattinata passata a sfornare; le botteghe si fermavano temporaneamente e le povere case si riempivano d’affetto, la ricchezza degli umili.

Scorse anche Anna, che indaffarata tornava a casa dopo aver visto Giacomo nel loro posto romantico, così lo chiamava lei.

Alcuni braccianti stavano sistemando un palchetto, delle sedie e strumenti vari in piazza; la sera pare ci sarebbe stata una festa paesana.

Ne fanno spesso, ed è uno dei pochi momenti in cui tutti si divertono a suon di danze popolari, musiche folkloristiche, allegria e vino; le giovanette mettono l’abito nuovo, perché sanno che saranno invitate a ballare dai ragazzi.

Certo, non sarà un ballo di corte! Ma il popolo si divertiva e sorrideva gioioso!

Lena partecipava spesso a queste feste, ma raramente si divertiva fino in fondo; anzi, forse non si divertì mai, come vorrebbe.

Guardava Anna stringersi a Giacomo in quei balli sfrenati, dove non ci sono passi precisi ma è la complicità che conta, e un po’ li invidiava…perché anche lei sognava di sentirsi così, di provare quelle emozioni, di sentirsi girare la testa per i giri e la musica.

E l’amore…

Quello le mancava più di tutto.

 

 

 

 

 

“come sta il vostro amico?” – si destò a quella domanda, era momentaneamente su un altro pianeta, distante anni luce da quell’angolo di mondo.

“come…” – e ancora una volta quella ragazza misteriosa si trovava sul suo cammino, senza saperne perché.

 

 

 

 

 

Rimase incantata…

 

 

 

 

 

 

“vi ho chiesto come sta il vostro amico. – guardò Lena che sembrava riprendersi da un sogno - …non sono mica un fantasma!” – il Comandante portava con se il suo cavallo nero di razza, tenendolo per le redini, non cavalcava quasi mai per il paese.

“ma si può sapere perché vi fate sempre viva quando sto sovrappensiero!” –si accorse di aver detto qualcosa di troppo.

“come? Sono io che non capisco ora…” – Julia le camminava tranquillamente a fianco.

“no, lasciate stare… - guardava a terra, importandosene poco della sua vicina di viaggio, o almeno così voleva dare a pensare alla gente che li osservava increduli…-…comunque Ferdinand sta un po’ meglio, la ferita si deve cicatrizzare e gli ha fatto molto male…soprattutto quando hanno dovuto estrargli la freccia, potevate anche evitare di colpirlo così!”

“lo avevo avvisato, io non colpisco mai a tradimento.” – la mora, invece, guardava l’altra mentre camminavano; poi si fermò improvvisamente.

Anche Lena smise di camminare e stava per salutarla…

“beh io sono quasi arrivata, quella laggiù è casa mia…vi ringrazio per avermi difeso dalle intemperie di paese, ora posso fare anche da sola.” – naturalmente la stava prendendo in giro, molto aspramente. Non gli aveva certo perdonato l’uccisione della lepre, senza motivo, e il ferimento dell’amico, anche questo senza una particolare causa.

“vi aspetto stasera in piazza.” – a Lena si gelò un attimo il sangue. Che intendeva?

“come…- Julia stava già tornando indietro tenendo sempre le redini del suo cavallo-…che vuol dire che mi aspettate in piazza stasera?” – non capiva davvero.

“vuol dire quello che vuol dire, credo che parliamo la stessa lingua. I miei saluti.” – e accennando un saluto col capo, con il suo classico sorriso beffardo, si voltò definitivamente per tornare verso palazzo Volkova.

 

 

 

 

Ripresero ognuna la propria strada; la stessa, ma in direzioni diverse.

 

 

 

 

“che prepotente! Arrogante…e insolente pure direi! – mentre tornava a casa Lena continuava a non capire e a benedire amorevolmente quella giovane! – chi si crede di essere?! Non è altro che una viziata aristocratica…”

Eppure, per quante maledizioni le mandasse, quello era il suo pensiero fisso; il pomeriggio non portò novità…la sua testa si chiedeva se quella sera sarebbe dovuta scendere in piazza, come fosse una festa come un’altra.

Come le altre centinaia che aveva già vissuto, come qualcosa di normalissimo. Ma non ci riusciva a rispondersi. O forse conosceva già la risposta, ma aveva paura…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Palazzo ducale Volkova.

Per i lunghi corridoi lussureggianti di drappi e arazzi, decine guardie, in segno di saluto, si portano la mano tesa alla fronte per il passaggio del loro Comandante; è rientrata da poco, e già il suo viso è tornato duro, inespressivo, i lineamenti contratti, quello che tutti conoscevano.

“Julia! Fermati ti devo parlare!” – una voce maschile si insinuò tra i pensieri della giovane.

E seguendola con lo sguardo vide il padre, il Duca Erman, venirle incontro.

“padre! – si inginocchiò come conviene ad un soldato, per poi rialzarsi -…dite vi ascolto.”

“Julia, in quanto Comandante delle guardie devi organizzare un manipolo scelto di uomini. I migliori, quelli che porteremo al nostro seguito in caso di necessità.” – parlava in maniera severa alla figlia, senza mai addolcire lo sguardo.

“perché dovrei farlo, mio signore?” – del resto la figlia aveva pur ripreso da qualcuno.

Il Duca esitò un attimo a rispondere, quasi come se non avesse mai voluto dire quelle cose alla sua primogenita, a colei che anche se non l’abbracciava mai, era la cosa più cara al suo cuore.

“perché ci attaccheranno presto e voglio…voglio portare al sicuro la nostra famiglia se questo accadrà…” – per un momento sembrò quasi vacillare dal timore.

Ma Julia rispose ferma e decisa, sicura di quello che diceva.

“nel caso di bisogno richiederò l’intervento dell’esercito vaticano, non ci verrà negato un aiuto dal Santo Padre.” – e così pensava chiusa la questione.

“non abbiamo pagato gli ultimi tributi…non credo proprio che ci aiuteranno.”

La ragazza davanti a lui sgranò gli occhi, incredula e frastornata.

“ma…ma questo…questo significherebbe lasciare la nostra gente al loro destino, senza difenderli, senza…senza permettere che si salvino…”

“prima la nostra famiglia Julia, ricorda cosa ti ho insegnato. Prima dobbiamo tenere al sicuro Victor, perché sarà lui a garantire la nostra discendenza.”

 

La ragazza rimase impassibile, quelle parole la offendevano ogni volta; avere una discendenza, questo era l’unico scopo di vita di suo padre e questo odiava di lui.

Era lei la primogenita, ma secondo le leggi del maggiorascato, in quanto donna non avrebbe ottenuto nulla dopo la morte dei genitori e sarebbe dovuta andare in sposa a qualche signorotto locale, portando in dono una buona dote; ma Julia non era così.

 

Fin da piccola fu istruita dall’allora Comandante ducale; imparò ad usare la spada, a maneggiare trappole, cavalli, curare ferite ed elaborare strategie offensive per attaccare le fortezze nemiche e tattiche difensive; cavalcava con forza e decisione, comandava i suoi uomini con serietà e disciplina.

La cosa che però, sicuramente, le riusciva meglio era manovrare l’arco.

 

Sembrava fosse nata per questo.

 

 

Riusciva a mirare bersagli lontanissimi; i suoi occhi azzurri erano micidiali e colpivano sempre ciò che puntavano.

L’eleganza e la freddezza della sua infallibilità convinsero il padre a cambiare il suo destino, a fare di lei un soldato.

Il migliore che potesse mai avere: fedele, capace e nobile.

 

“va bene padre, provvederò. Con permesso.” – salutò con fretta e indifferenza come suo solito, e si incamminò per le sue stanze.

 

 

 

 

 

Il palazzo era diviso in tre piani, con scalinate mastodontiche e sfarzose, porte alte e intaccate con simboli vari, sale affrescate e dotate di grandi finestre; le stanze della primogenita erano nell’ala ovest, per volere di lei stessa.

Quella era una zona solitaria di palazzo, a tratti meno illuminata, ma preferiva così; non avrebbe incontrato spesso sua madre e i vari rappresentanti delle famiglie amiche alla sua, che quotidianamente venivano a far visita, per ribadire trattati diplomatici e alleanze.

Nel lungo corridoio si udivano solo i suoi passi sicuri.

 

 

“Bernadette! Bernadette! Maledizione, dove sei???” – iniziò a chiamare a gran voce, che tutte le stanze in un attimo rimbombarono d’eco.

Una giovane serva, minuta e sua coetanea, salì di corsa le scale, rischiando anche di inciampare per la fretta.

“devo correre, devo correre! – si ripeteva tra sé, salendo più veloce che poteva - …quando la padrona chiama devo correre…”

Arrivò davanti alla mora, la quale sciogliendosi il mantello nero e lungo glielo lanciò con forza.

“quante volte devo dirti che quando ti chiamo devi scattare! Sei stata affidata a me, questa è la tua zona. Che sia l’ultima volta che devo ripetertelo.”

“vi chiedo scusa mia signora…” – facendo un inchino.

“e non chiamarmi mia signora! – stavolta la giovane serva non rispose proprio. – preparami un bagno caldo e…-si fermò un attimo-…e prendimi il vestito più bello…”

“sarà fatto mia sign…ehm duchessa comandante!” – Bernadette si avviò con gran fretta al suo lavoro; a Julia scappò quasi da ridere, ma anche se con difficoltà si trattenne, sforgiando solo un delizioso sorriso.

 
 

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Capitolo 4
*** Pazzo, amante, poeta... (Shakespeare) ***


“…cosa???? Ma dici sul serio??? Il Comandante ti ha detto che ti aspetterà qui?? Stasera?? – ad Anna stava venendo un colpo per la notizia! – scusa ma non ci credo!”
 
“sì! Come devo dirtelo?! Ti ho raccontato per filo e per segno quello che mi ha detto! Giuro che le avrei sputato di nuovo in faccia! È un’arrogante senza pari!” – sembrava quasi smaniosa Lena, non riusciva a stare ferma.
 
“dai non badarci…avrà detto così per farti sentire la sua superiorità, come fa sempre! Ma sai cosa ti dico. Fregatene! Stasera stai proprio bene con questo vestito verde, sei bellissima Lena…e sicuramente non mancheranno gli apprezzamenti di questi baldi giovani! Quindi buttati nella mischia! E poi credo ci sarà anche Ferdinand, me l’aveva detto…”
 
“si ma con la fasciatura che ha non credo potrà ballare…poi deve tenere il braccio fermo, oltre che la mano…”
 
“ma non è detto che tu debba ballare solo con Ferdinand! Tutti questi ragazzi…hai voglia a balli!!”
 
 
 
La piazza era già gremita di compaesani, che già si divertivano a suon di flauti, liuti e rimbombi vari; un bel gruppo di ragazzi suonava più forte che poteva, sbattendo qualsiasi cosa! Ridendo incoscienti e guardando le fanciulle, che ballavano e cantavano senza sosta.
 
C’era allegria nell’aria, la si poteva respirare; la sera era ormai scesa da un bel pezzo e, anche se dicembre aveva portato il suo freddo, nessuno sarebbe rimasto a casa!
 
“forza ragazze! Vogliamo vedervi ballare!” – il capo dei suonatori invitò gagliardamente Lena ed Anna, che di risposta scoppiarono a ridere; si stava davvero bene.
 
Poi anche gli uomini entrarono nelle danze a suon di tarantella, formando le coppie che si alternavano a suon di musica; ogni ragazza ballava con ogni giovane, e non mancavano certo le trepidazioni o i pensieri maliziosi!
 
L’emozione di prendere le mani dell’altro, di sentirsi stringere, di poterlo guardare così da vicino…queste feste erano aspettate proprio con ansia!
 
Ballavano tutti, giovani e meno giovani; le signore trascinavano in pista i mariti reticenti, ma che facilmente si lasciavano convincere dal sorriso della propria moglie; vecchietti che accennavano piccoli passi; bambini che si prendevano per mano, volendo imitare i grandi.
 
 
 
 
 
“balliamo dai! Ci hanno chiamato!” – Anna prese la mano dell’amica.
 
“no…ora non mi va…vado a prendere qualcosa da mangiare e ti raggiungo…ma tu vai! – accennò un sorriso -…c’è anche Giacomo, vai! Io vengo tra poco…”
 
Anna si convinse e si avviò verso il gruppo al centro della piazza, tutta entusiasta di poter ballare con il suo innamorato.
 
“ma ti avviso Lè! Se non vieni, poi ti faccio prendere con la forza!”
 
“dai sbrigati pazza!” – e la salutò.
 
 
 
 
 
Risa, urli, canzoni, allegria. Quei momenti facevano sentire più felice il borgo, come se non ci fossero problemi oltre quelle mura. Come se tutto fosse lì.
 
 
 
 
 
La piazza dava proprio di fronte al palazzo signorile e, proprio in quel momento dal portone spalancato uscirono due figure, due ragazze che confabulavano tra loro, sotto so sguardo attento e vigile del Duca Erman, affacciato al balcone con la consorte, per tenere a bada la situazione.
 
Lui partecipava spesso a quei balli popolari, ma forse non ne capiva il senso e si limitava a sedere controllando la scena.
 
I suoi figli, invece, vi prendevano parte; ballavano anche. Certo, sempre con quell’aria altezzosa che li pervade, quel senso di superiorità, come lo definiva Anna.
 
 
 
Eppure quella sera ad Erman sembrò strano che sua figlia insistesse tanto per andarci…lei che era un tipo silenzioso, solitario, burbero per un nonnulla…
 
Si stava portando addirittura la sorella minore, Ester, perché diceva “anche lei ha diritto di divertirsi un po’”, ma questo naturalmente poco convinse il Duca suo padre.
 
 
 
“Ju ma…- la piccola ragazza era visibilmente spaesata alla vista di tutta quella gente che sembrava come pervasa da un entusiasmo tangibile che lei non capiva…abituata ai gran balli di corte formali e dosati -…ma cosa facciamo ora?” – e si teneva vicina, stretta alla sorella maggiore.
 
“niente. Vediamo, facciamo un giro…cosa vuoi fare?” – sembrava quasi affettuosa con quella sorella, quasi.
 
“credo che andrò a mangiare qualcosa laggiù…guarda c’è un gruppo di signore che sta cucinando! Posso andarci Julia?” – il Comandante esaminò bene la situazione e alla fine decise di acconsentire il permesso alla sorella. Era protettiva nei confronti di quella bambina, da buona sorella maggiore; cercava di difenderla, forse era l’unico affetto che si permetteva.
 
“va bene, ma sta attenta. Hai solo 8 anni e non puoi startene tutta sola, tutta la sera. Io sono qui, se ti serve qualcosa o se hai bisogno di me.” – Ester tutta sorridente accennò un sì e corse verso quel chiosco.
 
 
 
C’erano anche altri bambini con cui subito iniziò a giocare e a parlare. Sembrava quasi felice con loro, senza riti o obblighi dell’alto rango. Era spensierata, come dovrebbe essere ogni ragazzina a quell’età.
 
Julia lo capiva; e, vedendo la sorellina felice, si sentì meglio anche lei.
 
Ma qualche commento negativo contro di lei, le fece tornare quell’espressione cinica che si dipingeva sul suo volto ogni giorno.
 
“ma quello non è il Comandante? Che sarà venuta a fare? Vuole ucciderci tutti?” – sentiva tutto lei, ma decise di imporsi autocontrollo, almeno quella sera. E così guardandosi intorno, come se cercasse qualcosa o qualcuno, osservava divertita gli improvvisati ballerini.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Poco più avanti, intorno al focolare all’aperto dove si stava cucinando, una folla di bambini attendeva impaziente la carne arrosta! Più affamati che mai!
 
Le signore a malapena riuscivano a contenerli e a saziarli tutti, ma quella sera la selvaggina non mancava.
 
Lena: “stasera avete un bel da fare qui! Volete che vi dia una mano?” – si rivolse alla signora che stava servendo quelle piccole pesti, vedendola indaffarata, come le sue colleghe del resto.
 
Signora: “oh Lena! – riconobbe la giovane -…non pensarci neppure! Vatti a divertire con gli altri! Qui ce la facciamo noi vecchiette! Altrimenti volete lasciarci a mani vuote?” – sorrise sincera.
 
Lena: “va bene grazie…-ricambiò il sorriso-…però non esitate se avete bisogno!” – e notò una bambina che la osservava in maniera assidua, continua.
 
La guardò e notò qualcosa di diverso ma di conosciuto in quel viso…le ricordava vagamente qualcuno, che però non sapeva chi, non le tornava in mente.
 
E poi quel vestitino turchese di lana pregiata…non poteva essere la figlia di un popolano, quel vestito avrebbe sfamato il borgo per una settimana intera.
 
Ma non ci badò poi molto e tornò con lo sguardo sulla piazza.
 
Finché non fu proprio quella bambina ad avvicinarsi…
 
 
 
“tu sei l’amica di Julia vero?” – Lena sbiancò in viso! Quel nome! Ecco a chi collegava quella bimba! Ma…che ne sapeva?
 
“ehm…no cioè…Julia? Io amica? Di Julia?! Co…Cosa intendi dire? – cercò di riprendersi da quello shock, che quel nome le provocava istintivamente-…ti sei forse persa? Vuoi che ti aiuti a ritrovare i tuoi genitori?” – non sapeva proprio che dire.
 
“i miei genitori sono lassù! –ed indicò il palazzo ducale, al che Lena comprese. O meglio, ci provò. -…allora… sei tu la sua amica?”
 
La bambina continuava a farle quella domanda, lei non sapeva che pesci pigliare! Tutto si immaginava che quella bambina le potesse dire tranne quello! Di punto in bianco poi!
 
 
 
“no, bambina…non conosco la tua amica Julia…”
 
“Julia non è mia amica, è mia sorella! E le voglio molto bene!” – ecco ora la rossa era proprio frastornata.
 
“ah! Tua sorella! Beh allora…immagino quanto bene puoi volerle…ma…perché mi chiedi se sono sua amica? Sai…-aveva iniziato a riprendersi -…non credo di essere molto simpatica a tua sorella…” – parlava sempre troppo, non si tratteneva.
 
“non è vero! Non le sei antipatica! Anzi io dico che ti vuole bene! Quando parla di te diventa tutta rossa! Questo vuol dire che ti vuole bene…e poi io ti ho riconosciuta subito, perché sei proprio come ti ha descritta lei nelle sue poesie! Non potevo sbagliarmi!” – l’ingenuità e la verità in persona i bambini.
 
 
 
Lena non capiva…forse non aveva inteso bene quello che aveva detto la bimba, sicuramente avrà capito male.
 
Stava incontrollabilmente iniziando a sentire un piccolo calore nel suo cuore, strano, nuovo.
 
Ci mancava solo il colpo di grazia.
 
Ed infatti arrivò subito dopo!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Julia: “Ester! Si può sapere che stai facendo??” – il Comandante, appena vide che sua sorella stava parlando con Lena, si fiondò da lei senza pensarci due volte, dando spallate e gomitate a chiunque trovasse sul cammino; era un misto tra rabbia e paura.
 
Ester: “niente Ju…stavo solo parlando con la tua amica…” – andò incontro alla sorella.
 
Julia: “non è una mia amica! E tu non devi parlare con gente che non conosci! Ora torna a palazzo e di corsa.”
 
Irremovibile come sempre; Lena assisteva alla scena, contenta di poter rivedere ancora quella giovane mora, così strana ed ambigua, ma desolata per la piccolina.
 
Ester: “no vorrei restare…mi stavo divertendo tanto con gli altri bambini…”
 
Julia: “ti ho dato un ordine!” – e avrebbe continuato se qualcuno non si fosse intromesso…
 
 
 
Lena: “non ha fatto nulla di male, lasciatela rimanere…”
 
 
 
 
 
 
 
La mora si voltò lentamente all’altra…gli occhi marcati in un espressione severa ed austera…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Julia: “questa scena l’ho già vista…” – ora si guardavano negli occhi.
 
Lena: “si, credo di averla vista anch’io…ma stavolta vorrei finisse bene e non con feriti o cose simili! – abbassò lo sguardo, non riuscendo a sostenere il peso di quello dell’altra-…vostra sorella non mi ha importunata e si stava comportando bene, non merita di essere punita…”
 
Il Comandante delle guardie la guardò fissa, stava pensando qualcosa.
 
 
 
Ester: “allora…posso andare a giocare con gli altri Ju?”
 
Julia: “va bene, vai.” – tutta soddisfatta la piccola corse via verso gli altri.
 
 
 
La discussione era finita, sembrava si fossero placate le acque e ogni cosa poteva tornare al proprio posto; Lena si stava dirigendo verso la piazza: aveva promesso ad Anna che avrebbe ballato, e voleva mantenere la promessa.
 
E così si incamminò…
 
 
 
 
 
 
 
“dove andate?” – la voce della mora la braccò.
 
“non vedo cosa ve ne importi…e comunque vado a ballare con i miei amici, se è consentito!” – rispose senza voltarsi e sarcastica.
 
“se volete Lena io…-si fermò un attimo, per poi riprendere fiato-…io vorrei invitarvi a ballare…”
 
“con voi non ci ballerei neanche se mi costringessero, Comandante! Con permesso…” – e lasciò la mora così, sola.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Si diede uno schiaffo da sola!
 
“accidenti…ma cosa mi è saltato in mente?!?! Julia ma sei impazzita????” – pensava ad alta voce.
 
Non sapeva nemmeno lei cosa l’avesse spinta ad invitarla a ballare, era come un’energia nascosta, una forza nuova…
 
Ma come si chiamasse non lo sapeva, non lo immaginava…
 
Pedinò segretamente la rossa, seguendola in ogni piccolo spostamento, finché
 
 non la vide scontrarsi con un ragazzo, che non conosceva.
 
 
 
 
 
 
 
Le poggiava le mani addosso, circondandole i fianchi.
 
Ragazzo: “allora Lena? Dai balliamo! Prometto che mantengo le mani, su!” – cercava di abbracciarla in tutti i modi.
 
Lena: “ti ho detto che non mi va…non sono dell’umore…”
 
Ragazzo: “dai forza…ti faccio divertire un po’…” – i suoi propositi non erano molto onesti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Julia: “mi dispiace deluderti, ma la ragazza è impegnata…” –intervenne per aiutare la rossa.
 
Lena si voltò a lei…a quella dolce persecuzione dell’anima…eppure non capiva. Cos’era quel volo che sentiva quando la vedeva? Cos’era…
 
 
 
Il giovane vedendo il Comandante in persona si tirò indietro senza batter ciglio! Con un semplice inchino. E così rimasero loro due…ancora…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Lena: “non aspettate che vi ringrazi, non avevo bisogno di voi!” – si avvicinò minacciosa.
 
Julia: “non me lo aspetto infatti…-e così dicendo pose una mano sulla parte bassa della schiena della rossa e la strinse a sé…guidandola nella mischia della piazza-…”
 
 
 
Lena non ebbe il coraggio di opporsi…non ne ebbe la voglia…le piaceva quel contatto, per quanto pericolosa potesse essere quella ragazza che aveva di fronte e che la stringeva così.
 
 
 
 
 
Si sentiva il cuore battere, pulsare, inondare di emozione…fremere contro quella camicia bianca del Comandante, di cui adesso poteva scorgerne il profumo…
 
 
 
Giravano a ritmo di musica, saltando, ballando, ridendo…erano scoppiate a ridere entrambe per la velocità e la situazione…
 
Sembravano due ragazzine, due pazze!
 
 
 
Due che, soltanto allora, stavano scoprendo il gusto inebriante della vita…

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Capitolo 5
*** Devi, quindi puoi. (Kant) ***


La musica seguitava veloce e ritmata; le due giovani continuavano a stringersi sempre più e a divertirsi tra la folla…immerse ognuna negli occhi dell’altra, dimenticando quasi i loro stessi nomi.
 
 
 
Dalla mischia che circondava gli improvvisati ballerini, Anna osservava divertita l’amica che danzava; finalmente si concedeva anche lei un po’ di svago, pensò.
 
E, anche se le sembrò strano che ballasse con il Comandante con cui giorni prima aveva avuto una lite, non esitò a incoraggiarla a gran voce!
 
Anna: “dai Lena! Fai vedere come balla una vera donna!!” – la rossa rise guardando la sua sostenitrice che urlava, e continuò a girare e ballare senza tregua. Le coppie si invertivano, ma poi si tornava sempre al proprio compagno iniziale.
 
 
 
 
 
 
 
Anche Julia si stava divertendo e, di tanto in tanto, fissava Lena in zone non proprio caste.
 
“si può sapere cosa avete da guardare Comandante?” – era scherzosa ora, senza cattiveria. Si era accorta di essere osservata, e anche dove!
 
“cosa guardo? – Julia per la vergogna di essere stata scoperta divenne tutta rossa in viso! – ehm…no niente! Vi guardavo i piedi…non conosco molto bene i passi e così per capirli…”
 
“Sì, certo i piedi…” – e prendendo le mani della mora la guidò sui suoi fianchi…finché non si ritrovarono con i nasi che si sfioravano e i respiri che si mescolavano.
 
 
 
 
 
 
 
Da lontano Ferdinand assisteva alla scena, per nulla contento di quello che vedeva. Avrebbe volentieri messo le mani addosso a quella dannata aristocratica che come sempre otteneva tutto ciò che voleva; e, pensava, a breve si sarebbe presa anche la sua Lena.
 
Non glielo avrebbe permesso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Le due ragazze continuavano a guardarsi…frastornate da quella inaspettata vicinanza, dal quel battito che sentivano…da quel rincorrersi…e ora, l’una tra le braccia dell’altra, sembravano perse in un sogno distante…infinito…
 
“ehm…ti dispiace se ci…ci fermiamo un attimo?” – fu la mora a rompere quell’idillio, sentendosi a disagio e imbranata. Non le era mai capitato prima…
 
“si…come vuoi…– Lena sorrise teneramente, lasciando la mano dell’altra e tornando alla realtà. Ma era comunque contenta…perché sentiva Julia più vicina, più umana, più vera…-…ti dona il bianco sai! – le disse mentre camminavano vicine verso quel chiosco, tra bambini e ragazzi che correvano a destra e a sinistra…-…fa risaltare di più i tuoi…-e si fermò un attimo per l’emozione-…i tuoi occhi…”
 
Julia sentì un tuffo al cuore, come se stesse per sentirsi male e svenire…le loro mani si sfiorarono appena ma bastò questo per farle rabbrividire come pochi minuti prima…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Anna: “Ehilà Lè! Complimenti ti sei data proprio da fare prima! Non ti avevo mai visto così!” – l’amica subito corse incontro alle due appena le vide uscire dalle danze.
 
Lena: “ma dai Anna! Sei sempre la solita lodatrice tu!”
 
Anna: “no dico davvero! –poi si rivolse al Comandante, temendo quasi una sua reazione, abbassò il viso-…buonasera Comandante…anche voi non siete stata da meno…”
 
Julia: “è merito della vostra amica…che con la sua bravura ha fatto sembrar capace anche me… - poi quegli occhi blu, spostandosi sul fondo della piazza, captarono qualcosa…qualcosa di riflettente e lucido da sopra le mura che circondavano il borgo, fu un istante. Un lucidissimo istante. -…scusate, spero continuiate a divertirvi, con permesso.” – e si incamminò verso la cinta muraria, convinta di aver visto bene.
 
 
 
 
 
Le due amiche restarono per una manciata di secondi mute, senza riuscir a proferire parola; Anna perché credeva di essere stata lei la causa dell’allontanamento del Comandante, e Lena perché ancora non si riprendeva dall’aver ballato con Julia e dall’averla sentita così vicina…
 
Anna: “credi sia colpa mia? Non dovevo interrompervi?” –era visibilmente dispiaciuta.
 
Lena: “ma no! Non pensarci nemmeno! –la prese sottobraccio-…sì, ammetto che mi sarebbe piaciuto restare ancora un po’ con lei…”
 
L’amica la interruppe.
 
Anna: “credi ti piaccia? Quella…quella ragazza ti piace?” – non si aspettava quella domanda, non così di colpo.
 
Lena: “non lo so Anna…non lo so…-poi guardò in direzione di Julia, che si allontanava sempre più dalla piazza in festa con quell’ampia camicia bianca di seta, i pantaloni neri stretti terminanti in un cinturone massiccio e gli stivali neri fino al polpaccio-…so solo che mi ha colpito…mi fa sentire un’altra quando sono con lei…”
 
Anna: “ma sei sicura di quello che dici?! Fino a ieri, anzi fino a poco fa la ritenevi un’imbecille viziata!” –e infatti non aveva torto.
 
Lena: “sì, e credo lo sia ancora! Ma prima…mentre ballavamo era…era diversa…e io mi sentivo sua…mi sentivo protetta tra le sue braccia…-stava già sognando ad occhi aperti-…ma ora non voglio pensare a niente! Andiamo a mangiare qualcosa! Ho una fame da lupi!” – e così sviando il discorso, si concessero un bel piatto caldo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Julia non si dava pace. Era sicura di aver visto qualcosa muoversi tra le mura. Qualcuno. E se quello scintillio era vero poteva trattarsi solo di una cosa, un’arma.
 
Qualcuno si stava aggirando nell’ombra e forse aveva intenzioni non buone, questo pensava la ragazza.
 
“soldato Sert!” –chiamò in fretta il primo gendarme di guardia che le passò davanti.
 
“ai vostri ordini Comandante!” –prontamente egli si avvicinò, e conoscendo le espressioni del suo superiore intuì che non dovevano esserci certo buone notizie.
 
“Sert, fa sorvegliare la zona nord delle mura. Non ne sono sicura ma credo che avremo visite stasera.” – il soldato spalancò gli occhi, temendo per tutte le persone che quella sera erano nella grande piazza, ignare di tutto.
 
“ma Comandante…dobbiamo dare l’allarme?”
 
“no. Rischiamo solo di mettere in subbuglio la situazione. Fa come ho detto, io vi guiderò in caso di pericolo.” – congedandosi come si addice a due commilitoni fecero ritorno ognuno nel luogo da cui provenivano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dall’altra parte Lena e Anna si divertivano a guardare le facce buffe di Giacomo che cercava di imitare una signora bisbetica del paese, che tanto si riteneva sapiente!
 
Quando senza preavviso, come suo solito, Julia piombò dietro di loro e…poggiando le mani sulle spalle scoperte di Lena richiamò l’attenzione della rossa, facendola rabbrividire.
 
Julia: “ascoltami bene…”
 
Lena: “mi hai spaventata! Quand’è che potremo parlare con calma e senza queste improvvisate da infarto?” –la mora si chinò sull’altra, fino a bisbigliarle nell’orecchio…
 
Julia: “se dovesse accadere qualcosa, qualsiasi cosa dirigiti verso la porta anteriore del mio palazzo e dì che ti mando io…”
 
Lena: “ma perché? Cosa significa?” – iniziava anche lei a spaventarsi, non capendo quello che stava accadendo.
 
Julia: “porta anche i tuoi amici con te e se puoi questi bambini…” –poi un forte scoppio e la musica tacque.
 
 
 
 
 
Il panico iniziò a dileguarsi, come olio; i soldati in guardia erano stati attaccati da uomini con il capo coperto, muniti di armi e impeto bestiale.
 
Urli, rumori di spade risuonarono tra le mura di tutta Spoleto; il sangue iniziò a bagnare la strada e parecchi soldati persero la vita, perché non erano preparati a quell’agguato così inaspettato in una sera di festa.
 
“accidenti…Sert chiama i rinforzi!!” – Julia corse subito verso quelle mura depredate e impugnando la prima spada che trovò a terra la conficcò nel petto di uno dei misteriosi assalitori per difendere un suo soldato.
 
“Julia! Julia!” – Lena raggiunse la mora in una corsa disperata, temendo di poterla perdere prima ancora di averla conosciuta.
 
“cosa vuoi?? Ti ho detto di andare a palazzo, muoviti!”
 
“vieni anche tu! Sono in troppi, come farete? Vieni con me!” –ma la mora la strattonò via, allontanandola appena in tempo da un uomo che aveva cercato di colpirle.
 
“va’ via Lena! Va’ via!” – e riprese la battaglia, insieme ai suoi uomini.
 
 
 
 
 
 
 
Ma mentre stava parlando a Lena, non si accorse che un assalitore era alle sue spalle…
 
“questo è per voi cara Volkova!” – e una lama si infilò fredda nel fianco della giovane milite.
 
In pochi secondi la sua candida camicia divenne rossiccia, piena di schizzi impazziti di sangue e lei si accasciò a terra per il forte dolore. Perse quasi i sensi, ma non poteva mollare…
 
 
 
Sert: “Comandante!” – il giovane soldato soccorse subito il suo superiore gravemente ferito, cercando di non muoverla troppo.
 
Julia: “Sert…prendi…-stava perdendo molto sangue, ma nonostante questo si alzò tenendosi il fianco-…prendimi il mio arco…”
 
Sert: “ma Comandante siete ferita…”
 
Julia: “ti ho detto di prendermi il mio arco!! – negli occhi di quella forte ragazza si riaccese la scintilla e, appena le fu portata la sua arma migliore, puntò anche se fatica gli uomini nemici che in lontananza sorvegliavano il ponte levatoio cercando di aprirlo. -…io mi occupo di quelli sulle nostre mura, voi pensate a quelli che sono entrati.”
 
L’arco teso e l’occhio azzurro di Julia che mirava erano uno spettacolo sublime…
 
 
 
 
 
 
 
Li uccise tutti, uno dopo l’altro, freccia dopo freccia…anche se per il forte dolore al fianco, si stancò subito e perse la concentrazione per la mira.
 
Sert: “Comandante ce l’abbiamo quasi fatta, stanno catturando gli ultimi due malintenzionati, ma…- impallidì vedendola cadere a terra priva di forze, svenuta-…Comandante! Vi prego tenete duro! Vi porteremo subito a palazzo!”
 
Julia: “…Le…Lena…” – soltanto un leggero bisbiglio uscì dalle labbra del condottiero valoroso, prima che perdesse completamente i sensi.
 
 
 

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Capitolo 6
*** Biltà di donna e di saccente core... (Cavalcanti) ***


“do…dove sono?” – aprì a malapena gli occhi, ritrovandosi in una stanza quasi del tutto spoglia, circondata da alcuni suoi soldati e tre ragazzi che a prima vista non riconobbe.
 
Era mattina; il cielo non era limpido e faceva già freddo.
 
“Comandante siete viva! Sia lodato il cielo!” – Sert fu felicissimo di vedere che Julia stava bene e lentamente riprendeva conoscenza! Credevano tutti che stesse per morire, ma appena la sentirono parlare si risollevarono sospirando.
 
“Sert…-chiuse gli occhi come per fermare il forte bruciore che sentiva nel fianco-…sei sempre il solito…ti…ti ho chiesto dove sono.”
 
Il giovane soldato stava per rispondere al suo Comandante rinvenuto quando, di corsa, Lena lo superò sedendosi accanto a Julia, che giaceva a letto ben coperta fino al petto e…istintivamente le prese la mano.
 
 
 
 
 
Lena: “Julia…come ti senti? Che sollievo vedere che ti sei ripresa…comunque…-la guardava felice negli occhi, come se ci fossero solo loro, come se il resto fosse scomparso-…sei nella mia stanza, questa è casa mia e di mia madre…ho voluto portarti qui ed è stata proprio mia madre a medicarti la ferita con delle erbe…”
 
Appena sentì la parola “erbe” gli occhi della mora si aggrottarono in un’espressione non proprio gioconda.
 
Julia: “erbe??? Ma è vietato!!”
 
Lena: “sì, ma sono sicure e ti hanno aiutato…” – la rossa cercava di rassicurarla e di farle capire quello che era successo, ma come sempre se Julia si intestardiva diventava impossibile anche parlarle.
 
Julia: “non avreste dovuto toccarmi con quelle cose.”
 
Lena: “avresti preferito morire forse? Era l’unico modo per disinfettarti!”
 
Julia: “non dovevi farlo e basta! È stregoneria questa! –una fitta la travolse-…accidenti…”
 
Lena: “stregoneria o meno ti ha salvato…e potresti dimostrare anche un briciolo di gratitudine a volte…ma certo…dimenticavo che tu vieni dalla nobiltà, non ti è permesso ringraziare o comprendere chi è sotto di te…e io che mi ero quasi illusa di…”
 
La mora la guardò curiosa e tenebrosa allo stesso tempo, restando sempre seria e fredda.
 
Julia: “di…?!”
 
Lena: “lascia stare. – e si alzò, dirigendosi verso la cucina-…appena starai meglio potrai andartene tranquillamente e se hai fame non hai che da chiedere. Ti lascio con i tuoi soldati…”
 
Salutò quei militari così ubbidienti e gentili e se ne andò infuriata dalla stanza; non riusciva proprio a capirla a volte. Non si spiegava come ragionasse, né tanto meno “se” ragionasse! Anna e Giacomo la seguirono silenziosi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sert: “ehm…Comandate…non credete di aver esagerato un po’? Del resto quella giovane vi ha curata…”
 
In tutta risposta Julia lo guardò così male che egli abbassò lo sguardo spaventato e si sentì proprio misero.
 
Julia: “non vedo perché avrei esagerato! E poi spiegatemi una cosa voi tre! – si rivolse anche agli altri due soldati che erano con Sert -…cosa ci faccio qui?! Perché non mi avete portata a palazzo? Come ci sono giunta qui?!”
 
Uno dei due prese la parola, rispondendo al superiore leggermente adirata.
 
Soldato: “vedete Comandante…quando siete svenuta per il dolore, quella giovane con i capelli rossi vi ha vista ed è corsa da voi…abbiamo cercato di persuaderla a lasciarvi stare, tanto vi avremo riportata a palazzo e lì vi avrebbero curata, ma nulla…non ha voluto sentire ragioni e così insieme e quei due suoi amici, vi ha portata qui e vi ha curato la ferita…”
 
Sert: “ora dovete aspettare che cicatrizzi, non ci vorrà molto ma era un bel colpo…e se non fosse stato per la madre di quella giovane non so se ce l’avremmo fatta noi…”
 
Julia non rispose stavolta.
 
Non aveva immaginato che Lena potesse essersi preoccupata così tanto per lei; si conoscevano appena e anzi, avevano solo litigato prima di allora. E ballato…
 
Sì, il sorriso di quella ragazza era il ricordo più dolce che aveva della sera prima. Il più prezioso.
 
Ora capiva e…pur non volendolo ammettere, si sentiva un po’ in colpa verso quella giovane che aveva avuto solo la colpa di preoccuparsi per lei.
 
Aveva sbagliato tutto…non avrebbe dovuto reagire a quel modo solo per delle stupide erbe, come faceva ad essere sempre così meschina e irascibile…
 
Se lo chiedeva anche lei.
 
 
 
Soldato: “Comandante noi ora dobbiamo tornare a palazzo; vostro padre sarà in pensiero per voi…cosa dobbiamo riferirgli?”
 
Julia: “ditegli che tornerò presto per discutere di quel piano di cui mi parlava…e dite agli altri che sto bene, non c’è bisogno che si preoccupino.”
 
Soldato: “agli ordini! Riposate e riprendete le forze…abbiamo bisogno di voi…”
 
Julia: “Sert!” –lo chiamò energicamente.
 
Sert: “dite Comandante!”
 
Julia: “dì a mia sorella Ester che non è colpa sua per quello che mi è successo e che la prossima festa la passeremo insieme tutta la sera…” – sapeva che Ester si sarebbe incolpata per quello che le era successo, ma non ne aveva nessuna colpa.
 
Sert: “sarà fatto.” –e, salutandola uscirono dalla stanza e dalla casa per incamminarsi verso il palazzo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Intanto nella stanza accanto a quella dove giaceva debole Julia, una discussione molto accesa di animava sempre di più…
 
 
 
Ferdinand: “adesso le metto le mani addosso! Una volta per tutte! Così vede con chi ha a che fare! Quella bastarda signorile del cavolo!” –era arrivato da poco, dopo aver saputo dell’ospite a casa di Lena.
 
Anna: “ma cosa stai dicendo? Sei forse impazzito? Julia è stata ferita, lasciala perdere…”
 
Ferdinand: “Julia?!?! Julia!!! Cos’è adesso anche tu Anna stai prendendo confidenza con quell’arrogante presuntuosa?” –naturalmente era una frecciata per qualcun'altra. Qualcuna che in effetti…era diventata molto confidenziale con Julia.
 
E lo capirono bene…
 
Lena non voleva immischiarsi, stava ancora pensando alle risposte superbe e poco delicate della mora, c’era rimasta male…
 
Ferdinand: “tu non hai niente da dire? – si avvicinò alla rossa e la costrinse a guardarlo. -…come fai Lena…tu…proprio tu…ad avere a che fare con certa gente? Non ricordi come tratta il nostro popolo? Non ricordi come ci umilia tutti i santi giorni??”
 
Julia: “ah si?” – sbalorditi si voltarono tutti alla porta all’udire quella voce. La mora si era alzata dal letto, appena sentì che stavano parlando rumorosamente di lei, e non troppo bene.
 
Ora era lì, poggiata al muro e con sguardo fiero scrutava quel gruppo; aveva rimesso la camicia ancora rossastra della sera prima, sporca del suo stesso sangue e, con una mano, si teneva la ferita medicata da poco.
 
Lena provò ancora quella stessa emozione serrarle la gola; Julia se ne accorse e anche a lei si riempì il cuore.
 
Ferdinand: “ah eccola l’impavida paladina della giustizia! Qual buon vento vi ha portato a difendere la vostra gente ieri sera? Non sarete mica impazzita? O forse l’amore vi ha dato alla testa…Voi che non badate ad altro che a voi stessa…alle vostre ambizioni, ai vostri soldi, al vostro potere…”
 
Julia: “basta una mia parola e tu finisci nelle prigioni di quel palazzo che a gran voce vai maledicendo. E ti assicuro che starci da prigioniero non è proprio piacevole, quindi sta zitto.”
 
Il ragazzo non ci vide più dalla rabbia e sferrò un pugno potentissimo al volto della giovane, che cadde a terra, ma che subito dopo si ridestò, anche se a gran fatica.
 
Giacomo: “tu vieni con me Ferdinand! – prese l’amico per il braccio -…Anna accompagnami per favore…Lena ci vediamo presto, credo di dover parlare un po’ con il tuo spasimante. Forza andiamo spavaldo!” –e così dicendo se ne andarono, tra le mille imprecazioni di Ferdinand.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Rimasero sole. Per la prima volta completamente sole.
 
Julia si rialzò e si mise a sedere sulla prima sedia che trovò, reggendosi sempre il fianco. La camicia in quel punto stava diventando sempre più impregnata di sangue.
 
“vado a chiamare mia madre, non vorrei che si fosse riaperta la ferita, lei sa cosa fare…”
 
“aspetta…Lena perdonami per prima io…io non volevo trattarti in quel modo…ti chiedo scusa…”
 
 
 
Il silenzio le avvolse come un manto.
 
Fuori aveva iniziato a nevicare, si potevano vedere dalla finestra i fiocchi leggeri che scendevano dal cielo scuro e pieno di nubi…
 
 
 
“tieni…ti ci vuole qualcosa di caldo…” – Lena le porse una tisana per riscaldarla, faceva davvero molto freddo e il camino era spento, perché non avevano legna.
 
Poi si sedette accanto alla mora, che intanto aveva iniziato ad assaggiare quell’infuso…
 
“grazie…per tutto…” – e poggiando la tisana sul tavolo prese senza timore le mani della rossa, portandosele sul cuore.
 
 
 
“Julia…perché…perché mi sento morire quando…quando mi sei così vicina…perché…” –erano sempre più attratte…le labbra si sfioravano ripetutamente ad ogni parola, il cuore sembrava voler uscire , squarciando il petto.
 
“perchè io voglio darti quello che ho di più prezioso…la mia anima…-e si avvicinò ancora, facendo poggiare le mani di Lena sul suo petto, e lei le prese il viso accarezzandolo piano…-…prendimela…sradicamela da dentro…e io sarò felice…”
 
Non resistettero oltre e si baciarono…per secondi interminabili.
 
Lena si stava abbandonando a quel bacio, a quell’euforia di sensi e di cuore che sentiva…era come morire e rinascere…come toccare il cielo e sentirne l’immensa vertigine…volare e distaccarsi dal mondo…
 
In un bacio c’era tutta una vita…una vita che fino ad allora non era valsa la pena di vivere.
 
Julia affondò le mani in quei bellissimi capelli ramati mentre continuava a baciarla e perdersi, in lei.
 
Quando si distaccarono, continuarono a guardarsi negli occhi…senza troppe parole.
 
I respiri erano affannati e labili…fu Lena a tranquillizzare l’altra stavolta con un altro piccolo bacio. Piccolo e dolce…
 
“se solo potessi mostrarti il caos che ho dentro adesso…” – e sorrise, mentre non riusciva a staccarsi da quell’abbraccio.
 
“sapessi quello che ho io!” – stavolta scoppiarono a ridere!
 
Erano diverse, eppure così uguali…lontane nel modo di vivere, di comportarsi…eppure legate da quell’immensità…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Passarono la mattina coccolandosi e conoscendosi sempre di più ad ogni nuovo bacio, ad ogni sorriso.
 
Finché la madre di Lena rientrò per pranzare con la figlia e con quell’ospite inaspettata, ma gradita.
 
Teresa: “ben rivista Duchessa, come state?” – accennò un inchino, ma le riuscì male non essendo abituata a farne.
 
Julia: “alzatevi vi prego! Non dovete certo inchinarvi a me…sono io che devo abbassarmi e ringraziarvi per quello che avete fatto per me. Mi avete salvato la vita, non lo dimenticherò. Vi sarò debitrice a vita.”
 
La madre della rossa sorrise e avvicinandosi a quella singolare ragazza, la guardò piacevolmente e maternamente la accarezzò in viso, rincuorandola.
 
Si misero poi a tavola e mangiarono insieme, tutte e tre. Julia aveva davvero fame! E divorava qualsiasi cosa! Era un’inguaribile mangiona! Lena rideva guardandola così, e anche la Tersa non si tratteneva!
 
Teresa: “Duchessa…perdonate la nostra povertà e se…questo semplice piatto non si addice ad una persona come voi…” – era realmente dispiaciuta di non avere di meglio di offrire all’ospite.
 
Julia: “non dovete nemmeno pensarla una cosa simile! È tutto delizioso! E un ambiente accogliente e caloroso, come la vostra  famiglia rende tutto ancora più buono…”- mangiò un altro boccone.
 
Teresa: “vi ringrazio Duchessa…”
 
Poi la giovane mora si fermò a pensare un attimo, a quell’appellativo…a quanto non le appartenesse in realtà.
 
Julia: “sapete, siete l’unica che…mi chiama con quel titolo…io non lo sento nemmeno mio…”
 
La compagna, seduta al suo fianco, sentì il leggero dolore che provava e le prese la mano.
 
Lena: “ma ti spetta di diritto…e poi sei la primogenita no? Insomma la futura governante!” – sorrise spontanea.
 
Julia: “non governerò niente. Andrà tutto a mio fratello, io e mia sorella Ester non avremo nulla. Ma non è questo che mi preoccupa. Io ho il mio arco e il mio carattere forte, lei…lei non so cosa avrà nel futuro e poi…Spoleto deve…deve essere protetta…”
 
 
 
La rossa capì che c’era un pensiero che l’affliggeva, ma non le chiese quale fosse…sapeva che non gliel’avrebbe rivelato. Forse era ancora presto per chiederle della sua vita, di quello che sarebbe stato di loro…forse Julia non voleva porsi ora certe domande.
 
Avrebbe aspettato…l’importante era poterle stare accanto…
 
L’importante era poterle appartenere, sfiorarla e vedere che stava bene…
 
 
 

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Capitolo 7
*** Memento audere semper. (D'Annunzio) ***


Lenta e silenziosa arrivò anche la sera. Il borgo ormai era coperto da un manto bianco soffice e delicato…
 
Gli alberi spogli mostravano solo i proprio rami secchi; quella notte sicuramente sarebbe scesa la brina.
 
Faceva molto freddo anche nella piccola casa, ma non poterono accendere il fuoco per mancanza di legna; Julia, testarda fino all’osso, aveva già iniziato a camminare anche se a stento, il fianco le faceva ancora male, ma era impossibile ostacolarla se le veniva in mente di fare qualcosa!
 
Lena la osservava meravigliata…quella giovane cocciuta aveva acceso in lei una fiamma vorace, eppure così leggera…amava osservarla e aiutarla nel caso non ce la facesse e si poggiasse al muro. Poi, ogni volta che le loro mani tornavano a toccarsi era brivido, scintillava la passione.
 
Non avevano mai conosciuto l’amore, almeno non la rossa che si era limitata a quella sorta di amore platonico che credeva di provare per Ferdinand, ma non era nulla confronto all’uragano che scatenavano gli occhi di Julia…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“io direi che è ora di andare a dormire…si è fatto tardi…vieni…” – Lena condusse l’amica nella sua camera, tenendola per mano.
 
“no aspetta! – la fermò, prendendola per il polso -…io resterò di là, in cucina…anzi a dir la verità potrei anche tornare a palazzo, sto bene…”
 
La rossa rimase un po’ delusa e non rispondendo si limitò ad abbassare il viso, non voleva che se ne andasse.
 
“ehi! – Julia le sollevò il mento intuendo quell’improvvisa tristezza-…va bene resterò qui stanotte, così almeno stai più tranquilla…” – e si abbracciarono…strette…forte…
 
Lena si lasciò andare a quel calore…sentiva di potersi fidare…sentiva di appartenerle…
 
“sì, sono più tranquilla se resti…puoi dormire qui in camera mia…”
 
“no no no no no!”
 
“perché no? Nel letto staresti più comoda, sei ancora convalescente in fondo! Dai…vuoi che dorma con te, hai paura?”
 
“no no no no no no no no no!! Io resto in cucina, tu dormi tranquilla nel tuo letto io…io starò bene anche lì!” – e sorrise nervosa.
 
“va bene Ju…allora…buonanotte…” – sorrise anche lei, stringendole ancora la mano.
 
“buonanotte a te mia luna…” – e presa dall’angoscia di lasciarla, anche se solo per un paio d’ore, la baciò…impulsiva e violenta…passionale e dolce.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Fu un bacio lungo…sentito…umido…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dopo aver salutato Lena ed essersi ripresa, Julia tornò in cucina e si mise a guardar fuori dalla finestra. Tutto bianco. Tutto silenzioso. Quiete.
 
Ed era anche quello che forse per la prima volta sentiva nel suo cuore…calma...serenità…
 
Ma il desiderio ardeva dentro di lei.
 
 
 
Non avrebbe potuto dormire con Lena…l’avrebbe sfiorata e desiderato di averla.
 
Non voleva sprecare la prima volta con lei così, doveva essere speciale…perché quella ragazza era speciale.
 
 
 
Bianco…il candore della neve su quelle case, il fiato che diventava fumo, le sentinelle che si sfregavano le mani per scaldarsi.
 
Le tornò in mente la sua missione, il suo obbligo verso quella gente. C’erano tanti pericoli da fronteggiare e lei, in quanto Comandante e discendente della signoria governante, aveva il dovere di proteggere la sua terra e tutti i suoi abitanti.
 
La sua gente…
 
Doveva agire prima che fosse troppo tardi. E questo infatti avrebbe fatto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mattino dopo.
 
 
 
Era giorno da un bel po’ quando Lena si alzò dirigendosi in cucina. Subito scorse la madre indaffarata in mille e più faccende.
 
“buon giorno mamma! – sorridendo si guardò intorno alla ricerca di qualcun’altra-…ma…dov’è Julia?”
 
“buon giorno bambina mia! Julia?…Non lo so…io sono sveglia dall’alba e non l’ho vista, credo sia uscita…”
 
“cosa?! E dove sarà andata?? Non ha detto niente…credi sia tornata a palazzo?” – il suo viso si fece triste.
 
“credo sia tornata a palazzo Volkova sì, ma guarda…”
 
Lena nel pensare a dove potesse essere la sua Julia non si era accorta che quella mattina non faceva molto freddo in casa; c’era il fuoco acceso e una cassa piena di legna accanto al focolare scoppiettante.
 
“ma…mamma sei andata nel bosco a prendere tutta questa legna da sola?!” – era incredula e a bocca aperta.
 
“no tesoro…quando mi sono svegliata io, il fuoco era già acceso…credo sia stata proprio Julia…ne avevamo proprio bisogno! Si congelava qui! Che Dio la benedica…” – la signora Teresa era veramente contenta, Lena dal canto suo avrebbe preferito ritrovare la mora lì al risveglio, ma anche lei fu contenta di quella “calda” sorpresa!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Palazzo Volkova.
 
Il Comandante tornò a palazzo e subito si diresse nelle sue stanze; doveva cambiarsi e fare un bagno.
 
“Bernadette…- chiamò senza urlare-…Bernadette ci sei?”
 
La piccola serva accorse incredula; non per quello che avrebbe dovuto fare, ma per l’insolito modo di convocazione. Di solito la sua padrona la chiamava così forte e dura da far fermare il sangue nelle vene per la paura! Ora sembrava quasi…placata…
 
“eccomi padrona! Dite! – appena vide la camicia insanguinata si preoccupò subito -…ma padrona state..state bene? Vi siete ripresa? Ho saputo quello che vi è successo e…se avete bisogno…posso aiutarvi…”
 
Julia pose una mano sulla spalla della sua coetanea, diversa solo nel rango.
 
“non preoccuparti sto bene…”
 
“sie…siete sicura?!” – non si spiegava proprio quell’atteggiamento così cordiale.
 
“certo Bernadette! Vorrei solo fare un bagno e…beh…cambiare questi vestiti…”
 
La servetta corse a preparare quanto ordinato da Julia, mentre dal lungo corridoio una figura in tutta fretta si avvicinava alla giovane combattente appena rientrata.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Victor: “Julia!! Finalmente! Si può sapere dov’eri finita?? Ci hai fatti preoccupare! Abbiamo bisogno di te qui!” – era il fratello, anche nervoso tra l’altro.
 
Julia: “mi sono fatta medicare la ferita. Come procedono le cose? Avete mandato gli ambasciatori al Papa? Deve aiutarci!”
 
Victor: “ci abbiamo provato, ma pare non voglia saperne.” – rispose indifferente, come se il fatto non lo toccasse minimamente.
 
Julia: “come non vuole saperne?!?!” – furono raggiunti nel frattempo anche dal signor Duca, accorso per accertarsi delle condizioni della figlia.
 
 
 
Duca Erman: “Julia! Come stai? Per fortuna sei tornata sana e salva! Fatti abbracciare…” – subito strinse la figlia.
 
Le era mancata, aveva temuto di non rivederla mai più e quell’abbraccio ne fu la dimostrazione più sincera. Amava perdutamente i suoi figli, Julia in particolar modo.
 
Julia: “padre sto bene, grazie…-anche lei si meravigliò piacevolmente di quell’affetto così spontaneo, mentre Victor non fu molto entusiasta invece-…ma è vero quello che mi ha detto mio fratello? Il Papa non ci vuole aiutare?”
 
Duca Erman: “si…- si rattristò -…devi organizzare quel plotone di cui ti parlavo. Fuggiremo notte tempo, appena ce ne sarà la possibilità. Presto ci attaccheranno…e non abbiamo le forze necessarie per difenderci…”
 
Alla ragazza si oscurò il mondo; questo significava abbandonare tutto, abbandonare Lena.
 
Julia: “No padre! Noi chiederemo aiuto ai nostri alleati! Ci deve pur essere qualcuno che ci aiuterà! Siamo i Volkova, il nostro nome ci farà strada!”
 
Il fratello, strattonandola, la riportò alla realtà.
 
Victor: “ma non capisci!? È proprio questo il problema! Il nostro popolo ci odia! E appena ci attaccheranno, anche questa insulsa plebaglia si schiererà contro di noi!”
 
Julia: “no, se noi dimostriamo che li difenderemo non accadrà…” – era decisa a combattere per quello in cui credeva; non poteva andare tutto a rotoli, non adesso.
 
Victor: “si può sapere cosa ti ha fatto quella sgualdrina?! Cosa ha di tanto abbagliante sotto la gonna? Ti si è forse bruciato il cervello! Dobbiamo pensare a noi stessi ora!”
 
 
 
Le si tesero i nervi e la sua espressione divenne terribilmente cruda che si scaraventò, furibonda, contro il fratello.
 
Julia: “non ti azzardare mai più a nominare Lena! Tu non ne sai niente!”
 
Duca Erman: “ora smettetela! – allontanò i due, interponendosi tra loro -…non è il momento di litigare! Tu, Victor presto sposerai la figlia del Marchese Antici, come stabilito; così almeno potremo trasferirci nella loro tenuta provvisoriamente e ci aiuteranno con il risanamento delle nostre finanze…”
 
La mora non ce la faceva ad ascoltare certi discorsi, era più forte di lei!
 
Julia: “ma cosa state dicendo? Noi non lasceremo Spoleto! È qui la nostra casa!”
 
Ma il Duca non calcolò ciò che la figlia aveva giustamente detto, e così sentenziò anche il suo destino.
 
Duca Erman: “tu Julia, organizzerai questo plotone e lo guiderai. Entro tre giorni deve essere pronto. Non resteremo qui ancora a lungo…appena ci attaccheranno lasceremo il borgo. Così io e vostra madre abbiamo deciso e così sarà.”
 
Julia: “ed Ester? Cosa ne sarà di lei? – si rivolse imponente e piena di rabbia verso il padre -…per lei cosa avete scelto? Il convento forse??”
 
Duca Erman: “anche vostra sorella è stata promessa in sposa, ad un nobile altolocato e maturo.”
 
Julia: “ma…ma vi rendete minimamente conto di quello che dite? Un vecchio…ecco a chi andrà in sposa mia sorella! E lei è solo una bambina!! – urlava ormai, gettando tutto il suo disprezzo -…come potete? Come??”
 
Non attese risposta.
 
 
 
 
 
 
 
E corse via, non sarebbe rimasta a parlare con quei due un minuto di più.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non poteva andare così.
 
Lei non avrebbe abbandonato la sua gente, anche se era odiata per i suoi comportamenti; e non avrebbe mai permesso a suo padre e suo fratello di condannare la sua piccola sorella a quell’inferno. No, lei non avrebbe pagato un prezzo così alto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’umile serva della mora si riaffacciò al corridoio, pronta per il bagno.
 
Bernadette: “padrona il vostro bagno è pronto, se vol…” – Julia le passò avanti come un fulmine, non ascoltandola nemmeno. Si lavò velocemente ed infilò un paio di pantaloni verde scuro, una casacca nera e i suoi stivali. Corse per le scale e si recò nelle scuderie, dove ordinò di far sellare il suo cavallo e, dopo essersi sistemata l’arco sulla schiena, corse via al galoppo, con i corti capelli al vento che ondeggiavano nell’aria mista di neve.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Fece tutto quello che il padre le aveva ordinato: organizzò un manipolo scelto, i migliori. Avrebbero soccorso il Duca in caso di estrema necessità e lo avrebbero seguito ovunque.
 
Comandante: “bene. Vi ho detto tutto quello che avevo da dirvi. Sapete cosa fare e quando questo accadrà sarà mio fratello, il Duca Victor a comandarvi e guidare l’azione.”
 
I soldati si guardarono increduli e straniti; non avevano mai pensato che il loro Comandante potesse abbandonarli.
 
Sert: “Comandante…scusate se mi permetto, ma credo di parlare a nome di tutti chiedendovi perché non…” – non lo fece terminare.
 
Comandante: “ho scelto così. Non c’è nulla da spiegare.” – e si congedò da essi, incamminandosi fuori dalla grande sala di riunione dell’esercito.
 
Rimasero ancora più sbigottiti e senza spiegazioni; la situazione era così impensabile e assurda…Sert però intuì che forse la ragazza rossa, che aveva soccorso il loro Comandante, ci entrava qualcosa con questa scelta o che forse erano prese a tal punto, che Julia stava scegliendo una strada diversa da seguire…
 
 
 
 
 
Uscirono anche loro dalla sala e ognuno fece ritorno al suo posto di ronda; c’era anche Giacomo tra questi.
 
Appena mise piede fuori, una mano lo bloccò e lo tirò in un angolo desolato del cortile antistante il palazzo.
 
“vieni con me!” – lo trascinò realmente, e solo dopo parecchio Giacomo intuì chi fosse.
 
“Comandante ma…che succede?” – non capiva, stavano accadendo troppe cose. E troppo velocemente.
 
“ascoltami bene…devi aiutarmi!”
 
“agli ordini!” – Giacomo rispose fiero.
 
“no…non ti parlo da tuo superiore…ascolta…devi convincere la gente del paese ad organizzarsi per difendersi, per combattere…”
 
Il ragazzo rimaneva sempre più scosso, continuava a non capire.
 
“ma Comandante…ci siamo noi, l’esercito…lavoriamo per questo!”
 
“no Giacomo! No! L’esercito difenderà soltanto la mia famiglia! La tua gente non la difenderà nessuno! – fu più chiara e seria -…se parlassi io con i contadini non mi seguirebbero mai. Mettili in guardia tu, dì loro che presto ci attaccheranno da fuori e che dovremo difenderci da soli…”
 
Ora capì; e comprese che quel Comandante in realtà non era così cinico e spietato…forse davvero ci si poteva fidare.
 
“ma voi…-fissò gli occhi in quelli azzurri di lei-…voi cioè…tu Julia sarai dalla nostra parte…nonostante tutto…sarai con noi?”
 
“si…io non posso abbandonare la mia gente…e nemmeno Lena…” – allora Giacomo ebbe tutto chiaro quello che avrebbero dovuto fare.
 

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Capitolo 8
*** Lenta fiocca la neve pe 'l cielo cinereo... (Carducci) ***


La sera stessa il giovane sottufficiale si recò nella locanda del paese; era affollata e frequentata da tutti gli uomini del borgo.
 
In un angolo a chiacchierare c’erano anche Lena ed Anna, sorseggiando un po’ di birra.
 
 
 
 
 
Anna: “vi siete baciate bene..e poi??”
 
Lena: “certo che pensi sempre male tu! Poi niente! Non c’era l’occasione ed era ferita, non poteva certo muoversi…poi comunque non eravamo sole!” – si stava imbarazzando a quei discorsi.
 
Anna: “si, si certo c’era tua madre…ma…dimmi…sei in uno stato recuperabile o hai già perso la testa??”
 
Lena: “l’ho persa credo…e se potessi le darei anche la mia anima …”
 
Anna: “ah bene! Siamo proprio andate quindi! – sorrise-…ed ora cosa ne sarà di te…e di lei? Cosa farete?”
 
Lena: “non lo so io…io vorrei…averla vicino…solo questo…ma…” – l’amica si stava appassionando a quel racconto dei giorni passati, a come Lena si fosse avvicinata a Julia, innamorandosene perdutamente.
 
Anna: “…ma?! Non puoi certo abbatterti per così poco! È normale che lei abbia degli obblighi che la richiedono e non possa sempre stare con te, è pur sempre una nobile…e comanda le truppe di palazzo…col carattere che ha poi! Non ti sei certo scelta una ragazza tranquilla!”
 
Lena: “sì lo so…solo che…non avrei mai creduto di…potermi innamorare di una donna…di lei poi…della famosa figlia del Duca Volkova…- era spenta Lena, triste, quasi arrendevole -…cosa devo fare? Come mi devo comportare Anna?”
 
Anna: “devi dimostrarle che le sei accanto, che non ti spaventa la sua posizione…che non ti importa se il resto delle persone qui presenti la odia! Questo devi farle capire, se davvero ci tieni!”
 
 
 
Stavano parlando tranquillamente, quando Giacomo, mettendosi in piedi su uno sgabello iniziò ad attirare l’attenzione di tutta la folla lì dentro.
 
 
 
Giacomo: “compaesani! Vi prego ascoltatemi! – si voltarono tutti a lui, anche quelli che bevevano al bancone, chi stava tranquillamente seduto, chi stava appena entrando nella locanda e anche le due amiche-…anni fa ho scelto di essere un soldato, ho il dovere di difendere la mia gente, e lo farò. Ma ho bisogno di voi…Ci attaccheranno presto…i Borboni da sud e a nord gli altri principati che ci stringono, dobbiamo reagire! O ci schiacceranno…Dobbiamo combatterli! E difenderci! Difenderci da soli! Perché l’esercito ducale non lo farà…”
 
Si alzarono fischi e grida inarrestabili.
 
Uomo: “a morte il Duca! Vuole mandarci alla rovina!”
 
Vecchio: “che Dio li maledica!”
 
Il giovane si guardava intorno cercando approvazione, ma non ne trovava molta; eppure doveva farcela; doveva far capire loro l’unica strada da seguire.
 
Giacomo: “ci attaccheranno presto e ci difenderemo da soli. Dobbiamo farlo per i nostri bambini, perché abbiano un domani pieno di pace, basta con questa insensata guerra civile…basta…anche il Comandante dell’esercito sarà dalla nostra parte!”
 
Si levarono urla peggio di prima.
 
Uomo: “traditrice! Ci sterminerà tutti!”
 
Uomo2: “non combatteremo mai per quella superba!”
 
Uomo3: “preferirei morire!”
 
Poi un uomo, alzandosi e lasciando il suo calice colmo di birra, si avvicinò a Giacomo, scansandolo e prendendo il suo posto. Era Ferdinand.
 
Ferdinand: “ragazzi! Giacomo ha ragione…dobbiamo combattere! Non conta chi ci sia a capo, l’importante è che finalmente Spoleto diventi libera ed autonoma, senza nessuna dittatura!” – a quelle parole tutti esultarono convinti, Ferdinand li aveva saputi prendere; era di poche parole lui, e se si era schierato dalla parte di Giacomo voleva dire che quella era la strada giusta.
 
 
 
 
 
Si iniziò ad escogitare la difesa.
 
Si organizzarono le vie di fuga in caso d’agguato; i contadini avrebbero lasciato le zappe e impugnato le spade, gli artigiani avrebbero fabbricato armi, anche se non sofisticate; si sarebbero preparati, tutti.
 
 
 
 
 
 
 
Le due ragazze raggiunsero gli amici che continuavano a parlare di schemi da adottare e tecniche. Anche loro due erano contente che Ferdinand avesse capito la situazione, e avesse scelto di lottare con gli altri. La rossa prese in disparte Ferdinand, tenendolo sottobraccio.
 
Lena: “Ferdinand…ti fa onore quello che hai detto…sono felice che sarai con noi…”
 
Ferdinand: “l’onore più grande per me sarebbe un altro e tu sai a cosa mi riferisco…- accarezzò silenziosamente una guancia della giovane, senza violenza, ma con tangibile dolcezza -…io spero che dopo tutta questa guerra…riusciremo a tornare quelli di un tempo…” – lei si trovò presa alla sprovvista e non sapeva cosa rispondere.
 
Lena: “io…non lo so se…”
 
Ferdinand: “…voglio sposarti Lena…e creare con te quella famiglia che né tu né io abbiamo mai avuto…”
 
 
 
L’aveva colpita davvero; lui sapeva benissimo la situazione della rossa, era uguale alla sua: senza padre, costretti a crescere prima del tempo. Teresa poi, la madre di Lena, aveva sempre visto di buon occhio questo giovane, forte e sano, e se si fossero sposati anche lei ne sarebbe stata felice, perché un uomo sarebbe tornato in casa e avrebbe badato alla figlia e a lei.
 
Questi furono i primi pensieri di Lena, e così si lasciò accarezzare da quella mano forte e sicura…era spaesata, confusa, insicura...e Ferdinand la strinse di più a lui, baciandole la fronte.
 
 
 
 
 
 
 
Intervenne Giacomo ad interrompere quel sodalizio che si stava formando, involontariamente.
 
Giacomo: “bene Ferdinand, allora è deciso…ora non ci resta che procurarci le armi e aspettare, tu cosa ne dici?” – in quel momento stesso la porta della locanda si schiuse ed un giovane con un mantello nero entrò, inizialmente non riconosciuto.
 
Poi si tolse il berretto che portava, liberando quei corti capelli neri lucenti e dei lineamenti troppo eccelsi per essere di un contadino o il figlio di un poveraccio.
 
Si udì solo un leggero sussurro, che fece alzare la testa del nuovo entrato al trio di amici.
 
 
 
Lena: “Julia…” – era proprio lei, giunta da fuori il borgo per riscaldarsi e parlare con Giacomo delle loro decisioni, incurante della sua fama non troppo buona tra la sua stessa gente.
 
Uomo: “guardate è il Comandante dell’esercito! Traditore! Infame!” – iniziarono ad accusarla nei modi più volgari possibili, ma lei non lo sentiva, non lo vedeva neppure…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I suoi occhi erano persi in quelli verde smeraldo di quelli Lena…
 
Si incantarono in loro stesse e, sofferenti in cuore, poterono solo guardarsi…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Giacomo: “Julia! Sei tu! Ho parlato con gli uomini, ci appoggeranno e tu ci guiderai!” – ma il ragazzo castano al loro fianco intervenne prontamente e deciso.
 
Ferdinand: “no.” – Julia e Giacomo corrugarono la fronte, increduli a quell’esclamazione.
 
Giacomo: “come no? Lei è la persona più adatta…è stata lei a dirci che presto saremo attaccati e ha lasciato il suo esercito per noi!”
 
Ferdinand: “io vi ho dato l’appoggio della gente e io li guiderò. Se fosse questa aristocratica a comandare, nessuno l’ascolterebbe.” – Julia strinse i pugni, in fondo aveva ragione. Lei non poteva fare niente, se non combattere e dimostrare la sua buona fede.
 
Si arrese all’evidenza, anche perchè fu già tanto che non la linciarono lì dentro.
 
Lena non si avvicinò mai alla mora e questo intristì molto quest’ultima, che non capiva il perché di quella situazione fredda e distaccata, così tutta di colpo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La notte scese e, dopo le ultime spiegazioni, fecero ritorno tutti nelle loro abitazioni, dalle mogli e i figli.
 
Anche Julia stava uscendo, ma ad aspettarla c’erano quattro uomini, uno di questi era proprio Ferdinand.
 
 
 
 
 
La ragazza intuì subito cosa poteva succedere e mise la mano sul coltello che aveva nascosto nella cintura.
 
 
 
Ferdinand: “lascia stare quello o veramente ti metto le mani addosso, sporca stronza che non sei altro.” – prese per il collo Julia sbattendola, nell’oscurità,contro il primo muro più volte.
 
Julia: “che cazzo vuoi idiota?” – due schiaffi le marcarono il volto…prima sulla guancia destra, poi sulla sinistra.
 
Dopo di che l’uomo la lasciò.
 
Ferdinand: “vedi di filare liscio e di non metterti sempre a capo di tutto. Stavolta non comandi proprio un bel niente e il tuo amato cognome lo calpesteremo tutti, come una carta senza importanza. Così capirai chi sei veramente e quanto vali. Meno di zero.”
 
La ragazza, presa dall’ira, stava per scaraventarsi contro Ferdinand, ma i tre ragazzi che erano con lui la bloccarono violentemente, sferzandole pugni allo stomaco e placandola.
 
Ferdinand: “come vedi ora si fa a modo mio. Difenderemo questa terra da tutti gli usurpatori! – i tre tenevano ferma la giovane, lui le alzò il viso, afferrandole i capelli-…da tutti quelli come te, mio Comandante! – e chiamandola così, le diede una rumorosa ginocchiata nelle parti basse, lasciandola cadere. -…e un’altra cosa! Sta lontana da Lena…come hai ben potuto vedere da sola prima, lei ha fatto la sua scelta…”
 
E se ne andarono.
 
 
 
 
 
Julia rimase seduta a terra, non le importava del dolore, del suo corpo…Lena…tutto quello a cui riusciva a pensare era lei. E nacque rabbia, rancore, delusione in quella piccola ragazza…
 
“perché sei tornata da lui…perché…” – non si spiegava come fosse potuto succedere, cos’aveva di speciale quell’uomo…cosa aveva più di lei?
 
La mora non si riteneva certo una santa, ma aveva dimostrato quello che voleva dare a Lena…lui…lui cosa le avrebbe dato?
 
Si rialzò senza un briciolo di pietà. Incurante del piccolo spacco al sopracciglio, si incamminò verso il palazzo.
 
“non mi ha nemmeno salutato prima…si vergogna di me? Come hai fatto a finire già tra le braccia di quello schifoso…E allora perché mi hai illuso l’altra sera, perché??” – la maledisse, cento, mille volte.
 
Maledisse il giorno che si incontrarono e quel fuoco che ardeva sempre dentro di lei se solo pensava a Lena…se solo osava immaginare il suo corpo…se solo pensava di poter essere amata da lei…
 
Ma più di tutto, maledisse se stessa.
 
Non si sarebbe fidata più. E se continuava questa lotta, schierandosi col suo popolo, era solo perché voleva difendere la sua gente e dimostrare loro la sua buona volontà.
 
Al diavolo tutto il resto…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Era al portone del suo palazzo quando, inaspettatamente, fu presa da un istinto forte, rabbioso. Non sapeva nemmeno lei cosa fosse e, voltandosi, corse indietro! Il mantello che sventolava, la neve che la bagnava, il vento che continuava a tirare.
 
Correva, senza fiato. Con il gelo in viso.
 
 
 
 
 
Arrivò fino alla porta di casa della rossa e, ancora pervasa d’ira, bussò.
 
“arrivo…” – per fortuna la madre di Lena non c’era in quel momento, fu proprio la giovane ad aprire la porta.
 
Aprì e vedendo Julia ne fu felicissima! Era tornata da lei, pensò!
 
Subito, senza pensarci due volte, le si lanciò contro, finendo tra le sue braccia.
 
“Julia…non pensavo saresti tornata così presto! Avevo bisogno di riabbracciarti…” – le aveva cinto il collo sorridendole, ma la mora rimase impassibile. Non mosse un dito. E non la strinse minimamente.
 
“fammi entrare.” – fu l’unica cosa che disse. Lena le fece strada, anche se era spaventata da quello strano comportamento.
 
Julia senza troppi scrupoli, si diresse verso la camera da letto della rossa e ne tornò subito dopo con in mano un pugnale, che aveva lasciato ai piedi del letto la notte che era rimasta lì.
 
“ah si l’avevi dimenticato! Volevo riportartelo io stessa domani…” – credeva ancora ci fosse una speranza di farla restare.
 
“bene, ora l’ho preso da me e posso andarmene.” – passò accanto a Lena, senza nemmeno guardarla.
 
“aspetta Julia! Che ti prende? Che è successo…che è successo tra noi?” – i suoi occhi si fecero ludici per la durezza del comportamento della mora.
 
“è successo che non avrei mai dovuto ballare con te quella dannata sera. È successo che mi hai ingannato e l’ho visto con i miei stessi occhi. È successo che non sei altro che una bugiarda, come tutti gli altri e non voglio più vederti Lena. Mai più.”
 
La rossa non resse oltre e calde lacrime salate le bagnarono il viso, non riusciva a fermarle.
 
“ma cosa dici?? Io non ti ho ingannata Julia!...Io mi sono innamorata di te…perché non lo vedi? Dal primo momento…dal primo attimo che ti ho vista…io…” – non ce la fece a continuare.
 
“no…oh no Lena! Se mi amassi come dici, COME IO CREDEVO DI AMARE TE, non ti saresti mai gettata tra le braccia di un altro! Di quel bastardo!”
 
“Ferdinand è un mio caro amico! Non ti permetto di offenderlo, non lo conosci! È stato vicino a me e mia madre nei momenti di bisogno…tu non puoi sapere com’è e non puoi giudicarlo.”
 
“ecco vedi…come possiamo stare insieme noi…c’è un’immensità che ci separa e non mi va di soffrire! Tieniti quel verme se vuoi…anzi sai che ti dico! – quando voleva sapeva essere molto odiosa -…sposalo e facci pure qualche bel bambino! Chissà che non esca bugiardo come la madre e traditore come il padre!”
 
“vaffanculo Julia! Esci da casa mia!” – le lacrime non si arrendevano e lente continuavano a farsi strada. Era dal cuore che nascevano.
 
“quando tornerai sui tuoi passi sarà troppo tardi. Addio Lena. Addio…” – ed uscì, sbattendo la porta. Fiera di quello sfogo e sicura di aver fatto sentire Lena, come lei stessa si sentiva.
 
 
 
 
 
 
 
Ora davanti aveva solo la neve…

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Capitolo 9
*** Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori. (De Andrè) ***


Passarono i giorni, lenti e interminabili; il paese era pronto.
 
A breve avrebbero affrontato i Borboni che, con prepotenza da sud, avevano più volte minacciato di assalire quel ducato, a causa di dissidi antichi con la famiglia Volkova; la causa era sempre la stessa: il predominio sul territorio, perchè quel ducato aveva una posizione strategica, bramata da molti.
 
A tutto questo si andava a sommare l’atteggiamento dei Duchi, che sapevano benissimo essere ostili e irascibili con il popolo e con i proprio pari.
 
Fatto sta che non erano simpatici a molti, e ora era la gente del borgo a pagarne le conseguenze.
 
Non avevano alleati e se si fossero affidati solo all’esercito ducale, sarebbero sicuramente stati sterminati tutti.
 
Ma ormai erano preparati, ben armati; forse non erano precisi ed eleganti come dei veri soldati, ma dentro quella povera gente divampava la fiamma della sopravvivenza, della voglia del domani.
 
Di un domani più giusto, più equo…dove i loro bambini avrebbero vissuto sereni, questa era la loro forza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
A palazzo si finiva ancora di pranzare, quando Julia e la piccola Ester uscirono dalle scuderie, in groppa al cavallo della maggiore.
 
Ester si sentiva sicura e protetta e, mentre poggiava la schiena al petto della sorella riusciva a ritrovare la spensieratezza della sua età puerile, che troppe volte le veniva imposto di dimenticare, ma Julia sapeva ridarle.
 
Erano dirette da un’amichetta di Ester che abitava vicino alla porta ovest del borgo, dall’altro lato del ducato interno.
 
Julia teneva con apparente tranquillità le redini e, guardandosi intorno, scrutava ogni movimento alle porte, ogni piccolo spostamento; riusciva ad ascoltare anche il vento se si concentrava e quindi gli spostamenti non regolari.
 
Ma tutto, in quel momento, sembrava normale, consueto.
 
“Jul…” – la bambina richiedeva la sua attenzione.
 
“che c’è?” – ma lei continuava a guardare lontano, con la testa concentrata sull’orizzonte e il cuore naufrago e ferito.
 
“perché nostro padre e nostro fratello Victor ce l’hanno con te? Cosa hai combinato? Hai rotto qualcosa? Non li hai ascoltati?” – a volte si meravigliava di quanto Ester fosse affezionata a lei, proprio a lei che era restia dal dimostrare ogni genere d’affetto. Ma che teneva a quella bambina così tanto che avrebbe dato la sua stessa vita per lei.
 
“beh vedi…- continuavano a cavalcare lente -…non sempre si va d’accordo…e poi sai che io sono una testa calda no?” – sorrise alla sorellina che in tutta risposta, le prese allegra la mano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Per i viandanti che chiedevano asilo da fuori il borgo, cancelli erano ancora aperti e in quel pomeriggio invernale, si respirava la brezza gelida ma rassicurante della montagna.
 
Qualcun altro, oltre i passanti, trascorreva la giornata oltre le mura.
 
Una di questi era Lena, che faceva due passi per il sentiero insieme al suo amico Ferdinand; lui le aveva chiesto di parlare un po’ e così lei accettò senza troppi timori, ormai non aveva niente da perdere e quel caro amico poteva solo aiutarla a stare meglio, almeno così pensava.
 
Camminavano, guardando lontano, oltre quelle terre, dove forse c’era qualcosa di meglio. Dove forse c’era la pace.
 
“come sta tua madre? Non l’ho vista oggi in paese…” – cercava di essere discreto e con lei ci riusciva, non l’opprimeva né era arrogante.
 
“sta bene, ha solo paura…infatti non voleva farmi uscire…poi quando le ho detto che c’eri tu, mi ha quasi spinto fuori casa!” – si diedero ad una clamorosa risata tutti e due!
 
Era un bravo ragazzo e anche di bell’aspetto, con un sorriso pulito e solare; avrebbe potuto risolvere tutti i suoi problemi. Eppure non era lui che voleva.
 
Non era l’amore…
 
 
 
L’amore ti acceca, ti colpisce così forte da toglierti il respiro e mantenerti lo stesso in vita…anzi ti dona un’altra vita, che prima nemmeno credevi fosse possibile.
 
E lui non era certo tutto questo…qualcun’altra le aveva dato queste emozioni, e con i suoi occhi le aveva marchiato a fuoco il cuore.
 
 
 
Chiacchieravano del più e del meno quando un segnale li distolse da quella spensieratezza.
 
“oh no! È il fumo! Vuol dire che ci stanno attaccando! Dobbiamo tornare Lena!”
 
“sì, non c’è un minuto da perdere, andiamo!” – si lanciarono in una corsa sfrenata, fino al ponte levatoio che era stato forzato dall’esercito nemico, già entrato. Si udivano già i clangori delle spade, le urla dei paesani e l’odore del sangue misto alla terra.
 
“Lena?” – la fermò un secondo, sulla porta del paese.
 
“si?” – e si guardarono negli occhi, vicini sempre più.
 
“se non dovessi farcela, ricordati che…che io ti amo da sempre, col cuore…” – e la baciò, veloce. Senza riflettere.
 
Poi corse dentro sguainando la spada.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La rossa rimase frastornata…stava pensando che quelle parole le avrebbe volute sentire uscire da altre labbra, ma non c’era tempo ora. Doveva trovare sua madre e gli altri.
 
Il segnale era stato dato e in paese era già in putiferio; soldati ovunque, sangue che scorreva, uomini che morivano, altri che urlavano conficcando le proprie lance nei corpi dei nemici.
 
Riuscì a scampare miracolosamente ad un colpo di spada e, in lontananza intravide la madre; così corse più forte che poteva per raggiungerla.
 
Più forte del vento, più forte della paura che le serrava le gambe.
 
Lena: “mamma! Per fortuna che ti ho trovata! Forza vieni dobbiamo andare a ripararci nell’accampamento vicino al ponte, andiamo! Lì saremo al sicuro…” – prese la madre per la mano, guidandola.
 
Passarono accanto alle mura, per evitare di incontrare brutte sorprese, ma a poco valse.
 
Teresa non riusciva a tenere il passo della figlia e un soldato borbonico le fermò, ostacolando loro il passaggio.
 
Soldato: “ah! Vediamo un po’! Due belle donne…per di più tutte sole! Io so cosa ci vuole per due come voi!” – si toccava avidamente nelle parti basse.
 
Lena: “lasciateci passare!” – ma a nulla servì l’ammonimento della giovane. L’uomo l’afferrò per i fianchi e la trascinò a lui, per spogliarla.
 
Soldato: “vedrai come ti piacerà! Forza, non fare la timida…lo so che muori dalla voglia di prenderlo!” – con un colpo possente, strappò la maglia di Lena, riducendola a brandelli.
 
Teresa: “figlia mia no…aiuto! Aiuto! Qualcuno ci aiuti…” – Teresa piangeva disperata, senza poter far nulla.
 
 
 
Ma fu questione di un secondo, uno solo ed un dardo infuocato prese vita…lanciato sicuro e temerario…attraversò il vento, squarciandolo, e si conficcò nella schiena dell’ignobile soldato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’uomo cadde a terra dilaniato dalle fiamme e dalla precisione della freccia: nella parte sinistra della schiena, all’altezza del cuore.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non aveva avuto scampo quell’uomo. E ora il suo corpo giaceva a terra senza respiro, senza espressione.
 
Lena fece appena in tempo a coprirsi con i pochi resti della sua maglia e, alzando gli occhi, intravide un cavaliere a cavallo ancora in posizione di mira. Era stato lui a colpire quel soldato nemico. Era stata lei
 
Gli occhi blu, dietro l’arco, osservavano con rabbia e disprezzo quel cadavere di un uomo infame.
 
 
 
 
 
 
 
Poi le due ragazze si guardarono, ma prima che la rossa potesse dire anche una sola parola di ringraziamento, l’altra dovette rimirare e colpire l’ennesimo nemico che le si apprestata contro. Puntava con freddezza e senza bisogno di troppo tempo.
 
E come un falco che avvista la sua preda e la ferisce a morte, così Julia combatteva…con la forza della concentrazione e gli occhi di un rapace.
 
Poi, colpendo con i talloni i fianchi del suo destriero, se ne andò al galoppo, allontanandosi da Lena, doveva aiutare i suoi nella battaglia, tenendo sotto controllo gli accessi alle mura.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Era stato un attimo…tutto un attimo, ma a Lena parve una vita intera.
 
Quella ragazza le aveva salvato la vita…
 
Non riusciva a capacitarsene, era come imbambolata…
 
Quella ragazza le aveva salvato la vita e rubato il cuore…
 
 
 
“forza figliola andiamo! Non c’è un minuto da perdere!” – la madre la riportò alla realtà e finalmente riuscirono a mettersi in salvo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nella piazza antistante il palazzo, la situazione era sempre peggio.
 
Cadaveri e uomini stanchi si ripetevano ad ogni angolo; ma la battaglia non era ancora conclusa.
 
Eppure due carrozze riuscirono a fuggire, a muoversi indiscrete nella marmaglia: dal finestrino della prima, il Duca Erman osservava la sua disfatta, la sconfitta del suo nome e del suo casato per sempre.
 
I Volkova non avevano più niente, perché loro stessi stavano abbandonato il paese in difficoltà, come vigliacchi spaventati. Ora si rendeva conto di aver sbagliato, di esserci macchiato della colpa più grande. Tradimento. E capì che forse la sua coscienza non gliel’avrebbe mai perdonato.
 
Poi quando, inaspettatamente, intravide la sua primogenita combattere al fianco dei contadini, di quella che era la sua gente,  ne ebbe la certezza.
 
Julia stava lottando per ideali supremi, lui stava abbandonando il suo popolo.
 
Il Duca e Victor erano nella prima carrozza, la moglie e due dame di compagnia nella seconda; incuranti di tutto, uscirono da una stradina secondaria e, al trotto, i cavalli si addentrarono nel sentiero che dal bosco portava nelle terre degli Antici, gli unici alleati del Volkova, con cui presto avrebbero stretto sodalizio organizzando un matrimonio tra gli eredi.   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nel paese, intanto, il combattimento continuava infrenabile. Disperazione e morte per le strade.
 
Ma si dice che chi lotti per libertà o sopravvivenza abbia una marcia in più e così fu.
 
Al calare della notte, l’esercito borbonico era stato costretto alla resa.
 
Stremato e con appena una decina di uomini dovettero tornarsene indietro, ripercorrendo stanchi quel sentiero che ore prima avevano battuto orgogliosi e sicuri.
 
Spoleto aveva ancora la sua libertà.
 
 
 
Questo era l’importante, questo si doveva festeggiare; erano morti molti uomini sì, contadini, artigiani, fabbri, gente povera. Ma loro avevano donato con la loro vita, l’indipendenza a quel piccolo borgo; ora tutto si sarebbe sistemato. Ora tutto sarebbe andato per il meglio.
 
Così pensarono tutti. Così doveva essere.
 
 
 
 
 
“Julia!!! Julia!!! – una voce richiamava la gendarme illesa scesa da cavallo, era Giacomo che vedendola sana e salva, si precipitò da lei -…come stai? Non ti ho visto prima e temevo ti avessero catturata! Che Dio ti benedica…se abbiamo ancora il nostro villaggio è grazie a te!”
 
La ragazza sorrise serena e con una pacca sulla spalla dell’amico, lo rassicurò.
 
“io non ho fatto nulla. Il merito è tutto di questi uomini…hanno dimostrato un coraggio che io non avrei mai creduto possibile…- poi si risistemò l’arco dietro la schiena e la sua espressione si fece più seria-…Giacomo ma…hai visto mia sorella Ester? Era con me allo scoppio della guerriglia, poi l’ho mandata all’accampamento vicino il ponte ma non c’è…sto iniziando a preoccuparmi.”
 
“la troveremo vedrai, sta tranquilla…deve essere andata con le altre donne in un punto più sicuro, non preoccuparti.”
 
E camminarono svelti verso quel secondo posto di rifugio; Ester doveva essere lì, per forza, perché allo scoppio del combattimento lei era con Julia e quindi non poté fuggire con i suoi genitori. E questi ultimi non se ne curarono nemmeno molto, l’importante era Victor. Solo lui.
 
Lui doveva essere salvato, gli altri poco importava che fine facessero.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Poi, dopo un centinaio di metri la vide…e il cuore le si riempì di gioia e vento.
 
“Ester!! – urlò vedendola avanti a sé, mentre le correva incontro -…Ester!”
 
“Julia!!!” – quei pochi metri sembravano infiniti, ma finalmente si raggiunsero e la piccolina si buttò tra le braccia della sorella, che cadde in ginocchio per l’emozione e subito la strinse forte…forte…era la prima volta che il Comandante piangeva…era la prima volta che si mostrava così…
 
Piangeva perché aveva avuto paura…paura di non rivedere più quella dolce bambina, a cui teneva da morire…ed era tutta la sua famiglia.
 
Tutte le signore e i bambini del rifugio erano lì, ad osservare commossi quella scena e anche alcuni soldati stremati si avvicinavano lenti. Chi l’avrebbe mai detto? Il crudele Comandante versare lacrime, dopo aver combattuto al fianco del suo popolo…chi poteva immaginarlo…
 
Se fosse stato un racconto, nessuno ci avrebbe mai creduto…eppure ora era lì, ed era una di loro, come loro.
 
Anche Lena la vide; aveva riconosciuto Ester appena giunse nel ritrovo, allo scoppiò della guerriglia, ed era stata proprio la rossa a badare a lei. Le faceva tenerezza quella esile e vivace bimba, con i capelli castani mossi fino alle spalle e un sorriso furbetto e dolce. E poi chiunque avrebbe notato la somiglianza con il Comandante, somiglianza che prima di tutto c’era nel cuore.
 
 
 
Julia alzò piano gli occhi verso quella gente, mentre ancora stringeva la sorella.
 
Era nuda davanti a loro, non aveva protezioni, né titoli. Tutto quello che aveva era l’affetto per la piccola sorella e il suo arco dietro la schiena.
 
Poi incrociò lo sguardo felice di Lena…
 
 
 
Erano lì, ancora una volta insieme, nonostante tutto quello che era successo. Vive e legate dentro…lo sentirono entrambe.
 
Si guardarono. La mora in ginocchio e la rossa in piedi a pochi metri…e non poterono che sorridersi…
 
 
 

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Capitolo 10
*** Amor, ch'a nullo amato amar perdona... (Dante) ***


Il freddo più pungete era sceso a far compagnia alla povera gente del paese, ma erano felici quella sera, nulla poteva impedirlo. Felici, perché finalmente poterono festeggiare la loro vittoria, la loro libertà, la loro forza.
 
E così tutti insieme, uomini e donne, vecchi e bambini organizzarono un gran falò al centro della piazza centrale; arrostirono quanta più selvaggina avevano nelle dispense e fiumi di vino sgorgavano per essere versati nei bicchieri.
 
I feriti furono medicati e fasciati con cura, le donne finalmente potevano avere al loro fianco i mariti senza il timore di perderli.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Julia osservava tutto da lontano.
 
Era seduta per terra in un angolo distante dalla folla, sola; le spalle al muro, gli occhi fissi al focolare che lentamente si alzava e alla sorellina che ballava felice con due sue amichette. Era esausta, ma contenta di quello che aveva fatto; e poco importava se ora era sola, presto quella gente l’avrebbe apprezzata per ciò che realmente era ed aveva dimostrato di essere. Ne era convinta. Non poteva essere altrimenti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“pa…padroncina! Padroncina siete voi?” – una giovane donna intimorita si avvicinò con passo felpato alla mora, ma non si riconobbero subito perché Julia era in ombra e con i vestiti della battaglia; sulla casacca nera c’era ancora del sangue.
 
“Bernadette! - appena Julia riconobbe la sua ancella, balzò in piedi e le andò incontro sorridendo -…come stai? Che ci fai ancora qui?” – era convinta che anche quella brava ragazza fosse partita con la sua famiglia.
 
“non sapete come sono felice di vedervi sana e salva!” – l’umile serva, mossa dall’entusiasmo più puro, prese le mani di Julia baciandole per la contentezza di rivederla.
 
“anch’io sono felice Bernadette…pensavo fossi via andata con mia madre!”
 
“no, no padrona…vostra madre ha portato con sé solo Agata e Lucia, le sue dame di compagnia…noi altri siamo rimasti a palazzo e a dir la verità…temevamo di essere uccisi…” – la mora la rassicurò prendendole il viso tra le mani e guardandola con un sorriso sereno che forse Bernadette non aveva mai visto in lei.
 
“potete stare tranquilli e poi…siete liberi adesso…non dovrete più sottostare a nessuno, né tanto meno a me!” – le scappò da ridere.
 
“io non vi abbandonerò padroncina! Perché ora…vedo…vedo qualcosa di diverso in voi…e vi chiedo di poter restare al vostro seguito…anzi! – si distaccò, guardando Julia da capo a piedi -…credo proprio che avete bisogno di me! Vi serve un abito nuovo! Pulito…Si, si! Non siete molto presentabile così! Vado e torno! Non ci metterò molto!” – stava per allontanarsi.
 
“ma Bernadette non devo mica andare ad una festa!”
 
“ma non vedete che grande festa che c’è qui! Non potrebbe esserci serata più magnifica! E voi dovete esserne all’altezza!”
 
“si…ma non credo di partecipare… – era leggermente triste -…non so quanto sia gradita la mia presenza…”
 
“suvvia non dite stupidaggini! Aspettatemi qui e poi vedremo!” e corse altrove, verso il palazzo.
 
Rischiava molto quella giovane rientrando; il palazzo ducale era già stato preso dal popolo ed erano stati messi degli uomini che controllavano chi entrava e chi usciva, ma Bernadette riuscì a convincerli facilmente.
 
Julia restò a guardarla meravigliata mentre si allontanava.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Da un chiosco poco distante, due occhi innamorati guardavano il solitario Comandante…
 
Giacomo: “Lena! Ti sei forse incantata?” – si era accorto cosa, o meglio, chi guardasse l’amica.
 
Lena: “ehm no! Certo che no! Scusa devo tornare ad aiutare mia madre a cucinare di là…a dopo Già!” – voleva scappare.
 
Ma la voce dell’amico fu più veloce.
 
Giacomo: “se è il tuo cuore che te lo dice, va da lei…se è rimasta qui con noi, è anche per te…credimi…abbiamo combattuto insieme e io credo…credo non ci sia stato momento in cui Julia non sia stata in pena per te…lo dico davvero.”
 
Lena: “credi che potremo…potremo stare insieme? Credi che…la nostra gente l’accetterà? Io non voglio darle più problemi di quelli che ha già…” – era sincera e voleva solo il meglio per la ragazza che amava, anche se in silenzio.
 
Giacomo la accarezzò fraternamente una guancia e la rossa di convinse. Sarebbe andata da Julia e le avrebbe parlato con la voce del suo cuore. Di quello stesso cuore che all’impazzata chiamava il nome della mora e pulsava di più ogni volta che lo sentiva pronunciare…
 
 
 
 
 
 
 
Arrivarono anche Anna e gli altri; tutti erano pervasi da un’immensa gioia che si poteva sentire nell’aria.
 
Lena si stava già incamminando verso Julia, ma casualmente intravide Ferdinand che era poco distante e così, per chiarire finalmente le cose, decise di andare da lui.
 
Voleva dirgli la verità, una volta per tutte, anche se gli avrebbe fatto male, ma almeno sarebbe stata sincera e lui avrebbe potuto dimenticarla e tornare a vederla solo come amica, un’ottima amica, ma niente di più.
 
“chi sono? – era arrivata alle spalle del ragazzo e, chiudendogli gli occhi con le sue mani, ora lo teneva in balia della sua voce! Lui inizialmente non rispondeva -…ah mio caro! Pensavo mi riconoscessi subito! Ci stai mettendo un po’ troppo tempo!”
 
“sei una pazza! Ecco chi sei Lè!” – fece un po’ di forza e si voltò a lei, per poi abbracciarla forte. Era felice di quella sorpresa che lei aveva voluto fargli e soprattutto era contento di rivederla sana e salva.
 
“come stai?...sono stata impegnata prima di là e non sono potuta venire a salutarti come meriti…sei stato coraggioso…davvero…meriti un bacio!” – e lo baciò rumorosamente sulla guancia; si guardavano negli occhi, con complicità.
 
 
 
A Julia non sfuggì.
 
Era distante, ma li teneva d’occhio e una forte gelosia stava germogliando in lei, senza che potesse estirparla.
 
 
 
“sto bene, mi sono ferito ad un braccio, un piccolo taglio…ma avrei fatto di tutto per questa gente…e poi…-sorrise-… se questo è servito per farti venire a me, ben venga! Ricordi cosa…cosa ti ho detto oggi prima di lasciarti?”
 
Certo che se lo ricordava Lena, ma non era quello il motivo per cui era andata da lui. O almeno, non era come voleva Ferdinand.
 
“sì…e vedi io…è di questo che volevo parlarti…” – era imbarazzata, sapeva che stava per distruggergli un sogno.
 
“allora hai deciso che mi sposerai… - pendeva dalle labbra della rossa -…io ti renderò felice…lo giuro!”
 
“no, Ferdinand…non posso sposarti…e ti prego di…di capirmi… - gli prese le mani-… sai, mi sarebbe piaciuto innamorarmi di te…tu sei perfetto e io questo lo so…”
 
“ma?” – aveva già capito che c’era un ma.
 
“ma non è te che amo…e per quanto io possa impegnarmi a liberare il mio cuore, lui…lui è già stato assalito e conquistato…da quel giorno che mi hai trovata nel bosco con Julia…” – Ferdinand sgranò gli occhi, non ci credeva.
 
 
 
Non poteva essere. La sua Lena non poteva essersi innamorata di una donna. E soprattutto non di quella donna.
 
Nella sua mente si affollarono tutte le parole di rabbia e di delusione che avrebbe voluto dire, ma tacque. Le inghiottì prima ancora di buttarle fuori.
 
Si limitò a sorridere all’amica, anche se scoraggiato e profondamente ferito, e lasciò che quella fosse l’ultima carezza che lei gli avrebbe rivolto, perché poi, subito dopo, se ne andò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ora poteva andare davvero da chi le indicava il cuore, e così fece. Si incamminò da Julia, ma si fermò un attimo divertita a guardare la scena che le si presentava davanti.
 
 
 
Bernadette: “forza padroncina! Ecco, così! Ora sì che siete decorosa! Avevo ragione a dire che il blu vi donasse e poi questa camicia vi sta a pennello!” – la faccia di Julia non sembrava molto convinta.
 
Julia: “eh va bene Bernadette! Visto che è l’unica che hai trovato! Ma la prossima volta vedi di prendere quelle nere o bianche, sai che non amo i colori. Mi sento ridicola!” – non si accorsero minimamente dell’osservatrice che avevano alle spalle, e che se la rideva di gusto.
 
 
 
 
 
Lena: “io invece trovo che Bernadette abbia ragione…- Julia si voltò si soprassalto, temendo fosse chissà chi-…il blu ti sta d’incanto…si abbina con i tuoi occhi fatati…” – poi i loro sguardi si incontrarono di nuovo e il mondo scomparve, come ogni volta.
 
Bernadette: “ehm…- capì di essere di troppo e così tossì per attirare, almeno un secondo, l’attenzione della sua padrona, che sembrava si fosse persa in un mondo lontano anni luce -…ecco volevo…volevo darvi anche questo Duchessa! – le porse un piccolo quaderno, sgualcito e senza particolari che Julia però afferrò subito! -…pensavo vi avrebbe fatto piacere…”
 
La mora cercò di riprendersi.
 
Julia: “sì Bernadette, grazie. Sei stata molto gentile…ora potresti lasciarci un attimo sole?” – guardò seria la ragazza.
 
Bernadette: “certo! A più tardi…- poi si rivolse alla rossa per salutarla -…vi auguro una buona serata signorina…”
 
Lena: “Elena, ma chiamami semplicemente Lena!” – si sorrisero.
 
Bernadette: “come vuoi Lena!” – stava per andarsene quando…
 
 
 
Julia: “Bernadette!” – la richiamò inaspettatamente e alquanto aspramente.
 
Bernadette: “si?”
 
Julia: “non chiamarmi mai più Duchessa.” – la rimproverava sempre per quell’appellativo, non voleva proprio sentirlo…ora meno che mai!
 
Bernadette: “ehm…sì avete ragione padroncina! Con permesso! ” – e si incamminò svelta verso la piazza.
 
 
 
 
 
Anche Lena si era cambiata poco prima; ora indossava un pantalone più comodo scuro, che metteva in risalto le sue gambe perfettamente modellate; e sopra un maglione, per il gran freddo.
 
A Julia non sfuggì nulla, la osservava da un po’. Lei certo non era da meno, con quei pantaloni da uomo e la camicia blu piegata fino ai gomiti, che tanto piaceva a Bernadette! Sorrideva se solo ci pensava. Ma comunque la buona serva aveva ragione davvero; stava d’incanto con quella camicia.
 
 
 
 
 
 
 
Rimasero sole…con un forte uragano dentro che le divorava. Era incredibile.
 
Si guardarono senza riuscire a dire nulla. Era mancato ad entrambe osservarsi e vedere nell’altra la proiezione di se stesse.
 
Perché loro erano così…
 
Poi Lena fu colpita da quel piccolo libro che Bernadette aveva dato a Julia, un quaderno forse personale, ma non riusciva proprio a spiegarsi perché la mora ci tenesse tanto. Lo aveva notato da come lei lo aveva afferrato.
 
“è un taccuino dove annoti le tue emozioni? Un diario…” – fu la prima domanda ingenua che a Lena venne da fare.
 
Ma la risposta certo non fu delle più calorose.
 
“ho rischiato di morire e tu la prima cosa che mi chiedi è cosa sia questo quaderno?” – era fredda. Apparentemente senza motivo. Dai suoi occhi usciva rabbia, così come dalle sue parole.
 
La rossa si sentì in colpa, in fondo Julia aveva ragione.
 
“scusami…ma…non sapevo cosa dirti…ho sempre…ho sempre paura delle tue reazioni…- poi si fece coraggio, non voleva darla vinta alla mora-…e poi tutti qui abbiamo rischiato di morire, non solo tu!”
 
“tu non saresti mai morta.”
 
“ah si? Può darsi che devi sempre stare al centro di tutto tu e gli altri non contano nulla!? E perché sentiamo io non sarei potuta morire? Sono forse immortale e non lo so??– si stava adirando.
 
“non saresti morta perché io avrei dato la mia vita pur di salvare la tua. Ecco perché.”
 
“cosa?...Julia…” – la rossa si avvicinò al viso dell’altra, fino a sfiorarlo piano con le dita…fino ad tracciare quei lineamenti e sentire dentro di lei l’infinità di quel sentimento, che solo con Julia provava.
 
Quella risposta l’aveva frastornata…non se l’aspettava.
 
 
 
 
 
Ma, improvvisamente, la mora si scansò, spingendola via.
 
“lo avrei fatto davvero Lena e sai qual è la cosa buffa? Che a te non te n’è fregato minimante. E subito sei corsa da quel tuo caro amico! Guai a chi te lo tocca quel bastardo traditore!” – era infuriata e delirante, si stava sfogando.
 
“io non sono corsa da lui, sono venuta da te!” – cercava ancora di farla ragionare.
 
“ah no? Mi stai dicendo che ho le allucinazioni?? – si scaraventò contro Lena, tornandole vicina -…vi ho visti prima! L’ho visto come ti sei stretta a lui! E ho visto anche come ti guardava! Non credere che mi sia rimbambita tutta di colpo per te!”
 
La discussione sembrava finita lì, Julia stava andandosene.
 
Ma Lena non poteva permettere che finisse tutto così, doveva ancora dirle la verità e quello che sentiva, anche se Julia non avesse voluto ascoltarla.
 
“benissimo Volkova! Allora non ti importerà se ti dico che sono andata da Ferdinand solo per dirgli che non potevo continuare a frequentarlo…che non posso farlo perché io amo te…nonostante tu sia così scontrosa ed odiosa! Nonostante io ora ti prenderei a pugni! Nonostante ti risputerei di nuovo per la rabbia che mi fai! Nonostante questo io amo te…e…- si coprì il viso -…e non riesco a smettere di amarti…”
 
 
 
 
 
Julia si bloccò di colpo. Una lama molto più affilata di qualunque delle sue frecce la colpì.
 
 
 
 
 
Si voltò a Lena e, senza pensarci due volte, corse da lei e la prese tra le sue braccia. Così, senza dire niente.
 
Si abbracciarono…si riconobbero…si promisero l’eternità…stringendosi…
 
Così, in silenzio…
 
Perché l’amore vero non ha bisogno di parole…perché l’amore vero abbatte qualsiasi muro, per quanto alto e forte possa essere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“perdonami Lena…perdonami se puoi…io…sono un’idiota lo so…”
 
“lo so anch’io che sei un’idiota! Ma ora ti prego baciami…” – così le labbra si avvicinarono e si unirono.
 
E il bacio fu molto più incantevole di qualsiasi aspettativa delle due ragazze.
 
“vieni con me…” – di colpo Julia prese la compagna per mano e corsero via. Attente a non farsi scoprire, la fece entrare da una porta secondaria del suo palazzo.
 
Attraversarono le scuderie, l’ampio ingresso, le sale da pranzo, i corridoi interminabili.
 
Tenendosi per mano…sempre.
 
Salirono l’imponente scalinata, spinte da una forza che avevano dentro e che solo ora scoprivano. Solo ora che erano insieme.
 
 
 
 
 
Si trovavano nella parte occidentale del castello.
 
Ancora qualche corridoio e poi Julia spalancò una porta intagliata di legno antico ed entrarono in un’immensa stanza, oscurata dalle tende chiuse; vi entrarono un po’ col fiatone per la veloce corsa.
 
Quadri preziosi di paesaggi magnificamente immensi incorniciavano le pareti, un grande tappeto porpora ricopriva il pavimento rendendo l’atmosfera ancora più principesca.
 
Al centro della stanza vi era un letto ben rifatto, a baldacchino, con lenzuola bianche di lino. E bianchi erano anche i drappi che circondavano il letto, segno di nobiltà ed eleganza.
 
“wow…ma…dove siamo Jul?” – Lena aveva perso l’orientamento da quando aveva messo piede nelle scuderie! E continuava a guardare col naso all’insù quella grande stanza. Non era mai entrata a palazzo.
 
Non era permesso a chi non fosse nobile o autorizzato, come la servitù, che comunque aveva dei limiti; certe stanze private erano inaccessibili.
 
Ma Julia la rassicurò.
 
“questa è la mia stanza…non ci è entrato mai nessuno, oltre me e Bernadette. Nemmeno i miei genitori o i miei fratelli…” – stringeva sempre più forte la mano dell’altra.
 
“e perché a me hai permesso di entrarci?” – si voltò alla mora, sfiorandole le labbra con le sue.
 
Erano vicine, ad un passo dal paradiso.
 
“perché vorrei…ecco io…” – non riusciva a parlare per l’emozione che sentiva.
 
“vorresti cosa? Non capisco…Jul non stai bene? Devo preoccuparmi?” – ma intanto la mora la spingeva piano verso quel letto lì al centro e Lena, che non oppose alcuna resistenza, vi si sedette tirando a lei anche la mora.
 
“Lena io…voglio fare l’amore con te…” – le si illuminarono gli occhi e il desiderio fu più forte di qualsiasi altro suono, rumore o festa.
 
“anch’io lo voglio…con tutta me stessa…”
 
 
 
La rossa si distese, spingendo la mora a fare lo stesso su di lei…erano l’una sopra l’altra e iniziarono a baciarsi con un impeto inarrestabile, senza fine. Niente avrebbe potuto fermarle. Ora volevano appartenersi, e per sempre.
 
Lena sbottonò quella camicia blu e la sfilò dal petto di Julia…poi fu il Comandante a spogliare Lena, con dolcezza e passione.
 
E ogni parte che denudava, la baciava.
 
Aveva sempre sognato quel corpo sotto di lei e ora, che l’aveva, le sembrava tutto un bellissimo sogno…il loro sogno…
 
Lena entrò dentro Julia, sentendola già bagnata. Non resistevano. Non volevano più resistere…
 
“sono tua Lena…sono tua…” – si aggrappò a quelle lenzuola umide, mentre la rossa le dava piacere stando sotto di lei.
 
“ti amo Jul…ti amo…” – venne quasi subito, poi fu la mora che…dopo essersi chinata per baciare Lena nella sorgente del suo piacere, la penetrò piano…poi sempre con più forza.
 
 
 
 
 
 
 
E mentre sotto quelle finestre, si rideva e si ballava per festeggiare la vittoria della guerra…nei piani alti del castello signorile due ragazze, lentamente, si regalavano l’anima…
 

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Capitolo 11
*** Al meglio si perviene soltanto con grande dolore... (McCullough) ***


Una fioca luce entrava nella grande finestra davanti al letto, sprigionata da un falò sottostante, dove nitide risa e allegri schiamazzi erano l’unica melodia ascoltabile.
 
 
 
 
 
 
 
Ma in quella calda stanza non c’era posto per nient’altro che non fosse l’amore…lui, solo lui la riempiva…e così tanto da stringere sempre di più quelle due ragazze stese su un letto incantato…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“ti piacciono così tanto i miei capelli?” – erano sdraiate, una al fianco dell’altra, ma Julia proprio non ce la faceva a non accarezzare quei ricci d’oro rosso della compagna.
 
“eh si ma…ti do fastidio? – chiese premurosa -…se vuoi mi fermo…”
 
“no! Certo che no Ju…vorrei…vorrei che continuassi per sempre…” – Lena, dal canto suo, si era proprio persa per Julia.
 
Avevano appena fatto l’amore…
 
 
 
Guardarsi e amarsi così…senza chiedere altro…non c’era cosa che desiderassero di più…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La rossa si sistemò su un fianco e, sorprendendo la sua amata, la baciò delicata sulla fronte…come volesse proteggerla, per poi prenderla dolcemente tra le sue braccia e cullarla, stretta.
 
Julia la lasciò fare. Non l’avrebbe fermata per nulla al mondo…stava troppo bene con lei; Lena la stava cambiando, le stava insegnando ad essere come lei non era mai stata. E di questo gliene sarebbe sempre stata grata.
 
Se era una persona migliore, lo doveva a lei...a quel turbine che sentiva quando erano insieme…
 
 
 
 
 
 
 
Fu proprio Julia a rompere quell’idillico silenzio, senza però smettere di stringersi a Lena.
 
“posso sentire i battiti del tuo cuore sai…” - forti e scanditi come rimbombi di vento che solo la mora poteva ascoltare.
 
“e cosa senti?...dice qualcosa in particolare il mio cuore? – Julia la guardò stranita - …non lo senti? Ascolta bene Ju…”
 
“cosa Lena? Cosa non sento?” – poggiò ancora l’orecchio sul petto della rossa, all’altezza del cuore.
 
“ecco, ecco senti! – finse di concentrarsi -…Ju…lia…Ju…lia…hai sentito adesso??” – sorrise.
 
“tu sei pazza!” – e poi si baciarono piene di passione, mentre ancora i loro corpi nudi si avvolgevano sotto quelle leggere lenzuola.
 
 
 
 
 
“sì, sono pazza di te…credi sia un male?” – sorrideva contenta Lena, stava toccando il cielo, perché il suo cielo era Julia.
 
“no…anzi ne sono felice… - poi la mora afferrò quel quaderno, che tanto serbava con cura e lo aprii, mostrandolo a Lena…-…in questo quaderno…ho scritto delle poesie…- arrossì visibilmente -…e ce ne sono alcune…che…che sì insomma…parlano di te…”
 
Lena fu colta da un immenso stupore!
 
Era vero, c’erano davvero delle sue descrizioni! Di come camminava, di come si vestiva…
 
“ma è…è bellissima questa Ju! Allora aveva ragione tua sorella…scrivevi poesie che parlavano di me…io non so…non so che dire…” – era emozionata, le tremava quasi la voce.
 
“non dire niente amore mio…non dire niente…” – le tolse quel quaderno dalle mani e riprese a baciarla, accarezzandole la lingua con la sua.
 
Erano in un’altra dimensione, in un altro spazio…in un mondo in cui c’erano solo loro, in cui non vi poteva esistere altro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Le voci della gente sotto attirarono la loro attenzione e la mora, per un momento, cambiò umore.
 
Il suo viso mutò di colpo e i suoi occhi divennero come più scuri, più tenebrosi.
 
 
 
“che c’è? Qualcosa non va? Come mai ti sei fermata così di colpo?” – Lena si era accorta che qualcosa le sfuggiva, che qualcosa forse non andava.
 
“mi è venuto in mente che…- sembrava decisa a parlare, ma subito si bloccò -…no niente…”
 
“no! Ora me lo dici Volkova!” – la rossa sorridendo e desiderando sapere cosa passasse nell’anticamera del cervello dell’altra, si mise seduta a cavalcioni su Julia per farla parlare e le immobilizzava le mani, avvicinando sempre più le labbra alle sue.
 
“ecco vedi…io credo che questa…che questa sia la nostra prima notte insieme…e forse anche l’ultima…” – il suo sguardo rimase serio.
 
Lena rimase pietrificata un attimo.
 
“ma cosa dici? Perché dovrebbe essere l’ultima? Abbiamo una vita davanti a noi! E io voglio passarla con te…”
 
“anch’io lo vorrei, davvero…ma non credo sarà possibile e io desidero che tu sia felice…magari con un’altra persona che ti ami…anche… - prese il viso di Lena tra le sue mani -…anche più di me…”
 
 
 
 
 
 
 
Lena non capiva e inizialmente si sentì usata; forse Julia non era poi così presa da lei, forse era stato solo sesso, magnifico sì, ma solo quello; mille dubbi l’assalirono…ma poi intuì perché parlava così. Capì che c’era ben altro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Julia…io non voglio qualcun altro. Non me ne frega niente! Io voglio te…e qualsiasi difficoltà incontreremo, la affronteremo insieme…tu ed io! Dimmi che anche tu lo vuoi…” – la guardava speranzosa, e poggiò un piccolo bacio sulle labbra della mora.
 
“certo che lo voglio anch’io, ma tu promettimi che…se mai dovesse accadermi qualcosa, qualunque cosa…andrai avanti con le tue forze e starai lontana da tutti coloro che cercheranno di confonderti…perché credimi ce ne sono molti! – Lena aggrottò la fronte, non riusciva a decifrare bene quello che Julia le stava dicendo, ma ora non le importava…e fu lei, in quell’attimo, a poggiarsi sul petto di Julia desiderosa solo di essere protetta -…no Lena! Me lo devi promettere!” – l’altra non demordeva.
 
“si…te lo prometto Ju…ora però ti prego…stringimi…” – si abbandonò sul petto della mora, e l’altra la strinse forte a sé.
 
Niente poteva dividerle quando erano insieme, niente. Perché erano una cosa sola…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mattino seguente, prime luci dell’alba.
 
Il cortile era spopolato, ormai tutto taceva per dare spazio al riposo. Al meritato riposo.
 
Si scorgeva solo un piccolo movimento…
 
Due uomini, non ancora andati a dormire dopo la gran festa, si salutarono calorosamente nel centro della piazza che aveva accolto tutta quella folla la sera prima. Qualcosa si aggirava per le loro menti.
 
Il resto del paese era tranquillo, quieto; dormivano tutti, fatta eccezione per i contadini mattutini che ripresero a coltivare i loro campi, dopo la guerra vinta.
 
 
 
 
 
 
 
Uomo: “ehi Ferdinand! Allora com’è andata questa bella nottata eh?” – abbracciò fraternamente l’amico, che rispose con un gran sorriso furbo.
 
Ferdinand: “bene! Molto bene, mio caro amico! E credo che questa giornata andrà ancora meglio…oggi siamo noi i padroni di noi stessi finalmente! Niente principi, né re…né tantomeno duchi! – pronunciò con particolare astio quella parola -…Possiamo decidere da noi cosa sarà della nostra terra!”
 
Uomo: “mm…da come parli credo proprio che tu abbia già in mente qualcosa, giovanotto!” – un po’ brillo, guardò lungimirante il compagno.
 
Ferdinand: “diciamo che un’idea ce l’ho e credo che sarà approvata da tutti i nostri compaesani…”
 
 
 
Proprio in quel momento passò per il centro Giacomo, appena alzato, dopo aver riposato per qualche ora con Anna…avevano ballato tutta la notte e quasi sicuramente le ore dopo, le avevano passate dormendo.
 
Era stanco e affamato, ma salutò gentilmente i due, fermandosi a chiacchierare con loro.
 
 
 
Giacomo: “buongiorno ragazzi! Già svegli?” – lui sveglio non lo era poi molto.
 
Ferdinand: “beh…si dà il caso che noi abbiamo dormito…soli!” – l’altro rise sotto i baffi.
 
Giacomo: “non credo che tu sia stato così solo! Comunque non ho fatto nulla di quello che immagini! Ero troppo stremato… - cambiò discorso, visibilmente imbarazzato -…di cosa stavate parlando di prima mattina? Sentiamo…un governo provvisorio? Chiedere aiuto a qualche villaggio vicino?” – non si aspettava certamente la risposta che poi ebbe.
 
Ferdinand: “stiamo pensando che dovremo dare la giusta punizione a quella sorta di Comandante dei miei stivali.” – Giacomo si svegliò tutto di colpo, quasi trasalendo!
 
Uomo: “si! Sarebbe proprio una buona idea! Dopo tutto quello che ci ha fatto passare!”
 
Giacomo: “no! Julia non sarà toccata. – intervenne fermo, deciso -…Ci ha aiutato nel combattimento e io credo che se non fosse stato per lei e il suo arco, le mura sarebbero state prese di sicuro dai Borboni. Quindi non abbiamo nulla contro di lei, anzi dovremo ringraziarla!” – non avrebbe mai permesso a Ferdinand di fare quello che aveva detto.
 
Ferdinand: “guarda che non ha combattuto solo lei! C’erano altri mille e più uomini! Contadini! Che hanno rischiato di morire e di lasciare le loro famiglie, molti sono anche morti…quindi non vedo perché tu difenda così tanto quella stronza! Merita di morire!” – era irremovibile, rabbioso.
 
Giacomo: “anche lei ha rischiato di morire in combattimento. E poi punirla per cosa? Ha combattuto per noi…e ora non rappresenta più un pericolo, non ha nessuna pretesa.” – stavano per azzuffarsi tra loro, erano sempre più vicini e contrastanti.
 
 
 
Ma Giacomo cercava, comunque, di restare calmo.
 
 
 
Ferdinand: “non ricordi cosa abbiamo dovuto passare per colpa sua e della sua famiglia??? Quante tasse ci imponevano di pagare! E se qualcuno non aveva i soldi, ricordi qual era la loro risposta?? Te la ricordi!?”
 
Giacomo: “veniva ucciso…” – rispose a bassa voce, abbassando lo sguardo.
 
Ferdinand: “ecco! E tu ora non vuoi fargliela pagare?? Devono crepare! E lei sarà la prima! Non credo che il popolo mi dirà di no! – era sicuro e pieno di sé, ed era impossibile dargli torto -…ora scusate ma devo andare. Ho qualcosa da organizzare.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Detto questo se ne andò, a passo veloce e fiero; mentre intorno le botteghe iniziavano il loro lavoro.
 
Giacomo rimase impassibile, zitto; anche lui ne aveva passate tante, ma aveva conosciuto Julia e l’ammirava ora…per quanto assurdo potesse sembrare. E poi c’era Lena…lei amava il Comandante, le si sarebbe spezzato il cuore a quella notizia.
 
Decise così di non parlarne ad Anna, non subito; doveva far in modo che Ferdinand non riuscisse nel suo intento.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Le due ragazze si alzarono, a giorno inoltrato.
 
Dopo un “lungo” saluto, Lena tornò da sua madre. Camminava a due metri da terra e sognava ad occhi aperti…era felice, dentro e fuori. Avrebbe urlato al mondo intero il suo amore, avrebbe fatto qualsiasi cosa per Julia…la sua Julia.
 
La mora, invece, restò a palazzo e, con l’aiuto di Bernadette tornata il mattino, racimolò alcuni vestiti, lasciando il resto lì.
 
 
 
“questo padroncina lo portiamo via? È la giacca che avete indossato al ballo dagli Antici l’ultima volta…vi stava d’incanto! Ricordo come vi guardavano tutte le signorine di corte! E anche i giovanotti…Io dico che dovreste prend…” – non la fece terminare.
 
“no.” – e continuava a prendere le cose più importati.
 
“ma padroncina…eravate meravigliosa con quest’abito rosso! Vi slanciava e vi faceva anche più grande!” – allora Julia lasciò tutto e si voltò alla ragazza, facendole uno sguardo molto più che serio!
 
“ho detto no. Io da oggi in poi non appartengo a nessuna casata e rinuncio ai miei titoli, questi abiti prendili tu. Vendili e quello che ne guadagni dallo a chi ne ha bisogno.” – il loro dialogo finì così, anche perché Bernadette rimase talmente frastornata da quella risposta che non parlò più!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Lena tornò dalla madre e rimase con lei per raccontarle quello che le era successo la sera prima…
 
Si era innamorata…e non avrebbe rinunciato per nulla al mondo a quell’amore.
 
La madre la capì; certo, Julia non era l’ideale di persona che la signora Teresa avrebbe voluto per la figlia, ma l’importante era che Lena fosse felice, e lo era, perché ogni volta che parlava della notte passata le si illuminavano gli occhi.
 
Non poteva essere più felice di così…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Passarono i giorni, Julia e Lena continuavano a vedersi e ormai il paese sapeva di loro…sapeva di questa umilissima ragazza, figlia di una povera panettiera, che stava cambiando l’austero Comandante.
 
E, a gran meraviglia delle due, nessuno controbatté…anzi la gente si affezionò subito alle due, tanto che giravano per le strade senza problemi. E venivamo anche fermate dalle signore anziane a dagli artigiani che si complimentavano con loro, perché quello era il segno tangibile del cambiamento che c’era in paese.
 
 
 
Lena: “cosa hai intenzione di fare oggi pomeriggio? Mia madre mi ha pregato tanto di invitarti da noi per la cena…che ne dici? Se mi dici di no, credo mi rimprovererà a vita!” – si tenevano dolcemente per mano.
 
Julia: “per me va bene, verrò però dopo il tramonto…ora vorrei andare nel bosco ad esercitarmi con l’arco, è un po’ che non lo faccio più…”
 
Lena: “allora posso dirlo a mia madre, sarà contentissima!” – proprio in quell’attimo, due volti scontrosi incrociarono lo sguardo di Julia; lei li percepì subito, ma non diede loro molta importanza e proseguì.
 
Se il suo sesto senso non la ingannava, presto avrebbe scoperto chi erano quei due sconosciuti.
 
Anna: “ragazze! – salutò affettuosamente le due -…Dove siete dirette? Non è che potreste accompagnarmi in chiesa da Padre Marco…dovrei portargli delle cose…”
 
Lena: “ma certo Anna! – si rivolse alla mora -…Amore tu vieni?”
 
Julia: “no andate pure, ne approfitto per andare al bosco…ci vediamo dopo, luce dei miei occhi…- e la baciò -…ciao Anna, a presto.”
 
E si incamminò verso le scuderie del suo palazzo, dove avrebbe preso il suo cavallo e l’arco, prima di dirigersi verso la boscaglia.
 
Lena rimase per un po’ a guardarla andare via…poi per fortuna Anna la ridestò!
 
 
 
“si vede proprio che c’è qualcosa di forte tra voi! Vi incantate a guardarvi…” – Lena a quelle parole, la prese sottobraccio.
 
“già…ma ora forza andiamo! Sennò Padre Marco ci sgriderà per il ritardo, come sempre!” – e ridendo si allontanarono anche loro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Eppure quelle due strane figure continuavano a fissare le ragazze, che allegramente camminavano…
 
Nessuno li riconobbe, nessuno; indossavano un saio talare e all’apparenza sembravano tranquilli pellegrini, venuti a passare una giornata o poco più e a ristorarsi, ma non era così.
 
 
 
“quelle due sono amiche di vostra sorella insieme ad altri sciagurati, ma non preoccupatevi non avete nulla da temere. Non possono niente contro i vostri mercenari.” – il più alto parlava piano, per non farsi sentire da altri.
 
“bene. Allora niente potrà impedirmi di riavere Spoleto. Né questa marmaglia di rozzi contadini, né tanto meno mia sorella. Questa è la prima parte della ricompensa che ti spetta. – lanciò all’altro un sacchetto colmo di monete d’argento -…il resto l’avrai a lavoro compiuto.”
 
Detto ciò, il giovane Duca si allontanò cauto ed uscì dalle mura per dirigersi verso nord; l’altro incappucciato, dopo essersi guardato ben intorno, si tolse velocemente il saio e tornò tra la gente, come se niente fosse.
 
Era uno di loro.
 

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Capitolo 12
*** La forza più forte di tutte è un cuore innocente. (Hugo) ***


Poco prima del tramonto, in un bosco fitto e freddo la giovane mora intaccava a colpi di frecce un albero lontano di quercia, e la nobiltà con cui lo faceva lasciava intuire quale fosse la sua maestria.
 
Prendeva con cura uno dei tanti dardi che aveva in una sacca e, dopo averne affilata la piuma, tendeva l’arco, fino ad un punto preciso, guardando l’obiettivo; quello era il trucco.
 
Esiste un punto che, se conosciuto, permette di colpire oggetti anche molto distanti, e Julia lo sapeva bene; conosceva quell’arma meglio di quanto capisse se stessa.
 
L’albero al quale mirava distava poco meno di un centinaio di metri, era il luogo dove si esercitava sempre; doveva avere qualche legame affettivo con quell’albero, perché era sempre verso di lui che puntava.
 
E con una precisione tale da togliere il respiro.
 
Tendeva l’arco e quando i suoi occhi centravano l’obiettivo, scoccava. Erano gli occhi a colpire, prima che la freccia.
 
Era la mente a dettare la mira, dopo essersi estraniata dal resto che la circondava, dopo aver smesso di sentire qualsiasi suono, dopo essersi concentrata.
 
Imparò da sola, da piccola e più andava avanti, più i suoi occhi cerulei riuscivano a diventare un tutt’uno con quell’arma.
 
Era incantevole…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Aveva preso l’ennesimo dardo, e lo stava per scoccare, ma un soffio di vento le confuse le dita e la freccia, indirizzata, colpì l’albero, ma non dove aveva mirato.
 
Qualcosa si era mosso dietro di lei e appena si voltò una figura di uomo a cavallo le si presentò innanzi.
 
 
 
“Julia! Ma…cosa ci fai qui?” – era suo padre, che appena la vide scese velocemente e, senza troppi indugi, si avvicinò amorevolmente alla figlia.
 
“padre voi… - era senza parole, non capiva cosa potesse farci lui lì -…ma non…non siete fuggito dagli Antici? Perché ora siete qui? In queste terre…”
 
Rimasero in silenzio un attimo, il tempo di osservarsi e riconoscere lo stesso sangue, lo stesso viso, la stessa lealtà.
 
 
 
 
 
Poi Erman, poggiando le mani sulle spalle della figlia, capì.
 
Capì che aveva fatto passare a quella ragazza una vita misera, e per quanto lusso le avesse regalato, lei non aveva mai ricevuto il dono più grande che una famiglia possa offrire, l’amore.
 
 
 
 
 
“sono contento di vedere che stai bene…e sono fiero di te Julia…fiero di quello che hai fatto! – poi un po’ di rammarico segnò le sue parole-…Se solo avessi avuto più coraggio da giovane…se solo mi fossi comportato come te quando avevo la tua età…molte disgrazie non sarebbero successe… - Julia lo guardava con filiale devozione, amava suo padre -…tu hai lottato per il nostro popolo e sei tu, tu soltanto, la giusta regnante e l’unica degna di portare il nostro nome…”
 
Era commosso, perché non aveva mai detto quelle cose, anche se nel profondo del suo cuore le aveva sempre sapute.
 
 
 
“vi ringrazio padre, ma è tardi…vi riaccompagno dagli Antici, il sole sta tramontando. Andiamo.”
 
“no Julia! – la fermò -…No! Tu non devi mettere piede in quella contea, sai cosa pensano di te, ti ritengono una traditrice! Se ti prendono ti uccideranno…andrò da solo…ero venuto soltanto per controllare…”
 
La giovane cambiò espressione, il suo sguardo si fece torbido, aspro; aveva capito che c’era qualcosa che non andava.
 
Cosa avrebbe mai dovuto controllare suo padre venendo così di nascosto, in quella che una volta era la sua terra?
 
 
 
“mi state nascondendo qualcosa? Non siete tranquillo e non vorrei che qualche altra tragedia segni il nostro paese. Ditemi cosa succede, ve ne prego.” – lo guardava, scrutando nei suoi occhi.
 
“non ho notizie certe…so solo che tuo fratello Victor è strano ultimamente…che ce l’abbia a morte con la gente del nostro borgo è cosa vecchia e risaputa, ma non vorrei facesse sciocchezze…solo questo…”
 
Non si dava pace Erman, sapeva bene che suo figlio aveva qualcosa in mente e che l’avrebbe portata a termine, a qualunque costo; conosceva i suoi figli e quanto fossero diversi.
 
 
 
Julia iniziava a sospettare allora e, senza dirlo al padre, promise a se stessa di tenere a bada la situazione, non poteva andare tutto a rotoli per uno sciocco ambizioso senza scrupoli, fosse anche suo fratello.
 
“forse è meglio se andate ora, si sta facendo notte e il bosco è pericoloso per chi non lo conosce …” – riprese le sue frecce e le redini del suo cavallo nero.
 
 
 
Ma il cuore di quell’uomo stava per scoppiare, non poteva far andare via sua figlia così senza…senza averle detto…
 
“Julia io…non te l’ho mai detto ma…io…” – stava per cedere.
 
Ma lei lo fermò.
 
“non ce ne bisogno, so cosa volete dirmi…nemmeno io sono stata mai di troppe parole. – a volte voleva mostrarsi più forte di quello che in realtà era -…forse un giorno avremo la possibilità di stare vicini e conoscerci come non abbiamo mai fatto. A presto padre…ci rivedremo presto, ne sono sicura…” – sorrise.
 
Salì a cavallo e lo spronò al galoppo, per poi allontanarsi veloce e decisa come il vento che la sfiorava.
 
“che Dio t’aiuti figlia mia…io sarò sempre con te…” – disse quelle parole piano, sottovoce…come a ripeterle per se, o magari a quello stesso Dio.
 
Poi anche lui lentamente tornò da dove era venuto, con il pensiero a quella forte e fragile ragazza che aveva cresciuto, ma non conosceva come avrebbe voluto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I rami si appesantivano sempre di più, stava ricominciando a nevicare.
 
Il bosco imbiancato era uno spettacolo bellissimo e sublime, piacevole eppure pericoloso, i viandanti lo sanno bene; la natura può essere molto rischiosa per chi non sa prevederne l’evoluzione e la situazione.
 
Ma l’anima di Julia era eternamente affascinata davanti a ciò, tanto che durante il tragitto verso casa non si accorse di alcune tracce, ben evidenti, che marcavano il sentiero.
 
Orme fresche, qualcuno era passato da poco.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Si ridestò da quella visione e capì la situazione quando, arrivata dinanzi al ponte levatoio, lo trovò aperto.
 
“strano…” – per quell’ora crepuscolare era insolito che il ponte, e quindi la porta d’ingresso, fosse ancora aperta, ma non pensò certo al peggio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
E invece avrebbe dovuto pensarci.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Scese da cavallo…lo stava sistemando nei pressi di una locanda quando tre uomini da dietro le bloccarono le braccia, impedendole di muoversi; erano tre gendarmi armati per giunta, e dell’esercito che lei stessa un tempo comandava; lo capì dalla loro divisa.
 
Julia: “lasciatemi stare! Si può sapere che volete?” – si dimenava in tutti i modi, ma la presa era troppo forte.
 
Uno di essi, quello non impegnato a contenerla, le si presentò davanti e iniziò a deriderla mentre con dei violenti pugni la picchiava all’addome. La ragazza iniziò a piegarsi per le botte, ma non demordeva.
 
Intorno la gente muta e senza voce si avvicinava lenta, nessuno interveniva in favore di quella giovane che aveva combattuto per loro. Avevano paura…paura di essere puniti, o peggio uccisi.
 
Julia: “brutti bastardi…” – ce l’aveva con i soldati, eppure quei pugni non massacrarono la sua voglia di ribellarsi.
 
Soldato: “ah! Parli ancora Volkova! Ci vorrebbe una lezione molto più pesante per te! – prese Julia per i capelli, obbligandola  guardarlo negli occhi -…traditrice che non sei altro!!”
 
 
 
 
 
Improvvisamente dal buio attorno un uomo si avvicinò svelto, era anche lui un soldato; man mano che il volto si illuminava dalle torce, la mora lo riconobbe. Era Sert, il giovane ragazzo castano che un tempo era la sua spalla destra…
 
 
 
 
 
Sert: “Comandante mi dispiace, ma abbiamo l’ordine di arrestarvi. – parlava con ancora un grande rispetto per la ragazza, forse era il solo tra i commilitoni-…siete accusata di tradimento verso la vostra stessa famiglia. Non posso fare altrimenti.”
 
Julia: “cosa?! Ma siete forse tutti impazziti?? Sert tu mi conosci! Io non avrei mai tradito la mia famiglia! Ho solo aiutato il mio popolo! Devo forse pagare per questo??”
 
Sert: “sono ordini del Duca. Non posso farci nulla…”
 
La folla osservava inerme; c’era stata una soffiata.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Qualcuno aveva avvisato il Duca Victor che il borgo era scoperto e senza protezione, nonché senza governo; e il giovane rampollo aveva capito che quello era il momento giusto per un colpo di mano.
 
Con la forza avrebbe potuto riprendersi quello che era suo, e così fece. Ma sta di fatto che era stato avvisato di ciò da qualcuno che conosceva, che sapeva come si svolgeva la vita all’interno del borgo, una spia quindi.
 
Ma nessuno intuiva chi potesse essere stato…
 
Tutto si era svolto in una sera, quella sera; e la mora in quel lasso di tempo non era a Spoleto, non aveva potuto organizzare una valida difesa.
 
All’ambizioso Victor questo non bastò: non era abbastanza veder soffrire la propria gente, non era abbastanza che poveri uomini ci rimettessero la vita; ora doveva togliere di mezzo sua sorella e quell’alone di bontà che si era innalzato intorno a lei.
 
E quale modo migliore, se non farla catturare e imprigionare come traditrice della sua nobiliare famiglia?
 
Era un reato e come tale prevedeva una pesante punizione; gli bastava catturarla, poi avrebbe potuto godersi finalmente la sua eredità completamente.
 
Questo era il piano del giovane nobile, questo stava per accadere all’innocente ragazza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Julia!!! Julia!” – una voce rimbombò nelle orecchie della mora, proveniva dalla folla.
 
Una ragazza superò i soldati e giunse fino a lei…era la sua Lena, corsa appena aveva saputo del ritorno di Julia al borgo.
 
 
 
Soldato: “mocciosa vedi di andartene via!”
 
Lena: “lasciatela andare…lei non ha fatto niente, è innocente! Ve lo posso garantire!”
 
Soldato: “ah ma certo! – con un ghigno derisorio -…Tu sei la sua sporca sgualdrina, non è vero?”
 
 
 
Con quel briciolo di forze che Julia aveva, alzò il capo e guardò la rossa; erano ancora lì, a lottare insieme per qualcosa che sembrava sempre più un’utopia, quell’amore…
 
 
 
Julia: “vai via Lena…non… - le era difficile parlare, aveva ricevuti troppi colpi -…non preoccuparti per me…” – i soldati lasciarono per un momento Julia, che cadde a terra, stremata.
 
Lena la prese tra le braccia, non poteva andare così.
 
 
 
Erano pochi quelli che sostenevano Julia, anzi forse solo gli amici di Lena. Nessun altro l’appoggiò.
 
Giacomo: “Julia non vi ha traditi…non ha fatto nulla di male…anzi lei è stata l’unica a difenderci!” – cercava speranzoso di convincere Sert, il nuovo comandante dell’esercito ducale, ma non servì a nulla. Gli ordini erano ordini.
 
 
 
 
 
Eppure era impossibile non vedere quell’unione, la scheggia di paradiso che quelle due ragazze erano se solo stavano insieme…se solo potevano essere loro.
 
Lena: “ti aiuteremo Jul…non devi aver paura…” – mischiava parole a piccole lacrime che lente si formavano in quegli occhi verdi.
 
L’altra rispondeva a malapena, era conciata male.
 
Julia: “io…non…non ho fatto niente…di male”
 
Lena: “lo so! Lo so e vedrai che lo capiranno…ora devi sol…” – ma non le fu permesso di finire quella frase. I soldati ripresero Julia e, legandole le mani, la condussero verso il palazzo. Avrebbe pagato un prezzo molto alto per il suo atteggiamento.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Lena rimase lì, paralizzata in cuore…cosa avrebbe potuto fare ora? Julia rischiava l’impiccagione....dovevano aiutarla.
 
Ma non era così semplice. Ogni porta aveva sentinelle e il palazzo era sorvegliato a vista.
 
Eppure dovevano trovare un modo…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I giorni successivi non furono molto meglio; Giacomo cercava di avere comunicazioni con Julia, ma quest’ultima era chiusa nelle prigioni del castello e, anche se lui era pur sempre un soldato, non gli fu permesso di farle visita.
 
Lena nemmeno a pensarci! Sapevano della storia d’amore tra lei e la mora e quindi non aveva la minima possibilità d’avvicinarsi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Passarono più di tre mesi…la situazione non cambiò. Anzi forse degenerò ulteriormente.
 
Victor ormai aveva a pieno il titolo ducale e massacrava quella povera gente con tasse impossibili e regole rigidissime; trasgredire voleva dire morire. Con questo atteggiamento dispotico si era fatto odiare da tutti, nemmeno i suoi soldati lo stimavano più.
 
La piccola Ester fu costretta a tornare a vivere a palazzo con la famiglia, non c’era più Julia a proteggerla e Lena non riuscì ad evitarlo. Il malcontento regnava sovrano e l’unico problema del nuovo Duca era quello di comprare il vino umbro più pregiato, per far bella figura ai balli che organizzava.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Era una normalissima mattina e Lena, ormai triste e senza voglia di vivere, si incamminava verso il panificio dove lavorava duramente la madre, non ce la facevano più a pagare tutti quegli onerosi tributi. Teresa era sfinita per il troppo lavoro…
 
Lena decise di aiutarla e così si alzò di buon’ora; non le fu difficile alzarsi presto: la sera ormai non usciva, non vedeva i suoi amici, era chiusa dentro se stessa. Perché senza Julia non c’era vita…senza Julia non era nemmeno vita la sua.
 
Poi, lungo il corso che passava per la piazza, un’esile donna attirò la sua attenzione; era Bernadette.
 
 
 
“Bernadette! Sei tu?” – l’altra si voltò subito e riconobbe senza esitazioni Lena.
 
“Lena! Come stai?” – si salutarono come due vecchie amiche che si ritrovano dopo un periodo difficile, qualcosa le univa.
 
 
 
Ma non potevano saperlo.
 
 
 
“io sto bene, vado avanti Bernadette…e tu? Come procede a palazzo?” – non riuscì a fare subito quella domanda che il cuore le implorava di fare.
 
“cara Lena…non serve che ti spieghi come vanno le cose lì. – era triste, afflitta -…sono uscita per comprare il pane e per prendere un po’ d’aria…è tutto invivibile e il signor Duca non fa altro che rimproverarci e far picchiare chi lo contraddice…non sai quante ne sta facendo passare alla piccola Ester e…e a Julia…”
 
Il cielo per Lena si oscurò, anche se il sole illuminava quella giornata.
 
“coma sta Julia? Hai sue notizie? Io…io vorrei tanto tirarla fuori di là…e rivederla…rivederla…mi manca da impazzire…”
 
“ti capisco Lena… - le prese fraternamente le mani -…anch’io voglio aiutarla, dobbiamo far presto e trovare un modo…non so quanto resisterà ancora, è sfin…” – la giovane servetta chiuse un attimo gli occhi, come per fermare un logorante dolore improvviso.
 
“Bernadette qualcosa non va? Che succede? Non stai bene forse? – poi Lena capì. Capì tutto quando la serva poggiò le mani sul proprio ventre ingrossato e tondo. -…ma tu…tu sei incinta Bernadette!”
 
L’altra arrossì, non per felicità, ma per vergogna. Era sola, e crescere un figlio da sola significava essere additate e umiliate per sempre, perché non si aveva la protezione di un marito.
 
“si…aspetto un bambino…e a breve partorirò… - stava per piangere, ma il pensiero della sua generosa padrona la rincuorò -…ma ora non preoccuparti per me! Abbiamo altro a cui pensare…anzi…Ho un’idea Lena!”
 
“che intendi?” – la rossa non riusciva a seguire.
 
 
 
Bernadette la prese sottobraccio e la portò in un angolo meno affollato, per parlare con calma e discrezione.
 
 
 
“ascoltami…possiamo tirare Julia fuori di lì! Ma certo perché non c’ho mai pensato! La mia testa a volte mi stupisce!”
 
“come Bernadette?? Come possiamo fare??? È impossibile entrare nel sotterraneo del castello…” – era ansiosa di sapere.
 
“farò richiesta io! A me non negheranno di vedere la padroncina! La scusa sarà portarle abiti puliti…e, in mezzo a questi abiti, potrei mettere una spada! Se tu e i tuoi amici mi aiuterete potremo organizzarle una fuga! Che ne dici?” – era entusiasta.
 
“dico che ci sto! Certo che ti aiuteremo! Ma per te è troppo rischioso! Non puoi avventurarti così, sei incinta!” – rispose premurosamente Lena.
 
“mettiamola così…voglio che mio figlio sia orgoglioso di me anche ora che è nel mio grembo! – risero insieme -…allora è deciso! Appena tornerà la luna piena tenteremo, quello sarà il segnale…la notte della luna piena, appena dopo il tramonto…”
 
“grazie Bernadette…grazie…” – la rossa era commossa da tanto affetto e sentiva di potersi fidare di quella giovane.
 
“non devi ringraziarmi! A presto allora…devo scappare adesso! Altrimenti subirò le ire del Duca…stammi bene! Ciao!” – diede un bacio sulla guancia a Lena e si allontanò.
 
La rossa sorrise rincuorata…finalmente avrebbero potuto aiutare Julia.
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Ho sceso, dandoti il braccio un milione di scale... (Montale) ***


Finalmente giunse la sera dell’appuntamento tanto atteso.
Giacomo attendeva impaziente sotto il porticato del palazzo signorile, anche se era circondato da guardie. Si guardava sempre intorno speranzoso, ma solo non poteva fare granché…solo aspettare e così fece.
 
Dopo quasi un’ora arrivarono due ragazze, vestite di abiti non molto sfarzosi ma decorosi e che i soldati avrebbero riconosciuto sicuramente: erano due donne della servitù ducale.
 
O almeno questo dovevano sembrare…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Bernadette mi sento un pesce fuor d’acqua! Non so cosa fare! Che devo dire adesso a questi uomini? E se ci scoprono??” – Lena proprio non ci si vedeva in quella veste. Con quel lungo abito strascicato, color crema con una cinta alla vita e una buona scollatura.
“non preoccuparti parlerò io…tu fa solo la bella faccia nel caso ce ne sia bisogno! Non aprire bocca! Lascia fare tutto a me!” – l’altra la rassicurava come meglio poteva.
“si ma sta attenta…sei incinta, non dovresti fare sforzi!”
“shh…non ci accadrà nulla! E poi mica andiamo in guerra…dobbiamo solo portare un vestito pulito alla prigioniera!” – sorrise.
“già…” – gli occhi di Lena erano preoccupati, ma sapere che almeno avrebbe rivisto Julia le dava la forza. L’avrebbe tirata fuori di lì, con tutta l’energia che aveva.
Stava pagando troppo quella ragazza, e per colpe nemmeno sue.
 
 
 
 
 
 
Dopo pochi passi arrivarono davanti a Giacomo e a quelle guardie, che iniziarono a guardarle in modo strano: non capivano cosa volessero due donne e un uomo lì, a quell’ora di sera.
 
Soldato: “ferme donne. Dove credete di andare?” – bloccò le ragazze all’entrata.
Lena si sentiva già mancare l’aria, ma non lo diede a vedere. E poi aveva un obiettivo preciso.
Bernadette: “facciamo parte della servitù ducale, dobbiamo portare abiti puliti alla prigioniera. È pur sempre una duchessa.” – sembrava sicura e serena.
Nessuno immaginava cosa ci fosse in mezzo a quelle vesti che le due donne portavano gelosamente in mano.
 
Soldato: “e perché dovete andare in due? Un paio di pantaloni ed una maglia sono così pesanti? – iniziò a dubitare -…fatemi vedere cosa portate!”
Ma la rossa intervenne diretta, senza nemmeno capacitarsene.
Lena: “no buon uomo! La mia compagna porta i vestiti sì, ma io ho degli unguenti per le ferite della detenuta. Non la medicherei nemmeno quella delinquente! Ma è un ordine…e il nostro signor Duca merita obbedienza e dedizione…” – Bernadette stava per scoppiare a ridere!
Soldato: “avete ragione! Se sono ordini del Duca dovete eseguirli…anche se vuol dire curare una traditrice schifosa come quella! – Lena si morse un labbro, per la rabbia -…andate pure. E se incontrate difficoltà, o la prigioniera vi infastidisse, chiamateci.”
Lena: “grazie di cuore soldato…” – ed entrarono nel gran salone, che fungeva da maestoso ingresso.
 
 
Giacomo si allontanò lento verso il piazzale; aveva il compito di piantonare la zona.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dopo l’ingresso, le due servette attraversarono un ampio corridoio per prendere delle scale che scendevano nei piani inferiori.
Lena si fermò un attimo: quelle scale le aveva salite quando era entrata in quel palazzo con Julia…lo ricordava bene, benissimo…portavano nell’ala ovest, la zona delle stanze di Julia…
 
 
 
Era ferma, imbambolata…tanti pensieri le circolavano in testa.
 
 
 
“ehi Lè! Ma che t’è preso?? Forza! Andiamo!” – Bernadette la prese sottobraccio, risvegliandola dal sogno di quei ricordi così dolci.
“sì, sì arrivo…solo…queste scale…mi ricordano…”
“ti ricordano la stanza di Julia, non è vero?” – la rossa la guardò stralunata.
“come fai a saperlo?”
“beh non ci vuole un genio per vedere i tuoi occhi e leggervi dentro, sono così chiari e limpidi…e poi la mia padroncina non ha mai portato nessuno nelle sue stanze…quindi se sai che quella è la sua zona vuol dire che ci sei entrata…e non credo certo per contare i quadri!”
“pazza!” – risero insieme.
“si certo quadri bellissimi, ma credo abbiate avuto di meglio da fare!”
“ma la vuoi smettere??” – diede una leggera pacca all’amica e proseguirono oltre.
 
Seguitarono sorridenti, attraversando la parte bassa del castello, fino alle prigioni.
 
 
 
L’ambiente era scuro, poche fiaccole lungo il cammino; e diversi gendarmi a sorvegliare…ma la cosa strana era che tutti quei soldati erano lì per una sola persona; non c’erano altri prigionieri, oltre a Julia.
Dovevano temerla molto, questo pensava Lena.
Eppure non si spiegava come facessero quegli uomini a maltrattare così una persona che fino a qualche tempo fa era il loro Comandante; di sicuro la mora non era stata clemente ma era impossibile che non avessero un briciolo di pietà per lei ora.
Sert le sembrò essere l’unico a dimostrarsi ancora rispettoso, anche quando la fece catturare.
 
 
Un gendarme le raggiunse.
Soldato: “siete della servitù? Prego di qua… - fece loro strada un soldato appena reclutato, era un volto nuovo e poco intenditore, si capiva dal leggero tremolio che aveva -…ecco siamo arrivati, se avete dei problemi sono qui fuori.”
Aprì il pesante portone di quella cella, dopo aver sganciato catene varie.
Nemmeno rinchiudessero un animale!
Lena aveva il cuore in gola, chissà come stava la sua amata..chissà se ce l’avrebbe fatta a tirarla fuori sana e salva.
 
 
 
 
 
Il tempo di guardare oltre quella porta e…il respiro si fermò ancora…
 
Lena…” – la mora la riconobbe subito, nonostante quell’abito insolito che la rossa indossava…e i suoi occhi brillarono per un istante, come se la vita stesse tornando in lei, come se nulla fosse mai successo, come se non si fossero mai divise…
Julia…” – anche l’altra ebbe la stessa sensazione…lo stesso brivido le attanagliava lo stomaco, Julia stava bene: questo era l’importante, questo era tutto.
 
Soldato: “cosa??? – il gendarme capì tutto. Era una trappola! -…maledetta!” – stava per lanciarsi su Lena, ma Bernadette lo colpì violentemente scaraventandolo un attimo più in là. Non c’era tempo da perdere, dovevano fuggire! Il soldato si sarebbe ripreso presto.
 
Julia: “amore mio! – corse fino a Lena e la strinse forte a sé, quanto si erano mancate…troppo…-…pensavo mi avessi dimenticato…”
Lena: “non potrei…non ci riuscirei mai…non vivo più senza te Jul, non è vita…” – e un bacio desiderato le unì, in quel momento tanto sperato da entrambe.
 
 
 
Bernadette: “padroncina forza non c’è tempo! Dobbiamo scappare! Le guardie capiranno tutto e non abbiamo tutto questo tempo! Ecco tenete! – afferrò l’arco nascosto sotto quelle vesti che portava in braccio -…ora dovete portarci fuori di qui! E alla svelta!!”
Julia prese quell’arma, il suo alter ego e impugnò velocemente tre frecce nell’altra mano; Bernadette aveva un piccolo pugnale, dovevano farcela.
Julia: “io andrò avanti! Voi restate sempre dietro di me…usciremo dal retro, all’ingresso ci sono troppi soldati.”
Lena: “ti prego fa attenzione…sei ferita e Bernadette è incinta…”
Julia: “serio? – si voltò alla buona serva -…come si dice in questi casi? Auguri?” – sorrideva la mora, assaporava già il gusto della libertà.
Bernadette: “ma padroncina! Vi ringrazio ma credo avremo tempo più tardi per queste cose!”
 
 
 
La mora corse avanti, le due la seguivano dietro; ora dovevano uscire…
Il primo gendarme si avvicinò, offensivo e armato. Julia non voleva certo uccidere quei ragazzi, ma loro certo non stavano dimostrando la stessa benevolenza.
E così ferì il primo, scoccando la freccia che aveva tra le dita. Non l’aveva ucciso.
Proseguirono tra soldati vari, tutti suoi sottoposti; anche Lena ebbe un bel da fare, voleva proteggere Bernadette che iniziava ad essere stanca ed avere il fiatone.
Lena: “forza resisti! Ce l’abbiamo quasi fatta…a breve usciremo di qui!” – prese la mano dell’altra.
Bernadette: “non preoccupatevi per me…Julia dov’è?”
Lena: “è avanti…dobbiamo solo seguirla, ancora pochi metri forza!”
 
 
Proprio in quell’attimo, l’ennesimo soldato sbucò da un passaggio segreto, dietro la parete; Julia non l’aveva visto ed era passata avanti…
Soldato: “brutte sguattere vi pentirete di essere entrate qui dentro!” – Julia si voltò, mirò l’arco ma era tardi.
L’uomo si era già gettato sulle due ragazze e, sguainando la spada, la rivolse alle due.
La lama era indirizzata a Lena, era lei davanti…ma non fu lei a subire il colpo.
 
 
Julia: “Bernadette no!!!” – la mora scagliò la freccia e stavolta, un po’ per rabbia e un po’ per dolore, uccise quel soldato trapassandolo.
 
 
 
La ragazza giaceva a terra sanguinante, era stata ferita all’addome. Si era posta tra il soldato e Lena, per difenderla, per difendere quell’amore.
Lena: “Bernadette! Oh mio Dio! Tieni duro!” – cercava con le mani di frenare quell’emorragia.
Julia: “ti porteremo fuori di qui…” – stava per prenderla in braccio, dopo essersi sistemata l’arco alla schiena.
Bernadette: “ragazze…pensate a voi…io…io me la caverò…”
Julia: “no. Tu vieni con noi. Anzi con me!” – la prese e stringendola a sé, non l’avrebbero mai lasciata lì.
 
 
 
 
 
Ancora qualche meandro sotterraneo e avrebbero rivisto la luce.
Lena correva avanti, ormai non c’erano più uomini e raggiunsero facilmente l’uscita secondaria che Julia aveva predetto.
Ma la serva stava male, perdeva sangue…troppo sangue…e non era normale.
Julia: “ci serve un medico. Vallo a cercare!” – continuava a portarla in braccio, anche perché era svenuta per il dolore, l’eccessivo bruciore.
Lena: “portiamola a casa mia! C’è mia madre e correrò a chiamare un dottore…devono farcela…sia lei che il bambino…”
La mora inizialmente non aveva ripensato a quella creatura che era nel grembo di Bernadette. Quel bambino stava rischiando la sua vita, perché la madre aveva fatto un sacrificio così per tirarla fuori da quelle prigioni.
Se fosse accaduto qualcosa di grave, non se lo sarebbe mai perdonato.
 
 
 
 
 
 
Julia raggiunse correndo la casa di Lena, dove l’attendeva Teresa; subito fecero distendere Bernadette e poco dopo arrivò Don Marco.
Il giovane parroco aveva già fatto nascere dei bambini, aveva qualità mediche, ed era l’unico che in quel momento avrebbe potuto aiutare la donna ferita.
Doveva farla partorire, non c’era tempo da perdere o avrebbero potuto non farcela.
 
Lena: “ ce la farai vedrai…devi solo tenere duro! Forza Bernadette…” – la rincuorava, tenendole forte la mano, si era affezionata a quella giovane e buona ragazza.
Bernadette non aveva parenti, non conosceva nessuno; passava le sue giornate in quella parte di palazzo dove nessun altro entrava…
L’unica con cui parlava era la sua padrona, Julia; e i loro dialoghi non erano mai stati pacifici, ma anzi pieni di rimproveri e imprecazioni che la mora pronunciava senza badarci troppo.
Eppure la ragazza non si era mai separata dalla padrona, dalla sua “padroncina” come amava chiamarla.
C’era qualcosa di buono che Bernadette vedeva in Julia, nonostante tutto…nonostante i suoi modi poco rispettosi.
 
E pensare che solo ultimamente il Comandante aveva iniziato a conoscerla, e a volerle bene…
Julia si era legata a quella ragazza ed ora rischiava di perderla così…
 
 
 
 
 
 
Teresa andava da una parte all’altra della casa, prendendo il necessario per il parto; Lena assisteva il parroco operante, Julia dal canto suo aspettava in cucina, logorandosi dentro e camminando ininterrottamente.
Teresa: “calmatevi Duchessa…vedrete che andrà tutto bene…” – capiva l’animo della mora.
Julia: “non avrei dovuto coinvolgerla…e nemmeno Lena.”
Teresa: “hanno rischiato la vita per liberarvi, vi vogliono bene… - poi si corresse -…mia figlia vi ama, lo posso capire dai suoi occhi…e Bernadette non ha esitato un momento a venirvi a salvare…ma non avete colpe…sedetevi adesso, io torno di là.”
Julia: “vi prego Teresa, fatemi sapere appena terminerà…”
Teresa: “non dubitatene…” – e tornò nella camera.
 
 
 
Ma urla di dolore frenarono l’animo di Julia; era Bernadette…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nella piccola stanza…
 
Ormai era più di un’ora che Don Marco tentava in tutti i modi di far uscire quell’innocente creatura dal grembo materno, ma c’erano delle difficoltà…e forse non tutto sarebbe andato a buon fine, e si fermò di colpo.
 
Lena: “ma Padre…cosa fate? Perché vi fermate?”
Don Marco: “mi dispiace…mi dispiace davvero ma…è impossibile che si salvino entrambi…”
Lena: “cosa?...non…non può essere! – non voleva crederci -…dovete tentare! Forza riprendete!”
Don Marco: “ho fatto di tutto Lena, ma dobbiamo scegliere…se lasciar vivere la madre o far nascere il bambino…” – il giovane prete soffriva nel pronunciare quelle parole.
 
La ragazza sdraiata, sanguinante e piena di fitte, respirava a stento…ma riuscì a parlare, anche se quasi sussurrando…
Bernadette: “il mio bambino…vi prego…salvate il mio bambino…”
Quanto strazio stava sopportando quel cuore e quale immenso sacrificio stava facendo per la sua creatura…
Lena non riuscì a calmare le lacrime e anche Don Marco sentì il cuore esplodere.
Eppure doveva esserci una possibilità…una misera possibilità…
 
Lena: “no! Adesso troveremo una soluzione vedrai…- si chinò su Bernadette -…non dire così…”
Ma la ragazza sapeva che non era vero…
Bernadette: “mia sorella…- bisbigliava piano-…ti prego chiama mia sorella…voglio vederla una volta ancora…”
La rossa non capiva, chi era la sorella di Bernadette? Non gliene aveva mai parlato, e nemmeno Julia.
Lena: “dov’è tua sorella? Dimmi il suo nome e correrò in paese per cercarla…”
Bernadette: “Ju…Julia…ti prego…falla entrare…vi prego…”
 
Lena divenne ghiaccio, come se solo ora stesse capendo quel filo invisibile…solo ora capiva perché Bernadette sopportava così tanto quella vita di servitù al seguito di una padrona che gliene aveva fatte passare tante…ora capiva l’infinito e silenzioso amore che quella povera ragazza stava dimostrando da una vita intera a Julia, a sua sorella…
Lei viveva per quell’affetto represso, che il tempo e la sua situazione non le permettevano di vivere…
 
 
 
 
Julia era lì, sull’uscio…aveva ascoltato tutto…aveva sentito tutto…e il suo cuore si accartocciò come un foglio di carta…
Quanti anni aveva sprecato…
Quanti giorni aveva vissuto senza sapere che quella serva obbediente e umile era in realtà sua sorella…
E anche il suo viso si bagnò di libere lacrime di rabbia…e sconfinato dolore.
Che bastardo il destino…Aveva saputo solo ora di avere una sorella, e la stava già perdendo.
 
Corse subito ai piedi di quel letto e poggiò la testa tra le mani di Bernadette, che sorrise…sorrise forse per l’ultima volta…
“come…come ho potuto non…non accorgermi…come…” – Julia non si dava tregua, non le sembrava possibile.
“non dire così…non è colpa tua… - accarezzava lenta il viso della mora, i loro lineamenti erano gli stessi -…tu non potevi sapere e nostro padre non voleva che la sua famiglia andasse in rovina per me…”
“in rovina? Una figlia per lui è una rovina! Non glielo perdonerò mai. Mai. Finché avrò respiro…che siano maledetti…lui, il potere e il sangue che porto nelle mie vene!” – piangeva Julia, piangeva dal cuore…
Lena poggiò le mani sulle spalle dell’amata.
 
Ma Bernadette non voleva lasciarla così, non voleva che Julia sentisse solo rabbia, non era giusto.
“il sangue che tu hai nelle vene…è lo stesso che avrà mio figlio… - la mora non riusciva a guardarla, ma Bernadette le alzò il viso -…tuo nipote…io non potrò stare con lui…non potrò vederlo diventare un uomo, l’uomo che ho sempre sognato…ma non sono triste di lasciarlo qui…perché so che…che ci sarai tu…ci sarai tu con lui…ti prego Ju…non essere triste…crescilo…crescilo e dona a lui tutto quell’affetto che io e te non abbiamo mai potuto scambiarci…”
La mora era completamente distrutta, ma sorrise alla sorella e capì quello che avrebbe dovuto fare.
“te lo prometto… - baciò la fronte di Bernadette -…te lo prometto sorella mia…”
 
 
 
Poi si alzò e lasciò che Don Marco facesse nascere quel pargolo, così puro, umile e nobile allo stesso tempo.
Lena abbracciò subito Julia…si strinsero così forte che la rossa riuscì a fare suo il dolore di Julia…
“stringimi ti prego…stringimi…”
“sono qui Julia...” – la tenne a sé, mentre gracili grida iniziarono a riempire l’umida stanza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ho sceso, dandoti il braccio
almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto
ad ogni gradino.
Eugenio Montale

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Capitolo 14
*** Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi... (Battisti) ***


“dai piccolino non piangere…quanto sei dolce…guarda Ju!” – Lena cercò di essere più entusiasta possibile, in fondo quel pargolo meritava di venire alla vita tra la gioia, anche se…
 
“sta bene?” – la mora non era poi così felice.
 
“si ma… - Lena fu presa di sorpresa un attimo e si fermò, mentre lo teneva in braccio-…ma guarda è…è una bambina! Che cara…”
 
 
 
Julia non sembrava presa più di tanto.
 
Aveva visto per la prima volta sua nipote, mentre perdeva una sorella; e fu inevitabile…
 
Gli occhi le reggevano appena quello strazio che stava sopportando…quanto dolore può serrare un cuore? Questo la mora si chiedeva, solo questo.
 
Non aveva preso in braccio la bambina, se ne stavano occupando Teresa e Lena; la pulirono, la vestirono e la misero nel lettone della rossa dove poté riposare, dopo aver bevuto del latte procurato velocemente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Passarono alcuni giorni, lenti e dolorosi…
 
Vivevano insieme…Lena, la madre, Julia e la piccolina; almeno momentaneamente…poi la mora avrebbe trovato un’altra sistemazione, non voleva far pesare tutto alla sua amata, anche se questa la ospitava felicemente e amava coccolare la bimba.
 
Poi una sera…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La notte era così buia quella volta…sembrava non volesse finire mai.
 
Anche le stelle erano ferme, immobili e quasi senza luce…la luna, quella maledetta luna, pareva essersi nascosta…forse anche lei piangeva, come il cuore di questa ragazza dagli occhi di mare.
 
“io mi devo alzare.” – senza troppe spiegazioni, si alzò da quel letto troppo umido di pensieri in cui si era sdraiata poche ore prima, senza risultati.
 
Non scorgeva la fine di quel buio; nei suoi profondi occhi, l’oceano travolgeva qualsiasi sentimento…
 
Doveva fare qualcosa per placare quel tormento.
 
 
 
“dove vai Jul? Ti prego resta qui…riposati un po’…dormi sempre poco, anzi per niente… - Lena cercò di fermarla, ma a poco sarebbe servito e lo sapeva -…cosa vuoi fare?”
 
“tornerò presto. Devo sapere com’è andata tanti anni fa e le cose devono cambiare. Una volta per tutte.”
 
“vengo con te!” – si mise a sedere anche l’altra.
 
“non ce n’è bisogno, resta pure qui. Non ti voglio coinvolgere troppo, stai già facendo il possibile…”
 
“no Julia…io voglio starti accanto, perché so dove vuoi andare…- la mora la guardava seria -…e non ti lascio sola…”
 
 
 
 
 
Non controbatté e così si destarono, nel cuore della notte.
 
Si alzarono, vestendosi più che potevano…febbraio si mostrava nel suo grigio gelido invernale.
 
Lena prese i primi abiti che trovò, non curandosene molto; l’importante era che fossero pesanti e mantenessero almeno un po’ al caldo.
 
L’altra indossava un maglione sgualcito, pantaloni scuri, ma sempre col suo arco sulle spalle.
 
 
 
La piccolina dormiva e non dimenticarono certo di salutarla, con uno sguardo silenzioso prima di uscire; Lena le diede un leggero bacio sulla piccola fonte.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“ti sei rovinata la vita incontrando me.” – Julia parlava guardando all’orizzonte, mentre camminavano mano nella mano, cercando di riscaldarsi come potevano.
 
 
 
L’alba stava nascendo…
 
 
 
“avrei sprecato la vita se non t’avessi incontrato forse! – fermò la mora voltandola a sé -…non dirle mai più certe cose, sai che non è vero…siamo una cosa sola io e te…vedrai che andrà tutto bene, vedrai…”
 
 
 
E si baciarono, chiudendo gli occhi…l’amore fa miracoli a volte, ridandoci le speranze e la passione; questo sentivano nel sangue, mentre tutt’intorno gelava.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Arrivarono presto al palazzo ducale di Julia e lì, inaspettatamente il giovane Duca, superbo e inavvicinabile come sempre, era sulla soglia, mattutino per la caccia di cinghiali che avrebbe affrontato con i suoi scudieri e altri nobili.
 
Il sole lento iniziava a farsi sentire…
 
I due fratelli, nemici ormai, si guardarono per istanti eterni e senza espressione; ma Julia aveva qualcosa di più…aveva la mano stretta da quella di Lena.
 
E questo le dava la forza…una forza a cui suo fratello non poteva competere.
 
 
 
 
 
Victor: “si può sapere che vuoi? Potrei rispedirti in carcere adesso con uno schiocco di dita! – Julia non rispondeva -…quindi farò finta di non averti vista e levati di torno. Comando io qui, sparisci. Tu e quella.”
 
Lo sguardo della ragazza era accecato d’odio sottile.
 
Julia: “non sono qui per te. Voglio parlare con nostro padre. Chiamamelo.”
 
Il giovane governante estrasse dalla dorata fodera una spada lucente e affilata, e subito sfiorò con essa il collo della sorella, gelandolo ancora di più.
 
Victor: “non permetterti mai più di darmi ordini sorella! Tu non sei nessuno! Non più! Hai rinunciato tu stessa a tutto e anzi…non ti sarebbe toccato nulla comunque! Ora vedremo chi dei due è il migliore!” – era adirato, e la sua rabbia aumentava quando Julia lo fissava senza rispondergli; lo faceva andare in bestia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Uomo: “fermati Victor!”
 
Un uomo di mezza età e provato dalle sofferenze avanzò scattante a bloccare il rampollo; era il Duca Erman…
 
 
 
Victor: “padre! Non intervenite tra noi, sappiamo sbrigarcela da soli.”
 
Duca Erman: “abbassa quella spada! Tua sorella non devi nemmeno toccarla!”
 
Ma mentre i due uomini parlavano tra loro, Julia lentamente evitò la lama e, lasciando Lena, si avvicinò al padre; Victor non ribatté.
 
 
 
 
 
 
 
Una piccola folla intanto si stava radunando lì intorno, dalle voci alte che avevano sentito di primo mattino, tra questi c’era anche Ferdinand, che sbigottito osservava Lena al fianco di Julia e non se ne dava pace.
 
 
 
 
 
Julia: “perché non me l’avete detto eh? Si può sapere padre cosa stavate aspettando?? – non ragionava, e si indirizzò come un fulmine pieno di energia al Duca -…dovevate aspettare che morisse, non è vero? Dovevate aspettare che questa storia venisse sotterrata?? Così ora siete libero!! Libero di rinchiudervi in questo scrigno d’orato, in quest’alone di bugie e falsità. Siete un mostro!”
 
Erman a capo chino stava iniziando a capire a cosa Julia si riferisse e, col cuore sanguinante, si rivolse alla ragazza.
 
Duca Erman: “Julia ascolta…io…io avrei voluto dirvelo mille volte…ma…non ho mai trovato il momento giusto e poi…vostra madre non avrebbe retto il dolore…” – cercava di dirle la verità.
 
Julia: “nostra madre?! E voi la chiamate una madre una che non si occupa dei suoi figli e che passa il tempo a correre da una festa all’altra?? Mi avete deluso padre…mi avete deluso.”
 
Erman: “io…non sapevo che fare, come dire…”
 
Julia: “bastava che mi diceste “ecco Julia questa è tua sorella che ho avuto da un’altra donna” e invece no! È dovuta morire perché la verità si venisse a sapere! Morire…lasciando un bambino…suo figlio, tuo nipote! – spinse il padre -…Perché se Bernadette avesse parlato prima, Dio solo sa cosa le avreste fatto!” – era nera, piena di collera.
 
Erman: “non avrei mai potuto farle del male…era mia figlia, come lo siete voi…le ho sempre voluto bene, sempre te lo giuro…” – lui aveva gli occhi ormai lucidi e spenti, consapevole di essere nel torto.
 
Julia: “un bene così grande che l’avete messa a fare la serva in casa nostra!”
 
Erman: “era l’unico modo per…per farla stare accanto a te…”
 
 
 
Lena rimase perplessa da quell’affermazione del signor Duca, ma non disse nulla, non voleva intromettersi in un discorso così intimo; eppure doveva esserci dell’altro…
 
 
 
Il Duca Victor invece riprese la spada e la indirizzò di nuovo alla ragazza, sotto lo guardo dei passanti.
 
Victor: “sei una traditrice Julia! Pagherai per questo! Pagherai per essere andata contro la tua famiglia! – iniziava a sentirsi osservato e giudicato dalla sua gente, ormai avrebbero appoggiato tutti la Duchessa, l’unica che si era opposta a quegli imbrigli politici e dispotici -…vattene da queste terre se non vuoi morire trafitta dalla mia stessa spada! Vattene Julia!”
 
 
 
Una voce si alzò dalla gente intorno.
 
Lena: “lasciatela stare! Siete voi i traditori! Soltanto voi! Avete abbandonato la vostra gente nel bel mezzo di una guerra! Dovreste solo vergognarvi!”
 
Contadino: “questa ragazza ha ragione! Sono i duchi la rovina di queste terre!”
 
Popolo: “a morte questi nobili!” – ormai c’era un fortissimo schieramento, Victor iniziava a tremare; Julia rimase impassibile.
 
Continuava a fissare suo padre, il colpevole della sua infelicità e della morte di Bernadette, di sua sorella. 
 
 
 
Guardò Lena, poi il contadino che era intervenuto e poi gli altri…erano tutti lì per sostenerla, stavolta erano dalla sua parte perché avevano capito la purezza del quel cuore indomito.
 
 
 
Julia: “vi ringrazio… - li guardava uno ad uno -…vi ringrazio perché siete con me, perché avete capito chi sono e come sono, ma ora non ce n’è bisogno…io ho capito di aver sbagliato e tante volte…niente mi ridarà quello che ho perso…- chiuse gli occhi un istante-…per colpa della mia superbia, della mia crudeltà…e vi chiedo scusa per ogni volta che sono stata ingiusta con voi… - poi i suoi occhi si posarono su Lena, su quella dolce fanciulla che le aveva conquistato il cuore…-…e per questo ho deciso di andarmene…credo sia il tempo di ricominciare, ricominciare davvero…per voi, e anche per me…”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Erman e Lena sentirono lo stesso vuoto a quelle parole, la stessa sensazione di impotenza.
 
 
 
La rossa si avvicinò alla compagna e le prese le mani.
 
Lena: “ma cosa dici? Julia…” – era disperata, perché sapeva che se la mora diceva qualcosa, poi la faceva sul serio.
 
Ma l’altra non rispose.
 
Erman: “no, non sei tu quella che deve andarsene…”
 
Julia: “ho scelto così…lo faccio perché ho comunque infranto un codice a cui avevo giurato lealtà ed obbedienza, quando afferrai per la prima volta una spada…ma ora, ora che non sento più nessun legame con voi padre, né con il resto della mia famiglia me ne andrò…in fondo è vero, vi ho traditi. E pagherò per questo…ma non dimenticate che voi avete colpe molto più gravi delle mie.”
 
 
 
Ma Lena non si poteva arrendere.
 
Lena: “no Julia! Non puoi scappare! Dove andrai, che ne sarà di te…e di noi! – prese il viso della mora tra le mani…-…amore mio…non mi lasciare…io…io ho bisogno di te…”
 
Julia: “ci ho pensato tanto… - prese le mani di Lena, togliendosele dal viso -…è meglio così…dimenticami se puoi, io non lo farò…ma non posso farti vivere una vita da esiliata, come me…addio luce dei miei occhi, addio…”
 
 
 
La baciò, un’ultima volta…poi lasciò le mani di Lena senza una parola di più.
 
 
 
 
 
Aveva rovinato tante cose Julia, e sicuramente Lena sarebbe stata felice anche senza di lei, soprattutto senza di lei…
 
Questo pensava…sbagliandosi.
 
La rossa rimase ferma, come un sasso; la gente muta; tutto sembrava silenzioso per salutare quella giovane, colpevole solo di non aver saputo tutto prima.
 
 
 
 
 
 
 
Si allontanò, senza salutare nessun altro, senza rivolgersi a suo padre o i suoi fratelli. Il bosco, l’oscurità, il pericolo…questo era quello che l’attendeva…mentre silenzioso e lento, il suo cuore esalava lacrime e sangue…
 
Perdere la vita e perdere Lena…erano in fondo la stessa cosa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La piazza gremita rimase inerme davanti a tanta coerenza, non ci si poteva credere…l’aveva fatto per tutti; aveva lasciato la donna della sua vita per gli altri…per far sì che non vivessero torti legati a lei, per non far abbattere su di loro l’ira di suo fratello. Ma questo, naturalmente, Victor non lo capì.
 
 
 
Victor: “bene! Credo che lo spettacolo sia finito. Quella mocciosa si è tolta di mezzo da sola, ora tornate tutti al lavoro, non c’è altro da vedere qui.” – rimise ordine tra la folla, convocando poi i soldati. Credeva di aver vinto.
 
Un uomo alto e robusto gli si avvicinò lento e, appena poté, parlò.
 
Uomo: “credo sia giunta l’ora della mia ricompensa, mio signore…” – era Ferdinand.
 
Era stato lui.
 
Era lui il vero traditore.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Flash back
 
Palazzo degli Antici, dicembre.
 
Pochi giorni dopo la cacciata dei Duchi Volkova dal paese.
 
“Duca Victor sono qui per darvi delle notizie molto importanti.”
 
“sarebbero?”
 
“so per certo che vostra sorella nella giornata di domani si assenterà dal paese e quindi credo sia il momento giusto per organizzare un agguato, cosa ne dite?”
 
“sai che stai vendendo la tua gente? Vuoi aiutarmi lo stesso Ferdinand?”
 
“si, signor Duca. Vostra sorella porta solo guai.”
 
“e va bene, allora è deciso…se riuscirò a riottenere Spoleto, ti darò in cambio qualsiasi cosa…”
 
“vi chiederò un’unica ricompensa…una donna…”
fine flash back
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Victor: “soldati! Prendete quella donna!” – in men che non si dica, Lena fu bloccata da due gendarmi senza saperne il motivo.
 
Ferdinand: “ah ecco! Ora sì che sono contento di quello che ho fatto! – si avvicinò alla giovane, disarmata di qualsiasi forza, di qualsiasi voglia di vivere -…mia cara…presto diventerai mia moglie…la moglie di un ufficiale!”
 
La rossa cercava fiaccamente di divincolarsi come poteva, ma era tutto inutile.
 
Lena: “Ferdinand ma cosa fai? Sei forse impazzito? Tu non ragioni più! Perché parli con il figlio del Duca? Che vuoi da lui? – poi intuì…si rese conto che forse… -…no, dimmi che non è vero…”
 
Victor: “bene Ferdinand, presiederò io stesso le tue nozze con questa poco di buono. E poi sarai nominato Comandante ufficiale al posto di quel Sert che ho cacciato via…quel disertore… – poi afferrò il viso di Lena con una mano -…e tu, sporca concubina di quella idiota di mia sorella! Vedi di filare liscio…o oltre ad essere sua moglie, ti farò fare anche qualche servizi etto in camera mia…”
 
Lena: “siete un essere schifoso!”
 
Victor: “sarò anche schifoso, ma sono il tuo signore. E ti farò capire chi comanda qui.”
 
Lena: “Ferdinand! – si rivolse a quello che riteneva suo amico -…Tu ci hai traditi! E per cosa? Per sposarmi?? Per avermi così? In questo modo meschino…sei un verme! Aveva ragione Julia! Aveva ragione su tutto…sei un bastar…” – ma prima che potesse terminare, Ferdinand la schiaffeggiò, scaraventandola a terra.
 
Ferdinand: “diventerai mia moglie. Mia soltanto. E se per averti avessi dovuto vendere l’anima al demonio, avrei fatto anche quello! – iniziò a toccarla -…vedrai…vedrai come saremo felici…”
 
Era pazzo, completamente.
 
Lena: “lasciami…lasciami… - ma non c’era verso di farlo ragionare. Aveva dato tutto per averla e ora che stava raggiungendo il suo scopo, nulla lo poteva fermare. -…sono stato paziente Lena, ti sono stato amico…ora ti voglio…come un uomo vuole una donna…come nemmeno la tua Julia ti ha fatto mai provare…”
 

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Capitolo 15
*** Quello spirto guerrier c'entro mi rugge. (Foscolo) ***


Che sia stata l’esigenza di un momento o il desiderio di una vita…Julia se ne era andata.
 
Pensando di liberare tutti della sua pesante presenza; quando un aristocratico si unisce al popolo, si schiera facendo nascere odio verso lui e coloro che lo sostengono; questo voleva evitare la ragazza, ma questo si era creato.
 
 
 
Dopo solo alcuni giorni, la fine di febbraio ormai, girovagava per i piccoli paesi e si fermò momentaneamente a Norcia; dormiva in un fugace ostello e, attenta a non farsi riconoscere, batteva i sentieri mirando col suo arco seguendo solo una cosa, il vento.
 
Non era nemmeno più il suo cuore che decideva, doveva azzittirlo con forza: perché sapeva benissimo che lui le avrebbe chiesto implorante di tornare da Lena…
 
 
 
 
 
Pensava sempre a Lena, ogni silenzioso secondo…ogni freccia che affilava era l’eco di un suo bacio…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Un ragazzo stanco e affamato entrava nel borgo di Norcia quella mattina, reggendosi a malapena; forse è un soldato, ha addosso un uniforme scura, o almeno dovrebbe essere, per quel poco che se ne scorge sotto il mantello.
 
 
 
Si aggira, si guarda intorno…come se cercasse qualcuno…come se scrutasse nei volti per cercare due occhi inconfondibili…
 
“ma dove siete…” – solo bisbigli dalle sue labbra.
 
 
 
Finché una donna, preoccupatasi nel vederlo così errabondo, decide di avvicinarsi; non ha nulla da temere, sono alla luce del sole e in mezzo ad un mercato paesano.
 
“buon uomo…vi siete forse perso? Posso esservi d’aiuto?” – la signora cortese lo guardava sorridente.
 
Il soldato, ancora spaesato, si colora di speranza.
 
“siate benedetta! Si, vi ringrazio!” – sembrava essersi ripreso, almeno un po’. Gli occhi castani erano tornati vivi.
 
“ditemi pure…”
 
“avete visto aggirarsi per Norcia una ragazza mora…bella, magra ma forte… - non sapeva come descriverla meglio -…una ragazza guardinga, attenta…che non è mai stata qui…”
 
La donna rifletté un attimo, ma non le sembrò di aver notato nulla di simile.
 
“no soldato, mi dispiace…io ho un ostello e non so…non credo…”
 
“vi prego pensateci bene… - poi gli venne in mente il dettaglio fondamentale -…ha due occhi azzurri che non possono passare inosservati, sono come il cielo d’estate quando non ci sono nubi…eterei, come l’acqua.” – sorrise.
 
“ah forse sì! – si rincuorò di poterlo aiutare -…forse ho capito! Venite con me!” – prese sottobraccio l’uomo.
 
“vi ringrazio! Non sapete quanto vi sono grato! E comunque… - le prese la mano -…il mio nome è William Sert, sono un soldato del ducato di Spoleto…”
 
“piacere mio…Serena…” – entrambi si guardarono per secondi interminabili poi si rimisero, imbarazzati, in cammino.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Arrivarono presto all’ostello di Serena, era a meno di duecento metri.
 
“la ragazza che cercate…ha per caso un arco con sé?” – chiese curiosa.
 
“si, si! Non lo lascia mai! È lei allora! Senza dubbio!” – era entusiasta Sert, a breve avrebbe rivisto il suo Comandante.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nel frattempo…
 
 
 
Palazzo ducale.
 
Due ragazzi passeggiavano animatamente per il lungo corridoio, abbellito da nuove statue antiche, messe lì da pochi giorni.
 
“Lena…si può sapere a cosa pensi? Sei sempre così sfuggente! A breve saremo sposati, non ti rallegra questo?” – Ferdinand sperava ancora che il suo angelo dai lunghi capelli rossi provasse qualcosa per lui, ma non era così.
 
La ragazza guardava fuori, e appena poteva spostava gli occhi verso quell’imponente scalinata che le si ergeva davanti…lì su c’erano le stanze della sua Julia…dell’unica persona che aveva mai amato…e che avrebbe amato per sempre…l’unica…
 
 
 
“scusate mio signore se non sono felice all’idea di sposarvi.” – lo prendeva in giro.
 
Ma Ferdinand le prese subito il braccio, con decisione violenta.
 
“smettila di trattarmi così. Dovresti essere felice! Un tempo sposarmi era la tua massima aspirazione…e ora?? Si può sapere cosa è successo?? Io sono un ufficiale ora! Il Comandante dell’esercito ducale! Farai una vita da signora! Circondata da lusso e sfarzo…feste e nobiltà…quello che abbiamo sempre voluto!”
 
“quello che hai sempre voluto…io non ho bisogno dello sfarzo per essere felice ma…” – si era lasciata sfuggire un “ma” di troppo.
 
“ma cosa Lena? Avanti! – la scosse -…ma cosa dannazione???”
 
“ma amore…amore Ferdinand…qualcosa che tu non conosci e che io non ti posso dare…” – era triste e a tratti rassegnata a quel destino.
 
“quando la smetterai di pensare a quella vigliacca eh?? – Lena ebbe un colpo al cuore quando intuì a chi si riferiva, un tuffo nello stomaco -…quando finirà quella Volkova di consumarti il cervello? La devi lasciar perdere! Hai me! E a quest’ora potrebbe già essere morta, il bosco non risparmia nessuno, nemmeno la tua adorata stronza.” – lasciò di scatto il braccio di Lena e si allontanò frettolosamente da solo, lasciando lì la ragazza, che rimase sola a riflettere.
 
 
 
“no, Julia conosce il bosco meglio di chiunque altro…”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Norcia, ostello.
 
Sert entra nella locanda con Serena, che gli fa strada. Non ci volle poi molto perché riconoscesse, in mezzo a tanti, quella ragazza di cui parlava…era al bancone che beveva taciturna e sola una grappa molto forte, forse per scaldarsi.
 
Subito Sert le corse incontro!
 
 
 
“comandante!!! Comandante!!!”
 
Julia presa di soprassalto si voltò.
 
“chi diamine… - e immediatamente riconobbe anche lei il compagno -…Sert!!  - e lo abbracciò -…come stai? Pensavo fossi fuggito…come stanno gli altri uomini? Hai loro notizie?” – sorrideva la ragazza.
 
“comandante…non sapete quanto sono felice di avervi trovata…gli altri beh…non se la passano così bene…” – se fece triste.
 
“perché? Cos’altro è successo?” – Julia si allarmò.
 
“parte degli altri soldati si è rifiutata di obbedire agli ordini di vostro fratello e potete immaginare la punizione che hanno ricevuto…”
 
“impiccagione…”
 
“già…gli altri che sono rimasti sono lì solo per paura di morire, fatta eccezione per quel traditore di Ferdinand…che ci sta per interesse.” – pronunciò con forte astio quelle parole.
 
 
 
Julia ebbe come una reazione spontanea a quel nome, sentirlo pronunciare le aveva smosso una certa ira dentro, poi si girò un attimo verso Serena, che serviva al bancone.
 
“signora Serena per favore datemi due grappe, quelle forti come quella di prima grazie, una per me e una per il mio amico.” – sorridente la locandiera fece quanto detto.
 
“comandante io non bevo, sono astemio…vi ringrazio lo stesso.”
 
“credo che avremo bisogno di molta forza per sopportare quello che accadrà, quindi bevi.”
 
Non se lo fece ripetere due volte, e iniziò a sorseggiare quell’alcol quasi puro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il locale era pieno, forestieri venuti da tutta l’Umbria e anche da fuori; i ritrovi erano sempre così, ma i due poterono comunque discutere con calma.
 
Poi, dopo aver pagato, si diressero fuori per prendere aria fresca.
 
Sert fu salutato gioiosamente da Serena, e questo non passò inosservato a Julia…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“beh…vedo che hai fatto colpo William…” – Julia rideva divertita; l’amico, dal canto suo, era un po’ sorpreso sia per quel saluto di Serena, che per il fatto che il suo Comandante l’avesse chiamato per nome.
 
“ehm…sapete…l’ho…l’ho conosciuta prima…non pensate male!”
 
“non preoccuparti! Potrebbe farti solo bene una donna!” – rise ma poi improvvisamente gli occhi della ragazza divennero bui, quasi spenti, senza quella vitalità che tanto li caratterizzava.
 
Sert se ne accorse subito.
 
 
 
“non volevo rattristarvi Comandante…so che non deve essere facile lasciare la donna che si ama…” – voleva in qualche modo starle vicina.
 
“no, non lo è. Non lo è affatto. Ma…forse è meglio così…lei…lei non può che essere felice senza di me…le davo troppi problemi…”
 
 
 
Sert sgranò gli occhi.
 
 
 
“comandante ma allora voi…voi non sapete?” – Julia si voltò svelta, come se già immaginasse.
 
“cosa non so?! Parla…cosa dovrei sapere?”
 
“Lena…”
 
“Lena cosa?? Che le è successo?? Dimmelo! Non sta bene? È forse ferita?” – era preoccupata da morire, smaniava.
 
“…dovrà sposare Ferdinand…”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Un coltello le attraversò il cuore, stracciandolo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“cosa?! Ma lei non…mi diceva di non provare più nulla per lui! Che è successo ora? Non dirmi che è un ricatto!”
 
“si Julia…è un ricatto. Un premio subdolo…che Ferdinand ha ottenuto per averci traditi. Ha venduto la sua stessa gente al Duca Victor, per poter sposare Lena…e credo le metterà le mani addosso molto presto se non interviene qualcuno, lei non vuole certo sposarlo, ma è un obbligo…a cui non le permetteranno di sottrarsi…”
 
 
 
La ragazza non rispondeva, era inerme. La meschinità di Ferdinand e di suo fratello la scombussolavano…come si può arrivare a tanto…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Palazzo ducale.
 
 
 
“ti sei forse persa in questo grande palazzo?” – un’esile voce si affacciò a disturbare i pensieri di Lena; era Ester, la sorella minore di Julia che tanto adorava.
 
“ciao Ester! Sono contenta di vederti, e di vedere un volto famigliare e sorridente come il tuo! – la accarezzò dolcemente -…come stai piccola?”
 
“bene Lena, anche se…”
 
“anche se cosa?” – chiese curiosa.
 
“anche se mi manca tanto Julia…”
 
“vieni qui…” – e l’abbracciò, forte come un’amica, come una sorella, come avrebbe fatto anche la mora se fosse stata lì; questo pensò Lena.
 
 
 
 
 
 
 
Parlarono un po’ della situazione e, anche se Ester era solo una ragazzina di solo 8 anni, capiva perfettamente quello che stava accadendo intorno, era sveglia e attenta, con uno spiccato senso pragmatico.
 
“come sta la piccola bimba nata pochi giorni fa?” – chiese d’improvviso Ester, doveva aver saputo già. Lena fu comunque presa di soprassalto.
 
“sta bene…è molto bella sai…si chiama Bernadette…come sua madre… - guardava la bimba con sincero affetto -…Julia ha voluto darle quel nome, così si ricorderà sempre chi le ha dato la vita e, donandogliela, vi ha rinunciato…”
 
La piccola Ester capì da quelle parole di Lena quanto la rossa soffrisse, quando le mancasse Julia…quanto tutto questo le sembrasse ingiusto e sporco, tutto quello che stava accadendo…
 
 
 
“Julia tornerà, vedrai Lena…tornerà…non ci lascerà sole…” – ora era la bambina ad accarezzare la mano della ragazza.
 
“tu dici Ester? No, non credo…dobbiamo farcela senza di lei…” – la rossa non sembrava crederci troppo.
 
“ha mille difetti la mia sorellina, ma se ha un pregio è che non lascia nei guai le persone a cui vuole bene! Io, tu e la piccola Bernadette siamo le persone più importanti per lei! Non ci abbandonerà lo so!” – si strinsero ancora una volta, bisognose solo d’affetto…
 
 
 

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Capitolo 16
*** L'uomo è nato libero, e dappertutto è in catene. (Rousseau) ***


Due cavalli segnavano il sentiero verso Spoleto con possenti zoccoli…due cavalieri stavano facendo ritorno a casa…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Palazzo ducale.
 
 
 
L’ansia saliva, i preparativi iniziavano ad essere allestiti; le scalinate in fiore, i portoni spalancati, ghirlande e rose…tutto si stava preparando per accogliere il doppio matrimonio che ci sarebbe stato a breve.
 
Il giovane Duca, ormai dittatore spietato, avrebbe sposato la Marchesa Benedetta Antici, assicurandosi così oltre che una bella e devota moglie anche un cospicuo patrimonio, che la ragazza aveva come dote.
 
E insieme al Duca anche il suo braccio destro, il Comandante ducale Ferdinand avrebbe preso in moglie la donna che da sempre voleva, Lena, una popolana così la definivano a corte, ma bellissima e gentile. E ultimamente anche taciturna.
 
 
 
 
 
 
 
Sì, perché ormai Lena pareva aver perso ogni speranza di uscire da quell’incubo, da quella diavoleria che era diventata la sua vita senza Julia, senza sua madre, senza amici.
 
 
 
Teresa, la mamma, era preoccupata perché oltre a non permetterle di far visita alla figlia, non le facevano avere nemmeno sue notizie e non sapeva cosa pensare…stava bene Lena? Cosa faceva? Con chi era? Davvero…davvero avrebbe sposato quel mostro di Ferdinand? Queste erano le domande a cui la povera Teresa non riusciva a dare risposta.
 
Anna aveva tentato varie volte di avvicinarsi all’amica, ma non ottenne nulla nemmeno lei.
 
 
 
Lena era chiusa in una gabbia dorata e in quel castello senz’anima stava sprecando la sua vita, senza obiettare, senza la minima opposizione, le sembrava inutile...niente le avrebbe potuto ridare lei…la sua felicità…niente valeva più la pena di avere.
 
Allora tanto vale sposare il suo vecchio amico e vivere di quello che potrà averne.
 
 
 
Sembrava come assuefatta, rassegnata…così rassegnata che ormai girava per il paese sempre in compagnia del suo futuro marito al braccio.
 
“guarda mia cara Lena! Guarda quanti bambini che giocano in piazza!” – la ragazza senza troppa cura osservò quello spiazzale che un tempo la aveva vista sorridente.
 
“si hai ragione Ferdinand, è proprio allegro quest’oggi…”
 
“presto sono sicuro che anche nostro figlio correrà felice per queste strade…” – era serio e commosso Ferdinand, così preso da non accorgersi che in realtà Lena non emanava luce, non c’era, non esisteva.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Una voce si alzò dalla gente che animava il cortile.
 
“Lena! Lena!” – subito la coppia si voltò verso destra, lato da cui veniva quella voce.
 
 
 
 
 
Ferdinand: “qualcuno ti sta chiamando, chi sarà?” – teneva sempre al braccio la giovane futura moglie, temendo potesse essere qualcuno di inaspettato.
 
Lena: “non lo so…- per un attimo aveva sperato l’irrealizzabile…che fossero ancora quegli occhi a chiamarla -…non ne ho idea…”
 
Finché non sbucò fuori Anna, la cara amica che non rivedeva ormai da un pezzo.
 
 
 
Anna corse da Lena e la abbracciò, forte, come sognava di fare da tanto.
 
 
 
Anna: “Lena, tesoro mio! Come stai? Perché non ti fai più vedere in paese? – non si era accorta del consorte dell’amica che aveva iniziato a guardarla male -…ehm…Comandante perdonate se sono piombata così all’improvviso…volevo solo…salutare la vostra sposa…se mi è concesso…”
 
Ferdinand da quando aveva acquisito quel grado di ufficiale pretendeva che anche i suoi vecchi amici lo chiamassero come tale e che nessuno, nessuno, osasse rivolgersi male a lui. Altrimenti gliel’avrebbe fatta pagare molto duramente.
 
 
 
Si sentiva fiero e pieno d’orgoglio, tutti lo rispettavano. Per paura.
 
Aveva già fatto uccidere due contadini perché si erano posti male davanti a lui, e scrupoli non aveva più ormai. Lena sembrava essere l’unica che potesse trattarlo come suo pari, tanto era l’amore che nutriva per lei, ma un amore malato, mutilato, superficiale.
 
 
 
 
 
 
 
Ferdinand: “prego Anna, vi lascio da sole così potete discorrere tra donne. – si avvicina alla rossa per baciarla sulle labbra, sotto gli occhi increduli di Anna -…a dopo mia principessa…” – e così dicendo si allontana verso un soldato che aveva avvistato di lì a poco.
 
 
 
Anna ancora con gli occhi stralunati fissa l’amica, come se avesse visto un lupo mannaro o peggio!
 
“Lena ma…ma…stai bene?! Cioè tu…tu davvero?” – l’amica capì subito cosa Anna stava insinuando e la fermò in tempo.
 
“sì Anna sono convinta. Ferdinand mi vuole bene, me ne ha sempre voluto…sposarlo forse è la cosa migliore, per tutti…”
 
“per tutti quegli idioti che te lo fanno pensare!” – rispose schietta.
 
“non dire così…non c’è altro da fare…e poi lo vedi anche tu che quando sta con me è più gentile, io posso mitigarlo e così non farà del male ad altri con la sua arroganza…” – i suoi occhi erano comunque spenti, opachi. Di quel verde che non esprime nulla, nulla del paradiso che una volta racchiudeva.
 
“mi dispiace ma non ci riesco a crederti! Tu vuoi dirmi che ti arrendi?? Ti arrendi così? Senza combattere?” – Anna le poggiò le mani sulle spalle per scuoterla; subito una guardia si voltò a loro e con un’occhiata fermò la giovane amica che si distaccò. Erano sorvegliate a vista.
 
 
 
“non c’è nulla da combattere, non c’è niente per cui combattere. Niente.”
 
“ah niente? Beh si dà il caso che alla locanda stiamo crescendo la piccola Bernadette , te la sei già scordata?”
 
Lena alzò gli occhi, sentendo per un istante un piccolo dispiacere misto a gioia.
 
Quella bambina era comunque il frutto di una ragazza che aveva dato la vita per una giusta causa, Lena non l’aveva dimenticato, nemmeno un attimo. E le voleva un bene profondo, nato nella parte più pura della sua anima.
 
Così prese le mani di Anna e le strinse forte nelle sue, sussurrandole piano…
 
“come sta la piccolina? Mangia? È cresciuta? O…- sorrise silenziosa -…o fa ancora i capricci? Come quando stava nella culla e piangeva perché voleva essere presa in braccio e coccolata?”
 
 
 
Sembrava avesse riassaporato attimi di gioia pensando a Bernadette.
 
 
 
“ora che ci penso…continua ancora a fare i capricci! Vuole stare sempre nel vivo della scena! E dovresti vederla è coccolata da tutti! E per questo ha i suoi vizietti che le facciamo vincere sempre! Del resto è la nipote di Julia!”
 
“Julia…” – la voce di Lena si interruppe in un singhiozzo strozzato in gola.
 
 
 
Ma non servì fermarlo, perché Anna lo capì bene. Chiunque l’avrebbe capito.
 
 
 
 
 
 
 
“ci pensi ancora vero? La ami ancora quella ragazza…non è vero?” – chiese Anna, anche se immaginava la risposta del cuore di Lena.
 
“no! No. Io non la amo, non l’ho mai amata e non ci penso. È stata solo una debolezza….una debolezza da poco. Lei se n’è andata e quindi ha fatto la sua scelta. Ora scommetto… - sorrise nervosa -…scommetto che starà dando piacere alla bella di turno, io sono il passato per lei e lei lo è per me. Non mi importa più di lei, dico davvero.”
 
“se lo dici tu…– Anna sapeva che non era così. Si può mentire con le parole, ma con gli occhi no -…passa qualche volta alla locanda, diventerai una nobile ora sì…ma noi vorremo restare tuoi amici comunque…”
 
Lena abbracciò Anna, commossa dalle sue parole.
 
Era tanto che non sentiva la vicinanza fraterna della sua amica…le mancava…come le mancavano tutti gli altri…
 
“verrò…verrò senz’altro! Magari se mi riesce anche stasera stessa…ma non ti prometto niente…”
 
“va bene…”
 
 
 
Stavano per salutarsi, ma Lena sentiva di non aver ancora detto tutto e il suo cuore pesava di sofferenza.
 
 
 
“Anna ascolta…me lo faresti un favore? In nome della nostra amicizia…” – strinse ancora le mani dell’amica.
 
“ma certo Lena! Quello che vuoi…”
 
“rassicura mia madre…dille che presto andrò a trovarla, ora non posso perché devo stare con Ferdinand per preparare il mio… - chiuse un attimo gli occhi perché fu sorpresa da quel mare blu -…il mio…il mio matrimonio…ma passerò presto da lei…e poi…e poi un’ultima cosa…” – piangeva quasi, ma fece di tutto per fermarsi.
 
“dimmi amica mia…”
 
“non voglio più sentire il nome di Julia, non parlarmi mai più di lei…devi aiutarmi a dimenticare, devi aiutarmi a convincermi che…che lei per me non è mai esistita, che è stato tutto un sogno…un sogno bellissimo sì, ma un sogno…solo questo…”
 
 
 
Da lontano Ferdinand chiamò la rossa che subito rispose al saluto con una mano, anche se nella sua testa e nel suo cuore c’era tutt’altro.
 
 
 
“va bene Lena…come vuoi…” – baciò sulla guancia l’amica.
 
“grazia Anna, grazie…dà un bacio alla piccola Bernadette da parte mia, le voglio bene e la penso sempre…ciao amica mia…ciao…” – corse via…corse via lasciando in mano ad Anna le verità del suo cuore.
 
 
 
 
 
 
 
Avrebbe sempre amato Julia, Anna l’aveva capito benissimo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Scese come sempre la sera, il sole tramontò anche quel giorno, sotto gli occhi affilati dei due cavalieri che seguendo il bosco arrivarono in paese, prima che il cancello fosse chiuso del tutto.
 
Guardia: “chi siete? Non è permesso entrare dopo il tramonto del sole, non lo sapevate?” – un soldato si oppose al loro rientro.
 
Cavaliere: “non mi riconosci proprio soldato Thomas, eh?”
 
Improvvisamente il soldato di guardia si ricordò di quella voce…il Comandante, il vero, l’unico Comandante che aveva mai rispettato…era lei…era lei quella voce…l’avrebbe riconosciuta tra mille, ricordava molto bene le sgridate prese! Non poteva essere che lei…
 
 
 
 
 
 
 
Julia si abbassò il cappuccio che le copriva in parte il volto, e allora il legionario non ebbe più dubbi, era proprio lei, accompagnata da Sert.
 
 
 
Guardia: “Vicecomandante Sert! Ci siete anche voi?” – l’uomo di guardia era sempre più confuso, cosa avrebbe dovuto fare ora?
 
Seguire gli ordini che gli erano stati impartiti e quindi non fare entrare nessuno? O seguire il suo istinto e il suo profondo rispetto per quei due suoi superiori, che in fondo avevano aiutato la sua gente?
 
 
 
Sert: “Thomas, è arrivato il momento di vincerla per sempre questa guerra contro il potere… - poggiò fieramente una pacca sulla spalla del soldato -…dì agli altri che non devono più obbedire al loro nuovo Comandante fasullo, non merita il nostro rispetto.”
 
Guardia: “ma…lui… - era visibilmente preoccupato e spaventato -…lui ci farà uccidere tutti! Comandante… - si rivolse a Julia, inginocchiandosi davanti a lei, come il più devoto dei soldati -…Comandante, diteci voi cosa dobbiamo fare noi lo faremo come un tempo, vi obbediremo perché voi ci avete dimostrato lealtà…aiutateci Comandante, abbiamo bisogno di voi…”
 
Sert sorrise a Julia che di risposta fece alzare il ragazzo stringendogli la mano, e lo incoraggiò affinché rincuorasse gli altri uomini a tenere duro, non sarebbe andato tutto a rotoli. E quei traditori non avrebbero vinto.
 
 
 
Julia: “ora va’ e avvisa gli altri, ma non mettetevi nei guai. Non ci dovranno essere altri morti, sono già morti troppi uomini per gli errori miei e di mio fratello, ora basta. Va’…penserò a tutto io. Io ho creato questo guaio e io lo risolverò. Sta’ tranquillo Thomas.”
 
Così attraversarono il possente portone, sotto lo sguardo del loro commilitone orgoglioso di aver ritrovare il loro autentico Comandante.
 
Guardia: “ci fidiamo di voi Comandante Volkova…grazie…grazie di cuore…” – sorrise confortato.
 
Julia si voltò per salutarlo come si addice ai militari, poi proseguì ricoprendosi con il cappuccio scuro della mantella che indossava sul camicione nero.
 
 
 
 
 
E più avanzava, più sussurrava tra sé, nei suoi pensieri…
 
“finché avrò ancora una misera goccia di sangue e un soffio di respiro io ho il dovere di aiutare la mia gente…e lo farò. Per loro e per lei…”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“dove siamo diretti Comandante?” – Sert non riusciva a capire cosa Julia potesse avere in mente. E come se non bastasse faceva freddissimo! Non nevicava, ma ci mancava poco; chi conosceva il vento come loro lo sapeva bene.
 
“andiamo dagli altri, voglio rivederli.”
 
“ma Julia! – bloccò la ragazza per un braccio, costringendola  a voltarsi -…questa gente potrebbe farvi del male! Siete fuggita mesi fa! Potrebbero avercela con voi! Rischiamo troppo così…”
 
La mora lasciò pacificamente e sorridente la presa dell’amico.
 
“non credo abbiano dubbi su chi sia il vero traditore ora. Forza andiamo soldato William Sert!” – scoppiò a ridere.
 
 
 
Precedette l’amico che la seguiva più lento, ma sicuro.
 
“si, ora non prendetemi in giro però!”
 
Tra le risate singhiozzate della mora arrivarono alla porta della locanda.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Palazzo ducale.
 
 
 
La cena è appena terminata e il Duca Victor impartisce gli ultimi ordini al suo fidato Comandante, neo eletto.
 
 
 
Duca Victor: “bene Ferdinand! Credo tu abbia capito bene. Se qualcuno osa ribellarsi, o se ci saranno dei disordini sai cosa fare.” – parlava con aria superiore e inavvicinabile.
 
Ferdinand: “ma certo Signor Duca. Li farò squartare se osano disturbare la nostra cerimonia, non dubitatene.”
 
Lena: “ma cosa dici…” – esile la voce della ragazza si levò nell’enorme salone ducale.
 
 
 
Subito gli occhi di ghiaccio del Duca di posarono su lei, facendola sentire un verme.
 
 
 
Ferdinand capì l’ira dell’aristocratico e cercò di riparare alla situazione, per quanto poteva.
 
Ferdinand: “eh… - si rivolse al Duca -…la mia sposa voleva solo pregarmi di non parlare di questi argomenti in sua presenza, sapete come sono le donne…deboli di stomaco! Eh si, proprio così mio Signore…”
 
Ma Victor non si convinse poi molto.
 
Duca Victor: “spero sia come dici, perché altrimenti la tua bella donzella la faccio sbattere fuori da questa reggia e le spetterà lo stesso trattamento che riserviamo ai disertori e a quella feccia dentro queste mura.”
 
Lena: “se solo vostra sorella vi sentisse…” – stavolta aveva parlato davvero troppo.
 
Duca Victor: “COSA??? COSA HAI DETTO?? – il Duca scattò in piedi, come un animale, sbattendo violentemente i pugni sul tavolo imbandito -…PROVA A RIPETERLO SE NE HAI IL CORAGGIO! E VEDRAI CHE TI UCCIDO CON LE MIE MANI!”
 
Ferdinand: “Duca vi prego, cercate di calmarvi…farò ragionare io la signorina Lena… - si inchinò al nobile -…vi prego di scusarla a nome mio…forse ella si…si riferiva alla piccola Ester, che naturalmente non deve sentire questi discorsi da adulti, potrebbero turbarla…” – sapeva benissimo anche lui che non era così, ma cercò in tutti i modi di salvare la vita della fidanzata. Perché rispondendo così al Duca rischiava la vita, ed era rinomato.
 
 
 
Il Duca continuava a fissarla come se volesse sbranarla, lì ora.
 
 
 
Ferdinand: “vieni mia cara Lena…ti…ti accompagno nelle tue stanze…” – cercò di portarla fuori per calmare la situazione.
 
Lei si alzò, senza proferire parole; incurante di quanto aveva provocato nel Duca, e così lasciò la stanza.
 
 
 
 
 
Duca Victor: “Ferdinand! Mi aspetto che i miei ordini siano eseguiti e vedi di far tacere quella piccola indemoniata della tua futura moglie, magari impegnandola in qualcosa di piacevole…come… - sorrise beffardo -…come farebbe un vero uomo e vedrai come tacerà. Per quanto riguarda noi, domattina ti aspetto alle scuderie all’ora stabilita.”
 
Ferdinand si voltò, vergognandosi come un cane per l’immensa figuraccia che stava facendo davanti al suo benefattore.
 
Ma finse fermezza.
 
Ferdinand: “non mancherò. Buonanotte Duca Victor…”
 
 
 
 
 
Appena salutato il Duca, Ferdinand prese sottobraccio Lena e si incamminarono piano, per non dare nell’occhio.
 
Ma appena voltarono l’angolo…
 
 
 
 
 
“si può sapere cosa diamine ti è preso eh??? Hai rischiato una brutta fine lo capisci????” – inchiodò la rossa al muro.
 
“ho detto quello che pensavo…” – lei rispondeva appena.
 
“beh allora tienitelo in bocca quello che pensi perché io non sono disposto a passare per fesso a causa tua. Pensi che non abbia capito a chi ti riferivi?? – vedendo che Lena non si opponeva, gli venne un’infrenabile voglia.
 
 
 
 
 
Ed iniziò a baciarla con tutto l’impeto che sentiva.
 
 
 
 
 
 
 
Lena gli piaceva, e tanto…troppo…avrebbe ucciso per lei, per sentirla sua fino all’anima.
 
 
 
 
 
 
 
La baciava…la toccava…la voleva, ora.
 
“lasciami Ferdinand! Lasciami!” – ma non riusciva ad opporsi.
 
Lui ormai era preso dalla passione, dall’eccitamento che sentiva al solo sfiorare quel rosso così vivo dei suoi capelli.
 
“è morta…fattene una ragione Lena…quella..quella stronza è morta…” – continuava a parlare languidamente mentre le mise una mano sotto la gonna.
 
“NON E’ VERO!” – gli tirò una forte ginocchiata nel bel mezzo delle gambe, facendolo accasciare al suolo.
 
 
 
Eppure Ferdinand rideva..rideva…rideva di Lena…del suo vecchio Comandante che aveva perso…aveva perso tutto…aveva perso lei…perché in fondo lei era tutto…
 
“non mi credi vero? Beh…lo vedrai da te…- si rialzò come niente fosse-…la tua cara Duchessa Julia è morta…i miei uomini stessi l’hanno trapassata a colpi di spada! E tu povera ingenua ci speri ancora! Sei ridicola Lena …ridicola …”
 
 
 
Lena si portò una mano alle tempie, non poteva essere vero…Julia non poteva morire, non poteva…
 
 
 
“tu stai mentendo…stai…stai… - iniziò a mancarle l’aria -…stai mentendo…” – si allontanò dirigendosi verso il portone di palazzo.
 
“NON STO MENTENDO MIA CARA. LO VEDRAI DA TE! – rideva ancora malvagiamente -…per stasera ti ho graziata, ma quando sarai mia moglie non potrai mancare ai tuoi doveri coniugali e allora lì voglio vedere se mentre ti faccio godere pensi a quella bastarda! A quella sporca bastarda!” – Ferdinand non lo sopportava che Lena potesse pensare ancora a Julia, lo faceva andare su di giri, lo faceva impazzire, lo faceva morire. Non gli sembrava possibile che quella nobile potesse essere sempre in mezzo a qualunque situazione…qualunque…e quello che non tollerava più di tutto era…
 
 
 
…che in qualsiasi modo si comportasse, da signore spietato o da devoto innamorato, il cuore di Lena era sempre nelle mani di Julia…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Lena non lo ascoltava più…correva e correva, via da Ferdinand…uscì da quella reggia che era diventata il suo carcere, la sua prigionia…la sua ossessione…
 
 
 
Corse via…verso l’unica persona che le si era dimostrata vicina, Anna…
 
La locanda era a un centinaio di metri, poi finalmente avrebbe avuto un abbraccio caldo e sincero nel quale liberare le sue emozioni, nel quale piangere.
 
 
 
Correva…e non sapeva che quell’abbraccio poteva essere Julia…
 
 
 
…la sua amata Julia…
 
 
 
 
 
Perché in fondo, anche se non lo ammetteva era lei che la faceva respirare, era lei che le stringeva l’anima in una morsa forte da far male, era lei che sentiva quando il vento soffiava e accarezzava il suo viso, erano i suoi baci che le mancavano, era il suo viso che sognava ogni notte…ogni notte che non erano insieme…ogni notte che desideravano soltanto aversi, solo questo…nient’altro…
 
 
 
 
 

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Capitolo 17
*** L'amore chiede tutto, ed ha il diritto di farlo. (Beethoven) ***


Lena continuava la sua corsa imperterrita e senza badare a chi incontrasse sul cammino; ragazzi, bambini che giocavano ancora un po’ prima di rientrare…tutti la osservavano e si chiedevano cosa potesse spingere una così brava ragazza di paese a voler sposare un traditore, il più meschino dei traditori, uno che ha venduto la sua gente per ottenere un titolo.
 
Nessuno capiva perché…nessuno sapeva leggere nel cuore di quella povera malcapitata…nessuno vedeva le sue lacrime, confondersi con la brina e il freddo…
 
 
 
 
 
C’era solo un cuore che poteva scorgere quella tristezza, solo uno…
 
E chissà quanto era lontano in quel momento…non poteva fare a meno di pensarci.
 
Non poteva far altro che sentirsi sola…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Arrivò alla locanda, la porta era chiusa e dopo ripensamenti vari si decise ad aprire.
 
Finalmente i suoi occhi sorrisero un po’…erano tutti lì i suoi amici, quelli che davvero avevano lottato per liberare il piccolo borgo, che però era stato riconquistato con l’inganno dal feroce Duca.
 
 
 
Giacomo, che stringeva le mani di Anna, si voltò verso l’ingresso e vide la giovane rossa, nemmeno il tempo di un respiro e subito di precipitarono da lei.
 
Erano contenti, felici di rivederla finalmente!
 
 
 
Giacomo: “Lena! Che bello averti qui! – la abbracciò stretta stretta -…come stai? Pensavo di non rivederti mai più! Non farci più prendere questi spaventi! Sapessi quanto ci sei mancata!”
 
La rossa sorrideva serena, per la prima volta da tanto tempo; quanto le erano mancati…
 
Lena: “ragazzi..sapeste che gioia è per me potervi riabbracciare…ho rivisto anche mia madre e vi giuro che…è come se il mio cuore fosse tornato a battere… - si voltò all’amica di sempre -…e tu pazza non mi saluti?”
 
Anna: “pazza ci sarai tu! – si strinsero con le braccia e col cuore, mentre ridevano come un tempo tra il silenzio di una lacrima -…non speravo che saresti venuta così presto…ci hai fatto una sorpresa bellissima! Davvero Lè…”
 
Lena: “allora spero mi sarà concesso ristorarmi un po’, magari vado a mettermi nel retro così non disturbo la gente qui che beve e mangia…tanto ricordo la strada…” – stava per avviarsi.
 
 
 
Ma l’amica fu più veloce di lei.
 
 
 
Anna: “no! Ehm…no, no resta…resta pu…pure qui con noi! – sembrava strana, agitata -…nel retro no! Non lo u…usiamo più! Ehm… - cercò l’appoggio di Giacomo, che però non capiva cosa Anna volesse dire -…vero amore?”
 
Il ragazzo la guardò stranito.
 
Giacomo: “non lo usciamo più? Ma se fino a poco fa siamo stati lì con…” – improvvisamente fu tutto chiaro anche a lui, ma fece una faccia così rossa che Lena intuì subito che forse c’era sotto qualcosa.
 
Qualcosa che magari lei non doveva sapere.
 
Lena: “ragazzi dai non fate i misteriosi! C’è qualcosa che non va? Certe volte siete proprio indecifrabili!”
 
 
 
Si avvicinò lento, a passo felpato, il proprietario della locanda Anselmo, uomo all’apparenza burbero e grossolano, ma in realtà comprensivo e gentile; aveva a cuore quei tre ragazzi cresciuti praticamente nel suo ostello ed era loro affezionato quasi come fossero figli suoi.
 
Perciò ora, uscito dal retro visibilmente scosso, si recò da Giacomo ed Anna, per una questione che li riguardava.
 
Anselmo: “Ragazzi dovete venire a dare una mano a mia figlia, pare che quella ragazza non voglia farsi toccare! – vide Lena -…Lena! Figliola cara! Come stai? Fatti guardare!”
 
La rossa contenta lo abbracciò.
 
 
 
Mentre Anna non sapeva cosa dire…
 
 
 
Anna: “vengo io Anselmo di là, forse di me si fiderà…” – Lena voleva partecipare con i suoi amici ed aiutarli, le pareva di aver capito che c’erano dei problemi con qualcuno e le avrebbe fatto piacere essere utile.
 
Lena: “volete che venga a darvi una mano?”
 
Anselmo: “se sai medicare bene le ferite alla schiena, credo proprio che abbiamo bisogno di te! Oppure Ju…” – Anna gli pestò il piede di colpo.
 
Anna: “oppure non importa! Lena deve riposarsi, Anselmo!” – lo guardò malissimo.
 
Anselmo: “ah già…dimenticavo questi piccoli particolari…” – ma Lena non la bevve e qualcosa, nei meandri sperduti del suo cuore, le fece sentire un profumo…un profumo che non poteva scordare.
 
Era come se la sua mente captasse la presenza di quella ninfa, di quel miele che aveva dato così tanto colore alla sua vita.
 
 
 
Lena: “Anna vengo con te.”
 
Anna: “no aspetta! – ma non servì a nulla, la rossa si incamminò verso il retro -…Lena aspetta!”
 
 
 
Camminava a passo spedito, senza sentire altri suoni se non il battito continuo e martellante del suo cuore.
 
Entrò nella piccola stanza del retro…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La figlia di Anselmo era impegnata a medicare una giovane sdraiata su un lettino, che sembrava molto smaniosa.
 
 
 
 
 
Ragazza: “ma diamine! Mi state facendo un male della miseria, signorina! Non sono mica un animale! Ho capito che dovete mettermi questi benedetti punti ma almeno trattatemi con un briciolo di delicat… - e poi tacque perché i suoi occhi incontrarono quelli di Lena, dopo Dio solo sa quanto tempo…-…Lena…”
 
Lena: “Julia… - era inerme, bloccata, ma sorrideva…sorrideva…-….Julia!”
 
 
 
Corse più che poteva su quel lettino dov’era sdraiata la mora e appena si sedette, l’altra si alzò e si strinsero, quasi con violenza per il desiderio troppo represso…
 
 
 
Non accade spesso di vedere il sole e la luna incontrarsi…
 
Ma questo sembrò accadere agli occhi commossi di Anna e Giacomo…quelle due anime si appartenevano, chiunque li avesse guardati lo avrebbe capito.
 
Non si può resistere all’amore, perché lui è più forte di qualsiasi tempesta, di qualsiasi forza, di qualsiasi energia; se esiste un paradiso in terra, Lena lo aveva ritrovato…era lì…la poteva stringere, la poteva accarezzare, come non ricordava…come non pensava potesse più esistere.
 
E finalmente quel bacio tanto atteso toccò le sue candide labbra…il tocco delle labbra di Julia fu come un soffio di vita che, tra passione e dolcezza, la risvegliò da quell’apatia in cui era piombata senza di lei.
 
 
 
 
 
 
 
“amore mio…mia piccola stella indifesa… - Julia ora le accarezzava il viso e la guardava in quegli occhioni limpidi -…sapessi quanto ho desiderato di rivederti…”
 
“Julia…la mia…la mia Julia… - e la baciò ancora, e ancora per poi stringersi al petto della mora come se al mondo non ci fosse altro riparo, come se tutto intorno fosse scomparso e ci fossero solo loro e quell’immensità del loro amore -…non mi lasciare…ti prego non mi lasciare mai più…”
 
“no piccola mia, no…non ti lascerò mai più e ti chiedo scusa per la sofferenza che ti ho dato…potrai mai perdonarmi?” – la teneva forte a sé.
 
“il mio cuore ti ha già perdonata… - poi si ricordò che Julia stava per essere medicata alla spalla o almeno così doveva essere, perché la mora era da un po’ che si lamentava a quanto pare! -…vuoi che ti medichi io? Ti fidi?”
 
“certo che mi fido, ma non preoccuparti la ragazza che c’era prima andrà benissimo! Non sporcarti le mani per un misero taglio…”
 
“eh no mia cara! – obbligò praticamente Julia a sdraiarsi di spalle e le alzò la leggera canottiera bianca -…devo già essere gelosa eh?”
 
“no! – sorrise -…no questo no! Solo…non volevo mi vedessi così…ecco perché avevo detto ad Anna e gli altri di non dirti che ero qui…”
 
“sei la solita pazza! Io non potrei mai fare a meno di te e voglio starti accanto…anche perché tu…tu hai bisogno di me! – le accarezzò le labbra -…sei come un bimbo! E non fai altro che fare i capricci! Quindi ora stai in silenzio e ti fai medicare come si deve Comandante!”
 
Ridevano insieme come se il tempo non le avesse mai divise…
 
Un amore così puro, eppure così contrastato…
 
 
 
 
 
 Ma una voce arrivò a spezzare quel piccolo angolo di paradiso.
 
 
 
 
 
 
 
Anna: “Julia! Julia alzati! – si precipitò verso le ragazze -…ALZATI TI HO DETTO!! MUOVITI!!”
 
Le due rimasero stupite.
 
Julia: “si può sapere ora che diamine succede?! Non si può avere mai un momento di pace qui!” – la cosa la innervosì e parecchio.
 
Lena osservava l’amica con un briciolo di paura negli occhi.
 
 
 
Anna: “devi andartene da qui! Devi nasconderti! Sono venuti a prenderti! Sanno che sei qui, non so come! Ma ci sono dei soldati qui fuori…”
 
Julia: “non preoccuparti i miei uomini sono dalla mia parte.” – sembrava tranquilla e la sua calma aiutava anche Lena.
 
 
 
Anna: “no. William ha provato a parlarci, ma pare che questi siano uomini mandati direttamente dal Duca! Se ti trovano ti uccid…” – non terminò la frase che…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Soldato: “eccola quella disgraziata! Prendetela!!!”
 
Una ciurma di soldati entrò nel retro, dopo aver attraversato l’intero locale e distrutto tavoli e sedie.
 
 
 
Giacomo, in men che non si dica, impugnò alcune spade che teneva nascoste lì accanto e le passò ai suoi amici, ed una a Julia che la prese al volo.
 
Si precipitarono contro di lei due uomini, ma la sua maestria bellica la aiutò, come sempre; riuscì a schivarli e a disarmarli prima che loro capissero che anche lei aveva una spada.
 
Anselmo faticava un po’ per l’età, ma anche lui riuscì a difendersi bene. Macchie di sangue si impressero sul pavimento, ma non c’erano morti.
 
Nessuno avrebbe più dovuto morire, questo si era promessa Julia.
 
 
 
Lena: “Julia attenta!” – la mora fece appena in tempo a voltarsi, ma non riuscì ad evitare un attacco di spada che le sfiorò il braccio, provocando per fortuna solo un superficiale taglio da cui uscirono gocce vermiglie.
 
 
 
Uno degli uomini entrati bloccò Anna per le spalle, prendendola come ostaggio; Giacomo, alla vista di ciò, si fermò.
 
Soldato: “bene miei cari! E ora se volete che la vostra amica respiri ancora… - puntò la spada al collo della giovane -…posate le armi! E tu Volkova vieni con me.”
 
Ma Julia sapeva bene che non avrebbero dovuto fidarsi, anche se Giacomo, pieno di paura per la sua innamorata, aveva già posato la spada.
 
 
 
Julia: “non mi avrai mai.” – e si voltò verso il lettino su cui giaceva poco prima, dando le spalle al nemico, per prendere qualcosa.
 
Soldato: “vedremo chi la vincerà cara Duchessa! – premette la spada sul collo di Anna, segnando un piccolo taglio che fece urlare la ragazza -…ti rispedirò all’inferno da cui provieni puttana!”
 
 
 
Giacomo non ce la fece più…
 
 
 
Giacomo: “lasciala bastardo!” – stava per buttarsi disarmato su quell’uomo arrogante, quando un freccia velocissima e inaspettata trapassò in un secondo il collo del soldato, che si accasciò a terra ingoiando il suo stesso sangue ed esalando l’ultimo respiro, lasciando libera Anna.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Era stata Julia, era stato il suo arco, teso da quegli occhi di falco.
 
 
 
Anna: “Giacomo!” – si strinse a lui, balbettando parole incomprensibili dettate dallo spavento.
 
Anche Lena corse dalla mora e la prese per mano, mentre tremava ancora di paura.
 
Lena: “dobbiamo scappare Julia! Andiamo!” – ma la compagna non si mosse.
 
Julia: “vai tu. Porta con te Anna e Giacomo. Io ho un conto in sospeso con questi bastardi. Hanno vinto una volta, non glielo permetterò ancora.”
 
 
 
Era ferma, sicura. Così sicura che non si accorse di un soldato alle sue spalle…
 
 
 
Soldato: “se non verrai tu con noi, allora sarà la tua amichetta a seguirci! – colpì Julia alla testa, che cadde a terra senza sensi e prese violentemente Lena, abbavagliandola e tirandola a sé -…ora vedremo se continuerete a fare gli sbruffoni! Forza ragazzi andiamo!”
 
E così uscirono e si incamminarono con Lena al seguito verso la grande piazza al centro, dove ardeva un enorme focolare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Passarono alcune ore, poi finalmente Julia aprì gli occhi…
 
 
 
Era distesa sul pavimento, con un braccio sanguinante e la spalla ancora da medicare; la camicia ormai era macchiata di rosso e il suo animo pieno di rabbia.
 
Sert: “Comandante come vi sentite?” – il suo sottoposto corse subito da lei, ma la ragazza non badò molto a quelle parole e alle sue ferite. Gli premeva ben altro.
 
Julia: “dov’è?”
 
Sert: “chi?”
 
Julia: “LENA DOV’E’?” – alzò la voce, era nervosa e inferocita come forse non lo era mai stata.
 
Giacomo sedeva lì accanto e porgendole il suo arco, cercò di placarla.
 
Giacomo: “l’hanno presa…ti hanno colpito alla testa e hanno preso Lena ed Anna… - era visibilmente sofferente, sembrava come se oltre ai suoi occhi anche il suo cuore lacrimasse -…e fuori…fuori stanno accendendo un grande focolare con dei patiboli…io…io tempo il peggio…”
 
La mora sbarrò gli occhi.
 
Julia: “cosa?? Ma cosa stai dicendo?? Che colpa hanno quelle due ragazze eh?! Che colpa hanno???” – nemmeno un uragano potrebbe avere tutta la forza che ora era in Julia.
 
Giacomo: “amano due traditori…questa è la colpa che hanno…”
 

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Capitolo 18
*** Per il mio cuore basta il tuo petto, per la tua libertà bastano le mie ali. (Neruda) ***


Era giunto il momento della resa dei conti.
 
Questa volta Julia l’aveva capito.
 
Doveva decidere una volta per tutte da che parte stare…la sua famiglia o quella gente. Suo padre, sua sorella oppure Lena.
 
E in mezzo a questa scelta c’era solo un uomo…un uomo disgraziato che ha avuto solo la fortuna di nascere primogenito, ma senza cuore e senza umanità. Suo fratello Victor.
 
 
 
 
 
 
 
Tutto stava accadendo troppo in fretta senza che Julia potesse nemmeno pensare.
 
 
 
 
 
 
 
La ragazza uscì dalla locanda più in fretta che poteva, prese l’arco che si cinse dietro la schiena e rinfoderò la spada nella guaina che aveva alla vita.
 
William Sert, l’unico soldato che ora aveva con sé, la guardava passivamente, come se anche lui ormai stremato si fosse arreso a chi invece aveva vinto; avevano vinto loro, i potenti, non c’era altro da fare; qualsiasi cosa sarebbe stata inutile.
 
 
 
 
 
Sert: “Comandante…perché non provate a parlare con vostro fratello? Ormai…- anche la sua voce era bassa, supplichevole, sfinita -…ormai non possiamo fare più nulla…”
 
 
 
Ma a quelle parole il feroce Comandante si votò e, con gli occhi infiammati da rabbia e dolore, si rivolse al sottoposto, sputando quasi la sua ira funesta.
 
Julia: “non ti azzardare mai più a dirmi una cosa del genere Sert. – il blu di quei bellissimi occhi era ora ghiaccio gelido, trapassavano l’anima del ragazzo che li osservava -…devo andare da lei. Devo salvarla. Devo…devo… - un’impercettibile lacrima stava ora nascendo -…devo farlo…perché lei…lei farebbe lo stesso per me…e poi io…io la amo… come non credevo possibile…come leggevo solo nei racconti d’amore dei trovatori che venivano a palazzo…e ora lo capisco…ora lo sento…”
 
 
 
 
 
William si impietosì a quelle parole, capì che davvero…davvero…per la prima volta in vita sua il Comandante…l’austero Comandante delle truppe ducali…provava un sentimento così forte…
 
Aveva conosciuto l’amore…
 
 
 
Qualsiasi parola ora sarebbe stata inutile, lo sapeva. E allora…tanto vale morire con onore e servendo il proprio Comandante, piuttosto che vivere nascosti per paura di essere uccisi.
 
 
 
Sert: “va bene Comandante. Capisco cosa…cosa volete dire…e spero di avere un giorno la fortuna che avete avuto voi…” – Julia lo guardò aggrottando la fronte.
 
Julia: “e che fortuna avrei io?” – non lo capiva.
 
Sert: “avete incontrato l’amore, mio Comandante…non a tutti è permesso…ci sono uomini che passano una vita intera a cercarlo nei meandri di un bosco, vagabondando per il mondo o nelle osterie…credendo che una prostituta possa dare quella carezza al cuore che tanto desiderano, anche più del piacere… - si avvicinò al Comandante -…altri invece lo rincorrono dopo che lo hanno perso, per loro causa o per volere del fato…voi… - poggiò le mani sulle forti spalle di Julia -…voi Comandante l’avete qui…e vi prego…vi prego in nome di tutti quelli che non lo troveranno mai e di chi l’ha perduto per sempre…non lasciatevelo sfuggire…ma rincorretelo…correte da lei…e rendetele la felicità che lei per prima vi ha donato…”
 
 
 
La mora non si aspettava quelle fraterne parole e, istintivamente, abbracciò il compagno. Un vero amico, ora era questo per lei William, e inconsapevolmente lo era sempre stato.
 
Julia: “andiamo amico mio, seguimi.”
 
Sert: “si!” – e dopo aver preso anche lui una spada da terra, uscirono dalla locanda.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dal patibolo.
 
 
 
“bene mie cari sudditi! Ho voluto riunirvi qui stasera…questa santa sera…per farvi capire quanto io tenga alla giustizia nella nostra terra! Non può esistere ladro che non punirò. E loro saranno le prime!”
 
Dei tamburi iniziarono a suonare veloci e forti, mentre due soldati portavano le condannate…Lena ed Anna…
 
La folla fermò il proprio respiro per un interminabile attimo…nessuno poteva controbattere, sapevano che avrebbero fatto la stessa fine; ma quelle due ragazze non avevano alcuna colpa, nessuna imputabile.
 
Tutti intuirono facilmente che, anche stavolta, il Duca aveva agito per questioni personali più che per la sua tanto decantata “giustizia”.
 
 
 
Una voce flebile e quasi spaventata rispose al Duca.
 
Ester: “fratello ma…perché devi condannare queste due ragazze? Io conosco Lena…e…non vedo…non vedo colpa in lei…”
 
Il fratello la interruppe con un sonoro ceffone.
 
Duca Victor: “sta zitta! – la ragazzina si carezzò dolente la guancia arrossata -…non permetterti mai più! Se oserai ancora intrometterti nelle mie decisioni avrai la loro stessa sorte! – poi si voltò ai suoi legionari -…soldati legate le condannate!”
 
I due militi, legarono i polsi delle ragazze e le spinsero fin sul patibolo, quasi trascinandole, dove le attendeva il boia; sarebbero state impiccate per tradimento.
 
 
 
 
 
 
 
La piccola Ester versava silenziose lacrime per Lena, l’aveva conosciuta nel suo soggiorno a palazzo e le voleva bene…poi…poi era l’unica che le parlasse della sua adorata sorella Julia…
 
Con altri era impossibile nominarne anche solo il nome; era come se Victor volesse cancellarla dalla memoria della gente e dei suoi stessi famigliari.
 
Così la bimba si avvicinò piano al padre e, prendendogli la mano, gli sussurrò piano…
 
“padre…almeno voi…provate…voi potete fermare Victor… - pregava il padre con occhi lucidi e cuore dilaniato -…vi prego…fatelo per Julia…”
 
A quelle parole il vecchio Duca Erman, alzò gli occhi alla figlioletta e riattraversò con la memoria tutti i momenti passati con la sua primogenita…con quella figlia che tanto amava, più di chiunque altro.
 
Il cuore gli sussultò in petto…
 
 
 
Ripensò a quando nacque Ester, a come Julia si sentisse in dovere di essere da esempio per lei, come quando la prese tra le braccia la prima volta e, piano disse in un giorno d’estate di molti anni addietro…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“questa creatura, padre, è indifesa come un uccellino…sarò io ad insegnarle a volare e mi farò cespuglio, perché se cada non si faccia male, ma possa provare di nuovo…fino a quando non avrà più bisogno di me e spiccherà il suo volo, lasciandomi a terra ad ammirarla...”
 
 
 
 
 
 
 
E al tornar alla mente di quelle parole, anche dagli occhi di Erman sgorgarono gocce silenziose, che però la piccola Ester non vide.
 
 
 
Poi con amore paterno si rivolse alla sua piccolina…
 
“tesoro mio…non possiamo fare niente per Lena e la sua amica…tu torna dentro il palazzo, comincia a fare freddo qui, forza…” - iniziò a nevicare, ma non faceva poi freddissimo; Erman non voleva che sua figlia assistesse a quella scena di morte.
 
Così Ester, ormai scoraggiata, decise di seguire il consiglio del padre, quando…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ester: “padre l’ho vista!” – la bimba spalancò gli occhi, increduli e strinse più forte la mano del genitore amorevole.
 
Duca Erman: “cosa c’è…cosa hai visto bambina mia?”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Intanto tra la folla…
 
 
 
 
 
“cosa dite di fare Comandante ora?” – un uomo incappucciato parlava quasi a bisbigli, per non farsi udire da altri.
 
“credo che mia sorella mi abbia visto.”
 
“cosa?? E adesso??” – Sert iniziò a preoccuparsi, mentre fiocchi piccoli di neve si posavano sui loro cappucci talari.
 
“le ho fatto segno di tacere. Ed ora farò quello che avrei dovuto fare molto tempo fa.” – la ragazza era più ferma e decisa del compagno ed impugnò lenta una freccia affilata.
 
L’amico se ne accorse subito e bloccò prontamente la mano della giovane.
 
“no! Non fatelo…o qui si scatenerà il putiferio…non potete uccidere così vostro fratello!”
 
“credi forse che voglia vedere Lena morire?? Lasciami fare Sert!” – si tolse l’arco dalle spalle e, cercando di fare meno rumore possibile caricò.
 
 
 
 
 
 
 
Il dardo era puntato dritto al viso del fratello…lo avrebbe ferito mortalmente, non ci sarebbe stato niente da fare per lui…
 
 
 
 
 
 
 
Tutto era pronto e perfetto…
 
 
 
 
 
 
 
L’attimo giusto…
 
 
 
 
 
 
 
Il vento assente…
 
 
 
 
 
 
 
Era impossibile sbagliare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Eppure senza nemmeno sapere perché, la mora rimase imbambolata senza scoccare…
 
Ferma in posizione da tiro, come se la sua coscienza detenesse il potere sulle sue dita e non le permettesse di far partire quella freccia…suo fratello, avrebbe ucciso suo fratello…fratricidio.
 
Odiava quell’uomo…che in comune con lei aveva solo il sangue; eppure qualcosa di molto simile ad un sottile affetto bloccò inspiegabilmente la sua mano…
 
 
 
 
 
E questa debolezza fu letale…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ferdinand, Comandante dell’esercito ducale in carica, si accorse di un movimento sospetto e correndo raggiunse quel presunto prete, con il cappuccio fin sulla testa che…
 
 
 
Ferdinand: “padre ma cosa… - intravide l’arco -…cosa ci fate con un arco puntato e per di più verso il nostro Duca! Dovresti parlare dell’amore di Dio e invece stavate per uccidere un uomo! Soldati prendetelo!” – tre militi si addensarono contro il malcapitato che però, nonostante le percosse che stava avendo, non lasciava l’arco.
 
 
 
Soldato: “sporco monaco traditore! Volevi uccidere chi ti sfama! Ora vedrai che fine ti toccherà! Toglietegli quell’arma!”
 
Julia: “NO!” – e dimenandosi con tutta la rabbia che aveva in corpo riuscì a non farsela sottrarre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il cappuccio cadde, quei corti capelli neri e lucenti furono bagnati dalla fioca neve…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ester: “Julia!!” – la bambina gridò forte il nome della sorella, sicura ora che fosse lei.
 
Lena: “…Ju…Julia…” – legata com’era, anche Lena riconobbe la sua amata e un sospiro uscì dalle sue labbra nel pronunciarne il nome, mentre le forze iniziavano ad abbandonarla.
 
Anna era già svenuta per il dolore e si accasciò a terra, mentre la piazza era in subbuglio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Victor, infuriato com’era verso quei bravi a nulla dei suoi uomini che non riuscivano in tre a tener testa alla sorella, si guardò velocemente intorno e capendo che nessuno lo avrebbe più difeso, afferrò una spada.
 
Il popolo ormai era schierato…
 
Anche Giacomo era tra la folla e si avvicinò subito a Julia, appena la vide, come fecero tutti i soldati, tutti tranne Ferdinand e pochi altri.
 
 
 
Giacomo: “Julia colpiscilo! Ora!”
 
Uomo dalla folla: “sì, uccidetelo! Uccidetelo!”
 
Sert, Giacomo e gli altri allontanarono le guardie ancora dalla parte del Duca, proteggendo anche Julia, che però non fece in tempo a indirizzare la freccia che aveva in mano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Victor tagliò la corda che legava Lena e la prese, stringendola forte al suo petto per poi puntarle la lama alla gola.
 
Ogni rumore cessò, insieme al battito del cuore di Julia.
 
 
 
Julia: “lasciala stare! È me che vuoi! – si avvicinò piano – mi avrai!…ma lei non c’entra niente…”
 
Duca Victor: “lei…LEI! – e premette di più la lama -…lei è la causa dei nostri problemi…e tu…tu sorella…come una pazza senza ragione ti sei lasciata abbindolare dalla sua provocante bellezza… - iniziò a toccare Lena tra le gambe, mentre la rossa tentava di dimenarsi -…potevi semplicemente averla…divertirti con lei…e invece no! Le hai permesso di impossessarsi di te e hai mandato in rovina la nostra famiglia! Per lei! Per una sporca puttana!”
 
 
 
La mora non ci vedeva più e corse verso il fratello, salendo sul patibolo.
 
Julia: “non ti permettere mai più! Lasciala ti ho detto!”
 
 
 
Poi gli occhi delle due giovani si incontrarono, come per stringere ancora di più quella catena che inevitabilmente le univa e le avrebbe unite sempre. L’una non poteva fare a meno dell’altra…sarebbe stato sempre così, lo sapevano.
 
Lena: “Julia…Julia…salvati…salvati amore mio…” – balbettava lenta, non aveva più forze.
 
A occhi lucidi Julia impugnò l’arco, stavolta decisa ad uccidere quell’ignobile verme.
 
E tese l’arco…
 
 
 
 
 
 
 
Duca Victor: “uccidimi. E lei verrà con me all’inferno.” – e puntò, con ferma decisione, la spada sul cuore della rossa, quasi svenuta ormai.
 
I sentimenti che attanagliarono l’anima di Julia non si possono descrivere, il turbine, la tempesta, il dolore…
 
Era come se quella spada fosse indirizzata anche al suo di cuore…
 
Perché se moriva Lena che senso avrebbe avuto vivere…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Così la mora, con quel briciolo di forze che le restava, alzò gli occhi al fratello senza rancore né sete di vendetta, disarmata nell’anima. L’unica cosa che contava ora era che Lena non fosse uccisa…solo questo.
 
Julia: “farò qualsiasi cosa se le risparmierai la vita…ti prego…” - e così dicendo si inginocchiò, sottomettendosi con somma umiltà.
 
Il fratello la fissava quasi divertito.
 
Duca Victor: “bene sorella! Ora sì che mi piaci! – rideva insensatamente -…per prima cosa lascia il tuo arco. Poggialo a terra, lo prenderà Ferdinand.”
 
 
 
 
 
La gente implorava la ragazza di non farlo, di non lasciarsi assoggettare così, anche Giacomo e Sert urlavano alla loro compagna.
 
Giacomo: “non farlo Julia! Non farlo!”
 
Sert: “uccidetelo Comandante!”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ma era inutile, Julia lo aveva già posato a terra; per quanto le costasse separarsene…
 
Quell’arco era la sua vita, lo specchio della sua anima, così lo definiva.
 
Ma Lena…la vita di Lena contava più di tutto, più di ogni cosa…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ferdinand prese l’arma e il dardo che aveva, per poi guardare con sguardo d’intesa il Duca, che con un ghigno si rivolse alla sorella.
 
Julia: “fratello…ho fatto quello che mi hai detto…ora libera Lena…è ferita! Devo curarla!” – era così preoccupata per la sua innamorata che non si accorse di Ferdinand che le puntò alla schiena la freccia del suo stesso arco.
 
 
 
 
 
 
 
Duca Victor: “c’è un’altra cosa che devi fare per me, cara sorella, e poi sarai libera come anche la tua amichetta…” – il suo sguardo perverso incrociò la purezza degli occhi di Julia.
 
Julia: “cos’altro devo fare?”
 
Duca Victor: “devi morire.” – e appena il Duca parlò, Ferdinand scoccò quella dannata freccia che si conficcò nella schiena di Julia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La mora si accasciò a terra, il sangue sulla casacca scura, gli occhi inespressivi, la voce strozzata da sospirati lamenti di estremo dolore…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Julia!!” – come se si fosse svegliata da un tormentato sogno, Lena riprese le forze e, agitandosi più che poté, si staccò da Victor che la teneva tanto stretta. Ma non così tanto da fermare l’amore…
 
 
 
In men che non si dica il popolo si inferocì e scavalcando i soldati di guardia, attraversò l’imponente piazzale, tra grida e fracassanti rumori; ognuno impugnò ciò che trovava, che fossero armi o oggetti grossolani.
 
I soldati furono sbaragliati, ed arrivarono fino al patibolo inghiottendo nella loro rabbia chi aveva abusato di loro e della loro fragilità.
 
Uno stato è fatto dal suo popolo, non da chi lo vuole governare per forza.
 
E anche dalla rabbia può nascere un fiore…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Giacomo corse, nel subbuglio, da Anna e la prese in braccio, tenendola forte.
 
Anche Sert si avvicinò alla ragazza.
 
Giacomo: “William io vado in un rifugio sicuro, devo medicare Anna…appena potete raggiungeteci lì!”
 
Sert: “vedrò di fare prima possibile, qui credo che le cose si stiano sistemando, finalmente…”
 
 
 
E William aveva ragione.
 
La folla aveva travolto tutto e dopo aver preso e malmenato Victor, Ferdinand e gli altri traditori, li avevano rinchiusi nell’imponente prigione di palazzo Volkova, in attesa di decidere cosa farne.
 
 
 
Finalmente ora ci sarebbe stata davvero un po’ di giustizia…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Poche ore dopo…notte inoltrata…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Casa di Lena.
 
 
 
Un uomo malvestito tiene per mano una bambina e timidi bussano alla porta di casa di Lena; Teresa, la madre, si appresta ad aprire, anche se non immagina chi possa essere, non aspettando visite e preoccupata per ben altro.
 
Teresa: “salve buon uomo, cercate qualcuno?” – gentile e cordiale.
 
Uomo: “vorrei…vorrei solo…” – ma non riuscì a terminare la frase che scoppiò in un pianto disperato e troppo a lungo represso.
 
Così fu la piccola bimba che, tenendo più forte la mano del padre, rispose alla gentile signora.
 
Bimba: “vi prego buona signora…noi vorremo solo sapere come…come sta la mia adorata sorellina?” – anche lei aveva gli occhi molto lucidi.
 
Teresa: “oh Ester sei tu! – abbracciò la piccola -…non vi avevo riconosciuti in questi abiti da popolani, entrate forza! O prenderete freddo, prego!”
 
Fede accomodare i due e offrì loro subito qualcosa di caldo; fuori iniziava a far freddo davvero, ci sarebbe stata un forte gelata quella notte.
 
 
 
Ester: “Teresa potrei andare da mia sorella?” – chiese senza neanche bere, desiderosa solo di rivedere Julia.
 
Teresa: “aspetta…prima credo che tu e tuo padre dobbiate conoscere qualcuno…- sorrise agli ospiti -…qualcuno a cui, sono sicura, donerete tutto il vostro affetto…”
 
Erman continuava a lacrimare, il cuore sembrava gli stesse scoppiando in petto…sua figlia, stava rischiando di perderla per sempre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nella stanza di Lena…
 
 
 
Padre Marco era subito accorso a casa di Lena e Teresa, dopo il tumulto in paese; Julia aveva bisogno di essere curata e qualcuno doveva estrarle la freccia, senza ucciderla. Poteva morire dissanguata, e il dardo aveva inoltre toccato punti cruciali.
 
Dopo ore di estrema agonia, il parroco tolse la freccia riuscendo, Dio solo sa come, a fermare l’emorragia.
 
Un angelo doveva aver intercesso per la mora…
 
E forse quella notte le aveva ridato la vita…e l’amore…
 
 
 
 
 
Dopo una vita vissuta tra sbagli e superbia, si può cambiare e riprendere in mano le redini del proprio destino…non è mai troppo tardi…la vita non si può arrendere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Padre Marco: “ha bisogno di riposo ora. Lena…devi starle vicino…”
 
La rossa, commossa, stringeva forte la mano dell’altra mentre era in ginocchio al bordo del letto.
 
Lena: “lo farò Padre…per tutta la vita…” – guardava la mora con immenso amore…con devozione e rispetto sinceri per quello che aveva fatto. Era cambiata…e lei in cuor suo lo aveva sempre saputo. Era questa la vera Julia e lei l’amava…dal profondo…
 
 
 
 
 
Padre Marco: “ti confesso che sono sempre stato scettico sulla vostra unione… - parlò con sincerità alla ragazza -…due donne…in un piccolo borgo come questo…per di più lei…sempre così dura e intollerante verso noi…ma ora…ora vedo quello che siete veramente e…Lena…vi auguro di essere felici…e vi benedico in questa Santa notte… - poggiò una mano sulla fronte di Lena e l’altra sulla fronte di Julia, che dormiva beata -…vi benedico nel nome di Dio…che nessuno osi separare ciò che Lui, per suo disegno, unisce…”
 
A quelle parole Julia, inconsciamente, strinse più forte la mano di Lena…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nella stanza adiacente, Teresa torna sorridente dai suoi due nobili ospiti, stringendo tra le mani una piccola creatura di qualche mese con dei grandi occhioni azzurri…
 
 
 
Erman si alzò in piedi, capì subito…
 
 
 
Ester: “che bella bimba! Come si chiama?”
 
Teresa si avvicinò ad Erman e, senza che ci fossero bisogno di parole, lui prese tra le sue possenti braccia quella piccola bambina…erano proprio simili…e il suo cuore riprese respiro quando poté finalmente cullarla sul suo petto.
 
Erman: “Ester…questa bellissima bambina…fa parte della nostra famiglia…” – sorrideva come non gli accadeva da tempo, fra mille lacrime di gioia.
 
Ester: “e perché padre? È forse una mia lontana cugina? O una nuova sorellina?” – era super curiosa! E voleva già bene a quella fragile creatura inerme…
 
Erman: “guarda… - si chinò ad Ester, per far sì che anche lei la vedesse bene -…lei si chiama Bernadette…è più piccola di te e per questo tu devi proteggerla e aiutarla a crescere…e a volare…” – ripensò alle parole di Julia.
 
Era come se ora la scena si ripetesse…
 
Ester: “allora lei è una mia sorellina!”
 
Erman: “no…la sua mamma era la tua sorellina…purtroppo non hai potuto conoscerla…altrimenti sono sicuro che…che le avresti voluto bene tanto quanto ne vuoi a Julia…” – soffriva a parlarne, ma sapeva che era la cosa giusta e che Ester aveva diritto, anche se era piccola, di sapere.
 
La bambina alzò gli occhi al soffitto, come se stesse cercando di fare dei collegamenti e, dopo aver capito, gridò piena di gioia!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Lena…” – una flebile voce si udì nella stanza fredda, ma calda d’amore.
 
La rossa scattò al suono di quella dolce melodia che era la soave voce della sua compagna, appena sveglia.
 
“Julia! Amore mio…che sia ringraziato il cielo…io…io…” – balbettava, vinta dall’emozione.
 
“non dire niente…” – e mettendosi a sedere, con un po’ di fatica, prese il volto dell’altra tra le mani e le diede un bacio pieno di passione sulle labbra…il primo di una lunga serie…
 
 
 
Baci troppo spesso fermati, sussurrati, scritti…
 
 
 
“potrei abusare di te…lo sapete Comandante?” – sorrideva Lena, prendendola in giro.
 
“lo so e…non potrei che sottostare! – ridevano felici -…sapessi quanto mi sei mancata…credo di averti sognata…anzi…credevo fosse tutto un grande sogno…io, Victor, poi…poi ho visto te…la tua mano tesa verso di me…non c’era luce, era tutto buio…e io sapevo di meritarlo quel buio…ma poi un angelo è venuto a me…eri tu, eri tu quell’angelo…e afferrando la tua mano io…io sono tornata a vivere…”
 
Lena non riuscì a dire altro e poggiò la testa sul petto di Julia, desiderosa solo di sentirla lì…voleva sapere che stava bene e che era lì, con lei…
 
 
 
Erano insieme…solo questo…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Voce squillante: “Julia Julia!!!!”
 
Tutta ridendo e gridando, Ester spalanca la porta di camera di Lena, trovandosi le due ragazze strette…Julia semisdraiata sul letto e Lena con il viso poggiato al petto della mora e le mani intrecciate tra loro.
 
Julia: “Ester! Ti sembra questo il modo di entrare?” – finse di rimproverarla.
 
Ester: “ehm…scusa…scusatemi tanto io…” – iniziava a sentirsi in colpa davvero.
 
Julia: “vieni qui piccola peste! – la piccolina non se lo fece ripetere due volte e corse ad abbracciarla! -…sapessi quanto mi sei mancata! Devi raccontarmi tutto quello che hai fatto senza me!”
 
Poi la bimba prese frettolosamente una borsa che aveva cautamente portato con sé, con grande attenzione, e vi estrasse un fagotto, mal impacchettato.
 
Ester: “questo è per te Jul! Buon Natale!” – la mora guardò la sorella perplessa e poi anche Lena.
 
 
 
Si erano tutti dimenticati, nel disordine generale, di che notte speciale quella fosse…
 
 
 
 
 
 
 
Ma i bambini, chissà perché, lo ricordano sempre!
 
 
 
 
 
Julia: “ehm…grazie Ester io…perdonami ma non…non ho nulla da regalarti…avevo dimenticato il Natale…”
 
Ester: “non fa niente! Aprilo! Sono sicura che ti piacerà tanto!”
 
Lena: “dai Ju apri!” – erano tutti curiosi di sapere cosa fosse; intanto anche Erman, con in braccio la piccola Bernadette, e Teresa erano entrati nella stanza.
 
 
 
La mora scartò velocemente il regalo e fu profondamente meravigliata quando vide…
 
 
 
 
 
 
 
Ester: “ti piace?” – tutta speranzosa.
 
Julia intristì un attimo gli occhi.
 
Lena: “un arco tutto intagliato…wow! È veramente bello…solo che…” – anche Lena si incupì un po’.
 
 
 
Julia: “Ester…- abbracciò forte la sorellina -…grazie…è bellissimo…ma…ma io non posso più usare bene l’arco…vedi…sono stata colpita alla schiena e purtroppo il braccio mi farà sempre un po’ male…”
 
Ester: “non potrai più mirare o allenarti? – si spense un po’ anche la sua allegria -…allora è stato inutile il mio regalo…”
 
Julia: “no! No Ester! È bellissimo e…se vorrai…ti insegnerò ad usarlo…così potrai allenarti tu al posto mio e ti insegnerò ogni trucco!”
 
Ester: “davvero? Grazie! Sarebbe bellissimo! Grazie! Che bello…non vedo l’ora! – lasciò la mano di Julia per andare da Lena -…e questo è per te!”
 
Lena: “grazie…cosa sarà? – scarta il suo regalo -…un anello! È molto bello Ester! Grazie…” – baciò affettuosa la ragazzina.
 
 
 
Julia: “Lena io…non posso regalarti nulla perché non…non stavo pensando a questa festa…e…niente…scusami…”
 
La rossa subito tornò da Julia e poggiando un delicato bacio su quelle labbra perfette la azzittì, perché non è un regalo incartato che voleva dalla mora ma qualcosa di molto più prezioso…
 
 
 
Proprio in quell’attimo, un piccolo pianto interruppe quel bacio…
 
 
 
Era Bernadette, la piccolina, che piangeva perché forse iniziava ad aver fame, nonostante fosse notte fonda ormai.
 
Julia si voltò istintivamente e quello che vide le diede ulteriore gioia…suo padre che stringeva forte tra le braccia la nipotina…
 
 
 
Erman: “ciao Julia…sono…sono felice di vedere che stai bene…non sai quanto ho temuto di perderti…e visto…- si guardò attorno -…visto che ci siamo tutti io…vorrei dire…vorrei chiedere scusa ai miei figli…a loro più che a chiunque altro…perché vi ho tenuta nascosta una sorella che purtroppo non c’è più e a lei va la mia preghiera in questo Santo Natale…e poi voglio ringraziarla perché…ci ha dato Bernadette, questo piccolo angioletto che spero…cresceremo tutti insieme… - si avvicinò al letto di Julia…-…torna a casa Jul…ricominciamo…dammi un’altra possibilità…”
 
La mora osservava sorridente Bernadette e un groppo in gola le serrò ogni parola.
 
 
 
 
 
Ora non era sola…non più…
 
 
 
Lena: “signor Duca…” – ma l’uomo la interruppe.
 
Erman: “ti prego chiamami soltanto Erman…da oggi non esiste nessun Duca Erman…saranno le mie figlie a scegliere cosa farne del nostro titolo e del nostro patrimonio…e sono sicuro faranno scelte molto più sagge delle mie e di quelle di mio figlio…”
 
 
 
 
 
Julia: “padre.” – lo guardava duramente.
 
Erman: “dimmi figlia mia…” – lui invece, con divina commozione, sperava in un gesto affettuoso.
 
Julia: “abbracciatemi…” – non ci furono parole più desiderate durante tutta la vita di Erman.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Quando Ester ormai era stremata dal sonno, Erman decise di far ritorno a palazzo e così salutarono quella dolce famigliola di cui anche la sua Julia ora faceva parte e ne era felice…
 
Ester continuava a ripetersi che ora era zia e che avrebbe premurosamente badato alla sua cara nipotina! Rideva e sorrideva sempre!
 
Teresa accompagnò la neonata a palazzo, dove avrebbe vissuto di diritto d’ora in poi con le cure di questa gentile signora, che fu assunta da Erman come balia, e forse non solo per questo…tra i due c’era un certo feeling che li rincuorò nella loro matura età.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Quel Natale fu indimenticabile per tutti…soprattutto per due ragazze che da quella notte si amarono per sempre, vivendo ognuna nella vita dell’altra e rendendo ogni giorno più vivo e sereno, pieno di piccoli gesti d’immenso amore…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“voglio alzarmi a vedere la neve…” – lo disse, ma in realtà si era già alzata.
 
“però non sforzarti troppo, l’ha detto Padre Marco!” – Lena la raggiunse alla finestra e le si mise davanti, per essere abbracciata e protetta come solo Julia poteva fare.
 
“Lena…ricordi come iniziò tra noi?” – e infatti la strinse, delicata e forte.
 
“certo che lo ricordo Jul…tu eri talmente bella che la prima volta che ti guardai mi annullai nei tuoi occhi, perdendomi…” – la rossa si era voltata piano, verso il viso dell’altra.
 
“questo è il regalo che ti faccio stanotte amore mio…tutta la mia vita con te…ogni singolo istante…tu…ogni mio giorno…- e un leggero bacio le unì -…ti ho amato da sempre…prima ancora di sapere come ti chiamassi…e per tutta la vita non posso far altro che continuare ad amarti…”
 
“Julia…ti amo anch’io…con tutta l’anima…” – e la passione invase quei due corpi così pieni d’amore, che per tutta la notte diedero l’una a l’altra il nocciolo della vita…ricordando per sempre quel felice Natale innevato …
 

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