New dawn

di karman
(/viewuser.php?uid=104356)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuovo inizio ***
Capitolo 2: *** "ma siamo sicuri?" ***
Capitolo 3: *** “Un primo sguardo” ***
Capitolo 4: *** “ Avvicinamenti” ***
Capitolo 5: *** “Non ancora..” ***
Capitolo 6: *** “Amici???” ***
Capitolo 7: *** “Nella fossa dei leoni” ***
Capitolo 8: *** “Calma apparente” ***
Capitolo 9: *** “Crollo!” ***
Capitolo 10: *** “Mi prenderò cura di te” ***
Capitolo 11: *** “Stammi solo vicino” ***
Capitolo 12: *** “Rivelazioni inconsapevoli” ***
Capitolo 13: *** “Brutto tempo, brutte notizie” ***
Capitolo 14: *** “Ti voglio raccontare una parte di me” ***
Capitolo 15: *** “Un momento per me” ***
Capitolo 16: *** “Indifferenza” ***
Capitolo 17: *** “Gelosie e chiarimenti” ***
Capitolo 18: *** “Un regalo da raccontare” ***
Capitolo 19: *** “Coppia perfetta” ***
Capitolo 20: *** “Conoscenze” ***
Capitolo 21: *** “Fiducia” ***
Capitolo 22: *** “Normalità e complicazioni” ***
Capitolo 23: *** “Uno spazio tutto mio” ***
Capitolo 24: *** “Pensieri per te…per noi” ***
Capitolo 25: *** “Ad un passo da… noi” ***
Capitolo 26: *** “Rosalie” ***
Capitolo 27: *** “E’ così evidente?” ***
Capitolo 28: *** “Ritorno” ***
Capitolo 29: *** “Carlise, Esme e Charlie” ***
Capitolo 30: *** “Un gesto così semplice…ma così profondo” ***
Capitolo 31: *** “Famiglia” ***
Capitolo 32: *** “Contatti” ***
Capitolo 33: *** “Dolci intermezzi” ***
Capitolo 34: *** “La Push” ***
Capitolo 35: *** “Il passato…di nuovo” ***
Capitolo 36: *** “Devo pensare a te” ***
Capitolo 37: *** “Piccole distanze” ***
Capitolo 38: *** “Altre novità” ***
Capitolo 39: *** “Fine d’anno” ***
Capitolo 40: *** “Prime verità” ***
Capitolo 41: *** “ Timori infondati?” ***
Capitolo 42: *** “Sola” ***
Capitolo 43: *** “Invisibile” ***
Capitolo 44: *** “Silenzi” ***
Capitolo 45: *** “ Supposizioni” ***
Capitolo 46: *** “Tu non puoi capire...” ***
Capitolo 47: *** “Ora lo sai” ***
Capitolo 48: *** “Noi…” ***
Capitolo 49: *** “Confidenze” ***
Capitolo 50: *** “Allo scoperto” ***
Capitolo 51: *** “Interruzioni: prima parte” ***
Capitolo 52: *** “Interruzioni: seconda parte” ***
Capitolo 53: *** “In ogni istante….noi” ***
Capitolo 54: *** “Only love” ***
Capitolo 55: *** “Quotidianità e progetti” ***
Capitolo 56: *** Avviso ***



Capitolo 1
*** Nuovo inizio ***


Capitolo 1

“Nuovo inizio”

 

Ero pronta per ricominciare. 

Ma lo ero veramente?

In realtà forse stavo solo scappando, dal mio Paese, dal mio lavoro, dalla mia storia.

Ma ne avevo bisogno.

Sentivo la necessità di resettare tutto e ripartire.

Cercando di non pensare a tutto quello che avevo vissuto negli ultimi anni e soprattutto mesi, alle delusioni, al dolore fisico ed emotivo che avevo provato.

Tutto per colpa sua? No, non credo.

I fossi si fanno con due rive, di questo ero certa, ed io lo avevo amato troppo, talmente tanto da farmi accecare dai sentimenti e non riuscire a vedere come era invece la realtà.

E ora che ci avevo sbattuto il naso, avevo deciso il mio modo di affrontarla.

Scappare.

Per cercare di dimenticare, per cercare di non pensare. O forse solo per piangermi addosso, ma almeno avevo fatto un cambiamento rispetto agli ultimi squallidi e fermentati mesi nella mia cittadina.

Questi erano i miei pensieri mentre attendevo il mio bagaglio all’aeroporto di Londra, guardando le goccioline di pioggia che si abbattevano sulle vetrate. Io, Isabella Swan, orgogliosa insegnante di scuola primaria, mi ero buttata a capofitto in questa avventura.

Avevo deciso di chiedere un trasferimento come insegnante per gli americani all’estero e avevo deciso di cimentarmi con i ragazzi delle scuole secondarie, abbandonando la mia oramai rassicurante realtà con i bambini più piccoli. Ma a trent’anni e con un passato da cancellare o si faceva in quel momento un passo o così, o mai più.

E così dopo quintali di documenti, iscrizioni e domande avevo accettato di trasferirmi in un paese alle porte di Londra dove avrei “tentato” per la prima volta di insegnare materie umanistiche ad un gruppo di ragazzi americani, che per il lavoro dei propri genitori si erano dovuti trasferire in Inghilterra, alcuni anche da parecchi anni. Ero stata contattata, anche a seguito delle mie numerose domande, direttamente dalla preside, che aveva accettato il mio incarico a detta sua principalmente per il mio interesse verso la storia europea e per il fatto che a trent’anni non avessi una famiglia e quindi niente complicazioni.

Sadica eh! Forse però era quello che ci voleva per me.

E così in fretta e furia alla fine di Agosto ero partita per la mia muova casa, salutando mio padre con il quale vivevo a Forks, piccola e sperduta cittadina della penisola di Olimpia e la mia adorata mamma, trasferitasi con il suo nuovo marito nell’assolata Jacksonville.

Mi sono sempre chiesta cosa mi ha spinto all’età di quattordici anni ad abbandonare la casa di mia madre e andare a vivere con mio padre. Ma dopo i primi momenti d’imbarazzo e le piccole incomprensioni sono stata felice della mia scelta. Voglio bene a mia madre, ma ora posso dire di adorare indiscutibilmente mio padre, che ha fatto di tutto perché mi potessi laureare in storia e filosofia a Seattle, e che poi ha accettato il mio lavoro nella Forks primary school.

In realtà sono stati gli anni più belli…l’università, il lavoro come baby-sitter e poi come supplente per guadagnare abbastanza soldi per mantenermi all’università e poi….l’incontro con lui. L’uomo che mi aveva cambiato la vita, la persona che credevo di aver amato sopra a ogni cosa, che mi aveva ferito e dal quale mi stavo allontanando. Ma nulla di quello che avevo fatto negli ultimi quindici anni a Forks, era stato motivo di rammarico, nonostante tutto.

Presi un taxi e diedi all’autista le indicazioni:

«Trinity Istitute of American’s Child per favore», feci mente locale del percorso perché se fossi rimasta qui, avrei dovuto alla fine far arrivare un’auto o acquistarla. Anche perché non avevo idea di dove avrei potuto alloggiare né tantomeno quanto sarei distata da Londra. Avevo scelto l’Inghilterra perché da sempre adoravo questo paese e in più il clima mi avrebbe aiutato a mantenere un legame con la mia Forks!

Dopo circa quaranta minuti il taxi rallentò di fronte ad una tenuta verdeggiante. Eravamo molto fuori dalla città e avrei potuto scommettere sul fatto che il paese confinante con la scuola non contasse più di 30-40 abitazioni..ma andava bene così, per il momento era molto meglio stare bassi di tono. Ero qui per ricominciare e non per fare baldoria, quindi anche un piccolo paesino sarebbe rientrato nei miei gusti.

Il taxi si fermò davanti ad un grande cancello di ferro battuto circondato da edera rampicante e rose selvatiche. “ Beh tipicamente inglese..” pensai fra me.

« Signorina la accompagno al cortile?» mi domandò l’autista.

« No, grazie dovrei farcela da sola», In realtà non mi andava di fare un’entrata trionfale il primo giorno, pur non sapendo chi avrei trovato nell’istituito gli ultimi giorni di estate.

Il cielo si era leggermente rischiarato, e la temperatura era leggermente afosa, forse per l’umidità scatenata dalla pioggerella che fino a quel momento era scesa. Per fortuna viaggiavo sempre con jeans e giubbino impermeabile e non mi lasciavo scoraggiare da due gocce d’acqua. La maggior parte dei miei amici di scuola, poi di college, non vedevano l’ora di trovarsi impieghi al caldo. Io invece ero passata dalla padella nella brace!

Avanzai camminando velocemente, trascinando le mie valige ed entrai nel grande cortile della scuola. Vi si affacciavano tre edifici e potevo scorgerne altri due sullo sfondo. Ma quanto era grande questa scuola? Pensavo che gli studenti fossero solo qualche centinaio! Iniziai a guardarmi intorno cercando di orientarmi.

« Sembra un po’ spaesata – una voce alle mie spalle – sta cercando qualcuno? » Un ragazzo alto con la pelle olivastra e i capelli neri troneggiava a fianco a me: aveva una muscolatura notevole e un bel sorriso, ma mi colpì il suo accento americano:

« Sto cercando gli uffici e la presidenza. Dovrei prendere servizio qui»

« Lei è la nuova insegnante?»

« Sì, Isabella Swan » gli porsi la mano per salutarlo e lui ricambiò la stretta molto calorosamente:

« Jacob Black piacere, io mi occupo dell’organizzazione, sono si può dire una specie di custode.»

« Ah bene mi può dare le indicazioni che cerco?»

« Sì certo, ma può darmi del tu se vuole».

Era molto gentile e il sorriso che mi aveva riservato mi fece pensare. Non è che ci sta provando? Ma perché dovevo sempre vedere il doppio senso in tutto! In fondo non ero una donna così attraente e anche in passato avevo avuto un solo uomo….. e dalli di nuovo stavo ritornando alla mia vecchia vita.

« Ehi tutto bene? »

Mi ridestai improvvisamente ringraziandolo e ripetendo la mia necessità di trovare la presidenza.

« È nel fabbricato più grande. Lì troverà anche gli uffici, dove registrarsi e prendere servizio. Se vuole il bagaglio posso tenerlo io»

Era già il secondo favore che mi offriva, mi sembrava di sfruttarlo, ma in realtà non mi andava di presentarmi come una profuga alla ricerca di casa:

« Grazie tornerò a prenderli appena avrò sbrigato tutto».

Mi avvicinai al fabbricato indicato. Ogni passo un battito accelerato. Tutto sarebbe ricominciato da qui!

 

 
Nota: dopo anni di letture su EFP mi sono decisa anche io a pubblicare. La storia non è probabilmente tra le più originali, ma ci tenevo a raccontare qualcosa che mulinava nel mio cervello già da tempo. Inizialmente doveva essere un'originale e di pochi capitoli, ma poi i personaggi hanno assunto le sembianze della "saga" e hanno iniziato a raccontare una storia propria,  così...ecco qua.
Mi farebbe piacere fosse seguita e commentata da qualcuno, ma cercherò comunque di postare regolarmente anche per mettermi alla prova.

Questi personaggi non mi appartengono, sono proprietà di Stephanie Meyer






 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** "ma siamo sicuri?" ***


Capitolo 2
“ Ma siamo sicuri?”
 
Appena entrata nello stabile della presidenza non potei fare a meno di notare l’austerità del posto. Quadri, tappeti, grandi mobili di noce….accidenti mancavano solo i gragoyle e  i doccioni. Mi avvicinai alla porta dell’ufficio e dopo aver bussato una voce di donna mi invitò ad entrare:
<< Mi scusi, cerco la signorina Cope >> esordii.
<< Sono io in cosa posso esserle utile? >>
<< Mi chiamo Swan e dovrei prendere servizio come docente di scienze umane>>
<< Benarrivata signorina, la preside la stava spettando; abbiamo ricevuto la sua conferma due giorni fa. Dopo che l’avrà ricevuta tornerà da me, le darò questi moduli da compilare e nel giro di qualche giorno riceverà il suo contratto >>
<< Grazie mille >>
<< Attenda qui..>> e si allontanò da me entrando in una porta a vetri sul lato sinistro rispetto alla sua scrivana.
Cominciai a torturarmi le labbra e le mani come avevo sempre fatto nei momenti di ansia e non potei fare a meno di guardarmi intorno….finché non sentii una voce autoritaria provenire da dove era sparita la signorina Cope; mi sembrava avesse quasi detto “ah l'americana”. Era l’ufficio della preside. Se avessero potuto utilizzare il sudore delle mie mani in quel momento come umidificatore, sarebbe piovuto una settimana dentro quella stanza.
Appena trenta secondi dopo questo mio pensiero la signorina Cope rientrò nella stanza e con un cenno della mano mi invitò ad accomodarmi.
<< La preside la attende >>.
Entrai nell’ufficio e lo trovai molto più grande e luminoso di come avevo immaginato: la preside Whitmore mi attendeva dietro ad un’immensa scrivania che ricordava in modo più maestoso quella della segretaria. Si alzò e mi porse la mano con un sorriso molto tirato.
<< Signorina Swan benvenuta. Sono felice di conoscerla, com’è andato il viaggio? >>
<< Bene grazie preside Whitmore, mi scuso di averla fatta muovere alla fine dell’estate, ma ero ansiosa di arrivare, anche per cercare una sistemazione >> perché avevo sentito la necessità di giustificarmi? Forse perché in America il periodo che precedeva l’inizio delle lezioni era sacrosanto e nessuno ti avrebbe mai dato udienza.
<< Non si preoccupi, la maggior parte dei docenti prenderà servizio tra pochi giorni – ahia! agosto breve – e comunque sono sempre in servizio in questo periodo. Sa, questa scuola ha una certa importanza per gli immigrati americani e nonostante l’ubicazione un po’ isolata dobbiamo sempre essere perfetti per l’inizio delle lezioni, non lasciamo mai nulla di scontato…e poi la maggior parte degli studenti risiede al campus per gran parte dell’anno – ecco spiegati tanti edifici – e quindi a  turni il personale non manca mai>>.
Rimasi a colloquio con lei per quasi un’ora: mi illustrò il programma, quello che si aspettava io facessi e soprattutto il regolamento della scuola, sottolineando il fatto che me avrebbe fatto avere una copia e che doveva diventare una Bibbia per me.
<< Ha un alloggio già stabilito, miss Swan? >> mi chiese.
<< No, pensavo di cercare qualcosa di provvisorio, magari in paese e poi si vedrà>>
<< Se vuole può alloggiare al nostro campus>>
<< Come?>> chiesi alquanto stupita.
<< Sì, alcuni professori che come lei vengono da fuori lo fanno, abbiamo alcuni appartamenti dislocati tra le stanze degli studenti, sono tranquilli e poi….. voglio essere sincera, qui ognuno fa la sua parte e ha le sue responsabilità perché la macchina scolastica funzioni al meglio – non capivo dove voleva arrivare – quindi  i professori che alloggiano al campus danno una mano nella gestione delle situazioni problematiche>>.
Beh ad essere sincera non era una cosa a cui ambissi particolarmente, ma non temevo fosse un compito infattibile per me. Mi ero già trovata nelle condizioni di dover coordinare piccoli gruppi di lavoro quindi se mi trovavo bene perché non farlo anche qui, e se non mi fossi trovata bene…beh me ne sarei tornata a casa quindi..nessuna complicazione.
<< Va bene posso provare, se mi vengono date le indicazioni necessarie, ma dovrà essere elastica con me i primi tempi, almeno fino a che non avrò capito tutta l’organizzazione e conosciuto studenti e colleghi >> accennai un sorriso.
<< Perfetto >> disse quasi ghignando. Non so perché ma ebbi la sensazione di essermi cacciata nei guai così, ma solo il tempo lo avrebbe detto.
Feci per alzarmi, ma la voce della preside mi bloccò di nuovo.
<< Le voglio ricordare che qui non sono tollerati nessun tipo di comportamenti poco…consoni….diciamo…>>
<< Mi scusi….ma potrebbe chiarire il termine consono?>> chiesi un po’ preoccupata…
<< Beh purtroppo è accaduto in passato che insegnanti si facessero un po’ troppo notare, a livello fisico e di appariscenza intendo – questa pretendeva che diventassi una suora! – quindi  l’abbigliamento dovrà essere sobrio, non troppo appariscente e non dovrà dare adito a nessuna malizia >>.
La mia espressione era probabilmente molto interrogativa, ma continuai ad ascoltarla:
<< Le dico chiaramente per esperienze passate, che non ammettiamo nessun tipo di rapporto tra insegnanti e genitori degli studenti o studenti stessi. >> Era una cosa abbastanza ovvia per me. Di casini ne avevo già combinati tanti a livello personale, ma non avrei mai pensato di immischiarli nel lavoro.
<< Non si preoccupi, risposi, sono qui solo per fare il mio dovere >>.
Detto questo mi congedò dal suo ufficio, tornai dalla segretaria che mi consegno moduli, piantina del campus,  orari dei primi incontri e il regolamento: avrei avuto di che leggere per la settimana successiva. Ringraziai e tornai a recuperare il mio bagaglio.
Jacob Black stava sistemando alcune aiuole e quando mi vide, si offrì di aiutarmi. Nel tragitto chiacchierammo un po’: mi raccontò delle aziende della zona che davano lavoro alla maggior parte dei genitori che avevano i figli nella scuola, della relativa tranquillità del campus e della cittadina.
<< Sono molti i professori che alloggiano qui? >> chiesi.
<< No, la maggior parte abita in paese e qualcuno addirittura a Londra. Qui siete in quattro e due solo nel suo dormitorio..su due piani diversi; a quanto vedo ti è stato assegnato il piano delle ragazze dai quattordici ai sedici anni >>
<< Perché i dormitori son divisi per età?>>
<< Sì, è un’idea della preside per controllare i ragazzi più piccoli>>
Mi sembrò strano: di solito erano i più grandi a dover essere controllati. Quasi come se mi avesse letto nel pensiero, mi disse che la disciplina nella scuola era molto forte e rigorosa per certi aspetti e che la maggior parte dei ragazzi vicino ai diciotto avevano la testa sulle spalle e quindi era più importante seguire i ragazzini che potevano avere maggiori necessità.
<< Beh spero che l’altro insegnante del mio dormitorio mi possa aiutare all’inizio>>
<< Non conterei troppo sul professore di musica>> mi rispose << è molto taciturno e poco socievole, tende a controllare, ma senza interagire, non so se mi hai capito>>.
Il professore di musica sarebbe stato il mio vicino: mi immaginai un anziano con i capelli grigi che componeva fino a notte fonda. Non seppi cosa rispondergli se non un …”vedremo”.
Arrivammo allo stabile: c’era qualche studente che portava i suoi bagagli, ma per lo più si vedevano solo addetti alle pulizie e alla manutenzione. Sembrava ci tenessero veramente molto ad apparire al meglio in previsione della riapertura dei corsi.
Lo stabile mi piaceva era austero, ma dentro era molto curato, tende, legno nel pavimento e quadri, tanti quadri ovviamente copie, ma mi divertii a notare la gamma storica. Essendo un insegnante di filosofia e storia adoravo anche l’arte ovviamente.
Arrivammo al secondo piano e Jacob lasciò le mie valige di fonte a una porta un po’ isolata dalle altre.
<< Questo è il tuo appartamento, il custode dello stabile si chiama Jasper, ha lasciato le chiavi sul tavolo, ora ti lascio così ti puoi sistemare >>
<< Grazie mille >>Entrai e lasciai le valigie nell’ingresso.
Il locale non era molto grande: c’era un grande spazio in quello che dedussi fosse il soggiorno, una piccola cucina si affacciava su di esso con una penisola, sulla destra rispetto all’entrata un altro corridoio che portava nella zona notte. Una camera da letto, un bel bagno con vasca e doccia e un piccolo studio. Beh, se avessi dovuto vivere in un B & B sarebbe andata peggio.
Quello che mi stupì fu l’arredamento. Curato nei minimi dettagli, forse un po’ troppo pesante per i miei gusti, ma non era niente male, molto stile New England. Magari se fossi rimasta abbastanza a lungo avrei potuto fare delle modifiche.
Già…. rimanere, in quel momento mi tornò alla mente il principale motivo per cui mi trovavo lì. Avrei dovuto far saper a James dove mi trovavo? Forse nonostante tutto mi avrebbe cercato. Per fortuna questo pensiero mi passò come un lampo nella mente: non era proprio il caso.
Mi ridestai, portai le valige in camera e iniziai a sistemare qualcosa. Avevo lo stomaco chiuso e dopo essermi fatta una doccia, mi preparai per andare a dormire. L’indomani avrei iniziato la mia nuova vita.
  nota: ok non pensavo proprio che una storia così potesse interessare: l'ho pubblicata soprattutto per me stessa, ma le visite, le seguite e addirittura la recensione mi ha molto lusingato. man mano che passeranno i capitoli se sarà necessario darò spiegazioni sulla storia. alla prossima

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** “Un primo sguardo” ***


Capitolo 3
“Un primo sguardo”
 
La sveglia suonò alle 7.30. Avevo riposato poco. Forse la stanza nuova, il nuovo lavoro, o semplicemente la preoccupazione di dovermi confrontare con dei nuovi colleghi che non so perché temevo avrebbero potuto giudicarmi per le mie scelte. Ma giudicarmi per cosa? Non sapevano nulla della mia vita prima di arrivare lì e non lo avrebbero saputo quindi.. potevo stare tranquilla.
Mi alzai e dopo essermi guardata intorno e aver deciso che al primo week end occorreva una maratona di shopping casalingo, mi feci una doccia veloce e mi vestii.
Ovviamente in modo sobrio, non avrei mai voluto contestare gli ordini della preside! Mi preparai solo un tè, non avevo assolutamente fame. Se avessi saputo così, mi sarei trasferita prima, chissà quanti chili persi!
Presi la mia borsa, con i miei documenti e mi recai nell’edificio principale, dove era collocata la sala professori. Nei successivi due giorni il calendario prevedeva incontri fra i docenti per organizzare orari e lezioni: ognuno di noi avrebbe dovuto stendere un proprio programma basato sulle indicazioni generali, che sarebbe stato sottoposto all’attenzione della preside stessa. Inoltre all’incontro generale si sarebbero “attribuite le responsabilità”. Guardai e riguardai bene l’ordine del giorno e non capii proprio a cosa si riferiva.
« Ti serve una mano?» Una voce alle mie spalle. Mi voltai e incrociai il sorriso di una giovane donna.
« Ciao, io sono Jessica o meglio la professoressa Stanley, sai alla preside non piacciono eccessive confidenze tra i professori, tu sei quella nuova, vero? Scusa se ti do del tu, ma mi sembra che abbiamo la stessa età…..»
Oddio ma chi era questa…un’aliena?
« Ciao sono la professoressa Isabella Swan, docente di scienze umane e tu?» Speravo in questo modo che avesse smesso la logorrea continua.
« Io insegno arte, vieni che ti presento agli altri»
« No grazie, non credo sia il caso sai, magari ci teneva a farlo la preside all’incontro…» sperai fosse una buona scusa per sganciarmi. E forse funzionò. Infatti a queste parole la Stanley si bloccò.
« Forse hai ragione, comunque mi fa piacere conoscerti, magari diventeremo amiche. Hai già conosciuto qualcuno?»
« No, tu sei la prima insegnante » risposi senza dimostrare la mia evidente noia alle sue chiacchiere.
« Dove alloggi? » Continuò a chiedermi insistentemente
« Ho deciso di alloggiare nel dormitorio A per ora. Sai sono appena arrivata e non sapevo dove altro andare»
« Wow sei insieme a “mister tenebroso” allora! Sai in quel dormitorio non vuole andarci nessun professore. Vuoi per il collega e vuoi per i ragazzi troppo piccoli da controllare. Però a dir la verità il professor Cullen…»
« Credimi per me non è un problema, sono abituata a lavorare più con i piccoli che con i grandi e in più un collega che se ne sta per i fatti suoi non mi dispiace, in fondo sono anch’io un po’ così »
Ops! forse avevo parlato troppo! Non volevo che capisse che la sua intrusione e conversazione non fosse gradita.
« Sai – mi preoccupai di giustificarmi – tendo ad essere noiosa e a lamentarmi spesso se prendo confidenza con qualcuno, quindi meglio non crearmi troppi legami». Avevo tentato di rigirare la frittata dando l’impressione di essere io quella sbagliata….e forse era così. La Stanley non si scandalizzò, mi fece un sorriso e poi come se non avessi detto nulla, continuò a parlare, raccontandomi aneddoti e pettegolezzi sui vari professori presenti.
« Ecco vedi – mi disse – quella è la professoressa Weber: insegna biologia, è molto carina e dolce anche se si fa mettere i piedi in testa un po’ troppo dai ragazzi più grandi. È sposata con i professore di lettere, il signor Kinsley…..e poi il professore di matematica, lui è un vero donnaiolo, mentre quello di retorica….beh sembra sia interessato all’altra sponda, non so se mi capisci, e infine c’è Mike..ehm cioè il professor Newton, insegna ginnastica, è così affascinante…»
Oddio come facevo a farla smettere! In dieci minuti mi aveva incatenato nei peggiori pettegolezzi di borgata su chi stava con chi, sulle prestazioni dell’uno e dell’altra, sulle poche doti culturali di questo e quello….no, decisamente non era una buona compagnia per la mia sanità mentale. Decisi di interromperla deviando la conversazione.
« Beh visto che ci siamo tutti ormai la preside ci chiamerà per iniziare l’incontro» lo dissi più con la speranza che così mi sarei potuta liberare di lei.
« O no cara, non ci contare. Sei lei dice le dodici saranno le dodici. E poi non ci siamo tutti. Manca il professore di musica, lui in verità manca quasi sempre. La sala professori non gli piace molto. Te l'ho detto è molto solitario e tenebroso, ma veramente affascinante vedrai».
Guardai l’orologio, erano solo le nove. La maggior parte dei professori si stava scambiando complimenti o informazioni sulle vacanze appena concluse. Alcuni stavano già guardando i nuovi materiali e un’idea mi fulminò.
« Scusa Jessica se t’interrompo, ti posso chiamare per nome tanto mi sembra che fra noi ci sia già una certa confidenza, – sviolinata – io andrei in ufficio a ritirare il mio plico di documenti. Sai, vorrei studiarmeli bene prima della riunione, così se sarà necessario, chiederò in quella sede le dovute informazioni»
« Oh sì cara, vai pure, ci vediamo dopo».
Dio ti ringrazio! Non avrei potuto sopportarla un minuto di più.
Mi incamminai per i corridoi, guardando le varie aule susseguirsi, e mi ritrovai in ufficio dalla signorina Cope come il giorno precedente. Entrai e ritirai tutto il mio materiale: la segretaria mi rivolse appena due parole, era molto indaffarata. Presi tutto e mi incamminai.
Mi fermai nel cortile interno e aprii la busta. Dentro c’erano vari orari, moduli da compilare con il programma di tutte le lezioni, cose già viste quando insegnavo negli Stati Uniti. Di diverso c’era una scheda di valutazione molto strana. Non sembrava fatta per i ragazzi, e terminata con delle “annotazione sulle problematiche di gestione”. Ma dove mi trovavo in una scuola o in un centro marketing? Qui l’organizzazione era veramente paranoica.
Tralasciai il tutto e andai a vedere quali sarebbero state le mie aule. Come a Forks, anche qui sarebbero stati gli studenti a spostarsi tra un’aula e l’altra, ma a me erano state attribuite due materie, diverse tra loro, e per questo avrei dovuto usufruire di due aule.
In realtà sapevo che per l’anno che stava arrivando avrei dovuto solo integrare l’orario del vecchio professore di filosofia ormai vicino alla pensione. Ma pensare di dover passare ad insegnare storia con i ragazzi del quinto anno a psicologia con quelli del primo, era una bella differenza. Era probabilmente per quello che mi sarebbero dovute servire due aule. Gli argomenti e i materiali sarebbero stati comunque diversi.
Tra questi pensieri mi incamminai nuovamente, quando una musica mi attirò vicino ad una stanza. Guardai la targhetta: era l’aula di musica. Una melodia stupenda proveniva dall’interno e non resistetti alla tentazione di sbirciare.
Un ragazzo dai capelli castano ramati, spettinati stava suonando al piano. Lo vedevo solo di spalle, indossava una maglietta a mezze maniche, aveva le spalle larghe, dalle quali si intravedeva un tatuaggio tigrato. Lo ammirai mentre faceva scorrere le dita lunghe sulla tastiera emettendo alcuni dei suoni più belli che avessi mai sentito. La musica per me era sempre stata il fulcro, ma avevo avuto a che fare sempre con musica rock e musicisti squinternati, che prediligevano urli e schitarrate piuttosto che dolci melodie: e poi c’era “lui”, che suonava la chitarra e cantava in modo divino, ma il piano…era dai tempi della scuola di musica che non ne sentivo suonare uno in modo così intenso…
Rimasi abbagliata e con lo sguardo comincia a vagare sul quelle braccia. Notai un altro tatuaggio, sull’interno dell’avambraccio sinistro, ma non riuscii a capire cosa fosse.
Ero rimasta talmente ammaliata da non accorgermi che la musica era terminata e chi suonava stava per girarsi nella mia direzione. Di scatto mi nascosi dietro alla porta socchiusa appoggiandomici con la schiena: non stavo facendo nulla di male, ma non mi sarebbe piaciuto farmi vedere origliare senza essermi presentata o almeno senza essermi fatta almeno vedere. Mi ridestai e mi incamminai verso la sala riunioni. Si erano fatte le 11.30 e l’incontro tra professori sarebbe iniziato di lì a poco. Ma anziché guardare le mie carte mi soffermai a pensare chi potesse essere il ragazzo che suonava: magari uno studente che aveva avuto il premesso di utilizzare l’aula anche nei periodi al di fuori delle lezioni.
Passarono i minuti, la sala iniziò a riempirsi. Un uomo con i capelli bianchi, di bassa statura mi si avvicinò.
«Lei è la signorina Swan?»
« Sì » risposi.
« Sono il professor Garret, piacere, il suo tutor nonché collega uscente della cattedra di scienze umane»
Perbacco, finalmente conoscevo la persona che sarei andata sostituire  e forse con il passare del tempo anche a rimpiazzare completamente.
« Il piacere è mio professore, sono felice di poterla incontrare». Per i minuti che seguirono chiacchierammo delle materie, del suo desiderio di allentare i ritmi prima della pensione e del fatto che con l’arrivo nel nuovo piano di studi delle materie sociali e psicologiche non avrebbe saputo proprio dove sbattere la testa e quindi, perché non far entrare un’insegnante che oltre che avvezzo nelle nuove materie, avrebbe potuto aiutarlo in quelle vecchie con le classi più difficili? L’idea non faceva una piega, ma mi inquietai un po’ quando mi disse che sarebbe stato il mio supervisore e che avrebbe dovuto approvare lui il mio piano di insegnamento.
In quel momento entrò la preside e la sala si zittì. Mamma mia ma quanta paura faceva a tutti!!!
Iniziò facendo un vero e proprio appello – ma dico eravamo noi i prof o cosa? – e per mio enorme imbarazzo mi presentò a tutti, scatenando gli occhi su di me; alcuni mi sorrisero, altri mi guardarono quasi schifati e potei notare quasi uno sguardo interessato negli occhi del professor Newton e di Jacob Black. Ma che ci faceva lui qui, non era una specie di custode?
La preside richiamò il silenzio: iniziò a parlare dei ruoli che ogni anno i professori si dovevano accollare per una migliore gestione della scuola e della relazione trimestrale che avrebbe dovuto consegnare a lei con le valutazione e le difficoltà incontrate con spazi, materiali e colleghi.
Ecco a cosa serviva quella stana scheda. Dovevo valutare i miei colleghi!! Proprio così: era obbligatorio essere almeno in due nelle responsabilità e ognuno doveva giudicare l'altro. Oddio io con chi sarei stata in coppia???? Povera me!
« Quest’anno gli incarichi saranno maggiori e potranno variare anche in corso d’anno » spiegò
« Abbiamo un numero di professori leggermente inferiore e in più non volgiamo appesantire il lavoro del professor Garret e del professor Marcus ormai vicini alla pensione. Penso abbiano fatto abbondantemente il loro lavoro di sorveglianti della scuola ».
La preside iniziò ad enumerare incarichi e coppie. La Stanley finì con Newton per la gestione della palestra (chissà perché, ma per me fra quei due c’era qualcosa), ad altri la gestione dei reclami dei genitori, l’ottimizzazione delle evacuazione e via dicendo. Fino a che non toccò a me.
« La nuova arrivata, la signorina Swan si è detta disponibile alla sorveglianza del dormitorio A, che come sappiamo è uno dei più pieni di studenti, quindi le affideremo solo il controllo della biblioteca insieme alla professoressa Weber». Meno male, Angela mi era sembrata proprio carina e dover condividere con lei i miei impegni in biblioteca sarebbe stato piacevole.
Improvvisamente due file avanti a me si sedette lo stesso ragazzo che avevo visto nella sala musica. Ma che ci faceva qui? Oddio era un professore!! Ma come…..sembrava così giovane! Forse era un custode come Black.
« Oh, il prof Cullen ci degna della sua presenza…» Come non pensato….
« Per quest’anno lei sarà in coppia con la signorina Swan nella gestione del dormitorio A» e la preside mi indicò. In quel momento sarei voluta sprofondare, ma il peggio venne quando il professor Cullen si volto leggermente verso di me mostrandomi due meravigliosi occhi verdi che mi guardarono di sbieco. Aveva un leggero strato di barba, ma sembrava veramente…magnetico. L’incontro terminò, la preside ci congedò e accadde quello che avrebbe modificato la mia permanenza in quella scuola: il professor Cullen si alzò e si avvicinò rivolgendomi un lieve saluto e un sorriso sghembo da far incantare gli angeli. Mi tese la mano e iniziò a parlare. A dire la verità non capii molto delle prime parole che disse perché ero troppo ipnotizzata da quel corpo alto, ma non troppo magro; dai lineamenti spigolosi della mascella, ma soprattutto da quello sguardo.
Oddio, ma che stavo facendo? Il pensiero di quella musica che gli avevo sentito suonare e la sua visione mi fece per un attimo dimenticare tutto quello che mi aveva circondato fino a quel momento.
« Ciao, io sono Edward ». Presi la sua mano e una potente scossa mi attraversò il braccio. Lui spalancò leggermente gli occhi. Che l’avesse percepita anche lui?
« Ciao, io sono Isabella, ma mi hanno detto che la preside non ama che i professori si rivolgano tra loro con il nome di battesimo, dice che non è professionale all’intero delle aule»
« Beh, a me sembra ridicolo – rispose lui – visto che viviamo a stretto contatto, e poi noi abbiamo una collaborazione che riguarda i dormitori, quindi possiamo chiamarci per nome. Siamo fuori dalla scuola». Feci un sorriso sincero. Non faceva una piega il suo ragionamento.
« So che i primi giorni quando sei nuovo sono veramente difficili, quindi parleremo dei nostri incarichi e del regolamento verso la fine della settimana se per te va bene Isabella»
«Sì certo – risposi io – grazie per il tempo e spero tu abbia pazienza perché per me è tutto nuovo»
« Tranquilla, non c’è problema. Ci vediamo in giro. Ciao »
« Ciao. Ah! e chiamami Bella…»
« Ok, ti si addice molto »
Arrossii. Perché gli avevo concesso tutta questa confidenza? Ero veramente rimasta ammaliata dal suo modo di fare? Ma dai, non ero mica una ragazzina alle prime armi che si infatuava del primo che passava. Io non ero infatuata, non potevo più permettere che accadesse.
In quel momento quando sollevai gli occhi vidi Black che lanciava uno sguardo di fuoco a Cullen e poi guardava me. Sembrava proprio che non lo potesse sopportare. “Credo che le cose saranno più complicate di quello che possa sembrare” pensai tra me.
 





note: e così è apparso Edward. non mi andava di modificare troppo il carattere dell'Edward originale, e quindi, agli occhi di tutti resterà una persona schiva.e chiusa...ovviamente tranne che con Bella. Il feeling è sempre inevitabile.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** “ Avvicinamenti” ***


Capitolo 4
“ Avvicinamenti”
 
Da quel giorno incontrai Edward più o meno quotidianamente nella sala professori, anche se cerava di entrarci quando la maggior parte dei colleghi era uscita; mi sorrideva molto gentilmente, ma mi rivolgeva veramente poche parole. Era già un traguardo visto che agli altri diceva a malapena “ciao”. Ma questo suo modo di fare non mi dispiaceva, piuttosto mi turbava l’interesse che avevo verso quello che faceva quando era in quella sala con me.
Perché quando abbassavo gli occhi, tempo trenta secondi e sentivo la necessità di rialzarli e osservarlo? E perché mi sembrava che distogliesse sempre lo sguardo all’improvviso quando lo facevo? Forse erano viaggi che mi facevo io, ma mi piaceva guardarlo quando leggeva e scriveva. Aveva un’aria molto…impegnata. Nei dormitori poi ci eravamo visti solo due volte. Io rientravo molto tardi dalla biblioteca per la prima catalogazione dei documenti e non avevamo avuto modo di parlare di nulla: sarebbe arrivato anche quel momento.
Finalmente giunse anche il week end. Mi ero ripromessa di fare acquisiti per la casa e dovevo solo trovare un mezzo comodo, perché avrei avuto sicuramente molte cose da portare. Mentre terminavo di sistemare la cucina dopo colazione e aver risposto all’ennesima mail dei miei che mi chiedevano come stava andando nella piovosa Inghilterra, qualcuno bussò alla porta. Non feci in tempo a chiedermi chi fosse che la voce di Jacob mi avvisò che erano arrivati degli scatoloni per me. Avendo intuito aprii la porta con un grande sorriso e lo ringraziai:
« Aspettavo queste cose, non sapevo più come fare, grazie »
« Di niente per te questo e altro»
Ma perché tutte le volte che si rivolgeva a me mi sentivo in imbarazzo? Ero quasi certa che ci stesse provando e pur vedendo che era un bel ragazzo, questa cosa mi infastidiva. Non ero mai stata oggetto di molte attenzioni da parte degli uomini e invece da quando ero qui avevo tutti gli occhi puntati addosso. Persino il professor Newton si era offerto di “appoggiarmi” nei primi problemi che potevo avere con i ragazzi.
Sì, altro che appoggiarmi! Era lui che lo avrebbe fatto visto come mi guardava il decolté certe volte! L’unico che sembrava non provarci era proprio Cullen e pensare che se lo avesse fatto…..
No assolutamente! Non potevo pensare a queste cose, avevo già sofferto abbastanza e non mi sarei fatta ammaliare da un bel fisico e due occhi verdi. Non erano quelle le cose che guardavo in un uomo: ma il suo fare misterioso mi incuriosiva, mi attirava come poche volte mi era accaduto.
Erano comunque mie personali elucubrazioni: non avrei mai permesso alla mia mente e al mio cuore un altro tracollo sentimentale.
Ringraziai Jacob e quasi gli sbattei la porta in faccia quando mi bloccò:
« Devo andare a Londra per alcune commissioni scolastiche. Vuoi un passaggio? ». Fui tentata di dire di no. Non volevo incentivare un certo avvicinamento tra noi, ma poi pensai che avevo veramente bisogno di andare a Londra e lui era l’unico che avrebbe potuto accompagnarmi con il suo furgone e aiutarmi a portare tutto quello che avevo in mente di acquistare.
« Ok – gli risposi – dammi due minuti ».
Terminai di prepararmi e uscii richiudendomi la porta alle spalle. Salii sul furgoncino di Jacob e non so perché ma mi guardai intorno come per cercare qualcosa o nascondermi da qualcuno.
« Finalmente ho l’onore di passare con te qualche ora ».
Rimasi abbastanza allibita da questa sua affermazione: « Scusa e perché eri così ansioso? »
« Dai, sei così interessante e tutti questa settimana hanno calamitato la tua attenzione tranne il sottoscritto  » ok, non era un dubbio, ma una certezza: ci stava provando spudoratamente.
« Scusa Jacob..»
« Jake, chiamami Jake per favore..posso chiamarti Bella? »
Da dove veniva questa confidenza? avevo fatto bene a dubitare.
« Ok scusa Jake, ti ringrazio per l’interessamento, puoi chiamarmi Bella, ma non ritengo opportuna troppa confidenza tra noi »
« Scusa, ma mi sembrava…» oddio, ma che viaggi si faceva questo.
« Mi spiace che tu abbia interpretato male certi miei atteggiamenti, anche se mi devi dire quali, ma non sono interessata né ad amicizie né a qualcosa di altro »
« Ah ok mi sembrava…»
« Ti è sembrato molto male. Ho accettato i tuo aiuto perché sei il factotum della scuola mi pare e perché ti sei offerto, ma niente altro, ok?»
« Ah ok ok sì, però se dovessi cambiare idea..».
Ok stavo proprio cominciando a stancarmi. Sarei voluta scendere da quel furgone, ma eravamo ormai vicini a Londra e se non me la fossi voluta fare a piedi avrei dovuto accettare ancora la sua vicinanza.
« Ascolta Jake, chiudiamo l'argomento. Non sono interessata a te, né per amicizia né altro; se il fatto di accettare un passaggio ti ha fatto fraintendere ti chiedo scusa e di riportarmi indietro. Troverò un altro modo….»
« Non volevo offenderti, avevo capito male scusa , è che tu …ok ok non tornerò più nell’argomento…… dove ti  devo portare? »
Gli esposi il mio problema e le mie necessità di arredamento e lui mi accompagnò in un centro commerciale alle porte della città dove avrei trovato ciò che mi serviva.
« Vuoi che venga con te? »
« No, ci ritroviamo qui fra due ore. Grazie »
Scesi di corsa, forse anche un po’ risentita e comunque stupita per la nostra conversazione e mi addentrai tra i vari negozi di casalinghi e arredamento. Verso le tredici mi ritrovai all’uscita con Jake che mi aiutava a caricare tutto.
« Ti va uno spuntino? »
« Veramente sarebbe meglio rientrare… »
« Dai Bella, nessun secondo fine, tanto dovresti magiare comunque»
« Ok, una cosa veloce però…. »
Chiacchierammo veramente poco, quando ad un certo punto iniziò uno strano discorso:
« Allora hai avuto modo di conoscere Cullen? ». No so perché ma il modo in cui pronunciava il suo nome mi infastidiva.
«È un mio collega e divido la responsabilità del dormitorio con lui. È chiaro che ne ho avuto l’occasione…»
« Allora si è già fatto avanti?»
« Scusa?»
« Beh non ha una grande fama..»
« Veramente mi hanno detto che se ne sta sempre nelle sue »
« È una maschera in realtà è un gran bastardo…» Oddio da dove arrivava tutto questo astio?
« E perché se posso chiederlo, tu come lo sai?»
« Lo conosco molto bene: era il mio migliore amico ».
Mi raccontò che anche lui come me e Cullen era americano e si conoscevano da parecchio, ma, senza specificare, mi disse che gli aveva rovinato la vita e di non fidarmi. Non feci caso a quelle parole, ma qualcosa mi turbò. Non volevo credere ad una cosa del genere, ma perché? neanche lo conoscevo il professor Cullen?
« Credo sia ora di rientrare »
« Sì, penso di sì ».
Persa nei miei pensieri non mi accorsi della strada percorsa e neanche del fatto che dei grossi nuvoloni plumbei stavano costellando il cielo pomeridiano.
Arrivammo giusto in tempo per evitare un grosso acquazzone e una volta scaricato tutto il materiale e portato in casa Jacob si congedò:
« Ciao Bella, alla prossima».
Lo ringraziai senza prodigarmi in saluti: non so perché, ma la sua presenza mi metteva a disagio, ed entrai in casa.
Il temporale, aveva portato un’afa terribile. La temperatura non era molto alta, ma in una casa di quarantacinque metri quadri, piena di scatoloni con un’umidità del settanta percento la temperatura saliva. Sistemai alcune cose, aprii qualche scatolone, poi decisi di farmi una doccia: indossai un pantalone della tuta e una canotta, giusto fino a che non si fosse abbassata l’umidità.
Ero praticamente immersa nelle mie faccende quando qualcuno bussò alla porta: erano quasi le nove di sera. Esitai un po’: studenti in quella parte del campus non ce n’erano, ma forse avrebbe potuto avere bisogno qualcun altro.
Per un attimo pensai a Jake e a qualcosa di poco carino che avrei voluto fargli se mi avesse importunato ancora come al mattino, ma puoi mi decisi ad aprire, ed una splendida chioma di capelli spettinati e due occhi verdi mi accolsero sulla soglia.
Solo una frase:  «Ti prego dimmi che hai del caffè!».







Note: chiedo scusa alle eventuali fan di Jake. non è un personaggio che adoro particolarmente nemmeno nella saga (fatta eccezione per l'ultimo libro), quindi qui non sarà molto simpatico, e tantomeno diventerà amico di Bella. comunque non sarà un personaggio così fondamentale e non creerà problematiche "insormontabili".

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** “Non ancora..” ***


Capitolo 5
“Non ancora..”
 
Il professor Cullen era davanti a me in tutto il suo splendore, tuta e maglietta aderente. Scarpe da ginnastica ed evidentemente accaldato come me. Aveva tra le mani un barattolo che sicuramente avrebbe dovuto contenere del caffè.
Ci misi un po’ a metabolizzare la situazione e probabilmente lo notò perché mi porse la domanda un’altra volta.
« Scusi professor Cullen  ero sovrappensiero, ma proprio non mi aspettavo nessuno a quest’ora ». Probabilmente anche lui aveva notato il mio abbigliamento e mi accorsi del suo sguardo intenso, ma per nulla invadente.
« Mi spiace non bevo caffè», mi affrettai a rispondergli cercando di distogliere l’attenzione dal suo sguardo.
« Oddio sono morto, ma come è possibile, un’insegnante che non beve caffè? E poi ti avevo detto che potevano darci del tu. Io sono solo Edward. Ok Bella?»
Accentuò il mio nome come a voler rimarcare la necessità del tu. Era la prima volta che lo sentivo enunciare più di qualche saluto e monosillabi. Aveva una voce molto chiara, che non avevo identificato prima, ma ti catturava. Si capiva chiaramente che era americano come me (in fondo me lo aveva detto già anche Jacob) e mi sembrava addirittura di riconoscere l’accento delle mie parti. Mi ridestai dai miei pensieri e risposi:
<< Mi spiace Edward, ma non lo amo particolarmente e poi ho avuto qualche problema in passato e il caffè proprio non fa per me >>. In quel momento, non so perché, ma una leggera fitta mi colpì, proprio come mi era accaduto quando tutto era finito e avevo preso la mia decisione di andarmene. Ma perché? era passato già molto tempo e ormai avevo ricominciato a vivere, perché ancora queste sensazioni quando ripensavo a quei momenti?
Edward si accorse probabilmente del mio disagio e cercò di sorreggermi.
« Ti senti bene? Sei molto pallida sembra quasi che tu stia per svenire?».
Non seppi darmi una spiegazione, ma il contatto che le sue mani ebbero con il mio corpo mi spiazzò. Era come se una forte energia e un senso di sicurezza fosse emanato dalle sue braccia.
« No, no sto bene – cercai di minimizzare – è solo che questa umidità mi abbassa probabilmente la pressione »
« Scusa se ti ho disturbato, proverò a fare in un altro modo »
« Di niente, ma che ci devi fare con il caffè a quest’ora di sera? » non so perché gli porsi quella domanda, ma volevo trovare una scusa perché non se ne andasse e per continuare a sentire quella voce.
« Sai in genere approfitto dei giorni precedenti all’arrivo degli studenti per comporre in casa piuttosto che in aula e, visto che credo di aver avuto l’ispirazione, un po’ di caffè mi servirebbe per rimanere sveglio…sempre che il mio pianoforte non ti disturbi…»
Mi lanciò un occhiata e un sorriso che difficilmente avrei dimenticato. Lì per lì rimasi scossa..anche lui scriveva musica o canzoni. Era proprio il mio destino avere legami con musicisti. Per fortuna questo era solo lavorativo.
Stava quasi per andarsene quando lo fermai.
« Hai mai provato con il tè?»
« Come scusa?» mi guardò stupito.
« Il principio attivo del tè è lo stesso del caffè, ma dà meno assuefazione. Inoltre qui in Inghilterra esistono delle miscele talmente forti da farti partire il muscolo cardiaco per una mille miglia…così se devi rimanere sveglio è quasi meglio»
« Vivo qui da un anno ormai, ma proprio questa mi era nuova, il problema è: dove lo trovo a quest’ora?»
Non so perché lo feci, ma fui quasi certa che dandogli quella risposta avrei dato un sonoro schiaffone alla tranquilla e incolore realtà che mi andavo a costruire lì.
« Vieni: dovrei averne. Quando sono arrivata la preside mi ha fatto recapitare un cesto di benvenuto, se così si può dire, e mi sembra di aver visto una miscela che potrebbe tenere sveglio anche un bradipo ».
Lo invitai ad entrare scusandomi per il disordine. E poi commisi quella che avrei potuto reputare una sciocchezza, se non fosse che stare in sua presenza, anche se in silenzio, mi dava un senso di pace. Mi offrì di preparare io il tè e lo feci accomodare nella penisola che divideva la sala dall’angolo cottura. Con mio stupore accettò, si sedette e cominciò a guardarsi intorno:
« Se vai avanti di questo passo non avrai finito neanche a Natale » mi disse canzonatorio e mi lanciò un sorriso sincero che per la prima volta mi sembrò arrivare agli occhi. Dio come era bello! Guardando bene non aveva lineamenti perfetti, ma nel suo complesso aveva un volto di quelli che saresti rimasta a guardare per ore.
« Lo so è terribile: più cerco di svuotare le scatole più creo disordine. Di solito sono meticolosa, ma devo avere la testa nel caos perché proprio non riesco ad organizzarmi»
« Se vuoi ti posso dare una mano…» i suoi occhi mi stavano fissando. Era la prima volta che li vedevo così intensi.
« Grazie, ma non vorrei distoglierti dai tuoi progetti musicali »
« Non ti preoccupare..credo che la tua vicinanza potrebbe solo ispirarmi ». Disse queste parole talmente sottovoce, che probabilmente le avevo immaginate. Sembrava quasi che mi stesse guardando l’anima e questo mi faceva sentire vulnerabile.
« Facciamo così – disse lui togliendoci dall’imbarazzo momentaneo – tu mi fai il tè, io ti aiuto per un’ora e poi me ne torno alle mie composizioni»
« Okey, mi sembra un buon compromesso».
E così facemmo: chiacchierammo per qualche minuto prima di iniziare a vuotare gli scatoloni. Era molto meticoloso e anche se faceva le cose con molta calma riuscimmo a fare di più in quell’ora che o io da sola in tutta la settimana. A volte il silenzio faceva da padrone, ma capitava che nel passarmi gli oggetti le nostre mani si sfiorassero inavvertitamente e allora potevo percepire il calore delle sue e mille brividi mi percorrevano la schiena.
Ma cosa mi stava succedendo?
Erano anni che non provavo sensazioni del genere e forse non era nemmeno giusto che le provassi in così poco tempo.
« Ti piace la musica vedo » mi disse aprendo lo scatolone che conteneva i miei cd.
« La musica è stata la mia vita per più di dieci anni….», dissi quasi con tono sconsolato.
« Poi…» mi incitò lui.
No, non potevo aprirmi, non sapevo nemmeno chi fosse, non ancora, non potevo permettergli di capire, sapere e compatire. Anche se non conosceva James, la sua vita, la nostra storia, il mio…..no non potevo permetterlo e reagì forse fin troppo duramente.
« Poi… nulla, ho deciso di chiudere e di cambiare vita»
« Qualcosa ti avrà fatto cambiare idea no? La musica è una passione che ti entra nel cuore, non è qualcosa che si può mettere da parte in un attimo».
Sapevo che aveva ragione, ma decisi comunque di rispondere in modo telegrafico.
« No – risposi piccata – e poi non credo sia il caso di palarne, non ci conosciamo così bene »
« Scusa non volevo offenderti ». C’era rimasto male e mi pentii subito della mia reazione. Era vero che non potevo dirgli tutto, ma non avrei dovuto trattarlo  in quel modo, in fondo voleva solo chiacchierare.
« Scusa tu, è che vorrei cercare di non parlare di quello che ho lasciato»
«…o perso….» mi guardò dritto negli occhi.
Santo cielo, ma cosa faceva leggeva nel pensiero! Questo ragazzo con poche parole e pochi sguardi silenziosi sembrava aver capito più di tutti quelli che erano entrati rumorosamente nella mia vita tentando di giudicarmi o darmi consigli.
« Io… scusa, ma non me la sento ». Mi allontanai e sentii gli occhi pungermi. Il dolore era ancora vivo. Mi ero ripromessa di non versare più lacrime per quella storia, ma proprio non ci riuscivo.
Due mani forti si appoggiarono sulle mie spalle.
« Mi dispiace, non volevo immischiarmi e neanche turbarti: hai ragione non ti conosco e spulciare nella tua vita non mi sembra l’ideale per iniziare la nostra conoscenza lavorativa. Me ne vado».
Quando le sue mani lasciarono le mie spalle mi sentii stranamente vuota e mi voltai di colpo:
« No, aspetta » ma cosa stavo facendo? «Scusa tu è che ho passato momenti non proprio idilliaci e ricordarli…»
« Non mi devi nessuna spiegazione: ora è meglio che vada..sento che la mia ispirazione è tornata»  e mi sorrise di nuovo « fammi sapere se ti disturba il piano».
Non so perché, ma in quel momento mi sentii bene, come se una piccola speranza si fosse aperta nel buio della mia vita. Era come se con quel sorriso mi avesse capita anche senza sapere nulla.
Lo accompagnai alla porta e prima di uscire si voltò verso di me:
« Beh visto che domani è domenica, hai qualcosa in programma, o hai bisogno per continuare a spacchettare qui?».
Non seppi resistere e gli dissi sì quasi subito, poi però mi mangiai la lingua:
« Beh certo solo se non hai niente di meglio da fare»  dissi arrossendo.
« No, di solito la domenica me ne sto al piano. Qui non c’è praticamente nessuno…quindi se vuoi…» mi disse con un tono di voce più basso, distogliendo lo sguardo e volgendolo al corridoio.
« Ok a domani allora. E.. no, non temere. La musica non mi disturba mai ».
Capii dal suo tono di voce e dalla malinconia che a volte sprigionavano i suoi occhi,  che anche lui aveva qualcosa da nascondere e mi tornarono alla mente le parole di Jacob “è una maschera, un gran bastardo”. No, non poteva essere.
Quando lo vidi sparire sulle scale chiusi la porta e non so perché, dopo un’iniziale gioia, scoppiai in un pianto dirompente: il passato non c’era più, ma la sua ombra mi impediva di ricominciare a vivere.
Spensi la luce e tra i singhiozzi mi buttai sul letto vestita. Gli occhi si fecero pesanti e mentre stavo per addormentarmi mi sembrò di sentire suonare una melodia al piano. O stavo sprofondando in un sogno meraviglioso o era lui che suonava e mi piacque pensare, dopo quello che mi aveva detto, che forse lo faceva anche grazie a me.



Note: sono lusingata. non mi aspettavo tanta attenzione da parte vostra per questa storia. Spero di continuare nel modo migliore e che ne rimarrete sempre più attratti. vi anticipo che nel mio pc ne ho già scritta una buona parte, ma ancora non è terminata. cercherò di postare regolarmente i capitoli già pronti e nel contempo mandare avanti quelli nuovi. nella mia testa è già tutta scritta.
so che alcuni capitoli, come questo vedranno momenti di stasi e vi porteranno a farfi domande sui comportamenti dei nostri protagonisti, ma sono parti che servono a voi e sono servite a me per avere un quadro "emotivo "della storia. con calma verrà spiegato tutto.
grazie ancora e alla prossima




 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** “Amici???” ***


Capitolo 6
“Amici???”
 
Mi svegliai al mattino ancora più stanca di quando mi ero coricata, le tempie mi pulsavano e la testa era pena di pensieri e di dubbi dopo quello che io e Edward ci eravamo detti – anzi sarebbe meglio dire non detti – la sera prima.
Mi feci una doccia veloce e approfittai dell’ultima domenica prima dell’inizio delle lezioni per cercare di sistemare gli ultimi scatoloni. Quasi spontaneamente pensai a lui: chissà se si ricordava dell’aiuto che aveva promesso di darmi? Ma in realtà chi ero per rovinargli la domenica? Anche se non aveva particolari impegni se ne sarebbe voluto magari rimanere sul divano o a comporre!!
Non terminai neanche i miei pensieri che sentii bussare alla porta. Aprii con un grande entusiasmo convinta fosse Edward, ma davanti mi ritrovai Jacob Black.
« Ciao Bella, buona domenica»
Credo che chiunque avrebbe notato lo spegnimento del sorriso sul mio volto, ma lui non se ne curò
« Oh ciao Jake che fai qui?»
« Ero venuto a vedere se ti sentivi sola in questa ultima dolmenica prima delle lezioni e se magari volevi fare un salto da qualche parte potevo accompagnarti io »
Insisteva ancora..ma cosa c’era in me che lo faceva continuare con questi attacchi?
« No grazie, ma devo terminare qui»
« Ti aiuto se vuoi…»
« No non serve, ci vediamo nei prossimi giorni ok?»
« Ok » e richiusi la porta. Non feci in tempo ad appoggiarmi ad essa per riprendere fiato dallo scongiurato pomeriggio con Jake, che sentii bussare ancora. Riaprii un po’ arrabbiata, ma davanti non mi ritrovai uno scocciatore, bensì un angelo con uno stupendo sorriso.
« Ciao, che fai dormi sulla soglia?»
« No, ho appena cacciato Jake che voleva fare il cicisbeo domenicale»
Edward rise sonoramente: « Scusa ma non ce lo vedo proprio..allora pronta a continuare?»
« Edward, veramente non importa, non voglio impegnarti tutto questo tempo, in fondo è domenica anche per te»
«Ti ho già detto che non importa poi…prima iniziamo prima finiamo».
Non proferii più parola, mi misi di buona lena a sistemare le ultime cose che il mio splendido aiutante metteva fuori dagli scatoloni. Erano già le undici e ormai si poteva dire che la casa avesse un aspetto umano, mancava giusto qualche tocco, quando mi affacciai al salone:
« Pausa tè?» dissi ridendo.
« Ok, ti dirò che ieri sera ha funzionato, ho composto tutta la notte »
« Ti ho sentito»
« Oddio ti ho disturbato?»
« No, assolutamente! anzi mi sono addormentata molto meglio grazie a te, piuttosto tu dormi così poco?»
« sai quando sono un po’ in agitazione mi succede e poi il tuo tè era miracoloso…»
Sorrisi, la sua presenza aveva la capacità di confortarmi anche quando il morale era sotto i piedi, era incredibile, mi faceva stare bene anche solo guardarlo; forse proprio per la sua aria tranquilla, seppur fosse evidente che anche lui in passato aveva avuto non pochi problemi di carattere personale.
« Da quanto tempo sei qui?»
« Quasi un anno»
 « e come ti trovi? » avevo assoluto bisogni di sentire la sua voce rassicurante e anche se sapevo che non mi avrebbe mai raccontato molto della sua vita, mi sarebbe bastato.
Iniziammo a parlare: avevo scoperto che era di Seattle e che aveva vissuto per una decina di anni anche a Forks, proprio quando io ero stata da mia madre. Accidenti a me, avrei potuto incontrare questo ragazzo tanti anni fa e forse non mi sarei persa dietro ad “altro”.
« Io ho studiato a Seattle, ma sono nata e ho lavorato a Forks, penso che forse ci saremmo potuti incontrare…Aspetta tua padre si chiama Carlise Cullen?»
« Sì, lo conosci?»
« Mi ha curato parecchie volte quando ero in vacanza da mio padre, sai ero piuttosto propensa ad inciampare ». Fui quasi sicura che il suo non fosse un sorriso, ma un ghigno denigratorio.
« Adoro la mia famiglia, anche mia sorella matta. Sai ogni tanto mi viene a trovare e mi destabilizza letteralmente, per non parlare di come riduce il mio appartamento di Londra »
« Scusa se te lo chiedo, ma perché se ami tanto la tua famiglia ti sei trasferito così lontano?» il sorriso gli si spense.
« Prima di tutto adoro l’Inghilterra. Dopo essermi diplomato alla Julliard sono venuto spesso qui per scrivere e comporre, hanno ottimi studi di registrazione..e così ho troncato con alcune situazioni problematiche che si erano venuti a creare a casa »
« Scusa non volevo ficcanasare nei tuoi affari, come tu non volevi farlo nei miei ieri sera» mi fermai a riflettere. Anche se non del tutto, mi aveva raccontato un pezzo della sua vita, io invece… Mi sentii in colpa per come avevo reagito la sera precedente e ora come ora forse sarei stata più accomodante e loquace, ma non me la sentivo.
« Non ti preoccupare, sono cose che ho superato, anche se è stata dura e comunque ho avuto la mia parte di colpe»
« Ah! ». Questo fu l’unico suono emesso dalla mia bocca perché subito mi ritornarono in mente le parole di Jake e un ombra mi percosse.
« Hai parlato con Jacob vero?»
« Non proprio parlato, mi ha solo messo in guardia su alcune cose, che però sinceramente non ritengo importanti. Ma cosa è successo tra voi? Mi ha detto che eravate molto amici?»
« Lui cosa ti ha detto?» rabbrividii a quelle parole, non so se me la sentivo di trasmettergli i suoi insulti o forse li sapeva già.
«Non ha detto niente di quello che vi è accaduto, mi ha solo messo in guardia da te, dicendo che indossi solo una maschera e sei un gran bastardo…»
Abbassai lo sguardo, non perché avevo tradito la confidenza di Jake, anzi per come lo tolleravo, metterlo nei guai non sarebbe stato così male; più che altro mi sentii in imbarazzo al fatto di aver anche solo ascoltato le sue parole e di essermi posta dei dubbi. Edward non poteva essere così, no, nessuno mi avrebbe convinta del fatto che non fosse una brava persona.
« Beh, mi rispose, pensavo di peggio, comunque è proprio un gran figlio di…scusa»
« Non ti scusare, vedi io ti conosco da poco, ma da quello che posso vedere sei tutto il contrario di quello che dice lui: secondo me sei proprio una persona sincera e il fatto che tu non intrattenga troppi rapporti con chi ti circonda non vuol dire che sei antipatico, quanto piuttosto che tenti di preservare il tuo cuore da altre sofferenze. Ti capisco ».
Di nuovo quella fitta al torace, Edward se ne accorse e mi ridestò prendendo il mento tra le dite e sollevandomi il volto. In quel modo i nostri occhi erano sulla stessa linea.
Dio quanto erano brillanti ! Se solo lo avessi conosciuto a fondo avrebbe potuto parlare solo con quelli, tanto erano espressivi.
« Grazie » mi disse soltanto e si staccò da me lasciando ancora una volta un vuoto.
« Io non lo giudico, però stai attenta. Non è quello che sembra»
« Cioè?»
« Lui qui sa tutto di tutti, è un lontano parente della preside ed ha accesso a qualsiasi informazione che lei reperisce »
« Vuoi dire che la preside prende informazioni sui suoi professori e studenti?  E di che genere?>>
« Tutto quello che è documentato, dai voti a scuola alle cartelle cliniche. So che non è del tutto legale, ma ha molti agganci e giustifica il fatto per tutelare l’etica dell’istituto ».
In quel momento un brivido di terrore mi percorse la schiena, forse sapeva troppe cose, di me, magari sapeva di James, delle mie visite in ospedale. Santo cielo, chissà cosa poteva venire fuori!
« Non credo che tu abbia degli scheletri nell’armadio così pericolosi » azzardò forse vedendo la mia smorfia.
«E tu?» gli lanciai un’occhiata fin troppo eloquente, che indicava chiaramente la mia paura e il tentativo di alleviare i miei peccati con quelli di qualcun altro.
« E chi non ne ha….penso che si sia fatta due risate sulla mia perizia psichiatrica e la mia cartella clinica ». Notò sicuramente il mio sguardo sconvolto e si affrettò a precisare prima che io potessi porgergli qualsiasi domanda:
« non sono un pazzo psicopatico, tranquilla, è solo che ho avuto un grave incidente quando avevo vent’ anni: un ubriaco mi ha buttato fuori strada e ne ho risentito molto fisicamente ed emotivamente e poi la storia con la mia ex…» e si interruppe guardandomi frettolosamente.
Oddio aveva avuto una ragazza – e  certo che pensavi stupida che attendesse Biancaneve? – non so bene per quale motivo, ma mi sentii per un attimo invidiosa di quello che un'altra donna aveva potuto condividere con lui. Ma da come ne aveva parlato era sicuramente stata una cosa dolorosa e finita male.
«Dimmi la verità.. e tu da cosa stai scappando?»
Ecco e ora?
« Scusa, ma ancora non me la sento, quando accadrà ti giuro ti racconterò tutto e magari risparmieremo un po’ di soldi entrambi. Tu con lo psichiatra e io con gli psicofarmaci » quella che mi uscì fu più che altro una risata strozzata, fatta per respingere le lacrime che come al solito in certi momenti tentavano di uscire.
Anche lui accennò un sorriso e poi aggiunse: «beh se vorrai io ci sarò, a volte fa quasi meglio affidarsi agli amici che contare interamente su se stessi».
Era dunque questo che stavamo diventando: amici. Confesso che con lui mi veniva proprio naturale
anche fare cose che nell’ultimo periodo mi erano risultate proprio difficili, ma quello che pensavo di questo ragazzo purtroppo si allontanava dall’amicizia e si collocava più vicino ad un sentimento profondo, che poteva sfociare in un affidamento ed una necessità totale di lui.
Passammo l’ora successiva a parlare della scuola. Penso che lo avesse fatto apposta a deviare la conversazione su argomenti più leggeri, ma in fondo mi andava bene così.
Scoprii che eravamo vicini di aula quando facevo storia e mi mise in guardia da alcuni soggetti del quinto anno, sottolineando la sua disponibilità a correre in mio aiuto. Ridemmo insieme e scherzammo fino a che non si fece ora di pranzo.
« Scusa ti devo lasciare. Di solito a quest’ora ricevo una video chiamata dalla mia famiglia e se salto, mia madre potrebbe andare in paranoia ». Mi scusai per averlo trattenuto a lungo, ma anche in quel frangente si comportò come un vero gentiluomo facendomi notare quanto la mia compagnia fosse più stimolante di molte altre attività.
« Spero di farcela domattina », ribadii.
« Tranquilla, cerca di scaricare l’ansia»
« E come, prendo a calci il culo di Jacob? Purtroppo qui non posso fare quello che facevo in America, al massimo mi dedicherò al footing ». Questa volta la risata non fu trattenuta e scoppiammo insieme.
« Scusa ma questa era proprio bella e dimmi cosa facevi a Forks?»
« Nuotavo. Circa tre volte a settimana e mi manca terribilmente. Solo che qui dovrei andare a Londra e non saprei proprio come fare»
« Perché a Londra? Usa la piscina del campus?»
Come, come? in questa scuola c’era una piscina? Oddio e chi se ne andava più!!!
« Ma come, io non l’ho vista! »
« Forse perché qualcuno non ti ha mai fatto fare un tour completo, vieni andiamo nella tua camera».
Questa sua affermazione mi scombussolò; no so perché, ma il fatto che un uomo vedesse la mia stanza mi imbarazzava, specie se l’uomo in questione era un Dio tenebroso che chiunque avrebbe voluto nel proprio letto. Andò sicuro verso la finestra e la spalancò.
«Ma come sapevi…» domanda idiota! « Ricordati che sto sopra di te..» santo cielo, ma il doppio senso lo captavo solo io?
Mi portò di fronte alla finestra incastrandomi fra questa e il suo corpo, si sporse col viso sulla mia spalla alzando il braccio per indicarmi un fabbricato al limitare del boschetto. In quella posizione potevo sentire il suo profumo e perfino il suo alito fresco sul mio collo.
« Quella è la piscina olimpionica. Per lo più è frequentata da studenti, ma ci sono orari più tranquilli e pi puoi sempre chiedere le chiavi a Jake. Sono sicuro che a te le darà ».
Nel sentire questo mi voltai quasi di scatto ritrovandomi a pochi centimetri dalle sue labbra e dal suo viso. Non ebbi la forza e il coraggio di ribattere alla sua affermazione. Il pensiero mi si congelò nel cervello. In quel momento e in quella posizione, con il suo corpo a proteggermi le spalle, una mano sul mio fianco e l’altra che si protendeva sopra alla mia spalla mi sentii finalmente al sicuro e istintivamente indietreggiai lentamente fino a sfiorare il suo torace con la mia schiena. Non mi appoggiai veramente, ma bastò per sentire che lui contraccambiava questo contatto e una marea di brividi si sparse in tutto il mio corpo.
Improvvisamente mi guardò negli occhi e con un tono di voce molto serio e più roco di quello che aveva normalmente si congedò, assicurandomi che ci saremmo rivisti l’indomani per le lezioni. Lo ringraziai, guardai fuori lasciandolo uscire, ascoltando il tonfo sordo della porta e i suoi passi che si dirigevano al piano superiore. In quel momento e per un attimo, quando avevo avuto il suo corpo vicino al mio avevo dimenticato tutto e mi ero sentita tranquilla.
Ero ancora alla finestra quando iniziai a sentire il piano fare qualche accordo e mi tornarono in mente le sue parole: credo si debba sempre fare i conti col proprio passato, ma occorre anche chiuderli certe volte. Me lo aveva detto mentre tentava di spiegarmi, senza scendere nei dettagli, il perché del suo trasferimento.
Ripensando a quelle parole accesi il PC, andai nella posta e, dopo aver scaricato alcune mail, iniziai  a pigiare i tasti nella casella nuovi messaggi: “Ciao James…”
Era giunto il momento di chiudere i miei conti e ricominciare davvero.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** “Nella fossa dei leoni” ***


Capitolo 7
“Nella fossa dei leoni”
 
Lunedì mattina, dieci settembre.
Tre settimane che ero in Inghilterra, venti giorni che avevo messo piede al campus e finalmente era arrivato il momento. Era il primo giorno di scuola per il Trinity Insitute of american’s child: improvvisamente dopo giorni di pace passati tra faccende burocratiche, sistemazione della casa e ripasso delle materie, il campus si era animato. Prima ancora dell’alba i dormitori erano stati un via vai continuo di studenti, genitori, valige, scatoloni; sulla porta del mio corridoio troneggiava minaccioso il mio nome con la dicitura “responsabile dormitorio A femminile”. Almeno una dozzina di ragazze mi avevano chiesto aiuto per problemi nei loro alloggi e altre trenta mi chiedevano informazioni generali, su orari, organizzazione e cose di questo genere. E per ognuna mi sarei dovuta ricordare di compilare la scheda di analisi delle situazioni problematiche. Alla faccia della burocrazia. Per fortuna il custode del dormitorio, Jasper, si era impietosito e trovandomi in difficoltà – in alcuni casi ne sapevo meno io sul luogo di alcune studentesse – si era prodigato per aiutare più me di tutti gli altri.
Povero Edward! Era solo in balia di questa situazione, ma per lui in fondo non era il primo rientro. Avevo la seppur minima consolazione che mi avrebbe certo aiutata nella compilazione delle valutazione e quindi avrei potuto passare un po’ di tempo con lui. Già perché ora sentivo che la nostra amicizia mi avrebbe fatto stare solo bene.
Per quella mattina l’inizio delle lezioni era fissato alle undici, ma gli studenti e i professori si sarebbero dovuti ritrovare tutti un’ora prima nell’aula magna per il benvenuto alle nuove leve e il bentornato ai veterani. Sapevo che in quel frangente una parte dell’attenzione sarebbe stata focalizzata anche su di me, ma cercai di non pensarci, in fondo erano solo le otto.
Verso le otto e trenta la maggior parte degli studenti che alloggiava al campus si ritirò per organizzarsi per le lezioni: chi viveva in paese girovagava nel cortile raggruppandosi per salutarsi o scambiarsi notizie sull’estate. Un lunga fila di studenti entravano e uscivano dalla segreteria per ritirare orari, fare nuove iscrizioni: in quel momento non invidiai assolutamente la signorina Cope.
Iniziai a prepararmi, non volevo eccedere, ma mi era stata richiesta eleganza e sobrietà durante il primo giorno di scuola: indossai un tailleur composto da gonna e giacca con una camicia in seta nera e, purtroppo, scarpe con il tacco. Chissà se prima o poi mi sarei potuta presentare con le mie fidate Reebook e i jeans.
Erano ormai le dieci e mi avviai alla sala riunioni. Molti studenti erano già lì con i familiari e abbassai lo sguardo entrando quando notai molti occhi puntati su di me. Alcuni professori erano seduti e istintivamente mi guardai intorno alla ricerca dell’unico che avrei voluto vedere. Jake mi salutò dall’altra parte e mi sentii in dovere di ricambiare, anche se la conversazione di Edward mi aveva messo molti dubbi su di lui.
«Sembri spaesata ».Una voce calda alle mie spalle mi fece sussultare e mi voltai già con il sorriso sulle labbra: Edward in versione professore era semplicemente magnifico. Non avrei mai potuto immaginare che una camicia e un completo elegante lo avrebbe potuto rendere più sexy di quanto non fosse già. La camicia grigia lo rendeva sicuramente più maturo di quanto non sembrasse con jeans e maglietta, ma era comunque uno spettacolo.
« Lei è una splendida visione professoressa Swan » disse guardandomi dritto negli occhi.
Nonostante in quei due giorni avessimo chiacchierato di tante cose non mi aveva mai fatto un complimento così esplicito e molto probabilmente arrossii.
« Anche lei è molto elegante professor Cullen, credo che la preside non sarà contenta di vedere le  mamme distratte dal suo discorso, perché intente a fissare lei ». Non so perché mi uscii un affermazione di questo genere, ma sentii un moto di gelosia per tutte le donne che in quell’aula avrebbero potuto mettergli gli occhi addosso.
« Non credo che siano più degli sguardi degli uomini che attirerai tu e comunque potresti sederti vicino a me, così magari potrei salvarti da ammiratori indiscreti» e così dicendo fece un accenno con la testa in direzione di Jake che ci fissava con occhi carichi di…disprezzo???
« Grazie mio prode cavaliere » risposi ridendo, ma comunque turbata dallo sguardo di Jacob. Edward mi fece strada nella zona riservata ai professori e mi fece accomodare vicino a lui, scostandomi la sedia per farmi sedere: in altre occasioni aveva avuto gesti così premurosi il giorno prima in casa mia e questo mi faceva oltremodo piacere.
Pochi minuti dopo la preside fece la sua entrata e tutti si zittirono. Il discorso durò circa mezz’ora, nella quale diede il benvenuto a tutti e spiegò a grandi linee i punti di forza dell’istituto e le iniziative che avrebbero contraddistinto l’anno appena iniziato. Poi congedò i genitori e invitò professori e studenti a dare avvio alle lezioni. Mi alzai in piedi e mi diressi a passo spedito nell’aula insegnanti per prendere i miei documenti: Edward era al mio fianco, ma non fiatò, sentendo probabilmente palpabile la mia tensione.
Quando fui sulla soglia della mia aula presi un bel respiro prima di entrare:
« Andrà tutto bene vedrai, fa vedere loro chi comanda » e mi deliziò con il suo sorriso sghembo…  « e se hai bisogno di una via di fuga, io sono appena due porte più in là». Mi sentii onorata delle sue attenzioni che, a detta di tutti, non aveva mai rivolto ad altri professori, maschi o femmine che fossero. Sapevo che in questo modo la nostra amicizia sarebbe stata sulla bocca di tutti, ma a me in questo momento non importava. In Edward sapevo che avrei potuto trovare un appoggio per i miei momenti bui, perché anche se non sapeva, anche se non parlava, lo sentivo in qualche modo vicino e più simile a me di molti altri che magari mi avevano fino a quel momento solo compatito o accusato. Gli sorrisi ed entrai alla mia prima lezione.
Furono i cinquanta minuti più lunghi della mia vita, ma il fatto che gli studenti fosse novellini come me fece andare tutto liscio come l’olio. Avevo esposto quello che sarebbe stato il programma dell’anno e cosa mi aspettavo da loro. Come ero solita fare cercai di dimostrarmi aperta alle idee e necessità degli studenti e di propormi come un’insegnate “moderna”, anche se ferma nelle regole di convivenza e preparazione delle attività.
Quando tutti i miei studenti se ne furono andati il volto sorridente di Edward varcò la soglia della porta dell’aula.
«Tutta intera?»
« Sì grazie, è andato tutto molto bene, e a te?»
« Come al solito, ragazzini con gli ormoni a palla che pensano di avere tutto il talento di questo mondo. Per fortuna amo molto la musica se no a quest’ora mi sarei già demotivato»
« Ne so qualcosa, quando suonavo credevo di avere talento e invece ero solo una delle tante, ma amavo troppo la musica per lasciarla e così mi sono dedicata al canto e lì è andata un po’ meglio»
« Veramente cantavi e suonavi?»
« Sì perché hai dei dubbi?»
«No, assolutamente. Sapevo che c’era qualcosa che ci legava: ho un sesto senso per certe cose». Giurai a me stessa di averlo visto arrossire durante questa affermazione. Veramente poteva sembrare un complimento finalizzato ad un legame più stretto dell’amicizia, ma non ci badai. La sua vicinanza era più importante per me. Stava diventando ogni momento sempre più un appoggio e un conforto. Rischiavo di crearmi una dipendenza da lui, ma forse era questo di cui avevo bisogno. E comunque me ne sarei accorta solo andando avanti.
«Pausa caffè?» mi chiese
« Sei finalmente rientrato nelle tue abitudini extra the?»
« Sì, ma la terrò come ruota di scorta, in questo modo potrò avere la scusa per fare quattro chiacchiere con te»
« Per farlo non hai bisogno di scuse, basta che bussi alla mia porta». Ero convinta come non mai delle mie parole, le sentivo con il cuore e fui felice di avergliele dette.
« Ora devo andare. Mi tocca la parte più dura della giornata: i ragazzi del quinto anno».
Come prima mi augurò in bocca lupo e mi incamminai. Fu sicuramente un’ora intensa in cui mi scontrai più volte con uno studente grosso come un armadio, un certo Emmet che mi sfidò ripetutamente in special modo sul piano della pratica educativa, con battute e frecciate, che , meravigliandomi di me stessa, riuscii sempre prontamente a ribattere o respingere. Stanca e con un forte mal di testa mi incamminai verso il mio dormitorio: in quel momento il mio interesse era rivolto solo ad una tuta, una buona cena e il mio amato letto.
Lungo la strada incontrai Jake che mi fermò:
« Come è andato il tuo primo giorno? »
« Bene grazie, senti Jake mi devi togliere una curiosità, mi spieghi qual è la tua funzione? Ti vedo un po’ dappertutto, ma ancora non ho ben capito quali mansioni svolgi»
« In realtà ho ricevuto questo lavoro grazie a mia zia, la preside » mi finsi stupita e lo feci proseguire.
« Non ho avuto voglia di proseguire gli studi, e volevo andarmene da Seattle e quindi eccomi qua: lei è stata così gentile da darmi questo lavoro e io per sdebitarmi faccio un po’ di tutto, non mi tiro indietro»
« Beh buon per te»
« Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere»
« Grazie lo terrò in considerazione » feci per andarmene, ma una frase mi fermò.
« Stai facendo amicizia con Cullen vero?»
Mi voltai con una sguardo abbastanza inquieto: « Non credo sia un tuo problema, comunque sì, è stato molto gentile con me, ed essendo un collega posso dire che c’è una certa amicizia»
«Ti ho messo in guardia su di lui  e lo ribadisco, ha sicuramente un secondo fine, non ti fidare»
«E tu non hai un secondo fine?» lo freddai e lui impallidì, forse non si aspettava una mia reazione di questo tipo.
« È da quando sono arrivata che mi tampini, che, diciamoci le cose come stanno, ci provi. Dovrei pensare male anche di te, ma non l’ho fatto, perché prima di giudicare le persone le devo conoscere e fino ad ora non conosco né Cullen né te, quindi sei pregato di non fare congetture grazie » ero stata un po’ troppo dura con lui, ma non mi andava di continuare a sentire i suoi vaneggiamenti. «Ciao Jake»       
Lo lasciai lì, probabilmente un po’ turbato, ma fui quasi certa di aver sentito un “ti ho avvertita“ appena sussurrato uscire dalle sue labbra prima di allontanarmi, dirigermi al mio appartamento e chiudermi così quella pesante giornata fuori dalla porta.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** “Calma apparente” ***


Capitolo 8
“Calma apparente”
 
Le settimane passarono tra alti e bassi; ero soddisfatta del mio lavoro e alcuni studenti mi rendevano veramente orgogliosa: altri erano veramente degli ossi duri per l’apprendimento della disciplina, ma l’unico che mi dava veramente del filo da togliere era McCarthy, lo studente del quinto anno che fin dal primo giorno mi aveva apertamente sfidata a chi cedeva prima di fronte alle sue battute. Parlando con Edward e i miei colleghi avevo riscontrato gli stessi miei problemi.
Emmet era un soggetto duro: scaraventato ai quattro lati del mondo per il lavoro dei genitori, aveva ripetuto più volte gli anni scolastici. Non per niente aveva ventun’anni quando gli altri ne avevano appena compiuti diciotto. Era il classico tipo che avrebbe avuto bisogno di parlare, sfogarsi e trovare una spalla su cui piangere e confidarsi per la sua rabbia repressa, ma aveva trovato sempre e solo muri, adulti, genitori e professori pronti solo a giudicarlo e a bloccarlo. E lui si sfogava così, con il sarcasmo e la maleducazione. Mi ero ripromessa di analizzare la situazione con l’aiuto dei miei studi e di provare a invertire la tendenza, ma in questa fase lo ritenevo ancora insopportabile.
Anche per l’amicizia con Edward erano state settimane intense. Ci eravamo visti sempre più spesso, sia nelle pause pranzo che tra un’ora e l’altra, ma raramente nel dormitorio. Avevamo chiacchierato molto e cominciamo a conoscerci.
Eravamo riusciti a parlare della nostra vita, senza però mai rivangare gli eventi del passato che ci rendevano più tristi. Sapevo ormai molto della sua splendida famiglia e della sua passione per la musica e lui aveva riso dei miei racconti sull’intensa vita vissuta  a Forks e i miei piccoli bambini lasciati là.
Nel week-end Edward si era assentato perché la sua famiglia lo avrebbe raggiunto nel suo appartamento  a Londra. Per un attimo mi invitò a partecipare a quell’incontro, ma visto il mio momentaneo imbarazzo, ritirò l’offerta dicendo che avremmo potuto passare un po’ di tempo visitando la città anche in un'altra occasione.
In realtà quell’invito mi aveva lusingato e nello stesso tempo imbarazzato, perché conoscere la sua famiglia mi avrebbe permesso di entrare ancora di più nella sua vita e per questo non eravamo pronti ne io né lui. Il passo successivo sarebbe stato quello di confidarci il nostro passato e sapevamo entrambi che non era ancora possibile.
Lo ringraziai comunque molto e decisi di passare un paio di giornate tra passeggiate lettura e relax, anche perché una fastidiosa sensazione di pesantezza al torace non mi aveva fatto riposare bene negli ultimi giorni.
Immaginavo di cosa si trattasse: sapevo che mio padre mia avrebbe chiamato perché il tredici ottobre sarebbe stato il mio trentesimo compleanno e non poteva perdere l’occasione di fare gli auguri alla sua “bambina” tramite telefono o webcam. Ma immaginavo che il mio malessere non fosse causato da  quello: tutti i miei ultimi dieci compleanni erano passati con la presenza di James, reale e virtuale e questo era il primo in cui avrei più che mai notato la sua assenza. A differenza però degli anni passati non provavo un senso di vuoto, anzi dovevo ammettere che ero quasi sollevata e mi metteva molto più in ansia pensare che sarei potuta rimanere in America e continuare quella situazione di stallo per la mia vita.
Erano ormai le dieci di sera quando vidi rientrare Edward che, alzando gli occhi, mi sorrise prima di varcare la soglia dell’edificio. Subito dopo sentii bussare alla porta e mi precipitai ad aprire. Non lo vedevo da venerdì e ne sentivo proprio il bisogno.
« Ciao, passato un bel weekend?» gli chiesi.
«Sì ,certo anche se mia sorella è quasi da sgozzare: ha saltellato per il mio appartamento confabulando di cambiare questo e quello, e ha anche tentato di costringermi a fare shopping. La adoro, ma ogni tanto la strozzerei. E tu?» disse tutto rimanendo sulla soglia.
« Niente di che, mi sono riposata e ho sentito i miei: in questo periodo diventano un po’ ossessivi»
«Perché? » Forse mi ero lasciata scappare una parola di troppo, ma ormai ero in ballo….«tra poco è il mio compleanno e sarà il primo che passo senza mio padre, sai per lui non è facile avermi così lontana dopo sedici anni passati a stretto contatto»
« Posso capirlo, anche per i miei è stato così; e quando sarebbe ?»
« Il 13, venerdì»
« Wow la notte delle streghe. Non è che….??? » suppose ridendo.
« E perché no, non mi dispiacerebbe. Anzi, ridendo mia madre mia ha sempre detto che sono una strega perché sento molte cose prima e riesco a guardare dentro alle persone ad un primo sguardo»
«Devo cominciare a preoccuparmi allora? » e fece una faccia tra lo spaventato e l’ironico che mi scatenò una risata.
« Beh allora festeggerai, posso chiederti quanti?»
« Trenta»
«Ne dimostri molto meno credimi»
« In realtà in questi ultimi tempi me li sento tutti e anche di più »
« Ehi sei appena di un anno più giovane di me cosa dovrei dire io?»
E così aveva 31 anni. Anche lui ne dimostrava meno, non per niente lo avevo scambiato per uno studente il primo giorno. Accennai un sorriso a questa mia supposizione e gli dissi sinceramente quello che pensavo:
«Non credo lo festeggerò, non ho mai amato molto il mio compleanno. Almeno negli ultimi anni, troppi ricordi dolorosi ». E abbassai lo sguardo sentendo nuovamente quella fitta che negli ultimi dieci giorni, tra il mio nuovo lavoro e la vicinanza di Ed era quasi sparita.
« Non devi essere triste» mi disse alzandomi il volto con due dita. Aveva già fatto quel gesto, ma il suo tocco e il fatto di trovarmi occhi negli occhi con lui mi faceva partire brividi in tutto il corpo.    « La vita va avanti sempre e tu hai ricominciato alla grande. Sei una persona magnifica e solare: non permettere al passato, per quanto triste possa essere stato, di offuscarti»
«Tu non sai…» sospirai. Fui quasi tentata di dirgli qualcosa, ma mi diedi un morso alla lingua.
« No, non so, ma credimi … posso capire. Ora vai e riposa, non pensare a nulla e ricorda, io sono qui se hai bisogno ». Quelle parole furono di estremo conforto. Edward era così: anche se non diceva nulla alleggeriva le mie pene.
« Ok a domani allora….. nei corridoi>> gli sorrisi.
Si congedò e me ne andai a letto, ma non riuscii affatto a riposare. Incubi costanti in cui rivedevo la figura di James, sua moglie, il nostro incontro, l’ansia e l’angoscia degli ultimi tempi…poi il sogno cambiava…non ero più con James, ma con Edward, che mi sorrideva; sentivo la leggerezza nel cuore, mi dava la mano e mi sussurrava qualcosa all’orecchio che non riuscivo a capire….poi il buio, il freddo, Edward svanito nel nulla e le lacrime che mi sgorgavano sul viso, lacrime che trovai ancora sulle mie guance quando al mattino la sveglia suonò ricordandomi il mio lavoro e segnando l’inizio della settimana del mio compleanno.




note: ok forse molti di voi non hanno proprio chiara la situazione. Bella ha avuto una storia passata che l'ha messa molto alla prova e che la turba ancora nel momento in cui ci pensa troppo. Per ora del suo passato si capiranno solo alcuni stralci proprio per lasciare suspance, poi inizieranno ad arrivare i chiarimenti. spero che abbiate capito, altriementi sono qua!!!Chiedete pure.
ciao alla prossima

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** “Crollo!” ***


Capitolo 9
“Crollo!”
 
L’indomani quando mi presentai a lezione avrei dovuto sentire che qualcosa non andava. Da qualche giorno cercavo di non prendere più i  leggeri farmaci che mi erano stati dati a cicli per essere più tranquilla. Li avevo smessi perché stavo effettivamente bene: per un attimo pensai che forse quel giorno mi sarebbero serviti, ma poi volli essere più forte e decisi di lasciar  perdere.
Avrei dovuto cominciare ad affrontare le mie paure da sola.
Tra le lacrime mi ero svegliata con un fortissimo mal di testa e ancora quel senso di oppressione al torace. Non avevo avuto neanche la forza per andare a fare footing come facevo ormai tutti i lunedì mattina. Continuavo a pensare a James, non so neanche bene perché, ma lo sentivo nell’aria, come se fosse potuto comparire da un momento all’altro nei corridoi; un fantasma nella mia mente.
Entrai nella mia aula e attesi l’arrivo degli studenti: non feci nemmeno caso a Edward che mi chiamava e me lo ritrovai sulla porta:
«Ehi, sei tra noi stamattina?»
Sobbalzai al suono della sua voce e mi chiesi come fosse possibile che il rivederlo ogni volta mi distraesse da qualsiasi mio pensiero, soprattutto quelli negativi.
« Ciao scusa, ero sovrappensiero», cercai di giustificarmi.
« Me ne sono accorto, non mi hai nemmeno visto stamattina quando sei uscita di casa e sì che ti ho chiamato più volte ».
Oddio ero veramente così nel mio mondo da non accorgermi di lui? Era partito tutto dalla sera prima, quando gli avevo confessato del mio compleanno e in quel modo avevo ricordato il mio passato.
« Scusa ma non ci sono proprio ».
Lo vidi avvicinarsi con lo sguardo serio e quasi preoccupato, si appoggiò alla scrivania e continuando a guardarmi negli occhi mi parlò molto piano e lentamente, quasi a volermi far entrare le sue parole, non solo nelle orecchie, ma nel cuore:
« Dipende per caso dalle lacrime di stanotte…».
Oddio mi aveva sentito! Era stato indirettamente partecipe del mio incubo.
E ora che avrei potuto fare? Negare, negare sempre e comunque, altrimenti avrei dovuto dare troppe spiegazioni, anche del fatto che ormai da qualche settimana lui popolava i miei sogni a fianco di James.
« C-cr..credo tu ti stia sbagliando », balbettai.
« Bella, guardami », no, ti prego non farlo, non riuscirei a mentirti guardandoti negli occhi!
« Ti prego Bella». Cercai di non ascoltarlo, chiusi gli occhi sul registro depositato sulla cattedra e presi un bel respiro.
« ok, fa come vuoi, ma non è la prima volta  che ti sento piangere, probabilmente nel sonno e vorrei tanto poterti aiutare».
Sapevo che quello che avrei detto da lì a poco avrebbe incrinato tutto:
« Non c’è niente di cui io abbia bisogno o che tu possa darmi». Sollevai lo sguardo mentre dicevo queste parole a cui nemmeno io credevo. Lui mi avrebbe potuto dare moltissime cose, sicuramente tutte migliori di quelle che avevo avuto fino a quel momento. Ma non potevo. Non potevo più aprire il mio cuore a qualcuno, consentire di indebolirmi affidandomi a lui.
« Io non sono d’accordo, tutti abbiamo bisogno d’aiuto, sospirò nuovamente».
« Questo vale anche per te? ». Sapevo che ricordando che anche lui non era la gioia fatta a persona avrei rigirato un coltello nella sua profonda piaga chiamata passato, e lo avrei forse anche offeso.
« Non stavamo parlando di me ora, io non piango praticamente tutte le notti nel sonno»
« Almeno io ci provo a dormire….»
« Se ti dà fastidio il piano..»
« Non ho detto questo – ribattei forse nel tentativo di scusarmi – volevo solo dire che entrambi abbiamo i nostri problemi e se ci siamo detti tempo fa che non è il caso di parlarne non capisco perché ritirarli fuori ora: cosa è cambiato? ».
Non so perché ribadii quelle cose, forse per come ero girata io quella mattina volevo mettere un po’ di freddezza nella nostra amicizia o forse avrei voluto sentirgli dire che tra noi era veramente cambiato qualcosa e “amici” non sarebbe più bastato.
« Scusa ma pensavo… » e dicendo questo si rialzò dall’appoggio e abbassò lo sguardo verso la porta. Lo avevo ferito, ne ero consapevole. Il mio tentativo di spronarlo a parlare con me di se stesso era fallito e avevo ottenuto l’effetto contrario, che temevo: allontanarlo e rendere la nostra amicizia più formale. Non del tutto rassegnata lo rimbeccai.
«Cosa pensavi Ed? », feci questa domanda usando un tono molto più dolce e mi alzai in piedi per essere più vicina a lui. Mai come in questo momento avrei desiderato che mi guardasse negli occhi e avrei voluto provare la sensazione di essere stretta tra le sue braccia.
« Niente… » e fece per allontanarsi, ma una fitta al cuore ancora più forte di quelle provate per James mi convinse a mettere un riparo a quella discussione: lo bloccai trattenendolo per un braccio e mormorandogli un flebile “scusa”. Lui si girò nella mia direzione con lo sguardo più triste che gli avessi mai visto e tentò di dirmi qualcosa, quando la campanella della prima ora suonò, distraendoci dalla conversazione.
Pose fine a tutto con un “devo andare”, che rimase sospeso nell’aria come un fumetto e in quel momento il respiro mi mancò e la vista si annebbiò, come quando James mi aveva detto che mi avrebbe lasciato per un’altra. Strinsi gli occhi e i pugni come a trattenere un urlo di dolore e feci un profondo respiro per consentirgli di varcare la soglia della porta e non assistere al mio disfacimento emotivo.
Cosa mi stava succedendo? Quel dolore, quello stato d’ansia erano stati una caratteristica della mia fragilità emotiva quando avevo perso per sempre James, ma poi mi ero ripresa, con l’aiuto dei farmaci e del trasferimento, ero piano piano risorta dalle mie ceneri, e ora che mi stava accadendo?
Purtroppo il mio cuore aveva la risposta, ma la mia mente la rifiutava: in poco tempo Edward era diventato una parte fondamentale della mia vita lì, e sapere di averlo ferito o anche solo allontanato, era fonte di grande infelicità per me; era la mia ancora di salvezza nei giorni bui e mi aveva ridato il sorriso facendomi dimenticare in parte il mio dolore anche solo con la sua presenza.
E ora cosa stavo facendo? Per non raccontargli il mio passato lo stavo cacciando dal mio presente? No, non potevo farlo, gli avrei parlato alla fine della giornata, gli avrei raccontato tutto o almeno una buona parte e avrei alleggerito il mio animo, scusandomi con lui per la mia incostanza e freddezza.
Mentre pensavo tutto questo lo vidi sparire dalla porta senza salutarmi e i primi studenti cominciarono ad entrare salutandomi e disponendosi ai loro posti.
La lezione iniziò: ero agitata, nervosa e ogni piccola cosa mi faceva scattare e innervosire. Il mal di testa aumentò e chiamai il primo ragazzo per le interrogazioni che ormai avevamo programmato già da una settimana. Non era la giornata migliore, non ero concentrata, ma non potevo fare diversamente.
Iniziai a interrogare il povero malcapitato: anche Einstein quel giorno sotto le mie grinfie avrebbe racimolato al massimo una “F” e iniziai a porre domande a raffica, come non avrei mai fatto. Mi piaceva ragionare con i ragazzi, portarli a fidarsi delle loro capacità, ma in quel momento la mia ansia e il pulsare alla testa, mi fecero fare tutto il contrario.
Improvvisamente un “bip” mi riscosse dai pensieri. Tutti i ragazzi presenti sapevano che durante le mie lezioni i cellulare erano rigorosamente vietati e solo uno infrangeva costantemente le mie regole, per mettermi alla prova: « McCarthy – quasi urlai – le avevo più volte chiesto di spegnere il cellulare in aula».
Emmet mi guardò sprezzante: « mi scusi prof è che aspettavo un messaggio molto importante»
«Può essere più importante di un pessimo voto in condotta McCarthy?»
« Su prof. si rilassi è solo un messaggio, cerchi di essere meno acida».
A quelle parole non ci vidi più dalla rabbia: gli altri studenti erano impietriti e potei vedere il terrore nello sguardo del ragazzo che stavo interrogando. Forse temeva che finito con Emmet sarebbe toccato a lui. Sentii il cuore martellarmi nel petto e arrivare fino alle tempie:
« Mi dica signor McCarthy, cosa mi suggerisce lei che è un uomo di mondo ». Raramente capitava che dessi del “lei” agli studenti, ma con lui c’era un tale disprezzo che non potevo proprio farne a meno.
« Non so prof….», continuò noncurante delle conseguenze che in quel momento potevano derivare da un comportamento così. In un altro frangete avrei cercato di mediare la cosa in modo anche spiritoso, ma in quel momento, dopo la discussione con Edward e i miei incubi, non l’avrebbe passata liscia.
« Magari potrebbe svagarsi, che ne dice di sesso? Secondo me è un bel pezzo che le manca un uomo: ehi!! magari il professor Cullen si renderebbe disponibile ad aiutarla in questo suo “blocco”. Da quando vi siete incontrati è molto più allegro» e si guardò intorno ridendo sonoramente per cercare conferme dai suoi compagni.
Per mia o forse sua fortuna solo i suoi più stretti scagnozzi sorrisero, gli altri studenti rimasero impassibili. Il sentir nominare Edward fu la goccia: il mio dolore al torace si intensificò, le tempie mi esplosero e la vista cominciò ad annebbiarsi. Riuscii solo a urlare che lo avrei condotto dalla preside al termine della lezione e poi il buio.
 
 
 
 
 
note: no, dico 10 recensioni e 35 seguite!!!ma chi se lo immaginava. dire che sono lusingata è ancora poco. Ok ora si comincia a fare un pò più di luce sulla vita di Bella: su quella di ED dovremo invece aspettare. Però da questo momento la loro amicizia diventerà sempre più solida e Bella comincerà a capire i suoi veri sentimenti. Mi dispiace se questo personaggio vi può sembrare un pò melodrammatico, ma mi è uscito così e in più mi sembrava che darle quest'immagine di fragilità la avvicinasse di più al personaggio di Edward. e comunque avrà anche momenti di grande forza in futuro.
grazie mille a tutti e alla prossima

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** “Mi prenderò cura di te” ***


Capitolo 10
“Mi prenderò cura di te”
 
Il buio….il dolore…immagini sfocate… voci…urli…”chiamate qualcuno”…sentivo gli studenti attorno a me…”professoressa”…..”Professoressa Swan”…..passi, mormorii…”oddio che hai fatto Em”…”io-io non credevo, ma che le è preso?”…..il buio..il freddo…e poi una voce. Quella voce, la sua voce.
“Bella, mio Dio che hai? rispondimi ti prego”…cercai di aprire gli occhi per fargli vedere che stavo bene. Non volevo si preoccupasse per me. Sapevo cosa mi era accaduto, non era la prima volta, ma era da tanto che non mi succedeva più: crollo psicofisico e somatizzazione dell’ansia lo chiamavano, ma non avevo la forza di parlare e di spiegarlo a Ed perché non si preoccupasse. Il buio continuava, ma sentivo le voci più chiare intorno a me.
“Da quanto è svenuta?”
“È successo pochi secondi prima che la chiamassimo prof”
Ancora buio, poi il calore. Due braccia mi raccolsero e mi strinsero in un abbraccio bollente. Era lui: ne ero sicura. Non lo avevo mai provato, ma sarei stata più che pronta a scommettere che fossero le sue braccia.
Come sotto l’effetto di sali ripresi leggermente conoscenza, tanto da allungare le braccia e stringermi al suo petto.
“Sembra si stia riprendendo”…ancora i miei studenti. Poverini dovevo averli terrorizzati a morte. Non me ne curai più di tanto, ma mi lasciai trasportare dalle meravigliose sensazioni che la stretta di Edward stava avendo su di me.
“La porto in infermeria. Qualcuno avvisi la preside. Non potete rimanere da soli”.
Ancora la sua voce, calda, sicura, che si rivolgeva ai miei ragazzi cercando di calmare la situazione.
“Bella cerca di riprenderti ti prego, che cosa ti è successo?”  Stava camminando con me in braccio e mi parlava forse per cercare di riportarmi tra i vivi.
“Ti prego Bella dai, non puoi lasciarmi proprio dopo che abbiamo litigato, se no come facciamo a fare pace oggi pomeriggio. Ti prego dimmi che non è stata colpa mia”.
Oddio si stava preoccupando per quello che era accaduto tra noi poco prima: avrei tanto voluto stringerlo e dirgli che non era colpa sua ma mia, del mio essere sbagliata e del mio squilibrato modo di prendere tutto troppo di petto e somatizzare.
Mi sembrò quasi di sentir mormorare un “tesoro” come intercalare tra una frase e l’altra, ma forse era solo la mia immaginazione; forse avrei desiderato sentirglielo dire, forse avrei desiderato innam- no no no non sarebbe mai successo. Non potevo pensarlo o avrei rovinato tutto di nuovo.
Dopo un tragitto che mi sembrò interminabile lo sentii depositarmi su un lettino. Probabilmente eravamo in infermeria e lo sentii parlare con una donna ed un uomo. Non capii bene: tra le parole, intuii “attacco di panico”, “malore cardiaco” e altro ancora. Poi una puntura e un forte odore alle narici mi fecero lentamente ridestare.
Aprii gli occhi lentamente, vedevo ancora annebbiato, ma riconobbi subito la figura di Edward lontano da me con le mani in tasca.
Perché non ero più fra le sue braccia? Non sentivo più quel calore che mi aveva lentamente ridestato dal torpore. Mi guardai intorno e vidi una figura maschile e una femminile chinate su di me. Sentii Edward parlare distintamente stavolta:
« Si sta riprendendo», la sua voce era tesa preoccupata, ma anche attenta.
« Signorina Swan come si sente?».
Mi voltai verso quello che probabilmente era il medico dell’istituto e provai a parlare. Mi uscii solo un flebile “sto bene.” Bastò però a far tranquillizzare Ed che, potrei giurarci, tirò anche un sospiro di sollievo.
«Cosa è successo?»
« È svenuta signorina, in classe, i suoi studenti l’hanno soccorsa e il professor Cullen l’ha portata qui. Si sente meglio ora? Sembra quasi che abbia avuto un collasso, soffre di cuore? Potrebbe essere stato anche un attacco di panico. Le è già capitata una cosa del genere?».
Tutte le domande del dottore mi rimbombavano nel cranio, ma cercai comunque di rispondere lucidamente.
« Sì non è la prima volta », sapevo che Edward avrebbe sentito, ma continuai. Enunciai i sintomi che avevano preannunciato la crisi:
« L’hanno definito una specie di attacco di ansia, non di panico e no, non ho mai avuto problemi cardiaci. È la prima cosa che hanno escluso dalle diagnosi»
« Ha subito traumi psicofisici in passato che hanno richiesto l’intervento di psicofarmaci?»
« sì – dissi imbarazzata – due anni fa. Ho subito diverse crisi che poi con il passare del tempo e una lieve terapia farmacologica a cicli sono scemate completamente ».
Ecco, ora Edward sapeva qualcosa in più di me, qualcosa che mi spaventava ancora nel rapporto con gli altri e di cui mi vergognavo, anche se non era avvenuto per causa mia.
« Da quanto non ne soffriva più?»
« Da otto mesi ormai e ho interrotto la terapia un mese fa»
« Cosa pensa abbia potuto scatenare questa nuova reazione?».  Il dottore continuava a domandare, ed io mi accorsi dell’allontanamento di Edward, che forse voleva lasciarmi un po’ di privacy. Ad un tratto lo sentii dire chiaramente “io me ne vado se non c’è più bisogno di me”, ma il mio forte “no” lo fermò. Si voltò e mi guardò con uno sguardo tra il sorpreso e il compiaciuto.
Cercai di proseguire il mio discorso senza far trapelare più del necessario rispetto alle informazioni mediche.
« Da qualche giorno ho avuto qualche mal di testa e mi sono accorta di non riposare bene. E questa mattina, probabilmente in seguito alla stanchezza, ho cominciato a sentire dolore al petto. Poi il litigio con McCarthy…credo sia stato il fattore scatenante». Alzai lo sguardo di sottecchi verso Edward e lo vidi sbarrare gli occhi e impallidire leggermente. Forse temeva che la nostra discussione fosse stata la causa di tutto, ma cercai di confortarlo con lo sguardo, facendogli un lieve sorriso.
Di lì a trenta secondi la preside piombò nell’infermeria chiedendo a tutto volume il mio stato di salute. Alla faccia della riservatezza! Ma lei, se era vero quello che diceva Ed avrebbe dovuto sapere più del medico il perché del mio malore.
« Come sta professoressa?». Mi chiese con un tono tra l’acido e il preoccupato.
« Meglio grazie, è stato solo un mancamento»
« Dovuto a cosa, non sarà mica incinta per caso…»
Tutti spalancammo gli occhi, Edward per primo, a quell’affermazione e mi si blocco la parola in gola. Il medico si fece avanti per togliermi dall’evidente imbarazzo in cui tutti, tranne la preside eravamo piombati.
« Non si preoccupi preside, la signorina ha solo avuto uno svenimento causato da una forte emicrania e probabilmente da alcune notti di cattivo riposo. In più uno studente le ha fatto alzare la voce aumentando il disturbo. Per fortuna il professor Cullen l’ha subito soccorsa».
Ringraziai con lo sguardo il medico e tornai a fissare Ed,  che a sua volta mi osservava sollevato.
« Ora deve solo riposare almeno per ventiquattro ore e poi andrà tutto a posto. Vada a casa e se dovesse avvertire anche solo uno di quei sintomi non esiti a chiamarmi. In caso contrario mercoledì…»
« Potrà riprendere servizio… giusto?», terminò la preside per lui.
« Sì certo, se se la sente…»
« Sì, sì – mi affrettai a ribadire – un giorno di riposo andrà più che bene».
La preside si congedò, dicendo qualcosa a bassa voce a Edward e io feci per alzarmi, quando un corpo forte e caldo si avvicinò a me sorreggendomi:
« Devi andare piano, non vorrai svenirmi di nuovo tra le braccia » e vidi comparire uno splendido sorriso su quelle labbra stupende.
« Le dispiace signor Cullen accompagnarla al suo alloggio, facendo attenzione ad eventuali capogiri e assicurandosi che riposi il più possibile? »
Alzai lo sguardo verso Edward che ascoltava attentamente il medico.
« Stia tranquillo, non la perderò d’occhio » e detto questo rinforzò la presa sul mio fianco, permettendomi di appoggiarmi alla sua spalla, mentre l’altra mano mi sorreggeva al punto vita. Ero stretta in una bolla meravigliosa, con il suo calore, e il suo fiato che mi lambiva i capelli; le sue mani erano un porto sicuro, non sarei potuta stare meglio e in quel momento non sarei voluta essere in nessun’altro posto che non fossero le sue braccia, questa volta in modo più consapevole rispetto ad un’ora prima.
Percorremmo la strada che ci separava dal nostro dormitorio in silenzio e molto tranquillamente. Mi teneva talmente stretta che sembrava volesse inglobarmi nel suo fianco. Ogni tanto rinforzava la presa e la mano scivolava un po’ più vicino ai seni o ai fianchi e allora quasi scottato la ritraeva come se qualcosa lo trattenesse dallo stringermi a sé. I brividi che avevo provato le altre volte che il mio corpo era per caso entrato in contatto con il suo non erano nulla rispetto a quello che provavo ora: un’onda che avrei potuto definire “elettromagnetica” mi avvolgeva e mi sembrava quasi di fluttuare. I nostri respiri si erano quasi sincronizzati, capivo che si stava rasserenando ed era quasi completamente passato lo spavento che gli avevo procurato.
 
 
 
 note : chiedo scusa se la scrittura è piccola. ho cercato di ingrandirla, ma non ho ancora confidenza con l'htlm. cercherò di migliorare. grazie a tutti
  

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** “Stammi solo vicino” ***


Capitolo 11

“Stammi solo vicino”

 

Quando fummo a pochi metri dal nostro dormitorio mi tornò alla mente un piccolo problema:

« Oddio Ed le chiavi di casa…le ho lasciate nell’armadietto della sala professori!!».

Ero solita andare a scuola con il minimo indispensabile, visto che non avevo strada da percorrere e quindi portavo con me al massimo il cellulare oltre, naturalmente, alle chiavi dell’appartamento.

E ora come avremmo fatto? Mi dispiaceva costringerlo a tornare indietro e per dirla tutta non avevo nessuna intenzione di staccarmi da lui.

« Non ti preoccupare – mi disse con tono molto dolce – Jasper ha sempre un doppione di tutte le chiavi».

Che stupida!  Avrei dovuto immaginare che il custode non lasciasse un intero dormitorio nelle mani di un’orda barbarica di studenti.

Entrammo nell’ampio portone e ci dirigemmo verso il bancone da dove Jasper osservava l’uscita e l’entrata degli studenti, che non sarebbe avvenuta prima di… ..mi guardai intorno alla ricerca dell’orologio.

 Le undici!! Mio Dio a occhio e croce il mi svenimento era avvenuto due ore prima. Gli studenti non sarebbero rientrati prima di tre ore. Meglio così, non mi sarebbe proprio andato a genio di farmi nuovamente vedere in quelle condizioni, né di sopportare il loro vociare nella mia testa.

« Pensi di reggerti sulle gambe se mi allontano un attimo?», proruppe Edward sarcastico.

« O mio prode cavaliere credo proprio che a fatica, ma riuscirò», lo rimbeccai serafica.

Un sorriso illuminante si dipinse sul suo volto e io gli risposi allo stesso modo. Sì, era indubbio, quel ragazzo era in grado di alleggerirmi il cuore anche solo con la sua presenza. Lo guardai allontanarsi e dirigersi verso Jasper e in quel momento e in quella situazione non disdegnai un’ampia occhiata al suo aspetto. Lo avevo già guardato altre volte, ma ora…ora era più splendente che mai. La sua camminata leggermente ciondolante, le mani in tasca: gli guardai la schiena coperta da una maglietta. A differenza di tutti gli altri professori se ne infischiava del rigore e indossava sempre jeans e t-shirt, al massimo camicie, sempre senza giacche e cravatte. Ma questo consentiva una splendida visione delle sue spalle ampie, ma non esagerate, delle sue gambe, insomma del suo fisico. Non potei fare a meno di sospirare: era la prima volta che lo osservavo in quel modo e con pensieri diversi dall’amicizia.

Lo vidi scambiare due parole con Jasper che mi guardò sorridendomi e alla sua domanda “tutto bene?” annuii: era anche lui un caro ragazzo.

Quando Edward si voltò per ritornare da me abbassai velocemente lo sguardo: non volevo che mi notasse mentre lo spiavo. Mi riprese per il fianco e insieme percorremmo il corridoio e la prima rampa di scale che portava al mio appartamento. Fece girare lentamente la chiave nella serratura senza mai lasciarmi e mi fece entrare mettendomi a sedere nel divano ad angolo del soggiorno.

« Grazie, non so come averi fatto senza di te», fu quasi un sussurro, ma non potei fare a meno di dirglielo. In quel momento in realtà non era la semplice gratitudine che volevo esprimere, ma per la prima volta una vera e propria emozione ad essergli accanto.

« Di nulla, vieni ti accompagno a letto, il medico ha detto che devi riposare»

« Posso farlo anche qui », dissi indicando il divano.

« No, assolutamente, devi riposare bene. Vieni ».

Mi prese per mano e mi accompagnò in camera: mi fece sedere sul letto e mi tolse le scarpe. Sentii un forte imbarazzo, ma lui sembrò non farci caso e mi fece stendere sui cuscini. Si sedette sul pavimento girandosi nella mia direzione. Fece tutto in silenzio poi improvvisamente disse quello che sapevo voleva chiedermi già da un po’:

« È stata colpa mia vero?».

Lo guardai interrogativa, anche se in realtà avevo intuito a cosa si stava riferendo.

« Ed ma cosa..?». Non mi fece finire.

« Dimmi la verità. Ti sei sentita male dopo la nostra discussione di stamattina?».

Mi gelai. Sapevo che non era del tutto vero, ma non volevo farlo sentire in colpa più di quanto non lo fosse già:

« Edward non è così, non mi sentivo bene già da qualche giorno, ma la notte insonne e McCarthy hanno fatto il resto»

« Bella cosa ti è successo per farti stare così?…non mi riferisco ad oggi, ma a due anni fa, cosa ti è capitato per farti crollare? », mi guardò triste, supplicandomi quasi con gli occhi di parlargli e raccontargli tutto.

Per un attimo il mio cuore perse un battito, la fitta mi riprese al torace e feci il gesto di portarmi una mano allo stomaco e stringerlo a pungo. Edward mi guardò con aria disperata:

« Dio Bella scusami, ti senti male ancora? non volevo mi dispiace….scusami»

« Edward stai tranquillo sto bene », lo fissai, e feci un gesto istintivo, mi misi seduta sul letto e mi abbassai sul suo volto prendendolo tra le mani.

« Ora sto bene credimi e non è stata colpa tua o di qualsiasi cosa ci siamo detti stamattina. Ho avuto dei grossi problemi in passato, che mi hanno procurato molto dolore, ma ora sono passati, ora sto bene, ed è solo un caso quello che è successo oggi»

« Ma i tuoi incubi…»

« Quelli fanno parte della vita e piano piano scompariranno, ma è solo un mese e mezzo che ho tagliato definitivamente i ponti con il mio passato e certe cose lo sai bene anche tu sono dure da cancellare».

Non lo feci ribattere, volevo chiarirmi fino in fondo: « Ed, lo so che sarebbe meglio parlare con qualcuno per sentirmi meglio, e ti giuro tu sei l’unica persona con cui potrei aprire il mio cuore, ma ancora non me la sento. Ti giuro che presto accadrà e ti dirò tutto, ma ancora ho bisogno di sciogliere i lacci della mia vecchia vita per non correre il rischio, raccontandola a qualcuno, di ripiombare nel mio baratro».

Mi aveva ascoltato e aveva appoggiato le sue grandi mani sulle mie ancora ai lati del suo viso. Lasciai scivolare la presa carezzandolo dolcemente e lo vidi chiudere gli occhi come a bearsi di quel contatto: mi prese i polsi mentre abbassavo le mani.

« Scusa: lo so che quando te la sentirai sarai tu a farlo, ma la verità è che io adoro vederti felice e farei di tutto per…».

Il discorso stava prendendo una piega strana e tentai di sdrammatizzare: « Stai tranquillo, quando mi sentirò pronta mi risparmierò una bella cifra dallo psichiatra e vuoterò il sacco con te ».

Lo vidi sorridere e non potei resistere: « però la cosa vale anche per te, mi piace vederti sorridere e sento che la tua vita non ti permette di farlo sempre, quindi…»

« Tranquilla non saprei da chi altra andare».

Abbassai lo sguardo imbarazzata. Era la prima volta che una nostra conversazione prendeva una piega così personale e intima e la cosa mi fece sorridere e arrossire.

« Ora riposa. Forse sarebbe meglio tu prendessi qualche tranquillante che dici? Dove li trovo?»

« Sono nell’armadietto del bagno, ma…».

Ed non mi lasciò finire. Si alzò e andò in bagno. Lo sentii rovistare e tornare in un paio di minuti, ma la mia mente nel frattempo aveva elaborato un’alternativa all’oblio in cui mi gettavano i farmaci.

« Edward non le voglio », dissi quasi sussurrando.

« Come scusa? – sembrava seriamente stupito – hai bisogno assolutamente di riposare e queste ti possono aiutare »

« No Ed, ti prego…» la voce si stava incrinando, sapevo che le pillole mi avrebbero fatto dormire, ma avevano anche la controindicazione di azzerare i miei sensi e non volevo che accadesse più. Mi sentivo troppo fragile ed avevo la sensazione di soccombere a tutto.

« Non voglio prenderle: mi si annebbia tutto, sprofondo nel nulla. Non voglio riposare in questo modo », mi ero alzata in piedi e le lacrime stavano iniziando ad uscire.

 «Ma Bella, come altro si può fare?».

Istintivamente mi avvicinai a lui, presi tra le mani le sue che contenevano le pillole. Dapprima mantenni lo sguardo sulle sue mani, poi presi coraggio e lo fissai negli occhi:

«Ti prego, resta accanto a me mentre riposo. So che se ti sentirò vicino, non avrò bisogno di nessuna pillola». Ecco lo sapevo, l’avevo detta grossa, ora sarebbe sicuramente scappato a gambe levate e addio anche al mio nuovo amico.

Edward rimase per un attimo interdetto. Si vedeva che era indeciso sulla risposta da darmi e così pensai di dover insistere, tanto ormai la frittata era fatta.

« Ti prego solo per un po’: quando mi sarò addormentata te ne potrai tornare a casa, ma ora come ora l’unico farmaco che mi può calmare è la tua presenza a fianco a me ». Sorrisi per cercare di sdrammatizzare.

Inaspettatamente, anziché allontanarsi, appoggio le pillole sul comodino e mi sorrise:

« Allora dovrebbero brevettarmi, sai quanti depressi ci sono là fuori..farei soldi a palate». Scoppiammo istintivamente entrambi in una sonora risata. Poi senza parlare mi fece nuovamente distendere, fece il giro del letto e si stese a fianco a me dalla parte opposta mantenendosi con la schiena alla testiera del letto. Alzò un braccio nella mia direzione invitandomi silenziosamente ad appoggiare la testa nell’incavo della spalla e non me lo feci dire due volte.

In qualunque altro frangente, o situazione, con chiunque altro, una posizione di quel genere, avrebbe dato il via a qualcosa di “fisico”, che sarebbe potuto sfociare anche nel sesso, ma ora e con Edward era solo la tranquillità di due vite disperate che si erano trovate e che si sarebbero sostenute reciprocamente nelle difficoltà.

Chiusi gli occhi e con un lieve sorriso sulle labbra gli augurai la buona notte. Ora ero nel mio porto sicuro.

Note: lo so, non mi picchiate. molti si aspettavano qualche rivelazione, ma mi è venuta così. mano a mano che scrivevo la storia ha preso una vita sua. ci sarà tutto ve lo prometto, ma bisogna avere pazienza :):):):)

e poi sono teneri anche così...non trovate??

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** “Rivelazioni inconsapevoli” ***


Capitolo 12

“Rivelazioni inconsapevoli”

 

James davanti a me piangeva, ma non era tristezza quello che provava. Era rancore. Non sentivo un peso al cuore, non provavo dolore o vuoto: la sua figura lentamente iniziò ad allontanarsi, come se fossi io a farlo. Per la prima volta sentì un moto di orgoglio per me stessa: io stavo lasciando lui. Non ci sarebbero più state uscite clandestine, scuse patetiche, liti furiose, consolazione fisiche, me ne stavo andando e il bello di tutto questo era che mi sentivo sollevata, come se mi fossi tolta un peso. La sua immagine era sempre più lontana e quando mi voltai un’altra figura si stava avvicinando, un ragazzo alto con uno splendido sorriso che mi accoglieva tra le sue braccia: era Edward.

 

Aprii lentamente gli occhi e mi accorsi di essere nel mio letto. Avevo dormito molto bene, era da tanto che non succedeva e forse il merito era del mio sonnifero naturale.

Improvvisamente mi resi però conto di essere sola. Mi alzai di scatto per quanto le vertigini che contraddistinguevano il dopo attacchi mi potevano permettere, e guardai l’orologio. Erano le quattro del pomeriggio e mi scontrai con la dura realtà: Edward si era alzato e se n’era andato, proprio come gli avevo suggerito io qualche ora prima.

Mi confortai dicendo fra me e me che non poteva passare tutto il tempo a farmi da baby sitter, aveva il suo lavoro, i suoi impegni e la sua musica. Con un po’ di fortuna lo avrei rivisto presto: o almeno cercai di rincuorarmi pensandola così.

Improvvisamente un suono proveniente dalla cucina mi fece sobbalzare, misi lentamente i piedi giù dal letto spostando la coperta: “mi ha coperto nel sonno, forse temeva mi potessi raffreddare, che carino” pensai, e cercando di reggermi al muro e di non ondeggiare come un’ubriacona al dopo sbornia, mi diressi da dove si sentivano i rumori, con una piccola speranza nel cuore.

« Che ci fai qui? », chiesi con un sorriso sincero sulle labbra.

«Ehi ben svegliata, come ti senti? sai visto che non hai mangiato nulla ho chiamato il medico chiedendogli cosa sarebbe stato meglio per farti recuperare subito le forze e così tra la mia cucina e la tua sono riuscito a racimolare questo». E mi mostrò orgoglioso un vassoio con frutta, fette biscottate e probabilmente the.

« Ma quando hai fatto tutto? È da molto che ti sei alzato?»

« No, giusto mezz’ora fa: credo che anche per me fosse giunto il momento di staccare la spina dalla tensione ».

Così dicendo prese il vassoio tra le mani e mi invitò a seguirlo sul divano. Molto lentamente mi spostai.

« Ce la fai o vuoi che ti prenda in braccio?»

« Tranquillo non sono invalida, devo solo riprendere confidenza con le mie forze e dopo che avrò messo qualcosa fra i denti andrà ancora meglio»

« Ma ti senti bene ora? ». Il suo tono era veramente preoccupato.

« Sì sì, solo qualche capogiro, ma tutti gli altri sintomi sono spariti».

Lo vidi portarsi una mano al petto e sospirare. Che fosse un sospiro di sollievo?

« Forza mettiti seduta e mangia qualcosa »

« Mmmhhh non so, c’è tutto tranne la torta al cioccolato e senza quella….» lo provocai scherzosamente, ma lui non capì e si prodigò subito in scuse.

« Io non conoscevo bene i tuoi gusti, a mensa mi dicevi che non volevi eccedere con il cioccolato, ma se vuoi vado a prenderla, forse il bar del campus ne ha qualche fetta… ».

Ridendo lo fermai: « Stai tranquillo è tutto perfetto, ti stavo solo prendendo in giro».

Si fermo e mi guardò serio: « Bel modo di ringraziare».

Ci sedemmo e facemmo merenda insieme parlando di come l’avevano presa i miei studenti.

« Tu come farai? – gli chiesi preoccupata – hai saltato una mattina di lavoro per colpa mia»

« Non ti preoccupare, mi sono preso la giornata di permesso e la preside pur di chiudere in fretta e in silenzio la situazione me lo ha concesso».

La cosa mi stupii, ma capii di cosa avevano confabulato lui e la preside quella mattina in infermeria. « Almeno hai dormito bene?»

« Come non succedeva da mesi », dissi sinceramente.

« Posso chiederti se James era il tuo compagno in America?».

Il sangue mi si gelò nelle vene, il pompelmo che avevo tra le mani quasi mi schizzò via. E lui come lo sapeva?

Mi stava guardando con un velo di imbarazzo negli occhi, ma anche con un sorriso come quello di un bambino che ha appena messo le mani nella marmellata. Mi prese il frutto prima che volasse inevitabilmente sul mio divano:  « Ti ho sentito chiamare il suo nome nel sonno», spiegò.

Istintivamente mi coprii il volto con le mani: « Oddio ho parlato ancora nel sonno?». Ed scoppiò a ridere e poi cercando di contenersi si scusò:

« non ti preoccupare non è mica un sacrilegio mortale sai. Come sapevi di parlare nel sonno?»

« Me lo diceva sempre mio padre e mi preoccupo perché non ho la più pallida idea di quello che posso aver detto. Pensa che quando mio padre lo ha scoperto me lo ritrovavo in camera che tentava di farmi gli interrogatori sui ragazzi che frequentavo», dissi mantenendo le mani di fronte alla faccia e aprendo un varco alla mia vista attraverso le dita. Edward rise ancora più forte:

« Beh è tipico di un poliziotto».

« Ti prego dimmi che altro ho detto»

«Non molto credo. Considera che ho dormito anche io. Ti ho solo sentito dire in modo un po’ agitato James vattene e poi…. – si fermò e quella pausa non preannunciava nulla di buono, almeno per me - … e poi hai chiamato il mio nome e mi hai chiesto di restare».

Ecco a quel punto il mio volto aveva probabilmente raggiunto gradazioni di colore mai registrate dall’occhio umano.

« Che vergogna!».

Edward non si scoraggiò e sempre sorridendo tentò di spostarmi le mani dal volto.

« Dai non ti preoccupare, sei stata così dolce e poi stavi sognando, io oggi ti ho aiutata molto, è normale che popolassi il tuo subconscio in quel momento. Non significa nulla……».

Lì per lì mi rassicurai, ma da un lato ci rimasi un po’ male. Quindi il fatto che lo sognassi non significava nulla per lui. Dovevo immaginarlo, avevo capito che non avrebbe accettato nessun coinvolgimento sentimentale. Ma poi coinvolgimento di che? Ero io la prima che consideravo la nostra solo una splendida amicizia.

Cercai di calmare il cuore impazzito e non per l’attacco d’ansia del mattino, quando Edward parlò di nuovo, stavolta con tono più pacato:

« Ora sarà meglio che ti lasci veramente riposare. Devo andare in segreteria a firmare per il permesso di oggi e a guardare se ci sono comunicazioni. Se vuoi più tardi posso passare a vedere come stai e portarti qualcosa per cena. Ho visto che anche tu non hai molto nel frigo»

« Sì lo so, avrei dovuto fare spesa oggi. Andrò non appena mi sentirò meglio, però se vuoi puoi passare e per la cena non ti disturbare mi posso arrangiare, ti ho già portato via fin troppo tempo », dissi abbassando lo sguardo sulle mie mani.

« Nessun disturbo credimi, e poi ho promesso che ti avrei controllata e così farò. Magari – disse ad un certo punto quasi imbarazzato – se vuoi posso utilizzare le tue chiavi prima di restituirle a Jasper così se stai dormendo non ti disturbo».

Non so perché, ma sapere che Edward sarebbe potuto entrare in casa mia in qualsiasi momento anziché turbarmi mi consolava. Era un’occasione in più per vederlo.

« Non c’è problema. Anzi puoi tenerle definitivamente tu, sai con tutte le volte che le dimentico non starei a disturbare Jasper o a ritornare a scuola»

« Ok, allora vado e ci vediamo sicuramente più tardi»

« Non temere sarò qui e, mi raccomando, solo se puoi».

Fece il gesto di alzarsi dal divano e dirigersi alla porta, ma mi sentii in dover di dargli una spiegazione che avevo eluso fino a quel momento dalla conversazione.

« Edward ?»

« Sì? »

« James non era il mio compagno, era un uomo con cui ho avuto una storia, ma niente di più e ora è finito tutto ». Non so perché ma lo sottolineai con il tono della voce.

« Non mi devi nessuna spiegazione »

« Lo so, ma te la volevo dare, tutto qui.  A più tardi »

« Ciao ».

E lasciò l’appartamento e la mia mente a pensieri chiarificatori. Potevo veramente dire di cominciare a lasciarmi il passato alle spalle? A giudicare da quello che mi era capitato quella mattina no. Ma visto quello che iniziavo a pensare di James sì.

Per la prima volta avevo pensato a lui senza nessun sussulto emotivo. Certo alcune ferite legate alla mia vita sarebbero state più dure da cicatrizzare, ma non quella dell’uomo che mi aveva stravolto gli ultimi dieci anni. Forse stavo guarendo e tutto questo grazie a Edward.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** “Brutto tempo, brutte notizie” ***


Capitolo 13

“Brutto tempo, brutte notizie”

 

Quella sera Edward passò come promesso con una pizza in mano, da dividere, visto la povertà dei nostri frigoriferi; quello che non mi aspettavo fu la sua entrata mentre vagavo per la casa mezza nuda dopo la doccia.

Confesso che passato l’imbarazzo iniziale, vedere il suo sguardo posarsi su di me per la prima volta in modo interessato mi fece superare la cosa e sentire orgogliosa. D’altra parte gli avevo detto io di utilizzare le chiavi di scorta e il fatto che non avessi sentito il lieve bussare prima che aprisse la porta, non faceva di me una fredda calcolatrice per farmi trovare in culottes e canottiera; in fondo tra di noi c’era una splendida amicizia e quella doveva rimanere.

Parlammo e ridemmo del più e del meno: mi raccontò la reazione dei colleghi che avevano sentito le voci di corridoio sul mio malessere. Aveva incontrato alcuni dei miei studenti tranquillizzandoli sul mio stato di salute.

«Hai visto anche McCarthy?», chiesi interessata di sapere quale atteggiamento avrebbe potuto avere.

« No, a dire la verità nessuno lo ha più visto in giro da dopo il tuo svenimento. Forse si è sentito veramente in colpa. Considera però che quando sono rientrato io nello stabile la maggior parte degli studenti aveva già finito lezione », ci tenne a precisare.

Chiacchierammo per circa un’ora poi si congedò da me con la scusa che avrei dovuto riposare e la promessa che ci saremmo rivisti l’indomani.

« Mi raccomando non strapazzarti », era sulla soglia della porta e mi guardava negli occhi, seriamente interessato al mio stato di salute. Eravamo entrambi appoggiati allo stesso stipite, interno ed esterno e ci guardavamo fissi con un bel sorriso stampato sulla faccia a seguito della piacevole conversazione di quella sera. In realtà eravamo per metà nel corridoio e chiunque fosse passato in quel momento e a quell’ora avrebbe potuto pensare a due innamorati che si stavano dolcemente congedando l’uno dall’altro, ma non me ne curai assolutamente. Quello che volevo era bearmi per un ultimo minuto delle sue amorevoli attenzioni.

« Ora vado », ribadì per l’ennesima volta. Era quasi come se fosse una fatica fisica per entrambi quella di salutarci e il suo ultimo gesto mi lasciò spiazzata. Occhi negli occhi con i miei  prese la mano, la carezzò dolcemente sul dorso con il pollice e poi se la portò alle labbra e ne baciò il palmo. Il tocco delle sue labbra mi mandò in tilt.

Chiusi gli occhi beandomi di quel contatto inaspettato: un evidente strato di pelle d’oca ricoprì il mio corpo e probabilmente se ne accorse anche lui, perché continuò ad accarezzale la mia mano anche quando le sue labbra si furono staccate e un timido sorriso comparve sul suo volto.

Erano sempre più forti le sensazioni che mi trasmetteva quando il mio corpo entrava in contatto con il suo e non so se fosse stato un bene continuare questi incontri, ma la realtà era che non potevo assolutamente più farne a meno.

 

Martedì passò nel tedio più assoluto, tampinata da Edward perché non uscissi e mi riposassi il più possibile. Non ero mai stata una persona statica, avevo sempre lavorato e avevo sfruttato pochissime malattie, quindi passare il tempo nel dolce far nulla non era il mio forte.

Finalmente mercoledì mattina mi preparai per andare a scuola. Edward insistette per accompagnarmi e non mi perse d’occhio tra un cambio d’ora e l’atro.

Parlai con i miei ragazzi del quinto anno e notai con stupore l’assenza di Emmet: chiesi notizie ai compagni e ad Ed. Nessuno seppe darmi una risposta e le ipotesi erano che si fosse allontanato dal campus o addirittura che fosse stato sospeso qualche giorno dalla preside, nella riservatezza più assoluta. Ammisi a me stessa di essere preoccupata per lui: era comunque un mio studente, forse con più problemi di altri e anche se mi aveva fatto arrabbiare terribilmente, non potevo dargli la completa colpa di un mio fattore emotivo indipendente dal suo carattere.

Emmet non si vide a scuola neanche giovedì e mi ripromisi che la sua assenza prolungata fino a lunedì mi avrebbe autorizzato ufficiosamente a prendere informazioni: dovevo chiarire con la preside.

Durante la pausa pranzo Edward mi avvicinò come faceva ormai quotidianamente e mi disse che era giunto il momento di stendere un piano ufficiale per l’organizzazione del dormitorio. Sapevo che avrebbe potuto farlo anche da solo, ma pensare che fosse anche una scusa per passare più tempo con me mi faceva gongolare.

« Ok  anche se è una giornata un po’ piena. Passa quando sei libero».

La giornata trascorse veloce: terminate le lezioni passai da casa e solo in quel momento mi ricordai che dovevo adempiere anche al mio compito di gestione della biblioteca. Era da un po’ che io e Angela non ci tuffavamo letteralmente nelle scartoffie ed era ora di farlo. Mi rinfrescai e senza neanche cambiarmi mi diressi in biblioteca. Ci concentrammo nel lavoro e ben presto senza rendercene conto si fece sera.

« Bella mi ero dimenticata di aver un appuntamento, dobbiamo chiudere immediatamente!», proruppe Angela alle diciannove.

« Angela domani è venerdì e non vorrei ritrovarmi ancora qui. Tu vai io  mi fermo e finisco». Sinceramente, anche se non amavo festeggiarlo, non volevo passare il mio compleanno tra le scartoffie.

«Ok Bella, però non tardare e fai attenzione: il tempo sta cambiando e potresti beccarti un bell’acquazzone mentre rientri»

«Ok, male che vada mi farò una doccia fuori programma». Risposi ridendo e rituffandomi tra cartacce e software di catalogazione. Il lavoro non era difficile, ma riportare i documenti di prestito e circolazione libraria di tutto l’istituto dal cartaceo al digitale, lavoro da eseguire una volta al mese, non era proprio il massimo del divertimento.

« Ehi, mi hai tradito per una pila di libri?». Sobbalzai quando Edward entrò.

«Ed che ci fai qui?»

«Dovevamo vederci per il piano del dormitorio ricordi? Stamattina!».

Improvvisamente realizzai.

« Oddio scusami hai ragione!!! Sai mi è venuto in mente che era anche ora di sistemare i documenti qui e mi è completamente passato di mente»

« Mmmmhhhh – mugugnò Ed – vuol dire che sono meno importante di tutti questi volumi polverosi??? »

« Beh, non c’è nulla di più importante dei libri – lo rimbeccai ironica – ma vorrà dire che li metterò da parte per una volta e mi dedicherò completamente a te».

Per un attimo mi bloccai e sperai che non avesse frainteso le mie parole. Purtroppo sguardo e parole mi fecero intendere che non era  stato così: con gli occhi seri e puntati nei miei rispose un flebile “giuralo”.

Spostai un po’ di documenti, avrei terminato la settimana successiva, e battei la mano sulla sedia invitandolo ad avvicinarsi. Accese il portatile e iniziammo il lavoro. L’aspetto organizzativo in quella scuola era a volte maniacale, ma sicuramente faceva sì che tutto funzionasse alla perfezione e ognuno faceva la sua parte.

Iniziammo a stendere un piano che includesse orari di entrata e uscita, regole sulle visite, evacuazione e altre cose di questo genere; improvvisamente un’imposta che sbatté violentemente ci ridestò dal lavoro. Fuori tirava un vento fortissimo e forse si preannunciava una vera e propria tempesta. Edward rise sarcastico:

« Oh che meraviglia!! è da ben due giorni che non piove»

« Beh – aggiunsi io – meglio beccarsela quando si è al coperto. Dai, finiamo che non voglio stare qui fino a domani».

Stavamo per riprendere, quando l’ennesimo rumore di una porta che sbatteva ci interruppe e costrinse me ad alzarmi per verificare che tutto fosse a posto. Non poteva esserci nessuno a quell’ora. Tutti ormai erano rientrati per la cena e con il tempo che stava peggiorando… quando mi affacciai alla porta incontrai il volto di Jacob, indaffarato a chiudere le persiane della biblioteca dall’esterno.

« Jake mi hai spaventato, che fai qui?», chiesi rassicurandomi.

« È arrivato un grosso temporale e sembra che le cose stiano peggiorando ulteriormente, la preside ha detto di mettere in sicurezza gli edifici più esposti per evitare infiltrazioni di acqua. Che ci fai ancora qui?»

« Stavo terminando un lavoro »

« Sei sola?», mi chiese con un tono quasi interessato.

« No, sono con il professor Cullen. Stavamo lavorando al piano per il dormitorio »

« Ah!»,  lo vidi allungare lo sguardo verso l’interno e osservare Edward con estremo disprezzo. Non potevo fare a meno ogni volta di chiedermi cosa fosse accaduto a quei due per farli arrivare ad un punto di rottura così alto.

« Comunque dovete andarvene…»

« Stavamo finendo, se ci lasci solo una mezz’ora…?»

« No, non posso mi dispiace, dovrete continuare un altra volta. Devo chiudere tutto ora » disse con tono serio.

« Ok, dacci due minuti ».

Tornai da Edward che aveva evidentemente ascoltato la nostra conversazione.

« Il signor Black detta legge?», disse chiaramente polemico.

« Già, dobbiamo andarcene ordini superiori – dissi sarcastica – che ne dici, continuiamo da me?». Desideravo stare ancora con lui e sperai tanto che accettasse la mia proposta e non mi chiedesse di rinviare ad un altro giorno.

« Ok, ma hai fatto la spesa, ho una fame! » rise.

Ecco Ed era così; serio e duro con tutti un momento, solare e spiritoso l’attimo dopo, ma stavo bene con lui anche per questo. In fondo rispecchiava in pieno una parte del mio carattere. Ci dirigemmo alla porta e scoprimmo nostro malgrado che la tempesta faceva da padrone già da un po’. La pioggia scrosciava violenta dal cielo e rimbalzava sul terreno creando schizzi altissimi, laddove veri e propri torrenti scorrevano sull’asfalto.

« Oddio dimmi che hai un ombrello? » chiesi con un tono quasi disperato.

« Ci bagneremo come pulcini, beh l’unica soluzione è una bella corsa ». Ribatté Edward molto tranquillo. Lo guardai ad occhi sbarrati e poi gli indicai il mio abbigliamento della giornata. Completo giacca, gonna strettissima e tacco alto.

« Stai scherzando, ma hai visto le mie scarpe? Tu mi vuoi vedere stramazzare a terra!!»

Rise guardando i miei tacchi, e mi freddò con una battuta: « sì, devo dire che sei molto sexy così»

« Scemo!... come pensi possa correre?»

«Toglile, tanto siamo diretti a casa, lì poi potremo asciugarci », e qui la mente si riempì di pensieri su noi due che ci spogliavamo per asciugarci e in quel momento qualcosa che non sentivo più da tempo si fece strada in me. Non potevo esserne certa, ma ero sulla strada buona; un brivido di piacere nel pensare a me e lui insieme in quel senso…..ero pazza!

Stavo iniziando a fantasticare su qualcuno che aveva dimostrato per me solo un’affettuosa amicizia e in più con la situazione che avevo vissuto in passato. La verità era che da quando l’avevo conosciuto, Edward aveva risvegliato in me pensieri e sensazioni che erano assopiti da tempo e prima di allora erano stati rivolti solo ad una persona. Solo ora me ne rendevo conto.

« State attenti alla luce – entrambi ci voltammo quando udimmo Jake che di soppiatto ci era arrivato alle spalle. Un lampo seguito da un tuono proruppe nell’aria – potrebbe saltare la luce, stai attenta Bella a non trovarti in situazioni pericolose se succede », disse con un tono glaciale, guardando me e lanciando uno sguardo a Edward che avrebbe incenerito chiunque. Lui non ci fece caso e mi sussurrò all’orecchio qualcosa che non compresi subito:

« Penso che si riferisca al fatto che potresti trovarti sola con me ».

Lo guardai quasi sconvolta, sia per la sua affermazione, che in parte desideravo avvenisse, sia per il timore di Jake. Ma chi era lui per farmi simili raccomandazioni?

« Tranquillo Jake è più che al sicuro » ribatté Edward serio e mi prese per la vita facendomi girare e accompagnandomi alla fine del porticato.

« Poi mi spiegherai che cos’ha »

 « Lo capirai – disse sorridendo – sei pronta ad affrontare l’ignoto? » disse indicando la strada che ci separava dal dormitorio. Non era molto lunga, ma la pioggia battente impediva qualsiasi visuale.

« Oddio cadrò mille volte » dissi guardando spaventata il buio.

« No se ti aggrapperai a me » mi sussurrò. Dio quella voce…

« Andiamo » disse mettendo a tracolla la borsa con il portatile.

 « Aspetta…» istintivamente mi tolsi le scarpe e sollevai un po’ la gonna per poter essere più libera nella corsa. Mi accorsi che Ed mi osservava e mi guardava….le gambe!!!!!

Ancora meravigliata da quell’occhiata tolsi la giacca e la portai sulle nostre teste. Era ben poco, ma almeno non avremmo avuto la pioggia negli occhi. Ci misi poco a capire che non era stata una bella idea. Principalmente perché in questo modo Edward doveva letteralmente attaccarsi a me stringendo dal punto vita come aveva fatto qualche giorno prima quando ero stata male. Solo che ora lo faceva….consapevolmente e con una presa che sembrava quasi volermi conficcare le dita nella carne.

« Pronta?» Una mano era impegnata a tenere documenti e computer, l’altra mi circondava il fianco, e la mia libera dalla giacca faceva altrettanto. Sembravamo un corpo solo.

Ma non ci sarebbe stata alternativa. Ci saremmo bagnati come pulcini. Mi rassegnai e presi fiato per poter correre più veloce possibile.

« Viaaa!!! » urlò ridendo e trascinandomi con sé tra le pozzanghere, sotto quella che avrei benissimo potuto definire un alluvione se non avessi visto Edward e Jake perfettamente tranquilli per la situazione.

Corremmo come matti, l’acqua schizzava dall’alto e dal basso. La giacca sopra alle nostre teste fu presto zuppa e il mio scatto cominciò a risentire dell’abbigliamento. Lasciai la presa su Edward, mentre lui stringeva sempre di più: l’indomani avrei potuto avere anche il livido, e mi sollecitò dicendomi che stavamo arrivando. A pochi passi dal portone lasciò il mio fianco e mi strinse la mano trascinandomi al riparo dentro il nostro androne.

« Ragazzi, ma come siete ridotti? », ci fece notare Jasper con tono quasi divertito.

« Non sfottere Jas – sogghignò Ed – se non vuoi che ti abbracci calorosamente » e fece il gesto di aprire le braccia dalle quali grondava letteralmente la camicia.

« Beh vi consiglio di fare in fretta, primo perché sta saltando la luce e non potrete asciugarvi, secondo perché vi prenderete un malanno e terzo, ma non meno importante, perché sto per uccidervi visto il macello che state combinando sul pavimento ». Istintivamente gettammo uno sguardo sincronizzato al pavimento, che era ormai un lago sotto ai nostri piedi. Dalle nostre labbra uscì solo una risata soffocata e senza aspettare altre obiezioni Ed mi prese per mano e mi trascinò di sopra, come se fossimo due ragazzi che scappavano per giocare a nascondino.

Quando ero arrivata tutti me lo avevano descritto come una persona chiusa, scorbutica e comunque poco incline a rivolgersi agli altri, e forse i primi tempi lo era veramente stato anche con me in parte. Sì, perché potevo dire di non aver mai visto totalmente il lato peggiore del suo io; con me si era dimostrato gentile, anche se molto serio, fin dall’incontro alla prima riunione, ma poi piano piano si era aperto sempre di più, fino a diventare quella creatura spensierata e meravigliosa che mi stava trascinando con sé: per un attimo sperai che non lo facesse solo fisicamente, ma anche emotivamente.

Mi beai per un attimo, nei miei pensieri, dell’idea che forse era stata la mia presenza a farlo cambiare, ma poi nel mio ormai logorato pessimismo mi convinsi che lo avrebbe fatto con chiunque in difficoltà e se non lo dimostrava agli altri era perché non aveva mai avuto modo di confrontarsi con nessuno di loro in modo approfondito.

Finalmente arrivammo alla mia porta. Senza esitare infilai le chiavi e ci rifugiammo al caldo. La temperatura iniziava a scendere e non solo per la pioggia. Due lampi illuminarlo il cielo a giorno e ci fecero sobbalzare.

« Temo che la luce non durerà a lungo converrà asciugarci ».  Nemmeno per un attimo pensai di mandarlo nel suo appartamento. Lo accompagnai in bagno e gli indicai dove poteva trovare asciugamani puliti e asciugacapelli. « Se vuoi potrei avere una vecchia maglietta  che mi va larga, almeno non ti congelerai con quei vestiti bagnati addosso »

« Grazie, ma potevo andare a cambiarmi di sopra » disse lasciandomi sorpresa.

Ero stata io a fare tutto, a credere che volesse stare ancora con me, che sarebbe rimasto anche bagnato pur di finire il lavoro. Mi ero sbagliata per l’ennesima volta. Un po’ delusa abbassai lo sguardo cercando di giustificarmi.

« Avevi detto che avremmo terminato e visto che la luce potrebbe saltare, così avremmo fatto prima…Ma se vuoi andare a casa…..», aggiunsi con un tono inequivocabile di tristezza.

« Non fraintendermi, adoro stare con te ma non volevo crearti disturbo o metterti in ansia…».

Il mio cervello era collegato? Avevo capito bene? Voleva stare con me, ma era talmente premuroso da temere che la vicinanza di un uomo in quel frangente, senza via di fuga mi avrebbe messo in imbarazzo e catapultato nell’oblio dal quale ero emersa solo qualche giorno prima.

Gli risposi istintivamente senza pensare a quali idee avrei potuto mettergli in mente:

« Anche io adoro stare con te e non mi creeresti mai disturbo; in realtà ora come ora sei l’unico al mondo che mi fa stare bene..» e dicendo questo lo guardai negli occhi con una tale decisione, che da tempo non mi sentivo.

Mi accarezzò la guancia con la mano e avvicinò lentamente il suo viso al mio fino a portare la mia fronte sul suo mento. Sentivo il freddo della sua pelle bagnata e il suo respiro tra i capelli, sicuramente sarebbe accaduto qualcosa di nuovo se un mio starnuto non avesse interrotto l’idillio.

« Sarà meglio che vada ad asciugarti anche tu » disse ridendo.

« Già » mi limitai a dire con i sensi inebriati ancora dalla sua presenza.

Mi allontanai verso la mia stanza. Presi un grande telo dall’armadio e iniziai a spogliarmi. Ero bagnata fino al midollo. Mi asciugai con cura e mi diedi anche una passata di olio, o la pelle mi si sarebbe sgretolata dal freddo. Infilai una tuta aderente con una maglietta calda e iniziai a frizionarmi i capelli sentendo che Ed aveva azionato l’asciugacapelli.

Solo allora ricordai che dovevo portargli la maglietta. Misi le mani nel cassetto e ne estrassi una vecchia maglia di quelle molto ampie, che usavo in estate come pigiama e mi diressi verso il bagno. Quello con cui non avevo fatto i conti era che per potersi asciugare si sarebbe dovuto spogliare e quando entrai nel bagno mi ritrovai di fronte la schiena di una statua di Apollo: le spalle erano più larghe di quanto avevo immaginato sotto le maglie e aveva una leggera, ma evidente muscolatura, messa in tensione dalla testa chinata e le braccia alzate nello sforzo di asciugare i capelli eternamente ribelli: in quella posizione si notava bene anche il tatuaggio sulla spalla e anche quello sull’avambraccio sinistro che non ero mai riuscito a mettere a fuoco. Non capii subito di cosa si trattasse ma era sicuramente un simbolo celtico. Ero sempre stata restia ad apprezzare persone che si ricoprivano il corpo si segni che sarebbero,  bene o male, rimasti per tutta la vita, ma dovetti ammettere a me stessa che sul suo corpo anche i tatuaggi avevano un potere….affascinante.

Lo guardai sgranando gli occhi e nel momento in cui si accorse della mia presenza mi volta di scatto scusandomi:

« Non pensavo fossi già svestito scusa »

« Non temere » disse spegnendo l’apparecchio, appoggiandolo al mobile e avvicinandosi a me senza mai distogliere lo sguardo. Non riuscii a resistere e ricambiai sorriso e sguardo allungandogli la maglia, che non esitò a prendere, sfiorando volutamente la mia mano con la sua nel passaggio. 

« Tieni, ora serve a te » e mi passò l’asciugacapelli che andai ad accendere in camera mia.

Dopo circa dieci minuti ero pronta e mi recai in soggiorno, dove trovai il camino a gas acceso e Ed alla finestra che guardava fuori. Si era arrotolato la parte bassa dei pantaloni fino a poco sotto il ginocchio, probabilmente a causa della pioggia presa e tra quella maglietta che a lui  stava stretta e i capelli ribelli appena asciugati, mi incantai ad osservarlo.

« Hai acceso il fuoco? », sussurrai sorridendo.

Si voltò e si soffermò a lungo sulla mia figura; che avessi qualcosa fuori posto? Non ero una maniaca dell’eleganza, specialmente in casa, ma ci tenevo a me stessa…

« Ed va tutto bene? », lo ridestai da chissà quali pensieri fissi su di me, « Sì scusa, è che prima ti ho detto che con quel completo eri sexy, perché non ti avevo ancora visto così “casual” », disse indicando la mia tenuta.

Cercai di sdrammatizzare: « Sei proprio fuori lo sai? dai finiamo il lavoro...» e come se avessi detto una formula magica le luci si spensero a seguito di un potente lampo.

« Porca….»  mi uscì spontaneo.

«Vedi,  è destino che non si riesca concludere…» e potei giurare di aver visto un piccolo ghigno di soddisfazione sul suo volto.

« A cosa ti riferisci scusa? » ci tenni a precisare un po’ imbarazzata.

« Al lavoro ovviamente, per fortuna ho una buona batteria nel portatile»

«Forza allora – dissi io spingendolo  a sedere sul divano – vediamo di finire che sono cotta…. » e non solo dal sonno, avrei voluto aggiungere.

Accendemmo entrambi i portatili lasciando il mio sul tavolino davanti al divano e lavorando sul suo. Per fortuna il lavoro terminò in fretta, era lui che principalmente organizzava le cose , ma anche io feci la mia parte con alcuni suggerimenti, volti ad evitare intrusioni maschili nel mio piano.

« Secondo me consentire in giornate e orari stabiliti di accedere ai dormitori dell’altro sesso eviterebbe infiltrazioni clandestine »

« Non vorrei che la preside la prendesse come un’istigazione alla promiscuità » controbatté lui.

« Per esperienza so che se ad una cinquantina di ragazzi con gli ormoni a palla proibisci certe cose, rischi solo di ottenere l’effetto contrario »

« Ok, proviamo allora » disse scrivendo le ultime indicazioni e richiudendo il portatile.

« Ce l’abbiamo fatta, che si mangia? » mi guardò ridendo.

Ci alzammo e, iniziando a frugare nel frigo, facemmo uno spuntino, terminando il tutto con una chiacchierata sul divano.

« Ti vedo stanca » mi disse ad un certo punto.

« È stata una settimana pesante » mi giustificai subito.

« Allora sarà meglio tu vada a riposare».  Ecco il suo lato protettivo che riemergeva sempre nei miei momenti di stanchezza, da quando ero stata male tra le sue braccia.

« Veramente sto già riposando: poche volte sono stata così rilassata» dissi sinceramente.

Ero comodamente seduta con le ginocchia piegate, schiena e testa appoggiate allo schienale e la faccia rivolta verso di lui. Avevamo lasciato le imposte volutamente aperte e si vedeva solo grazie all’aiuto dei lampi, di qualche lampione rimasto acceso nei cortili e al fuoco. Sentendo le mie parole si accoccolò meglio nel divano anche lui, allungando le gambe e appoggiando la nuca sullo schienale, alla stessa altezza della mia. Stava guardando il soffitto, ma si capiva che stava pensando.

« A dire la verità anche per me è così »

« Così come? » incalzai.

Si voltò verso di me e i nostri visi furono ad un soffio l’uno dall’altro; gli sarebbe bastato un piccolo gesto per baciarmi, ma forse non era veramente interessato a farlo.

« Prima che arrivassi tu mi sono sempre sentito fuori posto. I colleghi mi guardavano male e le colleghe hanno cercato da subito di farmi il filo».

“Posso capirlo” pensai tra me.

« Ma io sono venuto qui solo per ricominciare una vita degna di essere vissuta, questa volta fino in fondo ».

Era la mia stessa motivazione. Avevamo così tanto in comune e in più quelle parole, questa volta mi fecero  pensare che anche lui doveva averne passate parecchie nella sua vecchia vita, proprio come me. Credevo sempre meno alle parole che mi aveva detto Black i primi giorni che mi ero trasferita. Qualsiasi cosa gli fosse capitata in passato, non poteva essere stato quello stronzo bastardo che lui disegnava. Era troppo serio, troppo riflessivo, troppo..tutto.

Allungò una mano verso la mia guancia sfiorandola: « profumi di lavanda », disse quasi sussurrando.

Lì per lì non capii e gli domandai cosa avesse detto, ricevendo solo un  “nulla, nulla”.

« Comunque penso proprio che sia ora di andare a riposare per tutti e due – disse continuando a guardarmi negli occhi – non ho idea di che ore possano essere, ma….» un suono proveniente dal mio computer lo interruppe.

« Aspetta un secondo » dissi io con un sorriso tra  il divertito e il rassegnato.

« Che c’è? » E un altro suono irruppe dal mio computer.

« Credo proprio che sia mezzanotte »

« E come fai a saperlo? Hai una sveglia nel computer? »

« No questi sono i miei che mi mandano il messaggio appena scoccato il 13 ottobre »

« Scusa e per…è vero oggi è il tuo compleanno!! – proruppe sorridendo – me ne ero scordato scusa, non ricordavo, sai sono successe molte cose questa settimana»

« A chi lo dici – ribattei ridendo – comunque è una loro abitudine farmi gli auguri allo scoccare esatto della mezzanotte del mio compleanno e, a quanto pare, hanno calcolato pure il fuso orario»

« Proprio come cenerentola – sottolineò ridendo – ti conviene leggere i messaggi e andare a nanna allora ».

Ci alzammo entrambi malvolentieri dal divano e mi spostai al portatile. Aprii sorridente il primo messaggio. Era di Charlie che mi sottolineava quanto gli mancavo, ma nello stesso tempo come fosse orgoglioso di me, che tutto andava bene e che se fosse riuscito, per Natale sarebbe venuto a trovarmi.

« Non verrà mai » dissi a bassa voce, più per me che per altri « E perché? » Avevo dimenticato che era ancora con me, e da dietro la mia spalla stava guardando il monitor dell’apparecchio.

« Perché poi ne ha sempre una e non parte mai »

« Potresti andare tu a trovarlo? – mi voltai interrogativa, ma lui continuò il suo discorso fissandomi tranquillo – potresti andare per Natale: anzi sai che ti dico? Anche io avrei voglia di tornare dai miei un paio di settimane, anche se loro ogni tanto di qui passano. Potremmo fare il viaggio insieme? ».

Mi stava veramente proponendo di tornare in America con lui o stavo sognando? Non riuscii a trattenere un sorriso e un “sarebbe magnifico” appena sussurrato.

Tornai alla mia posta aprendo quella di mia madre, che moto più profana mi raccontava dello shopping e dei pettegolezzi di quartiere. Feci per chiudere tutto, quando notai un ultimo messaggio senza mittente. Ma quando era arrivato? non lo avevo sentito, ma l’orario era lo stesso di quello di mia madre! Non immaginavo e lo aprii tranquillamente quando il sorriso mi morì sulle labbra:

 

CIAO BIMBA

MI MANCHI TANTO

BUON COMPLEANNO

J.

 

Il sangue mi si gelò nelle vene, il respirò divenne improvvisamente affannoso come quando stavo per precipitare in uno dei miei attacchi e probabilmente mi pietrificai, perché Ed iniziò a ridestarmi.

« Bella cos’hai? Guardami che ti succede? », mi disse con la voce terrorizzata, scuotendomi dalle spalle. Senza attendere una mia risposta buttò un occhio allo schermo e mi guardò.

« È lui?» annuii incapace di proferire parola «E cosa vuole?».

Negai con il capo. Non lo sapevo, forse solo farmi gli auguri, forse dimostrarmi che c’era ancora e quel “ciao bimba” ora mi suonava come un “tanto non mi scappi”. Non era più il nomignolo affettuoso con il quale mi si rivolgeva quando passavamo le notti insieme, perché non era ormai più la stessa cosa, io non ero più la stessa e quelle parole mi infastidirono più che mai.

Una lacrima rigò il mio volto e Ed preoccupato la asciugò: « tranquilla, forse voleva veramente solo farti gli auguri – disse per consolare più se stesso che me – vi conoscete da tanto e poi è lontano e tu sei qui…con me.. e ti prometto che se non vorrai non potrà più ritornare nulla di quello che è stato. Io lo impedirò».

Disse tutto con un tono così convinto che mi calmai, presi un bel respiro chiudendo gi occhi e rilassai le spalle. Mi alzai in piedi e mi beai del contatto delle sue mani che amorevoli accarezzavano le mie braccia dall’alto verso il basso e viceversa.

« Ora devo andare e anche tu devi riposare – disse chiudendo con una mano i computer - domani cancellerai quella mail e farai finta che non sia accaduto niente e io ti aiuterò se vorrai…»

« Basta che tu mi sia accanto », dissi sincera.

« Ci sarò finché vorrai »

« Allora diventerò una palla al piede…»

« Sarà il peso più dolce che avrò mai portato ».

Quello scambio di battute non era solo sembrato, era stato una vera dichiarazione che l’uno aveva fatto all’altro sul nostro reciproco bisogno di stare vicini.

Lo accompagnai alla porta realmente e visibilmente sollevata:  prima di andarsene si voltò verso di me, mi guardò negli occhi e mi salutò baciandomi su una guancia. Nel momento in cui le sue labbra calde si appoggiarono alla mia pelle non potei fare altro che sorreggermi alla porta per non svenire e chiudere gli occhi per godermi quel momento. Quando si staccò lo guardai sorridendo e lo salutai con un flebile “ciao” mentre il tono roco della sua voce mandò un ultimo profondo brivido alla schiena. Non lo avrei mai immaginato, ma era stata un istante stupendo, che mi aveva ripagato di una settimana dura e mi resi conto che nel bene o nel male mi stavo totalmente e incondizionatamente innamorando di Edward Cullen.

 

 Note: capitolo lungo e ricco di "emozioni". ci stamo avvicinando ad un momento importante per Bella e come sempre Edwrad sarà con lei. volevo rigraziare tutti quelli che mi seguono e anche quelli che recensiscono. so che non riesco a rispondere a tutte le recensioni, ma postando 2 capitoli a sera vorrebbe dire rispondere ad ognuno due volte e mi sa che vi stufate di sentirmi chiacchierare poi!!!!

per quello che riguarda la scrittura ho installato il NVu perchè l'editor di EFP mi dava dei problemi. non ci capisco ancora molto e spesso la formattazione la fa come vuole lui. spero comunque che si capisca. fatemi sapere se qualcuno ha problemi di visualizzazione. 

ok ora vi saluto ho ciarlato anche troppo, devo andare avanti con i capitoli nuovi se no a forza di postarne due alla volta, non avrò presto nulla di scritto.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** “Ti voglio raccontare una parte di me” ***


Capitolo 14

“Ti voglio raccontare una parte di me”

 

Chiusi la porta appena lo vidi salire le scale e mi appoggiai ad essa prendendo un ultimo respiro. Ero sollevata sì, ma rimanere sola avrebbe dato modo ai miei pensieri di scatenarsi.

Per come era andata la mia serata fino all’arrivo del messaggio di James, sarebbero potuti essere solo pensieri positivi. Da quel momento in poi sarebbero stati tormentati.

Cosa significava quel messaggio? Se James fosse tornato a cercarmi avrei saputo resistere o sarei crollata come facevo ogni volta ormai da dieci anni? In quel momento il caos che avevo in testa mi impedì di chiarirmi le idee e decisi che forse era veramente meglio andare a dormire.

Mi infilai sotto le coperte pensando a Ed, se dormiva già e al fatto che per me non sarebbe stato così facile.

 

Stavo bene. Ero stesa sopra un prato nella mia Forks, in una piccola radura piena di fiori, illuminata da un raggio di sole filtrato dalle nuvole.

Conoscevo quel posto. Lo avevo scoperto dopo una passeggiata e ci andavo ogni volta che volevo stare bene con me stessa. Era un piccolo paradiso, ma questa volta c’era qualcosa di diverso. Sentivo un calore irradiarsi dal mio corpo all’altezza del cuore e mi accorsi di essere appoggiata sul corpo di qualcuno. Cercai di aprire gli occhi nel sole del mattino e guardai la persona che ormai ero sicura era stesa con me. Due occhi verdi e uno splendido sorriso fecero bella mostra di sé.

Edward rilassato come non mai mi teneva stratta al suo petto. Potevo sentire il suo cuore battere e in un attimo, dopo che i nostri sguardi si incrociarono mi baciò, prima dolcemente e poi sempre più appassionatamente. Le sue mani iniziarono a vagare sul mio corpo, sulla mia schiena e sul mio volto. Era qualcosa di meraviglioso e non potevo fare a meno di ricambiare. Le mie braccia si strinsero nella sua schiena e finalmente le mie mani furono tra i suoi capelli, come a non volere che lui si staccasse da me. Ed ci fece rotolare sull’erba fino a che non fui sotto di lui, ma qualcosa era cambiato. Il suo corpo premeva contro il mio in modo troppo opprimente.

Non sembrava più il mio Ed, quello che ogni volta che mi si era avvicinato  lo aveva fatto con una dolcezza tale, da farmi sentire fatta di cristallo. Le sue mani cominciarono ad essere troppo insistenti e improvvisamente provai disagio e la necessità di staccarlo da me. Cominciavo a sentire male e le lacrime iniziarono a rigare il mio volto. Misi le mani sul suo petto e spinsi con tutte le mie forze: ci riuscii e aprii gli occhi. Sopra di me, non c’erano più gli occhi verdi di Edward, ma quelli azzurri e glaciali di James.

Istintivamente cercai di divincolarmi, ma la sua presa si rafforzò. Le mani vagarono sempre più insistenti e violente, sentivo le dita conficcarsi nella mia carne nuda sotto alla maglietta e arrivare ai miei seni stringendoli così forte da farmi urlare di dolore. Il suo corpo premeva su di me e potei capire chiaramente le sue intenzioni: non riuscii a fare altro che mettermi a piangere e urlare anche quando cercò di tapparmi la bocca con un bacio che di amore non aveva assolutamente nulla. Del mio James, che avevo amato c’era solo l’involucro: il resto era un animo crudele che stava cercando di farmi sua senza il minimo ritegno e scrupolo per la mia integrità mentale e fisica. Sentivo le lacrime che continuavano a rigarmi il volto e quando una delle sue mani si intrufolò violentemente nei miei jeans urlai con tutta la forza che avevo in corpo.

 

Mi svegliai urlando. Ero stata vittima di un incubo orribile e il mio corpo era scosso da forti singhiozzi che non riuscivo a calmare. Avevo sognato di trovarmi in paraiso tra le braccia di Edward per poi crollare all’inferno sotto James. La cosa strana era che con Ed non era accaduto nulla, ma sognare di fare l’amore con lui mi aveva trasmesso una sensazione di benessere mai provata prima; mentre con James era accaduto molte volte, sapevo quello che si provava, ma ciò che avevo sentito in quell’incubo era solo dolore e disgusto.

Tante cose erano cambiate e io ero finalmente cresciuta. Ma questi pensieri non mi avevano fatto sentire meglio: anzi il cuore batteva all’impazzata e il respiro era affannoso. Senza contare le lacrime che ormai scendevano copiose dal mio volto.

Ero sul mio letto, al campus, con Edward che dormiva nell’appartamento al piano di sopra: cercai di ripetermi che era tutto finito, che era stato solo un sogno, ma non servì.

Improvvisamente sentii il rumore di una porta spalancarsi e dei passi correre verso la mia stanza. Non riuscii a pensare né chi fosse né cosa ci facesse in casa mia, quando la figura di Ed con lo sguardo in preda al terrore comparve di corsa sulla soglia della mia camera.

« Bella cosa è successo? ».

Non lo feci neanche finire di parlare. Non pensai a quello che facevo o che avrebbe significato. Continuando a piangere e con il corpo visibilmente scosso dai singhiozzi, saltai giù dal letto, mi precipitai verso di lui saltandogli al collo e stringendolo con tutta la forza che possedevo. La cosa a cui non feci caso fu la sua stretta che contraccambiava la mia con altrettanto ardore. Se fosse stato un qualsiasi momento senza disperazione, con un abbraccio così saremmo finiti in dieci secondi sul letto ad amarci appassionatamente. In quel frangente erano solo due persone terrorizzate che si stavano confortando.

« Dio Bella ti ho sentito urlare, cosa è successo? è stato agghiacciante…»

Cercai di essere molto sincera con lui:  « Ho avuto un incubo…con James che mi…faceva del male»

« Sono qui io ora – mi disse senza lasciare la presa e appoggiando il mento sui miei capelli – cerca di calmarti, tremi come una foglia: vieni devi coprirti».

Non mollai la presa: « ti prego stringimi ancora, non ce la faccio ad allontanarmi da te ora »

« Non me ne vado vieni ».

Mantenendo la presa mi portò sul letto e spostando le coperte si stese e mi fece stendere accanto a sé.

« Respira e raccontami se vuoi quello che hai sognato »

« No, non voglio ricordare quello »

« Ma cosa ti ha fatto quell’uomo di così terribile? ». Mi chiese visibilmente preoccupato.

« Non mi ha fatto nulla che io non abbia voluto. La verità è che mi sono innamorata della persona sbagliata dieci anni fa, ho vissuto una vita di falsità e menzogne, ho impiegato molto tempo per decidere di troncare e fare la cosa giusta e ora che sento di poter essere felice – e istintivamente puntai lo sguardo su di lui – ho troppa paura che il passato ritorni». Ero ormai un fiume in piena, volevo raccontagli la verità, o almeno la parte meno dolorosa e non mi sarei fermata.

« Non devi dirmi nulla di cui non ti senti pronta »

« Ma lo sono e voglio farlo: ho bisogno che tu sappia, perché sei l’unico che può aiutarmi ».

 

 

« Avevo vent’anni. Studiavo all’università di Seattle e mi dilettavo a cantare con un gruppetto di amici con i quali facevo piano bar per racimolare qualche spicciolo. Avevo più lavori per mantenermi agli studi, ma quello mi dava maggiori soddisfazioni. In fondo dopo quasi sette anni passati a studiare musica, ero nel mio mondo.

Correva voce che un noto musicista della zona cercasse una corista tra le band emergenti e, non so come, la voce delle nostre performance gli era giunta e ce lo ritrovammo una sera al locale dove suonavamo. Quando lo vidi rimasi abbagliata. Non era particolarmente bello, ma era…virile. Era la definizione unica che mi veniva in quel momento. Quella sera si congratulò con me e mi propose un provino nella sua band. Due settimane dopo firmavo un contratto come corista, garantendomi qualche impegno in più, ma comunque molte soddisfazioni.

All’epoca James era in procinto di sposarsi, ma tra di noi nacque una splendida amicizia che capii solo dopo poteva essere definita amore. O meglio, due settimane prima del suo matrimonio mi dichiarò apertamente i suoi sentimenti. Pur essendo lusingata non avevo mai visto il nostro rapporto in quel senso e gli confessai stupidamente che per me era solo un buon amico. In realtà provavo anche io qualcosa, ma non volevo turbarlo alla vigilia di un passo così importante. Pensai che fosse più la paura di legarsi definitivamente a qualcuno, che un reale sentimento. Quando però si sposò capii che non potevo più nascondere i miei sentimenti, gli confessai il mio amore dicendogli però che non avrei rovinato il suo matrimonio, ma avrei piuttosto messo fine alla nostra collaborazione musicale. Non seppi esattamente cosa e come accade, ma ci ritrovammo a fare l’amore, giurandoci di non lasciarci e dando così il via alla nostra storia.

I primi tempi furono difficili, ma non riuscivamo a stare lontani. James non se la sentiva di lasciare la moglie che aveva appena perso un bambino e io capendolo assecondai i suoi tempi. In fondo stava quasi più spesso con me che con lei, per il nostro lavoro ed ero convinta che la loro separazione fosse solo questione di tempo».

« La moglie non sospettò nulla? » Mi interruppe Ed che fino a quel momento era stato in religioso silenzio.

« Non lo so, non credo, certo non mi sopportava perché percepiva l’importanza della mia presenza al fianco di suo marito, ma mi vedeva più come un’amica impicciona e troppo presente piuttosto che un’amante. In fondo si diceva che anche lei lo tradisse regolarmente, quindi la mia coscienza si sentiva bene o almeno giustificava quello schifo. In realtà dentro mi odiavo perché desideravo l’uomo di un'altra e avrei fatto di tutto perché lui scegliesse me.

Passarono alcuni anni in una situazione di stallo. Io e lui continuavamo a vederci, ad amarci e anche quando litigavamo passavano due giorni e non resistevamo l’uno senza l’altra: ma io cominciavo ad essere insofferente e a chiedergli di più, o perlomeno di decidere per l’una o l’altra. Più volte fece il gesto di lasciarla e poi tornava indietro all’ultimo minuto, così io mi arrabbiavo e lo lasciavo. Poi ci ritrovavamo a lavorare insieme per poi finire di nuovo a letto: non era un rapporto era una dipendenza.

La cosa degenerò quando la moglie rimase incinta per la seconda volta e io scoppiai di rabbia. Mi aveva garantito che fra loro non c’era più nulla e invece stavano cercando addirittura di fare un figlio. Ricordo quel giorno e la furiosa litigata che ne seguì. Non ci vedemmo per quattro mesi, nei quali cercai di dimenticare e rifarmi una vita, ma ovunque andassi e qualsiasi cosa facessi pensavo sempre a lui, a noi….e in realtà mi accorsi che la mia rabbia non era dettata dal fatto che non si decideva a lasciare la moglie. In fondo avevo accettato per anni quella situazione, ma era cambiato qualcosa. La verità era che avrei voluto dargli io quel figlio, ed ero convinta che se fossi rimasta incinta io e non lei, non avrebbe esitato a lasciarla».

« Quanti anni erano passati? » Mi chiese in quel momento.

« Sei anni. Sei lunghi anni in cui avevo atteso la sua scelta, mai arrivata. Ero decisa a chiudere una volta per tutte, ma come accadeva sempre quando mi convocò per un tour di concerti per locali dopo sei mesi, finimmo per tornare di nuovo insieme. Fu in quell’occasione che cominciai a farmi schifo da sola »

« Non dire così, in fondo eri innamorata »

« No Ed, non cercare di giustificarmi; non avevo più né onore né dignità, ero drogata di lui e non era più amore, ma ossessione. Si è sempre giustificato dicendo che per quanto poteva amarmi non riusciva a lasciare la moglie per la quale provava un sincero affetto e il figlio che adorava. Ho sempre accettato la cosa.

Siamo andati avanti così tra alti e bassi fino ad un anno e mezzo fa. Non siamo più stati veramente insieme, ma passavano i mesi, quelle poche occasioni lavorative che avevamo insieme venivano prese al volo da me senza esitazione, forse nella speranza potesse cambiare qualcosa all’ultimo momento: ci incontravamo per un concerto o qualcosa di simile e finivamo di nuovo a fare sesso. Sì perché sono convinta che alla fine fosso solo dipendenza e sesso».

Vidi Ed irrigidirsi. Era chiaro che il discorso lo stesse infastidendo oltremodo, ma non sapevo quale parte, se la mia meschinità nell’avere una relazione con un uomo sposato o il fatto di essermi donata a lui in modo così totalizzante.

Non so perché ma avevo volutamente tralasciato tutta la storia più dolorosa, ma in quel momento non volevo provasse pena per me, volevo solo che sapesse.

« E poi che è successo? » mi chiese serio.

« E poi dopo due mesi che non ci vediamo si presenta da me per propormi un nuovo contratto e dirmi che aveva una nuova compagna e aspettava un figlio da lei. In quel momento il mio cuore si è frantumato. Capisci, non solo io ero l’unica donna con la quale era stato che non ero riuscita a dargli un figlio, nonostante lo avessi tanto desiderato, ma non aveva esitato a lasciare la moglie per un’altra quando per me ha trovato sempre una marea di giustificazioni. In quel momento ho capito che per quanto ci eravamo amati in passato i nostri ultimi rapporti erano stati solo una brutta copia dei nostri sentimenti e che forse tutto si era naturalmente spento. Almeno per lui. Mi ha sempre ribadito che mi avrebbe amato per sempre, ma che non ero la persona con la quale continuare in quel momento della sua vita.

Ti confesso che i primi tempi sono stati veramente duri. Credevo di amarlo ancora e il dolore della separazione fu devastante; poi è subentrata la rabbia, per il destino che non ci aveva dato una famiglia, ma continuava a farci sbattere l’uno contro l’altra. Pensavo di essere “guarita” dall’ossessione di lui, che il peggio fosse passato e poi sei mesi fa lo incontrai ad una festa, bello come mai, con la nuova compagna e il figlio, con quello sguardo che ancora dopo dieci anni sembrava dirmi “tu sei mia” e ho capito che non lo avevo dimenticato e che dovevo fare qualcosa per mettere più distanza possibile tra noi, cercando di diminuire le possibilità di incontro e di conseguenza di ricaderci »

« Ma perché, pensi che avrebbe ancora potuto farlo dopo quello che era successo?»

« Non lo so, però la sera che lo incontrai con la nuova compagna mi prese in disparte facendomi una marea di complimenti e dicendomi che in fondo la nostra storia e la nostra vita gli mancava e che forse se fosse tornato indietro avrebbe fatto altre scelte.

Capisci che quando ti senti debole e nello stesso tempo legata ad una persona, sentirti dire così ti fa stare ancora peggio e nello stesso tempo continui a sperare. Quindi per non rischiare di cadere ancora nell’errore ho deciso per il trasferimento ed eccomi qua ».

Terminai il mio discorso con un sospiro e attesi il verdetto di Edward. Cercai di sbirciare i suoi occhi con il timore che avrebbe provato un tale schifo per me, da alzarsi dal letto, uscire da quella porta e non farsi più vedere. Invece la sua domanda mi stupì.

« Tu lo ami ancora? »

« Non lo so – riuscii ad dire. Il suo sguardo si rattristò leggermente forse si aspettava una risposta diversa – in realtà da qualche tempo (non specificai  che il merito era la sua costante presenza) non penso più a lui, non mi manca più, sono felice nella mia nuova vita, anzi certe volte provo disprezzo per  entrambi e per quello che abbiamo fatto durare tanto a lungo».

« E allora perché ti ha sconvolto così tanto la sua mail o gli incubi su di lui? »

« Forse perché ho paura che se dovessi rivederlo potrei non resistere e ricadere nell’errore, oppure perché ho paura che potrebbe tornare e portarmi via la tranquillità che sono riuscita a costruirmi qui, ora, con te» . Dissi le ultime due parole talmente piano che probabilmente Edward non le sentii.

« Tu vuoi farti portare via? »

« No – dissi sincera e decisa – ma ho paura di non essere forte abbastanza e di sentirmi così sola da ricaderci»

« Ed è per questo che sei diventata mia amica? – la conversazione stava diventando strana – per non sentirti sola?»

« No è il contrario – mi alzai dal suo petto e lo guardai negli occhi – non sento più dolore e solitudine perché ho incontrato te e ora niente mi sembra più importante di questo» dissi sinceramente.

« Erano anni che non stavo così bene con me stessa e con una persona e quando ho visto il suo messaggio più che nostalgia ho provato disgusto per il tono che sembrava dire “io ci sono ancora”. E io non lo voglio più : ora sto bene come sto »

« Allora non dovrai temere nulla. Io ci sarò se tu vorrai e ogni volta che avrai dei dubbi potrai parlamene in modo che non vengano commessi altri errori che ti stravolgano l’esistenza »

« Non ti faccio schifo? » domandai in modo spontaneo.

« E perché dovresti? Eri una donna innamorata, hai fatto le tue scelte, che si sono rivelate sbagliate, ma hai anche sofferto e pagato, anche per quello di cui non avevi colpa. Credo che il tuo purgatorio tu lo abbia già scontato. Sei una donna molto sensibile e forse questo ti ha portato a farti tutte quelle paranoie. Sai quanti al tuo posto non si sarebbero fatti scrupoli e avrebbero continuato così, o peggio ancora si sarebbero messi seriamente in mezzo distruggendo più di una vita? Sei sempre stata nell’ombra e hai atteso il tuo destino in silenzio, e il fatto che il tutto sia arrivato qui forse vuol dire che il tuo destino non era con lui e che è finalmente cominciato».

“..E che nel mio destino ci sei tu…”, avrei voluto dirgli, ma mi limitai a pensarlo. In realtà le sue parole mi avevano confortato, ma volevo essere certa che non provasse astio nei mie confronti per quello che ero stata: perché il suo allontanamento sarebbe stato ancora più devastante di quello di James, che in realtà da tempo mi aspettavo senza accettare.

Ora ero pronta veramente a ricominciare e volevo che nel farlo Ed fosse stato al mio fianco. Dovevo solo capire in che veci voleva farlo, come amico o come compagno.

« Ora dormi, sarò qui al tuo risveglio* e avremo tutto il tempo che vuoi per approfondire il discorso e per farti buttare fuori tutto quel dolore che hai incamerato in tanti anni. Devi pensare solo a sentirti viva».

E così dicendo mi fece distendere e cominciò ad accarezzarmi il braccio fino a farmi cadere in uno splendido torpore, dove potevo percepire la sua presenza e dove capii che l’amore vero non era quello che avevo vissuto fino ad allora, ma era quello che forse mi aspettava.

note: e così Bella ci ha raccontato qualcosa del suo passato (anche se non tutto ancora). E Edward sembra proprio averlo accettato. alcune piccole incomprensioni però saranno all'orizzonte e mineranno ( per poco tempo promesso) la loro fortissima amicizia (perchè alla luce del giorno per ora ancora questa è).

le frasi contrassegnate dall'asterisco * sono dialoghi presi dai film della Mayer. 

grazie ancora alle persone che seguono la storia (60, è incredibile per me!!!!) e anche a quelle splendide che recensiscono.

ciao

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** “Un momento per me” ***


Capitolo 15

“Un momento per me”

 

Il mattino dopo mi svegliai indolenzita. Forse perché avevo dormito tutta la notte immobile fra le braccia di Edward (e lui poverino cosa avrebbe dovuto dire?) o perché mi ritrovavo con il suo braccio che mi stringeva spasmodicamente il punto vita. Quando la sveglia suonò mi voltai lentamente verso di lui. Lo guardai attentamente: era così bello mentre dormiva, che istintivamente gli accarezzai una guancia con i polpastrelli. In quel momento aprii gli occhi, la mia solita fortuna.

« Buongiorno » mi disse.

Mi resi conto solo in quel momento che la vicinanza dei nostri corpi e la mia mano che gli sfiorava il viso avrebbe potuto dare adito a molte supposizioni, ma per come stavo il quel momento non me ne curai.

« Buongiorno, mi dispiace di averti svegliato» dissi sinceramente. In realtà mi sarei soffermata in eterno a guardarlo mentre dormiva, ma il lavoro chiamava.

« Non ti preoccupare, devo andare a preparare tutto per l’uscita a Londra e se non mi alzo subito non ce la farò mai».

Uscita a Londra? Feci mente locale e poi…« è vero, sei a teatro con gli studenti del quinto anno oggi?»

« Già » mi rispose sorridendo.

« Grazie, e così mi dovrò sorbire le litanie della Stanley per tutta la mattina»

« Perché ?» mi rispose stupito, come se non sapesse cosa mi aspettava in compagnia di quella pettegola.

« Perché per le ore che avevo di lezione e che tu mi hai sottratto con quest’uscita dovrò sostenere del lavoro burocratico in sala professori dove la nostra cara Jessica tiene le sue conferenze sul pettegolezzo di turno ».

Una sonora risata uscì dalle labbra di Ed che buttò indietro la testa scoprendo il collo. In quel momento una serie di pensieri non proprio consoni mi vennero in mente, ma non potevo continuare a bramare la sua vicinanza in quel modo. Forse non gli interessavo nemmeno e continuando a mangiarmelo con gli occhi non avrei ottenuto nulla.

« Quindi vuol dire che non ci vedremo tutto il giorno?» dissi delusa.

« Non so bene a che ora tornerò, ma se non è troppo tardi posso passare così ti racconto come è andata!»

« Ok » dissi confortata, non sarei stata tutto il giorno senza vederlo almeno.

« Penso sia ora di alzarsi e prepararsi allora ». Detto questo saltò giù dalle coperte e solo in quel momento notai il suo abbigliamento, non molto più casto del mio. Dormire abbracciati in uno stesso letto con canottiere, shorts e pantaloni da tuta non era proprio l’abbigliamento più consono a mantenere una atteggiamento austero, specie di primo mattino….

« È tardissimo devo andare, sei sicura di star bene? ». Era sempre così premuroso; in realtà da quando era entrato di prepotenza da quella porta e mi aveva stretto al suo petto i miei problemi si erano affievoliti, ma saperlo lontano per un’intera giornata faceva riaffiorare in me l’essere egoista che ero sempre stata e fui tentata per un attimo di farlo sentire in colpa. La parte più nobile di me ebbe il sopravvento.

« Sto bene grazie, vai pure tranquillo e ci vediamo al più presto». Istintivamente mi alzai dal letto, senza il minimo imbarazzo nonostante fossi ben poco vestita, mi avvicinai a lui e alzandomi in punta di piedi gli diedi un leggero bacio sulla guancia, aggrappandomi leggermente alla canottiera che indossava.

Potei giurare di aver sentito il suo cuore aumentare i battiti, i suoi occhi fissarsi su di me, ma non potevo esserne sicura. Era più probabile che fosse il mio che ballava il rock.

« Ci puoi contare, buon compleanno!» mi disse, rispondendo ad una domanda che avevo ormai dimenticato. Era sempre più evidente l’effetto che mi faceva.

Lo sentii uscire e mi preparai pensando alla lunga giornata che avrei avuto senza di lui.

Mentre mi facevo la doccia mi venne in mente un’idea che mi avrebbe dato la possibilità di spezzare la monotonia dei momenti senza Edward. In fondo era il mio compleanno, mi meritavo un regalo: sapevo che sarebbe stato difficile ottenerlo, ma tentare non avrebbe certo creato danno. Cercando di convincermi di questi pensieri mi vestii e mi diressi all’ufficio della preside.

Entrando incontrai la signorina Cope.

« Buongiorno – le dissi – avrei bisogno di parlare con la preside, mi può dire quando ha un appuntamento libero?»

« Posso darle io comunicazione intanto che chiedo la sua disponibilità?».

Per un attimo mi chiesi se avessi fatto la cosa giusta proponendo la mia idea anche a lei, ma in fondo era la sua segretaria ed ero quasi sicura che in qualsiasi modo lo avrebbe saputo.

« Vorrei chiedere l’uso della piscina al di fuori dell’orario degli studenti».

Mi guardò un po’ strana, «un attimo, attenda …» e la vidi sparire dietro la porta dell’ufficio della Whitmore.

Rimase dentro solo qualche minuto e poi uscendo mi fece cenno di entrare. Mi accomodai nel grande ufficio, presi respiro e alla frase “mi dica” iniziai la mia arringa.

« Buongiorno preside mi spiace disturbarla, ma vorrei chiederle il permesso di usufruire della piscina negli orari in cui non sono presenti gli studenti: sa, ho bisogno di allenarmi e per motivi etici non ritengo opportuno farlo quando i miei studenti possono vedermi».

La preside mi squadrò e poi mi chiese quando pensavo fosse il momento migliore e per quante volte la settimana.

« Vede – si giustificò – la piscina è comunque a disposizione dei professori tutti i sabati ed è aperta a tutti le domeniche, quindi..»

« Lo so… - tentai  di giustificarmi – ma io preferisco allenarmi al mattino presto, mi dà la carica per lavorare al meglio – le dissi accennando il sorriso più falso e innocente che potei – oppure la sera dopo aver terminato il riordino della giornata. Inoltre quando nuoto tendo a monopolizzare per un’ora un’intera corsia e non vorrei disturbare tutti gli altri».

Non riuscii proprio a decifrare la sua espressione, mi sembrava comunque stupita della mia richiesta: « Ci penserò su. Ora, vada a lezione e ripassi da me nella pausa pranzo. Per quell’ora avrò preso una decisione ».

Mi allontanai salutandola gentilmente e iniziai la mia mattina di lavoro. A causa dell’assenza dei ragazzi più grandi in uscita con Edward, mi ritrovai a fare lezione solo per le due ore prima del pranzo e così quando scoccò l’una anziché recarmi a mensa mi precipitai dalla preside per sentire il suo responso.

« Entri pure, la preside la sta aspettando» mi disse la segretaria, e io non me lo feci ripetere due volte.

Mi accomodai nell’ufficio con un po’ di ansia e attesi che iniziasse il discorso:

« Vede signorina Swan, il più delle volte non sono solita concedere certe autorizzazioni agli insegnanti, ma devo dire che il lavoro che sta svolgendo è veramente eccellente, i suoi studenti hanno ottimi profitti e meritati direi, la biblioteca e il dormitorio sono molto ben organizzati…»

« Anche grazie alla professoressa Weber e al professor Cullen» ci tenni a precisare,

« inoltre svolge tutti i suoi compiti in modo irreprensibile e puntuale e quindi non vedo motivo di negarle questo privilegio»

« la ringrazio moltissimo». Il mio cuore faceva le capriole, finalmente avrei potuto riprendere il mio passatempo preferito.

« Però – mi interruppe – le devo chiedere di rispettare alcune regole…»

« mi dica…». A dire la verità le sue regole mi spaventavano un po’, ma cercai di capire. Non poteva concedere a cuor leggero un permesso così altrimenti chissà cos’altro avrebbero potuto chiedergli gli altri professori.

« Innanzi tutto dovrà firmare una liberatoria per la scuola, sollevandoci da qualsiasi responsabilità in caso di problematiche insorte nel periodo in cui si fermerà nella struttura… ». Accennai un sì con il capo, capivo, ma toccai ferro per scaramanzia.

« In secondo luogo deve tenere sempre un comportamento consono alla situazione, non intrattenendo incontri personali nella piscina, né con interni né tantomeno con esterni all’istituto ». Oddio e che pensava, che ci volessi fare le orge?
«...e questo mi porta al terzo e ultimo punto: non dovrà darne notizia a nessuno. Se si spargesse la voce che concediamo le strutture scolastiche a destra e manca non riusciremmo più a mantenere un briciolo di organizzazione. Quindi la verrà a prendere Black ogni qualvolta desidera andare, le aprirà la porta lasciandola sola e lei lo chiamerà nel momento in cui avrà terminato. Se le vanno bene queste condizioni le farò redigere un accordo da firmare e lo potrà ricevere oggi stesso da Jacob che potrà poi mostrale il tutto».

In realtà il dover dipendere da Jacob non mi entusiasmava, ma sarebbe stato solo per il percorso, poi sarei rimasta sola, quindi accettai e me ne tornai al lavoro con entusiasmo, dopo aver ricevuto il suo numero di telefono.

L’unica cosa che mi sarebbe dispiaciuta era quella di non poterne parlare a Edward, anche perché il pensiero di me e lui insieme e soli in piscina mi era apparso fugacemente più volte durante la giornata. Intanto mi andava bene così poi avrei visto in futuro.

Nel pomeriggio preparai tutte le mie cose necessarie al nuoto e chiamai Jake dicendo che sarei andata sulle 18. In quel modo al rientro di Edward previsto per le venti sarei stata a casa e avrei potuto passare gli ultimi stralci del mio compleanno chiacchierando con lui. Non sarebbe stato poi così male come compleanno, più tranquillo rispetto a quelli passati, ma senz’altro più sereno.

Alle diciotto in punto Jake passò a prendermi per accompagnarmi e dopo aver tentato spudoratamente, ma invano, di soffermarsi con me in acqua, (“magari anche con pochi vestiti addosso”, propose senza neanche tanti giri di parole) mi dedicai finalmente al nuoto. Il tempo passò talmente in fretta, che non mi accorsi di aver fatto tardi; erano le 21 e se avessi tardato ancora non avrei potuto vedere Edward.

« Grazie Jake » gli dissi quando richiuse la porta alle nostre spalle.

« Posso accompagnarti? » chiese Jake.

« No grazie, conosco la strada » risposi un po’ scocciata.

« Dai, solo due chiacchiere fino al tuo dormitorio, non chiedo molto. In fondo vedo che non ti fai problemi a mantenere l’amicizia con Cullen, nonostante quello che ti ho detto di lui»

« Ti prego Jake non ricominciare, non sono affari che ti riguardano » affrettai il passo, il dormitorio era ormai vicino.

« Ok ok, quando pensi che tornerai in piscina?»

« Penso dopodomani, ma ti farò sapere in anticipo, così non disturberò tuoi eventuali impegni» cercai di rispondere in tono non troppo duro. In fondo mi stava facendo un piacere.

« Ok passerò, domani con le autorizzazioni da firmare » ormai eravamo arrivati.

« Va bene, grazie Jake » e ci congedammo.

Istintivamente portai lo sguardo alle finestre di Edward e le trovai spente. Forse aveva deciso di andare a dormire prima perché troppo stanco da quella giornata, oppure per un disguido non erano ancora rientrati; quello che fu certo però fu il mio moto di sincero dispiacere nel sapere che non lo avrei rivisto. Tentai di rimanere sveglia sul mio divano il più possibile per sentirlo rientrare, ma la stanchezza si fece sentire e mi addormentai senza averlo salutato.

Il mattino dopo mi sveglia dove mi ero addormentata. Nell’aspettare Edward non ero nemmeno andata a letto. Guardai l’ora: le 9.00. Oh no!! Sapevo che Edward aveva intenzione di andare a Londra per alcune commissioni e se non mi fossi sbrigata non sarei riuscita a vederlo fino a sera. Mi precipitai in bagno, quando notai un messaggio nel telefono.

Ciao Bella, ieri sera quando sono rientrato ero distrutto. Ho bussato ma tu non c’eri….stamattina sono partito prima, avevo molte cose da fare. Ci vediamo presto.

Il sorriso mi morì in volto. Due giorni, due lunghissimi giorni e non lo avrei visto, ma perché? Sapeva che avrebbe benissimo potuto anche svegliarmi. Lo aveva fatto tante volte. Forse fu solo un mio pensiero, ma quel messaggio era strano.

Non ci badai più di tanto e mi preparai a trascorrere un sabato tranquillo e noioso. Prima o poi mi sarei decisa ad accompagnarlo e farmi un week-end a Londra.

La giornata passò fra letture, footing e internet. Non avrei sfruttato la piscina quando c’erano tutti, visto che avevo il privilegio di farlo in solitaria. Verso sera mi recai al market per un po’ di spesa. Avrei potuto cucinare qualcosa e invitare Ed per farmi raccontare di Londra…..

Quando rientrai trovai Jake sulla porta.

« Ciao che fai qui?»

« Sono venuto a portarti quei documenti». Capii subito a cosa si riferiva. Non poteva essere troppo esplicito, in fondo la preside mi aveva chiesto riservatezza. Lo feci accomodare,  due minuti, giusto il tempo di leggere, firmare. Gli chiesi come stava e lo congedai. Ero troppo ansiosa di sentire Edward per intrattenermi ancora con lui.

Mentre pensavo a cosa avrei potuto preparagli mi arrivò un nuovo messaggio. “Ciao scusa, ma impegni mi hanno trattenuto a Londra. Rimarrò probabilmente fino a domani sera. Non aspettarmi. Ci vediamo al lavoro. Ed”.

No, no, no, di male in peggio. Avrei passato un bel week-end!!

 

 

 

 

 

 

 

 

note: ok per oggi sono riuscita a postare i due capitoli, ma in questi giorni il lavoro è un inferno e non so quando riuscirò ancora. Intanto mettiamo un piccolo interrogativo alla storia: non è un pò strano l'atteggiamento di ED? tranquilli nei prossimi due capitoli si chiarirà. spero di riuscire a postarli insieme, ma se non mi dò da fare con i capitoli inediti finirò presto col farvi aspettare di più.
alla prossima

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** “Indifferenza” ***


Capitolo 16

“Indifferenza”

Lunedì mattina. Un’altra settimana iniziava. La domenica era passata nel peggiore dei modi: avevo deciso di sbrigare un po’ di lavoro arretrato per non dover pensare e sfuggire ai continui attacchi di Jake.

Finalmente avrei potuto rivedere Edward e sinceramente più continuavo a stargli lontana più sentivo la necessità di vederlo. Ma quando uscii di casa mi sembrò di vederlo letteralmente fuggire dal portone del nostro dormitorio e per tutto il giorno sembrava cercare di evadere la possibilità di incontrarmi. Era un comportamento veramente strano. Non riuscivo a vederlo, né nei corridoi, né nella sua aula, sempre piena di studenti.

L’unico momento in cui lo incontrai fu la sala professori: mi sorrise lievemente entrando, anche se potei giurare di aver visto un’ombra nel suo sguardo, ma quando tentai di avvicinarlo suonò la campanella e si dileguò. Possibile che gli fosse capitato qualcosa in quel fine settimana da farlo cambiare così tanto e tornare anche con me così freddo e distaccato? Non esitai, volevo risposte e lo seguii. Sapevo che non era molto edificante, ma non ne potevo più di non parlargli e sentivo l’assoluta necessità della sua presenza accanto a me. Miracolosamente lo raggiunsi nella sua aula ancora vuota:

« Ehi Edward aspetta – quasi urlai – va tutto bene?»

« Sì perché? » mi rispose in tono molto composto, ma molto freddo.

« Come perché? sono tre giorni che non ci vediamo »

« Ho avuto molto da fare, scusa»

« Sì ho capito, ma prima in sala professori mi hai praticamente ignorato…»

« Beh mi sembrava di capire che in presenza degli altri professori non ti sarebbe piaciuto mettere troppo in evidenza la nostra amicizia».

Ma che affermazione era? Sì, certo in pubblico non ci eravamo mai lasciati andare ad abbracci e confidenze per non dare adito a pettegolezzi, ma da lì a ignorarmi completamente ce ne correva….

« Okey, non aspettavo che mi gettassi le braccia al collo, ma sicuramente neanche così, è successo qualcosa???»

« No, cosa sarebbe dovuto succedere? >> rispose quasi infastidito. Ma che gli stava capitando? Dov’era l’Edward dolce e premuroso con me?

« Nulla, so solo che venerdì eri troppo stanco, che ti sei fermato a Londra più del previsto ed ora…»

« Buongiorno professore!»

In quel momento il vociare degli studenti che entrava per la lezione ci interruppe.

« Va tutto bene, ci vediamo in giro ok?»

Non ci potevo credere, si era dileguato con due parole, anche poco educate. No, non andava bene, dovevo capire e per farlo avrei dovuto bloccarlo dove non sarebbe fuggito, dove non mi ero mai spinta . Lo avrei aspettato davanti alla porta di casa sua.

La giornata lavorativa in quella situazione fu lunghissima e anche molto noiosa. Ero talmente distratta dalla mia conversazione con Edward da non seguire neanche gli studenti come avrei dovuto e da non accorgermi che McCarthy era tornato, ma se ne era stato tutto il giorno zitto, senza battute, senza schiamazzi e potei giurare, quasi senza guardarmi mai negli occhi. Non ero proprio pronta ad affrontare un discorso con lui e misi in ordine le mie priorità mentalmente: prima avrei risolto la questione Ed.

Quello con cui non avevo fatto i conti erano i suoi riusciti tentativi di fuga. Nonostante lo avessi atteso alla sua porta circa un’ora e fossi stata in orecchio tutto il pomeriggio, di lui nessuna traccia. Possibile che non fosse rientrato? Che ci faceva in giro per il campus tutta la giornata? Mi azzardai a chiedere con Jasper, che con un sorrisino compiaciuto sulle labbra mi disse di non averlo visto fin dal mattino. In realtà era stato spettatore più volte di alcune situazioni fra noi e ci aveva visto praticamente sempre insieme negli ultimi tempi: e ora andavo da lui a chiedergli notizie visibilmente preoccupata. Mi resi per un attimo conto che agli occhi degli estranei poteva sembrare che fra noi ci fosse qualcosa di più di una semplice amicizia. E in cuor mio da qualche tempo speravo fosse così; ma per lui? Magari essendosi accorto di questo aveva pensato di allontanarmi per dimostrare a tutti che fra noi in realtà non c’era nulla.

Oppure era accaduto qualcosa a Londra che gli aveva fatto cambiare atteggiamento su di noi; magari aveva incontrato una ex e….sinceramente da quando mi ero resa conto dei miei sentimenti per lui non avevo mai pensato ai suoi per me. Forse non c’erano, forse provava solo amicizia e si era accorto che per me non era così e voleva mettere distanza tra noi….eppure no, aveva degli atteggiamenti troppo intimi …

Dovevo darmi una calmata, o il cervello mi sarebbe andato in fumo!!

Il pensiero di Edward con una sua ex di cui non sapevo nulla mi disturbò. Non avrei dovuto avere nessuna pretesa su di lui, ma pensarlo con qualcun’altra mi iniziava a dare uno strano senso di angoscia alla bocca dello stomaco. C’era poco da dire, ero gelosa, non perché mi stavo innamorando di lui, ma perché lo ero già.

Ero talmente immersa nei miei pensieri da non accorgermi di essermi fermata davanti alla mia porta chiusa. Una voce alle mie spalle mi ridestò:

« Ehi ciao Bella , tutto bene? » Jake si stava avvicinando, ma che ci faceva praticamente a casa mia?

« Ti ho aspettato, ma visto che non arrivavi sono venuto a vedere se avevi cambiato idea…»  lì per lì non compresi, poi mi ricordai che mi avrebbe dovuto aprire la piscina.

« Scusa Jake è che ho avuto da fare e mi era passato di mente. Mi dispiace moltissimo, non voglio farti credere che tu sia a mia disposizione. Potevi benissimo tornartene a casa»

« Non ti preoccupare, ero comunque nei dintorni. Se vuoi posso aspettare che tu prenda il necessario e ti accompagno?»

Lo ringraziai e lo invitai ad entrare: « Ci metto due secondi…».

Sapevo che non era il caso di dargli troppa confidenza, ma lui era stato gentile con me e non potevo lasciarlo alla porta. L’importante era mantenere le distanze e quel fastidioso senso di oppressione che mi dettava la sua presenza sarebbe stato alleggerito.

Cinque minuti dopo mi presentai pronta e con il borsone da lui che mi aveva aspettato in soggiorno.

« Andiamo pure ».

Ci incamminammo in silenzio verso la piscina, lo salutai sulla porta dicendogli che sarebbe potuto tornare dopo un’ora. Non ero in vena quella sera, ma ormai non potevo far fare altro visto che Jake si era disturbato per me.

Passai la mia ora pensando continuamente alla mia situazione con Edward e mi resi conto che neanche per un attimo, da quando ci eravamo salutati la mattina del mio compleanno, avevo pensato a James e al mio passato, nonostante la sua mail mi avesse turbato tanto non più di cinque giorni prima. La mia idea era sempre stata quella di non legarmi più a nessuno tanto da starci male, ma il legame con Ed in positivo o in negativo, mi aveva fatto rimuovere tante cose dolorose. Ero quasi convinta che quello che provavo per lui era molto più forte di quello che avevo provato in passato e questa cosa mi sollevò lo spirito, anche se avrebbe potuto significare stare ancora peggio.

All’uscita Jake insistette per riaccompagnarmi, nonostante le mie pressioni di lasciare stare.

Perché anche se lo respingevo e gli facevo continuamente capire che non gradivo la sua amicizia e molte volte anche la sua presenza continuava a tampinarmi? Sembrava quasi che si volesse far vedere in giro con me!

Lo salutai sul portone impedendogli fermamente di passare e me ne entrai in casa, buttandomi sul letto distrutta fisicamente dalla pesante giornata e dai pensieri che mi avevano oppresso per tutto il tempo. Non avrei potuto continuare a seguire Edward, se lui non mi voleva vedere. Una stretta al cuore mi colpì al solo pensiero di ritrovarmi senza di lui.

L’indomani avrei provato per l’ultima volta a parlargli e chiarire, se avessi fallito avrei dichiarato forfait.

Basta ossessioni!!

Con questi pensieri mi distesi sul letto e mi addormentai quasi sicura di sentire una melodia al piano. Ed stava suonando, ma differenza delle altre volte la sua melodia sembrava triste. Edward ma che ti è preso, cosa ti ho fatto?

 

 

 

 

 

 

 Note: ok alza la mano chi prenderebbe a pedate questi due uomini. uno perchè troppo testone, l'altro troppo pedante. per fortuna Bella è una più tosta di quello che crede e, per ora, non cederà.

grazie a tutti

alla prossima

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** “Gelosie e chiarimenti” ***


Capitolo 17

“Gelosie e chiarimenti”

 

L’indomani mi svegliai tranquilla, ma rassegnata. Mi sentivo apatica e decisi di dedicarmi ai miei ragazzi e a me stessa per non sembrare uno zombi. Mi vestii particolarmente elegante e mi truccai. Quando stavo male sentivo il bisogno di valorizzarmi per non cadere nell’oblio.

Presi la mia borsa da lavoro e mi diressi alla mia aula: cercai di evitare la sala professori, ma buttai un’occhiata dentro all’aula di musica. Vidi Edward al piano appoggiato con i gomiti alla tastiera. Era solo, ma visibilmente pensieroso. Mi soffermai un attimo a guardarlo e appena il suo sguardo incrociò il mio gli feci un leggero sorriso, che lui ricambiò con un timido gesto della mano. Non era stato un gesto di sufficienza, quanto di indecisione. Forse anche lui si stava tormentando per come stavano andando le cose tra noi.

Entrai in classe, chiusi gli occhi e presi un bel respiro: per quella mattina mi sarei dedicata solo ai miei ragazzi. Li avevo già trascurati abbastanza.

 

« Per la prossima settimana mi piacerebbe che faceste una piccola ricerca…. – e un “OOHHH” di protesta si levò dalla platea – fatemi finire prima – dissi sarcastica – sulle conoscenze che avete dell’esoterismo».

I miei ragazzi si guardarono stupiti e terrorizzati: « Tranquilli non voglio instradarvi alle messe nere, ma vorrei affrontare il periodo dell’inquisizione da un altro punto di vista. Vorrei comparare ciò che si raccontava allora delle streghe, dei demoni, dei patti col diavolo e similari, con quello che vediamo oggi, attraverso film, serie, libri e racconti. Vedere quanto c’era di vero allora e le giustificazioni che la Chiesa ha dato sui martiri effettuati e quanto di reale possa esserci ora. È chiaro che non mi riferisco solamente a esorcismo o stregoneria. In generale nella bibliografia e filmologia moderna sono tante le cose definite eretiche dalla Chiesa. Facciamone un’analisi, vediamo quante possono essere definite valide e compariamole col passato. La storia è questo: un occhio critico al passato e al presente».

I miei studenti si tranquillizzarono un po’, anzi alcuni di loro si dimostrarono molto entusiasti mentre mi salutavano per uscire. Emmet rimaneva in silenzio.

Erano già due giorni che era rientrato: visibilmente in imbarazzo e assente con il pensiero. Non aveva più fatto battute e questo mi aveva fatto notare la sua presenza ancora di più, sebbene fossi convinta che il suo intento fosse proprio quello di passare inosservato.

« Tutto bene Emmet? », chiesi mentre sfilava per ultimo davanti alla mia cattedra.

« Come, mi scusi?». Eh sì, era proprio assente con la testa.

« Emmet sei stato assente per una settimana e ora rientri, ma sei costantemente con la testa fra le nuvole. Non pensare che mi manchino le tue battute, ma vorrei sapere che ti è successo?»

« Nulla prof. stia tranquilla, sono solo stato malato ». C’era di più, si capiva, ma non me ne voleva parlare.

« Ok, ma se il problema è quello che è accaduto la settimana scorsa, stai tranquillo. È vero mi hai fatto arrabbiare, ma non è per quello che mi sono sentita male. Hai per caso passato dei guai?»

«Insomma…», rispose a bassa voce. Sospettavo che avesse preso una bella lavata di capo, ma non sapevo da chi.

« Cerca di buttarti tutto alle spalle e se hai bisogno di parlare puoi contare su di me. So che non è facile vivere situazioni problematiche nella vita. Ormai sei un uomo, ma comunque puoi avere bisogno di aiuto. Siamo partiti con il piede sbagliato, ma sei un ragazzo intelligente e io ci ragiono con quelli come te. Se poi i problemi si sono sviluppati attorno a quell’episodio e hanno coinvolto anche le late sfere – feci il vago segno verso la presidenza – possiamo discutere e posso ammorbidire i termini della questione, perché come ti ho detto non è stata interamente colpa tua».

« Grazie professoressa… », vidi un lieve sorriso sul suo volto. Era molto più indifeso di quanto dimostrasse e la sua costante spocchiosità nei confronti dell’adulto era sono una maschera per salvaguardarsi.

« Per i miei ragazzi ci sono sempre».

Lo lasciai uscire, poi iniziai a raccogliere le mie cose. Uscii dall’edificio e mi recai a passo spedito verso casa con una sola cosa in mente. Anche io avevo bisogno di chiarirmi.

Mi fermai davanti alla porta di Edward e bussai. Nessuno mi rispose; Jasper era certo di non averlo visto passare e quindi lo avrei aspettato. Anche tutta la notte se necessario.

Ero lì quasi da un’ora, mi ero seduta sulle scale che andavano al terzo piano, quando finalmente lo vidi. Dio quanto era bello e quanto ero innamorata. Sgranò gli occhi vedendomi lì:

« Bella, ma cosa fai qui e da quant’è che aspetti?»

Mi alzai un po’ indolenzita e minimizzai la cosa.

« Da poco. Evidentemente da qualche giorno l’unico modo per vederti è aspettare che rientri..e poi non è servito molto neanche quello»

« Scusa è che sono stato molto impegnato…»

« Questo lo avevi già detto », lo interruppi. Mi avvicinai a lui. Ero stanca, spettinata, mi ero tolta scarpe e giacca, ma il suo sguardo su di me mi faceva sempre sentire unica. Non lo lasciai continuare: « Edward che ti succede? Cosa ti ho fatto? », chiesi con un tono di voce molto triste

« Niente è che…»

« Ti prego, non ripetermi che hai avuto da fare o mi metto ad urlare. Hai sempre trovato tempo per vederci e improvvisamente dalla tua uscita a Londra sei scomparso. Se ti vedi con qualcuna e hai paura che la nostra amicizia possa darti noia, basta che lo dici..» non so con quale faccia mi fossero uscite quelle parole, ma non ne potevo veramente più. Volevo che capisse il mio stato d’animo, volevo che sapesse che se aveva qualcuna non avrei comunque rinunciato alla sua amicizia: avrei messo da parte l’amore, ma volevo essergli ancora vicina. Non potevo farne a meno per la mia salute mentale. Almeno non ancora, poi con il tempo mi sarei rassegnata.

Mi guardò tra lo sconvolto e lo stupito: « Io non ho incontrato proprio nessuno, è che in questi giorni abbiamo avuto cose da fare che non hanno implicato la presenza l’uno per l’altra».

Era stata una strana frase che non capivo bene. Io non avevo fatto nulla senza di lui se non vegetare nell’attesa di incontrarlo.

« Io non ho avuto da fare niente di diverso che non possa implicare anche la tua presenza»

« Senti Bella io capisco. Siamo vicini di casa ci frequentiamo, ma mi sembra di averti precluso la possibilità di vedere altre persone e fare altre amicizie ».

Non capivo proprio dove voleva arrivare a meno che non fosse come dicevo io. Aveva incontrato una persona.

« Io non voglio fare altre amicizie. Quelle che ho mi bastano. Forse sei tu che ti sei stancato di avere accanto un’instabile che ha bisogno di sostegno perché le prendono gli attacchi d’ansia ». Questo suo parlare criptico mi stava facendo arrabbiare. In fondo era vero. Stando con me si era dovuto accollare i miei problemi e se anche all’inizio non lo aveva dimostrato forse ora cominciava a pesargli, ma perché non dirmelo? Perché allontanarsi così senza spiegazioni? Questo proprio non lo sopportavo.

« Non dirlo assolutamente…»

« Cosa? che sono instabile e che tutte le persone a cui voglio bene mi allontanano dopo un po’?» Ero veramente arrabbiata, tanto che un grosso nodo mi si formò alla gola e la tremenda e familiare sensazione di mettermi a piangere mi travolse.

« Abbassa la voce e vieni dentro».  Aprì la porta e mi fece accomodare nell’ingresso.

«Non ti alterare, tu non sei stata un peso per me e quello che ho fatto l’ho fatto perché stare con te mi piaceva. Ho solo detto che forse sei tu che hai avuto bisogno di fare altre amicizie. Posso capire…»

« Io no – chiesi sempre più arrabbiata – a cosa ti riferisci maledizione, sii più chiaro!!»

« Ti ho visto con Jacob! L’ho visto davanti alla tua porta. L’ho visto allontanarsi con te e vi ho visti ritornare tardi. Come li chiami tu questi? Io, appuntamenti». Ora era lui che si stava arrabbiando.

Mi resi improvvisamente conto a cosa si riferiva: le mie serate in piscina. Lui credeva mi vedessi con Jake e facessi chissà cosa. Per un attimo rimasi stupita, perplessa, ma poi un lieve sorriso mi si dipinse sul volto. Lui aveva visto, c’era sempre stato. Forse al buoi dietro le sue finestre, ma mi aveva cercato.

« È per questo che mi hai evitato? Perché pensavi che uscissi con Jake?»

« Perché non è così?»

« No, non lo è – mi interruppi e spalancai gli occhi – …..sei geloso!?!?» e uno sguardo stupito si dipinse sul mio volto.

« No, non lo sono », tentò di giustificarsi abbassando lo sguardo, e io ricambiai con un enorme sorriso.

« Non sei geloso, ma ti ha dato fastidio quello che hai visto…comunque ripeto, non esco, con Black, non mi piace, a malapena lo sopporto. Mi sta solo aiutando in una cosa…»

« E cosa se posso?»

Ahi! non potevo dirgli nulla e così avrei alimentato le sue paranoie.

« Mi spiace, ma proprio non posso dirtelo, ma devi credermi, tra noi non c’è nulla»

« Non è quello che mi ha fatto intendere e anche vedendovi….» aggiunse rattristandosi. Allora forse gli importava di me, di noi, più di quanto non dava a vedere.

« Cosa hai visto? Mmhh? due persone che camminavano insieme parlando»

« Lui mi ha detto che vi frequentate e che forse finalmente avevi deciso di aprirti ad amicizie più salutari della nostra»

«Quando?» dissi veramente meravigliata.

« Circa tre giorni fa, mentre ti aspettava fuori dalla porta; e poi vi ho visti uscire altre tre volte insieme e …»

Adesso capivo il perché mi fosse venuto a cercare a casa e perché insisteva sempre per riaccompagnarmi. Stava cercando di instillare il dubbio in Edward, in modo che mi allontanassi da lui. Ma lo odiava così tanto da fargli il vuoto attorno? E usare me come sua arma? No, non lo avrei permesso. Mi avrebbe sentito al più presto.

Mi avvicinai a lui e gli presi le mani: « Ti posso assicurare che non ha niente a che vedere con quello che Jake ti ha voluto far credere. Tutto quello che ti ha detto lo ha fatto solo per provocarti e visto che ti odia come dici, per farti arrabbiare, sapendo l’amicizia che c’era fra noi»

« E allora perché te ne vai in giro con lui?», mi disse facendo un passo verso di me.

Abbassai lo sguardo, non potevo parlargliene, lo avevo garantito alla preside. Avrei potuto passare dei guai, ma se non lo avessi detto forse lo avrei perso.

« Io Ed…., fidati non è nulla di che»

« Ti prego dimmelo », mi interruppe. Non si fidava di me in fondo.

« No, io non posso….»

« Come non puoi? ma cosa diavolo succede?». Alzò la voce infuriato per il mio mutismo. A quel punto arrabbiata come lui risposi a tono e confessai:

« Mi apre la piscina di sera! Ho ottenuto il permesso per un uso personale in determinati orari, ma a patto che Jake apra e chiuda e nessuno sappia niente. Ok?». Ero veramente furiosa. Ora mi sarei giocata anche il mio permesso.

Edward spalancò gli occhi: « Dici sul serio? Solo questo?»

« Certo e che credevi scemo! Oltretutto dopo che mi ha aperto lo mando via e lo richiamo solo quando sono pronta per uscire». Sapevo di averlo appena insultato, ma forse se lo era meritato.

Mi stupì come sempre mettendosi a ridere: «Quello stronzo di Jake, me la pagherà prima o poi…- si avvicinò a me e mi prese le mani – Scusa, avrei dovuto chiedertelo subito, invece ho creduto a lui».

« Domani mi sentirà – dissi con tono serio – ma tu…bastava chiedere, invece sei fuggito»

« È che non volevo metterti nella condizione di fare scelte. In fondo poteva essere un amico come tanti altri, ma io non lo sopporto proprio e non avrei potuto dividere la tua amicizia con lui»

« Io non potrei mai essere sua amica, ci prova sempre, è pedante e insistente. Al massimo lo tollero!!!» e scoppiai anche io a ridere; poi senza che me ne rendessi conto mi ritrovai tra le sue braccia.

« Mi sei mancata»

« Mi raccomando, che nessuno sappia di questa cosa o la preside mi fucilerà». Lo guardai negli occhi, « anche tu mi sei mancato».

Non risposi altro e mi beai di nuovo del suo caldo contatto.

 

 

 

 

 

 

 

nore: per questa volta non rischio il linciaggio vero???? speriamo bene :):):)
per ora l'incomprensione si è sistemata, e ci godremo un pò di tranquillità e di complicità.
ciao e grazie a tutti

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** “Un regalo da raccontare” ***


Capitolo 18

“Un regalo da raccontare”

 

Tutto tornò alla normalità. Io e Edward ricominciammo a vederci regolarmente, ad andare a lezione insieme infischiandocene degli sguardi degli altri professori; a passare notti insonni per stendere piani organizzativi mangiando schifezze sul divano; insomma la nostra amicizia viaggiava a gonfie vele.

Io non avevo avuto il coraggio di esprimere i miei sentimenti e forse non sarei mai riuscita a farlo, ma per quanto cercassi di non farci caso il suo comportamento quando eravamo soli o passava Jacob nei paraggi era cambiato. Era ancora più possessivo nei miei confronti, era dolce e non perdeva occasione per sfiorarmi e guardami con quei suoi splendidi occhi.

Possibile che ricambiasse i miei sentimenti, ma che fossimo così tanto terrorizzati all’idea di aprirci l’uno con l’altra?

Possibile sì: in realtà io gli avevo confessato la maggior parte dei miei problemi con il passato, ma di lui non sapevo quasi nulla, se non che aveva avuto problemi con una ex ragazza. Molto poco per poter dire di essere aperti l’uno all’altro. Ultimamente però stavo così bene con me stessa e con lui che non volevo certo pormi il problema.

Erano passate più di due settimane dalla nostra incomprensione circa la mai presunta amicizia con Black e io non avevo più voluto, né fortunatamente avuto modo di incoraggiarlo ad avvicinarmi e anche lui si era tenuto alla larga limitandosi ad aprirmi la piscina: in nessun modo volevo mettere Ed in condizione di non fidarsi di me.

Quella mattina però sulla porta della sua aula gli avevo detto che quella sera sarei andata a nuotare e non mi avrebbe dovuto aspettare. Notai in lui uno strano comportamento, sfuggevole, un misto tra il dispiaciuto e il rassegnato. Era capitato altre volte che gli dessi buca per una nuotata, ma non mi aveva mai liquidato con un ok rintanandosi nella sua aula. Possibile che ancora non si fidasse di me?

Terminata la mia giornata lo cercai, ma mi dissero che si era recato in presidenza qualche ora prima e nessuno lo aveva più visto. Non lo diedi a vedere, ma ero seriamente preoccupata. Che gli fosse capitato qualcosa? Ripercorsi mentalmente le nostre ultime ore insieme: non mi aveva detto di impegni e quindi le cose erano due: o era veramente risentito per la nostra serata annullata o gli era capitato qualcosa. Cercai di non pensarci: me ne andai a casa, sbrigai qualche faccenda e mi preparai per uscire.

Novembre era arrivato e con l’inverno ormai inoltrato, la temperatura era notevolmente scesa, le piogge erano sempre più frequenti e le giornate veramente brevi. Così quando uscii per recarmi in piscina era buio e lo sarebbe stato di più dopo quasi due ore. La cosa non mi preoccupava. L’istituto era un posto molto tranquillo, vigilato e recintato e la possibilità di fare brutti incontri a parte studenti e quei pochi professori che vi alloggiavano era remota. Ma non so perché quella sera uno strano senso di inquietudine mi aleggiava intorno: certo che la lontananza di Ed mi faceva proprio andare fuori di testa! Ero proprio cotta e sperai per un attimo, anche se sapevo che era inutile,  che non si notasse ad occhi esterni. Ma dal modo in cui si era avvicinato a me negli ultimi tempi, al fatto che non perdesse occasione per tenermi le mani, per baciami le guance o la fronte in atteggiamenti molto più che di amicizia, era impossibile non far trapelare i miei sentimenti.

Con questi pensieri arrivai alla piscina, ma qualcosa era diverso. Di solito Jake si faceva trovare sulla porta e aveva già acceso tutte le luci. Invece quella sera era tutto spento. Il vento sferzava e le nuvole stavano oscurando il piccolo spicchio di luna. Mi guardai intorno e poi sentii qualcuno avvicinarsi: sobbalzai e lanciai un piccolo grido.

« Ciao Bella scusa il ritardo». Il senso di disagio alle parole di Jake era ormai una costante. Avrei dato qualsiasi cosa per non dover più dipendere da lui, ma sapevo che non era possibile.

« Ciao Jake – cercai di mantenere le distanze – non c’è problema, sono appena arrivata».

Mi aprì il portone facendomi entrare, ma anziché accendere la luce mi chiuse la porta alle spalle. Mi sentii tirare da un braccio e colpii la porta con la schiena. Un gemito di dolore mi uscii dalla bocca.

« Ma Jake sei impazzito? Potevi farmi male sul serio, che ti prende?». Lo vedevo a malapena. Trapelava solo un po’ di luce dei lampioni dalle finestre.

« Scusa io non volevo – la sua voce era dura, affannosa. Sembrava stesse cercando di trattenersi – non avevo più altro modo di dirtelo se non così. Bella tu mi piaci, e non sopporto più di vederti con quello stronzo di Cullen. Io ti voglio e ti prego aspetta prima di dirmi di no….».

Mi aveva bloccato con la schiena alla porta, non mi guardava, la testa era bassa, ma le braccia tese creavano una gabbia tra le mie spalle. Era molto più alto e più forte di me. Se avesse voluto farmi del male non avrei potuto reagire: ma non potevo credere al peggio. Non avrebbe mai tentato nulla che potesse mettere anche solo in cattiva luce il suo nome e quello della scuola. Questi pensieri però non riuscirono a tranquillizzarmi e cercai di parlagli evitando di farlo innervosire:

« Jake scusa io non voglio mancarti di rispetto, ma non sono interessata a te, né come amico né come altro. Scusa »

« Perché con Cullen sì e con me no? Tu non sai quello che fa alle donne lui: ha distrutto più di una vita, inclusa la mia. Tu sei così dolce e determinata, non ti meriti una persona così». Sembrava quasi che stesse per mettersi a piangere e fui quasi certa in quel momento che non mi avrebbe fatto del male.

« Jake io e Ed siamo amici e comunque nulla di quello che puoi dire mi interessa. Non so bene cosa sia successo fra voi e non entro nel merito, ma per favore  smetti di provarci con me solo per dare noia a lui»

« Non è così: tu mi piaci…»

« Non credo, credo di piacerti perché sono legata ad Edward.. » non mi resi neanche conto che le parole che avevo usato facevano un quadro di un rapporto che andava ben oltre l’amicizia.

« Sei innamorata di lui?»

« Jake siamo solo amici te l’ho detto e comunque non sarebbero affari tuoi. Ora per favore lasciami e fammi andare a nuotare». Mi ero tranquillizzata e anche lui visto che abbassò le braccia

« Scusa»

«No, scusa tu: credo di aver approfittato troppo della tua gentilezza », dissi cercando di tranquillizzarlo, facendogli capire che non ce l’avevo con lui anche se in realtà lo avrei strozzato per il veleno che sputava contro Edward, « credo che rinuncerò alle serate in piscina se la cosa ti infastidisce o ti turba»

« No, non devi farlo!»

« Jake sinceramente se accompagnarmi deve darti l’autorizzazione a provarci ogni volta con me, penso sia meglio eliminare le occasioni»

« È solo che pensavo…»

« Ti ha detto di lasciar perdere o sbaglio? », Jake si sostò di colpo, ma cosa ci faceva Ed qui?

« Cosa vuoi Cullen? »

« Ti ha detto di lasciarla andare e ti ha detto che non ha più bisogno di te. Non credere che la tua parentela con la preside ti precluda guai se molesti una delle sue insegnanti». La sua voce era dura, ferma, non avrebbe concesso repliche.

« Non sono io che molesto le donne…»

« Basta, tutti e due! – intervenni io – direi che dobbiamo chiudere questa spiacevole conversazione,

resettare e da domani salutarci cordialmente come tutte le altre volte».

Jake mi guardò e poi scoccò un’occhiata di disprezzo a Ed: «tu non puoi stare qui!»

« Da stasera sì, e ora puoi andare, penserò io a chiudere».

Non capivo cosa stava succedendo, gli vidi solo passare un foglio a Jake, che lo lesse con attenzione e se ne andò a testa bassa sussurrandomi uno “scusa” e bisbigliando chiaramente un “mi pagherai anche questa bastardo”. Quando Jake fu fuori, Ed trovò l’interruttore della luce e lo accese: «Tutto bene?»

« Sì, sì, mi sono un po’ spaventata, ma poi ho capito che non mi avrebbe fatto nulla, mi ha solo infastidito, specie per il modo in cui  parla di te», dissi piano abbassando lo sguardo.

« Non temere, ho la corazza forte, vieni..». Mi prese le mani trasmettendomi con quel contatto, sicurezza e affetto e mi trascinò all’interno.

« Mi dispiace che quel pazzo abbia rovinato la mia sorpresa, comunque buon compleanno». In quel momento spalancò la porta che dava sulla vasca, dove decine di luci accese creavano un’atmosfera splendida.

« Erano giorni che preso dal rimorso per aver rovinato il tuo compleanno con le mie stupide supposizioni, mi scervellavo per trovare il modo per farmi perdonare e un regalo che potesse farti piacere. Non puoi credere quanto ho dovuto lavorare per convincere la preside»

« Posso crederci, ho visto le difficoltà che ha fatto a me, comunque grazie è tutto splendido» dissi seriamente commossa. Il cuore stava battendo sempre più forte e la sua vicinanza in un luogo così, che sapevo aveva addobbato lui tutto per me, mi fece aumentare i brividi sempre costanti che la sua presenza ormai mi scaturiva.

« Aspetta non è finita » e mi porse una piccola scatolina.

« Credo che se le avessi donato il sangue sarebbe stato meno difficile»

« A chi ti riferisci?»

« Alla preside e a quanta fatica ho dovuto fare per convincerla a regalarti questo. Per fortuna sembra che io e te siamo tra i suoi professori più integerrimi e che la voglia di tenerci qui la spinga a concederci qualche privilegio in più».

Non capii molto delle sue parole. Ero intenta a guardare ogni movimento delle sue labbra che per la prima volta desiderai prepotentemente sulle mie. Mi trattenni e aprii il cofanetto: all’interno facevano bella mostra tre chiavi legate ad uno splendido portachiavi a forma di cuore con una fila di strass.

«Ma cosa…»

« Ora potrai entrare qui quando vorrai, sono le tue chiavi e il portachiavi è un mio dono per ricordati chi ti ha aiutato ad avere questo privilegio. Buon compleanno».

Rimasi sconvolta. Aveva fatto tutto questo per me e sono sicura anche per lui. Sapermi in compagnia di Jake proprio non era il massimo e ora con quelle chiavi non avrei più dovuto dipendere da nessuno.

Poi osservai meglio la scatola e spalancai gli occhi: la scritta Tiffany scintillava nella parte superiore. Altro che strass. Quel portachiavi era d’oro e brillanti.

« Ed ma il portachiavi…sei impazzito?»

«Ssshhh – si avvicinò poggiandomi delicatamente un dito sulle labbra – non dire nulla, ci tenevo. Da quando sei qui la mia vita è cambiata. Io mi sento diverso, più…leggero, non so come spiegarlo. Da tanto non  penso più al mio passato e a quello che ….ho perso», abbassò lo sguardo mostrando la sua fragilità.

« Lo so, anche io provo le stesse cose. Da quando sei con me non ho più avuto incertezze. Mi hai fatto crescere, ma questo è veramente troppo». Si avvicinò ancora di più e mi prese le mani parlando a pochi centimetri dal mio viso.

« Niente è troppo per te….mi hai ridato la serenità», ora lo vedevo veramente. Il nostro sentimento era forte, profondo e probabilmente era reciproco. Non so dove sarebbe sfociato e come, ma volevo coltivarlo senza fretta e quello che sarebbe stato si sarebbe visto solo aspettando. Per il momento mi sarei goduta ogni momento, ogni carezza, ogni sguardo…e poi se era destino un giorno saremmo stati insieme.

« Ora devo andare » il cuore perse un battito.

« No aspetta, perché non ti fai una nuotata con me?». Eh sì, il mio unico neurone era partito per la tangente: stavo chiaramente invitando il mio più caro amico, per il quale provavo forti sentimenti e per di più che era di una bellezza sconcertante, a fare un bagno con me. Se in quel momento  mi avesse sentito la preside mi avrebbe radiato dal suo istituto. Altro che comportamento consono!

« No, non posso. Sai l’etica ce lo impedisce…», sorrise malizioso.

« Parla con me, ti prego » mi uscì sussurrato mentre lo fissavo. Avevo allungato una mano e lo stavo trattenendo per il braccio, nel vano tentativo di non farlo allontanare: «Fai come ho fatto io..liberati del passato. Solo così potrai veramente ricominciare. Nessuno lo sa meglio di me». Lo vidi abbassare nuovamente lo sguardo e per un attimo ebbi il terrore di aver detto troppo, ma poi mi sorrise e mi tranquillizzai.

« Fai la tua nuotata, io ti aspetto fuori e poi parleremo un po’, ma non ti aspettare troppo. Per me confidarmi con qualcuno è un campo sconosciuto».

Un sorriso soddisfatto mi nacque sul volto. Era già un passo avanti, rispetto al suo mutismo.

« Ok non scappare», dissi e corsi dentro per scaricare l’adrenalina che sia l’incontro con Jake, ma ancora di più la vicinanza di Edward mi avevano prodotto.

Un’ora dopo mi presentai fuori dalla porta con il mio borsone e un mega sorriso stampato il volto. La serata iniziata in modo un po’ anomalo era decisamente migliorata. « Ho spento tutte le luci, ma chi sistemerà quello che hai preparato tu? »

«Non ti preoccupare, sono già d’accordo con quelli della manutenzione. Ci penseranno domattina prima dell’apertura».

Ma come faceva ad essere così. Serio e riflessivo un momento, pazzo e spensierato il momento dopo: era veramente unico.

«Ti va di fare due passi? » Non esitai. Non esitavo più da tempo con lui, la sicurezza che mi trasmetteva mi rendeva forte, ma allo stesso tempo debole perché completamente dipendente dalle sue parole. Ci incamminammo a passo lento verso il nostro dormitorio; erano quasi le nove e l’aria era veramente fredda. Volevamo entrambi allontanare al massimo il tempo in cui ci saremmo dovuti separare. Mentre camminavamo vicini le nostre braccia si sfioravano involontariamente e costantemente a dimostrare quanto i nostri corpi fossero due calamite, che anche in una normale conversazione non riuscivano a stare lontani.

« Che ti è successo? Perché Jacob ti odia tanto?»

« Non so se me la sento di raccontarti tutto »

« Dimmi solo quello che ti senti per ora». Volevo solo che anche il suo animo si alleggerisse, grazie a me.

« Come sai, sono nato a Seattle e mi sono trasferito a Forks quando avevo sei anni. Sono rimasto fino alla seconda superiore, poi per trasferimento di mio padre sono tornato a Seattle. La mia vita è sempre stata contraddistinta da spostamenti, addirittura per un anno ci siamo trasferiti in Alaska, ma una era la costante della mia vita. L’amicizia di Jacob Black: siamo praticamente nati e cresciuti insieme. Suo padre prima di rimanere su una sedia a rotelle era infermiere e faceva di tutto per poter lavorare con il mio: erano un team fantastico. È per quello che siamo sempre rimasti insieme. Dove si spostava uno c’era l’atro e così io e Jake.

Jake aveva, mi correggo ha una sorella che ha sempre avuto un debole per me, ma io non l’ho mai filata: con la sua approvazione visto che sapeva delle mie storie e non credeva fossi adatto a lei. Io in fondo non ho mai provato particolare interesse: la vedevo più come una sorellina.

Poi tutto è cambiato. Io sono andato all’università e a causa dell’incidente il padre di Jake non ha più potuto lavorare, così Jake ha rinunciato allo studio. Siamo rimasti amici, ma io mi sono trasferito alla Julliard per diplomarmi in pianoforte: in fondo è sempre stato il mio sogno. Lui ha cercato e trovato lavoro a Seattle.

Con la fine della scuola avevo messo la testa a posto, mi ero impegnato al massimo, avevo il mio titolo, avevo chiuso da tempo con le ragazze, insomma ero cresciuto. E quando a ventiquattro anni tornai a casa deciso a lavorare nella mia città, ricominciai a frequentare Jake e in modo più assiduo anche la sorella. Mi accorsi di essere innamorato di lei: non era più la ragazzina che prendevamo sempre in giro. Era una splendida donna di ventiquattro anni e ci  mettemmo insieme.

Jake non ha mai visto questa cosa di buon occhio, ma vedeva la gioia di sua sorella e capiva che io ero cambiato, e accettò la storia. Siamo stati insieme tre anni, uscivamo con Jake e la sua nuova ragazza, eravamo una coppia normale poi….abbiamo iniziato ad avere problemi. Ci siamo allontanati e probabilmente quello che pensavo fosse amore era solo un profondo affetto. Rimasi con lei, perché capivo che il nostro allontanamento le faceva male, ma poi accadde l’inevitabile e dopo un anno dall’inizio dei nostri problemi ci lasciammo. Ho cercato di condurre la mia vita, ma il continuo sguardo accusatore di Jake mi ha portato alla decisione di andarmene».

Un brivido mi scosse, non tanto per la temperatura o per le sue parole, ma per il pensiero che in passato si fosse innamorato di una donna al punto da sacrificare la sua felicità pur di starle accanto. Mi strinsi nelle spalle e feci un lieve passo per allontanarmi da lui. Chiusi gli occhi e cercai con un profondo respiro di allontanare quell’assurda sensazione di oppressione che mi aveva attanagliato nel sentire “mi ero innamorato, siamo stati insieme tre anni…”. La verità era una sola: avrei tanto voluto poter essere io quella di cui si era innamorato.

Ed forse notò il mio irrigidimento, si fermò, mi chiese se andava tutto bene, e poi, supponendo che la mia postura fosse causata dall’abbassamento della temperatura, mi cinse le spalle con un braccio sfregandomi come a voler infondermi il calore attraverso le sue mani. Mi tranquillizzai un po’ a quel gesto così dolce e cercai di dire qualcosa di non troppo scontato.

« Posso capire che ci sia rimasto male se era molto legato a sua sorella, ma trattarti così e rompere un’amicizia..in fondo sono cose che possono succedere», cercai di giustificarlo. In fondo, rispetto alla mia storia si era comportato da educando, non aveva certo messo in crisi matrimoni e cose varie.

« In realtà sono successe molte altre cose e in parte ha ragione ad odiarmi, però io non volevo fare del male a Leah. La verità era che quando abbiamo litigato di brutto lei se n’è andata con un altro e mi ha tradito. Poi è tornata da me e io ho cercato di andare avanti perché sapevo che i problemi fra noi l’avevano ferita, ma poi non ce l’ho più fatta. Ho chiuso con lei, con il fratello, mi sono cercato un lavoro prima a New York per un anno e poi qui con grande dolore di mia madre, che pur capendomi, ha sempre sentito la mia mancanza. Sai è ancora la mia mamma chioccia».

Ero scioccata. Jake odiava Ed per cose di cui non era stato direttamente colpevole. I rapporti si incrinano, finiscono e poi in fondo era Leah che lo aveva tradito. Lui era stato fin troppo bravo a darle una seconda possibilità.

Ero certa che non fosse tutto qui quello che lo turbava, ma come me per ora si sentiva di raccontare questo e mi stava bene così. Cercai di cambiare argomento per alleggerire la tensione che si era venuta a creare.

« Mi piacerebbe conoscere la tua famiglia, devono essere fantastici», non so perché fra tante cose dissi proprio questo, ma era vero. Mi aveva raccontato cose così carine su di loro. Conoscevo abbastanza bene il dottor Cullen che aveva continuato a lavorare a lungo a Forks quando io insegnavo. Edward naturalmente era lontano per i suoi studi e il suo lavoro all’epoca e per questo si erano ritrasferiti a Seattle. Era un buon compromesso per trovarsi tutti a metà strada.

« Sai che i miei sono tornati a Forks da qualche mese? Hanno proposto a mio padre la dirigenza del pronto soccorso e non ha saputo dire di no: adora quella città. Per lui i posti così tranquilli sono il massimo. Seattle è sempre stata troppo caotica».

« Quindi ora le nostre famiglie sono vicine di casa ?», ammisi sorridendo.

« Già, motivo in più per tornare insieme a Natale ». Disse queste parole con una tale gioia e convinzione che non potei fare a meno di sorridere e rispondere un semplice “perché no”.

I pezzi delle nostre vite cominciavano finalmente a dare un quadro, ancora molto incompleto, ma comunque un accenno di quello che avevamo passato, subìto, causato a noi stessi e agli altri. Sapevo che presto saremmo riusciti a raccontarci molto di più, ma non eravamo ancora pronti. Il tempo avrebbe deciso per noi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** “Coppia perfetta” ***


Capitolo 19

“Coppia perfetta”

 

Due sere dopo: venerdì.

Avevo deciso di organizzarmi per fare finalmente un giro a Londra. Non sapevo se Edward avrebbe avuto voglia di accompagnarmi, ma lo speravo proprio. Sapevo che la conosceva molto bene e una passeggiata con lui mi avrebbe reso molto più felice.

Poi fino a quel momento mi ero accontentata dei negozi della periferia; mi ci voleva una passeggiata per i negozi del centro, pur sapendo l’odio che a causa della sorella Alice, provava nei confronti dello shopping.

Mi preparai un bagno degno di una regina, con la mia essenza di lavanda nell’acqua, le candele e l’mp3 pronto sul bordo della vasca. Avevo sempre avuto cura del mio corpo e ora volevo curare anche il mio spirito.

Erano già le 20.00. avevo salutato Ed alle 18 e da quasi un’ora mi deliziava dal suo appartamento con delle splendide melodie al piano. Riusciva ad essermi vicino anche con un soffitto a dividerci. Mi immersi nell’acqua bollente e mi beai delle sensazioni che la schiuma e il profumo dell’olio infrangevano sul mio corpo. Chiusi gli occhi e immaginai di trovarmi tra le sue braccia: le sensazioni che mi trasmetteva erano enfatizzate dall’ambiente che mi circondava e dalla sua melodia: cominciai a sognare che le sue mani, che ora percorrevano il piano mi accarezzassero su tutto il corpo trasmettendomi quelle sensazioni che io non temevo più di provare.

Aprii gli occhi un po’ turbata, non tanto per quello che avevo pensato, ma per il fatto che lo desideravo più di ogni altra cosa e non so per quanto ancora avrei potuto trattenere i miei sentimenti.

Uscii dal bagno,  mi asciugai e indossai l’intimo godendomi ancora per un po’ il calore e il profumo che il bagno aveva sprigionato in tutta la casa. Improvvisamente il bussare alla porta mi ridestò:

« Bella sono Edward, aprimi è importante». Il cuore fece un salto, non mi preoccupai dell’abbigliamento e mi precipitai ad aprire pur capendo che non era una visita di cortesia:

« Ed che succede? » per un attimo lo vidi esitare con lo sguardo sul mio corpo, poi si riprese...

« Un ragazzo del mio piano sta male e sapendo che tu hai un po’ di esperienza…».

Lo guardai con aria veramente stupita: « Ed veramente qui, chi ha il padre medico sei tu, io ho solo un semplice diploma di primo soccorso, occorrerà chiamare qualcuno»

« Penso di sì, ma prima forse è meglio che tu venga a dare un’occhiata, poi decideremo il da farsi, sai in questi casi siamo noi i responsabili» lo guardai con un ghigno…”bella soddisfazione” pensai tra me.

« Ok andiamo», ma Edward mi bloccò sulla porta. «Scusa, ma credo che per la salute mentale mia e degli studenti sia meglio che tu ti vesta » e indicò il mio corpo coperto solo da una maglietta e un paio di pantaloncini.

Se fossimo stati in un altro frangente, visto il modo in cui mi guardava avrei cercato di approfittarne per vedere finalmente quanto interesse provava per me, ma ora non era proprio il momento.

Corsi in camera senza trattenere un sorriso di soddisfazione e tornai pochi secondi dopo con jeans, una felpa con ampia scollatura e scarpe da ginnastica.

« Devo ricredermi, per la mia salute mentale nessun abito che indossi va bene».  Era in grado di fare battute anche in un momento di emergenza. Lo guardai storto e mi feci accompagnare nella stanza del ragazzo.

«Come si chiama? » chiesi nel tragitto, «Alec, è del terzo anno », mi rispose. A differenza di me conosceva tutti gli studenti perché era l’unico professore di musica del campus. Io mi limitavo a quelli del primo e del quinto anno.

Entrai nella stanza del ragazzo e mi avvicinai al suo letto, respirava affannosamente, alcuni compagni gli erano intorno. Poggiai una mano sulla fronte: « E’ bollente, avrà la febbre almeno a quaranta: dobbiamo cercare di abbassarla! Serve ghiaccio, il medico è stato avvisato?»

« Ha avuto problemi familiari e non è reperibile. Ha lasciato detto di contattare questo numero in caso di emergenze. Credo sia l’ambulanza ». Mi rispose prontamente, allungandomi due sacche di ghiaccio. Guardai il ragazzo: sembrava ridotto proprio male e temevo da un momento all’altro che potesse avere un attacco convulsivo. Mi era già capitato in passato e non era stato per niente piacevole.

« Ed penso che convenga avvertire la preside  e i genitori: non escluderei l’ambulanza. Ragazzi sapete cosa può essergli successo? Ha per caso preso qualcosa? È importante».

Nessuno sapeva niente e mi garantirono che non faceva uso né di alcol né di droghe. In realtà in quel dormitorio neanche fumavano.

Ci dividemmo le chiamate così come avevamo deciso dai piani organizzativi che avevamo progettato insieme: a me toccava la preside, a cui avrei dovuto chiedere il permesso per l’ambulanza, a lui la famiglia del ragazzo.

« Signora preside mi spiace disturbarla a quest’ora, ma temo ci sia un’emergenza nel mio dormitorio e dovrebbe correre…»

« Arrivo subito signorina Swan». Di lei si potevano dire tante cose, ma non che non tenesse ai propri studenti.

Nell’attesa della preside mi riavvicinai al ragazzo; il ghiaccio non sembrava fare effetto e iniziai ad essere in ansia pur non dando a vedere nulla per non innervosire i ragazzi accorsi.

« Ho chiamato i genitori di Alec; come temevo c’è la segreteria, sono fuori città per lavoro. Come ci comportiamo?».

Cercai di ragionare a mente fredda, anche se dentro di me tremavo all’idea di sbagliare e arrecare ancora più danno a quel povero studente. Anche Ed era sicuramente molto nervoso, ma non lo dava a vedere ancora meglio di me.

« Io intanto direi di far rientrare i ragazzi, la preside sarà qui tra poco e se dovesse esserci bisogno di un’ambulanza i corridoi devono essere sgombri e dobbiamo evitare il panico».

Edward molto chiaramente parlò ai compagni del ragazzo e chiese loro di rientrare: l’indomani avrebbero avuto notizie. Rimasero accanto a lui solo i due compagni di stanza: nel momento in cui entrò la preside tutto era rientrato, ma la salute del ragazzo mi preoccupava.

« Cosa pensa sia meglio fare? i genitori non sono reperibili e il medico nemmeno..»

« Prendete voi la decisione migliore – disse la preside – io vi autorizzo a qualsiasi intervento, in base alla scala delle responsabilità». Cominciavo a sapere molte cose dell’istituto, ma questa ancora mi sfuggiva.

Edward mi guardò, ero io la più esperta in pronto soccorso e così decisi: «Chiamiamo l’ambulanza, non voglio rischiare; la temperatura avrebbe già dovuto iniziare a scendere con il ghiaccio », non se lo fece ripetere due volte e compose il numero allontanandosi da noi.

« Devo dire che siete in grado di mantenere organizzazione e calma anche nelle situazioni più difficili. Siete veramente la miglior coppia di professori che abbia avuto negli ultimi anni».  Mi voltai stupita da quelle parole e soprattutto da chi venivano, ma non feci in tempo a gongolarmi del complimento fatto dalla preside, che un rantolo attirò la mia attenzione. Il ragazzo aveva gli occhi spenti e forti spasmi stavano percuotendo il suo corpo.

« Ha le convulsioni – gridai – Ed aiutami presto!». Lui fu subito da me, mi aiutò a girarlo su un fianco  e a trattenerlo in modo che non si facesse male nei movimenti bruschi. Vidi la preside sbiancare, evidentemente era la prima volta che le capitava di assistere ad una cosa del genere.

In quel momento sentimmo l’ambulanza: «Signora preside chiami Jake, faccia aprire i cancelli e il portone. Dobbiamo dare loro campo libero». La preside si affrettò a fare quello che le avevo detto e nel giro di due  minuti medico e infermieri erano ad assistere Alec.

Si soffermarono alcuni minuti, somministrarono alcuni farmaci e poi si rivolsero alla Withmore.

« Chi ha prestato il primo soccorso?»

« La professoressa Swan e il professor Cullen », rispose la preside.

« Avete svolto un ottimo lavoro, la crisi è passata, ma sarebbe meglio ricoverarlo per questa notte, per verificare che sia tutto a posto e soprattutto diagnosticare la causa, escludendo la matrice infettiva».

« I suoi compagni lo hanno visto correre sotto la pioggia due sere fa», si intromise Edward.

« È probabile sia per quello, ma non vogliamo correre rischi visto che vive in una comunità. Chi è responsabile per lui? La famiglia?»

« Sono fuori per lavoro, i responsabili siamo noi» subentrò Edward e anche questa cosa mi suonò nuova: gli avrei chiesto spiegazioni una volta soli, « Fate quello che è meglio».

« Bene, ora lo portiamo in ambulanza, voi potete seguirci o raggiungerci per le pratiche  a quest’indirizzo».

Era il nominativo dell’ospedale più vicino, ma comunque alla periferia di Londra: « Potete stare tranquilli, il pericolo è passato», ci tenne a precisare il medico. Tutti tirammo un sospiro di sollievo, aspettammo che caricassero il ragazzo e poi ci rivolgemmo alla preside.

« Chi sorveglierà il dormitorio? Se vuoi resto io », dissi rivolta ad Edward.

« No, resterò io – ci voltammo verso la Withmore – è meglio che entrambi siate presenti, dovrete redigere un rapporto, cercare la famiglia, se siete in due sarà più facile. Il signor Witlock mi aiuterà».

Ci guardammo, poi vidi Ed estrarre le chiavi della macchina: «Andiamo», disse solamente.

Salutammo la preside, uscimmo nella fredda aria di novembre; Ed mi prese la mano e mi portò ai garage. L’ambulanza stava partendo e ci affrettammo per non perderla: azionò il telecomando illuminando i fari di una Volvo C30 grigio metallizzata: incredibile, era da quasi tre mesi che lo conoscevo e non avevo mai visto la sua auto.

Mi fece salire aprendomi lo sportello e subito una sensazione di protezione mi avvolse; nell’abitacolo aleggiava lo stesso odore che emanava la sua pelle ogni volta che mi era vicino. Ero stata a casa sua solo una volta e di sfuggita e quindi non osai immaginare come poteva essere girare per le sue stanze e dormire nel suo letto.

Mi riscossi da questi pensieri poco consoni e lo guardai. Eravamo entrambi scossi dall’accaduto anche se avevamo mantenuto un’ottima dose di sangue freddo; mi sorrise, mi prese la mano e mi chiese se ero pronta ad andare.

Avrei voluto dirgli che con lui sarei andata anche all’inferno, ma non lo ritenni opportuno in quel momento e mi limitai ad annuire:« Certo – dissi – anche se mi ero immaginata di fare un’uscita diversa a Londra».

Ed mi guardò interrogativo. Certo non gli avevo ancora esposto il mio piano, non poteva sapere della mia idea di passeggiata a Londra. Partì deciso e uscimmo dal cancello dell’istituto. La sua guida era sicura, la macchina comoda e mi persi a guardarlo, rilassandomi sullo schienale.

« A cosa ti riferivi prima, quando parlavi di uscita?».

Mi misi a ridere, esponendogli il mio progetto e anche lui sorrise all’idea di come invece erano andate le cose.

«Vorrà dire che al più presto ci organizzeremo un week-end vero e proprio, magari nel mio appartamento, così ci facciamo un giro anche per musei».

« L’idea è fantastica! », dissi io con un tono che non lasciva spazio a supposizioni. Lo desideravo, volevo vedere casa sua, passeggiare con lui e magari dormire vicino a lui. Lo so ero egoista, sapevo che lui aveva avuto dei problemi grossi di carattere sentimentale, quasi come i miei, ma in quel momento vedevo solo noi due, e ci vedevo insieme.

Il tragitto fino all’ospedale durò circa quindici minuti, nei quali avevo ricevuto una telefonata dalla preside che ci rassicurava sulla situazione al dormitorio ed ero riuscita a contattare i genitori del ragazzo che nel giro di due ore sarebbero arrivati.

Giunti in ospedale compilammo i moduli di rito, in quanto responsabili del minore e ci sedemmo ad aspettare medici e famiglia.

« Tieni, è the », mi si avvicinò dopo essere andato a fare un giro nei corridoi e mi porse un bicchiere di plastica con dentro una bevanda fumante. «Scusa, ma deteinato non c’era » e accennò un sorriso, ricordando la nostra prima conversazione.

« Va benissimo, credo che stasera mi servirà proprio così». Iniziammo a chiacchierare del più e del meno come facevamo di solito, quando mi venne in mente ciò che avrei dovuto chiedergli già prima al campus:

« Scusa Edward, ma cosa intendevate tu e la preside quando parlavate di responsabili e scala delle responsabilità?»

« In base alle regole dell’istituto gli adulti che vi soggiornano di notte e si assumo degli impegni, come noi due, sono i supervisori dei ragazzi, siamo coloro che fanno le veci dei genitori. In genere non serve, ma nel nostro dormitorio ci sono solo minorenni, quindi noi siamo i loro “genitori”. E la preside è la mammina di tutti!» Lo guardai con gli occhi sgranati, poi una risatina più possibile sommessa mi riscosse dal silenzio.

In quel momento il medico si avvicinò per informarci delle condizioni di salute di Alec. Aveva avuto un colpo di freddo, una vera e propria congestione trascurata, niente di patologico o di infetto, ma la notte l’avrebbe passata lì, fino all’arrivo della famiglia. Ci disse che potevamo andare e ci avrebbe dato notizie dirette a scuola l’indomani.

Mentre stavamo per uscire dall’ospedale incontrammo i genitori del ragazzo. Spiegammo loro l’accaduto e che ora era tutto a posto; ci ringraziarono molto e poi ci congedarono: uscimmo dalla porta scorrevole ributtandoci nell’aria fredda di Londra. Istintivamente mi chiusi nelle spalle, ma non feci in tempo a sentire nulla, perché le calde braccia di Edward mi strinsero. Mi guardò negli occhi sfregando le mani sulle mie braccia come a volermi scaldare: era un gesto che iniziava a fare molto spesso. Ricambiai la stretta e lo fissai.

« Sei stata fantastica stasera! ». Dio quanto avrei voluto sentirgli dire quelle parole in un altro contesto che non riguardasse il lavoro. Mi vergognavo di me stessa ma l’attrazione che iniziavo a provare per lui non era solo emotiva, ma fisica. Ormai ero sicura: lo desideravo.

Feci censura dei miei pensieri e ricambiai il sorriso.

« Anche tu lo sei stato. Siamo una grande squadra insieme».

« Già! » e abbassò lo sguardo sorridendo e dirigendosi all’auto abbracciato a me.

Probabilmente nel viaggio di ritorno mi appisolai. Fui quasi certa di aver sentito le sue mani scorrere sul mio viso e nei miei sogni mi stava sussurrando un “riposa amore mio”, ma stavo talmente bene che non mi feci domande e mi beai di quel paradiso che, reale o immaginario che fosse, mi aveva circondato.

Mi risvegliai con l’aria fredda della notte.

« Che ore sono?» chiesi con la voce impastata dal sonno

« Sono le due e siamo al campus. Dovresti scendere dall’auto o sarò costretto a farti dormire in garage». Sorrisi, mi stirai e uscii dall’abitacolo. Attraversammo velocemente il piazzale deserto e silenzioso ed entrammo nel nostro fabbricato.

La preside e Jasper stavano conversando a bassa voce nella postazione all’entrata e quando ci videro si affrettarono per avere notizie. Li tranquillizzammo e ci congedammo per tornare nei nostri appartamenti.

« Hai sonno? » mi chiese.

« Abbastanza, perché? »

« Ci sarebbe da redigere il rapporto o stasera o domani, quando preferisci?»

Ero veramente stanca, ma il pisolino in auto mi aveva ritemprato e in più non avrei perso l’occasione per stare un’altra mezz’ora con lui. In fondo l’indomani era sabato.

« Ok », gli dissi. E mi diressi al mio appartamento. Aprii la porta e il tepore della casa in cui aleggiava ancora l’odore di lavanda del mio bagno ci invase.

« Si sta sempre così bene qui in casa  tua – mi disse stupendomi – è così accogliente e poi sa…di te». Oddio e che intendeva con quella frase! Per un attimo lo guardai stupita e lui lo notò perché si affrettò a correggersi: « Volevo dire…. che quando entri qui si sente che ci vivi tu…c’è il profumo della tua pelle e… ». No, di male in peggio, si era proprio impantanato!! In realtà erano tutti complimenti che non potevano fare altro che farmi piacere, ma non potevo fare a meno di notare il suo sguardo imbarazzato e gongolarmi per essere io quella che portava l’imperterrito professor Cullen a balbettare.

« Non temere ho capito cosa intendevi. Grazie » e gli sorrisi accarezzandogli una guancia istintivamente. Lui chiuse gli occhi e poi li aprì fissandomi serio.

«Sarà meglio che ci mettiamo all’opera se non volgiamo passare la notte insonne».

Sbuffai leggermente e ci mettemmo al portatile a redigere un accurato verbale di quello che era accaduto e di come si era risolta la situazione. Sentivo la stanchezza farsi avanti. La sua voce era sempre più lontana e capii di essermi addormentata solo quando le sue forti braccia mi sollevarono e mi portarono sul letto. Ricordai solo di aver detto “resta con me” e poi caddi in un sonno profondo.

Quando mi svegliai al mattino ero in camera, sotto le  mie coperte: allungai un braccio e sentii un corpo accanto a me. Sotto alle coperte con me.

Io e Edward avevamo dormito insieme, abbracciati l’uno all’altra e al mio risveglio, il suo viso e la sensazione di tranquillità che irradiava la sua presenza mi fece sorridere; non potei trattenermi e sicura che non mi sentisse gli sussurrai un “ti amo” e dentro di me pensai che non ero mai stata tanto bene in vita mia.

 

 

 

Note: mi scuso con tutti per non aver postato ieri, ma sono stata fuori tutto il giorno. Rimedierò con due capitoli stasera. Ma non fateci troppo l'abitudine!!!!!!!
grazie ancora per le recensioni splendide e per tutti quelli che leggono e seguono questa storia. non mi stancherò mai di dire quanto sia stupita di questo interesse per una storia nata senza pretese, ma scritta con il cuore.
ciao

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** “Conoscenze” ***


Capitolo 20

“Conoscenze”

 

Decisi che era ora di alzarmi. Scostai piano le coperte per non svegliare Edward.

È vero, forse lasciarlo dormire nel mio letto come se fossimo una coppia non era proprio consono, ma vista la lunga nottataccia e la sua gentilezza, il minimo era di lasciarlo riposare il più a lungo possibile.

Mi diressi in cucina per preparare un po’ di colazione: in realtà mentre l’acqua del the bolliva non feci altro che ripensare alla possibilità di non cancellare definitivamente i miei progetti su  Londra, agli ultimi giorni e ai bei momenti passati in compagnia di quello che fino a qualche tempo prima consideravo mio amico, ma che ora era una fra le persone più importanti della mia vita. Poco importava se avrebbe mai ricambiato i miei sentimenti: solo qualche giorno prima mi ero resa disponibile ad accettare che preferisse un’altra a me, ma che mi rimanesse comunque vicino. Ripensando a quelle affermazioni mi resi conto che sarei stata disposta per lui a fare la stessa cosa che avevo fatto per James: stargli accanto pur sapendo di essere il terzo incomodo. La cosa mi faceva veramente poco onore, ma in realtà i sentimenti che Ed nutriva per me non erano affatto chiari, quindi potevo permettermi di sognare quanto volevo…e poi un’altra cosa mi fece riflettere. Era già da tempo che il pensiero di James e della nostra storia non mi turbava più: non solo ci pensavo poco, ma anche quando lo facevo non provavo più quel dolore e quell’angoscia che avevano contraddistinto la mia vita negli ultimi mesi. Mi sentivo leggera e felice e volevo rimanerlo il più possibile e questo stava a significare godere il più possibile della sua compagnia.

Tolsi il bollitore dai fornelli e mi apprestai a preparare una vassoio da portare in camera: gli avrei dato un risveglio piacevole, o almeno lo speravo.

Nel mentre sentii bussare alla porta: mi fermai per un attimo a valutare chi potesse essere alle nove del sabato mattina: passai i rassegna Jake, studenti nei guai e dentro di me, da perfetta pessimista quale ero sempre stata, valutai già l’opzione di dover rinunciare alla mia giornata a Londra con Edward: era proprio destino che i miei piani saltassero regolarmente.

Controllando per un attimo di essere presentabile aprii la porta senza domandare chi fosse e mi ritrovai davanti una ragazza splendida, dai capelli neri e gli occhi verdi; era truccata e vestita in modo impeccabile e non potei fare a meno per un attimo di soffermarmi sulla sua esile, ma elegante figura. Ero certa di non conoscerla eppure aveva un che di familiare, forse assomigliava a qualcuno che avevo conosciuto in passato. Un po’ timidamente chiesi di cosa aveva bisogno.

« Sto cercando Edward Cullen. Sono stata nel suo appartamento e non c’era. Ho chiesto al custode e mi ha detto che questa notte c’è stata una piccola emergenza e poteva essere qui». Sgranai gli occhi non so nemmeno se per l’imbarazzo di trovarmi di fronte ad una sconosciuta che chiedeva di Ed, se perché Jasper e chissà quanti altri oltre a lui supponevano che ci frequentassimo in modo così evidente o  perché mi sembrava di leggere nello sguardo di quella ragazza una nota di disappunto all’idea di trovarlo a casa mia.

« Sì, è qui, chi devo dire? ». Non fece in tempo a rispondermi che udii una voce alle spalle.

« Che ci fai tu qui? ». Il tono di Edward era stupito, quasi scocciato, ma la mia mente fu catturata subito dopo dal suo aspetto e probabilmente la mia espressione non lasciava adito a molti dubbi sui miei sentimenti; d’altra parte si era presentato dietro di me in maglietta e jeans sbottonati, i capelli più ribelli che mai torturati dalle sue splendide mani da pianista e la voce roca, probabilmente ancora impastata dal sonno, ma tremendamente sexy.

« Veramente sono io che chiedo a te che ci fai in un appartamento che non è il tuo? » ribatté la ragazza dalla soglia della mia porta, lanciandomi uno strano sguardo. Mi scostai per farla entrare anche se ero convinta che dalla grinta che dimostrava mi avrebbe potuto scaraventare di lato, se quello fosse stato il suo intento.

« Ti ripeto che ci fai qui? Vuoi farti cacciare per aver infranto le regole del codice etico? ». Sembrava si stesse arrabbiando.

«Non sono affari tuoi, innanzi tutto, e poi non dovevi essere a Parigi ancora per questa settimana?».

Li osservai attentamente, capii che si dovevano conoscere molto bene e che mi stavano bellamente escludendo dalla loro conversazione.

Improvvisamente però, quando sembrava che la conversazione potesse degenerare, la ragazza fece un grande sorriso e si buttò con le braccia al collo di Edward che con mio grande dolore ricambiò la stretta: « La verità è che mi mancavi troppo e ho anticipato il viaggio di un paio di settimane e a quanto pare sono arrivata in tempo per toglierti dai guai …» e questa volta ero sicura che mi avesse lanciato un vero e proprio sguardo carico di odio.

In quel momento mille supposizioni si fecero spazio nel mio cervello, completamente svuotato da quello che avevo appena visto e sentito, ma la più ovvia fu che quella doveva essere la sua ragazza o almeno qualcuno con cui aveva una grande confidenza e per la quale forse non si sarebbe mai dovuto far trovare nell’appartamento di una donna. Potei giurare a me stessa di aver sentito il mio cuore fermarsi per un attimo e incrinarsi.

Iniziai a mettere insieme alcuni pezzi: forse era la sua ex, o qualcuno che aveva conosciuto prima di me e il cui legame gli impediva di esprimere apertamente i suoi sentimenti per me, sempre che ci fossero stati (ora più che mai mille dubbi si fecero spazio in me); o forse qualcuno con cui si era visto il week-end successivo al mio compleanno, quando avevamo passato alcuni giorni nella convinzione che tra di noi non sarebbe funzionato più nulla.

In ogni caso furono tutti pensieri negativi, avvalorati dagli sguardi incendiari di lei e da quelli imbarazzati di lui: pensieri che in un lampo mi riportarono nella mia solitudine senza Edward, senza amore e amicizia, che mi fecero capire quanto io dipendessi da lui e quanto forte fosse quello che ormai inequivocabilmente provavo.

Se non fossi stata una persona adulta di fronte a due estranei  mi sarei accasciata al suolo tra i singhiozzi, ma cercai di razionalizzare e di contenermi facendo dei profondi respiri e stringendo gli occhi evitando così alle lacrime di uscire.

« Anche tu mi mancavi ripose – conficcando un ulteriore coltello nel mio cuore ormai a brandelli – ma di che guai stai parlando?»

« Non pensi che farti trovare da qualcuno che non sia io nell’appartamento di una tua studentessa non sia proprio consono? ».

Il mio cervello fino a quel momento ridotto in poltiglia si ridestò tanto da ribattere: « Veramente sono una professoressa, non una studentessa ».

In quel momento odiai con tutte le mie forze quella ragazza che era entrata in casa mia, faceva supposizioni poco etiche e mi voleva portare via il mio……che pensieri facevo? Ed non era mio, e a questo punto era chiaro il perché non lo era mai stato e non lo sarebbe stato.

Superato lo stordimento iniziale dato dalla conversazione, fui quasi tentata di vendicarmi di lei, urlandole in faccia il fatto che il suo ragazzo aveva più volte dormito accanto a me, instillandole il dubbio del tradimento, ma in realtà non ero così subdola e in quel momento non mi sentivo più forte di un budino, quindi lasciai la frase in sospeso e potrei giurare rimasi anche con la bocca semi spalancata, proprio come un’ebete.

Lei mi guardò ancora più stupita, ma nel suo sguardo c’era quasi sollievo. Si voltò verso Edward e potei notare il cambiamento del suo tono.

« Allora è lei? L’isabella di cui ci hai parlato?»

Ok, mi ero definitivamente persa. Questo tizio parlava di me con la sua donna: ma  che aveva? uno sdoppiamento della personalità?

« Sì è lei – rispose Ed più calmo, ma sempre visibilmente in imbarazzo – ieri sera c’è stato un incidente qui, un ragazzo si è sentito male e io e Bella in quanto responsabili del dormitorio ci siamo attardati per svolgere le solite mansioni burocratiche e…ci siamo addormentati….niente di più…».

Con quelle parole sprofondai di nuovo: non solo si giustificava per l’accaduto, ma lo stava anche minimizzando. O era un gran bugiardo, o fino a quel momento con me era stato un gran bravo attore, dandomi l’impressione di essere importante per lui. Il mio pensiero in quel momento fu quello di buttarli fuori a calci e fargli finire la loro umiliante, per me , conversazione nel corridoio, ma mi sentii in dovere di dimostrare di essere una persona superiore e migliore di loro e così intervenni: « Chiedo scusa se interrompo la vostra conversazione personale, ma gradirei non si parlasse di me come se non esistessi, questa è ancora casa mia e vorrei proprio sapere chi ho davanti».

Ovviamente non mi riferivo solo alla ragazza, ma anche al ragazzo che fino a qualche ora prima mi ricopriva di attenzioni e ora tentava di giustificarsi dicendo “non è niente”. Probabilmente il tono con cui parlai espose tutto il mio astio, perché entrambi si voltarono verso di me con lo sguardo pietrificato.

« Hai ragione scusa, mi sarei dovuta presentare>>. Ora il tono di voce e il volto erano più distesi e potei giurare di aver visto un sorriso arrivare ai suoi occhi: mi tese la mano: « Io sono Alice…»

« Mia sorella gemella », terminò Edward.

Oddio!!! Era la sorella, e io per dieci minuti mi ero fatta tutti i film mentali di questo mondo!!Ora capivo perché mi ricordava qualcuno? Effettivamente se non per il colore dei capelli si assomigliavano veramente molto. Feci un profondo sospiro, ma mi resi conto che la tensione scaricata mi avrebbe quasi fatta cadere a terra.

Poi elaborai la loro conversazione: lei mi conosceva, lui aveva parlato di me alla sua famiglia: la testa iniziò a girarmi e il sangue a pompare nelle vene come un tamburo.

Allungai una mano titubante, era gelida e probabilmente anche io ero cadaverica, perché sentii Ed chiedermi se stavo bene.

« Piacere mio Alice, io sono Bella», riuscii a malapena a dire.

« Che bello conoscerti!! Mio fratello ci ha parlato di te sai…» e mi ritrovai in un abbraccio stritolatore. Era quasi più piccola di me, ma la sua esuberanza era un portento.

« Alice, ti prego!»  potei giurare che fosse imbarazzato.

« Oh fratellino su! Finalmente ci racconti di un’amica dopo tanti anni e vuoi che non sia felice? Scusa se ho pensato fossi una studentessa, sembri così giovane e sei veramente carina – si voltò verso di me – ma voglio troppo bene a Ed perché si cacci in certi guai, anche perché di solito è una persona seria e non fa certe sciocchezze…» e gli lanciò uno sguardo canzonatorio.

« Vuoi chiudere quella bocca sorellina!! » rispose lui quasi ringhiando.

« Figuriamoci, non ci riescono mamma e papà non lo farai certo tu; ma raccontami Bella – disse rivolgendosi nuovamente a me – dimmi qualcosa di te, Ed è stato così criptico…»

« Ma veramente non so se è il caso…» cercò di interrompere la conversazione, « magari Bella aveva altro da fare, oltre che conversare con te…».

Cercai di ridestarmi, non sapevo se ridere o piangere per le sensazioni contrastanti di gioia, ma anche imbarazzo che si susseguivano nel mio cuore, così cercai di alleggerire la situazione: « Stavo preparando la colazione, se vuoi favorire, così ci conosciamo un po’» . Non so bene perché lo dissi, ma mi sentii bene all’idea di parlare con la sorella di Edward, che fra le altre cose sapeva già di me e mi fece sentire che per lui contavo qualcosa.

« Fantastico, ho una fame!». Le feci cenno di accomodarsi in cucina e mentre lei si avviò mi sentii trattenere.

« Scusala è che a volte tende ad essere un po’ troppo esuberante, non volevo metterti in imbarazzo» mi disse con premura.

« Non temere va tutto bene, sono felice di conoscere qualcosa in più della tua vita » e gli sorrisi sinceramente. Mi ero del tutto tranquillizzata.

« Sei sicura di sentirti bene, avevi uno strano sguardo prima, sembrava stessi per svenire », disse spostandomi una ciocca di capelli. Abbassai lo sguardo e probabilmente arrossii, maledicendo la mia incapacità di reprimere le emozioni: « Sì sì, tutto ok. Vieni andiamo ». Tagliai corto, e sentii una familiare stretta al punto vita: Ed mi stava accompagnando in cucina e mi abbracciava, anche se in modo molto casto di fronte alla sorella: casa poteva significare?

Alice era veramente una forza della natura. In mezz’ora di colazione mi raccontò vita, morte e miracoli della sua famiglia guadagnandosi continui rimproveri verbali da Edward per la sua totale assenza di privacy. Io non potei fare a meno di sorridere e bearmi delle sensazioni di gioia che il carattere di Alice emanavano; inoltre vedere Edward Cullen in imbarazzo era una cosa rara e mi piaceva. Lo faceva sembrare ancora più dolce di quello che era sempre stato con me.

« Così vivi e lavori a Parigi? » intervenni nel tentativo di smorzare i richiami di Ed alla conversazione.

« Già ho studiato come stylist e tre anni fa sono riuscita a trovare lavoro presso una casa di alta moda. Mi occupo della pubblicità sulle riviste. Sai non è facile, all’inizio come assistente e poi piano piano responsabile, ma le soddisfazioni sono tante ».

« Posso immaginarlo, mi piacerebbe visitare Parigi…», mi venne spontaneo dire così e vidi Edward guardarmi incuriosito.

« Beh, visto che le nostre famiglie sono lontane potremmo vederci più spesso noi tre, così visitereste anche voi la mia bella città, sai non è mai venuto a trovarmi mentre io sono qui praticamente tutti i mesi..e poi saresti la prima ragazza da quando…»

« Alice piantala » questa volta il tono di Edward era più serio. Sicuramente non voleva che la sorella sparlasse della sua vita privata. In fondo non poteva sapere che anche con me aveva detto veramente poco.

Cercai di smorzare i toni: « Grazie Alice, magari vedremo. Sai mi sono trasferita da poco e non so se sono ancora pronta per iniziare a girovagare. E poi quando potrò mi piacerebbe tornare a casa» .

La conversazione durò altri dieci minuti fino a che Alice non propose di fare un giro a Londra. Io accettai ben volentieri, ma lo sguardo glaciale di Edward non lasciò presagire niente di buono.

« Bene, io vi aspetto giù così possiamo andare » era veramente euforica e prima che potessimo dire qualsiasi cosa aveva già imboccato la porta ed era scesa per le scale.

« Mamma mia è proprio una forza della natura! » dissi molto spontaneamente.

« Non sai quanto!! – mi rispose con un tono abbastanza preoccupato – ma non sai in che guai ti sei cacciata…»

Mi voltai verso di lui: « Che vuoi dire?>>, chiesi un po’ preoccupata.

« Tu non sai, ma Alice ha una mania compulsiva per la moda, lo shopping e tutto ciò che ne consegue: se speravi di passare un tranquillo week-end a Londra puoi scordartelo. Sarà un tour de force per negozi ».

Non immaginavo assolutamente una cosa del genere, anche se vedendola avrei dovuto intuirlo: cura maniacale del look e della persona, lavoro nella moda a Parigi. Mi voltai verso di lui, che mi guardava con aria abbastanza preoccupata.

« Mi dispiace non voglio che tu ti senta in obbligo di venire, ma lei è così carina e sembrava così su di giri. Spero tu non ce l’abbia con me». Mi guardò con lo sguardo più interrogativo che avessi mai visto: « Non pensarlo mai, dicevo che forse potrà essere molto pesante, ma non ti scusare; passare qualche ora con te, anche se in balia di quella pazza di mia sorella, è la cosa più piacevole che potevo fare in questo fine settimana».

Mentre mi diceva queste parole non smetteva di fissarmi,  sorridendomi e accarezzandomi lievemente un avambraccio, tanto da procurarmi dei brividi sulla pelle ancora scoperta. In quei momenti era di una dolcezza unica e la tentazione di stringerlo era sempre incontrollabile, soprattutto quando mi fissava insistentemente come a volermi interrogare l’anima.

« Ora ti lascio – interruppe il contatto con i miei occhi e la mia pelle, lasciando il solito vuoto intorno a me – dobbiamo prepararci o tra dieci minuti ce la vedremo di nuovo irrompere qui ». Mi sorrise e uscì dirigendosi al suo appartamento. Mi preparai velocemente vestendomi in modo comodo e mi precipitai giù dalle scale, temendo di essere il ritardo.

Quando arrivai nell’atrio trovai solo Alice intenta a chiacchierare con Jasper: anzi guardandola bene non stava proprio chiacchierando…stava flirtando. Era seduta con le gambe accavallate sulla scrivania di Jas e sorrideva protendendosi verso di lui. Come se non bastasse Jasper aveva gli occhi fissi su di lei, sorrideva costantemente e aveva quasi un’aria…sognante. Ma che stavano facendo?

« La conversazione deve essere molto piacevole ». Una voce irruppe dietro di me. Mi voltai e vidi Edward in tutto il suo splendore che guardava la sorella con aria molto interrogativa. Mi diede quasi l’idea di volerla  proteggere.

« Vogliamo andare o continuiamo a perdere tempo qui?» Disse quasi con aria sprezzante. A dir la verità Ed in modalità fratello apprensivo proprio non ce lo vedevo, era sempre stato molto distaccato da tutto nei primi tempi che lo avevo conosciuto e quindi era una nuova veste che mi divertiva e nello stesso tempo mi procurava una certa tenerezza nei suoi confronti.

Uscimmo tutti e tre dallo stabile con non poco disappunto di Alice e ci dirigemmo all’auto. Alice insistette per farmi salire davanti e iniziò a parlare di tutte le cose esistenti a questo mondo. Al nostro arrivo a Londra, avevo le orecchie indolenzite e sia io che Ed ormai rispondevamo a monosillabi.

« Bene è ora di cominciare, abbiamo così tanto da vedere che non ci sarà tempo neanche di respirare».

Guardai Edward a queste parole: « devo dedurre che non si riferisca a visite culturali vero? ». Chiesi quasi spaventata. Ed mi rispose tra il comico e il rassegnato: «Puoi scommetterci anche se per lei la moda è arte. Posso scommettere che non riuscirò neanche mostrarti casa mia. Ti fagociterà la giornata ».

Ok, stavo seriamente dubitando delle mie azioni e di aver fatto la cosa giusta a voler accettare il suo invito. Mi rassegnai e iniziai a seguirla nei suoi spostamenti: in fondo un po’ di shopping sarebbe servito anche a me.

Passammo l’intera giornata in giro a provare, guardare, esprimere giudizi su abiti, trucchi, ma anche soprammobili, accessori. Ogni tanto quando Alice era dentro ad un negozio e noi rifiutavamo di entrarci, Ed mi si avvicinava e abbracciandomi lievemente mi chiedeva se ancora ce la facevo. Mancavano ancora poche ore alla fine di quella pesante, ma proficua giornata di shopping: in fondo mi ero rifatta il guardaroba e più di una volta mi ero beata degli sguardi di Ed che era costretto a dare giudizi critici, in quanto uomo, sulle nostre prove di abiti. Potevo giurare che il suo sguardo avesse vagato più volte sul mio corpo in modo non proprio amichevole e questo mi faceva veramente gongolare.

Erano quasi le sette quando ci incamminammo finalmente all’auto. Io e Alice eravamo qualche passo indietro a credo che questo l’avesse autorizzata ad avvicinarsi a me in modo amichevole e chiedermi, con un po’ di malizia, cosa ci fosse fra me e suo fratello. In un primo momento arrossii, poi quando capii che sarebbe stata felice di una nostra relazione provai a confessargli che per me era importante e con lui stavo bene.

« Sai – le dissi – ho avuto un passato un po’ difficile e tuo fratello in questi pochi mesi anche solo con la sua presenza è riuscito a sollevarmi lo spirito » e sorrisi a questa affermazione, ma mi sconvolsi ancora di più alla sua risposta.

« Sai Bella, anche per lui gli ultimi anni sono stati difficili. Io sono stata via di casa e lui ha avuto parecchi problemi e delusioni. È per questo che quando l’ho visto con te e non sapevo ancora chi eri mi sono preoccupata. Sembra un uomo forte, ma in realtà ha bisogno di qualcuno vicino, che gli dia fiducia nel prossimo e soprattutto nell’amore e non che lo prenda in giro. Da quel poco che ci ha raccontato di te, si sente sereno e vede la vostra amicizia in modo molto profondo. Conosco mio fratello e non credo sia in grado di rinunciare  a te per nessun motivo, anche se ancora non te lo ha dimostrato. Non l’ho mai visto così negli ultimi anni e vedo quando ti parla come si comporta.

È un’altra persona da quella che è partita due anni fa e che tu hai conosciuto all’inizio dell’anno scolastico e credo che sia tutto merito tuo. Non voglio illuderti, ma tu mi piaci molto e voglio confessarti che credo sia così anche per lui, ma è troppo combattuto per farsi avanti, perciò non fartelo scappare: è veramente una persona meravigliosa ».

« Lo so » non riuscii a dire altro a tutte quelle supposizioni: abbassai lo sguardo con un velo di tristezza « Tu non hai idea di quello che provo, ma vorrei andarci piano e non farmi illusioni. Ho già fatto e subìto troppo dolore e per ora pur di averlo accanto a me l’amicizia è un grande compromesso e se deve essere destino, aspetterò».

Alice si fermò, mi fece un grande sorriso e mi abbracciò come se mi conoscesse da sempre: « Spero che tutto vada per il meglio e se così non fosse mi piacerebbe che fossimo comunque amiche »

« Ci puoi scommettere », mi venne spontaneo risponderle, abbracciandola a mia volta. Sapevo di potermi fidare e che in lei avrei trovato una buona amica a cui confidare con il tempo anche quello che non ero riuscita a dire neanche al fratello.

« Vi muovete o dobbiamo dormire qui?» La voce senza più forze e pazienza di Ed si fece avanti interrompendo quel momento.

Risalimmo sulla sua auto e tornammo al campus: in fondo era stata una bella giornata. L’unico neo era che non ero potuta andare nell’appartamento londinese di Ed: dentro di me sperai di poterlo visitare in condizioni magari più intime, senza sorella al seguito e godermelo così circondata solo dalla sua presenza.

Arrivati al campus trasferimmo le decine di pacchetti nei nostri rispettivi appartamenti anche con l’aiuto di Jasper e mi offrii di cucinare per loro. Rimasi stupita quando Alice mi chiese se poteva invitare anche lui per gentilezza: tra quei due c’era qualcosa e neanche tanto celato.

Cenammo tutti e quattro insieme, la serata fu molto piacevole e per qualche attimo mi sembrò proprio di essere legata in modo profondo alle persone che erano con me in quella stanza.

Quando mi alzai per prendere il dessert, Edward mi raggiunse in cucina. Mi accorsi della sua presenza perché il suo profumo aveva riempito le mie narici ancora prima della sua vista e quando si avvicinò alle mie spalle sussurrando al mio orecchio e chinandosi leggermente verso la mia schiena, il suo respiro si infranse sul mio collo e io dovetti chiudere gli occhi e prendere fiato per non voltarmi e stringerlo.

« Secondo te fra mia sorella e Jas c’è qualcosa?». So che mi parlava piano per non farsi sentire dagli altri, e che era veramente preoccupato per la sorella, ma quel tono e quella posizione mi fecero pensare a tutt’altro che all’interesse fraterno e a mantenere la riservatezza sulla nostra conversazione.

Mossi la testa nella sua direzione, andando incontro alle sue labbra con la fronte, come un gattino che cercava le fusa, e la cosa strana fu che lui non si scostò, ma continuò a parlare rimanendo in quella posizione: « Secondo te devo preoccuparmi?»

« Non lo so – gli dissi cercando di non guardarlo o non sarei potuta essere obiettiva – Jasper mi pare una persona a posto e secondo me si piacciono. È la prima volta che lo vede? »

« No, anno scorso è venuta quattro - cinque volte a trovarmi e potrei giurare che alla fine lo facesse più per vedere lui che non me».

Mi uscì un sorriso e lo guardai: « Beh allora credo proprio che siano cotti, ma devi essere felice per lei; se ha trovato la persona giusta può solo essere felice».

I nostri sguardi vagavano dagli occhi alle labbra. Forse quell’affermazione l’avevo fatta più per me che per loro e il desiderio che avevo di baciarlo era prorompente, ma non lo avrei mai fatto, non prima di aver capito i suoi sentimenti per me: lo avevo pensato e ribadito. Preferivo essergli solo amica piuttosto che niente e avrei aspettato se fosse stato necessario. In fondo per una storia seria forse non ero pronta nemmeno io ancora.

Continuammo a guardarci negli occhi ancora per alcuni secondi, il suo torace era ora quasi completamente appoggiato alla mia schiena, le sue braccia mi circondavano i fianchi e si appoggiavano al banco della cucina. Io cercavo di non muovere le mani che reggevano la ciotola del gelato, ma la tentazione di appoggiarmi alle sue e accarezzarle era troppo forte. Inclinai la testa  interrompendo così il nostro pericoloso contato visivo, ma mantenni la fronte appoggiata al suo mento.

Chiusi gli occhi beandomi di quel contatto quando fummo interrotti dalla voce squillante di Alice entrata in cucina: «Bella ti serve una mano, ops!!!»  sobbalzò vedendoci in quella posizione che non aveva apparentemente nulla di compromettente, ma era comunque indice di grande complicità fra due persone.

« Pensavo aveste bisogno, non tornavate». Ed si scostò da me facendo una rotazione di 180 gradi e appoggiandosi di schiena al bancone, con un sorriso sornione sulle labbra, ma visibilmente imbarazzato anche lui; io mi voltai verso sua sorella e sicuramente rossa come un peperone le sorrisi, dicendo che era tutto ok e saremmo arrivati subito. Ci scambiammo una veloce occhiata e un sorriso e quando mi scostai dalla cucina per dirigermi in soggiorno, sentii chiaramente la sua mano sfiorare la mia che si staccava dal bancone dove era stata saldamente appoggiata fino a quel momento. Gli attimi di tenerezza fra noi c’erano stati quasi fin da subito, ma ora si erano intensificati e di sicuro erano rafforzati dai nostri sguardi e la cosa mi piaceva molto, pur lasciandomi un po’ titubante.

La serata terminò di lì a poco. Eravamo tutti stanchi e un leggero mal di testa faceva capolino. Jas si congedò per primo e poi tocco a Ed e Alice che avrebbe dormito nel suo appartamento.

« Per domani che ne dite di un bel pic-nic?». Oddio, ma dove le trovava le forze? Il fratello rassegnato rispose che ci avremmo pensato e che era ora di andare a dormire. Si assicurò che si fosse allontanata e poi mi salutò come era solito fare negli ultimi giorni: mi sorrise e si chinò a darmi un dolce bacio sulla guancia che questa volta, però si avvicinò pericolosamente all’angolo della bocca. Io ricambiai il bacio anche con un sorriso per dimostrargli quanto apprezzavo quei gesti.

« Va tutto bene? Ti ha distrutto mia sorella? »

« Non c’è male. Devo dire che è stato pesante, ma illuminate. Ho solo un leggero mal di testa e con una buona dormita passerà. Forse domani vorresti passare la giornata solo con lei. In fondo vi vedete così poco».

« Se a te non va di uscire con lei non c’è problema », rispose allarmato fraintendendo le mie parole. In realtà non volevo privarli del poco tempo che avevano insieme.

« No, adoro Alice: pensavo solo che avreste preferito un’uscita fra fratelli senza terzo incomodo».

« Non temere, tu non sei mai di troppo, e poi credo che il terzo incomodo ci sarà lo stesso…» e indicò il piano di sotto dove alloggiava Jasper. Con un leggero sorriso ci congedammo, chiusi la porta e mi fiondai nel letto distrutta da quella pesante, ma splendida giornata.

 

 

 

 

 note: e così è arrivata Alice!! beh non poteva differire troppo dall'originale che ne dite?

ciao e alla prossima

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** “Fiducia” ***


Capitolo 21

“Fiducia”

 

Quando mi svegliai al mattino il  mal di testa era aumentato anziché diminuire e oltre a questo un dolorosissimo mal di pancia mi procurava fastidio e nausea. Mi svegliai per andare in bagno, lavarmi e vestirmi, quando mi accorsi della causa dei miei sintomi. Mi era tornato il ciclo.

Era da un po’ che a causa dei miei problemi passati andava e veniva e ultimamente capitava che si presentasse anche ogni sei mesi. Il medico mi disse che ci sarebbero state grosse probabilità che prima o poi sarebbe scomparso del tutto e a quel punto….non volevo pensarci, le mie probabilità di felicità erano veramente ridotte e non volevo aggiungerci anche questo. Almeno ancora per il momento, con la comparsa saltuaria avrei avuto qualche speranza di condurre una vita normale.

A dire la verità era la prima volta da quando ero arrivata in Inghilterra che mi venivano, proprio ora che effettivamente stavo bene con me stessa e con le persone che mi circondavano. Forse il mio stato d’animo contava veramente.

Mi feci una doccia veloce, ma i dolori non accennarono a passare. Mi resi subito conto che non sarei riuscita ad uscire di casa quella domenica; vuoi per il dolore, vuoi per il rischio di emorragia a cui ero sottoposta in queste condizioni.

Mi vestii comodamente e mi distesi sul divano dopo aver preso un antidolorifico e un antiemorragico. Era un iter noto per me: due anni prima erano stati il mio pane quotidiano.

Quando stavo per riaddormentarmi sentii un messaggio arrivare nel telefono: “se sei pronta tra dieci minuti siamo da te. P.s. Alice chiede se hai un cestino per i panini”.

Mio malgrado non sarei stata in grado di seguirli e avrei dovuto declinare l’invito. Mi affrettai a malincuore a rispondere: “Purtroppo non mi sento troppo bene ed è meglio che rimanga in casa. Scusatemi ma sarà per un'altra volta”.

Tempo tre minuti e un altro messaggio risuonò nella stanza: “cosa ti senti, ancora problemi?” Potevo sentire la sua ansia anche attraverso il telefono, dovevo tranquillizzarlo: “No no, solo un mal di testa che si è acuito: con una giornata di riposo passa tutto tranquillo. Andate voi e divertitevi, sarà per la prossima volta

Ok”. Sperai  così di averlo convinto.

Circa mezz’ora dopo stesa sul mio divano stavo per appisolarmi, tra medicinali e notte quasi insonne, quando sentii aprire la porta e passi affrettati dirigersi verso di me.

« Bella, santo cielo, stai bene?» aprii leggermente gli occhi, avevo lasciato le persiane socchiuse per non farmi disturbare anche dalla luce del giorno, e rimasi stupita nel vedere a fianco a me Edward visibilmente scosso e serio in volto. Cercai di alzarmi appoggiandomi sui gomiti.

« Edward che fai qui, pensavo fossi già andato?»

« Scusa se sono entrato così, ma mi hai fatto spaventare con il tuo messaggio, sei sicura di stare bene? sei molto pallida». Era veramente spaventato, dovevo averlo turbato con il mio attacco d’ansia di qualche tempo prima.

« Edward sto bene tranquillo, non è niente di quello che pensi », cercai di tranquillizzarlo, ero imbarazzata all’idea di raccontargli fatti così intimi, ma dal suo sguardo capii che se non fossi andata un po’ più nel dettaglio non mi avrebbe mai creduto.

«…è solo un tipico disturbo femminile, solo un po’ accentuato, tranquillo». Abbassai lo sguardo sentendomi un po’ in imbarazzo.

« Oh! Scusa» anche lui si sentii preso alla sprovvista dalla mia risposta «Se hai bisogno posso mandare Alice con Jasper e rimanere con te».

Rimasi per un attimo interdetta: avrebbe veramente rinunciato ad una giornata con la sorella che vedeva ogni due tre mesi pur di stare con me, semplicemente per tenermi compagnia??? Ero veramente allibita e sconvolta in senso positivo.

Mi affrettai a rispondergli: « Edward credimi, non ci sarebbe niente di più bello che stare con te, ma non ti sarei comunque di compagnia, quindi vorrei che tu andassi…veramente, e comunque grazie per il pensiero che hai avuto, mi fai sentire sempre così…importante». Non riuscii più a sostenere il suo sguardo e con un lieve sorriso abbassai gli occhi.

« È perché lo sei – mi rispose lasciandomi completamente basita – allora io vado, ma se dovessi avere bisogno non esitare a chiamarmi e in dieci minuti sarò da te. Andiamo solo nel parco naturale che c’è alle porte del paese».  E così dicendo mi accarezzò dolcemente il viso lasciandomi un tenero bacio sulla fronte. Adoravo questo suo lato protettivo nei miei confronti: no, non è vero, adoravo tutto di lui.

Si chiuse la porta alle spalle e mi lasciai nuovamente sprofondare sul divano in attesa che i medicinali facessero effetto.

Non so esattamente quanto riuscii a riposare, se un’ora o forse due, ma un fastidioso bussare alla porta mi svegliò di soprassalto. Alzai la testa dal divano e mi resi subito conto che né questa né la pancia mi dolevano più. Andai alla porta e mi ritrovai davanti l’ultima persona che avrei mai pensato potesse presentarsi alla mia porta:

« Emmet che ci fai qui?». Di fronte a me troneggiava in tutta la sua grandezza fisica il mio studente, che dallo sguardo sembrava realmente imbarazzato.

« Mi spiace disturbarla prof. Non pensavo fosse in casa, ma mi aveva detto che se avevo bisogno….». Lo guardai attentamente, e in quel momento più che mai mi sembrò un adolescente con grossi problemi di carattere personale. Non esitai e lo feci accomodare.

« Non è uscita oggi? È una bella giornata anche se un po’ fredda»

«No Emmet, non mi sentivo troppo bene»

« Allora me ne vado se è un disturbo». Beh ormai tanto che c’era era inutile farlo andar via.

« No, resta, ora sto meglio, ma che succede?»

« Sa – iniziò – ho pensato molto alle sue parole dell’altro giorno e credo proprio che avesse ragione». Feci mente locale di ciò che ci eravamo detti e lo lasciai parlare. Era chiaro che aveva voglia di sfogarsi.

Mi raccontò della sua famiglia. Di quanto stava bene in America, di tutti gli amici che aveva, della sua ragazza..e poi il trasferimento causato dalla separazione dei suoi, l’obbligo a seguire la madre e al patto firmato che gli imponeva di terminare gli studi ovunque fosse andata lei, se voleva rientrare nei benefici del suo patrimonio. Il suo continuo girovagare e poi il Trinity Insitute, dove, essendo più grande di molti studenti, era riuscito a incutere timore: in realtà questi atteggiamenti lo facevano sentire adulto, forte e secondo me era un modo per vendicarsi dell’essere succube della madre. Nei fatti era un ragazzo abbandonato e cresciuto troppo in fretta, ma con la necessità di essere ancora amato come un adolescente, dalla sua famiglia. Lo ascoltai cercando di non dare giudizi. Così mi avevano insegnato alle lezioni di psicologia. Quando mi accorsi che aveva terminato parlai:

« Emmet hai fatto bene a parlarmi di queste cose se ti fanno sentire bene, ma hai provato a esporre questi problemi a tua madre?»

« Lei se ne infischia», il suo tono era quasi sprezzante.

« Non credo sia così, forse vi siete solo allontanati – cercai di mediare – ma non spetta a me dirti queste cose: dopo tua madre dovresti parlare con un esperto, forse potrebbe seriamente aiutarti».

Continuai a dargli qualche consiglio, ma volevo fargli capire che il buono e il positivo doveva trovarlo dentro se stesso.

Sembrava rincuorato dalla nostra conversazione quando aprì la porta per uscire: «Grazie prof lei è una grande: cercherò di seguire i suoi consigli»

« Ah Emmet – mi affrettai a dire prima che uscisse – basta prepotenze con i tuoi compagni, cerca di farti rispettare per quello che sei senza sentire il bisogno di intimorirli, e piantale anche con le battutine sui professori. Se vuoi cambiare devi farti apprezzare da tutti un po’ di più. Sei un tipo a posto e intelligente». Cercai di concludere con un sorriso, per far sì che capisse che avevo compreso i suoi problemi.

Quando Emmet se ne andò mi sentivo meglio, i dolori erano passati e pensai che fosse una buona idea cercare di raggiungere gli altri. Mi vestii e uscii nel debole sole di novembre. La temperatura era bassa , ma l’azzurro del cielo era qualcosa da immortalare nelle grigie giornate anglosassoni. Con le mie fidate scarpe da ginnastica e stretta nel giubbotto mi affrettai fuori dall’istituto verso l’imbocco del parco, che si trovava appena fuori dal paese. Era una riserva naturale veramente bella ed erano rare le giornate di cui si poteva goderne, visto il clima uggioso della zona.

Quando entrai nel parco non faticai a trovare i miei amici, le risate e la voce cristallina di Alice si sentivano dall’ingresso. Quando furono nel raggio d’azione della mia vista affrettai maggiormente il passo e quasi come se avesse percepito la mia presenza, Edward si voltò verso di me: per un attimo rimase imbambolato, non so se perché non immaginava che potessi essere veramente lì, o se perché era felice di vedermi, poi lo vidi alzarsi, quando sul mio volto si aprii un sorriso e portai la mia mano in alto per un accenno di saluto.

Poi accadde una cosa inaspettata, si alzò di colpo dal tronco su quale era seduto e con uno splendido sorriso iniziò a corrermi incontro, iniziando a salutarmi a voce alta già da lontano.

« Bella, ciao!», urlò quasi e poi mi fu addosso; mi abbracciò e mi sollevò leggermente come se fossi la cosa più bella della sua giornata: «Come stai?» mi disse guardandomi negli occhi con uno splendido sorriso e accarezzandomi il viso una volta che mi ebbe riappoggiata a terra.

« Meglio grazie, i farmaci hanno fatto effetto e pur essendo ancora un po’ intontita avevo voglia di muovermi e quindi..eccomi qua. Vi ho interrotto?».

«Assolutamente, sono così felice tu sia riuscita a venire». In pochi secondi mi fu aggrappata al collo anche Alice e tutti insieme terminammo quello splendido pomeriggio fra chiacchiere e risate. Verso le 17 rientrammo per aiutare Alice a prepararsi per il viaggio di ritorno. Ci abbracciammo con la promessa di risentirci e sperai che Edward non avesse sentito il suo “datti da fare”.

Quando si salutarono non potei fare a meno di vedere nei loro abbracci e nei loro gesti il profondo legame che avevano.

La salutammo sulla porta del dormitorio, perché, nonostante le insistenti pressioni di Ed a farsi accompagnare da noi, aveva optato per Jasper. Mi uscì una piccola risatina al ringhio di disapprovazione di Edward, ma non potei fare a meno di essere felice per lei.

Quando si furono allontanati con l’auto mi girai verso di lui e con una carezza sulla sua guancia lo consolai: «Tranquillo è in buone mani; sono certa che qualsiasi cosa ci sia avrà cura di lei».

Quello che non mi aspettai fu la sua risposta: «Lo stesso vale per te» e con quella frase il mio cuore ballò il samba e il mio cervello andò letteralmente in fumo. Sarebbe stata dura andare avanti mortificando i miei sentimenti per lui.

 

 

 

 note: lo so capitolo breve e poco "illuminante". ma stasera causa lavoro e il blocco di EFP non sono riuscita a fare di meglio. Comunque non penso che un capitolo più tranquillo sia un male: intanto abbiamo consciuto qualcosa di più di Emmet che nel bene o nel male legherà la sua storia a tutti gli altri e poi........ se tutti i capitoli incalzano finisce che questi due si mettono insieme troppo presto .:):):):)

 alla prossima

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** “Normalità e complicazioni” ***


Capitolo 22

“Normalità e complicazioni”

 

La settimana successiva passò tranquillamente, tra lezioni, incontri tra professori e i primi colloqui con le famiglie degli alunni. In realtà sperai di poter parlare con la madre di Emmet per esporle il mio pensiero sul figlio, ma fu l’unico familiare a non presentarsi. Il mio timore era che questo avrebbe influito ulteriormente sul già fragile equilibrio del ragazzo.

A metà settimana riuscii a contattare mio padre che da qualche tempo era latitante alle mie mail: mi rispose dicendo che con l’avvicinarsi del giorno del ringraziamento stava tentando di organizzare una megafesta con i suoi amici di La Push, con l’aiuto della vedova Clearweather. In realtà sentivo mio padre già da tempo riferirsi sempre più spesso a Sue nelle sue conversazione e questo mi fece pensare che tra loro potesse esserci del tenero. Ero felice per lui. Era ora dopo tanto tempo e tanti sacrifici fatti per me, che riuscisse a rifarsi una vita.

Parlammo del Natale e della possibilità di vederci. Fu molto felice, ma tralasciai la data del mio eventuale arrivo e che forse sarei stata in compagnia del figlio del dottor Cullen.

Mio padre non aveva mai saputo della mia storia con James, non mi era mai sembrato il caso di raccontargli che la sua unica figlia si era innamorata di un uomo sposato e che, noncurante dei problemi insorti, aveva continuato a sbagliare nella propria vita sentimentale fino ad arrivare al punto di dover fuggire in un altro continente per cercare di non pensare troppo a lui.

Se avesse saputo che lo avrei raggiunto in compagnia, magari, avrebbe avuto l’impressione sbagliata.

Gli raccontai di come andavano le cose, del fatto che mi trovassi molto bene, anche se ero convinta che nel suo tono di voce ci fosse più la speranza di sentirmi dire “ va tutto male papà non vedo l’ora di tornare a Forks”. In realtà l’idea di partire e lasciare lì Edward era troppo dolorosa e riflettendo tra me, mi resi conto che forse avevo provato meno dolore quando avevo dovuto lasciare l’America e quindi James.

Gli raccontai anche la novità della giornata, che nemmeno Edward aveva ancora saputo: con mio grande stupore la preside mi aveva convocato quella mattina nel suo ufficio per offrirmi una nuova nomina. In realtà non era mia intenzione accettare nessun altro incarico, visto quello molto piacevole con Ed e quello molto faticoso con Angela, ma questa volta non seppi proprio dire di no. Mi aveva chiesto di fare le sue veci per il gruppo di ragazzi che vivevano nel mio dormitorio. Quindi avrei dovuto gestire le situazioni problematiche relative anche alla disciplina e non solo all’organizzazione come facevamo già io e Edward. Mi sarei dovuta occupare di richiami, sanzioni disciplinari, ma anche permessi e giustificazioni.

Lì per lì mi spaventai, ma mi assicurò che se fosse stato troppo avrebbe potuto alleggerirmi del lavoro in biblioteca. Era un impegno difficile, ma molto prestigioso per me che ero sempre stata solo una semplice insegnante.

Non riuscii a dirle di no, ma mi riservai di declinare l’incarico se fosse diventato troppo gravoso. Dopo aver salutato mio padre orgoglioso come non mai, mi preparai per cenare e un’idea mi passò per la mente: avrei potuto dare la notizia anche a Edward invitandolo a passare la serata da me, ma forse il pensiero che una neo assunta potesse aver avuto un ruolo così importante poteva disturbarlo. La verità era che già da qualche giorno non ci trovavamo io e lui soli a chiacchierare nella tranquillità di casa mia e questo mi mancava.

Non feci n tempo a formulare questi pensieri in modo completo che un lieve bussare mi distrasse: con il vago presentimento di sapere chi fosse che mi disturbava di sera, corsi ad aprire e mi ritrovai davanti il mio adorabile professore di musica, bello come al solito, con in mano due cartoni di pizza.

« Ciao mia Bella prof. », calcò sul “bella” forse per enfatizzare non solo il mio nome, ma anche il complimento, «è già quasi una settimana che non ci facciamo due chiacchiere serali, che ne dici di condividere la pizza con me o avevi altri programmi?».

Probabilmente il mio viso si illuminò anche senza aprire bocca e il mio ospite si sentì libero di  varcare la soglia prima che potessi dargli una risposta positiva.

« Lo sai che qualsiasi programma potessi avere per te lascerei subito perdere».

Sapevo che queste parole non avrebbero dato adito a fraintendimenti, ma sinceramente stavo bene e non avevo più voglia di celare nulla. Se prima o poi fosse successo qualcosa fra noi sarebbe stato stupendo, se non si fosse mosso niente…beh ci avrei pensato al momento! Fino ad allora ero decisa a comportarmi come il mo cuore mi comandava, sempre ovviamente nei limiti della decenza e del rispetto di me stessa.

Edward che era già entrato e mi dava le spalle si voltò a questa mia affermazione guardandomi e sorridendomi in silenzio.

« Sai, prima o poi dovrò decidermi a invitarti anche a casa mia », si affrettò a dirmi.

Quella cosa mi piacque molto: non so perché, ma con quella proposta era come se avesse deciso di aprirmi un’altra parte del suo mondo. Senza sembrare troppo euforica, in realtà il cuore stava battendo come un tamburo, gli dissi che mi sarebbe piaciuto soprattutto vedere il suo pianoforte, visto che fino a quel momento lo avevo solo sentito e immaginato.

« Sai, vedere lo strumento che ti ispira delle melodie così belle penso che mi emozionerebbe». Mentii; in realtà ciò che più desideravo era vedere casa sua e magari potermi beare della sua vicinanza nello sgabello del piano mentre suonava per me. Probabilmente avevo lo sguardo oltremodo sognante, perché la sua risposta fu molto più maliziosa della mia:

« In realtà per vedere lo strumento che mi ispira la musica basta che ti guardi allo specchio, il piano è solo un mezzo, da quando ti ho conosciuto, per esprimere i miei stati d’animo quando sei o non sei con me». Si avvicinò molto a me mentre diceva queste cose e mi accarezzò lievemente il polso destro che aderiva alla mia gamba. Come spesso mi succedeva negli ultimi tempi, la sua presenza così vicina mi costringeva a chiudere gli occhi e a prendere profondi respiri, ma questa volta quando lo feci sentii la sua mano, che prima era sul mio braccio, posarsi con il dorso delle dita sulla mia guancia e quando mi ridestai non potei fare altro che perdermi in quegli splendidi occhi verdi che mi fissavano con intensità.

Se solo fossi stata un po’ più sfacciata avrei azzerato la distanza fra le nostre labbra, ma non ne ebbi il coraggio e probabilmente anche lui, perché spezzò il momento invitandomi a sedere per mangiare.

La serata passò piacevole come sempre, fino a quando non presi coraggio e gli raccontai della mia nomina a vicepreside nel dormitorio. Inizialmente mi sembrò dubbioso perché temeva che questo mi avrebbe portato via molto tempo e quindi mi sarei stancata ancora di più di quanto già non fossi: come al solito la preoccupazione per me superava qualsiasi altra cosa. Poi però lo vidi sorridere malizioso: «Beh ti dico la verità, ti ci vedo proprio in quel ruolo. Sei determinata, preparata e poi – si avvicinò al mio orecchio e abbassò il tono di voce – mi piacciono le donne che prendono l’iniziativa!».

Spalancai gli occhi: sinceramente mi ero preparata a qualsiasi battuta, ma non ad una così esplicita. Che cosa voleva dire? Che se mi fossi fatta avanti io lui avrebbe accettato? Mille idee mi frullarono in testa.

Vedendo il mio sguardo scoppiò a ridere: « è la prima volta che ti lascio senza parole, è fantastico!!».

Anche io scoppiai a ridere e uno “scemo” mi uscì naturale.

Terminato di cenare si congedò da me promettendomi che la successiva volta che avrebbe suonato a casa sua sarebbe stato in mia presenza. Presi l’invito come una promessa e lo salutai sulla porta, mentre mi lasciava un tenero bacio sul dorso della mano, che prima aveva insistentemente accarezzato.

Non poteva essere solo frutto della mia fantasia, Edward provava qualcosa per me e mi stava mandando diversi segnali perché io lo capissi. Il più era vedere se e chi dei due, dopo le brutte esperienze che avevamo passato, avrebbe avuto il coraggio di farsi avanti per primo.

 

 

E così passò anche il Ringraziamento. O perlomeno sarebbe passato se fossi stata ancora in America. In realtà ricordavo quel giorno come uno dei più piacevoli, perché da quando ero nata era l’unico momento in cui i miei genitori, ormai separati da anni, si incontravano e passavamo un’allegra giornata tutti insieme come quando ero piccola. Quest’anno non era stato così e il Ringraziamento era passato come un giorno qualsiasi.

Ma avevo molto altro a cui pensare: il mio lavoro, le mie nuove amicizie e il mio imminente ritorno in America per le vacanze di Natale.

Eh sì, era ormai da una settimana che il mio compagno di dormitorio mi invitata ad affrettarmi a prendere una decisione per l’acquisto dei biglietti aerei con cui saremmo tornati in America. In realtà io ero ancora un po’ titubante, non perché non volessi tornare o non volessi la sua compagnia, ma perché presentarmi a casa dopo cinque mesi, con tanto di seguito mi imbarazzava, principalmente agli occhi di mio padre. Per Ed invece la cosa sembrava la più naturale del mondo, anzi le mie sempre più frequenti mail e telefonate con la sorella mi avevano già presentato ai suoi genitori come la collega americana, ma dalle illazioni di Alice temevo fosse ben altro quello che credevano del mio rapporto con il figlio.

Ero da qualche giorno intenta a pensare ai regali di Natale: beh non potevo certo presentarmi a casa a mani vuote e per un attimo rimpiansi la presenza di Alice e i suoi esperti e creativi consigli. Improvvisamente alcuni rumori attirarono la mia attenzione. Era uno strano vociare e proveniva sicuramente dal piano di Edward. Non me ne preoccupai più di tanto perché sapevo che era in casa e comunque non riconoscevo la sua voce. Improvvisamente sentii arrivare un messaggio al cellulare. Lo lessi immediatamente: “vieni su al mio piano, guai in vista!”.

La prima cosa che mi venne in mente fu che non stesse bene, ma le urla che iniziavano ad arrivare in tutte le zone del dormitorio, mi fecero capire che non si trattava di un problema personale. Digitai solo un “arrivo subito” e mi precipitai su. Quando arrivai mi girai istintivamente verso la porta del suo appartamento, ma non sentii nulla fino a che la mia attenzione non fu calamitata da un gruppetto di ragazzi che sostavano davanti ad una porta dalla parte opposta. Non distinguevo quanti e quali fossero i ragazzi coinvolti in quella che era sempre più chiara come una disputa, ma intravidi chiaramente la chioma di Ed spiccare fra tutti. Lo vidi girarsi verso di me e incrociato il mio sguardo, notai un’espressione di sollievo e iniziò a dirigersi a profonde falcate verso di me.

« Avevo proprio bisogno di una mano, sto perdendo la pazienza…» le sue parole erano alterate e lo sguardo duro. Poche volte lo avevo visto con quell’espressione: era arrabbiato.

« Ma che sta succedendo? si sentono gli urli fin dal mio piano».

« È McCarthy. Non so bene cosa sia successo, ma si è chiuso con la sua ragazza nella stanza di David e da allora stanno furiosamente litigando. Ho cercato di farmi aprire, ma è stato inutile. Mi ero quasi deciso a buttare giù la porta, poi ho pensato a te: oltre che conoscerlo un po’ meglio la tua autorità di vicepreside potrebbe farlo ragionare».

Sembrava cominciasse ad essere veramente preoccupato, mi raccontò brevemente che aveva intravisto Emmet infuriato arrivare nel corridoio e bussare alla porta del povero malcapitato, aveva sentito urlare e poi si erano chiusi dentro.

Ero molto spaesata e l’unica cosa che mi venne in mente fu cercare di fare chiarezza.

Mi avvicinai a fianco di Edward alla porta dove la situazione non sembrava essersi calmata:

« Ok ragazzi, credo sia ora di rientrare nei vostri alloggi a meno che non abbiate qualcosa di importante da dire su questa situazione. Vi consiglio di farlo immediatamente prima che mi venga voglia di avvisare la preside». Mi stupii molto delle sue parole, avevo sempre visto Ed come una persona pacata e riflessiva e nei panni del professore severo era qualcosa di nuovo e..molto intrigante. Mi riscossi dai miei pensieri poco consoni e intervenni, dopo che i ragazzi intimoriti dalla sua voce austera si furono leggermente allontanati, pur mantenendosi ad una distanza per origliare.

Mi avvicinai alla porta e iniziai a bussare con fare perentorio: «Emmet aprimi subito, vieni fuori e chiariamo questa storia!».

Dall’altra parte, chiara la voce di McCarthy mi intimò di andarmene che non erano fatti miei:

«mi spiace deluderti, ma tutti i problemi che riguardano questo dormitorio sono fatti miei, in qualità di vicepreside ti ordino di aprirmi o prenderò seri provvedimenti!!!». Cominciavo anche io ad alterarmi e capivo quanto potesse essere stato frustrante per Edward ritrovarsi a discutere con una porta di mogano. Sentii distintamente una voce femminile all’interno cercare di far ragionare gli occupanti della stanza.

Dopo poco la porta si aprì rivelando un Emmet livido dalla rabbia.

« Emmet sei diventato matto, si può sapere che stai combinando? vuoi anche essere accusato di sequestro oltre che di disturbo e minacce. I tuoi urli si sentono fin dal cortile, e ringrazia che sia stata io a sentirli e non la preside!»

« Già, ora è diventata la sua scagnozza »

« McCarthy modera il linguaggio!!! », intervenne Ed come per volermi difendere.

« Oh, mi scusi professor Cullen, la vedo bene nei panni del paladino difensore della sua bella prof. Mi avete preso in giro per bene come tutti gli altri!».

Capii cosa intendeva. Lui sperava di aver trovato in me e Ed due persone disposte ad ascoltarlo e a capire i suoi problemi e il fatto che ora facessimo notare la nostra autorità era per lui un tradimento.

« Io penso che sia ora di calmarsi e di capire cosa sta accadendo», mi feci avanti interrompendo la conversazione, «tu sai benissimo che io ti comprendo, e sono disposta ad ascoltarti, ma non posso assecondare certi tuoi comportamenti e così anche il professor Cullen».

Il mio tono era veramente severo e mi meravigliai quasi di riuscire a mantenere un atteggiamento così deciso di fronte ad un ragazzo che era quasi il doppio di me, non aveva mai dimostrato molto rispetto per i professori ed era inoltre molto arrabbiato per quale motivo non avevo ancora scoperto.

Io e Edward riuscimmo ad entrare nella stanza di prepotenza: c’erano i due ragazzi e come avevamo intuito Elisabeth, quella che sapevamo già da tempo essere la ragazza di Emmet.

Quest’ultimo si spostò e fulminando con lo sguardo David lo indicò: «Questo stronzo se la fa con la mia ragazza e lei ci sta: è solo un grande tr…»

« Emmet modera subito il linguaggio», gli intimai.

« Io non modero un bel niente, lei non ha idea di come si stia a sapere che ti hanno preso in giro per due anni!!».

In quel momento la ragazza chiamata in causa intervenne: «Io non ho fatto un bel niente Em, sei solo un troglodita!». Capii che così non avrei risolto un bel niente. Dovevo capire la storia fin dal principio visto che lo sguardo interrogativo di Edward mi confermava che anche lui era in alto mare.

« Okey, ora ci calmiamo tutti, chiudiamo la porta, perché mi sembra che si sia dato fin troppo spettacolo e ascoltiamo le versioni di tutti e tre».

Riuscii con non poca fatica a far parlare i due ragazzi coinvolti da Emmet nella disputa: entrambi sostenevano che i loro incontri erano dovuti esclusivamente a motivi di studio, visto che avevano la stessa età e frequentavano gli stessi corsi.

« E pensi che ti creda? Perché non me lo hai mai detto » rimbeccò Emmet ancora furioso.

« Perché sapevo come avresti reagito e che non ci avresti creduto!!» gli urlò in faccia Elisabeth. In realtà aveva quasi cinque anni in meno di lui, ma mi stupii di come riuscisse a tenergli testa.

« Lauren mi ha detto di averti visto in atteggiamenti intimi con lui nella biblioteca»

« E tu credi a quell’oca? Non ti sei ancora reso conto che sta facendo di tutto per allontanarci, perché sono due anni che ti fila!».

Li guardai, la discussione si stava lentamente rianimando.

Ed mi si affiancò e mi sussurrò ad un orecchio: «Credo che sia giunto il momento di porre fine a tutto questo». Io annuii. Ora dovevamo calmare definitivamente le acque e poi avrei preso McCarthy in disparte e gli avrei dato una bella lavata di capo.

« Allora adesso la finiamo qui – intimò Ed – non penso sia il caso di credere a tutto quello che ci viene detto Emmet e soprattutto non è questo il modo per affrontare le cose. Ora ce ne torniamo tutti nelle rispettive stanze e domani cercate di chiarivi fuori dal dormitorio in modo civile altrimenti faremo veramente intervenire la preside».

Vidi lo sguardo di Emmet abbassarsi, ma capii che non si sarebbe rassegnato così presto. Uscimmo dalla stanza ricordando a David che le visite delle studentesse negli alloggi maschili avevano comunque una regolamentazione oraria e in un altro caso avrebbe fatto meglio a non tenere nascosto niente a nessuno. Elisabeth si allontanò scoccando un’occhiataccia a Emmet che fece il gesto di seguirla….

« Tu non vai da nessuna parte per ora – gli intimai – e se non vuoi che come vicepreside ti appioppi una nota di demerito ci fermeremo e parleremo del tuo carattere e del modo sbagliato che hai di affrontare le situazioni critiche ».

« C’è poco da chiarire, lei è come tutti gli altri.. » gli sentii sibilare tra i denti.

« Piantala McCarthy – lo fermò Ed – devi iniziare a capire che certe cose vengono fatte per il tuo bene e che tu ci creda o no non esiste una cospirazione contro di te».

Ci guardò negli occhi e dopo aver fatto un profondo respiro sembrò rassegnarsi. Ci fermammo a lungo nel corridoio dopo aver fatto rientrare nelle loro stanze tutti gli studenti curiosi che si erano accalcati. Un’altra cosa che mi dispiacque molto fu proprio quella di aver nuovamente permesso a Emmet di mettersi in una luce negativa in pubblico.

Cercai di fargli capire che questo suo atteggiamento non avrebbe portato nulla di buono e che prima di lasciarsi andare alle sue scariche ormonali avrebbe dovuto imparare ad usare la testa e la diplomazia.

« Emmet tu sei un ragazzo intelligente e non puoi pensare che tutto si possa risolvere con le maniere forti. Non hai capito che ormai per molti sei diventato il capro espiatorio? Devi cercare di vivere la tua vita in modo più tranquillo, lasciare che le persone ti si avvicinino in modo positivo e soprattutto non devi dubitare sempre di tutti».

Era chiaro che questo mia ultima affermazione era riferita proprio a me e Edward che nonostante lo avessimo seriamente ripreso, cercavamo di farlo ragionare per impedire che si mettesse nei guai. Istintivamente portai una mano al suo braccio: «Emmet non pensare che tutto il mondo ti odi. Neanche i tuoi genitori lo fanno. È normale per te sentirti solo, ma hai molti amici e puoi contare su molte più persone di quante non pensi».

«Non è vero, nessuno è mio amico veramente, stanno tutti con me perché sono il più grande e pensano di poter comandare sugli altri ».

« Beh sarebbe ora che allontanassi le perone false e cominciassi a fidarti di quelle vere ». L’affermazione di Ed mi stupì e notai quasi un velo di rassegnazione nei suoi occhi. Probabilmente anche lui si era ritrovato in condizioni simili in passato.

Fissai Emmet negli occhi: «Hai mai pensato di andare dal dottor Jones? Forse una chiacchierata con lui ti farebbe bene?»

« Mi sta suggerendo di andare dallo strizzacervelli?»

« No – intervenne Ed – ti sta solo consigliando di confidare le tue paure e i tuoi tormenti ad uno psicologo che può alleggerirti il senso di colpa che ti porti dentro e il tuo sentirti inadeguato alla vita».

Le sue parole mi toccarono molto. In fondo sia io che lui ci eravamo sentiti così, ed era vero: parlare con qualcuno aiutava, ma quello che mi stupì fu quanto sempre di più avevamo in comune io e lui.

«Io non so…» eravamo finalmente riusciti a placarlo e forse si stava convincendo che ciò che gli veniva proposto era solo per il suo bene.

« Ora torna nel tuo dormitorio. Si è fatto tardi – replicai – e non voglio più vederti nei guai per un bel po’, altrimenti la prossima volta sarò veramente costretta a prendere provvedimenti».

Ero seria e ferma nella mia posizione. Sapevo che nelle veci di professoressa sarei potuta risultare troppo severa, ma anche questo lo facevo per lui. Dovevo scuoterlo e cercare di tirare fuori il buono che c’era in quel ragazzo.

Mentre si allontanava  ci tenni a dirgli che se avesse avuto bisogno ci sarei stata, ma mi stupì invece l’avvertimento di Edward: « McCarthy, se ti sento ancora insultare la professoressa Swan redigerò un rapporto contro di te personalmente. Impara a capire chi ti vuole imbrogliare e chi invece fa di tutto per aiutarti».

Quest’uomo era sempre più…non avevo aggettivi. Prendeva costantemente le mie difese, mi faceva sentire protetta, ma nello stesso tempo forte. Era veramente unico.

Quando Emmet fu fuori dal corridoio lo vidi girarsi verso di me con un’aria alquanto affranta: « sai cosa ci aspetta ora?».

Lì per lì non capii, poi feci mente locale  e mi portai una mano alla fronte: «Oddio non dirmi che dobbiamo redigere un rapporto anche su questo? »

« Sì cara, non possiamo tenere all’oscuro la preside, altrimenti ne pagheremo le conseguenze. Ovviamente dovremo ammorbidire i toni o per Emmet ci saranno altri guai».

« Ok » dissi poco convinta, ma rassegnata.

«Vieni…» e mi fece strada, ma questa volta anziché dirigersi al mio piano si fermò alla sua porta. Mi fermai e mi girai con un’aria probabilmente interrogativa. Era la prima volta che mi invitava ad entrare nel suo appartamento, fatta eccezione per la fugace visita avvenuta più di un mese prima per il nostro chiarimento successivo al mio compleanno.

« Siamo sempre da te, penso che sia giunto il momento di farti vedere il mio “gioiello”>>. Sapevo che si riferiva al piano, perché avevo più volte fatto notare il mio interesse a vederlo e sentirglielo suonare. Per un attimo il cuore accelerò i battiti e fui tentata di dirgli no. Non so perché, ma pur desiderando di vedere casa sua mi sentivo vulnerabile, probabilmente perché vedevo in questo gesto un nostro ulteriore livello di avvicinamento.

« Ok, ma non facciamo troppo tardi perché sono distrutta », tentai di dare una  giustificazione alla mia momentanea indecisione.

Mi fece strada, mi aprì la porta e uno splendido tepore mi invase.

Quando accese la luce notai finalmente i particolari del suo appartamento. Sicuramente era più spartano del mio, ma molto ben pulito e in ordine. La disposizione era molto simile alla mia, in fondo i due appartamenti erano speculari; pochi quadri alle pareti, moltissimi libri sugli scaffali. Il divano era di una tonalità blu scuro e in più c’era una poltrona dello stesso colore sulla quale era appoggiato un libro. Il portatile sul tavolino era acceso: probabilmente stava lavorando quando era iniziata la litigata fra i ragazzi. 

E poi vagando con lo sguardo incontrai il suo pianoforte. Era un pianoforte a coda di dimensioni modeste, ma era nero, lucido e pieno di fogli con note, battute e melodie. Mi avvicinai e istintivamente lo accarezzai con riverenza.

« È veramente bello » dissi spontaneamente.

« Mi piacerebbe farti sentire qualcosa, ma sto scrivendo e vorrei che tu possa apprezzare una musica che mi viene dal cuore..e poi vorrei farti una sorpresa, non dovrebbe essere questione di molto. Pensi di poterci rinunciare per questa volta?».

Sorrisi compiaciuta: mi voleva far sentire una sua composizione e trasmettermi una parte di sé. Questo mi lusingava.

« Sono disposta ad aspettare per questa volta » dissi con un’aria di finta sufficienza, ma subito dopo una risatina soffocata mi uscì dalle labbra.

« Ti posso offrire qualcosa?».

Per un attimo la stanchezza e il profumo di lui che aleggiava nel suo appartamento mi fecero venire in mente molte cose poco caste che mi poteva offrire e io potevo offrire a lui, ma mi ridestai subito da quei pensieri con uno sbadiglio.

« No grazie, sarà meglio mettersi al lavoro, se no domattina chi si alza?»

« Ok » e mi fece accomodare sul divano sedendosi a fianco a me.

Il lavoro terminò in fretta. Per fortuna ci eravamo trovati d’accordo sulle modalità di presentazione delle problematiche che erano insorte, dopodiché come era ormai nostra abitudine ci accomodammo sul divano per scambiare quattro chiacchiere. Ormai per noi era necessario come l’aria e ovviamente quella sera l’argomento era Emmet.

« Pensi veramente di tirar fuori qualcosa di buono da quel ragazzo?»

« Tutti possono imparare a vivere nel modo giusto, basta che acquisiscano fiducia. Emmet è stato snobbato dalle persone che avrebbero dovuto amarlo di più e ha cercato conforto, anziché nell’affetto di qualcun altro nell’altezzosità e nella maleducazione. Deve solo ritrovare quella fiducia in se stesso e nelle persone giuste. E prima o poi riuscirò a parlarne anche con la madre: penso che possa essere la chiave di tutto».

Edward mi fissò serio. Ero stesa in uno dei suoi divani girata su un fianco e lui si era accomodato sul tappeto ai miei piedi con la testa su un cuscino in modo da potermi guardare più comodamente. « Dimentico sempre che sto parlando con una psicologa…e con una persona stupenda. Trovi il bene anche nelle situazioni più impensate». Mi fissò negli occhi con una tale intensità che non potei fare a meno di sentire un leggero senso di vertigine.

Mi alzai leggermente, piegai un braccio e tenendomi sul gomito appoggiai la testa alla mano, continuando a guardarlo negli occhi. Fu in quel momento che mi venne spontanea una risposta. «In realtà – iniziai – sono sempre stata pessimista nella vita, pronta a vedere il lato negativo e non ho mai creduto nella disponibilità degli altri, soprattutto negli ultimi anni che sono stata con James» vidi lo sguardo di Edward abbassarsi, ormai conosceva quella parte della mia vita, ma sembrava sempre che sentire nominare l’uomo con cui ero stata per tanti anni lo disturbasse.

« La verità è che da quando conosco te riesco a vedere molto meglio le cose positive, forse è la tua ..energia..non so come spiegarlo, non mi fai stare solo bene, ma infondi fiducia in me stessa e in chi mi sta accanto». Ok passo dopo passo mi stavo esponendo e mettevo sempre più nelle sue mani i miei sentimenti.

Non sapevo se era giusto o no, sapevo solo che sentivo una necessità fisica di farlo. Continuò a fissarmi per poi confessarmi che anche lui era sempre stato negativo e che tutto il suo modo di vedere si era rivoltato da quando aveva incontrato me.

La verità era che eravamo due caratteri perfettamente speculari e necessari l’uno all’altro per poter essere sereni, motivati, al lavoro e alla vita. E questo sarebbe bastato a far sì che il nostro legame fosse forte, più di quello che avremmo mai potuto pensare.

Mi girai sulla schiena e fissai il soffitto. Sentivo le palpebre pesanti e sapevo che mi sarei presto addormentata.

« Come vorrei che certe volte il mondo fuori con i suoi problemi, le sue difficoltà e le sue mostruosità non esistesse e potessimo rimanere chiusi in una bolla di tranquillità come ora».

Fu l’ultima frase che riuscì  a dire prima di chiudere gli occhi, ma sentii distintamente la risposta di Ed: «basta che siamo insieme ed è sempre così, non importa cosa c’è fuori». E mi addormentai con un leggero sorriso.

 

 

 

 

 nota: capitolo un pò più "corpulento" per farmi perdonare di quello solitario di ieri

ringrazio ancora tutti quelli che hanno recensito, ma anche solo seguito. siete veramente tanti, inaspettati e magnifici

grazie mille!!!!

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** “Uno spazio tutto mio” ***


Capitolo 23

“Uno spazio tutto mio”

 

Avevo ormai il cervello a fuoco al pensiero di cosa mettere nella borsa da viaggio. Sarei stata via solo per il week-end, ma il fatto di passarlo da Edward in giro per Londra e poi probabilmente a dormire nel suo appartamento non mi dava pace. Non ero una fanatica della moda e dell’eleganza, ma ci tenevo a fare bella figura con lui che era semplicemente splendido qualsiasi cosa indossasse. Mi ero ripromessa un abbigliamento sportivo, perché mi aveva promesso un mega tour della capitale, ma poi avremmo cenato insieme: e non sapevo dove. E poi il fatto di dover dormire da lui….era già capitato, ma non in modo del tutto intenzionale.

Mi aveva garantito che avrei avuto una camera tutta mia, ma ci tenevo particolarmente all’intimo e volevo essere sempre al meglio.

In realtà il mio nervosismo non era dovuto a quello che dovevo indossare, ma a quei due giorni a stretto contatto con lui. Ormai avevo chiaro quello che provavo e purtroppo da tempo mi ero ritrovata ad esternarlo, volontariamente o involontariamente con i miei sorrisi i miei sguardi e il mio buon umore quando era nelle vicinanze. Cosa sarebbe potuto succedere in quel week end? Probabilmente nulla, ma la paura che fra di noi capitasse qualcosa, era ancora più forte del fatto che ci saremmo potuti allontanare perché non provavamo gli stessi sentimenti. Non ero pronta a perdere la sua amicizia, ancora più di perdere qualcos’altro.

Avevo tentato di rimandare il più possibile quest’uscita che molto tempo prima avevo io stessa cercato, ma ormai non era più possibile. Verso la fine del mese di dicembre ci sarebbero state le vacanze natalizie e ormai era assodato che io e Ed saremmo tornati insieme a Forks e dovevamo acquistare i biglietti, non si poteva più rimandare.

E quindi eccomi qua, di giovedì sera a rovistare nel mio armadio con le mie fidate cuffie e la mia musica per cercare di fare chiarezza sul mio guardaroba. Nei miei preparativi e nel mio caos sentii arrivare un messaggio per pura fortuna.

Pronte le valigie? Ti prego non come Alice. Se non ci vediamo domattina a lezione tieniti pronta per le 15 al garage. Notte E.”

Un sorriso mi uscì spontaneo. Anche il suo umore da qualche tempo sembrava migliorato, ma non volevo illudermi fosse per merito mio. Piuttosto l’idea di tornare a casa dopo un anno rendeva euforico anche lui.

Decisi di smetterla con gli abiti, mi feci una tisana rilassante, perché immaginavo che dormire non sarebbe stato facile, e mi ficcai sotto le coperte cercando di non pensare troppo al mio week-end londinese.

Quando la sveglia suonò mi alzai più stanca di quando mi ero coricata. Avevo sognato tutta la notte e mi ero di conseguenza rigirata nel letto fino all’alba. Mi vestii per la scuola e uscii cercando di concentrarmi sulla mattina; mancava ormai veramente poco a Natale e subito dopo, con la fine del semestre ci sarebbe dovuta essere la consegna delle prime valutazioni. E dovevo ammetterlo. Ero un po’ preoccupata per Emmet. Dopo la nostra discussione di qualche sera prima per la sua scenata nel mio dormitorio si era comportato correttamente, ma vedevo che non si fidava totalmente di me e temevo che si sarebbe chiuso ulteriormente in se stesso, cancellando quei pochi passi avanti compiuti in casa mia la domenica pomeriggio di quasi un mese prima.

La mattina passò rapidamente. Salutai i mie studenti e mi diressi in sala professori per portare i miei documenti. Dovevo ammettere che ero abbastanza elettrizzata e perlopiù in senso positivo. Mi rendevo conto di essere stata quasi tutta la mattina di buon umore come mi capitava poche volte e probabilmente se ne era accorto chiunque mi fosse passato accanto.

« Ciao Bella è da un po’ che non ci vediamo per due chiacchiere. Sei stata molto presa vedo», la voce di Jessica mi ridestò dai miei pensieri « non  è che la preside ti sta appioppando un po’ troppe responsabilità? Non avrai certo modo di goderti il tuo tempo libero? ».

Il suo tono di voce non era di invidia, quanto più di curiosità per i fatti miei. Cercai di rispondere tranquillamente.

« Beh in realtà a volte sono un po’ pressata, ma cerco di cavarmela, e poi sono d’accordo con la preside che in caso di sovraccarico potrò sempre rinunciare a qualcosa».

« Non credo che rinuncerai al tuo incarico al dormitorio immagino», notai una luce maliziosa e alquanto acida nel suo sguardo «in fondo vedo che con Cullen va a gonfie vele!».

Capii dove voleva arrivare, ma cercai di minimizzare:

« E’ un buon collega…».

« Si nota – proseguì lei senza darmi il tempo di un’arringa convincente – da quando sei arrivata tu è molto più socievole e lo si vede sorridere molto di più rispetto a prima».

Il suo ghigno era ormai inequivocabile e probabilmente voleva notizie succulenti per i suoi pettegolezzi. D’altronde tutti avevano notato l’amicizia che si era instaurata tra noi, ma nessuno aveva osato fare supposizioni, anche perché entrambi mantenevamo sempre un atteggiamento irreprensibile in presenza dei colleghi.

« Non so perché sia cambiato, forse nessuno dei suoi colleghi gli aveva dato fiducia prima o aveva guardato in modo un po’ più approfondito la persona che aveva davanti. È facile etichettare una persona solo perché se ne sta in disparte. Non bisogna mai giudicare troppo presto: così si evitano pregiudizi e preclusione ai rapporti di amicizia».

Wow ! Ma dove mi era venuta una spiegazione così diplomatica e…glaciale! Non ero una che ribatteva facilmente, ma le insolenze di Jessica a volte mi innervosivano. Se non fosse stato per lei e Jacob, che per fortuna dalla nostra discussione in piscina si era tenuto dignitosamente a distanza se non per le norme di buona educazione, quell’istituto sarebbe stato il paradiso. Ma la perfezione non esiste, giusto??

« Buongiorno signorine, finita la settimana? ». La voce di Mike interruppe la nostra conversazione proprio mentre Jessica, leggermente spiazzata dalla mia risposta stava per ribattere. Lo ringraziai mentalmente o questa volta mi sarei lasciata sfuggire una parola di troppo. Mike e Jessica si allontanarono salutandomi educatamente e nel seguirli con lo sguardo fino all’uscita della sala notai Edward appoggiato alla porta con uno sguardo compiaciuto sulla faccia. Aveva sicuramente ascoltato la mia conversazione con Jessica e non potevo assolutamente immaginare i suoi pensieri. Mi avvicinai cercando di rispondere al suo sguardo con il mio sorriso.

« Cosa c’è di così divertente?» dissi quasi sussurrando.

« Vedere te che cerchi di controbattere miss pettegolezzo per difendere la tua privacy. E direi che ci sei riuscita in modo impeccabile…» mi disse sussurrando al mio orecchio. Una scia di brividi mi percorse il collo dove il suo fiato si era infranto.

« Beh in fondo ho detto solo quello che penso». Alzai lo sguardo di sottecchi perché era sempre difficile sostenere i suoi occhi in certe situazione, e specialmente in pubblico. Ero quasi certa che se ci fossimo guardati direttamente, un’insegna lampeggiante con su scritto “innamorata”si sarebbe accesa sulla mia fronte.

« Pronta per partire? » domandò in modo più neutro cercando di cambiare argomento.

« Sì tutto pronto».

« Allora ci vediamo tra mezz’ora ai garage ».

« Ok » risposi e si allontanò. Non riuscivo più a fare a meno di guardarlo e quando non se ne accorgeva mi riusciva ancora meglio.

Mi recai velocemente al mio alloggio per preparare le ultime cose ed esattamente venticinque minuti dopo mi incamminai ai garage dove non tardai a vedere Edward che sistemava il baule della Volvo. Mi guardai attorno con un’aria forse un po’ troppo furtiva e poi mi avvicinai per salutarlo:

« Eccomi qua, sono pronta ».

Edward alzò lo sguardo rapidamente e mi riservò uno dei sorrisi più solari che avessi mai visto.

« Sei puntualissima » e si avvicinò a me scoccandomi un leggero bacio sulla guancia: mi irrigidii un po’ a quel gesto, non perché non ci fossi abituata, ma perché non lo aveva mai fatto esponendosi così tanto. Chiunque sarebbe potuto passare nei cortili e vederci.

Quasi come se mi avesse letto nel pensiero mi rispose con estrema tranquillità:

« Non ho alcun interesse per quello che dice o pensa la gente, siamo due amici che si ritrovano per un week-end. Credimi alcuni professori sono stati trovati in circostanze molto più compromettenti…».

Sgranai leggermente gli occhi. Non so se per il fatto che alcuni colleghi amoreggiassero pubblicamente o se per quel “siamo due amici”, o ancora peggio perché aveva interpretato il mio pensiero e le mie preoccupazioni riguardo a quella semplice effusione all’aperto.

«Credo sia ora di andare » continuò sorridendo e prendendo la mia borsa. La depositò nel bagagliaio e mi aprì la portiera. Avrei dovuto dire qualcosa di intelligente per spezzare l’elettricità che si era venuta a creare per quello scambio di battute, ma i suoi gesti mi lasciavano sempre spiazzata e non mi uscì niente altro che un grazie.

Quando fummo entrambi in macchina Edward mise in moto e si diresse al grande cancello; in quel momento notai Jacob Black che gironzolava lì intorno fissarci torvo e la cosa non mi piacque. Era vero che non mi aveva più infastidito, ma era pur sempre un parente della preside e non volevo che creasse problemi. Accennai la cosa, ma lui non vi diede molta importanza anche se quello che mi disse non mi rassicurò

« Se Black vuole colpire non lo fa di sicuro sfruttando le sue conoscenze. Lui parla diretto e ferisce sui sentimenti. Credimi è molto subdolo se vuole, ma non credo che possa creare problemi al momento».

« Molto confortante» fu la mia risposta un po’ sarcastica.

Il viaggio proseguì tranquillo e in circa quaranta minuti ci ritrovammo in una via della periferia di Londra dalla parte opposta rispetto all’istituto. Edward parcheggiò accanto ad un palazzina in stile georgiano, chiaramente ristrutturata, con un’ampia vetrata nella parte antistante il tetto.

« Avevo pensato che prima di andare in giro per acquisti avremmo potuto lasciare le valige. Avremo più spazio per i pacchi », disse sorridendo.

« Non credo di essere ridotta a fare acquisiti come tua sorella» gli risposi stando al suo gioco.

« Meglio non  rischiare, so che siete state in contatto ultimamente e potrebbe anche averti influenzato via web».

« È così potente ?» dissi ormai ridendo platealmente.

« Più di quanto tu non creda». Ormai lo scherzo era partito. Se solo Alice avesse saputo che la prendevamo così apertamente in giro ce l’avrebbe fatta pagare.

« Scherzi a parte, il posto in auto non è granché e io ho molti familiari e amici da accontentare, quindi…lasciamo le valige qui. E poi sono ansioso di mostrarti il mio piccolo rifugio ».

Sapevo che quelle parole mi avrebbero scosso, ma non pensavo che il cuore si sarebbe messo a battere così forte. Edward apriva un’altra porta alla nostra amicizia, mi mostrava un altro pezzo della sua vita e non potevo che esserne lusingata.

Entrammo nel portoncino della casa salendo alcuni gradini. Il giardino era oltremodo curato, molto inglese, ma l’ingresso e il corridoio erano ricoperti di pavimenti lucidi, grigi e bianchi in uno stile decisamente più moderno. Avevo notato l’esistenza di tre piani, ma nell’ingresso dove ci trovavamo c’era solo una porta.

« Mi piace questa palazzina quante famiglia ci abitano? »

«Veramente solo una» rispose Ed lasciandomi alquanto stupita. Continuò la sua spiegazione prima che potessi chiedergli altro « La palazzina è di proprietà della mia famiglia, mia madre ha progettato la ristrutturazione per lasciare l’esterno in stile classico, ma modernizzare l’interno con i migliori materiali e comodità. Il secondo piano è vuoto. In teoria dovrebbe essere lasciato libero da chiunque della famiglia Cullen voglia soggiornare a Londra; qui al primo piano abita una famiglia che ha un po’ le veci di custode della casa. La tengono in perfetto ordine quando non c’è nessuno…»

« E all’ultimo piano?»

« C’è il mio appartamento, all’ultimo piano e in mansarda, sai è una specie di loft soppalcato».

Probabilmente il mio sguardo fu eloquente del mio stupore e potei giurare che la mia bocca si fosse spalancata. Non avevo immaginato, pur sentendone parlare da mio padre, che la famiglia Cullen fosse così benestante.

« Vieni saliamo», fece il gesto di prendere la mia borsa , ma lo anticipai. Non volevo che si facesse tre rampe di scale con due fardelli.

« Ce la faccio tranquillo». Nel momento in cui iniziammo a salire, sentimmo aprire la porta del pian terreno ed vedemmo uscire una signora sulla sessantina che chiese “chi è” con un tono un po’ impaurito.

« Oh è lei Edward, avevo sentito un rumore e mi stavo preoccupando».

« Buongiorno signora Spencer, mi spiace averla disturbata, è tutto a posto qui?»

« Tutto a posto, la casa è in perfetto ordine, ma chi è questa bella signorina?»

Abbassai gli occhi imbarazzata e decisi di comportarmi da persona e non da ameba, così come dopo la mia reazione alla vista della casa. Allungai la mano e mi presentai:

« Sono Isabella signora, piacere di conoscerla»

« È una mia collega e amica», si affrettò a spiegare.

« Piacere di conoscerla, vi lascio andare, ci vediamo prossimamente».

Ci salutammo cortesemente e mentre salivamo le scale Ed mi spiegò che la signora Spencer con marito e figli abitavano lì da molto tempo, ma la casa ormai fatiscente aveva bisogno di un proprietario abbastanza facoltoso e così, suo padre si è fatto avanti qualche anno prima.

« Sai, aveva dei parenti da queste parti e poi dopo che mia madre l’ha sistemata ho iniziato a esprimere il mio desiderio di andarmene dall’America… ed eccomi qua…loro tengono in ordine e i miei gli hanno lasciato l’usufrutto».

« È molto carino da parte loro»

« Mia madre è così, se può dà tutto a chi la aiuta».

Avevo sempre pensato che Esme Cullen, fosse una persona magnifica, anche perché aveva cresciuto due figli splendidi, ma ora cominciavo ad esserne sempre più convinta tanto che il desiderio di conoscerla era sempre più forte.

Arrivammo all’ultimo piano. Per le scale si erano susseguite stampe e scaffalature a vetro veramente molto eleganti. La porta che Edward si accingeva ad aprire era a due ante, di legno chiaro, ma potei notare che nonostante ci fosse una mansarda non c’erano ulteriori scale. Capii tutto una volta entrata e quello che avevo visto fino a quel momento scomparve.

Di fronte a me si apriva una sala pavimentata di legno chiaro lucidissimo con una vetrata per tutta la parete che illuminava la stanza. Ai due lati della stanza due porte bianche scorrevoli nascondevano la cucina ed un latra stanza che da quello che potevo intravedere sembrava uno studio. A fianco a questo una rampa di scale portava al piano superiore che ero ansiosa di vedere. Nella sala troneggiava un enorme divano e uno splendido pianoforte a coda, che mi lasciò semplicemente a bocca aperta.

Ed appoggiò la sua borsa in un armadio a muro subito vicino all’entrata e poi prese anche la mia.

« Ti piace?»

« Oddio, sono…non ci sono parole, è bellissima». Tutto era in uno stile molto sobrio e moderno, ma non so perché mi piaceva. E poi quel pianoforte, molto più grande di quello che aveva nel suo alloggio al campus, era spettacolare. Mi ci avvicinai e lo guardai:

« Giurami che prima di domenica sera lo suonerai» gli dissi quasi intimandoglielo.

« Ok, se ci sarà tempo – mi rispose sorridendo – vieni ti mostro il resto».

Mi portò in cucina e poi nello studio che praticamente, non aveva pareti, ma solo libri, una splendida scrivania e una panca attrezzata. Quando salii le scale però le parole mi morirono in gola e mille pensieri iniziarono a ronzarmi nella testa. La mansarda era una stanza da letto, le vetrate della sala proseguivano fin lassù, fatta eccezione per la parte dietro al letto, occupata da un meraviglioso arazzo; di fronte una gigantesca cabina armadio, opera di Alice mi spiegò. Il bagno a fianco del letto era praticamente delle stesse dimensioni della cucina e dalla parte dello studio, sopra ad esso un'altra stanza, che si affrettò a mostrarmi come camera degli ospiti dove avrei dormito io. Tutto era di una sobrietà, ma nello stesso tempo di un’eleganza unica. Si capiva che le poche cose che componevano l’arredamento erano molto costose e di buon gusto. Mi avvicinai al letto accarezzando la leggera tenda del semplice baldacchino, una nuvola di tulle che per un attimo mi fece sognare di poter dividere quel letto con lui..e non per dormire.

Ok dovevo tenere a freno gli ormoni….i cattivi pensieri non erano appropriati.. Portai la borsa nella mia stanza, e mi affacciai alla vetrata sospirando e osservando il panorama di Londra dal quale, in quella posizione spiccava la torre di Norman Foster.

Una voce dolce e bassa dietro di me mi riscosse dai pensieri: « Bella tutto bene? sembri…strana».

Edward mi affiancò, il suo braccio appoggiato al mio.

« No tutto bene , mi stavo solo guardando intorno, è tutto talmente bello, tua madre è stata fantastica. Mi stupisce che tu non abiti qui»

« In realtà è troppo lontana per i miei gusti, l’apprezzo di più quando ci vengo solo ogni tanto, e poi è troppo grande per me da solo».

Mi guardava fisso, come a voler tentare di leggermi l’anima e avrei tanto voluto dirgli che gli avrei tenuto compagnia io ogni volta che avrebbe voluto, ma mi trattenni. Ci fissammo per quelli che a me sembrarono interminabili  minuti e potei giurare a me stessa che, se nessuno dei due avesse detto qualcosa avremmo forse finito per baciarci. Almeno io lo avrei fatto.

« Forse sarebbe meglio andare, a meno che tu non abbia voglia di riposare un po’». Parlò con tono molto basso e per la prima volta mi sembrò lui quello più imbarazzato. Certo se avesse saputo l’effetto che mi faceva quando lo guardavo o sentivo la sua presenza nelle vicinanze chissà cosa avrebbe pensato.

« No andiamo, dobbiamo fare molti giri a quanto ho capito. Meglio iniziare, se no il week-end se ne andrà tutto in shopping e non credo sia il caso».

«Ok » mi sorrise, mi prese per mano e mi accompagnò giù dalle scale. La sua stretta era calda, ma a differenza di molte altre volte che i nostri corpi erano entrati in contatto c’era una consapevolezza nel suo tocco, una decisione maggiore, quasi a non volermi lasciar andare per nessun motivo. Uscimmo dall’abitazione correndo giù per le scale e ridendo, tenendoci sempre per mano. Entrammo in macchina e ci dirigemmo verso il centro. Obiettivo: biglietti aerei e regali natalizi.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** “Pensieri per te…per noi” ***


Capitolo 24

“Pensieri  per te…per noi”

 

Dopo circa due ore non eravamo ancora riusciti a completare tutti i nostri acquisti.

In realtà comprare i biglietti aerei ci aveva portato via più tempo del previsto, anche perché Edward aveva insistito per pagare qualsiasi cosa e nonostante mi fossi opposta, quasi arrabbiandomi, niente lo aveva fatto desistere. E come se non bastasse si era procurato dei biglietti di prima classe, mettendomi ancora più in imbarazzo per i soldi spesi. Mi aveva assicurato che lo faceva con piacere, ma con me era stato fin troppo gentile da quando era iniziato l’anno scolastico e iniziavo a non capire proprio come sdebitarmi.

Nonostante la breve discussione economica, avevamo passato un pomeriggio splendido ridendo e correndo a destra e sinistra proprio come due adolescenti. Cercare regali con lui era assurdo, aveva le idee più strampalate ed era stato veramente comico vederlo provare un grembiule da cucina con tanto di stampe, da regalare probabilmente alla madre. Anche io ero riuscita ad acquistare qualcosa per i miei, ma già da un po’ stavo cercando il modo per allontanarmi: volevo fargli un regalo speciale e anche se non sapevo proprio dove cercare, non potevo continuare a farlo con lui sempre appiccicato.

Trovai la scusa dell’ora ormai tarda: « Senti Ed, credo che se continuiamo così non riusciremo a terminare per l’ora di chiusura, che ne dici di dividerci e ritrovarci ad un punto stabilito alle otto?» Cercai di non far trapelare le mie intenzioni o altrimenti non avrebbe mai accettato, ma come tutte le volte mi stupì.

« Direi che è una buona idea – rispose sorridente – così quando i negozi chiudono andiamo a mangiare qualcosa prima di rientrare. Niente di formale ok?»

Lo ringraziai con lo sguardo, ma in realtà non era solo per lo shopping o per la cena: era il fatto di essere riuscita a ricominciare come mai avrei mai sperato, di aver trovato una persona con cui creare un legame che andava oltre il sentimento. Era affidamento, ma non ossessione o dipendenza, bensì serenità e capacità di reagire alle situazioni della vita con la forza infusa dalla presenza dell’altro. E questo altro per me ora era Edward.

Ci salutammo dandoci appuntamento per le 20 e iniziò così il mio dilemma. Cosa regalare ad una persona che poteva avere tutto, a cui avrei donato tutto, anche la mia stessa vita? Cominciai a vagare per vetrine e centri, ad una velocità che quasi mi sorprese: le rotelle del mio cervello stavano girando come non mai e probabilmente chi mi incrociava immersa nei miei pensieri avrebbe anche potuto pensare che fossi un po’ squilibrata. In realtà non mi importava, volevo solo trovare qualcosa di perfetto per lui e sapevo che sarebbe stato praticamente impossibile trovare qualcosa di adatto senza fare la figura della pezzente.

Era passata più di un’ora e iniziavo a perdere le speranze quando intravidi una vetrina di antiquariato in una strada laterale. Mi avvicinai di più e intravidi alcuni vecchi strumenti musicali; sapevo che non mi sarei potuta permettere nulla di troppo costoso, ma decisi comunque di entrare. Un signore di mezza età mi accolse sorridente, e iniziai a guardarmi attorno: e poi un oggetto attirò la mia attenzione.

Apparentemente sembrava una semplice cartella di pelle, ma il commesso mi spiegò che era un porta spartiti del 1800 e proveniva sicuramente dalla nobiltà inglese. C’era un intarsio dorato leggero ma molto d’effetto: il prezzo era alto, ma ci stavo dentro e ci avrei visto molto bene le composizioni di Edward. Decisi di acquistarla e quando ormai avevo estratto la carta notai un’altra cosa che ci sarebbe stata a pennello con quel regalo:

« Mi dia anche questo» non esitai. Pagai e uscii dal negozio con una gioia immensa nel cuore, diretta al punto di incontro con il mio musicista.

Era quasi mezzanotte quando rientrammo nell’appartamento di Edward dopo la cena, stanchi ma con le braccia piene di pacchetti. Ero a malapena riuscita a celare i miei acquisti e così gli impedii di aiutarmi a portare tutto nella mia stanza e mi affrettai a nascondere i pacchi nella borsa: sentii i suoi passi salire le scale e mi affacciai alla porta della mia stanza.

« È stata una giornata bellissima, ma sono distrutta, penso che mi farò una doccia e poi andrò a dormire, se no domani non riuscirò a muovere un passo. A proposito cosa hai in programma?».

Potei notare uno sguardo quasi rattristato nel suo volto; la verità era che volevo cercare di ridurre al minimo i momenti di contatto tra noi, perché con il mio stato d’animo di quel momento, la situazione e il luogo, ero certa che non sarei riuscita a trattenermi da esternare molto di più di quello che avrei dovuto e forse avrei commesso delle sciocchezze per le quali mi sarei potuta pentire in seguito. In realtà lui non sembrava della stessa opinione.

« Magari, se dopo la doccia hai voglia del bicchiere della staffa, preparo the e tisana da goderci sul divano e ti spiego i programmi per domani».

No, decisamente lui non era pronto a porre fine alla nostra serata. In realtà in cuor mio avrei tanto desiderato che si spingesse dove io non avrei mai avuto il coraggio, ma forse non era ancora il momento. E quando lo sarebbe stato? Cominciavo veramente a chiedermi se avrei fatto bene a continuare a ignorare la situazione anziché buttarmici a capofitto, indipendentemente dalla risposta che mi avrebbe dato lui.

Non mi resi conto di essermi soffermata troppo sui miei pensieri, senza avergli dato una risposta.

« Bella ci sei? » mi ridestai imbarazzata.

« Scusa stavo pensando, sì, ok vada per la tisana. Ci vediamo di sotto tra dieci minuti». Mi girai e mi diressi in bagno. Mi chiusi la porta alle spalle e mi precipitai sotto la doccia.

Quando ne uscii mi asciugai, e mi vestii semplicemente, non volevo dare l’idea di provocarlo. Quando lasciai la  mia stanza non sentii alcun suono e nessuna luce era accesa se non quella della cucina e il riverbero della tv nel salone. Iniziai a scendere e quando fui sugli ultimi gradini lo vidi sul divano appoggiato con la testa allo schienale e gli occhi chiusi. Non sapevo se stava dormendo veramente, ma nel volto si vedeva solo la pace e la serenità.

Mi avvicinai facendo meno rumore possibile e non so quale idea mi balenò per la testa, ma allungai una mano e gli accarezzai la fronte e i capelli. Non so cosa in quel momento mi trattene, ma l’unico mio pensiero era ricoprire il suo volto di baci e assaporare finalmente le sue labbra. Non so se purtroppo o per fortuna, il mio tocco lo svegliò…

« Ho sentito il tuo profumo ancora prima delle tue mani……» o forse era sempre stato sveglio. Aprì i suoi occhi verdi e in quel momento capii che ero spacciata e il mio cuore ormai aveva operato la sua scelta. Avrei dovuto dirgli tutto, avrei trovato il momento opportuno per palesargli definitivamente i miei sentimenti a discapito di tutto, e poi avrei visto la sua reazione. Sapevo che sarebbe potuto essere l’inizio; temevo più di ogni altra cosa che sarebbe stata la fine, ma ormai avevo deciso, dovevo solo trovare il momento opportuno.

Cercai di celare l’imbarazzo di essermi fatta beccare a fantasticare su di lui, abbassando lo sguardo, ma Edward me lo impedì, accarezzandomi una guancia con la sua mano calda: « Non nascondere mai i tuoi occhi, parlano troppo di te».

Quell’affermazione mi spiazzò e mi mise ancora di più a disagio. Probabilmente lo notò lui stesso perché spezzo il momento rinnovandomi l’offerta della tisana. Accettai e mi sedetti sul divano al suo posto, mentre lo sentivo armeggiare in cucina con tazze e posate. Spensi la tv, mi infastidiva quando pensavo, come se mi entrasse in interferenza con la mente e probabilmente mi misi a fissare lo schermo nero, perché mi si avvicinò silenzioso e un po’ allarmato.

« Bella va tutto bene? Sei molto silenziosa stasera, è capitato qualcosa?»

 « No, tutto bene non ti preoccupare, stavo solo pensando e poi..sono veramente molto stanca» mi giustificai massaggiandomi il collo e chiudendo gli occhi.

« A cosa stavi pensando?» improvvisamente le sue mani poggiate sulle mie spalle iniziarono a massaggiare dolcemente, ma in modo deciso dove prima erano state le mie, come a voler sciogliere ogni fibra delle mie preoccupazioni. Non me la sentii però di essere completamente sincera e dirgli tutto proprio ora.

« Sto pensando a come sarà bello tornare a casa. Non fraintendermi, sto bene qui però mi manca un po’ Forks»

« Lo so, anche a me: saranno quindici giorni stupendi, vedrai». Le sue mani mi avevano scaldato fino alle ossa e mi trasmettevano delle vere e proprie scariche sulla pelle: non so cosa avrei dato in quel momento per sentirle ovunque.

« Pensi mai a James? ». La sua domanda mi stupì. Aprii gli occhi e mi girai: « perché me lo chiedi?»

« È da parecchio che non ne parliamo e non so più come ti senti in quel senso. Anche i tuoi attacchi sembrano un ricordo, ma da qualche giorno ti vedo molto concentrata nei tuoi pensieri e mi chiedevo se poteva esserci qualcosa che non andava e parlandone magari avremmo evitato…»

« ….Quello che è capitato due mesi fa?» conclusi io la frase per lui.

Era uscito di nuovo il suo lato protettivo. Edward aveva la capacità di leggermi l’anima, ne era consapevole, ma quando non riusciva era propenso a credere alle cose  più terribili. In realtà non potevo dirgli che nelle ultime settimane i miei pensieri erano vagati ovunque tra me e lui e il nostro rapporto, tranne che in direzione di James, ormai rimosso dal mio cuore. Mi limitai ad una mezza verità.

« No, comincio quasi a dimenticare che faccia ha e credo sia un bene». Presi coraggio, mi girai e lo guardai decisa a fargli capire un po’ di più.

« La verità è che è da molto che il suo pensiero non mi fa soffrire, il mio cuore è più leggero e penso che molto sia dovuto alla tua presenza e alla sicurezza che mi infondi quando mi stai accanto».

Ok non era proprio una bomba ma una mina sì. Un sorriso si accennò sul suo splendido volto, ma non lo lasciai controbattere « e tu pensi mai a Leah?»

«No, o meglio penso solo a quanto abbiamo sbagliato e a come sarebbe stato tutto molto più semplice se fossimo rimasti solo amici. Certe volte i sentimenti complicano molte cose».

Quelle parole mi bloccarono. E se pensava le stesse cose di noi? Come potevo dichiarargli il mio amore quando mi aveva detto che nel suo passato proprio questo aveva compromesso tutto? Frenai ogni impulso di parlare e mi limitai a rispondere.

« Certi errori ci fanno soffrire, ma non dovrebbero rovinarci la vita. Io e te abbiamo avuto il coraggio di rompere con il passato e credo sia giusto che proviamo a non farci più condizionare…»

« Però tu ancora lo fai. Il tuo attacco d’ansia….»

«Ed – mi affrettai a rispondere – quello ha avuto a che vedere con il mio passato e in un certo senso ha riguardato anche James, ma non è a causa solo sua che sono stata male».

« Quando riuscirai a parlamene?» mi chiese guardandomi.

Abbassai lo sguardo: « non lo so, per quello è ancora presto, ma sono sicura che prima o poi ce la farò. Ora è tardi, meglio andare a dormire».

Sorseggiammo i nostri infusi in silenzio e poi ci dirigemmo insieme verso il piano superiore. Camminavo davanti a lui e mi sentivo leggermente a disagio, come se i suoi occhi, probabilmente puntati su di me, mi scrutassero l’anima. Quando giunsi al piano superiore mi venne spontanea un’affermazione sulla bellezza della sua camera da letto:

« Sai, raramente ho visto stanze moderne così belle e raffinate»

« Avresti preferito dormire qui? – mi chiese quasi allarmato – in realtà avevo pensato che nella stanza degli ospiti avresti avuto un po’ più di privacy…»

« No, è stupenda e ti ringrazio per la premura, facevo solo una constatazione»

« Se vuoi posso ancora fare il cambio, non dev....» lo bloccai posando una mano sulle sue labbra per zittirlo e un lieve sorriso si disegnò sul mio volto.

« Edward calmati, la mia stanza è perfetta, volevo solo fare i complimenti a tua madre per l’ottima sistemazione, non pensare sempre al peggio».

Gli avevo parlato sussurrando e avvicinandomi a lui in punta di piedi, la mia mano sul suo volto come a infondergli la serenità che scaturiva anche dai miei occhi.

Purtroppo non avevo fatto i conti con il contatto tra noi: la sensazione delle sue labbra sui miei polpastrelli e la vicinanza del suo alito caldo che si infrangeva contro la mia mano. Come se non bastasse lo sentii afferrare l’altra mia mano che era rimasta lungo la mia coscia. Distolsi a malincuore l’attenzione dalla situazione, che stava diventando troppo coinvolgente: « Buonanotte Edward».

Mi allontanai lentamente mantenendo sempre il contatto visivo con i suoi occhi e la mano nella sua e un attimo prima di togliere quella posata sulla sua bocca mi ci scoccò un leggero bacio sulle dita: « Notte Bella» rispose. Con il cuore a mille mi voltai e mi chiusi la porta alle spalle sussurrando un “buonanotte amore mio”.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** “Ad un passo da… noi” ***


Capitolo 25

“Ad un passo da… noi”

 

Mani calde accarezzavano la pelle del mio fianco coperta solo da un leggero strato di seta; lentamente la mano che vagava su di me fu accompagnata dal soffice contatto di due labbra che sfioravano il mio corpo in modo dolce, quasi a volerlo proteggere e venerare. Decisi di svegliarmi e aprii leggermente gli occhi; davanti a me solo una nuvola di tulle bianco che sventolava sospinta da un alito di vento. Percepivo la presenza di una persona distesa dietro di me, il suo respiro caldo e il suo tocco. La sensazione che provavo non era proprio di eccitazione, quanto di assoluto benessere nel corpo e nell’anima. Decisi allora di voltarmi lentamente per godere appieno delle sensazioni che la persona distesa nel letto con me mi stava infondendo solo con un semplice contatto e mi specchiai nel volto di un angelo, il mio angelo.

Edward era di fronte a me ora, disteso su un fianco e mi fissava con quel suo modo unico, che mi faceva sentire bella e desiderabile come nessun altro. Ci fissammo negli occhi a lungo, allungò una mano sul mio viso accarezzandomi la mandibola e scivolando con le dita tra i capelli fino alla nuca. E poi finalmente mi baciò in modo intenso e profondo, potevo sentire la morbidezza delle sue labbra che si muovevano sulle mie. Chiusi gli occhi beandomi di quel contatto e decisi di ricambiare arpionando i suoi capelli tra le mie dita. La sua stretta si fece più salda e passionale. La sua mano dal viso iniziò a scivolare sulla mia spalla e poi sul fianco, soffermandosi sulla mia coscia e stingendola leggermente quasi a voler lasciare la sua impronta sulla mia pelle scoperta. Sentivo uno strano calore diffondersi dal mio cuore  e annebbiarmi la mente e aumentai la stretta cingendolo dietro la schiena. Improvvisamente smise di baciarmi e mi guardò negli occhi: il mio cuore iniziò a battere talmente forte da rischiare di saltarmi fuori dal petto. Solo due parole che mi mandarono in confusione: “ti amo”.

Mi svegliai di soprassalto. Un sogno: era stato un bellissimo sogno. Io e Ed finalmente insieme ed era solo un sogno. Mi misi a sedere sul letto con il fiato corto. Non era stato un incubo e la sensazione che mi aveva lasciato era totalmente diversa, ma comunque disarmante. Per un attimo mi ero sentita vulnerabile come non mai, in balia dei miei sentimenti ancora di più di quanto non fosse mai successo prima. Ora ne ero consapevole: i sentimenti che provavo per Edward superavano di gran lunga quelli che avevo provato per James. Lo avevo amato sì, ma con Edward, pur non essendo ancora successo nulla si era costruito un sentimento molto più profondo e totalizzante, che riempiva ogni parte del mio corpo e della mia anima.

Mi decisi ad alzarmi per ridestarmi da quei pensieri e dare il buongiorno al mio ospite. Aprii lentamente la porta della mia stanza che affacciava direttamente sulla sua e come in un dejà vu le immagini del mio sogno ritornarono. Le lenzuola blu, il tulle mosso dal vento, il letto disfatto. L’unica differenza era che non c’era nessuno in quel letto.

Scesi le scale e seguii il profumo di brioches calde che proveniva dalla cucina. Quando mi affacciai, inaspettatamente anziché Edward trovai la signora Spencer che trafficava con la colazione.

« Buongiorno»

« Oh buongiorno Isabella. Già sveglia? Spero di non averla disturbata io».

« No, assolutamente, mi sarei svegliata ugualmente, Edward mi ha promesso di portarmi a spasso per Londra. Anzi. Dov’è?»

« È uscito presto per delle commissioni e mi ha chiesto di preparale la colazione. Caffè?»

« The grazie e deteinato»

« Un’americana che non beve caffè? Lei è una rarità»

« Lo so, ma mi dia del tu per favore, mi fa sentire vecchia».

Chiacchierammo un po’ del più e del meno. Kate, così si chiamava, era una persona veramente disponibile e solare, mi raccontò della sua famiglia e di come aveva conosciuto i Cullen, di che persone fossero e si prodigò in mille complimenti.

Io dopo averle tenuto compagnia in cucina iniziai a gironzolare per il soggiorno, facendo attenzione a quei dettagli che la sera prima, stanca dal viaggio e dallo shopping natalizio,mi erano sfuggiti. Tra le altre cose mi soffermai a guardare un gruppo di foto nelle quali spiccavano quelle che dedussi fossero le foto di famiglia di Edward. C’era lui, con Alice, supposi anche da bambini, i coniugi Cullen e poi lui abbracciato ad una splendida ragazza bionda. Ma chi era? Non credo fosse Leah. Da quanto potevo immaginare la sorella di Jacob non sarebbe potuta essere bionda, forse era un’altra ragazza che era stata tanto importante per lui da tenerne ricordo. Fra l'altro dalla foto in cui entrambi erano abbracciati sorridenti, trapelava  una grande complicità. Avrei chiesto spiegazioni prima di fare supposizioni non corrette.

Terminata la colazione, congedandomi dalla signora Spencer, andai nel mio bagno e mi preparai per la giornata turistica. Dopo circa mezz’ora Ed rientrò di corsa e lo sentii chiamarmi dal piano di sotto:

« Bella ci sei?».

Mi affacciai alle scale ormai pronta: <> chiesi abbastanza incuriosita.

« Oh, nulla di che, dovevo solo pianificare alcune cose per la giornata», rispose con un sorriso mellifluo sulle labbra.

« Pronta per andare? hai riposato bene spero, perché ci sarà da pedalare..».

Tralasciai il fatto che il mio riposo lo aveva visto come indiscusso protagonista di un mio sogno alquanto “hot” e annuii scendendo di corsa le scale. Uscimmo velocemente dall’appartamento e ci tuffammo nella fredda giornata londinese.

« Ed, non sarebbe stato meglio riordinare la casa prima di uscire. Questa sera credo che saremo molto stanchi…»

« Non temere, ci penserà la signora Spencer, è sempre così disponibile»

« Lo so abbiamo fatto quattro chiacchiere mentre ti aspettavo, è così carina e adora la tua famiglia».

Chiacchierammo per tutto il percorso, allegri e spensierati proprio come due turisti. Mi portò a fare un vero e proprio tour, per vedere palazzi, vie, angoli caratteristici, pranzammo a Piccadilly e mi portò in battello.

Era ormai tardo pomeriggio quando decidemmo di rientrare. Era buio e l’aria gelida di dicembre si faceva sentire nonostante sciarpa e guanti. Probabilmente si accorse di questo e in un gesto istintivo quanto premuroso mi cinse le spalle come faceva spesso cercando di riscaldarmi e continuammo a camminare per raggiungere casa.

Quando aprì la porta uno splendido tepore ci invase, la casa era profumata e in ordine e mi beai delle sensazioni che mi infondeva potermi stendere su un comodo divano dopo una giornata di corse.

« Perché non vai a farti una doccia e a cambiarti che fra un’ora andiamo a cena?»

Lo guardai un po’ stralunata: ma dove le trovava tutte queste energie?

« Ok, spero di farcela, mi hai veramente distrutta oggi», accennai sorridendo e dirigendomi verso la mia stanza.

« Se vuoi ti presto la mia vasca? » Mi fermai al primo gradino.

« Veramente? » chiesi stupita e per un attimo potei giurare di aver desiderato come non mai che mi avesse fatto compagnia in mezzo a litri di bagnoschiuma. Cercando di ridestarmi da questi pensieri che probabilmente mi avevano fatto arrossire, sorrisi e accettai l’offerta.

Trasportai tutto l’occorrente nel suo bagno e mi tuffai letteralmente nella vasca colma di schiuma, beandomi del profumo e del calore dell’acqua fumante. Probabilmente mi trattenni più del previsto perché sentii bussare e la sua voce abbastanza preoccupata mi ridestò.

« Bella tutto bene? È mezz’ora che sei chiusa lì, stai per caso cercando di marinare?»

Mi scappò da ridere sonoramente e gli risposo a tono: « No pensavo di lessare, è più adatto a contrastare il clima locale».

Anche lui rise al di là della porta, poi lo sentii nuovamente parlare:

« Ti sei divertita oggi? » Il tono era normale, serio quasi, ma non mi andava di parlare attraverso una porta. In fondo ero immersa in duecento litri di schiuma, da cui non sarebbe trapelato nulla e così azzardai. Al massimo ne avrei  ricavato un “ma sei impazzita?”

« Ed ti sento poco, se vuoi ti puoi affacciare». Non lo avrei mai fatto entrare del tutto, anche se una parte di me avrebbe voluto vederlo tuffare nella vasca e cingermi con le sue forti braccia da dietro, coccolandomi in un modo vergognosamente romantico.

« Ma stai scherzando?» non seppi dire se il suo tono era stupito perché mi credeva pazza o se perché anche lui lo aveva desiderato, ma non lo aveva potuto esprimere.

« Tranquillo, sono a mollo fino al collo e ti giuro non cercherò di irretirti » e un’altra risata mi sfuggì. In realtà sapevo di averla sparata grossa, quello poteva sembrare un chiaro invito ad altro e la parte meno nobile di me avrebbe voluto che fosse così, ma ormai ero cotta al punto giusto e avrei tentato in ogni modo di capire come sarebbe potuta finire tra di noi.

Quello che mi stupì fu la sua risposta: « Ok metto la testa dentro, ma giurami che non mi prendi a scarpate in faccia!».

Sentii aprire la porta e il volto confuso e oserei dire imbarazzato del mio professore comparve facendomi sorridere ulteriormente. La cosa strana è che fui io per la prima volta credo a non sentirmi affatto imbarazzata, come se ormai la sua presenza nelle cose quotidiane della mia vita fosse un fatto assodato.

Aveva una strana espressione, tremendamente sexy e intrigante, un concentrato di ormoni che avrebbe potuto far sciogliere ogni donna. Cercai di non pensarci e risposi alla domanda che mi aveva posto prima che gli facessi la mia proposta di entrata nel bagno.

« È stata una giornata stupenda. Un po’ stancante, ma mi ci voleva per staccare la spina. Pensi che si possa fare qualcosa anche domani mattina?»

« Direi di sì, se non hai fretta di rientrare all’istituto…».

Che meraviglia un’altra giornata soli io e lui! Se solo quella sera avessi avuto il coraggio di confessargli i miei sentimenti….chissà, magari l’atmosfera in un bel ristorante. Certo che sarebbe stato imbarazzante dirgli io per prima che ero innamorata di lui, ma d’altronde non sapevo se per lui era lo stesso e l’unico modo per capirlo era giocare a carte scoperte. Decisi che per quella sera sarei stata il più possibile elegante, cercando così di scuotere il suo lato maschile e poi avrei visto lì per lì.

Si congedò da me per andare anche lui a prepararsi. Uscii dalla vasca, mi asciugai e preparai accuratamente, truccandomi e indossando un semplice, ma elegante abito, abbastanza corto, ma leggero. Mi sarei poi coperta con il cappotto.

Uscii dal bagno perfettamente pronta, quando udii una splendida melodia provenire dal piano di sotto. Ne ero quasi certa: Edward stava suonando, mi affacciai piano per non disturbarlo, ma nulla mi avrebbe potuta preparare allo spettacolo che mi si parò davanti. Oltre alla musica che aleggiava per la stanza, una marea di candele erano distribuite nel salone, in mezzo al quale troneggiava un tavolo splendidamente imbandito. Probabilmente rimasi di sasso fino a quando la musica non cessò e le sue parole non mi riscossero.

«Sai, ho pensato che se eri stanca come me ti sarebbe andata più una cena tranquilla qui; ho cercato comunque di ricreare la raffinatezza e l’atmosfera di un buon ristorante e la cucina non dovrebbe essere da meno, se ne è occupata Kate».

Ero estasiata: quest’uomo mi stupiva sempre di più. Aveva curato tutto nei minimi dettagli e anche se l’uscita era sfumata ero quasi più felice così. Io e lui in casa sua. Circondati da un’atmosfera da favola. Forse solo così sarei riuscita nel mio intento.

« Bella allora che dici? » mi si era avvicinato e mi accarezzava il braccio.

Probabilmente negli ultimi tempi mi riteneva una cerebrolesa perché non ero mai presente con la testa quando mi poneva domande, perché troppo immersa nelle mie fantasticazioni.

« Io non ho parole – mi voltai e lo guardai – è meglio di qualsiasi ristorante del mondo». Dissi queste parole sorridendo ed ero certa di averlo convinto perché anche lui sorrise sinceramente. Mi si avvicinò guardandomi negli occhi e continuando ad accarezzarmi il braccio semiscoperto. In quel momento le mie certezze e il mio coraggio sull’esprimere i miei sentimenti se ne erano andate, sprofondate in quegli occhi verdi e non trovai di meglio che spezzare l’atmosfera.

Iniziai anche io ad accarezzare la sua mano, abbassai lo sguardo e gli chiesi: «ti prego suona per me».

Lo vidi sorridere e annuire e si diresse al piano. Notai solo in quel momento che indossava un pantalone classico e una camicia bordò molto raffinata, che gli esaltava le spalle. Si sedette e mi invitò ad avvicinarmi: arrivai al bordo del piano e mi appoggiai con i gomiti preparandomi a bearmi delle sue note. Mi era già capitato di sentirlo suonare, ma non lo aveva mai fatto in diretta per me, c’era sempre stato un pavimento a dividerci. Nel momento in cui appoggiò le sue mani sulla tastiera la stanza si riempì delle note più belle e dolci che avessi mai sentito. Ero abituata a vivere nella musica, ma la sua mi colpiva sempre per l’intensità.

La melodia era nuova, non la conoscevo e quindi chiusi gli occhi per godermela al meglio e per non perdere la testa nel guardarlo ad occhi semichiusi mentre si impegnava a suonare per me. In quel momento era la cosa più bella che avessi mai visto.

Continuai a bearmi delle sensazioni che mi trasmetteva quando, senza accorgermene mi raddrizzai e mi avvicinai a lui, mi affiancai allo sgabello e quando lui alzò gli occhi e mi fissò gli appoggiai una mano sulla spalla in modo delicato e dolce. Volevo cercare di non disturbarlo, ma nello stesso tempo volevo trasmettergli con le mani le sensazioni che lui mi faceva provare con la musica.

Nel momento stesso in cui i nostri corpi entrarono in quel contatto la musica si dissolse piano e terminò: Ed voltò prima la testa verso di me, poi ruotò sullo sgabello nella mia direzione prendendomi prima la mano che avevo sulla sua spalla e poi l’altra fra le sue. Ci guardammo negli occhi per un tempo che sembrò interminabile e mi accorsi che quello era il momento per dirgli tutto, per esternargli i miei sentimenti e vedere come avrebbe reagito lui.

« Ti devo dire una cosa», iniziai. Lui mi guardò ancora più intensamente e io feci un altro passo nella sua direzione. Solo altri dieci centimetri e mi sarei potuta piazzare direttamente tra le sue gambe.

« Dimmi Bella » e sentii una delle due mani poggiarsi su uno dei miei fianchi e l’altra stringersi sempre più forte nella mia. Ecco in quel momento sotto il suo tocco vacillai e il mio discorso si cancellò dalla mente. Sentivo solo una scossa e un brivido che passava dalle sue mani alla mia e al mio fianco « Edward io…».

Ormai eravamo pericolosamente vicini e probabilmente mi balenò che l’unico modo per fare quello che dovevo fare era baciarlo. Abbassai lievemente la testa nella sua direzione, forse anche per non fargli capire esattamente i miei intenti e continuai a fissarlo negli occhi come lui fece con me.

Stava succedendo e il mio cuore rimbombava  nel petto. Feci un ultimo respiro e quando mi decisi finalmente, un forte martellare alla porta bloccò il momento, costringendolo ad alzarsi e ad andare ad aprire.

Ero stata sul punto di baciarlo e fargli capire che ero innamorata di lui e avevo dovuto rinunciare per uno scocciatore. Mi augurai che fosse una questione di vita o di morte perché ero pronta all’omicidio. I colpi alla porta continuarono insistenti fino a che Ed non aprì anche un po’ scocciato:

« Ma si può sapere chi…».

Quando la porta si spalancò, una chioma bionda si lanciò al suo collo.

« Ciao Eddy, Dio finalmente, quanto mi sei mancato…».

Ok e ora chi era questa?

 

 

 

 

 

 note: eccomi con il secondo capitolo per oggi. Non so per quanto tempo riuscirò a postare con questi ritmi anche perchè la parte di storia già scritta sta diminuendo sempre di più...e dopo i tempi si allungheranno. Lo so sono un pò perfida a lasciarvi così, ma tranquille non è niente di quello che pensate. Sta solo arrivando un altro personaggio che arricchirà la storia......ma intanto ha interrotto un momento importante: e Bella che non è molto coraggiosa in fatto di sentimenti non ritroverà così presto il coraggio di rifarsi avanti in questo modo.

va beh vi lascio se no vi racconto tutto!!

vorrei ringraziare perchè le recensioni stanno aumentando così come i lettori.SONO SEMPRE PIU' LUSINGATA

siete fantastici!!!!!!!!!

alla prossima

questi personaggi sono di proprietà della Meyer. la storia non è scritta a scopi di lucro

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** “Rosalie” ***


Capitolo 26

“Rosalie”

 

Stavo osservando la scena di Edward abbracciato a quella donna già da qualche secondo e una strana sensazione di conoscerla mi pervase. Dove l’avevo già vista? Improvvisamente riuscì a divincolarsi da quella stretta:

« Rosalie che ci fai qui?».

Una cosa attirò la mia attenzione: ecco dove avevo già visto quella donna! Era quella abbracciata a lui in una delle foto del soggiorno, solo lì sembrava più “ragazzina”. Cercai di ragionare, ma la voce seria di Edward mi riscosse dai pensieri:

« Mamma e papà lo sanno che sei qui o hai fatto di testa tua come al solito?». Il suo tono era chiaramente di rimprovero. Ma perché? Mille domande mi frullarono per la mente, ma non ebbi il coraggio di formularne neanche una. Sperai tanto che non fosse una sua ex ragazza, ma più passava il tempo e i loro sguardi si incrociavano, più capivo che tra loro non c’era del tenero.

« Stai tranquillo lo sanno, anche se non hanno approvato, ma in realtà non ne potevo proprio più dell’Alaska e così eccomi qua, ma ho per caso interrotto qualcosa?».

In quel momento si voltò verso di me quasi con aria di compiacimento: potevo vedere quanto fosse bella ma il suo sguardo, potei giurarci, era di sfida aperta verso la mia presenza in quella stanza.

« In realtà stavamo per cenare », rispose Ed guardandomi con uno sguardo che sembrava dire “e non solo quello”. Probabilmente arrossii, ma alla ragazza (o meglio a Rosalie come l’avevo sentita chiamare) non sembrò interessare.

« Posso farvi compagnia, ho una fame…».

Stavo quasi per ribattere quando Edward mi guardò. Aveva probabilmente capito il mio smarrimento in questa situazione.

« Bella lei è mia sorella Rosalie».

Sorella?!?!?! Non sapevo dell’esistenza di un’altra Cullen. Ed non me ne aveva mai parlato, chissà per quale motivo: istintivamente allungai la mano per stringerla.

« Piacere Rosalie, sono Isabella, una collega di Edward».

Alle mie parole vidi il suo volto distendersi in un sorriso e a sua volta mi porse la sua:

« Scusa sai se ti ho guardato male, credevo che mio fratello per un attimo si fosse dedicato alla bella vita con qualche amichetta, sai è sempre così puritano…».

A quelle parole Ed alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, io non resistetti e sorrisi timidamente. In fondo sapere che non era sua abitudine fare il don Giovanni non mi dispiaceva, gli conferiva una sorta di perfezione morale, oltre quella fisica che già possedeva.

« Allora mi spieghi che ci fai qui?» il suo tono si faceva sempre più serio.

«Sì, ma prima mangiamo ok? » e si diresse a passo spedito verso la nostra splendida tavola romantica. Edward mi guardò con un’aria tremendamente dispiaciuta, ma cercai di rincuorarlo con un sorriso, gli presi la mano e gli sussurrai un “è tutto ok”.

Ci sedemmo a tavola e iniziammo a chiacchierare o perlomeno Rosalie chiacchierava, Ed controbatteva alquanto scocciato e io mi limitavo a sorridere ascoltando la loro conversazione.

Pensai a quanto sarebbe stato romantico consumare insieme a lume di candela quella splendida cena preparata da Kate. Forse visto il nostro tentativo di conversazione prima che Rosalie si presentasse alla nostra porta, sarebbe stato interessante anche un eventuale dopocena, ma cercai di non pensarci. Non avevo proprio idea fino a dove ci saremmo potuti spingere se veramente avessi avuto il coraggio di bacialo.

Improvvisamente mi ridestai dai miei pensieri quando la squillante voce di Rosalie annunciò di essere stanca e che sarebbe andata a dormire.

« Veramente nella stanza degli ospiti dorme Isabella». Potei notare un vero e proprio sguardo di stupore negli occhi della ragazza. Mi affrettai a rispondere prima che Edward prendesse nuovamente le mie difese: «Non c’è problema, posso dormire sul divano, Rosalie sarà stanca dal viaggio». In verità non so perché, ma ci tenevo ad esserle simpatica. Forse perché avevo già legato con Alice e non mi andava che una delle sorelle di Edward potesse prendermi in antipatia.

« Non lo permetterei mai!» ribatté Ed molto serio fissandomi negli occhi «non ti farò dormire su un divano, è comunque una sistemazione scomoda. Dormirai nel mio letto e io starò qui, in soggiorno».

Probabilmente sia io che la sorella avevamo un’espressione alquanto stralunata, ma lui era così, mi stupiva sempre per la sua dolcezza, almeno nei miei confronti.

Rosalie fece il cenno di alzarsi, ma il fratello la fermò: «Non mi hai ancora spiegato perché sei qui. E adesso non accetto rimandi». Capii che dal suo tono non ammetteva repliche e cercai anche di capire perché cercasse sempre di sviare il discorso.

« Vedi – iniziò lei – non ce la facevo più in quel college. Io non sono come te ed Alice, ho bisogno di più spazio e per quanto voglia bene a zia Carmen non ce la facevo proprio a rimanere. E poi non voglio più pesare su nessuno: ho deciso di trovarmi un lavoro e vorrei provare a farlo qui. Almeno sarò vicino a te, e mamma e papà sapendomi al sicuro non si preoccuperanno come al solito».

Anche con la luce fioca delle candele potei giurare di averlo visto impallidire.

«Rosalie, lo sai che per me non è un problema che tu sia qui e se mamma e papà sono d’accordo con la tua decisione non posso che esserlo anche io, ma primo, perché non mi hanno avvertito e secondo, sei proprio sicura? sai quanto è dura al giorno d’oggi senza una titolo di studio come si deve?».

Adoravo quando era così serio e riflessivo. Non so perché ma sembrava così maturo e pronto ad affrontare qualsiasi problematica. Più lo vedevo con lei e con me e da quel poco che avevo potuto notare con Alice, più capivo che era una sua caratteristica quella di prendersi cura delle persone che gli erano accanto.

Non potei fare a meno di pensare come sarebbe stato con una famiglia e con dei bambini. Già i bambini, forse è anche per quello che non saremmo mai potuti stare insieme, o meglio ero io che non me la sentivo di metterlo di fronte alle difficoltà della mia vita, lo amavo troppo. E probabilmente se avesse saputo del mio passato sarebbe stato lui ad allontanarmi.

Improvvisamente una stretta al petto simile a quelle di molto tempo prima, anche se più leggera mi colpì. Trattenni a stento un respiro, probabilmente il mio sguardo cambiò, ma per fortuna non ci fece caso nessuno.

« Ho chiesto io a papà di non dire nulla. Sapevo che se ti avesse avvisato avresti fatto di tutto per non farmi partire. Io voglio stare qui. So che non sarà facile, ma ti prometto che farò del mio meglio e non ti starò  tra i piedi. E se per la fine dell’anno scolastico non avrò combinato nulla ti giuro che tornerò a Forks e mi rimetterò a studiare al college.

Ti prego fratellino. Non ti darò noia. Se vuoi potrò stare qui e ci vedremo quando verrai a Londra».

Rosalie aveva lo sguardo implorante, con gli occhi quasi da cucciolo abbandonato e capii che era un’ottima tecnica per far capitolare il fratello.

«Va bene, ma cercherò di farti alloggiare al campus, così da poterti tenere d’occhio e ti sposterai se necessario per trovare lavoro e… non starai qui. Non vorrei che mi demolissi mezzo mondo».

A quelle parole il volto della ragazza si illuminò e con un balzo abbracciò il fratello rovesciando quasi tutto ciò che era sulla tavola. Non potei fare a meno di sorridere.

« Ora me ne vado a letto così vi lascio soli» affermò con un tono alquanto malizioso. Quasi mi strozzai con un bicchiere d’acqua a sentire quelle parole; Ed mi batté sulla schiena con un leggero sorriso sulle labbra. Non poteva certo credere che io e suo fratello potessimo fare chissà che cosa con lei presente in una casa che per pareti aveva solo scale e vetro.

« Buonanotte fratellone – e si chinò su di lui per scoccargli un bacio sulla guancia – buonanotte Bella e scusa se ti ho rubato la stanza » e mi lanciò un sorriso sincero. Ed quasi arrossii al quel contatto e capii subito quanto stretto fosse il loro legame, come per Alice, ma forse in questo caso più paterno: si capiva anche dal fatto che Rosalie era più giovane di qualche anno.

La vidi sparire su per le scale e poi fissai Edward: «Mi dispiace che abbia rovinato la nostra cena. Speravo andasse tutto in modo perfetto».

« Non ti preoccupare, è stata comunque una bella serata, tua sorella è molto carina, ma come mai non mi avevi parlato di lei?»

« Vedi, Rosalie è un po’ la scapestrata della famiglia, nel senso che è quella che va sempre per conto suo, ha un carattere molto forte e contraddittorio e ha sempre dato del filo da torcere a mamma e papà, oltre che a cacciarsi in ogni genere di guaio fin da quando è arrivata da noi a nove anni».

Scrollai la testa e lo guardai stupita: «Che intendi dire scusa?»

« È stata adottata dopo la morte dei genitori. Erano due grandi amici dei miei, ebbero un incidente in cui per fortuna Rosalie non rimase coinvolta. Mio padre prestò loro soccorso, ma non ci fu nulla da fare. In punto di morte gli chiesero di prendersi cura di lei e lui non ebbe nessun dubbio.

Il  problema fu accogliere una ragazzina che aveva appena perso i genitori in una casa nuova. Non ha mai avuto un bel carattere e i primi tempi furono difficili: litigava sempre con Alice e le faceva i dispetti. Probabilmente la vedeva come una rivale all’interno della famiglia; l’unico con cui aveva legato veramente ero io, perché cercavo sempre di prendermi cura di lei e soprattutto di toglierla dai guai in cui si cacciava regolarmente.

È comunque sempre stata dura gestirla, è spesso entrata in conflitto con i miei che nei suoi confronti sono iperprotettivi e così dopo essersi diplomata a Seattle, mio padre a causa dei suoi impegni, ha preferito che andasse in un college in cui fosse sotto il controllo della famiglia, ma con un margine di libertà e così è finita dai miei zii in Alaska. Evidentemente anche quel posto le è andato stretto e così è di nuovo attorno a me.

Vedi con Alice è diverso. Io e lei viviamo in simbiosi e non abbiamo mai avuto bisogno di chiedere nulla l’uno all’altro, ci siamo sempre sostenuti senza esserci necessari, d’altronde avevamo la stessa età. Mentre Rosalie era più piccola di dieci anni, aveva vissuto un trauma e aveva la necessità di un punto fermo, di qualcuno di cui si potesse fidare e che l’avrebbe protetta e aiutata in caso di bisogno. Papà era il suo punto fermo, ma io ero quello con cui riusciva a parlare. E non ti ho mai raccontato di lei proprio perché non ama essere sulla bocca di tutti: si sente inadeguata rispetto al resto della famiglia, anche se sono sicuro che valga molto più di quanto lei stessa non sappia. Non so se mi capisci….»

« Io non ho fratelli o sorelle, ma credo di capire che con chi è come te c’è complicità, con chi è più piccolo c’è bisogno di protezione. E tu sei fantastico con entrambe le tue sorelle per quanto siano così diverse di carattere, mi pare». Non so perché dissi quelle parole, ma le pensavo veramente. Ed era stupendo con entrambe anche se in modo diverso.

« Credo sia giunto il momento anche per me di andare a dormire sono molto stanca». Purtroppo i miei piani erano scemati e non mi sembrava il caso di continuare ad aspettare qualcosa che non sarebbe potuto succedere. Magari con un po’ di fortuna quando saremmo stati a Forks sarebbe stato diverso, con meno pensieri e forse meno interruzioni.

« Vado a prepararmi, ma sei sicuro? posso sempre dormire io sul divano»

« Non lo permetterei mai – abbassò lo sguardo serio – e poi domani abbiamo ancora qualche giro da fare e non vorrei che fossi stanca ancora prima di partire», concluse sorridendo. Ci teneva proprio che io stessi bene e per un momento pensai a come sarebbe stato dormire insieme a lui in modo consapevole e non come conseguenza di una situazione problematica, come era già avvenuto nei mesi passati.

« Quando ti sarai addormentata verrò ad utilizzare il bagno anche io se non ti disturbo»

« Guarda che se vuoi posso usare quello della stanza degli ospiti»

« Non sai cosa ti aspetterebbe, in questo Rosalie somiglia ad Alice. Avrà già monopolizzando il mondo intero. Se non è un problema per te dividere il bagno con me….»

« Tranquillo, non c’è problema, tra dieci minuti è tutto tuo».

Salutandolo salii al secondo piano,  lo sentii ridere, probabilmente ripensando a quello che mi aveva detto di Rosalie, Alice  e i bagni.

Entrai nella sua stanza e tutto intorno a me chiamava il suo nome, nel bagno il profumo del suo dopobarba. Preferii usare i suoi asciugamani per bearmi ancora di più dell’odore della sua pelle e finalmente pronta mi infilai sotto le coperte, nel suo splendido letto, tra le lenzuola di seta che ci avevano visti protagonisti del mio sogno. Sorrisi all’idea di quel sogno e mi sentii quasi imbarazzata pensando a cosa sarebbe potuto succedere se lui fosse rimasto con me. Dopo pochi minuti cominciai a sentirmi stanca, ma sentii comunque i suoi passi su per le scale.

Gli sorrisi voltandomi verso di lui e augurandogli la buonanotte. Chiusi gli occhi e mi rilassai il più possibile, anche se sentivo una leggera agitazione, forse a causa dei discorsi sentiti sulla vita di Rosalie. Non capii bene come e cosa avvenne, ad un tratto sentii il materasso affondare accanto a me. Mi voltai e mi scontrai con lo sguardo dolce di Edward:

« Non volevo svegliarti, volevo solo augurarti la buona notte e controllare che non avessi bisogno di nulla», mi sussurrò con una gentilezza unica. Non so se fu la stanchezza, il fatto che i miei occhi si chiudevano e aprivano lentamente o se perché in realtà fossi già in gran parte nel mondo dei sogni, ma mi avvicinai a lui con gli occhi quasi socchiusi e lasciandomi guidare dal suo odore mi aggrappai alla maglietta, strusciai la mia fronte sul suo mento e poi cercando per quanto era possibile nel dormiveglia di parlare lucidamente gli dissi semplicemente: «Edward, non andartene, resta con me». Mi strinsi a lui aspettando una sua reazione, ma tutto quello che sentii fu il suo caldo abbraccio sulla mia schiena: mi accorsi che si sistemò meglio a fianco a me sotto le coperte, mantenendo però un braccio sulle mie spalle, in modo che il mio viso fosse quasi sul suo torace. « Non ti lascio se vuoi, dormi Bella » e  un dolce bacio si posò sulla mia fronte. Ero al sicuro.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** “E’ così evidente?” ***


Capitolo 27

“E’ così evidente?”

 

Quando aprii gli occhi, sentendo un rumore di stoviglie, una leggera luce filtrava dagli oscuranti delle vetrate. Quando fui abbastanza consapevole del luogo in cui mi trovavo girai la testa e incontrai il volto di Edward accanto a me. Stava dormendo ancora profondamente a pancia in giù con un braccio sotto al cuscino e l’altro a cingermi il punto vita. Sorrisi lievemente rendendomi conto di quello che avevo fatto la sera prima: gli avevo esplicitamente chiesto di dormire accanto a me e lui non si era tirato indietro.

Guardando il suo volto non potei fare a meno di constatare la  necessità di lui che ormai avevo anche per le cose più semplici e il fatto che non potevo più aspettare e avrei dovuto confessargli i miei sentimenti al più presto.

Mi alzai sui gomiti e mi guardai intorno. Sentivo dei rumori provenire dal piano inferiore, ma non capivo cosa fosse.

Ad un tratto la porta aperta nella stanza di Rosalie attirò la mia attenzione: si era già alzata e probabilmente era lei in cucina che trafficava con piatti e pentole, ma questo voleva dire che era passata dalla stanza di Edward per scendere e aveva sicuramente visto suo fratello nel letto con me, dopo che avevo precisato che eravamo amici. Non so perché, ma pensai fosse meglio scendere e vedere cosa aveva visto e come lo aveva interpretato.

Scivolai lentamente fuori dalle coperte cercando di non svegliarlo e mi diressi in cucina. Rosalie era voltata di spalle ai fornelli ed era circondata da un gran disordine e una marea di piatti, posate e stoviglie di ogni genere.

« Buongiorno Rosalie», non volevo arrivarle alle spalle di soppiatto.

« Oh buongiorno Bella, spero di non averti svegliato io; sai volevo prepararvi la colazione, ma come puoi ben vedere, non sono molto ordinata » e sollevò la mano libera dal cucchiaio per indicare la confusione che aleggiava nella stanza.

« Non ti preoccupare – le risposi accennando un sorriso – posso capirti, neanche io sono particolarmente  ordinata. Posso aiutarti? ».

Mi posizionai di fianco a lei e iniziai a versare l’impasto per le frittelle nella padella.

« Senti Bella è da ieri sera che volevo farti questa domanda, ma c’è sempre stato Ed  e così…»

« Dimmi pure», temevo un suo interrogatorio come era avvenuto con Alice, ma d’altra parte mi aveva visto in casa sua, intenta ad una cena romantica con il fratello e in più avevamo dormito nello stesso letto.

« Cosa c’è tra te e Edward?».

Ecco, come non pensato. Rallentai i miei movimenti e la guardai con la coda dell’occhio senza sapere bene cosa dire. Era sua sorella, ma era diversa da Alice. Mi sembrava molto più sospettosa e non so perché molto più possessiva nei suoi confronti.

« Siamo solo colleghi Rosalie, ma tra di noi si è instaurata una bella amicizia; sai per me è diventato un punto fermo»

« Ne sei innamorata?» ahi! non mi aspettavo una domanda così diretta.

« Rosalie, vedi non è come credi…io ho avuto molti problemi in passato e la vicinanza di Ed mi ha molto aiutata…» mi sembrava che la stanza si fosse ristretta, ero seriamente in imbarazzo e stavo bruciando le frittelle.

« Stai tranquilla, non voleva sembrare un’inquisizione, è solo che sono particolarmente legata a lui e non voglio che soffra, per nessun motivo»

« Posso capirlo, è tuo fratello » cercavo di alleggerire la tensione e di giustificarmi.

« Non è solo per questo, vedi, non so se ti ha raccontato qualcosa di me»

« Solo alcune cose »

« La verità è che dopo la morte dei miei non avrei potuto chiedere niente di meglio che trovare i Cullen. Anche se sono sempre stata una ribelle in realtà li amo in modo assurdo e in particolare Ed…»

« Lo so, fa questo effetto » la interruppi.

« No, non credo, vedi, quando sono arrivata tutti mi hanno accolto molto bene, ma io li rifiutavo istintivamente: poi Ed si è avvicinato a me, mi ha aiutato ad aprirmi e a fidarmi e devo confessarti che fino a qualche anno fa…. credevo di essere innamorata di lui».

Mi bloccai e girai la testa verso di lei.

« Ti prego non pensare male di me…»

« No, non lo faccio», sapevo bene cosa provava: nei miei studi passati mi era capitato di leggere di situazioni simili tra fratelli adottivi. « So cosa vuoi dire, con lui ti sei sentita al sicuro ed eri una ragazzina, non potevi sapere come incanalare i tuoi sentimenti»

« Già è proprio così: ora ho capito che quello che ho con lui è uno splendido legame fraterno, ma non voglio che soffra e quindi ti prego…non illuderlo e non prenderlo in giro, non potrei sopportarlo».

« Cosa ti fa pensare che potrei fare così ?» mi venne spontaneo chiederlo, non volevo darle una brutta impressione.

« Non sei tu, credimi, è che tempo fa ha avuto a che fare con un paio di stronze che gli hanno spezzato il cuore e lo hanno costretto ad andare via e io le ho odiate per questo e non voglio che succeda di nuovo».

Non so perché, ma il fatto che Rosalie avesse parlato di due donne mi mise in agitazione. Sapevo solo di Leah e dei loro problemi, ma ora veniva fuori qualcosa di più ed ero preoccupata. Però dovevo dare una riposta sensata e non potevo farmi prendere dall’ansia.

« Rosalie, io non so tu cosa possa pensare di me, d’altronde non ci conosciamo , ma ti posso assicurare che qualsiasi cosa provi per tuo fratello è sincera e non vorrei mai vederlo soffrire, tengo troppo alla sua amicizia. Per me è più importante di qualsiasi altra cosa».

Era vero. Per quanto lo amassi, la sua vicinanza e la sua amicizia contavano molto di più e se un giorno ci fossimo allontanati sarebbe rimasto per sempre nel mio cuore come la persona che più mi aveva aiutato e alla quale dovevo gran parte della mia serenità attuale.

« Non so bene neanche io cosa provo realmente, so solo che non posso allontanarmi da lui e vederlo soffrire mi uccide».

« Beh cara mia, mi disse dandomi un pacca sulla spalla, questo è amore fidati » e la vidi sorridere.

Forse aveva capito tutto, i miei sentimenti, il mio stato d’animo, ma quello sguardo mi rasserenò:

« Sai l’ho visto molto carico ieri sera e stamattina in quel letto era attaccato a te come un polipo…»

« Oddio – mi vergognai da morire, ma tentai comunque di giustificarmi – lo so, ma ieri sera nel dormiveglia gli ho chiesto di restare. Sai è capitato in alcuni momenti in cui non stavo molto bene e non so perché ieri sera abbia accettato».

« Perché è innamorato di te » mi sussurrò all’orecchio.

La spatola mi cadde dalle mani e sgranai gli occhi.

« Mamma mia Bella, sei bianca come un fantasma » e la sua risata cristallina riecheggiò per tutta la cucina.

« Cosa c’è di così divertente? » la voce di Ed alle nostre spalle interruppe la conversazione e ci voltammo entrambe per dargli il buongiorno.

Ci sedemmo tutti al tavolo per fare colazione: chiacchierammo dello shopping natalizio e dei progetti quando saremmo stati a Forks, come se la conversazione tra me e Rosalie non fosse mai avvenuta. Il clima era molto sereno, Ed si avvicinava e mi sfiorava le mani ridendo e potei notare gli sguardi e i sorrisini che la sorella ci riservava nei momenti in cui eravamo più vicini o ci guardavamo. Purtroppo i nostri sentimenti cominciavano ad essere palesi per tutti tranne che per noi.

Passammo la domenica mattina in giro tutti e tre per Londra. Più volte Rosalie aveva tentato di lasciarci soli, ma sia io che Ed avevamo insistito perché rimanesse; non volevamo farle credere che il suo arrivo fosse stato un peso.

Nel tardo pomeriggio preparammo le nostre valigie per il rientro al campus. Edward la convinse a seguirci, avrebbe parlato con la preside e chiesto la possibilità di una sistemazione per lei.

Quando fummo in procinto di risalire in macchina e sistemared i bagagli nel baule della Volvo mi prese la mano e mi guardò.

« Ti sei divertita ?» mi chiese con un tono speranzoso.

Gli sorrisi e ricambiai lo sguardo: « Come non mi succedeva da anni» ero sincera.

« Mi spiace per l’intrusione di mia sorella, spero non ti abbia offeso o qualcosa di simile stamattina, sai mi sei sembrata strana quando vi ho trovato in cucina»

« No, tranquillo » se solo avesse saputo il fulcro della nostra conversazione no so come l’avrebbe presa.

« È solo molto legata a te e si preoccupa che tu stia bene».

Improvvisamente fece un gesto inaspettato e ringraziai mentalmente il fatto che Rosalie fosse ancora dentro l’appartamento. Con il dorso della mano mi accarezzò una guancia e poi parlò con un tono di voce bassissimo che quasi feci fatica a sentire.

« Quando sono con te non posso che stare bene: vedi Bella, io non so esattamente come spiegarmi, ma anche ieri sera prima che arrivasse Rosalie, quello che avevo preparato era per te, per noi, perché quando siamo insieme la felicità che trasmettiamo è unica e io ne ho proprio bisogno. Mi spiace molto che ci abbia interrotti».

Non riuscii a controbattere, vuoi per l’arrivo della sorella vuoi perché questa sua affermazione mi lasciò spiazzata. Era la prima volta che metteva in evidenza il suo stato d’animo legato alla mia presenza nella sua vita. Forse anche lui come me non riusciva a farsi avanti, ma stavamo bene insieme e avremmo aspettato per vedere cosa ci avrebbe riservato il futuro.

Salimmo in auto e ci dirigemmo verso la periferia. La pioggia iniziò a battere insistentemente sui vetri dell’auto e probabilmente mi appisolai prima di arrivare al campus, persa nei miei pensieri e con davanti le vacanze natalizie e il mio, anzi nostro viaggio a Forks

 

 

Note: e così abbiamo conosciuto Rosalie che ha interrotto i due sul più bello (ma ci sarebbero riusciti seconod voi a farsi avanti???mah!!) so che questi due capitoli potrebbero non avervi entusiasmato, ma non era previsto che si mettessero insieme ora e qui. quindi.... non picchiatemi e abbiate pazienza!

ciao

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** “Ritorno” ***


Capitolo 28

“Ritorno”

 

Le due settimane che seguirono volarono letteralmente: la preparazione degli studenti per le vacanze, con compiti e materiali da studiare; tutti i resoconti della biblioteca e della situazione del dormitorio.

Ringraziai mentalmente Edward per essere sempre stato pignolo e insistente quando fino a tarda notte ci fermavamo a stendere relazioni. Almeno non si era accumulato del lavoro.

Rosalie si era trasferita al campus: Edward aveva garantito per lei e le aveva trovato un alloggio nel dormitorio dei ragazzi dell’ultimo anno, pagando un piccolo affitto: in fondo aveva trovato un lavoretto nel Pub del paese, sufficiente per il momento a pagarle i conti. Quando saremmo ritornati da Forks magari si sarebbe spostata anche a Londra.

Tra noi non c’erano più state occasioni di conversazioni: ci eravamo viste qualche sera nell’alloggio del fratello per fare due chiacchiere, ma aveva comunque un  carattere molto diverso e più introverso rispetto ad Alice e non volevo essere troppo invadente. Quando aveva voglia di parlarmi lo faceva lei.

Inoltre per la sua bellezza era corteggiata praticamente dalla metà dei ragazzi del campus e questo la lusingava, ma faceva imbestialire Edward che si sentiva in dovere di proteggerla e di metterla sempre in agguato su tutto. Avevo inoltre notato l’interesse di Emmet per lei, ma me ne guardai bene dal riferirlo al fratello o sarebbe strippato, anche se Rosalie non aveva mai dimostrato di contraccambiare.

Dovevo preparare le valigie e non sarebbe stato facile, considerando che Edward mi aveva palesemente invitato a passare il capodanno con lui: non sapevo proprio quali sarebbero state le sue intenzioni e non sapevo nemmeno se avevo l’abbigliamento adatto. Inoltre mi fece chiaramente capire che non sarebbero mancate le occasioni per conoscere la sua famiglia e anche qui mi preoccupai di non apparire la ragazza più sciatta dell’universo.

In realtà, quando di sera mi trovava sepolta nel mio armadio intenta a rovistare e chiedergli suggerimenti, mi ripeteva che bastavano jeans e una felpa e sarei stata perfetta comunque, ma conoscendo le mie insicurezze, non era sufficiente. Come se non fosse bastato ci sarebbe sicuramente stata anche Alice e lei mi avrebbe ucciso se non le avessi dimostrato un po’ di buon gusto.

Il giorno prima della partenza salutai i miei colleghi e anche la preside incontrata per caso nei corridoi. Quello che mi aveva stupito era stata la sua affermazione “non è che tornando in America le viene voglia di rimanere là e noi la perdiamo? Sarebbe una vera tragedia!!”. Evidentemente era veramente soddisfatte del mio lavoro e questo mi lusingava non poco.

Mi preoccupai di salutare anche Emmet: mi raccomandai che non combinasse casini in mia assenza, visto che sarebbe stato uno dei pochi studenti a rimanere nel campus durante le vacanze.

Mentre mi recavo nel mio appartamento per terminare di preparare le ultime cose, mi sentii chiamare dall’ultima persona che in quel periodo si era dimostrata anche solo interessata a me.

«Ciao Bella, sei in partenza?»

«Oh ciao Jake, sì abbiamo l’aereo questa sera»

« Allora parti con Edward? »

«Beh sì, visto che andiamo nello stesso posto mi sembra ovvio». Sapevo che me ne sarei pentita, ma decisi di chiederglielo comunque:

« Tu non torni  un po’ a casa?»

«No – abbassò lo sguardo. Per un attimo mi sembrò una persona indifesa e ferita e ne ebbi quasi pena – ancora troppi ricordi dolorosi. È meglio che faccia passare un altro po’ di tempo».

Non ero più in grado di sostenere quella conversazione. In realtà sapevo bene cosa voleva dire soffrire e il fatto che anche lui avesse avuto dei problemi mi faceva sentire in colpa per come lo avevo trattato in passato. Nel momento però in cui sputava fango su Edward la mia pena passava.

Salutandolo e augurandogli comunque un buon Natale mi allontanai e raggiunsi il mio appartamento sotto al suo sguardo che come sempre mi metteva a disagio.

Si era fatta l’ora della partenza: Edward aveva bussato alla mia porta puntuale come sempre. Aveva insistito per andare all’aeroporto un po’ prima, per poter sbrigare le operazioni di imbarco con più calma. Con i nostri bagagli ci avviammo al cancello. Avevamo deciso di comune accordo di andare in taxi per non lasciare l’auto nuova nel parcheggio:

« Non aspettiamo tua sorella? » mi venne spontaneo chiedere quando vidi arrivare il taxi e cominciammo a riporre i bagagli nel baule dell’auto.

« No, Rosalie ci raggiunge tra un’oretta. Doveva terminare alcune cose al lavoro ».

Mi sembrò strana questa cosa. Non insistetti, ma mi sembrava tanto una scusa e temevo che Rosalie si fosse soffermata di più al campus per salutare qualcuno in particolare, con un po’ di tranquillità e senza il fiato su collo del fratello.

Arrivati all’aeroporto ci sistemammo al nostro gate ad attendere Rosalie e l’aereo. Cominciavo ad essere nervosa: sarei tornata a casa dopo quattro mesi e mi sentivo completamente cambiata anche se non sapevo come avrei reagito a rituffarmi, seppur momentaneamente, nella mia vecchia realtà. Una domanda mi passò fugace nella mente: ci sarebbe stata la possibilità di rivedere James, ed io come avrei reagito? In realtà le probabilità che si trovasse a Forks da quando me ne ero andata io erano assai remote. In fondo lui era di Seattle e veniva nella mia cittadina solo per lavorare o stare con me, quindi il pericolo era del tutto scongiurato, ma in cuor mio ero sicura più che mai che se anche lo avessi rivisto non avrei avuto nessun sussulto emotivo e la vicinanza di Edward sarebbe stata molto più importante e solida.

Ed eccolo qui il mio angelo seduto con lo sguardo sprofondato in un libro. Cercai di guardarlo senza farmi notare, adoravo quando si stuzzicava il mento; gli dava un’aria molto intellettuale. Ero persa nei miei pensieri talmente tanto da non accorgermi che mi aveva notato e si era girato. Si rivolse a me con quello splendido sorriso sul volto che quasi sembrava una smorfia:

« ti vedo molto pensierosa, tutto bene?»

« Sì grazie – risposi imbarazzata, speravo proprio non avesse notato il modo famelico con cui lo osservavo – sto solo pensando a quello che avrò da fare quando arriveremo». Mentii, non volevo che si preoccupasse, non volevo appesantire il clima fra noi parlando di James, perché anche se non me lo aveva mai detto apertamente, mi ero resa conto che la mia storia passata lo infastidiva.

Finalmente arrivò anche Rosalie e ci imbarcammo. Il viaggio fu lungo e noioso, cercai di dormire, ma il più delle volte mi ritrovavo a fissare il mio vicino di poltrona che dormiva con aria serena. Poi la stanchezza prese il sopravvento anche su di me e mi appisolai.

Quando il pilota annunciò che stavamo per atterrare all’aeroporto di Seattle mi ridestai e come al solito ero accoccolata alla sua spalla e lui aveva il capo chino sul mio. Era incredibile, in qualsiasi situazione ci trovassimo i nostri corpi erano come due calamite e, anche se in modo platonico, finivano per essere sempre vicini.

Mi accorsi solo dopo qualche secondo che aveva gli occhi socchiusi e mi fissava:

« Riposato bene? » mi chiese con quell’aria sorniona.

« Direi di sì, ero sul mio cuscino preferito >>, risi leggermente quando anche lui accennò un sorriso dolce. «Lieto di essere sempre così d’aiuto, ma siamo arrivati, abbiamo la coincidenza tra poco per Port Angeles. E non possiamo mancare».

Mi alzai immediatamente, cominciavo a sentire aria di casa , ma appena varcai la soglia dell’aeroporto un mare di ricordi mi investì: in fondo in questa città avevo studiato e lavorato, avevo conosciuto James e vissuto alcuni degli anni più intensi della mia vita, prima di decidere di insegnare e vivere a Forks.

« Bella, sempre persa nei tuoi pensieri? » mi ridestò Rosalie.

« Sì scusa – le risposi scuotendo il capo – è che è da tanto che non torno qui»

« Anche io» intervenne Edward. In realtà Seattle era la sua città natale, aveva frequentato una parte del liceo e del college prima di andare a New York. E poi qui aveva vissuto molti dei suoi momenti insieme a Jake e a Leah.

«Prima o poi – proseguì – ti farò vedere dove sono  nato e ho vissuto tra un viaggio e l’altro. E tu come ti senti? ».

Sapeva cosa significava per me quella città, « qualche fantasma ti sta facendo visita? ». Potevo vedere nel suo sguardo il timore di vedermi crollare emotivamente di fronte al passato, ma ormai era da parecchio che non capitava più e probabilmente tranquillizzai anche lui con il mio sguardo.

« No direi di no » gli risposi con un sorriso complice che solo lui avrebbe potuto interpretare nel modo giusto.

« Vedo che avete i vostri segreti quindi vi lascio, vado a fare un giro per negozi per vedere se trovo qualcosa di interessante».

Nel giro di un’ora ci imbarcammo nel secondo volo, molto più breve del precedente e in circa due ore mi ritrovai finalmente a casa.

Quando uscimmo dall’aeroporto non potei fare  a meno di notare Edward dirigersi verso una Mercedes nera e lucida, parcheggiata nella zona arrivi. Rosalie accelerò il passo e in men che non si dica si gettò al collo dell’uomo appoggiato allo sportello.

Potevo vederlo solo da dietro, ma mi sembrava proprio di conoscerlo: quando si voltò lo riconobbi. Era Carlise Cullen, il padre di Ed, il medico che aveva rinunciato ad una brillante carriera in tutte le più grandi città d’America, per curare gli abitanti di una sperduta cittadina. Non era affatto cambiato da come lo ricordavo, anche se perlopiù avevo avuto a che fare con lui in giovane età, quando venivo a trovare mio padre durante le vacanze.

Era come lo ricordavo, il tempo sembrava essersi fermato per lui e notai come avesse trasmesso gran parte della sua bellezza e del suo fascino al figlio.

« Papà»

« Edward»

Si strinsero in un abbraccio molto caloroso che mi fece quasi commuovere.

« Anche se sono solo un paio di mesi che non ti vedo mi sembra un’eternità figliolo», sentì Carlise ribadire. « Vieni, tua madre non vede l’ora di riabbracciarti, sai da quando siamo tornati a Forks non fa che ricordare il periodo adolescenziale in cui siete vissuti qui e povero me….»

Edward accenno un sorriso, poi fermò il padre che si stava incamminando a prendere il bagaglio di Rosalie: «Papà lei è Isabella, la collega e amica di cui ti ho parlato….»

«Ah! la figlia del Capo Swan: molto lieto di rivederti, è passato parecchio tempo. Vieni, sali, ti accompagniamo noi a casa».

Mi sentii in imbarazzo, non volevo disturbare, magari avevano voglia di rimanere tra di loro.

« Nessun disturbo – ribadì Ed – anzi pensavo che probabilmente tuo padre a quest’ora non è ancora rientrato, visto che non sapeva esattamente quando saresti arrivata: magari potresti venire un attimo da noi, così ti presento mia madre e poi ti accompagno io a casa».

Ok, decisamente troppe informazioni. Voleva che io andassi a casa sua a conoscere sua madre? Non ero psicologicamente pronta; sapevo che non equivaleva ad una proposta di fidanzamento, ma non mi sarei aspettata un invito così immediato, non dopo un volo durato più di dieci ore e un bisogno impellente di rituffarmi nella mia vecchia stanza e sotto la doccia.

Non riuscii a ribattere nulla. Mi fecero salire in macchina e in circa mezz’ora ci ritrovammo sulla stradina nel bosco che portava alla villa della famiglia Cullen, con il cuore che batteva all’impazzata. Edward stava per farmi entrare ancora di più nella sua vita.

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** “Carlise, Esme e Charlie” ***


Capitolo 29

“Carlise, Esme e Charlie”

 

La villa della famiglia Cullen era di una bellezza unica. Non so se fossero le enormi vetrate o la posizione isolata, ma sentii, nel vederla, un senso di pace e di eleganza nello stesso tempo.

Carlise parcheggiò l’auto nel vialetto di fronte alla casa e aiutò Rosalie con i bagagli, mentre Edward mi aprì lo sportello invitandomi ad entrare. Non so perché ero tanto agitata, ma sapere di essere lì mi faceva battere il cuore, quasi quanto la prima volta che ero entrata nell’appartamento londinese di Edward.

Con un passo alquanto titubante mi avvicinai al portico ed entrai accompagnata da Edward che mi stringeva la mano.

Non mi sarei mai immaginata un’accoglienza così da Esme. Mi abbracciò invitandomi ad entrare e facendomi un sacco di complimenti. Era una donna veramente adorabile oltre che molto bella e mi congratulai per la sua bravura nell’arredare. Mentre Ed portava le cose nella sua stanza parlammo un po’, di come mi trovavo in Inghilterra e di come avevo conosciuto il figlio.

« Ti confesso che da quando ti ha conosciuto è cambiato, è molto più solare e sembra essere finalmente felice: tu non sai quanto io abbia sofferto in questi ultimi tempi nel vederlo chiudersi sempre di più…» arrossii a queste affermazioni. Sembrava quasi che mi considerassero la sua compagna più che una collega. Inoltre mi invitò a passare la vigilia di Natale da loro.

« Devo declinare Esme, credo che mio padre abbia altri impegni e vorrei proprio stare con lui»

« Posso capire Bella, allora potresti venire a trovarci il giorno di Natale, dovrebbe arrivare anche Alice».

Beh non potevo certo mancare: primo non avevo particolari impegni e secondo dovevo portare ai miei amici i regali acquistati a Londra e poi, diciamoci la verità non avrei perso l’occasione di stare con Edward e di passare con lui qualche ora.

Dopo quasi un’ora in casa Cullen gli chiesi di accompagnarmi da Charlie, in fondo doveva essere rientrato. Accettò anche se potei notare un piccolo senso di disappunto: che potesse essere perché ci dovevamo separare e non ci saremmo rivisti almeno per un paio di giorni?

Salimmo in macchina dopo aver salutato tutti e ci dirigemmo verso il centro del paese. Quando fummo vicini a casa lo sentii rallentare e cercai di spezzare il silenzio che in quei minuti si era creato nell’abitacolo:

« Sai…. tua madre mi ha invitato da voi il giorno di Natale, io ho accettato, ma non vorrei essere di troppo…»

« Tu non lo sei mai, anzi mi mancherai domani, mia madre ha detto che non ci sarai»

« Già….» complimenti Bella, grande esternazione! Non seppi dire altro, la mia testa diceva che dovevo stare con mio padre, ma il mio cuore voleva essere dai Cullen.

« Sono felice di aver conosciuto i tuoi, sono persone meravigliose»

« Anche a me piacerebbe conoscere tuo padre» il cervello mi si fermò un attimo; avevo capito bene? Beh sarebbe dovuto essere normale, eravamo amici che male c’era a conoscere i nostri genitori? In realtà questa richiesta mi dava tutta un’altra sensazione e a dire la verità…mi piaceva molto.

« Il tempo ci sarà e lo conoscerai presto». Non seppi che altro dire per non forzargli troppo la mano. Si fermò davanti alla villetta bianca dove avevo vissuto fino a qualche mese prima. La macchina di Charlie era parcheggiata di fianco alla casa.

« Ok ora vado, spero apprezzi la sorpresa»

« Sono sicuro che ne sarà entusiasta». La mano sulla maniglia dello sportello, il cuore che batteva, ma nel contempo la tristezza di doverlo lasciare anche se solo per alcune ore. Quando feci per uscire, mi bloccò e mi costrinse a guardarlo:

« Ci vediamo dopodomani allora?»

« Sì certo, ma se vuoi ci possiamo sentire tramite telefono, così mi fai sapere come ti va qui a casa e dai a me un valido motivo per evadere dal pranzo della vigilia con gli amici pescatori di Charlie» e un piccolo sorriso mi uscì dalle labbra.

« Puoi contarci» mi rispose sorridendo a sua volta e avvicinandosi senza mai lasciare i miei occhi. Mi stampò un delicato bacio all’angolo della bocca e i brividi sul mio corpo mi costrinsero a chiudere gli occhi e trattenere il respiro. Ricambiai il bacio e finalmente a fatica riuscii a uscire dall’auto dirigendomi con il mio bagaglio alla porta di casa. Pensai di bussare: sarebbe stato un effetto sorpresa, e mentre lo facevo guardavo la Volvo allontanarsi lentamente.

Nel giro di qualche minuto la figura di Charlie comparve sulla soglia: in un primo momento quando mi vide spalancò gli occhi, poi mia abbracciò con tutta la forza che aveva tirandomi dentro casa. Nel primi cinque minuti non fece altro che esternarmi la sua gioia nel vedermi.

« Bells, mi hai fatto una sorpresa meravigliosa, sono così felice, non pensavo saresti venuta così presto, ma dimmi per quanto tempo ti fermerai?» sapevo che in cuor suo sperava che rispondessi ”non me ne vado più”, « Rientrerò i primi giorni dell’anno, non so ancora bene….»

« Ma perché non mi hai avvisato prima, sarei venuto a prenderti….. e poi affrontare un viaggio così lungo tutta sola». Ok era il momento… o  adesso o mai più.

« Non ero sola papà, ero con un collega americano la cui famiglia vive qui»

« Davvero? Sono felice che ti sia fatta qualche amicizia. Lo conosco?»

« È Edward Cullen, il figlio del dottor Cullen. Insegna musica nel mio istituto e ne abbiamo approfittato per fare il viaggio insieme»

« Magnifico, almeno non ti sei annoiata».

Continuammo a parlare del più e del meno e quando si fece ora di cena mi offrii di preparare per lui, immaginando che la cucina casalinga non rientrasse nel suo menù da qualche tempo.

Stavo veramente bene, mi sentivo sempre a casa quando chiacchieravamo. Gli parlai dei miei studenti, dei miei incarichi, di come mi trovassi bene nonostante ci fosse molto da fare. Cercai volutamente di non approfondire la mia amicizia con Ed perché non pensasse male, volevo che lo conoscesse e vedesse che persona meravigliosa fera prima di giudicarlo.

Mi raccontò dei suoi progetti di cenare alla riserva indiana di la Push la sera della vigilia, facendo intendere il  legame che si stava creando con la vedova Clearweater, di cui avevo avuto un sentore nelle nostre ultime conversazioni. Potei giurare di averlo addirittura visto arrossire nel tentativo di sviare la mia conversazione sull’argomento.

Era sera inoltrata e stavamo parlando seduti sul divano, quando il suono del campanello ci distolse dalla conversazione. Nessuno dei due aspettava visite e il mio sguardo si aprì in un’espressione di puro stupore nel vedere sulla mia soglia Edward, bello più che mai, con un piccolo mazzo di fiori in mano ed un sorriso da infarto.

Pensando a mio padre seduto alle nostre spalle, che probabilmente ci fissava, trattenni a stento la tentazione di saltargli con le braccia al collo e dimostrai invece il mio stupore per la sua presenza:

« Ed ma che fai qui?»

«Beh, visto che domani non ci vedremo mi sembrava stupido sprecare dei soldi nel telefono e quindi eccomi qua, così potrò conoscere tuo padre».

Lo feci accomodare  e lo presentai cercando, per quanto possibile di mascherare i sentimenti che la sua vicinanza scuotevano sempre in me. Vidi Charlie pensieroso: durante tutta la conversazione portava il suo sguardo tra noi due e potrei giurare che in più di un occasione mi avesse beccato mentre fissavo il ragazzo seduto accanto a me. Però non sembrava dispiacergli, e questo mi fece rilassare un po’.

Molto gentilmente Ed lo informò che la madre mi aveva invitato a casa loro il giorno di Natale e ovviamente nell’invito era incluso anche lui. Charlie declinò dicendo che aveva promesso a Sue di passare una giornata a Port Angeles e che ci sarebbe stata un’altra occasione.

« Credo sia meglio che tu metta quei fiori nell’acqua prima che si secchino…» riferì malizioso mio padre guardando sorridente il mazzo depositato sul tavolino e dimenticato da me perché troppo impegnata a non allontanarmi neanche di un metro dal mio ospite.

Andai in cucina a riempire un vaso, vi disposi il mazzo e mi diressi alle scale per portarlo in camera mia. Ed si alzò e si offrì di accompagnarmi visto che Charlie aveva preso possesso del telecomando e si preparava a gustare la sua dose quotidiana di tv. In quel momento tra il sorriso – o forse sarebbe stato meglio dire il ghigno – di mio padre e gli occhi di Edward puntati sulla mia schiena, mi sentivo estremamente a disagio e la cosa non migliorò quando ci ritrovammo soli nella mia camera.

Non avevo ancora disfatto i bagagli, fatta eccezione per l’accappatoio e il beauty case che erano serviti per rinfrescarmi. Nel letto mancavano ancora le lenzuola e si offrì di aiutarmi.

Preparammo il letto chiacchierando della nostra permanenza e di come avevano preso la nostra visita le rispettive famiglia. Quando la stanza ebbe assunto un’immagine umana mi stesi stanca per il viaggio, fissandolo in un implicito invito a farmi un po’ di compagnia come spesso succedeva sui nostri divani. Ed sorrise abbassando lo sguardo e si stese a fianco a me, continuando a conversare come eravamo soliti fare.

« Credo proprio sia ora di andare» disse ad un certo punto vedendo il mio ennesimo sbadiglio.

« Puoi aspettare ancora se vuoi»

« Meglio che vada, sono stanco anche io » e così dicendo lo accompagnai alla porta e a salutare mio padre, che si limitò ad un cenno della mano e ad un  “ è stato un piacere, torna quando vuoi”. Accostai leggermente la porta alle mie spalle per poterlo salutare un po’ più calorosamente: lo abbracciai e gli baciai la guancia, ringraziandolo per la bella giornata , augurandomi di vederlo al più presto. Anche lui mi strinse a se dicendo solo « il piacere è stato anche il mio. Ci vediamo dopodomani» e si allontanò sul viale verso la sua auto.

Quando mi chiusi la porta alle spalle con un sospiro e un sorriso sul volto, sentii chiara la voce di Charlie:

« Ragazzo simpatico, sei stata fortunata a trovare un amico come lui»

« Sì, molto  » risposi non spegnendo mai il sorriso.

« Dimmi la verità, cosa c’è fra di voi?».

Il sorriso mi morì in volto. Ma esisteva qualcuno sulla faccia della terra che non mi faceva quella domanda? I miei sentimenti erano così palesi? Questa cosa non mi piaceva, non per quello che provavo, ma per la debolezza che avrei potuto dimostrare:

« Te l’ho detto, siamo colleghi e amici, ma mi ha aiutato molto e quindi…»

« Ti sei presa una bella cotta…»

« Ma papà che dici?»

« Dai Bella, non ti  preoccupare, sei una bella ragazza, se lui è solo non vedo perché non devi lasciarti coinvolgere dai sentimenti».

In quel momento non ce la feci e cercai senza dettagli di esporgli le mie preoccupazioni:

« Papà non è così semplice: gli ultimi anni non sono stati facili e io non me la sento ancora di lasciarmi andare in una storia, ma con Ed c’è un amicizia reale e speciale. Mi ha fatto stare bene e anche se non so quali sono i sui sentimenti per me, la sua vicinanza come amico è veramente importante »

« Dimmi cosa è successo piccola mia che ti ha fatto fuggire da qui? perché so che c’è qualcosa, ma non sono riuscito ancora a capire cosa».

Mio padre aveva capito o forse aveva sempre saputo, ma aveva fatto buon viso a cattivo gioco lasciandomi andare e non giudicandomi. Ovviamente non poteva sapere i dettagli, ma aveva intuito che i miei problemi fossero profondi e che avessi sentito il bisogno di cambiare vita. Un nodo alla gola portò a galla lacrime, ricordi e dolore, ma chiusi gli occhi feci un profondo respiro e pensai ad Edward per ricacciare tutto indietro:

« Non ti devi preoccupare papà io sto bene ora, ho fatto delle scelte sbagliate in passato, ma con l’aiuto di Ed mi sono lasciata molte cose alle spalle e non intendo rituffarmici»

« Allora deve essere veramente un buon amico e un caro ragazzo»

«Sì, è così».

Chiudemmo così la conversazione. Mio padre si raccomandò che in caso di necessità lui ci sarebbe sempre stato e dopo averlo ringraziato e abbracciato mi chiusi nella mia stanza. Guardai dalla finestra il cielo che preannunciava neve e pensai a cosa stesse facendo il ragazzo di cui mi ero innamorata.

Con il pensiero su di lui me ne andai a letto augurandogli mentalmente la buonanotte.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note: due capitoli di passaggio che ci catapultano finalmente a Forks. Vedremo che succederà, sicuramente il loro legame si rafforzerà....ma verrà messo anche a dura prova. So che qualche lettrice meravigliosa mi sta facendo notare che i tempi si stanno allungando un pò. E avete ragione!! ma come ho già detto i capitoli sono nati così e arriverà anche il momento che tutti aspettano. In fondo questa è una storia che parla principalmente di dubbi, problemi e pene per arrivare alla serenità e all'amore vero. Scrupoli che oggi non si pone quasi più nessuno prima di iniziare una relazione (ovviamente qui è un pò esasperata, ma sono un'inguaribile romantica a cui piacciono i "prequel" ancora più delle storie). Quindi abbiate pazienza, non mi abbandonate e apprezzate quanto sono carini e romantici questi due anche senza stare insieme.
GRAZIE ALLE quasi 100 PERSONE CHE SEGUONO QUESTA STORIA E ALLE MAGNIFICHE CHE LA RECENSISCONO COSTANTEMENTE. in particolare ad alex992 e alla sua proposta: sono estremamente lusingata. Siete molte più di quelle che mi sarei mai aspettata e aumentate sempre più
VI ADORO
ciao

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** “Un gesto così semplice…ma così profondo” ***


Capitolo 30

“Un gesto così semplice…ma così profondo”

 

Quando mi svegliai il mattino della Vigilia mi accorsi che leggeri fiocchi stavano scendendo dal cielo. La nevicata non aveva lasciato ancora molte tracce sull’asfalto e le case, ma si poteva vedere chiaramente l’erba trasformata in un manto ghiacciato. Pregai a me stessa che non continuasse o muoversi in auto sarebbe stato parecchio complicato e sarebbe saltata la mia giornata natalizia a casa Cullen. Saltai giù dal letto e dopo essermi preparata mi dedicai ad impacchettare i regali che avevo acquistato a Londra; quando sentii Charlie muoversi per casa, mi affrettai a terminare e scesi in cucina da lui.

« Buongiorno papà»

«Buongiorno tesoro, come stai? dormito bene?»

« Sì grazie, mi chiedevo come si svolgerà la cena di stasera e chi mi devo aspettare di conoscere?».

Un leggero ghigno comparve sul mio volto: potei vedere chiaramente mio padre arrossire.

« Non temere Bella, niente di formale, solo alcuni amici della riserva e della centrale. Staremo a casa di Sue, te ne ho parlato no?».

Eh sì mio padre era visibilmente imbarazzato.

« Sì certo, è da molto che la frequenti? » continuai a sorridere e a domandare: volevo vedere se riuscivo a scoprire qualcosa di più della sua vita sentimentale.

« Ma, veramente…. da quando è morto Harry…quel mio collega…lo ricordi no? Beh ecco…ho pensato di aiutarla, sai è comunque una donna sola…»

« È un gesto molto altruistico da parte tua». Non abbandonai la mia espressione soddisfatta. In fondo lui aveva fatto lo stesso la sera prima con Edward.

« Pensavo che potrei preparare qualcosa per contribuire alla cena, magari un dolce? »

« Direi che è un pensiero molto carino».

Lo salutai mentre lo vedevo uscire diretto al lavoro e dopo aver sistemato la cucina mi recai al supermercato più vicino per acquistare il necessario per la mia ricetta. Mentre facevo la spesa incontrai Esme e Rosalie intente a fare la stessa cosa per il pranzo di Natale. Scambiammo due parole e quando rincasai era già ora di pranzo. Preparai qualcosa e poi iniziai a cucinare il dolce mentre aspettavo mio padre.

Erano quasi le 16 quando rincasò e io mi stavo preparando per la serata: due ore dopo salimmo sulla sua auto per recarci alla riserva indiana di La Push.

Era da molto tempo che non attraversavo quei luoghi: in realtà la spiaggia nei dintorni era l’unica frequentabile, ma raramente, anche quando vivevo qui da giovane, ero stata al villaggio, abitato solo da pochi indiani Quileute, ormai anziani. I ragazzi avevano cercato lavoro altrove e le famiglie si contavano sulle dita delle mani.

Era sempre stato un posto molto tranquillo e mi ripromisi di tornarci con Ed nei giorni seguenti. Era un luogo ideale per stare un po’ soli e magari parlargli finalmente dei miei sentimenti. Mi sentivo pronta ora e avrei accettato qualsiasi sua risposta, ma lui doveva sapere quanto io fossi innamorata.

Immersa in questi pensieri non mi accorsi nemmeno quando Charlie parcheggiò di fronte ad una casetta di legno con un ampio porticato e con un chiaro vociare all’interno. Quando varcammo la soglia rimasi stupita della splendida sensazione di festa che avvolgeva la stanza: le poche decorazioni casalinghe rendevano l’atmosfera gioiosa e quelli che dovevano essere gli amici e colleghi di Charlie stavano già ridendo tra loro seduti nel soggiorno.

Entrammo e salutammo tutti. Charlie mi presentò, anche se molti mi erano noti da tempo e quando vidi entrare dalla porta della cucina Sue compresi cosa poteva provare mio padre.

Pur essendo una donna sulla cinquantina era veramente affascinante, in un abito molto semplice, con i capelli neri sciolti e uno splendido sorriso. Si vedeva chiaramente dal taglio degli occhi e dal colore della pelle che era di puro sangue indiano e questo le conferiva ancora più fascino. Ci salutò con un grande sorriso, mi abbracciò e poi abbracciò Charlie, in modo alquanto distaccato: forse anche lei cercava di tenere nell’ombra quello che per me era chiaro fosse una relazione.

Ci sedemmo a tavola e iniziammo a cenare; la serata fu molto piacevole anche se mi ritrovai spesso a  pensare a Edward: mi aveva mandato un paio di messaggi durante la giornata, l’ultimo dei quali solo mezz’ora prima ed ero certa che Charlie si fosse accorto del mittente, vista la mia frenesia e il mio sorriso nel tentativo di rispondergli nel modo più caloroso possibile. Ultimamente era raro che fossimo separati per più di ventiquattro ore, in fondo lavoravamo e abitavamo insieme, e seppur fosse passato solo un giorno da quando non chiacchieravamo o non vedevo i suoi occhi, ne sentivo già il peso della lontananza.

Terminata la cena si unirono a noi anche altri componenti del piccolo villaggio e lasciando la maggior parte delle persone  a chiacchierare, entrai in cucina per aiutare Sue a riordinare. Quando mi trovai sulla soglia però vidi una cosa che mi bloccò, ma nel contempo, mi fece molto piacere. Sue e Charlie si stavano baciando, in un modo molto dolce, consapevoli del fatto che tutti si trovavano mezzi ubriachi in un'altra parte della casa. Quando si accorsero della mia presenza si allontanarono quasi “scottati” e un piccolo sorriso comparve sul mio volto alla chiara dimostrazione del loro imbarazzo.

Quando Charlie si allontanò dalla cucina vidi chiaramente Sue abbassare lo sguardo e iniziare a giustificarsi, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa la fermai:

« Sue stai tranquilla, non è successo nulla. Sono felice se mio padre ha deciso di rifarsi una vita. È solo da troppo tempo e tu sei una persona meravigliosa, perfetta per lui. Quindi qualsiasi cosa proviate l’uno per l’altra non vergognatevene e non giustificatevene mai».

Le dissi queste parole con il cuore e con il sorriso più sincero possibile, pur sapendo che quello che avevo detto per loro speravo potesse valere anche per me.

« Sei una donna in gamba Bella, tuo padre me lo ha sempre detto, ma ora ne ho la conferma».

Chiacchierammo un altro po’ mentre rassettavamo la cucina e mi raccontò un po’ di come si fossero avvicinati dalla morte di suo marito, fino alla mia partenza che aveva scosso Charlie più di quello che avevo pensato. Mi rattristai per questo e mi sentii in colpa perché con il mio comportamento avevo ferito molte più persone di quelle di cui fossi consapevole, tranne l’unica che ne avrebbe dovuto soffrire veramente: James.

Quando mi ridestai dai miei pensieri Sue mi invitò a ritornare in soggiorno con gli altri. Mentre conversavamo allegramente notai un uomo su una sedia a rotelle fissarmi incuriosito. Charlie notò il nostro scambio di sguardi così si alzò e mi invitò a conoscerlo:

«Bella, lui è Billy Black, si è trasferito al villaggio da poco, ha sempre vissuto a Seattle, ma poi ha pensato che la vita della grande metropoli non faceva più per lui, vero vecchio mio?».

Charlie parlava con lui come se lo conoscesse da tempo e anche per me era un volto familiare. Mi porse la mano per stringerla e io ricambiai:

« Piacere Bella, come mai non ti ho vista mai a Forks?»

« Perché lavoro in Inghilterra da qualche mese»

« Davvero? – mi chiese incuriosito – anche mio figlio lavora in una piccola cittadina alle porte di Londra. Fa il custode in un istituto superiore».

In quel momento un flash illuminò la mia mente ormai stanca per l’orario, l’odore di fumo e di brandy che aleggiava nell’aria:  « Lei è il padre di Jacob Black?»

« Sì, lo consoci?»

« Lavoriamo nello stesso istituto, io, lui e il professor Cullen».

Nel momento in cui accennai il nome di Edward il sorriso che fino a quel momento gli aveva segnato il volto sparì, mostrando come il figlio, un enorme rancore nei confronti di quel nome. Un semplice “ah” gli uscì dalle labbra e la nostra conversazione si interruppe lì, ma potei notare come trascorse il resto della serata guardandomi dall’angolo in cui si giocava a poker.

Verso mezzanotte cominciai a sentirmi stanca e chiesi a mio padre di poter rincasare. Accettò con non poche remore di lasciarmi andare, non tanto per il fatto di dovermi lasciare l’auto, quanto per il pensiero di sapermi in giro tutta sola. Come immaginavo pensava ancora che fossi una ragazzina debole e indifesa, incapace di andare avanti senza la presenza di una costante protezione.

Sapevo che Charlie avrebbe gradito molto l’idea di passane la notte a casa di Sue e così insistetti, dicendogli in separata sede che si sarebbe potuto far riaccompagnare la mattina dopo. La sua risposta mi stupì: « Veramente, se non è un problema per te, io andrei direttamente con Sue a Port Angeles, visto che tu sarai dai Cullen. Ci vediamo domani sera»

« Tranquillo papà fai con comodo».

Lo salutai baciandolo sulla guancia e poi abbracciai calorosamente anche Sue, sussurrandole un “divertitevi” e ricevendo in cambio uno splendido sorriso.

Sulla strada del ritorno ripensai alla serata, allo sguardo di Black, alla felicità di Charlie e a quanto potesse essere difficile reprimere per lui i sentimenti che provava nei confronti di Sue, nel tentativo di non incontrare la disapprovazione mia e dei suoi amici. Pensai a quanto fossero stupide queste sue preoccupazioni e a quanto, se c’era l’amore vero, niente fosse più importante. E mi vidi rispecchiata nella stessa situazione: stavo trattenendo qualcosa dentro me e per quale motivo? Per paura di una risposta negativa o per quello che avrebbero pensato gli  altri? No, non me ne doveva importare, dovevo essere chiara, prima con me stessa e poi con lui. Ma se le cose non fossero andate come speravo? Se il nostro passato ci avesse impedito di stare insieme? In ogni caso dovevo fare un piccolo passo che mi avrebbe aiutato a capire realmente le mie sensazioni.

Tra questi miei pensieri, in automatico presi il telefono e digitai un messaggio nella speranza che il mittente fosse ancora sveglio: “Sto tornando da La Push. Posso passare da te per augurarti il buon Natale?

Con mio grande stupore la risposta non tardò: ma che faceva dormiva con il telefono sotto al cuscino?

Certo che puoi, ti aspetto

Svoltai verso la strada che portava al limitare della foresta e nel giro di dieci minuti mi ritrovai davanti alla villa dei Cullen sprofondata nel buio e nel silenzio più assoluto. Per un attimo pensai che si fosse addormentato e che forse ero pazza a presentarmi a casa sua a quell’ora: stavo quasi per riaccendere il motore ed andarmene, colta da uno dei miei soliti attacchi di vigliaccheria, quando un messaggio arrivò al mio cellulare. “Ho sentioi un auto sei tu? Ti vengo ad aprire

Meglio se esci, non vorrei disturbare i tuoi” mi affrettai a rispondere.

In pochi secondi vidi accendersi la luce nelle scale e la porta aprirsi. Edward uscì in tutto il suo splendore nonostante il mio primo messaggio lo avesse probabilmente svegliato.

« Tutto bene Bella? Come è andata la serata?»

« Bene grazie, Sue è molto carina e i colleghi di mio padre molto….conviviali» vidi aprirsi sul suo viso un sorriso che si spense non appena gli accennai della presenza del padre di Black.

« Come sta Billy, è da tanto che non lo vedo….»

« Credo bene, ma non abbiamo parlato molto, però….»

«Però???»

« Ha un carattere molto simile a suo figlio. Quando ha saputo che lo conoscevo e che conoscevo te non ha detto nulla e ha continuato a squadrarmi per tutta la sera. Proprio come faceva Jake»

« Lo avrai incuriosito e poi ha i suoi buoni motivi per non…diciamo… apprezzarmi».

Non volevo che quel nostro momento fosse rovinato dal suo passato, in fondo erano ventiquattro ore che non lo vedevo ed ero andata lì di mia iniziativa per salutarlo e forse in cuor mio anche dirgli qualcosa di più; ma ora, vedendo il suo sguardo rattristato al nome dei Black, ogni discorso che mi ero preparata su di noi nel tragitto in macchina da La Push era scemato e mi limitai a dirgli la prima cosa per cui lo avevo chiamato, anche per spezzare la tensione che la mia rivelazione aveva creato.

« Volevo augurati buon Natale; lo so che è tardi, ma ultimamente tu sei stata la persona a me più vicina e mi è sembrato giusto che fossi il primo a cui io facessi gli auguri…».

Ed si avvicinò a me molto lentamente: mi prese le mani ormai gelide che mi stavo torturando già da qualche minuto, fra le sue calde.

« Grazie Bella, non sai quanto mi renda felice il fatto che io sia nei tuoi pensieri, tu sei…la nostra amicizia è molto importante per me»

« Anche per me » e nel dirlo alzai lo sguardo e puntai i miei occhi nei suoi. Non era il momento e il luogo per dirgli ti amo, lo percepivo, ma pensai ugualmente di fare un gesto diverso che forse avrebbe significato qualcosa per entrambi.

Mi avvicinai ancora di più a lui facendo scivolare via le mie mani  dalla presa in cui le sue mi avevano rinchiuso e le appoggiai sulle sue spalle: poi alzandomi in punta di piedi lasciai un bacio leggero e delicato sulle sue labbra. Fu quasi uno sfioramento, dal quale mi ritrassi immediatamente, perché in realtà non sapevo cosa volevo dimostrargli, né credevo fosse il momento giusto.

Quello però che non avevo previsto era la risposta del mio e del suo corpo al quel gesto. Il mio cervello a quel contatto si spense momentaneamente; la mia razionalità mi abbandonò per quelli che mi sembrarono interminabili secondi. Forse il suo alito caldo che mi aveva solleticato o la morbidezza delle sue labbra, tutto di lui mi lasciò un attimo sospesa, tanto da farmi pensare di approfondire quel contatto e mandare a farsi benedire tutti i miei presupposti di metterlo al corrente dei miei sentimenti in modo graduale. I miei occhi chiusi mi fecero barcollare, tanto quanto il battito forsennato del mio cuore e quando li aprii potei notare il suo volto: gli occhi chiusi, la bocca leggermente socchiusa e il respiro leggermente affannato, specchio del mio.

Era quasi indubbio.

Quel contatto nuovo tra noi aveva provocato in lui lo stesso scompenso emotivo che aveva provocato in me.

Riaprì gli occhi e io ripresi pienamente il controllo delle mie facoltà allontanandomi leggermente per evitare un qualsiasi suo gesto di risposta: ci guardammo intensamente, ma la mia mano andò dolcemente a bloccargli le parole, quando un “Bella…” uscì dalle sue labbra. Gli sorrisi non facendolo andare avanti in una conversazione che non so dove ci avrebbe portati. Mi limitai a guardarlo, i miei occhi lucidi, specchio dei suoi: passando con la mia mano dalle sue labbra alla sua guancia, senza mai distogliere lo sguardo, mi allontanai, così come avevo fatto quella sera a casa sua, a Londra, quando sembrava che i nostri corpi non si sarebbero mai potuti allontanare anche da un semplice contatto come era una stretta di mano.

« Bella aspetta…..»

Provò ancora a dirmi, ma io mi allontanai ulteriormente sempre sorridendo:

« Buon Natale Edward e buonanotte. Ci vediamo domani ok?»

«Ok » e potei percepire il suo sguardo sulla schiena fino a che non raggiunsi la mia auto.

« Hai bisogno che ti accompagni?»

« No grazie, già ti ho svegliato in piena notte…buonanotte ancora»

«Notte mia Bella » e lo vidi allontanarsi dal punto che era stato testimone di quel mio gesto spontaneo quanto improvviso, solo quando la mia auto ebbe imboccato il cancello di casa sua.

 

 

 

 

 

 

Note: dite la verità!!!!!vi aspettavate di più????Ma ormai lo sapete....io ci vado con i piedi di piombo. Comunque scrivere l'ultimo pezzo mi ha emozionato un pò e spero di trsmettere questa "elettricità" anche a voi.

alla prossima

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** “Famiglia” ***


Capitolo 31

“Famiglia”

 

Il mattino dopo la mia mente non aveva ancora abbandonato il ricordo della sera. Quando aprii gli occhi e realizzai che era Natale, che mio padre aveva passato la notte da Sue e che io avrei passato il resto della giornata a casa Cullen, balzai dal letto abbandonando i miei sogni romantici e iniziai a prepararmi.

Per la prima volta tirai fuori un po’ di malizia e decisi di dedicarmi alla cura di me stessa in modo maniacale. Volevo essere al meglio per lui. Forse fu proprio il pensiero degli sguardi che Edward ultimamente mi riservava a convincermi ad indossare un abito semplice quanto d’effetto con tanto di accessori abbinati. Non era un abito particolarmente elegante, in fondo era una giornata a casa di amici, ma speravo che vedendomi in modo diverso dal solito potesse interessarsi maggiormente  a me.

Quando terminai erano già le undici e mi apprestai ad uscire con i miei regali di Natale sapientemente nascosti in una borsa, elegante quanto ampia. Quello che non immaginai fu l’arrivo del principe azzurro alla mia porta, che aveva deciso di portarmi al suo castello anziché su un cavallo bianco con un bel SUV della Volvo nero.

« Ma che ci fai qui ?» me lo ritrovai davanti quando spalancai la porta.

« Pensavo che visto il ghiaccio che c’è per strada, sarebbe stato più sicuro venirti a prendere, piuttosto che farti girare con la tua auto..se così si può chiamare…» e un ghigno gli uscì dal volto

« Ehi non offendere il mio pick!! Visto l’età si sta comportando alla grande!» lo rimbeccai difendendo il mio immortale.

« Beh certo, va ancora in moto! » continuò lui allargando il sorriso. Ogni espressione gli conferiva un’aria tremendamente interessante e seppur conoscessi di lui ormai ogni dettaglio non mi sarei mai stancata di osservalo.

« Aspetta un momento, anziché prendermi in giro per la mia auto mi spieghi come facevi a sapere che stavo uscendo? ». Gli chiesi mentre mi chiudevo la porta alle spalle e insieme iniziavamo a scendere i gradini che portavano al vialetto.

«Non lo sapevo…», disse mentre si grattava la nuca in un evidente stato di imbarazzo « mia madre mi ha accennato ad un orario che vi eravate date e io mi sono presentato un po’ in anticipo per essere sicuro di beccarti e accompagnarti».

« Un po’ in anticipo quanto??» il mio tono era seriamente stupito: da quando un uomo di trent’anni suonati faceva la posta sotto casa ad una ragazza? Ci mancava solo la serenata….

« Dalle ….nove?»

« Ma sono due ore!! Non potevi suonare prima? ti avrei fatto entrare e almeno non saresti congelato» gli risposi quasi sconvolta dal quel suo atteggiamento.

« Beh sai, non sapevo se c’era tuo padre e poi pensavo volessi riposare un po’ di più visto che sei andata a dormire tardi ieri sera…» e nel dire questo mi lanciò uno sguardo abbastanza eloquente su quell’ultimo momento passato insieme.

Ecco sfiorato l’argomento. Sapevo che prima o poi  sarebbe tornato fuori e non sapevo proprio cosa aspettarmi da lui. In fondo quello che avevo fatto non era andato poi molto oltre le nostre abitudini ed era stato dettato dal cuore, ma non sapevo come avrebbe potuto intenderlo. In realtà non avrei nemmeno io saputo bene come spiegarglielo e quindi pregai che non entrasse nel dettaglio.

« Comunque se sei pronta..andiamo? Mia madre e Rosalie non vedono l’ora di fare quattro chiacchiero con te»

« E Alice?»

« Non è ancora arrivata. Ci sono stati dei ritardi a causa di nevicate a Parigi. Spero proprio che non si perda il Natale: è il primo che passiamo tutti insieme da un paio di anni».

Lo guardai stupita « Cosa intendi?».

Edward abbassò lo sguardo prima di parlare, dimostrando un evidente senso di frustrazione a rivangare certe cose: «Il Natale scorso non sono tornato. Non me la sono sentita di affrontare la mia vita a Seattle dopo così poco tempo che me ne ero andato e così sono rimasto in Inghilterra chiedendo ai miei di non venire»

« Stai scherzando? ». Ero seriamente sconcertata da questa rivelazione. La sua rottura con Leah e con la famiglia Black in generale era stata talmente profonda da non consentirgli di superare la cosa, tanto da passare un po’ di tempo con i suoi.

« In realtà è da sei mesi che ho ricominciato a vedere regolarmente la mia famiglia e per lo più perché vengono loro a trovarmi».

Sgranai gli occhi e una domanda mi venne spontanea: « Ed da quanto non tornavi negli Stati Uniti?»

« Da un anno e mezzo, fatta eccezione per un salto a New York ad aprile scorso per vedere la premiazione di mio padre all’associazione medica americana».

Rimasi scossa da tutto questo: era tornato solo con me e la prima cosa che mi venne spontanea fare fu lasciare la mia borsa a terra e stringermi a lui, che ricambiò il mio abbraccio istintivamente.

« Devi aver sofferto così tanto» sussurrai dolcemente al suo orecchio.

« Siamo in due allora, ma direi che ce la stiamo cavando egregiamente, che dici?»

Si capiva che la sua risposta era data con lo scopo di allentare la tensione e deviare un’ipotetica domanda che avrei voluto fargli sul perché aveva deciso di tornare proprio ora e con me.

« Direi che è proprio il momento di andare». Mi prese per mano e mi condusse all’auto aprendo come suo solito lo sportello ed invitandomi ad accomodarmi nei lussuosi sedili in pelle.

Il tragitto fino a casa sua fu molto silenzioso, ma più di una volta mi scoprii ad osservalo e a notare un suo sguardo sorridente verso di me.

Quando arrivammo a casa Cullen rimasi allibita per gli splendidi addobbi che probabilmente Rosalie aveva messo il giorno prima.

Appena entrata in casa sia lei che la madre mi accolsero calorosamente e mi offrii subito di aiutarle in cucina con disappunto di Ed che avrebbe voluto farmi vedere la casa. Chiacchierammo del più e del meno e non so perché, ma il senso di tranquillità che mi infondeva stare a contatto con quella famiglia era qualcosa di cui avevo proprio bisogno.

Erano settimane che i miei problemi passati non mi disturbavano neanche quando mi passavano nella mente e questo mi rendeva estremamente felice. Ogni tanto Ed si affacciava alla porta e abbandonandosi allo stipite con la spalla ci guardava e commentava quello che stavamo facendo, beccandosi più di una volta i rimproveri della madre per la sua insolenza. In particolare mi accorsi di quanto spesso si soffermasse su di me e sui gesti che facevo senza distogliere mai lo sguardo quando ricambiavo a mia volta.

Quando il più fu fatto mi offrii di apparecchiare la tavola e lo costrinsi ad aiutarmi. Al contrario di quello che pensavo non si lamentò e capii dopo il perché: ogni volta che ci passavamo o gli porgevo qualcosa non perdeva occasione per far sfiorare i nostri corpi; da un semplice contatto delle braccia, allo sfioramento delle sue mani sui miei fianchi con la scusa di passare da una parte all’altra del tavolo, senza contare lo scambio di occhiate silenziose che lasciavano ben poco all’immaginazione. Capii il perché di tutto questo quando nel sistemate l’ultimo centrotavola sentii le sue mani su entrambi i miei fianchi, il suo fiato solleticarmi il collo e la sua voce provocarmi mille brividi:

« Sei bellissima, non che tu non lo sia sempre , ma hai una luce oggi che fa impallidire le stelle».

Ecco… ero andata proprio in brodo ora…. e dovetti chiudere gli occhi e prendere un grosso respiro prima di rispondergli, anche perché una marea di stelline cominciavano a vorticarmi nella testa.

« Grazie » gli risposi con la voce alquanto imbarazzata e senza voltarmi del tutto o si sarebbe accorto del mio stato anche dal rossore del mio viso. Le sue mani sui miei fianchi cominciavano ad essere incandescenti e fui grata di sentire il rumore della porta che ci distolse da quel contatto.

Carlise entrò in quel momento con uno splendido sorriso per il turno terminato e la gioia di poter passare il Natale con tutta la sua famiglia:

« Buongiorno Bella come stai, buon Natale », mi disse in modo pacato.

« Buon Natale anche a te e grazie ancora per l’invito»

«E di cosa? – mi rispose – sono così felice di avere finalmente mio figlio per un po’ a casa che ti avrei fatto un monumento se fosse stato possibile». Rimasi un attimo interdetta: quindi la famiglia Cullen attribuiva a me il merito di averlo fatto tornare. Era proprio quello che avrei voluto chiedergli davanti a casa mia. Mi sentivo molto lusingata di questo, ma anche un po’ in imbarazzo, perché se fosse stato veramente così avrebbe voluto significare che mi vedevano come qualcosa di più che una semplice collega di lavoro.

Non feci in tempo a formulare coerentemente questo pensiero che Esme entrò in soggiorno, con il pranzo, salutando con un bacio appassionato il marito e mettendo me e i suoi figli un po’ in imbarazzo per le effusioni. In realtà non c’era niente di più bello che veder quanto queste due persone si amassero anche dopo tanti anni.

« Peccato che non ci sia Alice » dissi spontaneamente.

« Sono sicura che ci raggiungerà al più presto, direi che la famiglia è già a buon punto così » rispose Esme, osservando con un sorriso compiaciuto prima me e poi il figlio.

Il pranzo passò molto allegramente. Quando terminammo Edward insistette per farmi fare una passeggiata nel bosco lì a fianco, lasciando la madre e la sorella a sistemare prima di farmi fare un giro completo della casa.

Mi posò il cappotto sulle spalle e mi invitò ad uscire dalla porta principale. L’aria era molto fredda, ma aveva smesso di nevicare. Ci addentrammo appena tra gli alberi chiacchierando del più e del meno quando una sua frase mi bloccò: «Sono così felice che tu abbia accettato l’invito di mia madre a stare qui oggi»

« Anche io sono felice di esserci, la tua famiglia è veramente meravigliosa. Posso capire quanto abbia sofferto nel prendere la decisione di abbandonarla per andare a lavorare in un altro continente».

Ma cosa mi diceva il cervello? Una volta che non ci pensava lui mettevo fuori io certi argomenti? Probabilmente la sua vicinanza mi mandava letteralmente in pappa.

« Già, ma ora ho trovato qualcosa per alleggerire le mie pene >> disse fissandomi intensamente. Parlava di me, di noi, della nostra amicizia e in quel momento pensai di buttargli le braccia al collo e baciarlo senza permettergli di dissentire. Per mia fortuna mi trattenni o avrei fatto la figura dell’assatanata.

« Che ne dici se domani andiamo a fare un giro, io e te a Port Angeles? È da tanto che non ci vado e mi piacerebbe farlo in tua compagnia».

Io e lui soli per un’intera giornata? Solo una stupida avrebbe rifiutato. Poi mi venne in mente un’altra cosa: «Sai, quando avevo circa diciotto anni, in un’escursione con Charlie ho trovato una magnifica radura, in una zona un po’ alta, oltre le nubi dove molte volte il sole riesce a trovare uno spiraglio. Ovviamente in questa stagione non sarà fiorita, ma se siamo fortunati il tempo potrebbe essere migliore che qui. Che ne dici di andarci, se la pioggia e la neve ce lo permettono?»

La sua bocca si aprì in uno splendido sorriso: «Direi che è una magnifica idea. Domani la radura e dopodomani Port Angeles. Mi sembra un programma splendido»

« Anche per me». Risposi con la gioia nel cuore e un sorriso in volto che lasciava trasparire tutti i miei sentimenti. Una sua mano si posò sulla mia guancia, quando alcuni piccoli fiocchi ghiacciati iniziarono a cadere su di noi.

« Penso ci convenga rientrare e anche di corsa che ne dici?» mi domandò prendendomi per mano.

« Direi di sì » risposi con una sonora risata, e catturandomi mi portò di corsa verso l’abitazione.

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** “Contatti” ***


Capitolo 32

“Contatti”

 

Quando entrammo in casa eravamo infreddoliti a causa dell’aria gelida che la bufera aveva portato, ma il tepore che proveniva dal camino acceso era veramente confortante. In quel momento guardando Carlise ed Esme abbracciati a chiacchierare sul divano davanti al fuoco, tutto quello che mi veniva in mente era se a me sarebbe mai potuto capitare.

In realtà nei primi tempi che avevo passato con James, avevo deprecato le storie troppo banali e piatte. Mi piaceva quell’aria di passione che la nostra relazione, seppur clandestina possedeva: o per meglio dire era proprio il fatto che non potessimo stare insieme realmente che rendeva tutto più intrigante.

Molte cose erano cambiate da allora: il dolore e lo strascico di una storia di quel tipo non mi attirava più, certo non bramavo un amore piatto fatto di un semplice affetto, ma quello che provavo per Edward era ben lontano dalla monotonia. Quando ero accanto a lui tutte le mie terminazioni nervose si accendevano, come se rispondessero silenziosamente ad un appello di contatto con il suo corpo e il suo animo. Perché questo era tra noi, ancora più che qualcosa di fisico: qualcosa di emotivo che partiva dal cuore e arrivava al cervello, passando dalla razionalità all’emotività.

In cuor mio, per quanto potessi pensare, non ricordai di aver mai provato sentimenti così totalizzanti per nessuno.

In quel momento sentii la stretta di Ed rinsaldarsi nella mia mano e quando lo guardai potei vedere un bagliore nei suoi occhi. Era felice per i suoi ed era orgoglioso del fatto che dimostrassero apertamente il loro amore senza remore: anche a me sarebbe piaciuto poter dimostrare all’uomo che avevo accanto tutti i miei sentimenti in modo così totalizzante e unico. Avrei approfittato di ogni piccolo gesto per far sì che Edward capisse.

Mi invitò a bere qualcosa e mentre ci trovavamo in cucina la mia attenzione fu calamitata da una strana conversazione telefonica di Rosalie. Lì per lì non feci caso alle parole, ma il tono e il volume erano indice di una chiacchierata molto “intima”. Incuriosita chiesi a Ed, che rovistava chinato dentro al frigo, se Rosalie aveva un ragazzo:

« Che sappia io no, ma sai era da parecchio che non ci vedevamo. Tutto è possibile, è sempre stata una ragazza molto popolare».

Potevo capirlo, era di una bellezza veramente unica e in più con il suo caratterino avrebbe conquistato il mondo intero.

« Però, a dire la verità… – continuò – in  queste settimane a Londra non l’ho mai vista telefonare a nessuno: ha iniziato a farlo quando siamo rientrati a Forks»

« Allora le cose sono due: o è qualcuno di qui, con cui ha riallacciato i rapporti in due giorni….. – guardai lo sguardo scettico di Ed – oppure è qualcuno in Inghilterra che fino a due giorni fa non aveva necessità di chiamarla al telefono»

« Non ci avevo pensato », disse alzandosi dal frigorifero e guardandomi con l’aria pensierosa, « se dovrò combinarne qualcuna meglio che non mi faccia scoprire da te, non ti sfuggono i particolari…» e trangugiò un bicchiere di succo di frutta socchiudendo gli occhi.

« Lo sai che non ti ho ancora mostrato la mia stanza? Sono sicuro che ti piacerà, andiamo….» e così dicendo mi guardò fisso negli occhi e  mi porse la mano invitandomi a seguirlo: quando mi guardava in quel modo e mi offriva il suo sostegno, il mio cuore iniziava a battere forsennatamente e lo avrei potuto seguire anche all’inferno.

Ricambiai la stretta e mi alzai dallo sgabello abbassando lo sguardo. Salimmo le scale sempre tenendoci per mano, lui davanti a me, e potei deliziarmi del resto della casa decorata e arredata con un gusto veramente impeccabile, nonché della splendida luce che filtrava dalle enormi vetrate sparse ovunque: quando ci trovammo al terzo piano potei notare solo due porte che si affacciavano al corridoio. Edward si diresse verso quella di destra e aprendola mi fece accomodare per prima nel suo regno.

« Sai, in verità non pensavo che mia madre sarebbe riuscita a ri-arredarla così come era quando abitavamo qui, in fondo avevo quindici anni. E’ riuscita a miscelare entrambe le mie stanze, quella del liceo e quella di Seattle e ti dirò il risultato mi piace molto».

Lo sentivo parlare, ma in realtà non ascoltai molto di quello che mi spiegò, perché ero completamente ammaliata dalla stanza in cui mi trovavo; un’enorme vetrata con la veduta sul bosco si estendeva per tutta la parete alla mia sinistra e in una parte di quella di fronte, che aveva anche un piccolo terrazzo: alle pareti centinaia di  libri e di cd musicali, alcuni quadri e foto veramente spettacolari. Al centro della parete di destra troneggiava uno splendido letto con baldacchino moderno e di fronte un piccolo divano in pelle nera. Rimasi probabilmente a bocca aperta per un tempo indefinito perché furono le sue parole a riscuotermi: «Non mi hai detto ancora nulla…ti piace?»

« Mi piace???!!! Ma ti rendi conto di quanto è fantastica, sarebbe il sogno di chiunque e poi…trovo che ti rappresenti in pieno: tranquilla, riflessiva ma dotata di un magnetismo  unico » e nel dire queste parole lo guardai con un leggero sorriso sollevando un sopracciglio.

« Ti va se accendo un po’ di musica?»

« Certo non devi neanche chiederlo » e mentre lui si allontanava alle mie spalle per azionare l’impianto, mi avvicinai all’enorme vetrata e guardai fuori, beandomi di quel paesaggio che se anche battuto dalla neve mi infondeva una serenità mai provata. Da quell’altezza perfino i grandi sempreverdi della foresta di Forks sembravano alberelli.

I cristalli di ghiaccio iniziarono a battere sul vetro bagnandolo, spinti probabilmente dal vento e istintivamente allungai una mano appoggiandola alla fredda superficie: la neve mi metteva sempre un po’ di malinconia seppure non fossi una fanatica del sole, e probabilmente a causa dell’umidità presa poco prima  in giardino mi strinsi spontaneamente nelle spalle, accarezzandomi gli avambracci come per cercare un po’ di tepore.

In quel momento mentre sentivo le dolci note di Debussy spargersi nell’aria, le mani di Ed si posarono prima sulle mie spalle e poi sopra alle mie stesse mani, sfregando dolcemente.

« Hai freddo?»

«No, è che questa veduta mi dà un senso di pace e mi crea strane sensazioni». Sapevo che non era solo la veduta a provocarmele, ma anche il luogo e la compagnia.

A quelle parole lo sentii ritirarsi, pensando forse di essere stato inopportuno, ma lo fermai girando appena la testa, più convinta che mai di quello che stavo per chiedergli: « Aspetta, non andartene…» sciolsi la mia stretta e presi le sue mani incrociandole intorno al mio corpo, fino a che il suo torace non fu completamente a contatto con la mia schiena, le sue braccia intrecciate sulle mie e la mia testa appoggiata alla sua spalla.

«Sto così bene quando mi sei accanto » e dicendo queste parole mi girai leggermente per guardare il suo volto e le emozioni che da esso potevano trasparire. Non rispose, ma potei notare i suoi occhi farsi più lucidi e il respiro appesantirsi. Iniziò a strofinare le sue mani sulle mie braccia e poi mi fece una domanda che mi spiazzò:

« Sei felice?»

« Come scusa ?»

Lì per lì pensai di aver capito male, una domanda così intima fra noi non era mai capitata.

« Ti ho chiesto se sei felice della tua vita, ora», il respiro più regolare, la voce più roca, un invito assoluto a guardarlo negli occhi; non potei fare a meno di assecondarlo fissandolo a mia volta e rispondendo come mai avrei pensato in quel momento: « Sì, da un po’ di tempo sì».

Lo vidi sorridere in quel suo modo unico, poi lo sentì allentare la presa e affiancarmi.

« Come vanno i tuoi fantasmi del passato? Sono ancora presenti?». Mi voltai di scatto quasi folgorata. Sgranai leggermente gli occhi e poi sorrisi abbassando lo sguardo.

« Raramente ci penso e sai che c’è di nuovo? – fece un accenno negativo con la testa – che non provo assolutamente più nulla. Non sento il bisogno di essere triste o dispiaciuta per come sono andate le cose. Ora sono realmente serena».

Era vero, non avevo un amore di rimpiazzo, non avevo una storia di sesso, avevo un sentimento non ancora chiarito, ma ero felice. Il vuoto lasciato dalla mia separazione con l’uomo che avevo amato per dieci anni ormai era stato colmato: anche i miei problemi di salute erano passati in secondo piano; pur sapendo che prima o poi avrebbero potuto incrinare le mie nuove certezze, non erano più una priorità e forse per questo non avevo più avuto strette al torace e stati di ansia.

«Posso chiederti una cosa io ora?»

« Sì, dimmi»

«Se era da così tanto che non te la sentivi di tornare qui, cosa ti ha fatto cambiare idea?». In quel momento il contatto tra i nostri corpi si limitava alle nostre braccia una a fianco all’altra che si sfioravano. I nostri occhi erano puntati sulla vetrata di fronte a noi.

« Con te mi sono sentito più coraggioso e poi sapendo che saresti tornata comunque non me la sono sentita di lasciartelo fare da sola. Io….. mi sento molto…. protettivo nei tuoi confronti *».

Ci guardammo negli occhi in quel momento e cercai di allentare la tensione scherzando.

«Sei sempre pronto a salvare damigelle in difficoltà…» dissi ridendo.

Vidi un sorriso forzato sul suo volto spegnersi, poi quasi digrignando i denti lo vidi prendere un profondo respiro e scuotere la testa. Mi voltai verso di lui. Mi aveva chiesto di James  ma lui? Pensava mai a Leah? Forse era per questo che si era rattristato improvvisamente.

«La verità… » iniziò con una voce talmente bassa da essere coperta dal rumore delle note dallo stereo…ma poi si fermò. Sembrava non riuscisse a parlare; che per la prima volta fosse lui quello bisognoso di conforto.

Era sempre stato più forte, più realista, più pacato ma deciso, più sicuro di qualsiasi cosa. Ora lo vedevo per come era veramente: una persona che aveva dato tanto, perso tanto, sofferto e fatto soffrire, ma che ancora non aveva messo da parte l’aspetto più cupo del suo carattere e della sua vita. Mi voltai verso di lui e, allungando una mano al suo volto, lo feci ruotare verso di me.

« Parlami Edward, qual è  questa verità che ti stringe il cuore? posso sentirlo sai» lo accarezzai guardandolo nel modo più dolce possibile.

« La verità è…..che non riesco a trovare la forza di stare lontano da te neanche un minuto *».

Lo aveva detto.

Ecco perché era tornato, ecco perché era triste. Sapeva che si stava facendo trasportare dalla nostra amicizia più di quanto avrebbe potuto controllare. Non era per il suo passato, per un’altra, era per me, per il futuro. Se solo fosse stato a conoscenza dei miei sentimenti…magari li avrebbe contraccambiati o preoccupato di soffrire e far soffrire ancora li avrebbe repressi. Io non volevo che trovasse quella forza che lo avrebbe potuto allontanare da me, ero tremendamente egoista tanto che lo avrei tenuto vicino anche senza potergli dare l’amore che avrebbe meritato.

Solo una risposta mi venne naturale e la voce quasi mi si incrinò: « allora non farlo, non farlo  mai» mise la sua mano sulla mia, che ancora gli accarezzava la guancia.

«Abbracciami ti prego», gli dissi quasi sussurrando. Il viso più disteso gli occhi che sembravano già più felici di qualche secondo prima. Stavo quasi per ripetergli la mia richiesta più ad alta voce ormai senza più alcuna difesa o ritegno, per offrirgli i miei sentimenti su un piatto d’argento, quando mi prese  e mi strinse con un’intensità tale che i nostri cuori si sarebbero potuti scontrare nei loro battiti.

Il mio volto appoggiato alla sua spalla, le mie braccia che lo circondavano fino alla schiena e lui che mi accarezzava il collo con le mani. Si staccò dopo un tempo troppo breve per i mie gusti, per prendere un nuovo respiro, chiudere gli occhi e appoggiare la sua fronte sulla mia nel più semplice quanto profondo dei tocchi.

Anche io a mia volta chiusi gli occhi deglutendo più volte e beandomi del contatto con la sua pelle morbida.

Quando le nostre fronti si staccarono quasi malvolentieri ci guardammo negli occhi e in un attimo i nostri sguardi iniziarono a vagare alle nostre labbra e viceversa; il nostro abbraccio non si allentò, così come le sue carezze sul mio collo e le mie sulla sua schiena. Pochi centimetri ci dividevano da quello che sarebbe stato un bacio consenziente, il primo effettivo e desiderato con ogni fibra di noi stessi. Non c’era serenità, non c’era amicizia, c’èra solo i momentaneo desiderio di sentirsi uno e l’altro, distanti ma tremendamente vicini.

Quando ormai avevo azzerato ogni mia razionalità, dei passi e una voce squillante ci penetrò nelle orecchie, bloccando il nostro avvicinamento e interrompendo il magico momento che si era venuto a creare in quella stanza. Un lieve sorriso comparve sul mio volto, quanto una leggera smorfia su quello di Edward.

« Ragazzi siete qui?????»

Solo una parola dalle sue labbra e in contemporanea dalle mie:

«Alice!!».

 

 

 

 

 note: ok non uccidete Alice vi prego!!!mi sta troppo simpatica!! la verità è che conoscendo questi due forse non si sarebbero baciati lo stesso...troppo fifoni!! spero comunque che vi sia piaciuto anche perchè tre capitoli postati in un giorno sono veramente tanti. Non fateci l'abitudine!!!in realtà cerco di farmi perdonare in anticipo perchè so già che martedì e mercoledì saranno due giornate improponibili e quindi con molte probabilità posterò solo domani e poi si salta a giovedì. Vedremo come andranno gli impegni!!!

Non mi stancherò mai di ringraziare tutti: ho sfondato i 100 seguiti e le 50 recensioni! ma chi se lo sarebbe mai aspettato

grazie grazie grazie

ps. le frasi contrassegnate dall'asterisco sono prese dal film. non me ne vogliate, ma qui erano perfette!!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** “Dolci intermezzi” ***


Capitolo 33

“Dolci intermezzi”

 

Un tornado con i capelli corvini spalancò la porta e si gettò al mio collo e successivamente a quello di Edward.

Eravamo riusciti a scioglierci, anche se malvolentieri dalla nostra stretta solo un attimo prima che la sorella più impicciona del monto entrasse nella stanza, ma eravamo comunque ancora uno di fonte all’altra, tremendamente vicini e con un’espressione di colpevolezza e rammarico nello stesso tempo.

« Tutto bene sembri strano? ». Alice guardò il fratello e poi si rivolse a me chiedendomi la stessa cosa. Chissà cosa avrebbe pensato se avesse saputo che ci aveva interrotti su quello che poteva essere un nostro primo bacio. Visto le sue supposizioni quando eravamo a Londra, probabilmente si sarebbe picchiata da sola. Ma forse lo capì dal mio sorriso appena accennato.

Si limitò ad un “oh” e poi mi trascinò con sé, per raccontarmi le novità delle ultime settimane e per darmi il regalo di Natale.

Santo cielo, appena entrata in quella casa ero stata risucchiata in un vero e proprio vortice e avevo dimenticato che anche io avevo dei regali per loro!

« Alice – la interruppi – anche io ho dei regali, per te Esme e Rosalie, me ne ero proprio dimenticata» e in quel momento mi voltai verso Ed che sorrideva a trentadue denti.

Alice fece per trascinarmi letteralmente per un braccio al piano di sotto, ma prima di riuscirci potei fissarlo e sentire chiaro il suo invito appena sussurrato:

« Ti aspetto nel salone quando sei libera» e non lasciai i suoi occhi fino a che non fummo fuori dalla stanza.

«Oh Bella mi sei mancata, dimmi la verità – mi disse quasi sussurrando – come sta andando con mio fratello?».

La guardai rossa in viso e con un sorriso sornione cercai amorevolmente di farle capire cosa era accaduto:

«A dire la verità sarebbe andata meglio se tu non fossi piombata in quella stanza cinque minuti fa».

Alice sgranò gli occhi: «Oddio mi dispiace Bella, che stupida sono stata, come posso farmi perdonare? ». Sembrava veramente mortificata e non potei fare altro che consolarla.

« Non ti preoccupare, forse è meglio così, non sono ben sicura sia la cosa giusta affrettare troppo i tempi. Non vorrei che si “spaventasse” diciamo».

Ma a chi volevo darla a bere? I tempi sarebbero stati giusti eccome, almeno per me e quell’interruzione mi era dispiaciuta molto. Cercai comunque di non fargliela pesare.

« E a te come è andato il viaggio di ritorno? Mi hanno detto che ci sono stati problemi per la neve»

« Mmh…già..proprio così». Mi rispose abbassando lo sguardo.

Perché avevo avuto la sensazione che stesse mentendo? Non era da lei essere in imbarazzo, specie per una domanda senza malizia. Pensai all’espressione di Rosalie di qualche ora prima al telefono. Mi venne il serio dubbio che le sorelle Cullen nascondessero entrambe qualcosa di personale.

Quando arrivammo alla fine delle scale Rosalie e Esme erano intente a chiacchierare sul divano e probabilmente discutevano delle prospettive di lavoro di Rosalie in Inghilterra. « Per ora mamma mi accontento, poi si vedrà. Non escludo la possibilità di riprendere gli studi, dipende da tanti fattori».

In quel momento vidi un sorriso illuminare il volto di Esme: sapevo che stava male per la lontananza dei suoi figli, ma voleva il  meglio per loro e sapere che Rosalie stava pensando di rimettere la testa a posto le provocava un sano orgoglio materno.

« Quando ripartirai tesoro?»

« Il giorno dopo capodanno, non sono riuscita ad ottenere di più mi dispiace». E abbassò lo sguardo quasi nel tentativo di scusarsi.

Non sapevo nulla di questo. Pensavo che sarebbe rientrata con noi la settimana successiva.

« Beh coraggio tutte sedute – interruppe Alice – ho portato un sacco di cose per tutte voi». Il volto le si illuminò e iniziò ad estrarre dal trolley che aveva con sé, pacchetti e pacchettini da aprire. Passammo la mezz’ora successiva a scartare i suoi regali. Secondo me aveva svaligiato il reparto accessori della casa di moda per la quale pubblicava, ma fui felice di poter condividere quel momento così spensierato.

Improvvisamente si avvicinò a me con una bottiglietta e mi prese un polso spruzzando un po’ di contenuto su di esso. Sapeva di fiori, un misto di lavanda e orchidea: non amavo il profumo, ma dovetti ammettere che questo si sposava perfettamente con la fragranza della mia pelle.

« Credo che per te sia perfetto, è tutto naturale, sono certa che qualcuno ne impazzirà». Mi sentii terribilmente in imbarazzo per quel’affermazione soprattutto perché era avvenuta tra gli sguardi compiaciuti di Esme e Carlise, accorso per vedere cosa combinavano le sue donne da oltre mezz’ora in soggiorno.

Edward era ancora in camera sua e mi chiesi se il nostro avvicinamento di poco prima ne potesse essere la causa; magari ci aveva ripensato e se ne era rammaricato.

Non avevo ancora terminato di formulare il mio pensiero che lo vidi scendere dalle scale con un’espressione seria, ma serena e unirsi a noi nello scambio dei regali.

« Avrei qualcosa anche io» dissi timidamente. Gli occhi di tutti mi fissarono stupiti.

«Non sapevo cosa prendere per ringraziarvi della vostra ospitalità, sono solo poche cose non aspettatevi nulla di che».

« Bella non dovevi, sei stata veramente gentile, mi ripose Carlise». Porsi a tutti, tranne che a Ed ovviamente, i miei regali; orecchini e bracciali per Esme e le ragazze, un libro antico per Carlise. Tutti mi ringraziarono calorosamente e mi bloccai quando sentii Ed appoggiare le mani sui miei fianchi e sussurrarmi «che ne dici di venire di là?».

«Ok », gli riposi sorridendo. Stavamo per congedarci quando Carlise ci fermò.

« Scusate ragazzi, ma prima di dividerci e tornare alle nostre occupazioni, volevo rendere partecipi i miei figli di una scoperta». Tutti si fermarono ad ascoltarlo. Feci il cenno di allontanarmi, mi sembrava che quel momento fosse solo familiare, ma la sua voce mi bloccò: «No, resta mi fa piacere che tu sia presente». Ora ero seriamente in imbarazzo: neanche li conoscevo e venivo trattata come una di famiglia. Queste persone erano veramente qualcosa di unico.

«Come sapete – iniziò – è da tempo che, dopo aver ritrovato alcuni vecchi documenti, faccio ricerche sulle origini della nostra famiglia e finalmente hanno dato i loro frutti». Lo vidi srotolare una pergamena su cui era rappresentato un blasone con un leone, una mano  e tre trifogli: «Questo è il nostro stemma. È molto antico ed ha origini europee».

Spiegò a grandi linee il significato: la forza, la bellezza… e poi consegnò ad ognuno dei suoi figli una scatola.

Quando la aprirono potei vedere la commozione sui loro volti: ad ognuno era stata regalata una rappresentazione dello stesso stemma. A Rosalie un cameo, a Alice un ciondolo, a Edward un bracciale a fascia. «Io e mamma abbiamo optato per questo» e mostrarono uno splendido anello con la stessa immagine.

« Ricordate ragazzi che dovunque andremo e qualsiasi destino avranno le nostre vite saremo sempre noi, sempre i Cullen: una famiglia. E vorrei che questi oggetti vi aiutino a ricordarlo».

Improvvisamente vidi i tre figli correre incontro ai loro genitori ed abbracciarli e subito dopo mi resi conto che le lacrime stavano bagnando il mio viso. Era la prima volta che vedevo una dimostrazione di amore così forte in una famiglia e per un attimo sperai ardentemente di poterne far parte un giorno.

« Bella ti senti male? ». La voce calda di Edward mi ridestò dai miei pensieri. Mi affrettai ad asciugare le lacrime non appena mi accorsi che tutti mi stavano osservando.

«No, tutto bene – risposi – è solo che siete una famiglia meravigliosa. Io adoro mio padre e mia madre, ma mi è sempre mancato tutto questo e quindi… » non riuscii a terminare, le mani calde di Ed finirono di asciugarmi le lacrime e mi portarono nella sala a fianco, dove troneggiava uno splendido pianoforte a coda, molto simile a quello che aveva nella sua casa di Londra.

Nel giro di pochi minuti il soggiorno si era vuotato. Tutti si erano spostati ad altre attività. Quando mi ripresi capii che quello sarebbe stato il momento migliore per dare ad Ed il mio regalo.

Mi prese per mano e mi fece accomodare accanto a lui sullo sgabello: mise le mani sui tasti e iniziò a suonare la stessa melodia che avevamo ascoltato in camera sua. Mi fermai incantata come era già successo  e seduta accanto a lui mi sembrava di poter sentire l’elettricità della musica spigionarsi dal suo corpo ed entrare nel mio.

Chiusi più volte gli occhi per percepire a pieno le vibrazioni e quando terminò un applauso mi partì spontaneo: «Sei magnifico. Suoni in modo assurdo, non ho mai avuto modo di dirtelo, ma sei veramente bravo».

« Grazie. Senti Bella a proposito di prima….». Vedevo il suo sguardo imbarazzato e compiaciuto nello stesso tempo: non sembrava dispiaciuto di ciò che stava per accadere in camera sua, ma avevo capito che, pur provando forti sentimenti per me, aveva bisogno di pensarci ancora un po’ su.

« Tranquillo – gli dissi accarezzandogli il volto – è tutto ok. Facciamo passare questi giorni qui in America divertendoci senza pensieri e poi ne riparleremo arrivati in Inghilterra, se vorrai». Un sorriso comparve sul suo viso: probabilmente temeva che mi sarei potuta offendere a questi suoi dubbi, ma anticipando qualsiasi tipo di conversazione positiva o negativa gli avevo dimostrato che ero io la prima ad essere serena.

«Direi che “qualsiasi” cosa può aspettare» e calcai su quel “qualsiasi” per fargli intendere che avrei accettato di tutto. In realtà in quel momento se mi avesse detto che mi amava sarei stata la più felice del mondo, così come mi sarei rammaricata del contrario. Ma ero convinta che non mi sarei disperata, perché il tempo avrebbe sempre potuto cambiare le cose e io lo avrei potuto avere comunque accanto come amico.

Mi alzai e presi la borsa estraendone il pacco per lui.

« Questo è per te» lo vidi sorridere.

« Temevo che ti saresti arrabbiata, ma ora ho la scusa di aver ricambiato»

Non capii lì per lì cosa intendesse finché non lo vidi posare una scatola stretta e lunga sui tasti del piano. Rabbrividii. Dalle dimensioni doveva essere per forza qualcosa di prezioso. Ormai avevo individuato il suo standard.

Prese il mio pacco e lo aprii. Il porta spartiti in pelle e ricami in oro faceva bella mostra di se e mi sentii soddisfatta della mia scelta quando vidi i suoi occhi spalancarsi e la sua voce sussurrare un labile « è splendido».

« Aprilo »

Voltò la preziosa copertina e quando vide il contenuto della prima pagina mi guardò quasi sconvolto. Una preziosa pergamena con lo spartito di “Claire de Lune”  troneggiava nella prima pagina.

« Non immaginavo che fosse uno dei tuoi compositori preferiti, ma quando l’ho sentita in camera tua poco fa ho sperato di aver indovinato i tuoi gusti. Sai…è una delle mie preferite»

« Non sarà mica un originale?»

« Beh se sia originale non so, ma è sicuramente antica, perché non ti piace? Sono convinta che quelle che inserirai tu non saranno da meno credimi»

« Non ho parole, tu sei pazza!» mi canzonò con gli occhi chiaramente commossi. Il mio cuore esultò: lo avevo reso per un attimo veramente felice. Mi strinse a se e mantenendo un braccio attorno alle mie spalle e mi invitò ad aprire il suo.

Quando lo presi le mani mi iniziarono a tremare. Sapevo che non equivaleva ad una proposta di matrimonio, ma se dentro ci fosse stato ciò che pensavo….beh non sarebbe stato certo un regalo destinato ad una semplice amica.

E fu ancora meglio di  quello che pensavo. Quando sollevai il coperchio uno splendido bracciale a fascia troneggiava sul velluto. Si vedevano chiare tre file di brillanti interrotte da una placca di oro bianco su cui era inciso il mio nome in caratteri eleganti.

Lo estrasse per me dalla custodia e me lo appoggiò al polso. Subito prima che lo allacciasse notai un’incisione anche nel lato interno della placca e lo fermai

ogni volta che ti vedo è come se il mondo mi sorridesse “

E.

« È solo che volevo ricordassi chi te lo ha regalato e quanta importanza hai per me» mi disse prima che potessi ribattere qualsiasi cosa.

« Non potrei mai dimenticarlo». Lo guardai con gli occhi lucidi. Me lo allacciò e poi asciugo le lacrime prima che scendessero. « Il mio intento non era renderti triste».

« Non lo sono infatti, anzi il contrario, è che sono un po’ emotiva e…» presi il respiro e abbassai lo sguardo.

Mi prese il mento tra le dita in un gesto ormai familiare quanto delicato: «lo so, ma questi occhi devono solo sorridere » e vi posò sopra un delicato bacio, per poi lasciarmene uno più profondo sulla fronte. Potei giurare di averlo visto soffermarsi con lo sguardo sulle mie labbra e avrei desiderato più di ogni altra cosa quel contatto. Ma ci eravamo detti di aspettare di rientrare e mi andò bene così.

« Buon Natale Bella »

«Buon Natale Edward»

E ci abbracciammo calorosamente.

« Credo sia giunto il momento di tornare a casa. Si è fatto tardi e mio padre si chiederà dove sono finita»

« Ma nevica ancora, potresti anche restare qui. C’è una stanza vuota di fronte alla mia…».

Questo suo invitò mi stupì, ma poi perché avrebbe dovuto in fondo non era la prima volta. A malincuore declinai l’invito. Preferivo dormire nel mio letto lontano da lui e metabolizzare eventi e sensazioni di quella splendida giornata.

« Ok – lo sentii dire rassegnato – ma domani sei di  nuovo tutta per me» mi disse convinto.

« Puoi giurarci » gli soffiai dolcemente sul volto.

Salutai tutti i componenti della famiglia Cullen con un abbraccio, ringraziandoli per la splendida giornata. Io e Ed salimmo in silenzio sulla sua auto, ma entrambi avevamo un aria soddisfatta e rilassata nello stesso tempo.

Quando fummo di fronte a casa mia mi scortò con l’ombrello fino al portico per impedirmi di bagnarmi. Pur conoscendo il suo modo di fare nei miei confronti c’erano ancora gesti e atteggiamenti che mi lasciavano sinceramente meravigliata di quanto potesse essere fantastica una persona.

« Notte mia Bella, a domani » e mi baciò il dorso della mano, che rimase quasi scottato da quel contatto.

Quando entrai in casa trovai Charlie intento a sistemare la cucina. Mi sorrise caloroso e mi chiese come era andata la giornata.

«Splendidamente».

Chiacchierammo qualche minuto fino a che uno sbadiglio non mi sorprese.

«È meglio che tu vada a riposare»

«Già, notte papà»

« Notte Bells. Ah, mi piace proprio quell’Edward». E lo vidi sorridere malizioso.

Ricambiai il sorriso, salii le scale e mi preparai per andare a letto. Ma prima di spegnere la luce, riguardando il mio bracciale, ripensai alla giornata.

Avevo convinto me stessa ad aspettare perché entrambi fossimo sicuri dei nostri sentimenti, ma sapevo che c’era qualcosa di profondo tra di noi e avrei fatto il possibile perché anche lui se ne rendesse conto. Ormai non potevo più vivere senza Edward.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** “La Push” ***


Capitolo 34

“La Push”

 

La sveglia mi ridestò da una delle dormite più pesanti degli ultimi due anni: forse la lunga giornata, forse la tranquillità del mio stato d’animo, fatto sta che mi ero addormentata come un sasso e avevo dormito molto profondamente.

Mi alzai per prepararmi: avrei passato la giornata con Edward alla ricerca della mia radura….,ma quando spostai lo sguardo alla finestra notai qualcosa che mi spense l’entusiasmo immediatamente. Una pioggia fitta e insistente stava cadendo dal cielo e per quanto non fosse una novità in quella zona non avrebbe dato la possibilità di raggiungere la radura. Molto probabilmente a quell’altitudine sarebbe nevicato e questo avrebbe reso pericoloso, oltre che inutile una camminata fin là.

Tutti i miei pensieri sulla giornata sfumarono e a malincuore presi il telefono e chiamai il mio collega di passeggiata, comunicandogli che non saremmo potuti uscire. Almeno non per la radura.

« Se smette di piovere in mattinata potremmo provare » mi suggerì.

« Mi dispiace, ma non credo proprio; intanto è una camminata un po’ lunga è occorre partire di primo mattino e poi lassù questo tempo avrà sicuramente portato un bel po’ di neve: rischia di essere pericoloso» lo sentii chiaramente sbuffare dall’altro capo del telefono.

« Mi dispiace, ci tenevo a vederla»

« Capiterà»

« Vorrei passare ugualmente la giornata con te che facciamo?»

Avrei voluto rispondergli che oltre alla giornata avrei passato anche la nottata con lui, ma poi sarei dovuta fuggire in Canada per la vergogna. Gli risposi che non avevo idee, ma che mi sarei preparata e sarei andata da lui, poi avremmo deciso.

Mi vestii in modo sportivo e mi infilai un giaccone il più possibile pesante e impermeabile. La giornata era troppo umida per dedicarsi all’abbigliamento elegante. Salutai velocemente Charlie e prendendo le chiavi del pick up mi avviai alla porta.

« Non credo che quelle ti serviranno» quasi urlò dal soggiorno, ma non capii assolutamente cosa intendesse finché non aprii la porta e vidi un’enorme jeep alla fine del mio vialetto.

« E’ da circa dieci minuti che ti aspetta lì fuori. L’ho incrociato quando sono rientrato dopo aver preso il giornale. Mi ha salutato e ha detto che preferiva aspettarti qui. È veramente un galantuomo, quasi troppo perfetto per essere vero».

Lo guardai abbastanza sconvolta: probabilmente il mio cuore che aveva preso a battere furiosamente quando aveva visto Edward fuori dalla mia porta su quell’auto enorme, si era fermato alle affermazioni di mio padre.

« Papà non è come pensi tu »

« Oh sì che lo è, e presto te ne accorgerai anche tu. Lui per me ne è già sicuro>>. Non so se mi folgorò di più il fatto che mio padre pensasse che dovevo mettere a fuoco i miei sentimenti o se perché era in un qualche modo al corrente di quelli di Edward.

Gli lasciai un tenero bacio sulla guancia e uscii dirigendomi all’auto: fortunatamente aveva quasi smesso di piovere e non mi servì l’ombrello. Appena entrai il volto sorridente del mio accompagnatore mi accolse: « Ma si può sapere che ci fai qui? Sarei venuta io?» dissi sorridente, in realtà adoravo queste sue improvvisate.

« Quando mi hai chiamato ero già pronto e poi riflettendo su dove saremmo potuti andare ho pensato che questa sarebbe stata l’ideale» disse indicando l’auto.

« Ma di chi è?…è veramente enorme»

« Non ci crederai, ma è di Rosalie…sai per la spiaggia di la Push direi che è l’ideale». La spiaggia di la Push? E quando avevamo deciso di andarci, io ero rimasta che ci trovavamo a casa sua? Sapevo che qualsiasi decisione avesse preso non avrei avuto il cuore di ribatterla, ci teneva troppo e così con un sorriso gli risposi: « Vada per la Push».

Erano anni che non andavo in questa spiaggia. D’estate gli abitanti del villaggio riuscivano anche a farci il bagno, ma penso che fosse perché erano temprati. In realtà non ricordo giorno in cui il vento e le nuvole non battessero queste rive, ma era un paesaggio veramente stupendo. Quando fummo sulla strada che fiancheggiava gli scogli non potei non voltarmi ad ammirare il panorama veramente d’effetto e sentii Ed sussurrare un “ricordo così poco di questi luoghi” con una nota di rammarico.

« Ci sei stato molto tempo fa, in fondo il periodo dell’adolescenza è quello che dimentichiamo più in fretta»

« Sai cosa pensavo?» feci un no con la testa « se mio padre non si fosse trasferito di nuovo a Seattle quindici anni fa avremmo frequentato la stessa scuola, ci saremmo incontrati all’epoca e magari tante cose non sarebbero successe…..»

« magari ne sarebbero successe altre……» e abbassai lo sguardo. Era capitato anche a me di fare questi pensieri: forse non saremmo mai diventati amici, o forse il destino ci avrebbe portato a stare insieme e quindi molte delle scelte che nella vita ci avevano fatto soffrire non le avremmo fatte.

Poi però un pensiero molto più profondo mi uscii e lo formulai ad alta voce.

« Penso che se non ci siamo incontrati prima qualcosa vorrà dire: tu hai vissuto a Forks quando io sono stata a Jacksonville, quando sono tornata io tu sei andato a Seattle e poi quando io sono stata a Seattle, tu eri in giro per l’America fino a  tornare  quando io ho finalmente deciso di vivere qui. E alla fine ci siamo trovati dall’altra parte del mondo. Probabilmente la vita ha voluto metterci alla prova facendoci vivere due vite lontane, facendoci capire quante cose ci possono essere e dandoci la possibilità di amare, soffrire e rialzarci. E se ora siamo a questo punto…era proprio destino che ci fossimo».

Mi guardò pensieroso e poi lo vidi accennare un sorriso compiaciuto, forse questa mia teoria piaceva anche a lui: « Allora vediamo cosa ha in serbo la vita per noi ora» sussurrò.

Non feci in tempo a ribattere che arrivammo alla spiaggia.

Il vento era forte e quando aprii lo sportello mi invase in pieno costringendomi a raggomitolarmi nel  giaccone. Sentii Edward chiudere lo sportello dall’altra parte e lo sentii avvicinarsi a me che nel frattempo mi ero incantata a guardare il panorama. Improvvisamente due mani calde mi chiusero la zip del giaccone fino a sotto il collo e quando spostai lo sguardo il suo splendido sorriso mi lasciò  incantata.

« Facciamo due passi? ». Annuii e lui mi prese forte la mano trascinandomi giù dal sentiero che conduceva alla spiaggia.

Camminammo probabilmente per circa un’ora parlando di scuola, delle nostre famiglie, in particolare dei dubbi che entrambi nutrivamo sui comportamenti delle sue due sorelle, ridendo e scherzando come non mai. Mi ritrovai a guardare spesso lo spettacolo del mare che si infrangeva con le sue enormi onde e lui mi si parava davanti per togliermi dal viso i capelli mossi dal vento, oppure mentre camminavamo mi abbracciava per le spalle, sicuramente con l’idea di scaldarmi, ma in realtà trasmettendomi solo emozioni e sensazioni uniche di trasporto: maledizione a me e a quando mi era venuto in mente di dirgli che avremmo aspettato il ritorno in Inghilterra per poter parlare della situazione tra noi. In questi momenti avrei solo voluto dimenticare tutto, ignorare realtà, passato, sofferenze e buttargli le braccia al collo per esprimere ogni mio sentimento.

Quando rientrammo a casa era già pomeriggio inoltrato. Aveva insistito per andare a casa sua: la sua famiglia aveva voglia di vedermi, in particolare Alice che aveva una proposta da fare a tutti noi. Quando entrammo in casa Esme venne subito a salutarci, abbracciandomi, dando un bacio al figlio, e chiedendoci se avevamo pranzato. Edward rispose molto teneramente con un sorriso sulle labbra: capivo cosa voleva dire avere una madre che si preoccupava di te in ogni istante: la mia era distante, ma le sue telefonate e mail erano una dimostrazione dell’affetto che ancora ci legava.

Mia madre…in realtà a volte mi mancava e mi ritrovai più volte a pensare come avrebbe reagito alla mia fuga se fossi vissuta ancora con lei: avrei forse avuto il coraggio di confessarle i miei problemi? In realtà non so perché, ma ancora non ero riuscita a scriverle nemmeno di Edward e della nostra amicizia, anche perché conoscendola avrebbe capito bene come stavano le cose e mi avrebbe spinto allo scoperto in modo forse un po’ troppo affrettato. Guardando la madre di Edward e i suoi splendidi modi con le persone, mi ripromisi che era giunto il momento di una bella chiacchierata anche con la mia.

Dopo pochi minuti vidi Alice scendere le scale con il suo solito sorriso e chiedermi di accompagnarla nella sua stanza con la sorella per due chiacchiere tra donne. Lasciai a malincuore Ed nel salone con il padre, ma in realtà mi piaceva talmente tanto il clima che aleggiava in quella casa e il modo in cui venivo considerata, che non feci caso agli sbuffi dello splendido ragazzo accanto a me  e seguii le mie nuove amiche al piano di sopra. Ero sempre più convinta del legame che si era creato con quella meravigliosa famiglia.

« Ho pensato di organizzare una festa qui a casa nostra per capodanno, vorrei invitare qualche vecchio amico che ancora abita a Forks e magari qualcuno di Seattle…sarà una cosa semplice con cibo musica e naturalmente..fuochi artificiali!».

Questo era il progetto che Alice ci espose non appena fummo nel salotto al secondo piano. Nutrivo seri dubbi sulla semplicità delle sue feste: era troppo entusiasta per ogni evento da non farlo diventare unico, ma non me ne preoccupai, ero da troppo tempo fuori dal divertimento per lamentarmi.

« Ragazze devo confessarvi una cosa – si interruppe durante la conversazione – io vorrei invitare una persona speciale per la festa, ma non so come dirlo a mamma e papà».

« È qualcuno che conosciamo? » chiesi incuriosita, ma nello stesso tempo convinta di sapere chi fosse. Il più era capire come fosse riuscita a mantenere i contatti.

« Lavora nel vostro istituto Bella, si tratta di Jasper. Vedete in realtà il mio volo non ha ritardato per la neve, sono stata un paio di giorni con lui in Inghilterra»

« Ci avrei scommesso. Ne sei innamorata? » le chiesi immaginando già la risposta, visto i loro atteggiamenti quando si erano visti qualche tempo prima.

« Credo proprio di sì » e un sorriso le si dipinse sul volto, « non credo di poter più stare senza di lui e sto cercando una soluzione alla lontananza».

Nessuno poteva capirla meglio di me, non mi sentii di biasimarla o farle osservazioni perché aveva tenuto nascosto tutto questo ai suoi.

« Se sei sicura dei tuoi sentimenti posso solo dirti una cosa…vai avanti e sii felice». Mi abbracciò e potei vedere la gioia dipingersi sul suo volto; anche Rosalie era felice per lei, ma si capiva che i suoi pensieri erano catapultati altrove e fui quasi certa dal suo sguardo sognante che anche per lei ci fossero dei risvolti sentimentali in corso.

Quando si fece ora per me di rientrare mi accompagnò e propose l’idea della festa a tutta la famiglia. Con qualche titubanza accettarono, restringendo l’iniziativa alle conoscenze più vicine.

Edward mi riaccompagnò a casa un po’ dispiaciuto del tempo che le sue sorelle mi avevano sottratto, ma poi mi stupì la sua domanda:

« Pensi che quelle due pazze siano innamorate di qualcuno e stiano tentando di tenerlo nascosto ai miei per evitare giudizi?».

Ma come faceva? Capivo il legame con la sua famiglia, ma qui si parlava di telepatia! In realtà non avrei mai tradito la fiducia di Alice, che mi aveva chiesto di non dire nulla per il momento e inoltre di Rosalie non potevo esserne certa, ma non disdegnai qualche supposizione.

«Potrebbe essere, ma forse prima vogliono esserne certe».

Lo vidi sorridere, forse aveva intuito, ma non intendeva indagare oltre, almeno per il momento.

« Mi è venuta un’idea, visto che dovrai passare il capodanno da noi, perché non ti fermi a dormire nella stanza degli ospiti, così se anche il tempo dovesse cambiare non dovresti andare via presto e…».

Sbaglio o stava cercando una patetica scusa per dormire vicini? Direi che come professore e stimato pianista era alquanto misero nelle giustificazioni. Un ghigno mi uscì dalle labbra:

« Che c’è, perché ridi?».

Non potevo dirgli che avevo capito le sue intenzioni, così mi limitai a accettare ben volentieri la sua proposta. E così ci salutammo con l’intenzione di ritrovarci l’indomani per la nostra uscita a Port Angeles. Quello che non immaginavo erano i fantasmi del passato che si sarebbero ripresentati di fronte a noi.

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** “Il passato…di nuovo” ***


Capitolo 35

“Il passato…di nuovo”

 

Il viaggio fino a Port Angeles era stato piacevole, al caldo nell’abitacolo dell’auto di Edward mi sentivo sempre al sicuro. Avevamo approfittato della giornata fredda, ma senza neve o pioggia per un giro nella cittadina anche in previsione della festa di fine anno organizzata da Alice. Per fortuna aveva capito le nostre intenzioni di passare la giornata soli e si era limitata ad appiopparci solo alcune commissioni.

Una volta arrivati passeggiammo per le vie del centro, accontentammo Alice e le sue richieste per ordinazioni culinarie e decorazioni, poi ci dedicammo a chiacchiere e riflessioni. Dopo aver passato più di un’ora in una libreria, avevamo conversato sui nostri generi preferiti. Era bello ascoltarlo, anche perché era una persona molto colta e preparata bene o male su tutto: era uno dei pregi che gli avevo notato subito.

Pranzammo in un ristorante molto carino, appartati in un tavolo che secondo il mio punto di vista nelle serate romantiche poteva sicuramente essere riservato alle coppiette. Era probabile che agli occhi di tutti potessimo sembrarlo e nel mio cuore mi sentivo così legata a lui che non mi sembrava poi una cosa negativa.

Quando uscimmo dal locale era già pomeriggio inoltrato. La temperatura si era abbassata notevolmente e notando i miei brividi Edward propose di avvicinarci all’auto:

«Non vorrei che ti ammalassi proprio tre giorni prima della festa: Alice non me  lo perdonerebbe mai » disse ridendo sonoramente. Sorrisi anche io all’idea della sua furia, se per un qualche motivo non fosse stato tutto perfetto.

Camminavamo così, sorridendo e io lo tenevo stretto sotto braccio quando una ragazza che si trovava sulla nostra strada iniziò a fissarci con uno strano sguardo: inizialmente si limitò a guardarci, poi la vidi sgranare leggermente gli occhi.

Ero certa di non conoscerla, ma non sapevo se poteva essere un’amica di Edward, che intanto continuava a parlare con me guardandomi e quindi non aveva ancora notato nulla. Quando ci avvicinammo ancora di più sentii la sua voce e non ebbi più dubbi su quello che fissava e perché.

« Edward sei tu? ». Lui si voltò di scatto: sembrava avesse visto un fantasma.

« Leah!». Mi si gelò il sangue; il sorriso mi morì in volto come era successo a lui, nel sentirgli pronunciare quel nome.

Davanti a me avevo la ex di Ed, il mio incubo peggiore che lo fissava sorridente, ma nello stesso tempo lanciava strane occhiate alla sottoscritta.

Era una ragazza dalla carnagione olivastra, capelli neri e occhi molto profondi: era alta e slanciata e di fronte a lei mi sentii solo un brutto anatroccolo. Non era una di quelle persone che ti colpivano alla prima occhiata, ma aveva un fascino misterioso.

Mi voltai verso di lui e potei notare il suo volto serio come non mai; non distoglieva lo sguardo da lei, ma non la stava guardando felice o incuriosito. Mi sembrava solo….. turbato.

Per un attimo distolse lo sguardo e mi gettò un’occhiata quasi a voler vedere la mia reazione. Poi finalmente qualcuno parlò:

« Ciao Ed come stai? quando sei tornato?»

« Bene Leah, sono qui solo per le vacanze di Natale». Vidi gli occhi di lei saettare su di me e probabilmente a seguito di questo Ed si sentì in dovere di presentarmi.

« Lei è Bella, una mia cara amica». Per un attimo mi sembrò che avesse calcato particolarmente su quel cara e lo sentii in quel momento stringermi al punto vita. Non capivo esattamente il perché di quel gesto, se lo aveva fatto per rendere gelosa lei o tranquillizzare me.

Non volevo comunque fare la parte della maleducata così le porsi la mano:

« Piacere di conoscerti, tu sei la sorella di Jake?»

« Sì, come lo conosci?»

« Lavoriamo tutti nello stesso istituto », aggiunse Ed per distogliere momentaneamente la conversazione.

« È da così tanto che non ci vediamo, ma sono felice di averti incontrato». Avrei anche potuto sbagliarmi, ma lo aveva detto con un tono così languido che quasi mi infastidì.

Gli mancava, era evidente e come non avrebbe potuto: conoscevo l’effetto di Edward,  a me bastavano due ore lontana da lui per sentire che mancava l’aria.

Li sentii scambiarsi i soliti convenevoli, sul  come stai, cosa fai ora, come sta la famiglia e in quel momento mi sentii seriamente a disagio, non perché lei era la sua ex, quanto perché si conoscevano da una vita, avevano condiviso così tante cose che io e Ed non ci eravamo ancora nemmeno avvicinati.

Tra loro non c’era né malizia, né complicità, ma dopo circa dieci minuti di conversazione, di cui non avevo ascoltato assolutamente nulla, iniziai a sentire una strana sensazione. La testa mi girava leggermente e nonostante fossimo all’aria aperta, sentii uno strano senso di soffocamento. Ero di troppo: anche se non si stavano scambiando effusioni, e non sembravano nemmeno particolarmente amichevoli, il fatto che lui parlasse con lei mi creava una profonda stretta allo stomaco.

Ero gelosa marcia, inevitabile visto quanto ero innamorata,  ma inutile visto che non avevo ancora avuto il coraggio di dichiararglielo e anzi io stessa avevo proposto di allungare i tempi quando anche lui aveva dimostrato un certo interesse.

Iniziai ad accorgermi che, mentre parlava con lui, Leah mi lanciava delle strane occhiate, serie e potei quasi dire pietrificanti. Era chiaro che avrebbe voluto continuare a conversare senza la mia presenza, che probabilmente non capiva visto che Ed mi aveva presentato come amica e non come compagna, dandole forse chissà quali idee su di noi e autorizzandola a chissà quali pensieri. Mi sentii improvvisamente in dovere di lasciarli soli.

Sapevo che me ne sarei pentita e non avrei mai dovuto lasciare così il campo, ma presi la scusa delle borse che mi pesavano tra le mani e mi congedai dirigendomi all’auto. Edward per un attimo mi fermò e mi guardò dispiaciuto.

«Bella aspetta vengo con te».

« No, fai con calma, in fondo è da molto che non vi vedete, ti aspetto in macchina » dissi piano sperando che la ragazza non mi avesse sentito.

Salutai Leah e guardai un ultima volta Ed prima di allontanarmi, probabilmente con una faccia che avrebbe commosso anche una statua, perché lo vidi porgermi un sorriso lieve, ma di quelli che ti fanno battere il cuore  e lo vidi avvicinarsi a me un attimo prima di allontanarmi sussurrandomi: «va tutto bene, sono da te fra due minuti». Mi voleva confortare, e probabilmente rassicurare che non si era dimenticato della mia presenza. Lo apprezzai molto, ma non servì ad alleggerire il senso di oppressione.

Camminai spedita verso l’auto chiudendo di tanto in tanto gli occhi e prendendo profondi respiri, quasi a voler cancellare i pensieri del ragazzo di cui ero innamorata, che parlava con Leah, o quasi a sperare si fosse solo trattato di un sogno dal quale sarebbe bastato aprire gli occhi per svegliarsi. Ma nulla servì.

Raggiunsi l’auto, aprii gli sportelli e appoggiai le borse nei sedili posteriori, ma non ebbi il cuore di entrare. Dalla posizione in cui ero potevo vederli e in questo modo controllarli: non so perché, ma mi dava più sicurezza. Di cosa poi, Edward non era mio.

Ma era stato suo.

La vidi avvicinarsi e toccargli un braccio lievemente. Non era un contatto profondo, ma mi infastidì visto il sorriso estremamente dolce che le si era stampato in faccia nel momento in cui mi ero allontanata.

Poi non so cosa avvenne esattamente, ma l’aria iniziò a mancarmi, potevo percepire una stretta al torace simile a quella dei miei attacchi d’ansia, ma non avevo mal di testa e soprattutto il cuore aveva iniziato a battere furiosamente come mai mi era capitato. Dentro di me iniziai  a ripetermi che no…..non era possibile….che non poteva succedermi proprio ora, che non avrei perso nessuno, ma non servì.

Cercai di rimanere cosciente respirando profondamente, ma sentivo che il senso di soffocamento aumentava: i sensi non rispondevano, ero sveglia, apparentemente lucida e lontano da uno degli svenimenti cui ero solita quando mi prendevano i miei attacchi, ma nonostante questo il mio corpo continuava a ribellarsi ad uno stato che probabilmente dipendeva dalla situazione che stavo vedendo di fronte a me: una ragazza parlava e sorrideva maliziosamente all’uomo che amavo e la cosa peggiore era che era parte fondamentale di quel passato che lo faceva soffrire e di cui non aveva ancora avuto il coraggio di parlami completamente.

Se solo fossi stata coraggiosa sarei corsa verso di loro e mi sarei ripresa l’attenzione di Ed anche a costo di fare una scenata in mezzo alla strada. In realtà ero una vigliacca. Lo ero stata quando avevo cominciato una storia con un uomo sposato, quando ero scappata di casa non riuscendo più a gestire la situazione, quando non avevo avuto il coraggio, seppur non mancassero le occasioni, di dire a Edward quanto lo amassi. E ora stavo rischiando di perdere tutto di nuovo e di minare anche il mio autocontrollo emotivo e la mia sanità mentale e fisica.

Mi voltai verso l’auto cercando di riprendere il pieno possesso delle mie facoltà, ma fu tutto inutile; sentivo gli occhi pungermi e le lacrime pronte ad uscire. Non dovevo piangere, non dovevo dimostrare di essere debole, di nuovo dipendente dalle attenzioni di qualcuno.

Riuscii a non piangere, ma gli altri sintomi si acuirono ancora di più quando, una volta girata vidi animarsi la conversazione fra i due. Ed sembrava stesse fuggendo le attenzioni di Leah che continuava a discutere animatamente con l’espressione più…romantica che avessi mai visto. Sembrava pregarlo di qualcosa, ma non riuscivo a capire. Lui continuava a negare e la cosa andò avanti qualche minuto fino a che lei non abbassò lo sguardo rattristata: vidi Edward sfiorarle un polso, ma poi trattenersi e vidi lei abbracciarlo timidamente.

Si stavano salutando, era chiaro, ma il modo in cui lo avevano fatto era stato una vera e propria pugnalata al cuore. In realtà Ed si era limitato a sfiorala mantenendo comunque una certa distanza, che lei aveva tentato inutilmente di azzerare.

Ma chi mi garantiva che lo avesse fatto per evitare di far pensare male me, visto che sicuramente immaginava li stessi osservando?

Che in realtà avrebbe voluto ricambiare quell’abbraccio con tutto il suo cuore se non fossi stata presente io? Quest’idea mi rattristò ancora di più e non potei fare altro che ricacciare in gola le lacrime e continuare a sentire il mio cuore battere furiosamente fino a mozzarmi il respiro.

Quando li vidi allontanarsi mi voltai di scatto per non farmi vedere in quello stato, ma riuscii comunque a scorgere l’occhiata di disprezzo della ragazza nella mia direzione: magari Ed le aveva detto che doveva tornare e quindi accusava me della loro rapida separazione.

Cercai per quanto possibile di mascherare i miei sintomi ed iniziai seriamente a preoccuparmi del fatto che non si calmassero; così quando sentii dei passi avvicinarsi a me e la sua voce calda sussurrare uno “ scusami Bella “, misi da parte il mio orgoglio, gli mostrai il mio volto segnato dalla sofferenza e gli dissi solo due parole: « Edward…aiutami».

Probabilmente il mio viso era emblematico del mio stato fisico in quel momento, perché lo vidi sbiancare completamente, spalancando gli occhi e gettandosi su di me per sorreggermi.

« Bella che ti succede, ti senti male? ». La sua voce era sconvolta, le sue mani furono subito sui miei fianchi e il suo sguardo alla ricerca del mio.

« Bella guardami, dimmi cosa senti, ti prego » la voce era quasi incrinata dal pianto, tanto era spaventato; quel pianto che io avevo invece soffocato e che forse mi avrebbe aiutato sfogandomi, a liberarmi del mio senso di oppressione. Non riuscii a dire molto.

« Non riesco a respirare» e mi appoggiai con la testa al suo torace inebriandomi del suo profumo. Gli strinsi con forza il giaccone tra le mani e chiudendo gli occhi iniziai  a deglutire aria e saliva, ma niente. Sembravo ormai precipitata in un limbo dal quale probabilmente sarei riemersa solo con dei farmaci. Nel mio rumore mentale lo sentii dire: «Andiamo all’ospedale, ti serve un medico»

« No! » urlai con tutto il fiato che potevo, cercando di guardarlo, in realtà tutto quello che era nel mio campo visivo si appannava: cercai di stringere gli occhi aggrottando le sopracciglia per migliorare la messa a fuoco. Non volevo che fosse testimone un’altra volta del mio crollo.

« Andiamo a casa, almeno Carlise ti aiuterà».

Quella proposta mi sembrò molto meglio dell’idea dell’ospedale, anche se non sapevo come mi sarei potuta giustificare con il padre e cosa avrei dovuto confessargli e così accettai con un semplice cenno della testa.

Mi aprì lo sportello sempre sorreggendomi e con estrema delicatezza mi aiutò a sistemarmi sul sedile. Appoggiai la testa indietro chiudendo gli occhi e continuando a respirare affannosamente.

Lo sentii risalire dall’altra parte e con una carezza dirmi di resistere. Anziché sentirmi meglio quel contatto mi fece ancora più male e mi costrinse a chiudere  un pugno all’altezza del torace nella speranza di trattenere il dolore. Piuttosto che quello, avrei preferito che il cuore avesse smesso di battere.

Edward mi parlò costantemente con un tono basso, ma chiaramente preoccupato. Cercava di non farmi cadere in quel torpore che aveva già visto e da cui non avrebbe saputo ridestarmi. Ma in realtà non era quello che ora provavo. Il dolore che mi dilaniava il torace non mi avrebbe mai permesso di addormentarmi o svenire e dovevo stringere i denti per evitare di piangere o di urlare.

« Resisti Bella ti prego, ma come è successo? Dio, è stata colpa mia di nuovo? ». Poneva queste domande probabilmente più a se stesso che a me e stava cercando di trovare le risposte.

Ma di risposta ce n’era una sola e io l’avevo capita ora. La mia era la reazione di una persona ancora fortemente instabile a livello emotivo, che si era legata a lui in modo quasi maniacale, talmente insicura da credere che solo un incontro avrebbe potuto portarmelo via e distrutta dal dolore all’idea di perderlo. Tutto questo voleva dire solo una cosa. Non potevo più vivere senza di lui, era diventata la mia aria.

 

 

 note: ok, sono riuscita laddove non avrei creduto. Due capitoli anche se sono rientrata da due ore. In realtà era mia intenzione pubblicare solo un capitolo, ma era veramente poco accattivante, mentre questo.......so che qualcuno mi odierà per aver rimesso in mezzo Leah, ma credetemi, un pò di inconvenienti ci vogliono per rendere la storia più intrigante!

ok adesso però per capire e sapere cosa prova veramente Bella dovrete aspettare. spero domani. provo a tuffarmi nei capitoli nuovi! ciao e un bacione a tutte le mie splendide lettrici!

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** “Devo pensare a te” ***


Capitolo 36

“Devo pensare a te”

 

Probabilmente Edward aveva guidato come un forsennato, perché mi accorsi dopo poco di essere arrivata davanti a villa Cullen. I suoi movimenti erano frettolosi.

Appena fermata l’auto si diresse di corsa al mio sportello e mi aiutò ad uscire: non disse una parola, non riuscivo a capire se era preoccupato di ciò che mi stava accadendo o arrabbiato perché si era ritrovato di nuovo a doversi prendere cura di me.

Quando cercò di prendermi in braccio per farmi uscire dall’auto cercai di fermarlo dicendo che ce la potevo fare da sola, ma dopo il primo debole passo, capì che avevo bluffato e se non mi avesse sorretto sarei crollata a terra.

« Perché vuoi fare sempre l’eroina…lasciati aiutare…» percepii un lieve sorriso fatto più che altro per cercare di sdrammatizzare la situazione.

Mi prese in braccio e mi strinse a sé, con una forza che poche volte mi aveva trasmesso: non ebbi esitazioni, mi aggrappai al suo collo affondandovi il viso e provando a tranquillizzarmi respirando il suo profumo. Mi sembrava di essere contenuta in uno scrigno che mi proteggeva, ma l’effetto non fu quello sperato. La sua vicinanza anziché tranquillizzarmi come era avvenuto la prima volta, mi agitò ancora di più e iniziai ad ansimare più velocemente per cercare con molta difficoltà di dare aria ai miei polmoni.

Lo sentii aprire con forza la porta d’ingresso, che sbatté violentemente e subito dopo la voce di Esme accoglierci: « Ed tesoro siete già di ritor….oh mio Dio cosa sta succedendo?». Si era accorta della situazione, ma non sapendo cosa era accaduto si preoccupò immediatamente

« Si è sentita male, papà c’è?»

« Sì caro, è nel suo studio, posso fare qualcosa?», ma Ed non rispose e in due falcate si precipitò al piano di sopra; sembrava stesse trasportando una piuma e nonostante il fiatone non mollò la presa nemmeno per un momento.

Lo sentii chiamare il padre ed entrare nel suo ufficio implorandolo di aiutarmi. Mi resi conto che non stavo perdendo conoscenza, ma il respiro frenetico mi stava probabilmente causando un’iperventilazione e la mente ogni tanto si spegneva. Inoltre ero talmente concentrata sul battito forsennato del mio cuore, da non accorgermi che mi aveva adagiato su un lettino medico e Carlise si era avvicinato a me con il volto seriamente preoccupato: « Cosa è successo?»

« Non lo so, si è sentita male improvvisamente, le è già capitato in passato, qualcosa deve averglielo scatenato».

A quelle parole mi voltai e cercai i suoi occhi. Se solo avesse saputo che le cause dei miei malori di cui era stato testimone erano di origini completamente diversa: il primo era causato da una situazione passata che mi aveva turbato e lasciato strascichi emotivi. Ora il problema erano i miei sentimenti per lui, stavo male perché temevo più di ogni altra cosa di perderlo.

Sentii la voce di Ed parlare con il padre di “attacco di ansia”. Cercai di dire qualcosa, anche se a fatica, la mia voce uscì flebile e interrotta dal mio tentativo di dare ossigeno al mio corpo: « è diverso dalle altre volte……il dolore è diverso, e mi manca il respiro e il battito….».

« Papà che le succede esattamente?»

 « Non lo so ma devo farle un elettrocardiogramma….», lo sentii dire mentre toccava il mio polso.

« Ha il battito estremamente accelerato, devo escludere la matrice fisica, dopo di che potremo pensare al fattore psicologico, Isabella riesci a seguirmi? » accennai un sì con la testa.

« Il dolore che senti è acuto o sordo? È come una lama o come se qualcuno fosse seduto sul tuo torace?».

A malapena riuscii a rispondere: « acuto, come mille aghi conficcati e lo sento qui» e indicai la parte alta del torace, dove nasceva il mio respiro faticoso.

« Non dovrebbe essere il cuore e forse con un tranquillante riusciremo a ristabilizzare la situazione, ma prima devo verificare che non ci siano danni – mi guardò fisso – Isabella ce la fai a resistere altri due minuti? Poi ti giurò che provvederò affinché tutto si calmi».

Era molto professionale e il tono della sua voce comunque tranquillo; annuii e per un attimo sperai che ci fosse un riscontro fisico in quello che mi stava succedendo. Era una piccola speranza che non finissi per diventare matta da legare!

Mi voltai verso di lui, e lo vidi armeggiare con un apparecchio elettronico, quando si voltò si rivolse a Ed:

« Credo sia il caso che tu esca…». Vidi il suo volto incupirsi e il suo corpo allontanarsi leggermente da me quando automaticamente un “no “ uscì dalle mie labbra: sapevo che la causa del mio malessere era anche la sua vicinanza, ma ero certa che averlo lontano avrebbe fatto anche peggio.

Istintivamente mi voltai verso di lui ignorando la presenza del padre e quello che avrebbe potuto pensare di noi: « non voglio che tu vada, ho bisogno dei te, ti prego…», sussurrai guardandolo, ormai distrutta dalla situazione. Gli occhi erano socchiusi, la mia fronte aggrottata nel tentativo di non far uscire le lacrime e mettere a fuoco il volto del ragazzo di fonte a me, il mio torace continuava ad alzarsi e abbassarsi velocemente, ma cercai ugualmente di allungare la mano per afferrare la sua perché non se ne andasse, così come avevo fatto istintivamente un paio di mesi prima.

Scorsi Carlise che ci guardava dal basso verso l’altro mentre tentava di misurarmi la pressione al braccio e potei giurare che un lieve sorriso comparve sul suo volto:

« Isabella devi togliere il maglione e la camicia devo attaccarti gli elettrodi, Edward la aiuti tu? Non deve fare sforzi per ora». Lo vidi annuire alla richiesta del padre e sentii un suo braccio passarmi dietro la schiena per cercare di sollevarmi a sedere; mi voltai mettendo le gambe a penzoloni dal lettino e lo sentii afferrare delicatamente il mio maglione cercando di toglierlo senza forzare i miei movimenti. Lo assecondai per quanto lo scarso controllo del mio corpo in quel momento poteva consentirmi e chiusi gli occhi cercando di fare un respiro più profondo degli altri.

Quante volte avevo desiderato quel gesto, fissare il suo volto mentre mi spogliava; ed ora stava succedendo nel modo più sbagliato possibile, solo perché stavo male e lui si stava prendendo cura di me per l’ennesima volta.

In quel momento un’altra consapevolezza si fece spazio nella mia mente. Prima o poi avrebbe aperto gli occhi, si sarebbe reso conto che la nostra amicizia era troppo problematica a causa della mia instabilità e lo avrei perduto per sempre. Di questo ero certa e la visione sua e di Leah di qualche ora prima ricomparve nella mia mente più vivida e dolorosa che mai. Cosa potevo fare? Essere egoista e cercare di andare avanti tenendolo legato a me in tutti i modi possibili o chiudere prima che il coinvolgimento fosse totale e i danni irreparabili?

In realtà da parte mia era già troppo tardi e allontanarmi da lui sarebbe stato devastante, ma mi ero risollevata già altre volte e forse….per lui invece c’era ancora tempo, non mi aveva dichiarato nulla e forse poteva fare a meno di me.

Persa in questi tristi pensieri non mi ero accorta che mi aveva sfilato il maglione e stava cercando di sbottonarmi la camicetta. Abbassai lo sguardo sulle sue mani e mi accorsi che tremavano leggermente; lo guardai allora negli occhi e decisi così di aiutarlo partendo dal lato opposto dei bottoni. Quando la camicia fu sbottonata le nostre mani si incontrarono a metà e istintivamente, stringendo la sua nella mia, lo fissai ringraziandolo con un sorriso per quanto mi fosse possibile.

Potei giurare di aver visto un leggero rossore comparire sul suo volto e gli occhi abbassarsi:

« Niente che tu non abbia già visto… », dissi con il tono più basso possibile. Mi sorrise di rimando e mi aiutò a ridistendermi collaborando con il padre per sistemare gli elettrodi sul mio torace coperto solo dall’intimo. Non ero imbarazzata, ero solo spaventata e il dolore provocato dal respiro affannoso non accennava a diminuire, così come il mio battito. Mi prese la mano aspettando che la macchina facesse il suo lavoro e Carlise parlasse.

Passarono appena un paio di minuti, Edward in silenzio accanto a me mi teneva la mano e sembrava seriamente preoccupato:

« Il cuore è a posto, non ci sono anomalie, solo una tachicardia, probabilmente causata da un fattore emotivo», sentenziò Carlise guardando il tracciato. Mi oscultò il torace nuovamente e poi mi propose un’iniezione calmante o avrei rischiato un collasso. Anche se non amavo farmaci e aghi accettai, pur di eliminare quella spiacevole sensazione che la mancanza di respiro mi stava dando da quando tutto era cominciato.

« Questo dovrebbe fare effetto nel giro di pochi minuti. Credo che stanotte sia meglio tu dorma qui, vorrei tenerti d’occhio». Alle parole del padre di Ed mi sentii seriamente in imbarazzo:

« Non voglio essere di disturbo, non occorre….». Non feci in tempo a ribattere nient’altro:

« Certo che resterai qui – mi guardò fisso negli occhi Edward – non ti lascerò certo sola a rischiare un altro attacco; ma di cosa si è trattato esattamente papà? E’ stato diverso dall’altra volta», lo vidi fissare il padre che a sua volta guardò me come a chiedere il permesso di emettere chissà quale sentenza.

« Non conosco i sintomi e le diagnosi delle volte passate – ero certa mi avesse guardato intenzionalmente come a voler far capire che dovevo dirgli di più – ma direi che si è trattato di un semplice attacco di panico, molto forte e fastidioso, ma non letale. Edward direi che sarebbe meglio andassi da tua madre e la rassicurassi, visto il modo in cui siete entrati in casa e poi falle preparare la stanza degli ospiti».

« Non posso restare… e con Charlie? Non voglio dirgli che sono stata male si preoccuperebbe per nulla» mi affrettai  a controbattere.

«Non approvo molto il fatto che tu gli tenga nascosti certi problemi di salute, ma comunque la decisione spetta a te e per questa sera puoi inventarti una scusa».

Come se fosse stato facile; non avrei certo potuto semplicemente dirgli che dormivo a casa Cullen. Avrebbe sicuramente interpretato maliziosamente la cosa: la voce di Edward mi distolse dai miei pensieri:

« Puoi dirgli che ti hanno invitato le mie sorelle per discutere i dettagli della festa di capodanno!».

Mi sembrò una buona scusa e lo ringraziai con lo sguardo prima di vederlo allontanarsi.

« Torno a prenderti tra poco» e mi baciò dolcemente la mano che teneva tra le sue, prima di sparire oltre la porta, chiudendosela alle spalle.

Sapevo che in quel frangente Carlise non si sarebbe trattenuto dal chiedermi maggiori informazioni, e il mio cervello, che stava pian piano ritornando, in sé iniziò a fare le dovute valutazioni su ciò che era il caso di raccontare e su cosa no.

« Isabella, quante volte hai subito episodi di questo genere?». Cercai una mezza verità.

« Negli ultimi tempi è il secondo, ma come ho cercato di dirti, i sintomi sono stati molto diversi, non so perché…». Mi accorgevo mentre parlavo che probabilmente il farmaco che mi era stato iniettato stava facendo il suo effetto; il cuore iniziò a rallentare la sua corsa, il respiro divenne sempre meno affannoso, lasciandomi però un fastidioso senso di oppressione al torace e iniziai a sentire una sensazione di stanchezza.

« Il farmaco che ti ho dato sta facendo effetto vedo: dovrebbe darti un senso di torpore e ti aiuterà a riposare. Sei sicura di non volermi raccontare da cosa è partito tutto questo? forse potrei aiutarti a capire…».

 «Ti ringrazio, ma non so se….non ne ho parlato nemmeno con Ed, è una cosa per cui non sono pronta».

« E forse è per questo che ti fa stare ancora male: se hai voglia di raccontarmi qualcosa ti posso garantire che sarà solo una conversazione professionale».

Lo guardai fisso e notai in lui il desiderio di aiutarmi, per quanto gli fosse stato possibile e così lo feci: gli raccontai gli episodi che mi avevano innescato le crisi di ansia, tralasciando ovviamente la mia storia con James e altri dettagli successivi ai miei problemi di salute.

Terminai raccontandogli ciò che era successo in Inghilterra l’ultima volta che mi ero sentita male. Ora i due uomini della famiglia Cullen conoscevano quasi tutto il mio passato, anche se in tempi, modi  e fatti diversi, e mi resi conto che il parlarne mi poteva realmente aiutare.

Quando ebbi terminato a grandi linee di raccontare, Carlise fece un lungo sospiro e un timido sorriso gli illuminò il volto: era veramente un bell’uomo e in certe espressioni mi ricordava molto il figlio: « Isabella hai subito dei traumi psicologici importanti, c’è di peggio è vero, ma non voglio sminuire la gravità dei tuoi attacchi. Il fatto che ti si siano presentati in modo sempre meno frequente è un buon segno, il tuo corpo e la tua mente stanno iniziando ad accettare e a rimuovere il blocco emotivo, ma se devo essere sincero, quello di oggi, mi sembra di natura diversa. Posso chiederti cosa stavi facendo nel momento in cui è partito tutto?».

In quel momento mi vergognai e fui tentata di non dirglielo, poi capii che se volevo spiegazioni dovevo dire la verità: « abbiamo incontrato la ex ragazza di Edward a Port Angeles. È partito tutto durante la loro conversazione, non so perché non sono riuscita a controllare la mia emotività».

« Posso chiederti una cosa, ma rispondimi solo se lo puoi fare in modo onesto: provi qualcosa di forte per mio figlio?». La sua espressione era diversa, più serena, e oserei dire sicura della risposta che avrei dato. Non me la sentii di parlare, mi limitai ad annuire, forse questo mi faceva sentire meno esposta, ma lui continuò: <«dimmi la verità Isabella..>> e mi sollevò il viso che istintivamente avevo abbassato nel tentativo di distogliere lo sguardo dal suo interrogatorio, « hai paura di perdere Ed e quello che hai con lui, qualsiasi cosa sia? ».

Era stato di una diplomazia unica; non aveva insinuato nulla sul nostro rapporto, anzi aveva lasciato il dubbio che fosse solo una splendida amicizia.

« Io credo che la reazione ai tuoi problemi passati sia dovuta al dolore che il ricordo può provocarti, visto che nel momento esatto in cui hai avuto il trauma tu non lo hai ben elaborato; quello di oggi è più legato alle tue paure attuali, alle tue insicurezze. La tua ansia è legata a qualcosa che è già avvenuto e il cui ricordo ancora ti turba. L’attacco di panico di oggi è legato al timore di perdere qualcosa che hai e che ti dà sicurezza». Capii cosa intendeva: era quello che avevo supposto anche io poco prima, ma ora che un medico mi confermava questo mio pensiero, mi dimostrava ancora di più le mie debolezze. Continuai ad annuire incapace di controbattere; avevo timore di dire qualcosa di troppo o di sbagliato.

« Bella, è giusto che trovi da sola la forza per superare le tue debolezze, ma vorrei farti notare che Edward è un ragazzo molto forte e molto dolce e credo che dovresti aprirti con lui; raccontagli cosa ti è capitato e soprattutto cosa provi nei suoi confronti e cosa ti spaventa di questi sentimenti. So che è un passo importante e che non puoi farlo tutto in una volta, ma se intendi rimanergli amica non puoi tenerlo all’oscuro di certe situazioni. Potrebbe aiutarti a capire e magari potreste condividere le vostre preoccupazioni».

« Lo so che Ed è una persona meravigliosa, ma ho troppa paura che si prenda responsabilità che non gli spettano, è sempre troppo premuroso e protettivo nei miei confronti. Non voglio che si annulli per fare un piacere a me, assecondando i miei problemi».

« Non credo sinceramente che lo farà comunque: è molto volitivo e deve solo riacquistare sicurezza in se stesso e nel mondo. Ti ha mai raccontato dei problemi che lo hanno portato via da Seattle?». Mi sentii in un momentaneo imbarazzo. Non volevo che fosse lui a raccontarmi il passato di Edward, lo avrebbe dovuto fare lui quando se la sarebbe sentita.

«  No, non lo ha fatto, non del tutto almeno...» dissi anche con un po’ di rammarico. Sapevo cosa poteva significare: non riusciva a condividere con me situazioni dolorose anche per lui, forse proprio perché già si stava sobbarcando le mie. Non dovevo più permetterlo, non era giusto nei suoi confronti.

Carlise capì probabilmente che il mio tono implicava un certo dolore a questa mancanza:

« Isabella se non lo ha fatto avrà i suoi motivi. Probabilmente non vuole che tu appesantisca il tuo cuore e la tua anima anche con i suoi problemi. Sono convinto che se la vostra amicizia – e fui quasi certa che un sorriso malizioso fosse comparso sul suo volto – si rafforzerà come credo, saprà confidarsi e rendere più forti entrambi. Tu e Edward avete vissuto molti momenti problematici in passato, ma ti chiedo, per il bene tuo e suo…apriti con lui, appoggiatevi alla vostra forza e sono certo che riuscirete al più presto a trovare la vera felicità: secondo me siete già a buon punto….».

Non potei fare a meno di sorridere a quelle parole anche se capivo che per Edward sarebbe stata molto dura se avesse dovuto continuare a far da balia a me che, fra l’altro, iniziavo anche a star male, oltre che per la mia vita passata, anche per gelosia nei suoi confronti.

« Come ti senti ora? », chiese premuroso. In realtà sentivo il mio corpo rilassato, il cuore aveva ripreso il suo ritmo, così come il respiro, e la stanchezza aveva iniziato seriamente a impedirmi la totale lucidità dei pensieri.

«Credo sia ora di chiamare tuo padre per dirgli che rimarrai qui da noi>>. Mi aiutò a mettermi seduta e mi appoggiò la camicia sulle spalle: sentivo le braccia e le gambe molli e i muscoli del collo indolenziti per la tensione accumulata a causa della mancanza di respiro.

Carlise mi passò la borsa da cui estrassi il cellulare. La telefonata a Charlie fu più facile di quello che pensavo. Non obiettò alla mia comunicazione, ma fui quasi certa che nel tono della sua voce ci fossero delle celate illazioni alla mia permanenza a casa Cullen.

Quando chiusi la telefonata con mio padre sentii aprire la porta e vidi entrare Edward con uno sguardo ancora preoccupato e un pesante maglione blu tra le mani. Si preoccupò di chiedere il mio stato di salute a Carlise e mi posò il maglione sulle spalle.

« E’ molto più caldo del tuo… » si premurò di dirmi fissandomi con un lieve sorriso e quello sguardo intenso che solo lui sapeva fare. Quando lo guardai negli occhi rimasi come al solito abbagliata, ma alla luce degli ultimi avvenimenti una nuovo stato d’animo si fece strada in me: mi sentii in colpa per tutto quello che era costretto a fare a causa della mia instabilità e istintivamente abbassai lo sguardo rattristandomi. Lui se ne accorse e posando una mano sulla mia spalla mi chiese se tutto andava bene.

Per mia fortuna Carlise interruppe il momento annunciando al figlio che ero stanca e avrebbe fatto meglio ad accompagnarmi a riposare e si allontanò salutandomi e assicurandomi che mi avrebbe controllato il giorno dopo.

« Bella cosa c’è? » chiese Ed alzando il mio viso con due dita sotto al mento: cercai di sviare sia la domanda, che i miei pensieri.

« Nulla, sono solo molto stanca, credo che il tranquillante stia facendo il suo effetto, è meglio se vado a stendermi… ». Mi strinsi nel maglione che mi aveva portato e che sicuramente gli apparteneva visto la fragranza che emanava e che mi ricordava la sua pelle: cercai di scendere dal lettino e appoggiarmi sulle gambe, ma con poco successo. Non mi resi nemmeno conto che in un attimo Edward mi aveva afferrato e sollevata tra le braccia: « E’ meglio se non cammini credimi». La verità era che per quanto potevo cercare di respingere i miei sentimenti per lui con l’intento di “salvarlo”, non potevo proprio fare a meno di stringermi al suo corpo quando mi era così vicino. Mi accoccolai aggrappandomi a lui e mi feci portare su per le scale nella stanza degli ospiti di fronte alla sua.

Entrammo e mi poggiò delicatamente sul letto. La vista cominciava ad annebbiarsi per la stanchezza. Mi sfilai le scarpe con gli occhi ormai semichiusi e Edward mi chiese se doveva chiamare Alice per aiutarmi a svestirmi: non so perché risposi così, ma di sicuro non facilitai le cose chiedendo a lui di aiutarmi. Mi sbottonai i jeans e li abbassai coprendomi le gambe con il lungo maglione che mi aveva dato. Mi accorsi del suo lieve imbarazzo quando iniziò a sfilarmeli fino a toglierli del tutto.

In fondo mi aveva visto molto più svestita, ma ora le cose erano diverse; sapevamo di essere più coinvolti dopo la nostra conversazione natalizia, ma nello stesso tempo il mio problema delle ultime ore ci aveva reso più fragili, mettendo in luce non solo le mie debolezze, ma anche le sue.

«Posso tenere questo? » chiesi istintivamente stringendomi nel maglione.

« Certo, ora riposa» e mi aiutò a distendermi coprendomi con il caldo piumone del letto. Le mie palpebre erano pesanti, mi girai su un lato e sentii le sue mani accarezzarmi i capelli. Poi un lieve bacio sfiorò la mia guancia e lo sentii augurami la buona notte.

« Se avrai bisogno di me sono qui di fronte. Non chiudo le porte delle stanze in caso di necessità, solo quella delle scale ».

« Grazie » sussurrai, e mi addormentai cadendo in un sonno profondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** “Piccole distanze” ***


Capitolo 37

“Piccole distanze”

 

La pioggia che batteva insistente sulla vetrata della mia stanza mi svegliò.

Non c’era nessuna luce, né in casa né fuori.

Quando aprii gli occhi per un attimo non ricordai dove mi trovavo, poi mi misi a sedere sul letto, stropicciandomi il viso e passandomi una mano tra i capelli.

Ero nella stanza degli ospiti di villa Cullen, potevo riconoscere lo stile della camera vagamente somigliante a quella di Edward: la grande vetrata si apriva sulla visuale del bosco scuro, battuto dalla pioggia. A fatica senza la luna si sarebbe potuto distinguere qualcosa.

Scostai le coperte per alzarmi dal letto, poggiando i piedi sulla calda moquette che ricopriva il pavimento. Le mie gambe erano scoperte e mi venne in mente che era stato Edward ad aiutarmi a spogliarmi e un leggero moto di vergogna mi avvolse; se una cosa così fosse avvenuta solo la sera prima avrebbe significato sicuramente qualcosa di diverso per entrambi. Ora invece dopo l’incontro con Leah e il mio attacco di panico tutto era più confuso.

Mi strinsi nel maglione e mi avvicinai alla finestra fissando il buio davanti a me. Guardai l’orologio sul comodino: le 2.15. Probabilmente mi ero svegliata perché era dal tardo pomeriggio, quando Carlise mi aveva iniettato il calmante, che riposavo. Sicuramente tutti stavano dormendo quindi cercai di fare più piano possibile; non avevo più sonno e cominciai a guardarmi intorno apprezzando il luogo dove mi trovavo.

Poi mi tornarono in mente i miei pensieri del pomeriggio, mentre stavo male, gli sguardi di Ed, le parole di Carlise, ma più ci pensavo più mi rendevo conto che ero una persona estremamente egoista, che stava incatenando una persona meravigliosa come Edward nelle proprie paranoie.

Mentre camminavo per la stanza tra le mie elucubrazioni mi ritrovai sulla soglia della porta e vidi la sua camera davanti a me. Istintivamente mi avvicinai fino alla porta aperta: lui era lì, disteso sul suo splendido letto a baldacchino che dormiva profondamente a pancia sotto, con entrambe le braccia sotto al cuscino e il volto rivolto verso di me.

Senza pensarci entrai e cercando di non disturbare il suo sonno mi fermai a fissarlo.

Quanto era bello! E conoscendo il suo meraviglioso carattere era ancora più perfetto: mi avvicinai con cautela e gli sfiorai il ciuffo di capelli ramati che gli ricadeva sulla fronte.

Non potevo dipendere così dalla nostra amicizia, dovevo provare a farcela senza stargli perennemente incollata; forse passavamo troppo tempo insieme e il nostro stava rischiando di diventare un rapporto morboso.

Mi fermai di colpo vedendolo sospirare e presa da un moto di tristezza scappai via dalla sua stanza prima di scoppiare a piangere, rischiando anche di svegliarlo.

Quando fui sulla mia porta mi fermai, appoggiandomi con una mano allo stipite e trattenendo le lacrime con un respiro profondo, poi con calma mi diressi alla poltrona e mi ci accoccolai rannicchiando le gambe e coprendomi con l’ampio maglione che emanava l’inconfondibile profumo della sua pelle.

Iniziai a fare profondi respiri cercando di convincere me stessa, prima di tutto, ad accettare il fatto di stare un po’ per conto mio e provare a raddrizzare i punti ancora storti nella mia vita anche senza Edward che mi faceva costantemente da righello. E avrei dovuto iniziare fin da subito, anche perché ornai avevo passato più tempo in quella casa che con Charlie.

In realtà l’idea mi rattristava, ma dovevo provarci, soprattutto per il suo bene, per potergli dare la possibilità di riflettere sul suo passato e se necessario riallacciarne i rapporti. Poi nel giro di qualche giorno saremmo ritornati in Inghilterra e, di nuovo vicini, avrei valutato come far proseguire la nostra amicizia.

Dovevo farlo per me, ma soprattutto per lui, per dargli una via di fuga dai miei saltuari oblii. In realtà stavo cercando di convincermi come non mai di questa cosa e il groppo alla gola mi dimostrava che non era facile pensare di stargli anche solo un po’ più lontano del normale. Ma lo avrei dovuto fare.

Improvvisamente sobbalzai quando me lo ritrovai accanto, con lo sguardo ancora assonnato, ma evidentemente preoccupato.

« Bella perché sei sveglia, non ti senti bene?» mi chiese in modo amorevole.

« No, è che devo aver dormito abbastanza, non ho più molto sonno». Cercai di non far trapelare il mio stato di angoscia al pensiero di allontanarmi da quella casa. Si inginocchiò di fronte a me e iniziò a spostarmi i capelli dal viso, carezzandomi la fronte con i polpastrelli delle dita. Un contatto tanto dolce quanto terribile, se rivolto all’idea di allontanarmi da lui.

«Mi hai fatto spaventare molto oggi lo sai?». Ecco appunto, proprio quello che non doveva succedere, ma poi cosa pretendevo, conoscendolo era il minimo: non potei fare altro che rammaricarmi.

« Mi dispiace non volevo, forse non dovresti preoccuparti tanto per me….» ok l’avevo sparata. In realtà adoravo quando si preoccupava così per me, mi faceva sentire importante per lui, ma non poteva continuare. La sua mano in quel momento si fermò sulla mia guancia e iniziò ad accarezzarla con il pollice; chiusi gli occhi per bearmi di quel contatto. Dio quanto lo amavo!

« A me non dispiace, mi fa piacere prendermi cura di te». Riaprii gli occhi e mi persi nei suoi verdi e lucidi, chiaramente preoccupati. Non potei fare a meno di abbassare lo sguardo.

«…Bella so che ancora non riesci, ma sarebbe importante che mi dicessi cosa ti fa stare in questo modo, magari parlarne con me ti potrebbe aiutare….» ero certa che mi avesse detto queste parole nell’imbarazzo più totale, sapendo quali erano i mie problemi ad aprirmi.

« Lo so, tuo padre mi ha detto la stessa cosa, ma… non me la sento».

« Non ti fidi me?» la domanda mi spiazzò. Veramente pensava questo? Non potevo permetterlo, a costo di dirgli quale era il problema.

« Non pensarlo nemmeno, mi fido di te come  di nessun altro….la verità è che…» cercai di abbassare la testa, ma me lo impedì prendendomi il viso con entrambe le mani, « non voglio che tu ti preoccupi così tanto per me….non  è giusto, la tua vita già non è stata facile e ora ti ritrovi a dover fare da balia a me e non voglio…».

Lo vidi arcuare leggermente le sopracciglia e mi si rivolse con un tono talmente dolce che quasi non sembrava venire dalla sua bocca, ma dal suo cuore:

« Quello che faccio è perché voglio farlo, e non sei affatto un peso per me, non pensarlo mai»

« Sì, ma anche oggi, magari avresti voluto fermarti a parlare di più con Leah e forse ti sei sentito in dovere di pensare alla mia presenza e….» ero chiaramente  nella condizione di arrampicarmi sugli specchi, per non confessargli che ero stata male nel vederlo insieme a lei.

La sua espressione cambiò, mi lasciò il volto, lo vidi pensare intensamente e poi spalancare leggermente gli occhi.

« Non ho nessun interesse a parlare con lei, né a chiarirmi per cose che ho già superato, come avrebbe voluto lei….Bella è per quello che sei stata male oggi? Per il fatto che abbiamo incontrato Leah?».

Oh no e adesso cosa mi inventavo “si certo amore mio, non sopporto di vedere nessuna donna avvicinarsi anche solo un millimetro a te, tu sei mio!!” no, non era una risposta giusta. Dovevo negare, cercare di allontanarmi e poi avrei visto l’evolversi della cosa.

« Su cosa voleva chiarirsi?». La mia domanda fu quasi un sussurro, ma poi mi corressi subito, avevo paura di dover sentire cose che non mi andavano proprio. «No, ma cosa dici, forse vedere un pezzo del tuo passato, mi ha fatto ricordare il mio e sai quanto sono fragile su questo…», cercai di giustificarmi non rendendomi conto che così sembravo un pazza totale.

«Ok » percepii che non l’aveva bevuta del tutto, ma la sua diplomazia gli intimava di non andare oltre e la mia curiosità su ciò che si erano detti rodeva dentro come un topolino nel formaggio.

«Sai cosa facciamo domani per lasciarci tutto alle spalle? Se mio padre dice che sei ok, ce ne andiamo a fare un giro a Seattle e andiamo a teatro ti va?», il suo sguardo era luminoso e non so come riuscii a farlo spegnere rifiutando il suo invito.

Presi un respiro, le sue parole “voleva parlare con me e chiarirsi” mi rimbombavano nel cervello:

« Ed ti ringrazio molto, ma sono stata veramente poco con mio padre e vorrei passare questi due giorni prima del capodanno con lui. Tanto poi ci vedremo il 31 no?».

Vidi chiaramente la delusione sul suo volto, chissà se aveva capito che era un tentativo per allontanarlo. Non sembrava molto convinto, ma accettò la mia decisone con un semplice “come vuoi”. Il cuore mi si strinse nel vedere quanto fosse rimasto deluso e quando si staccò da me e lo vidi alzarsi, la mia parte meno nobile pensò per un attimo di fermalo, lanciarmi con le braccia  al collo e implorarlo di non lasciarmi, confessandogli le mie menzogne. Ma la mia razionalità prevalse: qualche giorno divisi ci avrebbe fatto bene.

« E’ meglio che torni a dormire, ci vediamo domattina» lo vidi sparire dalla porta, con le spalle ricurve ed entrare nella sua stanza, il mio cuore percepì il vuoto, ma questa volta la porta si chiuse dietro di lui con un leggero “click” e capii di averlo ferito.

Il resto della notte passò quasi insonne: non feci altro che pensare a quello che stavo facendo, alle sue parole su Leah, agitandomi nel letto, quando un leggero bagliore mi indicò che una nuova giornata stava iniziando.

Mi alzai ormai stanca di rigirarmi, mi diressi in bagno e mi feci una lunga doccia bollente per cercare di lavare via i miei pensieri. Quando iniziai a sentire del movimento ai piani inferiori decisi di scendere per salutare tutti e tornare a casa, anche se non sapevo bene come fare per evitare di farmi accompagnare da Edward.

Già era difficile salutarlo, e passare con lui fino all’ultimo minuto prima di arrivare a casa mi avrebbe reso tutto ancora più difficile. Non feci in tempo ad uscire dalla mia camera che mi scontrai con Ed che usciva dalla sua. Mi rivolse un saluto cordiale e un sorriso molto dolce dal quale si poteva però percepire un velo di tristezza. Che potesse essere per quello che gli avevo detto la sera prima?

Sempre in silenzio ci dirigemmo al piano inferiore: potevo sentire i suoi occhi puntati sulla mia schiena e per la prima volta mi sentii veramente a disagio. Accelerai il passo fino a ritrovarmi nella grande cucina con Carlise ed Esme intenti a fare colazione e conversare serenamente:

« Bella tesoro, come ti senti?» in modo amorevole la madre di Edward mi venne incontro abbracciandomi. « Hai riposato bene? ci hai fatto preoccupare così tanto ieri…», arrossii vistosamente e sentii distintamente alle mie spalle la voce di Ed richiamare dolcemente la madre per l’intrusione.

« Bella cara ti ha fatto bene il riposo, hai una cera migliore» sorrise Carlise per sdrammatizzare.

« Sì, grazie, sto molto meglio» vidi Ed aggirarmi e sedersi a tavola indicandomi la sedia accanto a lui. Mi sedetti controvoglia, non perché mi desse fastidio la sua presenza, ma perché sapevo di dover contenere i miei gesti nei suoi confronti: vuoi perché eravamo in presenza della sua famiglia, vuoi perché avrei cercato di non vederlo per un paio di giorni e amoreggiamenti e dolcezze non erano proprio una spinta al mio intento.

« Grazie », sussurrai guardandolo negli occhi e rivolgendogli un timido sorriso. Ad un tratto  sentii un mano calda posarsi sulla fronte e prendermi un polso: era Carlise.

« Mi sembra che tutto sia rientrato», affermò continuando a premere per sentire il mio battito,

 « direi che puoi tornare a casa, ma promettimi che ti riguarderai e se dovessi accorgerti di qualcosa di anomalo….».

Annuii incapace di proferire parola; quando Alice entrò nella stanza si precipitò da me subissandomi di domande sul mio stato di salute, visibilmente preoccupata. Cercai di tranquillizzarla anche se non fu facile, poi una lampadina mi si accese quando la sentii parlare di uscita per racimolare materiale per la sua festa.

« Alice visto che devi uscire mi potresti accompagnare a casa? Sai Charlie sarà un po’ preoccupato per me e vorrei passare un po’ di tempo con lui prima di capodanno». Non so perché decisi di dare quella spiegazione a voce alta di fronte a tutta la famiglia. Forse volevo alleggerirmi la coscienza per aver aggirato Ed e il suo certo intento di riaccompagnarmi.

«Certo non ci sono problemi» rispose Alice , ma potei notare nella sua voce un tono inquisitorio e il suo sguardo dichiarava la sua perplessità al fatto che preferissi la sua compagnia a quella del fratello. Esme ci porse la colazione, io mi limitai ad un bicchiere di succo e la cosa, notata da Edward, fu una scusa per aprire la conversazione:

« Dovresti mangiare, devi rimetterti in forze«, il suo sguardo era profondo e si capiva che stava pensando a quando, svegliandomi dopo il mio attacco in Inghilterra si era preso cura di me.

« Non ho proprio fame questa mattina» sorrisi leggermente abbassando lo sguardo e lui ricambiò. In quel momento sperai con tutte le mie forze che non ce l’avesse con me per la conversazione della sera prima: stare un po’ meno insieme non voleva dire perderlo completamente.

« Se vuoi ti posso accompagnare io», mi sussurrò in un orecchio forse per non offendere la sorella che mangiava dall’altra parte del tavolo. Sapevo che me l’avrebbe chiesto, ma sostenni la mia tesi:

« Grazie Edward, ma non voglio abusare del tuo tempo, in fondo Alice deve andare in città…»

« Sai che non è un disturbo, mai …» lo senti calcare su quel “mai”.

« Veramente, è stata una giornata impegnativa anche per te ieri, riposati e mettiti in forza per la festa di Alice» gli dissi cercando di sdrammatizzare e carezzandogli un braccio, ma mi accorsi che pur accettando la mia decisione non ne era proprio entusiasta, così lasciai la presa quasi scottata.

Mi congedai dal tutta la famiglia ringraziandoli per tutto e scusandomi per il disturbo, dirigendomi con Alice al garage: Ed insistette per accompagnarmi all’auto e fu veramente dura guardarlo negli occhi e salutarlo con la consapevolezza che non ci saremmo visti di lì a poche ore come eravamo soliti fare.

Mi prese le mani abbassando gli occhi: « Mi raccomando riguardati – disse con il suo solito tono premuroso – e se hai bisogno, non esitare a chiamarmi».

Lo ringraziai quasi con le lacrime agli occhi e prendendo un profondo respiro, quando mi baciò dolcemente la fronte: « A presto Isabella», mi sussurrò in un orecchio prima di allontanarsi da me e dal quel nostro contatto, che sembrava bollente. Chiusi gli occhi e il suo profumo mi inondò il cervello: ma ero sicura di voler stare lontano da quest’uomo anche solo per un minuto?? Mi sembrò che il cuore si staccasse e volesse rimanere con lui in quel momento, ma mi feci forza e mi allontanai definitivamente.

Appena salii in macchina mi voltai a fissarlo mentre rientrava in casa:

« Mi dici che è successo fra te e Edward». Giusto la sorella impicciona mi serviva ora.

« Niente Alice, devo solo imparare a non dipendere da lui». Stranamente tutto quello che uscì dalla sue labbra fu un “Oh” e non aprimmo più bocca fino all’arrivo a casa di Charlie.

 

 

 

 

 

 

 

note: ok so che molte di voi non si aspettavano un capitolo così e speravano in un "avvicinamento". beh, non è ancora ora!!! sì lo so  che sono passato tanti capitoli e questi ormai si fanno vecchi......ma loro sono fatti così, non ho trovato proprio altro modo per decriverli e raccontare una storia su di loro. in più ci sono alcune cose che vanno chiarite e alcuni "colpi di scena" ( c'è già qualcuno che ha inforcato i fucili?), prima che finalmente se ne possano stare un pò "tra loro".

Comunque vi volevo avvisare che probabilmente da domani fino a domenica non posterò e quindi se riesco stasera cecherò di arrivare all'impossibile. almeno farvi vedere un pò di "sereno" tra loro prima delle burrasca vera e propria. ecco...lo so che ora vi starete arrovellando...e avete anche voglia di farmi tante minacce.....ma ci vuole pazienza con me ormai lo sapete. l'happy endig è garantito.

grazie alle splendide che come al solito hanno recensito: purtoppo in questo momento non riesco a rispondervi. ma ringrazio anche tutti quelli che si soffermano sulla storia anche senza commentare e anche a quelli che si limitano a darci un'occhiata. il primo capitolo ha avuto più di 1000 visite. per me è qualcosa di incredibile

grazie a ancora a tutti

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** “Altre novità” ***


Capitolo 38

“Altre novità”

 

I tre giorni successivi furono molto tranquilli.

Avevo sentito Edward solo per telefono o tramite messaggi, accampando scuse per non incontrarci fino all’ultimo giorno dell’anno: dovevo resistere solo altre ventiquattro ore in fondo.

In realtà non ero stata poi così bene senza la sua presenza costante.

Sì, è vero, avevo passato molto più tempo con Charlie, chiacchierando e scambiandoci opinioni sulla sua storia con Sue,  che mi rendeva molto felice, e il mio lavoro. Erano stati momenti piacevoli; volevo molto bene a mio padre e mi era realmente mancato nei mesi trascorsi in Inghilterra; ma in realtà quello che mi mancava ora era il mio più caro amico, anzi l’uomo di cui mi ero follemente innamorata.

Ogni volta che mi ero ritrovata a pensare a lui il cuore era partito per la tangente e mi venivano in mente solo i momenti spensierati che avevamo passato insieme dal nostro primo sguardo, fino all’incontro con Leah di tre giorni prima: nessun dolore, nessuna gelosia, nessun attacco d’ansia o di panico.

Cosa poteva significare? Che la sua presenza era più importante di qualsiasi problema avremmo potuto incontrare con il nostro passato?

Non sapevo proprio più cosa fare. Da un lato avrei voluto non pensare ad una vita con lui, per non farlo soffrire; dall’altro non potevo sopportare di stargli lontana. Forse avrei dovuto seguire il consiglio di suo padre: raccontargli tutto, vedere la sua reazione e affidarmi.

Se avesse accettato ciò che mi era successo e le probabili conseguenze, avrei finalmente trovato qualcuno a cui donare i miei sentimenti e ricambiare con tutto l’amore che potevo. Ma la paura che ciò che mi era capitato, o meglio che mi ero cercata, lo disgustasse e lo allontanasse da me, era devastante.

Era appena passata l’ora di pranzo quando Charlie mi informò che sarebbe andato da Sue e che si sarebbe trattenuto a dormire da lei fino all’anno nuovo:

« Bells se vuoi rimango qui con te: ma non hai appuntamento con Edward?». Era già da qualche giorno che avevo sviato i suoi interrogatori sul perché, improvvisamente, dopo tre giorni passati a stretto contatto, non ci fossimo più visti. Gli risposi che sarei andata da lui solo l’indomani.

« Avete litigato?» la sua domanda mi spiazzò: era sempre stato diplomatico, ma ora, forse, vedendo il mio morale non proprio alle stelle e il fatto che da quando non vedevo Ed mi ero praticamente chiusa in casa tra faccende, libri e tv, si era deciso a mettersi in versione detective e partire con la sua arringa. Cercai di mettere su la mia migliore faccia tosta e con un tono dolce mi limitai a spiegargli che entrambi avevamo anche altre cose da fare, oltre a passare giornate insieme, e che avevo proprio voglia di stare insieme a mio padre che non vedevo da un po’.

« Bella anche io sono felice di aver passato questi giorni con te, ma non è normale vedere una persona in tutti i momenti disponibili e poi improvvisamente più nulla…». L’espressione di Charlie vagava dall’ironico, al malizioso, fino ad arrivare al preoccupato, con lo sguardo che saettava sotto alle sopracciglia inarcuate.

Avrei dovuto accennargli qualcosa, mettere in evidenza le mie preoccupazioni o i miei sentimenti? Mille dubbi mi assalivano ogni qual volta la situazione o qualcuno accanto a me tornava sull’argomento Edward.  Ma con Charlie non ce ne fu bisogno:

« Bella, piccola mia, per me tu sarai sempre la mia bambina e sai che chiunque ti fa soffrire deve vedersela con il mio fucile – un sorriso mi uscì spontaneo visto il suo innato istinto di protezione nei miei confronti – ma in fondo mi rendo conto che sei una donna, che ha già vissuto molti momenti importanti nella sua realtà….», il suo sguardo era quello di uno che sapeva o aveva intuito molto di più di quello che gli era stato raccontato, «….. e ti devo dire che donare tutta te stessa ad una persona che ami veramente non è una cosa così terribile…».

«Papà non è come credi….» tentai di giustificarmi, ma probabilmente non riuscivo più ad ingannare nessuno. I miei sentimenti erano ormai palesati dal mio stato d’animo, e l’essergli stata lontana alcuni giorni in modo forzato, per colpa delle mie paure, mostrava i segni sul mio stato d’animo e sul mio volto.

« No Bella, io credo proprio che sia come dico: avrai le tue giustificazioni per esserti allontanata da lui in questi giorni, ma i vostri sentimenti sono abbastanza chiari», mi stavo arrendendo, le mie difese stavano crollando con lui, proprio come era avvenuto con Edward.

« Papà io non voglio soffrire più e soprattutto non voglio che soffra lui, è una persona troppo speciale…». Sentii gli occhi pungermi, ma nessuna lacrima uscì.

Ma cosa mi prendeva? Fino a qualche tempo prima ero stata una fontana e ora che avrei dovuto sfogarmi e lasciare andare tutto per non stare male ero diventata un blocco di pietra?

« Io non so cosa ti sia capitato in passato, ma so che ti ha segnato e costretta a fuggire. Ora pensa bene a quello che puoi fare e avere; non precluderti la possibilità di essere felice». Le sue parole mi colpirono e per un attimo fui tentata di raccontargli tutto, ma vigliacca come ero sempre stata non lo feci, e sviai il discorso dal mio passato.

« Cosa ti fa penare che con lui potrei esserlo?»

« Non lo so, forse il sesto senso…o forse mi sbaglio, ma se non ti butti non potrai mai saperlo e potresti passare i prossimi anni guardando l’uomo della tua vita lontano da te».

Abbassai lo sguardo sorridendo lievemente: l’uomo della mia vita! Charlie forse lo pensava: ma a chi volevo darla a bere, fatta eccezione per le ultime 72 ore, era quello che avevo sperato anche io negli ultimi quattro mesi. Forse sapevo già quello che dovevo fare, me lo ero detto e ridetto e forse la notte di capodanno, che avrei passato a casa sua, sarebbe stata l’occasione.

Non era mia intenzione rivelargli i miei sentimenti, così come avevamo già stabilito il giorno di Natale, ma potevo fare comunque qualcosa per noi: aprirmi con lui.

Dovevo solo cogliere il momento e l’occasione: e se non ci fosse stata? In fondo erano tre giorni che lo snobbavo e magari aveva cambiato opinione su di me.

Oh mamma!! Ero proprio diventata paranoica. Avrei passato la giornata tranquillamente, senza pensare a nulla e poi il giorno dopo avrei deciso.

« Grazie papà» gli dissi abbracciandolo.

« E di cosa? Di essere solo un vecchio brontolone che non riesce a farsi gli affari suoi?» una risata echeggiò nella stanza.

« Sei il padre migliore che si possa avere». Ne ero convinta; lo guardai negli occhi ringraziandolo silenziosamente per esserci, per credere in me e per appoggiarmi nelle mie scelte.

«Senti, visto che sarai dai Cullen solo domani, che ne dici di accompagnarmi a La Push? Sue sarebbe felice di rivederti e un po’ di compagnia ti farebbe bene».

Non so perché accettai, forse volevo veramente non pensare, o forse accontentarlo voleva dire renderlo felice e in quel momento avrei fatto di tutto perché lo fosse.

Uscimmo entrambi di casa senza troppi convenevoli: lui salì sulla sua auto e io sul mio pick-up per essere libera di rincasare giusto in tempo per preparami per l’ultima giornata dell’anno, la festa di Alice e forse il mio chiarimento definitivo con Edward.

Appena arrivammo alla riserva Sue ci corse incontro e senza tanti problemi baciò e abbracciò mio padre che si ritirò con un sorriso malizioso, quasi intimidito dalla mia presenza a quel gesto romantico. In realtà ero molto felice che avesse ricominciato a vivere una storia che sembrava prenderlo seriamente.

Mia madre non era stata una buona moglie e forse ai tempi, nemmeno lui era stato un gran marito: molto giovani, esageratamente estroversa lei, serio e musone lui; passata l’infatuazione iniziale si erano resi conto che non potevano passare il resto della loro vita trascinando un sentimento che rasentava la fratellanza più che l’amore. Ora invece era più maturo, sereno e aveva trovato una donna che riusciva a riempirgli il cuore come mai forse era successo prima.

Sue mi invitò ad entrare ed esternò la sua gioia nel vedermi nuovamente alla riserva.

Dopo circa un’ora di chiacchiere decisi che mi sarebbe piaciuto fare una passeggiata nel villaggio e nel bosco che lo circondava: da piccola ero stata alcune volte in quei luoghi, ma avevo difficoltà a ricordare i dettagli dopo tanto tempo.

Uscii nella gelida aria invernale, mi strinsi nel cappotto e cercando di non scivolare sul ghiaccio formatosi sui vialetti a cause delle recenti nevicate, mi incamminai tranquillamente.

Ero completamente immersa nei miei pensieri e poco attenta al paesaggio quando una voce mi ridestò:

« Tu sei Isabella vero? la figlia del capo Swan?», mi voltai di scatto a quella voce e incontrai lo sguardo di Billy Black che mi sorrideva.

« Salve Billy. Sì, sono io, piacere di rivederla».

« Che ci fai da queste parti?» mi chiese incuriosito. Non so perché, ma la sua presenza mi infastidiva: in realtà mi sarei dovuta sentire in colpa per questi pensieri, non mi aveva fatto nulla. Ma quando lo vedevo ricordavo gli sguardi di Jake e Leah e di conseguenza il loro astio nei confronti dei Cullen e in particolare di Edward.

« Stavo solo facendo due passi: ho accompagnato mio padre ed era parecchio che non venivo da queste parti….».

« Sono pochi i ragazzi che ormai vengono qui, questo villaggio è solo per gli anziani ormai…ed è un peccato».

Sentivo un certo rammarico nella sua voce e fui convinta del fatto che si riferisse alla mancanza dei suoi figli ancora più che dei ragazzi delle altre abitazioni.

«Le manca Jake immagino». Non so perché mi tuffai in quella conversazione, ma non vedevo in lui un serio pericolo alla mia integrità mentale: quanto mi ero sbagliata!!!

Lo vidi rabbuiarsi e abbassare lo sguardo: « Moltissimo: sai con Leah è diverso, lei abita qui vicino, e viene molto spesso da queste parti…. – non  so perché ma quelle informazioni mi fecero rabbrividire (non è vero lo sapevo bene perché, era la vicinanza anche a Edward) – ma con lui è diverso. E’ così lontano e non ha ancora avuto voglia di tornare: gli avvenimenti di due anni fa lo hanno segnato troppo. Non so bene neanche come stia, se sia sereno; vorrei tanto che si buttasse il passato alle spalle e trovasse qualcosa che lo rendesse veramente felice».

Ma perché mi raccontava queste cose? era come se volesse mettermi al corrente di qualcosa con l’intento di mettermi sul chi va là.

« Non ho avuto modo di parlare spesso con lui – non volevo certo dirgli che a malapena ne sopportavo la presenza – ma mi sembra stia bene, per quel poco che lo conosco».

« Speriamo..se solo non si fosse trasferito proprio lì. Non ho mai capito perché abbia voluto mantenere un contatto con lui….», capì subito a chi si riferiva. Effettivamente era stano: odiava Edward con tutte le sue forze, ma si era trasferito nel suo stesso istituto e, a quanto avevo capito, dopo la partenza di Edward. Riflettendo mi sembrava proprio che fosse un atteggiamento alla “ti tengo d’occhio”.

Lo vidi alzare gli occhi e guardarmi con un’espressione indurita rispetto a poco prima:

« Anche tu conosci Cullen immagino?» ok, ora l’espressione era di puro disprezzo.

« Sì, siamo colleghi e abitiamo nello stesso dormitorio», cercai volutamente di non approfondire il nostro legame di amicizia per non dargli motivo di sputare veleno, ma probabilmente sapeva più di quello che dava a vedere.

« Siete amici immagino, so che siete partiti insieme», aveva sicuramente parlato con Jake.

« Sì, lavoriamo insieme e quando abbiamo scoperto che venivamo dallo stesso luogo…» non mi lasciò finire.

« Non fraintendermi Isabella…..io adoro Carlise. Per me è stato un fratello, e sono convinto che ci sia qualcosa di buono anche in suo figlio, ma quello che ha fatto….non glielo posso perdonare». Ora le sue parole trasparivano un vero disprezzo e la cosa mi infastidiva, non poco.

Istintivamente presi le sue difese anche se sapevo che espormi così me ne avrebbe fatto pentire:

« Billy, io capisco che quello che è successo possa aver provocato problemi, incomprensioni e dolore, ma le relazioni finiscono, e anche se le colpe sono stabilite occorre lasciarsi tutto alle spalle, altrimenti le nostre vite non andrebbero mai avanti».

Non volevo fargli capire che secondo me la colpa era di Leah e del fatto che avesse tradito Ed tempo prima della loro separazione: non mi sembrava il caso di rigirare il coltello nella piaga.

« Hai una storia con lui?», il suo tono era divenuto accusatorio, ma cosa voleva da me?

« Come le ho detto, siamo amici e colleghi.  Non penso comunque siano affari suoi »

« Devo dedurre che anche tu hai ceduto al suo fascino, come tutte del resto»

« Che cosa intende con quel tutte?» lo rimbeccai, « non credo che le ragazze che frequenta Edward Cullen siano cose che riguardano noi ».

« Nel momento in cui attira a sé tutte le donne che le circondano e porta via le fidanzate agli altri sì».

Ma che stava dicendo? Stavo diventando furiosa, non sopportavo quel suo modo criptico di dire le cose: era chiaro che lo volesse screditare, e che per farlo sarebbe stato disposto a raccontare qualsiasi meschinità. Sapevo che mi sarei pentita, ma non potei fare a meno di chiedere cosa intendesse:

« Devo dedurre che Edward non ti ha raccontato perché è scappato dagli Stati Uniti?» ora nella sua voce sentivo solo l’odio e il rancore che c’erano anche in quelli di Jake quando parlava di questi argomenti. Cercai di bloccare la conversazione sottolineando che non erano affari miei e forse neanche suoi, ma non ci sentì. Doveva parlare, sfogarsi e sputare fango.

Presi un bel respiro, cercai di chiudere la mia mente ai dubbi e ascoltai quello che mi voleva ovviamente dire:

« Immagino che tu sappia che Edward stava con mia figlia e che era il miglior amico di mio figlio»

« Sì che lo so»

« E credo tu sappia che si sono lasciati in malo modo»

« So anche questo, e allora? Le relazioni finiscono Billy, spesso non è colpa di nessuno, la vita va così»

«Oh no, in questo caso la colpa è di chi lascia una donna e porta via la compagna al suo migliore amico» ma cosa stava dicendo, a cosa si stava riferendo?

« Non capisco…»

« Beh allora il piccolo Cullen non ti ha detto tutto… non ti ha detto che ha lasciato senza motivo la mia piccola e che non si sa perché si è portato a letto la compagna di mio figlio, che ovviamente è stato abbandonato, per poi scaricarla, solo per provare che lui poteva fare tutto ciò che voleva». Vedevo nei suoi occhi un lampo di disgusto, il mio cuore si fermò un attimo: Edward aveva portato via la compagna a Jake, e per quale motivo?…..non poteva averlo fatto per ripicca per il tradimento di Leah, non era il tipo…io non potevo crederci.

Probabilmente i miei occhi sgranati e il mio pallore furono indicativi del mio stato d’animo e sentii quasi le gambe cedermi. Non potevo crederci, il mio Edward non lo avrebbe mai fatto. No, era una menzogna, ma come potevo provarla?

« Io credo che si sbagli Billy…», non riuscii a dire altro, ma era ovvio che essendo ancora poco al corrente della vita passata di Ed, il mio fosse solo un patetico tentativo di sviare le accuse per difendere la persona che amavo: dall’altro lato Billy non sapeva del tradimento di Leah o almeno non ci credeva. Non che potesse essere una giustificazione se Ed aveva fatto veramente ciò che raccontava Billy.

« Non mi sbaglio, ma dal tuo sguardo deduco che non ti avesse raccontato nulla. Quel ragazzo ha rovinato la vita di tre persone solo per il suo egoismo, per provare che poteva farlo. Jake pensava fosse cambiato dai tempi del college, ma non è mai stato così. Mi dispiace che Carlise abbia un figlio così….è una così brava persona lui…» e lo sentii calcare il tono su quel “lui”, come a voler sottolineare che la sua stima si riferiva ad un solo membro maschile della famiglia.

No, Edward non era così. Sapevo che aveva avuto delle storie prima di mettersi con Leah, ma poi mi aveva detto di essere cambiato e di aver messo la testa a posto. Io gli credevo, c’era qualcosa di diverso sotto. Qualcosa che aumentava l’astio di Billy senza un reale motivo.

Forse Leah sentitasi respinta aveva sputato veleno su di lui aizzando padre e fratello. L’avevo vista solo una volta, ma i suoi occhi di sfida mi davano l’idea di una persona in grado di fare questo e altro per tenersi o riprendersi qualcosa che desiderava.

Cercai nuovamente di controbattere ricordando a Billy che da quello che sapevo anche la figlia non si era comportata bene e che, senza voler giustificare nessuno, non era giusto colpevolizzare solo una parte; ma fu tutto inutile. Continuò a sostenere l’inaffidabilità di Edward e a ribadire le sue azioni meschine. Dopo circa cinque minuti di offese nei suoi confronti non resistetti più e presi una scusa per allontanarmi:

« Billy mi dispiace che lei pensi queste cose. L’Edward che ho conosciuto io non è affatto quello che mi sta descrivendo e sinceramente, pur non biasimandola, non posso accettare solo la sua versione; credo che a tutto ci siano motivi e spiegazioni…». La mia voce stava tremando e si era sicuramente alzata.

« Anche tu sei caduta nella sua rete: bello intelligente, affascinante, un vero gentiluomo, fino a che non viene fuori l’essere egoista che c’è in lui».

« Ora basta Billy!» mi voltai sentendo la voce di Charlie alle mie spalle:

 « Non penso spetti a te raccontare cose personali. Bella conosce Edward e se è intenzionato a farlo, racconterà lui il suo passato a mia figlia». Aveva probabilmente sentito una parte della conversazione, anche perché negli ultimi momenti il mio tono era notevolmente aumentato a causa dell’agitazione e la casa di Sue era vicina; ma quello che mi stupì fu il modo in cui prese le mie difese e quelle di Edward, dandomi l’impressione di avere comunque una grande fiducia nelle mie capacità di giudizio e nell’impressione che Ed aveva fatto su di lui.

«Volevo solo metterla in guardia Charlie, che non faccia anche lei l’errore di tutte le altre: quello di lasciarsi abbindolare».

« Ribadisco che non credo sia tu a dove dire certe cose – il tono di Charlie era sempre più duro e con un braccio mi strinse le spalle forse per infondermi sicurezza – è adulta e sa fare le sue scelte e ora se non ti dispiace ti pregherei di non importunarla più».

Vidi Billy girare sulla sua sedia a rotelle, dirigersi verso quella che probabilmente era la sua abitazione, con un’aria scocciata probabilmente per l’interruzione di mio padre, ma nello stesso tempo compiaciuta per aver instillato in me il dubbio.

Perché in realtà era avvenuto: il fatto che Edward mi avesse sempre raccontato poco della sua vita poteva significare che c’era qualcosa di vero nelle sue parole. Una parte di me faticava a crederlo, ma l’altra….la più pessimista, stava franando sotto quelle affermazioni. Per fortuna la voce e le parole di mio padre mi ridestarono:

« Bella ti senti bene? Non ascoltare tutto quello che si dice>> lo guardai negli occhi con uno sguardo triste.

« Papà, so veramente poco della vita passata di Ed…..potrebbe anche essere vero».

« Ma potrebbero esserci delle spiegazioni più chiare a quelle che ti ha dato Billy: secondo me dovresti parlarne con il diretto interessato». Mi stava suggerendo di andare da lui, riferirgli le parole di Billy, vedere la sua reazione e sentire la sua giustificazione? E chi mi avrebbe garantito che non mi avrebbe mentito?

Ero veramente in un limbo, ma poi ripensai al suo volto, alle sue parole, ai suoi gesti nei miei confronti…gli avrei parlato, avrei chiesto tutto e avrei capito dai suoi occhi quale fosse la verità: quelli non mi avrebbero mai mentito. Aveva ragione mio padre…..come sempre.

«Hai ragione…devo parlare con lui, sapere, chiarire ma poi…?.» mi rattristai pensando all’idea di non vederlo più.

«Non correre troppo con la fantasia. Sono comunque cose passate e se ora Edward è quella persona stupenda che credo e che tu hai conosciuto quattro mesi fa, ti darà le sue giustificazioni, ammetterà i suoi errori, e poi.. cosa cambia? tutti sbagliamo nella vita! Bisogna saper accettare anche qualcuno che non è stato perfetto». Annuii incapace di rispondere.

Credevo ciecamente a quello che mi aveva detto Charlie, ma una morsa continuava ad attanagliarmi lo stomaco. Se veramente fosse stato come diceva Billy, avrei dovuto capire e soprattutto lui avrebbe dovuto parlare con Leah, chiederle scusa, altrimenti non si sarebbe mai lasciato il passato alle spalle e non avrebbe mai potuto ricominciare, neanche con me , perché non sarebbe mai stato realmente sereno.

Lo abbracciai, gli diedi un bacio sulla guancia e mi diressi all’auto. Era ormai sera e il mattino dopo mi sarei presentata dai Cullen per aiutare nei preparativi e per sentire la versione di Edward. Dovevo solo trovare il momento e il modo più giusto per parlarne senza crollare nuovamente.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** “Fine d’anno” ***


Capitolo 39

“Fine d’anno”

 

Quando al mattino mi risvegliai avevo riposato veramente poco: le rivelazioni di Billy e la successiva conversazione con mio padre mi avevano creato confusione e necessità di riflettere, ma più di tutti mi ero resa conto di quanto in un frangente di questo genere mi fosse mancata la presenza di Edward: sarebbe sicuramente stato in grado di spiegarmi, e di rassicurami, perché credevo ciecamente nella sua lealtà.

Non ci eravamo sentiti nelle ultime ventiquattro ore e mi ero accorta che il mio tentativo di tenerlo lontano per consentirgli di vivere senza pensare ai miei problemi, aveva portato me ad avere dei problemi: di solitudine. Lo amavo, senza eccezioni, ed ero egoista perché con tutto ciò che la mia vicinanza poteva causargli, non ero in grado di farne a meno. E anche se sapevo che quello che aveva detto Billy sarebbe stato un problema o ancora peggio un ostacolo, non potevo fare a meno di pensare a lui, ai suoi occhi, alla sua premura nei miei confronti.

Se le nostre vite erano state veramente così tormentate non dovevo preoccuparmi di pesare su di lui: avremmo potuto condividere talmente tanti dolori ed errori che ci saremmo sostenuti a vicenda.

Erano quasi le nove quando sentii arrivare un messaggio:

Spero tu non abbia cambiato idea sul fatto di passare il capodanno da noi: so che hai avuto bisogno di tempo per te, per riprenderti e ti capisco, ma mi manchi e spero di rivederti presto. E.”.

Gli ero mancata, tanto quanto lui era mancato a me: al diavolo i miei dubbi, non potevo stare così tanto senza vederlo o parlare con lui e considerarmi ancora una persona sana di mente. E poi dovevo sapere cosa era accaduto con Leah e capire quanto questo facesse di lui una persona cinica o solo qualcuno che si era perso e aveva sbagliato nella sua vita quasi come avevo fatto io.

Non feci in tempo a rispondere che il telefono squillò e guardando il display riconobbi il numero di Alice:

« Ciao Bella come ti senti, tutto bene?». Sentii dal suo tono squillante che era felice di avermi trovata. Molto probabilmente si era trattenuta in questi tre giorni, anche a seguito del mio malore, ma ora non ce l’aveva fatta più.

« Ciao Alice sto bene grazie, è tutto pronto per stasera?»

« Non me ne parlare Bella. Ho ancora tantissime cose da fare! Ehmm…mi chiedevo, solo se ti senti bene e non hai niente da fare…», mi venne da sorridere, era chiaro che volesse chiedermi qualcosa, ma probabilmente a causa di quello che mi era accaduto voleva andarci con i piedi di piombo,

« Alice io sto bene che sta succedendo?», continuai con il tono di chi sa già la risposta che darà.

« avresti voglia di venire ad aiutarmi? Mi farebbe piacere un tuo parere e poi mi manca parlare con te…». Che dolce che era, in questi momenti veniva fuori tutta la somiglianza con il fratello.

« Certo Alice, vengo molto volentieri, anche tu mi sei mancata. Preparo qualcosa in valigia e ti raggiungo. Volevo solo chiederti: Edward è in casa?», non riuscii a evitare l’argomento. In cuor mio sapevo che la sua vita continuava, ma speravo che avrei potuto rivederlo al più presto per vedere se anche a lui ero mancata come lui a me.

«Ora non è in casa, so che aveva alcune commissioni da fare, ma….gli sei mancata molto», potei giurare che un sorriso sornione le fosse comparso sul viso.

« Anche lui mi è mancato molto – sussurrai appena – ma avevo veramente bisogno di riprendermi e non può sempre farmi da infermiere»

« Ok – rispose molto diplomaticamente – ma ora ho proprio bisogno di te….a tra poco. Ah Edward sarà felice di rivederti, in questi giorni è stato veramente…..assente?» Le supposizioni di  Alice sullo stato emotivo di Edward, se da un lato mi facevano piacere, dall’altro mi preoccupavano per la dipendenza che creava la nostra amicizia ad entrambi.

Ci salutammo e continuando a pensare a come affrontare l’argomento Jake e Leah, mi preparai per ritornare in casa Cullen dopo tre giorni dal mio attacco di panico. In realtà il pensiero di ritrovarmi con la famiglia di Edward dopo quello che era successo mi tranquillizzava da un lato, mentre dall’altro mi spaventava. Il fatto che fossero gli unici a sapere del mio malore e che onesti com’erano non lo avrebbero mai raccontato a mio padre mi confortava, mentre l’imbarazzo per quello che era successo e il fatto che fossero stati gli unici oltre a Edward a vedere la mia debolezza mi agitava.

Cercai di non pensare a queste cose e appena tutto fu pronto scrissi un biglietto a Charlie per ricordargli dove mi trovavo nel caso in cui fosse rientrato prima di me. Quando uscii di casa chiudendomi la porta alle spalle guardai istintivamente la fine del vialetto, ricordando le volte in cui a sorpresa trovavo Edward che mi era venuto a prendere. Quella mattina non c’era, non credo perché non volesse, ma perché aveva rispettato il mio desiderio e mi aveva lasciata sola in quei giorni: salii sul mio furgoncino e mi diressi a villa Cullen.

Non so perché, ma man mano che mi avvicinavo il cuore batteva sempre più veloce e dovetti prendere respiri profondi per rimanere concentrata alla guida. Sola nel mio abitacolo ripensai alle parole di Ed l’ultima sera che avevo dormito a casa sua e capii molto della conversazione che aveva avuto con Leah: “non ho nessun interesse a parlare né a chiarirmi per cose che ho già superato, come avrebbe voluto lei”. Ecco perché aveva dimostrato fastidio per la mia presenza e perché la discussione fra i due si era animata. Lei voleva parlare con lui da soli e chissà, forse voleva spiegazioni sulla sua fuga in Inghilterra, sul perché fosse andato con la ragazza di Jake, o ancora avrebbe voluto ricucire i rapporti con lui…

Una serie di ipotesi si formò nella mia mente, ma per nessuna trovavo risposte positive; tutte vedevano il loro riavvicinamento e la cosa mi inquietava. Cercai di riprendermi e non pensare solo al peggio: avrei dovuto aspettare di parlare con Edward per capire, trarre le mie conclusioni e prendere una decisione definitiva sul mio rapporto con lui.

Arrivai nel giro di qualche minuto, parcheggiai e appena scesi, non so perché ma mi aspettai di vederlo uscire per accogliermi a braccia aperte così come era stata sua abitudine fino a quel momento. Invece non accadde nulla e mi avvicinai alla porta d’ingesso timorosa di aver provocato, con  il mio allontanamento di quei giorni, una frattura fra noi e quando bussai il fatto che fosse Alice ad accogliermi e non il fratello me lo fece pensare ancora di più.

« Ciao Bella, come stai? Entra…». Mi guardai intorno come se fosse stata la prima volta che entravo in quella casa: in realtà stavo solo cercando lui. Probabilmente Alice se ne accorse perché si affrettò a dirmi che Edward non era in casa: lo aveva mandato a fare alcune commissioni e sarebbe rientrato di lì a poco. Da un lato questa notizia mi rattristò, ma dall’altra mi confortò perché avrei potuto rimandare di un po’ un confronto, uno scambio di sguardi, una giustificazione al mio allontanamento e ovviamente la formulazione dei miei dubbi.

Nel salone erano avvenuti degli spostamenti, segno che la creatività di Alice era già all’opera per la preparazione della festa.

Prima che potessi appoggiare la borsa mi invitò a seguirla nella stanza degli ospiti in cui ero già stata e che sapevo trovarsi sullo stesso piano di quella di Edward: chissà se avremmo avuto modo di parlarci dopo la festa, magari per tutta la notte come facevamo al campus. Alice mi vide probabilmente pensierosa mentre salivo le scale e subito si preoccupò che mi fossi completamente ripresa da ciò che mi era capitato tre giorni prima.

« Grazie per l’interessamento Alice, ora sto bene. Stavo solo pensando ad alcune cose…»

« E queste cose includono mio fratello?», la vidi chiaramente sorridere e non potei fare a meno di abbassare lo sguardo sorridendo a mia volta. In realtà i miei pensieri degli ultimi tempi erano stati più tormentati  rispetto a i precedenti, ma riguardavano comunque Edward e questa cosa doveva essere scritta a caratteri cubitali sul mio torace, perché tutti lo capivano al primo sguardo. Non potei ribattere perché continuò:

« Ti ripeto che non so cosa sia successo esattamente tra voi, ma so che gli sei mancata e lui è mancato a te: credimi se ti dico che negli ultimi due giorni ho visto risorgere l’Edward scorbutico che ha lasciato Seattle due anni fa. Non credo abbia preso così bene il tuo allontanamento, forse perché, come me non ha ben capito le motivazioni». Non potei trattenermi dal chiederle se secondo lei era arrabbiato con me, ma mi tranquillizzò:

« Non credo proprio, forse lo è più con se stesso perché non ha saputo convincerti a rimanergli accanto in questi giorni e perché pensa di essere lui la causa di questo vostro allontanamento»

« Te lo ha dello lui?», chiesi preoccupata, non volevo assolutamente che pensasse questo,

« No, ma dai discorsi sul fatto di non causargli disturbo con la tua presenza e il fatto che tutto sia avvenuto dopo la conversazione con Leah gli ha fatto fare due più due». Abbassai lo sguardo incapace di ribattere: il legame tra i due fratelli era veramente stretto visto che le aveva raccontato ciò che era accaduto a Port Angeles.

« Non è così semplice…abbiamo bisogno di chiarimenti se vogliamo…..», tentai di giustificarmi.

« Non devi darmi spiegazioni» mi interruppe Alice, e mi fece accomodare nella stanza già pronta. L’unica differenza dall’ultima volta era un abito che giaceva sul letto. Appoggiai le mie cose, mi avvicinai e la guardai per avere chiarimenti.

« Non fare storie Bella, so che quando lo vedrai indossato lo adorerai e mio fratello perderà la testa credimi»

« Alice non credo sia il caso…»

« Io credo proprio di sì, è ora che facciate qualche passo in avanti voi due», la bloccai, spiegandole che avrei preferito evitare e attendere di essere in Inghilterra prima di confessargli quello che provavo: e ora dopo quello che era accaduto e l’incontro con Billy di cui lei non era a conoscenza, ero ancora più convinta di questo. Lì per lì sembrò capire, ma mi ribadì l’innocenza di farsi belle per piacere ad una persona chiaramente interessata a me. Non ribattei e la lasciai ai suoi vaneggiamenti sull’importanza della moda.

« Sai Bella, Jasper è qui!», mi disse sorridente e visibilmente emozionata, « ieri sera l’ho presentato a mamma e papà: non c’è ancora niente di ufficiale, ma sono così felice e sicuramente…. siamo avanti rispetto a  voi…». Mi punzecchiò sarcastica e io le feci il gesto di tirarle la prima cosa che mi capitò tra le mani. In realtà ero molto felice per lei, ero quasi certa che fosse la persona giusta e lo ribadii.

« Non ho visto i tuoi, vorrei ringraziarli per l’ospitalità»

« Non temere , non è necessario, li vedrai tra poco e poi partiranno»

« Come partiranno?»

« Hanno pensato di farsi un romantico capodanno nella nostra baita in Alaska, così da lasciare noi ragazzi liberi per la festa»

« Non temono che le tue pazze organizzazioni possano demolire la loro splendida casa» aggiunsi sarcastica.

« Oh no, mia cara, sanno che comunque per quanto possiamo essere matti, non faremmo mai cose sbagliate: beh che ne dici ora di venire a darmi una mano prima che “tutti” – e potei notare un tono diverso della voce su quel tutti – rientrino e mi maledicano per non aver preparato ancora nulla. Inoltre il catering sarà qui fra poco». Certo che Alice era un’organizzatrice nata e non avrebbe mai tralasciato nessun dettaglio.

Si congedò dicendomi che mi avrebbe atteso nel salone. Quando si fu chiusa la porta alle spalle osservai l’abito che giaceva sul letto. Era veramente bello e pensai dentro di me che fosse sprecato per una sera in cui, sì, sarei stata accanto a Ed, ma nella quale avrei chiesto e dato più che altro spiegazioni su cose poco piacevoli delle nostre vite.

Guardai fuori per un attimo dalla grande vetrata e poi uscii, soffermandomi in cima alle scale di fronte alla porta socchiusa della sua stanza . Erano solo due giorni che non ci entravo, ma mi sembravano già così lontani i bei momenti passati insieme. Cercando di distrarmi da questi pensieri poco felici mi diressi al piano di sotto e iniziai ad aiutare la mia amica con addobbi e decorazioni. Non so quanto tempo esattamente passò, ma mi sembrava ormai tutto il pomeriggio che spostavo oggetti, mobili e appendevo lanterne e festoni.

« No Bella, direi che quella poltrona dovremmo rimetterla qui…». Erano almeno dieci volte che spostava poltrone e divani avanti e indietro nella stessa stanza per dare a tutti la possibilità di essere comodi.

Con un sonoro quanto inutile sbuffo, mi diressi verso il salotto per fare ciò che mi aveva chiesto e non feci in tempo ad appoggiare le mani sullo schienale della poltrona che due braccia forti mi circondarono, andandosi ad appoggiare esattamente a fianco delle mie mani come per aiutarmi a spingere.

« Quella pazza di mia sorella non dovrebbe costringerti a fare certe cose». Quella voce, la sua splendida voce, seria e ancora più calda se possibile, mi costrinse a raddrizzarmi sulla schiena e voltarmi nella sua direzione: era il mio Edward, bello come sempre, anche se con uno sguardo più segnato, come se non avesse riposato bene nelle ultime notti. Mi rivolse un dolce sorriso e io feci altrettanto cercando comunque di non far trapelare troppe emozioni.

Nella mia mente vorticava ancora la nostra conversazione sulla mia necessità di stare da sola e ancora di più le parole di Billy Black, che non so come, prima o poi avrebbero dovuto aprire una conversazione fra noi. Pur cercando di trattenermi nell’espansività non potei fare a meno di fissarlo negli occhi e risponderli con un ciao sussurrato, ma comunque dolce.

Ci ritrovammo uno di fronte all’altra:

« Ciao Bella, come stai?». Senza mai distogliere lo sguardo dal suo viso, risposi che stavo bene e ricambiai la domanda. La sua risposta mi spiazzò leggermente, anche se dovevo immaginarla, così come la sua reazione:

« Io sto bene, ma mi sei mancata» mi accarezzò lievemente un braccio, staccandosi subito come scottato e lo vidi abbassare lo sguardo come se temesse un mio giudizio negativo a questa sua affermazione: e tutto solo perché ero stata io a dire di voler stare sola qualche giorno. Nonostante il mio cuore urlasse dal desiderio di confessargli il vuoto che rimbombava nel mio cranio e nella mia cassa toracica quando lui non era con me, i mille brividi che avevano percorso la mia pelle quando mi aveva sfiorata, mi limitai ad abbassare lo sguardo rattristandomi leggermente per la confusione che avevo creato nella sua vita e nella mia mente.

Ovviamente proruppe in quel momento Alice ad interrompere una conversazione fatta più che altro di sguardi e richiamando la mia partecipazione al lavoro:

« Su Ed, ora vai ad aspettare fuori il catering, dovrebbe essere qui a minuti: tu e Bella avrete molto tempo per parlare questa sera». Ci scambiammo uno sguardo rassegnato e uno splendido sorriso, il suo sorriso, gli comparve sul volto. Si limitò ad un “ok agli ordini” e se ne andò. Non riuscii a togliergli gli occhi di dosso fino a che non lo vidi sparire dietro alla porta e non lo sentii uscire in guardino.

« E tu non saresti innamorata pazza di lui?», furono le parole che mi riscossero dal mio stato di assenza mentale momentaneo, « siete proprio due allocchi….lo vedi come è ridotto?». Non potei ribattere nulla: la sua affermazioni mi aveva spiazzato pur sapendo quello che pensava e in più il suo andirivieni dalle stanze era talmente frenetico che rinunciai a qualsiasi ammonimento e continuai ad aiutarla.

Purtroppo a causa degli impegni che Alice aveva affidato ad ognuno di noi, non mi fu possibile parlare con Ed per il resto del pomeriggio: ci eravamo incontrati e scontrati solo un paio di volte e tranne due parole di circostanza e qualche sorriso non eravamo riusciti a  fare altro.

Verso sera avevamo salutato calorosamente i genitori di Edward che si erano prodigati in raccomandazioni per la serata e non avevano esitato a preoccuparsi per la mia salute.

Quando fu il momento di prepararsi mi recai nella mia stanza e come una perfetta codarda che sta per avvicinarsi al momento della verità e vuole ritardarlo il più possibile, mi chiusi dentro e mi dedicai a me stessa cercando di rilassarmi e infondermi più calma possibile in previsione della serata: mi chiedevo continuamente se fossi veramente stata in grado di parlargli e ancora di più di chiedergli di spiegarmi cosa era successo veramente due anni prima: e lui, mi avrebbe detto la verità?

Uscii dalla doccia, che ormai aveva perso la sue proprietà rilassanti visti i miei pensieri, e mi vestii e curai accuratamente. Non volevo eccedere, ma non potevo negare che avevo bisogno più che mai per la mia autostima, degli sguardi che Edward mi riservava quando qualcosa di me attirava la sua attenzione. Il vestito di Alice in questo mi avrebbe sicuramente aiutato; nella sua semplicità era veramente d’effetto. Quando fui pronta presi un bel respiro e mi preparai a scendere nel salone dove già qualche invitato aveva fatto il suo ingresso, ma quando aprii la porta Edward era appoggiato allo stipite quasi come se mi avesse volutamente aspettato.

« Spero non ti dispiaccia ho sentito che eri ancora dentro e ho pensato che potevamo scendere insieme»

« Sai che non potrebbe mai dispiacermi» ci tenni a precisare.

« Non mi era sembrato questo negli ultimi giorni, visto che non hai voluto vedermi…». Il suo tono era stato un misto fra il dispiaciuto e il rimprovero, ma dai suoi occhi vidi il dolore della nostra separazione. In quel momento mi dispiacque da morire di aver forzato il nostro allontanamento, senza pensare realmente a cosa lui avrebbe voluto. Avevo deciso io per entrambi, come al solito e forse così mi ero giocata i sentimenti che sembrava lui provasse per me. Poi vedendo il mio sguardo rattristato alla sua affermazione si corresse: « scusa non volevo, è che…non ho ben capito il perché ci siamo allontanati in questi due giorni e mi è dispiaciuto».

Non sapevo che dire, tra noi non c’era stato nulla in realtà ma mi era sembrato di averlo ferito veramente:

«No non dispiacerti, la colpa è solo mia è che avevo proprio bisogno di stare un po’ da sola, tu non c’entri, il problema è solo mio anzi….». Ero ad un passo dal dirgli il perché non ci fossimo visti, ma qualcosa, forse la vergogna per il mio egoismo mi trattenne. Fu lui con le sue parole a sollevarmi dall’imbarazzo per una risposta che non sapevo dare.

« No scusa tu: oggi è un giorno di festa, godiamocelo, poi se vorrai domani parleremo». La sua capacità di riflettere e trovare il momento giusto sempre per tutto mi lasciava ogni volta spiazzata. Sapeva che c’era qualcosa che mi tormentava, che questa cosa mi aveva portato alla decisione di non vederlo, ma nonostante questo mi capiva e sapeva che quello era il momento della leggerezza e non del tormento. Ci avremmo pensato poi: e se avessi voluto essere veramente onesta con lui gli avrei detto il perché ero letteralmente fuggita giorni prima e le parole che Billy aveva sputato e che mi avevano lasciato inequivocabilmente turbata.

Scendemmo nel salone insieme, vicini, ma non stretti in un abbraccio comunque per noi familiare. Molte persone erano già arrivate; riconobbi alcuni dei miei vecchi compagni di scuola che probabilmente avevano conosciuto i Cullen nel momento io cui io ero partita per Jacksonville. Vidi Rosalie che mi salutò molto calorosamente e infine Alice, letteralmente attaccata a Jasper. Non riuscii a trattenere un sorriso vedendo la faccia di Ed alla scena.

Ci avvicinammo a loro, lo salutai e per un attimo mi venne in mente la mia Inghilterra, la mia scuola, i miei alunni e la mia vita. Perché questo era: là con Edward, c’era la mia nuova vita e stupidamente avevo permesso al quel viaggio di far tornare i fantasmi del passato e incrinare quelle certezze che mi ero costruita in quattro mesi lontano da lì. Amavo Forks, ma quello che scatenava in me viverci era il motivo per cui di lì a una settimana sarei tornata a Londra senza il minimo rimpianto: senza contare ovviamente il fatto che forse tutto sarebbe tornato normale  e magari ci sarebbe stato qualcosa di più.

Intenzionalmente cercai di passare la mia serata il più possibile lontano da lui, conversando con le persone che conoscevo e non vedevo da qualche mese, beandomi dei suoi sguardi e dei suoi sorrisi che mi accendevano il cuore spento quando lui non c’era, ma nello stesso tempo cercando di rimanere il più possibile sola a pensare. In realtà in certi momenti mi ero sentita proprio come una fuggitiva e sperai che nessuno se ne fosse accorto.

La serata era stata veramente piacevole, la festa era riuscita molto bene, tutti si erano divertiti, ma quando si avvicinò la mezzanotte istintivamente mi allontanai. Non so perché, ma probabilmente il fatto che tutti si sarebbero scambiati baci e abbracci mi portò a sperare di non dover partecipare a questo rito, per non dover avere nessun contatto con Edward prima del nostro chiarimento. Sapevo che se solo mi avesse sfiorato avrei perso ogni razionalità e dimenticato persino il mio nome. Preferii quindi salire nella mia stanza con in mano un bicchiere di champagne e aspettare lo scoccare della mezzanotte sola.

Quando fui seduta sul letto guardai fuori, il buio che circondava la casa e che ora, a differenza delle altre volte, mi trasmetteva solitudine e angoscia, probabilmente dovuto al fatto che era il mio cuore ad essere solo e angosciato.

Di questo mi ero resa ormai conto: senza la sua costante presenza ripiombavo nel silenzio della mia vita e tutti i pensieri più tristi mi tornavano alla mente. Ero talmente immersa nei miei pensieri da non accorgermi che qualcuno si era affacciato alla porta ed era stato costretto ad un lieve bussare per attirare la mia attenzione: Edward era nella mia stanza e ora non sarei potuta fuggire. No so se per augurarmi il capodanno o parlare dei giorni passati, ma era in piedi di fronte al mio letto con un bicchiere in mano a sua volta e uno sguardo più serio del solito.

« Bella che ci fai quassù tutta sola, sono circa dieci minuti che ti cerco, sono le undici e mezza e Alice non te lo perdonerà se perderai i suoi fuochi artificiali allo scoccare della mezzanotte, ha mosso tutti gli artificieri di Forks», un sorriso gli comparve sul volto e non potei non ricambiare pensando ai salti mortali fatti dalla sorella perché tutto fosse perfetto.

«Scusa è che avevo proprio bisogno di stare un po’ in silenzio, c’è una tale confusione di sotto», lo guardai cercando di non fissarmi sui dettagli del suo viso che dal primo momento avevano attirato la mia attenzione.

« Non pensi che ultimamente tu abbia bisogno un po’ troppo di stare sola? Non credo ti faccia stare poi così bene. Ti ho osservata stasera e mi sei sembrata troppo triste e pensierosa» in realtà mi aspettavo che portasse avanti l’argomento, ma non che lo facesse con una domanda di questo genere. Sapevo che il mio atteggiamento lo aveva turbato, se non addirittura ferito e se non volevo rompere definitivamente tutti i rapporti con lui, oltre che farlo arrabbiare, avrei dovuto dargli qualche giustificazione.

« Bella ti prego, dimmi cosa ti è successo per allontanarti così da me, credevo fossimo buoni amici, mi sbagliavo?». Il suo tono ora era veramente dispiaciuto e avrei voluto confessargli in un impeto che oltre che buoni amici per me lui era qualcosa di più: era diventato il mio tutto e che proprio per questo non volevo che vivesse una vita fatta di alternanze, causate dalla mia instabilità emotiva.

Ora però gli dovevo qualche risposta, non meritava la mia indifferenza, anche perché non ne ero proprio capace. Cercai di parlare con il tono più calmo possibile deglutendo più volte per evitare che il magone che avevo in gola mi facesse crollare:

« Certo che lo siamo, è solo che….» non riuscivo a parlare, troppe cose da dire e troppo confuse, optai per una mezza verità, tralasciando il problema  “incontro con Leah”. Abbassai lo sguardo e appena lo sentii sedere accanto a me le sue mani mi alzarono il viso in un gesto ormai familiare, nel tentativo di farmi parlare guardandolo negli occhi.

«Ed io non voglio che tu ti senta costretto a sostenere i miei problemi – cercai di iniziare prendendola larga, ma di questo passo chissà se sarei mai riuscita a dirgli anche di Billy – da quando ci conosciamo non fai altro che aiutarmi e assistere alle mie problematiche. Non voglio trascinarti nelle mie paranoie».

« Bella lo sai che ti sono sempre stato accanto più che volentieri, la nostra amicizia è qualcosa di molto importante per me ». Abbassò lo sguardo come imbarazzato, ma non capii se perché aveva definito il nostro rapporto “un’amicizia” o se perché aveva sottolineato l’importanza che aveva.

«Edward la mia vita è stata tutta piena di inciampi e ora me ne rendo conto più che mai. Questo mi ha portato ad essere una persona fragile sotto molti punti di vista e non voglio che tu ne subisca le conseguenze. Sei una persona meravigliosa, non meriti di condividere il mio limbo»

« Non spetta a te deciderlo», ribatté deciso e la sua risposta mi colpì. Era veramente disposto a starmi accanto nonostante molto del mio carattere fosse sbagliato!

« La mia crisi di panico dell’altro giorno rappresenta quello che sono, quello che ho vissuto e non so quando questi episodi riusciranno ad abbandonarmi del tutto e non credo siano una cosa positiva per la nostra amicizia»

«Perché? Gli amici servono anche a questo, o sbaglio?» non sbagliava, ma l’amore che provavo per lui andava oltre l’amicizia e questo mi spingeva a proteggerlo dalle situazioni di dolore; anche se questo voleva significare tenerlo lontano dalla mia vita.

« Sì lo so, ma quando situazioni di questo genere si presentano troppe volte, anche l’amicizia più salda può incrinarsi. Il troppo dolore non è mai sopportabile»

« Penso che il problema vada affrontato quando si presenterà non credi? In questo momento sai che puoi contare su di me e allora perché allontanarmi?».

Non potevo più girarci attorno dovevo andare dritto al punto:

« Per quello che sono stata…..per ciò che ho vissuto….. ho paura……sento che scomparirai* e preferisco che sia ora piuttosto che fra alcuni mesi, quando il danno emotivo sarà irreparabile, soprattutto per me…». Sussurrai a malapena queste ultime parole, sperando quasi che non mi avesse sentito, ma così non fu visto la sua risposta.

« Io non scomparirò…mai… e non voglio che tu stia male, perché pensi che possa accadere? Quando due persone sono legate da un sentimento reale insieme riescono a sostenere molte più cose che se fossero soli. Non è detto che si debba crollare, anche se la vita di uno dei due è stata dura». Ormai non avevo più timore di confessargli i miei dubbi, tanto in un momento come quello non sarebbero emersi i miei veri sentimenti.

« La verità – mi ritrovai una forza che non credevo per guardarlo negli occhi – è che sei una persona troppo importante per me per farti soffrire per gli errori passati», i mie occhi erano tristi, così come i suoi. Se fossimo state due persone abbastanza furbe, ci saremmo detti addio in quel momento per evitare di complicare tutto, ma così non fu. La sua mano fu sul mio viso ad accarezzare la mia guancia:

« Dividi con me le tue pene, non portarti tutto dentro, te l’ho già detto. Solo così potrai stare meglio»

« E tu?» ok avevo lanciato il sasso, ora non dovevo farmi avanti e affrontare l’argomento Billy  «Io? Credo di essere abbastanza forte per poterti aiutare, o no?» un lieve sorriso gli si era dipinto sul volto, ma sapevo che gli si sarebbe spento nel momento in cui avesse capito dove volevo andare a parare

« Non è questo: anche tu hai avuto una vita difficile e hai sofferto. Non pensi che accollarti anche i miei tormenti non ti sarà di aiuto per ricominciare?». Come avevo previsto si fece serio, ma in un primo momento la sua risposta mi lasciò di stucco.

« E chi ti dice che per me questo non sia già un ricominciare? La nostra amicizia è già un nuovo inizio per me e in questo  momento non credo di avere bisogno di altro……», la voce gli morì improvvisamente in gola e il suo sguardo si piantò interrogativo nei miei occhi, « hai parlato con Jacob?» aveva capito, anche se forse non  immaginava fosse stato Billy. Non potei certo mentirgli: « Ho parlato con suo padre»

« E’ per questo che mi hai lasciato solo per tre giorni?»

«No! – mi affrettai a spiegare – la mia decisione di stare sola è dipesa da quello che ti ho detto prima (bugia! E Leah dove la metti!!), con Billy ho parlato solo ieri, per caso», non so perché ma ritenni necessario giustificarmi, come se avessi violato la sua privacy oltre che la sua fiducia

« e…..»

« e.. nulla, non volevo trarre conclusioni prima di aver parlato con te, ma…»

« quello che ti ha raccontato ti ha fatto schifo vero? Mi odi per questo?»

«no, mai – mi affrettai  a rispondergli quasi urlando – ti conosco bene, so che uomo sei e nutro seri dubbi su quello che mi ha raccontato Billy, ma non posso non ammettere che sono rimasta turbata perché non mi sei sembrato tu»

« Cosa ti ha detto realmente?», non me la sentivo e per un attimo mi pentii di aver accennato la cosa, « Bella – mi richiamò – cosa ti ha detto Billy?». La voce gli si alzò: non so dove trovai la forza, ma sputai tutto d’un fiato:

« E’ rimasto molto sul vago ma ha detto che dopo aver lasciato Leah hai portato via la compagna a Jake e hai scaricato anche lei».

Sgranò gli occhi leggermente, ma non sembrò stupito più di tanto: « E tu gli hai creduto?». Abbassai il volto e improvvisamente mi resi conto che avevo ancora il calice di champagne nelle mani e lo avevo rigirato nervosamente tutto il tempo tra le dita.

« Non del tutto, cioè….ci sono rimasta male lì per lì, ma poi…..mi sono detta che non era possibile…che la persona che ho conosciuto in questi mesi non avrebbe mai fatto una cosa del genere….però dovevo parlartene per….»

« ti ha comunque instillato il dubbio – mi interruppe – e questo per lui deve essere stato già più che sufficiente per prendersi una piccola rivincita».

Non seppi rispondere. In realtà era vero e ora che lo avevo di fronte mi vergognai anche solo di aver avuto certi dubbi su di lui.

« Vuoi sapere come sono andate veramente le cose? Però devi essere disposta ad ascoltarmi fino in fondo prima di giudicarmi. Non voglio che tu mi dia ragione: sono stato uno stronzo e ho ferito molte persone, ma non è andata proprio come ti hanno detto e ho cercato di rimediare per quanto mi fosse possibile…ma senza risultato». La sua voce si era leggermente incrinata, segno che queste cose lo scuotevano ancora nel profondo e forse era proprio per questo che non me ne aveva voluto parlare.

« Parlami Ed – questa volta fui io ad accarezzargli il viso e un braccio – e poi quando avrai alleggerito il tuo cuore ti parlerò di me» lo dissi più per spronarlo a non chiudersi che per effettiva convinzione,  ma in quel momento il cuore mi diceva così e gli ubbidii.

Lo vidi alzare il suo sguardo e fissare i suoi splendidi occhi verdi nei miei, convinto più che mai di quello che stava per fare. Il mio cuore batteva veloce e sentivo che molte cose sarebbero cambiate quella sera.

 

 

 

 

 note: non credevo di farcela, tre capitoli postati!! ok non vi ci abituate anche perchè i capitoli già scritti volgono al termine....già. le nuove cose scritte vanno a rilento e fra poco dovrete cominciare a pazientare...anche perchè dopo la tempesta che ancora ci aspetta ci dovrebbe essere un beeeel pò di sereno (non troppo se no mi mandate il conto del dentista per i denti cariati!!:))

posso capire che 40 capitoli di amicizia siano tanti e se qualcuno sta allentando la presa della lettura lo capisco, ma in fondo non sono una scrittrice (magari!!!) e molto spesso quello che ho riportato su questi personaggi erano stati d'animo ed emozioni scaturite anche da me se mi fossi trovata nella loro stessa situazione. e a volte i sentimenti sono moooolto tromentati. spero continuiate ad avere pazienza. se così non fosse vi capisco e vi mando comunque un bacione.

magari con una prossima storia potrebbe andare meglio, no!!!! in fondo questa è la mia "prima volta"!!

il prossimo capitolo non arriverà prima di domenica o anche lunedì. non fatevi troppi film mentali nel frattempo (come la nostra protagonista), ma sappiate che le vostre supposizioni su come evolverà la storia sono splendide e alcune anche molto intutive.

ci vediamo presto

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** “Prime verità” ***


Capitolo 40

“Prime verità”

 

Prese un profondo respiro e abbassò lo sguardo, segno che ciò che stava per raccontarmi era ancora radicato nel suo animo come motivo di ansia.

« Come ti ho già detto io e Leah ci siamo messi insieme circa sei anni fa. Dopo due anni ha insistito per andare a vivere insieme. Sapevo che non sarebbe stata una buona idea: è vero, ci amavamo, ma eravamo sempre stati troppo amici per buttarci a capofitto in una cosa così seria. Lo feci più che altro perché vedevo la sua felicità e volevo che Jake si fidasse di me, visto la mia fama di donnaiolo ai tempi della scuola. Ero cambiato, ero cresciuto, volevo vivere una vita completa e pensavo che si potesse cominciare da lì.

«Con il passare del tempo però le cose non furono idilliache. Leah era molto possessiva nei miei confronti e non accettava di buon grado che io viaggiassi spesso per lavoro», lo guardai strana: non mi aveva detto nulla di una cosa del genere.

« In quei mesi ero stato contattato per suonare con una delle più prestigiose orchestre americane e in più mi ero messo in testa di comporre un album tutto mio – disse come se avesse capito i miei pensieri – e questo mi portò a viaggiare, allontanandomi per settimane, anche se in realtà facevo i salti mortali per poter tornare almeno ogni week-end a casa.

« Mi resi presto conto però che tutto questo non era sufficiente per lei, nemmeno quando le proposi di seguirmi per poter stare un po’ più insieme. Era sempre più insofferente, fino a che mi chiese di rinunciare alla musica: lì per lì rimasi molto male, ma poi decisi che se volevo che fra noi funzionasse dovevo cambiare vita: accettai un posto come professore di musica in un liceo di Seattle, non senza la disapprovazione dei mie genitori che avevano sperato fino in fondo che io potessi seguire i miei sogni. Lì per lì pensai avessero perso la fiducia nei miei confronti, di averli traditi e delusi, ma da persone meravigliose quali sono assecondarono la mia scelta, fidandosi di me e sperando che questa vita avrebbe fatto la mia felicità e quella di Leah».

« Ed è stato così?» non so perché lo chiesi e nemmeno perché sperassi vivamente che la sua risposta fosse negativa.

« Se possibile le cose peggiorarono ancora di più: sembrava quasi che la vicinanza nuocesse al nostro rapporto più che mai: Leah era cambiata, strana e poi…..» lo vidi irrigidirsi e i suoi occhi si spensero, come quando riaffiora il più doloroso dei ricordi. Non riuscii a fare altro che stringergli la mano, nel tentativo di infondergli coraggio, rimanendo però in un silenzio quasi surreale: per un attimo pensai che la mia voce o qualche  mia parola, avrebbe potuto essere solo una violenza ai suoi ricordi. Solo una persona meravigliosa avrebbe potuto mandare all’aria i sogni di una vita per rendere felice qualcun altro.

« Leah rimase incinta…fu una cosa inaspettata… a dire la verità non mi sembrava il momento, ma quando provai ad esporle i miei dubbi sulla possibilità di una gravidanza in un momento di crisi come il nostro, non volle sentire ragioni. Era convinta che le cose sarebbero migliorate, ma io ero piuttosto scettico al riguardo…Non mi fraintendere, non le avrei mai impedito di portare a termine la gravidanza…ed un figlio sarebbe stata un’esperienza unica….,ma non con lei e in quelle circostanze…», sgranai gli occhi e le parole “incinta” e “gravidanza” iniziarono a rimbombare nella mia mente: Edward aveva avuto un figlio da Leah?!

In un decimo di secondo la mia mente si chiuse a qualsiasi altra informazione, il mio respiro iniziò a diventare sempre più frequente e i ricordi più dolorosi della mia vita riaffiorarono. Loro avevano….,no non era possibile…..che fine aveva fatto quel bambino?… e poi i miei pensieri mi portarono altrove: lei poteva avere figli…io, chi lo sa? Lui non poteva voler stare con una come me, dopo che aveva avuto lei.

Ero talmente immersa in questi miei dubbi da non accorgermi che Edward aveva smesso di parlare e mi stava scuotendo per le spalle, forse per ridestarmi dai mie pensieri, che mi avevano letteralmente catapultato in un’altra dimensione.

« Bella ti senti bene?», la sua voce era tesa. Cercai di riprendermi e rispondergli perché non si preoccupasse ulteriormente per me.

« Sì scusa, è che non pensavo…..non mi avevi detto nulla, ma…» la verità era che non riuscivo a parlare e a quelle rivelazioni dovetti più volte chiudere gli occhi e deglutire per ancorarmi alla realtà e non naufragare in una marea di tormenti.

Prima che Edward riprendesse il discorso non potei comunque non pensare a quale persona meravigliosa potesse accettare una situazione come quella e assumersi le sue responsabilità, anche quando sapeva che non era il momento o che le cose sarebbero precipitate sempre di più. Non potevo continuare a credere che un uomo così avesse fatto quello che diceva Billy Black e fu proprio per questo che decisi di essere forte, mettere da parte momentaneamente i miei problemi e continuare ad ascoltarlo.

« Non ti ho mai detto nulla perché non è stato facile superare quei momenti…e forse non l’ho fatto ancora del tutto…Vedi Leah ha perso quel bambino, e al di là di quello che successe dopo…mi dispiace, non perché volevo un figlio da lei, ma perché credo potesse essere un’esperienza che fa crescere, anche a discapito dei propri sogni e della libertà», gli occhi diventarono lucidi, sia i miei che i suoi.

Aveva perso un figlio….proprio come me…ed era riuscito ad andare avanti, a superarlo, mentre io……Lo sentii accarezzarmi la guancia e ci guardammo negli occhi in modo molto intenso: per un attimo pensai di abbracciarlo e confessargli tutto perché potessimo tornare ad essere vicini e forse condividere le nostre preoccupazioni, per sollevarci l’animo e ricominciare insieme. Decisi però di reprimere momentaneamente quello che desideravo e lasciargli terminare il racconto per poter togliere anche il minimo dubbio su ciò che era avvenuto dopo: e qualcosa era chiaramente avvenuto, lo aveva accennato, ed era il motivo per cui i Black sputavano veleno su di lui.

Non potei fare altro che dire “mi dispiace” con la voce incrinata da quel pianto che da giorni minacciava, ma non voleva mai uscire. Fu lui a rassicurarmi con le sue mani sul mio viso e la sua voce: « No Bella, non dispiacerti, sono cose che succedono; ci dissero che le probabilità ad una prima gravidanza erano alte e me ne feci una ragione, forse era destino che dovesse andare così. Lì per lì pensai fosse così anche per Leah, ma mi sbagliavo.

« Iniziò a diventare scostante e se possibile ancora più acida di prima: litigavamo in continuazione e vedeva il mio tradimento ovunque anche quando le facevo capire che non ero interessato alle altre donne e non mi sarebbe stato nemmeno possibile, visto che rincasavo non appena finivo l’orario a scuola. E poi dopo qualche mese passò alla fase successiva: si mise in testa di volere un altro figlio, a tutti i costi, senza pensare a noi e a cosa sarebbe stato meglio in quel momento. Arrivò addirittura a dire che sarebbe bastato dargli un figlio e poi me ne sarei potuto anche andare. Cercai di farla ragionare, di farle capire che non sarebbe stata quella la soluzione ai nostri problemi, di starle comunque accanto e di sopportare ogni cosa, visto quello che aveva passato e quanto ancora ne soffriva, anche se mi resi conto più che mai che la nostra storia non sarebbe potuta durare. Ma non potevo certo lasciarla in un momento simile. Poi una sera dopo l’ennesima litigata se n’è andata di casa e quella sera stessa mi ha tradito con quello che è attualmente il suo compagno».

Sgranai  gli occhi: se la mia vita era stata incasinata la sua non era certo da meno, ma in quel momento non provai più pena per lei. Aveva avuto tutto e se lo era lasciato sfuggire nel modo più egoistico possibile. Sapevo cosa poteva fare la perdita di un figlio, ma per lei era stato un inconveniente, avrebbe sempre potuto riprovarci con il tempo se solo non si fosse lasciata trasportare dall’odio e dal dolore: e poi aveva Ed accanto, disposto a sacrificare tutto. Lo guardai di nuovo negli occhi in un tacito assenso a continuare:

« Quando ritornò a casa dopo tre giorni mi disse quello che era accaduto, che era dispiaciuta e che voleva riprovarci con me. In realtà non volevo, ma feci unno sforzo per andare avanti, per perdonarla, accorgendomi però che non sarebbe stato facile.

Una sera decisi di chiarire: erano ormai passati due mesi dal suo tradimento ed ero quasi convinto che lei continuasse a vedere Sam, ma non ci avevo voluto far caso fino a quel momento. Sapevo che era volubile e se le volevo bene veramente dovevo aspettare e vedere. Ma non ne ero più innamorato. Le parlai chiaramente, le esposi i miei dubbi, ma le dissi che se aveva bisogno di me non l’avrei lasciata; non subito, avrei aspettato che anche lei si fosse decisa a capire come stavano andando le cose fra di noi. Ma lei non capì. Litigammo ferocemente e mi intimò di andarmene perché non voleva essere presa in giro da me.

«Non sapevo più che fare: da un lato sapevo che era giusto essere stato sincero con lei sui miei sentimenti. Dall’altro mi era dispiaciuto che se la fosse presa e avesse preferito cacciarmi piuttosto che stare con me un altro po’ per chiarire la nostra situazione e magari rimanere amici. Ero confuso e commisi una cazzata.

«Mi ritrovai in un pub a bere e inaspettatamente incontrai Tanya. la ragazza di Jake. Eravamo molto amici e ci fermammo a parlare dei nostri reciproci problemi. Le dissi cosa era accaduto e lei mi confessò che ultimamente anche con Jake le cose non andavano affatto bene. Purtroppo fui così stupido da bere esageratamente e…..la mattina dopo mi svegliai a casa sua. Eravamo stati insieme, io non ricordavo nulla, ma mi feci comunque schifo per quello che avevo fatto».

Allora era vero. Edward aveva tradito Leah con la ragazza di Jake, ma le cose sembravano essere andate in un modo molto diverso da quello che mi aveva detto Billy. Edward non sembrava aver fatto tutto in modo freddo e calcolato. Aveva sbagliato, ma cavoli, nella sua situazione sarebbe potuto capitare a tutti.

Non mi sentii di accusarlo più di tanto. Sapevo per esperienza che quando si soffre si possono commettere un sacco di sciocchezze per poi pentirsene come sembrava avesse fatto lui.

« Quando mi resi conto di quello che era successo – continuò – dissi chiaramente con Tanya che era stato un errore, causato da un momento di debolezza e dall’alcol. So che come frase fatta faceva un po’ schifo e che comunque ero stato un pezzo di merda a lasciarmi andare così, ma ci credevo. Sapevo che non c’era nulla fra noi e che avremmo dovuto parlarne rispettivamente con Jake e Leah, ammettere il nostro errore e sperare nel loro perdono: specie per lei visto che la sua storia con Jake non era certo da considerarsi al capolinea come la mia.

«Ci lasciammo con questa convinzione, ma lei non fece nulla di ciò. Disse con Jake che si era innamorata di me e che lo lasciava per questo. Anche quando cercai di farle capire che non poteva perdere tutto per qualcosa di non corrisposto non volle sentire ragioni. Immaginati: Leah convinta che io l’avessi tradita per ripicca, Jake distrutto dalla notizia perché non si aspettava assolutamente nulla.  E così si è distrutto tutto. Amicizia , amore, fiducia, tutto perché sono stato troppo stupido», chiuse gli occhi quasi a voler scacciare quei brutti ricordi.

« E Tanya?» chiesi con un filo di voce

« Non ha voluto sentire ragioni, si è addirittura infuriata con me perché l’avevo illusa, ma non l’ho mai fatto devi credermi. Le ho detto subito che era stato un errore e che non provavo niente, ma lei mi confessò che si era innamorata di me già da tempo e che quello che c’era stato ne era solo una dimostrazione».

« Oddio Ed deve essere stato tremendo, perdere l’amicizia di Jake in quel modo, sapendo di averlo ferito involontariamente…».

« Quella è stata la cosa più dura, ma la verità è che ho tentato si spiegargli, di scusarmi, gli ho chiesto di perdonare sia me che lei, che non avrei mai iniziato una storia con Tanya, piuttosto me ne sarei andato per sempre da Seattle, ma non ha voluto sentire ragioni… e sinceramente posso capirlo. Ma credimi, è stato quasi più duro perdere i miei amici che perdere la donna che pensavo di amare. Perché arrivato a quel punto mi ero reso conto che con Leah ci sarebbe stata solo una bella amicizia e l’errore l’avevamo fatto pensando che potessimo funzionare come coppia».

Prese un respiro, cercò di stringere gli occhi per trattenere un pianto che sentivo gli stava nascendo dal profondo del cuore, ma non ci riuscì completamente: una lacrima gli solcò il viso e mia affrettai ad asciugargliela, guardandolo con lo sguardo più comprensivo possibile. Alle sue parole era nato in me un dolore come se avessi in quel momento condiviso tutta la sua agonia: in realtà un po’ mi dispiaceva anche per Jake. Entrambi avevano incontrato due donne estremamente egoiste, disposte a rovinare la vita di chi le amava pur di non rinunciare ai loro desideri.

Ero più che mai convinta che il vero amore non fosse questo, ma più il fatto di accettare che la persona che ami possa non corrispondere e rimanergli vicino in qualsiasi situazione, senza pretendere nulla. In realtà era quello che avevo sempre pensato del rapporto tra me e Edward. I nostri cuori stavano entrando in una sintonia perfetta.

Probabilmente il mio viso fu lo specchio dei miei turbamenti perché si affrettò a scusarsi dicendomi che non voleva trascinarmi nel suo baratro,e rendermi infelice.

« Ora sai tutto e se vorrai odiarmi ne avrai tutte le ragioni, ma credimi se ti dico che non ho mai avuto l’intenzione di ferire nessuno, sono solo stato uno stupido e un’incosciente….»

« No, Ed sei stata una persona che come tanti ha fatto degli errori, ma sei sempre stato onesto, non hai mai illuso nessuno e ti sei preso le tue responsabilità. Ricordi? Lo hai detto anche per me. Non siamo perfetti, gli errori si commettono, ma se siamo in grado di accettare di aver sbagliato e si cerca di rimediare non ci si può condannare più di tanto»

« Mi hanno accusato di essere scappato...ed è vero…»

« Perché lo hai fatto, te lo sei chiesto?»

« Perché non volevo che la mia presenza continuasse a creare dissensi tra le persone che conoscevo, e poi volevo allontanarmi per pensare a cosa fare della mia vita dopo tutto questo» era incredibile, era esattamente quello che avevo sentito io: era la mia necessità e non mi sentii assolutamente di condannarlo.

« Lo vedi quanto le nostre vite siano simili? È incredibile, forse è per questo che ci siamo trovati. Credi nel destino?» lo vidi fare un lieve sorriso.

« Sapevo che te ne avrei dovuto parlare prima, ma non me la sentivo proprio»

« E ora che lo hai fatto?»

« Mi sento molto meglio, ma…..»

«…Ma?»

« Ora che sai la verità ho paura di perdere te, che tu voglia allontanarti per quello che ho fatto e ti confesso Bella – alzò lo sguardo e mi fissò intensamente – che pur capendoti, sarebbe il dolore più profondo che ho mai provato dopo la perdita di mio figlio».

Questo dunque provava per me. Il sentimento nei miei confronti superava anche il dolore di aver perso la donna e i migliori amici, pari solo al dolore per la perdita di un figlio. Non potei fare a meno di prendere un profondo respiro, lusingata, ma nello stesso tempo convinta di dover prima o poi aprirgli il mio cuore. Tornati a casa lo avrei fatto, lontano da lì e da tutti i nostri ricordi più dolorosi, in un luogo dove eravamo solo noi, dove era nata la nostra amicizia, senza legami con il nostro passato.

Istintivamente appoggiai le mani sulle sue spalle e poi sul suo volto e lo strinsi a me in un abbraccio che gli trasmettesse tutto il mio calore e in parte anche il mio amore e la mia fiducia. Perché era così, io mi fidavo ciecamente di lui, di quello che mi aveva detto; non avevo dubbi.

Poi una domanda mi rimbalzò nella mente e sciolsi l’abbraccio rimanendo però con le mani sulle sue:

« Perché pensi che Billy creda quelle cose di te?»

« Penso che dipenda dal fatto che ha ascoltato la versione dei suoi figli e in quel momento erano entrambi troppo in collera con me per raccontargli esattamente come erano andate le cose e credimi…li capisco»

« Non sono affatto d’accordo con te: posso capire Jake, ma Leah ha avuto molte colpe e non avrebbe dovuto permettere che sia suo padre, sia suo fratello pensassero che sei una persona cinica, che ha fatto tutto intenzionalmente»

« Non biasimarla, lei è sempre stata molto possessiva nei miei confronti e anche lì l’errore è stato il mio che fin dall’inizio non sono stato chiaro su quanto i nostri sentimenti non fossero esattamente alla pari», ma come faceva ad essere così: riusciva a perdonare e a giustificare anche chi gli aveva incasinato la vita. Forse era per quello che aveva accettato la mia storia con James senza giudicarmi negativamente: vedeva il positivo in tutto.

Capivo il suo stato d’animo, ma non potei trattenermi dal fare una battuta, che in realtà per me era stato l’elemento scatenante della mia crisi di tre giorni prima:

« Me ne sono accorta da come mi guardava che è una tipa possessiva: quando mi ha visto accanto a te mi avrebbe volentieri incenerito con lo sguardo», cercai di risultare ironica, ma la smorfia che si dipinse sul mio volto diceva il contrario. A quel punto dovevo sapere, immaginavo che mi sarei messa un po’ troppo allo scoperto, ma il mostro della gelosia che rodeva dentro di me voleva sapere:

«Ma….di cosa voleva parlarti?». Lo avevo detto molto velocemente, come se così facendo le mie preoccupazioni scemassero più facilmente. Per mia fortuna la perspicacia di Ed non arrivò a tanto:

« Solo parlare, ancora  e ancora. Cercare di capire cosa non aveva funzionato fra noi: e forse in fondo capire cosa proviamo ancora l’uno per l’altra».  Allora avevo visto giusto. Nonostante si fossero lasciati in malo modo e lei stesse con un altro voleva andare ancora a rivangare la loro storia. Questo poteva voler dire solo una cosa: non lo aveva affatto dimenticato e finché non avessero chiarito la situazione non si sarebbe mai potuto rimuovere l’ostacolo della loro relazione.

« Immaginavo qualcosa del genere – il mio tono si fece ancora più basso e dovetti abbassare lo sguardo per non far notare quanto questa cosa mi infastidisse – e cosa pensi di fare?». Probabilmente capì il mio disagio, perché mi sollevò il viso e guardandomi con uno sguardo molto più sereno, si premurò di dirmi che non avrebbe fatto assolutamente nulla:

« Mi sono chiarito con lei due anni fa: le ho detto che era finita, che mi dispiaceva, ma non sarebbe mai potuta andare avanti fra noi. Quello che penso è che lei non si sia mai rassegnata al fatto che non ne fossi più innamorato. Ormai non ho altro da dirle». Non ero così convinta di questo: una donna con un grado di possessività così elevato doveva sapere nei dettagli il perché una storia era finita e anche in così malo modo.

Non so dove mi venne il coraggio: sapevo che quello che stavo per dirgli non mi piaceva, ma ero convinta fosse l’unica soluzione:

« Ed ha ragione lei…», lo vidi spiazzato, scosse la testa come a voler dire che non aveva ben capito le mie parole, « hai capito bene. Dovete parlare: devi dirle che non sei più innamorato di lei, che forse quello che provavi era più legato all’amicizia. Altrimenti lei si sentirà in dovere di continuare a cercarti o comunque a sperare qualcosa che non c’è…se veramente è questo quello che pensi», in realtà le mie ultime parole erano state dette più come speranza mia che sua.

« Certo che è quello che penso, ma lo dovrebbe sapere, me ne sono andato, lei mi ha detto che è felice con Sam…»

« E sei sicuro che non lo abbia fatto per vedere una tua reazione? Per capire cosa ancora provi per lei? Non mi sembra tu conosca molto bene la psicologia femminile. Forse ha voluto vedere se in qualche modo, dicendoti che era felice con un altro tu le potevi dimostrare che eri triste senza di lei, o addirittura geloso del suo ragazzo».

Lo vidi passarsi la mano fra i capelli, il volto pensieroso: « non l’avevo mai vista sotto questo punto di vista, ma la verità è che non ho voglia di parlarle, proprio per niente».

Cercai di convincerlo ancora una volta, ma mi uscì una parola di troppo: « Io invece credo proprio che dovresti farlo, anche se la cosa non mi piace….». Mi resi conto troppo tardi di aver dato voce alle paure che quel giorno mi avevano costretto a stare male e allontanarmi da lui.

Lì per lì non ebbe nessuna reazione, ma poi lo vidi fermarsi con gli occhi puntati nei miei e quando aprii bocca per un attimo sperai di sprofondare nel pavimento:

« Bella guardami, ti prego – alzai a malapena lo sguardo, sapevo che aveva capito o perlomeno intuito – è per quello che sei stata male, l’altro giorno? Perché mi hai visto parlare con lei e hai pensato che…..», mi alzai di scatto dal letto sul quale fino ad allora eravamo rimasti a conversare. Non ero più in grado di andare avanti o i miei sentimenti sarebbero venuti troppo allo scoperto. Mi avvicinai alla vetrata e guardai fuori, gli ospiti di villa Cullen accalcati all’esterno probabilmente per vedere i fuochi d’artificio per l’approssimarsi della mezzanotte.

« Bella rispondimi è così?», il mio silenzio cominciava ad essere pesante. Non potevo dirgli la verità, si sarebbe reso conto di quanto contava per me, ma non potevo neanche continuare ad ignorarlo del tutto:

« Edward ti prego…non credo sia il caso…io….», non ci fu bisogno di parlare più. Probabilmente aveva capito, o almeno intuito, ma non mi forzò a parlarne: lo adoravo anche per questo. Sapeva sempre quando doveva fermarsi per evitare di far soffrire o mettere in imbarazzo: tutto quello che percepii fu la stretta della sue braccia da dietro la schiena, la sua testa che si appoggiava sulla mia spalla e la sua bocca che sul mio collo mi sussurrava di perdonarlo. Non so se perché mi aveva fatto quella domanda, se perché aveva capito quanto quell’incontro mi aveva distrutta o solo per tutto quello che il suo passato aveva portato con sé di doloroso, fatto sta che non riuscii a fare altro che voltarmi rigirandomi nella sua stretta e accarezzargli il viso sussurrandogli un semplice “parlale”.

« Non so se riuscirò io…», gli posai una mano sulle labbra.

« Fallo Edward, chiudi definitivamente se è quello che vuoi. Fallo per te stesso……fallo per me», sussurrai sempre più piano.

« Certo che è quello che voglio – mi disse guardandomi con una tale intensità da scatenare l’elettricità nell’aria – non  ho mai desiderato così tanto chiudere con il mio passato come in questo momento, e se pensi che sia la cosa migliore le parlerò al più presto. Poi torneremo a casa…a Londra e…. parleremo anche noi». In quel momento il mio cuore iniziò a pompare tutto il sangue che avevo nel corpo ad una velocità sovrumana, tanto da farlo rimbombare nelle tempie; poi inaspettatamente prese la mia mano che era passata dalle sue labbra alla sua guancia per permettere di farlo parlare e sempre stringendomi con l’altro braccio, ne baciò il palmo socchiudendo gli occhi, quasi a voler lasciare un marchio incandescente sulla pelle.

Da giorni mi mancavano immensamente questi gesti con lui: chiusi gli occhi anche io a mia volta per poi rituffarmi in quelle pozze verdi che mi facevano ogni volta sprofondare nell’oblio.

Riuscii a malapena a destarmi e a ricordargli che Alice non ce lo avrebbe mai perdonato se fossimo mancati ai festeggiamenti per l’anno nuovo. Lo vidi sorridere e prendendomi per mano ci dirigemmo al piano di sotto dove il gruppo stava già effettuando il conto a rovescio per l’anno nuovo.

Quando Alice ci vide scendere le scale per mano potei scorgere nei suoi occhi un’espressione di sollievo: anche se non sapeva bene cosa ci eravamo detti aveva capito che avevamo parlato e forse ci eravamo almeno in parte chiariti e le nostre mani intrecciate ne erano una prova.

Quando scoccò la mezzanotte e i tappi dello champagne saltarono tutti iniziarono a baciarsi e abbracciarsi. Vidi Alice stringersi a Jasper come se fosse la sua stessa aria e lui ricambiare con altrettanta convinzione. Non potei trattenere un sorriso e mi voltai verso Edward che alle mie spalle sorrideva sornione guardando la coppia di fronte a noi. Poi nel modo più dolce possibile mi appoggiò una mano sul fianco accarezzandolo lievemente e dopo avermi dato un dolcissimo bacio sulla fronte mi sussurrò all’orecchio:

« Buon anno Bella, sono felice tu sia qui», ricambiai lo sguardo e gli auguri.

« Buon anno anche a te…e grazie di tutto». Non ci fu bisogno di dire altro e di fare altro. La mia paura di poter esternare i miei sentimenti era svanita: in quel momento, quei semplici, quanto innocenti gesti che ci eravamo scambiati erano ciò di cui avevamo bisogno per dire l’uno all’altra che c’eravamo e che forse ci saremmo stati sempre, qualsiasi piega avesse preso la nostra vita.

Quando Alice annunciò l’inizio dei fuochi non potei non notare la solerzia dell’uomo accanto a me che in men che non si dica mi aveva posato il cappotto sulle spalle e prendendomi sempre per un fianco mi aveva condotto fuori, non disdegnando battute alla sorella:

« Se ce li fossimo persi non ci avrebbe mai perdonato». Assistemmo tutti molto incantati allo spettacolo e io stretta fra le sue braccia che mi cingevano la vita e il suo fiato che si infrangeva nei capelli, non potei fare a meno di ricordare i bei momenti, anche molto intimi che avevamo passato insieme fino a poco tempo prima e a come mi sarebbe piaciuto poterli veder aumentare e intensificarsi.

Non trattenni nel mio cuore un moto di preoccupazione all’idea che da lì a qualche giorno avrebbe potuto rivedere Leah, ma ero più che mai convinta fosse necessario e ingoiai il rospo pensando ad un ipotetico futuro, nel momento in cui tutte le nostre incertezze si fossero appianate. Avrei aspettato fiduciosa, senza illudermi però che sarebbe stato facile passare sopra a tutto, sia per me che per lui.

Forse si accorse del fatto che pur essendo presente fisicamente i miei pensieri stavano vagando e preoccupato mi chiese se andava tutto bene: non potei fare a meno di annuire stringendomi maggiormente nella sua presa e sussurrandogli un semplice “ mi è mancato tutto questo”.

La festa durò un altro paio di ore, chiacchierammo del più e del meno con gran parte degli ospiti, sapendo che, se anche nel cuore avremmo voluto, non avremmo potuto condurre una conversazione troppo privata ed esclusiva solo io e lui; gli sguardi che comunque ci lanciavamo a volte parlavano per noi e del nostro desiderio di poter continuare ad essere vicini l’un l’altra.

Quando tutti se ne furono andati, cercammo di aiutare Alice a riordinare la maggior parte delle cose e verso le tre ci congedammo, come tutti gli altri per ritirarci nelle nostre camere. Come sua abitudine Edward mi scortò alla porta della mia stanza e mi stupii molto quando, vedendo i calici di champagne ancora intatti sul tavolino, mi invitò a brindare, visto che la nostra conversazione di qualche ora prima ci aveva portato a festeggiare frettolosamente senza i gesti di rito. Mi tolsi le scarpe, lo feci accomodare e gli porsi il bicchiere:

« Sarà caldo, ma visto quello che lo ha pagato Alice scommetto che sarà ancora buono», una lieve risata mi uscì spezzando il silenzio della stanza. Bevemmo dai nostri bicchieri uno di fronte all’altra e quando si decise a salutarmi, non so perché, ma decisi di chiedergli una cosa che ormai non avveniva già da un po’:

« Edward perché non rimani a farmi compagnia? Solo se ti va ovviamente...». La verità era che mi era mancato terribilmente; quello che avevo saputo di lui non aveva minimamente scalfito i miei sentimenti, forse ancora più rafforzati dalla stima che provavo per una persona che si era messa in gioco nei suoi errori, li aveva ammessi e aveva cercato per quanto possibile di superarli. La verità era che lo amavo e che in quel momento avevo più che mai bisogno di sentirlo vicino: anche perché, e non lo avrei mai ammesso specie con lui, la conversazione che avrebbe avuto con la sua ex e che io stessa gli avevo suggerito per chiudere definitivamente i ponti col passato, mi inquietava più del dovuto. Come se sentissi che qualcosa me lo avrebbe portato via volevo passare a stretto contatto con lui quelle ultime ore, prima del nostro rientro in Inghilterra.

Non mi stupì quando, con il suo splendido sorriso sghembo, si tolse la giacca e le scarpe e mi invitò a distendermi accanto a lui nel mio letto. Mi appoggiai al suo torace e lo sentii appena cingermi le spalle e coprirmi con la coperta prima di augurarmi e auguragli a mia volta la buonanotte e nuovamente il buon anno.

 

 

 

 note: eccomi qua! ce l'ho fatta anche se solo con un capitolo. Ma comunque non ne arriveranno più di giornate come venerdì, anche perchè, ripeto, i capitoli già scritti sono quasi finiti e anche se la storia è tutta nella mia mente dovrete abituarvi ad aspettare un pò fra un capitolo e l'altro. ecco che qui si capisce cosa ha portato Edward a fuggire in Inghilterra e si intravede anche qualcosa del passato più doloroso di Bella. ma per lei le spiegazioni dovranno attendere momenti migliori anche per il loro rapporto. però a dir la verità chi non avrebbe perdonato un Ed così??? io gli avrei peronato anche un omicidio!!!!

vi lascio e spero che il capitolo vi piaccia

ciao!

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** “ Timori infondati?” ***


Capitolo 41

“ Timori infondati?”

 

Quando mi svegliai al mattino una forte luce proveniva dalle vetrate della stanza. Aprii gli occhi e mi mossi nel letto leggermente indolenzita.

Dormire vestita e sopra le coperte non era proprio il massimo, l’unica cosa realmente positiva era quella di essere rimasta con Edward. Ormai non succedeva più da settimane: dal weekend che avevamo passato nel suo appartamento a Londra. Ma quando mi girai nel letto lo trovai vuoto.

Si era già alzato o era scappato? Visto la conversazione della notte precedente potevano essere entrambe le cose. Chissà se si era pentito di quello che mi aveva raccontato e che, dovevo ammettere, mi turbava ancora. Specialmente il discorso della gravidanza di Leah. Potevo capirla comprendere il suo dolore, ma una parte di me, la più infida, non poteva essere altro che sollevata di come erano andate le cose, altrimenti io non lo avrei mai incontrato.

Non potevo non ammettere a me stessa che avevo provato un moto di tremenda gelosia nel sapere quanto il loro rapporto fosse stato profondo.

Mi ridestai dai miei pensieri poco positivi e guardai l’orologio: erano quasi le undici. Accidenti quanto avevo dormito? Probabilmente era per quello che Ed si era alzato e non aveva niente a che vedere con le mie elucubrazioni.

Non feci in tempo a finire di formulare i miei pensieri che sentii la porta aprirsi e l’uomo che mi aveva rapito il cuore era entrato con un vassoio in mano con sopra due tazze. Era vestito diversamente dalla sera prima quindi si era già cambiato e mi aveva portato una specie di colazione.

« Buongiorno », lo vidi sorridermi di nuovo serenamente: era diverso da quando lo avevo visto il giorno prima con lo sguardo segnato. Sembrò quasi che la nostra conversazione della nottata precedente gli avesse rasserenato l’animo. Una parte di me ne fu felice, ma l’altra si turbò ancora nel pensare a quello che aveva vissuto e a quello che si sarebbe accollato vivendo una storia con me.

« Credo che dovresti andare a cambiarti: se Alice vede come si è ridotto quell’abito potrebbe anche ucciderti, sebbene ti stia d’incanto….», un sorriso gli spuntò sul volto.

Era vestito molto più casual della sera prima: non avevo potuto non notare il suo abito di taglio esclusivo che dava risalto alle sue magnifiche spalle e che gli donava un aria molto più matura e innegabilmente più sexy. Non disdegnavo però il suo look jeans e maglione, che lo faceva sembrare più giovane e mi ricordava i momenti di quotidianità che vivevamo in Inghilterra. Cercai di non soffermarmi troppo sulla sua figura, anche se a giudicare dal suo sguardo aveva notato la radiografia che gli avevo fatto e se ne era compiaciuto: e gettai un occhio al mio di aspetto. Effettivamente il rigirarmi nel letto con un abito attillato e probabilmente di seta francese, oltre che non permettere un sonno ristoratore, provocava seri danni al capo di abbigliamento. Alice non mi avrebbe perdonato, anche se non l’avrei mai ringraziata abbastanza per avermelo preso. Avevo spesso notato durante la serata gli sguardi di Edward e avrei potuto giurare non fossero solo perché era da qualche giorno che non ci vedevamo. Più probabilmente il fatto che l’abito attillato fasciasse il mio corpo abbastanza minuto e la scollatura lasciasse scoperte le spalle e una parte di decolté aveva avuto una buona influenza nel calamitare le occhiate del mio professore di musica.

« Ti ho portato un po’ di the», mi stupii nel vedere quanto si era premurato per me, ma in fondo era una sua caratteristica, « non sapevo se a quest’ora avessi avuto voglia di fare colazione, ma immaginavo che non avresti disdegnato questo» e mi porse la tazza fumante. Lo ringraziai, ne bevvi un sorso alzandomi dal letto senza rovesciarmelo addosso e poi appoggiando la tazza al comodino lo informai che mi sarei andata a cambiare e a rinfrescarmi. Mi si avvicinò accarezzandomi la guancia e comunicandomi che mi avrebbe aspettato.

Non so perché in quel momento mi venne in mente di ritirare fuori la conversazione della sera prima, rovinando forse un momento così tranquillo; ma sotto sotto la necessità che lui troncasse definitivamente con il passato era fondamentale per poter continuare a frequentarlo con le intenzioni più serie.

« Intanto che mi preparo sarebbe il caso che telefonassi a Leah?!», la mia non fu proprio una domanda quanto più un’affermazione sulla necessità che un capitolo della sua vita si chiudesse al più presto. Dopo avergli posto questa domanda non riuscii a guardarlo negli occhi forse perché erano state rivelazioni dolorose per me quanto per lui e quindi ritirare fuori l’argomento in un momento di calma avrebbe potuto rovinare tutto.

« Veramente pensavo che avremmo passato un po’ di tempo insieme, visto che sono tre giorni che non ci vediamo», ecco ora mi sentivo veramente infida ad avergli riportato alla mente la sua ex quando quello che voleva era stare insieme a me. Purtroppo però la mia parte più masochistica non sopportava l’idea dei fantasmi del passato e cercai di giustificarmi per questa richiesta:

« Anche io vorrei stare con te, però se la chiami oggi, magari potete vedervi domani e chiarire tutto prima del nostro ritorno in Europa». Sottolineai volutamente il discorso che saremmo tornati presto al campus, come a voler rimarcare il fatto che nulla sarebbe dovuto cambiare.

Acconsentì alla mia richiesta e mi disse che lo avrebbe fatto subito, lasciandomi il tempo di prepararmi, ma nel suo sguardo potevo vedere poca convinzioni in quello che ero andata a chiedergli. In fondo ne ero poco convinta anche io.

Mi baciò sulla fronte: « a proposito, sei bellissima con quel vestito. Ieri sera sembravi una dea». Mi lasciò letteralmente spiazzata e in imbarazzo per un complimento così esplicito e non appena se ne fu andato mi precipitai nel bagno percependo quel classico senso di vuoto che mi attanagliava lo stomaco quando ci separavamo dopo una lunga frequentazione. Ma questa volta c’era di più e mentre mi facevo la doccia non potei non pensare al perché fosse così restio a chiamare Leah e a parlargli.

Improvvisamente mi venne il dubbio che facendolo avrebbe potuto capire che la amava ancora e avrebbe preferito tenersi lontano dal rischio piuttosto che affrontarlo e cercare di chiudere l’argomento. In fondo era quello che avevo fatto anche io scappando in Inghilterra per non dover più rischiare di incappare in James e ricaderci.

Quanto ero stata stupida da uno a dieci? Se fosse stato così l’avrei ributtato io tra le sue braccia e me ne sarei dovuta andare per sempre dalla sua vita. Un senso di nausea mi prese alla bocca dello stomaco: finii velocemente di lavarmi e asciugarmi per poter avere sue notizie, vederlo e passare con lui il resto della giornata prima di eventuali risvolti negativi. Non potevo non ammettere a me stessa che quando si trattava di noi e del nostro passato l’insicurezza e il pessimismo prendevano il sopravvento.

Il resto della giornata passò molto tranquillamente. Edward mi aveva riferito che Leah aveva accettato con fin troppo entusiasmo la proposta di vedersi e per questo dentro di me mi pentii di quell’idea.

Passammo molto tempo a chiacchierare, fare conversazione con Alice e Jasper, ma il mio pensiero era fisso su ciò che si sarebbero detti in quell’incontro e come le cose sarebbero potute evolvere per me e per lui. Insomma….non ero per nulla serena, ma mi rassegnai, ormai la decisione era stata presa e dovevo affrontarne le conseguenze sperando non fossero devastanti per me.

Verso sera preparai le mie cose per il ritorno a casa di Charlie. I gesti che compii per riporre gli abiti e i miei effetti nella borsa sembravano al rallentatore, come se volessi rimandare il più possibile il momento del mio allontanamento dal quella casa e da lui.

Persa nei mie pensieri mi accorsi a malapena di una stretta forte e calda che mi cinse da dietro e realizzai chi fosse dal profumo di dopobarba che emanava la sua pelle:

« Devi proprio andare?», il tono della sua voce era seriamente dispiaciuto e per un attimo pensai seriamente di trattenermi fino all’indomani e supplicarlo di rimanere con me, chiedendo scusa per aver avuto quell’assurda idea di farlo parlare con Leah. Ma quella maledettissima vocina nella mia testa chiamata coscienza era più razionale di me e mi spinse a rifiutare e a rassicurarlo che ci saremmo rivisti al più presto.

Gli risposi beandomi dell’abbraccio, ma senza mai guardarlo negli occhi per evitare il più possibile il trapelare delle mie emozioni:

« Ormai manca poco al nostro rientro – dissi leggermente dispiaciuta, ma poi neanche troppo – sistema quello che devi, poi ci vedremo e ci prepareremo insieme per tornare nella fossa dei leoni», accennai un sorriso nel momento in cui mi riferii al nostro istituto in questo modo, poi continuando a farmi del male sgusciai via malvolentieri dalla sua presa e girandomi verso di lui chiesi a che ora si sarebbero visti l’indomani. Lì per lì potei quasi giurare di averlo visto sbuffare, ma poi rispose che si sarebbero incontrati verso le dieci a Port Angeles:

« Credo che ora viva là – mi informò – abbiamo appuntamento in un bar vicino al molo. Che ne dici se poi subito dopo ci incontriamo e pranziamo insieme?».

Beato lui, parlava dell’incontro con la sua ex come fosse un appuntamento dal dentista risolvibile in un paio d’ore: per un attimo lo invidiai perché invece io ero veramente tesa e preoccupata, ma cercai comunque di non darlo troppo a vedere.

Sperando che avesse ragione – in fondo era lui che doveva parlarle e sapeva benissimo cosa sarebbe andato a dirgli e probabilmente il tempo che avrebbe impiegato – accettai l’invito per le tredici a casa sua. Mi accompagnò alla porta portando la borsa fino alla mia auto, salutai calorosamente i ragazzi, accorgendomi solo in quel momento dell’assenza di Rosalie, partita a notte fonda per il rientro in Inghilterra.

Quando arrivammo alla portiera del mio pick-up fece il gesto di aprirla, per poi richiudermela bruscamente davanti: in quel momento vidi il suo sguardo contrarsi come a voler trattenere un dolore fisico e lo sentii prendere un forte respiro:

« Ti prego Bella resta ancora qui e domani vieni con me», il cuore mi saltò un battito: mi stava quasi implorando di rimanergli accanto in una situazione che, a quanto sembrava non era scomoda solo per me: tutto il senso di serenità che mi aveva trasmesso fino a quel momento si era annientato. Capii che lo aveva fatto probabilmente per me, per non farmi preoccupare, visto quello che aveva intuito della mia reazione di qualche giorno prima alla sua conversazione con Leah.

In quel momento presi tutto il coraggio che avevo per non assecondarlo e gli risposi decisa, forse anche perché per la prima volta ero veramente convinta che stesse facendo la cosa più giusta:

« E’ una cosa che devi fare tu, devi solo chiarire quello che hai detto a me ieri sera e non ci saranno più malintesi», gli sorrisi lievemente accarezzandogli una guancia e guardandolo negli occhi: ma questa volta a bluffare ero stata io, che avevo tentato di nascondergli la preoccupazione insita in quell’appuntamento.

Si appoggiò con la guancia alla mia mano come a volerla inglobare nel suo volto, senza mai lasciare il contatto con i miei occhi, poi si scostò leggermente e ne baciò il palmo mentre mi apriva la portiera e mi faceva accomodare sul sedile. Chiusi lo sportello e lo salutai un’ultima volta:

« Ci vediamo domani a pranzo allora?!» mi disse con tono più fermo.

« Ci puoi contare» risposi con un lieve sorriso, mettendo in moto e prendendo la via che mi portava a casa.

Appena arrivata non potei fare a meno di incrociare lo sguardo indagatore di mio padre, che ovviamente preoccupato per me, non azzardò a chiedermi come fosse andato il capodanno a casa Cullen. Non so dove trovai il coraggio, probabilmente lo feci più per rispetto nei suoi confronti e del fatto che mi aveva difeso e avesse difeso Edward contro le insinuazioni di Billy, ma decisi di raccontargli a grandi linee quello che era accaduto e il perché dell’astio dei Black nei suoi confronti: gli raccontai inoltre il chiarimento con Leah che avevo proposto a Edward.

Charlie rimase a lungo in silenzio, lo vedevo annuire e respirare, niente altro. Quando finii il mio racconto mi guardò negli occhi:

« Tu credi a Edward?». Rimasi un po’ stupita da quella domanda: nutriva forse dei dubbi sulla veridicità della storia che mi aveva raccontato? Riposi di getto alla sua domanda con un’altra:  « perché secondo te forse non dovrei?»

« Io dico di sì, ma sai…eri talmente turbata l’altro giorno che non sapevo come avresti reagito. In fondo Edward è stato molto onesto con te, a mio parere e devi avere molta stima di lui per il fatto di essersi messo in gioco in una situazione del genere e aver ammesso le sue colpe. Non è da tutti sai? Lui ha capito di aver sbagliato e se n’è assunto la responsabilità accettando la sofferenza: non è perfetto e sa di non esserlo. Questo a mio avviso gli fa molto onore».

Probabilmente la mia bocca rimase in parte spalancata a quelle affermazioni: Charlie aveva veramente una grande stima di lui visto che non era solito prodigarsi in complimenti sulle persone: era una caratteristica del suo essere schivo. Un moto di orgoglio mi invase e fui quasi tentata di raccontagli anche la mia di storia, ma mi trattenni. Un conto erano gli errori di uno sconosciuto, un conto erano quelli della figlia.

Lo abbraccia calorosamente e gli augurai la buona notte: quando fui all’altezza del primo scalino lo sentii chiamarmi: « Bella, sei stata coraggiosa a dire con Edward di chiarire con Leah, so quanto può essere difficile vedere una persona a cui si tiene particolarmente, alle prese con il proprio passato, ma stai tranquilla: è stata la scelta giusta e vedrai che tornerà presto da te…più appiccicoso di prima», un lieve sorriso mi comparve sul volto. Dio quanto avrei voluto che fosse stato realmente così, ma spesso il mio innato pessimismo prendeva il sopravvento. Cercando di tirare fuori il carattere più positivo che avevo lo ringraziai e me ne andai in camera mia, conscia delle difficoltà che avrei dovuto affrontare se Edward avesse cambiato idea su lui e Leah, speranzosa che non accadesse, ma anche consapevole che qualunque fosse stata la fine di tutto, mi sarei risollevata come già avevo fatto in passato.

 

Non dormii bene quella notte: mi rigirai nel letto fino a tardi e quando riuscii a chiudere gli occhi immagini di Ed e Leah mi impegnarono gran parte dei sogni.

Quando mi svegliai era quasi l’alba, la testa mi esplodeva. Cercai di tranquillizzarmi, dovevo cercare di essere positiva, anche se nulla in quel momento mi avrebbe aiutata.

In silenzio raggiunsi la cucina: non volevo che mio padre capisse il mio stato d’animo e si preoccupasse. Mi ripetei mentalmente di stare tranquilla, anche se il mio stomaco non volle saperne di aprirsi, e cercai di ragionare sul fatto che di lì a qualche ora lo avrei rivisto, mi avrebbe raccontato come era andata e nel giro di tre o quattro giorni saremmo rientrati insieme in Inghilterra. Non so perché ma la cosa mi tranquillizzava, come se là fossimo solo io e lui, nella nostra bolla di sicurezza, in una realtà che lasciava spazio a noi due, senza altri o altro a disturbare. Con questi pensieri e una forte dose di ottimismo, preparai la colazione a mio padre, cercando di non far girare troppo le rotelline nel mio cervello e mi dedicai alla lettura di un libro.

Quando mio padre scese per fare colazione cercai di non far capire nulla dal mio sguardo, ma come baro non ero probabilmente molto abile, perché lo vidi appoggiato allo stipite della porta con un caffè in mano che mi chiedeva se avevo avuto notizie di Edward:

« No papà, ci vedremo a pranzo», risposi senza far trapelare l’ansia dal tono della mia voce, anche se  sotto sotto il mio stomaco si stava accartocciando e il cuore batteva a momenti alterni.

Un attimo prima che mio padre potesse ribattere il mio cellulare squillò. Non so se perché pensavo fosse lui, ma mi precipitai a prenderlo, inciampando più volte tra il tappeto e il divano. Ma quando avviai la comunicazione mi resi subito conto che non si trattava di Edward.

Una voce metallica mi arrivava distorta e lontana, come se la comunicazione fosse disturbata o…oltremare.

« Professoressa Swan sono la signorina Cope, la preside aveva bisogno di lei», lì per lì rimasi stupita di quella chiamata. Doveva probabilmente essere accaduto qualcosa di grave per chiamarmi prima del termine delle vacanze fino in America, o forse era un suo sadico tentativo di rovinare gli ultimi giorni di vacanza ai suoi professori. Non obiettai ma mi limitai a chiedere:

« Sì mi dica, per cosa?»

« E’ una questione un po’ delicata e si chiedeva quando prevedeva di rientrare…» ecco, lo sapevo voleva proprio rompere le uova nel paniere.

« Pensavamo di rientrare domenica, perché?» sentii l’esitazione dall’altra parte segno che qualcuno, e immaginavo chi potesse essere, le stava suggerendo quello che doveva dirmi.

« Un attimo…..» sentii chiaramente il passaggio della comunicazione ad un altro apparecchio.

« Professoressa sono la preside Withmore» il suo tono era quanto mai austero, ma non sembrava arrabbiata, segno che non avevo combinato nulla.

« Mi dica preside, è accaduto qualcosa?»

« In realtà sì, e avrei proprio bisogno del suo aiuto per risolvere la questione, mi chiedevo se c’era la possibilità che rientrasse un po’ prima». Non immaginai assolutamente cosa fosse potuto accadere in un periodo nel quale gran parte degli studenti non si trovavano neanche al campus.

« Beh – mi apprestai a risponderle – in realtà dovrei chiedere al professor Cullen , in fondo i biglietti li ha acquistati lui, non so se sia possibile farli modificare ora, ma….potrei sapere, se veramente è una cosa così grave, di che si tratta?», il mio tono doveva sembrare spazientito, ma nello stesso tempo preoccupato. Ci fu un lungo silenzio dall’altra parte, era chiaro che la situazione oltre che problematica era anche imbarazzante o quantomeno preoccupante…

« …..vede professoressa….sono informazioni riservate….»

« Sa che può contare sulla mia discrezione», ma per chi mi prendeva…non ero mica la Stanley!

«...riguarda McCarthy…». Non era possibile! Mi aveva promesso che non si sarebbe messo nei guai e ora la preside era addirittura costretta a chiamarmi dall’altra parte del mondo.

« Che cosa ha combinato ancora quel ragazzo, mi spiace, pensavo che i miei rimproveri fossero serviti…..»

« No, lui non ha fatto niente direttamente – mi interruppe – il fatto è…..» sembrava molto restia a darmi la comunicazione e io iniziavo ad essere seriamente preoccupata, oltre che adirata per la sua perdita di tempo. Forse capì o semplicemente si rese conto che non poteva continuare a rimandare:

« Il fatto è che il padre di McCarthy è deceduto in un incidente….», oddio povero ragazzo, così fragile e ora ancora più solo, « ..e lui è stravolto, si è barricato nella sua stanza, rifiuta di vedere chiunque, anche la madre, pensiamo abbia arrecato danni alla struttura e cominciamo ad essere molto preoccupati. Chiede di lei, dice che è l’unico adulto con cui parlerà. Credo sia a pezzi e disperato. Penso che abbia proprio bisogno di aiuto e anche la sua ragazza che è appena arrivata non riesce a fare molto» in un attimo provai una pena reale per lui che non aveva avuto molte possibilità di crescere felice. Sapevo quanto amasse suo padre anche se lo vedeva molto poco per colpa dell’accordo con la madre, e cercai di capire cosa poteva provare.

Rimasi in silenzio per qualche secondo tanto da farmi ridestare dalla voce della preside che mi chiedeva cosa poteva fare.

« Signora preside io devo parlare col professor Cullen e vedere se possiamo trovare un volo prima del previsto, mi deve dare un po’ di tempo le farò sapere al più presto; nel frattempo cercate di non stargli addosso e….ma chi è la sua ragazza? » sapevo che dopo la sfuriata nel dormitorio, Elisabeth lo aveva lasciato ed ero sicura che non sarebbe più tornata insieme a lui neanche per una situazione di emergenza.

« Non lo so, me lo hanno comunicato i suoi compagni, è lei che sta cercando di tranquillizzarlo, è l’unica che è riuscita a farsi aprire, ma non sa quanto ancora riuscirà a fare. L’ho sentita solo per telefono e dice che sta crollando, piange spesso e sfoga la sua rabbia sui mobili fino a ferirsi. Non le consente neanche di aprire la porta, le confesso che è la prima volta ch non so che fare. Ho paura si faccia del male o lo faccia a qualcun altro. So che di lei si fida e oltretutto i suoi studi di psicologia ci farebbero forse comodo». Qui non era questione di studi, ma solo di buon senso e fiducia, ma assecondai i suoi discorsi dicendole che avrei fatto il possibile e l’avrei richiamata appena mi fossi incontrata con Edward.

Non appena chiusi la conversazione mio padre, che aveva assistito alla chiamata mi chiese cosa fosse successo:

« Uno dei miei studenti ha avuto dei problemi familiari e a quanto pare occorre la mia presenza in quanto responsabile e vicepreside », non mi soffermai su altro, vuoi per non farlo preoccupare, vuoi perché comunque il segreto professionale me lo impediva. Charlie capì e non pose altre domande, allontanandosi verso la cucina per terminare la sua colazione. Prima di sparire dietro la porta si limitò ad una domanda:

« Questo vuol dire che partirai prima?», il suo tono era chiaramente dispiaciuto e mi rammaricò il dovergli dare una risposta che sapevo lo avrebbe rattristato. In fondo però ora la mia vita era a Londra e per  quanto mi mancasse sapevo che sarebbe stato meglio che io ripartissi al più presto. Più tempo avremmo passato insieme più sarebbe stato difficile il distacco. E poi c’era il fattore Edward: pensare di andarsene qualche giorno prima allontanando il pericolo Leah non sembrava poi un’opzione da scartare. Cercai di rassicurare mio padre:

« Non so se riusciremo a partire, dovrò parlare con Edward e poi sentire per i biglietti: Londra non è dietro l’angolo, però…», mi avvicinai a lui accarezzandogli una guancia, « ci rivedremo fra qualche mese, vedrai, quest’estate sarò ancora qui a rompere e se proprio non ne potrai più di cibi congelati e a portar via potrai sempre prenderti un po’ di vacanza e venire tu da me». Non so perché gli feci quella proposta, ma pensare per un attimo che mio padre si potesse trasferire in Inghilterra mi faceva sembrare tutto perfetto. Avrei potuto lasciare dolori e tormenti che avevo lì e prendere il meglio della mia vita.

Non lo lasciai controbattere e gli dissi che ne avremmo riparlato. Salii velocemente nella mia stanza con l’intento di cercare Edward e chiamare l’aeroporto per chiedere i voli disponibili: purtroppo il telefono di Edward risultava irraggiungibile. Immaginai che potesse averlo spento e capivo anche il perché, ma non potei non pensare che la cosa mi infastidisse e neanche poco. Cercai di non pensare alle migliaia di giustificazione affinché un telefono, anzi il suo telefono, potesse essere spento e digitai il numero dell’aeroporto per avere una prima informazione; avrei pensato poi a definire la partenza.

Mi dissero che non c’erano problemi, ma avrei dovuto accettare uno scalo di qualche ora a New York. Dissi all’impiegato che avrei dato una risposta in giornata e riattaccai.

Guardai l’orologio. Era ormai mezzogiorno e pensai che preparandomi per il pranzo con Edward non avrei pensato al tempo, a Leah e nemmeno a Emmet.

Ogni tanto provai a chiamarlo, ma la fastidiosa voce della compagnia telefonica mi continuava a comunicare che era irraggiungibile. Quando si fece l’ora salii sul mio pick up salutando Charlie, che si apprestava a prendere servizio fino all’indomani e mi diressi a villa Cullen, dove mi sarei dovuta incontrare con lui per poi decidere insieme dove pranzare. Guidai molto lentamente, forse immersa un po’ troppo nei miei pensieri e quando arrivai a casa sua ero addirittura in ritardo: il mio cuore batteva a mille e immaginai cosa mi avrebbe raccontato e cosa invece avrebbe omesso. In quel momento il problema Emmet e rientro era scomparso, ma feci mente locale che sarebbe dovuta essere la prima cosa da chiedergli.

Quando suonai il campanello le mie mani tremavano visibilmente e una strana sensazione di inquietudine mi attanagliava lo stomaco: la stessa che non mi aveva permesso di mangiare nulla quella mattina. La sensazione si accentuò ancora di più quando ad aprirmi non fu Edward ma Alice, che sorridente mi chiedeva cosa ci facevo lì.

In quel momento il sorriso che mi ero preparata per accogliete il fratello sparì: non solo Edward non era probabilmente ancora tornato, ma non aveva detto nulla alla sorella del nostro incontro. La cosa mi sembrò molto strana, ma poi misi da parte il pessimismo, la salutai calorosamente pensando fra me e me che forse era normale non metterla al corrente di ogni sua mossa.

« Ciao Bella che ci fai qui? Credevo fossi con Edward» ora le mie preoccupazioni si andavano ad acuire. Non solo non sapeva che ci saremmo visti, ma non sapeva nemmeno dell’incontro con Leah. Perché non ne aveva parlato con la sua famiglia? Cercai di non dimostrarmi troppo preoccupata e risposi il più tranquillamente possibile:

« No, avevamo appuntamento all’una per pranzare ma a quanto pare è in ritardo» mi li limitai a dire.

« Strano, è uscito molto presto stamattina e credevo fosse con te» quindi si era incontrato prima delle dieci con Leah e chissà perché: mille elucubrazioni iniziarono a volteggiarmi nella mente, ma non ne trovai una positiva, che giustificasse il telefono spento e il visibile ritardo. Decisi che dovevo dare ad Alice qualche informazione in più, anche per consentirle di tranquillizzarmi.

« Aveva un incontro con Leah – la vidi sgranare leggermente gli occhi – dovevano chiarirsi su alcune cose dall’altro giorno – tentai di giustificare – e verso le tredici ci saremmo visti qui per pranzare insieme, solo che ci sono state alcune problematiche a scuola e sembra che dovremo rientrare prima del previsto».

« Spero niente di grave?» in quel momento Jasper si affacciò alla porta della cucina e mi chiese di che cosa si trattava. Gli raccontai a grandi linee, cercando sempre di mantenere un grado di riservatezza e mi congedai momentaneamente con la scusa di provare a chiamare Ed un’altra volta.

« Vedrai che avrà trovato traffico, in questi giorni le strade per Port Angeles sono un vero delirio» mi rincuorò Jasper, ma non potei non notare lo sguardo dubbioso di Alice. Composi velocemente il suo numero di telefono e attesi la risposta, che non arrivò.

« Maledizione è ancora staccato!! » mi uscì un’imprecazione.

Alice mi si avvicinò in quel momento e mi parlò sottovoce:

« Perché hai permesso che si rincontrassero?» non capii subito quella domanda e le risposi nel modo più innocente possibile.

« Perché dopo il nostro incontro a Port Angeles Leah aveva bisogno di parlargli e mi è sembrato giusto che si chiarissero una volta per tutte soprattutto se….. – e abbassai lo sguardo nel tentativo di non far trapelare troppo i miei stati d’animo – …..soprattutto se intende rifarsi una vita e chiudere con il passato», la guardai negli occhi cercando di capire perché sembrasse così preoccupata e perché stava iniziando a far preoccupare anche me.

« Vedi Bella, io credo molto nelle buone intenzioni tue e anche di mio fratello, ma quella…..proprio non la sopporto e ti dico, stacci attenta. È una manipolatrice e farebbe di tutto per riprenderselo», quelle parole mi si conficcarono nella mente come mille aghi e per un attimo mi pentii di avergliene parlato.

« Dipende se lui vuole farsi riprendere….» non riuscii a dire altro, il respiro si stava smorzando e per un attimo ebbi paura di un altro attacco di panico.

« Non fraintendermi Bella sono più che certa dei sentimenti che legano mio fratello a te, anche se ancora non avete avuto il coraggio di confessarveli, ma Leah è falsa, sarebbe capace di qualsiasi meschinità, anche di riprenderselo con i sensi di colpa e sai che Edward non è il tipo che vuol fare male a qualcuno,……. ma vedrai che si saranno soffermati solo un po’ di più, magari lei era in ritardo come suo solito e spesso i telefoni non prendono bene in alcune zone di Port Angeles». Ero certa che le ultime frasi le avesse dette nel tentativo di rassicurarmi visto che la mia espressione doveva probabilmente rasentare il terrore, ma nella mia mente continuava rimbombare il suo discorso: “farebbe di tutto per riprenderselo…..capace di riprenderselo con i sensi di colpa……Ed non è il tipo che vuol fare del male”. Sapevo a cosa poteva riferirsi: sicuramente la perdita del bambino e i reciproci tradimenti più o meno intenzionali avevano turbato entrambi e conoscendo la sensibilità di Edward, avrebbe a fatica sopportato di vedere il tormento negli occhi di qualcuno ancora per quella storia. Queste parole mi rimbombavano nella mente e sentii la necessità di prendere aria. Senza particolari giustificazioni aprii la porta e mi gettai nell’aria gelata:

« Scusa Alice, ma faccio un giro intanto che lo aspetto così provo anche a richiamare l’istituto».

Mi precipitai fuori senza darle l’opportunità di ribattere: salii sulla mia auto e iniziai a vagare per le strade. La mia mente era vuota e si rifiutava di formulare qualsiasi tipo di pensiero, anche perché nessuno sarebbe stato positivo. Cercai di sdrammatizzare e di trovare mille giustificazioni al suo ritardo che contestassero le frasi che mi aveva detto Alice.

Mi ritrovai in cinque minuti ai margini del bosco di la Push e decisi così di incamminarmi lungo un breve sentiero che sapevo avrebbe portato alla parte bassa della spiaggia. Una bella passeggiata mi avrebbe aiutato a schiarire le idee, alleggerire i pensieri e aspettare sue notizie. Lasciai il pick up parcheggiato ai margini della strada e mi addentrai nel largo sentiero fra alberi e cespugli che conduceva alla spiaggia.

Camminai per circa dieci minuti; cominciavo a sentire l’odore del mare e il rumore delle onde che si infrangevano sulla battigia. In quel momento la mia mente si riempii solo del pensiero di me e Edward qualche giorno prima sulla stessa spiaggia, delle belle ore che avevamo passato insieme e un moto di gioia mi attraversò il cuore.

Un sorriso mi sfuggì dalle labbra, ma si spense immediatamente quando sentii delle voci e riconobbi, immediatamente il tono di Ed e quello che doveva essere evidentemente di Leah: non era possibile, non dovevano essere a Port Angeles?

Cercai di captare qualcosa, ma il rumore del vento e dell’acqua me lo impedii. Cercai di avanzare velocemente  e in quel momento più che mai mi si prospettò l’idea di interrompere la loro conversazione e di riportarmi a casa l’uomo che amavo senza tanta diplomazia.

I loro toni sembravano sempre più concitati e il mio passo si fece più veloce; potei sentire un “ non sarà facile ma ce la farai” detto da lei e un “non ne ho alcuna intenzione” detto da lui, ma a cosa si riferissero e a quale contesto mi era precluso.

Quando arrivai a scostare l’ultimo ramo che mi separava dalla veduta della spiaggia, il cuore mi si fermò: il respirò si bloccò e probabilmente il mio sguardo denotò il mio terrore alla scena che mi si stava parando davanti.

Leah era letteralmente spalmata addosso ad Edward, gli cingeva il collo con le braccia e le sue labbra erano incollate alle labbra di lui. Era rivolta col viso verso di me, ma non poté vedermi, intenta com’era a baciarlo. Non potevo vedere invece il volto di Ed, ma solo le sue mani strette sui fianchi di lei.

In quel momento un senso di nausea mi pervase. In poco meno di un secondo indietreggiai tornando nel folto della foresta e con gli occhi sbarrati mi precipitai per il sentiero in direzione dell’auto.

Era un incubo: non poteva essere vero. Il peggio era avvenuto, io lo avevo spinto lì pur sapendo il rischio che avrei corso e ora era successo. Sarebbero tornati insieme e forse lui non sarebbe mai rientrato in Inghilterra. La cosa strana fu che nemmeno per un secondo diedi a Edward la colpa per quello che era accaduto: incolpai solo lei e me stessa, per averlo convinto anche quando era stato così restio a farlo.

Continuai a camminare per il sentiero inciampando più volte: il dolore al petto era indicibile, non vedevo quasi più gli ostacoli di fronte a me perché una nebbia mi stava appannando gli occhi.

Mi fermai pensando di svenire e mi toccai il viso. Stavo piangendo copiosamente: era questo che mi impediva di vedere, il cuore parve incrinarsi e poi spezzarsi, e per un attimo fui certa di non riuscire ad andare avanti.

Stavo piangendo, dopo alcuni giorni in cui non mi era riuscito, ora stavo buttando fuori il mio dolore, la mia disperazione e per un attimo mi resi conto che per nessun uomo avevo mai provato quello che provavo per lui e mai il dolore per la perdita di un amore mi aveva arrecato quello stesso dolore. Improvvisamente mi inginocchiai a terra continuando a piangere e feci l’unica cosa che il mio corpo fu in grado di fare.

Mi accasciai su me stessa lanciando un urlo fortissimo, quasi disumano, in mezzo alla foresta, cercando così di sfogare la paura e la tristezza che in quel momento mi attanagliavano lo stomaco. Non seppi quanto tempo rimasi accasciata al suolo su quel sentiero e non so per quanto tempo dimostrai gridando tutto quello che stavo provando. So solo che passò molto tempo, le mie lacrime avevano smesso di uscire e si erano seccate sul mio volto, i singhiozzi scuotevano ancora il mio torace, ma il senso di dolore aveva lasciato spazio a qualcosa di peggiore, la rassegnazione: in quel momento ebbi la chiara sensazione che senza la sua presenza non ce l’avrei mai fatta. Sapevo che sarebbe successo e dovevo farmi forza.

Sarebbe stato bellissimo poter stare con lui, ma come una stupida avevo sprecato tutte le mie occasioni e ora era finita, prima ancora di cominciare.

Cercai di rialzarmi e di ricompormi conscia che il vuoto che aveva lasciato nel mio cuore non si sarebbe rimarginato così in fretta e mi apprestai a tornare alla mia auto. Fu una fortuna raggiungerla e non perdermi nella foresta visto lo stato emotivo e fisico in cui mi trovavo, ma appena chiusi la portiera e toccai il volante, mi ritrovai catapultata di nuovo nella realtà.

Appoggiai la fronte al volante consapevole del mio stato e di aver perso l’uomo di cui mi ero innamorata: il dolore fu indicibile e cercai di alzare la testa e prendere fiato per non svenire o urlare di nuovo. Le lacrime ripresero a scendere copiose dal mio volto. Non ci potevo ancora credere, ma mentalmente continuavo a darmi della stupida per avergli creduto e per avergli dato io quella possibilità.

Il suono del mio cellulare mi fece sobbalzare: guardai il display e impallidii quando vidi il suo numero. Rifiutai la chiamata, non ce l’avrei mai fatta a sentirlo e tantomeno a sopportare quello che sapevo mi avrebbe detto. Sentii suonare altre tre volte, l’ultima delle quali fu un messaggio, ma cancellai tutto e mi decisi a fare quello che avrei dovuto fare subito. Chiamai l’aeroporto e fissai il biglietto per il ritorno da sola, chiamai la scuola dicendo che sarei partita nel giro di poche ore, poi chiamai Alice.

Le dissi che le cose in Inghilterra erano peggiorate e che dovevo rientrare immediatamente. Le dissi anche di non dire nulla a Ed, che non volevo rovinargli gli ultimi giorni. Anche se mi costò un enorme sacrificio solo il nominarlo. Probabilmente capii che avevo pianto dal tono della mia voce:

« Bella sei sicura di star bene? »

« Sì Alice, devo solo andar via e mi dispiace» dissi trattenendo il più possibile i singhiozzi: se avesse prolungato troppo la conversazione non ce l’avrei fatta a contenermi ancora.

« Salutami tanto i tuoi e ringraziali per tutto e ti prego….non dire nulla a tuo fratello, per favore» smisi di parlare un attimo prima che le lacrime ricominciassero a scendere.

« Ma se mi chiede di te? Dove sei andata? che gli dico?»

« Digli che non sai nulla, che mi hai visto l’ultima volta due ore fa e non hai saputo più nulla, ti prego…» la mia  voce aveva un tono quasi implorante.

« Lo sai che se scompari e non capisce dove sei impazzirà….»

« Non credo che possa accadere più una cosa del genere ora…e comunque dai la colpa a me di tutto, digli che tu hai provato a parlarmi, ma io mi sono rifiutata e non ho voluto dirti nulla, per favore…» ancora i singhiozzi iniziarono a scuotere il mio corpo.

« Bella cosa è successo ti prego, sei uscita di qui da più di due ore, Ed ha chiamato cinque minuti fa, dice che ti ha cercato al cellulare per parlarti e non rispondi, è molto preoccupato e sta arrivando qui di corsa….» andando avanti così sarei crollata, e l’unico modo era chiudere al più presto quella conversazione.

« Non è successo niente Alice…doveva andare così – sussurrai e non la lasciai finire, mi faceva troppo male anche solo sentir pronunciare il suo nome – me lo hai promesso non dirgli nulla, io starò bene. Addio». Chiusi la comunicazione in fretta prima che un altro urlo uscisse dalla mia bocca.

A tutta velocità mi recai a casa di Charlie. Entrai di corsa, salii le scale, iniziai a preparare alla rinfusa le mie valige: dovevo andarmene di lì al più presto, prima che Edward tornasse a casa, parlasse con Alice e realizzasse che qualcosa non andava. Sapevo che lei non mi avrebbe tradito, ma gli avrebbe detto che ero strana e tutto sarebbe emerso in poco tempo. Non volevo ritrovarmelo alla porta di casa, non lo avrei tollerato e avrei rischiato seriamente di farmi del male.

Quando fui pronta mi precipitai in cucina scrivendo un biglietto a mio padre, per dirgli che rientravo a Londra; chiamai un taxi e mi feci accompagnare all’aeroporto di Port Angeles.

Per tutto il tragitto l’immagine di Ed e Leah su quella spiaggia mi passò di fronte costringendomi più volte ad asciugare le lacrime. Il dolore che provavo era indicibile, ma stavo facendo la cosa che mi riusciva meglio: scappare e allontanarmi da lui per non dovermi sorbire spiegazioni di nessun genere. Immaginavo che se era tornato con lei non avrebbe più ripreso servizio e la cosa, se da un lato mi sconvolgeva, dall’altro mi confortava: non avrei sofferto nel rivederlo con un'altra. La mia mente cercò di essere razionale, ma il mio cuore in realtà piangeva lacrime amare per non avergli mai confessato i miei sentimenti quando avevo potuto  e per aver perso così la mia unica occasione di essere felice di nuovo con la persona che più di tutte avevo amato nella mia vita.

 

 

 

 

 

 note: ok aspettate prima di condannarmi a morte!!!la mia giustificazione è che ci voleva il vero colpo di scena, da buon drammone sentimentale....abbiate solo pazienza, per favore. ora scappo prima che arrivino le uova marce!!!!

ciao e alla prossima

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** “Sola” ***


Ok per la prima volta commento all'inizio del capitolo anzichè alla fine. Innanzi tutto chiedo scusa per non aver postato prima, ma in questi giorni è il delirio per me.
Poi per non essere fuggite tutte alla lettura del capitolo precedente; anzi non ho mai ricevuto tante recensioni in una volta. Siete veramente magnifiche sia che mi lasciate un commento sia che vi limitiate a leggere e seguire. non mi stancherò mai dirvi grazie.
Tornando alla storia, siamo in un momento un pò critico per la nostra protagonista e forse, diciamocela tutta, se l'è anche un pò cercata. Il prossimo capitolo sarà un pò introspettivo e quindi triste......in realtà i sentimenti di questo capitolo ripecchiano un pò alcune situazioni emotive che ho vissuto io in prima persona e quindi anche se qualcuna mi odierà per come stanno andando le cose, le prossime situazioni che si verranno a creare sono particolari e importanti per me. Abbiate pazienza! per addentrarvi meglio nelle emozioni di Bella potete ascoltare "Noting but" di Skin. Io l'ho fatto più volte mentre scrivevo il capitolo.
http://www.youtube.com/watch?v=wF9j3GRBihQ
grazie ancora e alla prossima e mi raccomando...........l'apparenza inganna!!!!

Capitolo 42

“Sola”

 

Vuoto. Tristezza. Angoscia. Mancanza. Nella mia mente e nel mio cuore stava infuriando una battaglia di emozioni, ma dall’esterno cercavo di non far trapelare nulla.

Aver passato tanti anni ad amare un uomo in modo clandestino senza che nessuno se ne accorgesse, mi aveva allenato all’apparente indifferenza. Ma questa volta c’era comunque qualcosa di diverso. La fitta che avevo percepito qualche ora prima sembrava essere una lama costantemente conficcata nel mio torace all’altezza di quello che era stato il mio cuore e che era appartenuto inconsciamente a lui. Solo in una occasione avevo provato qualcos’altro di simile, e non era di sicuro avvenuto per James. Cosa poteva voler dire questo? Che il sentimento che mi legava a Edward, nonostante non fosse mai stato confessato, era molto più forte di qualsiasi altro avessi mai provato e per questo molto più devastante?

E ora? Mi ritrovavo su un aereo diretta nel luogo che avevo scelto per fuggire dalla mia vecchia vita e che ora mi avrebbe costantemente ricordato la perdita di quella nuova. Perché il mio rapporto con Edward era stato prima che amore, rinascita, inizio di qualcosa di nuovo che mi aveva dato la speranza, la fiducia e per molto tempo la serenità.

Come avrei fatto ora? Se lui fosse rimasto in America mi sarebbe mancato immensamente: se lui fosse tornato non avrei fatto altro che ricordare quello che avevo perso e i bei momenti passati insieme. Non c’era soluzione: non sarei mai riuscita a rimanergli amica come avevo pensato inizialmente nel caso non si fosse innamorato di me. Ero troppo coinvolta ora e lo avevo previsto: il nostro quasi bacio a Natale, i nostri abbracci nella sua stanza, i suoi gesti, le sue mani sul mio viso, nei miei capelli. Tutto era assolutamente impresso a fuoco in ogni singola parte del mio corpo e della mia mente. Non sarei riuscita a rimuoverla per lasciare spazio ad un sentimento di sola amicizia. Io lo avevo amato, in modo così potente, forte e solo ora me ne rendevo conto e sarei stata pronta ad urlarlo ai quattro venti: ma ormai era troppo tardi.

La mia vita poteva essere solo sofferenza e nella maggior parte dei casi per colpa mia. Sapevo che non dovevo ri-innamorarmi, che non dovevo pensare che tutto sarebbe andato per il meglio: da tempo la tendenza nella mia vita era quella di perdete tutto ciò che di bello mi era capitato nelle mani. E Edward era l’ultima e la più dolorosa delle cose.

Durante tutto il volo fino a New York e nell’attesa della coincidenza che mi avrebbe riportato a Londra avevo trattenuto a stento le lacrime, cercando di non crollare di fonte a hostess e passeggeri che davano la sensazione di scrutarmi fin dentro l’anima: sola, mi sentivo terribilmente sola anche in mezzo a migliaia di persone che ignare mi passavano accanto o vivevano la loro giornata come se nulla fosse. Mi mancava, lo pensavo e mi mancava il suo viso; lo pensavo e mi mancava l’aria; lo ricordavo e il dolore si faceva più profondo.

E quando mi ritrovai sul lungo volo per l’Inghilterra mi guardai intorno vedendo tutti che riposavano nella tenue luce notturna dell’aereo, ma di fronte a me scorrevano solo le immagini di noi due e poi le “loro” immagini, quelle che mi avevano pugnalato al cuore e sgretolato la mente: le labbra di lei, le mani di lui e quella sensazione di soffocamento e di desiderio di…morte.

Ebbene sì in quelle ore, su quell’aereo, sola ad aspettare il nulla mi balenarono nella mente anche idee assurde. Ero sempre stata una persona felice di vivere nonostante tutti gli schiaffi ricevuti; mai avevo pensato che non valesse la pena combattere per rimanere attaccati alla vita, ma per pochi secondi mi venne in mente che senza di lui poteva anche non essere più così e forse la fine di tutto non sarebbe poi stata così terribile. Per mia fortuna il via vai durante le ultime ore di volo e il pensiero di chi mi era ancora accanto cancellò ogni malsano pensiero, denotato dallo sconvolgimento per ciò che avevo vissuto poche ore prima, piuttosto che dalla razionalità: ed io ero sempre stata una persona che, alla fine dei conti, aveva dato più spazio alla razionalità e mi ero rialzata da situazioni anche molto critiche.

Ce l’avrei fatta questa volta? In realtà io non ero mai stata con Edward, non ci eravamo mai detti ti amo, non ci eravamo mai confessati i nostri reciproci sentimenti ( che poi forse ora tanto reciproci non erano più). Non avrei dovuto basare gli ultimi mesi della mia vita su delle supposizioni: avevo sbagliato, ancora una volta, ma avrei dovuto cercare di usare quel poco di sicurezza rimasto in me per uscirne il più possibile indenne. E magari continuando a ripetermi che fra noi non c’era mai stato niente di certo, che quasi sicuramente erano state solo mie fantasie denotate dalla necessità di appoggiarmi a qualcuno, ce l’avrei fatta. Avrei dovuto fare quello per cui ero partita cinque mesi prima: concentrarmi sul mio lavoro e ricominciare. Partendo dai miei studenti e in particolare da Emmet: il secondo motivo dopo Edward che mi aveva convinto a ritornare in fretta e furia. Aveva bisogno del mio sostegno e io non potevo farmi vedere a pezzi. Avrei cercato di aiutarlo poi avrei pensato ai cocci del mio cuore.

Accesi il telefono appena arrivata. Una marea di messaggi e telefonate perse, tutte con lo stesso mittente, apparvero sul mio display: immaginavo il perché mi avesse cercata. Aveva probabilmente parlato con Alice, aveva capito che ero partita senza avvisarlo e sicuramente non aveva capito perché. Con un profondo dolore e cercando di non farmi vincere dalla curiosità di leggere o richiamare cancellai tutto e spensi nuovamente il telefono. Avrei pensato poi a chiamare Charlie e a dargli le dovute spiegazioni sulla mia fuga da Forks.

La pioggia mi diede il suo benvenuto in aeroporto a Londra e uno strano senso di dejà vu mi percorse. Il taxi che mi riportava all’istituto, la strada, il cancello tutto mi ricordò il primo giorno della mia nuova vita, ora più distrutta di quella vecchia. Scrollai il capo cercando di ridestarmi dai miei torbidi pensieri e quando mi accorsi che ero arrivata, pagai il tassista e mi gettai fuori incurante della pioggia che cadeva. Nello stato in cui ero bagnarmi dalla testa ai piedi era sicuramente l’ultima delle mie preoccupazioni.

Per evitare di ricadere nell’oblio dei miei ricordi non mi recai nemmeno nel mio appartamento, ma deviai subito per la presidenza dove avrei chiesto delucidazioni sulla situazione per poi decidere cosa fare. Mi sarei tenuta il più possibile lontano dal dormitorio finché avessi potuto, in modo da non dover ricordare. Era l’unico modo per mantenere una parvenza di normalità. E poi chissà, forse sarebbe stata l’occasione giusta per trovarmi un’altra sistemazione in paese…lontana da lì e …da lui.

Non appena mi vide si dipinse sul volto della preside uno sguardo di stupore, ma potei scommetterci, anche di sollievo. Mi chiesi come una persona con tanta esperienza alle spalle avesse difficoltà a gestire situazioni in apparenza legate alla sfera della socialità. Forse il suo essere così programmatica, incapace di dare spazio a particolari iniziative, la rendeva troppo chiusa, rigida e preoccupata che la sua sfera di perfezione non venisse mai intaccata, tanto da non porsi certi problemi fino a che non ci avesse sbattuto il naso.

Passati i primi minuti dove si prodigò con mio grande stupore in ringraziamenti, mi diede delucidazioni sui fatti; l’incidente che era avvenuto mentre il padre si trovava in Francia, la notizia arrivata a Emmet con quattro giorni di ritardo per volere della madre che non riteneva opportuno che il figlio si scapicollasse per l’Europa per i funerali del padre e di conseguenza l’impossibilità per lui di rivedere per l’ultima volta una delle persone più importanti della sua vita.

Per un attimo compresi appieno il dolore che aveva dovuto provare. Non mi sarebbe stato possibile rinunciare ad un ultimo saluto alle persone che amavo. Dopo circa mezz’ora di conversazione, decisi di recarmi nella stanza di Emmet e vedere di persona il danno fatto, cercare di farmi aprire e capire cosa avrei potuto fare io per lui.

Mentre percorrevo il sentiero acciottolato che mi portava verso i dormitori dei ragazzi più grandi, con i capelli umidi dalla pioggia presa e sotto un cielo tipicamente inglese, non potei fare a meno di ricordare le volte che avevo percorso quelle strade con lui: tutti gli edifici, e perfino il panorama del giardino me lo ricordava.

Chiusi gli occhi e presi un forte respiro per rimuovere dalla mia mente più immagini dolorose possibili e ricordare il motivo principale per cui mi trovavo lì in quel momento.

Arrivata al dormitorio C entrai e mi recai al piano dove sapevo alloggiava il mio studente; cercando di vestire i panni più professionali possibili bussai alla sua porta. La voce di Emmet dall’interno urlò di andare via:

« Emmet sono la professoressa Swan. Aprimi e parliamo: so cosa è accaduto. Vorrei cercare di aiutarti per quanto mi è possibile». Lì per lì nessuna risposta mi giunse da dietro la porta, solo uno strano vociare all’interno segno che, come mi era stato detto dalla preside, Emmet non era solo. Ringraziai mentalmente la ragazza che gli aveva tenuto compagnia in quei momenti: non sapevo bene che genere di legame ci potesse essere fra loro, ma ero certa che se fosse stato solo avrebbe sicuramente commesso molte più sciocchezze. Aspettai ancora qualche minuto poi ribussai:

« Emmet aprimi per favore – il tono più pacato possibile per evitare di agitarlo – non è stato piacevole farmi tutte quelle ore di volo per poi ritrovarmi a discutere con una porta, ti prego». Il mio tono era sinceramente dispiaciuto, vuoi perché potevo immaginare il suo dolore, vuoi per il mio stato d’animo in quel momento a causa dei miei problemi, tanto che le ultime parole mi uscirono quasi incrinate dal pianto.

Ritrovarmi lì in quel momento, senza alcuna riposta da parte sua, mi fece sentire talmente impotente da riportarmi alla mente il dolore per la perdita di Edward e tutto quello che avevo cercato di mettere da parte fino a quel momento per assumere un tono dignitoso per il mio ruolo. Non ero però in realtà così forte, e se non avessi ottenuto risposta nel giro di poco, il mio fragile equilibrio mi avrebbe portato a piangere disperata e senza apparente motivo di fronte alla porta di un mio studente. Proprio un attimo prima che questo accadesse sentii dei passi dentro alla stanza, il rumore della serratura scattare:

« Ciao Bella, ho convinto Emmet entra» la figura di Rosalie mi si parò davanti: la mia espressione fu probabilmente di assoluto stupore e dovetti fare mente locale di come e perché la sorella di Edward si potesse trovare in quella stanza. Per pochi secondi mi dimenticai con chi avevo a che fare e cosa poteva comportare per me la vicinanza con un membro della famiglia Cullen e solo una domanda mi uscì dalla bocca:

«Rosalie che ci fai tu qui?».

 

 

Ero ancora stupita di chi fosse la ragazza che in quei giorni aveva tenuto compagnia ad Emmet. Non dissi più nulla quando mi fece entrare:

« Bella posso spiegarti tutto», in realtà avevo intuito che ci fosse qualcuno nella sua vita. Io e suo fratello l’avevamo posta come supposizione quando Alice ci aveva raccontato di Jasper, ma rimasi comunque stupita di chi fosse questa persona.

Ma in fondo perché avrei dovuto? Rosalie era una ragazza estremamente intelligente e affascinante che sapeva il fatto suo e forse era l’unica che sarebbe riuscita a tenere testa ad Emmet. Avevano la stessa età, la stessa caparbietà e probabilmente per una parte della loro infanzia avevano sofferto per errori che non avevano commesso loro.

« Rosalie non devi dirmi nulla, non ti preoccupare. Ora pensiamo a Emmet, poi dopo se vorrai parleremo», un sorriso le comparve sulle labbra e la sentii chiaramente tirare un sospiro. Forse temeva un mio giudizio negativo, o che appena uscita di lì avrei chiamato Edward per raccontargli tutto. Quello che non sapeva, però, era quello che era accaduto alla spiaggia di la Push, quello che avevo visto mi avrebbe costretta a riconsiderare ogni mia relazione con la famiglia Cullen.

Mi raccontò a grandi linee quello che anche lei aveva saputo: in fondo era arrivata lì solo ventiquattro ore prima di me. Mi disse che anche lei aveva faticato inizialmente a farsi aprire, ma non aveva desistito preoccupata che la situazione non degenerasse:

« Bella io lo amo, non ce la faccio a vederlo soffrire. Non so perché voglia parlare con te, ma se puoi aiutarlo ……ti prego fallo». In quel momento e a quelle affermazioni vidi davanti a me una ragazza diversa: non c’era più la sicurezza e la spavalderia tipiche di Rosalie, quanto la preoccupazione per una persona a cui si tiene particolarmente. Non potei essere altro che felice nel sentirle dire che lo amava: non c’era niente di più bello che poter contare su un sentimento di questo genere. Ma quei pensieri non fecero altro che portare alla mente la mia stupidità: Rosalie era arrivata  a Londra da un mese e già sapeva quello che voleva. Io dopo cinque mesi passati a fantasticare sull’amore, non avevo concluso niente di concreto e ora ero di nuovo sola.

Cercai di rimuovere questi pensieri dalla mia mente e di concentrarmi sul modo migliore per recuperare la situazione in quella stanza.

Quando girai l’angolo del corridoio di fronte a me non trovai il ragazzo spocchioso che aveva dato filo da torcere a tutti, inclusa la sottoscritta. In quel momento vedevo tutta la sua fragilità e me ne rattristai. Cercai di avvicinarmi: era seduto su una poltrona, lo sguardo basso, la testa fra le mani. Molti oggetti e libri giacevano frantumati e distrutti per la stanza, tutto era in un vero disordine, chiaro sintomo che prima di essere calmato da Rosalie si era sfogato con tutto quello che aveva trovato per la stanza.

« Quando sono arrivata mi hanno detto che stava dando in escandescenza da qualche ora, nessuno era riuscito ad avvicinarlo o a farlo tranquillizzare. Quando mi ha visto ha accettato che gli stessi vicino, ma più di tanto non sono riuscita a fare. Quando ho capito che con te avrebbe parlato mi sono decisa a farti chiamare dalla preside…mi dispiace non volevo farti precipitare qui e rovinarti le vacanze….».

« Non ti preoccupare Rosalie – la interruppi – hai fatto bene, ora dobbiamo pensare a lui», tralasciai il fatto che non era stata di certo la sua chiamata a rovinarmi le vacanze.

« Edward sarà arrabbiato per il fatto di essere rientrato prima».

Ecco le uniche parole che non avrebbe dovuto dire: chiusi gli occhi e deglutii piano cercando di non farmi vedere, poi sempre fissando Emmet le risposi appena sussurrando che Edward era rimasto a Forks.

« Occupiamoci di lui ora» tentai di sviare il discorso bloccando ogni suo tentativo di controbattere. Sarebbe arrivato anche quel momento, anche se il solo pronunciare il suo nome mi aveva portato sull’orlo delle lacrime. Cercai di distogliere l’attenzione da me e Edward e concentrarci sul ragazzo distrutto di fronte a me. L’unica cosa che mi venne in mente fu quella di cercare di farlo parlare, per far sì che si sfogasse, magari anche con il pianto e poi convincerlo a farsi dare dei farmaci dal medico per cercare di calmarsi, almeno per il momento.

« Ciao Emmet, è inutile che ti chieda come stai – lo vidi alzare lo sguardo ed era veramente sconvolto – hai un aspetto orribile….», tentai di sdrammatizzare.

« Perché è qui professoressa?»

«Perché mi hanno detto che sono l’unica persona con cui volevi parlare, ed eccomi qua»

« Le ho rovinato le vacanze però così…»

« Direi che dovrebbe essere l’ultimo dei tuoi pensieri vista la situazione. Hai voglia di parlarne?».

Scosse la testa in segno di negazione. Mi sentivo impotente e il mio stato d’animo non mi aiutava di certo a prendere decisioni coerenti. Cercai comunque di proseguire:

« So che è difficile, ma forse raccontarmi quello che è accaduto e cosa ti ha scatenato tutta questa rabbia ti potrebbe aiutare»

« Mio padre è morto cazzo!! – un urlo e un’imprecazione gli uscì quasi a volermi incutere timore – come dovrei stare? Sono giorni che tutti si preoccupano , ma nessuno capisce….» il tono ancora molto alto: Rosalie aveva quasi sobbalzato temendo il peggio. Stranamente non mi spaventai.

« Non è vero che nessuno ti capisce – alzai gli occhi verso Rosalie chiedendole un tacito assenso a quello che stavo per dire. Come se avesse intuito fece un cenno affermativo – anche la tua ragazza ha perso i genitori, e anche io ho perso qualcuno che amavo», non so perché decisi di avvicinarmi a lui con quella strategia. Forse in quel momento e con il mio stato d’animo era l’unica cosa sensata che mi fosse venuta in mente. Probabilmente funzionò in parte perché lo vidi fissare prima Rosalie, che lo guardava con uno sguardo molto dolce e accondiscendente e poi me.

Si rivolse a lei:

« Non me lo avevi detto»

 « E’ successo tanto tempo fa e ho avuto la fortuna di trovare qualcuno che mi ha amato tanto quanto i miei veri genitori»

 «Devi aver sofferto moltissimo»

« Sì, ma l’ho superato e sono qui ora e ci riuscirai anche tu: io ero una bambina che non capiva e non sapeva come uscirne, tu sei un uomo…» il suo sguardo era fiero, come se quelle parole le infondessero speranza e orgoglio. Poi si voltò verso di me e non potei fare altro che dirgli quello che mi sentivo: mi ero esposta troppo, ma non potevo tornare indietro. Avrei altrimenti perso la sua fiducia:

« Ho perso un figlio Emmet, lo so non è la stessa cosa, ma il dolore è comunque devastante». Guardai Rosalie stupita e in cuor mio sperai non le venisse mai in mente a nessuno (e per nessuno era chiaro chi intendessi) di riferire quello che sentiva in quella stanza.

Queste confessioni però sembrarono ottenere l’effetto sperato: forse il fatto di essere con qualcuno che non cercava solo di consolarlo, ma che condivideva il suo dolore lo fece rilassare e vidi chiaramente i suoi occhi riempirsi di lacrime.

« Come farò senza di lui? Era l’unico che mi dava la forza di sopportare le ingiurie di mia madre», un pianto strozzato si levò dal suo torace. Si accasciò ancora di più sulla poltrona, ma non reagì con nessun moto di rabbia. Mi sedetti a fianco a lui e lo convinsi a parlarmi dell’accaduto e poi del legame con il padre. Non so quanto tempo passò, se minuti o ore, ma lo vedevo ogni istante rafforzarsi e riemergere, la mia mano a sfiorargli il braccio o la spalla, Rosalie in piedi di fronte a lui ad ascoltare. Parlare gli stava facendo bene. I singhiozzi scuotevano il suo corpo, ma non sembrava vergognarsene.

«Cosa posso fare ora?»

« Devi reagire Emmet, finisci i tuoi studi e poi vattene, chiedi a tua madre la possibilità di farti una vita lontano da qui…»

« E se lei non accettasse??»

« Infischiatene e vieni via con me», la voce di Rosalie proruppe interrompendo i nostri pensieri. La guardai negli occhi. Era veramente convinta di quello che faceva, segno che il sentimento che li legava era ben più simile all’amore che all’affetto o all’infatuazione. In quel momento un piccolo moto di gelosia mi pervase nella consapevolezza che loro, due ragazzi di appena ventun’anni erano arrivati dove io che ne avevo già trenta ancora non ero. Consapevoli della loro vita, dei loro sentimenti e pronti a sacrificare tutto per riuscire stando insieme: alla frase di Rosalie il pianto di Emmet si fece più prorompente, trascinando con sé la ragazza che, inginocchiata di fronte a lui lo abbracciò con una forza indicibile. Mi ritrassi leggermente, ripensando a tutto quello che nella mia vita mi aveva arrecato dolore, non ultima la perdita di Edward e le lacrime iniziarono a lambire anche il mio volto. Li lasciai sfogare per un po’, poi, cercando di riprendere un contegno lanciai un sasso:

« Emmet credo sia il caso  tu cerchi di riposare, magari con l’aiuto del dottore che ne dici?»

« Non voglio prendere nulla», mi rispose fra i singhiozzi.

« Sarebbe solo per questa volta e sono sicura che Rosalie ti sarà a fianco».

Guardai i due ragazzi che avevano alzato il volto dal loro rifugio di lacrime e potei notare negli occhi di lei una mutua richiesta di speranza e in quelli di lui una rassegnazione a farsi aiutare:

« Va bene, ma solo questa volta», un lieve sorriso ci comparve sul volto. Chiamai la preside, la informai che il peggio era passato e le dissi di avvisare il medico, ottenendo un ringraziamento non poco eloquente.

Mi alzai per allontanarmi e lasciarli un po’ in tranquillità, quando mi sentii afferrare uh braccio:

« Grazie prof, non so perché lo ha fatto, ma mi dispiace di averle arrecato tanto disturbo»

« Non dirlo neanche per scherzo, sono qui per aiutare i miei studenti, è il mio lavoro, ma d’ora in poi voglio vederti reagire e cambiare, voglio vederti diplomare ed iniziare una nuova vita. E sono convinta che qualsiasi cosa tu decida di fare diventerai un uomo in gamba. E fino a che questo non avverrà sai che puoi sempre contare su di me…e credo anche su Rosalie», un sorriso mi uscì dalle labbra e anche la ragazza si lasciò andare annuendo vistosamente. Poi li vidi guardarsi negli occhi e baciarsi stringendo i loro volti tra le mani come se non esistesse nulla di più prezioso al mondo in quel momento per sostentarsi. Un moto di orgoglio misto a gioia mi attraversò, per ripiombarmi nuovamente nell’oblio quando realizzai che la persona che avrei voluto avesse nei miei confronti dei gesti simili ora non ci sarebbe stata più, perché io stupidamente me l’ero lasciata sfuggire. Mi asciugai le lacrime e feci per andarmene:

« Il medico sarà qui fra poco, sarà meglio che vada, cercate di riposare e appena sarà possibile riordinate la stanza e ricominciate la vostra vita: e se fare programmi insieme vi dà la forza, fatelo e non abbiate paura né di quello che dice la gente, né di affrontare l’incertezza del futuro». Mi guardavano attenti e fui certa che avessero capito che quelle parole erano state dette per loro quanto per me, che mi apprestavo a uscire da lì e riaffrontare da sola tutto quello che pensavo di poter vivere a fianco a Edward.

Non feci in tempo ad allontanarmi che Rosalie mi si affiancò.

« Grazie Bella, sei stata fantastica, mio fratello sarà orgoglioso di te, ma…cosa vuol dire che è rimasto a Forks?? credevo ti avrebbe accompagnato, di solito è sempre così protettivo nei tuoi confronti».

A stento ricacciai indietro il magone che avevo in gola: « Edward …. È stato impegnato con altro» non riuscii a dire nulla di più, ma Rosalie mi trattenne per il braccio.

« Vuol dire che sei rientrata sola??», ora il suo sguardo era di stupore misto a preoccupazione e io non sarei stata in grado di ribattere troppo indebolita nello spirito, così decisi di provare a fare l’unica cosa che mi veniva in mente: deviare il discorso.

« Da quanto tempo stai con Emmet??».

Rosalie rimase per un attimo interdetta, ma intuendo che qualcosa non andava, non abboccò all’amo: « Bella non rispondere ad una domanda con una domanda, perché sei sola? che fine ha fatto mio fratello?».

Non potei trattenere le lacrime e mi affrettai a risponderle per potermene andare: « Non so se rientrerà – il mio fu quasi un sussurrò – ora è meglio che vada, ho bisogno di riposare, scusa….» e mi apprestai a fuggire letteralmente, guardandola solo furtivamente da dietro gli occhi arrossati, lasciandola probabilmente  con mille dubbi su ciò che avevo detto, ma con molte supposizioni sul mio stato d’animo.

Scappai letteralmente dal dormitorio per rifugiarmi nel mio appartamento. Corsi su per le scale quasi scapicollandomi, ma cercando di non guardare quello che intorno a me ricordava il passato: e tutto lì mi ricordava lui.

Aprii velocemente la porta e me la richiusi alle spalle. Un forte odore di chiuso mi invase le narici: mi appoggiai con le spalle alla porta come una fuggitiva che tenta di mettersi al riparo da qualcosa e in quel momento realizzai pienamente dove mi trovavo e cosa sarebbe cambiato senza di lui. Un pianto fortissimo mi pervase il petto e mi accasciai al suolo tra i singhiozzi, lasciando scivolare la schiena ancora umida per la pioggia contro la  porta. Non so quanto rimasi lì a piangere e gridare, qualche minuto o più probabilmente anche qualche ora. Mi meravigliai anzi del fatto di non essere svenuta per il troppo dolore, come tante volte mi era capitato: e quello che provavo in quel momento era devastante. E quando cercai di calmarmi feci l’ultima cosa che mi sarei immaginata di fare.

Mi alzai barcollando, accesi la luce e mi recai nel bagno: presi il flacone dei tranquillanti che ormai non prendevo più da mesi e me ne misi in bocca mezza pastiglia: volevo dormire e per farlo senza soffrire dovevo cercare di non sognare e quello era l’unico modo. Azzerai tutti i miei sensi, ancora vestita e tra le lacrime mi gettai sul letto addormentandomi con la sensazione di un grande vuoto nel mio cuore, che ora lì a casa mia, dove avevo incontrato veramente la serenità, mi attanagliava in una morsa dalla quale non sarei certo uscita con facilità.

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** “Invisibile” ***


Capitolo 43:

“Invisibile”

 

Un suono fastidioso e insistente mi ridestò dal mio stato di torpore: per un attimo non capii né dove ero, né quanto avevo dormito.

Aprii gli occhi e riconobbi la mia stanza da letto al campus.

Guardai la sveglia che indicava le 7.30 di venerdì 4 gennaio; non era quella che stava suonando e allora cosa?

Mi alzai puntandomi sui gomiti e un senso di pesantezza mi ricordò del sonnifero che avevo preso la sera prima. Appoggiai i piedi a terra e forse il freddo del pavimento o il suono continuo che mi penetrava nei timpani mi riportò alla realtà.

Emmet…Rosalie….Edward…Leah, la consapevolezza di cosa era accaduto mi ripiombò addosso e chiusi gli occhi per prendere forza. In quell’attimo un senso forte di nausea mi percorse la bocca dello stomaco e presi un profondo respiro cercando di riemergere ed evitare di correre al bagno per vomitare, il nulla, visto che da più di ventiquattro ore non toccavo praticamente cibo.

Decisi di cercare la fonte di quel fastidioso suono, quando realizzai che era il mio telefono.

Ma quando lo avevo acceso? Ricordavo esattamente di averlo tenuto spento appositamente per evitare di farmi rintracciare, ma forse la sera precedente prima di addormentarmi avevo cercato di chiamare mio padre….ma proprio non lo ricordavo.

Accidenti ai sonniferi! Sapevo l’effetto che mi facevano e li odiavo per quello, ma se il mio intento era di azzerare problemi e paranoie durante il sonno, avevo ottenuto il mio scopo.

Mi alzai a fatica cercando il telefono nella borsa, che la sera prima avevo lanciato sul divano appena entrata in casa: sperai vivamente che non fosse nessuno che aveva bisogno di me, perché avevo intenzione di passare quegli ultimi giorni prima dell’inizio delle lezioni nella solitudine più assoluta, con l’intento di non pensare a ciò che era accaduto, prepararmi ad affrontare il resto dell’anno scolastico puntando tutto sui miei studenti e poco sulla mia vita privata.

Ma a chi volevo darla a bere? Ricordavo a me stessa di farmi forza e non pensare, ma in realtà mi mancava terribilmente e non avrei proprio saputo da che parte cominciare senza di lui.

Quando trovai il telefono, ancora prima di guardare sul display immaginai chi potesse essere e un forte tremore mi bloccò le mani. Istintivamente rifiutai la chiamata, ma poi mi ricordai che non avevo ancora dato notizie a mio padre e il pensiero che avesse potuto mobilitare persino l’Fbi, nel tentativo di assicurarsi che stessi bene dopo la mia fuga da casa, mi portò a chiamarlo.

La telefonata fu lunga e più volte mi resi conto che avrei potuto darla a bere a tutti fuorché a Charlie: mi aveva detto che Edward era stato da lui poco dopo la mia partenza, preoccupato per il fatto di non essermi fatta viva. Non so perché, ma istintivamente gli chiesi se era solo e mi stupii molto la sua risposta:

« Sì Bells, era molto solo: cosa è successo tra voi?»

«Gli hai detto dove sono?», chiesi con un tono alquanto preoccupato.

« No, ho solo detto che sei partita. Tu non mi hai detto altro e io non ho voluto violare la tua privacy, nemmeno con lui».

Lo ringraziai mentalmente, ma non ebbi il coraggio di confessargli nulla; mi limitai a ribadire che avevo solo avuto bisogno di tornare per motivi di lavoro e, non essendo stato raggiungibile per telefono, non lo avevo potuto avvertire. Dal tono della sua voce capii che non aveva creduto ad una sola parola, ma fece buon viso a cattivo gioco e si raccomandò di chiamarlo per qualsiasi cosa avessi avuto bisogno.

Subito dopo aver interrotto la telefonata con mio padre mi affrettai a spegnere il telefono. Mi resi conto che anche se fra di noi non ci sarebbe potuto più essere nulla, Edward era sempre stato molto protettivo nei miei confronti e la mia fuga e il silenzio telefonico forse lo stavano veramente facendo preoccupare. Sapevo che prima o poi lo avrei dovuto affrontare, ma non era ancora quello il momento. Volevo rimanere sola un altro po’, cercare di elaborare la mia sofferenza e ripartire, come avevo già fatto.

Ormai ero sveglia così decisi di passare la mattinata sistemando casa e le valigie. Non avevo voglia di uscire, vuoi perché il mio aspetto dettato dal mio stato d’animo, non era sicuramente consono al mio ruolo e vuoi perché non volevo incorrere nel rischio di ritrovarmi faccia a faccia con qualcuno a cui avrei dovuto dare spiegazioni sull’assenza di Edward. Aprii le finestre e passai le successive due ore a riordinare e pulire l’appartamento: mi resi conto solo dopo un po’ che non riuscivo a concentrarmi nemmeno su una cosa così semplice, visto che spesso mi ritrovavo a rassettare cose già in ordine.

Quando tutto in casa fu a posto decisi di dedicarmi al bagaglio, ma non fu un’idea brillante. Troppe cose mi ricordavano Edward a partire dal portachiavi che mi aveva regalato per il mio compleanno: ma la cosa peggiore fu quando mi ritrovai tra le mani il suo bracciale e leggendo l’iscrizione non potei fare a meno di crollare in un mare di lacrime accasciandomi al suolo come un palloncino bucato. In cinque minuti con quel prezioso, quanto splendido, oggetto in mano riuscii a ripercorrere quei magnifici giorni passati insieme e mi domandai se e quando lo avrei rivisto, e che sensazioni e sentimenti avrei potuto provare, o meglio avrei avuto il diritto di provare. Più volte il mio cuore mi disse che non potevo essermi inventata tutto, che i suoi sentimenti per me erano stati chiari per quelli che ci conoscevano, quasi come i miei per lui. Me lo avevano detto Alice, mio padre e me lo aveva fatto intendere persino Carlise.

I suoi sguardi, i suoi abbracci,…. non mi ero inventata nulla. Il modo in cui il suo corpo rispondeva alla mia vicinanza, come il bacio appena sfiorato la vigilia di Natale e quello non dato la sera dopo: le sue carezze e i suoi occhi su di me, sempre come se fossi una cosa preziosa da cui non è possibile distogliere lo sguardo. Senza dimenticare tutto quello che avevamo vissuto insieme prima di ritornare a Forks.

Non mi resi nemmeno conto che stavo piangendo come una fontana a quei ricordi: per tanto tempo avevo represso le lacrime e ora non riuscivo più a fermarle.

Come potevo essermi sbagliata così tanto su noi due, o come aveva potuto lui dimenticare così in fretta, appena incontrata Leah?

Non riuscivo proprio a darmi una risposta sensata su questo. Non ero arrabbiata con lui, ma di sicuro ero rimasta molto male per il fatto che si fosse lasciato di nuovo abbindolare così facilmente, dopo che mi aveva dato spesso l’idea di volermi stare accanto.

Ma chi ero io poi per dare giudizi? Ero stata la prima che aveva tenuto in piedi una relazione prima di conoscerlo, che in realtà era solo un tira e molla e in più come terzo incomodo!

Mi alzai dal pavimento, presi il bracciale, lo chiusi nella sua preziosa scatola e lo riposi nel cassetto del comodino: non avrei certo potuto indossarlo, anche se era stato semplicemente un regalo di Natale, ma ogni volta che lo guardavo riemergevano troppi ricordi e così decisi di archiviarlo. Magari nel giro di qualche mese, se i miei sentimenti si fossero affievoliti e il dolore superato l’avrei potuto portare come un qualsiasi altro gioiello.

Continuai a disfare i bagagli e a sistemate tutti i miei oggetti, rammaricandomi del fatto di non aver ritrovato, come invece pensavo, l’abito che Alice mi aveva fatto indossare per l’ultima serata dell’anno. Non ricordavo proprio dove potevo averlo lasciato; se a casa Cullen o più probabilmente da Charlie, visto in modo in cui me ne ero andata: avrei verificato alla prima occasione.

Avevo quasi terminato quando un lieve bussare alla porta mi riscosse dai miei pensieri. Il mio cuore fece un balzo: non mi aspettavo nessuno visto che in pochi sapevano del mio ritorno. Non risposi immediatamente e cercai di capire chi si trovava dall’altra parte. I battiti sulla porta proseguirono e questa volta qualcuno chiamò il mio nome:

« Bella ci sei? Se sei in casa ti prego aprimi, dobbiamo parlare. Ti senti bene? ». Era Rosalie, che probabilmente avendo intuito la sera prima che qualcosa non andava, voleva assicurarsi sul mio stato di salute. O forse più semplicemente aveva avuto occasione di parlare con il fratello che le aveva chiesto di tenermi d’occhio: sarebbe stato proprio tipico di Edward.

In quel momento mi resi conto più che mai che la lontananza da lui non era solo una questione legata al mio amore e a quello che provavo, ma a tutta una realtà della quale ero entrata a far parte e che mi piaceva molto. Tutta la famiglia Cullen mi aveva accolto a braccia aperte, mi avevano ringraziato per aver dato a Ed la possibilità di cambiare, si erano preoccupati per me e mi erano stati accanto in momenti difficili. Per quanto poco li conoscessi avevano fatto molto di più di chi mi conosceva da anni.

In quel momento capii che se anche le cose tra me e Edward non erano andate come desideravo, nulla mi impediva di mantenere buoni rapporti con quella splendida famiglia, anche nel rispetto di ciò che avevano fatto per me. Il problema era che la ferita era ancora troppo fresca e vedere loro sarebbe stato corrispondente ad un’immagine troppo vicina e tormentata, ancora per il momento almeno: quindi, con grande rammarico, decisi che se volevo provare a risollevarmi, avrei dovuto tagliare i ponti anche con loro. Questo includeva anche parlare con Rosalie che insistentemente continuava a battere sulla mia porta convinta che io fossi nel mio appartamento. Dopo alcuni minuti, non ottenendo risposta la sentii allontanarsi e decisi così che per quel giorno non sarei stata in grado di uscire senza incontrarla, parlarle e crollare nuovamente; così chiusi le finestre e mi decisi a fare qualcosa che non facevo da tempo.

Scrissi una mail a mia madre: avevo bisogno in quel momento di qualcosa di leggero. Le avevo accennato qualcosa durate le vacanze di Natale sulla mia amicizia con Edward, ma ero certa che la sua frivolezza l’aveva portata a dimenticare le parti che riguardavano i miei sentimenti e forse mi avrebbe aiutata a risollevarmi un po’ il morale.

In realtà sapevo che se le avessi raccontato tutto mi avrebbe saputo consigliare e aiutare nel migliore dei modi. Sapeva sempre quale era il mio stato d’animo nelle situazioni problematiche e aveva la parola giusta per tutto, in campo sentimentale: in quel momento non ero ancora pronta ad affrontare il discorso nemmeno con lei e fui consapevole del fatto che finché non ne avessi parlato non sarei mai riuscita a rimuoverlo dal mio cuore.

Lasciai scorrere il resto della giornata nel tedio più assoluto. Cercai più volte di mangiare qualcosa, ma ogni movimento che facevo in quella casa mi bloccava lo stomaco. Avanti di quel passo avrei perso le forze: forse se me ne fossi andata le cose sarebbero migliorate.

Già…andarmene…trovare un alloggio in paese, in modo da non dover vivere a stretto contatto con i miei ricordi…..forse avrebbe funzionato.

Il mattino dopo decisi di muovermi e reagire: non avrei ottenuto nulla continuando a rimanere chiusa in quell’appartamento. Inoltre per chi mi aveva visto arrivare, il fatto che fossi scomparsa dalla circolazione poteva destare preoccupazioni. Non erano molti quelli che sapevano del mio ritorno, ma era comunque più utile per me farmi vedere in giro: chissà se la preside o Rosalie avevano pensato che fossi fuggita o che non mi fossi fatta del male visto lo stato in cui me ne ero andata due giorni prima dalla stanza di Emmet.

Decisi che potevo iniziare proprio andando a vedere come stava il mio studente. Sapevo che sarebbe stato molto alto il rischio di vedere la sorella di Ed, ma andando in orari in cui lei lavorava al pub le probabilità diminuivano.

Mi vestii, cercai di fare colazione e mi chiusi nel mio capotto più caldo per gettarmi nelle gelide braccia del clima inglese: in realtà non avevo mai fatto troppo caso alla rigidità delle temperature, ma sembrava quasi che l’assenza di Edward lo accentuasse ancora di più.

E’ proprio vero che quando qualcuno ti scalda il cuore  tutto cambia!! Non ero mai stata un’eccessiva romantica, ma da qualche tempo sembravo un’attrice di racconti rosa, per quanto le mie emozioni prendevano il sopravvento.

Mi incamminai nel cortile dirigendomi al dormitorio dei ragazzi più grandi: trovai Emmet – per fortuna solo – che mi accolse con un lieve sorriso, ringraziandomi ancora per quanto gli fossi stata accanto. Chiacchierammo per alcuni minuti poi decisi che sarebbe stato meglio andare per non essere troppo invadente e non rischiare di incontrare la sua ragazza.

Mentre uscivo mi venne in mente che avrei voluto tanto chiedergli come si erano avvicinati lui e Rosalie, ma non ne ebbi il coraggio, forse più avanti, avrei potuto…

Uscii velocemente dal dormitorio, con l’intenzione di andare a rinchiudermi nuovamente nel mio appartamento: mentre camminavo però capii che non sarebbe stata la cosa giusta da fare e così decisi di fare due passi, cercando di vincere le mie paure, infondate.

Ero ormai al limitare del campus quando intravidi la sagoma di Jacob in mezzo ad un aiuola. Istintivamente una morsa mi arrivò alla bocca dello stomaco e feci il gesto di girare i tacchi in fretta e furia per evitare di farmi vedere, poi però, molto masochisticamente mi venne in mente che forse, se c’era qualcuno che poteva aiutarmi a trovare un alloggio diverso, mio malgrado, era proprio lui. Presi un profondo respiro e mi ci avvicinai cercando di non pensare che la persona con cui mi accingevo a parlare era il fratello della donna che avevo visto baciare l’uomo che amavo. In fondo lui non aveva colpe, se non quella di incolpare Edward di tutto e di essersi trovato in mezzo ad una storia che aveva fatto soffrire anche lui.

Quando fui a pochi metri udì probabilmente il rumore dei miei passi e alzò la testa:

« Ciao Bella, sei tornata?». Uno strano sorriso gli comparve sul volto, non riuscii a identificarlo, ma presa come ero dai miei problemi mi sembrò di vedere in lui uno sguardo ambiguo, come se sapesse e fosse pronto a dirmi “te lo avevo detto”. Era per questo che avrei dovuto selezionare le informazioni da dargli e cercare di sviare l’attenzione sull’assenza di Edward: chissà se sapeva che probabilmente lui e Leah erano tornati insieme e forse lui non sarebbe nemmeno rientrato a Londra. Ma in fondo lui odiava Edward e se ci fosse stato un riavvicinamento con la sorella sarebbe stato l’ultimo a saperlo, visto quanto poco aveva sempre approvato la loro unione.

Cercai di non mettere troppo in evidenza il mio stato di agitazione e lo salutai più cordialmente possibile:

« Jake posso chiederti un favore? », avevo deciso di andare subito al punto evitando qualsiasi tipo di conversazione. Potei giurare di averlo visto guardarsi intorno con fare sospetto: probabilmente voleva vedere se ero sola, visto che negli ultimi periodi prima di Natale difficilmente Edward si allontanava da me. La cosa che però mi stupì maggiormente fu la sua affermazione:

« Hai bisogno di un favore da me? E che fine a fatto Cullen? Non è con te?». Il suo tono dispregiativo – strano a dire il vero nei miei confronti – mi diede nuovamente il voltastomaco, ma cercai di rispondergli per le rime.

« Non credo ti debba interessare se Edward  non è con me – e calcai il suo nome mettendo in evidenza quanto mi infastidisse il modo in cui lo chiamava e cercando nel contempo di bloccare lo stato di ansia che mi metteva anche solo il pronunciarlo – sono solo qui per chiederti un favore. Se pensi di potermelo fare non dobbiamo parlare di altro». La mia voce era ferma e mi meravigliai molto di come fossi riuscita a trattenere le lacrime e a non dare alcuna dimostrazione di cedimento.

Jake abbassò lo sguardo e si scusò per il modo in cui si era rivolto a me. Senza altre esitazioni gli chiesi se conosceva qualcuno in paese che affittava un appartamento, almeno fino al mese di giugno:

« Vuoi andartene dal campus? Allora Edward ha fatto soffrire anche te, lo immaginavo…» no, lui non immaginava..non poteva certo sapere che la colpa della mia sofferenza era prima di tutto di sua sorella e per un millesimo di secondo meditai di urlargli in faccia il mio disprezzo per lui e tutta la sua famiglia, che nel giro di quindici giorni mi avevano stravolto la vita: ma non lo feci. Inoltre mi ero resa conto che qualsiasi persona di genere femminile che avesse stretto rapporti con Edward non avrebbe potuto pensare di stargli lontano a lungo: lo stavo vivendo sulla mia pelle e Leah non faceva eccezione in questo.

Deglutii abbastanza rumorosamente, presi un bel respiro e cercai di dare la mia giustificazione, più attendibile possibile, cercando di risultare sicura nel mio ruolo e nella mia immagine.

« No, Jake, il problema è che mi sono resa conto di non poter gestire tutte le responsabilità che mi ha affidato la preside e la meno prestigiosa è sicuramente la sorveglianza del dormitorio. Se decido di rinunciare a quell’incarico non potrò più usufruire dell’appartamento: è per questo che ti ho chiesto se mi puoi aiutare », il mio tono risultò quasi più altezzoso di quanto io avessi mai ricordato, ma volevo fosse più evidente quanto io tenessi al lavoro piuttosto che alle mie amicizie.

« Sei sicura sia solo per quello…..» la sua insistenza iniziava a darmi ai nervi e probabilmente la mia espressione mutò notevolmente, perché si trattenne dall’esternare qualsiasi altra considerazione personale.

« Ho solo bisogno di un nuovo alloggio per i motivi che ti ho spiegato: se pensi di potermi aiutare bene, se no mi rivolgerò a qualcun altro»

« Ok, ok vedrò cosa posso fare…ti chiedo scusa». Quasi senza guardarlo negli occhi mi voltai e lo salutai dirigendomi in presidenza: avevo preso la mia decisione e avrei chiesto alla preside di lasciare il mio incarico di sorveglianza e tenermi il più lontano possibile dai miei recenti ricordi.

Uscii dall’ufficio della preside solo dopo un’ora e mezza: con molta difficoltà riuscii a convincerla della mia decisione. Non voleva proprio saperne di lasciarmi andare: disse che da anni la gestione di quel dormitorio non era così ben organizzata e il mio affiatamento con il professor Cullen in questo senso era emblematico.

In più di un’occasione alle sue parole mi ritrovai di fronte i bei momenti passati a lavorare con lui , ma continuai a ripetermi come un mantra che non sarebbe probabilmente tornato e quindi non avrei avuto la necessità di giustificarmi ulteriormente o soffrire nel vederlo. Al termine della nostra conversazione aveva accettato la mia decisione, ma mi aveva lasciato qualche giorno per pensarci ulteriormente, facendomi promettere che se non avessi trovato un alloggio soddisfacente sarei rimasta al campus e di conseguenza nel mio ruolo.

Solo quando rientrai nel mio appartamento mi resi conto che era ormai pomeriggio e io avevo nuovamente saltato il pranzo: il mio stomaco continuava a rifiutarsi di chiamare il cibo. Mi decisi che avrei mangiato anche a forza, per evitare di ritrovarmi stesa sul pavimento della mia aula il primo giorno di scuola. Ma quando arrivai in fondo al mio corridoio una figura slanciata con capelli biondi mi venne incontro impedendomi questa volta di fuggire dalle mie paure:

« Rosalie?» la guardai in volto, era un misto tra l’arrabbiato e il preoccupato:

« Noi due dobbiamo parlare ».

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** “Silenzi” ***


Capitolo 44

“Silenzi

 

Un’onda di panico si impossessò di me nel vedere la sorella di Edward di fronte alla porta nel chiaro intento di impedirmi di fuggire da una spiegazione che già da qualche giorno probabilmente meditava. Cercai di farmi forza, presi un bel respiro e tentai per quanto mi fosse possibile di sviare una conversazione che già sapevo dove sarebbe finita:

« Ciao, ci sono problemi con Emmet?», sapevo perfettamente che non era possibile. Lo avevo visto sì e no qualche ora prima, ma dovevo tentare.

« No, Emmet non c’entra nulla: sai bene perché sono qui, sono due giorni che ti cerco, ti ho visto tornare sola e non mi hai dato uno straccio di giustificazione», il suo tono era alquanto alterato. Ricordando la nostra conversazione di qualche settimana prima a Londra mi tornò alla mente la sua preoccupazione che io non facessi soffrire Edward come avevano fatto Tanya e Leah e probabilmente era questo che temeva fosse successo.

Con l’aria più indifferente possibile cercai di rispondere, mantenendo un tono calmo e cercando di non mettermi a piangere come avevo fatto fino a poco tempo prima:

« Rosalie, il fatto è che sono stata convocata in fretta e furia, il ritorno è stato improvviso e il fuso orario mi ha veramente distrutto…»

« Piantala di trovare giustificazioni!!!».

Era veramente furiosa e ne aveva tutti i motivi: non solo non aveva visto tornare il fratello, ma ero sparita anche io dalla circolazione. L’unica cosa che non quadrava era il fatto che avrebbe dovuto parlare con Ed e lui forse gli avrebbe dato qualche spiegazione in più. Non feci in tempo a ribattere che proseguì:

« Scusa Bella, non volevo alzare la voce, ma voglio capire perché mio fratello non sia tornato e soprattutto sapere che fine ha fatto».

Ma cosa stava dicendo? Edward era a Forks, a casa Cullen o più probabilmente con Leah e lei avrebbe dovuto saperlo, la sua famiglia l’avrebbe dovuta informare. In un attimo il mio tentativo di sviare le sue domande passò in secondo piano:

« Cosa significa che fine ha fatto? Quando io sono partita lui era a Forks, non vi siete sentiti?», cominciai a preoccuparmi anche io.

« No, il giorno in cui sei arrivata ho capito che c’era qualcosa che non andava per il fatto che non fosse con te, ma ero troppo presa dai problemi di Emmet per pensare e chiamarlo; poi ho provato a cercarlo, ma non l’ho trovato. Non è più a casa. È partito subito dopo di te, ma a quest’ora doveva già essere arrivato. Non ha dato notizie e non è rintracciabile. Bella dimmi la verità, che diavolo è successo?».

A quelle affermazioni la mia mente iniziò a vorticare in tutte le direzioni: escludendo un qualsiasi tipo di incidente, immaginai che potesse anche essere fuggito con Leah, ma non seppi trovare spiegazioni al suo silenzio. Poi mi venne in mente che aveva cercato di chiamarmi e questo poteva significare che voleva parlare con me, ma non con la sua famiglia.

Il magone che mi aveva accompagnato negli ultimi due giorni si ripresentò più forte che mai e il digiuno rafforzò il mio stato di intontimento, tanto che dovetti aggrapparmi allo stipite della porta e in un attimo Rosalie mi fu a fianco:

« Bella che hai, ti senti bene?»

« Mi gira solo un po’ la testa, vieni è meglio entrare». Feci scorrere le chiavi nella serratura e la feci accomodare, buttandomi a mia volta sul divano.

« Sei molto pallida, sicuro che sia tutto ok?».

Ora il suo tono non era più accusatorio e non me la sentii di mantenere a mia volta un atteggiamento troppo freddo:

« Non del tutto, ma passerà», cercai di minimizzare. « Non so dove possa essere finito, non ci sentiamo da un bel po’, ma sono convinta che sia tutto a posto, credimi».

Non sapevo bene nemmeno io perché le avevo dato quella risposta. Era tutto fuorché a posto. Edward aveva baciato la sua ex, io mi ero precipitata in Inghilterra da sola e, come se non bastasse, il mio stato emotivo, causato dalla sua assenza, stava influenzando notevolmente la mia salute.

« Io invece credo proprio di no. Non sappiamo dov’è, magari è stato male, è solo e non riesce a comunicare. Non sei preoccupata? Pensavo ci tenessi a lui…».

Purtroppo aveva toccato il tasto sbagliato: ci tenevo eccome, era per quello che ero ridotta così e cercavo di sviare il discorso. Dovevo darle qualche informazione in più per evitare che si preoccupasse, senza però ritrovarmi di nuovo davanti agli occhi l’immagine di la Push che cercavo invano in ogni momento di rimuovere.

« Sono cambiate molte cose Rosalie….credo che Edward abbia fatto delle nuove scelte e quindi non dovresti preoccuparti troppo, sono certa che si farà vivo al più presto»

«Ma perché non torna e ha il cellulare staccato, maledizione!! Esme è preoccupata e anche Carlise non sa cosa fare e dove cercarlo. L’unica persona che forse sa qualcosa in più sei tu, visto il rapporto che avevate, e te ne stai qui tranquilla come se niente fosse» era di nuovo arrabbiata e potevo capirla, ma non potei fare a meno di ribattere:

« Credimi Rosalie sono tutt’altro che tranquilla. Non so dov’è, ti ripeto, ma sono certa che stia bene», anche perché in cuor mio non potevo nemmeno immaginare che gli capitasse qualcosa di brutto.

« E come fai ad esserne certa, eh?». A quell’ulteriore accusa non ce la feci più e con un tono di voce che non mi si addiceva le inveii contro:

« Perché l’ho visto con Leah sulla spiaggia di la Push e molto probabilmente è con lei. Non chiedermi perché non ve lo ha detto, ma sono certa che ora sia felice e stia più che bene».

Le lacrime avevano iniziato a sgorgare dai miei occhi, i singhiozzi e il respiro sembravano quasi bloccarmi il battito del cuore. La vista mi si annebbiò, ma riuscii comunque a distinguere il volto di Rosalie che mi guardava stupita.

Capì probabilmente di aver esagerato e addolcì il tono avvicinandosi a me e poggiandomi una mano sulla spalla:

« Bella, ma sei sicura…io non posso credere, ma come….?»

« Devi crederci….li ho visti con i miei occhi…» alzai lo sguardo e lo puntai nel suo, trasmettendole tutto il dolore che stavo provando in quel momento al riemergere del ricordo.

« Ti prego Bella, dimmi tutto quello che sai».

All’inizio non ne avevo intenzione, ma poi mi resi conto che non potevo più continuare a tenermi tutto dentro o sarei scoppiata. Le raccontai del loro incontro stupidamente proposto da me, della mia passeggiata e del bacio. Del fatto che fossi riuscita a partire subito senza sentire alcuna spiegazione dal fratello.

« Bella, magari ti sbagli…forse hai frainteso…» la guardai con un sorriso in faccia che sembrava più che altro isterico.

« No Rosalie, non posso aver frainteso. Se vuoi che ti dica quello che penso, probabilmente sono tornati insieme e Edward non se la sente ancora di raccontarlo alla famiglia visti i precedenti. Vedrai che fra qualche giorno si farà vivo lui. Il fatto che abbia tentato di chiamare me più volte ne è una dimostrazione»

« Ha cercato di chiamarti? E tu gli hai parlato?»

« No, ho rifiutato tutte le chiamate e cancellato i messaggi»

« Ma mi spieghi perché? forse potevate chiarivi….», non la lasciai proseguire.

« Chiarirci di cosa Rosalie eh? Del perché abbia baciato la donna con cui è stato per tre anni e dalla quale ha quasi avuto un figlio? Io e Edward non stavamo insieme, lui ha il diritto di fare ciò che vuole della sua vita. E poi, pensi che con quello che ho provato vedendoli, avrei potuto avere la forza di parargli e sentire magari  delle giustificazioni?

Ti dico una cosa. Ho vissuto una storia durata dieci anni e fatta di giustificazioni: non voglio più ripetere gli stessi errori». Il mio tono era alto, ma rotto costantemente dal pianto. Potei notare nei suoi occhi stupore per il fatto che io fossi al corrente di tante informazioni personali sul fratello.

Probabilmente si pentì di aver fatto un’affermazione così perché mi si avvicinò e mi accarezzò i capelli come si fa con una sorella:

« Hai ragione Bella scusa, io non so… è che sembravate ad un passo dal capire quello che provavate…tu come ti senti??» la fissai. A quella domanda scoppiai in un ulteriore pianto, forse perché il fatto che sapesse e che provasse compassione in qualche modo per me mi faceva sentire più vulnerabile, ma in dovere di sfogarmi.

« Io avevo già capito cosa provavo ormai da tempo e ora non so più che fare – le parlai tra le lacrime – mi sento così a pezzi, senza alcuna motivazione. Sto cercando di andare avanti, ma lui mi è stato così vicino in questi ultimi tempi che qualsiasi cosa faccia mi ricorda la sua presenza e questo è veramente devastante».

« Mi dispiace così tanto, si capiva che il sentimento che ti univa a lui era molto forte, per questo non posso credere a quello che mi hai raccontato. Sembrava così preso anche lui!»

« Evidentemente ti sei sbagliata, come anche Alice. Ci siamo sbagliate tutte» quel “tutte” era chiaramente riferito a me, che lasciandomi trasportare dagli eventi e dalle mie emozioni avevo forse riposto nel rapporto con Edward più di quello che effettivamente c’era.

« Cosa pensi di fare ora?»

« Non lo so, probabilmente quello che sono venuta a fare prima di conoscerlo. Cercare di raccogliere i cocci della mia vita e dedicarmi al mio lavoro, ma non sarà così facile adesso. Avevo incontrato la serenità con lui, quella che mi mancava ormai da molti anni».

« E perché allora non provi a riprendertelo?», mi venne quasi da ridere tra le lacrime a quella sua affermazione.. quante volte lo avevo pensato, ma poi….

« Non ne ho nessun diritto. Come ti ho già detto non stavamo insieme, la nostra era solo un’amicizia molto profonda, perché io stupidamente  e per paura non mi sono mai voluta fare avanti. Inoltre era troppo forte anche per lui l’ombra del passato e non avrebbe potuto ricominciare convivendo con quello che era stato, senza chiarirsi con le persone che avevano fatto parte della sua vita».

« Forse hai ragione, ma una cosa l’hai detta giusta. Sei stata stupida a non farti avanti, almeno quanto lui. Il vostro legame era lampante. è per questo che fatico così tanto a credere che sia tornato con quell’arpia. Ma appena lo vedo mi sentirà…..»

« No, ti prego!!», la fermai e quasi la feci sobbalzare, « quando lo vedrai, non dirgli che so tutto, non voglio che si senta in colpa per come sono andate le cose fra noi. Ha sempre avuto troppa paura di turbarmi o ferirmi e questa cosa lo farebbe stare sicuramente male…»

« Ma è giusto secondo me che si senta un po’ in colpa…»

« No Rosalie, lui non ha fatto nulla di male ed è giusto che viva la sua vita come e con chi meglio crede per lui»

« Io credevo che il meglio per lui ora fossi tu» la sua supposizione mi colpì. Non aveva mai espresso così apertamente un giudizio sulla nostra amicizia, « era felice, sereno, come se fosse sollevato dai turbamenti della propria vita. Non so come fai Bella. Io sarei già impazzita»

« Non ci sono molto distante », ammisi con un lieve sorriso.

Asciugai le lacrime che non avevano mai smesso di rigare il mio volto e con un profondo respiro congedai Rosalie tranquillizzandola sul mio stato e sul fatto che ben presto Edward si sarebbe fatto vivo, anche se con molte probabilità non sarebbe tornato.

« Perché, pensi che voglia ricominciare con lei e viverci subito insieme?», era veramente stupita di questa mia supposizione, ma sapevo per esperienza che in certi frangenti si ha il desiderio di abbreviare tutti i tempi.

« Non lo so, ma aspettati di tutto». Si scusò ancora con me per il modo brusco in cui mi aveva aggredita e mi disse che se avessi avuto bisogno lei ci sarebbe stata. La ringraziai e le ribadii di non preoccuparsi e soprattutto di non dire al fratello, quando lo avrebbe risentito, quello che avevo visto. Era importante che ognuno di noi proseguisse la sua vita e non volevo che il senso di colpa avesse la meglio su entrambi. Non si trovò molto d’accordo, ma accettò la mia decisione:

« Credimi Bella, rispetto la tua scelta, ma se dovessi trovarti faccia a faccia con lui non esitare a dirgli quello che provi. Non puoi tenerti tutto dentro ed è giusto che sappia ciò che ha perso, sei una persona stupenda e saresti stata perfetta per lui» mi sorrise e strizzò un occhio.

Rosalie mi stupiva sempre, per quanto fosse determinata alla sua giovane età. Difficilmente con quel carattere avrebbe mai trovato qualcosa che la demotivasse. La invidiavo un po’ per questo.

La salutai accompagnandola alla porta e lei si raccomandò di riguardarmi e non pensare troppo. Sarebbe stato veramente difficile, ma la conversazione con lei aveva contribuito, se non altro, ad alleggerirmi il cuore dal tormento, condividendolo con qualcuno che aveva visto quanto Edward fosse importante per me e che non mi avrebbe biasimato sul mio dolore dovendo vivere lontano da lui.

 

 

Arrivò anche il lunedì mattina e un nuovo inizio delle lezioni.

Sicuramente la chiacchierata con Rosalie mi aveva aiutata, ma ero ben lontana dalla serenità e dalla stabilità.

La mia sveglia suonò alle sette e non so per quale motivo il mio primo pensiero fu per lui.

Dov’era ora? E a cosa pensava?

Una piccola parte di me sperava di poterlo rivedere, anche se il dolore sarebbe stato devastante, ma il mio lato più riflessivo era convinto che non sarebbe tornato e in questo ci speravo per riacquistare un po’ di controllo sulla mia emotività.

Quando uscì dalla mia porta per un attimo immaginai come sarebbe potuta essere quella giornata se lo avessi messo al corrente dei miei sentimenti mentre eravamo a Forks: magari mi sarebbe venuto a svegliare e saremmo andati insieme a lezione.

Mi ridestai da questi pensieri scuotendo la testa, consapevole di quanto fossero poco salutari. Mi recai con calma verso le aule, senza guardami intorno, né mentre percorrevo il giardino, né una volta giunta nello stabile. Non so perché, ma sentivo come la necessità di chiudermi al resto della mondo.

Dopo aver ritirato il materiale necessario dalla sala professori e salutato alcuni dei miei colleghi presenti, senza prodigarmi in racconti sulle vacanze passate, mi recai alla mia prima aula. Per i corridoi il vociare e il via vai di studenti e insegnanti segnavano il mio passaggio come a rallentatore. Mi resi conto solo in quel momento che sarei passata di fronte alla sua aula e l’ennesima stretta al petto mi costrinse a prendere fiato.

Cercai per quanto possibile di non guardare, ma non ci riuscii: ovviamente era vuota. Chissà quando la preside era riuscita ad informare gli studenti dell’assenza del professor Cullen. Mi stupii di questo, ma non so perché non potei fare a meno di osservare il pianoforte, aspettando di vederlo suonare, come la prima volta, o anche solo appoggiato con i gomiti alla tastiera, mentre aspettava di vedermi passare per salutarmi con quel suo solito sorriso.

Ma quel giorno non c’era, e molto probabilmente non ci sarebbe stato nemmeno per i giorni a venire.

Cercai, per quanto possibile, di chiudere nuovamente la mente e mi diressi alla mia aula.

La mattina passò così, tra pensieri, immagini, rammarichi: in più di un’occasione sperai che i miei studenti non si accorgessero della mia “assenza”, e per fortuna il filmato storico che avevo proposto loro mi aveva aiutato in questo mio intento.

Uscii dall’aula all’ora di pranzo, rifiutandomi di gettarmi nella parte di mensa riservata ai professori: mi limitai a passare di fronte all’ingresso, fermarmi alla macchinetta del caffè, con l’intento di aspettare il nuovo inizio delle lezioni chiusa nella sala professori.

Nell’attesa del mio the mi venne spontaneo sollevare lo sguardo e guardare all’interno, senza particolare interesse per chi era presente e chiacchierava del più e del meno: e fu in quel momento che una chioma ramata e due spalle larghe fasciate da una felpa catturarono la mia attenzione. Sgranai gli occhi all’idea che Edward fosse lì, ma il the che fuoriusciva dal bicchiere mi fece distrarre. Abbassai lo sguardo sul distributore di bevande e poi lo rialzai immediatamente per guardare nuovamente la figura di fronte, che mi dava le spalle, ma nulla: non c’era più. Non pensai potesse essere lui, ora iniziavo anche ad avere le allucinazioni….

Presi il bicchiere e tornai nell’aula, cercando di chiudere nuovamente la mente ai vaneggiamenti.

Erano quasi le 15 quando mi diressi nuovamente nel mio appartamento. La giornata era particolarmente rigida e una leggera nevicata preannunciava un peggioramento del tempo che avrebbe sicuramente arrecato problemi.

Il mio umore rimaneva sempre lo stesso, nessuna delle azioni che avevo compiuto quella mattina mi aveva aiutato a risollevarmi. Sarebbe stato molto più difficile di quello che avrei potuto immaginare!

Mi fermai a pochi passi dal portone per guardare il cielo grigio e i leggeri fiocchi che scendevano: la neve mi affascinava sempre e dava un senso di pace interiore. Sollevai il viso, consentendo ai cristalli di appoggiarvisi, poi, qualcuno chiamò il mio nome attirando la mia attenzione:

«Isabella!». Abbassai il volto e sgranai gli occhi non appena riconosciuta quella voce. Non era possibile!

Quel tono così caldo, ma nello stesso turbato lo avrei potuto riconoscere tra mille. Mi girai lentamente, incontrando nuovamente quegli occhi che ogni volta mi riempivano il cuore con la loro brillantezza. Probabilmente in quel momento il mio respiro si fermò.

La sua voce mi lasciò quasi in uno stato di trance quando mi chiamò una seconda volta:

« Bella sei qui? Sai quanto ti ho cercata?». Potevo vedere una certa preoccupazione nel suo volto, ma anche un leggero sollievo.

Non riuscii a dire nulla, ero come pietrificata.

Mille pensieri mi vorticarono nella mente: perché era tornato? Ed era solo? Perché mi guardava così, come se mi avesse cercato per mari e monti e trovarmi fosse stata la cosa più bella del mondo? Aveva riallacciato i rapporti con la sua ex e poi chiamava me con quegli occhi, quelle labbra….Perché doveva farmi male in quel modo, illudermi e poi…?

Mai mi ero sentita vulnerabile come in quel momento.

Improvvisamente fece l’ultima cosa che mai mi sarei aspettata: con due falcate veloci si mosse nella mia direzione e mi strinse a sé con una forza inaudita, sussurrandomi che erano giorni che mi stava cercando ed era veramente preoccupato.

Per qualche secondo mi beai di quello splendido contatto che da tempo mi mancava e che, a dire la verità, non era mai stato così profondo. Poi cercai in un angolo del mio cervello tutta la lucidità che potevo – ben poca in realtà – e mi scostai lentamente da lui sciogliendo il suo abbraccio con il cuore letteralmente in frantumi. E gli dissi le parole più fredde che la mia gola potesse emettere:

« Ero qui. Sono sempre stata qui, tu sei sparito, con la tua famiglia non hai detto nulla, li hai fatti preoccupare. Sono tre giorni che ti cercano», mi fermai anche se in cuor mio avrei voluto porgli tante di quelle domande da intontirlo.

Ma non potevo permettergli di vedere il mio dolore e così cercai di pietrificare i miei sentimenti così contrastanti e mi congedai molto freddamente.

« Scusa, ma ho freddo e ho molto da fare, ci vediamo poi». Cercai di parlare senza guardarlo mai negli occhi o non sarei riuscita a mantenere quella maschera di indifferenza che mi ero ripromessa. Mi girai più in fretta possibile e cercando di non scivolare nel leggero strato di nevischio che si era formato sul vialetto, mi precipitai nel corridoio e poi dentro al mio appartamento, lasciandolo probabilmente in uno stato di totale incomprensione.

Appena chiusa la porta, cercai di rallentare il respiro nel tentativo di non iperventilare, ma poi mi accasciai contro lo stipite, ricominciando a versare lacrime silenziose.

Edward era tornato, a discapito di tutte le mie previsioni: ma perché? E perché mi aveva guardato e abbracciato come se dovesse riempirsi il cuore con quel gesto?

Non ce l’avrei mai fatta a sopportare la sua presenza lì e ad accettare la sua amicizia. Ora ne ero certa.

Anche solo sapere che, probabilmente, fuggendo da lui poco prima nel cortile lo avevo indotto a dirigersi al mio appartamento per avere spiegazioni, mi turbava. Forse non avrebbe avuto il coraggio di bussare rendendosi conto che qualcosa non andava, o meglio moltissime cose non andavano. E il pensiero che potesse essere dietro a quella porta cui io ero appoggiata in preda alla disperazione, che potesse toccarla nel vano tentativo di ristabilire un contatto con me, mi stava distruggendo. Avrei tanto voluto spalancarla, gettargli le braccia al collo e stringerlo fino a fondere il mio cuore con il suo, ma poi?? Non sarei più riuscita a risollevarmi dalla consapevolezza che ciò che desideravo non si sarebbe mai potuto avverare per colpa di quello che avevo visto in quella dannata spiaggia solo pochi giorni prima.

Ignorai la sensazione della sua presenza dietro le mie spalle, mi alzai arrancando e come il primo giorno che ero tornata dall’America, mi gettai sul letto, allungai le mani sul comodino e affondai nel silenzio di un sonno indotto, che azzerava i miei sensi e la mia razionalità.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** “ Supposizioni” ***


Capitolo 45

“ Supposizioni”

 

Quando riaprii gli occhi nessuna luce filtrava dalle finestre.

Avevo probabilmente dormito tutto il pomeriggio ed era notte inoltrata.

A fatica mi sollevai dal letto e mi diressi alla finestra per guardare fuori. La neve continuava a scendere e tutto il campus era ricoperto da uno splendido manto bianco.

Cercai di focalizzare quello che era accaduto: Edward era lì e mi aveva cercata. In realtà ci sarebbero potuti essere decine di motivi per giustificare la sua presenza, ma mi aveva cercata, aveva detto che era in pensiero per me, ed io non ero riuscita a fare altro che fuggire: come una perfetta codarda non avevo avuto il coraggio di chiedergli se era solo e se si sarebbe trattenuto, ma dopo tutte le supposizioni che avevo fatto, non potevo certo fare finta di niente e fare come se non fosse mai accaduto nulla.

Mi resi conto che il deviare le sue attenzioni non sarebbe stato facile: era sempre stato così protettivo nei miei confronti, al di là dei miei sentimenti, che non avrebbe esitato dall’assicurarsi che io stessi comunque bene.

E io cosa avrei dovuto fare? Sarebbe stato difficile rivolgergli la parola e impossibile essergli amica come prima. Decisi che non ero ancora pronta ad affrontarlo e così optai per la cosa più semplice da fare: l’indifferenza.

Con molta fatica avrei cercato di evitarlo, di parlare con lui il meno possibile e sperai vivamente che con questo mio atteggiamento si sarebbe allontanato definitivamente.

Ma era poi quello che volevo? E chi mi diceva che avrebbe cercato nuovamente di avvicinarmi?

La testa iniziava a scoppiarmi con tutte queste supposizioni, ma decisi di fare proprio così.

Cercai di rimettermi a letto e riposare il più possibile, quando una melodia proveniente dal piano di sopra mi arrivò in sordina: era lui non, c’era dubbio. Stava suonando qualcosa di veramente triste e non potei non far emergere i miei pensieri più dolorosi e rimettermi a piangere. Sapevo che mi avrebbe potuto sentire come era già capitato in passato e così soffocai le lacrime sul cuscino, crollando in un sonno sfinito.

Il mattino dopo mi svegliai molto presto e molto stanca, ma mi resi conto che se volevo evitarlo dovevo ricordare le sue routine e cercare di muovermi per il campus in orari diversi dai suoi. Non sarebbe stato facile, anche perché in fondo una parte di me avrebbe voluto tanto poterlo vedere, magari di nascosto, per non dargli la soddisfazione di dimostrargli che sentivo la sua mancanza. Mi vestii e preparai uscendo molto presto dal mio appartamento. Quando mi trovai sulla soglia del portone mi resi conto di quanta neve era caduta nella notte:

« Non sarà facile muoversi oggi», una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare. Per un attimo il timore che fosse lui mi gelò il sangue, poi mi resi conto che si trattava solo di Jasper. Cercando di essere più cordiale possibile lo salutai:

« Ciao Jas, bentornato, quando sei arrivato?»

« Ieri sera, per fortuna poco prima che chiudessero l’aeroporto per neve. Come va Bella, ho visto che è rientrato anche Edward».

Inghiottii il magone che ogni volta che sentivo pronunciare il suoi nome mi saliva in gola e cercai di essere più normale possibile.

« Abbastanza bene, grazie. Il ritorno è stato un po’ frettoloso, ma ho avuto qualche giorno in più per riposarmi. Alice?»

« Ha preso la coincidenza per Parigi ieri. Senti Bella….», si interruppe abbassando prima lo sguardo e poi puntando i suoi occhi su di me, « Alice mi ha detto che c’è stato qualcosa che ti ha turbato e al di là di Emmet ti ha portato a non farti viva con Edward. Sai che è sparito per tre giorni dopo che te ne sei andata? I suoi genitori erano veramente preoccupati. E poi me lo sono ritrovato ieri sera quando sono arrivato: tu hai idea di cosa sia successo?»

Presi un respiro profondo e cercai di proporgli la prima versione che avevo spiattellato anche a Rosalie, anche se con lei non aveva avuto successo:

« Non so, io sono rientrata, ma non ho avuto modo di contattarlo, secondo me si è solo fermato da qualche parte e non ha pensato di avvisare la sua famiglia…può capitare » e potevo anche immaginare dove e con chi si era fermato. La mia solita fitta, ormai divenuta parte del mio essere si fece sentire, ma riuscii a proseguire con il tono più sereno e falso che potessi montare.

« L’importante è che sia qui, sano e salvo. Darà le spiegazioni che  riterrà opportune alla sua famiglia: è adulto in fondo. Scusa ma ora devo andare. Vista la giornata conviene avvantaggiarsi». In realtà il mio intento era quello di allontanarmi da quell’ingresso, visto il via vai che iniziava a vorticare e che avrebbe potuto vedere presto anche la presenza di Edward.

Salutai Jasper con un sorriso forzato, che lui ricambiò sempre molto gentilmente senza ulteriori domande e mi tuffai letteralmente nella neve in direzione della mia aula. Per fortuna quella mattina non avrei fatto lezione a fianco all’aula di musica e pensai che chiudermi dentro fin dal primo mattino mi avrebbe impedito ogni contatto.

Non fu facile cercare di evitarlo. Ero quasi convinta mi stesse continuamente cercando, nei corridoi, nelle aule, perché ogni spostamento che effettuavo nel campus lo notavo in lontananza che mi guardava, con aria pensierosa. Spesso lo vedevo al telefono che parlava animatamente e in cuor mio le supposizioni su chi fosse il suo interlocutore, anzi la sua interlocutrice, si fecero sempre più forti. Ovviamente non poteva essere partito senza remore, lasciando Leah sola a Forks: dopo quello che avevo visto era normale che si sentissero essendo così lontani.

In quanto a noi, non cercò di avvicinarmi, non so se per il mio atteggiamento della sera prima o se perché il suo interesse nei mie confronti era sfumato con il riavvicinamento a lei. La mia mente era confusa, ricordava perfettamente il suo abbraccio e l’ansia nella sua voce dopo che mi aveva ritrovata, ma ora non nascondevo la delusione nel vederlo distante. Ma poi che mi aspettavo? Dopo quello che era accaduto era ovvio che cercasse di mantenere le distanze e forse il giorno prima aveva dato solo libero sfogo alla sua preoccupazione per la mia repentina partenza.

La giornata passò nella normalità fatta eccezione per la mia apatia e i suoi continui sguardi che sembravano perforarmi ogniqualvolta passavo nella sua traiettoria. E fui quasi certa che fosse passato dietro alla mia porta più di una volta quando ero rientrata nel mio appartamento: per evitare qualsiasi possibilità di incontro non ero più uscita una volta terminate le lezioni e mi fiondai a letto prima possibile con la mia quotidiana dose di sonnifero, ormai indispensabile per riposare senza incubi e frustrazioni ed evitare la mattina dopo di mettere in evidenza il mio animo ormai in briciole.

Anche i due giorni successivi passarono nello stesso modo. Io che tentavo la fuga al mattino per non incontrarlo nel dormitorio e nei corridoi, lui che mi guardava da lontano, i miei rientri subito dopo le lezioni quando mi accorgevo che anche lui passava dietro la mia porta. Sapevo che andando avanti così ancora un po’ avrei rischiato l’autodistruzione, così come mi era già capitato ormai due anni prima. Ma ero ancora confusa e di sicuro non ero pronta ad affrontarlo e a parlargli come se nulla fosse accaduto.

Le cose non migliorarono quando venerdì, ad una settimana dal mio rientro me lo trovai fuori dalla porta di primo mattino. Questa volta con la chiara intenzione di non limitarsi a guardarmi, ma per parlare. Mi accorsi della sua presenza solo chiudendo la porta: era alla fine delle scale e aveva uno sguardo misto fra l’indagatore  e il preoccupato. Quegli occhi mi trafissero l’anima e capì che probabilmente non sarei riuscita a fuggire, ma nemmeno a parlargli come avrei dovuto. Cercai di fare finta di niente quando una mano calda, bollente si poggiò sul mio avambraccio. Mi voltai nella sua direzione: temevo che dal mio sguardo, che voleva trasparire indifferenza nei suoi confronti, si notasse invece il dolore e la tristezza che abitavano ormai il mio cuore da una settimana per il nostro allontanamento. La sua stretta non fu forte e probabilmente con uno strattone sarei riuscita a liberarmi, ma non lo feci. Forse inconsciamente e masochisticamente sentivo la necessità di un contatto tra noi. Non aprii bocca, ma lo fece lui per primo:

« Ciao Bella, come stai?»

Non ci vedevamo da una settimana, ero fuggita da lui e lui mi chiedeva come stavo? Avrei solo voluto guardarlo negli occhi e dirgli tutta la verità, che ero a pezzi, e piangere tra le sue braccia per sentirmi dire che mi ero sbagliata, che su quella spiaggia non era lui e che era innamorato di me. Invece mi limitai a rispondergli molto freddamente:

« Bene grazie», distolsi subito lo sguardo, non ero assolutamente in grado di continuare a guardalo negli occhi. Nonostante questo mio atteggiamento distaccato, cercò di continuare la conversazione:

« Sono giorni che non ti vedo e anche di sera ho spesso bussato, ma non mi hai mai risposto: ho più volte creduto non stessi bene».

Non potevo confessargli che appena arrivavo in casa mi fiondavo a letto sotto sonniferi, non avrebbe sicuramente “approvato”. Mi limitai a rimanere sul vago e a distanziarmi da lui, dal suo profumo, dal calore che emanava la sua pelle e in cuor mio stavo cercando di vincere il desiderio di gettargli le braccia al collo.

« Sto bene, veramente, forse non mi avrai trovato in casa….» il mio tono sempre meno indifferente e il muro che avevo cercato di costruire si stava sgretolando di fonte al dolore al cuore e alle lacrime che cercavano di uscire. Lo vidi fermarsi pensieroso e intervenni prima che potesse dire qualsiasi altra cosa:

« Scusa, ma ora devo proprio andare o farò tardi»

«Aspetta!»

Le sue mani nuovamente su di me a stringere le mie nel tentativo di attirare la mia attenzione. Ma non ce l’avrei fatta. Se fossimo rimasti in quel corridoio ancora un minuto sarei crollata. Dovevo assolutamente andarmene.

« Ti prego Bella che succede?» no, non doveva chiederlo.

« Niente, per favore, ora lasciami …» ormai non riuscivo più  a nascondere i miei occhi lucidi.

« Perché mi stai evitando, cosa è successo?» Ecco sapevo che sarebbe arrivato lì e ora? Che cosa avrei potuto dirgli? Dovevo mentire, ma la mia espressione non mi avrebbe sicuramente aiutata.

« Non è successo nulla e non ti sto evitando; non ci sono state occasioni per vederci, ho avuto molto da fare» sentii le lacrime pungermi ai lati degli occhi. Dovevo fuggire, allontanarmi da quella situazione per evitare di mettere su un piatto d’argento il mio tormento.

« Bella…… » solo un sussurro, poi il suo sguardo, triste, sconcertato, probabilmente preoccupato per me, le sue mani che si allontanavano da me che indietreggiai leggermente.

Poi feci un errore, misi in parole il mio dolore, dimostrandogli l’esatto contrario di quello che fino a quel momento avevo voluto far trapelare: l’indifferenza.

« Ti prego Edward, non ce la faccio….» sussurrai allontanandomi e guardandolo a tratti negli occhi, ma non riuscii a trattenermi oltre e scappai via piangendo e lasciandolo lì, probabilmente solo con mille dubbi.

Scappai…. scappai nel cortile del campus, ma anziché dirigermi alla mia aula, mi precipitai verso lo stabile della piscina. Non potevo permettere che i miei studenti mi vedessero così. Arrivai dietro lo stabile, dal lato che dava verso il grande parco tutto innevato, mi appoggiai al muro e mi accasciai su me stessa.

Passò quasi mezz’ora prima di accorgermi di essere al limite del congelamento, riprendermi e focalizzare che non mi sarei assolutamente potuta recare a lezione in quelle condizioni. Così chiamai l’ufficio e avvisai che non mi sentivo bene e non avrei potuto lavorare quella mattina. La segretaria si dimostrò molto disponibile e mi augurò una pronta guarigione.

Tornai a casa cercando di non farmi notare, chiusi la porta, le imposte e mi gettai sul letto, debole più che mai. No ne ero certa, se non me ne fossi andata di lì non sarei riuscita più a uscirne. Dovevo parlare con Jacob!

Purtroppo l’unica con cui mi scontrai il mattino dopo fu Rosalie. In realtà mi venne il dubbio che mi avesse pedinato nel momento in cui ero uscita dal mio appartamento per cercare Jake e chiedergli dell’appartamento in paese. Non che mi esaltasse l’idea di vederlo, ma non potevo più continuate così e allontanarmi mi sembrava l’unica soluzione.

« Bella, ti devo parlare» intuii subito di cosa e cercai di essere evasiva, anche se nei giorni precedenti al rientro di Ed mi aveva sostenuto e si era preoccupata per me.

« Rose non posso scusa…» risposi tentando di allontanarmi senza guardarla a lungo.

Mi bloccò per un polso, il volto serio: « Bella ti prego solo un minuto…» lo sguardo triste, la fissai ero seriamente combattuta se ascoltarla o fuggire, ma lei non lo meritava, mi era stata a sentire e ora dovevo ricambiare il favore.

La vidi abbassare lo sguardo, sembrava che non riuscisse per prima a sostenere la situazione anche se sapevo benissimo o perlomeno potevo immaginare di cosa volesse parlare:

« Bella, so che non stai bene…..» beh il mio viso era lo specchio del mio stato d’animo in quel momento, chiunque se ne sarebbe reso conto e lei era l’unica che sapeva esattamente il perché.

« Rose…» tentai di dire ma mi bloccò, « aspetta prima fai parlare me…hai visto Edward?» avrei voluto mettermi a piangere e non risponderle, ma mi sembrava inopportuno.

« Sì Rosalie, l’ho visto…. » abbassai lo sguardo e presi un profondo respiro.

« Bella l’ho visto rientrare domenica sera, era triste, all’inizio gli sono quasi saltata alla gola per essere stato così sconsiderato da sparire per giorni senza avvisare nessuno, ma poi mi ha bloccato e chiesto disperatamente se ti avevo visto. Era visibilmente preoccupato, non sapeva dove fossi finita e non immaginava che fossi rientrata, ti credeva scomparsa nel nulla perché non hai mai risposto ai suoi messaggi e alle chiamate».

Come immaginavo il lato protettivo di Edward riusciva a prendere il soppravvento in qualsiasi situazione. Per un attimo elaborai le sue parole non capendo se sentirmi lusingata o assolutamente stupita, visto che in teoria di me non gli sarebbe più dovuto importare nulla. Poi mi sorse un dubbio: rabbuiai lo sguardo e la fissai intensamente:

« Non gli avrai detto nulla di quello che ho visto a La Push, vero?» il mio cuore iniziò a battere forte. Rosalie non mi avrebbe tradito, ma vedendo me e suo fratello veramente a pezzi avrebbe potuto provare di tutto.

« Voglio essere sincera con te. Quando l’ho visto così preoccupato avrei voluto sputargli in faccia tutto quello che mi hai detto e farlo contorcere ancora di più dal tormento…. – la sentii prendere fiato e sussurrare come per parlare fra sè – idiota…proprio con quella doveva ricaderci…..» anche se il cuore mi stava martellando nel petto, le tempie mi scoppiavano e i ricordi mi accartocciavano lo stomaco, non poteri fare a meno di sorridere leggermente nel notare la sua premura nei miei confronti e l’astio per il fratello in quel momento:

« poi ho capito che è una cosa che dovete chiarire fra voi – la guardai ancora più intensamente, intuendo dove voleva andare a parare, ma stentavo a credere che me lo stesso proponendo dopo che aveva visto il mio stato d’animo – e così mi sono limitata a sgridarlo per non essersi fatto vivo e……», abbassò lo sguardo e in quel momento capii che si era sbilanciata più di quello che avrebbe dovuto, pur non sapendo fino a che punto

« Che cosa gli hai detto? » il mio tono si era leggermente alzato e trapelava preoccupazione per quello che avrebbe potuto dire o far intuire al fratello su di me.

Tornò a fissarmi: « In realtà molto poco, anzi nulla, gli ho solo detto che sei tornata in fretta e furia per Emmet, ma qualcosa in te era cambiato..eri più triste, più fragile…».

Ero agghiacciata, speravo non si fosse spinta oltre, anche se così era già sufficiente. In quei giorni avevo cercato a fatica e con poco successo di indossare una maschera di indifferenza con lui e la sorella era andata a dirgli che ero fragile. Mi annotai mentalmente di strozzarla quando le cose fossero state chiarite definitivamente.

« Rosalie, perché???» cominciavo ad arrabbiarmi.

« Perché tu sei a pezzi e lui è distrutto: mi ha fatto un mezzo interrogatorio, sai com’è, e ho faticato per non dirgli nulla, ma qualcosa ho dovuto fargli capire, almeno il tuo stato d’animo per il fatto che lo stai costantemente allontanando»

« Non avresti dovuto espormi così, ti ho detto che deve vivere la sua vita e fare le sue scelte…»

« Tutte balle – mi interruppe seriamente alterata – voi non state vivendo, vi state trascinando. Io non so se sia veramente tornato con Leah come dici tu e perché, ma il fatto è che è qui, solo ed è estremamente preoccupato perché non capisce il motivo della tua fuga e del tuo comportamento. Vede che non stai bene, ed ha capito che stai cercando di allontanarlo, ma non si spiega il perché »

« Cosa dovrei fare secondo te?»

« Parla con lui, spiegatevi, forse le cose non stanno come credi e se anche fosse, hai bisogno di chiarimenti quanto lui per stare meglio» a quel punto non resistetti e calde lacrime iniziarono a bagnarmi le guance.

« Rosalie – il respiro sempre più corto – senza di lui non starò sicuramente meglio ,quindi perché vivere di false speranze……»

« Io so solo che non  potete andare avanti così, in nessun caso…comincio a dubitare seriamente del fatto che tu non abbia frainteso ciò che hai visto… tu sei a pezzi, lui è in piena angoscia…parlatevi, solo quello, poi se è tutto come credi tu, prenderai le tue decisioni, ma almeno provaci».

Il mio cuore per un attimo si convinse di quello che stava dicendo Rosalie e avrebbe voluto più che mai sentire dalla voce di Ed la spiegazione di tutto quello che era accaduto, ma la mia razionalità mi trattenne: « Non lo so, l’ho visto più volte parlare al telefono e immagino anche con chi e non voglio essergli d’intralcio. Ci devo pensare, ma ti confesso che anche se mi manca tantissimo, il pensiero di parlare con lui è troppo doloroso»

« Provaci ….ti prego»

« Non lo so» la mia voce ormai era un flebile sussurro. Dovevo pensarci, anche se la ragione e il cuore non andavano di pari passo. In quel momento mi sentii sprofondare ancora nel dolore e la salutai frettolosamente per rientrare nel mio appartamento. Non avrei certo potuto parlare con Jacob in quelle condizioni, avrebbe capito fin troppo ciò che era accaduto fra me e Ed gongolando di aver avuto ragione.

Rientrando continuai a pensare: il cuore a mille la mente annebbiata. Non ero più in grado di sostenere quella situazione, forse non me ne sarei solo dovuta andare dal campus, ma anche dalla scuola. Questa cosa mi provocava tristezza, ma mai quanto il fatto di rimanere in contatto con Ed senza ricevere spiegazioni. Ogni volta che pensavo di parlarli il magone mi assaliva, il respiro diventava affannoso e mi sembrava che tutto iniziasse a girare. Il mio stato di ansia aveva raggiunto livelli assurdi: lo sapevo, ci ero passata e i sintomi si stavano acuendo. Sarei finita di nuovo col crollare in esaurimento. Dovevo andare avanti cercando di evitare le situazioni di contatto con lui e allontanandomi il più possibile. Se mi avesse visto sempre più distaccata con il tempo ero certa che mi avrebbe lasciato perdere. Non si può stare dietro a chi ti ignora per troppo tempo.

Ok ero decisa: il mio cuore sanguinava, ma la mia ragione aveva preso il sopravvento. Mi chiusi in casa, presi un respiro pronta ad andare avanti. O perlomeno a provarci.

Ma ogni mia lieve certezza acquisita in quelle ore di auto convincimento si dissolsero in un attimo quando verso le dieci di sera mi ritrovai Edward in casa: era entrato con le mie chiavi e mi osservava con lo sguardo più duro che gli avessi mai visto.

Non riuscii a proferire parola. Lo vidi chiudersi la porta alle spalle e fissarmi intensamente: « Ora parliamo veramente».

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** “Tu non puoi capire...” ***


Capitolo 46

“Tu non puoi capire...”

 

Trasalii nel vedermelo di fronte. Non ero pronta: mi ero appena detta che avrei continuato ad ignorarlo, fino a che non si fosse arreso all’evidenza che non volevo più legami con lui e ora me lo ritrovavo davanti.

Cercai di assumere un atteggiamento distaccato e indignato per la sua irruzione in casa mia:

« Cosa ci fai in casa mia?»

« Avevo bisogno di parlati e ho capito che non c’era altro modo, non volevo irrompere così, ma i tuoi silenzi di questi giorni mi ci hanno costretto»

« Gradirei che non usassi più le mie chiavi senza il mio permesso», ok ora stavo proprio diventando antipatica oltre che distaccata. Non sapevo se potesse essere la tattica giusta per allontanarlo, ma provai comunque.

« Non mi sembrava che ti desse tanto fastidio fino qualche tempo fa…» proruppe lui con un tono quasi di sfida alle mie parole. Feci il tentativo di girarmi e allontanarmi, ma questa volta mi fermò con una presa salda e decisa:

« Non ti permetterò di scappare anche questa volta, non prima di aver chiarito il tuo comportamento».

Questa volta cercai di divincolarmi, ma le sue mani erano una morsa nei miei polsi: « Ti prego lasciami – gli dissi quasi implorante, le lacrime sul bordo pronte a fuoriuscire – mi stai facendo male….», non era proprio vero, era il mio cuore a farmi male, ma sapevo che così lo averi costretto a rivedere il suo atteggiamento.

Lo sentii allentare la presa, ma non lasciarmi del tutto: « Mi dispiace, non è mia intenzione farti male, sai che non potrei mai, ma….con il tuo atteggiamento tu ne stai facendo a me» e per la prima volta da giorni vidi in lui non solo la preoccupazione per me, ma il tormento dei suoi pensieri sul mio comportamento. Non riuscii a ribattere e questo gli diede la forza di continuare e finalmente espormi quello che gli aveva dato più fastidio:

« Sei fuggita da Forks senza cercarmi e senza lasciare detto a nessuno dove andavi. Nemmeno tuo padre mi ha saputo dire nulla. Io avevo bisogno di vederti e tu eri scomparsa. E poi torno qui convinto di non vederti più, che tu fossi chissà dove e ti ritrovo, ma mi tatti come se noi……come se non ti importasse nulla di me».

Perché mi parlava così? Perché quel tono di preoccupazione misto a tristezza per l’allontanamento di una persona che, comunque prima o poi, si sarebbe dovuta staccare da lui se le sue scelte nella vita fossero state quelle che supponevo?

Non so perché, ma nonostante mi sentissi oltremodo distrutta, sia per il ricordo di quello che avevo visto che per le sue parole decisi di ribattere:

« Sinceramente sei tu quello che è sparito dalla circolazione per tre giorni e potrebbero essere successe tante cose che lo giustificano, ma non sono certo qui a chiedere e interrogare come stai facendo tu. Perché avevi bisogno di vedermi? Mmhh?Non credo sia sempre necessario dirsi tutto, in fondo siamo due colleghi e amici…non….» abbassai lo sguardo e mi fermai, non potevo certo andare oltre. Eravamo nel mio ingresso, non ci eravamo spostati e cercai una via di fuga in cucina, approfittando del fatto che le sue mani non erano più sulle mie.

Mi seguii velocemente e mi scavalcò parandomisi davanti.

« Amici o no non si può scappare da tutto Bella, a meno che non sia capitato qualcosa che ti ha costretto a farlo. È un comportamento immaturo e inoltre fai preoccupare le persone che tengono a te» il suo tono era molto alterato, i muscoli del volto tesi: era arrabbiato e potevo capire. Lo sarei stata anche io al suo posto, ma non volevo comunque abbandonare la mia posizione di “difesa”, non gli avrei dato la soddisfazione di capire. Sapevo che il mio atteggiamento così testardo non gli avrebbe fatto piacere, ma era l’unico che mi sentivo di intraprendere al momento.

« Senti, sinceramente non vedo il motivo per continuare a parlarne, io son tornata qui, tu anche: evidentemente le paure di tutti erano infondate, quindi direi di chiudere l’argomento»

« No che non lo chiudo l’argomento!» il suo tono si era alzato, era deciso più che mai e in quel momento, guardandolo negli occhi mi resi conto che non avrei avuto via di fuga, non mi avrebbe lasciato fino a che non avesse capito il perché del mio atteggiamento. Ma io ero altrettanto decisa a non far trapelare nulla, non volevo che il mio dolore nel saperlo con un’altra influenzasse la sua decisione di vivere come meglio credeva.

Lo sentii prendere un respiro profondo e abbassare lo sguardo: « Ho passato ore al telefono con Alice nei giorni passati, cercando di capire dalle sue parole cosa poteva averti spinto a questo atteggiamento. Mi ha sempre detto di non sapere nulla, ma solo di averti sentito distrutta prima della tua partenza. E so che hai incontrato anche Rosalie. Forse è proprio lei che mi ha spinto a passare: dice che sei turbata da quando sei rientrata e che qualcosa ti deve aver scosso. In questi giorni ho lasciato correre il tuo atteggiamento, perché so quanto sei fragile, ma adesso basta, non credo di meritare tutta questa indifferenza che hai nei miei confronti….e quest’astio che proprio non capisco. Dovrei essere io quello infuriato…..mi hai abbandonato oltreoceano. E invece torno qui e ti ritrovo che nemmeno mi vuoi rivolgere la parola», lo vidi abbassare lo sguardo in modo quasi rassegnato, poi appena con un sussurro lo sentii proseguire « Credo di sapere cosa ti fa stare così, ma vorrei fossi tu a dirmelo. Non so come sia potuto succedere, ma dovevo immaginarlo».

Mio dio, aveva capito, ma come era possibile!! Ero certa che non mi avesse visto sulla spiaggia, ma forse aveva intuito, Alice gli aveva detto qualcosa in più e anche Rosalie. In quel momento mi si formò un vero e proprio groppo alla gola: abbassai lo sguardo e chiusi gli occhi prendendo fiato. Sapevo che la verità era vicina, tutto dipendeva da chi  per primo l’avrebbe fatta emergere. Le parole non sarebbero comunque uscite dalla mia bocca in quel momento, tanto era l’ansia, e per un attimo temetti di crollare come tutte le altre volte.

Capendo che non avrei risposto si fece avanti lui, ma la sua affermazione mi stupì :

« Io ti capisco… temevo che sarebbe successo. Sapevo che tornando a Forks ci sarebbe stato il rischio, ma non lo avevo proprio calcolato; eravamo stati così bene fino a quel momento….. e io quel giorno non ero con te».

Ok ora mi ero proprio persa: ma di cosa stava parlando? Si riferiva al suo incontro con Leah come a qualcosa che era successo a me e non a lui. Avrei tanto voluto urlargli in faccia che, sì, quel giorno non era con me perché era incollato ad un’altra. Non so come ci riuscii, ma mi riscossi per un attimo dai miei pensieri, cercai di fare mente locale delle sue parole e finalmente una domanda uscì dalla mia bocca: « Ma a cosa ti riferisci?»

Lui alzò lo sguardo che fino a quel momento era rimasto fisso sulle sue mani: non lo avevo mai visto così. Era veramente….preoccupato.

« Ti sei vista con James vero?»

« Cosa????» non riuscivo proprio a capire come gli fosse uscita un’idea del genere. Intanto, per essere lì James avrebbe dovuto sapere che ero tornata in America….e poi per come stavano andando le cose fra me e Edward, anche se lo avessi visto non lo avrei minimamente calcolato.

E chi se ne fregava di James!

Non mi lasciò dire altro e continuò con le sue supposizioni:

« Bella dovevamo incontrarci, mia sorella ha detto che sei passata da casa e poi se uscita di nuovo molto turbata. Poi non ti ha più vista per due ore fino alla tua chiamata disperata con la quale annunciavi che saresti partita in fetta e furia. La mia mente ha vagliato mille ragioni per giustificare un comportamento di questo tipo e l’unica che mi è venuta in mente è che tu abbia incontrato James e che per un qualsiasi motivo tu abbia cercato di fuggire…ancora».

Ero allibita. Non aveva intuito nulla, non sapeva nulla e questo stava anche a dimostrare che nemmeno Alice aveva capito il perché del mio stato d’animo e Rosalie non aveva parlato. Quello che mi aveva portato a scappare gli era ancora celato. Ma sarei riuscita a mantenerlo tale?

Non contenta di ciò che stava ipotizzando lo incalzai: non so se perché preferivo che pensasse che James fosse il motivo della mia fuga o se perché volevo sapere cosa aveva provato quando ero scomparsa da lui.

« Come puoi aver pensato ad una cosa del genere, cosa centra James?»

Mi guardò negli occhi, profondi e tristi più che mai e continuò quasi sussurrando: « Spiegami che altro motivo avresti avuto per scappare se non quello di aver incontrato i tuoi fantasmi….sai che per un attimo quando non ti ho più trovata…. – chiuse  un attimo gli occhi e fece un respiro profondo, come se quel ricordo fosse un dolore fisico per lui – ho seriamente pensato che tu lo avessi incontrato e spaventata che potesse accadere qualcosa fra voi avessi preferito scappare. Poi quando ho cercato di chiamarti e non hai mai risposto, mi sono convinto che forse non volevi scappare da lui…..ma da me».

Ero allibita e continuavo a porgli domande stupide e senza senso solo per capire piccole sfumature del suo stato d’animo in quel momento, anziché chiarire ciò che in realtà era accaduto: « e perché sarei dovuta scappare da te?»

Questa volta abbassò lo sguardo come se il rispondermi guardandomi negli occhi non gli fosse possibile: « Perché ho pensato che in fondo tu potessi essere ancora innamorata e avessi preferito allontanarti con lui senza dirmi nulla per evitare di….» non finì fino a che io non lo incalzai

«…Di?»

« Di dover ammettere che vuoi ricominciare la tua vecchia vita…senza la mia presenza».

Ero sconvolta, non tanto perché credeva che potessi voler ricominciare con il mio ex così di punto in bianco, quanto perché il farlo lo avrebbe reso triste, stato d’animo inadatto visto il suo riavvicinamento a Leah. Non riuscivo a capire il perché di questi suoi pensieri, sembrava l’idea di una persona innamorata, gelosa del passato, ma non poteva essere così, non più ormai visto quello che era successo. Decisi che sarebbe stato meglio sfatare queste sue assurde idee senza comunque dirgli altro.

« Non ho incontrato nessuno Edward, sono solo rientrata per via di Emmet. Suppongo ti abbiano detto cosa è accaduto?» non credevo nemmeno io alle mie parole, come avrei mai potuto pensare che una persona sensibile come lui e così capace di leggermi l’anima potesse abboccare ad una balla simile?

« Vuoi farmi credere che ti sei affannata a rientrare solo per lui? Che non hai lasciato detto a nessuno dove andavi, che sei letteralmente fuggita in poche ore al di là del mondo solo per uno studente e i suoi problemi?» come temevo non credette alla scusa. In realtà sia Alice che mio padre sapevano dove ero andata, anche se ignoravano la mia decisione di fondo di farlo in fretta e furia e questo giocava sicuramente a mio svantaggio. Partire così non era stata l’idea del secolo se volevo tenergli nascosto ciò che avevo scoperto. Ma in quel momento la razionalità era l’unica cosa che mi mancava e fuggire mi era sembrata l’unica soluzione valida, anche perché mai mi sarei immaginata che lui sarebbe tornato indietro a chiedermi spiegazioni.

Questo era il punto!

Lui non sarebbe dovuto essere lì nel mio appartamento a preoccuparsi del perché lo ignoravo: lui si sarebbe dovuto trovare in America, con la sua  compagna per ricominciare da dove avevano interrotto anni prima. E invece era entrato in casa mia e mi stava implorando con lo sguardo di dargli una spiegazione per il mio comportamento così distaccato degli ultimi giorni.

Forse molto stupidamente cercai di non pensare che più di ogni altra cosa avrei voluto stringerlo a me e dirgli che non si sarebbe mai dovuto preoccupare: James non avrebbe mai potuto ritrovare posto nel mio cuore, perché ora era interamente occupato – anche se in frantumi – da lui: così decisa continuai a sostenere che la tesi del mio rientro era dipesa esclusivamente da Emmet.

« E allora se veramente è solo Emmet il motivo per cui sei tornata, spiegami perché da quando sono tornato mi ignori. Quando ti ho vista mi sono momentaneamente rassicurato, ma poi il tuo distacco mi ha fatto nuovamente dubitare che fosse veramente accaduto qualcosa» ecco ora che gli avrei detto?

Tutti i miei precedenti tentativi di giustificarmi lo avevano lasciato totalmente scettico. Non avrei certo potuto continuare ad avvalorarli: non l’avrebbe bevuta.

Non riuscii a dire altro e il mio silenzio gli confermò le sue sciocche paranoie:

« Allora è come dico io. Sei partita perché lo hai incontrato e hai avuto paura di non poterlo respingere e ora che sei qui sei pentita di averlo fatto e vorresti essere con lui!?!? Vero!?!?!» no, non c’era proprio, ma a quel punto cercai di farmi più male possibile chiedendogli l’ultima cosa che mi sarebbe dovuta interessare: « e se anche fosse? »

« Cosa?»

« Se anche avessi incontrato James, per te cosa significherebbe?» il mio tono non era più incerto, ma quasi alterato. In fondo lui era stato con Leah, se io avessi incontrato James e la cosa mi avesse fatto tornare la nostalgia del passato, non sarebbero stati affari suoi e non lo avrebbe dovuto turbare più di tanto.

Probabilmente lo lasciai senza parole: lo vidi aprire leggermente la bocca come per far uscire qualcosa che non uscì. Allora continuai.

« Rispondimi Edward, quale sarebbe stato il tuo problema se io lo avessi incontrato? Sembri quasi geloso e mi sembra fuori luogo» il tono sempre più alto, il pensiero di lui con un'altra sempre più radicato nel mio animo.

« Perché mi avevi detto che lui per te non era più nulla e io credevo…»

« Beh si dicono tante cose Ed…anche tu avevi detto che non ti interessava più Leah, eppure quel giorno ti sei attardato con lei» purtroppo nella mia fragilità stavo scoprendo le mie carte e questo avrebbe voluto dire mettere in tavola la verità.

« Io e lei dovevamo chiarirci, me lo hai consigliato tu» lo sguardo confuso, probabilmente non capiva dove volevo andare a parare.

« Si, è vero, ed è proprio per quello che non dovresti preoccuparti sul fatto che io abbia visto o meno James. Ripeto non hai il diritto di essere geloso!» ero sull’orlo delle lacrime e non sapevo quanto avrei ancora potuto trattenere la rabbia e la verità. Poi vidi il suo sguardo farsi pensieroso: non ci sarebbe mai potuto arrivare da solo, ma era una persona molto perspicace e poteva intuire molto di più di quanto non gli veniva detto.

« Perché non dovrei avere il diritto di esserlo, in fondo siamo stati molto…vicini in questo periodo» a quell’affermazione non ce la feci più e sputai tutta la verità nel vano tentativo di alleggerirmi almeno l’anima.

« Siamo stati vicini sì, ma come due amici, niente altro, perché due persone vicine, come dici tu non si lasciano andare alla prima occasione con il proprio passato!»

« Ma che stai dicendo?»

« Sto dicendo che tu accusi me di essermi allontanata perché ho incontrato James, quando sei tu che ti sei riavvicinato a Leah»

« Riavvicinato, ma che stai dicendo….?»

« Che ti ho visto, maledizione Edward, smetti di negare! – ero  ormai infuriata e le lacrime avevano iniziato a scendere sul mio volto – ti ho visto con lei a La Push, quando dovevate essere a Port Angeles e ti ho visto mentre vi baciavate quando mi avevi detto che……» mi fermai non riuscii a continuare una mano sul volto quasi a voler trattenere il dolore. Piangevo disperatamente ed ero quasi certa che, vista l’ora, molti avessero sentito la nostra discussione.

« Bella, ma come…»

« Io ero lì, ti stavo aspettando e ho deciso di fare una passeggiata…non immaginavo che ci foste anche voi…» cercavo di respirare normalmente perché non sarebbe stato il momento più opportuno per svenire.

« Aspetta..lascia che ti spieghi!! »

« Non devi spiegarmi nulla – risposi con la voce ferma, ma gli occhi pieni di lacrime – noi siamo AMICI e non devi giustificarti con me. Sei libero di fare ciò che vuoi, così come lo sono io». I toni si fecero sempre più concitati quando lui si ridestò dalla notizia di ciò che avevo visto e mi rispose: « E’ per questo che sei scappata? Per quello che hai visto su quella maledetta spiaggia?»

« Te l’ho già detto, sei libero di fare ciò che vuoi!!» ma a chi volevo darla a bere. A lui no di certo.

« E allora se è così perché ci sei rimasta così male? » mi chiese lui ancora più arrabbiato

« perché…..», ma mi bloccai immediatamente, non potevo certo dirgli che lo amavo in quel modo e poi..? A cosa sarebbe servito? A fargli solo pena e non avrei mai voluto. Il mio orgoglio prese il sopravvento in quel momento.

« Bella rispondimi: perché ti ha dato tanto fastidio?» nel suo volto il desiderio di sapere qualcosa che probabilmente aveva intuito, che voleva sentirsi dire direttamente da me: ma non gli avrei dato la soddisfazione, non in quelle condizioni.

« Non ce la faccio, per favore esci….» il mio tono si stava calmando, rassegnato dal dolore per l’incapacità di buttar fuori i miei sentimenti, le lacrime ricominciarono a scendere più che mai

« Bella…»

« ESCI!!!!» questa volta urlai, ma solo perché non volevo che mi vedesse più in quello stato.

Non potevo credere che non avesse capito il perché stavo così. Voleva solo sentirselo dire e per quale motivo: orgoglio maschile? Non gli avrei dato la soddisfazione di crollargli ai piedi.

Probabilmente capì dal mio tono che non avrei ammesso repliche e lo vidi voltarsi e allontanarsi. Prima di farlo depositò le sue chiavi sul tavolo come a voler indicare che non si sarebbe più intromesso nella mia vita e lo sentii chiaramente dire: « Bella, non è come pensi, potevo spiegarti. Mi stai allontanando, ma stai sbagliando» e lo vidi chiudersi la porta alle spalle con un tonfo. Lo stesso che fece il mio cuore quando capii che con quell’atteggiamento, verità o meno lo avevo probabilmente allontanato e perduto.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** “Ora lo sai” ***


Capitolo 47

“Ora lo sai”

 

Quando mi svegliai al mattino ero distrutta, fisicamente ed emotivamente: le lacrime mi avevano tenuta sveglia tutta la notte. Il cuore ormai irrimediabilmente a pezzi, non solo per ciò che era accaduto a Forks, ma soprattutto perché ero consapevole che con la litigata della sera prima avevo allontanato Edward probabilmente in modo definitivo. Lui aveva cercato di dirmi qualcosa e io non gli avevo dato alcuna possibilità di farlo.

Sapevo che avrebbe tentato di spiegarsi, ma la verità era che qualsiasi cosa mi avesse detto non l’avrei accettata e probabilmente nemmeno creduta.

Fino a quel momento era sempre stato sincero con me, ma ero consapevole del fatto che, pur di non farmi soffrire, sarebbe stato in grado di nascondermi di tutto. Se anche mi avesse detto che fra lui e Leah era stato uno sbaglio io avevo visto, l’immagine era impressa a fuoco nella mia mente e non avrei avuto altre immagine davanti ai miei occhi.

Era un comportamento stupido e infantile, specie se di mezzo c’erano i sentimenti e una persona che con me era sempre stata fantastica, ma quello era il mio modo di reagire alle delusioni: chiudermi nella mia realtà e nelle mie convinzioni. Lo avevo imparato dopo che per troppo tempo avevo creduto ad una persona che aveva giurato di amarmi e che avrebbe fatto di tutto per me e invece mi aveva messo da parte in un attimo dimenticando tutto ciò che c’era stato.

In quel momento e in quella situazione non potevo fare altro che paragonare Edward e James. Sapevo che il primo con me era stato unico e che mi aveva dato tanto in pochi mesi, molto più di quello che il secondo aveva fatto in dieci anni, ma temevo di fare con lui la stessa fine: non sarei riuscita a fare l’amante di nuovo o peggio ancora a pormi nella condizioni di aspettare ogni giorno una decisone definitiva o tutta una serie di giustificazioni. Avevo imparato a congelare i sentimenti dopo tanti anni di attese, delusioni e dovevo cercare di farlo ancora. Anche se come mi ero già ritrovata a pensare, il dolore per la perdita di Edward era molto più forte di qualsiasi altro in relazione ad un uomo.

Non so per quale motivo, ma decisi di approfittare di quella domenica in cui il tempo non era dei peggiori per fare due passi. Non potevo comunque continuare a vivere murata viva in casa: dovevo cercarmi un altro alloggio e smuovermi da quella situazione, tanto più che per come avevo inquadrato la situazione, Edward non mi avrebbe più avvicinato. Almeno per un po’ di tempo.

Ma che stavo pensando?

Avevo praticamente chiuso la porta in faccia al mio futuro con lui, ma in fondo speravo che avesse ancora tentato di avvicinarmi. Perché i miei sentimenti erano così confusi e tormentati?

Non mi resi nemmeno conto, in mezzo a tutte queste riflessioni, di essermi avvicinata alla piscina. Era veramente da tanto tempo che non mi facevo una nuotata, ma il mio stato mentale e fisico non me lo permettevano proprio. Forse a causa degli ansiolitici che avevo ricominciato a prendere ormai regolarmente ero sempre molto stanca e debole. Spesso mi girava la testa e in più di un’occasione al minimo sobbalzo emotivo avevo rischiato di perdere i sensi: mi ero vista costretta, anche quando andavo a lezione, a fermarmi ed appoggiarmi a qualsiasi cosa a causa delle vertigini che mi colpivano improvvisamente. Sapevo che erano tutti effetti collaterali e avrei dovuto smettere, ma al momento ero ancora troppo instabile per abbandonare i farmaci che erano stati in passato e lo erano tutt’ora la mia ancora per una vita apparentemente normale.

Mi accorsi solo allontanandomi dallo stabile che Edward dall’angolo del dormitorio dei ragazzi più grandi mi fissava con un’aria alquanto seria. Non sembrava intenzionato ad avvicinarsi a me e di questo gliene fui grata. Dopo la nostra discussione della sera prima non sarei stata in grado di sostenere nemmeno il suo sguardo.

Decisi di continuare la mia passeggiata allontanandomi dal campus per recarmi in paese, avevo proprio bisogno di infrangermi nell’aria gelida di gennaio: mi soffermai sulle poche vetrine presenti, senza un reale interesse. Dovevo solo dare alla mia mente, che vagava ancora nei meandri dei miei sentimenti, qualcosa con cui distrarmi.

Feci il semplice gesto di appoggiarmi ad una cancellata con una spalla, più per fermarmi a riflettere che altro, quando due mani forti si appoggiarono rapide sui miei fianchi. Sobbalzai a quel contatto e mi voltai di scatto. Sgranai gli occhi quando vidi lo sguardo di Edward teso e così vicino a me:

« Bella ti senti bene?» il suo tono chiaramente preoccupato.

Presi un profondo respiro e deglutii prima di rispondere « sto bene perché?», la sua vicinanza mi procurava fitte al cuore come se mille aghi ci fossero conficcati e cercai di mantenere un tono più distaccato possibile.

« Non hai un bell’aspetto, ti ho notato sai. Non dovresti andartene in giro da sola», ma perché si comportava sempre così con me: come facevo ad allontanarlo se quei suoi occhi quando mi guardavano sembravano dire “stai con me”.

« Non occorre che tu ti preoccupi per me, grazie» feci il gesto di andarmene, ma la sua mano sulla mia mi fermò.

« Ti prego, possiamo parlare?» sembrava quasi mi stesse implorando e iniziai a pensare che forse avrei dovuto dargli la possibilità di spiegare, anche perché tutto sembrava tranne che avesse interesse per un'altra al di fuori di me. In fondo era lì, era tornato, solo, e continuava a girarmi intorno. Il mio cuore diceva di dargli una possibilità, ma la mia mente ripensava a quello che avevo sofferto fidandomi degli uomini e purtroppo decisi di dare retta alla seconda:

« Ti prego Edward, non ce la faccio»

« Se solo mi dessi la possibilità capiresti tutto» la voce ferma, gli occhi nei miei.

« Ti prego…non adesso – abbassai lo sguardo dimostrando una grande debolezza sulla mia posizione – dammi tempo, ancora non riesco a pensare coerentemente….» sapevo che prima o poi avrei ceduto. Non potevo continuare a ritrovarmelo in ogni angolo, fissarlo, sentirlo mentre mi implorava di ascoltarlo e rimanerne indifferente. Non ora che gli avevo raccontato tutto e sapeva cosa mi aveva seriamente turbato.

« Va bene, ma non far passare troppo, non voglio che tu…che noi….ci allontaniamo ancora di più».

Ma quanto ero stupida in una scala da uno a dieci? Perché continuavo a farmi tutti i miei film mentali e non lo stavo ad ascoltare? Ero quasi decisa a bloccarlo e dargli la possibilità di spiegarsi, ma esitai troppo a lungo, facendolo così allontanare mestamente da me.

Avrebbe ancora avuto il coraggio di avvicinarmi e io sarei stata tanto forte da consentirgli di parlare?

Immersa nei miei pensieri lo guardai sparire dietro l’angolo e mi chiesi quante volte mi aveva seguita nell’ombra, nel tentativo di parlarmi o anche solo di assicurarsi che stessi bene: sicuramente fin troppe.

Ad un tratto mi sentii chiamare e il volto di Jacob si sostituì a quello di Edward di fronte a me.

« Ciao Bella, che ci fai da queste parti?» vidi nei suoi occhi uno sguardo compiaciuto. Probabilmente aveva intuito che tra me e Edward le cose non funzionavano più, visto il nostro allontanamento e, anche se non avevo del tutto chiaro il perché, ne era quanto mai contento.

Mi ridestai dai miei pensieri e gli risposi:« stavo facendo una passeggiata: anche se è freddo avevo bisogno di aria»

« Beh visto che sei da queste parti, potrei approfittarne e farti vedere l’alloggio che ho trovato per te»

Già è vero! Lo avevo proprio rimosso e sì che glielo avevo chiesto io: ma con tutto quello che era capitato dalla settimana precedente era stato l’ultimo dei miei pensieri.  E forse in realtà non ero poi così convita di andarmene. Ma in quel momento non me la sentii di rifiutare e accettai.

Mi accompagnò in una piccola casetta a qualche centinaia di metri dall’istituto: era di proprietà di una coppia di mezza età che ne affittava i locali che a loro non servivano. In realtà non era un vero appartamento, ma aveva l’indispensabile e un ingresso indipendente e in più era vicino al lavoro. Ringraziammo i proprietari e mi riservai di dargli una risposta prima possibile: mentre uscivamo Jacob si offrì di accompagnarmi e pur non gradendo la sua compagnia glielo consentii. In fondo facevamo la stessa strada e mantenni una ferma distanza fra noi: era fastidioso anche solo il camminare di fianco a lui sapendo che era il fratello di Leah, ma in quel momento mi stava facendo un favore e avrei almeno dovuto tollerarlo.

Quando ci trovammo nel cortile del Trinity però notai il suo sguardo vagare interessato alla ricerca di qualcosa e non feci in tempo a scorgere con la coda dell’occhio Edward che mi fissava, che le braccia forti di Jacob mi cinsero e le sue labbra furono prepotenti sulle mie.

Ero sconvolta, sgranai gli occhi, ma per un attimo non seppi cosa fare. Perché lo stava facendo? Poi pensando alla presenza di Ed non lontano capii: voleva indurre il lui il dubbio che ci stessimo avvicinando, oppure era talmente stupido da pensare che avrei risposto all’infatuazione che già tempo prima aveva dimostrato nei miei confronti. Appoggiai le mani al suo torace e cercai di spingerlo via con tutte le mie forze, ma inutilmente, vista anche la mia debolezza e la sua mole. Strinsi gli occhi come per isolarmi da quel momento, quando improvvisamente il contatto delle sue labbra si annullò: non feci in tempo ad aprire gli occhi che vidi la figura di Edward avventarsi su di lui, strapparlo vigorosamente da me e scaraventarlo a terra con un pugno.

« Edward no!! » urlai, più per la paura che si facesse del male che per l’incolumità di Jacob, in fondo era molto più grosso di lui.

« Non ti azzardare a toccarla» lo sentii quasi ringhiare.

« Non sono affari tuoi Cullen » rispose spocchioso Jacob.

« Sì che lo sono, non devi toccarla» i toni sempre più concitati, temevo che qualcuno potesse sentirli e intervenire e allora sarebbe stato difficile oltre che imbarazzante spiegare perché due rispettabili dipendenti del campus si accapigliavano nel cortile.

« Sbaglio o hai fatto con lei quello che hai fatto con tutte? l’hai illusa e poi l’hai abbandonata. È quello che ti riesce meglio in fondo con le donne»

« Tu che ne sai»

« L’ho vista sai. Prima era sempre appiccicata a te poi da quando è tornata è sola, triste. Ho immaginato che le avessi fatto del male. Poi quando mi ha chiesto di cercare un alloggio fuori di qui, ne ho avuto la conferma. Mi sono solo fatto avanti per scuoterla. Io sarei molto meglio di te per lei»

Per un attimo vidi lo sguardo di Edward posarsi sconvolto su di me: forse tutto si sarebbe aspettato tranne che un gesto di questo genere da parte mia. Poi si rivolse nuovamente a Jacob:

« Qualsiasi cosa sia successa fra noi non ti autorizza a metterle le mani addosso senza il suo consenso» gli si rivolse tra i denti.

« Sono convinto che se tu non fossi intervenuto fin dall’inizio con le tue menzogne io e lei saremmo stati molto più vicini: mi hai sempre tolto tutte le possibilità di essere felice» in quel momento vidi nel volto di Edward l’angoscia e la tristezza che gli procurava il ricordo del suo passato. Si era sempre sentito in colpa e pur sapendo di aver fatto il possibile per spiegarsi e sistemare le cose sapeva di non esserci riuscito e se ne rammaricava: in fondo Jacob era sempre stato il suo migliore amico.

Approfittando di questo suo momento di debolezza Jacob si rialzò e gli si gettò addosso, scaraventandolo nella neve. Cercai di ridestarmi per aiutarlo e mi feci avanti nel tentativo di allontanarli: « Basta, smettetela!!!»

Parlavo ad entrambi, ma rivolgevo uno sguardo implorante ad Edward. Forse per evitare di far del male a me e comunque evitare di attirare ulteriormente l’attenzione, si fermò allontanando il suo contendente e mi guardò negli occhi.

« Bella non ti senti bene? Sei pallida» in effetti già da qualche minuto la testa aveva ricominciato a girare ed ebbi timore di poter svenire nel bel mezzo della disputa. Chiusi gli occhi e abbassai la testa per cercare di riprendermi e le braccia di Edward mi sorressero dalle spalle. Anche Jacob si era fermato, forse vedendomi in quello stato temeva finissi in mezzo e potessi essere colpita.

« Metti giù le mani da lei Cullen, non ha bisogno di te» urlò Jacob.

A quelle parole mi ridestai: « Neanche di te Jacob, stammi lontano!!» riuscii a dire con lo sguardo più adirato possibile.

« Bella mi dispiace…ma tu mi piaci…e non ho potuto…» non lo feci ribattere e non so dove trovai la forza per rispondergli così convinta:

« Non voglio più avere nulla a che fare con te!» forse il mio tono glaciale lo convinse e lo vidi allontanarsi silenzioso.

Quando mi girai verso Edward mi sentivo meglio, anche se la testa girava ancora: lo ringraziai e feci il gesto di allontanarmi, ma mi trattenne: « Ti senti meglio?»

« Sì grazie » risposi « ma ora devo andare»

« Bella ma…» non lo feci ribattere: lo guardai negli occhi poco convinta per quello che stavo facendo e mi allontanai più velocemente possibile o gli avrei concesso molto di più di quello che potevo tollerare. Non era ancora giunto il momento di starlo a sentire.

 

****************************************************************************

 

 

Quella sera mi trovai nel mio appartamento intenta a preparare la lezione per l’indomani. Ero comunque una professionista e non potevo continuare a far sì che la mia vita privata interferisse con il mio lavoro. Inoltre con tutte le verifiche di metà trimestre dovevo cercare di mantenermi concentrata e valutare al meglio i miei studenti.

Mentre lavoravo al portatile non potei fare a meno di riflettere su ciò che era accaduto quella mattina e a quanta rabbia mi avesse fatto Jacob con quel gesto: ma come si permetteva? Nonostante lo avessi allontanato in malo modo più di una volta tentava sempre e comunque degli “assalti” e l’ultimo era stato veramente insolente e fuori luogo. Lì per lì non mi ero soffermata sulla gravità della cosa, troppo preoccupata che Edward potesse farsi del male andando contro di lui, ma poi pensai se un’eventualità così fosse capitata lontano da occhi indiscreti. Non volevo crederlo, ma l’idea che mi avrebbe potuto fare anche di peggio mi attraversò fugacemente.

Mi ridestai da questi pensieri poco salutari, visto il mio già precario equilibrio e rabbrividii leggermente. Cercai di tornare al mio lavoro, ma nel giro di pochi secondi la mia mente venne distratta di nuovo da rumori al piano di sopra. Probabilmente era solo Edward che si muoveva per l’appartamento, ma mi portò a pensare al fatto che da quando era rientrato lo avevo sentito suonare solo una volta e mi rattristai di questo. In fondo la sua musica mi aveva fatto compagnia fin dai primi tempi e da quando aveva suonato per me a Londra e a Forks era diventata un modo per comunicare il nostro stato d’animo: per un attimo pensai che potesse significare che anche lui, da persona sensibile quale era sempre stata, come me era provato dalla situazione. E il suo comportamento dei giorni passati me lo confermavano.

Feci un profondo respiro prima di partire con mille pensieri che mi avrebbero riportato solo nell’angoscia di ciò che era accaduto fra noi.

Dopo circa due ore di lavoro in cui avevo prodotto veramente poco, sentii suonare il cellulare: immaginai potesse essere mio padre. Ultimamente si faceva vivo un po’ più spesso, probabilmente perché da bravo detective qual’era aveva intuito che qualcosa non andava. Inaspettatamente di là dalla linea non trovai mio padre, bensì Alice, che si prodigò nel chiedermi come stavano andando le cose. Riuscii a malapena a ricacciare indietro, magone e lacrime e la lasciai parlare:

« Mi dispiace Bella, ho saputo da Rosalie cos’è successo. Ho parlato anche con Edward e mi ha detto che la situazione fra voi è davvero pesante. Io quel testone lo c…»

« Alice ferma, ti prego. Non dare la colpa di ciò che è accaduto solo a lui, in fondo sono stata io a convincerlo a parlare con Leah, a scappare e a impedirgli qualsiasi tipo di giustificazione. Io voglio solo che possa vivere la sua vita come preferisce: io non sono il meglio per lui. Sono instabile emotivamente, fragile e sempre disposta a cedere alla vita. Lui è così determinato e io……non lo merito» le ultime parole erano uscite strozzate da un pianto che non mi abbandonava mai e che in ogni momento che pensavo a Ed cercava di venir fuori.

« Io credo che tu stia sbagliando su tutto Bella: intanto non so quali frangenti tu abbia incontrato nella tua vita, ma secondo me, da quello che ho intuito e da come hai sempre reagito, sei molto più forte di quello che pensi. E poi non dire che mio fratello non ti merita: anche lui ha avuto i suoi momenti di debolezza e l’ultimo io credo sia stato proprio questo: è molto più fragile di quello che si pensi specialmente se riguarda il rapporto con te. Sai quando è rientrato a casa, dopo la tua telefonata in cui mi avvisavi che saresti ripartita, mi ha chiesto subito se ti eri messa in contatto con me perché lui non ti sentiva da ore ed era consapevole di aver stupidamente tardato più del dovuto: e credimi…. non era una persona felice del motivo per cui si era attardato, anzi sembrava alquanto scocciato, oltre che preoccupato per i tuoi silenzi telefonici delle ultime ore»

« Tu cosa gli hai detto?» chiesi istintivamente nel tentativo di capire cosa lui poteva aver intuito in quel momento.

« Io gli ho risposto che ti avevo sentita, ma che non sapevo dov’eri e ho chiesto a lui che cosa stesse facendo visto il ritardo che aveva con te. Sai in questo è stato onesto. Mi ha detto che si era visto con Leah e che purtroppo lei lo aveva trattenuto più del dovuto. Ma il tono Bella era scocciato, credimi. Non mi ha detto altro, ma ho intuito facilmente quello che poteva essere successo e che tu lo avevi visto, in qualche modo, ma io non gli ho detto nulla. So che avrei dovuto picchiarlo e distruggerlo per ciò che supponevo avesse fatto, ma poi mi sono detta che forse era meglio che soffrisse lentamente e così mi sono limitata a dirgli che ti avevo sentito molto turbata, a suggerirgli di stare attento a quello che faceva e che certi atteggiamenti lo avrebbero potuto portare a perderti per sempre e che se lo avesse fatto sarebbe stato solo un emerito cretino».

Un lieve sorriso mi uscì a conferma del fatto che Alice, con la sua grinta sarebbe sempre stata un ancora di salvezza per me, anche ora che le speranze di avvicinarsi al fratello erano quasi nulle.

« Sai – continuò poi Alice – credo che quello che prova per te sia veramente forte, perché quando ha ipotizzato che ci potesse essere di mezzo James per il tuo comportamento l’ho visto su tutte le furie, veramente»

« Provava, Alice, provava…. E poi forse ora come ora non sono nemmeno più convinta di quello che c’era fra noi, forse ero solo io che volevo vederlo» ok il pessimismo, ma ora stavo veramente esagerando. Non c’erano dubbi che Edward tenesse a me in modo particolare, lo avevano visto tutti e me lo aveva dimostrato apertamente per mesi; anzi continuava a farlo con le sue premure per la mia salute anche ora che a malapena ci rivolgevamo uno sguardo.

« Qui ti sbagli di grosso. Io credo che Edward provasse qualcosa di molto importante per te e sono convinta che lo provi ancora. Dovete solo parlare e chiarirvi».

Le esposi il mio scetticismo, più per il fatto di non poter reggere una conversazione di fronte ai suoi occhi, ma le parole di Alice mi fermarono.

« Bella parla con lui, è veramente a pezzi: io non credo sia tornato con Leah, mi ha telefonato decine di volte questa settimana per capire se ti eri fatta viva con me e se avevo delle supposizioni sul tuo allontanamento da lui. Ti prego, dagli solo una possibilità di spiegare cosa è accaduto su quella spiaggia, poi se vorrai sarai libera di non credergli e troncare definitivamente. Ma per la vostra salute fallo. Dagli questa possibilità, ti prego».

Forse il fatto che Alice fosse un’oratrice nata per quello che riguardava i sentimenti o forse per la mia già precaria indecisione, ma le promisi che ci avrei pensato, per quanto in cuor mio lo desiderassi già tanto. Ma accettare di parlare con lui mi sembrava quasi un cedimento ad una situazione che sarebbe benissimo potuta finire come la mia storia con James: e io il terzo incomodo non lo volevo più fare, anche perché con James era stato fattibile, ma con Edward….non avrei mai acconsentito di dividerlo con qualcun’altra. Salutai Alice, con affetto e le suggerii di chiamarmi quando voleva, parlare con lei mi faceva comunque stare bene.

Appena chiusa la telefonata mi preparai per andare a letto, con in mente un unico pensiero: avrei fatto bene a parlare con Edward e consentirgli di spiegarmi? Gli potevo credere e fidarmi di lui? E avrebbe fatto bene al mio stato emotivo, qualunque fosse stata la conclusione della nostra conversazione?

A tutte queste domande c’era solo una riposta: sì.

Ma ero troppo codarda e troppo preoccupata di un mio crollo di fronte a lui per decidermi a farmi avanti: avrei atteso per vedere se ci fosse stata qualche speranza che fosse stato lui a cercare me. E in fondo lo speravo con tutto il cuore.

 

Passarono altri due giorni: le giornate cominciavano ad essere monotone e mi resi conto che la maggior parte del bello che avevo trovato in quel posto dipendeva dalla presenza di Edward. Senza di lui era come tanti altri e anzi, in alcuni casi con tutti quegli impegni e quella burocrazia diventava quasi soffocante. Mi recai regolarmente al lavoro in quelle due mattine e riuscii anche se con malavoglia ad adempiere ai miei compiti in biblioteca: per quelli del dormitorio…beh la preside sapeva della mia intenzione di andarmene e mi aveva sollevato da qualsiasi impegno, anche se con molti dubbi e perplessità.

Come tutti i pomeriggi delle ultime settimane rientrai nel mio alloggio al termine delle lezioni, non mi andava di farmi vedere in giro, anche per evitare di incappare in Jacob. Mi feci una doccia cercando per quanto possibile di rilassarmi con il mio bagnoschiuma agli oli essenziali e musica soffusa: era parecchio che non dedicavo un po’ di tempo a me stessa. In realtà i miei momenti passati in casa erano stati veramente tristi negli ultimi giorni, preoccupata solo di non soffrire e di piangermi addosso per come erano andate le mie cose con Edward. Dovevo cercare di risollevarmi e per farlo ero decisa a riprendere le vecchie abitudini che mi facevano bene: per prima cosa avrei cercato di riprendere il nuoto, poi avrei rallentato con gli ansiolitici e i sonniferi, anche se quella sapevo sarebbe stata la cosa più difficile.

E poi inconsciamente dagli ultimi avvenimenti sperai che Edward si facesse di nuovo avanti.

Ma quanto ero sciocca in una scala da uno a dieci?

Scrollai la testa e cercai di pensare ad altro. Mi misi a girovagare per l’appartamento nel tentativo di riordinare il caos che si era creato negli ultimi tempi: era ormai sera e il viavai degli studenti per le scale e nei cortili si era notevolmente attenuato. Mi piaceva quando calava il silenzio nel campus, mi sembrava che tutti i problemi della giornata scomparissero: improvvisamente mi bloccai. Mi sembrò di aver sentito un rumore alla mia porta e lentamente di avvicinai per affacciarmi. Ma quando la aprii non trovai nessuno, il silenzio aleggiava nel corridoio e solo il rumore di alcune tv del mio piano riecheggiavano in lontananza. Poi lo sguardo mi cadde sul pavimento all’altezza della mia soglia: una piccola busta azzurra era stata depositata a terra e probabilmente fatta scivolare sotto la mia porta.

Era strano, non mi ero accorta di nulla.

La presi fra le mani e quando vidi il mio nome sopra inizia a tremarmi: conoscevo quella calligrafia, era elegante e raffinata e poteva appartenere ad una sola persona. Un moto di ansia misto ad una strana sensazione di gioia mi attraversarono il cuore. Temevo quello che poteva esserci scritto, ma nello stesso tempo il fatto che pensasse ancora a me mi dava un senso di sollievo. Dopo la mia telefonata con Alice queste sensazioni si erano fatte più forti e consapevoli, tanto che la preoccupazione di vederlo si era affievolita.

Impacciata aprii la busta di carta azzurra con sopra semplicemente “Bella”: poche parole c’erano scritte nel centro del piccolo biglietto.

“Ti prego…solo due parole…poi se vuoi scomparirò. Ti aspetto alle 21. Spero che tu  venga. E.”

E ora cosa avrei fatto? Troppe volte lo avevo evitato, troppe volte avevo respinto le sue spiegazioni, la mia piccola anima razionale continuava a dirmi di stare alla larga, ma poi la mente andò al ricordo della telefonata di Alice “Ti prego, dagli solo una possibilità di spiegare cosa è accaduto su quella spiaggia, poi se vorrai sarai libera di non credergli e troncare definitivamente. Ma per la vostra salute fallo. Dagli questa possibilità, ti prego”.

In fondo non era quello che avevo sperato? Che lui ancora mi cercasse?

Spiegare, spiegare, spiegare, questa parola continuava ad echeggiare nella mia mente. Ero ferma di fronte alla mia porta con quel piccolo biglietto in mano. E non riuscivo più a ragionare razionalmente: andare, restare, andare, restare….improvvisamente come se una scarica mi avesse colpito in pieno petto scattai verso la mia camera e mi vestii, poi guardai l’orologio. Erano le nove meno cinque: con le chiavi del mio appartamento in una mano e il suo biglietto nell’altro mi precipitai nel corridoio e su per le scale fino al suo piano e al suo appartamento. Volevo parlargli, basta! Il mio desiderio di ascoltarlo superava ogni cosa e questa volta non mi sarei fermata. Gli avrei detto cosa provavo e la mia preoccupazione e poi……avrei visto lì per lì.

Per un attimo mi bloccai in mezzo al corridoio, a pochi passi dalla sua porta, il respiro fermo in gola, il cuore a mille.

Di fronte a quel corridoio la mente si svuotò e fui tentata di tornare indietro e lasciar perdere. Stavo girando per scappare di nuovo quando una splendida melodia proveniente dalla sua porta stranamente socchiusa mi attirò.

Per un attimo mi fermai ad ascoltare: l’avevo già sentita, ma non ricordavo dove. Come una calamita, quel suono e il pensiero delle sue mani sui tasti del piano mi attirarono dentro quell’appartamento.

Aprii lentamente la porta e in punta di piedi entrai guardando direttamente il pianoforte: lui era lì. Lo potevo vedere di spalle con una camicia bianca che gli fasciava la schiena, i capelli perennemente spettinati e le sue splendide mani che volavano sui tasti. Mi fermai a due passi dall’ingresso, non volevo interromperlo e godermi appieno quel momento, riempiendomi le orecchie della sua melodia e gli occhi del suo corpo, che forse non avrei più potuto ammirare dopo quel momento.

La musica proseguì incalzante per poi rallentare e terminare con un accordo vibrante che mi lanciò scariche su tutto il corpo: lacrime di emozione mi rigavano il volto, il respiro quasi smorzato quasi  a non voler disturbare quel momento con nessun rumore per quanto flebile.

Quando la musica si dissolse e anche l’ultima nota riecheggiò nell’aria mi ridestai e riaprii gli occhi che avevo chiuso per godermi appieno quel momento e nello stesso preciso istante lo vidi girarsi nella mia direzione: i suoi occhi prima tristi si aprirono e potei giurare di avervi visto un lampo di serenità nel vedermi lì nel suo appartamento.

Ci guardammo per quelli che sembrarono attimi infiniti: le parole bloccate in gola che non ne volevano sapere di uscire per giustificare la mia presenza lì. La sua splendida voce irruppe nel silenzio e mi beai di quel tono così roco, soffuso, sensuale, ma anche così preoccupato:

« Bella….sei qui…».

Solo una parola dalla mia bocca: « Sì».

 

 

« Ciao», solo questo uscì dalle nostre bocche per alcuni secondi. I nostri occhi puntati gli uni negli altri, il mio cuore che tamburellava nel petto quasi a volermi uscire. Cercai di prendere coraggio:

« E’ una melodia bellissima, ma non mi sembra di riconoscerla» dissi più per interrompere il contatto dei nostri occhi e smorzare la chiara tensione che si era venuta a creare in quella stanza. Poi mi venne un flash nella mente. Era la stessa melodia che gli avevo sentito suonare per un attimo nel weekend a Londra: non mi fece riflettere su altre cose e mi stupì la sua affermazione decisa e seria: « L’ho composta io…è per quello che non la conosci»

« E’ stupenda! » dissi con assoluta convinzione e buttai un occhio agli spartiti davanti a lui. Non mi ero avvicinata moltissimo, ma potei comunque notare il titolo scritto a mano sui fogli: “Bella’s Lullaby».

Il mio sguardo doveva essere più confuso che mai, perché si fece avanti nel tentativo di spiegarmi:

« Sì l’ho composta per te, era da tanto che l’avevo in mente e avrei preferito fartela sentire in un’altra occasione, ma….» non disse altro, non voleva ripercorrere nuovamente quegli ultimi giorni. Poi feci una cosa spontanea che non avrei mai immaginato: « Ti prego suonala ancora!» gli chiesi, il mio sguardo emozionato, ma per la prima volta sereno e convinto di quello che gli stavo chiedendo. Un lieve sorriso si dipinse sul suo volto. Si voltò e ricominciò a suonare…per me e istintivamente cominciai ad avvicinarmi come se fossi attirata da una forza di gravità, fino a ritrovarmi appoggiata al fianco del piano, le mani sul bordo e gli occhi fissi sulla sua figura, concentrata come non mai. Più volte chiusi gli occhi e presi respiri profondi, sia per bearmi del momento che per pensare a ciò che avrei desiderato veramente. Il mio sguardo vagò per un attimo da lui al piano e mi accorsi di numerosi spartiti sparsi qua e là, sulla sua superficie: e non potei non notare il mio porta spartiti, tanto che un lieve sorriso al ricordo di quei bei momenti fece capolino sul mio volto per la prima volta veramente sincero.

Mi beai in ogni istante di quell’esecuzione, così intensa, emozionante, come se avesse messo tutti i sentimenti del mondo in quelle note. Poi quando terminò rialzò nuovamente lo sguardo su di me mi feci avanti nel dirgli l’unica cosa che mi poteva passare per la testa in quel momento: « scusa Edward…io».

La sua mano sulla mia, mi interruppe. Ma era impazzito?

Non si rendeva conto di quello che un suo contatto scatenava in me, specie per il fatto che era da parecchio che non avveniva. In quel momento mi si scollegò il cervello e la testa iniziò a girare. Ripresi consapevolezza di me e della situazione solo grazie alle sue parole: « Non c’è nulla di cui ti devi scusare….posso capire quello che hai provato, ma ti prego…lascia che ti spieghi…» i suoi occhi erano tristi e imploranti il tono quasi rotto dall’emozione. Non dissi nulla mi limitai ad un semplice cenno affermativo con la testa.

« Voglio che tu sappia esattamente come sono andate le cose, non ho nulla da nasconderti e poi prenderai la tua decisione…» in quel momento la testa si era svuotata e mi chiesi mentalmente se sarei veramente stata in grado di reggere la situazione. Ma a differenza di qualche giorno prima desideravo ascoltarlo e desideravo credergli, forse perché la voglia di riavvicinarmi a lui era più forte di qualsiasi altra cosa, così però come lo era anche la paura di lasciarmi andare.

« Ti confesso che se non fosse stato per te non mi sarebbe mai passato in mente di ritrovarmi con lei quella mattina, ma non perché pensavo che avrei potuto provare ancora qualcosa. Solo perché io ho chiuso con quella parte del mio passato, per quanto mi abbia portato a fuggire e non voglio più riviverlo, non mi interessa» e nel dire ciò mi fissò per un attimo intensamente negli occhi, poi ricominciò a farli vagare sul piano.

«Erano le nove quando ricevetti una telefonata. Ti confesso che per un attimo sperai fossi tu che mi dissuadessi dall’andare, e invece era lei che mi chiedeva se potevamo vederci subito a La Push perché sarebbe andata lì a trovare i padre. Io accettai pensando di liberarmi prima da quella sgradevole conversazione. Ma arrivato a la Push mi sono ritrovato ad aspettarla per quasi due ore, oserei dire quasi tipico per lei, è per quello che poi ho fatto tardi…» cercai di guardarlo negli occhi convincendomi che ciò che stava dicendo era vero, poi lo lasciai continuare.

« Leah ha cominciato a parlare del più e del meno, come se tutto quello che era avvenuto due anni prima fosse scomparso improvvisamente e la cosa mi infastidì, anche perché avrei dovuto trovare il modo di dirle quello che avevo provato e provavo in quel momento riguardo all’argomento, senza offenderla. Poi è avvenuto quello che non avrei immaginato: ha iniziato a confessarmi che per lei è un brutto periodo con Sam, che non riescono più a comunicare come prima e che ha paura che questo li stia allontanando e un sacco di altre cose di cui ho ascoltato ben poco, perché in realtà mi sono reso conto guardandola e sentendola parlare di non aver mai provato un sentimento così forte da poter essere definito amore, o perlomeno non quell’amore che ti aspetti per tutta una vita» e dicendo queste ultime parole si soffermò maggiormente  con lo sguardo su di me. Io ero immobile nel silenzio può totale, preoccupata probabilmente di far trapelare il mio disprezzo nei confronti di quella donna e la mia preoccupazione per quello che mi avrebbe potuto riferire di lì a qualche minuto e in cuor mio mi resi conto di quanto ero dipendente da lui e del fatto che questa cosa mi spaventasse moltissimo. Anche se sembrava la persona migliore del mondo la paura di dipendere ancora da qualcuno mi destabilizzava e mi portava a non ragionare. Mi ero sempre detta che con lui era diverso, ma dopo le devastanti conseguenze di ciò che avevo visto avevo capito che essere troppo dipendente anche da lui non sarebbe stato salutare per me. Trattenni tutti questi pensieri e continuai ad ascoltalo, visto che sarebbe arrivato anche il momento peggiore.

« Poi ha cominciato ad avvicinarsi a me, ricordando i bei momenti che abbiamo passato insieme e chiedendomi se io ne avessi mai sentito la mancanza. In realtà la colpa è stata anche mia perché ho lasciato trasparire la mia debolezza su un argomento che ancora mi disturba e cioè la perdita dei miei amici e la distruzione di un rapporto che in fondo mi aveva dato una famiglia. Lei ha scambiato questa mia indecisione per tristezza per come erano andate le cose fra noi e ha cominciato a dire che se non fosse stata per la sua testardaggine saremmo potuti essere ancora insieme e poi con strani discordi mi ha confessato….. che le sarebbe piaciuto riprovare» il suo tono era stato incerto. Forse temeva di ferirmi ancora più di quanto già non fosse successo vedendoli direttamente.

« Ha cercato di convincermi – continuò – che forse le cose sarebbero dovute andare così e che se fossi tornato dall’Inghilterra tutto sarebbe potuto andare bene e si sarebbero ricuciti anche i rapporti con suo fratello. Ti giuro, ho cercato in tutti i modi di farle capire che non ero assolutamente interessato, ma lei ha iniziato ad insistere, a dire che se fossi tornato con lei avrei presto dimenticato la mia nuova vita qui e poi….me la sono ritrovata addosso che mi stava baciando…è lì che probabilmente sei arrivata tu…ma ti giuro Bella, quando mi sono reso conto di quello che stava facendo l’ho presa per i fianchi e allontanata immediatamente: forse se ti fossi soffermata qualche istante in più l’avresti visto» il suo sguardo era triste, lo potevo vedere e in cuor mio desideravo credergli più di ogni altra cosa, anzi a dirla tutta già gli credevo. Ero stata così stupida da scappare troppo presto, sarebbe bastato qualche secondo in più per chiarire subito l’equivoco.

Maledetta la mia insicurezza! Io ero scappata immediatamente  e avevo tratto le mie conclusioni a causa del mio innato pessimismo e non paga di ciò gli avevo impedito qualsiasi comunicazione e quindi spiegazione con me, portando entrambi al tormento, perché ora potevo vederlo anche in lui. Era dispiaciuto per quello che era accaduto. Continuai a stare in silenzio e pensare a quello che gli avrei potuto dire in quel frangete, ma lui continuò la sua spiegazione avvicinandosi pericolosamente a me

« Ti dico la verità Bella, quando mi sono ritrovato con le sue braccia al collo e le sue labbra sulle mie mi sono reso conto di non provare assolutamente più nulla per lei, e lo deve aver intuito dalla mia reazione a quel bacio. Mi sono limitato a dirle di lasciarmi perdere e lei è andata su tutte le furie, cercando di convincermi che invece sarebbe stato un bene: e ti dico quello che penso, niente di quello che è accaduto con lei negli anni passati è stato un bene.

« Ha cercato di convincermi ancora e ancora e anche se ha tentato più volte di ricercare un nuovo contatto con me, l’ho respinta completamente e ho messo ben in chiaro che ho chiuso e che fra di noi è stato un errore dettato dal legame di amicizia che ci univa e che univa me a Jacob».

« E lei come ha reagito a queste tue affermazioni?» non so dove avevo trovato la forza di porgli una domanda di questo genere, ma lo feci.

« Se l’è presa, ma poi quando ha capito che ero fermo e deciso ha desistito e molto tristemente mi ha salutato: ho cercato di consigliarle di chiarire i problemi con Sam e che se lo avesse fatto si sarebbe resa conto che anche lei per me non poteva più provare nulla e che probabilmente era il ricordo di noi, più che un vero sentimento a portarla a credere di amarmi ancora. Non sono convinto l’abbia presa molto bene, ma ha accettato e da lì ci siamo separati».

In quel momento avevo capito quello che dovevo fare. Lo vidi avvicinarsi a me e guardarmi negli occhi: « Mi credi Bella? Io lo spero vivamente perché l’ultima cosa che volevo era farti soffrire…», lui aveva capito qual’era il mio problema e stava cercando di tranquillizzarmi, ma in quel momento e con la sua vicinanza il mio cuore era tutt’altro che tranquillo.

Cercai in pochi secondi di metabolizzare tutto quello che mi aveva detto. La loro conversazione, lei che gli si avventa addosso per baciarlo, lui che la respinge e le dice che non prova più nulla. Era quello che avevo desiderato sentigli dire. Ma nonostante il mio stato d’animo si fosse rasserenato a quelle parole il mio cuore era combattuto per le emozioni che vorticavano. Io lo amavo, ma ero terrorizzata all’idea di creare un rapporto di necessità  come aveva fatto Leah. E vista la mia fragilità emotiva sarebbe stato quasi inevitabile.

Potevo costringerlo ad una vita con una persona che avrebbe tremato ogni giorno al pensiero di poterlo perdere? Sentivo che spettava a me questa decisione perché lui non si sarebbe mai tirato indietro quando di trattava di starmi vicino e avremmo finito per trasformare un sentimento d’amore in affidamento e necessità. E non volevo. Così decisi di fare io il passo per entrambi, per dirgli quello che provavo.

Alzai lo sguardo e lo puntai nel suo, presi un profondo respiro e mi avvicinai a lui, al suo volto come non accadeva più da settimane ormai. Edward mi fissava negli occhi con la speranza e l’attesa di sentirmi dire finalmente qualcosa. Socchiusi leggermente le labbra senza lasciare mai il contatto con i suoi occhi.

« Bella ti prego, dì qualcosa…» ma non gli lascia finire la frase e appoggiai le mie labbra sulle sue con il chiaro intento di trasmettergli i miei sentimenti contrastanti. Fu un bacio dolce e casto, molto simile a quello sfiorato che gli avevo dato la vigilia di Natale a Forks. Le mie labbra chiuse indugiarono sulle sue come per bearmi della loro morbidezza e assaporarne ogni centimetro, gli occhi chiusi il respiro di entrambi affannoso, ma quando mi resi conto che lo schiudersi delle sue labbra avrebbe approfondito la cosa mi staccai e lo fissai negli occhi.

Le lacrime iniziarono a fuoriuscire senza un controllo. Presi nuovamente fiato e lo fissai: « Edward io ti amo….ma …ho troppa paura» iniziai ad allontanarmi da lui indietreggiando senza smettere di fissarlo in volto. Forse in cuor mio desiderai che mi fermasse e mi ricambiasse, ma non so se purtroppo o per fortuna non lo fece. Continuò a fissarmi mentre mi dirigevo alla sua porta, lo sguardo serio, forse ad elaborare quello che gli avevo detto. Non gli lasciai altro tempo e con le lacrime che ormai bagnavano il mio viso usci di corsa e rientrai nel mio appartamento.

 

 

 

 

ok lo so tre capitoli in una volta sono una follia, ma l'ho fatto perchè così la storia è al termine........noooo cioè è terminata la parte che era già scritta!!!!!!!

da questo momento in avanti scriverò mano a mano, ma ho già tutto in testa e alcuni appunti, quindi spero di non farvi mai attendere troppo. magari se passa troppo tempo fatemi un fischio voi e spronatemi, così mi do una mossa!!!!

ora vi lascio. spero di aver dato una piccola scossa e, anche se dalle ultime righe non sembra, vi posso garantire che d'ora in poi le cose inizieranno a girare per il verso giusto. 

volevo ringraziare ancora tutte le persone che continuano a seguirmi, in particolare Miauina che mi "stressa" a tutte le ore per avere i capitoli in anticipo, ma mi ha dato anche molta spinta. sei impagabile. grazie mille.

a presto

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** “Noi…” ***


Capitolo 48

“Noi…”

 

Non sapevo bene perché mi fossi allontanata così di corsa dall’appartamento di Edward, ma qualcosa mi diceva che la mia confessione lo aveva comunque lasciato spiazzato, nel bene o nel male: vuoi perché dopo tanto tempo passato a reprimere i miei sentimenti glieli avevo serviti su un piatto d’argento, vuoi perché in una frazione di secondo gli avevo anche fatto capire che forse non avrebbe funzionato.

In poche parole lo avevo amato e lasciato tutto in dieci secondi: in realtà era così che mi sentivo, spaventata, insicura, indecisa e ora che gli avevo confessato di amarlo e lui mi aveva lasciato uscire da casa sua senza darmi nemmeno l’idea di volermi rispondere, lo ero ancora di più. In realtà ci sarebbero potuti essere almeno mille motivi per i quali non avesse sentito la necessità di fermarmi, ma nella mia mente non ne veniva fuori nemmeno uno. Anzi uno sì: ero importante per lui, tanto da inseguirmi ovunque pur di riuscire a spiegarsi, ma non tanto da poter pensare di ricambiare un sentimento così forte come l’amore, non per il momento almeno. E chi avrebbe potuto biasimarlo in fondo.

Ci misi ben poco a formulare questi pensieri e mi ritrovai di fronte alla mia porta. La mano sulla maniglia mi tremava come se fossi stata presa dal terrore e cercai di tranquillizzare il mio respiro prima di iperventilare e trovarmi svenuta sulla soglia di casa. Riuscii ad entrare e a chiudermi la porta alle spalle prima di lasciar scivolare contro di essa la schiena ed accasciarmi su me stessa. In quel momento non riuscii proprio a trattenere le lacrime e senza sapere nemmeno bene il perché iniziai  a singhiozzare nel buio del mio appartamento. Ormai accadeva veramente troppo spesso. Dopo qualche minuto in quella posizione mi ridestai e mi alzai cercando la mia camera e distendendomi sul letto. Forse tutto quello che avevo passato mi stava rafforzando perché, nonostante non perdessi occasione di piangere come una fontana, riuscivo a trattenere il mio stato emotivo ed evitare di sentirmi male. Era già da un po’ che non svenivo e visto lo stato in cui mi trovavo era un grande traguardo per me.

Mi distesi sul letto e guardando il soffitto iniziai a pensare a cosa stesse facendo Edward in quel momento: il cuore accelerò i suoi battiti al solo suo pensiero e mi voltai automaticamente verso il comodino per prendere un sonnifero, conscia del fatto che dopo le rivelazioni di quella sera non sarebbe stato facile dormire. Quando però ormai la mia mano era già sul flacone mi sembrò di sentire nuovamente il piano suonare: la mia melodia. Non potei esserne certa perché il ronzio nella mia mente non mi aveva abbandonato un solo istante dal momento in cui avevo lasciato suo appartamento. Ma reale o no il lieve suono che percepivano le mie orecchie mi convinse a indugiare e a pensare.

Edward aveva scritto una melodia per me, l’aveva eseguita e forse la stava suonando ancora: ma perché aveva fatto tutto questo? Forse mi amava? E allora perché mi aveva permesso di uscire dalla sua porta?

Stupida, perché eri scappata come una codarda senza aspettare!

Presi un respiro profondo e cercai di convincermi che ce la dovevo fare: lasciai il flacone lì dove lo avevo preso, mi avvolsi nelle coperte e cercai di addormentarmi cullata in lontananza dalla mia ninna nanna.

Fu una notte terribile.

Incubi su incubi avevano affollato la mia mente.

Mi ero ritrovata sveglia praticamente ogni mezz’ora con i pensieri più angoscianti. Avevo sognato James, Jacob, Leah e alla fine anche Edward, che mi guardava con disgusto dopo che gli avevo confessato di amarlo.

Quando la luce del mattino entrò fioca dai vetri della mia finestra mi resi conto della reale difficoltà che avrei avuto a fare a meno dei miei farmaci almeno nell’immediato futuro. Senza pensarci su mi alzai molto affaticata nel corpo oltre che nella mente e mi recai in bagno per la mia “dose” giornaliera: perché era proprio di questo che si trattava. Ero come una drogata, avevo bisogno di quei farmaci per poter condurre una vita apparentemente normale dal punto di vista emotivo, ma mi stavano lentamente distruggendo dal punto di vista fisico, togliendomi le forze e anche la capacità di giudizio, a parer mio.

Come avrei fatto a smettere? Non risposi a quella domanda, mi guardai semplicemente allo specchio notando le profonde occhiaie che marcavano il mio viso. Non mi preoccupai di coprirle più di tanto, anche perché già da qualche giorno colleghi e studenti si erano accorti che il mio stato fisico non era dei migliori, ma non so se per diplomazia o per menefreghismo avevano cercato di ignorarlo. In fondo avevano fatto la stessa cosa con Edward prima che arrivassi io, lo avevano etichettato come una persona seria e scorbutica e nessuno si era prodigato nel tentativo di scoprire se era veramente così e cosa lo aveva portato ad esserlo. E poi il fatto che la mia presenza negli ultimi giorni non contemplasse anche quella del professore di musica aveva fatto intuire a molti più di quanto avrei voluto far trapelare.

Mi vestii e mi preparai ad uscire certa del fatto che un’altra giornata mi stava aspettando e che avrei potuto tranquillamente incontrare Ed quel giorno e non avrei proprio saputo come reagire, se ignorarlo o avvicinarmi. In fondo gli avevo detto che avevo paura, ma mi sentivo così stupida per essere scappata.

Uscii molto timorosa dalla mia porta e mi affrettai a raggiungere lo stabile delle aule guardandomi intorno con circospezione.

Di Edward nessuna traccia. Non so perché, ma in fondo desideravo vederlo per capire come aveva reagito alla mia confessione. Invece non solo non lo incontrai per tutto il giorno, ma correvano voci dagli studenti che si fosse preso un giorno di malattia e la porta chiusa della sua aula mi confermò la veridicità delle supposizioni. Dentro di me non potei fare a meno di pensare se veramente non si sentisse bene o se fosse una scusa per evitare di potermi vedere. In entrambi i casi ero preoccupata. Meditai anche di andare a bussare alla sua porta, ma non me la sentivo ancora, anche perché non avrei proprio saputo cosa dirgli per risultare una persona normale e non una psicopatica che si fa avanti e poi scappa da ogni situazione.

Lasciai passare così la giornata tra i pensieri più negativi e mi resi conto che non ero stata mentalmente presente nemmeno alla riunione mensile tra professori che la preside tenne sul termine del secondo trimestre e gli aggiornamenti per le varie materie. Più di una volta mi ritrovai dall’ultima fila nella quale mi ero sistemata, a fissare la porta dell’aula nella speranza di poterlo vedere entrare con quel suo splendido sorriso. Ma non avvenne e le due ore passate là dentro furono le più lunghe degli ultimi tempi, anche a causa delle continue occhiate di alcuni colleghi che avevano probabilmente notato il mio umore degli ultimi tempi e l’assenza del professor Cullen.

La mia speranza di passare il più possibile inosservata svanì quando al termine dell’incontro la voce della Stanley mi bloccò pochi secondi prima che potessi fuggire ed evitare così banali spiegazioni:

« Ciao Bella come stai? È da un po’ che non ti si vede in giro, sei stata molto impegnata?» non so perché, ma il tono e il sorriso con cui disse queste parole mi sapevano più di pettegolezzo che di reale interesse per i miei impegni. Ingoiai a vuoto e cercai di risponderle con un tono più normale possibile:

« Sì Jessica, mi sono resa conto dal mio ritorno di aver tralasciato molti impegni e così mi tocca passare tempo chiusa in casa a lavorare» cercai di raccogliere frettolosamente le mie cose per mettere fine prima possibile a quell’imbarazzante conversazione.

« In realtà è da un po’ che non ti vedo insieme al professor Cullen e anche lui è spesso assente…»

Sapevo dove voleva arrivare, ma non le diedi la soddisfazione di far trapelare nulla.

« Molto probabilmente avrà anche lui i suoi impegni che si saranno sicuramente accumulati dalle settimane passate in America. Non sono io che devo controllare tutti i suoi movimenti» quell’ultima affermazione non era stata proprio molto felice perché avevo dato adito di essere stata disturbata un po’ troppo dalle sue illazioni. Non le permisi comunque di proseguire oltre, terminai di raccogliere le mie cose e mi recai nel mio appartamento.

Erano ormai le 19 quando mi ritrovai a fissare da dietro il vetro della mia finestra in camera da letto il paesaggio del campus avvolto ormai dall’oscurità. Guardai gli alberi mossi da un forte vento che aveva iniziato a tirare già nel tardo pomeriggio e aveva reso l’aria ancora più gelida. C’erano serie possibilità che fosse nevicato di nuovo.

Improvvisamente mossa da non so quale volontà decisi di provare a recarmi in piscina. Non sapevo se sarei riuscita a fare il mio solito allenamento, ma ci volevo provare se non altro per fuggire da quell’appartamento e provare a me stessa che non stavo cadendo in una depressione senza fondo. Aprii il cassetto che conteneva le chiavi e alla vista di queste e del bracciale una lieve fitta mi costrinse a prendere fiato. In quel mobile erano contenuti due oggetti che più di qualsiasi altra cosa mi ricordavano il mio amore per lui e  mi sottolineavano sempre la sua assenza dalla mia vita, causata dalle mie stupide paure: a maggior ragione ora che avevamo parlato e che credendo senza dubbio che non ci fosse più alcune legame tra lui e il suo passato, lo avevo allontanato nuovamente senza reale motivo.

Cercai di scacciare i miei pensieri; mi preparai , presi tutto l’occorrente e mi apprestai ad attraversare il cortile battuto dal vento. Non potei fare a meno di soffermarmi per un attimo sulle sue finestre. Le luci erano spente e ciò stava a significare che stava veramente male e probabilmente era a letto, o era fuori magari a Londra nel suo appartamento: sarebbe stata poi una così cattiva idea la mio ritorno andare a vedere se era in casa e come stava? Al massimo avrei racimolato un “vattene” e me lo sarei anche meritato. Ma lo avrei poi sopportato??? Mi voltai  e proseguii per la mia strada, arrivai allo stabile, aprii con le mie chiavi e richiusi la porta alle spalle desiderosa di lasciar fuori molti dei miei problemi.

In realtà non fu proprio così. Rimasi dentro alla piscina quasi un’ora, ma più di una volta mi ritrovai ferma a bordo vasca a pensare a tutto e niente. Il fiato non mi aiutava di sicuro e così visto il fallimento del mio primo tentativo di riprendere possesso della mia vita, mi cambiai e mi apprestai a rientrare nel mio alloggio.

In quei momenti più che mai avevo sentito la sua mancanza: anche nei giorni in cui non ci eravamo visti a causa delle mie stupide supposizioni su lui e Leah, sentivo comunque la sua presenza accanto a me denotata dal fatto che spesso e volentieri ci incrociavamo nei corridoi o me lo ritrovavo in giro per i  cortili. Invece in quella lunga giornata non solo non lo avevo visto, ma sapevo con certezza che non sarebbe stato in giro da nessuna parte. Era incredibile la sua assenza attirava ancora di più la mia attenzione della sua presenza.

Feci questi pensieri mentre chiudevo le porte dello stabile, quando improvvisamente una voce mi fece trasalire e lanciare quasi un grido di terrore:

« Dimmi perché».

Nel giro di pochi secondi dal buio la figura di Edward comparve di fronte a me: la paura che potesse essere qualche malintenzionato fu subito sostituita dal battere forsennato del mio cuore ogni volta che lui mi era di fronte:

« Dio Edward mi hai spaventato a morte, che ci fai qui, pensavo non stessi bene?»

« Non era mia intenzione spaventarti lo sai ma devo sapere» finalmente lo potei vedere alla fioca luce dei lampioni. Il volto serio, i capelli spettinati dal vento e quegli occhi di un verde scuro, quasi a voler mettere il luce il più profondo dei suoi tormenti.

Conscia del fatto che lo stupore per la sua vista mi avesse fatto dimenticare la sua domanda chiesi a cosa si riferiva:

« Cosa scusa?» cercai di dire con il tono più normale possibile, ma consapevole che di fronte a lui il mio già precario autocontrollo vacillava ancora di più.

« Di cosa hai  paura?» mi stava chiedendo di chiarire un’affermazione fatta la sera prima come se fosse accaduta dieci minuti prima o come se fosse stata il suo chiodo fisso tutta la giornata e non avesse fatto altro che macinarci sopra.

« Ed io…» non riuscii proprio a rispondergli. Sapevo cosa voleva, ma la sua freddezza nel chiedermelo e il fatto che gli ci fosse voluto un giorno intero per elaborare ciò che gli avevo detto, mi fece capire che era arrabbiato. Non sapevo esattamente per cosa, ci sarebbero potuti essere mille motivi e tutti validi per odiarmi.

« Dimmi solo di cosa hai paura» il tono fermo. Che non avrebbe ammesso repliche: il mio fiato sempre più corto, la mente in confusione che cercava in pochi secondi di elaborare una risposta soddisfacente senza farmi crollare. Cercai di distogliere lo sguardo da quei suoi occhi che non mi aiutavano a ragionare e presi nuovamente fiato, ma nulla uscì dalla mia bocca.

Passarono interminabili minuti in cui si poteva sentire solo il vento, il battito forsennato del mio cuore e il mio respiro velocizzato. Sentivo che Edward mi stava guardando, e lo sentivo più vicino, ma non ebbi mai il coraggio di fissarlo a mia volta, poi quando sentii di nuovo la sua voce, questa volta implorante non riuscii più a trattenermi:

« Bella...»

Presi fiato e con la voce rotta dai singhiozzi buttai fuori tutto quello che di tormentato poteva esserci nel mio cuore:

« Ho paura di perderti, ho paura che tu ti possa stancare di una persona instabile e stupida come me che scappa da tutti i problemi prima ancora di affrontarli, ho paura che quello che sono ti possa allontanare, ho paura che ciò che provo diventi affidamento e perda il senso più profondo dell’amore, ho paura di trovare in te la mia ancora e di vederla sparire quando ti accorgerai come sono, ho p…..»

Non riuscii a dire più nulla perché improvvisamente con un passo Edward fu su di me, i suoi occhi lucidi e carichi di quello che poteva sembrare rabbia mista a desiderio: la sua mano sinistra si appoggiò salda alla mia schiena e mi attirò al suo corpo, mentre la sua mano destra in un attimo fu fra i miei capelli, sulla mia nuca, nell’intento di avvicinare il mio volto al suo: intento che non gli sembrò più facile di così visto la risposta che il mio corpo diede a quel tocco.

E in un attimo le sue labbra si fiondarono sulle mie, intense, disperate, ansiose, come se quel momento fosse fugace e come se sentisse la necessitò di darmi tutto prima di vedermi fuggire. Ma io non riuscii a fuggire, non lo avrei mai fatto: una scarica mi attraversò completamente, rimasi per un attimo sconvolta, ma poi mi beai di quel contatto come se fosse un’oasi nel deserto. Non riuscii nemmeno a ricambiare la stretta tanto il mio corpo era ormai ridotto ad una bambola di pezza nelle sue mani.

Edward continuò a stringermi con un intensità tale da trasmettermi il proprio calore attraverso gli abiti e le sue labbra sulle mie furono qualcosa di unico: non era il semplice tocco di qualcuno che voleva ricambiare un bacio. Era fame, brama e desiderio. Mi stava trasmettendo con le labbra la stessa cosa che gli avevo visto negli occhi un attimo prima che mi stringesse a sé.

Non ci misi molto a capire quale fosse la nostra necessità: le nostre labbra si dischiusero approfondendo il bacio come se quello fosse l’ultimo desiderio di un condannato a morte. E finalmente per la prima volta fummo vicini come avevo sempre sperato, ma non gli avevo mai permesso. Lo sentii divorarmi le labbra mentre la sua testa si inclinava da un lato e dall’altro per approfondire ogni volta il contatto e le sue mani stringere sempre di più come se potessi scomparire da un momento all’altro. Ma non sarei voluta essere in nessun altro posto tranne lì tra le sue braccia, sulle sue labbra, in mezzo al respiro affannoso e ai gemiti dati dal desidero di stringersi ancora e ancora, senza che quel momento potesse finire mai.

Nostro malgrado fummo costretti ad interrompere per riprendere fiato, ma le sue mani non mollarono la presa nemmeno per un attimo e i suoi occhi mi trafissero l’anima facendomi perdere anche il più piccolo barlume di lucidità che avevo fino a quel momento cercato di mantenere. Il mio corpo non era riuscito a reagire a quel tocco se non perdendosi al delirio dei sensi che le sue mani mi trasmettevano: ma quegli occhi profondi e quelle mani calde non riuscirono comunque a prepararmi alle parole che seguirono quel bacio così intenso e che mi portarono  a ringraziare per la prima volta veramente di aver deciso di trasferirmi lì

« Dio Bella …..io ti amo».

 

 

Ero di fronte all’uomo più bello che avessi mai visto e che dopo un bacio appassionato aveva appena detto di amarmi. Cominciai a deglutire cercando di riprendere consapevolezza del mio corpo, cosa molto difficile visto che ancora le sue mani mi stringevano e questo mi destabilizzava non poco. Ero quasi certa di quello che avevo sentito, ma il mio cervello rifiutava di crederci. Il cuore batteva come non mai e non riuscii ad allontanarmi da lui che intanto continuava a guardarmi.

« Edward….» non riuscii a dire niente altro: mi guardò negli occhi e appoggiò la sua fronte alla mia. Sentivo il suo alito caldo e seppur fossero già capitati momenti simili ora sembrava tutto diverso.

« Bella ti prego dì qualcosa, io non posso più sopportare questa tua indifferenza»

« E’ vero quello che mi hai appena detto?» ecco domanda più stupida non potevo fare!

Lo vidi sorridere leggermente: « Cosa esattamente?»

« Che tu….» ma non riuscii a dire altro. Chiusi gli occhi quasi con i timore che aprendoli potesse essere tutto un sogno. Sentii due dita sollevarmi il mento e i suoi occhi trafiggermi l’anima:

« Certo che è vero… io ti amo, penso di non aver mai amato nessuno così tanto in vita mia», abbassai lo sguardo e appoggiai la fronte al suo torace. Ero stata veramente una stupida: avevo voluto aspettare e mi ero tormentata e lui mi amava. Mi aveva lanciato centinaia di messaggi che rispecchiavano i suoi sentimenti per me e io come una cieca non avevo voluto vedere o ancora peggio non avevo voluto crederci, e così avevo rischiato di perdere e rovinare tutto. E invece lui mi voleva ancora con sé. Non riuscii a trattenere le lacrime, e quando si accorse dei miei singhiozzi lasciò la presa sulla mia schiena e mi prese il volto con entrambe le mani  portandolo ad un soffio dal suo.

« Perché stai piangendo?» lo sguardo serio, preoccupato.

« Perché ho paura che sia solo un bel sogno e non voglio svegliarmi» vidi questa volta un sorriso meno forzato aprirsi sul suo volto e raggiungere anche gli occhi. Mi asciugò le lacrime con i pollici sorridendomi e guardandomi con quel suo modo unico: « Non devi piangere amore mio…..mai più. Questo non è un sogno se tu vorrai e non dovrai assolutamente avere paura. Io ho troppo bisogno di te per lasciarti andare così facilmente».

Non potei trattenere un sorriso a mia volta, ma le lacrime continuavano a scendere. Però questa volta per la gioia. Poi feci quello che non mi sarei mai immaginata di riuscire: finalmente ripresi possesso delle mie facoltà motorie e mossi le mani, che fino a quel momento erano rimaste immobili lungo i miei fianchi, nella sua direzione e andai ad accarezzargli delicatamente uno zigomo come se temessi di farlo scomparire se ci avessi messo troppa forza. A quel contatto lo vidi chiudere gli occhi e assecondare il movimento della mia mano fino a fermarla e portare il palmo alle labbra per baciarlo. Era già avvenuto altre volte, ma il fatto che le sue labbra fossero state sulle mie ora mi portava ad avere brividi ancora più profondi in tutto il corpo. La verità era che non mi sarei mai staccata da lui.

« Ti prego dimmi che è tutto vero, che sei qui davanti a me, che tutto quello che è successo nei giorni passati è stato un malinteso e che non mi odi per averti allontanato in quel modo senza averti dato prima la possibilità di spiegare….»

« Io non posso odiarti bella, ti amo troppo e sono pronto a giurartelo su quello che vuoi – mi interruppe –  sono qui ora e non me ne andrò più se vorrai» sapeva tanto di dichiarazione “per sempre felici e contenti”, ma non ci feci caso in quell’occasione. Continuai però a bearmi del contatto tra la mia mano e la sua pelle e poi finalmente lo feci: spostai le mani alla sua nuca intrecciandole ai suoi capelli e dopo aver preso un bel respiro mi alzai in punta di piedi sussurrando appena: « Fa che sia tutto vero» prima di appoggiare nuovamente le mie labbra alle sue.

Questo bacio fu più dolce del precedente, ma non meno intenso. Questa volta fui io a prendere l’iniziativa forse temendo che da un momento all’altro potesse ripensarci e scappare via. Mi alzai ancora di più per essere il più possibile alla sua altezza e portai entrambe le braccia a cingere il collo. La sua reazione mi lasciò stupita quanto felice. Anziché ritrarsi mi abbracciò dietro la schiena, stringendomi come non mai e a differenza del primo bacio mi inglobò a sé: i nostri corpi aderirono completamente l’uno all’altro, trasmettendo elettricità allo stato puro: in quel momento non importava che fossimo al freddo con il vento che ci sferzava la pelle, che qualcuno potesse vederci. Eravamo in una bolla dove esistevamo solo noi, i nostri baci, i nostri respiri e i nostri cuori che sembravano battere all’unisono.

Sentii le sue mani iniziare ad accarezzarmi dolcemente la schiena e non potei fare a meno di socchiudere le labbra per approfondire il bacio. Lo sfiorarsi delle nostre lingue e il sapore caldo della sua bocca mi portarono ad avvertire delle vere e proprie vertigini, tanto che se non fossi stata tra le sue braccia sarei probabilmente caduta a terra. Misi fine a quel bacio mordicchiandogli leggermente il labbro inferiore e facendo sfiorare il naso sulla sua guancia.

« Io ti amo» mi uscii spontaneamente non appena le nostre labbra furono separate di pochi centimetri.

« Dillo ancora» alitò sul mio volto. Un sorriso mi uscì.

« Ti amo Edward e mi dispiace per tutto» lo vidi rabbuiarsi un attimo.

« Non devi dispiacerti, posso capire, se solo fossi stato più coraggioso e mi fossi fatto avanti prima con te forse non sarebbe accaduto nulla, ma non volevo forzarti la mano, sapevo…sentivo che avevi bisogno di tempo» rimasi momentaneamente stupita di quella sua affermazione, quindi lui provava dei forti sentimenti per me da più tempo di quanto immaginassi, ma aveva aspettato, solo per me. In realtà era così, ero andata lì per ricominciare dimenticare non per ri-innamorarmi ed ora che era successo e avevo rischiato di perdere tutto mi diedi della stupida per non essermi fatta avanti io per prima.

« Quando ti sei accorto di….insomma da quanto tempo provi qualcosa per me» lo vidi sorridere quasi imbarazzato.

« Non so se devo dirtelo, mi vergogno un po’, non vorrei sembrarti un ragazzino in preda agli ormoni…» imbarazzato era veramente qualcosa di unico e se non mi avesse risposto nel giro di poco mi sarei rincollata alle sue labbra.

Appoggiai una mano alla sua guancia fissandolo negli occhi in un tacito assenso a proseguire la conversazione.

« Io credo di essermi innamorato di te il primo giorno, quando mi sono girato dopo che la preside ci aveva comunicato che saremmo stati colleghi».

Una scarica di adrenalina attraversò il mio corpo: era stato nel momento in cui quei suoi splendidi occhi si erano posati su di me, non potevo crederci: « Ma credo di essere stato spacciato la prima volta che il mio corpo è entrato in contatto con il tuo, quando ti ho mostrato la piscina dalla finestra della tua camera. Lì ho capito che non sarei più riuscito a fare a meno di te, della tua vicinanza, del tuo profumo…»

 A quel punto non potevo più trattenermi ed evitare di confessargli quello che avevo provato io:

« Allora credo che siamo entrambi due stupidi»

« Perché?» mi chiese interrogativo.

« Perché credo di essermi innamorata di te quando sei apparso alla mia porta a chiedermi il caffè, ma ero troppo spaventata e delusa dall’amore per poterlo riconoscere immediatamente. E così abbiamo perso tanto tempo…» e nel dirgli questo, strisciai la mia fronte sul suo profilo come a voler percepire il suo odore.

« Sì è vero, ultimamente siamo stati tutti e due molto stupidi. Ma all’inizio avevamo entrambi paura e tu..eri così fragile….che…» si fermò titubante.

Lo spronai con lo sguardo a continuare:

« ….che avrei accettato qualsiasi compromesso pur di starti accanto, anche che non ti fossi mai innamorata di me. Hai sofferto e ti avrei capito» era la stessa cosa che avevo pensato io prima di credere stupidamente che lui fosse stato con Leah, i nostri pensieri erano sempre stati reciproci sui nostri sentimenti ed entrambi non eravamo riusciti a farci avanti per la paura e l’eccessivo rispetto che nutrivamo per l’altro.

Ma esisteva un uomo più perfetto di questo? Era dolce, sensibile e disposto a sacrificare  i poprri sentimenti pur di non turbarmi, quando invece io avevo più volte deciso per entrambi e lo avevo così allontanato senza pensare a cosa avrebbe voluto lui. Non riuscii a fare altro che guardarlo negli occhi e portare nuovamente le mie braccia dietro al suo collo: « Ti prego stringimi»

« Non devi pregare, desidero farlo da troppo, troppo tempo e ora voglio recuperare tutto il tempo perduto» rispose sospirando e chiudendomi in una morsa delicata quanto forte. Mi sentivo veramente al sicuro.

Passarono molti minuti nei quali ci eravamo stretti, baciati, intensamente e dolcemente, in cui i nostri nasi si erano scontrati e sorrisi complici erano usciti dalle nostre bocche. In quegli attimi avevamo sempre mantenuto un contatto fisso tra la nostra pelle con le labbra, con le mani, avevamo parlato con gli occhi e con i gesti e mai con le parole: i nostri sguardi parlavano per noi.

Sentivo i suoi sospiri su di me, le sue mani che mi accarezzavano i capelli, la schiena e il viso. E le mie saldamente ancorate alla sua schiena in un abbraccio all’altezza della sua vita. Sentivo brividi fino in fondo al cuore ed ero certa che non centrasse solo la temperatura glaciale che ci circondava. Stare con lui consapevolmente, sentire che ogni contatto era voluto e non sfuggente, casuale come era avvenuto fino a quel momento mi stava scaldando e faticavo a rendermi conto che le mie mani erano ormai completamente intirizzite. Se non mi avesse riscosso lui non mi sarei mai staccata.

« Bella sei gelata…forse è meglio rientrare».

Mi uscì un sorriso, non ci eravamo nemmeno resi conto che la temperatura stava scendendo rapidamente. Non dissi nulla, ma annuii e lo sentii cingermi le spalle in modo molto possessivo. Era strano come gesti che spesso aveva fatto nei miei confronti, ora, dopo quel ti amo e i nostri baci, avessero una carica e una valenza completamente diversi. Anche prima di quella sera la sua vicinanza mi destabilizzava, ma ora la testa aveva iniziato a girarmi al primo contatto delle sue labbra e solo il freddo mi rimandava  a sprazzi alla realtà, altrimenti sarei annegata nelle sensazioni che il suo corpo e le sue mani mi trasmettevano ad ogni tocco.

Camminammo lentamente  verso il nostro dormitorio stretti l’uno all’altra e io appoggiai il viso alla sua spalla, lasciandomi letteralmente trascinare. Nessuno dei due aveva fretta di rientrare e mettere così fine a quel momento.

E se non ci fosse stata una fine? In un attimo non potei fare a meno di pensare all’opportunità di farlo rimanere con me quella notte, ma in modo diverso da come era sempre avvenuto.  Lo desideravo, fino all’ultima fibra di me stessa, ma forse proporgli di infilarsi nel mio letto solo dopo un’ora dal nostro riavvicinamento non mi sembrava il caso, mi stavo vergognando al solo pensarlo, figuriamoci a chiederglielo.

Quando entrammo nell’ingresso dello stabile fui tentata di lasciare la presa preoccupata che Jasper potesse vederci e giudicare, ma Edward in questo mi stupii un’altra volta. Come se avesse capito i miei timori mi guardò e sorrise lievemente stringendo maggiormente la presa sul mio fianco. Era ovvio che lui non avesse gli stessi problemi e scoppiai quasi a ridere quando, passando stretti l’uno all’altra di fronte a Jas, lo vidi rallentare, guardarlo e sussurrargli: « Se domattina mi chiama Alice, capisco che le hai detto qualcosa tu e allora ….» poi il suo sorriso…il suo splendido sorriso gli illuminò il volto e mi strizzò l’occhio prima di precipitarci su per le scale. Lo lasciammo probabilmente a bocca spalancata, ma non potei notare il volto di Edward compiaciuto, forse il fatto che Alice presto sarebbe stata a conoscenza di “noi due” non gli dispiaceva.

Una volta giunti di fronte alla mia porta lascò la presa e io mi sentii per la prima volta vuota. Lui mi completava nell’animo e nel corpo. Sapevo che ci saremmo dovuti salutare, ma avrei fatto di tutto per ritardare al massimo quel momento.

La provvidenza decise probabilmente per noi perché nel chinarmi a raccogliere le chiavi accidentalmente sfuggite alle mie mani, ebbi un fortissimo capogiro e solo i riflessi pronti di Edward mi impedirono di schiantarmi al suolo. Non persi conoscenza ma la vista mi si annebbiò.

« Bella…tutto bene?» lo sentii parlare mentre tentavo di riprendermi e percepii il rumore delle chiavi nella mia porta: mi prese in braccio e mi appoggiò delicatamente sul divano.

Forse il suo contatto o il tepore sprigionato dal mio appartamento mi ridestarono immediatamente. A differenza delle altre volte non si limitò a starmi di fronte per aiutarmi a riprendermi. Lo vidi togliersi il giubbotto e sedersi a fianco a me: prese le mie game da sotto le ginocchia e le portò sulle sue e poi mi cinse le spalle con il  braccio destro. Le sue mani iniziarono a frizionare da sopra i vestiti sia sulle gambe che sulla schiena. Il senso di vertigini era sparito, ma l’annebbiamento persisteva nella mia mente, era chiaro che quest’ultimo non era dovuto a motivi fisici, ma emotivi.

« Bella sei tutta intirizzita, e pallida, non dovevo trattenerti fuori così a lungo, sono stato un’irresponsabile»

« Sto bene non ti preoccupare e stato solo un capogiro» cercai di tranquillizzarlo con un lieve sorriso.

« Ti vedo così debole fisicamente negli ultimi tempi, sei sicura che vada tutto bene?»

Non potevo mentirgli sul mio stato di salute, non sarebbe stato giusto ora e così decisi di dirgli la verità, attenuando il più possibile i toni:

« In realtà è stato un periodo difficile – e nel dirgli queste parole lo guardai fugacemente negli occhi prima di abbassarli – credo che il mio stato di salute sia solo un effetto collaterale»

« Di cosa?» mi chiese prontamente come se immaginasse qualcosa.

Mi accoccolai maggiormente al suo petto e lo sentii portare le mia gambe ancora più vicino a lui e la sua mano su di esse a salire sempre più in alto fino a lambirmi una coscia.

« Ultimamente non riposo molto bene e ….quindi»

« Hai ricominciato con i farmaci?»

Annuii, non volevo fare la vittima, ma nemmeno mentirgli, inoltre il contatto della sua mano sulla mia gamba mi “distraeva” e non poco.

« Hai bisogno di qualcuno che ti stia vicino, che ti aiuti con tutto l’amore che può darti e poi vedrai che riuscirai a farne a meno».

In un attimo mi balzò in mente che si potesse sentire in colpa e mi affrettai a dare a me stessa tutte le colpe:

« Non ti preoccupare per me, starò meglio ora; in realtà se non avessi fatto tutti quegli errori, quei pensieri, forse…»

Non terminai la frase perché mi poggiò il dito indice sulle labbra nel tentativo di zittirmi e poi vi poggiò le labbra in un bacio delicato: tracciò il contorno di esse delicatamente con la lingua e poi proseguì i baci sulla guancia fino ad arrivare alla mandibola. Per un attimo pregai che non si fermasse, ma i brividi che avevo in tutto il corpo mi dicevano che se non fossi stata debole a causa dei farmaci e del poco appetito, gli sarei potuta anche saltare addosso. Lo sentii terminare la sua corsa subito sotto il lobo dell’orecchio dove lasciò un bacio umido e delicato. Sollevò poi la testa e mi guardò intensamente:

« Quando capirai che non mi voglio prendere cura di te perché mi fai pena, ma perché ti amo – lo sentii sospirare – e dovresti smettere di darti la colpa, ok abbiamo sbagliato entrambi. Ora ci siamo solo noi, smettiamo di ricordare dove abbiamo sbagliato e partiamo da qui, che ne dici, ti sembra un buon compromesso per iniziare?»

Non potei fare a meno di sorridergli: in realtà ero stata io quella che aveva sbagliato di più, ma lui da grande cavaliere quale era aveva diviso le colpe per alleggerire il mio senso di frustrazione ai giorni appena passati.

« Perché non vai a cambiarti e a metterti qualche abito un po’ più caldo e poi…..vorrei stare qui stanotte».

Alzai il viso immediatamente e probabilmente sgranai anche leggermente gli occhi. Forse anche lui provava una forte attrazione fisica e avrebbe voluto……ma eravamo sicuri che non sarebbe stato troppo presto? E’ vero non eravamo due ragazzini alla prima esperienza, ma era il caso? In fondo era da tanto che non  stavo con un uomo….Mi anticipò qualsiasi supposizione con un sorriso alquanto imbarazzato:

« No…cioè …volevo dire…. che credo tu abbia bisogno di avere qualcuno vicino per ricominciare a riposare bene senza l’aiuto dei farmaci, che ne dici? Non intendevo che vorrei….in realtà mi piacerebbe, ma….credo sia ancora presto…..» era in imbarazzo chiaramente e non potei fare a meno di sorridere pensando a quanto fosse romantico e dolce e a quanto probabilmente sarebbe stata la persona adatta per tutto.

« Ed è tutto ok – dissi accarezzandogli lieve una guancia – ho capito e credo proprio di aver bisogno della tua “presenza” per riprendermi cura di me stessa» ed era vero, con lui accanto sapevo che ce l’avrei fatta come era già accaduto i primi tempi della nostra amicizia, « puoi restare quanto vuoi»

« ho tutte le intenzioni di prendermi cura di te come non mai e quando starai meglio……» sorrise malizioso.

« Quando  starò meglio? » ribattei serafica.

« Non ti lascerò dormire così facilmente….» disse con un tono basso e roco che avrebbe risvegliato anche un moribondo.

Una morsa alla bocca dello stomaco mi costrinse a deglutire e il rossore alla guance fu probabilmente lo specchio del mio desiderio, ma anche l’avviso del mio imbarazzo. Ci pensò lui ad allentare la tensione chiaramente “erotica” del momento : « Vai a cambiarti e poi se vuoi ti aiuterò a riposare al meglio senza bisogno di nulla»

« Il mio sonnifero naturale?» risi nel ricordare un’affermazione che avevo fatto tempo addietro.

« Già » ricambiò lui scuotendo la testa in senso affermativo e ridendo a sua volta.

Non so dove trovai le forze, ma mi alzai dalle sue gambe e mi recai in bagno per rinfrescarmi  e prepararmi, mi cambiai e misi una tuta calda. Quando ritornai da lui notai che si era tolto le scarpe: non feci in tempo a dire e chiedere nulla che fu accanto a me, mi diede un caldo bacio sulle labbra mi prese tra le sue forti braccia e mi portò in camera da letto, adagiandomi dolcemente su quest’ultimo. Mi rannicchiai quasi in posizione fetale sotto alle coperte, lo vidi togliersi la felpa e coricarsi dietro a me, sentendo il suo torace aderire completamente alla mia schiena. Il suo braccio destro sopra alle nostre teste, quello sinistro che mi abbracciava fino ad intrecciare le sue dita con le mie. Presi la sua mano, la baciai e me la portai al cuore.

« Ti amo» sussurrai prima di chiudere gli occhi.

« Anche io, cerca di riposare ora, io non ti lascio » e un altro bacio più dolce dietro il mio orecchio mi convinse più che mai che non avrei più potuto rinunciare alle sue labbra e ai contatti con lui.

 

 

 

Note: sono semplicemente sconcertata dalla marea di recensione per gli ultimi tre capitoli. non ho proprio parole se non "MAGNIFICHE". grazie a tutte e godiamoci un pò di pace e romanticismo....per ora:):):):):)

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** “Confidenze” ***


Capitolo 49

“Confidenze”

 

Aprii gli occhi e vidi di fronte a me le imposte della finestra socchiuse: nessuna luce filtrava, segno che era ancora notte fonda.

Ma perché sentivo così freddo? Il contatto che avevo avuto fino a quel momento con il corpo di Edward sembrava mi avesse lasciato un’impronta sulla pelle, ma ora non lo avvertivo più. Forse si era girato nel sonno e allontanato.

Mi portai a sedere e mi voltai, ma di lui nessuna traccia. Cercai di stropicciarmi gli occhi per ridestarmi completamente dal sonno e rendermi esattamente conto della situazione, ma Edward non era proprio accanto a me.

Che avessi sognato tutto? No, non poteva essere, ricordavo esattamente ogni gesto, ogni tocco e in più sentivo ancora il suo sapore sulle labbra e il suo profumo sulla mia maglia: ma allora perché lui non c’era?

Presa dalla mia ormai cronica incertezza cominciai ad agitarmi e a chiedermi il motivo per cui non fosse più nel mio letto. Forse si era pentito ed era tornato nel suo appartamento: senza rendermi esattamente conto di quello che stavo facendo cominciai a singhiozzare e a chiamarlo nella speranza di sentirlo rispondere, magari dal bagno o dalla cucina, ma nulla. Il respiro si fece sempre più frequente e il tono più alto:

« Edward ci sei?» era una cosa abbastanza irrazionale. Se veramente fosse stato nell’appartamento mi avrebbe risposto, non abitavo mica a Buckingham Palace!

Quando fui finalmente sveglia, cominciai a girare per l’appartamento rendendomi conto di essere sola e mi appoggiai allo stipite della porta della cucina iniziando a respirare frettolosamente.

Mi accorsi delle lacrime che iniziarono a scendere: era scappato, ma perché? Se aveva bisogno di fare qualcosa avrebbe potuto svegliarmi e invece se ne era andato di soppiatto come qualcuno pentito delle proprie azioni e desideroso di allontanarsi.

Nel giro di pochi minuti sentii la porta d’ingresso aprirsi, voltai lo sguardo, ma le lacrime che mi riempivano gli occhi non mi permisero di vedere bene la figura che stava entrando. Non ci pensai su e mi buttai con le braccia al suo collo: sentivo che era lui.

« Edward sei andato via!» urlai sulla sua spalla, soffocando i singhiozzi.

« Bella che ti succede? Stai male?» mi staccai a malincuore, ma non ebbi il coraggio di fissarlo negli occhi. Mi vergognavo troppo per aver pensato che se ne fosse potuto andare subito dopo avermi detto “ti amo”. Non mi vergognavo più a questo punto ad esternagli le mie preoccupazioni. Per troppo tempo avevo rinchiuso nel mio cuore sentimenti, paure, insicurezze: ora che mi ero aperta a lui non volevo più nascondergli nessun aspetto della mia personalità ancora molto instabile, pur sapendo il rischio che potevo correre nel mostragli esattamente come ero. Ma in fondo lui lo sapeva già e sembrava accettarmi così, quindi perché continuare a portare una maschera di sicurezza, quando il mio bisogno era affidarmi completamente a lui?

« Mi sono svegliata e mi sono accorta che non c’eri più – dissi fra i singhiozzi – ti ho chiamato e quando mi sono resa conto che te ne eri andato mi è preso il panico, scusa». Lo vidi sorridere e sentii le sue mani accarezzarmi dolcemente il volto e i capelli:

« Perché ti devi scusare?»

« Perché so che ci potrebbero essere mille motivi perché tu ti possa allontanare da me, hai comunque la tua vita, i tuoi spazi, ma…..ho ancora paura….che tu possa decidere di…..» abbassai lo sguardo chiaramente in imbarazzo per queste mie affermazioni.

« Bella» lo sentii chiamare, ma non risposi subito.

« Bella guardami, ti prego» non feci in tempo ad alzare lo sguardo che la sua bocca fu sulla mia. Chiusi gli occhi beandomi di quel contatto del quale, ero certa, non mi sarei mai stancata. Le sue labbra erano perfette per me, ma c’era qualcosa di lui che non lo fosse? Quando si staccò lanciai involontariamente un piccolo gemito di disapprovazione e lo vidi sorridere.

« Credo che non potrei più fare a meno della tua bocca, lo sai?» o mamma, ora andavo veramente a fuoco!

« Mi sono svegliato un po’ intorpidito e ho pensato di andare nel mio appartamento per mettere qualcosa di più comodo e adatto……..no, guardami negli occhi, ti prego» mi aveva impedito di chiudergli nuovamente i miei sentimenti attraverso lo sguardo: quando mi guardava mi sembrava sempre che scrutasse fino in fondo alla mia anima.

«E poi sei così dolce e questa tua insicurezza ti fa amare ancora di più, credimi. Sai ti capisco se  sei spaventata e ti prometto che farò di tutto per starti più appiccicato possibile»

« Non devi…devo imparare a vivere anche se non sono a stretto contatto con te» in fondo era proprio questo che non volevo, affidarmi fino a soffocarlo.

« Ma sono io che voglio stare a stretto contatto con te, tu hai idea dello sforzo che ho dovuto fare per alzarmi da quel letto e lasciarti anche solo per dieci minuti? La verità è che tu hai paura di dipendere da me e per questo angosciarmi con le tue necessità, ma in realtà sono io che dipendo totalmente da te e quando mi allontano è come se mancasse un pezzo qui» e nel dirlo prese la  mia mano e la portò sul suo torace all’altezza del cuore.

« E non ti ho detto nulla perché dormivi così bene che ho creduto non ti saresti svegliata in così poco tempo e sapevo che se avessi aperto quei tuoi splendidi occhi non ti avrei più lasciata e mi sarei di nuovo incollato a te».

Non potei fare  a meno di sorridere e aggrapparmi alla sua maglietta tirandolo a me per un bacio lento e appassionato. Per la prima volta le sue mani iniziarono a vagare sul mio corpo in modo più malizioso del solito, le sentii accarezzarmi la schiena e indugiare sull’arco dei fianchi. Gli sentii aprire il palmo come a volermi inglobare tutta con le sue grandi mani e poi mi resi lentamente conto che con il pollice aveva trovato un varco sotto la mia maglietta e stava accarezzando con i polpastrelli la piccola porzione di pelle scoperta. Mille brividi mi ricoprirono la schiena e lui se ne accorse quando sarcastico mi chiese se avevo freddo. Gli diedi un piccolo colpetto sulla spalla subito prima di sentire le sue braccia cingermi il punto vita e dietro le ginocchia e sollevarmi come se fossi una piuma:

« Credo che sia ora di tornare a dormire» mi disse dolcemente mentre si dirigeva verso la mia camera da letto.

Istintivamente mi strinsi a lui con tutte le forze ed emisi un sospiro che somigliava di più ad un gemito: in realtà da quando lo conoscevo ogni volta che mi aveva stretto tra le sue braccia non avevo percepito solo delle semplici sensazioni, ma il suo corpo per il mio era una vera calamita e risvegliava tutti i miei sensi.

La verità era che lo desideravo con ogni fibra del mio essere,ma non mi andava di saltargli addosso in quel momento, specie dopo che mi aveva detto che prima avrebbe aspettato che mi fossi sentita meglio e poi…..trasalii leggermente a quei pensieri.

Quante volte ci avevo fantasticato sopra.

Edward si accorse probabilmente  della mia momentanea assenza, mi adagiò sul letto e si distese accanto a me su un fianco, mantenendosi su un gomito.

« A cosa pensi?»

Gli accarezzai il volto fissandolo negli occhi: « Sei qui , non sei andato via…» sentivo il bisogno di ribadire il concetto.

« Non potrei essere in nessun altro posto».

Non seppi esattamente il perché mi rattristai, ma decisi di continuare: « Ma come fai ad essere così?»

« Così come?»

« Così meraviglioso: sono stata così stronza con te negli ultimi tempi che non ti biasimerei se tu mi odiassi»

« Io non potrei mai odiarti: proprio non riesci a capire quello che provo per te?

Ci ho provato, ammetto di esserci rimasto molto male per certi tuoi comportamenti, soprattutto quando sei scappata da Forks, ma poi ho cominciato a chiedermi il perché e l’idea di James mi ha quasi mandato fuori di testa, poi quando invece ho saputo…mi sono odiato da solo per quello che era accaduto…»

Lo fermai con una mano sulle labbra: « Non darti colpe che non hai: se c’è qualcuno che deve essere biasimata sono io. Avrei potuto evitare di fuggire, di trarre conclusioni prima di parlarti, di sfuggirti e…poi avrei dovuto farmi avanti su quella spiaggia, dirti quello che provavo e portarti via da lei…… invece come al solito…….mi faccio quasi schifo al pensiero che tu sia stato male a causa della mia insicurezza»

« Non dirlo…la verità è che anche con quello che i nostri fraintendimenti ci hanno portato, non avrei mai potuto odiarti perché mi sono reso conto che proprio non so vivere senza di te…e questi giorni separati me lo hanno fatto capire più che mai…non ti crucciare per quello che è successo, forse al tuo posto avrei fatto lo stesso»

« Non credo, tu non sei stupido come lo sono stata io»

« Non sei stata stupida, hai solo dato troppo retta alla tua anima irrazionale, ma ora che sei qui e hai capito – mi portò una mano sul fianco attirandomi maggiormente a sé – ti giuro non ti libererai facilmente di me»

« Non è assolutamente mia intenzione farlo, senza di te mi manca l’aria, te lo giuro»

« Bella tu sei il mio sole, colei che mi ha dato la speranza di lasciarmi i brutti ricordi alle spalle, che mi ha visto per quello che sono e sono stato e mi accetta comunque»

« Io non mi limito ad accettarti, io ti amo….. troppo…. anche solo per pensare di starti lontana…..guarda come sono ridotta, la gelosia mi ha roso dentro tutto questo tempo – lo vidi stupirsi – sì, è vero sono gelosa marcia di te e mi sono distrutta ancora di più nello starti lontana, tanto da non poter più fare a meno dei farmaci per andare avanti» in quel momento e di fronte a quelle confessioni non potei fare a meno di abbassare gli occhi e vergognarmi delle mie debolezze

« ….e sono io che devo ringraziare te, perché nessuno sarebbe rimasto accanto e avrebbe rincorso una con i miei comportamenti. Ancora adesso non so quanto sia salutare per te strami vicino…»

Un sospiro di rassegnazione uscì dalla mia bocca: lo sentii accarezzarmi una guancia « ti basti sapere che senza te…nulla ha senso…» e concluse il discorso con un tenero bacio sulla fronte. «Ora cerca di riposare. Domani ricominceremo e se vorrai parleremo di quest’ultimo periodo».

Mi limitai ad annuire poggiandogli un leggero bacio alla base del collo, dove potei giurare di aver sentito partire un fremito. Dopodiché si sistemò meglio al mio fianco, appoggiando la testa al cuscino e chiusi gli occhi cercando di riposare nella mia bolla di tranquillità, tra le sue braccia e il suo respiro sulla mia tempia.

 

 

Mi svegliai di nuovo: questa volta era chiaramente mattina ed ero rimasta chiaramente ancorata al corpo di Edward tutto il resto della notte.

Mi voltai lentamente nella sua presa e lo guardai attentamente: stava dormendo sereno e dentro me pensai a quanto ero stata stupida, a quanto fossi gelosa e, a quanto avevo capito a seguito della nostra conversazione della sera prima, che anche lui lo fosse di me.

Avrei tanto voluto chiedergli una marea di cose e forse con calma ci sarebbe stato il tempo per tante piccole spiegazioni.

Non riuscii a resistere e mi alzai sui gomiti iniziando a baciare dolcemente il profilo del suo volto. La sua risposta non tardò ad arrivare, ma fu molto più devastante di quanto avrei pensato.

In un attimo le sue braccia mi circondarono il punto vita e mi sollevarono sul suo corpo: era una posizione veramente poco casta e sicuramente non avrebbe aiutato ad aspettare….come voleva lui, ma non mi sognai minimamente di scansarmi.

Un attimo prima di vedere i suoi occhi aperti che fissavano i miei sentii la sua calda voce, impastata dal sonno, ma sempre molto sensuale, che mi augurava il buongiorno. Ci soffermammo a lungo baciandoci, in quel momento e per mia fortuna, in modo molto tenero e non passionale. Probabilmente anche lui si era reso conto che in quella posizione non sarebbe stato salutare eccedere nelle effusioni. Inoltre dovevamo prepararci per andare a lezione e avremmo sicuramente fatto tardi.

Dopo un profondo respiro lo sentii lasciare la presa sul mio corpo:

« Bella…credo che sia meglio…alzarsi»

« Si sta così bene…..»

« Lo so ma, tu hai bisogno di recuperare le forze con una bella colazione e in più dovremmo andare al lavoro e credimi…. in questo  momento devo fare uno sforzo per concentrarmi su qualcos’altro oltre al tuo corpo schiacciato sul mio» mi scappò un piccolo sorriso.

Finalmente per la prima volta dopo giorni, anche l’idea di iniziare una giornata sapendo che sarebbe stata diversa grazie alla sua vicinanza mi faceva stare bene.

« …e se continuiamo così, credo che manderò a quel paese i miei buoni propositi di farti riprendere con calma….» disse strofinando il naso sulla mia mascella, facendomi venire mille brividi. Non mi lasciai abbindolare dalle sue moine e sorridendo gli confessai ciò che avevo pensato poco prima:

« mi piacerebbe parlare con te….vorrei sapere cosa è accaduto nei giorni scorsi e…come ti sei sentito»

« Perché vuoi continuare a parlarne proprio ora? Abbiamo già detto che è tutto superato…facciamo passare un po’ di tempo»

« Direi che ci sono molti vuoti …e vorrei riempirli»

« Lo ritieni importante?» mi chiese diventando serio e guardandomi negli occhi.

« Sì , ho bisogno di sapere, voglio ricominciare parlando di tutto con te, anche di quello che abbiamo provato a causa della mia…» non riuscii a dirlo e abbassai lo sguardo.

Nel frattempo mi ero allontanata dal suo corpo e mi ero messa in ginocchio di fronte a lui. Si alzò a sedere continuando a guardami negli occhi.

« Se pensi che sia importante per stare bene…questo e altro: sono disposto a parlare di qualsiasi cosa e di fare qualsiasi cosa per te» e mi lasciò un altro bacio sulle labbra.

« Che ne dici di una cena fra noi stasera, è così tanto che non lo facciamo?»

« Direi che è un’idea magnifica...»

« Ok, ti farò sapere l’orario e il luogo» mi disse alzandosi e lasciandomi un tenero bacio sulle labbra. Non ebbi il coraggio di confessargli che avrei preferito una cena intima fra noi in uno dei nostri appartamenti, ma era troppo felice all’idea, che non ebbi il coraggio di sconfessarlo.

Ci salutammo un’ultima volta sulla porta con la promessa che sarebbe passato a prendermi per accompagnarmi a lezione.

Mentre mi preparavo con una doccia bollente  ripensai ai bei momenti delle ultime ore fino a quando un’idea mi balenò, rendendomi momentaneamente dubbiosa: come ci saremmo dovuti comportare agli occhi di tutti, studenti e colleghi? Non aveva avuto nessun problema a farsi vedere abbracciato a me da Jasper, ma lui contava poco, era praticamente suo “cognato”. Ma in sede professionale cosa sarebbe stato bene fare e cosa no? Non era certo un segreto per nessuno la nostra amicizia, né tantomeno i gesti affettuosi che lui aveva con me, ma da qui a dichiarare a tutto il campus la nostra relazione ce ne sarebbe voluto.

Una morsa allo stomaco mi prese: e se la nostra relazione avesse messo a rischio il lavoro? Ricordavo le parole della preside il primo giorno, il suo divieto a intrattenere atteggiamenti intimi fra colleghi, ma anche le affermazioni di Edward al fatto che qualcuno faceva anche di peggio. Cercai di rimuovere questi pensieri dalla mente e mi convinsi ad aspettare di vederlo per parlargliene.

Quando fui pronta lo aspettai alla porta e solo allora mi resi conto di essermi dimenticata i farmaci. Feci il gesto di rientrare: non ero certa di sentirmi pronta ad affrontare la giornata senza, quando mi bloccai pensando alle sue parole. Lui voleva aiutarmi e mi sarebbe stato vicino per quello…ma non doveva farlo solo per farmi smettere ansiolitici e sonniferi: doveva starmi accanto per i sentimenti che provava per me e in un attimo la convinzione di volere qualcosa in più con lui, al più presto, si fece strada in me, convincendomi a richiudere la porta e ad affrontare la giornata confidando solo sulle mie forze.

Non dovetti aspettare molto per vederlo scendere dalle scale e dirigersi alla mia porta con uno splendido sorriso. Continuava a fissarmi con uno sguardo carico di amore e non potei fare a meno di percepire la familiare sensazione alla bocca dello stomaco e di bearmi del fatto che fosse rivolto a me.

« Sei pronta?»

Mi chiese dolce:

« Sì, sono appena uscita»

« Hai fatto colazione?» si preoccupava per me in un modo che lo rendeva estremamente tenero. Annuii con un lieve sorriso sulle labbra, poi pensai di renderlo partecipe delle mie riflessioni di poco prima.

« Ed stamattina vorrei provare a farcela senza prendere nulla, ma non so…forse non sono ancora pronta….» non mi fece finire di parlare, mi prese le mani e mi guardò intensamente negli occhi.

« Hai fatto benissimo…avevamo detto che ti avrei aiutato io ad affrontare le tue paure e così farò. Io ti sarò accanto più che potrò e se dovessi avere dei problemi non dovrai fare altro che correre da me o chiamarmi e ti sarò subito vicino. Vedrai risolveremo ogni tuo piccolo timore insieme».

Era talmente convincente che non riuscii a fare a meno di stringere le sue mani tra le mie ancora più forte e incamminarmi con lui fuori dall’edificio. La cosa che mi stupì maggiormente fu che nonostante non ne avessimo parlato, si affiancò a me in modo per nulla malizioso, dando dimostrazione di voler mantenere un momentaneo equilibrio.

Gliene fui grata di questo.

Ci dirigemmo insieme alle aule: in quei momenti e con lui accanto, riuscii a rimuovere dalla mia mente lo sconforto che nei giorni precedenti mi aveva colto ogni volta che avevo percorso quella strada da sola: ma ora non era così. Mi sentivo emozionata, ma serena, e il fatto che il suo braccio avesse un costante, quanto leggero, contatto con il mio, mi dava la forza di pensarlo accanto a me, ma comunque convinto che potessi riuscire anche senza il suo appoggio continuo.

E così sarebbe stato.

Lui mi stava aiutando, ma soprattutto mi stava amando e questo voleva dire dedicarsi a me, a noi, ma non affidarsi come se fosse il mio sostegno psicologico. Lui era la forza del mio cuore.

Mi resi conto, solo una volta giunta alla porta dello stabile, di essermi appoggiata quasi completamente al suo fianco, come a voler trovare in lui la spinta per affrontare quella giornata in modo diverso da come era avvenuto nelle settimane prima.

Quando fummo nel corridoio che andava alle nostre aule non potei fare a meno di notare le occhiate che molti, sia professori che studenti ci stavano rivolgendo: me lo sarei dovuto aspettare, dopo vari giorni in cui non ci eravamo rivolti la parola, vederci di nuovo insieme e vicini poteva alimentare qualche pettegolezzo, ma per la prima volta mi resi conto che non me ne importava, perché ero accanto a lui e avrei potuto affrontare di tutto.

In fondo non stava avvenendo nulla che non fosse accaduto già prima di Natale. Mi guardai intorno con circospezione quando mi accompagnò dentro all’aula, ma non potevo certo immaginare che avrebbe sollevato una mia mano per portarsela alle labbra nei più delicato dei contatti: si abbassò poi verso il mio orecchio, facendo venire mille brividi sulla mia pelle:

« Per ora mi limiterò, non credo sia il caso di dare scandalo o di alimentare stupidi pettegolezzi, questa cosa è solo nostra, per ora……».

I brividi che si erano propagati sul mio corpo divennero vere e proprie scariche quando lo vidi allontanarsi dall’aula mentre mi rivolgeva uno splendido sorriso e un “ci vediamo dopo”.

Era incredibile! Non c’era stato alcun bisogno di parlare, lui aveva capito i miei timori o perlomeno si era posto i miei stessi dubbi e li aveva risolti nel modo migliore. Sembrava che nel giro di poche ore le nostre menti fossero tornate in una sincronia perfetta e la nostra complicità non avesse mai visto quell’interruzione che io stessa avevo causato.

Quando arrivarono i miei studenti un radioso sorriso faceva bella mostra di sé sul mio volto.

Iniziai la lezione e mi resi conto che il mio stato di serenità, per non dire felicità, non avrebbe dato adito a nessun fraintendimento, perfino fra i miei studenti. Più di una volta mi resi conto che la mente si era assentata ed era rivolta a lui, ai nostri baci, alle sue carezze e alla sua voce e spesso mi ero ridestata da questi pensieri appena in tempo per evitare figuracce.

La mattina fu lunga e impegnativa, ma non sentii la fatica come era avvenuto nei giorni precedenti: stavo quasi per andarmene quando notai ancora in aula la presenza di Emmet.

Solo da qualche giorno aveva ripreso a frequentare i corsi. Il suo umore era chiaramente  a terra ma stava cercando di riemergere. In quel momento misi da parte i miei pensieri e decisi di chiedergli some si sentiva:

« Insomma…sto cercando di non pensare e Rosalie mi aiuta molto»

« Sono felice che ti stia accanto..è una ragazza molto determinata e la sua vicinanza potrà solo farti bene. Ho sempre voluto chiedetelo…da quanto tempo vi frequentate?»

Un piccolo sorriso riuscì a comparire sul suo volto, ebbi la strana sensazione che fossero rari i momenti spensierati per lui e potevo comprenderlo in pieno:

«Da poco prima di Natale, è nato tutto in modo strano……posso farle una domanda prof?»

« Certo dimmi»

« Da parecchio non la vedo con il professor Cullen… non entro nel merito, so che ha parlato con Rosalie, ma…..stamattina ecco…eravate insieme….gli ha per caso parlato di noi due?»

Probabilmente la mia faccia fu di pieno stupore perché vidi Emmet sorridere:

« Emmet io…beh sì diciamo che stamattina siamo venuti a lezione insieme….ma non ho certo avuto il tempo di parlargli di sua sorella…» il mio tono era imbarazzato, che avrei dovuto fare? Dire ad un mio studente che avevo litigato con il suo potenziale “cognato”, che ci eravamo riappacificati e ora stavamo insieme? Non lo reputai il caso. Anzi mi feci avanti per deviare il discorso il più possibile

« Scusa, ma ancora Rosalie non gli ha detto nulla di voi?»

« No, non so se per paura della sua reazione, o se perché lo ha visto molto giù nei giorni in cui non vi siete frequentati..»

Ora ero chiaramente in imbarazzo, ma cercai comunque di rispondergli : « direi che non spetta a me decidere ciò che sia opportuno che si dicano o no e sarà lei a parlargliene quando lo riterrà giusto».

Si congedò con un saluto e fra me pensai a quando sarebbe stato il caso di raccontare a Rosalie della riappacificazione con il fratello, visto la preoccupazione che aveva dimostrato nei confronti di entrambi. Decisi che ne avrei parlato con Edward e avrebbe deciso lui, io avevo altro cui pensare……..finalmente potevo pensare a noi.

Quando mi resi conto che la maggior parte degli studenti aveva lasciato lo stabile decisi di andare da Edward. Era tutta la mattina che non lo vedevo e mi mancava immensamente.

Mi affacciai alla porta della sua aula e lo trovai intento a riordinare alcuni cd che forse aveva fatto ascoltare ai suoi studenti durante la lezione. Molto lentamente e cercando di non far rumore entrai e mi chiusi la porta alle spalle: sentivo il bisogno di baciarlo e stringerlo a me e non potevo certo rischiare che ci cogliesse il via vai del corridoio.

Mi avvicinai silenziosamente, chiedendomi dove avevo trovato quell’audacia e appena gli fui accanto lui si voltò stupito, ma non lo feci obiettare: mi fiondai al suo collo cingendolo con entrambe le braccia e lo baciai appassionatamente.

La sua risposta non tardò e nel giro di qualche secondo cominciò a divorare le mie labbra con piccoli morsi. Il suo sapore mi mandava in estasi tutte le volte: chissà se ci avrei mai fatto l’abitudine.

Lo sentii prendermi il viso con le mani ed accarezzarlo dolcemente, in contrasto con il bacio passionale che ci stavamo dando. Poi mi resi conto che le sue labbra si erano staccate dalle mie ed erano scese lungo il mio collo, sul quale lasciò decine di baci e una leggera scia con la lingua fino ad arrivare dietro all’orecchio.

Probabilmente il mio atteggiamento non avrebbe potuto dare adito a fraintendimenti sulle emozioni che stavo vivendo: gli occhi socchiusi,  il capo leggermente chinato indietro per consentirgli un accesso più facile, stavano a dimostrare quanto apprezzassi quelle attenzioni, senza contare il sospiro e il gemito quando mi lasciò un lieve morso sulla pelle. Lo sentii sorridere compiaciuto probabilmente della mia reazione alle sue attenzioni.

Poi provocatorio si avvicinò al mio orecchio:

 « Non oso immaginare come reagirai a contatti più...intimi se solo un bacio ti fa questo effetto».

Sgranai gli occhi e lo fissai: ma veramente aveva fatto quella supposizione? Aveva deciso di procurami un arresto cardiaco?? Stava ridendo compiaciuto: lo aveva fatto apposta per destabilizzarmi.

« Scemo» gli dissi colpendolo leggermente su di una spalla « stai approfittando delle mie debolezze e del fatto che mi sei mancato da morire» mi avvicinai a lui maliziosa e gli sorrisi a mia volta.

« No – proruppe lui – la verità è che sono le stesse sensazioni che ho io quando tu anche solo mi sfiori e quindi….devo ripagarti con la stessa moneta…» questo gioco di seduzione era devastante per il mio ancor precario equilibrio, ma mi piaceva. I nostri corpi erano in contatto e cercai di godermi il momento.

« Allora che ne dici se stasera andiamo in uno splendido ristorantino alle porte di Londra? Così passiamo un po’ di tempo insieme?» lo aveva detto con un tono a cui non avrei saputo assolutamente resistere.

Ci accordammo per l’orario e decisi che quella sera mi sarei dedicata a me stessa in modo maniacale. Volevo essere al meglio per lui e quando me lo ritrovai alla porta con una rosa bianca tra le mani e un abito elegante che fasciava alla perfezione il suo fisico snello e muscoloso, ringraziai la sua proverbiale pazienza perché lo avrei fatto mio in cinque minuti sulla soglia, infischiandomene anche di chi sarebbe potuto passare sul pianerottolo.

Mi accompagnò alla macchina rimanendomi sempre accanto e aprendo lo sportello per farmi accomodare dentro all’abitacolo: nel momento in cui mi appoggiai al sedile e lo vidi entrare dall’altro lato ripiombai nei ricordi di qualche tempo prima e mi beai di ogni positiva sensazione che mi stavano portando.

Quando arrivammo al ristorante le sue premure si intensificarono e forse perché eravamo fuori dall’istituto, lo sentii abbracciarmi e baciarmi dolcemente dietro all’orecchio prima di scostarmi la sedia per permettermi di sedermi. Si era fatto prenotare un tavolo un po’ appartato e non so se il luogo, le candele o l’atmosfera, ma per un attimo pensai che con lui avrei potuto passare tutta la vita e non stancarmi mai delle sue attenzioni.

Parlammo per quasi tutta la cena del più e del meno fino a che, non so con quale coraggio, affrontai l’argomento:

« Cosa hai provato quando ti sei accorto che non ero più a Forks?»

Lo vidi fissarmi intensamente e prendere un sospiro profondo : se avesse continuato a guardarmi in quel modo non sarei riuscita a proseguire con i chiarimenti e mi sarei incollata alle sue labbra.

« Sai, quando sono stato da tuo padre ancora non mi ero reso conto della gravità della cosa, anche Alice non aveva capito molto. Quando ho intuito che eri scappata  e chiamandoti non mi hai risposto, ho pensato a tutto  e nulla. Credimi se ti dico che un vuoto mi si è aperto nel petto. Ero convinto che non ti avrei più rivisto, ho pensato a James, ad un incidente, che ti fossi sentita nuovamente male e io non ero con te ad aiutarti…mi ci è voluto un gran  coraggio per partire senza sapere dov’eri, ma poi l’ho fatto perché i tuoi silenzi mi avevano quasi convinto che non volessi più avere a che fare con me, anche se ancora non sapevo il perchè. Tuo padre ha cercato di tranquillizzarmi dicendo che stavi bene, ma avevi solo fretta di ripartire……e poi quando ti ho visto qui….. mi sono sentito ben fino a che…non ho visto la tua reazione alla mia presenza….» lo sguardo basso, serio, la voce più flebile, come se fosse un vero dolore ricordare quei momenti. In un attimo mi sentii veramente male al pensiero di quello che gli avevo fatto provare e le lacrime iniziarono a lambire i miei occhi.

« Bella ti prego non piangere, non volevo parlarne per farti stare male…sei tu che hai chiesto……ti prego non piangere. Mi sei mancata così tanto che ora non voglio passare il mio tempo con te a rivangare ciò che è stato in questi giorni, voglio starti accanto e darti quello che avrei dovuto già da tempo: il mio cuore e tutto il mio amore».

Il tono della nostra voce era basso, quasi un sussurro e in quelle condizioni l’uomo di fronte a me sembrava ancora più sensuale. Soffocai il pianto con un sorriso e mi avvicinai a lui per porgergli un bacio sulle labbra. Indugiai sulle sue  per bearmi della morbidezza della sua pelle.

« Bella tu forse non hai ancora capito quello che provo……e spero di riuscire a fartelo capire prima o poi» e dicendo questo mi strinse le mani e si riavvicinò a me.

Questa volta la sua mano fu sulla mia guancia per una carezza lieve, per poi scorrere tra i miei capelli ed avvicinarmi a lui per un altro bacio più profondo di quello che gli avevo dato io. Le nostre bocche si scontrarono e le nostre lingue iniziarono a lambirsi come se non ci fosse tempo per altro. Interruppe il bacio lasciando un leggero schiocco sul mio labbro inferiore.

La cena terminò in modo tranquillo, cercai di non tornare sull’argomento e lui da grande cavaliere qual’era mi coccolò e mi vezzeggiò come se fossi la cosa a cui teneva di più al mondo.

Non parlammo molto lungo il tragitto di ritorno, ma cercai di godermi il calore e il profumo che aleggiava: mi ricordava l’odore della sua pelle e a dirla tutta era anche sulla mia visto i baci e il contatto che avevamo avuto fino a quel momento. Ogni volta che mi baciava il suo sapore rimaneva su di me e per un attimo immaginai di nuovo le sue labbra sul mio collo, sul mio torace, sulla mia schiena……mi resi conto che avevo la necessitò di ridestarmi da quei pensieri, ma un leggero sorriso mi si disegnò sul volto.

« Stai pensando a qualcosa di piacevole?» la sua voce interruppe i miei pensieri. E ora? Cosa potevo dirgli? Che lo pensavo e sognavo ogni tipo di contatto con lui? Magari non in modo esplicito, ma potevo permettermi di mettergli in mostra in parte i miei sentimenti:

« Pensavo a quanto  mi piace quando mi guardi e mi baci come prima….» da dove mi usciva questa sfacciataggine? Per un attimo pensai di sprofondare nel sedile per la vergogna, ma la sua risposta mi spiazzò.

« Bella…io non so cosa mi trattenga dal……adoro baciarti e stringerti e spero di poterlo fare ancora a lungo».

Non so cosa mi passò per la mente, ma già da un po’ meditavo di chiedere spiegazioni riguardo ad un grosso pezzo mancante di quegli ultimi giorni e che aveva fatto preoccupare anche me come i suoi familiari:

« Edward, scusa…» in realtà ero imbarazzata a chiedergli una cosa così rivangando nuovamente il dolore causato dalla nostra lontananza, ma fu lui ha togliermi dall’imbarazzo.

« Bella cerca di capire , mi puoi parlare di tutto io…..ho bisogno di sapere cosa ti passa per la testa perché non avere tue notizie, non poterti parlare, guardare e immaginare il peggio…..mi ha devastato. Preferisco passare le prossime settimane a raccontarti e sentirti raccontare tutto, piuttosto che il silenzio. Di quello tra noi ce n’è stato fin troppo direi….»

A quelle parole non esitai…

« Edward dove sei stato prima di rientrare qui?»

« Cosa intendi?»

« Rosalie mi ha detto che sei partito subito dopo di me, ma non sei arrivato qui se non quattro giorni dopo, senza dare notizie a nessuno di dov’eri…io ho pensato…..che fossi con Leah – e una fitta mi attraversò nuovamente la bocca dello stomaco – ma ora so che non è stato così….allora dove sei stato, cosa hai fatto?»

Sentii l’auto diminuire i giri e accostare al margine della strada. Le sue mani presero le mie e due sue dita mi toccarono il mento per sollevare il mio viso e costringerlo a guardarmi negli occhi.

« Sei sicura di sentirti bene?» non potei negare il mio senso di soffocamento.

« Non molto, ma se tu mi sei vicino so che passerà presto»

« Io non sopporto di vederti stare male e voglio tu sappia che per qualsiasi cosa ci sarò sempre, giurami che lo farai»

« Cosa?»

« Chiedere aiuto ogni volta che qualcosa ti renderà insicura o ti farà stare anche solo lontanamente male» non feci altro che annuire, ma ci credevo in quello che stavamo dicendo. Volevo che mi stesse accanto come uomo e amico e non come infermiere ed era questa la veste che sembrava voler indossare con me.

« Comunque sono stato a New York».

Probabilmente il mio sguardo stupito lo spronò a continuare.

« Quando anni fa ho viaggiato un po’ per lavoro ho trovato un amico lì e quando ho smesso di suonare mi ha detto che sarei potuto andarlo a trovare in qualsiasi momento. Beh ci siamo sempre tenuti in contatto e quando mi sono reso conto che tu eri scappata da me e ho cominciato a pensarle tutte…anche  a James…. – e vidi i suoi occhi abbassarsi dai miei. Istintivamente feci il suo stesso gesto e con le mani lo portai a mantenere lo sguardo su di me. Non volevo che mi celasse i suoi sentimenti – ho sentito il bisogno di stare solo, per capire come potevo fare ad andare avanti se non ti avessi più rivisto e……è stata dura accettare di non poterti più stare vicino e mi sono maledetto per non averti detto chiaramente prima tutto quello che provavo per te. Il pensiero di perderti ancora prima di averti è stato…….pesante da accettare». Non riuscii a ribattere. Mi limitai a sorridergli e ad accarezzargli una guancia fino a  sfiorargli il labbro inferiore con il pollice che lui immediatamente baciò socchiudendo gli occhi come a volersi beare di ogni minimo contatto fra noi. Non riuscii più a dire nulla, ma lui non ne volle sapere di rimettere in moto. In quel momento la mia anima la sentivo nuda davanti a lui:

« Bella dimmi qualcosa ti prego…cos’hai? Questi tuoi silenzi….non so mai cosa pensare e ho paura tu scompaia di nuovo….»

« Non potrei mai farlo – non volevo certo che credesse certe cose – è solo che mi sento un verme per quello che ti ho fatto e mi chiedo se potrai mai perdonarmi per quei giorni passati così, se vorrai stare ancora con me……»

« Bella ferma ti prego – il tono fermo, lo sguardo serio – io non devo perdonarti nulla e la mia intenzione è quella di rimanerti accanto ancora a lungo se tu vorrai».

Era veramente un uomo unico, romantico, sensibile e disposto a darmi tutto il suo amore anche se lo avevo ferito. Probabilmente si accorse della mia tristezza dovuta più che altro al mio senso di colpa e mi disse una frase che mi colpì ancora di più:

« Io credo che tu non debba chiedere a me di perdonarti, penso che sia ora tu inizi a perdonare te stessa – alzai lo sguardo stupita e lo ascoltai attentamente – sì credo che sia così, ne hai bisogno, ci sono tante cose su cui devi passare sopra, cose che non mi hai raccontato e ancora ti turbano. Perdona te stessa amore mio e non avere dubbi su di me».

Istintivamente lo guardai negli occhi: « Come mi hai chiamato?»

« Amore mio»

« Ripetilo»

«Ti amo Bella e te lo ripeterò fino allo sfinimento se questo ti renderà sicura di te stessa e di noi».

Mentre diceva queste cose mi si era avvicinato e mi fissava.

Io presi un lungo respiro, un  sorriso mi si dipinse sul volto. Portai una mano alla sua nuca e lo baciai a lungo. Non so come trovammo la forza di staccarci e riprendere la strada del campus. Quando fummo arrivati mi accompagnò alla porta e feci il gesto di salutarlo lì, sapendo che avrebbe preferito entrare:

« Forse è meglio che stanotte stia sola»

Lo vidi veramente preoccupato:

« Bella, perché? Non ti senti bene…hai cambiato idea? »

« No è che ho solo voglia di pensare a me stessa e a noi senza avere il tuo corpo a fianco al mio»

« Perché, vuol dire che ti destabilizzo?» un lieve sorriso gli arrivò agli occhi.

« Moltissimo prof, ma credo proprio che per questa sera sia meglio così»

« Non è che ora ti fiondi dentro e per dormire…» sapevo cosa temeva, che senza di lui non avrei esitato a prendere i sonniferi. Cercai di tranquillizzarlo, ma non so se ci riuscii completamente visto il suo sguardo dubbioso. Così feci un gesto che speravo lo avrebbe reso forse più calmo: entrai nel mio appartamento presi le chiavi di scorta che ancora erano sul tavolino dove le aveva lasciate qualche sera prima e gliele porsi.

« Facciamo così, se ho bisogno o senti che qualcosa non va o non ti convince ti autorizzo ad entrare in qualsiasi momento e a stringermi tra le tue braccia » cercai di sdrammatizzare sorridendogli e porgendogli il mazzo di chiavi. Lo accettò e lo vidi allontanarsi verso il suo piano dopo avermi lasciato un tenero bacio sulle labbra e sul collo.

Mi chiusi la porta alle spalle consapevole che non sarebbe stato facile, ma sapendo che avrei potuto contare su di lui in ogni momento.

Probabilmente le mille emozioni che mi avevano attraversato la mente  e il cuore quella sera mi avevano comunque lasciato un segno e mi portarono a piangere più silenziosamente. Me ne andai a letto rigirandomi più volte senza prendere sonno, quando sentii la porta di casa aprirsi e lo vidi avanzare verso di me. Lo sentii accendere la luce e quando mi vide mi chiese se andava tutto bene:

« Sì Edward è tutto ok…è solo che questa sera…è difficile dire quello che provo, sono felice , ma nello stesso tempo…»

Non mi lasciò finire, ma si stese accanto a me: « Facciamo così, qualsiasi cosa sia mettiamo che sono io che non riesco a stare lontano da te stasera…ti ho appena ritrovato dopo che ero convinto di non vederti più, non sono ancora pronto a stare senza di te anche se solo per qualche ora» sapevo che lo faceva principalmente per me, ma in fondo ero convinta che fosse così anche per lui, almeno in parte. E in questo modo ci addormentammo nuovamente vicini, abbracciati e sereni, ma soprattutto consapevoli che ciò che avevamo sarebbe stato ogni giorno sempre più forte ora che ci stavamo aprendo sempre di più l’uno all’altra.

 

 

 

 

 

note: salve a tutte . lo so sono in un ritardo mostruoso, ma prima di così non mi è stato proprio possibile postare. spero di fare meglio nei prossimi giorni. comunque non sono proprio soddisfatta al 100% di questo capitolo, ma in fondo l'ho pubblicato anche come scusa per augurarvi BUON NATALE. diciamo che è un capitolo di "stabilità" in cui scoprono meglio i loro sentimenti quando si sono trovati lontani......e poi vi avevo promesso un pò di sano romanticismo.
comunque grazie ancora a tutti e di nuovo AUGURI
un bacio

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** “Allo scoperto” ***


Capitolo 50

“Allo scoperto”

 

La giornata successiva  passò in modo sereno. Non fu facile sospendere completamente i tranquillanti, ma la costante presenza di Edward mi aveva aiutata molto e la stavo affrontando con qualche capogiro, prontamente placato dalle sue calde mani sulle mie spalle e sul mio collo.

In realtà durante le lezioni che avevo svolto nell’aula più distante da quella di musica, mi era veramente mancato, ma doveva essere stato così anche per lui perché ad ogni cambio di orario si era affacciato alla mia porta, approfittando dell’assenza degli studenti.

Me lo ritrovai più di una volta appoggiato allo stipite, con quell’aria tremendamente affascinante e le mani nelle tasche anteriori dei Jeans. Mamma mia ma quanto era bello!

E lo splendido sorriso che ormai, ne ero certa, riservava solo a me, lo rendeva ancora più irresistibile, tanto che più di una volta il desiderio di volargli fra le braccia e baciarlo si era profilato nella mia mente, trattenuto solo dal fatto che il corridoio pieno di studenti sarebbe stato il teatro della nostra relazione.

In realtà non avevamo più parlato di questa cosa, ma capivo dal suo modo di avvicinarmi, anche di fronte a colleghi e studenti, che cominciava a “soffrire” nel dover limitare i momenti tra noi alle mura dei nostri alloggi. Ero convinta che non avrebbe mai esagerato negli atteggiamenti intimi in pubblico, ma mi resi conto che tenermi la mano e sorridermi, anche di fronte agli altri, stava diventando una necessità per lui: e in realtà lo era anche per me, tanto che spesso mentre camminavamo vicini, cercavamo piccoli contatti con le mani, come due adolescenti che provano effusioni di fronte ai genitori e i nostri sfioramenti di sguardi e di sorrisi dopo questi gesti dimostravano le nostre necessità.

Ci amavamo finalmente, questa era la realtà, e avremmo voluto urlarlo al mondo intero, almeno io.

Terminati i nostri impegni lavorativi ci recammo come nostra abitudine, insieme, verso il nostro dormitorio e una domanda mi sorse nella mente nel momento in cui intravidi Jasper alla sua postazione dell’ingresso.

« Dici che Alice si stia trattenendo dal telefonarci o Jasper è veramente riuscito a non raccontarle nulla?»

Un lieve sorriso uscì quasi in contemporanea dalle nostre labbra, ma poi la calda voce di Jasper anticipò ogni nostra conversazione:

« Edward, Bella io devo chiedervi un favore – lo sguardo era pensieroso e il tono serio più che mai, tanto che sia io che Ed iniziammo a preoccuparci – vi prego, parlate ad Alice di voi due perché mi martella in continuazione e non ne posso più!» ora lo sguardo era implorante, ma comico, tanto che scoppiammo a ridere tutti e tre.

« Tranquillo Jazz – intervenne Ed guardandomi come a voler chiedere il mio consenso – la chiamerò entro stasera e le parlerò. Aspettati che poi ti sobilli di telefonate e domande» disse guardando rivolgendosi a me. Non potei trattenere un ulteriore sorriso celato da una mano.

Ci congedammo da Jasper per salire le scale e quando fummo accanto alla mia porta, sentii Edward sussurrarmi all’orecchio:

« Spero non ti secchi farlo sapere ad Alice, lo so che stiamo insieme solo da un paio di giorni e non vorrei mai che tu ti sentissi…..» gli tappai la bocca con una mano.

« Non ti preoccupare Ed, io adoro Alice anche se è un po’ pazza – non poté fare a meno di annuire – e credimi, per quello che provo, non c’è quasi nulla che tu non possa dirle. In realtà mi preoccupa un po’ di più la reazione dei tuoi genitori……»

« I miei ti adorano Bella, come puoi pensare il contrario?»

« Non so, visto quello che è capitato…»

« Non darti colpe anche per quello, sono io che ho preso la decisione di andarmene e non dare mie notizie per tre giorni, quindi……» avevo capito in pieno quello che diceva, ma mi sarei sentita in imbarazzo comunque ad essere presentata alla sua famiglia in veste ufficiale, anche se da come mi avevano trattato a Natale lo pensavano già o forse lo speravano. D'altronde non avevo dato notizie su di noi nemmeno a Charlie, mi sembrava troppo presto e troppo…..impegnativo.

Non che non fossi certa dei nostri sentimenti. Dopo quattro mesi a rincorrerci, complici, eravamo finalmente insieme e il mio desiderio di dimostrarlo a chiunque era molto forte, ma non volevo che lui si sentisse in obbligo per una cosa ufficiale. Ma furono le sue parole a sollevare ogni dubbio:

« Ora che siamo insieme non posso  e non voglio temere niente e nessuno: so che abbiamo ancora molta strada da fare…e non voglio anticipare i tempi…ma non siamo più due ragazzini e se le nostre famiglie lo vengono a sapere, posso solo esserne felice. Io Bella non posso più stare senza di te, ti sento così vicina e sono così felice che…… – prese la mia mano e se la portò sul torace all’altezza del cuore, stringendola ed accarezzandola – al massimo mi preoccupa solo il fucile di Charlie», una lieve risata uscì dalla mia bocca interrompendo le lacrime di commozione che stavano tentando di uscire dai miei occhi, per la gioia di sentirgli dire quelle parole.

« Quando sei venuta da me dopo il mio messaggio, mi hai detto ti amo e sei scappata mi si è aperta una voragine…..ho passato tutta la notte a pensare ad un modo per non perderti e non ti ho seguita perché ero consapevole che, in quel momento, qualsiasi cosa avessi potuto dire, avrei rischiato di fare peggio. Ma ora, pensare di starti lontano mi devasta e vorrei che tutti potessero vedere invece la gioia che c’è nel mio cuore ora ad averti accanto».

Le lacrime che avevo tentato di trattenere fino a quel momento iniziarono a scendere. Non sapevo cosa aveva provato in quella giornata, e me lo ero sempre chiesta, ma poi ci eravamo avvicinati e non avevo più pensato ai momenti di tristezza e solitudine.

Non potei fare a meno di avvicinarmi a lui accarezzandogli i capelli e sussurrandogli un “ti amo”, prima di depositargli un dolce bacio sulle labbra. Poi parlai nuovamente senza abbandonare il contatto tra le mie mani e il suo viso:

« Mi chiedo come sia possibile…»

« Che cosa?» chiese calmo

« Che tu mi ami dopo tutto questo tempo perso dietro alle mie paure e alle mie supposizioni».

Non sentii da lui alcuna risposta perché le sue labbra si impegnarono sulle mie, morbide  dolci, quasi a cercare di lasciare con quel contatto tutte le sensazioni che provava con il cuore.

Si staccò come al solito troppo presto e il mio mugugno di disapprovazione lo fece sorridere leggermente e dipinse sul suo volto uno sguardo compiaciuto per l’effetto che sempre mi faceva.

« Vado a chiamare Alice…e a dire la verità sarebbe il caso di parlarne anche a Rose»

« Come scusa?» ero seriamente stupita. Rosalie abitava praticamente con noi e lui non le aveva ancora detto nulla? Se non altro per tranquillizzarla visto quanto era preoccupata del suo stato d’animo di quegli ultimi giorni.

« Fallo subito Edward! »

« Cosa?» mi chiese interrogativo.

« Vai a parlare con tua sorella: era seriamente dispiaciuta e coinvolta. Si è molto preoccupata quando mi ha visto e ha capito che non eri con me e poi…..per tutto il resto» abbassai lo sguardo. I ricordi erano ancora freschi e dolorosi in un certo senso, più per tutto il caos che avevo procurato che per altro. Mi sollevò il mento con due dita e mi guardò negli occhi:

« Che ne dici di andare insieme più tardi, magari dopo cena? » beh era una richiesta un po’ strana, in fondo la sorella era sua, ma apprezzai il fatto che volesse coinvolgermi. Annuii e lo salutai dicendogli che lo avrei aspettato.

Mi chiusi la porta alle spalle e mi recai in cucina per prepararmi qualcosa da mangiare: in realtà era da tanto…troppo tempo che non cucinavo una cena degna di quel nome. Nelle ultime settimane i miei pasti erano stati frugali, dettati dalla chiusura alla bocca dello stomaco che mi attanagliava non appena aprivo gli occhi al mattino. E sicuramente questo mi aveva fatto perdere un po’ di peso: sperai in cuor mio che Edward non lo avesse notato, se no chissà che ramanzine!

Ma quella sera stranamente avevo fame, come se sciogliere i miei problemi con lui avesse fatto sciogliere tutti i miei dolori fisici.

Dopo aver cenato e controllato il lavoro per il giorno dopo decisi di dedicarmi ad una bella doccia calda: il getto bollente sulla pelle mi rilassava i muscoli e portava alla mente solo le cose piacevoli avvenute nelle ultime ore.

E ovviamente a Edward, al suo viso, ai suoi occhi e alle sue carezze. Non tardò a farsi sentire un fremito, non tanto dovuto al raffreddamento dell’acqua, quanto ad un vero stato di desiderio nei confronti di quell’uomo che mi aveva stupito e non aveva mai ceduto di fronte alle mie paranoie, lottando fino alla fine per chiarirsi con me e donarmi ora tutto l’amore che aveva trattenuto dentro di sé nei primi mesi della nostra amicizia. E che ora io finalmente non avevo più paura di ricambiare e anzi cresceva ogni momento di più, radicato come l’albero più forte.

E per un attimo i miei pensieri sfuggirono al controllo e immaginai come sarebbe potuto essere avere lì accanto a me Ed in quel momento; a quali sensazioni mi avrebbe fatto provare e a come il suo tocco sulla mia pelle scoperta mi avrebbe procurato, ne ero certa, brividi al di sopra di ogni aspettativa.

Riaprii improvvisamente gli occhi, ridestandomi da quei pensieri quasi imbarazzata. Non era la prima volta che sognavo me e lui in atteggiamenti poco casti, ma ora era tutto diverso: ora stavamo insieme e prima o poi……

Chiusi immediatamente i rubinetti dell’acqua scrollando il capo per ricacciare quei pensieri: non potevo andare in giro pensando continuamente a come sarebbe stata la prima volta fra me e Edward. Non volevo sembrare una ninfomane guardandolo con la bava alla bocca!

Mi asciugai velocemente e mi vestii in modo comodo. Poi decisi di fare una cosa a cui avevo pensato, ma non ero ancora riuscita a fare.

Presi il telefono e chiamai mio padre: in realtà lo feci in parte per lui, per rassicurarlo visto il tormento che gli avevo sicuramente procurato nelle ultime settimane con il mio comportamento, e in parte anche per me, perché volevo che sentisse quanto ero felice ora dopo giorni di inutili tormenti.

« Pronto papà?»

« Bella tesoro, come stai è da qualche giorno che non ti sento…»

« Sì, beh…ho avuto da fare » e un sorriso mi si dipinse sul volto al pensiero degli ultimi teneri momenti vissuti.

« Bella sei sicura di stare bene?…..Non so hai un tono di voce strano….»

« Sto benissimo papà credimi, sai sono cambiate alcune cose…» perché mi risultava così difficile dirlo? Forse perché ancora non ci credevo nemmeno io.

« Così mi fai preoccupare….hai avuto dei problemi con…..lui?» sapevo a chi si riferiva e da tempo quando lo sentivo per telefono evitava di chiamarlo per nome; non perché provasse astio, ma perché sapeva quanto male mi aveva fatto parlare di lui nelle precedenti telefonate. Charlie sapeva che era stata una mia decisione quella di scappare e non aveva chiesto il perché, ma avevo sempre temuto che desse in parte la colpa a Edward per quella mia fuga sconsiderata. Presi un bel respiro e decisi di parlare tutto d’un fiato:

« Charlie senti…un paio di sere fa ho parlato finalmente con Edward, abbiamo avuto delle incomprensioni e ci siamo chiariti…e ora……»

« …State insieme!?» sorrisi, la sua non era una vera domanda quanto più un’affermazione.

« Sì » se qualcuno mi avesse visto in quel momento avrebbe pensato potessi avere una paresi facciale dal gran che sorridevo.

« Bella, ma cosa è successo? Perché vi siete allontanati?» non sapevo se dirglielo o meno, ma in fondo era mio padre mi era stato accanto, se non fisicamente, almeno emotivamente e così gli parlai, anche perché in passato gli avevo omesso parecchi aspetti della mia vita: gli raccontai quello che era capitato a Forks e i problemi i primi giorni a Londra. Gli dissi che avevo sbagliato io in tutti i sensi, saltando subito alle conclusioni e non lasciando a Edward alcuna possibilità di spiegarsi. Tralasciai volutamente i miei problemi di salute, ma gli dissi che ora eravamo insieme e che lui era stato veramente splendido per il modo in cui mi aveva perdonato e per come mi trattava e aveva cura di me.

« Sei felice Bella?»

« Sì, come poche volte prima d’ora» ero sincera e probabilmente lo capì anche lui, perché lo sentii sospirare.

« Sono molto contento per te, sapevo che Edward era un bravo ragazzo. Non fatevi condizionare troppo dal vostro passato: in una relazione è importante andare avanti, ma……» si fermò e lo incalzai « avvisa il tuo ragazzo che se ti fa del male dovrà vedersela con me….lo inseguirò anche in capo al mondo!»

Non potei fare a meno di ridere di gusto. Era proprio quello di cui aveva paura Ed, ma in fondo sapevo che Charlie non avrebbe fatto male ad una mosca. Era stato e lo era ancora un padre meraviglioso: mi era sempre stato accanto sostenendomi anche se non sapeva tutto di me e questo lo rendeva meritevole di ogni rispetto da parte mia.

Mi congedai da lui promettendogli di farmi sentire al più presto, appena in tempo per aprire la porta al mio Edward, che da qualche secondo bussava insistentemente.

« Ciao va tutto bene? Stavo cominciando a pensare che fossi fuggita, visto che non mi aprivi».

Per un attimo mi rattristai, forse lo temeva veramente e mi sentii in errore: chissà, prima o poi si sarebbe affievolito il mio senso di colpa, ma per ora andava bene così. Il suo sguardo e il suo sorriso riuscivano a placare tutto.

« Stavo solo scherzando, lo so l’affermazione non è stata delle più felici…» mossi la testa in senso negativo e lo abbracciai: « va tutto bene quando sei con me, e in fondo un po’ me lo merito…»

« No – disse serio – tu meriti solo di essere felice e io farò di tutto perché tu lo sia » e mi accarezzò dolcemente le guance.

« Ero al telefono con Charlie – per un attimo vidi il suo sguardo perplesso – e gli ho detto di noi…» ok, ora sembrava realmente preoccupato.

« E lui????» mi avvicinai ancora di più e gli cinsi con le braccia il punto vita fino a intrecciare le mani dietro la schiena e far aderire così perfettamente i nostri corpi: « ha detto che ti devi comportare bene….o ti darà la caccia ovunque tu scapperai» gli dissi in un sussurro, ma non potei celare un sorriso e attirai anche lui nello stesso stato d’animo.

« Beh allora sono in una botte di ferro – mi disse ricambiando la stretta dalle mie spalle – perché ho intenzione di corteggiarla come si deve Miss Swan »

Mi strinsi maggiormente a lui e strisciai il mio naso sul suo mento: « però – continuò – non ha detto in che senso mi devo comportare bene…e se continui così potrei faticare a resistere».

Non so perché, ma in quel momento mi ritornarono alla mente i miei pensieri sotto la doccia e mi feci più audace : « e mi spieghi perché devi resistere?»

Spalancò leggermente gli occhi. Probabilmente non si aspettava certo una “avances” così spudorata e potevo vedere nei suoi occhi lo stesso desiderio dei miei in quel preciso istante: forse sarebbe stato il momento giusto, o forse, no, ma fu lui a decidere per entrambi, allontanandomi leggermente e dandomi un lieve bacio sulla fronte, sugli zigomi e poi sulle labbra.

« Mi stai tentando e non c’è nulla che desideri di più in questo momento….. così….. stretta a me, ma non sei ancora in forma e poi……dovrà essere veramente speciale» terminò sussurrandomi languido all’orecchio.

Okey ora ero veramente spacciata, la prossima doccia me la sarei dovuta fare gelata per evitare di ripensare alle sue parole. Si staccò lentamente da me e mi invitò a seguirlo:

« Che ne dici di fare le cose all’antica e parlare con Rosalie ora? Tuo padre lo sa, stasera chiamerò Alice, direi che siamo già a buon punto….» mi canzonò e un tenero sorriso gli si dipinse sul viso e io capii che avevo davanti l’uomo più dolce che avessi mai incontrato. I suoi occhi e il suo stato d’animo riempivano le mie giornate e il mio cuore.

Sorrisi a mia volta, recuperai chiavi e giubbotto e uscimmo insieme dal mio appartamento per dirigerci al dormitorio della sorella. L’aria era ancora molto fredda, ma almeno non pioveva e i pochi studenti in giro per il campus ci permisero di prenderci per mano indisturbati e chiacchierare sereni.

Gli spiegai ciò che avevo detto a mio padre e lo ringraziai di avermi coinvolto con Rosalie, confessandogli che sentivo la mancanza di tutto il mondo che la nostra amicizia aveva creato. Quando fummo nell’angolo più buio del cortile lo sentii lasciare la presa alla mano e portarla al punto vita fino a cingerlo e avvicinami al suo corpo. Capivo il perché lo aveva fatto, come me ne sentiva la necessità, ma sapevo anche che non voleva farlo troppo platealmente.

« Mi sa che sei dimagrita un po’ troppo ultimamente » disse stringendo maggiormente sul fianco. Ricordavo quante volte avesse fatto quel gesto e le sensazioni che mi trasmetteva.

« Direi che ti inviterò a cena un po’ più spesso perché voglio che tu torni in grande forma »

« Per cenare con te ci sono sempre » gli risposi osservandolo.

Si fermò e mi guardò negli occhi con un’intensità tale da procurami brividi per tutta la colonna vertebrale. Poi mi baciò languidamente disegnando con la lingua il contorno delle mie labbra e mordicchiandole appena. In quel momento me ne infischiai di dove ci trovavamo: desideravo quel bacio.

Quando arrivammo al dormitorio C potei notare una fioca luce provenire dall’appartamento di Rosalie, segno che era probabilmente in casa, ma poi mi venne il dubbio che potesse non essere sola. In quel momento l’idea di non aver detto a Edward che sua sorella stava con Emmet, studente non del tutto apprezzato da lui, non mi parve grandiosa, ma in fondo erano adulti: sarebbe dovuta essere lei a dire al fratello come stavano le cose.

Ma potevo anche capire il perché non l’avesse fatto: sapeva quello che era accaduto fra noi, era preoccupata e nel vederlo molto giù di morale aveva probabilmente preferito rimandare la spiegazione sulla sua situazione sentimentale a tempi e climi migliori.

Per un attimo fui tentata di bloccarlo e dirgli di tornare un’altra volta. Magari avrei potuto parlare con Rosalie e accennargli qualcosa io, perché il colpo non fosse improvviso, ma poi mi ripetei che non erano affari miei, non del tutto almeno e così proseguii la mia strada accanto a lui.

Arrivati all’appartamento di Rosalie, Edward bussò lievemente, ma nessuno ripose. Bussò nuovamente in modo più deciso senza avere ugualmente risposta, tanto che cercai di convincerlo che non ci fosse nessuno o che stesse dormendo e quindi saremmo potuti passare il giorno dopo. In realtà in cuor mio si profilava sempre di più l’idea che la sorella non fosse sola.

« E’ impossibile, ho visto le luci accese» accidenti non gli sfuggiva proprio nulla! Dopo il terzo tentativo riuscii a convincerlo, ma nel momento in cui ci stavamo allontanando la serratura scattò, la porta si aprì rivelando una Rosalie semi addormentata e…ben poco vestita.

Quando ci vide sulla sua porta spalancò gli occhi e cominciò a farli roteare da me a suo fratello. Capii subito che Emmet era con lei e non stavano propriamente dormendo. Cercai con lo sguardo di farle capire che non era stata una mia idea e che Edward non immaginava nulla, ma nel frattempo il fratello aveva iniziato il suo interrogatorio, quasi come se sospettasse qualcosa: in realtà non sospettava il “chi2.

« Come mai già a letto a quest’ora? Non ti senti bene?» la ragazza era chiaramente in imbarazzo e cercava di coprire il suo corpo non molto vestito e di impedire al fratello di entrare nell’appartamento. Non si rese conto che in questo modo aveva attirato ancora di più i suoi dubbi.

« Rose va tutto bene? Sei strana» incalzò lui.

« No, va tutto bene, ma perché sei qui? è successo qualcosa che dovrei sapere?» e i suoi occhi si puntarono su di me , questa volta sorridenti.

« So che nei giorni passati sono stato molto stronzo con te, ma avevo le mie buone ragioni – e voltò i suoi splendidi occhi verso di me – e so che tu sai molto di più di tutti gli altri. Volevo solo dirti che io e Bella ci siamo chiariti, ci amiamo e ora stiamo insieme» un sorriso si dipinse sul suo volto e abbracciò di slancio sia il fratello che me.

« Lo sapevo, lo sapevo! certo che ce ne avete messo di tempo, siete proprio due testoni»

« Rosalie!!!!» il suo tono di la fece sobbalzare.

« No Edward, non arrabbiarti, in fondo ha ragione e io sono stata la più testarda di tutti» si voltò verso di me, « ma ora è tutto sistemato…e per il meglio». Mi prese il mento con due dita e mi baciò dolcemente. Il fatto che fossimo davanti alla sorella non sembrò turbarlo e io non mi curai troppo di questo e chiusi gli occhi per bearmi di quel contatto.

« Tesoro chi era alla porta, perché non torni rischierai di prendere freddo e io so come scald……» la voce di Emmet si interruppe di colpo quando, giunto dalla camera da letto in boxer, si accorse della nostra presenza.

« Oh merda!» lo sentii dire sottovoce.

« Rosalie cosa ci fa lui qui??»

« Ed aspetta…io te lo avrei detto, ma dopo Forks……»

« Ti ho chiesto cosa ci fa lui qui» gli occhi leggermente dilatati, il tono della voce alto.

« Professor Cullen, si calmi possiamo spiegare»

« Non ho chiesto a te – lo tacciò Edward –  ti ho chiesto cosa ci fa lui qui» disse rivolgendosi nuovamente a sua sorella.

A quel punto vidi sul volto di Rosalie il risentimento per come Edward stava trattando sia lei che Emmet:

« Non trattarmi come una sgualdrina! Stiamo insieme!!! Da più di un mese, io lo amo e non ti permetto di trattarlo così»

« Ma tu sei mia sorella!!»

« E questo significa che non devo avere una vita mia e innamorarmi di qualcuno? Non sono più una bambina»

Edward rimase spiazzato da quella reazione: « No, però non con…»

« Non con lui? Non ci provare Ed, lui mi ama e non spetta a te giudicarlo: parla con Bella, lei ha capito quanto vale e non fa sentenze. Non lo fare nemmeno tu»

Edward mi lanciò un’occhiata. Sembrava che la rabbia che in un primo momento si era dipinta sul suo volto si fosse affievolita, per lasciare spazio alla razionalità.

« Vorrei che ti vestissi e te ne andassi dall’appartamento di mia sorella» disse rivolto al ragazzo che continuava a tormentarsi i corti capelli neri con le mani.

« No Edward non te lo permetto! sono grande, so quello che faccio»

« Beh allora mettiamola così, vorrei parlare con te in privato di questa cosa e preferirei non farlo con lui presente».

Capii cosa intendeva e mi avvicinai ad Emmet: « Vai a vestirti e poi ti offro un caffè: lasciamoli parlare».

La mano di Edward mi bloccò il braccio : « Ho bisogno di te, non lasciarmi»

« Ora hai bisogno di parlare con tua sorella, noi saremo nell’appartamento di Emmet: chiaritevi e poi parleremo tutti insieme e….Edward, cerca di stare tranquillo. Ha bisogno dei tuoi consigli non dei tuoi giudizi» mi avvicinai al suo orecchio per sussurrargli un “ti amo” e lasciargli un bacio sulla guancia.

Appena Emmet si presentò finalmente vestito lo spinsi fuori e mi chiusi la porta alle spalle:

« Forza, andiamo a farci questo caffè» lo vidi voltarsi verso l’appartamento della sua ragazza: « tranquillo andrà tutto bene, tanto prima o poi lo avrebbe saputo»

« Sì ma meglio poi…e magari non proprio mentre noi…»

« okay okay…non voglio sapere altro – feci il cenno di alzare le mani in segno di resa – ne parleremo poi»

« Una domanda prof…..ma che ci faceva di nuovo con Cullen? Era da parecchio che non vi si vedeva insieme, non è che….» non potei fare altro che abbassare lo sguardo e sorridere.

« Beh era ora, era già da un po’ che mi chiedevo quando ve ne sareste accorti, facevate scintille insieme. Io ci avevo visto lungo fin dal primo giorno in classe, quando le suggerì di “sfogarsi”….» ribadì con un leggero sogghigno. Non  era possibile, anche lui si era accorto dei nostri sentimenti.

« Tieni a freno la lingua con le tue illazioni!» lo redarguii sorridendo. Il mio sguardo doveva sembrare allucinato perché Emmet scoppiò in una fragorosa risata prima di aprire la porta del suo appartamento e farmi entrare con una tipica affermazione delle sue:

« E brava prof!!!»

Io e Emmet parlammo a lungo: era da quando ero rientrata da Forks per la morte del padre che non avevamo più avuto modo di farlo. Mi disse che aveva parlato con la madre e che gli aveva posto le sue ragioni sulla necessità di andarsene di lì appena diplomato.

« E lei cosa ti ha risposto?» chiesi stupita del coraggio che aveva avuto, sapendo quanto temeva il suo giudizio.

« Non l’ha presa affatto bene. Abbiamo litigato e mi ha detto che non mi avrebbe dato nulla se non avessi fatto quello che voleva lei?»

« Mi dispiace Emmet» non potevo pensare che una madre fosse disposta ad imporre il suo volere ad un figlio, senza pensare realmente a ciò che era meglio per lui.

« Non si preoccupi prof. Le ho detto che si sarebbe potuta tenere i suoi soldi, le ho detto che ho trovato una persona che finalmente è in grado di amarmi per ciò che sono e non per quello che gli altri si aspettano da me: le dico la verità, non importa la decisione che prenderà, mi ha sempre impedito di vivere e non glielo permetterò più, non ora che ho incontrato Rose……e che intendo essere felice con lei» abbassò lo sguardo e potei vedere nei suoi occhi l’immensa devozione che aveva nei confronti della sorella di Edward.

E capivo benissimo cosa provava. In quel momento vidi un Emmet diverso, deciso, maturo e i risultati scolastici degli ultimi periodi mi avevano dato ragione: sapeva finalmente cosa voleva ed ero convinta sarebbe riuscito prima o poi a lasciarsi tutto alle spalle. Spontaneamente gli posai una mano sulla spalla:

« So che puoi farcela, te lo avevo detto che eri meglio di così!» sorrise leggermente

« E’ tutto merito della mia Rose!» pronunciò con il suo vocione, emettendo poi una sonora risata.

« Speriamo solo che il professor Cullen non voglia la mia testa… non potrebbe…che ne so…..mediare lei?»

«Emmet!» urlai imbarazzata percependo il senso di quello che stava dicendo. Il suo lato burlone non sarebbe cambiato mai, ma ora lo vedevo in modo diverso. Sorrisi anche io, quando sentimmo bussare alla porta. Entrambi sapevamo chi era ed Emmet mi guardò con uno sguardo fintamente terrorizzato:

« Se non sopravvivo dica a Rosalie che la amo» e si avviò ad aprire.

Non potei trattenere un sorriso. Sapevo che Edward poteva essere anche molto preoccupante, ma primo, Emmet era quasi il doppio di lui, e secondo, era una persona troppo retta e troppo intelligente per non capire la situazione.

Quando la porta si aprii, una Rosalie sorridente si gettò al collo del ragazzo, la sentii parlare piano:

« Gli ho spiegato tutto, gli ho detto che non posso più vivere senza di te e che per te è lo stesso. Non lascerò che nessuno ci divida, piuttosto me ne andrò di nuovo. Ha capito» vidi lo sguardo di Emmet intensificarsi su quello di lei. Trasmetteva un enorme rispetto, ma anche una grande passione e avevo visto ultimamente uno sguardo simile in un'altra persona.

Era lo stesso modo in cui Edward mi guardava da quando ci eravamo dichiarati il nostro amore e non potei esserne altro che entusiasta. Ciò che provavano l’uno per l’altra era lampante e sapevo che nulla li avrebbe potuti dividere, piuttosto sarebbero scappati lontano da tutto e tutti. Un “ti amo” quasi in sincrono uscì dalle loro labbra, prima di unirsi in un bacio carico di amore. Nel giro di qualche secondo vidi apparire sulla soglia anche il mio angelo, con uno sguardo più sereno, ma comunque teso e pensieroso. Scrutò per un attimo i due ragazzi abbracciati come a voler incendiare Emmet con lo sguardo e poi portò gli occhi su di me.

Mi avvicinai sicura di ciò che stavo facendo, lo guardai negli occhi e portai entrambe le braccia attorno al suo collo per fissare meglio il suo volto, incurante della presenza nella stanza della sorella e di un mio studente.

« Sapevo che l’avresti presa nel modo giusto. Io sapevo tutto da quando sono rientrata a Forks. Li ho visti insieme dopo la morte del padre. Si amano, credimi e sono abbastanza adulti da prendere le loro decisioni. Tu li hai visti insieme? Io sì, quel giorno, quando sembrava che Emmet non si sarebbe mai risollevato e Rosalie era il suo punto fermo: sono forti, determinati e sembra che nessuno li possa fermare. Son uno la forza dell’altra e non sta a noi dividere questa forza. Entrambi sappiamo cosa vuol dire stare lontani da chi si ama e non credo che, ne’ tu né io, siamo in grado di fare questa scelta» dissi queste parole tutto d’un fiato e sapevo lo avrei confortato ancora di più.

In fondo era quello che anche noi avevamo e stavamo vivendo in quel momento e se qualcuno avesse tentato di separarci non lo avremmo mai permesso.

I suoi occhi sorrisero leggermente e mi fissarono con un’intensità unica, mi accarezzo una guancia e si avvicinò per posarmi un bacio profondo. Dopo pochi secondi un fischio si levò a fianco a noi:

« Allora è proprio vero! Ci vada piano prof…se la vedesse la preside….» la battuta di Emmet non fu gradita da Ed che si staccò da me e lo guardò truce.

« Bada a te McCarthy, non sei ancora nelle mie grazie, e fai solo un passo falso con entrambe le donne della mia vita e non te la perdonerò». Mi aveva stupito, nel discorso aveva inserito anche me in riferimento sicuramente ai battibecchi che io e Emmet avevamo avuto in passato. Non potei fare a meno di commuovermi e guardare Rose che invece sorrideva serafica.

« Non si preoccupi – osò obiettare il ragazzo – per quello che riguarda sua sorella, la amo troppo per fare qualsiasi cosa la possa anche solo dispiacere» disse guardandola e accarezzandole lievemente il viso. « Per quello che riguarda la sua prof – e mi guardò sornione – non credo che ci siano problemi, visto il modo in cui le sta incollato. Chi oserebbe sfidarla?»

Sorridemmo tutti, incluso Edward di quella battuta e sentii un ulteriore bacio sulla guancia  a voler rimarcare il concetto.

Ci congedammo e li salutammo, raccomandandoci ad entrambi di mantenere sempre un buon comportamento e poi ci avviammo abbracciati al nostro dormitorio. Lungo il tragitto, stretti l’uno all’altra e non solo per il freddo, gli chiesi istintivamente scusa:

« Mi dispiace che tu l’abbia scoperto così, forse avrei dovuto informarti io, magari con calma, visto che sapevo, ma gli ultimi giorni sono stati impegnativi e non è proprio stato…il mio primo pensiero»

« Tranquilla amore mio – mi rispose dolce – magari avrei preferito scoprirlo in un altro…. diciamo momento, ma in fondo come hai detto tu sono ormai grandi…e poi appena mio padre lo saprà avrà due uomini Cullen di cui preoccuparsi, quindi…» ridemmo entrambi di quest’affermazione, ben sapendo che è lui né Carlise avrebbe avuto il coraggio di impedire una storia dove i sentimenti erano così profondi. Credevano entrambi troppo nell’amore.

Mi accompagnò nel mio appartamento e una volta dentro si offrì di rimanere con me, con la scusa, disse lui, di metterlo al corrente di tutto ciò che sapevo. In realtà avevamo solo voglia di stare vicini e parlare, felici che ogni aspetto della nostra vita volgesse nel modo giusto, anche per chi era accanto a noi.

 

Quando il mattino dopo la sveglia suonò, la mia idea di rimanere a bearmi della vicinanza di Edward nel mio letto era quanto mai radicata, visto anche il fatto che era sabato.

In realtà ero rimasta molto in arretrato con il lavoro in biblioteca e avrei dovuto approfittare della giornata senza lezioni: ma il fatto che molti studenti sarebbero stati lì per prepararsi alle verifiche per il secondo trimestre, mi dava veramente poca grinta per alzarmi dal letto vestirmi e gettarmi tra le scartoffie.

Il fatto, poi, che l’uomo più bello e sexy che avessi mai visto dormisse saldamente ancorato a me e il desiderio di andare oltre a baci e contatti si stesse radicando in me ogni giorno più forte, non mi avrebbero aiutato nella voglia di lavorare. Ero quasi sul punto di rinunciare e chiamare Angela con una scusa, quando il mio telefono squillò, svegliando anche Edward che  mi chiese chi era che rompeva di sabato mattina, con una simpatica smorfia sul viso.

Quando risposi la voce della signora Cope, la segretaria della preside mi lasciò alquanto stupita e ancora di più mi stupì il fatto che quest’ultima avesse bisogno di parlarmi.

« Devi proprio andare? » mi chiese appoggiandosi su un gomito e guardandomi mentre raccoglievo i miei abiti e mi recavo in bagno.

« Già, la Whitmore deve parlare con me, anche se ….» poi pensai…che stupida! Qualche settimana prima le avevo detto che me ne sarei andata lasciando il mio incarico al dormitorio e poi erano successe tante cose che non avevo pensato…..forse si sarebbe arrabbiata perché non l’avevo informata del mio cambio di programma o magari avrebbe voluto sapere il perché. In ogni caso la conversazione sarebbe stata lievemente imbarazzante, più che altro perché con quel mio gesto impulsivo e abbastanza stupido, le avevo probabilmente dimostrato di non essere una persona molto coerente nelle mie decisioni.

Forse avrei potuto trovare la scusa che erano stati giorni difficili dal punto di vista fisico. Forse non avrei fatto la parte della squilibrata.

Con poca convinzione mi preparai e salutai Edward con un bacio, ricordandogli che ci saremmo potuti vedere a pranzo.

« Ti aspetterò nel mio appartamento, così potrò suonare per te se vorrai…» la sua romantica proposta mi portò a sorridere e ad uscire frettolosamente per recarmi dalla preside, sentire ciò che aveva da dire e andare in biblioteca, per poter tornare giusto in tempo per il pranzo.

Entrai nell’ufficio deserto e attesi di essere chiamata dalla sua segretaria. In realtà pur immaginando ciò che avrebbe voluto dirmi, o meglio sapere da me, mi sentivo inquieta, come se fosse potuto accadere qualcosa di sbagliato.

Mi accomodai nella grande stanza e la osservai intenta a firmare alcune carte dietro alla sua grande scrivania.

« Buongiorno preside» cercai di attirare la sua attenzione.

« Buongiorno professoressa Swan! Si accomodi sarò da le tra un attimo» mi sedetti nella poltrona davanti  a lei e attesi con impazienza.

« Professoressa non ho più avuto sue notizie riguardo all’incarico al dormitorio e visto che alloggia ancora lì ho dedotto che abbia cambiato idea» era come speravo. Nel caos, anche molto piacevole, degli ultimi giorni non avevo pensato ad informarla che avevo ovviamente cambiato idea sul mio trasloco e il fatto che avessi una relazione con il collega con il quale dividevo la responsabilità era stato determinante in questa mia decisione.

In realtà da quando io e Edward stavamo insieme non avevo proprio pensato a quello, anzi ora l’idea che quella mia decisione potesse essere stata una scusa per Jacob per infastidirmi mi mandava in bestia.

« Sì preside, mi scuso di non averla informata, ma non sono stata molto bene negli ultimi giorni e mi ero proprio dimenticata di questo» la vidi fissarmi molto intensamente.

« Non che non ne sia felice, sa quanto io apprezzi il lavoro che fa per l’organizzazione dell’istituto, ma sarei proprio curiosa di sapere cosa le ha fatto cambiare idea…sembrava così determinata…». Perché qualcosa mi diceva che non fosse esattamente questo quello che voleva sapere?

« In realtà era stata un’idea dettata da un momento di grande stanchezza – cercai di inventare – ma ora sto meglio e se non è un problema vorrei rimanere nel mio alloggio e nel mio ruolo…» abbassai lo sguardo, sperando che mi credesse.

«… e questa sua decisione non ha niente a che fare con la voce che corre che lei stia avendo una sorta di relazione clandestina con il professo Cullen, nonché suo collega del dormitorio?» il suo sguardo glaciale, il mio probabilmente sconvolto. Ma come lo aveva saputo? Non ci eravamo mai esposti, anzi era stato proprio uno dei miei dubbi il primo giorno dopo le nostre dichiarazioni. Ma furono le parole che sentii subito dopo che mi lasciarono ancora più basita.

« Le confesso che non mi sarei mai aspettata una cosa del genere da voi? Siete degli ottimi professori, ma ricorda cosa le dissi al nostro primo incontro? L’aspetto etico è fondamentale per noi e voi…..»

Mi sentii punta nel vivo e decisi finalmente di scuotermi dallo stato di défaisance cui mi aveva indotto il discorso della preside:

« Le chiedo scusa, ma intanto non mi sembra che la mia vita privata debba essere di dominio pubblico, specie se questo non influisce sulla mia professionalità… e poi mi è stato detto che alcuni insegnanti sono stati scoperti in atteggiamenti intimi e, mi perdoni, ma al di là di chi  le ha fornito certe informazioni, io e il professor Cullen non abbiamo mai dato adito a illazioni di questo tipo in pubblico» non sapevo proprio che dir,e ma cominciavo ad immaginare chi potesse essere stato. Evidentemente Jake ci aveva visto di fronte alla piscina o nei momenti in cui pensavamo di essere lontani da sguardi indiscreti: oppure aveva notato che ci eravamo riavvicinati e aveva tratto le sue conclusioni. Lo odiavo sempre di più e mi chiedevo dove sarebbe potuto arrivare ancora.

Vidi la preside pensierosa, probabilmente sapeva che nel campus sarebbe potuto accadere anche di peggio e si rendeva conto di chi aveva davanti e di come mi ero sempre comportata, ma quello che disse poi mi fece quasi arrabbiare.

« senta, io la stimo molto…ritengo che, sia lei, che il professor Cullen siate dei professionisti encomiabili e tutte le attività che vi vedono partecipi sono gestite in modo quasi perfetto, ma …io non posso tollerare certi atteggiamenti, dovete essere un esempio per i vostri studenti…»

« Perché, due persone innamorate non sono un bell’esempio per degli studenti? Non facciamo niente di male i nostri sentimenti sono reali, ma questo a lei non deve interessare!» non so come mi era uscita un’affermazione del genere e proprio davanti a lei, ma sentirla toccare il mio amore per Edward ora che lo avevo trovato, no proprio no! E poi diamine!!! Mica facevamo le orge davanti a tutti!!!!

Non potevo credere che sguardi, sorrisi e carezze, perché di più in pubblico non c’era stato ed ero certa che i nostri baci la prima sera di fonte alla piscina non fossero stati visti da nessuno vista l’ora (ovviamente a parte Jake a questo punto), potessero essere considerati atteggiamenti sbagliati.

« Direi che possiamo chiudere il discorso – disse cercando chiaramente di liberarsi da quella scomoda conversazione – ma deve garantirmi che non accadrà più, non posso accettare effusioni in pubblico da persone che non sono unite legalmente….» non le risposi e scossi solamente il capo in senso negativo, abbassando lo sguardo: la salutai ed uscii amareggiata e pensierosa.

E ora? L’avrei detto a Edward? Il rischio era che si arrabbiasse e forse spaccasse anche la faccia a Jake, se come me avesse intuito che aveva parlato di noi. E magari lo avrei anche aiutato!

Mi incamminai verso la biblioteca in preda ai miei pensieri e ai miei interrogativi, entrai, salutai svogliatamente Angela e iniziai il mio lavoro. Ero totalmente immersa nei miei pensieri e stavo ancora metabolizzando il discorso con la preside, quando mi squillò il cellulare.

« Ciao mia bella, ti sei persa? » ero talmente presa da non accorgermi dell’orario e che avevamo appuntamento per pranzo a casa sua.

« Scusa Edward, ma….ci sto impiegando più del previsto » ero confusa, sentirlo mi scaldava il cuore, ma un moto di rabbia mi saliva ripensando alle parole della Withmore. Forse se gli avessi parlato e detto tutto avremmo trovato una soluzione insieme. Sì, dopo tanti silenzi che avevano creato solo guai, la sincerità, anche su cose banali della vita, sarebbe stata la cosa migliore.

« Bella amore stai bene? » no, in quel momento non del tutto, ma non per colpa sua.

« Ed ti devo dire una cosa….»

« Vieni  a casa ok? Mi stai preoccupando»

« No Edward, non posso lasciare qui, ma non è nulla di grave, è solo che….non hai idea di ciò che mi ha detto la preside! sono quasi allibita» un sorriso che assomigliava più ad un ghigno si disegnò sul mio volto. Mi appartai e gli dissi tutto sulla nostra conversazione, ottenendo da lui una risata incredula e un “ma dici sul serio?”. Ma poi come al solito mi stupì:

« E tu dai molto peso a quello che ha detto? Io ti amo Bella e non abbiamo fatto nulla di male e a dir la verità non abbiamo proprio fatto nulla – sorrise ironico – e non mi vergognerò mai per i miei sentimenti» come al solito sapeva sminuire anche quelle cose che mi facevano pensare un po’ troppo.

Avevamo vissuto due vite difficili, ed entrambi eravamo scappati cercando lontano una nuova vita, ma a differenza di me lui riusciva a trovare il positivo e a non lasciarsi sopraffare anche dalle cose più sciocche, come invece ancora facevo io. Dannata insicurezza!

Comunque la sua telefonata mi aveva sollevata dai miei pensieri, lo salutai con un “ti amo” sottovoce e tornai al mio lavoro, scusandomi per non poter essere a pranzo con lui, ma promettendogli che sarei andata appena finito lì.

Non so quanto tempo passai su quelle carte e computer, ma probabilmente dopo un paio di ore il mio cervello richiese uno stand by: dissi ad Angela che sarei uscita a prendere una boccata d’aria, per poi terminare.

Mi affacciai alla porta della biblioteca nel cortile centrale del campus, dove il via vai di studenti e insegnanti era notevole visto l’orario e il periodo denso di impegni scolastici: stavo pensando e ripensando al discorso della preside e a quanto fosse ipocrita da parte sua insabbiare eventuali problemi all’interno del campus, prendere informazioni di nascosto sui suoi collaboratori e poi non accettare un sentimento vero tra due persone, solo perché colleghi, che comunque mantenevano sempre un atteggiamento rispettoso.

Ero persa tra questi pensieri, tanto da non vedere Edward dall’altra parte del cortile, venire verso di me con un passo molto deciso ed uno sguardo tremendamente sicuro di sé, ma nello stesso tempo malizioso.

Quando fu a pochi passi si aprì in uno splendido sorriso e non feci in tempo a salutarlo in modo composto che si tuffò su di me, stringendomi e baciandomi come poche volte aveva fatto e solo in privato.

Le sue mani furono alla base della mia schiena, le sentivo aperte che tentavano di osare più di quello che avrebbero dovuto visto il luogo e la marea di persone che sicuramente ci stavano guardando.

Forse avrei dovuto fermarlo, fargli capire che non era il caso, ma poi intuii. Lo stava facendo apposta per dimostrare che tutto quello che avevamo ottenuto con gioia e dolore era nostro, ne era valsa la pena e non ci saremmo mai nascosti per qualcosa che non aveva nulla di clandestino. Staccò le sue labbra dalle mie e mi guardò in modo talmente profondo da non lasciare dubbi.

« Ti amo Isabella Swan». Lo sentii pronunciare quelle due parole in modo serio e profondo.

Strinsi le mie braccia al suo collo e ricambiai con tutto l’amore che potevo.

Le nostre bocche si sfiorarono poi lo sentii lasciarmi dei leggeri baci su tutto il bordo delle labbra, fece entrare in contatto la sua lingua con la mia iniziando la danza più dolce che avessi mai provato, coadiuvata dai battiti del mio cuore che mai in tutta la mia vita erano stati più forti per un uomo.

Il suo respiro su di me, il suo sapore sulle mie labbra cancellarono in un attimo tutti i miei dubbi se fosse  o no il caso di far vedere a tutti la nostra relazione. Ma la verità era che io lo adoravo, lo amavo e che ero certa che ci appartenessimo come mai era avvenuto in vita nostra.

Una marea di fischi e applausi ci circondarono costringendoci a interrompere quel momento solo nostro: facendo sprofondare me nella vergogna  e illuminando un il suo viso con un sorriso di compiacimento.

Lo guardai e sorrisi a mia volta:

« E ora passeremo un bel guaio» la mia fu più che altro un’affermazione ironica, in realtà in quella circostanza e tra le sue braccia non mi importava delle voci che sarebbero giunte alla preside e cosa avrebbe deciso di fare. Ma ancora di più mi stupì la sua affermazione:

« Direi proprio di no…più ufficiale di così!!!!» ridemmo entrambi di gusto ignorando il mondo intorno a noi. In quel momento, anche se tutti sapevano, eravamo solo lui e io. Ed era perfetto così.

 

 

 

 

 

 note: ok ce l'ho fatta!! mi scuso con tutte voi per il ritardo, ma purtroppo un periodo che mi avrebbe dovuto permettere di rilassarmi e pensare anche alla storia, si è rivelato inconcludente e pieno di problemi. Alcune parti di questo capitolo mi convincono poco, altre mi piacciono, lascio a voi un giudizio più equilibrato. Augurandovi Buon anno, vi saluto, vi ringrazio e .....alla prossima

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** “Interruzioni: prima parte” ***


Capitolo 51

“Interruzioni: prima parte”

 

Il week end era stato a dir poco splendido.

Dal suo bacio in pubblico Edward era stato estremamente romantico con me. Gli avevo chiesto il perché di quel gesto davanti a mezzo campus e lui mi aveva raccontato di essersi recato dalla preside subito dopo la mia telefonata e di aver chiarito che ciò che c’era fra di noi non le sarebbe dovuto riguardare. Sapevo, dal tono che aveva usato, che si era fatto valere, anche a costo di un richiamo per l’eccessiva libertà. E poi aveva aggiunto che la storia fra me e lui non sarebbe stato motivo di scandalo e pettegolezzi, perché io ero una cosa seria e da quel momento ci avrebbe dovuto considerare una coppia, come la professoressa Weber e il professor Kinsley.

Rimasi alquanto stupita, non per il modo in cui si era rivolto alla preside, ma per il fatto che le avesse fatto capire di voler stabilire una relazione con me come se fossimo sposati.

Quando mi soffermai sul suo discorso non potei che sentirmi, per la prima volta da tempo, felice. Forse qualcun’altro nella mia situazione si sarebbe sentito costretto in una relazione un po’ troppo impegnativa, soprattutto per il fatto che stavamo insieme veramente da poco.

Ma io no, ero serena: il sentimento che mi legava a lui era veramente qualcosa ti tanto profondo da poter essere un pensiero “per il resto della vita”.

L’unica cosa che ora mancava tra noi era il legame fisico…….mi riscossi momentaneamente dai miei pensieri: certo che averlo accanto, che mi abbracciava e mi baciava, con quei suoi occhi e quel suo profumo, mi portava a desiderarlo sempre di più. Ma sapevo che alla fine avrebbe deciso lui anche “quello”, aveva troppa premura per me e quel suo “ho intenzione di corteggiarla come si deve signorina Swan” la diceva lunga.

E proprio questo stava accadendo, mi stava corteggiando, si preoccupava di starmi accanto cercando di mantenere un contatto con me e non perdeva occasione di prodigarsi in gesti che potevano quasi essere anacronistici.

Sabato pomeriggio dopo il nostro bacio pubblico avevamo passeggiato nell’aria gelida del parco, tenendoci per mano e programmando una cena per mercoledì sera e un weekend a Londra per la settimana successiva.

Speravo veramente che lontano da lì nel suo splendido appartamento si sarebbe potuta ricreare l’atmosfera di qualche settimana prima e saremmo finalmente potuti stare insieme, completamente. Mi trovavo a fantasticare un po’ troppo spesso e questo mi portava a sembrare una cerebrolesa persa completamente in fantasie sul mio Edward.

Mio? Beh, sicuramente ora più di altre volte potevo definirlo “mio” e questo mi rendeva tremendamente raggiante. Sentimento coadiuvato da una sorella impicciona che finalmente mercoledì sera, dopo decine di telefonate a vuoto a causa dei suoi e dei nostri impegni, aveva chiamato urlando, furiosa perché non era stata la prima a sapere di noi.

Fu meraviglioso il sorriso di Edward quando tentò di giustificarsi, invano, visto l’evidente sproloquiare all’altro capo del telefono, chiaramente udibile visto l’alto tono di voce. La cosa più divertente fu quando rassegnato nell’impossibilità di ribattere ad Alice mi aveva passato il telefono, sperando che riuscissi a sopraffarla.

E così avevo fatto: l’avevo “acquietata” dicendole che era accaduto tutto in fretta e avevamo creduto opportuno pensare prima di tutto a noi. A quelle parole Alice si era tranquillizzata, aveva detto che era stata Rosalie a confessarle di noi e non potei non trattenere un sorriso nel vedere la smorfia di Edward che, guardando il cielo, stava chiaramente meditando come far pagare ad entrambe le sorelle la loro totale assenza di privacy.

In realtà Alice era molto felice per noi: « Sapevo che sarebbe stata solo questione di tempo», già, magari fosse stato così anche per me, avrei risparmiato un sacco di grane a tutti!

Fu Edward a chiudere rapidamente la telefonata, ma Alice, mi fece promettere di chiamarla per raccontarle tutti i dettagli, quando quel “cavernicolo” di suo fratello non ci avrebbe potuto interrompere.

Non potei fare a meno di ridere a questa sua splendida esuberanza.

E quando giovedì sera ci ritrovammo nel mio appartamento sul divano a chiacchierare come avevamo fatto decine di altre volte, pensai di azzardare, per capire se anche lui provava per me sentimenti e desideri così devastanti e quante speranze avrei avuto di farlo soprassedere dai suoi pazienti propositi di “approfondire” il nostro legame con estrema calma.

Per carità! Non che non adorassi il suo romanticismo, le sue premure o i suoi giochi di seduzione, ma proprio cominciavo a non poter più fare a meno di un contatto più intimo con lui.

Eravamo sul divano dopo aver lavorato ad alcuni moduli: Edward aveva gentilmente acceso il camino e istintivamente, dopo che si era seduto mi ero recata in cucina a prendere due bicchieri di vino e a spegnere le luci, per creare un’atmosfera più romantica.

In realtà non provavo a sedurre un uomo da parecchio, mi sentivo alquanto arrugginita e in più con lui tutto era più difficile; bastava un suo sguardo e una sua carezza per destabilizzarmi.

Mi inginocchiai sul divano di fianco a lui, porgendogli il bicchiere e iniziando a fissarlo. In realtà il più delle volte il mio non era un gesto voluto, il suo viso era una calamita. Non potei fare a meno di far scorrere i miei occhi dai suoi alle sue labbra, che chiamavano le mie in modo irresistibile. Alzai istintivamente una mano per andare a spostare una ciocca dei suoi capelli, sfuggita ad ogni ordine e i nostri sguardi si intrecciarono.

Così, senza pensare ad una tattica precisa, mi fiondai sulla sua bocca, come se da essa dipendesse il mio ossigeno e ben presto lo sentii ricambiare il bacio in un modo quasi unico: forse stava cedendo e anche lui sentiva le necessità che provavo anche io.

Purtroppo non avevo fatto i conti con la mia maestria nel combinare danni, anche nei momenti meno opportuni e nel tentativo di avvicinarmi ulteriormente, versai il vino dal mio bicchiere facendolo sobbalzare, ma cosa peggiore rompendo il contatto tra noi: che seduttrice capace!

Sorridemmo entrambi per quell’inopportuna interruzione, ma mentalmente mi stavo maledicendo. Quando cercai di riavvicinarmi, l’interruzione venne questa volta dalla sua voce calda e morbida :

« Bella cosa fai?»

Oh, cerco di sedurti amore mio!

Non lo avrei mai potuto dire, lo pensai solamente, ma vergognandomi di questa mia audacia. Era ridicolo, avevo trent’ anni e non riuscivo a saltare addosso ad un uomo.

Forse cercavo di giustificarmi, vuoi perché lo consideravo diverso dagli altri. Troppo bello, troppo perfetto, troppo romantico: e poi anche perché erano due anni che non stavo con un uomo, in vita mia avevo avuto solo due “esperienze” ed ero sempre stata molto monogama.

Questo non aiutava certo nell’arte della seduzione.

Quando la seconda volta respinse lui il mio “attacco”, mi ritirai un po’sconsolata e abbassai lo sguardo: forse il mio desiderio non era completamente contraccambiato. Mi sarei quasi messa a piangere, ma fu lui a chiamarmi:

« Bella, guardami» un sospiro mi uscì dalle labbra e il mio sguardo doveva rispecchiare la mia tristezza.

« Bella, credo che tu non abbia proprio capito…» mi sollevò il volto per poterlo guardare.

« Pensi che io non ti voglia? Dimmi la verità» non potei rispondere con la voce e mi limitai ad annuire, in quel momento non riuscivo proprio a guardarlo negli occhi.

« Guardami, ti prego, non negarmi i tuoi splendidi occhi…» a quel punto mi uscii un leggero sorriso,

« Io credo di desiderarti come niente altro nella vita…» il mio respiro accelerò, il cuore palpitava sempre più forte, « quando mi sei vicino ogni terminazione nervosa scatta e devo fare uno sforzo assurdo per non prenderti in qualsiasi situazione….» la mia faccia doveva essere quasi sconvolta e il sorriso divenne sempre più grande.

« Però mi rendo conto che hai avuto giorni difficili e che per quanto tu non voglia darlo a vedere sei stata molto male, hai mangiato poco, hai preso dei farmaci che avrebbero steso un cavallo e hai bisogno di riprenderti ...» in quel momento mi sentii una merda ad aver pensato che non mi volesse. Era solo troppo premuroso nei miei confronti « …e so che in questo stato il tuo fisico non reggerebbe e potresti anche svenirmi tra le braccia mentre….», okey era ufficiale, ora ero probabilmente bordò e mi portai le mani alla faccia per nascondere il mio imbarazzo.

La sua risata cristallina e le sue mani sulle mie nel tentativo di scostarmele dal viso mi ridestarono: scossi la testa mi avvicinai di nuovo a lui: « io ti amo, lo sai? E tu mi destabilizzi totalmente e hai ragione….potrei svenirti fra le braccia, non solo perché sto male, ma perché non ti rendi conto dell’effetto che mi fai» non so con quale coraggio riuscii a dire certe parole, io che per mesi mi ero vergognata anche solo al pensiero di aver provato per quest’uomo qualcosa in più di un’amicizia.

« Penso di sapere l’effetto che ti faccio, sento i brividi attraverso il tuo corpo e posso assicurarti che è così anche per me» disse accarezzandomi con i polpastrelli il profilo della mandibola e stringendomi con dolcezza:  ci limitammo così a baci e carezze fino all’ora di salutarsi per andare a dormire e proseguire nella settimana lavorativa.

 

I giorni successivi passarono tranquilli. Mi capitava spesso di sentirmi gli occhi addosso, ma probabilmente era solo il mio innato senso di vergogna per non desiderare di essere al centro dell’attenzione.

Io e Edward non nascondevamo ormai più la nostra relazione, sempre rimanendo nei limiti della professionalità in pubblico. Ci recavamo mano nella mano a scuola e non disdegnavamo dolci baci di saluto al sicuro tra le mura delle nostre aule. Il fatto che la preside e quasi tutto il campus fosse al corrente della nostra relazione, ormai definita seria non solo da noi, non ci autorizzava ad avere atteggiamenti esagerati. Invece in privato……stare vicini, e limitarsi a baci e carezze divenne sempre più difficile.

Non perché la cosa non mi piacesse…anzi! In realtà la nostra abitudine serale di rimanere stretti sul mio o suo divano, abbracciati quasi come fossimo una cosa sola, tra baci carezze, sguardi, era sempre più una mina al mio autocontrollo.

In fondo iniziavo a stare veramente bene: a poco più di una settimana dall’inizio della mia “disintossicazione” mentale e fisica tutti i fastidiosi effetti collaterali dei farmaci che avevo preso negli ultimi tempi erano notevolmente diminuiti. Avevo ancora poco appetito e qualche giramento di testa, e questo era spesso motivo di ansia per Edward che sembrava volermi proteggere dal mondo intero. In fondo mi ero resa conto che la sua vicinanza e il suo amore erano stati il farmaco migliore e non avrei mai immaginato che in così poco tempo sarei potuta stare così bene.

In quei giorni mi ero ritrovata a fantasticare nei momenti di tranquillità e il sorriso perennemente stampato sulla mi faccia come un ebete non avrebbe dato adito a dubbi sui miei pensieri.

« Un penny per i tuoi pensieri» una dolce voce al mio orecchio e un tenero bacio nella porzione di pelle dietro ad esso, scoperto dai capelli raccolti disordinatamente, mi ridestarono dall’ennesimo viaggio pindarico di quella mattina.

Mi trovavo nella mia aula in un’ora buca e mi ero persa nella correzione di alcuni elaborati e tra un test e l’altro stavo ripensando alla sera prima. Alle sue mani che dolci accarezzavano le mie gambe sulle sue, le mie braccia avvolte al suo collo che avvicinavano i nostri volti impegnati in teneri baci. E i suoi occhi che mi fissavano, la sua voce che mi sussurrava “ti amo” senza mai perdere il contatto visivo con le mie labbra. E come si faceva a non perdersi in delle sensazioni così!

« Sto solo pensando a quanto sto bene e a quanto sono stata felice in quest’ultimo periodo» dissi voltandomi leggermente verso di lui che, posizionato chino dietro alla mia sedia, cominciava a lasciare un lieve sospiro sul mio collo. Quando rialzai lo sguardo mi baciò lievemente e io non potei fare a meno di approfondire, in fondo eravamo soli. Lui proteso verso di me, io girata quasi completamente indietro per consentirgli di approfondire quel bacio.

« Stasera e domani non ci sarò» mi informò « devo andare a Londra per sistemare alcune cose nell’appartamento, perché la signora Spencer è stata ammalata e non ha potuto occuparsene: così ho preso qualche ora di permesso». Giusto! Il weekend! lo avremmo trascorso nel suo appartamento e in realtà non vedevo l’ora.

« E quando tornerai?» dissi un po’ delusa di non poterlo vedere.

« La mia ultima ora di lezione è alle dieci, vorrei partire subito dopo per poter rientrare domani nel pomeriggio, sempre che non ci siano intoppi: pensi di farcela a resistere senza di me?» chiese sorridente mentre mi alzavo dalla sedia e cingevo le mie braccia al suo collo. Presi un profondo respiro come a bearmi del suo profumo: « sarà molto dura non vederti per un giorno intero» ribattei con un sorriso malizioso sulle labbra.

« Conto di rifarmi nel weekend, non lasciandoti nemmeno per un minuto» e mentre me lo diceva fece scorrere leggermente le sue dita sull’arco della schiena, come se stesse suonando la tastiera del pianoforte. Cercai di non perdermi nei brividi che quel tocco mi stava trasmettendo.

Mamma mia ma era una mia sensazione o la temperatura si stava alzando lì dentro? Poi un’idea mi balenò:

« Senti, perché domani sera non ceniamo in paese, magari nel pub dove lavora Rose? Potremmo andare al tuo ritorno, è da tanto che non usciamo»

« Sarebbe un’idea splendida, ma non al pub. Conosco un locale molto carino e abbastanza vicino. Ne approfitterò per prenotare».

Non potei fare altro che rispondergli “magnifico” e ci avviammo insieme all’aula professori per ritirare alcuni documenti. Era da quando mi conosceva che frequentava maggiormente i luoghi più pubblici e da un lato questo mi faceva piacere: la mia presenza lo aveva portato ad uscire dalla sua bolla di solitudine e a far emergere il carattere di una persona meravigliosa.

Appena entrato nella sala mi salutò congedandosi con un tenero bacio sulle labbra, noncurante della presenza di alcuni colleghi e io seppur fossi in leggero imbarazzo, quando mi ritrovavo con le sue labbra a contatto con le mie non resistevo e il desiderio di non staccarsi mai era veramente forte: a maggior ragione visto che non saremmo stati insieme fino all’indomani.

« Ci vediamo domani sera allora, ma stasera ti chiamo» mi sussurrò « mi manchi già da morire»

E si allontanò lasciando il mio sguardo solo quando ormai le porte ci avrebbero impedito un contatto.

Avrei approfittato di quella sera da “single” per andare in piscina, mi sentivo veramente bene e mi sarei rilassata e distratta: anche perché non sarebbe stato facile passare tutte quelle ore senza vederlo, stringerlo e baciarlo. In fondo gli ultimi giorni erano passati quasi in simbiosi! Sarebbe stata dura!

Probabilmente la nostra lunga telefonata serale aiutò quelle ore di separazione, almeno per me.

Ma per fortuna anche il martedì mattina arrivò: certo non avevo riposato al meglio senza il suo corpo caldo a fianco al mio, ma me lo ero già detto. Non potevamo passare ogni singolo istante insieme. Dovevamo avere tempo anche per noi stessi e io dovevo imparare a risorgere, sì, con lui accanto,  ma principalmente con  le mie forze.

Avevo svolto le mie lezioni al mattino e risposto a più messaggi di Edward che si prodigava nel descrivermi quello che aveva organizzato per il nostro weekend. Stavo fremendo dalla voglia di rivederlo e non vedevo l’ora di essere a Londra venerdì sera. Però prima di tutto mi sarei goduta quella serata a cena fuori con lui e intendevo presentarmi al meglio anche se sapevo che non saremmo andati in un ristorante estremamente lussuoso: era per lui che volevo essere al meglio. Perché mi piaceva vedere il suo sguardo puntato su di me.

Ero rientrata in fretta e furia nel mio appartamento al termine delle lezioni, ma mi ero resa conto solo verso le diciassette di aver dimenticato il telefono in sala professori. Mi incamminai serena, fantasticando come ero solita fare nell’ultimi tempi, quando una voce nota e fastidiosa alle mie spalle mi ridestò dai miei pensieri:

« Allora è proprio ufficiale, tu e Cullen?» mi voltai desiderosa di allontanarmi alla velocità della luce dall’ultima persona che avrei voluto vedere.

« Come mai non lo vedo al tuo fianco? Il tuo cavaliere oggi ti ha abbandonato, strano perché di solito è attaccato a te come una cozza» lo sguardo di Jacob Black era perfido, arrogante e trasudava una marea di emozioni negative che quasi mi spaventarono.

« Direi che negli ultimi giorni avete dato un bello spettacolo, ma non avrete fatto il passo più lungo della gamba ad esporvi così? Non vorrei che poi capitasse come a Natale» lui aveva capito ciò che era successo fra noi, in fondo sarebbe bastato tenerci d’occhio un po’. Ora lo sguardo era diventato un ghigno e gli avrei dato volentieri un pugno se non fossi stata certa di rompermi una mano e trattenni a stento una serie di insulti che avrei voluto lanciargli. Non avrei voluto rispondergli per non aizzarlo, ma non ci riuscii.

« Non sono affari tuoi Black, direi che negli ultimi giorni non hai avuto molti altri interessi, visto quanto ti sei preoccupato di noi»

Vidi il suo sguardo leggermente stupito: « a cosa ti riferisci?»

« So che sei stato tu a dire della preside di me e Edward, non so come o quanto tu ci abbia seguiti, ma non può essere stato nessun altro. Il problema è che non hai ottenuto l’effetto sperato»

« E quale sarebbe stato?»

« Forse quello di farci allontanare o peggio di far cacciare uno dei due»

Un lieve sorriso si dipinse sul suo volto. « Non hai prove che sia stato io»

« Non sono stupida ……e gradirei mi lasciassi in pace una volta per tutte»

« E così gliele hai perdonate tutte eh?»

« Io non avevo nulla da perdonare a nessuno: il suo passato, come il mio, per quanto dolorosi rimarranno tali e non avranno nulla a che fare con il nostro futuro» lo dissi, ma per un attimo non lo pensai veramente: era stato il mio passato a portarmi lì, ma era anche quello che mi aveva condizionato nell’avvicinarmi a Edward.

« Ma siete proprio sicuri di esservi chiariti in tutto? Sai alla fine molte cose non dette possono creare incomprensioni e rotture…» in quel momento nei suoi occhi vidi il riflesso del padre quando a La Push aveva cercato di instillarmi il dubbio sulle cattive intenzioni di Edward nei confronti della sua famiglia, ma questa volta non abboccai.

« Sai che c’è di nuovo Jacob? Che nulla di quello che potrai dire contro Ed in questo momento cambierà il sentimento che provo per lui» per un attimo lo lasciai interdetto. Non capivo: il rancore, il dolore per ciò che era avvenuto ci stavano, ma non era possibile vivere la propria vita in funzione della rovina di quella di qualcun altro.

« Allora credi di essere proprio innamorata?»

« Non lo credo, lo sono e per quanto tu possa dire o farmi credere so che è così anche per lui» ero certa di quello che dicevo, ero sicura ora dei sentimenti che provavamo l’uno per l’altra.

« Beh, allora auguri – un sorriso ancora più falso gli si dipinse sul volto – e figli maschi…ah no dimenticavo….Edward non vorrà mai figli, ha buttato all’aria entrambe le sue occasioni!» non capii proprio a cosa si riferiva, ma sapevo che tutto ciò che avrebbe detto di lì a pochi minuti sarebbe stato solo veleno contro di noi. Purtroppo la mia espressione fu probabilmente uno stimolo per continuare la sua arringa.

« Dalla tua faccia deduco che allora non ti abbia detto tutto… » cercai di proteggermi dalle sue insinuazioni ignorandolo e interrompendo la conversazione, ma non servì.

« Forse non ti ha detto che ha costretto sia Leah che Tanya interrompere le loro gravidanze, perché non voleva saperne di avere figli che avrebbero interrotto la sua carriera» in quel momento probabilmente sbiancai…..ero pronta a tutte le cattiverei contro di noi…ma non ad una così. Far riemergere di nuovo quella storia. Non avrei dovuto permetterglielo, ma non riuscii e un moto di angoscia a quelle parole mi percosse.

Sapevo…ero certa che non fosse avvenuto nulla di simile, ma fu quasi peggio il pensiero che Edward avesse potuto avere due figli che forse mi sconvolgeva di più. Sgranai leggermente gli occhi e accelerai il respiro, ma cercai comunque di non dargli la soddisfazione di credergli completamente.

Nonostante o forse a causa del mio silenzio si sentì in dovere di continuare : « già è sempre stata una persona egoista che ha pensato solo a se stesso e non ha mai voluto intralci» e fu probabilmente qui che Black giocò male le sue carte: Edward aveva sacrificato tutto pur di sistemare le cose e non avrebbe mai preso una decisione di questo genere.

Se mi fosse stata fatta una rivelazione di questo genere qualche settimana prima sarei crollata tra dubbi  e incertezze. Ora ero certa che non poteva essere andata così: Edward me lo avrebbe detto. Cercai comunque di non ribattere per non dargli motivo di continuare. Mi limitai a fissarlo e a rispondergli cercando di fra trasparire una calma apparente che in realtà non avevo: « Sei arrivato tardi..niente di quello che puoi dire cambierà la mia opinione: io lo amo e vorrei che mi lasciassi in pace» e feci per andarmene, quando la sua ultima affermazione mi bloccò distruggendomi:

« E tu sei stata sincera con lui?» lo guardai sospettosa, « o non gli hai detto delle scelte che hai fatto tu?….beh in fondo siete più simili di quello che potevo pensare» non capii subito a cosa si riferiva ma poi mi venne il sospetto:

« Di cosa parli?»

« Della tua gravidanza interrotta, Bella» e lui come lo sapeva?

« Ma, come…..» poi ricordai le parole di Edward dei primi giorni: la preside raccoglieva informazioni sui suoi dipendenti, ma come ci era arrivato Jacob Black?

« Hai frugato nei miei fascicoli personali?»

« No, mi è solo capitato tra le mani quello sulla psicoterapia che hai affrontato due anni fa, sai non l’ho letto ma  mi è caduto l’occhio……aborto volontario…siete proprio della stessa pasta, ecco perché andate così d’accordo».

In quel momento una fitta al torace mi impedì di ribattere: la sensazione che da qualche giorno, grazie al nostro amore, era sopita si ripresentò potente: dolore, senso di colpa, angoscia. Il respiro mi si bloccò e non riuscii a mascherare il mio disturbo.

« Allora ho colpito nel vivo….non gli hai detto nulla….chissà come la prenderà?» la sua strategia era chiara: non potendo più cambiare i miei sentimenti per lui stava cercando di mettere me in condizione di aver paura.

« Tu non sai nulla…nulla….mi devi lasciare in pace hai capito!» la rabbia mista al dolore in quel momento furono l’unica cosa che mi diede la forza di rispondergli. Il groppo alla gola si fece sempre più forte: dovevo allontanarmi di lì prima di crollare.

Indietreggiai senza distogliere lo sguardo dalla sua espressione di soddisfazione per aver nuovamente creato problemi, cominciavo a vederlo offuscato perché le lacrime lambivano i miei occhi. Edward aveva veramente avuto la possibilità di diventare padre due volte? E come avrebbe preso la mia verità, visto che avrebbe potuto cambiare il nostro rapporto. Continuai ad annaspare in cerca di aria allontanandomi.

« Sei un bastardo!» e feci per voltarmi quando mi scontrai con qualcosa.

« Bella, che succede?» Edward era lì dietro di me, mi teneva per le spalle e mi guardava con aria sconvolta: non sapevo a quanto della conversazione avesse assistito. Mi terrorizzava l’idea che potesse aver sentito la parte che mi riguardava, visto che io non avevo avuto il coraggio di dirgliela. Mi fissò prendendo il viso con le mani e capì: lo vidi voltarsi verso Black infuriato:

« Che cazzo le hai detto questa volta, cosa le hai fatto per ridurla così?» stava urlando e si allontanò leggermente da me per affrontarlo.

« Niente, solo la verità» capii che avrei dovuto fermare Edward, ma non ci riuscii, mi allontanai ancora di più, singhiozzando. Avevo ricevuto troppe informazioni per rimanere lucida.

Quando si accorse che mi stavo allontanando mi chiamò, bloccandomi con la sua calda mano sul mio polso.

« Bella fermati, va tutto bene».

Mossi la testa in senso negativo, niente andava bene. Lui aveva avuto la possibilità di diventare padre due volte e forse a quello che diceva Black l’aveva buttata via…e io avevo fatto delle scelte che mi aveva portato alla stessa cosa….ero sconvolta in quel momento e non razionalizzavo. Istintivamente  mi girai ed iniziai a correre lasciandoli lì probabilmente a discutere perché la voce alterata di Edward mi rimbombava nelle orecchie.

Raggiunsi velocemente il muro del mio dormitorio, vi appoggiai una mano ed abbassai la testa come a cercare di riprendere fiato: le lacrime intanto iniziarono a sgorgare dai miei cocchi.

Non era giusto: ora che stavo bene, che avevo finalmente Edward con me, il dolore per le mie scelte e a questo punto forse anche le sue, minava nuovamente il mio fragile equilibrio.

Non feci in tempo a gettare la spugna che la voce di Edward e il suo corpo furono accanto a me e mi strinsero in una morsa dalla quale tentai di liberarmi. Mi ritrassi istintivamente dicendogli di lasciarmi andare:

« Neanche per sogno! Ho sentito tutto. Tu non gli crederai vero? Dopo tutto quello che ci siamo detti» ero combattuta : la parte razionale di me diceva di credergli, che lui non avrebbe mai fatto certe cose.

« Non lo so», ma come mi era venuta questa affermazione?

« Bella guardami….come non lo sai? Non crederai che io abbia costretto Leah e Tanya ad abortire vero? Come puoi anche solo pensarlo?» urlò, era arrabbiato e aveva ragione. Gli credevo, ma ero rimasta comunque sconvolta da tutta la situazione. Feci nuovamente il gesto di andarmene, ma mi bloccò per le spalle:« Fermati, non farlo di nuovo»

« Cosa?» riuscii a dire tra le lacrime

« Scappare… di nuovo. Sono qui, possiamo dirci tutto » Il suo tono si addolcì.

Come avevo potuto anche solo dubitare? Forse volevo affievolire il mio senso di colpa per le decisioni che avevo preso, ma non riuscii a tenere in piedi oltre la mia barriera e scoppiai a piangere, accasciandomi sul suo petto che mi trasmetteva sempre forza e sicurezza. In un attimo le sue braccia mi strinsero con decisione e le mani iniziarono ad accarezzarmi i capelli.

Che cosa mi stava facendo stare veramente male? Il fatto che non mi avesse detto di una gravidanza di Tanya? L’affermazione di Jacob su ciò che Edward aveva fatto o più probabilmente l’idea che lui sarebbe potuto diventare padre per ben due volte e io non avrei mai potuto dargli quella opportunità?

In quel momento una marea di domande si profilarono nella mia mente. Non riuscii più a formulare un pensiero coerente: ero talmente nel pallone da non rendermi conto che Edward mi aveva condotto, senza mai lasciarmi, dentro al nostro fabbricato e al mio appartamento.

« Bella siediti, ho paura tu possa svenire» la sua voce calda e preoccupata mi ridestò e mi sedetti sul divano senza smettere di singhiozzare. Vidi Edward recarsi in cucina  e ritornare dopo poco con un bicchiere d’acqua:

« Tieni, devi cercare di tranquillizzarti, io quel bastardo lo ammazzo…» gli sentii sussurrare tra i denti mentre me lo porgeva. Forse il fatto che mi fossi fatta prendere dal panico in presenza di Black e poi fossi fuggita era stato un bene: se fossi rimasta nel cortile questa volta lo avrebbe veramente ucciso.

« Ti prego Bella dimmi che non hai creduto a quello che ha detto?» lo vidi abbassare lo sguardo e prendere un respiro profondo. Riuscii a calmarmi leggermente e portandogli due dita sotto al mento lo costrinsi a guardarmi negli occhi:

« E’ vero? » chiesi

« Cosa?» «Che anche Tanya era incinta e che tu…..»

« E’questo che credi???» la voce nuovamente alterata

« No!!! – gridai, per poi calmarmi – è solo che vorrei sapere…»

Lo vidi fissarmi intensamente, deciso  e per nulla intimorito per quello che stava per dirmi: « quello che ti ho detto di Leah è la verità: era incinta e lo ha perso spontaneamente…»

« E Tanya?» chiesi con timore.

« Ti giuro, non sapevo che fosse incinta, ma lei non ha voluto sentire ragioni. Era convinta che senza il bambino ci sarebbero state speranze fra noi, ma io le dissi subito che non avrebbe dovuto lasciare Jake per me, perché fra noi non ci sarebbe mai potuto essere nulla, bambino o meno. Noi non eravamo nulla, era stato solo un errore. Ma lei ha preso la sua decisione, senza consultare nessuno e ha distrutto la vita di tutti».

Non so perché, ma in quel momento misi da parte l’invidia e il rancore che provavo per quelle donne che avevano avuto la possibilità di dare un figlio a Edward e avevano buttato tutto per la loro arroganza e stupidità e mi preoccupai di lui.

« E tu come ti sei sentito….prima Leah, poi Tanya….»

« Sono stato male per ciò che è accaduto a Leah, ma te l’ho detto, è stato un caso, ma Tanya… ha preso una decisione……devastando anche la vita di Jake».

Ero perplessa del fatto che si preoccupasse per lui: « Perché?»

Edward mi guardò come se solo in quel momento avesse compreso di cosa parlavamo : « Bella, il bambino di Tanya era di Jake» sgranai gli occhi.

« Jake ha detto che…»

« Quella sera….beh hai capito dai…. – non era felice di parlarne e lo potevo capire – Tanya era già incinta, ma io non lo sapevo e nemmeno lui» il mio sguardo fu piuttosto dubbioso, « ha deciso di interrompere la gravidanza due giorni dopo essere stata con me ed era già di tre mesi, non so se Jake abbia mai saputo la verità o abbia solo preferito credere quello che voleva».

Ero seriamente sconvolta per la crudeltà che certe persone dimostravano nelle scelte della vita e soprattutto l’egoismo che queste scelte mettevano in luce.

« Bella, quello che ha detto Jake?.....» aveva ascoltato le sue parole e ora probabilmente avrebbe preteso delle spiegazioni. In fondo non potevo continuare ad omettergli una parte così importante della mia vita.

« Quello che hai sentito è vero Edward, ma non è andata come credi» tremavo all’idea che non volesse ascoltare le mie spiegazioni, ma giudicasse con l’istinto: non avevo fatto i conti con la persona meravigliosa che avevo di fronte.

« E allora raccontami tutto, non voglio che tu abbia segreti con me» e un tenero sorriso si dipinse sul suo volto. Mi rannicchiai su me stessa appoggiandomi allo schienale del divano e lui si sistemò accanto a me, con un braccio sopra alla mia testa e l’altro a cingermi i fianchi come a volermi proteggere.

In quel momento mi convinsi che con lui accanto tutto sarebbe potuto essere più facile. Sapevo che quello che stavo per dirgli lo avrebbe in parte turbato vista la sua sensibilità, ma sperai comunque che non si allontanasse. Non sarebbe stato facile, sentivo la mente annebbiata al pensiero dei ricordi e la voce stentava ad uscire, ma provai comunque:

« Quando conobbi James ero stata lasciata dal ragazzo con il quale stavo dai tempi del liceo: dovevamo sposarci, mancavano pochi mesi quando se ne andò con un’altra…e solo dopo mi accorsi di essere incinta….» vidi lo sguardo di Edward rabbuiarsi « James lo capì subito e da lì nacque il nostro legame di amicizia: volevo tenerlo e mi rimase accanto. Addirittura mi propose di sposarmi per dare un padre al bambino, ma non gli permisi di sacrificarsi. In fondo avevo ventun’anni e non sapevo bene ancora cosa avrei fatto della mia vita. Solo dopo mi resi conto che lo voleva fare perché si era innamorato di me e troppo tardi mi accorsi di esserlo di lui: lasciai che si sposasse pensando di non poterlo costringere con me.

« Poi il destino decise per me: alla prima ecografia fu riscontrata una grave malformazione e mi fu proposta dal medico l’interruzione…» la voce iniziò a tremarmi, le sue mani ad accarezzarmi il viso: « Non hai pensato di provare….approfondire per vedere se c’era qualche possibilità…» la sua domanda aveva un sapore amaro, come se volesse trovare un’alternativa alla mia scelta.

« Ed quella decisione mi è costata molta fatica, ma l’ho presa in quella circostanza perché…non avrei potuto accettarne le conseguenze: ho preferito interrompere una gravidanza al secondo mese piuttosto che vedere il mio bambino morire poche ore dopo la nascita…» vidi il suo sguardo rattristarsi, « non ci sarebbero state speranze, il feto avrebbe avuto uno sviluppo anomalo, causato da non si sa bene cosa, probabilmente il trauma dell’abbandono, lo stress….. e se avessi portato a termine la gravidanza il bambino non sarebbe sopravvissuto».

Mi abbracciò: « Bella mi dispiace così tanto…»

« No aspetta, ho preso quella decisione in modo molto egoistico lo so, ma non ho avuto scelta…ero sola e ho avuto paura di affrontarlo…..»

« Posso capirlo..» lo guardai stupita. Non mi aspettavo che di fronte ad un momento così critico della mia vita non giudicasse e mi sentii in dovere di raccontargli tutto il resto.

« E’ per quello che sei stata male…è questo che ti ha portato agli attacchi di ansia, le crisi e tutto il resto?»

« In realtà ho cercato di superare quel momento della mia vita e con l’aiuto di James ci sono riuscita in parte. La nostra storia è iniziata poco dopo e in questa ho trovato conforto, ma in cuor mio ho sempre sperato di poter avere un’altra possibilità – abbassò lo sguardo, sapevo che quello che gli avrei detto avrebbe potuto ferirlo perché in fondo la mia relazione con James avevo intuito non gli era andata mai molto a genio – e così è stato, ma non come credevo io» questa volta fui io ad distogliere lo sguardo, perché il dolore più grande doveva ancora arrivare.

« Circa tre anni fa sono rimasta incinta di nuovo e anche se ormai la mia storia con James era ad un punto morto non potei che essere felice di quella seconda opportunità: certo non era la situazione ideale, ma come accade molte volte, avevo bisogno di quella completezza che probabilmente solo un figlio mi avrebbe potuto dare» questa volta Edward si allontanò lievemente da me lasciando la presa: sollevai lo sguardo e in quel momento sentii un vuoto, anche se si era staccato solo di qualche centimetro da me.

« E poi?» lo sentii sussurrare con un’aria quasi rassegnata.

Non avevo la minima idea di quello che poteva immaginare fosse successo e nemmeno di come avrei reagito io a far riemergere qualcosa che avevo cercato per tanto tempo di rimuovere. Il familiare groppo alla gola si ripresentò più forte che mai, ma presi un respiro profondo e andai avanti:

« Ho perso il bambino che ero quasi al settimo mese di gravidanza – non potei trattenere le lacrime – i medici non hanno saputo dire esattamente il perché….l’ho partorito Ed….l’ho guardato e tenuto in braccio, ma l’ho perso…» ormai un pianto troppo forte scuoteva le mie spalle in modo convulso, i singhiozzi erano ormai incontrollabili « ho potuto stringerlo solo qualche minuto, era così bello, così piccolo e poi…….» non riuscii a dire altro, le sue forti braccia mi strinsero nuovamente. Avevo giurato a me stessa che non avrei più rivangato quel doloroso passato, ma sapevo anche che per poter ricominciare veramente sarebbe dovuto emergere prima o poi. Lo sentii accarezzarmi la schiena e baciarmi dolcemente tra i capelli in un chiaro gesto volto a consolarmi.

« Ho perso il bambino, Ho perso James subito dopo e poi…..» ormai piangevo ininterrottamente, il tono di voce alto quasi a voler urlare la mia disperazione.

« Ssshh, basta ora, non occorre andare oltre, ti sei lasciata tutto alle spalle..»

« Non è così Edward, tutti i momenti di crisi che hai visto sono stati uno strascico di quello che ho vissuto e ho paura che non riuscirò mai a dimenticare del tutto»

« Sono certo che ce la farai, sei molto più forte di quello che tu creda….»

« Ho fatto quasi un anno di terapia Edward, i farmaci mi hanno aiutata, ma ancora adesso….»

« Quello che hai passato ti ha fatto diventare la persona meravigliosa che sei, di questo non devi dubitarne mai, e le tue debolezze sono in realtà solo l’immagine di una donna forte che ormai può affrontare tutto».

Riuscii a calmare leggermente il pianto e a staccarmi dal suo abbraccio per poterlo guardare meglio negli occhi: « la mia forza ora sei tu, lo sei stato dal primo momento che ti ho parlato, ed era questa la mia paura più grande…non sono abbastanza per te»

« Non dirlo mai!» il tono severo, come se credesse fermamente in ciò che diceva

« Edward io….tu non sai – lo guardai per poi tornare con gli occhi bassi – io….probabilmente non potrò avere mai dei figli…e questo non potrò mai accettarlo, non tanto per me, quanto per la persona che deciderà di starmi accanto per la vita…ho già sofferto abbastanza io, non è giusto che…»

« E’ per questo che non mi hai mai detto  nulla, che sei fuggita, che mi hai tenuto lontano dal tuo cuore? Hai pensato che io non accettassi di non poter diventare padre?»

«….tra le altre cose….»

« Bella guardami….» sollevai lo sguardo e lo puntai in quelle splendide gemme verdi « non pensare di essere inadeguata per questo, non è colpa tua …e hai sofferto già abbastanza per precluderti la felicità dell’amore: e io voglio amarti Bella, viverti al di là di tutto, se tu me lo permetterai…», chiusi gli occhi soffocando i singhiozzi sul suo petto.

Strinsi tra le mie mani la sua felpa, respirando profondamente, come se l’odore della sua pelle servisse ad allentare i miei nervi tesi dalla situazione. Mi sembrava di essere su una corda sottilissima, pronta a spezzarsi, ma mi aggrappai a lui consapevole che in quel momento fosse la mia ancora, la mia forza, la mia speranza.

Meritavo anche io la mia felicità? Non lo sapevo in realtà, ma in quel momento tra le sue braccia e confortata dalle parole d’amore che mi sussurrava continuamente all’orecchio decisi di credere e decisi che avrei provato ad andare avanti, soprattutto ora che anche l’ultimo silenzio tra noi era svanito.

Poi mi porse una domanda che sapevo meditava ancora dall’inizio della nostra conversazione:

« Bella, cosa ti ha dato veramente fastidio di quello che ha detto Jake su di me?» lo fissai negli occhi e decisi che avrei esternato i miei dubbi.

« Edward, il pensiero che tu abbia avuto la possibilità di avere dei figli…di essere felice…io..» sentii le sue grandi mani racchiudere le mie e abbassai lo sguardo, « Edward io sono una persona che ha perso due bambini e c’è la seria possibilità che non possa più averne» sapevo che era turbato, lo vedevo nei suoi occhi «…in fondo so che a me mancherà sempre qualcosa nella vita e non vorrei che mancasse anche a te se decidi di stare con me»

« A me mancheresti tu più di tutto, ed è questo che mi lega a te, il resto verrà in futuro, di soluzioni ce ne sono tante, ma ciò che so è che non voglio perderti….e voglio vederti felice» mi prese il volto tra le mani e iniziò ad accarezzare le mie labbra con i polpastrelli.

« Io ti amo Isabella, come non ho mai amato in vita mia, e sono tutte quelle che tu chiami debolezze e paranoie che ti rendono ancora più speciale, ed è impossibile non desiderare di stare con te: è questo che mi fa stare bene e credo che se non mi baci subito poteri anche morire», finalmente un lieve sorriso si affacciò alle mie labbra e l’intensità di quel bacio mi dimostrò che il nostro legame era profondo e forte.

Stesi, abbracciati sul mio divano mi addormentai sul suo petto, fra le sue braccia, con ancora il sapore dei suoi baci e le lacrime sul mio volto.

 

 

 NOTE: chiedo scusa per il ritardo, ma gli impegni e il capitolo non mi hanno permesso di postare prima. Ho deciso di dividerlo in due parti perchè ci sono altre concetti che vorrei far rientrare in questo titolo e inseriti qui diventava troppo e rischiava di essere dispersivo. Spero comunque che vi piaccia e chiedo scusa per eventuali errori: l'ho corretto molto in fretta. Alla prossima

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** “Interruzioni: seconda parte” ***


CAPITOLO 52

“Interruzioni: seconda parte”

 

 

Bella, amore, è meglio andare a letto...” una voce dolce, in lontananza mi ridestò dal mio sonno. Per un attimo non capii né dov’ero né quanto tempo fosse passato. Solo una cosa era certa: Edward era accanto a me, sapevo di essere appoggiata al suo torace e potevo sentire anche il battito del suo cuore in quella posizione.

Aprii a fatica gli occhi, le lacrime versate probabilmente qualche ora prima erano scomparse lascandomi le palpebre pesanti e gonfie. Poi ad un tratto ricordai: a causa di Jacob avevo confessato tutto del mio passato a Ed abbattendo così anche l’ultima barriera tra noi.

E lui sembrava aver accettato la cosa nel modo migliore, consolandomi e stingendomi a sé.

Mi sollevai puntellandomi su un gomito e appoggiando l’altra mano sul suo petto, poi presi coraggio e sollevai il viso fino ad incontrare i suoi occhi. Mi guardò molto intensamente e lo sentii parlare di nuovo, come poco prima nel dormiveglia:

« Non pensi che saresti più comoda a letto?» un lieve sorriso gli si dipinse sul volto mentre con una mano mi accarezzava il mio.

« Scusa, mi devo essere addormentata, mi dispiace ti ho schiacciato…»

« Non scherzare, sei leggera come una piuma, vieni ti accompagno in camera» mi fece scendere dal suo fianco e si alzò porgendomi la mano.

« Ma quanto ho dormito?»

« Solo qualche ora, è notte fonda, ma penso che per evitare una bella emicrania ci convenga riposare nel modo giusto» sorrise e mi aiutò ad alzarmi.

Mi misi prima seduta, per evitare che la stanza continuasse a girare: effettivamente mi sentivo come in un dopo sbornia. Presi di nuovo il respiro prima di alzare gli occhi verso Edward e afferrare la sua mano. In quel momento non mi resi pienamente conto della situazione  e mi avrebbe potuto condurre anche all’altro capo del mondo, ma mi fidavo, mi appoggiai a lui lasciandomi trasportare. Entrammo insieme nella mia camera e senza svestirmi mi lasciai andare sul materasso. Edward prese una coperta calda e si stese accanto a me.

« Edward se vuoi puoi andare a riposare nel tuo appartamento» non me la sentivo di continuare a tenerlo lì, sapendo che sarebbe potuta essere anche una notte insonne per me.

« Non scherzare, ti sono rimasto accanto in situazioni molto più tranquille, non ti lascerò certo stanotte» lo fissai con uno sguardo completamente sognante, ma cosa avevo fatto per meritarmi un uomo così?

Forse per tutto quello che avevo sofferto, anche a causa mia, la vita mi stava ripagando con la sua splendida compagnia. Ci stringemmo come poco prima nel divano, e cercai di trarre dal calore del corpo di Edward la forza per riaddormentarmi nuovamente.

Ma probabilmente la giornata non mi aiutò: l’agitazione per quello che era accaduto mi impedì di chiudere occhio e purtroppo fu la stessa cosa per lui. All’ennesimo sospiro e movimento nel letto lo sentii girarsi verso di me e chiedermi come stavo:

« Bene, ma non riesco proprio a chiudere occhio, forse dovrei prendere qualcosa…»

« No – si alzò su un gomito e mi fissò negli occhi sovrastandomi con il suo corpo – non te lo permetterò, altrimenti i tuoi sforzi di questi giorni risulteranno vani e inutili. Non puoi farti condizionare dalle parole di una persona che ha solo del rancore nei confronti del mondo. Affidati a me e vedrai che tutto andrà bene...» lo fissai intensamente con gli occhi lucidi, accarezzandogli il viso caldo e lasciandogli un lieve bacio sulle labbra.

Distolsi lo sguardo e mi girai su un fianco, porgendogli la schiena e nel giro di qualche secondo lo sentii appoggiarsi a me come a volermi proteggere con tutto il suo corpo. Sentii il suo viso insinuarsi tra i miei capelli fino ad arrivare alla pelle del collo, dove sentivo il suo respiro caldo. Dopo alcuni minuti di silenzio in questa posizione lo sentii sospirare, sapevo che avrebbe voluto chiedere, parlare, visto che la nostra conversazione di qualche ora prima non era stata approfondita a causa del mio stato emotivo, e lo lasciai fare.

« Bella?»

« Mmmhhh»

« Stavi dormendo, ti ho svegliata?»

« No….non riesco» mi girai tra le sue braccia, fino a trovarmi faccia a faccia con lui e ricambiai l’abbraccio stringendolo a mia volta dal punto vita e incatenando le mie gambe alle sue in una morsa veramente coinvolgente.

« Hai voglia di parlare? » mi staccai leggermente e lo fissai negli occhi. No, non mi andava, ma sapevo che lui lo desiderava e in fondo avrebbe fatto bene anche a me: lasciai che fosse lui a chiedere, in fondo il puzzle della mia vita si stava componendo.

« Bella…ma come è potuto succedere…due volte….e la seconda…» sapevo che aveva timore di chiedermi certe cose che potevano turbarmi, ma decisi comunque di rispondere.

« Non lo so in realtà, nemmeno i medici hanno saputo dire con certezza…probabilmente ho difficoltà a…potare avanti una gravidanza..» nel dire queste parole avevo dovuto deglutire più volte per assopire il magone. Sentii la tensione di Edward e cercai di rincuorarlo:

« Va tutto bene ora, forse la cosa peggiore è sapere che forse non potrò più…..»

« Ma, sei sicura?»

« Sì, dopo la seconda gravidanza si sono accorti che c’era qualcosa che non andava nel mio ciclo, il medico si è accorto che andava e veniva senza apparente motivo ed è arrivato alla conclusione che sia una forma di sterilità, tanto che con il passare del tempo potrebbe scomparire del tutto e allora…….non avrei più speranze…» un singhiozzo mi riscosse e sentii le sue mani prendermi il volto.

« Mi dispiace, non avrei dovuto..»

« Non fa niente, devo imparare a conviverci e voglio che tu sappia tutto, anche perché mi ci devo rassegnare»

« Non è detto, ci può sempre essere una speranza…» e mi baciò sulle labbra e poi sulla fronte. Sorrisi lievemente: conoscevo il suo stato d’animo, anche io i primi tempi mi ero tenuta delle flebili illusioni, ma poi piano piano mi ci ero abituata.

« Come ha potuto James lasciarti sola in quel momento?» abbassai lo sguardo consapevole che quello che stavo per dirgli lo avrebbe lasciato sconcertato, almeno in parte:

« Edward, James non ha mai saputo della gravidanza…o almeno…non tutto».

Alzò leggermente la testa dal cuscino e come avevo previsto mi guardò abbastanza stralunato:

« Cosa significa? Che non gli hai detto di essere incinta in modo che si prendesse le sue responsabilità?»

« Era un momento difficile, ti dico la verità, sapevo che tra noi erano cambiate molte cose, ci vedevamo poco e avevo capito che anche con una gravidanza non sarebbe cambiato nulla, anzi probabilmente mi avrebbe accusato di volerlo incastrare. In realtà quando scoprii di essere incinta ero al settimo cielo e lo cercai per dirglielo, ma mi ritrovai faccia a faccia con la moglie – non potei fare a meno di abbassare lo sguardo –  mi accusò di provare qualcosa per suo marito e mi disse chiaramente che avrei dovuto lasciarlo in pace. Ti confesso che per la prima volta mi sono sentita in difficoltà, mi resi conto che ormai i miei sentimenti per lui non erano più gli stessi e in quel momento mi vedevo solo come l’amante rovina famiglie che si ostinava a rimanere a tutti i costi. Mi ripromisi di parlargliene, ma poi non si fece più vivo, facendomi capire che la nostra storia non aveva più la priorità e decisi che mi sarei dedicata completamente solo al mio bambino»

« Avresti potuto dirglielo quando…..è successo»

« E chi ne aveva la forza? Mi ritrovai in depressione, senza più nemmeno la voglia di andare avanti, perché la cosa a cui tenevo di più mi era stata portata via e in più il medico mi aveva informata che la mia situazione non mi avrebbe più potuto permettere di avere altre possibilità…in quel momento James era il mio ultimo pensiero…»

« Scusa, hai ragione avrei dovuto capire, ma…io avrei voluto saperlo»

« Molto spesso certe situazioni della vita ti costringono a tenere nascoste molte cose, per evitare di soffrire ancora di più»

« Ma le persone possono stupire…»

« E se anche glielo avessi detto cosa sarebbe successo? Magari si sarebbe preso le sue responsabilità lasciando la moglie, ma sono convinta che questo avrebbe contribuito a distruggere il nostro rapporto ormai logoro. Comunque dopo qualche tempo gli dissi che ero rimasta incinta e che lo avevo perduto subito, ma gli feci intendere che era andata come la volta precedente. Lui mi consolò momentaneamente e poi mi disse che vista la situazione forse era stato meglio così. Ti rendi conto?»

Probabilmente comprese il mio punto di vista perché non ribatté altro.

« E tuo padre come l’ha presa?» questo era per me un altro motivo di grande rimorso.

« Charlie non ha mai saputo nulla, non me la sono proprio sentita…»

« Ma ti sarebbe stato accanto, avresti almeno potuto…»

« E con che coraggio? Lui non ha mai saputo di me e James e cosa gli avrei potuto dire “ciao papà, lo sai sono incinta di un uomo spostato, che frequento da sette anni, ma che è meglio non sappia nulla? Non ce l’avrei più fatta a guardarlo in faccia»

« Ma come hai fatto da sola…» sorrisi sarcastica.

« Beh, il modo lo hai visto, con i farmaci e in più ero sotto controllo con la psicoterapia. Ci ho messo quasi un anno a elaborare il dolore: ogni piccola cosa era motivo per farmi prendere quegli attacchi di ansia di cui sei stato testimone.

Ero solita svenire o sopportare attacchi di tachicardia veramente forti. Quelli che hai visto tu sono stati all’acqua di rose rispetto a ciò che mi capitava: nella maggior parte dei casi se non svenivo per il senso di oppressione mi ritrovavo stesa sul pavimento a piangere e gridare dal dolore. Credo proprio di aver visto in faccia la pazzia. E’ da poco più di un anno che posso dire di stare bene…» un sospiro mi uscì quasi a voler terminare lì questo tipo di conversazione.

« Mi dispiace così tanto amore mio, sei rimasta sola ad affrontare tutto» lo sentii sussurrare al mio orecchio.

« Non farlo!» lo scostai leggermente

« Cosa?»

« Non compatirmi…l’ho già fatto a sufficienza io, voglio altro ora dalla vita» lo guardai con un’intensità profonda. Mi prese il viso con le mani e mi soffiò sulle labbra:

« Dimmi cosa vuoi allora..» in quel momento, nonostante fosse una situazione insolita, nonostante fosse emerso il mio doloroso passato, il cuore accelerò, il respirò si fece pesante e andò ad infrangersi sulla sua bocca a pochi centimetri dalla mia. Strinsi la presa sulla sua schiena e spontaneamente intrecciai le gambe con le sue. Ero distrutta fisicamente ed emotivamente, ma volevo trasmettergli il mio sentimento in quel momento.

« Te….vorrei essere felice con te» lo avevo detto ed era quello che desideravo. Non rispose nulla, ma azzerò la distanza fra le nostre bocche; le sue labbra calde sulle mie lasciarono una scia umida e poi si spostarono sul mio naso e sui miei occhi.

« E allora farò in modo che succeda…..ora dormiamo ti va?»

Non risposi, ma mi accoccolai su di lui e mi beai del suo profumo e dei suoi respiri.

 

 

Il mattino dopo fu veramente difficile aprire gli occhi: quando riuscii a farlo mi resi conto che ero sola nel letto e il rumore della doccia mi fece capire che Edward si era alzato e si stava probabilmente preparando per andare a lezione.

Mi scoprii e mi misi a sedere sul bordo del letto soffermandomi quasi in trance a fissare i miei piedi che penzolavano lievemente vicino a pavimento: ripensai a quello che avevo detto a Edward prima che si addormentasse, ed era vero. Volevo lui e più tempo passavamo insieme più si radicava in me la consapevolezza che lo avrei voluto per tutta la vita.

Una voce calda mi ridestò, ma quando alzai lo sguardo niente mi preparò alla visione che mi si parò davanti: Edward era sulla soglia della porta con un pantalone della tuta e a torso nudo intento a frizionarsi con un asciugamano i capelli bagnanti. Quando mi vide un sorriso si accese sul suo volto e io non potei fare a meno di ricambiare, anche se in quel momento tutta la mia attenzione era focalizzata sulla sua bellezza:

« Ti sei svegliata? Come ti senti?» senza esitazione mi si avvicinò e una volta seduto mi fece sporgere il viso nella sua direzione per lasciarmi un tenero bacio sulle labbra. Chiusi gli occhi beandomi del contatto, poi ritornai in me e gli dissi di stare tranquillo, sarei stata bene.

« Perché  non ti prendi un giorno di riposo e resti qui, appena finisco a lezione ti raggiungo e potremmo stare insieme?» capivo le sue intenzioni, ma già in passato mi ero dovuta scontrare con la dura realtà e anche se malandata ero riuscita ad alzarmi.

« Preferisco andare al lavoro, mi aiuterà a distrarmi» lo fermai prima che potesse ribattere, afferrandogli il viso con entrambe le mani e sussurrando dolcemente a pochi centimetri dal suo volto, « so quello che pensi e so anche che vuoi assicurarti che io stia bene, ma so quello che faccio: ho bisogno di tornare alla mia realtà attuale e non posso farlo rimanendo chiusa in un appartamento a rimuginare su cosa già affrontate».

Mise le mani sui miei polsi, poi chiudendo gli occhi le baciò ripetutamente: « e tu saresti quella debole?» era così dolce e aveva così tanta fiducia in me che quasi mi commoveva.

Mi alzai malvolentieri dal letto e ci accordammo per trovarci al piano inferiore, pronti per andare al lavoro. Quella mattina cercai d fare i miei gesti in modo meccanico senza pensare troppo a quello che era successo, per non rischiare di fronte ai miei studenti: cercai di essere tranquilla a lezione e mi beai della sua presenza ogniqualvolta si presentava da me. Provai a pensare al nostro weekend, per focalizzarmi su qualcosa che sapevo sarebbe stato estremamente piacevole, al di là di qualsiasi risvolto.

Al termine della mattinata raccolsi le mie cose per rientrare a casa: sapevo che Edward aveva ancora un’ora di lezione e per quello lo avrei salutato nella sua aula, per poi andare a riposare. Ero quasi sul punto di andarmene quando mi sentii chiamare:

« Isabella» il mio sguardo divenne probabilmente di puro terrore nel vedere Jacob sulla soglia dell’ aula: istintivamente cercai di allungare lo sguardo sperando nell’arrivo di Edward, ma le sue parole mi bloccarono.

« Edward è a lezione, io dovrei…» non lo lasciai finire, lo guardai con odio e cercai di aggirarlo per uscire, ma mi sentii trattenere per un braccio.

« Aspetta ti prego..»

« Lasciami, non c’è niente che tu possa dire o fare, non sopporto nemmeno di vederti e se Edward sapesse che sei qui….»

« Lo sa, mi ha mandato lui» mi gelai sul posto. Proprio non capivo, il suo tono era meno acido, quasi dispiaciuto.

« A dire la verità mi ha quasi obbligato lui a venire per…..volevo chiederti scusa…ho esagerato, anche se lo odio per quello che mi ha fatto in passato, non dovrei prendermela con te e poi mi ha spiegato….non avrei dovuto, sono stato…..»

« Stai zitto!! – ero furiosa, mi aveva costretto ad ascoltare i suoi insulti, le sue illazioni e ora veniva a chiedermi scusa? – non accetterò mai le tue scuse. Qualsiasi cosa ti sia capitata in passato non ti autorizza a cercare di distruggere le vite degli altri. Non hai pensato nemmeno per un momento a cosa avresti potuto causare, a come sono stata io: hai avuto le tue informazioni, le hai elaborate superficialmente solo per il tuo disprezzo e la tua sete di vendetta verso Edward, senza pensare alle conseguenze» mi avvicinai a lui con disprezzo, gli occhi sgrananti che fissavano i suoi dimessi.

Non avrei perdonato, non in quel momento: « se proprio ti interessano i fatti miei, ne ho persi due di bambini e non ne avrò più e questo mi ha distrutto la vita negli ultimi due anni e la prossima volta, prima di usare notizie del genere per il tuo tornaconto personale, pensa ai danni che puoi creare. Come vedi qui non sei l’unico che ha sofferto»

Gli avevo sputato in faccia tutto con rabbia e lo scansai bruscamente per uscire dalla stanza.

«E ringrazia Edward che si è limitato ad importi di venire a chiedermi scusa: la prossima volta gli dirò di prenderti a pugni» mi allontanai velocemente da lì per andare nel mio appartamento.

Nel tragitto mi fermai nell’aula di Edward per chiedere spiegazioni su Jacob: quando mi vide capì subito dal mio sguardo che gli avevo parlato. Mi rispose che lo aveva incontrato e prima di lasciarsi prendere dalla frenesia di farlo a pezzi, aveva ragionato e gli aveva detto quanto male mi avessero fatto le sue parole. Aveva giocato sui suoi sensi di colpa visto i tentativi passati e inutili si avvicinarsi a me.

Si scusò per avermelo mandato ma quando lo aveva incontrato la voglia di mettergli le mani addosso era stata troppo forte, poi però aveva giocato la carta della minaccia – quella di andare dalla preside ad accusarlo di ingiurie – a meno di un suo allontanamento da me, da noi e delle scuse. Anche se sapeva benissimo che non sarebbero state del tutto sincere. Lo ringraziai, ma gli chiesi per il futuro di tenerlo più lontano possibile.

« Ti capisco» mi rispose  e subito dopo gli annunciai che sarei andata a riposarmi e che per quella sera sarebbe stato meglio non vederci.

« Sei arrabbiata con me?» lo guardai stupita, nonostante l’odio che nutrivo per Jacob mai mi sarebbe passato per la mente di incolpare lui, anzi avevo apprezzato il fatto che si fosse prodigato per me, nonostante non volesse averci niente a che fare.

« Non potrei mai» gli risposi, accarezzandogli lievemente una guancia.

« Sei sicura? Te la senti di stare da sola?» lo tranquillizzai dicendogli che mi sarei presa un momento per me e, se avessi avuto bisogno, lui sarebbe stato il primo da cui sarei andata.

« Penso che mi farò una bella doccia e me ne andrò a letto, di solito dopo giornate come quella di ieri cado quasi in letargo». Lo salutai con un lungo bacio sulle labbra e una volta staccati mi beai di un ultimo contatto strofinando il naso sul suo profilo, inspirando il profumo della sua pelle e allontanandomi a malincuore dal suo corpo e dalle sue mani saldamente ancorate ai miei fianchi. Prima di uscire dalla sua aula mi voltai e lo guardai intensamente mimandogli con le labbra un “ti amo” di saluto, poi mi recai a casa e dopo un lungo bagno e un abito comodo mi distesi sul letto per riposare il più a lungo possibile.

 

 

Mi svegliai di soprassalto, ansante e sudata. Per tutto il tempo del mio riposo, sogni e incubi mi avevano accompagnato.

Ricordavo immagini di James e delle mie esperienze passate più negative, mi sembrava di poter percepire nuovamente il dolore nel petto al ricordo di ciò che avevo perso e lasciato e l’ultimo e più terribile incubo della notte, quello che mi portò a svegliarmi di soprassalto tra le lacrime: Edward che scompariva davanti ai miei occhi, con lo sguardo triste e rassegnato. Si stava allontanando da me dopo avermi lasciato un’ultima carezza sul viso.

Seduta sul letto cercai di riportare la mente alla realtà, provai a regolarizzare il respiro e mi resi conto più che mai che per stare bene sarei dovuta essere con lui.

Non volevo svegliarlo per farlo venire da me, così mi alzai e iniziai a girovagare per casa. Mi soffermai con lo sguardo sulla penisola dell’angolo cottura: in un cestino al centro c’erano le chiavi dell’appartamento di Edward, che mi aveva lasciato solo qualche giorno prima, così come lui aveva quelle del mio.

La mia mente si sintonizzò subito sui ricordi delle serate passate accanto a lui e mi resi conto che era ciò che desideravo anche in quel momento: volevo stringermi a lui e sentire il suo corpo caldo accanto, che infondeva sicurezza e amore al mio.

Non mi curai dell’orario e dell’abbigliamento: presi le chiavi e mi avviai alla porta. Uscii nel corridoio lentamente, senza pensare alla presenza degli studenti: in realtà lo stabile era deserto e aleggiava nell’aria il silenzio della notte. Salii le scale che mi dividevano dal piano superiore, l’unico suono era il rumore attutito dei miei piedi scalzi sul tappeto: l’aria era fresca nel corridoio e alcuni brividi formarono uno strato di pelle d’oca sulle mie braccia e le mie gambe, coperte solo da una maglietta e un pantalone della tuta.

Quando mi trovai di fronte alla sua porta mi fermai a pensare se fosse il caso di entrare senza bussare, ma vista l’ora avrei potuto spaventarlo meno utilizzando le chiavi. Mi resi conto, mentre infilavo le chiavi nella serratura che le mani mi tremavano leggermente, vuoi per lo shock del risveglio, un po’ per la bassa temperatura e forse anche per il fatto di trovarmi nell’appartamento di Ed a sua insaputa. Ma nella mia mente in quel momento avevo solo lui e l’immenso desiderio di stargli accanto.

Appena aprii la porta, l’intenso calore dell’appartamento e il profumo che aleggiava mi invase donandomi una familiare sensazione di protezione. Chiusi lentamente la porta alle mie spalle e mi diressi in punta di piedi e nel buio dell’appartamento verso la camera, guidata dalla fioca luce dell’abajour. Forse era ancora sveglio o stava dormendo da poco e per un attimo fui tentata di tornare indietro per non disturbarlo.

Quando fui sulla porta della stanza, però non potei fare altro che fermarmi a guardarlo: era appoggiato con la schiena alla testata del letto, gli occhi chiusi e un libro sfuggito dalle mani probabilmente a causa del sonno. In quel momento mi resi conto che non era solo il suo calore o la sua vicinanza che desideravo: io volevo stare con lui e sentirmi sua.

Presi un bel respiro come a voler incamerare il coraggio e mi avvicinai al letto salendo lentamente con un ginocchio: mi chinai ad accarezzarli il viso e a scostargli una ciocca di capelli ramati ricaduta sulla fronte e poi, distendendomi accanto a lui, lo baciai lievemente sulle labbra. Il mio intento non sarebbe stato quello di svegliarlo e per un attimo mi pentii di averlo fatto, perché il mio coraggio nell’avvicinarmi con l’intenzione di stare con lui era svanito. Ma quando aprì gli occhi e si rese conto che ero accanto a lui, qualcosa in me scattò, il cuore iniziò a battere furiosamente e il respiro a velocizzarsi.

« Bella cosa ci fai qui? Stai bene?» il mio respiro cominciò a farsi più frequente e mi limitai ad annuire per paura che le sensazioni che provavo accanto a lui mi incrinassero la voce. Capii dal suo sguardo che non si sarebbe limitato ad accettare la mia risposta silenziosa.

Si scostò con la schiena dal letto e si posizionò ruotando il busto per essere di fronte a me: portò la sua mano alla base della mia nuca, tra i miei capelli, accarezzandomi dolcemente:

« Bella, amore, sei pallida e accaldata, sicuro che sia tutto ok?» annuii nuovamente, ma sapevo che avrei dovuto dire qualcosa per non insospettirlo.

« Sto bene…avevo solo voglia di stare con te»

« Hai avuto ancora incubi?» la capacità di quest’uomo di leggermi nel cuore e nella mente certe volte mi faceva quasi paura. Alzai lo sguardo e avvicinai di più il volto al suo:

« Sì, ma ora sto bene….qui…accanto a te» e lo guardai negli occhi con uno sguardo deciso sul mio desiderio di stargli accanto.

« Lo sapevo che non sarebbe stato salutare lasciarti sola» il tono leggermente alterato, quasi più con se stesso che con me, per essersi lasciato convincere. Cercai comunque di tranquillizzarlo accarezzandogli a mia volta il viso e scendendo con la mano sul collo, nella porzione di pelle dietro l’orecchio, dove avrei desiderato più che mai lasciare una scia con la lingua.

« Va tutto bene, basta che….non mi lasci…»

« Non lo farei mai» mi sussurrò avvicinandosi e soffiando le ultime parole talmente vicine alla mia bocca che le nostre labbra non poterono fare a meno di incollarsi. Ma questa volta il bacio fu diverso: altre volte c’era stato desiderio profondo, ma la passione che in quel momento bruciava nel profondo della mia anima mi percorse con un brivido dalla schiena alla punta dei capelli.

Edward non diede segno di volersi staccare da me e in quel momento non glielo avrei assolutamente permesso: mi teneva saldamente ancorata a se con la mano tra i capelli, a cui ben presto aggiunse anche l’altra.

Ansiti silenziosi e il rumore dei nostri baci soffocati arrivavano alle mie orecchie, tanto che riuscii a prendere coraggio per cercare di sovrastarlo: le mie mani che prima gli accarezzavano dolcemente il collo iniziarono a scendere fino ad arrivare al suo torace e cercai di ribaltare le posizioni, spingendomi lentamente su di lui e facendolo distendere, per poi sdraiami sul suo petto, sempre senza interrompere il contatto delle nostre labbra.

Sentivo il suo sapore sulla mia lingua, intrecciata alla sua e la cosa mi stava portando in uno stato di eccitazione raramente provato prima. In cuor mio pregai che non mi respingesse ancora a causa delle sue premure nei miei confronti o questa volta mi sarei sentita veramente in imbarazzo per la mia audacia.

Quando ormai bisognosi d’aria, ci allontanammo leggermente, potei sentire il mio nome uscire flebilmente dalle sue labbra, ma non gli diedi tempo di ribattere: alzandomi leggermente iniziai a baciare ogni angolo del suo splendido volto, fino a soffermarmi sulle sue labbra, che iniziai a mordicchiare, ad accarezzare con la lingua e con i polpastrelli.

I nostri sospiri ormai saturavano l’aria e le sue mani si ancorarono ai miei fianchi con un’intensità che raramente gli avevo sentito. Poi lente si posizionarono sotto la mia maglietta per accarezzarmi dolcemente la schiena: e in quel momento la mia razionalità partì definitivamente per lidi lontani e per un attimo mi sentii sicura di me stessa e del fatto che questa volta avrei avuto ciò che tanto desideravo.

Passarono minuti interminabili, appoggiata a lui, a baciare ogni porzione del suo viso e del suo collo, mentre le sue mani vagavano delicate senza mai osare, quando la sua voce chiara e forte mi ridestò da quegli attimi così intensi:

« Bella….cosa??» aveva intuito le mie intenzioni, ma non esitai questa volta, mi staccai da lui allontanandomi leggermente e lo fissai intensamente.

« Non mi allontanare anche questa volta, non respingermi…ti prego» lo vidi socchiudere gli occhi e poi fissarmi la bocca. La sua voce calda mi arrivò al cuore:

« Non avevo nessuna intenzione di farlo…» nel sentire quelle parole mi ributtai a capofitto sulle sue labbra e il suo corpo, stringendolo ancora di più e gioendo in cuor mio per aver percepito in lui la stessa urgenza e lo stesso desiderio che provavo io.

Mi alzai seduta, portandolo con me, e mi sistemai con le gambe ai lati dei suoi fianchi; anche vestiti quella posizione non avrebbe dato adito a nessun fraintendimento su quello che sarebbe potuto succedere. Le sue mani mi strinsero ancora di più e le sentii vagare fino alla curva della schiena e ai fianchi trasmettendomi il loro calore.

Approfittando di un momento in cui le nostre bocche non erano incollate, lo sentii indugiare sul bordo della mia maglietta e, senza parole, lo aiutai a sfilarla.

« Sei bellissima» in quel momento, nonostante avessi i suoi occhi puntati addosso, in un’espressione quasi famelica, le sue parole non mi fecero percepire l’imbarazzo di trovarmi per la prima volta in intimo di fronte a lui. Continuai a baciarlo accarezzandogli i capelli e beandomi delle sue labbra sul mio collo e delle sue mani sulla mia schiena ormai scoperta.

In pochi secondi mi ritrovai con la schiena sul materasso, il suo corpo premuto sul mio: gli accarezzai i muscoli delle spalle, tesi nello sforzo di non pesarmi e continuai a baciarlo.

I nostri sospiri accompagnarono qualcosa di nuovo: gemiti per il contatto dei nostri corpi, delle nostre mani sulla pelle, per la sua maglia sfilata e gettata chissà dove, per i suoi respiri infranti sul mio collo, per i miei baci sul suo petto ormai nudo.

Le sue mani mi accarezzarono dolci ogni parte del viso, fino a scendere sul collo sulle spalle e sempre più giù, fino a lambire l’elastico della tuta, che in quel momento più che mai, desiderai che togliesse. Durante ogni suo gesto, quando non eravamo impegnati a baciarci, i suoi occhi erano puntati nei miei, a trasmettermi una carica sensuale mai provata prima.

Ero certa in quel momento che la mia decisone, il mio azzardo erano stati la scelta giusta e che solo con lui, tra le sue braccia, avrei potuto vivere felice e alleggerire tutte le mie pene.

Quando ormai il suo corpo era sul mio e le mani avevano iniziato ad accarezzare lascivamente una mia gamba piegata lungo il suo fianco, fasciata ancora dai pantaloni della tuta, il suo cellulare squillò, sorprendendoci e costringendoci a interrompere quel momento. Lo vidi alzare lo sguardo un attimo e poi rituffarsi nei miei occhi, dando dimostrazione che non era interessato a nulla che non fossi io e tantomeno ad interrompere quello che stava avvenendo fra noi.

Il telefono smise di squillare e Edward riprese a baciarmi con passione fino a che la luce del display e la suoneria ci interruppero nuovamente:

« Ed, forse è meglio che rispondi»

« Chiunque sia si stancherà» la sua bocca sul mio collo, le sue mani sui miei fianchi.

Non so come, ma riuscii in quel momento a razionalizzare: era notte e a meno di uno scherzo, nessuno avrebbe chiamato se non fosse stato importante. Non so come riuscii a richiamare la sua attenzione:

« Edward forse è importante: guarda almeno chi è…» risposi con il respiro affannato.

Lo vidi fissarmi e allungare una mano sul comodino alle mie spalle. Mi sembrò di sentire anche un leggero sbuffo e non potei fare altro che compiacermi del fatto che un’interruzione in quel frangente gli desse così fastidio, viste tutte le volte che si era “trattenuto” con me. Lo guardai mentre leggeva il numero sul display e avviava la comunicazione:

« Roaslie cosa c’è? Spero per te che sia importante…» cosa era accaduto per portare la sorella a chiamarlo in piena notte? Istintivamente pensai che fosse accaduto qualcosa ad Emmet. Ma poi lo vidi rabbuiarsi.

« Rose che succede? Non mi sembra proprio tu stia bene…come? Sì Bella è qui con me, ma non puoi aspettare domattina?...ok, ok cerca di calmarti te la passo» mi porse l’apparecchio con uno sguardo alquanto scocciato, ma nello stesso tempo dubbioso.

Appena presi il telefono la voce tremante di Rose mi giunse all’orecchio: stava piangendo, anzi singhiozzando e la preoccupazione si fece spazio in me.

« Rosalie cosa succede? – Nessuna  risposta solo singhiozzi dall’altra parte – è accaduto qualcosa ad Emmet?»

« No» finalmente la sua voce tremante mi arrivò, come fosse dall’altro capo del mondo.

« Ho bisogno di te… credo di essere nei guai»

« Cosa posso fare?» non me la sentii di sottovalutare o ignorare la sua richiesta.

« Puoi venire qui? Ti prego».

In quel momento guardai l’uomo splendido di fronte a me: si era alzato sulle ginocchia lasciandomi la possibilità di mettermi seduta.

I capelli spettinati dalle mie carezze, gli occhi lucidi per l’eccitazione, il torace nudo che si alzava rapidamente e il respiro ancora frettoloso. E una chiara nota di disappunto mista a preoccupazione negli occhi.

Ormai eravamo stati interrotti e non saremmo più riusciti a ricreare la stessa atmosfera di pochi attimi prima…e poi non avrei potuto ignorare una richiesta di quel genere, così a malincuore le risposi che sarei andata da lei in cinque minuti.

« Grazie Bella e vieni sola, non voglio che si preoccupi…ti prego» interrompemmo la comunicazione e sospirando annunciai a Edward che sua sorella aveva bisogno di me.

« Vengo con te»

«No! – lo fermai – preferisce che vada solo io, non credo sia nulla di importante e non vuole probabilmente farti preoccupare» in realtà non avevo la minima idea di cosa fosse accaduto, ma era chiaro che avesse bisogno di me e non di lui, o non volesse coinvolgerlo.

« Se le ha fatto qualcosa Emmet, lo uccido!»

« Non credo centri Emmet, ma ora è meglio che vada, ti saprò dire qualcosa di più quando avrò parlato con lei, fidati di me» feci il gesto di alzarmi dal letto per recuperare la mia maglietta, ma la sua mano calda e forte mi prese dal punto vita riportandomi sul letto, inginocchiata di fonte a lui:

« Mi dispiace così tanto» disse avvicinando le nostre labbra.

« Ci rifaremo presto» risposi accarezzandogli i capelli e lasciando un dolce bacio all’angolo della bocca, tramutato da lui in qualcosa di più passionale.

A malincuore mi alzai dal letto, uscii dall’appartamento di Edward e mi recai nel mio per cambiarmi e andare da Rosalie nel tentativo di capire cosa l’aveva spinta a quella chiamata, che aveva interrotto una delle notti più intense della mia vita

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 53
*** “In ogni istante….noi” ***


CAPITOLO 53

“In ogni istante….noi”

 

Mi avviai nella fredda notte londinese  al dormitorio dei ragazzi più grandi dove alloggiava Rosalie. In cuor mio ero certa non fosse accaduto nulla di veramente grave o avrebbe richiesto anche la presenza del fratello, ma si faceva strada in me la consapevolezza che potesse centrare Emmet e avesse voluto tenere fuori Edward per non dargli modo di accusarlo, vista la scarsa simpatia che aveva sempre nutrito per lui.

Mi strinsi ancora di più nel giaccone, recuperato frettolosamente dal mio appartamento e accelerai il passo: non che avessi timore, ma ritrovarmi in giro per il campus a notte fonda, sola non era proprio il massimo. Inoltre avrei tanto voluto rientrare al più presto per tornare da Edward e, se non proseguire quello che avevamo interrotto, almeno rimanergli accanto per il resto della notte. Non potei fare a meno, in quel momento nel silenzio e nel buio, di ripensare ai momenti appena passati e un lieve sorriso si dipinse sul mio volto. Quanto avrei desiderato che non ci fosse stata quell’interruzione!

Nel giro di qualche minuto  arrivai alla porta di Rosalie e bussai: mi aprì con il viso stanco e chiaramente turbata. Quando mi vide mi abbracciò calorosamente ringraziandomi di essere arrivata e scusandosi per l’intrusione. Le accarezzai il viso tranquillizzandola: in quel momento, per la prima volta mi sembrò veramente di avere di fronte una ragazza che nella vita aveva sofferto. È vero, aveva vent’un anni e nella maggior parte dei casi era forte e determinata nelle sue scelte, ma probabilmente quella forza nascondeva un passato di sofferenze e un appiglio per una vita ormai finalmente aggiustata.

La scostai e la guardai cercando di infonderle comprensione come ad una sorella:

« Rosalie tutto bene?» abbassò gli occhi e si allontanò facendomi entrare. Poi si voltò verso di me:

« Bella sono incinta!!!»

 

Probabilmente rimasi a bocca aperta per quella sua affermazione.

Emmet centrava eccome! E meno male che Edward non era lì o lo avrebbe ucciso seduta stante! Rosalie di fronte a me si incupì nuovamente e per evitare qualsiasi suo cedimento decisi di razionalizzare e farla calmare:

« Rosalie, come fai ad esserne certa…hai già fatto degli esami?»

Rosalie scosse il capo tra le lacrime: « No, ma ho un ritardo di dieci giorni e poi ho fatto questo…» si voltò e mi porse un test di gravidanza dove risultavano due strisce rosa molto pallide: quell’aggeggio infernale lo conoscevo molto bene, mi aveva dato gioie e dolori e con i ricordi degli ultimi giorni….

« Ma l’altra sera sembravi tranquilla..» non potei fare a meno di ricordare la nostra irruzione, che aveva messo al corrente Edward della sua relazione con Emmet.

« Non avevo ancora fatto mente locale e non avevo il sospetto».

Per un attimo mi stupii e feci una lieve elaborazione degli ultimi periodi.

Rosalie ed Emmet stavano insieme da un paio di mesi e se lei aveva un ritardo di dieci giorni avrebbe significato che… O mio Dio! Questi dopo nemmeno un mese erano stati insieme e io e Edward, di quasi dieci anni più grandi, ancora non eravamo arrivati da nessuna parte. Quasi mi vergognai per questo aspetto troppo puritano della nostra relazione.

Mi ricomposi e alzai lo sguardo su di lei cercando di mantenere la calma e restituendole lo stick:

« Emmet cosa dice?» a quelle parole ricominciò a piangere.

« Non gli ho detto del ritardo e del test, ma ho cercato di sondare il terreno nel caso di un’eventualità di questo tipo…»

« E lui….?»

« Ha detto che non sarebbe il momento, è troppo presto e dobbiamo chiarire molte delle nostre posizioni nella vita» continuò mentre i singhiozzi ricominciavano a scuotere il suo corpo.

« Rosalie questo non significa nulla. In fondo ha fatto un ragionamento giusto e poi per lui erano solo supposizioni: sono convinta che se sapesse ti sarebbe accanto. Hai sbagliato a non metterlo al corrente».

« La verità Bella è che ho paura, non solo di quello che può fare lui, ma anche di quello che potrebbero pensare i miei genitori…Edward: so che li deluderei troppo, non era questo che si aspettavano da me. Speravano che mi laureassi e mi trovassi un lavoro prima di avere una famiglia, è per questo che non ho detto niente a nessuno…non so che fare»

In quel momento intuii quali potessero essere i suoi pensieri e mi prodigai ad esporle le mie preoccupazioni:

« Rosalie…non sono la persona adatta a darti certi consigli, ma….» mi interruppe,

« oddio Bella…è vero…hai perso un bambino e io non ti ho mai chiesto nulla. Non so come è andata, scusa! Ho pensato a parlare con te senza sapere quello che poteva significare….perdonami, sono stata così superficiale….» le mani di fronte al viso, gli occhi sgranati come se fosse veramente preoccupata per i risvolti che i suoi problemi personali potevano avere anche su di me.

Ma in quel momento riuscii a comprendere i suoi dubbi e a lasciare da parte i miei.

« Non temere, è tutto a posto, poi un giorno ti racconterò. Non sto qui a dirti che nel tuo caso tu non debba prendere in considerazione tutte le ipotesi, ma prima di prendere qualsiasi decisione io ci penserei molto e valuterei il mio stato d’animo e anche quello delle persone che mi sono accanto. Non dare tutto per scontato basandoti su delle supposizioni. E poi sono convinta che Emmet ti ami troppo per non sostenerti in una situazione di questo genere.

Per non parlare dei tuoi, sono persone comprensive, così come Edward.

Beh! A dire la verità Edward ti appoggerebbe, ma ucciderebbe Emmet – un sorriso misto alle lacrime gli si dipinse sul volto – e poi non sei proprio una ragazzina. Hai comunque vent’anni e devi decidere tu cosa fare della tua vita: un eventuale figlio con la persona che ami e che ti sta a fianco è una cosa troppo bella, per non darsi la possibilità di fare qualche piccolo sacrificio».

Avevo detto quelle parole con il cuore, perché ci credevo: anche se sapevo che erano giovani e con il futuro ancora incerto, vedevo il loro legame e sapevo che una gravidanza lo avrebbe potuto rafforzare ancora di più. Ci vedevo Emmet in questo, nonostante la sua aria strafottente e sarcastica, sapevo che nascondeva un carattere molto più maturo e i sentimenti che provava per Rose sarebbero sopravvissuti a qualsiasi difficoltà. In fondo io avevo rischiato molto di più ad avere dei figli senza un compagno….

La vidi sorridere e abbracciarmi:

« Grazie Bella sapevo che parlando con te avrei saputo come fare e mi sarei rasserenata»

« Ora però prima di gridare “al lupo” dobbiamo verificare che sia vero»

« Ma, con il ritardo…e il test…..e come? non vorrei andare a Londra, sia Edward che Emmet si insospettirebbero»

« Non è detto…il test non è attendibile al cento per cento e poi non occorre andare a Londra, è sufficiente trovare un laboratorio di analisi e un ginecologo nei dintorni…gli abitanti qui andranno da qualche parte no?» sorrisi accarezzandole i capelli fino a che non si sentì sollevata.

« Direi che potrei informarmi: domani mattina ho lezione solo alle ultime due ore, ma se vuoi questa notte potrei restare con te se non ti senti di rimanere sola» in realtà vedevo che era ancora molto agitata e il legame di amicizia che mi univa a lei mi faceva sentire la necessità di starle accanto.

« Non voglio che ti disturbi ho già abusato troppo  del tuo tempo, è molto tardi, sarai stanca e poi Edward…»

« No, preferisco stare un po’ con te, anche se dovrò trovare una scusa per tuo fratello, sia per domattina che per….stanotte» arrossii lievemente cercando di non dimostrare a Rose, con i miei occhi, il mio stato d’animo sulla serata che aveva passato con suo fratello. Per il mattino dopo avrei avuto una buona scusa per non uscire di casa con lui, ma gli avevo detto che forse lo avrei raggiunto quella notte e avrei dovuto dargli delle spiegazioni.

« Ti prego Bella, non sono ancora pronta a parlargliene…»

« Ok, non lo farò – pensai – dovremo trovare una scusa, anche se sarà una piccola bugia, ma quando avrai chiarito tutto, ti prego, devi dirgli la verità: non sopporto l’idea di mentirgli» mi sorrise lievemente ringraziandomi ancora. Mi rilassai accanto a lei sul piccolo divano.

« Bella mi dispiace molto di avervi disturbato stanotte...stavate dormendo? Sai ho provato a chiamarti al cellulare e quando ho visto che non mi rispondevi ho immaginato fossi da lui» in realtà mi aspettavo una conversazione di questo genere. Era tipico delle sorelle Cullen interessarsi un po’ troppo degli affari personali del fratello e della sottoscritta. Non potei però deviare il discorso

« Sì….ho avuto bisogno di lui… e…no – azzardai – non stavamo propriamente dormendo» arrossi vistosamente e lei capì.

« Oddio scusa…. che guastafeste!» si capiva dal tono che era sincera…ma ormai la frittata era fatta.

« Non ti preoccupare, ci rifaremo….sono stati giorni pieni e aspettare non ci farà male».

Che bugiarda che ero! Ma non potevo farla sentire ancora più in colpa di quanto già non fosse.

« Quindi tu e mio fratello siete a buon punto?» questa volta il sorriso sul suo volto fu chiaramente provocatorio e non potei fare a meno di lanciarle una frecciatina di rimando, sperando non si offendesse troppo.

« Mai come voi»

« Sì e i risultati non sono proprio il massimo…».

La rincuorai, dicendole che tutto si sarebbe sistemato per il meglio.

« Bella vuoi raccontarmi cosa ti è successo?»

Sembrava che tutta la famiglia Cullen volesse essere a conoscenza del mio passato, ma in quel momento stavo bene e Rosalie seppur più giovane era una buona amica e avrebbe potuto trarre giovamento dalle mie esperienze.

Passammo circa mezz’ora in cui si limitò ad ascoltare la mia storia, la vedevo rattristata, ma la tranquillizzai: « ora sto bene e quello che ti ho detto ti potrebbe servire per prendere le tue decisioni»

« Edward sa quello che ti è accaduto?»

« Sì, da non molto, ed è stato fantastico…come sempre»

« Lo so, il mio fratellone è unico e sono felice abbia incontrato te. Siete perfetti insieme»

« E’ molto tardi, forse faremmo meglio a riposare così domattina presto potremo iniziare le nostre ricerche»

« Già, sono quasi le tre in fondo».

A quelle parole mi fermai a riflettere. Da quanto tempo ero lì da lei? Mi venne in mente qualcosa che forse ci avrebbe potuto risparmiare qualche giro a vuoto per ambulatori.

« Rose, a che ora hai fatto il test?»

« Erano circa le sette, perché?»

« Sono passate otto ore…credo che sia il momento di rifarlo»

« Bella, ma che significa? Se ero incita otto ore fa, non mi sono venute come faccio  a…»

« Quando mi sono ritrovata a sperare di avere un altro bambino ho chiesto più volte spiegazione sui falsi segnali. La ginecologa mi spiegò che spesso capita che vi siano delle fecondazioni che poi non si impiantano e che vengono espulse normalmente al ciclo successivo. Il test rileva la presenza dell'ormone per molto tempo, ma non è quello che indica una reale gravidanza»

« Ma a me il ciclo non è ancora arrivato»

« Cara Rose tutti gli aspetti emotivi e psicologici possono scombinarlo, questo dovresti saperlo, ora dobbiamo solo procurarcene un altro»

« Non posso lasciarti uscire sola »

 « Allora dovremo chiamare Ed e chiedere a lui, inventando una scusa, ma poi – mi voltai a guardala – dovremo dirgli la verità». La vidi sbiancare, ma cercai di tranquillizzarla promettendole che sarei stata muta come un pesce per il momento.

Presi il telefono e prima di digitare il suo numero pensai ad una scusa plausibile per farmi accompagnare in una farmacia a quell’ora di notte.

Il telefono fece appena due squilli e la voce ansiosa di Edward dall’altra parte mi fece capire che non era ancora riuscito ad addormentarsi. Dopo avergli spiegato con non poca fatica che era tutto a posto, mi inventai la scusa che la sorella non si fosse sentita bene e che dietro consiglio del medico avrebbe dovuto prendere alcuni farmaci:

« Certo che ti accompagno, non penserai che ti possa lasciare sola in giro per Londra a quest’ora di notte?» il tono era deciso, ma capii che non l’aveva bevuta del tutto. Sperai che in auto insieme e soli non si facesse avanti con supposizioni o sospetti, o non sarei riuscita a mantenere il segreto per molto.

Ci demmo appuntamento entro dieci minuti alla sua auto e mentre salutavo Rose e percorrevo il cortile cercai di mettere su l’espressione più tranquilla e distaccata possibile.

« Amore tutto bene?» la sua voce calda, ma nello stesso tempo calma mi destò dai miei pensieri.

« Sei già qui?....mi dispiace averti fatto alzare»

« No dispiace a me, che ha combinato Rosalie, sei sicura che vada tutto bene?» mi fissava con quegli occhi splendidi e dovetti far venire fuori tutto il mio coraggio per non spifferare nulla.

« Sì tutto bene, ha solo bisogno di alcuni farmaci, non si è sentita molto bene»

« E perché ha chiesto di te? Avrei potuto fare io, farti girare così… in piena notte….» mi domandò mentre apriva le portiere dell’auto e accendeva ilo motore, portandoci fuori dal campus, sulla strada per il paese. Sapevo che aveva molti dubbi, ma cercai il più possibile di sviare il discorso.

« Sai com’è…certi disturbi si condividono più facilmente con una donna…» cercai di rendere la cosa più imbarazzante, così da interrompere il discorso. Mi appoggiai allo schienale beandomi del calore dell’abitacolo e lo guardai nella sua bellezza anche reduce da una notte movimentata. Nel giro di dieci minuti arrivammo ad una farmacia aperta e non fu facile bloccarlo, quando si offrì di entrare al posto mio.

Velocemente entrai, feci il mio acquisto e uscii nel gelo della notte, per risalire sulla sua auto. Una volta rientrati al campus mi trattenne per un polso e mi sorrise, invitandolo a raggiungerlo se Rosalie si fosse sentita meglio. Lo rassicurai con un sorriso e un lieve bacio sulle labbra e promettendogli che ci saremmo rivisti l’indomani. Allontanarmi da lui anche in quel frangente fu un dolore fisico e il ricordo della nostra serata rese tutto ancora più difficile.

Il test eseguito da Rosalie risultò negativo, mettendo ancora di più in dubbio il suo stato, ma non rassicurandola tanto da poterla far riposare alcune ore. E quando il mattino dopo me ne andai dal suo appartamento mi rassicurò dicendo che avrebbe cercato da sé un medico, per accertarsi della situazione e mi avrebbe fatto sapere qualcosa al più presto: dopo la nostra conversazione non aveva smesso si ringraziarmi, si era fatta più forte e decisa ad affrontare qualsiasi situazione, era più serena, ma sicuramente fino a che non avesse fatto chiarezza il suo umore non sarebbe migliorato.

Ero molto stanca e sapendo di avere lezione solo alle undici ne approfittai per farmi una doccia e stendermi nel letto.

Avevo avvisato Ed che ci saremmo visti nel pomeriggio, inventandomi che la sorella stava meglio e che pur mancandomi molto avevo preferito starle accanto per il resto della notte. In realtà non volevo rischiare che la sua vicinanza mi destabilizzasse tanto da raccontargli più di quanto in quel momento avrei dovuto. Ci sarebbe stato il tempo per tutto: anche per noi che il giorno dopo saremmo partiti per il week end a Londra.

 

Erano ormai le due del pomeriggio quando mi recai nel mio appartamento dopo lezione per preparare i bagagli per il giorno dopo.

Non avevo avuto notizie di Rosalie e pur sapendo di non dovermi preoccupare, non potei non pensare alla decisione che avrebbe preso se la visita dal medico avesse dato esito positivo.

Quando entrai in casa quasi sobbalzai nel trovarci Edward ad aspettarmi comodamente seduto sul divano. Non ci fu bisogno di parlare, mi era mancato come l’aria e in un attimo gli fui addosso per baciarlo e stringermi a lui. Mi stesi quasi completamente sul suo corpo, incollando le mie labbra alle sue e potei sentire le sue mani indugiare sui miei fianchi per tenermi saldamente. Ci staccammo a fatica dopo alcuni minuti, più per riprendere fiato che per il desiderio di allontanarci e lo guardai languidamente per dirgli ciò che provavo in quel momento:

« Mi sei mancato così tanto…»

« Anche tu…come sta Rosalie?» sentivo un tono di preoccupazione per la sorella, ma nel contempo di poca convinzione su ciò che gli avevo raccontato la sera prima.

« Bene, stai tranquillo, non è nulla di grave…» odiavo mentirgli e mi costava molto coprire i dubbi di Rosalie, ma mi aveva garantito che qualsiasi fosse stato il risultato avrebbe parlato al più presto con Emmet e la sua famiglia e io mi sarei potuta chiarire con Edward sulla mia posizione. Comunque per evitare qualsiasi altra conversazione di quel genere mi accoccolai meglio sul suo petto, accarezzandolo e lasciando una leggera scia di baci lungo il suo profilo: in realtà i miei gesti erano forse un po’ troppo lascivi con lo scopo di distrarlo, ma stavano facendo piacere sia a me che a lui e volevo sentisse quello che stavo provando, che desideravo, così come era avvenuto la sera, prima dell’interruzione di Rosalie.

Sentivo il suo respiro farsi più affannoso e sapevo che stavo riuscendo nel mio intento:

« Stai per caso cercando di distrarmi Bella?» lo sentii sussurrare. Un piccolo sorriso si dipinse sulle mie labbra: non gli sfuggiva nulla. Alzai il viso per guardarlo negli occhi:

« Mi sei solo mancato da morire e mi dispiace perché devo alzarmi da qui e iniziare a preparare la valigia per domani. Mi puoi dare qualche dritta sul programma? Così per farmi un’idea su quello che dovrò portare…» lo vidi fissarmi negli occhi e sorridermi.

« Beh, ti posso solo dire che andremo sia in posti eleganti che casual…quindi….» sorrisi a mia volta: mi faceva impazzire quando era così criptico e sapevo che non si sarebbe sbottonato troppo. Immaginai, visti i suoi standard, che non ci saremmo limitati a cene al Mc Donald, ma decisi comunque di azzardare sia sugli abiti che…sotto, per dare una svolta decisiva al nostro rapporto.

Mi alzai malvolentieri dal suo corpo e mi diressi in camera seguita da lui che non perdeva occasione per accarezzarmi le mani, le spalle o fermarmi in ciò che facevo per baciarmi. Ormai i nostri corpi rispondevano l’uno all’altro e la carica elettrica che si sprigionava tra noi era palpabile.

Mentre eravamo intenti a chiacchierare, ridere e scambiarci effusioni di fronte al mio guardaroba, sentii bussare imperiosamente alla porta: lasciai il mio compagno nella stanza e mi diressi ad aprire, quando un fulmine dai capelli biondi mi saltò con le braccia al collo e, incurante della presenza di qualcun altro nell’appartamento, urlò senza ritegno:

« Bella, come sono felice , è tutto a posto, è tutto a posto!!!!»

La scostai leggermente, con l’intento di informarla della presenza del fratello nel mio appartamento, ma non feci in tempo perché continuò nella sua spiegazione.

« Sono stata dal medico che è qui in paese, stamattina. È stato un falso allarme, come avevi detto tu, e in più, poco fa, mi sono venute. Bella, non sono incinta per fortuna! Ho ragionato molto su quello che mi hai detto e voglio che succeda, ma adesso, così velocemente, preferisco che sia andata in questo modo». Non riuscii a ribattere.

« Sei incinta?????» la voce sconvolta di Edward apparso nel corridoio a fianco a noi « io lo ammazzo quello…e tu???…..come hai potuto fare così poca attenzione e così presto??? sei stata un’irresponsabile!!!» Edward era seriamente arrabbiato e fissava la sorella ancora abbracciata a me. Cercai di intervenire, ma Rosalie mi zitti:

« Edward io…..era solo un falso allarme non sono incinta»

« Ma credevi di esserlo! E’ per quello che hai avuto bisogno di Bella ieri sera??» i suoi occhi saettarono su di me, seri, quasi arrabbiati e nel momento in cui cercai di giustificarmi lei intervene nuovamente:

« La colpa è stata mia, ho avuto bisogno di lei e le ho chiesto io di non dirti nulla, ma solo fino a che non ne fossi stata certa, poi te ne avrebbe parlato» .

Vedevo in lei la solita determinazione e in lui molta contrizione, forse proprio per non essere stato informato. Sperai vivamente che non ce l’avesse con me. Continuò a parlarle con il tono molto serio:

« Io sapevo che Emmet ti avrebbe solo portato problemi, non è uno di cui fidarsi….»

« Non è vero Ed!» il tono di Rose stava dimostrando il suo astio nei confronti di quelle parole e della poca considerazione che Edward aveva per il suo ragazzo.

« Te l’ho già detto, tu non lo conosci, so che forse siamo stati incoscienti e sono felice di non essere incinta, ma ciò non toglie che questa è la vita che mi sono scelta e voglio che lui ne faccia parte». Iniziai a vedere le lacrime lambire il suo volto. Non l’avevo mai vista piangere e in quel momento mi fece tenerezza. Mi accorsi anche che la durezza di Edward si era affievolita: probabilmente non desiderava in alcun modo farla soffrire.

« Rose tu lo sai che mi preoccupo per te» il tono molto più calmo e dispiaciuto. Fece il gesto di allungare una mano e posarla sulla sua spalla, ma lei si scansò leggermente:

« Lo so che ho sempre creato casini e forse non sono mai stata degna di essere una Cullen, ma siete la mia famiglia, vi amo, ma amo anche Emmet e in questo momento non voglio dover scegliere…perché sceglierei lui» abbassò lo sguardo lasciando sia me che Ed perplessi. Il loro legame era qualcosa di unico e ora più che mai ero convinta che se anche quel test avesse dato esito positivo, il loro amore non avrebbe subito incrinature.

« Non dire mai queste cose, tutti facciamo degli errori e non sei mai stata sbagliata: sei meglio anche di me . E’ solo che….non voglio che tu ti debba pentire delle tue scelte e desidero tanto che la strada della tua vita sia in discesa e tu non debba mai soffrire quello che ad esempio ho sofferto io o…Bella» disse voltandosi verso di me con uno sguardo preoccupato, ma anche carico d’amore. Vedevo il loro affetto, vedevo la cura che aveva per sua sorella, ricordando anche quello che lei mi aveva detto tempo addietro sui suoi sentimenti. Ma in quel momento vedevo di fronte a me due pezzi di una famiglia fantastica, forte, legata e pronta a tutto pur di sostenersi nelle difficoltà.

« Non mi pentirò mai di lui – ribadì lei decisa – pensa a quello che hai con lei – disse indicandomi – pensa se ti fosse stata data la possibilità di conoscerla tanto tempo fa. Pensi che le scelte e il destino della tua vita sarebbero stati diversi?»

Edward mi fissò intensamente per alcuni istanti e poi rispose:

« Assolutamente sì, non l’avrei mai lasciata, mai fatta soffrire…» per un attimo dimenticai i problemi di Rosalie e pensai a lui, a noi, a quanto il destino beffardo avesse fatto per farmi incontrare una persona così e non potei non trattenere un groppo alla gola: se solo avessi potuto mi sarei fiondata su di lui per stringerlo con tutte le mie forze.

« E’ la stessa cosa che provo per Emmet, so che con lui la mia vita sarà migliore, potrò fare le scelte giuste e non voglio perdere questa occasione». Edward non riuscii più a ribattere nulla, l’unica cosa che riuscì a fare fu abbracciarla:

« Stai solo attenta, ok? Non voglio che tu stia male, sei la mia sorellina…» e fece comparire sul suo viso quello splendido sorriso che lo contraddistingueva.

« Ora è meglio che vada, ribadì Rose, devo andare  a parlare con Emmet – capì cosa intendeva, voleva metterlo al corrente di quello che era “quasi” accaduto – ti voglio bene fratellone e stai tranquillo, starò attenta. Tu goditi il tuo, anzi il vostro weekend. E non arrabbiarti con lei. Voleva che te ne parlassi subito, ma prima dovevo chiarire. È una persona troppo corretta e ti ama troppo per meritarsi una ramanzina. Sono io quella scapestrata ricordi?» e un lieve sorriso tra le lacrime comparve anche sul suo volto. La vidi allontanarsi, salutarmi ringraziandomi e si chiuse la porta alle spalle, lasciandoci nel silenzio.

« Mi dispiace di non avertelo detto ieri sera, ma sai…» non riuscii a finire, avevo troppa paura ce l’avesse un po’ con me, ma come al solito mi stupì. Si girò verso di me e mi accarezzò lievemente una guancia con le sue mani calde.

« Non ce l’ho con te…non potrei mai e ti capisco, forse al tuo posto avrei fatto la stessa cosa anche io, e poi se troppo leale…,ma ti prego…cerca di non tenermi mai all’oscuro di nulla, voglio far parte della tua vita al cento per cento» e nel dire questo mi baciò lievemente sulle labbra, per poi passare alle guance e alla fronte. Mi strinsi a lui che ricambiò:

« Certo che potrei spaventare un po’ quel troglodita…se solo si azzarda di nuovo…., ma ti rendi conto?…stanno insieme da un paio di mesi…..» sorrisi, mi scostai leggermente e lo zittii con un dito sulle sue labbra che prontamente baciò. Volevo giocare sporco e sostenere la causa di Rose così gli accarezzai lentamente il volto e il torace strofinando la fronte sul suo mento e parlando col tono più pacato che potessi: « Ed si amano, sono splendidi insieme, non avercela con lei, in fondo un piccolo errore può capitare….sai che in certe occasione si può perdere la cognizione e non ragionare» ribadì disegnando piccoli ghirigori sul suo torace. Non so come riuscii a risultare sensuale, ma lo sguardo lucido e il respiro accelerato di Edward mi dimostrarono che ero riuscita a calmarlo...almeno nei confronti di Rose.

« Giochi sempre sporco, tu, eh?» mi disse strofinando il naso sul mio e iniziando a lasciare piccoli baci sul mio collo. Una mano sul mio fianco, l’altra che lambiva la pelle dietro all’orecchio. Veramente chi mi stava tentando era lui, perché in quella situazione con le mani e le labbra sul mio corpo, ero io che non connettevo più. Mi lascò un ulteriore bacio sulle labbra per poi allontanarsi:

« Ora è veramente meglio se prepari la tua valigia, Londra ci aspetta !!!!» si allontanò mantenendo un sorriso soddisfatto e malizioso sul viso e aiutandomi a terminare ciò che stavo facendo, prima di ritirarsi nel suo appartamento per fare altrettanto. Sperai vivamente che il giorno dopo arrivasse prima possibile.

 

Il mattino dopo ci trovammo insieme per andare a lezione e darci poi appuntamento alla sua auto nel primo pomeriggio. In quel momento una strana sensazione di dejà vu mi percorse. Chissà se questa volta le cose sarebbero andate diversamente? Ora stavamo insieme e in realtà ci credevo, ci tenevo e lo desideravo follemente.

Salimmo sull’auto iniziando a chiacchierare della mattina appena trascorsa e dei programmi per il fine settimana.

« Hai visto Rosalie stamattina?» chiesi, anche per sondare il suo umore dopo le scoperte e la chiacchierata della sera prima.

« Sì, era insieme a lui» il volto leggermente contratto in una smorfia di disapprovazione: non sarebbe stato facile fargli andare a genio Emmet. Cercai di sdrammatizzare:

« E lo hai lasciato vivo?» chiesi con un sorriso.

« Solo per non dare scandalo e non rovinare il week-end finendo in cella» non potei fare a meno di ridere di gusto vedendo spuntare anche sul suo volto un lieve sorriso.

Mi accoccolai come mio solito sul sedile dell’auto rannicchiandomi anche con le gambe: lo guardavo senza riuscire a distogliere lo sguardo. Ma come era possibile che il mio cuore dopo tutti quei mesi che lo conoscevo saltasse ancora i battiti nell’osservarlo?

« Bella tutto bene?» bastava che rimanessi in silenzio un po’ più del lecito che subito si preoccupava per me e riusciva a farlo anche quando sembrava impegnato in altro.

« Sì certo….stavo solo immaginando come saranno questi giorni e…non vedo l’ora di tornare nella tua splendida casa»…e di passare finalmente la notte con te! Lo pensai solo, ma se lo avessi detto non sarebbe stato poi così sconvolgente.

In meno di un’ora giungemmo alla nostra meta. Dopo aver parcheggiato, preso i nostri bagagli e salutato la signora Spencer, mi ritrovai finalmente per la seconda volta nello splendido salone del suo appartamento. Il profumo, la luce, l’arredamento, tutto era come la prima volta e le sensazioni che quella casa mi trasmettevano erano di pace, ma anche di eleganza. Era un’emozione starci dentro.

La voce di Edward interruppe i miei pensieri:

« Porto su le valigie, non te lo devo dire, ma fa come se fossi a casa tua»

« Ricordavo vagamente come fosse questo appartamento, ma nulla gli rende giustizia» mi sorrise allontanandosi su per le scale.

Mi affacciai alla finestra soffermandomi un po’ sul panorama per poi distendermi sul divano: ero un po’ stanca, il lavoro, il viaggio e la notte insonne a casa di Rosalie ancora si facevano sentire.

Probabilmente mi appisolai, quando sentii una voce e un tocco leggero che mi risvegliarono.

« Bella ti sei addormentata, perché non vai in camera?» non risposi subito dandogli probabilmente l’idea di non averlo sentito e questo lo autorizzò ad avvicinarsi ulteriormente a me. Ancora a occhi chiusi, non potei non riconoscere il tocco delle sue mani che mi accarezzavano il volto e che avrei voluto su tutto il resto del mio corpo, il suo fiato sempre più vicino fino a percepire il lieve sfiorare della sua pelle sulla mia. Dopo quel contatto non potei fare a meno di aprire gli occhi:

« Credo di essermi appisolata» dissi piano.

« Perché non vai in camera a riposare, io intanto esco a prendere qualche cosa per questi giorni: sai non ho voluto disturbare Kate».

A quelle parole mi ridestai completamente, non volevo allontanarmi da lui nemmeno per un attimo e così decisi di accompagnarlo.

« Non temere vengo con te, mi sono solo goduta per un attimo la comodità del tuo divano. Voglio passare ogni minuto insieme» gli dissi accarezzandogli il volto ancora vicinissimo al mio. A quelle parole i nostri occhi si incatenarono e lo vidi azzerare ogni distanza baciandomi appassionatamente. Lo lasciai fare, dischiudendo le labbra e lasciando che le nostre lingue si intrecciassero e si assaggiassero con decisione. Interrompemmo il bacio, ma mi soffermai ancora qualche secondo a mordergli il labbro inferiore e a schioccare qualche lieve tocco sul bordo di quello superiore. Mi alzai malvolentieri da quel divano e mi preparai per accompagnarlo.

Era stata proprio una buona idea: passeggiare per le strade di quella zona molto tranquilla ed elegante, mi aveva ricaricato e trovarmi a fare acquisti con lui per le nostre giornate lì mi dava un’idea di familiarità che mi piaceva molto.

Una volta rientrati Edward mi informò che sarebbe stato meglio prepararsi. Mi disse che aveva depositato i miei bagagli nella camera degli ospiti per darmi la possibilità di cambiarmi con calma e avere a mia disposizione tutta la privacy necessaria. Gli fui grata per questa sua premura, ma nella mia mente cominciai a immaginare ad un modo per ritrovarmi a fine serata nella sua stanza: in questo sarei stata determinata.

Gli chiesi cosa avrei dovuto indossare e lui mi consigliò qualcosa di elegante: pensai seriamente di non essere adeguata ad accompagnarlo, non che non avessi nulla di adatto, ma non sarei probabilmente riuscita a competere con lui e con quello che avrebbe avuto da propormi. Si accorse probabilmente dei miei dubbi perché cercò di attirare la mia attenzione:

« Bella, io penso che tu non ti debba preoccupare troppo di ciò che indosserai, sarai sicuramente comunque troppo bella. Tu non sai quanto io mi sforzi per non fissarti continuamente anche quando indossi le cose più semplici» arrossii leggermente. Non mi sarei mai abituata ai suoi complimenti e alla sua dolcezza.

« Ti ringrazio – tentati di giustificarmi – è solo che non so se ho niente di appropriato e non vorrei essere inadeguata» lo vidi avvicinarsi e prendermi il volto con entrambe le mani. Mi lasciò un dolce bacio e poi mi disse di andare in camera e forse avrei trovato la cosa giusta. Quando entrai notai subito la busta appesa all’armadio e capii che conteneva un abito. Per un attimo mi preoccupai di quello che avrei potuto trovare, ma lui mi tranquillizzò e mi invitò ad aprire l’involucro. Con mia grande sorpresa mi ritrovai davanti l’abito che Alice mi aveva regalato a Forks e che avevo indossato per la festa di fine anno. Rimasi abbastanza stupita, ma Edward mi precedette:

« Lo avevi dimenticato a casa mia, ho pensato che ti sarebbe piaciuto riaverlo e poi….ti stava divinamente. Mi piacerebbe se lo indossassi…sempre che lo voglia anche tu»

« Certo, adoro questo vestito, credevo di averlo perso – dissi guardando l’abito e accarezzandolo – mi ricorda una bella serata» ed era vero.

Quella notte io e Edward avevamo parlato tanto, si era aperto con me e mi aveva raccontato gran parte del suo passato, ma poi le mie paure, le incomprensioni….cercai di scacciare dalla mente i ricordi più brutti ormai da buttare e di concentrarmi sulla serata che avremmo avuto davanti.

« Ti lascio così potrai prepararti con calma» mi baciò e si allontanò.

Ormai con gli ormoni a palla mi fiondai sotto la doccia cercando di riprendermi dall’effetto che la su vicinanza mi faceva.

Dopo la doccia, mi dedicai al mio corpo con un abbondante strato di crema profumata, prima di indossare il vestito e le scarpe e sistemare i capelli lasciandoli sciolti sulle spalle. Mi sembrava che già l’abito, che fasciava il mio corpo e lasciava abbondantemente scoperte spalle e decolté, da sé completasse il look.

Quando fui praticamente pronta sentii bussare e il volto di Edward riflesso nello specchio in cui stavo guardando il risultato, mi riportò nel mondo dei sogni.

« Sei pronta?» mi chiese entrando con discrezione e posizionandosi alle mie spalle. Solo in quel momento, quando il suo sguardo si posò sul mio corpo come se fossi la cosa più bella che avesse mai visto, notai il suo abbigliamento. Indossava un abito molto simile ad uno smoking, con giacca e cravatta, i capelli spettinati ad arte. Era una visione unica. Probabilmente mi incantai, quando si appoggiò alla mia schiena abbracciandomi e sussurrando al mio orecchio:

« Sei semplicemente meravigliosa, penso che passerò la sera a fulminare gli altri uomini per gli sguardi che avranno su di te»

« Ma ti sei visto allo specchio???» vestito in quel modo incarnava il sogno proibito di ogni donna sana di mente.

« Io nello specchio vedo solo una dea, la mia dea…» e mi scostò i capelli per lasciarmi una lunga scia di baci sul collo. I brividi che percorsero il mio corpo in quel momento mi mandarono in un’altra dimensione e non esitai a farglielo sapere.

« Edward credo che se continui così dovremo annullare la serata…»

«Mmmhhh» solo un lieve gemito uscì dalle sue labbra. Ma la sua tortura non terminò, anzi, oltre alle labbra, le mani iniziarono ad accarezzare il mio punto vita fino ad intrecciarsi sul mio ventre e facendo adagiare ancora di più i nostri corpi.

Se avesse continuato così non ce l’avrei mai fatta.

Probabilmente i miei ansiti arrivarono alle sue orecchie e una lieve risata uscì dalle sue labbra.

« Sei un demonio se vuoi, lo sai??» staccò le sue labbra dalla mia pelle riportandomi sulla terra e sorridendomi malizioso.

« Veramente sei tu che mi tenti, ma direi di andare ora, se vorrai ci sarà tempo per tutto…» ok, ora non c’erano dubbi su quelli che sarebbero voluti essere i suoi programmi per il dopocena.

Ma a chi volevo darla a bere? Era la stessa cosa che avevo pensato anche io nel momento in cui mi aveva proposto quel weekend e che era divenuta certezza quando era entrato in quella stanza e mi aveva stretto a sé.

Ero sul punto di voltarmi e prendere di nuovo possesso delle mie facoltà, quando mi fermò nuovamente:

« Credo che manchi qualcosa però» e lo vidi prendere dalla tasca una custodia che conoscevo molto bene: lo splendido bracciale che mi aveva regalato per natale e che avevo messo nel dimenticatoio dopo la mia stupida fuga.

« Non volevo frugare in casa tua, ma una sera l’ho visto dentro ad un cassetto socchiuso e ho pensato che avessi avuto voglia di indossarlo»

Presi un profondo respiro e cercai di giustificarmi, ma mi bloccò: «non ti preoccupare….capisco il perché non te la sentissi di portarlo….ma ora?» non dissi nulla: gli sorrisi e gli porsi il polso al quale si affrettò ad allacciare quello splendido gioiello per poi a lasciare un delicato bacio. Lo guardai e non potei fare a meno di rimirarne la bellezza: « E’ splendido, non lo ricordavo così…abbagliante»

« Tu sei abbagliante» sollevai lo sguardo compiaciuta, sembrava fosse veramente convinto di ciò che diceva e ogni sua parola dava anche a me la convinzione di essere speciale.

Mi voltai nella sua stretta mettendogli le braccia intorno a collo e baciandolo, gli proposi di andare per iniziare quella che ero certa sarebbe stata una magnifica serata insieme all’uomo della mia vita.

 

La serata fu assolutamente meravigliosa.

Edward mi portò a cena in un ristorante veramente esclusivo, in un angolo appartato, con tanto di candele, dove spesso l’unico suono erano le nostre voci sottili. La luce fioca e calda illuminava il suo volto e io come molte altre volte mi ero chiesta come una persona potesse essere tanto meravigliosa, sia fuori che dentro.

In quei momenti passati con lui in quel locale, a parlare del più e del meno, ad ascoltare i suoi complimenti nei confronti del mio aspetto, del mio carattere, non potevo fare a meno di soffermarmi sui dettagli della mia storia con lui.

Le nostre mani quasi sempre in contatto sul tavolo, gli sfioramenti quasi involontari delle nostre ginocchia sotto. I suoi occhi nei miei, muti silenziosi in apparenza, ma che dietro urlavano tutti i sentimenti e la passione che nei momenti in cui eravamo insieme saturavano l’aria: e il mio respiro, leggermente incerto, specchio del suo, come a voler sincronizzare i nostri silenzi.

L’uomo che avevo davanti aveva la capacità di parlami con il corpo e con lo sguardo, ormai lo avevo capito, ma qualcosa di diverso aleggiava in lui quella sera. Vedevo amore, ma anche desiderio. Per la prima volta veramente si percepiva in lui l’espressione di un uomo che desidera la sua donna e sapevo, o almeno speravo vivamente che questa sua consapevolezza e questa sua determinatezza non sparissero, o non fossero trattenute, come era accaduto tutte le altre volte da quando ci conoscevamo, una volta rientrati nel suo appartamento.

Dopo la cena fu la volta del teatro. Pur amando da sempre la musica non mi sarei mai aspettata di potermi emozionare così di fronte ad un concerto di classica: forse il luogo, così magico ed elegante, probabilmente la compagnia di Edward che come incantato non perdeva una nota, e teneva la sua mano calda saldamente ancorata alla mia scatenandomi brividi e strane sensazioni ogni qualvolta, sicuramente in modo volontario, mi accarezzava il palmo o il dorso della mano con i polpastrelli.

Era stata una giornata ricca di emozioni e quando rientrammo a notte fonda nel suo appartamento non potei fare a meno di chiudere gli occhi e massaggiarmi la nuca cercando di distendere i muscoli ormai stanchi. Quando sentii chiudere la porta d’ingresso alle mie spalle  e accendere solo la luce fioca dei faretti a soffitto, non potei fare altro che guardarlo di soppiatto con la coda dell’occhio, per capire quali sarebbero state le sue reali intenzioni una volta soli.

Come al solito i suoi gesti parlavano per lui. Lo sentii avvicinarsi a me e abbracciarmi da dietro appoggiando il volto fra i miei capelli dove lasciò una serie di baci molto dolci:

« Hai un profumo meraviglioso e se così bella…ma….credo di avertelo detto almeno un centinaio di volte questa sera».

Non potei fare a meno di incrociare le braccia per stingerlo maggiormente a me, socchiudere gli occhi e gettare lievemente la testa indietro fino ad appoggiarmi completamente al suo volto e al suo corpo, lasciando uscire dalle mie labbra un lungo sospiro più simile ad un gemito.

« Sei stanca?» la sua voce, calda al mio orecchio. Non riuscii a rispondere se non con un cenno negativo della testa.

« Hai voglia di qualcosa da bere prima di andare a dormire?» mi sorrise premuroso come sempre.

« Perché no, magari una bella tazza di the caldo» risposi ruotando nel suo abbraccio e fissando i suoi occhi che sembravano brillare di luce propria.

Ci staccammo dalla nostra stretta e lo vidi indietreggiare, togliersi la giacca in un gesto lento ed estremamente seducente e un sorriso malizioso sul volto. Per un attimo mi soffermai sull’idea di aiutarlo con le mie mani e privarlo anche di tutti gli altri indumenti, ma poi mi fermai a riflettere e cominciai ad elaborare ciò che avrei veramente voluto per quella serata. Appoggiò la giacca sullo schienale del divano e iniziando a sbottonare i polsini della camicia per arrotolarla sugli avambracci, lo vidi dirigersi alla cucina.

In quel momento pensai a come rendere ancora più magica un’atmosfera già perfetta grazie a quella serata: decisi per prima cosa di andare al piano superiore e avvisai Edward che mi sarei andata a mettere qualcosa di più comodo. In realtà stavo pensando come cercare di apparire il più possibile desiderabile ai suoi occhi, certa che niente avrebbe potuto battere la sua innata sensualità, quando mi ritrovai nella sua stanza: in un attimo mi resi conto che anche se per galanteria Edward mi aveva fatto preparare la stanza degli ospiti, era lì, con lui, in quel letto che sarei voluta rimanere quella notte.

Non so bene con quale coraggio, ma sicuramente spinta dal desiderio di stargli accanto ignorai del tutto la porta che dava nella mia stanza, mi avvicinai allo specchio del suo guardaroba, accarezzando lievemente il piano lucente dello splendido comò e decisi di accendere le candele che vi si trovavano come soprammobile. In quel momento la stanza era illuminata solo dalla loro fioca luce e dal riflesso che proveniva dal piano inferiore. Mi guardai allo specchio, seria, osservando l’abito riflesso e decisi di toglierlo per non rovinarlo e indossare una tuta o un abbigliamento comunque più consono alla notte. Portai lentamente le mani alla lampo sul retro del vestito per abbassarla, quando dopo pochi centimetri mi resi conto che si era inceppata. Probabilmente la leggera seta era scivolata nei binari e questo mi impediva, in quella posizione sicuramente scomoda di risolvere il problema. Mi trovai indecisa per un attimo se chiamare Edward per farmi aiutare, ma non dovetti pensare oltre.

« Ti serve una mano?» il suo volto appena illuminato, ma velato da una nota di stupore per la mia presenza lì, la sua figura a braccia incrociate, in cima alle scale che mi fissava, mi fece trasalire per la sorpresa: poi con un lieve sorriso e cercando di sdrammatizzare gli indicai la schiena.

« La mia proverbiale sbadataggine ha colpito ancora: credo si sia inceppata e non volevo rischiare di rovinare il vestito».

Lo vidi avanzare con un passo lento ma deciso, gli occhi fissi puntati nei miei, riflessi nel grande specchio, il silenzio rotto solo dal suono dei suoi passi sul parquet. Quel piccolo tratto di stanza era molto di più che l’attesa per un aiuto: era la speranza di un grande passo fra di noi.

Quando fu alle mie spalle lo vidi abbassare la testa e sentii le sue mani sulla mia schiena, che  premendo leggermente, tentavano di abbassare la lampo: ci riuscii e i suoi gesti rallentarono come a voler scoprire la mia pelle poco alla volta.

Una scia di brividi si mosse lungo tutta la mia colonna, come se fosse stata lasciata dai suoi occhi su di me.

Trattenni con una mano sul seno l’abito ormai completamente slacciato, non so se in un atteggiamento di inutile pudore o solo come gesto istintivo.

In un attimo le sue mani scostarono i capelli, come già era accaduto qualche ora prima mentre mi preparavo e furono dolci sulle mie spalle, ad accarezzare, quasi venerare, con un tocco lieve: le sentii scendere anche in quella parte di schiena lasciata scoperta dalla lampo ormai aperta. Oltrepassò la chiusura del reggiseno per arrivare alla fine della colonna, ma non riuscii a sopportare quel tocco con indifferenza: la pelle d’oca, il fiato spezzato, gli occhi socchiusi e la testa reclinata indietro, stavano dimostrando tutto il mio trasporto in quel momento. E poi di nuovo le sue labbra sulle spalle, proprio dove le mani poco prima avevano lasciato una scia bollente.

Girai la testa per osservare la sua bocca appoggiata su di me: quando alzò lo sguardo e i nostri occhi si incatenarono nessun dubbio era ipotizzabile in quel momento, se non la passione, il desiderio di essere finalmente insieme.

« Pensavo fossi nella tua stanza….credevo preferissi stare lì…» la sua voce era uscita roca e spezzata dai sospiri, nel suo volto la determinazione a tenermi con lui:  forse quei baci e quel contatto avevano influenzato anche il suo autocontrollo. Nel mio caso stavo esercitando una vera e propria violenza sul mio desiderio, più per lasciare che fosse lui a prendere l’ultima decisione, che per mia titubanza: io sapevo quello che volevo.

Volevo fare l’amore con lui e appartenergli nel corpo e nell’anima.

E poi con quell’audacia che avevo dimostrato solo due sere prima nella sua stanza, gli risposi con la voce più chiara che il mio stato di eccitazione potesse produrre:

« Non ne ho mai avuto l’intenzione…..» e in un attimo il suo volto si velò di passione, gli occhi leggermente stretti e un sopracciglio inarcato come a voler chiedere il permesso: lo sentii afferrare i lembi del mio abito in un chiaro invito a lasciarmi spogliare.

Chiusi nuovamente gli occhi nel momento in cui sentii la stoffa leggera cadere ai miei piedi.

« Nulla, nè le parole, né le immagini possono rendere giustizia alla tua bellezza» e quando li riaprii mi afferrò per i fianchi in un gesto più urgente, mi voltò verso di lui e senza riflettere portai le braccia dietro la sua nuca e incatenai i nostri sguardi.

Stavo quasi per ricordargli il the, ma i miei propositi crollarono in un attimo: le sue labbra sulle mie mi diedero la forza di portare le mani alla sua cravatta e slacciarla lentamente, fino a farla scorrere sul bavero della camicia e poi giù ai nostri piedi, dove presto gli avrebbe fatto compagnia la camicia, slacciata dalle mie mani quasi tremanti e leggere. E mentre lo aiutavo a farla scorrere per le sue possenti spalle, non persi l’occasione di accarezzare con i polpastrelli la pelle calda e i muscoli, così reattivi al mio tocco.

Si staccò dalla mia bocca e tra i respiri affannati, indietreggiò trattenendomi, fino a toccare il letto e sedersi, facendomi posizionare in piedi tra le sue gambe. Non smise mai di fissarmi negli occhi, forse per non imbarazzarmi con il suo sguardo sul mio corpo, coperto ormai solo da un intimo di pizzo. Quando le sue labbra si posarono dolci e delicate sulla pelle della mia pancia e le sue mani iniziarono ad accarezzarmi i fianchi capii dove volevo essere e che quella sarebbe stata sicuramente una delle notti più belle della mia vita.

In un attimo si stese portandomi con sé e riprendendo a baciarmi. Tutto ciò che rimase sui nostri corpi fu la pelle, coperta da brividi per i nostri tocchi e le nostre carezze, ormai libere di esplorarne ogni centimetro. Non furono gesti frettolosi, ma delicati, dettati dalla voglia di scoprirsi lentamente, reciprocamente e dolcemente. Come per appartenersi con tutti i sensi.

« Sei bellissima» uscì dalle sue labbra dopo che ebbe scrutato il mio corpo ormai nudo: ma non c’era malizia in lui e imbarazzo in me. Tutto era naturale e giusto.

I suoi baci furono su ogni parte di me, dolci, sulle spalle e sul volto, caldi sul seno e sul ventre, lascivi sulle mie cosce dove, accompagnate dalle mani lasciavano dei veri e propri solchi sulla mia pelle nel più intimo dei contatti. Io ero completamente persa di lui, inebriata del suo profumo e schiava dei suoi occhi, che quando non mi baciava, erano fissi nei miei.

La mia schiena si inarcava in un gesto quasi automatico ad ogni tocco delle sue mani e i miei occhi si chiudevano come a non voler lasciar andare quelle sensazioni. La stanza ormai satura dei nostri respiri ci circondava con la sua luce fioca, in quello splendido letto dove mi sarei voluta perdere con lui, per sempre.

E nel momento in cui ci accorgemmo che l’urgenza di essere una cosa sola era ormai insostenibile, lo sentii bloccarsi e prendere un forte respiro. Per un attimo pensai che si stesse nuovamente pentendo di quello che stava accadendo, così gli afferrai il volto costringendolo a guardarmi negli occhi.

La sua difficoltà a razionalizzare in quel momento era pari alla mia e i nostri sospiri ne erano la prova. Non gli chiesi nulla: le nostre menti erano sincronizzate in modo perfetto, come i nostri corpi, il verde dei suoi occhi scuro, profondo:

« Bella…… io non so se sarò all’altezza…ti desidero troppo» per un attimo misi da parte l’irrazionalità e rimasi stupita.

Oddio Edward Cullen che soffriva di ansia da prestazione!

Ma sapevo cosa voleva dirmi con quelle parole. In realtà entrambi ci eravamo tenuti lontani per un bel po’ da coinvolgimenti sentimentali, quindi avremmo dovuto avere gli stessi timori. Il trasporto fra di noi era unico  e non avere provato quelle sensazioni per tanto tempo ci spaventava. Cercai di confortarlo: « siamo sulla stessa barca» dissi accennando un sorriso.

« La verità è che sei così bella….. – e un suo bacio mi travolse – …..morbida….. – altro bacio, più profondo accompagnato dal tocco bollente delle sue dita sulle mie cosce – ……profumata, che non so proprio resisterti» le sue mani e la sua bocca si muovevano su di me facendomi abbandonare tutta la razionalità che avevo cercato di incanalare poco prima, per fare coraggio anche a lui. Ma sapevo che sarebbe stato comunque perfetto e unico.

Ero lusingata e completamente persa nelle sue carezze:

«E allora non farlo – dissi a fatica fra gli ansiti – non cercare più di resistere, credo che lo abbiamo fatto fin troppo».

E in un attimo fu amore, passione, desiderio, stravolgimento dei sensi.

Ogni respiro che spezzava l’aria aveva il suono di noi, ogni tocco sui miei fianchi e sulla sua schiena era un trasmettersi un impronta, che passava dalle mani ma veniva dal cuore.

Ero una piccola piuma portata dal vento nelle sue braccia, quando si reggeva su di me per non pesarmi come se potessi spezzarmi sotto il suo corpo, oppure quando mi teneva stretta a sé seduta sulle sue gambe al centro di quello splendido letto, incastrati l’uno nell’altro come una cosa sola; le mie gambe e le mie braccia intrecciate dietro la sua schiena come a non voler rinunciare per nessun motivo a quel contatto e le sue mani dietro la mia testa, reclinata indietro per il troppo piacere che temevo di non poter più trattenere, specie quando lasciava baci e piccole scie con la lingua nella fossetta alla base del collo.

Mi portò di nuovo delicatamente con la schiena sul materasso per incatenare una sua mano sotto al mio ginocchio nell’intento di non farmi staccare da lui nemmeno di un centimetro e l’altra di fianco al mio viso intrecciata alla mia, come a voler scandire nelle nostre strette i momenti di quella danza. E quando ormai completamente persa nelle mie sensazioni una scarica mi attraversò facendomi provare sensazioni sopite da tempo, fui travolta nuovamente dal suo corpo sul mio, dal suo calore: lo sentii respirare più forte e dirmi “ti amo” e capii che non avevo provato veramente amore e non ci sarebbe stato nessun’altro, mai, nella mia vita come lui.

 

 

 

 Note: finalmente riesco nuovamente a postare. Chiedo scusa per l'enorme ritardo. Purtroppo l'influenza di tutta la famiglia e il lavoro mi hanno veramente tagliato le gambe in quest'ultimo periodo. E poi questo era un capitolo abbastanza importante e ho preferito "curarlo" un pò di più piuttosto che tirarlo via. 

Ammetto che l'ispirazione si è un pò affievolita. Forse il fatto di non scrivere tutti i giorni come facevo i primi tempi non aiuta: più si sta lontani dalla scrittura più è facile perdere la mano. Le idee ci sono tutte, manca la forza di metterle su word. Sto pensando, anche visto il calo di recensioni, di soffermarmi, far passare un pò più di tempo per poter scrivere più capitoli e poi pubblicarli a "raffica" come i primi tempi. Ho visto che la cosa era più apprezzata da voi, e vi capisco. Anche io sono una lettrice e mi piace vedere le storie avanzare velocemente. Comunque non ho ancora deciso se farlo, quindi per ora vi saluto, sperando che il capitolo vi piaccia e dandovi appuntamento al prossimo. Ringrazio tutte quell che mi hanno recensito e quelle che continuano a seguirmi anche in silenzio. E' comunque sempre una grande soddisfazione.

un saluto, spero, a presto.

K.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 54
*** “Only love” ***


  Capitolo 54
“Only love”
 
 
Aprii gli occhi ancora intorpidita dal sonno. Mi ci vollero alcun secondi per realizzare dove mi trovassi. E perché mi sentissi così bene.
Poi ricordai.
La serata passata a Londra, la cena, il teatro e poi….tutto era stato magnifico, perfetto.
Ero ancora saldamente stretta tra le braccia del mio uomo che dormiva beatamente accanto a me. Avevo passato la notte con Edward, ma non come era successo molte volte al campus: eravamo stati insieme, avevamo fatto l’amore.
Ci eravamo amati con passione e dolcezza, senza mai dimenticare il profondo legame che ci univa. Era stata una delle notti più belle della mia vita: lentamente mi girai nella sua stretta senza svegliarlo, per poterlo osservare come era già capitato altre volte. Ma quella mattina sembrava ancora più bello.
Ripensando alla notte appena trascorsa non potei fare a meno di ricordare i momenti più dolci: quando mi aveva stretto e cullata tra le sue braccia, quando mi aveva baciata il viso dolcemente o accarezzata come fossi fatta di cristallo, quando ormai stanco si era addormentato sul mio petto e io mi ero beata della sua vicinanza accarezzandogli i capelli.
Per tutto il tempo in cui ci eravamo amati mi aveva venerata e io non avevo potuto fare a meno di ricambiare osservando il suo meraviglioso corpo e i suoi occhi, che mi avevano fissato in ogni istante, come a voler trasmettere e carpire ogni mia emozione data da quei momenti.
Edward era stato splendido, tenero, romantico, ma anche passionale, tanto che più di una volta avevo temuto di non riuscire a sostenere le scariche in tutto il corpo che scaturivano dai nostri contatti.
Era così il vero amore? Allora forse io non lo avevo mai veramente provato: il sentirsi felici, appagati, ma anche scombussolati. In passato non avevo mai provato sensazioni così amplificate. La verità di cui ero consapevole era che amavo Edward come nessun altro e non avevo tergiversato nel dirglielo più volte nei momenti di massima intensità tra noi.
La stanza era nel silenzio più assoluto, fatta eccezione per il rumore della pioggia.
Alzai gli occhi verso la vetrata e mi resi conto che la luce del giorno era ancora molto fioca: probabilmente era ancora l’alba e non mi sembrava il caso di svegliarlo. Così mi avvicinai di più beandomi del calore del suo contatto. Avevamo fatto l’amore più volte durante la notte e la stanchezza avrebbe dovuto prendere il sopravvento, ma in quel momento il suo corpo mi attirava come una calamita.
Di lì a poco il respirò cambiò e in pochi secondi i suoi occhi si aprirono, rivelandomi la profondità del suo sguardo:
« Buongiorno» un lieve sorriso si dipinse sul viso: gli occhi non del tutto aperti.
« Veramente non credo sia ancora giorno, o almeno non del tutto».
« È da molto che sei sveglia?» chiese stringendomi maggiormente. Solo in quel momento realizzai che eravamo ancora nudi e saldamente intrecciati l’uno all’altro: in quello stato i miei pensieri non riuscirono ad essere lucidi.
« Qualcosa che non va?» il suo sguardo era languido, ma nel contempo preoccupato. Gli sorrisi dolcemente accarezzandogli la fronte e mi avvicinai ancora di più con il volto al suo. Volevo che percepisse il mio stato d’animo e speravo di trasmetterglielo con ogni fibra di me stessa.
Gli lasciai un leggero bacio all’angolo della bocca:
« Sto benissimo, mai stata meglio» e gli sorrisi a mia volta. Non riuscii a resistergli e allacciai ancora di più le mie gambe alle sue: lo sentii muoversi, stirarsi e, dopo aver preso un profondo respiro avvinghiarsi ancora di più al mio corpo, che rispondeva al suo tocco come una corda di violino al suo accordatore, cingendomi la schiena con le mani e facendo combaciare le nostre fronti. I nostri occhi non lasciarono nemmeno per un attimo il contatto e in quel momento capii che non ci sarebbe stato bisogno di altre parole, spiegazioni o gesti.
Le nostre labbra si incatenarono, prima dolci, poi sempre più voraci, desiderose di assaporarsi. Le sensazioni che mi trasmetteva quando mi baciava erano amplificate ancora di più dal contatto della nostra pelle e in un attimo di lucidità decisi di osare per dimostragli che il mio desiderio era pari al suo. Mi portai stesa completamente sul suo petto, sul suo corpo scolpito, le nostre labbra ancora incollate, i miei capelli ricaduti sul mio viso e sul suo, le mie mani ai lati del suo volto che gli accarezzavano i capelli.
In un attimo sistemai le gambe piegate intorno al suo bacino: mi staccai per riprendere fiato, alzandomi a sedere su di lui e facendo scivolare involontariamente il lenzuolo sui miei fianchi a scoprire molto più di quanto avrei voluto. Istintivamente un’ondata di pudore mi pervase e mi portai le mani a coprire i seni nudi. Edward non lasciò mai i miei occhi, ma mi prese le mani e le allontanò dal mio corpo:
« Non farlo….sei bellissima». Mi resi conto di quanto quel suo complimento, in quella situazione mi imbarazzasse oltremodo, ma fui velocemente distratta dalle sue grandi mani che scesero sulla mia schiena fino ai miei fianchi per scostare ulteriormente il lenzuolo scivolato e aggrapparsi con forza, quasi a voler lasciare un’impronta nella mia carne, per poi risalire sul ventre e sempre più su, fino a farmi chiudere gli occhi e reclinare la testa per la splendida sensazione che stavo provando. Senza riaprili mi abbassai velocemente, catturando ancora le sue labbra, succhiandole e mordendole dolcemente, come a voler imprimere il piacere e il desiderio in quel contatto. Mi stupirono le sue parole calde e audaci quando si staccò da me e mi fissò negli occhi:
« Ti amo Bella e ti voglio, adesso».
Senza ormai nessuna remora, strofinai leggermente il naso contro il suo, meravigliandomi del mio stesso coraggio:
« Fai l’amore con me Edward».
Il resto furono solo respiri, gemiti inappagati che trasmettevano la nostra passione e il nostro amore. Ci amammo per un tempo che mi parve infinito, ma che sembrò durare un istante, quando ormai stanchi ci staccammo dal più intimo dei contatti, per addormentarci stretti in un abbraccio che ci fece scendere dalle montagne russe della passione, per lasciarci nella tranquillità del nostro amore.
 
Quando aprii gli occhi nuovamente era giorno.
Ma a differenza di qualche ora prima non sentivo lo stesso calore: Edward non era più accanto a me.
Mi sollevai sui gomiti per guardarmi intorno non del tutto sveglia e mi soffermai a osservare la parte del letto occupata da lui fino a non molto tempo prima. Istintivamente accarezzai il cuscino: era freddo, segno che si era alzato già da un po’ e il rumore proveniente dal piano inferiore mi fece capire che qualcuno stava preparando la colazione. Mi ributtai un attimo di schiena sul materasso con un soddisfatto sorriso sulle labbra e mi beai ancora qualche secondo delle sensazioni che la nottata mi aveva lasciato.
Mi stirai, per poi decidere di alzarmi.
Noncurante del fatto di essere praticamente nuda, mi recai in bagno per rinfrescarmi e poi indossare qualcosa, ma posai lo sguardo sulla scia di abiti che giacevano sul pavimento e che dimostravano quanto fosse stato impellente il nostro desiderio della sera prima: non potei non notare la camicia che aveva indossato e istintivamente la presi, la portai al volto per sentire il suo profumo e la indossai. Sapevo che era una cosa banale mettere qualcosa del proprio uomo “la mattina dopo”: sapeva molto di film romantico, ma in quella situazione la mia mente stava viaggiando su una nuvoletta insieme a cupido, un ulteriore tocco di romanticismo non poteva certo guastare.
La abbottonai lentamente ripensando alla sera prima e probabilmente per chi mi avesse visto in quel momento, sarei sembrata una poco sana di mente, visto il costante sorrisino che aleggiava sul mio volto: mancavano giusto gli occhi a cuoricino. Riflettendo, però, una cosa mi stupì: ero sempre stata una persona abbastanza timida, avevo vissuto una vita e soprattutto una realtà sentimentale sempre nell’ombra, forse anche perché non mi piaceva mettermi in mostra né tanto meno dimostrare una passione che pensavo non mi si addicesse. Ma dopo quella notte mi meravigliai di come con Edward tutto fosse stato estremamente naturale e mai, come era accaduto anche in altre circostanze più “platoniche”, mi fossi sentita in imbarazzo per quello che gli dicevo, che avrebbe potuto notare in me e per l’audacia che avevo dimostrato in alcuni gesti.
Assorta in questi pensieri scesi le scale sperando vivamente di non trovare la signora Spencer in cucina o avrei dato chiara dimostrazione di cosa era accaduto quella notte tra noi.
Quando arrivai in fondo e mi girai, lo vidi di spalle impegnato ai fornelli. La penisola della cucina era apparecchiata e piena di ogni ben di Dio: mi avvicinai cercando di fare meno rumore possibile e mi fermai sulla soglia, appoggiando la spalla allo stipite della porta.
Mi piaceva guardarlo e ancora di più quando non ne era consapevole. Si era vestito con un jeans e una maglia leggera, a cui aveva rimboccato le maniche, probabilmente per cucinare: mi soffermai su ogni dettaglio di lui. Non capivo perché quella piccola porzione di avambraccio che rimaneva scoperta e che metteva in mostra il tatuaggio celtico, mi istigasse così tanto a pensieri poco casti. E poi osservai le sue mani, lunghe, delicate, anche ora che stava chiaramente “lottando” con gli utensili della cucina. Non potei fare a meno di pensare a quanto avevano vagato su di me, sulla mia pelle, donandomi sensazioni uniche.
Istintivamente mi morsi un labbro e cercai di far rientrare i brividi che, al solo pensiero di lui, mi provocavano un sottile strato di pelle d’oca; cercai di trattenermi dallo sbottonare la camicia e  presentarmi a lui dicendogli che non avrebbe avuto bisogno di preparare la colazione. Avrebbe potuto mangiare me!
Trattenni questi pensieri e in un attimo mi ritrovai a constatare quanto fosse perfetto e meraviglioso: e a quanto, dal momento in cui gli avevo raccontato tutto di me, ero stata assolutamente meglio. Sì, alcuni sensi di colpa e tormenti della mia vita passata avrebbero avuto bisogno di un po’ più di tempo per essere depositati nei cassetti più nascosti della mia memoria, ma le strette al torace e i momenti di angoscia erano sicuramente scemati e tutto questo per merito suo: mi aveva salvata dalla mia autocommiserazione e da una possibile autodistruzione, dettata dal mio carattere innatamente pessimista e a volte immaturo, specie per  le situazioni sentimentali. E mi dannai per qualche secondo di non avergli aperto prima il mio cuore, anzi di aver cercato con tutte le mie forze di rinnegare i nostri sentimenti reciproci, quasi come una vecchia abitudine al dolore, facendoci perdere tanto tempo prezioso per stare insieme.
Non impiegai molto a formulare tutti questi pensieri, perché Edward non si era ancora accorto della mia presenza, forse anche per il fatto che qualsiasi mio suono era attutito dai rumori prodotti dagli elettrodomestici e dai suoi sicuri movimenti anche in cucina.
Ma c’era qualcosa che questa creatura non sapesse fare alla perfezione?
Beh….dopo la notte appena trascorsa mi ero convinta che no…non c’era!
Mi avvicinai in punta di piedi, con l’intenzione di coglierlo di sorpresa e vedere la sua reazione alla mia presenza. Quando fui a pochi centimetri lo cinsi con le mani, appoggiando il mio corpo e il mio viso alla sua schiena e inspirando a pieni polmoni la sua fragranza. Lo sentii scattare:
« Ehi sei sveglia?» non dissi nulla, volevo bearmi di quel contatto e trasmettergli le mie sensazioni. Nel giro di pochi secondi girò il viso verso di me e poi, abbandonando ciò che aveva tra le mani, ruotò nel mio abbraccio fino a posizionarsi di fronte a me: sollevai lo sguardo e lo fissai negli occhi senza dire nulla e anche lui capì che in quel momento non occorrevano parole. Presi l’iniziativa e mi sollevai in punta di piedi per far incontrare le nostre labbra. Socchiusi gli occhi e mi beai di quel contatto così dolce e senza nessuna urgenza. Quando ci staccammo lo salutai con un sorriso e un flebile “buongiorno”. Mi sorrise a sua volta e quel gesto si propagò anche ai suoi occhi, dimostrando come, in quel momento, anche nel suo cuore ci fosse serenità.
« Buongiorno amore mio» dissi senza alcuna remora « mi sono svegliata e non eri nel letto….mi mancavi e sono venuta a cercarti. Per un attimo ho anche pensato che fossi uscito e che in cucina ci fosse Kate: avrei dovuto darle alcune spiegazioni…» e nel dire questo abbassai gli occhi indicando il mio abbigliamento. Solo in quel momento probabilmente Edward notò che indossavo la sua camicia, mi squadrò interessato e sorrise lievemente:
« Beh, non avresti dovuto spiegare poi molto…più chiaro di così!» non potei trattenere un sorriso a mia volta, che si spense non appena percepii le sue labbra sul mio collo, il suo alito lasciare una lieve scia fino all’orecchio, dove lo sentii sussurrare:
« Comunque sta molto meglio a te che a me e non puoi immaginare quali pensieri mi passino per la testa vedendo le tue splendide gambe nude uscire da sotto a questa stoffa».
Aveva usato un tono assolutamente seducente, tanto che per un attimo dimenticai ogni cosa e pensai di rendermi disponibile a restituirgliela subito e a testare la resistenza dei pensili della cucina per cose molto poco culinarie.
Riuscii a riprendere possesso delle mie facoltà, con lui a stretto contatto era sempre difficile, e mi allontanai leggermente.
« Volevo farti una sorpresa e portarti la colazione a letto, ma mi hai preceduto…» si staccò indicando quello che stava preparando.
« Da un po’ di tempo faccio fatica a rimanere nel letto se non ci sei tu» lo vidi sorridere compiaciuto e poi riavvicinarsi e lasciarmi un tenero bacio alla base del collo, così sensibile visto le volte che nella notte passata lo aveva torturato con la lingua, le labbra e i denti. Buttai leggermente indietro la testa per dimostrargli quanto apprezzassi quel gesto e quando si staccò lo vidi fissarmi quella porzione di pelle con un sorriso malizioso e di  compiacimento.
« Ed tutto bene?» lo vidi annuire e continuare a guardare quel punto sorridente. Non capivo fino a che non fu lui a darmi un indizio:
« Non pensavo rimanesse». Ma a cosa si riferiva? Guardò di nuovo il mio collo, allontanandosi leggermente per riprendere il suo lavoro ai fornelli e così decisi di portarmi una mano dove aveva appena lasciato il bacio e sentii bruciare leggermente. Lì per lì non capii, poi realizzai. Mi voltai verso la parete d’acciaio del frigo e mi specchiai: una grossa bolla rossa faceva mostra di sé alla base del collo, appena sopra la clavicola. Rimasi per un attimo stupita:
« Edward Cullen mi hai fatto un succhiotto???» lo vidi sorridere e ritornare ai fornelli.
« Beh, non me ne sono reso conto, sai ieri notte ero impegnato in altro…» mi guardò di sottecchi girando a malapena il viso verso di me.
Probabilmente il colore del mio volto denotò il mio momentaneo imbarazzo sottolineato da un leggero ghigno sul suo. Mossi la testa sorridendo a mia volta: amavo quell’uomo anche per questo suo essere “leggero” nei momenti più inaspettati.
« Sei proprio pazzo lo sai? Ora mi toccherà portare maglie a collo alto per almeno una settimana» ribadii salendo con un piccolo salto sul mobile di fianco alla penisola. Edward depositò il piatto con i pancakes al centro del tavolo e si riavvicinò a me in modo lento fino ad appoggiare le mani ai lati delle mie gambe, gli occhi nei miei, il sorriso ancora fisso su quelle magnifiche labbra che avrei morso e succhiato fino a strappargliele.
« Lo so che sono pazzo, ma adoro questa parte del tuo corpo – e lo sentii accarezzare la base del collo – e starei ore a venerarla» si chinò ancora di più fino a lasciare un altro tenero bacio dove poco prima avevo scoperto il succhiotto. Feci un profondo respiro e chiusi di nuovo gli occhi. Sempre più spesso le sensazioni che i suoi tocchi e la sua vicinanza mi trasmettevano erano motivo di grande coinvolgimento per me: sarebbe mai passata?
Avrei mai smesso di sentire le farfalle nello stomaco e i brividi ogni volta al passaggio delle sue mani?
Non sapevo la risposta e non mi sarei posta il problema ora: avrei goduto di lui, del suo amore, della sua passione fino al possibile, sperando di non dovervi mai rinunciare. Perché sì….ero sempre più convinta che lui fosse l’uomo giusto, la persona con la quale avrei desiderato passare tutto il resto della mia vita.
« E poi sarà stupido orgoglio maschile….ma quella bolla mi dà l’idea che tu sia ancora più mia»
Rimasi stupita a quell’affermazione: «Allora mi hai marchiato???» risposi sorridente e alquanto compiaciuta.
Edward non era mai stato veramente possessivo nei miei confronti: era sempre riuscito a dimostrare il suo interesse in modo elegante e il suo spirito di protezione nei miei confronti denotava comunque una grande delicatezza del suo animo, ma in quel frangente e in quel momento la sua idea di possesso, a livello fisico, non mi dispiaceva per niente e mi stupì ancora di più quello che disse poi: « potresti anche decidere di non coprirla, così tutti saprebbero a chi appartieni». E così dicendo lasciò un ulteriore morsetto, facendomi emettere un lieve gridolino. Non seppi resistere e ribattei nuovamente: « E tu?»
« E io cosa?»
« Come faccio a far sapere all’intera popolazione femminile che sei mio?» il discorso era ironico, ma celava per entrambi la profondità del nostro rapporto.
« Beh non occorre nessun marchio. Ce l’ho scritto a lettere cubitali in fronte che appartengo a te. Non riesco a vedere e  tantomeno a desiderare nessun’altra in questo momento».
Lo osservai mentre si raddrizzava, mantenendo il contatto con i miei occhi. Si avvicinò a me sempre di più fino a ritrovarsi tra le mie gambe; le mani passarono dal mobile della cucina al mio corpo, lasciando un tocco leggero sulle mie cosce e stringendomi alla base della schiena. Gemetti leggermente nella sua stretta a causa dell’indolenzimento per la troppa “attività fisica” della notte precedente.
« Ti ho fatto male?» chiese premuroso come sempre.
Sorrisi cercando di celare il mio imbarazzo:
« No, sono solo un po’ indolenzita…chissà come mai?» gli sorrisi compiaciuta a mia volta, ma l’espressione del suo volto cambiò.
« Spero di non averti fatto male….» disse abbassando leggermente lo sguardo. Non volevo che pensasse assolutamente una cosa del genere e mi affrettai a prendergli il volto tra le mani e riportarlo su di me.
« Non pensarlo nemmeno…sei stato stupendo e dolcissimo. È che….è passato tanto tempo dall’ultima volta….e….non ero più molto abituata» mi costò molta fatica sottolineare questa cosa, non tanto per quello che c’era stato tra noi, quanto per il ricordo di essere stata con qualcun altro tempo prima che non fosse lui.
Istintivamente in quell’ultimo periodo avevo desiderato più che mai di poter cancellare il mio passato e fare in modo di non aver avuto altre storie, ma era impossibile, questo lo sapevo, e quindi cercavo di non ricordarlo, sia a lui che a me stessa. Era una cosa che mi infastidiva e sapevo che era così anche per lui, specie per quello che riguardava la mia relazione con James.
Vidi il suo volto distendersi di nuovo e portare una mano ad accarezzarmi delicatamente uno zigomo.
« Non sopporto l’idea che tu possa soffrire, ne fisicamente né emotivamente…» la conversazione stava prendendo una piega troppo profonda e comunque non volevo che la nostra prima mattina dopo che eravamo stati insieme fosse denotata da un alone di tristezza per il dolore causato dal mio passato.
Probabilmente si accorse anche lui della situazione e cercò subito di sdrammatizzare:
« Sei sicura che non sia stato troppo passionale? Sai non vorrei che non fossi in forma per la giornata…» disse sorridendo.
Appoggiai gli avambracci alle sue spalle e intrecciai le mani dietro la nuca per potergli parlare vicino al viso, come a volere far sì che imprimesse le mie parole direttamente nella mente:
« Questa è stata la notte più bella di tutta la mia vita e tu sei stato meraviglioso» e nel dire queste parole feci un lieve sorriso e gli sfiorai le labbra con le mie. Chiudemmo gli occhi insieme e dopo averlo sentito sospirare sentii le mani afferrarmi saldamente le cosce e tenendomi stretta, alzarmi dal ripiano della cucina. Spalancai gli occhi e mi staccai dalla sua bocca: in un attimo mi appoggiò sul divano stendendosi su di me  e riprendendo a baciarmi il collo e ad accarezzarmi le gambe scoperte sotto alla camicia. Quei tocchi per me erano qualcosa di unico: sapevo che sarebbe stato meglio interrompere, ma non riuscivo veramente a farlo. Il mio respiro era già diventato più veloce e in un attimo mi resi conto che in una notte ero diventata dipendente da lui anche “in quel senso”. Iniziò la sua discesa con le labbra sul mio petto mentre tentava di alzare la camicia: sembrava avesse mille mani e non due.
Tutt’a un tratto il fischio del bollitore mi riportò alla realtà:
« Edward….la colazione… – riuscii a dire deglutendo rumorosamente tra un bacio e una carezza – non voglio che il tuo lavoro vada sprecato» a quelle parole sollevò il volto e con un’espressione rassegnata si definì d’accordo con me e mi fece alzare dal divano: non abbandonò mai il contatto visivo né sui miei occhi né sul mio corpo, quando iniziai a sistemare la camicia che aveva quasi tolto. Lo vidi indugiare ancora su di me con fare malizioso e non potei fare a meno di scoccargli un battuta che di innocente aveva ben poco:
« Sei insaziabile lo sai» o mamma e da dove mi era uscita questa! Ed ero riuscita perfino a sembrare una gatta morta!
Ma ancora più di stucco mi lascò la sua risposta:
« Il problema è che lei è irresistibile signorina Swan» e nel dire ciò lasciò una carezza sul mio fianco, prima di prendermi per mano e accompagnarmi in cucina per consumare la nostra splendida colazione.
Passò più di mezz’ora prima di aver voglia di alzarci da quel tavolo e porre fine a quel piacevole momento di vita quotidiana che si era creato fra noi. Lo guardai allontanarsi dal suo sgabello e iniziare a depositare stoviglie e quant’altro nel lavello e nei ripiani della cucina: istintivamente mi alzai per aiutarlo e nel tentativo di allungarmi per depositare la scatola dei cereali in un ripiano un po’ troppo alto per il mio metro e sessanta, lo sentii appoggiarsi alla mie spalle e vidi il suo braccio sostituirsi al mio prima ancora di sentire la sua voce calda che mi sussurrava all’orecchio:
« Faccio io, puoi rimanere seduta se vuoi…»
« No, ci tengo ad aiutarti». Poi, girandomi e appoggiandomi al bancone con la schiena, incrociai le braccia e cominciai a fissarlo nel suo familiare andirivieni per la stanza.
«Hai pensato ad un programma per la giornata?» lo vidi fermarsi, depositare dentro il lavello il piatto che aveva nelle mani e, poggiando i palmi sul bordo lasciarsi sfuggire un piccolo sorriso.
« A te cosa piacerebbe fare? » mi chiese asciugando le mani e avvicinandosi con passo lento.
Ogni suo gesto, ogni suo sguardo in quel momento mi portava in un'altra dimensione. Appena fu ad un soffio da me depositò un leggero bacio all’angolo della bocca: istintivamente mi aggrappai con una mano al suo fianco come a volermi sostenere e socchiusi gli occhi. Poi cercai di reagire a quel suo tocco e di rispondere senza sembrare ogni volta un’ameba.
« Non saprei ci sono ancora tante cose che non abbiamo visto, è per quello che l’ho chiesto prima io» risposi cercando di mettere sù un broncio quasi infantile. Mi stavo comunque divertendo, mi sentivo bene e mi piaceva il gioco di seduzione e finta innocenza che mettevamo in campo ogni volta che i nostri corpi entravano nello stesso raggio di azione.
«Mhhh …..non saprei – lo vidi alzare gli occhi ala cielo come per riflettere su qualcosa – hai ragione, dici che ci sono tante cose da fare…..» riportò il suo sguardo su di me, ma questa volta era ancora più intenso, come se stesse  cercando di trasmettermi i suoi pensieri. Si abbassò nuovamente  per lasciarmi qualche tenero bacio sul lato del collo scoperto e lo sentii sussurrare all’orecchio: «….oltre che fare l’ amore con te tutto il giorno?» il suo flebile tono di voce mi aveva procurato ancora più brividi delle sue labbra.
Cercai di sdrammatizzare o gli sarei saltata addosso in quell’istante: in fondo sapevo che non sarebbe accaduto, ma non volevo fondare la nostra relazione solo sul sesso…
Lo guardai negli occhi, caldi, intensi……
O almeno non volevo passare un intero week end a Londra senza metter il naso fuori di casa……
Mi soffermai sul suo tocco così delicato, sulla pelle del collo, e in quella piccolissima porzione tra i mie seni lasciata scoperta dall’abbottonatura della sua camicia…..
O al diavolo tutto! Se avesse voluto avrei passato anche l’intera mia vita sotto alle lenzuola con lui. Lo attirai a me cingendogli il collo con le braccia e affondando le mie mani tra i suoi capelli, che tante volte quella notte avevo stretto, accarezzato e forse anche tirato, senza mai ricevere da lui alcuna lamentela. Accennai un lieve sorriso e decisi di sostenere la sua provocazione.
« La proposta è allettante…ma non credo che reggerei i tuoi ritmi per tutto il giorno. E poi abbiamo già fatto abbastanza confusione ….» in realtà sapevo che non eravamo certo stati silenziosi la notte precedente, ma immaginare che Kate avesse potuto sentire anche troppo mi imbarazzava. La sonora risata che uscì dalla sua bocca mi incuriosì anche di più.
« Puoi stare tranquilla….la casa è completamente insonorizzata. Potrebbe anche esplodere una bomba che la famiglia Spencer se ne accorgerebbe solo dopo il crollo delle pareti» probabilmente il io volto in quel momento  trasparì divertimento, oltre che incredulità e imbarazzo.
«…e poi sbaglio o sei tu quella che mi ha svegliato stamattina all’alba?»
« Non era mia intenzione svegliarti…e poi non ti sei tirato indietro!» risposi cercando di mantenere il tono più sensuale possibile. Si appoggiò con tutto il corpo a me, trasmettendomi il calore della sua pelle anche attraverso gli indumenti:
« Non posso tirarmi indietro, non posso farne a meno…il tuo corpo mi attira come una calamita»
« È lo stesso per me» risposi di getto senza pensare alle implicazioni di un’affermazione di quel genere. E infatti nel giro di un attimo la mano che mi abbracciava iniziò a farsi spazio in una lenta carezza sotto alla stoffa della camicia. Con l’altra mi accorsi che tentava di slacciare i bottoni, non abbandonando mai il contatto tra le sue labbra e il mio collo. Ogni volta mi perdevo in quelle sensazioni, ma questa volta ero decisa più che mai a reagire, perché volevo poter stare con lui anche nel più semplice dei modi, magari come due innamorati che passeggiano stretti in una città magica e meravigliosa come quella in cui ci trovavamo.
Volevo vivere Edward anche fuori dalle mura lavorative e dalle coperte! Volevo sentirmi viva con lui e parte di quell’enorme sentimento che ci legava e che sapevo si chiamava amore.
A malincuore poggiai le mani sul suo torace, poi con un sorriso dolce e carezzandogli il viso gli proposi comunque di uscire, sperando non si offendesse.
« Vorrei tanto passare la mia giornata con te, in tutti i modi possibili e poi la serata sarà nostra…..».
Vidi il suo sguardo rassicurato e sereno, segno che anche lui desiderava le stesse cose e il fatto che mi avesse sussurrato che di tempo per “quello” ne avremmo avuto, mi confermò le nostre intenzioni comuni.
Mi cacciò letteralmente dalla cucina e ne approfittai per recarmi velocemente al piano di sopra per una doccia. Sicuramente il suo ingresso nel bagno dieci minuti dopo e la sua proposta di “risparmiare” acqua, non facilitarono i nostri propositi e il mio autocontrollo, ma fu bellissimo rendermi conto che anche in una situazione di quel genere il mio imbarazzo si era notevolmente affievolito e il suo rispetto nei mie confronti era qualcosa di sicuramente encomiabile. Infatti, dopo aver tentato di farlo desistere per evitare di “cadere” in una nuova tentazione, avevo constatato che il suo interesse era proprio solo quello di stare accanto a me e coccolarmi.
Sotto il getto dell’acqua bollente mi aveva lavato e sciacquato i capelli, massaggiato le spalle e insaponata la schiena: e io non avevo certo disdegnato dolci carezze sul suo splendido corpo, in particolare sul torace e sulla schiena, che mi avevano dato da quando lo conoscevo un immenso senso di protezione. I nostri occhi erano rimasti quasi sempre incatenati come a dimostrare che il  nostro contatto con aveva secondi fini: anche se il desiderio era comunque palpabile tra i nostri corpi, avremmo trovato un altro luogo e un altro momento per appagarlo.
Quando uscimmo dalla doccia e mi aiutò avvolgendomi in un morbido telo e lasciandomi un lieve bacio sulla fronte e sulle labbra, il mio cuore traboccava di sentimenti, così potenti che difficilmente potevano essere classificati semplicemente nella categoria “felicità”. E dopo esserci vestiti e preparati insieme, uscimmo mano nella mano da quell’appartamento, finalmente “noi”.
 
Rientrammo che era quasi sera.
La giornata era stata stupenda, nonostante la pioggia insistente che non ci aveva permesso di dedicarci ad attività “open time”.
I musei avevano comunque allietato la nostra passeggiata.
Avevamo visitato la Tate Gallery e la Nacional Gallery, perdendoci per quasi tutta la giornata tra dipinti e installazioni.
Edward mi era sempre stato accanto tenendomi per mano e non aveva disdegnato più volte un contatto più “intimo” tra noi attraverso baci che avrebbero incendiato chiunque.
Avevo sorriso ed ero rimasta lusingata dalla sua gelosia nei miei confronti che si era palesata a seguito dell’interesse di un ragazzotto che faceva da guida alla Tate e che si prodigava in tutti i modi per avvicinarmi con la scusa di darmi spiegazioni. Avevo notato in più occasioni il viso di Ed incupirsi a questo interesse da me prontamente ignorato: ciò nonostante, dopo una ventina di minuti non ce l’aveva fatta più e mi aveva stretta e baciata appassionatamente davanti a lui, nel momento in cui era intento a dare al gruppo una complessa spiegazione artistica, cogliendolo di sorpresa e distogliendo il suo interesse da me. Ero certa che anche lo sguardo inceneritore che gli aveva riservato appena si fu staccato aveva contribuito a far sì che il malcapitato rivolgesse le sue attenzioni a qualche altra turista più libera. In quell’occasione non avevo detto nulla, ma non avevo potuto trattenere un sorriso per poi guardarlo negli occhi con tutto l’amore che potevo, accarezzandogli dolcemente il viso.
In fondo capivo questa sua possessività. Era la stessa che provavo io nel momento in cui notavo l’effetto che faceva sulle donne che lo incrociavano, ed ero certa che non mi ci sarei mai abituata, mentre lui non avrebbe dovuto poi faticare molto: io non ero così interessante.
Rientrammo a casa che era ormai ora di cena: eravamo stanchi ma la giornata era stata molto divertente:
« Vuoi uscire a cena stasera?»
Mi chiese mentre mi toglievo il giaccone e le scarpe nel suo salone.
« Veramente stasera potremmo rimanere qui, in fondo siamo stati fuori tutta la giornata» annuì e si diresse al telefono per chiamare Kate e chiederle di cucinare per noi. Ma un’idea mi venne in mente per poter continuare a rimanere sola con lui senza presenza estranee.
« Mi piacerebbe cucinarti qualcosa» lo vidi fissarmi stupito.
« Sei mia ospite, è un weekend di vacanza, non dovresti fare lavori domestici»:
Mi avvicinai a lui fino a stabilire un contatto fisico fra le nostre mani, oltre che con gli occhi:
« Ma io lo faccio volentieri: quando siamo qui tu mi vizi sempre e cucini per me, vorrei ricambiare io per una volta, per favore» e nel dirgli questo gli accarezzai lievemente un braccio, risalendo fino alla spalla e arrivando alla mascella dove mi soffermai per poi lasciare un lieve bacio.
« Beh se fai così non ti permetterò di cucinare…e a dirla tutta non mangeremmo nemmeno» ribatté, facendomi intendere che le mie attenzioni non gli dispiacessero poi molto. Sorrisi e lo ringraziai dirigendomi alla cucina. Mi seguì fino all’ingresso fermandosi alla porta.
« Pensi di aver bisogno di me subito?» mi chiese mentre aprivo pensili e cassetti per individuare la collocazione degli oggetti e cercare gli ingredienti che mi avrebbero potuto “ispirare”.
« Direi proprio di no» risposi estraendo dal frigo del sugo e del formaggio.
« Allora vado a farmi una doccia e sono da te!»
« Fai pure con comodo»  gli risposi, soffermandomi sulla sua figura che si allontanava dalla stanza e saliva le scale già senza maglia. Per un attimo mi balenò di aspettare qualche minuto e poi seguirlo e raggiungerlo nuda sotto la doccia, con un intento diverso da quello della mattina, ma poi ragionai e preferii mettermi ai fornelli, altrimenti avremmo dovuto veramente ordinare la cena. Decisi di preparare le lasagne visto che avevo trovato tutti gli ingredienti.
Mi misi all’opera: avevo sempre cucinato, da quando ero tornata a vivere con mio padre e mi piaceva farlo: e in quel momento pensare che lo stavo facendo per Edward rendeva il tutto ancora più “familiare”. Frugando nel frigo mi imbattei in una splendida torta che aveva fatto Kate per noi e pensai che sarebbe stata perfetta come dessert.
Quando la teglia fu pronta nel forno mi dedicai alla tavola. Anche se sapevo di non aver cucinato un piatto particolarmente romantico, volevo creare un’atmosfera speciale. Apparecchiai in salone dove avevamo cenato la prima volta che avevamo passato due giorni nel suo appartamento e disseminai candele in ogni parte della casa, anche sulle scale per poter spegnere le luci e lasciare solo l’atmosfera delle fiammelle.
Avevo quasi terminato quando lo vidi scendere le scale avvolto da un semplice maglioncino e un jeans nero. I capelli ancora leggermente umidi, lo sguardo intenso puntato su quello che stavo facendo, intento a sollevare le maniche fino al gomito: era uno spettacolo che non si poteva perdere! Mi accolse con il suo splendido sorriso, chiedendomi a che punto fosse la cena: probabilmente rimasi inebetita per qualche secondo, perché lo costrinsi a ripetere la domanda. Quando mi fui ripresa e gli risposi che mancavano alcuni minuti lo vidi avvicinarsi al pianoforte, aprirlo e posizionarsi sullo sgabello. In quel momento il mio cuore iniziò a battere forsennatamente: sentirlo suonare era sempre uno dei miei desideri più forti e ora, stava per farlo chiaramente per me. Quando fu pronto lo vidi fissarmi e allungarmi una mano:
« Vieni accanto a me, ti va?» non riuscii a rispondere nulla, le mie gambe si mossero con una vita propria e, incantata dalla sua figura, mi accomodai accanto a lui.
Quando mise le mani sui tasti il tempo si fermò: mi incantai a guardarlo e ad ascoltare la splendida melodia che produceva muovendo le sue lunghe mani sui tasti.
Passai il mio tempo tra quelle e il suo viso, serio, concentrato ma sereno: adoravo il suo modo di suonare, così intenso, passionale, ma delicato nello stesso tempo. Ci capivo un po’ di musica e le sensazioni che le note che produceva mi davano, erano uniche e arrivavano a tutte le mie terminazioni nervose. Più di una volta chiusi gli occhi per evitare di pensare a quanto quelle sue mani avessero “suonato” anche il mio corpo la notte precedente e alle scie bollenti che aveva lasciato sulla mia pelle, così come ora le lasciava sui tasti.
Quando terminò ero commossa: la pelle d’oca su tutto il corpo, il respiro affannato e gli occhi lucidi. Quando se ne accorse si girò verso di me un po’ preoccupato.
« Bella, amore, va tutto bene?» mi riscossi dal mio stato e lo fissai negli occhi.
« Sì tranquillo – dissi cercando di rimettere a fuoco la mente – è che non mi abituerò mai alla magia che sei in grado di creare quando suoni. Le sensazioni che scateni in me sono talmente forti…che non è facile contenerle….credo siano inferiori solo a quando facciamo l’amore….» dissi colta poi da un lieve imbarazzo. Abbassai lo sguardo, ma sentii subito le sue mani chiudersi a coppa sul mio viso e sollevarlo per far sì che i nostri occhi si incrociassero: « è la stessa cosa che provo anche io….se suono per te».  Mi guardò intensamente per qualche secondo accarezzando con il pollice le mie labbra: il verde dei suoi occhi in quel momento era intenso nonostante la luce delle candele lo rendesse più scuro. Poi, senza mollare la presa si avvicinò ancora di più e mi baciò: chiusi gli occhi per godermi appieno le sensazioni che sapevo mi avrebbe dato e sollevai le braccia per accarezzargli la parte posteriore degli avambracci.
Il timer del forno ci interruppe e sorridemmo felici prima di alzarci per cenare.
L’ora successiva passò tranquillamente, mi fece mille complimenti per le lasagne e chiacchierammo del più e del meno. Non potei non prenderlo in giro riguardo alla sua scenata di gelosia alla Tate Gallery, facendogli notare che nel pub dove ci eravamo fermati a pranzo la cameriera non aveva fatto altro che tenergli gli occhi addosso.
« Beh quel ragazzino aveva bisogno di una bella lezione: non si puntano le donne degli altri!» il fatto che mi definisse così mi dava un vero senso di euforia, « e poi tu non sei stata da meno. Probabilmente ancora trenta secondi di quello sguardo e avresti incenerito quella povera cameriera». Proruppe in una risata e io non potei fare altro che seguirlo, giustificandomi per il fatto che lo aveva spogliato con gli occhi per tutto il tempo.
Quando si avvicinò ancora di più con la sedia a me e mi prese una mano mentre con l’altra mi accarezzava i capelli, il mio corpo si protese istintivamente verso di lui e mi appoggiai sul gomito che sfiorava il suo braccio, come per volerlo guardare e ascoltare più da vicino.
Mi fissò a lungo senza parare per poi stupirmi:
« Io non ho occhi che per te…..mi hai incantato dal primo momento che ci siamo incrociati e credo di non poter più fare a meno di te…ti amo, Isabella» una scarica mi percorse la schiena: non adoravo il mio nome intero, ma quando lo diceva lui, per di più con quel tono, mi trasmetteva elettricità.
« Ti amo anche io Edward…..non saprai mai quanto» furono le uniche cose che riuscii a dire prima che facesse unire le nostre labbra in un bacio appassionato, che risuonò nel silenzio della stanza insieme ai nostri ansiti.
Quando ci staccammo si propose di riordinare al posto mio, così da potermi rinfrescare dopo la lunga giornata: accettai subito, anche per smorzare il desiderio di lui che si era fatto sempre più palpabile negli ultimi minuti della nostra cena.
Mi allontanai non senza avergli lasciato prima un dolce bacio sulle labbra e mi recai al piano di sopra: passai dalla stanza degli ospiti per recuperare il necessario e mi fiondai nel bagno, dove aleggiava ancora il suo profumo. Notai con stupore che aveva già acceso precedentemente un’infinità di candele e non potei non approfittarne, optando per una vasca rilassante piuttosto che per la doccia.
Aprii l’acqua versandoci dentro bagnoschiuma e oli profumati e quando fu piena mi spogliai, raccolsi i capelli e mi beai del contatto bollente sulla mia pelle: misi le cuffie per godermi maggiormente il bagno e chiusi gli occhi per rilassare al massimo i muscoli e inebriarmi dei profumi emanati.
Non mi resi conto di quanto tempo fosse passato, ma socchiusi gli occhi solo quando sentii uno strano movimento nell’acqua. Li aprii completamente quando mi accorsi che Edward era con me. Stranamente non mi ero spaventata, ma mi affrettai a togliere l’MP3 e chiedergli che cosa ci facesse lì.
« Ho visto che tardavi: sono venuto a vedere che fosse tutto a posto e quanto ti ho vista qui, non ho saputo resistere e ho pensato che un bel bagno era quello che faceva per me» il suo tono era basso, estremamente sensuale e i suoi occhi esprimevano un certo grado di malizia nei suoi gesti, specie ora che si stava avvicinando a me lentamente, come un felino con la sua preda. Capivo le sue intenzioni e non mi sarei tirata indietro per nulla la mondo: ogni parte di me lo desiderava intensamente e la tensione positiva accumulata durante tutta quella splendida giornata e con la cena mi diceva chiaramente che non sarebbe potuta finire in modo diverso.
Scivolai verso di lui, facendo ben attenzione a rimanere immersa nell’acqua fino alle spalle e mi portai al suo fianco mantenendomi faccia  a faccia: « Ma sbaglio o tu la doccia te l’eri appena fatta?» chiesi in tono malizioso.
« Sì, ma questo è tutta un'altra cosa..» mi disse facendo scivolare una sua mano sulla coscia che era in contatto con la sua.
Poi in un attimo si portò alle mie spalle e appoggiandosi al bordo mi attirò a se stringendomi dolcemente. Mi sentivo protetta, felice, ma mi rendevo conto che la carica elettrica fra noi era forte. Mi massaggiò le spalle e parlammo ancora un po’ del più e del meno, poi quando mi resi conto che non ce l’avrei fatta ancora per molto senza incontrare i suoi occhi, girai la testa e lo baciai incatenandolo a me con  una mano alla nuca.
Come avevo immaginato ci mise un attimo a focalizzare la situazione e le possibili implicazioni del mio gesto e in un istante mi ritrovai di fronte a lui, uniti ancora una volta.
Probabilmente fare l’amore dentro una vasca da bagno immensa e a lume di candela non era stato nei miei programmi, ma fu “assoluto”. Le sue carezze erano amplificate dai  movimenti dell’acqua sulla pelle, che sembrava cullarci e accompagnarci. Non so quanto tempo rimanemmo perché scollegai il cervello, reclinando più volte la testa indietro, chiudendo gli occhi, lasciandomi completamente trasportare dalle sensazioni che il mio corpo sul suo mi stava donando e dal modo in cui riusciva a tenermi stretta a sé, senza mai staccare le labbra dalla mia pelle o distogliere lo sguardo: mi ritrovai senza fiato, con il cuore a mille e un senso di appagamento, ma nel contempo di oppressione tanto che non potei trattenere le lacrime.
Premuroso come al solito mi chiese se stavo bene e capì dal mio assenso silenzioso che ero solo una vittima del mio folle amore e desiderio per lui e che quello che riusciva a trasmettermi era indescrivibile a parole e molto spesso difficile da gestire con le emozioni.
Sfinita e completamente appoggiata a lui, non mi accorsi nemmeno che l’acqua si era raffreddata, fino a che non lo sentii staccarsi e lo vidi allungare una mano per prendere un asciugamano e allacciarselo in vita: poi uscì dalla vasca e ne prese uno più grande invitandomi ad avvolgerlo intorno al corpo. Non smisi mai di guardarlo anche quando, mi fece uscire dalla vasca prendendomi in braccio e portandomi sul letto, dove non ancora appagati, continuammo ciò che, evidentemente per lui, avevamo solo interrotto poco prima.
Era ormai notte inoltrata quando riuscimmo finalmente a staccarci, a fatica, peggio di due calamite che si attraggono, e nel suo caldo abbraccio lo sentii sussurrare dolci parole che ogni donna bramerebbe sentirsi dire.
« Sei stanca? » mi chiese ad un certo punto. Eravamo sotto alle coperte stesi uno a fianco all’altro: non potevo non notare il fatto che il contatto visivo fra noi fosse ancora più impellente di quello fisico: quando parlavamo dovevamo guardarci negli occhi.
« Diciamo che è stata una giornata molto intensa……ma sto veramente bene» risposi sorridendo e strusciando il mio naso sul suo profilo. Ci stavamo accarezzando e coccolando e i miei sospiri dimostravano ampiamente quanto fossi serena.
« Posso chiederti una cosa…..molto personale…..ma riguarda noi e credo sia importante»
Alzai gli occhi, anche nella fioca luce che proveniva dalle poche candele rimaste accese e dalle finestre potevo percepire un lieve imbarazzo. Ma era così strano: non era da lui!
« Questo weekend è stato a dir poco meraviglioso, prima di tutto perché sono con te, ma mi chiedevo……ecco noi…cioè io non…. » abbassò lo sguardo.
« Edward che c’è?» lo guardai preoccupata e accarezzandogli una guancia cercai di catturare nuovamente l’attenzione dei suoi occhi, sfuggita a causa del momentaneo imbarazzo.
« Va tutto bene, puoi dirmi qualsiasi cosa» cercai di rassicurarlo.
« Bella io…..non sono stato attento….non so se hai compreso, e non so cosa…….» lo bloccai alquanto stupita. Era vero, non avevamo usato precauzioni, ma non eravamo più ragazzini e probabilmente non aveva pensato che io sapessi esattamente cosa stavo facendo.
Va bene lasciarmi trasportare, ma a trent’anni, un briciolo di razionalità doveva rimanere!
A quel punto mi fu chiaro che, in quel frangente, l’avevo mantenuta solo io e lui se ne era reso conto solo in quel momento. In realtà ero consapevole che quello che stavo per dirgli  ci avrebbe riportato sulla “terra” e avrebbe immerso me, di nuovo, in ricordi spiacevoli, ma dovevo comunque dargli una spiegazione e cercai di tranquillizzarmi al pensiero che comunque lui mi era accanto e mi avrebbe donato tutto il suo amore.
« Edward tranquillo…..ormai ho imparato a  conoscere il mio corpo alla perfezione e il problema di cui ti ho parlato mi dà la certezza, in determinati momenti di non poter in alcun modo “rischiare”» il mio sguardo si fece più serio e il suo più stupito e così decisi di approfondire la spiegazione.
« Quando il ciclo salta non ci sono possibilità di rimanere incinta: è come se fossi sterile – si sentii in quel momento la nota di tristezza della mia voce e lui lo capì perché mi strinse a sé e mi accarezzò il viso – è da prima di Natale che non mi vengono, quindi….non ci sono problemi…..e se dovessero ricomparire te lo direi così da stare più….attenti» il mio intento era stato quello di tranquillizzarlo, ma avevo sortito l’effetto di rattristare me stessa al solito pensiero che non avrei probabilmente potuto mai avere figli: e ora che stavo insieme ad una persona meravigliosa come lui, anche se da poco, questa cosa, ne ero certa, mi sarebbe pesata di più.
Probabilmente si rese subito conto del mio cambio di umore:
« Bella, amore, guardami – mi prese il volto con entrambe le mani e si alzò facendomi distendere sotto di lui – non volevo arrecarti dolore con questa domanda: è che in questi giorni non sono riuscito proprio a connettere, quando ero con te. Quello che mi fai quando siamo vicini mi porta in un’altra dimensione e solo ora ho realizzato questa cosa, ma non volevo che tu rivangassi il tuo dolore, ti prego perdonami» il suo tono di voce era leggermente preoccupato, ma cercai di tranquillizzarlo subito:
« Sto bene…. è solo che mi ci devo ancora abituare, ma se tu mi starai accanto lo supererò definitivamente….e fino a quel momento guardiamo il lato positivo……niente rischi!» gli confessai guardandolo negli occhi e stringendomi a lui.
Ricambiò la stretta e mi baciò prima sulla fonte poi sulle labbra:
« In realtà quando ti ho fatto notare questa cosa non era mia intenzione dimostrare preoccupazione: la mi paura era che tu fossi consapevole e che ti aspettasi qualcosa che magari non sarebbe arrivato… e non volevo ci rimanessi troppo male» in quel momento aggrottai le sopracciglia, non comprendendo appieno il suo discorso e lui se ne rese probabilmente conto, perché si posizionò meglio, incatenandomi con i suoi occhi e stupendomi con la sua affermazione.
« Lo so che stiamo insieme da poco, ma ci conosciamo già da un po’….e so quello che provo per te…non sono uno di quegli uomini che ha paura delle conseguenze dei suoi gesti e penso che insieme a te potrei affrontare veramente qualsiasi cosa la vita mi possa portare».
« Significa che se dovesse….» mi interruppe.
« Significa che non sopporto l’idea di essere legato a te per pochi mesi, so di non poter più vivere veramente senza il tuo amore e se dovesse esserci una speranza e capitare anche l’inaspettato….io ne sarei troppo felice» uno splendido sorriso si aprì sul suo volto.
Mi stava chiaramente dicendo che se fosse accaduto sarebbe stato felice di avere un figlio da me, anche se la nostra storia era appena all’inizio: Edward era veramente come avevo immaginato e sarebbe stato un padre perfetto.
Ma sapevo anche di non dovermi fare illusioni e di non doverne dare nemmeno a lui: l’importante era stare bene e in quel momento per me era così.
« Edward, quello che hai detto è bellissimo: poche persone dopo un tempo così breve sono in grado di confessare certi pensieri, ma so che tu sei speciale, l’ho percepito da subito e…so che è troppo presto…..non voglio spaventarti, ma sento che quello che c’è fra noi è unico…..e……. – presi  un respiro profondo chiudendo gli occhi un attimo per focalizzare quello che stavo per dirgli – io credo di amarti in modo assurdo e credo che lo farò per il resto della mia vita».
L’avevo fatto, gli avevo esternato i miei sentimenti sul legame che mi sentivo di avere con lui: sperai per un attimo di non averlo spaventato, ma come al solito mi stupì:
« Lo vedi che io e te siamo telepatici?» sorrise « io ti amo più di qualsiasi altra cosa Isabella e so per certo che sei la donna della mia vita, ora dobbiamo solo vedere cosa ci riserverà il futuro, ma se dovrò essere io a decidere…..sarà per sempre».
Non potei trattenere le lacrime a quella sua affermazione, e bearmi della sua stretta calda che in quel momento era una prova tangibile del nostro essere insieme, innamorati e desiderosi di convivere con questi sentimenti, nati da poco, ma ormai così radicati nei nostri cuori.
Dopo esserci baciati a lungo ci addormentammo abbracciati per poi svegliarci l’indomani, pronti per ritornare alla realtà, al nostro lavoro, alla vita di tutti i giorni, ancora più uniti di prima.
 




 Note: buonasera a tutti! lo so dovrei vergognarmi per essermi presentata con un ritardo simile. E potrei giustificarmi dando la colpa al lavoro o al portatile effettivamente deceduto da tre settimane. ma non lo farò! In realtà oltre ai soliti problemi tecnici o di tempo si somma l'effettiva difficoltà che sto incontrando nello svolgimento della storia: ho tutto in testa ma non è facile metterlo in parole, per non banalizzare e cercare comunque di trasmettere un pò di "emozioni" (se no che FF sarebbe!!).
spero che il capitolo vi piaccia: so che è un pò troppo sdolcinato,ma forse a questo punto della storia ci voleva anche questo: e poi sono un'inguaribile romantica.
 i prossimi capitoli saranno i più tranquilli, incentrati sulla loro storia d'amore: poi la storia subirà una svolta (tenete giù i fucili, vi avevo già messo sulla strada e vi garantisco il finale “felici e contenti”), ma a quel punto non posterò più un capitolo alla volta: mi prenderò tempo (spero non troppo) per scrivere più capitoli possibili per poterli poi pubblicare tutti di seguito.
Comunque vi avvertirò quando sarà il momento in modo che non mi aspettiate invano o decidiate di abbandonarmi perché non mi faccio più “viva”.
Come molti noteranno ci sono pezzi o dialoghi liberamente tratti dai libri o dai film della saga: in realtà nei prossimi sviluppi è mia intenzione riprendere situazioni che si riavvicinano alla storia originale, per mantenere un legame pur rimanendo su un universo alternativo.
Ok credo di aver detto fin troppo e spero di ricevere qualche recensione in più.
 
 
Ps mi scuso per eventuali errori, anche di impaginazione, ma mi è saltato anche l’NVU e quindi è difficilissimo impostare il capitolo come gli altri.
 
Grazie a tutte voi, che con pazienza mi aspettate e mi seguite.

Ritorna all'indice


Capitolo 55
*** “Quotidianità e progetti” ***


Capitolo 55

Quotidianità e progetti

Quando mi svegliai il mattino dopo, mi occupai della colazione nel tentativo di ricambiare, almeno in parte le premure che Edward mi aveva riservato in quello splendido week-end. Dopo aver disposto su un vassoio ciò che avevo trovato in cucina, inclusa la splendida torta preparataci da Kate e dimenticata la sera perché troppo presi da noi stessi, mi recai al piano di sopra, appoggiai il vassoio sul letto, dalla mia parte, e poi salendo lentamente con un ginocchio, mi avvicinai a Edward che dormiva ancora beatamente.

I miei pensieri ricaddero velocemente su quei giorni passati insieme e su quanto sarebbe stato difficile andare avanti non avendolo sempre nel mio letto.

Spostai il braccio che non mi serviva per sorreggermi e gli accarezzai delicatamente la fronte: nel giro di pochi secondi la sua espressione mutò, gli occhi iniziarono a muoversi sotto le palpebre ancora chiuse, la bocca si aprì leggermente e un sospiro uscì dal suo petto. Si svegliò poco dopo fissandomi negli occhi dopo avermi dato il buongiorno e ringraziato, ovviamente a modo suo, per avergli portato la colazione.

Mangiammo lì, seduti uno a fianco all’altra, ridendo, scherzando e chiacchierando, senza mai distogliere i nostri sguardi: le sensazioni che la sua vicinanza mi donavano erano uniche, ogni nostro sfioramento, sguardo o parola mi riempivano la schiena di brividi e mi trasportavano nel ricordo delle emozioni che era stato capace di donarmi in quel tempo passato insieme.

Ero certa, che non mi sarei mai stancata di lui, ero quasi sicura che la mia fosse una nuova dipendenza nei suoi confronti, ma a discapito delle mie preoccupazioni, non mi sentivo in ansia per questo: Edward era vita per me, era sostegno, ma anche forza, mi ero resa conto di essergli appartenuta fin dal primo giorno anche solo con uno scambio di sguardi.

Sembravano quasi pensieri assurdi di una quindicenne in piena crisi ormonale, ma non era così: era la determinazione di una donna che sapeva ora quale era il suo sentimento più profondo per l’uomo che aveva di fronte e per il quale non avrebbe rinunciato per nulla al mondo.

Terminata la nostra colazione e le nostre non brevi effusioni, ci rendemmo ormai conto che il nostro rientro sarebbe stato inevitabile e ci accingemmo così a prepararci.

« Giurami che torneremo presto» sussurrai sulle sue labbra davanti all’auto, dopo aver depositato i nostri bagagli nel baule. Sapevo che il mio sguardo gli avrebbe descritto i sentimenti che provavo in quel momento: amore, desiderio, corredati da una vera e propria venerazione per la splendida creatura che il destino aveva messo sulla mia strada e che ora rispondeva al mio sguardo con il suo tocco delicato sui miei fianchi e la sua bocca dolcemente posata sulla mia.

« Certo che torneremo, ogni volta che vorrai » il suo sorriso sulle labbra e negli occhi.

Presi un profondo respiro e mi appoggiai con la fronte al suo torace. Non feci in tempo a chiudere gli occhi desiderosa di perdermi nei miei pensieri e nel profumo che emanava la sua pelle, che due mani calde mi sollevarono il volto: « Bella tutto bene?»

Lo guardai con un lieve sorriso : « Va tutto bene. Stavo solo pensando a come farò, una volta rientrati, a non starti sempre incollata»

« E chi ti dice che non potrai farlo?» lo fissai negli occhi sorridendo ulteriormente e scuotendo il capo.

« Non puoi trasferirti da me, né io da te…..ricordi? Siamo responsabili dei dormitori maschili e femminili?» mi baciò dolcemente fissandomi.

« Troveremo una soluzione, per quest’anno faremo un po’ di su e giù tra i nostri appartamenti, ma per il prossimo anno ci organizzeremo diversamente» mi strizzò un occhio mantenendo sempre uno splendido sorriso su quelle labbra tentatrici. Per un attimo spalancai gli occhi e rimasi a bocca quasi aperta a quelle sue parole “l’anno prossimo ci organizzeremo diversamente”. Non potevo credere che dopo così poco tempo che stavamo insieme facesse dei progetti a lungo termine così convinto. In realtà da lui me lo sarei dovuto aspettare, ma quelle sue parole mi fecero chiaramente capire che credeva nel nostro rapporto e avrebbe desiderato farlo durare. La cosa mi piacque molto perché in fondo era lo specchio di quello che provavo io. Certo non sarebbe stato facile dover fare i nomadi tra due appartamenti e in un certo senso anche imbarazzante far capire a tutto il campus la nostra situazione: per non parlare della Whitmore!!! Sarebbe stata al settimo cielo nel vedere in bella mostra la nostra relazione.

« A cosa pensi?» la sua voce mi ridestò dai pensieri.

Lo abbracciai portando le mani dietro al collo e alzandomi in punta di piedi per arrivare più facilmente al suo viso : « a quanto mi piacciano i tuoi progetti e a quanto ne sarà felice la preside ».

La mia affermazione scatenò in lui una lieve risata e dopo avermi sfiorato le labbra mi aprì lo sportello e mi fece accomodare per rientrare al campus.

Il rientro e l’inizio della settimana furono difficili e nel contempo impegnativi, ma la costante vicinanza di Edward mi dava la grinta giusta ad affrontare tutti gli incarichi. In realtà lui continuava a dire che io quella che dava a lui la forza di alzarsi al mattino, anche quando stretti l’uno al calore dell’altra faticavamo ad accettare l’idea di tuffarci nell’ancora freddo giorno inglese.

Da quando eravamo rientrati erano passati solo pochi giorni.

Al nostro ingresso quella domenica pomeriggio solo alcuni studenti e dipendenti avevano assistito e ringraziai che tra questi non ci fossero né Black né la preside, principalmente per il fatto che Edward in più di un’occasione tra i garage e i dormitori, mi aveva abbracciato, guardato languidamente e baciato, come se quel weekend non gli fosse bastato: e in realtà come potevo dargli torto. Avevo dovuto fare quasi violenza a me stessa per non “appoliparmi” a lui ogni mattina quando mi accompagnava in aula, per evitare di dare troppo spettacolo. Il fatto poi che per tutta la settimana si fosse fermato ogni notte da me e mi avesse stretto a sé senza perdere occasione per venerarmi mentre facevamo l’amore, mi aveva reso sempre più dipendente dal suo corpo e dalla sua compagnia.

Il giorno di San Valentino avevo deciso di organizzare una serata romantica tra noi. Era da parecchio tempo che non lo festeggiavo, ma in quel periodo mi sentivo particolarmente romantica e il fatto che tutto il mio dormitorio fosse pieno di palloncini e fiori aiutava. Sembrava che tutte le ragazze più corteggiate fossero proprio da me.

Avevo chiesto a Edward carta bianca per preparare una cena nel suo appartamento. Aveva accettato con non poche proteste, sperando che preferissi invece il suo di invito, che prevedeva ovviamente un ristorante di lusso.

« Vorrei fare qualcosa che ci permetta di restare soli tutta la sera» mi ero giustificata con un sorriso malizioso e avvicinandomi a lui poggiando una mano sul suo torace.

Lo avevo visto sospirare e chiudere gli occhi beandosi del mio tocco : « Bella vorrei farti presente che siamo nella tua aula e che tra poco entreranno i tuoi studenti. Se continui così…..» non potei fare a meno di sorridere. Eravamo quasi sempre insieme, ma nonostante questo l’elettricità che sprigionavano i nostri corpi quando erano vicini era palpabile. Mi allontanai leggermente, meglio non rischiare scenate compromettenti!

Gli chiesi di stare lontano per tutto il giorno, perché avrei voluto preparare tutto alla perfezione e appena avuto l’ok e terminato il mio orario mi fiondai a prendere l’occorrente a casa mia e mi occupai di tutto il resto. Quando le cose furono quasi pronte mi affrettai a preparare anche me stessa. Approfittai del suo bagno e mi vestii e pettinai con quello che avevo preso su da casa mia. Non volevo eccedere, l’importante sarebbe stata l’atmosfera, la cena e lo stare insieme.

Alle ventuno sentii la chiave girare nella serratura e lo vidi entrare con uno splendido mazzo di rose e gerbere. Si era cambiato nel mio appartamento, ovviamente, e quando varcò la soglia nel suo aspetto casual ma sempre d’effetto, gli sorrisi e mi fiondai su di lui, baciandolo appassionatamente.

« Se fai così non arriveremo nemmeno alla fine della cena » mi sussurrò sulle labbra in modo sensuale. Un brivido mi corse lungo la schiena e non potei fare a meno di perdermi qualche attimo nei suoi occhi.

Lo feci accomodare e rimase sorpreso di quanto avessi fatto in poco tempo: candele, luci e il profumo di una cena semplice, ma piacevole.

La serata passò in modo splendido, conversando ridendo e coccolandoci in modo estremamente romantico. Volevo godere in pieno delle sensazioni che la vicinanza con lui mi donavano. Sapevo che il nostro trasporto era dettato dal fatto che stavamo insieme da poco, la passione era ancora al culmine, ma non davo per scontato che finisse. La nostra intesa non solo a livello fisico, ma anche “spirituale” era qualcosa che mi dava la quasi certezza che avrei amato quest’uomo per sempre, qualsiasi cosa ci avesse riservato la vita.

Mi alzai per sparecchiare. Appena alzata dalla sedia Edward mi fermò, poggiando la sua mano sulla  mia e mi fissò negli occhi. Sapevo che se non avessi distolto lo sguardo gli sarei volata letteralmente in braccio, ma c’era ancora il dessert!

Mi alzai in silenzio per dirigermi alla cucina. Sentivo i suoi occhi che mi fissavano la schiena dalla penisola dove avevamo cenato. Sentivo una sensazione di vertigine, come se quello sguardo mi stesse perforando l’anima. Il mio respiro si fece leggermente più frequente: ero travolta da quel contatto avvenuto pochi attimi prima e dal suo sguardo su di me, coadiuvato da un silenzio che in quel frangente voleva dire solo “desiderio”.

Arrivai al bancone della cucina e lo sentii parlare :« sei splendida…..come sempre». Mi girai e questa volta incatenai consapevolmente i miei occhi con i suoi.

Non ci fu bisogno di parole: in un attimo si alzò e contemporaneamente mi fiondai tra le sue braccia e sulle sue labbra. Mi sollevò e mi portò in camera…lasciando la torta lì dov’era.

Aprii gli occhi. Era notte fonda. Una mano calda stava accarezzando la mia schiena coperta solo dalle lenzuola. Mi mossi lievemente verso la fonte di quel contatto e aprii gli occhi. Edward era steso accanto a me, si sosteneva la testa con una mano, mentre l’altra lasciava quelle piacevoli carezze sulla mia pelle.

« Non dormi amore mio?» dissi in modo del tutto rilassato.

« Ho aperto gli occhi poco fa e di fronte alla visione del tuo corpo seminudo non sono riuscito a resistere» mentre diceva queste parole si era avvicinato al mio volto e mi aveva lasciato un tenero bacio sulle labbra senza lasciare mail il contatto con la mia pelle. Senza allontanarsi soffiò delicatamente sul mio viso: « adoro quando mi chiami amore mio con quel tono…sei così sexy….e  credo che per la mia salute mentale e il tuo riposo, sia il caso di iniziare a portare qualche indumento qui, per quando passi la notte con me» quelle parole erano entrare nelle mi orecchie, ma erano arrivate direttamente al cuore e allo stomaco.

« La verità è che sono io che non so resisterti…ti amo da morire» e mi girai per abbracciarlo e baciarlo, incurante del lenzuolo scostato che avrebbe messo in mostra il mio corpo nudo. Edward mi circondò la schiena e ricambiò il mio bacio in modo appassionato. I nostri respiri già soffocati, quando si staccò dalle mie labbra, sempre troppo presto per i miei gusti.

« Comunque non sto scherzando e, tentazioni a parte, potresti portare qualcosa qui da me, così da non doverti alzare troppo presto al mattino per passare dal tuo appartamento a prepararti. E la stessa cosa potrei farla io…se non ti dispiace»

Mi scostai da lui e sorrisi : « veramente credi che una cosa come questa potrebbe dispiacermi? Se fosse per me ti vorrei nel mio letto tutte le sere?» era un’affermazione molto plateale, ma non si discostava dalla realtà dei miei sentimenti e da ciò che avveniva quasi quotidianamente.

« Sai che non ti ho nemmeno dato il tuo regalo di san valentino?» lo guardai stupita: io non gli avevo preso niente!

« Edward non dovevi…io non ho preso nulla….non pensavo che…..» un dito si posò sulle mie labbra.

« Stai tranquilla, è una cosa che voglio fare con te, quindi il regalo è anche un po’ mio». Lo vidi alzarsi e dirigersi verso la cucina, tornando dopo poco con un pacchetto sottile e un meraviglioso sorriso.

« Buon san valentino Bella» aprì quello che era chiaramente una busta e vidi dentro due biglietti aerei: destinazione Parigi!

« Edward ma sei matto e quando???»

«E’ da un po’ che ci penso, la nostra vacanza natalizia non è andata è andata proprio come speravamo – abbassò lo sguardo e io mi sentii un verme per come erano andate le cose solo un mese prima – quindi pensavo che potremmo rifarci: in più Alice sarà felice di vederti e di ospitarci. Le vacanze di primavera mi sembrano perfette».

Ero felice di quell’idea, avrei rivisto volentieri la sorella di Edward e in più stare con lui in quella splendida città….ero quasi commossa.

« E’ un’idea splendida, ma io non ti ho regalato nulla, mi dispiace» dissi stringendomi nuovamente a lui che si era ridisteso accanto a me.

« Tu mi hai donato il tuo cuore e tutta te stessa e non esiste regalo migliore» ed era vero. Stavamo insieme da poco ma io mi sentivo di appartenergli e questa cosa mi piaceva oltremodo.

« Sai, mi piacerebbe presentarti mia madre!» l’avevo buttata là. Già da qualche tempo parlavo regolarmente con Reneè raccontandogli della nostra storia e lei aveva dimostrato un grande entusiasmo ed aveva espresso il desiderio di vedermi di persona. Per un attimo temetti di averlo messo in imbarazzo, ma come al solito mi stupì: « sarebbe un’idea magnifica, anch’io non vedo l’ora di conoscerla. Programmeremo un week-end verso la fine dell’anno se ti va»

« Mi va eccome » risposi di getto, vuoi per il piacere di rivedere mia madre, vuoi per la gioia che sentivo nel vedere come aveva accolto la mia proposta. Era semplicemente meraviglioso.

« Sai che sei veramente splendido! Mi piace fare questi progetti con te. Ti amo da morire» dissi di getto. Lui non rispose, ma si limitò a sorridere e a incollarsi alle mie labbra e al mio corpo, incurante del fatto che l’indomani mattina ci saremmo dovuti alzare presto per andare al lavoro: ma io non ero proprio in grado di resistergli.

Ora che ero sicura dei miei sentimenti e dei suoi non avevo più timore di dimostrargli tutto quello che avevo stupidamente represso per mesi. Edward era una creatura splendida sia fisicamente che emotivamente, che ricambiava un sentimento che andava ben oltre l’infatuazione. Non eravamo più ragazzini e non cercavamo storie di sesso. Avevamo semplicemente trovato l’amore.

note: ok so che può sembrare, ma non sono morta. non sto qui a giustificare un ritado che non ha giustificazioni. Il tempo scorre via, le cose sono sempre troppe e in più l'ispirazione si è un pò spenta. però ho ripostato. il capitolo non è granchè, forse un pò corto e non ci racconta niente di nuovo, ma avevo bisogno di riprendere confidenza con i personaggi e la storia e, diciamo che aveo fretta di farmi viva per rispetto di tutti quelli che mi seguono. siamo in un momento abbastanza tranquillo della storia, in cui si vedranno consolidare i loro sentimenti e che quindi vedrà anche salti temporali più lunghi. il tutto per arrivare al clou, quello che poi darà il proseguio e la conclusione. non so quanto scriverò ancora. i prossimi capitoli non mi sono ancora chiari nella testa. se riuscirò cercherò di scriverne più di uno e pubblicarlia breve distanza l'uno dall'altro, ma questo vorrà dire tardare a farmi vedere per un altro pò. a parte le prossime due settimane in cui non mi sarà possibile usare il computer, conto di riavvicinarmi alla storia e riprendere in modo abbastanza sistematico (anche se mai come i primi tempi) perchè ritengo sia comunque giusto giungere ad una fine in tempi ragionevoli. spero di riuscire e spero di leggere qualche recensione in più rispetto alle ultime volte in modo da caricarmi un pò.
grazie, a presto

Ritorna all'indice


Capitolo 56
*** Avviso ***


Purtroppo questo non è un nuovo capitolo, non che credessi che dopo tanto tempo ormai ve lo aspettaste. Sono accadute molte cose in questi mesi, nella mia vita e intorno a me che mi hanno portato via sia il tempo che l'interesse per la scrittura (che più che altro è esposizione dei miei pensieri).
Tempo fa avevo risposto ad alcuni messaggi, dicendo che avrei presto ripreso, ma i mesi sono scappati via e così non è stato. Forse ho anche perso interesse per i personaggi e non sono certo qui per giustificarmi cercando altrove motivi che sono solo miei. Posso solo essere sincera e dire che in questo momento non so dirvi quando riprenderò la storia. Non mi va nemmeno di finirla frettolosamente buttando quello che fino ad ora ho scritto (visto che in realtà gli sviluppi sono ancora molti).
Forse come capita a molte che si divertono con le FF devo solo ricominciare a "sognare" su questi due personaggi. Spero di riuscirci anche per rispetto verso chi da tempo si aspetta un aggiornamento. In realtà ho scritto un capitolo nuovo ma non ne sono soddisfatta e prima di pubblicare vorrei essere certa di averne altri all'attivo per non dover più far passare così tanto dalla pubblicazione. Quando e se ricomicerò vorrò farlo tutto d'un fiato fino alla fine.
Non cancellerò la storia perchè la sento troppo mia per farla sparire e non scriverò nemmeno sospesa perchè voglio dare prima di tutto a me stessa l'input per ricominciare. Ma non so quando potrete ancora leggere. Vi chiedo di scusarmi e spero che se o quando ricomincerò potrò contare ancora su qualcuno desideroso di leggere.
Grazie a tutti
K
ps quando e se ricomincerò a postare cancellerò questo avviso

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1386354