New dawn di karman (/viewuser.php?uid=104356)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuovo inizio ***
Capitolo 2: *** "ma siamo sicuri?" ***
Capitolo 3: *** “Un primo sguardo” ***
Capitolo 4: *** “ Avvicinamenti” ***
Capitolo 5: *** “Non ancora..” ***
Capitolo 6: *** “Amici???” ***
Capitolo 7: *** “Nella fossa dei leoni” ***
Capitolo 8: *** “Calma apparente” ***
Capitolo 9: *** “Crollo!” ***
Capitolo 10: *** “Mi prenderò cura di te” ***
Capitolo 11: *** “Stammi solo vicino” ***
Capitolo 12: *** “Rivelazioni inconsapevoli” ***
Capitolo 13: *** “Brutto tempo, brutte notizie” ***
Capitolo 14: *** “Ti voglio raccontare una parte di me” ***
Capitolo 15: *** “Un momento per me” ***
Capitolo 16: *** “Indifferenza” ***
Capitolo 17: *** “Gelosie e chiarimenti” ***
Capitolo 18: *** “Un regalo da raccontare” ***
Capitolo 19: *** “Coppia perfetta” ***
Capitolo 20: *** “Conoscenze” ***
Capitolo 21: *** “Fiducia” ***
Capitolo 22: *** “Normalità e complicazioni” ***
Capitolo 23: *** “Uno spazio tutto mio” ***
Capitolo 24: *** “Pensieri per te…per noi” ***
Capitolo 25: *** “Ad un passo da… noi” ***
Capitolo 26: *** “Rosalie” ***
Capitolo 27: *** “E’ così evidente?” ***
Capitolo 28: *** “Ritorno” ***
Capitolo 29: *** “Carlise, Esme e Charlie” ***
Capitolo 30: *** “Un gesto così semplice…ma così profondo” ***
Capitolo 31: *** “Famiglia” ***
Capitolo 32: *** “Contatti” ***
Capitolo 33: *** “Dolci intermezzi” ***
Capitolo 34: *** “La Push” ***
Capitolo 35: *** “Il passato…di nuovo” ***
Capitolo 36: *** “Devo pensare a te” ***
Capitolo 37: *** “Piccole distanze” ***
Capitolo 38: *** “Altre novità” ***
Capitolo 39: *** “Fine d’anno” ***
Capitolo 40: *** “Prime verità” ***
Capitolo 41: *** “ Timori infondati?” ***
Capitolo 42: *** “Sola” ***
Capitolo 43: *** “Invisibile” ***
Capitolo 44: *** “Silenzi” ***
Capitolo 45: *** “ Supposizioni” ***
Capitolo 46: *** “Tu non puoi capire...” ***
Capitolo 47: *** “Ora lo sai” ***
Capitolo 48: *** “Noi…” ***
Capitolo 49: *** “Confidenze” ***
Capitolo 50: *** “Allo scoperto” ***
Capitolo 51: *** “Interruzioni: prima parte” ***
Capitolo 52: *** “Interruzioni: seconda parte” ***
Capitolo 53: *** “In ogni istante….noi” ***
Capitolo 54: *** “Only love” ***
Capitolo 55: *** “Quotidianità e progetti” ***
Capitolo 56: *** Avviso ***
Capitolo 1 *** Nuovo inizio ***
Capitolo 1
“Nuovo inizio”
Ero
pronta per ricominciare.
Ma
lo ero veramente?
In
realtà forse stavo solo
scappando, dal mio Paese, dal mio lavoro, dalla mia storia.
Ma
ne avevo bisogno.
Sentivo
la necessità di resettare
tutto e ripartire.
Cercando
di non pensare a tutto
quello che avevo vissuto negli ultimi anni e soprattutto mesi, alle
delusioni,
al dolore fisico ed emotivo che avevo provato.
Tutto
per colpa sua? No, non
credo.
I
fossi si fanno con due rive, di
questo ero certa, ed io lo avevo amato troppo, talmente tanto da farmi
accecare
dai sentimenti e non riuscire a vedere come era invece la
realtà.
E
ora che ci avevo sbattuto il
naso, avevo deciso il mio modo di affrontarla.
Scappare.
Per
cercare di dimenticare, per
cercare di non pensare. O forse solo per piangermi addosso, ma almeno
avevo
fatto un cambiamento rispetto agli ultimi squallidi e fermentati mesi
nella mia
cittadina.
Questi
erano i miei pensieri
mentre attendevo il mio bagaglio all’aeroporto di Londra,
guardando le
goccioline di pioggia che si abbattevano sulle vetrate. Io, Isabella
Swan,
orgogliosa insegnante di scuola primaria, mi ero buttata a capofitto in
questa
avventura.
Avevo
deciso di chiedere un trasferimento
come insegnante per gli americani all’estero e avevo deciso
di cimentarmi con i
ragazzi delle scuole secondarie, abbandonando la mia oramai
rassicurante realtà
con i bambini più piccoli. Ma a trent’anni e con
un passato da cancellare o si
faceva in quel momento un passo o così, o mai più.
E
così dopo quintali di
documenti, iscrizioni e domande avevo accettato di trasferirmi in un
paese alle
porte di Londra dove avrei “tentato” per la prima
volta di insegnare materie
umanistiche ad un gruppo di ragazzi americani, che per il lavoro dei
propri
genitori si erano dovuti trasferire in Inghilterra, alcuni anche da
parecchi
anni. Ero stata contattata, anche a seguito delle mie numerose domande,
direttamente dalla preside, che aveva accettato il mio incarico a detta
sua
principalmente per il mio interesse verso la storia europea e per il
fatto che
a trent’anni non avessi una famiglia e quindi niente
complicazioni.
Sadica
eh! Forse però era quello
che ci voleva per me.
E
così in fretta e furia alla
fine di Agosto ero partita per la mia muova casa, salutando mio padre
con il
quale vivevo a Forks, piccola e sperduta cittadina della penisola di
Olimpia e
la mia adorata mamma, trasferitasi con il suo nuovo marito
nell’assolata
Jacksonville.
Mi
sono sempre chiesta cosa mi ha
spinto all’età di quattordici anni ad abbandonare
la casa di mia madre e andare
a vivere con mio padre. Ma dopo i primi momenti d’imbarazzo e
le piccole
incomprensioni sono stata felice della mia scelta. Voglio bene a mia
madre, ma
ora posso dire di adorare indiscutibilmente mio padre, che ha fatto di
tutto
perché mi potessi laureare in storia e filosofia a Seattle,
e che poi ha
accettato il mio lavoro nella Forks primary school.
In
realtà sono stati gli anni più
belli…l’università, il lavoro come
baby-sitter e poi come supplente per
guadagnare abbastanza soldi per mantenermi
all’università e
poi….l’incontro con
lui. L’uomo che mi aveva cambiato la vita, la persona che
credevo di aver amato
sopra a ogni cosa, che mi aveva ferito e dal quale mi stavo
allontanando. Ma
nulla di quello che avevo fatto negli ultimi quindici anni a Forks, era
stato
motivo di rammarico, nonostante tutto.
Presi
un taxi e diedi all’autista
le indicazioni:
«Trinity
Istitute of American’s
Child per favore», feci mente locale del percorso
perché se fossi rimasta qui,
avrei dovuto alla fine far arrivare un’auto o acquistarla.
Anche perché non
avevo idea di dove avrei potuto alloggiare né tantomeno
quanto sarei distata da
Londra. Avevo scelto l’Inghilterra perché da
sempre adoravo questo paese e in
più il clima mi avrebbe aiutato a mantenere un legame con la
mia Forks!
Dopo
circa quaranta minuti il
taxi rallentò di fronte ad una tenuta verdeggiante. Eravamo
molto fuori dalla
città e avrei potuto scommettere sul fatto che il paese
confinante con la
scuola non contasse più di 30-40 abitazioni..ma andava bene
così, per il
momento era molto meglio stare bassi di tono. Ero qui per ricominciare
e non
per fare baldoria, quindi anche un piccolo paesino sarebbe rientrato
nei miei
gusti.
Il
taxi si fermò davanti ad un
grande cancello di ferro battuto circondato da edera rampicante e rose
selvatiche. “ Beh tipicamente inglese..” pensai fra
me.
«
Signorina la accompagno al
cortile?» mi domandò l’autista.
«
No, grazie dovrei farcela da
sola», In realtà non mi andava di fare
un’entrata trionfale il primo giorno,
pur non sapendo chi avrei trovato nell’istituito gli ultimi
giorni di estate.
Il
cielo si era leggermente
rischiarato, e la temperatura era leggermente afosa, forse per
l’umidità
scatenata dalla pioggerella che fino a quel momento era scesa. Per
fortuna
viaggiavo sempre con jeans e giubbino impermeabile e non mi lasciavo
scoraggiare da due gocce d’acqua. La maggior parte dei miei
amici di scuola,
poi di college, non vedevano l’ora di trovarsi impieghi al
caldo. Io invece ero
passata dalla padella nella brace!
Avanzai
camminando velocemente,
trascinando le mie valige ed entrai nel grande cortile della scuola. Vi
si
affacciavano tre edifici e potevo scorgerne altri due sullo sfondo. Ma
quanto
era grande questa scuola? Pensavo che gli studenti fossero solo qualche
centinaio! Iniziai a guardarmi intorno cercando di orientarmi.
«
Sembra un po’ spaesata – una
voce alle mie spalle – sta cercando qualcuno? » Un
ragazzo alto con la pelle
olivastra e i capelli neri troneggiava a fianco a me: aveva una
muscolatura
notevole e un bel sorriso, ma mi colpì il suo accento
americano:
«
Sto cercando gli uffici e la
presidenza. Dovrei prendere servizio qui»
«
Lei è la nuova insegnante?»
«
Sì, Isabella Swan » gli porsi
la mano per salutarlo e lui ricambiò la stretta molto
calorosamente:
«
Jacob Black piacere, io mi
occupo dell’organizzazione, sono si può dire una
specie di custode.»
«
Ah bene mi può dare le
indicazioni che cerco?»
«
Sì certo, ma può darmi del tu
se vuole».
Era
molto gentile e il sorriso
che mi aveva riservato mi fece pensare. Non è che ci sta
provando? Ma perché
dovevo sempre vedere il doppio senso in tutto! In fondo non ero una
donna così
attraente e anche in passato avevo avuto un solo uomo….. e
dalli di nuovo stavo
ritornando alla mia vecchia vita.
«
Ehi tutto bene? »
Mi
ridestai improvvisamente
ringraziandolo e ripetendo la mia necessità di trovare la
presidenza.
«
È nel fabbricato più grande. Lì
troverà anche gli uffici, dove registrarsi e prendere
servizio. Se vuole il
bagaglio posso tenerlo io»
Era
già il secondo favore che mi
offriva, mi sembrava di sfruttarlo, ma in realtà non mi
andava di presentarmi
come una profuga alla ricerca di casa:
«
Grazie tornerò a prenderli
appena avrò sbrigato tutto».
Mi
avvicinai al fabbricato
indicato. Ogni passo un battito accelerato. Tutto sarebbe ricominciato
da qui!
Nota: dopo anni di letture su EFP mi sono decisa anche io a pubblicare. La storia non è probabilmente tra le più originali, ma ci tenevo a raccontare qualcosa che mulinava nel mio cervello già da tempo. Inizialmente doveva essere un'originale e di pochi capitoli, ma poi i personaggi hanno assunto le sembianze della "saga" e hanno iniziato a raccontare una storia propria, così...ecco qua.
Mi farebbe piacere fosse seguita e commentata da qualcuno, ma cercherò comunque di postare regolarmente anche per mettermi alla prova.
Questi personaggi non mi appartengono, sono proprietà di Stephanie Meyer
|
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Capitolo 2 *** "ma siamo sicuri?" ***
Capitolo 2
“ Ma siamo sicuri?”
Appena entrata nello stabile della presidenza non potei fare a meno di notare l’austerità del posto. Quadri, tappeti, grandi mobili di noce….accidenti mancavano solo i gragoyle e i doccioni. Mi avvicinai alla porta dell’ufficio e dopo aver bussato una voce di donna mi invitò ad entrare:
<< Mi scusi, cerco la signorina Cope >> esordii.
<< Sono io in cosa posso esserle utile? >>
<< Mi chiamo Swan e dovrei prendere servizio come docente di scienze umane>>
<< Benarrivata signorina, la preside la stava spettando; abbiamo ricevuto la sua conferma due giorni fa. Dopo che l’avrà ricevuta tornerà da me, le darò questi moduli da compilare e nel giro di qualche giorno riceverà il suo contratto >>
<< Grazie mille >>
<< Attenda qui..>> e si allontanò da me entrando in una porta a vetri sul lato sinistro rispetto alla sua scrivana.
Cominciai a torturarmi le labbra e le mani come avevo sempre fatto nei momenti di ansia e non potei fare a meno di guardarmi intorno….finché non sentii una voce autoritaria provenire da dove era sparita la signorina Cope; mi sembrava avesse quasi detto “ah l'americana”. Era l’ufficio della preside. Se avessero potuto utilizzare il sudore delle mie mani in quel momento come umidificatore, sarebbe piovuto una settimana dentro quella stanza.
Appena trenta secondi dopo questo mio pensiero la signorina Cope rientrò nella stanza e con un cenno della mano mi invitò ad accomodarmi.
<< La preside la attende >>.
Entrai nell’ufficio e lo trovai molto più grande e luminoso di come avevo immaginato: la preside Whitmore mi attendeva dietro ad un’immensa scrivania che ricordava in modo più maestoso quella della segretaria. Si alzò e mi porse la mano con un sorriso molto tirato.
<< Signorina Swan benvenuta. Sono felice di conoscerla, com’è andato il viaggio? >>
<< Bene grazie preside Whitmore, mi scuso di averla fatta muovere alla fine dell’estate, ma ero ansiosa di arrivare, anche per cercare una sistemazione >> perché avevo sentito la necessità di giustificarmi? Forse perché in America il periodo che precedeva l’inizio delle lezioni era sacrosanto e nessuno ti avrebbe mai dato udienza.
<< Non si preoccupi, la maggior parte dei docenti prenderà servizio tra pochi giorni – ahia! agosto breve – e comunque sono sempre in servizio in questo periodo. Sa, questa scuola ha una certa importanza per gli immigrati americani e nonostante l’ubicazione un po’ isolata dobbiamo sempre essere perfetti per l’inizio delle lezioni, non lasciamo mai nulla di scontato…e poi la maggior parte degli studenti risiede al campus per gran parte dell’anno – ecco spiegati tanti edifici – e quindi a turni il personale non manca mai>>.
Rimasi a colloquio con lei per quasi un’ora: mi illustrò il programma, quello che si aspettava io facessi e soprattutto il regolamento della scuola, sottolineando il fatto che me avrebbe fatto avere una copia e che doveva diventare una Bibbia per me.
<< Ha un alloggio già stabilito, miss Swan? >> mi chiese.
<< No, pensavo di cercare qualcosa di provvisorio, magari in paese e poi si vedrà>>
<< Se vuole può alloggiare al nostro campus>>
<< Come?>> chiesi alquanto stupita.
<< Sì, alcuni professori che come lei vengono da fuori lo fanno, abbiamo alcuni appartamenti dislocati tra le stanze degli studenti, sono tranquilli e poi….. voglio essere sincera, qui ognuno fa la sua parte e ha le sue responsabilità perché la macchina scolastica funzioni al meglio – non capivo dove voleva arrivare – quindi i professori che alloggiano al campus danno una mano nella gestione delle situazioni problematiche>>.
Beh ad essere sincera non era una cosa a cui ambissi particolarmente, ma non temevo fosse un compito infattibile per me. Mi ero già trovata nelle condizioni di dover coordinare piccoli gruppi di lavoro quindi se mi trovavo bene perché non farlo anche qui, e se non mi fossi trovata bene…beh me ne sarei tornata a casa quindi..nessuna complicazione.
<< Va bene posso provare, se mi vengono date le indicazioni necessarie, ma dovrà essere elastica con me i primi tempi, almeno fino a che non avrò capito tutta l’organizzazione e conosciuto studenti e colleghi >> accennai un sorriso.
<< Perfetto >> disse quasi ghignando. Non so perché ma ebbi la sensazione di essermi cacciata nei guai così, ma solo il tempo lo avrebbe detto.
Feci per alzarmi, ma la voce della preside mi bloccò di nuovo.
<< Le voglio ricordare che qui non sono tollerati nessun tipo di comportamenti poco…consoni….diciamo…>>
<< Mi scusi….ma potrebbe chiarire il termine consono?>> chiesi un po’ preoccupata…
<< Beh purtroppo è accaduto in passato che insegnanti si facessero un po’ troppo notare, a livello fisico e di appariscenza intendo – questa pretendeva che diventassi una suora! – quindi l’abbigliamento dovrà essere sobrio, non troppo appariscente e non dovrà dare adito a nessuna malizia >>.
La mia espressione era probabilmente molto interrogativa, ma continuai ad ascoltarla:
<< Le dico chiaramente per esperienze passate, che non ammettiamo nessun tipo di rapporto tra insegnanti e genitori degli studenti o studenti stessi. >> Era una cosa abbastanza ovvia per me. Di casini ne avevo già combinati tanti a livello personale, ma non avrei mai pensato di immischiarli nel lavoro.
<< Non si preoccupi, risposi, sono qui solo per fare il mio dovere >>.
Detto questo mi congedò dal suo ufficio, tornai dalla segretaria che mi consegno moduli, piantina del campus, orari dei primi incontri e il regolamento: avrei avuto di che leggere per la settimana successiva. Ringraziai e tornai a recuperare il mio bagaglio.
Jacob Black stava sistemando alcune aiuole e quando mi vide, si offrì di aiutarmi. Nel tragitto chiacchierammo un po’: mi raccontò delle aziende della zona che davano lavoro alla maggior parte dei genitori che avevano i figli nella scuola, della relativa tranquillità del campus e della cittadina.
<< Sono molti i professori che alloggiano qui? >> chiesi.
<< No, la maggior parte abita in paese e qualcuno addirittura a Londra. Qui siete in quattro e due solo nel suo dormitorio..su due piani diversi; a quanto vedo ti è stato assegnato il piano delle ragazze dai quattordici ai sedici anni >>
<< Perché i dormitori son divisi per età?>>
<< Sì, è un’idea della preside per controllare i ragazzi più piccoli>>
Mi sembrò strano: di solito erano i più grandi a dover essere controllati. Quasi come se mi avesse letto nel pensiero, mi disse che la disciplina nella scuola era molto forte e rigorosa per certi aspetti e che la maggior parte dei ragazzi vicino ai diciotto avevano la testa sulle spalle e quindi era più importante seguire i ragazzini che potevano avere maggiori necessità.
<< Beh spero che l’altro insegnante del mio dormitorio mi possa aiutare all’inizio>>
<< Non conterei troppo sul professore di musica>> mi rispose << è molto taciturno e poco socievole, tende a controllare, ma senza interagire, non so se mi hai capito>>.
Il professore di musica sarebbe stato il mio vicino: mi immaginai un anziano con i capelli grigi che componeva fino a notte fonda. Non seppi cosa rispondergli se non un …”vedremo”.
Arrivammo allo stabile: c’era qualche studente che portava i suoi bagagli, ma per lo più si vedevano solo addetti alle pulizie e alla manutenzione. Sembrava ci tenessero veramente molto ad apparire al meglio in previsione della riapertura dei corsi.
Lo stabile mi piaceva era austero, ma dentro era molto curato, tende, legno nel pavimento e quadri, tanti quadri ovviamente copie, ma mi divertii a notare la gamma storica. Essendo un insegnante di filosofia e storia adoravo anche l’arte ovviamente.
Arrivammo al secondo piano e Jacob lasciò le mie valige di fonte a una porta un po’ isolata dalle altre.
<< Questo è il tuo appartamento, il custode dello stabile si chiama Jasper, ha lasciato le chiavi sul tavolo, ora ti lascio così ti puoi sistemare >>
<< Grazie mille >>Entrai e lasciai le valigie nell’ingresso.
Il locale non era molto grande: c’era un grande spazio in quello che dedussi fosse il soggiorno, una piccola cucina si affacciava su di esso con una penisola, sulla destra rispetto all’entrata un altro corridoio che portava nella zona notte. Una camera da letto, un bel bagno con vasca e doccia e un piccolo studio. Beh, se avessi dovuto vivere in un B & B sarebbe andata peggio.
Quello che mi stupì fu l’arredamento. Curato nei minimi dettagli, forse un po’ troppo pesante per i miei gusti, ma non era niente male, molto stile New England. Magari se fossi rimasta abbastanza a lungo avrei potuto fare delle modifiche.
Già…. rimanere, in quel momento mi tornò alla mente il principale motivo per cui mi trovavo lì. Avrei dovuto far saper a James dove mi trovavo? Forse nonostante tutto mi avrebbe cercato. Per fortuna questo pensiero mi passò come un lampo nella mente: non era proprio il caso.
Mi ridestai, portai le valige in camera e iniziai a sistemare qualcosa. Avevo lo stomaco chiuso e dopo essermi fatta una doccia, mi preparai per andare a dormire. L’indomani avrei iniziato la mia nuova vita.
nota: ok non pensavo proprio che una storia così potesse interessare: l'ho pubblicata soprattutto per me stessa, ma le visite, le seguite e addirittura la recensione mi ha molto lusingato. man mano che passeranno i capitoli se sarà necessario darò spiegazioni sulla storia.
alla prossima |
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Capitolo 3 *** “Un primo sguardo” ***
Capitolo 3
“Un primo sguardo”
La sveglia suonò alle 7.30. Avevo riposato poco. Forse la stanza nuova, il nuovo lavoro, o semplicemente la preoccupazione di dovermi confrontare con dei nuovi colleghi che non so perché temevo avrebbero potuto giudicarmi per le mie scelte. Ma giudicarmi per cosa? Non sapevano nulla della mia vita prima di arrivare lì e non lo avrebbero saputo quindi.. potevo stare tranquilla.
Mi alzai e dopo essermi guardata intorno e aver deciso che al primo week end occorreva una maratona di shopping casalingo, mi feci una doccia veloce e mi vestii.
Ovviamente in modo sobrio, non avrei mai voluto contestare gli ordini della preside! Mi preparai solo un tè, non avevo assolutamente fame. Se avessi saputo così, mi sarei trasferita prima, chissà quanti chili persi!
Presi la mia borsa, con i miei documenti e mi recai nell’edificio principale, dove era collocata la sala professori. Nei successivi due giorni il calendario prevedeva incontri fra i docenti per organizzare orari e lezioni: ognuno di noi avrebbe dovuto stendere un proprio programma basato sulle indicazioni generali, che sarebbe stato sottoposto all’attenzione della preside stessa. Inoltre all’incontro generale si sarebbero “attribuite le responsabilità”. Guardai e riguardai bene l’ordine del giorno e non capii proprio a cosa si riferiva.
« Ti serve una mano?» Una voce alle mie spalle. Mi voltai e incrociai il sorriso di una giovane donna.
« Ciao, io sono Jessica o meglio la professoressa Stanley, sai alla preside non piacciono eccessive confidenze tra i professori, tu sei quella nuova, vero? Scusa se ti do del tu, ma mi sembra che abbiamo la stessa età…..»
Oddio ma chi era questa…un’aliena?
« Ciao sono la professoressa Isabella Swan, docente di scienze umane e tu?» Speravo in questo modo che avesse smesso la logorrea continua.
« Io insegno arte, vieni che ti presento agli altri»
« No grazie, non credo sia il caso sai, magari ci teneva a farlo la preside all’incontro…» sperai fosse una buona scusa per sganciarmi. E forse funzionò. Infatti a queste parole la Stanley si bloccò.
« Forse hai ragione, comunque mi fa piacere conoscerti, magari diventeremo amiche. Hai già conosciuto qualcuno?»
« No, tu sei la prima insegnante » risposi senza dimostrare la mia evidente noia alle sue chiacchiere.
« Dove alloggi? » Continuò a chiedermi insistentemente
« Ho deciso di alloggiare nel dormitorio A per ora. Sai sono appena arrivata e non sapevo dove altro andare»
« Wow sei insieme a “mister tenebroso” allora! Sai in quel dormitorio non vuole andarci nessun professore. Vuoi per il collega e vuoi per i ragazzi troppo piccoli da controllare. Però a dir la verità il professor Cullen…»
« Credimi per me non è un problema, sono abituata a lavorare più con i piccoli che con i grandi e in più un collega che se ne sta per i fatti suoi non mi dispiace, in fondo sono anch’io un po’ così »
Ops! forse avevo parlato troppo! Non volevo che capisse che la sua intrusione e conversazione non fosse gradita.
« Sai – mi preoccupai di giustificarmi – tendo ad essere noiosa e a lamentarmi spesso se prendo confidenza con qualcuno, quindi meglio non crearmi troppi legami». Avevo tentato di rigirare la frittata dando l’impressione di essere io quella sbagliata….e forse era così. La Stanley non si scandalizzò, mi fece un sorriso e poi come se non avessi detto nulla, continuò a parlare, raccontandomi aneddoti e pettegolezzi sui vari professori presenti.
« Ecco vedi – mi disse – quella è la professoressa Weber: insegna biologia, è molto carina e dolce anche se si fa mettere i piedi in testa un po’ troppo dai ragazzi più grandi. È sposata con i professore di lettere, il signor Kinsley…..e poi il professore di matematica, lui è un vero donnaiolo, mentre quello di retorica….beh sembra sia interessato all’altra sponda, non so se mi capisci, e infine c’è Mike..ehm cioè il professor Newton, insegna ginnastica, è così affascinante…»
Oddio come facevo a farla smettere! In dieci minuti mi aveva incatenato nei peggiori pettegolezzi di borgata su chi stava con chi, sulle prestazioni dell’uno e dell’altra, sulle poche doti culturali di questo e quello….no, decisamente non era una buona compagnia per la mia sanità mentale. Decisi di interromperla deviando la conversazione.
« Beh visto che ci siamo tutti ormai la preside ci chiamerà per iniziare l’incontro» lo dissi più con la speranza che così mi sarei potuta liberare di lei.
« O no cara, non ci contare. Sei lei dice le dodici saranno le dodici. E poi non ci siamo tutti. Manca il professore di musica, lui in verità manca quasi sempre. La sala professori non gli piace molto. Te l'ho detto è molto solitario e tenebroso, ma veramente affascinante vedrai».
Guardai l’orologio, erano solo le nove. La maggior parte dei professori si stava scambiando complimenti o informazioni sulle vacanze appena concluse. Alcuni stavano già guardando i nuovi materiali e un’idea mi fulminò.
« Scusa Jessica se t’interrompo, ti posso chiamare per nome tanto mi sembra che fra noi ci sia già una certa confidenza, – sviolinata – io andrei in ufficio a ritirare il mio plico di documenti. Sai, vorrei studiarmeli bene prima della riunione, così se sarà necessario, chiederò in quella sede le dovute informazioni»
« Oh sì cara, vai pure, ci vediamo dopo».
Dio ti ringrazio! Non avrei potuto sopportarla un minuto di più.
Mi incamminai per i corridoi, guardando le varie aule susseguirsi, e mi ritrovai in ufficio dalla signorina Cope come il giorno precedente. Entrai e ritirai tutto il mio materiale: la segretaria mi rivolse appena due parole, era molto indaffarata. Presi tutto e mi incamminai.
Mi fermai nel cortile interno e aprii la busta. Dentro c’erano vari orari, moduli da compilare con il programma di tutte le lezioni, cose già viste quando insegnavo negli Stati Uniti. Di diverso c’era una scheda di valutazione molto strana. Non sembrava fatta per i ragazzi, e terminata con delle “annotazione sulle problematiche di gestione”. Ma dove mi trovavo in una scuola o in un centro marketing? Qui l’organizzazione era veramente paranoica.
Tralasciai il tutto e andai a vedere quali sarebbero state le mie aule. Come a Forks, anche qui sarebbero stati gli studenti a spostarsi tra un’aula e l’altra, ma a me erano state attribuite due materie, diverse tra loro, e per questo avrei dovuto usufruire di due aule.
In realtà sapevo che per l’anno che stava arrivando avrei dovuto solo integrare l’orario del vecchio professore di filosofia ormai vicino alla pensione. Ma pensare di dover passare ad insegnare storia con i ragazzi del quinto anno a psicologia con quelli del primo, era una bella differenza. Era probabilmente per quello che mi sarebbero dovute servire due aule. Gli argomenti e i materiali sarebbero stati comunque diversi.
Tra questi pensieri mi incamminai nuovamente, quando una musica mi attirò vicino ad una stanza. Guardai la targhetta: era l’aula di musica. Una melodia stupenda proveniva dall’interno e non resistetti alla tentazione di sbirciare.
Un ragazzo dai capelli castano ramati, spettinati stava suonando al piano. Lo vedevo solo di spalle, indossava una maglietta a mezze maniche, aveva le spalle larghe, dalle quali si intravedeva un tatuaggio tigrato. Lo ammirai mentre faceva scorrere le dita lunghe sulla tastiera emettendo alcuni dei suoni più belli che avessi mai sentito. La musica per me era sempre stata il fulcro, ma avevo avuto a che fare sempre con musica rock e musicisti squinternati, che prediligevano urli e schitarrate piuttosto che dolci melodie: e poi c’era “lui”, che suonava la chitarra e cantava in modo divino, ma il piano…era dai tempi della scuola di musica che non ne sentivo suonare uno in modo così intenso…
Rimasi abbagliata e con lo sguardo comincia a vagare sul quelle braccia. Notai un altro tatuaggio, sull’interno dell’avambraccio sinistro, ma non riuscii a capire cosa fosse.
Ero rimasta talmente ammaliata da non accorgermi che la musica era terminata e chi suonava stava per girarsi nella mia direzione. Di scatto mi nascosi dietro alla porta socchiusa appoggiandomici con la schiena: non stavo facendo nulla di male, ma non mi sarebbe piaciuto farmi vedere origliare senza essermi presentata o almeno senza essermi fatta almeno vedere. Mi ridestai e mi incamminai verso la sala riunioni. Si erano fatte le 11.30 e l’incontro tra professori sarebbe iniziato di lì a poco. Ma anziché guardare le mie carte mi soffermai a pensare chi potesse essere il ragazzo che suonava: magari uno studente che aveva avuto il premesso di utilizzare l’aula anche nei periodi al di fuori delle lezioni.
Passarono i minuti, la sala iniziò a riempirsi. Un uomo con i capelli bianchi, di bassa statura mi si avvicinò.
«Lei è la signorina Swan?»
« Sì » risposi.
« Sono il professor Garret, piacere, il suo tutor nonché collega uscente della cattedra di scienze umane»
Perbacco, finalmente conoscevo la persona che sarei andata sostituire e forse con il passare del tempo anche a rimpiazzare completamente.
« Il piacere è mio professore, sono felice di poterla incontrare». Per i minuti che seguirono chiacchierammo delle materie, del suo desiderio di allentare i ritmi prima della pensione e del fatto che con l’arrivo nel nuovo piano di studi delle materie sociali e psicologiche non avrebbe saputo proprio dove sbattere la testa e quindi, perché non far entrare un’insegnante che oltre che avvezzo nelle nuove materie, avrebbe potuto aiutarlo in quelle vecchie con le classi più difficili? L’idea non faceva una piega, ma mi inquietai un po’ quando mi disse che sarebbe stato il mio supervisore e che avrebbe dovuto approvare lui il mio piano di insegnamento.
In quel momento entrò la preside e la sala si zittì. Mamma mia ma quanta paura faceva a tutti!!!
Iniziò facendo un vero e proprio appello – ma dico eravamo noi i prof o cosa? – e per mio enorme imbarazzo mi presentò a tutti, scatenando gli occhi su di me; alcuni mi sorrisero, altri mi guardarono quasi schifati e potei notare quasi uno sguardo interessato negli occhi del professor Newton e di Jacob Black. Ma che ci faceva lui qui, non era una specie di custode?
La preside richiamò il silenzio: iniziò a parlare dei ruoli che ogni anno i professori si dovevano accollare per una migliore gestione della scuola e della relazione trimestrale che avrebbe dovuto consegnare a lei con le valutazione e le difficoltà incontrate con spazi, materiali e colleghi.
Ecco a cosa serviva quella stana scheda. Dovevo valutare i miei colleghi!! Proprio così: era obbligatorio essere almeno in due nelle responsabilità e ognuno doveva giudicare l'altro. Oddio io con chi sarei stata in coppia???? Povera me!
« Quest’anno gli incarichi saranno maggiori e potranno variare anche in corso d’anno » spiegò
« Abbiamo un numero di professori leggermente inferiore e in più non volgiamo appesantire il lavoro del professor Garret e del professor Marcus ormai vicini alla pensione. Penso abbiano fatto abbondantemente il loro lavoro di sorveglianti della scuola ».
La preside iniziò ad enumerare incarichi e coppie. La Stanley finì con Newton per la gestione della palestra (chissà perché, ma per me fra quei due c’era qualcosa), ad altri la gestione dei reclami dei genitori, l’ottimizzazione delle evacuazione e via dicendo. Fino a che non toccò a me.
« La nuova arrivata, la signorina Swan si è detta disponibile alla sorveglianza del dormitorio A, che come sappiamo è uno dei più pieni di studenti, quindi le affideremo solo il controllo della biblioteca insieme alla professoressa Weber». Meno male, Angela mi era sembrata proprio carina e dover condividere con lei i miei impegni in biblioteca sarebbe stato piacevole.
Improvvisamente due file avanti a me si sedette lo stesso ragazzo che avevo visto nella sala musica. Ma che ci faceva qui? Oddio era un professore!! Ma come…..sembrava così giovane! Forse era un custode come Black.
« Oh, il prof Cullen ci degna della sua presenza…» Come non pensato….
« Per quest’anno lei sarà in coppia con la signorina Swan nella gestione del dormitorio A» e la preside mi indicò. In quel momento sarei voluta sprofondare, ma il peggio venne quando il professor Cullen si volto leggermente verso di me mostrandomi due meravigliosi occhi verdi che mi guardarono di sbieco. Aveva un leggero strato di barba, ma sembrava veramente…magnetico. L’incontro terminò, la preside ci congedò e accadde quello che avrebbe modificato la mia permanenza in quella scuola: il professor Cullen si alzò e si avvicinò rivolgendomi un lieve saluto e un sorriso sghembo da far incantare gli angeli. Mi tese la mano e iniziò a parlare. A dire la verità non capii molto delle prime parole che disse perché ero troppo ipnotizzata da quel corpo alto, ma non troppo magro; dai lineamenti spigolosi della mascella, ma soprattutto da quello sguardo.
Oddio, ma che stavo facendo? Il pensiero di quella musica che gli avevo sentito suonare e la sua visione mi fece per un attimo dimenticare tutto quello che mi aveva circondato fino a quel momento.
« Ciao, io sono Edward ». Presi la sua mano e una potente scossa mi attraversò il braccio. Lui spalancò leggermente gli occhi. Che l’avesse percepita anche lui?
« Ciao, io sono Isabella, ma mi hanno detto che la preside non ama che i professori si rivolgano tra loro con il nome di battesimo, dice che non è professionale all’intero delle aule»
« Beh, a me sembra ridicolo – rispose lui – visto che viviamo a stretto contatto, e poi noi abbiamo una collaborazione che riguarda i dormitori, quindi possiamo chiamarci per nome. Siamo fuori dalla scuola». Feci un sorriso sincero. Non faceva una piega il suo ragionamento.
« So che i primi giorni quando sei nuovo sono veramente difficili, quindi parleremo dei nostri incarichi e del regolamento verso la fine della settimana se per te va bene Isabella»
«Sì certo – risposi io – grazie per il tempo e spero tu abbia pazienza perché per me è tutto nuovo»
« Tranquilla, non c’è problema. Ci vediamo in giro. Ciao »
« Ciao. Ah! e chiamami Bella…»
« Ok, ti si addice molto »
Arrossii. Perché gli avevo concesso tutta questa confidenza? Ero veramente rimasta ammaliata dal suo modo di fare? Ma dai, non ero mica una ragazzina alle prime armi che si infatuava del primo che passava. Io non ero infatuata, non potevo più permettere che accadesse.
In quel momento quando sollevai gli occhi vidi Black che lanciava uno sguardo di fuoco a Cullen e poi guardava me. Sembrava proprio che non lo potesse sopportare. “Credo che le cose saranno più complicate di quello che possa sembrare” pensai tra me.
note: e così è apparso Edward. non mi andava di modificare troppo il carattere dell'Edward originale, e quindi, agli occhi di tutti resterà una persona schiva.e chiusa...ovviamente tranne che con Bella. Il feeling è sempre inevitabile.
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Capitolo 4 *** “ Avvicinamenti” ***
Capitolo 4
“ Avvicinamenti”
Da quel giorno incontrai Edward più o meno quotidianamente nella sala professori, anche se cerava di entrarci quando la maggior parte dei colleghi era uscita; mi sorrideva molto gentilmente, ma mi rivolgeva veramente poche parole. Era già un traguardo visto che agli altri diceva a malapena “ciao”. Ma questo suo modo di fare non mi dispiaceva, piuttosto mi turbava l’interesse che avevo verso quello che faceva quando era in quella sala con me.
Perché quando abbassavo gli occhi, tempo trenta secondi e sentivo la necessità di rialzarli e osservarlo? E perché mi sembrava che distogliesse sempre lo sguardo all’improvviso quando lo facevo? Forse erano viaggi che mi facevo io, ma mi piaceva guardarlo quando leggeva e scriveva. Aveva un’aria molto…impegnata. Nei dormitori poi ci eravamo visti solo due volte. Io rientravo molto tardi dalla biblioteca per la prima catalogazione dei documenti e non avevamo avuto modo di parlare di nulla: sarebbe arrivato anche quel momento.
Finalmente giunse anche il week end. Mi ero ripromessa di fare acquisiti per la casa e dovevo solo trovare un mezzo comodo, perché avrei avuto sicuramente molte cose da portare. Mentre terminavo di sistemare la cucina dopo colazione e aver risposto all’ennesima mail dei miei che mi chiedevano come stava andando nella piovosa Inghilterra, qualcuno bussò alla porta. Non feci in tempo a chiedermi chi fosse che la voce di Jacob mi avvisò che erano arrivati degli scatoloni per me. Avendo intuito aprii la porta con un grande sorriso e lo ringraziai:
« Aspettavo queste cose, non sapevo più come fare, grazie »
« Di niente per te questo e altro»
Ma perché tutte le volte che si rivolgeva a me mi sentivo in imbarazzo? Ero quasi certa che ci stesse provando e pur vedendo che era un bel ragazzo, questa cosa mi infastidiva. Non ero mai stata oggetto di molte attenzioni da parte degli uomini e invece da quando ero qui avevo tutti gli occhi puntati addosso. Persino il professor Newton si era offerto di “appoggiarmi” nei primi problemi che potevo avere con i ragazzi.
Sì, altro che appoggiarmi! Era lui che lo avrebbe fatto visto come mi guardava il decolté certe volte! L’unico che sembrava non provarci era proprio Cullen e pensare che se lo avesse fatto…..
No assolutamente! Non potevo pensare a queste cose, avevo già sofferto abbastanza e non mi sarei fatta ammaliare da un bel fisico e due occhi verdi. Non erano quelle le cose che guardavo in un uomo: ma il suo fare misterioso mi incuriosiva, mi attirava come poche volte mi era accaduto.
Erano comunque mie personali elucubrazioni: non avrei mai permesso alla mia mente e al mio cuore un altro tracollo sentimentale.
Ringraziai Jacob e quasi gli sbattei la porta in faccia quando mi bloccò:
« Devo andare a Londra per alcune commissioni scolastiche. Vuoi un passaggio? ». Fui tentata di dire di no. Non volevo incentivare un certo avvicinamento tra noi, ma poi pensai che avevo veramente bisogno di andare a Londra e lui era l’unico che avrebbe potuto accompagnarmi con il suo furgone e aiutarmi a portare tutto quello che avevo in mente di acquistare.
« Ok – gli risposi – dammi due minuti ».
Terminai di prepararmi e uscii richiudendomi la porta alle spalle. Salii sul furgoncino di Jacob e non so perché ma mi guardai intorno come per cercare qualcosa o nascondermi da qualcuno.
« Finalmente ho l’onore di passare con te qualche ora ».
Rimasi abbastanza allibita da questa sua affermazione: « Scusa e perché eri così ansioso? »
« Dai, sei così interessante e tutti questa settimana hanno calamitato la tua attenzione tranne il sottoscritto » ok, non era un dubbio, ma una certezza: ci stava provando spudoratamente.
« Scusa Jacob..»
« Jake, chiamami Jake per favore..posso chiamarti Bella? »
Da dove veniva questa confidenza? avevo fatto bene a dubitare.
« Ok scusa Jake, ti ringrazio per l’interessamento, puoi chiamarmi Bella, ma non ritengo opportuna troppa confidenza tra noi »
« Scusa, ma mi sembrava…» oddio, ma che viaggi si faceva questo.
« Mi spiace che tu abbia interpretato male certi miei atteggiamenti, anche se mi devi dire quali, ma non sono interessata né ad amicizie né a qualcosa di altro »
« Ah ok mi sembrava…»
« Ti è sembrato molto male. Ho accettato i tuo aiuto perché sei il factotum della scuola mi pare e perché ti sei offerto, ma niente altro, ok?»
« Ah ok ok sì, però se dovessi cambiare idea..».
Ok stavo proprio cominciando a stancarmi. Sarei voluta scendere da quel furgone, ma eravamo ormai vicini a Londra e se non me la fossi voluta fare a piedi avrei dovuto accettare ancora la sua vicinanza.
« Ascolta Jake, chiudiamo l'argomento. Non sono interessata a te, né per amicizia né altro; se il fatto di accettare un passaggio ti ha fatto fraintendere ti chiedo scusa e di riportarmi indietro. Troverò un altro modo….»
« Non volevo offenderti, avevo capito male scusa , è che tu …ok ok non tornerò più nell’argomento…… dove ti devo portare? »
Gli esposi il mio problema e le mie necessità di arredamento e lui mi accompagnò in un centro commerciale alle porte della città dove avrei trovato ciò che mi serviva.
« Vuoi che venga con te? »
« No, ci ritroviamo qui fra due ore. Grazie »
Scesi di corsa, forse anche un po’ risentita e comunque stupita per la nostra conversazione e mi addentrai tra i vari negozi di casalinghi e arredamento. Verso le tredici mi ritrovai all’uscita con Jake che mi aiutava a caricare tutto.
« Ti va uno spuntino? »
« Veramente sarebbe meglio rientrare… »
« Dai Bella, nessun secondo fine, tanto dovresti magiare comunque»
« Ok, una cosa veloce però…. »
Chiacchierammo veramente poco, quando ad un certo punto iniziò uno strano discorso:
« Allora hai avuto modo di conoscere Cullen? ». No so perché ma il modo in cui pronunciava il suo nome mi infastidiva.
«È un mio collega e divido la responsabilità del dormitorio con lui. È chiaro che ne ho avuto l’occasione…»
« Allora si è già fatto avanti?»
« Scusa?»
« Beh non ha una grande fama..»
« Veramente mi hanno detto che se ne sta sempre nelle sue »
« È una maschera in realtà è un gran bastardo…» Oddio da dove arrivava tutto questo astio?
« E perché se posso chiederlo, tu come lo sai?»
« Lo conosco molto bene: era il mio migliore amico ».
Mi raccontò che anche lui come me e Cullen era americano e si conoscevano da parecchio, ma, senza specificare, mi disse che gli aveva rovinato la vita e di non fidarmi. Non feci caso a quelle parole, ma qualcosa mi turbò. Non volevo credere ad una cosa del genere, ma perché? neanche lo conoscevo il professor Cullen?
« Credo sia ora di rientrare »
« Sì, penso di sì ».
Persa nei miei pensieri non mi accorsi della strada percorsa e neanche del fatto che dei grossi nuvoloni plumbei stavano costellando il cielo pomeridiano.
Arrivammo giusto in tempo per evitare un grosso acquazzone e una volta scaricato tutto il materiale e portato in casa Jacob si congedò:
« Ciao Bella, alla prossima».
Lo ringraziai senza prodigarmi in saluti: non so perché, ma la sua presenza mi metteva a disagio, ed entrai in casa.
Il temporale, aveva portato un’afa terribile. La temperatura non era molto alta, ma in una casa di quarantacinque metri quadri, piena di scatoloni con un’umidità del settanta percento la temperatura saliva. Sistemai alcune cose, aprii qualche scatolone, poi decisi di farmi una doccia: indossai un pantalone della tuta e una canotta, giusto fino a che non si fosse abbassata l’umidità.
Ero praticamente immersa nelle mie faccende quando qualcuno bussò alla porta: erano quasi le nove di sera. Esitai un po’: studenti in quella parte del campus non ce n’erano, ma forse avrebbe potuto avere bisogno qualcun altro.
Per un attimo pensai a Jake e a qualcosa di poco carino che avrei voluto fargli se mi avesse importunato ancora come al mattino, ma puoi mi decisi ad aprire, ed una splendida chioma di capelli spettinati e due occhi verdi mi accolsero sulla soglia.
Solo una frase: «Ti prego dimmi che hai del caffè!».
Note: chiedo scusa alle eventuali fan di Jake. non è un personaggio che adoro particolarmente nemmeno nella saga (fatta eccezione per l'ultimo libro), quindi qui non sarà molto simpatico, e tantomeno diventerà amico di Bella. comunque non sarà un personaggio così fondamentale e non creerà problematiche "insormontabili".
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Capitolo 5 *** “Non ancora..” ***
Capitolo 5
“Non ancora..”
Il professor Cullen era davanti a me in tutto il suo splendore, tuta e maglietta aderente. Scarpe da ginnastica ed evidentemente accaldato come me. Aveva tra le mani un barattolo che sicuramente avrebbe dovuto contenere del caffè.
Ci misi un po’ a metabolizzare la situazione e probabilmente lo notò perché mi porse la domanda un’altra volta.
« Scusi professor Cullen ero sovrappensiero, ma proprio non mi aspettavo nessuno a quest’ora ». Probabilmente anche lui aveva notato il mio abbigliamento e mi accorsi del suo sguardo intenso, ma per nulla invadente.
« Mi spiace non bevo caffè», mi affrettai a rispondergli cercando di distogliere l’attenzione dal suo sguardo.
« Oddio sono morto, ma come è possibile, un’insegnante che non beve caffè? E poi ti avevo detto che potevano darci del tu. Io sono solo Edward. Ok Bella?»
Accentuò il mio nome come a voler rimarcare la necessità del tu. Era la prima volta che lo sentivo enunciare più di qualche saluto e monosillabi. Aveva una voce molto chiara, che non avevo identificato prima, ma ti catturava. Si capiva chiaramente che era americano come me (in fondo me lo aveva detto già anche Jacob) e mi sembrava addirittura di riconoscere l’accento delle mie parti. Mi ridestai dai miei pensieri e risposi:
<< Mi spiace Edward, ma non lo amo particolarmente e poi ho avuto qualche problema in passato e il caffè proprio non fa per me >>. In quel momento, non so perché, ma una leggera fitta mi colpì, proprio come mi era accaduto quando tutto era finito e avevo preso la mia decisione di andarmene. Ma perché? era passato già molto tempo e ormai avevo ricominciato a vivere, perché ancora queste sensazioni quando ripensavo a quei momenti?
Edward si accorse probabilmente del mio disagio e cercò di sorreggermi.
« Ti senti bene? Sei molto pallida sembra quasi che tu stia per svenire?».
Non seppi darmi una spiegazione, ma il contatto che le sue mani ebbero con il mio corpo mi spiazzò. Era come se una forte energia e un senso di sicurezza fosse emanato dalle sue braccia.
« No, no sto bene – cercai di minimizzare – è solo che questa umidità mi abbassa probabilmente la pressione »
« Scusa se ti ho disturbato, proverò a fare in un altro modo »
« Di niente, ma che ci devi fare con il caffè a quest’ora di sera? » non so perché gli porsi quella domanda, ma volevo trovare una scusa perché non se ne andasse e per continuare a sentire quella voce.
« Sai in genere approfitto dei giorni precedenti all’arrivo degli studenti per comporre in casa piuttosto che in aula e, visto che credo di aver avuto l’ispirazione, un po’ di caffè mi servirebbe per rimanere sveglio…sempre che il mio pianoforte non ti disturbi…»
Mi lanciò un occhiata e un sorriso che difficilmente avrei dimenticato. Lì per lì rimasi scossa..anche lui scriveva musica o canzoni. Era proprio il mio destino avere legami con musicisti. Per fortuna questo era solo lavorativo.
Stava quasi per andarsene quando lo fermai.
« Hai mai provato con il tè?»
« Come scusa?» mi guardò stupito.
« Il principio attivo del tè è lo stesso del caffè, ma dà meno assuefazione. Inoltre qui in Inghilterra esistono delle miscele talmente forti da farti partire il muscolo cardiaco per una mille miglia…così se devi rimanere sveglio è quasi meglio»
« Vivo qui da un anno ormai, ma proprio questa mi era nuova, il problema è: dove lo trovo a quest’ora?»
Non so perché lo feci, ma fui quasi certa che dandogli quella risposta avrei dato un sonoro schiaffone alla tranquilla e incolore realtà che mi andavo a costruire lì.
« Vieni: dovrei averne. Quando sono arrivata la preside mi ha fatto recapitare un cesto di benvenuto, se così si può dire, e mi sembra di aver visto una miscela che potrebbe tenere sveglio anche un bradipo ».
Lo invitai ad entrare scusandomi per il disordine. E poi commisi quella che avrei potuto reputare una sciocchezza, se non fosse che stare in sua presenza, anche se in silenzio, mi dava un senso di pace. Mi offrì di preparare io il tè e lo feci accomodare nella penisola che divideva la sala dall’angolo cottura. Con mio stupore accettò, si sedette e cominciò a guardarsi intorno:
« Se vai avanti di questo passo non avrai finito neanche a Natale » mi disse canzonatorio e mi lanciò un sorriso sincero che per la prima volta mi sembrò arrivare agli occhi. Dio come era bello! Guardando bene non aveva lineamenti perfetti, ma nel suo complesso aveva un volto di quelli che saresti rimasta a guardare per ore.
« Lo so è terribile: più cerco di svuotare le scatole più creo disordine. Di solito sono meticolosa, ma devo avere la testa nel caos perché proprio non riesco ad organizzarmi»
« Se vuoi ti posso dare una mano…» i suoi occhi mi stavano fissando. Era la prima volta che li vedevo così intensi.
« Grazie, ma non vorrei distoglierti dai tuoi progetti musicali »
« Non ti preoccupare..credo che la tua vicinanza potrebbe solo ispirarmi ». Disse queste parole talmente sottovoce, che probabilmente le avevo immaginate. Sembrava quasi che mi stesse guardando l’anima e questo mi faceva sentire vulnerabile.
« Facciamo così – disse lui togliendoci dall’imbarazzo momentaneo – tu mi fai il tè, io ti aiuto per un’ora e poi me ne torno alle mie composizioni»
« Okey, mi sembra un buon compromesso».
E così facemmo: chiacchierammo per qualche minuto prima di iniziare a vuotare gli scatoloni. Era molto meticoloso e anche se faceva le cose con molta calma riuscimmo a fare di più in quell’ora che o io da sola in tutta la settimana. A volte il silenzio faceva da padrone, ma capitava che nel passarmi gli oggetti le nostre mani si sfiorassero inavvertitamente e allora potevo percepire il calore delle sue e mille brividi mi percorrevano la schiena.
Ma cosa mi stava succedendo?
Erano anni che non provavo sensazioni del genere e forse non era nemmeno giusto che le provassi in così poco tempo.
« Ti piace la musica vedo » mi disse aprendo lo scatolone che conteneva i miei cd.
« La musica è stata la mia vita per più di dieci anni….», dissi quasi con tono sconsolato.
« Poi…» mi incitò lui.
No, non potevo aprirmi, non sapevo nemmeno chi fosse, non ancora, non potevo permettergli di capire, sapere e compatire. Anche se non conosceva James, la sua vita, la nostra storia, il mio…..no non potevo permetterlo e reagì forse fin troppo duramente.
« Poi… nulla, ho deciso di chiudere e di cambiare vita»
« Qualcosa ti avrà fatto cambiare idea no? La musica è una passione che ti entra nel cuore, non è qualcosa che si può mettere da parte in un attimo».
Sapevo che aveva ragione, ma decisi comunque di rispondere in modo telegrafico.
« No – risposi piccata – e poi non credo sia il caso di palarne, non ci conosciamo così bene »
« Scusa non volevo offenderti ». C’era rimasto male e mi pentii subito della mia reazione. Era vero che non potevo dirgli tutto, ma non avrei dovuto trattarlo in quel modo, in fondo voleva solo chiacchierare.
« Scusa tu, è che vorrei cercare di non parlare di quello che ho lasciato»
«…o perso….» mi guardò dritto negli occhi.
Santo cielo, ma cosa faceva leggeva nel pensiero! Questo ragazzo con poche parole e pochi sguardi silenziosi sembrava aver capito più di tutti quelli che erano entrati rumorosamente nella mia vita tentando di giudicarmi o darmi consigli.
« Io… scusa, ma non me la sento ». Mi allontanai e sentii gli occhi pungermi. Il dolore era ancora vivo. Mi ero ripromessa di non versare più lacrime per quella storia, ma proprio non ci riuscivo.
Due mani forti si appoggiarono sulle mie spalle.
« Mi dispiace, non volevo immischiarmi e neanche turbarti: hai ragione non ti conosco e spulciare nella tua vita non mi sembra l’ideale per iniziare la nostra conoscenza lavorativa. Me ne vado».
Quando le sue mani lasciarono le mie spalle mi sentii stranamente vuota e mi voltai di colpo:
« No, aspetta » ma cosa stavo facendo? «Scusa tu è che ho passato momenti non proprio idilliaci e ricordarli…»
« Non mi devi nessuna spiegazione: ora è meglio che vada..sento che la mia ispirazione è tornata» e mi sorrise di nuovo « fammi sapere se ti disturba il piano».
Non so perché, ma in quel momento mi sentii bene, come se una piccola speranza si fosse aperta nel buio della mia vita. Era come se con quel sorriso mi avesse capita anche senza sapere nulla.
Lo accompagnai alla porta e prima di uscire si voltò verso di me:
« Beh visto che domani è domenica, hai qualcosa in programma, o hai bisogno per continuare a spacchettare qui?».
Non seppi resistere e gli dissi sì quasi subito, poi però mi mangiai la lingua:
« Beh certo solo se non hai niente di meglio da fare» dissi arrossendo.
« No, di solito la domenica me ne sto al piano. Qui non c’è praticamente nessuno…quindi se vuoi…» mi disse con un tono di voce più basso, distogliendo lo sguardo e volgendolo al corridoio.
« Ok a domani allora. E.. no, non temere. La musica non mi disturba mai ».
Capii dal suo tono di voce e dalla malinconia che a volte sprigionavano i suoi occhi, che anche lui aveva qualcosa da nascondere e mi tornarono alla mente le parole di Jacob “è una maschera, un gran bastardo”. No, non poteva essere.
Quando lo vidi sparire sulle scale chiusi la porta e non so perché, dopo un’iniziale gioia, scoppiai in un pianto dirompente: il passato non c’era più, ma la sua ombra mi impediva di ricominciare a vivere.
Spensi la luce e tra i singhiozzi mi buttai sul letto vestita. Gli occhi si fecero pesanti e mentre stavo per addormentarmi mi sembrò di sentire suonare una melodia al piano. O stavo sprofondando in un sogno meraviglioso o era lui che suonava e mi piacque pensare, dopo quello che mi aveva detto, che forse lo faceva anche grazie a me.
Note: sono lusingata. non mi aspettavo tanta attenzione da parte vostra per questa storia. Spero di continuare nel modo migliore e che ne rimarrete sempre più attratti. vi anticipo che nel mio pc ne ho già scritta una buona parte, ma ancora non è terminata. cercherò di postare regolarmente i capitoli già pronti e nel contempo mandare avanti quelli nuovi. nella mia testa è già tutta scritta.
so che alcuni capitoli, come questo vedranno momenti di stasi e vi porteranno a farfi domande sui comportamenti dei nostri protagonisti, ma sono parti che servono a voi e sono servite a me per avere un quadro "emotivo "della storia. con calma verrà spiegato tutto.
grazie ancora e alla prossima
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Capitolo 6 *** “Amici???” ***
Capitolo 6
“Amici???”
Mi svegliai al mattino ancora più stanca di quando mi ero coricata, le tempie mi pulsavano e la testa era pena di pensieri e di dubbi dopo quello che io e Edward ci eravamo detti – anzi sarebbe meglio dire non detti – la sera prima.
Mi feci una doccia veloce e approfittai dell’ultima domenica prima dell’inizio delle lezioni per cercare di sistemare gli ultimi scatoloni. Quasi spontaneamente pensai a lui: chissà se si ricordava dell’aiuto che aveva promesso di darmi? Ma in realtà chi ero per rovinargli la domenica? Anche se non aveva particolari impegni se ne sarebbe voluto magari rimanere sul divano o a comporre!!
Non terminai neanche i miei pensieri che sentii bussare alla porta. Aprii con un grande entusiasmo convinta fosse Edward, ma davanti mi ritrovai Jacob Black.
« Ciao Bella, buona domenica»
Credo che chiunque avrebbe notato lo spegnimento del sorriso sul mio volto, ma lui non se ne curò
« Oh ciao Jake che fai qui?»
« Ero venuto a vedere se ti sentivi sola in questa ultima dolmenica prima delle lezioni e se magari volevi fare un salto da qualche parte potevo accompagnarti io »
Insisteva ancora..ma cosa c’era in me che lo faceva continuare con questi attacchi?
« No grazie, ma devo terminare qui»
« Ti aiuto se vuoi…»
« No non serve, ci vediamo nei prossimi giorni ok?»
« Ok » e richiusi la porta. Non feci in tempo ad appoggiarmi ad essa per riprendere fiato dallo scongiurato pomeriggio con Jake, che sentii bussare ancora. Riaprii un po’ arrabbiata, ma davanti non mi ritrovai uno scocciatore, bensì un angelo con uno stupendo sorriso.
« Ciao, che fai dormi sulla soglia?»
« No, ho appena cacciato Jake che voleva fare il cicisbeo domenicale»
Edward rise sonoramente: « Scusa ma non ce lo vedo proprio..allora pronta a continuare?»
« Edward, veramente non importa, non voglio impegnarti tutto questo tempo, in fondo è domenica anche per te»
«Ti ho già detto che non importa poi…prima iniziamo prima finiamo».
Non proferii più parola, mi misi di buona lena a sistemare le ultime cose che il mio splendido aiutante metteva fuori dagli scatoloni. Erano già le undici e ormai si poteva dire che la casa avesse un aspetto umano, mancava giusto qualche tocco, quando mi affacciai al salone:
« Pausa tè?» dissi ridendo.
« Ok, ti dirò che ieri sera ha funzionato, ho composto tutta la notte »
« Ti ho sentito»
« Oddio ti ho disturbato?»
« No, assolutamente! anzi mi sono addormentata molto meglio grazie a te, piuttosto tu dormi così poco?»
« sai quando sono un po’ in agitazione mi succede e poi il tuo tè era miracoloso…»
Sorrisi, la sua presenza aveva la capacità di confortarmi anche quando il morale era sotto i piedi, era incredibile, mi faceva stare bene anche solo guardarlo; forse proprio per la sua aria tranquilla, seppur fosse evidente che anche lui in passato aveva avuto non pochi problemi di carattere personale.
« Da quanto tempo sei qui?»
« Quasi un anno»
« e come ti trovi? » avevo assoluto bisogni di sentire la sua voce rassicurante e anche se sapevo che non mi avrebbe mai raccontato molto della sua vita, mi sarebbe bastato.
Iniziammo a parlare: avevo scoperto che era di Seattle e che aveva vissuto per una decina di anni anche a Forks, proprio quando io ero stata da mia madre. Accidenti a me, avrei potuto incontrare questo ragazzo tanti anni fa e forse non mi sarei persa dietro ad “altro”.
« Io ho studiato a Seattle, ma sono nata e ho lavorato a Forks, penso che forse ci saremmo potuti incontrare…Aspetta tua padre si chiama Carlise Cullen?»
« Sì, lo conosci?»
« Mi ha curato parecchie volte quando ero in vacanza da mio padre, sai ero piuttosto propensa ad inciampare ». Fui quasi sicura che il suo non fosse un sorriso, ma un ghigno denigratorio.
« Adoro la mia famiglia, anche mia sorella matta. Sai ogni tanto mi viene a trovare e mi destabilizza letteralmente, per non parlare di come riduce il mio appartamento di Londra »
« Scusa se te lo chiedo, ma perché se ami tanto la tua famiglia ti sei trasferito così lontano?» il sorriso gli si spense.
« Prima di tutto adoro l’Inghilterra. Dopo essermi diplomato alla Julliard sono venuto spesso qui per scrivere e comporre, hanno ottimi studi di registrazione..e così ho troncato con alcune situazioni problematiche che si erano venuti a creare a casa »
« Scusa non volevo ficcanasare nei tuoi affari, come tu non volevi farlo nei miei ieri sera» mi fermai a riflettere. Anche se non del tutto, mi aveva raccontato un pezzo della sua vita, io invece… Mi sentii in colpa per come avevo reagito la sera precedente e ora come ora forse sarei stata più accomodante e loquace, ma non me la sentivo.
« Non ti preoccupare, sono cose che ho superato, anche se è stata dura e comunque ho avuto la mia parte di colpe»
« Ah! ». Questo fu l’unico suono emesso dalla mia bocca perché subito mi ritornarono in mente le parole di Jake e un ombra mi percosse.
« Hai parlato con Jacob vero?»
« Non proprio parlato, mi ha solo messo in guardia su alcune cose, che però sinceramente non ritengo importanti. Ma cosa è successo tra voi? Mi ha detto che eravate molto amici?»
« Lui cosa ti ha detto?» rabbrividii a quelle parole, non so se me la sentivo di trasmettergli i suoi insulti o forse li sapeva già.
«Non ha detto niente di quello che vi è accaduto, mi ha solo messo in guardia da te, dicendo che indossi solo una maschera e sei un gran bastardo…»
Abbassai lo sguardo, non perché avevo tradito la confidenza di Jake, anzi per come lo tolleravo, metterlo nei guai non sarebbe stato così male; più che altro mi sentii in imbarazzo al fatto di aver anche solo ascoltato le sue parole e di essermi posta dei dubbi. Edward non poteva essere così, no, nessuno mi avrebbe convinta del fatto che non fosse una brava persona.
« Beh, mi rispose, pensavo di peggio, comunque è proprio un gran figlio di…scusa»
« Non ti scusare, vedi io ti conosco da poco, ma da quello che posso vedere sei tutto il contrario di quello che dice lui: secondo me sei proprio una persona sincera e il fatto che tu non intrattenga troppi rapporti con chi ti circonda non vuol dire che sei antipatico, quanto piuttosto che tenti di preservare il tuo cuore da altre sofferenze. Ti capisco ».
Di nuovo quella fitta al torace, Edward se ne accorse e mi ridestò prendendo il mento tra le dite e sollevandomi il volto. In quel modo i nostri occhi erano sulla stessa linea.
Dio quanto erano brillanti ! Se solo lo avessi conosciuto a fondo avrebbe potuto parlare solo con quelli, tanto erano espressivi.
« Grazie » mi disse soltanto e si staccò da me lasciando ancora una volta un vuoto.
« Io non lo giudico, però stai attenta. Non è quello che sembra»
« Cioè?»
« Lui qui sa tutto di tutti, è un lontano parente della preside ed ha accesso a qualsiasi informazione che lei reperisce »
« Vuoi dire che la preside prende informazioni sui suoi professori e studenti? E di che genere?>>
« Tutto quello che è documentato, dai voti a scuola alle cartelle cliniche. So che non è del tutto legale, ma ha molti agganci e giustifica il fatto per tutelare l’etica dell’istituto ».
In quel momento un brivido di terrore mi percorse la schiena, forse sapeva troppe cose, di me, magari sapeva di James, delle mie visite in ospedale. Santo cielo, chissà cosa poteva venire fuori!
« Non credo che tu abbia degli scheletri nell’armadio così pericolosi » azzardò forse vedendo la mia smorfia.
«E tu?» gli lanciai un’occhiata fin troppo eloquente, che indicava chiaramente la mia paura e il tentativo di alleviare i miei peccati con quelli di qualcun altro.
« E chi non ne ha….penso che si sia fatta due risate sulla mia perizia psichiatrica e la mia cartella clinica ». Notò sicuramente il mio sguardo sconvolto e si affrettò a precisare prima che io potessi porgergli qualsiasi domanda:
« non sono un pazzo psicopatico, tranquilla, è solo che ho avuto un grave incidente quando avevo vent’ anni: un ubriaco mi ha buttato fuori strada e ne ho risentito molto fisicamente ed emotivamente e poi la storia con la mia ex…» e si interruppe guardandomi frettolosamente.
Oddio aveva avuto una ragazza – e certo che pensavi stupida che attendesse Biancaneve? – non so bene per quale motivo, ma mi sentii per un attimo invidiosa di quello che un'altra donna aveva potuto condividere con lui. Ma da come ne aveva parlato era sicuramente stata una cosa dolorosa e finita male.
«Dimmi la verità.. e tu da cosa stai scappando?»
Ecco e ora?
« Scusa, ma ancora non me la sento, quando accadrà ti giuro ti racconterò tutto e magari risparmieremo un po’ di soldi entrambi. Tu con lo psichiatra e io con gli psicofarmaci » quella che mi uscì fu più che altro una risata strozzata, fatta per respingere le lacrime che come al solito in certi momenti tentavano di uscire.
Anche lui accennò un sorriso e poi aggiunse: «beh se vorrai io ci sarò, a volte fa quasi meglio affidarsi agli amici che contare interamente su se stessi».
Era dunque questo che stavamo diventando: amici. Confesso che con lui mi veniva proprio naturale
anche fare cose che nell’ultimo periodo mi erano risultate proprio difficili, ma quello che pensavo di questo ragazzo purtroppo si allontanava dall’amicizia e si collocava più vicino ad un sentimento profondo, che poteva sfociare in un affidamento ed una necessità totale di lui.
Passammo l’ora successiva a parlare della scuola. Penso che lo avesse fatto apposta a deviare la conversazione su argomenti più leggeri, ma in fondo mi andava bene così.
Scoprii che eravamo vicini di aula quando facevo storia e mi mise in guardia da alcuni soggetti del quinto anno, sottolineando la sua disponibilità a correre in mio aiuto. Ridemmo insieme e scherzammo fino a che non si fece ora di pranzo.
« Scusa ti devo lasciare. Di solito a quest’ora ricevo una video chiamata dalla mia famiglia e se salto, mia madre potrebbe andare in paranoia ». Mi scusai per averlo trattenuto a lungo, ma anche in quel frangente si comportò come un vero gentiluomo facendomi notare quanto la mia compagnia fosse più stimolante di molte altre attività.
« Spero di farcela domattina », ribadii.
« Tranquilla, cerca di scaricare l’ansia»
« E come, prendo a calci il culo di Jacob? Purtroppo qui non posso fare quello che facevo in America, al massimo mi dedicherò al footing ». Questa volta la risata non fu trattenuta e scoppiammo insieme.
« Scusa ma questa era proprio bella e dimmi cosa facevi a Forks?»
« Nuotavo. Circa tre volte a settimana e mi manca terribilmente. Solo che qui dovrei andare a Londra e non saprei proprio come fare»
« Perché a Londra? Usa la piscina del campus?»
Come, come? in questa scuola c’era una piscina? Oddio e chi se ne andava più!!!
« Ma come, io non l’ho vista! »
« Forse perché qualcuno non ti ha mai fatto fare un tour completo, vieni andiamo nella tua camera».
Questa sua affermazione mi scombussolò; no so perché, ma il fatto che un uomo vedesse la mia stanza mi imbarazzava, specie se l’uomo in questione era un Dio tenebroso che chiunque avrebbe voluto nel proprio letto. Andò sicuro verso la finestra e la spalancò.
«Ma come sapevi…» domanda idiota! « Ricordati che sto sopra di te..» santo cielo, ma il doppio senso lo captavo solo io?
Mi portò di fronte alla finestra incastrandomi fra questa e il suo corpo, si sporse col viso sulla mia spalla alzando il braccio per indicarmi un fabbricato al limitare del boschetto. In quella posizione potevo sentire il suo profumo e perfino il suo alito fresco sul mio collo.
« Quella è la piscina olimpionica. Per lo più è frequentata da studenti, ma ci sono orari più tranquilli e pi puoi sempre chiedere le chiavi a Jake. Sono sicuro che a te le darà ».
Nel sentire questo mi voltai quasi di scatto ritrovandomi a pochi centimetri dalle sue labbra e dal suo viso. Non ebbi la forza e il coraggio di ribattere alla sua affermazione. Il pensiero mi si congelò nel cervello. In quel momento e in quella posizione, con il suo corpo a proteggermi le spalle, una mano sul mio fianco e l’altra che si protendeva sopra alla mia spalla mi sentii finalmente al sicuro e istintivamente indietreggiai lentamente fino a sfiorare il suo torace con la mia schiena. Non mi appoggiai veramente, ma bastò per sentire che lui contraccambiava questo contatto e una marea di brividi si sparse in tutto il mio corpo.
Improvvisamente mi guardò negli occhi e con un tono di voce molto serio e più roco di quello che aveva normalmente si congedò, assicurandomi che ci saremmo rivisti l’indomani per le lezioni. Lo ringraziai, guardai fuori lasciandolo uscire, ascoltando il tonfo sordo della porta e i suoi passi che si dirigevano al piano superiore. In quel momento e per un attimo, quando avevo avuto il suo corpo vicino al mio avevo dimenticato tutto e mi ero sentita tranquilla.
Ero ancora alla finestra quando iniziai a sentire il piano fare qualche accordo e mi tornarono in mente le sue parole: credo si debba sempre fare i conti col proprio passato, ma occorre anche chiuderli certe volte. Me lo aveva detto mentre tentava di spiegarmi, senza scendere nei dettagli, il perché del suo trasferimento.
Ripensando a quelle parole accesi il PC, andai nella posta e, dopo aver scaricato alcune mail, iniziai a pigiare i tasti nella casella nuovi messaggi: “Ciao James…”
Era giunto il momento di chiudere i miei conti e ricominciare davvero.
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Capitolo 7 *** “Nella fossa dei leoni” ***
Capitolo 7
“Nella fossa dei leoni”
Lunedì mattina, dieci settembre.
Tre settimane che ero in Inghilterra, venti giorni che avevo messo piede al campus e finalmente era arrivato il momento. Era il primo giorno di scuola per il Trinity Insitute of american’s child: improvvisamente dopo giorni di pace passati tra faccende burocratiche, sistemazione della casa e ripasso delle materie, il campus si era animato. Prima ancora dell’alba i dormitori erano stati un via vai continuo di studenti, genitori, valige, scatoloni; sulla porta del mio corridoio troneggiava minaccioso il mio nome con la dicitura “responsabile dormitorio A femminile”. Almeno una dozzina di ragazze mi avevano chiesto aiuto per problemi nei loro alloggi e altre trenta mi chiedevano informazioni generali, su orari, organizzazione e cose di questo genere. E per ognuna mi sarei dovuta ricordare di compilare la scheda di analisi delle situazioni problematiche. Alla faccia della burocrazia. Per fortuna il custode del dormitorio, Jasper, si era impietosito e trovandomi in difficoltà – in alcuni casi ne sapevo meno io sul luogo di alcune studentesse – si era prodigato per aiutare più me di tutti gli altri.
Povero Edward! Era solo in balia di questa situazione, ma per lui in fondo non era il primo rientro. Avevo la seppur minima consolazione che mi avrebbe certo aiutata nella compilazione delle valutazione e quindi avrei potuto passare un po’ di tempo con lui. Già perché ora sentivo che la nostra amicizia mi avrebbe fatto stare solo bene.
Per quella mattina l’inizio delle lezioni era fissato alle undici, ma gli studenti e i professori si sarebbero dovuti ritrovare tutti un’ora prima nell’aula magna per il benvenuto alle nuove leve e il bentornato ai veterani. Sapevo che in quel frangente una parte dell’attenzione sarebbe stata focalizzata anche su di me, ma cercai di non pensarci, in fondo erano solo le otto.
Verso le otto e trenta la maggior parte degli studenti che alloggiava al campus si ritirò per organizzarsi per le lezioni: chi viveva in paese girovagava nel cortile raggruppandosi per salutarsi o scambiarsi notizie sull’estate. Un lunga fila di studenti entravano e uscivano dalla segreteria per ritirare orari, fare nuove iscrizioni: in quel momento non invidiai assolutamente la signorina Cope.
Iniziai a prepararmi, non volevo eccedere, ma mi era stata richiesta eleganza e sobrietà durante il primo giorno di scuola: indossai un tailleur composto da gonna e giacca con una camicia in seta nera e, purtroppo, scarpe con il tacco. Chissà se prima o poi mi sarei potuta presentare con le mie fidate Reebook e i jeans.
Erano ormai le dieci e mi avviai alla sala riunioni. Molti studenti erano già lì con i familiari e abbassai lo sguardo entrando quando notai molti occhi puntati su di me. Alcuni professori erano seduti e istintivamente mi guardai intorno alla ricerca dell’unico che avrei voluto vedere. Jake mi salutò dall’altra parte e mi sentii in dovere di ricambiare, anche se la conversazione di Edward mi aveva messo molti dubbi su di lui.
«Sembri spaesata ».Una voce calda alle mie spalle mi fece sussultare e mi voltai già con il sorriso sulle labbra: Edward in versione professore era semplicemente magnifico. Non avrei mai potuto immaginare che una camicia e un completo elegante lo avrebbe potuto rendere più sexy di quanto non fosse già. La camicia grigia lo rendeva sicuramente più maturo di quanto non sembrasse con jeans e maglietta, ma era comunque uno spettacolo.
« Lei è una splendida visione professoressa Swan » disse guardandomi dritto negli occhi.
Nonostante in quei due giorni avessimo chiacchierato di tante cose non mi aveva mai fatto un complimento così esplicito e molto probabilmente arrossii.
« Anche lei è molto elegante professor Cullen, credo che la preside non sarà contenta di vedere le mamme distratte dal suo discorso, perché intente a fissare lei ». Non so perché mi uscii un affermazione di questo genere, ma sentii un moto di gelosia per tutte le donne che in quell’aula avrebbero potuto mettergli gli occhi addosso.
« Non credo che siano più degli sguardi degli uomini che attirerai tu e comunque potresti sederti vicino a me, così magari potrei salvarti da ammiratori indiscreti» e così dicendo fece un accenno con la testa in direzione di Jake che ci fissava con occhi carichi di…disprezzo???
« Grazie mio prode cavaliere » risposi ridendo, ma comunque turbata dallo sguardo di Jacob. Edward mi fece strada nella zona riservata ai professori e mi fece accomodare vicino a lui, scostandomi la sedia per farmi sedere: in altre occasioni aveva avuto gesti così premurosi il giorno prima in casa mia e questo mi faceva oltremodo piacere.
Pochi minuti dopo la preside fece la sua entrata e tutti si zittirono. Il discorso durò circa mezz’ora, nella quale diede il benvenuto a tutti e spiegò a grandi linee i punti di forza dell’istituto e le iniziative che avrebbero contraddistinto l’anno appena iniziato. Poi congedò i genitori e invitò professori e studenti a dare avvio alle lezioni. Mi alzai in piedi e mi diressi a passo spedito nell’aula insegnanti per prendere i miei documenti: Edward era al mio fianco, ma non fiatò, sentendo probabilmente palpabile la mia tensione.
Quando fui sulla soglia della mia aula presi un bel respiro prima di entrare:
« Andrà tutto bene vedrai, fa vedere loro chi comanda » e mi deliziò con il suo sorriso sghembo… « e se hai bisogno di una via di fuga, io sono appena due porte più in là». Mi sentii onorata delle sue attenzioni che, a detta di tutti, non aveva mai rivolto ad altri professori, maschi o femmine che fossero. Sapevo che in questo modo la nostra amicizia sarebbe stata sulla bocca di tutti, ma a me in questo momento non importava. In Edward sapevo che avrei potuto trovare un appoggio per i miei momenti bui, perché anche se non sapeva, anche se non parlava, lo sentivo in qualche modo vicino e più simile a me di molti altri che magari mi avevano fino a quel momento solo compatito o accusato. Gli sorrisi ed entrai alla mia prima lezione.
Furono i cinquanta minuti più lunghi della mia vita, ma il fatto che gli studenti fosse novellini come me fece andare tutto liscio come l’olio. Avevo esposto quello che sarebbe stato il programma dell’anno e cosa mi aspettavo da loro. Come ero solita fare cercai di dimostrarmi aperta alle idee e necessità degli studenti e di propormi come un’insegnate “moderna”, anche se ferma nelle regole di convivenza e preparazione delle attività.
Quando tutti i miei studenti se ne furono andati il volto sorridente di Edward varcò la soglia della porta dell’aula.
«Tutta intera?»
« Sì grazie, è andato tutto molto bene, e a te?»
« Come al solito, ragazzini con gli ormoni a palla che pensano di avere tutto il talento di questo mondo. Per fortuna amo molto la musica se no a quest’ora mi sarei già demotivato»
« Ne so qualcosa, quando suonavo credevo di avere talento e invece ero solo una delle tante, ma amavo troppo la musica per lasciarla e così mi sono dedicata al canto e lì è andata un po’ meglio»
« Veramente cantavi e suonavi?»
« Sì perché hai dei dubbi?»
«No, assolutamente. Sapevo che c’era qualcosa che ci legava: ho un sesto senso per certe cose». Giurai a me stessa di averlo visto arrossire durante questa affermazione. Veramente poteva sembrare un complimento finalizzato ad un legame più stretto dell’amicizia, ma non ci badai. La sua vicinanza era più importante per me. Stava diventando ogni momento sempre più un appoggio e un conforto. Rischiavo di crearmi una dipendenza da lui, ma forse era questo di cui avevo bisogno. E comunque me ne sarei accorta solo andando avanti.
«Pausa caffè?» mi chiese
« Sei finalmente rientrato nelle tue abitudini extra the?»
« Sì, ma la terrò come ruota di scorta, in questo modo potrò avere la scusa per fare quattro chiacchiere con te»
« Per farlo non hai bisogno di scuse, basta che bussi alla mia porta». Ero convinta come non mai delle mie parole, le sentivo con il cuore e fui felice di avergliele dette.
« Ora devo andare. Mi tocca la parte più dura della giornata: i ragazzi del quinto anno».
Come prima mi augurò in bocca lupo e mi incamminai. Fu sicuramente un’ora intensa in cui mi scontrai più volte con uno studente grosso come un armadio, un certo Emmet che mi sfidò ripetutamente in special modo sul piano della pratica educativa, con battute e frecciate, che , meravigliandomi di me stessa, riuscii sempre prontamente a ribattere o respingere. Stanca e con un forte mal di testa mi incamminai verso il mio dormitorio: in quel momento il mio interesse era rivolto solo ad una tuta, una buona cena e il mio amato letto.
Lungo la strada incontrai Jake che mi fermò:
« Come è andato il tuo primo giorno? »
« Bene grazie, senti Jake mi devi togliere una curiosità, mi spieghi qual è la tua funzione? Ti vedo un po’ dappertutto, ma ancora non ho ben capito quali mansioni svolgi»
« In realtà ho ricevuto questo lavoro grazie a mia zia, la preside » mi finsi stupita e lo feci proseguire.
« Non ho avuto voglia di proseguire gli studi, e volevo andarmene da Seattle e quindi eccomi qua: lei è stata così gentile da darmi questo lavoro e io per sdebitarmi faccio un po’ di tutto, non mi tiro indietro»
« Beh buon per te»
« Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere»
« Grazie lo terrò in considerazione » feci per andarmene, ma una frase mi fermò.
« Stai facendo amicizia con Cullen vero?»
Mi voltai con una sguardo abbastanza inquieto: « Non credo sia un tuo problema, comunque sì, è stato molto gentile con me, ed essendo un collega posso dire che c’è una certa amicizia»
«Ti ho messo in guardia su di lui e lo ribadisco, ha sicuramente un secondo fine, non ti fidare»
«E tu non hai un secondo fine?» lo freddai e lui impallidì, forse non si aspettava una mia reazione di questo tipo.
« È da quando sono arrivata che mi tampini, che, diciamoci le cose come stanno, ci provi. Dovrei pensare male anche di te, ma non l’ho fatto, perché prima di giudicare le persone le devo conoscere e fino ad ora non conosco né Cullen né te, quindi sei pregato di non fare congetture grazie » ero stata un po’ troppo dura con lui, ma non mi andava di continuare a sentire i suoi vaneggiamenti. «Ciao Jake»
Lo lasciai lì, probabilmente un po’ turbato, ma fui quasi certa di aver sentito un “ti ho avvertita“ appena sussurrato uscire dalle sue labbra prima di allontanarmi, dirigermi al mio appartamento e chiudermi così quella pesante giornata fuori dalla porta.
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Capitolo 8 *** “Calma apparente” ***
Capitolo 8
“Calma apparente”
Le settimane passarono tra alti e bassi; ero soddisfatta del mio lavoro e alcuni studenti mi rendevano veramente orgogliosa: altri erano veramente degli ossi duri per l’apprendimento della disciplina, ma l’unico che mi dava veramente del filo da togliere era McCarthy, lo studente del quinto anno che fin dal primo giorno mi aveva apertamente sfidata a chi cedeva prima di fronte alle sue battute. Parlando con Edward e i miei colleghi avevo riscontrato gli stessi miei problemi.
Emmet era un soggetto duro: scaraventato ai quattro lati del mondo per il lavoro dei genitori, aveva ripetuto più volte gli anni scolastici. Non per niente aveva ventun’anni quando gli altri ne avevano appena compiuti diciotto. Era il classico tipo che avrebbe avuto bisogno di parlare, sfogarsi e trovare una spalla su cui piangere e confidarsi per la sua rabbia repressa, ma aveva trovato sempre e solo muri, adulti, genitori e professori pronti solo a giudicarlo e a bloccarlo. E lui si sfogava così, con il sarcasmo e la maleducazione. Mi ero ripromessa di analizzare la situazione con l’aiuto dei miei studi e di provare a invertire la tendenza, ma in questa fase lo ritenevo ancora insopportabile.
Anche per l’amicizia con Edward erano state settimane intense. Ci eravamo visti sempre più spesso, sia nelle pause pranzo che tra un’ora e l’altra, ma raramente nel dormitorio. Avevamo chiacchierato molto e cominciamo a conoscerci.
Eravamo riusciti a parlare della nostra vita, senza però mai rivangare gli eventi del passato che ci rendevano più tristi. Sapevo ormai molto della sua splendida famiglia e della sua passione per la musica e lui aveva riso dei miei racconti sull’intensa vita vissuta a Forks e i miei piccoli bambini lasciati là.
Nel week-end Edward si era assentato perché la sua famiglia lo avrebbe raggiunto nel suo appartamento a Londra. Per un attimo mi invitò a partecipare a quell’incontro, ma visto il mio momentaneo imbarazzo, ritirò l’offerta dicendo che avremmo potuto passare un po’ di tempo visitando la città anche in un'altra occasione.
In realtà quell’invito mi aveva lusingato e nello stesso tempo imbarazzato, perché conoscere la sua famiglia mi avrebbe permesso di entrare ancora di più nella sua vita e per questo non eravamo pronti ne io né lui. Il passo successivo sarebbe stato quello di confidarci il nostro passato e sapevamo entrambi che non era ancora possibile.
Lo ringraziai comunque molto e decisi di passare un paio di giornate tra passeggiate lettura e relax, anche perché una fastidiosa sensazione di pesantezza al torace non mi aveva fatto riposare bene negli ultimi giorni.
Immaginavo di cosa si trattasse: sapevo che mio padre mia avrebbe chiamato perché il tredici ottobre sarebbe stato il mio trentesimo compleanno e non poteva perdere l’occasione di fare gli auguri alla sua “bambina” tramite telefono o webcam. Ma immaginavo che il mio malessere non fosse causato da quello: tutti i miei ultimi dieci compleanni erano passati con la presenza di James, reale e virtuale e questo era il primo in cui avrei più che mai notato la sua assenza. A differenza però degli anni passati non provavo un senso di vuoto, anzi dovevo ammettere che ero quasi sollevata e mi metteva molto più in ansia pensare che sarei potuta rimanere in America e continuare quella situazione di stallo per la mia vita.
Erano ormai le dieci di sera quando vidi rientrare Edward che, alzando gli occhi, mi sorrise prima di varcare la soglia dell’edificio. Subito dopo sentii bussare alla porta e mi precipitai ad aprire. Non lo vedevo da venerdì e ne sentivo proprio il bisogno.
« Ciao, passato un bel weekend?» gli chiesi.
«Sì ,certo anche se mia sorella è quasi da sgozzare: ha saltellato per il mio appartamento confabulando di cambiare questo e quello, e ha anche tentato di costringermi a fare shopping. La adoro, ma ogni tanto la strozzerei. E tu?» disse tutto rimanendo sulla soglia.
« Niente di che, mi sono riposata e ho sentito i miei: in questo periodo diventano un po’ ossessivi»
«Perché? » Forse mi ero lasciata scappare una parola di troppo, ma ormai ero in ballo….«tra poco è il mio compleanno e sarà il primo che passo senza mio padre, sai per lui non è facile avermi così lontana dopo sedici anni passati a stretto contatto»
« Posso capirlo, anche per i miei è stato così; e quando sarebbe ?»
« Il 13, venerdì»
« Wow la notte delle streghe. Non è che….??? » suppose ridendo.
« E perché no, non mi dispiacerebbe. Anzi, ridendo mia madre mia ha sempre detto che sono una strega perché sento molte cose prima e riesco a guardare dentro alle persone ad un primo sguardo»
«Devo cominciare a preoccuparmi allora? » e fece una faccia tra lo spaventato e l’ironico che mi scatenò una risata.
« Beh allora festeggerai, posso chiederti quanti?»
« Trenta»
«Ne dimostri molto meno credimi»
« In realtà in questi ultimi tempi me li sento tutti e anche di più »
« Ehi sei appena di un anno più giovane di me cosa dovrei dire io?»
E così aveva 31 anni. Anche lui ne dimostrava meno, non per niente lo avevo scambiato per uno studente il primo giorno. Accennai un sorriso a questa mia supposizione e gli dissi sinceramente quello che pensavo:
«Non credo lo festeggerò, non ho mai amato molto il mio compleanno. Almeno negli ultimi anni, troppi ricordi dolorosi ». E abbassai lo sguardo sentendo nuovamente quella fitta che negli ultimi dieci giorni, tra il mio nuovo lavoro e la vicinanza di Ed era quasi sparita.
« Non devi essere triste» mi disse alzandomi il volto con due dita. Aveva già fatto quel gesto, ma il suo tocco e il fatto di trovarmi occhi negli occhi con lui mi faceva partire brividi in tutto il corpo. « La vita va avanti sempre e tu hai ricominciato alla grande. Sei una persona magnifica e solare: non permettere al passato, per quanto triste possa essere stato, di offuscarti»
«Tu non sai…» sospirai. Fui quasi tentata di dirgli qualcosa, ma mi diedi un morso alla lingua.
« No, non so, ma credimi … posso capire. Ora vai e riposa, non pensare a nulla e ricorda, io sono qui se hai bisogno ». Quelle parole furono di estremo conforto. Edward era così: anche se non diceva nulla alleggeriva le mie pene.
« Ok a domani allora….. nei corridoi>> gli sorrisi.
Si congedò e me ne andai a letto, ma non riuscii affatto a riposare. Incubi costanti in cui rivedevo la figura di James, sua moglie, il nostro incontro, l’ansia e l’angoscia degli ultimi tempi…poi il sogno cambiava…non ero più con James, ma con Edward, che mi sorrideva; sentivo la leggerezza nel cuore, mi dava la mano e mi sussurrava qualcosa all’orecchio che non riuscivo a capire….poi il buio, il freddo, Edward svanito nel nulla e le lacrime che mi sgorgavano sul viso, lacrime che trovai ancora sulle mie guance quando al mattino la sveglia suonò ricordandomi il mio lavoro e segnando l’inizio della settimana del mio compleanno.
note: ok forse molti di voi non hanno proprio chiara la situazione. Bella ha avuto una storia passata che l'ha messa molto alla prova e che la turba ancora nel momento in cui ci pensa troppo. Per ora del suo passato si capiranno solo alcuni stralci proprio per lasciare suspance, poi inizieranno ad arrivare i chiarimenti. spero che abbiate capito, altriementi sono qua!!!Chiedete pure.
ciao alla prossima |
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Capitolo 9 *** “Crollo!” ***
Capitolo 9
“Crollo!”
L’indomani quando mi presentai a lezione avrei dovuto sentire che qualcosa non andava. Da qualche giorno cercavo di non prendere più i leggeri farmaci che mi erano stati dati a cicli per essere più tranquilla. Li avevo smessi perché stavo effettivamente bene: per un attimo pensai che forse quel giorno mi sarebbero serviti, ma poi volli essere più forte e decisi di lasciar perdere.
Avrei dovuto cominciare ad affrontare le mie paure da sola.
Tra le lacrime mi ero svegliata con un fortissimo mal di testa e ancora quel senso di oppressione al torace. Non avevo avuto neanche la forza per andare a fare footing come facevo ormai tutti i lunedì mattina. Continuavo a pensare a James, non so neanche bene perché, ma lo sentivo nell’aria, come se fosse potuto comparire da un momento all’altro nei corridoi; un fantasma nella mia mente.
Entrai nella mia aula e attesi l’arrivo degli studenti: non feci nemmeno caso a Edward che mi chiamava e me lo ritrovai sulla porta:
«Ehi, sei tra noi stamattina?»
Sobbalzai al suono della sua voce e mi chiesi come fosse possibile che il rivederlo ogni volta mi distraesse da qualsiasi mio pensiero, soprattutto quelli negativi.
« Ciao scusa, ero sovrappensiero», cercai di giustificarmi.
« Me ne sono accorto, non mi hai nemmeno visto stamattina quando sei uscita di casa e sì che ti ho chiamato più volte ».
Oddio ero veramente così nel mio mondo da non accorgermi di lui? Era partito tutto dalla sera prima, quando gli avevo confessato del mio compleanno e in quel modo avevo ricordato il mio passato.
« Scusa ma non ci sono proprio ».
Lo vidi avvicinarsi con lo sguardo serio e quasi preoccupato, si appoggiò alla scrivania e continuando a guardarmi negli occhi mi parlò molto piano e lentamente, quasi a volermi far entrare le sue parole, non solo nelle orecchie, ma nel cuore:
« Dipende per caso dalle lacrime di stanotte…».
Oddio mi aveva sentito! Era stato indirettamente partecipe del mio incubo.
E ora che avrei potuto fare? Negare, negare sempre e comunque, altrimenti avrei dovuto dare troppe spiegazioni, anche del fatto che ormai da qualche settimana lui popolava i miei sogni a fianco di James.
« C-cr..credo tu ti stia sbagliando », balbettai.
« Bella, guardami », no, ti prego non farlo, non riuscirei a mentirti guardandoti negli occhi!
« Ti prego Bella». Cercai di non ascoltarlo, chiusi gli occhi sul registro depositato sulla cattedra e presi un bel respiro.
« ok, fa come vuoi, ma non è la prima volta che ti sento piangere, probabilmente nel sonno e vorrei tanto poterti aiutare».
Sapevo che quello che avrei detto da lì a poco avrebbe incrinato tutto:
« Non c’è niente di cui io abbia bisogno o che tu possa darmi». Sollevai lo sguardo mentre dicevo queste parole a cui nemmeno io credevo. Lui mi avrebbe potuto dare moltissime cose, sicuramente tutte migliori di quelle che avevo avuto fino a quel momento. Ma non potevo. Non potevo più aprire il mio cuore a qualcuno, consentire di indebolirmi affidandomi a lui.
« Io non sono d’accordo, tutti abbiamo bisogno d’aiuto, sospirò nuovamente».
« Questo vale anche per te? ». Sapevo che ricordando che anche lui non era la gioia fatta a persona avrei rigirato un coltello nella sua profonda piaga chiamata passato, e lo avrei forse anche offeso.
« Non stavamo parlando di me ora, io non piango praticamente tutte le notti nel sonno»
« Almeno io ci provo a dormire….»
« Se ti dà fastidio il piano..»
« Non ho detto questo – ribattei forse nel tentativo di scusarmi – volevo solo dire che entrambi abbiamo i nostri problemi e se ci siamo detti tempo fa che non è il caso di parlarne non capisco perché ritirarli fuori ora: cosa è cambiato? ».
Non so perché ribadii quelle cose, forse per come ero girata io quella mattina volevo mettere un po’ di freddezza nella nostra amicizia o forse avrei voluto sentirgli dire che tra noi era veramente cambiato qualcosa e “amici” non sarebbe più bastato.
« Scusa ma pensavo… » e dicendo questo si rialzò dall’appoggio e abbassò lo sguardo verso la porta. Lo avevo ferito, ne ero consapevole. Il mio tentativo di spronarlo a parlare con me di se stesso era fallito e avevo ottenuto l’effetto contrario, che temevo: allontanarlo e rendere la nostra amicizia più formale. Non del tutto rassegnata lo rimbeccai.
«Cosa pensavi Ed? », feci questa domanda usando un tono molto più dolce e mi alzai in piedi per essere più vicina a lui. Mai come in questo momento avrei desiderato che mi guardasse negli occhi e avrei voluto provare la sensazione di essere stretta tra le sue braccia.
« Niente… » e fece per allontanarsi, ma una fitta al cuore ancora più forte di quelle provate per James mi convinse a mettere un riparo a quella discussione: lo bloccai trattenendolo per un braccio e mormorandogli un flebile “scusa”. Lui si girò nella mia direzione con lo sguardo più triste che gli avessi mai visto e tentò di dirmi qualcosa, quando la campanella della prima ora suonò, distraendoci dalla conversazione.
Pose fine a tutto con un “devo andare”, che rimase sospeso nell’aria come un fumetto e in quel momento il respiro mi mancò e la vista si annebbiò, come quando James mi aveva detto che mi avrebbe lasciato per un’altra. Strinsi gli occhi e i pugni come a trattenere un urlo di dolore e feci un profondo respiro per consentirgli di varcare la soglia della porta e non assistere al mio disfacimento emotivo.
Cosa mi stava succedendo? Quel dolore, quello stato d’ansia erano stati una caratteristica della mia fragilità emotiva quando avevo perso per sempre James, ma poi mi ero ripresa, con l’aiuto dei farmaci e del trasferimento, ero piano piano risorta dalle mie ceneri, e ora che mi stava accadendo?
Purtroppo il mio cuore aveva la risposta, ma la mia mente la rifiutava: in poco tempo Edward era diventato una parte fondamentale della mia vita lì, e sapere di averlo ferito o anche solo allontanato, era fonte di grande infelicità per me; era la mia ancora di salvezza nei giorni bui e mi aveva ridato il sorriso facendomi dimenticare in parte il mio dolore anche solo con la sua presenza.
E ora cosa stavo facendo? Per non raccontargli il mio passato lo stavo cacciando dal mio presente? No, non potevo farlo, gli avrei parlato alla fine della giornata, gli avrei raccontato tutto o almeno una buona parte e avrei alleggerito il mio animo, scusandomi con lui per la mia incostanza e freddezza.
Mentre pensavo tutto questo lo vidi sparire dalla porta senza salutarmi e i primi studenti cominciarono ad entrare salutandomi e disponendosi ai loro posti.
La lezione iniziò: ero agitata, nervosa e ogni piccola cosa mi faceva scattare e innervosire. Il mal di testa aumentò e chiamai il primo ragazzo per le interrogazioni che ormai avevamo programmato già da una settimana. Non era la giornata migliore, non ero concentrata, ma non potevo fare diversamente.
Iniziai a interrogare il povero malcapitato: anche Einstein quel giorno sotto le mie grinfie avrebbe racimolato al massimo una “F” e iniziai a porre domande a raffica, come non avrei mai fatto. Mi piaceva ragionare con i ragazzi, portarli a fidarsi delle loro capacità, ma in quel momento la mia ansia e il pulsare alla testa, mi fecero fare tutto il contrario.
Improvvisamente un “bip” mi riscosse dai pensieri. Tutti i ragazzi presenti sapevano che durante le mie lezioni i cellulare erano rigorosamente vietati e solo uno infrangeva costantemente le mie regole, per mettermi alla prova: « McCarthy – quasi urlai – le avevo più volte chiesto di spegnere il cellulare in aula».
Emmet mi guardò sprezzante: « mi scusi prof è che aspettavo un messaggio molto importante»
«Può essere più importante di un pessimo voto in condotta McCarthy?»
« Su prof. si rilassi è solo un messaggio, cerchi di essere meno acida».
A quelle parole non ci vidi più dalla rabbia: gli altri studenti erano impietriti e potei vedere il terrore nello sguardo del ragazzo che stavo interrogando. Forse temeva che finito con Emmet sarebbe toccato a lui. Sentii il cuore martellarmi nel petto e arrivare fino alle tempie:
« Mi dica signor McCarthy, cosa mi suggerisce lei che è un uomo di mondo ». Raramente capitava che dessi del “lei” agli studenti, ma con lui c’era un tale disprezzo che non potevo proprio farne a meno.
« Non so prof….», continuò noncurante delle conseguenze che in quel momento potevano derivare da un comportamento così. In un altro frangete avrei cercato di mediare la cosa in modo anche spiritoso, ma in quel momento, dopo la discussione con Edward e i miei incubi, non l’avrebbe passata liscia.
« Magari potrebbe svagarsi, che ne dice di sesso? Secondo me è un bel pezzo che le manca un uomo: ehi!! magari il professor Cullen si renderebbe disponibile ad aiutarla in questo suo “blocco”. Da quando vi siete incontrati è molto più allegro» e si guardò intorno ridendo sonoramente per cercare conferme dai suoi compagni.
Per mia o forse sua fortuna solo i suoi più stretti scagnozzi sorrisero, gli altri studenti rimasero impassibili. Il sentir nominare Edward fu la goccia: il mio dolore al torace si intensificò, le tempie mi esplosero e la vista cominciò ad annebbiarsi. Riuscii solo a urlare che lo avrei condotto dalla preside al termine della lezione e poi il buio.
note: no, dico 10 recensioni e 35 seguite!!!ma chi se lo immaginava. dire che sono lusingata è ancora poco. Ok ora si comincia a fare un pò più di luce sulla vita di Bella: su quella di ED dovremo invece aspettare. Però da questo momento la loro amicizia diventerà sempre più solida e Bella comincerà a capire i suoi veri sentimenti. Mi dispiace se questo personaggio vi può sembrare un pò melodrammatico, ma mi è uscito così e in più mi sembrava che darle quest'immagine di fragilità la avvicinasse di più al personaggio di Edward. e comunque avrà anche momenti di grande forza in futuro.
grazie mille a tutti e alla prossima |
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Capitolo 10 *** “Mi prenderò cura di te” ***
Capitolo 10
“Mi prenderò cura di te”
Il buio….il dolore…immagini sfocate… voci…urli…”chiamate qualcuno”…sentivo gli studenti attorno a me…”professoressa”…..”Professoressa Swan”…..passi, mormorii…”oddio che hai fatto Em”…”io-io non credevo, ma che le è preso?”…..il buio..il freddo…e poi una voce. Quella voce, la sua voce.
“Bella, mio Dio che hai? rispondimi ti prego”…cercai di aprire gli occhi per fargli vedere che stavo bene. Non volevo si preoccupasse per me. Sapevo cosa mi era accaduto, non era la prima volta, ma era da tanto che non mi succedeva più: crollo psicofisico e somatizzazione dell’ansia lo chiamavano, ma non avevo la forza di parlare e di spiegarlo a Ed perché non si preoccupasse. Il buio continuava, ma sentivo le voci più chiare intorno a me.
“Da quanto è svenuta?”
“È successo pochi secondi prima che la chiamassimo prof”
Ancora buio, poi il calore. Due braccia mi raccolsero e mi strinsero in un abbraccio bollente. Era lui: ne ero sicura. Non lo avevo mai provato, ma sarei stata più che pronta a scommettere che fossero le sue braccia.
Come sotto l’effetto di sali ripresi leggermente conoscenza, tanto da allungare le braccia e stringermi al suo petto.
“Sembra si stia riprendendo”…ancora i miei studenti. Poverini dovevo averli terrorizzati a morte. Non me ne curai più di tanto, ma mi lasciai trasportare dalle meravigliose sensazioni che la stretta di Edward stava avendo su di me.
“La porto in infermeria. Qualcuno avvisi la preside. Non potete rimanere da soli”.
Ancora la sua voce, calda, sicura, che si rivolgeva ai miei ragazzi cercando di calmare la situazione.
“Bella cerca di riprenderti ti prego, che cosa ti è successo?” Stava camminando con me in braccio e mi parlava forse per cercare di riportarmi tra i vivi.
“Ti prego Bella dai, non puoi lasciarmi proprio dopo che abbiamo litigato, se no come facciamo a fare pace oggi pomeriggio. Ti prego dimmi che non è stata colpa mia”.
Oddio si stava preoccupando per quello che era accaduto tra noi poco prima: avrei tanto voluto stringerlo e dirgli che non era colpa sua ma mia, del mio essere sbagliata e del mio squilibrato modo di prendere tutto troppo di petto e somatizzare.
Mi sembrò quasi di sentir mormorare un “tesoro” come intercalare tra una frase e l’altra, ma forse era solo la mia immaginazione; forse avrei desiderato sentirglielo dire, forse avrei desiderato innam- no no no non sarebbe mai successo. Non potevo pensarlo o avrei rovinato tutto di nuovo.
Dopo un tragitto che mi sembrò interminabile lo sentii depositarmi su un lettino. Probabilmente eravamo in infermeria e lo sentii parlare con una donna ed un uomo. Non capii bene: tra le parole, intuii “attacco di panico”, “malore cardiaco” e altro ancora. Poi una puntura e un forte odore alle narici mi fecero lentamente ridestare.
Aprii gli occhi lentamente, vedevo ancora annebbiato, ma riconobbi subito la figura di Edward lontano da me con le mani in tasca.
Perché non ero più fra le sue braccia? Non sentivo più quel calore che mi aveva lentamente ridestato dal torpore. Mi guardai intorno e vidi una figura maschile e una femminile chinate su di me. Sentii Edward parlare distintamente stavolta:
« Si sta riprendendo», la sua voce era tesa preoccupata, ma anche attenta.
« Signorina Swan come si sente?».
Mi voltai verso quello che probabilmente era il medico dell’istituto e provai a parlare. Mi uscii solo un flebile “sto bene.” Bastò però a far tranquillizzare Ed che, potrei giurarci, tirò anche un sospiro di sollievo.
«Cosa è successo?»
« È svenuta signorina, in classe, i suoi studenti l’hanno soccorsa e il professor Cullen l’ha portata qui. Si sente meglio ora? Sembra quasi che abbia avuto un collasso, soffre di cuore? Potrebbe essere stato anche un attacco di panico. Le è già capitata una cosa del genere?».
Tutte le domande del dottore mi rimbombavano nel cranio, ma cercai comunque di rispondere lucidamente.
« Sì non è la prima volta », sapevo che Edward avrebbe sentito, ma continuai. Enunciai i sintomi che avevano preannunciato la crisi:
« L’hanno definito una specie di attacco di ansia, non di panico e no, non ho mai avuto problemi cardiaci. È la prima cosa che hanno escluso dalle diagnosi»
« Ha subito traumi psicofisici in passato che hanno richiesto l’intervento di psicofarmaci?»
« sì – dissi imbarazzata – due anni fa. Ho subito diverse crisi che poi con il passare del tempo e una lieve terapia farmacologica a cicli sono scemate completamente ».
Ecco, ora Edward sapeva qualcosa in più di me, qualcosa che mi spaventava ancora nel rapporto con gli altri e di cui mi vergognavo, anche se non era avvenuto per causa mia.
« Da quanto non ne soffriva più?»
« Da otto mesi ormai e ho interrotto la terapia un mese fa»
« Cosa pensa abbia potuto scatenare questa nuova reazione?». Il dottore continuava a domandare, ed io mi accorsi dell’allontanamento di Edward, che forse voleva lasciarmi un po’ di privacy. Ad un tratto lo sentii dire chiaramente “io me ne vado se non c’è più bisogno di me”, ma il mio forte “no” lo fermò. Si voltò e mi guardò con uno sguardo tra il sorpreso e il compiaciuto.
Cercai di proseguire il mio discorso senza far trapelare più del necessario rispetto alle informazioni mediche.
« Da qualche giorno ho avuto qualche mal di testa e mi sono accorta di non riposare bene. E questa mattina, probabilmente in seguito alla stanchezza, ho cominciato a sentire dolore al petto. Poi il litigio con McCarthy…credo sia stato il fattore scatenante». Alzai lo sguardo di sottecchi verso Edward e lo vidi sbarrare gli occhi e impallidire leggermente. Forse temeva che la nostra discussione fosse stata la causa di tutto, ma cercai di confortarlo con lo sguardo, facendogli un lieve sorriso.
Di lì a trenta secondi la preside piombò nell’infermeria chiedendo a tutto volume il mio stato di salute. Alla faccia della riservatezza! Ma lei, se era vero quello che diceva Ed avrebbe dovuto sapere più del medico il perché del mio malore.
« Come sta professoressa?». Mi chiese con un tono tra l’acido e il preoccupato.
« Meglio grazie, è stato solo un mancamento»
« Dovuto a cosa, non sarà mica incinta per caso…»
Tutti spalancammo gli occhi, Edward per primo, a quell’affermazione e mi si blocco la parola in gola. Il medico si fece avanti per togliermi dall’evidente imbarazzo in cui tutti, tranne la preside eravamo piombati.
« Non si preoccupi preside, la signorina ha solo avuto uno svenimento causato da una forte emicrania e probabilmente da alcune notti di cattivo riposo. In più uno studente le ha fatto alzare la voce aumentando il disturbo. Per fortuna il professor Cullen l’ha subito soccorsa».
Ringraziai con lo sguardo il medico e tornai a fissare Ed, che a sua volta mi osservava sollevato.
« Ora deve solo riposare almeno per ventiquattro ore e poi andrà tutto a posto. Vada a casa e se dovesse avvertire anche solo uno di quei sintomi non esiti a chiamarmi. In caso contrario mercoledì…»
« Potrà riprendere servizio… giusto?», terminò la preside per lui.
« Sì certo, se se la sente…»
« Sì, sì – mi affrettai a ribadire – un giorno di riposo andrà più che bene».
La preside si congedò, dicendo qualcosa a bassa voce a Edward e io feci per alzarmi, quando un corpo forte e caldo si avvicinò a me sorreggendomi:
« Devi andare piano, non vorrai svenirmi di nuovo tra le braccia » e vidi comparire uno splendido sorriso su quelle labbra stupende.
« Le dispiace signor Cullen accompagnarla al suo alloggio, facendo attenzione ad eventuali capogiri e assicurandosi che riposi il più possibile? »
Alzai lo sguardo verso Edward che ascoltava attentamente il medico.
« Stia tranquillo, non la perderò d’occhio » e detto questo rinforzò la presa sul mio fianco, permettendomi di appoggiarmi alla sua spalla, mentre l’altra mano mi sorreggeva al punto vita. Ero stretta in una bolla meravigliosa, con il suo calore, e il suo fiato che mi lambiva i capelli; le sue mani erano un porto sicuro, non sarei potuta stare meglio e in quel momento non sarei voluta essere in nessun’altro posto che non fossero le sue braccia, questa volta in modo più consapevole rispetto ad un’ora prima.
Percorremmo la strada che ci separava dal nostro dormitorio in silenzio e molto tranquillamente. Mi teneva talmente stretta che sembrava volesse inglobarmi nel suo fianco. Ogni tanto rinforzava la presa e la mano scivolava un po’ più vicino ai seni o ai fianchi e allora quasi scottato la ritraeva come se qualcosa lo trattenesse dallo stringermi a sé. I brividi che avevo provato le altre volte che il mio corpo era per caso entrato in contatto con il suo non erano nulla rispetto a quello che provavo ora: un’onda che avrei potuto definire “elettromagnetica” mi avvolgeva e mi sembrava quasi di fluttuare. I nostri respiri si erano quasi sincronizzati, capivo che si stava rasserenando ed era quasi completamente passato lo spavento che gli avevo procurato.
note : chiedo scusa se la scrittura è piccola. ho cercato di ingrandirla, ma non ho ancora confidenza con l'htlm. cercherò di migliorare. grazie a tutti
|
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Capitolo 11 *** “Stammi solo vicino” ***
Capitolo
11
“Stammi
solo vicino”
Quando
fummo a pochi metri dal
nostro dormitorio mi tornò alla mente un piccolo problema:
«
Oddio Ed le chiavi di casa…le
ho lasciate nell’armadietto della sala
professori!!».
Ero
solita andare a scuola con il
minimo indispensabile, visto che non avevo strada da percorrere e
quindi
portavo con me al massimo il cellulare oltre, naturalmente, alle chiavi
dell’appartamento.
E
ora come avremmo fatto? Mi
dispiaceva costringerlo a tornare indietro e per dirla tutta non avevo
nessuna
intenzione di staccarmi da lui.
«
Non ti preoccupare – mi disse
con tono molto dolce – Jasper ha sempre un doppione di tutte
le chiavi».
Che
stupida! Avrei
dovuto immaginare che il custode non
lasciasse un intero dormitorio nelle mani di un’orda
barbarica di studenti.
Entrammo
nell’ampio portone e ci
dirigemmo verso il bancone da dove Jasper osservava l’uscita
e l’entrata degli
studenti, che non sarebbe avvenuta prima di… ..mi guardai
intorno alla ricerca
dell’orologio.
Le undici!! Mio Dio a occhio
e croce il mi
svenimento era avvenuto due ore prima. Gli studenti non sarebbero
rientrati
prima di tre ore. Meglio così, non mi sarebbe proprio andato
a genio di farmi
nuovamente vedere in quelle condizioni, né di sopportare il
loro vociare nella
mia testa.
«
Pensi di reggerti sulle gambe
se mi allontano un attimo?», proruppe Edward sarcastico.
«
O mio prode cavaliere credo proprio
che a fatica, ma riuscirò», lo rimbeccai serafica.
Un
sorriso illuminante si dipinse
sul suo volto e io gli risposi allo stesso modo. Sì, era
indubbio, quel ragazzo
era in grado di alleggerirmi il cuore anche solo con la sua presenza.
Lo
guardai allontanarsi e dirigersi verso Jasper e in quel momento e in
quella
situazione non disdegnai un’ampia occhiata al suo aspetto. Lo
avevo già
guardato altre volte, ma ora…ora era più
splendente che mai. La sua camminata leggermente
ciondolante, le mani in tasca: gli guardai la schiena coperta da una
maglietta.
A differenza di tutti gli altri professori se ne infischiava del rigore
e
indossava sempre jeans e t-shirt, al massimo camicie, sempre senza
giacche e
cravatte. Ma questo consentiva una splendida visione delle sue spalle
ampie, ma
non esagerate, delle sue gambe, insomma del suo fisico. Non potei fare
a meno
di sospirare: era la prima volta che lo osservavo in quel modo e con
pensieri
diversi dall’amicizia.
Lo
vidi scambiare due parole con
Jasper che mi guardò sorridendomi e alla sua domanda
“tutto bene?” annuii: era
anche lui un caro ragazzo.
Quando
Edward si voltò per
ritornare da me abbassai velocemente lo sguardo: non volevo che mi
notasse
mentre lo spiavo. Mi riprese per il fianco e insieme percorremmo il
corridoio e
la prima rampa di scale che portava al mio appartamento. Fece girare
lentamente
la chiave nella serratura senza mai lasciarmi e mi fece entrare
mettendomi a
sedere nel divano ad angolo del soggiorno.
«
Grazie, non so come averi fatto
senza di te», fu quasi un sussurro, ma non potei fare a meno
di dirglielo. In
quel momento in realtà non era la semplice gratitudine che
volevo esprimere, ma
per la prima volta una vera e propria emozione ad essergli accanto.
«
Di nulla, vieni ti accompagno a
letto, il medico ha detto che devi riposare»
«
Posso farlo anche qui », dissi
indicando il divano.
«
No, assolutamente, devi
riposare bene. Vieni ».
Mi
prese per mano e mi accompagnò
in camera: mi fece sedere sul letto e mi tolse le scarpe. Sentii un
forte
imbarazzo, ma lui sembrò non farci caso e mi fece stendere
sui cuscini. Si
sedette sul pavimento girandosi nella mia direzione. Fece tutto in
silenzio poi
improvvisamente disse quello che sapevo voleva chiedermi già
da un po’:
«
È stata colpa mia vero?».
Lo
guardai interrogativa, anche
se in realtà avevo intuito a cosa si stava riferendo.
«
Ed ma cosa..?». Non mi fece
finire.
«
Dimmi la verità. Ti sei sentita
male dopo la nostra discussione di stamattina?».
Mi
gelai. Sapevo che non era del
tutto vero, ma non volevo farlo sentire in colpa più di
quanto non lo fosse
già:
«
Edward non è così, non mi
sentivo bene già da qualche giorno, ma la notte insonne e
McCarthy hanno fatto
il resto»
«
Bella cosa ti è successo per
farti stare così?…non mi riferisco ad oggi, ma a
due anni fa, cosa ti è
capitato per farti crollare? », mi guardò triste,
supplicandomi quasi con gli
occhi di parlargli e raccontargli tutto.
Per
un attimo il mio cuore perse
un battito, la fitta mi riprese al torace e feci il gesto di portarmi
una mano
allo stomaco e stringerlo a pungo. Edward mi guardò con aria
disperata:
«
Dio Bella scusami, ti senti
male ancora? non volevo mi dispiace….scusami»
«
Edward stai tranquillo sto bene
», lo fissai, e feci un gesto istintivo, mi misi seduta sul
letto e mi abbassai
sul suo volto prendendolo tra le mani.
«
Ora sto bene credimi e non è
stata colpa tua o di qualsiasi cosa ci siamo detti stamattina. Ho avuto
dei
grossi problemi in passato, che mi hanno procurato molto dolore, ma ora
sono
passati, ora sto bene, ed è solo un caso quello che
è successo oggi»
«
Ma i tuoi incubi…»
«
Quelli fanno parte della vita e
piano piano scompariranno, ma è solo un mese e mezzo che ho
tagliato
definitivamente i ponti con il mio passato e certe cose lo sai bene
anche tu
sono dure da cancellare».
Non
lo feci ribattere, volevo
chiarirmi fino in fondo: « Ed, lo so che sarebbe meglio
parlare con qualcuno
per sentirmi meglio, e ti giuro tu sei l’unica persona con
cui potrei aprire il
mio cuore, ma ancora non me la sento. Ti giuro che presto
accadrà e ti dirò
tutto, ma ancora ho bisogno di sciogliere i lacci della mia vecchia
vita per
non correre il rischio, raccontandola a qualcuno, di ripiombare nel mio
baratro».
Mi
aveva ascoltato e aveva
appoggiato le sue grandi mani sulle mie ancora ai lati del suo viso.
Lasciai
scivolare la presa carezzandolo dolcemente e lo vidi chiudere gli occhi
come a
bearsi di quel contatto: mi prese i polsi mentre abbassavo le mani.
«
Scusa: lo so che quando te la
sentirai sarai tu a farlo, ma la verità è che io
adoro vederti felice e farei
di tutto per…».
Il
discorso stava prendendo una
piega strana e tentai di sdrammatizzare: « Stai tranquillo,
quando mi sentirò
pronta mi risparmierò una bella cifra dallo psichiatra e
vuoterò il sacco con
te ».
Lo
vidi sorridere e non potei
resistere: « però la cosa vale anche per te, mi
piace vederti sorridere e sento
che la tua vita non ti permette di farlo sempre,
quindi…»
«
Tranquilla non saprei da chi
altra andare».
Abbassai
lo sguardo imbarazzata.
Era la prima volta che una nostra conversazione prendeva una piega
così
personale e intima e la cosa mi fece sorridere e arrossire.
«
Ora riposa. Forse sarebbe
meglio tu prendessi qualche tranquillante che dici? Dove li
trovo?»
«
Sono nell’armadietto del bagno,
ma…».
Ed
non mi lasciò finire. Si alzò
e andò in bagno. Lo sentii rovistare e tornare in un paio di
minuti, ma la mia
mente nel frattempo aveva elaborato un’alternativa
all’oblio in cui mi gettavano
i farmaci.
«
Edward non le voglio », dissi
quasi sussurrando.
«
Come scusa? – sembrava
seriamente stupito – hai bisogno assolutamente di riposare e
queste ti possono
aiutare »
«
No Ed, ti prego…» la voce si
stava incrinando, sapevo che le pillole mi avrebbero fatto dormire, ma
avevano
anche la controindicazione di azzerare i miei sensi e non volevo che
accadesse
più. Mi sentivo troppo fragile ed avevo la sensazione di
soccombere a tutto.
«
Non voglio prenderle: mi si
annebbia tutto, sprofondo nel nulla. Non voglio riposare in questo modo
», mi
ero alzata in piedi e le lacrime stavano iniziando ad uscire.
«Ma Bella, come
altro si può fare?».
Istintivamente
mi avvicinai a
lui, presi tra le mani le sue che contenevano le pillole. Dapprima
mantenni lo
sguardo sulle sue mani, poi presi coraggio e lo fissai negli occhi:
«Ti
prego, resta accanto a me
mentre riposo. So che se ti sentirò vicino, non
avrò bisogno di nessuna
pillola». Ecco lo sapevo, l’avevo detta grossa, ora
sarebbe sicuramente scappato
a gambe levate e addio anche al mio nuovo amico.
Edward
rimase per un attimo
interdetto. Si vedeva che era indeciso sulla risposta da darmi e
così pensai di
dover insistere, tanto ormai la frittata era fatta.
«
Ti prego solo per un po’:
quando mi sarò addormentata te ne potrai tornare a casa, ma
ora come ora
l’unico farmaco che mi può calmare è la
tua presenza a fianco a me ». Sorrisi
per cercare di sdrammatizzare.
Inaspettatamente,
anziché
allontanarsi, appoggio le pillole sul comodino e mi sorrise:
«
Allora dovrebbero brevettarmi,
sai quanti depressi ci sono là fuori..farei soldi a
palate». Scoppiammo
istintivamente entrambi in una sonora risata. Poi senza parlare mi fece
nuovamente distendere, fece il giro del letto e si stese a fianco a me
dalla
parte opposta mantenendosi con la schiena alla testiera del letto.
Alzò un
braccio nella mia direzione invitandomi silenziosamente ad appoggiare
la testa
nell’incavo della spalla e non me lo feci dire due volte.
In
qualunque altro frangente, o
situazione, con chiunque altro, una posizione di quel genere, avrebbe
dato il
via a qualcosa di “fisico”, che sarebbe potuto
sfociare anche nel sesso, ma ora
e con Edward era solo la tranquillità di due vite disperate
che si erano
trovate e che si sarebbero sostenute reciprocamente nelle
difficoltà.
Chiusi
gli occhi e con un lieve
sorriso sulle labbra gli augurai la buona notte. Ora ero nel mio porto
sicuro.
Note:
lo so, non mi picchiate. molti si aspettavano qualche rivelazione, ma
mi è venuta così. mano a mano che scrivevo la
storia ha preso una vita sua. ci sarà tutto ve lo prometto,
ma bisogna avere pazienza :):):):)
e
poi sono teneri anche così...non trovate??
|
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Capitolo 12 *** “Rivelazioni inconsapevoli” ***
Capitolo
12
“Rivelazioni
inconsapevoli”
James davanti a me piangeva, ma non era tristezza
quello che provava.
Era rancore. Non sentivo un peso al cuore, non provavo dolore o vuoto:
la sua
figura lentamente iniziò ad allontanarsi, come se fossi io a
farlo. Per la
prima volta sentì un moto di orgoglio per me stessa: io
stavo lasciando lui.
Non ci sarebbero più state uscite clandestine, scuse
patetiche, liti furiose,
consolazione fisiche, me ne stavo andando e il bello di tutto questo
era che mi
sentivo sollevata, come se mi fossi tolta un peso. La sua immagine era
sempre
più lontana e quando mi voltai un’altra figura si
stava avvicinando, un ragazzo
alto con uno splendido sorriso che mi accoglieva tra le sue braccia:
era
Edward.
Aprii
lentamente gli occhi e mi
accorsi di essere nel mio letto. Avevo dormito molto bene, era da tanto
che non
succedeva e forse il merito era del mio sonnifero naturale.
Improvvisamente
mi resi però
conto di essere sola. Mi alzai di scatto per quanto le vertigini che
contraddistinguevano il dopo attacchi mi potevano permettere, e guardai
l’orologio. Erano le quattro del pomeriggio e mi scontrai con
la dura realtà:
Edward si era alzato e se n’era andato, proprio come gli
avevo suggerito io
qualche ora prima.
Mi
confortai dicendo fra me e me
che non poteva passare tutto il tempo a farmi da baby sitter, aveva il
suo
lavoro, i suoi impegni e la sua musica. Con un po’ di fortuna
lo avrei rivisto
presto: o almeno cercai di rincuorarmi pensandola così.
Improvvisamente
un suono
proveniente dalla cucina mi fece sobbalzare, misi lentamente i piedi
giù dal
letto spostando la coperta: “mi ha coperto nel sonno, forse
temeva mi potessi
raffreddare, che carino” pensai, e cercando di reggermi al
muro e di non
ondeggiare come un’ubriacona al dopo sbornia, mi diressi da
dove si sentivano i
rumori, con una piccola speranza nel cuore.
«
Che ci fai qui? », chiesi con
un sorriso sincero sulle labbra.
«Ehi
ben svegliata, come ti
senti? sai visto che non hai mangiato nulla ho chiamato il medico
chiedendogli
cosa sarebbe stato meglio per farti recuperare subito le forze e
così tra la
mia cucina e la tua sono riuscito a racimolare questo». E mi
mostrò orgoglioso
un vassoio con frutta, fette biscottate e probabilmente the.
«
Ma quando hai fatto tutto? È da
molto che ti sei alzato?»
«
No, giusto mezz’ora fa: credo
che anche per me fosse giunto il momento di staccare la spina dalla
tensione ».
Così
dicendo prese il vassoio tra
le mani e mi invitò a seguirlo sul divano. Molto lentamente
mi spostai.
«
Ce la fai o vuoi che ti prenda
in braccio?»
«
Tranquillo non sono invalida,
devo solo riprendere confidenza con le mie forze e dopo che
avrò messo qualcosa
fra i denti andrà ancora meglio»
«
Ma ti senti bene ora? ». Il suo
tono era veramente preoccupato.
«
Sì sì, solo qualche capogiro,
ma tutti gli altri sintomi sono spariti».
Lo
vidi portarsi una mano al
petto e sospirare. Che fosse un sospiro di sollievo?
«
Forza mettiti seduta e mangia
qualcosa »
«
Mmmhhh non so, c’è tutto tranne
la torta al cioccolato e senza quella….» lo
provocai scherzosamente, ma lui non
capì e si prodigò subito in scuse.
«
Io non conoscevo bene i tuoi
gusti, a mensa mi dicevi che non volevi eccedere con il cioccolato, ma
se vuoi
vado a prenderla, forse il bar del campus ne ha qualche
fetta… ».
Ridendo
lo fermai: « Stai
tranquillo è tutto perfetto, ti stavo solo prendendo in
giro».
Si
fermo e mi guardò serio: « Bel
modo di ringraziare».
Ci
sedemmo e facemmo merenda
insieme parlando di come l’avevano presa i miei studenti.
«
Tu come farai? – gli chiesi
preoccupata – hai saltato una mattina di lavoro per colpa
mia»
«
Non ti preoccupare, mi sono
preso la giornata di permesso e la preside pur di chiudere in fretta e
in
silenzio la situazione me lo ha concesso».
La
cosa mi stupii, ma capii di
cosa avevano confabulato lui e la preside quella mattina in infermeria.
«
Almeno hai dormito bene?»
«
Come non succedeva da mesi »,
dissi sinceramente.
«
Posso chiederti se James era il
tuo compagno in America?».
Il
sangue mi si gelò nelle vene,
il pompelmo che avevo tra le mani quasi mi schizzò via. E
lui come lo sapeva?
Mi
stava guardando con un velo di
imbarazzo negli occhi, ma anche con un sorriso come quello di un
bambino che ha
appena messo le mani nella marmellata. Mi prese il frutto prima che
volasse
inevitabilmente sul mio divano: «
Ti ho
sentito chiamare il suo nome nel sonno», spiegò.
Istintivamente
mi coprii il volto
con le mani: « Oddio ho parlato ancora nel sonno?».
Ed scoppiò a ridere e poi
cercando di contenersi si scusò:
«
non ti preoccupare non è mica
un sacrilegio mortale sai. Come sapevi di parlare nel sonno?»
«
Me lo diceva sempre mio padre e
mi preoccupo perché non ho la più pallida idea di
quello che posso aver detto.
Pensa che quando mio padre lo ha scoperto me lo ritrovavo in camera che
tentava
di farmi gli interrogatori sui ragazzi che frequentavo»,
dissi mantenendo le
mani di fronte alla faccia e aprendo un varco alla mia vista attraverso
le dita.
Edward rise ancora più forte:
«
Beh è tipico di un poliziotto».
«
Ti prego dimmi che altro ho
detto»
«Non
molto credo. Considera che
ho dormito anche io. Ti ho solo sentito dire in modo un po’
agitato James
vattene e poi…. – si fermò e quella
pausa non preannunciava nulla di buono,
almeno per me - … e poi hai chiamato il mio nome e mi hai
chiesto di restare».
Ecco
a quel punto il mio volto
aveva probabilmente raggiunto gradazioni di colore mai registrate
dall’occhio
umano.
«
Che vergogna!».
Edward
non si scoraggiò e sempre
sorridendo tentò di spostarmi le mani dal volto.
«
Dai non ti preoccupare, sei
stata così dolce e poi stavi sognando, io oggi ti ho aiutata
molto, è normale
che popolassi il tuo subconscio in quel momento. Non significa
nulla……».
Lì
per lì mi rassicurai, ma da un
lato ci rimasi un po’ male. Quindi il fatto che lo sognassi
non significava
nulla per lui. Dovevo immaginarlo, avevo capito che non avrebbe
accettato
nessun coinvolgimento sentimentale. Ma poi coinvolgimento di che? Ero
io la
prima che consideravo la nostra solo una splendida amicizia.
Cercai
di calmare il cuore
impazzito e non per l’attacco d’ansia del mattino,
quando Edward parlò di
nuovo, stavolta con tono più pacato:
«
Ora sarà meglio che ti lasci
veramente riposare. Devo andare in segreteria a firmare per il permesso
di oggi
e a guardare se ci sono comunicazioni. Se vuoi più tardi
posso passare a vedere
come stai e portarti qualcosa per cena. Ho visto che anche tu non hai
molto nel
frigo»
«
Sì lo so, avrei dovuto fare
spesa oggi. Andrò non appena mi sentirò meglio,
però se vuoi puoi passare e per
la cena non ti disturbare mi posso arrangiare, ti ho già
portato via fin troppo
tempo », dissi abbassando lo sguardo sulle mie mani.
«
Nessun disturbo credimi, e poi
ho promesso che ti avrei controllata e così farò.
Magari – disse ad un certo
punto quasi imbarazzato – se vuoi posso utilizzare le tue
chiavi prima di
restituirle a Jasper così se stai dormendo non ti
disturbo».
Non
so perché, ma sapere che
Edward sarebbe potuto entrare in casa mia in qualsiasi momento
anziché turbarmi
mi consolava. Era un’occasione in più per vederlo.
«
Non c’è problema. Anzi puoi
tenerle definitivamente tu, sai con tutte le volte che le dimentico non
starei
a disturbare Jasper o a ritornare a scuola»
«
Ok, allora vado e ci vediamo
sicuramente più tardi»
«
Non temere sarò qui e, mi
raccomando, solo se puoi».
Fece
il gesto di alzarsi dal
divano e dirigersi alla porta, ma mi sentii in dover di dargli una
spiegazione
che avevo eluso fino a quel momento dalla conversazione.
«
Edward ?»
«
Sì? »
«
James non era il mio compagno,
era un uomo con cui ho avuto una storia, ma niente di più e
ora è finito tutto
». Non so perché ma lo sottolineai con il tono
della voce.
«
Non mi devi nessuna spiegazione
»
«
Lo so, ma te la volevo dare,
tutto qui. A
più tardi »
«
Ciao ».
E
lasciò l’appartamento e la mia
mente a pensieri chiarificatori. Potevo veramente dire di cominciare a
lasciarmi il passato alle spalle? A giudicare da quello che mi era
capitato
quella mattina no. Ma visto quello che iniziavo a pensare di James
sì.
Per
la prima volta avevo pensato
a lui senza nessun sussulto emotivo. Certo alcune ferite legate alla
mia vita
sarebbero state più dure da cicatrizzare, ma non quella
dell’uomo che mi aveva
stravolto gli ultimi dieci anni. Forse stavo guarendo e tutto questo
grazie a Edward.
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Capitolo 13 *** “Brutto tempo, brutte notizie” ***
Capitolo
13
“Brutto
tempo, brutte notizie”
Quella
sera Edward passò come
promesso con una pizza in mano, da dividere, visto la
povertà dei nostri
frigoriferi; quello che non mi aspettavo fu la sua entrata mentre
vagavo per la
casa mezza nuda dopo la doccia.
Confesso
che passato l’imbarazzo
iniziale, vedere il suo sguardo posarsi su di me per la prima volta in
modo
interessato mi fece superare la cosa e sentire orgogliosa.
D’altra parte gli
avevo detto io di utilizzare le chiavi di scorta e il fatto che non
avessi
sentito il lieve bussare prima che aprisse la porta, non faceva di me
una
fredda calcolatrice per farmi trovare in culottes e canottiera; in
fondo tra di
noi c’era una splendida amicizia e quella doveva rimanere.
Parlammo
e ridemmo del più e del
meno: mi raccontò la reazione dei colleghi che avevano
sentito le voci di
corridoio sul mio malessere. Aveva incontrato alcuni dei miei studenti
tranquillizzandoli sul mio stato di salute.
«Hai
visto anche McCarthy?»,
chiesi interessata di sapere quale atteggiamento avrebbe potuto avere.
«
No, a dire la verità nessuno lo
ha più visto in giro da dopo il tuo svenimento. Forse si
è sentito veramente in
colpa. Considera però che quando sono rientrato io nello
stabile la maggior
parte degli studenti aveva già finito lezione »,
ci tenne a precisare.
Chiacchierammo
per circa un’ora
poi si congedò da me con la scusa che avrei dovuto riposare
e la promessa che
ci saremmo rivisti l’indomani.
«
Mi raccomando non strapazzarti
», era sulla soglia della porta e mi guardava negli occhi,
seriamente
interessato al mio stato di salute. Eravamo entrambi appoggiati allo
stesso
stipite, interno ed esterno e ci guardavamo fissi con un bel sorriso
stampato
sulla faccia a seguito della piacevole conversazione di quella sera. In
realtà
eravamo per metà nel corridoio e chiunque fosse passato in
quel momento e a
quell’ora avrebbe potuto pensare a due innamorati che si
stavano dolcemente
congedando l’uno dall’altro, ma non me ne curai
assolutamente. Quello che
volevo era bearmi per un ultimo minuto delle sue amorevoli attenzioni.
«
Ora vado », ribadì per
l’ennesima volta. Era quasi come se fosse una fatica fisica
per entrambi quella
di salutarci e il suo ultimo gesto mi lasciò spiazzata.
Occhi negli occhi con i
miei prese la mano,
la carezzò
dolcemente sul dorso con il pollice e poi se la portò alle
labbra e ne baciò il
palmo. Il tocco delle sue labbra mi mandò in tilt.
Chiusi
gli occhi beandomi di quel
contatto inaspettato: un evidente strato di pelle d’oca
ricoprì il mio corpo e
probabilmente se ne accorse anche lui, perché
continuò ad accarezzale la mia
mano anche quando le sue labbra si furono staccate e un timido sorriso
comparve
sul suo volto.
Erano
sempre più forti le
sensazioni che mi trasmetteva quando il mio corpo entrava in contatto
con il
suo e non so se fosse stato un bene continuare questi incontri, ma la
realtà
era che non potevo assolutamente più farne a meno.
Martedì
passò nel tedio più
assoluto, tampinata da Edward perché non uscissi e mi
riposassi il più
possibile. Non ero mai stata una persona statica, avevo sempre lavorato
e avevo
sfruttato pochissime malattie, quindi passare il tempo nel dolce far
nulla non
era il mio forte.
Finalmente
mercoledì mattina mi
preparai per andare a scuola. Edward insistette per accompagnarmi e non
mi
perse d’occhio tra un cambio d’ora e
l’atro.
Parlai
con i miei ragazzi del
quinto anno e notai con stupore l’assenza di Emmet: chiesi
notizie ai compagni
e ad Ed. Nessuno seppe darmi una risposta e le ipotesi erano che si
fosse
allontanato dal campus o addirittura che fosse stato sospeso qualche
giorno
dalla preside, nella riservatezza più assoluta. Ammisi a me
stessa di essere
preoccupata per lui: era comunque un mio studente, forse con
più problemi di
altri e anche se mi aveva fatto arrabbiare terribilmente, non potevo
dargli la
completa colpa di un mio fattore emotivo indipendente dal suo
carattere.
Emmet
non si vide a scuola
neanche giovedì e mi ripromisi che la sua assenza prolungata
fino a lunedì mi
avrebbe autorizzato ufficiosamente a prendere informazioni: dovevo
chiarire con
la preside.
Durante
la pausa pranzo Edward mi
avvicinò come faceva ormai quotidianamente e mi disse che
era giunto il momento
di stendere un piano ufficiale per l’organizzazione del
dormitorio. Sapevo che
avrebbe potuto farlo anche da solo, ma pensare che fosse anche una
scusa per
passare più tempo con me mi faceva gongolare.
«
Ok anche se
è una giornata un po’ piena. Passa
quando sei libero».
La
giornata trascorse veloce:
terminate le lezioni passai da casa e solo in quel momento mi ricordai
che
dovevo adempiere anche al mio compito di gestione della biblioteca. Era
da un
po’ che io e Angela non ci tuffavamo letteralmente nelle
scartoffie ed era ora
di farlo. Mi rinfrescai e senza neanche cambiarmi mi diressi in
biblioteca. Ci
concentrammo nel lavoro e ben presto senza rendercene conto si fece
sera.
«
Bella mi ero dimenticata di
aver un appuntamento, dobbiamo chiudere immediatamente!»,
proruppe Angela alle
diciannove.
«
Angela domani è venerdì e non
vorrei ritrovarmi ancora qui. Tu vai io
mi fermo e finisco». Sinceramente, anche se non
amavo festeggiarlo, non
volevo passare il mio compleanno tra le scartoffie.
«Ok
Bella, però non tardare e fai
attenzione: il tempo sta cambiando e potresti beccarti un
bell’acquazzone
mentre rientri»
«Ok,
male che vada mi farò una
doccia fuori programma». Risposi ridendo e rituffandomi tra
cartacce e software
di catalogazione. Il lavoro non era difficile, ma riportare i documenti
di
prestito e circolazione libraria di tutto l’istituto dal
cartaceo al digitale,
lavoro da eseguire una volta al mese, non era proprio il massimo del
divertimento.
«
Ehi, mi hai tradito per una
pila di libri?». Sobbalzai quando Edward entrò.
«Ed
che ci fai qui?»
«Dovevamo
vederci per il piano
del dormitorio ricordi? Stamattina!».
Improvvisamente
realizzai.
«
Oddio scusami hai ragione!!!
Sai mi è venuto in mente che era anche ora di sistemare i
documenti qui e mi è completamente
passato di mente»
«
Mmmmhhhh – mugugnò Ed – vuol
dire che sono meno importante di tutti questi volumi polverosi???
»
«
Beh, non c’è nulla di più
importante dei libri – lo rimbeccai ironica – ma
vorrà dire che li metterò da
parte per una volta e mi dedicherò completamente a
te».
Per
un attimo mi bloccai e sperai
che non avesse frainteso le mie parole. Purtroppo sguardo e parole mi
fecero
intendere che non era stato
così: con
gli occhi seri e puntati nei miei rispose un flebile
“giuralo”.
Spostai
un po’ di documenti,
avrei terminato la settimana successiva, e battei la mano sulla sedia
invitandolo ad avvicinarsi. Accese il portatile e iniziammo il lavoro.
L’aspetto organizzativo in quella scuola era a volte
maniacale, ma sicuramente
faceva sì che tutto funzionasse alla perfezione e ognuno
faceva la sua parte.
Iniziammo
a stendere un piano che
includesse orari di entrata e uscita, regole sulle visite, evacuazione
e altre cose
di questo genere; improvvisamente un’imposta che
sbatté violentemente ci
ridestò dal lavoro. Fuori tirava un vento fortissimo e forse
si preannunciava
una vera e propria tempesta. Edward rise sarcastico:
«
Oh che meraviglia!! è da ben
due giorni che non piove»
«
Beh – aggiunsi io – meglio
beccarsela quando si è al coperto. Dai, finiamo che non
voglio stare qui fino a
domani».
Stavamo
per riprendere, quando
l’ennesimo rumore di una porta che sbatteva ci interruppe e
costrinse me ad
alzarmi per verificare che tutto fosse a posto. Non poteva esserci
nessuno a
quell’ora. Tutti ormai erano rientrati per la cena e con il
tempo che stava
peggiorando… quando mi affacciai alla porta incontrai il
volto di Jacob,
indaffarato a chiudere le persiane della biblioteca
dall’esterno.
«
Jake mi hai spaventato, che fai
qui?», chiesi rassicurandomi.
«
È arrivato un grosso temporale
e sembra che le cose stiano peggiorando ulteriormente, la preside ha
detto di
mettere in sicurezza gli edifici più esposti per evitare
infiltrazioni di
acqua. Che ci fai ancora qui?»
«
Stavo terminando un lavoro »
«
Sei sola?», mi chiese con un
tono quasi interessato.
«
No, sono con il professor
Cullen. Stavamo lavorando al piano per il dormitorio »
«
Ah!», lo
vidi allungare lo sguardo verso l’interno
e osservare Edward con estremo disprezzo. Non potevo fare a meno ogni
volta di
chiedermi cosa fosse accaduto a quei due per farli arrivare ad un punto
di
rottura così alto.
«
Comunque dovete andarvene…»
«
Stavamo finendo, se ci lasci
solo una mezz’ora…?»
«
No, non posso mi dispiace,
dovrete continuare un altra volta. Devo chiudere tutto ora »
disse con tono
serio.
«
Ok, dacci due minuti ».
Tornai
da Edward che aveva
evidentemente ascoltato la nostra conversazione.
«
Il signor Black detta legge?»,
disse chiaramente polemico.
«
Già, dobbiamo andarcene ordini
superiori – dissi sarcastica – che ne dici,
continuiamo da me?». Desideravo
stare ancora con lui e sperai tanto che accettasse la mia proposta e
non mi
chiedesse di rinviare ad un altro giorno.
«
Ok, ma hai fatto la spesa, ho
una fame! » rise.
Ecco
Ed era così; serio e duro
con tutti un momento, solare e spiritoso l’attimo dopo, ma
stavo bene con lui
anche per questo. In fondo rispecchiava in pieno una parte del mio
carattere.
Ci dirigemmo alla porta e scoprimmo nostro malgrado che la tempesta
faceva da
padrone già da un po’. La pioggia scrosciava
violenta dal cielo e rimbalzava
sul terreno creando schizzi altissimi, laddove veri e propri torrenti
scorrevano sull’asfalto.
«
Oddio dimmi che hai un
ombrello? » chiesi con un tono quasi disperato.
«
Ci bagneremo come pulcini, beh
l’unica soluzione è una bella corsa ».
Ribatté Edward molto tranquillo. Lo
guardai ad occhi sbarrati e poi gli indicai il mio abbigliamento della
giornata. Completo giacca, gonna strettissima e tacco alto.
«
Stai scherzando, ma hai visto
le mie scarpe? Tu mi vuoi vedere stramazzare a terra!!»
Rise
guardando i miei tacchi, e
mi freddò con una battuta: « sì, devo
dire che sei molto sexy così»
«
Scemo!... come pensi possa
correre?»
«Toglile,
tanto siamo diretti a
casa, lì poi potremo asciugarci », e qui la mente
si riempì di pensieri su noi
due che ci spogliavamo per asciugarci e in quel momento qualcosa che
non
sentivo più da tempo si fece strada in me. Non potevo
esserne certa, ma ero
sulla strada buona; un brivido di piacere nel pensare a me e lui
insieme in
quel senso…..ero pazza!
Stavo
iniziando a fantasticare su
qualcuno che aveva dimostrato per me solo un’affettuosa
amicizia e in più con
la situazione che avevo vissuto in passato. La verità era
che da quando l’avevo
conosciuto, Edward aveva risvegliato in me pensieri e sensazioni che
erano
assopiti da tempo e prima di allora erano stati rivolti solo ad una
persona.
Solo ora me ne rendevo conto.
«
State attenti alla luce –
entrambi ci voltammo quando udimmo Jake che di soppiatto ci era
arrivato alle
spalle. Un lampo seguito da un tuono proruppe nell’aria
– potrebbe saltare la
luce, stai attenta Bella a non trovarti in situazioni pericolose se
succede »,
disse con un tono glaciale, guardando me e lanciando uno sguardo a
Edward che
avrebbe incenerito chiunque. Lui non ci fece caso e mi
sussurrò all’orecchio
qualcosa che non compresi subito:
«
Penso che si riferisca al fatto
che potresti trovarti sola con me ».
Lo
guardai quasi sconvolta, sia
per la sua affermazione, che in parte desideravo avvenisse, sia per il
timore
di Jake. Ma chi era lui per farmi simili raccomandazioni?
«
Tranquillo Jake è più che al
sicuro » ribatté Edward serio e mi prese per la
vita facendomi girare e
accompagnandomi alla fine del porticato.
«
Poi mi spiegherai che cos’ha »
« Lo capirai
– disse sorridendo – sei pronta
ad affrontare l’ignoto? » disse indicando la strada
che ci separava dal
dormitorio. Non era molto lunga, ma la pioggia battente impediva
qualsiasi
visuale.
«
Oddio cadrò mille volte » dissi
guardando spaventata il buio.
«
No se ti aggrapperai a me » mi
sussurrò. Dio quella voce…
«
Andiamo » disse mettendo a
tracolla la borsa con il portatile.
«
Aspetta…» istintivamente mi tolsi le scarpe
e sollevai un po’ la gonna per poter essere più
libera nella corsa. Mi accorsi
che Ed mi osservava e mi guardava….le gambe!!!!!
Ancora
meravigliata da
quell’occhiata tolsi la giacca e la portai sulle nostre
teste. Era ben poco, ma
almeno non avremmo avuto la pioggia negli occhi. Ci misi poco a capire
che non
era stata una bella idea. Principalmente perché in questo
modo Edward doveva
letteralmente attaccarsi a me stringendo dal punto vita come aveva
fatto
qualche giorno prima quando ero stata male. Solo che ora lo
faceva….consapevolmente e con una presa che sembrava quasi
volermi conficcare
le dita nella carne.
«
Pronta?» Una mano era impegnata
a tenere documenti e computer, l’altra mi circondava il
fianco, e la mia libera
dalla giacca faceva altrettanto. Sembravamo un corpo solo.
Ma
non ci sarebbe stata
alternativa. Ci saremmo bagnati come pulcini. Mi rassegnai e presi
fiato per
poter correre più veloce possibile.
«
Viaaa!!! » urlò ridendo e
trascinandomi con sé tra le pozzanghere, sotto quella che
avrei benissimo
potuto definire un alluvione se non avessi visto Edward e Jake
perfettamente
tranquilli per la situazione.
Corremmo
come matti, l’acqua
schizzava dall’alto e dal basso. La giacca sopra alle nostre
teste fu presto
zuppa e il mio scatto cominciò a risentire
dell’abbigliamento. Lasciai la presa
su Edward, mentre lui stringeva sempre di più:
l’indomani avrei potuto avere
anche il livido, e mi sollecitò dicendomi che stavamo
arrivando. A pochi passi
dal portone lasciò il mio fianco e mi strinse la mano
trascinandomi al riparo
dentro il nostro androne.
«
Ragazzi, ma come siete ridotti?
», ci fece notare Jasper con tono quasi divertito.
«
Non sfottere Jas – sogghignò Ed
– se non vuoi che ti abbracci calorosamente » e
fece il gesto di aprire le
braccia dalle quali grondava letteralmente la camicia.
«
Beh vi consiglio di fare in
fretta, primo perché sta saltando la luce e non potrete
asciugarvi, secondo
perché vi prenderete un malanno e terzo, ma non meno
importante, perché sto per
uccidervi visto il macello che state combinando sul pavimento
». Istintivamente
gettammo uno sguardo sincronizzato al pavimento, che era ormai un lago
sotto ai
nostri piedi. Dalle nostre labbra uscì solo una risata
soffocata e senza aspettare
altre obiezioni Ed mi prese per mano e mi trascinò di sopra,
come se fossimo
due ragazzi che scappavano per giocare a nascondino.
Quando
ero arrivata tutti me lo
avevano descritto come una persona chiusa, scorbutica e comunque poco
incline a
rivolgersi agli altri, e forse i primi tempi lo era veramente stato
anche con
me in parte. Sì, perché potevo dire di non aver
mai visto totalmente il lato
peggiore del suo io; con me si era dimostrato gentile, anche se molto
serio,
fin dall’incontro alla prima riunione, ma poi piano piano si
era aperto sempre
di più, fino a diventare quella creatura spensierata e
meravigliosa che mi
stava trascinando con sé: per un attimo sperai che non lo
facesse solo
fisicamente, ma anche emotivamente.
Mi
beai per un attimo, nei miei
pensieri, dell’idea che forse era stata la mia presenza a
farlo cambiare, ma
poi nel mio ormai logorato pessimismo mi convinsi che lo avrebbe fatto
con
chiunque in difficoltà e se non lo dimostrava agli altri era
perché non aveva
mai avuto modo di confrontarsi con nessuno di loro in modo approfondito.
Finalmente
arrivammo alla mia
porta. Senza esitare infilai le chiavi e ci rifugiammo al caldo. La
temperatura
iniziava a scendere e non solo per la pioggia. Due lampi illuminarlo il
cielo a
giorno e ci fecero sobbalzare.
«
Temo che la luce non durerà a
lungo converrà asciugarci ».
Nemmeno per
un attimo pensai di mandarlo nel suo appartamento. Lo accompagnai in
bagno e
gli indicai dove poteva trovare asciugamani puliti e asciugacapelli.
« Se vuoi
potrei avere una vecchia maglietta
che
mi va larga, almeno non ti congelerai con quei vestiti bagnati addosso
»
«
Grazie, ma potevo andare a
cambiarmi di sopra » disse lasciandomi sorpresa.
Ero
stata io a fare tutto, a
credere che volesse stare ancora con me, che sarebbe rimasto anche
bagnato pur
di finire il lavoro. Mi ero sbagliata per l’ennesima volta.
Un po’ delusa
abbassai lo sguardo cercando di giustificarmi.
«
Avevi detto che avremmo
terminato e visto che la luce potrebbe saltare, così avremmo
fatto prima…Ma se
vuoi andare a casa…..», aggiunsi con un tono
inequivocabile di tristezza.
«
Non fraintendermi, adoro stare
con te ma non volevo crearti disturbo o metterti in
ansia…».
Il
mio cervello era collegato?
Avevo capito bene? Voleva stare con me, ma era talmente premuroso da
temere che
la vicinanza di un uomo in quel frangente, senza via di fuga mi avrebbe
messo
in imbarazzo e catapultato nell’oblio dal quale ero emersa
solo qualche giorno
prima.
Gli
risposi istintivamente senza
pensare a quali idee avrei potuto mettergli in mente:
«
Anche io adoro stare con te e
non mi creeresti mai disturbo; in realtà ora come ora sei
l’unico al mondo che
mi fa stare bene..» e dicendo questo lo guardai negli occhi
con una tale
decisione, che da tempo non mi sentivo.
Mi
accarezzò la guancia con la
mano e avvicinò lentamente il suo viso al mio fino a portare
la mia fronte sul
suo mento. Sentivo il freddo della sua pelle bagnata e il suo respiro
tra i
capelli, sicuramente sarebbe accaduto qualcosa di nuovo se un mio
starnuto non
avesse interrotto l’idillio.
«
Sarà meglio che vada ad
asciugarti anche tu » disse ridendo.
«
Già » mi limitai a dire con i
sensi inebriati ancora dalla sua presenza.
Mi
allontanai verso la mia
stanza. Presi un grande telo dall’armadio e iniziai a
spogliarmi. Ero bagnata
fino al midollo. Mi asciugai con cura e mi diedi anche una passata di
olio, o
la pelle mi si sarebbe sgretolata dal freddo. Infilai una tuta aderente
con una
maglietta calda e iniziai a frizionarmi i capelli sentendo che Ed aveva
azionato l’asciugacapelli.
Solo
allora ricordai che dovevo
portargli la maglietta. Misi le mani nel cassetto e ne estrassi una
vecchia
maglia di quelle molto ampie, che usavo in estate come pigiama e mi
diressi
verso il bagno. Quello con cui non avevo fatto i conti era che per
potersi
asciugare si sarebbe dovuto spogliare e quando entrai nel bagno mi
ritrovai di
fronte la schiena di una statua di Apollo: le spalle erano
più larghe di quanto
avevo immaginato sotto le maglie e aveva una leggera, ma evidente
muscolatura,
messa in tensione dalla testa chinata e le braccia alzate nello sforzo
di
asciugare i capelli eternamente ribelli: in quella posizione si notava
bene
anche il tatuaggio sulla spalla e anche quello
sull’avambraccio sinistro che
non ero mai riuscito a mettere a fuoco. Non capii subito di cosa si
trattasse
ma era sicuramente un simbolo celtico. Ero sempre stata restia ad
apprezzare
persone che si ricoprivano il corpo si segni che sarebbero, bene o male, rimasti per
tutta la vita, ma
dovetti ammettere a me stessa che sul suo corpo anche i tatuaggi
avevano un
potere….affascinante.
Lo
guardai sgranando gli occhi e
nel momento in cui si accorse della mia presenza mi volta di scatto
scusandomi:
«
Non pensavo fossi già svestito
scusa »
«
Non temere » disse spegnendo
l’apparecchio, appoggiandolo al mobile e avvicinandosi a me
senza mai
distogliere lo sguardo. Non riuscii a resistere e ricambiai sorriso e
sguardo
allungandogli la maglia, che non esitò a prendere, sfiorando
volutamente la mia
mano con la sua nel passaggio.
«
Tieni, ora serve a te » e mi
passò l’asciugacapelli che andai ad accendere in
camera mia.
Dopo
circa dieci minuti ero
pronta e mi recai in soggiorno, dove trovai il camino a gas acceso e Ed
alla
finestra che guardava fuori. Si era arrotolato la parte bassa dei
pantaloni
fino a poco sotto il ginocchio, probabilmente a causa della pioggia
presa e tra
quella maglietta che a lui stava
stretta
e i capelli ribelli appena asciugati, mi incantai ad osservarlo.
«
Hai acceso il fuoco? »,
sussurrai sorridendo.
Si
voltò e si soffermò a lungo
sulla mia figura; che avessi qualcosa fuori posto? Non ero una maniaca
dell’eleganza, specialmente in casa, ma ci tenevo a me
stessa…
«
Ed va tutto bene? », lo
ridestai da chissà quali pensieri fissi su di me,
« Sì scusa, è che prima ti ho
detto che con quel completo eri sexy, perché non ti avevo
ancora visto così
“casual” », disse indicando la mia tenuta.
Cercai
di sdrammatizzare: « Sei
proprio fuori lo sai? dai finiamo il lavoro...» e come se
avessi detto una
formula magica le luci si spensero a seguito di un potente lampo.
«
Porca….» mi
uscì spontaneo.
«Vedi, è destino che
non si riesca concludere…» e
potei giurare di aver visto un piccolo ghigno di soddisfazione sul suo
volto.
«
A cosa ti riferisci scusa? » ci
tenni a precisare un po’ imbarazzata.
«
Al lavoro ovviamente, per
fortuna ho una buona batteria nel portatile»
«Forza
allora – dissi io
spingendolo a
sedere sul divano –
vediamo di finire che sono cotta…. » e non solo
dal sonno, avrei voluto
aggiungere.
Accendemmo
entrambi i portatili
lasciando il mio sul tavolino davanti al divano e lavorando sul suo.
Per
fortuna il lavoro terminò in fretta, era lui che
principalmente organizzava le
cose , ma anche io feci la mia parte con alcuni suggerimenti, volti ad
evitare
intrusioni maschili nel mio piano.
«
Secondo me consentire in
giornate e orari stabiliti di accedere ai dormitori
dell’altro sesso eviterebbe
infiltrazioni clandestine »
«
Non vorrei che la preside la
prendesse come un’istigazione alla promiscuità
» controbatté lui.
«
Per esperienza so che se ad una
cinquantina di ragazzi con gli ormoni a palla proibisci certe cose,
rischi solo
di ottenere l’effetto contrario »
«
Ok, proviamo allora » disse
scrivendo le ultime indicazioni e richiudendo il portatile.
«
Ce l’abbiamo fatta, che si
mangia? » mi guardò ridendo.
Ci
alzammo e, iniziando a frugare
nel frigo, facemmo uno spuntino, terminando il tutto con una
chiacchierata sul
divano.
«
Ti vedo stanca » mi disse ad un
certo punto.
«
È stata una settimana pesante »
mi giustificai subito.
«
Allora sarà meglio tu vada a
riposare». Ecco
il suo lato protettivo
che riemergeva sempre nei miei momenti di stanchezza, da quando ero
stata male
tra le sue braccia.
«
Veramente sto già riposando:
poche volte sono stata così rilassata» dissi
sinceramente.
Ero
comodamente seduta con le
ginocchia piegate, schiena e testa appoggiate allo schienale e la
faccia
rivolta verso di lui. Avevamo lasciato le imposte volutamente aperte e
si
vedeva solo grazie all’aiuto dei lampi, di qualche lampione
rimasto acceso nei
cortili e al fuoco. Sentendo le mie parole si accoccolò
meglio nel divano anche
lui, allungando le gambe e appoggiando la nuca sullo schienale, alla
stessa
altezza della mia. Stava guardando il soffitto, ma si capiva che stava
pensando.
«
A dire la verità anche per me è
così »
«
Così come? » incalzai.
Si
voltò verso di me e i nostri
visi furono ad un soffio l’uno dall’altro; gli
sarebbe bastato un piccolo gesto
per baciarmi, ma forse non era veramente interessato a farlo.
«
Prima che arrivassi tu mi sono
sempre sentito fuori posto. I colleghi mi guardavano male e le colleghe
hanno
cercato da subito di farmi il filo».
“Posso
capirlo” pensai tra me.
«
Ma io sono venuto qui solo per
ricominciare una vita degna di essere vissuta, questa volta fino in
fondo ».
Era
la mia stessa motivazione.
Avevamo così tanto in comune e in più quelle
parole, questa volta mi
fecero pensare che
anche lui doveva
averne passate parecchie nella sua vecchia vita, proprio come me.
Credevo
sempre meno alle parole che mi aveva detto Black i primi giorni che mi
ero
trasferita. Qualsiasi cosa gli fosse capitata in passato, non poteva
essere
stato quello stronzo bastardo che lui disegnava. Era troppo serio,
troppo
riflessivo, troppo..tutto.
Allungò
una mano verso la mia
guancia sfiorandola: « profumi di lavanda », disse
quasi sussurrando.
Lì
per lì non capii e gli
domandai cosa avesse detto, ricevendo solo un
“nulla, nulla”.
«
Comunque penso proprio che sia
ora di andare a riposare per tutti e due – disse continuando
a guardarmi negli
occhi – non ho idea di che ore possano essere,
ma….» un suono proveniente dal
mio computer lo interruppe.
«
Aspetta un secondo » dissi io
con un sorriso tra il
divertito e il
rassegnato.
«
Che c’è? » E un altro suono
irruppe dal mio computer.
«
Credo proprio che sia
mezzanotte »
«
E come fai a saperlo? Hai una
sveglia nel computer? »
«
No questi sono i miei che mi
mandano il messaggio appena scoccato il 13 ottobre »
«
Scusa e per…è vero oggi è il
tuo compleanno!! – proruppe sorridendo – me ne ero
scordato scusa, non
ricordavo, sai sono successe molte cose questa settimana»
«
A chi lo dici – ribattei
ridendo – comunque è una loro abitudine farmi gli
auguri allo scoccare esatto
della mezzanotte del mio compleanno e, a quanto pare, hanno calcolato
pure il
fuso orario»
«
Proprio come cenerentola –
sottolineò ridendo – ti conviene leggere i
messaggi e andare a nanna allora ».
Ci
alzammo entrambi malvolentieri
dal divano e mi spostai al portatile. Aprii sorridente il primo
messaggio. Era
di Charlie che mi sottolineava quanto gli mancavo, ma nello stesso
tempo come
fosse orgoglioso di me, che tutto andava bene e che se fosse riuscito,
per Natale
sarebbe venuto a trovarmi.
«
Non verrà mai » dissi a bassa voce,
più per me che per altri « E perché?
» Avevo dimenticato che era ancora con me,
e da dietro la mia spalla stava guardando il monitor
dell’apparecchio.
«
Perché poi ne ha sempre una e
non parte mai »
«
Potresti andare tu a trovarlo?
– mi voltai interrogativa, ma lui continuò il suo
discorso fissandomi
tranquillo – potresti andare per Natale: anzi sai che ti
dico? Anche io avrei
voglia di tornare dai miei un paio di settimane, anche se loro ogni
tanto di
qui passano. Potremmo fare il viaggio insieme? ».
Mi
stava veramente proponendo di
tornare in America con lui o stavo sognando? Non riuscii a trattenere
un
sorriso e un “sarebbe magnifico” appena sussurrato.
Tornai
alla mia posta aprendo
quella di mia madre, che moto più profana mi raccontava
dello shopping e dei
pettegolezzi di quartiere. Feci per chiudere tutto, quando notai un
ultimo
messaggio senza mittente. Ma quando era arrivato? non lo avevo sentito,
ma
l’orario era lo stesso di quello di mia madre! Non immaginavo
e lo aprii
tranquillamente quando il sorriso mi morì sulle labbra:
CIAO
BIMBA
MI
MANCHI TANTO
BUON
COMPLEANNO
J.
Il
sangue mi si gelò nelle vene,
il respirò divenne improvvisamente affannoso come quando
stavo per precipitare
in uno dei miei attacchi e probabilmente mi pietrificai,
perché Ed iniziò a
ridestarmi.
«
Bella cos’hai? Guardami che ti
succede? », mi disse con la voce terrorizzata, scuotendomi
dalle spalle. Senza
attendere una mia risposta buttò un occhio allo schermo e mi
guardò.
«
È lui?» annuii incapace di
proferire parola «E cosa vuole?».
Negai
con il capo. Non lo sapevo,
forse solo farmi gli auguri, forse dimostrarmi che c’era
ancora e quel “ciao
bimba” ora mi suonava come un “tanto non mi
scappi”. Non era più il nomignolo
affettuoso con il quale mi si rivolgeva quando passavamo le notti
insieme,
perché non era ormai più la stessa cosa, io non
ero più la stessa e quelle
parole mi infastidirono più che mai.
Una
lacrima rigò il mio volto e
Ed preoccupato la asciugò: « tranquilla, forse
voleva veramente solo farti gli
auguri – disse per consolare più se stesso che me
– vi conoscete da tanto e poi
è lontano e tu sei qui…con me.. e ti prometto che
se non vorrai non potrà più
ritornare nulla di quello che è stato. Io lo
impedirò».
Disse
tutto con un tono così
convinto che mi calmai, presi un bel respiro chiudendo gi occhi e
rilassai le
spalle. Mi alzai in piedi e mi beai del contatto delle sue mani che
amorevoli
accarezzavano le mie braccia dall’alto verso il basso e
viceversa.
«
Ora devo andare e anche tu devi
riposare – disse chiudendo con una mano i computer - domani
cancellerai quella
mail e farai finta che non sia accaduto niente e io ti
aiuterò se vorrai…»
«
Basta che tu mi sia accanto »,
dissi sincera.
«
Ci sarò finché vorrai »
«
Allora diventerò una palla al
piede…»
«
Sarà il peso più dolce che avrò
mai portato ».
Quello
scambio di battute non era
solo sembrato, era stato una vera dichiarazione che l’uno
aveva fatto all’altro
sul nostro reciproco bisogno di stare vicini.
Lo
accompagnai alla porta
realmente e visibilmente sollevata:
prima di andarsene si voltò verso di me, mi
guardò negli occhi e mi
salutò baciandomi su una guancia. Nel momento in cui le sue
labbra calde si
appoggiarono alla mia pelle non potei fare altro che sorreggermi alla
porta per
non svenire e chiudere gli occhi per godermi quel momento. Quando si
staccò lo
guardai sorridendo e lo salutai con un flebile
“ciao” mentre il tono roco della
sua voce mandò un ultimo profondo brivido alla schiena. Non
lo avrei mai
immaginato, ma era stata un istante stupendo, che mi aveva ripagato di
una
settimana dura e mi resi conto che nel bene o nel male mi stavo
totalmente e
incondizionatamente innamorando di Edward Cullen.
Note:
capitolo lungo e ricco di "emozioni". ci stamo avvicinando ad un
momento importante per Bella e come sempre Edwrad sarà con
lei. volevo rigraziare tutti quelli che mi seguono e anche quelli che
recensiscono. so che non riesco a rispondere a tutte le recensioni, ma
postando 2 capitoli a sera vorrebbe dire rispondere ad ognuno due volte
e mi sa che vi stufate di sentirmi chiacchierare poi!!!!
per
quello che riguarda la scrittura ho installato il NVu perchè
l'editor di EFP mi dava dei problemi. non ci capisco ancora molto e
spesso la formattazione la fa come vuole lui. spero comunque che si
capisca. fatemi sapere se qualcuno ha problemi di
visualizzazione.
ok
ora vi saluto ho ciarlato anche troppo, devo andare avanti con i
capitoli nuovi se no a forza di postarne due alla volta, non
avrò presto nulla di scritto.
|
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Capitolo 14 *** “Ti voglio raccontare una parte di me” ***
Capitolo
14
“Ti
voglio raccontare una parte di me”
Chiusi
la porta appena lo vidi
salire le scale e mi appoggiai ad essa prendendo un ultimo respiro. Ero
sollevata sì, ma rimanere sola avrebbe dato modo ai miei
pensieri di
scatenarsi.
Per
come era andata la mia serata
fino all’arrivo del messaggio di James, sarebbero potuti
essere solo pensieri
positivi. Da quel momento in poi sarebbero stati tormentati.
Cosa
significava quel messaggio?
Se James fosse tornato a cercarmi avrei saputo resistere o sarei
crollata come
facevo ogni volta ormai da dieci anni? In quel momento il caos che
avevo in
testa mi impedì di chiarirmi le idee e decisi che forse era
veramente meglio
andare a dormire.
Mi
infilai sotto le coperte
pensando a Ed, se dormiva già e al fatto che per me non
sarebbe stato così
facile.
Stavo bene. Ero stesa sopra un prato nella mia
Forks, in una piccola
radura piena di fiori, illuminata da un raggio di sole filtrato dalle
nuvole.
Conoscevo quel posto. Lo avevo scoperto dopo una
passeggiata e ci
andavo ogni volta che volevo stare bene con me stessa. Era un piccolo
paradiso,
ma questa volta c’era qualcosa di diverso. Sentivo un calore
irradiarsi dal mio
corpo all’altezza del cuore e mi accorsi di essere appoggiata
sul corpo di
qualcuno. Cercai di aprire gli occhi nel sole del mattino e guardai la
persona
che ormai ero sicura era stesa con me. Due occhi verdi e uno splendido
sorriso
fecero bella mostra di sé.
Edward rilassato come non mai mi teneva stratta al
suo petto. Potevo
sentire il suo cuore battere e in un attimo, dopo che i nostri sguardi
si
incrociarono mi baciò, prima dolcemente e poi sempre
più appassionatamente. Le
sue mani iniziarono a vagare sul mio corpo, sulla mia schiena e sul mio
volto.
Era qualcosa di meraviglioso e non potevo fare a meno di ricambiare. Le
mie
braccia si strinsero nella sua schiena e finalmente le mie mani furono
tra i
suoi capelli, come a non volere che lui si staccasse da me. Ed ci fece
rotolare
sull’erba fino a che non fui sotto di lui, ma qualcosa era
cambiato. Il suo
corpo premeva contro il mio in modo troppo opprimente.
Non sembrava più il mio Ed, quello che
ogni volta che mi si era
avvicinato lo aveva
fatto con una
dolcezza tale, da farmi sentire fatta di cristallo. Le sue mani
cominciarono ad
essere troppo insistenti e improvvisamente provai disagio e la
necessità di
staccarlo da me. Cominciavo a sentire male e le lacrime iniziarono a
rigare il
mio volto. Misi le mani sul suo petto e spinsi con tutte le mie forze:
ci
riuscii e aprii gli occhi. Sopra di me, non c’erano
più gli occhi verdi di
Edward, ma quelli azzurri e glaciali di James.
Istintivamente cercai di divincolarmi, ma la sua
presa si rafforzò. Le
mani vagarono sempre più insistenti e violente, sentivo le
dita conficcarsi
nella mia carne nuda sotto alla maglietta e arrivare ai miei seni
stringendoli
così forte da farmi urlare di dolore. Il suo corpo premeva
su di me e potei
capire chiaramente le sue intenzioni: non riuscii a fare altro che
mettermi a
piangere e urlare anche quando cercò di tapparmi la bocca
con un bacio che di
amore non aveva assolutamente nulla. Del mio James, che avevo amato
c’era solo
l’involucro: il resto era un animo crudele che stava cercando
di farmi sua
senza il minimo ritegno e scrupolo per la mia integrità
mentale e fisica.
Sentivo le lacrime che continuavano a rigarmi il volto e quando una
delle sue
mani si intrufolò violentemente nei miei jeans urlai con
tutta la forza che
avevo in corpo.
Mi
svegliai urlando. Ero stata
vittima di un incubo orribile e il mio corpo era scosso da forti
singhiozzi che
non riuscivo a calmare. Avevo sognato di trovarmi in paraiso tra le
braccia di
Edward per poi crollare all’inferno sotto James. La cosa
strana era che con Ed
non era accaduto nulla, ma sognare di fare l’amore con lui mi
aveva trasmesso
una sensazione di benessere mai provata prima; mentre con James era
accaduto
molte volte, sapevo quello che si provava, ma ciò che avevo
sentito in quell’incubo
era solo dolore e disgusto.
Tante
cose erano cambiate e io
ero finalmente cresciuta. Ma questi pensieri non mi avevano fatto
sentire
meglio: anzi il cuore batteva all’impazzata e il respiro era
affannoso. Senza
contare le lacrime che ormai scendevano copiose dal mio volto.
Ero
sul mio letto, al campus, con
Edward che dormiva nell’appartamento al piano di sopra:
cercai di ripetermi che
era tutto finito, che era stato solo un sogno, ma non servì.
Improvvisamente
sentii il rumore
di una porta spalancarsi e dei passi correre verso la mia stanza. Non
riuscii a
pensare né chi fosse né cosa ci facesse in casa
mia, quando la figura di Ed con
lo sguardo in preda al terrore comparve di corsa sulla soglia della mia
camera.
«
Bella cosa è successo? ».
Non
lo feci neanche finire di parlare.
Non pensai a quello che facevo o che avrebbe significato. Continuando a
piangere e con il corpo visibilmente scosso dai singhiozzi, saltai
giù dal
letto, mi precipitai verso di lui saltandogli al collo e stringendolo
con tutta
la forza che possedevo. La cosa a cui non feci caso fu la sua stretta
che
contraccambiava la mia con altrettanto ardore. Se fosse stato un
qualsiasi
momento senza disperazione, con un abbraccio così saremmo
finiti in dieci
secondi sul letto ad amarci appassionatamente. In quel frangente erano
solo due
persone terrorizzate che si stavano confortando.
«
Dio Bella ti ho sentito urlare,
cosa è successo? è stato
agghiacciante…»
Cercai
di essere molto sincera
con lui: «
Ho avuto un incubo…con James
che mi…faceva del male»
«
Sono qui io ora – mi disse
senza lasciare la presa e appoggiando il mento sui miei capelli
– cerca di
calmarti, tremi come una foglia: vieni devi coprirti».
Non
mollai la presa: « ti prego
stringimi ancora, non ce la faccio ad allontanarmi da te ora »
«
Non me ne vado vieni ».
Mantenendo
la presa mi portò sul
letto e spostando le coperte si stese e mi fece stendere accanto a
sé.
«
Respira e raccontami se vuoi
quello che hai sognato »
«
No, non voglio ricordare quello
»
«
Ma cosa ti ha fatto quell’uomo di
così terribile? ». Mi chiese visibilmente
preoccupato.
«
Non mi ha fatto nulla che io
non abbia voluto. La verità è che mi sono
innamorata della persona sbagliata
dieci anni fa, ho vissuto una vita di falsità e menzogne, ho
impiegato molto
tempo per decidere di troncare e fare la cosa giusta e ora che sento di
poter
essere felice – e istintivamente puntai lo sguardo su di lui
– ho troppa paura
che il passato ritorni». Ero ormai un fiume in piena, volevo
raccontagli la
verità, o almeno la parte meno dolorosa e non mi sarei
fermata.
«
Non devi dirmi nulla di cui non
ti senti pronta »
«
Ma lo sono e voglio farlo: ho
bisogno che tu sappia, perché sei l’unico che
può aiutarmi ».
«
Avevo vent’anni. Studiavo
all’università di Seattle e mi dilettavo a cantare
con un gruppetto di amici
con i quali facevo piano bar per racimolare qualche spicciolo. Avevo
più lavori
per mantenermi agli studi, ma quello mi dava maggiori soddisfazioni. In
fondo
dopo quasi sette anni passati a studiare musica, ero nel mio mondo.
Correva
voce che un noto
musicista della zona cercasse una corista tra le band emergenti e, non
so come,
la voce delle nostre performance gli era giunta e ce lo ritrovammo una
sera al
locale dove suonavamo. Quando lo vidi rimasi abbagliata. Non era
particolarmente
bello, ma era…virile. Era la definizione unica che mi veniva
in quel momento.
Quella sera si congratulò con me e mi propose un provino
nella sua band. Due
settimane dopo firmavo un contratto come corista, garantendomi qualche
impegno
in più, ma comunque molte soddisfazioni.
All’epoca
James era in procinto
di sposarsi, ma tra di noi nacque una splendida amicizia che capii solo
dopo
poteva essere definita amore. O meglio, due settimane prima del suo
matrimonio
mi dichiarò apertamente i suoi sentimenti. Pur essendo
lusingata non avevo mai
visto il nostro rapporto in quel senso e gli confessai stupidamente che
per me
era solo un buon amico. In realtà provavo anche io qualcosa,
ma non volevo
turbarlo alla vigilia di un passo così importante. Pensai
che fosse più la
paura di legarsi definitivamente a qualcuno, che un reale sentimento.
Quando
però si sposò capii che non potevo più
nascondere i miei sentimenti, gli
confessai il mio amore dicendogli però che non avrei
rovinato il suo
matrimonio, ma avrei piuttosto messo fine alla nostra collaborazione
musicale.
Non seppi esattamente cosa e come accade, ma ci ritrovammo a fare
l’amore,
giurandoci di non lasciarci e dando così il via alla nostra
storia.
I
primi tempi furono difficili,
ma non riuscivamo a stare lontani. James non se la sentiva di lasciare
la
moglie che aveva appena perso un bambino e io capendolo assecondai i
suoi
tempi. In fondo stava quasi più spesso con me che con lei,
per il nostro lavoro
ed ero convinta che la loro separazione fosse solo questione di
tempo».
«
La moglie non sospettò nulla? »
Mi interruppe Ed che fino a quel momento era stato in religioso
silenzio.
«
Non lo so, non credo, certo non
mi sopportava perché percepiva l’importanza della
mia presenza al fianco di suo
marito, ma mi vedeva più come un’amica impicciona
e troppo presente piuttosto
che un’amante. In fondo si diceva che anche lei lo tradisse
regolarmente,
quindi la mia coscienza si sentiva bene o almeno giustificava quello
schifo. In
realtà dentro mi odiavo perché desideravo
l’uomo di un'altra e avrei fatto di
tutto perché lui scegliesse me.
Passarono
alcuni anni in una
situazione di stallo. Io e lui continuavamo a vederci, ad amarci e
anche quando
litigavamo passavano due giorni e non resistevamo l’uno senza
l’altra: ma io cominciavo
ad essere insofferente e a chiedergli di più, o perlomeno di
decidere per l’una
o l’altra. Più volte fece il gesto di lasciarla e
poi tornava indietro
all’ultimo minuto, così io mi arrabbiavo e lo
lasciavo. Poi ci ritrovavamo a
lavorare insieme per poi finire di nuovo a letto: non era un rapporto
era una
dipendenza.
La
cosa degenerò quando la moglie
rimase incinta per la seconda volta e io scoppiai di rabbia. Mi aveva
garantito
che fra loro non c’era più nulla e invece stavano
cercando addirittura di fare
un figlio. Ricordo quel giorno e la furiosa litigata che ne
seguì. Non ci
vedemmo per quattro mesi, nei quali cercai di dimenticare e rifarmi una
vita,
ma ovunque andassi e qualsiasi cosa facessi pensavo sempre a lui, a
noi….e in
realtà mi accorsi che la mia rabbia non era dettata dal
fatto che non si
decideva a lasciare la moglie. In fondo avevo accettato per anni quella
situazione, ma era cambiato qualcosa. La verità era che
avrei voluto dargli io
quel figlio, ed ero convinta che se fossi rimasta incinta io e non lei,
non
avrebbe esitato a lasciarla».
«
Quanti anni erano passati? » Mi
chiese in quel momento.
«
Sei anni. Sei lunghi anni in
cui avevo atteso la sua scelta, mai arrivata. Ero decisa a chiudere una
volta
per tutte, ma come accadeva sempre quando mi convocò per un
tour di concerti
per locali dopo sei mesi, finimmo per tornare di nuovo insieme. Fu in
quell’occasione che cominciai a farmi schifo da sola
»
«
Non dire così, in fondo eri
innamorata »
«
No Ed, non cercare di
giustificarmi; non avevo più né onore
né dignità, ero drogata di lui e non era
più amore, ma ossessione. Si è sempre
giustificato dicendo che per quanto
poteva amarmi non riusciva a lasciare la moglie per la quale provava un
sincero
affetto e il figlio che adorava. Ho sempre accettato la cosa.
Siamo
andati avanti così tra alti
e bassi fino ad un anno e mezzo fa. Non siamo più stati
veramente insieme, ma
passavano i mesi, quelle poche occasioni lavorative che avevamo insieme
venivano prese al volo da me senza esitazione, forse nella speranza
potesse
cambiare qualcosa all’ultimo momento: ci incontravamo per un
concerto o
qualcosa di simile e finivamo di nuovo a fare sesso. Sì
perché sono convinta
che alla fine fosso solo dipendenza e sesso».
Vidi
Ed irrigidirsi. Era chiaro che
il discorso lo stesse infastidendo oltremodo, ma non sapevo quale
parte, se la
mia meschinità nell’avere una relazione con un
uomo sposato o il fatto di
essermi donata a lui in modo così totalizzante.
Non
so perché ma avevo
volutamente tralasciato tutta la storia più dolorosa, ma in
quel momento non
volevo provasse pena per me, volevo solo che sapesse.
«
E poi che è successo? » mi
chiese serio.
«
E poi dopo due mesi che non ci
vediamo si presenta da me per propormi un nuovo contratto e dirmi che
aveva una
nuova compagna e aspettava un figlio da lei. In quel momento il mio
cuore si è
frantumato. Capisci, non solo io ero l’unica donna con la
quale era stato che
non ero riuscita a dargli un figlio, nonostante lo avessi tanto
desiderato, ma
non aveva esitato a lasciare la moglie per un’altra quando
per me ha trovato
sempre una marea di giustificazioni. In quel momento ho capito che per
quanto
ci eravamo amati in passato i nostri ultimi rapporti erano stati solo
una
brutta copia dei nostri sentimenti e che forse tutto si era
naturalmente
spento. Almeno per lui. Mi ha sempre ribadito che mi avrebbe amato per
sempre,
ma che non ero la persona con la quale continuare in quel momento della
sua
vita.
Ti
confesso che i primi tempi
sono stati veramente duri. Credevo di amarlo ancora e il dolore della
separazione fu devastante; poi è subentrata la rabbia, per
il destino che non
ci aveva dato una famiglia, ma continuava a farci sbattere
l’uno contro
l’altra. Pensavo di essere “guarita”
dall’ossessione di lui, che il peggio
fosse passato e poi sei mesi fa lo incontrai ad una festa, bello come
mai, con
la nuova compagna e il figlio, con quello sguardo che ancora dopo dieci
anni
sembrava dirmi “tu sei mia” e ho capito che non lo
avevo dimenticato e che
dovevo fare qualcosa per mettere più distanza possibile tra
noi, cercando di
diminuire le possibilità di incontro e di conseguenza di
ricaderci »
«
Ma perché, pensi che avrebbe
ancora potuto farlo dopo quello che era successo?»
«
Non lo so, però la sera che lo
incontrai con la nuova compagna mi prese in disparte facendomi una
marea di
complimenti e dicendomi che in fondo la nostra storia e la nostra vita
gli
mancava e che forse se fosse tornato indietro avrebbe fatto altre
scelte.
Capisci
che quando ti senti
debole e nello stesso tempo legata ad una persona, sentirti dire
così ti fa
stare ancora peggio e nello stesso tempo continui a sperare. Quindi per
non
rischiare di cadere ancora nell’errore ho deciso per il
trasferimento ed eccomi
qua ».
Terminai
il mio discorso con un
sospiro e attesi il verdetto di Edward. Cercai di sbirciare i suoi
occhi con il
timore che avrebbe provato un tale schifo per me, da alzarsi dal letto,
uscire
da quella porta e non farsi più vedere. Invece la sua
domanda mi stupì.
«
Tu lo ami ancora? »
«
Non lo so – riuscii ad dire. Il
suo sguardo si rattristò leggermente forse si aspettava una
risposta diversa –
in realtà da qualche tempo (non specificai
che il merito era la sua costante presenza) non penso
più a lui, non mi
manca più, sono felice nella mia nuova vita, anzi certe
volte provo disprezzo
per entrambi e per
quello che abbiamo
fatto durare tanto a lungo».
«
E allora perché ti ha sconvolto
così tanto la sua mail o gli incubi su di lui? »
«
Forse perché ho paura che se
dovessi rivederlo potrei non resistere e ricadere
nell’errore, oppure perché ho
paura che potrebbe tornare e portarmi via la tranquillità
che sono riuscita a
costruirmi qui, ora, con te» . Dissi le ultime due parole
talmente piano che
probabilmente Edward non le sentii.
«
Tu vuoi farti portare via? »
«
No – dissi sincera e decisa –
ma ho paura di non essere forte abbastanza e di sentirmi
così sola da
ricaderci»
«
Ed è per questo che sei
diventata mia amica? – la conversazione stava diventando
strana – per non
sentirti sola?»
«
No è il contrario – mi alzai
dal suo petto e lo guardai negli occhi – non sento
più dolore e solitudine
perché ho incontrato te e ora niente mi sembra
più importante di questo» dissi
sinceramente.
«
Erano anni che non stavo così
bene con me stessa e con una persona e quando ho visto il suo messaggio
più che
nostalgia ho provato disgusto per il tono che sembrava dire
“io ci sono
ancora”. E io non lo voglio più : ora sto bene
come sto »
«
Allora non dovrai temere nulla.
Io ci sarò se tu vorrai e ogni volta che avrai dei dubbi
potrai parlamene in
modo che non vengano commessi altri errori che ti stravolgano
l’esistenza »
«
Non ti faccio schifo? »
domandai in modo spontaneo.
«
E perché dovresti? Eri una
donna innamorata, hai fatto le tue scelte, che si sono rivelate
sbagliate, ma
hai anche sofferto e pagato, anche per quello di cui non avevi colpa.
Credo che
il tuo purgatorio tu lo abbia già scontato. Sei una donna
molto sensibile e
forse questo ti ha portato a farti tutte quelle paranoie. Sai quanti al
tuo
posto non si sarebbero fatti scrupoli e avrebbero continuato
così, o peggio
ancora si sarebbero messi seriamente in mezzo distruggendo
più di una vita? Sei
sempre stata nell’ombra e hai atteso il tuo destino in
silenzio, e il fatto che
il tutto sia arrivato qui forse vuol dire che il tuo destino non era
con lui e
che è finalmente cominciato».
“..E
che nel mio destino ci sei
tu…”, avrei voluto dirgli, ma mi limitai a
pensarlo. In realtà le sue parole mi
avevano confortato, ma volevo essere certa che non provasse astio nei
mie
confronti per quello che ero stata: perché il suo
allontanamento sarebbe stato
ancora più devastante di quello di James, che in
realtà da tempo mi aspettavo
senza accettare.
Ora
ero pronta veramente a ricominciare
e volevo che nel farlo Ed fosse stato al mio fianco. Dovevo solo capire
in che
veci voleva farlo, come amico o come compagno.
«
Ora dormi, sarò qui al tuo
risveglio* e avremo tutto il tempo che vuoi per approfondire il
discorso e per
farti buttare fuori tutto quel dolore che hai incamerato in tanti anni.
Devi
pensare solo a sentirti viva».
E
così dicendo mi fece distendere
e cominciò ad accarezzarmi il braccio fino a farmi cadere in
uno splendido
torpore, dove potevo percepire la sua presenza e dove capii che
l’amore vero
non era quello che avevo vissuto fino ad allora, ma era quello che
forse mi
aspettava.
note:
e così Bella ci ha raccontato qualcosa del suo passato
(anche se non tutto ancora). E Edward sembra proprio averlo accettato.
alcune piccole incomprensioni però saranno all'orizzonte e
mineranno ( per poco tempo promesso) la loro fortissima amicizia
(perchè alla luce del giorno per ora ancora questa
è).
le
frasi contrassegnate dall'asterisco * sono dialoghi presi dai film
della Mayer.
grazie
ancora alle persone che seguono la storia (60, è incredibile
per me!!!!) e anche a quelle splendide che recensiscono.
ciao
|
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Capitolo 15 *** “Un momento per me” ***
Capitolo
15
“Un
momento per me”
Il
mattino dopo mi svegliai
indolenzita. Forse perché avevo dormito tutta la notte
immobile fra le braccia
di Edward (e lui poverino cosa avrebbe dovuto dire?) o
perché mi ritrovavo con
il suo braccio che mi stringeva spasmodicamente il punto vita. Quando
la
sveglia suonò mi voltai lentamente verso di lui. Lo guardai
attentamente: era
così bello mentre dormiva, che istintivamente gli accarezzai
una guancia con i
polpastrelli. In quel momento aprii gli occhi, la mia solita fortuna.
«
Buongiorno » mi disse.
Mi
resi conto solo in quel
momento che la vicinanza dei nostri corpi e la mia mano che gli
sfiorava il
viso avrebbe potuto dare adito a molte supposizioni, ma per come stavo
il quel
momento non me ne curai.
«
Buongiorno, mi dispiace di
averti svegliato» dissi sinceramente. In realtà mi
sarei soffermata in eterno a
guardarlo mentre dormiva, ma il lavoro chiamava.
«
Non ti preoccupare, devo andare
a preparare tutto per l’uscita a Londra e se non mi alzo
subito non ce la farò
mai».
Uscita
a Londra? Feci mente
locale e poi…« è vero, sei a teatro con
gli studenti del quinto anno oggi?»
«
Già » mi rispose sorridendo.
«
Grazie, e così mi dovrò sorbire
le litanie della Stanley per tutta la mattina»
«
Perché ?» mi rispose stupito,
come se non sapesse cosa mi aspettava in compagnia di quella pettegola.
«
Perché per le ore che avevo di
lezione e che tu mi hai sottratto con quest’uscita
dovrò sostenere del lavoro
burocratico in sala professori dove la nostra cara Jessica tiene le sue
conferenze
sul pettegolezzo di turno ».
Una
sonora risata uscì dalle
labbra di Ed che buttò indietro la testa scoprendo il collo.
In quel momento
una serie di pensieri non proprio consoni mi vennero in mente, ma non
potevo
continuare a bramare la sua vicinanza in quel modo. Forse non gli
interessavo
nemmeno e continuando a mangiarmelo con gli occhi non avrei ottenuto
nulla.
«
Quindi vuol dire che non ci
vedremo tutto il giorno?» dissi delusa.
«
Non so bene a che ora tornerò,
ma se non è troppo tardi posso passare così ti
racconto come è andata!»
«
Ok » dissi confortata, non
sarei stata tutto il giorno senza vederlo almeno.
«
Penso sia ora di alzarsi e
prepararsi allora ». Detto questo saltò
giù dalle coperte e solo in quel
momento notai il suo abbigliamento, non molto più casto del
mio. Dormire
abbracciati in uno stesso letto con canottiere, shorts e pantaloni da
tuta non
era proprio l’abbigliamento più consono a
mantenere una atteggiamento austero,
specie di primo mattino….
«
È tardissimo devo andare, sei
sicura di star bene? ». Era sempre così premuroso;
in realtà da quando era
entrato di prepotenza da quella porta e mi aveva stretto al suo petto i
miei
problemi si erano affievoliti, ma saperlo lontano per
un’intera giornata faceva
riaffiorare in me l’essere egoista che ero sempre stata e fui
tentata per un
attimo di farlo sentire in colpa. La parte più nobile di me
ebbe il
sopravvento.
«
Sto bene grazie, vai pure
tranquillo e ci vediamo al più presto».
Istintivamente mi alzai dal letto,
senza il minimo imbarazzo nonostante fossi ben poco vestita, mi
avvicinai a lui
e alzandomi in punta di piedi gli diedi un leggero bacio sulla guancia,
aggrappandomi leggermente alla canottiera che indossava.
Potei
giurare di aver sentito il
suo cuore aumentare i battiti, i suoi occhi fissarsi su di me, ma non
potevo
esserne sicura. Era più probabile che fosse il mio che
ballava il rock.
«
Ci puoi contare, buon
compleanno!» mi disse, rispondendo ad una domanda che avevo
ormai dimenticato.
Era sempre più evidente l’effetto che mi faceva.
Lo
sentii uscire e mi preparai
pensando alla lunga giornata che avrei avuto senza di lui.
Mentre
mi facevo la doccia mi
venne in mente un’idea che mi avrebbe dato la
possibilità di spezzare la
monotonia dei momenti senza Edward. In fondo era il mio compleanno, mi
meritavo
un regalo: sapevo che sarebbe stato difficile ottenerlo, ma tentare non
avrebbe
certo creato danno. Cercando di convincermi di questi pensieri mi
vestii e mi
diressi all’ufficio della preside.
Entrando
incontrai la signorina
Cope.
«
Buongiorno – le dissi – avrei
bisogno di parlare con la preside, mi può dire quando ha un
appuntamento
libero?»
«
Posso darle io comunicazione
intanto che chiedo la sua disponibilità?».
Per
un attimo mi chiesi se avessi
fatto la cosa giusta proponendo la mia idea anche a lei, ma in fondo
era la sua
segretaria ed ero quasi sicura che in qualsiasi modo lo avrebbe saputo.
«
Vorrei chiedere l’uso della
piscina al di fuori dell’orario degli studenti».
Mi
guardò un po’ strana, «un
attimo, attenda …» e la vidi sparire dietro la
porta dell’ufficio della
Whitmore.
Rimase
dentro solo qualche minuto
e poi uscendo mi fece cenno di entrare. Mi accomodai nel grande
ufficio, presi
respiro e alla frase “mi dica” iniziai la mia
arringa.
«
Buongiorno preside mi spiace
disturbarla, ma vorrei chiederle il permesso di usufruire della piscina
negli
orari in cui non sono presenti gli studenti: sa, ho bisogno di
allenarmi e per
motivi etici non ritengo opportuno farlo quando i miei studenti possono
vedermi».
La
preside mi squadrò e poi mi
chiese quando pensavo fosse il momento migliore e per quante volte la
settimana.
«
Vede – si giustificò – la
piscina è comunque a disposizione dei professori tutti i
sabati ed è aperta a
tutti le domeniche, quindi..»
«
Lo so… - tentai di
giustificarmi – ma io preferisco allenarmi
al mattino presto, mi dà la carica per lavorare al meglio
– le dissi accennando
il sorriso più falso e innocente che potei –
oppure la sera dopo aver terminato
il riordino della giornata. Inoltre quando nuoto tendo a monopolizzare
per
un’ora un’intera corsia e non vorrei disturbare
tutti gli altri».
Non
riuscii proprio a decifrare
la sua espressione, mi sembrava comunque stupita della mia richiesta:
« Ci
penserò su. Ora, vada a lezione e ripassi da me nella pausa
pranzo. Per quell’ora
avrò preso una decisione ».
Mi
allontanai salutandola
gentilmente e iniziai la mia mattina di lavoro. A causa
dell’assenza dei
ragazzi più grandi in uscita con Edward, mi ritrovai a fare
lezione solo per le
due ore prima del pranzo e così quando scoccò
l’una anziché recarmi a mensa mi
precipitai dalla preside per sentire il suo responso.
«
Entri pure, la preside la sta
aspettando» mi disse la segretaria, e io non me lo feci
ripetere due volte.
Mi
accomodai nell’ufficio con un
po’ di ansia e attesi che iniziasse il discorso:
«
Vede signorina Swan, il più
delle volte non sono solita concedere certe autorizzazioni agli
insegnanti, ma
devo dire che il lavoro che sta svolgendo è veramente
eccellente, i suoi
studenti hanno ottimi profitti e meritati direi, la biblioteca e il
dormitorio
sono molto ben organizzati…»
«
Anche grazie alla professoressa
Weber e al professor Cullen» ci tenni a precisare,
«
inoltre svolge tutti i suoi
compiti in modo irreprensibile e puntuale e quindi non vedo motivo di
negarle
questo privilegio»
«
la ringrazio moltissimo». Il
mio cuore faceva le capriole, finalmente avrei potuto riprendere il mio
passatempo preferito.
«
Però – mi interruppe – le devo
chiedere di rispettare alcune regole…»
«
mi dica…». A dire la verità le
sue regole mi spaventavano un po’, ma cercai di capire. Non
poteva concedere a
cuor leggero un permesso così altrimenti chissà
cos’altro avrebbero potuto
chiedergli gli altri professori.
«
Innanzi tutto dovrà firmare una
liberatoria per la scuola, sollevandoci da qualsiasi
responsabilità in caso di
problematiche insorte nel periodo in cui si fermerà nella
struttura… ».
Accennai un sì con il capo, capivo, ma toccai ferro per
scaramanzia.
«
In secondo luogo deve tenere
sempre un comportamento consono alla situazione, non intrattenendo
incontri
personali nella piscina, né con interni né
tantomeno con esterni all’istituto ».
Oddio e che pensava, che ci volessi fare le orge?
«...e questo mi porta al terzo e ultimo punto: non
dovrà darne notizia a
nessuno. Se si spargesse la voce che concediamo le strutture
scolastiche a
destra e manca non riusciremmo più a mantenere un briciolo
di organizzazione.
Quindi la verrà a prendere Black ogni qualvolta desidera
andare, le aprirà la
porta lasciandola sola e lei lo chiamerà nel momento in cui
avrà terminato. Se
le vanno bene queste condizioni le farò redigere un accordo
da firmare e lo
potrà ricevere oggi stesso da Jacob che potrà poi
mostrale il tutto».
In
realtà il dover dipendere da
Jacob non mi entusiasmava, ma sarebbe stato solo per il percorso, poi
sarei
rimasta sola, quindi accettai e me ne tornai al lavoro con entusiasmo,
dopo
aver ricevuto il suo numero di telefono.
L’unica
cosa che mi sarebbe
dispiaciuta era quella di non poterne parlare a Edward, anche
perché il
pensiero di me e lui insieme e soli in piscina mi era apparso
fugacemente più
volte durante la giornata. Intanto mi andava bene così poi
avrei visto in
futuro.
Nel
pomeriggio preparai tutte le
mie cose necessarie al nuoto e chiamai Jake dicendo che sarei andata
sulle 18.
In quel modo al rientro di Edward previsto per le venti sarei stata a
casa e
avrei potuto passare gli ultimi stralci del mio compleanno
chiacchierando con
lui. Non sarebbe stato poi così male come compleanno,
più tranquillo rispetto a
quelli passati, ma senz’altro più sereno.
Alle
diciotto in punto Jake passò
a prendermi per accompagnarmi e dopo aver tentato spudoratamente, ma
invano, di
soffermarsi con me in acqua, (“magari anche con pochi vestiti
addosso”, propose
senza neanche tanti giri di parole) mi dedicai finalmente al nuoto. Il
tempo
passò talmente in fretta, che non mi accorsi di aver fatto
tardi; erano le 21 e
se avessi tardato ancora non avrei potuto vedere Edward.
«
Grazie Jake » gli dissi quando
richiuse la porta alle nostre spalle.
«
Posso accompagnarti? » chiese
Jake.
«
No grazie, conosco la strada »
risposi un po’ scocciata.
«
Dai, solo due chiacchiere fino
al tuo dormitorio, non chiedo molto. In fondo vedo che non ti fai
problemi a
mantenere l’amicizia con Cullen, nonostante quello che ti ho
detto di lui»
«
Ti prego Jake non ricominciare,
non sono affari che ti riguardano » affrettai il passo, il
dormitorio era ormai
vicino.
«
Ok ok, quando pensi che
tornerai in piscina?»
«
Penso dopodomani, ma ti farò
sapere in anticipo, così non disturberò tuoi
eventuali impegni» cercai di
rispondere in tono non troppo duro. In fondo mi stava facendo un
piacere.
«
Ok passerò, domani con le
autorizzazioni da firmare » ormai eravamo arrivati.
«
Va bene, grazie Jake » e ci
congedammo.
Istintivamente
portai lo sguardo
alle finestre di Edward e le trovai spente. Forse aveva deciso di
andare a
dormire prima perché troppo stanco da quella giornata,
oppure per un disguido
non erano ancora rientrati; quello che fu certo però fu il
mio moto di sincero
dispiacere nel sapere che non lo avrei rivisto. Tentai di rimanere
sveglia sul
mio divano il più possibile per sentirlo rientrare, ma la
stanchezza si fece
sentire e mi addormentai senza averlo salutato.
Il
mattino dopo mi sveglia dove
mi ero addormentata. Nell’aspettare Edward non ero nemmeno
andata a letto.
Guardai l’ora: le 9.00. Oh no!! Sapevo che Edward aveva
intenzione di andare a
Londra per alcune commissioni e se non mi fossi sbrigata non sarei
riuscita a
vederlo fino a sera. Mi precipitai in bagno, quando notai un messaggio
nel
telefono.
“
Ciao Bella, ieri sera quando sono rientrato
ero distrutto. Ho bussato
ma tu non c’eri….stamattina sono partito prima,
avevo molte cose da fare. Ci
vediamo presto.”
Il
sorriso mi morì in volto. Due
giorni, due lunghissimi giorni e non lo avrei visto, ma
perché? Sapeva che avrebbe
benissimo potuto anche svegliarmi. Lo aveva fatto tante volte. Forse fu
solo un
mio pensiero, ma quel messaggio era strano.
Non
ci badai più di tanto e mi
preparai a trascorrere un sabato tranquillo e noioso. Prima o poi mi
sarei
decisa ad accompagnarlo e farmi un week-end a Londra.
La
giornata passò fra letture,
footing e internet. Non avrei sfruttato la piscina quando
c’erano tutti, visto
che avevo il privilegio di farlo in solitaria. Verso sera mi recai al
market
per un po’ di spesa. Avrei potuto cucinare qualcosa e
invitare Ed per farmi
raccontare di Londra…..
Quando
rientrai trovai Jake sulla
porta.
«
Ciao che fai qui?»
«
Sono venuto a portarti quei
documenti». Capii subito a cosa si riferiva. Non poteva
essere troppo
esplicito, in fondo la preside mi aveva chiesto riservatezza. Lo feci
accomodare, due
minuti, giusto il tempo
di leggere, firmare. Gli chiesi come stava e lo congedai. Ero troppo
ansiosa di
sentire Edward per intrattenermi ancora con lui.
Mentre
pensavo a cosa avrei
potuto preparagli mi arrivò un nuovo messaggio. “Ciao scusa, ma impegni mi hanno trattenuto a
Londra. Rimarrò
probabilmente fino a domani sera. Non aspettarmi. Ci vediamo al lavoro.
Ed”.
No,
no, no, di male in peggio.
Avrei passato un bel week-end!!
note: ok per oggi sono riuscita a postare i due
capitoli, ma in questi giorni il lavoro è un inferno e non
so quando riuscirò ancora. Intanto mettiamo un piccolo
interrogativo alla storia: non è un pò strano
l'atteggiamento di ED? tranquilli nei prossimi due capitoli si
chiarirà. spero di riuscire a postarli insieme, ma se non mi
dò da fare con i capitoli inediti finirò presto
col farvi aspettare di più.
alla prossima
|
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Capitolo 16 *** “Indifferenza” ***
Capitolo
16
“Indifferenza”
Lunedì
mattina. Un’altra
settimana iniziava. La domenica era passata nel peggiore dei modi:
avevo deciso
di sbrigare un po’ di lavoro arretrato per non dover pensare
e sfuggire ai
continui attacchi di Jake.
Finalmente
avrei potuto rivedere
Edward e sinceramente più continuavo a stargli lontana
più sentivo la necessità
di vederlo. Ma quando uscii di casa mi sembrò di vederlo
letteralmente fuggire
dal portone del nostro dormitorio e per tutto il giorno sembrava
cercare di
evadere la possibilità di incontrarmi. Era un comportamento
veramente strano.
Non riuscivo a vederlo, né nei corridoi, né nella
sua aula, sempre piena di
studenti.
L’unico
momento in cui lo
incontrai fu la sala professori: mi sorrise lievemente entrando, anche
se potei
giurare di aver visto un’ombra nel suo sguardo, ma quando
tentai di avvicinarlo
suonò la campanella e si dileguò. Possibile che
gli fosse capitato qualcosa in
quel fine settimana da farlo cambiare così tanto e tornare
anche con me così
freddo e distaccato? Non esitai, volevo risposte e lo seguii. Sapevo
che non
era molto edificante, ma non ne potevo più di non parlargli
e sentivo
l’assoluta necessità della sua presenza accanto a
me. Miracolosamente lo
raggiunsi nella sua aula ancora vuota:
«
Ehi Edward aspetta – quasi urlai
– va tutto bene?»
«
Sì perché? » mi rispose in tono
molto composto, ma molto freddo.
«
Come perché? sono tre giorni
che non ci vediamo »
«
Ho avuto molto da fare, scusa»
«
Sì ho capito, ma prima in sala
professori mi hai praticamente ignorato…»
«
Beh mi sembrava di capire che
in presenza degli altri professori non ti sarebbe piaciuto mettere
troppo in
evidenza la nostra amicizia».
Ma
che affermazione era? Sì,
certo in pubblico non ci eravamo mai lasciati andare ad abbracci e
confidenze
per non dare adito a pettegolezzi, ma da lì a ignorarmi
completamente ce ne
correva….
«
Okey, non aspettavo che mi
gettassi le braccia al collo, ma sicuramente neanche così,
è successo
qualcosa???»
«
No, cosa sarebbe dovuto
succedere? >> rispose quasi infastidito. Ma che gli stava
capitando?
Dov’era l’Edward dolce e premuroso con me?
«
Nulla, so solo che venerdì eri
troppo stanco, che ti sei fermato a Londra più del previsto
ed ora…»
«
Buongiorno professore!»
In
quel momento il vociare degli
studenti che entrava per la lezione ci interruppe.
«
Va tutto bene, ci vediamo in
giro ok?»
Non
ci potevo credere, si era
dileguato con due parole, anche poco educate. No, non andava bene,
dovevo
capire e per farlo avrei dovuto bloccarlo dove non sarebbe fuggito,
dove non mi
ero mai spinta . Lo avrei aspettato davanti alla porta di casa sua.
La
giornata lavorativa in quella
situazione fu lunghissima e anche molto noiosa. Ero talmente distratta
dalla
mia conversazione con Edward da non seguire neanche gli studenti come
avrei
dovuto e da non accorgermi che McCarthy era tornato, ma se ne era stato
tutto
il giorno zitto, senza battute, senza schiamazzi e potei giurare, quasi
senza
guardarmi mai negli occhi. Non ero proprio pronta ad affrontare un
discorso con
lui e misi in ordine le mie priorità mentalmente: prima
avrei risolto la
questione Ed.
Quello
con cui non avevo fatto i
conti erano i suoi riusciti tentativi di fuga. Nonostante lo avessi
atteso alla
sua porta circa un’ora e fossi stata in orecchio tutto il
pomeriggio, di lui
nessuna traccia. Possibile che non fosse rientrato? Che ci faceva in
giro per
il campus tutta la giornata? Mi azzardai a chiedere con Jasper, che con
un
sorrisino compiaciuto sulle labbra mi disse di non averlo visto fin dal
mattino. In realtà era stato spettatore più volte
di alcune situazioni fra noi
e ci aveva visto praticamente sempre insieme negli ultimi tempi: e ora
andavo
da lui a chiedergli notizie visibilmente preoccupata. Mi resi per un
attimo
conto che agli occhi degli estranei poteva sembrare che fra noi ci
fosse
qualcosa di più di una semplice amicizia. E in cuor mio da
qualche tempo
speravo fosse così; ma per lui? Magari essendosi accorto di
questo aveva
pensato di allontanarmi per dimostrare a tutti che fra noi in
realtà non c’era
nulla.
Oppure
era accaduto qualcosa a
Londra che gli aveva fatto cambiare atteggiamento su di noi; magari
aveva
incontrato una ex e….sinceramente da quando mi ero resa
conto dei miei
sentimenti per lui non avevo mai pensato ai suoi per me. Forse non
c’erano,
forse provava solo amicizia e si era accorto che per me non era
così e voleva
mettere distanza tra noi….eppure no, aveva degli
atteggiamenti troppo intimi …
Dovevo
darmi una calmata, o il
cervello mi sarebbe andato in fumo!!
Il
pensiero di Edward con una sua
ex di cui non sapevo nulla mi disturbò. Non avrei dovuto
avere nessuna pretesa
su di lui, ma pensarlo con qualcun’altra mi iniziava a dare
uno strano senso di
angoscia alla bocca dello stomaco. C’era poco da dire, ero
gelosa, non perché
mi stavo innamorando di lui, ma perché lo ero
già.
Ero
talmente immersa nei miei
pensieri da non accorgermi di essermi fermata davanti alla mia porta
chiusa.
Una voce alle mie spalle mi ridestò:
«
Ehi ciao Bella , tutto bene? »
Jake si stava avvicinando, ma che ci faceva praticamente a casa mia?
«
Ti ho aspettato, ma visto che
non arrivavi sono venuto a vedere se avevi cambiato
idea…» lì
per lì non compresi, poi mi ricordai che
mi avrebbe dovuto aprire la piscina.
«
Scusa Jake è che ho avuto da
fare e mi era passato di mente. Mi dispiace moltissimo, non voglio
farti
credere che tu sia a mia disposizione. Potevi benissimo tornartene a
casa»
«
Non ti preoccupare, ero
comunque nei dintorni. Se vuoi posso aspettare che tu prenda il
necessario e ti
accompagno?»
Lo
ringraziai e lo invitai ad
entrare: « Ci metto due secondi…».
Sapevo
che non era il caso di
dargli troppa confidenza, ma lui era stato gentile con me e non potevo
lasciarlo alla porta. L’importante era mantenere le distanze
e quel fastidioso
senso di oppressione che mi dettava la sua presenza sarebbe stato
alleggerito.
Cinque
minuti dopo mi presentai
pronta e con il borsone da lui che mi aveva aspettato in soggiorno.
«
Andiamo pure ».
Ci
incamminammo in silenzio verso
la piscina, lo salutai sulla porta dicendogli che sarebbe potuto
tornare dopo
un’ora. Non ero in vena quella sera, ma ormai non potevo far
fare altro visto
che Jake si era disturbato per me.
Passai
la mia ora pensando
continuamente alla mia situazione con Edward e mi resi conto che
neanche per un
attimo, da quando ci eravamo salutati la mattina del mio compleanno,
avevo
pensato a James e al mio passato, nonostante la sua mail mi avesse
turbato
tanto non più di cinque giorni prima. La mia idea era sempre
stata quella di
non legarmi più a nessuno tanto da starci male, ma il legame
con Ed in positivo
o in negativo, mi aveva fatto rimuovere tante cose dolorose. Ero quasi
convinta
che quello che provavo per lui era molto più forte di quello
che avevo provato
in passato e questa cosa mi sollevò lo spirito, anche se
avrebbe potuto
significare stare ancora peggio.
All’uscita
Jake insistette per
riaccompagnarmi, nonostante le mie pressioni di lasciare stare.
Perché
anche se lo respingevo e
gli facevo continuamente capire che non gradivo la sua amicizia e molte
volte
anche la sua presenza continuava a tampinarmi? Sembrava quasi che si
volesse
far vedere in giro con me!
Lo
salutai sul portone
impedendogli fermamente di passare e me ne entrai in casa, buttandomi
sul letto
distrutta fisicamente dalla pesante giornata e dai pensieri che mi
avevano
oppresso per tutto il tempo. Non avrei potuto continuare a seguire
Edward, se
lui non mi voleva vedere. Una stretta al cuore mi colpì al
solo pensiero di
ritrovarmi senza di lui.
L’indomani
avrei provato per
l’ultima volta a parlargli e chiarire, se avessi fallito
avrei dichiarato
forfait.
Basta
ossessioni!!
Con
questi pensieri mi distesi
sul letto e mi addormentai quasi sicura di sentire una melodia al
piano. Ed
stava suonando, ma differenza delle altre volte la sua melodia sembrava
triste.
Edward ma che ti è preso, cosa ti ho fatto?
Note:
ok alza la mano chi prenderebbe a pedate questi due uomini. uno
perchè troppo testone, l'altro troppo pedante. per fortuna
Bella è una più tosta di quello che crede e, per
ora, non cederà.
grazie
a tutti
alla
prossima
|
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Capitolo 17 *** “Gelosie e chiarimenti” ***
Capitolo
17
“Gelosie
e chiarimenti”
L’indomani
mi svegliai
tranquilla, ma rassegnata. Mi sentivo apatica e decisi di dedicarmi ai
miei
ragazzi e a me stessa per non sembrare uno zombi. Mi vestii
particolarmente
elegante e mi truccai. Quando stavo male sentivo il bisogno di
valorizzarmi per
non cadere nell’oblio.
Presi
la mia borsa da lavoro e mi
diressi alla mia aula: cercai di evitare la sala professori, ma buttai
un’occhiata dentro all’aula di musica. Vidi Edward
al piano appoggiato con i
gomiti alla tastiera. Era solo, ma visibilmente pensieroso. Mi
soffermai un
attimo a guardarlo e appena il suo sguardo incrociò il mio
gli feci un leggero
sorriso, che lui ricambiò con un timido gesto della mano.
Non era stato un
gesto di sufficienza, quanto di indecisione. Forse anche lui si stava
tormentando per come stavano andando le cose tra noi.
Entrai
in classe, chiusi gli
occhi e presi un bel respiro: per quella mattina mi sarei dedicata solo
ai miei
ragazzi. Li avevo già trascurati abbastanza.
«
Per la prossima settimana mi
piacerebbe che faceste una piccola ricerca…. – e
un “OOHHH” di protesta si levò
dalla platea – fatemi finire prima – dissi
sarcastica – sulle conoscenze che
avete dell’esoterismo».
I
miei ragazzi si guardarono
stupiti e terrorizzati: « Tranquilli non voglio instradarvi
alle messe nere, ma
vorrei affrontare il periodo dell’inquisizione da un altro
punto di vista.
Vorrei comparare ciò che si raccontava allora delle streghe,
dei demoni, dei
patti col diavolo e similari, con quello che vediamo oggi, attraverso
film,
serie, libri e racconti. Vedere quanto c’era di vero allora e
le
giustificazioni che la Chiesa ha dato sui martiri effettuati e quanto
di reale
possa esserci ora. È chiaro che non mi riferisco solamente a
esorcismo o
stregoneria. In generale nella bibliografia e filmologia moderna sono
tante le
cose definite eretiche dalla Chiesa. Facciamone un’analisi,
vediamo quante
possono essere definite valide e compariamole col passato. La storia
è questo:
un occhio critico al passato e al presente».
I
miei studenti si
tranquillizzarono un po’, anzi alcuni di loro si dimostrarono
molto entusiasti
mentre mi salutavano per uscire. Emmet rimaneva in silenzio.
Erano
già due giorni che era
rientrato: visibilmente in imbarazzo e assente con il pensiero. Non
aveva più
fatto battute e questo mi aveva fatto notare la sua presenza ancora di
più,
sebbene fossi convinta che il suo intento fosse proprio quello di
passare
inosservato.
«
Tutto bene Emmet? », chiesi
mentre sfilava per ultimo davanti alla mia cattedra.
«
Come, mi scusi?». Eh sì, era
proprio assente con la testa.
«
Emmet sei stato assente per una
settimana e ora rientri, ma sei costantemente con la testa fra le
nuvole. Non
pensare che mi manchino le tue battute, ma vorrei sapere che ti
è successo?»
«
Nulla prof. stia tranquilla,
sono solo stato malato ». C’era di più,
si capiva, ma non me ne voleva parlare.
«
Ok, ma se il problema è quello
che è accaduto la settimana scorsa, stai tranquillo.
È vero mi hai fatto
arrabbiare, ma non è per quello che mi sono sentita male.
Hai per caso passato
dei guai?»
«Insomma…»,
rispose a bassa voce.
Sospettavo che avesse preso una bella lavata di capo, ma non sapevo da
chi.
«
Cerca di buttarti tutto alle
spalle e se hai bisogno di parlare puoi contare su di me. So che non
è facile
vivere situazioni problematiche nella vita. Ormai sei un uomo, ma
comunque puoi
avere bisogno di aiuto. Siamo partiti con il piede sbagliato, ma sei un
ragazzo
intelligente e io ci ragiono con quelli come te. Se poi i problemi si
sono
sviluppati attorno a quell’episodio e hanno coinvolto anche
le late sfere –
feci il vago segno verso la presidenza – possiamo discutere e
posso ammorbidire
i termini della questione, perché come ti ho detto non
è stata interamente
colpa tua».
«
Grazie professoressa… », vidi
un lieve sorriso sul suo volto. Era molto più indifeso di
quanto dimostrasse e
la sua costante spocchiosità nei confronti
dell’adulto era sono una maschera
per salvaguardarsi.
«
Per i miei ragazzi ci sono
sempre».
Lo
lasciai uscire, poi iniziai a
raccogliere le mie cose. Uscii dall’edificio e mi recai a
passo spedito verso
casa con una sola cosa in mente. Anche io avevo bisogno di chiarirmi.
Mi
fermai davanti alla porta di
Edward e bussai. Nessuno mi rispose; Jasper era certo di non averlo
visto
passare e quindi lo avrei aspettato. Anche tutta la notte se necessario.
Ero
lì quasi da un’ora, mi ero
seduta sulle scale che andavano al terzo piano, quando finalmente lo
vidi. Dio
quanto era bello e quanto ero innamorata. Sgranò gli occhi
vedendomi lì:
«
Bella, ma cosa fai qui e da
quant’è che aspetti?»
Mi
alzai un po’ indolenzita e
minimizzai la cosa.
«
Da poco. Evidentemente da
qualche giorno l’unico modo per vederti è
aspettare che rientri..e poi non è
servito molto neanche quello»
«
Scusa è che sono stato molto
impegnato…»
«
Questo lo avevi già detto », lo
interruppi. Mi avvicinai a lui. Ero stanca, spettinata, mi ero tolta
scarpe e
giacca, ma il suo sguardo su di me mi faceva sempre sentire unica. Non
lo
lasciai continuare: « Edward che ti succede? Cosa ti ho
fatto? », chiesi con un
tono di voce molto triste
«
Niente è che…»
«
Ti prego, non ripetermi che hai
avuto da fare o mi metto ad urlare. Hai sempre trovato tempo per
vederci e
improvvisamente dalla tua uscita a Londra sei scomparso. Se ti vedi con
qualcuna e hai paura che la nostra amicizia possa darti noia, basta che
lo
dici..» non so con quale faccia mi fossero uscite quelle
parole, ma non ne
potevo veramente più. Volevo che capisse il mio stato
d’animo, volevo che
sapesse che se aveva qualcuna non avrei comunque rinunciato alla sua
amicizia:
avrei messo da parte l’amore, ma volevo essergli ancora
vicina. Non potevo
farne a meno per la mia salute mentale. Almeno non ancora, poi con il
tempo mi
sarei rassegnata.
Mi
guardò tra lo sconvolto e lo
stupito: « Io non ho incontrato proprio nessuno, è
che in questi giorni abbiamo
avuto cose da fare che non hanno implicato la presenza l’uno
per l’altra».
Era
stata una strana frase che
non capivo bene. Io non avevo fatto nulla senza di lui se non vegetare
nell’attesa di incontrarlo.
«
Io non ho avuto da fare niente
di diverso che non possa implicare anche la tua presenza»
«
Senti Bella io capisco. Siamo
vicini di casa ci frequentiamo, ma mi sembra di averti precluso la
possibilità
di vedere altre persone e fare altre amicizie ».
Non
capivo proprio dove voleva
arrivare a meno che non fosse come dicevo io. Aveva incontrato una
persona.
«
Io non voglio fare altre
amicizie. Quelle che ho mi bastano. Forse sei tu che ti sei stancato di
avere
accanto un’instabile che ha bisogno di sostegno
perché le prendono gli attacchi
d’ansia ». Questo suo parlare criptico mi stava
facendo arrabbiare. In fondo
era vero. Stando con me si era dovuto accollare i miei problemi e se
anche
all’inizio non lo aveva dimostrato forse ora cominciava a
pesargli, ma perché
non dirmelo? Perché allontanarsi così senza
spiegazioni? Questo proprio non lo
sopportavo.
«
Non dirlo assolutamente…»
«
Cosa? che sono instabile e che
tutte le persone a cui voglio bene mi allontanano dopo un
po’?» Ero veramente
arrabbiata, tanto che un grosso nodo mi si formò alla gola e
la tremenda e
familiare sensazione di mettermi a piangere mi travolse.
«
Abbassa la voce e vieni dentro».
Aprì la porta e mi fece accomodare
nell’ingresso.
«Non
ti alterare, tu non sei
stata un peso per me e quello che ho fatto l’ho fatto
perché stare con te mi
piaceva. Ho solo detto che forse sei tu che hai avuto bisogno di fare
altre
amicizie. Posso capire…»
«
Io no – chiesi sempre più
arrabbiata – a cosa ti riferisci maledizione, sii
più chiaro!!»
«
Ti ho visto con Jacob! L’ho
visto davanti alla tua porta. L’ho visto allontanarsi con te
e vi ho visti
ritornare tardi. Come li chiami tu questi? Io, appuntamenti».
Ora era lui che
si stava arrabbiando.
Mi
resi improvvisamente conto a
cosa si riferiva: le mie serate in piscina. Lui credeva mi vedessi con
Jake e
facessi chissà cosa. Per un attimo rimasi stupita,
perplessa, ma poi un lieve
sorriso mi si dipinse sul volto. Lui aveva visto, c’era
sempre stato. Forse al
buoi dietro le sue finestre, ma mi aveva cercato.
«
È per questo che mi hai
evitato? Perché pensavi che uscissi con Jake?»
«
Perché non è così?»
«
No, non lo è – mi interruppi e
spalancai gli occhi – …..sei geloso!?!?»
e uno sguardo stupito si dipinse sul
mio volto.
«
No, non lo sono », tentò di
giustificarsi abbassando lo sguardo, e io ricambiai con un enorme
sorriso.
«
Non sei geloso, ma ti ha dato
fastidio quello che hai visto…comunque ripeto, non esco, con
Black, non mi
piace, a malapena lo sopporto. Mi sta solo aiutando in una
cosa…»
«
E cosa se posso?»
Ahi!
non potevo dirgli nulla e
così avrei alimentato le sue paranoie.
«
Mi spiace, ma proprio non posso
dirtelo, ma devi credermi, tra noi non c’è
nulla»
«
Non è quello che mi ha fatto
intendere e anche vedendovi….» aggiunse
rattristandosi. Allora forse gli
importava di me, di noi, più di quanto non dava a vedere.
«
Cosa hai visto? Mmhh? due
persone che camminavano insieme parlando»
«
Lui mi ha detto che vi
frequentate e che forse finalmente avevi deciso di aprirti ad amicizie
più
salutari della nostra»
«Quando?»
dissi veramente
meravigliata.
«
Circa tre giorni fa, mentre ti
aspettava fuori dalla porta; e poi vi ho visti uscire altre tre volte
insieme e
…»
Adesso
capivo il perché mi fosse
venuto a cercare a casa e perché insisteva sempre per
riaccompagnarmi. Stava
cercando di instillare il dubbio in Edward, in modo che mi allontanassi
da lui.
Ma lo odiava così tanto da fargli il vuoto attorno? E usare
me come sua arma?
No, non lo avrei permesso. Mi avrebbe sentito al più presto.
Mi
avvicinai a lui e gli presi le
mani: « Ti posso assicurare che non ha niente a che vedere
con quello che Jake
ti ha voluto far credere. Tutto quello che ti ha detto lo ha fatto solo
per
provocarti e visto che ti odia come dici, per farti arrabbiare, sapendo
l’amicizia che c’era fra noi»
«
E allora perché te ne vai in giro
con lui?», mi disse facendo un passo verso di me.
Abbassai
lo sguardo, non potevo
parlargliene, lo avevo garantito alla preside. Avrei potuto passare dei
guai,
ma se non lo avessi detto forse lo avrei perso.
«
Io Ed…., fidati non è nulla di
che»
«
Ti prego dimmelo », mi
interruppe. Non si fidava di me in fondo.
«
No, io non posso….»
«
Come non puoi? ma cosa diavolo
succede?». Alzò la voce infuriato per il mio
mutismo. A quel punto arrabbiata
come lui risposi a tono e confessai:
«
Mi apre la piscina di sera! Ho
ottenuto il permesso per un uso personale in determinati orari, ma a
patto che
Jake apra e chiuda e nessuno sappia niente. Ok?». Ero
veramente furiosa. Ora mi
sarei giocata anche il mio permesso.
Edward
spalancò gli occhi: « Dici
sul serio? Solo questo?»
«
Certo e che credevi scemo!
Oltretutto dopo che mi ha aperto lo mando via e lo richiamo solo quando
sono
pronta per uscire». Sapevo di averlo appena insultato, ma
forse se lo era
meritato.
Mi
stupì come sempre mettendosi a
ridere: «Quello stronzo di Jake, me la pagherà
prima o poi…- si avvicinò a me e
mi prese le mani – Scusa, avrei dovuto chiedertelo subito,
invece ho creduto a
lui».
«
Domani mi sentirà – dissi con
tono serio – ma tu…bastava chiedere, invece sei
fuggito»
«
È che non volevo metterti nella
condizione di fare scelte. In fondo poteva essere un amico come tanti
altri, ma
io non lo sopporto proprio e non avrei potuto dividere la tua amicizia
con lui»
«
Io non potrei mai essere sua
amica, ci prova sempre, è pedante e insistente. Al massimo
lo tollero!!!» e
scoppiai anche io a ridere; poi senza che me ne rendessi conto mi
ritrovai tra
le sue braccia.
«
Mi sei mancata»
«
Mi raccomando, che nessuno
sappia di questa cosa o la preside mi fucilerà».
Lo guardai negli occhi, « anche
tu mi sei mancato».
Non
risposi altro e mi beai di
nuovo del suo caldo contatto.
nore: per questa volta non rischio il linciaggio
vero???? speriamo bene :):):)
per ora l'incomprensione si è sistemata, e ci godremo un
pò di tranquillità e di complicità.
ciao e grazie a tutti
|
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Capitolo 18 *** “Un regalo da raccontare” ***
Capitolo
18
“Un
regalo da raccontare”
Tutto
tornò alla normalità. Io e
Edward ricominciammo a vederci regolarmente, ad andare a lezione
insieme
infischiandocene degli sguardi degli altri professori; a passare notti
insonni
per stendere piani organizzativi mangiando schifezze sul divano;
insomma la
nostra amicizia viaggiava a gonfie vele.
Io
non avevo avuto il coraggio di
esprimere i miei sentimenti e forse non sarei mai riuscita a farlo, ma
per
quanto cercassi di non farci caso il suo comportamento quando eravamo
soli o
passava Jacob nei paraggi era cambiato. Era ancora più
possessivo nei miei
confronti, era dolce e non perdeva occasione per sfiorarmi e guardami
con quei
suoi splendidi occhi.
Possibile
che ricambiasse i miei
sentimenti, ma che fossimo così tanto terrorizzati
all’idea di aprirci l’uno
con l’altra?
Possibile
sì: in realtà io gli
avevo confessato la maggior parte dei miei problemi con il passato, ma
di lui
non sapevo quasi nulla, se non che aveva avuto problemi con una ex
ragazza.
Molto poco per poter dire di essere aperti l’uno
all’altro. Ultimamente però
stavo così bene con me stessa e con lui che non volevo certo
pormi il problema.
Erano
passate più di due
settimane dalla nostra incomprensione circa la mai presunta amicizia
con Black
e io non avevo più voluto, né fortunatamente
avuto modo di incoraggiarlo ad
avvicinarmi e anche lui si era tenuto alla larga limitandosi ad aprirmi
la
piscina: in nessun modo volevo mettere Ed in condizione di non fidarsi
di me.
Quella
mattina però sulla porta
della sua aula gli avevo detto che quella sera sarei andata a nuotare e
non mi
avrebbe dovuto aspettare. Notai in lui uno strano comportamento,
sfuggevole, un
misto tra il dispiaciuto e il rassegnato. Era capitato altre volte che
gli
dessi buca per una nuotata, ma non mi aveva mai liquidato con un ok
rintanandosi nella sua aula. Possibile che ancora non si fidasse di me?
Terminata
la mia giornata lo
cercai, ma mi dissero che si era recato in presidenza qualche ora prima
e
nessuno lo aveva più visto. Non lo diedi a vedere, ma ero
seriamente
preoccupata. Che gli fosse capitato qualcosa? Ripercorsi mentalmente le
nostre
ultime ore insieme: non mi aveva detto di impegni e quindi le cose
erano due: o
era veramente risentito per la nostra serata annullata o gli era
capitato
qualcosa. Cercai di non pensarci: me ne andai a casa, sbrigai qualche
faccenda
e mi preparai per uscire.
Novembre
era arrivato e con
l’inverno ormai inoltrato, la temperatura era notevolmente
scesa, le piogge
erano sempre più frequenti e le giornate veramente brevi.
Così quando uscii per
recarmi in piscina era buio e lo sarebbe stato di più dopo
quasi due ore. La
cosa non mi preoccupava. L’istituto era un posto molto
tranquillo, vigilato e
recintato e la possibilità di fare brutti incontri a parte
studenti e quei
pochi professori che vi alloggiavano era remota. Ma non so
perché quella sera
uno strano senso di inquietudine mi aleggiava intorno: certo che la
lontananza
di Ed mi faceva proprio andare fuori di testa! Ero proprio cotta e
sperai per
un attimo, anche se sapevo che era inutile,
che non si notasse ad occhi esterni. Ma dal modo in cui si
era
avvicinato a me negli ultimi tempi, al fatto che non perdesse occasione
per
tenermi le mani, per baciami le guance o la fronte in atteggiamenti
molto più
che di amicizia, era impossibile non far trapelare i miei sentimenti.
Con
questi pensieri arrivai alla
piscina, ma qualcosa era diverso. Di solito Jake si faceva trovare
sulla porta
e aveva già acceso tutte le luci. Invece quella sera era
tutto spento. Il vento
sferzava e le nuvole stavano oscurando il piccolo spicchio di luna. Mi
guardai
intorno e poi sentii qualcuno avvicinarsi: sobbalzai e lanciai un
piccolo
grido.
«
Ciao Bella scusa il ritardo».
Il senso di disagio alle parole di Jake era ormai una costante. Avrei
dato
qualsiasi cosa per non dover più dipendere da lui, ma sapevo
che non era
possibile.
«
Ciao Jake – cercai di mantenere
le distanze – non c’è problema, sono
appena arrivata».
Mi
aprì il portone facendomi
entrare, ma anziché accendere la luce mi chiuse la porta
alle spalle. Mi sentii
tirare da un braccio e colpii la porta con la schiena. Un gemito di
dolore mi
uscii dalla bocca.
«
Ma Jake sei impazzito? Potevi
farmi male sul serio, che ti prende?». Lo vedevo a malapena.
Trapelava solo un
po’ di luce dei lampioni dalle finestre.
«
Scusa io non volevo – la sua
voce era dura, affannosa. Sembrava stesse cercando di trattenersi
– non avevo
più altro modo di dirtelo se non così. Bella tu
mi piaci, e non sopporto più di
vederti con quello stronzo di Cullen. Io ti voglio e ti prego aspetta
prima di
dirmi di no….».
Mi
aveva bloccato con la schiena
alla porta, non mi guardava, la testa era bassa, ma le braccia tese
creavano
una gabbia tra le mie spalle. Era molto più alto e
più forte di me. Se avesse
voluto farmi del male non avrei potuto reagire: ma non potevo credere
al
peggio. Non avrebbe mai tentato nulla che potesse mettere anche solo in
cattiva
luce il suo nome e quello della scuola. Questi pensieri però
non riuscirono a
tranquillizzarmi e cercai di parlagli evitando di farlo innervosire:
«
Jake scusa io non voglio
mancarti di rispetto, ma non sono interessata a te, né come
amico né come
altro. Scusa »
«
Perché con Cullen sì e con me
no? Tu non sai quello che fa alle donne lui: ha distrutto
più di una vita,
inclusa la mia. Tu sei così dolce e determinata, non ti
meriti una persona
così». Sembrava quasi che stesse per mettersi a
piangere e fui quasi certa in
quel momento che non mi avrebbe fatto del male.
«
Jake io e Ed siamo amici e
comunque nulla di quello che puoi dire mi interessa. Non so bene cosa
sia
successo fra voi e non entro nel merito, ma per favore
smetti di provarci con me solo per dare noia
a lui»
«
Non è così: tu mi piaci…»
«
Non credo, credo di piacerti
perché sono legata ad Edward.. » non mi resi
neanche conto che le parole che
avevo usato facevano un quadro di un rapporto che andava ben oltre
l’amicizia.
«
Sei innamorata di lui?»
«
Jake siamo solo amici te l’ho
detto e comunque non sarebbero affari tuoi. Ora per favore lasciami e
fammi
andare a nuotare». Mi ero tranquillizzata e anche lui visto
che abbassò le
braccia
«
Scusa»
«No,
scusa tu: credo di aver
approfittato troppo della tua gentilezza », dissi cercando di
tranquillizzarlo,
facendogli capire che non ce l’avevo con lui anche se in
realtà lo avrei
strozzato per il veleno che sputava contro Edward, « credo
che rinuncerò alle
serate in piscina se la cosa ti infastidisce o ti turba»
«
No, non devi farlo!»
«
Jake sinceramente se
accompagnarmi deve darti l’autorizzazione a provarci ogni
volta con me, penso
sia meglio eliminare le occasioni»
«
È solo che pensavo…»
«
Ti ha detto di lasciar perdere
o sbaglio? », Jake si sostò di colpo, ma cosa ci
faceva Ed qui?
«
Cosa vuoi Cullen? »
«
Ti ha detto di lasciarla andare
e ti ha detto che non ha più bisogno di te. Non credere che
la tua parentela
con la preside ti precluda guai se molesti una delle sue
insegnanti». La sua
voce era dura, ferma, non avrebbe concesso repliche.
«
Non sono io che molesto le
donne…»
«
Basta, tutti e due! –
intervenni io – direi che dobbiamo chiudere questa spiacevole
conversazione,
resettare
e da domani salutarci
cordialmente come tutte le altre volte».
Jake
mi guardò e poi scoccò un’occhiata
di disprezzo a Ed: «tu non puoi stare qui!»
«
Da stasera sì, e ora puoi
andare, penserò io a chiudere».
Non
capivo cosa stava succedendo,
gli vidi solo passare un foglio a Jake, che lo lesse con attenzione e
se ne
andò a testa bassa sussurrandomi uno
“scusa” e bisbigliando chiaramente un “mi
pagherai anche questa bastardo”. Quando Jake fu fuori, Ed
trovò l’interruttore
della luce e lo accese: «Tutto bene?»
«
Sì, sì, mi sono un po’
spaventata, ma poi ho capito che non mi avrebbe fatto nulla, mi ha solo
infastidito, specie per il modo in cui
parla di te», dissi piano abbassando lo sguardo.
«
Non temere, ho la corazza
forte, vieni..». Mi prese le mani trasmettendomi con quel
contatto, sicurezza e
affetto e mi trascinò all’interno.
«
Mi dispiace che quel pazzo
abbia rovinato la mia sorpresa, comunque buon compleanno». In
quel momento
spalancò la porta che dava sulla vasca, dove decine di luci
accese creavano
un’atmosfera splendida.
«
Erano giorni che preso dal
rimorso per aver rovinato il tuo compleanno con le mie stupide
supposizioni, mi
scervellavo per trovare il modo per farmi perdonare e un regalo che
potesse
farti piacere. Non puoi credere quanto ho dovuto lavorare per
convincere la
preside»
«
Posso crederci, ho visto le
difficoltà che ha fatto a me, comunque grazie è
tutto splendido» dissi
seriamente commossa. Il cuore stava battendo sempre più
forte e la sua
vicinanza in un luogo così, che sapevo aveva addobbato lui
tutto per me, mi
fece aumentare i brividi sempre costanti che la sua presenza ormai mi
scaturiva.
«
Aspetta non è finita » e mi
porse una piccola scatolina.
«
Credo che se le avessi donato
il sangue sarebbe stato meno difficile»
«
A chi ti riferisci?»
«
Alla preside e a quanta fatica
ho dovuto fare per convincerla a regalarti questo. Per fortuna sembra
che io e
te siamo tra i suoi professori più integerrimi e che la
voglia di tenerci qui
la spinga a concederci qualche privilegio in più».
Non
capii molto delle sue parole.
Ero intenta a guardare ogni movimento delle sue labbra che per la prima
volta
desiderai prepotentemente sulle mie. Mi trattenni e aprii il cofanetto:
all’interno facevano bella mostra tre chiavi legate ad uno
splendido
portachiavi a forma di cuore con una fila di strass.
«Ma
cosa…»
«
Ora potrai entrare qui quando
vorrai, sono le tue chiavi e il portachiavi è un mio dono
per ricordati chi ti
ha aiutato ad avere questo privilegio. Buon compleanno».
Rimasi
sconvolta. Aveva fatto
tutto questo per me e sono sicura anche per lui. Sapermi in compagnia
di Jake
proprio non era il massimo e ora con quelle chiavi non avrei
più dovuto
dipendere da nessuno.
Poi
osservai meglio la scatola e
spalancai gli occhi: la scritta Tiffany scintillava nella parte
superiore.
Altro che strass. Quel portachiavi era d’oro e brillanti.
«
Ed ma il portachiavi…sei impazzito?»
«Ssshhh
– si avvicinò poggiandomi
delicatamente un dito sulle labbra – non dire nulla, ci
tenevo. Da quando sei
qui la mia vita è cambiata. Io mi sento diverso,
più…leggero, non so come
spiegarlo. Da tanto non penso
più al mio
passato e a quello che ….ho perso»,
abbassò lo sguardo mostrando la sua
fragilità.
«
Lo so, anche io provo le stesse
cose. Da quando sei con me non ho più avuto incertezze. Mi
hai fatto crescere,
ma questo è veramente troppo». Si
avvicinò ancora di più e mi prese le mani
parlando a pochi centimetri dal mio viso.
«
Niente è troppo per te….mi hai
ridato la serenità», ora lo vedevo veramente. Il
nostro sentimento era forte,
profondo e probabilmente era reciproco. Non so dove sarebbe sfociato e
come, ma
volevo coltivarlo senza fretta e quello che sarebbe stato si sarebbe
visto solo
aspettando. Per il momento mi sarei goduta ogni momento, ogni carezza,
ogni
sguardo…e poi se era destino un giorno saremmo stati insieme.
«
Ora devo andare » il cuore
perse un battito.
«
No aspetta, perché non ti fai
una nuotata con me?». Eh sì, il mio unico neurone
era partito per la tangente:
stavo chiaramente invitando il mio più caro amico, per il
quale provavo forti
sentimenti e per di più che era di una bellezza
sconcertante, a fare un bagno
con me. Se in quel momento mi
avesse
sentito la preside mi avrebbe radiato dal suo istituto. Altro che
comportamento
consono!
«
No, non posso. Sai l’etica ce
lo impedisce…», sorrise malizioso.
«
Parla con me, ti prego » mi
uscì sussurrato mentre lo fissavo. Avevo allungato una mano
e lo stavo
trattenendo per il braccio, nel vano tentativo di non farlo
allontanare: «Fai
come ho fatto io..liberati del passato. Solo così potrai
veramente ricominciare.
Nessuno lo sa meglio di me». Lo vidi abbassare nuovamente lo
sguardo e per un
attimo ebbi il terrore di aver detto troppo, ma poi mi sorrise e mi
tranquillizzai.
«
Fai la tua nuotata, io ti
aspetto fuori e poi parleremo un po’, ma non ti aspettare
troppo. Per me
confidarmi con qualcuno è un campo sconosciuto».
Un
sorriso soddisfatto mi nacque
sul volto. Era già un passo avanti, rispetto al suo mutismo.
«
Ok non scappare», dissi e corsi
dentro per scaricare l’adrenalina che sia
l’incontro con Jake, ma ancora di più
la vicinanza di Edward mi avevano prodotto.
Un’ora
dopo mi presentai fuori
dalla porta con il mio borsone e un mega sorriso stampato il volto. La
serata
iniziata in modo un po’ anomalo era decisamente migliorata.
« Ho spento tutte
le luci, ma chi sistemerà quello che hai preparato tu?
»
«Non
ti preoccupare, sono già
d’accordo con quelli della manutenzione. Ci penseranno
domattina prima
dell’apertura».
Ma
come faceva ad essere così.
Serio e riflessivo un momento, pazzo e spensierato il momento dopo: era
veramente unico.
«Ti
va di fare due passi? » Non
esitai. Non esitavo più da tempo con lui, la sicurezza che
mi trasmetteva mi
rendeva forte, ma allo stesso tempo debole perché
completamente dipendente
dalle sue parole. Ci incamminammo a passo lento verso il nostro
dormitorio;
erano quasi le nove e l’aria era veramente fredda. Volevamo
entrambi
allontanare al massimo il tempo in cui ci saremmo dovuti separare.
Mentre
camminavamo vicini le nostre braccia si sfioravano involontariamente e
costantemente a dimostrare quanto i nostri corpi fossero due calamite,
che
anche in una normale conversazione non riuscivano a stare lontani.
«
Che ti è successo? Perché Jacob
ti odia tanto?»
«
Non so se me la sento di
raccontarti tutto »
«
Dimmi solo quello che ti senti
per ora». Volevo solo che anche il suo animo si alleggerisse,
grazie a me.
«
Come sai, sono nato a Seattle e
mi sono trasferito a Forks quando avevo sei anni. Sono rimasto fino
alla
seconda superiore, poi per trasferimento di mio padre sono tornato a
Seattle.
La mia vita è sempre stata contraddistinta da spostamenti,
addirittura per un
anno ci siamo trasferiti in Alaska, ma una era la costante della mia
vita.
L’amicizia di Jacob Black: siamo praticamente nati e
cresciuti insieme. Suo
padre prima di rimanere su una sedia a rotelle era infermiere e faceva
di tutto
per poter lavorare con il mio: erano un team fantastico. È
per quello che siamo
sempre rimasti insieme. Dove si spostava uno c’era
l’atro e così io e Jake.
Jake
aveva, mi correggo ha una
sorella che ha sempre avuto un debole per me, ma io non l’ho
mai filata: con la
sua approvazione visto che sapeva delle mie storie e non credeva fossi
adatto a
lei. Io in fondo non ho mai provato particolare interesse: la vedevo
più come
una sorellina.
Poi
tutto è cambiato. Io sono
andato all’università e a causa
dell’incidente il padre di Jake non ha più
potuto lavorare, così Jake ha rinunciato allo studio. Siamo
rimasti amici, ma
io mi sono trasferito alla Julliard per diplomarmi in pianoforte: in
fondo è
sempre stato il mio sogno. Lui ha cercato e trovato lavoro a Seattle.
Con
la fine della scuola avevo
messo la testa a posto, mi ero impegnato al massimo, avevo il mio
titolo, avevo
chiuso da tempo con le ragazze, insomma ero cresciuto. E quando a
ventiquattro
anni tornai a casa deciso a lavorare nella mia città,
ricominciai a frequentare
Jake e in modo più assiduo anche la sorella. Mi accorsi di
essere innamorato di
lei: non era più la ragazzina che prendevamo sempre in giro.
Era una splendida
donna di ventiquattro anni e ci mettemmo
insieme.
Jake
non ha mai visto questa cosa
di buon occhio, ma vedeva la gioia di sua sorella e capiva che io ero
cambiato,
e accettò la storia. Siamo stati insieme tre anni, uscivamo
con Jake e la sua
nuova ragazza, eravamo una coppia normale poi….abbiamo
iniziato ad avere
problemi. Ci siamo allontanati e probabilmente quello che pensavo fosse
amore
era solo un profondo affetto. Rimasi con lei, perché capivo
che il nostro
allontanamento le faceva male, ma poi accadde l’inevitabile e
dopo un anno
dall’inizio dei nostri problemi ci lasciammo. Ho cercato di
condurre la mia
vita, ma il continuo sguardo accusatore di Jake mi ha portato alla
decisione di
andarmene».
Un
brivido mi scosse, non tanto
per la temperatura o per le sue parole, ma per il pensiero che in
passato si
fosse innamorato di una donna al punto da sacrificare la sua
felicità pur di
starle accanto. Mi strinsi nelle spalle e feci un lieve passo per
allontanarmi
da lui. Chiusi gli occhi e cercai con un profondo respiro di
allontanare
quell’assurda sensazione di oppressione che mi aveva
attanagliato nel sentire
“mi ero innamorato, siamo stati insieme tre
anni…”. La verità era una sola:
avrei tanto voluto poter essere io quella di cui si era innamorato.
Ed
forse notò il mio
irrigidimento, si fermò, mi chiese se andava tutto bene, e
poi, supponendo che
la mia postura fosse causata dall’abbassamento della
temperatura, mi cinse le
spalle con un braccio sfregandomi come a voler infondermi il calore
attraverso
le sue mani. Mi tranquillizzai un po’ a quel gesto
così dolce e cercai di dire
qualcosa di non troppo scontato.
«
Posso capire che ci sia rimasto
male se era molto legato a sua sorella, ma trattarti così e
rompere
un’amicizia..in fondo sono cose che possono
succedere», cercai di
giustificarlo. In fondo, rispetto alla mia storia si era comportato da
educando, non aveva certo messo in crisi matrimoni e cose varie.
«
In realtà sono successe molte
altre cose e in parte ha ragione ad odiarmi, però io non
volevo fare del male a
Leah. La verità era che quando abbiamo litigato di brutto
lei se n’è andata con
un altro e mi ha tradito. Poi è tornata da me e io ho
cercato di andare avanti
perché sapevo che i problemi fra noi l’avevano
ferita, ma poi non ce l’ho più
fatta. Ho chiuso con lei, con il fratello, mi sono cercato un lavoro
prima a
New York per un anno e poi qui con grande dolore di mia madre, che pur
capendomi, ha sempre sentito la mia mancanza. Sai è ancora
la mia mamma
chioccia».
Ero
scioccata. Jake odiava Ed per
cose di cui non era stato direttamente colpevole. I rapporti si
incrinano,
finiscono e poi in fondo era Leah che lo aveva tradito. Lui era stato
fin
troppo bravo a darle una seconda possibilità.
Ero
certa che non fosse tutto qui
quello che lo turbava, ma come me per ora si sentiva di raccontare
questo e mi
stava bene così. Cercai di cambiare argomento per
alleggerire la tensione che
si era venuta a creare.
«
Mi piacerebbe conoscere la tua
famiglia, devono essere fantastici», non so perché
fra tante cose dissi proprio
questo, ma era vero. Mi aveva raccontato cose così carine su
di loro. Conoscevo
abbastanza bene il dottor Cullen che aveva continuato a lavorare a
lungo a
Forks quando io insegnavo. Edward naturalmente era lontano per i suoi
studi e
il suo lavoro all’epoca e per questo si erano ritrasferiti a
Seattle. Era un
buon compromesso per trovarsi tutti a metà strada.
«
Sai che i miei sono tornati a
Forks da qualche mese? Hanno proposto a mio padre la dirigenza del
pronto
soccorso e non ha saputo dire di no: adora quella città. Per
lui i posti così
tranquilli sono il massimo. Seattle è sempre stata troppo
caotica».
«
Quindi ora le nostre famiglie
sono vicine di casa ?», ammisi sorridendo.
«
Già, motivo in più per tornare
insieme a Natale ». Disse queste parole con una tale gioia e
convinzione che
non potei fare a meno di sorridere e rispondere un semplice
“perché no”.
I
pezzi delle nostre vite
cominciavano finalmente a dare un quadro, ancora molto incompleto, ma
comunque
un accenno di quello che avevamo passato, subìto, causato a
noi stessi e agli
altri. Sapevo che presto saremmo riusciti a raccontarci molto di
più, ma non
eravamo ancora pronti. Il tempo avrebbe deciso per noi.
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Capitolo 19 *** “Coppia perfetta” ***
Capitolo
19
“Coppia
perfetta”
Due
sere dopo: venerdì.
Avevo
deciso di organizzarmi per
fare finalmente un giro a Londra. Non sapevo se Edward avrebbe avuto
voglia di
accompagnarmi, ma lo speravo proprio. Sapevo che la conosceva molto
bene e una
passeggiata con lui mi avrebbe reso molto più felice.
Poi
fino a quel momento mi ero
accontentata dei negozi della periferia; mi ci voleva una passeggiata
per i
negozi del centro, pur sapendo l’odio che a causa della
sorella Alice, provava
nei confronti dello shopping.
Mi
preparai un bagno degno di una
regina, con la mia essenza di lavanda nell’acqua, le candele
e l’mp3 pronto sul
bordo della vasca. Avevo sempre avuto cura del mio corpo e ora volevo
curare
anche il mio spirito.
Erano
già le 20.00. avevo
salutato Ed alle 18 e da quasi un’ora mi deliziava dal suo
appartamento con
delle splendide melodie al piano. Riusciva ad essermi vicino anche con
un
soffitto a dividerci. Mi immersi nell’acqua bollente e mi
beai delle sensazioni
che la schiuma e il profumo dell’olio infrangevano sul mio
corpo. Chiusi gli
occhi e immaginai di trovarmi tra le sue braccia: le sensazioni che mi
trasmetteva erano enfatizzate dall’ambiente che mi circondava
e dalla sua
melodia: cominciai a sognare che le sue mani, che ora percorrevano il
piano mi
accarezzassero su tutto il corpo trasmettendomi quelle sensazioni che
io non
temevo più di provare.
Aprii
gli occhi un po’ turbata,
non tanto per quello che avevo pensato, ma per il fatto che lo
desideravo più
di ogni altra cosa e non so per quanto ancora avrei potuto trattenere i
miei
sentimenti.
Uscii
dal bagno, mi
asciugai e indossai l’intimo godendomi
ancora per un po’ il calore e il profumo che il bagno aveva
sprigionato in
tutta la casa. Improvvisamente il bussare alla porta mi
ridestò:
«
Bella sono Edward, aprimi è
importante». Il cuore fece un salto, non mi preoccupai
dell’abbigliamento e mi
precipitai ad aprire pur capendo che non era una visita di cortesia:
«
Ed che succede? » per un attimo
lo vidi esitare con lo sguardo sul mio corpo, poi si riprese...
«
Un ragazzo del mio piano sta
male e sapendo che tu hai un po’ di
esperienza…».
Lo
guardai con aria veramente
stupita: « Ed veramente qui, chi ha il padre medico sei tu,
io ho solo un
semplice diploma di primo soccorso, occorrerà chiamare
qualcuno»
«
Penso di sì, ma prima forse è
meglio che tu venga a dare un’occhiata, poi decideremo il da
farsi, sai in
questi casi siamo noi i responsabili» lo guardai con un
ghigno…”bella
soddisfazione” pensai tra me.
«
Ok andiamo», ma Edward mi
bloccò sulla porta. «Scusa, ma credo che per la
salute mentale mia e degli
studenti sia meglio che tu ti vesta » e indicò il
mio corpo coperto solo da una
maglietta e un paio di pantaloncini.
Se
fossimo stati in un altro
frangente, visto il modo in cui mi guardava avrei cercato di
approfittarne per
vedere finalmente quanto interesse provava per me, ma ora non era
proprio il
momento.
Corsi
in camera senza trattenere
un sorriso di soddisfazione e tornai pochi secondi dopo con jeans, una
felpa
con ampia scollatura e scarpe da ginnastica.
«
Devo ricredermi, per la mia
salute mentale nessun abito che indossi va bene». Era in grado di fare
battute anche in un
momento di emergenza. Lo guardai storto e mi feci accompagnare nella
stanza del
ragazzo.
«Come
si chiama? » chiesi nel
tragitto, «Alec, è del terzo anno », mi
rispose. A differenza di me conosceva
tutti gli studenti perché era l’unico professore
di musica del campus. Io mi limitavo
a quelli del primo e del quinto anno.
Entrai
nella stanza del ragazzo e
mi avvicinai al suo letto, respirava affannosamente, alcuni compagni
gli erano
intorno. Poggiai una mano sulla fronte: « E’
bollente, avrà la febbre almeno a
quaranta: dobbiamo cercare di abbassarla! Serve ghiaccio, il medico
è stato
avvisato?»
«
Ha avuto problemi familiari e
non è reperibile. Ha lasciato detto di contattare questo
numero in caso di emergenze.
Credo sia l’ambulanza ». Mi rispose prontamente,
allungandomi due sacche di
ghiaccio. Guardai il ragazzo: sembrava ridotto proprio male e temevo da
un
momento all’altro che potesse avere un attacco convulsivo. Mi
era già capitato
in passato e non era stato per niente piacevole.
«
Ed penso che convenga avvertire
la preside e i
genitori: non escluderei
l’ambulanza. Ragazzi sapete cosa può essergli
successo? Ha per caso preso
qualcosa? È importante».
Nessuno
sapeva niente e mi
garantirono che non faceva uso né di alcol né di
droghe. In realtà in quel
dormitorio neanche fumavano.
Ci
dividemmo le chiamate così
come avevamo deciso dai piani organizzativi che avevamo progettato
insieme: a
me toccava la preside, a cui avrei dovuto chiedere il permesso per
l’ambulanza,
a lui la famiglia del ragazzo.
«
Signora preside mi spiace
disturbarla a quest’ora, ma temo ci sia
un’emergenza nel mio dormitorio e
dovrebbe correre…»
«
Arrivo subito signorina Swan».
Di lei si potevano dire tante cose, ma non che non tenesse ai propri
studenti.
Nell’attesa
della preside mi
riavvicinai al ragazzo; il ghiaccio non sembrava fare effetto e iniziai
ad
essere in ansia pur non dando a vedere nulla per non innervosire i
ragazzi
accorsi.
«
Ho chiamato i genitori di Alec;
come temevo c’è la segreteria, sono fuori
città per lavoro. Come ci comportiamo?».
Cercai
di ragionare a mente
fredda, anche se dentro di me tremavo all’idea di sbagliare e
arrecare ancora
più danno a quel povero studente. Anche Ed era sicuramente
molto nervoso, ma
non lo dava a vedere ancora meglio di me.
«
Io intanto direi di far
rientrare i ragazzi, la preside sarà qui tra poco e se
dovesse esserci bisogno
di un’ambulanza i corridoi devono essere sgombri e dobbiamo
evitare il panico».
Edward
molto chiaramente parlò ai
compagni del ragazzo e chiese loro di rientrare: l’indomani
avrebbero avuto
notizie. Rimasero accanto a lui solo i due compagni di stanza: nel
momento in
cui entrò la preside tutto era rientrato, ma la salute del
ragazzo mi
preoccupava.
«
Cosa pensa sia meglio fare? i
genitori non sono reperibili e il medico nemmeno..»
«
Prendete voi la decisione
migliore – disse la preside – io vi autorizzo a
qualsiasi intervento, in base alla
scala delle responsabilità». Cominciavo a sapere
molte cose dell’istituto, ma
questa ancora mi sfuggiva.
Edward
mi guardò, ero io la più
esperta in pronto soccorso e così decisi:
«Chiamiamo l’ambulanza, non voglio
rischiare; la temperatura avrebbe già dovuto iniziare a
scendere con il
ghiaccio », non se lo fece ripetere due volte e compose il
numero
allontanandosi da noi.
«
Devo dire che siete in grado di
mantenere organizzazione e calma anche nelle situazioni più
difficili. Siete
veramente la miglior coppia di professori che abbia avuto negli ultimi
anni». Mi
voltai stupita da quelle parole e
soprattutto da chi venivano, ma non feci in tempo a gongolarmi del
complimento
fatto dalla preside, che un rantolo attirò la mia
attenzione. Il ragazzo aveva
gli occhi spenti e forti spasmi stavano percuotendo il suo corpo.
«
Ha le convulsioni – gridai – Ed
aiutami presto!». Lui fu subito da me, mi aiutò a
girarlo su un fianco e
a trattenerlo in modo che non si facesse
male nei movimenti bruschi. Vidi la preside sbiancare, evidentemente
era la
prima volta che le capitava di assistere ad una cosa del genere.
In
quel momento sentimmo
l’ambulanza: «Signora preside chiami Jake, faccia
aprire i cancelli e il
portone. Dobbiamo dare loro campo libero». La preside si
affrettò a fare quello
che le avevo detto e nel giro di due
minuti medico e infermieri erano ad assistere Alec.
Si
soffermarono alcuni minuti,
somministrarono alcuni farmaci e poi si rivolsero alla Withmore.
«
Chi ha prestato il primo
soccorso?»
«
La professoressa Swan e il
professor Cullen », rispose la preside.
«
Avete svolto un ottimo lavoro,
la crisi è passata, ma sarebbe meglio ricoverarlo per questa
notte, per
verificare che sia tutto a posto e soprattutto diagnosticare la causa,
escludendo
la matrice infettiva».
«
I suoi compagni lo hanno visto
correre sotto la pioggia due sere fa», si intromise Edward.
«
È probabile sia per quello, ma
non vogliamo correre rischi visto che vive in una comunità.
Chi è responsabile
per lui? La famiglia?»
«
Sono fuori per lavoro, i
responsabili siamo noi» subentrò Edward e anche
questa cosa mi suonò nuova: gli
avrei chiesto spiegazioni una volta soli, « Fate quello che
è meglio».
«
Bene, ora lo portiamo in
ambulanza, voi potete seguirci o raggiungerci per le pratiche a
quest’indirizzo».
Era
il nominativo dell’ospedale
più vicino, ma comunque alla periferia di Londra:
« Potete stare tranquilli, il
pericolo è passato», ci tenne a precisare il
medico. Tutti tirammo un sospiro
di sollievo, aspettammo che caricassero il ragazzo e poi ci rivolgemmo
alla
preside.
«
Chi sorveglierà il dormitorio?
Se vuoi resto io », dissi rivolta ad Edward.
«
No, resterò io – ci voltammo
verso la Withmore – è meglio che entrambi siate
presenti, dovrete redigere un
rapporto, cercare la famiglia, se siete in due sarà
più facile. Il signor
Witlock mi aiuterà».
Ci
guardammo, poi vidi Ed estrarre
le chiavi della macchina: «Andiamo», disse
solamente.
Salutammo
la preside, uscimmo
nella fredda aria di novembre; Ed mi prese la mano e mi
portò ai garage.
L’ambulanza stava partendo e ci affrettammo per non perderla:
azionò il
telecomando illuminando i fari di una Volvo C30 grigio metallizzata:
incredibile, era da quasi tre mesi che lo conoscevo e non avevo mai
visto la
sua auto.
Mi
fece salire aprendomi lo
sportello e subito una sensazione di protezione mi avvolse;
nell’abitacolo
aleggiava lo stesso odore che emanava la sua pelle ogni volta che mi
era
vicino. Ero stata a casa sua solo una volta e di sfuggita e quindi non
osai
immaginare come poteva essere girare per le sue stanze e dormire nel
suo letto.
Mi
riscossi da questi pensieri
poco consoni e lo guardai. Eravamo entrambi scossi
dall’accaduto anche se
avevamo mantenuto un’ottima dose di sangue freddo; mi
sorrise, mi prese la mano
e mi chiese se ero pronta ad andare.
Avrei
voluto dirgli che con lui
sarei andata anche all’inferno, ma non lo ritenni opportuno
in quel momento e
mi limitai ad annuire:« Certo – dissi –
anche se mi ero immaginata di fare
un’uscita diversa a Londra».
Ed
mi guardò interrogativo. Certo
non gli avevo ancora esposto il mio piano, non poteva sapere della mia
idea di
passeggiata a Londra. Partì deciso e uscimmo dal cancello
dell’istituto. La sua
guida era sicura, la macchina comoda e mi persi a guardarlo,
rilassandomi sullo
schienale.
«
A cosa ti riferivi prima,
quando parlavi di uscita?».
Mi
misi a ridere, esponendogli il
mio progetto e anche lui sorrise all’idea di come invece
erano andate le cose.
«Vorrà
dire che al più presto ci
organizzeremo un week-end vero e proprio, magari nel mio appartamento,
così ci
facciamo un giro anche per musei».
«
L’idea è fantastica! », dissi
io con un tono che non lasciva spazio a supposizioni. Lo desideravo,
volevo
vedere casa sua, passeggiare con lui e magari dormire vicino a lui. Lo
so ero
egoista, sapevo che lui aveva avuto dei problemi grossi di carattere
sentimentale, quasi come i miei, ma in quel momento vedevo solo noi
due, e ci
vedevo insieme.
Il
tragitto fino all’ospedale
durò circa quindici minuti, nei quali avevo ricevuto una
telefonata dalla
preside che ci rassicurava sulla situazione al dormitorio ed ero
riuscita a
contattare i genitori del ragazzo che nel giro di due ore sarebbero
arrivati.
Giunti
in ospedale compilammo i
moduli di rito, in quanto responsabili del minore e ci sedemmo ad
aspettare
medici e famiglia.
«
Tieni, è the », mi si avvicinò
dopo essere andato a fare un giro nei corridoi e mi porse un bicchiere
di
plastica con dentro una bevanda fumante. «Scusa, ma deteinato
non c’era » e
accennò un sorriso, ricordando la nostra prima
conversazione.
«
Va benissimo, credo che stasera
mi servirà proprio così». Iniziammo a
chiacchierare del più e del meno come
facevamo di solito, quando mi venne in mente ciò che avrei
dovuto chiedergli
già prima al campus:
«
Scusa Edward, ma cosa
intendevate tu e la preside quando parlavate di responsabili e scala
delle
responsabilità?»
«
In base alle regole dell’istituto
gli adulti che vi soggiornano di notte e si assumo degli impegni, come
noi due,
sono i supervisori dei ragazzi, siamo coloro che fanno le veci dei
genitori. In
genere non serve, ma nel nostro dormitorio ci sono solo minorenni,
quindi noi
siamo i loro “genitori”. E la preside è
la mammina di tutti!» Lo guardai con
gli occhi sgranati, poi una risatina più possibile sommessa
mi riscosse dal
silenzio.
In
quel momento il medico si
avvicinò per informarci delle condizioni di salute di Alec.
Aveva avuto un
colpo di freddo, una vera e propria congestione trascurata, niente di
patologico o di infetto, ma la notte l’avrebbe passata
lì, fino all’arrivo
della famiglia. Ci disse che potevamo andare e ci avrebbe dato notizie
dirette
a scuola l’indomani.
Mentre
stavamo per uscire
dall’ospedale incontrammo i genitori del ragazzo. Spiegammo
loro l’accaduto e
che ora era tutto a posto; ci ringraziarono molto e poi ci congedarono:
uscimmo
dalla porta scorrevole ributtandoci nell’aria fredda di
Londra. Istintivamente
mi chiusi nelle spalle, ma non feci in tempo a sentire nulla,
perché le calde
braccia di Edward mi strinsero. Mi guardò negli occhi
sfregando le mani sulle
mie braccia come a volermi scaldare: era un gesto che iniziava a fare
molto
spesso. Ricambiai la stretta e lo fissai.
«
Sei stata fantastica stasera! ».
Dio quanto avrei voluto sentirgli dire quelle parole in un altro
contesto che
non riguardasse il lavoro. Mi vergognavo di me stessa ma
l’attrazione che
iniziavo a provare per lui non era solo emotiva, ma fisica. Ormai ero
sicura:
lo desideravo.
Feci
censura dei miei pensieri e
ricambiai il sorriso.
«
Anche tu lo sei stato. Siamo
una grande squadra insieme».
«
Già! » e abbassò lo sguardo
sorridendo e dirigendosi all’auto abbracciato a me.
Probabilmente
nel viaggio di
ritorno mi appisolai. Fui quasi certa di aver sentito le sue mani
scorrere sul
mio viso e nei miei sogni mi stava sussurrando un “riposa
amore mio”, ma stavo
talmente bene che non mi feci domande e mi beai di quel paradiso che,
reale o
immaginario che fosse, mi aveva circondato.
Mi
risvegliai con l’aria fredda
della notte.
«
Che ore sono?» chiesi con la
voce impastata dal sonno
«
Sono le due e siamo al campus.
Dovresti scendere dall’auto o sarò costretto a
farti dormire in garage».
Sorrisi, mi stirai e uscii dall’abitacolo. Attraversammo
velocemente il
piazzale deserto e silenzioso ed entrammo nel nostro fabbricato.
La
preside e Jasper stavano
conversando a bassa voce nella postazione all’entrata e
quando ci videro si
affrettarono per avere notizie. Li tranquillizzammo e ci congedammo per
tornare
nei nostri appartamenti.
«
Hai sonno? » mi chiese.
«
Abbastanza, perché? »
«
Ci sarebbe da redigere il
rapporto o stasera o domani, quando preferisci?»
Ero
veramente stanca, ma il
pisolino in auto mi aveva ritemprato e in più non avrei
perso l’occasione per
stare un’altra mezz’ora con lui. In fondo
l’indomani era sabato.
«
Ok », gli dissi. E mi diressi al
mio appartamento. Aprii la porta e il tepore della casa in cui
aleggiava ancora
l’odore di lavanda del mio bagno ci invase.
«
Si sta sempre così bene qui in
casa tua
– mi disse stupendomi – è
così
accogliente e poi sa…di te». Oddio e che intendeva
con quella frase! Per un
attimo lo guardai stupita e lui lo notò perché si
affrettò a correggersi: «
Volevo dire…. che quando entri qui si sente che ci vivi
tu…c’è il profumo della
tua pelle e… ». No, di male in peggio, si era
proprio impantanato!! In realtà
erano tutti complimenti che non potevano fare altro che farmi piacere,
ma non
potevo fare a meno di notare il suo sguardo imbarazzato e gongolarmi
per essere
io quella che portava l’imperterrito professor Cullen a
balbettare.
«
Non temere ho capito cosa
intendevi. Grazie » e gli sorrisi accarezzandogli una guancia
istintivamente.
Lui chiuse gli occhi e poi li aprì fissandomi serio.
«Sarà
meglio che ci mettiamo
all’opera se non volgiamo passare la notte
insonne».
Sbuffai
leggermente e ci mettemmo
al portatile a redigere un accurato verbale di quello che era accaduto
e di
come si era risolta la situazione. Sentivo la stanchezza farsi avanti.
La sua
voce era sempre più lontana e capii di essermi addormentata
solo quando le sue
forti braccia mi sollevarono e mi portarono sul letto. Ricordai solo di
aver
detto “resta con me” e poi caddi in un sonno
profondo.
Quando
mi svegliai al mattino ero
in camera, sotto le mie
coperte:
allungai un braccio e sentii un corpo accanto a me. Sotto alle coperte
con me.
Io
e Edward avevamo dormito
insieme, abbracciati l’uno all’altra e al mio
risveglio, il suo viso e la
sensazione di tranquillità che irradiava la sua presenza mi
fece sorridere; non
potei trattenermi e sicura che non mi sentisse gli sussurrai un
“ti amo” e
dentro di me pensai che non ero mai stata tanto bene in vita mia.
Note: mi scuso con tutti per non aver postato
ieri, ma sono stata fuori tutto il giorno. Rimedierò con due
capitoli stasera. Ma non fateci troppo l'abitudine!!!!!!!
grazie ancora per le recensioni splendide e per tutti quelli che
leggono e seguono questa storia. non mi stancherò mai di
dire quanto sia stupita di questo interesse per una storia nata senza
pretese, ma scritta con il cuore.
ciao
|
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Capitolo 20 *** “Conoscenze” ***
Capitolo
20
“Conoscenze”
Decisi
che era ora di alzarmi.
Scostai piano le coperte per non svegliare Edward.
È
vero, forse lasciarlo dormire
nel mio letto come se fossimo una coppia non era proprio consono, ma
vista la
lunga nottataccia e la sua gentilezza, il minimo era di lasciarlo
riposare il
più a lungo possibile.
Mi
diressi in cucina per
preparare un po’ di colazione: in realtà mentre
l’acqua del the bolliva non
feci altro che ripensare alla possibilità di non cancellare
definitivamente i
miei progetti su Londra,
agli ultimi
giorni e ai bei momenti passati in compagnia di quello che fino a
qualche tempo
prima consideravo mio amico, ma che ora era una fra le persone
più importanti
della mia vita. Poco importava se avrebbe mai ricambiato i miei
sentimenti:
solo qualche giorno prima mi ero resa disponibile ad accettare che
preferisse
un’altra a me, ma che mi rimanesse comunque vicino.
Ripensando a quelle
affermazioni mi resi conto che sarei stata disposta per lui a fare la
stessa
cosa che avevo fatto per James: stargli accanto pur sapendo di essere
il terzo
incomodo. La cosa mi faceva veramente poco onore, ma in
realtà i sentimenti che
Ed nutriva per me non erano affatto chiari, quindi potevo permettermi
di
sognare quanto volevo…e poi un’altra cosa mi fece
riflettere. Era già da tempo
che il pensiero di James e della nostra storia non mi turbava
più: non solo ci
pensavo poco, ma anche quando lo facevo non provavo più quel
dolore e
quell’angoscia che avevano contraddistinto la mia vita negli
ultimi mesi. Mi
sentivo leggera e felice e volevo rimanerlo il più possibile
e questo stava a
significare godere il più possibile della sua compagnia.
Tolsi
il bollitore dai fornelli e
mi apprestai a preparare una vassoio da portare in camera: gli avrei
dato un
risveglio piacevole, o almeno lo speravo.
Nel
mentre sentii bussare alla
porta: mi fermai per un attimo a valutare chi potesse essere alle nove
del
sabato mattina: passai i rassegna Jake, studenti nei guai e dentro di
me, da
perfetta pessimista quale ero sempre stata, valutai già
l’opzione di dover
rinunciare alla mia giornata a Londra con Edward: era proprio destino
che i
miei piani saltassero regolarmente.
Controllando
per un attimo di
essere presentabile aprii la porta senza domandare chi fosse e mi
ritrovai
davanti una ragazza splendida, dai capelli neri e gli occhi verdi; era
truccata
e vestita in modo impeccabile e non potei fare a meno per un attimo di
soffermarmi sulla sua esile, ma elegante figura. Ero certa di non
conoscerla
eppure aveva un che di familiare, forse assomigliava a qualcuno che
avevo
conosciuto in passato. Un po’ timidamente chiesi di cosa
aveva bisogno.
«
Sto cercando Edward Cullen.
Sono stata nel suo appartamento e non c’era. Ho chiesto al
custode e mi ha
detto che questa notte c’è stata una piccola
emergenza e poteva essere qui».
Sgranai gli occhi non so nemmeno se per l’imbarazzo di
trovarmi di fronte ad
una sconosciuta che chiedeva di Ed, se perché Jasper e
chissà quanti altri
oltre a lui supponevano che ci frequentassimo in modo così
evidente o perché
mi sembrava di leggere nello sguardo
di quella ragazza una nota di disappunto all’idea di trovarlo
a casa mia.
«
Sì, è qui, chi devo dire? ».
Non fece in tempo a rispondermi che udii una voce alle spalle.
«
Che ci fai tu qui? ». Il tono di
Edward era stupito, quasi scocciato, ma la mia mente fu catturata
subito dopo
dal suo aspetto e probabilmente la mia espressione non lasciava adito a
molti
dubbi sui miei sentimenti; d’altra parte si era presentato
dietro di me in
maglietta e jeans sbottonati, i capelli più ribelli che mai
torturati dalle sue
splendide mani da pianista e la voce roca, probabilmente ancora
impastata dal
sonno, ma tremendamente sexy.
«
Veramente sono io che chiedo a
te che ci fai in un appartamento che non è il tuo?
» ribatté la ragazza dalla
soglia della mia porta, lanciandomi uno strano sguardo. Mi scostai per
farla
entrare anche se ero convinta che dalla grinta che dimostrava mi
avrebbe potuto
scaraventare di lato, se quello fosse stato il suo intento.
«
Ti ripeto che ci fai qui? Vuoi
farti cacciare per aver infranto le regole del codice etico?
». Sembrava si
stesse arrabbiando.
«Non
sono affari tuoi, innanzi
tutto, e poi non dovevi essere a Parigi ancora per questa
settimana?».
Li
osservai attentamente, capii
che si dovevano conoscere molto bene e che mi stavano bellamente
escludendo
dalla loro conversazione.
Improvvisamente
però, quando
sembrava che la conversazione potesse degenerare, la ragazza fece un
grande
sorriso e si buttò con le braccia al collo di Edward che con
mio grande dolore
ricambiò la stretta: « La verità
è che mi mancavi troppo e ho anticipato il
viaggio di un paio di settimane e a quanto pare sono arrivata in tempo
per
toglierti dai guai …» e questa volta ero sicura
che mi avesse lanciato un vero
e proprio sguardo carico di odio.
In
quel momento mille
supposizioni si fecero spazio nel mio cervello, completamente svuotato
da
quello che avevo appena visto e sentito, ma la più ovvia fu
che quella doveva
essere la sua ragazza o almeno qualcuno con cui aveva una grande
confidenza e
per la quale forse non si sarebbe mai dovuto far trovare
nell’appartamento di
una donna. Potei giurare a me stessa di aver sentito il mio cuore
fermarsi per
un attimo e incrinarsi.
Iniziai
a mettere insieme alcuni
pezzi: forse era la sua ex, o qualcuno che aveva conosciuto prima di me
e il
cui legame gli impediva di esprimere apertamente i suoi sentimenti per
me,
sempre che ci fossero stati (ora più che mai mille dubbi si
fecero spazio in
me); o forse qualcuno con cui si era visto il week-end successivo al
mio
compleanno, quando avevamo passato alcuni giorni nella convinzione che
tra di
noi non sarebbe funzionato più nulla.
In
ogni caso furono tutti
pensieri negativi, avvalorati dagli sguardi incendiari di lei e da
quelli
imbarazzati di lui: pensieri che in un lampo mi riportarono nella mia
solitudine senza Edward, senza amore e amicizia, che mi fecero capire
quanto io
dipendessi da lui e quanto forte fosse quello che ormai
inequivocabilmente
provavo.
Se
non fossi stata una persona adulta
di fronte a due estranei mi
sarei
accasciata al suolo tra i singhiozzi, ma cercai di razionalizzare e di
contenermi facendo dei profondi respiri e stringendo gli occhi evitando
così
alle lacrime di uscire.
«
Anche tu mi mancavi ripose –
conficcando un ulteriore coltello nel mio cuore ormai a brandelli
– ma di che
guai stai parlando?»
«
Non pensi che farti trovare da
qualcuno che non sia io nell’appartamento di una tua
studentessa non sia
proprio consono? ».
Il
mio cervello fino a quel
momento ridotto in poltiglia si ridestò tanto da ribattere:
« Veramente sono
una professoressa, non una studentessa ».
In
quel momento odiai con tutte
le mie forze quella ragazza che era entrata in casa mia, faceva
supposizioni
poco etiche e mi voleva portare via il mio……che
pensieri facevo? Ed non era
mio, e a questo punto era chiaro il perché non lo era mai
stato e non lo
sarebbe stato.
Superato
lo stordimento iniziale
dato dalla conversazione, fui quasi tentata di vendicarmi di lei,
urlandole in
faccia il fatto che il suo ragazzo aveva più volte dormito
accanto a me,
instillandole il dubbio del tradimento, ma in realtà non ero
così subdola e in
quel momento non mi sentivo più forte di un budino, quindi
lasciai la frase in
sospeso e potrei giurare rimasi anche con la bocca semi spalancata,
proprio
come un’ebete.
Lei
mi guardò ancora più stupita,
ma nel suo sguardo c’era quasi sollievo. Si voltò
verso Edward e potei notare
il cambiamento del suo tono.
«
Allora è lei? L’isabella di cui
ci hai parlato?»
Ok,
mi ero definitivamente persa.
Questo tizio parlava di me con la sua donna: ma
che aveva? uno sdoppiamento della personalità?
«
Sì è lei – rispose Ed più
calmo, ma sempre visibilmente in imbarazzo – ieri sera
c’è stato un incidente
qui, un ragazzo si è sentito male e io e Bella in quanto
responsabili del
dormitorio ci siamo attardati per svolgere le solite mansioni
burocratiche e…ci
siamo addormentati….niente di
più…».
Con
quelle parole sprofondai di
nuovo: non solo si giustificava per l’accaduto, ma lo stava
anche minimizzando.
O era un gran bugiardo, o fino a quel momento con me era stato un gran
bravo
attore, dandomi l’impressione di essere importante per lui.
Il mio pensiero in
quel momento fu quello di buttarli fuori a calci e fargli finire la
loro
umiliante, per me , conversazione nel corridoio, ma mi sentii in dovere
di
dimostrare di essere una persona superiore e migliore di loro e
così
intervenni: « Chiedo scusa se interrompo la vostra
conversazione personale, ma
gradirei non si parlasse di me come se non esistessi, questa
è ancora casa mia
e vorrei proprio sapere chi ho davanti».
Ovviamente
non mi riferivo solo
alla ragazza, ma anche al ragazzo che fino a qualche ora prima mi
ricopriva di
attenzioni e ora tentava di giustificarsi dicendo “non
è niente”. Probabilmente
il tono con cui parlai espose tutto il mio astio, perché
entrambi si voltarono
verso di me con lo sguardo pietrificato.
«
Hai ragione scusa, mi sarei
dovuta presentare>>. Ora il tono di voce e il volto erano
più distesi e
potei giurare di aver visto un sorriso arrivare ai suoi occhi: mi tese
la mano:
« Io sono Alice…»
«
Mia sorella gemella », terminò
Edward.
Oddio!!!
Era la sorella, e io per
dieci minuti mi ero fatta tutti i film mentali di questo mondo!!Ora
capivo
perché mi ricordava qualcuno? Effettivamente se non per il
colore dei capelli
si assomigliavano veramente molto. Feci un profondo sospiro, ma mi resi
conto
che la tensione scaricata mi avrebbe quasi fatta cadere a terra.
Poi
elaborai la loro
conversazione: lei mi conosceva, lui aveva parlato di me alla sua
famiglia: la
testa iniziò a girarmi e il sangue a pompare nelle vene come
un tamburo.
Allungai
una mano titubante, era
gelida e probabilmente anche io ero cadaverica, perché
sentii Ed chiedermi se
stavo bene.
«
Piacere mio Alice, io sono
Bella», riuscii a malapena a dire.
«
Che bello conoscerti!! Mio fratello
ci ha parlato di te sai…» e mi ritrovai in un
abbraccio stritolatore. Era quasi
più piccola di me, ma la sua esuberanza era un portento.
«
Alice, ti prego!» potei
giurare che fosse imbarazzato.
«
Oh fratellino su! Finalmente ci
racconti di un’amica dopo tanti anni e vuoi che non sia
felice? Scusa se ho
pensato fossi una studentessa, sembri così giovane e sei
veramente carina – si
voltò verso di me – ma voglio troppo bene a Ed
perché si cacci in certi guai,
anche perché di solito è una persona seria e non
fa certe sciocchezze…» e gli
lanciò uno sguardo canzonatorio.
«
Vuoi chiudere quella bocca
sorellina!! » rispose lui quasi ringhiando.
«
Figuriamoci, non ci riescono
mamma e papà non lo farai certo tu; ma raccontami Bella
– disse rivolgendosi
nuovamente a me – dimmi qualcosa di te, Ed è stato
così criptico…»
«
Ma veramente non so se è il
caso…» cercò di interrompere la
conversazione, « magari Bella aveva altro da
fare, oltre che conversare con te…».
Cercai
di ridestarmi, non sapevo
se ridere o piangere per le sensazioni contrastanti di gioia, ma anche
imbarazzo che si susseguivano nel mio cuore, così cercai di
alleggerire la
situazione: « Stavo preparando la colazione, se vuoi
favorire, così ci
conosciamo un po’» . Non so bene perché
lo dissi, ma mi sentii bene all’idea di
parlare con la sorella di Edward, che fra le altre cose sapeva
già di me e mi
fece sentire che per lui contavo qualcosa.
«
Fantastico, ho una fame!». Le
feci cenno di accomodarsi in cucina e mentre lei si avviò mi
sentii trattenere.
«
Scusala è che a volte tende ad
essere un po’ troppo esuberante, non volevo metterti in
imbarazzo» mi disse con
premura.
«
Non temere va tutto bene, sono
felice di conoscere qualcosa in più della tua vita
» e gli sorrisi
sinceramente. Mi ero del tutto tranquillizzata.
«
Sei sicura di sentirti bene,
avevi uno strano sguardo prima, sembrava stessi per svenire
», disse spostandomi
una ciocca di capelli. Abbassai lo sguardo e probabilmente arrossii,
maledicendo la mia incapacità di reprimere le emozioni:
« Sì sì, tutto ok.
Vieni andiamo ». Tagliai corto, e sentii una familiare
stretta al punto vita:
Ed mi stava accompagnando in cucina e mi abbracciava, anche se in modo
molto
casto di fronte alla sorella: casa poteva significare?
Alice
era veramente una forza
della natura. In mezz’ora di colazione mi raccontò
vita, morte e miracoli della
sua famiglia guadagnandosi continui rimproveri verbali da Edward per la
sua totale
assenza di privacy. Io non potei fare a meno di sorridere e bearmi
delle
sensazioni di gioia che il carattere di Alice emanavano; inoltre vedere
Edward
Cullen in imbarazzo era una cosa rara e mi piaceva. Lo faceva sembrare
ancora
più dolce di quello che era sempre stato con me.
«
Così vivi e lavori a Parigi? »
intervenni nel tentativo di smorzare i richiami di Ed alla
conversazione.
«
Già ho studiato come stylist e
tre anni fa sono riuscita a trovare lavoro presso una casa di alta
moda. Mi
occupo della pubblicità sulle riviste. Sai non è
facile, all’inizio come
assistente e poi piano piano responsabile, ma le soddisfazioni sono
tante ».
«
Posso immaginarlo, mi
piacerebbe visitare Parigi…», mi venne spontaneo
dire così e vidi Edward
guardarmi incuriosito.
«
Beh, visto che le nostre
famiglie sono lontane potremmo vederci più spesso noi tre,
così visitereste
anche voi la mia bella città, sai non è mai
venuto a trovarmi mentre io sono
qui praticamente tutti i mesi..e poi saresti la prima ragazza da
quando…»
«
Alice piantala » questa volta
il tono di Edward era più serio. Sicuramente non voleva che
la sorella
sparlasse della sua vita privata. In fondo non poteva sapere che anche
con me aveva
detto veramente poco.
Cercai
di smorzare i toni: « Grazie
Alice, magari vedremo. Sai mi sono trasferita da poco e non so se sono
ancora
pronta per iniziare a girovagare. E poi quando potrò mi
piacerebbe tornare a
casa» .
La
conversazione durò altri dieci
minuti fino a che Alice non propose di fare un giro a Londra. Io
accettai ben
volentieri, ma lo sguardo glaciale di Edward non lasciò
presagire niente di
buono.
«
Bene, io vi aspetto giù così
possiamo andare » era veramente euforica e prima che
potessimo dire qualsiasi
cosa aveva già imboccato la porta ed era scesa per le scale.
«
Mamma mia è proprio una forza
della natura! » dissi molto spontaneamente.
«
Non sai quanto!! – mi rispose
con un tono abbastanza preoccupato – ma non sai in che guai
ti sei cacciata…»
Mi
voltai verso di lui: « Che
vuoi dire?>>, chiesi un po’ preoccupata.
«
Tu non sai, ma Alice ha una
mania compulsiva per la moda, lo shopping e tutto ciò che ne
consegue: se
speravi di passare un tranquillo week-end a Londra puoi scordartelo.
Sarà un
tour de force per negozi ».
Non
immaginavo assolutamente una
cosa del genere, anche se vedendola avrei dovuto intuirlo: cura
maniacale del
look e della persona, lavoro nella moda a Parigi. Mi voltai verso di
lui, che
mi guardava con aria abbastanza preoccupata.
«
Mi dispiace non voglio che tu
ti senta in obbligo di venire, ma lei è così
carina e sembrava così su di giri.
Spero tu non ce l’abbia con me». Mi
guardò con lo sguardo più interrogativo che
avessi mai visto: « Non pensarlo mai, dicevo che forse
potrà essere molto
pesante, ma non ti scusare; passare qualche ora con te, anche se in
balia di
quella pazza di mia sorella, è la cosa più
piacevole che potevo fare in questo
fine settimana».
Mentre
mi diceva queste parole
non smetteva di fissarmi, sorridendomi
e
accarezzandomi lievemente un avambraccio, tanto da procurarmi dei
brividi sulla
pelle ancora scoperta. In quei momenti era di una dolcezza unica e la
tentazione di stringerlo era sempre incontrollabile, soprattutto quando
mi
fissava insistentemente come a volermi interrogare l’anima.
«
Ora ti lascio – interruppe il
contatto con i miei occhi e la mia pelle, lasciando il solito vuoto
intorno a
me – dobbiamo prepararci o tra dieci minuti ce la vedremo di
nuovo irrompere
qui ». Mi sorrise e uscì dirigendosi al suo
appartamento. Mi preparai velocemente
vestendomi in modo comodo e mi precipitai giù dalle scale,
temendo di essere il
ritardo.
Quando
arrivai nell’atrio trovai
solo Alice intenta a chiacchierare con Jasper: anzi guardandola bene
non stava
proprio chiacchierando…stava flirtando. Era seduta con le
gambe accavallate
sulla scrivania di Jas e sorrideva protendendosi verso di lui. Come se
non
bastasse Jasper aveva gli occhi fissi su di lei, sorrideva
costantemente e
aveva quasi un’aria…sognante. Ma che stavano
facendo?
«
La conversazione deve essere
molto piacevole ». Una voce irruppe dietro di me. Mi voltai e
vidi Edward in
tutto il suo splendore che guardava la sorella con aria molto
interrogativa. Mi
diede quasi l’idea di volerla
proteggere.
«
Vogliamo andare o continuiamo a
perdere tempo qui?» Disse quasi con aria sprezzante. A dir la
verità Ed in
modalità fratello apprensivo proprio non ce lo vedevo, era
sempre stato molto
distaccato da tutto nei primi tempi che lo avevo conosciuto e quindi
era una
nuova veste che mi divertiva e nello stesso tempo mi procurava una
certa
tenerezza nei suoi confronti.
Uscimmo
tutti e tre dallo stabile
con non poco disappunto di Alice e ci dirigemmo all’auto.
Alice insistette per
farmi salire davanti e iniziò a parlare di tutte le cose
esistenti a questo
mondo. Al nostro arrivo a Londra, avevo le orecchie indolenzite e sia
io che Ed
ormai rispondevamo a monosillabi.
«
Bene è ora di cominciare,
abbiamo così tanto da vedere che non ci sarà
tempo neanche di respirare».
Guardai
Edward a queste parole: «
devo dedurre che non si riferisca a visite culturali vero? ».
Chiesi quasi
spaventata. Ed mi rispose tra il comico e il rassegnato:
«Puoi scommetterci
anche se per lei la moda è arte. Posso scommettere che non
riuscirò neanche
mostrarti casa mia. Ti fagociterà la giornata ».
Ok,
stavo seriamente dubitando
delle mie azioni e di aver fatto la cosa giusta a voler accettare il
suo
invito. Mi rassegnai e iniziai a seguirla nei suoi spostamenti: in
fondo un po’
di shopping sarebbe servito anche a me.
Passammo
l’intera giornata in
giro a provare, guardare, esprimere giudizi su abiti, trucchi, ma anche
soprammobili, accessori. Ogni tanto quando Alice era dentro ad un
negozio e noi
rifiutavamo di entrarci, Ed mi si avvicinava e abbracciandomi
lievemente mi
chiedeva se ancora ce la facevo. Mancavano ancora poche ore alla fine
di quella
pesante, ma proficua giornata di shopping: in fondo mi ero rifatta il
guardaroba e più di una volta mi ero beata degli sguardi di
Ed che era
costretto a dare giudizi critici, in quanto uomo, sulle nostre prove di
abiti.
Potevo giurare che il suo sguardo avesse vagato più volte
sul mio corpo in modo
non proprio amichevole e questo mi faceva veramente gongolare.
Erano
quasi le sette quando ci
incamminammo finalmente all’auto. Io e Alice eravamo qualche
passo indietro a
credo che questo l’avesse autorizzata ad avvicinarsi a me in
modo amichevole e
chiedermi, con un po’ di malizia, cosa ci fosse fra me e suo
fratello. In un
primo momento arrossii, poi quando capii che sarebbe stata felice di
una nostra
relazione provai a confessargli che per me era importante e con lui
stavo bene.
«
Sai – le dissi – ho avuto un
passato un po’ difficile e tuo fratello in questi pochi mesi
anche solo con la
sua presenza è riuscito a sollevarmi lo spirito »
e sorrisi a questa
affermazione, ma mi sconvolsi ancora di più alla sua
risposta.
«
Sai Bella, anche per lui gli
ultimi anni sono stati difficili. Io sono stata via di casa e lui ha
avuto
parecchi problemi e delusioni. È per questo che quando
l’ho visto con te e non
sapevo ancora chi eri mi sono preoccupata. Sembra un uomo forte, ma in
realtà
ha bisogno di qualcuno vicino, che gli dia fiducia nel prossimo e
soprattutto
nell’amore e non che lo prenda in giro. Da quel poco che ci
ha raccontato di
te, si sente sereno e vede la vostra amicizia in modo molto profondo.
Conosco
mio fratello e non credo sia in grado di rinunciare
a te per nessun motivo, anche se ancora non
te lo ha dimostrato. Non l’ho mai visto così negli
ultimi anni e vedo quando ti
parla come si comporta.
È
un’altra persona da quella che
è partita due anni fa e che tu hai conosciuto
all’inizio dell’anno scolastico e
credo che sia tutto merito tuo. Non voglio illuderti, ma tu mi piaci
molto e
voglio confessarti che credo sia così anche per lui, ma
è troppo combattuto per
farsi avanti, perciò non fartelo scappare: è
veramente una persona meravigliosa
».
«
Lo so » non riuscii a dire
altro a tutte quelle supposizioni: abbassai lo sguardo con un velo di
tristezza
« Tu non hai idea di quello che provo, ma vorrei andarci
piano e non farmi
illusioni. Ho già fatto e subìto troppo dolore e
per ora pur di averlo accanto
a me l’amicizia è un grande compromesso e se deve
essere destino, aspetterò».
Alice
si fermò, mi fece un grande
sorriso e mi abbracciò come se mi conoscesse da sempre:
« Spero che tutto vada
per il meglio e se così non fosse mi piacerebbe che fossimo
comunque amiche »
«
Ci puoi scommettere », mi venne
spontaneo risponderle, abbracciandola a mia volta. Sapevo di potermi
fidare e
che in lei avrei trovato una buona amica a cui confidare con il tempo
anche
quello che non ero riuscita a dire neanche al fratello.
«
Vi muovete o dobbiamo dormire
qui?» La voce senza più forze e pazienza di Ed si
fece avanti interrompendo
quel momento.
Risalimmo
sulla sua auto e
tornammo al campus: in fondo era stata una bella giornata.
L’unico neo era che
non ero potuta andare nell’appartamento londinese di Ed:
dentro di me sperai di
poterlo visitare in condizioni magari più intime, senza
sorella al seguito e
godermelo così circondata solo dalla sua presenza.
Arrivati
al campus trasferimmo le
decine di pacchetti nei nostri rispettivi appartamenti anche con
l’aiuto di
Jasper e mi offrii di cucinare per loro. Rimasi stupita quando Alice mi
chiese
se poteva invitare anche lui per gentilezza: tra quei due
c’era qualcosa e
neanche tanto celato.
Cenammo
tutti e quattro insieme,
la serata fu molto piacevole e per qualche attimo mi sembrò
proprio di essere
legata in modo profondo alle persone che erano con me in quella stanza.
Quando
mi alzai per prendere il
dessert, Edward mi raggiunse in cucina. Mi accorsi della sua presenza
perché il
suo profumo aveva riempito le mie narici ancora prima della sua vista e
quando
si avvicinò alle mie spalle sussurrando al mio orecchio e
chinandosi
leggermente verso la mia schiena, il suo respiro si infranse sul mio
collo e io
dovetti chiudere gli occhi e prendere fiato per non voltarmi e
stringerlo.
«
Secondo te fra mia sorella e
Jas c’è qualcosa?». So che mi parlava
piano per non farsi sentire dagli altri,
e che era veramente preoccupato per la sorella, ma quel tono e quella
posizione
mi fecero pensare a tutt’altro che all’interesse
fraterno e a mantenere la
riservatezza sulla nostra conversazione.
Mossi
la testa nella sua
direzione, andando incontro alle sue labbra con la fronte, come un
gattino che
cercava le fusa, e la cosa strana fu che lui non si scostò,
ma continuò a
parlare rimanendo in quella posizione: « Secondo te devo
preoccuparmi?»
«
Non lo so – gli dissi cercando
di non guardarlo o non sarei potuta essere obiettiva – Jasper
mi pare una
persona a posto e secondo me si piacciono. È la prima volta
che lo vede? »
«
No, anno scorso è venuta
quattro - cinque volte a trovarmi e potrei giurare che alla fine lo
facesse più
per vedere lui che non me».
Mi
uscì un sorriso e lo guardai:
« Beh allora credo proprio che siano cotti, ma devi essere
felice per lei; se
ha trovato la persona giusta può solo essere
felice».
I
nostri sguardi vagavano dagli
occhi alle labbra. Forse quell’affermazione l’avevo
fatta più per me che per
loro e il desiderio che avevo di baciarlo era prorompente, ma non lo
avrei mai
fatto, non prima di aver capito i suoi sentimenti per me: lo avevo
pensato e
ribadito. Preferivo essergli solo amica piuttosto che niente e avrei
aspettato
se fosse stato necessario. In fondo per una storia seria forse non ero
pronta
nemmeno io ancora.
Continuammo
a guardarci negli
occhi ancora per alcuni secondi, il suo torace era ora quasi
completamente
appoggiato alla mia schiena, le sue braccia mi circondavano i fianchi e
si
appoggiavano al banco della cucina. Io cercavo di non muovere le mani
che
reggevano la ciotola del gelato, ma la tentazione di appoggiarmi alle
sue e
accarezzarle era troppo forte. Inclinai la testa
interrompendo così il nostro pericoloso contato
visivo, ma mantenni la fronte appoggiata al suo mento.
Chiusi
gli occhi beandomi di quel
contatto quando fummo interrotti dalla voce squillante di Alice entrata
in
cucina: «Bella ti serve una mano, ops!!!»
sobbalzò vedendoci in quella posizione che non
aveva apparentemente
nulla di compromettente, ma era comunque indice di grande
complicità fra due
persone.
«
Pensavo aveste bisogno, non
tornavate». Ed si scostò da me facendo una
rotazione di 180 gradi e
appoggiandosi di schiena al bancone, con un sorriso sornione sulle
labbra, ma
visibilmente imbarazzato anche lui; io mi voltai verso sua sorella e
sicuramente rossa come un peperone le sorrisi, dicendo che era tutto ok
e
saremmo arrivati subito. Ci scambiammo una veloce occhiata e un sorriso
e quando
mi scostai dalla cucina per dirigermi in soggiorno, sentii chiaramente
la sua
mano sfiorare la mia che si staccava dal bancone dove era stata
saldamente
appoggiata fino a quel momento. Gli attimi di tenerezza fra noi
c’erano stati
quasi fin da subito, ma ora si erano intensificati e di sicuro erano
rafforzati
dai nostri sguardi e la cosa mi piaceva molto, pur lasciandomi un
po’
titubante.
La
serata terminò di lì a poco.
Eravamo tutti stanchi e un leggero mal di testa faceva capolino. Jas si
congedò
per primo e poi tocco a Ed e Alice che avrebbe dormito nel suo
appartamento.
«
Per domani che ne dite di un
bel pic-nic?». Oddio, ma dove le trovava le forze? Il
fratello rassegnato
rispose che ci avremmo pensato e che era ora di andare a dormire. Si
assicurò
che si fosse allontanata e poi mi salutò come era solito
fare negli ultimi
giorni: mi sorrise e si chinò a darmi un dolce bacio sulla
guancia che questa
volta, però si avvicinò pericolosamente
all’angolo della bocca. Io ricambiai il
bacio anche con un sorriso per dimostrargli quanto apprezzavo quei
gesti.
«
Va tutto bene? Ti ha distrutto
mia sorella? »
«
Non c’è male. Devo dire che è
stato pesante, ma illuminate. Ho solo un leggero mal di testa e con una
buona
dormita passerà. Forse domani vorresti passare la giornata
solo con lei. In
fondo vi vedete così poco».
«
Se a te non va di uscire con
lei non c’è problema », rispose
allarmato fraintendendo le mie parole. In
realtà non volevo privarli del poco tempo che avevano
insieme.
«
No, adoro Alice: pensavo solo
che avreste preferito un’uscita fra fratelli senza terzo
incomodo».
«
Non temere, tu non sei mai di
troppo, e poi credo che il terzo incomodo ci sarà lo
stesso…» e indicò il piano
di sotto dove alloggiava Jasper. Con un leggero sorriso ci congedammo,
chiusi
la porta e mi fiondai nel letto distrutta da quella pesante, ma
splendida
giornata.
note:
e così è arrivata Alice!! beh non poteva
differire troppo dall'originale che ne dite?
ciao
e alla prossima
|
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Capitolo 21 *** “Fiducia” ***
Capitolo
21
“Fiducia”
Quando
mi svegliai al mattino
il mal di testa era
aumentato anziché
diminuire e oltre a questo un dolorosissimo mal di pancia mi procurava
fastidio
e nausea. Mi svegliai per andare in bagno, lavarmi e vestirmi, quando
mi
accorsi della causa dei miei sintomi. Mi era tornato il ciclo.
Era
da un po’ che a causa dei
miei problemi passati andava e veniva e ultimamente capitava che si
presentasse
anche ogni sei mesi. Il medico mi disse che ci sarebbero state grosse
probabilità che prima o poi sarebbe scomparso del tutto e a
quel punto….non
volevo pensarci, le mie probabilità di felicità
erano veramente ridotte e non
volevo aggiungerci anche questo. Almeno ancora per il momento, con la
comparsa
saltuaria avrei avuto qualche speranza di condurre una vita normale.
A
dire la verità era la prima
volta da quando ero arrivata in Inghilterra che mi venivano, proprio
ora che
effettivamente stavo bene con me stessa e con le persone che mi
circondavano.
Forse il mio stato d’animo contava veramente.
Mi
feci una doccia veloce, ma i
dolori non accennarono a passare. Mi resi subito conto che non sarei
riuscita
ad uscire di casa quella domenica; vuoi per il dolore, vuoi per il
rischio di
emorragia a cui ero sottoposta in queste condizioni.
Mi
vestii comodamente e mi
distesi sul divano dopo aver preso un antidolorifico e un
antiemorragico. Era
un iter noto per me: due anni prima erano stati il mio pane quotidiano.
Quando
stavo per riaddormentarmi
sentii un messaggio arrivare nel telefono: “se
sei pronta tra dieci minuti siamo da te. P.s. Alice chiede se hai un
cestino
per i panini”.
Mio
malgrado non sarei stata in
grado di seguirli e avrei dovuto declinare l’invito. Mi
affrettai a malincuore
a rispondere: “Purtroppo non mi
sento
troppo bene ed è meglio che rimanga in casa. Scusatemi ma
sarà per un'altra
volta”.
Tempo
tre minuti e un altro
messaggio risuonò nella stanza: “cosa
ti
senti, ancora problemi?” Potevo sentire la sua
ansia anche attraverso il
telefono, dovevo tranquillizzarlo: “No
no, solo un mal di testa che si è acuito: con una giornata
di riposo passa
tutto tranquillo. Andate voi e divertitevi, sarà per la
prossima volta”
“Ok”. Sperai
così di averlo
convinto.
Circa
mezz’ora dopo stesa sul mio
divano stavo per appisolarmi, tra medicinali e notte quasi insonne,
quando
sentii aprire la porta e passi affrettati dirigersi verso di me.
«
Bella, santo cielo, stai bene?»
aprii leggermente gli occhi, avevo lasciato le persiane socchiuse per
non farmi
disturbare anche dalla luce del giorno, e rimasi stupita nel vedere a
fianco a
me Edward visibilmente scosso e serio in volto. Cercai di alzarmi
appoggiandomi
sui gomiti.
«
Edward che fai qui, pensavo
fossi già andato?»
«
Scusa se sono entrato così, ma
mi hai fatto spaventare con il tuo messaggio, sei sicura di stare bene?
sei
molto pallida». Era veramente spaventato, dovevo averlo
turbato con il mio
attacco d’ansia di qualche tempo prima.
«
Edward sto bene tranquillo, non
è niente di quello che pensi », cercai di
tranquillizzarlo, ero imbarazzata
all’idea di raccontargli fatti così intimi, ma dal
suo sguardo capii che se non
fossi andata un po’ più nel dettaglio non mi
avrebbe mai creduto.
«…è
solo un tipico disturbo
femminile, solo un po’ accentuato, tranquillo».
Abbassai lo sguardo sentendomi
un po’ in imbarazzo.
«
Oh! Scusa» anche lui si sentii
preso alla sprovvista dalla mia risposta «Se hai bisogno
posso mandare Alice
con Jasper e rimanere con te».
Rimasi
per un attimo interdetta:
avrebbe veramente rinunciato ad una giornata con la sorella che vedeva
ogni due
tre mesi pur di stare con me, semplicemente per tenermi compagnia???
Ero
veramente allibita e sconvolta in senso positivo.
Mi
affrettai a rispondergli: « Edward
credimi, non ci sarebbe niente di più bello che stare con
te, ma non ti sarei
comunque di compagnia, quindi vorrei che tu
andassi…veramente, e comunque
grazie per il pensiero che hai avuto, mi fai sentire sempre
così…importante».
Non riuscii più a sostenere il suo sguardo e con un lieve
sorriso abbassai gli
occhi.
«
È perché lo sei – mi rispose
lasciandomi completamente basita – allora io vado, ma se
dovessi avere bisogno
non esitare a chiamarmi e in dieci minuti sarò da te.
Andiamo solo nel parco
naturale che c’è alle porte del paese».
E così dicendo mi accarezzò
dolcemente il viso lasciandomi un tenero
bacio sulla fronte. Adoravo questo suo lato protettivo nei miei
confronti: no,
non è vero, adoravo tutto di lui.
Si
chiuse la porta alle spalle e
mi lasciai nuovamente sprofondare sul divano in attesa che i medicinali
facessero effetto.
Non
so esattamente quanto riuscii
a riposare, se un’ora o forse due, ma un fastidioso bussare
alla porta mi
svegliò di soprassalto. Alzai la testa dal divano e mi resi
subito conto che né
questa né la pancia mi dolevano più. Andai alla
porta e mi ritrovai davanti
l’ultima persona che avrei mai pensato potesse presentarsi
alla mia porta:
«
Emmet che ci fai qui?». Di
fronte a me troneggiava in tutta la sua grandezza fisica il mio
studente, che
dallo sguardo sembrava realmente imbarazzato.
«
Mi spiace disturbarla prof. Non
pensavo fosse in casa, ma mi aveva detto che se avevo
bisogno….». Lo guardai
attentamente, e in quel momento più che mai mi
sembrò un adolescente con grossi
problemi di carattere personale. Non esitai e lo feci accomodare.
«
Non è uscita oggi? È una bella
giornata anche se un po’ fredda»
«No
Emmet, non mi sentivo troppo
bene»
«
Allora me ne vado se è un
disturbo». Beh ormai tanto che c’era era inutile
farlo andar via.
«
No, resta, ora sto meglio, ma che
succede?»
«
Sa – iniziò – ho pensato molto
alle sue parole dell’altro giorno e credo proprio che avesse
ragione». Feci
mente locale di ciò che ci eravamo detti e lo lasciai
parlare. Era chiaro che
aveva voglia di sfogarsi.
Mi
raccontò della sua famiglia.
Di quanto stava bene in America, di tutti gli amici che aveva, della
sua
ragazza..e poi il trasferimento causato dalla separazione dei suoi,
l’obbligo a
seguire la madre e al patto firmato che gli imponeva di terminare gli
studi
ovunque fosse andata lei, se voleva rientrare nei benefici del suo
patrimonio.
Il suo continuo girovagare e poi il Trinity Insitute, dove, essendo
più grande
di molti studenti, era riuscito a incutere timore: in realtà
questi
atteggiamenti lo facevano sentire adulto, forte e secondo me era un
modo per
vendicarsi dell’essere succube della madre. Nei fatti era un
ragazzo
abbandonato e cresciuto troppo in fretta, ma con la
necessità di essere ancora
amato come un adolescente, dalla sua famiglia. Lo ascoltai cercando di
non dare
giudizi. Così mi avevano insegnato alle lezioni di
psicologia. Quando mi
accorsi che aveva terminato parlai:
«
Emmet hai fatto bene a parlarmi
di queste cose se ti fanno sentire bene, ma hai provato a esporre
questi
problemi a tua madre?»
«
Lei se ne infischia», il suo
tono era quasi sprezzante.
«
Non credo sia così, forse vi
siete solo allontanati – cercai di mediare – ma non
spetta a me dirti queste
cose: dopo tua madre dovresti parlare con un esperto, forse potrebbe
seriamente
aiutarti».
Continuai
a dargli qualche consiglio,
ma volevo fargli capire che il buono e il positivo doveva trovarlo
dentro se
stesso.
Sembrava
rincuorato dalla nostra
conversazione quando aprì la porta per uscire:
«Grazie prof lei è una grande:
cercherò di seguire i suoi consigli»
«
Ah Emmet – mi affrettai a dire
prima che uscisse – basta prepotenze con i tuoi compagni,
cerca di farti
rispettare per quello che sei senza sentire il bisogno di intimorirli,
e
piantale anche con le battutine sui professori. Se vuoi cambiare devi
farti
apprezzare da tutti un po’ di più. Sei un tipo a
posto e intelligente». Cercai
di concludere con un sorriso, per far sì che capisse che
avevo compreso i suoi
problemi.
Quando
Emmet se ne andò mi
sentivo meglio, i dolori erano passati e pensai che fosse una buona
idea
cercare di raggiungere gli altri. Mi vestii e uscii nel debole sole di
novembre. La temperatura era bassa , ma l’azzurro del cielo
era qualcosa da
immortalare nelle grigie giornate anglosassoni. Con le mie fidate
scarpe da
ginnastica e stretta nel giubbotto mi affrettai fuori
dall’istituto verso
l’imbocco del parco, che si trovava appena fuori dal paese.
Era una riserva
naturale veramente bella ed erano rare le giornate di cui si poteva
goderne,
visto il clima uggioso della zona.
Quando
entrai nel parco non
faticai a trovare i miei amici, le risate e la voce cristallina di
Alice si
sentivano dall’ingresso. Quando furono nel raggio
d’azione della mia vista
affrettai maggiormente il passo e quasi come se avesse percepito la mia
presenza, Edward si voltò verso di me: per un attimo rimase
imbambolato, non so
se perché non immaginava che potessi essere veramente
lì, o se perché era
felice di vedermi, poi lo vidi alzarsi, quando sul mio volto si aprii
un
sorriso e portai la mia mano in alto per un accenno di saluto.
Poi
accadde una cosa inaspettata,
si alzò di colpo dal tronco su quale era seduto e con uno
splendido sorriso
iniziò a corrermi incontro, iniziando a salutarmi a voce
alta già da lontano.
«
Bella, ciao!», urlò quasi e poi
mi fu addosso; mi abbracciò e mi sollevò
leggermente come se fossi la cosa più
bella della sua giornata: «Come stai?» mi disse
guardandomi negli occhi con uno
splendido sorriso e accarezzandomi il viso una volta che mi ebbe
riappoggiata a
terra.
«
Meglio grazie, i farmaci hanno
fatto effetto e pur essendo ancora un po’ intontita avevo
voglia di muovermi e
quindi..eccomi qua. Vi ho interrotto?».
«Assolutamente,
sono così felice
tu sia riuscita a venire». In pochi secondi mi fu aggrappata
al collo anche
Alice e tutti insieme terminammo quello splendido pomeriggio fra
chiacchiere e
risate. Verso le 17 rientrammo per aiutare Alice a prepararsi per il
viaggio di
ritorno. Ci abbracciammo con la promessa di risentirci e sperai che
Edward non
avesse sentito il suo “datti da fare”.
Quando
si salutarono non potei
fare a meno di vedere nei loro abbracci e nei loro gesti il profondo
legame che
avevano.
La
salutammo sulla porta del
dormitorio, perché, nonostante le insistenti pressioni di Ed
a farsi
accompagnare da noi, aveva optato per Jasper. Mi uscì una
piccola risatina al
ringhio di disapprovazione di Edward, ma non potei fare a meno di
essere felice
per lei.
Quando
si furono allontanati con
l’auto mi girai verso di lui e con una carezza sulla sua
guancia lo consolai: «Tranquillo
è in buone mani; sono certa che qualsiasi cosa ci sia
avrà cura di lei».
Quello
che non mi aspettai fu la
sua risposta: «Lo stesso vale per te» e con quella
frase il mio cuore ballò il
samba e il mio cervello andò letteralmente in fumo. Sarebbe
stata dura andare avanti
mortificando i miei sentimenti per lui.
note:
lo so capitolo breve e poco "illuminante". ma stasera causa lavoro e il
blocco di EFP non sono riuscita a fare di meglio. Comunque non penso
che un capitolo più tranquillo sia un male: intanto abbiamo
consciuto qualcosa di più di Emmet che nel bene o nel male
legherà la sua storia a tutti gli altri e poi........ se
tutti i capitoli incalzano finisce che questi due si mettono insieme
troppo presto .:):):):)
alla
prossima
|
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Capitolo 22 *** “Normalità e complicazioni” ***
Capitolo
22
“Normalità
e complicazioni”
La
settimana successiva passò
tranquillamente, tra lezioni, incontri tra professori e i primi
colloqui con le
famiglie degli alunni. In realtà sperai di poter parlare con
la madre di Emmet
per esporle il mio pensiero sul figlio, ma fu l’unico
familiare a non
presentarsi. Il mio timore era che questo avrebbe influito
ulteriormente sul
già fragile equilibrio del ragazzo.
A
metà settimana riuscii a
contattare mio padre che da qualche tempo era latitante alle mie mail:
mi
rispose dicendo che con l’avvicinarsi del giorno del
ringraziamento stava
tentando di organizzare una megafesta con i suoi amici di La Push, con
l’aiuto
della vedova Clearweather. In realtà sentivo mio padre
già da tempo riferirsi
sempre più spesso a Sue nelle sue conversazione e questo mi
fece pensare che
tra loro potesse esserci del tenero. Ero felice per lui. Era ora dopo
tanto
tempo e tanti sacrifici fatti per me, che riuscisse a rifarsi una vita.
Parlammo
del Natale e della
possibilità di vederci. Fu molto felice, ma tralasciai la
data del mio
eventuale arrivo e che forse sarei stata in compagnia del figlio del
dottor
Cullen.
Mio
padre non aveva mai saputo
della mia storia con James, non mi era mai sembrato il caso di
raccontargli che
la sua unica figlia si era innamorata di un uomo sposato e che,
noncurante dei
problemi insorti, aveva continuato a sbagliare nella propria vita
sentimentale
fino ad arrivare al punto di dover fuggire in un altro continente per
cercare
di non pensare troppo a lui.
Se
avesse saputo che lo avrei
raggiunto in compagnia, magari, avrebbe avuto l’impressione
sbagliata.
Gli
raccontai di come andavano le
cose, del fatto che mi trovassi molto bene, anche se ero convinta che
nel suo
tono di voce ci fosse più la speranza di sentirmi dire
“ va tutto male papà non
vedo l’ora di tornare a Forks”. In
realtà l’idea di partire e lasciare lì
Edward era troppo dolorosa e riflettendo tra me, mi resi conto che
forse avevo
provato meno dolore quando avevo dovuto lasciare l’America e
quindi James.
Gli
raccontai anche la novità
della giornata, che nemmeno Edward aveva ancora saputo: con mio grande
stupore
la preside mi aveva convocato quella mattina nel suo ufficio per
offrirmi una
nuova nomina. In realtà non era mia intenzione accettare
nessun altro incarico,
visto quello molto piacevole con Ed e quello molto faticoso con Angela,
ma
questa volta non seppi proprio dire di no. Mi aveva chiesto di fare le
sue veci
per il gruppo di ragazzi che vivevano nel mio dormitorio. Quindi avrei
dovuto
gestire le situazioni problematiche relative anche alla disciplina e
non solo
all’organizzazione come facevamo già io e Edward.
Mi sarei dovuta occupare di
richiami, sanzioni disciplinari, ma anche permessi e giustificazioni.
Lì
per lì mi spaventai, ma mi
assicurò che se fosse stato troppo avrebbe potuto
alleggerirmi del lavoro in
biblioteca. Era un impegno difficile, ma molto prestigioso per me che
ero
sempre stata solo una semplice insegnante.
Non
riuscii a dirle di no, ma mi
riservai di declinare l’incarico se fosse diventato troppo
gravoso. Dopo aver
salutato mio padre orgoglioso come non mai, mi preparai per cenare e
un’idea mi
passò per la mente: avrei potuto dare la notizia anche a
Edward invitandolo a
passare la serata da me, ma forse il pensiero che una neo assunta
potesse aver
avuto un ruolo così importante poteva disturbarlo. La
verità era che già da
qualche giorno non ci trovavamo io e lui soli a chiacchierare nella
tranquillità di casa mia e questo mi mancava.
Non
feci n tempo a formulare
questi pensieri in modo completo che un lieve bussare mi distrasse: con
il vago
presentimento di sapere chi fosse che mi disturbava di sera, corsi ad
aprire e
mi ritrovai davanti il mio adorabile professore di musica, bello come
al
solito, con in mano due cartoni di pizza.
«
Ciao mia Bella prof. », calcò
sul “bella” forse per enfatizzare non solo il mio
nome, ma anche il complimento,
«è già quasi una settimana che non ci
facciamo due chiacchiere serali, che ne
dici di condividere la pizza con me o avevi altri programmi?».
Probabilmente
il mio viso si
illuminò anche senza aprire bocca e il mio ospite si
sentì libero di varcare
la soglia prima che potessi dargli
una risposta positiva.
«
Lo sai che qualsiasi programma
potessi avere per te lascerei subito perdere».
Sapevo
che queste parole non
avrebbero dato adito a fraintendimenti, ma sinceramente stavo bene e
non avevo
più voglia di celare nulla. Se prima o poi fosse successo
qualcosa fra noi
sarebbe stato stupendo, se non si fosse mosso niente…beh ci
avrei pensato al
momento! Fino ad allora ero decisa a comportarmi come il mo cuore mi
comandava,
sempre ovviamente nei limiti della decenza e del rispetto di me stessa.
Edward
che era già entrato e mi
dava le spalle si voltò a questa mia affermazione
guardandomi e sorridendomi in
silenzio.
«
Sai, prima o poi dovrò
decidermi a invitarti anche a casa mia », si
affrettò a dirmi.
Quella
cosa mi piacque molto: non
so perché, ma con quella proposta era come se avesse deciso
di aprirmi un’altra
parte del suo mondo. Senza sembrare troppo euforica, in
realtà il cuore stava
battendo come un tamburo, gli dissi che mi sarebbe piaciuto soprattutto
vedere
il suo pianoforte, visto che fino a quel momento lo avevo solo sentito
e immaginato.
«
Sai, vedere lo strumento che ti
ispira delle melodie così belle penso che mi
emozionerebbe». Mentii; in realtà
ciò che più desideravo era vedere casa sua e
magari potermi beare della sua
vicinanza nello sgabello del piano mentre suonava per me. Probabilmente
avevo
lo sguardo oltremodo sognante, perché la sua risposta fu
molto più maliziosa
della mia:
«
In realtà per vedere lo
strumento che mi ispira la musica basta che ti guardi allo specchio, il
piano è
solo un mezzo, da quando ti ho conosciuto, per esprimere i miei stati
d’animo
quando sei o non sei con me». Si avvicinò molto a
me mentre diceva queste cose
e mi accarezzò lievemente il polso destro che aderiva alla
mia gamba. Come
spesso mi succedeva negli ultimi tempi, la sua presenza così
vicina mi
costringeva a chiudere gli occhi e a prendere profondi respiri, ma
questa volta
quando lo feci sentii la sua mano, che prima era sul mio braccio,
posarsi con
il dorso delle dita sulla mia guancia e quando mi ridestai non potei
fare altro
che perdermi in quegli splendidi occhi verdi che mi fissavano con
intensità.
Se
solo fossi stata un po’ più
sfacciata avrei azzerato la distanza fra le nostre labbra, ma non ne
ebbi il
coraggio e probabilmente anche lui, perché spezzò
il momento invitandomi a
sedere per mangiare.
La
serata passò piacevole come
sempre, fino a quando non presi coraggio e gli raccontai della mia
nomina a
vicepreside nel dormitorio. Inizialmente mi sembrò dubbioso
perché temeva che
questo mi avrebbe portato via molto tempo e quindi mi sarei stancata
ancora di
più di quanto già non fossi: come al solito la
preoccupazione per me superava
qualsiasi altra cosa. Poi però lo vidi sorridere malizioso:
«Beh ti dico la
verità, ti ci vedo proprio in quel ruolo. Sei determinata,
preparata e poi – si
avvicinò al mio orecchio e abbassò il tono di
voce – mi piacciono le donne che
prendono l’iniziativa!».
Spalancai
gli occhi: sinceramente
mi ero preparata a qualsiasi battuta, ma non ad una così
esplicita. Che cosa
voleva dire? Che se mi fossi fatta avanti io lui avrebbe accettato?
Mille idee
mi frullarono in testa.
Vedendo
il mio sguardo scoppiò a
ridere: « è la prima volta che ti lascio senza
parole, è fantastico!!».
Anche
io scoppiai a ridere e uno
“scemo” mi uscì naturale.
Terminato
di cenare si congedò da
me promettendomi che la successiva volta che avrebbe suonato a casa sua
sarebbe
stato in mia presenza. Presi l’invito come una promessa e lo
salutai sulla
porta, mentre mi lasciava un tenero bacio sul dorso della mano, che
prima aveva
insistentemente accarezzato.
Non
poteva essere solo frutto
della mia fantasia, Edward provava qualcosa per me e mi stava mandando
diversi
segnali perché io lo capissi. Il più era vedere
se e chi dei due, dopo le
brutte esperienze che avevamo passato, avrebbe avuto il coraggio di
farsi
avanti per primo.
E
così passò anche il
Ringraziamento. O perlomeno sarebbe passato se fossi stata ancora in
America.
In realtà ricordavo quel giorno come uno dei più
piacevoli, perché da quando
ero nata era l’unico momento in cui i miei genitori, ormai
separati da anni, si
incontravano e passavamo un’allegra giornata tutti insieme
come quando ero
piccola. Quest’anno non era stato così e il
Ringraziamento era passato come un
giorno qualsiasi.
Ma
avevo molto altro a cui
pensare: il mio lavoro, le mie nuove amicizie e il mio imminente
ritorno in
America per le vacanze di Natale.
Eh
sì, era ormai da una settimana
che il mio compagno di dormitorio mi invitata ad affrettarmi a prendere
una
decisione per l’acquisto dei biglietti aerei con cui saremmo
tornati in
America. In realtà io ero ancora un po’ titubante,
non perché non volessi
tornare o non volessi la sua compagnia, ma perché
presentarmi a casa dopo
cinque mesi, con tanto di seguito mi imbarazzava, principalmente agli
occhi di
mio padre. Per Ed invece la cosa sembrava la più naturale
del mondo, anzi le
mie sempre più frequenti mail e telefonate con la sorella mi
avevano già
presentato ai suoi genitori come la collega americana, ma dalle
illazioni di
Alice temevo fosse ben altro quello che credevano del mio rapporto con
il
figlio.
Ero
da qualche giorno intenta a
pensare ai regali di Natale: beh non potevo certo presentarmi a casa a
mani
vuote e per un attimo rimpiansi la presenza di Alice e i suoi esperti e
creativi consigli. Improvvisamente alcuni rumori attirarono la mia
attenzione.
Era uno strano vociare e proveniva sicuramente dal piano di Edward. Non
me ne
preoccupai più di tanto perché sapevo che era in
casa e comunque non
riconoscevo la sua voce. Improvvisamente sentii arrivare un messaggio
al
cellulare. Lo lessi immediatamente: “vieni
su al mio piano, guai in vista!”.
La
prima cosa che mi venne in
mente fu che non stesse bene, ma le urla che iniziavano ad arrivare in
tutte le
zone del dormitorio, mi fecero capire che non si trattava di un
problema
personale. Digitai solo un “arrivo
subito”
e mi precipitai su. Quando arrivai mi girai istintivamente verso la
porta del
suo appartamento, ma non sentii nulla fino a che la mia attenzione non
fu
calamitata da un gruppetto di ragazzi che sostavano davanti ad una
porta dalla
parte opposta. Non distinguevo quanti e quali fossero i ragazzi
coinvolti in
quella che era sempre più chiara come una disputa, ma
intravidi chiaramente la
chioma di Ed spiccare fra tutti. Lo vidi girarsi verso di me e
incrociato il
mio sguardo, notai un’espressione di sollievo e
iniziò a dirigersi a profonde
falcate verso di me.
«
Avevo proprio bisogno di una mano,
sto perdendo la pazienza…» le sue parole erano
alterate e lo sguardo duro.
Poche volte lo avevo visto con quell’espressione: era
arrabbiato.
«
Ma che sta succedendo? si sentono
gli urli fin dal mio piano».
«
È McCarthy. Non so bene cosa
sia successo, ma si è chiuso con la sua ragazza nella stanza
di David e da
allora stanno furiosamente litigando. Ho cercato di farmi aprire, ma
è stato
inutile. Mi ero quasi deciso a buttare giù la porta, poi ho
pensato a te: oltre
che conoscerlo un po’ meglio la tua autorità di
vicepreside potrebbe farlo
ragionare».
Sembrava
cominciasse ad essere
veramente preoccupato, mi raccontò brevemente che aveva
intravisto Emmet
infuriato arrivare nel corridoio e bussare alla porta del povero
malcapitato,
aveva sentito urlare e poi si erano chiusi dentro.
Ero
molto spaesata e l’unica cosa
che mi venne in mente fu cercare di fare chiarezza.
Mi
avvicinai a fianco di Edward
alla porta dove la situazione non sembrava essersi calmata:
«
Ok ragazzi, credo sia ora di
rientrare nei vostri alloggi a meno che non abbiate qualcosa di
importante da
dire su questa situazione. Vi consiglio di farlo immediatamente prima
che mi
venga voglia di avvisare la preside». Mi stupii molto delle
sue parole, avevo
sempre visto Ed come una persona pacata e riflessiva e nei panni del
professore
severo era qualcosa di nuovo e..molto intrigante. Mi riscossi dai miei
pensieri
poco consoni e intervenni, dopo che i ragazzi intimoriti dalla sua voce
austera
si furono leggermente allontanati, pur mantenendosi ad una distanza per
origliare.
Mi
avvicinai alla porta e iniziai
a bussare con fare perentorio: «Emmet aprimi subito, vieni
fuori e chiariamo
questa storia!».
Dall’altra
parte, chiara la voce
di McCarthy mi intimò di andarmene che non erano fatti miei:
«mi
spiace deluderti, ma tutti i
problemi che riguardano questo dormitorio sono fatti miei, in
qualità di
vicepreside ti ordino di aprirmi o prenderò seri
provvedimenti!!!». Cominciavo
anche io ad alterarmi e capivo quanto potesse essere stato frustrante
per
Edward ritrovarsi a discutere con una porta di mogano. Sentii
distintamente una
voce femminile all’interno cercare di far ragionare gli
occupanti della stanza.
Dopo
poco la porta si aprì
rivelando un Emmet livido dalla rabbia.
«
Emmet sei diventato matto, si
può sapere che stai combinando? vuoi anche essere accusato
di sequestro oltre
che di disturbo e minacce. I tuoi urli si sentono fin dal cortile, e
ringrazia
che sia stata io a sentirli e non la preside!»
«
Già, ora è diventata la sua
scagnozza »
«
McCarthy modera il linguaggio!!!
», intervenne Ed come per volermi difendere.
«
Oh, mi scusi professor Cullen,
la vedo bene nei panni del paladino difensore della sua bella prof. Mi
avete
preso in giro per bene come tutti gli altri!».
Capii
cosa intendeva. Lui sperava
di aver trovato in me e Ed due persone disposte ad ascoltarlo e a
capire i suoi
problemi e il fatto che ora facessimo notare la nostra
autorità era per lui un
tradimento.
«
Io penso che sia ora di
calmarsi e di capire cosa sta accadendo», mi feci avanti
interrompendo la
conversazione, «tu sai benissimo che io ti comprendo, e sono
disposta ad
ascoltarti, ma non posso assecondare certi tuoi comportamenti e
così anche il
professor Cullen».
Il
mio tono era veramente severo
e mi meravigliai quasi di riuscire a mantenere un atteggiamento
così deciso di
fronte ad un ragazzo che era quasi il doppio di me, non aveva mai
dimostrato
molto rispetto per i professori ed era inoltre molto arrabbiato per
quale
motivo non avevo ancora scoperto.
Io
e Edward riuscimmo ad entrare
nella stanza di prepotenza: c’erano i due ragazzi e come
avevamo intuito
Elisabeth, quella che sapevamo già da tempo essere la
ragazza di Emmet.
Quest’ultimo
si spostò e
fulminando con lo sguardo David lo indicò: «Questo
stronzo se la fa con la mia
ragazza e lei ci sta: è solo un grande
tr…»
«
Emmet modera subito il
linguaggio», gli intimai.
«
Io non modero un bel niente,
lei non ha idea di come si stia a sapere che ti hanno preso in giro per
due
anni!!».
In
quel momento la ragazza chiamata
in causa intervenne: «Io non ho fatto un bel niente Em, sei
solo un
troglodita!». Capii che così non avrei risolto un
bel niente. Dovevo capire la
storia fin dal principio visto che lo sguardo interrogativo di Edward
mi
confermava che anche lui era in alto mare.
«
Okey, ora ci calmiamo tutti,
chiudiamo la porta, perché mi sembra che si sia dato fin
troppo spettacolo e
ascoltiamo le versioni di tutti e tre».
Riuscii
con non poca fatica a far
parlare i due ragazzi coinvolti da Emmet nella disputa: entrambi
sostenevano
che i loro incontri erano dovuti esclusivamente a motivi di studio,
visto che
avevano la stessa età e frequentavano gli stessi corsi.
«
E pensi che ti creda? Perché
non me lo hai mai detto » rimbeccò Emmet ancora
furioso.
«
Perché sapevo come avresti
reagito e che non ci avresti creduto!!» gli urlò
in faccia Elisabeth. In realtà
aveva quasi cinque anni in meno di lui, ma mi stupii di come riuscisse
a
tenergli testa.
«
Lauren mi ha detto di averti
visto in atteggiamenti intimi con lui nella biblioteca»
«
E tu credi a quell’oca? Non ti
sei ancora reso conto che sta facendo di tutto per allontanarci,
perché sono
due anni che ti fila!».
Li
guardai, la discussione si
stava lentamente rianimando.
Ed
mi si affiancò e mi sussurrò
ad un orecchio: «Credo che sia giunto il momento di porre
fine a tutto questo».
Io annuii. Ora dovevamo calmare definitivamente le acque e poi avrei
preso
McCarthy in disparte e gli avrei dato una bella lavata di capo.
«
Allora adesso la finiamo qui –
intimò Ed – non penso sia il caso di credere a
tutto quello che ci viene detto
Emmet e soprattutto non è questo il modo per affrontare le
cose. Ora ce ne
torniamo tutti nelle rispettive stanze e domani cercate di chiarivi
fuori dal
dormitorio in modo civile altrimenti faremo veramente intervenire la
preside».
Vidi
lo sguardo di Emmet
abbassarsi, ma capii che non si sarebbe rassegnato così
presto. Uscimmo dalla
stanza ricordando a David che le visite delle studentesse negli alloggi
maschili avevano comunque una regolamentazione oraria e in un altro
caso
avrebbe fatto meglio a non tenere nascosto niente a nessuno. Elisabeth
si
allontanò scoccando un’occhiataccia a Emmet che
fece il gesto di seguirla….
«
Tu non vai da nessuna parte per
ora – gli intimai – e se non vuoi che come
vicepreside ti appioppi una nota di
demerito ci fermeremo e parleremo del tuo carattere e del modo
sbagliato che
hai di affrontare le situazioni critiche ».
«
C’è poco da chiarire, lei è
come tutti gli altri.. » gli sentii sibilare tra i denti.
«
Piantala McCarthy – lo fermò Ed
– devi iniziare a capire che certe cose vengono fatte per il
tuo bene e che tu
ci creda o no non esiste una cospirazione contro di te».
Ci
guardò negli occhi e dopo aver
fatto un profondo respiro sembrò rassegnarsi. Ci fermammo a
lungo nel corridoio
dopo aver fatto rientrare nelle loro stanze tutti gli studenti curiosi
che si
erano accalcati. Un’altra cosa che mi dispiacque molto fu
proprio quella di
aver nuovamente permesso a Emmet di mettersi in una luce negativa in
pubblico.
Cercai
di fargli capire che
questo suo atteggiamento non avrebbe portato nulla di buono e che prima
di
lasciarsi andare alle sue scariche ormonali avrebbe dovuto imparare ad
usare la
testa e la diplomazia.
«
Emmet tu sei un ragazzo
intelligente e non puoi pensare che tutto si possa risolvere con le
maniere
forti. Non hai capito che ormai per molti sei diventato il capro
espiatorio?
Devi cercare di vivere la tua vita in modo più tranquillo,
lasciare che le
persone ti si avvicinino in modo positivo e soprattutto non devi
dubitare
sempre di tutti».
Era
chiaro che questo mia ultima
affermazione era riferita proprio a me e Edward che nonostante lo
avessimo
seriamente ripreso, cercavamo di farlo ragionare per impedire che si
mettesse
nei guai. Istintivamente portai una mano al suo braccio:
«Emmet non pensare che
tutto il mondo ti odi. Neanche i tuoi genitori lo fanno. È
normale per te
sentirti solo, ma hai molti amici e puoi contare su molte
più persone di quante
non pensi».
«Non
è vero, nessuno è mio amico
veramente, stanno tutti con me perché sono il più
grande e pensano di poter
comandare sugli altri ».
«
Beh sarebbe ora che
allontanassi le perone false e cominciassi a fidarti di quelle vere
».
L’affermazione di Ed mi stupì e notai quasi un
velo di rassegnazione nei suoi
occhi. Probabilmente anche lui si era ritrovato in condizioni simili in
passato.
Fissai
Emmet negli occhi: «Hai
mai pensato di andare dal dottor Jones? Forse una chiacchierata con lui
ti
farebbe bene?»
«
Mi sta suggerendo di andare
dallo strizzacervelli?»
«
No – intervenne Ed – ti sta
solo consigliando di confidare le tue paure e i tuoi tormenti ad uno
psicologo
che può alleggerirti il senso di colpa che ti porti dentro e
il tuo sentirti
inadeguato alla vita».
Le
sue parole mi toccarono molto.
In fondo sia io che lui ci eravamo sentiti così, ed era
vero: parlare con
qualcuno aiutava, ma quello che mi stupì fu quanto sempre di
più avevamo in
comune io e lui.
«Io
non so…» eravamo finalmente
riusciti a placarlo e forse si stava convincendo che ciò che
gli veniva
proposto era solo per il suo bene.
«
Ora torna nel tuo dormitorio.
Si è fatto tardi – replicai – e non
voglio più vederti nei guai per un bel po’,
altrimenti la prossima volta sarò veramente costretta a
prendere provvedimenti».
Ero
seria e ferma nella mia
posizione. Sapevo che nelle veci di professoressa sarei potuta
risultare troppo
severa, ma anche questo lo facevo per lui. Dovevo scuoterlo e cercare
di tirare
fuori il buono che c’era in quel ragazzo.
Mentre
si allontanava ci
tenni a dirgli che se avesse avuto bisogno
ci sarei stata, ma mi stupì invece l’avvertimento
di Edward: « McCarthy, se ti
sento ancora insultare la professoressa Swan redigerò un
rapporto contro di te
personalmente. Impara a capire chi ti vuole imbrogliare e chi invece fa
di
tutto per aiutarti».
Quest’uomo
era sempre più…non
avevo aggettivi. Prendeva costantemente le mie difese, mi faceva
sentire protetta,
ma nello stesso tempo forte. Era veramente unico.
Quando
Emmet fu fuori dal
corridoio lo vidi girarsi verso di me con un’aria alquanto
affranta: « sai cosa
ci aspetta ora?».
Lì
per lì non capii, poi feci
mente locale e mi
portai una mano alla
fronte: «Oddio non dirmi che dobbiamo redigere un rapporto
anche su questo? »
«
Sì cara, non possiamo tenere
all’oscuro la preside, altrimenti ne pagheremo le
conseguenze. Ovviamente
dovremo ammorbidire i toni o per Emmet ci saranno altri guai».
«
Ok » dissi poco convinta, ma
rassegnata.
«Vieni…»
e mi fece strada, ma
questa volta anziché dirigersi al mio piano si
fermò alla sua porta. Mi fermai
e mi girai con un’aria probabilmente interrogativa. Era la
prima volta che mi
invitava ad entrare nel suo appartamento, fatta eccezione per la fugace
visita
avvenuta più di un mese prima per il nostro chiarimento
successivo al mio
compleanno.
«
Siamo sempre da te, penso che
sia giunto il momento di farti vedere il mio
“gioiello”>>. Sapevo che si
riferiva al piano, perché avevo più volte fatto
notare il mio interesse a
vederlo e sentirglielo suonare. Per un attimo il cuore
accelerò i battiti e fui
tentata di dirgli no. Non so perché, ma pur desiderando di
vedere casa sua mi
sentivo vulnerabile, probabilmente perché vedevo in questo
gesto un nostro
ulteriore livello di avvicinamento.
«
Ok, ma non facciamo troppo
tardi perché sono distrutta », tentai di dare una giustificazione alla mia
momentanea
indecisione.
Mi
fece strada, mi aprì la porta
e uno splendido tepore mi invase.
Quando
accese la luce notai
finalmente i particolari del suo appartamento. Sicuramente era
più spartano del
mio, ma molto ben pulito e in ordine. La disposizione era molto simile
alla
mia, in fondo i due appartamenti erano speculari; pochi quadri alle
pareti,
moltissimi libri sugli scaffali. Il divano era di una
tonalità blu scuro e in
più c’era una poltrona dello stesso colore sulla
quale era appoggiato un libro.
Il portatile sul tavolino era acceso: probabilmente stava lavorando
quando era
iniziata la litigata fra i ragazzi.
E
poi vagando con lo sguardo
incontrai il suo pianoforte. Era un pianoforte a coda di dimensioni
modeste, ma
era nero, lucido e pieno di fogli con note, battute e melodie. Mi
avvicinai e
istintivamente lo accarezzai con riverenza.
«
È veramente bello » dissi
spontaneamente.
«
Mi piacerebbe farti sentire
qualcosa, ma sto scrivendo e vorrei che tu possa apprezzare una musica
che mi
viene dal cuore..e poi vorrei farti una sorpresa, non dovrebbe essere
questione
di molto. Pensi di poterci rinunciare per questa volta?».
Sorrisi
compiaciuta: mi voleva
far sentire una sua composizione e trasmettermi una parte di
sé. Questo mi
lusingava.
«
Sono disposta ad aspettare per
questa volta » dissi con un’aria di finta
sufficienza, ma subito dopo una
risatina soffocata mi uscì dalle labbra.
«
Ti posso offrire qualcosa?».
Per
un attimo la stanchezza e il
profumo di lui che aleggiava nel suo appartamento mi fecero venire in
mente
molte cose poco caste che mi poteva offrire e io potevo offrire a lui,
ma mi
ridestai subito da quei pensieri con uno sbadiglio.
«
No grazie, sarà meglio mettersi
al lavoro, se no domattina chi si alza?»
«
Ok » e mi fece accomodare sul
divano sedendosi a fianco a me.
Il
lavoro terminò in fretta. Per
fortuna ci eravamo trovati d’accordo sulle
modalità di presentazione delle
problematiche che erano insorte, dopodiché come era ormai
nostra abitudine ci
accomodammo sul divano per scambiare quattro chiacchiere. Ormai per noi
era
necessario come l’aria e ovviamente quella sera
l’argomento era Emmet.
«
Pensi veramente di tirar fuori
qualcosa di buono da quel ragazzo?»
«
Tutti possono imparare a vivere
nel modo giusto, basta che acquisiscano fiducia. Emmet è
stato snobbato dalle
persone che avrebbero dovuto amarlo di più e ha cercato
conforto, anziché
nell’affetto di qualcun altro
nell’altezzosità e nella maleducazione. Deve solo
ritrovare quella fiducia in se stesso e nelle persone giuste. E prima o
poi
riuscirò a parlarne anche con la madre: penso che possa
essere la chiave di
tutto».
Edward
mi fissò serio. Ero stesa
in uno dei suoi divani girata su un fianco e lui si era accomodato sul
tappeto
ai miei piedi con la testa su un cuscino in modo da potermi guardare
più
comodamente. « Dimentico sempre che sto parlando con una
psicologa…e con una
persona stupenda. Trovi il bene anche nelle situazioni più
impensate». Mi fissò
negli occhi con una tale intensità che non potei fare a meno
di sentire un
leggero senso di vertigine.
Mi
alzai leggermente, piegai un
braccio e tenendomi sul gomito appoggiai la testa alla mano,
continuando a
guardarlo negli occhi. Fu in quel momento che mi venne spontanea una
risposta.
«In realtà – iniziai – sono
sempre stata pessimista nella vita, pronta a vedere
il lato negativo e non ho mai creduto nella disponibilità
degli altri,
soprattutto negli ultimi anni che sono stata con James» vidi
lo sguardo di
Edward abbassarsi, ormai conosceva quella parte della mia vita, ma
sembrava
sempre che sentire nominare l’uomo con cui ero stata per
tanti anni lo
disturbasse.
«
La verità è che da quando
conosco te riesco a vedere molto meglio le cose positive, forse
è la tua
..energia..non so come spiegarlo, non mi fai stare solo bene, ma
infondi
fiducia in me stessa e in chi mi sta accanto». Ok passo dopo
passo mi stavo
esponendo e mettevo sempre più nelle sue mani i miei
sentimenti.
Non
sapevo se era giusto o no,
sapevo solo che sentivo una necessità fisica di farlo.
Continuò a fissarmi per
poi confessarmi che anche lui era sempre stato negativo e che tutto il
suo modo
di vedere si era rivoltato da quando aveva incontrato me.
La
verità era che eravamo due
caratteri perfettamente speculari e necessari l’uno
all’altro per poter essere
sereni, motivati, al lavoro e alla vita. E questo sarebbe bastato a far
sì che
il nostro legame fosse forte, più di quello che avremmo mai
potuto pensare.
Mi
girai sulla schiena e fissai
il soffitto. Sentivo le palpebre pesanti e sapevo che mi sarei presto
addormentata.
«
Come vorrei che certe volte il
mondo fuori con i suoi problemi, le sue difficoltà e le sue
mostruosità non
esistesse e potessimo rimanere chiusi in una bolla di
tranquillità come ora».
Fu
l’ultima frase che riuscì
a dire prima di chiudere gli occhi, ma sentii
distintamente la risposta di Ed: «basta che siamo insieme ed
è sempre così, non
importa cosa c’è fuori». E mi
addormentai con un leggero sorriso.
nota:
capitolo un pò più "corpulento" per farmi
perdonare di quello solitario di ieri
ringrazio
ancora tutti quelli che hanno recensito, ma anche solo seguito. siete
veramente tanti, inaspettati e magnifici
grazie
mille!!!!
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Capitolo 23 *** “Uno spazio tutto mio” ***
Capitolo
23
“Uno
spazio tutto mio”
Avevo
ormai il cervello a fuoco
al pensiero di cosa mettere nella borsa da viaggio. Sarei stata via
solo per il
week-end, ma il fatto di passarlo da Edward in giro per Londra e poi
probabilmente a dormire nel suo appartamento non mi dava pace. Non ero
una
fanatica della moda e dell’eleganza, ma ci tenevo a fare
bella figura con lui
che era semplicemente splendido qualsiasi cosa indossasse. Mi ero
ripromessa un
abbigliamento sportivo, perché mi aveva promesso un mega
tour della capitale,
ma poi avremmo cenato insieme: e non sapevo dove. E poi il fatto di
dover
dormire da lui….era già capitato, ma non in modo
del tutto intenzionale.
Mi
aveva garantito che avrei
avuto una camera tutta mia, ma ci tenevo particolarmente
all’intimo e volevo
essere sempre al meglio.
In
realtà il mio nervosismo non
era dovuto a quello che dovevo indossare, ma a quei due giorni a
stretto
contatto con lui. Ormai avevo chiaro quello che provavo e purtroppo da
tempo mi
ero ritrovata ad esternarlo, volontariamente o involontariamente con i
miei
sorrisi i miei sguardi e il mio buon umore quando era nelle vicinanze.
Cosa
sarebbe potuto succedere in quel week end? Probabilmente nulla, ma la
paura che
fra di noi capitasse qualcosa, era ancora più forte del
fatto che ci saremmo
potuti allontanare perché non provavamo gli stessi
sentimenti. Non ero pronta a
perdere la sua amicizia, ancora più di perdere
qualcos’altro.
Avevo
tentato di rimandare il più
possibile quest’uscita che molto tempo prima avevo io stessa
cercato, ma ormai
non era più possibile. Verso la fine del mese di dicembre ci
sarebbero state le
vacanze natalizie e ormai era assodato che io e Ed saremmo tornati
insieme a
Forks e dovevamo acquistare i biglietti, non si poteva più
rimandare.
E
quindi eccomi qua, di giovedì
sera a rovistare nel mio armadio con le mie fidate cuffie e la mia
musica per
cercare di fare chiarezza sul mio guardaroba. Nei miei preparativi e
nel mio
caos sentii arrivare un messaggio per pura fortuna.
“Pronte le valigie? Ti prego non come Alice. Se non
ci vediamo domattina
a lezione tieniti pronta per le 15 al garage. Notte E.”
Un
sorriso mi uscì spontaneo.
Anche il suo umore da qualche tempo sembrava migliorato, ma non volevo
illudermi fosse per merito mio. Piuttosto l’idea di tornare a
casa dopo un anno
rendeva euforico anche lui.
Decisi
di smetterla con gli
abiti, mi feci una tisana rilassante, perché immaginavo che
dormire non sarebbe
stato facile, e mi ficcai sotto le coperte cercando di non pensare
troppo al
mio week-end londinese.
Quando
la sveglia suonò mi alzai
più stanca di quando mi ero coricata. Avevo sognato tutta la
notte e mi ero di
conseguenza rigirata nel letto fino all’alba. Mi vestii per
la scuola e uscii
cercando di concentrarmi sulla mattina; mancava ormai veramente poco a
Natale e
subito dopo, con la fine del semestre ci sarebbe dovuta essere la
consegna
delle prime valutazioni. E dovevo ammetterlo. Ero un po’
preoccupata per Emmet.
Dopo la nostra discussione di qualche sera prima per la sua scenata nel
mio
dormitorio si era comportato correttamente, ma vedevo che non si fidava
totalmente di me e temevo che si sarebbe chiuso ulteriormente in se
stesso,
cancellando quei pochi passi avanti compiuti in casa mia la domenica
pomeriggio
di quasi un mese prima.
La
mattina passò rapidamente.
Salutai i mie studenti e mi diressi in sala professori per portare i
miei
documenti. Dovevo ammettere che ero abbastanza elettrizzata e
perlopiù in senso
positivo. Mi rendevo conto di essere stata quasi tutta la mattina di
buon umore
come mi capitava poche volte e probabilmente se ne era accorto chiunque
mi
fosse passato accanto.
«
Ciao Bella è da un po’ che non
ci vediamo per due chiacchiere. Sei stata molto presa vedo»,
la voce di Jessica
mi ridestò dai miei pensieri « non
è che
la preside ti sta appioppando un po’ troppe
responsabilità? Non avrai certo
modo di goderti il tuo tempo libero? ».
Il
suo tono di voce non era di
invidia, quanto più di curiosità per i fatti
miei. Cercai di rispondere
tranquillamente.
«
Beh in realtà a volte sono un
po’ pressata, ma cerco di cavarmela, e poi sono
d’accordo con la preside che in
caso di sovraccarico potrò sempre rinunciare a
qualcosa».
«
Non credo che rinuncerai al tuo
incarico al dormitorio immagino», notai una luce maliziosa e
alquanto acida nel
suo sguardo «in fondo vedo che con Cullen va a gonfie
vele!».
Capii
dove voleva arrivare, ma
cercai di minimizzare:
«
E’ un buon collega…».
«
Si nota – proseguì lei senza
darmi il tempo di un’arringa convincente – da
quando sei arrivata tu è molto
più socievole e lo si vede sorridere molto di più
rispetto a prima».
Il
suo ghigno era ormai
inequivocabile e probabilmente voleva notizie succulenti per i suoi
pettegolezzi. D’altronde tutti avevano notato
l’amicizia che si era instaurata
tra noi, ma nessuno aveva osato fare supposizioni, anche
perché entrambi
mantenevamo sempre un atteggiamento irreprensibile in presenza dei
colleghi.
«
Non so perché sia cambiato,
forse nessuno dei suoi colleghi gli aveva dato fiducia prima o aveva
guardato
in modo un po’ più approfondito la persona che
aveva davanti. È facile
etichettare una persona solo perché se ne sta in disparte.
Non bisogna mai
giudicare troppo presto: così si evitano pregiudizi e
preclusione ai rapporti
di amicizia».
Wow
! Ma dove mi era venuta una
spiegazione così diplomatica e…glaciale! Non ero
una che ribatteva facilmente,
ma le insolenze di Jessica a volte mi innervosivano. Se non fosse stato
per lei
e Jacob, che per fortuna dalla nostra discussione in piscina si era
tenuto
dignitosamente a distanza se non per le norme di buona educazione,
quell’istituto sarebbe stato il paradiso. Ma la perfezione
non esiste, giusto??
«
Buongiorno signorine, finita la
settimana? ». La voce di Mike interruppe la nostra
conversazione proprio mentre
Jessica, leggermente spiazzata dalla mia risposta stava per ribattere.
Lo
ringraziai mentalmente o questa volta mi sarei lasciata sfuggire una
parola di
troppo. Mike e Jessica si allontanarono salutandomi educatamente e nel
seguirli
con lo sguardo fino all’uscita della sala notai Edward
appoggiato alla porta
con uno sguardo compiaciuto sulla faccia. Aveva sicuramente ascoltato
la mia
conversazione con Jessica e non potevo assolutamente immaginare i suoi
pensieri. Mi avvicinai cercando di rispondere al suo sguardo con il mio
sorriso.
«
Cosa c’è di così divertente?»
dissi quasi sussurrando.
«
Vedere te che cerchi di
controbattere miss pettegolezzo per difendere la tua privacy. E direi
che ci
sei riuscita in modo impeccabile…» mi disse
sussurrando al mio orecchio. Una
scia di brividi mi percorse il collo dove il suo fiato si era infranto.
«
Beh in fondo ho detto solo
quello che penso». Alzai lo sguardo di sottecchi
perché era sempre difficile
sostenere i suoi occhi in certe situazione, e specialmente in pubblico.
Ero
quasi certa che se ci fossimo guardati direttamente,
un’insegna lampeggiante
con su scritto “innamorata”si sarebbe accesa sulla
mia fronte.
«
Pronta per partire? » domandò
in modo più neutro cercando di cambiare argomento.
«
Sì tutto pronto».
«
Allora ci vediamo tra mezz’ora
ai garage ».
«
Ok » risposi e si allontanò.
Non riuscivo più a fare a meno di guardarlo e quando non se
ne accorgeva mi
riusciva ancora meglio.
Mi
recai velocemente al mio
alloggio per preparare le ultime cose ed esattamente venticinque minuti
dopo mi
incamminai ai garage dove non tardai a vedere Edward che sistemava il
baule
della Volvo. Mi guardai attorno con un’aria forse un
po’ troppo furtiva e poi
mi avvicinai per salutarlo:
«
Eccomi qua, sono pronta ».
Edward
alzò lo sguardo
rapidamente e mi riservò uno dei sorrisi più
solari che avessi mai visto.
«
Sei puntualissima » e si
avvicinò a me scoccandomi un leggero bacio sulla guancia: mi
irrigidii un po’ a
quel gesto, non perché non ci fossi abituata, ma
perché non lo aveva mai fatto
esponendosi così tanto. Chiunque sarebbe potuto passare nei
cortili e vederci.
Quasi
come se mi avesse letto nel
pensiero mi rispose con estrema tranquillità:
«
Non ho alcun interesse per
quello che dice o pensa la gente, siamo due amici che si ritrovano per
un
week-end. Credimi alcuni professori sono stati trovati in circostanze
molto più
compromettenti…».
Sgranai
leggermente gli occhi.
Non so se per il fatto che alcuni colleghi amoreggiassero pubblicamente
o se
per quel “siamo due amici”, o ancora peggio
perché aveva interpretato il mio
pensiero e le mie preoccupazioni riguardo a quella semplice effusione
all’aperto.
«Credo
sia ora di andare »
continuò sorridendo e prendendo la mia borsa. La
depositò nel bagagliaio e mi
aprì la portiera. Avrei dovuto dire qualcosa di intelligente
per spezzare
l’elettricità che si era venuta a creare per
quello scambio di battute, ma i
suoi gesti mi lasciavano sempre spiazzata e non mi uscì
niente altro che un
grazie.
Quando
fummo entrambi in macchina
Edward mise in moto e si diresse al grande cancello; in quel momento
notai
Jacob Black che gironzolava lì intorno fissarci torvo e la
cosa non mi piacque.
Era vero che non mi aveva più infastidito, ma era pur sempre
un parente della
preside e non volevo che creasse problemi. Accennai la cosa, ma lui non
vi
diede molta importanza anche se quello che mi disse non mi
rassicurò
«
Se Black vuole colpire non lo
fa di sicuro sfruttando le sue conoscenze. Lui parla diretto e ferisce
sui
sentimenti. Credimi è molto subdolo se vuole, ma non credo
che possa creare
problemi al momento».
«
Molto confortante» fu la mia
risposta un po’ sarcastica.
Il
viaggio proseguì tranquillo e
in circa quaranta minuti ci ritrovammo in una via della periferia di
Londra
dalla parte opposta rispetto all’istituto. Edward
parcheggiò accanto ad un
palazzina in stile georgiano, chiaramente ristrutturata, con
un’ampia vetrata
nella parte antistante il tetto.
«
Avevo pensato che prima di
andare in giro per acquisti avremmo potuto lasciare le valige. Avremo
più
spazio per i pacchi », disse sorridendo.
«
Non credo di essere ridotta a
fare acquisiti come tua sorella» gli risposi stando al suo
gioco.
«
Meglio non rischiare,
so che siete state in contatto
ultimamente e potrebbe anche averti influenzato via web».
«
È così potente ?» dissi ormai
ridendo platealmente.
«
Più di quanto tu non creda».
Ormai lo scherzo era partito. Se solo Alice avesse saputo che la
prendevamo
così apertamente in giro ce l’avrebbe fatta pagare.
«
Scherzi a parte, il posto in
auto non è granché e io ho molti familiari e
amici da accontentare,
quindi…lasciamo le valige qui. E poi sono ansioso di
mostrarti il mio piccolo
rifugio ».
Sapevo
che quelle parole mi
avrebbero scosso, ma non pensavo che il cuore si sarebbe messo a
battere così
forte. Edward apriva un’altra porta alla nostra amicizia, mi
mostrava un altro
pezzo della sua vita e non potevo che esserne lusingata.
Entrammo
nel portoncino della
casa salendo alcuni gradini. Il giardino era oltremodo curato, molto
inglese,
ma l’ingresso e il corridoio erano ricoperti di pavimenti
lucidi, grigi e
bianchi in uno stile decisamente più moderno. Avevo notato
l’esistenza di tre
piani, ma nell’ingresso dove ci trovavamo c’era
solo una porta.
«
Mi piace questa palazzina
quante famiglia ci abitano? »
«Veramente
solo una» rispose Ed
lasciandomi alquanto stupita. Continuò la sua spiegazione
prima che potessi
chiedergli altro « La palazzina è di
proprietà della mia famiglia, mia madre ha
progettato la ristrutturazione per lasciare l’esterno in
stile classico, ma
modernizzare l’interno con i migliori materiali e
comodità. Il secondo piano è vuoto.
In teoria dovrebbe essere lasciato libero da chiunque della famiglia
Cullen
voglia soggiornare a Londra; qui al primo piano abita una famiglia che
ha un
po’ le veci di custode della casa. La tengono in perfetto
ordine quando non c’è
nessuno…»
«
E all’ultimo piano?»
«
C’è il mio appartamento,
all’ultimo piano e in mansarda, sai è una specie
di loft soppalcato».
Probabilmente
il mio sguardo fu
eloquente del mio stupore e potei giurare che la mia bocca si fosse
spalancata.
Non avevo immaginato, pur sentendone parlare da mio padre, che la
famiglia
Cullen fosse così benestante.
«
Vieni saliamo», fece il gesto
di prendere la mia borsa , ma lo anticipai. Non volevo che si facesse
tre rampe
di scale con due fardelli.
«
Ce la faccio tranquillo». Nel momento
in cui iniziammo a salire, sentimmo aprire la porta del pian terreno ed
vedemmo
uscire una signora sulla sessantina che chiese “chi
è” con un tono un po’
impaurito.
«
Oh è lei Edward, avevo sentito
un rumore e mi stavo preoccupando».
«
Buongiorno signora Spencer, mi
spiace averla disturbata, è tutto a posto qui?»
«
Tutto a posto, la casa è in
perfetto ordine, ma chi è questa bella signorina?»
Abbassai
gli occhi imbarazzata e
decisi di comportarmi da persona e non da ameba, così come
dopo la mia reazione
alla vista della casa. Allungai la mano e mi presentai:
«
Sono Isabella signora, piacere
di conoscerla»
«
È una mia collega e amica», si
affrettò a spiegare.
«
Piacere di conoscerla, vi
lascio andare, ci vediamo prossimamente».
Ci
salutammo cortesemente e
mentre salivamo le scale Ed mi spiegò che la signora Spencer
con marito e figli
abitavano lì da molto tempo, ma la casa ormai fatiscente
aveva bisogno di un
proprietario abbastanza facoltoso e così, suo padre si
è fatto avanti qualche
anno prima.
«
Sai, aveva dei parenti da
queste parti e poi dopo che mia madre l’ha sistemata ho
iniziato a esprimere il
mio desiderio di andarmene dall’America… ed eccomi
qua…loro tengono in ordine e
i miei gli hanno lasciato l’usufrutto».
«
È molto carino da parte loro»
«
Mia madre è così, se può dà
tutto a chi la aiuta».
Avevo
sempre pensato che Esme
Cullen, fosse una persona magnifica, anche perché aveva
cresciuto due figli
splendidi, ma ora cominciavo ad esserne sempre più convinta
tanto che il
desiderio di conoscerla era sempre più forte.
Arrivammo
all’ultimo piano. Per
le scale si erano susseguite stampe e scaffalature a vetro veramente
molto
eleganti. La porta che Edward si accingeva ad aprire era a due ante, di
legno
chiaro, ma potei notare che nonostante ci fosse una mansarda non
c’erano
ulteriori scale. Capii tutto una volta entrata e quello che avevo visto
fino a
quel momento scomparve.
Di
fronte a me si apriva una sala
pavimentata di legno chiaro lucidissimo con una vetrata per tutta la
parete che
illuminava la stanza. Ai due lati della stanza due porte bianche
scorrevoli
nascondevano la cucina ed un latra stanza che da quello che potevo
intravedere
sembrava uno studio. A fianco a questo una rampa di scale portava al
piano
superiore che ero ansiosa di vedere. Nella sala troneggiava un enorme
divano e
uno splendido pianoforte a coda, che mi lasciò semplicemente
a bocca aperta.
Ed
appoggiò la sua borsa in un
armadio a muro subito vicino all’entrata e poi prese anche la
mia.
«
Ti piace?»
«
Oddio, sono…non ci sono parole,
è bellissima». Tutto era in uno stile molto sobrio
e moderno, ma non so perché
mi piaceva. E poi quel pianoforte, molto più grande di
quello che aveva nel suo
alloggio al campus, era spettacolare. Mi ci avvicinai e lo guardai:
«
Giurami che prima di domenica
sera lo suonerai» gli dissi quasi intimandoglielo.
«
Ok, se ci sarà tempo – mi
rispose sorridendo – vieni ti mostro il resto».
Mi
portò in cucina e poi nello
studio che praticamente, non aveva pareti, ma solo libri, una splendida
scrivania
e una panca attrezzata. Quando salii le scale però le parole
mi morirono in
gola e mille pensieri iniziarono a ronzarmi nella testa. La mansarda
era una
stanza da letto, le vetrate della sala proseguivano fin
lassù, fatta eccezione
per la parte dietro al letto, occupata da un meraviglioso arazzo; di
fronte una
gigantesca cabina armadio, opera di Alice mi spiegò. Il
bagno a fianco del
letto era praticamente delle stesse dimensioni della cucina e dalla
parte dello
studio, sopra ad esso un'altra stanza, che si affrettò a
mostrarmi come camera
degli ospiti dove avrei dormito io. Tutto era di una
sobrietà, ma nello stesso
tempo di un’eleganza unica. Si capiva che le poche cose che
componevano
l’arredamento erano molto costose e di buon gusto. Mi
avvicinai al letto
accarezzando la leggera tenda del semplice baldacchino, una nuvola di
tulle che
per un attimo mi fece sognare di poter dividere quel letto con lui..e
non per
dormire.
Ok
dovevo tenere a freno gli
ormoni….i cattivi pensieri non erano appropriati.. Portai la
borsa nella mia
stanza, e mi affacciai alla vetrata sospirando e osservando il panorama
di
Londra dal quale, in quella posizione spiccava la torre di Norman
Foster.
Una
voce dolce e bassa dietro di
me mi riscosse dai pensieri: « Bella tutto bene?
sembri…strana».
Edward
mi affiancò, il suo
braccio appoggiato al mio.
«
No tutto bene , mi stavo solo
guardando intorno, è tutto talmente bello, tua madre
è stata fantastica. Mi
stupisce che tu non abiti qui»
«
In realtà è troppo lontana per
i miei gusti, l’apprezzo di più quando ci vengo
solo ogni tanto, e poi è troppo
grande per me da solo».
Mi
guardava fisso, come a voler
tentare di leggermi l’anima e avrei tanto voluto dirgli che
gli avrei tenuto
compagnia io ogni volta che avrebbe voluto, ma mi trattenni. Ci
fissammo per
quelli che a me sembrarono interminabili
minuti e potei giurare a me stessa che, se nessuno dei due
avesse detto
qualcosa avremmo forse finito per baciarci. Almeno io lo avrei fatto.
«
Forse sarebbe meglio andare, a
meno che tu non abbia voglia di riposare un po’».
Parlò con tono molto basso e
per la prima volta mi sembrò lui quello più
imbarazzato. Certo se avesse saputo
l’effetto che mi faceva quando lo guardavo o sentivo la sua
presenza nelle
vicinanze chissà cosa avrebbe pensato.
«
No andiamo, dobbiamo fare molti
giri a quanto ho capito. Meglio iniziare, se no il week-end se ne
andrà tutto
in shopping e non credo sia il caso».
«Ok
» mi sorrise, mi prese per
mano e mi accompagnò giù dalle scale. La sua
stretta era calda, ma a differenza
di molte altre volte che i nostri corpi erano entrati in contatto
c’era una
consapevolezza nel suo tocco, una decisione maggiore, quasi a non
volermi
lasciar andare per nessun motivo. Uscimmo dall’abitazione
correndo giù per le
scale e ridendo, tenendoci sempre per mano. Entrammo in macchina e ci
dirigemmo
verso il centro. Obiettivo: biglietti aerei e regali natalizi.
|
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Capitolo 24 *** “Pensieri per te…per noi” ***
Capitolo 24
“Pensieri per te…per
noi”
Dopo
circa due ore non eravamo
ancora riusciti a completare tutti i nostri acquisti.
In
realtà comprare i biglietti
aerei ci aveva portato via più tempo del previsto, anche
perché Edward aveva
insistito per pagare qualsiasi cosa e nonostante mi fossi opposta,
quasi
arrabbiandomi, niente lo aveva fatto desistere. E come se non bastasse
si era
procurato dei biglietti di prima classe, mettendomi ancora
più in imbarazzo per
i soldi spesi. Mi aveva assicurato che lo faceva con piacere, ma con me
era
stato fin troppo gentile da quando era iniziato l’anno
scolastico e iniziavo a
non capire proprio come sdebitarmi.
Nonostante
la breve discussione
economica, avevamo passato un pomeriggio splendido ridendo e correndo a
destra
e sinistra proprio come due adolescenti. Cercare regali con lui era
assurdo,
aveva le idee più strampalate ed era stato veramente comico
vederlo provare un
grembiule da cucina con tanto di stampe, da regalare probabilmente alla
madre.
Anche io ero riuscita ad acquistare qualcosa per i miei, ma
già da un po’ stavo
cercando il modo per allontanarmi: volevo fargli un regalo speciale e
anche se
non sapevo proprio dove cercare, non potevo continuare a farlo con lui
sempre
appiccicato.
Trovai
la scusa dell’ora ormai
tarda: « Senti Ed, credo che se continuiamo così
non riusciremo a terminare per
l’ora di chiusura, che ne dici di dividerci e ritrovarci ad
un punto stabilito alle
otto?» Cercai di non far trapelare le mie intenzioni o
altrimenti non avrebbe
mai accettato, ma come tutte le volte mi stupì.
«
Direi che è una buona idea –
rispose sorridente – così quando i negozi chiudono
andiamo a mangiare qualcosa
prima di rientrare. Niente di formale ok?»
Lo
ringraziai con lo sguardo, ma
in realtà non era solo per lo shopping o per la cena: era il
fatto di essere
riuscita a ricominciare come mai avrei mai sperato, di aver trovato una
persona
con cui creare un legame che andava oltre il sentimento. Era
affidamento, ma
non ossessione o dipendenza, bensì serenità e
capacità di reagire alle
situazioni della vita con la forza infusa dalla presenza
dell’altro. E questo
altro per me ora era Edward.
Ci
salutammo dandoci appuntamento
per le 20 e iniziò così il mio dilemma. Cosa
regalare ad una persona che poteva
avere tutto, a cui avrei donato tutto, anche la mia stessa vita?
Cominciai a
vagare per vetrine e centri, ad una velocità che quasi mi
sorprese: le rotelle
del mio cervello stavano girando come non mai e probabilmente chi mi
incrociava
immersa nei miei pensieri avrebbe anche potuto pensare che fossi un
po’
squilibrata. In realtà non mi importava, volevo solo trovare
qualcosa di
perfetto per lui e sapevo che sarebbe stato praticamente impossibile
trovare
qualcosa di adatto senza fare la figura della pezzente.
Era
passata più di un’ora e
iniziavo a perdere le speranze quando intravidi una vetrina di
antiquariato in
una strada laterale. Mi avvicinai di più e intravidi alcuni
vecchi strumenti
musicali; sapevo che non mi sarei potuta permettere nulla di troppo
costoso, ma
decisi comunque di entrare. Un signore di mezza età mi
accolse sorridente, e
iniziai a guardarmi attorno: e poi un oggetto attirò la mia
attenzione.
Apparentemente
sembrava una
semplice cartella di pelle, ma il commesso mi spiegò che era
un porta spartiti
del 1800 e proveniva sicuramente dalla nobiltà inglese.
C’era un intarsio
dorato leggero ma molto d’effetto: il prezzo era alto, ma ci
stavo dentro e ci
avrei visto molto bene le composizioni di Edward. Decisi di acquistarla
e
quando ormai avevo estratto la carta notai un’altra cosa che
ci sarebbe stata a
pennello con quel regalo:
«
Mi dia anche questo» non
esitai. Pagai e uscii dal negozio con una gioia immensa nel cuore,
diretta al
punto di incontro con il mio musicista.
Era
quasi mezzanotte quando
rientrammo nell’appartamento di Edward dopo la cena, stanchi
ma con le braccia
piene di pacchetti. Ero a malapena riuscita a celare i miei acquisti e
così gli
impedii di aiutarmi a portare tutto nella mia stanza e mi affrettai a
nascondere
i pacchi nella borsa: sentii i suoi passi salire le scale e mi
affacciai alla
porta della mia stanza.
«
È stata una giornata
bellissima, ma sono distrutta, penso che mi farò una doccia
e poi andrò a
dormire, se no domani non riuscirò a muovere un passo. A
proposito cosa hai in
programma?».
Potei
notare uno sguardo quasi
rattristato nel suo volto; la verità era che volevo cercare
di ridurre al
minimo i momenti di contatto tra noi, perché con il mio
stato d’animo di quel
momento, la situazione e il luogo, ero certa che non sarei riuscita a
trattenermi da esternare molto di più di quello che avrei
dovuto e forse avrei
commesso delle sciocchezze per le quali mi sarei potuta pentire in
seguito. In
realtà lui non sembrava della stessa opinione.
«
Magari, se dopo la doccia hai
voglia del bicchiere della staffa, preparo the e tisana da goderci sul
divano e
ti spiego i programmi per domani».
No,
decisamente lui non era
pronto a porre fine alla nostra serata. In realtà in cuor
mio avrei tanto
desiderato che si spingesse dove io non avrei mai avuto il coraggio, ma
forse
non era ancora il momento. E quando lo sarebbe stato? Cominciavo
veramente a
chiedermi se avrei fatto bene a continuare a ignorare la situazione
anziché
buttarmici a capofitto, indipendentemente dalla risposta che mi avrebbe
dato
lui.
Non
mi resi conto di essermi
soffermata troppo sui miei pensieri, senza avergli dato una risposta.
«
Bella ci sei? » mi ridestai
imbarazzata.
«
Scusa stavo pensando, sì, ok
vada per la tisana. Ci vediamo di sotto tra dieci minuti». Mi
girai e mi
diressi in bagno. Mi chiusi la porta alle spalle e mi precipitai sotto
la
doccia.
Quando
ne uscii mi asciugai, e mi
vestii semplicemente, non volevo dare l’idea di provocarlo.
Quando lasciai
la mia stanza non
sentii alcun suono e
nessuna luce era accesa se non quella della cucina e il riverbero della
tv nel
salone. Iniziai a scendere e quando fui sugli ultimi gradini lo vidi
sul divano
appoggiato con la testa allo schienale e gli occhi chiusi. Non sapevo
se stava
dormendo veramente, ma nel volto si vedeva solo la pace e la
serenità.
Mi
avvicinai facendo meno rumore
possibile e non so quale idea mi balenò per la testa, ma
allungai una mano e
gli accarezzai la fronte e i capelli. Non so cosa in quel momento mi
trattene,
ma l’unico mio pensiero era ricoprire il suo volto di baci e
assaporare
finalmente le sue labbra. Non so se purtroppo o per fortuna, il mio
tocco lo
svegliò…
«
Ho sentito il tuo profumo
ancora prima delle tue mani……» o forse
era sempre stato sveglio. Aprì i suoi
occhi verdi e in quel momento capii che ero spacciata e il mio cuore
ormai
aveva operato la sua scelta. Avrei dovuto dirgli tutto, avrei trovato
il
momento opportuno per palesargli definitivamente i miei sentimenti a
discapito
di tutto, e poi avrei visto la sua reazione. Sapevo che sarebbe potuto
essere
l’inizio; temevo più di ogni altra cosa che
sarebbe stata la fine, ma ormai
avevo deciso, dovevo solo trovare il momento opportuno.
Cercai
di celare l’imbarazzo di
essermi fatta beccare a fantasticare su di lui, abbassando lo sguardo,
ma
Edward me lo impedì, accarezzandomi una guancia con la sua
mano calda: « Non
nascondere mai i tuoi occhi, parlano troppo di te».
Quell’affermazione
mi spiazzò e
mi mise ancora di più a disagio. Probabilmente lo
notò lui stesso perché spezzo
il momento rinnovandomi l’offerta della tisana. Accettai e mi
sedetti sul
divano al suo posto, mentre lo sentivo armeggiare in cucina con tazze e
posate.
Spensi la tv, mi infastidiva quando pensavo, come se mi entrasse in
interferenza con la mente e probabilmente mi misi a fissare lo schermo
nero,
perché mi si avvicinò silenzioso e un
po’ allarmato.
«
Bella va tutto bene? Sei molto
silenziosa stasera, è capitato qualcosa?»
« No, tutto bene
non ti preoccupare, stavo
solo pensando e poi..sono veramente molto stanca» mi
giustificai massaggiandomi
il collo e chiudendo gli occhi.
«
A cosa stavi pensando?»
improvvisamente le sue mani poggiate sulle mie spalle iniziarono a
massaggiare
dolcemente, ma in modo deciso dove prima erano state le mie, come a
voler
sciogliere ogni fibra delle mie preoccupazioni. Non me la sentii
però di essere
completamente sincera e dirgli tutto proprio ora.
«
Sto pensando a come sarà bello
tornare a casa. Non fraintendermi, sto bene qui però mi
manca un po’ Forks»
«
Lo so, anche a me: saranno quindici
giorni stupendi, vedrai». Le sue mani mi avevano scaldato
fino alle ossa e mi
trasmettevano delle vere e proprie scariche sulla pelle: non so cosa
avrei dato
in quel momento per sentirle ovunque.
«
Pensi mai a James? ». La sua
domanda mi stupì. Aprii gli occhi e mi girai: «
perché me lo chiedi?»
«
È da parecchio che non ne
parliamo e non so più come ti senti in quel senso. Anche i
tuoi attacchi
sembrano un ricordo, ma da qualche giorno ti vedo molto concentrata nei
tuoi
pensieri e mi chiedevo se poteva esserci qualcosa che non andava e
parlandone
magari avremmo evitato…»
«
….Quello che è capitato due
mesi fa?» conclusi io la frase per lui.
Era
uscito di nuovo il suo lato protettivo.
Edward aveva la capacità di leggermi l’anima, ne
era consapevole, ma quando non
riusciva era propenso a credere alle cose
più terribili. In realtà non potevo
dirgli che nelle ultime settimane i
miei pensieri erano vagati ovunque tra me e lui e il nostro rapporto,
tranne
che in direzione di James, ormai rimosso dal mio cuore. Mi limitai ad
una mezza
verità.
«
No, comincio quasi a
dimenticare che faccia ha e credo sia un bene». Presi
coraggio, mi girai e lo
guardai decisa a fargli capire un po’ di più.
«
La verità è che è da molto che
il suo pensiero non mi fa soffrire, il mio cuore è
più leggero e penso che
molto sia dovuto alla tua presenza e alla sicurezza che mi infondi
quando mi
stai accanto».
Ok
non era proprio una bomba ma
una mina sì. Un sorriso si accennò sul suo
splendido volto, ma non lo lasciai
controbattere « e tu pensi mai a Leah?»
«No,
o meglio penso solo a quanto
abbiamo sbagliato e a come sarebbe stato tutto molto più
semplice se fossimo
rimasti solo amici. Certe volte i sentimenti complicano molte
cose».
Quelle
parole mi bloccarono. E se
pensava le stesse cose di noi? Come potevo dichiarargli il mio amore
quando mi
aveva detto che nel suo passato proprio questo aveva compromesso tutto?
Frenai
ogni impulso di parlare e mi limitai a rispondere.
«
Certi errori ci fanno soffrire,
ma non dovrebbero rovinarci la vita. Io e te abbiamo avuto il coraggio
di
rompere con il passato e credo sia giusto che proviamo a non farci
più
condizionare…»
«
Però tu ancora lo fai. Il tuo
attacco d’ansia….»
«Ed
– mi affrettai a rispondere –
quello ha avuto a che vedere con il mio passato e in un certo senso ha
riguardato anche James, ma non è a causa solo sua che sono
stata male».
«
Quando riuscirai a parlamene?»
mi chiese guardandomi.
Abbassai
lo sguardo: « non lo so,
per quello è ancora presto, ma sono sicura che prima o poi
ce la farò. Ora è
tardi, meglio andare a dormire».
Sorseggiammo
i nostri infusi in
silenzio e poi ci dirigemmo insieme verso il piano superiore. Camminavo
davanti
a lui e mi sentivo leggermente a disagio, come se i suoi occhi,
probabilmente
puntati su di me, mi scrutassero l’anima. Quando giunsi al
piano superiore mi
venne spontanea un’affermazione sulla bellezza della sua
camera da letto:
«
Sai, raramente ho visto stanze moderne
così belle e raffinate»
«
Avresti preferito dormire qui?
– mi chiese quasi allarmato – in realtà
avevo pensato che nella stanza degli
ospiti avresti avuto un po’ più di
privacy…»
«
No, è stupenda e ti ringrazio
per la premura, facevo solo una constatazione»
«
Se vuoi posso ancora fare il
cambio, non dev....» lo bloccai posando una mano sulle sue
labbra per zittirlo
e un lieve sorriso si disegnò sul mio volto.
«
Edward calmati, la mia stanza è
perfetta, volevo solo fare i complimenti a tua madre per
l’ottima sistemazione,
non pensare sempre al peggio».
Gli
avevo parlato sussurrando e
avvicinandomi a lui in punta di piedi, la mia mano sul suo volto come a
infondergli la serenità che scaturiva anche dai miei occhi.
Purtroppo
non avevo fatto i conti
con il contatto tra noi: la sensazione delle sue labbra sui miei
polpastrelli e
la vicinanza del suo alito caldo che si infrangeva contro la mia mano.
Come se
non bastasse lo sentii afferrare l’altra mia mano che era
rimasta lungo la mia
coscia. Distolsi a malincuore l’attenzione dalla situazione,
che stava diventando
troppo coinvolgente: « Buonanotte Edward».
Mi
allontanai lentamente
mantenendo sempre il contatto visivo con i suoi occhi e la mano nella
sua e un
attimo prima di togliere quella posata sulla sua bocca mi ci
scoccò un leggero
bacio sulle dita: « Notte Bella» rispose. Con il
cuore a mille mi voltai e mi chiusi
la porta alle spalle sussurrando un “buonanotte amore
mio”.
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Capitolo 25 *** “Ad un passo da… noi” ***
Capitolo 25
“Ad
un passo da… noi”
Mani
calde accarezzavano la pelle
del mio fianco coperta solo da un leggero strato di seta; lentamente la
mano
che vagava su di me fu accompagnata dal soffice contatto di due labbra
che
sfioravano il mio corpo in modo dolce, quasi a volerlo proteggere e
venerare.
Decisi di svegliarmi e aprii leggermente gli occhi; davanti a me solo
una
nuvola di tulle bianco che sventolava sospinta da un alito di vento.
Percepivo
la presenza di una persona distesa dietro di me, il suo respiro caldo e
il suo
tocco. La sensazione che provavo non era proprio di eccitazione, quanto
di
assoluto benessere nel corpo e nell’anima. Decisi allora di
voltarmi lentamente
per godere appieno delle sensazioni che la persona distesa nel letto
con me mi
stava infondendo solo con un semplice contatto e mi specchiai nel volto
di un
angelo, il mio angelo.
Edward
era di fronte a me ora,
disteso su un fianco e mi fissava con quel suo modo unico, che mi
faceva
sentire bella e desiderabile come nessun altro. Ci fissammo negli occhi
a
lungo, allungò una mano sul mio viso accarezzandomi la
mandibola e scivolando
con le dita tra i capelli fino alla nuca. E poi finalmente mi
baciò in modo
intenso e profondo, potevo sentire la morbidezza delle sue labbra che
si
muovevano sulle mie. Chiusi gli occhi beandomi di quel contatto e
decisi di
ricambiare arpionando i suoi capelli tra le mie dita. La sua stretta si
fece
più salda e passionale. La sua mano dal viso
iniziò a scivolare sulla mia
spalla e poi sul fianco, soffermandosi sulla mia coscia e stingendola
leggermente quasi a voler lasciare la sua impronta sulla mia pelle
scoperta.
Sentivo uno strano calore diffondersi dal mio cuore
e annebbiarmi la mente e aumentai la stretta
cingendolo dietro la schiena. Improvvisamente smise di baciarmi e mi
guardò
negli occhi: il mio cuore iniziò a battere talmente forte da
rischiare di
saltarmi fuori dal petto. Solo due parole che mi mandarono in
confusione: “ti
amo”.
Mi
svegliai di soprassalto. Un
sogno: era stato un bellissimo sogno. Io e Ed finalmente insieme ed era
solo un
sogno. Mi misi a sedere sul letto con il fiato corto. Non era stato un
incubo e
la sensazione che mi aveva lasciato era totalmente diversa, ma comunque
disarmante. Per un attimo mi ero sentita vulnerabile come non mai, in
balia dei
miei sentimenti ancora di più di quanto non fosse mai
successo prima. Ora ne
ero consapevole: i sentimenti che provavo per Edward superavano di gran
lunga
quelli che avevo provato per James. Lo avevo amato sì, ma
con Edward, pur non
essendo ancora successo nulla si era costruito un sentimento molto
più profondo
e totalizzante, che riempiva ogni parte del mio corpo e della mia anima.
Mi
decisi ad alzarmi per
ridestarmi da quei pensieri e dare il buongiorno al mio ospite. Aprii
lentamente la porta della mia stanza che affacciava direttamente sulla
sua e
come in un dejà vu le immagini del mio sogno ritornarono. Le
lenzuola blu, il
tulle mosso dal vento, il letto disfatto. L’unica differenza
era che non c’era
nessuno in quel letto.
Scesi
le scale e seguii il
profumo di brioches calde che proveniva dalla cucina. Quando mi
affacciai,
inaspettatamente anziché Edward trovai la signora Spencer
che trafficava con la
colazione.
«
Buongiorno»
«
Oh buongiorno Isabella. Già
sveglia? Spero di non averla disturbata io».
«
No, assolutamente, mi sarei
svegliata ugualmente, Edward mi ha promesso di portarmi a spasso per
Londra.
Anzi. Dov’è?»
«
È uscito presto per delle
commissioni e mi ha chiesto di preparale la colazione.
Caffè?»
«
The grazie e deteinato»
«
Un’americana che non beve
caffè? Lei è una rarità»
«
Lo so, ma mi dia del tu per
favore, mi fa sentire vecchia».
Chiacchierammo
un po’ del più e
del meno. Kate, così si chiamava, era una persona veramente
disponibile e
solare, mi raccontò della sua famiglia e di come aveva
conosciuto i Cullen, di
che persone fossero e si prodigò in mille complimenti.
Io
dopo averle tenuto compagnia
in cucina iniziai a gironzolare per il soggiorno, facendo attenzione a
quei
dettagli che la sera prima, stanca dal viaggio e dallo shopping
natalizio,mi
erano sfuggiti. Tra le altre cose mi soffermai a guardare un gruppo di
foto
nelle quali spiccavano quelle che dedussi fossero le foto di famiglia
di
Edward. C’era lui, con Alice, supposi anche da bambini, i
coniugi Cullen e poi lui
abbracciato ad una splendida ragazza bionda. Ma chi era? Non credo
fosse Leah.
Da quanto potevo immaginare la sorella di Jacob non sarebbe potuta
essere
bionda, forse era un’altra ragazza che era stata tanto
importante per lui da
tenerne ricordo. Fra l'altro dalla foto in cui entrambi erano
abbracciati
sorridenti, trapelava una
grande
complicità. Avrei chiesto spiegazioni prima di fare
supposizioni non corrette.
Terminata
la colazione,
congedandomi dalla signora Spencer, andai nel mio bagno e mi preparai
per la
giornata turistica. Dopo circa mezz’ora Ed rientrò
di corsa e lo sentii
chiamarmi dal piano di sotto:
«
Bella ci sei?».
Mi
affacciai alle scale ormai
pronta: <>
chiesi abbastanza
incuriosita.
«
Oh, nulla di che, dovevo solo
pianificare alcune cose per la giornata», rispose con un
sorriso mellifluo
sulle labbra.
«
Pronta per andare? hai riposato
bene spero, perché ci sarà da
pedalare..».
Tralasciai
il fatto che il mio
riposo lo aveva visto come indiscusso protagonista di un mio sogno
alquanto
“hot” e annuii scendendo di corsa le scale. Uscimmo
velocemente
dall’appartamento e ci tuffammo nella fredda giornata
londinese.
«
Ed, non sarebbe stato meglio
riordinare la casa prima di uscire. Questa sera credo che saremo molto
stanchi…»
«
Non temere, ci penserà la
signora Spencer, è sempre così
disponibile»
«
Lo so abbiamo fatto quattro
chiacchiere mentre ti aspettavo, è così carina e
adora la tua famiglia».
Chiacchierammo
per tutto il
percorso, allegri e spensierati proprio come due turisti. Mi
portò a fare un
vero e proprio tour, per vedere palazzi, vie, angoli caratteristici,
pranzammo
a Piccadilly e mi portò in battello.
Era
ormai tardo pomeriggio quando
decidemmo di rientrare. Era buio e l’aria gelida di dicembre
si faceva sentire
nonostante sciarpa e guanti. Probabilmente si accorse di questo e in un
gesto
istintivo quanto premuroso mi cinse le spalle come faceva spesso
cercando di
riscaldarmi e continuammo a camminare per raggiungere casa.
Quando
aprì la porta uno
splendido tepore ci invase, la casa era profumata e in ordine e mi beai
delle
sensazioni che mi infondeva potermi stendere su un comodo divano dopo
una
giornata di corse.
«
Perché non vai a farti una
doccia e a cambiarti che fra un’ora andiamo a cena?»
Lo
guardai un po’ stralunata: ma
dove le trovava tutte queste energie?
«
Ok, spero di farcela, mi hai
veramente distrutta oggi», accennai sorridendo e dirigendomi
verso la mia
stanza.
«
Se vuoi ti presto la mia vasca?
» Mi fermai al primo gradino.
«
Veramente? » chiesi stupita e
per un attimo potei giurare di aver desiderato come non mai che mi
avesse fatto
compagnia in mezzo a litri di bagnoschiuma. Cercando di ridestarmi da
questi
pensieri che probabilmente mi avevano fatto arrossire, sorrisi e
accettai
l’offerta.
Trasportai
tutto l’occorrente nel
suo bagno e mi tuffai letteralmente nella vasca colma di schiuma,
beandomi del
profumo e del calore dell’acqua fumante. Probabilmente mi
trattenni più del
previsto perché sentii bussare e la sua voce abbastanza
preoccupata mi ridestò.
«
Bella tutto bene? È mezz’ora
che sei chiusa lì, stai per caso cercando di
marinare?»
Mi
scappò da ridere sonoramente e
gli risposo a tono: « No pensavo di lessare, è
più adatto a contrastare il
clima locale».
Anche
lui rise al di là della
porta, poi lo sentii nuovamente parlare:
«
Ti sei divertita oggi? » Il
tono era normale, serio quasi, ma non mi andava di parlare attraverso
una
porta. In fondo ero immersa in duecento litri di schiuma, da cui non
sarebbe
trapelato nulla e così azzardai. Al massimo ne avrei ricavato un “ma
sei impazzita?”
«
Ed ti sento poco, se vuoi ti
puoi affacciare». Non lo avrei mai fatto entrare del tutto,
anche se una parte
di me avrebbe voluto vederlo tuffare nella vasca e cingermi con le sue
forti
braccia da dietro, coccolandomi in un modo vergognosamente romantico.
«
Ma stai scherzando?» non seppi
dire se il suo tono era stupito perché mi credeva pazza o se
perché anche lui
lo aveva desiderato, ma non lo aveva potuto esprimere.
«
Tranquillo, sono a mollo fino al
collo e ti giuro non cercherò di irretirti » e
un’altra risata mi sfuggì. In
realtà sapevo di averla sparata grossa, quello poteva
sembrare un chiaro invito
ad altro e la parte meno nobile di me avrebbe voluto che fosse
così, ma ormai
ero cotta al punto giusto e avrei tentato in ogni modo di capire come
sarebbe
potuta finire tra di noi.
Quello
che mi stupì fu la sua
risposta: « Ok metto la testa dentro, ma giurami che non mi
prendi a scarpate
in faccia!».
Sentii
aprire la porta e il volto
confuso e oserei dire imbarazzato del mio professore comparve facendomi
sorridere ulteriormente. La cosa strana è che fui io per la
prima volta credo a
non sentirmi affatto imbarazzata, come se ormai la sua presenza nelle
cose
quotidiane della mia vita fosse un fatto assodato.
Aveva
una strana espressione,
tremendamente sexy e intrigante, un concentrato di ormoni che avrebbe
potuto
far sciogliere ogni donna. Cercai di non pensarci e risposi alla
domanda che mi
aveva posto prima che gli facessi la mia proposta di entrata nel bagno.
«
È stata una giornata stupenda.
Un po’ stancante, ma mi ci voleva per staccare la spina.
Pensi che si possa
fare qualcosa anche domani mattina?»
«
Direi di sì, se non hai fretta
di rientrare all’istituto…».
Che
meraviglia un’altra giornata soli
io e lui! Se solo quella sera avessi avuto il coraggio di confessargli
i miei
sentimenti….chissà, magari l’atmosfera
in un bel ristorante. Certo che sarebbe
stato imbarazzante dirgli io per prima che ero innamorata di lui, ma
d’altronde
non sapevo se per lui era lo stesso e l’unico modo per
capirlo era giocare a
carte scoperte. Decisi che per quella sera sarei stata il
più possibile
elegante, cercando così di scuotere il suo lato maschile e
poi avrei visto lì
per lì.
Si
congedò da me per andare anche
lui a prepararsi. Uscii dalla vasca, mi asciugai e preparai
accuratamente,
truccandomi e indossando un semplice, ma elegante abito, abbastanza
corto, ma
leggero. Mi sarei poi coperta con il cappotto.
Uscii
dal bagno perfettamente
pronta, quando udii una splendida melodia provenire dal piano di sotto.
Ne ero
quasi certa: Edward stava suonando, mi affacciai piano per non
disturbarlo, ma
nulla mi avrebbe potuta preparare allo spettacolo che mi si
parò davanti. Oltre
alla musica che aleggiava per la stanza, una marea di candele erano
distribuite
nel salone, in mezzo al quale troneggiava un tavolo splendidamente
imbandito.
Probabilmente rimasi di sasso fino a quando la musica non
cessò e le sue parole
non mi riscossero.
«Sai,
ho pensato che se eri
stanca come me ti sarebbe andata più una cena tranquilla
qui; ho cercato
comunque di ricreare la raffinatezza e l’atmosfera di un buon
ristorante e la
cucina non dovrebbe essere da meno, se ne è occupata
Kate».
Ero
estasiata: quest’uomo mi
stupiva sempre di più. Aveva curato tutto nei minimi
dettagli e anche se
l’uscita era sfumata ero quasi più felice
così. Io e lui in casa sua.
Circondati da un’atmosfera da favola. Forse solo
così sarei riuscita nel mio
intento.
«
Bella allora che dici? » mi si
era avvicinato e mi accarezzava il braccio.
Probabilmente
negli ultimi tempi
mi riteneva una cerebrolesa perché non ero mai presente con
la testa quando mi
poneva domande, perché troppo immersa nelle mie
fantasticazioni.
«
Io non ho parole – mi voltai e
lo guardai – è meglio di qualsiasi ristorante del
mondo». Dissi queste parole
sorridendo ed ero certa di averlo convinto perché anche lui
sorrise
sinceramente. Mi si avvicinò guardandomi negli occhi e
continuando ad
accarezzarmi il braccio semiscoperto. In quel momento le mie certezze e
il mio
coraggio sull’esprimere i miei sentimenti se ne erano andate,
sprofondate in
quegli occhi verdi e non trovai di meglio che spezzare
l’atmosfera.
Iniziai
anche io ad accarezzare
la sua mano, abbassai lo sguardo e gli chiesi: «ti prego
suona per me».
Lo
vidi sorridere e annuire e si
diresse al piano. Notai solo in quel momento che indossava un pantalone
classico e una camicia bordò molto raffinata, che gli
esaltava le spalle. Si
sedette e mi invitò ad avvicinarmi: arrivai al bordo del
piano e mi appoggiai
con i gomiti preparandomi a bearmi delle sue note. Mi era
già capitato di
sentirlo suonare, ma non lo aveva mai fatto in diretta per me,
c’era sempre
stato un pavimento a dividerci. Nel momento in cui appoggiò
le sue mani sulla
tastiera la stanza si riempì delle note più belle
e dolci che avessi mai
sentito. Ero abituata a vivere nella musica, ma la sua mi colpiva
sempre per
l’intensità.
La
melodia era nuova, non la
conoscevo e quindi chiusi gli occhi per godermela al meglio e per non
perdere
la testa nel guardarlo ad occhi semichiusi mentre si impegnava a
suonare per
me. In quel momento era la cosa più bella che avessi mai
visto.
Continuai
a bearmi delle
sensazioni che mi trasmetteva quando, senza accorgermene mi raddrizzai
e mi
avvicinai a lui, mi affiancai allo sgabello e quando lui
alzò gli occhi e mi
fissò gli appoggiai una mano sulla spalla in modo delicato e
dolce. Volevo
cercare di non disturbarlo, ma nello stesso tempo volevo trasmettergli
con le
mani le sensazioni che lui mi faceva provare con la musica.
Nel
momento stesso in cui i
nostri corpi entrarono in quel contatto la musica si dissolse piano e
terminò:
Ed voltò prima la testa verso di me, poi ruotò
sullo sgabello nella mia
direzione prendendomi prima la mano che avevo sulla sua spalla e poi
l’altra
fra le sue. Ci guardammo negli occhi per un tempo che sembrò
interminabile e mi
accorsi che quello era il momento per dirgli tutto, per esternargli i
miei
sentimenti e vedere come avrebbe reagito lui.
«
Ti devo dire una cosa», iniziai.
Lui mi guardò ancora più intensamente e io feci
un altro passo nella sua
direzione. Solo altri dieci centimetri e mi sarei potuta piazzare
direttamente
tra le sue gambe.
«
Dimmi Bella » e sentii una
delle due mani poggiarsi su uno dei miei fianchi e l’altra
stringersi sempre
più forte nella mia. Ecco in quel momento sotto il suo tocco
vacillai e il mio
discorso si cancellò dalla mente. Sentivo solo una scossa e
un brivido che
passava dalle sue mani alla mia e al mio fianco « Edward
io…».
Ormai
eravamo pericolosamente
vicini e probabilmente mi balenò che l’unico modo
per fare quello che dovevo
fare era baciarlo. Abbassai lievemente la testa nella sua direzione,
forse
anche per non fargli capire esattamente i miei intenti e continuai a
fissarlo negli
occhi come lui fece con me.
Stava
succedendo e il mio cuore
rimbombava nel
petto. Feci un ultimo
respiro e quando mi decisi finalmente, un forte martellare alla porta
bloccò il
momento, costringendolo ad alzarsi e ad andare ad aprire.
Ero
stata sul punto di baciarlo e
fargli capire che ero innamorata di lui e avevo dovuto rinunciare per
uno
scocciatore. Mi augurai che fosse una questione di vita o di morte
perché ero
pronta all’omicidio. I colpi alla porta continuarono
insistenti fino a che Ed
non aprì anche un po’ scocciato:
«
Ma si può sapere chi…».
Quando
la porta si spalancò, una
chioma bionda si lanciò al suo collo.
«
Ciao Eddy, Dio finalmente,
quanto mi sei mancato…».
Ok
e ora chi era questa?
note:
eccomi con il secondo capitolo per oggi. Non so per quanto tempo
riuscirò a postare con questi ritmi anche perchè
la parte di storia già scritta sta diminuendo sempre di
più...e dopo i tempi si allungheranno. Lo so sono un
pò perfida a lasciarvi così, ma tranquille non
è niente di quello che pensate. Sta solo arrivando un altro
personaggio che arricchirà la storia......ma intanto ha
interrotto un momento importante: e Bella che non è molto
coraggiosa in fatto di sentimenti non ritroverà
così presto il coraggio di rifarsi avanti in questo modo.
va
beh vi lascio se no vi racconto tutto!!
vorrei
ringraziare perchè le recensioni stanno aumentando
così come i lettori.SONO SEMPRE PIU' LUSINGATA
siete
fantastici!!!!!!!!!
alla
prossima
questi
personaggi sono di proprietà della Meyer. la storia non
è scritta a scopi di lucro
|
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Capitolo 26 *** “Rosalie” ***
Capitolo
26
“Rosalie”
Stavo
osservando la scena di
Edward abbracciato a quella donna già da qualche secondo e
una strana
sensazione di conoscerla mi pervase. Dove l’avevo
già vista? Improvvisamente
riuscì a divincolarsi da quella stretta:
«
Rosalie che ci fai qui?».
Una
cosa attirò la mia
attenzione: ecco dove avevo già visto quella donna! Era
quella abbracciata a
lui in una delle foto del soggiorno, solo lì sembrava
più “ragazzina”. Cercai
di ragionare, ma la voce seria di Edward mi riscosse dai pensieri:
«
Mamma e papà lo sanno che sei
qui o hai fatto di testa tua come al solito?». Il suo tono
era chiaramente di
rimprovero. Ma perché? Mille domande mi frullarono per la
mente, ma non ebbi il
coraggio di formularne neanche una. Sperai tanto che non fosse una sua
ex
ragazza, ma più passava il tempo e i loro sguardi si
incrociavano, più capivo
che tra loro non c’era del tenero.
«
Stai tranquillo lo sanno, anche
se non hanno approvato, ma in realtà non ne potevo proprio
più dell’Alaska e
così eccomi qua, ma ho per caso interrotto
qualcosa?».
In
quel momento si voltò verso di
me quasi con aria di compiacimento: potevo vedere quanto fosse bella ma
il suo
sguardo, potei giurarci, era di sfida aperta verso la mia presenza in
quella
stanza.
«
In realtà stavamo per cenare »,
rispose Ed guardandomi con uno sguardo che sembrava dire “e
non solo quello”.
Probabilmente arrossii, ma alla ragazza (o meglio a Rosalie come
l’avevo
sentita chiamare) non sembrò interessare.
«
Posso farvi compagnia, ho una
fame…».
Stavo
quasi per ribattere quando
Edward mi guardò. Aveva probabilmente capito il mio
smarrimento in questa
situazione.
«
Bella lei è mia sorella
Rosalie».
Sorella?!?!?!
Non sapevo
dell’esistenza di un’altra Cullen. Ed non me ne
aveva mai parlato, chissà per
quale motivo: istintivamente allungai la mano per stringerla.
«
Piacere Rosalie, sono Isabella,
una collega di Edward».
Alle
mie parole vidi il suo volto
distendersi in un sorriso e a sua volta mi porse la sua:
«
Scusa sai se ti ho guardato
male, credevo che mio fratello per un attimo si fosse dedicato alla
bella vita
con qualche amichetta, sai è sempre così
puritano…».
A
quelle parole Ed alzò gli occhi
al cielo e scosse la testa, io non resistetti e sorrisi timidamente. In
fondo
sapere che non era sua abitudine fare il don Giovanni non mi
dispiaceva, gli
conferiva una sorta di perfezione morale, oltre quella fisica che
già
possedeva.
«
Allora mi spieghi che ci fai
qui?» il suo tono si faceva sempre più serio.
«Sì,
ma prima mangiamo ok? » e si
diresse a passo spedito verso la nostra splendida tavola romantica.
Edward mi
guardò con un’aria tremendamente dispiaciuta, ma
cercai di rincuorarlo con un
sorriso, gli presi la mano e gli sussurrai un “è
tutto ok”.
Ci
sedemmo a tavola e iniziammo a
chiacchierare o perlomeno Rosalie chiacchierava, Ed controbatteva
alquanto
scocciato e io mi limitavo a sorridere ascoltando la loro conversazione.
Pensai
a quanto sarebbe stato
romantico consumare insieme a lume di candela quella splendida cena
preparata
da Kate. Forse visto il nostro tentativo di conversazione prima che
Rosalie si
presentasse alla nostra porta, sarebbe stato interessante anche un
eventuale
dopocena, ma cercai di non pensarci. Non avevo proprio idea fino a dove
ci
saremmo potuti spingere se veramente avessi avuto il coraggio di
bacialo.
Improvvisamente
mi ridestai dai
miei pensieri quando la squillante voce di Rosalie annunciò
di essere stanca e
che sarebbe andata a dormire.
«
Veramente nella stanza degli
ospiti dorme Isabella». Potei notare un vero e proprio
sguardo di stupore negli
occhi della ragazza. Mi affrettai a rispondere prima che Edward
prendesse
nuovamente le mie difese: «Non c’è
problema, posso dormire sul divano, Rosalie
sarà stanca dal viaggio». In verità non
so perché, ma ci tenevo ad esserle
simpatica. Forse perché avevo già legato con
Alice e non mi andava che una
delle sorelle di Edward potesse prendermi in antipatia.
«
Non lo permetterei mai!»
ribatté Ed molto serio fissandomi negli occhi «non
ti farò dormire su un
divano, è comunque una sistemazione scomoda. Dormirai nel
mio letto e io starò
qui, in soggiorno».
Probabilmente
sia io che la
sorella avevamo un’espressione alquanto stralunata, ma lui
era così, mi stupiva
sempre per la sua dolcezza, almeno nei miei confronti.
Rosalie
fece il cenno di alzarsi,
ma il fratello la fermò: «Non mi hai ancora
spiegato perché sei qui. E adesso
non accetto rimandi». Capii che dal suo tono non ammetteva
repliche e cercai
anche di capire perché cercasse sempre di sviare il discorso.
«
Vedi – iniziò lei – non ce la
facevo più in quel college. Io non sono come te ed Alice, ho
bisogno di più
spazio e per quanto voglia bene a zia Carmen non ce la facevo proprio a
rimanere. E poi non voglio più pesare su nessuno: ho deciso
di trovarmi un
lavoro e vorrei provare a farlo qui. Almeno sarò vicino a
te, e mamma e papà
sapendomi al sicuro non si preoccuperanno come al solito».
Anche
con la luce fioca delle
candele potei giurare di averlo visto impallidire.
«Rosalie,
lo sai che per me non è
un problema che tu sia qui e se mamma e papà sono
d’accordo con la tua
decisione non posso che esserlo anche io, ma primo, perché
non mi hanno
avvertito e secondo, sei proprio sicura? sai quanto è dura
al giorno d’oggi
senza una titolo di studio come si deve?».
Adoravo
quando era così serio e
riflessivo. Non so perché ma sembrava così maturo
e pronto ad affrontare
qualsiasi problematica. Più lo vedevo con lei e con me e da
quel poco che avevo
potuto notare con Alice, più capivo che era una sua
caratteristica quella di
prendersi cura delle persone che gli erano accanto.
Non
potei fare a meno di pensare
come sarebbe stato con una famiglia e con dei bambini. Già i
bambini, forse è
anche per quello che non saremmo mai potuti stare insieme, o meglio ero
io che
non me la sentivo di metterlo di fronte alle difficoltà
della mia vita, lo
amavo troppo. E probabilmente se avesse saputo del mio passato sarebbe
stato
lui ad allontanarmi.
Improvvisamente
una stretta al
petto simile a quelle di molto tempo prima, anche se più
leggera mi colpì.
Trattenni a stento un respiro, probabilmente il mio sguardo
cambiò, ma per
fortuna non ci fece caso nessuno.
«
Ho chiesto io a papà di non
dire nulla. Sapevo che se ti avesse avvisato avresti fatto di tutto per
non
farmi partire. Io voglio stare qui. So che non sarà facile,
ma ti prometto che
farò del mio meglio e non ti starò tra i
piedi. E se per la fine dell’anno scolastico non
avrò combinato nulla ti giuro
che tornerò a Forks e mi rimetterò a studiare al
college.
Ti
prego fratellino. Non ti darò
noia. Se vuoi potrò stare qui e ci vedremo quando verrai a
Londra».
Rosalie
aveva lo sguardo
implorante, con gli occhi quasi da cucciolo abbandonato e capii che era
un’ottima tecnica per far capitolare il fratello.
«Va
bene, ma cercherò di farti
alloggiare al campus, così da poterti tenere
d’occhio e ti sposterai se
necessario per trovare lavoro e… non starai qui. Non vorrei
che mi demolissi
mezzo mondo».
A
quelle parole il volto della
ragazza si illuminò e con un balzo abbracciò il
fratello rovesciando quasi
tutto ciò che era sulla tavola. Non potei fare a meno di
sorridere.
«
Ora me ne vado a letto così vi
lascio soli» affermò con un tono alquanto
malizioso. Quasi mi strozzai con un
bicchiere d’acqua a sentire quelle parole; Ed mi
batté sulla schiena con un
leggero sorriso sulle labbra. Non poteva certo credere che io e suo
fratello
potessimo fare chissà che cosa con lei presente in una casa
che per pareti
aveva solo scale e vetro.
«
Buonanotte fratellone – e si
chinò su di lui per scoccargli un bacio sulla guancia
– buonanotte Bella e
scusa se ti ho rubato la stanza » e mi lanciò un
sorriso sincero. Ed quasi
arrossii al quel contatto e capii subito quanto stretto fosse il loro
legame,
come per Alice, ma forse in questo caso più paterno: si
capiva anche dal fatto
che Rosalie era più giovane di qualche anno.
La
vidi sparire su per le scale e
poi fissai Edward: «Mi dispiace che abbia rovinato la nostra
cena. Speravo andasse
tutto in modo perfetto».
«
Non ti preoccupare, è stata
comunque una bella serata, tua sorella è molto carina, ma
come mai non mi avevi
parlato di lei?»
«
Vedi, Rosalie è un po’ la
scapestrata della famiglia, nel senso che è quella che va
sempre per conto suo,
ha un carattere molto forte e contraddittorio e ha sempre dato del filo
da
torcere a mamma e papà, oltre che a cacciarsi in ogni genere
di guaio fin da
quando è arrivata da noi a nove anni».
Scrollai
la testa e lo guardai
stupita: «Che intendi dire scusa?»
«
È stata adottata dopo la morte
dei genitori. Erano due grandi amici dei miei, ebbero un incidente in
cui per
fortuna Rosalie non rimase coinvolta. Mio padre prestò loro
soccorso, ma non ci
fu nulla da fare. In punto di morte gli chiesero di prendersi cura di
lei e lui
non ebbe nessun dubbio.
Il problema fu accogliere una
ragazzina che
aveva appena perso i genitori in una casa nuova. Non ha mai avuto un
bel
carattere e i primi tempi furono difficili: litigava sempre con Alice e
le
faceva i dispetti. Probabilmente la vedeva come una rivale
all’interno della
famiglia; l’unico con cui aveva legato veramente ero io,
perché cercavo sempre di
prendermi cura di lei e soprattutto di toglierla dai guai in cui si
cacciava
regolarmente.
È
comunque sempre stata dura
gestirla, è spesso entrata in conflitto con i miei che nei
suoi confronti sono
iperprotettivi e così dopo essersi diplomata a Seattle, mio
padre a causa dei
suoi impegni, ha preferito che andasse in un college in cui fosse sotto
il
controllo della famiglia, ma con un margine di libertà e
così è finita dai miei
zii in Alaska. Evidentemente anche quel posto le è andato
stretto e così è di
nuovo attorno a me.
Vedi
con Alice è diverso. Io e
lei viviamo in simbiosi e non abbiamo mai avuto bisogno di chiedere
nulla l’uno
all’altro, ci siamo sempre sostenuti senza esserci necessari,
d’altronde
avevamo la stessa età. Mentre Rosalie era più
piccola di dieci anni, aveva
vissuto un trauma e aveva la necessità di un punto fermo, di
qualcuno di cui si
potesse fidare e che l’avrebbe protetta e aiutata in caso di
bisogno. Papà era
il suo punto fermo, ma io ero quello con cui riusciva a parlare. E non
ti ho
mai raccontato di lei proprio perché non ama essere sulla
bocca di tutti: si
sente inadeguata rispetto al resto della famiglia, anche se sono sicuro
che
valga molto più di quanto lei stessa non sappia. Non so se
mi capisci….»
«
Io non ho fratelli o sorelle,
ma credo di capire che con chi è come te
c’è complicità, con chi è
più piccolo
c’è bisogno di protezione. E tu sei fantastico con
entrambe le tue sorelle per
quanto siano così diverse di carattere, mi pare».
Non so perché dissi quelle
parole, ma le pensavo veramente. Ed era stupendo con entrambe anche se
in modo
diverso.
«
Credo sia giunto il momento
anche per me di andare a dormire sono molto stanca».
Purtroppo i miei piani
erano scemati e non mi sembrava il caso di continuare ad aspettare
qualcosa che
non sarebbe potuto succedere. Magari con un po’ di fortuna
quando saremmo stati
a Forks sarebbe stato diverso, con meno pensieri e forse meno
interruzioni.
«
Vado a prepararmi, ma sei
sicuro? posso sempre dormire io sul divano»
«
Non lo permetterei mai –
abbassò lo sguardo serio – e poi domani abbiamo
ancora qualche giro da fare e
non vorrei che fossi stanca ancora prima di partire»,
concluse sorridendo. Ci
teneva proprio che io stessi bene e per un momento pensai a come
sarebbe stato
dormire insieme a lui in modo consapevole e non come conseguenza di una
situazione problematica, come era già avvenuto nei mesi
passati.
«
Quando ti sarai addormentata
verrò ad utilizzare il bagno anche io se non ti
disturbo»
«
Guarda che se vuoi posso usare
quello della stanza degli ospiti»
«
Non sai cosa ti aspetterebbe,
in questo Rosalie somiglia ad Alice. Avrà già
monopolizzando il mondo intero.
Se non è un problema per te dividere il bagno con
me….»
«
Tranquillo, non c’è problema,
tra dieci minuti è tutto tuo».
Salutandolo
salii al secondo
piano, lo sentii
ridere, probabilmente
ripensando a quello che mi aveva detto di Rosalie, Alice e i bagni.
Entrai
nella sua stanza e tutto
intorno a me chiamava il suo nome, nel bagno il profumo del suo
dopobarba. Preferii
usare i suoi asciugamani per bearmi ancora di più
dell’odore della sua pelle e
finalmente pronta mi infilai sotto le coperte, nel suo splendido letto,
tra le
lenzuola di seta che ci avevano visti protagonisti del mio sogno.
Sorrisi
all’idea di quel sogno e mi sentii quasi imbarazzata pensando
a cosa sarebbe
potuto succedere se lui fosse rimasto con me. Dopo pochi minuti
cominciai a
sentirmi stanca, ma sentii comunque i suoi passi su per le scale.
Gli
sorrisi voltandomi verso di
lui e augurandogli la buonanotte. Chiusi gli occhi e mi rilassai il
più
possibile, anche se sentivo una leggera agitazione, forse a causa dei
discorsi
sentiti sulla vita di Rosalie. Non capii bene come e cosa avvenne, ad
un tratto
sentii il materasso affondare accanto a me. Mi voltai e mi scontrai con
lo
sguardo dolce di Edward:
«
Non volevo svegliarti, volevo
solo augurarti la buona notte e controllare che non avessi bisogno di
nulla»,
mi sussurrò con una gentilezza unica. Non so se fu la
stanchezza, il fatto che
i miei occhi si chiudevano e aprivano lentamente o se perché
in realtà fossi
già in gran parte nel mondo dei sogni, ma mi avvicinai a lui
con gli occhi
quasi socchiusi e lasciandomi guidare dal suo odore mi aggrappai alla
maglietta, strusciai la mia fronte sul suo mento e poi cercando per
quanto era
possibile nel dormiveglia di parlare lucidamente gli dissi
semplicemente: «Edward,
non andartene, resta con me». Mi strinsi a lui aspettando una
sua reazione, ma
tutto quello che sentii fu il suo caldo abbraccio sulla mia schiena: mi
accorsi
che si sistemò meglio a fianco a me sotto le coperte,
mantenendo però un
braccio sulle mie spalle, in modo che il mio viso fosse quasi sul suo
torace. «
Non ti lascio se vuoi, dormi Bella » e
un dolce bacio si posò sulla mia fronte. Ero al
sicuro.
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Capitolo 27 *** “E’ così evidente?” ***
Capitolo
27
“E’
così evidente?”
Quando
aprii gli occhi, sentendo
un rumore di stoviglie, una leggera luce filtrava dagli oscuranti delle
vetrate. Quando fui abbastanza consapevole del luogo in cui mi trovavo
girai la
testa e incontrai il volto di Edward accanto a me. Stava dormendo
ancora
profondamente a pancia in giù con un braccio sotto al
cuscino e l’altro a
cingermi il punto vita. Sorrisi lievemente rendendomi conto di quello
che avevo
fatto la sera prima: gli avevo esplicitamente chiesto di dormire
accanto a me e
lui non si era tirato indietro.
Guardando
il suo volto non potei
fare a meno di constatare la necessità
di lui che ormai avevo anche per le cose più semplici e il
fatto che non potevo
più aspettare e avrei dovuto confessargli i miei sentimenti
al più presto.
Mi
alzai sui gomiti e mi guardai
intorno. Sentivo dei rumori provenire dal piano inferiore, ma non
capivo cosa
fosse.
Ad
un tratto la porta aperta nella
stanza di Rosalie attirò la mia attenzione: si era
già alzata e probabilmente
era lei in cucina che trafficava con piatti e pentole, ma questo voleva
dire
che era passata dalla stanza di Edward per scendere e aveva sicuramente
visto
suo fratello nel letto con me, dopo che avevo precisato che eravamo
amici. Non
so perché, ma pensai fosse meglio scendere e vedere cosa
aveva visto e come lo
aveva interpretato.
Scivolai
lentamente fuori dalle
coperte cercando di non svegliarlo e mi diressi in cucina. Rosalie era
voltata
di spalle ai fornelli ed era circondata da un gran disordine e una
marea di
piatti, posate e stoviglie di ogni genere.
«
Buongiorno Rosalie», non volevo
arrivarle alle spalle di soppiatto.
«
Oh buongiorno Bella, spero di
non averti svegliato io; sai volevo prepararvi la colazione, ma come
puoi ben
vedere, non sono molto ordinata » e sollevò la
mano libera dal cucchiaio per
indicare la confusione che aleggiava nella stanza.
«
Non ti preoccupare – le risposi
accennando un sorriso – posso capirti, neanche io sono
particolarmente ordinata.
Posso aiutarti? ».
Mi
posizionai di fianco a lei e
iniziai a versare l’impasto per le frittelle nella padella.
«
Senti Bella è da ieri sera che
volevo farti questa domanda, ma c’è sempre stato Ed e
così…»
«
Dimmi pure», temevo un suo
interrogatorio come era avvenuto con Alice, ma d’altra parte
mi aveva visto in
casa sua, intenta ad una cena romantica con il fratello e in
più avevamo
dormito nello stesso letto.
«
Cosa c’è tra te e Edward?».
Ecco,
come non pensato. Rallentai
i miei movimenti e la guardai con la coda dell’occhio senza
sapere bene cosa
dire. Era sua sorella, ma era diversa da Alice. Mi sembrava molto
più
sospettosa e non so perché molto più possessiva
nei suoi confronti.
«
Siamo solo colleghi Rosalie, ma
tra di noi si è instaurata una bella amicizia; sai per me
è diventato un punto
fermo»
«
Ne sei innamorata?» ahi! non mi
aspettavo una domanda così diretta.
«
Rosalie, vedi non è come
credi…io ho avuto molti problemi in passato e la vicinanza
di Ed mi ha molto
aiutata…» mi sembrava che la stanza si fosse
ristretta, ero seriamente in
imbarazzo e stavo bruciando le frittelle.
«
Stai tranquilla, non voleva
sembrare un’inquisizione, è solo che sono
particolarmente legata a lui e non
voglio che soffra, per nessun motivo»
«
Posso capirlo, è tuo fratello »
cercavo di alleggerire la tensione e di giustificarmi.
«
Non è solo per questo, vedi,
non so se ti ha raccontato qualcosa di me»
«
Solo alcune cose »
«
La verità è che dopo la morte
dei miei non avrei potuto chiedere niente di meglio che trovare i
Cullen. Anche
se sono sempre stata una ribelle in realtà li amo in modo
assurdo e in
particolare Ed…»
«
Lo so, fa questo effetto » la
interruppi.
«
No, non credo, vedi, quando
sono arrivata tutti mi hanno accolto molto bene, ma io li rifiutavo
istintivamente: poi Ed si è avvicinato a me, mi ha aiutato
ad aprirmi e a
fidarmi e devo confessarti che fino a qualche anno fa….
credevo di essere
innamorata di lui».
Mi
bloccai e girai la testa verso
di lei.
«
Ti prego non pensare male di me…»
«
No, non lo faccio», sapevo bene
cosa provava: nei miei studi passati mi era capitato di leggere di
situazioni
simili tra fratelli adottivi. « So cosa vuoi dire, con lui ti
sei sentita al
sicuro ed eri una ragazzina, non potevi sapere come incanalare i tuoi
sentimenti»
«
Già è proprio così: ora ho
capito che quello che ho con lui è uno splendido legame
fraterno, ma non voglio
che soffra e quindi ti prego…non illuderlo e non prenderlo
in giro, non potrei
sopportarlo».
«
Cosa ti fa pensare che potrei
fare così ?» mi venne spontaneo chiederlo, non
volevo darle una brutta
impressione.
«
Non sei tu, credimi, è che
tempo fa ha avuto a che fare con un paio di stronze che gli hanno
spezzato il
cuore e lo hanno costretto ad andare via e io le ho odiate per questo e
non
voglio che succeda di nuovo».
Non
so perché, ma il fatto che
Rosalie avesse parlato di due donne mi mise in agitazione. Sapevo solo
di Leah
e dei loro problemi, ma ora veniva fuori qualcosa di più ed
ero preoccupata.
Però dovevo dare una riposta sensata e non potevo farmi
prendere dall’ansia.
«
Rosalie, io non so tu cosa
possa pensare di me, d’altronde non ci conosciamo , ma ti
posso assicurare che
qualsiasi cosa provi per tuo fratello è sincera e non vorrei
mai vederlo
soffrire, tengo troppo alla sua amicizia. Per me è
più importante di qualsiasi
altra cosa».
Era
vero. Per quanto lo amassi,
la sua vicinanza e la sua amicizia contavano molto di più e
se un giorno ci
fossimo allontanati sarebbe rimasto per sempre nel mio cuore come la
persona
che più mi aveva aiutato e alla quale dovevo gran parte
della mia serenità
attuale.
«
Non so bene neanche io cosa
provo realmente, so solo che non posso allontanarmi da lui e vederlo
soffrire
mi uccide».
«
Beh cara mia, mi disse dandomi
un pacca sulla spalla, questo è amore fidati » e
la vidi sorridere.
Forse
aveva capito tutto, i miei
sentimenti, il mio stato d’animo, ma quello sguardo mi
rasserenò:
«
Sai l’ho visto molto carico
ieri sera e stamattina in quel letto era attaccato a te come un
polipo…»
«
Oddio – mi vergognai da morire,
ma tentai comunque di giustificarmi – lo so, ma ieri sera nel
dormiveglia gli
ho chiesto di restare. Sai è capitato in alcuni momenti in
cui non stavo molto
bene e non so perché ieri sera abbia accettato».
«
Perché è innamorato di te » mi
sussurrò all’orecchio.
La
spatola mi cadde dalle mani e
sgranai gli occhi.
«
Mamma mia Bella, sei bianca
come un fantasma » e la sua risata cristallina
riecheggiò per tutta la cucina.
«
Cosa c’è di così divertente?
»
la voce di Ed alle nostre spalle interruppe la conversazione e ci
voltammo
entrambe per dargli il buongiorno.
Ci
sedemmo tutti al tavolo per
fare colazione: chiacchierammo dello shopping natalizio e dei progetti
quando saremmo
stati a Forks, come se la conversazione tra me e Rosalie non fosse mai
avvenuta. Il clima era molto sereno, Ed si avvicinava e mi sfiorava le
mani
ridendo e potei notare gli sguardi e i sorrisini che la sorella ci
riservava
nei momenti in cui eravamo più vicini o ci guardavamo.
Purtroppo i nostri
sentimenti cominciavano ad essere palesi per tutti tranne che per noi.
Passammo
la domenica mattina in
giro tutti e tre per Londra. Più volte Rosalie aveva tentato
di lasciarci soli,
ma sia io che Ed avevamo insistito perché rimanesse; non
volevamo farle credere
che il suo arrivo fosse stato un peso.
Nel
tardo pomeriggio preparammo
le nostre valigie per il rientro al campus. Edward la convinse a
seguirci,
avrebbe parlato con la preside e chiesto la possibilità di
una sistemazione per
lei.
Quando
fummo in procinto di
risalire in macchina e sistemared i bagagli nel baule della Volvo mi
prese la
mano e mi guardò.
«
Ti sei divertita ?» mi chiese
con un tono speranzoso.
Gli
sorrisi e ricambiai lo sguardo:
« Come non mi succedeva da anni» ero sincera.
«
Mi spiace per l’intrusione di
mia sorella, spero non ti abbia offeso o qualcosa di simile stamattina,
sai mi
sei sembrata strana quando vi ho trovato in cucina»
«
No, tranquillo » se solo avesse
saputo il fulcro della nostra conversazione no so come
l’avrebbe presa.
«
È solo molto legata a te e si
preoccupa che tu stia bene».
Improvvisamente
fece un gesto
inaspettato e ringraziai mentalmente il fatto che Rosalie fosse ancora
dentro
l’appartamento. Con il dorso della mano mi
accarezzò una guancia e poi parlò
con un tono di voce bassissimo che quasi feci fatica a sentire.
«
Quando sono con te non posso
che stare bene: vedi Bella, io non so esattamente come spiegarmi, ma
anche ieri
sera prima che arrivasse Rosalie, quello che avevo preparato era per
te, per
noi, perché quando siamo insieme la felicità che
trasmettiamo è unica e io ne
ho proprio bisogno. Mi spiace molto che ci abbia interrotti».
Non
riuscii a controbattere, vuoi
per l’arrivo della sorella vuoi perché questa sua
affermazione mi lasciò
spiazzata. Era la prima volta che metteva in evidenza il suo stato
d’animo
legato alla mia presenza nella sua vita. Forse anche lui come me non
riusciva a
farsi avanti, ma stavamo bene insieme e avremmo aspettato per vedere
cosa ci
avrebbe riservato il futuro.
Salimmo
in auto e ci dirigemmo
verso la periferia. La pioggia iniziò a battere
insistentemente sui vetri
dell’auto e probabilmente mi appisolai prima di arrivare al
campus, persa nei
miei pensieri e con davanti le vacanze natalizie e il mio, anzi nostro
viaggio
a Forks
Note:
e così abbiamo conosciuto Rosalie che ha interrotto i due
sul più bello (ma ci sarebbero riusciti seconod voi a farsi
avanti???mah!!) so che questi due capitoli potrebbero non avervi
entusiasmato, ma non era previsto che si mettessero insieme ora e qui.
quindi.... non picchiatemi e abbiate pazienza!
ciao
|
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Capitolo 28 *** “Ritorno” ***
Capitolo
28
“Ritorno”
Le
due settimane che seguirono
volarono letteralmente: la preparazione degli studenti per le vacanze,
con
compiti e materiali da studiare; tutti i resoconti della biblioteca e
della
situazione del dormitorio.
Ringraziai
mentalmente Edward per
essere sempre stato pignolo e insistente quando fino a tarda notte ci
fermavamo
a stendere relazioni. Almeno non si era accumulato del lavoro.
Rosalie
si era trasferita al
campus: Edward aveva garantito per lei e le aveva trovato un alloggio
nel
dormitorio dei ragazzi dell’ultimo anno, pagando un piccolo
affitto: in fondo
aveva trovato un lavoretto nel Pub del paese, sufficiente per il
momento a
pagarle i conti. Quando saremmo ritornati da Forks magari si sarebbe
spostata
anche a Londra.
Tra
noi non c’erano più state
occasioni di conversazioni: ci eravamo viste qualche sera
nell’alloggio del
fratello per fare due chiacchiere, ma aveva comunque un
carattere molto diverso e più introverso
rispetto ad Alice e non volevo essere troppo invadente. Quando aveva
voglia di
parlarmi lo faceva lei.
Inoltre
per la sua bellezza era
corteggiata praticamente dalla metà dei ragazzi del campus e
questo la
lusingava, ma faceva imbestialire Edward che si sentiva in dovere di
proteggerla e di metterla sempre in agguato su tutto. Avevo inoltre
notato
l’interesse di Emmet per lei, ma me ne guardai bene dal
riferirlo al fratello o
sarebbe strippato, anche se Rosalie non aveva mai dimostrato di
contraccambiare.
Dovevo
preparare le valigie e non
sarebbe stato facile, considerando che Edward mi aveva palesemente
invitato a
passare il capodanno con lui: non sapevo proprio quali sarebbero state
le sue
intenzioni e non sapevo nemmeno se avevo l’abbigliamento
adatto. Inoltre mi
fece chiaramente capire che non sarebbero mancate le occasioni per
conoscere la
sua famiglia e anche qui mi preoccupai di non apparire la ragazza
più sciatta
dell’universo.
In
realtà, quando di sera mi
trovava sepolta nel mio armadio intenta a rovistare e chiedergli
suggerimenti,
mi ripeteva che bastavano jeans e una felpa e sarei stata perfetta
comunque, ma
conoscendo le mie insicurezze, non era sufficiente. Come se non fosse
bastato
ci sarebbe sicuramente stata anche Alice e lei mi avrebbe ucciso se non
le
avessi dimostrato un po’ di buon gusto.
Il
giorno prima della partenza
salutai i miei colleghi e anche la preside incontrata per caso nei
corridoi.
Quello che mi aveva stupito era stata la sua affermazione
“non è che tornando
in America le viene voglia di rimanere là e noi la perdiamo?
Sarebbe una vera
tragedia!!”. Evidentemente era veramente soddisfatte del mio
lavoro e questo mi
lusingava non poco.
Mi
preoccupai di salutare anche
Emmet: mi raccomandai che non combinasse casini in mia assenza, visto
che
sarebbe stato uno dei pochi studenti a rimanere nel campus durante le
vacanze.
Mentre
mi recavo nel mio
appartamento per terminare di preparare le ultime cose, mi sentii
chiamare
dall’ultima persona che in quel periodo si era dimostrata
anche solo
interessata a me.
«Ciao
Bella, sei in partenza?»
«Oh
ciao Jake, sì abbiamo l’aereo
questa sera»
«
Allora parti con Edward? »
«Beh
sì, visto che andiamo nello
stesso posto mi sembra ovvio». Sapevo che me ne sarei
pentita, ma decisi di
chiederglielo comunque:
«
Tu non torni un
po’ a casa?»
«No
– abbassò lo sguardo. Per un
attimo mi sembrò una persona indifesa e ferita e ne ebbi
quasi pena – ancora
troppi ricordi dolorosi. È meglio che faccia passare un
altro po’ di tempo».
Non
ero più in grado di sostenere
quella conversazione. In realtà sapevo bene cosa voleva dire
soffrire e il
fatto che anche lui avesse avuto dei problemi mi faceva sentire in
colpa per
come lo avevo trattato in passato. Nel momento però in cui
sputava fango su
Edward la mia pena passava.
Salutandolo
e augurandogli comunque
un buon Natale mi allontanai e raggiunsi il mio appartamento sotto al
suo
sguardo che come sempre mi metteva a disagio.
Si
era fatta l’ora della
partenza: Edward aveva bussato alla mia porta puntuale come sempre.
Aveva
insistito per andare all’aeroporto un po’ prima,
per poter sbrigare le
operazioni di imbarco con più calma. Con i nostri bagagli ci
avviammo al
cancello. Avevamo deciso di comune accordo di andare in taxi per non
lasciare
l’auto nuova nel parcheggio:
«
Non aspettiamo tua sorella? » mi
venne spontaneo chiedere quando vidi arrivare il taxi e cominciammo a
riporre i
bagagli nel baule dell’auto.
«
No, Rosalie ci raggiunge tra
un’oretta. Doveva terminare alcune cose al lavoro ».
Mi
sembrò strana questa cosa. Non
insistetti, ma mi sembrava tanto una scusa e temevo che Rosalie si
fosse
soffermata di più al campus per salutare qualcuno in
particolare, con un po’ di
tranquillità e senza il fiato su collo del fratello.
Arrivati
all’aeroporto ci
sistemammo al nostro gate ad attendere Rosalie e l’aereo.
Cominciavo ad essere
nervosa: sarei tornata a casa dopo quattro mesi e mi sentivo
completamente
cambiata anche se non sapevo come avrei reagito a rituffarmi, seppur
momentaneamente, nella mia vecchia realtà. Una domanda mi
passò fugace nella
mente: ci sarebbe stata la possibilità di rivedere James, ed
io come avrei
reagito? In realtà le probabilità che si trovasse
a Forks da quando me ne ero
andata io erano assai remote. In fondo lui era di Seattle e veniva
nella mia
cittadina solo per lavorare o stare con me, quindi il pericolo era del
tutto
scongiurato, ma in cuor mio ero sicura più che mai che se
anche lo avessi
rivisto non avrei avuto nessun sussulto emotivo e la vicinanza di
Edward
sarebbe stata molto più importante e solida.
Ed
eccolo qui il mio angelo
seduto con lo sguardo sprofondato in un libro. Cercai di guardarlo
senza farmi
notare, adoravo quando si stuzzicava il mento; gli dava
un’aria molto
intellettuale. Ero persa nei miei pensieri talmente tanto da non
accorgermi che
mi aveva notato e si era girato. Si rivolse a me con quello splendido
sorriso
sul volto che quasi sembrava una smorfia:
«
ti vedo molto pensierosa, tutto
bene?»
«
Sì grazie – risposi
imbarazzata, speravo proprio non avesse notato il modo famelico con cui
lo
osservavo – sto solo pensando a quello che avrò da
fare quando arriveremo».
Mentii, non volevo che si preoccupasse, non volevo appesantire il clima
fra noi
parlando di James, perché anche se non me lo aveva mai detto
apertamente, mi
ero resa conto che la mia storia passata lo infastidiva.
Finalmente
arrivò anche Rosalie e
ci imbarcammo. Il viaggio fu lungo e noioso, cercai di dormire, ma il
più delle
volte mi ritrovavo a fissare il mio vicino di poltrona che dormiva con
aria
serena. Poi la stanchezza prese il sopravvento anche su di me e mi
appisolai.
Quando
il pilota annunciò che
stavamo per atterrare all’aeroporto di Seattle mi ridestai e
come al solito ero
accoccolata alla sua spalla e lui aveva il capo chino sul mio. Era
incredibile,
in qualsiasi situazione ci trovassimo i nostri corpi erano come due
calamite e,
anche se in modo platonico, finivano per essere sempre vicini.
Mi
accorsi solo dopo qualche
secondo che aveva gli occhi socchiusi e mi fissava:
«
Riposato bene? » mi chiese con
quell’aria sorniona.
«
Direi di sì, ero sul mio
cuscino preferito >>, risi leggermente quando anche lui
accennò un
sorriso dolce. «Lieto di essere sempre così
d’aiuto, ma siamo arrivati, abbiamo
la coincidenza tra poco per Port Angeles. E non possiamo
mancare».
Mi
alzai immediatamente,
cominciavo a sentire aria di casa , ma appena varcai la soglia
dell’aeroporto
un mare di ricordi mi investì: in fondo in questa
città avevo studiato e
lavorato, avevo conosciuto James e vissuto alcuni degli anni
più intensi della
mia vita, prima di decidere di insegnare e vivere a Forks.
«
Bella, sempre persa nei tuoi
pensieri? » mi ridestò Rosalie.
«
Sì scusa – le risposi scuotendo
il capo – è che è da tanto che non
torno qui»
«
Anche io» intervenne Edward. In
realtà Seattle era la sua città natale, aveva
frequentato una parte del liceo e
del college prima di andare a New York. E poi qui aveva vissuto molti
dei suoi
momenti insieme a Jake e a Leah.
«Prima
o poi – proseguì – ti farò
vedere dove sono nato
e ho vissuto tra
un viaggio e l’altro. E tu come ti senti? ».
Sapeva
cosa significava per me
quella città, « qualche fantasma ti sta facendo
visita? ». Potevo vedere nel
suo sguardo il timore di vedermi crollare emotivamente di fronte al
passato, ma
ormai era da parecchio che non capitava più e probabilmente
tranquillizzai
anche lui con il mio sguardo.
«
No direi di no » gli risposi
con un sorriso complice che solo lui avrebbe potuto interpretare nel
modo
giusto.
«
Vedo che avete i vostri segreti
quindi vi lascio, vado a fare un giro per negozi per vedere se trovo
qualcosa
di interessante».
Nel
giro di un’ora ci imbarcammo
nel secondo volo, molto più breve del precedente e in circa
due ore mi ritrovai
finalmente a casa.
Quando
uscimmo dall’aeroporto non
potei fare a meno
di notare Edward
dirigersi verso una Mercedes nera e lucida, parcheggiata nella zona
arrivi.
Rosalie accelerò il passo e in men che non si dica si
gettò al collo dell’uomo
appoggiato allo sportello.
Potevo
vederlo solo da dietro, ma
mi sembrava proprio di conoscerlo: quando si voltò lo
riconobbi. Era Carlise
Cullen, il padre di Ed, il medico che aveva rinunciato ad una brillante
carriera in tutte le più grandi città
d’America, per curare gli abitanti di una
sperduta cittadina. Non era affatto cambiato da come lo ricordavo,
anche se
perlopiù avevo avuto a che fare con lui in giovane
età, quando venivo a trovare
mio padre durante le vacanze.
Era
come lo ricordavo, il tempo
sembrava essersi fermato per lui e notai come avesse trasmesso gran
parte della
sua bellezza e del suo fascino al figlio.
«
Papà»
«
Edward»
Si
strinsero in un abbraccio
molto caloroso che mi fece quasi commuovere.
«
Anche se sono solo un paio di
mesi che non ti vedo mi sembra un’eternità
figliolo», sentì Carlise ribadire. «
Vieni, tua madre non vede l’ora di riabbracciarti, sai da
quando siamo tornati
a Forks non fa che ricordare il periodo adolescenziale in cui siete
vissuti qui
e povero me….»
Edward
accenno un sorriso, poi
fermò il padre che si stava incamminando a prendere il
bagaglio di Rosalie: «Papà
lei è Isabella, la collega e amica di cui ti ho
parlato….»
«Ah!
la figlia del Capo Swan:
molto lieto di rivederti, è passato parecchio tempo. Vieni,
sali, ti
accompagniamo noi a casa».
Mi
sentii in imbarazzo, non
volevo disturbare, magari avevano voglia di rimanere tra di loro.
«
Nessun disturbo – ribadì Ed –
anzi pensavo che probabilmente tuo padre a quest’ora non
è ancora rientrato,
visto che non sapeva esattamente quando saresti arrivata: magari
potresti
venire un attimo da noi, così ti presento mia madre e poi ti
accompagno io a
casa».
Ok,
decisamente troppe
informazioni. Voleva che io andassi a casa sua a conoscere sua madre?
Non ero
psicologicamente pronta; sapevo che non equivaleva ad una proposta di
fidanzamento, ma non mi sarei aspettata un invito così
immediato, non dopo un
volo durato più di dieci ore e un bisogno impellente di
rituffarmi nella mia
vecchia stanza e sotto la doccia.
Non
riuscii a ribattere nulla. Mi
fecero salire in macchina e in circa mezz’ora ci ritrovammo
sulla stradina nel
bosco che portava alla villa della famiglia Cullen, con il cuore che
batteva
all’impazzata. Edward stava per farmi entrare ancora di
più nella sua vita.
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Capitolo 29 *** “Carlise, Esme e Charlie” ***
Capitolo
29
“Carlise,
Esme e Charlie”
La
villa della famiglia Cullen
era di una bellezza unica. Non so se fossero le enormi vetrate o la
posizione
isolata, ma sentii, nel vederla, un senso di pace e di eleganza nello
stesso
tempo.
Carlise
parcheggiò l’auto nel
vialetto di fronte alla casa e aiutò Rosalie con i bagagli,
mentre Edward mi
aprì lo sportello invitandomi ad entrare. Non so
perché ero tanto agitata, ma
sapere di essere lì mi faceva battere il cuore, quasi quanto
la prima volta che
ero entrata nell’appartamento londinese di Edward.
Con
un passo alquanto titubante
mi avvicinai al portico ed entrai accompagnata da Edward che mi
stringeva la
mano.
Non
mi sarei mai immaginata
un’accoglienza così da Esme. Mi
abbracciò invitandomi ad entrare e facendomi un
sacco di complimenti. Era una donna veramente adorabile oltre che molto
bella e
mi congratulai per la sua bravura nell’arredare. Mentre Ed
portava le cose
nella sua stanza parlammo un po’, di come mi trovavo in
Inghilterra e di come
avevo conosciuto il figlio.
«
Ti confesso che da quando ti ha
conosciuto è cambiato, è molto più
solare e sembra essere finalmente felice: tu
non sai quanto io abbia sofferto in questi ultimi tempi nel vederlo
chiudersi
sempre di più…» arrossii a queste
affermazioni. Sembrava quasi che mi
considerassero la sua compagna più che una collega. Inoltre
mi invitò a passare
la vigilia di Natale da loro.
«
Devo declinare Esme, credo che
mio padre abbia altri impegni e vorrei proprio stare con lui»
«
Posso capire Bella, allora
potresti venire a trovarci il giorno di Natale, dovrebbe arrivare anche
Alice».
Beh
non potevo certo mancare:
primo non avevo particolari impegni e secondo dovevo portare ai miei
amici i
regali acquistati a Londra e poi, diciamoci la verità non
avrei perso
l’occasione di stare con Edward e di passare con lui qualche
ora.
Dopo
quasi un’ora in casa Cullen
gli chiesi di accompagnarmi da Charlie, in fondo doveva essere
rientrato.
Accettò anche se potei notare un piccolo senso di
disappunto: che potesse
essere perché ci dovevamo separare e non ci saremmo rivisti
almeno per un paio
di giorni?
Salimmo
in macchina dopo aver
salutato tutti e ci dirigemmo verso il centro del paese. Quando fummo
vicini a
casa lo sentii rallentare e cercai di spezzare il silenzio che in quei
minuti
si era creato nell’abitacolo:
«
Sai…. tua madre mi ha invitato
da voi il giorno di Natale, io ho accettato, ma non vorrei essere di
troppo…»
«
Tu non lo sei mai, anzi mi
mancherai domani, mia madre ha detto che non ci sarai»
«
Già….» complimenti Bella,
grande esternazione! Non seppi dire altro, la mia testa diceva che
dovevo stare
con mio padre, ma il mio cuore voleva essere dai Cullen.
«
Sono felice di aver conosciuto
i tuoi, sono persone meravigliose»
«
Anche a me piacerebbe conoscere
tuo padre» il cervello mi si fermò un attimo;
avevo capito bene? Beh sarebbe
dovuto essere normale, eravamo amici che male c’era a
conoscere i nostri
genitori? In realtà questa richiesta mi dava tutta
un’altra sensazione e a dire
la verità…mi piaceva molto.
«
Il tempo ci sarà e lo
conoscerai presto». Non seppi che altro dire per non
forzargli troppo la mano.
Si fermò davanti alla villetta bianca dove avevo vissuto
fino a qualche mese
prima. La macchina di Charlie era parcheggiata di fianco alla casa.
«
Ok ora vado, spero apprezzi la
sorpresa»
«
Sono sicuro che ne sarà
entusiasta». La mano sulla maniglia dello sportello, il cuore
che batteva, ma
nel contempo la tristezza di doverlo lasciare anche se solo per alcune
ore.
Quando feci per uscire, mi bloccò e mi costrinse a guardarlo:
«
Ci vediamo dopodomani allora?»
«
Sì certo, ma se vuoi ci
possiamo sentire tramite telefono, così mi fai sapere come
ti va qui a casa e
dai a me un valido motivo per evadere dal pranzo della vigilia con gli
amici
pescatori di Charlie» e un piccolo sorriso mi uscì
dalle labbra.
«
Puoi contarci» mi rispose
sorridendo a sua volta e avvicinandosi senza mai lasciare i miei occhi.
Mi
stampò un delicato bacio all’angolo della bocca e
i brividi sul mio corpo mi
costrinsero a chiudere gli occhi e trattenere il respiro. Ricambiai il
bacio e
finalmente a fatica riuscii a uscire dall’auto dirigendomi
con il mio bagaglio alla
porta di casa. Pensai di bussare: sarebbe stato un effetto sorpresa, e
mentre
lo facevo guardavo la Volvo allontanarsi lentamente.
Nel
giro di qualche minuto la
figura di Charlie comparve sulla soglia: in un primo momento quando mi
vide
spalancò gli occhi, poi mia abbracciò con tutta
la forza che aveva tirandomi
dentro casa. Nel primi cinque minuti non fece altro che esternarmi la
sua gioia
nel vedermi.
«
Bells, mi hai fatto una
sorpresa meravigliosa, sono così felice, non pensavo saresti
venuta così presto,
ma dimmi per quanto tempo ti fermerai?» sapevo che in cuor
suo sperava che rispondessi
”non me ne vado più”, «
Rientrerò i primi giorni dell’anno, non so ancora
bene….»
«
Ma perché non mi hai avvisato
prima, sarei venuto a prenderti….. e poi affrontare un
viaggio così lungo tutta
sola». Ok era il momento… o
adesso o mai
più.
«
Non ero sola papà, ero con un
collega americano la cui famiglia vive qui»
«
Davvero? Sono felice che ti sia
fatta qualche amicizia. Lo conosco?»
«
È Edward Cullen, il figlio del
dottor Cullen. Insegna musica nel mio istituto e ne abbiamo
approfittato per
fare il viaggio insieme»
«
Magnifico, almeno non ti sei
annoiata».
Continuammo
a parlare del più e
del meno e quando si fece ora di cena mi offrii di preparare per lui,
immaginando che la cucina casalinga non rientrasse nel suo
menù da qualche
tempo.
Stavo
veramente bene, mi sentivo
sempre a casa quando chiacchieravamo. Gli parlai dei miei studenti, dei
miei
incarichi, di come mi trovassi bene nonostante ci fosse molto da fare.
Cercai
volutamente di non approfondire la mia amicizia con Ed
perché non pensasse
male, volevo che lo conoscesse e vedesse che persona meravigliosa fera
prima di
giudicarlo.
Mi
raccontò dei suoi progetti di
cenare alla riserva indiana di la Push la sera della vigilia, facendo
intendere
il legame che si
stava creando con la
vedova Clearweater, di cui avevo avuto un sentore nelle nostre ultime
conversazioni. Potei giurare di averlo addirittura visto arrossire nel
tentativo di sviare la mia conversazione sull’argomento.
Era
sera inoltrata e stavamo
parlando seduti sul divano, quando il suono del campanello ci distolse
dalla
conversazione. Nessuno dei due aspettava visite e il mio sguardo si
aprì in
un’espressione di puro stupore nel vedere sulla mia soglia
Edward, bello più
che mai, con un piccolo mazzo di fiori in mano ed un sorriso da
infarto.
Pensando
a mio padre seduto alle
nostre spalle, che probabilmente ci fissava, trattenni a stento la
tentazione
di saltargli con le braccia al collo e dimostrai invece il mio stupore
per la
sua presenza:
«
Ed ma che fai qui?»
«Beh,
visto che domani non ci
vedremo mi sembrava stupido sprecare dei soldi nel telefono e quindi
eccomi
qua, così potrò conoscere tuo padre».
Lo
feci accomodare e
lo presentai cercando, per quanto possibile
di mascherare i sentimenti che la sua vicinanza scuotevano sempre in
me. Vidi
Charlie pensieroso: durante tutta la conversazione portava il suo
sguardo tra
noi due e potrei giurare che in più di un occasione mi
avesse beccato mentre
fissavo il ragazzo seduto accanto a me. Però non sembrava
dispiacergli, e
questo mi fece rilassare un po’.
Molto
gentilmente Ed lo informò
che la madre mi aveva invitato a casa loro il giorno di Natale e
ovviamente
nell’invito era incluso anche lui. Charlie declinò
dicendo che aveva promesso a
Sue di passare una giornata a Port Angeles e che ci sarebbe stata
un’altra
occasione.
«
Credo sia meglio che tu metta
quei fiori nell’acqua prima che si
secchino…» riferì malizioso mio padre
guardando sorridente il mazzo depositato sul tavolino e dimenticato da
me
perché troppo impegnata a non allontanarmi neanche di un
metro dal mio ospite.
Andai
in cucina a riempire un
vaso, vi disposi il mazzo e mi diressi alle scale per portarlo in
camera mia.
Ed si alzò e si offrì di accompagnarmi visto che
Charlie aveva preso possesso
del telecomando e si preparava a gustare la sua dose quotidiana di tv.
In quel
momento tra il sorriso – o forse sarebbe stato meglio dire il
ghigno – di mio
padre e gli occhi di Edward puntati sulla mia schiena, mi sentivo
estremamente
a disagio e la cosa non migliorò quando ci ritrovammo soli
nella mia camera.
Non
avevo ancora disfatto i
bagagli, fatta eccezione per l’accappatoio e il beauty case
che erano serviti
per rinfrescarmi. Nel letto mancavano ancora le lenzuola e si
offrì di
aiutarmi.
Preparammo
il letto
chiacchierando della nostra permanenza e di come avevano preso la
nostra visita
le rispettive famiglia. Quando la stanza ebbe assunto
un’immagine umana mi
stesi stanca per il viaggio, fissandolo in un implicito invito a farmi
un po’
di compagnia come spesso succedeva sui nostri divani. Ed sorrise
abbassando lo
sguardo e si stese a fianco a me, continuando a conversare come eravamo
soliti
fare.
«
Credo proprio sia ora di andare»
disse ad un certo punto vedendo il mio ennesimo sbadiglio.
«
Puoi aspettare ancora se vuoi»
«
Meglio che vada, sono stanco
anche io » e così dicendo lo accompagnai alla
porta e a salutare mio padre, che
si limitò ad un cenno della mano e ad un
“ è stato un piacere, torna quando
vuoi”. Accostai leggermente la porta
alle mie spalle per poterlo salutare un po’ più
calorosamente: lo abbracciai e
gli baciai la guancia, ringraziandolo per la bella giornata ,
augurandomi di
vederlo al più presto. Anche lui mi strinse a se dicendo
solo « il piacere è
stato anche il mio. Ci vediamo dopodomani» e si
allontanò sul viale verso la
sua auto.
Quando
mi chiusi la porta alle
spalle con un sospiro e un sorriso sul volto, sentii chiara la voce di
Charlie:
«
Ragazzo simpatico, sei stata
fortunata a trovare un amico come lui»
«
Sì, molto »
risposi non spegnendo mai il sorriso.
«
Dimmi la verità, cosa c’è fra
di voi?».
Il
sorriso mi morì in volto. Ma
esisteva qualcuno sulla faccia della terra che non mi faceva quella
domanda? I
miei sentimenti erano così palesi? Questa cosa non mi
piaceva, non per quello
che provavo, ma per la debolezza che avrei potuto dimostrare:
«
Te l’ho detto, siamo colleghi e
amici, ma mi ha aiutato molto e quindi…»
«
Ti sei presa una bella cotta…»
«
Ma papà che dici?»
«
Dai Bella, non ti preoccupare,
sei una bella ragazza, se lui è
solo non vedo perché non devi lasciarti coinvolgere dai
sentimenti».
In
quel momento non ce la feci e
cercai senza dettagli di esporgli le mie preoccupazioni:
«
Papà non è così semplice: gli
ultimi anni non sono stati facili e io non me la sento ancora di
lasciarmi
andare in una storia, ma con Ed c’è un amicizia
reale e speciale. Mi ha fatto
stare bene e anche se non so quali sono i sui sentimenti per me, la sua
vicinanza come amico è veramente importante »
«
Dimmi cosa è successo piccola
mia che ti ha fatto fuggire da qui? perché so che
c’è qualcosa, ma non sono
riuscito ancora a capire cosa».
Mio
padre aveva capito o forse
aveva sempre saputo, ma aveva fatto buon viso a cattivo gioco
lasciandomi
andare e non giudicandomi. Ovviamente non poteva sapere i dettagli, ma
aveva
intuito che i miei problemi fossero profondi e che avessi sentito il
bisogno di
cambiare vita. Un nodo alla gola portò a galla lacrime,
ricordi e dolore, ma
chiusi gli occhi feci un profondo respiro e pensai ad Edward per
ricacciare
tutto indietro:
«
Non ti devi preoccupare papà io
sto bene ora, ho fatto delle scelte sbagliate in passato, ma con
l’aiuto di Ed
mi sono lasciata molte cose alle spalle e non intendo
rituffarmici»
«
Allora deve essere veramente un
buon amico e un caro ragazzo»
«Sì,
è così».
Chiudemmo
così la conversazione.
Mio padre si raccomandò che in caso di necessità
lui ci sarebbe sempre stato e
dopo averlo ringraziato e abbracciato mi chiusi nella mia stanza.
Guardai dalla
finestra il cielo che preannunciava neve e pensai a cosa stesse facendo
il
ragazzo di cui mi ero innamorata.
Con
il pensiero su di lui me ne
andai a letto augurandogli mentalmente la buonanotte.
Note: due capitoli di passaggio che ci catapultano finalmente a Forks.
Vedremo che succederà, sicuramente il loro legame si
rafforzerà....ma verrà messo anche a dura prova.
So che qualche lettrice meravigliosa mi sta facendo notare che i tempi
si stanno allungando un pò. E avete ragione!! ma come ho
già detto i capitoli sono nati così e
arriverà anche il momento che tutti aspettano. In fondo
questa è una storia che parla principalmente di dubbi,
problemi e pene per arrivare alla serenità e all'amore vero.
Scrupoli che oggi non si pone quasi più nessuno prima di
iniziare una relazione (ovviamente qui è un pò
esasperata, ma sono un'inguaribile romantica a cui piacciono i
"prequel" ancora più delle storie). Quindi abbiate pazienza,
non mi abbandonate e apprezzate quanto sono carini e romantici questi
due anche senza stare insieme.
GRAZIE ALLE quasi 100 PERSONE CHE SEGUONO QUESTA STORIA E ALLE
MAGNIFICHE CHE LA RECENSISCONO COSTANTEMENTE. in particolare ad alex992
e alla sua proposta: sono estremamente lusingata. Siete molte
più di quelle che mi sarei mai aspettata e aumentate sempre
più
VI ADORO
ciao
|
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Capitolo 30 *** “Un gesto così semplice…ma così profondo” ***
Capitolo
30
“Un
gesto così semplice…ma così
profondo”
Quando
mi svegliai il mattino
della Vigilia mi accorsi che leggeri fiocchi stavano scendendo dal
cielo. La
nevicata non aveva lasciato ancora molte tracce sull’asfalto
e le case, ma si
poteva vedere chiaramente l’erba trasformata in un manto
ghiacciato. Pregai a
me stessa che non continuasse o muoversi in auto sarebbe stato
parecchio
complicato e sarebbe saltata la mia giornata natalizia a casa Cullen.
Saltai
giù dal letto e dopo essermi preparata mi dedicai ad
impacchettare i regali che
avevo acquistato a Londra; quando sentii Charlie muoversi per casa, mi
affrettai a terminare e scesi in cucina da lui.
«
Buongiorno papà»
«Buongiorno
tesoro, come stai?
dormito bene?»
«
Sì grazie, mi chiedevo come si
svolgerà la cena di stasera e chi mi devo aspettare di
conoscere?».
Un
leggero ghigno comparve sul
mio volto: potei vedere chiaramente mio padre arrossire.
«
Non temere Bella, niente di
formale, solo alcuni amici della riserva e della centrale. Staremo a
casa di
Sue, te ne ho parlato no?».
Eh
sì mio padre era visibilmente
imbarazzato.
«
Sì certo, è da molto che la
frequenti? » continuai a sorridere e a domandare: volevo
vedere se riuscivo a
scoprire qualcosa di più della sua vita sentimentale.
«
Ma, veramente…. da quando è
morto Harry…quel mio collega…lo ricordi no? Beh
ecco…ho pensato di aiutarla,
sai è comunque una donna sola…»
«
È un gesto molto altruistico da
parte tua». Non abbandonai la mia espressione soddisfatta. In
fondo lui aveva
fatto lo stesso la sera prima con Edward.
«
Pensavo che potrei preparare
qualcosa per contribuire alla cena, magari un dolce? »
«
Direi che è un pensiero molto
carino».
Lo
salutai mentre lo vedevo
uscire diretto al lavoro e dopo aver sistemato la cucina mi recai al
supermercato più vicino per acquistare il necessario per la
mia ricetta. Mentre
facevo la spesa incontrai Esme e Rosalie intente a fare la stessa cosa
per il
pranzo di Natale. Scambiammo due parole e quando rincasai era
già ora di
pranzo. Preparai qualcosa e poi iniziai a cucinare il dolce mentre
aspettavo
mio padre.
Erano
quasi le 16 quando rincasò
e io mi stavo preparando per la serata: due ore dopo salimmo sulla sua
auto per
recarci alla riserva indiana di La Push.
Era
da molto tempo che non
attraversavo quei luoghi: in realtà la spiaggia nei dintorni
era l’unica
frequentabile, ma raramente, anche quando vivevo qui da giovane, ero
stata al
villaggio, abitato solo da pochi indiani Quileute, ormai anziani. I
ragazzi
avevano cercato lavoro altrove e le famiglie si contavano sulle dita
delle
mani.
Era
sempre stato un posto molto
tranquillo e mi ripromisi di tornarci con Ed nei giorni seguenti. Era
un luogo
ideale per stare un po’ soli e magari parlargli finalmente
dei miei sentimenti.
Mi sentivo pronta ora e avrei accettato qualsiasi sua risposta, ma lui
doveva
sapere quanto io fossi innamorata.
Immersa
in questi pensieri non mi
accorsi nemmeno quando Charlie parcheggiò di fronte ad una
casetta di legno con
un ampio porticato e con un chiaro vociare all’interno.
Quando varcammo la
soglia rimasi stupita della splendida sensazione di festa che avvolgeva
la stanza:
le poche decorazioni casalinghe rendevano l’atmosfera gioiosa
e quelli che
dovevano essere gli amici e colleghi di Charlie stavano già
ridendo tra loro
seduti nel soggiorno.
Entrammo
e salutammo tutti.
Charlie mi presentò, anche se molti mi erano noti da tempo e
quando vidi
entrare dalla porta della cucina Sue compresi cosa poteva provare mio
padre.
Pur
essendo una donna sulla
cinquantina era veramente affascinante, in un abito molto semplice, con
i
capelli neri sciolti e uno splendido sorriso. Si vedeva chiaramente dal
taglio
degli occhi e dal colore della pelle che era di puro sangue indiano e
questo le
conferiva ancora più fascino. Ci salutò con un
grande sorriso, mi abbracciò e
poi abbracciò Charlie, in modo alquanto distaccato: forse
anche lei cercava di
tenere nell’ombra quello che per me era chiaro fosse una
relazione.
Ci
sedemmo a tavola e iniziammo a
cenare; la serata fu molto piacevole anche se mi ritrovai spesso a pensare a Edward: mi aveva
mandato un paio di
messaggi durante la giornata, l’ultimo dei quali solo
mezz’ora prima ed ero
certa che Charlie si fosse accorto del mittente, vista la mia frenesia
e il mio
sorriso nel tentativo di rispondergli nel modo più caloroso
possibile.
Ultimamente era raro che fossimo separati per più di
ventiquattro ore, in fondo
lavoravamo e abitavamo insieme, e seppur fosse passato solo un giorno
da quando
non chiacchieravamo o non vedevo i suoi occhi, ne sentivo
già il peso della
lontananza.
Terminata
la cena si unirono a
noi anche altri componenti del piccolo villaggio e lasciando la maggior
parte
delle persone a
chiacchierare, entrai in
cucina per aiutare Sue a riordinare. Quando mi trovai sulla soglia
però vidi
una cosa che mi bloccò, ma nel contempo, mi fece molto
piacere. Sue e Charlie
si stavano baciando, in un modo molto dolce, consapevoli del fatto che
tutti si
trovavano mezzi ubriachi in un'altra parte della casa. Quando si
accorsero
della mia presenza si allontanarono quasi
“scottati” e un piccolo sorriso
comparve sul mio volto alla chiara dimostrazione del loro imbarazzo.
Quando
Charlie si allontanò dalla
cucina vidi chiaramente Sue abbassare lo sguardo e iniziare a
giustificarsi, ma
prima che potesse fare qualsiasi cosa la fermai:
«
Sue stai tranquilla, non è
successo nulla. Sono felice se mio padre ha deciso di rifarsi una vita.
È solo
da troppo tempo e tu sei una persona meravigliosa, perfetta per lui.
Quindi
qualsiasi cosa proviate l’uno per l’altra non
vergognatevene e non
giustificatevene mai».
Le
dissi queste parole con il
cuore e con il sorriso più sincero possibile, pur sapendo
che quello che avevo
detto per loro speravo potesse valere anche per me.
«
Sei una donna in gamba Bella,
tuo padre me lo ha sempre detto, ma ora ne ho la conferma».
Chiacchierammo
un altro po’
mentre rassettavamo la cucina e mi raccontò un po’
di come si fossero
avvicinati dalla morte di suo marito, fino alla mia partenza che aveva
scosso
Charlie più di quello che avevo pensato. Mi rattristai per
questo e mi sentii
in colpa perché con il mio comportamento avevo ferito molte
più persone di
quelle di cui fossi consapevole, tranne l’unica che ne
avrebbe dovuto soffrire
veramente: James.
Quando
mi ridestai dai miei
pensieri Sue mi invitò a ritornare in soggiorno con gli
altri. Mentre
conversavamo allegramente notai un uomo su una sedia a rotelle fissarmi
incuriosito. Charlie notò il nostro scambio di sguardi
così si alzò e mi invitò
a conoscerlo:
«Bella,
lui è Billy Black, si è
trasferito al villaggio da poco, ha sempre vissuto a Seattle, ma poi ha
pensato
che la vita della grande metropoli non faceva più per lui,
vero vecchio mio?».
Charlie
parlava con lui come se
lo conoscesse da tempo e anche per me era un volto familiare. Mi porse
la mano
per stringerla e io ricambiai:
«
Piacere Bella, come mai non ti
ho vista mai a Forks?»
«
Perché lavoro in Inghilterra da
qualche mese»
«
Davvero? – mi chiese
incuriosito – anche mio figlio lavora in una piccola
cittadina alle porte di
Londra. Fa il custode in un istituto superiore».
In
quel momento un flash illuminò
la mia mente ormai stanca per l’orario, l’odore di
fumo e di brandy che
aleggiava nell’aria: «
Lei è il padre di
Jacob Black?»
«
Sì, lo consoci?»
«
Lavoriamo nello stesso
istituto, io, lui e il professor Cullen».
Nel
momento in cui accennai il
nome di Edward il sorriso che fino a quel momento gli aveva segnato il
volto
sparì, mostrando come il figlio, un enorme rancore nei
confronti di quel nome.
Un semplice “ah” gli uscì dalle labbra e
la nostra conversazione si interruppe
lì, ma potei notare come trascorse il resto della serata
guardandomi
dall’angolo in cui si giocava a poker.
Verso
mezzanotte cominciai a
sentirmi stanca e chiesi a mio padre di poter rincasare.
Accettò con non poche
remore di lasciarmi andare, non tanto per il fatto di dovermi lasciare
l’auto,
quanto per il pensiero di sapermi in giro tutta sola. Come immaginavo
pensava
ancora che fossi una ragazzina debole e indifesa, incapace di andare
avanti
senza la presenza di una costante protezione.
Sapevo
che Charlie avrebbe
gradito molto l’idea di passane la notte a casa di Sue e
così insistetti,
dicendogli in separata sede che si sarebbe potuto far riaccompagnare la
mattina
dopo. La sua risposta mi stupì: « Veramente, se
non è un problema per te, io
andrei direttamente con Sue a Port Angeles, visto che tu sarai dai
Cullen. Ci
vediamo domani sera»
«
Tranquillo papà fai con comodo».
Lo
salutai baciandolo sulla
guancia e poi abbracciai calorosamente anche Sue, sussurrandole un
“divertitevi” e ricevendo in cambio uno splendido
sorriso.
Sulla
strada del ritorno ripensai
alla serata, allo sguardo di Black, alla felicità di Charlie
e a quanto potesse
essere difficile reprimere per lui i sentimenti che provava nei
confronti di
Sue, nel tentativo di non incontrare la disapprovazione mia e dei suoi
amici.
Pensai a quanto fossero stupide queste sue preoccupazioni e a quanto,
se c’era
l’amore vero, niente fosse più importante. E mi
vidi rispecchiata nella stessa
situazione: stavo trattenendo qualcosa dentro me e per quale motivo?
Per paura
di una risposta negativa o per quello che avrebbero pensato gli altri? No, non me ne
doveva importare, dovevo
essere chiara, prima con me stessa e poi con lui. Ma se le cose non
fossero
andate come speravo? Se il nostro passato ci avesse impedito di stare
insieme? In
ogni caso dovevo fare un piccolo passo che mi avrebbe aiutato a capire
realmente le mie sensazioni.
Tra
questi miei pensieri, in
automatico presi il telefono e digitai un messaggio nella speranza che
il
mittente fosse ancora sveglio: “Sto
tornando da La Push. Posso passare da te per augurarti il buon Natale?”
Con
mio grande stupore la
risposta non tardò: ma che faceva dormiva con il telefono
sotto al cuscino?
“Certo che puoi, ti aspetto”
Svoltai
verso la strada che portava
al limitare della foresta e nel giro di dieci minuti mi ritrovai
davanti alla
villa dei Cullen sprofondata nel buio e nel silenzio più
assoluto. Per un
attimo pensai che si fosse addormentato e che forse ero pazza a
presentarmi a
casa sua a quell’ora: stavo quasi per riaccendere il motore
ed andarmene, colta
da uno dei miei soliti attacchi di vigliaccheria, quando un messaggio
arrivò al
mio cellulare. “Ho sentioi un auto
sei
tu? Ti vengo ad aprire”
“Meglio se esci, non vorrei disturbare i tuoi”
mi affrettai a
rispondere.
In
pochi secondi vidi accendersi
la luce nelle scale e la porta aprirsi. Edward uscì in tutto
il suo splendore
nonostante il mio primo messaggio lo avesse probabilmente svegliato.
«
Tutto bene Bella? Come è andata
la serata?»
«
Bene grazie, Sue è molto carina
e i colleghi di mio padre molto….conviviali» vidi
aprirsi sul suo viso un
sorriso che si spense non appena gli accennai della presenza del padre
di
Black.
«
Come sta Billy, è da tanto che
non lo vedo….»
«
Credo bene, ma non abbiamo
parlato molto, però….»
«Però???»
«
Ha un carattere molto simile a
suo figlio. Quando ha saputo che lo conoscevo e che conoscevo te non ha
detto
nulla e ha continuato a squadrarmi per tutta la sera. Proprio come
faceva Jake»
«
Lo avrai incuriosito e poi ha i
suoi buoni motivi per non…diciamo…
apprezzarmi».
Non
volevo che quel nostro
momento fosse rovinato dal suo passato, in fondo erano ventiquattro ore
che non
lo vedevo ed ero andata lì di mia iniziativa per salutarlo e
forse in cuor mio
anche dirgli qualcosa di più; ma ora, vedendo il suo sguardo
rattristato al
nome dei Black, ogni discorso che mi ero preparata su di noi nel
tragitto in
macchina da La Push era scemato e mi limitai a dirgli la prima cosa per
cui lo
avevo chiamato, anche per spezzare la tensione che la mia rivelazione
aveva
creato.
«
Volevo augurati buon Natale; lo
so che è tardi, ma ultimamente tu sei stata la persona a me
più vicina e mi è
sembrato giusto che fossi il primo a cui io facessi gli
auguri…».
Ed
si avvicinò a me molto
lentamente: mi prese le mani ormai gelide che mi stavo torturando
già da
qualche minuto, fra le sue calde.
«
Grazie Bella, non sai quanto mi
renda felice il fatto che io sia nei tuoi pensieri, tu
sei…la nostra amicizia è
molto importante per me»
«
Anche per me » e nel dirlo
alzai lo sguardo e puntai i miei occhi nei suoi. Non era il momento e
il luogo
per dirgli ti amo, lo percepivo, ma pensai ugualmente di fare un gesto
diverso
che forse avrebbe significato qualcosa per entrambi.
Mi
avvicinai ancora di più a lui
facendo scivolare via le mie mani
dalla
presa in cui le sue mi avevano rinchiuso e le appoggiai sulle sue
spalle: poi
alzandomi in punta di piedi lasciai un bacio leggero e delicato sulle
sue
labbra. Fu quasi uno sfioramento, dal quale mi ritrassi immediatamente,
perché
in realtà non sapevo cosa volevo dimostrargli, né
credevo fosse il momento
giusto.
Quello
però che non avevo
previsto era la risposta del mio e del suo corpo al quel gesto. Il mio
cervello
a quel contatto si spense momentaneamente; la mia
razionalità mi abbandonò per
quelli che mi sembrarono interminabili secondi. Forse il suo alito
caldo che mi
aveva solleticato o la morbidezza delle sue labbra, tutto di lui mi
lasciò un
attimo sospesa, tanto da farmi pensare di approfondire quel contatto e
mandare
a farsi benedire tutti i miei presupposti di metterlo al corrente dei
miei
sentimenti in modo graduale. I miei occhi chiusi mi fecero barcollare,
tanto
quanto il battito forsennato del mio cuore e quando li aprii potei
notare il suo
volto: gli occhi chiusi, la bocca leggermente socchiusa e il respiro
leggermente affannato, specchio del mio.
Era
quasi indubbio.
Quel
contatto nuovo tra noi aveva
provocato in lui lo stesso scompenso emotivo che aveva provocato in me.
Riaprì
gli occhi e io ripresi
pienamente il controllo delle mie facoltà allontanandomi
leggermente per
evitare un qualsiasi suo gesto di risposta: ci guardammo intensamente,
ma la
mia mano andò dolcemente a bloccargli le parole, quando un
“Bella…” uscì dalle
sue labbra. Gli sorrisi non facendolo andare avanti in una
conversazione che
non so dove ci avrebbe portati. Mi limitai a guardarlo, i miei occhi
lucidi,
specchio dei suoi: passando con la mia mano dalle sue labbra alla sua
guancia,
senza mai distogliere lo sguardo, mi allontanai, così come
avevo fatto quella
sera a casa sua, a Londra, quando sembrava che i nostri corpi non si
sarebbero
mai potuti allontanare anche da un semplice contatto come era una
stretta di
mano.
«
Bella aspetta…..»
Provò
ancora a dirmi, ma io mi
allontanai ulteriormente sempre sorridendo:
«
Buon Natale Edward e buonanotte.
Ci vediamo domani ok?»
«Ok
» e potei percepire il suo
sguardo sulla schiena fino a che non raggiunsi la mia auto.
«
Hai bisogno che ti accompagni?»
«
No grazie, già ti ho svegliato
in piena notte…buonanotte ancora»
«Notte
mia Bella » e lo vidi allontanarsi
dal punto che era stato testimone di quel mio gesto spontaneo quanto
improvviso,
solo quando la mia auto ebbe imboccato il cancello di casa sua.
Note:
dite la verità!!!!!vi aspettavate di più????Ma
ormai lo sapete....io ci vado con
i piedi di piombo. Comunque scrivere l'ultimo pezzo mi ha emozionato un
pò e
spero di trsmettere questa "elettricità" anche a voi.
alla
prossima
|
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Capitolo 31 *** “Famiglia” ***
Capitolo
31
“Famiglia”
Il
mattino dopo la mia mente non
aveva ancora abbandonato il ricordo della sera. Quando aprii gli occhi
e
realizzai che era Natale, che mio padre aveva passato la notte da Sue e
che io
avrei passato il resto della giornata a casa Cullen, balzai dal letto
abbandonando i miei sogni romantici e iniziai a prepararmi.
Per
la prima volta tirai fuori un
po’ di malizia e decisi di dedicarmi alla cura di me stessa
in modo maniacale.
Volevo essere al meglio per lui. Forse fu proprio il pensiero degli
sguardi che
Edward ultimamente mi riservava a convincermi ad indossare un abito
semplice
quanto d’effetto con tanto di accessori abbinati. Non era un
abito
particolarmente elegante, in fondo era una giornata a casa di amici, ma
speravo
che vedendomi in modo diverso dal solito potesse interessarsi
maggiormente a me.
Quando
terminai erano già le
undici e mi apprestai ad uscire con i miei regali di Natale
sapientemente
nascosti in una borsa, elegante quanto ampia. Quello che non immaginai
fu
l’arrivo del principe azzurro alla mia porta, che aveva
deciso di portarmi al
suo castello anziché su un cavallo bianco con un bel SUV
della Volvo nero.
«
Ma che ci fai qui ?» me lo
ritrovai davanti quando spalancai la porta.
«
Pensavo che visto il ghiaccio
che c’è per strada, sarebbe stato più
sicuro venirti a prendere, piuttosto che
farti girare con la tua auto..se così si può
chiamare…» e un ghigno gli uscì
dal volto
«
Ehi non offendere il mio pick!!
Visto l’età si sta comportando alla
grande!» lo rimbeccai difendendo il mio
immortale.
«
Beh certo, va ancora in moto! »
continuò lui allargando il sorriso. Ogni espressione gli
conferiva un’aria
tremendamente interessante e seppur conoscessi di lui ormai ogni
dettaglio non
mi sarei mai stancata di osservalo.
«
Aspetta un momento, anziché
prendermi in giro per la mia auto mi spieghi come facevi a sapere che
stavo
uscendo? ». Gli chiesi mentre mi chiudevo la porta alle
spalle e insieme
iniziavamo a scendere i gradini che portavano al vialetto.
«Non
lo sapevo…», disse mentre si
grattava la nuca in un evidente stato di imbarazzo « mia
madre mi ha accennato
ad un orario che vi eravate date e io mi sono presentato un
po’ in anticipo per
essere sicuro di beccarti e accompagnarti».
«
Un po’ in anticipo quanto??» il
mio tono era seriamente stupito: da quando un uomo di
trent’anni suonati faceva
la posta sotto casa ad una ragazza? Ci mancava solo la
serenata….
«
Dalle ….nove?»
«
Ma sono due ore!! Non potevi
suonare prima? ti avrei fatto entrare e almeno non saresti
congelato» gli
risposi quasi sconvolta dal quel suo atteggiamento.
«
Beh sai, non sapevo se c’era
tuo padre e poi pensavo volessi riposare un po’ di
più visto che sei andata a
dormire tardi ieri sera…» e nel dire questo mi
lanciò uno sguardo abbastanza
eloquente su quell’ultimo momento passato insieme.
Ecco
sfiorato l’argomento. Sapevo
che prima o poi sarebbe
tornato fuori e
non sapevo proprio cosa aspettarmi da lui. In fondo quello che avevo
fatto non
era andato poi molto oltre le nostre abitudini ed era stato dettato dal
cuore,
ma non sapevo come avrebbe potuto intenderlo. In realtà non
avrei nemmeno io
saputo bene come spiegarglielo e quindi pregai che non entrasse nel
dettaglio.
«
Comunque se sei
pronta..andiamo? Mia madre e Rosalie non vedono l’ora di fare
quattro
chiacchiero con te»
«
E Alice?»
«
Non è ancora arrivata. Ci sono
stati dei ritardi a causa di nevicate a Parigi. Spero proprio che non
si perda
il Natale: è il primo che passiamo tutti insieme da un paio
di anni».
Lo
guardai stupita « Cosa
intendi?».
Edward
abbassò lo sguardo prima
di parlare, dimostrando un evidente senso di frustrazione a rivangare
certe
cose: «Il Natale scorso non sono tornato. Non me la sono
sentita di affrontare
la mia vita a Seattle dopo così poco tempo che me ne ero
andato e così sono
rimasto in Inghilterra chiedendo ai miei di non venire»
«
Stai scherzando? ». Ero
seriamente sconcertata da questa rivelazione. La sua rottura con Leah e
con la
famiglia Black in generale era stata talmente profonda da non
consentirgli di
superare la cosa, tanto da passare un po’ di tempo con i suoi.
«
In realtà è da sei mesi che ho
ricominciato a vedere regolarmente la mia famiglia e per lo
più perché vengono
loro a trovarmi».
Sgranai
gli occhi e una domanda
mi venne spontanea: « Ed da quanto non tornavi negli Stati
Uniti?»
«
Da un anno e mezzo, fatta
eccezione per un salto a New York ad aprile scorso per vedere la
premiazione di
mio padre all’associazione medica americana».
Rimasi
scossa da tutto questo:
era tornato solo con me e la prima cosa che mi venne spontanea fare fu
lasciare
la mia borsa a terra e stringermi a lui, che ricambiò il mio
abbraccio
istintivamente.
«
Devi aver sofferto così tanto»
sussurrai dolcemente al suo orecchio.
«
Siamo in due allora, ma direi
che ce la stiamo cavando egregiamente, che dici?»
Si
capiva che la sua risposta era
data con lo scopo di allentare la tensione e deviare
un’ipotetica domanda che
avrei voluto fargli sul perché aveva deciso di tornare
proprio ora e con me.
«
Direi che è proprio il momento
di andare». Mi prese per mano e mi condusse
all’auto aprendo come suo solito lo
sportello ed invitandomi ad accomodarmi nei lussuosi sedili in pelle.
Il
tragitto fino a casa sua fu
molto silenzioso, ma più di una volta mi scoprii ad
osservalo e a notare un suo
sguardo sorridente verso di me.
Quando
arrivammo a casa Cullen
rimasi allibita per gli splendidi addobbi che probabilmente Rosalie
aveva messo
il giorno prima.
Appena
entrata in casa sia lei
che la madre mi accolsero calorosamente e mi offrii subito di aiutarle
in
cucina con disappunto di Ed che avrebbe voluto farmi vedere la casa.
Chiacchierammo del più e del meno e non so
perché, ma il senso di tranquillità
che mi infondeva stare a contatto con quella famiglia era qualcosa di
cui avevo
proprio bisogno.
Erano
settimane che i miei
problemi passati non mi disturbavano neanche quando mi passavano nella
mente e
questo mi rendeva estremamente felice. Ogni tanto Ed si affacciava alla
porta e
abbandonandosi allo stipite con la spalla ci guardava e commentava
quello che
stavamo facendo, beccandosi più di una volta i rimproveri
della madre per la
sua insolenza. In particolare mi accorsi di quanto spesso si
soffermasse su di
me e sui gesti che facevo senza distogliere mai lo sguardo quando
ricambiavo a
mia volta.
Quando
il più fu fatto mi offrii
di apparecchiare la tavola e lo costrinsi ad aiutarmi. Al contrario di
quello
che pensavo non si lamentò e capii dopo il
perché: ogni volta che ci passavamo
o gli porgevo qualcosa non perdeva occasione per far sfiorare i nostri
corpi;
da un semplice contatto delle braccia, allo sfioramento delle sue mani
sui miei
fianchi con la scusa di passare da una parte all’altra del
tavolo, senza
contare lo scambio di occhiate silenziose che lasciavano ben poco
all’immaginazione. Capii il perché di tutto questo
quando nel sistemate
l’ultimo centrotavola sentii le sue mani su entrambi i miei
fianchi, il suo
fiato solleticarmi il collo e la sua voce provocarmi mille brividi:
«
Sei bellissima, non che tu non
lo sia sempre , ma hai una luce oggi che fa impallidire le
stelle».
Ecco…
ero andata proprio in brodo
ora…. e dovetti chiudere gli occhi e prendere un grosso
respiro prima di
rispondergli, anche perché una marea di stelline
cominciavano a vorticarmi
nella testa.
«
Grazie » gli risposi con la
voce alquanto imbarazzata e senza voltarmi del tutto o si sarebbe
accorto del
mio stato anche dal rossore del mio viso. Le sue mani sui miei fianchi
cominciavano ad essere incandescenti e fui grata di sentire il rumore
della
porta che ci distolse da quel contatto.
Carlise
entrò in quel momento con
uno splendido sorriso per il turno terminato e la gioia di poter
passare il
Natale con tutta la sua famiglia:
«
Buongiorno Bella come stai,
buon Natale », mi disse in modo pacato.
«
Buon Natale anche a te e grazie
ancora per l’invito»
«E
di cosa? – mi rispose – sono
così felice di avere finalmente mio figlio per un
po’ a casa che ti avrei fatto
un monumento se fosse stato possibile». Rimasi un attimo
interdetta: quindi la
famiglia Cullen attribuiva a me il merito di averlo fatto tornare. Era
proprio
quello che avrei voluto chiedergli davanti a casa mia. Mi sentivo molto
lusingata di questo, ma anche un po’ in imbarazzo,
perché se fosse stato
veramente così avrebbe voluto significare che mi vedevano
come qualcosa di più
che una semplice collega di lavoro.
Non
feci in tempo a formulare
coerentemente questo pensiero che Esme entrò in soggiorno,
con il pranzo,
salutando con un bacio appassionato il marito e mettendo me e i suoi
figli un
po’ in imbarazzo per le effusioni. In realtà non
c’era niente di più bello che
veder quanto queste due persone si amassero anche dopo tanti anni.
«
Peccato che non ci sia Alice »
dissi spontaneamente.
«
Sono sicura che ci raggiungerà
al più presto, direi che la famiglia è
già a buon punto così » rispose Esme,
osservando con un sorriso compiaciuto prima me e poi il figlio.
Il
pranzo passò molto
allegramente. Quando terminammo Edward insistette per farmi fare una
passeggiata nel bosco lì a fianco, lasciando la madre e la
sorella a sistemare
prima di farmi fare un giro completo della casa.
Mi
posò il cappotto sulle spalle
e mi invitò ad uscire dalla porta principale.
L’aria era molto fredda, ma aveva
smesso di nevicare. Ci addentrammo appena tra gli alberi chiacchierando
del più
e del meno quando una sua frase mi bloccò: «Sono
così felice che tu abbia
accettato l’invito di mia madre a stare qui oggi»
«
Anche io sono felice di
esserci, la tua famiglia è veramente meravigliosa. Posso
capire quanto abbia
sofferto nel prendere la decisione di abbandonarla per andare a
lavorare in un
altro continente».
Ma
cosa mi diceva il cervello?
Una volta che non ci pensava lui mettevo fuori io certi argomenti?
Probabilmente la sua vicinanza mi mandava letteralmente in pappa.
«
Già, ma ora ho trovato qualcosa
per alleggerire le mie pene >> disse fissandomi
intensamente. Parlava di
me, di noi, della nostra amicizia e in quel momento pensai di buttargli
le
braccia al collo e baciarlo senza permettergli di dissentire. Per mia
fortuna
mi trattenni o avrei fatto la figura dell’assatanata.
«
Che ne dici se domani andiamo a
fare un giro, io e te a Port Angeles? È da tanto che non ci
vado e mi
piacerebbe farlo in tua compagnia».
Io
e lui soli per un’intera
giornata? Solo una stupida avrebbe rifiutato. Poi mi venne in mente
un’altra
cosa: «Sai, quando avevo circa diciotto anni, in
un’escursione con Charlie ho
trovato una magnifica radura, in una zona un po’ alta, oltre
le nubi dove molte
volte il sole riesce a trovare uno spiraglio. Ovviamente in questa
stagione non
sarà fiorita, ma se siamo fortunati il tempo potrebbe essere
migliore che qui.
Che ne dici di andarci, se la pioggia e la neve ce lo
permettono?»
La
sua bocca si aprì in uno
splendido sorriso: «Direi che è una magnifica
idea. Domani la radura e
dopodomani Port Angeles. Mi sembra un programma splendido»
«
Anche per me». Risposi con la
gioia nel cuore e un sorriso in volto che lasciava trasparire tutti i
miei
sentimenti. Una sua mano si posò sulla mia guancia, quando
alcuni piccoli fiocchi
ghiacciati iniziarono a cadere su di noi.
«
Penso ci convenga rientrare e
anche di corsa che ne dici?» mi domandò
prendendomi per mano.
«
Direi di sì » risposi con una
sonora risata, e catturandomi mi portò di corsa verso
l’abitazione.
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Capitolo 32 *** “Contatti” ***
Capitolo
32
“Contatti”
Quando
entrammo in casa eravamo
infreddoliti a causa dell’aria gelida che la bufera aveva
portato, ma il tepore
che proveniva dal camino acceso era veramente confortante. In quel
momento
guardando Carlise ed Esme abbracciati a chiacchierare sul divano
davanti al
fuoco, tutto quello che mi veniva in mente era se a me sarebbe mai
potuto
capitare.
In
realtà nei primi tempi che
avevo passato con James, avevo deprecato le storie troppo banali e
piatte. Mi
piaceva quell’aria di passione che la nostra relazione,
seppur clandestina
possedeva: o per meglio dire era proprio il fatto che non potessimo
stare
insieme realmente che rendeva tutto più intrigante.
Molte
cose erano cambiate da
allora: il dolore e lo strascico di una storia di quel tipo non mi
attirava
più, certo non bramavo un amore piatto fatto di un semplice
affetto, ma quello
che provavo per Edward era ben lontano dalla monotonia. Quando ero
accanto a
lui tutte le mie terminazioni nervose si accendevano, come se
rispondessero
silenziosamente ad un appello di contatto con il suo corpo e il suo
animo.
Perché questo era tra noi, ancora più che
qualcosa di fisico: qualcosa di
emotivo che partiva dal cuore e arrivava al cervello, passando dalla
razionalità all’emotività.
In
cuor mio, per quanto potessi
pensare, non ricordai di aver mai provato sentimenti così
totalizzanti per
nessuno.
In
quel momento sentii la stretta
di Ed rinsaldarsi nella mia mano e quando lo guardai potei vedere un
bagliore
nei suoi occhi. Era felice per i suoi ed era orgoglioso del fatto che
dimostrassero apertamente il loro amore senza remore: anche a me
sarebbe
piaciuto poter dimostrare all’uomo che avevo accanto tutti i
miei sentimenti in
modo così totalizzante e unico. Avrei approfittato di ogni
piccolo gesto per
far sì che Edward capisse.
Mi
invitò a bere qualcosa e
mentre ci trovavamo in cucina la mia attenzione fu calamitata da una
strana
conversazione telefonica di Rosalie. Lì per lì
non feci caso alle parole, ma il
tono e il volume erano indice di una chiacchierata molto
“intima”. Incuriosita
chiesi a Ed, che rovistava chinato dentro al frigo, se Rosalie aveva un
ragazzo:
«
Che sappia io no, ma sai era da
parecchio che non ci vedevamo. Tutto è possibile,
è sempre stata una ragazza
molto popolare».
Potevo
capirlo, era di una
bellezza veramente unica e in più con il suo caratterino
avrebbe conquistato il
mondo intero.
«
Però, a dire la verità… –
continuò – in queste
settimane a Londra
non l’ho mai vista telefonare a nessuno: ha iniziato a farlo
quando siamo
rientrati a Forks»
«
Allora le cose sono due: o è
qualcuno di qui, con cui ha riallacciato i rapporti in due
giorni….. – guardai
lo sguardo scettico di Ed – oppure è qualcuno in
Inghilterra che fino a due
giorni fa non aveva necessità di chiamarla al
telefono»
«
Non ci avevo pensato », disse
alzandosi dal frigorifero e guardandomi con l’aria
pensierosa, « se dovrò
combinarne qualcuna meglio che non mi faccia scoprire da te, non ti
sfuggono i
particolari…» e trangugiò un bicchiere
di succo di frutta socchiudendo gli
occhi.
«
Lo sai che non ti ho ancora
mostrato la mia stanza? Sono sicuro che ti piacerà,
andiamo….» e così dicendo
mi guardò fisso negli occhi e
mi porse
la mano invitandomi a seguirlo: quando mi guardava in quel modo e mi
offriva il
suo sostegno, il mio cuore iniziava a battere forsennatamente e lo
avrei potuto
seguire anche all’inferno.
Ricambiai
la stretta e mi alzai
dallo sgabello abbassando lo sguardo. Salimmo le scale sempre tenendoci
per
mano, lui davanti a me, e potei deliziarmi del resto della casa
decorata e
arredata con un gusto veramente impeccabile, nonché della
splendida luce che
filtrava dalle enormi vetrate sparse ovunque: quando ci trovammo al
terzo piano
potei notare solo due porte che si affacciavano al corridoio. Edward si
diresse
verso quella di destra e aprendola mi fece accomodare per prima nel suo
regno.
«
Sai, in verità non pensavo che
mia madre sarebbe riuscita a ri-arredarla così come era
quando abitavamo qui,
in fondo avevo quindici anni. E’ riuscita a miscelare
entrambe le mie stanze,
quella del liceo e quella di Seattle e ti dirò il risultato
mi piace molto».
Lo
sentivo parlare, ma in realtà
non ascoltai molto di quello che mi spiegò,
perché ero completamente ammaliata
dalla stanza in cui mi trovavo; un’enorme vetrata con la
veduta sul bosco si
estendeva per tutta la parete alla mia sinistra e in una parte di
quella di
fronte, che aveva anche un piccolo terrazzo: alle pareti centinaia di libri e di cd musicali,
alcuni quadri e foto
veramente spettacolari. Al centro della parete di destra troneggiava
uno
splendido letto con baldacchino moderno e di fronte un piccolo divano
in pelle
nera. Rimasi probabilmente a bocca aperta per un tempo indefinito
perché furono
le sue parole a riscuotermi: «Non mi hai detto ancora
nulla…ti piace?»
«
Mi piace???!!! Ma ti rendi
conto di quanto è fantastica, sarebbe il sogno di chiunque e
poi…trovo che ti
rappresenti in pieno: tranquilla, riflessiva ma dotata di un magnetismo unico » e nel
dire queste parole lo guardai
con un leggero sorriso sollevando un sopracciglio.
«
Ti va se accendo un po’ di
musica?»
«
Certo non devi neanche
chiederlo » e mentre lui si allontanava alle mie spalle per
azionare
l’impianto, mi avvicinai all’enorme vetrata e
guardai fuori, beandomi di quel
paesaggio che se anche battuto dalla neve mi infondeva una
serenità mai
provata. Da quell’altezza perfino i grandi sempreverdi della
foresta di Forks
sembravano alberelli.
I
cristalli di ghiaccio
iniziarono a battere sul vetro bagnandolo, spinti probabilmente dal
vento e
istintivamente allungai una mano appoggiandola alla fredda superficie:
la neve
mi metteva sempre un po’ di malinconia seppure non fossi una
fanatica del sole,
e probabilmente a causa dell’umidità presa poco
prima in giardino
mi strinsi spontaneamente nelle
spalle, accarezzandomi gli avambracci come per cercare un po’
di tepore.
In
quel momento mentre sentivo le
dolci note di Debussy spargersi nell’aria, le mani di Ed si
posarono prima
sulle mie spalle e poi sopra alle mie stesse mani, sfregando dolcemente.
«
Hai freddo?»
«No,
è che questa veduta mi dà un
senso di pace e mi crea strane sensazioni». Sapevo che non
era solo la veduta a
provocarmele, ma anche il luogo e la compagnia.
A
quelle parole lo sentii
ritirarsi, pensando forse di essere stato inopportuno, ma lo fermai
girando
appena la testa, più convinta che mai di quello che stavo
per chiedergli: «
Aspetta, non andartene…» sciolsi la mia stretta e
presi le sue mani
incrociandole intorno al mio corpo, fino a che il suo torace non fu
completamente a contatto con la mia schiena, le sue braccia intrecciate
sulle
mie e la mia testa appoggiata alla sua spalla.
«Sto
così bene quando mi sei
accanto » e dicendo queste parole mi girai leggermente per
guardare il suo
volto e le emozioni che da esso potevano trasparire. Non rispose, ma
potei
notare i suoi occhi farsi più lucidi e il respiro
appesantirsi. Iniziò a
strofinare le sue mani sulle mie braccia e poi mi fece una domanda che
mi
spiazzò:
«
Sei felice?»
«
Come scusa ?»
Lì
per lì pensai di aver capito
male, una domanda così intima fra noi non era mai capitata.
«
Ti ho chiesto se sei felice
della tua vita, ora», il respiro più regolare, la
voce più roca, un invito
assoluto a guardarlo negli occhi; non potei fare a meno di assecondarlo
fissandolo a mia volta e rispondendo come mai avrei pensato in quel
momento: «
Sì, da un po’ di tempo sì».
Lo
vidi sorridere in quel suo
modo unico, poi lo sentì allentare la presa e affiancarmi.
«
Come vanno i tuoi fantasmi del passato?
Sono ancora presenti?». Mi voltai di scatto quasi folgorata.
Sgranai
leggermente gli occhi e poi sorrisi abbassando lo sguardo.
«
Raramente ci penso e sai che
c’è di nuovo? – fece un accenno negativo
con la testa – che non provo
assolutamente più nulla. Non sento il bisogno di essere
triste o dispiaciuta
per come sono andate le cose. Ora sono realmente serena».
Era
vero, non avevo un amore di
rimpiazzo, non avevo una storia di sesso, avevo un sentimento non
ancora
chiarito, ma ero felice. Il vuoto lasciato dalla mia separazione con
l’uomo che
avevo amato per dieci anni ormai era stato colmato: anche i miei
problemi di
salute erano passati in secondo piano; pur sapendo che prima o poi
avrebbero
potuto incrinare le mie nuove certezze, non erano più una
priorità e forse per
questo non avevo più avuto strette al torace e stati di
ansia.
«Posso
chiederti una cosa io ora?»
«
Sì, dimmi»
«Se
era da così tanto che non te
la sentivi di tornare qui, cosa ti ha fatto cambiare idea?».
In quel momento il
contatto tra i nostri corpi si limitava alle nostre braccia una a
fianco
all’altra che si sfioravano. I nostri occhi erano puntati
sulla vetrata di
fronte a noi.
«
Con te mi sono sentito più
coraggioso e poi sapendo che saresti tornata comunque non me la sono
sentita di
lasciartelo fare da sola. Io….. mi sento molto….
protettivo nei tuoi confronti
*».
Ci
guardammo negli occhi in quel
momento e cercai di allentare la tensione scherzando.
«Sei
sempre pronto a salvare
damigelle in difficoltà…» dissi ridendo.
Vidi
un sorriso forzato sul suo
volto spegnersi, poi quasi digrignando i denti lo vidi prendere un
profondo
respiro e scuotere la testa. Mi voltai verso di lui. Mi aveva chiesto
di
James ma lui?
Pensava mai a Leah? Forse
era per questo che si era rattristato improvvisamente.
«La
verità… » iniziò con una
voce
talmente bassa da essere coperta dal rumore delle note dallo
stereo…ma poi si
fermò. Sembrava non riuscisse a parlare; che per la prima
volta fosse lui
quello bisognoso di conforto.
Era
sempre stato più forte, più
realista, più pacato ma deciso, più sicuro di
qualsiasi cosa. Ora lo vedevo per
come era veramente: una persona che aveva dato tanto, perso tanto,
sofferto e
fatto soffrire, ma che ancora non aveva messo da parte
l’aspetto più cupo del
suo carattere e della sua vita. Mi voltai verso di lui e, allungando
una mano
al suo volto, lo feci ruotare verso di me.
«
Parlami Edward, qual è
questa verità che ti stringe il cuore? posso
sentirlo sai» lo accarezzai guardandolo nel modo
più dolce possibile.
«
La verità è…..che non riesco a
trovare la forza di stare lontano da te neanche un minuto *».
Lo
aveva detto.
Ecco
perché era tornato, ecco
perché era triste. Sapeva che si stava facendo trasportare
dalla nostra
amicizia più di quanto avrebbe potuto controllare. Non era
per il suo passato,
per un’altra, era per me, per il futuro. Se solo fosse stato
a conoscenza dei
miei sentimenti…magari li avrebbe contraccambiati o
preoccupato di soffrire e
far soffrire ancora li avrebbe repressi. Io non volevo che trovasse
quella
forza che lo avrebbe potuto allontanare da me, ero tremendamente
egoista tanto
che lo avrei tenuto vicino anche senza potergli dare l’amore
che avrebbe
meritato.
Solo
una risposta mi venne
naturale e la voce quasi mi si incrinò: « allora
non farlo, non farlo mai»
mise la sua mano sulla mia, che ancora
gli accarezzava la guancia.
«Abbracciami
ti prego», gli dissi
quasi sussurrando. Il viso più disteso gli occhi che
sembravano già più felici
di qualche secondo prima. Stavo quasi per ripetergli la mia richiesta
più ad
alta voce ormai senza più alcuna difesa o ritegno, per
offrirgli i miei
sentimenti su un piatto d’argento, quando mi prese e mi strinse con
un’intensità tale che i
nostri cuori si sarebbero potuti scontrare nei loro battiti.
Il
mio volto appoggiato alla sua
spalla, le mie braccia che lo circondavano fino alla schiena e lui che
mi
accarezzava il collo con le mani. Si staccò dopo un tempo
troppo breve per i
mie gusti, per prendere un nuovo respiro, chiudere gli occhi e
appoggiare la
sua fronte sulla mia nel più semplice quanto profondo dei
tocchi.
Anche
io a mia volta chiusi gli
occhi deglutendo più volte e beandomi del contatto con la
sua pelle morbida.
Quando
le nostre fronti si
staccarono quasi malvolentieri ci guardammo negli occhi e in un attimo
i nostri
sguardi iniziarono a vagare alle nostre labbra e viceversa; il nostro
abbraccio
non si allentò, così come le sue carezze sul mio
collo e le mie sulla sua
schiena. Pochi centimetri ci dividevano da quello che sarebbe stato un
bacio
consenziente, il primo effettivo e desiderato con ogni fibra di noi
stessi. Non
c’era serenità, non c’era amicizia,
c’èra solo i momentaneo desiderio di
sentirsi uno e l’altro, distanti ma tremendamente vicini.
Quando
ormai avevo azzerato ogni
mia razionalità, dei passi e una voce squillante ci
penetrò nelle orecchie,
bloccando il nostro avvicinamento e interrompendo il magico momento che
si era
venuto a creare in quella stanza. Un lieve sorriso comparve sul mio
volto,
quanto una leggera smorfia su quello di Edward.
«
Ragazzi siete qui?????»
Solo
una parola dalle sue labbra
e in contemporanea dalle mie:
«Alice!!».
note:
ok non uccidete Alice vi prego!!!mi sta troppo simpatica!! la
verità è che conoscendo questi due forse
non si sarebbero baciati lo stesso...troppo fifoni!! spero
comunque che vi sia piaciuto anche perchè tre capitoli
postati in un giorno sono veramente tanti. Non fateci l'abitudine!!!in
realtà cerco di farmi perdonare in anticipo
perchè so già che martedì e
mercoledì saranno due giornate improponibili e quindi con
molte probabilità posterò solo domani e poi si
salta a giovedì. Vedremo come andranno gli impegni!!!
Non
mi stancherò mai di ringraziare tutti: ho sfondato i 100
seguiti e le 50 recensioni! ma chi se lo sarebbe mai aspettato
grazie
grazie grazie
ps.
le frasi contrassegnate dall'asterisco sono prese dal film. non me ne
vogliate, ma qui erano perfette!!
|
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Capitolo 33 *** “Dolci intermezzi” ***
Capitolo
33
“Dolci
intermezzi”
Un
tornado con i capelli corvini
spalancò la porta e si gettò al mio collo e
successivamente a quello di Edward.
Eravamo
riusciti a scioglierci,
anche se malvolentieri dalla nostra stretta solo un attimo prima che la
sorella
più impicciona del monto entrasse nella stanza, ma eravamo
comunque ancora uno
di fonte all’altra, tremendamente vicini e con
un’espressione di colpevolezza e
rammarico nello stesso tempo.
«
Tutto bene sembri strano? ».
Alice guardò il fratello e poi si rivolse a me chiedendomi
la stessa cosa.
Chissà cosa avrebbe pensato se avesse saputo che ci aveva
interrotti su quello
che poteva essere un nostro primo bacio. Visto le sue supposizioni
quando
eravamo a Londra, probabilmente si sarebbe picchiata da sola. Ma forse
lo capì
dal mio sorriso appena accennato.
Si
limitò ad un “oh” e poi mi
trascinò con sé, per raccontarmi le
novità delle ultime settimane e per darmi
il regalo di Natale.
Santo
cielo, appena entrata in
quella casa ero stata risucchiata in un vero e proprio vortice e avevo
dimenticato che anche io avevo dei regali per loro!
«
Alice – la interruppi – anche
io ho dei regali, per te Esme e Rosalie, me ne ero proprio
dimenticata» e in
quel momento mi voltai verso Ed che sorrideva a trentadue denti.
Alice
fece per trascinarmi
letteralmente per un braccio al piano di sotto, ma prima di riuscirci
potei
fissarlo e sentire chiaro il suo invito appena sussurrato:
«
Ti aspetto nel salone quando
sei libera» e non lasciai i suoi occhi fino a che non fummo
fuori dalla stanza.
«Oh
Bella mi sei mancata, dimmi
la verità – mi disse quasi sussurrando –
come sta andando con mio fratello?».
La
guardai rossa in viso e con un
sorriso sornione cercai amorevolmente di farle capire cosa era
accaduto:
«A
dire la verità sarebbe andata
meglio se tu non fossi piombata in quella stanza cinque minuti
fa».
Alice
sgranò gli occhi: «Oddio mi
dispiace Bella, che stupida sono stata, come posso farmi perdonare?
». Sembrava
veramente mortificata e non potei fare altro che consolarla.
«
Non ti preoccupare, forse è
meglio così, non sono ben sicura sia la cosa giusta
affrettare troppo i tempi.
Non vorrei che si “spaventasse” diciamo».
Ma
a chi volevo darla a bere? I
tempi sarebbero stati giusti eccome, almeno per me e
quell’interruzione mi era
dispiaciuta molto. Cercai comunque di non fargliela pesare.
«
E a te come è andato il viaggio
di ritorno? Mi hanno detto che ci sono stati problemi per la
neve»
«
Mmh…già..proprio così». Mi
rispose abbassando lo sguardo.
Perché
avevo avuto la sensazione
che stesse mentendo? Non era da lei essere in imbarazzo, specie per una
domanda
senza malizia. Pensai all’espressione di Rosalie di qualche
ora prima al
telefono. Mi venne il serio dubbio che le sorelle Cullen nascondessero
entrambe
qualcosa di personale.
Quando
arrivammo alla fine delle
scale Rosalie e Esme erano intente a chiacchierare sul divano e
probabilmente
discutevano delle prospettive di lavoro di Rosalie in Inghilterra.
« Per ora
mamma mi accontento, poi si vedrà. Non escludo la
possibilità di riprendere gli
studi, dipende da tanti fattori».
In
quel momento vidi un sorriso
illuminare il volto di Esme: sapevo che stava male per la lontananza
dei suoi
figli, ma voleva il meglio
per loro e
sapere che Rosalie stava pensando di rimettere la testa a posto le
provocava un
sano orgoglio materno.
«
Quando ripartirai tesoro?»
«
Il giorno dopo capodanno, non
sono riuscita ad ottenere di più mi dispiace». E
abbassò lo sguardo quasi nel
tentativo di scusarsi.
Non
sapevo nulla di questo.
Pensavo che sarebbe rientrata con noi la settimana successiva.
«
Beh coraggio tutte sedute –
interruppe Alice – ho portato un sacco di cose per tutte
voi». Il volto le si
illuminò e iniziò ad estrarre dal trolley che
aveva con sé, pacchetti e
pacchettini da aprire. Passammo la mezz’ora successiva a
scartare i suoi
regali. Secondo me aveva svaligiato il reparto accessori della casa di
moda per
la quale pubblicava, ma fui felice di poter condividere quel momento
così
spensierato.
Improvvisamente
si avvicinò a me
con una bottiglietta e mi prese un polso spruzzando un po’ di
contenuto su di
esso. Sapeva di fiori, un misto di lavanda e orchidea: non amavo il
profumo, ma
dovetti ammettere che questo si sposava perfettamente con la fragranza
della
mia pelle.
«
Credo che per te sia perfetto,
è tutto naturale, sono certa che qualcuno ne
impazzirà». Mi sentii
terribilmente in imbarazzo per quel’affermazione soprattutto
perché era
avvenuta tra gli sguardi compiaciuti di Esme e Carlise, accorso per
vedere cosa
combinavano le sue donne da oltre mezz’ora in soggiorno.
Edward
era ancora in camera sua e
mi chiesi se il nostro avvicinamento di poco prima ne potesse essere la
causa;
magari ci aveva ripensato e se ne era rammaricato.
Non
avevo ancora terminato di
formulare il mio pensiero che lo vidi scendere dalle scale con
un’espressione
seria, ma serena e unirsi a noi nello scambio dei regali.
«
Avrei qualcosa anche io» dissi
timidamente. Gli occhi di tutti mi fissarono stupiti.
«Non
sapevo cosa prendere per
ringraziarvi della vostra ospitalità, sono solo poche cose
non aspettatevi
nulla di che».
«
Bella non dovevi, sei stata
veramente gentile, mi ripose Carlise». Porsi a tutti, tranne
che a Ed
ovviamente, i miei regali; orecchini e bracciali per Esme e le ragazze,
un
libro antico per Carlise. Tutti mi ringraziarono calorosamente e mi
bloccai
quando sentii Ed appoggiare le mani sui miei fianchi e sussurrarmi
«che ne dici
di venire di là?».
«Ok
», gli riposi sorridendo.
Stavamo per congedarci quando Carlise ci fermò.
«
Scusate ragazzi, ma prima di
dividerci e tornare alle nostre occupazioni, volevo rendere partecipi i
miei
figli di una scoperta». Tutti si fermarono ad ascoltarlo.
Feci il cenno di
allontanarmi, mi sembrava che quel momento fosse solo familiare, ma la
sua voce
mi bloccò: «No, resta mi fa piacere che tu sia
presente». Ora ero seriamente in
imbarazzo: neanche li conoscevo e venivo trattata come una di famiglia.
Queste
persone erano veramente qualcosa di unico.
«Come
sapete – iniziò – è da
tempo che, dopo aver ritrovato alcuni vecchi documenti, faccio ricerche
sulle
origini della nostra famiglia e finalmente hanno dato i loro
frutti». Lo vidi
srotolare una pergamena su cui era rappresentato un blasone con un
leone, una
mano e tre
trifogli: «Questo è il nostro
stemma. È molto antico ed ha origini europee».
Spiegò
a grandi linee il
significato: la forza, la bellezza… e poi
consegnò ad ognuno dei suoi figli una
scatola.
Quando
la aprirono potei vedere
la commozione sui loro volti: ad ognuno era stata regalata una
rappresentazione
dello stesso stemma. A Rosalie un cameo, a Alice un ciondolo, a Edward
un bracciale
a fascia. «Io e mamma abbiamo optato per questo» e
mostrarono uno splendido
anello con la stessa immagine.
«
Ricordate ragazzi che dovunque
andremo e qualsiasi destino avranno le nostre vite saremo sempre noi,
sempre i
Cullen: una famiglia. E vorrei che questi oggetti vi aiutino a
ricordarlo».
Improvvisamente
vidi i tre figli
correre incontro ai loro genitori ed abbracciarli e subito dopo mi resi
conto
che le lacrime stavano bagnando il mio viso. Era la prima volta che
vedevo una
dimostrazione di amore così forte in una famiglia e per un
attimo sperai
ardentemente di poterne far parte un giorno.
«
Bella ti senti male? ». La voce
calda di Edward mi ridestò dai miei pensieri. Mi affrettai
ad asciugare le
lacrime non appena mi accorsi che tutti mi stavano osservando.
«No,
tutto bene – risposi – è
solo che siete una famiglia meravigliosa. Io adoro mio padre e mia
madre, ma mi
è sempre mancato tutto questo e quindi…
» non riuscii a terminare, le mani
calde di Ed finirono di asciugarmi le lacrime e mi portarono nella sala
a
fianco, dove troneggiava uno splendido pianoforte a coda, molto simile
a quello
che aveva nella sua casa di Londra.
Nel
giro di pochi minuti il
soggiorno si era vuotato. Tutti si erano spostati ad altre
attività. Quando mi
ripresi capii che quello sarebbe stato il momento migliore per dare ad
Ed il
mio regalo.
Mi
prese per mano e mi fece
accomodare accanto a lui sullo sgabello: mise le mani sui tasti e
iniziò a
suonare la stessa melodia che avevamo ascoltato in camera sua. Mi
fermai
incantata come era già successo
e seduta
accanto a lui mi sembrava di poter sentire
l’elettricità della musica
spigionarsi dal suo corpo ed entrare nel mio.
Chiusi
più volte gli occhi per
percepire a pieno le vibrazioni e quando terminò un applauso
mi partì
spontaneo: «Sei magnifico. Suoni in modo assurdo, non ho mai
avuto modo di dirtelo,
ma sei veramente bravo».
«
Grazie. Senti Bella a proposito
di prima….». Vedevo il suo sguardo imbarazzato e
compiaciuto nello stesso
tempo: non sembrava dispiaciuto di ciò che stava per
accadere in camera sua, ma
avevo capito che, pur provando forti sentimenti per me, aveva bisogno
di
pensarci ancora un po’ su.
«
Tranquillo – gli dissi
accarezzandogli il volto – è tutto ok. Facciamo
passare questi giorni qui in
America divertendoci senza pensieri e poi ne riparleremo arrivati in
Inghilterra, se vorrai». Un sorriso comparve sul suo viso:
probabilmente temeva
che mi sarei potuta offendere a questi suoi dubbi, ma anticipando
qualsiasi
tipo di conversazione positiva o negativa gli avevo dimostrato che ero
io la
prima ad essere serena.
«Direi
che “qualsiasi” cosa può
aspettare» e calcai su quel “qualsiasi”
per fargli intendere che avrei
accettato di tutto. In realtà in quel momento se mi avesse
detto che mi amava
sarei stata la più felice del mondo, così come mi
sarei rammaricata del
contrario. Ma ero convinta che non mi sarei disperata,
perché il tempo avrebbe
sempre potuto cambiare le cose e io lo avrei potuto avere comunque
accanto come
amico.
Mi
alzai e presi la borsa
estraendone il pacco per lui.
«
Questo è per te» lo vidi
sorridere.
«
Temevo che ti saresti
arrabbiata, ma ora ho la scusa di aver ricambiato»
Non
capii lì per lì cosa
intendesse finché non lo vidi posare una scatola stretta e
lunga sui tasti del
piano. Rabbrividii. Dalle dimensioni doveva essere per forza qualcosa
di
prezioso. Ormai avevo individuato il suo standard.
Prese
il mio pacco e lo aprii. Il
porta spartiti in pelle e ricami in oro faceva bella mostra di se e mi
sentii
soddisfatta della mia scelta quando vidi i suoi occhi spalancarsi e la
sua voce
sussurrare un labile « è splendido».
«
Aprilo »
Voltò
la preziosa copertina e
quando vide il contenuto della prima pagina mi guardò quasi
sconvolto. Una
preziosa pergamena con lo spartito di “Claire de
Lune” troneggiava
nella prima pagina.
«
Non immaginavo che fosse uno
dei tuoi compositori preferiti, ma quando l’ho sentita in
camera tua poco fa ho
sperato di aver indovinato i tuoi gusti. Sai…è
una delle mie preferite»
«
Non sarà mica un originale?»
«
Beh se sia originale non so, ma
è sicuramente antica, perché non ti piace? Sono
convinta che quelle che
inserirai tu non saranno da meno credimi»
«
Non ho parole, tu sei pazza!»
mi canzonò con gli occhi chiaramente commossi. Il mio cuore
esultò: lo avevo
reso per un attimo veramente felice. Mi strinse a se e mantenendo un
braccio
attorno alle mie spalle e mi invitò ad aprire il suo.
Quando
lo presi le mani mi
iniziarono a tremare. Sapevo che non equivaleva ad una proposta di
matrimonio,
ma se dentro ci fosse stato ciò che pensavo….beh
non sarebbe stato certo un
regalo destinato ad una semplice amica.
E
fu ancora meglio di quello
che pensavo. Quando sollevai il
coperchio uno splendido bracciale a fascia troneggiava sul velluto. Si
vedevano
chiare tre file di brillanti interrotte da una placca di oro bianco su
cui era
inciso il mio nome in caratteri eleganti.
Lo
estrasse per me dalla custodia
e me lo appoggiò al polso. Subito prima che lo allacciasse
notai un’incisione
anche nel lato interno della placca e lo fermai
“ogni volta che ti vedo è come se il
mondo mi sorridesse “
E.
«
È solo che volevo ricordassi
chi te lo ha regalato e quanta importanza hai per me» mi
disse prima che
potessi ribattere qualsiasi cosa.
«
Non potrei mai dimenticarlo».
Lo guardai con gli occhi lucidi. Me lo allacciò e poi
asciugo le lacrime prima
che scendessero. « Il mio intento non era renderti
triste».
«
Non lo sono infatti, anzi il
contrario, è che sono un po’ emotiva
e…» presi il respiro e abbassai lo
sguardo.
Mi
prese il mento tra le dita in
un gesto ormai familiare quanto delicato: «lo so, ma questi
occhi devono solo
sorridere » e vi posò sopra un delicato bacio, per
poi lasciarmene uno più
profondo sulla fronte. Potei giurare di averlo visto soffermarsi con lo
sguardo
sulle mie labbra e avrei desiderato più di ogni altra cosa
quel contatto. Ma ci
eravamo detti di aspettare di rientrare e mi andò bene
così.
«
Buon Natale Bella »
«Buon
Natale Edward»
E
ci abbracciammo calorosamente.
«
Credo sia giunto il momento di
tornare a casa. Si è fatto tardi e mio padre si
chiederà dove sono finita»
«
Ma nevica ancora, potresti
anche restare qui. C’è una stanza vuota di fronte
alla mia…».
Questo
suo invitò mi stupì, ma
poi perché avrebbe dovuto in fondo non era la prima volta. A
malincuore
declinai l’invito. Preferivo dormire nel mio letto lontano da
lui e
metabolizzare eventi e sensazioni di quella splendida giornata.
«
Ok – lo sentii dire rassegnato
– ma domani sei di nuovo
tutta per me» mi
disse convinto.
«
Puoi giurarci » gli soffiai
dolcemente sul volto.
Salutai
tutti i componenti della
famiglia Cullen con un abbraccio, ringraziandoli per la splendida
giornata. Io
e Ed salimmo in silenzio sulla sua auto, ma entrambi avevamo un aria
soddisfatta
e rilassata nello stesso tempo.
Quando
fummo di fronte a casa mia
mi scortò con l’ombrello fino al portico per
impedirmi di bagnarmi. Pur
conoscendo il suo modo di fare nei miei confronti c’erano
ancora gesti e
atteggiamenti che mi lasciavano sinceramente meravigliata di quanto
potesse
essere fantastica una persona.
«
Notte mia Bella, a domani » e
mi baciò il dorso della mano, che rimase quasi scottato da
quel contatto.
Quando
entrai in casa trovai
Charlie intento a sistemare la cucina. Mi sorrise caloroso e mi chiese
come era
andata la giornata.
«Splendidamente».
Chiacchierammo
qualche minuto
fino a che uno sbadiglio non mi sorprese.
«È
meglio che tu vada a riposare»
«Già,
notte papà»
«
Notte Bells. Ah, mi piace
proprio quell’Edward». E lo vidi sorridere
malizioso.
Ricambiai
il sorriso, salii le
scale e mi preparai per andare a letto. Ma prima di spegnere la luce,
riguardando il mio bracciale, ripensai alla giornata.
Avevo
convinto me stessa ad
aspettare perché entrambi fossimo sicuri dei nostri
sentimenti, ma sapevo che
c’era qualcosa di profondo tra di noi e avrei fatto il
possibile perché anche
lui se ne rendesse conto. Ormai non potevo più vivere senza
Edward.
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Capitolo 34 *** “La Push” ***
Capitolo
34
“La
Push”
La
sveglia mi ridestò da una
delle dormite più pesanti degli ultimi due anni: forse la
lunga giornata, forse
la tranquillità del mio stato d’animo, fatto sta
che mi ero addormentata come
un sasso e avevo dormito molto profondamente.
Mi
alzai per prepararmi: avrei
passato la giornata con Edward alla ricerca della mia
radura….,ma quando
spostai lo sguardo alla finestra notai qualcosa che mi spense
l’entusiasmo
immediatamente. Una pioggia fitta e insistente stava cadendo dal cielo
e per
quanto non fosse una novità in quella zona non avrebbe dato
la possibilità di
raggiungere la radura. Molto probabilmente a quell’altitudine
sarebbe nevicato
e questo avrebbe reso pericoloso, oltre che inutile una camminata fin
là.
Tutti
i miei pensieri sulla
giornata sfumarono e a malincuore presi il telefono e chiamai il mio
collega di
passeggiata, comunicandogli che non saremmo potuti uscire. Almeno non
per la
radura.
«
Se smette di piovere in
mattinata potremmo provare » mi suggerì.
«
Mi dispiace, ma non credo
proprio; intanto è una camminata un po’ lunga
è occorre partire di primo
mattino e poi lassù questo tempo avrà sicuramente
portato un bel po’ di neve:
rischia di essere pericoloso» lo sentii chiaramente sbuffare
dall’altro capo
del telefono.
«
Mi dispiace, ci tenevo a
vederla»
«
Capiterà»
«
Vorrei passare ugualmente la
giornata con te che facciamo?»
Avrei
voluto rispondergli che
oltre alla giornata avrei passato anche la nottata con lui, ma poi
sarei dovuta
fuggire in Canada per la vergogna. Gli risposi che non avevo idee, ma
che mi
sarei preparata e sarei andata da lui, poi avremmo deciso.
Mi
vestii in modo sportivo e mi
infilai un giaccone il più possibile pesante e impermeabile.
La giornata era
troppo umida per dedicarsi all’abbigliamento elegante.
Salutai velocemente
Charlie e prendendo le chiavi del pick up mi avviai alla porta.
«
Non credo che quelle ti
serviranno» quasi urlò dal soggiorno, ma non capii
assolutamente cosa
intendesse finché non aprii la porta e vidi
un’enorme jeep alla fine del mio
vialetto.
«
E’ da circa dieci minuti che ti
aspetta lì fuori. L’ho incrociato quando sono
rientrato dopo aver preso il
giornale. Mi ha salutato e ha detto che preferiva aspettarti qui.
È veramente
un galantuomo, quasi troppo perfetto per essere vero».
Lo
guardai abbastanza sconvolta:
probabilmente il mio cuore che aveva preso a battere furiosamente
quando aveva
visto Edward fuori dalla mia porta su quell’auto enorme, si
era fermato alle
affermazioni di mio padre.
«
Papà non è come pensi tu »
«
Oh sì che lo è, e presto te ne
accorgerai anche tu. Lui per me ne è già
sicuro>>. Non so se mi folgorò
di più il fatto che mio padre pensasse che dovevo mettere a
fuoco i miei
sentimenti o se perché era in un qualche modo al corrente di
quelli di Edward.
Gli
lasciai un tenero bacio sulla
guancia e uscii dirigendomi all’auto: fortunatamente aveva
quasi smesso di
piovere e non mi servì l’ombrello. Appena entrai
il volto sorridente del mio
accompagnatore mi accolse: « Ma si può sapere che
ci fai qui? Sarei venuta io?»
dissi sorridente, in realtà adoravo queste sue improvvisate.
«
Quando mi hai chiamato ero già
pronto e poi riflettendo su dove saremmo potuti andare ho pensato che
questa
sarebbe stata l’ideale» disse indicando
l’auto.
«
Ma di chi è?…è veramente
enorme»
«
Non ci crederai, ma è di
Rosalie…sai per la spiaggia di la Push direi che
è l’ideale». La spiaggia di la
Push? E quando avevamo deciso di andarci, io ero rimasta che ci
trovavamo a
casa sua? Sapevo che qualsiasi decisione avesse preso non avrei avuto
il cuore
di ribatterla, ci teneva troppo e così con un sorriso gli
risposi: « Vada per
la Push».
Erano
anni che non andavo in
questa spiaggia. D’estate gli abitanti del villaggio
riuscivano anche a farci
il bagno, ma penso che fosse perché erano temprati. In
realtà non ricordo
giorno in cui il vento e le nuvole non battessero queste rive, ma era
un
paesaggio veramente stupendo. Quando fummo sulla strada che
fiancheggiava gli
scogli non potei non voltarmi ad ammirare il panorama veramente
d’effetto e
sentii Ed sussurrare un “ricordo così poco di
questi luoghi” con una nota di
rammarico.
«
Ci sei stato molto tempo fa, in
fondo il periodo dell’adolescenza è quello che
dimentichiamo più in fretta»
«
Sai cosa pensavo?» feci un no
con la testa « se mio padre non si fosse trasferito di nuovo
a Seattle quindici
anni fa avremmo frequentato la stessa scuola, ci saremmo incontrati
all’epoca e
magari tante cose non sarebbero successe…..»
«
magari ne sarebbero successe
altre……» e abbassai lo sguardo. Era
capitato anche a me di fare questi
pensieri: forse non saremmo mai diventati amici, o forse il destino ci
avrebbe
portato a stare insieme e quindi molte delle scelte che nella vita ci
avevano
fatto soffrire non le avremmo fatte.
Poi
però un pensiero molto più
profondo mi uscii e lo formulai ad alta voce.
«
Penso che se non ci siamo
incontrati prima qualcosa vorrà dire: tu hai vissuto a Forks
quando io sono
stata a Jacksonville, quando sono tornata io tu sei andato a Seattle e
poi
quando io sono stata a Seattle, tu eri in giro per l’America
fino a tornare
quando io ho finalmente deciso di vivere qui. E alla fine
ci siamo
trovati dall’altra parte del mondo. Probabilmente la vita ha
voluto metterci
alla prova facendoci vivere due vite lontane, facendoci capire quante
cose ci
possono essere e dandoci la possibilità di amare, soffrire e
rialzarci. E se
ora siamo a questo punto…era proprio destino che ci
fossimo».
Mi
guardò pensieroso e poi lo
vidi accennare un sorriso compiaciuto, forse questa mia teoria piaceva
anche a
lui: « Allora vediamo cosa ha in serbo la vita per noi
ora» sussurrò.
Non
feci in tempo a ribattere che
arrivammo alla spiaggia.
Il
vento era forte e quando aprii
lo sportello mi invase in pieno costringendomi a raggomitolarmi nel giaccone. Sentii Edward
chiudere lo sportello
dall’altra parte e lo sentii avvicinarsi a me che nel
frattempo mi ero
incantata a guardare il panorama. Improvvisamente due mani calde mi
chiusero la
zip del giaccone fino a sotto il collo e quando spostai lo sguardo il
suo
splendido sorriso mi lasciò
incantata.
«
Facciamo due passi? ». Annuii e
lui mi prese forte la mano trascinandomi giù dal sentiero
che conduceva alla
spiaggia.
Camminammo
probabilmente per
circa un’ora parlando di scuola, delle nostre famiglie, in
particolare dei
dubbi che entrambi nutrivamo sui comportamenti delle sue due sorelle,
ridendo e
scherzando come non mai. Mi ritrovai a guardare spesso lo spettacolo
del mare
che si infrangeva con le sue enormi onde e lui mi si parava davanti per
togliermi dal viso i capelli mossi dal vento, oppure mentre camminavamo
mi
abbracciava per le spalle, sicuramente con l’idea di
scaldarmi, ma in realtà
trasmettendomi solo emozioni e sensazioni uniche di trasporto:
maledizione a me
e a quando mi era venuto in mente di dirgli che avremmo aspettato il
ritorno in
Inghilterra per poter parlare della situazione tra noi. In questi
momenti avrei
solo voluto dimenticare tutto, ignorare realtà, passato,
sofferenze e buttargli
le braccia al collo per esprimere ogni mio sentimento.
Quando
rientrammo a casa era già
pomeriggio inoltrato. Aveva insistito per andare a casa sua: la sua
famiglia
aveva voglia di vedermi, in particolare Alice che aveva una proposta da
fare a
tutti noi. Quando entrammo in casa Esme venne subito a salutarci,
abbracciandomi, dando un bacio al figlio, e chiedendoci se avevamo
pranzato.
Edward rispose molto teneramente con un sorriso sulle labbra: capivo
cosa
voleva dire avere una madre che si preoccupava di te in ogni istante:
la mia
era distante, ma le sue telefonate e mail erano una dimostrazione
dell’affetto
che ancora ci legava.
Mia
madre…in realtà a volte mi
mancava e mi ritrovai più volte a pensare come avrebbe
reagito alla mia fuga se
fossi vissuta ancora con lei: avrei forse avuto il coraggio di
confessarle i
miei problemi? In realtà non so perché, ma ancora
non ero riuscita a scriverle
nemmeno di Edward e della nostra amicizia, anche perché
conoscendola avrebbe
capito bene come stavano le cose e mi avrebbe spinto allo scoperto in
modo
forse un po’ troppo affrettato. Guardando la madre di Edward
e i suoi splendidi
modi con le persone, mi ripromisi che era giunto il momento di una
bella
chiacchierata anche con la mia.
Dopo
pochi minuti vidi Alice
scendere le scale con il suo solito sorriso e chiedermi di
accompagnarla nella
sua stanza con la sorella per due chiacchiere tra donne. Lasciai a
malincuore
Ed nel salone con il padre, ma in realtà mi piaceva talmente
tanto il clima che
aleggiava in quella casa e il modo in cui venivo considerata, che non
feci caso
agli sbuffi dello splendido ragazzo accanto a me
e seguii le mie nuove amiche al piano di
sopra. Ero sempre più convinta del legame che si era creato
con quella
meravigliosa famiglia.
«
Ho pensato di organizzare una
festa qui a casa nostra per capodanno, vorrei invitare qualche vecchio
amico
che ancora abita a Forks e magari qualcuno di
Seattle…sarà una cosa semplice
con cibo musica e naturalmente..fuochi artificiali!».
Questo
era il progetto che Alice
ci espose non appena fummo nel salotto al secondo piano. Nutrivo seri
dubbi
sulla semplicità delle sue feste: era troppo entusiasta per
ogni evento da non
farlo diventare unico, ma non me ne preoccupai, ero da troppo tempo
fuori dal
divertimento per lamentarmi.
«
Ragazze devo confessarvi una
cosa – si interruppe durante la conversazione – io
vorrei invitare una persona
speciale per la festa, ma non so come dirlo a mamma e
papà».
«
È qualcuno che conosciamo? »
chiesi incuriosita, ma nello stesso tempo convinta di sapere chi fosse.
Il più
era capire come fosse riuscita a mantenere i contatti.
«
Lavora nel vostro istituto
Bella, si tratta di Jasper. Vedete in realtà il mio volo non
ha ritardato per
la neve, sono stata un paio di giorni con lui in Inghilterra»
«
Ci avrei scommesso. Ne sei
innamorata? » le chiesi immaginando già la
risposta, visto i loro atteggiamenti
quando si erano visti qualche tempo prima.
«
Credo proprio di sì » e un sorriso
le si dipinse sul volto, « non credo di poter più
stare senza di lui e sto
cercando una soluzione alla lontananza».
Nessuno
poteva capirla meglio di
me, non mi sentii di biasimarla o farle osservazioni perché
aveva tenuto
nascosto tutto questo ai suoi.
«
Se sei sicura dei tuoi
sentimenti posso solo dirti una cosa…vai avanti e sii
felice». Mi abbracciò e
potei vedere la gioia dipingersi sul suo volto; anche Rosalie era
felice per
lei, ma si capiva che i suoi pensieri erano catapultati altrove e fui
quasi
certa dal suo sguardo sognante che anche per lei ci fossero dei
risvolti sentimentali
in corso.
Quando
si fece ora per me di
rientrare mi accompagnò e propose l’idea della
festa a tutta la famiglia. Con
qualche titubanza accettarono, restringendo l’iniziativa alle
conoscenze più
vicine.
Edward
mi riaccompagnò a casa un
po’ dispiaciuto del tempo che le sue sorelle mi avevano
sottratto, ma poi mi
stupì la sua domanda:
«
Pensi che quelle due pazze
siano innamorate di qualcuno e stiano tentando di tenerlo nascosto ai
miei per
evitare giudizi?».
Ma
come faceva? Capivo il legame
con la sua famiglia, ma qui si parlava di telepatia! In
realtà non avrei mai
tradito la fiducia di Alice, che mi aveva chiesto di non dire nulla per
il
momento e inoltre di Rosalie non potevo esserne certa, ma non disdegnai
qualche
supposizione.
«Potrebbe
essere, ma forse prima
vogliono esserne certe».
Lo
vidi sorridere, forse aveva
intuito, ma non intendeva indagare oltre, almeno per il momento.
«
Mi è venuta un’idea, visto che
dovrai passare il capodanno da noi, perché non ti fermi a
dormire nella stanza
degli ospiti, così se anche il tempo dovesse cambiare non
dovresti andare via
presto e…».
Sbaglio
o stava cercando una
patetica scusa per dormire vicini? Direi che come professore e stimato
pianista
era alquanto misero nelle giustificazioni. Un ghigno mi uscì
dalle labbra:
«
Che c’è, perché ridi?».
Non
potevo dirgli che avevo
capito le sue intenzioni, così mi limitai a accettare ben
volentieri la sua
proposta. E così ci salutammo con l’intenzione di
ritrovarci l’indomani per la
nostra uscita a Port Angeles. Quello che non immaginavo erano i
fantasmi del
passato che si sarebbero ripresentati di fronte a noi.
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Capitolo 35 *** “Il passato…di nuovo” ***
Capitolo
35
“Il
passato…di nuovo”
Il
viaggio fino a Port Angeles
era stato piacevole, al caldo nell’abitacolo
dell’auto di Edward mi sentivo
sempre al sicuro. Avevamo approfittato della giornata fredda, ma senza
neve o
pioggia per un giro nella cittadina anche in previsione della festa di
fine
anno organizzata da Alice. Per fortuna aveva capito le nostre
intenzioni di
passare la giornata soli e si era limitata ad appiopparci solo alcune
commissioni.
Una
volta arrivati passeggiammo
per le vie del centro, accontentammo Alice e le sue richieste per
ordinazioni
culinarie e decorazioni, poi ci dedicammo a chiacchiere e riflessioni.
Dopo
aver passato più di un’ora in una libreria,
avevamo conversato sui nostri
generi preferiti. Era bello ascoltarlo, anche perché era una
persona molto
colta e preparata bene o male su tutto: era uno dei pregi che gli avevo
notato
subito.
Pranzammo
in un ristorante molto
carino, appartati in un tavolo che secondo il mio punto di vista nelle
serate
romantiche poteva sicuramente essere riservato alle coppiette. Era
probabile
che agli occhi di tutti potessimo sembrarlo e nel mio cuore mi sentivo
così
legata a lui che non mi sembrava poi una cosa negativa.
Quando
uscimmo dal locale era già
pomeriggio inoltrato. La temperatura si era abbassata notevolmente e
notando i
miei brividi Edward propose di avvicinarci all’auto:
«Non
vorrei che ti ammalassi
proprio tre giorni prima della festa: Alice non me
lo perdonerebbe mai » disse ridendo
sonoramente. Sorrisi anche io all’idea della sua furia, se
per un qualche
motivo non fosse stato tutto perfetto.
Camminavamo
così, sorridendo e io
lo tenevo stretto sotto braccio quando una ragazza che si trovava sulla
nostra
strada iniziò a fissarci con uno strano sguardo:
inizialmente si limitò a
guardarci, poi la vidi sgranare leggermente gli occhi.
Ero
certa di non conoscerla, ma
non sapevo se poteva essere un’amica di Edward, che intanto
continuava a
parlare con me guardandomi e quindi non aveva ancora notato nulla.
Quando ci
avvicinammo ancora di più sentii la sua voce e non ebbi
più dubbi su quello che
fissava e perché.
«
Edward sei tu? ». Lui si voltò
di scatto: sembrava avesse visto un fantasma.
«
Leah!». Mi si gelò il sangue;
il sorriso mi morì in volto come era successo a lui, nel
sentirgli pronunciare
quel nome.
Davanti
a me avevo la ex di Ed,
il mio incubo peggiore che lo fissava sorridente, ma nello stesso tempo
lanciava strane occhiate alla sottoscritta.
Era
una ragazza dalla carnagione
olivastra, capelli neri e occhi molto profondi: era alta e slanciata e
di
fronte a lei mi sentii solo un brutto anatroccolo. Non era una di
quelle
persone che ti colpivano alla prima occhiata, ma aveva un fascino
misterioso.
Mi
voltai verso di lui e potei
notare il suo volto serio come non mai; non distoglieva lo sguardo da
lei, ma
non la stava guardando felice o incuriosito. Mi sembrava
solo….. turbato.
Per
un attimo distolse lo sguardo
e mi gettò un’occhiata quasi a voler vedere la mia
reazione. Poi finalmente
qualcuno parlò:
«
Ciao Ed come stai? quando sei
tornato?»
«
Bene Leah, sono qui solo per le
vacanze di Natale». Vidi gli occhi di lei saettare su di me e
probabilmente a
seguito di questo Ed si sentì in dovere di presentarmi.
«
Lei è Bella, una mia cara
amica». Per un attimo mi sembrò che avesse calcato
particolarmente su quel cara
e lo sentii in quel momento stringermi al punto vita. Non capivo
esattamente il
perché di quel gesto, se lo aveva fatto per rendere gelosa
lei o
tranquillizzare me.
Non
volevo comunque fare la parte
della maleducata così le porsi la mano:
«
Piacere di conoscerti, tu sei
la sorella di Jake?»
«
Sì, come lo conosci?»
«
Lavoriamo tutti nello stesso
istituto », aggiunse Ed per distogliere momentaneamente la
conversazione.
«
È da così tanto che non ci
vediamo, ma sono felice di averti incontrato». Avrei anche
potuto sbagliarmi,
ma lo aveva detto con un tono così languido che quasi mi
infastidì.
Gli
mancava, era evidente e come
non avrebbe potuto: conoscevo l’effetto di Edward, a me bastavano due ore
lontana da lui per
sentire che mancava l’aria.
Li
sentii scambiarsi i soliti
convenevoli, sul come
stai, cosa fai
ora, come sta la famiglia e in quel momento mi sentii seriamente a
disagio, non
perché lei era la sua ex, quanto perché si
conoscevano da una vita, avevano
condiviso così tante cose che io e Ed non ci eravamo ancora
nemmeno avvicinati.
Tra
loro non c’era né malizia, né
complicità, ma dopo circa dieci minuti di conversazione, di
cui non avevo
ascoltato assolutamente nulla, iniziai a sentire una strana sensazione.
La
testa mi girava leggermente e nonostante fossimo all’aria
aperta, sentii uno
strano senso di soffocamento. Ero di troppo: anche se non si stavano
scambiando
effusioni, e non sembravano nemmeno particolarmente amichevoli, il
fatto che
lui parlasse con lei mi creava una profonda stretta allo stomaco.
Ero
gelosa marcia, inevitabile
visto quanto ero innamorata, ma
inutile
visto che non avevo ancora avuto il coraggio di dichiararglielo e anzi
io
stessa avevo proposto di allungare i tempi quando anche lui aveva
dimostrato un
certo interesse.
Iniziai
ad accorgermi che, mentre
parlava con lui, Leah mi lanciava delle strane occhiate, serie e potei
quasi
dire pietrificanti. Era chiaro che avrebbe voluto continuare a
conversare senza
la mia presenza, che probabilmente non capiva visto che Ed mi aveva
presentato
come amica e non come compagna, dandole forse chissà quali
idee su di noi e
autorizzandola a chissà quali pensieri. Mi sentii
improvvisamente in dovere di
lasciarli soli.
Sapevo
che me ne sarei pentita e
non avrei mai dovuto lasciare così il campo, ma presi la
scusa delle borse che
mi pesavano tra le mani e mi congedai dirigendomi all’auto.
Edward per un
attimo mi fermò e mi guardò dispiaciuto.
«Bella
aspetta vengo con te».
«
No, fai con calma, in fondo è
da molto che non vi vedete, ti aspetto in macchina » dissi
piano sperando che
la ragazza non mi avesse sentito.
Salutai
Leah e guardai un ultima
volta Ed prima di allontanarmi, probabilmente con una faccia che
avrebbe
commosso anche una statua, perché lo vidi porgermi un
sorriso lieve, ma di
quelli che ti fanno battere il cuore
e
lo vidi avvicinarsi a me un attimo prima di allontanarmi sussurrandomi:
«va
tutto bene, sono da te fra due minuti». Mi voleva confortare,
e probabilmente
rassicurare che non si era dimenticato della mia presenza. Lo apprezzai
molto,
ma non servì ad alleggerire il senso di oppressione.
Camminai
spedita verso l’auto
chiudendo di tanto in tanto gli occhi e prendendo profondi respiri,
quasi a
voler cancellare i pensieri del ragazzo di cui ero innamorata, che
parlava con
Leah, o quasi a sperare si fosse solo trattato di un sogno dal quale
sarebbe
bastato aprire gli occhi per svegliarsi. Ma nulla servì.
Raggiunsi
l’auto, aprii gli
sportelli e appoggiai le borse nei sedili posteriori, ma non ebbi il
cuore di
entrare. Dalla posizione in cui ero potevo vederli e in questo modo
controllarli: non so perché, ma mi dava più
sicurezza. Di cosa poi, Edward non
era mio.
Ma
era stato suo.
La
vidi avvicinarsi e toccargli
un braccio lievemente. Non era un contatto profondo, ma mi
infastidì visto il
sorriso estremamente dolce che le si era stampato in faccia nel momento
in cui
mi ero allontanata.
Poi
non so cosa avvenne
esattamente, ma l’aria iniziò a mancarmi, potevo
percepire una stretta al
torace simile a quella dei miei attacchi d’ansia, ma non
avevo mal di testa e
soprattutto il cuore aveva iniziato a battere furiosamente come mai mi
era
capitato. Dentro di me iniziai a
ripetermi che no…..non era possibile….che non
poteva succedermi proprio ora,
che non avrei perso nessuno, ma non servì.
Cercai
di rimanere cosciente
respirando profondamente, ma sentivo che il senso di soffocamento
aumentava: i
sensi non rispondevano, ero sveglia, apparentemente lucida e lontano da
uno
degli svenimenti cui ero solita quando mi prendevano i miei attacchi,
ma
nonostante questo il mio corpo continuava a ribellarsi ad uno stato che
probabilmente dipendeva dalla situazione che stavo vedendo di fronte a
me: una
ragazza parlava e sorrideva maliziosamente all’uomo che amavo
e la cosa
peggiore era che era parte fondamentale di quel passato che lo faceva
soffrire
e di cui non aveva ancora avuto il coraggio di parlami completamente.
Se
solo fossi stata coraggiosa
sarei corsa verso di loro e mi sarei ripresa l’attenzione di
Ed anche a costo
di fare una scenata in mezzo alla strada. In realtà ero una
vigliacca. Lo ero
stata quando avevo cominciato una storia con un uomo sposato, quando
ero
scappata di casa non riuscendo più a gestire la situazione,
quando non avevo
avuto il coraggio, seppur non mancassero le occasioni, di dire a Edward
quanto
lo amassi. E ora stavo rischiando di perdere tutto di nuovo e di minare
anche
il mio autocontrollo emotivo e la mia sanità mentale e
fisica.
Mi
voltai verso l’auto cercando
di riprendere il pieno possesso delle mie facoltà, ma fu
tutto inutile; sentivo
gli occhi pungermi e le lacrime pronte ad uscire. Non dovevo piangere,
non
dovevo dimostrare di essere debole, di nuovo dipendente dalle
attenzioni di
qualcuno.
Riuscii
a non piangere, ma gli
altri sintomi si acuirono ancora di più quando, una volta
girata vidi animarsi
la conversazione fra i due. Ed sembrava stesse fuggendo le attenzioni
di Leah
che continuava a discutere animatamente con l’espressione
più…romantica che
avessi mai visto. Sembrava pregarlo di qualcosa, ma non riuscivo a
capire. Lui
continuava a negare e la cosa andò avanti qualche minuto
fino a che lei non
abbassò lo sguardo rattristata: vidi Edward sfiorarle un
polso, ma poi
trattenersi e vidi lei abbracciarlo timidamente.
Si
stavano salutando, era chiaro,
ma il modo in cui lo avevano fatto era stato una vera e propria
pugnalata al
cuore. In realtà Ed si era limitato a sfiorala mantenendo
comunque una certa
distanza, che lei aveva tentato inutilmente di azzerare.
Ma
chi mi garantiva che lo avesse
fatto per evitare di far pensare male me, visto che sicuramente
immaginava li
stessi osservando?
Che
in realtà avrebbe voluto
ricambiare quell’abbraccio con tutto il suo cuore se non
fossi stata presente
io? Quest’idea mi rattristò ancora di
più e non potei fare altro che ricacciare
in gola le lacrime e continuare a sentire il mio cuore battere
furiosamente
fino a mozzarmi il respiro.
Quando
li vidi allontanarsi mi
voltai di scatto per non farmi vedere in quello stato, ma riuscii
comunque a
scorgere l’occhiata di disprezzo della ragazza nella mia
direzione: magari Ed
le aveva detto che doveva tornare e quindi accusava me della loro
rapida
separazione.
Cercai
per quanto possibile di
mascherare i miei sintomi ed iniziai seriamente a preoccuparmi del
fatto che
non si calmassero; così quando sentii dei passi avvicinarsi
a me e la sua voce
calda sussurrare uno “ scusami Bella “, misi da
parte il mio orgoglio, gli
mostrai il mio volto segnato dalla sofferenza e gli dissi solo due
parole: «
Edward…aiutami».
Probabilmente
il mio viso era
emblematico del mio stato fisico in quel momento, perché lo
vidi sbiancare
completamente, spalancando gli occhi e gettandosi su di me per
sorreggermi.
«
Bella che ti succede, ti senti
male? ». La sua voce era sconvolta, le sue mani furono subito
sui miei fianchi
e il suo sguardo alla ricerca del mio.
«
Bella guardami, dimmi cosa
senti, ti prego » la voce era quasi incrinata dal pianto,
tanto era spaventato;
quel pianto che io avevo invece soffocato e che forse mi avrebbe
aiutato
sfogandomi, a liberarmi del mio senso di oppressione. Non riuscii a
dire molto.
«
Non riesco a respirare» e mi
appoggiai con la testa al suo torace inebriandomi del suo profumo. Gli
strinsi
con forza il giaccone tra le mani e chiudendo gli occhi iniziai a deglutire aria e saliva,
ma niente.
Sembravo ormai precipitata in un limbo dal quale probabilmente sarei
riemersa
solo con dei farmaci. Nel mio rumore mentale lo sentii dire:
«Andiamo all’ospedale,
ti serve un medico»
«
No! » urlai con tutto il fiato
che potevo, cercando di guardarlo, in realtà tutto quello
che era nel mio campo
visivo si appannava: cercai di stringere gli occhi aggrottando le
sopracciglia
per migliorare la messa a fuoco. Non volevo che fosse testimone
un’altra volta
del mio crollo.
«
Andiamo a casa, almeno Carlise
ti aiuterà».
Quella
proposta mi sembrò molto
meglio dell’idea dell’ospedale, anche se non sapevo
come mi sarei potuta
giustificare con il padre e cosa avrei dovuto confessargli e
così accettai con
un semplice cenno della testa.
Mi
aprì lo sportello sempre
sorreggendomi e con estrema delicatezza mi aiutò a
sistemarmi sul sedile.
Appoggiai la testa indietro chiudendo gli occhi e continuando a
respirare
affannosamente.
Lo
sentii risalire dall’altra
parte e con una carezza dirmi di resistere. Anziché sentirmi
meglio quel
contatto mi fece ancora più male e mi costrinse a chiudere un pugno
all’altezza del torace nella
speranza di trattenere il dolore. Piuttosto che quello, avrei preferito
che il
cuore avesse smesso di battere.
Edward
mi parlò costantemente con
un tono basso, ma chiaramente preoccupato. Cercava di non farmi cadere
in quel
torpore che aveva già visto e da cui non avrebbe saputo
ridestarmi. Ma in
realtà non era quello che ora provavo. Il dolore che mi
dilaniava il torace non
mi avrebbe mai permesso di addormentarmi o svenire e dovevo stringere i
denti
per evitare di piangere o di urlare.
«
Resisti Bella ti prego, ma come
è successo? Dio, è stata colpa mia di nuovo?
». Poneva queste domande
probabilmente più a se stesso che a me e stava cercando di
trovare le risposte.
Ma
di risposta ce n’era una sola
e io l’avevo capita ora. La mia era la reazione di una
persona ancora
fortemente instabile a livello emotivo, che si era legata a lui in modo
quasi
maniacale, talmente insicura da credere che solo un incontro avrebbe
potuto
portarmelo via e distrutta dal dolore all’idea di perderlo.
Tutto questo voleva
dire solo una cosa. Non potevo più vivere senza di lui, era
diventata la mia
aria.
note:
ok, sono riuscita laddove non avrei creduto. Due capitoli anche se sono
rientrata da due ore. In realtà era mia intenzione
pubblicare solo un capitolo, ma era veramente poco accattivante, mentre
questo.......so che qualcuno mi odierà per aver rimesso in
mezzo Leah, ma credetemi, un pò di inconvenienti ci vogliono
per rendere la storia più intrigante!
ok
adesso però per capire e sapere cosa prova veramente Bella
dovrete aspettare. spero domani. provo a tuffarmi nei capitoli nuovi!
ciao e un bacione a tutte le mie splendide lettrici!
|
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Capitolo 36 *** “Devo pensare a te” ***
Capitolo
36
“Devo
pensare a te”
Probabilmente
Edward aveva
guidato come un forsennato, perché mi accorsi dopo poco di
essere arrivata
davanti a villa Cullen. I suoi movimenti erano frettolosi.
Appena
fermata l’auto si diresse
di corsa al mio sportello e mi aiutò ad uscire: non disse
una parola, non
riuscivo a capire se era preoccupato di ciò che mi stava
accadendo o arrabbiato
perché si era ritrovato di nuovo a doversi prendere cura di
me.
Quando
cercò di prendermi in
braccio per farmi uscire dall’auto cercai di fermarlo dicendo
che ce la potevo
fare da sola, ma dopo il primo debole passo, capì che avevo
bluffato e se non
mi avesse sorretto sarei crollata a terra.
«
Perché vuoi fare sempre
l’eroina…lasciati aiutare…»
percepii un lieve sorriso fatto più che altro per
cercare di sdrammatizzare la situazione.
Mi
prese in braccio e mi strinse
a sé, con una forza che poche volte mi aveva trasmesso: non
ebbi esitazioni, mi
aggrappai al suo collo affondandovi il viso e provando a
tranquillizzarmi
respirando il suo profumo. Mi sembrava di essere contenuta in uno
scrigno che
mi proteggeva, ma l’effetto non fu quello sperato. La sua
vicinanza anziché tranquillizzarmi
come era avvenuto la prima volta, mi agitò ancora di
più e iniziai ad ansimare
più velocemente per cercare con molta difficoltà
di dare aria ai miei polmoni.
Lo
sentii aprire con forza la
porta d’ingresso, che sbatté violentemente e
subito dopo la voce di Esme
accoglierci: « Ed tesoro siete già di
ritor….oh mio Dio cosa sta succedendo?».
Si era accorta della situazione, ma non sapendo cosa era accaduto si
preoccupò
immediatamente
«
Si è sentita male, papà
c’è?»
«
Sì caro, è nel suo studio,
posso fare qualcosa?», ma Ed non rispose e in due falcate si
precipitò al piano
di sopra; sembrava stesse trasportando una piuma e nonostante il
fiatone non
mollò la presa nemmeno per un momento.
Lo
sentii chiamare il padre ed
entrare nel suo ufficio implorandolo di aiutarmi. Mi resi conto che non
stavo
perdendo conoscenza, ma il respiro frenetico mi stava probabilmente
causando
un’iperventilazione e la mente ogni tanto si spegneva.
Inoltre ero talmente
concentrata sul battito forsennato del mio cuore, da non accorgermi che
mi
aveva adagiato su un lettino medico e Carlise si era avvicinato a me
con il volto
seriamente preoccupato: « Cosa è
successo?»
«
Non lo so, si è sentita male
improvvisamente, le è già capitato in passato,
qualcosa deve averglielo
scatenato».
A
quelle parole mi voltai e
cercai i suoi occhi. Se solo avesse saputo che le cause dei miei malori
di cui
era stato testimone erano di origini completamente diversa: il primo
era
causato da una situazione passata che mi aveva turbato e lasciato
strascichi
emotivi. Ora il problema erano i miei sentimenti per lui, stavo male
perché
temevo più di ogni altra cosa di perderlo.
Sentii
la voce di Ed parlare con
il padre di “attacco di ansia”. Cercai di dire
qualcosa, anche se a fatica, la
mia voce uscì flebile e interrotta dal mio tentativo di dare
ossigeno al mio
corpo: « è diverso dalle altre
volte……il dolore è diverso, e mi manca
il
respiro e il battito….».
«
Papà che le succede
esattamente?»
« Non lo so ma
devo farle un elettrocardiogramma….»,
lo sentii dire mentre toccava il mio polso.
«
Ha il battito estremamente
accelerato, devo escludere la matrice fisica, dopo di che potremo
pensare al
fattore psicologico, Isabella riesci a seguirmi? » accennai
un sì con la testa.
«
Il dolore che senti è acuto o
sordo? È come una lama o come se qualcuno fosse seduto sul
tuo torace?».
A
malapena riuscii a rispondere:
« acuto, come mille aghi conficcati e lo sento qui»
e indicai la parte alta del
torace, dove nasceva il mio respiro faticoso.
«
Non dovrebbe essere il cuore e
forse con un tranquillante riusciremo a ristabilizzare la situazione,
ma prima
devo verificare che non ci siano danni – mi guardò
fisso – Isabella ce la fai a
resistere altri due minuti? Poi ti giurò che
provvederò affinché tutto si
calmi».
Era
molto professionale e il tono
della sua voce comunque tranquillo; annuii e per un attimo sperai che
ci fosse
un riscontro fisico in quello che mi stava succedendo. Era una piccola
speranza
che non finissi per diventare matta da legare!
Mi
voltai verso di lui, e lo vidi
armeggiare con un apparecchio elettronico, quando si voltò
si rivolse a Ed:
«
Credo sia il caso che tu esca…».
Vidi il suo volto incupirsi e il suo corpo allontanarsi leggermente da
me
quando automaticamente un “no “ uscì
dalle mie labbra: sapevo che la causa del
mio malessere era anche la sua vicinanza, ma ero certa che averlo
lontano
avrebbe fatto anche peggio.
Istintivamente
mi voltai verso di
lui ignorando la presenza del padre e quello che avrebbe potuto pensare
di noi:
« non voglio che tu vada, ho bisogno dei te, ti
prego…», sussurrai guardandolo,
ormai distrutta dalla situazione. Gli occhi erano socchiusi, la mia
fronte
aggrottata nel tentativo di non far uscire le lacrime e mettere a fuoco
il
volto del ragazzo di fonte a me, il mio torace continuava ad alzarsi e
abbassarsi velocemente, ma cercai ugualmente di allungare la mano per
afferrare
la sua perché non se ne andasse, così come avevo
fatto istintivamente un paio
di mesi prima.
Scorsi
Carlise che ci guardava
dal basso verso l’altro mentre tentava di misurarmi la
pressione al braccio e
potei giurare che un lieve sorriso comparve sul suo volto:
«
Isabella devi togliere il
maglione e la camicia devo attaccarti gli elettrodi, Edward la aiuti
tu? Non
deve fare sforzi per ora». Lo vidi annuire alla richiesta del
padre e sentii un
suo braccio passarmi dietro la schiena per cercare di sollevarmi a
sedere; mi
voltai mettendo le gambe a penzoloni dal lettino e lo sentii afferrare
delicatamente il mio maglione cercando di toglierlo senza forzare i
miei
movimenti. Lo assecondai per quanto lo scarso controllo del mio corpo
in quel
momento poteva consentirmi e chiusi gli occhi cercando di fare un
respiro più
profondo degli altri.
Quante
volte avevo desiderato quel
gesto, fissare il suo volto mentre mi spogliava; ed ora stava
succedendo nel
modo più sbagliato possibile, solo perché stavo
male e lui si stava prendendo
cura di me per l’ennesima volta.
In
quel momento un’altra
consapevolezza si fece spazio nella mia mente. Prima o poi avrebbe
aperto gli
occhi, si sarebbe reso conto che la nostra amicizia era troppo
problematica a
causa della mia instabilità e lo avrei perduto per sempre.
Di questo ero certa
e la visione sua e di Leah di qualche ora prima ricomparve nella mia
mente più
vivida e dolorosa che mai. Cosa potevo fare? Essere egoista e cercare
di andare
avanti tenendolo legato a me in tutti i modi possibili o chiudere prima
che il
coinvolgimento fosse totale e i danni irreparabili?
In
realtà da parte mia era già
troppo tardi e allontanarmi da lui sarebbe stato devastante, ma mi ero
risollevata già altre volte e forse….per lui
invece c’era ancora tempo, non mi
aveva dichiarato nulla e forse poteva fare a meno di me.
Persa
in questi tristi pensieri
non mi ero accorta che mi aveva sfilato il maglione e stava cercando di
sbottonarmi la camicetta. Abbassai lo sguardo sulle sue mani e mi
accorsi che
tremavano leggermente; lo guardai allora negli occhi e decisi
così di aiutarlo
partendo dal lato opposto dei bottoni. Quando la camicia fu sbottonata
le
nostre mani si incontrarono a metà e istintivamente,
stringendo la sua nella
mia, lo fissai ringraziandolo con un sorriso per quanto mi fosse
possibile.
Potei
giurare di aver visto un
leggero rossore comparire sul suo volto e gli occhi abbassarsi:
«
Niente che tu non abbia già
visto… », dissi con il tono più basso
possibile. Mi sorrise di rimando e mi
aiutò a ridistendermi collaborando con il padre per
sistemare gli elettrodi sul
mio torace coperto solo dall’intimo. Non ero imbarazzata, ero
solo spaventata e
il dolore provocato dal respiro affannoso non accennava a diminuire,
così come
il mio battito. Mi prese la mano aspettando che la macchina facesse il
suo
lavoro e Carlise parlasse.
Passarono
appena un paio di
minuti, Edward in silenzio accanto a me mi teneva la mano e sembrava
seriamente
preoccupato:
«
Il cuore è a posto, non ci sono
anomalie, solo una tachicardia, probabilmente causata da un fattore
emotivo»,
sentenziò Carlise guardando il tracciato. Mi
oscultò il torace nuovamente e poi
mi propose un’iniezione calmante o avrei rischiato un
collasso. Anche se non
amavo farmaci e aghi accettai, pur di eliminare quella spiacevole
sensazione
che la mancanza di respiro mi stava dando da quando tutto era
cominciato.
«
Questo dovrebbe fare effetto
nel giro di pochi minuti. Credo che stanotte sia meglio tu dorma qui,
vorrei
tenerti d’occhio». Alle parole del padre di Ed mi
sentii seriamente in
imbarazzo:
«
Non voglio essere di disturbo,
non occorre….». Non feci in tempo a ribattere
nient’altro:
«
Certo che resterai qui – mi
guardò fisso negli occhi Edward – non ti
lascerò certo sola a rischiare un
altro attacco; ma di cosa si è trattato esattamente
papà? E’ stato diverso
dall’altra volta», lo vidi fissare il padre che a
sua volta guardò me come a
chiedere il permesso di emettere chissà quale sentenza.
«
Non conosco i sintomi e le
diagnosi delle volte passate – ero certa mi avesse guardato
intenzionalmente
come a voler far capire che dovevo dirgli di più –
ma direi che si è trattato
di un semplice attacco di panico, molto forte e fastidioso, ma non
letale.
Edward direi che sarebbe meglio andassi da tua madre e la rassicurassi,
visto
il modo in cui siete entrati in casa e poi falle preparare la stanza
degli
ospiti».
«
Non posso restare… e con
Charlie? Non voglio dirgli che sono stata male si preoccuperebbe per
nulla» mi
affrettai a
controbattere.
«Non
approvo molto il fatto che
tu gli tenga nascosti certi problemi di salute, ma comunque la
decisione spetta
a te e per questa sera puoi inventarti una scusa».
Come
se fosse stato facile; non
avrei certo potuto semplicemente dirgli che dormivo a casa Cullen.
Avrebbe
sicuramente interpretato maliziosamente la cosa: la voce di Edward mi
distolse
dai miei pensieri:
«
Puoi dirgli che ti hanno
invitato le mie sorelle per discutere i dettagli della festa di
capodanno!».
Mi
sembrò una buona scusa e lo
ringraziai con lo sguardo prima di vederlo allontanarsi.
«
Torno a prenderti tra poco» e
mi baciò dolcemente la mano che teneva tra le sue, prima di
sparire oltre la
porta, chiudendosela alle spalle.
Sapevo
che in quel frangente
Carlise non si sarebbe trattenuto dal chiedermi maggiori informazioni,
e il mio
cervello, che stava pian piano ritornando, in sé
iniziò a fare le dovute valutazioni
su ciò che era il caso di raccontare e su cosa no.
«
Isabella, quante volte hai subito
episodi di questo genere?». Cercai una mezza
verità.
«
Negli ultimi tempi è il
secondo, ma come ho cercato di dirti, i sintomi sono stati molto
diversi, non
so perché…». Mi accorgevo mentre
parlavo che probabilmente il farmaco che mi
era stato iniettato stava facendo il suo effetto; il cuore
iniziò a rallentare
la sua corsa, il respiro divenne sempre meno affannoso, lasciandomi
però un
fastidioso senso di oppressione al torace e iniziai a sentire una
sensazione di
stanchezza.
«
Il farmaco che ti ho dato sta
facendo effetto vedo: dovrebbe darti un senso di torpore e ti
aiuterà a
riposare. Sei sicura di non volermi raccontare da cosa è
partito tutto questo?
forse potrei aiutarti a capire…».
«Ti ringrazio, ma
non so se….non ne ho parlato
nemmeno con Ed, è una cosa per cui non sono
pronta».
«
E forse è per questo che ti fa
stare ancora male: se hai voglia di raccontarmi qualcosa ti posso
garantire che
sarà solo una conversazione professionale».
Lo
guardai fisso e notai in lui
il desiderio di aiutarmi, per quanto gli fosse stato possibile e
così lo feci:
gli raccontai gli episodi che mi avevano innescato le crisi di ansia,
tralasciando ovviamente la mia storia con James e altri dettagli
successivi ai
miei problemi di salute.
Terminai
raccontandogli ciò che
era successo in Inghilterra l’ultima volta che mi ero sentita
male. Ora i due
uomini della famiglia Cullen conoscevano quasi tutto il mio passato,
anche se
in tempi, modi e
fatti diversi, e mi
resi conto che il parlarne mi poteva realmente aiutare.
Quando
ebbi terminato a grandi
linee di raccontare, Carlise fece un lungo sospiro e un timido sorriso
gli
illuminò il volto: era veramente un bell’uomo e in
certe espressioni mi
ricordava molto il figlio: « Isabella hai subito dei traumi
psicologici
importanti, c’è di peggio è vero, ma
non voglio sminuire la gravità dei tuoi
attacchi. Il fatto che ti si siano presentati in modo sempre meno
frequente è
un buon segno, il tuo corpo e la tua mente stanno iniziando ad
accettare e a
rimuovere il blocco emotivo, ma se devo essere sincero, quello di oggi,
mi
sembra di natura diversa. Posso chiederti cosa stavi facendo nel
momento in cui
è partito tutto?».
In
quel momento mi vergognai e
fui tentata di non dirglielo, poi capii che se volevo spiegazioni
dovevo dire
la verità: « abbiamo incontrato la ex ragazza di
Edward a Port Angeles. È
partito tutto durante la loro conversazione, non so perché
non sono riuscita a
controllare la mia emotività».
«
Posso chiederti una cosa, ma
rispondimi solo se lo puoi fare in modo onesto: provi qualcosa di forte
per mio
figlio?». La sua espressione era diversa, più
serena, e oserei dire sicura
della risposta che avrei dato. Non me la sentii di parlare, mi limitai
ad
annuire, forse questo mi faceva sentire meno esposta, ma lui
continuò: <«dimmi
la verità Isabella..>> e mi sollevò
il viso che istintivamente avevo
abbassato nel tentativo di distogliere lo sguardo dal suo
interrogatorio, « hai
paura di perdere Ed e quello che hai con lui, qualsiasi cosa sia?
».
Era
stato di una diplomazia
unica; non aveva insinuato nulla sul nostro rapporto, anzi aveva
lasciato il
dubbio che fosse solo una splendida amicizia.
«
Io credo che la reazione ai
tuoi problemi passati sia dovuta al dolore che il ricordo
può provocarti, visto
che nel momento esatto in cui hai avuto il trauma tu non lo hai ben
elaborato;
quello di oggi è più legato alle tue paure
attuali, alle tue insicurezze. La
tua ansia è legata a qualcosa che è
già avvenuto e il cui ricordo ancora ti
turba. L’attacco di panico di oggi è legato al
timore di perdere qualcosa che
hai e che ti dà sicurezza». Capii cosa intendeva:
era quello che avevo supposto
anche io poco prima, ma ora che un medico mi confermava questo mio
pensiero, mi
dimostrava ancora di più le mie debolezze. Continuai ad
annuire incapace di
controbattere; avevo timore di dire qualcosa di troppo o di sbagliato.
«
Bella, è giusto che trovi da
sola la forza per superare le tue debolezze, ma vorrei farti notare che
Edward
è un ragazzo molto forte e molto dolce e credo che dovresti
aprirti con lui;
raccontagli cosa ti è capitato e soprattutto cosa provi nei
suoi confronti e
cosa ti spaventa di questi sentimenti. So che è un passo
importante e che non
puoi farlo tutto in una volta, ma se intendi rimanergli amica non puoi
tenerlo
all’oscuro di certe situazioni. Potrebbe aiutarti a capire e
magari potreste
condividere le vostre preoccupazioni».
«
Lo so che Ed è una persona
meravigliosa, ma ho troppa paura che si prenda
responsabilità che non gli
spettano, è sempre troppo premuroso e protettivo nei miei
confronti. Non voglio
che si annulli per fare un piacere a me, assecondando i miei
problemi».
«
Non credo sinceramente che lo
farà comunque: è molto volitivo e deve solo
riacquistare sicurezza in se stesso
e nel mondo. Ti ha mai raccontato dei problemi che lo hanno portato via
da
Seattle?». Mi sentii in un momentaneo imbarazzo. Non volevo
che fosse lui a
raccontarmi il passato di Edward, lo avrebbe dovuto fare lui quando se
la
sarebbe sentita.
«
No, non lo ha fatto, non del tutto almeno...»
dissi anche con un po’ di
rammarico. Sapevo cosa poteva significare: non riusciva a condividere
con me
situazioni dolorose anche per lui, forse proprio perché
già si stava
sobbarcando le mie. Non dovevo più permetterlo, non era
giusto nei suoi
confronti.
Carlise
capì probabilmente che il
mio tono implicava un certo dolore a questa mancanza:
«
Isabella se non lo ha fatto
avrà i suoi motivi. Probabilmente non vuole che tu
appesantisca il tuo cuore e
la tua anima anche con i suoi problemi. Sono convinto che se la vostra
amicizia
– e fui quasi certa che un sorriso malizioso fosse comparso
sul suo volto – si
rafforzerà come credo, saprà confidarsi e rendere
più forti entrambi. Tu e
Edward avete vissuto molti momenti problematici in passato, ma ti
chiedo, per
il bene tuo e suo…apriti con lui, appoggiatevi alla vostra
forza e sono certo
che riuscirete al più presto a trovare la vera
felicità: secondo me siete già a
buon punto….».
Non
potei fare a meno di
sorridere a quelle parole anche se capivo che per Edward sarebbe stata
molto
dura se avesse dovuto continuare a far da balia a me che, fra
l’altro, iniziavo
anche a star male, oltre che per la mia vita passata, anche per gelosia
nei
suoi confronti.
«
Come ti senti ora? », chiese
premuroso. In realtà sentivo il mio corpo rilassato, il
cuore aveva ripreso il
suo ritmo, così come il respiro, e la stanchezza aveva
iniziato seriamente a
impedirmi la totale lucidità dei pensieri.
«Credo
sia ora di chiamare tuo
padre per dirgli che rimarrai qui da noi>>. Mi
aiutò a mettermi seduta e
mi appoggiò la camicia sulle spalle: sentivo le braccia e le
gambe molli e i
muscoli del collo indolenziti per la tensione accumulata a causa della
mancanza
di respiro.
Carlise
mi passò la borsa da cui
estrassi il cellulare. La telefonata a Charlie fu più facile
di quello che
pensavo. Non obiettò alla mia comunicazione, ma fui quasi
certa che nel tono
della sua voce ci fossero delle celate illazioni alla mia permanenza a
casa
Cullen.
Quando
chiusi la telefonata con
mio padre sentii aprire la porta e vidi entrare Edward con uno sguardo
ancora
preoccupato e un pesante maglione blu tra le mani. Si
preoccupò di chiedere il
mio stato di salute a Carlise e mi posò il maglione sulle
spalle.
«
E’ molto più caldo del tuo… »
si premurò di dirmi fissandomi con un lieve sorriso e quello
sguardo intenso
che solo lui sapeva fare. Quando lo guardai negli occhi rimasi come al
solito
abbagliata, ma alla luce degli ultimi avvenimenti una nuovo stato
d’animo si
fece strada in me: mi sentii in colpa per tutto quello che era
costretto a fare
a causa della mia instabilità e istintivamente abbassai lo
sguardo
rattristandomi. Lui se ne accorse e posando una mano sulla mia spalla
mi chiese
se tutto andava bene.
Per
mia fortuna Carlise
interruppe il momento annunciando al figlio che ero stanca e avrebbe
fatto
meglio ad accompagnarmi a riposare e si allontanò
salutandomi e assicurandomi
che mi avrebbe controllato il giorno dopo.
«
Bella cosa c’è? » chiese Ed
alzando il mio viso con due dita sotto al mento: cercai di sviare sia
la
domanda, che i miei pensieri.
«
Nulla, sono solo molto stanca,
credo che il tranquillante stia facendo il suo effetto, è
meglio se vado a
stendermi… ». Mi strinsi nel maglione che mi aveva
portato e che sicuramente
gli apparteneva visto la fragranza che emanava e che mi ricordava la
sua pelle:
cercai di scendere dal lettino e appoggiarmi sulle gambe, ma con poco
successo.
Non mi resi nemmeno conto che in un attimo Edward mi aveva afferrato e
sollevata tra le braccia: « E’ meglio se non
cammini credimi». La verità era
che per quanto potevo cercare di respingere i miei sentimenti per lui
con
l’intento di “salvarlo”, non potevo
proprio fare a meno di stringermi al suo
corpo quando mi era così vicino. Mi accoccolai aggrappandomi
a lui e mi feci
portare su per le scale nella stanza degli ospiti di fronte alla sua.
Entrammo
e mi poggiò
delicatamente sul letto. La vista cominciava ad annebbiarsi per la
stanchezza.
Mi sfilai le scarpe con gli occhi ormai semichiusi e Edward mi chiese
se doveva
chiamare Alice per aiutarmi a svestirmi: non so perché
risposi così, ma di
sicuro non facilitai le cose chiedendo a lui di aiutarmi. Mi sbottonai
i jeans
e li abbassai coprendomi le gambe con il lungo maglione che mi aveva
dato. Mi
accorsi del suo lieve imbarazzo quando iniziò a sfilarmeli
fino a toglierli del
tutto.
In
fondo mi aveva visto molto più
svestita, ma ora le cose erano diverse; sapevamo di essere
più coinvolti dopo
la nostra conversazione natalizia, ma nello stesso tempo il mio
problema delle
ultime ore ci aveva reso più fragili, mettendo in luce non
solo le mie
debolezze, ma anche le sue.
«Posso
tenere questo? » chiesi
istintivamente stringendomi nel maglione.
«
Certo, ora riposa» e mi aiutò a
distendermi coprendomi con il caldo piumone del letto. Le mie palpebre
erano
pesanti, mi girai su un lato e sentii le sue mani accarezzarmi i
capelli. Poi
un lieve bacio sfiorò la mia guancia e lo sentii augurami la
buona notte.
«
Se avrai bisogno di me sono qui
di fronte. Non chiudo le porte delle stanze in caso di
necessità, solo quella
delle scale ».
«
Grazie » sussurrai, e mi
addormentai cadendo in un sonno profondo.
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Capitolo 37 *** “Piccole distanze” ***
Capitolo
37
“Piccole
distanze”
La
pioggia che batteva insistente
sulla vetrata della mia stanza mi svegliò.
Non
c’era nessuna luce, né in
casa né fuori.
Quando
aprii gli occhi per un
attimo non ricordai dove mi trovavo, poi mi misi a sedere sul letto,
stropicciandomi il viso e passandomi una mano tra i capelli.
Ero
nella stanza degli ospiti di
villa Cullen, potevo riconoscere lo stile della camera vagamente
somigliante a
quella di Edward: la grande vetrata si apriva sulla visuale del bosco
scuro,
battuto dalla pioggia. A fatica senza la luna si sarebbe potuto
distinguere
qualcosa.
Scostai
le coperte per alzarmi
dal letto, poggiando i piedi sulla calda moquette che ricopriva il
pavimento.
Le mie gambe erano scoperte e mi venne in mente che era stato Edward ad
aiutarmi a spogliarmi e un leggero moto di vergogna mi avvolse; se una
cosa
così fosse avvenuta solo la sera prima avrebbe significato
sicuramente qualcosa
di diverso per entrambi. Ora invece dopo l’incontro con Leah
e il mio attacco
di panico tutto era più confuso.
Mi
strinsi nel maglione e mi
avvicinai alla finestra fissando il buio davanti a me. Guardai
l’orologio sul
comodino: le 2.15. Probabilmente mi ero svegliata perché era
dal tardo
pomeriggio, quando Carlise mi aveva iniettato il calmante, che
riposavo.
Sicuramente tutti stavano dormendo quindi cercai di fare più
piano possibile;
non avevo più sonno e cominciai a guardarmi intorno
apprezzando il luogo dove
mi trovavo.
Poi
mi tornarono in mente i miei
pensieri del pomeriggio, mentre stavo male, gli sguardi di Ed, le
parole di
Carlise, ma più ci pensavo più mi rendevo conto
che ero una persona
estremamente egoista, che stava incatenando una persona meravigliosa
come
Edward nelle proprie paranoie.
Mentre
camminavo per la stanza
tra le mie elucubrazioni mi ritrovai sulla soglia della porta e vidi la
sua
camera davanti a me. Istintivamente mi avvicinai fino alla porta
aperta: lui
era lì, disteso sul suo splendido letto a baldacchino che
dormiva profondamente
a pancia sotto, con entrambe le braccia sotto al cuscino e il volto
rivolto
verso di me.
Senza
pensarci entrai e cercando
di non disturbare il suo sonno mi fermai a fissarlo.
Quanto
era bello! E conoscendo il
suo meraviglioso carattere era ancora più perfetto: mi
avvicinai con cautela e
gli sfiorai il ciuffo di capelli ramati che gli ricadeva sulla fronte.
Non
potevo dipendere così dalla
nostra amicizia, dovevo provare a farcela senza stargli perennemente
incollata;
forse passavamo troppo tempo insieme e il nostro stava rischiando di
diventare
un rapporto morboso.
Mi
fermai di colpo vedendolo
sospirare e presa da un moto di tristezza scappai via dalla sua stanza
prima di
scoppiare a piangere, rischiando anche di svegliarlo.
Quando
fui sulla mia porta mi
fermai, appoggiandomi con una mano allo stipite e trattenendo le
lacrime con un
respiro profondo, poi con calma mi diressi alla poltrona e mi ci
accoccolai
rannicchiando le gambe e coprendomi con l’ampio maglione che
emanava
l’inconfondibile profumo della sua pelle.
Iniziai
a fare profondi respiri
cercando di convincere me stessa, prima di tutto, ad accettare il fatto
di
stare un po’ per conto mio e provare a raddrizzare i punti
ancora storti nella
mia vita anche senza Edward che mi faceva costantemente da righello. E
avrei
dovuto iniziare fin da subito, anche perché ornai avevo
passato più tempo in
quella casa che con Charlie.
In
realtà l’idea mi rattristava,
ma dovevo provarci, soprattutto per il suo bene, per potergli dare la
possibilità di riflettere sul suo passato e se necessario
riallacciarne i
rapporti. Poi nel giro di qualche giorno saremmo ritornati in
Inghilterra e, di
nuovo vicini, avrei valutato come far proseguire la nostra amicizia.
Dovevo
farlo per me, ma
soprattutto per lui, per dargli una via di fuga dai miei saltuari
oblii. In
realtà stavo cercando di convincermi come non mai di questa
cosa e il groppo
alla gola mi dimostrava che non era facile pensare di stargli anche
solo un po’
più lontano del normale. Ma lo avrei dovuto fare.
Improvvisamente
sobbalzai quando
me lo ritrovai accanto, con lo sguardo ancora assonnato, ma
evidentemente preoccupato.
«
Bella perché sei sveglia, non
ti senti bene?» mi chiese in modo amorevole.
«
No, è che devo aver dormito
abbastanza, non ho più molto sonno». Cercai di non
far trapelare il mio stato
di angoscia al pensiero di allontanarmi da quella casa. Si
inginocchiò di
fronte a me e iniziò a spostarmi i capelli dal viso,
carezzandomi la fronte con
i polpastrelli delle dita. Un contatto tanto dolce quanto terribile, se
rivolto
all’idea di allontanarmi da lui.
«Mi
hai fatto spaventare molto
oggi lo sai?». Ecco appunto, proprio quello che non doveva
succedere, ma poi
cosa pretendevo, conoscendolo era il minimo: non potei fare altro che
rammaricarmi.
«
Mi dispiace non volevo, forse
non dovresti preoccuparti tanto per me….» ok
l’avevo sparata. In realtà adoravo
quando si preoccupava così per me, mi faceva sentire
importante per lui, ma non
poteva continuare. La sua mano in quel momento si fermò
sulla mia guancia e
iniziò ad accarezzarla con il pollice; chiusi gli occhi per
bearmi di quel
contatto. Dio quanto lo amavo!
«
A me non dispiace, mi fa
piacere prendermi cura di te». Riaprii gli occhi e mi persi
nei suoi verdi e
lucidi, chiaramente preoccupati. Non potei fare a meno di abbassare lo
sguardo.
«…Bella
so che ancora non riesci,
ma sarebbe importante che mi dicessi cosa ti fa stare in questo modo,
magari
parlarne con me ti potrebbe aiutare….» ero certa
che mi avesse detto queste
parole nell’imbarazzo più totale, sapendo quali
erano i mie problemi ad
aprirmi.
«
Lo so, tuo padre mi ha detto la
stessa cosa, ma… non me la sento».
«
Non ti fidi me?» la domanda mi
spiazzò. Veramente pensava questo? Non potevo permetterlo, a
costo di dirgli
quale era il problema.
«
Non pensarlo nemmeno, mi fido
di te come di
nessun altro….la verità è
che…» cercai di abbassare la testa, ma me lo
impedì prendendomi il viso con
entrambe le mani, « non voglio che tu ti preoccupi
così tanto per me….non
è giusto, la tua vita già non
è stata facile
e ora ti ritrovi a dover fare da balia a me e non
voglio…».
Lo
vidi arcuare leggermente le
sopracciglia e mi si rivolse con un tono talmente dolce che quasi non
sembrava
venire dalla sua bocca, ma dal suo cuore:
«
Quello che faccio è perché
voglio farlo, e non sei affatto un peso per me, non pensarlo
mai»
«
Sì, ma anche oggi, magari
avresti voluto fermarti a parlare di più con Leah e forse ti
sei sentito in
dovere di pensare alla mia presenza e….» ero
chiaramente nella
condizione di arrampicarmi sugli
specchi, per non confessargli che ero stata male nel vederlo insieme a
lei.
La
sua espressione cambiò, mi
lasciò il volto, lo vidi pensare intensamente e poi
spalancare leggermente gli
occhi.
«
Non ho nessun interesse a
parlare con lei, né a chiarirmi per cose che ho
già superato, come avrebbe
voluto lei….Bella è per quello che sei stata male
oggi? Per il fatto che
abbiamo incontrato Leah?».
Oh
no e adesso cosa mi inventavo
“si certo amore mio, non sopporto di vedere nessuna donna
avvicinarsi anche
solo un millimetro a te, tu sei mio!!” no, non era una
risposta giusta. Dovevo
negare, cercare di allontanarmi e poi avrei visto l’evolversi
della cosa.
«
Su cosa voleva chiarirsi?». La
mia domanda fu quasi un sussurro, ma poi mi corressi subito, avevo
paura di
dover sentire cose che non mi andavano proprio. «No, ma cosa
dici, forse vedere
un pezzo del tuo passato, mi ha fatto ricordare il mio e sai quanto
sono
fragile su questo…», cercai di giustificarmi non
rendendomi conto che così
sembravo un pazza totale.
«Ok
» percepii che non l’aveva
bevuta del tutto, ma la sua diplomazia gli intimava di non andare oltre
e la
mia curiosità su ciò che si erano detti rodeva
dentro come un topolino nel
formaggio.
«Sai
cosa facciamo domani per
lasciarci tutto alle spalle? Se mio padre dice che sei ok, ce ne
andiamo a fare
un giro a Seattle e andiamo a teatro ti va?», il suo sguardo
era luminoso e non
so come riuscii a farlo spegnere rifiutando il suo invito.
Presi
un respiro, le sue parole
“voleva parlare con me e chiarirsi” mi rimbombavano
nel cervello:
«
Ed ti ringrazio molto, ma sono
stata veramente poco con mio padre e vorrei passare questi due giorni
prima del
capodanno con lui. Tanto poi ci vedremo il 31 no?».
Vidi
chiaramente la delusione sul
suo volto, chissà se aveva capito che era un tentativo per
allontanarlo. Non
sembrava molto convinto, ma accettò la mia decisone con un
semplice “come
vuoi”. Il cuore mi si strinse nel vedere quanto fosse rimasto
deluso e quando
si staccò da me e lo vidi alzarsi, la mia parte meno nobile
pensò per un attimo
di fermalo, lanciarmi con le braccia
al
collo e implorarlo di non lasciarmi, confessandogli le mie menzogne. Ma
la mia
razionalità prevalse: qualche giorno divisi ci avrebbe fatto
bene.
«
E’ meglio che torni a dormire,
ci vediamo domattina» lo vidi sparire dalla porta, con le
spalle ricurve ed entrare
nella sua stanza, il mio cuore percepì il vuoto, ma questa
volta la porta si
chiuse dietro di lui con un leggero “click” e capii
di averlo ferito.
Il
resto della notte passò quasi
insonne: non feci altro che pensare a quello che stavo facendo, alle
sue parole
su Leah, agitandomi nel letto, quando un leggero bagliore mi
indicò che una
nuova giornata stava iniziando.
Mi
alzai ormai stanca di
rigirarmi, mi diressi in bagno e mi feci una lunga doccia bollente per
cercare
di lavare via i miei pensieri. Quando iniziai a sentire del movimento
ai piani
inferiori decisi di scendere per salutare tutti e tornare a casa, anche
se non
sapevo bene come fare per evitare di farmi accompagnare da Edward.
Già
era difficile salutarlo, e
passare con lui fino all’ultimo minuto prima di arrivare a
casa mi avrebbe reso
tutto ancora più difficile. Non feci in tempo ad uscire
dalla mia camera che mi
scontrai con Ed che usciva dalla sua. Mi rivolse un saluto cordiale e
un
sorriso molto dolce dal quale si poteva però percepire un
velo di tristezza.
Che potesse essere per quello che gli avevo detto la sera prima?
Sempre
in silenzio ci dirigemmo
al piano inferiore: potevo sentire i suoi occhi puntati sulla mia
schiena e per
la prima volta mi sentii veramente a disagio. Accelerai il passo fino a
ritrovarmi nella grande cucina con Carlise ed Esme intenti a fare
colazione e
conversare serenamente:
«
Bella tesoro, come ti senti?»
in modo amorevole la madre di Edward mi venne incontro abbracciandomi.
« Hai
riposato bene? ci hai fatto preoccupare così tanto
ieri…», arrossii
vistosamente e sentii distintamente alle mie spalle la voce di Ed
richiamare
dolcemente la madre per l’intrusione.
«
Bella cara ti ha fatto bene il
riposo, hai una cera migliore» sorrise Carlise per
sdrammatizzare.
«
Sì, grazie, sto molto meglio»
vidi Ed aggirarmi e sedersi a tavola indicandomi la sedia accanto a
lui. Mi
sedetti controvoglia, non perché mi desse fastidio la sua
presenza, ma perché
sapevo di dover contenere i miei gesti nei suoi confronti: vuoi
perché eravamo
in presenza della sua famiglia, vuoi perché avrei cercato di
non vederlo per un
paio di giorni e amoreggiamenti e dolcezze non erano proprio una spinta
al mio
intento.
«
Grazie », sussurrai guardandolo
negli occhi e rivolgendogli un timido sorriso. Ad un tratto sentii un mano calda
posarsi sulla fronte e
prendermi un polso: era Carlise.
«
Mi sembra che tutto sia
rientrato», affermò continuando a premere per
sentire il mio battito,
« direi che puoi
tornare a casa, ma promettimi
che ti riguarderai e se dovessi accorgerti di qualcosa di
anomalo….».
Annuii
incapace di proferire
parola; quando Alice entrò nella stanza si
precipitò da me subissandomi di
domande sul mio stato di salute, visibilmente preoccupata. Cercai di
tranquillizzarla anche se non fu facile, poi una lampadina mi si accese
quando la
sentii parlare di uscita per racimolare materiale per la sua festa.
«
Alice visto che devi uscire mi
potresti accompagnare a casa? Sai Charlie sarà un
po’ preoccupato per me e
vorrei passare un po’ di tempo con lui prima di
capodanno». Non so perché
decisi di dare quella spiegazione a voce alta di fronte a tutta la
famiglia.
Forse volevo alleggerirmi la coscienza per aver aggirato Ed e il suo
certo
intento di riaccompagnarmi.
«Certo
non ci sono problemi»
rispose Alice , ma potei notare nella sua voce un tono inquisitorio e
il suo
sguardo dichiarava la sua perplessità al fatto che
preferissi la sua compagnia
a quella del fratello. Esme ci porse la colazione, io mi limitai ad un
bicchiere di succo e la cosa, notata da Edward, fu una scusa per aprire
la
conversazione:
«
Dovresti mangiare, devi
rimetterti in forze«, il suo sguardo era profondo e si capiva
che stava
pensando a quando, svegliandomi dopo il mio attacco in Inghilterra si
era preso
cura di me.
«
Non ho proprio fame questa
mattina» sorrisi leggermente abbassando lo sguardo e lui
ricambiò. In quel
momento sperai con tutte le mie forze che non ce l’avesse con
me per la
conversazione della sera prima: stare un po’ meno insieme non
voleva dire
perderlo completamente.
«
Se vuoi ti posso accompagnare
io», mi sussurrò in un orecchio forse per non
offendere la sorella che mangiava
dall’altra parte del tavolo. Sapevo che me
l’avrebbe chiesto, ma sostenni la
mia tesi:
«
Grazie Edward, ma non voglio
abusare del tuo tempo, in fondo Alice deve andare in
città…»
«
Sai che non è un disturbo, mai
…» lo senti calcare su quel
“mai”.
«
Veramente, è stata una giornata
impegnativa anche per te ieri, riposati e mettiti in forza per la festa
di
Alice» gli dissi cercando di sdrammatizzare e carezzandogli
un braccio, ma mi
accorsi che pur accettando la mia decisione non ne era proprio
entusiasta, così
lasciai la presa quasi scottata.
Mi
congedai dal tutta la famiglia
ringraziandoli per tutto e scusandomi per il disturbo, dirigendomi con
Alice al
garage: Ed insistette per accompagnarmi all’auto e fu
veramente dura guardarlo
negli occhi e salutarlo con la consapevolezza che non ci saremmo visti
di lì a
poche ore come eravamo soliti fare.
Mi
prese le mani abbassando gli
occhi: « Mi raccomando riguardati – disse con il
suo solito tono premuroso – e
se hai bisogno, non esitare a chiamarmi».
Lo
ringraziai quasi con le
lacrime agli occhi e prendendo un profondo respiro, quando mi
baciò dolcemente
la fronte: « A presto Isabella», mi
sussurrò in un orecchio prima di
allontanarsi da me e dal quel nostro contatto, che sembrava bollente.
Chiusi
gli occhi e il suo profumo mi inondò il cervello: ma ero
sicura di voler stare
lontano da quest’uomo anche solo per un minuto?? Mi
sembrò che il cuore si
staccasse e volesse rimanere con lui in quel momento, ma mi feci forza
e mi
allontanai definitivamente.
Appena
salii in macchina mi
voltai a fissarlo mentre rientrava in casa:
«
Mi dici che è successo fra te e
Edward». Giusto la sorella impicciona mi serviva ora.
«
Niente Alice, devo solo imparare
a non dipendere da lui». Stranamente tutto quello che
uscì dalla sue labbra fu
un “Oh” e non aprimmo più bocca fino
all’arrivo a casa di Charlie.
note:
ok so che molte di voi non si aspettavano un capitolo così e
speravano in un "avvicinamento". beh, non è ancora ora!!!
sì lo so che sono passato tanti capitoli e questi
ormai si fanno vecchi......ma loro sono fatti così, non ho
trovato proprio altro modo per decriverli e raccontare una storia su di
loro. in più ci sono alcune cose che vanno chiarite e alcuni
"colpi di scena" ( c'è già qualcuno che ha
inforcato i fucili?), prima che finalmente se ne possano stare un
pò "tra loro".
Comunque
vi volevo avvisare che probabilmente da domani fino a domenica non
posterò e quindi se riesco stasera cecherò di
arrivare all'impossibile. almeno farvi vedere un pò di
"sereno" tra loro prima delle burrasca vera e propria. ecco...lo so che
ora vi starete arrovellando...e avete anche voglia di farmi tante
minacce.....ma ci vuole pazienza con me ormai lo sapete. l'happy endig
è garantito.
grazie
alle splendide che come al solito hanno recensito: purtoppo in questo
momento non riesco a rispondervi. ma ringrazio anche tutti quelli che
si soffermano sulla storia anche senza commentare e anche a quelli che
si limitano a darci un'occhiata. il primo capitolo ha avuto
più di 1000 visite. per me è qualcosa di
incredibile
grazie
a ancora a tutti
|
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Capitolo 38 *** “Altre novità” ***
Capitolo
38
“Altre
novità”
I
tre giorni successivi furono
molto tranquilli.
Avevo
sentito Edward solo per
telefono o tramite messaggi, accampando scuse per non incontrarci fino
all’ultimo giorno dell’anno: dovevo resistere solo
altre ventiquattro ore in
fondo.
In
realtà non ero stata poi così
bene senza la sua presenza costante.
Sì,
è vero, avevo passato molto
più tempo con Charlie, chiacchierando e scambiandoci
opinioni sulla sua storia con
Sue, che mi rendeva
molto felice, e il
mio lavoro. Erano stati momenti piacevoli; volevo molto bene a mio
padre e mi
era realmente mancato nei mesi trascorsi in Inghilterra; ma in
realtà quello
che mi mancava ora era il mio più caro amico, anzi
l’uomo di cui mi ero
follemente innamorata.
Ogni
volta che mi ero ritrovata a
pensare a lui il cuore era partito per la tangente e mi venivano in
mente solo
i momenti spensierati che avevamo passato insieme dal nostro primo
sguardo,
fino all’incontro con Leah di tre giorni prima: nessun
dolore, nessuna gelosia,
nessun attacco d’ansia o di panico.
Cosa
poteva significare? Che la
sua presenza era più importante di qualsiasi problema
avremmo potuto incontrare
con il nostro passato?
Non
sapevo proprio più cosa fare.
Da un lato avrei voluto non pensare ad una vita con lui, per non farlo
soffrire; dall’altro non potevo sopportare di stargli
lontana. Forse avrei
dovuto seguire il consiglio di suo padre: raccontargli tutto, vedere la
sua
reazione e affidarmi.
Se
avesse accettato ciò che mi
era successo e le probabili conseguenze, avrei finalmente trovato
qualcuno a
cui donare i miei sentimenti e ricambiare con tutto l’amore
che potevo. Ma la
paura che ciò che mi era capitato, o meglio che mi ero
cercata, lo disgustasse e
lo allontanasse da me, era devastante.
Era
appena passata l’ora di
pranzo quando Charlie mi informò che sarebbe andato da Sue e
che si sarebbe
trattenuto a dormire da lei fino all’anno nuovo:
«
Bells se vuoi rimango qui con
te: ma non hai appuntamento con Edward?». Era già
da qualche giorno che avevo
sviato i suoi interrogatori sul perché, improvvisamente,
dopo tre giorni
passati a stretto contatto, non ci fossimo più visti. Gli
risposi che sarei
andata da lui solo l’indomani.
«
Avete litigato?» la sua domanda
mi spiazzò: era sempre stato diplomatico, ma ora, forse,
vedendo il mio morale
non proprio alle stelle e il fatto che da quando non vedevo Ed mi ero
praticamente chiusa in casa tra faccende, libri e tv, si era deciso a
mettersi
in versione detective e partire con la sua arringa. Cercai di mettere
su la mia
migliore faccia tosta e con un tono dolce mi limitai a spiegargli che
entrambi
avevamo anche altre cose da fare, oltre a passare giornate insieme, e
che avevo
proprio voglia di stare insieme a mio padre che non vedevo da un
po’.
«
Bella anche io sono felice di
aver passato questi giorni con te, ma non è normale vedere
una persona in tutti
i momenti disponibili e poi improvvisamente più
nulla…». L’espressione di
Charlie vagava dall’ironico, al malizioso, fino ad arrivare
al preoccupato, con
lo sguardo che saettava sotto alle sopracciglia inarcuate.
Avrei
dovuto accennargli
qualcosa, mettere in evidenza le mie preoccupazioni o i miei
sentimenti? Mille
dubbi mi assalivano ogni qual volta la situazione o qualcuno accanto a
me
tornava sull’argomento Edward.
Ma con
Charlie non ce ne fu bisogno:
«
Bella, piccola mia, per me tu
sarai sempre la mia bambina e sai che chiunque ti fa soffrire deve
vedersela
con il mio fucile – un sorriso mi uscì spontaneo
visto il suo innato istinto di
protezione nei miei confronti – ma in fondo mi rendo conto
che sei una donna,
che ha già vissuto molti momenti importanti nella sua
realtà….», il suo sguardo
era quello di uno che sapeva o aveva intuito molto di più di
quello che gli era
stato raccontato, «….. e ti devo dire che donare
tutta te stessa ad una persona
che ami veramente non è una cosa così
terribile…».
«Papà
non è come credi….» tentai
di giustificarmi, ma probabilmente non riuscivo più ad
ingannare nessuno. I
miei sentimenti erano ormai palesati dal mio stato d’animo, e
l’essergli stata
lontana alcuni giorni in modo forzato, per colpa delle mie paure,
mostrava i
segni sul mio stato d’animo e sul mio volto.
«
No Bella, io credo proprio che
sia come dico: avrai le tue giustificazioni per esserti allontanata da
lui in
questi giorni, ma i vostri sentimenti sono abbastanza
chiari», mi stavo
arrendendo, le mie difese stavano crollando con lui, proprio come era
avvenuto
con Edward.
«
Papà io non voglio soffrire più
e soprattutto non voglio che soffra lui, è una persona
troppo speciale…».
Sentii gli occhi pungermi, ma nessuna lacrima uscì.
Ma
cosa mi prendeva? Fino a
qualche tempo prima ero stata una fontana e ora che avrei dovuto
sfogarmi e
lasciare andare tutto per non stare male ero diventata un blocco di
pietra?
«
Io non so cosa ti sia capitato
in passato, ma so che ti ha segnato e costretta a fuggire. Ora pensa
bene a
quello che puoi fare e avere; non precluderti la possibilità
di essere felice».
Le sue parole mi colpirono e per un attimo fui tentata di raccontargli
tutto,
ma vigliacca come ero sempre stata non lo feci, e sviai il discorso dal
mio
passato.
«
Cosa ti fa penare che con lui
potrei esserlo?»
«
Non lo so, forse il sesto
senso…o forse mi sbaglio, ma se non ti butti non potrai mai
saperlo e potresti
passare i prossimi anni guardando l’uomo della tua vita
lontano da te».
Abbassai
lo sguardo sorridendo
lievemente: l’uomo della mia vita! Charlie forse lo pensava:
ma a chi volevo
darla a bere, fatta eccezione per le ultime 72 ore, era quello che
avevo
sperato anche io negli ultimi quattro mesi. Forse sapevo già
quello che dovevo
fare, me lo ero detto e ridetto e forse la notte di capodanno, che
avrei
passato a casa sua, sarebbe stata l’occasione.
Non
era mia intenzione rivelargli
i miei sentimenti, così come avevamo già
stabilito il giorno di Natale, ma
potevo fare comunque qualcosa per noi: aprirmi con lui.
Dovevo
solo cogliere il momento e
l’occasione: e se non ci fosse stata? In fondo erano tre
giorni che lo snobbavo
e magari aveva cambiato opinione su di me.
Oh
mamma!! Ero proprio diventata
paranoica. Avrei passato la giornata tranquillamente, senza pensare a
nulla e
poi il giorno dopo avrei deciso.
«
Grazie papà» gli dissi
abbracciandolo.
«
E di cosa? Di essere solo un
vecchio brontolone che non riesce a farsi gli affari suoi?»
una risata echeggiò
nella stanza.
«
Sei il padre migliore che si
possa avere». Ne ero convinta; lo guardai negli occhi
ringraziandolo
silenziosamente per esserci, per credere in me e per appoggiarmi nelle
mie
scelte.
«Senti,
visto che sarai dai
Cullen solo domani, che ne dici di accompagnarmi a La Push? Sue sarebbe
felice
di rivederti e un po’ di compagnia ti farebbe bene».
Non
so perché accettai, forse
volevo veramente non pensare, o forse accontentarlo voleva dire
renderlo felice
e in quel momento avrei fatto di tutto perché lo fosse.
Uscimmo
entrambi di casa senza
troppi convenevoli: lui salì sulla sua auto e io sul mio
pick-up per essere
libera di rincasare giusto in tempo per preparami per
l’ultima giornata
dell’anno, la festa di Alice e forse il mio chiarimento
definitivo con Edward.
Appena
arrivammo alla riserva Sue
ci corse incontro e senza tanti problemi baciò e
abbracciò mio padre che si
ritirò con un sorriso malizioso, quasi intimidito dalla mia
presenza a quel
gesto romantico. In realtà ero molto felice che avesse
ricominciato a vivere
una storia che sembrava prenderlo seriamente.
Mia
madre non era stata una buona
moglie e forse ai tempi, nemmeno lui era stato un gran marito: molto
giovani,
esageratamente estroversa lei, serio e musone lui; passata
l’infatuazione
iniziale si erano resi conto che non potevano passare il resto della
loro vita
trascinando un sentimento che rasentava la fratellanza più
che l’amore. Ora
invece era più maturo, sereno e aveva trovato una donna che
riusciva a
riempirgli il cuore come mai forse era successo prima.
Sue
mi invitò ad entrare ed
esternò la sua gioia nel vedermi nuovamente alla riserva.
Dopo
circa un’ora di chiacchiere decisi
che mi sarebbe piaciuto fare una passeggiata nel villaggio e nel bosco
che lo
circondava: da piccola ero stata alcune volte in quei luoghi, ma avevo
difficoltà a ricordare i dettagli dopo tanto tempo.
Uscii
nella gelida aria
invernale, mi strinsi nel cappotto e cercando di non scivolare sul
ghiaccio
formatosi sui vialetti a cause delle recenti nevicate, mi incamminai
tranquillamente.
Ero
completamente immersa nei
miei pensieri e poco attenta al paesaggio quando una voce mi
ridestò:
«
Tu sei Isabella vero? la figlia
del capo Swan?», mi voltai di scatto a quella voce e
incontrai lo sguardo di
Billy Black che mi sorrideva.
«
Salve Billy. Sì, sono io,
piacere di rivederla».
«
Che ci fai da queste parti?» mi
chiese incuriosito. Non so perché, ma la sua presenza mi
infastidiva: in realtà
mi sarei dovuta sentire in colpa per questi pensieri, non mi aveva
fatto nulla.
Ma quando lo vedevo ricordavo gli sguardi di Jake e Leah e di
conseguenza il
loro astio nei confronti dei Cullen e in particolare di Edward.
«
Stavo solo facendo due passi:
ho accompagnato mio padre ed era parecchio che non venivo da queste
parti….».
«
Sono pochi i ragazzi che ormai
vengono qui, questo villaggio è solo per gli anziani
ormai…ed è un peccato».
Sentivo
un certo rammarico nella
sua voce e fui convinta del fatto che si riferisse alla mancanza dei
suoi figli
ancora più che dei ragazzi delle altre abitazioni.
«Le
manca Jake immagino». Non so
perché mi tuffai in quella conversazione, ma non vedevo in
lui un serio
pericolo alla mia integrità mentale: quanto mi ero
sbagliata!!!
Lo
vidi rabbuiarsi e abbassare lo
sguardo: « Moltissimo: sai con Leah è diverso, lei
abita qui vicino, e viene
molto spesso da queste parti…. – non so
perché ma quelle informazioni mi fecero rabbrividire (non
è vero lo sapevo bene
perché, era la vicinanza anche a Edward) – ma con
lui è diverso. E’ così
lontano e non ha ancora avuto voglia di tornare: gli avvenimenti di due
anni fa
lo hanno segnato troppo. Non so bene neanche come stia, se sia sereno;
vorrei
tanto che si buttasse il passato alle spalle e trovasse qualcosa che lo
rendesse veramente felice».
Ma
perché mi raccontava queste
cose? era come se volesse mettermi al corrente di qualcosa con
l’intento di
mettermi sul chi va là.
«
Non ho avuto modo di parlare
spesso con lui – non volevo certo dirgli che a malapena ne
sopportavo la
presenza – ma mi sembra stia bene, per quel poco che lo
conosco».
«
Speriamo..se solo non si fosse
trasferito proprio lì. Non ho mai capito perché
abbia voluto mantenere un
contatto con lui….», capì subito a chi
si riferiva. Effettivamente era stano:
odiava Edward con tutte le sue forze, ma si era trasferito nel suo
stesso istituto
e, a quanto avevo capito, dopo la partenza di Edward. Riflettendo mi
sembrava
proprio che fosse un atteggiamento alla “ti tengo
d’occhio”.
Lo
vidi alzare gli occhi e
guardarmi con un’espressione indurita rispetto a poco prima:
«
Anche tu conosci Cullen
immagino?» ok, ora l’espressione era di puro
disprezzo.
«
Sì, siamo colleghi e abitiamo
nello stesso dormitorio», cercai volutamente di non
approfondire il nostro
legame di amicizia per non dargli motivo di sputare veleno, ma
probabilmente
sapeva più di quello che dava a vedere.
«
Siete amici immagino, so che
siete partiti insieme», aveva sicuramente parlato con Jake.
«
Sì, lavoriamo insieme e quando
abbiamo scoperto che venivamo dallo stesso luogo…»
non mi lasciò finire.
«
Non fraintendermi Isabella…..io
adoro Carlise. Per me è stato un fratello, e sono convinto
che ci sia qualcosa
di buono anche in suo figlio, ma quello che ha fatto….non
glielo posso
perdonare». Ora le sue parole trasparivano un vero disprezzo
e la cosa mi
infastidiva, non poco.
Istintivamente
presi le sue
difese anche se sapevo che espormi così me ne avrebbe fatto
pentire:
«
Billy, io capisco che quello
che è successo possa aver provocato problemi, incomprensioni
e dolore, ma le
relazioni finiscono, e anche se le colpe sono stabilite occorre
lasciarsi tutto
alle spalle, altrimenti le nostre vite non andrebbero mai
avanti».
Non
volevo fargli capire che
secondo me la colpa era di Leah e del fatto che avesse tradito Ed tempo
prima
della loro separazione: non mi sembrava il caso di rigirare il coltello
nella
piaga.
«
Hai una storia con lui?», il
suo tono era divenuto accusatorio, ma cosa voleva da me?
«
Come le ho detto, siamo amici e
colleghi. Non penso
comunque siano
affari suoi »
«
Devo dedurre che anche tu hai
ceduto al suo fascino, come tutte del resto»
«
Che cosa intende con quel
tutte?» lo rimbeccai, « non credo che le ragazze
che frequenta Edward Cullen siano
cose che riguardano noi ».
«
Nel momento in cui attira a sé
tutte le donne che le circondano e porta via le fidanzate agli altri
sì».
Ma
che stava dicendo? Stavo
diventando furiosa, non sopportavo quel suo modo criptico di dire le
cose: era
chiaro che lo volesse screditare, e che per farlo sarebbe stato
disposto a
raccontare qualsiasi meschinità. Sapevo che mi sarei
pentita, ma non potei fare
a meno di chiedere cosa intendesse:
«
Devo dedurre che Edward non ti
ha raccontato perché è scappato dagli Stati
Uniti?» ora nella sua voce sentivo
solo l’odio e il rancore che c’erano anche in
quelli di Jake quando parlava di
questi argomenti. Cercai di bloccare la conversazione sottolineando che
non
erano affari miei e forse neanche suoi, ma non ci sentì.
Doveva parlare,
sfogarsi e sputare fango.
Presi
un bel respiro, cercai di
chiudere la mia mente ai dubbi e ascoltai quello che mi voleva
ovviamente dire:
«
Immagino che tu sappia che
Edward stava con mia figlia e che era il miglior amico di mio
figlio»
«
Sì che lo so»
«
E credo tu sappia che si sono
lasciati in malo modo»
«
So anche questo, e allora? Le
relazioni finiscono Billy, spesso non è colpa di nessuno, la
vita va così»
«Oh
no, in questo caso la colpa è
di chi lascia una donna e porta via la compagna al suo migliore
amico» ma cosa
stava dicendo, a cosa si stava riferendo?
«
Non capisco…»
«
Beh allora il piccolo Cullen
non ti ha detto tutto… non ti ha detto che ha lasciato senza
motivo la mia
piccola e che non si sa perché si è portato a
letto la compagna di mio figlio,
che ovviamente è stato abbandonato, per poi scaricarla, solo
per provare che
lui poteva fare tutto ciò che voleva». Vedevo nei
suoi occhi un lampo di
disgusto, il mio cuore si fermò un attimo: Edward aveva
portato via la compagna
a Jake, e per quale motivo?…..non poteva averlo fatto per
ripicca per il
tradimento di Leah, non era il tipo…io non potevo crederci.
Probabilmente
i miei occhi
sgranati e il mio pallore furono indicativi del mio stato
d’animo e sentii
quasi le gambe cedermi. Non potevo crederci, il mio Edward non lo
avrebbe mai
fatto. No, era una menzogna, ma come potevo provarla?
«
Io credo che si sbagli Billy…»,
non riuscii a dire altro, ma era ovvio che essendo ancora poco al
corrente della
vita passata di Ed, il mio fosse solo un patetico tentativo di sviare
le accuse
per difendere la persona che amavo: dall’altro lato Billy non
sapeva del
tradimento di Leah o almeno non ci credeva. Non che potesse essere una
giustificazione se Ed aveva fatto veramente ciò che
raccontava Billy.
«
Non mi sbaglio, ma dal tuo
sguardo deduco che non ti avesse raccontato nulla. Quel ragazzo ha
rovinato la
vita di tre persone solo per il suo egoismo, per provare che poteva
farlo. Jake
pensava fosse cambiato dai tempi del college, ma non è mai
stato così. Mi
dispiace che Carlise abbia un figlio
così….è una così brava
persona lui…» e lo
sentii calcare il tono su quel “lui”, come a voler
sottolineare che la sua
stima si riferiva ad un solo membro maschile della famiglia.
No,
Edward non era così. Sapevo
che aveva avuto delle storie prima di mettersi con Leah, ma poi mi
aveva detto
di essere cambiato e di aver messo la testa a posto. Io gli credevo,
c’era
qualcosa di diverso sotto. Qualcosa che aumentava l’astio di
Billy senza un
reale motivo.
Forse
Leah sentitasi respinta
aveva sputato veleno su di lui aizzando padre e fratello.
L’avevo vista solo
una volta, ma i suoi occhi di sfida mi davano l’idea di una
persona in grado di
fare questo e altro per tenersi o riprendersi qualcosa che desiderava.
Cercai
nuovamente di
controbattere ricordando a Billy che da quello che sapevo anche la
figlia non
si era comportata bene e che, senza voler giustificare nessuno, non era
giusto
colpevolizzare solo una parte; ma fu tutto inutile. Continuò
a sostenere
l’inaffidabilità di Edward e a ribadire le sue
azioni meschine. Dopo circa
cinque minuti di offese nei suoi confronti non resistetti
più e presi una scusa
per allontanarmi:
«
Billy mi dispiace che lei pensi
queste cose. L’Edward che ho conosciuto io non è
affatto quello che mi sta
descrivendo e sinceramente, pur non biasimandola, non posso accettare
solo la
sua versione; credo che a tutto ci siano motivi e
spiegazioni…». La mia voce
stava tremando e si era sicuramente alzata.
«
Anche tu sei caduta nella sua
rete: bello intelligente, affascinante, un vero gentiluomo, fino a che
non
viene fuori l’essere egoista che c’è in
lui».
«
Ora basta Billy!» mi voltai
sentendo la voce di Charlie alle mie spalle:
« Non penso spetti
a te raccontare cose
personali. Bella conosce Edward e se è intenzionato a farlo,
racconterà lui il
suo passato a mia figlia». Aveva probabilmente sentito una
parte della
conversazione, anche perché negli ultimi momenti il mio tono
era notevolmente
aumentato a causa dell’agitazione e la casa di Sue era
vicina; ma quello che mi
stupì fu il modo in cui prese le mie difese e quelle di
Edward, dandomi
l’impressione di avere comunque una grande fiducia nelle mie
capacità di giudizio
e nell’impressione che Ed aveva fatto su di lui.
«Volevo
solo metterla in guardia
Charlie, che non faccia anche lei l’errore di tutte le altre:
quello di
lasciarsi abbindolare».
«
Ribadisco che non credo sia tu
a dove dire certe cose – il tono di Charlie era sempre
più duro e con un
braccio mi strinse le spalle forse per infondermi sicurezza –
è adulta e sa
fare le sue scelte e ora se non ti dispiace ti pregherei di non
importunarla
più».
Vidi
Billy girare sulla sua sedia
a rotelle, dirigersi verso quella che probabilmente era la sua
abitazione, con
un’aria scocciata probabilmente per l’interruzione
di mio padre, ma nello
stesso tempo compiaciuta per aver instillato in me il dubbio.
Perché
in realtà era avvenuto: il
fatto che Edward mi avesse sempre raccontato poco della sua vita poteva
significare che c’era qualcosa di vero nelle sue parole. Una
parte di me
faticava a crederlo, ma l’altra….la più
pessimista, stava franando sotto quelle
affermazioni. Per fortuna la voce e le parole di mio padre mi
ridestarono:
«
Bella ti senti bene? Non
ascoltare tutto quello che si dice>> lo guardai negli
occhi con uno
sguardo triste.
«
Papà, so veramente poco della
vita passata di Ed…..potrebbe anche essere vero».
«
Ma potrebbero esserci delle
spiegazioni più chiare a quelle che ti ha dato Billy:
secondo me dovresti parlarne
con il diretto interessato». Mi stava suggerendo di andare da
lui, riferirgli
le parole di Billy, vedere la sua reazione e sentire la sua
giustificazione? E
chi mi avrebbe garantito che non mi avrebbe mentito?
Ero
veramente in un limbo, ma poi
ripensai al suo volto, alle sue parole, ai suoi gesti nei miei
confronti…gli
avrei parlato, avrei chiesto tutto e avrei capito dai suoi occhi quale
fosse la
verità: quelli non mi avrebbero mai mentito. Aveva ragione
mio padre…..come
sempre.
«Hai
ragione…devo parlare con lui,
sapere, chiarire ma poi…?.» mi rattristai pensando
all’idea di non vederlo più.
«Non
correre troppo con la
fantasia. Sono comunque cose passate e se ora Edward è
quella persona stupenda
che credo e che tu hai conosciuto quattro mesi fa, ti darà
le sue
giustificazioni, ammetterà i suoi errori, e poi.. cosa
cambia? tutti sbagliamo
nella vita! Bisogna saper accettare anche qualcuno che non è
stato perfetto».
Annuii incapace di rispondere.
Credevo
ciecamente a quello che
mi aveva detto Charlie, ma una morsa continuava ad attanagliarmi lo
stomaco. Se
veramente fosse stato come diceva Billy, avrei dovuto capire e
soprattutto lui
avrebbe dovuto parlare con Leah, chiederle scusa, altrimenti non si
sarebbe mai
lasciato il passato alle spalle e non avrebbe mai potuto ricominciare,
neanche
con me , perché non sarebbe mai stato realmente sereno.
Lo
abbracciai, gli diedi un bacio
sulla guancia e mi diressi all’auto. Era ormai sera e il
mattino dopo mi sarei
presentata dai Cullen per aiutare nei preparativi e per sentire la
versione di
Edward. Dovevo solo trovare il momento e il modo più giusto
per parlarne senza
crollare nuovamente.
|
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Capitolo 39 *** “Fine d’anno” ***
Capitolo
39
“Fine
d’anno”
Quando
al mattino mi risvegliai
avevo riposato veramente poco: le rivelazioni di Billy e la successiva
conversazione con mio padre mi avevano creato confusione e
necessità di
riflettere, ma più di tutti mi ero resa conto di quanto in
un frangente di questo
genere mi fosse mancata la presenza di Edward: sarebbe sicuramente
stato in
grado di spiegarmi, e di rassicurami, perché credevo
ciecamente nella sua
lealtà.
Non
ci eravamo sentiti nelle
ultime ventiquattro ore e mi ero accorta che il mio tentativo di
tenerlo
lontano per consentirgli di vivere senza pensare ai miei problemi,
aveva
portato me ad avere dei problemi: di solitudine. Lo amavo, senza
eccezioni, ed
ero egoista perché con tutto ciò che la mia
vicinanza poteva causargli, non ero
in grado di farne a meno. E anche se sapevo che quello che aveva detto
Billy
sarebbe stato un problema o ancora peggio un ostacolo, non potevo fare
a meno
di pensare a lui, ai suoi occhi, alla sua premura nei miei confronti.
Se
le nostre vite erano state
veramente così tormentate non dovevo preoccuparmi di pesare
su di lui: avremmo
potuto condividere talmente tanti dolori ed errori che ci saremmo
sostenuti a
vicenda.
Erano
quasi le nove quando sentii
arrivare un messaggio:
“Spero tu non abbia cambiato idea sul fatto di
passare il capodanno da
noi: so che hai avuto bisogno di tempo per te, per riprenderti e ti
capisco, ma
mi manchi e spero di rivederti presto. E.”.
Gli
ero mancata, tanto quanto lui
era mancato a me: al diavolo i miei dubbi, non potevo stare
così tanto senza
vederlo o parlare con lui e considerarmi ancora una persona sana di
mente. E
poi dovevo sapere cosa era accaduto con Leah e capire quanto questo
facesse di
lui una persona cinica o solo qualcuno che si era perso e aveva
sbagliato nella
sua vita quasi come avevo fatto io.
Non
feci in tempo a rispondere
che il telefono squillò e guardando il display riconobbi il
numero di Alice:
«
Ciao Bella come ti senti, tutto
bene?». Sentii dal suo tono squillante che era felice di
avermi trovata. Molto
probabilmente si era trattenuta in questi tre giorni, anche a seguito
del mio
malore, ma ora non ce l’aveva fatta più.
«
Ciao Alice sto bene grazie, è
tutto pronto per stasera?»
«
Non me ne parlare Bella. Ho
ancora tantissime cose da fare! Ehmm…mi chiedevo, solo se ti
senti bene e non
hai niente da fare…», mi venne da sorridere, era
chiaro che volesse chiedermi
qualcosa, ma probabilmente a causa di quello che mi era accaduto voleva
andarci
con i piedi di piombo,
«
Alice io sto bene che sta
succedendo?», continuai con il tono di chi sa già
la risposta che darà.
«
avresti voglia di venire ad
aiutarmi? Mi farebbe piacere un tuo parere e poi mi manca parlare con
te…». Che
dolce che era, in questi momenti veniva fuori tutta la somiglianza con
il
fratello.
«
Certo Alice, vengo molto
volentieri, anche tu mi sei mancata. Preparo qualcosa in valigia e ti
raggiungo. Volevo solo chiederti: Edward è in
casa?», non riuscii a evitare
l’argomento. In cuor mio sapevo che la sua vita continuava,
ma speravo che
avrei potuto rivederlo al più presto per vedere se anche a
lui ero mancata come
lui a me.
«Ora
non è in casa, so che aveva
alcune commissioni da fare, ma….gli sei mancata
molto», potei giurare che un
sorriso sornione le fosse comparso sul viso.
«
Anche lui mi è mancato molto –
sussurrai appena – ma avevo veramente bisogno di riprendermi
e non può sempre
farmi da infermiere»
«
Ok – rispose molto
diplomaticamente – ma ora ho proprio bisogno di
te….a tra poco. Ah Edward sarà
felice di rivederti, in questi giorni è stato
veramente…..assente?» Le
supposizioni di Alice
sullo stato
emotivo di Edward, se da un lato mi facevano piacere,
dall’altro mi
preoccupavano per la dipendenza che creava la nostra amicizia ad
entrambi.
Ci
salutammo e continuando a
pensare a come affrontare l’argomento Jake e Leah, mi
preparai per ritornare in
casa Cullen dopo tre giorni dal mio attacco di panico. In
realtà il pensiero di
ritrovarmi con la famiglia di Edward dopo quello che era successo mi
tranquillizzava da un lato, mentre dall’altro mi spaventava.
Il fatto che
fossero gli unici a sapere del mio malore e che onesti
com’erano non lo
avrebbero mai raccontato a mio padre mi confortava, mentre
l’imbarazzo per
quello che era successo e il fatto che fossero stati gli unici oltre a
Edward a
vedere la mia debolezza mi agitava.
Cercai
di non pensare a queste
cose e appena tutto fu pronto scrissi un biglietto a Charlie per
ricordargli
dove mi trovavo nel caso in cui fosse rientrato prima di me. Quando
uscii di
casa chiudendomi la porta alle spalle guardai istintivamente la fine
del
vialetto, ricordando le volte in cui a sorpresa trovavo Edward che mi
era
venuto a prendere. Quella mattina non c’era, non credo
perché non volesse, ma
perché aveva rispettato il mio desiderio e mi aveva lasciata
sola in quei giorni:
salii sul mio furgoncino e mi diressi a villa Cullen.
Non
so perché, ma man mano che mi
avvicinavo il cuore batteva sempre più veloce e dovetti
prendere respiri
profondi per rimanere concentrata alla guida. Sola nel mio abitacolo
ripensai
alle parole di Ed l’ultima sera che avevo dormito a casa sua
e capii molto
della conversazione che aveva avuto con Leah: “non
ho nessun interesse a parlare né a chiarirmi per cose che ho
già
superato, come avrebbe voluto lei”. Ecco
perché aveva dimostrato fastidio
per la mia presenza e perché la discussione fra i due si era
animata. Lei
voleva parlare con lui da soli e chissà, forse voleva
spiegazioni sulla sua
fuga in Inghilterra, sul perché fosse andato con la ragazza
di Jake, o ancora
avrebbe voluto ricucire i rapporti con lui…
Una
serie di ipotesi si formò
nella mia mente, ma per nessuna trovavo risposte positive; tutte
vedevano il
loro riavvicinamento e la cosa mi inquietava. Cercai di riprendermi e
non
pensare solo al peggio: avrei dovuto aspettare di parlare con Edward
per
capire, trarre le mie conclusioni e prendere una decisione definitiva
sul mio
rapporto con lui.
Arrivai
nel giro di qualche
minuto, parcheggiai e appena scesi, non so perché ma mi
aspettai di vederlo
uscire per accogliermi a braccia aperte così come era stata
sua abitudine fino
a quel momento. Invece non accadde nulla e mi avvicinai alla porta
d’ingesso
timorosa di aver provocato, con il
mio
allontanamento di quei giorni, una frattura fra noi e quando bussai il
fatto
che fosse Alice ad accogliermi e non il fratello me lo fece pensare
ancora di
più.
«
Ciao Bella, come stai? Entra…».
Mi guardai intorno come se fosse stata la prima volta che entravo in
quella
casa: in realtà stavo solo cercando lui. Probabilmente Alice
se ne accorse
perché si affrettò a dirmi che Edward non era in
casa: lo aveva mandato a fare
alcune commissioni e sarebbe rientrato di lì a poco. Da un
lato questa notizia
mi rattristò, ma dall’altra mi confortò
perché avrei potuto rimandare di un po’
un confronto, uno scambio di sguardi, una giustificazione al mio
allontanamento
e ovviamente la formulazione dei miei dubbi.
Nel
salone erano avvenuti degli
spostamenti, segno che la creatività di Alice era
già all’opera per la
preparazione della festa.
Prima
che potessi appoggiare la
borsa mi invitò a seguirla nella stanza degli ospiti in cui
ero già stata e che
sapevo trovarsi sullo stesso piano di quella di Edward:
chissà se avremmo avuto
modo di parlarci dopo la festa, magari per tutta la notte come facevamo
al
campus. Alice mi vide probabilmente pensierosa mentre salivo le scale e
subito
si preoccupò che mi fossi completamente ripresa da
ciò che mi era capitato tre
giorni prima.
«
Grazie per l’interessamento
Alice, ora sto bene. Stavo solo pensando ad alcune
cose…»
«
E queste cose includono mio
fratello?», la vidi chiaramente sorridere e non potei fare a
meno di abbassare
lo sguardo sorridendo a mia volta. In realtà i miei pensieri
degli ultimi tempi
erano stati più tormentati
rispetto a i
precedenti, ma riguardavano comunque Edward e questa cosa doveva essere
scritta
a caratteri cubitali sul mio torace, perché tutti lo
capivano al primo sguardo.
Non potei ribattere perché continuò:
«
Ti ripeto che non so cosa sia
successo esattamente tra voi, ma so che gli sei mancata e lui
è mancato a te:
credimi se ti dico che negli ultimi due giorni ho visto risorgere
l’Edward
scorbutico che ha lasciato Seattle due anni fa. Non credo abbia preso
così bene
il tuo allontanamento, forse perché, come me non ha ben
capito le motivazioni».
Non potei trattenermi dal chiederle se secondo lei era arrabbiato con
me, ma mi
tranquillizzò:
«
Non credo proprio, forse lo è
più con se stesso perché non ha saputo
convincerti a rimanergli accanto in
questi giorni e perché pensa di essere lui la causa di
questo vostro
allontanamento»
«
Te lo ha dello lui?», chiesi
preoccupata, non volevo assolutamente che pensasse questo,
«
No, ma dai discorsi sul fatto
di non causargli disturbo con la tua presenza e il fatto che tutto sia
avvenuto
dopo la conversazione con Leah gli ha fatto fare due più
due». Abbassai lo
sguardo incapace di ribattere: il legame tra i due fratelli era
veramente
stretto visto che le aveva raccontato ciò che era accaduto a
Port Angeles.
«
Non è così semplice…abbiamo
bisogno di chiarimenti se vogliamo…..», tentai di
giustificarmi.
«
Non devi darmi spiegazioni» mi
interruppe Alice, e mi fece accomodare nella stanza già
pronta. L’unica
differenza dall’ultima volta era un abito che giaceva sul
letto. Appoggiai le
mie cose, mi avvicinai e la guardai per avere chiarimenti.
«
Non fare storie Bella, so che
quando lo vedrai indossato lo adorerai e mio fratello
perderà la testa credimi»
«
Alice non credo sia il caso…»
«
Io credo proprio di sì, è ora
che facciate qualche passo in avanti voi due», la bloccai,
spiegandole che
avrei preferito evitare e attendere di essere in Inghilterra prima di
confessargli quello che provavo: e ora dopo quello che era accaduto e
l’incontro con Billy di cui lei non era a conoscenza, ero
ancora più convinta
di questo. Lì per lì sembrò capire, ma
mi ribadì l’innocenza di farsi belle per
piacere ad una persona chiaramente interessata a me. Non ribattei e la
lasciai
ai suoi vaneggiamenti sull’importanza della moda.
«
Sai Bella, Jasper è qui!», mi
disse sorridente e visibilmente emozionata, « ieri sera
l’ho presentato a mamma
e papà: non c’è ancora niente di
ufficiale, ma sono così felice e sicuramente….
siamo avanti rispetto a voi…».
Mi
punzecchiò sarcastica e io le feci il gesto di tirarle la
prima cosa che mi
capitò tra le mani. In realtà ero molto felice
per lei, ero quasi certa che
fosse la persona giusta e lo ribadii.
«
Non ho visto i tuoi, vorrei
ringraziarli per l’ospitalità»
«
Non temere , non è necessario,
li vedrai tra poco e poi partiranno»
«
Come partiranno?»
«
Hanno pensato di farsi un
romantico capodanno nella nostra baita in Alaska, così da
lasciare noi ragazzi
liberi per la festa»
«
Non temono che le tue pazze
organizzazioni possano demolire la loro splendida casa»
aggiunsi sarcastica.
«
Oh no, mia cara, sanno che
comunque per quanto possiamo essere matti, non faremmo mai cose
sbagliate: beh
che ne dici ora di venire a darmi una mano prima che
“tutti” – e potei notare
un tono diverso della voce su quel tutti – rientrino e mi
maledicano per non
aver preparato ancora nulla. Inoltre il catering sarà qui
fra poco». Certo che
Alice era un’organizzatrice nata e non avrebbe mai
tralasciato nessun
dettaglio.
Si
congedò dicendomi che mi
avrebbe atteso nel salone. Quando si fu chiusa la porta alle spalle
osservai
l’abito che giaceva sul letto. Era veramente bello e pensai
dentro di me che
fosse sprecato per una sera in cui, sì, sarei stata accanto
a Ed, ma nella
quale avrei chiesto e dato più che altro spiegazioni su cose
poco piacevoli
delle nostre vite.
Guardai
fuori per un attimo dalla
grande vetrata e poi uscii, soffermandomi in cima alle scale di fronte
alla
porta socchiusa della sua stanza . Erano solo due giorni che non ci
entravo, ma
mi sembravano già così lontani i bei momenti
passati insieme. Cercando di
distrarmi da questi pensieri poco felici mi diressi al piano di sotto e
iniziai
ad aiutare la mia amica con addobbi e decorazioni. Non so quanto tempo
esattamente passò, ma mi sembrava ormai tutto il pomeriggio
che spostavo
oggetti, mobili e appendevo lanterne e festoni.
«
No Bella, direi che quella poltrona
dovremmo rimetterla qui…». Erano almeno dieci
volte che spostava poltrone e
divani avanti e indietro nella stessa stanza per dare a tutti la
possibilità di
essere comodi.
Con
un sonoro quanto inutile
sbuffo, mi diressi verso il salotto per fare ciò che mi
aveva chiesto e non
feci in tempo ad appoggiare le mani sullo schienale della poltrona che
due
braccia forti mi circondarono, andandosi ad appoggiare esattamente a
fianco
delle mie mani come per aiutarmi a spingere.
«
Quella pazza di mia sorella non
dovrebbe costringerti a fare certe cose». Quella voce, la sua
splendida voce,
seria e ancora più calda se possibile, mi costrinse a
raddrizzarmi sulla
schiena e voltarmi nella sua direzione: era il mio Edward, bello come
sempre,
anche se con uno sguardo più segnato, come se non avesse
riposato bene nelle
ultime notti. Mi rivolse un dolce sorriso e io feci altrettanto
cercando
comunque di non far trapelare troppe emozioni.
Nella
mia mente vorticava ancora
la nostra conversazione sulla mia necessità di stare da sola
e ancora di più le
parole di Billy Black, che non so come, prima o poi avrebbero dovuto
aprire una
conversazione fra noi. Pur cercando di trattenermi
nell’espansività non potei
fare a meno di fissarlo negli occhi e risponderli con un ciao
sussurrato, ma
comunque dolce.
Ci
ritrovammo uno di fronte
all’altra:
«
Ciao Bella, come stai?». Senza
mai distogliere lo sguardo dal suo viso, risposi che stavo bene e
ricambiai la
domanda. La sua risposta mi spiazzò leggermente, anche se
dovevo immaginarla,
così come la sua reazione:
«
Io sto bene, ma mi sei mancata»
mi accarezzò lievemente un braccio, staccandosi subito come
scottato e lo vidi
abbassare lo sguardo come se temesse un mio giudizio negativo a questa
sua
affermazione: e tutto solo perché ero stata io a dire di
voler stare sola
qualche giorno. Nonostante il mio cuore urlasse dal desiderio di
confessargli
il vuoto che rimbombava nel mio cranio e nella mia cassa toracica
quando lui
non era con me, i mille brividi che avevano percorso la mia pelle
quando mi
aveva sfiorata, mi limitai ad abbassare lo sguardo rattristandomi
leggermente
per la confusione che avevo creato nella sua vita e nella mia mente.
Ovviamente
proruppe in quel
momento Alice ad interrompere una conversazione fatta più
che altro di sguardi
e richiamando la mia partecipazione al lavoro:
«
Su Ed, ora vai ad aspettare
fuori il catering, dovrebbe essere qui a minuti: tu e Bella avrete
molto tempo
per parlare questa sera». Ci scambiammo uno sguardo
rassegnato e uno splendido
sorriso, il suo sorriso, gli comparve sul volto. Si limitò
ad un “ok agli
ordini” e se ne andò. Non riuscii a togliergli gli
occhi di dosso fino a che
non lo vidi sparire dietro alla porta e non lo sentii uscire in
guardino.
«
E tu non saresti innamorata
pazza di lui?», furono le parole che mi riscossero dal mio
stato di assenza
mentale momentaneo, « siete proprio due
allocchi….lo vedi come è ridotto?». Non
potei ribattere nulla: la sua affermazioni mi aveva spiazzato pur
sapendo
quello che pensava e in più il suo andirivieni dalle stanze
era talmente
frenetico che rinunciai a qualsiasi ammonimento e continuai ad aiutarla.
Purtroppo
a causa degli impegni
che Alice aveva affidato ad ognuno di noi, non mi fu possibile parlare
con Ed
per il resto del pomeriggio: ci eravamo incontrati e scontrati solo un
paio di
volte e tranne due parole di circostanza e qualche sorriso non eravamo
riusciti
a fare altro.
Verso
sera avevamo salutato
calorosamente i genitori di Edward che si erano prodigati in
raccomandazioni
per la serata e non avevano esitato a preoccuparsi per la mia salute.
Quando
fu il momento di
prepararsi mi recai nella mia stanza e come una perfetta codarda che
sta per
avvicinarsi al momento della verità e vuole ritardarlo il
più possibile, mi
chiusi dentro e mi dedicai a me stessa cercando di rilassarmi e
infondermi più
calma possibile in previsione della serata: mi chiedevo continuamente
se fossi
veramente stata in grado di parlargli e ancora di più di
chiedergli di
spiegarmi cosa era successo veramente due anni prima: e lui, mi avrebbe
detto
la verità?
Uscii
dalla doccia, che ormai
aveva perso la sue proprietà rilassanti visti i miei
pensieri, e mi vestii e
curai accuratamente. Non volevo eccedere, ma non potevo negare che
avevo
bisogno più che mai per la mia autostima, degli sguardi che
Edward mi riservava
quando qualcosa di me attirava la sua attenzione. Il vestito di Alice
in questo
mi avrebbe sicuramente aiutato; nella sua semplicità era
veramente d’effetto.
Quando fui pronta presi un bel respiro e mi preparai a scendere nel
salone dove
già qualche invitato aveva fatto il suo ingresso, ma quando
aprii la porta
Edward era appoggiato allo stipite quasi come se mi avesse volutamente
aspettato.
«
Spero non ti dispiaccia ho
sentito che eri ancora dentro e ho pensato che potevamo scendere
insieme»
«
Sai che non potrebbe mai
dispiacermi» ci tenni a precisare.
«
Non mi era sembrato questo
negli ultimi giorni, visto che non hai voluto
vedermi…». Il suo tono era stato
un misto fra il dispiaciuto e il rimprovero, ma dai suoi occhi vidi il
dolore
della nostra separazione. In quel momento mi dispiacque da morire di
aver
forzato il nostro allontanamento, senza pensare realmente a cosa lui
avrebbe
voluto. Avevo deciso io per entrambi, come al solito e forse
così mi ero
giocata i sentimenti che sembrava lui provasse per me. Poi vedendo il
mio
sguardo rattristato alla sua affermazione si corresse: «
scusa non volevo, è
che…non ho ben capito il perché ci siamo
allontanati in questi due giorni e mi
è dispiaciuto».
Non
sapevo che dire, tra noi non
c’era stato nulla in realtà ma mi era sembrato di
averlo ferito veramente:
«No
non dispiacerti, la colpa è
solo mia è che avevo proprio bisogno di stare un
po’ da sola, tu non c’entri,
il problema è solo mio anzi….». Ero ad
un passo dal dirgli il perché non ci
fossimo visti, ma qualcosa, forse la vergogna per il mio egoismo mi
trattenne.
Fu lui con le sue parole a sollevarmi dall’imbarazzo per una
risposta che non
sapevo dare.
«
No scusa tu: oggi è un giorno
di festa, godiamocelo, poi se vorrai domani parleremo». La
sua capacità di
riflettere e trovare il momento giusto sempre per tutto mi lasciava
ogni volta
spiazzata. Sapeva che c’era qualcosa che mi tormentava, che
questa cosa mi
aveva portato alla decisione di non vederlo, ma nonostante questo mi
capiva e
sapeva che quello era il momento della leggerezza e non del tormento.
Ci
avremmo pensato poi: e se avessi voluto essere veramente onesta con lui
gli
avrei detto il perché ero letteralmente fuggita giorni prima
e le parole che
Billy aveva sputato e che mi avevano lasciato inequivocabilmente
turbata.
Scendemmo
nel salone insieme,
vicini, ma non stretti in un abbraccio comunque per noi familiare.
Molte
persone erano già arrivate; riconobbi alcuni dei miei vecchi
compagni di scuola
che probabilmente avevano conosciuto i Cullen nel momento io cui io ero
partita
per Jacksonville. Vidi Rosalie che mi salutò molto
calorosamente e infine
Alice, letteralmente attaccata a Jasper. Non riuscii a trattenere un
sorriso
vedendo la faccia di Ed alla scena.
Ci
avvicinammo a loro, lo salutai
e per un attimo mi venne in mente la mia Inghilterra, la mia scuola, i
miei
alunni e la mia vita. Perché questo era: là con
Edward, c’era la mia nuova vita
e stupidamente avevo permesso al quel viaggio di far tornare i fantasmi
del
passato e incrinare quelle certezze che mi ero costruita in quattro
mesi
lontano da lì. Amavo Forks, ma quello che scatenava in me
viverci era il motivo
per cui di lì a una settimana sarei tornata a Londra senza
il minimo rimpianto:
senza contare ovviamente il fatto che forse tutto sarebbe tornato
normale e magari ci
sarebbe stato qualcosa di più.
Intenzionalmente
cercai di
passare la mia serata il più possibile lontano da lui,
conversando con le
persone che conoscevo e non vedevo da qualche mese, beandomi dei suoi
sguardi e
dei suoi sorrisi che mi accendevano il cuore spento quando lui non
c’era, ma
nello stesso tempo cercando di rimanere il più possibile
sola a pensare. In
realtà in certi momenti mi ero sentita proprio come una
fuggitiva e sperai che
nessuno se ne fosse accorto.
La
serata era stata veramente
piacevole, la festa era riuscita molto bene, tutti si erano divertiti,
ma
quando si avvicinò la mezzanotte istintivamente mi
allontanai. Non so perché,
ma probabilmente il fatto che tutti si sarebbero scambiati baci e
abbracci mi
portò a sperare di non dover partecipare a questo rito, per
non dover avere
nessun contatto con Edward prima del nostro chiarimento. Sapevo che se
solo mi
avesse sfiorato avrei perso ogni razionalità e dimenticato
persino il mio nome.
Preferii quindi salire nella mia stanza con in mano un bicchiere di
champagne e
aspettare lo scoccare della mezzanotte sola.
Quando
fui seduta sul letto
guardai fuori, il buio che circondava la casa e che ora, a differenza
delle
altre volte, mi trasmetteva solitudine e angoscia, probabilmente dovuto
al
fatto che era il mio cuore ad essere solo e angosciato.
Di
questo mi ero resa ormai
conto: senza la sua costante presenza ripiombavo nel silenzio della mia
vita e
tutti i pensieri più tristi mi tornavano alla mente. Ero
talmente immersa nei
miei pensieri da non accorgermi che qualcuno si era affacciato alla
porta ed
era stato costretto ad un lieve bussare per attirare la mia attenzione:
Edward
era nella mia stanza e ora non sarei potuta fuggire. No so se per
augurarmi il
capodanno o parlare dei giorni passati, ma era in piedi di fronte al
mio letto
con un bicchiere in mano a sua volta e uno sguardo più serio
del solito.
«
Bella che ci fai quassù tutta
sola, sono circa dieci minuti che ti cerco, sono le undici e mezza e
Alice non
te lo perdonerà se perderai i suoi fuochi artificiali allo
scoccare della
mezzanotte, ha mosso tutti gli artificieri di Forks», un
sorriso gli comparve
sul volto e non potei non ricambiare pensando ai salti mortali fatti
dalla
sorella perché tutto fosse perfetto.
«Scusa
è che avevo proprio
bisogno di stare un po’ in silenzio, c’è
una tale confusione di sotto», lo
guardai cercando di non fissarmi sui dettagli del suo viso che dal
primo
momento avevano attirato la mia attenzione.
«
Non pensi che ultimamente tu
abbia bisogno un po’ troppo di stare sola? Non credo ti
faccia stare poi così
bene. Ti ho osservata stasera e mi sei sembrata troppo triste e
pensierosa» in
realtà mi aspettavo che portasse avanti
l’argomento, ma non che lo facesse con
una domanda di questo genere. Sapevo che il mio atteggiamento lo aveva
turbato,
se non addirittura ferito e se non volevo rompere definitivamente tutti
i
rapporti con lui, oltre che farlo arrabbiare, avrei dovuto dargli
qualche
giustificazione.
«
Bella ti prego, dimmi cosa ti è
successo per allontanarti così da me, credevo fossimo buoni
amici, mi
sbagliavo?». Il suo tono ora era veramente dispiaciuto e
avrei voluto
confessargli in un impeto che oltre che buoni amici per me lui era
qualcosa di
più: era diventato il mio tutto e che proprio per questo non
volevo che vivesse
una vita fatta di alternanze, causate dalla mia instabilità
emotiva.
Ora
però gli dovevo qualche
risposta, non meritava la mia indifferenza, anche perché non
ne ero proprio
capace. Cercai di parlare con il tono più calmo possibile
deglutendo più volte
per evitare che il magone che avevo in gola mi facesse crollare:
«
Certo che lo siamo, è solo
che….» non riuscivo a parlare, troppe cose da dire
e troppo confuse, optai per
una mezza verità, tralasciando il problema
“incontro con Leah”. Abbassai lo
sguardo e appena lo sentii sedere
accanto a me le sue mani mi alzarono il viso in un gesto ormai
familiare, nel
tentativo di farmi parlare guardandolo negli occhi.
«Ed
io non voglio che tu ti senta
costretto a sostenere i miei problemi – cercai di iniziare
prendendola larga,
ma di questo passo chissà se sarei mai riuscita a dirgli
anche di Billy – da
quando ci conosciamo non fai altro che aiutarmi e assistere alle mie
problematiche. Non voglio trascinarti nelle mie paranoie».
«
Bella lo sai che ti sono sempre
stato accanto più che volentieri, la nostra amicizia
è qualcosa di molto
importante per me ». Abbassò lo sguardo come
imbarazzato, ma non capii se
perché aveva definito il nostro rapporto
“un’amicizia” o se perché
aveva
sottolineato l’importanza che aveva.
«Edward
la mia vita è stata tutta
piena di inciampi e ora me ne rendo conto più che mai.
Questo mi ha portato ad
essere una persona fragile sotto molti punti di vista e non voglio che
tu ne
subisca le conseguenze. Sei una persona meravigliosa, non meriti di
condividere
il mio limbo»
«
Non spetta a te deciderlo»,
ribatté deciso e la sua risposta mi colpì. Era
veramente disposto a starmi
accanto nonostante molto del mio carattere fosse sbagliato!
«
La mia crisi di panico
dell’altro giorno rappresenta quello che sono, quello che ho
vissuto e non so
quando questi episodi riusciranno ad abbandonarmi del tutto e non credo
siano
una cosa positiva per la nostra amicizia»
«Perché?
Gli amici servono anche
a questo, o sbaglio?» non sbagliava, ma l’amore che
provavo per lui andava
oltre l’amicizia e questo mi spingeva a proteggerlo dalle
situazioni di dolore;
anche se questo voleva significare tenerlo lontano dalla mia vita.
«
Sì lo so, ma quando situazioni
di questo genere si presentano troppe volte, anche l’amicizia
più salda può
incrinarsi. Il troppo dolore non è mai
sopportabile»
«
Penso che il problema vada
affrontato quando si presenterà non credi? In questo momento
sai che puoi
contare su di me e allora perché allontanarmi?».
Non
potevo più girarci attorno
dovevo andare dritto al punto:
«
Per quello che sono stata…..per
ciò che ho vissuto….. ho
paura……sento che scomparirai* e
preferisco
che sia ora piuttosto che fra alcuni mesi, quando il danno emotivo
sarà irreparabile,
soprattutto per me…». Sussurrai a malapena queste
ultime parole, sperando quasi
che non mi avesse sentito, ma così non fu visto la sua
risposta.
«
Io non scomparirò…mai… e non
voglio che tu stia male, perché pensi che possa accadere?
Quando due persone
sono legate da un sentimento reale insieme riescono a sostenere molte
più cose
che se fossero soli. Non è detto che si debba crollare,
anche se la vita di uno
dei due è stata dura». Ormai non avevo
più timore di confessargli i miei dubbi,
tanto in un momento come quello non sarebbero emersi i miei veri
sentimenti.
«
La verità – mi ritrovai una
forza che non credevo per guardarlo negli occhi –
è che sei una persona troppo
importante per me per farti soffrire per gli errori passati»,
i mie occhi erano
tristi, così come i suoi. Se fossimo state due persone
abbastanza furbe, ci
saremmo detti addio in quel momento per evitare di complicare tutto, ma
così
non fu. La sua mano fu sul mio viso ad accarezzare la mia guancia:
«
Dividi con me le tue pene, non
portarti tutto dentro, te l’ho già detto. Solo
così potrai stare meglio»
«
E tu?» ok avevo lanciato il
sasso, ora non dovevo farmi avanti e affrontare l’argomento
Billy «Io?
Credo di essere abbastanza forte per
poterti aiutare, o no?» un lieve sorriso gli si era dipinto
sul volto, ma
sapevo che gli si sarebbe spento nel momento in cui avesse capito dove
volevo
andare a parare
«
Non è questo: anche tu hai
avuto una vita difficile e hai sofferto. Non pensi che accollarti anche
i miei
tormenti non ti sarà di aiuto per ricominciare?».
Come avevo previsto si fece
serio, ma in un primo momento la sua risposta mi lasciò di
stucco.
«
E chi ti dice che per me questo
non sia già un ricominciare? La nostra amicizia è
già un nuovo inizio per me e
in questo momento
non credo di avere
bisogno di altro……», la voce gli
morì improvvisamente in gola e il suo sguardo
si piantò interrogativo nei miei occhi, « hai
parlato con Jacob?» aveva capito,
anche se forse non immaginava
fosse
stato Billy. Non potei certo mentirgli: « Ho parlato con suo
padre»
«
E’ per questo che mi hai
lasciato solo per tre giorni?»
«No!
– mi affrettai a spiegare –
la mia decisione di stare sola è dipesa da quello che ti ho
detto prima (bugia!
E Leah dove la metti!!), con Billy ho parlato solo ieri, per
caso», non so
perché ma ritenni necessario giustificarmi, come se avessi
violato la sua
privacy oltre che la sua fiducia
«
e…..»
«
e.. nulla, non volevo trarre
conclusioni prima di aver parlato con te, ma…»
«
quello che ti ha raccontato ti
ha fatto schifo vero? Mi odi per questo?»
«no,
mai – mi affrettai a
rispondergli quasi urlando – ti conosco
bene, so che uomo sei e nutro seri dubbi su quello che mi ha raccontato
Billy,
ma non posso non ammettere che sono rimasta turbata perché
non mi sei sembrato
tu»
«
Cosa ti ha detto realmente?»,
non me la sentivo e per un attimo mi pentii di aver accennato la cosa,
« Bella
– mi richiamò – cosa ti ha detto
Billy?». La voce gli si alzò: non so dove
trovai la forza, ma sputai tutto d’un fiato:
«
E’ rimasto molto sul vago ma ha
detto che dopo aver lasciato Leah hai portato via la compagna a Jake e
hai
scaricato anche lei».
Sgranò
gli occhi leggermente, ma
non sembrò stupito più di tanto: « E tu
gli hai creduto?». Abbassai il volto e
improvvisamente mi resi conto che avevo ancora il calice di champagne
nelle
mani e lo avevo rigirato nervosamente tutto il tempo tra le dita.
«
Non del tutto, cioè….ci sono
rimasta male lì per lì, ma poi…..mi
sono detta che non era possibile…che la
persona che ho conosciuto in questi mesi non avrebbe mai fatto una cosa
del
genere….però dovevo parlartene
per….»
«
ti ha comunque instillato il
dubbio – mi interruppe – e questo per lui deve
essere stato già più che
sufficiente per prendersi una piccola rivincita».
Non
seppi rispondere. In realtà
era vero e ora che lo avevo di fronte mi vergognai anche solo di aver
avuto
certi dubbi su di lui.
«
Vuoi sapere come sono andate
veramente le cose? Però devi essere disposta ad ascoltarmi
fino in fondo prima
di giudicarmi. Non voglio che tu mi dia ragione: sono stato uno stronzo
e ho
ferito molte persone, ma non è andata proprio come ti hanno
detto e ho cercato
di rimediare per quanto mi fosse possibile…ma senza
risultato». La sua voce si
era leggermente incrinata, segno che queste cose lo scuotevano ancora
nel
profondo e forse era proprio per questo che non me ne aveva voluto
parlare.
«
Parlami Ed – questa volta fui
io ad accarezzargli il viso e un braccio – e poi quando avrai
alleggerito il
tuo cuore ti parlerò di me» lo dissi
più per spronarlo a non chiudersi che per
effettiva convinzione, ma
in quel
momento il cuore mi diceva così e gli ubbidii.
Lo
vidi alzare il suo sguardo e
fissare i suoi splendidi occhi verdi nei miei, convinto più
che mai di quello
che stava per fare. Il mio cuore batteva veloce e sentivo che molte
cose
sarebbero cambiate quella sera.
note:
non credevo di farcela, tre capitoli postati!! ok non vi ci abituate
anche perchè i capitoli già scritti volgono al
termine....già. le nuove cose scritte vanno a rilento e fra
poco dovrete cominciare a pazientare...anche perchè dopo la
tempesta che ancora ci aspetta ci dovrebbe essere un beeeel
pò di sereno (non troppo se no mi mandate il conto del
dentista per i denti cariati!!:))
posso
capire che 40 capitoli di amicizia siano tanti e se qualcuno sta
allentando la presa della lettura lo capisco, ma in fondo non sono una
scrittrice (magari!!!) e molto spesso quello che ho riportato su questi
personaggi erano stati d'animo ed emozioni scaturite anche da me se mi
fossi trovata nella loro stessa situazione. e a volte i sentimenti sono
moooolto tromentati. spero continuiate ad avere pazienza. se
così non fosse vi capisco e vi mando comunque un bacione.
magari
con una prossima storia potrebbe andare meglio, no!!!! in fondo questa
è la mia "prima volta"!!
il
prossimo capitolo non arriverà prima di domenica o anche
lunedì. non fatevi troppi film mentali nel frattempo (come
la nostra protagonista), ma sappiate che le vostre supposizioni su come
evolverà la storia sono splendide e alcune anche molto
intutive.
ci
vediamo presto
|
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Capitolo 40 *** “Prime verità” ***
Capitolo
40
“Prime
verità”
Prese
un profondo respiro e
abbassò lo sguardo, segno che ciò che stava per
raccontarmi era ancora radicato
nel suo animo come motivo di ansia.
«
Come ti ho già detto io e Leah
ci siamo messi insieme circa sei anni fa. Dopo due anni ha insistito
per andare
a vivere insieme. Sapevo che non sarebbe stata una buona idea:
è vero, ci
amavamo, ma eravamo sempre stati troppo amici per buttarci a capofitto
in una
cosa così seria. Lo feci più che altro
perché vedevo la sua felicità e volevo
che Jake si fidasse di me, visto la mia fama di donnaiolo ai tempi
della
scuola. Ero cambiato, ero cresciuto, volevo vivere una vita completa e
pensavo
che si potesse cominciare da lì.
«Con
il passare del tempo però le
cose non furono idilliache. Leah era molto possessiva nei miei
confronti e non
accettava di buon grado che io viaggiassi spesso per lavoro»,
lo guardai
strana: non mi aveva detto nulla di una cosa del genere.
«
In quei mesi ero stato
contattato per suonare con una delle più prestigiose
orchestre americane e in
più mi ero messo in testa di comporre un album tutto mio
– disse come se avesse
capito i miei pensieri – e questo mi portò a
viaggiare, allontanandomi per
settimane, anche se in realtà facevo i salti mortali per
poter tornare almeno
ogni week-end a casa.
«
Mi resi presto conto però che
tutto questo non era sufficiente per lei, nemmeno quando le proposi di
seguirmi
per poter stare un po’ più insieme. Era sempre
più insofferente, fino a che mi
chiese di rinunciare alla musica: lì per lì
rimasi molto male, ma poi decisi
che se volevo che fra noi funzionasse dovevo cambiare vita: accettai un
posto
come professore di musica in un liceo di Seattle, non senza la
disapprovazione
dei mie genitori che avevano sperato fino in fondo che io potessi
seguire i
miei sogni. Lì per lì pensai avessero perso la
fiducia nei miei confronti, di
averli traditi e delusi, ma da persone meravigliose quali sono
assecondarono la
mia scelta, fidandosi di me e sperando che questa vita avrebbe fatto la
mia
felicità e quella di Leah».
«
Ed è stato così?» non so
perché
lo chiesi e nemmeno perché sperassi vivamente che la sua
risposta fosse
negativa.
«
Se possibile le cose
peggiorarono ancora di più: sembrava quasi che la vicinanza
nuocesse al nostro
rapporto più che mai: Leah era cambiata, strana e
poi…..» lo vidi irrigidirsi e
i suoi occhi si spensero, come quando riaffiora il più
doloroso dei ricordi.
Non riuscii a fare altro che stringergli la mano, nel tentativo di
infondergli
coraggio, rimanendo però in un silenzio quasi surreale: per
un attimo pensai
che la mia voce o qualche mia
parola,
avrebbe potuto essere solo una violenza ai suoi ricordi. Solo una
persona
meravigliosa avrebbe potuto mandare all’aria i sogni di una
vita per rendere
felice qualcun altro.
«
Leah rimase incinta…fu una cosa
inaspettata… a dire la verità non mi sembrava il
momento, ma quando provai ad
esporle i miei dubbi sulla possibilità di una gravidanza in
un momento di crisi
come il nostro, non volle sentire ragioni. Era convinta che le cose
sarebbero
migliorate, ma io ero piuttosto scettico al riguardo…Non mi
fraintendere, non
le avrei mai impedito di portare a termine la gravidanza…ed
un figlio sarebbe
stata un’esperienza unica….,ma non con lei e in
quelle circostanze…», sgranai
gli occhi e le parole “incinta” e
“gravidanza” iniziarono a rimbombare nella
mia mente: Edward aveva avuto un figlio da Leah?!
In
un decimo di secondo la mia
mente si chiuse a qualsiasi altra informazione, il mio respiro
iniziò a
diventare sempre più frequente e i ricordi più
dolorosi della mia vita
riaffiorarono. Loro avevano….,no non era
possibile…..che fine aveva fatto quel
bambino?… e poi i miei pensieri mi portarono altrove: lei
poteva avere
figli…io, chi lo sa? Lui non poteva voler stare con una come
me, dopo che aveva
avuto lei.
Ero
talmente immersa in questi
miei dubbi da non accorgermi che Edward aveva smesso di parlare e mi
stava
scuotendo per le spalle, forse per ridestarmi dai mie pensieri, che mi
avevano
letteralmente catapultato in un’altra dimensione.
«
Bella ti senti bene?», la sua
voce era tesa. Cercai di riprendermi e rispondergli perché
non si preoccupasse
ulteriormente per me.
«
Sì scusa, è che non pensavo…..non
mi avevi detto nulla, ma…» la verità
era che non riuscivo a parlare e a quelle
rivelazioni dovetti più volte chiudere gli occhi e deglutire
per ancorarmi alla
realtà e non naufragare in una marea di tormenti.
Prima
che Edward riprendesse il
discorso non potei comunque non pensare a quale persona meravigliosa
potesse
accettare una situazione come quella e assumersi le sue
responsabilità, anche
quando sapeva che non era il momento o che le cose sarebbero
precipitate sempre
di più. Non potevo continuare a credere che un uomo
così avesse fatto quello
che diceva Billy Black e fu proprio per questo che decisi di essere
forte,
mettere da parte momentaneamente i miei problemi e continuare ad
ascoltarlo.
«
Non ti ho mai detto nulla
perché non è stato facile superare quei
momenti…e forse non l’ho fatto ancora
del tutto…Vedi Leah ha perso quel bambino, e al di
là di quello che successe
dopo…mi dispiace, non perché volevo un figlio da
lei, ma perché credo potesse
essere un’esperienza che fa crescere, anche a discapito dei
propri sogni e
della libertà», gli occhi diventarono lucidi, sia
i miei che i suoi.
Aveva
perso un figlio….proprio
come me…ed era riuscito ad andare avanti, a superarlo,
mentre io……Lo sentii
accarezzarmi la guancia e ci guardammo negli occhi in modo molto
intenso: per
un attimo pensai di abbracciarlo e confessargli tutto perché
potessimo tornare
ad essere vicini e forse condividere le nostre preoccupazioni, per
sollevarci
l’animo e ricominciare insieme. Decisi però di
reprimere momentaneamente quello
che desideravo e lasciargli terminare il racconto per poter togliere
anche il
minimo dubbio su ciò che era avvenuto dopo: e qualcosa era
chiaramente
avvenuto, lo aveva accennato, ed era il motivo per cui i Black
sputavano veleno
su di lui.
Non
potei fare altro che dire “mi
dispiace” con la voce incrinata da quel pianto che da giorni
minacciava, ma non
voleva mai uscire. Fu lui a rassicurarmi con le sue mani sul mio viso e
la sua
voce: « No Bella, non dispiacerti, sono cose che succedono;
ci dissero che le
probabilità ad una prima gravidanza erano alte e me ne feci
una ragione, forse
era destino che dovesse andare così. Lì per
lì pensai fosse così anche per
Leah, ma mi sbagliavo.
«
Iniziò a diventare scostante e
se possibile ancora più acida di prima: litigavamo in
continuazione e vedeva il
mio tradimento ovunque anche quando le facevo capire che non ero
interessato
alle altre donne e non mi sarebbe stato nemmeno possibile, visto che
rincasavo
non appena finivo l’orario a scuola. E poi dopo qualche mese
passò alla fase
successiva: si mise in testa di volere un altro figlio, a tutti i
costi, senza
pensare a noi e a cosa sarebbe stato meglio in quel momento.
Arrivò addirittura
a dire che sarebbe bastato dargli un figlio e poi me ne sarei potuto
anche
andare. Cercai di farla ragionare, di farle capire che non sarebbe
stata quella
la soluzione ai nostri problemi, di starle comunque accanto e di
sopportare
ogni cosa, visto quello che aveva passato e quanto ancora ne soffriva,
anche se
mi resi conto più che mai che la nostra storia non sarebbe
potuta durare. Ma
non potevo certo lasciarla in un momento simile. Poi una sera dopo
l’ennesima
litigata se n’è andata di casa e quella sera
stessa mi ha tradito con quello
che è attualmente il suo compagno».
Sgranai gli occhi: se la mia vita
era stata
incasinata la sua non era certo da meno, ma in quel momento non provai
più pena
per lei. Aveva avuto tutto e se lo era lasciato sfuggire nel modo
più egoistico
possibile. Sapevo cosa poteva fare la perdita di un figlio, ma per lei
era
stato un inconveniente, avrebbe sempre potuto riprovarci con il tempo
se solo
non si fosse lasciata trasportare dall’odio e dal dolore: e
poi aveva Ed
accanto, disposto a sacrificare tutto. Lo guardai di nuovo negli occhi
in un
tacito assenso a continuare:
«
Quando ritornò a casa dopo tre
giorni mi disse quello che era accaduto, che era dispiaciuta e che
voleva
riprovarci con me. In realtà non volevo, ma feci unno sforzo
per andare avanti,
per perdonarla, accorgendomi però che non sarebbe stato
facile.
Una
sera decisi di chiarire:
erano ormai passati due mesi dal suo tradimento ed ero quasi convinto
che lei
continuasse a vedere Sam, ma non ci avevo voluto far caso fino a quel
momento.
Sapevo che era volubile e se le volevo bene veramente dovevo aspettare
e
vedere. Ma non ne ero più innamorato. Le parlai chiaramente,
le esposi i miei
dubbi, ma le dissi che se aveva bisogno di me non l’avrei
lasciata; non subito,
avrei aspettato che anche lei si fosse decisa a capire come stavano
andando le
cose fra di noi. Ma lei non capì. Litigammo ferocemente e mi
intimò di
andarmene perché non voleva essere presa in giro da me.
«Non
sapevo più che fare: da un
lato sapevo che era giusto essere stato sincero con lei sui miei
sentimenti.
Dall’altro mi era dispiaciuto che se la fosse presa e avesse
preferito
cacciarmi piuttosto che stare con me un altro po’ per
chiarire la nostra
situazione e magari rimanere amici. Ero confuso e commisi una cazzata.
«Mi
ritrovai in un pub a bere e
inaspettatamente incontrai Tanya. la ragazza di Jake. Eravamo molto
amici e ci
fermammo a parlare dei nostri reciproci problemi. Le dissi cosa era
accaduto e
lei mi confessò che ultimamente anche con Jake le cose non
andavano affatto
bene. Purtroppo fui così stupido da bere esageratamente
e…..la mattina dopo mi
svegliai a casa sua. Eravamo stati insieme, io non ricordavo nulla, ma
mi feci
comunque schifo per quello che avevo fatto».
Allora
era vero. Edward aveva
tradito Leah con la ragazza di Jake, ma le cose sembravano essere
andate in un
modo molto diverso da quello che mi aveva detto Billy. Edward non
sembrava aver
fatto tutto in modo freddo e calcolato. Aveva sbagliato, ma cavoli,
nella sua
situazione sarebbe potuto capitare a tutti.
Non
mi sentii di accusarlo più di
tanto. Sapevo per esperienza che quando si soffre si possono commettere
un
sacco di sciocchezze per poi pentirsene come sembrava avesse fatto lui.
«
Quando mi resi conto di quello
che era successo – continuò – dissi
chiaramente con Tanya che era stato un
errore, causato da un momento di debolezza e dall’alcol. So
che come frase
fatta faceva un po’ schifo e che comunque ero stato un pezzo
di merda a
lasciarmi andare così, ma ci credevo. Sapevo che non
c’era nulla fra noi e che
avremmo dovuto parlarne rispettivamente con Jake e Leah, ammettere il
nostro
errore e sperare nel loro perdono: specie per lei visto che la sua
storia con
Jake non era certo da considerarsi al capolinea come la mia.
«Ci
lasciammo con questa
convinzione, ma lei non fece nulla di ciò. Disse con Jake
che si era innamorata
di me e che lo lasciava per questo. Anche quando cercai di farle capire
che non
poteva perdere tutto per qualcosa di non corrisposto non volle sentire
ragioni.
Immaginati: Leah convinta che io l’avessi tradita per
ripicca, Jake distrutto
dalla notizia perché non si aspettava assolutamente nulla. E così si
è distrutto tutto. Amicizia ,
amore, fiducia, tutto perché sono stato troppo
stupido», chiuse gli occhi quasi
a voler scacciare quei brutti ricordi.
«
E Tanya?» chiesi con un filo di
voce
«
Non ha voluto sentire ragioni,
si è addirittura infuriata con me perché
l’avevo illusa, ma non l’ho mai fatto
devi credermi. Le ho detto subito che era stato un errore e che non
provavo
niente, ma lei mi confessò che si era innamorata di me
già da tempo e che
quello che c’era stato ne era solo una
dimostrazione».
«
Oddio Ed deve essere stato
tremendo, perdere l’amicizia di Jake in quel modo, sapendo di
averlo ferito
involontariamente…».
«
Quella è stata la cosa più
dura, ma la verità è che ho tentato si
spiegargli, di scusarmi, gli ho chiesto
di perdonare sia me che lei, che non avrei mai iniziato una storia con
Tanya,
piuttosto me ne sarei andato per sempre da Seattle, ma non ha voluto
sentire
ragioni… e sinceramente posso capirlo. Ma credimi,
è stato quasi più duro
perdere i miei amici che perdere la donna che pensavo di amare.
Perché arrivato
a quel punto mi ero reso conto che con Leah ci sarebbe stata solo una
bella
amicizia e l’errore l’avevamo fatto pensando che
potessimo funzionare come
coppia».
Prese
un respiro, cercò di
stringere gli occhi per trattenere un pianto che sentivo gli stava
nascendo dal
profondo del cuore, ma non ci riuscì completamente: una
lacrima gli solcò il
viso e mia affrettai ad asciugargliela, guardandolo con lo sguardo
più
comprensivo possibile. Alle sue parole era nato in me un dolore come se
avessi
in quel momento condiviso tutta la sua agonia: in realtà un
po’ mi dispiaceva
anche per Jake. Entrambi avevano incontrato due donne estremamente
egoiste,
disposte a rovinare la vita di chi le amava pur di non rinunciare ai
loro
desideri.
Ero
più che mai convinta che il
vero amore non fosse questo, ma più il fatto di accettare
che la persona che
ami possa non corrispondere e rimanergli vicino in qualsiasi
situazione, senza
pretendere nulla. In realtà era quello che avevo sempre
pensato del rapporto
tra me e Edward. I nostri cuori stavano entrando in una sintonia
perfetta.
Probabilmente
il mio viso fu lo
specchio dei miei turbamenti perché si affrettò a
scusarsi dicendomi che non
voleva trascinarmi nel suo baratro,e rendermi infelice.
«
Ora sai tutto e se vorrai
odiarmi ne avrai tutte le ragioni, ma credimi se ti dico che non ho mai
avuto
l’intenzione di ferire nessuno, sono solo stato uno stupido e
un’incosciente….»
«
No, Ed sei stata una persona
che come tanti ha fatto degli errori, ma sei sempre stato onesto, non
hai mai
illuso nessuno e ti sei preso le tue responsabilità.
Ricordi? Lo hai detto
anche per me. Non siamo perfetti, gli errori si commettono, ma se siamo
in
grado di accettare di aver sbagliato e si cerca di rimediare non ci si
può
condannare più di tanto»
«
Mi hanno accusato di essere
scappato...ed è vero…»
«
Perché lo hai fatto, te lo sei
chiesto?»
«
Perché non volevo che la mia
presenza continuasse a creare dissensi tra le persone che conoscevo, e
poi
volevo allontanarmi per pensare a cosa fare della mia vita dopo tutto
questo»
era incredibile, era esattamente quello che avevo sentito io: era la
mia
necessità e non mi sentii assolutamente di condannarlo.
«
Lo vedi quanto le nostre vite
siano simili? È incredibile, forse è per questo
che ci siamo trovati. Credi nel
destino?» lo vidi fare un lieve sorriso.
«
Sapevo che te ne avrei dovuto
parlare prima, ma non me la sentivo proprio»
«
E ora che lo hai fatto?»
«
Mi sento molto meglio, ma…..»
«…Ma?»
«
Ora che sai la verità ho paura
di perdere te, che tu voglia allontanarti per quello che ho fatto e ti
confesso
Bella – alzò lo sguardo e mi fissò
intensamente – che pur capendoti, sarebbe il
dolore più profondo che ho mai provato dopo la perdita di
mio figlio».
Questo
dunque provava per me. Il
sentimento nei miei confronti superava anche il dolore di aver perso la
donna e
i migliori amici, pari solo al dolore per la perdita di un figlio. Non
potei
fare a meno di prendere un profondo respiro, lusingata, ma nello stesso
tempo
convinta di dover prima o poi aprirgli il mio cuore. Tornati a casa lo
avrei
fatto, lontano da lì e da tutti i nostri ricordi
più dolorosi, in un luogo dove
eravamo solo noi, dove era nata la nostra amicizia, senza legami con il
nostro
passato.
Istintivamente
appoggiai le mani
sulle sue spalle e poi sul suo volto e lo strinsi a me in un abbraccio
che gli
trasmettesse tutto il mio calore e in parte anche il mio amore e la mia
fiducia. Perché era così, io mi fidavo ciecamente
di lui, di quello che mi
aveva detto; non avevo dubbi.
Poi
una domanda mi rimbalzò nella
mente e sciolsi l’abbraccio rimanendo però con le
mani sulle sue:
«
Perché pensi che Billy creda
quelle cose di te?»
«
Penso che dipenda dal fatto che
ha ascoltato la versione dei suoi figli e in quel momento erano
entrambi troppo
in collera con me per raccontargli esattamente come erano andate le
cose e
credimi…li capisco»
«
Non sono affatto d’accordo con
te: posso capire Jake, ma Leah ha avuto molte colpe e non avrebbe
dovuto
permettere che sia suo padre, sia suo fratello pensassero che sei una
persona
cinica, che ha fatto tutto intenzionalmente»
«
Non biasimarla, lei è sempre
stata molto possessiva nei miei confronti e anche lì
l’errore è stato il mio
che fin dall’inizio non sono stato chiaro su quanto i nostri
sentimenti non
fossero esattamente alla pari», ma come faceva ad essere
così: riusciva a
perdonare e a giustificare anche chi gli aveva incasinato la vita.
Forse era
per quello che aveva accettato la mia storia con James senza giudicarmi
negativamente: vedeva il positivo in tutto.
Capivo
il suo stato d’animo, ma
non potei trattenermi dal fare una battuta, che in realtà
per me era stato
l’elemento scatenante della mia crisi di tre giorni prima:
«
Me ne sono accorta da come mi
guardava che è una tipa possessiva: quando mi ha visto
accanto a te mi avrebbe
volentieri incenerito con lo sguardo», cercai di risultare
ironica, ma la
smorfia che si dipinse sul mio volto diceva il contrario. A quel punto
dovevo
sapere, immaginavo che mi sarei messa un po’ troppo allo
scoperto, ma il mostro
della gelosia che rodeva dentro di me voleva sapere:
«Ma….di
cosa voleva parlarti?».
Lo avevo detto molto velocemente, come se così facendo le
mie preoccupazioni
scemassero più facilmente. Per mia fortuna la perspicacia di
Ed non arrivò a
tanto:
«
Solo parlare, ancora e
ancora. Cercare di capire cosa non aveva
funzionato fra noi: e forse in fondo capire cosa proviamo ancora
l’uno per
l’altra». Allora
avevo visto giusto.
Nonostante si fossero lasciati in malo modo e lei stesse con un altro
voleva
andare ancora a rivangare la loro storia. Questo poteva voler dire solo
una
cosa: non lo aveva affatto dimenticato e finché non avessero
chiarito la
situazione non si sarebbe mai potuto rimuovere l’ostacolo
della loro relazione.
«
Immaginavo qualcosa del genere
– il mio tono si fece ancora più basso e dovetti
abbassare lo sguardo per non
far notare quanto questa cosa mi infastidisse – e cosa pensi
di fare?».
Probabilmente capì il mio disagio, perché mi
sollevò il viso e guardandomi con
uno sguardo molto più sereno, si premurò di dirmi
che non avrebbe fatto
assolutamente nulla:
«
Mi sono chiarito con lei due
anni fa: le ho detto che era finita, che mi dispiaceva, ma non sarebbe
mai
potuta andare avanti fra noi. Quello che penso è che lei non
si sia mai
rassegnata al fatto che non ne fossi più innamorato. Ormai
non ho altro da
dirle». Non ero così convinta di questo: una donna
con un grado di possessività
così elevato doveva sapere nei dettagli il perché
una storia era finita e anche
in così malo modo.
Non
so dove mi venne il coraggio:
sapevo che quello che stavo per dirgli non mi piaceva, ma ero convinta
fosse
l’unica soluzione:
«
Ed ha ragione lei…», lo vidi
spiazzato, scosse la testa come a voler dire che non aveva ben capito
le mie
parole, « hai capito bene. Dovete parlare: devi dirle che non
sei più
innamorato di lei, che forse quello che provavi era più
legato all’amicizia.
Altrimenti lei si sentirà in dovere di continuare a cercarti
o comunque a
sperare qualcosa che non c’è…se
veramente è questo quello che pensi», in
realtà
le mie ultime parole erano state dette più come speranza mia
che sua.
«
Certo che è quello che penso,
ma lo dovrebbe sapere, me ne sono andato, lei mi ha detto che
è felice con
Sam…»
«
E sei sicuro che non lo abbia
fatto per vedere una tua reazione? Per capire cosa ancora provi per
lei? Non mi
sembra tu conosca molto bene la psicologia femminile. Forse ha voluto
vedere se
in qualche modo, dicendoti che era felice con un altro tu le potevi
dimostrare
che eri triste senza di lei, o addirittura geloso del suo
ragazzo».
Lo
vidi passarsi la mano fra i capelli,
il volto pensieroso: « non l’avevo mai vista sotto
questo punto di vista, ma la
verità è che non ho voglia di parlarle, proprio
per niente».
Cercai
di convincerlo ancora una
volta, ma mi uscì una parola di troppo: « Io
invece credo proprio che dovresti
farlo, anche se la cosa non mi piace….». Mi resi
conto troppo tardi di aver
dato voce alle paure che quel giorno mi avevano costretto a stare male
e
allontanarmi da lui.
Lì
per lì non ebbe nessuna
reazione, ma poi lo vidi fermarsi con gli occhi puntati nei miei e
quando aprii
bocca per un attimo sperai di sprofondare nel pavimento:
«
Bella guardami, ti prego –
alzai a malapena lo sguardo, sapevo che aveva capito o perlomeno
intuito – è
per quello che sei stata male, l’altro giorno?
Perché mi hai visto parlare con
lei e hai pensato che…..», mi alzai di scatto dal
letto sul quale fino ad
allora eravamo rimasti a conversare. Non ero più in grado di
andare avanti o i
miei sentimenti sarebbero venuti troppo allo scoperto. Mi avvicinai
alla
vetrata e guardai fuori, gli ospiti di villa Cullen accalcati
all’esterno
probabilmente per vedere i fuochi d’artificio per
l’approssimarsi della
mezzanotte.
«
Bella rispondimi è così?», il
mio silenzio cominciava ad essere pesante. Non potevo dirgli la
verità, si
sarebbe reso conto di quanto contava per me, ma non potevo neanche
continuare
ad ignorarlo del tutto:
«
Edward ti prego…non credo sia
il caso…io….», non ci fu bisogno di
parlare più. Probabilmente aveva capito, o
almeno intuito, ma non mi forzò a parlarne: lo adoravo anche
per questo. Sapeva
sempre quando doveva fermarsi per evitare di far soffrire o mettere in
imbarazzo: tutto quello che percepii fu la stretta della sue braccia da
dietro
la schiena, la sua testa che si appoggiava sulla mia spalla e la sua
bocca che
sul mio collo mi sussurrava di perdonarlo. Non so se perché
mi aveva fatto
quella domanda, se perché aveva capito quanto
quell’incontro mi aveva distrutta
o solo per tutto quello che il suo passato aveva portato con
sé di doloroso,
fatto sta che non riuscii a fare altro che voltarmi rigirandomi nella
sua
stretta e accarezzargli il viso sussurrandogli un semplice
“parlale”.
«
Non so se riuscirò io…», gli
posai una mano sulle labbra.
«
Fallo Edward, chiudi
definitivamente se è quello che vuoi. Fallo per te
stesso……fallo per me»,
sussurrai sempre più piano.
«
Certo che è quello che voglio –
mi disse guardandomi con una tale intensità da scatenare
l’elettricità
nell’aria – non
ho mai desiderato così
tanto chiudere con il mio passato come in questo momento, e se pensi
che sia la
cosa migliore le parlerò al più presto. Poi
torneremo a casa…a Londra e….
parleremo anche noi». In quel momento il mio cuore
iniziò a pompare tutto il
sangue che avevo nel corpo ad una velocità sovrumana, tanto
da farlo rimbombare
nelle tempie; poi inaspettatamente prese la mia mano che era passata
dalle sue
labbra alla sua guancia per permettere di farlo parlare e sempre
stringendomi
con l’altro braccio, ne baciò il palmo
socchiudendo gli occhi, quasi a voler
lasciare un marchio incandescente sulla pelle.
Da
giorni mi mancavano
immensamente questi gesti con lui: chiusi gli occhi anche io a mia
volta per
poi rituffarmi in quelle pozze verdi che mi facevano ogni volta
sprofondare
nell’oblio.
Riuscii
a malapena a destarmi e a
ricordargli che Alice non ce lo avrebbe mai perdonato se fossimo
mancati ai
festeggiamenti per l’anno nuovo. Lo vidi sorridere e
prendendomi per mano ci
dirigemmo al piano di sotto dove il gruppo stava già
effettuando il conto a
rovescio per l’anno nuovo.
Quando
Alice ci vide scendere le
scale per mano potei scorgere nei suoi occhi un’espressione
di sollievo: anche
se non sapeva bene cosa ci eravamo detti aveva capito che avevamo
parlato e
forse ci eravamo almeno in parte chiariti e le nostre mani intrecciate
ne erano
una prova.
Quando
scoccò la mezzanotte e i
tappi dello champagne saltarono tutti iniziarono a baciarsi e
abbracciarsi.
Vidi Alice stringersi a Jasper come se fosse la sua stessa aria e lui
ricambiare con altrettanta convinzione. Non potei trattenere un sorriso
e mi
voltai verso Edward che alle mie spalle sorrideva sornione guardando la
coppia
di fronte a noi. Poi nel modo più dolce possibile mi
appoggiò una mano sul
fianco accarezzandolo lievemente e dopo avermi dato un dolcissimo bacio
sulla
fronte mi sussurrò all’orecchio:
«
Buon anno Bella, sono felice tu
sia qui», ricambiai lo sguardo e gli auguri.
«
Buon anno anche a te…e grazie
di tutto». Non ci fu bisogno di dire altro e di fare altro.
La mia paura di
poter esternare i miei sentimenti era svanita: in quel momento, quei
semplici,
quanto innocenti gesti che ci eravamo scambiati erano ciò di
cui avevamo
bisogno per dire l’uno all’altra che
c’eravamo e che forse ci saremmo stati sempre,
qualsiasi piega avesse preso la nostra vita.
Quando
Alice annunciò l’inizio
dei fuochi non potei non notare la solerzia dell’uomo accanto
a me che in men
che non si dica mi aveva posato il cappotto sulle spalle e prendendomi
sempre
per un fianco mi aveva condotto fuori, non disdegnando battute alla
sorella:
«
Se ce li fossimo persi non ci
avrebbe mai perdonato». Assistemmo tutti molto incantati allo
spettacolo e io
stretta fra le sue braccia che mi cingevano la vita e il suo fiato che
si
infrangeva nei capelli, non potei fare a meno di ricordare i bei
momenti, anche
molto intimi che avevamo passato insieme fino a poco tempo prima e a
come mi
sarebbe piaciuto poterli veder aumentare e intensificarsi.
Non
trattenni nel mio cuore un
moto di preoccupazione all’idea che da lì a
qualche giorno avrebbe potuto
rivedere Leah, ma ero più che mai convinta fosse necessario
e ingoiai il rospo
pensando ad un ipotetico futuro, nel momento in cui tutte le nostre
incertezze
si fossero appianate. Avrei aspettato fiduciosa, senza illudermi
però che
sarebbe stato facile passare sopra a tutto, sia per me che per lui.
Forse
si accorse del fatto che
pur essendo presente fisicamente i miei pensieri stavano vagando e
preoccupato
mi chiese se andava tutto bene: non potei fare a meno di annuire
stringendomi
maggiormente nella sua presa e sussurrandogli un semplice “
mi è mancato tutto
questo”.
La
festa durò un altro paio di
ore, chiacchierammo del più e del meno con gran parte degli
ospiti, sapendo
che, se anche nel cuore avremmo voluto, non avremmo potuto condurre una
conversazione troppo privata ed esclusiva solo io e lui; gli sguardi
che
comunque ci lanciavamo a volte parlavano per noi e del nostro desiderio
di
poter continuare ad essere vicini l’un l’altra.
Quando
tutti se ne furono andati,
cercammo di aiutare Alice a riordinare la maggior parte delle cose e
verso le
tre ci congedammo, come tutti gli altri per ritirarci nelle nostre
camere. Come
sua abitudine Edward mi scortò alla porta della mia stanza e
mi stupii molto quando,
vedendo i calici di champagne ancora intatti sul tavolino, mi
invitò a
brindare, visto che la nostra conversazione di qualche ora prima ci
aveva
portato a festeggiare frettolosamente senza i gesti di rito. Mi tolsi
le
scarpe, lo feci accomodare e gli porsi il bicchiere:
«
Sarà caldo, ma visto quello che
lo ha pagato Alice scommetto che sarà ancora
buono», una lieve risata mi uscì
spezzando il silenzio della stanza. Bevemmo dai nostri bicchieri uno di
fronte
all’altra e quando si decise a salutarmi, non so
perché, ma decisi di
chiedergli una cosa che ormai non avveniva già da un
po’:
«
Edward perché non rimani a
farmi compagnia? Solo se ti va ovviamente...». La
verità era che mi era mancato
terribilmente; quello che avevo saputo di lui non aveva minimamente
scalfito i
miei sentimenti, forse ancora più rafforzati dalla stima che
provavo per una
persona che si era messa in gioco nei suoi errori, li aveva ammessi e
aveva
cercato per quanto possibile di superarli. La verità era che
lo amavo e che in
quel momento avevo più che mai bisogno di sentirlo vicino:
anche perché, e non
lo avrei mai ammesso specie con lui, la conversazione che avrebbe avuto
con la
sua ex e che io stessa gli avevo suggerito per chiudere definitivamente
i ponti
col passato, mi inquietava più del dovuto. Come se sentissi
che qualcosa me lo
avrebbe portato via volevo passare a stretto contatto con lui quelle
ultime
ore, prima del nostro rientro in Inghilterra.
Non
mi stupì quando, con il suo
splendido sorriso sghembo, si tolse la giacca e le scarpe e mi
invitò a
distendermi accanto a lui nel mio letto. Mi appoggiai al suo torace e
lo sentii
appena cingermi le spalle e coprirmi con la coperta prima di augurarmi
e
auguragli a mia volta la buonanotte e nuovamente il buon anno.
note:
eccomi qua! ce l'ho fatta anche se solo con un capitolo. Ma comunque
non ne arriveranno più di giornate come venerdì,
anche perchè, ripeto, i capitoli già scritti sono
quasi finiti e anche se la storia è tutta nella mia mente
dovrete abituarvi ad aspettare un pò fra un capitolo e
l'altro. ecco che qui si capisce cosa ha portato Edward a fuggire in
Inghilterra e si intravede anche qualcosa del passato più
doloroso di Bella. ma per lei le spiegazioni dovranno attendere momenti
migliori anche per il loro rapporto. però a dir la
verità chi non avrebbe perdonato un Ed così??? io
gli avrei peronato anche un omicidio!!!!
vi
lascio e spero che il capitolo vi piaccia
ciao!
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Capitolo 41 *** “ Timori infondati?” ***
Capitolo
41
“
Timori infondati?”
Quando
mi svegliai al mattino una
forte luce proveniva dalle vetrate della stanza. Aprii gli occhi e mi
mossi nel
letto leggermente indolenzita.
Dormire
vestita e sopra le
coperte non era proprio il massimo, l’unica cosa realmente
positiva era quella
di essere rimasta con Edward. Ormai non succedeva più da
settimane: dal weekend
che avevamo passato nel suo appartamento a Londra. Ma quando mi girai
nel letto
lo trovai vuoto.
Si
era già alzato o era scappato?
Visto la conversazione della notte precedente potevano essere entrambe
le cose.
Chissà se si era pentito di quello che mi aveva raccontato e
che, dovevo
ammettere, mi turbava ancora. Specialmente il discorso della gravidanza
di
Leah. Potevo capirla comprendere il suo dolore, ma una parte di me, la
più
infida, non poteva essere altro che sollevata di come erano andate le
cose,
altrimenti io non lo avrei mai incontrato.
Non
potevo non ammettere a me
stessa che avevo provato un moto di tremenda gelosia nel sapere quanto
il loro
rapporto fosse stato profondo.
Mi
ridestai dai miei pensieri
poco positivi e guardai l’orologio: erano quasi le undici.
Accidenti quanto
avevo dormito? Probabilmente era per quello che Ed si era alzato e non
aveva
niente a che vedere con le mie elucubrazioni.
Non
feci in tempo a finire di
formulare i miei pensieri che sentii la porta aprirsi e
l’uomo che mi aveva
rapito il cuore era entrato con un vassoio in mano con sopra due tazze.
Era
vestito diversamente dalla sera prima quindi si era già
cambiato e mi aveva
portato una specie di colazione.
«
Buongiorno », lo vidi
sorridermi di nuovo serenamente: era diverso da quando lo avevo visto
il giorno
prima con lo sguardo segnato. Sembrò quasi che la nostra
conversazione della
nottata precedente gli avesse rasserenato l’animo. Una parte
di me ne fu
felice, ma l’altra si turbò ancora nel pensare a
quello che aveva vissuto e a
quello che si sarebbe accollato vivendo una storia con me.
«
Credo che dovresti andare a
cambiarti: se Alice vede come si è ridotto
quell’abito potrebbe anche
ucciderti, sebbene ti stia d’incanto….»,
un sorriso gli spuntò sul volto.
Era
vestito molto più casual
della sera prima: non avevo potuto non notare il suo abito di taglio
esclusivo
che dava risalto alle sue magnifiche spalle e che gli donava un aria
molto più
matura e innegabilmente più sexy. Non disdegnavo
però il suo look jeans e
maglione, che lo faceva sembrare più giovane e mi ricordava
i momenti di
quotidianità che vivevamo in Inghilterra. Cercai di non
soffermarmi troppo
sulla sua figura, anche se a giudicare dal suo sguardo aveva notato la
radiografia che gli avevo fatto e se ne era compiaciuto: e gettai un
occhio al
mio di aspetto. Effettivamente il rigirarmi nel letto con un abito
attillato e
probabilmente di seta francese, oltre che non permettere un sonno
ristoratore,
provocava seri danni al capo di abbigliamento. Alice non mi avrebbe
perdonato,
anche se non l’avrei mai ringraziata abbastanza per avermelo
preso. Avevo
spesso notato durante la serata gli sguardi di Edward e avrei potuto
giurare
non fossero solo perché era da qualche giorno che non ci
vedevamo. Più
probabilmente il fatto che l’abito attillato fasciasse il mio
corpo abbastanza
minuto e la scollatura lasciasse scoperte le spalle e una parte di
decolté
aveva avuto una buona influenza nel calamitare le occhiate del mio
professore
di musica.
«
Ti ho portato un po’ di the»,
mi stupii nel vedere quanto si era premurato per me, ma in fondo era
una sua
caratteristica, « non sapevo se a quest’ora avessi
avuto voglia di fare
colazione, ma immaginavo che non avresti disdegnato questo» e
mi porse la tazza
fumante. Lo ringraziai, ne bevvi un sorso alzandomi dal letto senza
rovesciarmelo addosso e poi appoggiando la tazza al comodino lo
informai che mi
sarei andata a cambiare e a rinfrescarmi. Mi si avvicinò
accarezzandomi la guancia
e comunicandomi che mi avrebbe aspettato.
Non
so perché in quel momento mi
venne in mente di ritirare fuori la conversazione della sera prima,
rovinando
forse un momento così tranquillo; ma sotto sotto la
necessità che lui troncasse
definitivamente con il passato era fondamentale per poter continuare a
frequentarlo con le intenzioni più serie.
«
Intanto che mi preparo sarebbe
il caso che telefonassi a Leah?!», la mia non fu proprio una
domanda quanto più
un’affermazione sulla necessità che un capitolo
della sua vita si chiudesse al
più presto. Dopo avergli posto questa domanda non riuscii a
guardarlo negli
occhi forse perché erano state rivelazioni dolorose per me
quanto per lui e
quindi ritirare fuori l’argomento in un momento di calma
avrebbe potuto
rovinare tutto.
«
Veramente pensavo che avremmo
passato un po’ di tempo insieme, visto che sono tre giorni
che non ci vediamo»,
ecco ora mi sentivo veramente infida ad avergli riportato alla mente la
sua ex
quando quello che voleva era stare insieme a me. Purtroppo
però la mia parte
più masochistica non sopportava l’idea dei
fantasmi del passato e cercai di
giustificarmi per questa richiesta:
«
Anche io vorrei stare con te,
però se la chiami oggi, magari potete vedervi domani e
chiarire tutto prima del
nostro ritorno in Europa». Sottolineai volutamente il
discorso che saremmo
tornati presto al campus, come a voler rimarcare il fatto che nulla
sarebbe
dovuto cambiare.
Acconsentì
alla mia richiesta e
mi disse che lo avrebbe fatto subito, lasciandomi il tempo di
prepararmi, ma
nel suo sguardo potevo vedere poca convinzioni in quello che ero andata
a
chiedergli. In fondo ne ero poco convinta anche io.
Mi
baciò sulla fronte: « a
proposito, sei bellissima con quel vestito. Ieri sera sembravi una
dea». Mi
lasciò letteralmente spiazzata e in imbarazzo per un
complimento così esplicito
e non appena se ne fu andato mi precipitai nel bagno percependo quel
classico
senso di vuoto che mi attanagliava lo stomaco quando ci separavamo dopo
una
lunga frequentazione. Ma questa volta c’era di più
e mentre mi facevo la doccia
non potei non pensare al perché fosse così restio
a chiamare Leah e a
parlargli.
Improvvisamente
mi venne il
dubbio che facendolo avrebbe potuto capire che la amava ancora e
avrebbe
preferito tenersi lontano dal rischio piuttosto che affrontarlo e
cercare di
chiudere l’argomento. In fondo era quello che avevo fatto
anche io scappando in
Inghilterra per non dover più rischiare di incappare in
James e ricaderci.
Quanto
ero stata stupida da uno a
dieci? Se fosse stato così l’avrei ributtato io
tra le sue braccia e me ne
sarei dovuta andare per sempre dalla sua vita. Un senso di nausea mi
prese alla
bocca dello stomaco: finii velocemente di lavarmi e asciugarmi per
poter avere
sue notizie, vederlo e passare con lui il resto della giornata prima di
eventuali risvolti negativi. Non potevo non ammettere a me stessa che
quando si
trattava di noi e del nostro passato l’insicurezza e il
pessimismo prendevano
il sopravvento.
Il
resto della giornata passò
molto tranquillamente. Edward mi aveva riferito che Leah aveva
accettato con
fin troppo entusiasmo la proposta di vedersi e per questo dentro di me
mi
pentii di quell’idea.
Passammo
molto tempo a
chiacchierare, fare conversazione con Alice e Jasper, ma il mio
pensiero era
fisso su ciò che si sarebbero detti in
quell’incontro e come le cose sarebbero
potute evolvere per me e per lui. Insomma….non ero per nulla
serena, ma mi
rassegnai, ormai la decisione era stata presa e dovevo affrontarne le
conseguenze sperando non fossero devastanti per me.
Verso
sera preparai le mie cose
per il ritorno a casa di Charlie. I gesti che compii per riporre gli
abiti e i
miei effetti nella borsa sembravano al rallentatore, come se volessi
rimandare
il più possibile il momento del mio allontanamento dal
quella casa e da lui.
Persa
nei mie pensieri mi accorsi
a malapena di una stretta forte e calda che mi cinse da dietro e
realizzai chi
fosse dal profumo di dopobarba che emanava la sua pelle:
«
Devi proprio andare?», il tono della
sua voce era seriamente dispiaciuto e per un attimo pensai seriamente
di
trattenermi fino all’indomani e supplicarlo di rimanere con
me, chiedendo scusa
per aver avuto quell’assurda idea di farlo parlare con Leah.
Ma quella
maledettissima vocina nella mia testa chiamata coscienza era
più razionale di
me e mi spinse a rifiutare e a rassicurarlo che ci saremmo rivisti al
più
presto.
Gli
risposi beandomi
dell’abbraccio, ma senza mai guardarlo negli occhi per
evitare il più possibile
il trapelare delle mie emozioni:
«
Ormai manca poco al nostro
rientro – dissi leggermente dispiaciuta, ma poi neanche
troppo – sistema quello
che devi, poi ci vedremo e ci prepareremo insieme per tornare nella
fossa dei
leoni», accennai un sorriso nel momento in cui mi riferii al
nostro istituto in
questo modo, poi continuando a farmi del male sgusciai via
malvolentieri dalla
sua presa e girandomi verso di lui chiesi a che ora si sarebbero visti
l’indomani. Lì per lì potei quasi
giurare di averlo visto sbuffare, ma poi rispose
che si sarebbero incontrati verso le dieci a Port Angeles:
«
Credo che ora viva là – mi
informò – abbiamo appuntamento in un bar vicino al
molo. Che ne dici se poi
subito dopo ci incontriamo e pranziamo insieme?».
Beato
lui, parlava dell’incontro
con la sua ex come fosse un appuntamento dal dentista risolvibile in un
paio
d’ore: per un attimo lo invidiai perché invece io
ero veramente tesa e
preoccupata, ma cercai comunque di non darlo troppo a vedere.
Sperando
che avesse ragione – in
fondo era lui che doveva parlarle e sapeva benissimo cosa sarebbe
andato a
dirgli e probabilmente il tempo che avrebbe impiegato –
accettai l’invito per
le tredici a casa sua. Mi accompagnò alla porta portando la
borsa fino alla mia
auto, salutai calorosamente i ragazzi, accorgendomi solo in quel
momento
dell’assenza di Rosalie, partita a notte fonda per il rientro
in Inghilterra.
Quando
arrivammo alla portiera
del mio pick-up fece il gesto di aprirla, per poi richiudermela
bruscamente
davanti: in quel momento vidi il suo sguardo contrarsi come a voler
trattenere
un dolore fisico e lo sentii prendere un forte respiro:
«
Ti prego Bella resta ancora qui
e domani vieni con me», il cuore mi saltò un
battito: mi stava quasi implorando
di rimanergli accanto in una situazione che, a quanto sembrava non era
scomoda
solo per me: tutto il senso di serenità che mi aveva
trasmesso fino a quel
momento si era annientato. Capii che lo aveva fatto probabilmente per
me, per
non farmi preoccupare, visto quello che aveva intuito della mia
reazione di
qualche giorno prima alla sua conversazione con Leah.
In
quel momento presi tutto il
coraggio che avevo per non assecondarlo e gli risposi decisa, forse
anche
perché per la prima volta ero veramente convinta che stesse
facendo la cosa più
giusta:
«
E’ una cosa che devi fare tu,
devi solo chiarire quello che hai detto a me ieri sera e non ci saranno
più
malintesi», gli sorrisi lievemente accarezzandogli una
guancia e guardandolo
negli occhi: ma questa volta a bluffare ero stata io, che avevo tentato
di
nascondergli la preoccupazione insita in quell’appuntamento.
Si
appoggiò con la guancia alla
mia mano come a volerla inglobare nel suo volto, senza mai lasciare il
contatto
con i miei occhi, poi si scostò leggermente e ne
baciò il palmo mentre mi apriva
la portiera e mi faceva accomodare sul sedile. Chiusi lo sportello e lo
salutai
un’ultima volta:
«
Ci vediamo domani a pranzo
allora?!» mi disse con tono più fermo.
«
Ci puoi contare» risposi con un
lieve sorriso, mettendo in moto e prendendo la via che mi portava a
casa.
Appena
arrivata non potei fare a
meno di incrociare lo sguardo indagatore di mio padre, che ovviamente
preoccupato per me, non azzardò a chiedermi come fosse
andato il capodanno a
casa Cullen. Non so dove trovai il coraggio, probabilmente lo feci
più per
rispetto nei suoi confronti e del fatto che mi aveva difeso e avesse
difeso
Edward contro le insinuazioni di Billy, ma decisi di raccontargli a
grandi
linee quello che era accaduto e il perché
dell’astio dei Black nei suoi
confronti: gli raccontai inoltre il chiarimento con Leah che avevo
proposto a
Edward.
Charlie
rimase a lungo in
silenzio, lo vedevo annuire e respirare, niente altro. Quando finii il
mio
racconto mi guardò negli occhi:
«
Tu credi a Edward?». Rimasi un
po’ stupita da quella domanda: nutriva forse dei dubbi sulla
veridicità della
storia che mi aveva raccontato? Riposi di getto alla sua domanda con
un’altra: «
perché secondo te forse non
dovrei?»
«
Io dico di sì, ma sai…eri
talmente turbata l’altro giorno che non sapevo come avresti
reagito. In fondo
Edward è stato molto onesto con te, a mio parere e devi
avere molta stima di
lui per il fatto di essersi messo in gioco in una situazione del genere
e aver
ammesso le sue colpe. Non è da tutti sai? Lui ha capito di
aver sbagliato e se
n’è assunto la responsabilità
accettando la sofferenza: non è perfetto e sa di
non esserlo. Questo a mio avviso gli fa molto onore».
Probabilmente
la mia bocca rimase
in parte spalancata a quelle affermazioni: Charlie aveva veramente una
grande
stima di lui visto che non era solito prodigarsi in complimenti sulle
persone:
era una caratteristica del suo essere schivo. Un moto di orgoglio mi
invase e
fui quasi tentata di raccontagli anche la mia di storia, ma mi
trattenni. Un
conto erano gli errori di uno sconosciuto, un conto erano quelli della
figlia.
Lo
abbraccia calorosamente e gli
augurai la buona notte: quando fui all’altezza del primo
scalino lo sentii
chiamarmi: « Bella, sei stata coraggiosa a dire con Edward di
chiarire con
Leah, so quanto può essere difficile vedere una persona a
cui si tiene
particolarmente, alle prese con il proprio passato, ma stai tranquilla:
è stata
la scelta giusta e vedrai che tornerà presto da
te…più appiccicoso di prima»,
un lieve sorriso mi comparve sul volto. Dio quanto avrei voluto che
fosse stato
realmente così, ma spesso il mio innato pessimismo prendeva
il sopravvento.
Cercando di tirare fuori il carattere più positivo che avevo
lo ringraziai e me
ne andai in camera mia, conscia delle difficoltà che avrei
dovuto affrontare se
Edward avesse cambiato idea su lui e Leah, speranzosa che non
accadesse, ma
anche consapevole che qualunque fosse stata la fine di tutto, mi sarei
risollevata come già avevo fatto in passato.
Non
dormii bene quella notte: mi
rigirai nel letto fino a tardi e quando riuscii a chiudere gli occhi
immagini
di Ed e Leah mi impegnarono gran parte dei sogni.
Quando
mi svegliai era quasi
l’alba, la testa mi esplodeva. Cercai di tranquillizzarmi,
dovevo cercare di
essere positiva, anche se nulla in quel momento mi avrebbe aiutata.
In
silenzio raggiunsi la cucina:
non volevo che mio padre capisse il mio stato d’animo e si
preoccupasse. Mi
ripetei mentalmente di stare tranquilla, anche se il mio stomaco non
volle
saperne di aprirsi, e cercai di ragionare sul fatto che di
lì a qualche ora lo
avrei rivisto, mi avrebbe raccontato come era andata e nel giro di tre
o
quattro giorni saremmo rientrati insieme in Inghilterra. Non so
perché ma la
cosa mi tranquillizzava, come se là fossimo solo io e lui,
nella nostra bolla
di sicurezza, in una realtà che lasciava spazio a noi due,
senza altri o altro
a disturbare. Con questi pensieri e una forte dose di ottimismo,
preparai la
colazione a mio padre, cercando di non far girare troppo le rotelline
nel mio cervello
e mi dedicai alla lettura di un libro.
Quando
mio padre scese per fare
colazione cercai di non far capire nulla dal mio sguardo, ma come baro
non ero
probabilmente molto abile, perché lo vidi appoggiato allo
stipite della porta
con un caffè in mano che mi chiedeva se avevo avuto notizie
di Edward:
«
No papà, ci vedremo a pranzo»,
risposi senza far trapelare l’ansia dal tono della mia voce,
anche se sotto
sotto il mio stomaco si stava
accartocciando e il cuore batteva a momenti alterni.
Un
attimo prima che mio padre
potesse ribattere il mio cellulare squillò. Non so se
perché pensavo fosse lui,
ma mi precipitai a prenderlo, inciampando più volte tra il
tappeto e il divano.
Ma quando avviai la comunicazione mi resi subito conto che non si
trattava di
Edward.
Una
voce metallica mi arrivava
distorta e lontana, come se la comunicazione fosse disturbata
o…oltremare.
«
Professoressa Swan sono la
signorina Cope, la preside aveva bisogno di lei»,
lì per lì rimasi stupita di
quella chiamata. Doveva probabilmente essere accaduto qualcosa di grave
per
chiamarmi prima del termine delle vacanze fino in America, o forse era
un suo
sadico tentativo di rovinare gli ultimi giorni di vacanza ai suoi
professori.
Non obiettai ma mi limitai a chiedere:
«
Sì mi dica, per cosa?»
«
E’ una questione un po’
delicata e si chiedeva quando prevedeva di
rientrare…» ecco, lo sapevo voleva
proprio rompere le uova nel paniere.
«
Pensavamo di rientrare
domenica, perché?» sentii l’esitazione
dall’altra parte segno che qualcuno, e
immaginavo chi potesse essere, le stava suggerendo quello che doveva
dirmi.
«
Un attimo…..» sentii
chiaramente il passaggio della comunicazione ad un altro apparecchio.
«
Professoressa sono la preside
Withmore» il suo tono era quanto mai austero, ma non sembrava
arrabbiata, segno
che non avevo combinato nulla.
«
Mi dica preside, è accaduto
qualcosa?»
«
In realtà sì, e avrei proprio
bisogno del suo aiuto per risolvere la questione, mi chiedevo se
c’era la
possibilità che rientrasse un po’
prima». Non immaginai assolutamente cosa
fosse potuto accadere in un periodo nel quale gran parte degli studenti
non si
trovavano neanche al campus.
«
Beh – mi apprestai a
risponderle – in realtà dovrei chiedere al
professor Cullen , in fondo i
biglietti li ha acquistati lui, non so se sia possibile farli
modificare ora,
ma….potrei sapere, se veramente è una cosa
così grave, di che si tratta?», il
mio tono doveva sembrare spazientito, ma nello stesso tempo
preoccupato. Ci fu
un lungo silenzio dall’altra parte, era chiaro che la
situazione oltre che
problematica era anche imbarazzante o quantomeno
preoccupante…
«
…..vede professoressa….sono
informazioni riservate….»
«
Sa che può contare sulla mia
discrezione», ma per chi mi prendeva…non ero mica
la Stanley!
«...riguarda
McCarthy…». Non era
possibile! Mi aveva promesso che non si sarebbe messo nei guai e ora la
preside
era addirittura costretta a chiamarmi dall’altra parte del
mondo.
«
Che cosa ha combinato ancora
quel ragazzo, mi spiace, pensavo che i miei rimproveri fossero
serviti…..»
«
No, lui non ha fatto niente
direttamente – mi interruppe – il fatto
è…..» sembrava molto restia a darmi la
comunicazione e io iniziavo ad essere seriamente preoccupata, oltre che
adirata
per la sua perdita di tempo. Forse capì o semplicemente si
rese conto che non
poteva continuare a rimandare:
«
Il fatto è che il padre di
McCarthy è deceduto in un incidente….»,
oddio povero ragazzo, così fragile e
ora ancora più solo, « ..e lui è
stravolto, si è barricato nella sua stanza,
rifiuta di vedere chiunque, anche la madre, pensiamo abbia arrecato
danni alla
struttura e cominciamo ad essere molto preoccupati. Chiede di lei, dice
che è
l’unico adulto con cui parlerà. Credo sia a pezzi
e disperato. Penso che abbia
proprio bisogno di aiuto e anche la sua ragazza che è appena
arrivata non
riesce a fare molto» in un attimo provai una pena reale per
lui che non aveva
avuto molte possibilità di crescere felice. Sapevo quanto
amasse suo padre
anche se lo vedeva molto poco per colpa dell’accordo con la
madre, e cercai di
capire cosa poteva provare.
Rimasi
in silenzio per qualche
secondo tanto da farmi ridestare dalla voce della preside che mi
chiedeva cosa
poteva fare.
«
Signora preside io devo parlare
col professor Cullen e vedere se possiamo trovare un volo prima del
previsto,
mi deve dare un po’ di tempo le farò sapere al
più presto; nel frattempo
cercate di non stargli addosso e….ma chi è la sua
ragazza? » sapevo che dopo la
sfuriata nel dormitorio, Elisabeth lo aveva lasciato ed ero sicura che
non
sarebbe più tornata insieme a lui neanche per una situazione
di emergenza.
«
Non lo so, me lo hanno
comunicato i suoi compagni, è lei che sta cercando di
tranquillizzarlo, è
l’unica che è riuscita a farsi aprire, ma non sa
quanto ancora riuscirà a fare.
L’ho sentita solo per telefono e dice che sta crollando,
piange spesso e sfoga
la sua rabbia sui mobili fino a ferirsi. Non le consente neanche di
aprire la
porta, le confesso che è la prima volta ch non so che fare.
Ho paura si faccia del
male o lo faccia a qualcun altro. So che di lei si fida e oltretutto i
suoi
studi di psicologia ci farebbero forse comodo». Qui non era
questione di studi,
ma solo di buon senso e fiducia, ma assecondai i suoi discorsi
dicendole che
avrei fatto il possibile e l’avrei richiamata appena mi fossi
incontrata con
Edward.
Non
appena chiusi la
conversazione mio padre, che aveva assistito alla chiamata mi chiese
cosa fosse
successo:
«
Uno dei miei studenti ha avuto
dei problemi familiari e a quanto pare occorre la mia presenza in
quanto
responsabile e vicepreside », non mi soffermai su altro, vuoi
per non farlo
preoccupare, vuoi perché comunque il segreto professionale
me lo impediva.
Charlie capì e non pose altre domande, allontanandosi verso
la cucina per terminare
la sua colazione. Prima di sparire dietro la porta si limitò
ad una domanda:
«
Questo vuol dire che partirai
prima?», il suo tono era chiaramente dispiaciuto e mi
rammaricò il dovergli
dare una risposta che sapevo lo avrebbe rattristato. In fondo
però ora la mia
vita era a Londra e per quanto
mi
mancasse sapevo che sarebbe stato meglio che io ripartissi al
più presto. Più
tempo avremmo passato insieme più sarebbe stato difficile il
distacco. E poi
c’era il fattore Edward: pensare di andarsene qualche giorno
prima allontanando
il pericolo Leah non sembrava poi un’opzione da scartare.
Cercai di rassicurare
mio padre:
«
Non so se riusciremo a partire,
dovrò parlare con Edward e poi sentire per i biglietti:
Londra non è dietro
l’angolo, però…», mi
avvicinai a lui accarezzandogli una guancia, « ci
rivedremo fra qualche mese, vedrai, quest’estate
sarò ancora qui a rompere e se
proprio non ne potrai più di cibi congelati e a portar via
potrai sempre
prenderti un po’ di vacanza e venire tu da me». Non
so perché gli feci quella
proposta, ma pensare per un attimo che mio padre si potesse trasferire
in
Inghilterra mi faceva sembrare tutto perfetto. Avrei potuto lasciare
dolori e
tormenti che avevo lì e prendere il meglio della mia vita.
Non
lo lasciai controbattere e
gli dissi che ne avremmo riparlato. Salii velocemente nella mia stanza
con
l’intento di cercare Edward e chiamare l’aeroporto
per chiedere i voli
disponibili: purtroppo il telefono di Edward risultava irraggiungibile.
Immaginai che potesse averlo spento e capivo anche il
perché, ma non potei non
pensare che la cosa mi infastidisse e neanche poco. Cercai di non
pensare alle
migliaia di giustificazione affinché un telefono, anzi il
suo telefono, potesse
essere spento e digitai il numero dell’aeroporto per avere
una prima
informazione; avrei pensato poi a definire la partenza.
Mi
dissero che non c’erano
problemi, ma avrei dovuto accettare uno scalo di qualche ora a New
York. Dissi
all’impiegato che avrei dato una risposta in giornata e
riattaccai.
Guardai
l’orologio. Era ormai
mezzogiorno e pensai che preparandomi per il pranzo con Edward non
avrei
pensato al tempo, a Leah e nemmeno a Emmet.
Ogni
tanto provai a chiamarlo, ma
la fastidiosa voce della compagnia telefonica mi continuava a
comunicare che
era irraggiungibile. Quando si fece l’ora salii sul mio pick
up salutando
Charlie, che si apprestava a prendere servizio fino
all’indomani e mi diressi a
villa Cullen, dove mi sarei dovuta incontrare con lui per poi decidere
insieme
dove pranzare. Guidai molto lentamente, forse immersa un po’
troppo nei miei
pensieri e quando arrivai a casa sua ero addirittura in ritardo: il mio
cuore
batteva a mille e immaginai cosa mi avrebbe raccontato e cosa invece
avrebbe
omesso. In quel momento il problema Emmet e rientro era scomparso, ma
feci
mente locale che sarebbe dovuta essere la prima cosa da chiedergli.
Quando
suonai il campanello le
mie mani tremavano visibilmente e una strana sensazione di inquietudine
mi
attanagliava lo stomaco: la stessa che non mi aveva permesso di
mangiare nulla
quella mattina. La sensazione si accentuò ancora di
più quando ad aprirmi non
fu Edward ma Alice, che sorridente mi chiedeva cosa ci facevo
lì.
In
quel momento il sorriso che mi
ero preparata per accogliete il fratello sparì: non solo
Edward non era
probabilmente ancora tornato, ma non aveva detto nulla alla sorella del
nostro
incontro. La cosa mi sembrò molto strana, ma poi misi da
parte il pessimismo,
la salutai calorosamente pensando fra me e me che forse era normale non
metterla
al corrente di ogni sua mossa.
«
Ciao Bella che ci fai qui?
Credevo fossi con Edward» ora le mie preoccupazioni si
andavano ad acuire. Non
solo non sapeva che ci saremmo visti, ma non sapeva nemmeno
dell’incontro con
Leah. Perché non ne aveva parlato con la sua famiglia?
Cercai di non
dimostrarmi troppo preoccupata e risposi il più
tranquillamente possibile:
«
No, avevamo appuntamento
all’una per pranzare ma a quanto pare è in
ritardo» mi li limitai a dire.
«
Strano, è uscito molto presto
stamattina e credevo fosse con te» quindi si era incontrato
prima delle dieci
con Leah e chissà perché: mille elucubrazioni
iniziarono a volteggiarmi nella
mente, ma non ne trovai una positiva, che giustificasse il telefono
spento e il
visibile ritardo. Decisi che dovevo dare ad Alice qualche informazione
in più,
anche per consentirle di tranquillizzarmi.
«
Aveva un incontro con Leah – la
vidi sgranare leggermente gli occhi – dovevano chiarirsi su
alcune cose
dall’altro giorno – tentai di giustificare
– e verso le tredici ci saremmo
visti qui per pranzare insieme, solo che ci sono state alcune
problematiche a
scuola e sembra che dovremo rientrare prima del previsto».
«
Spero niente di grave?» in quel
momento Jasper si affacciò alla porta della cucina e mi
chiese di che cosa si
trattava. Gli raccontai a grandi linee, cercando sempre di mantenere un
grado
di riservatezza e mi congedai momentaneamente con la scusa di provare a
chiamare Ed un’altra volta.
«
Vedrai che avrà trovato
traffico, in questi giorni le strade per Port Angeles sono un vero
delirio» mi
rincuorò Jasper, ma non potei non notare lo sguardo dubbioso
di Alice. Composi
velocemente il suo numero di telefono e attesi la risposta, che non
arrivò.
«
Maledizione è ancora staccato!!
» mi uscì un’imprecazione.
Alice
mi si avvicinò in quel
momento e mi parlò sottovoce:
«
Perché hai permesso che si
rincontrassero?» non capii subito quella domanda e le risposi
nel modo più
innocente possibile.
«
Perché dopo il nostro incontro
a Port Angeles Leah aveva bisogno di parlargli e mi è
sembrato giusto che si
chiarissero una volta per tutte soprattutto se…..
– e abbassai lo sguardo nel
tentativo di non far trapelare troppo i miei stati d’animo
– …..soprattutto se
intende rifarsi una vita e chiudere con il passato», la
guardai negli occhi
cercando di capire perché sembrasse così
preoccupata e perché stava iniziando a
far preoccupare anche me.
«
Vedi Bella, io credo molto
nelle buone intenzioni tue e anche di mio fratello, ma
quella…..proprio non la
sopporto e ti dico, stacci attenta. È una manipolatrice e
farebbe di tutto per
riprenderselo», quelle parole mi si conficcarono nella mente
come mille aghi e
per un attimo mi pentii di avergliene parlato.
«
Dipende se lui vuole farsi
riprendere….» non riuscii a dire altro, il respiro
si stava smorzando e per un
attimo ebbi paura di un altro attacco di panico.
«
Non fraintendermi Bella sono
più che certa dei sentimenti che legano mio fratello a te,
anche se ancora non
avete avuto il coraggio di confessarveli, ma Leah è falsa,
sarebbe capace di
qualsiasi meschinità, anche di riprenderselo con i sensi di
colpa e sai che
Edward non è il tipo che vuol fare male a
qualcuno,……. ma vedrai che si saranno
soffermati solo un po’ di più, magari lei era in
ritardo come suo solito e
spesso i telefoni non prendono bene in alcune zone di Port
Angeles». Ero certa
che le ultime frasi le avesse dette nel tentativo di rassicurarmi visto
che la
mia espressione doveva probabilmente rasentare il terrore, ma nella mia
mente
continuava rimbombare il suo discorso: “farebbe
di tutto per riprenderselo…..capace di riprenderselo con i
sensi di colpa……Ed
non è il tipo che vuol fare del male”.
Sapevo a cosa poteva riferirsi:
sicuramente la perdita del bambino e i reciproci tradimenti
più o meno intenzionali
avevano turbato entrambi e conoscendo la sensibilità di
Edward, avrebbe a
fatica sopportato di vedere il tormento negli occhi di qualcuno ancora
per
quella storia. Queste parole mi rimbombavano nella mente e sentii la
necessità
di prendere aria. Senza particolari giustificazioni aprii la porta e mi
gettai
nell’aria gelata:
«
Scusa Alice, ma faccio un giro
intanto che lo aspetto così provo anche a richiamare
l’istituto».
Mi
precipitai fuori senza darle
l’opportunità di ribattere: salii sulla mia auto e
iniziai a vagare per le
strade. La mia mente era vuota e si rifiutava di formulare qualsiasi
tipo di
pensiero, anche perché nessuno sarebbe stato positivo.
Cercai di sdrammatizzare
e di trovare mille giustificazioni al suo ritardo che contestassero le
frasi
che mi aveva detto Alice.
Mi
ritrovai in cinque minuti ai
margini del bosco di la Push e decisi così di incamminarmi
lungo un breve
sentiero che sapevo avrebbe portato alla parte bassa della spiaggia.
Una bella
passeggiata mi avrebbe aiutato a schiarire le idee, alleggerire i
pensieri e
aspettare sue notizie. Lasciai il pick up parcheggiato ai margini della
strada
e mi addentrai nel largo sentiero fra alberi e cespugli che conduceva
alla
spiaggia.
Camminai
per circa dieci minuti;
cominciavo a sentire l’odore del mare e il rumore delle onde
che si
infrangevano sulla battigia. In quel momento la mia mente si riempii
solo del
pensiero di me e Edward qualche giorno prima sulla stessa spiaggia,
delle belle
ore che avevamo passato insieme e un moto di gioia mi
attraversò il cuore.
Un
sorriso mi sfuggì dalle
labbra, ma si spense immediatamente quando sentii delle voci e
riconobbi,
immediatamente il tono di Ed e quello che doveva essere evidentemente
di Leah:
non era possibile, non dovevano essere a Port Angeles?
Cercai
di captare qualcosa, ma il
rumore del vento e dell’acqua me lo impedii. Cercai di
avanzare
velocemente e in
quel momento più che
mai mi si prospettò l’idea di interrompere la loro
conversazione e di riportarmi
a casa l’uomo che amavo senza tanta diplomazia.
I
loro toni sembravano sempre più
concitati e il mio passo si fece più veloce; potei sentire
un “ non sarà facile ma
ce la farai” detto da
lei e un “non ne ho alcuna intenzione”
detto da lui, ma a cosa si riferissero e a quale contesto mi era
precluso.
Quando
arrivai a scostare
l’ultimo ramo che mi separava dalla veduta della spiaggia, il
cuore mi si
fermò: il respirò si bloccò e
probabilmente il mio sguardo denotò il mio
terrore alla scena che mi si stava parando davanti.
Leah
era letteralmente spalmata
addosso ad Edward, gli cingeva il collo con le braccia e le sue labbra
erano
incollate alle labbra di lui. Era rivolta col viso verso di me, ma non
poté
vedermi, intenta com’era a baciarlo. Non potevo vedere invece
il volto di Ed, ma
solo le sue mani strette sui fianchi di lei.
In
quel momento un senso di
nausea mi pervase. In poco meno di un secondo indietreggiai tornando
nel folto
della foresta e con gli occhi sbarrati mi precipitai per il sentiero in
direzione dell’auto.
Era
un incubo: non poteva essere
vero. Il peggio era avvenuto, io lo avevo spinto lì pur
sapendo il rischio che
avrei corso e ora era successo. Sarebbero tornati insieme e forse lui
non
sarebbe mai rientrato in Inghilterra. La cosa strana fu che nemmeno per
un secondo
diedi a Edward la colpa per quello che era accaduto: incolpai solo lei
e me
stessa, per averlo convinto anche quando era stato così
restio a farlo.
Continuai
a camminare per il
sentiero inciampando più volte: il dolore al petto era
indicibile, non vedevo
quasi più gli ostacoli di fronte a me perché una
nebbia mi stava appannando gli
occhi.
Mi
fermai pensando di svenire e
mi toccai il viso. Stavo piangendo copiosamente: era questo che mi
impediva di
vedere, il cuore parve incrinarsi e poi spezzarsi, e per un attimo fui
certa di
non riuscire ad andare avanti.
Stavo
piangendo, dopo alcuni
giorni in cui non mi era riuscito, ora stavo buttando fuori il mio
dolore, la
mia disperazione e per un attimo mi resi conto che per nessun uomo
avevo mai
provato quello che provavo per lui e mai il dolore per la perdita di un
amore
mi aveva arrecato quello stesso dolore. Improvvisamente mi inginocchiai
a terra
continuando a piangere e feci l’unica cosa che il mio corpo
fu in grado di
fare.
Mi
accasciai su me stessa lanciando
un urlo fortissimo, quasi disumano, in mezzo alla foresta, cercando
così di
sfogare la paura e la tristezza che in quel momento mi attanagliavano
lo
stomaco. Non seppi quanto tempo rimasi accasciata al suolo su quel
sentiero e
non so per quanto tempo dimostrai gridando tutto quello che stavo
provando. So
solo che passò molto tempo, le mie lacrime avevano smesso di
uscire e si erano
seccate sul mio volto, i singhiozzi scuotevano ancora il mio torace, ma
il
senso di dolore aveva lasciato spazio a qualcosa di peggiore, la
rassegnazione:
in quel momento ebbi la chiara sensazione che senza la sua presenza non
ce
l’avrei mai fatta. Sapevo che sarebbe successo e dovevo farmi
forza.
Sarebbe
stato bellissimo poter
stare con lui, ma come una stupida avevo sprecato tutte le mie
occasioni e ora
era finita, prima ancora di cominciare.
Cercai
di rialzarmi e di
ricompormi conscia che il vuoto che aveva lasciato nel mio cuore non si
sarebbe
rimarginato così in fretta e mi apprestai a tornare alla mia
auto. Fu una fortuna
raggiungerla e non perdermi nella foresta visto lo stato emotivo e
fisico in
cui mi trovavo, ma appena chiusi la portiera e toccai il volante, mi
ritrovai
catapultata di nuovo nella realtà.
Appoggiai
la fronte al volante
consapevole del mio stato e di aver perso l’uomo di cui mi
ero innamorata: il
dolore fu indicibile e cercai di alzare la testa e prendere fiato per
non
svenire o urlare di nuovo. Le lacrime ripresero a scendere copiose dal
mio
volto. Non ci potevo ancora credere, ma mentalmente continuavo a darmi
della
stupida per avergli creduto e per avergli dato io quella
possibilità.
Il
suono del mio cellulare mi
fece sobbalzare: guardai il display e impallidii quando vidi il suo
numero.
Rifiutai la chiamata, non ce l’avrei mai fatta a sentirlo e
tantomeno a
sopportare quello che sapevo mi avrebbe detto. Sentii suonare altre tre
volte,
l’ultima delle quali fu un messaggio, ma cancellai tutto e mi
decisi a fare
quello che avrei dovuto fare subito. Chiamai l’aeroporto e
fissai il biglietto
per il ritorno da sola, chiamai la scuola dicendo che sarei partita nel
giro di
poche ore, poi chiamai Alice.
Le
dissi che le cose in
Inghilterra erano peggiorate e che dovevo rientrare immediatamente. Le
dissi
anche di non dire nulla a Ed, che non volevo rovinargli gli ultimi
giorni.
Anche se mi costò un enorme sacrificio solo il nominarlo.
Probabilmente capii
che avevo pianto dal tono della mia voce:
«
Bella sei sicura di star bene?
»
«
Sì Alice, devo solo andar via e
mi dispiace» dissi trattenendo il più possibile i
singhiozzi: se avesse
prolungato troppo la conversazione non ce l’avrei fatta a
contenermi ancora.
«
Salutami tanto i tuoi e
ringraziali per tutto e ti prego….non dire nulla a tuo
fratello, per favore»
smisi di parlare un attimo prima che le lacrime ricominciassero a
scendere.
«
Ma se mi chiede di te? Dove sei
andata? che gli dico?»
«
Digli che non sai nulla, che mi
hai visto l’ultima volta due ore fa e non hai saputo
più nulla, ti prego…» la
mia voce aveva un
tono quasi implorante.
«
Lo sai che se scompari e non
capisce dove sei impazzirà….»
«
Non credo che possa accadere
più una cosa del genere ora…e comunque dai la
colpa a me di tutto, digli che tu
hai provato a parlarmi, ma io mi sono rifiutata e non ho voluto dirti
nulla,
per favore…» ancora i singhiozzi iniziarono a
scuotere il mio corpo.
«
Bella cosa è successo ti prego,
sei uscita di qui da più di due ore, Ed ha chiamato cinque
minuti fa, dice che
ti ha cercato al cellulare per parlarti e non rispondi, è
molto preoccupato e
sta arrivando qui di corsa….» andando avanti
così sarei crollata, e l’unico
modo era chiudere al più presto quella conversazione.
«
Non è successo niente
Alice…doveva andare così – sussurrai e
non la lasciai finire, mi faceva troppo
male anche solo sentir pronunciare il suo nome – me lo hai
promesso non dirgli
nulla, io starò bene. Addio». Chiusi la
comunicazione in fretta prima che un
altro urlo uscisse dalla mia bocca.
A
tutta velocità mi recai a casa
di Charlie. Entrai di corsa, salii le scale, iniziai a preparare alla
rinfusa
le mie valige: dovevo andarmene di lì al più
presto, prima che Edward tornasse
a casa, parlasse con Alice e realizzasse che qualcosa non andava.
Sapevo che
lei non mi avrebbe tradito, ma gli avrebbe detto che ero strana e tutto
sarebbe
emerso in poco tempo. Non volevo ritrovarmelo alla porta di casa, non
lo avrei
tollerato e avrei rischiato seriamente di farmi del male.
Quando
fui pronta mi precipitai
in cucina scrivendo un biglietto a mio padre, per dirgli che rientravo
a
Londra; chiamai un taxi e mi feci accompagnare all’aeroporto
di Port Angeles.
Per
tutto il tragitto l’immagine
di Ed e Leah su quella spiaggia mi passò di fronte
costringendomi più volte ad
asciugare le lacrime. Il dolore che provavo era indicibile, ma stavo
facendo la
cosa che mi riusciva meglio: scappare e allontanarmi da lui per non
dovermi
sorbire spiegazioni di nessun genere. Immaginavo che se era tornato con
lei non
avrebbe più ripreso servizio e la cosa, se da un lato mi
sconvolgeva,
dall’altro mi confortava: non avrei sofferto nel rivederlo
con un'altra. La mia
mente cercò di essere razionale, ma il mio cuore in
realtà piangeva lacrime
amare per non avergli mai confessato i miei sentimenti quando avevo
potuto e per aver
perso così la mia unica occasione
di essere felice di nuovo con la persona che più di tutte
avevo amato nella mia
vita.
note:
ok aspettate prima di condannarmi a morte!!!la mia giustificazione
è che ci voleva il vero colpo di scena, da buon drammone
sentimentale....abbiate solo pazienza, per favore. ora scappo prima che
arrivino le uova marce!!!!
ciao
e alla prossima
|
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Capitolo 42 *** “Sola” ***
Ok per la prima volta commento all'inizio del capitolo
anzichè alla fine. Innanzi tutto chiedo scusa per non aver
postato prima, ma in questi giorni è il delirio per me.
Poi per non essere fuggite tutte alla lettura del capitolo precedente;
anzi non ho mai ricevuto tante recensioni in una volta. Siete veramente
magnifiche sia che mi lasciate un commento sia che vi limitiate a
leggere e seguire. non mi stancherò mai dirvi grazie.
Tornando alla storia, siamo in un momento un pò critico per
la nostra protagonista e forse, diciamocela tutta, se l'è
anche un pò cercata. Il prossimo capitolo sarà un
pò introspettivo e quindi triste......in realtà i
sentimenti di questo capitolo ripecchiano un pò alcune
situazioni emotive che ho vissuto io in prima persona e quindi anche se
qualcuna mi odierà per come stanno andando le cose, le
prossime situazioni che si verranno a creare sono particolari e
importanti per me. Abbiate pazienza! per addentrarvi meglio nelle
emozioni di Bella potete ascoltare "Noting but" di Skin. Io l'ho fatto
più volte mentre scrivevo il capitolo.
http://www.youtube.com/watch?v=wF9j3GRBihQ
grazie ancora e alla prossima e mi raccomando...........l'apparenza
inganna!!!!
Capitolo
42
“Sola”
Vuoto.
Tristezza. Angoscia.
Mancanza. Nella mia mente e nel mio cuore stava infuriando una
battaglia di
emozioni, ma dall’esterno cercavo di non far trapelare nulla.
Aver
passato tanti anni ad amare
un uomo in modo clandestino senza che nessuno se ne accorgesse, mi
aveva
allenato all’apparente indifferenza. Ma questa volta
c’era comunque qualcosa di
diverso. La fitta che avevo percepito qualche ora prima sembrava essere
una
lama costantemente conficcata nel mio torace all’altezza di
quello che era
stato il mio cuore e che era appartenuto inconsciamente a lui. Solo in
una
occasione avevo provato qualcos’altro di simile, e non era di
sicuro avvenuto
per James. Cosa poteva voler dire questo? Che il sentimento che mi
legava a
Edward, nonostante non fosse mai stato confessato, era molto
più forte di
qualsiasi altro avessi mai provato e per questo molto più
devastante?
E
ora? Mi ritrovavo su un aereo
diretta nel luogo che avevo scelto per fuggire dalla mia vecchia vita e
che ora
mi avrebbe costantemente ricordato la perdita di quella nuova.
Perché il mio
rapporto con Edward era stato prima che amore, rinascita, inizio di
qualcosa di
nuovo che mi aveva dato la speranza, la fiducia e per molto tempo la
serenità.
Come
avrei fatto ora? Se lui
fosse rimasto in America mi sarebbe mancato immensamente: se lui fosse
tornato
non avrei fatto altro che ricordare quello che avevo perso e i bei
momenti
passati insieme. Non c’era soluzione: non sarei mai riuscita
a rimanergli amica
come avevo pensato inizialmente nel caso non si fosse innamorato di me.
Ero
troppo coinvolta ora e lo avevo previsto: il nostro quasi bacio a
Natale, i
nostri abbracci nella sua stanza, i suoi gesti, le sue mani sul mio
viso, nei
miei capelli. Tutto era assolutamente impresso a fuoco in ogni singola
parte
del mio corpo e della mia mente. Non sarei riuscita a rimuoverla per
lasciare
spazio ad un sentimento di sola amicizia. Io lo avevo amato, in modo
così potente,
forte e solo ora me ne rendevo conto e sarei stata pronta ad urlarlo ai
quattro
venti: ma ormai era troppo tardi.
La
mia vita poteva essere solo
sofferenza e nella maggior parte dei casi per colpa mia. Sapevo che non
dovevo
ri-innamorarmi, che non dovevo pensare che tutto sarebbe andato per il
meglio:
da tempo la tendenza nella mia vita era quella di perdete tutto
ciò che di
bello mi era capitato nelle mani. E Edward era l’ultima e la
più dolorosa delle
cose.
Durante
tutto il volo fino a New
York e nell’attesa della coincidenza che mi avrebbe riportato
a Londra avevo
trattenuto a stento le lacrime, cercando di non crollare di fonte a
hostess e
passeggeri che davano la sensazione di scrutarmi fin dentro
l’anima: sola, mi
sentivo terribilmente sola anche in mezzo a migliaia di persone che
ignare mi
passavano accanto o vivevano la loro giornata come se nulla fosse. Mi
mancava,
lo pensavo e mi mancava il suo viso; lo pensavo e mi mancava
l’aria; lo
ricordavo e il dolore si faceva più profondo.
E
quando mi ritrovai sul lungo
volo per l’Inghilterra mi guardai intorno vedendo tutti che
riposavano nella
tenue luce notturna dell’aereo, ma di fronte a me scorrevano
solo le immagini
di noi due e poi le “loro” immagini, quelle che mi
avevano pugnalato al cuore e
sgretolato la mente: le labbra di lei, le mani di lui e quella
sensazione di
soffocamento e di desiderio di…morte.
Ebbene
sì in quelle ore, su
quell’aereo, sola ad aspettare il nulla mi balenarono nella
mente anche idee
assurde. Ero sempre stata una persona felice di vivere nonostante tutti
gli
schiaffi ricevuti; mai avevo pensato che non valesse la pena combattere
per
rimanere attaccati alla vita, ma per pochi secondi mi venne in mente
che senza
di lui poteva anche non essere più così e forse
la fine di tutto non sarebbe
poi stata così terribile. Per mia fortuna il via vai durante
le ultime ore di
volo e il pensiero di chi mi era ancora accanto cancellò
ogni malsano pensiero,
denotato dallo sconvolgimento per ciò che avevo vissuto
poche ore prima,
piuttosto che dalla razionalità: ed io ero sempre stata una
persona che, alla
fine dei conti, aveva dato più spazio alla
razionalità e mi ero rialzata da
situazioni anche molto critiche.
Ce
l’avrei fatta questa volta? In
realtà io non ero mai stata con Edward, non ci eravamo mai
detti ti amo, non ci
eravamo mai confessati i nostri reciproci sentimenti ( che poi forse
ora tanto
reciproci non erano più). Non avrei dovuto basare gli ultimi
mesi della mia
vita su delle supposizioni: avevo sbagliato, ancora una volta, ma avrei
dovuto
cercare di usare quel poco di sicurezza rimasto in me per uscirne il
più
possibile indenne. E magari continuando a ripetermi che fra noi non
c’era mai
stato niente di certo, che quasi sicuramente erano state solo mie
fantasie
denotate dalla necessità di appoggiarmi a qualcuno, ce
l’avrei fatta. Avrei
dovuto fare quello per cui ero partita cinque mesi prima: concentrarmi
sul mio
lavoro e ricominciare. Partendo dai miei studenti e in particolare da
Emmet: il
secondo motivo dopo Edward che mi aveva convinto a ritornare in fretta
e furia.
Aveva bisogno del mio sostegno e io non potevo farmi vedere a pezzi.
Avrei
cercato di aiutarlo poi avrei pensato ai cocci del mio cuore.
Accesi
il telefono appena
arrivata. Una marea di messaggi e telefonate perse, tutte con lo stesso
mittente, apparvero sul mio display: immaginavo il perché mi
avesse cercata.
Aveva probabilmente parlato con Alice, aveva capito che ero partita
senza
avvisarlo e sicuramente non aveva capito perché. Con un
profondo dolore e
cercando di non farmi vincere dalla curiosità di leggere o
richiamare cancellai
tutto e spensi nuovamente il telefono. Avrei pensato poi a chiamare
Charlie e a
dargli le dovute spiegazioni sulla mia fuga da Forks.
La
pioggia mi diede il suo
benvenuto in aeroporto a Londra e uno strano senso di dejà
vu mi percorse. Il
taxi che mi riportava all’istituto, la strada, il cancello
tutto mi ricordò il
primo giorno della mia nuova vita, ora più distrutta di
quella vecchia.
Scrollai il capo cercando di ridestarmi dai miei torbidi pensieri e
quando mi
accorsi che ero arrivata, pagai il tassista e mi gettai fuori incurante
della
pioggia che cadeva. Nello stato in cui ero bagnarmi dalla testa ai
piedi era
sicuramente l’ultima delle mie preoccupazioni.
Per
evitare di ricadere nell’oblio
dei miei ricordi non mi recai nemmeno nel mio appartamento, ma deviai
subito
per la presidenza dove avrei chiesto delucidazioni sulla situazione per
poi
decidere cosa fare. Mi sarei tenuta il più possibile lontano
dal dormitorio
finché avessi potuto, in modo da non dover ricordare. Era
l’unico modo per
mantenere una parvenza di normalità. E poi
chissà, forse sarebbe stata
l’occasione giusta per trovarmi un’altra
sistemazione in paese…lontana da lì e
…da lui.
Non
appena mi vide si dipinse sul
volto della preside uno sguardo di stupore, ma potei scommetterci,
anche di
sollievo. Mi chiesi come una persona con tanta esperienza alle spalle
avesse
difficoltà a gestire situazioni in apparenza legate alla
sfera della socialità.
Forse il suo essere così programmatica, incapace di dare
spazio a particolari
iniziative, la rendeva troppo chiusa, rigida e preoccupata che la sua
sfera di
perfezione non venisse mai intaccata, tanto da non porsi certi problemi
fino a
che non ci avesse sbattuto il naso.
Passati
i primi minuti dove si
prodigò con mio grande stupore in ringraziamenti, mi diede
delucidazioni sui
fatti; l’incidente che era avvenuto mentre il padre si
trovava in Francia, la
notizia arrivata a Emmet con quattro giorni di ritardo per volere della
madre
che non riteneva opportuno che il figlio si scapicollasse per
l’Europa per i
funerali del padre e di conseguenza
l’impossibilità per lui di rivedere per
l’ultima volta una delle persone più importanti
della sua vita.
Per
un attimo compresi appieno il
dolore che aveva dovuto provare. Non mi sarebbe stato possibile
rinunciare ad
un ultimo saluto alle persone che amavo. Dopo circa mezz’ora
di conversazione,
decisi di recarmi nella stanza di Emmet e vedere di persona il danno
fatto,
cercare di farmi aprire e capire cosa avrei potuto fare io per lui.
Mentre
percorrevo il sentiero
acciottolato che mi portava verso i dormitori dei ragazzi
più grandi, con i
capelli umidi dalla pioggia presa e sotto un cielo tipicamente inglese,
non
potei fare a meno di ricordare le volte che avevo percorso quelle
strade con
lui: tutti gli edifici, e perfino il panorama del giardino me lo
ricordava.
Chiusi
gli occhi e presi un forte
respiro per rimuovere dalla mia mente più immagini dolorose
possibili e
ricordare il motivo principale per cui mi trovavo lì in quel
momento.
Arrivata
al dormitorio C entrai e
mi recai al piano dove sapevo alloggiava il mio studente; cercando di
vestire i
panni più professionali possibili bussai alla sua porta. La
voce di Emmet
dall’interno urlò di andare via:
«
Emmet sono la professoressa
Swan. Aprimi e parliamo: so cosa è accaduto. Vorrei cercare
di aiutarti per
quanto mi è possibile». Lì per
lì nessuna risposta mi giunse da dietro la
porta, solo uno strano vociare all’interno segno che, come mi
era stato detto
dalla preside, Emmet non era solo. Ringraziai mentalmente la ragazza
che gli
aveva tenuto compagnia in quei momenti: non sapevo bene che genere di
legame ci
potesse essere fra loro, ma ero certa che se fosse stato solo avrebbe
sicuramente commesso molte più sciocchezze. Aspettai ancora
qualche minuto poi
ribussai:
«
Emmet aprimi per favore – il
tono più pacato possibile per evitare di agitarlo
– non è stato piacevole farmi
tutte quelle ore di volo per poi ritrovarmi a discutere con una porta,
ti
prego». Il mio tono era sinceramente dispiaciuto, vuoi
perché potevo immaginare
il suo dolore, vuoi per il mio stato d’animo in quel momento
a causa dei miei
problemi, tanto che le ultime parole mi uscirono quasi incrinate dal
pianto.
Ritrovarmi
lì in quel momento,
senza alcuna riposta da parte sua, mi fece sentire talmente impotente
da
riportarmi alla mente il dolore per la perdita di Edward e tutto quello
che
avevo cercato di mettere da parte fino a quel momento per assumere un
tono
dignitoso per il mio ruolo. Non ero però in
realtà così forte, e se non avessi
ottenuto risposta nel giro di poco, il mio fragile equilibrio mi
avrebbe
portato a piangere disperata e senza apparente motivo di fronte alla
porta di
un mio studente. Proprio un attimo prima che questo accadesse sentii
dei passi
dentro alla stanza, il rumore della serratura scattare:
«
Ciao Bella, ho convinto Emmet
entra» la figura di Rosalie mi si parò davanti: la
mia espressione fu
probabilmente di assoluto stupore e dovetti fare mente locale di come e
perché
la sorella di Edward si potesse trovare in quella stanza. Per pochi
secondi mi
dimenticai con chi avevo a che fare e cosa poteva comportare per me la
vicinanza con un membro della famiglia Cullen e solo una domanda mi
uscì dalla
bocca:
«Rosalie
che ci fai tu qui?».
Ero
ancora stupita di chi fosse
la ragazza che in quei giorni aveva tenuto compagnia ad Emmet. Non
dissi più
nulla quando mi fece entrare:
«
Bella posso spiegarti tutto»,
in realtà avevo intuito che ci fosse qualcuno nella sua
vita. Io e suo fratello
l’avevamo posta come supposizione quando Alice ci aveva
raccontato di Jasper,
ma rimasi comunque stupita di chi fosse questa persona.
Ma
in fondo perché avrei dovuto?
Rosalie era una ragazza estremamente intelligente e affascinante che
sapeva il
fatto suo e forse era l’unica che sarebbe riuscita a tenere
testa ad Emmet.
Avevano la stessa età, la stessa caparbietà e
probabilmente per una parte della
loro infanzia avevano sofferto per errori che non avevano commesso loro.
«
Rosalie non devi dirmi nulla,
non ti preoccupare. Ora pensiamo a Emmet, poi dopo se vorrai
parleremo», un
sorriso le comparve sulle labbra e la sentii chiaramente tirare un
sospiro.
Forse temeva un mio giudizio negativo, o che appena uscita di
lì avrei chiamato
Edward per raccontargli tutto. Quello che non sapeva, però,
era quello che era
accaduto alla spiaggia di la Push, quello che avevo visto mi avrebbe
costretta
a riconsiderare ogni mia relazione con la famiglia Cullen.
Mi
raccontò a grandi linee quello
che anche lei aveva saputo: in fondo era arrivata lì solo
ventiquattro ore
prima di me. Mi disse che anche lei aveva faticato inizialmente a farsi
aprire,
ma non aveva desistito preoccupata che la situazione non degenerasse:
«
Bella io lo amo, non ce la
faccio a vederlo soffrire. Non so perché voglia parlare con
te, ma se puoi
aiutarlo ……ti prego fallo». In quel
momento e a quelle affermazioni vidi
davanti a me una ragazza diversa: non c’era più la
sicurezza e la spavalderia
tipiche di Rosalie, quanto la preoccupazione per una persona a cui si
tiene
particolarmente. Non potei essere altro che felice nel sentirle dire
che lo
amava: non c’era niente di più bello che poter
contare su un sentimento di
questo genere. Ma quei pensieri non fecero altro che portare alla mente
la mia
stupidità: Rosalie era arrivata
a Londra
da un mese e già sapeva quello che voleva. Io dopo cinque
mesi passati a
fantasticare sull’amore, non avevo concluso niente di
concreto e ora ero di
nuovo sola.
Cercai
di rimuovere questi
pensieri dalla mia mente e di concentrarmi sul modo migliore per
recuperare la
situazione in quella stanza.
Quando
girai l’angolo del
corridoio di fronte a me non trovai il ragazzo spocchioso che aveva
dato filo
da torcere a tutti, inclusa la sottoscritta. In quel momento vedevo
tutta la
sua fragilità e me ne rattristai. Cercai di avvicinarmi: era
seduto su una
poltrona, lo sguardo basso, la testa fra le mani. Molti oggetti e libri
giacevano frantumati e distrutti per la stanza, tutto era in un vero
disordine,
chiaro sintomo che prima di essere calmato da Rosalie si era sfogato
con tutto
quello che aveva trovato per la stanza.
«
Quando sono arrivata mi hanno
detto che stava dando in escandescenza da qualche ora, nessuno era
riuscito ad
avvicinarlo o a farlo tranquillizzare. Quando mi ha visto ha accettato
che gli
stessi vicino, ma più di tanto non sono riuscita a fare.
Quando ho capito che
con te avrebbe parlato mi sono decisa a farti chiamare dalla
preside…mi
dispiace non volevo farti precipitare qui e rovinarti le
vacanze….».
«
Non ti preoccupare Rosalie – la
interruppi – hai fatto bene, ora dobbiamo pensare a
lui», tralasciai il fatto
che non era stata di certo la sua chiamata a rovinarmi le vacanze.
«
Edward sarà arrabbiato per il fatto
di essere rientrato prima».
Ecco
le uniche parole che non
avrebbe dovuto dire: chiusi gli occhi e deglutii piano cercando di non
farmi
vedere, poi sempre fissando Emmet le risposi appena sussurrando che
Edward era
rimasto a Forks.
«
Occupiamoci di lui ora» tentai
di sviare il discorso bloccando ogni suo tentativo di controbattere.
Sarebbe
arrivato anche quel momento, anche se il solo pronunciare il suo nome
mi aveva
portato sull’orlo delle lacrime. Cercai di distogliere
l’attenzione da me e
Edward e concentrarci sul ragazzo distrutto di fronte a me.
L’unica cosa che mi
venne in mente fu quella di cercare di farlo parlare, per far
sì che si
sfogasse, magari anche con il pianto e poi convincerlo a farsi dare dei
farmaci
dal medico per cercare di calmarsi, almeno per il momento.
«
Ciao Emmet, è inutile che ti
chieda come stai – lo vidi alzare lo sguardo ed era veramente
sconvolto – hai
un aspetto orribile….», tentai di sdrammatizzare.
«
Perché è qui professoressa?»
«Perché
mi hanno detto che sono
l’unica persona con cui volevi parlare, ed eccomi
qua»
«
Le ho rovinato le vacanze però
così…»
«
Direi che dovrebbe essere
l’ultimo dei tuoi pensieri vista la situazione. Hai voglia di
parlarne?».
Scosse
la testa in segno di
negazione. Mi sentivo impotente e il mio stato d’animo non mi
aiutava di certo
a prendere decisioni coerenti. Cercai comunque di proseguire:
«
So che è difficile, ma forse
raccontarmi quello che è accaduto e cosa ti ha scatenato
tutta questa rabbia ti
potrebbe aiutare»
«
Mio padre è morto cazzo!! – un
urlo e un’imprecazione gli uscì quasi a volermi
incutere timore – come dovrei
stare? Sono giorni che tutti si preoccupano , ma nessuno
capisce….» il tono
ancora molto alto: Rosalie aveva quasi sobbalzato temendo il peggio.
Stranamente non mi spaventai.
«
Non è vero che nessuno ti
capisce – alzai gli occhi verso Rosalie chiedendole un tacito
assenso a quello
che stavo per dire. Come se avesse intuito fece un cenno affermativo
– anche la
tua ragazza ha perso i genitori, e anche io ho perso qualcuno che
amavo», non
so perché decisi di avvicinarmi a lui con quella strategia.
Forse in quel
momento e con il mio stato d’animo era l’unica cosa
sensata che mi fosse venuta
in mente. Probabilmente funzionò in parte perché
lo vidi fissare prima Rosalie,
che lo guardava con uno sguardo molto dolce e accondiscendente e poi
me.
Si
rivolse a lei:
«
Non me lo avevi detto»
« E’
successo tanto tempo fa e ho avuto la
fortuna di trovare qualcuno che mi ha amato tanto quanto i miei veri
genitori»
«Devi aver
sofferto moltissimo»
«
Sì, ma l’ho superato e sono qui
ora e ci riuscirai anche tu: io ero una bambina che non capiva e non
sapeva
come uscirne, tu sei un uomo…» il suo sguardo era
fiero, come se quelle parole
le infondessero speranza e orgoglio. Poi si voltò verso di
me e non potei fare
altro che dirgli quello che mi sentivo: mi ero esposta troppo, ma non
potevo
tornare indietro. Avrei altrimenti perso la sua fiducia:
«
Ho perso un figlio Emmet, lo so
non è la stessa cosa, ma il dolore è comunque
devastante». Guardai Rosalie stupita
e in cuor mio sperai non le venisse mai in mente a nessuno (e per
nessuno era
chiaro chi intendessi) di riferire quello che sentiva in quella stanza.
Queste
confessioni però
sembrarono ottenere l’effetto sperato: forse il fatto di
essere con qualcuno
che non cercava solo di consolarlo, ma che condivideva il suo dolore lo
fece
rilassare e vidi chiaramente i suoi occhi riempirsi di lacrime.
«
Come farò senza di lui? Era
l’unico che mi dava la forza di sopportare le ingiurie di mia
madre», un pianto
strozzato si levò dal suo torace. Si accasciò
ancora di più sulla poltrona, ma
non reagì con nessun moto di rabbia. Mi sedetti a fianco a
lui e lo convinsi a
parlarmi dell’accaduto e poi del legame con il padre. Non so
quanto tempo
passò, se minuti o ore, ma lo vedevo ogni istante
rafforzarsi e riemergere, la
mia mano a sfiorargli il braccio o la spalla, Rosalie in piedi di
fronte a lui
ad ascoltare. Parlare gli stava facendo bene. I singhiozzi scuotevano
il suo
corpo, ma non sembrava vergognarsene.
«Cosa
posso fare ora?»
«
Devi reagire Emmet, finisci i
tuoi studi e poi vattene, chiedi a tua madre la possibilità
di farti una vita
lontano da qui…»
«
E se lei non accettasse??»
«
Infischiatene e vieni via con
me», la voce di Rosalie proruppe interrompendo i nostri
pensieri. La guardai
negli occhi. Era veramente convinta di quello che faceva, segno che il
sentimento che li legava era ben più simile
all’amore che all’affetto o
all’infatuazione. In quel momento un piccolo moto di gelosia
mi pervase nella consapevolezza
che loro, due ragazzi di appena ventun’anni erano arrivati
dove io che ne avevo
già trenta ancora non ero. Consapevoli della loro vita, dei
loro sentimenti e
pronti a sacrificare tutto per riuscire stando insieme: alla frase di
Rosalie
il pianto di Emmet si fece più prorompente, trascinando con
sé la ragazza che,
inginocchiata di fronte a lui lo abbracciò con una forza
indicibile. Mi
ritrassi leggermente, ripensando a tutto quello che nella mia vita mi
aveva
arrecato dolore, non ultima la perdita di Edward e le lacrime
iniziarono a
lambire anche il mio volto. Li lasciai sfogare per un po’,
poi, cercando di
riprendere un contegno lanciai un sasso:
«
Emmet credo sia il caso tu
cerchi di riposare, magari con l’aiuto del
dottore che ne dici?»
«
Non voglio prendere nulla», mi
rispose fra i singhiozzi.
«
Sarebbe solo per questa volta e
sono sicura che Rosalie ti sarà a fianco».
Guardai
i due ragazzi che avevano
alzato il volto dal loro rifugio di lacrime e potei notare negli occhi
di lei
una mutua richiesta di speranza e in quelli di lui una rassegnazione a
farsi
aiutare:
«
Va bene, ma solo questa volta»,
un lieve sorriso ci comparve sul volto. Chiamai la preside, la informai
che il
peggio era passato e le dissi di avvisare il medico, ottenendo un
ringraziamento non poco eloquente.
Mi
alzai per allontanarmi e
lasciarli un po’ in tranquillità, quando mi sentii
afferrare uh braccio:
«
Grazie prof, non so perché lo
ha fatto, ma mi dispiace di averle arrecato tanto disturbo»
«
Non dirlo neanche per scherzo,
sono qui per aiutare i miei studenti, è il mio lavoro, ma
d’ora in poi voglio
vederti reagire e cambiare, voglio vederti diplomare ed iniziare una
nuova
vita. E sono convinta che qualsiasi cosa tu decida di fare diventerai
un uomo
in gamba. E fino a che questo non avverrà sai che puoi
sempre contare su di
me…e credo anche su Rosalie», un sorriso mi
uscì dalle labbra e anche la
ragazza si lasciò andare annuendo vistosamente. Poi li vidi
guardarsi negli
occhi e baciarsi stringendo i loro volti tra le mani come se non
esistesse
nulla di più prezioso al mondo in quel momento per
sostentarsi. Un moto di
orgoglio misto a gioia mi attraversò, per ripiombarmi
nuovamente nell’oblio
quando realizzai che la persona che avrei voluto avesse nei miei
confronti dei
gesti simili ora non ci sarebbe stata più, perché
io stupidamente me l’ero
lasciata sfuggire. Mi asciugai le lacrime e feci per andarmene:
«
Il medico sarà qui fra poco,
sarà meglio che vada, cercate di riposare e appena
sarà possibile riordinate la
stanza e ricominciate la vostra vita: e se fare programmi insieme vi
dà la
forza, fatelo e non abbiate paura né di quello che dice la
gente, né di affrontare
l’incertezza del futuro». Mi guardavano attenti e
fui certa che avessero capito
che quelle parole erano state dette per loro quanto per me, che mi
apprestavo a
uscire da lì e riaffrontare da sola tutto quello che pensavo
di poter vivere a
fianco a Edward.
Non
feci in tempo ad allontanarmi
che Rosalie mi si affiancò.
«
Grazie Bella, sei stata
fantastica, mio fratello sarà orgoglioso di te,
ma…cosa vuol dire che è rimasto
a Forks?? credevo ti avrebbe accompagnato, di solito è
sempre così protettivo
nei tuoi confronti».
A
stento ricacciai indietro il
magone che avevo in gola: « Edward …. È
stato impegnato con altro» non riuscii
a dire nulla di più, ma Rosalie mi trattenne per il braccio.
«
Vuol dire che sei rientrata
sola??», ora il suo sguardo era di stupore misto a
preoccupazione e io non
sarei stata in grado di ribattere troppo indebolita nello spirito,
così decisi
di provare a fare l’unica cosa che mi veniva in mente:
deviare il discorso.
«
Da quanto tempo stai con
Emmet??».
Rosalie
rimase per un attimo
interdetta, ma intuendo che qualcosa non andava, non abboccò
all’amo: « Bella
non rispondere ad una domanda con una domanda, perché sei
sola? che fine ha
fatto mio fratello?».
Non
potei trattenere le lacrime e
mi affrettai a risponderle per potermene andare: « Non so se
rientrerà – il mio
fu quasi un sussurrò – ora è meglio che
vada, ho bisogno di riposare, scusa….»
e mi apprestai a fuggire letteralmente, guardandola solo furtivamente
da dietro
gli occhi arrossati, lasciandola probabilmente
con mille dubbi su ciò che avevo detto, ma con
molte supposizioni sul
mio stato d’animo.
Scappai
letteralmente dal
dormitorio per rifugiarmi nel mio appartamento. Corsi su per le scale
quasi
scapicollandomi, ma cercando di non guardare quello che intorno a me
ricordava
il passato: e tutto lì mi ricordava lui.
Aprii
velocemente la porta e me
la richiusi alle spalle. Un forte odore di chiuso mi invase le narici:
mi
appoggiai con le spalle alla porta come una fuggitiva che tenta di
mettersi al
riparo da qualcosa e in quel momento realizzai pienamente dove mi
trovavo e
cosa sarebbe cambiato senza di lui. Un pianto fortissimo mi pervase il
petto e
mi accasciai al suolo tra i singhiozzi, lasciando scivolare la schiena
ancora
umida per la pioggia contro la porta.
Non so quanto rimasi lì a piangere e gridare, qualche minuto
o più
probabilmente anche qualche ora. Mi meravigliai anzi del fatto di non
essere
svenuta per il troppo dolore, come tante volte mi era capitato: e
quello che
provavo in quel momento era devastante. E quando cercai di calmarmi
feci
l’ultima cosa che mi sarei immaginata di fare.
Mi
alzai barcollando, accesi la
luce e mi recai nel bagno: presi il flacone dei tranquillanti che ormai
non
prendevo più da mesi e me ne misi in bocca mezza pastiglia:
volevo dormire e
per farlo senza soffrire dovevo cercare di non sognare e quello era
l’unico
modo. Azzerai tutti i miei sensi, ancora vestita e tra le lacrime mi
gettai sul
letto addormentandomi con la sensazione di un grande vuoto nel mio
cuore, che
ora lì a casa mia, dove avevo incontrato veramente la
serenità, mi attanagliava
in una morsa dalla quale non sarei certo uscita con facilità.
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Capitolo 43 *** “Invisibile” ***
Capitolo 43:
“Invisibile”
Un
suono fastidioso e insistente
mi ridestò dal mio stato di torpore: per un attimo non capii
né dove ero, né
quanto avevo dormito.
Aprii
gli occhi e riconobbi la
mia stanza da letto al campus.
Guardai
la sveglia che indicava
le 7.30 di venerdì 4 gennaio; non era quella che stava
suonando e allora cosa?
Mi
alzai puntandomi sui gomiti e
un senso di pesantezza mi ricordò del sonnifero che avevo
preso la sera prima.
Appoggiai i piedi a terra e forse il freddo del pavimento o il suono
continuo
che mi penetrava nei timpani mi riportò alla
realtà.
Emmet…Rosalie….Edward…Leah,
la
consapevolezza di cosa era accaduto mi ripiombò addosso e
chiusi gli occhi per
prendere forza. In quell’attimo un senso forte di nausea mi
percorse la bocca
dello stomaco e presi un profondo respiro cercando di riemergere ed
evitare di
correre al bagno per vomitare, il nulla, visto che da più di
ventiquattro ore
non toccavo praticamente cibo.
Decisi
di cercare la fonte di
quel fastidioso suono, quando realizzai che era il mio telefono.
Ma
quando lo avevo acceso?
Ricordavo esattamente di averlo tenuto spento appositamente per evitare
di
farmi rintracciare, ma forse la sera precedente prima di addormentarmi
avevo
cercato di chiamare mio padre….ma proprio non lo ricordavo.
Accidenti
ai sonniferi! Sapevo
l’effetto che mi facevano e li odiavo per quello, ma se il
mio intento era di
azzerare problemi e paranoie durante il sonno, avevo ottenuto il mio
scopo.
Mi
alzai a fatica cercando il
telefono nella borsa, che la sera prima avevo lanciato sul divano
appena
entrata in casa: sperai vivamente che non fosse nessuno che aveva
bisogno di
me, perché avevo intenzione di passare quegli ultimi giorni
prima dell’inizio
delle lezioni nella solitudine più assoluta, con
l’intento di non pensare a ciò
che era accaduto, prepararmi ad affrontare il resto dell’anno
scolastico
puntando tutto sui miei studenti e poco sulla mia vita privata.
Ma
a chi volevo darla a bere?
Ricordavo a me stessa di farmi forza e non pensare, ma in
realtà mi mancava
terribilmente e non avrei proprio saputo da che parte cominciare senza
di lui.
Quando
trovai il telefono, ancora
prima di guardare sul display immaginai chi potesse essere e un forte
tremore
mi bloccò le mani. Istintivamente rifiutai la chiamata, ma
poi mi ricordai che
non avevo ancora dato notizie a mio padre e il pensiero che avesse
potuto
mobilitare persino l’Fbi, nel tentativo di assicurarsi che
stessi bene dopo la
mia fuga da casa, mi portò a chiamarlo.
La
telefonata fu lunga e più
volte mi resi conto che avrei potuto darla a bere a tutti
fuorché a Charlie: mi
aveva detto che Edward era stato da lui poco dopo la mia partenza,
preoccupato
per il fatto di non essermi fatta viva. Non so perché, ma
istintivamente gli
chiesi se era solo e mi stupii molto la sua risposta:
«
Sì Bells, era molto solo: cosa
è successo tra voi?»
«Gli
hai detto dove sono?»,
chiesi con un tono alquanto preoccupato.
«
No, ho solo detto che sei
partita. Tu non mi hai detto altro e io non ho voluto violare la tua
privacy,
nemmeno con lui».
Lo
ringraziai mentalmente, ma non
ebbi il coraggio di confessargli nulla; mi limitai a ribadire che avevo
solo
avuto bisogno di tornare per motivi di lavoro e, non essendo stato
raggiungibile per telefono, non lo avevo potuto avvertire. Dal tono
della sua
voce capii che non aveva creduto ad una sola parola, ma fece buon viso
a
cattivo gioco e si raccomandò di chiamarlo per qualsiasi
cosa avessi avuto
bisogno.
Subito
dopo aver interrotto la
telefonata con mio padre mi affrettai a spegnere il telefono. Mi resi
conto che
anche se fra di noi non ci sarebbe potuto più essere nulla,
Edward era sempre
stato molto protettivo nei miei confronti e la mia fuga e il silenzio
telefonico forse lo stavano veramente facendo preoccupare. Sapevo che
prima o
poi lo avrei dovuto affrontare, ma non era ancora quello il momento.
Volevo
rimanere sola un altro po’, cercare di elaborare la mia
sofferenza e ripartire,
come avevo già fatto.
Ormai
ero sveglia così decisi di
passare la mattinata sistemando casa e le valigie. Non avevo voglia di
uscire,
vuoi perché il mio aspetto dettato dal mio stato
d’animo, non era sicuramente
consono al mio ruolo e vuoi perché non volevo incorrere nel
rischio di
ritrovarmi faccia a faccia con qualcuno a cui avrei dovuto dare
spiegazioni
sull’assenza di Edward. Aprii le finestre e passai le
successive due ore a
riordinare e pulire l’appartamento: mi resi conto solo dopo
un po’ che non
riuscivo a concentrarmi nemmeno su una cosa così semplice,
visto che spesso mi
ritrovavo a rassettare cose già in ordine.
Quando
tutto in casa fu a posto
decisi di dedicarmi al bagaglio, ma non fu un’idea brillante.
Troppe cose mi
ricordavano Edward a partire dal portachiavi che mi aveva regalato per
il mio
compleanno: ma la cosa peggiore fu quando mi ritrovai tra le mani il
suo
bracciale e leggendo l’iscrizione non potei fare a meno di
crollare in un mare
di lacrime accasciandomi al suolo come un palloncino bucato. In cinque
minuti
con quel prezioso, quanto splendido, oggetto in mano riuscii a
ripercorrere
quei magnifici giorni passati insieme e mi domandai se e quando lo
avrei
rivisto, e che sensazioni e sentimenti avrei potuto provare, o meglio
avrei
avuto il diritto di provare. Più volte il mio cuore mi disse
che non potevo
essermi inventata tutto, che i suoi sentimenti per me erano stati
chiari per
quelli che ci conoscevano, quasi come i miei per lui. Me lo avevano
detto
Alice, mio padre e me lo aveva fatto intendere persino Carlise.
I
suoi sguardi, i suoi
abbracci,…. non mi ero inventata nulla. Il modo in cui il
suo corpo rispondeva
alla mia vicinanza, come il bacio appena sfiorato la vigilia di Natale
e quello
non dato la sera dopo: le sue carezze e i suoi occhi su di me, sempre
come se
fossi una cosa preziosa da cui non è possibile distogliere
lo sguardo. Senza
dimenticare tutto quello che avevamo vissuto insieme prima di ritornare
a
Forks.
Non
mi resi nemmeno conto che
stavo piangendo come una fontana a quei ricordi: per tanto tempo avevo
represso
le lacrime e ora non riuscivo più a fermarle.
Come
potevo essermi sbagliata
così tanto su noi due, o come aveva potuto lui dimenticare
così in fretta,
appena incontrata Leah?
Non
riuscivo proprio a darmi una
risposta sensata su questo. Non ero arrabbiata con lui, ma di sicuro
ero
rimasta molto male per il fatto che si fosse lasciato di nuovo
abbindolare così
facilmente, dopo che mi aveva dato spesso l’idea di volermi
stare accanto.
Ma
chi ero io poi per dare
giudizi? Ero stata la prima che aveva tenuto in piedi una relazione
prima di
conoscerlo, che in realtà era solo un tira e molla e in
più come terzo
incomodo!
Mi
alzai dal pavimento, presi il
bracciale, lo chiusi nella sua preziosa scatola e lo riposi nel
cassetto del
comodino: non avrei certo potuto indossarlo, anche se era stato
semplicemente un
regalo di Natale, ma ogni volta che lo guardavo riemergevano troppi
ricordi e
così decisi di archiviarlo. Magari nel giro di qualche mese,
se i miei
sentimenti si fossero affievoliti e il dolore superato
l’avrei potuto portare
come un qualsiasi altro gioiello.
Continuai
a disfare i bagagli e a
sistemate tutti i miei oggetti, rammaricandomi del fatto di non aver
ritrovato,
come invece pensavo, l’abito che Alice mi aveva fatto
indossare per l’ultima
serata dell’anno. Non ricordavo proprio dove potevo averlo
lasciato; se a casa
Cullen o più probabilmente da Charlie, visto in modo in cui
me ne ero andata:
avrei verificato alla prima occasione.
Avevo
quasi terminato quando un
lieve bussare alla porta mi riscosse dai miei pensieri. Il mio cuore
fece un
balzo: non mi aspettavo nessuno visto che in pochi sapevano del mio
ritorno.
Non risposi immediatamente e cercai di capire chi si trovava
dall’altra parte.
I battiti sulla porta proseguirono e questa volta qualcuno
chiamò il mio nome:
«
Bella ci sei? Se sei in casa ti
prego aprimi, dobbiamo parlare. Ti senti bene? ». Era
Rosalie, che
probabilmente avendo intuito la sera prima che qualcosa non andava,
voleva
assicurarsi sul mio stato di salute. O forse più
semplicemente aveva avuto
occasione di parlare con il fratello che le aveva chiesto di tenermi
d’occhio:
sarebbe stato proprio tipico di Edward.
In
quel momento mi resi conto più
che mai che la lontananza da lui non era solo una questione legata al
mio amore
e a quello che provavo, ma a tutta una realtà della quale
ero entrata a far
parte e che mi piaceva molto. Tutta la famiglia Cullen mi aveva accolto
a
braccia aperte, mi avevano ringraziato per aver dato a Ed la
possibilità di
cambiare, si erano preoccupati per me e mi erano stati accanto in
momenti
difficili. Per quanto poco li conoscessi avevano fatto molto di
più di chi mi
conosceva da anni.
In
quel momento capii che se
anche le cose tra me e Edward non erano andate come desideravo, nulla
mi
impediva di mantenere buoni rapporti con quella splendida famiglia,
anche nel
rispetto di ciò che avevano fatto per me. Il problema era
che la ferita era
ancora troppo fresca e vedere loro sarebbe stato corrispondente ad
un’immagine
troppo vicina e tormentata, ancora per il momento almeno: quindi, con
grande
rammarico, decisi che se volevo provare a risollevarmi, avrei dovuto
tagliare i
ponti anche con loro. Questo includeva anche parlare con Rosalie che
insistentemente continuava a battere sulla mia porta convinta che io
fossi nel
mio appartamento. Dopo alcuni minuti, non ottenendo risposta la sentii
allontanarsi e decisi così che per quel giorno non sarei
stata in grado di
uscire senza incontrarla, parlarle e crollare nuovamente;
così chiusi le
finestre e mi decisi a fare qualcosa che non facevo da tempo.
Scrissi
una mail a mia madre:
avevo bisogno in quel momento di qualcosa di leggero. Le avevo
accennato
qualcosa durate le vacanze di Natale sulla mia amicizia con Edward, ma
ero
certa che la sua frivolezza l’aveva portata a dimenticare le
parti che
riguardavano i miei sentimenti e forse mi avrebbe aiutata a
risollevarmi un po’
il morale.
In
realtà sapevo che se le avessi
raccontato tutto mi avrebbe saputo consigliare e aiutare nel migliore
dei modi.
Sapeva sempre quale era il mio stato d’animo nelle situazioni
problematiche e
aveva la parola giusta per tutto, in campo sentimentale: in quel
momento non
ero ancora pronta ad affrontare il discorso nemmeno con lei e fui
consapevole
del fatto che finché non ne avessi parlato non sarei mai
riuscita a rimuoverlo
dal mio cuore.
Lasciai
scorrere il resto della
giornata nel tedio più assoluto. Cercai più volte
di mangiare qualcosa, ma ogni
movimento che facevo in quella casa mi bloccava lo stomaco. Avanti di
quel
passo avrei perso le forze: forse se me ne fossi andata le cose
sarebbero
migliorate.
Già…andarmene…trovare
un alloggio
in paese, in modo da non dover vivere a stretto contatto con i miei
ricordi…..forse avrebbe funzionato.
Il
mattino dopo decisi di
muovermi e reagire: non avrei ottenuto nulla continuando a rimanere
chiusa in
quell’appartamento. Inoltre per chi mi aveva visto arrivare,
il fatto che fossi
scomparsa dalla circolazione poteva destare preoccupazioni. Non erano
molti
quelli che sapevano del mio ritorno, ma era comunque più
utile per me farmi
vedere in giro: chissà se la preside o Rosalie avevano
pensato che fossi
fuggita o che non mi fossi fatta del male visto lo stato in cui me ne
ero
andata due giorni prima dalla stanza di Emmet.
Decisi
che potevo iniziare
proprio andando a vedere come stava il mio studente. Sapevo che sarebbe
stato
molto alto il rischio di vedere la sorella di Ed, ma andando in orari
in cui
lei lavorava al pub le probabilità diminuivano.
Mi
vestii, cercai di fare
colazione e mi chiusi nel mio capotto più caldo per gettarmi
nelle gelide braccia
del clima inglese: in realtà non avevo mai fatto troppo caso
alla rigidità
delle temperature, ma sembrava quasi che l’assenza di Edward
lo accentuasse
ancora di più.
E’
proprio vero che quando
qualcuno ti scalda il cuore tutto
cambia!! Non ero mai stata un’eccessiva romantica, ma da
qualche tempo sembravo
un’attrice di racconti rosa, per quanto le mie emozioni
prendevano il
sopravvento.
Mi
incamminai nel cortile
dirigendomi al dormitorio dei ragazzi più grandi: trovai
Emmet – per fortuna
solo – che mi accolse con un lieve sorriso, ringraziandomi
ancora per quanto
gli fossi stata accanto. Chiacchierammo per alcuni minuti poi decisi
che
sarebbe stato meglio andare per non essere troppo invadente e non
rischiare di
incontrare la sua ragazza.
Mentre
uscivo mi venne in mente
che avrei voluto tanto chiedergli come si erano avvicinati lui e
Rosalie, ma
non ne ebbi il coraggio, forse più avanti, avrei
potuto…
Uscii
velocemente dal dormitorio,
con l’intenzione di andare a rinchiudermi nuovamente nel mio
appartamento:
mentre camminavo però capii che non sarebbe stata la cosa
giusta da fare e così
decisi di fare due passi, cercando di vincere le mie paure, infondate.
Ero
ormai al limitare del campus
quando intravidi la sagoma di Jacob in mezzo ad un aiuola.
Istintivamente una
morsa mi arrivò alla bocca dello stomaco e feci il gesto di
girare i tacchi in
fretta e furia per evitare di farmi vedere, poi però, molto
masochisticamente
mi venne in mente che forse, se c’era qualcuno che poteva
aiutarmi a trovare un
alloggio diverso, mio malgrado, era proprio lui. Presi un profondo
respiro e mi
ci avvicinai cercando di non pensare che la persona con cui mi
accingevo a
parlare era il fratello della donna che avevo visto baciare
l’uomo che amavo.
In fondo lui non aveva colpe, se non quella di incolpare Edward di
tutto e di
essersi trovato in mezzo ad una storia che aveva fatto soffrire anche
lui.
Quando
fui a pochi metri udì
probabilmente il rumore dei miei passi e alzò la testa:
«
Ciao Bella, sei tornata?». Uno
strano sorriso gli comparve sul volto, non riuscii a identificarlo, ma
presa
come ero dai miei problemi mi sembrò di vedere in lui uno
sguardo ambiguo, come
se sapesse e fosse pronto a dirmi “te lo avevo
detto”. Era per questo che avrei
dovuto selezionare le informazioni da dargli e cercare di sviare
l’attenzione
sull’assenza di Edward: chissà se sapeva che
probabilmente lui e Leah erano
tornati insieme e forse lui non sarebbe nemmeno rientrato a Londra. Ma
in fondo
lui odiava Edward e se ci fosse stato un riavvicinamento con la sorella
sarebbe
stato l’ultimo a saperlo, visto quanto poco aveva sempre
approvato la loro
unione.
Cercai
di non mettere troppo in
evidenza il mio stato di agitazione e lo salutai più
cordialmente possibile:
«
Jake posso chiederti un favore?
», avevo deciso di andare subito al punto evitando qualsiasi
tipo di
conversazione. Potei giurare di averlo visto guardarsi intorno con fare
sospetto: probabilmente voleva vedere se ero sola, visto che negli
ultimi
periodi prima di Natale difficilmente Edward si allontanava da me. La
cosa che
però mi stupì maggiormente fu la sua affermazione:
«
Hai bisogno di un favore da me?
E che fine a fatto Cullen? Non è con te?». Il suo
tono dispregiativo – strano a
dire il vero nei miei confronti – mi diede nuovamente il
voltastomaco, ma
cercai di rispondergli per le rime.
«
Non credo ti debba interessare
se Edward non
è con me – e calcai il suo
nome mettendo in evidenza quanto mi infastidisse il modo in cui lo
chiamava e
cercando nel contempo di bloccare lo stato di ansia che mi metteva
anche solo
il pronunciarlo – sono solo qui per chiederti un favore. Se
pensi di potermelo
fare non dobbiamo parlare di altro». La mia voce era ferma e
mi meravigliai
molto di come fossi riuscita a trattenere le lacrime e a non dare
alcuna
dimostrazione di cedimento.
Jake
abbassò lo sguardo e si
scusò per il modo in cui si era rivolto a me. Senza altre
esitazioni gli chiesi
se conosceva qualcuno in paese che affittava un appartamento, almeno
fino al
mese di giugno:
«
Vuoi andartene dal campus?
Allora Edward ha fatto soffrire anche te, lo
immaginavo…» no, lui non
immaginava..non poteva certo sapere che la colpa della mia sofferenza
era prima
di tutto di sua sorella e per un millesimo di secondo meditai di
urlargli in
faccia il mio disprezzo per lui e tutta la sua famiglia, che nel giro
di
quindici giorni mi avevano stravolto la vita: ma non lo feci. Inoltre
mi ero
resa conto che qualsiasi persona di genere femminile che avesse stretto
rapporti con Edward non avrebbe potuto pensare di stargli lontano a
lungo: lo
stavo vivendo sulla mia pelle e Leah non faceva eccezione in questo.
Deglutii
abbastanza
rumorosamente, presi un bel respiro e cercai di dare la mia
giustificazione,
più attendibile possibile, cercando di risultare sicura nel
mio ruolo e nella
mia immagine.
«
No, Jake, il problema è che mi
sono resa conto di non poter gestire tutte le responsabilità
che mi ha affidato
la preside e la meno prestigiosa è sicuramente la
sorveglianza del dormitorio.
Se decido di rinunciare a quell’incarico non potrò
più usufruire
dell’appartamento: è per questo che ti ho chiesto
se mi puoi aiutare », il mio
tono risultò quasi più altezzoso di quanto io
avessi mai ricordato, ma volevo
fosse più evidente quanto io tenessi al lavoro piuttosto che
alle mie amicizie.
«
Sei sicura sia solo per
quello…..» la sua insistenza iniziava a darmi ai
nervi e probabilmente la mia
espressione mutò notevolmente, perché si
trattenne dall’esternare qualsiasi
altra considerazione personale.
«
Ho solo bisogno di un nuovo
alloggio per i motivi che ti ho spiegato: se pensi di potermi aiutare
bene, se
no mi rivolgerò a qualcun altro»
«
Ok, ok vedrò cosa posso fare…ti
chiedo scusa». Quasi senza guardarlo negli occhi mi voltai e
lo salutai
dirigendomi in presidenza: avevo preso la mia decisione e avrei chiesto
alla
preside di lasciare il mio incarico di sorveglianza e tenermi il
più lontano
possibile dai miei recenti ricordi.
Uscii
dall’ufficio della preside
solo dopo un’ora e mezza: con molta difficoltà
riuscii a convincerla della mia
decisione. Non voleva proprio saperne di lasciarmi andare: disse che da
anni la
gestione di quel dormitorio non era così ben organizzata e
il mio affiatamento
con il professor Cullen in questo senso era emblematico.
In
più di un’occasione alle sue
parole mi ritrovai di fronte i bei momenti passati a lavorare con lui ,
ma
continuai a ripetermi come un mantra che non sarebbe probabilmente
tornato e
quindi non avrei avuto la necessità di giustificarmi
ulteriormente o soffrire
nel vederlo. Al termine della nostra conversazione aveva accettato la
mia
decisione, ma mi aveva lasciato qualche giorno per pensarci
ulteriormente,
facendomi promettere che se non avessi trovato un alloggio
soddisfacente sarei
rimasta al campus e di conseguenza nel mio ruolo.
Solo
quando rientrai nel mio
appartamento mi resi conto che era ormai pomeriggio e io avevo
nuovamente
saltato il pranzo: il mio stomaco continuava a rifiutarsi di chiamare
il cibo.
Mi decisi che avrei mangiato anche a forza, per evitare di ritrovarmi
stesa sul
pavimento della mia aula il primo giorno di scuola. Ma quando arrivai
in fondo
al mio corridoio una figura slanciata con capelli biondi mi venne
incontro
impedendomi questa volta di fuggire dalle mie paure:
«
Rosalie?» la guardai in volto,
era un misto tra l’arrabbiato e il preoccupato:
«
Noi due dobbiamo parlare ».
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Capitolo 44 *** “Silenzi” ***
Capitolo 44
“Silenzi”
Un’onda
di panico si impossessò
di me nel vedere la sorella di Edward di fronte alla porta nel chiaro
intento
di impedirmi di fuggire da una spiegazione che già da
qualche giorno
probabilmente meditava. Cercai di farmi forza, presi un bel respiro e
tentai
per quanto mi fosse possibile di sviare una conversazione che
già sapevo dove
sarebbe finita:
«
Ciao, ci sono problemi con
Emmet?», sapevo perfettamente che non era possibile. Lo avevo
visto sì e no
qualche ora prima, ma dovevo tentare.
«
No, Emmet non c’entra nulla:
sai bene perché sono qui, sono due giorni che ti cerco, ti
ho visto tornare
sola e non mi hai dato uno straccio di giustificazione», il
suo tono era
alquanto alterato. Ricordando la nostra conversazione di qualche
settimana
prima a Londra mi tornò alla mente la sua preoccupazione che
io non facessi
soffrire Edward come avevano fatto Tanya e Leah e probabilmente era
questo che
temeva fosse successo.
Con
l’aria più indifferente
possibile cercai di rispondere, mantenendo un tono calmo e cercando di
non
mettermi a piangere come avevo fatto fino a poco tempo prima:
«
Rosalie, il fatto è che sono
stata convocata in fretta e furia, il ritorno è stato
improvviso e il fuso orario
mi ha veramente distrutto…»
«
Piantala di trovare
giustificazioni!!!».
Era
veramente furiosa e ne aveva
tutti i motivi: non solo non aveva visto tornare il fratello, ma ero
sparita
anche io dalla circolazione. L’unica cosa che non quadrava
era il fatto che
avrebbe dovuto parlare con Ed e lui forse gli avrebbe dato qualche
spiegazione
in più. Non feci in tempo a ribattere che
proseguì:
«
Scusa Bella, non volevo alzare
la voce, ma voglio capire perché mio fratello non sia
tornato e soprattutto
sapere che fine ha fatto».
Ma
cosa stava dicendo? Edward era
a Forks, a casa Cullen o più probabilmente con Leah e lei
avrebbe dovuto
saperlo, la sua famiglia l’avrebbe dovuta informare. In un
attimo il mio
tentativo di sviare le sue domande passò in secondo piano:
«
Cosa significa che fine ha
fatto? Quando io sono partita lui era a Forks, non vi siete
sentiti?»,
cominciai a preoccuparmi anche io.
«
No, il giorno in cui sei
arrivata ho capito che c’era qualcosa che non andava per il
fatto che non fosse
con te, ma ero troppo presa dai problemi di Emmet per pensare e
chiamarlo; poi
ho provato a cercarlo, ma non l’ho trovato. Non è
più a casa. È partito subito
dopo di te, ma a quest’ora doveva già essere
arrivato. Non ha dato notizie e
non è rintracciabile. Bella dimmi la verità, che
diavolo è successo?».
A
quelle affermazioni la mia
mente iniziò a vorticare in tutte le direzioni: escludendo
un qualsiasi tipo di
incidente, immaginai che potesse anche essere fuggito con Leah, ma non
seppi
trovare spiegazioni al suo silenzio. Poi mi venne in mente che aveva
cercato di
chiamarmi e questo poteva significare che voleva parlare con me, ma non
con la
sua famiglia.
Il
magone che mi aveva
accompagnato negli ultimi due giorni si ripresentò
più forte che mai e il
digiuno rafforzò il mio stato di intontimento, tanto che
dovetti aggrapparmi
allo stipite della porta e in un attimo Rosalie mi fu a fianco:
«
Bella che hai, ti senti bene?»
«
Mi gira solo un po’ la testa,
vieni è meglio entrare». Feci scorrere le chiavi
nella serratura e la feci
accomodare, buttandomi a mia volta sul divano.
«
Sei molto pallida, sicuro che
sia tutto ok?».
Ora
il suo tono non era più
accusatorio e non me la sentii di mantenere a mia volta un
atteggiamento troppo
freddo:
«
Non del tutto, ma passerà»,
cercai di minimizzare. « Non so dove possa essere finito, non
ci sentiamo da un
bel po’, ma sono convinta che sia tutto a posto,
credimi».
Non
sapevo bene nemmeno io perché
le avevo dato quella risposta. Era tutto fuorché a posto.
Edward aveva baciato
la sua ex, io mi ero precipitata in Inghilterra da sola e, come se non
bastasse, il mio stato emotivo, causato dalla sua assenza, stava
influenzando
notevolmente la mia salute.
«
Io invece credo proprio di no.
Non sappiamo dov’è, magari è stato
male, è solo e non riesce a comunicare. Non
sei preoccupata? Pensavo ci tenessi a lui…».
Purtroppo
aveva toccato il tasto
sbagliato: ci tenevo eccome, era per quello che ero ridotta
così e cercavo di
sviare il discorso. Dovevo darle qualche informazione in più
per evitare che si
preoccupasse, senza però ritrovarmi di nuovo davanti agli
occhi l’immagine di
la Push che cercavo invano in ogni momento di rimuovere.
«
Sono cambiate molte cose
Rosalie….credo che Edward abbia fatto delle nuove scelte e
quindi non dovresti
preoccuparti troppo, sono certa che si farà vivo al
più presto»
«Ma
perché non torna e ha il
cellulare staccato, maledizione!! Esme è preoccupata e anche
Carlise non sa
cosa fare e dove cercarlo. L’unica persona che forse sa
qualcosa in più sei tu,
visto il rapporto che avevate, e te ne stai qui tranquilla come se
niente
fosse» era di nuovo arrabbiata e potevo capirla, ma non potei
fare a meno di
ribattere:
«
Credimi Rosalie sono tutt’altro
che tranquilla. Non so dov’è, ti ripeto, ma sono
certa che stia bene», anche
perché in cuor mio non potevo nemmeno immaginare che gli
capitasse qualcosa di
brutto.
«
E come fai ad esserne certa,
eh?». A quell’ulteriore accusa non ce la feci
più e con un tono di voce che non
mi si addiceva le inveii contro:
«
Perché l’ho visto con Leah
sulla spiaggia di la Push e molto probabilmente è con lei.
Non chiedermi perché
non ve lo ha detto, ma sono certa che ora sia felice e stia
più che bene».
Le
lacrime avevano iniziato a
sgorgare dai miei occhi, i singhiozzi e il respiro sembravano quasi
bloccarmi
il battito del cuore. La vista mi si annebbiò, ma riuscii
comunque a
distinguere il volto di Rosalie che mi guardava stupita.
Capì
probabilmente di aver
esagerato e addolcì il tono avvicinandosi a me e poggiandomi
una mano sulla
spalla:
«
Bella, ma sei sicura…io non
posso credere, ma come….?»
«
Devi crederci….li ho visti con
i miei occhi…» alzai lo sguardo e lo puntai nel
suo, trasmettendole tutto il
dolore che stavo provando in quel momento al riemergere del ricordo.
«
Ti prego Bella, dimmi tutto
quello che sai».
All’inizio
non ne avevo
intenzione, ma poi mi resi conto che non potevo più
continuare a tenermi tutto
dentro o sarei scoppiata. Le raccontai del loro incontro stupidamente
proposto
da me, della mia passeggiata e del bacio. Del fatto che fossi riuscita
a
partire subito senza sentire alcuna spiegazione dal fratello.
«
Bella, magari ti sbagli…forse
hai frainteso…» la guardai con un sorriso in
faccia che sembrava più che altro
isterico.
«
No Rosalie, non posso aver
frainteso. Se vuoi che ti dica quello che penso, probabilmente sono
tornati
insieme e Edward non se la sente ancora di raccontarlo alla famiglia
visti i
precedenti. Vedrai che fra qualche giorno si farà vivo lui.
Il fatto che abbia
tentato di chiamare me più volte ne è una
dimostrazione»
«
Ha cercato di chiamarti? E tu
gli hai parlato?»
«
No, ho rifiutato tutte le chiamate
e cancellato i messaggi»
«
Ma mi spieghi perché? forse
potevate chiarivi….», non la lasciai proseguire.
«
Chiarirci di cosa Rosalie eh?
Del perché abbia baciato la donna con cui è stato
per tre anni e dalla quale ha
quasi avuto un figlio? Io e Edward non stavamo insieme, lui ha il
diritto di
fare ciò che vuole della sua vita. E poi, pensi che con
quello che ho provato
vedendoli, avrei potuto avere la forza di parargli e sentire magari delle giustificazioni?
Ti
dico una cosa. Ho vissuto una
storia durata dieci anni e fatta di giustificazioni: non voglio
più ripetere
gli stessi errori». Il mio tono era alto, ma rotto
costantemente dal pianto.
Potei notare nei suoi occhi stupore per il fatto che io fossi al
corrente di
tante informazioni personali sul fratello.
Probabilmente
si pentì di aver
fatto un’affermazione così perché mi si
avvicinò e mi accarezzò i capelli come
si fa con una sorella:
«
Hai ragione Bella scusa, io non
so… è che sembravate ad un passo dal capire
quello che provavate…tu come ti
senti??» la fissai. A quella domanda scoppiai in un ulteriore
pianto, forse
perché il fatto che sapesse e che provasse compassione in
qualche modo per me
mi faceva sentire più vulnerabile, ma in dovere di sfogarmi.
«
Io avevo già capito cosa
provavo ormai da tempo e ora non so più che fare –
le parlai tra le lacrime –
mi sento così a pezzi, senza alcuna motivazione. Sto
cercando di andare avanti,
ma lui mi è stato così vicino in questi ultimi
tempi che qualsiasi cosa faccia
mi ricorda la sua presenza e questo è veramente
devastante».
«
Mi dispiace così tanto, si
capiva che il sentimento che ti univa a lui era molto forte, per questo
non
posso credere a quello che mi hai raccontato. Sembrava così
preso anche lui!»
«
Evidentemente ti sei sbagliata,
come anche Alice. Ci siamo sbagliate tutte» quel
“tutte” era chiaramente
riferito a me, che lasciandomi trasportare dagli eventi e dalle mie
emozioni
avevo forse riposto nel rapporto con Edward più di quello
che effettivamente
c’era.
«
Cosa pensi di fare ora?»
«
Non lo so, probabilmente quello
che sono venuta a fare prima di conoscerlo. Cercare di raccogliere i
cocci
della mia vita e dedicarmi al mio lavoro, ma non sarà
così facile adesso. Avevo
incontrato la serenità con lui, quella che mi mancava ormai
da molti anni».
«
E perché allora non provi a
riprendertelo?», mi venne quasi da ridere tra le lacrime a
quella sua
affermazione.. quante volte lo avevo pensato, ma poi….
«
Non ne ho nessun diritto. Come
ti ho già detto non stavamo insieme, la nostra era solo
un’amicizia molto
profonda, perché io stupidamente
e per
paura non mi sono mai voluta fare avanti. Inoltre era troppo forte
anche per
lui l’ombra del passato e non avrebbe potuto ricominciare
convivendo con quello
che era stato, senza chiarirsi con le persone che avevano fatto parte
della sua
vita».
«
Forse hai ragione, ma una cosa
l’hai detta giusta. Sei stata stupida a non farti avanti,
almeno quanto lui. Il
vostro legame era lampante. è per questo che fatico
così tanto a credere che
sia tornato con quell’arpia. Ma appena lo vedo mi
sentirà…..»
«
No, ti prego!!», la fermai e
quasi la feci sobbalzare, « quando lo vedrai, non dirgli che
so tutto, non
voglio che si senta in colpa per come sono andate le cose fra noi. Ha
sempre
avuto troppa paura di turbarmi o ferirmi e questa cosa lo farebbe stare
sicuramente male…»
«
Ma è giusto secondo me che si
senta un po’ in colpa…»
«
No Rosalie, lui non ha fatto
nulla di male ed è giusto che viva la sua vita come e con
chi meglio crede per
lui»
«
Io credevo che il meglio per
lui ora fossi tu» la sua supposizione mi colpì.
Non aveva mai espresso così
apertamente un giudizio sulla nostra amicizia, « era felice,
sereno, come se
fosse sollevato dai turbamenti della propria vita. Non so come fai
Bella. Io
sarei già impazzita»
«
Non ci sono molto distante »,
ammisi con un lieve sorriso.
Asciugai
le lacrime che non
avevano mai smesso di rigare il mio volto e con un profondo respiro
congedai
Rosalie tranquillizzandola sul mio stato e sul fatto che ben presto
Edward si
sarebbe fatto vivo, anche se con molte probabilità non
sarebbe tornato.
«
Perché, pensi che voglia
ricominciare con lei e viverci subito insieme?», era
veramente stupita di
questa mia supposizione, ma sapevo per esperienza che in certi
frangenti si ha
il desiderio di abbreviare tutti i tempi.
«
Non lo so, ma aspettati di
tutto». Si scusò ancora con me per il modo brusco
in cui mi aveva aggredita e
mi disse che se avessi avuto bisogno lei ci sarebbe stata. La
ringraziai e le
ribadii di non preoccuparsi e soprattutto di non dire al fratello,
quando lo
avrebbe risentito, quello che avevo visto. Era importante che ognuno di
noi
proseguisse la sua vita e non volevo che il senso di colpa avesse la
meglio su
entrambi. Non si trovò molto d’accordo, ma
accettò la mia decisione:
«
Credimi Bella, rispetto la tua
scelta, ma se dovessi trovarti faccia a faccia con lui non esitare a
dirgli
quello che provi. Non puoi tenerti tutto dentro ed è giusto
che sappia ciò che
ha perso, sei una persona stupenda e saresti stata perfetta per
lui» mi sorrise
e strizzò un occhio.
Rosalie
mi stupiva sempre, per
quanto fosse determinata alla sua giovane età. Difficilmente
con quel carattere
avrebbe mai trovato qualcosa che la demotivasse. La invidiavo un
po’ per
questo.
La
salutai accompagnandola alla
porta e lei si raccomandò di riguardarmi e non pensare
troppo. Sarebbe stato
veramente difficile, ma la conversazione con lei aveva contribuito, se
non
altro, ad alleggerirmi il cuore dal tormento, condividendolo con
qualcuno che
aveva visto quanto Edward fosse importante per me e che non mi avrebbe
biasimato sul mio dolore dovendo vivere lontano da lui.
Arrivò
anche il lunedì mattina e
un nuovo inizio delle lezioni.
Sicuramente
la chiacchierata con
Rosalie mi aveva aiutata, ma ero ben lontana dalla serenità
e dalla stabilità.
La
mia sveglia suonò alle sette e
non so per quale motivo il mio primo pensiero fu per lui.
Dov’era
ora? E a cosa pensava?
Una
piccola parte di me sperava
di poterlo rivedere, anche se il dolore sarebbe stato devastante, ma il
mio
lato più riflessivo era convinto che non sarebbe tornato e
in questo ci speravo
per riacquistare un po’ di controllo sulla mia
emotività.
Quando
uscì dalla mia porta per
un attimo immaginai come sarebbe potuta essere quella giornata se lo
avessi
messo al corrente dei miei sentimenti mentre eravamo a Forks: magari mi
sarebbe
venuto a svegliare e saremmo andati insieme a lezione.
Mi
ridestai da questi pensieri
scuotendo la testa, consapevole di quanto fossero poco salutari. Mi
recai con
calma verso le aule, senza guardami intorno, né mentre
percorrevo il giardino,
né una volta giunta nello stabile. Non so perché,
ma sentivo come la necessità
di chiudermi al resto della mondo.
Dopo
aver ritirato il materiale
necessario dalla sala professori e salutato alcuni dei miei colleghi
presenti,
senza prodigarmi in racconti sulle vacanze passate, mi recai alla mia
prima
aula. Per i corridoi il vociare e il via vai di studenti e insegnanti
segnavano
il mio passaggio come a rallentatore. Mi resi conto solo in quel
momento che
sarei passata di fronte alla sua aula e l’ennesima stretta al
petto mi
costrinse a prendere fiato.
Cercai
per quanto possibile di
non guardare, ma non ci riuscii: ovviamente era vuota.
Chissà quando la preside
era riuscita ad informare gli studenti dell’assenza del
professor Cullen. Mi
stupii di questo, ma non so perché non potei fare a meno di
osservare il
pianoforte, aspettando di vederlo suonare, come la prima volta, o anche
solo
appoggiato con i gomiti alla tastiera, mentre aspettava di vedermi
passare per
salutarmi con quel suo solito sorriso.
Ma
quel giorno non c’era, e molto
probabilmente non ci sarebbe stato nemmeno per i giorni a venire.
Cercai,
per quanto possibile, di
chiudere nuovamente la mente e mi diressi alla mia aula.
La
mattina passò così, tra
pensieri, immagini, rammarichi: in più di
un’occasione sperai che i miei
studenti non si accorgessero della mia “assenza”, e
per fortuna il filmato
storico che avevo proposto loro mi aveva aiutato in questo mio intento.
Uscii
dall’aula all’ora di
pranzo, rifiutandomi di gettarmi nella parte di mensa riservata ai
professori:
mi limitai a passare di fronte all’ingresso, fermarmi alla
macchinetta del
caffè, con l’intento di aspettare il nuovo inizio
delle lezioni chiusa nella
sala professori.
Nell’attesa
del mio the mi venne
spontaneo sollevare lo sguardo e guardare all’interno, senza
particolare
interesse per chi era presente e chiacchierava del più e del
meno: e fu in quel
momento che una chioma ramata e due spalle larghe fasciate da una felpa
catturarono la mia attenzione. Sgranai gli occhi all’idea che
Edward fosse lì,
ma il the che fuoriusciva dal bicchiere mi fece distrarre. Abbassai lo
sguardo
sul distributore di bevande e poi lo rialzai immediatamente per
guardare
nuovamente la figura di fronte, che mi dava le spalle, ma nulla: non
c’era più.
Non pensai potesse essere lui, ora iniziavo anche ad avere le
allucinazioni….
Presi
il bicchiere e tornai
nell’aula, cercando di chiudere nuovamente la mente ai
vaneggiamenti.
Erano
quasi le 15 quando mi
diressi nuovamente nel mio appartamento. La giornata era
particolarmente rigida
e una leggera nevicata preannunciava un peggioramento del tempo che
avrebbe
sicuramente arrecato problemi.
Il
mio umore rimaneva sempre lo
stesso, nessuna delle azioni che avevo compiuto quella mattina mi aveva
aiutato
a risollevarmi. Sarebbe stato molto più difficile di quello
che avrei potuto
immaginare!
Mi
fermai a pochi passi dal
portone per guardare il cielo grigio e i leggeri fiocchi che
scendevano: la
neve mi affascinava sempre e dava un senso di pace interiore. Sollevai
il viso,
consentendo ai cristalli di appoggiarvisi, poi, qualcuno
chiamò il mio nome
attirando la mia attenzione:
«Isabella!».
Abbassai il volto e
sgranai gli occhi non appena riconosciuta quella voce. Non era
possibile!
Quel
tono così caldo, ma nello
stesso turbato lo avrei potuto riconoscere tra mille. Mi girai
lentamente,
incontrando nuovamente quegli occhi che ogni volta mi riempivano il
cuore con
la loro brillantezza. Probabilmente in quel momento il mio respiro si
fermò.
La
sua voce mi lasciò quasi in
uno stato di trance quando mi chiamò una seconda volta:
«
Bella sei qui? Sai quanto ti ho
cercata?». Potevo vedere una certa preoccupazione nel suo
volto, ma anche un
leggero sollievo.
Non
riuscii a dire nulla, ero
come pietrificata.
Mille
pensieri mi vorticarono
nella mente: perché era tornato? Ed era solo?
Perché mi guardava così, come se
mi avesse cercato per mari e monti e trovarmi fosse stata la cosa
più bella del
mondo? Aveva riallacciato i rapporti con la sua ex e poi chiamava me
con quegli
occhi, quelle labbra….Perché doveva farmi male in
quel modo, illudermi e poi…?
Mai
mi ero sentita vulnerabile
come in quel momento.
Improvvisamente
fece l’ultima
cosa che mai mi sarei aspettata: con due falcate veloci si mosse nella
mia
direzione e mi strinse a sé con una forza inaudita,
sussurrandomi che erano
giorni che mi stava cercando ed era veramente preoccupato.
Per
qualche secondo mi beai di
quello splendido contatto che da tempo mi mancava e che, a dire la
verità, non
era mai stato così profondo. Poi cercai in un angolo del mio
cervello tutta la
lucidità che potevo – ben poca in
realtà – e mi scostai lentamente da lui
sciogliendo il suo abbraccio con il cuore letteralmente in frantumi. E
gli
dissi le parole più fredde che la mia gola potesse emettere:
«
Ero qui. Sono sempre stata qui,
tu sei sparito, con la tua famiglia non hai detto nulla, li hai fatti
preoccupare. Sono tre giorni che ti cercano», mi fermai anche
se in cuor mio
avrei voluto porgli tante di quelle domande da intontirlo.
Ma
non potevo permettergli di
vedere il mio dolore e così cercai di pietrificare i miei
sentimenti così
contrastanti e mi congedai molto freddamente.
«
Scusa, ma ho freddo e ho molto
da fare, ci vediamo poi». Cercai di parlare senza guardarlo
mai negli occhi o
non sarei riuscita a mantenere quella maschera di indifferenza che mi
ero
ripromessa. Mi girai più in fretta possibile e cercando di
non scivolare nel
leggero strato di nevischio che si era formato sul vialetto, mi
precipitai nel
corridoio e poi dentro al mio appartamento, lasciandolo probabilmente
in uno
stato di totale incomprensione.
Appena
chiusa la porta, cercai di
rallentare il respiro nel tentativo di non iperventilare, ma poi mi
accasciai
contro lo stipite, ricominciando a versare lacrime silenziose.
Edward
era tornato, a discapito
di tutte le mie previsioni: ma perché? E perché
mi aveva guardato e abbracciato
come se dovesse riempirsi il cuore con quel gesto?
Non
ce l’avrei mai fatta a sopportare
la sua presenza lì e ad accettare la sua amicizia. Ora ne
ero certa.
Anche
solo sapere che,
probabilmente, fuggendo da lui poco prima nel cortile lo avevo indotto
a
dirigersi al mio appartamento per avere spiegazioni, mi turbava. Forse
non avrebbe
avuto il coraggio di bussare rendendosi conto che qualcosa non andava,
o meglio
moltissime cose non andavano. E il pensiero che potesse essere dietro a
quella
porta cui io ero appoggiata in preda alla disperazione, che potesse
toccarla
nel vano tentativo di ristabilire un contatto con me, mi stava
distruggendo.
Avrei tanto voluto spalancarla, gettargli le braccia al collo e
stringerlo fino
a fondere il mio cuore con il suo, ma poi?? Non sarei più
riuscita a
risollevarmi dalla consapevolezza che ciò che desideravo non
si sarebbe mai
potuto avverare per colpa di quello che avevo visto in quella dannata
spiaggia
solo pochi giorni prima.
Ignorai
la sensazione della sua
presenza dietro le mie spalle, mi alzai arrancando e come il primo
giorno che
ero tornata dall’America, mi gettai sul letto, allungai le
mani sul comodino e
affondai nel silenzio di un sonno indotto, che azzerava i miei sensi e
la mia
razionalità.
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Capitolo 45 *** “ Supposizioni” ***
Capitolo
45
“ Supposizioni”
Quando
riaprii gli occhi nessuna
luce filtrava dalle finestre.
Avevo
probabilmente dormito tutto
il pomeriggio ed era notte inoltrata.
A
fatica mi sollevai dal letto e
mi diressi alla finestra per guardare fuori. La neve continuava a
scendere e
tutto il campus era ricoperto da uno splendido manto bianco.
Cercai
di focalizzare quello che
era accaduto: Edward era lì e mi aveva cercata. In
realtà ci sarebbero potuti
essere decine di motivi per giustificare la sua presenza, ma mi aveva
cercata,
aveva detto che era in pensiero per me, ed io non ero riuscita a fare
altro che
fuggire: come una perfetta codarda non avevo avuto il coraggio di
chiedergli se
era solo e se si sarebbe trattenuto, ma dopo tutte le supposizioni che
avevo
fatto, non potevo certo fare finta di niente e fare come se non fosse
mai
accaduto nulla.
Mi
resi conto che il deviare le
sue attenzioni non sarebbe stato facile: era sempre stato
così protettivo nei
miei confronti, al di là dei miei sentimenti, che non
avrebbe esitato
dall’assicurarsi che io stessi comunque bene.
E
io cosa avrei dovuto fare?
Sarebbe stato difficile rivolgergli la parola e impossibile essergli
amica come
prima. Decisi che non ero ancora pronta ad affrontarlo e
così optai per la cosa
più semplice da fare: l’indifferenza.
Con
molta fatica avrei cercato di
evitarlo, di parlare con lui il meno possibile e sperai vivamente che
con
questo mio atteggiamento si sarebbe allontanato definitivamente.
Ma
era poi quello che volevo? E
chi mi diceva che avrebbe cercato nuovamente di avvicinarmi?
La
testa iniziava a scoppiarmi
con tutte queste supposizioni, ma decisi di fare proprio
così.
Cercai
di rimettermi a letto e
riposare il più possibile, quando una melodia proveniente
dal piano di sopra mi
arrivò in sordina: era lui non, c’era dubbio.
Stava suonando qualcosa di
veramente triste e non potei non far emergere i miei pensieri
più dolorosi e
rimettermi a piangere. Sapevo che mi avrebbe potuto sentire come era
già
capitato in passato e così soffocai le lacrime sul cuscino,
crollando in un
sonno sfinito.
Il
mattino dopo mi svegliai molto
presto e molto stanca, ma mi resi conto che se volevo evitarlo dovevo
ricordare
le sue routine e cercare di muovermi per il campus in orari diversi dai
suoi.
Non sarebbe stato facile, anche perché in fondo una parte di
me avrebbe voluto
tanto poterlo vedere, magari di nascosto, per non dargli la
soddisfazione di
dimostrargli che sentivo la sua mancanza. Mi vestii e preparai uscendo
molto
presto dal mio appartamento. Quando mi trovai sulla soglia del portone
mi resi
conto di quanta neve era caduta nella notte:
«
Non sarà facile muoversi oggi»,
una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare. Per un attimo il timore
che fosse
lui mi gelò il sangue, poi mi resi conto che si trattava
solo di Jasper.
Cercando di essere più cordiale possibile lo salutai:
«
Ciao Jas, bentornato, quando
sei arrivato?»
«
Ieri sera, per fortuna poco prima
che chiudessero l’aeroporto per neve. Come va Bella, ho visto
che è rientrato
anche Edward».
Inghiottii
il magone che ogni
volta che sentivo pronunciare il suoi nome mi saliva in gola e cercai
di essere
più normale possibile.
«
Abbastanza bene, grazie. Il
ritorno è stato un po’ frettoloso, ma ho avuto
qualche giorno in più per
riposarmi. Alice?»
«
Ha preso la coincidenza per
Parigi ieri. Senti Bella….», si interruppe
abbassando prima lo sguardo e poi puntando
i suoi occhi su di me, « Alice mi ha detto che
c’è stato qualcosa che ti ha
turbato e al di là di Emmet ti ha portato a non farti viva
con Edward. Sai che
è sparito per tre giorni dopo che te ne sei andata? I suoi
genitori erano
veramente preoccupati. E poi me lo sono ritrovato ieri sera quando sono
arrivato:
tu hai idea di cosa sia successo?»
Presi
un respiro profondo e
cercai di proporgli la prima versione che avevo spiattellato anche a
Rosalie,
anche se con lei non aveva avuto successo:
«
Non so, io sono rientrata, ma
non ho avuto modo di contattarlo, secondo me si è solo
fermato da qualche parte
e non ha pensato di avvisare la sua famiglia…può
capitare » e potevo anche
immaginare dove e con chi si era fermato. La mia solita fitta, ormai
divenuta
parte del mio essere si fece sentire, ma riuscii a proseguire con il
tono più
sereno e falso che potessi montare.
«
L’importante è che sia qui,
sano e salvo. Darà le spiegazioni che
riterrà opportune alla sua famiglia:
è adulto in fondo. Scusa ma ora
devo andare. Vista la giornata conviene avvantaggiarsi». In
realtà il mio
intento era quello di allontanarmi da quell’ingresso, visto
il via vai che
iniziava a vorticare e che avrebbe potuto vedere presto anche la
presenza di
Edward.
Salutai
Jasper con un sorriso
forzato, che lui ricambiò sempre molto gentilmente senza
ulteriori domande e mi
tuffai letteralmente nella neve in direzione della mia aula. Per
fortuna quella
mattina non avrei fatto lezione a fianco all’aula di musica e
pensai che
chiudermi dentro fin dal primo mattino mi avrebbe impedito ogni
contatto.
Non
fu facile cercare di
evitarlo. Ero quasi convinta mi stesse continuamente cercando, nei
corridoi,
nelle aule, perché ogni spostamento che effettuavo nel
campus lo notavo in
lontananza che mi guardava, con aria pensierosa. Spesso lo vedevo al
telefono
che parlava animatamente e in cuor mio le supposizioni su chi fosse il
suo
interlocutore, anzi la sua interlocutrice, si fecero sempre
più forti.
Ovviamente non poteva essere partito senza remore, lasciando Leah sola
a Forks:
dopo quello che avevo visto era normale che si sentissero essendo
così lontani.
In
quanto a noi, non cercò di
avvicinarmi, non so se per il mio atteggiamento della sera prima o se
perché il
suo interesse nei mie confronti era sfumato con il riavvicinamento a
lei. La
mia mente era confusa, ricordava perfettamente il suo abbraccio e
l’ansia nella
sua voce dopo che mi aveva ritrovata, ma ora non nascondevo la
delusione nel
vederlo distante. Ma poi che mi aspettavo? Dopo quello che era accaduto
era
ovvio che cercasse di mantenere le distanze e forse il giorno prima
aveva dato
solo libero sfogo alla sua preoccupazione per la mia repentina
partenza.
La
giornata passò nella normalità
fatta eccezione per la mia apatia e i suoi continui sguardi che
sembravano
perforarmi ogniqualvolta passavo nella sua traiettoria. E fui quasi
certa che
fosse passato dietro alla mia porta più di una volta quando
ero rientrata nel
mio appartamento: per evitare qualsiasi possibilità di
incontro non ero più
uscita una volta terminate le lezioni e mi fiondai a letto prima
possibile con
la mia quotidiana dose di sonnifero, ormai indispensabile per riposare
senza
incubi e frustrazioni ed evitare la mattina dopo di mettere in evidenza
il mio
animo ormai in briciole.
Anche
i due giorni successivi
passarono nello stesso modo. Io che tentavo la fuga al mattino per non
incontrarlo nel dormitorio e nei corridoi, lui che mi guardava da
lontano, i miei
rientri subito dopo le lezioni quando mi accorgevo che anche lui
passava dietro
la mia porta. Sapevo che andando avanti così ancora un
po’ avrei rischiato
l’autodistruzione, così come mi era già
capitato ormai due anni prima. Ma ero
ancora confusa e di sicuro non ero pronta ad affrontarlo e a parlargli
come se
nulla fosse accaduto.
Le
cose non migliorarono quando
venerdì, ad una settimana dal mio rientro me lo trovai fuori
dalla porta di
primo mattino. Questa volta con la chiara intenzione di non limitarsi a
guardarmi, ma per parlare. Mi accorsi della sua presenza solo chiudendo
la
porta: era alla fine delle scale e aveva uno sguardo misto fra
l’indagatore e
il preoccupato. Quegli
occhi mi trafissero l’anima e capì che
probabilmente non sarei riuscita a
fuggire, ma nemmeno a parlargli come avrei dovuto. Cercai di fare finta
di niente
quando una mano calda, bollente si poggiò sul mio
avambraccio. Mi voltai nella
sua direzione: temevo che dal mio sguardo, che voleva trasparire
indifferenza
nei suoi confronti, si notasse invece il dolore e la tristezza che
abitavano
ormai il mio cuore da una settimana per il nostro allontanamento. La
sua
stretta non fu forte e probabilmente con uno strattone sarei riuscita a
liberarmi,
ma non lo feci. Forse inconsciamente e masochisticamente sentivo la
necessità
di un contatto tra noi. Non aprii bocca, ma lo fece lui per primo:
«
Ciao Bella, come stai?»
Non
ci vedevamo da una settimana,
ero fuggita da lui e lui mi chiedeva come stavo? Avrei solo voluto
guardarlo
negli occhi e dirgli tutta la verità, che ero a pezzi, e
piangere tra le sue
braccia per sentirmi dire che mi ero sbagliata, che su quella spiaggia
non era
lui e che era innamorato di me. Invece mi limitai a rispondergli molto
freddamente:
«
Bene grazie», distolsi subito
lo sguardo, non ero assolutamente in grado di continuare a guardalo
negli occhi.
Nonostante questo mio atteggiamento distaccato, cercò di
continuare la
conversazione:
«
Sono giorni che non ti vedo e
anche di sera ho spesso bussato, ma non mi hai mai risposto: ho
più volte
creduto non stessi bene».
Non
potevo confessargli che
appena arrivavo in casa mi fiondavo a letto sotto sonniferi, non
avrebbe
sicuramente “approvato”. Mi limitai a rimanere sul
vago e a distanziarmi da
lui, dal suo profumo, dal calore che emanava la sua pelle e in cuor mio
stavo
cercando di vincere il desiderio di gettargli le braccia al collo.
«
Sto bene, veramente, forse non
mi avrai trovato in casa….» il mio tono sempre
meno indifferente e il muro che
avevo cercato di costruire si stava sgretolando di fonte al dolore al
cuore e
alle lacrime che cercavano di uscire. Lo vidi fermarsi pensieroso e
intervenni
prima che potesse dire qualsiasi altra cosa:
«
Scusa, ma ora devo proprio
andare o farò tardi»
«Aspetta!»
Le
sue mani nuovamente su di me a
stringere le mie nel tentativo di attirare la mia attenzione. Ma non ce
l’avrei
fatta. Se fossimo rimasti in quel corridoio ancora un minuto sarei
crollata. Dovevo
assolutamente andarmene.
«
Ti prego Bella che succede?»
no, non doveva chiederlo.
«
Niente, per favore, ora
lasciami …» ormai non riuscivo più a nascondere
i miei occhi lucidi.
«
Perché mi stai evitando, cosa è
successo?» Ecco sapevo che sarebbe arrivato lì e
ora? Che cosa avrei potuto
dirgli? Dovevo mentire, ma la mia espressione non mi avrebbe
sicuramente
aiutata.
«
Non è successo nulla e non ti
sto evitando; non ci sono state occasioni per vederci, ho avuto molto
da fare»
sentii le lacrime pungermi ai lati degli occhi. Dovevo fuggire,
allontanarmi da
quella situazione per evitare di mettere su un piatto
d’argento il mio
tormento.
«
Bella…… » solo un sussurro, poi
il suo sguardo, triste, sconcertato, probabilmente preoccupato per me,
le sue
mani che si allontanavano da me che indietreggiai leggermente.
Poi
feci un errore, misi in
parole il mio dolore, dimostrandogli l’esatto contrario di
quello che fino a
quel momento avevo voluto far trapelare: l’indifferenza.
«
Ti prego Edward, non ce la
faccio….» sussurrai allontanandomi e guardandolo a
tratti negli occhi, ma non
riuscii a trattenermi oltre e scappai via piangendo e lasciandolo
lì,
probabilmente solo con mille dubbi.
Scappai….
scappai nel cortile del
campus, ma anziché dirigermi alla mia aula, mi precipitai
verso lo stabile
della piscina. Non potevo permettere che i miei studenti mi vedessero
così.
Arrivai dietro lo stabile, dal lato che dava verso il grande parco
tutto innevato,
mi appoggiai al muro e mi accasciai su me stessa.
Passò
quasi mezz’ora prima di accorgermi
di essere al limite del congelamento, riprendermi e focalizzare che non
mi
sarei assolutamente potuta recare a lezione in quelle condizioni.
Così chiamai l’ufficio
e avvisai che non mi sentivo bene e non avrei potuto lavorare quella
mattina.
La segretaria si dimostrò molto disponibile e mi
augurò una pronta guarigione.
Tornai
a casa cercando di non
farmi notare, chiusi la porta, le imposte e mi gettai sul letto, debole
più che
mai. No ne ero certa, se non me ne fossi andata di lì non
sarei riuscita più a
uscirne. Dovevo parlare con Jacob!
Purtroppo
l’unica con cui mi
scontrai il mattino dopo fu Rosalie. In realtà mi venne il
dubbio che mi avesse
pedinato nel momento in cui ero uscita dal mio appartamento per cercare
Jake e
chiedergli dell’appartamento in paese. Non che mi esaltasse
l’idea di vederlo,
ma non potevo più continuate così e allontanarmi
mi sembrava l’unica soluzione.
«
Bella, ti devo parlare» intuii
subito di cosa e cercai di essere evasiva, anche se nei giorni
precedenti al
rientro di Ed mi aveva sostenuto e si era preoccupata per me.
«
Rose non posso scusa…» risposi tentando
di allontanarmi senza guardarla a lungo.
Mi
bloccò per un polso, il volto
serio: « Bella ti prego solo un minuto…»
lo sguardo triste, la fissai ero
seriamente combattuta se ascoltarla o fuggire, ma lei non lo meritava,
mi era
stata a sentire e ora dovevo ricambiare il favore.
La
vidi abbassare lo sguardo,
sembrava che non riuscisse per prima a sostenere la situazione anche se
sapevo
benissimo o perlomeno potevo immaginare di cosa volesse parlare:
«
Bella, so che non stai bene…..»
beh il mio viso era lo specchio del mio stato d’animo in quel
momento, chiunque
se ne sarebbe reso conto e lei era l’unica che sapeva
esattamente il perché.
«
Rose…» tentai di dire ma mi
bloccò, « aspetta prima fai parlare
me…hai visto Edward?» avrei voluto mettermi
a piangere e non risponderle, ma mi sembrava inopportuno.
«
Sì Rosalie, l’ho visto…. »
abbassai
lo sguardo e presi un profondo respiro.
«
Bella l’ho visto rientrare
domenica sera, era triste, all’inizio gli sono quasi saltata
alla gola per
essere stato così sconsiderato da sparire per giorni senza
avvisare nessuno, ma
poi mi ha bloccato e chiesto disperatamente se ti avevo visto. Era
visibilmente
preoccupato, non sapeva dove fossi finita e non immaginava che fossi
rientrata,
ti credeva scomparsa nel nulla perché non hai mai risposto
ai suoi messaggi e
alle chiamate».
Come
immaginavo il lato
protettivo di Edward riusciva a prendere il soppravvento in qualsiasi
situazione. Per un attimo elaborai le sue parole non capendo se
sentirmi
lusingata o assolutamente stupita, visto che in teoria di me non gli
sarebbe
più dovuto importare nulla. Poi mi sorse un dubbio: rabbuiai
lo sguardo e la
fissai intensamente:
«
Non gli avrai detto nulla di
quello che ho visto a La Push, vero?» il mio cuore
iniziò a battere forte. Rosalie
non mi avrebbe tradito, ma vedendo me e suo fratello veramente a pezzi
avrebbe
potuto provare di tutto.
«
Voglio essere sincera con te.
Quando l’ho visto così preoccupato avrei voluto
sputargli in faccia tutto
quello che mi hai detto e farlo contorcere ancora di più dal
tormento…. – la
sentii prendere fiato e sussurrare come per parlare fra sè
– idiota…proprio con
quella doveva ricaderci…..» anche se il cuore mi
stava martellando nel petto,
le tempie mi scoppiavano e i ricordi mi accartocciavano lo stomaco, non
poteri
fare a meno di sorridere leggermente nel notare la sua premura nei miei
confronti e l’astio per il fratello in quel momento:
«
poi ho capito che è una cosa
che dovete chiarire fra voi – la guardai ancora
più intensamente, intuendo dove
voleva andare a parare, ma stentavo a credere che me lo stesso
proponendo dopo
che aveva visto il mio stato d’animo – e
così mi sono limitata a sgridarlo per
non essersi fatto vivo e……»,
abbassò lo sguardo e in quel momento capii che si
era sbilanciata più di quello che avrebbe dovuto, pur non
sapendo fino a che
punto
«
Che cosa gli hai detto? » il
mio tono si era leggermente alzato e trapelava preoccupazione per
quello che avrebbe
potuto dire o far intuire al fratello su di me.
Tornò
a fissarmi: « In realtà
molto poco, anzi nulla, gli ho solo detto che sei tornata in fretta e
furia per
Emmet, ma qualcosa in te era cambiato..eri più triste,
più fragile…».
Ero
agghiacciata, speravo non si
fosse spinta oltre, anche se così era già
sufficiente. In quei giorni avevo
cercato a fatica e con poco successo di indossare una maschera di
indifferenza
con lui e la sorella era andata a dirgli che ero fragile. Mi annotai
mentalmente di strozzarla quando le cose fossero state chiarite
definitivamente.
«
Rosalie, perché???» cominciavo
ad arrabbiarmi.
«
Perché tu sei a pezzi e lui è
distrutto: mi ha fatto un mezzo interrogatorio, sai
com’è, e ho faticato per
non dirgli nulla, ma qualcosa ho dovuto fargli capire, almeno il tuo
stato
d’animo per il fatto che lo stai costantemente
allontanando»
«
Non avresti dovuto espormi
così, ti ho detto che deve vivere la sua vita e fare le sue
scelte…»
«
Tutte balle – mi interruppe
seriamente alterata – voi non state vivendo, vi state
trascinando. Io non so se
sia veramente tornato con Leah come dici tu e perché, ma il
fatto è che è qui,
solo ed è estremamente preoccupato perché non
capisce il motivo della tua fuga
e del tuo comportamento. Vede che non stai bene, ed ha capito che stai
cercando
di allontanarlo, ma non si spiega il perché »
«
Cosa dovrei fare secondo te?»
«
Parla con lui, spiegatevi,
forse le cose non stanno come credi e se anche fosse, hai bisogno di
chiarimenti
quanto lui per stare meglio» a quel punto non resistetti e
calde lacrime
iniziarono a bagnarmi le guance.
«
Rosalie – il respiro sempre più
corto – senza di lui non starò sicuramente meglio
,quindi perché vivere di
false speranze……»
«
Io so solo che non potete
andare avanti così, in nessun
caso…comincio a dubitare seriamente del fatto che tu non
abbia frainteso ciò
che hai visto… tu sei a pezzi, lui è in piena
angoscia…parlatevi, solo quello,
poi se è tutto come credi tu, prenderai le tue decisioni, ma
almeno provaci».
Il
mio cuore per un attimo si
convinse di quello che stava dicendo Rosalie e avrebbe voluto
più che mai
sentire dalla voce di Ed la spiegazione di tutto quello che era
accaduto, ma la
mia razionalità mi trattenne: « Non lo so,
l’ho visto più volte parlare al
telefono e immagino anche con chi e non voglio essergli
d’intralcio. Ci devo
pensare, ma ti confesso che anche se mi manca tantissimo, il pensiero
di
parlare con lui è troppo doloroso»
«
Provaci ….ti prego»
«
Non lo so» la mia voce ormai
era un flebile sussurro. Dovevo pensarci, anche se la ragione e il
cuore non
andavano di pari passo. In quel momento mi sentii sprofondare ancora
nel dolore
e la salutai frettolosamente per rientrare nel mio appartamento. Non
avrei
certo potuto parlare con Jacob in quelle condizioni, avrebbe capito fin
troppo
ciò che era accaduto fra me e Ed gongolando di aver avuto
ragione.
Rientrando
continuai a pensare:
il cuore a mille la mente annebbiata. Non ero più in grado
di sostenere quella
situazione, forse non me ne sarei solo dovuta andare dal campus, ma
anche dalla
scuola. Questa cosa mi provocava tristezza, ma mai quanto il fatto di
rimanere
in contatto con Ed senza ricevere spiegazioni. Ogni volta che pensavo
di
parlarli il magone mi assaliva, il respiro diventava affannoso e mi
sembrava
che tutto iniziasse a girare. Il mio stato di ansia aveva raggiunto
livelli
assurdi: lo sapevo, ci ero passata e i sintomi si stavano acuendo.
Sarei finita
di nuovo col crollare in esaurimento. Dovevo andare avanti cercando di
evitare
le situazioni di contatto con lui e allontanandomi il più
possibile. Se mi
avesse visto sempre più distaccata con il tempo ero certa
che mi avrebbe
lasciato perdere. Non si può stare dietro a chi ti ignora
per troppo tempo.
Ok
ero decisa: il mio cuore
sanguinava, ma la mia ragione aveva preso il sopravvento. Mi chiusi in
casa,
presi un respiro pronta ad andare avanti. O perlomeno a provarci.
Ma
ogni mia lieve certezza acquisita
in quelle ore di auto convincimento si dissolsero in un attimo quando
verso le
dieci di sera mi ritrovai Edward in casa: era entrato con le mie chiavi
e mi
osservava con lo sguardo più duro che gli avessi mai visto.
Non
riuscii a proferire parola.
Lo vidi chiudersi la porta alle spalle e fissarmi intensamente:
« Ora parliamo
veramente».
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Capitolo 46 *** “Tu non puoi capire...” ***
Capitolo
46
“Tu non puoi capire...”
Trasalii
nel vedermelo di fronte.
Non ero pronta: mi ero appena detta che avrei continuato ad ignorarlo,
fino a
che non si fosse arreso all’evidenza che non volevo
più legami con lui e ora me
lo ritrovavo davanti.
Cercai
di assumere un
atteggiamento distaccato e indignato per la sua irruzione in casa mia:
«
Cosa ci fai in casa mia?»
«
Avevo bisogno di parlati e ho
capito che non c’era altro modo, non volevo irrompere
così, ma i tuoi silenzi
di questi giorni mi ci hanno costretto»
«
Gradirei che non usassi più le
mie chiavi senza il mio permesso», ok ora stavo proprio
diventando antipatica
oltre che distaccata. Non sapevo se potesse essere la tattica giusta
per
allontanarlo, ma provai comunque.
«
Non mi sembrava che ti desse
tanto fastidio fino qualche tempo fa…» proruppe
lui con un tono quasi di sfida
alle mie parole. Feci il tentativo di girarmi e allontanarmi, ma questa
volta
mi fermò con una presa salda e decisa:
«
Non ti permetterò di scappare
anche questa volta, non prima di aver chiarito il tuo
comportamento».
Questa
volta cercai di
divincolarmi, ma le sue mani erano una morsa nei miei polsi:
« Ti prego
lasciami – gli dissi quasi implorante, le lacrime sul bordo
pronte a
fuoriuscire – mi stai facendo male….»,
non era proprio vero, era il mio cuore a
farmi male, ma sapevo che così lo averi costretto a rivedere
il suo
atteggiamento.
Lo
sentii allentare la presa, ma
non lasciarmi del tutto: « Mi dispiace, non è mia
intenzione farti male, sai
che non potrei mai, ma….con il tuo atteggiamento tu ne stai
facendo a me» e per
la prima volta da giorni vidi in lui non solo la preoccupazione per me,
ma il
tormento dei suoi pensieri sul mio comportamento. Non riuscii a
ribattere e
questo gli diede la forza di continuare e finalmente espormi quello che
gli
aveva dato più fastidio:
«
Sei fuggita da Forks senza
cercarmi e senza lasciare detto a nessuno dove andavi. Nemmeno tuo
padre mi ha
saputo dire nulla. Io avevo bisogno di vederti e tu eri scomparsa. E
poi torno
qui convinto di non vederti più, che tu fossi
chissà dove e ti ritrovo, ma mi
tatti come se noi……come se non ti importasse
nulla di me».
Perché
mi parlava così? Perché
quel tono di preoccupazione misto a tristezza per
l’allontanamento di una persona
che, comunque prima o poi, si sarebbe dovuta staccare da lui se le sue
scelte
nella vita fossero state quelle che supponevo?
Non
so perché, ma nonostante mi
sentissi oltremodo distrutta, sia per il ricordo di quello che avevo
visto che
per le sue parole decisi di ribattere:
«
Sinceramente sei tu quello che
è sparito dalla circolazione per tre giorni e potrebbero
essere successe tante
cose che lo giustificano, ma non sono certo qui a chiedere e
interrogare come
stai facendo tu. Perché avevi bisogno di vedermi? Mmhh?Non
credo sia sempre
necessario dirsi tutto, in fondo siamo due colleghi e
amici…non….» abbassai lo
sguardo e mi fermai, non potevo certo andare oltre. Eravamo nel mio
ingresso,
non ci eravamo spostati e cercai una via di fuga in cucina,
approfittando del
fatto che le sue mani non erano più sulle mie.
Mi
seguii velocemente e mi
scavalcò parandomisi davanti.
«
Amici o no non si può scappare
da tutto Bella, a meno che non sia capitato qualcosa che ti ha
costretto a
farlo. È un comportamento immaturo e inoltre fai preoccupare
le persone che
tengono a te» il suo tono era molto alterato, i muscoli del
volto tesi: era
arrabbiato e potevo capire. Lo sarei stata anche io al suo posto, ma
non volevo
comunque abbandonare la mia posizione di “difesa”,
non gli avrei dato la
soddisfazione di capire. Sapevo che il mio atteggiamento
così testardo non gli
avrebbe fatto piacere, ma era l’unico che mi sentivo di
intraprendere al
momento.
«
Senti, sinceramente non vedo il
motivo per continuare a parlarne, io son tornata qui, tu anche:
evidentemente
le paure di tutti erano infondate, quindi direi di chiudere
l’argomento»
«
No che non lo chiudo l’argomento!»
il suo tono si era alzato, era deciso più che mai e in quel
momento,
guardandolo negli occhi mi resi conto che non avrei avuto via di fuga,
non mi
avrebbe lasciato fino a che non avesse capito il perché del
mio atteggiamento.
Ma io ero altrettanto decisa a non far trapelare nulla, non volevo che
il mio
dolore nel saperlo con un’altra influenzasse la sua decisione
di vivere come
meglio credeva.
Lo
sentii prendere un respiro
profondo e abbassare lo sguardo: « Ho passato ore al telefono
con Alice nei
giorni passati, cercando di capire dalle sue parole cosa poteva averti
spinto a
questo atteggiamento. Mi ha sempre detto di non sapere nulla, ma solo
di averti
sentito distrutta prima della tua partenza. E so che hai incontrato
anche Rosalie.
Forse è proprio lei che mi ha spinto a passare: dice che sei
turbata da quando
sei rientrata e che qualcosa ti deve aver scosso. In questi giorni ho
lasciato
correre il tuo atteggiamento, perché so quanto sei fragile,
ma adesso basta,
non credo di meritare tutta questa indifferenza che hai nei miei
confronti….e
quest’astio che proprio non capisco. Dovrei essere io quello
infuriato…..mi hai
abbandonato oltreoceano. E invece torno qui e ti ritrovo che nemmeno mi
vuoi
rivolgere la parola», lo vidi abbassare lo sguardo in modo
quasi rassegnato,
poi appena con un sussurro lo sentii proseguire « Credo di
sapere cosa ti fa
stare così, ma vorrei fossi tu a dirmelo. Non so come sia
potuto succedere, ma
dovevo immaginarlo».
Mio
dio, aveva capito, ma come
era possibile!! Ero certa che non mi avesse visto sulla spiaggia, ma
forse
aveva intuito, Alice gli aveva detto qualcosa in più e anche
Rosalie. In quel momento
mi si formò un vero e proprio groppo alla gola: abbassai lo
sguardo e chiusi
gli occhi prendendo fiato. Sapevo che la verità era vicina,
tutto dipendeva da
chi per primo
l’avrebbe fatta emergere. Le
parole non sarebbero comunque uscite dalla mia bocca in quel momento,
tanto era
l’ansia, e per un attimo temetti di crollare come tutte le
altre volte.
Capendo
che non avrei risposto si
fece avanti lui, ma la sua affermazione mi stupì :
«
Io ti capisco… temevo che
sarebbe successo. Sapevo che tornando a Forks ci sarebbe stato il
rischio, ma
non lo avevo proprio calcolato; eravamo stati così bene fino
a quel momento…..
e io quel giorno non ero con te».
Ok
ora mi ero proprio persa: ma
di cosa stava parlando? Si riferiva al suo incontro con Leah come a
qualcosa
che era successo a me e non a lui. Avrei tanto voluto urlargli in
faccia che,
sì, quel giorno non era con me perché era
incollato ad un’altra. Non so come ci
riuscii, ma mi riscossi per un attimo dai miei pensieri, cercai di fare
mente
locale delle sue parole e finalmente una domanda uscì dalla
mia bocca: « Ma a
cosa ti riferisci?»
Lui
alzò lo sguardo che fino a
quel momento era rimasto fisso sulle sue mani: non lo avevo mai visto
così. Era
veramente….preoccupato.
«
Ti sei vista con James vero?»
«
Cosa????» non riuscivo proprio
a capire come gli fosse uscita un’idea del genere. Intanto,
per essere lì James
avrebbe dovuto sapere che ero tornata in America….e poi per
come stavano
andando le cose fra me e Edward, anche se lo avessi visto non lo avrei
minimamente calcolato.
E
chi se ne fregava di James!
Non
mi lasciò dire altro e
continuò con le sue supposizioni:
«
Bella dovevamo incontrarci, mia
sorella ha detto che sei passata da casa e poi se uscita di nuovo molto
turbata.
Poi non ti ha più vista per due ore fino alla tua chiamata
disperata con la
quale annunciavi che saresti partita in fetta e furia. La mia mente ha
vagliato
mille ragioni per giustificare un comportamento di questo tipo e
l’unica che mi
è venuta in mente è che tu abbia incontrato James
e che per un qualsiasi motivo
tu abbia cercato di fuggire…ancora».
Ero
allibita. Non aveva intuito
nulla, non sapeva nulla e questo stava anche a dimostrare che nemmeno
Alice
aveva capito il perché del mio stato d’animo e
Rosalie non aveva parlato.
Quello che mi aveva portato a scappare gli era ancora celato. Ma sarei
riuscita
a mantenerlo tale?
Non
contenta di ciò che stava
ipotizzando lo incalzai: non so se perché preferivo che
pensasse che James fosse
il motivo della mia fuga o se perché volevo sapere cosa
aveva provato quando
ero scomparsa da lui.
«
Come puoi aver pensato ad una
cosa del genere, cosa centra James?»
Mi
guardò negli occhi, profondi e
tristi più che mai e continuò quasi sussurrando:
« Spiegami che altro motivo
avresti avuto per scappare se non quello di aver incontrato i tuoi
fantasmi….sai che per un attimo quando non ti ho
più trovata…. – chiuse un attimo gli occhi e fece
un respiro profondo,
come se quel ricordo fosse un dolore fisico per lui – ho
seriamente pensato che
tu lo avessi incontrato e spaventata che potesse accadere qualcosa fra
voi
avessi preferito scappare. Poi quando ho cercato di chiamarti e non hai
mai
risposto, mi sono convinto che forse non volevi scappare da
lui…..ma da me».
Ero
allibita e continuavo a
porgli domande stupide e senza senso solo per capire piccole sfumature
del suo
stato d’animo in quel momento, anziché chiarire
ciò che in realtà era accaduto:
« e perché sarei dovuta scappare da te?»
Questa
volta abbassò lo sguardo
come se il rispondermi guardandomi negli occhi non gli fosse possibile:
« Perché
ho pensato che in fondo tu potessi essere ancora innamorata e avessi
preferito
allontanarti con lui senza dirmi nulla per evitare
di….» non finì fino a che io
non lo incalzai
«…Di?»
«
Di dover ammettere che vuoi
ricominciare la tua vecchia vita…senza la mia
presenza».
Ero
sconvolta, non tanto perché
credeva che potessi voler ricominciare con il mio ex così di
punto in bianco,
quanto perché il farlo lo avrebbe reso triste, stato
d’animo inadatto visto il
suo riavvicinamento a Leah. Non riuscivo a capire il perché
di questi suoi
pensieri, sembrava l’idea di una persona innamorata, gelosa
del passato, ma non
poteva essere così, non più ormai visto quello
che era successo. Decisi che
sarebbe stato meglio sfatare queste sue assurde idee senza comunque
dirgli
altro.
«
Non ho incontrato nessuno Edward,
sono solo rientrata per via di Emmet. Suppongo ti abbiano detto cosa
è
accaduto?» non credevo nemmeno io alle mie parole, come avrei
mai potuto
pensare che una persona sensibile come lui e così capace di
leggermi l’anima
potesse abboccare ad una balla simile?
«
Vuoi farmi credere che ti sei
affannata a rientrare solo per lui? Che non hai lasciato detto a
nessuno dove
andavi, che sei letteralmente fuggita in poche ore al di là
del mondo solo per
uno studente e i suoi problemi?» come temevo non credette
alla scusa. In realtà
sia Alice che mio padre sapevano dove ero andata, anche se ignoravano
la mia
decisione di fondo di farlo in fretta e furia e questo giocava
sicuramente a
mio svantaggio. Partire così non era stata l’idea
del secolo se volevo tenergli
nascosto ciò che avevo scoperto. Ma in quel momento la
razionalità era l’unica
cosa che mi mancava e fuggire mi era sembrata l’unica
soluzione valida, anche perché
mai mi sarei immaginata che lui sarebbe tornato indietro a chiedermi
spiegazioni.
Questo
era il punto!
Lui
non sarebbe dovuto essere lì
nel mio appartamento a preoccuparsi del perché lo ignoravo:
lui si sarebbe
dovuto trovare in America, con la sua
compagna per ricominciare da dove avevano interrotto anni
prima. E
invece era entrato in casa mia e mi stava implorando con lo sguardo di
dargli
una spiegazione per il mio comportamento così distaccato
degli ultimi giorni.
Forse
molto stupidamente cercai
di non pensare che più di ogni altra cosa avrei voluto
stringerlo a me e dirgli
che non si sarebbe mai dovuto preoccupare: James non avrebbe mai potuto
ritrovare
posto nel mio cuore, perché ora era interamente occupato
– anche se in frantumi
– da lui: così decisa continuai a sostenere che la
tesi del mio rientro era
dipesa esclusivamente da Emmet.
«
E allora se veramente è solo Emmet
il motivo per cui sei tornata, spiegami perché da quando
sono tornato mi ignori.
Quando ti ho vista mi sono momentaneamente rassicurato, ma poi il tuo
distacco
mi ha fatto nuovamente dubitare che fosse veramente accaduto
qualcosa» ecco ora
che gli avrei detto?
Tutti
i miei precedenti tentativi
di giustificarmi lo avevano lasciato totalmente scettico. Non avrei
certo
potuto continuare ad avvalorarli: non l’avrebbe bevuta.
Non
riuscii a dire altro e il mio
silenzio gli confermò le sue sciocche paranoie:
«
Allora è come dico io. Sei partita
perché lo hai incontrato e hai avuto paura di non poterlo
respingere e ora che
sei qui sei pentita di averlo fatto e vorresti essere con lui!?!?
Vero!?!?!» no,
non c’era proprio, ma a quel punto cercai di farmi
più male possibile
chiedendogli l’ultima cosa che mi sarebbe dovuta interessare:
« e se anche
fosse? »
«
Cosa?»
«
Se anche avessi incontrato James,
per te cosa significherebbe?» il mio tono non era
più incerto, ma quasi
alterato. In fondo lui era stato con Leah, se io avessi incontrato
James e la
cosa mi avesse fatto tornare la nostalgia del passato, non sarebbero
stati
affari suoi e non lo avrebbe dovuto turbare più di tanto.
Probabilmente
lo lasciai senza
parole: lo vidi aprire leggermente la bocca come per far uscire
qualcosa che
non uscì. Allora continuai.
«
Rispondimi Edward, quale sarebbe
stato il tuo problema se io lo avessi incontrato? Sembri quasi geloso e
mi
sembra fuori luogo» il tono sempre più alto, il
pensiero di lui con un'altra
sempre più radicato nel mio animo.
«
Perché mi avevi detto che lui
per te non era più nulla e io credevo…»
«
Beh si dicono tante cose Ed…anche
tu avevi detto che non ti interessava più Leah, eppure quel
giorno ti sei
attardato con lei» purtroppo nella mia fragilità
stavo scoprendo le mie carte e
questo avrebbe voluto dire mettere in tavola la verità.
«
Io e lei dovevamo chiarirci, me
lo hai consigliato tu» lo sguardo confuso, probabilmente non
capiva dove volevo
andare a parare.
«
Si, è vero, ed è proprio per
quello che non dovresti preoccuparti sul fatto che io abbia visto o
meno James.
Ripeto non hai il diritto di essere geloso!» ero
sull’orlo delle lacrime e non
sapevo quanto avrei ancora potuto trattenere la rabbia e la
verità. Poi vidi il
suo sguardo farsi pensieroso: non ci sarebbe mai potuto arrivare da
solo, ma
era una persona molto perspicace e poteva intuire molto di
più di quanto non
gli veniva detto.
«
Perché non dovrei avere il
diritto di esserlo, in fondo siamo stati molto…vicini in
questo periodo» a
quell’affermazione non ce la feci più e sputai
tutta la verità nel vano tentativo
di alleggerirmi almeno l’anima.
«
Siamo stati vicini sì, ma come
due amici, niente altro, perché due persone vicine, come
dici tu non si
lasciano andare alla prima occasione con il proprio passato!»
«
Ma che stai dicendo?»
«
Sto dicendo che tu accusi me di
essermi allontanata perché ho incontrato James, quando sei
tu che ti sei
riavvicinato a Leah»
«
Riavvicinato, ma che stai
dicendo….?»
«
Che ti ho visto, maledizione Edward,
smetti di negare! – ero ormai
infuriata
e le lacrime avevano iniziato a scendere sul mio volto – ti
ho visto con lei a
La Push, quando dovevate essere a Port Angeles e ti ho visto mentre vi
baciavate quando mi avevi detto che……»
mi fermai non riuscii a continuare una
mano sul volto quasi a voler trattenere il dolore. Piangevo
disperatamente ed
ero quasi certa che, vista l’ora, molti avessero sentito la
nostra discussione.
«
Bella, ma come…»
«
Io ero lì, ti stavo aspettando
e ho deciso di fare una passeggiata…non immaginavo che ci
foste anche voi…»
cercavo di respirare normalmente perché non sarebbe stato il
momento più
opportuno per svenire.
«
Aspetta..lascia che ti spieghi!!
»
«
Non devi spiegarmi nulla – risposi
con la voce ferma, ma gli occhi pieni di lacrime – noi siamo
AMICI e non devi
giustificarti con me. Sei libero di fare ciò che vuoi,
così come lo sono io». I
toni si fecero sempre più concitati quando lui si
ridestò dalla notizia di ciò
che avevo visto e mi rispose: « E’ per questo che
sei scappata? Per quello che
hai visto su quella maledetta spiaggia?»
«
Te l’ho già detto, sei libero
di fare ciò che vuoi!!» ma a chi volevo darla a
bere. A lui no di certo.
«
E allora se è così perché ci
sei rimasta così male? » mi chiese lui ancora
più arrabbiato
«
perché…..», ma mi bloccai
immediatamente, non potevo certo dirgli che lo amavo in quel modo e
poi..? A
cosa sarebbe servito? A fargli solo pena e non avrei mai voluto. Il mio
orgoglio prese il sopravvento in quel momento.
«
Bella rispondimi: perché ti ha
dato tanto fastidio?» nel suo volto il desiderio di sapere
qualcosa che
probabilmente aveva intuito, che voleva sentirsi dire direttamente da
me: ma
non gli avrei dato la soddisfazione, non in quelle condizioni.
«
Non ce la faccio, per favore
esci….» il mio tono si stava calmando, rassegnato
dal dolore per l’incapacità
di buttar fuori i miei sentimenti, le lacrime ricominciarono a scendere
più che
mai
«
Bella…»
«
ESCI!!!!» questa volta urlai,
ma solo perché non volevo che mi vedesse più in
quello stato.
Non
potevo credere che non avesse
capito il perché stavo così. Voleva solo
sentirselo dire e per quale motivo:
orgoglio maschile? Non gli avrei dato la soddisfazione di crollargli ai
piedi.
Probabilmente
capì dal mio tono
che non avrei ammesso repliche e lo vidi voltarsi e allontanarsi. Prima
di
farlo depositò le sue chiavi sul tavolo come a voler
indicare che non si sarebbe
più intromesso nella mia vita e lo sentii chiaramente dire:
« Bella, non è come
pensi, potevo spiegarti. Mi stai allontanando, ma stai
sbagliando» e lo vidi chiudersi
la porta alle spalle con un tonfo. Lo stesso che fece il mio cuore
quando capii
che con quell’atteggiamento, verità o meno lo
avevo probabilmente allontanato e
perduto.
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Capitolo 47 *** “Ora lo sai” ***
Capitolo 47
“Ora lo sai”
Quando
mi svegliai al mattino ero
distrutta, fisicamente ed emotivamente: le lacrime mi avevano tenuta
sveglia
tutta la notte. Il cuore ormai irrimediabilmente a pezzi, non solo per
ciò che
era accaduto a Forks, ma soprattutto perché ero consapevole
che con la litigata
della sera prima avevo allontanato Edward probabilmente in modo
definitivo. Lui
aveva cercato di dirmi qualcosa e io non gli avevo dato alcuna
possibilità di
farlo.
Sapevo
che avrebbe tentato di
spiegarsi, ma la verità era che qualsiasi cosa mi avesse
detto non l’avrei
accettata e probabilmente nemmeno creduta.
Fino
a quel momento era sempre
stato sincero con me, ma ero consapevole del fatto che, pur di non
farmi
soffrire, sarebbe stato in grado di nascondermi di tutto. Se anche mi
avesse
detto che fra lui e Leah era stato uno sbaglio io avevo visto,
l’immagine era
impressa a fuoco nella mia mente e non avrei avuto altre immagine
davanti ai
miei occhi.
Era
un comportamento stupido e
infantile, specie se di mezzo c’erano i sentimenti e una
persona che con me era
sempre stata fantastica, ma quello era il mio modo di reagire alle
delusioni: chiudermi
nella mia realtà e nelle mie convinzioni. Lo avevo imparato
dopo che per troppo
tempo avevo creduto ad una persona che aveva giurato di amarmi e che
avrebbe
fatto di tutto per me e invece mi aveva messo da parte in un attimo
dimenticando tutto ciò che c’era stato.
In
quel momento e in quella
situazione non potevo fare altro che paragonare Edward e James. Sapevo
che il
primo con me era stato unico e che mi aveva dato tanto in pochi mesi,
molto più
di quello che il secondo aveva fatto in dieci anni, ma temevo di fare
con lui
la stessa fine: non sarei riuscita a fare l’amante di nuovo o
peggio ancora a
pormi nella condizioni di aspettare ogni giorno una decisone definitiva
o tutta
una serie di giustificazioni. Avevo imparato a congelare i sentimenti
dopo tanti
anni di attese, delusioni e dovevo cercare di farlo ancora. Anche se
come mi
ero già ritrovata a pensare, il dolore per la perdita di
Edward era molto più
forte di qualsiasi altro in relazione ad un uomo.
Non
so per quale motivo, ma
decisi di approfittare di quella domenica in cui il tempo non era dei
peggiori
per fare due passi. Non potevo comunque continuare a vivere murata viva
in
casa: dovevo cercarmi un altro alloggio e smuovermi da quella
situazione, tanto
più che per come avevo inquadrato la situazione, Edward non
mi avrebbe più
avvicinato. Almeno per un po’ di tempo.
Ma
che stavo pensando?
Avevo
praticamente chiuso la
porta in faccia al mio futuro con lui, ma in fondo speravo che avesse
ancora
tentato di avvicinarmi. Perché i miei sentimenti erano
così confusi e tormentati?
Non
mi resi nemmeno conto, in
mezzo a tutte queste riflessioni, di essermi avvicinata alla piscina.
Era
veramente da tanto tempo che non mi facevo una nuotata, ma il mio stato
mentale
e fisico non me lo permettevano proprio. Forse a causa degli
ansiolitici che
avevo ricominciato a prendere ormai regolarmente ero sempre molto
stanca e
debole. Spesso mi girava la testa e in più di
un’occasione al minimo sobbalzo
emotivo avevo rischiato di perdere i sensi: mi ero vista costretta,
anche
quando andavo a lezione, a fermarmi ed appoggiarmi a qualsiasi cosa a
causa
delle vertigini che mi colpivano improvvisamente. Sapevo che erano
tutti
effetti collaterali e avrei dovuto smettere, ma al momento ero ancora
troppo
instabile per abbandonare i farmaci che erano stati in passato e lo
erano
tutt’ora la mia ancora per una vita apparentemente normale.
Mi
accorsi solo allontanandomi
dallo stabile che Edward dall’angolo del dormitorio dei
ragazzi più grandi mi
fissava con un’aria alquanto seria. Non sembrava intenzionato
ad avvicinarsi a
me e di questo gliene fui grata. Dopo la nostra discussione della sera
prima
non sarei stata in grado di sostenere nemmeno il suo sguardo.
Decisi
di continuare la mia
passeggiata allontanandomi dal campus per recarmi in paese, avevo
proprio
bisogno di infrangermi nell’aria gelida di gennaio: mi
soffermai sulle poche
vetrine presenti, senza un reale interesse. Dovevo solo dare alla mia
mente, che
vagava ancora nei meandri dei miei sentimenti, qualcosa con cui
distrarmi.
Feci
il semplice gesto di appoggiarmi
ad una cancellata con una spalla, più per fermarmi a
riflettere che altro,
quando due mani forti si appoggiarono rapide sui miei fianchi.
Sobbalzai a quel
contatto e mi voltai di scatto. Sgranai gli occhi quando vidi lo
sguardo di
Edward teso e così vicino a me:
«
Bella ti senti bene?» il suo tono
chiaramente preoccupato.
Presi
un profondo respiro e
deglutii prima di rispondere « sto bene
perché?», la sua vicinanza mi procurava
fitte al cuore come se mille aghi ci fossero conficcati e cercai di
mantenere
un tono più distaccato possibile.
«
Non hai un bell’aspetto, ti ho
notato sai. Non dovresti andartene in giro da sola», ma
perché si comportava
sempre così con me: come facevo ad allontanarlo se quei suoi
occhi quando mi
guardavano sembravano dire “stai con me”.
«
Non occorre che tu ti preoccupi
per me, grazie» feci il gesto di andarmene, ma la sua mano
sulla mia mi fermò.
«
Ti prego, possiamo parlare?»
sembrava quasi mi stesse implorando e iniziai a pensare che forse avrei
dovuto
dargli la possibilità di spiegare, anche perché
tutto sembrava tranne che
avesse interesse per un'altra al di fuori di me. In fondo era
lì, era tornato,
solo, e continuava a girarmi intorno. Il mio cuore diceva di dargli una
possibilità, ma la mia mente ripensava a quello che avevo
sofferto fidandomi
degli uomini e purtroppo decisi di dare retta alla seconda:
«
Ti prego Edward, non ce la
faccio»
«
Se solo mi dessi la possibilità
capiresti tutto» la voce ferma, gli occhi nei miei.
«
Ti prego…non adesso – abbassai
lo sguardo dimostrando una grande debolezza sulla mia posizione
– dammi tempo,
ancora non riesco a pensare coerentemente….»
sapevo che prima o poi avrei ceduto.
Non potevo continuare a ritrovarmelo in ogni angolo, fissarlo, sentirlo
mentre mi
implorava di ascoltarlo e rimanerne indifferente. Non ora che gli avevo
raccontato tutto e sapeva cosa mi aveva seriamente turbato.
«
Va bene, ma non far passare
troppo, non voglio che tu…che noi….ci
allontaniamo ancora di più».
Ma
quanto ero stupida in una
scala da uno a dieci? Perché continuavo a farmi tutti i miei
film mentali e non
lo stavo ad ascoltare? Ero quasi decisa a bloccarlo e dargli la
possibilità di
spiegarsi, ma esitai troppo a lungo, facendolo così
allontanare mestamente da
me.
Avrebbe
ancora avuto il coraggio
di avvicinarmi e io sarei stata tanto forte da consentirgli di parlare?
Immersa
nei miei pensieri lo guardai
sparire dietro l’angolo e mi chiesi quante volte mi aveva
seguita nell’ombra,
nel tentativo di parlarmi o anche solo di assicurarsi che stessi bene:
sicuramente fin troppe.
Ad
un tratto mi sentii chiamare e
il volto di Jacob si sostituì a quello di Edward di fronte a
me.
«
Ciao Bella, che ci fai da queste
parti?» vidi nei suoi occhi uno sguardo compiaciuto.
Probabilmente aveva
intuito che tra me e Edward le cose non funzionavano più,
visto il nostro
allontanamento e, anche se non avevo del tutto chiaro il
perché, ne era quanto
mai contento.
Mi
ridestai dai miei pensieri e
gli risposi:« stavo facendo una passeggiata: anche se
è freddo avevo bisogno di
aria»
«
Beh visto che sei da queste
parti, potrei approfittarne e farti vedere l’alloggio che ho
trovato per te»
Già
è vero! Lo avevo proprio
rimosso e sì che glielo avevo chiesto io: ma con tutto
quello che era capitato
dalla settimana precedente era stato l’ultimo dei miei
pensieri. E forse
in realtà non ero poi così convita di
andarmene. Ma in quel momento non me la sentii di rifiutare e accettai.
Mi
accompagnò in una piccola
casetta a qualche centinaia di metri dall’istituto: era di
proprietà di una
coppia di mezza età che ne affittava i locali che a loro non
servivano. In
realtà non era un vero appartamento, ma aveva
l’indispensabile e un ingresso
indipendente e in più era vicino al lavoro. Ringraziammo i
proprietari e mi
riservai di dargli una risposta prima possibile: mentre uscivamo Jacob
si offrì
di accompagnarmi e pur non gradendo la sua compagnia glielo consentii.
In fondo
facevamo la stessa strada e mantenni una ferma distanza fra noi: era
fastidioso
anche solo il camminare di fianco a lui sapendo che era il fratello di
Leah, ma
in quel momento mi stava facendo un favore e avrei almeno dovuto
tollerarlo.
Quando
ci trovammo nel cortile
del Trinity però notai il suo sguardo vagare interessato
alla ricerca di
qualcosa e non feci in tempo a scorgere con la coda
dell’occhio Edward che mi
fissava, che le braccia forti di Jacob mi cinsero e le sue labbra
furono
prepotenti sulle mie.
Ero
sconvolta, sgranai gli occhi,
ma per un attimo non seppi cosa fare. Perché lo stava
facendo? Poi pensando
alla presenza di Ed non lontano capii: voleva indurre il lui il dubbio
che ci
stessimo avvicinando, oppure era talmente stupido da pensare che avrei
risposto
all’infatuazione che già tempo prima aveva
dimostrato nei miei confronti. Appoggiai
le mani al suo torace e cercai di spingerlo via con tutte le mie forze,
ma
inutilmente, vista anche la mia debolezza e la sua mole. Strinsi gli
occhi come
per isolarmi da quel momento, quando improvvisamente il contatto delle
sue
labbra si annullò: non feci in tempo ad aprire gli occhi che
vidi la figura di
Edward avventarsi su di lui, strapparlo vigorosamente da me e
scaraventarlo a
terra con un pugno.
«
Edward no!! » urlai, più per la
paura che si facesse del male che per l’incolumità
di Jacob, in fondo era molto
più grosso di lui.
«
Non ti azzardare a toccarla» lo
sentii quasi ringhiare.
«
Non sono affari tuoi Cullen »
rispose spocchioso Jacob.
«
Sì che lo sono, non devi
toccarla» i toni sempre più concitati, temevo che
qualcuno potesse sentirli e
intervenire e allora sarebbe stato difficile oltre che imbarazzante
spiegare
perché due rispettabili dipendenti del campus si
accapigliavano nel cortile.
«
Sbaglio o hai fatto con lei
quello che hai fatto con tutte? l’hai illusa e poi
l’hai abbandonata. È quello
che ti riesce meglio in fondo con le donne»
«
Tu che ne sai»
«
L’ho vista sai. Prima era
sempre appiccicata a te poi da quando è tornata è
sola, triste. Ho immaginato
che le avessi fatto del male. Poi quando mi ha chiesto di cercare un
alloggio
fuori di qui, ne ho avuto la conferma. Mi sono solo fatto avanti per
scuoterla.
Io sarei molto meglio di te per lei»
Per
un attimo vidi lo sguardo di
Edward posarsi sconvolto su di me: forse tutto si sarebbe aspettato
tranne che
un gesto di questo genere da parte mia. Poi si rivolse nuovamente a
Jacob:
«
Qualsiasi cosa sia successa fra
noi non ti autorizza a metterle le mani addosso senza il suo
consenso» gli si
rivolse tra i denti.
«
Sono convinto che se tu non
fossi intervenuto fin dall’inizio con le tue menzogne io e
lei saremmo stati
molto più vicini: mi hai sempre tolto tutte le
possibilità di essere felice» in
quel momento vidi nel volto di Edward l’angoscia e la
tristezza che gli
procurava il ricordo del suo passato. Si era sempre sentito in colpa e
pur sapendo
di aver fatto il possibile per spiegarsi e sistemare le cose sapeva di
non
esserci riuscito e se ne rammaricava: in fondo Jacob era sempre stato
il suo
migliore amico.
Approfittando
di questo suo
momento di debolezza Jacob si rialzò e gli si
gettò addosso, scaraventandolo
nella neve. Cercai di ridestarmi per aiutarlo e mi feci avanti nel
tentativo di
allontanarli: « Basta, smettetela!!!»
Parlavo
ad entrambi, ma rivolgevo
uno sguardo implorante ad Edward. Forse per evitare di far del male a
me e
comunque evitare di attirare ulteriormente l’attenzione, si
fermò allontanando
il suo contendente e mi guardò negli occhi.
«
Bella non ti senti bene? Sei
pallida» in effetti già da qualche minuto la testa
aveva ricominciato a girare
ed ebbi timore di poter svenire nel bel mezzo della disputa. Chiusi gli
occhi e
abbassai la testa per cercare di riprendermi e le braccia di Edward mi
sorressero dalle spalle. Anche Jacob si era fermato, forse vedendomi in
quello
stato temeva finissi in mezzo e potessi essere colpita.
«
Metti giù le mani da lei Cullen,
non ha bisogno di te» urlò Jacob.
A
quelle parole mi ridestai: «
Neanche di te Jacob, stammi lontano!!» riuscii a dire con lo
sguardo più
adirato possibile.
«
Bella mi dispiace…ma tu mi
piaci…e non ho potuto…» non lo feci
ribattere e non so dove trovai la forza per
rispondergli così convinta:
«
Non voglio più avere nulla a
che fare con te!» forse il mio tono glaciale lo convinse e lo
vidi allontanarsi
silenzioso.
Quando
mi girai verso Edward mi
sentivo meglio, anche se la testa girava ancora: lo ringraziai e feci
il gesto
di allontanarmi, ma mi trattenne: « Ti senti
meglio?»
«
Sì grazie » risposi « ma ora
devo andare»
«
Bella ma…» non lo feci
ribattere: lo guardai negli occhi poco convinta per quello che stavo
facendo e
mi allontanai più velocemente possibile o gli avrei concesso
molto di più di
quello che potevo tollerare. Non era ancora giunto il momento di starlo
a
sentire.
****************************************************************************
Quella
sera mi trovai nel mio
appartamento intenta a preparare la lezione per l’indomani.
Ero comunque una
professionista e non potevo continuare a far sì che la mia
vita privata
interferisse con il mio lavoro. Inoltre con tutte le verifiche di
metà
trimestre dovevo cercare di mantenermi concentrata e valutare al meglio
i miei
studenti.
Mentre
lavoravo al portatile non
potei fare a meno di riflettere su ciò che era accaduto
quella mattina e a
quanta rabbia mi avesse fatto Jacob con quel gesto: ma come si
permetteva? Nonostante
lo avessi allontanato in malo modo più di una volta tentava
sempre e comunque
degli “assalti” e l’ultimo era stato
veramente insolente e fuori luogo. Lì per
lì non mi ero soffermata sulla gravità della
cosa, troppo preoccupata che
Edward potesse farsi del male andando contro di lui, ma poi pensai se
un’eventualità così fosse capitata
lontano da occhi indiscreti. Non volevo
crederlo, ma l’idea che mi avrebbe potuto fare anche di
peggio mi attraversò
fugacemente.
Mi
ridestai da questi pensieri
poco salutari, visto il mio già precario equilibrio e
rabbrividii leggermente.
Cercai di tornare al mio lavoro, ma nel giro di pochi secondi la mia
mente
venne distratta di nuovo da rumori al piano di sopra. Probabilmente era
solo
Edward che si muoveva per l’appartamento, ma mi
portò a pensare al fatto che da
quando era rientrato lo avevo sentito suonare solo una volta e mi
rattristai di
questo. In fondo la sua musica mi aveva fatto compagnia fin dai primi
tempi e
da quando aveva suonato per me a Londra e a Forks era diventata un modo
per
comunicare il nostro stato d’animo: per un attimo pensai che
potesse
significare che anche lui, da persona sensibile quale era sempre stata,
come me
era provato dalla situazione. E il suo comportamento dei giorni passati
me lo
confermavano.
Feci
un profondo respiro prima di
partire con mille pensieri che mi avrebbero riportato solo
nell’angoscia di ciò
che era accaduto fra noi.
Dopo
circa due ore di lavoro in
cui avevo prodotto veramente poco, sentii suonare il cellulare:
immaginai potesse
essere mio padre. Ultimamente si faceva vivo un po’
più spesso, probabilmente
perché da bravo detective qual’era aveva intuito
che qualcosa non andava.
Inaspettatamente di là dalla linea non trovai mio padre,
bensì Alice, che si
prodigò nel chiedermi come stavano andando le cose. Riuscii
a malapena a
ricacciare indietro, magone e lacrime e la lasciai parlare:
«
Mi dispiace Bella, ho saputo da
Rosalie cos’è successo. Ho parlato anche con
Edward e mi ha detto che la
situazione fra voi è davvero pesante. Io quel testone lo
c…»
«
Alice ferma, ti prego. Non dare
la colpa di ciò che è accaduto solo a lui, in
fondo sono stata io a convincerlo
a parlare con Leah, a scappare e a impedirgli qualsiasi tipo di
giustificazione.
Io voglio solo che possa vivere la sua vita come preferisce: io non
sono il
meglio per lui. Sono instabile emotivamente, fragile e sempre disposta
a cedere
alla vita. Lui è così determinato e
io……non lo merito» le ultime parole
erano
uscite strozzate da un pianto che non mi abbandonava mai e che in ogni
momento
che pensavo a Ed cercava di venir fuori.
«
Io credo che tu stia sbagliando
su tutto Bella: intanto non so quali frangenti tu abbia incontrato
nella tua
vita, ma secondo me, da quello che ho intuito e da come hai sempre
reagito, sei
molto più forte di quello che pensi. E poi non dire che mio
fratello non ti
merita: anche lui ha avuto i suoi momenti di debolezza e
l’ultimo io credo sia
stato proprio questo: è molto più fragile di
quello che si pensi specialmente
se riguarda il rapporto con te. Sai quando è rientrato a
casa, dopo la tua
telefonata in cui mi avvisavi che saresti ripartita, mi ha chiesto
subito se ti
eri messa in contatto con me perché lui non ti sentiva da
ore ed era
consapevole di aver stupidamente tardato più del dovuto: e
credimi…. non era
una persona felice del motivo per cui si era attardato, anzi sembrava
alquanto
scocciato, oltre che preoccupato per i tuoi silenzi telefonici delle
ultime ore»
«
Tu cosa gli hai detto?» chiesi
istintivamente nel tentativo di capire cosa lui poteva aver intuito in
quel
momento.
«
Io gli ho risposto che ti avevo
sentita, ma che non sapevo dov’eri e ho chiesto a lui che
cosa stesse facendo
visto il ritardo che aveva con te. Sai in questo è stato
onesto. Mi ha detto
che si era visto con Leah e che purtroppo lei lo aveva trattenuto
più del
dovuto. Ma il tono Bella era scocciato, credimi. Non mi ha detto altro,
ma ho
intuito facilmente quello che poteva essere successo e che tu lo avevi
visto,
in qualche modo, ma io non gli ho detto nulla. So che avrei dovuto
picchiarlo e
distruggerlo per ciò che supponevo avesse fatto, ma poi mi
sono detta che forse
era meglio che soffrisse lentamente e così mi sono limitata
a dirgli che ti
avevo sentito molto turbata, a suggerirgli di stare attento a quello
che faceva
e che certi atteggiamenti lo avrebbero potuto portare a perderti per
sempre e
che se lo avesse fatto sarebbe stato solo un emerito cretino».
Un
lieve sorriso mi uscì a
conferma del fatto che Alice, con la sua grinta sarebbe sempre stata un
ancora
di salvezza per me, anche ora che le speranze di avvicinarsi al
fratello erano
quasi nulle.
«
Sai – continuò poi Alice –
credo che quello che prova per te sia veramente forte,
perché quando ha
ipotizzato che ci potesse essere di mezzo James per il tuo
comportamento l’ho
visto su tutte le furie, veramente»
«
Provava, Alice, provava…. E poi
forse ora come ora non sono nemmeno più convinta di quello
che c’era fra noi,
forse ero solo io che volevo vederlo» ok il pessimismo, ma
ora stavo veramente
esagerando. Non c’erano dubbi che Edward tenesse a me in modo
particolare, lo
avevano visto tutti e me lo aveva dimostrato apertamente per mesi; anzi
continuava a farlo con le sue premure per la mia salute anche ora che a
malapena ci rivolgevamo uno sguardo.
«
Qui ti sbagli di grosso. Io
credo che Edward provasse qualcosa di molto importante per te e sono
convinta
che lo provi ancora. Dovete solo parlare e chiarirvi».
Le
esposi il mio scetticismo, più
per il fatto di non poter reggere una conversazione di fronte ai suoi
occhi, ma
le parole di Alice mi fermarono.
«
Bella parla con lui, è
veramente a pezzi: io non credo sia tornato con Leah, mi ha telefonato
decine
di volte questa settimana per capire se ti eri fatta viva con me e se
avevo
delle supposizioni sul tuo allontanamento da lui. Ti prego, dagli solo
una
possibilità di spiegare cosa è accaduto su quella
spiaggia, poi se vorrai sarai
libera di non credergli e troncare definitivamente. Ma per la vostra
salute
fallo. Dagli questa possibilità, ti prego».
Forse
il fatto che Alice fosse un’oratrice
nata per quello che riguardava i sentimenti o forse per la mia
già precaria
indecisione, ma le promisi che ci avrei pensato, per quanto in cuor mio
lo
desiderassi già tanto. Ma accettare di parlare con lui mi
sembrava quasi un
cedimento ad una situazione che sarebbe benissimo potuta finire come la
mia
storia con James: e io il terzo incomodo non lo volevo più
fare, anche perché
con James era stato fattibile, ma con Edward….non avrei mai
acconsentito di
dividerlo con qualcun’altra. Salutai Alice, con affetto e le
suggerii di
chiamarmi quando voleva, parlare con lei mi faceva comunque stare bene.
Appena
chiusa la telefonata mi
preparai per andare a letto, con in mente un unico pensiero: avrei
fatto bene a
parlare con Edward e consentirgli di spiegarmi? Gli potevo credere e
fidarmi di
lui? E avrebbe fatto bene al mio stato emotivo, qualunque fosse stata
la
conclusione della nostra conversazione?
A
tutte queste domande c’era solo
una riposta: sì.
Ma
ero troppo codarda e troppo
preoccupata di un mio crollo di fronte a lui per decidermi a farmi
avanti:
avrei atteso per vedere se ci fosse stata qualche speranza che fosse
stato lui
a cercare me. E in fondo lo speravo con tutto il cuore.
Passarono
altri due giorni: le
giornate cominciavano ad essere monotone e mi resi conto che la maggior
parte
del bello che avevo trovato in quel posto dipendeva dalla presenza di
Edward.
Senza di lui era come tanti altri e anzi, in alcuni casi con tutti
quegli
impegni e quella burocrazia diventava quasi soffocante. Mi recai
regolarmente
al lavoro in quelle due mattine e riuscii anche se con malavoglia ad
adempiere
ai miei compiti in biblioteca: per quelli del dormitorio…beh
la preside sapeva
della mia intenzione di andarmene e mi aveva sollevato da qualsiasi
impegno,
anche se con molti dubbi e perplessità.
Come
tutti i pomeriggi delle
ultime settimane rientrai nel mio alloggio al termine delle lezioni,
non mi
andava di farmi vedere in giro, anche per evitare di incappare in
Jacob. Mi
feci una doccia cercando per quanto possibile di rilassarmi con il mio
bagnoschiuma agli oli essenziali e musica soffusa: era parecchio che
non
dedicavo un po’ di tempo a me stessa. In realtà i
miei momenti passati in casa
erano stati veramente tristi negli ultimi giorni, preoccupata solo di
non
soffrire e di piangermi addosso per come erano andate le mie cose con
Edward.
Dovevo cercare di risollevarmi e per farlo ero decisa a riprendere le
vecchie
abitudini che mi facevano bene: per prima cosa avrei cercato di
riprendere il
nuoto, poi avrei rallentato con gli ansiolitici e i sonniferi, anche se
quella
sapevo sarebbe stata la cosa più difficile.
E
poi inconsciamente dagli ultimi
avvenimenti sperai che Edward si facesse di nuovo avanti.
Ma
quanto ero sciocca in una
scala da uno a dieci?
Scrollai
la testa e cercai di
pensare ad altro. Mi misi a girovagare per l’appartamento nel
tentativo di
riordinare il caos che si era creato negli ultimi tempi: era ormai sera
e il
viavai degli studenti per le scale e nei cortili si era notevolmente
attenuato.
Mi piaceva quando calava il silenzio nel campus, mi sembrava che tutti
i
problemi della giornata scomparissero: improvvisamente mi bloccai. Mi
sembrò di
aver sentito un rumore alla mia porta e lentamente di avvicinai per
affacciarmi. Ma quando la aprii non trovai nessuno, il silenzio
aleggiava nel
corridoio e solo il rumore di alcune tv del mio piano riecheggiavano in
lontananza. Poi lo sguardo mi cadde sul pavimento all’altezza
della mia soglia:
una piccola busta azzurra era stata depositata a terra e probabilmente
fatta
scivolare sotto la mia porta.
Era
strano, non mi ero accorta di
nulla.
La
presi fra le mani e quando
vidi il mio nome sopra inizia a tremarmi: conoscevo quella calligrafia,
era
elegante e raffinata e poteva appartenere ad una sola persona. Un moto
di ansia
misto ad una strana sensazione di gioia mi attraversarono il cuore.
Temevo
quello che poteva esserci scritto, ma nello stesso tempo il fatto che
pensasse
ancora a me mi dava un senso di sollievo. Dopo la mia telefonata con
Alice
queste sensazioni si erano fatte più forti e consapevoli,
tanto che la
preoccupazione di vederlo si era affievolita.
Impacciata
aprii la busta di
carta azzurra con sopra semplicemente “Bella”:
poche parole c’erano scritte nel
centro del piccolo biglietto.
“Ti
prego…solo due parole…poi se
vuoi scomparirò. Ti aspetto alle 21. Spero che tu venga. E.”
E
ora cosa avrei fatto? Troppe
volte lo avevo evitato, troppe volte avevo respinto le sue spiegazioni,
la mia
piccola anima razionale continuava a dirmi di stare alla larga, ma poi
la mente
andò al ricordo della telefonata di Alice “Ti
prego, dagli solo una possibilità di spiegare cosa
è accaduto su quella
spiaggia, poi se vorrai sarai libera di non credergli e troncare
definitivamente. Ma per la vostra salute fallo. Dagli questa
possibilità, ti
prego”.
In
fondo non era quello che avevo
sperato? Che lui ancora mi cercasse?
Spiegare,
spiegare, spiegare,
questa parola continuava ad echeggiare nella mia mente. Ero ferma di
fronte
alla mia porta con quel piccolo biglietto in mano. E non riuscivo
più a
ragionare razionalmente: andare, restare, andare,
restare….improvvisamente come
se una scarica mi avesse colpito in pieno petto scattai verso la mia
camera e
mi vestii, poi guardai l’orologio. Erano le nove meno cinque:
con le chiavi del
mio appartamento in una mano e il suo biglietto nell’altro mi
precipitai nel
corridoio e su per le scale fino al suo piano e al suo appartamento.
Volevo
parlargli, basta! Il mio desiderio di ascoltarlo superava ogni cosa e
questa
volta non mi sarei fermata. Gli avrei detto cosa provavo e la mia
preoccupazione e poi……avrei visto lì
per lì.
Per
un attimo mi bloccai in mezzo
al corridoio, a pochi passi dalla sua porta, il respiro fermo in gola,
il cuore
a mille.
Di
fronte a quel corridoio la
mente si svuotò e fui tentata di tornare indietro e lasciar
perdere. Stavo girando
per scappare di nuovo quando una splendida melodia proveniente dalla
sua porta
stranamente socchiusa mi attirò.
Per
un attimo mi fermai ad
ascoltare: l’avevo già sentita, ma non ricordavo
dove. Come una calamita, quel
suono e il pensiero delle sue mani sui tasti del piano mi attirarono
dentro
quell’appartamento.
Aprii
lentamente la porta e in
punta di piedi entrai guardando direttamente il pianoforte: lui era
lì. Lo
potevo vedere di spalle con una camicia bianca che gli fasciava la
schiena, i
capelli perennemente spettinati e le sue splendide mani che volavano
sui tasti.
Mi fermai a due passi dall’ingresso, non volevo interromperlo
e godermi appieno
quel momento, riempiendomi le orecchie della sua melodia e gli occhi
del suo
corpo, che forse non avrei più potuto ammirare dopo quel
momento.
La
musica proseguì incalzante per
poi rallentare e terminare con un accordo vibrante che mi
lanciò scariche su
tutto il corpo: lacrime di emozione mi rigavano il volto, il respiro
quasi
smorzato quasi a
non voler disturbare
quel momento con nessun rumore per quanto flebile.
Quando
la musica si dissolse e
anche l’ultima nota riecheggiò nell’aria
mi ridestai e riaprii gli occhi che avevo
chiuso per godermi appieno quel momento e nello stesso preciso istante
lo vidi
girarsi nella mia direzione: i suoi occhi prima tristi si aprirono e
potei
giurare di avervi visto un lampo di serenità nel vedermi
lì nel suo appartamento.
Ci
guardammo per quelli che
sembrarono attimi infiniti: le parole bloccate in gola che non ne
volevano
sapere di uscire per giustificare la mia presenza lì. La sua
splendida voce
irruppe nel silenzio e mi beai di quel tono così roco,
soffuso, sensuale, ma
anche così preoccupato:
«
Bella….sei qui…».
Solo
una parola dalla mia bocca:
« Sì».
«
Ciao», solo questo uscì dalle
nostre bocche per alcuni secondi. I nostri occhi puntati gli uni negli
altri,
il mio cuore che tamburellava nel petto quasi a volermi uscire. Cercai
di prendere
coraggio:
«
E’ una melodia bellissima, ma
non mi sembra di riconoscerla» dissi più per
interrompere il contatto dei nostri
occhi e smorzare la chiara tensione che si era venuta a creare in
quella stanza.
Poi mi venne un flash nella mente. Era la stessa melodia che gli avevo
sentito
suonare per un attimo nel weekend a Londra: non mi fece riflettere su
altre
cose e mi stupì la sua affermazione decisa e seria:
« L’ho composta io…è per
quello che non la conosci»
«
E’ stupenda! » dissi con assoluta
convinzione e buttai un occhio agli spartiti davanti a lui. Non mi ero
avvicinata
moltissimo, ma potei comunque notare il titolo scritto a mano sui
fogli:
“Bella’s Lullaby».
Il
mio sguardo doveva essere più
confuso che mai, perché si fece avanti nel tentativo di
spiegarmi:
«
Sì l’ho composta per te, era da
tanto che l’avevo in mente e avrei preferito fartela sentire
in un’altra
occasione, ma….» non disse altro, non voleva
ripercorrere nuovamente quegli
ultimi giorni. Poi feci una cosa spontanea che non avrei mai
immaginato: « Ti
prego suonala ancora!» gli chiesi, il mio sguardo emozionato,
ma per la prima
volta sereno e convinto di quello che gli stavo chiedendo. Un lieve
sorriso si
dipinse sul suo volto. Si voltò e ricominciò a
suonare…per me e istintivamente
cominciai ad avvicinarmi come se fossi attirata da una forza di
gravità, fino a
ritrovarmi appoggiata al fianco del piano, le mani sul bordo e gli
occhi fissi
sulla sua figura, concentrata come non mai. Più volte chiusi
gli occhi e presi
respiri profondi, sia per bearmi del momento che per pensare a
ciò che avrei
desiderato veramente. Il mio sguardo vagò per un attimo da
lui al piano e mi
accorsi di numerosi spartiti sparsi qua e là, sulla sua
superficie: e non potei
non notare il mio porta spartiti, tanto che un lieve sorriso al ricordo
di quei
bei momenti fece capolino sul mio volto per la prima volta veramente
sincero.
Mi
beai in ogni istante di quell’esecuzione,
così intensa, emozionante, come se avesse messo tutti i
sentimenti del mondo in
quelle note. Poi quando terminò rialzò nuovamente
lo sguardo su di me mi feci
avanti nel dirgli l’unica cosa che mi poteva passare per la
testa in quel
momento: « scusa Edward…io».
La
sua mano sulla mia, mi
interruppe. Ma era impazzito?
Non
si rendeva conto di quello
che un suo contatto scatenava in me, specie per il fatto che era da
parecchio
che non avveniva. In quel momento mi si scollegò il cervello
e la testa iniziò
a girare. Ripresi consapevolezza di me e della situazione solo grazie
alle sue
parole: « Non c’è nulla di cui ti devi
scusare….posso capire quello che hai
provato, ma ti prego…lascia che ti
spieghi…» i suoi occhi erano tristi e imploranti
il tono quasi rotto dall’emozione. Non dissi nulla mi limitai
ad un semplice
cenno affermativo con la testa.
«
Voglio che tu sappia esattamente
come sono andate le cose, non ho nulla da nasconderti e poi prenderai
la tua
decisione…» in quel momento la testa si era
svuotata e mi chiesi mentalmente se
sarei veramente stata in grado di reggere la situazione. Ma a
differenza di
qualche giorno prima desideravo ascoltarlo e desideravo credergli,
forse perché
la voglia di riavvicinarmi a lui era più forte di qualsiasi
altra cosa, così
però come lo era anche la paura di lasciarmi andare.
«
Ti confesso che se non fosse
stato per te non mi sarebbe mai passato in mente di ritrovarmi con lei
quella
mattina, ma non perché pensavo che avrei potuto provare
ancora qualcosa. Solo
perché io ho chiuso con quella parte del mio passato, per
quanto mi abbia
portato a fuggire e non voglio più riviverlo, non mi
interessa» e nel dire ciò
mi fissò per un attimo intensamente negli occhi, poi
ricominciò a farli vagare
sul piano.
«Erano
le nove quando ricevetti
una telefonata. Ti confesso che per un attimo sperai fossi tu che mi
dissuadessi dall’andare, e invece era lei che mi chiedeva se
potevamo vederci
subito a La Push perché sarebbe andata lì a
trovare i padre. Io accettai
pensando di liberarmi prima da quella sgradevole conversazione. Ma
arrivato a
la Push mi sono ritrovato ad aspettarla per quasi due ore, oserei dire
quasi
tipico per lei, è per quello che poi ho fatto
tardi…» cercai di guardarlo negli
occhi convincendomi che ciò che stava dicendo era vero, poi
lo lasciai
continuare.
«
Leah ha cominciato a parlare
del più e del meno, come se tutto quello che era avvenuto
due anni prima fosse
scomparso improvvisamente e la cosa mi infastidì, anche
perché avrei dovuto
trovare il modo di dirle quello che avevo provato e provavo in quel
momento
riguardo all’argomento, senza offenderla. Poi è
avvenuto quello che non avrei
immaginato: ha iniziato a confessarmi che per lei è un
brutto periodo con Sam,
che non riescono più a comunicare come prima e che ha paura
che questo li stia
allontanando e un sacco di altre cose di cui ho ascoltato ben poco,
perché in
realtà mi sono reso conto guardandola e sentendola parlare
di non aver mai
provato un sentimento così forte da poter essere definito
amore, o perlomeno
non quell’amore che ti aspetti per tutta una vita»
e dicendo queste ultime
parole si soffermò maggiormente con
lo
sguardo su di me. Io ero immobile nel silenzio può totale,
preoccupata
probabilmente di far trapelare il mio disprezzo nei confronti di quella
donna e
la mia preoccupazione per quello che mi avrebbe potuto riferire di
lì a qualche
minuto e in cuor mio mi resi conto di quanto ero dipendente da lui e
del fatto
che questa cosa mi spaventasse moltissimo. Anche se sembrava la persona
migliore del mondo la paura di dipendere ancora da qualcuno mi
destabilizzava e
mi portava a non ragionare. Mi ero sempre detta che con lui era
diverso, ma
dopo le devastanti conseguenze di ciò che avevo visto avevo
capito che essere
troppo dipendente anche da lui non sarebbe stato salutare per me.
Trattenni
tutti questi pensieri e continuai ad ascoltalo, visto che sarebbe
arrivato
anche il momento peggiore.
«
Poi ha cominciato ad
avvicinarsi a me, ricordando i bei momenti che abbiamo passato insieme
e
chiedendomi se io ne avessi mai sentito la mancanza. In
realtà la colpa è stata
anche mia perché ho lasciato trasparire la mia debolezza su
un argomento che
ancora mi disturba e cioè la perdita dei miei amici e la
distruzione di un
rapporto che in fondo mi aveva dato una famiglia. Lei ha scambiato
questa mia
indecisione per tristezza per come erano andate le cose fra noi e ha
cominciato
a dire che se non fosse stata per la sua testardaggine saremmo potuti
essere
ancora insieme e poi con strani discordi mi ha confessato…..
che le sarebbe
piaciuto riprovare» il suo tono era stato incerto. Forse
temeva di ferirmi
ancora più di quanto già non fosse successo
vedendoli direttamente.
«
Ha cercato di convincermi – continuò
– che forse le cose sarebbero dovute andare così e
che se fossi tornato dall’Inghilterra
tutto sarebbe potuto andare bene e si sarebbero ricuciti anche i
rapporti con
suo fratello. Ti giuro, ho cercato in tutti i modi di farle capire che
non ero
assolutamente interessato, ma lei ha iniziato ad insistere, a dire che
se fossi
tornato con lei avrei presto dimenticato la mia nuova vita qui e
poi….me la
sono ritrovata addosso che mi stava baciando…è
lì che probabilmente sei
arrivata tu…ma ti giuro Bella, quando mi sono reso conto di
quello che stava
facendo l’ho presa per i fianchi e allontanata
immediatamente: forse se ti
fossi soffermata qualche istante in più l’avresti
visto» il suo sguardo era triste,
lo potevo vedere e in cuor mio desideravo credergli più di
ogni altra cosa,
anzi a dirla tutta già gli credevo. Ero stata
così stupida da scappare troppo
presto, sarebbe bastato qualche secondo in più per chiarire
subito l’equivoco.
Maledetta
la mia insicurezza! Io
ero scappata immediatamente e
avevo
tratto le mie conclusioni a causa del mio innato pessimismo e non paga
di ciò
gli avevo impedito qualsiasi comunicazione e quindi spiegazione con me,
portando entrambi al tormento, perché ora potevo vederlo
anche in lui. Era
dispiaciuto per quello che era accaduto. Continuai a stare in silenzio
e
pensare a quello che gli avrei potuto dire in quel frangete, ma lui
continuò la
sua spiegazione avvicinandosi pericolosamente a me
«
Ti dico la verità Bella, quando
mi sono ritrovato con le sue braccia al collo e le sue labbra sulle mie
mi sono
reso conto di non provare assolutamente più nulla per lei, e
lo deve aver
intuito dalla mia reazione a quel bacio. Mi sono limitato a dirle di
lasciarmi
perdere e lei è andata su tutte le furie, cercando di
convincermi che invece sarebbe
stato un bene: e ti dico quello che penso, niente di quello che
è accaduto con
lei negli anni passati è stato un bene.
«
Ha cercato di convincermi
ancora e ancora e anche se ha tentato più volte di ricercare
un nuovo contatto
con me, l’ho respinta completamente e ho messo ben in chiaro
che ho chiuso e
che fra di noi è stato un errore dettato dal legame di
amicizia che ci univa e
che univa me a Jacob».
«
E lei come ha reagito a queste
tue affermazioni?» non so dove avevo trovato la forza di
porgli una domanda di
questo genere, ma lo feci.
«
Se l’è presa, ma poi quando ha
capito che ero fermo e deciso ha desistito e molto tristemente mi ha
salutato:
ho cercato di consigliarle di chiarire i problemi con Sam e che se lo
avesse
fatto si sarebbe resa conto che anche lei per me non poteva
più provare nulla e
che probabilmente era il ricordo di noi, più che un vero
sentimento a portarla
a credere di amarmi ancora. Non sono convinto l’abbia presa
molto bene, ma ha
accettato e da lì ci siamo separati».
In
quel momento avevo capito
quello che dovevo fare. Lo vidi avvicinarsi a me e guardarmi negli
occhi: « Mi
credi Bella? Io lo spero vivamente perché l’ultima
cosa che volevo era farti
soffrire…», lui aveva capito qual’era il
mio problema e stava cercando di
tranquillizzarmi, ma in quel momento e con la sua vicinanza il mio
cuore era
tutt’altro che tranquillo.
Cercai
in pochi secondi di
metabolizzare tutto quello che mi aveva detto. La loro conversazione,
lei che
gli si avventa addosso per baciarlo, lui che la respinge e le dice che
non
prova più nulla. Era quello che avevo desiderato sentigli
dire. Ma nonostante
il mio stato d’animo si fosse rasserenato a quelle parole il
mio cuore era
combattuto per le emozioni che vorticavano. Io lo amavo, ma ero
terrorizzata
all’idea di creare un rapporto di necessità
come aveva fatto Leah. E vista la mia fragilità
emotiva sarebbe stato
quasi inevitabile.
Potevo
costringerlo ad una vita
con una persona che avrebbe tremato ogni giorno al pensiero di poterlo
perdere?
Sentivo che spettava a me questa decisione perché lui non si
sarebbe mai tirato
indietro quando di trattava di starmi vicino e avremmo finito per
trasformare
un sentimento d’amore in affidamento e necessità.
E non volevo. Così decisi di
fare io il passo per entrambi, per dirgli quello che provavo.
Alzai
lo sguardo e lo puntai nel
suo, presi un profondo respiro e mi avvicinai a lui, al suo volto come
non
accadeva più da settimane ormai. Edward mi fissava negli
occhi con la speranza
e l’attesa di sentirmi dire finalmente qualcosa. Socchiusi
leggermente le
labbra senza lasciare mai il contatto con i suoi occhi.
«
Bella ti prego, dì qualcosa…»
ma non gli lascia finire la frase e appoggiai le mie labbra sulle sue
con il
chiaro intento di trasmettergli i miei sentimenti contrastanti. Fu un
bacio
dolce e casto, molto simile a quello sfiorato che gli avevo dato la
vigilia di
Natale a Forks. Le mie labbra chiuse indugiarono sulle sue come per
bearmi
della loro morbidezza e assaporarne ogni centimetro, gli occhi chiusi
il respiro
di entrambi affannoso, ma quando mi resi conto che lo schiudersi delle
sue
labbra avrebbe approfondito la cosa mi staccai e lo fissai negli occhi.
Le
lacrime iniziarono a fuoriuscire
senza un controllo. Presi nuovamente fiato e lo fissai: «
Edward io ti amo….ma …ho
troppa paura» iniziai ad allontanarmi da lui indietreggiando
senza smettere di
fissarlo in volto. Forse in cuor mio desiderai che mi fermasse e mi
ricambiasse, ma non so se purtroppo o per fortuna non lo fece.
Continuò a
fissarmi mentre mi dirigevo alla sua porta, lo sguardo serio, forse ad
elaborare quello che gli avevo detto. Non gli lasciai altro tempo e con
le
lacrime che ormai bagnavano il mio viso usci di corsa e rientrai nel
mio
appartamento.
ok lo so
tre capitoli in una volta sono una follia, ma l'ho fatto
perchè così la
storia è al termine........noooo cioè
è terminata la parte che era già
scritta!!!!!!!
da
questo momento in avanti scriverò mano a mano, ma ho
già tutto in testa
e alcuni appunti, quindi spero di non farvi mai attendere troppo.
magari se passa troppo tempo fatemi un fischio voi e spronatemi,
così
mi do una mossa!!!!
ora
vi lascio. spero di aver dato una piccola scossa e,
anche se dalle ultime righe non sembra,
vi posso garantire che d'ora in poi le cose inizieranno a girare per il
verso giusto.
volevo
ringraziare ancora tutte le persone che continuano a seguirmi, in
particolare Miauina che mi "stressa" a tutte le ore per avere i
capitoli in anticipo, ma mi ha dato anche molta spinta. sei impagabile.
grazie mille.
a
presto
|
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Capitolo 48 *** “Noi…” ***
Capitolo
48
“Noi…”
Non
sapevo bene perché mi fossi
allontanata così di corsa dall’appartamento di
Edward, ma qualcosa mi diceva
che la mia confessione lo aveva comunque lasciato spiazzato, nel bene o
nel
male: vuoi perché dopo tanto tempo passato a reprimere i
miei sentimenti glieli
avevo serviti su un piatto d’argento, vuoi perché
in una frazione di secondo
gli avevo anche fatto capire che forse non avrebbe funzionato.
In
poche parole lo avevo amato e
lasciato tutto in dieci secondi: in realtà era
così che mi sentivo, spaventata,
insicura, indecisa e ora che gli avevo confessato di amarlo e lui mi
aveva
lasciato uscire da casa sua senza darmi nemmeno l’idea di
volermi rispondere,
lo ero ancora di più. In realtà ci sarebbero
potuti essere almeno mille motivi
per i quali non avesse sentito la necessità di fermarmi, ma
nella mia mente non
ne veniva fuori nemmeno uno. Anzi uno sì: ero importante per
lui, tanto da
inseguirmi ovunque pur di riuscire a spiegarsi, ma non tanto da poter
pensare
di ricambiare un sentimento così forte come
l’amore, non per il momento almeno.
E chi avrebbe potuto biasimarlo in fondo.
Ci
misi ben poco a formulare
questi pensieri e mi ritrovai di fronte alla mia porta. La mano sulla
maniglia
mi tremava come se fossi stata presa dal terrore e cercai di
tranquillizzare il
mio respiro prima di iperventilare e trovarmi svenuta sulla soglia di
casa.
Riuscii ad entrare e a chiudermi la porta alle spalle prima di lasciar
scivolare contro di essa la schiena ed accasciarmi su me stessa. In
quel
momento non riuscii proprio a trattenere le lacrime e senza sapere
nemmeno bene
il perché iniziai a
singhiozzare nel buio
del mio appartamento. Ormai accadeva veramente troppo spesso. Dopo
qualche
minuto in quella posizione mi ridestai e mi alzai cercando la mia
camera e
distendendomi sul letto. Forse tutto quello che avevo passato mi stava
rafforzando perché, nonostante non perdessi occasione di
piangere come una
fontana, riuscivo a trattenere il mio stato emotivo ed evitare di
sentirmi
male. Era già da un po’ che non svenivo e visto lo
stato in cui mi trovavo era
un grande traguardo per me.
Mi
distesi sul letto e guardando
il soffitto iniziai a pensare a cosa stesse facendo Edward in quel
momento: il
cuore accelerò i suoi battiti al solo suo pensiero e mi
voltai automaticamente
verso il comodino per prendere un sonnifero, conscia del fatto che dopo
le
rivelazioni di quella sera non sarebbe stato facile dormire. Quando
però ormai
la mia mano era già sul flacone mi sembrò di
sentire nuovamente il piano
suonare: la mia melodia. Non potei esserne certa perché il
ronzio nella mia
mente non mi aveva abbandonato un solo istante dal momento in cui avevo
lasciato suo appartamento. Ma reale o no il lieve suono che percepivano
le mie
orecchie mi convinse a indugiare e a pensare.
Edward
aveva scritto una melodia
per me, l’aveva eseguita e forse la stava suonando ancora: ma
perché aveva
fatto tutto questo? Forse mi amava? E allora perché mi aveva
permesso di uscire
dalla sua porta?
Stupida,
perché eri scappata come
una codarda senza aspettare!
Presi
un respiro profondo e
cercai di convincermi che ce la dovevo fare: lasciai il flacone
lì dove lo
avevo preso, mi avvolsi nelle coperte e cercai di addormentarmi cullata
in
lontananza dalla mia ninna nanna.
Fu
una notte terribile.
Incubi
su incubi avevano
affollato la mia mente.
Mi
ero ritrovata sveglia
praticamente ogni mezz’ora con i pensieri più
angoscianti. Avevo sognato James,
Jacob, Leah e alla fine anche Edward, che mi guardava con disgusto dopo
che gli
avevo confessato di amarlo.
Quando
la luce del mattino entrò
fioca dai vetri della mia finestra mi resi conto della reale
difficoltà che
avrei avuto a fare a meno dei miei farmaci almeno
nell’immediato futuro. Senza
pensarci su mi alzai molto affaticata nel corpo oltre che nella mente e
mi
recai in bagno per la mia “dose” giornaliera:
perché era proprio di questo che
si trattava. Ero come una drogata, avevo bisogno di quei farmaci per
poter
condurre una vita apparentemente normale dal punto di vista emotivo, ma
mi
stavano lentamente distruggendo dal punto di vista fisico, togliendomi
le forze
e anche la capacità di giudizio, a parer mio.
Come
avrei fatto a smettere? Non
risposi a quella domanda, mi guardai semplicemente allo specchio
notando le
profonde occhiaie che marcavano il mio viso. Non mi preoccupai di
coprirle più
di tanto, anche perché già da qualche giorno
colleghi e studenti si erano
accorti che il mio stato fisico non era dei migliori, ma non so se per
diplomazia o per menefreghismo avevano cercato di ignorarlo. In fondo
avevano
fatto la stessa cosa con Edward prima che arrivassi io, lo avevano
etichettato
come una persona seria e scorbutica e nessuno si era prodigato nel
tentativo di
scoprire se era veramente così e cosa lo aveva portato ad
esserlo. E poi il
fatto che la mia presenza negli ultimi giorni non contemplasse anche
quella del
professore di musica aveva fatto intuire a molti più di
quanto avrei voluto far
trapelare.
Mi
vestii e mi preparai ad uscire
certa del fatto che un’altra giornata mi stava aspettando e
che avrei potuto
tranquillamente incontrare Ed quel giorno e non avrei proprio saputo
come
reagire, se ignorarlo o avvicinarmi. In fondo gli avevo detto che avevo
paura, ma
mi sentivo così stupida per essere scappata.
Uscii
molto timorosa dalla mia
porta e mi affrettai a raggiungere lo stabile delle aule guardandomi
intorno
con circospezione.
Di
Edward nessuna traccia. Non so
perché, ma in fondo desideravo vederlo per capire come aveva
reagito alla mia
confessione. Invece non solo non lo incontrai per tutto il giorno, ma
correvano
voci dagli studenti che si fosse preso un giorno di malattia e la porta
chiusa
della sua aula mi confermò la veridicità delle
supposizioni. Dentro di me non
potei fare a meno di pensare se veramente non si sentisse bene o se
fosse una
scusa per evitare di potermi vedere. In entrambi i casi ero
preoccupata.
Meditai anche di andare a bussare alla sua porta, ma non me la sentivo
ancora,
anche perché non avrei proprio saputo cosa dirgli per
risultare una persona
normale e non una psicopatica che si fa avanti e poi scappa da ogni
situazione.
Lasciai
passare così la giornata
tra i pensieri più negativi e mi resi conto che non ero
stata mentalmente
presente nemmeno alla riunione mensile tra professori che la preside
tenne sul
termine del secondo trimestre e gli aggiornamenti per le varie materie.
Più di
una volta mi ritrovai dall’ultima fila nella quale mi ero
sistemata, a fissare
la porta dell’aula nella speranza di poterlo vedere entrare
con quel suo
splendido sorriso. Ma non avvenne e le due ore passate là
dentro furono le più
lunghe degli ultimi tempi, anche a causa delle continue occhiate di
alcuni
colleghi che avevano probabilmente notato il mio umore degli ultimi
tempi e
l’assenza del professor Cullen.
La
mia speranza di passare il più
possibile inosservata svanì quando al termine
dell’incontro la voce della Stanley
mi bloccò pochi secondi prima che potessi fuggire ed evitare
così banali
spiegazioni:
«
Ciao Bella come stai? È da un
po’ che non ti si vede in giro, sei stata molto
impegnata?» non so perché, ma
il tono e il sorriso con cui disse queste parole mi sapevano
più di
pettegolezzo che di reale interesse per i miei impegni. Ingoiai a vuoto
e
cercai di risponderle con un tono più normale possibile:
«
Sì Jessica, mi sono resa conto
dal mio ritorno di aver tralasciato molti impegni e così mi
tocca passare tempo
chiusa in casa a lavorare» cercai di raccogliere
frettolosamente le mie cose
per mettere fine prima possibile a quell’imbarazzante
conversazione.
«
In realtà è da un po’ che non
ti vedo insieme al professor Cullen e anche lui è spesso
assente…»
Sapevo
dove voleva arrivare, ma
non le diedi la soddisfazione di far trapelare nulla.
«
Molto probabilmente avrà anche
lui i suoi impegni che si saranno sicuramente accumulati dalle
settimane
passate in America. Non sono io che devo controllare tutti i suoi
movimenti»
quell’ultima affermazione non era stata proprio molto felice
perché avevo dato
adito di essere stata disturbata un po’ troppo dalle sue
illazioni. Non le
permisi comunque di proseguire oltre, terminai di raccogliere le mie
cose e mi
recai nel mio appartamento.
Erano
ormai le 19 quando mi
ritrovai a fissare da dietro il vetro della mia finestra in camera da
letto il
paesaggio del campus avvolto ormai dall’oscurità.
Guardai gli alberi mossi da
un forte vento che aveva iniziato a tirare già nel tardo
pomeriggio e aveva
reso l’aria ancora più gelida. C’erano
serie possibilità che fosse nevicato di
nuovo.
Improvvisamente
mossa da non so
quale volontà decisi di provare a recarmi in piscina. Non
sapevo se sarei
riuscita a fare il mio solito allenamento, ma ci volevo provare se non
altro per
fuggire da quell’appartamento e provare a me stessa che non
stavo cadendo in
una depressione senza fondo. Aprii il cassetto che conteneva le chiavi
e alla
vista di queste e del bracciale una lieve fitta mi costrinse a prendere
fiato.
In quel mobile erano contenuti due oggetti che più di
qualsiasi altra cosa mi
ricordavano il mio amore per lui e
mi
sottolineavano sempre la sua assenza dalla mia vita, causata dalle mie
stupide
paure: a maggior ragione ora che avevamo parlato e che credendo senza
dubbio che
non ci fosse più alcune legame tra lui e il suo passato, lo
avevo allontanato
nuovamente senza reale motivo.
Cercai
di scacciare i miei
pensieri; mi preparai , presi tutto l’occorrente e mi
apprestai ad attraversare
il cortile battuto dal vento. Non potei fare a meno di soffermarmi per
un
attimo sulle sue finestre. Le luci erano spente e ciò stava
a significare che
stava veramente male e probabilmente era a letto, o era fuori magari a
Londra
nel suo appartamento: sarebbe stata poi una così cattiva
idea la mio ritorno
andare a vedere se era in casa e come stava? Al massimo avrei
racimolato un
“vattene” e me lo sarei anche meritato. Ma lo avrei
poi sopportato??? Mi
voltai e proseguii
per la mia strada,
arrivai allo stabile, aprii con le mie chiavi e richiusi la porta alle
spalle
desiderosa di lasciar fuori molti dei miei problemi.
In
realtà non fu proprio così.
Rimasi dentro alla piscina quasi un’ora, ma più di
una volta mi ritrovai ferma
a bordo vasca a pensare a tutto e niente. Il fiato non mi aiutava di
sicuro e
così visto il fallimento del mio primo tentativo di
riprendere possesso della
mia vita, mi cambiai e mi apprestai a rientrare nel mio alloggio.
In
quei momenti più che mai avevo
sentito la sua mancanza: anche nei giorni in cui non ci eravamo visti a
causa
delle mie stupide supposizioni su lui e Leah, sentivo comunque la sua
presenza
accanto a me denotata dal fatto che spesso e volentieri ci incrociavamo
nei
corridoi o me lo ritrovavo in giro per i
cortili. Invece in quella lunga giornata non solo non lo
avevo visto, ma
sapevo con certezza che non sarebbe stato in giro da nessuna parte. Era
incredibile la sua assenza attirava ancora di più la mia
attenzione della sua
presenza.
Feci
questi pensieri mentre
chiudevo le porte dello stabile, quando improvvisamente una voce mi
fece
trasalire e lanciare quasi un grido di terrore:
«
Dimmi perché».
Nel
giro di pochi secondi dal
buio la figura di Edward comparve di fronte a me: la paura che potesse
essere
qualche malintenzionato fu subito sostituita dal battere forsennato del
mio
cuore ogni volta che lui mi era di fronte:
«
Dio Edward mi hai spaventato a
morte, che ci fai qui, pensavo non stessi bene?»
«
Non era mia intenzione
spaventarti lo sai ma devo sapere» finalmente lo potei vedere
alla fioca luce
dei lampioni. Il volto serio, i capelli spettinati dal vento e quegli
occhi di
un verde scuro, quasi a voler mettere il luce il più
profondo dei suoi tormenti.
Conscia
del fatto che lo stupore
per la sua vista mi avesse fatto dimenticare la sua domanda chiesi a
cosa si
riferiva:
«
Cosa scusa?» cercai di dire con
il tono più normale possibile, ma consapevole che di fronte
a lui il mio già
precario autocontrollo vacillava ancora di più.
«
Di cosa hai paura?»
mi stava chiedendo di chiarire
un’affermazione fatta la sera prima come se fosse accaduta
dieci minuti prima o
come se fosse stata il suo chiodo fisso tutta la giornata e non avesse
fatto
altro che macinarci sopra.
«
Ed io…» non riuscii proprio a
rispondergli. Sapevo cosa voleva, ma la sua freddezza nel chiedermelo e
il
fatto che gli ci fosse voluto un giorno intero per elaborare
ciò che gli avevo
detto, mi fece capire che era arrabbiato. Non sapevo esattamente per
cosa, ci
sarebbero potuti essere mille motivi e tutti validi per odiarmi.
«
Dimmi solo di cosa hai paura»
il tono fermo. Che non avrebbe ammesso repliche: il mio fiato sempre
più corto,
la mente in confusione che cercava in pochi secondi di elaborare una
risposta
soddisfacente senza farmi crollare. Cercai di distogliere lo sguardo da
quei
suoi occhi che non mi aiutavano a ragionare e presi nuovamente fiato,
ma nulla
uscì dalla mia bocca.
Passarono
interminabili minuti in
cui si poteva sentire solo il vento, il battito forsennato del mio
cuore e il
mio respiro velocizzato. Sentivo che Edward mi stava guardando, e lo
sentivo
più vicino, ma non ebbi mai il coraggio di fissarlo a mia
volta, poi quando
sentii di nuovo la sua voce, questa volta implorante non riuscii
più a
trattenermi:
«
Bella...»
Presi
fiato e con la voce rotta
dai singhiozzi buttai fuori tutto quello che di tormentato poteva
esserci nel
mio cuore:
«
Ho paura di perderti, ho paura
che tu ti possa stancare di una persona instabile e stupida come me che
scappa
da tutti i problemi prima ancora di affrontarli, ho paura che quello
che sono
ti possa allontanare, ho paura che ciò che provo diventi
affidamento e perda il
senso più profondo dell’amore, ho paura di trovare
in te la mia ancora e di
vederla sparire quando ti accorgerai come sono, ho
p…..»
Non
riuscii a dire più nulla
perché improvvisamente con un passo Edward fu su di me, i
suoi occhi lucidi e
carichi di quello che poteva sembrare rabbia mista a desiderio: la sua
mano
sinistra si appoggiò salda alla mia schiena e mi
attirò al suo corpo, mentre la
sua mano destra in un attimo fu fra i miei capelli, sulla mia nuca,
nell’intento di avvicinare il mio volto al suo: intento che
non gli sembrò più
facile di così visto la risposta che il mio corpo diede a
quel tocco.
E
in un attimo le sue labbra si
fiondarono sulle mie, intense, disperate, ansiose, come se quel momento
fosse
fugace e come se sentisse la necessitò di darmi tutto prima
di vedermi fuggire.
Ma io non riuscii a fuggire, non lo avrei mai fatto: una scarica mi
attraversò
completamente, rimasi per un attimo sconvolta, ma poi mi beai di quel
contatto
come se fosse un’oasi nel deserto. Non riuscii nemmeno a
ricambiare la stretta
tanto il mio corpo era ormai ridotto ad una bambola di pezza nelle sue
mani.
Edward
continuò a stringermi con
un intensità tale da trasmettermi il proprio calore
attraverso gli abiti e le
sue labbra sulle mie furono qualcosa di unico: non era il semplice
tocco di
qualcuno che voleva ricambiare un bacio. Era fame, brama e desiderio.
Mi stava
trasmettendo con le labbra la stessa cosa che gli avevo visto negli
occhi un attimo
prima che mi stringesse a sé.
Non
ci misi molto a capire quale
fosse la nostra necessità: le nostre labbra si dischiusero
approfondendo il
bacio come se quello fosse l’ultimo desiderio di un
condannato a morte. E
finalmente per la prima volta fummo vicini come avevo sempre sperato,
ma non
gli avevo mai permesso. Lo sentii divorarmi le labbra mentre la sua
testa si
inclinava da un lato e dall’altro per approfondire ogni volta
il contatto e le
sue mani stringere sempre di più come se potessi scomparire
da un momento all’altro.
Ma non sarei voluta essere in nessun altro posto tranne lì
tra le sue braccia,
sulle sue labbra, in mezzo al respiro affannoso e ai gemiti dati dal
desidero
di stringersi ancora e ancora, senza che quel momento potesse finire
mai.
Nostro
malgrado fummo costretti
ad interrompere per riprendere fiato, ma le sue mani non mollarono la
presa
nemmeno per un attimo e i suoi occhi mi trafissero l’anima
facendomi perdere
anche il più piccolo barlume di lucidità che
avevo fino a quel momento cercato
di mantenere. Il mio corpo non era riuscito a reagire a quel tocco se
non
perdendosi al delirio dei sensi che le sue mani mi trasmettevano: ma
quegli
occhi profondi e quelle mani calde non riuscirono comunque a prepararmi
alle
parole che seguirono quel bacio così intenso e che mi
portarono a
ringraziare per la prima volta veramente di
aver deciso di trasferirmi lì
«
Dio Bella …..io ti amo».
Ero
di fronte all’uomo più bello
che avessi mai visto e che dopo un bacio appassionato aveva appena
detto di
amarmi. Cominciai a deglutire cercando di riprendere consapevolezza del
mio
corpo, cosa molto difficile visto che ancora le sue mani mi stringevano
e
questo mi destabilizzava non poco. Ero quasi certa di quello che avevo
sentito,
ma il mio cervello rifiutava di crederci. Il cuore batteva come non mai
e non
riuscii ad allontanarmi da lui che intanto continuava a guardarmi.
«
Edward….» non riuscii a dire
niente altro: mi guardò negli occhi e appoggiò la
sua fronte alla mia. Sentivo
il suo alito caldo e seppur fossero già capitati momenti
simili ora sembrava
tutto diverso.
«
Bella ti prego dì qualcosa, io
non posso più sopportare questa tua indifferenza»
«
E’ vero quello che mi hai
appena detto?» ecco domanda più stupida non potevo
fare!
Lo
vidi sorridere leggermente: «
Cosa esattamente?»
«
Che tu….» ma non riuscii a dire
altro. Chiusi gli occhi quasi con i timore che aprendoli potesse essere
tutto
un sogno. Sentii due dita sollevarmi il mento e i suoi occhi
trafiggermi
l’anima:
«
Certo che è vero… io ti amo,
penso di non aver mai amato nessuno così tanto in vita
mia», abbassai lo
sguardo e appoggiai la fronte al suo torace. Ero stata veramente una
stupida:
avevo voluto aspettare e mi ero tormentata e lui mi amava. Mi aveva
lanciato
centinaia di messaggi che rispecchiavano i suoi sentimenti per me e io
come una
cieca non avevo voluto vedere o ancora peggio non avevo voluto
crederci, e così
avevo rischiato di perdere e rovinare tutto. E invece lui mi voleva
ancora con
sé. Non riuscii a trattenere le lacrime, e quando si accorse
dei miei
singhiozzi lasciò la presa sulla mia schiena e mi prese il
volto con entrambe
le mani portandolo
ad un soffio dal suo.
«
Perché stai piangendo?» lo
sguardo serio, preoccupato.
«
Perché ho paura che sia solo un
bel sogno e non voglio svegliarmi» vidi questa volta un
sorriso meno forzato
aprirsi sul suo volto e raggiungere anche gli occhi. Mi
asciugò le lacrime con
i pollici sorridendomi e guardandomi con quel suo modo unico:
« Non devi
piangere amore mio…..mai più. Questo non
è un sogno se tu vorrai e non dovrai
assolutamente avere paura. Io ho troppo bisogno di te per lasciarti
andare così
facilmente».
Non
potei trattenere un sorriso a
mia volta, ma le lacrime continuavano a scendere. Però
questa volta per la
gioia. Poi feci quello che non mi sarei mai immaginata di riuscire:
finalmente
ripresi possesso delle mie facoltà motorie e mossi le mani,
che fino a quel
momento erano rimaste immobili lungo i miei fianchi, nella sua
direzione e andai
ad accarezzargli delicatamente uno zigomo come se temessi di farlo
scomparire
se ci avessi messo troppa forza. A quel contatto lo vidi chiudere gli
occhi e
assecondare il movimento della mia mano fino a fermarla e portare il
palmo alle
labbra per baciarlo. Era già avvenuto altre volte, ma il
fatto che le sue
labbra fossero state sulle mie ora mi portava ad avere brividi ancora
più
profondi in tutto il corpo. La verità era che non mi sarei
mai staccata da lui.
«
Ti prego dimmi che è tutto vero,
che sei qui davanti a me, che tutto quello che è successo
nei giorni passati è
stato un malinteso e che non mi odi per averti allontanato in quel modo
senza
averti dato prima la possibilità di
spiegare….»
«
Io non posso odiarti bella, ti
amo troppo e sono pronto a giurartelo su quello che vuoi – mi
interruppe – sono
qui ora e non me ne andrò più se
vorrai»
sapeva tanto di dichiarazione “per sempre felici e
contenti”, ma non ci feci
caso in quell’occasione. Continuai però a bearmi
del contatto tra la mia mano e
la sua pelle e poi finalmente lo feci: spostai le mani alla sua nuca
intrecciandole ai suoi capelli e dopo aver preso un bel respiro mi
alzai in punta
di piedi sussurrando appena: « Fa che sia tutto
vero» prima di appoggiare
nuovamente le mie labbra alle sue.
Questo
bacio fu più dolce del
precedente, ma non meno intenso. Questa volta fui io a prendere
l’iniziativa
forse temendo che da un momento all’altro potesse ripensarci
e scappare via. Mi
alzai ancora di più per essere il più possibile
alla sua altezza e portai
entrambe le braccia a cingere il collo. La sua reazione mi
lasciò stupita
quanto felice. Anziché ritrarsi mi abbracciò
dietro la schiena, stringendomi
come non mai e a differenza del primo bacio mi inglobò a
sé: i nostri corpi
aderirono completamente l’uno all’altro,
trasmettendo elettricità allo stato
puro: in quel momento non importava che fossimo al freddo con il vento
che ci
sferzava la pelle, che qualcuno potesse vederci. Eravamo in una bolla
dove
esistevamo solo noi, i nostri baci, i nostri respiri e i nostri cuori
che
sembravano battere all’unisono.
Sentii
le sue mani iniziare ad
accarezzarmi dolcemente la schiena e non potei fare a meno di
socchiudere le
labbra per approfondire il bacio. Lo sfiorarsi delle nostre lingue e il
sapore
caldo della sua bocca mi portarono ad avvertire delle vere e proprie
vertigini,
tanto che se non fossi stata tra le sue braccia sarei probabilmente
caduta a
terra. Misi fine a quel bacio mordicchiandogli leggermente il labbro
inferiore
e facendo sfiorare il naso sulla sua guancia.
«
Io ti amo» mi uscii spontaneamente
non appena le nostre labbra furono separate di pochi centimetri.
«
Dillo ancora» alitò sul mio
volto. Un sorriso mi uscì.
«
Ti amo Edward e mi dispiace per
tutto» lo vidi rabbuiarsi un attimo.
«
Non devi dispiacerti, posso
capire, se solo fossi stato più coraggioso e mi fossi fatto
avanti prima con te
forse non sarebbe accaduto nulla, ma non volevo forzarti la mano,
sapevo…sentivo che avevi bisogno di tempo» rimasi
momentaneamente stupita di
quella sua affermazione, quindi lui provava dei forti sentimenti per me
da più tempo
di quanto immaginassi, ma aveva aspettato, solo per me. In
realtà era così, ero
andata lì per ricominciare dimenticare non per
ri-innamorarmi ed ora che era
successo e avevo rischiato di perdere tutto mi diedi della stupida per
non
essermi fatta avanti io per prima.
«
Quando ti sei accorto
di….insomma da quanto tempo provi qualcosa per me»
lo vidi sorridere quasi
imbarazzato.
«
Non so se devo dirtelo, mi
vergogno un po’, non vorrei sembrarti un ragazzino in preda
agli ormoni…» imbarazzato
era veramente qualcosa di unico e se non mi avesse risposto nel giro di
poco mi
sarei rincollata alle sue labbra.
Appoggiai
una mano alla sua
guancia fissandolo negli occhi in un tacito assenso a proseguire la
conversazione.
«
Io credo di essermi innamorato
di te il primo giorno, quando mi sono girato dopo che la preside ci
aveva
comunicato che saremmo stati colleghi».
Una
scarica di adrenalina
attraversò il mio corpo: era stato nel momento in cui quei
suoi splendidi occhi
si erano posati su di me, non potevo crederci: « Ma credo di
essere stato
spacciato la prima volta che il mio corpo è entrato in
contatto con il tuo,
quando ti ho mostrato la piscina dalla finestra della tua camera.
Lì ho capito
che non sarei più riuscito a fare a meno di te, della tua
vicinanza, del tuo
profumo…»
A quel punto non potevo
più trattenermi ed
evitare di confessargli quello che avevo provato io:
«
Allora credo che siamo entrambi
due stupidi»
«
Perché?» mi chiese
interrogativo.
«
Perché credo di essermi
innamorata di te quando sei apparso alla mia porta a chiedermi il
caffè, ma ero
troppo spaventata e delusa dall’amore per poterlo riconoscere
immediatamente. E
così abbiamo perso tanto tempo…» e nel
dirgli questo, strisciai la mia fronte
sul suo profilo come a voler percepire il suo odore.
«
Sì è vero, ultimamente siamo
stati tutti e due molto stupidi. Ma all’inizio avevamo
entrambi paura e tu..eri
così fragile….che…» si
fermò titubante.
Lo
spronai con lo sguardo a
continuare:
«
….che avrei accettato qualsiasi
compromesso pur di starti accanto, anche che non ti fossi mai
innamorata di me.
Hai sofferto e ti avrei capito» era la stessa cosa che avevo
pensato io prima
di credere stupidamente che lui fosse stato con Leah, i nostri pensieri
erano
sempre stati reciproci sui nostri sentimenti ed entrambi non eravamo
riusciti a
farci avanti per la paura e l’eccessivo rispetto che
nutrivamo per l’altro.
Ma
esisteva un uomo più perfetto
di questo? Era dolce, sensibile e disposto a sacrificare i poprri sentimenti pur di
non turbarmi,
quando invece io avevo più volte deciso per entrambi e lo
avevo così
allontanato senza pensare a cosa avrebbe voluto lui. Non riuscii a fare
altro
che guardarlo negli occhi e portare nuovamente le mie braccia dietro al
suo
collo: « Ti prego stringimi»
«
Non devi pregare, desidero
farlo da troppo, troppo tempo e ora voglio recuperare tutto il tempo
perduto»
rispose sospirando e chiudendomi in una morsa delicata quanto forte. Mi
sentivo
veramente al sicuro.
Passarono
molti minuti nei quali
ci eravamo stretti, baciati, intensamente e dolcemente, in cui i nostri
nasi si
erano scontrati e sorrisi complici erano usciti dalle nostre bocche. In
quegli
attimi avevamo sempre mantenuto un contatto fisso tra la nostra pelle
con le
labbra, con le mani, avevamo parlato con gli occhi e con i gesti e mai
con le
parole: i nostri sguardi parlavano per noi.
Sentivo
i suoi sospiri su di me, le
sue mani che mi accarezzavano i capelli, la schiena e il viso. E le mie
saldamente ancorate alla sua schiena in un abbraccio
all’altezza della sua
vita. Sentivo brividi fino in fondo al cuore ed ero certa che non
centrasse
solo la temperatura glaciale che ci circondava. Stare con lui
consapevolmente,
sentire che ogni contatto era voluto e non sfuggente, casuale come era
avvenuto
fino a quel momento mi stava scaldando e faticavo a rendermi conto che
le mie
mani erano ormai completamente intirizzite. Se non mi avesse riscosso
lui non
mi sarei mai staccata.
«
Bella sei gelata…forse è meglio
rientrare».
Mi
uscì un sorriso, non ci eravamo
nemmeno resi conto che la temperatura stava scendendo rapidamente. Non
dissi
nulla, ma annuii e lo sentii cingermi le spalle in modo molto
possessivo. Era
strano come gesti che spesso aveva fatto nei miei confronti, ora, dopo
quel ti
amo e i nostri baci, avessero una carica e una valenza completamente
diversi.
Anche prima di quella sera la sua vicinanza mi destabilizzava, ma ora
la testa
aveva iniziato a girarmi al primo contatto delle sue labbra e solo il
freddo mi
rimandava a sprazzi
alla realtà,
altrimenti sarei annegata nelle sensazioni che il suo corpo e le sue
mani mi
trasmettevano ad ogni tocco.
Camminammo
lentamente verso il
nostro dormitorio stretti l’uno
all’altra e io appoggiai il viso alla sua spalla, lasciandomi
letteralmente
trascinare. Nessuno dei due aveva fretta di rientrare e mettere
così fine a
quel momento.
E
se non ci fosse stata una fine?
In un attimo non potei fare a meno di pensare
all’opportunità di farlo rimanere
con me quella notte, ma in modo diverso da come era sempre avvenuto. Lo desideravo, fino
all’ultima fibra di me
stessa, ma forse proporgli di infilarsi nel mio letto solo dopo
un’ora dal
nostro riavvicinamento non mi sembrava il caso, mi stavo vergognando al
solo
pensarlo, figuriamoci a chiederglielo.
Quando
entrammo nell’ingresso
dello stabile fui tentata di lasciare la presa preoccupata che Jasper
potesse
vederci e giudicare, ma Edward in questo mi stupii un’altra
volta. Come se
avesse capito i miei timori mi guardò e sorrise lievemente
stringendo
maggiormente la presa sul mio fianco. Era ovvio che lui non avesse gli
stessi problemi
e scoppiai quasi a ridere quando, passando stretti l’uno
all’altra di fronte a
Jas, lo vidi rallentare, guardarlo e sussurrargli: « Se
domattina mi chiama
Alice, capisco che le hai detto qualcosa tu e allora
….» poi il suo sorriso…il
suo splendido sorriso gli illuminò il volto e mi
strizzò l’occhio prima di
precipitarci su per le scale. Lo lasciammo probabilmente a bocca
spalancata, ma
non potei notare il volto di Edward compiaciuto, forse il fatto che
Alice
presto sarebbe stata a conoscenza di “noi due” non
gli dispiaceva.
Una
volta giunti di fronte alla
mia porta lascò la presa e io mi sentii per la prima volta
vuota. Lui mi
completava nell’animo e nel corpo. Sapevo che ci saremmo
dovuti salutare, ma
avrei fatto di tutto per ritardare al massimo quel momento.
La
provvidenza decise
probabilmente per noi perché nel chinarmi a raccogliere le
chiavi
accidentalmente sfuggite alle mie mani, ebbi un fortissimo capogiro e
solo i
riflessi pronti di Edward mi impedirono di schiantarmi al suolo. Non
persi
conoscenza ma la vista mi si annebbiò.
«
Bella…tutto bene?» lo sentii
parlare mentre tentavo di riprendermi e percepii il rumore delle chiavi
nella
mia porta: mi prese in braccio e mi appoggiò delicatamente
sul divano.
Forse
il suo contatto o il tepore
sprigionato dal mio appartamento mi ridestarono immediatamente. A
differenza
delle altre volte non si limitò a starmi di fronte per
aiutarmi a riprendermi.
Lo vidi togliersi il giubbotto e sedersi a fianco a me: prese le mie
game da
sotto le ginocchia e le portò sulle sue e poi mi cinse le
spalle con il braccio
destro. Le sue mani iniziarono a
frizionare da sopra i vestiti sia sulle gambe che sulla schiena. Il
senso di
vertigini era sparito, ma l’annebbiamento persisteva nella
mia mente, era
chiaro che quest’ultimo non era dovuto a motivi fisici, ma
emotivi.
«
Bella sei tutta intirizzita, e
pallida, non dovevo trattenerti fuori così a lungo, sono
stato
un’irresponsabile»
«
Sto bene non ti preoccupare e
stato solo un capogiro» cercai di tranquillizzarlo con un
lieve sorriso.
«
Ti vedo così debole fisicamente
negli ultimi tempi, sei sicura che vada tutto bene?»
Non
potevo mentirgli sul mio
stato di salute, non sarebbe stato giusto ora e così decisi
di dirgli la verità,
attenuando il più possibile i toni:
«
In realtà è stato un periodo
difficile – e nel dirgli queste parole lo guardai fugacemente
negli occhi prima
di abbassarli – credo che il mio stato di salute sia solo un
effetto
collaterale»
«
Di cosa?» mi chiese prontamente
come se immaginasse qualcosa.
Mi
accoccolai maggiormente al suo
petto e lo sentii portare le mia gambe ancora più vicino a
lui e la sua mano su
di esse a salire sempre più in alto fino a lambirmi una
coscia.
«
Ultimamente non riposo molto bene
e ….quindi»
«
Hai ricominciato con i
farmaci?»
Annuii,
non volevo fare la
vittima, ma nemmeno mentirgli, inoltre il contatto della sua mano sulla
mia
gamba mi “distraeva” e non poco.
«
Hai bisogno di qualcuno che ti
stia vicino, che ti aiuti con tutto l’amore che
può darti e poi vedrai che
riuscirai a farne a meno».
In
un attimo mi balzò in mente
che si potesse sentire in colpa e mi affrettai a dare a me stessa tutte
le
colpe:
«
Non ti preoccupare per me,
starò meglio ora; in realtà se non avessi fatto
tutti quegli errori, quei
pensieri, forse…»
Non
terminai la frase perché mi
poggiò il dito indice sulle labbra nel tentativo di zittirmi
e poi vi poggiò le
labbra in un bacio delicato: tracciò il contorno di esse
delicatamente con la
lingua e poi proseguì i baci sulla guancia fino ad arrivare
alla mandibola. Per
un attimo pregai che non si fermasse, ma i brividi che avevo in tutto
il corpo
mi dicevano che se non fossi stata debole a causa dei farmaci e del
poco
appetito, gli sarei potuta anche saltare addosso. Lo sentii terminare
la sua
corsa subito sotto il lobo dell’orecchio dove
lasciò un bacio umido e delicato.
Sollevò poi la testa e mi guardò intensamente:
«
Quando capirai che non mi
voglio prendere cura di te perché mi fai pena, ma
perché ti amo – lo sentii
sospirare – e dovresti smettere di darti la colpa, ok abbiamo
sbagliato
entrambi. Ora ci siamo solo noi, smettiamo di ricordare dove abbiamo
sbagliato
e partiamo da qui, che ne dici, ti sembra un buon compromesso per
iniziare?»
Non
potei fare a meno di sorridergli:
in realtà ero stata io quella che aveva sbagliato di
più, ma lui da grande
cavaliere quale era aveva diviso le colpe per alleggerire il mio senso
di
frustrazione ai giorni appena passati.
«
Perché non vai a cambiarti e a
metterti qualche abito un po’ più caldo e
poi…..vorrei stare qui stanotte».
Alzai
il viso immediatamente e
probabilmente sgranai anche leggermente gli occhi. Forse anche lui
provava una
forte attrazione fisica e avrebbe voluto……ma
eravamo sicuri che non sarebbe
stato troppo presto? E’ vero non eravamo due ragazzini alla
prima esperienza,
ma era il caso? In fondo era da tanto che non
stavo con un uomo….Mi anticipò
qualsiasi supposizione con un sorriso
alquanto imbarazzato:
«
No…cioè …volevo dire…. che
credo tu abbia bisogno di avere qualcuno vicino per ricominciare a
riposare
bene senza l’aiuto dei farmaci, che ne dici? Non intendevo
che vorrei….in
realtà mi piacerebbe, ma….credo sia ancora
presto…..» era in imbarazzo
chiaramente e non potei fare a meno di sorridere pensando a quanto
fosse
romantico e dolce e a quanto probabilmente sarebbe stata la persona
adatta per
tutto.
«
Ed è tutto ok – dissi
accarezzandogli lieve una guancia – ho capito e credo proprio
di aver bisogno
della tua “presenza” per riprendermi cura di me
stessa» ed era vero, con lui
accanto sapevo che ce l’avrei fatta come era già
accaduto i primi tempi della
nostra amicizia, « puoi restare quanto vuoi»
«
ho tutte le intenzioni di
prendermi cura di te come non mai e quando starai
meglio……» sorrise malizioso.
«
Quando starò
meglio? » ribattei serafica.
«
Non ti lascerò dormire così
facilmente….» disse con un tono basso e roco che
avrebbe risvegliato anche un
moribondo.
Una
morsa alla bocca dello
stomaco mi costrinse a deglutire e il rossore alla guance fu
probabilmente lo
specchio del mio desiderio, ma anche l’avviso del mio
imbarazzo. Ci pensò lui
ad allentare la tensione chiaramente “erotica” del
momento : « Vai a cambiarti
e poi se vuoi ti aiuterò a riposare al meglio senza bisogno
di nulla»
«
Il mio sonnifero naturale?»
risi nel ricordare un’affermazione che avevo fatto tempo
addietro.
«
Già » ricambiò lui scuotendo la
testa in senso affermativo e ridendo a sua volta.
Non
so dove trovai le forze, ma
mi alzai dalle sue gambe e mi recai in bagno per rinfrescarmi e prepararmi, mi cambiai e
misi una tuta
calda. Quando ritornai da lui notai che si era tolto le scarpe: non
feci in
tempo a dire e chiedere nulla che fu accanto a me, mi diede un caldo
bacio
sulle labbra mi prese tra le sue forti braccia e mi portò in
camera da letto,
adagiandomi dolcemente su quest’ultimo. Mi rannicchiai quasi
in posizione
fetale sotto alle coperte, lo vidi togliersi la felpa e coricarsi
dietro a me,
sentendo il suo torace aderire completamente alla mia schiena. Il suo
braccio
destro sopra alle nostre teste, quello sinistro che mi abbracciava fino
ad
intrecciare le sue dita con le mie. Presi la sua mano, la baciai e me
la portai
al cuore.
«
Ti amo» sussurrai prima di
chiudere gli occhi.
«
Anche io, cerca di riposare
ora, io non ti lascio » e un altro bacio più dolce
dietro il mio orecchio mi
convinse più che mai che non avrei più potuto
rinunciare alle sue labbra e ai
contatti con lui.
Note: sono semplicemente sconcertata dalla marea
di recensione per gli ultimi tre capitoli. non ho proprio parole se non
"MAGNIFICHE". grazie a tutte e godiamoci un pò di pace e
romanticismo....per ora:):):):):)
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Capitolo 49 *** “Confidenze” ***
Capitolo 49
“Confidenze”
Aprii
gli occhi e vidi di fronte
a me le imposte della finestra socchiuse: nessuna luce filtrava, segno
che era
ancora notte fonda.
Ma
perché sentivo così freddo? Il
contatto che avevo avuto fino a quel momento con il corpo di Edward
sembrava mi
avesse lasciato un’impronta sulla pelle, ma ora non lo
avvertivo più. Forse si
era girato nel sonno e allontanato.
Mi
portai a sedere e mi voltai, ma
di lui nessuna traccia. Cercai di stropicciarmi gli occhi per
ridestarmi
completamente dal sonno e rendermi esattamente conto della situazione,
ma
Edward non era proprio accanto a me.
Che
avessi sognato tutto? No, non
poteva essere, ricordavo esattamente ogni gesto, ogni tocco e in
più sentivo
ancora il suo sapore sulle labbra e il suo profumo sulla mia maglia: ma
allora
perché lui non c’era?
Presa
dalla mia ormai cronica
incertezza cominciai ad agitarmi e a chiedermi il motivo per cui non
fosse più
nel mio letto. Forse si era pentito ed era tornato nel suo
appartamento: senza
rendermi esattamente conto di quello che stavo facendo cominciai a
singhiozzare
e a chiamarlo nella speranza di sentirlo rispondere, magari dal bagno o
dalla
cucina, ma nulla. Il respiro si fece sempre più frequente e
il tono più alto:
«
Edward ci sei?» era una cosa
abbastanza irrazionale. Se veramente fosse stato
nell’appartamento mi avrebbe
risposto, non abitavo mica a Buckingham Palace!
Quando
fui finalmente sveglia, cominciai
a girare per l’appartamento rendendomi conto di essere sola e
mi appoggiai allo
stipite della porta della cucina iniziando a respirare frettolosamente.
Mi
accorsi delle lacrime che
iniziarono a scendere: era scappato, ma perché? Se aveva
bisogno di fare
qualcosa avrebbe potuto svegliarmi e invece se ne era andato di
soppiatto come
qualcuno pentito delle proprie azioni e desideroso di allontanarsi.
Nel
giro di pochi minuti sentii
la porta d’ingresso aprirsi, voltai lo sguardo, ma le lacrime
che mi riempivano
gli occhi non mi permisero di vedere bene la figura che stava entrando.
Non ci
pensai su e mi buttai con le braccia al suo collo: sentivo che era lui.
«
Edward sei andato via!» urlai
sulla sua spalla, soffocando i singhiozzi.
«
Bella che ti succede? Stai
male?» mi staccai a malincuore, ma non ebbi il coraggio di
fissarlo negli
occhi. Mi vergognavo troppo per aver pensato che se ne fosse potuto
andare
subito dopo avermi detto “ti amo”. Non mi
vergognavo più a questo punto ad
esternagli le mie preoccupazioni. Per troppo tempo avevo rinchiuso nel
mio
cuore sentimenti, paure, insicurezze: ora che mi ero aperta a lui non
volevo
più nascondergli nessun aspetto della mia
personalità ancora molto instabile,
pur sapendo il rischio che potevo correre nel mostragli esattamente
come ero.
Ma in fondo lui lo sapeva già e sembrava accettarmi
così, quindi perché
continuare a portare una maschera di sicurezza, quando il mio bisogno
era
affidarmi completamente a lui?
«
Mi sono svegliata e mi sono
accorta che non c’eri più – dissi fra i
singhiozzi – ti ho chiamato e quando mi
sono resa conto che te ne eri andato mi è preso il panico,
scusa». Lo vidi
sorridere e sentii le sue mani accarezzarmi dolcemente il volto e i
capelli:
«
Perché ti devi scusare?»
«
Perché so che ci potrebbero
essere mille motivi perché tu ti possa allontanare da me,
hai comunque la tua
vita, i tuoi spazi, ma…..ho ancora paura….che tu
possa decidere di…..» abbassai
lo sguardo chiaramente in imbarazzo per queste mie affermazioni.
«
Bella» lo sentii chiamare, ma
non risposi subito.
«
Bella guardami, ti prego» non feci
in tempo ad alzare lo sguardo che la sua bocca fu sulla mia. Chiusi gli
occhi
beandomi di quel contatto del quale, ero certa, non mi sarei mai
stancata. Le
sue labbra erano perfette per me, ma c’era qualcosa di lui
che non lo fosse?
Quando si staccò lanciai involontariamente un piccolo gemito
di disapprovazione
e lo vidi sorridere.
«
Credo che non potrei più fare a
meno della tua bocca, lo sai?» o mamma, ora andavo veramente
a fuoco!
«
Mi sono svegliato un po’
intorpidito e ho pensato di andare nel mio appartamento per mettere
qualcosa di
più comodo e adatto……..no, guardami
negli occhi, ti prego» mi aveva impedito di
chiudergli nuovamente i miei sentimenti attraverso lo sguardo: quando
mi
guardava mi sembrava sempre che scrutasse fino in fondo alla mia anima.
«E
poi sei così dolce e questa
tua insicurezza ti fa amare ancora di più, credimi. Sai ti
capisco se sei
spaventata e ti prometto che farò di
tutto per starti più appiccicato possibile»
«
Non devi…devo imparare a vivere
anche se non sono a stretto contatto con te» in fondo era
proprio questo che
non volevo, affidarmi fino a soffocarlo.
«
Ma sono io che voglio stare a
stretto contatto con te, tu hai idea dello sforzo che ho dovuto fare
per
alzarmi da quel letto e lasciarti anche solo per dieci minuti? La
verità è che
tu hai paura di dipendere da me e per questo angosciarmi con le tue
necessità,
ma in realtà sono io che dipendo totalmente da te e quando
mi allontano è come
se mancasse un pezzo qui» e nel dirlo prese la
mia mano e la portò sul suo torace
all’altezza del cuore.
«
E non ti ho detto nulla perché
dormivi così bene che ho creduto non ti saresti svegliata in
così poco tempo e
sapevo che se avessi aperto quei tuoi splendidi occhi non ti avrei
più lasciata
e mi sarei di nuovo incollato a te».
Non
potei fare a meno
di sorridere e aggrapparmi alla sua
maglietta tirandolo a me per un bacio lento e appassionato. Per la
prima volta
le sue mani iniziarono a vagare sul mio corpo in modo più
malizioso del solito,
le sentii accarezzarmi la schiena e indugiare sull’arco dei
fianchi. Gli sentii
aprire il palmo come a volermi inglobare tutta con le sue grandi mani e
poi mi
resi lentamente conto che con il pollice aveva trovato un varco sotto
la mia
maglietta e stava accarezzando con i polpastrelli la piccola porzione
di pelle
scoperta. Mille brividi mi ricoprirono la schiena e lui se ne accorse
quando
sarcastico mi chiese se avevo freddo. Gli diedi un piccolo colpetto
sulla
spalla subito prima di sentire le sue braccia cingermi il punto vita e
dietro
le ginocchia e sollevarmi come se fossi una piuma:
«
Credo che sia ora di tornare a
dormire» mi disse dolcemente mentre si dirigeva verso la mia
camera da letto.
Istintivamente
mi strinsi a lui
con tutte le forze ed emisi un sospiro che somigliava di più
ad un gemito: in
realtà da quando lo conoscevo ogni volta che mi aveva
stretto tra le sue
braccia non avevo percepito solo delle semplici sensazioni, ma il suo
corpo per
il mio era una vera calamita e risvegliava tutti i miei sensi.
La
verità era che lo desideravo
con ogni fibra del mio essere,ma non mi andava di saltargli addosso in
quel
momento, specie dopo che mi aveva detto che prima avrebbe aspettato che
mi
fossi sentita meglio e poi…..trasalii leggermente a quei
pensieri.
Quante
volte ci avevo fantasticato
sopra.
Edward
si accorse
probabilmente della
mia momentanea
assenza, mi adagiò sul letto e si distese accanto a me su un
fianco,
mantenendosi su un gomito.
«
A cosa pensi?»
Gli
accarezzai il volto
fissandolo negli occhi: « Sei qui , non sei andato
via…» sentivo il bisogno di
ribadire il concetto.
«
Non potrei essere in nessun
altro posto».
Non
seppi esattamente il perché mi
rattristai, ma decisi di continuare: « Ma come fai ad essere
così?»
«
Così come?»
«
Così meraviglioso: sono stata
così stronza con te negli ultimi tempi che non ti biasimerei
se tu mi odiassi»
«
Io non potrei mai odiarti:
proprio non riesci a capire quello che provo per te?
Ci
ho provato, ammetto di esserci
rimasto molto male per certi tuoi comportamenti, soprattutto quando sei
scappata
da Forks, ma poi ho cominciato a chiedermi il perché e
l’idea di James mi ha
quasi mandato fuori di testa, poi quando invece ho saputo…mi
sono odiato da
solo per quello che era accaduto…»
Lo
fermai con una mano sulle
labbra: « Non darti colpe che non hai: se
c’è qualcuno che deve essere
biasimata sono io. Avrei potuto evitare di fuggire, di trarre
conclusioni prima
di parlarti, di sfuggirti e…poi avrei dovuto farmi avanti su
quella spiaggia,
dirti quello che provavo e portarti via da lei……
invece come al solito…….mi
faccio quasi schifo al pensiero che tu sia stato male a causa della mia
insicurezza»
«
Non dirlo…la verità è che anche
con quello che i nostri fraintendimenti ci hanno portato, non avrei mai
potuto
odiarti perché mi sono reso conto che proprio non so vivere
senza di te…e
questi giorni separati me lo hanno fatto capire più che
mai…non ti crucciare
per quello che è successo, forse al tuo posto avrei fatto lo
stesso»
«
Non credo, tu non sei stupido
come lo sono stata io»
«
Non sei stata stupida, hai solo
dato troppo retta alla tua anima irrazionale, ma ora che sei qui e hai
capito –
mi portò una mano sul fianco attirandomi maggiormente a
sé – ti giuro non ti
libererai facilmente di me»
«
Non è assolutamente mia
intenzione farlo, senza di te mi manca l’aria, te lo
giuro»
«
Bella tu sei il mio sole, colei
che mi ha dato la speranza di lasciarmi i brutti ricordi alle spalle,
che mi ha
visto per quello che sono e sono stato e mi accetta comunque»
«
Io non mi limito ad accettarti,
io ti amo….. troppo…. anche solo per pensare di
starti lontana…..guarda come
sono ridotta, la gelosia mi ha roso dentro tutto questo tempo
– lo vidi stupirsi
– sì, è vero sono gelosa marcia di te e
mi sono distrutta ancora di più nello
starti lontana, tanto da non poter più fare a meno dei
farmaci per andare
avanti» in quel momento e di fronte a quelle confessioni non
potei fare a meno
di abbassare gli occhi e vergognarmi delle mie debolezze
«
….e sono io che devo
ringraziare te, perché nessuno sarebbe rimasto accanto e
avrebbe rincorso una
con i miei comportamenti. Ancora adesso non so quanto sia salutare per
te
strami vicino…»
Un
sospiro di rassegnazione uscì
dalla mia bocca: lo sentii accarezzarmi una guancia « ti
basti sapere che senza
te…nulla ha senso…» e concluse il
discorso con un tenero bacio sulla fronte. «Ora
cerca di riposare. Domani ricominceremo e se vorrai parleremo di
quest’ultimo
periodo».
Mi
limitai ad annuire
poggiandogli un leggero bacio alla base del collo, dove potei giurare
di aver
sentito partire un fremito. Dopodiché si sistemò
meglio al mio fianco,
appoggiando la testa al cuscino e chiusi gli occhi cercando di riposare
nella
mia bolla di tranquillità, tra le sue braccia e il suo
respiro sulla mia
tempia.
Mi
svegliai di nuovo: questa
volta era chiaramente mattina ed ero rimasta chiaramente ancorata al
corpo di
Edward tutto il resto della notte.
Mi
voltai lentamente nella sua
presa e lo guardai attentamente: stava dormendo sereno e dentro me
pensai a
quanto ero stata stupida, a quanto fossi gelosa e, a quanto avevo
capito a seguito
della nostra conversazione della sera prima, che anche lui lo fosse di
me.
Avrei
tanto voluto chiedergli una
marea di cose e forse con calma ci sarebbe stato il tempo per tante
piccole
spiegazioni.
Non
riuscii a resistere e mi
alzai sui gomiti iniziando a baciare dolcemente il profilo del suo
volto. La
sua risposta non tardò ad arrivare, ma fu molto
più devastante di quanto avrei
pensato.
In
un attimo le sue braccia mi
circondarono il punto vita e mi sollevarono sul suo corpo: era una
posizione
veramente poco casta e sicuramente non avrebbe aiutato ad
aspettare….come
voleva lui, ma non mi sognai minimamente di scansarmi.
Un
attimo prima di vedere i suoi
occhi aperti che fissavano i miei sentii la sua calda voce, impastata
dal
sonno, ma sempre molto sensuale, che mi augurava il buongiorno. Ci
soffermammo
a lungo baciandoci, in quel momento e per mia fortuna, in modo molto
tenero e
non passionale. Probabilmente anche lui si era reso conto che in quella
posizione non sarebbe stato salutare eccedere nelle effusioni. Inoltre
dovevamo
prepararci per andare a lezione e avremmo sicuramente fatto tardi.
Dopo
un profondo respiro lo
sentii lasciare la presa sul mio corpo:
«
Bella…credo che sia
meglio…alzarsi»
«
Si sta così bene…..»
«
Lo so ma, tu hai bisogno di
recuperare le forze con una bella colazione e in più
dovremmo andare al lavoro
e credimi…. in questo momento
devo fare
uno sforzo per concentrarmi su qualcos’altro oltre al tuo
corpo schiacciato sul
mio» mi scappò un piccolo sorriso.
Finalmente
per la prima volta dopo
giorni, anche l’idea di iniziare una giornata sapendo che
sarebbe stata diversa
grazie alla sua vicinanza mi faceva stare bene.
«
…e se continuiamo così, credo
che manderò a quel paese i miei buoni propositi di farti
riprendere con
calma….» disse strofinando il naso sulla mia
mascella, facendomi venire mille
brividi. Non mi lasciai abbindolare dalle sue moine e sorridendo gli
confessai
ciò che avevo pensato poco prima:
«
mi piacerebbe parlare con
te….vorrei sapere cosa è accaduto nei giorni
scorsi e…come ti sei sentito»
«
Perché vuoi continuare a
parlarne proprio ora? Abbiamo già detto che è
tutto superato…facciamo passare
un po’ di tempo»
«
Direi che ci sono molti vuoti …e
vorrei riempirli»
«
Lo ritieni importante?» mi
chiese diventando serio e guardandomi negli occhi.
«
Sì , ho bisogno di sapere, voglio
ricominciare parlando di tutto con te, anche di quello che abbiamo
provato a causa
della mia…» non riuscii a dirlo e abbassai lo
sguardo.
Nel
frattempo mi ero allontanata
dal suo corpo e mi ero messa in ginocchio di fronte a lui. Si
alzò a sedere
continuando a guardami negli occhi.
«
Se pensi che sia importante per
stare bene…questo e altro: sono disposto a parlare di
qualsiasi cosa e di fare
qualsiasi cosa per te» e mi lasciò un altro bacio
sulle labbra.
«
Che ne dici di una cena fra noi
stasera, è così tanto che non lo
facciamo?»
«
Direi che è un’idea magnifica...»
«
Ok, ti farò sapere l’orario e
il luogo» mi disse alzandosi e lasciandomi un tenero bacio
sulle labbra. Non
ebbi il coraggio di confessargli che avrei preferito una cena intima
fra noi in
uno dei nostri appartamenti, ma era troppo felice all’idea,
che non ebbi il
coraggio di sconfessarlo.
Ci
salutammo un’ultima volta
sulla porta con la promessa che sarebbe passato a prendermi per
accompagnarmi a
lezione.
Mentre
mi preparavo con una
doccia bollente ripensai
ai bei momenti
delle ultime ore fino a quando un’idea mi balenò,
rendendomi momentaneamente
dubbiosa: come ci saremmo dovuti comportare agli occhi di tutti,
studenti e
colleghi? Non aveva avuto nessun problema a farsi vedere abbracciato a
me da Jasper,
ma lui contava poco, era praticamente suo
“cognato”. Ma in sede professionale
cosa sarebbe stato bene fare e cosa no? Non era certo un segreto per
nessuno la
nostra amicizia, né tantomeno i gesti affettuosi che lui
aveva con me, ma da
qui a dichiarare a tutto il campus la nostra relazione ce ne sarebbe
voluto.
Una
morsa allo stomaco mi prese:
e se la nostra relazione avesse messo a rischio il lavoro? Ricordavo le
parole
della preside il primo giorno, il suo divieto a intrattenere
atteggiamenti
intimi fra colleghi, ma anche le affermazioni di Edward al fatto che
qualcuno
faceva anche di peggio. Cercai di rimuovere questi pensieri dalla mente
e mi
convinsi ad aspettare di vederlo per parlargliene.
Quando
fui pronta lo aspettai
alla porta e solo allora mi resi conto di essermi dimenticata i
farmaci. Feci
il gesto di rientrare: non ero certa di sentirmi pronta ad affrontare
la
giornata senza, quando mi bloccai pensando alle sue parole. Lui voleva
aiutarmi
e mi sarebbe stato vicino per quello…ma non doveva farlo
solo per farmi
smettere ansiolitici e sonniferi: doveva starmi accanto per i
sentimenti che
provava per me e in un attimo la convinzione di volere qualcosa in
più con lui,
al più presto, si fece strada in me, convincendomi a
richiudere la porta e ad
affrontare la giornata confidando solo sulle mie forze.
Non
dovetti aspettare molto per
vederlo scendere dalle scale e dirigersi alla mia porta con uno
splendido
sorriso. Continuava a fissarmi con uno sguardo carico di amore e non
potei fare
a meno di percepire la familiare sensazione alla bocca dello stomaco e
di
bearmi del fatto che fosse rivolto a me.
«
Sei pronta?»
Mi
chiese dolce:
«
Sì, sono appena uscita»
«
Hai fatto colazione?» si
preoccupava per me in un modo che lo rendeva estremamente tenero.
Annuii con un
lieve sorriso sulle labbra, poi pensai di renderlo partecipe delle mie
riflessioni di poco prima.
«
Ed stamattina vorrei provare a
farcela senza prendere nulla, ma non so…forse non sono
ancora pronta….» non mi
fece finire di parlare, mi prese le mani e mi guardò
intensamente negli occhi.
«
Hai fatto benissimo…avevamo
detto che ti avrei aiutato io ad affrontare le tue paure e
così farò. Io ti
sarò accanto più che potrò e se
dovessi avere dei problemi non dovrai fare
altro che correre da me o chiamarmi e ti sarò subito vicino.
Vedrai risolveremo
ogni tuo piccolo timore insieme».
Era
talmente convincente che non
riuscii a fare a meno di stringere le sue mani tra le mie ancora
più forte e
incamminarmi con lui fuori dall’edificio. La cosa che mi
stupì maggiormente fu
che nonostante non ne avessimo parlato, si affiancò a me in
modo per nulla
malizioso, dando dimostrazione di voler mantenere un momentaneo
equilibrio.
Gliene
fui grata di questo.
Ci
dirigemmo insieme alle aule:
in quei momenti e con lui accanto, riuscii a rimuovere dalla mia mente
lo
sconforto che nei giorni precedenti mi aveva colto ogni volta che avevo
percorso quella strada da sola: ma ora non era così. Mi
sentivo emozionata, ma
serena, e il fatto che il suo braccio avesse un costante, quanto
leggero,
contatto con il mio, mi dava la forza di pensarlo accanto a me, ma
comunque convinto
che potessi riuscire anche senza il suo appoggio continuo.
E
così sarebbe stato.
Lui
mi stava aiutando, ma soprattutto
mi stava amando e questo voleva dire dedicarsi a me, a noi, ma non
affidarsi
come se fosse il mio sostegno psicologico. Lui era la forza del mio
cuore.
Mi
resi conto, solo una volta
giunta alla porta dello stabile, di essermi appoggiata quasi
completamente al
suo fianco, come a voler trovare in lui la spinta per affrontare quella
giornata in modo diverso da come era avvenuto nelle settimane prima.
Quando
fummo nel corridoio che
andava alle nostre aule non potei fare a meno di notare le occhiate che
molti,
sia professori che studenti ci stavano rivolgendo: me lo sarei dovuto
aspettare, dopo vari giorni in cui non ci eravamo rivolti la parola,
vederci di
nuovo insieme e vicini poteva alimentare qualche pettegolezzo, ma per
la prima
volta mi resi conto che non me ne importava, perché ero
accanto a lui e avrei
potuto affrontare di tutto.
In
fondo non stava avvenendo
nulla che non fosse accaduto già prima di Natale. Mi guardai
intorno con
circospezione quando mi accompagnò dentro
all’aula, ma non potevo certo
immaginare che avrebbe sollevato una mia mano per portarsela alle
labbra nei
più delicato dei contatti: si abbassò poi verso
il mio orecchio, facendo venire
mille brividi sulla mia pelle:
«
Per ora mi limiterò, non credo
sia il caso di dare scandalo o di alimentare stupidi pettegolezzi,
questa cosa
è solo nostra, per ora……».
I
brividi che si erano propagati
sul mio corpo divennero vere e proprie scariche quando lo vidi
allontanarsi
dall’aula mentre mi rivolgeva uno splendido sorriso e un
“ci vediamo dopo”.
Era
incredibile! Non c’era stato
alcun bisogno di parlare, lui aveva capito i miei timori o perlomeno si
era
posto i miei stessi dubbi e li aveva risolti nel modo migliore.
Sembrava che
nel giro di poche ore le nostre menti fossero tornate in una sincronia
perfetta
e la nostra complicità non avesse mai visto
quell’interruzione che io stessa
avevo causato.
Quando
arrivarono i miei studenti
un radioso sorriso faceva bella mostra di sé sul mio volto.
Iniziai
la lezione e mi resi
conto che il mio stato di serenità, per non dire
felicità, non avrebbe dato
adito a nessun fraintendimento, perfino fra i miei studenti.
Più di una volta
mi resi conto che la mente si era assentata ed era rivolta a lui, ai
nostri
baci, alle sue carezze e alla sua voce e spesso mi ero ridestata da
questi
pensieri appena in tempo per evitare figuracce.
La
mattina fu lunga e
impegnativa, ma non sentii la fatica come era avvenuto nei giorni
precedenti:
stavo quasi per andarmene quando notai ancora in aula la presenza di
Emmet.
Solo
da qualche giorno aveva
ripreso a frequentare i corsi. Il suo umore era chiaramente a terra ma stava cercando
di riemergere. In
quel momento misi da parte i miei pensieri e decisi di chiedergli some
si
sentiva:
«
Insomma…sto cercando di non
pensare e Rosalie mi aiuta molto»
«
Sono felice che ti stia
accanto..è una ragazza molto determinata e la sua vicinanza
potrà solo farti
bene. Ho sempre voluto chiedetelo…da quanto tempo vi
frequentate?»
Un
piccolo sorriso riuscì a
comparire sul suo volto, ebbi la strana sensazione che fossero rari i
momenti
spensierati per lui e potevo comprenderlo in pieno:
«Da
poco prima di Natale, è nato
tutto in modo strano……posso farle una domanda
prof?»
«
Certo dimmi»
«
Da parecchio non la vedo con il
professor Cullen… non entro nel merito, so che ha parlato
con Rosalie,
ma…..stamattina ecco…eravate
insieme….gli ha per caso parlato di noi due?»
Probabilmente
la mia faccia fu di
pieno stupore perché vidi Emmet sorridere:
«
Emmet io…beh sì diciamo che
stamattina siamo venuti a lezione insieme….ma non ho certo
avuto il tempo di
parlargli di sua sorella…» il mio tono era
imbarazzato, che avrei dovuto fare?
Dire ad un mio studente che avevo litigato con il suo potenziale
“cognato”, che
ci eravamo riappacificati e ora stavamo insieme? Non lo reputai il
caso. Anzi
mi feci avanti per deviare il discorso il più possibile
«
Scusa, ma ancora Rosalie non
gli ha detto nulla di voi?»
«
No, non so se per paura della
sua reazione, o se perché lo ha visto molto giù
nei giorni in cui non vi siete
frequentati..»
Ora
ero chiaramente in imbarazzo,
ma cercai comunque di rispondergli : « direi che non spetta a
me decidere ciò che
sia opportuno che si dicano o no e sarà lei a parlargliene
quando lo riterrà giusto».
Si
congedò con un saluto e fra me
pensai a quando sarebbe stato il caso di raccontare a Rosalie della
riappacificazione
con il fratello, visto la preoccupazione che aveva dimostrato nei
confronti di
entrambi. Decisi che ne avrei parlato con Edward e avrebbe deciso lui,
io avevo
altro cui pensare……..finalmente potevo pensare a
noi.
Quando
mi resi conto che la
maggior parte degli studenti aveva lasciato lo stabile decisi di andare
da
Edward. Era tutta la mattina che non lo vedevo e mi mancava
immensamente.
Mi
affacciai alla porta della sua
aula e lo trovai intento a riordinare alcuni cd che forse aveva fatto
ascoltare
ai suoi studenti durante la lezione. Molto lentamente e cercando di non
far
rumore entrai e mi chiusi la porta alle spalle: sentivo il bisogno di
baciarlo
e stringerlo a me e non potevo certo rischiare che ci cogliesse il via
vai del
corridoio.
Mi
avvicinai silenziosamente,
chiedendomi dove avevo trovato quell’audacia e appena gli fui
accanto lui si
voltò stupito, ma non lo feci obiettare: mi fiondai al suo
collo cingendolo con
entrambe le braccia e lo baciai appassionatamente.
La
sua risposta non tardò e nel
giro di qualche secondo cominciò a divorare le mie labbra
con piccoli morsi. Il
suo sapore mi mandava in estasi tutte le volte: chissà se ci
avrei mai fatto
l’abitudine.
Lo
sentii prendermi il viso con
le mani ed accarezzarlo dolcemente, in contrasto con il bacio
passionale che ci
stavamo dando. Poi mi resi conto che le sue labbra si erano staccate
dalle mie
ed erano scese lungo il mio collo, sul quale lasciò decine
di baci e una
leggera scia con la lingua fino ad arrivare dietro
all’orecchio.
Probabilmente
il mio
atteggiamento non avrebbe potuto dare adito a fraintendimenti sulle
emozioni
che stavo vivendo: gli occhi socchiusi,
il capo leggermente chinato indietro per consentirgli un
accesso più
facile, stavano a dimostrare quanto apprezzassi quelle attenzioni,
senza contare
il sospiro e il gemito quando mi lasciò un lieve morso sulla
pelle. Lo sentii
sorridere compiaciuto probabilmente della mia reazione alle sue
attenzioni.
Poi
provocatorio si avvicinò al
mio orecchio:
« Non oso
immaginare come reagirai a contatti
più...intimi se solo un bacio ti fa questo
effetto».
Sgranai
gli occhi e lo fissai: ma
veramente aveva fatto quella supposizione? Aveva deciso di procurami un
arresto
cardiaco?? Stava ridendo compiaciuto: lo aveva fatto apposta per
destabilizzarmi.
«
Scemo» gli dissi colpendolo
leggermente su di una spalla « stai approfittando delle mie
debolezze e del fatto
che mi sei mancato da morire» mi avvicinai a lui maliziosa e
gli sorrisi a mia
volta.
«
No – proruppe lui – la verità
è
che sono le stesse sensazioni che ho io quando tu anche solo mi sfiori
e
quindi….devo ripagarti con la stessa
moneta…» questo gioco di seduzione era
devastante per il mio ancor precario equilibrio, ma mi piaceva. I
nostri corpi
erano in contatto e cercai di godermi il momento.
«
Allora che ne dici se stasera
andiamo in uno splendido ristorantino alle porte di Londra? Così
passiamo un po’ di
tempo insieme?» lo aveva detto con un tono a cui non avrei
saputo assolutamente
resistere.
Ci
accordammo per l’orario e
decisi che quella sera mi sarei dedicata a me stessa in modo maniacale.
Volevo
essere al meglio per lui e quando me lo ritrovai alla porta con una
rosa bianca
tra le mani e un abito elegante che fasciava alla perfezione il suo
fisico
snello e muscoloso, ringraziai la sua proverbiale pazienza
perché lo avrei
fatto mio in cinque minuti sulla soglia, infischiandomene anche di chi
sarebbe
potuto passare sul pianerottolo.
Mi
accompagnò alla macchina rimanendomi
sempre accanto e aprendo lo sportello per farmi accomodare dentro
all’abitacolo: nel momento in cui mi appoggiai al sedile e lo
vidi entrare
dall’altro lato ripiombai nei ricordi di qualche tempo prima
e mi beai di ogni positiva
sensazione che mi stavano portando.
Quando
arrivammo al ristorante le
sue premure si intensificarono e forse perché eravamo fuori
dall’istituto, lo
sentii abbracciarmi e baciarmi dolcemente dietro all’orecchio
prima di
scostarmi la sedia per permettermi di sedermi. Si era fatto prenotare
un tavolo
un po’ appartato e non so se il luogo, le candele o
l’atmosfera, ma per un
attimo pensai che con lui avrei potuto passare tutta la vita e non
stancarmi
mai delle sue attenzioni.
Parlammo
per quasi tutta la cena
del più e del meno fino a che, non so con quale coraggio,
affrontai
l’argomento:
«
Cosa hai provato quando ti sei
accorto che non ero più a Forks?»
Lo
vidi fissarmi intensamente e
prendere un sospiro profondo : se avesse continuato a guardarmi in quel
modo
non sarei riuscita a proseguire con i chiarimenti e mi sarei incollata
alle sue
labbra.
«
Sai, quando sono stato da tuo
padre ancora non mi ero reso conto della gravità della cosa,
anche Alice non
aveva capito molto. Quando ho intuito che eri scappata
e chiamandoti non mi hai risposto, ho pensato
a tutto e nulla.
Credimi se ti dico che
un vuoto mi si è aperto nel petto. Ero convinto che non ti
avrei più rivisto,
ho pensato a James, ad un incidente, che ti fossi sentita nuovamente
male e io
non ero con te ad aiutarti…mi ci è voluto un gran coraggio per partire senza
sapere dov’eri, ma
poi l’ho fatto perché i tuoi silenzi mi avevano
quasi convinto che non volessi
più avere a che fare con me, anche se ancora non sapevo il
perchè. Tuo padre ha
cercato di tranquillizzarmi dicendo che stavi bene, ma avevi solo
fretta di
ripartire……e poi quando ti ho visto
qui….. mi sono sentito ben fino a che…non
ho visto la tua reazione alla mia presenza….» lo
sguardo basso, serio, la voce
più flebile, come se fosse un vero dolore ricordare quei
momenti. In un attimo
mi sentii veramente male al pensiero di quello che gli avevo fatto
provare e le
lacrime iniziarono a lambire i miei occhi.
«
Bella ti prego non piangere,
non volevo parlarne per farti stare male…sei tu che hai
chiesto……ti prego non
piangere. Mi sei mancata così tanto che ora non voglio
passare il mio tempo con
te a rivangare ciò che è stato in questi giorni,
voglio starti accanto e darti
quello che avrei dovuto già da tempo: il mio cuore e tutto
il mio amore».
Il
tono della nostra voce era
basso, quasi un sussurro e in quelle condizioni l’uomo di
fronte a me sembrava
ancora più sensuale. Soffocai il pianto con un sorriso e mi
avvicinai a lui per
porgergli un bacio sulle labbra. Indugiai sulle sue
per bearmi della morbidezza della sua pelle.
«
Bella tu forse non hai ancora
capito quello che provo……e spero di riuscire a
fartelo capire prima o poi» e
dicendo questo mi strinse le mani e si riavvicinò a me.
Questa
volta la sua mano fu sulla
mia guancia per una carezza lieve, per poi scorrere tra i miei capelli
ed
avvicinarmi a lui per un altro bacio più profondo di quello
che gli avevo dato
io. Le nostre bocche si scontrarono e le nostre lingue iniziarono a
lambirsi
come se non ci fosse tempo per altro. Interruppe il bacio lasciando un
leggero
schiocco sul mio labbro inferiore.
La
cena terminò in modo
tranquillo, cercai di non tornare sull’argomento e lui da
grande cavaliere
qual’era mi coccolò e mi vezzeggiò come
se fossi la cosa a cui teneva di più al
mondo.
Non
parlammo molto lungo il
tragitto di ritorno, ma cercai di godermi il calore e il profumo che
aleggiava:
mi ricordava l’odore della sua pelle e a dirla tutta era
anche sulla mia visto
i baci e il contatto che avevamo avuto fino a quel momento. Ogni volta
che mi
baciava il suo sapore rimaneva su di me e per un attimo immaginai di
nuovo le
sue labbra sul mio collo, sul mio torace, sulla mia
schiena……mi resi conto che
avevo la necessitò di ridestarmi da quei pensieri, ma un
leggero sorriso mi si
disegnò sul volto.
«
Stai pensando a qualcosa di
piacevole?» la sua voce interruppe i miei pensieri. E ora?
Cosa potevo dirgli?
Che lo pensavo e sognavo ogni tipo di contatto con lui? Magari non in
modo esplicito,
ma potevo permettermi di mettergli in mostra in parte i miei sentimenti:
«
Pensavo a quanto mi
piace quando mi guardi e mi baci come
prima….» da dove mi usciva questa sfacciataggine?
Per un attimo pensai di
sprofondare nel sedile per la vergogna, ma la sua risposta mi
spiazzò.
«
Bella…io non so cosa mi
trattenga dal……adoro baciarti e stringerti e
spero di poterlo fare ancora a
lungo».
Non
so cosa mi passò per la mente,
ma già da un po’ meditavo di chiedere spiegazioni
riguardo ad un grosso pezzo
mancante di quegli ultimi giorni e che aveva fatto preoccupare anche me
come i
suoi familiari:
«
Edward, scusa…» in realtà ero
imbarazzata a chiedergli una cosa così rivangando nuovamente
il dolore causato
dalla nostra lontananza, ma fu lui ha togliermi
dall’imbarazzo.
«
Bella cerca di capire , mi puoi
parlare di tutto io…..ho bisogno di sapere cosa ti passa per
la testa perché
non avere tue notizie, non poterti parlare, guardare e immaginare il
peggio…..mi ha devastato. Preferisco passare le prossime
settimane a
raccontarti e sentirti raccontare tutto, piuttosto che il silenzio. Di
quello
tra noi ce n’è stato fin troppo
direi….»
A
quelle parole non esitai…
«
Edward dove sei stato prima di
rientrare qui?»
«
Cosa intendi?»
«
Rosalie mi ha detto che sei
partito subito dopo di me, ma non sei arrivato qui se non quattro
giorni dopo,
senza dare notizie a nessuno di dov’eri…io ho
pensato…..che fossi con Leah – e
una fitta mi attraversò nuovamente la bocca dello stomaco
– ma ora so che non è
stato così….allora dove sei stato, cosa hai
fatto?»
Sentii
l’auto diminuire i giri e
accostare al margine della strada. Le sue mani presero le mie e due sue
dita mi
toccarono il mento per sollevare il mio viso e costringerlo a guardarmi
negli
occhi.
«
Sei sicura di sentirti bene?»
non potei negare il mio senso di soffocamento.
«
Non molto, ma se tu mi sei
vicino so che passerà presto»
«
Io non sopporto di vederti
stare male e voglio tu sappia che per qualsiasi cosa ci sarò
sempre, giurami
che lo farai»
«
Cosa?»
«
Chiedere aiuto ogni volta che
qualcosa ti renderà insicura o ti farà stare
anche solo lontanamente male» non
feci altro che annuire, ma ci credevo in quello che stavamo dicendo.
Volevo che
mi stesse accanto come uomo e amico e non come infermiere ed era questa
la
veste che sembrava voler indossare con me.
«
Comunque sono stato a New York».
Probabilmente
il mio sguardo
stupito lo spronò a continuare.
«
Quando anni fa ho viaggiato un po’
per lavoro ho trovato un amico lì e quando ho smesso di
suonare mi ha detto che
sarei potuto andarlo a trovare in qualsiasi momento. Beh ci siamo
sempre tenuti
in contatto e quando mi sono reso conto che tu eri scappata da me e ho
cominciato
a pensarle tutte…anche a
James…. – e
vidi i suoi occhi abbassarsi dai miei. Istintivamente feci il suo
stesso gesto
e con le mani lo portai a mantenere lo sguardo su di me. Non volevo che
mi
celasse i suoi sentimenti – ho sentito il bisogno di stare
solo, per capire
come potevo fare ad andare avanti se non ti avessi più
rivisto e……è stata dura
accettare di non poterti più stare vicino e mi sono
maledetto per non averti
detto chiaramente prima tutto quello che provavo per te. Il pensiero di
perderti ancora prima di averti è
stato…….pesante da accettare». Non
riuscii a
ribattere. Mi limitai a sorridergli e ad accarezzargli una guancia fino
a sfiorargli il
labbro inferiore con il pollice
che lui immediatamente baciò socchiudendo gli occhi come a
volersi beare di
ogni minimo contatto fra noi. Non riuscii più a dire nulla,
ma lui non ne volle
sapere di rimettere in moto. In quel momento la mia anima la sentivo
nuda
davanti a lui:
«
Bella dimmi qualcosa ti
prego…cos’hai? Questi tuoi silenzi….non
so mai cosa pensare e ho paura tu
scompaia di nuovo….»
«
Non potrei mai farlo – non
volevo certo che credesse certe cose – è solo che
mi sento un verme per quello
che ti ho fatto e mi chiedo se potrai mai perdonarmi per quei giorni
passati
così, se vorrai stare ancora con
me……»
«
Bella ferma ti prego – il tono
fermo, lo sguardo serio – io non devo perdonarti nulla e la
mia intenzione è
quella di rimanerti accanto ancora a lungo se tu vorrai».
Era
veramente un uomo unico,
romantico, sensibile e disposto a darmi tutto il suo amore anche se lo
avevo
ferito. Probabilmente si accorse della mia tristezza dovuta
più che altro al
mio senso di colpa e mi disse una frase che mi colpì ancora
di più:
«
Io credo che tu non debba
chiedere a me di perdonarti, penso che sia ora tu inizi a perdonare te
stessa –
alzai lo sguardo stupita e lo ascoltai attentamente –
sì credo che sia così, ne
hai bisogno, ci sono tante cose su cui devi passare sopra, cose che non
mi hai
raccontato e ancora ti turbano. Perdona te stessa amore mio e non avere
dubbi
su di me».
Istintivamente
lo guardai negli
occhi: « Come mi hai chiamato?»
«
Amore mio»
«
Ripetilo»
«Ti
amo Bella e te lo ripeterò
fino allo sfinimento se questo ti renderà sicura di te
stessa e di noi».
Mentre
diceva queste cose mi si
era avvicinato e mi fissava.
Io
presi un lungo respiro,
un sorriso mi si
dipinse sul volto.
Portai una mano alla sua nuca e lo baciai a lungo. Non so come trovammo
la
forza di staccarci e riprendere la strada del campus. Quando fummo
arrivati mi
accompagnò alla porta e feci il gesto di salutarlo
lì, sapendo che avrebbe
preferito entrare:
«
Forse è meglio che stanotte
stia sola»
Lo
vidi veramente preoccupato:
«
Bella, perché? Non ti senti
bene…hai cambiato idea? »
«
No è che ho solo voglia di
pensare a me stessa e a noi senza avere il tuo corpo a fianco al
mio»
«
Perché, vuol dire che ti
destabilizzo?» un lieve sorriso gli arrivò agli
occhi.
«
Moltissimo prof, ma credo
proprio che per questa sera sia meglio così»
«
Non è che ora ti fiondi dentro
e per dormire…» sapevo cosa temeva, che senza di
lui non avrei esitato a prendere
i sonniferi. Cercai di tranquillizzarlo, ma non so se ci riuscii
completamente
visto il suo sguardo dubbioso. Così feci un gesto che
speravo lo avrebbe reso
forse più calmo: entrai nel mio appartamento presi le chiavi
di scorta che
ancora erano sul tavolino dove le aveva lasciate qualche sera prima e
gliele
porsi.
«
Facciamo così, se ho bisogno o
senti che qualcosa non va o non ti convince ti autorizzo ad entrare in
qualsiasi momento e a stringermi tra le tue braccia » cercai
di sdrammatizzare
sorridendogli e porgendogli il mazzo di chiavi. Lo accettò e
lo vidi
allontanarsi verso il suo piano dopo avermi lasciato un tenero bacio
sulle
labbra e sul collo.
Mi
chiusi la porta alle spalle
consapevole che non sarebbe stato facile, ma sapendo che avrei potuto
contare
su di lui in ogni momento.
Probabilmente
le mille emozioni
che mi avevano attraversato la mente
e il
cuore quella sera mi avevano comunque lasciato un segno e mi portarono
a
piangere più silenziosamente. Me ne andai a letto
rigirandomi più volte senza
prendere sonno, quando sentii la porta di casa aprirsi e lo vidi
avanzare verso
di me. Lo sentii accendere la luce e quando mi vide mi chiese se andava
tutto
bene:
«
Sì Edward è tutto ok…è solo
che
questa sera…è difficile dire quello che provo,
sono felice , ma nello stesso
tempo…»
Non
mi lasciò finire, ma si stese
accanto a me: « Facciamo così, qualsiasi cosa sia
mettiamo che sono io che non
riesco a stare lontano da te stasera…ti ho appena ritrovato
dopo che ero
convinto di non vederti più, non sono ancora pronto a stare
senza di te anche
se solo per qualche ora» sapevo che lo faceva principalmente
per me, ma in
fondo ero convinta che fosse così anche per lui, almeno in
parte. E in questo
modo ci addormentammo nuovamente vicini, abbracciati e sereni, ma
soprattutto
consapevoli che ciò che avevamo sarebbe stato ogni giorno
sempre più forte ora
che ci stavamo aprendo sempre di più l’uno
all’altra.
note: salve a tutte . lo so sono in un ritardo mostruoso, ma prima di
così non mi è stato proprio possibile postare.
spero di fare meglio nei prossimi giorni. comunque non sono proprio
soddisfatta al 100% di questo capitolo, ma in fondo l'ho pubblicato
anche come scusa per augurarvi BUON NATALE. diciamo che è un
capitolo di "stabilità" in cui scoprono meglio i loro
sentimenti quando si sono trovati lontani......e poi vi avevo promesso
un pò di sano romanticismo.
comunque grazie ancora a tutti e di nuovo AUGURI
un bacio
|
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Capitolo 50 *** “Allo scoperto” ***
Capitolo
50
“Allo
scoperto”
La
giornata successiva
passò in modo sereno. Non fu
facile sospendere completamente i tranquillanti, ma la costante
presenza di
Edward mi aveva aiutata molto e la stavo affrontando con qualche
capogiro,
prontamente placato dalle sue calde mani sulle mie spalle e sul mio
collo.
In
realtà durante le lezioni che
avevo svolto nell’aula più distante da quella di
musica, mi era veramente
mancato, ma doveva essere stato così anche per lui
perché ad ogni cambio di
orario si era affacciato alla mia porta, approfittando
dell’assenza degli
studenti.
Me
lo ritrovai più di una volta
appoggiato allo stipite, con quell’aria tremendamente
affascinante e le mani
nelle tasche anteriori dei Jeans. Mamma mia ma quanto era bello!
E
lo splendido sorriso che ormai,
ne ero certa, riservava solo a me, lo rendeva ancora più
irresistibile, tanto
che più di una volta il desiderio di volargli fra le braccia
e baciarlo si era
profilato nella mia mente, trattenuto solo dal fatto che il corridoio
pieno di
studenti sarebbe stato il teatro della nostra relazione.
In
realtà non avevamo più parlato
di questa cosa, ma capivo dal suo modo di avvicinarmi, anche di fronte
a
colleghi e studenti, che cominciava a “soffrire”
nel dover limitare i momenti
tra noi alle mura dei nostri alloggi. Ero convinta che non avrebbe mai
esagerato negli atteggiamenti intimi in pubblico, ma mi resi conto che
tenermi
la mano e sorridermi, anche di fronte agli altri, stava diventando una
necessità per lui: e in realtà lo era anche per
me, tanto che spesso mentre
camminavamo vicini, cercavamo piccoli contatti con le mani, come due
adolescenti
che provano effusioni di fronte ai genitori e i nostri sfioramenti di
sguardi e
di sorrisi dopo questi gesti dimostravano le nostre
necessità.
Ci
amavamo finalmente, questa era
la realtà, e avremmo voluto urlarlo al mondo intero, almeno
io.
Terminati
i nostri impegni
lavorativi ci recammo come nostra abitudine, insieme, verso il nostro
dormitorio e una domanda mi sorse nella mente nel momento in cui
intravidi Jasper
alla sua postazione dell’ingresso.
«
Dici che Alice si stia
trattenendo dal telefonarci o Jasper è veramente riuscito a
non raccontarle
nulla?»
Un
lieve sorriso uscì quasi in
contemporanea dalle nostre labbra, ma poi la calda voce di Jasper
anticipò ogni
nostra conversazione:
«
Edward, Bella io devo chiedervi
un favore – lo sguardo era pensieroso e il tono serio
più che mai, tanto che
sia io che Ed iniziammo a preoccuparci – vi prego, parlate ad
Alice di voi due
perché mi martella in continuazione e non ne posso
più!» ora lo sguardo era
implorante, ma comico, tanto che scoppiammo a ridere tutti e tre.
«
Tranquillo Jazz – intervenne Ed
guardandomi come a voler chiedere il mio consenso – la
chiamerò entro stasera e
le parlerò. Aspettati che poi ti sobilli di telefonate e
domande» disse
guardando rivolgendosi a me. Non potei trattenere un ulteriore sorriso
celato
da una mano.
Ci
congedammo da Jasper per
salire le scale e quando fummo accanto alla mia porta, sentii Edward
sussurrarmi all’orecchio:
«
Spero non ti secchi farlo
sapere ad Alice, lo so che stiamo insieme solo da un paio di giorni e
non
vorrei mai che tu ti sentissi…..» gli tappai la
bocca con una mano.
«
Non ti preoccupare Ed, io adoro
Alice anche se è un po’ pazza – non
poté fare a meno di annuire – e credimi,
per quello che provo, non c’è quasi nulla che tu
non possa dirle. In realtà mi
preoccupa un po’ di più la reazione dei tuoi
genitori……»
«
I miei ti adorano Bella, come
puoi pensare il contrario?»
«
Non so, visto quello che è
capitato…»
«
Non darti colpe anche per
quello, sono io che ho preso la decisione di andarmene e non dare mie
notizie
per tre giorni, quindi……» avevo capito
in pieno quello che diceva, ma mi sarei
sentita in imbarazzo comunque ad essere presentata alla sua famiglia in
veste
ufficiale, anche se da come mi avevano trattato a Natale lo pensavano
già o
forse lo speravano. D'altronde non avevo dato notizie su di noi nemmeno
a
Charlie, mi sembrava troppo presto e troppo…..impegnativo.
Non
che non fossi certa dei
nostri sentimenti. Dopo quattro mesi a rincorrerci, complici, eravamo
finalmente
insieme e il mio desiderio di dimostrarlo a chiunque era molto forte,
ma non volevo
che lui si sentisse in obbligo per una cosa ufficiale. Ma furono le sue
parole
a sollevare ogni dubbio:
«
Ora che siamo insieme non
posso e non voglio
temere niente e
nessuno: so che abbiamo ancora molta strada da fare…e non
voglio anticipare i
tempi…ma non siamo più due ragazzini e se le
nostre famiglie lo vengono a
sapere, posso solo esserne felice. Io Bella non posso più
stare senza di te, ti
sento così vicina e sono così felice
che…… – prese la mia mano e se la
portò
sul torace all’altezza del cuore, stringendola ed
accarezzandola – al massimo
mi preoccupa solo il fucile di Charlie», una lieve risata
uscì dalla mia bocca interrompendo
le lacrime di commozione che stavano tentando di uscire dai miei occhi,
per la
gioia di sentirgli dire quelle parole.
«
Quando sei venuta da me dopo il
mio messaggio, mi hai detto ti amo e sei scappata mi si è
aperta una
voragine…..ho passato tutta la notte a pensare ad un modo
per non perderti e
non ti ho seguita perché ero consapevole che, in quel
momento, qualsiasi cosa
avessi potuto dire, avrei rischiato di fare peggio. Ma ora, pensare di
starti
lontano mi devasta e vorrei che tutti potessero vedere invece la gioia
che c’è
nel mio cuore ora ad averti accanto».
Le
lacrime che avevo tentato di
trattenere fino a quel momento iniziarono a scendere. Non sapevo cosa
aveva
provato in quella giornata, e me lo ero sempre chiesta, ma poi ci
eravamo
avvicinati e non avevo più pensato ai momenti di tristezza e
solitudine.
Non
potei fare a meno di
avvicinarmi a lui accarezzandogli i capelli e sussurrandogli un
“ti amo”, prima
di depositargli un dolce bacio sulle labbra. Poi parlai nuovamente
senza
abbandonare il contatto tra le mie mani e il suo viso:
«
Mi chiedo come sia possibile…»
«
Che cosa?» chiese calmo
«
Che tu mi ami dopo tutto questo
tempo perso dietro alle mie paure e alle mie supposizioni».
Non
sentii da lui alcuna risposta
perché le sue labbra si impegnarono sulle mie, morbide dolci, quasi a cercare di
lasciare con quel
contatto tutte le sensazioni che provava con il cuore.
Si
staccò come al solito troppo
presto e il mio mugugno di disapprovazione lo fece sorridere
leggermente e
dipinse sul suo volto uno sguardo compiaciuto per l’effetto
che sempre mi
faceva.
«
Vado a chiamare Alice…e a dire
la verità sarebbe il caso di parlarne anche a Rose»
«
Come scusa?» ero seriamente
stupita. Rosalie abitava praticamente con noi e lui non le aveva ancora
detto
nulla? Se non altro per tranquillizzarla visto quanto era preoccupata
del suo
stato d’animo di quegli ultimi giorni.
«
Fallo subito Edward! »
«
Cosa?» mi chiese interrogativo.
«
Vai a parlare con tua sorella:
era seriamente dispiaciuta e coinvolta. Si è molto
preoccupata quando mi ha
visto e ha capito che non eri con me e poi…..per tutto il
resto» abbassai lo
sguardo. I ricordi erano ancora freschi e dolorosi in un certo senso,
più per
tutto il caos che avevo procurato che per altro. Mi sollevò
il mento con due
dita e mi guardò negli occhi:
«
Che ne dici di andare insieme
più tardi, magari dopo cena? » beh era una
richiesta un po’ strana, in fondo la
sorella era sua, ma apprezzai il fatto che volesse coinvolgermi. Annuii
e lo
salutai dicendogli che lo avrei aspettato.
Mi
chiusi la porta alle spalle e
mi recai in cucina per prepararmi qualcosa da mangiare: in
realtà era da
tanto…troppo tempo che non cucinavo una cena degna di quel
nome. Nelle ultime
settimane i miei pasti erano stati frugali, dettati dalla chiusura alla
bocca
dello stomaco che mi attanagliava non appena aprivo gli occhi al
mattino. E
sicuramente questo mi aveva fatto perdere un po’ di peso:
sperai in cuor mio
che Edward non lo avesse notato, se no chissà che ramanzine!
Ma
quella sera stranamente avevo
fame, come se sciogliere i miei problemi con lui avesse fatto
sciogliere tutti
i miei dolori fisici.
Dopo
aver cenato e controllato il
lavoro per il giorno dopo decisi di dedicarmi ad una bella doccia
calda: il
getto bollente sulla pelle mi rilassava i muscoli e portava alla mente
solo le
cose piacevoli avvenute nelle ultime ore.
E
ovviamente a Edward, al suo
viso, ai suoi occhi e alle sue carezze. Non tardò a farsi
sentire un fremito,
non tanto dovuto al raffreddamento dell’acqua, quanto ad un
vero stato di
desiderio nei confronti di quell’uomo che mi aveva stupito e
non aveva mai
ceduto di fronte alle mie paranoie, lottando fino alla fine per
chiarirsi con
me e donarmi ora tutto l’amore che aveva trattenuto dentro di
sé nei primi mesi
della nostra amicizia. E che ora io finalmente non avevo più
paura di
ricambiare e anzi cresceva ogni momento di più, radicato
come l’albero più
forte.
E
per un attimo i miei pensieri
sfuggirono al controllo e immaginai come sarebbe potuto essere avere
lì accanto
a me Ed in quel momento; a quali sensazioni mi avrebbe fatto provare e
a come
il suo tocco sulla mia pelle scoperta mi avrebbe procurato, ne ero
certa, brividi
al di sopra di ogni aspettativa.
Riaprii
improvvisamente gli occhi,
ridestandomi da quei pensieri quasi imbarazzata. Non era la prima volta
che sognavo
me e lui in atteggiamenti poco casti, ma ora era tutto diverso: ora
stavamo
insieme e prima o poi……
Chiusi
immediatamente i rubinetti
dell’acqua scrollando il capo per ricacciare quei pensieri:
non potevo andare
in giro pensando continuamente a come sarebbe stata la prima volta fra
me e
Edward. Non volevo sembrare una ninfomane guardandolo con la bava alla
bocca!
Mi
asciugai velocemente e mi
vestii in modo comodo. Poi decisi di fare una cosa a cui avevo pensato,
ma non
ero ancora riuscita a fare.
Presi
il telefono e chiamai mio
padre: in realtà lo feci in parte per lui, per rassicurarlo
visto il tormento
che gli avevo sicuramente procurato nelle ultime settimane con il mio
comportamento, e in parte anche per me, perché volevo che
sentisse quanto ero
felice ora dopo giorni di inutili tormenti.
«
Pronto papà?»
«
Bella tesoro, come stai è da
qualche giorno che non ti sento…»
«
Sì, beh…ho avuto da fare » e un
sorriso mi si dipinse sul volto al pensiero degli ultimi teneri momenti
vissuti.
«
Bella sei sicura di stare bene?…..Non
so hai un tono di voce strano….»
«
Sto benissimo papà credimi, sai
sono cambiate alcune cose…» perché mi
risultava così difficile dirlo? Forse
perché ancora non ci credevo nemmeno io.
«
Così mi fai preoccupare….hai
avuto dei problemi con…..lui?» sapevo a chi si
riferiva e da tempo quando lo
sentivo per telefono evitava di chiamarlo per nome; non
perché provasse astio,
ma perché sapeva quanto male mi aveva fatto parlare di lui
nelle precedenti
telefonate. Charlie sapeva che era stata una mia decisione quella di
scappare e
non aveva chiesto il perché, ma avevo sempre temuto che
desse in parte la colpa
a Edward per quella mia fuga sconsiderata. Presi un bel respiro e
decisi di
parlare tutto d’un fiato:
«
Charlie senti…un paio di sere
fa ho parlato finalmente con Edward, abbiamo avuto delle incomprensioni
e ci
siamo chiariti…e ora……»
«
…State insieme!?» sorrisi, la
sua non era una vera domanda quanto più
un’affermazione.
«
Sì » se qualcuno mi avesse
visto in quel momento avrebbe pensato potessi avere una paresi facciale
dal
gran che sorridevo.
«
Bella, ma cosa è successo?
Perché vi siete allontanati?» non sapevo se
dirglielo o meno, ma in fondo era
mio padre mi era stato accanto, se non fisicamente, almeno emotivamente
e così
gli parlai, anche perché in passato gli avevo omesso
parecchi aspetti della mia
vita: gli raccontai quello che era capitato a Forks e i problemi i
primi giorni
a Londra. Gli dissi che avevo sbagliato io in tutti i sensi, saltando
subito
alle conclusioni e non lasciando a Edward alcuna possibilità
di spiegarsi.
Tralasciai volutamente i miei problemi di salute, ma gli dissi che ora
eravamo
insieme e che lui era stato veramente splendido per il modo in cui mi
aveva perdonato
e per come mi trattava e aveva cura di me.
«
Sei felice Bella?»
«
Sì, come poche volte prima
d’ora» ero sincera e probabilmente lo
capì anche lui, perché lo sentii
sospirare.
«
Sono molto contento per te,
sapevo che Edward era un bravo ragazzo. Non fatevi condizionare troppo
dal
vostro passato: in una relazione è importante andare avanti,
ma……» si fermò e
lo incalzai « avvisa il tuo ragazzo che se ti fa del male
dovrà vedersela con
me….lo inseguirò anche in capo al
mondo!»
Non
potei fare a meno di ridere
di gusto. Era proprio quello di cui aveva paura Ed, ma in fondo sapevo
che
Charlie non avrebbe fatto male ad una mosca. Era stato e lo era ancora
un padre
meraviglioso: mi era sempre stato accanto sostenendomi anche se non
sapeva
tutto di me e questo lo rendeva meritevole di ogni rispetto da parte
mia.
Mi
congedai da lui promettendogli
di farmi sentire al più presto, appena in tempo per aprire
la porta al mio Edward,
che da qualche secondo bussava insistentemente.
«
Ciao va tutto bene? Stavo
cominciando a pensare che fossi fuggita, visto che non mi
aprivi».
Per
un attimo mi rattristai,
forse lo temeva veramente e mi sentii in errore: chissà,
prima o poi si sarebbe
affievolito il mio senso di colpa, ma per ora andava bene
così. Il suo sguardo
e il suo sorriso riuscivano a placare tutto.
«
Stavo solo scherzando, lo so
l’affermazione non è stata delle più
felici…» mossi la testa in senso negativo
e lo abbracciai: « va tutto bene quando sei con me, e in
fondo un po’ me lo
merito…»
«
No – disse serio – tu meriti
solo di essere felice e io farò di tutto perché
tu lo sia » e mi accarezzò
dolcemente le guance.
«
Ero al telefono con Charlie –
per un attimo vidi il suo sguardo perplesso – e gli ho detto
di noi…» ok, ora
sembrava realmente preoccupato.
«
E lui????» mi avvicinai ancora
di più e gli cinsi con le braccia il punto vita fino a
intrecciare le mani
dietro la schiena e far aderire così perfettamente i nostri
corpi: « ha detto
che ti devi comportare bene….o ti darà la caccia
ovunque tu scapperai» gli
dissi in un sussurro, ma non potei celare un sorriso e attirai anche
lui nello
stesso stato d’animo.
«
Beh allora sono in una botte di
ferro – mi disse ricambiando la stretta dalle mie spalle
– perché ho intenzione
di corteggiarla come si deve Miss Swan »
Mi
strinsi maggiormente a lui e
strisciai il mio naso sul suo mento: « però
– continuò – non ha detto in che
senso mi devo comportare bene…e se continui così
potrei faticare a resistere».
Non
so perché, ma in quel momento
mi ritornarono alla mente i miei pensieri sotto la doccia e mi feci
più audace
: « e mi spieghi perché devi resistere?»
Spalancò
leggermente gli occhi.
Probabilmente non si aspettava certo una “avances”
così spudorata e potevo
vedere nei suoi occhi lo stesso desiderio dei miei in quel preciso
istante:
forse sarebbe stato il momento giusto, o forse, no, ma fu lui a
decidere per
entrambi, allontanandomi leggermente e dandomi un lieve bacio sulla
fronte,
sugli zigomi e poi sulle labbra.
«
Mi stai tentando e non c’è
nulla che desideri di più in questo momento…..
così….. stretta a me, ma non sei
ancora in forma e poi……dovrà essere
veramente speciale» terminò sussurrandomi
languido all’orecchio.
Okey
ora ero veramente spacciata,
la prossima doccia me la sarei dovuta fare gelata per evitare di
ripensare alle
sue parole. Si staccò lentamente da me e mi
invitò a seguirlo:
«
Che ne dici di fare le cose
all’antica e parlare con Rosalie ora? Tuo padre lo sa,
stasera chiamerò Alice,
direi che siamo già a buon punto….» mi
canzonò e un tenero sorriso gli si
dipinse sul viso e io capii che avevo davanti l’uomo
più dolce che avessi mai
incontrato. I suoi occhi e il suo stato d’animo riempivano le
mie giornate e il
mio cuore.
Sorrisi
a mia volta, recuperai
chiavi e giubbotto e uscimmo insieme dal mio appartamento per dirigerci
al
dormitorio della sorella. L’aria era ancora molto fredda, ma
almeno non pioveva
e i pochi studenti in giro per il campus ci permisero di prenderci per
mano indisturbati
e chiacchierare sereni.
Gli
spiegai ciò che avevo detto a
mio padre e lo ringraziai di avermi coinvolto con Rosalie,
confessandogli che
sentivo la mancanza di tutto il mondo che la nostra amicizia aveva
creato.
Quando fummo nell’angolo più buio del cortile lo
sentii lasciare la presa alla
mano e portarla al punto vita fino a cingerlo e avvicinami al suo
corpo. Capivo
il perché lo aveva fatto, come me ne sentiva la
necessità, ma sapevo anche che
non voleva farlo troppo platealmente.
«
Mi sa che sei dimagrita un po’
troppo ultimamente » disse stringendo maggiormente sul
fianco. Ricordavo quante
volte avesse fatto quel gesto e le sensazioni che mi trasmetteva.
«
Direi che ti inviterò a cena un
po’ più spesso perché voglio che tu
torni in grande forma »
«
Per cenare con te ci sono
sempre » gli risposi osservandolo.
Si
fermò e mi guardò negli occhi
con un’intensità tale da procurami brividi per
tutta la colonna vertebrale. Poi
mi baciò languidamente disegnando con la lingua il contorno
delle mie labbra e
mordicchiandole appena. In quel momento me ne infischiai di dove ci
trovavamo:
desideravo quel bacio.
Quando
arrivammo al dormitorio C
potei notare una fioca luce provenire dall’appartamento di
Rosalie, segno che
era probabilmente in casa, ma poi mi venne il dubbio che potesse non
essere
sola. In quel momento l’idea di non aver detto a Edward che
sua sorella stava
con Emmet, studente non del tutto apprezzato da lui, non mi parve
grandiosa, ma
in fondo erano adulti: sarebbe dovuta essere lei a dire al fratello
come
stavano le cose.
Ma
potevo anche capire il perché
non l’avesse fatto: sapeva quello che era accaduto fra noi,
era preoccupata e
nel vederlo molto giù di morale aveva probabilmente
preferito rimandare la
spiegazione sulla sua situazione sentimentale a tempi e climi migliori.
Per
un attimo fui tentata di
bloccarlo e dirgli di tornare un’altra volta. Magari avrei
potuto parlare con Rosalie
e accennargli qualcosa io, perché il colpo non fosse
improvviso, ma poi mi
ripetei che non erano affari miei, non del tutto almeno e
così proseguii la mia
strada accanto a lui.
Arrivati
all’appartamento di
Rosalie, Edward bussò lievemente, ma nessuno ripose.
Bussò nuovamente in modo
più deciso senza avere ugualmente risposta, tanto che cercai
di convincerlo che
non ci fosse nessuno o che stesse dormendo e quindi saremmo potuti
passare il
giorno dopo. In realtà in cuor mio si profilava sempre di
più l’idea che la
sorella non fosse sola.
«
E’ impossibile, ho visto le
luci accese» accidenti non gli sfuggiva proprio nulla! Dopo
il terzo tentativo
riuscii a convincerlo, ma nel momento in cui ci stavamo allontanando la
serratura scattò, la porta si aprì rivelando una
Rosalie semi addormentata e…ben
poco vestita.
Quando
ci vide sulla sua porta
spalancò gli occhi e cominciò a farli roteare da
me a suo fratello. Capii
subito che Emmet era con lei e non stavano propriamente dormendo.
Cercai con lo
sguardo di farle capire che non era stata una mia idea e che Edward non
immaginava nulla, ma nel frattempo il fratello aveva iniziato il suo
interrogatorio, quasi come se sospettasse qualcosa: in
realtà non sospettava il
“chi2.
«
Come mai già a letto a
quest’ora? Non ti senti bene?» la ragazza era
chiaramente in imbarazzo e
cercava di coprire il suo corpo non molto vestito e di impedire al
fratello di
entrare nell’appartamento. Non si rese conto che in questo
modo aveva attirato
ancora di più i suoi dubbi.
«
Rose va tutto bene? Sei strana»
incalzò lui.
«
No, va tutto bene, ma perché
sei qui? è successo qualcosa che dovrei sapere?» e
i suoi occhi si puntarono su
di me , questa volta sorridenti.
«
So che nei giorni passati sono
stato molto stronzo con te, ma avevo le mie buone ragioni – e
voltò i suoi
splendidi occhi verso di me – e so che tu sai molto di
più di tutti gli altri.
Volevo solo dirti che io e Bella ci siamo chiariti, ci amiamo e ora
stiamo
insieme» un sorriso si dipinse sul suo volto e
abbracciò di slancio sia il
fratello che me.
«
Lo sapevo, lo sapevo! certo che
ce ne avete messo di tempo, siete proprio due testoni»
«
Rosalie!!!!» il suo tono di la
fece sobbalzare.
«
No Edward, non arrabbiarti, in
fondo ha ragione e io sono stata la più testarda di
tutti» si voltò verso di me,
« ma ora è tutto sistemato…e per il
meglio». Mi prese il mento con due dita e
mi baciò dolcemente. Il fatto che fossimo davanti alla
sorella non sembrò
turbarlo e io non mi curai troppo di questo e chiusi gli occhi per
bearmi di
quel contatto.
«
Tesoro chi era alla porta,
perché non torni rischierai di prendere freddo e io so come
scald……» la voce di
Emmet si interruppe di colpo quando, giunto dalla camera da letto in
boxer, si
accorse della nostra presenza.
«
Oh merda!» lo sentii dire
sottovoce.
«
Rosalie cosa ci fa lui qui??»
«
Ed aspetta…io te lo avrei
detto, ma dopo Forks……»
«
Ti ho chiesto cosa ci fa lui
qui» gli occhi leggermente dilatati, il tono della voce alto.
«
Professor Cullen, si calmi
possiamo spiegare»
«
Non ho chiesto a te – lo tacciò
Edward – ti
ho chiesto cosa ci fa lui
qui» disse rivolgendosi nuovamente a sua sorella.
A
quel punto vidi sul volto di Rosalie
il risentimento per come Edward stava trattando sia lei che Emmet:
«
Non trattarmi come una sgualdrina!
Stiamo insieme!!! Da più di un mese, io lo amo e non ti
permetto di trattarlo
così»
«
Ma tu sei mia sorella!!»
«
E questo significa che non devo
avere una vita mia e innamorarmi di qualcuno? Non sono più
una bambina»
Edward
rimase spiazzato da quella
reazione: « No, però non con…»
«
Non con lui? Non ci provare Ed,
lui mi ama e non spetta a te giudicarlo: parla con Bella, lei ha capito
quanto
vale e non fa sentenze. Non lo fare nemmeno tu»
Edward
mi lanciò un’occhiata.
Sembrava che la rabbia che in un primo momento si era dipinta sul suo
volto si
fosse affievolita, per lasciare spazio alla razionalità.
«
Vorrei che ti vestissi e te ne
andassi dall’appartamento di mia sorella» disse
rivolto al ragazzo che
continuava a tormentarsi i corti capelli neri con le mani.
«
No Edward non te lo permetto!
sono grande, so quello che faccio»
«
Beh allora mettiamola così,
vorrei parlare con te in privato di questa cosa e preferirei non farlo
con lui
presente».
Capii
cosa intendeva e mi
avvicinai ad Emmet: « Vai a vestirti e poi ti offro un
caffè: lasciamoli
parlare».
La
mano di Edward mi bloccò il
braccio : « Ho bisogno di te, non lasciarmi»
«
Ora hai bisogno di parlare con
tua sorella, noi saremo nell’appartamento di Emmet:
chiaritevi e poi parleremo
tutti insieme e….Edward, cerca di stare tranquillo. Ha
bisogno dei tuoi
consigli non dei tuoi giudizi» mi avvicinai al suo orecchio
per sussurrargli un
“ti amo” e lasciargli un bacio sulla guancia.
Appena
Emmet si presentò
finalmente vestito lo spinsi fuori e mi chiusi la porta alle spalle:
«
Forza, andiamo a farci questo
caffè» lo vidi voltarsi verso
l’appartamento della sua ragazza: « tranquillo
andrà tutto bene, tanto prima o poi lo avrebbe
saputo»
«
Sì ma meglio poi…e magari non proprio
mentre noi…»
«
okay okay…non voglio sapere
altro – feci il cenno di alzare le mani in segno di resa
– ne parleremo poi»
«
Una domanda prof…..ma che ci
faceva di nuovo con Cullen? Era da parecchio che non vi si vedeva
insieme, non
è che….» non potei fare altro che
abbassare lo sguardo e sorridere.
«
Beh era ora, era già da un po’
che mi chiedevo quando ve ne sareste accorti, facevate scintille
insieme. Io ci
avevo visto lungo fin dal primo giorno in classe, quando le
suggerì di
“sfogarsi”….»
ribadì con un leggero sogghigno. Non era
possibile, anche lui si era accorto dei
nostri sentimenti.
«
Tieni a freno la lingua con le
tue illazioni!» lo redarguii sorridendo. Il mio sguardo
doveva sembrare
allucinato perché Emmet scoppiò in una fragorosa
risata prima di aprire la
porta del suo appartamento e farmi entrare con una tipica affermazione
delle
sue:
«
E brava prof!!!»
Io
e Emmet parlammo a lungo: era
da quando ero rientrata da Forks per la morte del padre che non avevamo
più
avuto modo di farlo. Mi disse che aveva parlato con la madre e che gli
aveva
posto le sue ragioni sulla necessità di andarsene di
lì appena diplomato.
«
E lei cosa ti ha risposto?»
chiesi stupita del coraggio che aveva avuto, sapendo quanto temeva il
suo
giudizio.
«
Non l’ha presa affatto bene.
Abbiamo litigato e mi ha detto che non mi avrebbe dato nulla se non
avessi
fatto quello che voleva lei?»
«
Mi dispiace Emmet» non potevo
pensare che una madre fosse disposta ad imporre il suo volere ad un
figlio,
senza pensare realmente a ciò che era meglio per lui.
«
Non si preoccupi prof. Le ho
detto che si sarebbe potuta tenere i suoi soldi, le ho detto che ho
trovato una
persona che finalmente è in grado di amarmi per
ciò che sono e non per quello
che gli altri si aspettano da me: le dico la verità, non
importa la decisione
che prenderà, mi ha sempre impedito di vivere e non glielo
permetterò più, non
ora che ho incontrato Rose……e che intendo essere
felice con lei» abbassò lo
sguardo e potei vedere nei suoi occhi l’immensa devozione che
aveva nei
confronti della sorella di Edward.
E
capivo benissimo cosa provava.
In quel momento vidi un Emmet diverso, deciso, maturo e i risultati
scolastici
degli ultimi periodi mi avevano dato ragione: sapeva finalmente cosa
voleva ed
ero convinta sarebbe riuscito prima o poi a lasciarsi tutto alle
spalle.
Spontaneamente gli posai una mano sulla spalla:
«
So che puoi farcela, te lo
avevo detto che eri meglio di così!» sorrise
leggermente
«
E’ tutto merito della mia
Rose!» pronunciò con il suo vocione, emettendo poi
una sonora risata.
«
Speriamo solo che il professor Cullen
non voglia la mia testa… non potrebbe…che ne
so…..mediare lei?»
«Emmet!»
urlai imbarazzata
percependo il senso di quello che stava dicendo. Il suo lato burlone
non
sarebbe cambiato mai, ma ora lo vedevo in modo diverso. Sorrisi anche
io,
quando sentimmo bussare alla porta. Entrambi sapevamo chi era ed Emmet
mi
guardò con uno sguardo fintamente terrorizzato:
«
Se non sopravvivo dica a
Rosalie che la amo» e si avviò ad aprire.
Non
potei trattenere un sorriso.
Sapevo che Edward poteva essere anche molto preoccupante, ma primo,
Emmet era
quasi il doppio di lui, e secondo, era una persona troppo retta e
troppo
intelligente per non capire la situazione.
Quando
la porta si aprii, una Rosalie
sorridente si gettò al collo del ragazzo, la sentii parlare
piano:
«
Gli ho spiegato tutto, gli ho
detto che non posso più vivere senza di te e che per te
è lo stesso. Non
lascerò che nessuno ci divida, piuttosto me ne
andrò di nuovo. Ha capito» vidi
lo sguardo di Emmet intensificarsi su quello di lei. Trasmetteva un
enorme
rispetto, ma anche una grande passione e avevo visto ultimamente uno
sguardo
simile in un'altra persona.
Era
lo stesso modo in cui Edward
mi guardava da quando ci eravamo dichiarati il nostro amore e non potei
esserne
altro che entusiasta. Ciò che provavano l’uno per
l’altra era lampante e sapevo
che nulla li avrebbe potuti dividere, piuttosto sarebbero scappati
lontano da
tutto e tutti. Un “ti amo” quasi in sincrono
uscì dalle loro labbra, prima di
unirsi in un bacio carico di amore. Nel giro di qualche secondo vidi
apparire
sulla soglia anche il mio angelo, con uno sguardo più
sereno, ma comunque teso
e pensieroso. Scrutò per un attimo i due ragazzi abbracciati
come a voler
incendiare Emmet con lo sguardo e poi portò gli occhi su di
me.
Mi
avvicinai sicura di ciò che
stavo facendo, lo guardai negli occhi e portai entrambe le braccia
attorno al
suo collo per fissare meglio il suo volto, incurante della presenza
nella
stanza della sorella e di un mio studente.
«
Sapevo che l’avresti presa nel
modo giusto. Io sapevo tutto da quando sono rientrata a Forks. Li ho
visti
insieme dopo la morte del padre. Si amano, credimi e sono abbastanza
adulti da
prendere le loro decisioni. Tu li hai visti insieme? Io sì,
quel giorno, quando
sembrava che Emmet non si sarebbe mai risollevato e Rosalie era il suo
punto
fermo: sono forti, determinati e sembra che nessuno li possa fermare.
Son uno
la forza dell’altra e non sta a noi dividere questa forza.
Entrambi sappiamo
cosa vuol dire stare lontani da chi si ama e non credo che,
ne’ tu né io, siamo
in grado di fare questa scelta» dissi queste parole tutto
d’un fiato e sapevo
lo avrei confortato ancora di più.
In
fondo era quello che anche noi
avevamo e stavamo vivendo in quel momento e se qualcuno avesse tentato
di separarci
non lo avremmo mai permesso.
I
suoi occhi sorrisero
leggermente e mi fissarono con un’intensità unica,
mi accarezzo una guancia e
si avvicinò per posarmi un bacio profondo. Dopo pochi
secondi un fischio si
levò a fianco a noi:
«
Allora è proprio vero! Ci vada
piano prof…se la vedesse la preside….»
la battuta di Emmet non fu gradita da Ed
che si staccò da me e lo guardò truce.
«
Bada a te McCarthy, non sei
ancora nelle mie grazie, e fai solo un passo falso con entrambe le
donne della
mia vita e non te la perdonerò». Mi aveva stupito,
nel discorso aveva inserito
anche me in riferimento sicuramente ai battibecchi che io e Emmet
avevamo avuto
in passato. Non potei fare a meno di commuovermi e guardare Rose che
invece
sorrideva serafica.
«
Non si preoccupi – osò
obiettare il ragazzo – per quello che riguarda sua sorella,
la amo troppo per
fare qualsiasi cosa la possa anche solo dispiacere» disse
guardandola e
accarezzandole lievemente il viso. « Per quello che riguarda
la sua prof – e mi
guardò sornione – non credo che ci siano problemi,
visto il modo in cui le sta
incollato. Chi oserebbe sfidarla?»
Sorridemmo
tutti, incluso Edward
di quella battuta e sentii un ulteriore bacio sulla guancia a voler rimarcare il
concetto.
Ci
congedammo e li salutammo,
raccomandandoci ad entrambi di mantenere sempre un buon comportamento e
poi ci
avviammo abbracciati al nostro dormitorio. Lungo il tragitto, stretti
l’uno
all’altra e non solo per il freddo, gli chiesi istintivamente
scusa:
«
Mi dispiace che tu l’abbia
scoperto così, forse avrei dovuto informarti io, magari con
calma, visto che sapevo,
ma gli ultimi giorni sono stati impegnativi e non è proprio
stato…il mio primo
pensiero»
«
Tranquilla amore mio – mi rispose
dolce – magari avrei preferito scoprirlo in un
altro…. diciamo momento, ma in fondo
come hai detto tu sono ormai grandi…e poi appena mio padre
lo saprà avrà due
uomini Cullen di cui preoccuparsi, quindi…»
ridemmo entrambi di
quest’affermazione, ben sapendo che è lui
né Carlise avrebbe avuto il coraggio
di impedire una storia dove i sentimenti erano così
profondi. Credevano
entrambi troppo nell’amore.
Mi
accompagnò nel mio appartamento
e una volta dentro si offrì di rimanere con me, con la
scusa, disse lui, di
metterlo al corrente di tutto ciò che sapevo. In
realtà avevamo solo voglia di
stare vicini e parlare, felici che ogni aspetto della nostra vita
volgesse nel
modo giusto, anche per chi era accanto a noi.
Quando
il mattino dopo la sveglia
suonò, la mia idea di rimanere a bearmi della vicinanza di
Edward nel mio letto
era quanto mai radicata, visto anche il fatto che era sabato.
In
realtà ero rimasta molto in
arretrato con il lavoro in biblioteca e avrei dovuto approfittare della
giornata senza lezioni: ma il fatto che molti studenti sarebbero stati
lì per
prepararsi alle verifiche per il secondo trimestre, mi dava veramente
poca
grinta per alzarmi dal letto vestirmi e gettarmi tra le scartoffie.
Il
fatto, poi, che l’uomo più
bello e sexy che avessi mai visto dormisse saldamente ancorato a me e
il
desiderio di andare oltre a baci e contatti si stesse radicando in me
ogni
giorno più forte, non mi avrebbero aiutato nella voglia di
lavorare. Ero quasi
sul punto di rinunciare e chiamare Angela con una scusa, quando il mio
telefono
squillò, svegliando anche Edward che
mi
chiese chi era che rompeva di sabato mattina, con una simpatica smorfia
sul
viso.
Quando
risposi la voce della
signora Cope, la segretaria della preside mi lasciò alquanto
stupita e ancora
di più mi stupì il fatto che
quest’ultima avesse bisogno di parlarmi.
«
Devi proprio andare? » mi
chiese appoggiandosi su un gomito e guardandomi mentre raccoglievo i
miei abiti
e mi recavo in bagno.
«
Già, la Whitmore deve parlare
con me, anche se ….» poi pensai…che
stupida! Qualche settimana prima le avevo
detto che me ne sarei andata lasciando il mio incarico al dormitorio e
poi erano
successe tante cose che non avevo pensato…..forse si sarebbe
arrabbiata perché
non l’avevo informata del mio cambio di programma o magari
avrebbe voluto
sapere il perché. In ogni caso la conversazione sarebbe
stata lievemente
imbarazzante, più che altro perché con quel mio
gesto impulsivo e abbastanza
stupido, le avevo probabilmente dimostrato di non essere una persona
molto
coerente nelle mie decisioni.
Forse
avrei potuto trovare la
scusa che erano stati giorni difficili dal punto di vista fisico. Forse
non
avrei fatto la parte della squilibrata.
Con
poca convinzione mi preparai
e salutai Edward con un bacio, ricordandogli che ci saremmo potuti
vedere a
pranzo.
«
Ti aspetterò nel mio
appartamento, così potrò suonare per te se
vorrai…» la sua romantica proposta
mi portò a sorridere e ad uscire frettolosamente per recarmi
dalla preside,
sentire ciò che aveva da dire e andare in biblioteca, per
poter tornare giusto
in tempo per il pranzo.
Entrai
nell’ufficio deserto e
attesi di essere chiamata dalla sua segretaria. In realtà
pur immaginando ciò
che avrebbe voluto dirmi, o meglio sapere da me, mi sentivo inquieta,
come se
fosse potuto accadere qualcosa di sbagliato.
Mi
accomodai nella grande stanza
e la osservai intenta a firmare alcune carte dietro alla sua grande
scrivania.
«
Buongiorno preside» cercai di
attirare la sua attenzione.
«
Buongiorno professoressa Swan!
Si accomodi sarò da le tra un attimo» mi sedetti
nella poltrona davanti a
lei e attesi con impazienza.
«
Professoressa non ho più avuto
sue notizie riguardo all’incarico al dormitorio e visto che
alloggia ancora lì
ho dedotto che abbia cambiato idea» era come speravo. Nel
caos, anche molto
piacevole, degli ultimi giorni non avevo pensato ad informarla che
avevo
ovviamente cambiato idea sul mio trasloco e il fatto che avessi una
relazione
con il collega con il quale dividevo la responsabilità era
stato determinante
in questa mia decisione.
In
realtà da quando io e Edward
stavamo insieme non avevo proprio pensato a quello, anzi ora
l’idea che quella
mia decisione potesse essere stata una scusa per Jacob per infastidirmi
mi
mandava in bestia.
«
Sì preside, mi scuso di non
averla informata, ma non sono stata molto bene negli ultimi giorni e mi
ero
proprio dimenticata di questo» la vidi fissarmi molto
intensamente.
«
Non che non ne sia felice, sa
quanto io apprezzi il lavoro che fa per l’organizzazione
dell’istituto, ma
sarei proprio curiosa di sapere cosa le ha fatto cambiare
idea…sembrava così
determinata…». Perché qualcosa mi
diceva che non fosse esattamente questo
quello che voleva sapere?
«
In realtà era stata un’idea
dettata da un momento di grande stanchezza – cercai di
inventare – ma ora sto
meglio e se non è un problema vorrei rimanere nel mio
alloggio e nel mio ruolo…»
abbassai lo sguardo, sperando che mi credesse.
«…
e questa sua decisione non ha
niente a che fare con la voce che corre che lei stia avendo una sorta
di
relazione clandestina con il professo Cullen, nonché suo
collega del
dormitorio?» il suo sguardo glaciale, il mio probabilmente
sconvolto. Ma come
lo aveva saputo? Non ci eravamo mai esposti, anzi era stato proprio uno
dei
miei dubbi il primo giorno dopo le nostre dichiarazioni. Ma furono le
parole
che sentii subito dopo che mi lasciarono ancora più basita.
«
Le confesso che non mi sarei
mai aspettata una cosa del genere da voi? Siete degli ottimi
professori, ma
ricorda cosa le dissi al nostro primo incontro? L’aspetto
etico è fondamentale
per noi e voi…..»
Mi
sentii punta nel vivo e decisi
finalmente di scuotermi dallo stato di défaisance
cui mi aveva indotto il discorso della
preside:
«
Le chiedo scusa, ma intanto non
mi sembra che la mia vita privata debba essere di dominio pubblico,
specie se
questo non influisce sulla mia professionalità… e
poi mi è stato detto che
alcuni insegnanti sono stati scoperti in atteggiamenti intimi e, mi
perdoni, ma
al di là di chi le
ha fornito certe
informazioni, io e il professor Cullen non abbiamo mai dato adito a
illazioni
di questo tipo in pubblico» non sapevo proprio che dir,e ma
cominciavo ad immaginare
chi potesse essere stato. Evidentemente Jake ci aveva visto di fronte
alla
piscina o nei momenti in cui pensavamo di essere lontani da sguardi
indiscreti:
oppure aveva notato che ci eravamo riavvicinati e aveva tratto le sue
conclusioni. Lo odiavo sempre di più e mi chiedevo dove
sarebbe potuto arrivare
ancora.
Vidi
la preside pensierosa,
probabilmente sapeva che nel campus sarebbe potuto accadere anche di
peggio e
si rendeva conto di chi aveva davanti e di come mi ero sempre
comportata, ma
quello che disse poi mi fece quasi arrabbiare.
«
senta, io la stimo molto…ritengo
che, sia lei, che il professor Cullen siate dei professionisti
encomiabili e
tutte le attività che vi vedono partecipi sono gestite in
modo quasi perfetto,
ma …io non posso tollerare certi atteggiamenti, dovete
essere un esempio per i
vostri studenti…»
«
Perché, due persone innamorate
non sono un bell’esempio per degli studenti? Non facciamo
niente di male i
nostri sentimenti sono reali, ma questo a lei non deve
interessare!» non so come
mi era uscita un’affermazione del genere e proprio davanti a
lei, ma sentirla
toccare il mio amore per Edward ora che lo avevo trovato, no proprio
no! E poi diamine!!!
Mica facevamo le orge davanti a tutti!!!!
Non
potevo credere che sguardi,
sorrisi e carezze, perché di più in pubblico non
c’era stato ed ero certa che i
nostri baci la prima sera di fonte alla piscina non fossero stati visti
da
nessuno vista l’ora (ovviamente a parte Jake a questo punto),
potessero essere
considerati atteggiamenti sbagliati.
«
Direi che possiamo chiudere il
discorso – disse cercando chiaramente di liberarsi da quella
scomoda
conversazione – ma deve garantirmi che non accadrà
più, non posso accettare
effusioni in pubblico da persone che non sono unite
legalmente….» non le
risposi e scossi solamente il capo in senso negativo, abbassando lo
sguardo: la
salutai ed uscii amareggiata e pensierosa.
E
ora? L’avrei detto a Edward? Il
rischio era che si arrabbiasse e forse spaccasse anche la faccia a
Jake, se
come me avesse intuito che aveva parlato di noi. E magari lo avrei
anche
aiutato!
Mi
incamminai verso la biblioteca
in preda ai miei pensieri e ai miei interrogativi, entrai, salutai
svogliatamente Angela e iniziai il mio lavoro. Ero totalmente immersa
nei miei
pensieri e stavo ancora metabolizzando il discorso con la preside,
quando mi
squillò il cellulare.
«
Ciao mia bella, ti sei persa? »
ero talmente presa da non accorgermi dell’orario e che
avevamo appuntamento per
pranzo a casa sua.
«
Scusa Edward, ma….ci sto
impiegando più del previsto » ero confusa,
sentirlo mi scaldava il cuore, ma un
moto di rabbia mi saliva ripensando alle parole della Withmore. Forse
se gli
avessi parlato e detto tutto avremmo trovato una soluzione insieme.
Sì, dopo tanti
silenzi che avevano creato solo guai, la sincerità, anche su
cose banali della
vita, sarebbe stata la cosa migliore.
«
Bella amore stai bene? » no, in
quel momento non del tutto, ma non per colpa sua.
«
Ed ti devo dire una cosa….»
«
Vieni a casa ok? Mi
stai preoccupando»
«
No Edward, non posso lasciare
qui, ma non è nulla di grave, è solo
che….non hai idea di ciò che mi ha detto
la preside! sono quasi allibita» un sorriso che assomigliava
più ad un ghigno
si disegnò sul mio volto. Mi appartai e gli dissi tutto
sulla nostra
conversazione, ottenendo da lui una risata incredula e un “ma
dici sul serio?”.
Ma poi come al solito mi stupì:
«
E tu dai molto peso a quello
che ha detto? Io ti amo Bella e non abbiamo fatto nulla di male e a dir
la
verità non abbiamo proprio fatto nulla – sorrise
ironico – e non mi vergognerò mai
per i miei sentimenti» come al solito sapeva sminuire anche
quelle cose che mi
facevano pensare un po’ troppo.
Avevamo
vissuto due vite
difficili, ed entrambi eravamo scappati cercando lontano una nuova
vita, ma a
differenza di me lui riusciva a trovare il positivo e a non lasciarsi
sopraffare anche dalle cose più sciocche, come invece ancora
facevo io. Dannata
insicurezza!
Comunque
la sua telefonata mi
aveva sollevata dai miei pensieri, lo salutai con un “ti
amo” sottovoce e
tornai al mio lavoro, scusandomi per non poter essere a pranzo con lui,
ma
promettendogli che sarei andata appena finito lì.
Non
so quanto tempo passai su
quelle carte e computer, ma probabilmente dopo un paio di ore il mio
cervello richiese
uno stand by: dissi ad Angela che sarei uscita a prendere una boccata
d’aria,
per poi terminare.
Mi
affacciai alla porta della
biblioteca nel cortile centrale del campus, dove il via vai di studenti
e
insegnanti era notevole visto l’orario e il periodo denso di
impegni
scolastici: stavo pensando e ripensando al discorso della preside e a
quanto
fosse ipocrita da parte sua insabbiare eventuali problemi
all’interno del
campus, prendere informazioni di nascosto sui suoi collaboratori e poi
non
accettare un sentimento vero tra due persone, solo perché
colleghi, che comunque
mantenevano sempre un atteggiamento rispettoso.
Ero
persa tra questi pensieri,
tanto da non vedere Edward dall’altra parte del cortile,
venire verso di me con
un passo molto deciso ed uno sguardo tremendamente sicuro di
sé, ma nello
stesso tempo malizioso.
Quando
fu a pochi passi si aprì
in uno splendido sorriso e non feci in tempo a salutarlo in modo
composto che
si tuffò su di me, stringendomi e baciandomi come poche
volte aveva fatto e
solo in privato.
Le
sue mani furono alla base
della mia schiena, le sentivo aperte che tentavano di osare
più di quello che
avrebbero dovuto visto il luogo e la marea di persone che sicuramente
ci
stavano guardando.
Forse
avrei dovuto fermarlo,
fargli capire che non era il caso, ma poi intuii. Lo stava facendo
apposta per
dimostrare che tutto quello che avevamo ottenuto con gioia e dolore era
nostro,
ne era valsa la pena e non ci saremmo mai nascosti per qualcosa che non
aveva
nulla di clandestino. Staccò le sue labbra dalle mie e mi
guardò in modo
talmente profondo da non lasciare dubbi.
«
Ti amo Isabella Swan». Lo
sentii pronunciare quelle due parole in modo serio e profondo.
Strinsi
le mie braccia al suo
collo e ricambiai con tutto l’amore che potevo.
Le
nostre bocche si sfiorarono
poi lo sentii lasciarmi dei leggeri baci su tutto il bordo delle
labbra, fece
entrare in contatto la sua lingua con la mia iniziando la danza
più dolce che
avessi mai provato, coadiuvata dai battiti del mio cuore che mai in
tutta la
mia vita erano stati più forti per un uomo.
Il
suo respiro su di me, il suo
sapore sulle mie labbra cancellarono in un attimo tutti i miei dubbi se
fosse o no il caso
di far vedere a tutti
la nostra relazione. Ma la verità era che io lo adoravo, lo
amavo e che ero
certa che ci appartenessimo come mai era avvenuto in vita nostra.
Una
marea di fischi e applausi ci
circondarono costringendoci a interrompere quel momento solo nostro:
facendo sprofondare
me nella vergogna e
illuminando un il suo
viso con un sorriso di compiacimento.
Lo
guardai e sorrisi a mia volta:
«
E ora passeremo un bel guaio»
la mia fu più che altro un’affermazione ironica,
in realtà in quella
circostanza e tra le sue braccia non mi importava delle voci che
sarebbero
giunte alla preside e cosa avrebbe deciso di fare. Ma ancora di
più mi stupì la
sua affermazione:
«
Direi proprio di no…più
ufficiale di così!!!!» ridemmo entrambi di gusto
ignorando il mondo intorno a
noi. In quel momento, anche se tutti sapevano, eravamo solo lui e io.
Ed era
perfetto così.
note:
ok ce l'ho fatta!! mi scuso con tutte voi per il ritardo, ma purtroppo
un periodo che mi avrebbe dovuto permettere di rilassarmi e pensare
anche alla storia, si è rivelato inconcludente e pieno di
problemi. Alcune parti di questo capitolo mi convincono poco, altre mi
piacciono, lascio a voi un giudizio più equilibrato.
Augurandovi Buon anno, vi saluto, vi ringrazio e .....alla prossima
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Capitolo 51 *** “Interruzioni: prima parte” ***
Capitolo
51
“Interruzioni: prima parte”
Il
week end era stato a dir poco
splendido.
Dal
suo bacio in pubblico Edward
era stato estremamente romantico con me. Gli avevo chiesto il
perché di quel
gesto davanti a mezzo campus e lui mi aveva raccontato di essersi
recato dalla
preside subito dopo la mia telefonata e di aver chiarito che
ciò che c’era fra
di noi non le sarebbe dovuto riguardare. Sapevo, dal tono che aveva
usato, che si
era fatto valere, anche a costo di un richiamo per
l’eccessiva libertà. E poi
aveva aggiunto che la storia fra me e lui non sarebbe stato motivo di
scandalo
e pettegolezzi, perché io ero una cosa seria e da quel
momento ci avrebbe
dovuto considerare una coppia, come la professoressa Weber e il
professor
Kinsley.
Rimasi
alquanto stupita, non per
il modo in cui si era rivolto alla preside, ma per il fatto che le
avesse fatto
capire di voler stabilire una relazione con me come se fossimo sposati.
Quando
mi soffermai sul suo discorso
non potei che sentirmi, per la prima volta da tempo, felice. Forse
qualcun’altro
nella mia situazione si sarebbe sentito costretto in una relazione un
po’
troppo impegnativa, soprattutto per il fatto che stavamo insieme
veramente da
poco.
Ma
io no, ero serena: il
sentimento che mi legava a lui era veramente qualcosa ti tanto profondo
da
poter essere un pensiero “per il resto della vita”.
L’unica
cosa che ora mancava tra
noi era il legame fisico…….mi riscossi
momentaneamente dai miei pensieri: certo
che averlo accanto, che mi abbracciava e mi baciava, con quei suoi
occhi e quel
suo profumo, mi portava a desiderarlo sempre di più. Ma
sapevo che alla fine
avrebbe deciso lui anche “quello”, aveva troppa
premura per me e quel suo “ho
intenzione di corteggiarla come si deve signorina Swan” la
diceva lunga.
E
proprio questo stava accadendo,
mi stava corteggiando, si preoccupava di starmi accanto cercando di
mantenere
un contatto con me e non perdeva occasione di prodigarsi in gesti che
potevano
quasi essere anacronistici.
Sabato
pomeriggio dopo il nostro
bacio pubblico avevamo passeggiato nell’aria gelida del
parco, tenendoci per mano
e programmando una cena per mercoledì sera e un weekend a
Londra per la
settimana successiva.
Speravo
veramente che lontano da
lì nel suo splendido appartamento si sarebbe potuta ricreare
l’atmosfera di
qualche settimana prima e saremmo finalmente potuti stare insieme,
completamente. Mi trovavo a fantasticare un po’ troppo spesso
e questo mi
portava a sembrare una cerebrolesa persa completamente in fantasie sul
mio
Edward.
Mio?
Beh, sicuramente ora più di
altre volte potevo definirlo “mio” e questo mi
rendeva tremendamente raggiante.
Sentimento coadiuvato da una sorella impicciona che finalmente
mercoledì sera, dopo decine di telefonate a vuoto a causa
dei suoi e dei nostri
impegni, aveva chiamato urlando, furiosa perché non era
stata la prima a sapere
di noi.
Fu
meraviglioso il sorriso di
Edward quando tentò di giustificarsi, invano, visto
l’evidente sproloquiare all’altro
capo del telefono, chiaramente udibile visto l’alto tono di
voce. La cosa più
divertente fu quando rassegnato nell’impossibilità
di ribattere ad Alice mi
aveva passato il telefono, sperando che riuscissi a sopraffarla.
E
così avevo fatto: l’avevo
“acquietata”
dicendole che era accaduto tutto in fretta e avevamo creduto opportuno
pensare
prima di tutto a noi. A quelle parole Alice si era tranquillizzata,
aveva detto
che era stata Rosalie a confessarle di noi e non potei non trattenere
un
sorriso nel vedere la smorfia di Edward che, guardando il cielo, stava
chiaramente meditando come far pagare ad entrambe le sorelle la loro
totale
assenza di privacy.
In
realtà Alice era molto felice
per noi: « Sapevo che sarebbe stata solo questione di
tempo», già, magari fosse
stato così anche per me, avrei risparmiato un sacco di grane
a tutti!
Fu
Edward a chiudere rapidamente
la telefonata, ma Alice, mi fece promettere di chiamarla per
raccontarle tutti
i dettagli, quando quel “cavernicolo” di suo
fratello non ci avrebbe potuto
interrompere.
Non
potei fare a meno di ridere a
questa sua splendida esuberanza.
E
quando giovedì sera ci ritrovammo nel mio appartamento sul
divano a chiacchierare come
avevamo fatto decine di altre volte, pensai di azzardare, per capire se
anche
lui provava per me sentimenti e desideri così devastanti e
quante speranze
avrei avuto di farlo soprassedere dai suoi pazienti propositi di
“approfondire”
il nostro legame con estrema calma.
Per
carità! Non che non adorassi
il suo romanticismo, le sue premure o i suoi giochi di seduzione, ma
proprio
cominciavo a non poter più fare a meno di un contatto
più intimo con lui.
Eravamo
sul divano dopo aver
lavorato ad alcuni moduli: Edward aveva gentilmente acceso il camino e
istintivamente, dopo che si era seduto mi ero recata in cucina a
prendere due
bicchieri di vino e a spegnere le luci, per creare
un’atmosfera più romantica.
In
realtà non provavo a sedurre
un uomo da parecchio, mi sentivo alquanto arrugginita e in
più con lui tutto era
più difficile; bastava un suo sguardo e una sua carezza per
destabilizzarmi.
Mi
inginocchiai sul divano di fianco
a lui, porgendogli il bicchiere e iniziando a fissarlo. In
realtà il più delle
volte il mio non era un gesto voluto, il suo viso era una calamita. Non
potei
fare a meno di far scorrere i miei occhi dai suoi alle sue labbra, che
chiamavano le mie in modo irresistibile. Alzai istintivamente una mano
per
andare a spostare una ciocca dei suoi capelli, sfuggita ad ogni ordine
e i
nostri sguardi si intrecciarono.
Così,
senza pensare ad una
tattica precisa, mi fiondai sulla sua bocca, come se da essa dipendesse
il mio
ossigeno e ben presto lo sentii ricambiare il bacio in un modo quasi
unico:
forse stava cedendo e anche lui sentiva le necessità che
provavo anche io.
Purtroppo
non avevo fatto i conti
con la mia maestria nel combinare danni, anche nei momenti meno
opportuni e nel
tentativo di avvicinarmi ulteriormente, versai il vino dal mio
bicchiere
facendolo sobbalzare, ma cosa peggiore rompendo il contatto tra noi:
che
seduttrice capace!
Sorridemmo
entrambi per
quell’inopportuna interruzione, ma mentalmente mi stavo
maledicendo. Quando
cercai di riavvicinarmi, l’interruzione venne questa volta
dalla sua voce calda
e morbida :
«
Bella cosa fai?»
Oh,
cerco di sedurti amore mio!
Non
lo avrei mai potuto dire, lo
pensai solamente, ma vergognandomi di questa mia audacia. Era ridicolo,
avevo trent’
anni e non riuscivo a saltare addosso ad un uomo.
Forse
cercavo di giustificarmi,
vuoi perché lo consideravo diverso dagli altri. Troppo
bello, troppo perfetto,
troppo romantico: e poi anche perché erano due anni che non
stavo con un uomo,
in vita mia avevo avuto solo due “esperienze” ed
ero sempre stata molto
monogama.
Questo
non aiutava certo nell’arte
della seduzione.
Quando
la seconda volta respinse
lui il mio “attacco”, mi ritirai un
po’sconsolata e abbassai lo sguardo: forse
il mio desiderio non era completamente contraccambiato. Mi sarei quasi
messa a
piangere, ma fu lui a chiamarmi:
«
Bella, guardami» un sospiro mi
uscì dalle labbra e il mio sguardo doveva rispecchiare la
mia tristezza.
«
Bella, credo che tu non abbia proprio
capito…» mi sollevò il volto per
poterlo guardare.
«
Pensi che io non ti voglia?
Dimmi la verità» non potei rispondere con la voce
e mi limitai ad annuire, in
quel momento non riuscivo proprio a guardarlo negli occhi.
«
Guardami, ti prego, non negarmi
i tuoi splendidi occhi…» a quel punto mi uscii un
leggero sorriso,
«
Io credo di desiderarti come
niente altro nella vita…» il mio respiro
accelerò, il cuore palpitava sempre
più forte, « quando mi sei vicino ogni
terminazione nervosa scatta e devo fare
uno sforzo assurdo per non prenderti in qualsiasi
situazione….» la mia faccia
doveva essere quasi sconvolta e il sorriso divenne sempre
più grande.
«
Però mi rendo conto che hai
avuto giorni difficili e che per quanto tu non voglia darlo a vedere
sei stata
molto male, hai mangiato poco, hai preso dei farmaci che avrebbero
steso un
cavallo e hai bisogno di riprenderti ...» in quel momento mi
sentii una merda
ad aver pensato che non mi volesse. Era solo troppo premuroso nei miei
confronti « …e so che in questo stato il tuo
fisico non reggerebbe e potresti
anche svenirmi tra le braccia mentre….», okey era
ufficiale, ora ero
probabilmente bordò e mi portai le mani alla faccia per
nascondere il mio
imbarazzo.
La
sua risata cristallina e le
sue mani sulle mie nel tentativo di scostarmele dal viso mi
ridestarono: scossi
la testa mi avvicinai di nuovo a lui: « io ti amo, lo sai? E
tu mi destabilizzi
totalmente e hai ragione….potrei svenirti fra le braccia,
non solo perché sto
male, ma perché non ti rendi conto dell’effetto
che mi fai» non so con quale
coraggio riuscii a dire certe parole, io che per mesi mi ero vergognata
anche
solo al pensiero di aver provato per quest’uomo qualcosa in
più di un’amicizia.
«
Penso di sapere l’effetto che ti
faccio, sento i brividi attraverso il tuo corpo e posso assicurarti che
è così
anche per me» disse accarezzandomi con i polpastrelli il
profilo della
mandibola e stringendomi con dolcezza:
ci
limitammo così a baci e carezze fino all’ora di
salutarsi per andare a dormire e
proseguire nella settimana lavorativa.
I
giorni successivi passarono
tranquilli. Mi capitava spesso di sentirmi gli occhi addosso, ma
probabilmente
era solo il mio innato senso di vergogna per non desiderare di essere
al centro
dell’attenzione.
Io
e Edward non nascondevamo
ormai più la nostra relazione, sempre rimanendo nei limiti
della
professionalità in pubblico. Ci recavamo mano nella mano a
scuola e non
disdegnavamo dolci baci di saluto al sicuro tra le mura delle nostre
aule. Il
fatto che la preside e quasi tutto il campus fosse al corrente della
nostra
relazione, ormai definita seria non solo da noi, non ci autorizzava ad
avere
atteggiamenti esagerati. Invece in privato……stare
vicini, e limitarsi a baci e
carezze divenne sempre più difficile.
Non
perché la cosa non mi
piacesse…anzi! In realtà la nostra abitudine
serale di rimanere stretti sul mio
o suo divano, abbracciati quasi come fossimo una cosa sola, tra baci
carezze,
sguardi, era sempre più una mina al mio autocontrollo.
In
fondo iniziavo a stare
veramente bene: a poco più di una settimana
dall’inizio della mia “disintossicazione”
mentale e fisica tutti i fastidiosi effetti collaterali dei farmaci che
avevo
preso negli ultimi tempi erano notevolmente diminuiti. Avevo ancora
poco
appetito e qualche giramento di testa, e questo era spesso motivo di
ansia per
Edward che sembrava volermi proteggere dal mondo intero. In fondo mi
ero resa conto
che la sua vicinanza e il suo amore erano stati il farmaco migliore e
non avrei
mai immaginato che in così poco tempo sarei potuta stare
così bene.
In
quei giorni mi ero ritrovata a
fantasticare nei momenti di tranquillità e il sorriso
perennemente stampato
sulla mi faccia come un ebete non avrebbe dato adito a dubbi sui miei
pensieri.
«
Un penny per i tuoi pensieri»
una dolce voce al mio orecchio e un tenero bacio nella porzione di
pelle dietro
ad esso, scoperto dai capelli raccolti disordinatamente, mi ridestarono
dall’ennesimo viaggio pindarico di quella mattina.
Mi
trovavo nella mia aula in
un’ora buca e mi ero persa nella correzione di alcuni
elaborati e tra un test e
l’altro stavo ripensando alla sera prima. Alle sue mani che
dolci accarezzavano
le mie gambe sulle sue, le mie braccia avvolte al suo collo che
avvicinavano i
nostri volti impegnati in teneri baci. E i suoi occhi che mi fissavano,
la sua
voce che mi sussurrava “ti amo” senza mai perdere
il contatto visivo con le mie
labbra. E come si faceva a non perdersi in delle sensazioni
così!
«
Sto solo pensando a quanto sto
bene e a quanto sono stata felice in quest’ultimo
periodo» dissi voltandomi
leggermente verso di lui che, posizionato chino dietro alla mia sedia,
cominciava a lasciare un lieve sospiro sul mio collo. Quando rialzai lo
sguardo
mi baciò lievemente e io non potei fare a meno di
approfondire, in fondo eravamo
soli. Lui proteso verso di me, io girata quasi completamente indietro
per
consentirgli di approfondire quel bacio.
«
Stasera e domani non
ci sarò» mi informò « devo
andare a Londra per sistemare alcune cose nell’appartamento,
perché la signora Spencer è stata ammalata e non
ha potuto occuparsene: così ho
preso qualche ora di permesso». Giusto! Il weekend! lo
avremmo trascorso nel
suo appartamento e in realtà non vedevo l’ora.
«
E quando tornerai?» dissi un
po’ delusa di non poterlo vedere.
«
La mia ultima ora di lezione è alle
dieci, vorrei partire subito dopo per poter rientrare domani nel
pomeriggio, sempre
che non ci siano intoppi: pensi di farcela a resistere senza di
me?» chiese
sorridente mentre mi alzavo dalla sedia e cingevo le mie braccia al suo
collo.
Presi un profondo respiro come a bearmi del suo profumo: «
sarà molto dura non
vederti per un giorno intero» ribattei con un sorriso
malizioso sulle labbra.
«
Conto di rifarmi nel weekend,
non lasciandoti nemmeno per un minuto» e mentre me lo diceva
fece scorrere
leggermente le sue dita sull’arco della schiena, come se
stesse suonando la
tastiera del pianoforte. Cercai di non perdermi nei brividi che quel
tocco mi
stava trasmettendo.
Mamma
mia ma era una mia
sensazione o la temperatura si stava alzando lì dentro? Poi
un’idea mi balenò:
«
Senti, perché domani sera non
ceniamo in paese, magari nel pub dove lavora Rose? Potremmo andare al
tuo
ritorno, è da tanto che non usciamo»
«
Sarebbe un’idea splendida, ma
non al pub. Conosco un locale molto carino e abbastanza vicino. Ne
approfitterò
per prenotare».
Non
potei fare altro che
rispondergli “magnifico” e ci avviammo insieme
all’aula professori per ritirare
alcuni documenti. Era da quando mi conosceva che frequentava
maggiormente i
luoghi più pubblici e da un lato questo mi faceva piacere:
la mia presenza lo aveva
portato ad uscire dalla sua bolla di solitudine e a far emergere il
carattere
di una persona meravigliosa.
Appena
entrato nella sala mi
salutò congedandosi con un tenero bacio sulle labbra,
noncurante della presenza
di alcuni colleghi e io seppur fossi in leggero imbarazzo, quando mi
ritrovavo
con le sue labbra a contatto con le mie non resistevo e il desiderio di
non
staccarsi mai era veramente forte: a maggior ragione visto che non
saremmo
stati insieme fino all’indomani.
«
Ci vediamo domani sera allora,
ma stasera ti chiamo» mi sussurrò « mi
manchi già da morire»
E
si allontanò lasciando il mio
sguardo solo quando ormai le porte ci avrebbero impedito un contatto.
Avrei
approfittato di quella sera
da “single” per andare in piscina, mi sentivo
veramente bene e mi sarei
rilassata e distratta: anche perché non sarebbe stato facile
passare tutte
quelle ore senza vederlo, stringerlo e baciarlo. In fondo gli ultimi
giorni
erano passati quasi in simbiosi! Sarebbe stata dura!
Probabilmente
la nostra lunga
telefonata serale aiutò quelle ore di separazione, almeno
per me.
Ma
per fortuna anche il martedì
mattina arrivò: certo non avevo riposato al meglio senza il
suo corpo caldo a
fianco al mio, ma me lo ero già detto. Non potevamo passare
ogni singolo
istante insieme. Dovevamo avere tempo anche per noi stessi e io dovevo
imparare
a risorgere, sì, con lui accanto,
ma principalmente
con le mie forze.
Avevo
svolto le mie lezioni al
mattino e risposto a più messaggi di Edward che si prodigava
nel descrivermi
quello che aveva organizzato per il nostro weekend. Stavo fremendo
dalla voglia
di rivederlo e non vedevo l’ora di essere a Londra
venerdì sera. Però prima di
tutto mi sarei goduta quella serata a cena fuori con lui e intendevo
presentarmi al meglio anche se sapevo che non saremmo andati in un
ristorante
estremamente lussuoso: era per lui che volevo essere al meglio.
Perché mi
piaceva vedere il suo sguardo puntato su di me.
Ero
rientrata in fretta e furia
nel mio appartamento al termine delle lezioni, ma mi ero resa conto
solo verso
le diciassette di aver dimenticato il telefono in sala professori. Mi
incamminai serena, fantasticando come ero solita fare
nell’ultimi tempi, quando
una voce nota e fastidiosa alle mie spalle mi ridestò dai
miei pensieri:
«
Allora è proprio ufficiale, tu
e Cullen?» mi voltai desiderosa di allontanarmi alla
velocità della luce dall’ultima
persona che avrei voluto vedere.
«
Come mai non lo vedo al tuo
fianco? Il tuo cavaliere oggi ti ha abbandonato, strano
perché di solito è
attaccato a te come una cozza» lo sguardo di Jacob Black era
perfido, arrogante
e trasudava una marea di emozioni negative che quasi mi spaventarono.
«
Direi che negli ultimi giorni
avete dato un bello spettacolo, ma non avrete fatto il passo
più lungo della
gamba ad esporvi così? Non vorrei che poi capitasse come a
Natale» lui aveva
capito ciò che era successo fra noi, in fondo sarebbe
bastato tenerci d’occhio
un po’. Ora lo sguardo era diventato un ghigno e gli avrei
dato volentieri un
pugno se non fossi stata certa di rompermi una mano e trattenni a
stento una
serie di insulti che avrei voluto lanciargli. Non avrei voluto
rispondergli per
non aizzarlo, ma non ci riuscii.
«
Non sono affari tuoi Black,
direi che negli ultimi giorni non hai avuto molti altri interessi,
visto quanto
ti sei preoccupato di noi»
Vidi
il suo sguardo leggermente
stupito: « a cosa ti riferisci?»
«
So che sei stato tu a dire
della preside di me e Edward, non so come o quanto tu ci abbia seguiti,
ma non
può essere stato nessun altro. Il problema è che
non hai ottenuto l’effetto
sperato»
«
E quale sarebbe stato?»
«
Forse quello di farci
allontanare o peggio di far cacciare uno dei due»
Un
lieve sorriso si dipinse sul
suo volto. « Non hai prove che sia stato io»
«
Non sono stupida ……e gradirei
mi lasciassi in pace una volta per tutte»
«
E così gliele hai perdonate
tutte eh?»
«
Io non avevo nulla da perdonare
a nessuno: il suo passato, come il mio, per quanto dolorosi rimarranno
tali e
non avranno nulla a che fare con il nostro futuro» lo dissi,
ma per un attimo
non lo pensai veramente: era stato il mio passato a portarmi
lì, ma era anche
quello che mi aveva condizionato nell’avvicinarmi a Edward.
«
Ma siete proprio sicuri di
esservi chiariti in tutto? Sai alla fine molte cose non dette possono
creare
incomprensioni e rotture…» in quel momento nei
suoi occhi vidi il riflesso del
padre quando a La Push aveva cercato di instillarmi il dubbio sulle
cattive
intenzioni di Edward nei confronti della sua famiglia, ma questa volta
non
abboccai.
«
Sai che c’è di nuovo Jacob? Che
nulla di quello che potrai dire contro Ed in questo momento
cambierà il
sentimento che provo per lui» per un attimo lo lasciai
interdetto. Non capivo:
il rancore, il dolore per ciò che era avvenuto ci stavano,
ma non era possibile
vivere la propria vita in funzione della rovina di quella di qualcun
altro.
«
Allora credi di essere proprio
innamorata?»
«
Non lo credo, lo sono e per
quanto tu possa dire o farmi credere so che è
così anche per lui» ero certa di
quello che dicevo, ero sicura ora dei sentimenti che provavamo
l’uno per
l’altra.
«
Beh, allora auguri – un sorriso
ancora più falso gli si dipinse sul volto – e
figli maschi…ah no dimenticavo….Edward
non vorrà mai figli, ha buttato all’aria entrambe
le sue occasioni!» non capii
proprio a cosa si riferiva, ma sapevo che tutto ciò che
avrebbe detto di lì a
pochi minuti sarebbe stato solo veleno contro di noi. Purtroppo la mia
espressione fu probabilmente uno stimolo per continuare la sua arringa.
«
Dalla tua faccia deduco che allora
non ti abbia detto tutto… » cercai di proteggermi
dalle sue insinuazioni
ignorandolo e interrompendo la conversazione, ma non servì.
«
Forse non ti ha detto che ha
costretto sia Leah che Tanya interrompere le loro gravidanze,
perché non voleva
saperne di avere figli che avrebbero interrotto la sua
carriera» in quel
momento probabilmente sbiancai…..ero pronta a tutte le
cattiverei contro di
noi…ma non ad una così. Far riemergere di nuovo
quella storia. Non avrei dovuto
permetterglielo, ma non riuscii e un moto di angoscia a quelle parole
mi
percosse.
Sapevo…ero
certa che non fosse
avvenuto nulla di simile, ma fu quasi peggio il pensiero che Edward
avesse
potuto avere due figli che forse mi sconvolgeva di più.
Sgranai leggermente gli
occhi e accelerai il respiro, ma cercai comunque di non dargli la
soddisfazione
di credergli completamente.
Nonostante
o forse a causa del
mio silenzio si sentì in dovere di continuare : «
già è sempre stata una
persona egoista che ha pensato solo a se stesso e non ha mai voluto
intralci» e
fu probabilmente qui che Black giocò male le sue carte:
Edward aveva
sacrificato tutto pur di sistemare le cose e non avrebbe mai preso una
decisione di questo genere.
Se
mi fosse stata fatta una
rivelazione di questo genere qualche settimana prima sarei crollata tra
dubbi e incertezze.
Ora ero certa che non poteva
essere andata così: Edward me lo avrebbe detto. Cercai
comunque di non
ribattere per non dargli motivo di continuare. Mi limitai a fissarlo e
a rispondergli
cercando di fra trasparire una calma apparente che in realtà
non avevo: « Sei
arrivato tardi..niente di quello che puoi dire cambierà la
mia opinione: io lo
amo e vorrei che mi lasciassi in pace» e feci per andarmene,
quando la sua
ultima affermazione mi bloccò distruggendomi:
«
E tu sei stata sincera con
lui?» lo guardai sospettosa, « o non gli hai detto
delle scelte che hai fatto
tu?….beh in fondo siete più simili di quello che
potevo pensare» non capii
subito a cosa si riferiva ma poi mi venne il sospetto:
«
Di cosa parli?»
«
Della tua gravidanza
interrotta, Bella» e lui come lo sapeva?
«
Ma, come…..» poi ricordai le
parole di Edward dei primi giorni: la preside raccoglieva informazioni
sui suoi
dipendenti, ma come ci era arrivato Jacob Black?
«
Hai frugato nei miei fascicoli
personali?»
«
No, mi è solo capitato tra le
mani quello sulla psicoterapia che hai affrontato due anni fa, sai non
l’ho
letto ma mi
è caduto l’occhio……aborto
volontario…siete proprio della stessa pasta, ecco
perché andate così d’accordo».
In
quel momento una fitta al
torace mi impedì di ribattere: la sensazione che da qualche
giorno, grazie al
nostro amore, era sopita si ripresentò potente: dolore,
senso di colpa,
angoscia. Il respiro mi si bloccò e non riuscii a mascherare
il mio disturbo.
«
Allora ho colpito nel vivo….non
gli hai detto nulla….chissà come la
prenderà?» la sua strategia era chiara: non
potendo più cambiare i miei sentimenti per lui stava
cercando di mettere me in
condizione di aver paura.
«
Tu non sai nulla…nulla….mi devi
lasciare in pace hai capito!» la rabbia mista al dolore in
quel momento furono
l’unica cosa che mi diede la forza di rispondergli. Il groppo
alla gola si fece
sempre più forte: dovevo allontanarmi di lì prima
di crollare.
Indietreggiai
senza distogliere
lo sguardo dalla sua espressione di soddisfazione per aver nuovamente
creato problemi,
cominciavo a vederlo offuscato perché le lacrime lambivano i
miei occhi. Edward
aveva veramente avuto la possibilità di diventare padre due
volte? E come
avrebbe preso la mia verità, visto che avrebbe potuto
cambiare il nostro
rapporto. Continuai ad annaspare in cerca di aria allontanandomi.
«
Sei un bastardo!» e feci per
voltarmi quando mi scontrai con qualcosa.
«
Bella, che succede?» Edward era
lì dietro di me, mi teneva per le spalle e mi guardava con
aria sconvolta: non
sapevo a quanto della conversazione avesse assistito. Mi terrorizzava
l’idea
che potesse aver sentito la parte che mi riguardava, visto che io non
avevo
avuto il coraggio di dirgliela. Mi fissò prendendo il viso
con le mani e capì:
lo vidi voltarsi verso Black infuriato:
«
Che cazzo le hai detto questa
volta, cosa le hai fatto per ridurla così?» stava
urlando e si allontanò
leggermente da me per affrontarlo.
«
Niente, solo la verità» capii
che avrei dovuto fermare Edward, ma non ci riuscii, mi allontanai
ancora di più,
singhiozzando. Avevo ricevuto troppe informazioni per rimanere lucida.
Quando
si accorse che mi stavo
allontanando mi chiamò, bloccandomi con la sua calda mano
sul mio polso.
«
Bella fermati, va tutto bene».
Mossi
la testa in senso negativo,
niente andava bene. Lui aveva avuto la possibilità di
diventare padre due volte
e forse a quello che diceva Black l’aveva buttata
via…e io avevo fatto delle
scelte che mi aveva portato alla stessa cosa….ero sconvolta
in quel momento e
non razionalizzavo. Istintivamente
mi
girai ed iniziai a correre lasciandoli lì probabilmente a
discutere perché la
voce alterata di Edward mi rimbombava nelle orecchie.
Raggiunsi
velocemente il muro del
mio dormitorio, vi appoggiai una mano ed abbassai la testa come a
cercare di
riprendere fiato: le lacrime intanto iniziarono a sgorgare dai miei
cocchi.
Non
era giusto: ora che stavo
bene, che avevo finalmente Edward con me, il dolore per le mie scelte e
a
questo punto forse anche le sue, minava nuovamente il mio fragile
equilibrio.
Non
feci in tempo a gettare la
spugna che la voce di Edward e il suo corpo furono accanto a me e mi
strinsero
in una morsa dalla quale tentai di liberarmi. Mi ritrassi
istintivamente dicendogli
di lasciarmi andare:
«
Neanche per sogno! Ho sentito
tutto. Tu non gli crederai vero? Dopo tutto quello che ci siamo
detti» ero
combattuta : la parte razionale di me diceva di credergli, che lui non
avrebbe
mai fatto certe cose.
«
Non lo so», ma come mi era
venuta questa affermazione?
«
Bella guardami….come non lo sai?
Non crederai che io abbia costretto Leah e Tanya ad abortire vero? Come
puoi
anche solo pensarlo?» urlò, era arrabbiato e aveva
ragione. Gli credevo, ma ero
rimasta comunque sconvolta da tutta la situazione. Feci nuovamente il
gesto di
andarmene, ma mi bloccò per le spalle:« Fermati,
non farlo di nuovo»
«
Cosa?» riuscii a dire tra le
lacrime
«
Scappare… di nuovo. Sono qui,
possiamo dirci tutto » Il suo tono si addolcì.
Come
avevo potuto anche solo
dubitare? Forse volevo affievolire il mio senso di colpa per le
decisioni che
avevo preso, ma non riuscii a tenere in piedi oltre la mia barriera e
scoppiai
a piangere, accasciandomi sul suo petto che mi trasmetteva sempre forza
e
sicurezza. In un attimo le sue braccia mi strinsero con decisione e le
mani iniziarono
ad accarezzarmi i capelli.
Che
cosa mi stava facendo stare
veramente male? Il fatto che non mi avesse detto di una gravidanza di
Tanya? L’affermazione
di Jacob su ciò che Edward aveva fatto o più
probabilmente l’idea che lui
sarebbe potuto diventare padre per ben due volte e io non avrei mai
potuto
dargli quella opportunità?
In
quel momento una marea di
domande si profilarono nella mia mente. Non riuscii più a
formulare un pensiero
coerente: ero talmente nel pallone da non rendermi conto che Edward mi
aveva
condotto, senza mai lasciarmi, dentro al nostro fabbricato e al mio
appartamento.
«
Bella siediti, ho paura tu
possa svenire» la sua voce calda e preoccupata mi
ridestò e mi sedetti sul
divano senza smettere di singhiozzare. Vidi Edward recarsi in cucina e ritornare dopo poco con
un bicchiere
d’acqua:
«
Tieni, devi cercare di
tranquillizzarti, io quel bastardo lo ammazzo…»
gli sentii sussurrare tra i
denti mentre me lo porgeva. Forse il fatto che mi fossi fatta prendere
dal
panico in presenza di Black e poi fossi fuggita era stato un bene: se
fossi
rimasta nel cortile questa volta lo avrebbe veramente ucciso.
«
Ti prego Bella dimmi che non
hai creduto a quello che ha detto?» lo vidi abbassare lo
sguardo e prendere un
respiro profondo. Riuscii a calmarmi leggermente e portandogli due dita
sotto
al mento lo costrinsi a guardarmi negli occhi:
«
E’ vero? » chiesi
«
Cosa?» «Che anche Tanya era
incinta e che tu…..»
«
E’questo che credi???» la voce
nuovamente alterata
«
No!!! – gridai, per poi
calmarmi – è solo che vorrei
sapere…»
Lo
vidi fissarmi intensamente,
deciso e per nulla
intimorito per quello
che stava per dirmi: « quello che ti ho detto di Leah
è la verità: era incinta
e lo ha perso spontaneamente…»
«
E Tanya?» chiesi con timore.
«
Ti giuro, non sapevo che fosse
incinta, ma lei non ha voluto sentire ragioni. Era convinta che senza
il
bambino ci sarebbero state speranze fra noi, ma io le dissi subito che
non
avrebbe dovuto lasciare Jake per me, perché fra noi non ci
sarebbe mai potuto
essere nulla, bambino o meno. Noi non eravamo nulla, era stato solo un
errore.
Ma lei ha preso la sua decisione, senza consultare nessuno e ha
distrutto la
vita di tutti».
Non
so perché, ma in quel momento
misi da parte l’invidia e il rancore che provavo per quelle
donne che avevano avuto
la possibilità di dare un figlio a Edward e avevano buttato
tutto per la loro
arroganza e stupidità e mi preoccupai di lui.
«
E tu come ti sei sentito….prima
Leah, poi Tanya….»
«
Sono stato male per ciò che è
accaduto a Leah, ma te l’ho detto, è stato un
caso, ma Tanya… ha preso una
decisione……devastando anche la vita di
Jake».
Ero
perplessa del fatto che si
preoccupasse per lui: « Perché?»
Edward
mi guardò come se solo in
quel momento avesse compreso di cosa parlavamo : « Bella, il
bambino di Tanya
era di Jake» sgranai gli occhi.
«
Jake ha detto che…»
«
Quella sera….beh hai capito
dai…. – non era felice di parlarne e lo potevo
capire – Tanya era già incinta,
ma io non lo sapevo e nemmeno lui» il mio sguardo fu
piuttosto dubbioso, « ha
deciso di interrompere la gravidanza due giorni dopo essere stata con
me ed era
già di tre mesi, non so se Jake abbia mai saputo la
verità o abbia solo
preferito credere quello che voleva».
Ero
seriamente sconvolta per la
crudeltà che certe persone dimostravano nelle scelte della
vita e soprattutto
l’egoismo che queste scelte mettevano in luce.
«
Bella, quello che ha detto Jake?.....»
aveva ascoltato le sue parole e ora probabilmente avrebbe preteso delle
spiegazioni. In fondo non potevo continuare ad omettergli una parte
così
importante della mia vita.
«
Quello che hai sentito è vero
Edward, ma non è andata come credi» tremavo
all’idea che non volesse ascoltare
le mie spiegazioni, ma giudicasse con l’istinto: non avevo
fatto i conti con la
persona meravigliosa che avevo di fronte.
«
E allora raccontami tutto, non
voglio che tu abbia segreti con me» e un tenero sorriso si
dipinse sul suo
volto. Mi rannicchiai su me stessa appoggiandomi allo schienale del
divano e
lui si sistemò accanto a me, con un braccio sopra alla mia
testa e l’altro a
cingermi i fianchi come a volermi proteggere.
In
quel momento mi convinsi che
con lui accanto tutto sarebbe potuto essere più facile.
Sapevo che quello che
stavo per dirgli lo avrebbe in parte turbato vista la sua
sensibilità, ma
sperai comunque che non si allontanasse. Non sarebbe stato facile,
sentivo la
mente annebbiata al pensiero dei ricordi e la voce stentava ad uscire,
ma
provai comunque:
«
Quando conobbi James ero stata
lasciata dal ragazzo con il quale stavo dai tempi del liceo: dovevamo
sposarci,
mancavano pochi mesi quando se ne andò con
un’altra…e solo dopo mi accorsi di
essere incinta….» vidi lo sguardo di Edward
rabbuiarsi « James lo capì subito e
da lì nacque il nostro legame di amicizia: volevo tenerlo e
mi rimase accanto. Addirittura
mi propose di sposarmi per dare un padre al bambino, ma non gli permisi
di
sacrificarsi. In fondo avevo ventun’anni e non sapevo bene
ancora cosa avrei
fatto della mia vita. Solo dopo mi resi conto che lo voleva fare
perché si era
innamorato di me e troppo tardi mi accorsi di esserlo di lui: lasciai
che si
sposasse pensando di non poterlo costringere con me.
«
Poi il destino decise per me:
alla prima ecografia fu riscontrata una grave malformazione e mi fu
proposta
dal medico l’interruzione…» la voce
iniziò a tremarmi, le sue mani ad
accarezzarmi il viso: « Non hai pensato di
provare….approfondire per vedere se
c’era qualche possibilità…»
la sua domanda aveva un sapore amaro, come se
volesse trovare un’alternativa alla mia scelta.
«
Ed quella decisione mi è
costata molta fatica, ma l’ho presa in quella circostanza
perché…non avrei
potuto accettarne le conseguenze: ho preferito interrompere una
gravidanza al
secondo mese piuttosto che vedere il mio bambino morire poche ore dopo
la
nascita…» vidi il suo sguardo rattristarsi,
« non ci sarebbero state speranze,
il feto avrebbe avuto uno sviluppo anomalo, causato da non si sa bene
cosa,
probabilmente il trauma dell’abbandono, lo
stress….. e se avessi portato a
termine la gravidanza il bambino non sarebbe sopravvissuto».
Mi
abbracciò: « Bella mi dispiace
così tanto…»
«
No aspetta, ho preso quella
decisione in modo molto egoistico lo so, ma non ho avuto
scelta…ero sola e ho
avuto paura di affrontarlo…..»
«
Posso capirlo..» lo guardai
stupita. Non mi aspettavo che di fronte ad un momento così
critico della mia
vita non giudicasse e mi sentii in dovere di raccontargli tutto il
resto.
«
E’ per quello che sei stata
male…è questo che ti ha portato agli attacchi di
ansia, le crisi e tutto il
resto?»
«
In realtà ho cercato di
superare quel momento della mia vita e con l’aiuto di James
ci sono riuscita in
parte. La nostra storia è iniziata poco dopo e in questa ho
trovato conforto,
ma in cuor mio ho sempre sperato di poter avere un’altra
possibilità – abbassò
lo sguardo, sapevo che quello che gli avrei detto avrebbe potuto
ferirlo perché
in fondo la mia relazione con James avevo intuito non gli era andata
mai molto
a genio – e così è stato, ma non come
credevo io» questa volta fui io ad
distogliere lo sguardo, perché il dolore più
grande doveva ancora arrivare.
«
Circa tre anni fa sono rimasta
incinta di nuovo e anche se ormai la mia storia con James era ad un
punto morto
non potei che essere felice di quella seconda opportunità:
certo non era la
situazione ideale, ma come accade molte volte, avevo bisogno di quella
completezza che probabilmente solo un figlio mi avrebbe potuto
dare» questa
volta Edward si allontanò lievemente da me lasciando la
presa: sollevai lo
sguardo e in quel momento sentii un vuoto, anche se si era staccato
solo di
qualche centimetro da me.
«
E poi?» lo sentii sussurrare
con un’aria quasi rassegnata.
Non
avevo la minima idea di
quello che poteva immaginare fosse successo e nemmeno di come avrei
reagito io
a far riemergere qualcosa che avevo cercato per tanto tempo di
rimuovere. Il
familiare groppo alla gola si ripresentò più
forte che mai, ma presi un respiro
profondo e andai avanti:
«
Ho perso il bambino che ero
quasi al settimo mese di gravidanza – non potei trattenere le
lacrime – i
medici non hanno saputo dire esattamente il
perché….l’ho partorito
Ed….l’ho
guardato e tenuto in braccio, ma l’ho
perso…» ormai un pianto troppo forte scuoteva
le mie spalle in modo convulso, i singhiozzi erano ormai
incontrollabili « ho
potuto stringerlo solo qualche minuto, era così bello,
così piccolo e poi…….»
non riuscii a dire altro, le sue forti braccia mi strinsero nuovamente.
Avevo
giurato a me stessa che non avrei più rivangato quel
doloroso passato, ma
sapevo anche che per poter ricominciare veramente sarebbe dovuto
emergere prima
o poi. Lo sentii accarezzarmi la schiena e baciarmi dolcemente tra i
capelli in
un chiaro gesto volto a consolarmi.
«
Ho perso il bambino, Ho perso
James subito dopo e poi…..» ormai piangevo
ininterrottamente, il tono di voce
alto quasi a voler urlare la mia disperazione.
«
Ssshh, basta ora, non occorre andare
oltre, ti sei lasciata tutto alle spalle..»
«
Non è così Edward, tutti i
momenti di crisi che hai visto sono stati uno strascico di quello che
ho
vissuto e ho paura che non riuscirò mai a dimenticare del
tutto»
«
Sono certo che ce la farai, sei
molto più forte di quello che tu
creda….»
«
Ho fatto quasi un anno di
terapia Edward, i farmaci mi hanno aiutata, ma ancora
adesso….»
«
Quello che hai passato ti ha
fatto diventare la persona meravigliosa che sei, di questo non devi
dubitarne
mai, e le tue debolezze sono in realtà solo
l’immagine di una donna forte che
ormai può affrontare tutto».
Riuscii
a calmare leggermente il
pianto e a staccarmi dal suo abbraccio per poterlo guardare meglio
negli occhi:
« la mia forza ora sei tu, lo sei stato dal primo momento che
ti ho parlato, ed
era questa la mia paura più grande…non sono
abbastanza per te»
«
Non dirlo mai!» il tono severo,
come se credesse fermamente in ciò che diceva
«
Edward io….tu non sai – lo
guardai per poi tornare con gli occhi bassi –
io….probabilmente non potrò avere
mai dei figli…e questo non potrò mai accettarlo,
non tanto per me, quanto per
la persona che deciderà di starmi accanto per la
vita…ho già sofferto
abbastanza io, non è giusto che…»
«
E’ per questo che non mi hai
mai detto nulla,
che sei fuggita, che mi
hai tenuto lontano dal tuo cuore? Hai pensato che io non accettassi di
non
poter diventare padre?»
«….tra
le altre cose….»
«
Bella guardami….» sollevai lo
sguardo e lo puntai in quelle splendide gemme verdi « non
pensare di essere
inadeguata per questo, non è colpa tua …e hai
sofferto già abbastanza per
precluderti la felicità dell’amore: e io voglio
amarti Bella, viverti al di là
di tutto, se tu me lo permetterai…», chiusi gli
occhi soffocando i singhiozzi
sul suo petto.
Strinsi
tra le mie mani la sua
felpa, respirando profondamente, come se l’odore della sua
pelle servisse ad allentare
i miei nervi tesi dalla situazione. Mi sembrava di essere su una corda
sottilissima,
pronta a spezzarsi, ma mi aggrappai a lui consapevole che in quel
momento fosse
la mia ancora, la mia forza, la mia speranza.
Meritavo
anche io la mia
felicità? Non lo sapevo in realtà, ma in quel
momento tra le sue braccia e
confortata dalle parole d’amore che mi sussurrava
continuamente all’orecchio
decisi di credere e decisi che avrei provato ad andare avanti,
soprattutto ora che
anche l’ultimo silenzio tra noi era svanito.
Poi
mi porse una domanda che
sapevo meditava ancora dall’inizio della nostra conversazione:
«
Bella, cosa ti ha dato
veramente fastidio di quello che ha detto Jake su di me?» lo
fissai negli occhi
e decisi che avrei esternato i miei dubbi.
«
Edward, il pensiero che tu abbia
avuto la possibilità di avere dei figli…di essere
felice…io..» sentii le sue
grandi mani racchiudere le mie e abbassai lo sguardo, «
Edward io sono una
persona che ha perso due bambini e c’è la seria
possibilità che non possa più
averne» sapevo che era turbato, lo vedevo nei suoi occhi
«…in fondo so che a me
mancherà sempre qualcosa nella vita e non vorrei che
mancasse anche a te se
decidi di stare con me»
«
A me mancheresti tu più di
tutto, ed è questo che mi lega a te, il resto
verrà in futuro, di soluzioni ce
ne sono tante, ma ciò che so è che non voglio
perderti….e voglio vederti
felice» mi prese il volto tra le mani e iniziò ad
accarezzare le mie labbra con
i polpastrelli.
«
Io ti amo Isabella, come non ho
mai amato in vita mia, e sono tutte quelle che tu chiami debolezze e
paranoie
che ti rendono ancora più speciale, ed è
impossibile non desiderare di stare
con te: è questo che mi fa stare bene e credo che se non mi
baci subito poteri
anche morire», finalmente un lieve sorriso si
affacciò alle mie labbra e
l’intensità di quel bacio mi dimostrò
che il nostro legame era profondo e
forte.
Stesi,
abbracciati sul mio divano
mi addormentai sul suo petto, fra le sue braccia, con ancora il sapore
dei suoi
baci e le lacrime sul mio volto.
NOTE:
chiedo scusa per il ritardo, ma gli impegni e il capitolo non mi hanno
permesso di postare prima. Ho deciso di dividerlo in due parti
perchè ci sono altre concetti che vorrei far rientrare in
questo titolo e inseriti qui diventava troppo e rischiava di essere
dispersivo. Spero comunque che vi piaccia e chiedo scusa per eventuali
errori: l'ho corretto molto in fretta. Alla prossima
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Capitolo 52 *** “Interruzioni: seconda parte” ***
CAPITOLO 52
“Interruzioni:
seconda parte”
“Bella, amore, è meglio andare a letto...”
una voce dolce, in lontananza
mi ridestò dal mio sonno. Per un attimo non capii
né dov’ero né quanto tempo fosse
passato. Solo una cosa era certa: Edward era accanto a me, sapevo di
essere
appoggiata al suo torace e potevo sentire anche il battito del suo
cuore in
quella posizione.
Aprii
a fatica gli occhi, le
lacrime versate probabilmente qualche ora prima erano scomparse
lascandomi le
palpebre pesanti e gonfie. Poi ad un tratto ricordai: a causa di Jacob
avevo
confessato tutto del mio passato a Ed abbattendo così anche
l’ultima barriera
tra noi.
E
lui sembrava aver accettato la
cosa nel modo migliore, consolandomi e stingendomi a sé.
Mi
sollevai puntellandomi su un
gomito e appoggiando l’altra mano sul suo petto, poi presi
coraggio e sollevai
il viso fino ad incontrare i suoi occhi. Mi guardò molto
intensamente e lo
sentii parlare di nuovo, come poco prima nel dormiveglia:
«
Non pensi che saresti più
comoda a letto?» un lieve sorriso gli si dipinse sul volto
mentre con una mano
mi accarezzava il mio.
«
Scusa, mi devo essere
addormentata, mi dispiace ti ho schiacciato…»
«
Non scherzare, sei leggera come
una piuma, vieni ti accompagno in camera» mi fece scendere
dal suo fianco e si
alzò porgendomi la mano.
«
Ma quanto ho dormito?»
«
Solo qualche ora, è notte
fonda, ma penso che per evitare una bella emicrania ci convenga
riposare nel
modo giusto» sorrise e mi aiutò ad alzarmi.
Mi
misi prima seduta, per evitare
che la stanza continuasse a girare: effettivamente mi sentivo come in
un dopo
sbornia. Presi di nuovo il respiro prima di alzare gli occhi verso
Edward e
afferrare la sua mano. In quel momento non mi resi pienamente conto
della
situazione e mi
avrebbe potuto condurre
anche all’altro capo del mondo, ma mi fidavo, mi appoggiai a
lui lasciandomi
trasportare. Entrammo insieme nella mia camera e senza svestirmi mi
lasciai
andare sul materasso. Edward prese una coperta calda e si stese accanto
a me.
«
Edward se vuoi puoi andare a
riposare nel tuo appartamento» non me la sentivo di
continuare a tenerlo lì,
sapendo che sarebbe potuta essere anche una notte insonne per me.
«
Non scherzare, ti sono rimasto
accanto in situazioni molto più tranquille, non ti
lascerò certo stanotte» lo
fissai con uno sguardo completamente sognante, ma cosa avevo fatto per
meritarmi un uomo così?
Forse
per tutto quello che avevo
sofferto, anche a causa mia, la vita mi stava ripagando con la sua
splendida
compagnia. Ci stringemmo come poco prima nel divano, e cercai di trarre
dal
calore del corpo di Edward la forza per riaddormentarmi nuovamente.
Ma
probabilmente la giornata non
mi aiutò: l’agitazione per quello che era accaduto
mi impedì di chiudere occhio
e purtroppo fu la stessa cosa per lui. All’ennesimo sospiro e
movimento nel
letto lo sentii girarsi verso di me e chiedermi come stavo:
«
Bene, ma non riesco proprio a
chiudere occhio, forse dovrei prendere qualcosa…»
«
No – si alzò su un gomito e mi
fissò negli occhi sovrastandomi con il suo corpo –
non te lo permetterò,
altrimenti i tuoi sforzi di questi giorni risulteranno vani e inutili.
Non puoi
farti condizionare dalle parole di una persona che ha solo del rancore
nei
confronti del mondo. Affidati a me e vedrai che tutto andrà
bene...» lo fissai
intensamente con gli occhi lucidi, accarezzandogli il viso caldo e
lasciandogli
un lieve bacio sulle labbra.
Distolsi
lo sguardo e mi girai su
un fianco, porgendogli la schiena e nel giro di qualche secondo lo
sentii
appoggiarsi a me come a volermi proteggere con tutto il suo corpo.
Sentii il
suo viso insinuarsi tra i miei capelli fino ad arrivare alla pelle del
collo,
dove sentivo il suo respiro caldo. Dopo alcuni minuti di silenzio in
questa
posizione lo sentii sospirare, sapevo che avrebbe voluto chiedere,
parlare,
visto che la nostra conversazione di qualche ora prima non era stata
approfondita a causa del mio stato emotivo, e lo lasciai fare.
«
Bella?»
«
Mmmhhh»
«
Stavi dormendo, ti ho
svegliata?»
«
No….non riesco» mi girai tra le
sue braccia, fino a trovarmi faccia a faccia con lui e ricambiai
l’abbraccio
stringendolo a mia volta dal punto vita e incatenando le mie gambe alle
sue in
una morsa veramente coinvolgente.
«
Hai voglia di parlare? » mi
staccai leggermente e lo fissai negli occhi. No, non mi andava, ma
sapevo che
lui lo desiderava e in fondo avrebbe fatto bene anche a me: lasciai che
fosse
lui a chiedere, in fondo il puzzle della mia vita si stava componendo.
«
Bella…ma come è potuto succedere…due
volte….e la seconda…» sapevo che aveva
timore di chiedermi certe cose che
potevano turbarmi, ma decisi comunque di rispondere.
«
Non lo so in realtà, nemmeno i
medici hanno saputo dire con certezza…probabilmente ho
difficoltà a…potare
avanti una gravidanza..» nel dire queste parole avevo dovuto
deglutire più
volte per assopire il magone. Sentii la tensione di Edward e cercai di
rincuorarlo:
«
Va tutto bene ora, forse la
cosa peggiore è sapere che forse non potrò
più…..»
«
Ma, sei sicura?»
«
Sì, dopo la seconda gravidanza
si sono accorti che c’era qualcosa che non andava nel mio
ciclo, il medico si è
accorto che andava e veniva senza apparente motivo ed è
arrivato alla conclusione
che sia una forma di sterilità, tanto che con il passare del
tempo potrebbe
scomparire del tutto e allora…….non avrei
più speranze…» un singhiozzo mi
riscosse e sentii le sue mani prendermi il volto.
«
Mi dispiace, non avrei
dovuto..»
«
Non fa niente, devo imparare a
conviverci e voglio che tu sappia tutto, anche perché mi ci
devo rassegnare»
«
Non è detto, ci può sempre
essere una speranza…» e mi baciò sulle
labbra e poi sulla fronte. Sorrisi
lievemente: conoscevo il suo stato d’animo, anche io i primi
tempi mi ero
tenuta delle flebili illusioni, ma poi piano piano mi ci ero abituata.
«
Come ha potuto James lasciarti
sola in quel momento?» abbassai lo sguardo consapevole che
quello che stavo per
dirgli lo avrebbe lasciato sconcertato, almeno in parte:
«
Edward, James non ha mai saputo
della gravidanza…o almeno…non tutto».
Alzò
leggermente la testa dal
cuscino e come avevo previsto mi guardò abbastanza
stralunato:
«
Cosa significa? Che non gli hai
detto di essere incinta in modo che si prendesse le sue
responsabilità?»
«
Era un momento difficile, ti
dico la verità, sapevo che tra noi erano cambiate molte
cose, ci vedevamo poco
e avevo capito che anche con una gravidanza non sarebbe cambiato nulla,
anzi
probabilmente mi avrebbe accusato di volerlo incastrare. In
realtà quando
scoprii di essere incinta ero al settimo cielo e lo cercai per
dirglielo, ma mi
ritrovai faccia a faccia con la moglie – non potei fare a
meno di abbassare lo
sguardo – mi
accusò di provare qualcosa
per suo marito e mi disse chiaramente che avrei dovuto lasciarlo in
pace. Ti
confesso che per la prima volta mi sono sentita in
difficoltà, mi resi conto
che ormai i miei sentimenti per lui non erano più gli stessi
e in quel momento
mi vedevo solo come l’amante rovina famiglie che si ostinava
a rimanere a tutti
i costi. Mi ripromisi di parlargliene, ma poi non si fece
più vivo, facendomi
capire che la nostra storia non aveva più la
priorità e decisi che mi sarei
dedicata completamente solo al mio bambino»
«
Avresti potuto dirglielo
quando…..è successo»
«
E chi ne aveva la forza? Mi
ritrovai in depressione, senza più nemmeno la voglia di
andare avanti, perché
la cosa a cui tenevo di più mi era stata portata via e in
più il medico mi
aveva informata che la mia situazione non mi avrebbe più
potuto permettere di
avere altre possibilità…in quel momento James era
il mio ultimo pensiero…»
«
Scusa, hai ragione avrei dovuto
capire, ma…io avrei voluto saperlo»
«
Molto spesso certe situazioni
della vita ti costringono a tenere nascoste molte cose, per evitare di
soffrire
ancora di più»
«
Ma le persone possono stupire…»
«
E se anche glielo avessi detto
cosa sarebbe successo? Magari si sarebbe preso le sue
responsabilità lasciando
la moglie, ma sono convinta che questo avrebbe contribuito a
distruggere il
nostro rapporto ormai logoro. Comunque dopo qualche tempo gli dissi che
ero
rimasta incinta e che lo avevo perduto subito, ma gli feci intendere
che era
andata come la volta precedente. Lui mi consolò
momentaneamente e poi mi disse
che vista la situazione forse era stato meglio così. Ti
rendi conto?»
Probabilmente
comprese il mio
punto di vista perché non ribatté altro.
«
E tuo padre come l’ha presa?»
questo era per me un altro motivo di grande rimorso.
«
Charlie non ha mai saputo
nulla, non me la sono proprio sentita…»
«
Ma ti sarebbe stato accanto,
avresti almeno potuto…»
«
E con che coraggio? Lui non ha
mai saputo di me e James e cosa gli avrei potuto dire “ciao
papà, lo sai sono
incinta di un uomo spostato, che frequento da sette anni, ma che
è meglio non
sappia nulla? Non ce l’avrei più fatta a guardarlo
in faccia»
«
Ma come hai fatto da sola…»
sorrisi sarcastica.
«
Beh, il modo lo hai visto, con
i farmaci e in più ero sotto controllo con la psicoterapia.
Ci ho messo quasi
un anno a elaborare il dolore: ogni piccola cosa era motivo per farmi
prendere
quegli attacchi di ansia di cui sei stato testimone.
Ero
solita svenire o sopportare
attacchi di tachicardia veramente forti. Quelli che hai visto tu sono
stati
all’acqua di rose rispetto a ciò che mi capitava:
nella maggior parte dei casi
se non svenivo per il senso di oppressione mi ritrovavo stesa sul
pavimento a
piangere e gridare dal dolore. Credo proprio di aver visto in faccia la
pazzia.
E’ da poco più di un anno che posso dire di stare
bene…» un sospiro mi uscì
quasi a voler terminare lì questo tipo di conversazione.
«
Mi dispiace così tanto amore
mio, sei rimasta sola ad affrontare tutto» lo sentii
sussurrare al mio
orecchio.
«
Non farlo!» lo scostai
leggermente
«
Cosa?»
«
Non compatirmi…l’ho già fatto a
sufficienza io, voglio altro ora dalla vita» lo guardai con
un’intensità
profonda. Mi prese il viso con le mani e mi soffiò sulle
labbra:
«
Dimmi cosa vuoi allora..» in
quel momento, nonostante fosse una situazione insolita, nonostante
fosse emerso
il mio doloroso passato, il cuore accelerò, il
respirò si fece pesante e andò
ad infrangersi sulla sua bocca a pochi centimetri dalla mia. Strinsi la
presa
sulla sua schiena e spontaneamente intrecciai le gambe con le sue. Ero
distrutta fisicamente ed emotivamente, ma volevo trasmettergli il mio
sentimento in quel momento.
«
Te….vorrei essere felice con
te» lo avevo detto ed era quello che desideravo. Non rispose
nulla, ma azzerò
la distanza fra le nostre bocche; le sue labbra calde sulle mie
lasciarono una
scia umida e poi si spostarono sul mio naso e sui miei occhi.
«
E allora farò in modo che succeda…..ora
dormiamo ti va?»
Non
risposi, ma mi accoccolai su
di lui e mi beai del suo profumo e dei suoi respiri.
Il
mattino dopo fu veramente
difficile aprire gli occhi: quando riuscii a farlo mi resi conto che
ero sola
nel letto e il rumore della doccia mi fece capire che Edward si era
alzato e si
stava probabilmente preparando per andare a lezione.
Mi
scoprii e mi misi a sedere sul
bordo del letto soffermandomi quasi in trance a fissare i miei piedi
che
penzolavano lievemente vicino a pavimento: ripensai a quello che avevo
detto a
Edward prima che si addormentasse, ed era vero. Volevo lui e
più tempo
passavamo insieme più si radicava in me la consapevolezza
che lo avrei voluto
per tutta la vita.
Una
voce calda mi ridestò, ma
quando alzai lo sguardo niente mi preparò alla visione che
mi si parò davanti:
Edward era sulla soglia della porta con un pantalone della tuta e a
torso nudo
intento a frizionarsi con un asciugamano i capelli bagnanti. Quando mi
vide un
sorriso si accese sul suo volto e io non potei fare a meno di
ricambiare, anche
se in quel momento tutta la mia attenzione era focalizzata sulla sua
bellezza:
«
Ti sei svegliata? Come ti
senti?» senza esitazione mi si avvicinò e una
volta seduto mi fece sporgere il
viso nella sua direzione per lasciarmi un tenero bacio sulle labbra.
Chiusi gli
occhi beandomi del contatto, poi ritornai in me e gli dissi di stare
tranquillo, sarei stata bene.
«
Perché non
ti prendi un giorno di riposo e resti qui,
appena finisco a lezione ti raggiungo e potremmo stare
insieme?» capivo le sue
intenzioni, ma già in passato mi ero dovuta scontrare con la
dura realtà e
anche se malandata ero riuscita ad alzarmi.
«
Preferisco andare al lavoro, mi
aiuterà a distrarmi» lo fermai prima che potesse
ribattere, afferrandogli il
viso con entrambe le mani e sussurrando dolcemente a pochi centimetri
dal suo
volto, « so quello che pensi e so anche che vuoi assicurarti
che io stia bene,
ma so quello che faccio: ho bisogno di tornare alla mia
realtà attuale e non
posso farlo rimanendo chiusa in un appartamento a rimuginare su cosa
già
affrontate».
Mise
le mani sui miei polsi, poi
chiudendo gli occhi le baciò ripetutamente: « e tu
saresti quella debole?» era
così dolce e aveva così tanta fiducia in me che
quasi mi commoveva.
Mi
alzai malvolentieri dal letto
e ci accordammo per trovarci al piano inferiore, pronti per andare al
lavoro.
Quella mattina cercai d fare i miei gesti in modo meccanico senza
pensare
troppo a quello che era successo, per non rischiare di fronte ai miei
studenti:
cercai di essere tranquilla a lezione e mi beai della sua presenza
ogniqualvolta si presentava da me. Provai a pensare al nostro weekend,
per
focalizzarmi su qualcosa che sapevo sarebbe stato estremamente
piacevole, al di
là di qualsiasi risvolto.
Al
termine della mattinata
raccolsi le mie cose per rientrare a casa: sapevo che Edward aveva
ancora
un’ora di lezione e per quello lo avrei salutato nella sua
aula, per poi andare
a riposare. Ero quasi sul punto di andarmene quando mi sentii chiamare:
«
Isabella» il mio sguardo
divenne probabilmente di puro terrore nel vedere Jacob sulla soglia
dell’ aula:
istintivamente cercai di allungare lo sguardo sperando
nell’arrivo di Edward,
ma le sue parole mi bloccarono.
«
Edward è a lezione, io dovrei…»
non lo lasciai finire, lo guardai con odio e cercai di aggirarlo per
uscire, ma
mi sentii trattenere per un braccio.
«
Aspetta ti prego..»
«
Lasciami, non c’è niente che tu
possa dire o fare, non sopporto nemmeno di vederti e se Edward sapesse
che sei
qui….»
«
Lo sa, mi ha mandato lui» mi
gelai sul posto. Proprio non capivo, il suo tono era meno acido, quasi
dispiaciuto.
«
A dire la verità mi ha quasi
obbligato lui a venire per…..volevo chiederti
scusa…ho esagerato, anche se lo
odio per quello che mi ha fatto in passato, non dovrei prendermela con
te e poi
mi ha spiegato….non avrei dovuto, sono
stato…..»
«
Stai zitto!! – ero furiosa, mi
aveva costretto ad ascoltare i suoi insulti, le sue illazioni e ora
veniva a
chiedermi scusa? – non accetterò mai le tue scuse.
Qualsiasi cosa ti sia
capitata in passato non ti autorizza a cercare di distruggere le vite
degli
altri. Non hai pensato nemmeno per un momento a cosa avresti potuto
causare, a
come sono stata io: hai avuto le tue informazioni, le hai elaborate
superficialmente solo per il tuo disprezzo e la tua sete di vendetta
verso
Edward, senza pensare alle conseguenze» mi avvicinai a lui
con disprezzo, gli
occhi sgrananti che fissavano i suoi dimessi.
Non
avrei perdonato, non in quel
momento: « se proprio ti interessano i fatti miei, ne ho
persi due di bambini e
non ne avrò più e questo mi ha distrutto la vita
negli ultimi due anni e la
prossima volta, prima di usare notizie del genere per il tuo tornaconto
personale, pensa ai danni che puoi creare. Come vedi qui non sei
l’unico che ha
sofferto»
Gli
avevo sputato in faccia tutto
con rabbia e lo scansai bruscamente per uscire dalla stanza.
«E
ringrazia Edward che si è
limitato ad importi di venire a chiedermi scusa: la prossima volta gli
dirò di
prenderti a pugni» mi allontanai velocemente da lì
per andare nel mio
appartamento.
Nel
tragitto mi fermai nell’aula
di Edward per chiedere spiegazioni su Jacob: quando mi vide
capì subito dal mio
sguardo che gli avevo parlato. Mi rispose che lo aveva incontrato e
prima di
lasciarsi prendere dalla frenesia di farlo a pezzi, aveva ragionato e
gli aveva
detto quanto male mi avessero fatto le sue parole. Aveva giocato sui
suoi sensi
di colpa visto i tentativi passati e inutili si avvicinarsi a me.
Si
scusò per avermelo mandato ma
quando lo aveva incontrato la voglia di mettergli le mani addosso era
stata
troppo forte, poi però aveva giocato la carta della minaccia
– quella di andare
dalla preside ad accusarlo di ingiurie – a meno di un suo
allontanamento da me,
da noi e delle scuse. Anche se sapeva benissimo che non sarebbero state
del
tutto sincere. Lo ringraziai, ma gli chiesi per il futuro di tenerlo
più
lontano possibile.
«
Ti capisco» mi rispose e
subito dopo gli annunciai che sarei andata
a riposarmi e che per quella sera sarebbe stato meglio non vederci.
«
Sei arrabbiata con me?» lo
guardai stupita, nonostante l’odio che nutrivo per Jacob mai
mi sarebbe passato
per la mente di incolpare lui, anzi avevo apprezzato il fatto che si
fosse
prodigato per me, nonostante non volesse averci niente a che fare.
«
Non potrei mai» gli risposi,
accarezzandogli lievemente una guancia.
«
Sei sicura? Te la senti di
stare da sola?» lo tranquillizzai dicendogli che mi sarei
presa un momento per
me e, se avessi avuto bisogno, lui sarebbe stato il primo da cui sarei
andata.
«
Penso che mi farò una bella
doccia e me ne andrò a letto, di solito dopo giornate come
quella di ieri cado
quasi in letargo». Lo salutai con un lungo bacio sulle labbra
e una volta staccati
mi beai di un ultimo contatto strofinando il naso sul suo profilo,
inspirando
il profumo della sua pelle e allontanandomi a malincuore dal suo corpo
e dalle
sue mani saldamente ancorate ai miei fianchi. Prima di uscire dalla sua
aula mi
voltai e lo guardai intensamente mimandogli con le labbra un
“ti amo” di
saluto, poi mi recai a casa e dopo un lungo bagno e un abito comodo mi
distesi
sul letto per riposare il più a lungo possibile.
Mi
svegliai di soprassalto,
ansante e sudata. Per tutto il tempo del mio riposo, sogni e incubi mi
avevano
accompagnato.
Ricordavo
immagini di James e
delle mie esperienze passate più negative, mi sembrava di
poter percepire
nuovamente il dolore nel petto al ricordo di ciò che avevo
perso e lasciato e
l’ultimo e più terribile incubo della notte,
quello che mi portò a svegliarmi
di soprassalto tra le lacrime: Edward che scompariva davanti ai miei
occhi, con
lo sguardo triste e rassegnato. Si stava allontanando da me dopo avermi
lasciato un’ultima carezza sul viso.
Seduta
sul letto cercai di
riportare la mente alla realtà, provai a regolarizzare il
respiro e mi resi
conto più che mai che per stare bene sarei dovuta essere con
lui.
Non
volevo svegliarlo per farlo
venire da me, così mi alzai e iniziai a girovagare per casa.
Mi soffermai con
lo sguardo sulla penisola dell’angolo cottura: in un cestino
al centro c’erano
le chiavi dell’appartamento di Edward, che mi aveva lasciato
solo qualche
giorno prima, così come lui aveva quelle del mio.
La
mia mente si sintonizzò subito
sui ricordi delle serate passate accanto a lui e mi resi conto che era
ciò che
desideravo anche in quel momento: volevo stringermi a lui e sentire il
suo
corpo caldo accanto, che infondeva sicurezza e amore al mio.
Non
mi curai dell’orario e
dell’abbigliamento: presi le chiavi e mi avviai alla porta.
Uscii nel corridoio
lentamente, senza pensare alla presenza degli studenti: in
realtà lo stabile
era deserto e aleggiava nell’aria il silenzio della notte.
Salii le scale che
mi dividevano dal piano superiore, l’unico suono era il
rumore attutito dei
miei piedi scalzi sul tappeto: l’aria era fresca nel
corridoio e alcuni brividi
formarono uno strato di pelle d’oca sulle mie braccia e le
mie gambe, coperte
solo da una maglietta e un pantalone della tuta.
Quando
mi trovai di fronte alla sua
porta mi fermai a pensare se fosse il caso di entrare senza bussare, ma
vista
l’ora avrei potuto spaventarlo meno utilizzando le chiavi. Mi
resi conto,
mentre infilavo le chiavi nella serratura che le mani mi tremavano
leggermente,
vuoi per lo shock del risveglio, un po’ per la bassa
temperatura e forse anche
per il fatto di trovarmi nell’appartamento di Ed a sua
insaputa. Ma nella mia
mente in quel momento avevo solo lui e l’immenso desiderio di
stargli accanto.
Appena
aprii la porta, l’intenso
calore dell’appartamento e il profumo che aleggiava mi invase
donandomi una
familiare sensazione di protezione. Chiusi lentamente la porta alle mie
spalle
e mi diressi in punta di piedi e nel buio dell’appartamento
verso la camera,
guidata dalla fioca luce dell’abajour.
Forse era ancora sveglio o stava dormendo da poco e per un attimo fui
tentata
di tornare indietro per non disturbarlo.
Quando
fui sulla porta della
stanza, però non potei fare altro che fermarmi a guardarlo:
era appoggiato con
la schiena alla testata del letto, gli occhi chiusi e un libro sfuggito
dalle
mani probabilmente a causa del sonno. In quel momento mi resi conto che
non era
solo il suo calore o la sua vicinanza che desideravo: io volevo stare
con lui e
sentirmi sua.
Presi
un bel respiro come a voler
incamerare il coraggio e mi avvicinai al letto salendo lentamente con
un
ginocchio: mi chinai ad accarezzarli il viso e a scostargli una ciocca
di
capelli ramati ricaduta sulla fronte e poi, distendendomi accanto a
lui, lo baciai
lievemente sulle labbra. Il mio intento non sarebbe stato quello di
svegliarlo
e per un attimo mi pentii di averlo fatto, perché il mio
coraggio
nell’avvicinarmi con l’intenzione di stare con lui
era svanito. Ma quando aprì
gli occhi e si rese conto che ero accanto a lui, qualcosa in me
scattò, il
cuore iniziò a battere furiosamente e il respiro a
velocizzarsi.
«
Bella cosa ci fai qui? Stai
bene?» il mio respiro cominciò a farsi
più frequente e mi limitai ad annuire
per paura che le sensazioni che provavo accanto a lui mi incrinassero
la voce.
Capii dal suo sguardo che non si sarebbe limitato ad accettare la mia
risposta
silenziosa.
Si
scostò con la schiena dal
letto e si posizionò ruotando il busto per essere di fronte
a me: portò la sua
mano alla base della mia nuca, tra i miei capelli, accarezzandomi
dolcemente:
«
Bella, amore, sei pallida e
accaldata, sicuro che sia tutto ok?» annuii nuovamente, ma
sapevo che avrei
dovuto dire qualcosa per non insospettirlo.
«
Sto bene…avevo solo voglia di
stare con te»
«
Hai avuto ancora incubi?» la
capacità di quest’uomo di leggermi nel cuore e
nella mente certe volte mi faceva
quasi paura. Alzai lo sguardo e avvicinai di più il volto al
suo:
«
Sì, ma ora sto
bene….qui…accanto a te» e lo guardai
negli occhi con uno sguardo deciso sul mio
desiderio di stargli accanto.
«
Lo sapevo che non sarebbe stato
salutare lasciarti sola» il tono leggermente alterato, quasi
più con se stesso
che con me, per essersi lasciato convincere. Cercai comunque di
tranquillizzarlo accarezzandogli a mia volta il viso e scendendo con la
mano sul
collo, nella porzione di pelle dietro l’orecchio, dove avrei
desiderato più che
mai lasciare una scia con la lingua.
«
Va tutto bene, basta che….non
mi lasci…»
«
Non lo farei mai» mi sussurrò
avvicinandosi e soffiando le ultime parole talmente vicine alla mia
bocca che
le nostre labbra non poterono fare a meno di incollarsi. Ma questa
volta il
bacio fu diverso: altre volte c’era stato desiderio profondo,
ma la passione
che in quel momento bruciava nel profondo della mia anima mi percorse
con un
brivido dalla schiena alla punta dei capelli.
Edward
non diede segno di volersi
staccare da me e in quel momento non glielo avrei assolutamente
permesso: mi
teneva saldamente ancorata a se con la mano tra i capelli, a cui ben
presto
aggiunse anche l’altra.
Ansiti
silenziosi e il rumore dei
nostri baci soffocati arrivavano alle mie orecchie, tanto che riuscii a
prendere coraggio per cercare di sovrastarlo: le mie mani che prima gli
accarezzavano dolcemente il collo iniziarono a scendere fino ad
arrivare al suo
torace e cercai di ribaltare le posizioni, spingendomi lentamente su di
lui e
facendolo distendere, per poi sdraiami sul suo petto, sempre senza
interrompere
il contatto delle nostre labbra.
Sentivo
il suo sapore sulla mia
lingua, intrecciata alla sua e la cosa mi stava portando in uno stato
di
eccitazione raramente provato prima. In cuor mio pregai che non mi
respingesse
ancora a causa delle sue premure nei miei confronti o questa volta mi
sarei
sentita veramente in imbarazzo per la mia audacia.
Quando
ormai bisognosi d’aria, ci
allontanammo leggermente, potei sentire il mio nome uscire flebilmente
dalle
sue labbra, ma non gli diedi tempo di ribattere: alzandomi leggermente
iniziai
a baciare ogni angolo del suo splendido volto, fino a soffermarmi sulle
sue
labbra, che iniziai a mordicchiare, ad accarezzare con la lingua e con
i
polpastrelli.
I
nostri sospiri ormai saturavano
l’aria e le sue mani si ancorarono ai miei fianchi con
un’intensità che
raramente gli avevo sentito. Poi lente si posizionarono sotto la mia
maglietta
per accarezzarmi dolcemente la schiena: e in quel momento la mia
razionalità
partì definitivamente per lidi lontani e per un attimo mi
sentii sicura di me
stessa e del fatto che questa volta avrei avuto ciò che
tanto desideravo.
Passarono
minuti interminabili,
appoggiata a lui, a baciare ogni porzione del suo viso e del suo collo,
mentre
le sue mani vagavano delicate senza mai osare, quando la sua voce
chiara e forte
mi ridestò da quegli attimi così intensi:
«
Bella….cosa??» aveva intuito le
mie intenzioni, ma non esitai questa volta, mi staccai da lui
allontanandomi
leggermente e lo fissai intensamente.
«
Non mi allontanare anche questa
volta, non respingermi…ti prego» lo vidi
socchiudere gli occhi e poi fissarmi
la bocca. La sua voce calda mi arrivò al cuore:
«
Non avevo nessuna intenzione di
farlo…» nel sentire quelle parole mi ributtai a
capofitto sulle sue labbra e il
suo corpo, stringendolo ancora di più e gioendo in cuor mio
per aver percepito
in lui la stessa urgenza e lo stesso desiderio che provavo io.
Mi
alzai seduta, portandolo con
me, e mi sistemai con le gambe ai lati dei suoi fianchi; anche vestiti
quella
posizione non avrebbe dato adito a nessun fraintendimento su quello che
sarebbe
potuto succedere. Le sue mani mi strinsero ancora di più e
le sentii vagare
fino alla curva della schiena e ai fianchi trasmettendomi il loro
calore.
Approfittando
di un momento in
cui le nostre bocche non erano incollate, lo sentii indugiare sul bordo
della
mia maglietta e, senza parole, lo aiutai a sfilarla.
«
Sei bellissima» in quel momento,
nonostante avessi i suoi occhi puntati addosso, in
un’espressione quasi
famelica, le sue parole non mi fecero percepire l’imbarazzo
di trovarmi per la
prima volta in intimo di fronte a lui. Continuai a baciarlo
accarezzandogli i
capelli e beandomi delle sue labbra sul mio collo e delle sue mani
sulla mia
schiena ormai scoperta.
In
pochi secondi mi ritrovai con
la schiena sul materasso, il suo corpo premuto sul mio: gli accarezzai
i
muscoli delle spalle, tesi nello sforzo di non pesarmi e continuai a
baciarlo.
I
nostri sospiri accompagnarono
qualcosa di nuovo: gemiti per il contatto dei nostri corpi, delle
nostre mani sulla
pelle, per la sua maglia sfilata e gettata chissà dove, per
i suoi respiri infranti
sul mio collo, per i miei baci sul suo petto ormai nudo.
Le
sue mani mi accarezzarono
dolci ogni parte del viso, fino a scendere sul collo sulle spalle e
sempre più
giù, fino a lambire l’elastico della tuta, che in
quel momento più che mai,
desiderai che togliesse. Durante ogni suo gesto, quando non eravamo
impegnati a
baciarci, i suoi occhi erano puntati nei miei, a trasmettermi una
carica sensuale
mai provata prima.
Ero
certa in quel momento che la
mia decisone, il mio azzardo erano stati la scelta giusta e che solo
con lui,
tra le sue braccia, avrei potuto vivere felice e alleggerire tutte le
mie pene.
Quando
ormai il suo corpo era sul
mio e le mani avevano iniziato ad accarezzare lascivamente una mia
gamba
piegata lungo il suo fianco, fasciata ancora dai pantaloni della tuta,
il suo
cellulare squillò, sorprendendoci e costringendoci a
interrompere quel momento.
Lo vidi alzare lo sguardo un attimo e poi rituffarsi nei miei occhi,
dando
dimostrazione che non era interessato a nulla che non fossi io e
tantomeno ad interrompere
quello che stava avvenendo fra noi.
Il
telefono smise di squillare e
Edward riprese a baciarmi con passione fino a che la luce del display e
la
suoneria ci interruppero nuovamente:
«
Ed, forse è meglio che
rispondi»
«
Chiunque sia si stancherà» la
sua bocca sul mio collo, le sue mani sui miei fianchi.
Non
so come, ma riuscii in quel
momento a razionalizzare: era notte e a meno di uno scherzo, nessuno
avrebbe
chiamato se non fosse stato importante. Non so come riuscii a
richiamare la sua
attenzione:
«
Edward forse è importante:
guarda almeno chi è…» risposi con il
respiro affannato.
Lo
vidi fissarmi e allungare una
mano sul comodino alle mie spalle. Mi sembrò di sentire
anche un leggero sbuffo
e non potei fare altro che compiacermi del fatto che
un’interruzione in quel frangente
gli desse così fastidio, viste tutte le volte che si era
“trattenuto” con me.
Lo guardai mentre leggeva il numero sul display e avviava la
comunicazione:
«
Roaslie cosa c’è? Spero per te
che sia importante…» cosa era accaduto per portare
la sorella a chiamarlo in
piena notte? Istintivamente pensai che fosse accaduto qualcosa ad
Emmet. Ma poi
lo vidi rabbuiarsi.
«
Rose che succede? Non mi sembra
proprio tu stia bene…come? Sì Bella è
qui con me, ma non puoi aspettare
domattina?...ok, ok cerca di calmarti te la passo» mi porse
l’apparecchio con
uno sguardo alquanto scocciato, ma nello stesso tempo dubbioso.
Appena
presi il telefono la voce
tremante di Rose mi giunse all’orecchio: stava piangendo,
anzi singhiozzando e
la preoccupazione si fece spazio in me.
«
Rosalie cosa succede? – Nessuna
risposta solo singhiozzi dall’altra parte
– è
accaduto qualcosa ad Emmet?»
«
No» finalmente la sua voce
tremante mi arrivò, come fosse dall’altro capo del
mondo.
«
Ho bisogno di te… credo di
essere nei guai»
«
Cosa posso fare?» non me la
sentii di sottovalutare o ignorare la sua richiesta.
«
Puoi venire qui? Ti prego».
In
quel momento guardai l’uomo
splendido di fronte a me: si era alzato sulle ginocchia lasciandomi la
possibilità di mettermi seduta.
I
capelli spettinati dalle mie
carezze, gli occhi lucidi per l’eccitazione, il torace nudo
che si alzava
rapidamente e il respiro ancora frettoloso. E una chiara nota di
disappunto
mista a preoccupazione negli occhi.
Ormai
eravamo stati interrotti e
non saremmo più riusciti a ricreare la stessa atmosfera di
pochi attimi prima…e
poi non avrei potuto ignorare una richiesta di quel genere,
così a malincuore
le risposi che sarei andata da lei in cinque minuti.
«
Grazie Bella e vieni sola, non
voglio che si preoccupi…ti prego» interrompemmo la
comunicazione e sospirando annunciai
a Edward che sua sorella aveva bisogno di me.
«
Vengo con te»
«No!
– lo fermai – preferisce che
vada solo io, non credo sia nulla di importante e non vuole
probabilmente farti
preoccupare» in realtà non avevo la minima idea di
cosa fosse accaduto, ma era
chiaro che avesse bisogno di me e non di lui, o non volesse
coinvolgerlo.
«
Se le ha fatto qualcosa Emmet,
lo uccido!»
«
Non credo centri Emmet, ma ora
è meglio che vada, ti saprò dire qualcosa di
più quando avrò parlato con lei,
fidati di me» feci il gesto di alzarmi dal letto per
recuperare la mia
maglietta, ma la sua mano calda e forte mi prese dal punto vita
riportandomi
sul letto, inginocchiata di fonte a lui:
«
Mi dispiace così tanto» disse
avvicinando le nostre labbra.
«
Ci rifaremo presto» risposi
accarezzandogli i capelli e lasciando un dolce bacio
all’angolo della bocca,
tramutato da lui in qualcosa di più passionale.
A
malincuore mi alzai dal letto,
uscii dall’appartamento di Edward e mi recai nel mio per
cambiarmi e andare da
Rosalie nel tentativo di capire cosa l’aveva spinta a quella
chiamata, che
aveva interrotto una delle notti più intense della mia vita
|
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Capitolo 53 *** “In ogni istante….noi” ***
CAPITOLO 53
“In ogni
istante….noi”
Mi
avviai nella fredda notte
londinese al dormitorio dei ragazzi più grandi
dove
alloggiava Rosalie. In cuor mio ero certa non fosse accaduto nulla di
veramente
grave o avrebbe richiesto anche la presenza del fratello, ma si faceva
strada
in me la consapevolezza che potesse centrare Emmet e avesse voluto
tenere fuori
Edward per non dargli modo di accusarlo, vista la scarsa simpatia che
aveva
sempre nutrito per lui.
Mi
strinsi ancora di più nel giaccone,
recuperato frettolosamente dal mio appartamento e accelerai il passo:
non che avessi
timore, ma ritrovarmi in giro per il campus a notte fonda, sola non era
proprio
il massimo. Inoltre avrei tanto voluto rientrare al più
presto per tornare da
Edward e, se non proseguire quello che avevamo interrotto, almeno
rimanergli
accanto per il resto della notte. Non potei fare a meno, in quel
momento nel
silenzio e nel buio, di ripensare ai momenti appena passati e un lieve
sorriso
si dipinse sul mio volto. Quanto avrei desiderato che non ci fosse
stata
quell’interruzione!
Nel
giro di qualche minuto arrivai
alla porta di Rosalie e bussai: mi
aprì con il viso stanco e chiaramente turbata. Quando mi
vide mi abbracciò
calorosamente ringraziandomi di essere arrivata e scusandosi per
l’intrusione.
Le accarezzai il viso tranquillizzandola: in quel momento, per la prima
volta
mi sembrò veramente di avere di fronte una ragazza che nella
vita aveva
sofferto. È vero, aveva vent’un anni e nella
maggior parte dei casi era forte e
determinata nelle sue scelte, ma probabilmente quella forza nascondeva
un
passato di sofferenze e un appiglio per una vita ormai finalmente
aggiustata.
La
scostai e la guardai cercando
di infonderle comprensione come ad una sorella:
«
Rosalie tutto bene?» abbassò gli
occhi e si allontanò facendomi entrare. Poi si
voltò verso di me:
«
Bella sono incinta!!!»
Probabilmente
rimasi a bocca
aperta per quella sua affermazione.
Emmet
centrava eccome! E meno
male che Edward non era lì o lo avrebbe ucciso seduta
stante! Rosalie di fronte
a me si incupì nuovamente e per evitare qualsiasi suo
cedimento decisi di
razionalizzare e farla calmare:
«
Rosalie, come fai ad esserne certa…hai
già fatto degli esami?»
Rosalie
scosse il capo tra le
lacrime: « No, ma ho un ritardo di dieci giorni e poi ho
fatto questo…» si
voltò e mi porse un test di gravidanza dove risultavano due
strisce rosa molto
pallide: quell’aggeggio infernale lo conoscevo molto bene, mi
aveva dato gioie
e dolori e con i ricordi degli ultimi giorni….
«
Ma l’altra sera sembravi
tranquilla..» non potei fare a meno di ricordare la nostra
irruzione, che aveva
messo al corrente Edward della sua relazione con Emmet.
«
Non avevo ancora fatto mente
locale e non avevo il sospetto».
Per
un attimo mi stupii e feci
una lieve elaborazione degli ultimi periodi.
Rosalie
ed Emmet stavano insieme
da un paio di mesi e se lei aveva un ritardo di dieci giorni avrebbe
significato che… O mio Dio! Questi dopo nemmeno un mese
erano stati insieme e
io e Edward, di quasi dieci anni più grandi, ancora non
eravamo arrivati da nessuna
parte. Quasi mi vergognai per questo aspetto troppo puritano della
nostra
relazione.
Mi
ricomposi e alzai lo sguardo
su di lei cercando di mantenere la calma e restituendole lo stick:
«
Emmet cosa dice?» a quelle
parole ricominciò a piangere.
«
Non gli ho detto del ritardo e
del test, ma ho cercato di sondare il terreno nel caso di
un’eventualità di
questo tipo…»
«
E lui….?»
«
Ha detto che non sarebbe il
momento, è troppo presto e dobbiamo chiarire molte delle
nostre posizioni nella
vita» continuò mentre i singhiozzi ricominciavano
a scuotere il suo corpo.
«
Rosalie questo non significa
nulla. In fondo ha fatto un ragionamento giusto e poi per lui erano
solo
supposizioni: sono convinta che se sapesse ti sarebbe accanto. Hai
sbagliato a
non metterlo al corrente».
«
La verità Bella è che ho paura,
non solo di quello che può fare lui, ma anche di quello che
potrebbero pensare
i miei genitori…Edward: so che li deluderei troppo, non era
questo che si aspettavano
da me. Speravano che mi laureassi e mi trovassi un lavoro prima di
avere una
famiglia, è per questo che non ho detto niente a
nessuno…non so che fare»
In
quel momento intuii quali
potessero essere i suoi pensieri e mi prodigai ad esporle le mie
preoccupazioni:
«
Rosalie…non sono la persona
adatta a darti certi consigli, ma….» mi interruppe,
«
oddio Bella…è vero…hai perso un
bambino e io non ti ho mai chiesto nulla. Non so come è
andata, scusa! Ho
pensato a parlare con te senza sapere quello che poteva
significare….perdonami,
sono stata così superficiale….» le mani
di fronte al viso, gli occhi sgranati
come se fosse veramente preoccupata per i risvolti che i suoi problemi
personali potevano avere anche su di me.
Ma
in quel momento riuscii a
comprendere i suoi dubbi e a lasciare da parte i miei.
«
Non temere, è tutto a posto,
poi un giorno ti racconterò. Non sto qui a dirti che nel tuo
caso tu non debba
prendere in considerazione tutte le ipotesi, ma prima di prendere
qualsiasi decisione
io ci penserei molto e valuterei il mio stato d’animo e anche
quello delle
persone che mi sono accanto. Non dare tutto per scontato basandoti su
delle
supposizioni. E poi sono convinta che Emmet ti ami troppo per non
sostenerti in
una situazione di questo genere.
Per
non parlare dei tuoi, sono
persone comprensive, così come Edward.
Beh!
A dire la verità Edward ti
appoggerebbe, ma ucciderebbe Emmet – un sorriso misto alle
lacrime gli si
dipinse sul volto – e poi non sei proprio una ragazzina. Hai
comunque vent’anni
e devi decidere tu cosa fare della tua vita: un eventuale figlio con la
persona
che ami e che ti sta a fianco è una cosa troppo bella, per
non darsi la
possibilità di fare qualche piccolo sacrificio».
Avevo
detto quelle parole con il
cuore, perché ci credevo: anche se sapevo che erano giovani
e con il futuro
ancora incerto, vedevo il loro legame e sapevo che una gravidanza lo
avrebbe
potuto rafforzare ancora di più. Ci vedevo Emmet in questo,
nonostante la sua
aria strafottente e sarcastica, sapevo che nascondeva un carattere
molto più
maturo e i sentimenti che provava per Rose sarebbero sopravvissuti a
qualsiasi
difficoltà. In fondo io avevo rischiato molto di
più ad avere dei figli senza
un compagno….
La
vidi sorridere e abbracciarmi:
«
Grazie Bella sapevo che
parlando con te avrei saputo come fare e mi sarei rasserenata»
«
Ora però prima di gridare “al
lupo” dobbiamo verificare che sia vero»
«
Ma, con il ritardo…e il
test…..e come? non vorrei andare a Londra, sia Edward che
Emmet si
insospettirebbero»
«
Non è detto…il test non è
attendibile al cento per cento e poi non occorre andare a Londra,
è sufficiente
trovare un laboratorio di analisi e un ginecologo nei
dintorni…gli abitanti qui
andranno da qualche parte no?» sorrisi accarezzandole i
capelli fino a che non
si sentì sollevata.
«
Direi che potrei informarmi:
domani mattina ho lezione solo alle ultime due ore, ma se vuoi questa
notte
potrei restare con te se non ti senti di rimanere sola» in
realtà vedevo che
era ancora molto agitata e il legame di amicizia che mi univa a lei mi
faceva
sentire la necessità di starle accanto.
«
Non voglio che ti disturbi ho
già abusato troppo del
tuo tempo, è
molto tardi, sarai stanca e poi Edward…»
«
No, preferisco stare un po’ con
te, anche se dovrò trovare una scusa per tuo fratello, sia
per domattina che
per….stanotte» arrossii lievemente cercando di non
dimostrare a Rose, con i
miei occhi, il mio stato d’animo sulla serata che aveva
passato con suo
fratello. Per il mattino dopo avrei avuto una buona scusa per non
uscire di
casa con lui, ma gli avevo detto che forse lo avrei raggiunto quella
notte e
avrei dovuto dargli delle spiegazioni.
«
Ti prego Bella, non sono ancora
pronta a parlargliene…»
«
Ok, non lo farò – pensai –
dovremo trovare una scusa, anche se sarà una piccola bugia,
ma quando avrai
chiarito tutto, ti prego, devi dirgli la verità: non
sopporto l’idea di
mentirgli» mi sorrise lievemente ringraziandomi ancora. Mi
rilassai accanto a
lei sul piccolo divano.
«
Bella mi dispiace molto di avervi
disturbato stanotte...stavate dormendo? Sai ho provato a chiamarti al
cellulare
e quando ho visto che non mi rispondevi ho immaginato fossi da
lui» in realtà
mi aspettavo una conversazione di questo genere. Era tipico delle
sorelle
Cullen interessarsi un po’ troppo degli affari personali del
fratello e della
sottoscritta. Non potei però deviare il discorso
«
Sì….ho avuto bisogno di lui…
e…no – azzardai – non stavamo
propriamente dormendo» arrossi vistosamente e lei
capì.
«
Oddio scusa…. che guastafeste!»
si capiva dal tono che era sincera…ma ormai la frittata era
fatta.
«
Non ti preoccupare, ci
rifaremo….sono stati giorni pieni e aspettare non ci
farà male».
Che
bugiarda che ero! Ma non
potevo farla sentire ancora più in colpa di quanto
già non fosse.
«
Quindi tu e mio fratello siete
a buon punto?» questa volta il sorriso sul suo volto fu
chiaramente
provocatorio e non potei fare a meno di lanciarle una frecciatina di
rimando,
sperando non si offendesse troppo.
«
Mai come voi»
«
Sì e i risultati non sono proprio
il massimo…».
La
rincuorai, dicendole che tutto
si sarebbe sistemato per il meglio.
«
Bella vuoi raccontarmi cosa ti
è successo?»
Sembrava
che tutta la famiglia Cullen
volesse essere a conoscenza del mio passato, ma in quel momento stavo
bene e Rosalie
seppur più giovane era una buona amica e avrebbe potuto
trarre giovamento dalle
mie esperienze.
Passammo
circa mezz’ora in cui si
limitò ad ascoltare la mia storia, la vedevo rattristata, ma
la tranquillizzai:
« ora sto bene e quello che ti ho detto ti potrebbe servire
per prendere le tue
decisioni»
«
Edward sa quello che ti è
accaduto?»
«
Sì, da non molto, ed è stato
fantastico…come sempre»
«
Lo so, il mio fratellone è
unico e sono felice abbia incontrato te. Siete perfetti
insieme»
«
E’ molto tardi, forse faremmo
meglio a riposare così domattina presto potremo iniziare le
nostre ricerche»
«
Già, sono quasi le tre in
fondo».
A
quelle parole mi fermai a
riflettere. Da quanto tempo ero lì da lei? Mi venne in mente
qualcosa che forse
ci avrebbe potuto risparmiare qualche giro a vuoto per ambulatori.
«
Rose, a che ora hai fatto il
test?»
«
Erano circa le sette, perché?»
«
Sono passate otto ore…credo che
sia il momento di rifarlo»
«
Bella, ma che significa? Se ero
incita otto ore fa, non mi sono venute come faccio
a…»
«
Quando mi sono ritrovata a
sperare di avere un altro bambino ho chiesto più volte
spiegazione sui falsi
segnali. La ginecologa mi spiegò che spesso capita che vi
siano delle fecondazioni
che poi non si impiantano e che vengono espulse normalmente al ciclo
successivo.
Il test rileva la presenza dell'ormone per molto tempo, ma non
è quello che
indica una reale gravidanza»
«
Ma a me il ciclo non è ancora
arrivato»
«
Cara Rose tutti gli aspetti
emotivi e psicologici possono scombinarlo, questo dovresti saperlo, ora
dobbiamo solo procurarcene un altro»
«
Non posso lasciarti uscire sola
»
« Allora dovremo
chiamare Ed e chiedere a lui,
inventando una scusa, ma poi – mi voltai a guardala
– dovremo dirgli la verità».
La vidi sbiancare, ma cercai di tranquillizzarla promettendole che
sarei stata
muta come un pesce per il momento.
Presi
il telefono e prima di
digitare il suo numero pensai ad una scusa plausibile per farmi
accompagnare in
una farmacia a quell’ora di notte.
Il
telefono fece appena due
squilli e la voce ansiosa di Edward dall’altra parte mi fece
capire che non era
ancora riuscito ad addormentarsi. Dopo avergli spiegato con non poca
fatica che
era tutto a posto, mi inventai la scusa che la sorella non si fosse
sentita
bene e che dietro consiglio del medico avrebbe dovuto prendere alcuni
farmaci:
«
Certo che ti accompagno, non
penserai che ti possa lasciare sola in giro per Londra a
quest’ora di notte?»
il tono era deciso, ma capii che non l’aveva bevuta del
tutto. Sperai che in
auto insieme e soli non si facesse avanti con supposizioni o sospetti,
o non
sarei riuscita a mantenere il segreto per molto.
Ci
demmo appuntamento entro dieci
minuti alla sua auto e mentre salutavo Rose e percorrevo il cortile
cercai di
mettere su l’espressione più tranquilla e
distaccata possibile.
«
Amore tutto bene?» la sua voce
calda, ma nello stesso tempo calma mi destò dai miei
pensieri.
«
Sei già qui?....mi dispiace
averti fatto alzare»
«
No dispiace a me, che ha
combinato Rosalie, sei sicura che vada tutto bene?» mi
fissava con quegli occhi
splendidi e dovetti far venire fuori tutto il mio coraggio per non
spifferare
nulla.
«
Sì tutto bene, ha solo bisogno
di alcuni farmaci, non si è sentita molto bene»
«
E perché ha chiesto di te?
Avrei potuto fare io, farti girare così… in piena
notte….» mi domandò mentre
apriva le portiere dell’auto e accendeva ilo motore,
portandoci fuori dal
campus, sulla strada per il paese. Sapevo che aveva molti dubbi, ma
cercai il
più possibile di sviare il discorso.
«
Sai com’è…certi disturbi si
condividono più facilmente con una
donna…» cercai di rendere la cosa più
imbarazzante, così da interrompere il discorso. Mi appoggiai
allo schienale
beandomi del calore dell’abitacolo e lo guardai nella sua
bellezza anche reduce
da una notte movimentata. Nel giro di dieci minuti arrivammo ad una
farmacia
aperta e non fu facile bloccarlo, quando si offrì di entrare
al posto mio.
Velocemente
entrai, feci il mio
acquisto e uscii nel gelo della notte, per risalire sulla sua auto. Una
volta
rientrati al campus mi trattenne per un polso e mi sorrise, invitandolo
a
raggiungerlo se Rosalie si fosse sentita meglio. Lo rassicurai con un
sorriso e
un lieve bacio sulle labbra e promettendogli che ci saremmo rivisti
l’indomani.
Allontanarmi da lui anche in quel frangente fu un dolore fisico e il
ricordo
della nostra serata rese tutto ancora più difficile.
Il
test eseguito da Rosalie
risultò negativo, mettendo ancora di più in
dubbio il suo stato, ma non rassicurandola
tanto da poterla far riposare alcune ore. E quando il mattino dopo me
ne andai
dal suo appartamento mi rassicurò dicendo che avrebbe
cercato da sé un medico,
per accertarsi della situazione e mi avrebbe fatto sapere qualcosa al
più
presto: dopo la nostra conversazione non aveva smesso si ringraziarmi,
si era
fatta più forte e decisa ad affrontare qualsiasi situazione,
era più serena, ma
sicuramente fino a che non avesse fatto chiarezza il suo umore non
sarebbe
migliorato.
Ero
molto stanca e sapendo di
avere lezione solo alle undici ne approfittai per farmi una doccia e
stendermi
nel letto.
Avevo
avvisato Ed che ci saremmo
visti nel pomeriggio, inventandomi che la sorella stava meglio e che
pur
mancandomi molto avevo preferito starle accanto per il resto della
notte. In
realtà non volevo rischiare che la sua vicinanza mi
destabilizzasse tanto da
raccontargli più di quanto in quel momento avrei dovuto. Ci
sarebbe stato il
tempo per tutto: anche per noi che il giorno dopo saremmo partiti per
il week
end a Londra.
Erano
ormai le due del pomeriggio
quando mi recai nel mio appartamento dopo lezione per preparare i
bagagli per
il giorno dopo.
Non
avevo avuto notizie di
Rosalie e pur sapendo di non dovermi preoccupare, non potei non pensare
alla
decisione che avrebbe preso se la visita dal medico avesse dato esito
positivo.
Quando
entrai in casa quasi
sobbalzai nel trovarci Edward ad aspettarmi comodamente seduto sul
divano. Non
ci fu bisogno di parlare, mi era mancato come l’aria e in un
attimo gli fui
addosso per baciarlo e stringermi a lui. Mi stesi quasi completamente
sul suo
corpo, incollando le mie labbra alle sue e potei sentire le sue mani
indugiare
sui miei fianchi per tenermi saldamente. Ci staccammo a fatica dopo
alcuni
minuti, più per riprendere fiato che per il desiderio di
allontanarci e lo guardai
languidamente per dirgli ciò che provavo in quel momento:
«
Mi sei mancato così tanto…»
«
Anche tu…come sta Rosalie?»
sentivo un tono di preoccupazione per la sorella, ma nel contempo di
poca
convinzione su ciò che gli avevo raccontato la sera prima.
«
Bene, stai tranquillo, non è
nulla di grave…» odiavo mentirgli e mi costava
molto coprire i dubbi di Rosalie,
ma mi aveva garantito che qualsiasi fosse stato il risultato avrebbe
parlato al
più presto con Emmet e la sua famiglia e io mi sarei potuta
chiarire con Edward
sulla mia posizione. Comunque per evitare qualsiasi altra conversazione
di quel
genere mi accoccolai meglio sul suo petto, accarezzandolo e lasciando
una
leggera scia di baci lungo il suo profilo: in realtà i miei
gesti erano forse
un po’ troppo lascivi con lo scopo di distrarlo, ma stavano
facendo piacere sia
a me che a lui e volevo sentisse quello che stavo provando, che
desideravo,
così come era avvenuto la sera, prima
dell’interruzione di Rosalie.
Sentivo
il suo respiro farsi più
affannoso e sapevo che stavo riuscendo nel mio intento:
«
Stai per caso cercando di distrarmi
Bella?» lo sentii sussurrare. Un piccolo sorriso si dipinse
sulle mie labbra:
non gli sfuggiva nulla. Alzai il viso per guardarlo negli occhi:
«
Mi sei solo mancato da morire e
mi dispiace perché devo alzarmi da qui e iniziare a
preparare la valigia per
domani. Mi puoi dare qualche dritta sul programma? Così per
farmi un’idea su
quello che dovrò portare…» lo vidi
fissarmi negli occhi e sorridermi.
«
Beh, ti posso solo dire che
andremo sia in posti eleganti che
casual…quindi….» sorrisi a mia volta:
mi
faceva impazzire quando era così criptico e sapevo che non
si sarebbe
sbottonato troppo. Immaginai, visti i suoi standard, che non ci saremmo
limitati a cene al Mc Donald, ma decisi comunque di azzardare sia sugli
abiti
che…sotto, per dare una svolta decisiva al nostro rapporto.
Mi
alzai malvolentieri dal suo
corpo e mi diressi in camera seguita da lui che non perdeva occasione
per
accarezzarmi le mani, le spalle o fermarmi in ciò che facevo
per baciarmi.
Ormai i nostri corpi rispondevano l’uno all’altro e
la carica elettrica che si
sprigionava tra noi era palpabile.
Mentre
eravamo intenti a
chiacchierare, ridere e scambiarci effusioni di fronte al mio
guardaroba,
sentii bussare imperiosamente alla porta: lasciai il mio compagno nella
stanza
e mi diressi ad aprire, quando un fulmine dai capelli biondi mi
saltò con le
braccia al collo e, incurante della presenza di qualcun altro
nell’appartamento,
urlò senza ritegno:
«
Bella, come sono felice , è
tutto a posto, è tutto a posto!!!!»
La
scostai leggermente, con
l’intento di informarla della presenza del fratello nel mio
appartamento, ma
non feci in tempo perché continuò nella sua
spiegazione.
«
Sono stata dal medico che è qui
in paese, stamattina. È stato un falso allarme, come avevi
detto tu, e in più, poco
fa, mi sono venute. Bella, non sono incinta per fortuna! Ho ragionato
molto su
quello che mi hai detto e voglio che succeda, ma adesso,
così velocemente,
preferisco che sia andata in questo modo». Non riuscii a
ribattere.
«
Sei incinta?????» la voce
sconvolta di Edward apparso nel corridoio a fianco a noi « io
lo ammazzo
quello…e tu???…..come hai potuto fare
così poca attenzione e così presto??? sei
stata un’irresponsabile!!!» Edward era seriamente
arrabbiato e fissava la sorella
ancora abbracciata a me. Cercai di intervenire, ma Rosalie mi zitti:
«
Edward io…..era solo un falso
allarme non sono incinta»
«
Ma credevi di esserlo! E’ per quello
che hai avuto bisogno di Bella ieri sera??» i suoi occhi
saettarono su di me,
seri, quasi arrabbiati e nel momento in cui cercai di giustificarmi lei
intervene nuovamente:
«
La colpa è stata mia, ho avuto
bisogno di lei e le ho chiesto io di non dirti nulla, ma solo fino a
che non ne
fossi stata certa, poi te ne avrebbe parlato» .
Vedevo
in lei la solita
determinazione e in lui molta contrizione, forse proprio per non essere
stato informato.
Sperai vivamente che non ce l’avesse con me.
Continuò a parlarle con il tono
molto serio:
«
Io sapevo che Emmet ti avrebbe
solo portato problemi, non è uno di cui
fidarsi….»
«
Non è vero Ed!» il tono di Rose
stava dimostrando il suo astio nei confronti di quelle parole e della
poca
considerazione che Edward aveva per il suo ragazzo.
«
Te l’ho già detto, tu non lo
conosci, so che forse siamo stati incoscienti e sono felice di non
essere
incinta, ma ciò non toglie che questa è la vita
che mi sono scelta e voglio che
lui ne faccia parte». Iniziai a vedere le lacrime lambire il
suo volto. Non
l’avevo mai vista piangere e in quel momento mi fece
tenerezza. Mi accorsi
anche che la durezza di Edward si era affievolita: probabilmente non
desiderava
in alcun modo farla soffrire.
«
Rose tu lo sai che mi preoccupo
per te» il tono molto più calmo e dispiaciuto.
Fece il gesto di allungare una
mano e posarla sulla sua spalla, ma lei si scansò
leggermente:
«
Lo so che ho sempre creato
casini e forse non sono mai stata degna di essere una Cullen, ma siete
la mia
famiglia, vi amo, ma amo anche Emmet e in questo momento non voglio
dover
scegliere…perché sceglierei lui»
abbassò lo sguardo lasciando sia me che Ed
perplessi. Il loro legame era qualcosa di unico e ora più
che mai ero convinta
che se anche quel test avesse dato esito positivo, il loro amore non
avrebbe
subito incrinature.
«
Non dire mai queste cose, tutti
facciamo degli errori e non sei mai stata sbagliata: sei meglio anche
di me .
E’ solo che….non voglio che tu ti debba pentire
delle tue scelte e desidero
tanto che la strada della tua vita sia in discesa e tu non debba mai
soffrire
quello che ad esempio ho sofferto io o…Bella»
disse voltandosi verso di me con
uno sguardo preoccupato, ma anche carico d’amore. Vedevo il
loro affetto,
vedevo la cura che aveva per sua sorella, ricordando anche quello che
lei mi
aveva detto tempo addietro sui suoi sentimenti. Ma in quel momento
vedevo di
fronte a me due pezzi di una famiglia fantastica, forte, legata e
pronta a
tutto pur di sostenersi nelle difficoltà.
«
Non mi pentirò mai di lui –
ribadì lei decisa – pensa a quello che hai con lei
– disse indicandomi – pensa
se ti fosse stata data la possibilità di conoscerla tanto
tempo fa. Pensi che
le scelte e il destino della tua vita sarebbero stati
diversi?»
Edward
mi fissò intensamente per
alcuni istanti e poi rispose:
«
Assolutamente sì, non l’avrei
mai lasciata, mai fatta soffrire…» per un attimo
dimenticai i problemi di Rosalie
e pensai a lui, a noi, a quanto il destino beffardo avesse fatto per
farmi
incontrare una persona così e non potei non trattenere un
groppo alla gola: se
solo avessi potuto mi sarei fiondata su di lui per stringerlo con tutte
le mie
forze.
«
E’ la stessa cosa che provo per
Emmet, so che con lui la mia vita sarà migliore,
potrò fare le scelte giuste e
non voglio perdere questa occasione». Edward non riuscii
più a ribattere nulla,
l’unica cosa che riuscì a fare fu abbracciarla:
«
Stai solo attenta, ok? Non
voglio che tu stia male, sei la mia sorellina…» e
fece comparire sul suo viso
quello splendido sorriso che lo contraddistingueva.
«
Ora è meglio che vada, ribadì Rose,
devo andare a
parlare con Emmet – capì
cosa intendeva, voleva metterlo al corrente di quello che era
“quasi” accaduto
– ti voglio bene fratellone e stai tranquillo,
starò attenta. Tu goditi il tuo,
anzi il vostro weekend. E non arrabbiarti con lei. Voleva che te ne
parlassi
subito, ma prima dovevo chiarire. È una persona troppo
corretta e ti ama troppo
per meritarsi una ramanzina. Sono io quella scapestrata
ricordi?» e un lieve
sorriso tra le lacrime comparve anche sul suo volto. La vidi
allontanarsi, salutarmi
ringraziandomi e si chiuse la porta alle spalle, lasciandoci nel
silenzio.
«
Mi dispiace di non avertelo
detto ieri sera, ma sai…» non riuscii a finire,
avevo troppa paura ce l’avesse
un po’ con me, ma come al solito mi stupì. Si
girò verso di me e mi accarezzò lievemente
una guancia con le sue mani calde.
«
Non ce l’ho con te…non potrei
mai e ti capisco, forse al tuo posto avrei fatto la stessa cosa anche
io, e poi
se troppo leale…,ma ti prego…cerca di non tenermi
mai all’oscuro di nulla,
voglio far parte della tua vita al cento per cento» e nel
dire questo mi baciò
lievemente sulle labbra, per poi passare alle guance e alla fronte. Mi
strinsi
a lui che ricambiò:
«
Certo che potrei spaventare un
po’ quel troglodita…se solo si azzarda di
nuovo…., ma ti rendi conto?…stanno
insieme da un paio di mesi…..» sorrisi, mi scostai
leggermente e lo zittii con
un dito sulle sue labbra che prontamente baciò. Volevo
giocare sporco e sostenere
la causa di Rose così gli accarezzai lentamente il volto e
il torace
strofinando la fronte sul suo mento e parlando col tono più
pacato che potessi:
« Ed si amano, sono splendidi insieme, non avercela con lei,
in fondo un
piccolo errore può capitare….sai che in certe
occasione si può perdere la
cognizione e non ragionare» ribadì disegnando
piccoli ghirigori sul suo torace.
Non so come riuscii a risultare sensuale, ma lo sguardo lucido e il
respiro
accelerato di Edward mi dimostrarono che ero riuscita a
calmarlo...almeno nei confronti
di Rose.
«
Giochi sempre sporco, tu, eh?»
mi disse strofinando il naso sul mio e iniziando a lasciare piccoli
baci sul
mio collo. Una mano sul mio fianco, l’altra che lambiva la
pelle dietro
all’orecchio. Veramente chi mi stava tentando era lui,
perché in quella
situazione con le mani e le labbra sul mio corpo, ero io che non
connettevo
più. Mi lascò un ulteriore bacio sulle labbra per
poi allontanarsi:
«
Ora è veramente meglio se
prepari la tua valigia, Londra ci aspetta !!!!» si
allontanò mantenendo un
sorriso soddisfatto e malizioso sul viso e aiutandomi a terminare
ciò che stavo
facendo, prima di ritirarsi nel suo appartamento per fare altrettanto.
Sperai
vivamente che il giorno dopo arrivasse prima possibile.
Il
mattino dopo ci trovammo
insieme per andare a lezione e darci poi appuntamento alla sua auto nel
primo
pomeriggio. In quel momento una strana sensazione di dejà vu
mi percorse.
Chissà se questa volta le cose sarebbero andate
diversamente? Ora stavamo
insieme e in realtà ci credevo, ci tenevo e lo desideravo
follemente.
Salimmo
sull’auto iniziando a chiacchierare
della mattina appena trascorsa e dei programmi per il fine settimana.
«
Hai visto Rosalie stamattina?»
chiesi, anche per sondare il suo umore dopo le scoperte e la
chiacchierata
della sera prima.
«
Sì, era insieme a lui» il volto
leggermente contratto in una smorfia di disapprovazione: non sarebbe
stato
facile fargli andare a genio Emmet. Cercai di sdrammatizzare:
«
E lo hai lasciato vivo?» chiesi
con un sorriso.
«
Solo per non dare scandalo e
non rovinare il week-end finendo in cella» non potei fare a
meno di ridere di
gusto vedendo spuntare anche sul suo volto un lieve sorriso.
Mi
accoccolai come mio solito sul
sedile dell’auto rannicchiandomi anche con le gambe: lo
guardavo senza riuscire
a distogliere lo sguardo. Ma come era possibile che il mio cuore dopo
tutti
quei mesi che lo conoscevo saltasse ancora i battiti
nell’osservarlo?
«
Bella tutto bene?» bastava che
rimanessi in silenzio un po’ più del lecito che
subito si preoccupava per me e
riusciva a farlo anche quando sembrava impegnato in altro.
«
Sì certo….stavo solo
immaginando come saranno questi giorni e…non vedo
l’ora di tornare nella tua
splendida casa»…e di passare finalmente la notte
con te! Lo pensai solo, ma se
lo avessi detto non sarebbe stato poi così sconvolgente.
In
meno di un’ora giungemmo alla
nostra meta. Dopo aver parcheggiato, preso i nostri bagagli e salutato
la
signora Spencer, mi ritrovai finalmente per la seconda volta nello
splendido
salone del suo appartamento. Il profumo, la luce,
l’arredamento, tutto era come
la prima volta e le sensazioni che quella casa mi trasmettevano erano
di pace,
ma anche di eleganza. Era un’emozione starci dentro.
La
voce di Edward interruppe i
miei pensieri:
«
Porto su le valigie, non te lo
devo dire, ma fa come se fossi a casa tua»
«
Ricordavo vagamente come fosse
questo appartamento, ma nulla gli rende giustizia» mi sorrise
allontanandosi su
per le scale.
Mi
affacciai alla finestra
soffermandomi un po’ sul panorama per poi distendermi sul
divano: ero un po’
stanca, il lavoro, il viaggio e la notte insonne a casa di Rosalie
ancora si
facevano sentire.
Probabilmente
mi appisolai, quando
sentii una voce e un tocco leggero che mi risvegliarono.
«
Bella ti sei addormentata,
perché non vai in camera?» non risposi subito
dandogli probabilmente l’idea di
non averlo sentito e questo lo autorizzò ad avvicinarsi
ulteriormente a me.
Ancora a occhi chiusi, non potei non riconoscere il tocco delle sue
mani che mi
accarezzavano il volto e che avrei voluto su tutto il resto del mio
corpo, il
suo fiato sempre più vicino fino a percepire il lieve
sfiorare della sua pelle
sulla mia. Dopo quel contatto non potei fare a meno di aprire gli occhi:
«
Credo di essermi appisolata»
dissi piano.
«
Perché non vai in camera a
riposare, io intanto esco a prendere qualche cosa per questi giorni:
sai non ho
voluto disturbare Kate».
A
quelle parole mi ridestai
completamente, non volevo allontanarmi da lui nemmeno per un attimo e
così
decisi di accompagnarlo.
«
Non temere vengo con te, mi
sono solo goduta per un attimo la comodità del tuo divano.
Voglio passare ogni
minuto insieme» gli dissi accarezzandogli il volto ancora
vicinissimo al mio. A
quelle parole i nostri occhi si incatenarono e lo vidi azzerare ogni
distanza
baciandomi appassionatamente. Lo lasciai fare, dischiudendo le labbra e
lasciando che le nostre lingue si intrecciassero e si assaggiassero con
decisione. Interrompemmo il bacio, ma mi soffermai ancora qualche
secondo a
mordergli il labbro inferiore e a schioccare qualche lieve tocco sul
bordo di
quello superiore. Mi alzai malvolentieri da quel divano e mi preparai
per
accompagnarlo.
Era
stata proprio una buona idea:
passeggiare per le strade di quella zona molto tranquilla ed elegante,
mi aveva
ricaricato e trovarmi a fare acquisti con lui per le nostre giornate
lì mi dava
un’idea di familiarità che mi piaceva molto.
Una
volta rientrati Edward mi
informò che sarebbe stato meglio prepararsi. Mi disse che
aveva depositato i
miei bagagli nella camera degli ospiti per darmi la
possibilità di cambiarmi
con calma e avere a mia disposizione tutta la privacy necessaria. Gli
fui grata
per questa sua premura, ma nella mia mente cominciai a immaginare ad un
modo
per ritrovarmi a fine serata nella sua stanza: in questo sarei stata
determinata.
Gli
chiesi cosa avrei dovuto
indossare e lui mi consigliò qualcosa di elegante: pensai
seriamente di non
essere adeguata ad accompagnarlo, non che non avessi nulla di adatto,
ma non
sarei probabilmente riuscita a competere con lui e con quello che
avrebbe avuto
da propormi. Si accorse probabilmente dei miei dubbi perché
cercò di attirare
la mia attenzione:
«
Bella, io penso che tu non ti
debba preoccupare troppo di ciò che indosserai, sarai
sicuramente comunque
troppo bella. Tu non sai quanto io mi sforzi per non fissarti
continuamente
anche quando indossi le cose più semplici»
arrossii leggermente. Non mi sarei
mai abituata ai suoi complimenti e alla sua dolcezza.
«
Ti ringrazio – tentati di
giustificarmi – è solo che non so se ho niente di
appropriato e non vorrei
essere inadeguata» lo vidi avvicinarsi e prendermi il volto
con entrambe le
mani. Mi lasciò un dolce bacio e poi mi disse di andare in
camera e forse avrei
trovato la cosa giusta. Quando entrai notai subito la busta appesa
all’armadio
e capii che conteneva un abito. Per un attimo mi preoccupai di quello
che avrei
potuto trovare, ma lui mi tranquillizzò e mi
invitò ad aprire l’involucro. Con
mia grande sorpresa mi ritrovai davanti l’abito che Alice mi
aveva regalato a
Forks e che avevo indossato per la festa di fine anno. Rimasi
abbastanza
stupita, ma Edward mi precedette:
«
Lo avevi dimenticato a casa
mia, ho pensato che ti sarebbe piaciuto riaverlo e poi….ti
stava divinamente.
Mi piacerebbe se lo indossassi…sempre che lo voglia anche
tu»
«
Certo, adoro questo vestito,
credevo di averlo perso – dissi guardando l’abito e
accarezzandolo – mi ricorda
una bella serata» ed era vero.
Quella
notte io e Edward avevamo
parlato tanto, si era aperto con me e mi aveva raccontato gran parte
del suo
passato, ma poi le mie paure, le incomprensioni….cercai di
scacciare dalla
mente i ricordi più brutti ormai da buttare e di
concentrarmi sulla serata che
avremmo avuto davanti.
«
Ti lascio così potrai
prepararti con calma» mi baciò e si
allontanò.
Ormai
con gli ormoni a palla mi
fiondai sotto la doccia cercando di riprendermi dall’effetto
che la su
vicinanza mi faceva.
Dopo
la doccia, mi dedicai al mio
corpo con un abbondante strato di crema profumata, prima di indossare
il
vestito e le scarpe e sistemare i capelli lasciandoli sciolti sulle
spalle. Mi
sembrava che già l’abito, che fasciava il mio
corpo e lasciava abbondantemente
scoperte spalle e decolté, da sé completasse il
look.
Quando
fui praticamente pronta
sentii bussare e il volto di Edward riflesso nello specchio in cui
stavo
guardando il risultato, mi riportò nel mondo dei sogni.
«
Sei pronta?» mi chiese entrando
con discrezione e posizionandosi alle mie spalle. Solo in quel momento,
quando
il suo sguardo si posò sul mio corpo come se fossi la cosa
più bella che avesse
mai visto, notai il suo abbigliamento. Indossava un abito molto simile
ad uno
smoking, con giacca e cravatta, i capelli spettinati ad arte. Era una
visione
unica. Probabilmente mi incantai, quando si appoggiò alla
mia schiena
abbracciandomi e sussurrando al mio orecchio:
«
Sei semplicemente meravigliosa,
penso che passerò la sera a fulminare gli altri uomini per
gli sguardi che
avranno su di te»
«
Ma ti sei visto allo
specchio???» vestito in quel modo incarnava il sogno proibito
di ogni donna
sana di mente.
«
Io nello specchio vedo solo una
dea, la mia dea…» e mi scostò i capelli
per lasciarmi una lunga scia di baci
sul collo. I brividi che percorsero il mio corpo in quel momento mi
mandarono
in un’altra dimensione e non esitai a farglielo sapere.
«
Edward credo che se continui
così dovremo annullare la serata…»
«Mmmhhh»
solo un lieve gemito
uscì dalle sue labbra. Ma la sua tortura non
terminò, anzi, oltre alle labbra,
le mani iniziarono ad accarezzare il mio punto vita fino ad
intrecciarsi sul mio
ventre e facendo adagiare ancora di più i nostri corpi.
Se
avesse continuato così non ce
l’avrei mai fatta.
Probabilmente
i miei ansiti
arrivarono alle sue orecchie e una lieve risata uscì dalle
sue labbra.
«
Sei un demonio se vuoi, lo
sai??» staccò le sue labbra dalla mia pelle
riportandomi sulla terra e sorridendomi
malizioso.
«
Veramente sei tu che mi tenti,
ma direi di andare ora, se vorrai ci sarà tempo per
tutto…» ok, ora non c’erano
dubbi su quelli che sarebbero voluti essere i suoi programmi per il
dopocena.
Ma
a chi volevo darla a bere? Era
la stessa cosa che avevo pensato anche io nel momento in cui mi aveva
proposto quel
weekend e che era divenuta certezza quando era entrato in quella stanza
e mi
aveva stretto a sé.
Ero
sul punto di voltarmi e
prendere di nuovo possesso delle mie facoltà, quando mi
fermò nuovamente:
«
Credo che manchi qualcosa però»
e lo vidi prendere dalla tasca una custodia che conoscevo molto bene:
lo
splendido bracciale che mi aveva regalato per natale e che avevo messo
nel
dimenticatoio dopo la mia stupida fuga.
«
Non volevo frugare in casa tua,
ma una sera l’ho visto dentro ad un cassetto socchiuso e ho
pensato che avessi
avuto voglia di indossarlo»
Presi
un profondo respiro e
cercai di giustificarmi, ma mi bloccò: «non ti
preoccupare….capisco il perché
non te la sentissi di portarlo….ma ora?» non dissi
nulla: gli sorrisi e gli
porsi il polso al quale si affrettò ad allacciare quello
splendido gioiello per
poi a lasciare un delicato bacio. Lo guardai e non potei fare a meno di
rimirarne la bellezza: « E’ splendido, non lo
ricordavo così…abbagliante»
«
Tu sei abbagliante» sollevai lo
sguardo compiaciuta, sembrava fosse veramente convinto di
ciò che diceva e ogni
sua parola dava anche a me la convinzione di essere speciale.
Mi
voltai nella sua stretta mettendogli
le braccia intorno a collo e baciandolo, gli proposi di andare per
iniziare
quella che ero certa sarebbe stata una magnifica serata insieme
all’uomo della
mia vita.
La
serata fu assolutamente
meravigliosa.
Edward
mi portò a cena in un
ristorante veramente esclusivo, in un angolo appartato, con tanto di
candele,
dove spesso l’unico suono erano le nostre voci sottili. La
luce fioca e calda
illuminava il suo volto e io come molte altre volte mi ero chiesta come
una
persona potesse essere tanto meravigliosa, sia fuori che dentro.
In
quei momenti passati con lui
in quel locale, a parlare del più e del meno, ad ascoltare i
suoi complimenti
nei confronti del mio aspetto, del mio carattere, non potevo fare a
meno di
soffermarmi sui dettagli della mia storia con lui.
Le
nostre mani quasi sempre in
contatto sul tavolo, gli sfioramenti quasi involontari delle nostre
ginocchia
sotto. I suoi occhi nei miei, muti silenziosi in apparenza, ma che
dietro
urlavano tutti i sentimenti e la passione che nei momenti in cui
eravamo insieme
saturavano l’aria: e il mio respiro, leggermente incerto,
specchio del suo,
come a voler sincronizzare i nostri silenzi.
L’uomo
che avevo davanti aveva la
capacità di parlami con il corpo e con lo sguardo, ormai lo
avevo capito, ma
qualcosa di diverso aleggiava in lui quella sera. Vedevo amore, ma
anche
desiderio. Per la prima volta veramente si percepiva in lui
l’espressione di un
uomo che desidera la sua donna e sapevo, o almeno speravo vivamente che
questa
sua consapevolezza e questa sua determinatezza non sparissero, o non
fossero
trattenute, come era accaduto tutte le altre volte da quando ci
conoscevamo,
una volta rientrati nel suo appartamento.
Dopo
la cena fu la volta del
teatro. Pur amando da sempre la musica non mi sarei mai aspettata di
potermi
emozionare così di fronte ad un concerto di classica: forse
il luogo, così
magico ed elegante, probabilmente la compagnia di Edward che come
incantato non
perdeva una nota, e teneva la sua mano calda saldamente ancorata alla
mia
scatenandomi brividi e strane sensazioni ogni qualvolta, sicuramente in
modo
volontario, mi accarezzava il palmo o il dorso della mano con i
polpastrelli.
Era
stata una giornata ricca di
emozioni e quando rientrammo a notte fonda nel suo appartamento non
potei fare
a meno di chiudere gli occhi e massaggiarmi la nuca cercando di
distendere i muscoli
ormai stanchi. Quando sentii chiudere la porta d’ingresso
alle mie spalle e
accendere solo la luce fioca dei faretti a
soffitto, non potei fare altro che guardarlo di soppiatto con la coda
dell’occhio, per capire quali sarebbero state le sue reali
intenzioni una volta
soli.
Come
al solito i suoi gesti
parlavano per lui. Lo sentii avvicinarsi a me e abbracciarmi da dietro
appoggiando il volto fra i miei capelli dove lasciò una
serie di baci molto
dolci:
«
Hai un profumo meraviglioso e
se così bella…ma….credo di avertelo
detto almeno un centinaio di volte questa
sera».
Non
potei fare a meno di incrociare
le braccia per stingerlo maggiormente a me, socchiudere gli occhi e
gettare
lievemente la testa indietro fino ad appoggiarmi completamente al suo
volto e
al suo corpo, lasciando uscire dalle mie labbra un lungo sospiro
più simile ad
un gemito.
«
Sei stanca?» la sua voce, calda
al mio orecchio. Non riuscii a rispondere se non con un cenno negativo
della
testa.
«
Hai voglia di qualcosa da bere
prima di andare a dormire?» mi sorrise premuroso come sempre.
«
Perché no, magari una bella
tazza di the caldo» risposi ruotando nel suo abbraccio e
fissando i suoi occhi
che sembravano brillare di luce propria.
Ci
staccammo dalla nostra stretta
e lo vidi indietreggiare, togliersi la giacca in un gesto lento ed
estremamente
seducente e un sorriso malizioso sul volto. Per un attimo mi soffermai
sull’idea di aiutarlo con le mie mani e privarlo anche di
tutti gli altri
indumenti, ma poi mi fermai a riflettere e cominciai ad elaborare
ciò che avrei
veramente voluto per quella serata. Appoggiò la giacca sullo
schienale del
divano e iniziando a sbottonare i polsini della camicia per arrotolarla
sugli
avambracci, lo vidi dirigersi alla cucina.
In
quel momento pensai a come
rendere ancora più magica un’atmosfera
già perfetta grazie a quella serata:
decisi per prima cosa di andare al piano superiore e avvisai Edward che
mi
sarei andata a mettere qualcosa di più comodo. In
realtà stavo pensando come
cercare di apparire il più possibile desiderabile ai suoi
occhi, certa che niente
avrebbe potuto battere la sua innata sensualità, quando mi
ritrovai nella sua
stanza: in un attimo mi resi conto che anche se per galanteria Edward
mi aveva
fatto preparare la stanza degli ospiti, era lì, con lui, in
quel letto che
sarei voluta rimanere quella notte.
Non
so bene con quale coraggio,
ma sicuramente spinta dal desiderio di stargli accanto ignorai del
tutto la porta
che dava nella mia stanza, mi avvicinai allo specchio del suo
guardaroba,
accarezzando lievemente il piano lucente dello splendido
comò e decisi di
accendere le candele che vi si trovavano come soprammobile. In quel
momento la
stanza era illuminata solo dalla loro fioca luce e dal riflesso che
proveniva
dal piano inferiore. Mi guardai allo specchio, seria, osservando
l’abito riflesso
e decisi di toglierlo per non rovinarlo e indossare una tuta o un
abbigliamento
comunque più consono alla notte. Portai lentamente le mani
alla lampo sul retro
del vestito per abbassarla, quando dopo pochi centimetri mi resi conto
che si
era inceppata. Probabilmente la leggera seta era scivolata nei binari e
questo
mi impediva, in quella posizione sicuramente scomoda di risolvere il
problema.
Mi trovai indecisa per un attimo se chiamare Edward per farmi aiutare,
ma non
dovetti pensare oltre.
«
Ti serve una mano?» il suo
volto appena illuminato, ma velato da una nota di stupore per la mia
presenza
lì, la sua figura a braccia incrociate, in cima alle scale
che mi fissava, mi
fece trasalire per la sorpresa: poi con un lieve sorriso e cercando di
sdrammatizzare gli indicai la schiena.
«
La mia proverbiale sbadataggine
ha colpito ancora: credo si sia inceppata e non volevo rischiare di
rovinare il
vestito».
Lo
vidi avanzare con un passo
lento ma deciso, gli occhi fissi puntati nei miei, riflessi nel grande
specchio,
il silenzio rotto solo dal suono dei suoi passi sul parquet. Quel
piccolo
tratto di stanza era molto di più che l’attesa per
un aiuto: era la speranza di
un grande passo fra di noi.
Quando
fu alle mie spalle lo vidi
abbassare la testa e sentii le sue mani sulla mia schiena, che premendo leggermente,
tentavano di abbassare
la lampo: ci riuscii e i suoi gesti rallentarono come a voler scoprire
la mia
pelle poco alla volta.
Una
scia di brividi si mosse
lungo tutta la mia colonna, come se fosse stata lasciata dai suoi occhi
su di
me.
Trattenni
con una mano sul seno
l’abito ormai completamente slacciato, non so se in un
atteggiamento di inutile
pudore o solo come gesto istintivo.
In
un attimo le sue mani scostarono
i capelli, come già era accaduto qualche ora prima mentre mi
preparavo e furono
dolci sulle mie spalle, ad accarezzare, quasi venerare, con un tocco
lieve: le
sentii scendere anche in quella parte di schiena lasciata scoperta
dalla lampo
ormai aperta. Oltrepassò la chiusura del reggiseno per
arrivare alla fine della
colonna, ma non riuscii a sopportare quel tocco con indifferenza: la
pelle d’oca,
il fiato spezzato, gli occhi socchiusi e la testa reclinata indietro,
stavano
dimostrando tutto il mio trasporto in quel momento. E poi di nuovo le
sue
labbra sulle spalle, proprio dove le mani poco prima avevano lasciato
una scia
bollente.
Girai
la testa per osservare la
sua bocca appoggiata su di me: quando alzò lo sguardo e i
nostri occhi si
incatenarono nessun dubbio era ipotizzabile in quel momento, se non la
passione,
il desiderio di essere finalmente insieme.
«
Pensavo fossi nella tua
stanza….credevo preferissi stare
lì…» la sua voce era uscita roca e
spezzata
dai sospiri, nel suo volto la determinazione a tenermi con lui: forse quei baci e quel
contatto avevano
influenzato anche il suo autocontrollo. Nel mio caso stavo esercitando
una vera
e propria violenza sul mio desiderio, più per lasciare che
fosse lui a prendere
l’ultima decisione, che per mia titubanza: io sapevo quello
che volevo.
Volevo
fare l’amore con lui e
appartenergli nel corpo e nell’anima.
E
poi con quell’audacia che avevo
dimostrato solo due sere prima nella sua stanza, gli risposi con la
voce più
chiara che il mio stato di eccitazione potesse produrre:
«
Non ne ho mai avuto
l’intenzione…..» e in un attimo il suo
volto si velò di passione, gli occhi
leggermente stretti e un sopracciglio inarcato come a voler chiedere il
permesso: lo sentii afferrare i lembi del mio abito in un chiaro invito
a
lasciarmi spogliare.
Chiusi
nuovamente gli occhi nel
momento in cui sentii la stoffa leggera cadere ai miei piedi.
«
Nulla, nè le parole, né le
immagini possono rendere giustizia alla tua bellezza» e
quando li riaprii mi
afferrò per i fianchi in un gesto più urgente, mi
voltò verso di lui e senza
riflettere portai le braccia dietro la sua nuca e incatenai i nostri
sguardi.
Stavo
quasi per ricordargli il
the, ma i miei propositi crollarono in un attimo: le sue labbra sulle
mie mi
diedero la forza di portare le mani alla sua cravatta e slacciarla
lentamente,
fino a farla scorrere sul bavero della camicia e poi giù ai
nostri piedi, dove
presto gli avrebbe fatto compagnia la camicia, slacciata dalle mie mani
quasi
tremanti e leggere. E mentre lo aiutavo a farla scorrere per le sue
possenti
spalle, non persi l’occasione di accarezzare con i
polpastrelli la pelle calda
e i muscoli, così reattivi al mio tocco.
Si
staccò dalla mia bocca e tra i
respiri affannati, indietreggiò trattenendomi, fino a
toccare il letto e sedersi,
facendomi posizionare in piedi tra le sue gambe. Non smise mai di
fissarmi
negli occhi, forse per non imbarazzarmi con il suo sguardo sul mio
corpo,
coperto ormai solo da un intimo di pizzo. Quando le sue labbra si
posarono
dolci e delicate sulla pelle della mia pancia e le sue mani iniziarono
ad
accarezzarmi i fianchi capii dove volevo essere e che quella sarebbe
stata
sicuramente una delle notti più belle della mia vita.
In
un attimo si stese portandomi
con sé e riprendendo a baciarmi. Tutto ciò che
rimase sui nostri corpi fu la
pelle, coperta da brividi per i nostri tocchi e le nostre carezze,
ormai libere
di esplorarne ogni centimetro. Non furono gesti frettolosi, ma
delicati,
dettati dalla voglia di scoprirsi lentamente, reciprocamente e
dolcemente. Come
per appartenersi con tutti i sensi.
«
Sei bellissima» uscì dalle sue
labbra dopo che ebbe scrutato il mio corpo ormai nudo: ma non
c’era malizia in
lui e imbarazzo in me. Tutto era naturale e giusto.
I
suoi baci furono su ogni parte di
me, dolci, sulle spalle e sul volto, caldi sul seno e sul ventre,
lascivi sulle
mie cosce dove, accompagnate dalle mani lasciavano dei veri e propri
solchi
sulla mia pelle nel più intimo dei contatti. Io ero
completamente persa di lui,
inebriata del suo profumo e schiava dei suoi occhi, che quando non mi
baciava,
erano fissi nei miei.
La
mia schiena si inarcava in un
gesto quasi automatico ad ogni tocco delle sue mani e i miei occhi si
chiudevano come a non voler lasciar andare quelle sensazioni. La stanza
ormai
satura dei nostri respiri ci circondava con la sua luce fioca, in
quello
splendido letto dove mi sarei voluta perdere con lui, per sempre.
E
nel momento in cui ci
accorgemmo che l’urgenza di essere una cosa sola era ormai
insostenibile, lo
sentii bloccarsi e prendere un forte respiro. Per un attimo pensai che
si
stesse nuovamente pentendo di quello che stava accadendo,
così gli afferrai il
volto costringendolo a guardarmi negli occhi.
La
sua difficoltà a
razionalizzare in quel momento era pari alla mia e i nostri sospiri ne
erano la
prova. Non gli chiesi nulla: le nostre menti erano sincronizzate in
modo
perfetto, come i nostri corpi, il verde dei suoi occhi scuro, profondo:
«
Bella…… io non so se sarò
all’altezza…ti desidero troppo» per un
attimo misi da parte l’irrazionalità e
rimasi stupita.
Oddio
Edward Cullen che soffriva
di ansia da prestazione!
Ma
sapevo cosa voleva dirmi con
quelle parole. In realtà entrambi ci eravamo tenuti lontani
per un bel po’ da
coinvolgimenti sentimentali, quindi avremmo dovuto avere gli stessi
timori. Il trasporto
fra di noi era unico e
non avere provato
quelle sensazioni per tanto tempo ci spaventava. Cercai di confortarlo:
« siamo
sulla stessa barca» dissi accennando un sorriso.
«
La verità è che sei così
bella…..
– e un suo bacio mi travolse –
…..morbida….. – altro bacio,
più profondo accompagnato
dal tocco bollente delle sue dita sulle mie cosce –
……profumata, che non so
proprio resisterti» le sue mani e la sua bocca si muovevano
su di me facendomi
abbandonare tutta la razionalità che avevo cercato di
incanalare poco prima,
per fare coraggio anche a lui. Ma sapevo che sarebbe stato comunque
perfetto e
unico.
Ero
lusingata e completamente
persa nelle sue carezze:
«E
allora non farlo – dissi a
fatica fra gli ansiti – non cercare più di
resistere, credo che lo abbiamo
fatto fin troppo».
E
in un attimo fu amore,
passione, desiderio, stravolgimento dei sensi.
Ogni
respiro che spezzava l’aria
aveva il suono di noi, ogni tocco sui miei fianchi e sulla sua schiena
era un
trasmettersi un impronta, che passava dalle mani ma veniva dal cuore.
Ero
una piccola piuma portata dal
vento nelle sue braccia, quando si reggeva su di me per non pesarmi
come se
potessi spezzarmi sotto il suo corpo, oppure quando mi teneva stretta a
sé seduta
sulle sue gambe al centro di quello splendido letto, incastrati
l’uno
nell’altro come una cosa sola; le mie gambe e le mie braccia
intrecciate dietro
la sua schiena come a non voler rinunciare per nessun motivo a quel
contatto e
le sue mani dietro la mia testa, reclinata indietro per il troppo
piacere che
temevo di non poter più trattenere, specie quando lasciava
baci e piccole scie
con la lingua nella fossetta alla base del collo.
Mi
portò di nuovo delicatamente
con la schiena sul materasso per incatenare una sua mano sotto al mio
ginocchio
nell’intento di non farmi staccare da lui nemmeno di un
centimetro e l’altra di
fianco al mio viso intrecciata alla mia, come a voler scandire nelle
nostre
strette i momenti di quella danza. E quando ormai completamente persa
nelle mie
sensazioni una scarica mi attraversò facendomi provare
sensazioni sopite da
tempo, fui travolta nuovamente dal suo corpo sul mio, dal suo calore:
lo sentii
respirare più forte e dirmi “ti amo” e
capii che non avevo provato veramente
amore e non ci sarebbe stato nessun’altro, mai, nella mia
vita come lui.
Note:
finalmente riesco nuovamente a postare. Chiedo scusa per l'enorme
ritardo. Purtroppo l'influenza di tutta la famiglia e il lavoro mi
hanno veramente tagliato le gambe in quest'ultimo periodo. E poi questo
era un capitolo abbastanza importante e ho preferito "curarlo" un
pò di più piuttosto che tirarlo via.
Ammetto
che l'ispirazione si è un pò affievolita. Forse
il fatto di non scrivere tutti i giorni come facevo i primi tempi non
aiuta: più si sta lontani dalla scrittura più
è facile perdere la mano. Le idee ci sono tutte, manca la
forza di metterle su word. Sto pensando, anche visto il calo di
recensioni, di soffermarmi, far passare un pò più
di tempo per poter scrivere più capitoli e poi pubblicarli a
"raffica" come i primi tempi. Ho visto che la cosa era più
apprezzata da voi, e vi capisco. Anche io sono una lettrice e mi piace
vedere le storie avanzare velocemente. Comunque non ho ancora deciso se
farlo, quindi per ora vi saluto, sperando che il capitolo vi piaccia e
dandovi appuntamento al prossimo. Ringrazio tutte quell che mi hanno
recensito e quelle che continuano a seguirmi anche in silenzio. E'
comunque sempre una grande soddisfazione.
un
saluto, spero, a presto.
K.
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Capitolo 54 *** “Only love” ***
Capitolo 54
“Only love”
Aprii gli occhi ancora intorpidita dal sonno. Mi ci vollero alcun secondi per realizzare dove mi trovassi. E perché mi sentissi così bene.
Poi ricordai.
La serata passata a Londra, la cena, il teatro e poi….tutto era stato magnifico, perfetto.
Ero ancora saldamente stretta tra le braccia del mio uomo che dormiva beatamente accanto a me. Avevo passato la notte con Edward, ma non come era successo molte volte al campus: eravamo stati insieme, avevamo fatto l’amore.
Ci eravamo amati con passione e dolcezza, senza mai dimenticare il profondo legame che ci univa. Era stata una delle notti più belle della mia vita: lentamente mi girai nella sua stretta senza svegliarlo, per poterlo osservare come era già capitato altre volte. Ma quella mattina sembrava ancora più bello.
Ripensando alla notte appena trascorsa non potei fare a meno di ricordare i momenti più dolci: quando mi aveva stretto e cullata tra le sue braccia, quando mi aveva baciata il viso dolcemente o accarezzata come fossi fatta di cristallo, quando ormai stanco si era addormentato sul mio petto e io mi ero beata della sua vicinanza accarezzandogli i capelli.
Per tutto il tempo in cui ci eravamo amati mi aveva venerata e io non avevo potuto fare a meno di ricambiare osservando il suo meraviglioso corpo e i suoi occhi, che mi avevano fissato in ogni istante, come a voler trasmettere e carpire ogni mia emozione data da quei momenti.
Edward era stato splendido, tenero, romantico, ma anche passionale, tanto che più di una volta avevo temuto di non riuscire a sostenere le scariche in tutto il corpo che scaturivano dai nostri contatti.
Era così il vero amore? Allora forse io non lo avevo mai veramente provato: il sentirsi felici, appagati, ma anche scombussolati. In passato non avevo mai provato sensazioni così amplificate. La verità di cui ero consapevole era che amavo Edward come nessun altro e non avevo tergiversato nel dirglielo più volte nei momenti di massima intensità tra noi.
La stanza era nel silenzio più assoluto, fatta eccezione per il rumore della pioggia.
Alzai gli occhi verso la vetrata e mi resi conto che la luce del giorno era ancora molto fioca: probabilmente era ancora l’alba e non mi sembrava il caso di svegliarlo. Così mi avvicinai di più beandomi del calore del suo contatto. Avevamo fatto l’amore più volte durante la notte e la stanchezza avrebbe dovuto prendere il sopravvento, ma in quel momento il suo corpo mi attirava come una calamita.
Di lì a poco il respirò cambiò e in pochi secondi i suoi occhi si aprirono, rivelandomi la profondità del suo sguardo:
« Buongiorno» un lieve sorriso si dipinse sul viso: gli occhi non del tutto aperti.
« Veramente non credo sia ancora giorno, o almeno non del tutto».
« È da molto che sei sveglia?» chiese stringendomi maggiormente. Solo in quel momento realizzai che eravamo ancora nudi e saldamente intrecciati l’uno all’altro: in quello stato i miei pensieri non riuscirono ad essere lucidi.
« Qualcosa che non va?» il suo sguardo era languido, ma nel contempo preoccupato. Gli sorrisi dolcemente accarezzandogli la fronte e mi avvicinai ancora di più con il volto al suo. Volevo che percepisse il mio stato d’animo e speravo di trasmetterglielo con ogni fibra di me stessa.
Gli lasciai un leggero bacio all’angolo della bocca:
« Sto benissimo, mai stata meglio» e gli sorrisi a mia volta. Non riuscii a resistergli e allacciai ancora di più le mie gambe alle sue: lo sentii muoversi, stirarsi e, dopo aver preso un profondo respiro avvinghiarsi ancora di più al mio corpo, che rispondeva al suo tocco come una corda di violino al suo accordatore, cingendomi la schiena con le mani e facendo combaciare le nostre fronti. I nostri occhi non lasciarono nemmeno per un attimo il contatto e in quel momento capii che non ci sarebbe stato bisogno di altre parole, spiegazioni o gesti.
Le nostre labbra si incatenarono, prima dolci, poi sempre più voraci, desiderose di assaporarsi. Le sensazioni che mi trasmetteva quando mi baciava erano amplificate ancora di più dal contatto della nostra pelle e in un attimo di lucidità decisi di osare per dimostragli che il mio desiderio era pari al suo. Mi portai stesa completamente sul suo petto, sul suo corpo scolpito, le nostre labbra ancora incollate, i miei capelli ricaduti sul mio viso e sul suo, le mie mani ai lati del suo volto che gli accarezzavano i capelli.
In un attimo sistemai le gambe piegate intorno al suo bacino: mi staccai per riprendere fiato, alzandomi a sedere su di lui e facendo scivolare involontariamente il lenzuolo sui miei fianchi a scoprire molto più di quanto avrei voluto. Istintivamente un’ondata di pudore mi pervase e mi portai le mani a coprire i seni nudi. Edward non lasciò mai i miei occhi, ma mi prese le mani e le allontanò dal mio corpo:
« Non farlo….sei bellissima». Mi resi conto di quanto quel suo complimento, in quella situazione mi imbarazzasse oltremodo, ma fui velocemente distratta dalle sue grandi mani che scesero sulla mia schiena fino ai miei fianchi per scostare ulteriormente il lenzuolo scivolato e aggrapparsi con forza, quasi a voler lasciare un’impronta nella mia carne, per poi risalire sul ventre e sempre più su, fino a farmi chiudere gli occhi e reclinare la testa per la splendida sensazione che stavo provando. Senza riaprili mi abbassai velocemente, catturando ancora le sue labbra, succhiandole e mordendole dolcemente, come a voler imprimere il piacere e il desiderio in quel contatto. Mi stupirono le sue parole calde e audaci quando si staccò da me e mi fissò negli occhi:
« Ti amo Bella e ti voglio, adesso».
Senza ormai nessuna remora, strofinai leggermente il naso contro il suo, meravigliandomi del mio stesso coraggio:
« Fai l’amore con me Edward».
Il resto furono solo respiri, gemiti inappagati che trasmettevano la nostra passione e il nostro amore. Ci amammo per un tempo che mi parve infinito, ma che sembrò durare un istante, quando ormai stanchi ci staccammo dal più intimo dei contatti, per addormentarci stretti in un abbraccio che ci fece scendere dalle montagne russe della passione, per lasciarci nella tranquillità del nostro amore.
Quando aprii gli occhi nuovamente era giorno.
Ma a differenza di qualche ora prima non sentivo lo stesso calore: Edward non era più accanto a me.
Mi sollevai sui gomiti per guardarmi intorno non del tutto sveglia e mi soffermai a osservare la parte del letto occupata da lui fino a non molto tempo prima. Istintivamente accarezzai il cuscino: era freddo, segno che si era alzato già da un po’ e il rumore proveniente dal piano inferiore mi fece capire che qualcuno stava preparando la colazione. Mi ributtai un attimo di schiena sul materasso con un soddisfatto sorriso sulle labbra e mi beai ancora qualche secondo delle sensazioni che la nottata mi aveva lasciato.
Mi stirai, per poi decidere di alzarmi.
Noncurante del fatto di essere praticamente nuda, mi recai in bagno per rinfrescarmi e poi indossare qualcosa, ma posai lo sguardo sulla scia di abiti che giacevano sul pavimento e che dimostravano quanto fosse stato impellente il nostro desiderio della sera prima: non potei non notare la camicia che aveva indossato e istintivamente la presi, la portai al volto per sentire il suo profumo e la indossai. Sapevo che era una cosa banale mettere qualcosa del proprio uomo “la mattina dopo”: sapeva molto di film romantico, ma in quella situazione la mia mente stava viaggiando su una nuvoletta insieme a cupido, un ulteriore tocco di romanticismo non poteva certo guastare.
La abbottonai lentamente ripensando alla sera prima e probabilmente per chi mi avesse visto in quel momento, sarei sembrata una poco sana di mente, visto il costante sorrisino che aleggiava sul mio volto: mancavano giusto gli occhi a cuoricino. Riflettendo, però, una cosa mi stupì: ero sempre stata una persona abbastanza timida, avevo vissuto una vita e soprattutto una realtà sentimentale sempre nell’ombra, forse anche perché non mi piaceva mettermi in mostra né tanto meno dimostrare una passione che pensavo non mi si addicesse. Ma dopo quella notte mi meravigliai di come con Edward tutto fosse stato estremamente naturale e mai, come era accaduto anche in altre circostanze più “platoniche”, mi fossi sentita in imbarazzo per quello che gli dicevo, che avrebbe potuto notare in me e per l’audacia che avevo dimostrato in alcuni gesti.
Assorta in questi pensieri scesi le scale sperando vivamente di non trovare la signora Spencer in cucina o avrei dato chiara dimostrazione di cosa era accaduto quella notte tra noi.
Quando arrivai in fondo e mi girai, lo vidi di spalle impegnato ai fornelli. La penisola della cucina era apparecchiata e piena di ogni ben di Dio: mi avvicinai cercando di fare meno rumore possibile e mi fermai sulla soglia, appoggiando la spalla allo stipite della porta.
Mi piaceva guardarlo e ancora di più quando non ne era consapevole. Si era vestito con un jeans e una maglia leggera, a cui aveva rimboccato le maniche, probabilmente per cucinare: mi soffermai su ogni dettaglio di lui. Non capivo perché quella piccola porzione di avambraccio che rimaneva scoperta e che metteva in mostra il tatuaggio celtico, mi istigasse così tanto a pensieri poco casti. E poi osservai le sue mani, lunghe, delicate, anche ora che stava chiaramente “lottando” con gli utensili della cucina. Non potei fare a meno di pensare a quanto avevano vagato su di me, sulla mia pelle, donandomi sensazioni uniche.
Istintivamente mi morsi un labbro e cercai di far rientrare i brividi che, al solo pensiero di lui, mi provocavano un sottile strato di pelle d’oca; cercai di trattenermi dallo sbottonare la camicia e presentarmi a lui dicendogli che non avrebbe avuto bisogno di preparare la colazione. Avrebbe potuto mangiare me!
Trattenni questi pensieri e in un attimo mi ritrovai a constatare quanto fosse perfetto e meraviglioso: e a quanto, dal momento in cui gli avevo raccontato tutto di me, ero stata assolutamente meglio. Sì, alcuni sensi di colpa e tormenti della mia vita passata avrebbero avuto bisogno di un po’ più di tempo per essere depositati nei cassetti più nascosti della mia memoria, ma le strette al torace e i momenti di angoscia erano sicuramente scemati e tutto questo per merito suo: mi aveva salvata dalla mia autocommiserazione e da una possibile autodistruzione, dettata dal mio carattere innatamente pessimista e a volte immaturo, specie per le situazioni sentimentali. E mi dannai per qualche secondo di non avergli aperto prima il mio cuore, anzi di aver cercato con tutte le mie forze di rinnegare i nostri sentimenti reciproci, quasi come una vecchia abitudine al dolore, facendoci perdere tanto tempo prezioso per stare insieme.
Non impiegai molto a formulare tutti questi pensieri, perché Edward non si era ancora accorto della mia presenza, forse anche per il fatto che qualsiasi mio suono era attutito dai rumori prodotti dagli elettrodomestici e dai suoi sicuri movimenti anche in cucina.
Ma c’era qualcosa che questa creatura non sapesse fare alla perfezione?
Beh….dopo la notte appena trascorsa mi ero convinta che no…non c’era!
Mi avvicinai in punta di piedi, con l’intenzione di coglierlo di sorpresa e vedere la sua reazione alla mia presenza. Quando fui a pochi centimetri lo cinsi con le mani, appoggiando il mio corpo e il mio viso alla sua schiena e inspirando a pieni polmoni la sua fragranza. Lo sentii scattare:
« Ehi sei sveglia?» non dissi nulla, volevo bearmi di quel contatto e trasmettergli le mie sensazioni. Nel giro di pochi secondi girò il viso verso di me e poi, abbandonando ciò che aveva tra le mani, ruotò nel mio abbraccio fino a posizionarsi di fronte a me: sollevai lo sguardo e lo fissai negli occhi senza dire nulla e anche lui capì che in quel momento non occorrevano parole. Presi l’iniziativa e mi sollevai in punta di piedi per far incontrare le nostre labbra. Socchiusi gli occhi e mi beai di quel contatto così dolce e senza nessuna urgenza. Quando ci staccammo lo salutai con un sorriso e un flebile “buongiorno”. Mi sorrise a sua volta e quel gesto si propagò anche ai suoi occhi, dimostrando come, in quel momento, anche nel suo cuore ci fosse serenità.
« Buongiorno amore mio» dissi senza alcuna remora « mi sono svegliata e non eri nel letto….mi mancavi e sono venuta a cercarti. Per un attimo ho anche pensato che fossi uscito e che in cucina ci fosse Kate: avrei dovuto darle alcune spiegazioni…» e nel dire questo abbassai gli occhi indicando il mio abbigliamento. Solo in quel momento probabilmente Edward notò che indossavo la sua camicia, mi squadrò interessato e sorrise lievemente:
« Beh, non avresti dovuto spiegare poi molto…più chiaro di così!» non potei trattenere un sorriso a mia volta, che si spense non appena percepii le sue labbra sul mio collo, il suo alito lasciare una lieve scia fino all’orecchio, dove lo sentii sussurrare:
« Comunque sta molto meglio a te che a me e non puoi immaginare quali pensieri mi passino per la testa vedendo le tue splendide gambe nude uscire da sotto a questa stoffa».
Aveva usato un tono assolutamente seducente, tanto che per un attimo dimenticai ogni cosa e pensai di rendermi disponibile a restituirgliela subito e a testare la resistenza dei pensili della cucina per cose molto poco culinarie.
Riuscii a riprendere possesso delle mie facoltà, con lui a stretto contatto era sempre difficile, e mi allontanai leggermente.
« Volevo farti una sorpresa e portarti la colazione a letto, ma mi hai preceduto…» si staccò indicando quello che stava preparando.
« Da un po’ di tempo faccio fatica a rimanere nel letto se non ci sei tu» lo vidi sorridere compiaciuto e poi riavvicinarsi e lasciarmi un tenero bacio alla base del collo, così sensibile visto le volte che nella notte passata lo aveva torturato con la lingua, le labbra e i denti. Buttai leggermente indietro la testa per dimostrargli quanto apprezzassi quel gesto e quando si staccò lo vidi fissarmi quella porzione di pelle con un sorriso malizioso e di compiacimento.
« Ed tutto bene?» lo vidi annuire e continuare a guardare quel punto sorridente. Non capivo fino a che non fu lui a darmi un indizio:
« Non pensavo rimanesse». Ma a cosa si riferiva? Guardò di nuovo il mio collo, allontanandosi leggermente per riprendere il suo lavoro ai fornelli e così decisi di portarmi una mano dove aveva appena lasciato il bacio e sentii bruciare leggermente. Lì per lì non capii, poi realizzai. Mi voltai verso la parete d’acciaio del frigo e mi specchiai: una grossa bolla rossa faceva mostra di sé alla base del collo, appena sopra la clavicola. Rimasi per un attimo stupita:
« Edward Cullen mi hai fatto un succhiotto???» lo vidi sorridere e ritornare ai fornelli.
« Beh, non me ne sono reso conto, sai ieri notte ero impegnato in altro…» mi guardò di sottecchi girando a malapena il viso verso di me.
Probabilmente il colore del mio volto denotò il mio momentaneo imbarazzo sottolineato da un leggero ghigno sul suo. Mossi la testa sorridendo a mia volta: amavo quell’uomo anche per questo suo essere “leggero” nei momenti più inaspettati.
« Sei proprio pazzo lo sai? Ora mi toccherà portare maglie a collo alto per almeno una settimana» ribadii salendo con un piccolo salto sul mobile di fianco alla penisola. Edward depositò il piatto con i pancakes al centro del tavolo e si riavvicinò a me in modo lento fino ad appoggiare le mani ai lati delle mie gambe, gli occhi nei miei, il sorriso ancora fisso su quelle magnifiche labbra che avrei morso e succhiato fino a strappargliele.
« Lo so che sono pazzo, ma adoro questa parte del tuo corpo – e lo sentii accarezzare la base del collo – e starei ore a venerarla» si chinò ancora di più fino a lasciare un altro tenero bacio dove poco prima avevo scoperto il succhiotto. Feci un profondo respiro e chiusi di nuovo gli occhi. Sempre più spesso le sensazioni che i suoi tocchi e la sua vicinanza mi trasmettevano erano motivo di grande coinvolgimento per me: sarebbe mai passata?
Avrei mai smesso di sentire le farfalle nello stomaco e i brividi ogni volta al passaggio delle sue mani?
Non sapevo la risposta e non mi sarei posta il problema ora: avrei goduto di lui, del suo amore, della sua passione fino al possibile, sperando di non dovervi mai rinunciare. Perché sì….ero sempre più convinta che lui fosse l’uomo giusto, la persona con la quale avrei desiderato passare tutto il resto della mia vita.
« E poi sarà stupido orgoglio maschile….ma quella bolla mi dà l’idea che tu sia ancora più mia»
Rimasi stupita a quell’affermazione: «Allora mi hai marchiato???» risposi sorridente e alquanto compiaciuta.
Edward non era mai stato veramente possessivo nei miei confronti: era sempre riuscito a dimostrare il suo interesse in modo elegante e il suo spirito di protezione nei miei confronti denotava comunque una grande delicatezza del suo animo, ma in quel frangente e in quel momento la sua idea di possesso, a livello fisico, non mi dispiaceva per niente e mi stupì ancora di più quello che disse poi: « potresti anche decidere di non coprirla, così tutti saprebbero a chi appartieni». E così dicendo lasciò un ulteriore morsetto, facendomi emettere un lieve gridolino. Non seppi resistere e ribattei nuovamente: « E tu?»
« E io cosa?»
« Come faccio a far sapere all’intera popolazione femminile che sei mio?» il discorso era ironico, ma celava per entrambi la profondità del nostro rapporto.
« Beh non occorre nessun marchio. Ce l’ho scritto a lettere cubitali in fronte che appartengo a te. Non riesco a vedere e tantomeno a desiderare nessun’altra in questo momento».
Lo osservai mentre si raddrizzava, mantenendo il contatto con i miei occhi. Si avvicinò a me sempre di più fino a ritrovarsi tra le mie gambe; le mani passarono dal mobile della cucina al mio corpo, lasciando un tocco leggero sulle mie cosce e stringendomi alla base della schiena. Gemetti leggermente nella sua stretta a causa dell’indolenzimento per la troppa “attività fisica” della notte precedente.
« Ti ho fatto male?» chiese premuroso come sempre.
Sorrisi cercando di celare il mio imbarazzo:
« No, sono solo un po’ indolenzita…chissà come mai?» gli sorrisi compiaciuta a mia volta, ma l’espressione del suo volto cambiò.
« Spero di non averti fatto male….» disse abbassando leggermente lo sguardo. Non volevo che pensasse assolutamente una cosa del genere e mi affrettai a prendergli il volto tra le mani e riportarlo su di me.
« Non pensarlo nemmeno…sei stato stupendo e dolcissimo. È che….è passato tanto tempo dall’ultima volta….e….non ero più molto abituata» mi costò molta fatica sottolineare questa cosa, non tanto per quello che c’era stato tra noi, quanto per il ricordo di essere stata con qualcun altro tempo prima che non fosse lui.
Istintivamente in quell’ultimo periodo avevo desiderato più che mai di poter cancellare il mio passato e fare in modo di non aver avuto altre storie, ma era impossibile, questo lo sapevo, e quindi cercavo di non ricordarlo, sia a lui che a me stessa. Era una cosa che mi infastidiva e sapevo che era così anche per lui, specie per quello che riguardava la mia relazione con James.
Vidi il suo volto distendersi di nuovo e portare una mano ad accarezzarmi delicatamente uno zigomo.
« Non sopporto l’idea che tu possa soffrire, ne fisicamente né emotivamente…» la conversazione stava prendendo una piega troppo profonda e comunque non volevo che la nostra prima mattina dopo che eravamo stati insieme fosse denotata da un alone di tristezza per il dolore causato dal mio passato.
Probabilmente si accorse anche lui della situazione e cercò subito di sdrammatizzare:
« Sei sicura che non sia stato troppo passionale? Sai non vorrei che non fossi in forma per la giornata…» disse sorridendo.
Appoggiai gli avambracci alle sue spalle e intrecciai le mani dietro la nuca per potergli parlare vicino al viso, come a volere far sì che imprimesse le mie parole direttamente nella mente:
« Questa è stata la notte più bella di tutta la mia vita e tu sei stato meraviglioso» e nel dire queste parole feci un lieve sorriso e gli sfiorai le labbra con le mie. Chiudemmo gli occhi insieme e dopo averlo sentito sospirare sentii le mani afferrarmi saldamente le cosce e tenendomi stretta, alzarmi dal ripiano della cucina. Spalancai gli occhi e mi staccai dalla sua bocca: in un attimo mi appoggiò sul divano stendendosi su di me e riprendendo a baciarmi il collo e ad accarezzarmi le gambe scoperte sotto alla camicia. Quei tocchi per me erano qualcosa di unico: sapevo che sarebbe stato meglio interrompere, ma non riuscivo veramente a farlo. Il mio respiro era già diventato più veloce e in un attimo mi resi conto che in una notte ero diventata dipendente da lui anche “in quel senso”. Iniziò la sua discesa con le labbra sul mio petto mentre tentava di alzare la camicia: sembrava avesse mille mani e non due.
Tutt’a un tratto il fischio del bollitore mi riportò alla realtà:
« Edward….la colazione… – riuscii a dire deglutendo rumorosamente tra un bacio e una carezza – non voglio che il tuo lavoro vada sprecato» a quelle parole sollevò il volto e con un’espressione rassegnata si definì d’accordo con me e mi fece alzare dal divano: non abbandonò mai il contatto visivo né sui miei occhi né sul mio corpo, quando iniziai a sistemare la camicia che aveva quasi tolto. Lo vidi indugiare ancora su di me con fare malizioso e non potei fare a meno di scoccargli un battuta che di innocente aveva ben poco:
« Sei insaziabile lo sai» o mamma e da dove mi era uscita questa! Ed ero riuscita perfino a sembrare una gatta morta!
Ma ancora più di stucco mi lascò la sua risposta:
« Il problema è che lei è irresistibile signorina Swan» e nel dire ciò lasciò una carezza sul mio fianco, prima di prendermi per mano e accompagnarmi in cucina per consumare la nostra splendida colazione.
Passò più di mezz’ora prima di aver voglia di alzarci da quel tavolo e porre fine a quel piacevole momento di vita quotidiana che si era creato fra noi. Lo guardai allontanarsi dal suo sgabello e iniziare a depositare stoviglie e quant’altro nel lavello e nei ripiani della cucina: istintivamente mi alzai per aiutarlo e nel tentativo di allungarmi per depositare la scatola dei cereali in un ripiano un po’ troppo alto per il mio metro e sessanta, lo sentii appoggiarsi alla mie spalle e vidi il suo braccio sostituirsi al mio prima ancora di sentire la sua voce calda che mi sussurrava all’orecchio:
« Faccio io, puoi rimanere seduta se vuoi…»
« No, ci tengo ad aiutarti». Poi, girandomi e appoggiandomi al bancone con la schiena, incrociai le braccia e cominciai a fissarlo nel suo familiare andirivieni per la stanza.
«Hai pensato ad un programma per la giornata?» lo vidi fermarsi, depositare dentro il lavello il piatto che aveva nelle mani e, poggiando i palmi sul bordo lasciarsi sfuggire un piccolo sorriso.
« A te cosa piacerebbe fare? » mi chiese asciugando le mani e avvicinandosi con passo lento.
Ogni suo gesto, ogni suo sguardo in quel momento mi portava in un'altra dimensione. Appena fu ad un soffio da me depositò un leggero bacio all’angolo della bocca: istintivamente mi aggrappai con una mano al suo fianco come a volermi sostenere e socchiusi gli occhi. Poi cercai di reagire a quel suo tocco e di rispondere senza sembrare ogni volta un’ameba.
« Non saprei ci sono ancora tante cose che non abbiamo visto, è per quello che l’ho chiesto prima io» risposi cercando di mettere sù un broncio quasi infantile. Mi stavo comunque divertendo, mi sentivo bene e mi piaceva il gioco di seduzione e finta innocenza che mettevamo in campo ogni volta che i nostri corpi entravano nello stesso raggio di azione.
«Mhhh …..non saprei – lo vidi alzare gli occhi ala cielo come per riflettere su qualcosa – hai ragione, dici che ci sono tante cose da fare…..» riportò il suo sguardo su di me, ma questa volta era ancora più intenso, come se stesse cercando di trasmettermi i suoi pensieri. Si abbassò nuovamente per lasciarmi qualche tenero bacio sul lato del collo scoperto e lo sentii sussurrare all’orecchio: «….oltre che fare l’ amore con te tutto il giorno?» il suo flebile tono di voce mi aveva procurato ancora più brividi delle sue labbra.
Cercai di sdrammatizzare o gli sarei saltata addosso in quell’istante: in fondo sapevo che non sarebbe accaduto, ma non volevo fondare la nostra relazione solo sul sesso…
Lo guardai negli occhi, caldi, intensi……
O almeno non volevo passare un intero week end a Londra senza metter il naso fuori di casa……
Mi soffermai sul suo tocco così delicato, sulla pelle del collo, e in quella piccolissima porzione tra i mie seni lasciata scoperta dall’abbottonatura della sua camicia…..
O al diavolo tutto! Se avesse voluto avrei passato anche l’intera mia vita sotto alle lenzuola con lui. Lo attirai a me cingendogli il collo con le braccia e affondando le mie mani tra i suoi capelli, che tante volte quella notte avevo stretto, accarezzato e forse anche tirato, senza mai ricevere da lui alcuna lamentela. Accennai un lieve sorriso e decisi di sostenere la sua provocazione.
« La proposta è allettante…ma non credo che reggerei i tuoi ritmi per tutto il giorno. E poi abbiamo già fatto abbastanza confusione ….» in realtà sapevo che non eravamo certo stati silenziosi la notte precedente, ma immaginare che Kate avesse potuto sentire anche troppo mi imbarazzava. La sonora risata che uscì dalla sua bocca mi incuriosì anche di più.
« Puoi stare tranquilla….la casa è completamente insonorizzata. Potrebbe anche esplodere una bomba che la famiglia Spencer se ne accorgerebbe solo dopo il crollo delle pareti» probabilmente il io volto in quel momento trasparì divertimento, oltre che incredulità e imbarazzo.
«…e poi sbaglio o sei tu quella che mi ha svegliato stamattina all’alba?»
« Non era mia intenzione svegliarti…e poi non ti sei tirato indietro!» risposi cercando di mantenere il tono più sensuale possibile. Si appoggiò con tutto il corpo a me, trasmettendomi il calore della sua pelle anche attraverso gli indumenti:
« Non posso tirarmi indietro, non posso farne a meno…il tuo corpo mi attira come una calamita»
« È lo stesso per me» risposi di getto senza pensare alle implicazioni di un’affermazione di quel genere. E infatti nel giro di un attimo la mano che mi abbracciava iniziò a farsi spazio in una lenta carezza sotto alla stoffa della camicia. Con l’altra mi accorsi che tentava di slacciare i bottoni, non abbandonando mai il contatto tra le sue labbra e il mio collo. Ogni volta mi perdevo in quelle sensazioni, ma questa volta ero decisa più che mai a reagire, perché volevo poter stare con lui anche nel più semplice dei modi, magari come due innamorati che passeggiano stretti in una città magica e meravigliosa come quella in cui ci trovavamo.
Volevo vivere Edward anche fuori dalle mura lavorative e dalle coperte! Volevo sentirmi viva con lui e parte di quell’enorme sentimento che ci legava e che sapevo si chiamava amore.
A malincuore poggiai le mani sul suo torace, poi con un sorriso dolce e carezzandogli il viso gli proposi comunque di uscire, sperando non si offendesse.
« Vorrei tanto passare la mia giornata con te, in tutti i modi possibili e poi la serata sarà nostra…..».
Vidi il suo sguardo rassicurato e sereno, segno che anche lui desiderava le stesse cose e il fatto che mi avesse sussurrato che di tempo per “quello” ne avremmo avuto, mi confermò le nostre intenzioni comuni.
Mi cacciò letteralmente dalla cucina e ne approfittai per recarmi velocemente al piano di sopra per una doccia. Sicuramente il suo ingresso nel bagno dieci minuti dopo e la sua proposta di “risparmiare” acqua, non facilitarono i nostri propositi e il mio autocontrollo, ma fu bellissimo rendermi conto che anche in una situazione di quel genere il mio imbarazzo si era notevolmente affievolito e il suo rispetto nei mie confronti era qualcosa di sicuramente encomiabile. Infatti, dopo aver tentato di farlo desistere per evitare di “cadere” in una nuova tentazione, avevo constatato che il suo interesse era proprio solo quello di stare accanto a me e coccolarmi.
Sotto il getto dell’acqua bollente mi aveva lavato e sciacquato i capelli, massaggiato le spalle e insaponata la schiena: e io non avevo certo disdegnato dolci carezze sul suo splendido corpo, in particolare sul torace e sulla schiena, che mi avevano dato da quando lo conoscevo un immenso senso di protezione. I nostri occhi erano rimasti quasi sempre incatenati come a dimostrare che il nostro contatto con aveva secondi fini: anche se il desiderio era comunque palpabile tra i nostri corpi, avremmo trovato un altro luogo e un altro momento per appagarlo.
Quando uscimmo dalla doccia e mi aiutò avvolgendomi in un morbido telo e lasciandomi un lieve bacio sulla fronte e sulle labbra, il mio cuore traboccava di sentimenti, così potenti che difficilmente potevano essere classificati semplicemente nella categoria “felicità”. E dopo esserci vestiti e preparati insieme, uscimmo mano nella mano da quell’appartamento, finalmente “noi”.
Rientrammo che era quasi sera.
La giornata era stata stupenda, nonostante la pioggia insistente che non ci aveva permesso di dedicarci ad attività “open time”.
I musei avevano comunque allietato la nostra passeggiata.
Avevamo visitato la Tate Gallery e la Nacional Gallery, perdendoci per quasi tutta la giornata tra dipinti e installazioni.
Edward mi era sempre stato accanto tenendomi per mano e non aveva disdegnato più volte un contatto più “intimo” tra noi attraverso baci che avrebbero incendiato chiunque.
Avevo sorriso ed ero rimasta lusingata dalla sua gelosia nei miei confronti che si era palesata a seguito dell’interesse di un ragazzotto che faceva da guida alla Tate e che si prodigava in tutti i modi per avvicinarmi con la scusa di darmi spiegazioni. Avevo notato in più occasioni il viso di Ed incupirsi a questo interesse da me prontamente ignorato: ciò nonostante, dopo una ventina di minuti non ce l’aveva fatta più e mi aveva stretta e baciata appassionatamente davanti a lui, nel momento in cui era intento a dare al gruppo una complessa spiegazione artistica, cogliendolo di sorpresa e distogliendo il suo interesse da me. Ero certa che anche lo sguardo inceneritore che gli aveva riservato appena si fu staccato aveva contribuito a far sì che il malcapitato rivolgesse le sue attenzioni a qualche altra turista più libera. In quell’occasione non avevo detto nulla, ma non avevo potuto trattenere un sorriso per poi guardarlo negli occhi con tutto l’amore che potevo, accarezzandogli dolcemente il viso.
In fondo capivo questa sua possessività. Era la stessa che provavo io nel momento in cui notavo l’effetto che faceva sulle donne che lo incrociavano, ed ero certa che non mi ci sarei mai abituata, mentre lui non avrebbe dovuto poi faticare molto: io non ero così interessante.
Rientrammo a casa che era ormai ora di cena: eravamo stanchi ma la giornata era stata molto divertente:
« Vuoi uscire a cena stasera?»
Mi chiese mentre mi toglievo il giaccone e le scarpe nel suo salone.
« Veramente stasera potremmo rimanere qui, in fondo siamo stati fuori tutta la giornata» annuì e si diresse al telefono per chiamare Kate e chiederle di cucinare per noi. Ma un’idea mi venne in mente per poter continuare a rimanere sola con lui senza presenza estranee.
« Mi piacerebbe cucinarti qualcosa» lo vidi fissarmi stupito.
« Sei mia ospite, è un weekend di vacanza, non dovresti fare lavori domestici»:
Mi avvicinai a lui fino a stabilire un contatto fisico fra le nostre mani, oltre che con gli occhi:
« Ma io lo faccio volentieri: quando siamo qui tu mi vizi sempre e cucini per me, vorrei ricambiare io per una volta, per favore» e nel dirgli questo gli accarezzai lievemente un braccio, risalendo fino alla spalla e arrivando alla mascella dove mi soffermai per poi lasciare un lieve bacio.
« Beh se fai così non ti permetterò di cucinare…e a dirla tutta non mangeremmo nemmeno» ribatté, facendomi intendere che le mie attenzioni non gli dispiacessero poi molto. Sorrisi e lo ringraziai dirigendomi alla cucina. Mi seguì fino all’ingresso fermandosi alla porta.
« Pensi di aver bisogno di me subito?» mi chiese mentre aprivo pensili e cassetti per individuare la collocazione degli oggetti e cercare gli ingredienti che mi avrebbero potuto “ispirare”.
« Direi proprio di no» risposi estraendo dal frigo del sugo e del formaggio.
« Allora vado a farmi una doccia e sono da te!»
« Fai pure con comodo» gli risposi, soffermandomi sulla sua figura che si allontanava dalla stanza e saliva le scale già senza maglia. Per un attimo mi balenò di aspettare qualche minuto e poi seguirlo e raggiungerlo nuda sotto la doccia, con un intento diverso da quello della mattina, ma poi ragionai e preferii mettermi ai fornelli, altrimenti avremmo dovuto veramente ordinare la cena. Decisi di preparare le lasagne visto che avevo trovato tutti gli ingredienti.
Mi misi all’opera: avevo sempre cucinato, da quando ero tornata a vivere con mio padre e mi piaceva farlo: e in quel momento pensare che lo stavo facendo per Edward rendeva il tutto ancora più “familiare”. Frugando nel frigo mi imbattei in una splendida torta che aveva fatto Kate per noi e pensai che sarebbe stata perfetta come dessert.
Quando la teglia fu pronta nel forno mi dedicai alla tavola. Anche se sapevo di non aver cucinato un piatto particolarmente romantico, volevo creare un’atmosfera speciale. Apparecchiai in salone dove avevamo cenato la prima volta che avevamo passato due giorni nel suo appartamento e disseminai candele in ogni parte della casa, anche sulle scale per poter spegnere le luci e lasciare solo l’atmosfera delle fiammelle.
Avevo quasi terminato quando lo vidi scendere le scale avvolto da un semplice maglioncino e un jeans nero. I capelli ancora leggermente umidi, lo sguardo intenso puntato su quello che stavo facendo, intento a sollevare le maniche fino al gomito: era uno spettacolo che non si poteva perdere! Mi accolse con il suo splendido sorriso, chiedendomi a che punto fosse la cena: probabilmente rimasi inebetita per qualche secondo, perché lo costrinsi a ripetere la domanda. Quando mi fui ripresa e gli risposi che mancavano alcuni minuti lo vidi avvicinarsi al pianoforte, aprirlo e posizionarsi sullo sgabello. In quel momento il mio cuore iniziò a battere forsennatamente: sentirlo suonare era sempre uno dei miei desideri più forti e ora, stava per farlo chiaramente per me. Quando fu pronto lo vidi fissarmi e allungarmi una mano:
« Vieni accanto a me, ti va?» non riuscii a rispondere nulla, le mie gambe si mossero con una vita propria e, incantata dalla sua figura, mi accomodai accanto a lui.
Quando mise le mani sui tasti il tempo si fermò: mi incantai a guardarlo e ad ascoltare la splendida melodia che produceva muovendo le sue lunghe mani sui tasti.
Passai il mio tempo tra quelle e il suo viso, serio, concentrato ma sereno: adoravo il suo modo di suonare, così intenso, passionale, ma delicato nello stesso tempo. Ci capivo un po’ di musica e le sensazioni che le note che produceva mi davano, erano uniche e arrivavano a tutte le mie terminazioni nervose. Più di una volta chiusi gli occhi per evitare di pensare a quanto quelle sue mani avessero “suonato” anche il mio corpo la notte precedente e alle scie bollenti che aveva lasciato sulla mia pelle, così come ora le lasciava sui tasti.
Quando terminò ero commossa: la pelle d’oca su tutto il corpo, il respiro affannato e gli occhi lucidi. Quando se ne accorse si girò verso di me un po’ preoccupato.
« Bella, amore, va tutto bene?» mi riscossi dal mio stato e lo fissai negli occhi.
« Sì tranquillo – dissi cercando di rimettere a fuoco la mente – è che non mi abituerò mai alla magia che sei in grado di creare quando suoni. Le sensazioni che scateni in me sono talmente forti…che non è facile contenerle….credo siano inferiori solo a quando facciamo l’amore….» dissi colta poi da un lieve imbarazzo. Abbassai lo sguardo, ma sentii subito le sue mani chiudersi a coppa sul mio viso e sollevarlo per far sì che i nostri occhi si incrociassero: « è la stessa cosa che provo anche io….se suono per te». Mi guardò intensamente per qualche secondo accarezzando con il pollice le mie labbra: il verde dei suoi occhi in quel momento era intenso nonostante la luce delle candele lo rendesse più scuro. Poi, senza mollare la presa si avvicinò ancora di più e mi baciò: chiusi gli occhi per godermi appieno le sensazioni che sapevo mi avrebbe dato e sollevai le braccia per accarezzargli la parte posteriore degli avambracci.
Il timer del forno ci interruppe e sorridemmo felici prima di alzarci per cenare.
L’ora successiva passò tranquillamente, mi fece mille complimenti per le lasagne e chiacchierammo del più e del meno. Non potei non prenderlo in giro riguardo alla sua scenata di gelosia alla Tate Gallery, facendogli notare che nel pub dove ci eravamo fermati a pranzo la cameriera non aveva fatto altro che tenergli gli occhi addosso.
« Beh quel ragazzino aveva bisogno di una bella lezione: non si puntano le donne degli altri!» il fatto che mi definisse così mi dava un vero senso di euforia, « e poi tu non sei stata da meno. Probabilmente ancora trenta secondi di quello sguardo e avresti incenerito quella povera cameriera». Proruppe in una risata e io non potei fare altro che seguirlo, giustificandomi per il fatto che lo aveva spogliato con gli occhi per tutto il tempo.
Quando si avvicinò ancora di più con la sedia a me e mi prese una mano mentre con l’altra mi accarezzava i capelli, il mio corpo si protese istintivamente verso di lui e mi appoggiai sul gomito che sfiorava il suo braccio, come per volerlo guardare e ascoltare più da vicino.
Mi fissò a lungo senza parare per poi stupirmi:
« Io non ho occhi che per te…..mi hai incantato dal primo momento che ci siamo incrociati e credo di non poter più fare a meno di te…ti amo, Isabella» una scarica mi percorse la schiena: non adoravo il mio nome intero, ma quando lo diceva lui, per di più con quel tono, mi trasmetteva elettricità.
« Ti amo anche io Edward…..non saprai mai quanto» furono le uniche cose che riuscii a dire prima che facesse unire le nostre labbra in un bacio appassionato, che risuonò nel silenzio della stanza insieme ai nostri ansiti.
Quando ci staccammo si propose di riordinare al posto mio, così da potermi rinfrescare dopo la lunga giornata: accettai subito, anche per smorzare il desiderio di lui che si era fatto sempre più palpabile negli ultimi minuti della nostra cena.
Mi allontanai non senza avergli lasciato prima un dolce bacio sulle labbra e mi recai al piano di sopra: passai dalla stanza degli ospiti per recuperare il necessario e mi fiondai nel bagno, dove aleggiava ancora il suo profumo. Notai con stupore che aveva già acceso precedentemente un’infinità di candele e non potei non approfittarne, optando per una vasca rilassante piuttosto che per la doccia.
Aprii l’acqua versandoci dentro bagnoschiuma e oli profumati e quando fu piena mi spogliai, raccolsi i capelli e mi beai del contatto bollente sulla mia pelle: misi le cuffie per godermi maggiormente il bagno e chiusi gli occhi per rilassare al massimo i muscoli e inebriarmi dei profumi emanati.
Non mi resi conto di quanto tempo fosse passato, ma socchiusi gli occhi solo quando sentii uno strano movimento nell’acqua. Li aprii completamente quando mi accorsi che Edward era con me. Stranamente non mi ero spaventata, ma mi affrettai a togliere l’MP3 e chiedergli che cosa ci facesse lì.
« Ho visto che tardavi: sono venuto a vedere che fosse tutto a posto e quanto ti ho vista qui, non ho saputo resistere e ho pensato che un bel bagno era quello che faceva per me» il suo tono era basso, estremamente sensuale e i suoi occhi esprimevano un certo grado di malizia nei suoi gesti, specie ora che si stava avvicinando a me lentamente, come un felino con la sua preda. Capivo le sue intenzioni e non mi sarei tirata indietro per nulla la mondo: ogni parte di me lo desiderava intensamente e la tensione positiva accumulata durante tutta quella splendida giornata e con la cena mi diceva chiaramente che non sarebbe potuta finire in modo diverso.
Scivolai verso di lui, facendo ben attenzione a rimanere immersa nell’acqua fino alle spalle e mi portai al suo fianco mantenendomi faccia a faccia: « Ma sbaglio o tu la doccia te l’eri appena fatta?» chiesi in tono malizioso.
« Sì, ma questo è tutta un'altra cosa..» mi disse facendo scivolare una sua mano sulla coscia che era in contatto con la sua.
Poi in un attimo si portò alle mie spalle e appoggiandosi al bordo mi attirò a se stringendomi dolcemente. Mi sentivo protetta, felice, ma mi rendevo conto che la carica elettrica fra noi era forte. Mi massaggiò le spalle e parlammo ancora un po’ del più e del meno, poi quando mi resi conto che non ce l’avrei fatta ancora per molto senza incontrare i suoi occhi, girai la testa e lo baciai incatenandolo a me con una mano alla nuca.
Come avevo immaginato ci mise un attimo a focalizzare la situazione e le possibili implicazioni del mio gesto e in un istante mi ritrovai di fronte a lui, uniti ancora una volta.
Probabilmente fare l’amore dentro una vasca da bagno immensa e a lume di candela non era stato nei miei programmi, ma fu “assoluto”. Le sue carezze erano amplificate dai movimenti dell’acqua sulla pelle, che sembrava cullarci e accompagnarci. Non so quanto tempo rimanemmo perché scollegai il cervello, reclinando più volte la testa indietro, chiudendo gli occhi, lasciandomi completamente trasportare dalle sensazioni che il mio corpo sul suo mi stava donando e dal modo in cui riusciva a tenermi stretta a sé, senza mai staccare le labbra dalla mia pelle o distogliere lo sguardo: mi ritrovai senza fiato, con il cuore a mille e un senso di appagamento, ma nel contempo di oppressione tanto che non potei trattenere le lacrime.
Premuroso come al solito mi chiese se stavo bene e capì dal mio assenso silenzioso che ero solo una vittima del mio folle amore e desiderio per lui e che quello che riusciva a trasmettermi era indescrivibile a parole e molto spesso difficile da gestire con le emozioni.
Sfinita e completamente appoggiata a lui, non mi accorsi nemmeno che l’acqua si era raffreddata, fino a che non lo sentii staccarsi e lo vidi allungare una mano per prendere un asciugamano e allacciarselo in vita: poi uscì dalla vasca e ne prese uno più grande invitandomi ad avvolgerlo intorno al corpo. Non smisi mai di guardarlo anche quando, mi fece uscire dalla vasca prendendomi in braccio e portandomi sul letto, dove non ancora appagati, continuammo ciò che, evidentemente per lui, avevamo solo interrotto poco prima.
Era ormai notte inoltrata quando riuscimmo finalmente a staccarci, a fatica, peggio di due calamite che si attraggono, e nel suo caldo abbraccio lo sentii sussurrare dolci parole che ogni donna bramerebbe sentirsi dire.
« Sei stanca? » mi chiese ad un certo punto. Eravamo sotto alle coperte stesi uno a fianco all’altro: non potevo non notare il fatto che il contatto visivo fra noi fosse ancora più impellente di quello fisico: quando parlavamo dovevamo guardarci negli occhi.
« Diciamo che è stata una giornata molto intensa……ma sto veramente bene» risposi sorridendo e strusciando il mio naso sul suo profilo. Ci stavamo accarezzando e coccolando e i miei sospiri dimostravano ampiamente quanto fossi serena.
« Posso chiederti una cosa…..molto personale…..ma riguarda noi e credo sia importante»
Alzai gli occhi, anche nella fioca luce che proveniva dalle poche candele rimaste accese e dalle finestre potevo percepire un lieve imbarazzo. Ma era così strano: non era da lui!
« Questo weekend è stato a dir poco meraviglioso, prima di tutto perché sono con te, ma mi chiedevo……ecco noi…cioè io non…. » abbassò lo sguardo.
« Edward che c’è?» lo guardai preoccupata e accarezzandogli una guancia cercai di catturare nuovamente l’attenzione dei suoi occhi, sfuggita a causa del momentaneo imbarazzo.
« Va tutto bene, puoi dirmi qualsiasi cosa» cercai di rassicurarlo.
« Bella io…..non sono stato attento….non so se hai compreso, e non so cosa…….» lo bloccai alquanto stupita. Era vero, non avevamo usato precauzioni, ma non eravamo più ragazzini e probabilmente non aveva pensato che io sapessi esattamente cosa stavo facendo.
Va bene lasciarmi trasportare, ma a trent’anni, un briciolo di razionalità doveva rimanere!
A quel punto mi fu chiaro che, in quel frangente, l’avevo mantenuta solo io e lui se ne era reso conto solo in quel momento. In realtà ero consapevole che quello che stavo per dirgli ci avrebbe riportato sulla “terra” e avrebbe immerso me, di nuovo, in ricordi spiacevoli, ma dovevo comunque dargli una spiegazione e cercai di tranquillizzarmi al pensiero che comunque lui mi era accanto e mi avrebbe donato tutto il suo amore.
« Edward tranquillo…..ormai ho imparato a conoscere il mio corpo alla perfezione e il problema di cui ti ho parlato mi dà la certezza, in determinati momenti di non poter in alcun modo “rischiare”» il mio sguardo si fece più serio e il suo più stupito e così decisi di approfondire la spiegazione.
« Quando il ciclo salta non ci sono possibilità di rimanere incinta: è come se fossi sterile – si sentii in quel momento la nota di tristezza della mia voce e lui lo capì perché mi strinse a sé e mi accarezzò il viso – è da prima di Natale che non mi vengono, quindi….non ci sono problemi…..e se dovessero ricomparire te lo direi così da stare più….attenti» il mio intento era stato quello di tranquillizzarlo, ma avevo sortito l’effetto di rattristare me stessa al solito pensiero che non avrei probabilmente potuto mai avere figli: e ora che stavo insieme ad una persona meravigliosa come lui, anche se da poco, questa cosa, ne ero certa, mi sarebbe pesata di più.
Probabilmente si rese subito conto del mio cambio di umore:
« Bella, amore, guardami – mi prese il volto con entrambe le mani e si alzò facendomi distendere sotto di lui – non volevo arrecarti dolore con questa domanda: è che in questi giorni non sono riuscito proprio a connettere, quando ero con te. Quello che mi fai quando siamo vicini mi porta in un’altra dimensione e solo ora ho realizzato questa cosa, ma non volevo che tu rivangassi il tuo dolore, ti prego perdonami» il suo tono di voce era leggermente preoccupato, ma cercai di tranquillizzarlo subito:
« Sto bene…. è solo che mi ci devo ancora abituare, ma se tu mi starai accanto lo supererò definitivamente….e fino a quel momento guardiamo il lato positivo……niente rischi!» gli confessai guardandolo negli occhi e stringendomi a lui.
Ricambiò la stretta e mi baciò prima sulla fonte poi sulle labbra:
« In realtà quando ti ho fatto notare questa cosa non era mia intenzione dimostrare preoccupazione: la mi paura era che tu fossi consapevole e che ti aspettasi qualcosa che magari non sarebbe arrivato… e non volevo ci rimanessi troppo male» in quel momento aggrottai le sopracciglia, non comprendendo appieno il suo discorso e lui se ne rese probabilmente conto, perché si posizionò meglio, incatenandomi con i suoi occhi e stupendomi con la sua affermazione.
« Lo so che stiamo insieme da poco, ma ci conosciamo già da un po’….e so quello che provo per te…non sono uno di quegli uomini che ha paura delle conseguenze dei suoi gesti e penso che insieme a te potrei affrontare veramente qualsiasi cosa la vita mi possa portare».
« Significa che se dovesse….» mi interruppe.
« Significa che non sopporto l’idea di essere legato a te per pochi mesi, so di non poter più vivere veramente senza il tuo amore e se dovesse esserci una speranza e capitare anche l’inaspettato….io ne sarei troppo felice» uno splendido sorriso si aprì sul suo volto.
Mi stava chiaramente dicendo che se fosse accaduto sarebbe stato felice di avere un figlio da me, anche se la nostra storia era appena all’inizio: Edward era veramente come avevo immaginato e sarebbe stato un padre perfetto.
Ma sapevo anche di non dovermi fare illusioni e di non doverne dare nemmeno a lui: l’importante era stare bene e in quel momento per me era così.
« Edward, quello che hai detto è bellissimo: poche persone dopo un tempo così breve sono in grado di confessare certi pensieri, ma so che tu sei speciale, l’ho percepito da subito e…so che è troppo presto…..non voglio spaventarti, ma sento che quello che c’è fra noi è unico…..e……. – presi un respiro profondo chiudendo gli occhi un attimo per focalizzare quello che stavo per dirgli – io credo di amarti in modo assurdo e credo che lo farò per il resto della mia vita».
L’avevo fatto, gli avevo esternato i miei sentimenti sul legame che mi sentivo di avere con lui: sperai per un attimo di non averlo spaventato, ma come al solito mi stupì:
« Lo vedi che io e te siamo telepatici?» sorrise « io ti amo più di qualsiasi altra cosa Isabella e so per certo che sei la donna della mia vita, ora dobbiamo solo vedere cosa ci riserverà il futuro, ma se dovrò essere io a decidere…..sarà per sempre».
Non potei trattenere le lacrime a quella sua affermazione, e bearmi della sua stretta calda che in quel momento era una prova tangibile del nostro essere insieme, innamorati e desiderosi di convivere con questi sentimenti, nati da poco, ma ormai così radicati nei nostri cuori.
Dopo esserci baciati a lungo ci addormentammo abbracciati per poi svegliarci l’indomani, pronti per ritornare alla realtà, al nostro lavoro, alla vita di tutti i giorni, ancora più uniti di prima.
Note: buonasera a tutti! lo so dovrei vergognarmi per essermi presentata con un ritardo simile. E potrei giustificarmi dando la colpa al lavoro o al portatile effettivamente deceduto da tre settimane. ma non lo farò! In realtà oltre ai soliti problemi tecnici o di tempo si somma l'effettiva difficoltà che sto incontrando nello svolgimento della storia: ho tutto in testa ma non è facile metterlo in parole, per non banalizzare e cercare comunque di trasmettere un pò di "emozioni" (se no che FF sarebbe!!).
spero che il capitolo vi piaccia: so che è un pò troppo sdolcinato,ma forse a questo punto della storia ci voleva anche questo: e poi sono un'inguaribile romantica.
i prossimi capitoli saranno i più tranquilli, incentrati sulla loro storia d'amore: poi la storia subirà una svolta (tenete giù i fucili, vi avevo già messo sulla strada e vi garantisco il finale “felici e contenti”), ma a quel punto non posterò più un capitolo alla volta: mi prenderò tempo (spero non troppo) per scrivere più capitoli possibili per poterli poi pubblicare tutti di seguito.
Comunque vi avvertirò quando sarà il momento in modo che non mi aspettiate invano o decidiate di abbandonarmi perché non mi faccio più “viva”.
Come molti noteranno ci sono pezzi o dialoghi liberamente tratti dai libri o dai film della saga: in realtà nei prossimi sviluppi è mia intenzione riprendere situazioni che si riavvicinano alla storia originale, per mantenere un legame pur rimanendo su un universo alternativo.
Ok credo di aver detto fin troppo e spero di ricevere qualche recensione in più.
Ps mi scuso per eventuali errori, anche di impaginazione, ma mi è saltato anche l’NVU e quindi è difficilissimo impostare il capitolo come gli altri.
Grazie a tutte voi, che con pazienza mi aspettate e mi seguite.
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Capitolo 55 *** “Quotidianità e progetti” ***
Capitolo 55
Quotidianità e
progetti
Quando mi svegliai
il mattino dopo, mi occupai della colazione nel tentativo di
ricambiare, almeno
in parte le premure che Edward mi aveva riservato in quello splendido
week-end.
Dopo aver disposto su un vassoio ciò che avevo trovato in
cucina, inclusa la
splendida torta preparataci da Kate e dimenticata la sera
perché troppo presi
da noi stessi, mi recai al piano di sopra, appoggiai il vassoio sul
letto,
dalla mia parte, e poi salendo lentamente con un ginocchio, mi
avvicinai a
Edward che dormiva ancora beatamente.
I miei pensieri
ricaddero velocemente su quei giorni passati insieme e su quanto
sarebbe stato
difficile andare avanti non avendolo sempre nel mio letto.
Spostai il braccio
che non mi serviva per sorreggermi e gli accarezzai delicatamente la
fronte:
nel giro di pochi secondi la sua espressione mutò, gli occhi
iniziarono a
muoversi sotto le palpebre ancora chiuse, la bocca si aprì
leggermente e un
sospiro uscì dal suo petto. Si svegliò poco dopo
fissandomi negli occhi dopo
avermi dato il buongiorno e ringraziato, ovviamente a modo suo, per
avergli
portato la colazione.
Mangiammo lì,
seduti uno a fianco all’altra, ridendo, scherzando e
chiacchierando, senza mai
distogliere i nostri sguardi: le sensazioni che la sua vicinanza mi
donavano
erano uniche, ogni nostro sfioramento, sguardo o parola mi riempivano
la schiena
di brividi e mi trasportavano nel ricordo delle emozioni che era stato
capace
di donarmi in quel tempo passato insieme.
Ero certa, che non
mi sarei mai stancata di lui, ero quasi sicura che la mia fosse una
nuova
dipendenza nei suoi confronti, ma a discapito delle mie preoccupazioni,
non mi
sentivo in ansia per questo: Edward era vita per me, era sostegno, ma
anche
forza, mi ero resa conto di essergli appartenuta fin dal primo giorno
anche
solo con uno scambio di sguardi.
Sembravano quasi
pensieri assurdi di una quindicenne in piena crisi ormonale, ma non era
così:
era la determinazione di una donna che sapeva ora quale era il suo
sentimento
più profondo per l’uomo che aveva di fronte e per
il quale non avrebbe
rinunciato per nulla al mondo.
Terminata la nostra
colazione e le nostre non brevi effusioni, ci rendemmo ormai conto che
il
nostro rientro sarebbe stato inevitabile e ci accingemmo
così a prepararci.
« Giurami che
torneremo presto» sussurrai sulle sue labbra davanti
all’auto, dopo aver
depositato i nostri bagagli nel baule. Sapevo che il mio sguardo gli
avrebbe
descritto i sentimenti che provavo in quel momento: amore, desiderio,
corredati
da una vera e propria venerazione per la splendida creatura che il
destino
aveva messo sulla mia strada e che ora rispondeva al mio sguardo con il
suo
tocco delicato sui miei fianchi e la sua bocca dolcemente posata sulla
mia.
« Certo che
torneremo, ogni volta che vorrai » il suo sorriso sulle
labbra e negli occhi.
Presi un profondo
respiro e mi appoggiai con la fronte al suo torace. Non feci in tempo a
chiudere gli occhi desiderosa di perdermi nei miei pensieri e nel
profumo che
emanava la sua pelle, che due mani calde mi sollevarono il volto:
« Bella tutto
bene?»
Lo guardai con un
lieve sorriso : « Va tutto bene. Stavo solo pensando a come
farò, una volta
rientrati, a non starti sempre incollata»
« E chi ti dice che
non potrai farlo?» lo fissai negli occhi sorridendo
ulteriormente e scuotendo
il capo.
« Non puoi
trasferirti da me, né io da te…..ricordi? Siamo
responsabili dei dormitori
maschili e femminili?» mi baciò dolcemente
fissandomi.
« Troveremo una
soluzione, per quest’anno faremo un po’ di su e
giù tra i nostri appartamenti,
ma per il prossimo anno ci organizzeremo diversamente» mi
strizzò un occhio mantenendo
sempre uno splendido sorriso su quelle labbra tentatrici. Per un attimo
spalancai gli occhi e rimasi a bocca quasi aperta a quelle sue parole
“l’anno prossimo ci
organizzeremo
diversamente”. Non potevo credere che dopo
così poco tempo che stavamo insieme
facesse dei progetti a lungo termine così convinto. In
realtà da lui me lo
sarei dovuto aspettare, ma quelle sue parole mi fecero chiaramente
capire che
credeva nel nostro rapporto e avrebbe desiderato farlo durare. La cosa
mi
piacque molto perché in fondo era lo specchio di quello che
provavo io. Certo
non sarebbe stato facile dover fare i nomadi tra due appartamenti e in
un certo
senso anche imbarazzante far capire a tutto il campus la nostra
situazione: per
non parlare della Whitmore!!! Sarebbe stata al settimo cielo nel vedere
in
bella mostra la nostra relazione.
« A cosa pensi?» la
sua voce mi ridestò dai pensieri.
Lo abbracciai
portando le mani dietro al collo e alzandomi in punta di piedi per
arrivare più
facilmente al suo viso : « a quanto mi piacciano i tuoi
progetti e a quanto ne
sarà felice la preside ».
La mia affermazione
scatenò in lui una lieve risata e dopo avermi sfiorato le
labbra mi aprì lo
sportello e mi fece accomodare per rientrare al campus.
Il rientro e
l’inizio della settimana furono difficili e nel contempo
impegnativi, ma la
costante vicinanza di Edward mi dava la grinta giusta ad affrontare
tutti gli incarichi.
In realtà lui continuava a dire che io quella che dava a lui
la forza di
alzarsi al mattino, anche quando stretti l’uno al calore
dell’altra faticavamo
ad accettare l’idea di tuffarci nell’ancora freddo
giorno inglese.
Da quando eravamo
rientrati erano passati solo pochi giorni.
Al nostro ingresso
quella domenica pomeriggio solo alcuni studenti e dipendenti avevano
assistito
e ringraziai che tra questi non ci fossero né Black
né la preside, principalmente
per il fatto che Edward in più di un’occasione tra
i garage e i dormitori, mi
aveva abbracciato, guardato languidamente e baciato, come se quel
weekend non
gli fosse bastato: e in realtà come potevo dargli torto.
Avevo dovuto fare
quasi violenza a me stessa per non “appoliparmi” a
lui ogni mattina quando mi
accompagnava in aula, per evitare di dare troppo spettacolo. Il fatto
poi che
per tutta la settimana si fosse fermato ogni notte da me e mi avesse
stretto a
sé senza perdere occasione per venerarmi mentre facevamo
l’amore, mi aveva reso
sempre più dipendente dal suo corpo e dalla sua compagnia.
Il giorno di San Valentino
avevo deciso di organizzare una serata romantica tra noi. Era da
parecchio
tempo che non lo festeggiavo, ma in quel periodo mi sentivo
particolarmente
romantica e il fatto che tutto il mio dormitorio fosse pieno di
palloncini e
fiori aiutava. Sembrava che tutte le ragazze più corteggiate
fossero proprio da
me.
Avevo chiesto a Edward
carta bianca per preparare una cena nel suo appartamento. Aveva
accettato con
non poche proteste, sperando che preferissi invece il suo di invito,
che
prevedeva ovviamente un ristorante di lusso.
« Vorrei fare
qualcosa che ci permetta di restare soli tutta la sera» mi
ero giustificata con
un sorriso malizioso e avvicinandomi a lui poggiando una mano sul suo
torace.
Lo avevo visto
sospirare e chiudere gli occhi beandosi del mio tocco : «
Bella vorrei farti
presente che siamo nella tua aula e che tra poco entreranno i tuoi
studenti. Se
continui così…..» non potei fare a meno
di sorridere. Eravamo quasi sempre
insieme, ma nonostante questo l’elettricità che
sprigionavano i nostri corpi quando
erano vicini era palpabile. Mi allontanai leggermente, meglio non
rischiare
scenate compromettenti!
Gli chiesi di stare
lontano per tutto il giorno, perché avrei voluto preparare
tutto alla
perfezione e appena avuto l’ok e terminato il mio orario mi
fiondai a prendere l’occorrente
a casa mia e mi occupai di tutto il resto. Quando le cose furono quasi
pronte
mi affrettai a preparare anche me stessa. Approfittai del suo bagno e
mi vestii
e pettinai con quello che avevo preso su da casa mia. Non volevo
eccedere, l’importante
sarebbe stata l’atmosfera, la cena e lo stare insieme.
Alle ventuno sentii
la chiave girare nella serratura e lo vidi entrare con uno splendido
mazzo di
rose e gerbere. Si era cambiato nel mio appartamento, ovviamente, e
quando
varcò la soglia nel suo aspetto casual ma sempre
d’effetto, gli sorrisi e mi
fiondai su di lui, baciandolo appassionatamente.
« Se fai così non
arriveremo nemmeno alla fine della cena » mi
sussurrò sulle labbra in modo
sensuale. Un brivido mi corse lungo la schiena e non potei fare a meno
di
perdermi qualche attimo nei suoi occhi.
Lo feci accomodare
e rimase sorpreso di quanto avessi fatto in poco tempo: candele, luci e
il profumo
di una cena semplice, ma piacevole.
La serata passò in
modo splendido, conversando ridendo e coccolandoci in modo estremamente
romantico.
Volevo godere in pieno delle sensazioni che la vicinanza con lui mi
donavano. Sapevo
che il nostro trasporto era dettato dal fatto che stavamo insieme da
poco, la
passione era ancora al culmine, ma non davo per scontato che finisse.
La nostra
intesa non solo a livello fisico, ma anche
“spirituale” era qualcosa che mi
dava la quasi certezza che avrei amato quest’uomo per sempre,
qualsiasi cosa ci
avesse riservato la vita.
Mi alzai per
sparecchiare. Appena alzata dalla sedia Edward mi fermò,
poggiando la sua mano
sulla mia e mi
fissò negli occhi. Sapevo
che se non avessi distolto lo sguardo gli sarei volata letteralmente in
braccio, ma c’era ancora il dessert!
Mi alzai in
silenzio per dirigermi alla cucina. Sentivo i suoi occhi che mi
fissavano la
schiena dalla penisola dove avevamo cenato. Sentivo una sensazione di
vertigine, come se quello sguardo mi stesse perforando
l’anima. Il mio respiro
si fece leggermente più frequente: ero travolta da quel
contatto avvenuto pochi
attimi prima e dal suo sguardo su di me, coadiuvato da un silenzio che
in quel
frangente voleva dire solo “desiderio”.
Arrivai al bancone
della cucina e lo sentii parlare :« sei
splendida…..come sempre». Mi girai e
questa volta incatenai consapevolmente i miei occhi con i suoi.
Non ci fu bisogno
di parole: in un attimo si alzò e contemporaneamente mi
fiondai tra le sue braccia
e sulle sue labbra. Mi sollevò e mi portò in
camera…lasciando la torta lì dov’era.
Aprii gli occhi. Era
notte fonda. Una mano calda stava accarezzando la mia schiena coperta
solo
dalle lenzuola. Mi mossi lievemente verso la fonte di quel contatto e
aprii gli
occhi. Edward era steso accanto a me, si sosteneva la testa con una
mano,
mentre l’altra lasciava quelle piacevoli carezze sulla mia
pelle.
« Non dormi amore mio?»
dissi in modo del tutto rilassato.
« Ho aperto gli
occhi poco fa e di fronte alla visione del tuo corpo seminudo non sono
riuscito
a resistere» mentre diceva queste parole si era avvicinato al
mio volto e mi
aveva lasciato un tenero bacio sulle labbra senza lasciare mail il
contatto con
la mia pelle. Senza allontanarsi soffiò delicatamente sul
mio viso: « adoro
quando mi chiami amore mio con quel tono…sei così
sexy….e credo
che per la mia salute mentale e il tuo
riposo, sia il caso di iniziare a portare qualche indumento qui, per
quando
passi la notte con me» quelle parole erano entrare nelle mi
orecchie, ma erano
arrivate direttamente al cuore e allo stomaco.
« La verità è che
sono io che non so resisterti…ti amo da morire» e
mi girai per abbracciarlo e
baciarlo, incurante del lenzuolo scostato che avrebbe messo in mostra
il mio
corpo nudo. Edward mi circondò la schiena e
ricambiò il mio bacio in modo
appassionato. I nostri respiri già soffocati, quando si
staccò dalle mie
labbra, sempre troppo presto per i miei gusti.
« Comunque non sto
scherzando e, tentazioni a parte, potresti portare qualcosa qui da me,
così da
non doverti alzare troppo presto al mattino per passare dal tuo
appartamento a
prepararti. E la stessa cosa potrei farla io…se non ti
dispiace»
Mi scostai da lui e
sorrisi : « veramente credi che una cosa come questa potrebbe
dispiacermi? Se fosse
per me ti vorrei nel mio letto tutte le sere?» era
un’affermazione molto
plateale, ma non si discostava dalla realtà dei miei
sentimenti e da ciò che
avveniva quasi quotidianamente.
« Sai che non ti ho
nemmeno dato il tuo regalo di san valentino?» lo guardai
stupita: io non gli
avevo preso niente!
« Edward non dovevi…io
non ho preso nulla….non pensavo che…..»
un dito si posò sulle mie labbra.
« Stai tranquilla,
è una cosa che voglio fare con te, quindi il regalo
è anche un po’ mio». Lo vidi
alzarsi e dirigersi verso la cucina, tornando dopo poco con un
pacchetto
sottile e un meraviglioso sorriso.
« Buon san
valentino Bella» aprì quello che era chiaramente
una busta e vidi dentro due
biglietti aerei: destinazione Parigi!
« Edward ma sei
matto e quando???»
«E’ da un po’ che
ci penso, la nostra vacanza natalizia non è andata
è andata proprio come
speravamo – abbassò lo sguardo e io mi sentii un
verme per come erano andate le
cose solo un mese prima – quindi pensavo che potremmo
rifarci: in più Alice
sarà felice di vederti e di ospitarci. Le vacanze di
primavera mi sembrano
perfette».
Ero felice di quell’idea,
avrei rivisto volentieri la sorella di Edward e in più stare
con lui in quella
splendida città….ero quasi commossa.
« E’ un’idea
splendida, ma io non ti ho regalato nulla, mi dispiace» dissi
stringendomi
nuovamente a lui che si era ridisteso accanto a me.
« Tu mi hai donato
il tuo cuore e tutta te stessa e non esiste regalo migliore»
ed era vero. Stavamo
insieme da poco ma io mi sentivo di appartenergli e questa cosa mi
piaceva
oltremodo.
« Sai, mi piacerebbe
presentarti mia madre!» l’avevo buttata
là. Già da qualche tempo parlavo
regolarmente con Reneè raccontandogli della nostra storia e
lei aveva dimostrato
un grande entusiasmo ed aveva espresso il desiderio di vedermi di
persona. Per un
attimo temetti di averlo messo in imbarazzo, ma come al solito mi
stupì: «
sarebbe un’idea magnifica, anch’io non vedo
l’ora di conoscerla. Programmeremo un
week-end verso la fine dell’anno se ti va»
« Mi va eccome »
risposi di getto, vuoi per il piacere di rivedere mia madre, vuoi per
la gioia che
sentivo nel vedere come aveva accolto la mia proposta. Era
semplicemente
meraviglioso.
« Sai che sei
veramente splendido! Mi piace fare questi progetti con te. Ti amo da
morire»
dissi di getto. Lui non rispose, ma si limitò a sorridere e
a incollarsi alle
mie labbra e al mio corpo, incurante del fatto che l’indomani
mattina ci saremmo
dovuti alzare presto per andare al lavoro: ma io non ero proprio in
grado di
resistergli.
Ora che ero sicura
dei miei sentimenti e dei suoi non avevo più timore di
dimostrargli tutto
quello che avevo stupidamente represso per mesi. Edward era una
creatura
splendida sia fisicamente che emotivamente, che ricambiava un
sentimento che
andava ben oltre l’infatuazione. Non eravamo più
ragazzini e non cercavamo
storie di sesso. Avevamo semplicemente trovato l’amore.
note: ok so che può sembrare, ma non sono morta. non sto qui
a giustificare un ritado che non ha giustificazioni. Il tempo scorre
via, le cose sono sempre troppe e in più l'ispirazione si
è un pò spenta. però ho ripostato. il
capitolo non è granchè, forse un pò
corto e non ci racconta niente di nuovo, ma avevo bisogno di riprendere
confidenza con i personaggi e la storia e, diciamo che aveo fretta di
farmi viva per rispetto di tutti quelli che mi seguono. siamo in un
momento abbastanza tranquillo della storia, in cui si vedranno
consolidare i loro sentimenti e che quindi vedrà anche salti
temporali più lunghi. il tutto per arrivare al clou, quello
che poi darà il proseguio e la conclusione. non so quanto
scriverò ancora. i prossimi capitoli non mi sono ancora
chiari nella testa. se riuscirò cercherò di
scriverne più di uno e pubblicarlia breve distanza l'uno
dall'altro, ma questo vorrà dire tardare a farmi vedere per
un altro pò. a parte le prossime due settimane in cui non mi
sarà possibile usare il computer, conto di riavvicinarmi
alla storia e riprendere in modo abbastanza sistematico (anche se mai
come i primi tempi) perchè ritengo sia comunque giusto
giungere ad una fine in tempi ragionevoli. spero di riuscire e spero di
leggere qualche recensione in più rispetto alle ultime volte
in modo da caricarmi un pò.
grazie, a presto
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Capitolo 56 *** Avviso ***
Purtroppo questo non è un nuovo capitolo, non che credessi
che dopo tanto tempo ormai ve lo aspettaste. Sono accadute molte cose
in questi mesi, nella mia vita e intorno a me che mi hanno portato via
sia il tempo che l'interesse per la scrittura (che più che
altro è esposizione dei miei pensieri).
Tempo fa avevo risposto ad alcuni messaggi, dicendo che avrei presto
ripreso, ma i mesi sono scappati via e così non è
stato. Forse ho anche perso interesse per i personaggi e non sono certo
qui per giustificarmi cercando altrove motivi che sono solo miei. Posso
solo essere sincera e dire che in questo momento non so dirvi quando
riprenderò la storia. Non mi va nemmeno di finirla
frettolosamente buttando quello che fino ad ora ho scritto (visto che
in realtà gli sviluppi sono ancora molti).
Forse come capita a molte che si divertono con le FF devo solo
ricominciare a "sognare" su questi due personaggi. Spero di riuscirci
anche per rispetto verso chi da tempo si aspetta un aggiornamento. In
realtà ho scritto un capitolo nuovo ma non ne sono
soddisfatta e prima di pubblicare vorrei essere certa di averne altri
all'attivo per non dover più far passare così
tanto dalla pubblicazione. Quando e se ricomicerò
vorrò farlo tutto d'un fiato fino alla fine.
Non cancellerò la storia perchè la sento troppo
mia per farla sparire e non scriverò nemmeno sospesa
perchè voglio dare prima di tutto a me stessa l'input per
ricominciare. Ma non so quando potrete ancora leggere. Vi chiedo di
scusarmi e spero che se o quando ricomincerò
potrò contare ancora su qualcuno desideroso di leggere.
Grazie a tutti
K
ps quando e se ricomincerò a postare cancellerò
questo avviso
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