100 modi per farsi beccare

di Desperate Housewriter
(/viewuser.php?uid=241148)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Stupide negrette ***
Capitolo 3: *** Cassetta arrugginita ***
Capitolo 4: *** Rispetto ***
Capitolo 5: *** Tacchi & Partite ***
Capitolo 6: *** Ostacoli ***
Capitolo 7: *** Mentire Per Credere ***
Capitolo 8: *** La Principessa sulla Vasca da Bagno ***
Capitolo 9: *** I veri e propri Rompi Capo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il seduttore che si vanta di iniziare le donne ai misteri dell’amore, è come il turista che arriva alla stazione e si offre di mostrare alla guida locale le bellezze della città.
Karl Kraus


PROLOGO
Era il 12 Giugno del 1990 quando Rolf decise di andare in un villaggio di Uganda, principalmente per due motivi. Il primo era per lavoro, stabilendo un contratto con il capo della tribù per costruire un edificio nel loro territorio, così da poter sfruttare il loro caldo sole e produrre energia. La seconda ragione, la più importante secondo lui, era quella di abbronzarsi un po’. Aveva bisogno di lasciare un posto umido e piovoso come Londra per andare in un posto caldo come l’Uganda. Infatti, la sua, era una pelle bianca, come quella di un'oca, così almeno lo descriveva mia madre. Dopo essere atterrato, delle macchine nere su terra battuta portarono lui e la sua compagnia verso il centro del villaggio, dove avrebbero soggiornato in attesa di essere ricevuti dal capo della tribù.
Il caso vuole che la casa dove venivano ospitati fosse quella a fianco all’abitazione dove vivevano mia madre Helen, e sua sorella, Sira. Di quest’ultima non ho mai saputo molto. Infatti, se ne è andata quando io avevo pochi mesi. Comunque, mia madre rimase incantata quando, da dietro la finestra senza vetri, vide Rolf e i suoi uomini camminare giù per la stradina a lei tanto familiare. Rolf, dei tredici, era il più elegante. Non gli si vedeva il viso: portava degli occhiali alla moda dalle lenti scure, che incantarono Helen. Camminava con un passo accelerato, come se volesse al più presto rifugiarsi in qualsiasi alloggio purché degno del suo alto rango. Si poteva immaginare che dietro di sé lasciasse una scia di profumo di acqua di colonia e un’aria di disagio a chiunque egli avesse guardato in viso. Portava una specie di cappio al collo, chiamato cravatta. Mia madre rimase stupefatta: non aveva mai visto un oggetto di tale insignificanza. Helen aveva uno di quegli sguardi “ebeti”, bocca socchiusa, mento reclinato verso il basso e sguardo vitreo. Quando mia madre si riprese dallo shock di tale bellezza e perfezione, Rolf passò accanto alla casa da dove lei guardava la scena, e, o per fantasia o veramente, le parve che l’uomo le avesse regalato uno sguardo.
Tutte le mattine, Helen passava davanti alla casa della vicina, dove Rolf alloggiava, per prendere l’acqua al pozzo. E tutte le mattine era sempre la stessa scena. Rolf era seduto in giardino su una sedia a dondolo con un libro nella mano destra e la testa retta dalla sinistra, da quanto mi ha raccontato mia madre negli anni. Dopo qualche timidezza iniziale, fecero conoscenza, passando le mattinate a parlare del più e del meno con l’inglese perfetto di Helen, ma con un accento fortemente africano. Un po' di giorni dopo, tra loro scoppiò l'amore. Allora Rolf decise di prolungare la sua "vacanza", per passare un po' di tempo con la sua fidanzata.
Proprio l'ultimo giorno, mentre stava per partire, mia madre gli annunciò sottovoce e con una certa impazienza che era incinta. Rolf ci mise un po' a mettere insieme tutte le sue parole, ma poi capì e la sua testa si alzò velocemente, come un cucciolo indifeso. Non risultò affatto contento, anzi, disse che riusciva sempre a mettersi nei guai. Mia madre non sapeva che cosa dire, si sentiva colpevole. Per la prima volta da quando si erano conosciuti le mancavano le parole. Allora Rolf le propose di tornare a Londra via con lui o qualche altra sciocchezza simile ma mia madre rifiutò. In Uganda aveva tutta la sua famiglia, tutti i suoi amici. D'altronde, aveva sempre vissuto in un semplice villaggio, non si sarebbe potuta mai adattare a stare a Londra. Questo almeno Rolf riuscì a capirlo, le promise che sarebbe venuto a trovarla spesso e poi partì. Mia madre pianse, quando lui lasciò la sua mano. Andando via, quel pomeriggio del 30 giugno, portò con sé quella parte del cuore di mia madre di cui lui aveva fatto parte così intensamente.
Il 24 marzo dell'anno successivo nacque un vero pasticcio, io. Sono capitata con la pelle di un bianco abbronzato, sfortunatamente. Si, perché nel mio villaggio mi facevano sentire un'intrusa, da sempre, pensavano che fossi inglese. Quello che non hanno mai capito, invece, è che io ho sempre vissuto lì e la mia cultura era proprio quella, non ero diversa. Tra l'altro, mio padre non l'avevo mai visto di persona. Aveva chiamato per i miei due primi compleanni e poi non si era fatto più sentire.
Quella che ci era rimasta male non ero io, ma mia madre. Sentiva tanto la sua mancanza. Per questo voleva partire per Londra. Avevo ribattuto, ma mia madre mi aveva risposto che lì avrei avuto un futuro migliore e che in questa tribù non avrei potuto fare niente, io però volevo restare, sapevo che Rolf era poco affidabile, me lo sentivo. Bastò una telefonata per convincere mio padre e a farci dare l'indirizzo, anche se era sembrato parecchio confuso, dopo sedici lunghi anni.
Io sono Sisi e questa è la mia storia, non una di quelle semplici, no. Nascondo un segreto che non ho mai detto a nessuno, ma finché non lo svelerò sarò rinchiusa qui dentro. Tutti nella vita abbiamo un piano A, come uno B, uno C e come ultimo uno D. Ecco, io sono stata costretta a portare a termine l'ultimo. Ho esagerato. Capisco che è giunto il momento di confessare. Ecco perché ti sto raccontando tutto questo.

Nessuna donna viene abbandonata senza ragione. È un assioma scritto in fondo al cuore di ogni donna; di qui il furore delle abbandonate.
Honoré de Balzac, Piccole miserie della vita coniugale, 1846


Hey! Allora, beh, questo diciamo che é il prologo, si un po' cortino ma vi prometto che i prossimo capitoli saranno più lunghi, non come nell'altra storia. Come vedete ho modificato. Mi farebbe sapere la vostra opinione.
Salutatemi Qualcuno
Desperate Housewriter

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Stupide negrette ***


Un banchiere è uno che vi presta l'ombrello quando c'è il sole e lo rivuole indietro appena incomincia a piovere.
Mark Twain


Ci trovavamo ad osservare Londra, meravigliate, come se fosse una città ancora da scoprire. In aereo era stato più che un disastro perchè la madre aveva continuato a vomitare. Non per il pensiero che l'aereo cadesse, no, ma per il costo del volo, che le aveva fatto sganciare tutto quello che si era portata per restare per qualche anno a Londra. Non ero mai stata in cielo, tra le nuvole. È stato scioccante per me, fantastico, si, ma sono sbalordita tutt'ora da quello che ho visto. È stato strano per me vedere tutto dall'alto, mi ha fatto sentire importante.
Ci avevamo messo almeno qualche ora a trovare la strada. Certi eventi mi ricordavano l'Uganda. Stare in fila all'areoporto, per esempio, era come andare a prendere il cucchiaio di fagioli che ci era dato per pranzo e sera da piccola. Poi Rolf ci ha fatti diventare più ricchi grazie alla sua azienda, dando a mia madre il posto di Receptionist.
- Ecco qui, siamo arrivati... - mi disse mia madre in un tono speranzoso e disgustato -Non me la immaginavo così.
Era un appartamento in una strada che appariva molto lugubre e disabitato. In ogni casa non c'erano terrazze, ma solo misere finestre che se fossero state aperte, di sicuro una macchina le avrebbe spaccate passandoci.
- Ah, wow. MAGNIFICO. Sono venuta qui per... - Le dissi alzando le spalle, volevo tornarmene a casa. Quasi quasi eravamo messi meglio noi.
- Questa roba. Torniamocene a casa.-
- Stai zitta. Siamo venuti per stare con tuo padre, non con la sua casa.- mi disse avvicinando il mio viso contro il suo.
A quel punto Helen tenette premuto a quel cerchio rotondo che c'era anche dove lavorava. Mi girai dall'altra parte, per dimostrarle che non ero d'accordo con quello che diceva. Intanto si sentiva il sottofondo della doccia, se si chiamava così. Rod si stava avvicinando alla porta, Helen ne approfitto per girarmi e mettermi una mano sul fianco. La porta si aprì.
-Amore!- esclamò Helen, dandogli un abbraccio -Quanto tempo! Però, ti vedo cambiato..- Era rimasta estremamente delusa, si vede. In effetti, quell'uomo sembrava tornato dalla seconda guerra mondiale. Intanto si era presentato lì in accappatoio, aperto più che altro, facendo vedere le mutande bianche e il suo fisico peloso. Poi, i capelli erano diventati bianchi, insieme alla barba. Per non parlare del fatto che non aveva neanche aperto bocca e stava lì immobile come una statua. Anche io non me lo immaginavo così, di certo. Non mi ero agitata nel vedere mio padre, quell'uomo mi era veramente indifferente.
- Che sciocca!- Helen mi tirò Sisi a sè -Non ti ho ancora presentato mia figlia, ops, nostra figlia!-
Lui le guardava stranito, ispezionando la situazione. Mi ero aspettata almeno che mi avesse abbracciato o che mi avesse stretto la mano. Mi ero immaginata questa scena almeno un milione di volte, ma mai così.
-Ci conosciamo?- disse quasi urlando dopo almeno un minuto.
- Che spiritoso! Sai, tuo padre ha sempre la battuta pronta- disse facendo finta di ridere, ma riuscivo a sentire che era una delle sue risate preoccupate, inquiete. Chissà, forse in quel momento avrebbe voluto tornare a casa anche lei.
- Io non so chi siate.- disse secco in modo diretto.
- Dai, Rolf!- il suono della voce di mia madre sembrava più una predica, come se lo stesse scongiurando.
- Io non sono Rolf!- disse urlando tutt'ad un fiato. La sua voce potente aveva smesso di far ridere Helen e mi aveva fatto fare un sospiro di sollievo. Sapevo già che tipo era mio padre senza conoscerlo. Uno di quelli che ti fa soffrire, che ti delude, che ti spezza il cuore. Almeno però, aveva la qualità di essere furbo e in gamba, con alquante capacità e molta classe. E quell'uomo non era certo così. Nonostante tutte queste prove, Helen non ci credeva ancora, non era una persona sveglia, le ci voleva tempo arrivare al punto.
- Io sono..- continuò - Beh, che vi frega a voi? Non sono certo il tipo che va a spifferare i dati personali in giro. Non sono neanche suo padre. Avete sbagliato persona, haha, stupide negrette, fatemi un favore, tornate da dove siete venute!- disse sbattendo la porta, lasciando mia madre offesa e sdegnata, mentre io la guardavo male, per farla sentire peggio. Lo sapevo che stavo sbagliando, ma ero davvero arrabbiata con lei e non potevo fare a meno che vendicarmi.


Non v'è cosa più facile che trarre in inganno un uomo dabbene: chi non mente mai è disposto a credere qualunque cosa, e chi non ha mai ingannato è sempre pieno di fiducia.
Baltasar Gracián y Morales, Oracolo manuale e arte della prudenza, 1647


Evvuolà gente, ho visto le 4 recensioni e mi sono precipitata a scrivere. Wow, che bello! Mi scuso se non vi ho descritto come loro appare Londra ma lo farò nei prossimi capitoli. Dai, vi faccio alcune domande: 1) Secondo te quell'uomo ha detto la verità o una bugia? E' lui Rod? 2) Decideranno di tornarsene a casa? 3) Finora, la storia ti piace? 4) C'è qualcuno o qualcosa della storia che vorresti ci fosse/non ci fosse? 5) C'è qualcosa che non ti torna, della storia? Mi piacerebbe molto che rispondeste alle ultime tre domande perchè mi aiuteranno tanto a scrivere, secondo i vostri gusti e opinioni.Beh, lo so, mi spiace, ma ho tanto bisogno di sapere le vostre opinioni! Salutatemi Qualcuno, Desperate Housewriter

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cassetta arrugginita ***


In diplomazia, mentire è utile; in amore, necessario.
Roberto Gervaso, Il grillo parlante, 1983


- Non.. non può essere. Avrà sbagliato indirizzo e avrà .... perso il cellulare- Helen camminava avanti e indietro preoccupata, mordendosi le unghie. Quella donna è fatta così, anche quando le risposte risultano ovvie lei cerca di coprire il dramma con la sua speranza.
- Mamma- sospirai - Lo hai già chiamato venti volte, non c'è niente da fare. Lasciati dire la corretta versione della storia-
-Ma non...- Mia madre in qualche modo doveva trovarsi una soluzione, ma non ci riusciva proprio.
- Te lo dico io come è andata. Tu sei stata una delle sue tante ragazze e non ti ha mai amata, o forse si, ma solo per dieci minuti. Quando ha scoperto che sei rimasta incinta si, ti ha proposto di venire con lui, ma sapeva che non avresti accettato. Poi mi ha chiamato due volte solo per fare in modo che tu non ti agitassi troppo. Si vede che dopo aveva così tante ragazze che si è dimenticato di avere una figlia in un altro continente. Infatti, quando lo hai chiamato gli ci è voluto un po' per capire chi fossi, non è vero?- Mia madre continuava a girare il capo per dimostrare che non stesse ascoltando, ma sapevo benissimo che si stava assorbendo tutte le mie parole. E, si, l'avevo convinta, ma non lo avrebbe mai ammesso. Probabilmente, non lo farebbe neanche adesso.
- Poi, si è inventato un indirizzo, ecco cos'ha fatto, e noi siamo finite in questa schifezza!
-Ora basta, smettila!- Helen urlò a squarcia gola mettendosi una mano su un orecchio, come una bambina, e con l'altra scaraventò il suo telefono per terra, mandandolo in frantumi. Un'idea perfetta, si poteva chiamare, perchè non avremmo potuto neanche chiamare nessuno. Poi appoggiò la schiena al muro e si lasciò mogia, finendo seduta sul marciapiede. Aveva passato parecchi minuti incantata in un punto della cassetta arrugginita della posta di un tipo, chissà da quanto tempo qualcuno non gli aveva spedito qualcosa. Ad un tratto si alzò definitivamente e prese la sua misera valigetta.
- Bene allora, vorrà dire che ce ne torniamo a casa.- borbottò a bassa voce.
Dopo la sua affermazione mi sentì sconfitta, abbattuta. Eppure erano quelle le mie intenzioni, ma la vittoria era stata troppo facile. In effetti, avevo programmato che fare qui a Londra, mi sarebbe piaciuto tantissimo fare qualche corso per imparare a scrivere bene. Se fossi tornata a casa non sarebbe successo nulla di tutto questo.
- Non ti ricordi che non abbiamo speso tutti i nostri soldi per l'andata, mamma?-
- Andremo dalla polizia e racconteremo la mia storia per filo e per segno. Vedrai che ci capiranno e ci riporteranno a casa, in qualche modo.-
- Lo farai da sola.- - Che cosa? - Helen non credeva ai suoi occhi, questa risposta proprio non se l'aspettava. Dopotutto, neanche io.
- Io resto qui, mamma- dissi con un filo di voce. Volevo sembrare decisa. Aveva paura della sua risposta, però. Sapevo che non sarebbe stata molto elegante.
-Oh no, signorina, tu vieni con me, non se ne parla proprio! Prima ti lamenti per tutto e poi mi dici che vuoi stare qui? Ma chi sei, il re? Guarda, già ho preso una bella botta, di questa novità non voglio neanche sentirne sussurrare.-
Sisi sospirò e iniziò a piangere - A me dava fastidio stare con Rolf, mamma! Un uomo che ci avrebbe subito lasciate! -
- Rolf non mi avrebbe mai lasciato, Sisi. - le disse puntandole il dito contro.
- Tu dici, mamma? Guarda che l'ha già fatto. Forse perchè sapeva che non ti sarebbe riuscito a reggerti neanche per dieci minuti! Almeno in qualcosa ci capiamo!-
- Sai che ti dico? Fai come tuo padre, brava! Va bene, abbandonami anche tu, mi hai fatto scoprire che gli somigli perfettamente. Poi però non tornare da me piangendo, perchè la mia porta sarà chiusa. - Avevamo ottenuto la vittoria tutt'e due, più o meno. Io restando qui, lei cercando di farmi capire che ero anche io un'idiota.
- Non tornerò da te piangendo, non succederà mai. -
- Come pensi che riuscirai a vivere? Dove pensi di rifugiarti, in un hotel a cinque stelle? -
- Durante il giorno vado a scuola e nel pomeriggio chiedo l'elemosina, qui si trovano i soldi per terra, mamma, questa gente è tutta riccona. -
Mia madre stava facendo finta di ridere.
- Sono felice per te, allora. Io ti avverto, non provare a tornare da me - sentii il rumore dei passi di mia madre sempre meno, non volevo guardarla, non volevo farle capire che mi aveva centrato in pieno.


Arrendersi è il più grande vantaggio che si può dare al nemico.
Confucio



Evvuolà popolo! ecco fatto! Che dire, vi piace? L'ho scritta al volo perchè ne sono stata costretta dato che mi avete finalmente messo cinque recensioni nel capitolo! A proposito, grazie a tutte quelle che mi hanno recensito! Le vostre opinioni mi sono state utili. A proposito di opinioni vi lascio con un po' di domandine. 1) Per te come è andata la storia con Rolf? Che è successo veramente? 2) Helen tornerà dalla figlia o la lascerà andare? 3) Sisi se la caverà? Che farà (no, sul serio, ditemelo perchè non lo so neanche io! :)) 4) C'è qualcosa nella storia che non ti torna o non ti piace? E ora ho finito. Salutatemi Qualcuno Desperate Housewriter

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Rispetto ***





Un'idea giusta nella quale ci si insedia, al riparo delle contraddizioni, come al riparo dal vento e dalla pioggia, per guardare gli altri uomini scalpicciare nella melma, non è più un'idea giusta, è un pregiudizio.
Georges Bernanos, Riflessioni sul caso di coscienza francese, 1945



Mi lasci dire, signor Absolute, che ho capito una cosa di Londra. Cioè che non è una città, ma due. Ho notato qualcosa che solo una ragazza africana potrebbe, voi non riuscireste mai, o, forse, cercate solo di negare a voi stessi l’evidenza, come per nascondere la verità sotto i vostri occhi, ma per Lei, si può, signor Absolute, mentire a se stessi?
Stavo dicendo che Londra è divisa in due. Come noi abbiamo l’equatore voi avete una riga immaginaria che separa queste due parti. La prima è molto triste, sempre scura, con case vecchie, disabitate, arrugginite e pericolose. I negozi sono rari, se non quei rari alimentari. La seconda invece è movimentata, piena di vita, affollata, con tantissime boutique, ristoranti di alta classe, case lunghissime piene di finestre (che ho scoperto recentemente si chiamino palazzi), luci e ponti magnifici dappertutto, musei.. Non è solo questo che cambia, però. Basta prendere in considerazione il modo in cui cammina una persona della prima parte (che un giorno avevo deciso di chiamare “The Blues Side”) e una dalla seconda (“The Wrong Side”). Si noterebbe con facilità che il primo va avanti a testa bassa lentamente, con solitamente un cappello che gli nasconde il viso, dei vestiti ormai diventati degli stracci, bagnati, umidi, sporchi. Ha uno sguardo innocente, chiede aiuto, non soldi, forse solo rispetto.
Rispetto per una persona che ogni giorno fatica per portare a casa la paga a fine mese. Rispetto per una persona che è riuscita a crescere la sua famiglia. Rispetto per una persona che non ha mai ucciso, rubato, o infranto una legge. Rispetto per una persona che appena ti vede, Mr. Absolute, prova solo vergogna, anche se dovrebbe provare disgusto e rabbia.
Mentre, dall’altra parte della strada, c’è un’ uomo indaffarato, impegnato al lavoro, che parla al telefono, poco badante di chi gli sta attorno. Cammina dritto a testa alta e con un passo accelerato. Secondo Lei, che cosa fa la gente appena lo vede? Lo lascia passare, lo saluta o gli accenna un sorriso. Questo equivale al rispetto. Perché lo fa? Perché vede che indossa la cravatta, o che la sua borsa è di marca.
Come si può provare rispetto per una persona che non ha nessun interesse oltre che ai soldi? Una persona che lascia sempre sola la famiglia e non si prende cura dei propri figli? Una persona che forse tradisce la moglie?
E’ questo che mi chiedo, signor Absolute, nessuno si è mai reso conto di questo strano comportamento.
In ogni caso, avevo oltrepassato quella riga, che ho chiamato “Circolo D’Illuminazione”. Non prima di essermi ripresa dall’abbandono di mia madre. Ho avuto il bisogno di scrivere. Lo faccio sempre, per calmarmi. Helen me lo faceva fare quando ero troppo nervosa anche da piccola. Pensi, Mr. Absolute, che tengo ancora quello che avevo scritto, del resto, come tutti gli altri miei pezzi di carta. Credo che per farle capire ciò che avevo scritto, non ci sarebbe niente di meglio che ricopiarglielo.
Londra, 5 Settembre 2012 Pensavo mi amassi, mamma. Pensavo che saresti tornata. Invece no, sei partita, con anche tutta la mia roba. Non volevo che accadesse questo. A dire il vero, non so neanche quello che mi aspettavo veramente. Forse avrei voluto che restassi con me, o, chi lo sa, anche obbligarmi a tornare. Ma tu mi hai abbandonato. Ero pienamente convinta che tra di noi ci fosse un legame particolare, un feeling. Sei stata l’unica madre ad avere partorito solo una volta nel villaggio. L’unica madre che non ha avuto un marito accanto. Ero solo tua. Come hai potuto abbandonare la tua piccola Sisi? Tu non mi vuoi bene abbastanza, tu avresti preferito a me molte altre ragazze, lo so. Quelle che ti seguono, quelle non testarde, quelle più gentili. Purtroppo il tuo desiderio non è stato esaudito, mi dispiace. E sai che ti dico? Che è inutile stare qui a piagnucolare. E’ tempo di reagire. Starò benissimo senza di te e il tua fastidiosa pressione e il tuo odioso odore di crema. Ora vado, mi trovo un college gratuito, vado a scuola e vedrai se non diventerò la figlia perfetta. Ma quando tornerai, io ti respingerò, come tu hai fatto con me.


Un uomo è tanto più rispettabile quante più sono le cose di cui si vergogna. George Bernard Shaw



Buongiorno Popolo! Con che faccia tosta mi presento dopo quasi un mese che non aggiorno? Devo dire che mi dispiace tanto e mi sento in colpa. Anche perché ora in tutto ho 29 recensioni! Per me sono tantissime, sul serio, anche se non possono sembrare. Ringrazio le 6 persone che hanno messo la mia storia nelle seguite e le 3 nelle preferite. Inoltre, ringrazio tutte coloro che hanno recensito e anche a voi lettori silenziosi! Avevo programmato che avrei scritto anche qualcos’altro ma ho deciso che vi lascerò tutti insieme la prossima volta anziché a pezzettini. Questo era un capitolo ponte. Anche perché volevo caratterizzare Sisi, farvi capire i suoi pensieri. Le ripetizioni sono volute, per sottolineare quello che dico. Ricapitolando, ora avete un grande indizio! Il nome del ricevitore della lettera. Vi ho preparato una specie di.. sorpresa.. diciamo. Ogni capitolo metterò una domanda. Se avete voglia, mi rispondete. Se la vostra risposta fosse giusta, guadagnate un punto. Alla fine della storia chi ha più punti vince! Che dite? Beh, vi lascio questa domanda.. Secondo te, chi potrebbe essere Mr. Absolute? Salutatemi Qualcuno, Girl Dude un grazie particolare a:
1 - ChibiRoby 2 - fiddle
3 - Hope it
4 - Killapikkoletta
5 - riddle of Revenge
6 - Vegetina99
7- Ire08
8- Alice7
9- chia_1D

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Tacchi & Partite ***



Avevo deciso, dovevo trovare una scuola, un colegge gratuito dove avrei potuto studiare, dormire e mangiare. Se ci fosse stato da pagare qualcosina l'avrei fatto chiedendo l'elemosina.

Ormai erano i primi di settembre e la scuola sarebbe iniziata di lì a poco, quindi avrei dovuto sbrigarmi per cercarne una. La prima che trovavo. L'importante sarebbe stato solo studiare, che cosa non mi importava.

Per questo avevo oltrepassato quella riga, il circolo d'illuminazione. Non ho mai fatto ritorno nella "Blues Side". È come se a "The Wrong Side" ci sia una calamita che non mi lasci uscire. Difatti, se Lei ci pensa, io sono ancora qui e le prometto che se un giorno uscirò da questo posto sarà il primo luogo in cui andrò, la mia vecchia Blues Side.

Dove eravamo rimasti? Oh si, perchè avrei dovuto andarmene da Blues Side, giusto? Beh, sembrerà buffo, ma solo per trovare un posto più affollato. Infatti, ci ero riuscita pienamente.


Avevo bisogno di chiedere indicazioni, solo per questo. Se devo confessarle qualcosa che non ho capito di Londra è perchè le donne portino quei trampoli sotto ai piedi. Arkell mi ha detto che si chiamano tacchi. So che non è una donna, ma Lei lo sa perchè li indossano? Per sembrare più alte, forse? Ho sempre creduto che gli uomini preferiscano le donne più basse di loro. Per proteggerle, o semplicemente per sentirsi il capo di famiglia. Ma lì non c'era una donna che non li portasse. Ce li avevano quelle con tantissime borse, quelle con i passeggini e con tantissimi bambini e persino le più giovane a fare shopping con le amiche.

Gli uomini, invece, erano la maggior parte al cellulare e con una borsa a tracolla, camminavano con un passo molto accellerato. Alcuni, invece, erano vicino alle propri mogli o findanzate, ma si poteva vedere anche da lontano che non erano presenti con la testa. Forse pensavano al lavoro, o, molto probabilmente, alla partita che davano per telivisione che si perdevano a causa delle esigenze della loro donna. Per questo, non mi fidanzerò mai con qualcuno fissato con lo sport, avrà sempre quello come primo pensiero. Magari, quando saremo a cena fuori, avrà fretta di tornare a casa. >In ogni caso, dovevo solo riuscire a poter attirare l’attenzione di qualcuno e chiedergli la strada. Toccai un uomo, naturalmente al telefono, un pessimo errore. "Mai disturbare un uomo al telefono", diceva mia madre.

- Mi scusi.. Mi scusi!- niente da fare, quello andò avanti ignorando i miei striduli. Sentii una risata dietro le mie spalle, ma non era di mio interesse di chi fosse. Provai con una donna con un passeggino che trascinava un bambino. Ce ne aveva altri tre a fianco. Non avrei fatto assolutamente quella fine.
- Scusi signora, non so se lei conosce la..-
- Jason, torna subito qui! - gridò questa, rivolta al figlio che era entrato in un negozio di giocattoli.
L'avevo presa. Una donna da sola, quattro borsoni in mano e niente di più.
- Signorina, la supplico, mi potrebbe dare un’indicazione?- Questa però mi squadrò da capo a piedi e continuò per la sua strada. Mi chiedo ancora adesso che cos'abbia pensato. Forse che io non ero alla sua altezza per parlarle? Quella gente mi da fastidio più di tutto, le persone che giudicano a prima vista, senza mettersi nei panni di coloro di cui stanno sparlando.
C’erano tre ragazze che avranno avuto la mia età che stavano chiacchierando mentre camminavano. Sembravano essere molto cordiali e avrebbero saputo sicuramente darmi un’indicazione considerato che anche loro sarebbero dovute andarci.
- Ciao, scusatemi, sto cercando una scuola. Voi di certo saprete darmi la strada, vero?-
Loro rimasero a fissarmi a lungo, non mi classificavano come una loro amica, ma come una non abbastanza ricca da poterle frequentare. Attaccò a parlare quella in mezzo.
- Perchè, hai fretta di andare in quell'inferno? Non ti conviene presentarti nella nostra, o per te saranno giorni duri.-
La sua frase fu accompagnate da alquanto fastidiose risatine. Ero furiosa, arrabbiata e il mio cuore era andato in pezzi, ma sorrisi e mi girai.

Mi mettevano in soggezione. Non mi ero difesa. Mi appoggiai sul muro pronta a scrivere, a sfogarmi. Sentii di nuovo quella risata. Un barbone, africano, come me, ma in quel momento non ero interessata a sapere la sua provenienza.
- Che hai da ridere, eh?- Gli dissi in tono scocciato, dovevo farmi forza.
- Ehi, stiamo calmi signorina, che fai ora, che scrivi?- In realtà stavo solo scarabocchiando.
- Era meglio se me ne stavo in Uganda- dissi tra me e me sospirando.
-Tu sei di lì?- mi chiese cambiando tono di voce, era diventato più comprensibile ad un tratto.
-Si, la mia pelle non è abbastanza giusta?- gli risposi cercando di non piangere.
- Ventisettesima strada, Conwey Street- Corsi subito via.
- Ehi, aspetta - Non so dirLe il motivo, ma scappai. Non volevo fermarmi in quel posto un minuto di più. Anche se avevo molte domande da fargli in quel momento.
Perchè ad un tratto si era fatto più gentile? Da dove proveniva? Che cosa voleva dirmi?


Io me ne andai, verso la scuola. Le immagini della signora e delle ragazze mi scorrevano per la mente. Non ero stata accolta bene in quel posto, ma dovevo cercare di andare avanti lo stesso.


Ehi, popolo! Anche questo capitolo, si, avrebbe dovuto essere più lungo, ma volevo lasciarvi una grossa sorpresa tutta ad un colpo che scoprirete nel prossimo capitolo. Consideratelo come un capitolo ponte. Non piace neanche a me, sinceramente. Scusatemi se sono stata noiosa. Spero che il prossimo cappy vi emozionerà. Ripassando la storia, vi ho dato degli elementi importanti. Sisi è ancora nella Wrong Side anche se non sembra piacerle molto, perchè ci resterà mai? Questa non è la domanda per la gara, però. Quello che vi chiedo è... Cosa voleva dire il signore alla ragazza? Tutto questo e una cosa importantissima nel prossimo capitolo. Salutatemi Qualcuno, Girl Dude

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Ostacoli ***


Sognatore è chi trova la sua via alla luce della luna... punito perché vede l'alba prima degli altri. Oscar Wilde


4 Settembre 2012
Sto aspettando che arrivi il mio turno per parlare con la Segretaria, nella cosiddetta Reception. "Chiusa per questioni di Privacy" c'era scritto nella porta. Mamma, essendo segretaria, resta anche lei in segretaria, ma non è aperta al pubblico in entrata. Non è poi così tanto male, dal tono di voce delle ragazze mi era apparso che fossero trascinate in un carcere minorile. È ben pulita ed ordinata, molto grande e spaziosa e in un luogo chiuso. Che cosa mancava? All'ingresso c'era una bandiera d'Inghilterra, con accanto un'altra più piccola dell'America. Che cosa c'entra l'America, mi chiedo? È forse considerata come una sorta di idolo da cui prendere esempio? Mamma dice che sono loro che inquinano più di tutti, sono loro che secondo gli scienziati stanno causando maggiormente il riscaldamento globale , è lì che sono stati compiuti maggiori omicidi. Spero che non vogliano che prendiamo esempio in questo tipo di atti che hanno compiuto.
Ecco, la porta si sta aprendo, finalmente.


<< Il prossimo >> disse la signorina in modo scocciato, forse perchè quella di prima le aveva fatto già perdere molta della sua pazienza.
Entrai cautamente a schiena alta, cercando di mostrarmi perfetta sebbene avessi l'alito pesante, gli occhi gonfi, i sandali consumati e i vestiti poco adatti all'evento. Sembrava che non le importasse, perfortuna. Mi aveva guardato con la coda dell'occhio e poi aveva continuato a lavorare con il computer.
<< Vuoi i compiti per le vacanze? Non credi sia un po' troppo tardi per iniziarli?>>chiese in tono sgarbato passandomi un foglio che riposai subito nel tavolo.
<< No ehm... Ecco... Cioè, è che io volevo, tipo iscrivermi, si può? >>
Sospirò, aprì un cassetto e mi diede un altro foglio.
<< Compila il questionario, perfavore. >>
<< Si, non è che potrebbe darmi una penna, perfavore? >> Questa volta mi guardò intensamente, stranita, abbassandosi i suoi occhiali verde scuro.
<< Puoi compilarlo anche a casa, non serve mica la mia supervisione. Oggi è Domenica e abbiamo dovuto tenere aperto proprio per le mamme che hanno cambiato idea sulla scuola del proprio figlio e, quindi, ho tantissimo da fare, non posso aiutarti. >>
Perchè mai avrei dovuto farlo a casa se poi sarei dovuta tornare indietro per riportarglielo?
<< Oh, stia tranquilla, non mi serve il suo aiuto ma.. Mi conviene restare qui. >>
<< Va bene >>disse sospirando.
Alla fine chiedevano solo il mio nome, l'indirizzo, il Paese e i genitori.

<< Finito, le dissi porgendole il foglio >>
Neanche lo prese << Guarda che devi farlo firmare da un tuo genitore, da chi altri, sennò? >>
<< Ah, avevo.. Credevo.. C'è ho firmato io >>
<< I minorenni non possono firmare mai! >>disse scoppiando in una risata amara.
Poi prese il questionario per cancellare la mia firma. Lo ripassò tutto.
<< Aspetta..>> disse silenziosamente imbarazzata abbassando la schiena < tu sei una clandestina?>>
Me ne ero completamente dimenticata. In quel posto ero considerata come un'intrusa. Stavo compiendo qualcosa di illegale. Come se non bastasse, un altro problema mi era arrivato addosso come un colpo di vento.
<< No, mio padre viene da qui>>
<< Si ma tu sei nata in Inghilterra?>>
<< Certo>> dissi abbassando il capo per non far vedere il mio sguardo. Odiavo mentire, una bugia porta sempre ad altre mille.
<< Ah, ma allora perchè c'è scritto che sei nata in Uganda?>>
<< Ah, no è che.. Pensavo stessi parlando di mia madre. >>Ecco. Era già uscita dalla mia bocca la seconda menzogna.
<< Oh, no. Allora si che ti serviva il mio aiuto eh?>> d'un tratto era diventata più amichevole, che avesse pensato che io avessi avuto dei problemi mentali?
<< Comunque, ora ho corretto. Hai a casa uno dei tuoi due genitori?>>
Oh, come dimenticare. Helen stava infrangendo un'altra legge, l'avermi lasciato senza la vigilanza di un maggiorenne. Dovevo dire un'altra bugia, di nuovo. La terza in pochi minuti.
<< Si, c'è mio padre>>
<< Bene, dovrà pur sapere quanti soldi spende al semestre no?>>
< Soldi?> le chiesi scioccata.
<< Oh, forse non puoi ancora capire. In tutti i colegge bisogna pagare, ma queste sono cose da grandi. >>
Ancora meglio.
Iniziai ad avanzare verso la porta.
<< Ciao cara, ci vediamo domani! >>
Si, certo, come no, ci poteva contare. Una sola visita mi aveva fatto escludere tutte le scuole. E per di più mia madre era una fuorilegge. Tra l'altro mi sembrava incredibilmente strano il fatto che si sia lasciata sfuggire di mano questo.
No, non potevo cedere ai primi ostacoli. Il costo della scuola era di quattrocento sterline al mese. Dovevo prenderne almeno dieci al giorno e sarei riuscita a pagarmi il cibo.
Per quanto riguardava la firma, bastava falsificarla, che ci voleva?
Il mio ragionamento era completamente illogico e sbagliato. Le riporto quello che avevo scritto dopo il mio primo giorno di carriera nel chiedere l'elemosina di fronte ad un supermercato.
Sono stata qui al freddo per piú di quattro ore. Già verso le cinque ho iniziato a battere i denti. Le mie labbra si sono tutte screpolate, ho mal di gola e la mia fronte è caldissima, credo di essermi presa la febbre. Tutto questo per neanche un dollaro. Solo per poche monetine di nessun valore. Mi era arrivato un bel pezzo di carta da cinque dollari, ma poi è scomparso quando mi sono risvegliata dopo il mio piccolo pisolino. È la prima volta che vedo i soldi in vita mia. Me li ero immaginati d'oro, sinceramente. Sono peggio di quello che mi aspettavo. Ho fame e sete, muoio dalla voglia di sedermi a tavola. Per bere non sarà un problema, ma come farò a mangiare? E a dormire? Sono costretta a farlo per terra? Non ci riuscirei, soffro troppo il freddo. La mia pelle è diventata tutta rossa e i miei piedi sono diventati gelidi. Ho sempre avuto le mani, i piedi e il naso freddi, quando ero bambina mi chiamavano "il piccolo cadavere".
Campane. Le mie orecchie riescono a percepire quel rumore che mi mette inquietudine. Da dove arriva quel suono? Certo, dalla chiesa. Ovvio, è Domenica, come dimenticarlo. In vita mia non ho mai mancato una messa e non intendo certo farlo ora. Forse l'unica speranza che mi resta è la preghiera.
Ti lascio, mio piccolo Notebook.

Si rende conto, Mr. Absolute? La mia sola speranza rimanente su cui potevo contare era pregare. Ero disperata, il mio sogno di costruire una vita si era infranto.
Appena entrata nell'edificio santo le mie mani, piedi e naso hanno cominciato a bruciare. Si vede che avevano subito un colpo troppo brusco tra caldo e freddo.
Chiesa Cattolica, c'era scritto in un foglio attaccato alla porta.
Mi sedetti su una panchina e mi tolsi le scarpe, i calzini e iniziai a massaggiarmi i piedi. Non alzai neanche il volto per guardare gli sguardi disgustati della gente. Non mi interessava più il loro giudizio. Tanto, che bella figura ci poteva fare una che per loro era considerata una barbona?
<< Che cosa crede di fare quella zingara?>> sentì sussurrare dietro le spalle.
Secondo Dio, da quello che ho imparato in tutti questi anni, non si deve giudicare il prossimo, tantomeno in una chiesa. Non potevano vedere che certe parti del mio corpo erano viola?
E non le ho detto tutto. Ovviamente, non starò qui a elencarle dettaglio per dettaglio tutta la messa, ma una parte è stata a dir poco interessante.
Una donna sulla quarantina aveva letto una lettera di San Paolo Apostolo e, alla fine, il suo argomento aveva cambiato rotta.
<< Chiedo cortesemente alle persone che sono venute qui non per lo scopo di ascoltare la parola del nostro Signore di lasciare questa Chiesa.>> Inutile dire che il suo commento era riferito a me. Mi aveva guardato intensamente, con un sorriso malvagio. Ma io non mi alzai, perchè avrei dovuto farlo? Perchè una donna bianca me lo aveva imposto? No di certo. Ero venuta lì per pregare e avevo addirittura sopportato quel lungo bruciore per portare a termine il mio compito.
La persona che mi ha sorpreso maggiormente in tutta la mia vita è stato quel prete, Don Diggory. Non me lo dimenticherò mai.
Quando uscirò, sarà la seconda persona che andrò a trovare. La prima l'ha già conosciuta, ma non se la ricorderà sicuramente. Lo scoprirà leggendo più in là.
Ebbene, il Don aveva iniziato a fare domande alla signora di fronte a tutti noi interrompendo la messa.
La sua voce era calma, tranquilla e paziente.
<< Non è cortese fare nomi, Don Diggory>>
<< Joselyn, credo che tu non sia stata cortese comunque. Se la tua paura è offendere la persona accusata... Mi spiace deluderti ma temo che tu lo abbia già fatto.>>
<< Non voglio mettere in imbarazzo nessuno. Io sono una persona per bene.>> Credo che in quel momento nell'edificio l'unica persona imbarazzata fosse lei e me.
<< Suvvia, Joselyn. Ti prometto che non accadrà. É forse la ragazza che è seduta in quartultima fila?>> Cioè io.
Joselyn sospirò e annuì subito dopo. Non riuscivo più a resistere allora mi rimisi le scarpe e feci per andarmene, ma il sacerdote interruppe il mio cammino con la sua voce simile a quella di Robert De Niro.
<< No, non andartene, voglio solo parlarti, come ti chiami?>>
Tutta l' "audience" si era girata per sentirmi parlare.
<< Ecco, io... Sisi>> Di colpo avevo cominciato a tremare, il mio carattere impavido e forte era scomparso ed era rimasto di me solo la debolezza.
<< Sisi, ma che bel nome. Avvicinati pure, Sisi, così riesco meglio a sentirti>>
Guardando il basso mi avvicinai, così nessuno avrebbe potuto leggere il timore nei miei occhi.
Mi mise una mano piena di calore sulla mia spalla tremante insieme al resto del corpo e mi sorrise.
<< Quanti anni hai, Sisi?>>
<< Sedici>>
<< Che bello che è>> disse indicando il mio bracciale di legno con una croce al centro, l'avevo fatto con le mie mani a scuola, quando ero piccola. Forse è l'oggetto a cui tengo di più.
<< Oh, l'ho fatto in Uganda.>>
<< In Uganda eh, interessante>> Non voleva farsi gli affari miei, preferiva che parlassi io di mia volontà della mia vita.
<< Vivo.. vivo lì>>
<< Meraviglioso. Qual buon vento ti porta qui?>>
<< Beh, diciamo che credevo di poter avverare un sogno ma invece ho fallito>> Avevo risposto superficialmente ma, tutto sommato, non mentivo.
<< Mia cara, ricorda, se ci credi veramente puoi fare qualsiasi cosa>>Non ho mai scordato quella frase, è stata quella che mi ha portato sempre avanti.
<< Ebbene, Joselyn, che cosa può aver fatto di male una ragazza come Lei?>>
<< Credo che sia venuta qui solo per riscaldarsi. Insomma, si può notare le sue condizioni da come è ridotta. Dobbiamo portare esempio ai nostri figli.>>
<< Perchè sei venuta qui, Sisi, ricorda, la verità rende liberi. >>
<< Volevo pregare per avere una risposta a delle mie domande>>
<< Ti turba se ti chiedo il motivo per cui ti sia tolta i tuoi sandali, Sisi?>>
<< Ho patito il freddo lì fuori e sentendo questo caldo le mie mani e i miei piedi hanno cominciato a bruciare.>>
<< Joselyn, credo che il cattivo esempio qui lo stia portando tu ai tuoi figli. Non si giudica una persona senza mettersi nei suoi panni. Io credo che l'unica cosa che è venuta a riscaldare Sisi è stato il suo cuore.>>
La donna prese i suoi figli per mano e se ne andò indignata. Il prete scrollò le spalle e sussurrò << Ognuno fa le sue scelte>>
<< Avevo preparato una predica ma.. Credo che questa conversazione che abbiamo avuto con Sisi l'abbia già fatta. Consideriamo questo arrivo come un dono da lassù.>>
Poi si schiarì la voce e disse << Procediamo con il canto di Comunione>>
Il coro della chiesa aveva iniziato a cantare, formato da molte giovani bambine e alcuni uomini che suonavano la tromba. Mi sentivo gli occhi puntati addosso, ma non mi girai. Mi ero scaldata eccome, lì in chiesa, il mio corpo era tutto sudato.
Ecco, un avanzamento di persone si metteva in fila per prendere la particola. Mi unì tra la folla. Forse non dovevo, avevo mentito, avevo commesso un peccato. Ma lo avevo fatto anche per il bene di mia madre. Non mi potevo concedere un breve momento di preghiera?
La particola mi aveva dato un senso di sollievo. Anche perchè quello era il terzo giorno che non mettevo qualcosa di solido in bocca. Ma non mi bastava per sfamarmi. Avevo un incredibile voglia di prenderne un'altra, ma, la Comunione, non si può fare per la seconda volta.
Cominciai a pregare e, sinceramente, Mister Absolute, non mi ricordo bene che cosa gli abbia chiesto. Forse di darmi un aiuto, un'indicazione, un piano... Ne avevo veramente bisogno.
E chiesi perdono.

Perdono per non aver portato rispetto a mia madre e per averla fatta fuggire. Perdono per aver odiato delle persone incontrate in città. Perdono per essermi tolta le scarpe durante la messa. Perdono per essere sempre così sfacciata, testarda ed egoista. Perdono per essere nata da un rapporto fuori dal matrimonio, o, meglio, perdono per essere nata.

Sono queste le cose che avevo sussurrato nella mia mente. Durante la preghiera mi uscì una lacrima, che raccolsi subito con il pollice.
Quei due brevi minuti di silenzio finirono. Un'interruzione brusca l'aveva fatto sparire senza il suo volere, di chi? Di una voce bassa e roca, quella del prete.
Stava elencando gli eventi della giornata. Poi fece il noto segno della croce e ci benedisse.
La gente avanzò lentamente verso l'uscita. Io restai, volevo parlargli. Non sapevo neanche di che cosa, forse desideravo solo sentire ancora la sua voce.
Ed infatti < Che cosa ti turba, Sisi?> mi disse dall'altare, mentre io ero ancora seduta tra le ultime panche.
Quella sua mania di pronunciare sempre il nome del suo interlocutore era adorabile, un gesto molto affettoso, come per dare un segnale di essere disponibile ad aiutare.
< Oh, io non lo so è che...> Lui si avvicinò e si mise accanto a me.
Mi sorrise e mi guardò intensamente, quello sguardo aveva troppo forza sovrumana di amore e dolcezza, non potetti resistere e mi girai. Altre lacrime mi scesero rapidamente. Misi una mano sulla fronte in modo da non fargli vedere che stavo piangendo.
< Piangi, sfogati. Lo sapevi che fa pure bene?> continuò lui, sorridendomi < Non devi vergognarti di farlo, anzi, colui che non piange si dovrebbe vergognare>
Allora smisi di nascondere il volto e mi girai verso di lui, ma non lo guardai, non mi meritavo tutta quella sua dolcezza. Aspettai di sentire la sua voce, ancora una volta, ero sicura che sarebbe stato il primo a parlare.
<< Non sei riuscita a realizzare il tuo sogno, non è vero?>>
Io annuì con la testa ripetitivamente, continuando a piangere, questa volta ancora più forte.
<< Dio ci mette sempre alla prova con degli ostacoli ma se vuoi veramente qualcosa riuscirai a superarli>> Poi mi prese per il mento per farmi alzare la testa < Tu lo vuoi veramente?>
La sua domanda mi rimbombò sulla testa più e più volte, come un eco. Le sue parole rimbalzavano sul mio cervello e mi favevano male. Non riuscivo a trovare una risposta, eppure c'erano solo due opzioni di replica, si e no.
<< Non lo so>> sussurai a fatica, tanto singhiozzavo. Come la tempesta lascia il suo segno con la terra bagnata e il cielo grigio, le mie lacrime avevano lasciato traccia di silenziosi singhiozzi.
Don Diggory voleva da me qualcosa di più di un 'non lo so'. Perciò stette in silenzio e mi guardò ancora negli occhi.
<< Non so se poter affrontare la fatica nel superare l'ostacolo..>>
<< Nessuno ti obbliga>> mi rispose << Non sei tenuta a farlo se non è questo quello che desideri>>
<< Ma ti chiedo una cosa>>continuò lui << rifletti sulla mia domanda, tu lo vuoi veramente?>>
<< Lo farò>> gli promisi. Anche, se forse, quella domanda era più impegnativa dell'ostacolo da superare.
<< Bene, ora mia cara, se non ti turba, vado a cenare. Ci rivedremo, spero.>>
<< Sicuramente>> risposi. *********************************************************************
Finalmente ho smesso di singhiozzare, era cominciato ad essere fastidioso. Questà è la sesta chiesa in cui sono passata. Per prendere la particola, lo so, che non è corretto. Ma avevo fame. Un giorno riuscirò a farmelo perdonare, ne sono sicura. Sono negli scalini dell
Interrotta. Da qualcuno che già conoscevo. Colui che mi aveva dato le indicazioni per la scuola.
<< Che ci fai tu qui? >> gli dissi scocciata.
<< La Santa Chiesa. Il parcogiochi dei buoni. Il posto perfetto per chiedere l'elemosina. >> Mentre mi parlava giocherellava con una monetina splendente lanciandola e riprendendola al volo.
Io sbuffai e mi voltai da un'altra parte fissando il cielo che si scuriva, saranno state almeno le sette di sera. Gli stavo voltando la schiena, ma lui sembrò fregarsene e continuò a parlare.
<< Te lo volevo dire, sai, che la scuola aveva un costo, ma non so che accidenti ti è preso, perchè diavolo sei scappata? >>
<< Non lo so. >>
<< Ragazze di oggi >> disse sbuffando << Dico, non si rendono conto neanche di quello che fanno. >>
<< Che cosa hai progettato? >>
<< Come scusa? >>
<< Che piani hai, dico, non te ne vai dai tuoi? >> Come se tutto fosse così semplice.
<< Non posso. >>
<< No, dico, è che ti dispiacerebbe farti capire ogni tanto? >> Quel tipo era un duro, o, almeno, voleva far sembrare di esserlo. Il suo atteggiamento continuava a cambiare, prima gentile e poi scocciato. E quel suo "dico" che metteva in ogni frase mi ha sempre innervosito.
<< Ehi, Alice Nel Paese Delle Meraviglie, dico, ci sei? >> Spazientito.
<< Mia madre non è qui, mio padre chissà dove. >>
<< Lo posso vedere anche io che i tuoi non sono qui presenti. >> Idiota.
Sbuffai, sembrava facesse apposta a non capire. << Mia madre se ne è tornata in Uganda e mio padre non ha mai avuto il coraggio neanche di sentire la mia voce. >>
<< Chi sei, la ragazza Hulk? No è che dico, solo questa ragione può spiegare perchè tutti scappino da te. >> Buffone
<< Si, molte grazie per il supporto, hai altro da rinfacciarmi?>>
<< Ora che vuoi fare? >> Gentile.
<< Credo tornare da lei. >>
<< Non credo che voglia che tu la insegui se è scappata da te, almeno che giochiate a prendervi. >> Scortese.
<< L'ho mandata io via. >>
<< Con i tuoi denti arguti? >> Spiritoso.
Feci l'offesa ma mi scappò un sorriso.
<< Se vuoi ti presto il cellulare per chiamarla. >> Cortese.
<< Ha rotto il cellulare prima di andersene. >>
<< Certo che sei Miss. Fortunatella. >> Sarcastico.
<< La smetti? >> Ora ero io quella scocciata.
<< Ma scusa, dico, dove diavolo è andata? >> Scocciato.
<< In Uganda, almeno credo. >>
<< E i biglietti se gli è pagati da sola? >>
<< No, prima è andata dalla Polizia per chiedere aiuto a tornare. >>
<< Fallo anche tu no? >>
<< Uhm...>> Gli dissi al posto di ammettere che mi aveva introdotto nella strada giusta. <<É che.. Non so dove sia. >>
<< In questo caso si chiede all'esperto. >> Vanitoso.
<< Saresti tu? >>
<< Hulk, non scherzare su queste cose, io so tutto e me ne vanto. E so anche che dobbiamo fare una lunga passeggiata per arrivarci. >>
Durante il tragitto gli raccontai tutto quello che Le ho scritto finora, in pratica. Di come sono finita a Londra, di come Mamma mi ha abbandonata e del sogno che avevo nel cassetto. Ormai ai suoi sbalzi di umore ci avevo già fatto l'abitudine.
Oh, mi sono scordata di dirLe quanti anni lui avesse avuto! Mi sembra di ricordare ventisette. Ma non sono sicura.
Arrivammo. Una scala stretta portava alla porta della polizia. Invitai il ragazzo ad entrare con lo sguardo.
<< Non ci penso nemmeno. Quel posto è un inferno. Ti aspetto qui. Tu hai un senso dell'orientamento che ti fa perdere anche dentro ad una scatola. >>
Entrai abbastanza intimorita. Si poteva ben notare una scrivania di legno appena entrata. Un uomo paffuto si era chinato per prendere un foglio tra le mani che gli era caduto.
Eri tu. E avevi in mano una mia foto.



Salve amori miei!
Non sapete quanto vi sono grata per tutte le recensioni che mi avete scritto. 41?
Wow! Non ne ho mai avute così tante. Anche in una storia che poi ho abbandonato dopo almeno sedici capitoli sarò arrivata massimo a dieci. Se non meno.
Comunque, per questo capitolo ci ho messo l'anima e l'ho fatto anche più lungo, contente. Vi è sembrato un po' troppo veloce? L'ho fatto leggere ad una mia amica e ha detto di no ma...
Beh, insomma, perfavore abbiate pietà di me anche se ho lasciato un po' di sospeso... Please...
Non faccio ringraziamenti specifici perchè siete diventate tante! ;) Quindi, se hai letto fino a qui, sei meravigliosa. Ah, dimenticavo.. Domanda giornaliera.. Perchè Mr.Absolute aveva una foto di Sisi in mano?
Un bacione e..
Salutatemi Qualcuno
Girl Dude


Gli ostacoli sono quelle cose spaventose che vedi quando togli gli occhi dalla meta. Henry Ford

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Mentire Per Credere ***


C'è una cosa più forte di tutti gli eserciti del mondo, e questa è un'idea il cui momento è ormai giunto.
Victor Hugo


CAPITOLO SEI- Mentire Per Credere





Te ne stavi sulla sedia a dondolarti con i piedi sopra al tavolo, guardando la mia foto. Me l'ero fatta l'anno scorso per il mio primo giorno di scuola, mamma ne tiene una per ogni anno.
E allora perchè ce l'avevi in mano? Dal modo in cui la studiavi sembravi molto interessato, quasi come fosse un indizio di un crimine. E se lo fosse stato veramente? Avanzai lentamente, pronta a sedermi. Alzasti il capo. Un tuo sguardo agghiacciante mi si puntò addosso, che subito dopo si trasformò in qualcosa di caloroso dopo che ricontrollasti un'altra volta la mia foto.
- Non ci posso credere, non dirmi che tu sei Sisi! - Pensavo che la risposta fosse ovvia ma da come mi guardasti capì che non era così. Eri tu che mi facevi le domande, eppure le avrei dovute fare io in quel momento.
Beh, logico, sei un poliziotto.
- Ehm... Si. - risposi imbarazzata.
- Mi puoi dare la conferma, tu sei Sisi Blockast? - Credevo di avere già confermato, anche se in modo vago.
- Si, confermo, io sono Sisi Blockast - dissi chiaramente per non creare confusione.
- Bene, la tua mamma è in pensiero per te, le hai fatto un brutto scherzetto. - Non capivo che cosa intendevi per "brutto scherzetto", l'averla offesa riguardo a mio padre?
- Ora.. Ora dov'è? - Balbettai, volevo che mi conducesse al perchè avesse la mia faccia stampata in mano.
- È ritornata a casa, gliel'ho consigliato io. Ti avrei rispedita a casa appena ti avessi trovata. A quanto pare, invece, sei tu che hai trovato me. - disse sorridendo.
- Ma è stata mia madre a chiederti di cercarmi? - le parole mi scivolarono dalla bocca, la mia curiosità superava ogni altra cosa.
- Ovviamente, Sisi! Quale madre non lo avrebbe fatto dopo che una figlia fugga da lei? -
Ecco quello che volevo. Avevo riunito tutti i pezzi o, perlomeno, mi ero fatta delle ipotesi. Mamma avrà subito ripensato all'abbandonarmi per le strade di Londra e sarà tornata a cercarmi, fallendo, ovviamente, perchè io mi erò già avviata a cercare una scuola. Allora sarà andata dalla Polizia, ma avrà preferito dire che io sono scappata anzichè affermare che mi aveva abbandonato. I poliziotti avrebbero capito, certo, ma pur di non fare una brutta figura avrebbe fatto qualsiasi cosa.
- Mi ha raccontato anche della storia di tuo padre, è per questo che sei scappata, vero? - Io annui con la testa, anche se quest'affermazione era più che falsa.
- Ha detto che in caso lo avresti trovato avresti potuto passare un po' di tempo con lui, vi avrebbe concesso anche un mese da soli e poi vi avrebbe raggiunti. Non l'hai trovato, non è così? -
- No. - risposi sottovoce.
- Bene, se è così allora stanotte ti troveremo un letto dove dormire e domani faremo in modo di farti partire. - Sembrava tutto così semplice, schematico ed efficace. Le tue parole sono state sempre convincenti, al contrario delle mie. Fummo interrotti da una guardia per le prigioni, così c'era scritto nella sua etichetta attaccata alla sua camicia.
- Cosa vuoi, Hugson? - dicesti in modo scocciato. Avevi un tono completamente differente a quello che usavi con me mentre parlavi.
- C'è stato un altro equivoco, nelle prigioni, signore, zona effe. Una... - Fu inerotto da te - Fammi indovinare, un'altra rissa? -
- Esatto. -
- Bene, credo che dobbiamo cambiare procedura al riguardo. - Io intanto vi ascoltavo interessata, parlavate in un modo così formale... Nessuno in Uganda aveva mai parlato così.
- Che cosa intende di specifico? -
- Niente palestra per i due pugili, per almeno un mese, finchè non imparano. -
- Ricevuto. Vedrò di procedere al più presto. -
- Grazie mille, Hugson. -
- Non c'è di che. - E se ne andò.
Ti ritornò il sorriso in volto.
- Dov'eravamo rimasti? -
- Prigioni? - cercai di svincolare io con uno sguardo più che stranito, cercando di cambiare discorso.
- Oh, si, lo so. Di solito un poliziotto non si occupa dell'organizzazione delle prigioni ma in questo caso il Comune ha detto che, sebbene sia il più qualificato in città in entrambi lavori, sarebbe stato meglio se intraprendessi entrambe le carriere. Tanto questo dipartimento e le carceri sono molto vicine di distanza. - dicesti pavoneggiandoti.
- Ah... Ci sono anche le palestre? - chiesi grattandomi la testa.
- Oh, certo! In tutte le carceri ci sono! Solo che vanno a turni, in modo tale che non ci stiano sempre ma scelgano invece anche di andare in altri corsi, come quello di cucina, astronomia, biologia, letteratura... -
- Letteratura ha detto? -
Ero quasi gelosa di loro, perchè loro potevano essere colti e io no?
- Già... proprio così. Anche se i nostri ragazzi non apprezzano il fatto che noi vogliamo che siano acculturati. Sono carcerati, si sa, loro preferiscono la palestra, i film duri e la playstation. - dicesti sbuffando - Sarebbe questa la loro vita ideale. Per non parlare della biblioteca, nessuno ci entra da secoli ormai! In ogni caso noi cerchiamo di indurli sulla retta via. -
- Per andare in prigione si deve pagare? -
Sarà potuta sembrare una domanda idiota, ma essendo stata in mezzo al nulla per tutti quegl'anni era anche qualcosa di normale.
- Che cosa? - risi scetticamente - Ma no! Siamo noi che li obblighiamo a stare e dovrebbero anche pagare? - dissi con ancora la risata in bocca.
"Tu lo vuoi veramente?" Riuscivo a sentite l'eco più profondo delle parole di Don Diggory, non potevano uscire ma solo provocare fastidio. Ma quello che mi turbava è che avevo scoperto che la mia risposta era SI.
Forse in quel momento ero pazza. Forse il mio desiderio era più forte della mia mente. La mia mente mi diceva di dire di NO, il mio desiderio il contrario. Ma la mente, come dice la parola, MENTE. È possibile che mi nasconda la verità attraverso ad una bugia?
Un'idea mi era venuta in testa in un raggio di luce, le mie mani sudavano al sentire quello che dovevo fare. La prigione sarebbe stata l'equivalenza ad un collegge, avrei avuto un posto dove dormire, mangiare e studiare. La differenza è che il carcere sarebbe stato gratuito. Ebbene si, avevo deciso di innescarmi in un'avventura molto vasta. Sarei andata in prigione, con le buone o con le cattive.
- A dire il vero, signor... ? -
- Absolute - rispose al mio sguardo.
- A dire il vero, signor Absolute, io preferirei restare qui. - dissi fermamente.
- Non possiamo lasciarti sola, Sisi. -
Vero. Ma non se gli facessi vedere mio padre. Un padre fasullo. Ovvero... Chi mi aveva accompagnato fin lì.
- No... Io... Mio padre l'ho trovato. - mentii.
Ormai avevo già assaporato il forte gusto della menzogna e.. Non dico che fosse stato il mio cibo preferito, ma era uno dei tanti alimenti che mi avrebbe fatto fare una vita sana.
- Non mi avevi detto di no? -
- Si, ma... Era solo perchè preferivo tornare da mia madre ma.. Ho cambiato idea. -
- Però devi farmelo vedere, dobbiamo controllare se i documenti combaciano e.. -
- È qui fuori - Ti sussurrai appena. Ti aprii la porta e gli andammo vicino. Aveva una faccia stranita. Speravo che mi avesse coperto.
- Papà! - lo rincorsi abbracciandolo. Poi gli ordinai all'orecchio di coprirmi. Lui fece per dire qualcosa ma io lo zittii.
- Questo è il Signor Absolute, il poliziotto. - dissi guardandolo.
- Bene Rolf- affermasti tu - Mi dovresti dare un documento. -
- Oh - attaccai io - Lui ha dato un nome falso a mia madre. In realtà si chiama.. -
- Arkiel - mi salvò egli.
Ti grattasti la testa confuso. Misi la tua mano calda sulla mia spalla.
- Come fai a sapere che è veramente tuo padre? Potrebbe averti detto una bugia, con tutto il rispetto, signor Arkiel. -
- Perchè appena mi ha visto mi ha riconosciuto, visto che mia madre gli ha sempre mandato foto e mi ha detto di essere mio padre e di essersi pentito. - inventai io, cercando di parlare più velocemente possibile.
- Uff... - sbuffò confuso il poliziotto - Non lo so, se almeno il tuo cognome avesse combaciato con il tuo, ma tuo madre mi ha detto che ha deciso di farti prendere il cognome da lei. -
- Ti prego, Mr. Absolute! - mi prendesti per un polso e mi trascinasti di nuovo dentro al dipartimento. Prendesti da un cassetto uno spazzolino e me lo porsi.
- Grazie - dissi confusa.
- Quello non è un semplice spazzolino, Sisi, se sei in pericolo basta farlo cadere e io vedrò dove sei e verrò subito in tuo soccorso. -
- Va.. Va bene. - sorrisi - Ora posso andare? -
- Certo, però stai attenta e tienti quell'oggetto sempre con te. - Io uscii di nuovo, Arkiel aveva uno sguardo che faceva capire che la sua bocca era pronta all'attacco.
- Ma che diamine ti è preso? - mi disse confuso.
- Arkiel, che nome del cavolo. - risposi ridendo, cercando di cambiare discorso.
- Non è divertente. No, dico, che ti si è messo in testa adesso? -
Era abbastanza arrabbiato, ma cercai comunque di sorridere ed essere simpatica per fargli cambiare umore.
- Mi è venuta un'idea. Ti spiegherò bene tutto quando arriviamo a casa. -
- In che casa, bella? -
Lo guardai con gli occhioni da cucciolo e lui sembrò capire subito le mie intenzioni.
- No, no, no, no. A casa mia non se ne parla, ci sto a malapena io lì dentro. -
- Perfavore, solo per questa notte? -
Non era vero, avrei dovuto passarci lì molte altre notti ma avrei curato quel piccolo dettaglio in seguito.
- Ma, dico, non ti conosco nemmeno! La tua mammina ti ha insegnato le regole, non si fa entrate gli sconosciuti in casa. -
- Piacere - dissi porgendogli la mano - Sono Sisi Blockast - Lui me la strinse.
- Ora mi conosci - sussurrai ridendo.
- Solo per questa notte e se scopro che sei una ladra o qualcosa del genere ti
caccio fuori a calci in culo, intesi? -


Dubitare di tutto o credere a tutto sono due soluzioni ugualmente comode che ci dispensano, l'una come l'altra, dal riflettere. Jules-Henri Poincaré




Ciau,
Come va?
Che bello, sono arrivata a 50 recensioni, è meraviglioso. Un grazie particolare, di nuovo. Lo so, forse ringrazio troppo, ma non avete la minima idea di come mi senta a leggerne soltanto una. La leggo, la rileggo e la rileggo, finchè non l'ho risucchiata del tutto, quasi come se fossi una spugna. Le so praticamente a memoria! ;)
Questo capitolo potrà sembrare molto veloce e rapido, è che voglio che vi sia chiara la sua decione e non volevo complicarlo troppo.
Sono molto affaticata, ogni volta devo mettere sempre il codice HTML a mano, è una tortura, è che con l'iPad non riesco a fare altro! :(
Come avrete notato ho scelto di dare del TU a Mr. Absolute, sebbene in inglese non esiste il "LEI" e anche perchè creerei (si scrive così?) molta confusione. Se però preferite che torni a dare del LEI lo farò.
Ho scelto di usare molto discorso diretto, proprio perchè volevo dare un senso diretto alle risposte e non riuscivo a farlo in un altro modo.
Comunque un punto per fiddle nella gara, perchè ha risposto giusto ad una domanda! Purtroppo nessuno ha indovinato chi fosse Mr. Absolute.
Ancora una piccola cosa, se sei una lettrice silenziosa mi piacerebbe molto sapere la tua opinione. Per me tutto è importante e anche se ultimamente le mie recensioni sono salite di numero (non che mi dispiaccia) non vuole dire che non ho bisogno della tua!
Vi lascio con un'altra domandina,
Per voi Arkiel com'è finito a Londra?
Bacioni a tutte,
Salutatemi Qualcuno,
Girl Dude

P.S- Un ringrazio speciale anche a Mirtilla Malcontenta che mi ha sempre supportato!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La Principessa sulla Vasca da Bagno ***


L'analisi è talvolta un modo di disgustarsi nei particolari di ciò che era sopportabile nell'insieme. E vivere con qualcuno è un modo di analisi che ottiene gli stessi effetti.
Paul Valéry, Cattivi pensieri, 1942



100 MODI PER FARSI BECCARE
Capitolo 8-


- Hey, hey, hey - mi bloccò Arkiel con la mano impedendomi di aprire la porta di casa sua.

Era al quinto piano di un appartamento di sei. Era abbastanza vecchio e sporco, ma mi andava bene qualsiasi luogo oltre alla strada.
Tutto l'appartamento in sè dava l'idea di appartenere ad un insieme di "cattivi ragazzi". Quest ultimi si riconoscono subito.
Sono quelli che camminano per strada con un passo che si pavoneggia da solo, che masticano la chewing gum talmente rumorosamente e fortemente da toglierle ogni minimo sapere che racchiude per poi sputarla, che appena vedono un amico invece di salutarlo si limitano a schiacciarli il pugno, che sono sempre in mezzo a qualcosa che porterà guai, che hanno la faccia di chi non gli importa nulla.
O, almeno, questo è solo quello che ci limitiamo a guardare. Perchè i nostri occhi si limitano a guardare la superficie, si basano sull'aspetto pregiudicando questo tipo di persone. Non sanno chi sono veramente, da che famiglia provengano, che tipo di problemi loro abbiano. Una persona non fa qualcosa giusto così, semplicemente perchè ne sente la voglia, c'è sempre un motivo, conscio o incoscio.
E la risposta non te la darò subito, Mr. Absolute. Dovrai aspettare. Perchè ora non potresti capire, come nessuno al di fuori di queste porte. Neanche io avrei capito. Ora sono totalmente cambiata. Sono diventata una di loro. E vorrei tanto che tu facessi parte di questo grande club.
La persona che per te è semplicemente un carcerato colpevole, per me è un fiore sbocciato oscurato da un albero più alto di esso.

- Prima di entrare devo stabilire delle regole con te, Hulk - continuò lui, con un atteggiamento superiore.

- Quando la finirai di chiamarmi così? Il mio nome è Sisi, se non ricordo male. -

- Non trovo che sia un nome che ti rispecchi. - rispose lui di botto, riprendendo la sua monetina e giocherellando con quella.

- La vedi questa?- mi chiese mostrandomi quel misero spicciolo ormai arrugginito dopo una lunga pausa.
Io annuii il capo.

- Beh, non la devi mai toccare, intesi? È come una figlia per me. - Ed era proprio vero.

- Intesi. - risposi a tono io con un sorriso.

- Poi, niente domande sul mio passato o su qualcosa che abbia a che fare con me. Fatti i cavoli tuoi. - mi ordinò in modo estremamente serio ed arrabbiato.

- Certamente. -

- In più, non lamentarti e non voglio che parli con i miei amici che vivono qui con me. - Dal suo tono di voce poteva benissimo essere preso da qualcun altro come mio padre.

- Hai dei coinquilini? - gli chiesi stupita. Perchè non vuoi che parli con loro? -
Da quando eravamo entrati in quella stanza si era fatto più severo, come se fosse allergico a quell'aria.
Mi nascondeva qualcosa, questo era sicuro.
- Già iniziamo con le domande? Ma come credi che riesca a pagare le bollette a fine mese da solo, aspettando l'illuminazione di Dio? - Non sapevo che cosa fossero le bollette ma non volevo peggiorare la situazione. - Comunque si, ne ho quattro per la precisione e... Diciamo che non sono della tua specie.. Sta alla larga da loro. -

- Ultima cosa, non toccare il frigo, non è roba tua. -

- Va bene, ora possiamo entrare perfavore Arkiel? - Chiesi quasi supplicandolo. Non ce la facevo più, avevo voglio di sdraiarmi in un morbido materasso, di coprire me stessa insieme a tutti i miei confusi pensieri, problemi di quella lunga giornata.

- Non chiamarmi così. Detesto quel nome. -

- E come dovrei chiamarti, allora? -

- Chiamami "Il Sultano". - D'un tratto si fece più allegro ed ironico.
- Contaci. - gli risposi a tono ridendo.

- Sei pronta ad incontrare il lusso in persona?-

- Prontissima. -

- Bene allora. - La chiave era già inserita, gli bastò aprire la porta per farmi vedere il suo interno.

- E questa chi è? Ehi.. - un ragazzo diede una gomitata all'altro e gli disse - Il Thermos non ha speranze e va con le più piccole! Bel colpo! -

Thermos? È così che lo chiamavano? Un soprannome che gli stava a pennello considerati i suoi continui sbalzi d'umore.

- Ma di che diavolo state parlando? Questa non mi interessa. - rispose secco Arkiel, inorridito da quello che aveva appena detto l'amico.

Da una stanza ne sbucarono fuori altri due. Tutti mi stavano scrutando apparte uno, che sembrava interessato a qualcos'altro.

- E allora perchè ce l'hai portata qui? - rispose sempre lo stesso con un'occhiata furba. Era l'unico non intimidito da me, sembrava che facessi paura a certi di loro perchè non aprivano bocca neanche per fiatare. Aveva dei capelli neri, molto scuri, gli occhi marroni piccolini e un naso minuscolo, che lo rendeva buffo, si, ma simpatico e più giovane. Non si può dire che fosse stato brutto, però, anzi. Aveva solo un dettaglio che lo rendeva ridicolo, ovvero una forcina alquanto femminile che gli toglieva i capelli dagli occhi.

- L'ho aiutata, ha una storia complicata. È stata abbandonata, Blake. -

Blake, già, aveva un suono adorabile. Le parole di Arkiel mi apparivano molto esagerate. Sembrava che quella storia non mi appartenesse. È buffo pensare che ancora adesso la pensi così. Penso che tutto quello che ho passato sia solo la storia di un romanzo di qualcun'altro. Invece no.

Non ti capita mai, Mr. Absolute? Non ti capita mai di consegnare i tuoi meriti e le tue colpe alla vita di un tuo personaggio immaginario e poi scoprire che quello è soltanto il tuo riflesso?

In ogni caso, Blake si zittì. Come se dopo aver sentito questa motivazione Arkiel fosse stato automaticamente distolto dalle sue colpe.
Una nuova voce si cominció a sentire.

- Beh, non ce la presenti? - quella frase ruppe il ghiaccio. Era di un ragazzino che sembrava quasi un avvoltoio. Era magrissimo ed aveva una faccia lunga ma minuscola. Gli occhi erano sparati fuori dalle orbite. I capelli erano pochi, praticamente rasati. Le sue espressioni mi hanno sempre fatto ridere. Non c'erano espressioni che mi rallegrassero più di quelle.

- No, adesso deve andare a dormire perchè è stanca, vero? - mi disse lanciandomi un'occhiata complice.

Io feci per annuire ma poi mi fermai.

- Sono Sisi. -

Mi sembrava corretto almeno dir loro il mio nome, in caso Arkiel svelasse ai suoi amici un altro fastidioso soprannome per me che tutti avrebbero usato, considrato che invetar nomignoli era il suo passatempo preferito.

- Quanti anni hai, Sisi? - mi chiese il più vecchio. Aveva l'aspetto più saggio e maturo degli altri, non so proprio che cosa si facesse in quella mischia.

- Sedici. - risposi io sorridente.

- Oh, anche Dewey ne ha... Quanti hanni hai Dewey? Diciasette mi sembra...- disse Blake scuotendolo. - Oh, ne hai diciassette vero? - disse Blake scuotendolo. Dewey annuì. Aveva il capo chinato perchè era occupato a giocare con un aggeggio con quadrati di vari colori.

- Dewey quando la pianterai con quel coso? Saluta la ragazza, voi due potreste anche farvi una chiacchierata. -

- Ciao. - mi rispose secco per poi continuare a giocare.

- Ah, mai disturbare Dewey mentre gioca, ricordatelo. - sussurrò il più grande.

- Ha diciassette anni? - chiesi stupita - lo facevo più... -

- Grande? Per forza, si è fatto le ossa a stare qui con noi. -

Dewey era molto carino, era biondo e aveva gli occhi azzurri. Mi hanno sempre affascinato i principini, di aspetto, di carattere invece un po' meno.
Non è da negare che anche io a volte mi sento principessa. A volte me ne vergogno, ma d'altronde, ogni ragazza ha anche questo lato.

Era totalmente distaccato dal gruppo, come se non sentisse le nostre parole, come se non gli importasse di nulla. Forse perchè più giovane.
Si poteva vedere appena sotto i suoi capelli due ferite sul collo, la prima a forma di D, la seconda a forma di S. Era come se fossero state create apposta.

- Avrete molto da parlare voi due, ne sono sicura. - mi disse Blake facendo l'occhiolino.

- Non se ne parla, ora deve andare a dormire. - disse deciso Arkiel, il guastafeste.

- Eddai Thermos, non ha mica due anni! Credo che se sta qui un altro minuto non morirà mica! Facci almeno presentare. -

Arkiel sbuffò. Erano molto socievoli, in particolare Blake. Sarebbe stato divertente restare un po' con loro.

- Bene, allora, come avrai capito io sono Blake, il più simpatico, il più solare ed il più bello. Poi abbiamo questo - disse indicandomi il più cresciuto - che è Deryl, l'isterico. Quello magro come un chiodo è Clifford, l'idiota e poi c'è... Il giovanotto, Dewey, il tuo possibile futuro fidanzato. -

A quelle ultime parole io arrossii, Dewey sembrò fregarsene. Ho sempre saputo controllarmi ma per me le paroline come "fidanzato", "moroso" "innamorato" o qualsiasi aggettivo che rispecchi l'amore mi ha sempre fatta irriggidire, è qualcosa di troppo vasto, complicato, intenso e forse anche senza senso, qualcosa che non mi appartiene. Era un buco nero e non avevo intenzione di essere risucchiata da questo. Non volevo fare lo stesso errore di mia madre, non so se riesci a capire, finire come lei. Ritrovarsi da sola a badare ad una bambina e essere ingannata dal padre per ben due volte ed avere il coraggio poi di abbandonare la figlia in una grande città per poi pentirsene e affidarla nelle mani della Polizia, per lasciare poi che lei se ne vada in prigione. Eh si, è dura da dire ma l'amore porta solo a questo.

- Ok, avete avuto la vostra chiacchierata, ora vieni che ti faccio vedere la tua stanza da letto. - mi disse Arkiel trascinandomi per un braccio.

Diciamo che Arkiel non era stato molto specifico con la parola "stanza da letto". Mi aveva portato in bagno.

- E... Il letto? - gli chiesi stranita.

- Eccolo là - mi rispose, indicandomi una vasca da bagno a dir poco sporca, in certi punti anche arrugginita. Per di più sarà stata di circa un metro e mezzo, quindi ci sarei entrata solo piegandomi.

- Ma non ci sto nemmeno. - gli dissi ridendo, nella speranza che stesse scherzando.

- Non ti prendo per il culo. Già ti lamenti? O qui o fuori. - mi rispose freddo puntandomi la finestra - Cosa scegli? -

- Qui - risposi chinando il capo. Lui fece un cenno con la testa e se ne andò via. Io mi infilai dentro e mi sdraiai, tenendo le gambe piegate. Presi dalla tasca il mio notebook.

Credo di non aver mai scritto così tante volte in un solo giorno. Ma non riesco mai a finire, c'è sempre qualcosa che mi blocca, che mi costringe a smettere di scrivere. E se fosse un segnale, un avvertimento che mi dice che la scrittura non fa per me, che dovrei abbandonare quest'idea? Non riesco proprio a capire. D'altra parte la mia testardaggine sta superando tutto, se non fosse per quella ora non sarei qui.
Infatti oggi ho incontrato un poliziotto e gli ho mentito, dicendogli che Arkiel fosse mio padre. E sono stata brava. Ce l'ho


Un rumore di una porta mi bloccò. Ebbi l'istinto di nascondere il mio quaderno e la mia penna dietro la schiena.
Era Arkiel.

- Tieni il cuscino - mi disse lanciandomelo.
- 'Notte. - e richiuse la porta. Allora ripresi a scrivere.

fatta da sola. Tutto per un'idea folle.
Ho deciso, voglio andare in prigione.
Lì sarei cibata e potrei diventare acculturata allo stesso tempo. E tutto a nessun costo. Devo solo trovare il modo di entrarci. Ma sarà facile, ne sono sicura. Ho dimostrato a me stessa che posso far tutto. Allora di che mi preoccupo?
E anche se adesso mi ritrovo a dormire su una piccola vasca arrugginita senza neanche le lenzuola a guardare il soffitto, so che un giorno passerà tutto.
Magari con un po' di fatica avrò successo.
Un giorno tutti mi ameranno. Un giorno tutti verranno da lontano per sentire la mia voce. Un giorno tutti faranno a gara per starmi accanto. Ma non oggi.


Volevo continuare ancora, considerato che non avevo altro da fare, ma fui interrotta da delle urla oltre quella porta. Voci diverse, una dopo l'altra, che dicevano a toni elevati la loro opinione.
Sembrava proprio una discussione. Non riuscivo sempre a capire chi parlasse, sebbene avessi sentito la voce della maggior parte di loro per poco tempo.

- Te lo ripeto, dovresti unirti a noi, Arkiel. - disse uno, questa volta con tono calmo e deciso.

- No, non lo farò mai, Deryl! Tu e Blake avete avuto un'idea immatura e troppo pericolosa! - gli disse urlandogli contro. - E avete anche trascinato Clifford che è come Don Abbondio, cazzo, sta con i più forti. E anche Dewey vi aiuta, non vi rendete conto di quanto è pericoloso? -

- Non vogliamo continuare certo a fare quello che stai facendo tu. -

- Sta' zitto, Clifford. - lo sgridò Arkiel.

- No, Clifford ha ragione - disse Deryl - non riusciremo certo a pagare le tasse a fine mese, sennò, e non possiamo certo farci notare da chi ci sta cercando. -

- Con quello che state progettando, state sicuri che vi noterà anche mia nonna defunta, cazzo! -

- Non se siamo bravi abbastanza. - accennò Blake.

- Non riuscirete mai. - disse Arkiel scuotendo la testa.

- Per questo stiamo chiedendo il tuo aiuto, Arkiel. Ne abbiamo bisogno. Tu sei stato istruito più di noi anche per questo. Non ti ricordi? Eri il preferito di Feedback, tanto che ti aveva mandato nel "IJKL", il più determinato. Ma tu, nonostante ti avessero inculcato che la violenza fosse positiva, quel giorno hai deciso di stare dalla nostra parte. Perfavore, fallo per la seconda volta. - Le parole di Deryl erano sempre state persuasive, ma questo ad Arkiel non bastò.

- Io non ci riesco. Mi blocco solo all'idea di tornare in quel posto. Non ci lasceranno scappare per la seconda volta, anche perchè questa volta Dewey non ci potrà aiutare. -

- Se succedesse potrebbe aiutarci la tua nuova amica, come si chiama... Sisi. - propose Blake.

Solo al sentire quel nome mi pietrificai. Mi ero totalmente persa dalle loro parole. Mi avevano impedito di pensare. Non riuscivo a capire di che cosa stessero parlando. L'unica cosa che sapevo è che non si stessero di certo scambiando barzellette.

- No, lei non si tocca. - rispose di botto Arkiel - Non deve finire in mezzo a questa storia. -

- Perchè non ce ne torniamo in Kenya? -

- Certo che sei rincoglionito, Clifford. Quante volte te lo devo ripetere, cazzo?! - gli urlò contro Deryl - come facciamo ad andare via da questo stato con Dewey? Non credi si insospettiranno? -

A quelle parole avevo subito pensato ad una rapina. Ma non mi era proprio sembrata che Dewey fosse trattato come un ostaggio. Forse solo perchè erano in mia presenza. Quella risposta avrebbe risolto gran parte del rompicapo.

- Posso restare qui, me la caverò. -

- No, non te la caverai un bel niente, Dew' - gli rispose Deryl - che senso avrebbe prenderti per poi lasciarti? Siamo una squadra, restiamo uniti. -

- E poi comunque ci bloccherebbero in ogni caso, con te o senza di te. Non ce ne possiamo andare, siamo rinchiusi qui. E l'unico modo per continuare a vivere decentemente è questo, Arkiel. -

- No, un altro ci sarebbe. Andare a raccontare tutto alla polizia, la verità. - propose Arkiel.

- Ci abbiamo già pensato mille volte, Arkiel. Ma comunque ci faremmo qualche anno di carcere. E Dewey non starebbe più con noi. -

- Cazzo, Deryl, non riesci proprio a capirlo?! Un anno di carcere non è niente in confronto ad una vita. - Arkiel riprese ad urlare. - Dewey starebbe con qualcuno che sa prendersi cura di lui più di noi. -

- Lo troverebbe, questo lo sai meglio di noi. - rispose Deryl.

- E come?- chiese confuso Clifford.

- Vuoi che la notizia non si sparga nei telegiornali? - chiese sarcastico Arkiel.

- Ma perchè dovrebbe continuare a cercarlo? A che scopo? - chiese di nuovo Clifford.

- Il Thermos ci deve ancora questa spiegazione. - Blake rispose guardando Arkiel in modo sospettoso, quasi come minaccia.

- Sentite, ve l'ho già detto. Quel che so devo tenermelo per me. - rispose Arkiel scocciato - non voglio disagi in questa casa. -

- Rispettiamo il tuo silenzio, ma almeno ci devi ascoltare. - rispose Deryl. - Il tuo metodo non funziona, forse il nostro non è così giusto, hai ragione, ma se hai altre idee siamo tutti pronti ad ascoltarci. Ho bisogno di te, ho bisogno di tutti voi.

Arkiel sospirò. - Se mi unisco a voi mi dovrete aiutare senza commenti... -

- Che diavolo hai fatto? - chiese Blake.

- Beh.. Diciamo che.. Per sbaglio ho detto alla Polizia come mi chiamo. -

- Tu che cosa? Perchè diavolo avresti dovut - gli urlò contro Deryl.

- Ho detto zero commenti. - lo interruppe Arkiel - E zero domande. Volete che io accetti o no? -

Blake porse una mano ad Arkiel il quale, dopo un grande sospiro, strinse con insicurezza. Come se quell'ultima frase l'avesse convinto. Lo conoscevo solo da un giorno, ma sapevo che era testardo. A quanto pare, non più di Deryl.
Questo è quello che mi sono immaginata accadesse perchè poi, per tutto il resto della sera, non sentii nessun altro rumore oltre a quello della mia mente che cercava un punto fermo a cui aggrapparsi per scoprire tutto di loro e tutto di me.
Ormai l'aria era cambiata. Quelle persone che mi sembravano così allegre e simpatiche si erano trasformato in dei "cattivi ragazzi". L'aria in quella casa si era fatta ad un tratto nera.
E la mia unica possibilità per ottenere ciò che volevo era respirarla.


“Cos’è l’infedeltà?” chiesi mentre svoltavamo in un sentiero orlato di rose gialle. Elizabeth si fermò. La guardai e mi accorsi che aveva un’espressione triste. Per un momento pensai di aver detto qualcosa di sbagliato, ma poi vidi che il suo sguardo era posato sulle rose, non su di me. Mi chiesi chi le avesse piantate. “Significa avere amici.. segreti”, disse infine. “Amici che non si dovrebbero avere.”
Vanessa Diffenbaugh, Il linguaggio segreto dei fiori


Lo so.

Ora mi odierete. Non so quanto tempo è passato. E non ho mai aggiornato. Non vi ho neanche avvertito. E per di più, dopo tutto questo tempo, porto questo capitolo che sicuramente vi sembrerà orribile. Sono un mostro. Ma almeno lasciatemi spiegare.

Dovevo fare gli ESAMI di terza media. Ma Venerdì ho finalmente finito e ho iniziato subito a scrivere. Ora ho due interi mesi senza fare un cavolo di niente, apparte scrivere!
Quindi mi farò perdonare. Durante tutti questi mesi ho pensato molto alla storia. Ora di mezzo c'è tutta una trama intrigante di quei "cattivi ragazzi". Questo capitolo vi sembrerà orribile, lo so. È che dovevo metterlo. Non avrete capito niente. Ma questi indizi vi servono, fidatevi.
Parlando, per l'appunto, di questo capitolo.. Ho scelto di scrivere nel prossimo capitolo tutte le opinioni di Sisi su questa storia. In questo modo ho dato più spazio alla loro introduzione. Anche Dewey sarà più sviluppato nel prossimo capitolo, fidatevi! Ci sono poche descrizioni, lo so, ma a partire non dal prossimo ma dall'altro ne inizieranno molte.
Spero, almeno, di non essere stata noiosa, almeno in questo. Parlando delle vostre opinioni, vi faccio alcune domande perchè mi incurioscisce la vostra risposta.
So che sono poco introdotti.. Ma finora chi tra i "cattivi ragazzi" vi incurioscisce di più? C'è qualcuno che odiate, invece?
E.. per finire.. La domanda con il punteggio.. Che è molto difficile.
Che cosa sta succedendo nel dialogo tra i "cattivi ragazzi"?
Ah.. Ho dimenticato di dirvi due cose!
La prima è che amplierò i primi capitoli, di cui non sono molto orgogliosa perchè sono cresciuta e mi fanno letteralmente schifo. E considerato che i miei nuovi lettori si basano su quello per continuare a leggere, ho paura che non lo faranno. Non aggiungerò dettagli troppo importanti per rispettarvi in caso non abbiate voglia di rimettervi a leggere una storia che già conoscete.
La seconda è riguardo alle parolacce. Non sono una persona che adora sentirle o dirle. Anzi, a volte, in certi racconti qui su EFP mi fanno imbestialire perchè ci sono ogni tre per due. Qui, però, l'ho fatto per sottolineare il carattere dei ragazzi. Non per altro. Spero che non abbandoniate la storia per questa mia scelta. ;)

In attesa di un vostro perdono.. E se volete anche una review..

Bacioni,

Girl Dude

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** I veri e propri Rompi Capo ***


Le notti in cui abbiamo dormito è come se non fossero mai esistite. Restano nella memoria solo quelle in cui non abbiamo chiuso occhio: notte vuol dire notte insonne. Emil Cioran, L'inconveniente di essere nati, 1973
Luca Angelici, Racconti



100 MODI PER FARSI BECCARE
Capitolo 9- I veri e propri Rompi Capo




Mi giravo, mi rigiravo e respiravo nervosamente. Capovolgevo il cuscino in modo da appoggiare la mia testa sudata in qualcosa di più fresco. Poi mi giravo, mi rigiravo e respiravo nervosamente. Subito dopo capovolgevo il cuscino.
E anche i sentimenti miei per sè giravano anch'essi in una stessa ruota, balzavano dall'alto al basso alla stessa velocità stando alle regole.
Durante queste mie scene isteriche, a volte, mi capitava di bloccarmi a fissare il vuoto e cambiare rotta con i pensieri. Mi ripetevo che qualunque fosse stato il problema in quella casa io non c'entravo nulla e che non dovevo preoccuparmi, il mio compito era solo completare la mia missione. Allora facevo un respiro profondo e mi mettevo comoda sdraiata nella vasca, ma non passavano neanche due secondi che il mio famoso procedimento di rigiramento riprocedeva.
Non riuscivo a non pensare a quelle discussioni, sapevo tutte le loro frasi a memoria parola per parola e le ripassavo attentamente per catturare indizi. Come biasimarmi, non ci sarei mai potuta arrivare. Dovevo essere a conoscenza di verità più nascoste, più lontane, più buie.
Neanche tu, Mr. Absolute, ci saresti mai potuto arrivare, anche con la qualifica di poliziotto.

- Diciamo che non sono della tua specie... Sta alla larga da loro. -

Che voleva dire Arkiel con questo? Perchè voleva che stessi lontana da quelle persone? Viveva forse con degli assassini? E lui faceva parte di quel gruppo? E io che avrei dovuto fare, restare lì? Forse sì, se era l'unica opzione.

- Si è fatto le ossa a stare qui con noi. -

Blake parlava di Dewey. Dov'erano i suoi genitori? Dicendo qui con noi sembrava che intendesse qualcuno che si era unito più tardi al gruppo. E che cosa lo costringevano a fare, dicendo si è fatto le ossa ? Cosa era costretto a subire, a sopportare?
E le parole mi rimbombavano ancora, ancora e ancora.

- No, non lo farò mai, Deryl! Tu e Blake avete avuto un'idea immatura e troppo pericolosa! -

Immatura e troppo pericolosa. Immatura e troppo pericolosa.
Uccidire qualcuno? Magari me?

- Per questo stiamo chiedendo il tuo aiuto, Arkiel. Ne abbiamo bisogno. Tu sei stato istruito più di noi anche per questo. Non ti ricordi? Eri il preferito del Boss, tanto che ti aveva mandato nel "IJKL", il più determinato. Ma tu, nonostante ti avessero inculcato che la violenza fosse positiva, quel giorno hai deciso di stare dalla nostra parte. Per favore, fallo per la seconda volta. -

Ed eccola lì, la battuta più misteriosa, che mi faceva spremere le meningi, spappolare il cervello. Ogni frase, ogni parola racchiudeva un mistero. Che cos'era l'IJKL? Un club privato? "Ma tu, nonostante ti avessero inculcato che la violenza fosse positiva, quel giorno hai deciso di stare dalla nostra parte. Per favore, fallo per la seconda volta." Quindi era Arkiel quello di torto, il violento? E invece loro erano quelli che cercavano di salvarlo? Ma da che cosa?
Arkiel non me lo riuscivo ad immaginare, violento. Poteva cambiare da un umore all'altro, ma la pura cattiveria e aggressività nel volto non gliel'avevo mai letta. Ma forse non lo conoscevo abbastanza.

- Lo troverebbe, questo lo sai meglio di noi. -

Quel "lo" si riferiva a Dewey, a questo ci era logicamente arrivata.
Ma chi lo troverebbe? Il padre, la madre?
Non sembrava così banale la risposta, anche perchè, da quel che avevo capito, solo uno era a conoscenza della piena verità: Arkiel.
Una persona cercava Dewey, o forse cercava tutti. E non sembrava avere buone intenzioni.

Era inutile, non riuscivo a dormire. L'unico modo per far sonni tranquilli era scoprire la verità, o, meglio, forse. Qualcosa per aiutarla ad indagare le si sarebbe certo rivelato utile: del cibo.
E dove lo trovavo, da mangiare? Logico, esattamente dove Arkiel aveva detto di non frugare: nel frigo. Ma avevo fame, morivo di fame.
E poi, ho sempre creduto che le regole sono fatte apposta per infrangerle. Credo che tu sarai senz'altro d'accordo con me, Mr. Absolute, perchè nel bene o nel male i fuorilegge ti danno un lavoro, una paga da spendere tra cibo e famiglia, e probabilmente anche di più.
Chiudendo questa parentesi, avevo aperto quella porta su cui avevo appoggiato il mio sguardo per molto tempo e mi ero avviata in punta di piedi nel corridoio per arrivare in una grande stanza che a quanto pare faceva sia da cucina che da salotto, lo stesso luogo in cui avevo incontrato per la prima e unica volta gli amici di Arkiel.
Quatta quatta mi avvicinai al frigorifero. Si vedeva poco o niente, infatti mi muovevo a tastoni terrorizzata dal fatto che da un momento all'altro potevo inciampare da qualche parte e svegliare tutti. Non feci neanche a tempo a toccare il frigo che...

- Brutto figlio di... -

Di scatto mi girai ed ebbi l'impulso di coprirmi il viso con un braccio perchè aveva una torcia puntata in faccia. Infatti, appena vide chi ero, si interruppe e spense la pila. Credevo se ne fosse andato, ma invece accese la luce. Era Dewey.

- Scusa è che...-

- Tranquilla - mi interruppe - temevo fosse un ladro. -

- Oh - feci, senza altre idee come risposta - Tu dormi... -

- Nel divano, non ci sono abbastanza letti, facciamo ogni sera testa e croce. E questa ho perso io. - mi interuppe di nuovo, forse intuiva che ero un po' spaesata. - Fame? -

- No... -

- Dai, non prendermi in giro. Che saresti venuta qui a fare, sennò? - chiese con la risata in bocca.

- No è che... -

- Panino con prosciutto cotto, crudo, o con mortadella? - mi chiese togliendomi dall'imbarazzo.

- Qualsiasi cosa. - gli risposi con troppo entusiasmo.

- Allora hai proprio fame, eh? - mi chiese aprendo il frigo.

- Ci muoio, dalla fame. -

Lui si limitò a rispondermi solo con un sorriso e continuò nella sua cortese impresa.

Decisi che avrei potuto iniziare già ad indagare sulla questione, facendo innocenti domande al ragazzo, sarebbe stato il tempismo perfetto per un'ottima occasione.

- Allora, ehm... Sei venuto qui a Londra per la scuola? -

- Ehm.. No! Non vado a scuola. - disse porgendomi finalmente un panino.

- Grazie. E i tuoi sono d'accordo? - chiesi, ma mi maledissi mentalmente perchè mi resi conto che la domanda sembrava troppo azzardata. Allora cercai di correggerla un po', per quanto ci riuscissi. - Sei veramente fortunato. Mia madre non mi avrebbe mai lasciato restare a vivere con degli amici più grandi finchè non raggiungo i diciotto. -

- In realtà mio padre è Deryl. -

Mi aspettavo di tutto, ma non una risposta del genere. E Dewey sembrava averlo capito.

- Forse con il pane sta bene un po' da bere. - suggerì, e senza il mio assenso prese un bicchiere e ci fece scorrere un po' d'acqua. - Sai, fin da piccolo ci dicevano sempre che noi due non eravamo per niente simili. Nè di aspetto, nè di carattere. Lui é sempre stato calmo, buono e tranquillo e intelligente. A volte un po' isterico, sì, ma chi non ha qualche difetto? Invece io - sbuffò - completamente il contrario. Sono sempre stato una peste. Ora mi sono un po' calmato. E per fortuna che non vado più a scuola. Mi piaceva solo la matematica e, sì, non dormivo nelle lezioni di scienze. Ma per il resto... Che schifo. -

- Vuoi dire che ti fa schifo anche la letteratura? - azzardò lei. Chissà che reazione avrebbe avuto se gli avesse detto che voleva proprio andare in prigione apposta per andare a scuola.

- No, a che serve? -

- A che serve? Scopri come è nata la tua lingua, ecco a che serve. Sarebbe come a dire che la matematica non ha alcun senso perchè esiste la calcatrice. -

- Si dice calcolatrice - mi corresse un po' infastidito.

- Fa lo stesso. - risposi con un'alzata di spalle.

- No che non fa lo stesso. Calcatrice sembra un detersivo. Caalcoolaatriicee, ripeti con me. -

- Non mi trattare come una bambina. - sbuffai io, ridendo innervosita.

- Pensavo fossi tu l'esperta in lingua. -

- Per tua informazione, a differenza tua, parlo anche l'africano. -

- Africano? E chi te l'ha insegnato? - chiese stranito lui, il colore della mia pelle non dava proprio indizi evidenti del mio Paese d'origine. Rolf doveva proprio avere la pelle bianchissima.

- Sono africana. -

- Oh. - si limitò a rispondere lui, era letteralmente confuso ma potevo leggergli negli occhi che non voleva invadere sui miei fatti personali. Forse perchè in cambio si aspettava da me lo stesso. Non mi aveva chiesto niente e non me la sentivo di raccontargli la mia storia, non prima di aver conosciuto la sua.

- Lo sai, ti facevo un tipo silenzioso. - continuai io, indirizzando il nostro discorso verso un altro sentiero.

- Io? Beh, no... Cioè, non credo di esserlo. È tutta colpa del Cubo di Rubik. -

- Intendi il cubo colorato? -

- Sì, quello. È che ti prende. Finchè non lo completi non sei in contatto con il mondo. E quindi dai l'idea sbagliata alle persone che non ti conoscono e ti vedono per la prima volta lì seduto bello muto all'opera. Come mi è successo con te. - disse sorridendo.

- E come mai ti appassiona così tanto? -

- Non è che mi appassiona. È che mi prende . C'è una bella differenza. É quasi come una droga, ma neanche. Per fortuna quando finisci il gioco me ne torno tranquillo, con la droga il gioco equivale ad una vita. -

- Mi insegni? -

Dewey, onorato dalla mia richiesta, se lo prese dalla tasca e avvicinò la sua sedia alla mia.

- È molto semplice, a dire il vero. Il processo di soluzione è non lineare, nel senso che ad ogni passo bisogna esaminare più di una possibilità. - mi spiegò giocherellandoci.

- Fase numero uno: devi sistemare lo strato superiore. Per primo sistema gli angoli, dopo gli spigoli. - disse facendomi vedere - Dopo passi a sistemare gli angoli dello strato mediano. - Scagliava bene le parole una ad una, mentre le sue dita si muvevano velocissime.

- La fine è una passeggiata. - mi spiegò - devi predisporre gli angoli e poi rotarli, poi posizionare gli spigolo e rotarli. Ecco fatto, proprio così. - mi disse porgendomelo, incitandomi a controllare che ogni quadratino fosse al posto giusto. Era così.

- Ci hai capito qualcosa? - mi chiese poi, vedendomi un po' frastornata.

- Ho visto solo delle abili dita che si muovevano velocemente in un cubo, da lì mi sono persa. -

Lui sorrise. - Prova. -

- Ehm... Dov'eravamo? -

- Sennò ci sarebbe un altro modo che io non uso molto. È o per gli esperti o per i principianti, quindi fa anche al caso tuo. Sta tutto nel memorizzare otto mosse, è questo il trucco. - La mia mente si bloccò, non lo stavo più ascoltando. La mia attenzione si era porsa sul suo collo, dove c'era quella strana ferita, sembrava che qualcuno o lui stesso se la fosse incisa di proposito. Le lettere risultavano chiare, c'era una D ed una N puntate. La mia curiosità era troppa e rovinai quel bel momento.

- Come te la sei procurata, quella ferita? - lo interuppi. Lo vidi irrigidirsi d'istinto, si mise una mano sul collo per coprirla.

- Me l'ha fatto un compagno di classe alle elementari, proprio mentre eravamo in motocicletta con suo padre. Aveva un coltello nel taschino. Non l'ho più rivisto, da quel giorno. -

- E come mai proprio una D ed una N? - chiese con il sorriso più largo che riuscivo a fare, non volevo irritarlo.

- Beh, mi sembra logico. Sta a dire Dewey Neggerdrod. -

- Non ci avevo neanche pensato! - gli risposi io, forse un po' troppo forte.

- Sarebbe meglio andare a dormire, adesso, è tardi. -

- Sì, certo. Buonanotte. -

- 'Notte. - si limitò a rispondermi, buttandosi esausto sul divano.

Era logico che a quella domanda si era irritato. E c'è sempre un motivo ad ogni perchè. Oltre a quei larghi sorrisi, quella gentilezza, quella leggerezza su cui si soffermava in qualsiasi cosa non erano che una maschera, una maschera che nascondeva il volto di una persona che tiene un segreto, uno spaventoso segreto.
E dovevo scoprirlo.



'Riggio ragazze!
Va bene, ci ho provato ma non posso fare finta di nulla. Scusate. Vi avevo promesso che durante l'estate avrei aggiornato molto più frequentemente, ma non è stato così.
Non saprei neanche io il vero motivo.
Forse ero perchè ero in attesa di certe recensioni in più, convinta che arrivassero. Volevo aspettare che tutte leggeste.
Ma certe, purtroppo, si sono un po' dimenticate dell'esistenza della mia storia.
E non biasimo nessuno, sto aggiornando veramente con troppi ritardi, e dubito che al posto vostro avrei reagito in modo diverso.
Comunque, mi dispiace molto, è vero, ma non mi do per vinta.
Ripensando all'altra storia, quando gioivo anche solo per aver preso delle visite... Ora, devo essere ben felice di aver preso due recensioni nello scorso capitolo!
Quindi, ringrazio sia quelle che mi hanno letto ma si sono interrotte, sia quelle che sono state costanti nella lettura.
Ringrazio tutte per avermi seguito e motivato. Ops, forse dovrei usare il maschile perchè noto con piacere che... C'è un ragazzo che segue la mia storia!
Ora passerò più tempo in vacanza in spiaggia quindi la scrittura mi terrà compagnia, devo solo beccare Wi-Fi! (Ah... Per caso voi conoscete qualche sito che vi fa il codice HTML automaticamente?) Parlando della storia...
Dunque, Sisi sembra essere piena di dubbi. Che farà? Ho fatto un momento speciale tra Dewey e Sisi, e presto avrete modo di conoscere bene anche Deryl, Blake e Clifford. Che cosa pensate riguardo a Dewey, qualche intuizione?
In ogni caso, passiamo al nostro gioco.
Questa volta ho deciso che non farò nessuna domanda.
Sarete voi a farla una a me, sulla storia. Dovrete porvi la domanda giusta. Io non vi risponderò, ovvio, ma vi dirò se è una domanda appropriata da fare. ;)
Ah, come dimenticare! Io e una mia amica ci siamo molto impegnate e abbiamo messo insieme una storia, per adesso abbiamo fatto solo un capitolo pubblicato nel suo account, ma uno bello lungo, ve lo posso assicurare! Si chiama ire08 e la nostra storia è "Every Artist has a mask". È completamente diversa da questa, quindi non potrei sapere se fa per voi. Ma provare non costa nulla, ci rendereste molto felici! ;)
Vi do un bacione e vi ringrazio nuovamente,
Desperate Housewriter





L'Amore è come un cubo di Rubik, o perlomeno a me piace immaginarlo così... Un gioco il cui lo scopo è quello di rimettere apposto tutti i colori delle singole facciate, che in precedenza erano stati scombinati, nel minor tempo possibile e utilizzando il minor numero di mosse...
Luca Angelici, Racconti

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1387962