Apologies

di Echo90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***



Capitolo 1
*** I ***



Sto pensando a te. E mi rendo conto che basterebbe poco, molto poco, per stare bene. 
Sei bella. Talmente bella che quando ti ho vista per la prima volta –lo ricordo bene- credo di aver smesso di respirare.  Sì, di respirare. E la mia vista si è oscurata, e si è oscurata da quel momento in poi. E oggi non vedo più nessuno che non sia te, e non potrei vederlo nemmeno nel punto più alto di tutto l’universo.
Eri seduta a terra, e le tue gambe erano incrociate. Avevi i gomiti sulle ginocchia e con le mani tenevi su il tuo viso. Mi guardasti con quel broncio adorabile e i tuoi occhi mi parvero talmente azzurri da far impallidire il cielo.
Credo di essermi presentata, ma non lo ricordo nemmeno e in ogni caso seppi dal primo istante che non ti saresti ricordata di me.
E oggi invece, ti ricordi di me, Britt? Oggi che non ci sono e che tu non ci sei perché siamo state stupide, dannatamente stupide, penso che avremmo potuto giacere nello stesso letto se solo io fossi stata più coraggiosa.
Mormorasti qualcosa a proposito di orsetti colorati e caramelle gommose, che ti aspettavano a casa, sul comodino vicino al tuo letto.
Ricordo che risi, che ti trovai strana, adorabilmente e mi sorpresi a realizzare che avrei pagato qualunque cifra per sbirciare fra tuoi pensieri. Non seppi nemmeno perché, eppure, in quel momento, fui certa che sebbene non fossi di nessuno e che non lo sarei stata mai, la tua rete mi avesse catturata. Pregai di svegliarmi il giorno dopo senza pensieri.
Ma l’avevo sentito –e non mi sbagliai- il momento esatto in cui mi entrasti nella testa e mettesti radici.
Non avevo nemmeno quindici anni, ma dovetti crescere così in fretta che tutt’ora, l’adolescenza, non so neppure cosa sia.
Il giorno dopo non sapevo ancora nulla, non sapevo nemmeno di me, e non capivo, non capivo perché –dannazione- ovunque i miei occhi incrociassero una chioma bionda, il mio cuore facesse un balzo, dimenticando che il suo posto fosse al centro del petto.
Poi ti vidi, e fui sicura che fossi tu perché prima di incontrare i tuoi occhi potei sentire la tua voce. Mi sembrasti triste al punto di spezzarmi il cuore.
“Sono una stupida. Perché sono così stupida?” ripetevi un po’ a se stessa, un po’ alle tue mani, un po’ a chissà. Non avrei dovuto, eppure sorrisi e senza sapere come mi trovai accanto a te.  E quando me ne accorsi fu già troppo tardi perché tu mi aveva visto e ora mi guardavi come se ci conoscessimo da una vita –o come se non ci conoscessimo affatto.
“Ciao” dissi soltanto e solo quando fu troppo tardi mi accorsi che la mia voce fosse più roca di quanto avrei voluto. I tuoi occhi bruciavano sui miei e, sebbene Santana Lopez non abbassasse mai lo sguardo per prima, d’innanzi a te, non riuscii a resistere.
“Ciao...” rispose lei con un sorriso. “...Santana.” Spalancai la bocca, sconvolta che tu ricordassi il mio nome. Ricordi? Qualche tempo dopo mi avresti confessato di averlo fatto di proposito perché avevi capito che avevi un ascendente su di me e per questo mi stavi aspettando. Cosa avessi capito, poi, me lo chiedo ancora adesso. Eppure, se mi guardo dentro, so con assoluta certezza che tu abbia letto in me molte più parole di quelle che io stessa abbia mai pronunciato.
Non risposi e tu rivolgesti di nuovo l’attenzione al tuo armadietto, trafficando con la combinazione. Pensai che fossi bellissima così... concentrata e non so come presi coraggio e mi decisi a parlare.
“Non ricordi la combinazione?”
Vidi di nuovo quel broncio bellissimo e mi rispondessi che si, l’avevi dimenticata.
“E non l’hai scritta da nessuna parte?”
Mi guardasti indecisa.
“Sì, certo. L’ho scritta nel mio bigliettino da visita. Sai, lì c’è scritto il mio numero di telefono, la via in cui abito e persino il mio secondo nome. Ci avevo scritto sopra anche la combinazione, ma temo di aver chiuso il biglietto dentro e ora non so come aprire.” Avevi parlato velocemente e non prendesti fiato se non alla fine. Eri imbarazzata, e io, che avrei tanto voluto rassicurarti non riuscii a dire una parola.
“Sono una stupida, so cosa stai pensando.” Alzasti le spalle. “Me lo dicono tutti di continuo, ci sono abituata.”
Mi sembrasti un cucciolo impaurito e sentii il bisogno di doverti rassicurare.
“No!” mi affrettai a risponderti. “Sei solo un po’ sbadata.” Sorridesti, sorrisi.
“Poco male, Lord Tubbington ha una buona memoria. Arriverò a casa, gli preparerò un cesto di muffin al cioccolato e lo lascerò davanti alla sua stanza. Se sono fortunata ricomincerà a parlarmi... So che adesso mi odia, ma non potevo certo lasciargli fare di testa sua. Il medico è stato chiaro: basta con le sigarette e il tabacco. O con la Marijuana.”
Confesso. Mentre tu eri li, di fronte a me e mi parlavi e mi chiedevi dove –secondo me- prendesse i soldi per procurarsi la roba, io riuscivo soltanto a chiedermi “perché”. Perché, sebbene osservassi le tue labbra muoversi, le parole impiegassero un tempo infinito per giungere alle mie orecchie, come se non vi fosse più aria attorno a me, come se l’avessi respirata tutta e non vi fosse più alcun vettore fra me e te. Solo spazio vuoto.
Poi mi chiesi di cosa stessi parlando.
“Brittany?” Ti interruppi, ricordi? Col tempo avrei imparato a non farlo più e semplicemente avrei ascoltato il riverbero della tua voce, cercando di coglierne ogni sfumatura. E avrei sorriso ad ogni parola buona spesa per me e avrei pianto tutte le volte in cui mi avresti mandata via con i tuoi silenzi.
Nel mio diario avrei scritto tutto, senza pormi troppe domande -avevo tanta paura delle risposte- sino a che ogni dubbio scomparve e tali risposte apparvero davanti ai miei occhi spietate, indesiderate.
“Si...?”
“Chi è Lord Tubbington?”
“Il mio gatto, pensavo fosse chiaro!” Tesoro, lo pensai allora e lo penso anche adesso: non lo era. Eppure quando scoppiai a ridere e ridesti anche tu con me, realizzai che la tua fosse quel genere di follia di chi pensa sempre a più alte cose. Sei un genio Britt. Te l’avrei ripetuto tante volte da allora.
“No, ti assicuro che non lo era!”
“Avrai occasione di conoscerlo, ti piacerà.”
“Mi presenterai al tuo gatto?”
“Perché no. Sono qui da due ore e sei stata l’unica che ha guardato me chiedendomi cosa non andasse, invece di incollare gli occhi al mio sedere come hanno fatto gli altri o di storcere la bocca per come mi vesto.” Mettesti su un broncio talmente dolce che non potei distogliere lo sguardo dal tuo viso. Eri indubbiamente bellissima, Amore, lo sei sempre stata. Ma io guardavo i tuoi occhi, il tuo naso, le tue labbra e il fatto che ad ogni espressione buffa ne seguisse una più buffa e più dolce.
Mi chiesi se fossi così con tutti o solo con me, se un giorno mi avresti riservato un trattamento, come dire... speciale. Non avevo mai avuto un’amica, né avevo mai incontrato una persona che mi fosse piaciuta al primo sguardo, che mi avesse fatto dire “ho bisogno di lei, anche se non so perché.” E il perché non l’avrei capito per molto tempo ancora.
“Hai lezione?” ti chiesi.
“Ssì. Ma non ricordo quale, il mio orario è nella mia agenda, la mia agenda è nell’armadietto. L’armadietto è proprio questo. Credo.” Dicesti facendo uno strano gesto con la mano.
“CREDI?”
“Beh, come faccio ad esserne sicura, sono tutti uguali!”
“Ma io stavo quasi per proporti di scassinarlo!”
Scoppiai a ridere. Davvero, Brittany, quel giorno segnò il mio inizio e la mia fine. O il nostro inizio e la mia fine.
Poi rimanemmo in silenzio.
“Devo andare. La lezione, sai... ciao.” mi voltai e subito mi mancarono i tuoi occhi.
“Ehm... Santana?”
“Grazie.”
“Di niente...”
“Spero di rivederti.”
Speravo di rivederti anch’io, Britt, non sai quanto. Eppure non lo sapevo ancora.
 
**
 
Salve!
Se tutto va bene e a qualcuno interessa, questa storia racconterà tutto quello che Glee non ha voluto mostrarci. E poi ancora oltre. Santana parlerà di quello che a noi ha detto nemmeno per sbaglio, di quello che solo Brittany sa e che talvolta anche lei ignora. Ogni cosa, ogni pensiero. Quanto agli aggiornamenti sappiate che avverranno prestissimo, ogni giorno o al massimo ogni due giorni. Grazie a tutti!

ps
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Capitolo 2
*** II ***


Non avrei voluto andare, ma non seppi dire di no. Lui era, sai... bello. Aveva tutto ciò che un uomo doveva avere per piacere ad una ragazza –o almeno così mi dissi perché io lo guardavo e per quanto lo desiderassi non riuscivo a farmelo piacere.
Alla fine mi convinsi che per sopravvivere dovevo scendere a compromessi e se fosse stato necessario venire a patti col diavolo. E, Dio, io ero Santana Lopez, venivo da Lima Heights, avevo imparato a fare a pugni a quattro anni per sopravvivere! Come ti dissi una volta, Brittany, se non fossi stata cattiva i bulli del mio quartiere avrebbero rovinato il mio bel faccino, e tu non ti saresti mai innamorata di me.
Lo credevo davvero, sai? I primi tempi mi chiedevo se tu stessi con me per il mio corpo, per la mia macchina, per le caramelle che ti compravo ogni giorno.
Non capivo come, Amore, ti fossi potuta innamorare di un demonio, tu che eri un angelo –il più bello e dolce di tutti.
Ma quella notte tu non c’eri, Britt e io avevo bevuto e lui era lì. Cosa avrei dovuto fare? Mi trascinò nella sua auto, poi partì sgommando, senza nemmeno allacciare la cintura.
“Puckerman, dove stiamo andando?” gli chiesi. Eppure avevo già una vaga idea e quando lui inchiodò sotto un lampione fulminato, ai margini della strada, tutto mi fu chiaro.
In fondo mi aveva offerto da bere, sapevo che avrebbe voluto essere ripagato. Sapevo anche come. Lo sapevo dal primo momento, ma non mi mossi e non muovendomi, non scendendo da quello sgabello, non voltandogli le spalle, non chiamando un taxi, decretai quale sarebbe stata la fine della mia serata.
Mi guardò e non mi piacque il suo sguardo e, per quanto in futuro avrei imparato a volergli bene, fui certa che non mi sarebbe piaciuto neanche tutto il resto.
Ma era necessario allearsi con il più forte per sopravvivere. Ed io avevo bisogno di sopravvivere anche solo per giungere al momento in cui tutto sarebbe finito e avrei pagato pegno per le mie azioni.
Poi, senza che potessi far nulla per evitarlo, Puck mi baciò. Il suo alito sapeva di birra, come quello della maggior parte dei ragazzi che avevo baciato. Non mi piacque. E non mi piacque quando portò le mani sotto la mia maglietta e poi sotto il reggiseno. Ebbi paura, lo confesso. E tu adesso strabuzzerai gli occhi, piccola Britt, perché ti avevo ripetuto che Noah era un amante eccezionale. L’avevo ripetuto come lo ripetevano tutte, a pappagallo, pensando che fossi io quella sbagliata.
Forse avrei voluto che tu ti ingelosissi al punto di proibirmi di vederlo. Ma non fu così e non so se ringraziarti o biasimarti per questo: hai sempre lasciato che fossi io a scegliere, permettendomi di imparare dai miei errori.
Ma io non imparerò mai, Brittany, avresti dovuto capirlo.
Mi tolse la maglietta, mi tolse il reggiseno. Mi tolse persino la collana di finte perle che portavo al collo e che si insinuava nella valle dei miei seni.
Ma poi non riuscì più a trattenersi: mi sfilò solo gli slip per poi insinuarsi sotto la mia gonna. Dio, il dolore fu lancinante. Non ero pronta, non ero pronta nemmeno lontanamente come lo sarei stata con te.
Spingeva in me, ignorando il fatto che la mia eccitazione fosse... inesistente? Sì questa era la parola. Mi veniva da piangere, ma trattenni le lacrime mordendomi le labbra. E quando lui finì, adagiandosi con tutto il peso su di me chiedendomi se fossi venuta sussurrai solo uno stanco “sì.”
“Portami a casa, Puck, mi hai sfiancata.”
Era orgoglioso di sé quasi quanto io ero disgustata da me stessa.
Mi feci una lunga doccia calda, ma mi sentivo sporca e l’acqua non sarebbe bastata a lavare le mie colpe. Noah non era cattivo, e col tempo avrei fatto l’abitudine alle sue mani ruvide, ma non sarebbe stato mai gentile e premuroso come lo saresti stata tu. Con lui ero un corpo vuoto, nient’altro. Con te? Con te ero Sannie. Ero Sannie, in ogni tuo gemito, in ogni tuo sospiro, in ogni tuo sguardo: per la prima volta dacché ero nata fui semplicemente Io.
Passai un week end terribile, senza vederti. Cazzo, non sapevo nemmeno perché fossi così irrequieta, perché mi sentissi così dannatamente sola. In fondo sola lo ero stata per tutta la vita. E, senza che lo volessi, ogni tanto il mio pensiero scivolava su di te, e non riuscivo a spiegarmi, dannazione, perché. Pensavo al tuo gatto, ai muffin che tu gli avresti preparato e mi chiesi se lui sarebbe stato abbastanza magnanimo da perdonarti e renderti la combinazione dell’armadietto. Sorrisi fra me e me e nonostante in quindici anni di vita non avessi mai pensato a nessuno che non fosse me stessa, mi ritrovai a guardare lo spazio vuoto sui sedili posteriori dell’auto di famiglia, mentre tutti insieme andavamo a pranzo dalla mia abuela.
Mi chiesi come sarebbe stato se tu fossi diventata mia amica, Brittany. Mi sentivo così sola.
Presi il cellulare, mandai un messaggio a Puck (perdonami, Amore, ero così stupida!). Gli scrissi semplicemente “Stasera ho casa libera. Scopiamo?” e così avrei fatto ogni qual volta mi fossi sentita sola. E lui non si sarebbe preso nemmeno la briga di rispondermi: avrebbe bussato alla mia porta e io avrei aperto. Poi mi avrebbe sbattuta nel muro ed io gli avrei lasciato fare quello che voleva.
E non importava se io avessi voluto a mia volta, se provassi dolore, se le lacrime battessero agli angoli degli occhi. Avrei finto, avrei finto anche per sempre, pur di non restare da sola.
Ti incontrai che era... lunedì, sì. Avevamo lezione di biologia insieme ma io non lo sapevo ancora e quando ti vidi fu come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco. Anzi due: il primo quando ti riconobbi fra tutti, il secondo quando tu vedesti me.
Mi sorridesti, ricordi?
“Ciao Santana!” ti sentii dire.
“Ciao...”
Rimasi in piedi a guardarti. L’insegnante non era ancora arrivato, e tu pasticciavi con i tuoi colori a cera. Riconobbi il profilo di un gatto e pensai che dovessi avere qualche problema con le proporzioni perché una figura bionda –che supposi fossi tu- lo teneva fra le braccia e mi parve che lui fosse decisamente troppo grande.
Mi sarei ricreduta presto, non appena l’avessi visto. E quando tu gli infilasti fra le fauci alcune delle caramelle che ti avevo portato, capii anche perché.
“Lui è Lord Tubbington?” ti chiesi. Sembrasti sorpresa e pensai che fossi così dannatamente dolce che mi sorpresi io quando vidi che nessuno fosse seduto accanto a te.
Poi mi sorridesti e realizzai che non avessi mai visto un sorriso bello come il tuo.
“Sì! Ti ricordi ancora!?”
“Perché non dovrei?”
Sollevasti le spalle. “Oltre che stupida la gente pensa che io sia strana.” Dicesti e ti guardasti attorno. “Mi si avvicinano solo i ragazzi e solo quando vogliono entrare nelle mie mutandine.”
Mi sentii come se mi avessero schiaffeggiato e quando tornai in me spostai la sedia che si trovava alla tua destra e mi accomodai lì, mentre tu mi guardavi con gli occhi sgranati.
“Che stai f-facendo?” mi chiedesti.
“Mi siedo.” Risposi ovvia.
“Qui?”
“Non posso?”
“Oh, sì, certo. È solo che...”
“E’ solo che...?”
Niente, rispondesti.
Brittany, quello fu l’inizio di tutto. Fu il l’inizio dell’inizio, fu l’inizio della fine. E ripensandoci adesso mi rendo conto di quanto ti amassi, già allora, e di come da quel giorno in tutte le notti avrei pensato a te.
Non avevo alcuna malizia, Britt, nel mio cuore e anche se ci fosse stata non sarei mai riuscita ad afferrarla, a capirla, a darle un nome. Non pensavo che fra tutti sarebbe potuto succedere proprio a me.
In futuro mi sarei odiata per questo. Mi sarei odiata sino all’inverosimile. Eppure alla fine, grazie a te, grazie a te Amore, mi sarei amata mille volte di più.

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Capitolo 3
*** III ***


Fissavi quella piccola rana con gli occhi pieni di lacrime. Doveva essere morta da giorni perché era... orrenda, a vedersi. Stringevi il bisturi in mano, e tremavi, e temetti di sapere perché. Mi sembrasti così dolce e, improvvisamente, quello che stavamo per fare mi parve la cosa più barbara che la mente umana potesse concepire. Andiamo, che utilità avrebbe mai potuto avere, far smembrare una rana a dei ragazzini che non avevano ne avrebbero mai avuto alcuna propensione per l’anatomia, o per la scienza, o per lo studio in generale!
Sembrasti un coniglietto, un piccolo coniglietto biondo e impaurito.
Rimasi a guardarti, mentre avvicinavi la mano all’animaletto che giaceva a pancia all’aria e poi la tiravi su di nuovo.
Poi mormorasti “basta, non ce la faccio” e scorsi quel broncio sul tuo viso. Da quel momento decisi che non avrei potuto sopportare di vederlo, mai e, inconsciamente, mi promisi che avrei fatto di tutto affinché tu non fossi triste.
Non sapevo ancora, Amore, che qualche tempo dopo sarebbe bastato un semplice bacio, per veder sorgere quello splendido –splendido-  sorriso che hai.
Improvvisamente mi ritrovai con la mano alzata e mi rivolsi al professore. Lui non mi sentì ed io mi schiarii la gola per attirare la sua attenzione, finché non mi vide.
“Professore, credo che la mia compagna...” dissi guardandoti “non si senta molto bene. Posso... posso accompagnarla in bagno?” Lui lasciò che il suo sguardo si spostasse del mio al tuo, vide i tuoi occhi che luccicavano e tanto dovette bastare.
“Accompagni la sua amica in infermeria se lo ritiene necessario, signorina Rivera.” Io annui. Poi feci per alzarmi, e tu mi trattenesti per la manica della camicia che indossavo. Era semplice e bianca, leggermente sbottonata sul davanti, lo ricordo ancora. E lo ricordo perché una volta a casa –per un attimo- fui indecisa se lavarla o custodirla intatta quasi fosse una reliquia... solo perché tu l’avevi toccata.
Avrei dovuto conservare la mia pelle come se fosse sacra solo perché vi si erano posate le tue labbra? Sì, avrei dovuto. Ma ho sempre odiato troppo me stessa, per volermi così bene. E avrei finito per fare tutto il contrario.
Quello che segui fu –non ho nemmeno le parole per definirlo, Tesoro- ...sorprendente. E... strano.
“Non posso...”
“Cosa non puoi?”
“Non posso lasciarla qui.”
“Non puoi lasciare qui cosa?”
“Non posso lasciare qui la povera Vedova.”
Io strabuzzai gli occhi, e avrei giurato di sembrare un’autentica idiota mentre ti osservavo avvolgere l’animaletto in un fazzoletto di carta, e infilartelo in tasca. Feci per alzarmi ma poi mi prendesti di nuovo per il braccio e io capii in un attimo cosa mi stavi dicendo, senza parlare.
Io, per la prima di molte volte non riuscii a dirti di no. E quindi presi la rana, ne feci una specie di mummia e come se nulla fosse, la misi nella tasca posteriore dei miei pantaloni.
Brittany, mi chiedo ancora se tu sappia che non avrei fatto nulla di simile prima di conoscerti e oggi, guardandomi indietro, mi rendo conto che potrei enumerare ad una ad una tutte le follie che ho fatto per te. Sempre col sorriso sulle labbra.
Quando ti portai in bagno e, dolcemente, ti chiesi cosa avessi, scoppiasti a piangere. Poi parlasti, e per un momento non riuscii a capire.
“Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo...” ripetevi. Avevi gli occhi arrossati e le tue labbra tremavano e quando ti accasciasti al muro e ti lasciasti scivolare a terra, io mi misi in ginocchio di fronte a te, spostandoti un ciuffo biondo dietro l’orecchio, cercando di calmarti.
“Cos’è che sapevi, Brittany?”
“Che il senso di colpa mi avrebbe uccisa!”
Improvvisamente tutto mi fu chiaro, o almeno così pensavo, e per un attimo intuii come doveva essersi sentito Colombo quando aveva scoperto l’America.
“Non ti piace dissezionare rane, eh?” chiesi con un sorriso. Ti asciugasti gli occhi con il dorso della mano.
“Rane?”
“Come quella che abbiamo in tasca, sai, saltano, mangiano insetti...”
“Ah, parli della v-vedova!” Ti guardai, e stavolta, Amore, mi rendo conto che non avrei mai potuto capirti, nemmeno se ci avessi pensato tutte le notti sino all’infinito.
 “La vedova è un ragno. La vedova nera.” Mi guardasti come se avessi detto un’eresia, o un’accozzaglia di parole senza senso, e quando parlasti fui certa del fatto che non mi avessi nemmeno ascoltata.
Prendesti un grande respiro.
“Suo marito è m-morto. Credo che abbia avuto un infarto giocando con Tubb. Ma io ho provato a rianimarlo, giuro! Gli ho fatto il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca, ma lui non si muoveva. Ho aspettato dodici ore sperando che si svegliasse per raccontarmi com’è il paradiso, ma... n-niente. Mi sono sentita così in colpa, Santana. Non ho dormito per giorni. Ed ora... ed ora questo! Avevo promesso sulla sua tomba che avrei protetto la sua famiglia. Invece... sono una stupida... e un incapace. Sono una stupida incapace bionda senza cervello!”
Avrei dovuto pensare che fossi pazza invece, fra me e me, realizzai quanto tu fossi adorabile. Mi dissi che se il ranocchio non si era trasformato in principe nemmeno con un tuo bacio, allora tutte quelle fiabe erano state scritte da autentici idioti. Perché tu sei una principessa, Amore, e non l’ho deciso io. L’ha deciso Dio quando sei nata ed io avrei cominciato a credergli dopo averti conosciuta.
Decisi di soprassedere sul fatto che, probabilmente, il marito della Vedova non era morto di infarto e che il piccolo Tubb –forse, Britt, dico forse!- non era stato abbastanza delicato con lui... Ma non lo dissi a voce alta, non avrei mai potuto e quando parlai rimasi sorpresa udendo la mia stessa voce. Pensai avesse una sfumatura dolce che non avevo sentito prima e che non avrei sentito più dopo di te.
“Andiamo...” ti tesi la mano e rimasi in attesa.
“Dove...?”
“Andiamo, fidati no?”
La tua mano era calda, morbida e mi dissi che l’avrei riconosciuta fra mille, anche al buio. Sarebbe stato così, mi dissi. E... lo fu davvero. Ogni volta che avremmo fatto l’amore, Brittany, -ogni volta- avrei pensato a te. Sino alla fine.
E quando accigliandoti mi chiedevi perché tenessi gli occhi chiusi, se stessi pensando ad un’altra donna, avrei dovuto risponderti che era impossibile, che anche volendo non avrei potuto perché... tu mi eri addosso. E che ogni dannata cosa sapeva di te –di te e basta.
Invece ti baciavo in silenzio e mi sembrò che tu potessi leggermi nella mente, perché non chiedevi mai conferme, e ti amavo, Dio, ti amavo e avrei dovuto dirtelo che saresti stata l’unica, allora e sempre.
Amen.
“Dove mi stai portando?” Ti trascinavo. Anzi. Ti trascinai solo per un po’, perché, quando vedesti dove eravamo dirette prendesti a zampettare al mio fianco. Mi sembrasti un piccolo uccellino biondo.
“Penso che la signora Vedova abbia bisogno di un funerale come si deve. E anche sua sorella.” I tuoi occhi si fecero lucidi.
“Lo penso anch’io.” Dicesti.
Ti condussi sotto un albero, pregando che nessuno ci vedesse. Poi mi guardai attorno, ma non trovai nulla per scavare e tu. Tu mi guardavi speranzosa. Presi il respiro più profondo che avevo e incominciai a scavare con le mani due piccole buche vicine –e due occhi, i tuoi, su di me.
“Addio signora Vedova. Addio sorella della signora Vedova.” Sussurrasti e mi guardasti con gli occhi brillanti di chi aspetta.
“Che c’è?!” ti chiesi infine.
Sembravi imbarazzata. Bellissima.
“Non…?”
“Brittany!”
“Credo che avrebbero voluto che tu dicessi qualcosa.” Ricordo che pensai che, no, cazzo, non potevi chiedermi di fare quello che mi avevi chiesto. Ma ormai era fatta e a me non rimaneva altro da fare che scegliere. Se essere Santana Lopez la stronza anche con te o se... sceglierti e porti al di sopra di ogni cosa. Della mia reputazione, del mio orgoglio. Di me.
Il cuore batteva forte nelle mie orecchie ed io non sentivo più nulla, nemmeno la mia voce quando parlai. E mi chiesi cosa stessi facendo ma ti imitai, giungendo le mani.
“...”
Sospirai.
“Amiche... so che ci state... guardando da lassù. So che... avete avuto una vita... onesta. E che siete state gentili. E... io e Brittany vi saremo per sempre grate per... averci perdonato.” Sbirciai, avevi gli occhi serrati. “Ah, siamo certe che... ora la vostra famiglia si riunirà in paradiso e siamo anche sicure che vi divertirete saltellando da... una nuvola all’altra.” Ti spiai e mi sembrasti soddisfatta. “Riposate in pace.”
Sì, mi chiesi cosa stessi facendo.
Mi chiesi cosa stessi facendo e non capii, non capii affatto, che mi stavo innamorando di te, mia piccola piccola Britt.

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Capitolo 4
*** IV ***


Ben presto tutto divenne sbagliato. Eppure a me sembrava così fottutamente giusto, che non avrei saputo cosa fare per fermarmi. E premetti l’acceleratore fino in fondo, reggendo con una sola mano il volante di un auto che non era neanche mia.
Amore, ricordi? Avevi il mio numero solo da qualche ora.
“Santana...”
“Brittany?”
“Si...” Guardai la pioggia, scivolare con poca grazia sui vetri delle finestre. Nella mia stanza i rumori giungevano ovattati e mi chiesi se non fosse quello il motivo per cui ogni volta che avrei voluto pensare mi rifugiavo li. Non nel parco. Non sulle grate del campo di football.
Le coppiette felici mi davano la nausea. Odiavo il fatto che desiderassero appartarsi e allo stesso tempo che il mondo vedesse quanto fossero spensierati e irrimediabilmente fuori di testa. Tutto ciò mi parve così insano, Brittany, che, nell’istante esatto in cui t’avrei avuta per me, t’avrei condotta dove nessuno avrebbe potuto vederci, né sentirci.
Mi accusasti mille volte di... vergognarmi di te. Ma non fu vero mai, nemmeno una volta.
E sì, ebbi paura di quello che avrebbero potuto dire o anche solo di quello che avrebbero potuto pensare, ma... questo sarebbe venuto dopo. Dopo. Quando Kurt veniva scagliato sugli armadietti talmente forte da deformarli, da essere costretto a cambiare scuola.
Ma il mio primo pensiero, Amore, -e sono pronta a giurarlo sulla mia stessa vita- fu che avrei voluto chiuderti nella mia stanza e gettar via la chiave. Non avrei mangiato, non avrei nemmeno respirato se solo tu me l’avessi chiesto.
Eppure non era quello che volevi.
Tu volevi uscire, volevi ballare, volevi andare a letto con me –perché mi volevi tanto bene e i baci fra ragazze erano più dolci, dicevi- ma di tanto in tanto mi indicavi qualcuno e... mi confessavi che non era stato bravo quanto me.
Ed io morivo, Britt. Ogni volta. Ogni volta. Di nuovo. Sempre di più.
Quelle volte mi rintanavo nella mia stanza e piangevo, seduta sul pavimento gelido, guardando il cielo, le stelle e non so cos’altro –coi miei occhi stanchi rivolti alla finestra. Non te l’avevo detto e non l’avrei mai fatto ma ora ho bisogno che tu sappia quanto ti ho amata.
Quel giorno pioveva forte forte amore. E non odiarmi se ti dico che il cellulare era già fra le mie mani quando chiamasti e che da un momento all’altro -se tu non fossi stata più veloce, più intelligente e immensamente più dolce di me- avrei mandato un messaggio a Puck. Poi avrei aspettato come una stupida sperando di sentire la sua auto fermarsi nel vialetto e desiderando allo stesso tempo che fosse abbastanza impegnato con un'altra donna da lanciare il telefono lontano e non curarsi di me.
Eri molto scossa quel giorno, ricordi? Pensavi alla... Vedova, a Lord T. al fatto che ti sentissi irrimediabilmente stupida ed io non mi accorsi nemmeno di aver rovistato nella mia borsa alla ricerca di un pezzo di carta. Vi scarabocchiai il mio numero -poi lo riposi nella tua tasca.
“B-Brittany. Qualcosa non va?”
“No.”
“Brittany, sei stata tu a chiamarmi e fino ad ora, oltre al mio nome, hai detto solo e no.” Nascosi una risata cercando di assumere un tono serio e, ripensandoci adesso, credo di essere stata sin troppo credibile.
“Uh, scusami. Non avrei dovuto chiamarti. A volte sono proprio stupida. Spero di vederti domani a scuola.” Rimanesti un istante in silenzio in attesa. In attesa che io dicessi qualcosa, che ti trattenessi con una cazzata qualunque. “Perdonami se ti ho disturbata.”
Mettesti giù e per un attimo io non seppi cosa fare. La decisione arrivò inaspettata, come se fosse stata trascinata sino a me dal tuono che aveva scosso le finestre.
Rispondesti e la tua dolcezza tranciò di netto il mio respiro.
“...Santana? Credo tu abbia sbagliato numero, sicuramente cercavi qualcun altro. Sono Brittany, ci siamo sentite un minuto fa.” Scossi la testa. Amore, mi sentii in colpa come mai nella mia vita.
“Mai io cercavo te...” dissi.
“Ma...”
“Ma niente, ti ho sentita strana e mi chiedevo se tu stessi bene.” Avrei giurato stessi soppesando con cura le mie parole. Ti sentii sospirare.
“Avevo bisogno di parlare con qualcuno, il temporale mi rende nervosa.” Ben presto il senso di colpa lasciò il posto alla delusione e la mia voce parve tremare quando parlai.
Con qualcuno? Qualcuno chiunque? Ed io che avevo pensato di... starti simpatica.”
“Certo, tu mi piaci Santana. Per questo ho chiamato te.”
Un lampo, e poi un tuono più forte degli altri ed io, piccola Britt, ti sentii gemere dalla paura.
“Perché non chiami Lord Tubbington? Sono certa che anche lui ha paura... potreste farvi compagnia a vicenda!”
“Quello stupido...” e abbassasti la voce sulla parola stupido “...sta giocando alla playstation. L’ultima volta in cui l’ho disturbato mi sono beccata cinque punti sul dorso della mano.” Dicesti. Poi ci fu un altro tuono, a cui seguì un altro guaito –il tuo. Eri un cagnolino piccolo piccolo ed io potei immaginarti raggomitolata in un angolo del letto, le ginocchia strette al torace, gli occhi serrati, le labbra sigillate che si schiudevano solo per rivolgermi la parola.
“Dove abiti, Brittany?” Presi una penna e attesi.
“Aspetta, il mio indirizzo è lo screensaver del mio computer. Si attiva dopo un minuto.” Risi e non dissi nulla.
Quando parlasti mi resi conto di conoscere sia la zona che la via.
“Arrivo.”
“Ma ti bagnerai, Santana! Ed io non voglio!”
“Prenderò l’auto di mia madre, sta tranquilla, non mi bagnerò...”
Ci pensasti su un attimo.
“Santana, non hai ancora la patente!” sbottasti con tono di rimprovero. Io sorrisi. Sorrisi perché –non lo sapevo ancora- il mio cuore non vedeva l’ora di giungere sino a te.
“Dovevi pensarci prima di darmi l’indirizzo!”
“Ma...”
“Arrivo.” Non ti diedi nemmeno il tempo di replicare. Avrei voluto cambiarmi così da rendermi appena presentabile ma preferii non perdere un solo attimo –mi precipitai da te.
Pioveva ancora e pioveva forte. Ben presto tutto divenne sbagliato. Eppure a me sembrava così fottutamente giusto, che non avrei saputo cosa fare per fermarmi. E premetti l’acceleratore fino in fondo, reggendo con una sola mano il volante.
Arrivai e seppi che quella casa fosse tua senza controllare l’indirizzo -perché ti vidi. Eri in piedi nel vialetto, sotto un ombrello colorato.
Quando spensi la macchina apristi la portiera.
“Vieni sotto l’ombrello, Santana, su!” Feci come avevi detto e, mentre ti guardavo, fui certa che quello fosse il gesto più bello che qualcuno avesse mai fatto per me. Mi chiesi cosa avessi fatto io per meritarlo ma poi tu chiudesti la porta e ti vidi, zuppa, scuotendo il capo come un animaletto bagnato.
“Forse avrei dovuto prendere un ombrello più grande.” Sorridesti in modo talmente tenero che per un attimo desiderai abbracciarti. Eppure non mi mossi nemmeno di un millimetro. “Ma l’importante è che tu sia asciutta, non vorrei che ti beccassi una polmonite per colpa mia.”
Rimasi a bocca aperta. Cosa ho fatto per meritarti, Amore? Niente. E’ questa la dannata verità. Eppure non avrei smesso di ringraziare Dio per ogni giorno che sarebbe venuto, sino alla fine.
“Brittany, levati subito quella giacca e asciuga i capelli, per favore.”
“Sì, mamma...” dicesti scocciata. “Vieni, seguimi.”
La tua stanza era così... rosa. Brittany, se qualcuno mi avesse detto che su quel letto avrei trascorso le notti più belle della mia vita, io non gli avrei creduto. E avrei imparato a memoria i disegni che le costellazioni tracciavano nel cielo –mentre tu ti muovevi dentro di me. Eppure, se ci ripenso, posso dire con assoluta certezza di aver visto le stelle anche quelle volte in cui le imposte erano chiuse –come i miei occhi. Solo grazie a te.
“Accomodati, torno fra un attimo.” Scomparisti in bagno e quando tornasti reggevi un asciugamano col braccio. Ti sedesti sul letto, proprio accanto a me. Prendesti ad asciugarti i capelli, ma quando sopraggiunse il tuono facesti un salto, stringendomi forte, respirando sul mio collo. Fui certa di essere arrossita.
“Ehi, ehi. Non devi avere paura. Ci sono io adesso.” Ti presi per le spalle per guardarti negli occhi, erano più azzurri di quanto lo fosse il cielo sotto le nubi.
Annuisti.
“Pensi anche tu che io sia stupida, vero?”
“Chi è che lo pensa, Brittany?”
“Tutti. E hanno ragione. Sono stupida, per questo ho paura, per questo ti ho chiamata. Però credo che il formichiere non abbia finito il lavoro e abbia lasciato qualche pezzettino di cervello sparso nella mia testa. Infatti quando hai risposto mi sono sentita un’idiota e...” Amore, eri fottutamente adorabile. Lo sei sempre stata.
“Frena, frena, frena. Di che formichiere parli?” sospirasti come se avessi raccontato quella storia milioni di volte.
“Allora. Io ero in campeggio, no? Una mattina mi sono svegliata accanto ad un formichiere che mi leccava l’orecchio. Sono sicurissima che mi abbia succhiato il cervello durante la notte. Non può essere altrimenti. Non è possibile che io sia nata così, che tutto questo sia colpa mia.”
Non piangere, Amore, pensai. Non piangere, ci sono io qui.
“Brittany, sai cosa? Tu sei l’animaletto più bello che abbia mai visto. E gli altri cuccioli se ne accorgono ed è naturale che vogliano farti le coccole. Nessuno ti ha succhiato il cervello. Credimi. Credimi, ok?”
Mi guardasti a bocca aperta, poi sorridesti.
“Non ci avevo mai pensato.”
“Come no?”
Scuotesti il capo. “E a quale animale assomiglio secondo te?”
“A un animale talmente speciale che spesso non è capito dagli altri. Sai, tutta invidia. Qualcosa come... uhm.” Finsi di pensare. “Un unicorno! Sì, proprio un cucciolo di unicorno!”
Chiesi cosa mi stesse succedendo. Ancora una volta, nessuno rispose.
 
 
**
 
Come qualcuno di voi avrà costatato ho fatto un leggero casino fra i capitoli... in poche parole ho aggiunto il quarto di A. a NCS. Si sono una pazza. Cooomunque. Godetevi questo capitolo perchè, ragazzi, sono fermamente convinta che fra BriBri e Sannie tutto sia cominciato così. Voi che ne pensate? Fatemi sapere, vi prego, basteranno poche parole per farmi contenta e spingermi a scrivere a questa velocità. Vi ringrazio. Saluti e alla prossima!

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Capitolo 5
*** V ***


Ricordi quel giorno, Amore? Eravamo insieme e le nostre gambe penzolavano giù dal ponticello in legno. Avevi tolto le scarpe e i tuoi piedi sguazzavano nell'acqua. Eri... Dio, eri magnifica ma non seppi dirtelo. Preferii stare in silenzio o forse le parole giuste le dimenticai da qualche parte nello zaino che giaceva abbandonato sull'erba. 
Mi guardasti, e io feci finta di non accorgermene, ma credo di essere arrossita quando pensai che, nonostante fosse tutto meraviglioso, tu ti ostinassi a guardare solo e soltanto me. 
E a quella consapevolezza, spalancai gli occhi nei tuoi: erano così azzurri che in confronto il cielo che si rifletteva nell'acqua sembrava grigio e opaco -quasi fosse vetro sporco di cenere. 
L'aria era fresca. L'autunno incombeva sui nostri abiti leggeri, bussando sulle nostre pelli, increspandole. Ma io non sentivo freddo. E se qualcuno me ne avesse chiesto il motivo, io davvero, non avrei saputo che dire.
"Santana..." mi chiamasti, ed io sussultai come ogni volta in cui sentivo il mio nome venir fuori dalle tue labbra. 
"Dimmi." dissi e non mi spiegai perché la mia voce dovesse essere così maledettamente roca. Mi pizzicava la gola come se non avessi più parlato per anni e tu, con quell'entusiasmo dolcissimo che hai, mi chiedesti se mi andasse di vedere Lord Tubbington. 
Ricordi, Amore? mi guardai intorno confusa. Ma poi ti vidi rovistare nello zaino e rimasi in attesa. Tirasti fuori il portafogli. E mentre analizzavi concentrata tutti quegli scontrini che a giudicare dalle date risalivano a un momento imprecisato fra il paleolitico e il neolitico, io aspettavo. 
Poi li rimettevi al loro posto ed pensai che non avrebbe avuto senso chiedertelo. Ma tu mi guardasti e sorridesti come leggendomi nella mente.
“Conservo tutti gli scontrini del cibo che ho acquistato per lui. Così se se ne esce di nuovo con la storia che vuole andare via di casa perché non lo nutro abbastanza, li tiro fuori e glieli sbatto sul muso.” Ci pensasti per un attimo prima di continuare. “E come minimo vorrò un risarcimento…”
Scoppiai a ridere. 
Lo so, Tesoro, non avrei dovuto. Eppure eri così seria e le tue parole mi parvero talmente ponderate che non riuscii a farne a meno. E pensai che il tuo mondo dovesse essere dannatamente più bello di quello in cui vivevo io. In tutte le notti in cui ne avrei fatto parte, Brittany, non avrei dormito, perché avevo talmente paura di svegliarmi da questo sogno, che ti avrei voluta con me per essere certa che fossi vera.
Ridesti anche tu. 
Mi avresti confessato di come riuscissi subito a individuare le persone cattive che ridevano per prenderti in giro e a distinguerle da quelle buone. Ma io sapevo che non avevi il coraggio di allontanarti dalle une, né dalle altre per paura di rimanere sola. 
Mi porgesti un portafoto, piccolo, a fisarmonica, ma non appena lo presi e le nostre dita si sfiorarono... lo lasciai cadere. Mi morsi le labbra per non imprecare, perché, Amore, davanti a te –e lo sai- ho sempre cercato di non farlo, di trattenermi. E vorrei tanto che tu fossi qui per dirmi che ci sono riuscita, che ti ho rispettata sempre –anche più di me stessa.
Come quella volta. Ricordi? Spalancai gli occhi, mettendomi le mani fra i capelli. Ti guardai. Tu guardavi il laghetto sotto di noi, l’acqua increspata. E il tuo viso sorridente premuto a quello di Lord Tabbington galleggiava fra tante foglie rosse e gialle. 
Mi guardasti coi lucciconi negli occhi, Brittany, ma sarei stata io la prima a piangere se tu non mi avessi detto “Non fa niente San, è tutto ok, ne ho molte altre a casa…”. 
“Sono un’idiota.” 
“No che non lo sei, non è importante…” dicesti. Ma io non ti sentii. 
Tesoro mio, ricordo ancora il tuo sguardo quando io mi alzai, mi slacciai le scarpe e arrossivo sbottonando i jeans, scalciandoli via. Tolsi anche la camicia, e mi vergognai come una ladra per non averla sbottonata prima di rimanere con le cosce di fuori. Perché con la coda dell’occhio ti scrutavo e tu mi osservavi, e io potendo mi sarei sotterrata sotto tre metri di terra. Eppure sotto di me c’erano solo tre metri di maledettissima acqua. 
“Santana, che fai…?”
Non ti risposi, non ci sarei riuscita, e prima che tu potessi fare qualunque cosa per trattenermi, mi arrampicai sul corrimano. Ti eri alzata… mi sfiorasti e stavolta fui io a cadere. 
Lo confesso. 
Ti sentivo chiamarmi e la tentazione fu forte: rimasi sott’acqua più del dovuto. 
Ma, sai, quando sentii la tua voce farsi preoccupata, non resistetti e uscii fuori. Ti sorrisi, Amore, ero felice e di nuovo non sapevo perché. Presi il portafoto con la mano sinistra e poi ti diedi le spalle, nuotando velocemente verso la riva.
Quando arrivai tu eri già lì, ma non mi guardavi nemmeno. Cercavi qualcosa, credo un asciugamano, ma quando non la trovasti, ti vidi sederti ad aspettarmi, con le ginocchia al petto, le braccia a sorreggere la testa. Poi, quando fui abbastanza vicina, ti alzasti di scatto, immergendoti nell’acqua sin alle ginocchia. Mi afferrasti forte per le mani e non mi lasciasti scivolare.
Ed io mi alzai. L’aria era talmente fredda che tremavo e se avessi potuto sarei tornata in acqua –in quel momento essa appariva calda come una coperta. Credo che tu mi abbia vista rabbrividire, perché mi facesti mettere i jeans, prendesti la mia mano destra, trascinandomi via. 
Là dove mi portasti non faceva freddo e il vento non soffiava. Le fronde degli alberi ci riparavano da tutto e nessuno poteva vedermi, nemmeno quel tizio che l’aveva fatto prima e che tu avevi scorticato con lo sguardo. E me l’avresti detto, un giorno, che nessun altro avrebbe dovuto guardarmi, e che se ripensavi a quanta gente mi aveva anche solo… sfiorata, sentivi la rabbia scavare dentro di te. Ed io avrei pensato che nessun film della Disney avrebbe potuto insegnarti questo modo di dire.   
“Santana, non dovevi, sei fradicia…” Eri triste. 
Non essere triste, Amore. 
“Ma io volevo vedere Lord T.” risposi. Sorridesti, bastò questo a riscaldarmi, Brittany, non credo d’avertelo mai detto.
Il vento non soffiava. 
Non soffiava, ma ora che tu usavi dei kleenex per asciugarmi ed io rimanevo bagnata più di prima, e fuori il sole tramontava, e noi eravamo lì, io sentivo solo la le tue mani che mi toccavano. E il mio cuore.

***
Qualcuno bussò.
“Ti prego mamma, basta tisane per oggi.” Mugugnai sul cuscino.
“Santana…” Udii la tua voce chiamarmi e pensai che stessi sognando. Ma quando sentii qualcuno sedersi sul mio letto, strabuzzai gli occhi. Mi voltai verso di te.
Il mio primo pensiero fu che il mio aspetto dovesse essere terrificante e quando mi tirai su a sedere e mi sistemai i capelli, fui certa di essere impazzita.  
“Mi ha fatto entrare tua madre…”
“Oh...”
“Oggi non eri a scuola e mi sono preoccupata. Così ho telefonato a tutti i Lopez di Lima per sapere dove abitavi.” 
Sembravi così triste, Amore mio.
“Brittany, non dovevi...”
“Tua madre mi ha detto che hai la febbre. Beh, è colpa mia.” 
Ti risposi che non era colpa tua, che non c’era motivo di essere triste. Ma tu non parlasti. Tesoro, io fui subito certa che ci fosse qualcosa che avresti voluto dirmi e aspettai guardando te che non mi guardavi. Poi ti presi la mano, senza pensarci, e il mio cuore prese a battere troppo forte per il mio petto. Ma non mi feci una sola domanda, nemmeno una.
“Oggi volevo…”
“…si?”
“È una cosa stupida, non voglio che anche tu mi prenda in giro.” Quando sentii quelle parole, Brittany, ti giuro che avrei voluto alzarmi e prenderlo a pugni, chiunque fosse stato. Ma tu eri li e ancora una volta io mi trattenni, sapendo che non avrei mai potuto. Mai, di fronte a te. 
“Amo ballare.” Arrossisti. “Oggi volevo aggiungere il mio nome alla lista per partecipare ai provini per le Cheerios e stavo per farlo, quando una ragazza mi ha spinta, e mi ha strappato la penna dalle mani. Si chiama Quinn Fabrey, ho letto il suo nome. Poi mi ha detto di non perdere tempo perché è impossibile fare la cheerleader senza saper distinguere la destra dalla sinistra.” Ti asciugasti una lacrima col dorso della mano. 
Non piangere, Amore. Perché nessuno lo merita meno di te. 
“Ma tu hai aggiunto comunque il tuo nome…” Speravo.
“No.”
“Ma lo farai…?”
“No.” Rispondesti. E allora mi dissi che avrei fatto di tutto per te. Tutto. Avrei fatto così tanto che nemmeno lo potevo immaginare. 
“Nemmeno se ti… diciamo… facessi compagnia?” Brittany, mi abbracciasti forte come nessuno aveva fatto mai e il bacio sulla fronte che seguì fu dolce... e le tue labbra erano così fresche! Ti confesso che mi girò la testa. 
“Scotti Santana, forse e meglio che vada.” Mi dicesti. “Così potrai riposare…” 
Facesti per staccarti ma, Amore, non volevo che tu andassi via. 
E grazie a Dio tu non te ne andasti.
Almeno non quella volta.  

***

Grazie a tutti, ragazzi, fatevi vivi! a presto! ;-)

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