La Spada, il Corvo e il Mare

di Bloody_Bess
(/viewuser.php?uid=15946)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Tortuga ***
Capitolo 3: *** L'incontro ***
Capitolo 4: *** Primo giorno a bordo ***
Capitolo 5: *** Tia Dalma ***
Capitolo 6: *** Malaria! ***
Capitolo 7: *** Uomo in mare ***
Capitolo 8: *** Cambio di programma ***
Capitolo 9: *** Grant Sparrow ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


Questa storia mi è venuta in mente di getto subito dopo aver visto “La maledizione del Forziere Fantasma” al cinema

Questa storia mi è venuta in mente di getto subito dopo aver visto “La maledizione del Forziere Fantasma” al cinema. Coinvolge due personaggi apparsi nei primi due film di questa trilogia (ancora da concludere, ma comunque una trilogia), ovvero Barbossa e Davy Jones, ma dal momento che è ambientata molti anni prima degli avvenimenti descritti nei film credo possa essere letta tranquillamente e senza rischi di spoiler anche da chi non ha ancora visto il secondo film…o anche il primo, anche se dubito che qualcuno non lo abbia mai visto! J

 

BUONA LETTURA!

 

 

Tortuga.

 

“Il bambino è in posizione podalica” disse l’ostetrica  “coraggio, devi spingere più forte.”

Charlene prese un profondo respiro e continuò a spingere, tentando di ignorare le fitte lancinanti.

“Non credevo…facesse…così male…” ansimò, i capelli rossi zuppi di sudore. Strinse i denti per soffocare un urlo e spinse ancora. Dio, se avesse saputo a cosa andava incontro avrebbe abortito e tanti saluti. In fondo che le importava di far nascere un marmocchio di cui non sapeva nemmeno chi diavolo fosse il padre? E anche se lo avesse saputo, sai che differenza: sicuramente uno dei tanti pirati e ubriaconi che pagavano per passare con lei qualche ora

 

“Il bambino rischia di impigliarsi nel cordone ombelicale” disse l’ostetrica con urgenza, riuscendo finalmente ad afferrare il piccolo per una gamba “preso! Coraggio, un’ultima spinta e ci siamo!”

La donna strinse i denti e impiegò le sue ultime energia per un’ultima spinta, senza riuscire più a trattenere un urlo di dolore…

e stavolta il suo grido fu seguito da un vigoroso pianto di neonato.

 

“E’ un maschio” disse l’ostetrica con evidente sollievo, avvolgendo un panno intorno al bambino “e a quanto pare sta benissimo.”

Charlene fece uno smorfia. A chi diavolo importava che quel bastardo stesse bene, lei non stava affatto bene.

“Fra quanto potrò tornare a lavorare?” domandò senza mezzi termini. Era inutile far finta di nulla, l’ostetrica sapeva benissimo cosa era: una delle tante prostitute di Tortuga.

 

“Non prima di un paio di settimane” rispose l’ostetrica. Non aveva simpatia per quella donna: non sembrava curarsi minimamente del suo bambino, e la donna era certa che Charlene aveva continuato a prostituirsi anche in stato di avanzata gravidanza.

“Bene” disse seccamente Charlene, chiudendo gli occhi e girandosi dall’altra parte “adesso lasciami dormire e porta quel rompiscatole, o giuro che lo butto a mare.”

 

L’ostetrica serrò le labbra e fece per uscire dalla stanza, poi abbassò lo sguardo sul bambino che cominciava a calmarsi. “Come lo chiamerai?”

L’altra fece una smorfia, senza aprire gli occhi. “Il mio cognome è Barbossa” disse sgarbatamente “per quanto riguarda il nome decidilo te, se proprio ci tieni. Per me anche ‘Bastardo’ andrebbe benissimo. In fondo non è altro che questo, no?”

Ma…”

“VATTENE!”

 

La donna si strinse il neonato al petto ed uscì dalla squallida stanzetta, sbucando in una stanzetta spoglia ad un angolo della quale c’era una cassetta da frutta da usare a mo’ di culla.

Guardò il bambino che continuava a mugolare e lo mise nella cassetta, facendo attenzione a coprirlo bene.

 

Sai, piccolino” mormorò poi, parlando a bassa voce “quando era bambina un pirata mi raccontò una storia. Ora non la ricordo molto bene, ma ricordo che c’era una città, una città che i greci avrebbero voluto conquistare…e questa città era difesa da uno dei guerrieri più forti dell’epoca, lo sai? Un eroe di nome Ettore…”

 

Il bimbo si era calmato adesso, e cominciava ad addormentarsi.

L’ostetrica rimase a pensare qualche secondo, poi sorrise. “Sai, credo di averti trovato un nome…Hector.  Che ne pensi?” chiese piano, sfiorando la mano del neonato con un dito. La manina si chiuse intorno al suo indice con forza sorprendente.

La donna sorrise. “Allora è deciso, immagino” disse, togliendo delicatamente il dito dalla presa del bambino “Hector Barbossa.

 

Devil’s Nest

 

“Niente da fare” sospirò il medico, guardandola la donna in avanzato stato di gravidanza che giaceva sul pavimento privo di vita “il proiettile le ha trapassato il cuore…dev’essere morta all’istante. Qualcuno di voi ha visto niente?”

“No, abbiamo solo sentito lo sparo” disse il proprietario della locanda “ma quando siamo entrati, l’assassino era già scappato dalla finestra.”

“Capisco. Sapete almeno come si chiamava?”

 

La moglie del proprietario si strinse nelle spalle. “No, non ne abbiamo idea. Cioè, sul registro si è firmata come Mary Jones, ma sono quasi certa che fosse un nome falso.”

“Di sicuro suona falso” concordò il marito “temo che non ne sapremo mai nulla, poverina. E dire che aspettava un bambino, era all’ottavo mese…e solo un quarto d’ora fa era viva e parlava del bambino che stava per avere, capite. Diceva di volerlo chiamare David per un maschio e Sarah per una…”

 

“Un momento” lo interruppe il medico, riflettendo febbrilmente volete dire che è morta da meno di un quarto d’ora?”

“Esatto, signore. Abbiamo sentito lo sparo dieci minuti fa, e…

Ed era già all’ottavo mese?”

“Quasi al nono, sì…per l’amor del cielo, cosa state facendo?”

Il medico aveva aperto la borsa e aveva estratto quello che sembrava un bisturi estremamente affilato. “Se è davvero morta da così poco, forse c’è ancora una speranza di tirare fuori un bambino vivo.

 

“Volete dire…farlo nascere…da un cadavere?”

“Esattamente” rispose l’uomo, tagliando in fretta il davanti del vestito della donna e scoprendole il ventre prominente “ora, se volete scusarmi, non c’è un istante da perdere.

La moglie dell’oste nascose il volto nella spalla del marito che rimase invece a guardare, inorridito e affascinato, mentre il dottore incideva la carne della donna con gesti rapidi e precisi.

 

“Eccolo!”

Il medico aveva finalmente individuato un corpicino inerme in mezzo a quel mucchio di carne sanguinante e lo tirò rapidamente fuori dal corpo senza vita della madre.

Afferrò saldamente la creaturina cianotica e insanguinata e lo colpì con fermezza per spingerlo a respirare.

Coraggio, piccolo…puoi farcela, ne sono certo…coraggio, respira!

 

Il bambino mosse la testa con uno scatto, poi prese un lungo respiro sibilante e finalmente cominciò a piangere a pieni polmoni.

Il medico sorrise, e avvolse il bimbo in un asciugamano che l’oste si era affrettato a porgergli. “Un bel maschietto.”

“Ce la farà?” domandò ansiosa la moglie, osando solo adesso sollevare lo sguardo.

“Oh, sì, questo senz’altro. E’ un giovanotto robusto, se la caverà egregiamente.

 

“Bene” disse il marito, poi aggiunse, un po’ a disagio “allora immagino…bè, dovremmo portarlo in orfanotrofio.

Ce lo porto io” si offrì il medico “ci passo davanti ogni girono.”

“Aspettate” intervenne la moglie dell’oste, prendendo il bambino piangente dalle mani del dottore “prima dovremmo dargli un nome, no? Dovremo esaudire il desiderio di sua madre. Un maschio…quindi immagino sia David…David Jones.

 

Il marito sorrise su malgrado. “Un gran bel nome, David…ma mi sembra un tantino esagerato per un moscerino come questo. Che ne dici di un diminutivo?”

“Davy, allora” stabilì sua moglie “Davy Jones.”

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Tortuga ***


Diciotto anni dopo

Diciotto anni dopo.

 

Il sole stava tramontando quando la nave entrò nel porto di Tortuga.

“Bene, ragazzo” disse il vecchio pescatore, indicando il porto “ecco qua la tua fermata. Contento?”

Il ragazzo sorrise. Non poteva avere più di diciotto anni, ma era già più alto dell’uomo che gli aveva parlato. I suoi occhi azzurro come il ghiaccio si soffermarono su Tortuga, mentre il vento gli scompigliava i capelli neri, che gli arrivavano alle spalle.

 

“Mai stato più felice in vita mia. Grazie ancora per il passaggio, amico.”

Il vecchio si limitò ad agitare una mano. “Quando vuoi, giovanotto, sei un ottimo lavoratore. Allora, che progetti avresti per il futuro?”

Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Voglio viaggiare. Voglio esplorare tutti i mari conosciuti, ecco cosa voglio

fare. Domattina comincerò a cercare un impiego su qualche nave, magari come mozzo. Poi si vedrà.”

 

“Vuoi diventare un pirata” disse semplicemente l’altro. Era un’affermazione, non una domanda.

Davy Jones annuì, gli occhi di ghiaccio ancora fissi sul molo di Tortuga.

“Sì, proprio così. Voglio diventare un pirata.”

 

 

Il ragazzo che entrò nella locanda era piuttosto alto, coi capelli castani ramati legati in una coda, gli occhi grigioverdi e la pelle del viso un po’ macchiata dal sole…o forse erano lentiggini, difficile dirlo. Aveva una cicatrice sotto l’occhi destro, che si era procurato durante una rissa ritrovandosi dalla parte sbagliata di una bottiglia rotta.

 

“Signor Stubbs…” salutò, rivolto all’uomo dietro il bancone. L’uomo sollevò lo sguardo dal bicchiere che stava pulendo e gli rivolse un largo sorriso sdentato.

“Hector! Bentornato a Tortuga, ragazzo mio” disse ad alta voce per farsi sentire al d sopra del caos che regnava nel locale“sei stato via un’eternità, stavolta!”

 

“Tre mesi” Hector Barbossa si sedette di fronte al bancone “un Cutty Sark, grazie.

“Subito, giovanotto. E, dimmi, hai già visto tua madre?”

“No” disse il ragazzo in tono indifferente “non sono ancora passato a casa. E’ già morta?”

L’altro scosse il capo. “Non ancora, ma il suo momento è quasi arrivato. La sifilide non perdona.”

“E io nemmeno” disse Hector, prendendo il bicchiere di Cutty Sark “a proposito, domani parto di nuovo.

Stubbs rise. “Non ti fermi un minuto, ragazzo. E su cosa, stavolta? Un mercantile?”

 

Il ragazzo sogghignò e si chinò verso il bancone. “Su una nave pirata.”

L’altro sussultò, e per poco non si lasciò sfuggire di mano la bottiglia.

“Guarda che la bottiglia non te la ripago, eh.”

“Una nave pirata? Dici sul serio?”

“Aye” Hector bevve un sorso “sul Blue Dragon. Nulla di particolare, ovvio, avevano bisogno di un paio di mozzi ed eccomi qui…ma sarà comunque un modo per farmi le ossa.”

 

L’uomo sogghignò. “Non so proprio perché questa cosa mi abbia colto di sorpresa, sai…l’ho sempre saputo che prima o poi ti saresti dedicato alla pirateria” disse, dandogli una paca su una spalla e facendogli quasi rovesciare il liquore “un vero figlio di Tortuga, eh?”

“E anche un vero figlio di puttana” aggiunse Hector, strizzandogli l’occhio e alzandosi dal bancone“in tutti i sensi.

“Hector, aspetta” lo fermò Stubbs “tu…cioè…hai intenzione di tornare a casa, prima di partire?”

 

“Sì, ma soltanto per salutare Raven” disse seccamente Hector. Raven era sua sorella…bè, era almeno per metà sua sorella. Sua madre avuto un aborto poco tempo dopo la sua nascita del figlio, e a rigor di logica non avrebbe più dovuto essere in grado di avere figli…e invece nove anni dopo era rimasta di nuovo incinta. Il medico l’aveva avvertita che un secondo aborto sarebbe stato troppo rischioso, e così era nata Raven.

 

Perché me lo chiedi?”

Stubbs si chinò in avanti. “Ragazzo, so che non sarebbero affari miei, ma…non credo tu possa lasciare tua sorella fra le mani di Charlene. Ormai è moribonda e alcolizzata, e temo possa essere…piuttosto violenta nei confronti della bambina. E in ogni caso, non durerà a lungo.”

 

Lo sguardo di Hector si indurì. “Non posso certo portarla con me, Stubbs. Ha solo otto anni, ed io non sono un baby sitter.

“Lo so, ma vorrei che tu controllassi la situazione. In caso potrei occuparmene io, gli affari vanno piuttosto bene e sai che io e mia moglie non abbiamo mai avuto figli. Che ne pensi?”

Hector annuì. “Credo sia la soluzione migliore. Vado subito a casa a prenderla.”

 

“Uhm…” il nostromo del Blue Dragon osservò con aria critica il ragazzo di fronte a lui “allora, come hai detto di chiamarti?”

“Davy Jones, signore.”

“E dimmi, hai mai lavorato in mare prima d’ora?”

“Ho lavorato su un paio di pescherecci, signore. Sì.”

 

“E ti interesserebbe lavorare come mozzo?”

“Esattamente.”

“E’ un lavoro faticoso.”

“La fatica non mi preoccupa. E comunque è un inizio.”

“Non sarai mica uno che batte la fiacca, vero?”

Davy scosse il capo. “Questo è da escludere, signore. Mettetemi alla prova e non me ne pentirete.”

 

“Capisco. Vedo che hai una spada, Jones…in caso di emergenza sapresti maneggiarla?”

“Certamente.”

“Mi sembri sicuro di te, ragazzo.”

“Ho ragione di esserlo.”

 

 “Molto bene” disse l’uomo, scrivendo qualcosa su un foglio “ti voglio su questo molo domattina alle cinque, Jones.”

Davy sentì il cuore mancare un battito. Era fatta, lo avevano preso a bordo!

“Sì, signore. Vi assicuro che non ve ne pentirete” disse, sforzandosi di contenere il proprio entusiasmo. Davy si rimise in spalla la sacca e cominciò ad allontanarsi dal molo per cercarsi una locanda dove passare la notte.

 

Il ragazzo stava ancora attraversando il molo quando un pianto disperato attirò la sua attenzione. Poco lontano tre uomini completamente ubriachi avevano circondato una bambina, e le loro intenzioni erano più che evidenti. La bambina stava singhiozzando, cercando in tutti i modi una via d’uscita. Non poteva avere più di otto o nove anni.

 

“Ehi, voi!” la voce di Davy risuonò nel molo mentre si avvicinava al gruppo in ampie falcate “lasciatela stare! Immediatamente!”

Gli uomini si voltarono a guardarlo, gli occhi arrossati dall’alcool.

“Gira al largo, ragazzino” rantolò uno di loro, mollando la presa sui capelli rosso fuoco della piccola. La bimba arretrò in un angolo, terrorizzata.

 

Davy ringhiò e tirò fuori la spada dal fodero. “Lasciatela immediatamente, cani rognosi!”

Di fronte alla lama, la sicurezza dei tre sembrò svanire. Due di loro, disarmati, fece un passo indietro. Quello che aveva parlato prima sogghignò ed estrasse a sua volta la spada. “Molto bene, sbarbatello…vediamo se farai ancora lo sbruffone quando ti avrò affettato quella bella faccia!”

 

Ancora annebbiato dall’alcool, si lanciò in avanti con la spada tesa.

Era lento. Troppo lento.

Davy schivò il colpo senza particolari difficoltà. L’uomo perse l’equilibrio e barcollò in avanti.

La lama di Davy calò con un sibilo sul polso dell’avversario, mozzandogli una mano.

 

L’uomo urlò di dolore, reggendosi il moncherino sanguinante, mentre i suoi compagni scappavano di corsa.

“LA MIA MANO! LA MIA MANO!” ululò l’uomo, crollando in ginocchi.

Davy gli sferrò un calcio all’inguine, e l’uomo crollò a terra come un sacco di patate.

“Dovrei mozzartele entrambe, porco!” ringhiò, rimettendo la spada nel fodero e voltandogli le spalle. Il suo sguardo cadde sulla bambina che lo osservava con un misto di timore e meraviglia, ancora immobile nel suo angolo.

 

Davy si piegò sulle ginocchia, portandosi alla sua altezza. “Ciao, piccola. Come ti chiami?”

“R…Raven” rispose la bambina, guardandolo con indifferenza, poi sembrò riacquistare coraggio “Raven Barbossa. E tu come ti chimi?”

“Io mi chiamo Davy Jones. Vuoi che ti accompagni a casa?”

Raven scosse il capo. “No, non posso…se torno senza i soldi, mia madre mi ammazza. Non voglio tornare da lei.”

 

Davy fece per domandarle di quali soldi stesse parlando, poi cambiò idea. “Bene, allora…c’è qualche altro posto dove potrei portarti?”

“Alla locanda di Stubbs” disse lei senza esitare “è proprio qui vicino.

“Benissimo” disse il ragazzo, alzandosi in piedi e tendendole la mano “allora coraggio, andiamo da questo Stubbs.

 

 

Charlene sollevò a malapena lo sguardo annebbiato dalla bottiglia nel sentire la porta che si apriva.

“Sei ancora vivo” biascicò vedendo il figlio, prima di tornare alla bottiglia. Non aveva più di quarant’anni, ma sembrava già una vecchia.

“Stavo per dire la stessa cosa” disse seccamente Hector, guardandosi intorno con aria disgustata. Quella catapecchia era in condizioni ancora peggiori di come ricordava di averla lasciata.

 

Perché sei tornato?” bofonchiò sua madre “non ci servi, sai, non servi a nessuno…”

Che ne hai fatto dei soldi che ti ho mandato?” domandò bruscamente lui. La donna non rispose, ma la montagna di bottiglie vuote di rum sul pavimento era una risposta più che eloquente.

Perché sei tornato?” ripetè Charlene.

“Per portare Raven via di qui” rispose lui. Non poteva lasciare sua sorella in quelle condizioni. “Dov’è adesso?”

 

Charlene sembrò agitarsi. “No, non puoi portarla via, non puoi…”

“Posso farlo e lo farò. E poi da quand’è che te ne preoccupi?”

“Non puoi portarla via, io non posso più lavorare, se non ho lei non so come fare soldi…”

Hector si bloccò, fissando sua madre. Il suo sguardo si fece di pietra.

Che cosa vuoi dire?”

 

Sua madre non rispose, ma bevve ancora dalla bottiglia.

“Io non posso più lavorare” biascicò alla fine “lei deve sostituirmi, io non posso più…”

“La costringi a prostituirsi” disse lentamente Hector “è questo che fai, vero?”

Charlene sollevò finalmente lo sguardo verso di lui. “Almeno così mi è utile…tu invece no…tu non mi sei mai stato utile…”

 

Dov’è adesso?”

“Al porto a lavorare” disse lei “e tu non la porterai via, disgraziato, mi senti? Tu non la porterai, non ti permetterò…che cosa stai facendo?”

“Quello che avrei dovuto fare anni fa” disse Hector, caricando la pistola e puntandola verso sua madre “ci vediamo all’inferno, puttana.

Uno sparo riecheggio per i vicoli di Tortuga.

Poi il silenzio.

 

 

Pikky91: ma figurati, come potevo non recensire la tua storia? Piuttosto grazie a te per averla scritta…la scena di Elizabeth che bacia Jack è stata un brutto colpo, lei è di Will! (ma, come hai detto te…mica scema! Quella sì che ha capito tutto…)

 

Frulli: grazie per la recensione…anch’io penso che Jack starebbe benissimo con Anamaria! (che come lo vede lo prende a sberle, ma non stiamo a sottilizzare…) speriamo solo che nel terzo film Will e Elizabeth riescano a sposarsi, fra non morti e uomini-piovra non ci riescono mai…

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** L'incontro ***


“Quindi quel tipo ha portato la bambina verso la locanda all’angolo

Quindi quel tipo ha portato la bambina verso la locanda all’angolo?” domandò Hector in tono piatto, guardando l’uomo che continuava a gemere sul moncherino. Lo aveva incontrato mentre cerava sua sorella sul molo, e lo aveva sentito mugolare a proposito di una bambina, così si era fermato a chiedere spiegazioni.

L’uomo gli aveva raccontato ogni cosa, senza sapere che così facendo stava firmando la propria condanna a morte.

 

“Sì” disse l’altro, fasciandosi strettamente il braccio per fermare l’emorragia “ma me la pagherà…lui e quella sudicia cagnetta.”

Gli occhi del ragazzo si fecero cupi, ma l’altro non se ne accorse.

 

“Fare la schizzinosa….mentre si capiva benissimo cos’era…ma so dove posso trovarla, l’ho vista altre volte…e dopo essermi divertito un po’ con lei la ucciderò…cagna schifosa…”

“Raven non è una cagna” ringhiò Hector, sguainando la spada. Non poteva lasciarlo vivo: sarebbe stato un pericolo troppo grande per Raven.

 

Adesso sua sorella era tutta la sua famiglia. Era sempre stata l’unico vero legame che aveva ancora con la terraferma.

Non l’avrebbe persa. Mai.

L’altro, intontito dalla perdita di sangue, sbarrò gli occhi.

“La conosci?”

“E’ mia sorella” disse Hector, sollevando la spada sopra di lui “e tu sei un uomo morto.

 

 

Stubbs scosse il capo, guardando Raven che mangiava in silenzio un piatto di minestra, raggomitolata dietro il bancone. Con i capelli rossi, gli occhi verdi e la pelle chiara, era una miniatura di sua madre.

“Sapevo che Charlene era una pessima madre, ma non credevo che sarebbe scesa così in basso. E’ stata una fortuna che ci fossi tu, ragazzo.”

Davy bevve un sorso di birra e si strinse nelle spalle. “Non è stato difficile, davvero. Qui tipi erano troppo ubriachi per rappresentare una seria minaccia. Raven vi ha detto da quanto tempo va avanti?”

 

“Due mesi” disse laconicamente Stubbs “suo fratello sarà furioso quando scoprirà che cosa ha fatto loro madre…”

“L’ho già scoperto” disse una voce dall’entrata. Stubbs, Raven e Davy si voltarono di scatto.

“HECTOR!” lo strillo della bambina fu talmente forte da risuonare al di sopra del frastuono causato dai clienti della locanda “sei tornato! Sei tornato a casa!”

Raven uscì di corsa da dietro il bancone e corse ad abbracciare il fratello, aggrappandosi alla sua camicia.

 

Hector sorrise e le scompigliò i capelli rossi. “Ciao, scimmietta. Non ci vedevamo da un po’, eh?”

“Hector” disse Stubbs “hai saputo…?”

“Sì” tagliò corto lui, poi guardò Davy “immagino sia stato tu ad aiutarla.”

Davy fece per parlare, ma Raven lo precedette. “Sì, è stato lui! Loro erano in tre ma lui li ha battuti tutti! E’ stato bravissimo! Meglio di un pirata!”

 

Davy si strinse nelle spalle, leggermente imbarazzato. “Veramente soltanto uno ha reagito, ed era ubriaco.

Hector sorrise. “Sì, lo so, ho già fatto una chiacchierata col tizio in questione” disse in tono vago, poi tese la mano verso Davy “in ogni caso grazie mille per aver aiutato mia sorella, ti devo un favore. Io mi chiamo Hector Barbossa.”

L’altro gli strinse la mano. “Davy Jones.”

 

“A proposito, Stubbs” disse Hector “spero che la tua offerta di tenere Raven con te sia ancora valida.

L’uomo annuì. “Ma certamente, basta che vada bene anche alla piccola.

“Raven?”

“Non voglio tornare da nostra madre.”

Hector strinse le labbra. “Lei non potrà più farti nulla.”

Un breve silenzio scese sul gruppo, poi Raven parlò per prima.

 

“E’ morta, vero?”

“Sì.”

“L’hai uccisa tu?”

Una pausa.

“Sì.”

“Le ha fatto male?”

“Meno di quanto meritasse.”

 

“Bene” disse duramente la bambina. Ci fu un momento di silenzio, poi il chiacchiericcio di Raven riprese:

“Sai, Davy ha detto che domani diventerà un pirata! Si imbarcherà sul Blue Dragon, con dei veri pirati! Non è quello che volevi fare anche tu?”

Hector guardò Davy, sorpreso. “Ti imbarchi sul Blue Dragon?”

Davy annuì. “Sì. Mozzo di bordo.”

L’altro ridacchiò. “Questa sì che è bella…anch’io sono stato preso come mozzo su quella nave.

 

Davy batté le palpebre. “Stai dicendo sul serio?”

“Ho l’aria di uno che scherza?”

Stubbs ricomparve con un paio di bottiglie di rum tra le mani. “Suggerisco di festeggiare la coincidenza, che ne dite?”

Che mi hai letto nel pensiero” disse Hector, prendendo una bottiglia e sollevandola “Davy?”

Davy sollevò a sua volta la bottiglia.“Quando si tratta di festeggiare non mi tiro mai indietro.”

 

“Sento che io e te andremo parecchi d’accordo, amico” sogghignò Hector “allora al Blue Dragon!”

E a noi!”

Bevvero entrambi una lunga sorsata.

Raven si attacco nuovamente alla camicia del fratello. Altro che scimmia, era peggio di una piovra.

“Hector, non posso venire con voi?”

 

“Temo che tu sia ancora troppo piccola, Raven. Magari tra qualche anno, va bene?”

“Uff…va bene” fece lei, imbronciandosi “però devi promettermi di tenere d’occhio Davy.”

Hector, Davy e Stubbs si scambiarono un’occhiata perplessa. “Perché me lo chiedi?”

“Non voglio che si faccia male” disse solennemente “mi ha salvata da quei tipi, e quando divento grande voglio sposarlo!”

 

Davy sobbalzò, e il rum che stava bevendo gli andò di traverso. Iniziò a tossire, mentre Stubbs e Hector si lasciavano andare in una fragorosa risata.

“Guardate che non c’è nulla da ridere!” protestò Raven, offesa.

“Ehm…”Davy smise finalmente di tossire “ecco…non trovi che io sia un po’ troppo grande per te?”

“Adesso sì” disse Raven “ma fra dieci anni no. Quando io avrò diciotto anni, tu ne avrai ventotto. Mi sembra ragionevole, no?”

 

“Ma certo” intervenne Hector, scompigliandole i capelli “nel frattempo però vedi di fare la brava, d’accordo?”

“D’accordo” promise lei, un sorriso angelico sul visetto.

Nessuno di loro si accorse che aveva incrociato le dita.

 

 

In origine il Blue Dragon era una nave da guerra della Marina Britannica, prima di essere rubata e adibita a scopi pirateschi. Era una delle navi più imponenti che si fossero mai viste a Tortuga, con una trentina di cannoni che le garantivano una potenza di fuoco eccezionale e con tanto di cabine da due persone anziché il solito sgabuzzino dove tutti i membri dell’equipaggio dormivano accatastati l’uno sull’altro.

E, oltretutto, c’era addirittura un locale adibito a cucina…il che significava cibo decente anziché la roba sotto sale che si mangiava di solito nelle navi.

 

“Non posso credere che siamo partiti” commentò Hector, mentre guardava la costa farsi sempre più lontana e sparire all’orizzonte, dove il sole stava cominciando a sorgere “e su una vera nave pirata!”

“Già” disse piano Davy, senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte.

Aveva sentito dire di un pirata che, una volta, aveva raggiunto l’orizzonte. Forse un giorno anche lui ci sarebbe riuscito: sarebbe arrivato lì, dove il cielo e il mare si incontrano.

Sarebbe arrivato ai confini del mondo.

 

Hector notò che Davy sembrava pensieroso, e decise di non disturbarlo. Il ragazzo tornò ad osservare l’orizzonte in silenzio. Tirò fuori dalla tasca la mela che Raven gli aveva dato al momento della partenza e le diede un morso. Avrebbe sempre ricordato il sapore che si sentiva in bocca mentre se ne stava lì, sul ponte del Blue Dragon, a guardare la terraferma che spariva.

Era il sapore della libertà.

 

 

Laura Sparrow: grazie, sono contenta di sapere che apprezzi quest’idea un po’ stramba…non so come mi sia venuta in mente, stavo ripensando al film che avevo appena visto e me ne sono uscita con questa storia…spero che apprezzerai anche i prossimi capitoli!

 

Pikki91: altro che bene, sarebbe da fargli un monumento…era davvero un personaggio odioso, sono stata felicissima di farla fuori subito! Ah, e comunque no, non sei pazza: io il film l’ho già visto due volte e sto già cercando di scaricarmelo…beh, non che questa sia una garanzia, potrebbe semplicemente darsi che sono più pazza di te…ma chissenefrega!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Primo giorno a bordo ***


“BARBOSSA

“BARBOSSA! JONES! È questa la vostra idea di ‘pulizia del ponte’, razza di topi di stiva?”

All’urlo del capitano i due ragazzi si bloccarono, gli scopettoni ancora sollevati a mezz’aria. La testa dello scopettone di Davy si era già staccata nella foga delduello’, mentre quello di Hector pendeva tristemente dall’asta, anch’esso sul punto di staccarsi.

“Ehm…”

 

Il capitano non sembrava incline ad ascoltare eventuali giustificazioni. Non era un uomo tollerante: in fondo, non lo chiamavano Spezzamarinai per niente.

“Risparmiatevi i vostri patetici balbettii e filate immediatamente a sistemare le velature! Abbiamo il vento a poppa, e ogni singola vela dev’essere spiegata!”

 

“Subito, capitano” dissero entrambi. Hector poggiò lo scopettone alla fiancata della barca con un po’ troppo entusiasmo. La testa dello scopettone, che fino a qual momento era rimasta attaccata al manico grazie ad alcune schegge di legno, cedette e cadde sul ponte con un tonfo secco.

“…ops…”

 

La faccia del capitano assunse una sfumatura color porpora mentre Davy si affrettava ad afferrare Hector per la manica e a trascinarlo via per salvarlo dalla sfuriata del secolo.

 

 

“Niente male come primo giorno” commentò Hector, mentre si occupavano delle cime che assicuravano le velature all’albero maestro “a parte gli scopettoni, cioè. A proposito, grazie per avermi trascinato via. Se gli fossi rimasto davanti un secondo di più credo che il capitano mi avrebbe buttato fuori bordo.”

Davy si strinse nelle spalle. “Non c’è di che” disse, finendo di annodare una cime “ecco fatto.

Hector finì a sua volta di sistemare la cima, poi di tolse la camicia e la usò per  detergersi il sudore che gli imperlava il viso. Il ragazzo guardò il sole: mezzogiorno.

 

Non c’era da stupirsi che si stessero sciogliendo dal caldo.

“Ho la gola secca” disse alla fine “che ne diresti di passare alle cucine a prendere dell’acqua? Ci penseremo dopo a ripulire il parapetto.

Davy sogghignò. “Niente rum?”

Se vuoi vedermi crollare stecchito sul ponte…”

L’altro fece una smorfia. “No, non ci tengo, grazie. Non mi andrebbe di fare tutto questo lavoro da solo.

“Ah, gli amici…”

 

 

“C’è nessuno?” domandò Davy, entrando nella cucina deserta. Era un locale abbastanza spazioso, con un ampio caminetto che prendeva mezza parete e una lunga tavola di legno al centro della stanza.

Non si era mai visto nulla del genere su una nave pirata: c’era da dire che gli ufficiali della marina si trattavano bene.

“Bè, al diavolo” commentò Hector, avvicinandosi ai bottiglioni con le riserve d’acqua “non credo che nessuno avrà nulla da ridire.

 

Ti immagini se adesso ci troviamo davanti il capitano?” disse Davy, versandosi dell’acqua.

“Meglio gettati fuori bordo che morti di sete” rispose ragionevolmente Hector, bevendo. Dovette trattenere un sospiro di sollievo nel sentire l’acqua scorrergli nella gola riarsa. “Hai visto di che colore era il capitano prima?”

 

Davy annuì. “Era più rosso di un’aragosta. Bè, un po’ ci somiglia…ad un’aragosta, cioè.”

Hector ridacchiò. “Non posso darti torto. Però è un peccato che sia intervenuto, stavo vincendo io...”

Davy sollevò un sopracciglio. “Puoi ripetere, scusa?”

“Se il capitano non fosse intervenuto ti avrei disarmato in un minuto.

 

“Non credo proprio!”

E io dico di sì.”

“Scommetti?”

“Mi stai sfidando?”

“Esattamente.”

 

“Sfida accettata!” esclamò Davy, afferrando il primo oggetto che si trovava su una mensola lì accanto e sollevandola in aria “forza, mollusco, difenditi!”

Hector prese un la prima cosa che gli capitò sottomano e la brandì contro Davy. “Avanti, razza di scorfano, sono pronto!”

 

“Ahem…”

Un colpetto di tosse proveniente dalla porta li fece voltare entrambi. Mastro Frazier, il nostromo del Blue Dragon, li stava osservando appoggiato allo stipite della porta. I ragazzi di guardarono a vicenda: Davy teneva sollevato un matterello, mentre Hector brandiva un mestolo.

Per dirlo in maniera educata, sembravano due poveri mentecatti.

 

“Vi state divertendo?” domandò alla fine l’uomo, dopo qualche secondo di silenzio. Sembrava genuinamente incuriosito.

Un mucchio di risposte decisamente poco credibili e assolutamente cretine passarono per le menti dei due, quali:

 

-          Questo individuo è pazzo. Mi ha attaccato all’improvviso con un mestolo/mattarello e io ho dovuto difendermi. Vai a chiamare aiuto.

-          Bè, che hai da guardare? Abbiamo pensato bene di duellare a colpi di attrezzi da cucina. Tutto normale. Torna pure al tuo lavoro e ignoraci.

-          Abbiamo visto un topo e stavamo cercando di ammazzarlo. Lo sapevi che i topi trasmettono la rabbia?

-          Non so cosa ci sia preso. Giuro che non è sempre così.

-          Ok, in effetti è sempre così. Ma ha cominciato lui.

-          Hai visto troppo, amico. Temo che adesso dovremo ucciderti. Senza rancore, eh.

 

Ovviamente, nessuna di queste era realmente attuabile.

“Ecco…”

“Veramente noi…”

“Il fatto è…”

L’uomo li zittì con un cenno. “Lasciate stare, non mi importa delle vostre scuse. Piuttosto, uno di voi sa leggere e scrivere?”

“Sì” risposero entrambi. Davy aveva imparato a leggere all’orfanotrofio dove era rimasto fino ai tredici anni, e non potè fare a meno di domandarsi come avesse fatto Hector ad imparare. Non erano poi molti i pirati o marinai di Tortuga capaci di scrivere.

 

“Molto bene” si limitò a dire il nostromo “e chi di voi due ha una calligrafia chiara e comprensibile?”

Hector guardò Davy. “Su questo punto passo, la mia calligrafia è assolutamente indecifrabile, ci faccio fatica pure io…Davy?”

“La mia è abbastanza chiara, signore. Sì.”

 

“Bene” Mastro Frazier sembrava soddisfatto “allora vai nella cabina del capitano, ha un paio di lettere da dettare. Per quanto riguarda te” aggiunse, guardando Hector “fila immediatamente a pulire il parapetto. Voglio potermici specchiare dentro. Sono stato chiaro?”

“Cristallino, signore” disse in fretta Hector.

“Tu seguimi” disse il nostromo, uscendo dalla cucine. Davy lo seguì verso la cabina del capitano.

 

 

La cabina del capitano era stata, in origine, la mensa dei militari della Marina, ma dal momento che i pirati avevano l’abitudine di mangiare qua e là per il ponte il locale era stato trasformato in una cabina…ed era in assoluto la cabina più grande che Davy avesse mai visto in vita sua.

 

“Bene” abbaiò Spezzamarinai, vedendolo “allora tu sai scrivere, non è così?”

“Si, signore.”

E smettila di dire ‘sissignore’, sembri un dannatissimo soldato, non un pirata! Ti devi rivolgere a ma come ‘Capitano’!”

“Sì, capitano.”

 

“Molto meglio” il capitano gli fece cenno di sedersi allo scrittoio, dove erano già pronti un calamaio e un foglio di carta “spero che tu sappia maneggiare una penna meglio di quanto non faccia con gli scopettoni…”

Davy si morse un labbro per non rispondere e si sedette allo scrittoio, prendendo la penna.

“Sono pronto, signo…capitano.”

 

“Bene” ringhiò l’altro “allora scrivi: Signor Mofi Shaba…

“Mofi Shaba?”

“Non – mi – interrompere, mozzo” latrò il capitano “scrivi e basta: al fine di tutelare il nostro accordo nonché la salute della vostra famiglia, spero vi mostrerete disponibile ad ottemperare alla richiesta che sapete…

 

 

Hector fece una smorfia, ributtando finalmente lo straccio nel secchio. In due ore aveva pulito solo la metà del parapetto della nave.

“Non mi sento più le dita” borbottò fra sé, osservandosi la pelle raggrinzita dall’acqua saponata. Guardò il sole: le due del pomeriggio. Ora di pranzo, finalmente. Avrebbe potuto fare una pausa.

Non gli sembrava possibile di essersi imbarcato solo alle cinque di quella mattina.

 

“Stanco?” domandò Davy, accostandosi a lui mentre metteva in file per mangiare.

“Sfinito” rispose Hector, piegando le dita per cercare di riacquistare sensibilità alla mano “e sto morendo di fame. Ehi, ma quello è stufato!”

“Ne deduco che ti piace” commentò Davy, mentre Hector se ne faceva mettere una porzione nella ciotola di legno che gli fungeva da piatto.

 

“Diciamo che è il mio menù preferito.”

“Hector, il cibo è il tuo menù preferito. Quello che ti ho visto mangiare ieri sera a Tortuga sarebbe bastato a sfamare tutta l’isola per un mese.”

Senti, avevo appetito, qualche problema? Piuttosto, che genere di lettere hai dovuto scrivere?”

Davy si strinse nelle spalle, prendendo la sua ciotola e tendendola al cuoco per farci mettere lo stufato. “Per la maggior parte richieste di rifornimenti, ma ce n’era una che sapeva parecchio di ricatto. Era per un tale Mofi Shaba.”

 

Ofi ‘Aba?” domandò Hector, con la bocca piena.

“Sì, è quello che ho pensato anch’io” disse Davy, sedendosi su un mucchio di corde e cominciando a mangiare “è il nome più strano che abbia mai sentito.

“Questo tizio già mi fa pena. Prima gli appiccicano questo nome, e poi Spezzamarinai decide di prendersela con lui. Riguardo cosa lo vuole ricattare?”

 

“Non ne ho idea” disse Davy, ingoiando un pezzo di pane “non accenna mai direttamente a cosa questo tizio dovrebbe consegnargli in cambio della…sicurezza della sua famiglia.

“Probabilmente denaro.”

“Probabile. In ogni caso, domani lo sapremo.”

Hector lo guardò con genuina curiosità. “Cosa te lo fa pensare?”

 

Davy bevve un sorso d’acqua per mandare giù il pane secco. “Arriveremo nel posto dove vive questo Mofi Shaba domani pomeriggio, e Spezzamarinai ha intenzione di mandarci a consegnare la lettera a questo tizio.

“Uhm” Hector ci pensò un momento “ho il vago sospetto che tema qualche pessima reazione e che voglia mandarci come primo tentativo. In fondo, se ci ammazzassero non sarebbe una gran perdita per lui.

 

“Questo è probabile” disse Davy con un sospiro “ma non mi pare abbiamo altra scelta.”

 

 

Pikky91: a dire il vero non so come mi sia venuta in mente questa spiegazione per la famosa mela…mi è venuta proprio mentre scrivevo, mi fa piacere sapere che l’idea ti è piaciuta.

 

Coral: sì, purtroppo (o per fortuna) le idee strane vengono sempre a me...per fortuna c’è sempre chi le definisce originali per non turbare il mio già precario equilibrio psicologico ^^”

Scherzi a parte grazie per i complimenti, sono contenta che ti piaccia!

 

RebelHalloweenJack: che gentile, definirla addirittura “opera”…io al massimo lo definirei “momentaneo sclero mentale”, ma dovrei essere proprio di buon umore! J

 

Roger Jolly: temo di non conoscere nessuno meno “mitico” di me, ma grazie per il complimento! (un altro commento così e finisce che mi monto la testa, fermatemi per favore…)J

Riguardo la tua richiesta, che dire…so che nei film sono i cattivi, ma in questa storia sono comunque ancora dei ragazzi appena agli inizi della loro “carriera”, quindi è logico che, pur non essendo degli stinchi di santo, non sono ancora i “cattivi” che, appunto, arriveranno a diventare…

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Tia Dalma ***


Hector corrugò la fronte, leggendo la lettera

Hector corrugò la fronte, leggendo la lettera. “…spero vi mostrerete disponibile ad ott…otta…ottem…”

“Ottemperare” lo aiutò  Davy.

“Ah, grazie…ottemperare alla mia richiesta…che diavolo vuol dire?”

“Significa che spera soddisfi la sua richiesta.”

“Accidenti, che paroloni” commentò divertito Hector, rimettendo la lettera nella busta “però mica male come termine, fa effetto. Dovrò ricordarmelo per adoperarlo, casomai mi si presentasse l’occasione…”

In quel momento il nostromo si affacciò sottocoperta. “Ehi, voi due” disse seccamente “muovetevi, siamo arrivati.

 

 

“Questa storia non mi piace per niente” commentò Davy, osservando l’isola di fronte a loro. Era circondata da un alone di nebbia, e non c’era alcun segno di esseri umani: tutta l’isola era circondatala un silenzio innaturale.

“Mette i brividi, non è vero?” domandò un marinaio, guardandoli con qualcosa che somigliava vagamente a pietà: sapeva che sarebbe toccato a quei due ragazzi inoltrarsi in quel luogo “in giro si dice che sia un luogo maledetto, di anime perdute.”

 

“Baggianate” disse seccamente Hector “le maledizioni non esistono. Ho smesso di credere alle storie di fantasmi da un bel pezzo, posto che ci abbia mai creduto.

L’uomo si limitò a scoccargli un’occhiata. “Come vuoi, ragazzo. La scialuppa è pronta. Vi porterà fino alla foce del fiume, poi sarò uno del luogo a condurvi a destinazione. Che Dio vi protegga” disse, allontanandosi.

 

“Non credo che a Dio sia mai importato molto di me” disse sarcasticamente il ragazzo, avviandosi verso la scialuppa “Davy, tu che ne pensi?”

“Nemmeno io sono superstizioso” disse semplicemente Davy “non credo che i pericoli che potremmo correre siano da attribuire ad anime perdute o roba simile. Ma questo posto non mi piace affatto, ha un’atmosfera che mi preoccupa. Tieniti pronto ad usare la spada, non si sa mai.

 

“Non c’è bisogno di dirmelo” rispose Hector, poggiando una mano sull’elsa della sua spada. Il contatto gli dava sicurezza. “E, Davy…se succede qualcosa…”

“Rispetteremo il codice” concluse Davy, lo sguardo duro“chi rimane indietro, indietro viene lasciato.”

“Sono perfettamente d’accordo. In bocca al lupo, allora.”

“Altrettanto, amico.”

 

 

L’uomo li attendeva su una piccola imbarcazione alla foce del fiume. Era un indigeno massiccio, con la pelle nera come il carbone e con un occhio solo. Quando li vide non rivolse loro la parola, ma si limitò a fargli cenno di salire sull’imbarcazione e, una volta che i ragazzi furono a bordo, iniziò a risalire il fiume con vigorosi colpi di remi.

 

Il viaggio durò circa mezz’ora, e proseguì nel silenzio più totale. Né Hector né Davy aprirono bocca, ma entrambi tennero la mano destra serrata intorno all’impugnatura delle loro spade. Davy teneva stretta nella mano sinistra la lettera da consegnare a Mofi Shaba, chiunque gli fosse.

Poco a poco, alcune luci iniziarono a farsi strada nella nebbia. La pesante foschia iniziò a diradarsi, e Hector si accorse che adesso stavano navigando in una specie di palude.

 

Sugli alberi intorno c’erano dozzine di palafitte di legno, e da parecchie di questi si affacciavano delle persone con la pelle scura che li scrutavano in silenzio. Davy deglutì, sentendo il cuore martellargli nel petto. Se avessero deciso di ucciderli, non avrebbero avuto scampo: sarebbero morti come topi in trappola, senza nemmeno la possibilità di difendersi.

 

Nel momento stesso in cui formulava quel pensiero la barca si fermò sotto una palafitta, e l’uomo che li aveva condotti in piedi fece loro cenno di salire lungo una scala di corde che conduceva all’interno della costruzione. Hector salì per primo, seguito da Davy.

 

L’interno della capanna era arredato con alcuni vecchi mobili pieni di strani oggetti, e numerosi talismani pendevano dal soffitto. Una lampada ad olio illuminava la stanza, e su una sedia posta in un angolo c’era un uomo di colore sulla cinquantina, che li osservava attentamente.

 

“Venite da parte del capitano Garrett, non è vero?” domandò alla fine.

Davy annuì, facendo un passo aventi e abbassando la testa per evitare uno dei numerosi scacciaspiriti di legno. “Sì, siamo qui in sua vece. E’ lei Mofi Shaba?”

“E’ il mio nome. Cosa vuole il vostro capitano?”

Davy si limitò a tendergli la lettera.

L’uomo lo osservò per un paio di istanti, poi la prese e iniziò a leggerla. Quando ebbe finito sollevò gli occhi dal foglio e guardò verso di loro. “Il vostro capitano non vuole lasciarmi altra scelta.

La sua voce suonava triste e lontana

 

“Spezzamarinai non è tipo da essere clemente” disse Hector, avvicinando ancora una volta la mano all’elsa della spada. Se l’uomo avesse reagito, sarebbe stato adesso.

L’altro, tuttavia, si limitò ad annuire. “La mia gente è pacifica, e non desidera rappresaglie. Gli darò ciò che vuole.”

 

Disse qualcosa ad alta voce in una lingua che Hector e Davy non conoscevano. Si udirono dei passi, e una ragazza di colore sui quindici anni entrò nella stanza. Lei e Mofi Shaba scambiarono alcune parole nella stessa lingua, poi la ragazzina rivolse la sua attenzione ai due ragazzi, scrutandoli con gli occhi neri come la pece come se avesse potuto vedere nella loro anima.

 

Mofi Shaba si alzò in piedi e si rivolse a loro, mettendo una mano sulla spalla della ragazza. “Questa è la mia figlia più giovane, Tia Dalma. Dite al capitano che ha accettato di seguirvi.

Hector e Davy si scambiarono un’occhiata, stupefatti. Era per lei che erano arrivati fino a lì? Spezzamarinai li aveva mandati a prendere quella ragazza?

 

L’uomo sembrò rendersi conto del loro stupore. “Non lasciatevi ingannare dalle apparenze, Tia Dalma ha grandi capacità…anche se pare le abbiano portato solo disgrazie.”

La ragazza si voltò verso il padre e disse qualcosa nella loro lingua.

 

“Non crucciarti per me, padre. Sarò al sicuro.”

“Lo sai?”

“Lo so.  Non dovrò temere finchè saranno con me. Mi riporteranno a casa.

“Ne sei certa?”

“Il Segno del Diavolo è su di loro.”

“Sono quelli di cui sognasti?”

Uno nato da madre morta, l’altro con le mani macchiate del sangue che lo ha generato. Sono loro.”

“Allora che la sorte possa guidarti, figlia.

“Sarò a casa prima della luna nuova.”

 

La ragazza tornò a voltarsi verso Hector e Davy, che nel frattempo li avevano osservati senza capire una sola parola di ciò che padre e figlia si stavano dicendo.

“Non è necessario trattenerci oltre” disse nella loro lingua, in tono perfettamente calmo “possiamo andare.

 

 

Il viaggio di ritorno fu silenzioso quanto quello dell’andata.

Hector bevve un sorso dalla borraccia: ora che il timore di finire in una trappola gli era passato si era accorto di avere una gran sete.

“Forse dovremmo offrirle dell’acqua” suggerì Davy a bassa voce, guardando Tia Dalma che li fissava immobile dall’altra estremità dell’imbarcazione.

 

Hector sogghignò. “Uhuh, ma come siamo galanti…”

“Non dire idiozie” disse seccamente Davy, prendendogli la borraccia dalle mani. La tese verso Tia Dalma.

“Acqua?”

Lei lo osservò un momento, poi scosse il capo. “Non ho sete. Come vi chiamate?”

 

“Io mi chiamo Hector Barbossa – prova a chiamarmi ‘Hec’ o roba simile e hai finito di vivere, parola mia – e questo tizio che mi sta svuotando la borraccia è Davy Jones” rispose Hector, riprendendosi la borraccia da cui Davy aveva appena finito di bere.

E siete pirati?”

“Pirati in prova” rispose Davy, strappandole un sorrisetto.

 

“In prova?”

“E’ un modo elegante per dire che passiamo la giornata spazzando il ponte” sintetizzò Hector, notando con un certo disappunto che Davy gli aveva finito l’acqua.

“Allora siete dei mozzi” osservò lei, osservandoli con aria assorta.

“Sì, esatto” rispose Davy “anche se speriamo di non doverlo restare troppo a lungo.”

 

“Non succederà” disse lei in tono incolore, voltandosi a guardare l’orizzonte che cominciava finalmente ad intravedersi fra gli alberi, poi aggiunse qualcosa a voce così bassa che nessuno dei due potè sentirla: “arriverà il giorno in cui i vostri nomi verranno pronunciati con timore da tutti i pirati e i marinai che solcano i mari.”

 

 

Pikky91: grazie come al solito per i complimenti, anche se la tua recensione ha dovuto essere cancellata...

Comunque ho notato anch’io quel particolare, e riguardando il film ho notato anche un’altra cosa: hai presente il medaglione a forma di cuore che si vede sull’Olandese Volante, quello che è anche un carillon? Bè, se ci fai caso si vede che ce n’è uno assolutamente identico nella capanna di Tia Dalma…

 

RebelHalloweenJack: grazie per avermi fatto notare la gigantesca cretinata che stavo facendo…meno male che te ne sei accorta! ^^”

Mi fa piacere che consideri ‘interessante’ questo prodotto della mia mente instabile, spero di riuscire a postare presto il prossimo capitolo.

 

Laura Sparrow: sono contenta che apprezzi l’originalità (leggi: stramberia) della mia storia…in effetti vederli Davy Jones e Barbossa così diversi fa uno strano effetto, ma è anche divertente immaginarsi come potevano essere da ragazzi…insomma, uno mica nasce che è già uno spietato pirata, no?

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Malaria! ***


“ATTENZIONE

“ATTENZIONE!”

L’urlo del nostromo fu coperto da uno schianto spaventoso: un gigantesco tentacolo aveva colpito la fiancata della nave, che si inclinò di colpo su un fianco. Altri tentacoli emersero dall’acqua scura, illuminata debolmente dalla luce della luna, e ghermirono la poppa della nave.

 

Davy perse l’equilibrio e si dovette appoggiare al troncone che restava dell’albero maestro per restare in piedi. Intorno a lui infuriava una disperata battaglia, ma era ormai evidente che la loro sorte era segnata: la maggior parte degli uomini dell’equipaggio erano feriti, ed era evidente che avevano ormai quasi terminato le munizioni.

Stavano perdendo la loro battaglia contro la creatura che tentava di trascinarli negli abissi, qualunque cosa essa fosse.

 

Un altro scossone fece inclinare ulteriormente lo scafo. Davy perse definitivamente l’equilibrio e cadde lungo il ponte, andandosi a fermare contro il parapetto. Il ragazzo guardò verso il mare, e di fronte ai suoi occhi qualcosa emerse dalle acqua…qualcosa di scuro e gigantesco…

 

“Vuoi restare ad ammirare lo spettacolo ancora a lungo, Davy?” domandò una voce familiare alle sue spalle. Hector Barbossa era in piedi dietro di lui, con la schiena appoggiata a ciò che restava dell’albero maestro e lo sguardo fisso sul ponte.

Davy si tirò faticosamente in piedi e lo raggiunse. “Hector, dobbiamo muoverci! Se non facciamo qualcosa…”

 

“Non c’è più nulla da fare” rispose l’altro, in tono mortalmente calmo. Sollevò il capo, e la luce della luna ne illuminò il viso. Davy sussultò e fece un passo indietro, sconvolto. A prima vista il viso del ragazzo era quello di sempre, ma c’era qualcosa…qualcosa di sbagliato. Di orribilmente sbagliato.

Gli occhi di Hector era vuoti e gelidi, come due pozzi senza fondo. Occhi morti, senza vita. La sua espressione, priva del solito sogghigno, ricordava una maschera funeraria modellata nella cera.

 

Non sembrava più una creatura viva: sembrava che qualcos’altro avesse preso il suo posto, qualcosa di morto che parlava e si muoveva in una raccapricciante parodia di vita.

“Hector, cosa stai…” Davy gli afferrò il polso, ma ritrasse subito la mano: la carne del braccio di Hector era molle, quasi spugnosa sotto le sue dita. Carne marcia.

Hector Barbossa stava marcendo vivo sotto i suoi occhi, posto lo si potesse ancora definire ‘vivo’.

 

Davy Jones fece un passo indietro. “Cosa sta succedendo?”

L’ombra di un sorriso comparve sul viso di Hector. “Vorrei saperlo anch’io, amico. Non sai quanto” disse, poi guardò qualcosa dietro di lui “sta arrivando.

Davy si voltò lentamente, trovandosi di fronte ad una bocca piena di denti affilati.

La creatura lo aveva trovato.

 

Lo scafo scricchiolò mentre i tentacoli lo stringevano in una morsa, poi cominciò ad inabissarsi, portando il Blue Dragon con sé.

 

 

“NO!”

L’urlo di Davy rimbombò nell’angusta cabina come una fucilata.

Hector si svegliò di soprassalto e si sollevò di scatto…battendo la testa contro il basso soffitto. Il ragazzo ricadde indietro, imprecando.

Che diavolo ti è preso, Davy?” ringhiò dopo aver tirato giù un paio di santi. Una debole luce illuminò la cabina: Davy aveva acceso la lampada ad olio.

 

“Io…ho avuto un incubo, credo.”

Credi?” domandò sarcasticamente Hector, affacciandosi dalla sua cuccetta.

“Non ricordo i particolari” spiegò l’altro, passandosi una mano sulla fronte “ma di sicuro non era nulla di piacevole.”

 

“Questo l’avevo capito” borbottò Hector, rigirandosi sotto la coperta “uno non si sveglia urlando se sta sognando di trovarsi seduto ad un tavolo con una bottiglia di…ehi, dove stai andando?”

 

“A fare un giro sul ponte” rispose Davy, infilandosi gli stivali “mi sento soffocare qui dentro. E tanto, ormai sarà quasi l’alba. Tanto vale alzarmi”

Fece un passo verso la porta, ma barcollò in avanti come ubriaco.

“Ehi!” Hector saltò giù dalla cuccetta e lo afferrò per le spalle prima che cadesse a terra “Davy, va tutto bene?”

 

“Sto bene” rispose l’altro, scuotendo il capo come per schiarirsi le idee.

“Sei bollente” osservò Hector, aggrottando la fronte “e sei un bagno di sudore.

“Sto bene” ripetè Davy, liberandosi dalla sua presa.

“Stai uno schifo.”

 

“E’ solo effetto dell’incubo” tagliò corto Davy, aprendo la porta “starò meglio appena sarò uscito sul ponte.

Ma…”

Troppo tardi: Davy era già uscito dalla cabina.

“Cocciuto come un mulo” borbottò Hector fra sé, infilandosi gli stivali.

 

 

Davy chiuse gli occhi, infastidito dalla luce del sole che cominciava a sorgere. Gli occhi gli bruciavano, e gli sembrava di avere la gola in fiamme…per non parlare del cerchio alla testa che sembrava comprimergli il cranio.

Nell’insieme, si sentiva uno straccio.

“Dev’essere influenza” disse fra sé, appoggiandosi al parapetto “dannazione, dev’essere stato il temporale dell’altro giorno…”

 

Anch’io parlo da sola, a volte” disse una voce femminile dietro di lui. Davy si voltò e vide Tia Dalma dietro di lui.

Il ragazzo batté le palpebre. Da quando quella strana ragazzina era salita a bordo, ormai più di una settimana prima, né lui né nessun altro membro dell’equipaggio l’avevano più vista o sentita. Quasi nessuno sapeva per quale motivo il capitano l’avesse voluta prendere: correva voce che avesse intenzione di consegnarla ad un altro pirata sua alleato, ma nessuno ne conosceva il motivo.

 

“Chiede scusa?”

“Stavi parlando da solo. Lo faccio anch’io a volte.”

Davy scosse il capo. “Stavo solo riflettendo ad alta voce.”

Ovvero parlavi da solo” concluse la ragazza, appoggiandosi a sua volta al parapetto. Lo osservò qualche momento, poi: “Stai male.

 

“Un po’ di influenza, tutto qui” tagliò corto Davy, allontanandosi. Non gli andava l’idea di essere guardato come un malato da una ragazzina stramba come quella.

O peggio” disse piano lei, osservando il mare.

Davy si voltò a guardarla. “Cosa…?”

“Davy! Ehi, Davy, come…” Hector si fermò a metà del ponte nel vedere Tia Dalma “ah, sei tu. Cominciavo a pensare fossi finita in mare, sai? Non ti si è mai vista in giro.”

 

“Non sono uscita spesso dalla mia cabina” replicò lei, poi lo osservò attentamente “tu non sei malato.

Hector sollevò un sopracciglio. “Dovrei esserlo?”

“Sei l’unico a non esserlo. Il tuo amico sta male, e anche l’uomo che vi ha portati fino alla spiaggia, ho sentito il capitano che ne parlava. Tu sei l’unico di quelli che sono stati sulla mia isola a non averla presa.

 

Davy sentì un brivido gelido corrergli lungo la schiena. Si appoggiò di nuovo al parapetto, sentendosi le gambe molli.“Di cosa stai parlando? Che cosa avrei preso?”

Tia Dalma lo guardò con un misto di noia e compassione.

“La malaria.”

 

 

“Per come la vedo io, non ci sono possibilità di guarigione” disse seccamente Spezzamarinai, uscendo dalla stanza dove Davy e l’altro marinaio malato erano stati portati “ci fanno solo da peso, e consumano cibo e acqua.”

E cosa intendete fare, capitano?” domandò il nostromo. Tutto l’equipaggio guardò il capitano, in attesa.

Spezzamarinai fece una smorfia. “Dovremo lasciarli a terra.”

 

Ma il prossimo porto è a dieci giorni di navigazione da qui!” esclamò un marinaio.

Il capitano lo fulminò con lo sguardo. “E chi ha parlato di porto? Li scaricheremo sulla prima isoletta che troviamo. Meglio morti su un’isola che qui sulla nave. Ora filate al lavoro!”

La ciurma si disperse, mentre gli uomini tornavano tutti alle proprie mansioni. Spezzamarinai notò che una persona era rimasta di fronte alla porta dell’infermeria improvvisata.

 

 Che ci fai ancora qui, Barbossa? Al lavoro!”

Hector esitò un momento, poi guardò il capitano dritto negli occhi. “E se guarissero?”

Spezzamarinai scosse il capo. “Non ci sono speranze, mozzo. E poi questa è una nave pirata, non un lazzaretto!”

Ma se uno di loro guarisse” insistette Hector “resterebbe a bordo, no? Potrebbe restare a lavorare.”

“Certo, finchè lavora” grugnì il capitano, irritato “ma non illuderti, non c’è speranza. E adesso vattene subito a…”

Si interruppe di colpo: Hector era già corso via, diretto in sovraccoperta.

 

 

Tia Dalma non fu sorpresa di vedere il ragazzo bloccarle il passo.

“Tu sai come curarlo” disse Hector, senza mezzi termini.

Lei ne sostenne tranquillamente lo sguardo. “Cosa te lo fa credere?”

“Tu e la tua gente vivete in mezzo a qual pantano, dannazione. Ci vivete, e non siete morti di malaria. E non venirmi a dire che è per merito dei scacciaspiriti che tenete appesi alle vostra baracche, perché non ci credo. Come avete fatto?”

 

Lei gli rivolse uno strano sorriso. “Sei intelligente per essere un pirata.”

“Rispondi. Alla. Domanda.”

Tia Dalma lo guardò fisso ancora per un momento, poi annuì. “Esiste un modo…un infuso particolare, che ci protegge dal manifestarsi del male e ci cura quando ne cadiamo ammalati.”

E tu sai farlo?”

 

“Io so fare molte cose.  Ma per prepararlo occorrono delle erbe che crescono solo sulla nostra isola.

Hector sentì qualcosa di pesante scendergli nello stomaco. Spezzamarinai aveva ragione, non c’era speranza: Davy sarebbe morto molto prima che la nave potesse raggiungere l’isola di Tia Dalma per raccogliere quella dannata erbaccia…

 

Nel vedere la sua espressione, la ragazza ridacchiò.

“Mi sembri piuttosto abbattuto” commentò, prendendo qualcosa da una tasca e mettendoglielo davanti al viso “ma forse so come tirarti su di morale…”

Hector fissò il sacchetto che lei gli aveva messo di fronte agli occhi. “Cosa c’è lì dentro?”

 

“Secondo te?” domandò lei in tono malizioso, facendo dondolare il sacchetto per aria

Hector batté le palpebre, incapace di credere alla fortuna sfacciata che aveva avuto.

“Lì dentro…?”

“Esatto” rispose lei, compiaciuta dal suo stupore “me ne porto sempre una scorta dietro, non si sa mai…ma ne ho abbastanza per una sola persona.”

 

“Basterà. Prepara questo stramaledetto infuso per Davy, e giuro che…”

Tia Dalma lo zittì con un cenno. “Lascia perdere i giuramenti, non sarai tu a dovermi qualcosa. Adesso aventi, portami dal nostro malatino e vediamo cosa riesco a fare.

 

 

Pikky91: eh, sì, personalmente sono convinta sia proprio lei…insomma, ha un medaglione identico, conosce la storia della donna di cui Davy Jones era innamorato in tutti i particolari (vabbè che quella sa tutto di tutti, ma non stiamo a guardare il capello) e il regista si è lasciato sfuggire che nel terzo film sarà un personaggio molto importante…NON POSSO ASPETTARE ANCORA PER VEDERE QUEL FILM!!

…l’attesa mi ucciderà, lo sento… (attacco melodrammatico, ignoratemi o abbattetemi per favore…)

P.S: grazie per il commento, troppo buona come al solito!

 

Sele: sono contenta che la storia ti piaccia, è il mio primo tentativo (leggi: aborto) di fanfic in assoluto… per quanto riguarda Tia Dalma: è vero che sembra MOLTO più giovane di Barbossa e Jones (e in effetti probabilmente è così, ma che vuoi farci l’immaginazione non segue la logica), ma ecco il mio contorto (e malato) ragionamento: dal momento che è una specie di strega (nel senso che fa cosucce tipo riportare in vita i morti, come presumo abbia fatto con Barbossa nel secondo film), ho immaginato che per lei non sarebbe un problema sembrare diversa (o più giovane, appunto) da come sarebbe in realtà (e pensare che noi usiamo lifting e cremette appiccicose…appena compio 40 anni mi converto al vodoo, giuro)

 

Laura Sparrow: non te l’aspettavi, eh? Sorpresa! Diciamo che avrà un ruolo piuttosto particolare (non sarà un’indifesa fanciulla da salvare, questo è sicuro!) Io il ciondolo l’ho notato la seconda volta che ho visto il film, e per un momento ho pensato di essermelo immaginato…poi appena a casa mi sono attaccata ad internet e ho scoperto che non me l’ero affatto immaginato, era proprio lui! Personalmente, credo che questo dettaglio avrà un ruolo nel terzo film…grazie per l’incoraggiamento nel continuare a scrivere!

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Uomo in mare ***


“ATTENZIONE

Davy giaceva privo di sensi su un mucchio di coperte: aveva il respiro affannoso e irregolare, e continuava a rigirarsi nel sonno mormorando frasi senza senso, il viso lucido di sudore. A pochi metri di distanza il marinaio che li aveva accompagnati sull’isola stava letteralmente agonizzando: al poveretto non restavano nemmeno due ore di vita.

 

“Sta molto peggio di prima” commentò Tia Dalma, inginocchiandosi di fronte al giaciglio di fortuna.

Ma dai?” disse sarcasticamente Hector “fin qui c’ero arrivato da solo. Vuoi dargli quel tuo rimedio miracoloso o no?”

Lei gli rivolse uno strano sorriso. “Potrebbe essere già troppo tardi.”

 

“Non abbiamo nulla da perdere, no?” replicò Hector, irritato da quel sorrisetto saccente.

“Immagino di no” disse lei, poi afferrò sollevò il capo a Davy e gli accostò la tazza alla bocca.

Una lieve contrazione attraversò il viso del ragazzo quando il liquido gli inumidì le labbra, poi, senza risvegliarsi, Davy cominciò a bere avidamente.

 

“Ecco fatto” disse Tia Dalma, mentre Hector riadagiava Davy sulle coperte “adesso possiamo solo aspettare.”

Hector si sedette sul pavimento, la schiena appoggiata al muro. “E allora aspetteremo” disse seccamente.

“Aspetteremo?”

“Tu puoi pure andartene. Grazie per l’aiuto.”

“Intendevo dire che non credevo saresti rimasto. Non hai del lavoro da fare?”

 

“McKnive lo sta già facendo al mio posto. Gli ho detto che se non lo avesse fatto avrei raccontato al capitano chi è stato ad annodare male la vela di maestra facendo finire mezza velatura in mare.

“Un ricatto, insomma.”

“Mi pare ovvio.”

 

Ci fu un lungo silenzio, interrotto solo dai rantoli del marinaio che moriva nell’angolo e dal respiro faticoso di Davy. Tia Dalma gli sfiorò i capelli scuri con una mano.

 

Una creatura viva nata da una creatura morta.

 

“Cosa ci fai qui?” domandò alla fine Hector, senza distogliere lo sguardo da Davy “cosa vuole Spezzamarinai da te?”

“Non è lui che mi vuole. Mi sta portando da qualcun altro. Non conosco il suo nome.”

E cosa vuole questo tipo da te?”

 

Tia Dalma indicò con un cenno la tazza vuota. “Non riesci ad immaginarlo?”

“Questo lo avevo intuito. C’è altro che sai fare, oltre a curare la malaria?”

“Dipende. Tu credi nel sovrannaturale?”

Hector scosse la testa. “Non credo in nulla che non possa vedere con i miei occhi. No.”

“Allora è inutile parlarne” disse semplicemente lei, tornando a scrutare Davy “sta già meglio.

 

Era vero: il ragazzo aveva smesso di parlare nel sonno. Tia Dalma gli mise una mano sulla fronte.

“La febbre sta scendendo. Direi che è fuori pericolo.”

 

L’espressione seria, persino ansiosa di Hector si sciolse nel primo vero sorriso che Tia Dalma gli avesse visto: fino ad allora lo aveva visto solo sogghignare, o ridere nella maniera sguaiata tipica dei pirati.

Ma mai sorridere.

 

Perché hai deciso di diventare un pirata?” domandò Tia Dalma, scrutandolo.

Hector scoppiò a ridere. “Sono nato a Tortuga, dolcezza. Che altro avrei potuto fare?”

Anche i tuoi erano pirati?” domandò lei, nonostante sapesse già la risposta.

Hector smise improvvisamente di ridere. “Ti consiglio di cambiare argomento, ragazzina.

 

“Come vuoi” rispose lei, con una scrollata di spalle “come ti sei procurato quella cicatrice?”

“Questa?” Hector si passò un dito lungo lo sfregio che aveva sotto l’occhio destro “nulla di eroico, non credere…una rissa in un a locanda. Bottiglia rotta. Credevo davvero di rimetterci l’occhio, quella volta.

“Hai ucciso qualcuno in quella rissa?”

“Sì, certo. In quelle mischie, o ammazzi o vieni ammazzato.”

 

E hai mai ucciso qualcuno a sangue freddo?”

Hector si irrigidì per un istante, poi scrollò le spalle. “Nessuno degno di nota” tagliò corto, distogliendo lo sguardo da lei. Tia Dalma gli osservò le mani, e per un attimo le parve di vederle grondare di sangue.

 

Una creatura con le mani macchiate del sangue di colei che lo ha generato.

 

Tia Dalma sorrise fra sé.

“E Davy?” domandò “lui perché ha deciso di diventare un pirata?”

“Hector si strinse nelle spalle. “Non lo so. A dire il vero lo conosco solo da una decina di giorni, e non mi ha parlato molto di sé. So solo che è rimasto in orfanotrofio fino ai tredici anni, poi è scappato.

 

“Mi pare che tu tenga parecchio alla sua vita per conoscerlo da così poco.

“Ha aiutato mia sorella. Probabilmente le ha salvato la vita.”

“Hai una sorella?”

Un sorella più piccola. Raven” disse lui, e Tia Dalma lo vide sorridere per la seconda volta nel giro di pochi minuti.

 

Un’improvvisa esclamazione li fece voltare entrambi verso Davy: il ragazzo aveva preso ad agitarsi convulsamente nel sonno, come in preda agli incubi.

“Davy!” lo chiamò Hector, avvicinandosi “ehi, amico, mi senti? Non so cosa diamine tu stia sognando, ma non è nulla di reale! Mi senti? Nulla di rea…”

 

“NO!”

Davy sollevò di scatto il braccio, afferrando Hector per un polso, e apri gli occhi di colpo.

“…cosa…?” rimase qualche secondo a guardarsi intorno, perplesso, prendendo poco a poco coscienza che era stato solo un incubo. Batté le palpebre un paio di volte, poi si voltò a guardare Hector, di cui teneva ancora la mano stretta in una morsa intorno al polso.

 

“Tu non sei un mostro” constatò, quasi sorpreso, lasciandogli il polso.

Hector sollevò un sopracciglio. “Grazie tante, amico. Bentornato a bordo, eh.”

 

 

Il marinaio che li aveva accompagnati sull’isola morì nel primo pomeriggio. Il suo corpo venne gettato agli squali senza troppi complimenti, e nessuno sembrò farci molto caso.

Spezzamarinai quasi non aveva creduto ai suoi occhi nel vedere Davy uscire sul ponte sulle sue gambe e con l’aria di chi sta benissimo.

 

Di comune accordo, i ragazzi avevano deciso di non dire a nessuno del ruolo che aveva avuto Tia Dalma nella sua guarigione, che rimase un mistero per tutto l’equipaggio.

Da quel giorno, tra loro e quella strana ragazzina dalla pelle color caffellatte si instaurò una sorta di bizzarra amicizia destinata a durare per anni.

 

 

“JONES! Vedi di stringere meglio quelle dannate corde, mozzo! Non vedi che i nodi sono troppo lenti?” abbaiò il nostromo.

“Sì, signore” disse in fretta Davy, mordendosi la lingua per impedirsi di rispondergli che evidentemente era cieco visto che quei nodi andavano benissimo.

 

E dopo vedi anche di lucidare meglio quel parapetto” Mastro Frazier sembrava deciso a farlo sgobbare più del solito “dove credi di essere, in vacanza?”

“No, signore.”

“E allora vedi di darti una mossa!” latrò l’altro, senza rendersi conto che Hector gli stava facendo il verso dietro la schiena “voglio vedere tutto in ordine entro due minuti!”

 

“Sì, signore” disse Davy, sforzandosi di non ridere mentre Hector, dietro le spalle del nostromo, fingeva di vomitare fuori bordo.

Il nostromo sembrò intuire qualcosa dal lieve cambio di espressione di Davy, perché si girò di scatto…solo per vedere Hector Barbossa intento a lucidare il parapetto (peraltro già pulitissimo) con l’espressione più innocente del mondo.

 

O, almeno, con l’espressione più innocente che gli era possibile assumere.

Che, a dirla tutta, non era poi tanto innocente.

 

Che hai da guardare?” ruggì, irritato dal fatto di non essere riuscito a coglierlo in castagna “al lavoro!”

“Sto lavorando, Mastro Frazier” disse ipocritamente Hector, sollevando lo straccio.

E allora continuate” ringhiò l’altro, allontanandosi a grandi passi.

“Abbiamo solo due mani, sai” bofonchiò Davy, armeggiando con le corde “stupido vecchio scorfano…lo diverte davvero, prendersela con i sottoposti.

 

“Già” concordò Hector “ma lo hai sentito? E tu che hai da guardare? Torna al lavoro!’…bah! Se mai diventerò Capitano non strapazzerò mai così i miei uomini.

“Uhuh, addirittura capitano?”

“Beh, perché non mirare in alto? E poi ammetterai che ‘Capitano Barbossa’ suona bene.”

 

“Megalomane.”

“Senti da che pulpito! Non sei tu quello che vorrebbe diventare il terrore dei…ehi, e quello cos’è?” esclamò Hector, affacciandosi dal parapetto.

Davy seguì il suo sguardo: una forma scura si stagliava sull’acqua trasparente, poco lontano dalla fiancata di tribordo.

 

“Oh, dannazione!” esclamò Davy, mentre Hector si voltava verso il ponte e urlava con tutto il fiato che aveva in gola.

“UOMO IN MARE!”

 

 

Pikky91: eheh…non preoccuparti, una certa dose di perversione ce l’abbiamo tutti! Sono contenta che la fic continui a piacerti…questo capitolo non è molto movimentato, ma da prossimo ci sarà decisamente più movimento!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Cambio di programma ***


“ATTENZIONE

“E’ ancora vivo?”

“Mi pare di sì, si è mosso…”

“Indietro, fatelo respirare!”

“Forse dovremmo fargli bere qualcosa…”

Buona idea, vai a prendere del rum…”

 

Ma questa è una nave pirata o un convento di suore della carità?” domandò Hector con un sogghigno, osservando la confusione che si era scatenata attorno al marinaio appena ripescato dal mare.

Davy non potè fare a meno di sorridere. “In effetti ci manca solo la veletta.”

“Non ci staresti male, sai…”

“ALLORA, CHE SIGNIFICA QUESTA CONFUSIONE?”

 

Il ruggito di Spezzamarinai fece scendere il silenzio sul ponte.

Hector fece una smorfia. Ma quel tizio non si rilassava mai?

“Abbiamo trovato quest’uomo in mare, capitano” rispose per tutti il nostromo “è ancora vivo, e…”

E voi avete scambiato questa nave per un ospedale di suorine, non è vero?” ringhiò il capitano.

 

Hector e Davy si scambiarono un’occhiata. Hector giunse le mani e alzò gli occhi al cielo, fingendo di pregare, e Davy si lasciò sfuggire un ghigno che fortunatamente non fu udito dal capitano.

In quel momento l’uomo che avevano ripescato si mosse impercettibilmente, mormorando qualcosa.

“Si sta svegliando” esclamò un uomo della ciurma.

 

Il naufrago spalancò gli occhi di scatto, respirando affannosamente. I suoi occhi vagarono sulla ciurma, soffermandosi alla fine sul capitano. Spezzamarinai sussultò, riconoscendolo: era il capitano della Bloodlust, una nave pirata con cui gli era capitato di avere a che fare.

 

“Crandall! In nome di Dio, cosa è successo? Dov’è la tua nave?”

Crandall aprì la bocca per parlare, ma ne uscì soltanto qualche suono strozzato. Alla fine, con grande sforzo, riuscì finalmente a parlare. Spezzamarinai dovette chinarsi per udirne le parole.

 

“Tutti. Sono morti tutti.”

 

 

“Secondo te cosa voleva dire quel tizio?” domandò Davy, pensieroso. Crandall era stato portato nella cabina del capitano, e lo stesso Spezzamarinai non era mai uscito di lì per tutto il giorno.

“Bè, immagino che ‘sono morti tutti’ sia dannatamente chiara, come frase…” disse sarcasticamente Hector, addentando una mela.

 

Davy aggrottò la fronte. “Che stai facendo?”

Ceno, non si vede?”

Ma abbiamo cenato un’ora fa!”

Hector sogghignò. “Diciamo che questo è lo spuntino di mezzanotte.

 

“Sei un pozzo senza fondo” commentò Davy, poi si voltò verso la cabina del capitano “secondo te cosa è successo alla Bloodlust?”

“Di un po’, mi hai preso per un indovino?” fece Hector, ingoiando l’ultimo boccone “si saranno trovati in mezzo ad una tempesta, o magari si sono scontrati con la Marina…la nave è affondata e questo tizio si è salvato. Credo sia la risposta più probabile.”

 

“La risposta più probabile non è sempre quella giusta” intervenne una voce dietro di loro. Tia Dalma si era avvicinata senza farsi sentire e adesso li stava osservando con quel perenne sorrisetto stampato sul viso.

“Ah, riecco il nostro uccello del malaugurio preferito” ridacchiò Hector, appoggiandosi al parapetto “mi stavo cominciando a preoccupare, ancora non ci hai parlato di maledizioni e riti vodoo oggi…”

 

Tia Dalma si imitò a scrollare le spalle: si era abituata alle frecciate del ragazzo, e ormai aveva lasciato perdere l’idea di convincerlo a credere in maledizioni e magie.

Non c’era niente da fare, quel benedetto ragazzo non avrebbe mai creduto in nulla che non potesse vedere…almeno fino al giorno in cui avrebbe finito per sbatterci il naso, come Tia Dalma era convinta sarebbe successo.

 

Che vuoi dire?” domandò Davy, sinceramente incuriosito.

Tia Dalma lo osservò per un momento prima di rispondere. Davy sembrava quello più propenso a crederle, ma il suo atteggiamento nei suoi confronti non era nemmeno lontanamente disinvolto quanto quello di Hector. Sembrava quasi che la sua presenza lo rendesse nervoso.

 

“Non avete visto gli occhi di quell’uomo? Sembrava fuori di sé.”

Hector scrollò le spalle. “Tu che faccia faresti, a passare Dio solo sa quanti giorni in balia del mare?”

“Quell’uomo ha visto l’inferno, Hector.” replicò lei con calma.

Ma certo, ha fatto una capatina all’inferno ed è tornato per raccontarlo, dico bene? Un biglietto andata e ritorno per l’inferno, per favore…

Tia Dalma scosse il capo. “Sei talmente cieco de non poter vedere nulla che non ti venga sbattuto in faccia.”

 

“Uhuh, ma guarda… indovina, guaritrice e pure oculista” Hector sogghignò “mi spiace, ma temo la tua diagnosi sia sbagliata. Io ci vedo benissimo.”

“Tu vedi solo quello che vuoi vedere” tagliò corto Tia Dalma, poi si voltò a guardare Davy “tu cosa ne pensi?”

Sentendosi chiamare in causa, Davy si schiarì la gola. “A dire il vero, la versione di Hector sarebbe quella più logica…”

 

E tu ti affidi solo alla logica?” domandò Tia Dalma, socchiudendo gli occhi scuri.

“Dovrei fare affidamento su altro?”

“Non è stata la logica a salvarti dalla malaria, se ben ricordo.

Davy fece per rispondere, ma non trovò nulla da dire. Hector scoppiò a ridere.

“Non ci credo, qualcuno è riuscito a zittirlo! Uno a zero per l’uccello del malaugu…”

SLAM!

 

Ci fu il rumore di una porta che sbatteva violentemente, e Spezzamarinai uscì dalla sua cabina.

“Mastro Frazier!”

“Sì, capitano?” il nostromo rispose alla chiamata del capitano più in fretta di un cane al fischio del padrone.

“Il capitano Crandall è morto. Voglio che il corpo sia gettato fuori bordo, e voglio che tracciate una rotta per il porto più vicino…c’è un cambiamento di programma. E VOI VI SIETE INCANTATI PER CASO?” latrò, accorgendosi che diversi membri dell’equipaggio lo stavano fissando.

 

“A quanto pare il compianto capitano Crandall deve avergli rivelato qualcosa di grosso” commentò Davy, tornando a chinarsi sulle corde che stava assicurando “insomma, uno non cambia completamente i programmi semplicemente perché una nave è naufragata.”

“Forse c’è una flotta della Marina in giro” rispose Hector, scrutando nervosamente l’orizzonte.

O forse c’è una perturbazione verso est…”

 

Tia Dalma scosse il capo, allontanandosi in silenzio e lasciandoli alle loro congetture.

 

 

E quindi il capitano ha detto di aver cambiato programma?” domandò la bambina, guadandola con curiosità.

Erano entrambe sedute sulla branda della cabina che il capitano aveva dato a Tia Dalma. Era a due posti come tutte le altre cabine della nave, e Tia Dalma era stata lieta di dividerla con la piccola clandestina che aveva trovato nel magazzino una settimana prima, nascosta dietro alcune casse.

 

Una bambina in gamba, doveva ammetterlo: era rimasta più di dieci giorni nascosta nel magazzino della nave, riuscendo a non farsi notare dai marinai fino a quando lei non l’aveva trovata.

Ma del resto nessuno, per quanto scaltro, poteva nascondersi alla vista di una strega vodoo. La piccola le aveva chiesto di non dire nulla a nessuno della sua presenza: diceva che a suo fratello sarebbe venuto un colpo, e che lei doveva stare lì di nascosto per controllare che Davy non si cacciasse nei guai.

 

“Sì” rispose Tia Dalma, giocherellando con un amuleto che portava al collo “dice che faremo porto presto.

“Secondo te quell’uomo ha davvero visto…qualcosa di sovrannaturale?” domandò la bambina, finendo di mangiare il pane che Tia Dalma era riuscita a portarle per cena.

Bisognava ammettere che, sotto un certo punto di vista, era più sveglia del fratello. Perché lei le credeva, le credeva ciecamente come credono i bambini.

 

“Credo di sì” disse alla fine Tia Dalma “e temo che la bramosia spingerà questa nave a inoltrarsi fra pericoli che gli uomini non possono nemmeno concepire.”

La bambina le tirò una manica. “Ma tu proteggerai mio fratello, vero? Tu sei una strega, puoi farlo…proteggerai lui e Davy?”

Tia Dalma diede un sorriso triste. Che fosse molto attaccata ad Hector era comprensibile, ma c’era qualcosa nel modo in cui in cui si preoccupava per Davy che le faceva suonare nelle mente un campanello di allarme.

 

“Posso provarci.”

 

Sì, piccola Raven, posso provare ad aiutarli. Ma in futuro non potrò proteggere tuo fratello dalla bramosia di  potere che lo consuma…così come non potrò proteggere Davy da te. Gli uomini sono così ciechi di fronte al sentimento che chiamano amore. Ma adesso tranquilla, piccola, e riposa pure, sogna dell’infanzia che ti è stata rubata, e dell’innocenza che ti hanno strappato. Ancora non puoi sapere quale sarà il tuo ruolo nel futuro del Capitano Davy Jones.

 

Perché ancora non sai nulla del TUO futuro, né della donna che sarai.

 

Bella, e crudele, e indomabile come il mare.

 

 

Maxie: grazie per aver perso il tuo tempo per leggere questa specie di fanfic! Riguardo la tua domanda…hai presente il medaglione a forma di cuore che si vede nella cabina di Davy Jones quando Will gli ruba la chiave, quello che fa anche da carillon? Bè, un medaglione identico è visibile nella capanna di Tia Dalma, e questo rafforza la tesi secondo cui Tia Dalma sarebbe la donna di cui Davy Jones si era innamorato…una tesi che personalmente condivido in pieno. Spero di essere stata chiare!

 

Pikky91: credimi, nemmeno la mia è tanto piccola! ^^” Ok, so che nemmeno questo capitolo è un granchè movimentato, ma avevo la sensazione di dover mostrare un po’ di più i rapporti fra Tia Dalma e i nostri ‘cattivi’ preferiti…spero di non averti annoiata troppo! A proposito: nel prossimo capitolo comparirà, sia pure di striscio e in forma un po’ particolare, un importante personaggio di Pirati dei Carabi…puoi indovinare chi? davvero facilissimo, giuro!)

 

Laura Sparrow: eccoti il nuovo capitolo, anche se temo di non aver granchè soddisfatto la tua curiosità…ma mi diverte lasciare un po’ le cose in sospeso! (già vedo le sassate che mi puntano da lontano…) Comunque riguardo Davy hai ragione, avrà decisamente qualcosa da rivelare a tutti…anzi, anche a sé stesso! (ok, la smetto di parlare per indovinelli o qui mi linciano davvero…

 

Ginny85: che significa ‘Sto pensando di scrivere ancora sull'argomento "pirati dei caraibi"?? Tu DEVI scriverne ancora, ti ammazzo se non lo fai!! (scherzo, scherzo…però sarebbe bello se scrivessi altre fanfic sull’argomento, sei davvero brava!)

Riguardo la tua intuizione su Davy e Raven, che dire? Congratulazioni, sei la prima (se non l’unica) ad averlo capito al volo!J Cioè: per quanto riguarda i film sono praticamente certa che la donna di cui Davy era tanto innamorato sia Tia Dalma, ma nell’ambito di questa storia mi sembrava un po’ scontato, così ho deciso di cambiare un po’ le cose! Ah, per quanto riguarda il nome di Barbossa: no, non l’ho inventato. Hector è davvero il suo nome, è stato detto nel commento del film nel DVD della Maledizione della Prima Luna.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Grant Sparrow ***


Ok, solo un paio di cose:

Ok, solo un paio di cose:

innanzitutto, mi scuso per non aver aggiornato per secoli. Purtroppo la scuola si è presa gran parte del mio tempo. Questo capitolo è stato scritto in un paio di giorni, dal momento che l’uscita del terzo film della saga ha aggravato la mia febbra da “Pirati dei Caraibi”.

A proposito: per un po’ dopo aver visto il film sono stata in dubbio se proseguire questa storia o no, dal momento che, essendo stata ideata e iniziata prima dell’uscita dell’ultimo capitolo della trilogia, non ha alcun riscontro con la storia rivelataci in quest’ultimo film. Alla fine ho deciso di proseguirla, anche perché mi divertiva scriverla. Tanto per sicurezza, aggiungerò AU agli avvertimenti.

 

Ehm…siete ancora lì? Benissimo, allora la pianto di ammorbarvi con queste note d’autore (già immagino in quanti le leggeranno…^^) e vi auguro buona lettura.

 

 

“Pronti a scendere a terra, ragazzi?” domandò uno dei marinai, portando sulle spalle un grossa trave “Il capitano vuole che consegnate quella lettera a Grant Sparrow entro le tre. Avete capito in quale locanda lo dovete cercare?”

“Sì, sì” bofonchiò Hector, impaziente “una locanda con l’insegna rossa vicino al molo. Quello lì ci ha preso per dei postini, per caso?”

Lo sguardo dell’uomo si indurì. “Non vi conviene discutere gli ordini di Spezzamarinai.”

“E chi li discute?” fece Davy, che stava appollaiato sul parapetto a sistemare le ultime cime.

 

“Meglio per voi” commentò il marinaio, poi si voltò si scatto per andarsene, evidentemente dimentico della lungheza della trave che portava sulle spalle.

“Davy, attent…” tentò di avvertirlo Hector, ma era troppo tardi: l’estremità della trave colpì con forza Davy sotto lo sterno, scaraventandolo sul ponte.

Mapporc…

Il marinaio si lasciò sfuggire una risatina mentre si allontanava.

“Cane rognoso” ringhiò Hector, poi si chinò su Davy “tutto a posto, amico?”

 

Davy si limitò a borbottare qualcosa a proposito della madre del tizio con la trave, tenendosi il fianco.

“Sì, che fosse un figlio di puttana già lo sapevo” disse Hector “tu come stai? Costole rotte?”

“No, le costole stanno benissimo” fece Davy, rialzandosi con una smorfia “stavolta ha beccato la milza.”

“Poco male, sopravvivrai.”

“Grazie tante, dottore.”

“Dovere.”

 

 

“E cosa vuole Spezzamarinai da questo Sparrow?” chiese Hector mentre scendevano dalla nave.

“Non ne ho idea, la lettera dice solo di incontrarsi alla Grotta dell’Impiccato questa sera” rispose Davy, ricacciandosi la lettere in tasca.

“Grotta dell’Impiccato? Un nome che è tutto un programma…”

“Ah, puoi dirlo forte. Ecco la locanda.”

Davy si fermò di fronte ad una locanda con l’insegna rossa.

“Benone, se non altro stavolta non ci ha spediti in mezzo ad una palude” commentò Hector, entrando per primo.

 

Essendo soltanto il primo pomeriggio all’interno del locale non c’era molta gente, fatta eccezione per un gruppetto di ubriaconi che se ne stavano sdraiati gli uni sugli altri sui tavoli in fondo.

“Cercate qualcuno, ragazzi?” domandò l’oste, un cinquantenne sfregiato dal vaiolo.

“Veniamo da parte del Capitano Garrett” disse Davy “cerchiamo un certo Grant Sparrow. E’ qui che…?”

“CAPITANO!” esclamò una vocetta indignata da un angolo.

 

“Eh?”Hector si voltò dal punto dove proveniva la voce: un bambino sui cinque o sei anni, coi capelli neri e gli occhi scuri, li stava guardando con aria offesa.

“Chiedo scusa?”

“Mio padre è il Capitano Grant Sparrow” ripetè il bambino col tono di ci sta parlando ad un povero idiota  “comprendi?”

 

“Comprendiamo” disse diplomaticamente Davy, ignorando il tono strafottente del bambino “allora…il Capitano Grant Sparrow è tuo padre?”

“Così pare” rispose il bambino, scrollando le spalle e avvicinandosi. Davy batté le palpebre. Ma come diavolo camminava? Sembrava avesse appena preso un colpo di sole.

“Pare?”

 

“Finiscila, Jack” lo rimproverò l’uomo al bancone, poi si rivolse ad Hector e Davy “sì, questa piccola peste è il figlio del Capitano Sparrow. Il Capitano non è qui, ma dovrebbe arrivare a momenti. Qualcosa da bere, nel frattempo?”

“Un bicchierino di rum non ci sarebbe male, grazie” rispose Hector, sedendosi di fronte al bancone “Davy?”

“Un bicchiere di gin per me.”

 

 L’oste riempì i due bicchieri, poi si ritirò nel retrobottega, borbottando qualcosa a proposito dei ‘beoni buoni a nulla che gli avevano finito le scorte’.

“Allora, voi siete dei pirati?” domandò incuriosito il bambino chiamato Jack, appollaiandosi su una seggiola.

“Così pare” rispose Hector, strizzandogli l’occhio. Jack sogghignò.

“Da quanto tempo?”

“Da un po’” rispose Davy “diciamo che siamo in prova.”

 

“Dei mozzi, allora” disse il bambino, con una lieve smorfia di…disgusto? Sì, sembrava proprio qualcosa del genere.

“Direi di sì” disse Davy, seccato dalla tracotanza di quello strano bambino “e tu, uomo navigato, cosa saresti? Ammiraglio?”

“Io sono un Capitano. Come papà” dichiarò Jack, sollevando il mento con fare insolente.

 

“Ma certo” disse Hector, bevendo un sorso di gin “e io sono un Commodoro.”

Davy gli tirò una gomitata, divertito. “Sai, ‘Commodoro Barbossa’ suona uno schifo.”

“Capirai, quando sei Commodoro poco te ne importa di come suona…”

“Non posso darti torto.”

 

Ci fu un breve silenzio mentre i due ragazzi bevevano…silenzio rotto immediatamente dalla vocetta petulante di Jack.

“Sono vere quelle spade?” domandò, indicando la spada che entrambi portavano alla cintura.

“Certo che lo sono” rispose Hector “perché?”

“Credevo che i mozzi le avessero di legno” disse allegramente il piccoletto, dimenandosi sulla sedia per trovare una posizione più comoda.

 

Hector batté le palpebre, leggermente interdetto, mentre Davy prendeva un profondo respiro per dominare la tentazione di prendere la pistola e scavargli un terzo occhio in mezzo alla fronte. Se quel piccoletto voleva fargli saltare i nervi, ci stava riuscendo perfettamente.

“E sapete usarle?” stava proseguendo Jack con beata innocenza “la maggior parte dei mozzi che conosco non sa tenere in mano una spada senza mollarla sul piede di qualche malcapitato…”

 

“Non credo che tu conosca poi tanti mozzi, marmocchio” disse seccamente Davy, finendo in un sorso la birra e ripulendosi il mento con la manica.

“Infatti no. A me non serve mica conoscere i mozzi” ribatté il ragazzino “io diventerò capitano, mica un mozzo.”

 

“Peccato che non resteresti capitano a lungo” commentò con leggerezza Hector “personalmente, se mai mi capitasse di ritrovarmi sotto il comando di un capitano come te, credo che non resisterei più di due ore prima di stufarmi e di buttarti a mare…ehi, cosa stai…?!”

Accadde tutto in una frazione di secondo: prima che potesse finire la frase il bambino, che nel frattempo era silenziosamente scivolato alle spalle di Davy, aveva tirato fuori  un pugnale e glielo aveva piantato fra le costole. “Colpito!” esclamò trionfante.

 

Davy si era voltato giusto in tempo per veder guizzare la lama del pugnale, ma non aveva fatto in tempo a reagire: si era limitato a chiudere gli occhi nel momento in cui la lama del coltello spariva nella sua carne, aspettando il dolore…

…ma il dolore non venne. Assolutamente nessun dolore.

“…eh?”

 

Il ragazzo riaprì gli occhi giusto in tempo per vedere il piccolo Jack estrarre la lama del coltello dal suo costato…una lama perfettamente pulita.

Niente sangue, nemmeno una goccia.

Davy guardò il bambino sogghignante ad occhi sgranati, mentre Hector scoppiava in una fragorosa risata.

 

“Non posso crederci!” fece Hector, ridendo così forte da doversi appoggiare al bancone “è lo scherzo più vecchio del mondo, e ci siamo cascati come due allocchi!”

“Uno scherzo” ripetè Davy nel tono assolutamente incolore di chi non ci sta capendo nulla.

Hector fece un cenno al bambino, ancora ridacchiando. “Fagli vedere il coltello, Jack.”

 

Il sogghignò del bambino si allargò mentre sollevava il coltello all’altezza degli occhi di Davy con uno dei suoi soliti movimenti scomposti, rischiando di cacciarglielo in un occhio. “Me lo ha regalato il mio papà” disse allegramente “non è un vero coltello, però…non taglia neanche il burro. Vedi?”

Premette la punta della lama, che rientò completamente nel manico. “Forte, no? Ma anche piuttosto semplice. Solo un fesso poteva cascarci!”

Senza nemmeno curarsi di rispondergli, Davy si voltò verso il sogghignante Hector. “A quanto pare ho fatto la figura del pesce rosso. Che dici, elimino il testimone?”

 

“Sì, direi di sì” disse Hector, finendo di bere e asciugandosi la bocca con l’orlo della manica “io lo tengo fermo e tu lo fai a pezzi?”

“Ottima idea” rispose Davy, finendo a sua volta di bere e alzandosi in piedi.

Il bambino si lasciò sfuggire un risolino nervoso mentre i due ragazzi gli si paravano innanzi, precludendogli ogni via di fuga. “Suvvia, gentiluomini…non ve la prenderete mica per uno schero innocente, no?”

“Cosa gli taglio prima, la lingua o le mani?” domandò Davy, ignorandolo completamente.

Hector si strinse nelle spalle. “Direi la lingua. Almeno così non potrà urlare e chiamare il papà…oh, pardon, il Capitano.”

 

L’altro ragazzo sogghignò, tirando fuori un coltello e chinandosi in modo da portarlo proprio di fronte agli occhi sgranati di Jack. “Lo vedi questo, giovanotto? Questo è un coltello. Un vero coltello. E ti garantisco che se te lo caccio negli occhi fa male. Hai dato del fesso alla persona sbagliata, bimbo.”

Gli occhi del bambino saettarono verso la porta per poi tornare al coltello. “Andiamo…” il suo risolino si era fatto ancora meno convinto mentre indietreggiava. Ormai aveva quasile spalle al muro. “Non stai mica dicendo sul serio…”

Davy si limitò a sollevare un sopracciglio. “Ah, no?”

Il piccolo Jack si voltò verso Hector, il sorrisetto strafottente definitivamente incrinato. “Ehi, sta scherzando…vero?”

Svanito l’atteggiamento arrogante e sornione, sembrava solo un bambino spaurito.

 

Hector e Davy si scambiarono un’ occhiata, poi scoppiarono ridere entrambi. Davy tornò a sedersi sullo sgabello, mettendo via il coltello. “La tentazione di darti una spuntatina a quella lingua lunga c’era tutta” ammise, ancora sghignazzando “ma non ho intenzione di mettermi nei guai per un piccoletto con più lingua che cervello.”

“Oh…” Jack battè le palpebre, poi la sua espressione si fece nuovamente spavalda. “Tanto lo sapevo!”

“Sì, come no!” lo prese in giro Hector “è una mia impressione o te la stavi facendo sotto?”

“Non me la sto facendo sotto!” protestò il bambino.

“Ma certo. Ed io sono il figlio segreto della Regina.”

 

“Ringrazia il cielo che non lo sei, giovanotto” disse una voce alle loro spalle “altrimenti ti avrei già rapito per chiedere il riscatto.”

“Uh?”

I ragazzi si voltarono: un pirata sulla quarantina, coi capelli neri e la faccia butterata era appena entrato nella locanda. Gli occhi neri dell’uomo si spostarono sul bambino. “Jack, quante volte ti ho detto di non infastidire le persone? Prima o poi qualcuno perderà la pazienza e ti taglierà la gola. Vedrai se non ho ragione.”

Il bambino gli rivolse un sorriso accattivante. Hector doveva ammettere che gli riuscivano parecchio bene.

“Ma, papà…” cominciò con voce lamentosa.

“Niente ma, giovanotto. Fila da tua madre.”

 

Jack obbedì, ma prima di uscire non perse l’occasione di fare una linguaccia in direzione di Davy. Il ragazzo sbuffò: non aveva mai incontrato un piccoletto così irritante in vita sua. Aperava solo di non ritrovarselo mai più tra i piedi.

“E’ lei il Capitano Sparrow?” domandò Hector, guardando l’uomo che era appena entrato.

“Esattamente” disse l’uomo “e voi venite da parte di del Capitano Garrett, dico bene?”

“Esatto” Davy gli tese la lettera “ci ha detto di consegnarvi questa. Se avete una risposta, dovete consegnarla a noi.”

L’uomo annuì, poi concentrò la propria attenzione sulla lettera. La lesse un paio di volte, poi annuì e se la mise in tasca. “Molto bene. Potete riferire al vostro Capitano che ci sarò.”

 

“Benissimo.”

“Oh, a proposito…” la voce di Grant Sparrow li blocco mentre erano in procinto di uscire.

“Cosa?”

L’uomo li guardò con aria divertita. “Mio figlio vi ha fatto il giochetto del coltello, vero?”

Davy fece una smorfia. “Già.”

Grant Sparrow scoppiò a ridere, scrollando il capo. “Allocchi…” commentò, sparendo nel retrobottega.

 

 

Quella sera, per la prima volta da quando aveva cominciato a solcare i mari, Spezzamarinai concesse ai suoi uomini una serata di franchigia.

“Ci stiamo per imbarcare per un lungo viaggio” aveva detto prima di recarsi all’incontro con Grant Sparrow, lasciando solo il Nostromo a guardia del Blue Dragon “e non so quando faremo ancora porto. Perciò vedete di divertirvi finchè potete, cani.”

Ovviamente, la ciurma non si era fatta pregare.

 

“Hector?” chiamò Davy, cercando di scrollare il ragazzo mezzo addormentato sul tavolo della taverna.

“Hm…” Hector mugugnò qualcosa senza nemmeno aprire gli occhi. Reggeva bene l’alcool – meglio di molti uomini adulti che conosceva – ma alla quarta bottiglia di rum aveva iniziato a dare segni di cedimento…e alla sesta era in uno stato che Davy non avrebbe esitato a definire comatoso.

“Ehi, Hector, vedi di darti una svegliata” sbuffò Davy “hai sentito Spezzamarinai, doppiamo essere di nuovo a bordo tra mezz’ora. E no, non ho nessuna intenzione di portarti sulle spalle.”

 

Hector si degnò finalmente di aprire un occhio. “Ah, no?” biascicò.

Davy scosse decisamente il capo. “No, non lo farò” scandì, il suo tono reso ancora più incisivo dal suo strano accento che lo portava a marcare le doppie e gli accenti “nella maniera più assoluta.”

 

 

“Aspetta, cerca di appoggiarti alla spalla destra…alla DESTRA, Hector! Quella è la sinistra…e non ti azzardare a cadere di nuovo!” latrò Davy, cercando di sorreggerlo in qualche modo “dannazione, vuoi almeno tentare di reggerti in piedi? Non sei esattamente una piuma, sai!”

Hector si limitò a sghignazzare per un qualche motivo tutto suo. “Sono sbronzo come una tegola, eh?”

“Direi” bofonchiò Davy “avanti, ci siamo quasi, ecco il molo.”

Hector si divincolò dalla sua presa. “Lasciami andare, ce la faccio da solo qui…”

Davy sollevò un sopracciglio. “Se permetti, avrei qualche riserva in proposito…”

“Ce la faccio” insistette Hector “davvero.”

 

“No che non ce la fai.”

“Scommetti?” biascicò l’altro, liberandosi finalmente dalla sua presa. Mosse qualche passo, incespicando leggermente, ma rimase in piedi “visto?”

Si avviò lungo il pontile, traballando. Davy sospirò, alzando gli occhi al cielo.

“Hector?”

“Cosa?”

“Stai salendo sulla nave sbagliata. Il Blue Dragon è più avanti.”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=95285