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Questa storia mi è venuta in mente di getto subito dopo aver visto “La
maledizione del Forziere Fantasma” al cinema
Questa storia mi è venuta in mente di
getto subito dopo aver visto “La maledizione del Forziere Fantasma” al cinema.
Coinvolge due personaggi apparsi nei primi due film di questa trilogia (ancora
da concludere, ma comunque una trilogia), ovvero
Barbossa e Davy Jones, ma dal momento che è ambientata molti anni prima degli
avvenimenti descritti nei film credo possa essere letta tranquillamente e senza
rischi di spoiler anche da chi non ha ancora visto il secondo film…o anche il
primo, anche se dubito che qualcuno non lo abbia mai visto! J
BUONA LETTURA!
Tortuga.
“Il
bambino è in posizione podalica” disse l’ostetrica“coraggio, devi spingere più forte.”
Charlene
prese un profondo respiro e continuò a spingere, tentando di ignorare le fitte
lancinanti.
“Non
credevo…facesse…così male…” ansimò, i capelli rossi zuppi di sudore. Strinse i
denti per soffocare un urlo e spinse ancora. Dio, se avesse saputo a cosa
andava incontro avrebbe abortito e tanti saluti. In fondo che le importava di
far nascere un marmocchio di cui non sapeva nemmeno chi diavolo fosse il padre?
E anche se lo avesse saputo, sai che differenza: sicuramente uno dei tanti
pirati e ubriaconi che pagavano per passare con lei qualche ora
“Il
bambino rischia di impigliarsi nel cordone ombelicale” disse l’ostetrica con
urgenza, riuscendo finalmente ad afferrare il piccolo per una gamba “preso!
Coraggio, un’ultima spinta e ci siamo!”
La
donna strinse i denti e impiegò le sue ultime energia
per un’ultima spinta, senza riuscire più a trattenere un urlo di dolore…
…e stavolta il suo grido fu seguito da un vigoroso pianto di
neonato.
“E’
un maschio” disse l’ostetrica con evidente sollievo, avvolgendo un panno
intorno al bambino “e a quanto pare sta benissimo.”
Charlene
fece uno smorfia. A chi diavolo importava che quel
bastardo stesse bene, lei non stavaaffatto bene.
“Fra
quanto potrò tornare a lavorare?” domandò senza mezzi termini. Era inutile far finta di nulla, l’ostetrica sapeva benissimo cosa era: una
delle tante prostitute di Tortuga.
“Non
prima di un paio di settimane” rispose l’ostetrica. Non aveva simpatia per
quella donna: non sembrava curarsi minimamente del suo bambino, e la donna era
certa che Charlene aveva continuato a prostituirsi anche in stato di avanzata gravidanza.
“Bene”
disse seccamente Charlene, chiudendo gli occhi e girandosi dall’altra parte
“adesso lasciami dormire e porta quel rompiscatole, o giuro che lo butto a mare.”
L’ostetrica
serrò le labbra e fece per uscire dalla stanza, poi abbassò lo sguardo sul
bambino che cominciava a calmarsi. “Come lo chiamerai?”
L’altra
fece una smorfia, senza aprire gli occhi. “Il mio cognome è Barbossa” disse
sgarbatamente “per quanto riguarda il nome decidilo te,
se proprio ci tieni. Per me anche ‘Bastardo’ andrebbe benissimo. In fondo non è
altro che questo, no?”
“Ma…”
“VATTENE!”
La
donna si strinse il neonato al petto ed uscì dalla squallida
stanzetta, sbucando in una stanzetta spoglia ad un angolo della quale c’era una
cassetta da frutta da usare a mo’ di culla.
Guardò
il bambino che continuava a mugolare e lo mise nella cassetta, facendo
attenzione a coprirlo bene.
“Sai, piccolino” mormorò poi, parlando a bassa voce “quando
era bambina un pirata mi raccontò una storia. Ora non la ricordo molto bene, ma ricordo che c’era una città, una città che i greci
avrebbero voluto conquistare…e questa città era difesa da uno dei guerrieri più
forti dell’epoca, lo sai? Un eroe di nome Ettore…”
Il
bimbo si era calmato adesso, e cominciava ad
addormentarsi.
L’ostetrica
rimase a pensare qualche secondo, poi sorrise. “Sai, credo di averti trovato un
nome…Hector.Che ne
pensi?” chiese piano, sfiorando la mano del neonato con un dito. La
manina si chiuse intorno al suo indice con forza sorprendente.
La
donna sorrise. “Allora è deciso, immagino” disse, togliendo delicatamente il
dito dalla presa del bambino “Hector Barbossa.”
Devil’s Nest
“Niente
da fare” sospirò il medico, guardandola la donna in avanzato stato di
gravidanza che giaceva sul pavimento privo di vita “il proiettile le ha trapassato il cuore…dev’essere morta all’istante. Qualcuno
di voi ha visto niente?”
“No,
abbiamo solo sentito lo sparo” disse il proprietario della locanda “ma quando siamo entrati, l’assassino era già scappato dalla finestra.”
“Capisco.
Sapete almeno come si chiamava?”
La
moglie del proprietario si strinse nelle spalle. “No, non ne abbiamo
idea. Cioè, sul registro si è firmata come Mary Jones,
ma sono quasi certa che fosse un nome falso.”
“Di
sicuro suona falso” concordò il marito “temo che non
ne sapremo mai nulla, poverina. E dire che aspettava un bambino, era all’ottavo
mese…e solo un quarto d’ora fa era viva e parlava del
bambino che stava per avere, capite. Diceva di volerlo chiamare David per un
maschio e Sarah per una…”
“Un
momento” lo interruppe il medico, riflettendo febbrilmente volete dire che è morta da meno di un quarto d’ora?”
“Esatto,
signore. Abbiamo sentito lo sparo dieci minuti fa, e…
“Ed era già all’ottavo mese?”
“Quasi
al nono, sì…per l’amor del cielo, cosa state facendo?”
Il
medico aveva aperto la borsa e aveva estratto quello che sembrava un bisturi estremamente affilato. “Se è davvero morta da così poco,
forse c’è ancora una speranza di tirare fuori un bambino vivo.”
“Volete
dire…farlo nascere…da un cadavere?”
“Esattamente”
rispose l’uomo, tagliando in fretta il davanti del vestito della donna e
scoprendole il ventre prominente “ora, se volete scusarmi, non c’è un istante
da perdere.”
La
moglie dell’oste nascose il volto nella spalla del marito che rimase invece a
guardare, inorridito e affascinato, mentre il dottore incideva la carne della
donna con gesti rapidi e precisi.
“Eccolo!”
Il
medico aveva finalmente individuato un corpicino inerme in mezzo a quel mucchio
di carne sanguinante e lo tirò rapidamente fuori dal
corpo senza vita della madre.
Afferrò
saldamente la creaturina cianotica e insanguinata e lo colpì con fermezza per
spingerlo a respirare.
Coraggio, piccolo…puoi farcela, ne sono certo…coraggio, respira!
Il
bambino mosse la testa con uno scatto, poi prese un lungo respiro sibilante e
finalmente cominciò a piangere a pieni polmoni.
Il
medico sorrise, e avvolse il bimbo in un asciugamano che l’oste si era
affrettato a porgergli. “Un bel maschietto.”
“Ce
la farà?” domandò ansiosa la moglie, osando solo adesso sollevare lo sguardo.
“Oh,
sì, questo senz’altro. E’ un giovanotto robusto, se la caverà egregiamente.”
“Bene”
disse il marito, poi aggiunse, un po’ a disagio “allora immagino…bè, dovremmo
portarlo in orfanotrofio.”
“Ce lo porto io” si offrì il medico “ci passo davanti ogni
girono.”
“Aspettate”
intervenne la moglie dell’oste, prendendo il bambino
piangente dalle mani del dottore “prima dovremmo dargli un nome, no?
Dovremo esaudire il desiderio di sua madre. Un maschio…quindi immagino sia David…David
Jones.”
Il
marito sorrise su malgrado. “Un gran bel nome, David…ma mi sembra un tantino
esagerato per un moscerino come questo. Che ne dici di un
diminutivo?”
Il
sole stava tramontando quando la nave entrò nel porto
di Tortuga.
“Bene,
ragazzo” disse il vecchio pescatore, indicando il porto “ecco qua la tua
fermata. Contento?”
Il
ragazzo sorrise. Non poteva avere più di diciotto anni, ma era già più alto
dell’uomo che gli aveva parlato. I suoi occhi azzurro
come il ghiaccio si soffermarono su Tortuga, mentre il vento gli scompigliava i
capelli neri, che gli arrivavano alle spalle.
“Mai
stato più felice in vita mia. Grazie ancora per il passaggio, amico.”
Il
vecchio si limitò ad agitare una mano. “Quando vuoi,
giovanotto, sei un ottimo lavoratore. Allora, che progetti avresti
per il futuro?”
Il
ragazzo si strinse nelle spalle. “Voglio viaggiare. Voglio esplorare tutti i
mari conosciuti, ecco cosa voglio
fare.
Domattina comincerò a cercare un impiego su qualche nave, magari come mozzo.
Poi si vedrà.”
“Vuoi
diventare un pirata” disse semplicemente l’altro. Era un’affermazione, non una
domanda.
Davy Jones annuì, gli occhi di ghiaccio ancora fissi sul
molo di Tortuga.
“Sì, proprio così. Voglio diventare un pirata.”
Il
ragazzo che entrò nella locanda era piuttosto alto, coi
capelli castani ramati legati in una coda, gli occhi grigioverdi e la pelle del
viso un po’ macchiata dal sole…o forse erano lentiggini, difficile dirlo. Aveva
una cicatrice sotto l’occhi destro, che si era
procurato durante una rissa ritrovandosi dalla parte sbagliata di una bottiglia
rotta.
“Signor
Stubbs…” salutò, rivolto all’uomo dietro il bancone. L’uomo sollevò lo sguardo dal
bicchiere che stava pulendo e gli rivolse un largo sorriso sdentato.
“Hector!
Bentornato a Tortuga, ragazzo mio” disse ad alta voce per farsi sentire al d
sopra del caos che regnava nel locale“sei stato via un’eternità,
stavolta!”
“Tre
mesi” Hector Barbossa si sedette di fronte al bancone “un Cutty Sark, grazie.”
“Subito,
giovanotto. E, dimmi, hai già visto tua madre?”
“No”
disse il ragazzo in tono indifferente “non sono ancora
passato a casa. E’ già morta?”
L’altro
scosse il capo. “Non ancora, ma il suo momento è quasi arrivato. La sifilide
non perdona.”
“E
io nemmeno” disse Hector, prendendo il bicchiere di Cutty Sark “a proposito,
domani parto di nuovo.”
Stubbs
rise. “Non ti fermi un minuto, ragazzo. E su cosa,
stavolta? Un mercantile?”
Il
ragazzo sogghignò e si chinò verso il bancone. “Su una nave pirata.”
L’altro
sussultò, e per poco non si lasciò sfuggire di mano la bottiglia.
“Guarda
che la bottiglia non te la ripago, eh.”
“Una
nave pirata? Dici sul serio?”
“Aye”
Hector bevve un sorso “sul Blue Dragon. Nulla di particolare, ovvio, avevano
bisogno di un paio di mozzi ed eccomi qui…ma sarà comunque
un modo per farmi le ossa.”
L’uomo
sogghignò. “Non so proprio perché questa cosa mi abbia colto di sorpresa,
sai…l’ho sempre saputo che prima o poi ti saresti
dedicato alla pirateria” disse, dandogli una paca su una spalla e facendogli
quasi rovesciare il liquore “un vero figlio di Tortuga, eh?”
“E anche un vero figlio di puttana” aggiunse Hector,
strizzandogli l’occhio e alzandosi dal bancone“in tutti i sensi.”
“Hector, aspetta” lo fermò Stubbs “tu…cioè…hai intenzione di tornare a casa, prima di partire?”
“Sì, ma soltanto per salutare Raven” disse seccamente
Hector. Raven era sua sorella…bè, era almeno per metà
sua sorella. Sua madre avuto un aborto poco tempo dopo la sua nascita del
figlio, e a rigor di logica non avrebbe più dovuto essere in grado di avere
figli…e invece nove anni dopo era rimasta di nuovo incinta.
Il medico l’aveva avvertita che un secondo aborto sarebbe stato troppo
rischioso, e così era nata Raven.
“Perché me lo chiedi?”
Stubbs si chinò in avanti. “Ragazzo, so che non
sarebbero affari miei, ma…non credo tu possa lasciare
tua sorella fra le mani di Charlene. Ormai è moribonda e alcolizzata, e temo possa essere…piuttosto violenta nei confronti della bambina.
E in ogni caso, non durerà a lungo.”
Lo sguardo di Hector si indurì.
“Non posso certo portarla con me, Stubbs. Ha solo otto anni, ed io non sono un
baby sitter.”
“Lo so, ma vorrei che tu
controllassi la situazione. In caso potrei occuparmene io, gli affari vanno
piuttosto bene e sai che io e mia moglie non abbiamo
mai avuto figli. Che ne pensi?”
Hector annuì. “Credo sia la soluzione migliore. Vado
subito a casa a prenderla.”
“Uhm…”
il nostromo del Blue Dragon osservò con aria critica il ragazzo di fronte a lui
“allora, come hai detto di chiamarti?”
“Davy
Jones, signore.”
“E
dimmi, hai mai lavorato in mare prima d’ora?”
“Ho
lavorato su un paio di pescherecci, signore. Sì.”
“E
ti interesserebbe lavorare come mozzo?”
“Esattamente.”
“E’
un lavoro faticoso.”
“La
fatica non mi preoccupa. E comunque è un inizio.”
“Non
sarai mica uno che batte la fiacca, vero?”
Davy
scosse il capo. “Questo è da escludere, signore. Mettetemi alla prova e non me ne pentirete.”
“Capisco.
Vedo che hai una spada, Jones…in caso di emergenza
sapresti maneggiarla?”
“Certamente.”
“Mi
sembri sicuro di te, ragazzo.”
“Ho
ragione di esserlo.”
“Molto bene” disse l’uomo, scrivendo qualcosa
su un foglio “ti voglio su questo molo domattina alle
cinque, Jones.”
Davy
sentì il cuore mancare un battito. Era fatta, lo avevano
preso a bordo!
“Sì,
signore. Vi assicuro che non ve ne pentirete” disse,
sforzandosi di contenere il proprio entusiasmo. Davy si rimise in spalla la
sacca e cominciò ad allontanarsi dal molo per cercarsi una locanda dove passare
la notte.
Il
ragazzo stava ancora attraversando il molo quando un
pianto disperato attirò la sua attenzione. Poco lontano tre
uomini completamente ubriachi avevano circondato una bambina, e le loro
intenzioni erano più che evidenti. La bambina stava singhiozzando, cercando in
tutti i modi una via d’uscita. Non poteva avere più di otto o nove anni.
“Ehi,
voi!” la voce di Davy risuonò nel molo mentre si
avvicinava al gruppo in ampie falcate “lasciatela stare! Immediatamente!”
Gli
uomini si voltarono a guardarlo, gli occhi arrossati dall’alcool.
“Gira
al largo, ragazzino” rantolò uno di loro, mollando la presa sui capelli rosso
fuoco della piccola. La bimba arretrò in un angolo, terrorizzata.
Davy
ringhiò e tirò fuori la spada dal fodero. “Lasciatela immediatamente, cani
rognosi!”
Di
fronte alla lama, la sicurezza dei tre sembrò svanire. Due di loro, disarmati,
fece un passo indietro. Quello che aveva parlato prima sogghignò ed estrasse a
sua volta la spada. “Molto bene, sbarbatello…vediamo se farai ancora lo sbruffone quando ti avrò affettato quella bella faccia!”
Ancora
annebbiato dall’alcool, si lanciò in avanti con la spada tesa.
Era
lento. Troppo lento.
Davy
schivò il colpo senza particolari difficoltà. L’uomo perse l’equilibrio e
barcollò in avanti.
La
lama di Davy calò con un sibilo sul polso dell’avversario, mozzandogli una
mano.
L’uomo
urlò di dolore, reggendosi il moncherino sanguinante, mentre i suoi compagni
scappavano di corsa.
“LA
MIA MANO! LA MIA MANO!” ululò l’uomo, crollando in ginocchi.
Davy
gli sferrò un calcio all’inguine, e l’uomo crollò a terra come un sacco di
patate.
“Dovrei
mozzartele entrambe, porco!” ringhiò, rimettendo la spada nel fodero e
voltandogli le spalle. Il suo sguardo cadde sulla bambina che lo osservava con
un misto di timore e meraviglia, ancora immobile nel suo angolo.
Davy
si piegò sulle ginocchia, portandosi alla sua altezza. “Ciao,
piccola. Come ti chiami?”
“R…Raven”
rispose la bambina, guardandolo con indifferenza, poi sembrò
riacquistare coraggio “Raven Barbossa. E tu come ti
chimi?”
“Io
mi chiamo Davy Jones. Vuoi che ti accompagni a casa?”
Raven
scosse il capo. “No, non posso…se torno senza i soldi, mia madre mi ammazza.
Non voglio tornare da lei.”
Davy
fece per domandarle di quali soldi stesse parlando,
poi cambiò idea. “Bene, allora…c’è qualche altro posto dove potrei portarti?”
“Alla
locanda di Stubbs” disse lei senza esitare “è proprio qui vicino.”
“Benissimo” disse il ragazzo, alzandosi in piedi e
tendendole la mano “allora coraggio, andiamo da questo Stubbs.”
Charlene
sollevò a malapena lo sguardo annebbiato dalla bottiglia nel sentire la porta
che si apriva.
“Sei
ancora vivo” biascicò vedendo il figlio, prima di tornare alla bottiglia. Non
aveva più di quarant’anni, ma sembrava già una vecchia.
“Stavo
per dire la stessa cosa” disse seccamente Hector,
guardandosi intorno con aria disgustata. Quella catapecchia era in condizioni
ancora peggiori di come ricordava di averla lasciata.
“Perché sei tornato?” bofonchiò sua madre “non ci servi, sai,
non servi a nessuno…”
“Che ne hai fatto dei soldi che ti ho mandato?” domandò
bruscamente lui. La donna non rispose, ma la montagna di bottiglie vuote di rum
sul pavimento era una risposta più che eloquente.
“Perché sei tornato?” ripetè Charlene.
“Per
portare Raven via di qui” rispose lui. Non poteva lasciare sua sorella in
quelle condizioni. “Dov’è adesso?”
Charlene
sembrò agitarsi. “No, non puoi portarla via, non puoi…”
“Posso
farlo e lo farò. E poi da
quand’è che te ne preoccupi?”
“Non
puoi portarla via, io non posso più lavorare, se non
ho lei non so come fare soldi…”
Hector
si bloccò, fissando sua madre. Il suo sguardo si fece di pietra.
“Che cosa vuoi dire?”
Sua
madre non rispose, ma bevve ancora dalla bottiglia.
“Io
non posso più lavorare” biascicò alla fine “lei deve
sostituirmi, io non posso più…”
“La
costringi a prostituirsi” disse lentamente Hector “è
questo che fai, vero?”
Charlene
sollevò finalmente lo sguardo verso di lui. “Almeno così mi è utile…tu invece
no…tu non mi sei mai stato utile…”
“Dov’è adesso?”
“Al
porto a lavorare” disse lei “e tu non la porterai via,
disgraziato, mi senti? Tu non la porterai, non ti permetterò…che cosa stai
facendo?”
“Quello
che avrei dovuto fare anni fa” disse Hector, caricando la pistola e puntandola
verso sua madre “ci vediamo all’inferno, puttana.”
Uno
sparo riecheggio per i vicoli di Tortuga.
Poi il silenzio.
Pikky91: ma figurati, come potevo non recensire la tua storia?
Piuttosto grazie a te per averla scritta…la scena di Elizabeth
che bacia Jack è stata un brutto colpo, lei è di Will! (ma,
come hai detto te…mica scema! Quella sì che ha capito tutto…)
Frulli: grazie per la recensione…anch’io penso che Jack
starebbe benissimo con Anamaria! (che come lo vede lo
prende a sberle, ma non stiamo a sottilizzare…) speriamo solo che nel terzo
film Will e Elizabeth riescano a sposarsi, fra non morti e uomini-piovra non ci
riescono mai…
“Quindi quel tipo ha portato la bambina verso la locanda all’angolo
“Quindi quel tipo ha portato la bambina verso la locanda
all’angolo?” domandò Hector in tono piatto, guardando l’uomo che continuava a
gemere sul moncherino. Lo aveva incontrato mentre
cerava sua sorella sul molo, e lo aveva sentito mugolare a proposito di una
bambina, così si era fermato a chiedere spiegazioni.
L’uomo
gli aveva raccontato ogni cosa, senza sapere che così facendo stava firmando la
propria condanna a morte.
“Sì”
disse l’altro, fasciandosi strettamente il braccio per fermare l’emorragia “ma me la pagherà…lui e quella sudicia cagnetta.”
Gli
occhi del ragazzo si fecero cupi, ma l’altro non se ne accorse.
“Fare
la schizzinosa….mentre si capiva benissimo cos’era…ma
so dove posso trovarla, l’ho vista altre volte…e dopo essermi divertito un po’
con lei la ucciderò…cagna schifosa…”
“Raven
non è una cagna” ringhiò Hector, sguainando la spada. Non poteva lasciarlo
vivo: sarebbe stato un pericolo troppo grande per Raven.
Adesso
sua sorella era tutta la sua famiglia. Era sempre stata l’unico vero legame che aveva ancora con la
terraferma.
Non
l’avrebbe persa. Mai.
L’altro,
intontito dalla perdita di sangue, sbarrò gli occhi.
“La
conosci?”
“E’ mia sorella” disse Hector, sollevando la spada
sopra di lui “e tu sei un uomo morto.”
Stubbs
scosse il capo, guardando Raven che mangiava in silenzio un piatto di minestra,
raggomitolata dietro il bancone. Con i capelli rossi, gli occhi verdi e la
pelle chiara, era una miniatura di sua madre.
“Sapevo
che Charlene era una pessima madre, ma non credevo che sarebbe scesa così in
basso. E’ stata una fortuna che ci fossi tu, ragazzo.”
Davy
bevve un sorso di birra e si strinse nelle spalle. “Non è stato difficile,
davvero. Qui tipi erano troppo ubriachi per rappresentare
una seria minaccia. Raven vi ha detto da quanto tempo va avanti?”
“Due
mesi” disse laconicamente Stubbs “suo fratello sarà furioso
quando scoprirà che cosa ha fatto loro madre…”
“L’ho
già scoperto” disse una voce dall’entrata. Stubbs, Raven e Davy si voltarono di
scatto.
“HECTOR!”
lo strillo della bambina fu talmente forte da risuonare al di
sopra del frastuono causato dai clienti della locanda “sei tornato! Sei
tornato a casa!”
Raven
uscì di corsa da dietro il bancone e corse ad
abbracciare il fratello, aggrappandosi alla sua camicia.
Hector
sorrise e le scompigliò i capelli rossi. “Ciao, scimmietta. Non ci vedevamo da
un po’, eh?”
“Hector”
disse Stubbs “hai saputo…?”
“Sì”
tagliò corto lui, poi guardò Davy “immagino sia stato
tu ad aiutarla.”
Davy
fece per parlare, ma Raven lo precedette. “Sì, è stato lui! Loro erano in tre ma lui li ha battuti tutti! E’ stato bravissimo! Meglio
di un pirata!”
Davy
si strinse nelle spalle, leggermente imbarazzato. “Veramente soltanto uno ha
reagito, ed era ubriaco.”
Hector
sorrise. “Sì, lo so, ho già fatto una chiacchierata col tizio in questione”
disse in tono vago, poi tese la mano verso Davy “in ogni caso
grazie mille per aver aiutato mia sorella, ti devo un favore. Io mi
chiamo Hector Barbossa.”
L’altro
gli strinse la mano. “Davy Jones.”
“A
proposito, Stubbs” disse Hector “spero che la tua offerta di tenere Raven con
te sia ancora valida.”
L’uomo
annuì. “Ma certamente, basta che vada bene anche alla piccola.”
“Raven?”
“Non
voglio tornare da nostra madre.”
Hector
strinse le labbra. “Lei non potrà più farti nulla.”
Un
breve silenzio scese sul gruppo, poi Raven parlò per
prima.
“E’
morta, vero?”
“Sì.”
“L’hai
uccisa tu?”
Una
pausa.
“Sì.”
“Le
ha fatto male?”
“Meno
di quanto meritasse.”
“Bene”
disse duramente la bambina. Ci fu un momento di silenzio, poi il chiacchiericcio
di Raven riprese:
“Sai,
Davy ha detto che domani diventerà un pirata! Si imbarcherà
sul Blue Dragon, con dei veri pirati! Non è quello che volevi fare anche tu?”
Hector
guardò Davy, sorpreso. “Ti imbarchi sul Blue Dragon?”
Davy
annuì. “Sì. Mozzo di bordo.”
L’altro
ridacchiò. “Questa sì che è bella…anch’io sono stato preso come mozzo su quella
nave.”
Davy
batté le palpebre. “Stai dicendo sul serio?”
“Ho
l’aria di uno che scherza?”
Stubbs
ricomparve con un paio di bottiglie di rum tra le mani. “Suggerisco di
festeggiare la coincidenza, che ne dite?”
“Che mi hai letto nel pensiero” disse Hector, prendendo una
bottiglia e sollevandola “Davy?”
Davy
sollevò a sua volta la bottiglia.“Quando si tratta di festeggiare non mi tiro mai indietro.”
“Sento
che io e te andremo parecchi d’accordo, amico” sogghignò Hector “allora al Blue
Dragon!”
“E a noi!”
Bevvero
entrambi una lunga sorsata.
Raven
si attacco nuovamente alla camicia del fratello. Altro che scimmia, era peggio
di una piovra.
“Hector,
non posso venire con voi?”
“Temo
che tu sia ancora troppo piccola, Raven. Magari tra qualche anno, va bene?”
“Uff…va
bene” fece lei, imbronciandosi “però devi promettermi
di tenere d’occhio Davy.”
Hector,
Davy e Stubbs si scambiarono un’occhiata perplessa. “Perché
me lo chiedi?”
“Non
voglio che si faccia male” disse solennemente “mi ha salvata
da quei tipi, e quando divento grande voglio sposarlo!”
Davy
sobbalzò, e il rum che stava bevendo gli andò di traverso. Iniziò a tossire,
mentre Stubbs e Hector si lasciavano andare in una fragorosa risata.
“Guardate
che non c’è nulla da ridere!” protestò Raven, offesa.
“Ehm…”Davy
smise finalmente di tossire “ecco…non trovi che io sia
un po’ troppo grande per te?”
“Adesso
sì” disse Raven “ma fra dieci anni no. Quando io avrò
diciotto anni, tu ne avrai ventotto. Mi sembra ragionevole, no?”
“Ma
certo” intervenne Hector, scompigliandole i capelli “nel frattempo
però vedi di fare la brava, d’accordo?”
“D’accordo”
promise lei, un sorriso angelico sul visetto.
Nessuno di loro si accorse che aveva incrociato le
dita.
In
origine il Blue Dragon era una nave da guerra della Marina Britannica, prima di
essere rubata e adibita a scopi pirateschi. Era una delle navi più imponenti
che si fossero mai viste a Tortuga, con una trentina
di cannoni che le garantivano una potenza di fuoco eccezionale e con tanto di
cabine da due persone anziché il solito sgabuzzino dove tutti i membri
dell’equipaggio dormivano accatastati l’uno sull’altro.
E,
oltretutto, c’era addirittura un locale adibito a cucina…il che significava
cibo decente anziché la roba sotto sale che si mangiava di solito nelle navi.
“Non
posso credere che siamo partiti” commentò Hector, mentre guardava la costa
farsi sempre più lontana e sparire all’orizzonte, dove il sole stava
cominciando a sorgere “e su una vera nave pirata!”
“Già”
disse piano Davy, senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte.
Aveva
sentito dire di un pirata che, una volta, aveva raggiunto l’orizzonte. Forse un
giorno anche lui ci sarebbe riuscito: sarebbe arrivato lì, dove il cielo e il
mare si incontrano.
Sarebbe
arrivato ai confini del mondo.
Hector
notò che Davy sembrava pensieroso, e decise di non disturbarlo. Il ragazzo
tornò ad osservare l’orizzonte in silenzio. Tirò fuori dalla
tasca la mela che Raven gli aveva dato al momento della partenza e le diede un
morso. Avrebbe sempre ricordato il sapore che si sentiva in bocca
mentre se ne stava lì, sul ponte del Blue Dragon, a guardare la
terraferma che spariva.
Era il sapore della libertà.
Laura Sparrow: grazie, sono contenta di sapere che apprezzi
quest’idea un po’ stramba…non so come mi sia venuta in mente, stavo ripensando
al film che avevo appena visto e me ne sono uscita con
questa storia…spero che apprezzerai anche i prossimi capitoli!
Pikki91: altro che bene, sarebbe da fargli un monumento…era davvero un personaggio odioso, sono stata felicissima di
farla fuori subito! Ah, e comunque no, non sei pazza:
io il film l’ho già visto due volte e sto già cercando di scaricarmelo…beh, non
che questa sia una garanzia, potrebbe semplicemente darsi che sono più pazza di
te…ma chissenefrega!
“BARBOSSA!
JONES! È questa la vostra idea di ‘pulizia del ponte’, razza di topi di stiva?”
All’urlo
del capitano i due ragazzi si bloccarono, gli scopettoni ancora sollevati a
mezz’aria. La testa dello scopettone di Davy si era già staccata nella foga del ‘duello’, mentre quello di Hector pendeva tristemente
dall’asta, anch’esso sul punto di staccarsi.
“Ehm…”
Il
capitano non sembrava incline ad ascoltare eventuali giustificazioni. Non era
un uomo tollerante: in fondo, non lo chiamavano Spezzamarinai per niente.
“Risparmiatevi
i vostri patetici balbettii e filate immediatamente a sistemare le velature!
Abbiamo il vento a poppa, e ogni singola vela dev’essere spiegata!”
“Subito,
capitano” dissero entrambi. Hector poggiò lo scopettone alla fiancata della
barca con un po’ troppo entusiasmo. La testa dello scopettone, che fino a qual
momento era rimasta attaccata al manico grazie ad alcune schegge di legno,
cedette e cadde sul ponte con un tonfo secco.
“…ops…”
La faccia del capitano assunse una sfumatura color porpora mentre Davy si affrettava ad afferrare Hector per la
manica e a trascinarlo via per salvarlo dalla sfuriata del secolo.
“Niente
male come primo giorno” commentò Hector, mentre si occupavano delle cime che
assicuravano le velature all’albero maestro “a parte gli scopettoni, cioè. A proposito, grazie per avermi trascinato via. Se gli fossi rimasto davanti un secondo di più credo che il capitano mi avrebbe buttato fuori bordo.”
Davy
si strinse nelle spalle. “Non c’è di che” disse, finendo di annodare una cime
“ecco fatto.”
Hector
finì a sua volta di sistemare la cima, poi di tolse la
camicia e la usò perdetergersi il
sudore che gli imperlava il viso. Il ragazzo guardò il sole: mezzogiorno.
Non
c’era da stupirsi che si stessero sciogliendo dal caldo.
“Ho
la gola secca” disse alla fine “che ne diresti di
passare alle cucine a prendere dell’acqua? Ci penseremo dopo a ripulire il
parapetto.”
Davy
sogghignò. “Niente rum?”
“Se vuoi vedermi crollare stecchito sul ponte…”
L’altro
fece una smorfia. “No, non ci tengo, grazie. Non mi andrebbe di fare tutto
questo lavoro da solo.”
“Ah, gli amici…”
“C’è
nessuno?” domandò Davy, entrando nella cucina deserta. Era un locale abbastanza
spazioso, con un ampio caminetto che prendeva mezza parete e una lunga tavola
di legno al centro della stanza.
Non
si era mai visto nulla del genere su una nave pirata: c’era da dire che gli
ufficiali della marina si trattavano bene.
“Bè,
al diavolo” commentò Hector, avvicinandosi ai bottiglioni con le riserve
d’acqua “non credo che nessuno avrà nulla da ridire.”
“Ti immagini se adesso ci troviamo davanti il capitano?”
disse Davy, versandosi dell’acqua.
“Meglio
gettati fuori bordo che morti di sete” rispose ragionevolmente Hector, bevendo.
Dovette trattenere un sospiro di sollievo nel sentire
l’acqua scorrergli nella gola riarsa. “Hai visto di che colore era il capitano prima?”
Davy
annuì. “Era più rosso di un’aragosta. Bè, un po’ ci somiglia…ad un’aragosta, cioè.”
Hector
ridacchiò. “Non posso darti torto. Però è un peccato che sia
intervenuto, stavo vincendo io...”
Davy
sollevò un sopracciglio. “Puoi ripetere, scusa?”
“Se
il capitano non fosse intervenuto ti avrei disarmato in un minuto.”
“Non
credo proprio!”
“E io dico di sì.”
“Scommetti?”
“Mi
stai sfidando?”
“Esattamente.”
“Sfida
accettata!” esclamò Davy, afferrando il primo oggetto che si trovava su una
mensola lì accanto e sollevandola in aria “forza, mollusco, difenditi!”
Hector
prese un la prima cosa che gli capitò sottomano e la
brandì contro Davy. “Avanti, razza di scorfano, sono pronto!”
“Ahem…”
Un
colpetto di tosse proveniente dalla porta li fece voltare entrambi. Mastro
Frazier, il nostromo del Blue Dragon, li stava osservando appoggiato allo
stipite della porta. I ragazzi di guardarono a vicenda: Davy teneva sollevato un
matterello, mentre Hector brandiva un mestolo.
Per
dirlo in maniera educata, sembravano due poveri mentecatti.
“Vi
state divertendo?” domandò alla fine l’uomo, dopo qualche secondo di silenzio.
Sembrava genuinamente incuriosito.
Un
mucchio di risposte decisamente poco credibili e
assolutamente cretine passarono per le menti dei due, quali:
-Questo individuo
è pazzo. Mi ha attaccato all’improvviso con un mestolo/mattarello e io ho
dovuto difendermi. Vai a chiamare aiuto.
-Bè, che hai da
guardare? Abbiamo pensato bene di duellare a colpi di attrezzi
da cucina. Tutto normale. Torna pure al tuo lavoro e ignoraci.
-Abbiamo visto un
topo e stavamo cercando di ammazzarlo. Lo sapevi che i
topi trasmettono la rabbia?
-Non so cosa ci sia
preso. Giuro che non è sempre così.
-Ok, in effettiè sempre
così. Ma ha cominciato lui.
-Hai visto troppo,
amico. Temo che adesso dovremo ucciderti. Senza rancore, eh.
Ovviamente,
nessuna di queste era realmente attuabile.
“Ecco…”
“Veramente
noi…”
“Il
fatto è…”
L’uomo
li zittì con un cenno. “Lasciate stare, non mi importa
delle vostre scuse. Piuttosto, uno di voi sa leggere e scrivere?”
“Sì”
risposero entrambi. Davy aveva imparato a leggere all’orfanotrofio dove era
rimasto fino ai tredici anni, e non potè fare a meno di domandarsi come avesse fatto Hector ad imparare. Non erano poi molti i
pirati o marinai di Tortuga capaci di scrivere.
“Molto
bene” si limitò a dire il nostromo “e chi di voi due ha
una calligrafia chiara e comprensibile?”
Hector
guardò Davy. “Su questo punto passo, la mia calligrafia è assolutamente
indecifrabile, ci faccio fatica pure io…Davy?”
“La
mia è abbastanza chiara, signore. Sì.”
“Bene”
Mastro Frazier sembrava soddisfatto “allora vai nella
cabina del capitano, ha un paio di lettere da dettare. Per
quanto riguarda te” aggiunse,
guardando Hector “fila immediatamente a pulire il parapetto. Voglio
potermici specchiare dentro. Sono stato chiaro?”
“Cristallino,
signore” disse in fretta Hector.
“Tu seguimi” disse il nostromo, uscendo dalla cucine. Davy lo seguì verso la cabina del capitano.
La
cabina del capitano era stata, in origine, la mensa dei militari della Marina,
ma dal momento che i pirati avevano l’abitudine di mangiare qua e là per il ponte il locale era stato trasformato in una cabina…ed era
in assoluto la cabina più grande che Davy avesse mai visto in vita sua.
“Bene”
abbaiò Spezzamarinai, vedendolo “allora tu sai scrivere, non è
così?”
“Si,
signore.”
“E smettila di dire ‘sissignore’, sembri un dannatissimo
soldato, non un pirata! Ti devi rivolgere a ma come ‘Capitano’!”
“Sì,
capitano.”
“Molto
meglio” il capitano gli fece cenno di sedersi allo scrittoio, dove erano già
pronti un calamaio e un foglio di carta “spero che tu sappia
maneggiare una penna meglio di quanto non faccia con gli scopettoni…”
Davy
si morse un labbro per non rispondere e si sedette allo scrittoio, prendendo la
penna.
“Non – mi – interrompere, mozzo” latrò il capitano
“scrivi e basta: al fine di tutelare il
nostro accordo nonché la salute della vostra famiglia,
spero vi mostrerete disponibile ad ottemperare alla richiesta che sapete…”
Hector
fece una smorfia, ributtando finalmente lo straccio nel secchio. In due ore
aveva pulito solo la metà del parapetto della nave.
“Non
mi sento più le dita” borbottò fra sé, osservandosi la pelle raggrinzita
dall’acqua saponata. Guardò il sole: le due del pomeriggio. Ora di pranzo,
finalmente. Avrebbe potuto fare una pausa.
Non
gli sembrava possibile di essersi imbarcato solo alle cinque di quella mattina.
“Stanco?”
domandò Davy, accostandosi a lui mentre metteva in
file per mangiare.
“Sfinito”
rispose Hector, piegando le dita per cercare di riacquistare sensibilità alla
mano “e sto morendo di fame. Ehi, ma quello è
stufato!”
“Ne
deduco che ti piace” commentò Davy, mentre Hector se ne faceva mettere una
porzione nella ciotola di legno che gli fungeva da piatto.
“Diciamo
che è il mio menù preferito.”
“Hector,
il cibo è il tuo menù preferito.
Quello che ti ho visto mangiare ieri sera a Tortuga sarebbe
bastato a sfamare tutta l’isola per un mese.”
“Senti, avevo appetito, qualche problema? Piuttosto, che
genere di lettere hai dovuto scrivere?”
Davy
si strinse nelle spalle, prendendo la sua ciotola e tendendola al cuoco per
farci mettere lo stufato. “Per la maggior parte richieste
di rifornimenti, ma ce n’era una che sapeva parecchio di ricatto. Era per un
tale Mofi Shaba.”
“ ‘Ofi ‘Aba?” domandò Hector, con la bocca piena.
“Sì,
è quello che ho pensato anch’io” disse Davy, sedendosi su un mucchio di corde e
cominciando a mangiare “è il nome più strano che abbia mai sentito.”
“Questo
tizio già mi fa pena. Prima gli appiccicano questo nome, e poi Spezzamarinai
decide di prendersela con lui. Riguardo cosa lo vuole
ricattare?”
“Non
ne ho idea” disse Davy, ingoiando un pezzo di pane “non accenna mai
direttamente a cosa questo tizio dovrebbe consegnargli in cambio della…sicurezza
della sua famiglia.”
“Probabilmente
denaro.”
“Probabile.
In ogni caso, domani lo sapremo.”
Hector
lo guardò con genuina curiosità. “Cosa te lo fa
pensare?”
Davy
bevve un sorso d’acqua per mandare giù il pane secco. “Arriveremo nel posto dove
vive questo Mofi Shaba domani pomeriggio, e Spezzamarinai ha intenzione di
mandarci a consegnare la lettera a questo tizio.”
“Uhm”
Hector ci pensò un momento “ho il vago sospetto che tema
qualche pessima reazione e che voglia mandarci come primo tentativo. In fondo,
se ci ammazzassero non sarebbe una gran perdita per lui.”
“Questo è probabile” disse Davy con un sospiro “ma non mi pare abbiamo altra scelta.”
Pikky91: a dire il vero non so come mi sia venuta in mente
questa spiegazione per la famosa mela…mi è venuta proprio
mentre scrivevo, mi fa piacere sapere che l’idea ti è piaciuta.
Coral: sì, purtroppo (o per fortuna) le idee strane vengono
sempre a me...per fortuna c’è sempre chi le definisce originali per non turbare
il mio già precario equilibrio psicologico ^^”
Scherzi
a parte grazie per i complimenti, sono contenta che ti piaccia!
RebelHalloweenJack: che gentile, definirla addirittura “opera”…io al
massimo lo definirei “momentaneo sclero mentale”, ma
dovrei essere proprio di buon umore! J
Roger Jolly: temo di non conoscere nessuno meno “mitico” di me, ma
grazie per il complimento! (un altro commento così e
finisce che mi monto la testa, fermatemi per favore…)J
Riguardo
la tua richiesta, che dire…so che nei film sono i
cattivi, ma in questa storia sono comunque ancora dei ragazzi appena agli inizi
della loro “carriera”, quindi è logico che, pur non essendo degli stinchi di
santo, non sono ancora i “cattivi” che, appunto, arriveranno a diventare…
Hector
corrugò la fronte, leggendo la lettera. “…spero vi mostrerete
disponibile ad ott…otta…ottem…”
“Ottemperare”
lo aiutòDavy.
“Ah,
grazie…ottemperare alla mia
richiesta…che diavolo vuol dire?”
“Significa
che spera soddisfi la sua richiesta.”
“Accidenti,
che paroloni” commentò divertito Hector, rimettendo la lettera nella busta “però mica male come termine, fa effetto. Dovrò
ricordarmelo per adoperarlo, casomai mi si presentasse
l’occasione…”
In quel momento il nostromo si affacciò sottocoperta.
“Ehi, voi due” disse seccamente “muovetevi, siamo arrivati.”
“Questa
storia non mi piace per niente” commentò Davy, osservando l’isola di fronte a
loro. Era circondata da un alone di nebbia, e non c’era alcun segno di esseri umani: tutta l’isola era circondatala un silenzio
innaturale.
“Mette
i brividi, non è vero?” domandò un marinaio, guardandoli con qualcosa che
somigliava vagamente a pietà: sapeva che sarebbe toccato a quei due ragazzi
inoltrarsi in quel luogo “in giro si dice che sia un luogo maledetto, di anime perdute.”
“Baggianate”
disse seccamente Hector “le maledizioni non esistono.
Ho smesso di credere alle storie di fantasmi da un bel pezzo, posto che ci
abbia mai creduto.”
L’uomo
si limitò a scoccargli un’occhiata. “Come vuoi,
ragazzo. La scialuppa è pronta. Vi porterà fino alla foce del
fiume, poi sarò uno del luogo a condurvi a destinazione. Che Dio vi protegga” disse, allontanandosi.
“Non
credo che a Dio sia mai importato molto di me” disse sarcasticamente il
ragazzo, avviandosi verso la scialuppa “Davy, tu che ne pensi?”
“Nemmeno
io sono superstizioso” disse semplicemente Davy “non credo
che i pericoli che potremmo correre siano da attribuire ad anime perdute o roba
simile. Ma questo posto non mi piace affatto, ha
un’atmosfera che mi preoccupa. Tieniti pronto ad usare la spada, non si sa mai.”
“Non
c’è bisogno di dirmelo” rispose Hector, poggiando una mano sull’elsa della sua
spada. Il contatto gli dava sicurezza. “E, Davy…se
succede qualcosa…”
“Rispetteremo
il codice” concluse Davy, lo sguardo duro“chi rimane indietro, indietro viene lasciato.”
“Sono
perfettamente d’accordo. In bocca al lupo, allora.”
“Altrettanto, amico.”
L’uomo
li attendeva su una piccola imbarcazione alla foce del fiume. Era un indigeno
massiccio, con la pelle nera come il carbone e con un occhio solo. Quando li vide non rivolse loro la parola, ma si limitò a
fargli cenno di salire sull’imbarcazione e, una volta che i ragazzi furono a
bordo, iniziò a risalire il fiume con vigorosi colpi di remi.
Il
viaggio durò circa mezz’ora, e proseguì nel silenzio più totale. Né Hector né
Davy aprirono bocca, ma entrambi tennero la mano
destra serrata intorno all’impugnatura delle loro spade. Davy teneva stretta nella mano sinistra la lettera da consegnare a Mofi
Shaba, chiunque gli fosse.
Poco
a poco, alcune luci iniziarono a farsi strada nella nebbia. La pesante foschia
iniziò a diradarsi, e Hector si accorse che adesso stavano navigando in una
specie di palude.
Sugli
alberi intorno c’erano dozzine di palafitte di legno, e da parecchie di questi
si affacciavano delle persone con la pelle scura che li scrutavano in silenzio.
Davy deglutì, sentendo il cuore martellargli nel petto. Se
avessero deciso di ucciderli, non avrebbero avuto scampo: sarebbero morti come
topi in trappola, senza nemmeno la possibilità di difendersi.
Nel
momento stesso in cui formulava quel pensiero la barca
si fermò sotto una palafitta, e l’uomo che li aveva condotti in piedi fece loro
cenno di salire lungo una scala di corde che conduceva all’interno della
costruzione. Hector salì per primo, seguito da Davy.
L’interno
della capanna era arredato con alcuni vecchi mobili pieni di strani oggetti, e
numerosi talismani pendevano dal soffitto. Una lampada ad olio illuminava la
stanza, e su una sedia posta in un angolo c’era un uomo di colore sulla
cinquantina, che li osservava attentamente.
“Venite
da parte del capitano Garrett, non è vero?” domandò alla fine.
Davy
annuì, facendo un passo aventi e abbassando la testa per evitare uno dei
numerosi scacciaspiriti di legno. “Sì, siamo qui in sua vece. E’ lei Mofi
Shaba?”
“E’
il mio nome. Cosa vuole il vostro capitano?”
Davy
si limitò a tendergli la lettera.
L’uomo
lo osservò per un paio di istanti, poi la prese e
iniziò a leggerla. Quando ebbe finito sollevò gli
occhi dal foglio e guardò verso di loro. “Il vostro capitano non vuole
lasciarmi altra scelta.”
La
sua voce suonava triste e lontana
“Spezzamarinai
non è tipo da essere clemente” disse Hector, avvicinando ancora una volta la
mano all’elsa della spada. Se l’uomo avesse reagito,
sarebbe stato adesso.
L’altro,
tuttavia, si limitò ad annuire. “La mia gente è pacifica, e non desidera
rappresaglie. Gli darò ciò che vuole.”
Disse
qualcosa ad alta voce in una lingua che Hector e Davy non conoscevano.
Si udirono dei passi, e una ragazza di colore sui quindici anni entrò nella
stanza. Lei e Mofi Shaba scambiarono alcune parole
nella stessa lingua, poi la ragazzina rivolse la sua attenzione ai due ragazzi,
scrutandoli con gli occhi neri come la pece come se avesse potuto vedere nella
loro anima.
Mofi
Shaba si alzò in piedi e si rivolse a loro, mettendo una mano sulla spalla
della ragazza. “Questa è la mia figlia più giovane,
Tia Dalma. Dite al capitano che ha accettato di seguirvi.”
Hector
e Davy si scambiarono un’occhiata, stupefatti. Era per lei che erano arrivati fino a lì? Spezzamarinai li aveva mandati a
prendere quella ragazza?
L’uomo
sembrò rendersi conto del loro stupore. “Non lasciatevi ingannare dalle
apparenze, Tia Dalma ha grandi capacità…anche se pare
le abbiano portato solo disgrazie.”
La
ragazza si voltò verso il padre e disse qualcosa nella loro lingua.
“Non crucciarti per me, padre. Sarò al
sicuro.”
“Lo sai?”
“Lo so. Non dovrò temere finchè saranno con me. Mi
riporteranno a casa.”
“Ne sei certa?”
“Il Segno del Diavolo è su di loro.”
“Sono quelli di cui sognasti?”
“Uno nato da
madre morta, l’altro con le mani macchiate del sangue che lo ha generato. Sono
loro.”
“Allora che la sorte possa guidarti,
figlia.”
“Sarò a casa prima della luna nuova.”
La
ragazza tornò a voltarsi verso Hector e Davy, che nel frattempo li avevano osservati senza capire una sola parola di ciò che
padre e figlia si stavano dicendo.
“Non è necessario trattenerci oltre” disse nella loro
lingua, in tono perfettamente calmo “possiamo andare.”
Il
viaggio di ritorno fu silenzioso quanto quello dell’andata.
Hector
bevve un sorso dalla borraccia: ora che il timore di finire in una trappola gli
era passato si era accorto di avere una gran sete.
“Forse
dovremmo offrirle dell’acqua” suggerì Davy a bassa voce, guardando Tia Dalma
che li fissava immobile dall’altra estremità dell’imbarcazione.
Hector
sogghignò. “Uhuh, ma come siamo galanti…”
“Non
dire idiozie” disse seccamente Davy, prendendogli la
borraccia dalle mani. La tese verso Tia Dalma.
“Acqua?”
Lei
lo osservò un momento, poi scosse il capo. “Non ho
sete. Come vi chiamate?”
“Io
mi chiamo Hector Barbossa – prova a chiamarmi ‘Hec’ o
roba simile e hai finito di vivere, parola mia – e questo tizio che mi sta
svuotando la borraccia è Davy Jones” rispose Hector, riprendendosi la borraccia
da cui Davy aveva appena finito di bere.
“E siete pirati?”
“Pirati
in prova” rispose Davy, strappandole un sorrisetto.
“In
prova?”
“E’
un modo elegante per dire che passiamo la giornata spazzando il ponte”
sintetizzò Hector, notando con un certo disappunto che Davy gli aveva finito
l’acqua.
“Allora
siete dei mozzi” osservò lei, osservandoli con aria
assorta.
“Sì,
esatto” rispose Davy “anche se speriamo di non doverlo
restare troppo a lungo.”
“Non succederà” disse lei in tono incolore, voltandosi
a guardare l’orizzonte che cominciava finalmente ad intravedersi fra gli
alberi, poi aggiunse qualcosa a voce così bassa che nessuno dei due potè
sentirla: “arriverà il giorno in cui i vostri nomi
verranno pronunciati con timore da tutti i pirati e i marinai che solcano i
mari.”
Pikky91: grazie come al solito per i
complimenti, anche se la tua recensione ha dovuto essere cancellata...
Comunque
ho notato anch’io quel particolare, e riguardando il film ho notato anche
un’altra cosa: hai presente il medaglione a forma di cuore che si vede
sull’Olandese Volante, quello che è anche un carillon? Bè, se ci fai caso si
vede che ce n’è uno assolutamente identico nella capanna di Tia Dalma…
RebelHalloweenJack: grazie per avermi fatto notare la gigantesca cretinata
che stavo facendo…meno male che te ne sei accorta! ^^”
Mi
fa piacere che consideri ‘interessante’ questo prodotto della mia mente
instabile, spero di riuscire a postare presto il
prossimo capitolo.
Laura Sparrow: sono contenta che apprezzi l’originalità (leggi:
stramberia) della mia storia…in effetti vederli Davy
Jones e Barbossa così diversi fa uno strano effetto, ma è anche divertente
immaginarsi come potevano essere da ragazzi…insomma, uno mica nasce che è già
uno spietato pirata, no?
L’urlo del nostromo fu coperto da uno
schianto spaventoso: un gigantesco tentacolo aveva colpito la fiancata della
nave, che si inclinò di colpo su un fianco. Altri
tentacoli emersero dall’acqua scura, illuminata debolmente dalla luce della luna,
e ghermirono la poppa della nave.
Davy perse l’equilibrio e si dovette
appoggiare al troncone che restava dell’albero maestro per restare
in piedi. Intorno a lui infuriava una disperata battaglia, ma era ormai
evidente che la loro sorte era segnata: la maggior
parte degli uomini dell’equipaggio erano feriti, ed era evidente che avevano
ormai quasi terminato le munizioni.
Stavano perdendo la loro battaglia
contro la creatura che tentava di trascinarli negli abissi, qualunque cosa essa
fosse.
Un altro scossone fece inclinare
ulteriormente lo scafo. Davy perse definitivamente l’equilibrio e cadde lungo
il ponte, andandosi a fermare contro il parapetto. Il ragazzo guardò verso il
mare, e di fronte ai suoi occhi qualcosa emerse dalle acqua…qualcosa
di scuro e gigantesco…
“Vuoi restare ad ammirare lo spettacolo
ancora a lungo, Davy?” domandò una voce familiare alle sue spalle. Hector
Barbossa era in piedi dietro di lui, con la schiena appoggiata a ciò che
restava dell’albero maestro e lo sguardo fisso sul ponte.
Davy si tirò faticosamente in piedi e lo
raggiunse. “Hector, dobbiamo muoverci! Se non facciamo
qualcosa…”
“Non c’è più nulla da fare” rispose
l’altro, in tono mortalmente calmo. Sollevò il capo, e la luce della luna ne
illuminò il viso. Davy sussultò e fece un passo indietro, sconvolto. A prima vista il viso del ragazzo era quello di sempre, ma c’era
qualcosa…qualcosa di sbagliato. Di orribilmente sbagliato.
Gli occhi di Hector era
vuoti e gelidi, come due pozzi senza fondo. Occhi morti, senza vita. La sua
espressione, priva del solito sogghigno, ricordava una maschera funeraria
modellata nella cera.
Non sembrava più una creatura viva: sembrava che qualcos’altro avesse preso il suo posto,
qualcosa di morto che parlava e si muoveva in una raccapricciante parodia di
vita.
“Hector, cosa stai…” Davy gli afferrò il
polso, ma ritrasse subito la mano: la carne del braccio di Hector era molle,
quasi spugnosa sotto le sue dita. Carne marcia.
Hector Barbossa stava marcendo vivo
sotto i suoi occhi, posto lo si potesse ancora
definire ‘vivo’.
Davy Jones fece un passo indietro. “Cosa sta succedendo?”
L’ombra di un sorriso comparve sul viso
di Hector. “Vorrei saperlo anch’io, amico. Non sai quanto” disse, poi guardò
qualcosa dietro di lui “sta arrivando.”
Davy si voltò lentamente, trovandosi di
fronte ad una bocca piena di denti affilati.
La creatura lo aveva trovato.
Lo scafo scricchiolò mentre i tentacoli lo stringevano in una morsa,
poi cominciò ad inabissarsi, portando il Blue Dragon con sé.
“NO!”
L’urlo
di Davy rimbombò nell’angusta cabina come una fucilata.
Hector
si svegliò di soprassalto e si sollevò di scatto…battendo la testa contro il
basso soffitto. Il ragazzo ricadde indietro, imprecando.
“Che diavolo ti è preso, Davy?” ringhiò dopo aver tirato giù
un paio di santi. Una debole luce illuminò la cabina: Davy aveva acceso la
lampada ad olio.
“Io…ho
avuto un incubo, credo.”
“Credi?” domandò sarcasticamente Hector,
affacciandosi dalla sua cuccetta.
“Non
ricordo i particolari” spiegò l’altro, passandosi una mano sulla fronte “ma di sicuro non era nulla di piacevole.”
“Questo
l’avevo capito” borbottò Hector, rigirandosi sotto la coperta “uno non si sveglia urlando se sta sognando di trovarsi seduto ad un
tavolo con una bottiglia di…ehi, dove stai andando?”
“A
fare un giro sul ponte” rispose Davy, infilandosi gli stivali
“mi sento soffocare qui dentro. E tanto, ormai
sarà quasi l’alba. Tanto vale alzarmi”
Fece
un passo verso la porta, ma barcollò in avanti come ubriaco.
“Ehi!”
Hector saltò giù dalla cuccetta e lo afferrò per le spalle
prima che cadesse a terra “Davy, va tutto bene?”
“Sto
bene” rispose l’altro, scuotendo il capo come per schiarirsi le idee.
“Sei
bollente” osservò Hector, aggrottando la fronte “e sei un bagno di sudore.”
“Sto
bene” ripetè Davy, liberandosi dalla sua presa.
“Stai
uno schifo.”
“E’
solo effetto dell’incubo” tagliò corto Davy, aprendo la porta “starò meglio
appena sarò uscito sul ponte.”
“Ma…”
Troppo
tardi: Davy era già uscito dalla cabina.
“Cocciuto come un mulo” borbottò Hector fra sé,
infilandosi gli stivali.
Davy
chiuse gli occhi, infastidito dalla luce del sole che cominciava a sorgere. Gli
occhi gli bruciavano, e gli sembrava di avere la gola in fiamme…per non parlare
del cerchio alla testa che sembrava comprimergli il cranio.
Nell’insieme,
si sentiva uno straccio.
“Dev’essere
influenza” disse fra sé, appoggiandosi al parapetto “dannazione, dev’essere
stato il temporale dell’altro giorno…”
“Anch’io parlo da sola, a volte” disse una voce femminile
dietro di lui. Davy si voltò e vide Tia Dalma dietro di lui.
Il
ragazzo batté le palpebre. Da quando quella strana ragazzina era salita a
bordo, ormai più di una settimana prima, né lui né nessun altro membro
dell’equipaggio l’avevano più vista o sentita. Quasi
nessuno sapeva per quale motivo il capitano l’avesse voluta prendere: correva
voce che avesse intenzione di consegnarla ad un altro pirata sua
alleato, ma nessuno ne conosceva il motivo.
“Chiede
scusa?”
“Stavi
parlando da solo. Lo faccio anch’io a volte.”
Davy
scosse il capo. “Stavo solo riflettendo ad alta voce.”
“Ovvero parlavi da solo” concluse la ragazza, appoggiandosi a
sua volta al parapetto. Lo osservò qualche momento, poi: “Stai male.”
“Un
po’ di influenza, tutto qui” tagliò corto Davy,
allontanandosi. Non gli andava l’idea di essere guardato come un malato da una
ragazzina stramba come quella.
“O peggio” disse piano lei, osservando il mare.
Davy
si voltò a guardarla. “Cosa…?”
“Davy!
Ehi, Davy, come…” Hector si fermò a metà del ponte nel vedere Tia Dalma “ah,
sei tu. Cominciavo a pensare fossi finita in mare,
sai? Non ti si è mai vista in giro.”
“Non
sono uscita spesso dalla mia cabina” replicò lei, poi lo osservò attentamente
“tu non sei malato.”
Hector
sollevò un sopracciglio. “Dovrei esserlo?”
“Sei
l’unico a non esserlo. Il tuo amico sta male, e anche l’uomo che vi ha portati fino alla spiaggia, ho sentito il capitano che ne
parlava. Tu sei l’unico di quelli che sono stati sulla mia isola a non averla
presa.”
Davy
sentì un brivido gelido corrergli lungo la schiena. Si appoggiò di nuovo al
parapetto, sentendosi le gambe molli.“Di cosa stai parlando? Che
cosa avrei preso?”
Tia
Dalma lo guardò con un misto di noia e compassione.
“La malaria.”
“Per
come la vedo io, non ci sono possibilità di guarigione” disse seccamente
Spezzamarinai, uscendo dalla stanza dove Davy e l’altro marinaio malato erano stati portati “ci fanno solo da peso, e consumano cibo
e acqua.”
“E cosa intendete fare, capitano?” domandò il nostromo. Tutto
l’equipaggio guardò il capitano, in attesa.
Spezzamarinai
fece una smorfia. “Dovremo lasciarli a terra.”
“Ma il prossimo porto è a dieci giorni di navigazione da
qui!” esclamò un marinaio.
Il
capitano lo fulminò con lo sguardo. “E chi ha parlato
di porto? Li scaricheremo sulla prima isoletta che troviamo. Meglio morti su
un’isola che qui sulla nave. Ora filate al lavoro!”
La
ciurma si disperse, mentre gli uomini tornavano tutti alle proprie mansioni.
Spezzamarinai notò che una persona era rimasta di fronte alla porta
dell’infermeria improvvisata.
“Che ci fai ancora
qui, Barbossa? Al lavoro!”
Hector
esitò un momento, poi guardò il capitano dritto negli
occhi. “E se guarissero?”
Spezzamarinai
scosse il capo. “Non ci sono speranze, mozzo. E poi
questa è una nave pirata, non un lazzaretto!”
“Ma se uno di loro guarisse” insistette Hector “resterebbe a
bordo, no? Potrebbe restare a lavorare.”
“Certo,
finchè lavora” grugnì il capitano, irritato “ma non
illuderti, non c’è speranza. E adesso vattene subito
a…”
Si interruppe di colpo: Hector era già corso via, diretto
in sovraccoperta.
Tia
Dalma non fu sorpresa di vedere il ragazzo bloccarle
il passo.
“Tu
sai come curarlo” disse Hector, senza mezzi termini.
Lei
ne sostenne tranquillamente lo sguardo. “Cosa te lo fa
credere?”
“Tu
e la tua gente vivete in mezzo a qual pantano,
dannazione. Ci vivete, e non siete morti di malaria. E non venirmi a dire che è
per merito dei scacciaspiriti che tenete appesi alle
vostra baracche, perché non ci credo. Come avete
fatto?”
Lei
gli rivolse uno strano sorriso. “Sei intelligente per essere un pirata.”
“Rispondi.
Alla. Domanda.”
Tia
Dalma lo guardò fisso ancora per un momento, poi
annuì. “Esiste un modo…un infuso particolare, che ci protegge dal manifestarsi
del male e ci cura quando ne cadiamo ammalati.”
“E tu sai farlo?”
“Io
so fare molte cose.Ma per prepararlo
occorrono delle erbe che crescono solo sulla nostra isola.”
Hector
sentì qualcosa di pesante scendergli nello stomaco. Spezzamarinai aveva
ragione, non c’era speranza: Davy sarebbe morto molto prima che la nave potesse
raggiungere l’isola di Tia Dalma per raccogliere quella dannata erbaccia…
Nel
vedere la sua espressione, la ragazza ridacchiò.
“Mi
sembri piuttosto abbattuto” commentò, prendendo qualcosa da una tasca e
mettendoglielo davanti al viso “ma forse so come tirarti
su di morale…”
Hector
fissò il sacchetto che lei gli aveva messo di fronte agli occhi. “Cosa c’è lì dentro?”
“Secondo
te?” domandò lei in tono malizioso, facendo dondolare il sacchetto per aria
Hector
batté le palpebre, incapace di credere alla fortuna sfacciata che aveva avuto.
“Lì
dentro…?”
“Esatto”
rispose lei, compiaciuta dal suo stupore “me ne porto sempre una scorta dietro,
non si sa mai…ma ne ho abbastanza per una sola
persona.”
“Basterà.
Prepara questo stramaledetto infuso per Davy, e giuro che…”
Tia Dalma lo zittì con un cenno. “Lascia
perdere i giuramenti, non sarai tu a dovermi qualcosa. Adesso aventi,
portami dal nostro malatino e vediamo cosa riesco a fare.”
Pikky91: eh, sì, personalmente sono convinta sia proprio
lei…insomma, ha un medaglione identico, conosce la storia della donna di cui
Davy Jones era innamorato in tutti i particolari (vabbè che quella sa tutto di
tutti, ma non stiamo a guardare il capello) e il
regista si è lasciato sfuggire che nel terzo film sarà un personaggio molto
importante…NON POSSO ASPETTARE ANCORA PER VEDERE QUEL FILM!!
…l’attesa
mi ucciderà, lo sento… (attacco melodrammatico, ignoratemi o abbattetemi per
favore…)
P.S:
grazie per il commento, troppo buona come al solito!
Sele: sono contenta che la storia ti piaccia, è il mio primo tentativo
(leggi: aborto) di fanfic in assoluto… per quanto riguarda Tia Dalma: è vero
che sembra MOLTO più giovane di Barbossa e Jones (e in
effetti probabilmente è così, ma che vuoi farci l’immaginazione non
segue la logica), ma ecco il mio contorto (e malato) ragionamento: dal momento
che è una specie di strega (nel senso che fa cosucce tipo riportare in vita i
morti, come presumo abbia fatto con Barbossa nel secondo film), ho immaginato
che per lei non sarebbe un problema sembrare diversa (o più giovane, appunto) da
come sarebbe in realtà (e pensare che noi usiamo lifting e cremette
appiccicose…appena compio 40 anni mi converto al vodoo, giuro)
Laura Sparrow: non te l’aspettavi, eh? Sorpresa! Diciamo che avrà un
ruolo piuttosto particolare (non sarà un’indifesa fanciulla
da salvare, questo è sicuro!) Io il ciondolo l’ho notato la seconda volta che
ho visto il film, e per un momento ho pensato di essermelo immaginato…poi
appena a casa mi sono attaccata ad internet e ho scoperto che non me l’ero
affatto immaginato, era proprio lui! Personalmente, credo che questo dettaglio
avrà un ruolo nel terzo film…grazie per l’incoraggiamento nel continuare a
scrivere!
Davy
giaceva privo di sensi su un mucchio di coperte: aveva il respiro affannoso e
irregolare, e continuava a rigirarsi nel sonno mormorando frasi senza senso, il
viso lucido di sudore. A pochi metri di distanza il marinaio che li aveva
accompagnati sull’isola stava letteralmente agonizzando: al poveretto non
restavano nemmeno due ore di vita.
“Sta
molto peggio di prima” commentò Tia Dalma, inginocchiandosi di fronte al
giaciglio di fortuna.
“Ma dai?” disse sarcasticamente Hector “fin qui c’ero
arrivato da solo. Vuoi dargli quel tuo rimedio miracoloso o no?”
Lei
gli rivolse uno strano sorriso. “Potrebbe essere già troppo tardi.”
“Non
abbiamo nulla da perdere, no?” replicò Hector, irritato da quel sorrisetto
saccente.
“Immagino
di no” disse lei, poi afferrò sollevò il capo a Davy e gli accostò la tazza
alla bocca.
Una
lieve contrazione attraversò il viso del ragazzo quando
il liquido gli inumidì le labbra, poi, senza risvegliarsi, Davy cominciò a bere
avidamente.
“Ecco
fatto” disse Tia Dalma, mentre Hector riadagiava Davy sulle coperte “adesso possiamo solo aspettare.”
Hector
si sedette sul pavimento, la schiena appoggiata al muro. “E
allora aspetteremo” disse seccamente.
“Aspetteremo?”
“Tu
puoi pure andartene. Grazie per l’aiuto.”
“Intendevo
dire che non credevo saresti rimasto. Non hai del
lavoro da fare?”
“McKnive
lo sta già facendo al mio posto. Gli ho detto che se non lo avesse fatto avrei
raccontato al capitano chi è stato ad annodare male la vela di maestra facendo
finire mezza velatura in mare.”
“Un
ricatto, insomma.”
“Mi
pare ovvio.”
Ci
fu un lungo silenzio, interrotto solo dai rantoli del marinaio che moriva
nell’angolo e dal respiro faticoso di Davy. Tia Dalma gli sfiorò
i capelli scuri con una mano.
Una creatura viva nata da una creatura morta.
“Cosa
ci fai qui?” domandò alla fine Hector, senza distogliere lo sguardo da Davy
“cosa vuole Spezzamarinai da te?”
“Non
è lui che mi vuole. Mi sta portando da qualcun altro. Non conosco il suo nome.”
“E cosa vuole questo tipo da te?”
Tia
Dalma indicò con un cenno la tazza vuota. “Non riesci
ad immaginarlo?”
“Questo
lo avevo intuito. C’è altro che sai fare, oltre a
curare la malaria?”
“Dipende.
Tu credi nel sovrannaturale?”
Hector
scosse la testa. “Non credo in nulla che non possa
vedere con i miei occhi. No.”
“Allora
è inutile parlarne” disse semplicemente lei, tornando a scrutare Davy “sta già
meglio.”
Era
vero: il ragazzo aveva smesso di parlare nel sonno. Tia Dalma gli mise una mano sulla fronte.
“La
febbre sta scendendo. Direi che è fuori pericolo.”
L’espressione
seria, persino ansiosa di Hector si sciolse nel primo vero sorriso che Tia
Dalma gli avesse visto: fino ad allora lo aveva visto
solo sogghignare, o ridere nella maniera sguaiata tipica dei pirati.
Ma mai
sorridere.
“Perché hai deciso di diventare un pirata?” domandò Tia
Dalma, scrutandolo.
Hector
scoppiò a ridere. “Sono nato a Tortuga, dolcezza. Che altro avrei
potuto fare?”
“Anche i tuoi erano pirati?” domandò lei, nonostante sapesse
già la risposta.
Hector
smise improvvisamente di ridere. “Ti consiglio di cambiare argomento,
ragazzina.”
“Come
vuoi” rispose lei, con una scrollata di spalle “come ti sei
procurato quella cicatrice?”
“Questa?”
Hector si passò un dito lungo lo sfregio che aveva sotto l’occhio destro “nulla
di eroico, non credere…una rissa in un a locanda. Bottiglia
rotta. Credevo davvero di rimetterci l’occhio, quella volta.”
“Hai
ucciso qualcuno in quella rissa?”
“Sì,
certo. In quelle mischie, o ammazzi o vieni
ammazzato.”
“E hai mai ucciso qualcuno a sangue freddo?”
Hector
si irrigidì per un istante, poi scrollò le spalle. “Nessuno degno di nota” tagliò corto, distogliendo lo sguardo
da lei. Tia Dalma gli osservò le mani, e per un attimo
le parve di vederle grondare di sangue.
Una creatura con le mani macchiate del
sangue di colei che lo ha generato.
Tia
Dalma sorrise fra sé.
“E
Davy?” domandò “lui perché ha deciso di diventare un
pirata?”
“Hector
si strinse nelle spalle. “Non lo so. A dire il vero lo conosco solo da una
decina di giorni, e non mi ha parlato molto di sé. So solo che è rimasto in
orfanotrofio fino ai tredici anni, poi è scappato.”
“Mi
pare che tu tenga parecchio alla sua vita per conoscerlo da così poco.”
“Ha
aiutato mia sorella. Probabilmente le ha salvato la
vita.”
“Hai
una sorella?”
“Un sorella più piccola. Raven” disse lui, e Tia Dalma lo vide sorridere per la seconda volta nel giro di pochi
minuti.
Un’improvvisa
esclamazione li fece voltare entrambi verso Davy: il ragazzo aveva preso ad
agitarsi convulsamente nel sonno, come in preda agli incubi.
“Davy!”
lo chiamò Hector, avvicinandosi “ehi, amico, mi senti?
Non so cosa diamine tu stia sognando, ma non è nulla
di reale! Mi senti? Nulla di rea…”
“NO!”
Davy
sollevò di scatto il braccio, afferrando Hector per un polso, e apri gli occhi di colpo.
“…cosa…?”
rimase qualche secondo a guardarsi intorno, perplesso, prendendo poco a poco coscienza che era stato solo un incubo. Batté le
palpebre un paio di volte, poi si voltò a guardare Hector, di cui teneva ancora
la mano stretta in una morsa intorno al polso.
“Tu
non sei un mostro” constatò, quasi sorpreso, lasciandogli il polso.
Hector sollevò un sopracciglio. “Grazie tante, amico. Bentornato a bordo, eh.”
Il
marinaio che li aveva accompagnati sull’isola morì nel primo pomeriggio. Il suo
corpo venne gettato agli squali senza troppi
complimenti, e nessuno sembrò farci molto caso.
Spezzamarinai
quasi non aveva creduto ai suoi occhi nel vedere Davy uscire sul ponte sulle
sue gambe e con l’aria di chi sta benissimo.
Di
comune accordo, i ragazzi avevano deciso di non dire a nessuno del ruolo che
aveva avuto Tia Dalma nella sua guarigione, che rimase un mistero per tutto
l’equipaggio.
Da quel giorno, tra loro e quella strana ragazzina
dalla pelle color caffellatte si instaurò una sorta di
bizzarra amicizia destinata a durare per anni.
“JONES!
Vedi di stringere meglio quelle dannate corde, mozzo! Non vedi che i nodi sono
troppo lenti?” abbaiò il nostromo.
“Sì,
signore” disse in fretta Davy, mordendosi la lingua per impedirsi di
rispondergli che evidentemente era cieco visto che quei nodi andavano
benissimo.
“E dopo vedi anche di lucidare meglio quel parapetto” Mastro
Frazier sembrava deciso a farlo sgobbare più del solito “dove credi di essere,
in vacanza?”
“No,
signore.”
“E
allora vedi di darti una mossa!” latrò l’altro, senza rendersi conto che Hector
gli stava facendo il verso dietro la schiena “voglio
vedere tutto in ordine entro due minuti!”
“Sì,
signore” disse Davy, sforzandosi di non ridere mentre
Hector, dietro le spalle del nostromo, fingeva di vomitare fuori bordo.
Il
nostromo sembrò intuire qualcosa dal lieve cambio di espressione
di Davy, perché si girò di scatto…solo per vedere Hector Barbossa intento a
lucidare il parapetto (peraltro già pulitissimo) con l’espressione più
innocente del mondo.
O,
almeno, con l’espressione più innocente che gli era
possibile assumere.
Che, a
dirla tutta, non era poi tanto
innocente.
“Che hai da guardare?” ruggì, irritato dal fatto di non
essere riuscito a coglierlo in castagna “al lavoro!”
“Sto
lavorando, Mastro Frazier” disse ipocritamente Hector, sollevando lo straccio.
“E allora continuate” ringhiò l’altro, allontanandosi a
grandi passi.
“Abbiamo
solo due mani, sai” bofonchiò Davy, armeggiando con le corde “stupido vecchio
scorfano…lo diverte davvero, prendersela con i sottoposti.”
“Già”
concordò Hector “ma lo hai sentito? ‘E tu che hai da guardare? Torna al lavoro!’…bah! Se mai diventerò
Capitano non strapazzerò mai così i miei uomini.”
“Uhuh,
addirittura capitano?”
“Beh,
perché non mirare in alto? E poi ammetterai che ‘Capitano Barbossa’
suona bene.”
“Megalomane.”
“Senti
da che pulpito! Non sei tu quello che vorrebbe diventare il terrore dei…ehi, e quello cos’è?” esclamò Hector, affacciandosi dal parapetto.
Davy
seguì il suo sguardo: una forma scura si stagliava sull’acqua trasparente, poco
lontano dalla fiancata di tribordo.
“Oh,
dannazione!” esclamò Davy, mentre Hector si voltava verso il ponte e urlava con
tutto il fiato che aveva in gola.
“UOMO IN MARE!”
Pikky91: eheh…non preoccuparti, una certa dose di perversione ce l’abbiamo tutti! Sono contenta che la fic continui a
piacerti…questo capitolo non è molto movimentato, ma da prossimo ci sarà decisamente più movimento!
“Ma questa è una nave pirata o un convento di suore della
carità?” domandò Hector con un sogghigno, osservando la confusione che si era
scatenata attorno al marinaio appena ripescato dal mare.
Davy
non potè fare a meno di sorridere. “In effetti ci
manca solo la veletta.”
“Non
ci staresti male, sai…”
“ALLORA,
CHE SIGNIFICA QUESTA CONFUSIONE?”
Il
ruggito di Spezzamarinai fece scendere il silenzio sul ponte.
Hector
fece una smorfia. Ma quel tizio non si rilassava mai?
“Abbiamo
trovato quest’uomo in mare, capitano” rispose per tutti il
nostromo “è ancora vivo, e…”
“E voi avete scambiato questa nave per un ospedale di
suorine, non è vero?” ringhiò il capitano.
Hector
e Davy si scambiarono un’occhiata. Hector giunse le mani e alzò gli occhi al
cielo, fingendo di pregare, e Davy si lasciò sfuggire un
ghigno che fortunatamente non fu udito dal capitano.
In
quel momento l’uomo che avevano ripescato si mosse impercettibilmente,
mormorando qualcosa.
“Si
sta svegliando” esclamò un uomo della ciurma.
Il
naufrago spalancò gli occhi di scatto, respirando affannosamente. I suoi occhi
vagarono sulla ciurma, soffermandosi alla fine sul capitano. Spezzamarinai
sussultò, riconoscendolo: era il capitano della Bloodlust, una nave pirata con
cui gli era capitato di avere a che fare.
“Crandall!
In nome di Dio, cosa è successo? Dov’è la tua nave?”
Crandall
aprì la bocca per parlare, ma ne uscì soltanto qualche suono strozzato. Alla
fine, con grande sforzo, riuscì finalmente a parlare. Spezzamarinai dovette
chinarsi per udirne le parole.
“Tutti. Sono morti tutti.”
“Secondo
te cosa voleva dire quel tizio?” domandò Davy, pensieroso. Crandall era stato
portato nella cabina del capitano, e lo stesso Spezzamarinai non era mai uscito
di lì per tutto il giorno.
“Bè,
immagino che ‘sono morti tutti’ sia dannatamente chiara, come frase…” disse
sarcasticamente Hector, addentando una mela.
Davy
aggrottò la fronte. “Che stai facendo?”
“Ceno, non si vede?”
“Ma abbiamo cenato un’ora fa!”
Hector
sogghignò. “Diciamo che questo è lo spuntino di mezzanotte.”
“Sei
un pozzo senza fondo” commentò Davy, poi si voltò verso la cabina del capitano
“secondo te cosa è successo alla Bloodlust?”
“Di
un po’, mi hai preso per un indovino?” fece Hector, ingoiando l’ultimo boccone
“si saranno trovati in mezzo ad una tempesta, o magari si sono scontrati con la
Marina…la nave è affondata e questo tizio si è salvato. Credo sia la risposta
più probabile.”
“La
risposta più probabile non è sempre quella giusta” intervenne una voce dietro
di loro. Tia Dalma si era avvicinata senza farsi
sentire e adesso li stava osservando con quel perenne sorrisetto stampato sul
viso.
“Ah,
riecco il nostro uccello del malaugurio preferito” ridacchiò Hector,
appoggiandosi al parapetto “mi stavo cominciando a preoccupare, ancora non ci
hai parlato di maledizioni e riti vodoo oggi…”
Tia
Dalma si imitò a scrollare le spalle: si era abituata
alle frecciate del ragazzo, e ormai aveva lasciato perdere l’idea di
convincerlo a credere in maledizioni e magie.
Non
c’era niente da fare, quel benedetto ragazzo non avrebbe mai creduto in nulla
che non potesse vedere…almeno fino al giorno in cui
avrebbe finito per sbatterci il naso, come Tia Dalma era convinta sarebbe
successo.
Tia
Dalma lo osservò per un momento prima di rispondere.
Davy sembrava quello più propenso a crederle, ma il suo atteggiamento nei suoi confronti non era nemmeno lontanamente disinvolto
quanto quello di Hector. Sembrava quasi che la sua presenza lo rendesse
nervoso.
“Non
avete visto gli occhi di quell’uomo? Sembrava fuori di sé.”
Hector
scrollò le spalle. “Tu che faccia faresti, a passare Dio solo sa quanti giorni
in balia del mare?”
“Quell’uomo
ha visto l’inferno, Hector.” replicò lei con calma.
“Ma certo, ha fatto una capatina all’inferno ed è tornato per
raccontarlo, dico bene? Un
biglietto andata e ritorno per
l’inferno, per favore…”
Tia
Dalma scosse il capo. “Sei talmente cieco de non poter
vedere nulla che non ti venga sbattuto in faccia.”
“Uhuh,
ma guarda… indovina, guaritrice e pure oculista” Hector sogghignò “mi spiace, ma temo la tua diagnosi sia sbagliata. Io ci vedo
benissimo.”
“Tu
vedi solo quello che vuoi vedere” tagliò corto Tia Dalma, poi si voltò a
guardare Davy “tu cosa ne pensi?”
Sentendosi
chiamare in causa, Davy si schiarì la gola. “A dire il vero, la versione di
Hector sarebbe quella più logica…”
“E tu ti affidi solo alla logica?” domandò Tia Dalma,
socchiudendo gli occhi scuri.
“Dovrei
fare affidamento su altro?”
“Non
è stata la logica a salvarti dalla malaria, se ben ricordo.”
Davy
fece per rispondere, ma non trovò nulla da dire. Hector scoppiò a ridere.
“Non
ci credo, qualcuno è riuscito a zittirlo! Uno a zero
per l’uccello del malaugu…”
SLAM!
Ci
fu il rumore di una porta che sbatteva violentemente, e Spezzamarinai uscì
dalla sua cabina.
“Mastro
Frazier!”
“Sì,
capitano?” il nostromo rispose alla chiamata del capitano più in fretta di un
cane al fischio del padrone.
“Il
capitano Crandall è morto. Voglio che il corpo sia gettato fuori bordo, e
voglio che tracciate una rotta per il porto più vicino…c’è un cambiamento di
programma. E VOI VI SIETE INCANTATI PER CASO?” latrò,
accorgendosi che diversi membri dell’equipaggio lo stavano fissando.
“A
quanto pare il compianto capitano Crandall deve avergli rivelato qualcosa di
grosso” commentò Davy, tornando a chinarsi sulle corde che stava assicurando
“insomma, uno non cambia completamente i programmi semplicemente perché una
nave è naufragata.”
“Forse
c’è una flotta della Marina in giro” rispose Hector, scrutando nervosamente l’orizzonte.
“O forse c’è una perturbazione verso est…”
Tia Dalma scosse il capo,
allontanandosi in silenzio e lasciandoli alle loro congetture.
“E quindi il capitano ha detto di aver cambiato programma?”
domandò la bambina, guadandola con curiosità.
Erano
entrambe sedute sulla branda della cabina che il capitano aveva dato a Tia
Dalma. Era a due posti come tutte le altre cabine della nave, e Tia Dalma era stata lieta di dividerla con la piccola clandestina che
aveva trovato nel magazzino una settimana prima, nascosta dietro alcune casse.
Una
bambina in gamba, doveva ammetterlo: era rimasta più di dieci
giorni nascosta nel magazzino della nave, riuscendo a non farsi notare
dai marinai fino a quando lei non l’aveva trovata.
Ma del
resto nessuno, per quanto scaltro, poteva nascondersi alla vista di una strega
vodoo. La piccola le aveva chiesto di non dire nulla a
nessuno della sua presenza: diceva che a suo fratello sarebbe venuto un colpo,
e che lei doveva stare lì di nascosto per controllare che Davy non si cacciasse
nei guai.
“Sì”
rispose Tia Dalma, giocherellando con un amuleto che portava al collo “dice che
faremo porto presto.”
“Secondo
te quell’uomo ha davvero visto…qualcosa di sovrannaturale?” domandò la bambina,
finendo di mangiare il pane che Tia Dalma era riuscita a portarle per cena.
Bisognava
ammettere che, sotto un certo punto di vista, era più
sveglia del fratello. Perché lei le credeva, le
credeva ciecamente come credono i bambini.
“Credo
di sì” disse alla fine Tia Dalma “e temo che la bramosia spingerà questa nave a inoltrarsi fra pericoli che gli uomini non possono nemmeno
concepire.”
La
bambina le tirò una manica. “Ma tu proteggerai mio
fratello, vero? Tu sei una strega, puoi
farlo…proteggerai lui e Davy?”
Tia
Dalma diede un sorriso triste. Che fosse
molto attaccata ad Hector era comprensibile, ma c’era qualcosa nel modo in cui in
cui si preoccupava per Davy che le faceva suonare nelle mente un campanello di
allarme.
“Posso
provarci.”
Sì, piccola Raven, posso provare ad
aiutarli. Ma in futuro non potrò proteggere tuo fratello dalla bramosia dipotere che lo
consuma…così come non potrò proteggere Davy da te. Gli uomini sono così ciechi
di fronte al sentimento che chiamano amore. Ma adesso tranquilla, piccola, e riposa pure, sogna
dell’infanzia che ti è stata rubata, e dell’innocenza che ti hanno strappato. Ancora
non puoi sapere quale sarà il tuo ruolo nel futuro del Capitano Davy Jones.
Perché ancora non sai nulla del TUO
futuro, né della donna che sarai.
Bella, e
crudele, e indomabile come il mare.
Maxie: grazie per aver perso il tuo tempo per leggere questa
specie di fanfic! Riguardo la tua domanda…hai presente
il medaglione a forma di cuore che si vede nella cabina di Davy Jones quando
Will gli ruba la chiave, quello che fa anche da carillon? Bè, un medaglione
identico è visibile nella capanna di Tia Dalma, e questo rafforza la tesi
secondo cui Tia Dalma sarebbe la donna di cui Davy
Jones si era innamorato…una tesi che personalmente condivido in pieno. Spero di
essere stata chiare!
Pikky91: credimi, nemmeno la mia è tanto piccola! ^^” Ok, so
che nemmeno questo capitolo è un granchè movimentato, ma avevo
la sensazione di dover mostrare un po’ di più i rapporti fra Tia Dalma e i
nostri ‘cattivi’ preferiti…spero di non averti annoiata troppo! A proposito:
nel prossimo capitolo comparirà, sia pure di striscio e in forma un po’
particolare, un importante personaggio di Pirati dei Carabi…puoi
indovinare chi? (è davvero facilissimo, giuro!)
Laura Sparrow: eccoti il nuovo capitolo, anche se temo di non aver
granchè soddisfatto la tua curiosità…ma mi diverte
lasciare un po’ le cose in sospeso! (già vedo le
sassate che mi puntano da lontano…) Comunque riguardo Davy hai ragione, avrà
decisamente qualcosa da rivelare a tutti…anzi, anche a sé stesso! (ok, la smetto di parlare per indovinelli o qui mi linciano
davvero…
Ginny85: che significa ‘Sto pensando di scrivere ancora sull'argomento
"pirati dei caraibi"?? Tu DEVI scriverne
ancora, ti ammazzo se non lo fai!!(scherzo,
scherzo…però sarebbe bello se scrivessi altre fanfic sull’argomento, sei
davvero brava!)
Riguardo
la tua intuizione su Davy e Raven, che dire?
Congratulazioni, sei la prima (se non l’unica) ad averlo capito al volo!JCioè: per quanto riguarda i
film sono praticamente certa che la donna di cui Davy era tanto innamorato sia
Tia Dalma, ma nell’ambito di questa storia mi sembrava un po’ scontato, così ho
deciso di cambiare un po’ le cose! Ah, per quanto riguarda il
nome di Barbossa: no, non l’ho inventato. Hector è
davvero il suo nome, è stato detto nel commento del film nel DVD della
Maledizione della Prima Luna.
innanzitutto, mi scuso per non aver
aggiornato per secoli. Purtroppo la scuola si è presa gran parte del mio tempo.
Questo capitolo è stato scritto in un paio di giorni, dal momento che l’uscita
del terzo film della saga ha aggravato la mia febbra da “Pirati dei Caraibi”.
A proposito: per un po’ dopo aver visto
il film sono stata in dubbio se proseguire questa storia o no, dal momento che,
essendo stata ideata e iniziata prima dell’uscita dell’ultimo capitolo della
trilogia, non ha alcun riscontro con la storia rivelataci in quest’ultimo film.
Alla fine ho deciso di proseguirla, anche perché mi divertiva scriverla. Tanto
per sicurezza, aggiungerò AU agli avvertimenti.
Ehm…siete ancora lì? Benissimo, allora
la pianto di ammorbarvi con queste note d’autore (già immagino in quanti le
leggeranno…^^) e vi auguro buona lettura.
“Pronti
a scendere a terra, ragazzi?” domandò uno dei marinai, portando sulle spalle un
grossa trave “Il capitano vuole che consegnate quella lettera a Grant Sparrow
entro le tre. Avete capito in quale locanda lo dovete cercare?”
“Sì,
sì” bofonchiò Hector, impaziente “una locanda con l’insegna rossa vicino al
molo. Quello lì ci ha preso per dei postini, per caso?”
Lo
sguardo dell’uomo si indurì. “Non vi conviene discutere gli ordini di
Spezzamarinai.”
“E
chi li discute?” fece Davy, che stava appollaiato sul parapetto a sistemare le
ultime cime.
“Meglio
per voi” commentò il marinaio, poi si voltò si scatto per andarsene,
evidentemente dimentico della lungheza della trave che portava sulle spalle.
“Davy,
attent…” tentò di avvertirlo Hector, ma era troppo tardi: l’estremità della
trave colpì con forza Davy sotto lo sterno, scaraventandolo sul ponte.
“Mapporc…”
Il
marinaio si lasciò sfuggire una risatina mentre si allontanava.
“Cane
rognoso” ringhiò Hector, poi si chinò su Davy “tutto a posto, amico?”
Davy
si limitò a borbottare qualcosa a proposito della madre del tizio con la trave,
tenendosi il fianco.
“Sì,
che fosse un figlio di puttana già lo sapevo” disse Hector “tu come stai? Costole rotte?”
“No,
le costole stanno benissimo” fece Davy, rialzandosi con una smorfia “stavolta
ha beccato la milza.”
“Poco
male, sopravvivrai.”
“Grazie
tante, dottore.”
“Dovere.”
“E
cosa vuole Spezzamarinai da questo Sparrow?” chiese Hector mentre scendevano
dalla nave.
“Non
ne ho idea, la lettera dice solo di incontrarsi alla Grotta dell’Impiccato
questa sera” rispose Davy, ricacciandosi la lettere in tasca.
“Grotta
dell’Impiccato? Un nome che è tutto un programma…”
“Ah,
puoi dirlo forte. Ecco la locanda.”
Davy
si fermò di fronte ad una locanda con l’insegna rossa.
“Benone,
se non altro stavolta non ci ha spediti in mezzo ad una palude” commentò
Hector, entrando per primo.
Essendo
soltanto il primo pomeriggio all’interno del locale non c’era molta gente,
fatta eccezione per un gruppetto di ubriaconi che se ne stavano sdraiati gli
uni sugli altri sui tavoli in fondo.
“Cercate
qualcuno, ragazzi?” domandò l’oste, un cinquantenne sfregiato dal vaiolo.
“Veniamo
da parte del Capitano Garrett” disse Davy “cerchiamo un certo Grant Sparrow. E’
qui che…?”
“CAPITANO!”
esclamò una vocetta indignata da un angolo.
“Eh?”Hector
si voltò dal punto dove proveniva la voce: un bambino sui cinque o sei anni,
coi capelli neri e gli occhi scuri, li stava guardando con aria offesa.
“Chiedo
scusa?”
“Mio
padre è il Capitano Grant Sparrow”
ripetè il bambino col tono di ci sta parlando ad un povero idiota“comprendi?”
“Comprendiamo”
disse diplomaticamente Davy, ignorando il tono strafottente del bambino
“allora…il Capitano Grant Sparrow è tuo padre?”
“Così
pare” rispose il bambino, scrollando le spalle e avvicinandosi. Davy batté le
palpebre. Ma come diavolo camminava? Sembrava avesse appena preso un colpo di
sole.
“Pare?”
“Finiscila,
Jack” lo rimproverò l’uomo al bancone, poi si rivolse ad Hector e Davy “sì,
questa piccola peste è il figlio del Capitano Sparrow. Il Capitano non è qui,
ma dovrebbe arrivare a momenti. Qualcosa da bere, nel frattempo?”
“Un
bicchierino di rum non ci sarebbe male, grazie” rispose Hector, sedendosi di
fronte al bancone “Davy?”
“Un
bicchiere di gin per me.”
L’oste riempì i due bicchieri, poi si ritirò
nel retrobottega, borbottando qualcosa a proposito dei ‘beoni buoni a nulla che
gli avevano finito le scorte’.
“Allora,
voi siete dei pirati?” domandò incuriosito il bambino chiamato Jack,
appollaiandosi su una seggiola.
“Così
pare” rispose Hector, strizzandogli l’occhio. Jack sogghignò.
“Da
quanto tempo?”
“Da
un po’” rispose Davy “diciamo che siamo in prova.”
“Dei
mozzi, allora” disse il bambino, con una lieve smorfia di…disgusto? Sì,
sembrava proprio qualcosa del genere.
“Direi
di sì” disse Davy, seccato dalla tracotanza di quello strano bambino “e tu,
uomo navigato, cosa saresti? Ammiraglio?”
“Io
sono un Capitano. Come papà” dichiarò Jack, sollevando il mento con fare
insolente.
“Ma
certo” disse Hector, bevendo un sorso di gin “e io sono un Commodoro.”
Davy
gli tirò una gomitata, divertito. “Sai, ‘Commodoro Barbossa’ suona uno schifo.”
“Capirai,
quando sei Commodoro poco te ne importa di come suona…”
“Non
posso darti torto.”
Ci
fu un breve silenzio mentre i due ragazzi bevevano…silenzio rotto
immediatamente dalla vocetta petulante di Jack.
“Sono
vere quelle spade?” domandò, indicando la spada che entrambi portavano alla
cintura.
“Certo
che lo sono” rispose Hector “perché?”
“Credevo
che i mozzi le avessero di legno” disse allegramente il piccoletto, dimenandosi
sulla sedia per trovare una posizione più comoda.
Hector
batté le palpebre, leggermente interdetto, mentre Davy prendeva un profondo
respiro per dominare la tentazione di prendere la pistola e scavargli un terzo
occhio in mezzo alla fronte. Se quel piccoletto voleva fargli saltare i nervi,
ci stava riuscendo perfettamente.
“E
sapete usarle?” stava proseguendo Jack con beata innocenza “la maggior parte
dei mozzi che conosco non sa tenere in mano una spada senza mollarla sul piede
di qualche malcapitato…”
“Non
credo che tu conosca poi tanti mozzi, marmocchio” disse seccamente Davy,
finendo in un sorso la birra e ripulendosi il mento con la manica.
“Infatti
no. A me non serve mica conoscere i mozzi” ribatté il ragazzino “io diventerò
capitano, mica un mozzo.”
“Peccato
che non resteresti capitano a lungo” commentò con leggerezza Hector
“personalmente, se mai mi capitasse di ritrovarmi sotto il comando di un
capitano come te, credo che non resisterei più di due ore prima di stufarmi e
di buttarti a mare…ehi, cosa stai…?!”
Accadde
tutto in una frazione di secondo: prima che potesse finire la frase il bambino,
che nel frattempo era silenziosamente scivolato alle spalle di Davy, aveva
tirato fuoriun pugnale e glielo aveva
piantato fra le costole. “Colpito!” esclamò trionfante.
Davy
si era voltato giusto in tempo per veder guizzare la lama del pugnale, ma non
aveva fatto in tempo a reagire: si era limitato a chiudere gli occhi nel
momento in cui la lama del coltello spariva nella sua carne, aspettando il
dolore…
…ma
il dolore non venne. Assolutamente nessun dolore.
“…eh?”
Il
ragazzo riaprì gli occhi giusto in tempo per vedere il piccolo Jack estrarre la
lama del coltello dal suo costato…una lama perfettamente pulita.
Niente
sangue, nemmeno una goccia.
Davy
guardò il bambino sogghignante ad occhi sgranati, mentre Hector scoppiava in
una fragorosa risata.
“Non
posso crederci!” fece Hector, ridendo così forte da doversi appoggiare al
bancone “è lo scherzo più vecchio del mondo, e ci siamo cascati come due
allocchi!”
“Uno
scherzo” ripetè Davy nel tono assolutamente incolore di chi non ci sta capendo
nulla.
Hector
fece un cenno al bambino, ancora ridacchiando. “Fagli vedere il coltello,
Jack.”
Il
sogghignò del bambino si allargò mentre sollevava il coltello all’altezza degli
occhi di Davy con uno dei suoi soliti movimenti scomposti, rischiando di
cacciarglielo in un occhio. “Me lo ha regalato il mio papà” disse allegramente
“non è un vero coltello, però…non taglia neanche il burro. Vedi?”
Premette
la punta della lama, che rientò completamente nel manico. “Forte, no? Ma anche
piuttosto semplice. Solo un fesso poteva cascarci!”
Senza
nemmeno curarsi di rispondergli, Davy si voltò verso il sogghignante Hector. “A
quanto pare ho fatto la figura del pesce rosso. Che dici, elimino il
testimone?”
“Sì,
direi di sì” disse Hector, finendo di bere e asciugandosi la bocca con l’orlo
della manica “io lo tengo fermo e tu lo fai a pezzi?”
“Ottima
idea” rispose Davy, finendo a sua volta di bere e alzandosi in piedi.
Il
bambino si lasciò sfuggire un risolino nervoso mentre i due ragazzi gli si
paravano innanzi, precludendogli ogni via di fuga. “Suvvia, gentiluomini…non ve
la prenderete mica per uno schero innocente, no?”
“Cosa
gli taglio prima, la lingua o le mani?” domandò Davy, ignorandolo
completamente.
Hector
si strinse nelle spalle. “Direi la lingua. Almeno così non potrà urlare e
chiamare il papà…oh, pardon, il Capitano.”
L’altro
ragazzo sogghignò, tirando fuori un coltello e chinandosi in modo da portarlo
proprio di fronte agli occhi sgranati di Jack. “Lo vedi questo, giovanotto?
Questo è un coltello. Un vero
coltello. E ti garantisco che se te lo caccio negli occhi fa male. Hai dato del
fesso alla persona sbagliata, bimbo.”
Gli
occhi del bambino saettarono verso la porta per poi tornare al coltello.
“Andiamo…” il suo risolino si era fatto ancora meno convinto mentre
indietreggiava. Ormai aveva quasile spalle al muro. “Non stai mica dicendo sul
serio…”
Davy
si limitò a sollevare un sopracciglio. “Ah, no?”
Il
piccolo Jack si voltò verso Hector, il sorrisetto strafottente definitivamente
incrinato. “Ehi, sta scherzando…vero?”
Svanito
l’atteggiamento arrogante e sornione, sembrava solo un bambino spaurito.
Hector
e Davy si scambiarono un’ occhiata, poi scoppiarono ridere entrambi. Davy tornò
a sedersi sullo sgabello, mettendo via il coltello. “La tentazione di darti una
spuntatina a quella lingua lunga c’era tutta” ammise, ancora sghignazzando “ma
non ho intenzione di mettermi nei guai per un piccoletto con più lingua che
cervello.”
“Oh…”
Jack battè le palpebre, poi la sua espressione si fece nuovamente spavalda.
“Tanto lo sapevo!”
“Sì,
come no!” lo prese in giro Hector “è una mia impressione o te la stavi facendo
sotto?”
“Non
me la sto facendo sotto!” protestò il bambino.
“Ma
certo. Ed io sono il figlio segreto della Regina.”
“Ringrazia
il cielo che non lo sei, giovanotto” disse una voce alle loro spalle
“altrimenti ti avrei già rapito per chiedere il riscatto.”
“Uh?”
I
ragazzi si voltarono: un pirata sulla quarantina, coi capelli neri e la faccia
butterata era appena entrato nella locanda. Gli occhi neri dell’uomo si
spostarono sul bambino. “Jack, quante volte ti ho detto di non infastidire le
persone? Prima o poi qualcuno perderà la pazienza e ti taglierà la gola. Vedrai
se non ho ragione.”
Il
bambino gli rivolse un sorriso accattivante. Hector doveva ammettere che gli
riuscivano parecchio bene.
“Ma,
papà…” cominciò con voce lamentosa.
“Niente
ma, giovanotto. Fila da tua madre.”
Jack
obbedì, ma prima di uscire non perse l’occasione di fare una linguaccia in direzione
di Davy. Il ragazzo sbuffò: non aveva mai incontrato un piccoletto così
irritante in vita sua. Aperava solo di non ritrovarselo mai più tra i piedi.
“E’
lei il Capitano Sparrow?” domandò Hector, guardando l’uomo che era appena
entrato.
“Esattamente”
disse l’uomo “e voi venite da parte di del Capitano Garrett, dico bene?”
“Esatto”
Davy gli tese la lettera “ci ha detto di consegnarvi questa. Se avete una
risposta, dovete consegnarla a noi.”
L’uomo
annuì, poi concentrò la propria attenzione sulla lettera. La lesse un paio di
volte, poi annuì e se la mise in tasca. “Molto bene. Potete riferire al vostro
Capitano che ci sarò.”
“Benissimo.”
“Oh,
a proposito…” la voce di Grant Sparrow li blocco mentre erano in procinto di
uscire.
“Cosa?”
L’uomo
li guardò con aria divertita. “Mio figlio vi ha fatto il giochetto del
coltello, vero?”
Davy
fece una smorfia. “Già.”
Grant Sparrow scoppiò a ridere, scrollando il capo.
“Allocchi…” commentò, sparendo nel retrobottega.
Quella
sera, per la prima volta da quando aveva cominciato a solcare i mari,
Spezzamarinai concesse ai suoi uomini una serata di franchigia.
“Ci
stiamo per imbarcare per un lungo viaggio” aveva detto prima di recarsi
all’incontro con Grant Sparrow, lasciando solo il Nostromo a guardia del Blue
Dragon “e non so quando faremo ancora porto. Perciò vedete di divertirvi finchè
potete, cani.”
Ovviamente,
la ciurma non si era fatta pregare.
“Hector?”
chiamò Davy, cercando di scrollare il ragazzo mezzo addormentato sul tavolo
della taverna.
“Hm…”
Hector mugugnò qualcosa senza nemmeno aprire gli occhi. Reggeva bene l’alcool –
meglio di molti uomini adulti che conosceva – ma alla quarta bottiglia di rum
aveva iniziato a dare segni di cedimento…e alla sesta era in uno stato che Davy
non avrebbe esitato a definire comatoso.
“Ehi,
Hector, vedi di darti una svegliata” sbuffò Davy “hai sentito Spezzamarinai,
doppiamo essere di nuovo a bordo tra mezz’ora. E no, non ho nessuna intenzione
di portarti sulle spalle.”
Hector
si degnò finalmente di aprire un occhio. “Ah, no?” biascicò.
Davy scosse decisamente il capo. “No, non lo farò”
scandì, il suo tono reso ancora più incisivo dal suo strano accento che lo
portava a marcare le doppie e gli accenti “nella maniera più assoluta.”
“Aspetta,
cerca di appoggiarti alla spalla destra…alla DESTRA, Hector! Quella è la
sinistra…e non ti azzardare a cadere di nuovo!” latrò Davy, cercando di sorreggerlo
in qualche modo “dannazione, vuoi almeno tentare
di reggerti in piedi? Non sei esattamente una piuma, sai!”
Hector
si limitò a sghignazzare per un qualche motivo tutto suo. “Sono sbronzo come
una tegola, eh?”
“Direi”
bofonchiò Davy “avanti, ci siamo quasi, ecco il molo.”
Hector
si divincolò dalla sua presa. “Lasciami andare, ce la faccio da solo qui…”
Davy
sollevò un sopracciglio. “Se permetti, avrei qualche riserva in proposito…”
“Ce
la faccio” insistette Hector “davvero.”
“No
che non ce la fai.”
“Scommetti?”
biascicò l’altro, liberandosi finalmente dalla sua presa. Mosse qualche passo,
incespicando leggermente, ma rimase in piedi “visto?”
Si
avviò lungo il pontile, traballando. Davy sospirò, alzando gli occhi al cielo.
“Hector?”
“Cosa?”
“Stai
salendo sulla nave sbagliata. Il Blue Dragon è più avanti.”