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di polutropaul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Home ***
Capitolo 2: *** Holmes' rule ***
Capitolo 3: *** White ***
Capitolo 4: *** Don't leave me again. ***



Capitolo 1
*** Home ***


Appoggiai il bastone e mi guardai intorno.
Holmes era in bilico sulla cascata, Moriarty davanti a lui, stretto; pochi centimetri: una scivolata e sarebbero precipitati entrambi.
Lottavano, si erano evidentemente fermati al mio arrivo.
Holmes mi guardò con le lacrime agli occhi, non riuscivo a capire se per il dolore o per che cos'altro. E d'altronde, come avrei potuto? Non ero mai riuscito a capirci nulla di lui, c'era sempre quel muro davanti ai suoi occhi, ai suoi pensieri, che lo rendeva così freddo e indifferente da chiedersi, spesso, se avesse effettivamente un cuore o una macchina al suo posto.
Mosse le labbra come per mormorarmi un addio; un addio che non mi aspettavo, o che forse non volevo aspettarmi. Lui che aveva sconfitto i più grandi criminali di tutto il Regno Unito, di tutta l'Europa, forse ... Lui era lì, abbracciato al suo più grande nemico sopra chissà quanti metri di vuoto, tentando in pochi secondi di trovare un'inutile via d'uscita. 
Quello che fece dopo, non riesco, o forse non voglio ricordarlo.
Corsi lì dove pochi istanti prima c'era Lui, Sherlock Holmes, il più grande investigatore della storia dell'Inghilterra, il mio maestro, il mio inquilino, il mio più grande amico. 
Ma ora non c'era più; rimanevano le sue impronte nel muschio umido, quell'odore di tabacco che lo caratterizzava, il suo cappello. Ma lui, lui non era più lì.
"Holmes" bisbigliai, sperando quasi di sentire la sua voce ironica alle mie spalle, un "Attento o potrebbe cadere" che non avrei mai sentito. Mai più, almeno.
Quella maledetta cascata.
Mi inginocchiai e mi misi a piangere come un bambino a cui è stato tolto il suo giocattolo preferito. Perchè a me potevano togliere di tutto, il lavoro, la casa ... ma non lui.
Non Holmes

I miei incubi furono fermati da una mano tremante sulla mia spalla. Non servì ad un gran che, però, quel risveglio improvviso: mi bastò aprire gli occhi per vedere dove mi trovavo.
Allora era davvero morto. Inevitabilmente iniziai a piangere, era l'unica cosa che riuscivo a fare in quel momento.
"Non vorrebbe vederla piangere." mi bisbigliò quel qualcuno all'orecchio. 
"E io non vorrei essere qui, o almeno non per lui."
Mi guardai intorno, neanche Mary era lì. Se n'era andata. Anche lei.
Mi avevano lasciato tutti. Le uniche due persone che importavano qualcosa per me se n'erano andate.
"Siamo qui riuniti per l'ultimo saluto al nostro carissimo amico Sherlock Holmes" Un brivido di orrore mi scosse: sapevo che non c'era, che non ci sarebbe più stato ma non volevo ammetterlo, e quelle parole tolsero l'ultimo barlume di speranza rimasto in me. Se la speranza era l'ultima a morire, era sepolta nella bara al posto del suo vero proprietario che, ironia della sorte, era sepolto sotto alle acque torride delle cascate del Reichenbach col suo peggior nemico.
No. Non ce la potevo fare. Mi alzai e, con il viso rigato di lacrime, uscii di corsa dalla chiesa facendomi strada tra la Londra in lutto che la affollava.
 
Ma l'odio che mi provocò quello che vidi appena uscito non l'avevo mai provato in tutta la mia vita. 
Moran, il braccio destro di Moriarty era lì, appoggiato alla facciata della chiesa col cappello sugli occhi. 
Come se non fosse successo niente, come se tutta quella gente fosse lì per niente. Lui non era per niente in lutto, lui da quella morte, da quelle morti, aveva perso e guadagnato allo stesso modo.
Istintivamente caricai la pistola; non sapevo perchè, un omicidio era l'ultima cosa che avrei voluto ora, ma il suo ... forse il suo no.
Mi parai davanti a lui, la pistola parata sul suo petto, la mano tremante e le lacrime agli occhi.
"Watson, carissimo!" Mi poggiò una mano sulla spalla sfoggiando un sorriso che a prima vista poteva sembrare quello di un perfetto gentiluomo; guardandolo meglio però si poteva cogliere quella malvagità, quell'odio represso che lo aveva portato ad essere quello che era ora. "E quelle lacrime? Ha fatto solo il suo dovere, lo sappiamo entrambi."
Era troppo. Gli tirai un pugno quasi involontariamente, senza accorgermi del male che, oltre a lui, stavo facendo a me stesso. In fondo quello era niente rispetto a tutto il resto.
"Fatti vedere ancora una volta qui e giuro, rivedrai presto quel bastardo del tuo caro amico." balbettai.
"In questo caso, dottore, stia certo che se lui ha fatto il suo mestiere, io non mi farò problemi a fare lo stesso. Con lei"
"L'aveva promesso anche il suo amico, mio caro, eppure guardi, sono qui!" Dissi puntandogli ora la pistola sulla fronte "E comunque non mi preoccuperei tanto di quanto ha da dire sulla mia fine, ma piuttosto sulla sua."
Con una mano sul naso sanguinante si mise a ridere nervosamente, di una risata che incuteva terrore, e, scaraventando a terra l'arma se ne andò.
I miei istinti omicidi erano al culmine; ripresi da terra la rivoltella e presi la mira per sparargli; dove non mi importava, volevo solo soffrisse come soffrivo io in quel momento. 
"Watson, lei ha totalmente perso il lume della ragione. Intende davvero rovinarsi la vita per quel verme? E' quello che avrebbe voluto Moriarty." Mycroft arrivò da dietro le mie spalle strappandomi dalle mani la pistola e abbracciandomi, accogliendo quello sfogo che trattenevo da tanto.
"Perchè, mi scusi, non pensa sia già abbastanza rovinata ora?" gli urlai tra un singhiozzo e l'altro "Non pensa che sarebbe uguale rovinarsi la via qui o in prigione?"
"No, Watson, non lo penso." mi rispose calmo, come una mamma che cerca di tranquillizzare il suo bambino dopo un brutto colpo "Se non lo uccide, verrà comunque preso per gli innumerevoli altri crimini che ha commesso, ma se lo facesse, invece, passerebbe lei per il criminale."
"Preferirei rovinare entrambi che vederlo girare felice per Londra e non avere le prove di incriminarlo in nessun modo."
"Sta diventando peggio di mio fratello, dannazione." Quell'ultima parola mi fece capire che non era poi così calmo come mi voleva far credere.
"Già, ed è l'unico modo che ho per ricordarmi di lui". 
Gli strappai dalle mani la pistola e mi avviai verso quell'appartamento che, ancora una volta, mi avrebbe fatto pensare a lui.

POV  Signora Hudson
Quei muri che per così tanti anni avevano ascoltato le pene di tanti cittadini, dal più povero operaio ai componenti di varie famiglie reali, quelle pareti che avevano assistito alla risoluzione di casi a detta di tutti impossibili, quei mobili che avevano accolto per tanto tempo le due persone, a modo loro, più straordinarie che io avessi mai conosciuto, quelle stanze sembravano ora sprigionare tutta la tristezza e la solitudine che avevano accumulato nella loro esistenza, quasi volessero partecipare al lutto opprimente che era parte integrante da più di sei mesi del carattere del, ora, unico inquilino che ospitavano.
L'unico modo in cui quest'ultimo pareva stare bene, qui, era quello di farsi del male. 
Il dottor Watson, l'unico che riusciva a far ragionare Sherlock Holmes, non mangiava, non dormiva.
Passava i suoi (eterni) giorni sdraiato in mezzo al suo soggiorno a pensare ai giorni passati col suo amico e compagno Sherlock, del quale, a quanto pare, non poteva fare a meno.
Beveva, beveva tantissimo, aveva finito tutte le scorte della casa di alcool di qualsiasi genere. Ma la cosa peggiore era quello che sarebbe arrivato dopo.
Un giorno entrai nel soggiorno per portare uno dei tanti telegrammi che riceveva e ai quali, puntualmente, non rispondeva, e lo trovai mentre frugava in un astuccio di pelle con una foga spaventosa. Lo bloccai appena vidi cosa conteneva. Era cocaina, droga, la stessa che Holmes usava nei suoi momenti di "noia" e l'ultima che pendavo di poter trovare in mano al dottore. Non si era nemmeno accorto della mia presenza, pover uomo, talmente era disfatto.
Riuscii a nasconderla nei miei alloggi, dove ero sicura non potesse cercare, ma al momento non pensai al fatto che era medico e che quindi se non la cocaina, la morfina o altre droghe sarebbe riuscito da solo a procurarsene. Ma me ne ricordai solo quando ne arrivò un pacco pieno destinato a lui stesso.
Non potevo vederlo così, dovevo fare qualcosa, si stava letteralmente consumando. La persona più buona del mondo, la mia salvezza quando si trattava di Holmes, la persona più sobria e ragionevole che conoscessi, dopo la morte del suo coinquilino era diventato una specie di mostro. 
Non riuscivo a gestire la situazione, in fondo era più forte e più giovane di me e, in quella situazione, decisamente pericoloso.
Mandai un telegramma all'unica persona che gli stava effettivamente vicina, Mycroft Holmes, spiegandogli la situazione, sperando che avesse più senno del fratello e che riuscisse ad aiutare John.
Fortunatamente le mie previsioni si rivelarono giuste e entro poche ore la sua figura imponente bussò alla mia porta.
Ci precipitammo nella sala, ma la situazione era decisamente precipitata. Dalla mattina stessa aveva finito due bottiglie di whisky e, con orrore, notai che il pacco di morfina che aveva ricevuto per "scopi medici" era dimezzato.
Lo trovammo privo di sensi, tramortito. Poche ore in quelle condizioni e, non ci voleva un medico per capirlo, non avremmo più potuto salvarlo. 
Mycroft si precipitò su di lui, per quanto il suo corpo glielo consentiva, e fece di tutto per rianimarlo. Il battico cardiaco era agli sgoccioli.
"Watson, si svegli! Dottor Watson!" iniziò a tirargli dei buffetti che poi si trasformarono in schiaffi. "Parli, per l'amor di Dio, almeno parli ..."
Finalmente socchiuse gli occhi, bisbigliando un "andate via" e cercando di nuovo la bottiglia o la siringa ipodermica. Era totalmente fatto. 
"John Watson, se si azzarda a bere una goccia d'alcool o a toccare quella dannata siringa, giuro che la ammazzo"
"Allora mi dia l'intera bottiglia" sbuffò e girò la testa verso la finestra, tastando il tappeto sperando di trovare qualcosa, qualsiasi cosa che potesse tirarlo su di morale. Ma tutto quello che poteva essere in qualche modo pericoloso per la sua già instabile salute era stato accuratamente nascosto.
"Non dica baggianate e si alzi." tuonò l'altro più preoccupato che altro. Lo prese per le ascelle e lo sollevò di peso, scrollandolo, ma era troppo debole e non riusciva neanche a tenere ritta la testa. 
"Sono uno schifo, mi guardi, non servo a niente." Possibile che tutto quell'odio verso se stesso e quella tristezza durassero da quasi un anno? Possibile, per un semplice amico? Mi si riempì la mente di pensieri che scacciai con disgusto. Aveva avuto una moglie fino all'anno prima, diamine. 
"Lei lo sa meglio di me che potrebbe evitarlo, che tutto quello schifo che vede se lo sta infliggendo da solo."
Mycroft mi pregò di uscire dalla sala, la situazione era ingestibile e aveva bisogno di stare da solo con Watson. Continuai comunque ad origliare e a guardare all'interno della sala attraverso il buco della serratura. Ma forse avrei fatto meglio ad andare via, e di corsa anche.
"Watson, lei ha tanti amici, tanta gente che le vuole bene, un lavoro stabile. Perchè deve rovinarsi la vita in questo modo?"
"L'unico amico di cui mi importava l'ho perso. L'unico che mi voleva bene non è qui. Del lavoro non mi importa niente. Di lei, della Signora, di Moran e di tutti quei dannati uomini felici qui fuori non mi importa niente. Non mi sto rovinando la vita, essendo che è già finita."
"Sta sbagliando di grosso. Io ho perso un fratello sa? Meno di un anno fa, circa quando lei ha perso quel suo amico. Il lutto c'è stato anche per me, mi creda, ma ho pensato che non era giusto continuare così."
"Lei ... lei non capisce." balbettò con le lacrime agli occhi. Se solo avesse potuto dirgli chiaramente cosa pensava ...
"Cosa non capisco, l'amore?" lo guardò in faccia, quella faccia che ora appariva stupita e spaventata. "Perchè è evidente, John."
Sienzio. Quel silenzio cupo e colmo di imbarazzo nel quale il primo pensiero è quasi sempre quello di scappare lontano, il più lontano possibile da quella conversazione.
Fu Watson però, questa volta, ad interromperlo. "Tanto lui non c'è, qui."
"E se ci fosse? E se ci stessimo sbagliando tutti e lui non fosse caduto da nessuna parte? Il corpo non è stato trovato, giusto?"
"L'ho visto con i miei occhi, Mycroft!" Sbraitò Watson, totalmente impreparato e stupito da quella domanda. "E poi se fosse vivo sarebbe venuto a prendermi, lo so."
"E se invece ci avesse ingannati tutti in qualche modo?" disse calmo Mycroft "Lo conosce forse meglio di me, mio caro, sa com'è fatto e di cosa è capace."
"Sa cosa c'è qui? Che lei sta delirando più di me. Arrivederci, Mycroft, non ho bisogno di riavere la speranza, o illusione, la chiami come vuole, tanto oramai è la stessa cosa."
Ma Mycroft non si muoveva. Insistette sulle probabilità che suo fratello non fosse morto e sinceramente mi sembrava solamente una cosa crudele illudere così il già disastrato dottore. Ma in ogni caso questi non gli dava ascolto, continuando a salutarlo come se fosse in procinto di andarsene.
E così fece, alla fine, esasperato.
Dopo ciò tornò tutto alla solita, noiosa routine, fatta di noia, alcool e siringhe ipodermiche.
 
POV Watson
 
Mi odiavo.
Odiavo le siringhe, l'alcool, la droga.
Eppure erano le uniche cose di cui non potevo fare a meno.
Era destino forse che tutti quelli con cui avevo a che fare, compreso me stesso, dovessero fare quella fine? Mio fratello era morto per l'alcool, Holmes aveva rischiato di finire all'altro mondo più di una volta per la droga. E io? Che stupido, io, pensavo di poter curare la gente quando il primo da curare ero io stesso.
Per quanto sarei potuto sopravvivere a quella dieta? Non potevo continuare a vivere così. 
No, il concetto era un altro, non potevo continuare a vivere.
Si, era chiaro, ero l'unico cretino in quella situazione, per fino Mycroft, suo fratello, ne era uscito.
Avevo sbagliato a non dire a Sherlock quello che davvero pensavo di lui, e ora che ragione c'era di continuare a pensarci?
Quella lontananza da lui, il fatto di non essersi mai davvero confidato con lui, i suoi sentimenti ... e quel parlare con lui anche adesso, come se fosse lì, e quel continuare a ripetere episodi accaduti in sua presenza mi portava solo ad un ulteriore stato di degrado. Di cui non avevo bisogno.
E quell'odio, quello schifo che provavo per me stesso si stava allargando al resto del mondo, compreso a lui, la persona che, invece, amavo di più. 
Chissà se ancora poteva sentirlo, chissà se quelle frasi puramente di circostanza tipo "Sarà comunque sempre tra noi" o "E' comunque vicino" usate per consolare i bambini erano effettivamente una cosa vera.
Lui che riusciva a leggere i pensieri della gente, lui che riusciva in pochi secondi a vedere la vita di colui che si trovava davanti, lui ... non credevo non potesse sentirmi ora.
"Perchè tu mi senti, vero? Eh? Prova a leggere ORA i miei pensieri. A cosa sto pensando, detective? A cosa penso da un anno? Penso ... penso solo a te che ... non ci sei." Le ultime parole non le sentii neanche io tra i singhiozzi, tra le poche lacrime che ancora mi restavano; quelle lacrime che sapevano di Rum e morfina ... avevo finito anche quelle. 
"Mi manchi, Holmes." Fu l'ultima cosa che riuscii a pronunciare.
Guardandomi in giro, sdraiato per terra in quel salotto deprimente senza di lui, trovai quella pistola che avevo usato per tutti quegli anni.
Cosa potevo farmene ora che non c'era più? Era l'unico modo per raggiungerlo? Forse si.
Mi alzai e mi avvicinai alla scrivania, barcollando come un ubriaco, e forse a dirla tutta lo ero davvero, e la presi.
Passai una buona mezz'ora ad osservarla, con le lacrime che scorrevano oramai involontariamente sul mio viso, pensando a tutte le volte in cui avevo usato.
Dal primo caso. 
"Ho un amico a cui serve un inquilino, John. E' un po' strano, ma è simpatico a modo suo. E poi l'appartamento è il più conveniente che tu possa trovare, qui. Lui è Sherlock Holmes"
La prima volta in cui lo sentii nominare.
Quel ragazzetto, quello scenziato pazzo che avevo visto quel giorno era davvero stato con me per tutti quegli anni? E dopo tutto quel tempo non ero ancora riuscito a capire quello che pensava, i suoi sentimenti mentre lui pochi istanti dopo avermi visto, con un solo sguardo, era riuscito a scriversi in testa il mio profilo psicologico e la sua storia. Era possibile tutto ciò? Aveva allora capito che lo amavo, lo amavo con tutto il cuore? E lui? Lui cosa pensava?
Ma, tutto sommato, perchè continuare a farsi domande quando poteva chiederglielo di persona? Forse ero impazzito, totalmente impazzito, ma la sua faccia che continuava a riapparire, quei suoi occhi così profondi ... avrei potuto perdermi in quegli occhi ... No, dovevo raggiungerlo. Ovunque egli fosse.
Un solo colpo, non ricordo dove, la mano tremava troppo.
Di quello che successe dopo, ho solo vaghi ricordi.
 
Non so quando riuscirò a pubblicare il secondo capitolo, prevedo del tempo di sequestro per colpa delle troppe ore passate davanti al computer in questi giorni ...
Beh, detto questo ... buona lettura e grazie ancora :)
-Gi

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Capitolo 2
*** Holmes' rule ***


POV Signora Hudson 
 
Stavo lavorando a maglia, come ogni pomeriggio, nel mio salotto. 
I camini di Baker Street rosseggiavano infuocati dal pallido sole che oramai si stava ritirando, lasciando spazio a quello spesso buio che copriva ogni notte Londra.
Dalle stanze sopra non arrivava neanche il rumore dei passi, come di consuetudine. Quel silenzio tombale era all'ordine del giorno.
E poi quel colpo. No, che anche il dottore iniziasse a sparare ai muri, adesso, era inconcepibile. Mi aspettavo di sentire altri spari che però, tardavano ad arrivare.
Un colpo solo cosa poteva significare? Brividi.
Capii immediatamente cos'era successo, non poteva che essere quello.
Corsi nella sua stanza e quasi svenni. La sua camicia era completamente rossa e lui tossiva convulsamente. Dio mio, almeno era vivo.
E per fortuna pochi istanti dopo venni raggiunta da Mycroft che, ogni giorno, veniva a controllare la situazione del dottore, altrimenti Dio sa cosa sarebbe successo.
Pochi minuti ed erano già partiti in carrozza verso il Charing Cross Hospital, ma io dovevo continuare a respirare quell'aria colma di depressione. 
Non potevo far altro che pregare che non succedesse niente.
 

POV Mycroft

Stupido.
Ero solo uno stupido.
Perchè acconsentire una tragedia del genere? Perchè sottomettermi agli ordini di un pazzo che era chissà dove a Londra a risolvere casi mentre il suo più fedele compagno, il suo migliore amico era a deprimersi per la sua morte? Era inconcepibile che facessi tutto ciò solo per il bene che provavo verso mio fratello.
E Watson, poi? Non poteva morire per la morte di Sherlock, se Sherlock non era morto. Era un controsenso.
Gli tenevo il polso per controllare i rari ed irregolari battiti, che diminuirono precipitosamente fino a smettere del tutto.
"No, no, Watson, mi stia a sentire, deve restistere ancora per poco" mi voltai verso il conducente "Cocchiere, si sbrighi!" Tornai a guardare quel volto pallido e stanco "Watson, bastardo, apra quei maledetti occhi." Non doveva finire così, proprio ora.
Gli slacciai la camicia e iniziai a tirargli pugni sul petto, sempre più forte, fino a che non iniziò a tossire. Perdeva troppo sangue, in queste condizioni non avrebbe passato nemmeno la notte. 
Una volta in ospedale venne trasportato d'urgenza in sala operatoria, ma non mi rassicurarono nella riuscita. Il proiettile non aveva toccato organi vitali ma c'era il rischio di una morte per l'emoragia, che non si decideva a finire.
Doveva saperlo, lui, la causa di tutto, doveva capire che, per una volta, aveva sbagliato. Presi un calesse e mi diressi verso il primo ufficio telegrafico che trovai.
"Ti devo parlare, è urgente. Raggiungimi a Baker Street.
Mycroft.
"
Era ora di smetterla con tutta questa messa in scena. 
Tornai in ospedale e rimasi lì per un'ora, sperando che l'operazione finisse in tempo e che mio fratello avesse ricevuto il telegramma.
Appena trasportarono il dottore nella sua camera, tornai a casa.
Salii nelle stanze del dottore per pulire prima che Sherlock arrivasse, ma lo trovai inginocchiato davanti alle chiazze di sangue sul pavimento.
"Dov'è?" Si girò di scatto, con le lacrime agli occhi e mi ringhiò quella frase come se la colpa fosse mia.
"E' vivo." 
"Dov'è!"
"Charing Cross Hospital." poi vedendo le lacrime che cadevano sulle ginocchia dal suo naso, gli dissi "Non l'avevi messo in conto vero?"
"Come avrei potuto? Era un soldato, Mycroft, aveva visto morire tanta gente, non mi sarei aspettato che per - e qui si soffermò per alcuni secondi - per me ..." 
"Evidentemente non hai ancora capito che si è suicidato per la tua lontananza, Sherlock. Se tu l'avessi avvertito subito adesso ..."
"Avremmo entrambi una pallottola in testa!" Mi prese per il colletto della camicia; era pallidissimo, quella notizia l’aveva sconvolto.
"L'unico che ci ha guadagnato qualcosa quindi sei tu, a quanto pare. Perchè la pallottola in corpo lui ce l'ha comunque." Parlare con lui era come non farlo. "Smettila di giocare a fare Dio, fratellino, la situazione peggiora a vista d'occhio."
Mi guardò con uno sguardo agghiacciante, sudava freddo. "Se muore, io ..."
"Se lo ami quanto dici, corri da lui e stagli vicino." sapevo quello che provava, non mi importava se fosse contro la legge. La legge degli Holmes l'avevano sempre dettata gli Holmes, cambiare adesso non avrebbe avuto senso, soprattutto in questa occasione.
"Ma Moran…" tentennò, “Qui nessuno sa che non sono morto. Non è facile presentarsi all’ospedale come un fantasma, Mycroft.” ma non era quello il motivo, era evidente. Non sapeva come reagire. Per la prima volta il grande detective, l'uomo di ghiaccio che il mondo conosceva si era sciolto, per la prima volta aveva capito cos'erano i sentimenti. Ma non sapeva come usarli. E questa volta non avevo intenzione di aiutarlo, l'avevo nascosto fin troppo.
"Sei conosciuto per il tuo grande cervello, perché per una volta non dimostri di avere anche un grande cuore? Vai da John." gli ripetei. "Sei talmente orgoglioso da amare più te stesso che lui, dopotutto?"
Capii che non aveva scelta e si richiuse in camera, per far comparire pochi istanti dopo una fragile vecchietta che sta andando a trovare un parente.
Mi sussurrò un “grazie”, il primo che avessi mai sentito uscire dalla sua bocca.
Quel cambiamento che aspettavo da così tanto in lui, finalmente, ci era voluto un tentato suicidio, ma era arrivato. Il suo VERO cuore aveva iniziato, dopo tanti anni, a battere.
Ero orgoglioso di lui, del vero Sherlock che dopo tanto tempo era riuscito a svegliarsi da quel lungo letargo, andando in contro al pericolo solo per stare con la persona che amava.
 
 

n.d.a Beh, ecco finito anche il secondo capitolo. 
Ringrazio tantissimo carelesslove che, nonostante tutto, continua ad aiutarmi e a tutti quelli che, silenziosamente o meno, stanno seguendo questa fanfiction.
Spero sia di vostro gradimento ... Alla prossima!

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Capitolo 3
*** White ***


POV Watson
 
Bianco.
Era tutto così piatto, così dannatamente bianco; lenzuoli bianchi, pareti bianche, tende bianche, sedie bianche. Perfino la camicia dell'ospedale era bianca. 
Cercai di mettermi seduto ma una fitta lancinante allo stomaco mi colpì e fui costretto a sdraiarmi, con uno sbuffo. Mi ero appena svegliato - e chissà da quanto ero in coma - e già ero stufo di questo stare lì. 
L'orologio segnava le nove e dieci di mattina, ovvero l'inizio di un'altra noiosa, monotona giornata, con l'aggiunta di una ferita da pallottola in fianco. Quante prospettive!
Un'altra fitta mi costrinse a deviare i miei già tristi pensieri in altri ancora più deprimenti, a domandarmi per l’ennesima volta il perché del mio “soggiorno” in quel posto infernale, segno che comunque l'altra ferita non si era chiusa, nonostante l'intervento, e che non sarebbe guarita. Mai. 
E anche i miei fantasmi, gli unici mi erano stati seriamente  "vicini" durante quei mesi di angosciosa depressione ora tornavano a tormentarmi. 
Mi sentivo un bambino, così piccolo e impotente rispetto alla grandezza del resto del mondo intorno a me, e l'unica persona che avrebbe potuto calmarmi non era lì, bensì nel distante cimitero, in una tomba. O meglio, la lapide era lì. Lui, chissà.
Due occhi scuri mi fissavano, due occhi spaventati e allo stesso tempo freddi, gelidi, così profondi che avrei potuto navigarci dentro, e forse fu quello che feci lasciandomi trascinare nelle braccia di Morfeo ancora un po'. Il mondo non se ne andava, ma quegli occhi, i suoi occhi, quelli si, non sarebbero rimasti a lungo.
Ricordo solo che sognai; lo stesso sogno che facevo ogni volta che, prima di dormire, pensavo a lui. Il sogno che facevo ogni notte.
Eravamo seduti nelle nostre poltrone, uno davanti all'altro, in una noiosa giornata di pioggia di mezza estate. Pochi giorni dopo mi sarei sposato.
Stavo meditando su un articolo del Times su un delitto che, seppi poi, avrebbe distolto dalla "noia" per qualche giorno il mio amico subito dopo la mia partenza.
Una fitta alla gamba mi fece distogliere lo sguardo dal giornale e, con la coda dell'occhio, intravidi Holmes che mi fissava. 
"Watson" disse abbassando lo sguardo, accortosi del mio imbarazzo.
"Sì?"
"E' sicuro?" La sua voce, che avrebbe lasciato trasparire alcuna emozione per una qualsiasi altra persona, a me sembrava nascondere malinconia, un inizio di tristezza, anche se celata.
"Di cosa parla, Holmes?"
"Sa di cosa parlo." 
"Mi dispiace Holmes, l'astuzia ce l'ha lei."
"Il matrimonio, Watson, ne è sicuro?" 
"Ne abbiamo già parlato. Le sembro capace di cedere alle avances della prima donna che mi capiti davanti? Sa bene quanto ami Mary."
"In questo caso, non so cosa dirle." Disse alzandosi dalla poltrona e si fermò davanti a me per un tempo che mi sembrò interminabile, fissandomi negli occhi, prima di chiudersi in camera sua. 
Non parlammo più dell'argomento, anzi, non parlammo più fino al giorno in cui lo trovai davanti alla cabina del treno, vestito da donna. 
Cosa voleva dire con quel discorso? Non l'avrei mai saputo. 
E poi quella sera, alle cascate. Quello sguardo implorante, impotente; proprio lui, impotente. Quella lacrima che feci a malapena in tempo a scorgere prima che si lanciasse nel vuoto.
Quella lacrima che si sarebbe poco dopo confusa con tutte quelle che portava dietro di se 
incurante la cascata, che non sapeva il dolore che avrebbe causato. 

Credo urlai perchè, al mio risveglio, trovai la signora Hudson che mi stringeva le mani inginocchiata di fianco a me. 
Ancora quelle pareti bianche, se non per due o tre macchie di muffa vicino alla finestra, dovute all'umidità. Sbuffai. 
"Buongiorno dottore. Ha fatto un brutto sogno?" Mi accorsi di avere la fronte imperlata di sudore e le coperte più per terra che altro.
"Si nota così tanto?"
"E' tutto finito, in ogni caso. Eravamo semplicemente preoccupate per il suo improvviso risveglio."
Eravamo? Chi era quella signora seduta per terra con le ginocchia al petto dalla parte opposta della stanza?
"Ah, dottore, sua sorella."
Sorella? Io non avevo una sorella.
Non feci in tempo a ribattere che la mia presunta parente aveva già iniziato "Signora Hudson, se permette rimarrei io con mio fratello" mi parve di sentire una forzatura su quell'ultima parola "lei intanto può tornare pure a casa."
"Watson, stava quasi per far saltare la mia copertura." disse quando sentì i passi della povera signora allontanarsi e, vedendo la mia espressione confusa continuò "Ora innanzitutto mi spieghi cosa le è saltato in mente." 
Quando si tolse il prezioso cappello che aveva addosso - forse prestato dalla Donna - penso svenni, perchè ricordo solo il sapore dolciastro del rhum (aveva portato del rhum?) sulle labbra.
"Holmes lei ..." riuscii a balbettare
"No, Watson, sono qui" 
Gli tirai un pugno, o forse di più, so solo che la tentazione era dannatamente forte e lui era altrettanto dannatamente vicino. 
"Dov'è stato tutto questo tempo?" urlai iniziando a capire cos'era successo "Dov'è stato in tutti questi mesi? Che cretino che sono stato, un emerito stupido, come ho potuto pensare che lei, la persona più orgogliosa al mondo potesse aver compiuto un gesto del genere? E mi dica, detective, quante altre persone ha ingannato? Quante persone ha frodato continuando a vivere nascondendosi dietro al dolore degli altri? E mi dica, poi, mi spieghi il perchè, perchè proprio io non lo riesco a trovare." Iniziai a sentire gli sforzi che stavo facendo, non avrei dovuto arrabbiarmi così, ma non volevo, non potevo smettere. "Per quanto tempo pensava ancora di nascondermi la verità? Si prenda tutto il tempo che vuole, come vede non ho molto da fare. Anzi, non si sforzi, continui pure con la sua vita senza di me, Holmes, ma se ne vada, fuori di qui. Ora."
"Non urli, John, ci potrebbero sentire."
"Ed è quello che voglio ottenere, Holmes, Sherlock Holmes, voglio che tutti vedano quanto è falso!" Mi tappò la bocca con una mano, e per un attimo i suoi occhi incontrarono i miei, prima di tirargli un altro pugno e nascondermi il viso con la mano dolorante.
Perfino tirargli pugni faceva male. 
 

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Capitolo 4
*** Don't leave me again. ***


POV Holmes


"Non urli, John, ci potrebbero sentire."

"Ed è quello che voglio ottenere, Holmes, Sherlock Holmes, voglio che tutti vedano quanto è falso!"
Tutti gli sguardi fuori dalla porta socchiusa su di noi. Una mano sulla sua bocca, la rabbia nei suoi occhi. 
E poi un pugno, così forte da buttarmi a terra, prima che l'infermiera incredula mi spingesse fuori dalla stanza borbottando delle scuse per poi tornare dentro e chiudermi fuori. 
Mi sentivo un mostro. Ero lì, immobile, fuori da una stanza di un ospedale, gli occhi persi nel vuoto, il naso sanguinante, mentre dentro a quella porta il mio migliore amico si stava sorbendo chissà quale sfuriata da una dottoressa che, probabilmente, l'aveva preso per un pazzo. Ma qui l'unico pazzo ero io che dopo così tanto tempo avevo deciso di ripresentarmi davanti a chi, per me, per la mia lontananza, aveva preferito la morte. 
E non ero così intelligente come avevo sempre pensato se mi aspettavo una diversa reazione.
Mi sedetti in una panchina sporca dall'altra parte del corridoio e aspettai, la testa fra le mani, che l'infermiera mi portasse sue notizie. 

Mi ero quasi addormentato quando finalmente sentii una voce calma che mi chiamava.
"Sherlock Holmes?" mi prese le mani dagli occhi arrossati e la riconobbi come l'infermiera che mi aveva trascinato via da John poche ore prima; ora mi sorrideva. "Signore, il suo amico mi ha raccontato tutto, ma non si preoccupi. Se vuole tornare da lui, l'aspetta." 
Ma io avevo deciso di uscire dalla sua vita: avevo sbagliato a sparire quanto a tornare, non meritava di avermi vicino. 
L'avrei salutato un'ultima volta, solo per dirgli grazie e per fissarmi nella mente, ancora, i suoi occhi.
Poi me ne sarei andato.
Con la differenza che questa volta non avevo intenzione di tornare.
Avrei preso un treno e sarei partito per l'Italia o per la Francia, poco importava, dovevo andare via, lontano il più possibile da lui, Mycroft, Lestrade e la Signora Hudson.
No, meglio, mi sarei presentato da Moran e avrei saldato i conti; mi avrebbe ucciso perchè non avrei avuto la forza di ribattere. 
Ma almeno non avrei causato altri problemi.
Tanto io ero già morto, per tutti..
"Smettila di giocare a fare Dio, fratellino" 
Aveva ragione: solo Dio resuscita.
E io non sono Dio.


Mi avvicinai al bordo del suo letto. Dormiva.
Le occhiaie marcate sotto i suoi occhi si stavano già perdendo e lui stava iniziando a riprendere colore. Aveva una flebo attaccata al braccio e, avvolto com'era in quell'enorme vestaglia, sembrava così piccolo che istintivamente gli presi una mano e appoggiai la mia testa alla sua spalla, come se da un momento all'altro qualcuno potesse portarmelo via. 
Non ora, non di nuovo.
Quando si svegliò tentò di evitarmi, naturalmente, non potevo aspettarmi altro.
"John" iniziai, accarezzandogli un braccio che ritrasse con un brivido. "Non si preoccupi, me ne sto andando. Ho sbagliato ad andarmene e non è giusto tornare così. Volevo solo dirle grazie." Mi alzai e mi misi l'impermeabile, sperando che, almeno, parlasse. 
"Non se ne vada" disse quasi impercettibilmente.  
"Come?" mi girai di scatto, incredulo. Temevo di aver capito male.
"Ho detto non se ne vada. Se n'è andato e ha sbagliato, ma andarsene di nuovo sarebbe uguale. Ora che la so vivo - ed è quello che spero da mesi - non la lascerò andare via"
"Perchè dice questo?". Ero stupito. Mi inginocchiai davanti a lui, per vedere se mentiva, per guardarlo negli occhi e vedere dentro la sua mente, ma era serio.
"Perchè tengo troppo a lei per farlo scappare di nuovo. Se così non fosse, non sarei qui." Iniziò ad accarezzarmi una tempia, piano, quegli oceani che chiamava occhi puntati nei miei, e capii che non volevo stare da nessuna parte se non lì. 
Chiusi gli occhi, temendo che lui potesse sparire, ma quando li riaprii lui era ancora lì e mi sorrideva.
Come non lo vedevo da tanto tempo.
Sorrideva, come non l'avevo mai visto.
Appoggiai la mia testa sul suo cuscino, la mia fronte appoggiata alla sua, il suo respiro nei miei occhi.
E poi le sue labbra, le sentii, calde, morbide, un po' secche, avvicinarsi sempre di più alle mie. E chiusi gli occhi.
Se quello era un sogno, pregai, non doveva finire mai. 



n.d.a - eccomi, di nuovo. Diciamo che non è stato propriamente un bel periodo, quindi perdonate il ritardo. Il capitolo è molto corto, ma non sapevo [e non volevo] allungarlo. Se avete consigli/critiche lasciate una recensione o un messaggio privato, rispondo sempre! Baci Gi

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