Fighting for a dream

di ehidrewsswag
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One ***
Capitolo 2: *** Two ***
Capitolo 3: *** Three ***
Capitolo 4: *** Four ***



Capitolo 1
*** One ***


“Di nuovo!”
Mi rialzai, mi facevano male i fianchi, le mie gambe tremavano dallo sforzo enorme, deglutii e ripresi con tutte le forze che mi rimanevano. Mi piegai in avanti e cercai di buttare tutto il peso verso destra, alzai la gamba sinistra pronta a saltare, fu’ li che mi sbilanciai.
“Kim, ora basta. Si vede che non sei concentrata! Domani vedi di farti venire quel salto, ragazzina, le gare non aspettano te!”
Mi guardai i piedi, mentre Max se ne andò per l’ennesima volta. Ultimamente era tutto più complicato, le gare si facevano sempre più difficili e gli avversari erano sempre più tosti. Dovevo ancora trovare un partner che gareggiasse con me, ma quello era il meno. Max diceva che se io non fossi riuscita a fare tutto alla perfezione, non mi avrebbe mandata a Torino per le finali. Ce la dovevo fare, dopo tutti quegli anni di lavoro non avrei potuto perdere quell’occasione unica. Ci sarebbero stati tutti gli sponsor, il premio era in denaro, e non potevo negare che a mia madre servisse un aiutino economico. Le lezioni le finanziava mio padre, lui però mia madre non l’aiutava, aiutava me economicamente anche se non veniva quasi mai a Stradford. Uscii anch’io dalla pista, mi tolsi i pattini, li infilai nella borsa e mi misi le scarpe. Sentivo il bisogno di sfogarmi, sentivo il bisogno di piangere, ma le lacrime non scendevano. Ultimamente diventavo sempre più simile alla cosa a cui ero più legata: il ghiaccio. Ero diventata fredda, mi isolavo spesso, eppure dentro sentivo il bisogno di esplodere. Arrivai a casa e mi recai in camera per farmi una bella doccia calda e per cambiarmi in qualcosa di comodo. Mentre l’acqua scivolava sul mio viso pensai a quel salto, perché non mi veniva? Mi era sempre venuto tutto, m’innervosiva non riuscire a fare una cosa sapendo di potercela fare benissimo. Pensavo al salto anche per distrarmi, non volevo vedere quante ferite ed ammaccature mi ero procurata oggi. Odiavo come quei lividi mi coprissero le gambe e a volte le braccia. Tutte le mie coetanee d’estate andavano in giro tutte scoperte con i pantaloncini corti, io non ce la facevo, ero sempre in jeans. Mi vergognavo di quelle botte nere e viola, anche se mia madre diceva che ne dovevo andare fiera, che erano trofei di vittorie, io non la capivo. Certo, pattinare mi piaceva molto, quasi vivevo per pattinare, era una parte di me, volevo a tutti i costi vincere quelle finali a Torino, volevo che uno sponsor mi notasse, volevo guadagnarmi da vivere facendo la cosa che più mi piaceva. All’inizio sembrava tutto facile, ma adesso non ero più sicura, non sapevo se ce l’avrei fatta. Me l’ero ripromessa ed avevo paura di fallire miseramente. Non sapevo se questo fosse il mio sogno, ero sicura fosse la mia più grande ambizione, ma ero anche sicura di invidiare molto le ragazze della mia età che vivevano la loro vita con tranquillità: erano popolari e soprattutto erano fidanzate. Mi rendeva triste non avere un ragazzo, mi faceva sentire tremendamente sola. Da piccola ero convinta avrei vissuto la mia favola con un bel principe, era surreale la parte del principe, ma quella di vivere una favola mi sembrava possibile, però credevo che il mio ostacolo fossero i pattini. Se avessi passato più tempo in giro anziché stare al pala ghiaccio, forse avrei potuto vivere la mia favola. Mi vestii e scesi in salotto per vedere un po’ di televisione, mi sedetti sul divano e l’accesi sul canale di mtv, mi piaceva ascoltare la musica. Sospirai e chiusi gl’occhi addormentandomi davanti alla tv.
“Kim, Kim, tesoro, svegliati.”
Aprii gl’occhi e vidi mia madre sorridermi, mi alzai dal divano e le sorrisi.
“Sono le dieci, vuoi cenare? Ho fatto tardi, il capo mi ha chiesto di fare degli straordinari…”
“Non preoccuparti, mamma. Non ho fame, vado a dormire che sono stanchissima.”
“Okay, tesoro.”
Mi diede un bacio sulla guancia e andai in camera, mi infilai sotto le coperte azzurre per poi riaddormentarmi.
 

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Capitolo 2
*** Two ***


La mattina seguente mi svegliai alle sette come al solito per andare a scuola. Mi vestii e scesi per fare colazione. Mia madre era seduta e stava bevendo una tazza di caffè. “Buongiorno, amore.” “Buongiorno.” Mi sedetti accanto a lei e le diedi un bacio sulla guancia, presi i cereali e li versai nel latte. Dopo la colazione salutai e uscii con lo zaino in spalla e il cappello (beanie hat ovvero il cappello che sembra un preservativo…o così dicono ahahh) che mi copriva le orecchie. Era molto freddo, era Dicembre e nevicava, qui nevicava spesso, era una delle cose che mi piacevano di più del Canada. Arrivai a scuola e fui travolta da Ginevra, una delle mie migliori amiche, mi abbracciò dopo aver urlato il mio nome. Mi lasciai scappare una risatina prima di abbracciare Carly e Luke. Entrammo a scuola e ci dirigemmo ognuno nelle proprie classi, la prima ora avevo biologia, era una delle materia che mi piacevano di più, avevo A. Mi sedetti al mio solito posto in prima fila e notai che la mia compagna di banco, Louise, era assente. Aprii il libro e attesi che il professore entrasse in classe. Mi nascosi le mani nelle maniche della felpa blu dato che faceva piuttosto freddo e guardai i miei fianchi, facevano ancora molto male. “Buongiorno classe!” “Buongiorno!” Alzai lo sguardo verso il professore e mi alzai come tutti gli altri. “Sedetevi pure.” Ci sedemmo quando sentimmo bussare alla porta. Lo sguardo di tutti si rivolse alla porta dalla quale entrò un ragazzo magro e di altezza media, i suoi capelli erano coperti da un cappello dei New York Yankees e a malapena si vedevano gli occhi marroncini. “Sei il ragazzo nuovo?” Chiese il professore. “Si, ho cambiato corso, anziché chimica farò biologia.” Rispose il ragazzo. “Bene, allora decidi un po’ tu se sederti: in prima fila vicino a Kimberley o in ultima vicino a Chantal?” Abbassai subito lo sguardo imbarazzata, ero molto timida. Sentii il ragazzo avvicinarsi al mio banco, mi girai e lui mi sorrise prima di sedersi vicino a me. “Piacere, Justin.” “Kim.” Le mie guancie si dipinsero di rosa, mi girai dall’altra parte prima di concentrarmi sulla lezione. Alla fine dell’ora presi tutti i miei libri e uscii fuori dall’aula. “Ehi, mi sa che hai preso anche il mio libro!” Mi girai di scatto verso la classe e vidi Justin guardarmi. Guardai l’enorme pila di libri e ne vidi due uguali. “Scusa.” Dissi prima di restituirgli il libro. “No problem, non preoccuparti.” Disse lui. Sorrisi e mi recai a Matematica, la giornata scolastica passò in fretta e all’ora di pranzo corsi a casa per prepararmi per gli allenamenti. Mi infilai un paio di leggins, la gonna e un maglione di lana, mi misi sciarpa, guanti, cappotto e uscii di casa velocemente. Entrai nel pala ghiaccio però non era vuoto come sempre, c’erano dei ragazzi che giocavano a hockey, mi sedetti su una panca e mi infilai i pattini. Nessuno mi notò finché Max entrò di corsa. “Ehi, voi! Dobbiamo allenarci, chi vi ha dato il permesso di giocare qui?” Abbassai lo sguardo quando tutti i ragazzi si girarono verso di noi. “Kim, vieni, su.” Mi alzai ed entrammo in pista, i ragazzi erano già alle panche a togliersi i pattini. Cominciai a pattinare per riscaldare i muscoli, pattinai in avanti e indietro per poi partire con vari salti. “Più in alto, Kimberley!” Continuai ad eseguire tutti i salti e poi mi fermai davanti a Max. “Prova di nuovo il salto che non ti veniva ieri.” Disse severo. Feci un respiro profondo e ripresi a pattinare, presi velocità, 1, 2 e 3, mi sollevai in aria, mi era quasi venuto il salto solo che all’ultimo scivolai e caddi sulla gamba destra. Appoggiai le mani sul ghiaccio e mi rialzai, tornai a farlo, lo feci tante volte quel giorno, ma non mi veniva perfetto e mi dava sui nervi quel fatto. Continuavo a cadere e a rialzarmi, era deprimente, mi sentivo una buona a nulla. A fine allenamento me ne andai a testa bassa, ero sempre più delusa e non osavo vedere la reazione di Max. Avevo deluso me stessa, e avevo deluso Max. Uscendo dalla pista mi accorsi che tutti i ragazzi erano ancora seduti sulle panche, erano stati seduti li per due ore e mezza? Oggi l’allenamento era durato meno, di solito era di tre ore e mezza o quattro. Mi fissavano tutti sbalorditi e io me ne vergognavo molto. Mi sedetti sull’unica panca libera e mi tolsi i pattini, le caviglie mi facevano male, le massaggiai e dopo mi rinfilai le scarpe da ginnastica. “Kim, aspetta.” Mi girai verso Max e lo fissai “Ti vado a cercare un partner, domani devi iscriverti alla gara, devi portare i documenti, ci vediamo la.” Mi si spalancarono gli occhi, mi avrebbe fatta partecipare nonostante quelle cadute? Non sarei stata all’altezza, o forse non era andata tanto male? Il mio cuore cominciò a battere più forte e per un attimo mi dimenticai del dolore fisico, ero felice. Annuii e camminai verso l’uscita tutta agitata per la gara alla quale avrei partecipato.

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Capitolo 3
*** Three ***


Arrivai a casa prima del solito quel giorno e mi fiondai sotto la doccia, ero felice, riuscivo solo a pensare a quella gara. Le mie delusioni erano sparite, ma poi pensai al salto e al mio partner. Il salto non veniva ancora e un partner non l’avevo. Perfetto. Chiusi l’acqua, mi avvolsi nell’enorme asciugamano rosa chiaro, strizzai i capelli e l’acqua che vi era rimasta mi scivolò sulla spalla destra. Uscii dal bagno che era collegato alla mia camera da letto, mi sedetti sul mio letto e presi in mano una foto dal mio comodino. Avevo circa otto anni ed avevo una coppa in mano. “Complimenti!” “Questa è la mia Kim!” “Fai cheese!” La confusione avvolgeva quel momento felice, sorridevo come non mai, avevo gli occhi lucidi dalla gioia. Quella fotografia racchiudeva uno dei momenti più belli, sembravo la bambina più felice al mondo, ma quella fotografia non mostrava le cadute, i lividi, i pianti, le discussioni. Tutte le cose successe prima della mia vittoria non contavano per chi la guardava superficialmente. Io mi ricordavo tutto, il momento dello scatto della foto era un momento di pausa, un sollievo, potevo stare tranquilla per il resto della giornata. “Vero che vuoi diventare la campionessa mondiale di pattinaggio artistico sul ghiaccio?” Annuivo subito. La verità è che quando si diventa ‘agonisti’, quando tutto si fa più serio, non c’è più il tempo di annuire, nessuno può porti la domanda, è scontato. Nessuno mi chiedeva cosa volevo, non più. Ero tenuta a dare sempre il meglio, stamparmi un sorriso in faccia ed entrare in pista per poi portarmi a casa il trofeo. E che dire? Mi piaceva pattinare, e nonostante tutto non avrei smesso. Mi infilai una tuta di corsa e raccolsi i capelli in una coda dopo essermeli asciugati. Mi struccai e mi guardai allo specchio, feci un respiro profondo e sorrisi al mio riflesso. Mi sentivo potente e allo stesso momento fragile. Mi sedetti a fare i compiti che terminai verso l’ora di cena, mangiai un piatto di spaghetti con mia madre e tornai in camera. Mi distesi e chiusi gli occhi. All’inizio non vedevo nulla, com’è giusto che sia d’altronde, poi sentii della musica in lontananza, si faceva sempre più vicina, sentii i rumori dei flash, iniziò un brusio di chiacchiere, c’erano tante voci che accompagnavano quella melodia. “Eccoli!” “Ehi, come ci si sente?” Sentii la voce di Max: “Sono sicuramente sorpresi, io sono senz’altro soddisfatto.” Cominciai a vedere la scena. C’erano tanti paparazzi e intervistatori, vedevo me stessa da dietro o così sembrava. Vedevo i miei capelli castani lunghi fino a metà schiena, i miei lineamenti, indossavo un completo da gara. Al mio fianco c’era un ragazzo, il mio partner credo. Egli era alto poco più di me ed aveva un taglio di capelli familiare. La ragazza, ovvero io, alzò la mano per salutare le telecamere. Non andò avanti per molto, dopo un po’ tutti se ne andarono, la ragazza si aggrappò al braccio del ragazzo, c’erano solo loro due. “Sono meglio di quella sfigata di Kimberley, vero tesoro?” Si girò di scatto e mi puntò addosso i suoi occhi rossi, feci un salto indietro e urlai. “Ovvio.” Rispose lui Cominciai a scappare, quegli occhi rossi continuavano a inseguirmi… “Kim! Kim! Stai bene?” Mi sentii scuotere, aprii gli occhi, stavo sudando. “Sicura di voler andare a scuola, amore?” Guardai mia madre. “Sei pallida, non è che hai la febbre?” “No no, st-sto bene.” Balbettai. Mi alzai aiutandomi con le braccia ancora tremolanti per quell’incubo. “Ti aspetto giù per la colazione, eh.” Disse mia mamma Annuii e mi vestii, mi avvicinai allo specchio per truccarmi, presi il mascara e lo avvicinai alle ciglia. Due paia di occhi rossi continuavano ad apparire al posto dei miei. Scossi la testa, chiusi gli occhi, una volta aperti ricominciai a truccarmi. “Signorina Brunwin? Sta ascoltando, vero?” “Certo professoressa.” Stavo pensando all’incubo, possibile che la mia mente se ne andasse per conto proprio? Dovevo concentrarmi sulla lezione di letteratura. La campanella suonò e tutti corsero fuori dalla classe, presi i libri e camminai verso i corridoi, mi avviai verso il laboratorio di biologia. Il ragazzo nuovo, Justin, era di nuovo seduto vicino al mio banco. Me ne stupii, perché non era andato in ultima fila vicino a Chantal? Chiunque l’avrebbe fatto…oppure no? Okay, dovevo smetterla con questi complessi mentali. Presi posto. “Ehi…Kim, giusto?” “Si, ciao…Justin?” Sapevo benissimo come si chiamava, però non volevo mostrarlo. “Ho sentito che pattini, cioè…no…a dire il vero ti ho vista…sei brava, sai? Okay, siamo realisti, probabilmente non sarò il primo ad avertelo detto. Devi farlo sul serio…c’è non farlo…intendevo pattinare, ehm…stamattina non riesco a formulare una frase completa, scusami tanto.” Si grattò la nuca sorridendo imbarazzato. Lo osservai per un po’ e poi scoppiai a ridere, non sapevo il perché. Lui diventò rosso immediatamente. Quando smisi di ridere lo guardai di nuovo. “Scusa per aver riso, parli sempre così tanto?” chiesi con un sorriso divertito. “No…cioè…non ho parlato tanto, no?” chiese lui di rimando. “Per i miei standard si, ma tranquillo, non mi da fastidio.” Dissi prima di aprire il libro di biologia. “Sai, ieri stavo giocando a hockey, quando un tizio ha interrotto la partita e ti ha detto di andare a pattinare…” continuò lui. “Ah.” “Quindi…mi sembravi felice quando ti ha detto che avresti partecipato ad una gara, no?” “Mmmh.” “Ma non hai un partner, giusto?” Alzai le sopracciglia e gli rivolsi un’occhiata. “Be’ io” Fu’ interrotto dal professore che entrò in classe. La lezione proseguì in silenzio, mi sentivo osservata, ma non volevo girarmi per controllare se Justin mi stava fissando. La campanella suonò dopo un’altra ora. “Ehi, Kim.” Justin, mi fermò prima di poter uscire dalla classe, mi sfioro il polso e io mi fermai. “Signor Bieber, potrebbe seguirmi?” chiese il professore da dietro la cattedra. “Certo.” Disse Justin abbattuto. Alzai le spalle e andai a Storia.

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Capitolo 4
*** Four ***


Arrivai ad allenamento molto più serena quel giorno e con un bel sorriso stampato sul mio viso un po’ arrossato per via del freddissimo clima invernale canadese. Appena entrai fui accolta da Max che vidi sorridere per una delle prime volte. “Vieni Kim, devi conoscere un po’ tutti.” Disse lui. Mi avvicinai alla pista, appoggiai la borsa e prima di infilare i pattini alzai lo sguardo e vidi una decina di ragazzi fermi vicino a Max. Sorrisi timidamente e mi allacciai i pattini. Feci un respiro profondo ed entrai in pista. “Uno di loro sarà il tuo partner, Kim.” Disse Max con un tono deciso. Annuii perplessa, avrei dovuto lavorare ogni giorno con un ragazzo che non conoscevo e l’idea non mi elettrizzava. Ma come pensavo sarebbe stato possibile partecipare alla gara a Torino? Quello era l’unico modo, non avevo amici pattinatori, sembrava addirittura ridicola l’idea di averne, era anche molto improbabile. Mi appoggiai alla ringhiera pronta a vederli esibire. Ero sollevata a sapere che l’ultima parola sul partner sarebbe rimasta a me, avrei deciso io, del resto ero io che dovevo pattinare con il ‘fortunato’. Era strano, anzi stranissimo, questi ragazzi erano tutti qui per me. Loro volevano pattinare con me, con nessun altro, con me. Non si notò l’imbarazzo dato che le mie guancie erano ancora rosse dal freddo, di questo ero più che felice. Erano tutti bravissimi e la scelta era alquanto difficile, mi sentivo anche in colpa: uno di questi ragazzi avrebbe avuto l’opportunità di gareggiare, ma gli altri…forse scegliere non mi sarebbe stato possibile, maledetta coscienza e maledetti sensi di colpa. Finite le esibizioni Max mi si avvicinò sperando in qualche commento. “Devi prendere una decisione, lo sai.” Disse. Annuii ancora. Finn era molto bravo, era alto, moro e i salti gli venivano alla perfezione, ma anche il rosso James non scherzava affatto. L’agilità di Chase non era paragonabile e la raffinatezza con la quale Dan si esibiva era unica. Mi avevano colpita in tanti. Raggiunsi la decisione dopo una decina di minuti. Erano tutti in silenzio davanti a me. “Io direi…” Non feci in tempo a finire che… “Ehi, aspetta.” Ci girammo tutti verso l’ingresso. Inclinai il viso verso destra e corrugai la fronte in cerca di risposte dal mio nuovo compagno alquanto chiacchierone di biologia. “Io-io voglio provare.” Disse deciso. Mi avvicinai all’ingresso dove Justin stava immobile. “Pattini?” chiesi curiosa. “Sono qui.” Li tirò fuori in rapidità dal borsone che gli pendeva dalla spalla. “No, intendevo: tu pattini?” chiesi ancora. Si grattò la nuca prima di rispondere. “Si, per pattinare pattino, certo dovrei allenarmi ma voglio assolutamente essere il tuo partner e partecipare a quella gara. Ti prego, dammi un’opportunità, non ti costa niente.” “Scusa ragazzino, ma le prove sono finite, torna a casa, Kim ha già deciso.” Interruppe Max avvicinandosi. “Vi prego.” Continuò Justin mentre Max mi prese per il polso. Mi girai verso Justin con aria dispiaciuta, lui guardò a terra e si girò verso la porta, rimase li qualche secondo e poi uscì atterrito. “Perché non l’hai lasciato pattinare?” Chiesi sottovoce un po’ infastidita a Max. “Non puoi distrarti, pattinare con il tuo ragazzo non aiuta la concentrazione.” “Ma io non ho il ragazzo, Max, e tu lo sai.” Dissi io. “E’ meglio se pattini con un ragazzo che non conosci, in più quel Justin gioca a hockey, non vogliamo un giocatore di hockey alla gara, intesi?” Annuii. Intesi. Mi girai verso i ragazzi, mi sforzai di sorridere e parlai. “Finn, fatti trovare qui domani verso le 14.00 così cominciamo.” Lui sorrise e io mi tolsi i pattini, salutai tutti e me ne tornai a casa. Perché Justin voleva essere il mio partner se non aveva neanche mai gareggiato, non conosceva i salti, le tecniche, come pensava di gareggiare a Torino? Tutte queste domande mi riempivano la testa, probabilmente domani glielo avrei chiesto. Mi sembrava tanto convinto, ma a dir la verità non lo conoscevo quindi era azzardato tirare conclusioni. Magari l’aveva fatto tanto per fare, magari non gli interessava, fatto stava che ero interessata a conoscerne il motivo. Quel ragazzo era sicuramente diverso dagli altri… Arrivai a scuola e corsi in classe sperando di beccare Justin, non c’era, camminai delusa verso il mio posto, la curiosità mi stava divorando. Sospirai e appoggiai i libri sul banco. A metà lezione Justin entrò in classe e appoggiò una cosa sulla cattedra, il prof annuì e lui si sedette vicino a me. Cercai invano il suo sguardo, ma lui si ostinava a guardare la lavagna. A quel punto presi una penna e un foglio. “Parlami. –Kim.” Scrissi e passai il foglio alla mia destra. Dopo pochi secondi il foglio mi ritornò. “Ciao. –Justin.” “Spiegami di ieri. –Kim.” Scrissi. “Cosa dovrei dirti? Ho fatto una delle mie cazzate. Il mio era un misero tentativo di avere successo in qualcosa. Lascia stare. –Justin.” Rispose. “No. Continua. –Kim.” Scrissi di rimando. “No, meglio di no. A volte è meglio un semplice silenzio che tante parole messe su un foglio che poi non significherebbero niente. –Justin.” Feci un respiro profondo. Volevo sapere tutto e Justin pareva non volermi dire niente. “Filosofo lui. –Kim” “Curiosa lei. –Justin” “Tu non lo saresti? –Kim” “No. Non c’è niente per il quale essere così curiosi. –Justin.” “Questo lo dici tu. Io sono intenzionata a continuare a tartassarti, tanto vale parlare ora. –Kim” “Decisa la ragazza. –Justin” “Testardo il ragazzo. –Kim” “Perché nascondersi dietro una penna biro e un foglio strappato dal quaderno di biologia quando potresti semplicemente girarti e parlare? –Justin.” Mi girai e lui fece un sorrisetto, io girai gli occhi. Sarebbe stata dura.

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