conoscenze sgradite

di Crisisx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


So bene che quanto stò per raccontarvi potrebbe essere inteso come parto di una fervida immaginazione,eppure mi sento in dovere di confermarvi come tutto ciò sia vero e come gli effetti degli avvenimenti che stò per narrarvi si riperquotano tutt'oggi sulla mia psiche.



Capitolo 1

Comincerò dal confessare che sin dalla giovinezza fui consapevole del maggior intelletto di cui la Natura mi aveva dotato.Analizzando il comportamento dei miei coetanei era facile osservare come l'interesse,l'intuito e la razionalità di cui io ero e sono tutt'ora provvisto,erano meramente assenti nella gran parte di essi.

In origine pensai si trattasse soltanto di infantilità,che l'interesse che essi provavano per i giochi e le volgari burle si sarebbe,con il protrarsi del tempo,tramutato in amore per la logica,le scienze e maggior consapevolezza della propria condizione e posizione umana.

Mai,o quasi,altro giudizio fù in tal modo errato.Se con lo scorrerre della sabbia,in me si nutriva l'amore per la letteratura,la filosofia e ogni arte rappresentante le sfumature più intense e celate della psiche umana,in loro cresceva la predilezione per le armi,le guerre,l'erotismo e le buffonesche farse orchestrate al solo sfine di estorcere oro tramite scene assurde e rocambolesche.

Non che io non condivida questi interessi,anzi penso che saltuariamente possa essere salutare immergersi in una di queste farse e ho sempre ritenuto che la componente erotica dei rapporti umani fosse estremamente interessante,forse più per l'attrazione che questa esercita sull'uomo che per il momento fisico,ma tant'è che anche io ne sono molto interessato.

Ma,e questo è il dunque,ho sempre trovato ripugnante come la gran parte degli uomini viva la propria vita nella totale ignoranza di quanto la propria vita significhi,possa offrire e di quanto questa sia complessa nei più disparati campi.

Crescendo iniziai dunque a ricercare un rapporto,di amore o di amicizia,solo in coloro che ritenevo intellettualmente validi,probabilmente a causa della mia concezione dei rapporti interpersonali:uno scambio reciproco e vantaggioso di conoscenze e supporto,simile all'amicizia tra anziani di Aristotelica memoria.

Desidero esporvi una mia consuetudine al proposito di chiarire quale fosse il mio pensiero su coloro che non ritenessi utili o intellettualmente dotati da intrattenere un qualsiasi tipo di rapporto con me.

Nell'arco dei miei anni giovanili,come vi ho già rivelato,crebbe in me l'interesse per la psiche umana.Questo interesse mi portò quindi ad intraprendere,da prima,gli studi in Psicologia e,successivamente,una carriera da stimato,se pur molto discusso,Medico della Mente,come mi piace definirmi.

Divenne quindi mia prassi quotidiana,l'analizzare criticamente ogni individuo che,recandomi al mio studio sito vicino ove tempo fa si stagliava la maestosa chiesa della Santa Croce,incrociassi per le vie ed i ponti di Venezia.Tanto era il mio disprezzo verso tutti quei incoscienti che pascolavano per le strade della città che quasi erano presi da me come un sorta di esperimento,delle cavie,in sostanza.

Cosa forse non sono riuscito a ben chiarirvi,è cosa io ritenessi della mia vita.

Ebbene,come detto mi resi conto sin da giovine del mio intelletto e fine primo della mia vita fù quello di poter lasciare in questa vita,in questo mondo,un'impronta del mio passaggio.Esempi lampanti e ben definiti di quel che io aspirassi ed essere,personaggi da me stimatissimi,furono Leonardo da Vinci,per via della poliedricità della sua mente o Alessandro Magno,per ciò ch'egli fece del proprio ingegno.

Vi era in me la sicurezza di non esser mentalmente inferiore a codesti geni e altrettanta certezza che sarei riuscito,prima o successivamente,a elevarmi ai livelli di quei omini da me tanto stimati.

Non ebbi,evidentemente,osservato obiettivamente la realtà.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Sarà meglio dunque passare ad esporvi l'avvenimento che marcò un punto di svolta nella mia vita.

Il 24 di Maggio dell'anno 1855 ricevetti,insieme alla mia consorte Eleonora,un invito a cena da parte di una compagna di ciarle di vecchia data di mia moglie.Ci tengo a precisare come,sia l'epiteto di "compagna di ciarle" sia la definizione "di vecchia data",calzino perfettamente alla fisionomia di tale Signorina.Barbara De Gigli,questo è il nome della nostra ospite,ci pregava di trattenerci a cena con lei e circa un'altra dozzina di persone,nella sua casa di Quartier de Falchi.

Sarò onesto anche nel dire che definire "casa" quell'immensa costruzione sia quanto di più eufemistico si possa affermare.

L'edificio,rinominato Ca' de Canali,si costituiva di un corpo centrale che si estendeva orizzontalmente dinannzi al giardino di ingresso per circa centoventi metri e,da due ali,ognuna delle quali chiudeva verticalmente il lato terminale del segmento centrale.Se la maestosità del palazzo in perfetto stile neoclassico,sospetto che la costruzione risalga circa al 1550,conferiva un'idea di eleganza,lusso e potere non solo all'ambiente ma anche a chiunque vi si trovasse nei paraggi,il devastatissimo giardino mostrava invero la reale condizione,non saprei dire se economica o culturale,dei proprietari.

Dal cancello principale si estendeva un viale di marmo lungo all'incirca novanta metri che conduceva direttamente al portone d ingresso.Questo viale si articolava però,lungo il suo corridoio principale,in innumerevoli passerelle dall'uno e dall'altro lato.Dalla parte destra era possibile notare come il giardino fosse ormai da anni alla mercè dei fenomeni atmosferici e di ogni tipo di parassita che potesse approfittarvene.Le strette passerelle marmoree che si snodavano lungo i novanta metri di giardino,contornavano non dei verdi riquadri come il progetto della struttura doveva prevedere,ma dei qudrati o rettangoli di terra arrida o ricoperti dalle foglie secche degli alberi vicini,anch'essi abbandonati a morte certa.Nella cupa e tarda serata,riuscìi anche a distinguere una figura bianca a circa quaranta metri da me.Imboccando uno di quei minuscoli vialetti mi ritrovai dopo qualche passo dinnanzi ad una fontana in marmo bianco.Appena mi avvicinai rimasi però inorridito per ciò che vidi.Davanti ai miei occhi,nel buio cupo della notte,battuta da un'incessante pioggia,vidi spuntare delle lunghe e sottili dita bianche dall'acqua nera della fontana,tese come in una disperata richiesta di aiuto.Rimasi paralizzato da quella visione,stavo per urlare quando mi resi conto di cosa stessi realmente osservando.Al centro della fontana si alzava una colonna,anch'essa di marmo bianco,di ordine ionico,alla cui sommità era posta una statua marmorea ma indelebilmente macchiata dal tempo.La statuta,probabilmente raffigurante una giovane venere era però orridamente mutilata,le mancavano infatti una gamba,entrambe le braccia e la testa.Mi capacitai quindi che le dita che si ergevano dallo specchio d'acqua nero,altro non era che la mano della statua..L'immagine mi impressionò al punto da decidere di tornare indietro.Solo a quel punto mi accorsi che sul lato sinistro del giardino si stagliava un enorme dedalo costituito da un gran numero di alte siepi.Ciò che però attirò la mia attenzione non fù il labirinto in se,quanto la straordinaria dedizione con cui questo era evidentemente curato.Ogni aiuola era perfettamente rettangolare e anche nella quasi totale oscurità della notte potevo notare il colore vivo di ogni foglia,tocco finale,forse omaggio al geniale architetto,era una statua del famoso Minotauro Cretese,posta all'ingresso del labirinto.Affrettai il passo per recarmici all'interno ma subito Eleonora mi riprese facendomi notare l'ormai evidente ritardo.Mi trascinò quindi verso il portone principale.

Per quanto a quella magione siano legati alcuni degli avvenimenti più tristi della mia vita devo confessare che la casa esercita tutt'ora verso di me un fascino inspiegabile.

Arrivati sull'uscio d'ingresso ci si presentò davanti un enorme portone di quercia,lo stato del legno rafforzò i miei sospetti sull'eta della casa,presi quindi in mano la maniglia di rame del grosso battente raffigurante un giaguaro e bussai tre volte sull'imponente legno.

Attimi dopo i rugginosi cardini si smossero e davanti a me ed Eleonora si presentarono la Signorina de Gigli e un uomo incredibilmente più vecchio di lei,abbastanza alto,molto magro e con dei lunghi capelli bianchi lasciati ricadere liberi sulle spalle.L'effetto dato dai capelli argentei,gli zigomi scheletrici e il largo naso aquilino era quantomeno tetro.La Signorina ci presentò l'uomo come suo fratello Augusto.Fummo quindi invitati ad entrare e ad accomodarci nell'ampio salone.Per arrivare nel salone dovemmo prima di tutto salire una alta rampa di scale che portavano al piano immediatamente superiore.La rampa era molto larga e delimitata da delle balaustre in ebano,i gradini di travertino andavano restringendosi in senso ascendente ed erano centralmente attraversati da un lungo tappeto cremisi.

Ai due estremi della base,sulle balaustre erano poste delle grosse candele che illuminavano la scala ma inombravano tutto ciò che rimaneva della stanza.Entrando in casa ebbi l'impressione di star entrando in una cripta.L'unica cosa che potevo distinguere era l'ampia scala illuminata fiocamente dalle candele mentre tutto il resto era avvolto dalle tenebre.Dopo aver salito le scale ci ritrovammo in un lungo corridoio senza illuminazione,l'unica luce veniva dai lampi che insistentemente si protraevano uno dopo l'altro,vi erano però inevitabilmente degli attimi di buio totale,in cui sentivo come un soffio gelido traversarmi le interiora.In quei pochi secondi di luce riuscìì ad ogni modo a farmi un'idea di come fosse fatto quel corridoio:il pavimento era costituito da enormi lastroni di pietra,alla parete,intervallata da innumerevoli porte,erano poggiate diverse scrivanie sulle quali si trovavano delle candele quasi consumate ma spente e dei vasi nei quali i fiori erano appassiti ormai da anni.Stranamente sopra alcune di queste scrivanie vi erano dei quadri,mentre sulla maggior parte si notava solo un riquadro bianco sul quale aveva evidentemente campeggiato per anni una tela.Arrivammo quindi alla porta che ci introdusse nel salone.Questo diversamente dal corridoio e dall'ingresso era incredibilmente luminoso.Su ogni parete erano fisse decine di torce,su lato opposto al portone era sito un camino che misurava circa sei metri e nelle cui vicinanze erano sistemate diverse poltrone su cui i commensali si accomodavano per discutere,con un bicchiere di brandy dopo aver cenato.Sul lato perpendicolare al camino si trovava un grosso balcone le cui tende rosse erano tirate ai margini e legate da dei cordoni di velluto dorato.Oltre i vetri la pioggia continuava a battere e i lampi si susseguivano ancora sulla vista del labirinto,illuminando di tanto in tanto le diverse zone del dedalo.Devo anche confessare che durante uno di questi lampi,fui sicuro di aver visto una figura biancastra aggirarsi nel labirinto.

Fummo richiamati dalla Signorina che ci invitava a raccoglierci attorno alla lunga tavola,dopo circa dieci minuti.Fu qui che tutti ci presentammo.

Facemmo quindi conoscenza di personaggi molto pittoreschi.Un certo Andres da Costa,di origine spagnola,si rese subito protagonista del convivio facendo sfoggio della sua vasta cultura sui vini di ogni tipo,raccontandoci di come avesse condotto per anni i vitigni familiari a Xerez,dove i suoi avi producevano lo Cherry più gustoso di Spagna,e condividendo con noi il triste fallimento della propria azienda quando il figlio Diego,che curava la crescita dell'uva,morì di colera.

Pochi minuti prima che la cena fosse servita,mi accostai al grande camino le cui lingue di fuoco riscaldavano l'intero salone.Seduto sulla poltrona più vicina alle fiamme stava seduto un uomo che inizialmente non notai.Modesamente alto,direi circa un metro e ottantacinque,un fisico asciutto che gli conferiva un'aria di fragilità molto accentuata,indossava una camicia perlacea e dei pantaloni grigi,mentre la giacca,anch'essa grigia,era poggiata sullo schienale della profonda poltrona di pelle.Ciò che però mi rimase impresso,fù il suo viso,lungo,magro ma non sciupato,un naso stretto e leggermente ingobbito,la lunga e folta chioma di un brillante nero corvino striata qua e la da qualche capello argenteo era trattenuta,raccolta al di sopra della nuca da quel che mi sembrò un lungo e appuntito spillone.Per quanto il suo viso,i suoi capelli e anche il suo abbigliamento fossero affascinanti,credo di non aver mai veduto niente di più magnetico dei suoi occhi.

Grandi,ma non eccessivamente,ben modellati,con il bordo interno curvo e tagliente,ma soprattutto di un vivo colore grigio,quasi lo stesso colore del'acciaio temprato,nei cui riluceva il rosso vivio del fuoco di fronte a lui.Evidenteme si accorse della mia attenzione,infatti si alzò e venne a presentarsi.

"Salve"disse porgendomi la mano dalle sottili dita,"Lorenzo Veronesi".

Subito risposi alla cortesia tendendogli la mano,e mi accorsi di come il mio giudizio sulla fragilità di quell'uomo fosse errato.La sua stretta era poderosa.

"Lieto di fare la su conoscenza,Giuliano Aquilani,sono il marito di Eleonora"risposi.

"Purtroppo non ho il piacere di conoscere la sua sposa,conduco la mia pallida esistenza nelle desolate campagne Toscane nei pressi di Volterra,sono qui in visita ad Augusto"

Rimasi un pò sorpreso di come quell'uomo fosse diretto e sincero.

"Bene allora sarò il suo primo conoscente a Venezia,come conosce Augusto?"chiesi.

"Circa quindici anni orsono l'illustre Professor De Gigli fù mio docente di Anatomia all'università di Padova,il nostro rapporto si intrattenne poi oltre i miei studi."

Mi dissi subito che il mio interlocutore stesse prendendomi in giro,se fosse stato vero ciò che mi aveva appena rivelato,la sua età non avrebbe dovuto superare i trentacinque anni eppure il suo viso,la sua pelle,mostravano indelebili i segni di una vita molto più avanzata.

"Mi perdoni Signor Veronesi,ma come avrebbe potuto il signor De Gigli essere suo docente,se dimostrate non più di quindici anni di differenza?Ed il Signor De Gigli ha quasi raggiunto i settanta anni d'età,mi stà dunque raccontando una menzogna bella e buona!"dissi con enfasi.

"Molto semplicemente"disse il mio interlocutore ridendo,"Gli anni che separano me da Augusto sono molti più che quindici caro Giuliano,in verità per quanto non confido che lei mi crederà,devo confessarti di non superare i trentasei anni".

Rimasi alquanto stupefatto da tale rivelazione,ma prima che potessi aprir bocca,un campanello suonò e Augusto ci invitò a prendere posto a tavola.

"Per favore Giuliano"disse Lorenzo posando le sue affusolate e marmoree dita sulla mia spalla,"Siediti al mio fianco,non ho conoscenze qui e tu mi sembri una persona socievole ed acuta.".

Accettai e ci sistemammo sulle sedie dorate dai delicati cuscini in velluto rosso.

Nel corso della serata furono serviti una dozzina di piatti e i commensali trattarono i più vari temi,eppure non sarei in grado di dirvi nè cosa io abbia mangiato,nè di cosa il resto degli ospiti abbia conversato.

Lorenzo mi trascinò in una sorta di spirale,ciò che accadeva al di fuori delle nostre conversazioni non richiamava in alcun modo la mia attenzione.Riusciva ad appassionarmi con ogni discorso,ogni sua osservazione era di un'acutezza disarmante,riusciva a scavare nei più reconditi meandri dell'animo umano,riusciva a capirlo anche meglio di me che faccio della psicologia amore e provvigione.

Non ebbi modo di rendermi conto di come il tempo al nostro fianco scorresse più o meno velocemente,mi sentivo rinchiuso in una sorta di bolla all'interno del quale esistevamo solo io,Lorenzo e i temi da noi trattati.

Le sue parole mi risuonavano nelle orecchie una dopo l'altra quasi fondendosi e dando vita,nella mia mente,a nozioni sconosciute che subito riconobbi come inoppugnabilmente veritiere.

Mi sentivo come in preda ad una droga,rapito dall'eloquenza del mio conversatore,al di fuori di noi tutti si muoveva caoticamente mentre era chiara ogni parola che Lorenzo pronunciava.

Affrontammo gli argomenti più vari,la letteratura,il teatro,la filosofia e la religione,la tecnologia e l'arte e rimasi sconcertato da quanti elementi amassimo comunemente,da come fosse un grande ammiratore di Shakespeare e Christopher Marlowe,amante di Boccaccio e fortemente critico di Dante,estimatore dello stile di Ovidio e Plauto ma schifato dal servilismo Virgiliano.

Si disse poi affascinato da quel nuovo torrente di passione,amorosa e non,profondamente radicata nell'uomo che stava prorompendo nelle opere degli autori degli ultimi settanta anni,giusto per cui mi citò un tedesco di nome Goethe che,ora posso dire,è senz'altro uno dei più capaci analisti che abbia mai letto.

Ciò che però mi diede maggior gaudio fù il constatare come anche Lorenzo fosse un appassionato della figura di Leonardo da Vinci.Il modello al quale io stesso ispiro le mie gesta.

Stavo per esprimere la mia opinione sulle opere del Genio quando,purtroppo,Barbara ci richiamò stizzita all'attenzione comune e ci chiese di prestarle orecchio.

"Mi duole disturbare i vostri scambi di impressioni,ma come sapete io e mio fratello siamo ormai dei senex e le nostre membra non riuscirebbero a sostenere altro tempo al di fuori di quei caldi giacigli che sono i nostri letti,perciò vi invito cortesemente a recarvi nelle stanze che vi saranno rivelate dalla servitù e vi dò appuntamento all'indomani.Mi auspico di trovarvi tutti al mattino presto qui per una colazione il più possibile gioviale,buona notte.".

Io e Lorenzo decidemmo quindi di bere celermente uno scotch,di cui non posso fare a meno di esaltare l'aroma e le delicate sfumature di gusto,e ci demmo appuntamento al mattino presto.

Che uomo strabiliante incontrai.

Non sospettavo quanto le gesta di quella persona si sarebbero ripercosse sulla mia vita.

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