Agente speciale Sue Thomas - Il nono comandamento

di mar_79
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


capitolo 1

Ciao a tutti. Questa è la prima fanfiction che ho scritto circa un anno fa. Oggi in totale sono quattro, riguardano tutte il telefilm Agente speciale Sue Thomas (trasmesso nell'estate del 2006 da Canale5) e sono l'una il seguito dell'altra. Per chi non lo conoscesse dico che è basato sulla vita reale, chiaramente in parte romanzata, di una donna sorda, Sue Thomas appunto, che è capace di parlare e leggere le labbra e che per questa sua dote, insieme al suo inseparabile cane guida Levi, entra a far parte di una squadra dell'F.B.I. che si occupa spesso di sorveglianza.
La mia storia inizia da dove era finito il telefilm, Sue ha rifiutato il lavoro a New York per rimanere con la sua squadra a Washingthon, c'è stata la "quasi dichiarazione" del suo collega e amico Jack, frenato come sempre dalla sua timidezza e dal regolamento che vieta relazioni tra agenti che lavorano insieme, e quindi tutto procede come al solito...ma una nuova indagine si profila all'orizzonte...quattro uomini uccisi con lo stesso brutale metodo, quattro uomini apparentemente senza un legame tra loro, un caso difficile che fa salire la tensione nel gruppo finchè Jack decide che è arrivato il momento di cambiare vita...Come la prenderà Sue? Riusciranno a risolvere ugualmente il caso e a fare chiarezza nei loro sentimenti?
Spero vi piaccia, buona lettura!

IL IX COMANDAMENTO

Capitolo 1

Jack entrò nell’ufficio sventolando un fascicolo. «Ragazzi ne hanno ucciso un altro. Stesso metodo, stessa arma, stessa tipologia di vittima. Maschio, intorno ai quaranta, ucciso nell’ingresso di casa con due colpi, uno per ogni occhio.»

«Allora ci troviamo davvero di fronte ad un serial killer, con questa fanno quattro vittime in meno di un mese,» Bobby prese il fascicolo dalle mani di Jack «e non è certo un bel vedere.»

«D’accordo non perdiamo altro tempo, Sue, tu ed io andremo ad interrogare la moglie dell’ultima vittima. Bobby, tu e De andate a parlare con suoi colleghi di lavoro. Tara, Myles voi controllate a fondo il suo passato e vedete se è possibile trovare dei collegamenti con le altre vittime.»

In macchina Sue controllava con attenzione le foto delle scene dei delitti «Credi veramente che si tratti di un serial killer? Dopo il caso di Simon speravo di non dovermene più occupare.»

Jack la guardò con dolcezza. «Lo so che il pensiero di quel caso ancora ti perseguita, ma sei un agente dell'FBI e non puoi tirarti indietro davanti al tuo dovere. Ce la farai, hai dimostrato d’essere forte, in più di un’occasione.» Le sorrise e tornò a concentrarsi sulla strada.

Lei sapeva che era vero, un agente FBI deve mettere in conto la possibilità di essere preso di mira da qualche psicopatico e rischiare la vita, e per questo parlando con Lucy aveva mentito dicendo d’averla superata. In realtà erano ancora molte le notti in cui stentava a addormentarsi pensando all’aggressione subita. Forse se non fosse successa in casa sua sarebbe stato diverso, forse.

Una mano posata delicatamente sul braccio attirò la sua attenzione. «Siamo arrivati, questa è la casa di Stevens, andiamo a vedere cosa possiamo scoprire.»

La Signora Stevens era una donna giovane e minuta che dal momento della scoperta del corpo del marito non aveva mai smesso di piangere. Sue cercò di confortarla tenendole la mano mentre Levi le poggiava il muso sulle ginocchia. «Mi dispiace doverle fare queste domande proprio ora» iniziò Jack, «ma abbiamo bisogno di sapere se manca qualcosa in casa, nell’ipotesi che si sia trattato di una rapina.»

La donna si asciugò gli occhi arrossati dal pianto «non posso ancora dirvelo con certezza ma credo che non manchi nulla. I gioielli, i soldi, mi sembra tutto al suo posto.»

Jack guardò Sue con un’occhiata d’intesa prima di continuare con le domande.«Quando ha visto suo marito per l’ultima volta?»

«Questa mattina a colazione, verso le sette e trenta, poi io sono andata a lavoro mentre lui è andato a correre nel parco.»

«Era una cosa che faceva abitualmente?»

«Lo faceva quasi tutti i giovedì mattina perché era libero dal lavoro ma non so se posso definirla proprio una abitudine.» Guardò Sue terrorizzata «lei crede che qualcuno spiasse mio marito e abbia aspettato proprio questo momento per ucciderlo? Ma chi può essere stato? mio marito era ragioniere in una ditta di materiale edile, non aveva nemici, non ha mai neanche litigato con nessuno.»

Sue consultò il suo taccuino «ci risulta che eravate sposati solo da tre anni, è sicura che nel passato di suo marito non ci sia nulla che possa far pensare ad una vendetta?»

La donna ricominciò a piangere e scosse energicamente la testa «non so quasi nulla del suo passato, Adam non amava parlare di se. Diceva sempre che la sua vita era iniziata nel momento in cui mi aveva incontrato.»

A quel punto Jack la ringraziò e si alzò seguito da Sue. Era inutile insistere, per il momento da quella donna non avrebbero saputo nulla di più.

Tornati in ufficio trovarono tutti gli altri già pronti per fare il punto della situazione.

Myles, diligente come al solito, aveva appeso al tabellone le foto delle vittime scrivendoci accanto una breve descrizione. «Allora, vittima numero uno, Harry Jones, istruttore in una palestra, scapolo, viveva da solo, ucciso nell’ingresso di casa nel modo, molto originale devo dire, che tutti sappiamo. Stava tornando dal bar dove era andato a comprare delle ciambelle glassate. Un cibo non molto adatto ad un preparatore atletico, ma tanto ormai non dovrà più stare attento alla linea.»

«Myles smettila con questo stupido umorismo» lo rimproverò Lucy «e concentrati sul caso.»

«Va bene, va bene, pensavo che alleggerire un po’ la tensione avrebbe giovato ma come al solito sono un genio incompreso. Il nostro atleta aveva un precedente per una rissa in un locale di due anni fa, nulla di serio, comunque stiamo cercando la persona con cui litigò. Vittima numero due, Paul Jackson, scriveva per una rivista sportiva, sposato con due figli, nessun precedente. Stava rientrando da un viaggio quando gli hanno sparato, per fortuna la famiglia non c’era.»

Guardò in basso e vide Levi che dormiva, colpì col dito la foto successiva e sorrise vedendo il cane svegliarsi. «Mai dormire in ufficio Levi, potresti perderti qualche particolare interessante.» Sorrise poi riprese con il solito tono petulante «Vittima numero tre, Manuel Hernandez, di origini messicane, cuoco in un ristorante in centro, anche lui scapolo, anche lui senza precedenti. A differenza degli altri però lui non stava rientrando ma stava uscendo per andare a lavoro. E infine, vittima numero quattro, Adam Stevens, ragioniere, sposato senza figli, con una denuncia per molestie che però risale a quasi vent’anni fa e venne ritirata. Non è emerso nessun legame tra loro fino ad ora ma il nostro genio del computer» indicò Tara con la mano «ci sta ancora lavorando.»

Lei sorrise «Grazie Myles. In effetti non c’è niente che li metta in relazione ma sono ancora all’inizio, vedrete che qualcosa troverò.»

Bobby le si avvicinò e le scompiglio i capelli «Già, non si può mai sapere cosa accadrà quando ti metti in azione.»

«Certamente qualcosa di meglio di quando lo fai tu!» ribattè pronto Myles.

«Ma sentitelo il grande agente speciale, è finalmente riuscito a fare una battuta! Dammi il cinque.»

Risero tutti e Jack fece segno a Sue che erano dei pazzi e lei rispose con i segni “pazzi si, ma adorabili.”

Arrivata l'ora di tornare a casa Jack offrì a Sue di accompagnarla. Voleva verificare che non fosse troppo turbata da quella storia, si disse, in realtà cercava solo una scusa per stare da solo con lei qualche minuto.

«Allora, ti senti più tranquilla adesso? Lo sai vero che di qualsiasi cosa tu voglia parlare io sono qui, sempre.»

«Lo so, sei un caro amico, ma ormai è passato, Simon è una storia chiusa. Sono stata un’irresponsabile quella volta e mi sono messa in pericolo ma non accadrà più.»

Jack la guardò dritta negli occhi con espressione seria «me lo auguro perché quella volta mi hai fatto proprio spaventare e non credo che potrei sopportarlo di nuovo perchè…»

Proprio in quel momento a Sue arrivò un messaggio sul palmare, si scusò con lui ed iniziò a leggere mentre lui malediva mentalmente chiunque avesse avuto quel tempismo. Guardò dritto davanti a se sbuffando e vide un ciclista che molto velocemente andava verso di loro. Sue era ancora intenta a leggere e non si era accorta di nulla allora lui istintivamente per evitare che venisse urtata l’attirò verso di se prendendola per un braccio.

Lei lo guardò sorpresa.

I loro volti erano così vicini. Jack deglutì a fatica poi cercò di spiegarsi «scusami ma c’era quel ciclista…ecco lui stava per…andava così veloce…» Non riusciva ad articolare una frase di senso compiuto, la sua vicinanza lo turbava troppo. Si accorse che la stava tenendo ancora per il braccio e la lasciò andare subito. «Sarà meglio affrettarci, si è fatto tardi» riprese speditamente a camminare.

Sue lo seguì dandosi della stupida. Aveva risposto a quel messaggio proprio quando sembrava che Jack stesse per dirle qualcosa di importante. Ma allo stesso tempo era delusa perché lui avrebbe comunque potuto continuare mentre ancora una volta si era lasciato vincere dalla timidezza.

Quando Jack entrò in ufficio il mattino seguente, Sue stava controllando dei documenti alla sua scrivania e non si accorse del suo arrivo. Questo gli diede l’occasione di osservarla per un po’. Subito gli tornò in mente quello che aveva provato tenendola vicina la sera precedente. Chiuse gli occhi e sospirò non accorgendosi di Bobby che, arrivandogli vicino, gli diede una pacca facendolo balzare in avanti di mezzo metro. «Cosa fai Sparky, dormi in piedi? Così impari a fare le ore piccole.»

Jack lo fulminò con lo sguardo prima di tornare a rivolgere la sua attenzione a Sue. Il cuore gli fece un balzo nel petto perché lei adesso lo stava guardando e non poteva certo restare fermo lì a fissarla perciò si avvicinò.

«Come stai? Volevo scusarmi per ieri sera, è stato un gesto istintivo.»

«Ma non ti devi scusare, anzi sono io che devo ringraziarti per lo scampato pericolo.»

Lucy, che sin dall’ingresso di Jack li aveva osservati di nascosto, decise di avvicinarsi. «Quale pericolo?»

«Niente di serio, uno scontro con un ciclista che Jack mi ha evitato ieri sera. Ero così intenta a leggere il tuo messaggio che non ho visto che mi veniva addosso.»

«Ah» Jack lanciò a Lucy uno sguardo assassino «così era tuo quel messaggio.»

«Si lo era. Si stava facendo tardi ed ero preoccupata per la mia coinquilina.» Lanciò ad entrambi uno sguardo malizioso «per caso ho interrotto qualcosa?»

«Assolutamente no!» risposero all’unisono.

Tara arrivò in quel momento «signori e signore ancora una volta ho vinto io. Venite, devo aggiornarvi sulle nostre vittime.»

Sue si avviò alla scrivania di Tara ma Lucy attirò la sua attenzione e le disse con i segni “devi dirmi tutto di ieri sera”.

Sempre con i segni le rispose “ma non c’è nulla da raccontare”.

L’amica rise. “Sei proprio una bugiarda!”

Sue si finse offesa e andò via.

«Ho trovato il collegamento tra le vittime» stava dicendo Tara. Premette un tasto e sul video apparve la vittima numero uno «ricordate il litigio al bar di due anni fa? Il nostro atleta aveva importunato pesantemente una ragazza i cui amici intervennero per difenderla. Prima di andarsene il nostro uomo ha minacciata la ragazza di rintracciarla e fargliela pagare.»

«Ehi, Myles» si intromise Bobby ridendo «questo è il litigio che tu avevi definito “da nulla.” Complimenti!»

Myles stava per rispondere ma Tara fu più veloce. «Vittima numero due, non ha precedenti ma ho scoperto che cinque anni fa aveva fornito l’alibi ad un suo amico accusato di aver aggredito una donna. L’amico grazie alla sua testimonianza è stato scagionato solo che l’hanno dopo ha fatto il salto di qualità, non più aggressione ma omicidio, di una ragazza di vent’anni. Vittima numero tre, qui da noi è pulito ma ho parlato con la polizia messicana ed è venuto fuori che prima di trasferirsi aveva più volte picchiato selvaggiamente la ex moglie. Infine la vittima numero quattro che come sapevamo già anni fa fu denunciato per molestie da una vicina che però poi ritirò le accuse.» Li scrutò ad uno ad uno «allora lo vedete il nesso?»

«Erano tutti coinvolti in reati contro le donne» rispose De.

Tara gli puntò contro l’indice «esatto!»

«Quindi» disse Jack «voi pensate a qualcuno che volesse vendicare queste donne dato che i loro aggressori l’avevano fatta franca.»

«Mettiamo che sia la direzione giusta, la domanda è chi può essere venuto a conoscenza di queste informazioni se già per noi è stato difficile trovarle?»

«Ehi, non guardate me» si difese Tara «non posso fare tutto io!»

Sue era concentrata, cercava di afferrare un particolare che però continuava a sfuggirle. Ad un tratto fece schioccare le dita attirando l’attenzione di tutti gli altri «forse ho io qualcosa da dirvi». Corse alla sua scrivania e prese le foto degli omicidi. «L’ho sempre avuto davanti agli occhi ma non ci avevo fatto caso. Guardate qui» indico la foto del primo omicidio «e qui» la foto del secondo omicidio «ancora qui» la foto del terzo omicidio «e infine qui» colpì con il dito un particolare della foto dell’ultimo omicidio. «Avevano tutti lo stesso sistema di allarme montato dalla ditta Powell. Forse un operaio o un dipendente della ditta può essere legato agli omicidi.»

«Non possiamo essere sicuri ma potrebbe essere una buona pista. Tara trova tutto quello che puoi su questa ditta.»

«Subito Jack.»

Jack guardò Sue e con i segni le disse “ottimo lavoro”.

Lei ricambiò il sorriso “grazie”.

Mezz’ora più tardi sapevano che la ditta era di proprietà di Michael Powell, un ex agente FBI andato in pensione quattro anni prima anche se ancora giovane. Dal suo fascicolo avevano scoperto che era stato quasi costretto ad andarsene. Sua moglie era stata aggredita e uccisa da un balordo dentro la loro casa e lui era caduto in una profonda depressione accompagnata da scoppi di rabbia che ben presto gli avevano reso difficile lavorare, così lo avevano fatto scegliere: il licenziamento o la pensione. L’anno successivo al pensionamento aveva aperto questa ditta di allarmi che si era fatta un buon nome in tutta la città.

«Il profilo sembra perfetto, un ex agente FBI ben addestrato che è arrabbiato con il mondo intero perché l’assassino di sua moglie è libero e le persone che dovrebbero aiutarlo a trovarlo, i suoi colleghi, lo scaricano» Myles fece una smorfia «non deve essere stato un bel periodo per lui, chissà se gli è passata.»

De guardò l’ora «ormai è tardi per parlargli oggi, convochiamolo per domattina.»

Giunto a casa Jack prese una birra dal frigo e si mise comodo sul divano. Si passò una mano sugli occhi e cercò di immaginare la scena: un marito che torna a casa e trova la moglie in un lago di sangue.

Cerca di aiutarla ma ormai non c’è più nulla da fare. La donna che ami e con cui volevi passare il resto della tua vita non c’è più per colpa di un balordo qualsiasi e tu che sei un uomo di legge non riesci neanche a catturarlo. Doveva essere una sofferenza insopportabile.

Ne sapeva qualcosa per averla provata di recente quando Sue era stata rapita. Per loro era finito tutto bene ma lui aveva comunque sofferto come un cane in quelle poche ore passate senza sapere se era ancora viva.

Un pensiero cattivo, difficile da accettare per uno come lui, fece breccia nella sua testa: forse chiunque avesse ucciso quei quattro uomini non aveva completamente torto.

Fissò il vuoto davanti a sé per qualche minuto, poi si alzò.

Adesso sapeva cosa doveva fare.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


capitolo 1

Capitolo 2

Bobby batté il pugno sul tavolo. «Vuol farmi credere di non essere a conoscenza che alcuni dei suoi clienti avevano dei precedenti o erano coinvolti a vario titolo in reati contro le donne? Ma andiamo!»

Powell sostenne il suo sguardo accusatorio e rispose pacato «io installo impianti di sicurezza, non vedo perché dovrei informarmi sui precedenti dei miei clienti. Lo scopo del mio lavoro è proteggerli non giudicarli.»

«Va bene, allora parliamo di sua moglie. Se non sbaglio è morta cinque anni fa, subito prima che andasse in pensione.»

Non appena De aveva nominato la moglie, Powell si era irrigidito. «Mia moglie non è semplicemente morta, è stata uccisa.»

«Non mi sembra che faccia tanta differenza, il risultato è sempre lo stesso.»

«Non è lo stesso» rispose l’ex agente sempre più irritato «se la persona che ami muore per una malattia, un incidente o di vecchiaia soffri ma puoi rassegnarti. Se viene brutalmente uccisa e il colpevole resta libero non potrai mai accettarlo, ti guarderai sempre intorno chiedendoti se l’uomo che hai incrociato per strada non sia l’assassino di tua moglie.»

De sorrise a Bobby poi rivolse uno sguardo allo specchio della sala interrogatori dietro al quale gli altri assistevano. «Mi sembra che lei sia ancora abbastanza arrabbiato. Non sarà che questa rabbia la ha trasformata in un giustiziere?  Si è detto: siccome non posso prendere chi ha ucciso mia moglie  uccido altri che hanno commesso reati simili e che per colpa del sistema legale imperfetto e di poliziotti incapaci sono liberi

Dato che l’altro non parlava De si piegò minaccioso verso di lui. «Ti ho fatto una domanda! Rispondi maledizione!»

«Senza il mio avvocato non dirò più nulla perciò se volete trattenermi o chiedermi altro è meglio che mi portiate un telefono.»

Bobby fece un gesto di insofferenza con la mano. «Per ora puoi andare, ma ci rivedremo, credimi.»

Uscirono tutti nel corridoio. Bobby e De accompagnavano Powell all’uscita mentre gli altri li seguivano a breve distanza.

Ad un tratto Jack accelerò il passo e si avvicino a De. «Posso parlarti?»

«Si certo. Bobby aspettate qui un attimo.»

Sue guardava Jack. Era molto nervoso, non riusciva a stare fermo e si passava in continuazione la mano sul mento. Quel comportamento era molto strano.

«Cosa vuoi Jack, ho fretta.»

«Allora andrò direttamente al punto. C’era veramente bisogno di trattarlo così? Gli hanno ucciso la moglie e lo hanno buttato fuori, non hai un minimo di compassione? E’ un collega e merita il nostro rispetto. Ci diamo tanto da fare per trovare chi ha ucciso quei quattro che erano colpevoli e non diamo una mano ad un uomo che soffre. Lo sai che ti dico, sono contento che li abbiano fatti fuori, le donne di questa città ora saranno più al sicuro.»

De gli mise una mano sulla spalla. «Sta attento a quello che dici Jack, potresti pentirtene.»

«Volete offrire il pensionamento anticipato anche a me? Non vi lascio questa soddisfazione piuttosto mollo io.» Prese pistola e  distintivo e li appoggiò sul tavolo. «Da oggi consideratemi un ex agente, non mi va più di lavorare per chi tratta così i suoi collaboratori.»

Sue, che aveva seguito la scena sempre più sgomenta, si avvicinò e lo prese per un braccio. «Non puoi dire sul serio, ami il tuo lavoro e qui siamo tutti amici.»

Lui si liberò della presa con uno strattone. «Non cercare di rabbonirmi con la storia dell’amicizia,  chiedi al signor Powell dove erano i suoi amici quando ne aveva bisogno.»

«Ma Jack…»

«Niente ma, non cambierò idea.» Andò incontro a Powell e gli tese la mano «Mi scuso per quello che ha dovuto subire. Venga l’accompagno, qui ormai non ho più nulla da fare.»

Sentiva che Sue lo stava fissando perciò se ne andò senza voltarsi. Ormai la decisione era presa e non si poteva tornare indietro.

 

Sue chiuse gli occhi e scosse la testa. Non riusciva ancora a capacitarsi di quello che era successo. Jack che giustificava degli omicidi, che disconosceva un lavoro al quale aveva dedicato la vita con passione, Jack duro e insensibile che non aveva voluto ascoltare neanche lei, anzi l’aveva trattata malissimo. Quello non era Jack, almeno non il suo Jack.  Prese il cappotto e andò di corsa all’ascensore.

 

Appena fuori dall’edificio Jack inspirò profondamente. «Finalmente libero!» Sorrise a Powell che gli stava di fronte. « Sa era da tempo che pensavo di farlo ma fino ad ora non ne avevo avuto il coraggio, il modo in cui l’hanno trattata però è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.»

«La ringrazio per la solidarietà, per la verità però non pensavo che uno come lei potesse giustificare degli omicidi.»

«cosa vuol dire uno come me

L’altro sorrise, «io la conosco Hudson, subito dopo il secondo omicidio mi sono informato su chi si stava occupando del caso e ho saputo che lei è un uomo onesto, ligio al suo dovere e impegnato talmente nel suo lavoro da non avere quasi una vita privata. Spero non le dispiaccia se ho chiesto in giro di lei ma si tatta di miei clienti e poi un agente…»

«…resta sempre un agente» finì Jack per lui. «Quello che le hanno detto è vero perché è quella l’immagine che ho sempre voluto dare di me, ma ormai era impossibile continuare a fingere. Preferisco essere disoccupato.»

«Potrebbe lavorare per me, la sua preparazione mi farebbe comodo.»

Jack fece un gran sorriso. «La sua proposta è inattesa ma mi sembra perfetta. Accetto volentieri.»

  «Bene. Ora devo andare ma venga domani in ditta e discuteremo i particolari.» Powell guardò oltre la sua spalla, «credo che la cerchino.»

Jack si volse e vide Sue. Chiuse gli occhi pensando “no, ancora lei”.

«Jack tu devi ascoltarmi, sappiamo entrambi che quello che hai detto prima non è vero. Eri solo nervoso, torniamo su e parliamone con Demetrius, vedrai che ti ridaranno il posto.»

«Guarda bene», le disse indicandosi le labbra, «io non voglio tornare!»

Lei era sempre più sconvolta ma non desistette. «Se non torni tutto quello che abbiamo condiviso in questi anni non avrà più senso.»

Lui allargò le braccia irritato «ma non ha mai avuto nessun senso particolare. Eravamo solo due colleghi che svolgevano il loro lavoro.» La guardo dritta negli occhi «NULLA di più.»

Sue sostenne il suo sguardo solo per alcuni secondi poi, con gli occhi lucidi, scappò via.

 

 

Levi avvertì Sue che qualcuno stava bussando alla porta della sua camera da letto.  «Avanti»

Lucy aprì lentamente la porta e diede uno sguardo alla sua amica. Lei che si alzava sempre presto, che era sempre attiva e sorridente, ora se ne stava lì raggomitolata sotto le coperte con aria triste. «Coraggio Sue, ormai è più di una settimana che se ne è andato, non puoi continuare così, devi scuoterti e ritornare quella di prima.»

Per tutta risposta Sue strinse più forte le coperte al petto.

«Neanche io mi sarei mai aspettata una cosa del genere da Jack, ma  non conosciamo mai veramente chi ci circonda. Succede che i sentimenti, i sogni,  vengano repressi per poi esplodere improvvisamente.»

«Oh no, io lo conosco, lo conosco veramente. Tutto quello che ho vissuto con lui in questi anni, tutto quello che ho provato e provo per lui…no, non posso essermi sbagliata così tanto.»

Lucy annuì comprensiva. «Ma hai tentato di parlargli, di spiegargli quello che senti?»

«Gli avrò telefonato almeno dieci volte al giorno ma non mi ha mai risposto. E in ufficio si comportano quasi come se non fosse mai stato uno di noi. Ma lo sai che oltre a seguire Powell ora seguono anche lui, come se fosse un sospettato!»

«Lo so, ma non devi prendertela, fanno solo il loro lavoro», guardò l’ora «come noi dobbiamo fare il nostro e arriveremo in ritardo se non ci sbrighiamo.» Le tirò via le coperte «coraggio, fuori da questo letto.»

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


capitolo 1

Capitolo 3

 

«Allora, questi sono i fascicoli dei nuovi clienti, dagli un’occhiata, prendi familiarità con i quartieri e le case e poi fammi sapere cosa ne pensi.» Powell porse le cartelline colorate a Jack. «Per qualsiasi chiarimento puoi rivolgerti a me o al mio vice Marc» indicò l’uomo in piedi di fianco a se. «Non vi ho ancora presentato ufficialmente. Lui è Marc Bates, mio socio, mio grande amico oltre che parente. È il fratello della mia defunta moglie. Marc, lui è Jack Hudson, l’ultimo acquisto della nostra squadra.»

«Michael mi ha parlato di te. Mi ha detto che fino a qualche giorno fa eri anche tu dell’FBI.» Sorrideva gentile ma dal tono si capiva che in realtà si stava chiedendo cosa ci facesse Jack lì.

«Già, ma Michael non ti ha detto che fino a qualche giorno fa ero anche un uomo infelice mentre ora, grazie all’opportunità che mi ha offerto, sono soddisfatto e libero.»

«Lo immagino», disse l’altro con sguardo dubbioso.

Jack si sentiva a disagio e non sapeva cosa rispondere. Per fortuna in quel momento la segretaria fece capolino dalla porta. «Signor Powell, Signor Bates, c’è bisogno di voi di là.»

«Arriviamo.» Powell si alzò. «Jack tu puoi restare qui a leggere i fascicoli se vuoi, il tuo ufficio non è ancora pronto.»

Jack annuì e aspettò che uscissero e che la segretaria chiudesse la porta prima di darsi un’occhiata in giro.

 

 

De si avvicinò al tabellone e vi aggiunse altre due foto. Gli altri si avvicinarono e Bobby chiese «chi sono, altre due vittime?»

«No, almeno non ancora.» Sue lo guardò incerta e lui continuò, accompagnando le parole con i segni: «questi due tizi, i signori Forbes e Parker, hanno dei precedenti simili a quelli della vittime e sono da pochi giorni clienti di Powell perciò dovremo sorvegliarli per garantire la loro sicurezza e arrestare il killer se cercherà di colpirli.»

Myles alzò la mano per richiamare l’attenzione. «Una domanda. Ma noi come abbiamo fatto a sapere i nomi di questi due “signori”?»

«E’ vero, avevo dimenticato di dirvi che abbiamo ottenuto il permesso di seguire tutti quelli che vanno da Powell per ottenere il loro indirizzo, la loro identità e quindi i loro precedenti. Visto la particolarità del caso era l’unico modo per restringere il campo delle possibili vittime.»

«Non credevo ci dessero permessi del genere» disse Tara.

«Beh, questa volta lo hanno fatto» tagliò corto De.

Sue era perplessa e lo seguì alla sua scrivania. «De, è proprio così che abbiamo ottenuto le informazioni, oppure c’è qualche agente che se ne sta occupando in modo particolare?»

«Sue, lui NON è sottocopertura, se ne è andato e basta. Ci hanno dato quel permesso perché sono coinvolti non più uno ma ben due ex agenti e ai piani alti non vogliono correre il rischio di perdere la faccia.»

Lei non era ancora del tutto convinta ma sapeva che in quel momento qualsiasi altra sua domanda sarebbe caduta nel vuoto.

Da quella mattina iniziarono a seguire le possibili vittime ma i giorni passavano senza che accadesse nulla. In ufficio il morale era sempre più basso, gran parte dell’allegria che li contraddistingueva era sparita e il lavoro che tanto li appassionava era diventato solo routine.

 

 

Una settimana  dopo, appena entrato in ufficio, Jack venne avvertito che Powell lo cercava.  Lo raggiunse nel suo studio e lo trovò in compagnia di Marc. «Ah, Jack, vorrei che tu oggi accompagnassi Marc da un nostro nuovo cliente, Jamie Forbes, per controllare il suo impianto.»

«Credevo di dover venire con te ad una riunione.»

«La riunione è stata annullata» rispose l'altro con tono sbrigativo.

«E tu cosa farai?»

«Io», Powell aprì un cassetto e mise qualcosa in tasca mentre Jack seguiva ogni sua mossa, «mi occuperò del signor Parker.»

Si mossero verso il garage ma improvvisamente Jack si fermò. «Che stupido, ho dimenticato una cosa dentro, torno subito.» Si allontanò seguito da Powell con lo sguardo.

Appena svoltato l’angolo prese il telefono e compose un numero. «Pronto? Si, sono io, credo che sia oggi. Ha detto che si occuperà di Parker, sta andando ora.» Ascoltò la risposta poi riprese «va bene, dammi 5 minuti per liberarmi e ti raggiungo...» Sentì dei passi alle sue spalle, si voltò e vide sbucare dall’ombra una sbarra di ferro che lo colpì in testa facendolo svenire.

Dall’altro capo del telefono De capì che doveva essere successo qualcosa. «Jack, Jack ci sei? Pronto?»

A quel nome Tara lo guardò sorpresa e Lucy corse ad attirare l’attenzione di Sue. 

«Lucy manda subito una squadra di soccorso alla ditta di Powell, avvertili che un agente potrebbe essere ferito e che io li raggiungo.»

Sue si alzò di scatto. «De, cosa succede, si tratta di Jack? Era davvero sottocopertura?» Alla sua risposta affermativa lei  non seppe se essere più felice della scoperta che Jack non se ne era mai andato o più preoccupata perché poteva essere ferito. «Vengo con te.»

«Non se ne parla, potrebbe essere pericoloso.»

Lei lo guardò arrabbiata. «Non riuscirai a lasciarmi qui neanche legandomi alla sedia. Avete giocato agli eroi alle mie spalle troppo a lungo, ora decido io.»

 

Una volta arrivati trovarono Jack seduto sul restro dell'ambulanza con una borsa del ghiaccio sulla tempia. De andò dal medico e gli chiese informazioni. «Il colpo è stato forte ma per fortuna non ha creato danni seri. Avrà un gran mal di testa e un livido spettacolare per qualche giorno ma niente di più.»

Nel frattempo Sue si era avvicinata a Jack. Si stavano ancora guardando intensamente negli occhi senza dire nulla quando De li raggiunse. «Jack, mi ascolti Jack?» dovette scuoterlo per una spalla per attirare la sua attenzione. «Allora come stai?»

«Bene, bene. Tu piuttosto dimmi, lo hanno preso?»

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


capitolo4

n.d.a. Questo è l'ultimo capitolo di questa mia prima fanfiction e quindi voglio approfittarne per ringraziare tutti quelli che l'hanno già recensita - grazie Rosy, Rachi e hikary - e tutti quelli che lo faranno in seguito (speriamo siano tanti ^-^).  A presto con un'altra storia!

 

 

Capitolo 4

 

«Si, l’hanno preso ma non è lui l’assassino.» Due paia di occhi sorpresi lo guardarono. «Quando Bobby e Myles sono arrivati, stava tranquillamente aggiustando l’allarme ed era disarmato.»

«Ma io l’ho visto prendere la pistola dal cassetto.»

De negò con il capo «era un borsello con gli attrezzi.»

«Ma gli hanno chiesto della pistola? Io l’avevo vista in quel cassetto!»

«Ha detto che sì, c’è una pistola in quel cassetto, ma non è sua, è di…»

«Marc!» terminò Jack.

«Ma», si intromise Sue, «chi è questo Marc?»

Jack la guardò in modo che potesse leggergli le labbra. «E' il cognato di Powell, il fratello della moglie. Ma certo, come ho fatto a non capirlo prima! È lui che vuole vendicarsi! Mi ha colpito per liberarsi di me e ora sta andando a casa di Forbes per ucciderlo.»

De prese la radio e comunicò a Bobby e Myles le novità dicendogli di correre da Forbes. Jack si alzò barcollando e dovette aggrapparsi a Sue per non cadere.

«Dove pensi di andare?» gli chiese.

«Noi siamo più vicini, Forbes abita a soli due isolati da qui.»

«Sarà anche così ma tu non puoi andartene in giro in queste condizioni»,lo rimproverò Sue con  un tono  che esprimeva però più preoccupazione che rabbia.

«Ho seguito questo caso troppo a lungo e ho dovuto fare cose che non avrei mai voluto fare», la fissò intensamente accentuando la stretta al suo braccio, «perciò non lascerò certo ora.»

  

Furono i primi ad arrivare.

La porta della casa era socchiusa e si sentivano dei lamenti provenire dall’interno. Dopo aver messo al riparo Sue dietro una macchina ed essersi fatto promettere che non si sarebbe mossa di lì, Jack, pistola in pugno, si avvicinò  guardingo alla casa.

«Marc, lo sappiamo che sei lì» urlò «e sappiamo cosa vuoi fare. Non hai possibilità di scappare, lascia stare Forbes ed esci con le mani in alto.»

La porta si aprì lentamente lasciando vedere Marc che si faceva scudo di Forbes e gli puntava la pistola alla tempia. «Non mi importa di scappare, conta solo che lui paghi, che tutti questi ba....di paghino per quello che hanno fatto, per la morte di mia sorella. Solo allora io ritroverò la pace.»

Aveva il viso stravolto, la mano gli tremava. Jack temeva che stesse perdendo completamente il controllo. «Non è vero, ci sono altre strade, puoi farti aiutare da un medico e anche Michael ti starà vicino. Non puoi abbassarti al loro livello, tua sorella non lo vorrebbe.»

«Tu non sai nulla di lei, di quello che voleva!»

Jack stava per ribattere ma qualcuno alle sue spalle lo precedette. «Ma io si, io lo so.»

Era Powell che, arrivato con Bobby e Myles, non aveva esitato ad avvicinarsi. «Marc, io amavo tua sorella e ho sofferto terribilmente quando l’abbiamo persa, per mesi ho provato una rabbia indescrivibile e il desiderio di vendetta ma poi mi sono rivolto a lei. Nelle mie preghiere le ho chiesto di indicarmi cosa fare e ho capito che voleva che continuassi la mia vita perché solo così avrei potuto onorare la sua vita. Credo, anzi sono sicuro, che vuole lo stesso da te. Ti voleva molto bene e sperava di vederti sistemato, con una tua famiglia», mentre parlava continuava ad avvicinarsi, «non voleva certo che diventassi un assassino. Ti prego credimi.»

Marc iniziò a piangere, lasciò andare Forbes e abbassò la pistola. Powell la prese subito mentre gli altri arrivavano velocemente.

Anche questa volta se la erano cavata. Jack sbuffò per liberare la tensione, poi si sedette perché le gambe non lo reggevano più.

 

 

L’indomani mattina quando Jack entrò in ufficio iniziarono tutti ad urlare e applaudire per festeggiarne il ritorno. Lui ridendo si fermò al centro della stanza e fece un inchino «grazie, grazie a tutti»

«Non credere però di cavartela così» gli disse Bobby. «Tu e De dovete darci diverse spiegazioni.»

«Già, non avvertire nessuno che eri sotto copertura è stato proprio sadico. Come ho fatto a non pensarci io?» aggiunse Myles.

«Bene, per fortuna qui dentro è tornata la normalità.» De era appena entrato accompagnato da Powell. «Il signor Powell voleva salutarci e ringraziarci.»

Jack si avvicinò. «Mi spiace averti mentito Michael, ma gli indizi contro di te erano forti e dovevo fare il mio lavoro perché come tu stesso mi hai detto un’agente resta sempre un agente.»

«E’ vero, ma mi dispiace che non lavorerai più per me, te la cavavi bene con gli allarmi.»

Jack gli tese la mano. «Chissà, forse un giorno, chi può mai dirlo. Se qui dentro», rise guardandosi intorno, «non dovessero trattarmi con il dovuto rispetto potrei anche lasciare veramente e chiederti di nuovo un lavoro.»

Anche Powell si guardò in giro. «Non credo che accadrà mai, differentemente da me cinque anni fa, tu qui hai una vera famiglia e la famiglia non si abbandona. Ora devo andare, grazie ancora di tutto.»

Quando l’ex agente uscì Tara riportò l’attenzione sul discorso iniziale. «Allora, queste spiegazioni?»

Fu De a parlare. «Beh, la sera stessa in cui abbiamo pensato a Powell come possibile colpevole Jack è venuto da me dicendomi di voler lavorare sotto copertura per entrare nelle sue grazie. Ma avevamo paura che ci fosse una talpa al dipartimento perché il killer sapeva troppe cose sulle vittime, allora abbiamo deciso di nascondere la verità a tutti per evitare fughe di notizie e ne abbiamo parlato solo con il direttore. D’accordo con lui ho calcato un po’ la mano nell’interrogatorio e poi abbiamo inscenato il litigio nell’ingresso.»

«Cercate di capire», aggiunse Jack, «non si è trattato di mancanza di fiducia nei vostri confronti ma di una cautela che andava presa.»

Bobby fu il primo a rispondere. «Nessun problema amico.»

«Già, nessun problema. Peccato però che tu sia tornato così presto, avevo messo gli occhi addosso alla tua scrivania. Mi è sempre piaciuto come è colpita dal sole la mattina. Peccato!»

«Mi spiace per te Myles ma avevo lasciato istruzioni che la mia scrivania venisse assegnata al miglior agente della squadra. Che ne dici Levi, ti sarebbe piaciuta una scrivania tutta per te?» Il cane si avvicinò e si fece accarezzare.

«Levi, andiamo, vieni qui», lo richiamò subito Sue che poi seguita dal cane uscì in corridoio. Sembrava molto contrariata.

«Ti servirà qualcosa in più di qualche battuta per farti perdonare» disse Lucy a Jack. «Adesso va da lei e cerca di essere convincente.»

 

La trovò nella sala riunioni lì vicino. «Posso parlarti? Mi dispiace » disse con le parole e i segni «ma rivelarlo a qualcuno poteva mettere a rischio l’operazione.»

«Questo lo hai già detto e lo capisco. Quello che non capisco è perché mi hai dovuto trattare così male e non hai risposto alle mie telefonate. Se mai lasciassi veramente questo lavoro non saremo più neanche amici?»

Jack si massaggiò le tempie e fece un respiro profondo. «Ho dovuto comportarmi così perché  sei l’unica persona alla quale non riesco a mentire. Tu riesci a leggermi dentro e se non fossi stato così aggressivo avresti finito per capire la verità. Credi che mi sia divertito a dirti quelle cose? Ma a volte l’attacco è la miglior difesa e io in quel momento dovevo difendermi da te.»

«Ma io ho sofferto Jack, ho sofferto, perché tengo a te!.»

“E stai soffrendo anche ora, lo vedo” pensò lui “e se la colpa è mia forse…” Attraversò la stanza a grandi passi prima di riprendere a parlare. «Lo so che per te la nostra amicizia è molto importante, ma non posso garantirti che una cosa del genere non riaccadrà perciò forse è meglio se cerchiamo di allentare un po’ questo legame.»

Lei rise amareggiata. «Allentare il nostro legame? Forse riuscirai  a farlo tu dato che dalle tue parole intuisco che mi consideri solo un’amica, ma per me è tardi Jack. Se voglio sincerità devo essere io la prima a darla: io ti amo Jack, è giusto che tu lo sappia.»

Di fronte al suo silenzio si alzò e andò verso la porta dandogli le spalle.

«Levi, fermala!»

Il cane saltò addosso a Sue facendola voltare.

Jack si mosse verso di lei e mentre avanzava disse con le parole e con i segni «anche io ti amo». Giuntole davanti sorrise, l’abbracciò e la baciò con passione.

Dopo aver ripreso fiato lei disse «Jack, devo dirti una cosa.»

«Cosa?»

«Poco fa hai sbagliato il segno. Questo» fece il segno con la mano «è “ti amo”»

Lui rise. «Tre anni che studio il linguaggio dei segni e sbaglio proprio nel momento più importante!»

«Per fortuna leggo le labbra.»

«Per fortuna.» Poi aggrottò la fronte pensieroso. «Mettiamo in chiaro una cosa, puoi leggere tutte le labbra che vuoi ma d’ora in avanti devi baciare solo le mie.»

Lei esitò un attimo tenendolo sulle spine, poi fece una smorfia. «Credo sia un patto che posso accettare» rise «anzi, voglio iniziare subito a rispettarlo.»

Jack, felice come non mai, la prese nuovamente tra le braccia: non aveva certo bisogno di farselo ripetere.

 

 

 

FINE

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